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If you are not located in the United States, you -will have to check the laws of the country where you are located before -using this eBook. - -Title: Cronica di Matteo Villani, vol. IV - A miglior lezione ridotta coll'aiuto de' testi a penna - -Author: Matteo Villani - -Editor: Ignazio Moutier - -Release Date: January 29, 2023 [eBook #69901] - -Language: Italian - -Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team - at http://www.pgdp.net (This file was produced from images - made available by the Bayerische Staatsbibliothek) - -*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK CRONICA DI MATTEO VILLANI, -VOL. IV *** - - - CRONICA - - DI - - MATTEO - VILLANI - - - A MIGLIOR LEZIONE RIDOTTA - COLL’AIUTO - DE’ TESTI A PENNA - - TOMO IV. - - - - FIRENZE - PER IL MAGHERI - 1825 - - - - -LIBRO OTTAVO - - -CAPITOLO PRIMO. - -_Il Prologo._ - -Avvegnachè antica questione sia stata tra’ savi, nondimeno la mente -nostra s’è affaticata in ricercare gli esempi degli autori d’ogni tempo -per avere più chiarezza, quale sia al mondo di maggiore operazione, -o la potenza dell’armi nelle mani de’ potentissimi duchi e signori -senza la virtù dell’eloquenza, o la nobile eloquenza diffusa per -la bocca de’ principi con assai minore potenza; e parne trovare, -avvegnachè il mio sia lieve e non fermo giudicio, che l’eloquenza abbi -soperchiata la potenza, e fatte al mondo maggiori cose; e l’eloquenza -di Nembrot, ammaestrato da Gioniton suo maestro, raunò d’oriente -tutta la generazione umana in un campo a edificare la torre di Babel; -la confusione della lingua mise la loro forza e la loro opera in -distruzione. Serse volendo occupare la Grecia coprì il mare di navi, -e il piano e le montagne d’innumerabili popoli; la leggiere forza -di Leonida, con cinquecento compagni inanimati dall’ammaestramento -dell’eloquenza di quello uomo, fece sì incredibile resistenza a quello -sformato esercito, che a’ Greci diede speranza di vincerlo, e al -re volontà con pochi de’ suoi di ritornare indietro. Alessandro di -Macedonia con piccolo numero di cavalieri infiammati dall’informazione -della compiacevole lingua di colui, vinse le infinite forze di Dario -e’ suoi tesori. I nobili principi romani più per savio ammaestramento -della disciplina militare, che per arme o per forza di loro cavalieri -domarono l’universo. E cominciando a Tullio Ostilio re de’ Romani, -condotto in campo per combattere co’ Toscani, vedendosi in su gli -estremi abbandonato e tradito da’ compagni, e preda de’ nemici, tanta -virtù ebbe la sua provveduta ed efficace eloquenza nel confortare i -suoi con fitte suasioni, ch’e’ li fece vincitori. E che fece il nobile -Scipione affricano? Non rimoss’egli con la virtù della sua lingua -il malvagio consiglio de’ senatori, che per paura voleano ardere e -abbandonare la città di Roma, e per questo vinse e soggiogò Affrica -al romano imperio? Il magnifico Cesare con poca compagnia, a rispetto -della moltitudine de’ suoi nemici, potendosi arbitrare in Francia, -in Borgogna, in Sassonia e in Inghilterra molte volte preda de’ suoi -avversari, per l’ammaestramento e conforto della sua voce tante volte -vinse i nemici forti e potenti, che li ridusse sotto la sua libera -signoria. Che si può dire di questo, quando con un pugno di piccolo -fiotto di cavalieri, per lo suo conforto domò e sottomise tutte le -nazioni del mondo in un campo a Tessaglia? Ma tornando alle minori -cose, Zenone filosofo vecchio, posto in croce miserabilmente a gran -tormento, usando la forza della sua magnifica eloquenza, fece abbattere -la sfrenata e gran potenza del tiranno siracusano. Dunque chi commuove -i popoli chi apparecchia le grandi schiere, se non la eloquenza -risonante negli orecchi degli uditori? E però senza comparazione pare, -che l’eloquenza ordinata al bene più giovi che l’armi, e indotta al -male più nuoce che altra cosa. E perocchè il nostro trattato per debito -ci apparecchia di fare comincia mento all’ottavo libro, uno lieve e -piccolo esempio per lo fatto, ma assai strano e maraviglioso per lo -modo, prima ci s’offera a raccontare. - - -CAP. II. - -_Chi fu frate Iacopo del Bossolaro, e come procedette il suo nome, e le -sue prediche in Pavia._ - -Era in questi tempi nato in Pavia un giovane figliuolo d’un picciolo -artefice che facea i bossoli, il quale nella sua giovinezza entrò nella -via della penitenza, e abbandonato il secolo, traeva vita solitaria -in alcuno romitorio nel deserto. È vero, che per essere a ubbidienza -prese l’abito de’ frati romitani, e chiamavasi frate Iacopo Bossolaro. -E avendo costui gran fama di santità e di scienza, fu costretto dal -suo ministro di ritornare in Pavia, e di stare nella religione, e ivi -tenea vita più solitaria e di maggiore astinenza che gli altri del -convento. Avvenne, che venendo il tempo della quaresima, ed essendo -consuetudine di fare il primo mercoledì della quaresima nella sala del -vescovo uno sermone al popolo, fu commesso a questo frate Iacopo, il -quale il fece in tanto piacere del popolo, che fu costretto a predicare -tutta la quaresima. E come fu piacere di Dio, questo religioso facea le -sue prediche tanto piacere a ogni maniera di gente, che la fama e la -devozione cresceva maravigliosamente per modo, che molti circustanti -delle terre e delle castella traevano a udire le prediche di frate -Iacopo. Ed egli vedendo il concorso della gente, e la fede che gli era -data, cominciò a detestare i vizi, e massimamente l’usura, e l’endiche, -e le disoneste portature delle donne, e appresso cominciò a dire molto -contro la disordinata signoria de’ tiranni; e in poco tempo ridusse le -donne in genero a onesto abito e portamento, e gli uomini a rimanersi -dell’usure e dell’endiche. E continovando le sue prediche contro alla -sfrenata tirannia, e avendo, come addietro è detto, per lo suo conforto -fatto pigliare l’arme al popolo a sconfiggere quelli delle bastite, -per la qual cosa le sue parole aveano tanta efficacia, che i signori da -Beccheria, ch’erano allora signori di Pavia, cominciarono a ingrossire -delle parole ch’egli usava in genero contro a tutti i tiranni. E allora -erano signori messer Castellano e messer Milano. Costoro cercarono -segretamente di farlo morire per più riprese, tanto che la cosa gli -venne palese, e’ cittadini ne cominciarono ad avere guardia, e dovunque -andava l’accompagnavano, per modo che i signori nol poteano offendere, -ed egli per questo più apertamente contro alle crudeltà già fatte per -costoro predicava, e incitava il popolo alla loro franchigia. - - -CAP. III. - -_Come frate Iacopo fece tribuni di popolo nelle sue prediche in Pavia._ - -Il valente frate, sentendo il popolo disposto a seguire il suo -consiglio, avendo alcuno consentimento dal marchese di Monferrato -vicario dell’imperadore in Pavia, raunato un dì il popolo alla sua -predica, avendo molto detto contro alle scellerate cose, e’ vizi -che regnano nelle tirannie, e aperto l’aguato che alla sua persona -più volte era fatto per li tiranni da Beccheria per torgli la vita, -disse, che la salute di quel popolo era che si reggessono a comune, -e sopra ciò ordinò molto bene le sue parole. E stando in sul pergamo, -nominò venti buoni uomini di diverse contrade della città, e a catuno -disse, che volea ch’avesse cento uomini al suo seguito; e de’ detti -venti fece quattro capitani di tutti. E com’egli gli ebbe pronunziati -nella predica, così il popolo li confermò con viva boce, ed eglino -accettarono l’uficio. Sentendo questo i signori, furono sopra modo -turbati, e cercarono con forza d’arme d’uccidere il frate, ma il popolo -gli ordinò sessanta cittadini armati alla guardia; e per tanto que’ da -Beccheria, temendo più la commozione del popolo che degli armati, non -si vollono mettere a berzaglio. In questi dì messer Castellano era col -marchese, e volendo per questa novità tornare a Pavia, non potè avere -la licenza da lui. E questo manifesta assai, che ’l marchese fosse -consenziente a quello ch’era fatto per lo Bossolaro. - - -CAP. IV. - -_Come frate Iacopo cacciò i signori da Beccheria di Pavia._ - -Dopo questi centurioni fatti in Pavia, del mese di settembre anno -detto, messer Milano, ch’era in Pavia, con assentimento del fratello, -vedendosi tolta la signoria, cercava segretamente di dare la città -a’ signori di Milano. Frate Iacopo, che stava attento, sentì il -fatto, e di presente raunò il popolo alla sua predica, e in quella -disse molto contro il malvagio peccato del tradimento. Ed essendo -già di ciò sospetti al popolo i signori, e chiariti per la predica -del Bossolaro, il detto frate comandò d’in sul pergamo a uno de’ -centurioni, ch’andasse a messer Milano, e comandassegli, che di -presente si partisse della città e del contado di Pavia. Il signore -temendo il furore del popolo ubbidì, e spacciò la città della sua -persona e di tutta sua famiglia in quel giorno, e andossene a loro -castella. Avvenne poco appresso, che essendo morta la moglie del -marchese, ed egli imbrigato nell’esequio, messer Castellano prese suo -tempo, e partissi senza licenza, e vennesene al fratello; e come furono -insieme, diedono le castella a’ signori di Milano, e ricevettono quella -gente d’arme ch’e’ vollono, e rifeciono trattato co’ loro amici della -città, pensando colla forza de’ signori di Milano rientrare in Pavia; -il trattato si scoperse, e tutto il rimanente di que’ da Beccheria -furono cacciati della città, e furono presi cento cittadini degli -amici de’ signori, e di loro quelli che più furono trovati colpevoli ne -furono dodici decapitati, tra’ quali furono cinque giudici e avvocati -servidori de’ signori, gli altri furono liberi a volontà del popolo e -di frate Iacopo, e la terra riformata a popolo, e ribanditi tutti gli -usciti guelfi, e nominatamente il conte Giovanni e ’l conte Filippo, -e’ loro figliuoli e discendenti, che quarantasei anni erano stati di -fuori cacciati da’ tiranni da Beccheria. E come che ’l reggimento -fosse a popolo assai bene ordinato, niente si facea che montasse -senza il consiglio di frate Iacopo; e nondimeno il frate osservava -onestamente la sua religione, e infino allora l’avea trenta anni usata -con laudevole vita. Chi può stimare il fine delle cose, e la varietà -delle vie della volubile fortuna? La signoria da Beccheria non potuta -sottomettere dalla gran potenza de’ signori di Milano, nè da molte -guerre sostenute, prese fine per le parole d’un piccolo fraticello: ma -che più? quella città credendosi essere sciolta dalla servitù de’ suoi -cittadini e tornata in libertà, poco appresso fu sottoposta a più aspro -giogo di tirannia, come leggendo innanzi si potrà trovare. - - -CAP. V. - -_Della materia medesima._ - -Erano in questo tempo i signori di Milano intenti con tutto loro sforzo -e studio sopra l’assedio della città di Mantova, e però il marchese di -Monferrato andò a Pavia con milledugento barbute e quattromila fanti, i -quali improvviso a’ signori di Milano cavalcarono il Milanese; e posono -loro campo presso alle porte di Milano; e questo feciono avvisatamente, -sapendo che gente d’arme non era nella città, e acciocchè quelli -di Pavia ch’aveano perduto il vino, per l’assedio e per le bastite -ch’aveano avuto addosso, il ricoverassono sopra il contado di Milano, -e così fu fatto; che stando quella gente a campo come detto è, frate -Iacopo Bossolaro in persona uscì di Pavia con tutta la moltitudine del -popolo, uomini, e femmine, e fanciulli con tutto il carreggio della -città e del contado, e con tutti i somieri e vasella da vendemmiare, e -misonsi nelle vigne de’ Milanesi, e in un dì vendemmiarono e misono in -Pavia diecimila vegge di vino senza alcuno contasto, e catuno n’andò -carico d’uve; e questo avvenne, ch’e’ tiranni sentendosi poche genti -temettono di loro persone, e però non vollono uscire della città. -Il marchese con la sua gente veduta fatta la vendemmia, e ’l popolo -raccolto a salvamento, saviamente levò il campo, e messosi innanzi il -popolo e la salmeria, del mese d’ottobre del detto anno, sano e salvo -si tornò in Pavia, con grande vergogna de’ superbi tiranni. - - -CAP. VI. - -_Come per più riprese in diversi tempi fu messo fuoco nelle case della -Badia di Firenze._ - -Avvegnachè vergogna sia mettere in nota quello che seguita, tuttavia -può essere utile per l’esempio il male che seguita della discordia -de’ religiosi. La Badia di Firenze avea undici monaci in questo tempo -senza abate, perocchè l’insaziabile avarizia de’ prelati avea questo -monistero conferito alla mensa del cardinale che fu vescovo di Firenze, -messer Andrea da Todi; costui traeva il frutto, e’ monaci rimanevano -senza pastore; e presono a fitto dal cardinale la rendita, che ne -fece loro buono mercato, per fiorini mille d’oro l’anno, acciocchè il -monastero si mantenesse a onore. I monaci erano uomini senza scienza -e di lievi nazioni, e intendea catuno alla propria utilità, e del -monistero non si curavano, e ’l nimico co’ suoi beveraggi gl’inebriava -per modo, che tra loro era tanta invidia e tanta discordia, che nè -dì nè notte vi si potea posare. E come che s’andasse, cominciando di -questo mese d’ottobre, in sei mesi appresso quattro volte fu messo -fuoco nelle case della Badia, e non si potè sapere certamente per cui, -ma da’ monaci della casa per la loro dissensione si tenne per tutti -che fatto fosse. Il primo dì d’ottobre arse la sagrestia e le case del -dormentorio infino alla volta della via del Garbo; e un altro ve ne fu -messo poco appresso, che avvedendosene tosto fu spento senza troppo -danno, e così un altro dopo quello. E la notte di nostra Donna di -marzo ne fu messo uno nella casa di costa al palagio, il quale l’arse -tutta, e avrebbe arse quelle di san Martino, che l’erano congiunte, se -non fosse il gran soccorso, ma molto danneggiò le case e’ mercatanti -lanaiuoli ch’ebbono a sgombrare. Questa malizia benchè movesse da -singulare persona, tutta si può dire che procedesse dalla sopraddetta -avarizia de’ maggiori prelati, che per empiere le loro disordinate -mense levano i pastori alle chiese cattedrali, e per questo le gregge -si dispergono, e diventano pasto de’ rapaci lupi. - - -CAP. VII. - -_Come la terra di Romena si comperò per lo comune di Firenze._ - -Era lungo tempo stata questione tra ’l conte Bandino di monte Granelli -e Pietro conte di Romena della terra e della rocca di Romena, e in -questi dì era per compromesso la questione in mano del conte Ruberto -da Battifolle, il quale si dicea ch’avea aggiudicata, o ch’era per -aggiudicare Romena al conte Bandino contro alla volontà del conte -Piero; per la qual cosa Piero ricorse al comune di Firenze, e con -molta sollecitudine e grandi preghiere indusse i collegi, che ’l comune -comperasse la sua parte di Romena per fiorini tremilacinquecento d’oro; -e diliberato questo per li collegi, si mise al consiglio del popolo, e -per due volte si combattè la detta proposta nel consiglio, e perocchè -ai popolo non piacea l’impresa furono in discordia; in fine i priori -e’ collegi aoperarono tanto che la proposta si vinse, e fu diliberato -pe’ consigli ch’a Piero conte fossono dati tremilacinquecento fiorini -d’oro delle ragioni ch’avea in Romena. Ed essendo la terra e la rocca -nelle mani del conte Bandino, ed egli allora in bando del comune di -Firenze, il qual bando falsamente gli diede un suo nemico da Calvoli -quand’era podestà di Firenze, ed egli per isdegno, o per altro, non -s’era procacciato a farlo rivocare, e per questo il comune diliberò, -o per amore o per forza di volere avere la tenuta delle sue ragioni. -Sentendo Bandino conte l’impresa determinata per lo comune di Firenze -de’ fatti di Romena, mandò per sicurtà di potere venire a’ signori, -e avutala, fece co’ signori raunare i collegi, e in loro presenza -disse, come Romena era sua per chiara sentenza, e quella tenea e -possedea; e sentendo che ’l comune avea l’animo di volerla, niuno -la potea meglio dare di lui, e in grande grazia si tenea di donarla -al comune di Firenze, di cui si riputava figliuolo e servidore; e -non tanto Romena, ma tutte l’altre sue terre volea dare liberamente -al comune di Firenze, e per lo comune l’avea tenute, e intendea di -tenere sempre. Le profferte furono tanto libere e graziose, che di -presente impetrò grazia d’essere ribandito, e messo in protezione del -comune, e d’essere fatto suo cittadino. E non volendo il comune le sue -ragioni in dono, non potè essere recato a porvi alcuno pregio. Infine i -signori con discreto consiglio ordinarono, che al detto Bandino fossono -dati contanti cinquemila fiorini d’oro, de’ quali e’ si tenne molto -contento, e di presente fece liberamente la carta della vendita della -terra di Romena, e de’ fedeli e di tutta la giurisdizione ch’avea in -quella, come pochi dì innanzi avea fatto Piero conte della sua parte, e -a dì 23 d’ottobre anno detto, per li consigli del comune fu ribandito, -e fatto cittadino di Firenze, e a dì 28 del detto mese ebbe contanti -fiorini cinquemila d’oro, avendo il dì dinanzi fatta dare la tenuta -della terra e della rocca al comune di Firenze. E le carte della detta -compera di Romena si feciono per ser Piero di ser Grifo da Pratovecchio -notaio. Da’ detti conti il comune liberò i fedeli e feceli contadini, -e diè loro l’estimo e le gabelle come agli altri e la cittadinanza, e -feceli popolari; onde molto furono allegri e contenti, e ripararono i -difetti del castello. - - -CAP. VIII. - -_Come la compagnia di Provenza si sparse per vernare._ - -La compagnia dell’arciprete di Pelagorga, stata lungamente in Provenza, -era cresciuta in più di quattromila barbute. Il papa e’ cardinali -aveano cerco con preghiere di farli partire del paese; e non avea -avuto luogo. Ma sapendo come la maggiore parte di quella gente era del -reame di Francia, impetrarono lettere e comandamento da parte del re di -Francia, come si dovessono partire delle terre di Provenza ch’erano del -re Luigi, il qual’era di suo lignaggio, e congiunto parente. Le lettere -e ’l comandamento furono ubbidite come da prigione, e di presente si -ridussono in più parti di Provenza per vernare; e così tribolarono -il verno come la state tutta la provincia. E per questo i Provenzali -mandarono al re loro signore, che li venisse a soccorrere con forte -braccio, altrimenti e’ non potrebbono sostenere. - - -CAP. IX. - -_Come la compagnia del conte di Lando fu condotta per i collegati di -Lombardia._ - -L’altra compagnia in Italia dimorando in sul terreno di Bologna, -ricettati da messer Giovanni da Oleggio ch’allora era signore, e -per sicurtà di sè s’era fatto amico del conte di Lando e degli altri -caporali di quella; e com’è narrato poco addietro, i signori di Milano -aveano presa la Serraia di Mantova, e fortemente stretta la città -d’assedio, e quivi faceano ogni punga per vincerla. Gli allegati -lombardi contro a loro cercavano la difesa, la quale non si potea fare -senza gran forza, che lungamente si potesse mantenere: e però diedono -ordine alla moneta che catuno dovesse pagare ogni mese, e fu stribuita -per questo modo: che Bologna pagasse come detto è fiorini dodicimila, e -’l marchese di Ferrara fiorini ottomila, e’ signori di Mantova fiorini -tremila, il comune di Pavia fiorini duemila, quelli di Novara duemila, -i Genovesi coll’aiuto segreto ch’avea il doge loro da’ Pisani fiorini -quattromila; il signore di Verona allora si stava di mezzo e quello -di Padova; il marchese di Monferrato non ebbe a conferire moneta, -perocch’era capitano in Piemonte, e là facea guerra colla sua gente; -e trovata la moneta, di presente soldarono la compagnia del conte di -Lando, e del mese d’ottobre sopraddetto la feciono partire d’in sul -Bolognese con più di tremila barbute e con tutta l’altra ciurma, e -parte ne misono sul Mantovano, e parte ne mandarono in Vercellese, -accozzati coll’altra loro masnada. Quello che di ciò seguì appresso al -suo tempo racconteremo. - - -CAP. X. - -_Come il re Luigi richiese i comuni di Toscana d’aiuto._ - -Il re Luigi, vedendo a mal partito il contado di Provenza, diliberò -col suo consiglio d’andare in persona al primo tempo in Provenza con -tutto suo sforzo e degli amici, per liberarla dalla compagnia, e però -richiese tutti i suoi baroni del debito servigio, e ordinò d’avere -moneta e di fare alcuna armata; e del mese di novembre anno detto mandò -per suoi ambasciadori a richiedere i Fiorentini d’aiuto, e tutti gli -altri comuni di Toscana. Il nostro comune diliberò di darli l’insegna -del comune con trecento buoni cavalieri in fino ch’avesse cacciata la -compagnia di Provenza, gli altri comuni feciono la loro profferta più -lieve, e chi se ne diliberò con altra scusa. - - -CAP. XI. - -_Come i Pisani feciono armata per rompere il porto di Talamone._ - -Avvedendosi i Pisani ch’e’ Fiorentini per preghiere, nè per promesse -larghe, nè per minacce, nè per armata ch’avessono fatta in lega col -doge di Genova per impedire la mercatanzia che non andasse a Talamone, -non si moveano, e che pertinacemente ne portavano ogni sconcio e ogni -gravezza, pensarono di volere vincere Talamone per forza, e ardere -la terra e guastare il porto, e mandaronvi subitamente e per terra e -per mare a fare quel servigio, avendo armate otto galee e uno legno -alla guardia che mercatanzia non andasse a Talamone; ed essendo -apparecchiati in mare, s’apparecchiarono di cavalieri e di masnadieri -e d’argomenti per combattere la terra, e di vittuaglia. I Fiorentini -sentendo questo, avvisarono i Sanesi, e di presente mandarono per terra -assai gente da cavallo e da piè e di molti balestrieri a Talamone, -per potere difendere la terra per mare e dall’oste per terra; i -Sanesi anche vi mandarono loro sforzo. I Pisani vi mandarono l’otto -galee e un legno per mare, e mosso la cavalleria e ’l popolo pisano -per terra, sentirono come il loro aguato era scoperto, e come gente -d’arme da Firenze e da Siena erano andati a Talamone per azzuffarsi -con loro, sicchè per lo migliore si tornarono addietro; e le galee -vedendo fornito il porto di cavalieri e di balestrieri, non ardirono -d’accostarsi alla terra, e stati alquanti dì sopra il porto, del mese -di novembre anno detto lasciarono a Gilio due galee, che ogni navilio -che venisse a Talamone fosse menato a scaricare a Porto pisano. Per -questa cagione i Fiorentini più accesi contro a’ Pisani per li loro -oltraggi, ordinarono di fare armata in mare, per fare ricredenti i -Pisani della loro arroganza; onde seguitarono assai gran cose, come -appresso nel suo tempo racconteremo. - - -CAP. XII. - -_Come essendo l’oste de’ Visconti a Mantova, parte della compagnia si -mise in Castro._ - -Essendo l’oste de’ signori di Milano stretta a Mantova, e non movendosi -per la venuta della compagnia, nè per la guerra del Piemonte, i -collegati mandarono mille barbute e cinquecento masnadieri in sul -contado di Milano a un grosso casale che si chiama Castro, sedici -miglia di piano presso a Milano, ed entrativi dentro, lo trovarono bene -fornito da vivere, e di là cavalcarono il paese sino presso a Milano, -facendo a’ contadini gran danno, e a’ signori maggior vergogna. L’altra -parte della compagnia s’accostò in Vercellese colla gente del marchese, -e tolsono a’ signori di Milano parecchi castella: e per questo modo, -non potendo levare l’oste da Mantova, guereggiavano i tiranni dove -potevano. I signori di Milano aontati da’ cavalieri di Castro, ch’erano -pochi, e in su gli occhi loro, di subito gli feciono assediare con -intenzione che niuno ne campasse, ma d’avergli a man salva, e di -fargli tutti impendere per la gola, e però non li lasciavano partire. -Ma la cosa ebbe tutto altro fine, come nel suo tempo innanzi si potrà -trovare. - - -CAP. XIII. - -_Come la Chiesa di Roma fe’ gravezza a’ cortigiani._ - -Avvegnachè lieve cosa sia per lo fatto, la disusata e strana materia -ci strigne a fare memoria, come il papa e’ cardinali contro all’usata -franchigia della corte di Roma, rompendo quella, per volere riparare -le città d’Avignone, e fare guardare la terra per tema della compagnia -di Provenza, non volendo toccare i danari di camera, feciono imposta -a’ mercatanti e agli artefici ben grave, e di presente l’esazione. -E misono la gabella al vino, e un’altra più grave di fiorini uno per -testa d’uomo, e ordinarono gli esattori, e riscossonne parte, ma era -sì incomportabile alla minuta gente, che poco andò innanzi. L’avarizia -de’ prelati, e la franchigia rotta a’ cortigiani, fece di questo molto -maravigliare ovunque se ne seppe le novelle, e maggiormente, perchè la -città è della Chiesa. La gabella del vino e altre gravezze rimasono in -piè, in poco onore de’ guidatori della città di Roma - - -CAP. XIV. - -_Cominciamento di guerra tra certi comuni in Toscana._ - -Era stata, dopo la partita dell’imperadore da Pisa, tutta Toscana in -tranquillo stato, e alcuna volta in lega tutti e quattro i maggiori -comuni, e non si dimostrava alcuna apparenza di cagione di guerra. -E’ Fiorentini erano fermi di mantenere il porto a Talamone senza -cominciare guerra, o mostrare che rotta fosse loro da’ Pisani. I -Perugini trovandosi in prosperità, e forti di gente d’armi, non -ostante ch’avessono doppia pace col comune e col signore di Cortona, -la prima fatta per proprio movimento del loro comune, innanzi a -quella generale che si fece coll’arcivescovo di Milano, e co’ suoi -collegati e aderenti, alla quale prima richiesono il comune di Firenze, -che entrasse loro mallevadore al comune e al signore di Cortona di -diecimila marche d’oro, che manterrebbono la pace lealmente, e ’l -comune fece un sindaco a potere fare il sodamento e la promessa, e -così fece; e’ Perugini, istigati da Leggiere d’Andreotto loro grande -cittadino, il quale promettea di dare loro la terra per trattato -ch’egli avea dentro, di subito del mese di dicembre anno detto, -con quattrocento cavalieri e con gran popolo vennero a Cortona, e -guastaronla intorno, e poi si posono all’Orsaia, e non si trovò che -trattato vi fosse dentro. L’impresa fu rea, e mossa da gran malizia -per animo di setta, e non ebbe il fine che s’aspettava per i Perugini, -ma fu cagione di gravi cose in Toscana, come seguendo nostro trattato -diviseremo. - - -CAP. XV. - -_Di certe novità apparenti contro il soldano d’Egitto._ - -Aspettandoci alquanto le novità de’ cristiani, ci occorrono di quelle -de’ saracini; e per meglio intendere le presenti, ci conviene alquanto -trarre addietro la nostra materia. Quando morì il Saladino, uomo -valoroso di virtù e di prodezza, e molto temuto e ridottato signore, -e accrebbe la sua signoria, quando venne a morte lasciò quattordici -figliuoli maschi, e ’l maggiore fu fatto soldano; ma i suoi ammiragli -avendo provato la signoria del padre dura e ridottabile, volendosi -maliziosamente provvedere, s’intesono insieme; e come il soldano non -faceva a loro senno, l’avvilivano di parole nel cospetto del secondo -fratello, e prometteano di farlo soldano se consentisse la morte sua; -e tanto procedettono nella loro malizia, con inducere la vaghezza -della signoria ora all’uno fratello e ora all’altro, che in spazio -di venti anni già otto soldani di quelli fratelli avean fatti morire -l’uno appresso l’altro; e per questo gli ammiragli aveano accresciuto -loro stato e loro baronie, e abbassato quello del soldano, per modo che -poco era ubbidito; e nel 1357 de’ quattordici figliuoli del Saladino -ve n’erano rimasi due, l’uno soldano male ubbidito. E per questo -abbassamento della signoria in questi dì s’era sommosso un signore de’ -Tartari, il quale si disse che s’era convertito alla fede di Cristo per -certi frati minori, il quale s’apparecchiò con grande esercito di sua -gente, e con molti cristiani giorgiani, per volere venire a racquistare -la terra santa; e innanzi mandò lettere al soldano comandandoli, che -dovesse a’ suo saracini fare sgombrare la terra santa. Il soldano -e’ suoi ammiragli di queste lettere si feciono beffe, e ordinarsi -dov’e’ venisse di mettersi alla difesa. L’impresa dilatò la fama, ma -il signore, o ch’e’ non fosse in perfetta fede, o in tanta potenza, -raffreddato dell’impresa non seguì suo viaggio. - - -CAP. XVI. - -_Come il re di Navarra fu tratto di prigione._ - -Essendo i trattati della pace e le triegue dal re d’Inghilterra a’ -Franceschi, non ostante ciò, messer Filippo di Navarra, mostrando -d’avere accolta gente da sè, e avea molti Inghilesi in sua compagnia, -era entrato in Normandia, e facea là e in altre parti del reame più -aspra guerra che mai non aveano fatto gl’Inghilesi, e molto tormentava -i Franceschi, dicendo, ch’a torto teneano il re suo fratello in -prigione. E per questa tribolazione del paese, e perchè il re avea -amici tra i tre stati che governavano il reame, i prelati, i baroni, -e’ borgesi ch’erano al governo, feciono sopra ciò loro consiglio, e -mostrarono al popolo come messer Filippo si movea a ragione, perchè -il re di Navarra riceveva torto: e in parlamento di gran concordia, -a dì 28 di novembre anno detto, il trassono di prigione: e in quello -parlamento e’ si scusò, e mostrossi innocente, e mostrò, come ciò -che gli era stato fatto era stata operazione del cancelliere, ch’oggi -era cardinale; e ringraziò il popolo e i tre stati, e seguì d’essere -fedele, e fu fatto capitano di guerra. - - -CAP. XVII. - -_Come i Perugini dall’una parte e i Cortonesi dall’altra mandarono per -aiuto a Firenze._ - -Incontanente ch’e’ Perugini s’avvidono che ’l trattato d’avere Cortona -era stato bugiardo, e pur l’impresa era fatta, mandarono ambasciadori -a’ Fiorentini significando, ch’aveano trovati i Cortonesi in trattato -di furare certe loro terre contro a’ patti della pace, e però erano -venuti sopra Cortona, e intendeano non partirsene d’assedio, ch’eglino -avrebbono la città ai loro comandamenti. E molto sfacciatamente, e -con grande arroganza, sapendo che ’l nostro comune avea promessa e -sicurata la pace per loro, e’ domandarono aiuto di gente d’arme a -quello assedio. Dall’altra parte in que’ medesimi dì, con più giustizia -e ragione, erano a’ signori gli ambasciadori de’ Cortonesi e del loro -signore, i quali si lamentavano forte de’ Perugini, che senza alcuna -cagione di subito aveano loro rotta la pace, della quale il comune -di Firenze era mallevadore, e domandavano al comune che desse loro -solamente l’insegna con cento cavalieri alla guardia della città, -facendo chiaro il comune ch’e’ Perugini non aveano ragione, e che -trattato per i Cortonesi contro a’ Perugini, o contro alle loro terre, -non era pensato non che fatto; e di questo s’offeriano a fare ogni -chiarezza. Il comune di Firenze, che di natura e d’antica consuetudine -è tardo alle cose, per avere a diliberare con molti consigli, in fine -ordinò e mandò suoi ambasciadori a Perugia, riprendendo il comune di -quella impresa non giusta, e pregandoli per l’onore loro medesimo, e -appresso del comune di Firenze ch’era obbligato, a loro stanza che se -ne dovessono partire; e di ciò furono male ubbiditi. - - -CAP. XVIII. - -_Come la gente de’ signori di Milano furono sconfitti in Bresciana._ - -Essendo tra’ signori di Milano e’ collegati di Lombardia contro a -loro stretto trattato di concordia, avvenne che duemila barbute della -compagnia valicavano per lo Milanese. Messer Bernabò Visconti sentendo -questo, e temendo d’alcuna sua terra, di presente fece cavalcare messer -Giovanni da Biseggio suo capitano con millecinquecento cavalieri, e -appresso lo seguivano mille barbute per soccorso. Messer Giovanni, -franco e coraggioso capitano, si mise innanzi senza attendere gli -altri mille cavalieri, e colla sua brigata s’aggiunse co’ nemici -in sul Bresciano, e ivi si fedì tra loro aspramente. Quivi avea di -buoni cavalieri, che li riceverono allegramente, ove fu aspra e fiera -battaglia. In fine i cavalieri di messer Bernabò furono sconfitti, -e preso il capitano con venti conestabili, e bene quattrocento altri -cavalieri, e lasciati alla fede, all’usanza tedesca. Trovaronsi morti -in sul campo tra dell’una parte e dell’altra trecento uomini, i più de’ -vinti; e questo fu del mese di dicembre anno detto. - - -CAP. XIX. - -_Come l’oste del re d’Ungheria prese la città di Giadra._ - -Nel settimo libro addietro è narrato l’assedio del re d’Ungheria posto -a Giadra, il quale stato lungamente, del mese di dicembre anno detto, -coll’aiuto d’alcuno trattato d’entro, si menò una cava di fuori in -certa parte ov’era l’aiuto d’entro, e in pochi dì furono fatte cadere -quaranta braccia di muro; e atati da coloro con cui s’intendeano -dentro, ebbono l’entrata della città, ed entrati gli Ungheri dentro, -senza gran contasto vinsono la terra, e tutta la gente de’ Veneziani -ch’erano alla guardia si raccolsono nel castello, ch’era alla marina -alquanto scostato dalla terra, fortissimo e ben fornito a ogni gran -difesa, e da potere avere soccorso di mare. Questa è quella città che -tanta guerra ha fatto fare tra ’l re d’Ungheria e’ Veneziani, e alla -quale il re d’Ungheria in persona alcuna volta con centomila cavalieri -è stato all’assedio, e partito se n’è con vergogna, e ora così vilmente -è stata vinta. Credo che l’ambiziosa superbia de’ Veneziani per gravi -discipline sia umiliata nel cospetto di Dio, per la qual cosa si può -comprendere che Iddio per grazia gli traesse con lieve danno di gran -pericolo e di gravi spese; e bench’elli avessono grande appetito di -pace, tenendo Giadra non la sapeano lasciare, ma ogni omaggio, ogni -gran quantità di pecunia offeriano per quella; ma il magnanimo re volea -innanzi il suo onore, che la pecunia e l’amistà de’ Veneziani. Come i -Veneziani sentirono che la città di Giadra era tolta loro sbigottirono -forte, non ostante che tenessono il castello, ch’era di gran fortezza, -e da poterlo tenere e fornire per mare; ma consideravansi consumati -dalle spese, e la potenza del re essere sopra le forze loro, e però -subitamente gli mandarono ambasciadori per volere trattare della -pace con lui. Il re essendo cresciuto in vittoria sopra loro, per -farli più accendere nell’appetito della pace, a questa non li volle -udire, mostrando animo grave contro al comune di Vinegia per le grandi -ingiurie ricevute da quello, e scrisse in Puglia all’imperadore per -volere fare armare galee, e in Lombardia a’ signori suoi amici perchè -s’apparecchiassono al suo servigio, ch’egli intendea di venire ad -assediare Trevigi, e far guerra per terra e per mare a’ suoi nemici -veneziani. Per questa risposta i Veneziani temettono più forte, e -conobbonsi disfatti dentro alle incomportabili gravezze, e di fuori -dalla gran potenza del re. E per questo diliberarono tra loro ch’ogni -altra posa era accrescimento a’ loro guai, salvo che la pace, e questa -procacciarono, come innanzi a loro tempo racconteremo. - - -CAP. XX. - -_Come messer Bernabò fece combattere Castro._ - -Come poco innanzi narrammo, messer Bernabò signore di Milano avea -lungamente tenuti assediati nel castello di Castro in sul Milanese -mille cavalieri, e cinquecento masnadieri di quelli della compagnia, -con speranza d’averli per forza e di farli impiccare. E avendo fatto -ordinare sua gente alla battaglia, non essendo il castello forte, da -ogni parte il fece assalire con aspra e stretta battaglia; e avvegnachè -’l luogo fosse debole alla loro difesa, la necessità di difendere -catuno la vita, diede loro smisurata sollecitudine e forza alla difesa, -e combatterono sì aspramente contro alla moltitudine de’ loro nemici, -che per forza gli ributtarono addietro della battaglia, e con danno -di molti morti e d’assai magagnati si ritornarono addietro al campo -loro, ch’era intorno al casale. Avendo l’altra parte della compagnia -ch’era in Vercelli sentito il pericolo de’ loro compagni, mandarono ad -avvisarli della giornata, che verrebbeno col loro sforzo per levarli -di là, acciocch’elli stessono apparecchiati. E incontanente, improvviso -alla gente de’ signori di Milano, del mese di dicembre anno detto, con -duemila barbute bene in concio se ne vennero in sul contado di Milano -dall’una delle parti del casale: e trovando in concio i loro compagni -ch’erano in Castro, con bella schiera fatta s’uscirono del casale, e -aggiunsonsi co’ loro compagni, per modo che la gente del tiranno non -ebbe ardire di muoversi contro a loro. E in questo modo senza niuno -assalto si ridussono, con vergogna de’ signori di Milano, sani e salvi -in Vercellese. - - -CAP. XXI. - -_Come si cominciò a trattare pace da’ collegati a’ Visconti._ - -Dibattuta lungamente la guerra tra’ signori di Milano e gli altri -Lombardi collegati, e le cose molto imbarrate da ogni parte, non -ostante che in molte cose la fortuna avesse prosperato gli allegati, -e vergognata l’altra parte, tant’era la forza de’ signori di Milano di -danari e di gente d’arme, che solo sostenendo consumava gli allegati, -e della perdita delle genti e delle terre piccole non si curavano, -e continovo ogni mese aveano fornite e ricresciute le loro masnade, -mostrando maggiore forza l’un dì che l’altro, tenendo l’oste sopra -Mantova, e facendo cavalcare sopra i Lombardi, tormentandoli dopo le -sconfitte ricevute più che prima. Il signore di Mantova, toccandogli la -guerra più nel vivo, mandò messer Feltrino da Gonzaga a’ collegati per -riprendere il trattato della pace co’ signori di Milano, e fece dare -speranza a’ signori di Milano di dar loro la città di Reggio, e per -questo diedono udienza al trattato del mese di gennaio del detto anno. -Ma innanzi che ’l trattato avesse effetto, altre cose avvennono tra -loro, le quali prima ci verranno a raccontare. - - -CAP. XXII. - -_Come i Perugini puosono cinque battifolli a Cortona._ - -Tornando a’ fatti di Cortona, trovando coloro ch’allora reggevano -il comune di Perugia, che l’impresa non era stata ben fatta, e ch’e’ -Fiorentini glie ne riprendeano, e molti altri loro buoni cittadini, per -non avere vergogna dell’impresa, poichè fatta l’aveano, e il popolo -minuto, che allora reggea la città, se ne mostrò tanto infocato, che -incontanente crebbono gente d’arme da piè e da cavallo, per fornire -il contradio di quello che erano pregati da’ Fiorentini. E già però i -Fiorentini per troppo amore che portavano a quel comune, e per vergogna -che ricevessono di loro promessa non vollono tramettersi contro a’ -Perugini per difesa de’ Cortonesi, com’e’ poteano a loro vantaggio, -altro che con parole, onde da’ savi uomini furono assai biasimati. -E’ Perugini vedendo che ’l comune di Firenze non volea prendere la -guardia di Cortona, come e’ dovea e potea fare, presono più baldanza, -e rinforzarono l’oste di molta gente, e chiusono la città d’assedio -con cinque battifolli, per modo che non vi si poteva entrare nè uscire -senza grande pericolo; e questo fu all’entrata del mese di gennaio del -detto anno. Gli assediati erano male forniti di gente forestiera alla -difesa, e a’ cittadini convenia fare la guardia grande di dì e di notte -che gli affliggea molto, e questo dava grande speranza a’ Perugini -di venire a’ loro intendimenti; e ’l signore ne stava in grande -gelosia, temendo de’ suoi cittadini, ma i cittadini per singolare odio -che portavano a’ Perugini, temendo di venire alla loro suggezione, -rassicurarono il signore, e strinsonsi con lui, e ordinarono la guardia -volontaria e buona alla difesa della città, e cominciarono a trattare -de’ loro rimedi. - - -CAP. XXIII. - -_Come i Trevigiani furono rotti dagli Ungheri._ - -Lavorandosi il terreno de’ Trevigiani per gli Ungheri, come già è -detto, trovandosi in Trevigi una franca masnada di cavalieri e di -masnadieri, avendo pensato di fare una grande e utile preda, ed essendo -i lavoratori pe’ campi sotto la guardia degli Ungheri operando la -terra senza paura, non temendo de’ Trevigiani, i cavalieri ch’erano -in Trevigi, con certi Veneziani e Trevigiani a cavallo, e con tutti -i masnadieri a piè, una mattina innanzi al dì uscirono della terra -cinquecento cavalieri, e altrettanti masnadieri e gran popolo, e -cavalcarono il paese, e raccolsono grandissima preda di bestiame grosso -e minuto, e d’uomini. Gli Ungheri sentirono il romore, e come gente -apparecchiata di loro cavalli e che non s’hanno a vestire arme, di -tutte le castella d’attorno trassono a pochi e ad assai insieme, e -cominciarono da ogni parte a impedire colle loro saette i nemici, e -non gli lasciavano cavalcare innanzi alla loro ritratta. E tenendoli -per questo modo, l’altra moltitudine degli Ungheri traeva e cresceva -loro addosso sempre saettando, uccidendo e fedendo de’ cavalli e -degli uomini; e perchè contro a loro si movessono i cavalieri, e’ si -voltavano, e fuggivano, e ritornavano prestamente. E non valendo a’ -Trevigiani il combattere e ’l lanciare, che a mano a mano n’aveano più -addosso, convenne loro per forza abbandonare la preda, e intendere a -campare le persone; ma non lo poterono fare sì interamente, che de’ -loro non rimanessono trecento tra morti e presi, a cavallo e a piè. E -d’allora innanzi di Trevigi non uscì più gente per vantaggio che fosse -loro mostrato di fuori, e’ Veneziani con più appetito procacciavano -l’accordo della pace col re d’Ungheria. - - -CAP. XXIV. - -_Cominciamenti di nuovi scandali nella città di Firenze._ - -Era la città di Firenze in questi tempi in grande tranquillità e pace -dentro, e di fuori non avea nemici, e con tutti i comuni e signori -d’Italia era in amicizia, non avendo contro ad alcuno voluto pigliare -parte, e con tutti quelli ch’aveano guerra travagliatosi della pace, -e la novità del porto di Talamone non inducea guerra. La città dentro -per l’ordine de’ divieti delle famiglie de’ popolani, quando alcuno era -tratto agli ufici de’ collegi, aveva fatto venire il reggimento del -comune in molte genti d’ogni ragione, e ’l più in artefici minuti, e -in singulari e nuovi cittadini, e a costoro quasi non toccava divieto -perchè non erano di consorteria, sicchè frequentemente ritornavano agli -ufici, e’ grandi e potenti cittadini delle gran famiglie vi tornavano -di rado. Ancora poca distinzione si faceva per uno comune buono stato -degli uomini: e chi era senza vergogna, a’ tempi che s’insaccavano per -squittino generale gli uomini all’uficio del priorato, si provvedea -dinanzi con gli amici, e colle preghiere, e con doni, e con spessi -conviti; e per questo modo più indegni e illiciti uomini si ritrovavano -agli ufici, che virtuosi e degni. Nondimeno la cittadinanza era più -unita al comune bene, e le sette aveano meno luogo, e i nuovi e piccoli -cittadini negli ufici non aveano ardire di far male nella infanzia -de’ loro magistrati. Nondimeno in grande fallo e pericoloso correa -la repubblica di non riparare a’ manifesti falli che si commettevano -negli squittini, come detto è. Ma certi uomini grandi e popolari -avvedendosi dell’errore del comune, con grave e sagace malizia, e a -fine reo di divenire tirannelli, s’avvisarono insieme, e quello che -si dovea, e potea racconciare con ordine di buona legge e onesta al -fare degli squittini, convertirono sotto il titolo della parte guelfa, -dicendo, ch’e’ ghibellini occupavano gli ufici, e che se i guelfi non -riparassono a questo, poteano pensare di perdere tosto loro stato -e la franchigia del comune, la cui franchigia mantenea la libertà -in Italia. E di vero la parte guelfa è fondamento e rocca ferma e -stabile della libertà d’Italia, e contraria a tutte le tirannie, per -modo che se alcuno guelfo divien tiranno, convien per forza ch’e’ -diventi ghibellino, e di ciò spesso s’è veduta la sperienza; sicchè -grande beneficio del nostro comune è a mantenere e accrescere la parte -guelfa. Costoro, avendo conceputa la malizia, e conferita con certi -delle grandi famiglie, dicendo, che quello che intendeano fare sarebbe -materia al comune d’abbreviare i divieti, presono conforto e favore -di venire alla loro intenzione. E succedendo all’uficio del capitanato -della parte de’ caporali che la coperta iniquità aveano conceputa, per -potere con loro seguito avere a tutti i cittadini guelfi e ghibellini -il bastone sopra capo, e potere le loro spezialità sotto il detto -bastone in comune e in diviso adempiere; ed essendo allora per consueto -ordine due cavalieri de’ grandi e due popolani capitani, raccozzò -la fortuna certi cittadini grandi e popolari di pessima e iniqua -condizione, messer Guelfo Gherardini, messer Geri de’ Pazzi, Tommaso -di Serontino Brancacci, Simone di ser Giovanni Siminetti, cittadini -grandi e popolari di pessima e iniqua condizione. I grandi astuti e -cupidi d’uficio, e d’avere poveri, dispetti e detratti degli onori -del comune per non sapere usare la virtù col senno; gli altri popolari -erano conferenti a’ grandi nelle predette cose, fuori che negli ufici -usurpati più per procaccio che per virtù. Costoro tutti in concordia -traendo non al bisogno, o al beneficio del comune o della parte, ma a -quel fine che già è detto, ordinarono una petizione, che in sustanza -contenne, che quale cittadino o contadino di Firenze, ghibellino o non -vero guelfo, avesse avuto per addietro, o avesse per innanzi alcuno -uficio del comune di Firenze, potesse essere accusato palesemente e -occultamente, non nominando eziandio l’accusatore; e che approvandosi -l’accusa per sei testimoni di pubblica fama, che l’accusato fesse -ghibellino o non vero guelfo, essendo i testimoni approvati per uomini -degni da potere portare testimonianza, per li capitani della parte, -e per li consoli delle loro arti, dovesse l’accusato e provato, com’è -detto, essere condannato ad arbitrio della signoria ch’avesse l’accusa -innanzi, nella testa o in quantità di moneta, ch’almeno fosse libbre -cinquecento di fiorini piccioli, e rimosso da ogni uficio e onore del -comune; e ch’e’ testimoni non potessono essere riprovati di falso. -E portata l’iniqua petizione per li detti capitani a’ signori e a’ -collegi, ed esaminata, parendo loro ch’ella fosse iniqua e ingiusta, -non la vollono ammettere nè diliberare tra loro. Per la qual cosa i -capitani gli abominavano contro alla parte, e di loro seguaci raunarono -più di dugento cittadini scelti a loro modo, e con essi sotto il titolo -della difensione di parte guelfa, a cui niuno s’opponeva, andarono -con grande baldanza a’ priori e al consiglio, e dissono, ch’e’ non -si partirebbono di là, che la petizione sarebbe diliberata, e così -convenne che si facesse; e vinta fu a dì 15 di gennaio anno detto. -E avuta la petizione alla loro malvagia intenzione, di presente si -racchiusono insieme nel palagio della parte, e per loro squittini -feciono capitani, e priori, e consiglieri di parte di loro seguito -per molti anni, con assai pubblica, sfacciata, e disonesta spezialtà, -e sotto falso nome di parte guelfa trovando modo di distruggere e -d’abbassare il giusto e santo nome di quella, ebbono podere di fare -ogni cosa secondo il loro disordinato appetito. Della qual cosa seguitò -subitamente grande inquietazione del tranquillo e buono stato del -comune, e tutti i cittadini disposti a volere fare i fatti loro, e -non concorrenti alla sconcia setta, stavano sospesi di loro stato e di -loro onore: e comune turbazione ne cadde tra’ cittadini, e appresso ne -seguitarono sconce ingiurie e gravi pericoli alla nostra città, come -leggendo innanzi pe’ tempi si potrà comprendere. - - -CAP. XXV. - -_D’un singolare accidente ch’avvenne in questi paesi._ - -Essendo dal cominciamento del verno continovato fino al gennaio un’aria -sottilissima, chiara e serena, e mantenuta senza ravvolgimento di -nuvoli o di venti, oltre all’usato natural modo, per sperienza del -fatto si conobbe, che da questa aria venne un’influenza, che poco -meno che tutti i corpi umani della città, e del contado e distretto -di Firenze, e delle circustanti vicinanze fece infreddare, e durare -il freddo avvelenato ne’ corpi assai più lungamente che l’usato modo. -E per dieta o per altri argomenti ch’e’ medici facessono o sapessono -trovare, non poteano avacciare la liberagione, nè da quello liberare le -loro persone, e molti dopo la lunga malattia ne morivano; e vegnendo -appresso la primavera, molti morirono di subitana morte. Dissesi per -gli astrolaghi, che fu per influenza di costellazioni, altri per troppa -sottigliezza d’aria nel tempo della vernata. - - -CAP. XXVI. - -_Come in Firenze nacque una fanciulla mostruosa._ - -A dì 4 di febbraio anno detto nacque in Firenze al Poggio de’ Magnoli -una fanciulla portata sette mesi nel ventre della madre, la quale avea -sei dita in ciascuna mano e in catuno piede, e i piedi rivolti in su -verso le gambe, senza naso, e senza il labbro di sopra, e con quattro -denti canini lunghi da ogni parte della bocca due, uno di sopra e uno -di sotto; il viso avea tutto piano, e gli occhi senza ciglia: e vivette -dalla domenica a vespro al lunedì vegnente alla detta ora, e più -sarebbe vivuta se avesse potuto prendere il latte. - - -CAP. XXVII. - -_Come i Sanesi si scopersono nemici de’ Perugini._ - -Il comune di Siena aspettando, e vedendo ch’e’ Fiorentini non -rimoveano i Perugini della impresa di Cortona, avendo il signore di -Cortona singulare amistà co’ Sanesi, gli avea richiesti d’aiuto; e -i Sanesi gravandosi de’ Perugini ch’atavano contro a loro quelli di -Montepulciano, furono contenti d’avere cagione di atare i Cortonesi. E -in prima cercarono per più riprese di mettere masnadieri di furto nella -città, e per la sollecita e buona guardia de’ Perugini non venne fatto, -anzi ne furon presi e morti, ch’aggiunse a’ Sanesi maggiore sdegno. E -trovandosi già scoperti da’ Perugini per queste cavalcate, conobbono -che in palese conveniva fare l’impresa incominciata, se non ne volevano -rimanere vituperati. Cercarono in prima avanzare, se fare il potessono, -e tennero in prima due trattati, l’uno in Chiusi, e l’altro in -Sarteano; e accolta gente a cavallo e a piè cavalcarono prima a Chiusi, -credendovisi entrare, ma la guardia v’era buona, sicchè i loro amici -non ebbono ardire di muoversi, e con vergogna si tornarono addietro. -Appresso cavalcarono a Sarteano, e anche con disonore, scoperti al -tutto nemici de’ Perugini, si tornarono in Siena. - - -CAP. XXVIII. - -_Come i Sanesi misono cavalieri in Cortona alla guardia._ - -Fatto questo cominciamento per li Sanesi senza alcuno acquisto, -intendendosi con gli assediati, sentirono da loro, come tra la bastita -della Pieve a quella dall’Orsaia avea gran campo voto in mezzo, per lo -quale avvisatamente si potea fare passare della gente; incontanente i -Sanesi elessono cento cavalieri ben montati, e cinquanta Ungheri con -alquanti masnadieri scorti e destri, e con buona condotta li feciono -cavalcare una notte per modo, che giunti la mattina per tempo al luogo -tra le due bastite, senz’essere scoperti, stretti insieme si misono a -passare, e senza ricevere impedimento entrarono in Cortona, ricevuti -dal signore e da tutti i cittadini a gran festa, come gente ch’aveano -gran bisogno d’aiuto e di soccorso; e immantinente misono l’insegna del -comune di Siena nel cospetto de’ Perugini in sulla torre della porta -maestra, e appresso cominciarono a uscire fuori a loro posta, e dare -noia e danno a quelli del campo, e a ricevere e a mettere roba nella -città, di che eglino aveano bisogno, e massimamente strame e legne, -che di vittuaglia erano assai bene abbondanti. Per questa novità i -Perugini si vidono al tutto entrati in guerra co’ Sanesi, e’ Sanesi co’ -Perugini, e però catuno si mise in provvisione; e’ Sanesi con maggiore -sollecitudine feciono provvisione d’avere danari in comune; ed essendo -uno Anichino di Bongardo Tedesco fatto capo d’una nuova compagnia che -si levava, ed erano già accolti insieme più di milledugento barbute, -mandaronlo a conducere con tutta sua cavalleria. Lasceremo alquanto al -presente le novità di Toscana per dare parte a quelle di Francia, che -prima ci offrono con non minore ammirazione di lieve materia sformato -avvenimento. - - -CAP. XXIX. - -_La cagione che mosse i borgesi di Parigi a nuovo stato._ - -Essendo in alcuna cospirazione segreta di trattato il proposto de’ -mercatanti di Parigi col re di Navarra, favoreggiato occultamente dal -re d’Inghilterra, prese ardire, e ’l caso gli apparecchiò la materia -acconcia al suo proponimento. Uno borgese di Parigi vendè al Delfino -di Vienna, primogenito del re di Francia, due suoi destrieri, e ’l -Delfino comandò a un suo tesoriere che ’l pagasse: il borgese andò -molte volte al tesoriere per farsi pagare; il tesoriere il menava per -parole; e parendo essere al borgese disperato de’ suoi danari, si turbò -col tesoriere, e dissegli, che s’e’ non pagasse, che ’l comperrebbe di -suo corpo: il tesoriere altiero e presuntuoso non si curò del pagamento -nè delle minacce del borgese. Avvenne, che valicando del mese di -febbraio anno detto il tesoriere per una ruga di Parigi, si scontrò nel -borgese, il quale gli attenne la promessa; e ucciselo; e fuggissi in -franchigia. La novella corse al Delfino e al suo consiglio; i quali di -presente a forza il feciono trarre di franchigia; e impenderlo per la -gola. Per questo il proposto di Parigi montato in furore per lo male -reggimento del consiglio del Delfino, prese compagnia di certi borgesi -di suo seguito, e crebbegli ardimento del favore si sentiva in segreto -del re di Navarra, e che comunemente il Delfino e ’l suo consiglio -erano odiati da tutta maniera di gente; e con meno di ottanta borgesi -armati copertamente, in quel furore se n’andò al palagio reale ov’era -il Delfino e’ suoi consiglieri; e innanzi vi giugnessono, trovarono -nella via un avvocato ch’era del consiglio del Delfino, e di presente -l’uccisono; e seguendo loro viaggio, giunsono al palagio; il portiere -non volea lasciare entrare altro che ’l proposto con pochi, ma entrato -dentro il proposto con alcuni compagni, costrinsono i portieri, e -misono dentro gli altri compagni, e di brigata se n’andarono dov’era -il Delfino con due de’ suoi consiglieri, per cui più si reggea e -governava, e l’uno era il conestabile di Chiaramonte, e l’altro il -conestabile di Campagna; il proposto nella presenza del Delfino li -fece uccidere a ghiado. Il Delfino impaurito si gittò ginocchione -innanzi al proposto, pregandolo che nol facesse morire; il proposto non -sostenne che egli stesse a basso, ma levollo su facendoli reverenza, -e dicendo, come l’aveano per loro signore, ma aveano in odio coloro -che per loro malizia gli davano consigli; e acciocchè non fosse offeso -nel furore della gente già commossa, li misono in capo un cappuccio di -loro assisa, e menaronlo con loro in una parte di Parigi che si chiama -Grieve, e ivi lo feciono giurare che di questo fatto non renderebbe -loro per alcuno tempo mal merito, e che si reggerebbe per consiglio de’ -borgesi; e fatta la promessa, e fermata col suo saramento, il rimisono -nel suo primo stato. Divolgata questa cosa per tutta la città di -Parigi, i borgesi lieti s’allegrarono insieme in gran parte, sommovendo -l’uno l’altro, e prestavano il saramento come s’ordinò per lo rettore, -a mantenere il loro novello stato e la loro usurpata franchigia. - - -CAP. XXX. - -_Della pace del re d’Ungheria a’ Veneziani._ - -Avendo i Veneziani consumato il tempo della matta follía, la quale -a torto aveano sostenuta per molti anni contro al re d’Ungheria con -molto loro danno, si disposono di comune consentimento che dal re si -procacciasse buona e fedele pace; e per poterla avere, liberamente il -comune si rimesse in lui, acconci di fare tutti i suoi comandamenti -delle terre d’Istria, e di Schiavonia e di Dalmazia, che per loro -si possedeano, e che oltre a questo gli fosse offerto ogni ammenda -di danari e d’altre cose ch’alla sua signoria piacesse di volere da’ -Veneziani; e fatti de’ maggiori della loro città solenni ambasciadori, -con pieno mandato alle predette cose li mandarono al re; il quale -sentendo la liberalità di quel comune, graziosamente li ricevette; e -udita l’ambasciata, come magnanimo signore, disse, ch’era contento -di riavere tutte le terre del suo reame, e che quelle si levassono -al tutto del titolo del loro doge, sicchè mai per innanzi nè ’l doge -nè ’l comune se ne titolasse; e quando questo fosse fatto, intendea -co’ Veneziani avere buona pace. Ammenda di danari, disse, che non -volea, perocch’e’ non era cupido nè bisognoso di pecunia, ma volea per -ammenda e per titolo d’amicizia, che quando e’ richiedesse il comune -di Vinegia, fosse tenuto di darli armate a sua volontà ogni volta -che le domandasse infino in ventiquattro galee alle spese del re. E -come egli divisò, di buona volontà tutto fu accettato, e promesso di -fare fedelmente per autorità degli ambasciadori, e ferma la pace; -e incontanente feciono rendere il castello di Giadra, e tutte le -terre che teneano in Schiavonia, e in Dalmazia e in Istria che al -re s’apparteneano, e dentro vi misono la gente del re d’Ungheria, e -del titolo del doge le levarono tutte; e il re, del mese di febbraio -anno detto, mandò suoi ambasciadori, i quali restituirono al comune -di Vinegia Colligrano, e tutte le castella che gli Ungheri teneano -in Trevigiana, e con grande allegrezza e festa de’ Veneziani feciono -pubblicare e bandire la pace; e fu in patto, che tutti i gentili -uomini di Trevigiana rimanessono in pace col comune di Vinegia, e -liberi possessori delle loro tenute e castella. E fatto solenne onore -agli ambasciadori del re, feciono per loro decreto in consiglio che -di niuna materia di guerra si dovesse ragionare, e che catuno si -dirizzasse al navicare e a fare mercatanzia. Costoro straccati della -guerra conobbono il beneficio della pace; il nostro comune infastidito -di troppo tranquillo stato, cercò materia di grande turbamento della -cittadinanza, come appresso racconteremo. - - -CAP. XXXI. - -_Come da prima in città di Firenze furono accusati certi cittadini per -ghibellini._ - -Essendo entrati nuovi capitani di parte guelfa, messer Simone -de’ Bardi, e messer Uguccione Buondelmonti, Migliore Guadagni, e -Massaiozzo Raffacani, e de’ quali non v’era ma’ ma’ uno ch’avesse -stato in comune, e tutti erano animosi ad accendere e suscitare lo -scandalo incominciato pe’ loro precessori; e però furono in concordia -di cominciare l’esecuzione dell’iniqua legge, e accolsono al palagio -della parte certi eletti d’industria, uomini affocati nella volontà -d’abbattere i cittadini de’ loro ufici, e de’ loro stati e onori per -invidia, sotto titolo di dichiararli ghibellini o non veri guelfi. E -per adempire la sfrenata volontà, misono e nominarono per ghibellini -catuno cui e’ voleano a’ loro segreti squittini, e ivi furono nominati -grandi e popolari di molte case e famiglie delle maggiori, e migliori -e più stanti della città di Firenze, antichi cittadini e amatori del -loro comune e di parte guelfa: e recati al partito tra così discreto -collegio, chiunque aveva più boci di essere ghibellino, o non vero -guelfo, insaccavano in cedole, per trarli fuori a parte a parte, e -accusarli e farli condannare, eziandio che di nazione e d’operazione -si trovassono nella verità essere veri e diritti guelfi; e nel primo -squittino insaccarono da settanta cittadini di nome e di stato, -come detto è. Dopo questi levato il saggio dell’accuse, dovevano -insaccare degli altri, perocchè lungamente vi si penava a farli; e -bollendo già tutta la città di questa perversa operazione, e parendo -a catuno buono cittadino male stare, si cominciarono a destare, e a -richiedere gli amici, e a pregare i capitani; e i capitani vedendo -la commozione, cominciarono a tentare, e a reprimersi della loro -opinione contro a’ potenti, cui già avevano insaccati per accusare. -Ma per dare cominciamento al fatto, elessono cinque cittadini, de’ -quali pensarono avere minore resistenza; nondimeno accolsono prima -alla parte d’auzzetti di loro seguito più di dugento uomini: e formata -loro accusa di quattro, di cui si poteva alcuna cosa sospicciare -ne’ libri della parte, benchè certo non fosse, acciocchè ’l loro -cominciamento con alcuno verisimile atasse la corrotta intenzione, a -dì otto di marzo andarono i capitani in persona colla compagnia de’ -sopraddetti richiesti al potestà, e disonestamente, e fuori d’ogni -consuetudine, accusarono per ghibellino Neri di Giuntino Alamanni, e -Mannetto Mazzetti, Giovanni di Lapaccio Girolami di porta santa Maria, -e Giovanni Bianciardi cambiatore: catuno aveva avuti lievi ufici per lo -tempo passato; ex abrutto gli feciono condannare, e certi altri feciono -rinunziare all’uficio, in che erano de’ cinque della mercatanzia. -A niuno potè valere alcuna scusa. E avendo i capitani cominciata in -parte la loro esecuzione, cominciarono a essere temuti e ridottati -da tutti i cittadini, e chi non si sentiva ben forte, dava opera con -preghiere e con servigi, con doni e con danari di riparare alla sua -fortuna, ch’era nelle mani de’ capitani della parte guelfa. E per -seguire i detti capitani il loro prospero cominciamento, e sventurato -e reo alla comunanza, a dì 5 d’aprile anni 1358, avendo animo di fare -più e maggiore fascio, ma ristretti dal mormorio del popolo, e della -infamia che già correa di loro, si ristrinsono, e fedirono nel molle, -lasciando degli squittinati, e facendo ad arbitrio, n’accusarono -altri otto; ciò furono, Domenico di Lapo Bandini, Mazza Ramaglianti, -Cambio Nucci speziale, Giovanni Rizza, Piero di Lippo Bonagrazia, -Iacopo del Vigna, Christofano di Francesco Cosi, e Michele Lapi; e -tutti gli feciono condannare, senz’essere uditi a ragione, in libbre -cinquecento per uno. E a dì 21 del detto mese, avendo fatto nuovo -squittino, e avvolti ne’ loro sacelli grandissima quantità di buoni e -di cari cittadini, e di quelli delle maggiori case popolari di Firenze -di catuno quartiere, ch’a nominarle non sarebbe onesto, ed essendo per -rivelazione del loro segreto squittino già noto a tutti, la città tutta -si doleva, e grave infamia si spandea diversamente, non senza scandalo, -che l’uno biasimava, e l’altro lodava la mala operazione, ma in genero -tutti i buoni uomini guelfi biasimavano la legge sopra ciò fatta, e -la esecuzione che ne seguitava; e per questo abbassarono ancora la -loro furia i capitani. Ma volendo pur fare male, anche rifedirono -nel molle: e lasciandoli squittinati, ciascuno accusò il suo cui e’ -volle: ed essendo senza colpa d’aver preso uficio, e da potersi con -giustizia difendere, feciono condannare Niccolò di Bartolo del Buono, -Simone Bertini, Sandro de’ Portinari, e Giovanni Mattei. Lasceremo -ora addietro alcune altre cose che prima occorsono che quello ch’al -presente seguita, per congiugnere a questa materia alcuna temperanza -di rimedio fatto per bene, che poi s’usò in male, com’è usanza, non del -comune, ma degl’iniqui cittadini. - - -CAP. XXXII. - -_Come a’ capitani della parte furono aggiunti due compagnia_ - -Al presente occorre a scrivere cosa incredibile e vera. Questa -nuova seduzione dell’iniqua legge fatta sotto il titolo della parte, -generalmente spiacea a tutti i buoni e cari cittadini, veri e diritti -guelfi, e più la sconcia esecuzione che se ne facea, e tutti diceano, -che a ciò si mettesse consiglio e rimedio, ch’e’ cittadini non -vivessono in tanta sospiccione di loro stato. Molti consigli se ne -teneano, e niuno modo vi sapeano trovare, per non dirogare al nome -della parte; e coloro che entravano agli ufici de’ collegi, e agli -altri maggiori, ch’erano più sospetti, coloro erano quelli che più -parlavano, e che più si mostravano zelanti a mantenere la legge e la -sua esecuzione insino che la pietra cadeva sopra loro. Ma vedendo il -genero de’ cittadini essere caduti sprovvedutamente sotto il giogo -della malvagia legge, e non potendovi per via diretta riparare, e -vedendo così i guelfi come i ghibellini, ma troppo più i guelfi, che -l’onore e lo stato potea essere tolto a catuno, quando a tre uomini -capitani di parte paresse, e conoscendo che tutti i più malivoli uomini -di Firenze erano poco dinanzi stati insaccati per capitani, priori e -consiglieri di parte senza alcuno divieto, per riparare in parte, ove -non si potea riparare in tutto, a tanto male, i priori ch’erano allora, -di subito e segretamente ordinarono co’ loro collegi una petizione, -e fu di presente vinta in consiglio, che a’ capitani di parte guelfa -s’aggiugnessono due popolani, e che niuna cosa si potesse diliberare -per li capitani, se tre popolari non fossono in concordia; e dove i -grandi doveano essere cavalieri, s’allargò ad ogni grande, acciocchè -l’uficio non continovasse in pochi grandi; e misono a tutti divieto un -anno, e che gli squittini della parte si dovessono rifare di nuovo, e -annullare tutti i fatti; e questa riformagione fu ferma per li consigli -a dì 24 d’aprile 1358. E avvegnachè questo non fosse opportuno rimedio, -fu alcuno freno all’ordinato male, e molti per questo intervallo ebbono -tempo da potere rimediare a’ fatti loro; nondimeno coloro ch’aveano -l’animo e la mente sollicita a rimanere col bastone della parte, per -potere premere gli altri cittadini, argomentarono a nuovi squittinì, -e in questo e in altre cose feciono tanto, ch’ogni uficio accresceva -nuovo scandalo nella cittadinanza, come leggendo per li tempi si potrà -trovare. - - -CAP. XXXIII. - -_Come i Sanesi uscirono fuori per soccorrere Cortona._ - -Tornando a’ fatti di Cortona, i Sanesi ch’aveano presa la difesa, e -soldata la compagnia d’Anichino in Lombardia, e fattala valicare a -Siena, e con alquanti loro soldati, a dì 18 del mese di marzo 1357, -uscirono fuori con milleottocento barbute, e con gran popolo di soldo -e del loro contado per andare a soccorrere Cortona, ch’era al tutto -circondata e stretta da’ battifolli de’ Perugini; e andaronsene in -su quello di Montepulciano, e ivi stettono quattro dì. E in questo -tempo i Perugini per recarsi più al sicuro, sentendosi presso l’oste -de’ Sanesi, arsono il battifolle da Camuccia; e quelli di Cortona, -sentendosi presso il soccorso, e ch’e’ Perugini per tema aveano -arsa la bastita da Camuccia, presono ardire, e subitamente popolo e -cavalieri uscirono di Cortona, e assalirono il battifolle ch’era ad -Alti sopra la città, e quello combatterono sì aspramente, che per forza -il vinsono, e molti de’ difenditori uccisono e presono, gli altri -si salvarono fuggendo al battifolle di Mezzacosta, e all’Orsaia. In -questi medesimi dì messer Andrea Salimbeni, che guardava la rocca di -Castiglioncello oltre al Noro, avea promesso di darla a’ Perugini per -fiorini tredicimila d’oro, i Perugini vi cavalcarono, e per lo trattato -entrarono nel castello; il traditore per paura de’ consorti, o per -altra provvisione de’ Sanesi, non volle dare la rocca a’ Perugini, -onde poco appresso se ne partirono, e’ Sanesi ne presono la guardia, e -trassonla di mano a messer Andrea. - - -CAP. XXXIV. - -_Come si levò l’oste da Cortona._ - -I capitani dell’oste de’ Sanesi avendo fatto vista di valicare a -Cortona contro all’oste de’ Perugini per la via dall’Olmo d’Arezzo, -avendo innanzi segretamente provveduto loro cammino, subitamente si -misono per lo contado d’Orvieto, e cavalcando sollecitamente, prima -furono al ponte Cavaliere in sulle Chiane di là dal Castello della -Pieve ed ebbonlo passato, ch’e’ Perugini se n’avvedessono; ed entrati -in su quello di Perugia, entrarono senza contasto in uno castelletto -de’ Perugini chiamato Piegaia; e nel borgo arsono alquante case, e -valicarono innanzi alle taverne di Bertuccio, e di là se ne vennono -a Panicale sopra il lago; e benchè potessono fare assai danno per lo -paese, se ne temperarono, per non accrescere materia di maggiore odio -co’ Perugini. Essendo l’oste de’ Sanesi appressata, senza mezzo delle -Chiane o di fiumari, e bene in concio per combattere, e’ Perugini mal -provveduti da riceverli alla battaglia e alla loro difensione, presono -partito di partirsi dall’assedio di Cortona per lo meno reo; e in -quella notte fortificarono il battifolle da Mezzacosta, e arrosonvi -gente alla guardia, e tutti gli altri battifolli abbandonarono, -e partironsi da campo popolo e cavalieri assai vergognosamente, e -ridussonsi in certe loro castella più vicine. La gente de’ Sanesi -scesono la mattina in sul piano del lago, e colle schiere fatte se ne -vennono all’Orsaia, e non trovandovi i nemici, si posarono quivi il -sabato santo a dì 30 di marzo 1358, e in Cortona misono quella gente -a cavallo e a piè che vollono con ogni altro fornimento compiutamente; -e appresso il dì della Pasqua si tornarono all’Olmo, e appresso se ne -vennero a Torrita in su il loro terreno, sani e salvi senza alcuno -contasto. E per questo modo fu libera Cortona dall’arroganza de’ -Perugini per le mani de’ Sanesi. - - -CAP. XXXV. - -_Di novità di Perugia per detta cagione._ - -Venuta la novella a Perugia come la loro oste con vergogna s’era -levata, e Cortona s’era fornita, il popolo si levò a romore e presono -l’arme, e averebbono morto Leggiere d’Andreotto loro cittadino, -e motore di questa guerra e capitano dell’oste, perch’egli avea -abbandonato a’ Sanesi il campo dall’Orsaia, se non ch’e’ si partì, -e cessò il furore; e racquetato il bollore, egli, come molto pratico -e astuto, fece mostrare a’ rettori del comune, come per lo migliore -s’erano ridotti in più salvo luogo; e andando di notte ad alcuni suoi -confidenti de’ rettori, tanto adornò sue parole, che le sapea ben dire, -e tanta suasione fece di larghe promesse da sè e da’ conestabili de’ -cavalieri di far tosto la vendetta, e di recare onore al comune de’ -loro nemici, che fu rimandato nell’oste da capo con più cavalieri, -e con maggiore forza di masnadieri e d’altro popolo. E per fornire -questo, atandoli lo sdegno già conceputo de’ Perugini contro a’ Sanesi, -catuno si sforzò a servire il comune di danari, e accolta gente d’arme, -chiamarono per capitano di guerra Smeduccio da Sanseverino, con grande -animo di volersi vendicare de’ Sanesi. Lasceremo alquanto questa -materia de’ due comuni, che catuno si provvede, e diremo dell’altre -cose che prima ci occorrono a raccontare. - - -CAP. XXXVI. - -_Di una gran festa fe’ bandire il re d’Inghilterra._ - -Il re Adoardo d’Inghilterra avendo fatta concordia, e lasciato di -prigione il re David di Scozia suo cognato, si pensò di volere fare -pace col re di Francia, la quale avesse principale movimento dalla -sua persona. E per fare questo, fece bandire in Francia, in Fiandra, -in Brabante, in Irlanda, nella Magna, in Iscozia e altri reami, una -solenne festa di cavalieri della Tavola rotonda alla Sangiorgio -d’aprile del detto anno; facendo ogni maniera di gente sicura in -suo reame, e offerendo arme, cavalli, e arnesi a ogni cavaliere che -alla festa venisse, e appresso le spese a chi fare non le potesse; e -ancora a tutta gente d’arme per loro, e chi per loro servigi venisse, -ogni cosa che loro bisognasse per loro vita, e per far prove di loro -cavallerie. Perchè molta gente, udito il bando, si mise in assetto per -esservi al tempo, chi per mostrare di sua virtù, chi per vedere. - - -CAP. XXXVII. - -_Come l’armata del comune di Firenze venne a Porto pisano._ - -Addietro narrato avemo il malvagio movimento de’ Pisani per levare -la franchigia a’ Fiorentini di loro mercatanzie, e come per la -detta cagione i Fiorentini del tutto partirono da Pisa, e gli altri -mercatanti forestieri che con loro trafficavano, aveano fatto porto -e Talamone; e come i Pisani per levare il detto porto, con favore -di messer Simone Boccanegra doge di Genova amico de’ Pisani, perchè -l’aveano ricevuto e favoreggiato quando fu sposto doge, con otto galee -impedivano il mare, il perchè mercatanzie nè uscire nè entrare poteano -in Talamone. I Fiorentini di ciò aontati pativano disagio e dannaggio, -piuttosto che riconciliarsi co’ Pisani, essendo di ciò richiesti -e per li Pisani e per lo detto doge di Genova a loro richiesta, -offerendo ogni franchigia e ogni vantaggio ch’e’ Fiorentini volessono -domandare. Onde seguitò, che i Fiorentini pertinacemente seguitando, e -perseverando nel loro proponimento, non avendo al gran costo rispetto -ma all’onore del comune, segretamente feciono armare in Provenza dieci -galee, e quattro nel Regno, le quali dieci galee, a dì 18 del mese -di marzo detto anno, si mossono di Provenza cariche, e se ne vennono -levate l’insegne del comune di Firenze in Porto pisano, e ivi stettono -per alquanti giorni, facendo fare la grida sotto piccolo nolo, che chi -volesse mandare mercatanzie a Talamone in sulle galee del comune di -Firenze le potesse sicuramente caricare, e ’l simile feciono in Foce; -e d’indi si partirono, e scaricarono a Talamone; onde molte barche -e legni v’apportarono con roba d’ogni parte, vedendo il mare sicuro. -Le quattro galee del Regno in questi medesimi dì vennono da Napoli, e -incontrarono una galea e uno legno di Pisani cariche di mercatanzia -ch’andavano a Corneto, e presonle, e fecionle scaricare a Talamone -senza fare loro altro danno; d’indi se n’andarono a Porto pisano per -lo modo dell’altre, e appresso in Provenza a caricare. Appresso di -questo i Fiorentini lungamente ritennero cinque galee provenzali, che -stettono a guardia del mare il più sopra Porto pisano, sicchè ogni -legno e ogni barca liberamente caricava a Talamone. I Pisani avendo -fatta la loro pruova, e rimasi beffati di loro pensiero, con loro usata -astuzia mandarono il bando, che ogni uomo potesse liberamente navicare -a Talamone colle sue mercatanzie; nè già per questo i Fiorentini non -lasciarono le loro galee della guardia. Avemo questa materia forse -più stesa che non richieda al fatto del nostro trattato, ma la novità -del fatto ci scusi; sì perchè è la prima armata che mai nostro comune -facesse in mare, e sì per mostrare il fermo proponimento del nostro -comune; il quale nè la disordinata spesa, che in poco tempo passò i -sessantamila fiorini, nè danno, nè sconcio di mercatanti, nè le grandi -profferte de’ Pisani e d’altri per loro, muovere di sua perseveranza -poterono. L’animo del nostro comune si vide netto e intero per fare de’ -loro errori ricredenti i Pisani, dimostrando, che senza loro e il loro -porto i Fiorentini potevano fare; e appresso conobbono, che niuna altra -guerra tanto danno e abbassamento poteva loro fare, quanto quella che -si cominciava a praticare: ancora perchè sottilmente cercando, quanto -allo stato de’ detti due comuni, la materia ha più dentro che non -mostra di fuori, e però pensiamo d’essere scusati se di ciò avessimo -soperchio parlato. - - -CAP. XXXVIII. - -_Come il popolo di Parigi cominciò scandalo._ - -Il governamento del reame di Francia, come è detto addietro, era -ridotto a tre stati, cioè prelati, baroni, e borgesi, i quali tenevano -il consiglio, e diliberavano quello voleano che nel reame si facesse, -e il Delfino vi consentiva. Durando il detto ordine, del mese di -marzo detto anno, avendo il proposto di Parigi con suoi confidenti -presa baldanza dell’abbacinato popolo per lo tagliamento fatto de’ -consiglieri del Delfino, avendo nel suo segreto il trattato col re di -Navarra, si sforzava con astuzia mostrare a’ borgesi di Parigi, che per -questi fatti s’intendea più a singulare profitto che a comune bene, e -che la pace e l’accordo del re d’Inghilterra se ne dilungava, e che il -re loro signore n’era tradito. E sotto questo dimostramento col favore -del popolo ruppe quell’ordine, e recò il governamento di Parigi alle -mani de’ borgesi, schiudendone prima i baroni, e poscia i prelati. -E per esempio di costoro così feciono l’altre ville di Piccardia, ed -altre provincie del reame. E qui cominciò l’odio da’ gentili uomini al -popolo, che poi fece grande novità nel reame, come appresso si potrà -trovare. Il Delfino di ciò mal contento, e non potendo riparare, si -partì da Parigi, e andossene ad Orliense. - - -CAP. XXXIX. - -_Come i Perugini tornarono a oste a Cortona._ - -Tornando alla nuova guerra de’ Perugini e’ Sanesi, ed essendo molto -faticato il comune di Firenze per suoi ambasciadori a Perugia per -mettere accordo e pace tra loro, disponendosi i Sanesi liberamente -alla volontà del comune di Firenze, i Perugini per loro alterigia mai -si vollono dichinare ad alcuno accordo, parendo loro ch’e’ Sanesi gli -avessono troppo oltraggiati; non volendosi ricordare dell’ingiuria -loro fatta di Montepulciano, e d’altre cose ond’eglino aveano assai -villaneggiati i Sanesi, e però ne’ loro consigli usarono atti e -parole non belle contro gli ambasciadori del comune di Firenze, non -lasciandogli dire, sufolando, e picchiando le panche quando faceano -loro diceria; e nella città i loro famigli udivano ontose e vituperose -parole sovente dall’indiscreto popolo minuto. Ma per l’affezione -ch’aveva il nostro comune a quello, e al mettere pace tra’ suoi -vicini, ogni cosa faceva dolcemente comportare. E stando ne’ detti -ragionamenti male intesi, i Perugini accolsono gente d’arme e tornarono -a Cortona, e fortificato ch’ebbono e rinfrescato l’assedio, a dì 8 -d’aprile valicarono in su quello di Montepulciano con milleottocento -barbute e grande popolo, e posono loro campo a Greggiano. I Sanesi -con loro cavalleria si stavano in Torrita con milleseicento barbute, -e masnadieri e popolo assai, e nella terra e nelle circustanze assai -erano sicuri, se poca provvedenza e matta baldanza non li avesse -sconci, come appresso diviseremo. - - -CAP. XL. - -_Come i Perugini richiesono i Sanesi di battaglia._ - -Parendo, come detto è, a’ Perugini avere ricevuto vergogna e oltraggio -da’ Sanesi, per vendicare loro onta li mandarono a richiedere di -battaglia: e per avventura Anichino di Bongardo capitano de’ Tedeschi -fu il primo richiesto, il quale allora era nel borgo di Torrita. Esso -vanaglorioso prosuntuosamente fe’ tantosto sonare li stromenti, e con -gran festa prese il guanto della battaglia di suo proprio, facendo doni -al messaggio. Ma dopo il fatto s’avvide che troppo avea fallato di non -avere di sì gran fatto preso consiglio co’ cittadini di Siena, ch’erano -conducitori dell’oste e suoi consiglieri, e però ritenne il messo, -ed entrò nella terra dov’erano i suoi compagni, e loro disse quello -ch’avea fatto. Ai Sanesi molto dispiacque, conoscendo il pericolo; -e per ricoprire il fallo del loro capitano, feciono aggiugnere alla -risposta, che il giorno fosse fra gli otto dì che seguivano. I Perugini -avendo questa risposta, e sapendo il modo che per lo capitano prima -era stato tenuto, e appresso per lo consiglio, compresono chiaramente -ch’elli non erano acconci a torre battaglia, onde diliberarono di -trarsi innanzi, e richiederli colle schiere fatte in vergogna di -loro avversari: e ciò facendo, senza prendere battaglia, pensavano -avere purgata loro vergogna, e tornarsene addietro; stimando, che con -loro onore poi, mediante il comune di Firenze, si potesse venire a -concordia e a pace. Ma forse la superbia dell’uno popolo, e l’arroganza -dell’altro e presunzione, non avea merito d’avere riposo; uscì -l’impresa ad altra fine che per loro non si stimava. - - -CAP. XLI. - -_Come furono sconfitti i Sanesi da’ Perugini._ - -Come detto è, il seguente dì a di 10 del mese d’aprile detto anno, i -Perugini, come saviamente aveano diliberato e provveduto, si partirono -da Greggiano, dirizzandosi con tre schiere fatte di loro verso Turrita, -e strinsonsi infino a piè della terra nel piano, e cominciarono a -trombare e richiedere i nemici di battaglia. I Sanesi vedendo i loro -nemici venire baldanzosi colle schiere fatte n’ebbono sospetto, e per -non avere quella vergogna, presono consiglio d’armarsi, e d’uscire -fuori del castello a loro vantaggio in luogo ch’e’ non potessono essere -sforzati, e ivi starsi, e rendere suono per suono, e per parole parole -senza combattere, non pensando potere essere tratti a battaglia per la -fortezza del luogo, e per le spalle della terra. Ma non sono nell’uomo -le vie sue, ma nella provvidenza di Dio, la quale sovente dispone -oltre agl’ingegni e consigli degli uomini; e così avvenne a questi -due popoli, e a ciascuno fuori di sua opinione o pensiero. Perocch’e’ -Sanesi fidandosi, come è detto, della fortezza del luogo e delle spalle -della terra, uscirono fuori all’inviluppata, e con poco ordine, e senza -il loro capitano Anichino di Bongardo, il quale, o per sdegno preso -della folle accettagione da’ Sanesi non esaudita, o per altra pazzia, -o malizia, co’ suoi Tedeschi non prendea arme. Intanto da quaranta -cavalieri scorridori di quelli de’ Sanesi si misono di costa in su -un collicello, ch’era in mezzo tra l’una e l’altra oste, per vedere -con loro sicurtà il reggimento de’ nemici loro; e ciò veduto per li -Perugini, si mossono di loro schiera circa a cento cavalieri, e per -traverso giunsono sopra i detti scorridori de’ Sanesi, e loro quasi -improvviso assalirono; perchè non potendo sostenere il soperchio, si -ritrassono alla schiera. Gli Ungheri arditi e vogliosi gli seguitarono, -e tanto avanti trascorsono, che a salvamento ritrarre non si poterono; -e’ Perugini non vedendo senza grande pericolo poterli soccorere, gli -avevano posti per abbandonati, ma il loro capitano disse: Facciamci -innanzi colle schiere, sicchè s’e’ si vogliono raccogliere noi li -possiamo più da presso ricevere; e così seguette. I Sanesi vedendo -muovere le schiere verso loro, non avendo pensiere di combattere, e -temendo di non esservi recati per forza, non essendo con loro Anichino -colla sua gente, volsono le insegne, e tornaronsi in Torrita. I -Perugini veggendo che sconciamente e per viltà si partivano, montarono -in ardire, e misonsi innanzi; e non trovando contasto, in fino alle -barre del borgo di Torrita giunsono baldanzosi, e cominciarono con -grande romore ad assalire il borgo. Veggendo ciò Anichino, colla sua -gente disordinatamente si mise di fuori tra’ nemici, e di presente fu -preso col maliscalco dell’oste e con cinquanta altri cavalieri, perchè -di tradimento mala boce li corse. Preso il capitano e la sua gente -fuori del borgo, e rotta, i Perugini assalirono il borgo; e scesi molti -cavalieri de’ loro a piede, e trovando al riparo lieve contasto, per -forza lo presono; e più avanti passando messer Cagnuolo da Coreggio -soldato de’ Perugini con sessanta cavalieri per entrare nel castello, -i Sanesi uscirono per costa, e tutti a man salva li presono. Allora -si ritrassono i Perugini e rubarono e arsono il borgo, e tornaronsi -co’ prigioni, e colla preda e colla non pensata vittoria a Greggiano, -portandone bandiere assai de’ conestabili ch’aveano trovate negli -alberghi. Nella detta battaglia non ebbe oltre a cento uomini morti tra -dall’una parte e dall’altra, ma assai cavalli morti e fediti, e più di -quelli de’ Perugini. I Sanesi rotti vilissimamente, venendo la notte, -distribuirono i cavalieri alla guardia delle loro terre, e scrissono al -comune loro, che se di subito non s’avesse gente nuova al riparo, che -il loro contado sarebbe arso e guasto da’ Perugini. - - -CAP. XLII. - -_Come si dispuosono i Sanesi dopo la sconfitta._ - -I Sanesi udita la mala novella gran dolore ne presono, sì per la -vergogna, e sì perchè credendosi avere pace co’ novelli nemici loro, -per l’arroto oltraggiati, si vedevano nella guerra rifermi, e sentivano -ch’e’ Perugini per loro crescere vergogna erano per venire infino alle -loro porte, e non vedeano ciò potere vietare; che perchè il comune di -Firenze avesse d’ogni parte suoi ambasciadori, misurato mezzo trovare -non vi poteano, per la disordinata superbia e dell’uno e dell’altro -comune, onde si disposono di fare danari per diversi modi, quanti più -ne potessono ragunare, e feciono ambasciadori a’ signori di Milano, e -mandarono alla compagnia ch’era in Lombardia per conducerla contro a’ -Perugini, e aspettando questo, si ritennono alla guardia delle loro -terre murate, e sgombrarono il contado. I Fiorentini non poterono -ritenere i Perugini, ch’e’ non volessono per loro arroganza, sentendosi -il favore della fortuna, ed essendo nel caldo della vittoria, andare -infino alle porte di Siena, come appresso racconteremo. - - -CAP. XLIII. - -_Come i conti da Montedoglio presono e perderono il Borgo._ - -Sentendo i conti di Montedoglio, che la maggior parte degli uomini -del Borgo a Sansepolcro erano andati in aiuto de’ Perugini, e che -per tanto, la terra era rimasa sfornita di gente da guardia, avvisato -loro tempo, nel quale si credettono agevolmente prendere la terra e -recarla alla loro signoria, a dì 5 del mese d’aprile detto anno, dato -ordine d’avere gente di soccorso alla loro impresa, cominciarono con -numero di seicento fanti, co’ quali si misono nella terra, e la corsono -senza contasto, e in parte rubarono. I terrazzani spauriti per lo -subito assalto si ridussono nel cassero, e prestamente a’ loro amici -e vicini il fatto feciono assapere, domandando soccorso, e nell’oste -de’ Perugini loro stato feciono sentire; onde i castellani v’andarono -di presente per comune con tutta loro possa, ed ebbono l’entrata per -lo cassero. I conti conoscendosi impotenti a potere tenere la terra -contro a tanti e tali nemici già venuti al soccorso, e a quello che -speravano che tosto dovesse potere venire, senza indugio di tempo, non -s’affidarono di fare lunga dimoranza nella terra, ma l’abbandonarono -il secondo dì che presa l’aveano, portandosene quelle cose sottili che -poterono, e ciò non senza danno della codazza di loro gente, che ne fu -morta e presa. - - -CAP. XLIV. - -_Come il re d’Inghilterra andò a vicitare il re di Francia, e -annunziarli la pace._ - -A dì 14 d’aprile, essendo bandita la gran festa che il re d’Inghilterra -dovea fare alla Sangiorgio, il re mandò innanzi a Guindifora, ov’era -prigione il re di Francia, e ’l figliuolo, e altri baroni di Francia, -messer Lionello suo figliuolo a dirli, che il re suo padre volea -venire a fare con lui colezione. Il re di Francia il ricevette a gran -festa, e tennelo la mattina con seco a desinare; appresso mangiare -il re d’Inghilterra fu là, e il re di Francia gli si fece incontro, -e ricevettonsi insieme con molta reverenza, e dopo molta contesa di -mettere innanzi, e onorare l’uno l’altro, il re di Francia lo prese di -pari, e andarono a bere insieme con gran festa e allegrezza; di che -uno ministriere festeggiando disse: Mala morte possa fare chi di voi -sturba la pace: il re d’Inghilterra rispose al motto, che già per lui -non rimarrebbe, e che coll’aiuto di Dio tra loro sarebbe buona pace; e -invitò il re di Francia alla festa ch’avea ordinata alla Sangiorgio, -e il re di Francia accettò, e fece suo sforzo per potervi comparire -magnificamente come a lui s’appartenea; dopo ciò il re d’Inghilterra -preso il congio si tornò al suo ostiere. - - -CAP. XLV. - -_Come i Tarlati si feciono accomandati de’ Perugini._ - -Montata la pompa de’ Perugini per la nuova vittoria, segretamente -teneano trattato co’ Tarlati d’Arezzo, e ricevutigli in loro protezione -e accomandigia con mala intenzione, pensando coll’aiuto de’ segreti -amici, e per furto e per ingegno rimetterli in Arezzo per averne la -signoria, senza scoprirsi contro a’ Fiorentini, cadendo il bisogno -del borgo come è detto, e richiesti furono i Tarlati da’ Perugini, -ed elli s’apparecchiarono prestamente con tutta loro forza d’andare -a soccorrere la terra: non fu bisogno; perocchè i castellani, come di -sopra dicemmo, aveano fatto il servigio, e liberata la terra. Allora -si scoperse, e fu palese che i Perugini senza richiesta de’ guelfi -di Toscana, o consiglio, s’erano collegati co’ Tarlati, e gli aveano -ricevuti loro accomandati, e promesso di rimetterli in Arezzo, onde -i Fiorentini e gli Aretini forte se ne turbarono, e cominciossi a -fare in Arezzo di dì e di notte buona e sollecita guardia coll’aiuto -e consiglio de’ Fiorentini, sicchè cortesemente fu rotta la speranza -a’ Perugini e a’ Tarlati di rivolgere lo stato d’Arezzo. Nel quale -trattato non si trovò messer Luzzi figliuolo naturale di messer Piero -Saccone, il quale per sdegno ch’avea co’ suoi consorti s’accostò a’ -Sanesi, e non volle essere co’ Perugini, e apertamente si mescolò nella -guerra contro a loro. - - -CAP. XLVI. - -_D’una folgore percosse il campanile de’ frati predicatori di Firenze._ - -Nel detto anno, a dì 20 d’aprile, nell’ora quasi di mezza notte, il -tempo ch’era sereno si turbò con disordinata e subita pioggia, e una -folgore percosse nella punta del campanile de’ frati predicatori, -dov’era un agnolo di marmo di statura in altezza di quattro braccia -con grandi alie di ferro, il quale volgea sopra una grossa stanga -di ferro, mostrando col braccio steso il segno de’ venti, la quale -figura in molte parti spezzò, e la stanga volta in arco volse con -una gran corteccia del campanile, e assai di lontano gittò le pietre, -spargendole: e discesa nella maggiore cappella in più parti la incese, -e abbronzò le figure, e il simile fè nel dormentorio senza far danno a -persona, vituperando le cose pompose. Stimossi per molti che ciò non -fosse senza singolare dimostramento d’occulto giudicio, considerato -che i frati del detto luogo disordinatamente passando l’umiltà della -regola loro data da san Domenico, i loro chiostri e’ dormentori sono -pomposi, vezzosamente intendendo alle delicatezze e piaceri temporali. -E di ciò accorgendosi il venerabile maestro Piero degli Strozzi del -detto ordine, uomo di santa vita, considerando che ne’ suoi giorni tre -volte il detto caso era avvenuto, non volle che figura niuna più si -ponesse nel detto luogo, ma armò la vetta del campanile contro la forza -delle folgori con reliquie sante. Continovando alla predetta materia, -le simili cose ne’ detti giorni occorsero infino al mese di luglio, che -spesso cadde grandine sformata nel nostro contado, e nell’altre parti -della Toscana e della Romagna con grandissimi danni di frutti, e di -bestiame e d’alquante persone: nel nostro contado cadde in grandezza di -due tanti d’un uovo di gallina: altrove udimmo che cadde vie maggiore. - - -CAP. XLVII. - -_Della pomposa festa che si fè in Inghilterra in Londra._ - -Avendo il valoroso Adoardo re d’Inghilterra promessa pace al re di -Francia, come di sopra dicemmo, e ordinato alla Sangiorgio d’aprile -la solenne e vana festa de’ cavalieri erranti alla città di Londra, -grandissima quantità di baroni, e di cavalieri, e di nobili uomini -d’arme del reame s’accolsono per essere alla festa. I baroni come -meglio poterono, ciascuno bene montato, e con nobili armadure e -sopravveste, e insegne vaghe e maravigliose, e le donne vestite di -ricchi drappi, e ornate di ghirlande, fermagli e cinture di perle -e d’altre pietre preziose di gran valuta, ciascuna come meglio -potè. Nella città di Londra era per tutto apparecchiato a ricevere -i forestieri onoratamente, ciascuno secondo il grado suo. Quivi -rinnovellandosi l’antiche favole della Tavola rotonda, furono fatti -ventiquattro cavalieri erranti, i quali seguendo i fallaci romanzi -che della vecchia parlano, richiedeano, ed erano richiesti di giostra -e battaglia per amore di donna. E intorno alla piazza erano levati -incastellamenti di legname con panche da sedere, coperti di ricchi -drappi a oro, e forniti di dietro di ricche spalliere, dove il re e le -reine e altre nobili dame stavano a vedere; e davanti al re veniano -dame e cavalieri con finti e composti richiami di gravi oltraggi, -e differenti l’uno dall’altro, domandando l’ammenda del misfatto, o -battaglia, e il re discernea la giostra, e quale era vinto perdeva -sua dama: le quali facevano alle loro giostre cavalcare, quasi come -presente premio di colui che vincesse: le conquistate erano di presente -menate a corte, e assegnate alla reina come gaggio del vincitore: e -altre molte cose simili a queste vane e pompose, e piene di tante -inveccerie, che forse a Dio ne dispiacque. Le mense furono poste -ornatissime, vezzose e dilicate, con molte e varie vivande. Alle prime -mense fu posto sopra tutte quella della reina vecchia d’Inghilterra, -appresso quella del re di Francia, alla quale cinque figliuoli del re -d’Inghilterra servirono in su grandi destrieri; e il re d’Inghilterra -medesimo, ch’era all’altra tavola con quello di Scozia, alcuna volta -si levò dalla mensa, e andò a vicitare quella del re di Francia. -Questa solennità di festa si coprì sotto il titolo della pace, e per -tanto alcuna scusa ricevette della disordinata burbanza e vanità. -E nota lettore, che le parole del savio che dicono, gli estremi -dell’allegrezza sono occupati dal pianto, si verificarono nel re -d’Inghilterra, a cui la moria, che poco appresso seguette, tolse i -figliuoli con molto dolore e tristizia. - - -CAP. XLVIII. - -_Come i Perugini cavalcarono i Sanesi fino alle porti di Siena._ - -Smeduccio da Sanseverino della Marca, nuovo capitano di guerra de’ -Perugini, come giunse nell’oste, di presente con duemila cavalieri -e con gran numero di gente da piè si dirizzò verso Chianciano, e lo -combatterono, e arsone i borghi. Appresso entrarono in Valdorcia, e -arsono Bonconvento, e corsono infino al Bagno a Vignoni, facendo danni -assai maggiori in vista che in fatto, ardendo di rado allora capanne -e altre vili e disutili cose, e a dì 29 di aprile cavalcarono verso -Siena, e passate le forche assai di presso a Siena fermarono il campo; -e coll’usate burbanze toscane alquanti cittadini di Perugia ivi si -feciono cavalieri, e’ loro scorridori passarono infino a porta nuova: -nella quale per matta baldanza entrarono due di loro, de’ quali l’uno -vi fu morto, e l’altro rimase prigione. Sopraggiugnendo la sera, co’ -prigioni che presi aveano in numero di centocinquanta si ritrassono a -Isola, e il seguente dì ripigliarono la via d’Asciano, e si ritornarono -a Perugia: per la qual cavalcata lo sdegno oltre a modo a’ Sanesi -crebbe, di che ne seguì quanto appresso diviseremo. È vero, che come -uso di guerra sovente dimostra, i Perugini non ebbono netta del tutto -l’avventurosa vittoria, perocchè sentendo il signore di Cortona che -tutto lo sforzo da cavallo e da piè era cavalcato a oltraggiare i -Sanesi, veggendosi libero il tempo da potere danneggiare i nemici, nol -volle perdere, e con dugento cavalieri mandò il popolo di Cortona, -e assai danno feciono intorno a Castiglionaretino e a Montecchio, e -arsono presso al lago la Valdecchio; e correndo infino all’Orsaia, -presono due de’ cavalieri novelli de’ Perugini, che per quella via poco -accortamente si tornavano a casa, e a salvamento si tornarono a Cortona -con molta preda, e circa a dugento prigioni. La preda e il danno -fu grande, perchè avendo a vile i Cortonesi, con baldanzosa sicurtà -sprovveduti furono sopraggiunti. - - -CAP. XLIX. - -_Come il legato del papa ripuose l’assedio a Forlì._ - -L’ultimo dì del detto mese d’aprile, l’abate di Clugnì legato del -papa, avendo accolta molta gente d’arme, fece bandire, che qualunque -cittadino o forestiere volesse uscire di Forlì, sarebbe ricevuto -benignamente da lui e dalla sua gente, e perdonatogli l’offesa di -santa Chiesa, e ricomunicato. Per la qual cosa molti per più riprese -se ne fuggirono al legato, e assai volte quelli che v’erano messi alle -guardie delle mura se ne collavano a terra, e fuggivansi la notte a’ -nemici. Il legato vi si ripuose ad assedio con grandissimo popolo, e -con mille cavalieri al cominciamento. Il capitano e’ suoi cittadini -pazzi di lui disperatamente, senza volere prendere accordo, attaccarsi -alla pertinacia e alla durezza, disponendo di tenersi alle difese con -grandissimo loro affanno e disagio. - - -CAP. L. - -_Come i Provenzali feciono compagnia per vendicarsi di quelli dal -Balzo._ - -Essendo molto assottigliata la compagnia di Provenza, i gentili -uomini, ch’aveano lungamente ricevuto danno ne’ loro paesi, avendo -preso sdegno sopra la casa del Balzo, e sopra quelli del Delfinato che -l’aveano mantenuta loro addosso, si raunarono insieme più di ottocento -cavalieri, e corsono sopra le terre di quelli del Balzo, e guastarono -di fuori, e nel Delfinato feciono alcuno danno. E se il re Luigi avesse -valicato di là, com’avea promesso loro, avrebbono fatte assai maggiori -cose. - - -CAP. LI. - -_Come si pubblicò la pace de’ due re._ - -Finita la pomposa e vana festa del re d’Inghilterra fatta a Londra, -della quale di sopra abbiamo fatta menzione, poco appresso, a dì 8 del -mese di maggio, il re di Francia e quello d’Inghilterra in pubblico -parlamento feciono pace insieme, e abbracciaronsi e baciarono in -bocca: e dissesi, che per buona concordia e buona pace il re di Francia -lasciava al re d’Inghilterra la contea di Aghemme, e la Normandia, e la -contea di Guinisi, con Galese e le terre che ’l re d’Inghilterra avea -acquistate, e che il re di Francia, in fra la festa di tutti i Santi -milletrecentosessantotto, dovea avere dati al re d’Inghilterra seicento -migliaia di scudi vecchi, e il re Adoardo dovea con tutto suo sforzo -riporre il re di Francia in signoria di suo reame. Onde ciò seguendo -per fornire l’impresa, il re di Francia mandò messer Giovanni conte -di Pittieri suo minore figliuolo, il quale era stato preso con lui in -Linguadoca, a procacciare la moneta, con patto ch’alla festa di santo -Dionigi dovesse tornare, e rimanere per stadico a Bologna sul mare, -tanto che l’altre promessioni e convegne fossono fornite. - - -CAP. LII. - -_Come il legato del papa pose due bastite a Forlì._ - -Di questo mese di maggio, vedendo il legato la durezza del capitano -di Forlì e del popolo di quella città, che per niuno modo si disviava -dal volere del capitano di Forlì, acciocch’e’ s’avvedessono, che senza -abbandonare l’assedio la state e ’l verno, il legato era fermo di -vincerli per forza, pose tra Faenza e Forlì una grande e forte bastita, -ove mise quella gente a cavallo e a piè che bisognava, per tenere da -quella parte stretta e assediata la città di Forlì; e appresso ne pose -un’altra tra Forlì e Cesena al ponte a Ronco; e nondimeno il campo -suo con l’altra oste pose presso alla città, e continovamente cercava -d’assalire la terra il dì e la notte. E di tutto questo non parea che -’l capitano e’ Forlivesi si curassono niente, ma spesso il capitano -colla giovanaglia di Forlì usciva della terra, e assaliva il campo, e -ritornavasi contamente a salvamento. - - -CAP. LIII. - -_Pace fatta dal re Luigi al duca di Durazzo._ - -Lungamente era durato lo sdegno che il duca di Durazzo avea portato -contro al re Luigi, parendoli male essere trattato da lui; e per questo -modo guerra si nutricò nel Regno per la compagnia, e poi per lo conte -Paladino, e per gli altri baroni che teneano la parte del duca, di -che il Regno era per tutto mal disposto, e’ ladroni multiplicavano, -e non v’era paese nè strada che sicura fosse. Avvenne, che morto il -conte Paladino e ’l fratello, i baroni cercarono di fare la pace tra’ -reali, e il gran siniscalco sopra tutti v’adoperò tanto, che gli recò -a buona pace. E del mese di maggio 1358 con gran festa, con tutti i -baroni e gentili uomini di Napoli, desinarono insieme al vescovado, -e cavalcarono per tutta la terra insieme. E incontanente s’ordinò e -bandì, che tutti i forestieri uomini d’arme si dovessono partire del -reame, e cominciossi a venire rassicurando il paese. - - -CAP. LIV. - -_Come si partì la compagnia di Provenza._ - -Abbiamo innanzi narrato, come il re Luigi era costretto d’andare -in Provenza per difenderla dalla compagnia che lungamente l’avea -tribolata, e avea richiesti i baroni d’aiuto e i comuni di Toscana, e -catuno s’apparecchiava di servirlo ove andasse la sua persona. Avvenne, -che per le ribellioni che le comuni di Francia avevano fatte contro al -Delfino duca di Normandia, primogenito del re di Francia, e contro agli -altri baroni e gentili uomini del paese, i baroni col Delfino furono -costretti di fare gente d’arme per la loro difesa, e per offendere le -comunanze. E perocchè la compagnia era nutricata e creata al suo caldo -e degli altri baroni, per averli presti al bisogno, e mantenerli alle -spese de’ Provenzali di qua dal Rodano; a questo bisogno chi mandò per -l’una parte e chi per l’altra: e così si partì di Provenza una parte -della detta compagnia. E il re Luigi per questa cagione, e perchè mal -volentieri si partiva del Regno, sostenne l’andata di Provenza. - - -CAP. LV. - -_Come i signori di Milano posono l’assedio a Pavia._ - -I signori di Milano, per la grande entrata ch’aveano di loro terre in -que’ tempi erano di gran podere, sicchè perchè alcuna volta perdessono -loro gente d’arme, di presente per la forza del danaro erano riforniti -di nuovo, e possenti a tornare in campo meglio che prima. E però non -ostante ch’avessono l’oste grande sopra Mantova, e fornissono contro al -marchese di Monferrato la guerra di Novara e di Vercelli, essendo la -compagnia del conte di Lando, come detto avemo, in aiuto a’ Lombardi -collegati, feciono di nuovo grande oste, e andarono a porre l’assedio -alla città di Pavia del mese di maggio, ove aveano più di duemila -cavalieri e pedoni, e popolo assai per questi assedi. E per mantenere -le grandi spese consumavano le forze de’ collegati, non ostante che -spesso negli assalti la loro gente ricevessono danno e vergogna; -e ciò addiveniva, perchè i loro soldati tedeschi aveano ricetto, -e parte di loro cavalcatori nella compagnia, sicchè contro a loro -non si combatteano lealmente, per non disfare la detta compagnia; e -avvedutisi i signori di Milano per più volte di questo, e trovatisi con -diecimila cavalieri a loro soldo, e mille di quelli della compagnia gli -cavalcavano presso a Milano, non ostante ch’avessono vantaggio contro -a’ loro avversari, per questa cagione cominciarono a dare gli orecchi -al trattato della pace, la quale poi si fornì, come al suo tempo -racconteremo. - - -CAP. LVI. - -_Come i Perugini afforzarono l’Orsaia._ - -Di questo mese d’agosto, i Perugini per potere con meno gente d’arme -e con minore spesa mantenere l’assedio a Cortona, cominciarono ad -afforzare di mura e di fossi l’Orsaia per farvi una terra nuova, sicchè -il verno come la state potessono tenere assediati i Cortonesi dal -lato del piano. I Cortonesi per questo poco si curavano, perocchè la -montagna era in loro balía, e aveano gente a cavallo e a piè che spesso -faceano risentire i loro nemici. - - -CAP. LVII. - -_Come si fece la pace da’ signori di Milano a’ collegati._ - -Quasi per spazio di tre anni era continovata la guerra da’ signori di -Milano a’ collegati Lombardi, nella quale erano i signori di Mantova, -di Ferrara, e di Bologna, e il marchese di Monferrato, Genova, e Pavia; -nelle quali battaglie, ribellioni e presure d’assai città e castella -erano fatte, com’addietro abbiamo narrato, con vari avvenimenti di -guerra e di fortuna e d’una e d’altra parte; e come che la possanza de’ -signori di Milano fosse grandissima, pure aveano perdute la maggior -parte delle terre che tenere soleano nel Piemonte, e Novara, Como, -Pavia, e Genova, e Savona, e con la Riviera e di levante e di ponente, -e molte altre castella in quelli paesi; ma tutto che queste terre -fossono loro tolte, per loro entrata e potenza conduceano gente d’arme, -e nuove osti faceano, avendo più forza l’un dì che l’altro, almeno -in apparenza. Per le quali cose i collegati straccati dalle gravezze -delle spese incomportabili a loro, con gran pericolo e pena sosteneano -la guerra, avendo nel segreto grande appetito di pace; dall’altra -parte i signori di Milano s’erano trovati più volte ingannati dalla -gente d’arme di lingua tedesca, che avendo essi forza di novemila in -diecimila cavalieri, mille o duemila barbute della compagnia per più -riprese, come mostrato abbiamo, correano infino alle porte di Milano, -e stavano a oste nel loro contado, e non trovavano Tedeschi che contro -a loro facessono resistenza, che tutti teneano parte nella compagnia, -e i cassi da’ soldi entravano in quella, e per questa cagione -s’aveano vedute rubellare molte terre; per la qual cosa anche eglino -desideravano concordia. Onde essendo mezzano e sollicitatore della pace -messer Feltrino da Gonzaga de’ signori di Mantova, la pace si fornì, -e palesossi per tutto all’uscita del mese di maggio, gli anni 1358, -con certi patti e convegne che poco vennono a dire, come appresso si -dimostrò per lo fine. - - -CAP. LVIII. - -_Come s’abbattè i palazzi di quelli di Beccheria._ - -Essendo cacciati da Pavia quelli della casa di Beccheria, come a -verno addietro narrato, frate Iacopo Bossolaro fece sua predicazione, -alla quale s’adunò tutto il popolo di Pavia uomini e donne; e con -belle e ornate parole mostrò, che non era bastevole avere cacciati di -Pavia i tiranni, se a loro non si togliesse la speranza del tornare, -la quale loro durerebbe mentre che le loro case e’ palagi fossono -in piè; e che per tanto a lui necessario parea d’abbatterli, e fare -piazza del sito dov’erano. Fornita la predica, tutto il popolo si -mosse, e volonterosamente corse ad abbattere le dette case e palagi: -e in picciolo tempo non vi lasciarono pietra sopra pietra, che non -portassono via; e il luogo recarono a piazza, secondo che il frate -predicando avea consigliato. E fu ciò cosa mirabile, che tutti, maschi -e femmine, piccoli e grandi vi furono per maestri e manovali, e a modo -delle formiche ciascuno ne portò via la parte sua. - - -CAP. LIX. - -_Di molte paci e altre cose notevoli fatte._ - -Gli antichi Romani al tempo del popolo gentile aveano un tempio nella -città consacrato a Giano, il quale nel loro errore faceano Iddio -dell’anno. E per tanto il primo mese dell’anno a questo loro Iddio -era consacrato, e da lui era denominato Gianuaro, che noi volgarmente -appelliamo Gennaio. Questo tempio di Giano, quando stava aperto era -segno di guerra, e quando stava chiuso era segno di pace. Di che -tornando alle favole antiche, e all’usanze antiche della magnificenza -romana, questo nostro anno dire si potrebbe quello della pace: perchè -in esso fu fatta e fermata la pace dal re d’Inghilterra al re di -Scozia, e lasciato fu di prigione il re David, che carcerato il tenea -quello d’Inghilterra. Ancora si fè la concordia dal re di Spagna al -re d’Araona, e quella dal re d’Inghilterra al re di Francia, il quale -era suo prigione, benchè per li patti rimanesse sospesa. E fecesi la -pace dal comune di Vinegia al re d’Ungheria; e quella de’ signori e -tiranni di Lombardia, che di sopra avemo raccontata; e quella dal re -Luigi al duca di Durazzo; e quella da’ Perugini a’ Sanesi. E più ad -aumento di pace in questo anno fu abbondanza di tutti i frutti della -terra. È vero, che furono nel verno malattie di freddo, e nella state -molte febbri terzane, e semplici e doppie, sicchè se gli uomini fer -pace delle loro guerre, non dimanco gli elementi per li peccati sconci -degli uomini loro fecero guerra. Nella quale fu da notare, che come -l’anno passato la Valdelsa, e il Chianti, e il Valdarno furono di molte -infermitadi gravate e morie, che così nel presente, che fu mirabile -cosa. E perchè per queste paci fossono liete molte provincie, il reame -di Francia in questi giorni ebbe grandi e gravi commozioni di popoli -contro a’ gentili uomini, che molto guastarono il paese, e tre gran -compagnie di gente d’arme settentrionali conturbarono forte Italia -e la Provenza. Il perchè appare, che universale pace non può essere -nel mondo, come fu al tempo che ’l figliuolo di Dio umana carne della -Vergine prese. - - -CAP. LX. - -_Come la compagnia del conte di Lando venne in Romagna._ - -Incontanente che la pace de’ Lombardi fu fatta, la compagnia del conte -di Lando, ch’era stata contro a’ signori di Milano per condotta de’ -collegati, com’addietro abbiamo narrato, si partì di quei paesi; e -all’uscita del mese di giugno, avendo per tutto il passo aperto, e -la vittuaglia da’ paesani, con licenza del signore di Bologna se ne -vennono a Budrio in sul Bolognese; e ivi stettono alquanto di tempo -prendendo loro rinfrescamento, dando di loro usati aguati e improvvisi -assalti assai di tema a tutti i Toscani, e al legato del papa in -Romagna, e così al Regno, aspettando in quel luogo civanza di condotta, -e danari da chi con loro si volesse patteggiare e comporre. - - -CAP. LXI. - -_Come il re Luigi riebbe il castello di Parma._ - -Narreremo in questo capitolo cosa che non pare degna di memoria, nè -certo è, se non in, tanto per quanto per essa si può dimostrare la -debolezza in que’ giorni del famoso reame di Puglia. Certi ladroni e -rubatori di strade nel detto regno in questi giorni faceano compagnia, -e aveano preso per loro ridotto un castelletto tra Serni e Castello -da mare che si chiama Parma: e ivi s’erano adunati, e rubavano le -strade e’ paesi che da loro non si volieno rimedire. E aveano già -tanto fatto, che circa a centoventi di loro erano montati a cavallo, -e armati a guisa di cavalieri, e spesso correano fino a Napoli, e per -Terra di Lavoro; e maggiore guerra e danno faceano a’ paesani, che -quelli della gran compagnia quand’erano nel Regno, perocch’e’ sapeano -i passi e le vie del paese, e conoscevano i massari e’ paesani da cui -si poteva trarre il danaro. E così teneano in mala ventura e angoscia -tutto il paese, che niuno osava andare per cammini senza buona scorta. -E per questa cagione il re fece gente d’arme, e ristrinseli nel detto -castello, e assediolli: e in fine vedendo i detti ladroni che non -poteano tenere il castello, l’abbandonarono, e fuggirsi del paese, e -il re riprese la terra, e la fornì di sua gente; perchè alquanto ne -migliorò la sicurtà delle strade e de’ cammini. - - -CAP. LXII. - -_De’ fatti di Siena della loro guerra._ - -Li Sanesi avendo veduto non rotte le loro forze, nè con ordine di -battaglia, essere così sventuratamente sconfitti e cavalcati da’ -Perugini infino alle porti, essendo di natura sdegnosa e altiera e di -voglioso consiglio, di comune assentimento deliberarono di fare ogni -loro sforzo e podere per qualunque modo potessono, per vendicare loro -vergogna; non ostante che per lo comune di Firenze oltre all’usato -amore consueto di faticarsi a pacificare loro vicini, ingelosito che -per loro riotte non surgesse allettamento di signore forestiere, di -continovo sollecitamente cercasse modo comportevole a sgravare il -soperchio dell’onta fatta a’ Sanesi, e a questo per forza d’amistà -de’ reggenti e maggiori di Perugia avessono condotto ad assentire i -Perugini, nè modo nè verso co’ Sanesi trovare non potè, i quali nel -furore di loro lieve animo, non guardando a stato di parte guelfa, -nè a’ pericoli che seguire ne potesse alla libertà de’ comuni di -Toscana, malcontenti di ciò che per l’uno comune e per l’altro si -facea, cercando sempre concordia tra loro senza favorare in segreto o -in palese eziandio in parole nessuno di loro contro all’altro, solenni -ambasciadori con pieno mandato e larghe promesse mandarono a’ signori -di Milano per impetrare loro aiuto e favore; ma poco loro valse, -tutto che in niente montasse per loro mal volere e pravo concetto, -perocchè per la pace tra detti signori e comuni di Toscana fatta, per -non romperla non se ne vollono travagliare. Il perchè veggendosi i -Sanesi mancare la detta speranza, in sulla quale stavano ventosamente -a cavallo, cercarono convegna colla compagnia che di Lombardia era -venuta a Budrio, e si patteggiarono ch’andasse al loro soldo per certa -quantità di moneta: e nel patto inchiusono, che la compagnia un mese e -più con altra loro gente dovesse stare in sul contado di Perugia; e per -lo detto servigio diedono caparra e la ferma, all’entrata del mese di -giugno 1358. Semoci un poco allargati in parlanza sopra questa materia, -per fare ricordanza a coloro che per li tempi verranno al reggimento -del nostro comune, che stieno avvisati a’ rimedi della straboccata e -ventosa volontà de’ Sanesi, i quali sovente per levità d’animo hanno -tentata la loro sovversione e degli altri comuni di Toscana, che -vogliono e amano di vivere in libertà. - - -CAP. LXIII. - -_Come i Pisani abbandonarono la gara di Talamone._ - -I Pisani avendo provato e riprovato per molte riprese, che nè per -loro armate, nè per impedimenti di mare, nè per lega che tacitamente -avessono col doge di Genova, nè per qualunque altri loro argomenti o -sagacità, usando larghe promesse di nuove franchigie e più utile a’ -Fiorentini, non aveano potuto rimuovere il comune di Firenze dal suo -fermo proponimento del non tornare a fare porto a Pisa, ma piuttosto -coll’aizzamento gli aveano fatti indurare; e veggendo ch’esso comune -di Firenze s’era messo in armare galee, e cercare ventura di mare -contro a loro; colla usata astuzia, del mese di giugno detto anno, con -segreta deliberazione fatta tra loro mandarono la grida, che i Pisani -e’ loro distrettuali, e ogni altra maniera di gente liberamente potesse -andare a Talamone co’ suoi legni e mercatanzie, e di là recare e -portare mercatanzia salvi e sicuri da tutta loro gente. E incontanente -cominciarono a mandarvi della roba loro con fare porto a Talamone; e -nondimeno i Fiorentini continovo le loro galee teneano alla guardia del -mare. - - -CAP. LXIV. - -_Come i Sanesi chiamarono capitano, e uscirono a oste._ - -Avendo i Sanesi l’animo infiammato contro al comune di Perugia, -elessono per loro capitano di guerra il prefetto da Vico con gran -balìa nella città e di fuori sopra la gente d’arme, il quale accettò: -ma non venendo presto come il furore de’ Sanesi cercava; a dì 21 di -giugno uscirono fuori a oste sopra il Monte a Sansavino colla loro -gente d’arme, e con settecento barbute che avea Anichino di Bongardo -capitano della nuova compagnia, e ivi sforzandosi di vincere la terra, -senza frutto stettono aspettando il loro capitano e l’altra gran -compagnia che aveano condotta in Lombardia. I Perugini temeano forte -l’avvenimento della compagnia, e acconciavansi bene a lasciare trovare -modo a’ Fiorentini d’avere la pace; nondimeno afforzavano l’Orsaia per -potersi tenere più forti e provveduti alla loro difesa. - - -CAP. LXV. - -_Come si fece certa arrota al palio di san Giovanni._ - -Di questo mese i Fiorentini arrosono al palio di san Giovanni, ch’era -di due finissimi velluti chermesi, con uno nastro d’oro largo quattro -dita coll’arme del popolo e del comune, riccamente ricamate di seta -d’otto braccia di lunghezza, quanto le dette due pezze erano larghe, di -vaio sgrigiato; cosa molto orrevole e bella alla nostra festa. - - -CAP. LXVI. - -_Come il Delfino mandò per lo proposto di Parigi._ - -Tornando a’ fatti di Francia che occorsono in que’ tempi, il Delfino -di Vienna, e ’l duca d’Orleans, come addietro avemo fatta menzione, -per disdegno, o forse per paura piuttosto, che più verisimile parve, -s’era partito di Parigi, e l’amministrazione e governo del tutto avea -lasciato al proposto de’ mercatanti e a’ borgesi di Parigi; perchè -essendo ripreso di codardia, si mosse, e appressossi alla città, -stimando che il proposto li portasse reverenza, e come reale lo -ridottasse, e a lui mandò a dire, che con trenta compagni li venisse -a parlare. Il proposto rispose di farlo; e di presente tutto il popolo -commosse, il quale in numero di trentamila o più il seguirono per ire -seco infino al luogo dove stava il Delfino. Il quale udendo in che -forma venia, non lo attese, ma si partì in fretta, per non attendere la -piena del popolo ignorante e mal consigliato, e tornossene ad Orliens. -E ciò fu all’entrata di giugno. - - -CAP. LXVII. - -_Di novità fatte per lo popolo di Parigi._ - -I borgesi e ’l popolo minuto di Parigi vedendosi armati, che n’erano -poco usi, e che ’l Delfino non attendendo loro furia s’era partito, -montarono in baldanza; e come suole avvenire, e per sperienza si vede, -che i vili, che prendono ardire contro a chi fugge, vantandosi di loro -cuore e ardire, col fumo della vittoria senza contasto si fermarono, -aspettando se loro fosse mosso niente. Il proposto con quelli che lui -seguivano nel malvagio proponimento e consiglio, veggendo lo stolto -popolo armato, e per levità d’animo nimicato contro la casa reale, -pensarono con esso, avanti che giù ponessono l’arme, a maggiori -fatti procedere. E per tanto confortato il popolo, e inanimatolo a -speranza di migliore fortuna, quasi come gente furiosa e irata la -condussono spartamente come vedeano che richiedesse la faccenda, e ogni -parte d’essa sotto guida a’ palagi e a’ manieri de’ gentili uomini -ch’erano vicini a Parigi, i quali non prendendo guardia di loro, e -non avendo alcuno avviso di loro iniquo e reo proponimento, nè del -movimento di chi li guidava, molti ne furono sorpresi. Il furioso -popolo incrudelito, quanti ne giugnea tanti ne mettea al taglio delle -spade, non perdonando a fanciulli o a donne; e a’ micidi aggiugneano -l’arsioni, diroccando fortezze e manieri a costuma di fiere selvagge. -E intra gli altri nobili e ricchi dificii guastarono il bello castello -di Montmorensì, e altre molte castella notabili. E con questa rabbiosa -vittoria, con spargimento di cittadinesco sangue, si tornarono in -Parigi, avendosi fatti nemici i gentili uomini e i baroni del reame. - - -CAP. LXVIII. - -_Come l’altre ville seguirono di fare come Parigi._ - -Sentendosi per lo paese quanto inumanamente, e con quanta bestiale -fierezza il popolo di Parigi s’era portato contro a’ baroni e a’ -gentili uomini circustanti e vicini a Parigi, l’altre buone ville -di Piccardia e di Francia, prendendo esempio dal popolo di Parigi, -tantosto s’adunarono in arme, e uscirono delle ville come se andassono -contro a’ nemici, e ricercarono i gentili uomini e le famiglie loro -per li manieri, e per le castella, e per le tenute dove si riduceano, -e quanti ne poterono giugnere senza misericordia n’uccisono, e i loro -manieri e castella dove poterono entrare disfeciono. E fu sì subita -e improvvisa questa tempesta, che molti tra le loro mani ne perirono, -dando boce e cagione, ch’e’ gentili uomini e i baroni erano traditori -del re loro signore; ma certo chi fu primo motore di tanto scellerato -male fu il reo e il traditore di suo signore e di tutto il reame, come -appresso leggendo si potrà trovare. - - -CAP. LXIX. - -_Di novità di Forlì._ - -Bene che paia assai disonesto e fuori di ragione, che li prelati che -dovrebbono essere correggitori de’ difetti e peccati de’ secolari -s’inviluppino e rivolgano in quelli, e massimamente in quelli errori -mondani che più paiono orribili e abominevoli, come sono tradimenti, -o se volemo più onesto parlare, trattati, nondimeno per la corrotta -usanza del malvagio tempo che corre, non pare si disdica a coloro che -sono posti da santa Chiesa alla cura de’ suoi beni temporali, tutto -che cherici sieno, usare arte di tradigione. Per questa larga e non -dannata licenza, l’abate di Clugnì legato di papa in Romagna, avendo -fatto tenere certo trattato con le guardie d’alquante bertesche della -città di Forlì, le quali gli doveano essere date, mandò della sua gente -una notte intorno di seicento tra a piè e a cavallo, e presonle, ed -entrarono nella terra; e se avessono avuto con loro più forte braccio -n’erano signori. I cittadini, per l’improvviso e subito assalto non -sbigottiti, insieme col capitano francamente si fedirono tra loro -ch’erano entrati, e per forza gli ripinsono di fuori, avendone morti -e presi una parte di quelli che più s’erano messi innanzi; intra gli -altri rimase preso il figliuolo del conte Bandino di Montegranelli; e -gli altri si fuggirono senza avere caccia fuori della terra, e tornarsi -al legato beffati. - - -CAP. LXX. - -_Come il legato ebbe Meldola._ - -Uno de’ terrazzani di Meldola capo di setta, essendo per più tempo -stato con certi suoi congiunti sostenuto dal capitano di Forlì per -sua sicurtà di quella terra, si collò dalle mura con suoi compagni di -furto, e fuggissi nel campo al legato, e ivi segretamente stando più -giorni s’intese con altri suoi terrazzani. E a dì 2 di luglio detto -anno, il legato ordinata sua gente sott’ombra di combattere Meldola, -si strinse alla terra. Lo Meldolese di cui avemo parlato, senza arme -uscì della schiera, e innanzi si mise verso la terra, e fè certo segno -a quelli delle mura, sicchè fu conosciuto; e sperando nell’ordine e nel -favore di coloro che dentro avea temperati con belle e savie parole, -ed efficaci alla materia, disse a’ suoi terrazzani, che non volessono -essere morti e disfatti in contumacia di santa Chiesa, che domandava -con gran ragione la sua terra, e con beneficio, per servire al tiranno -scomunicato, che contro a Dio e contro a ragione si tenea in ribellione -del legato e di santa Chiesa, il quale era stretto per modo, che -tosto dovea e potea essere disfatto; loro assicurando che dalla gente -della Chiesa non riceverebbono offesa nè danno alcuno. I Meldolesi -alla Romagnuola voltanti, e affannati dalla lunga guerra, udendo -così parlare il loro terrazzano, ed essendo sospinti da’ consigli e -conforti di quelli dentro che col detto loro terrazzano s’intendeano, -di presente apersono le porte, e ricevettono liberamente con allegrezza -e festa la gente del legato pacificamente. Li forestieri che v’erano -ciò vedendo, bellamente si ricolsono al cassero, e quelli del legato di -presente s’afforzarono nel castello, e assediarono la rocca dentro e di -fuori, avendo dottanza che la compagnia ch’allora era di presso non li -venisse a impedire; e strignendo forte con assedio, e ricercando spesso -con trabocchi e con altre battaglie quelli della rocca, a dì 25 del -detto mese s’arrenderono salve le persone. - - -CAP. LXXI. - -_Come i Fiorentini ordinarono il monte nuovo per avere danari._ - -Per l’armata del mare essendo consumata molta moneta dell’usate -rendite del comune, sopravvenendo le compagnie del conte di Lando -e d’Anichino di Bongardo, e apparecchiandosi molte altre novità in -Italia, alle quali per conservare suo stato necessità era al nostro -comune di provvedere; e non potendosi ciò fare senza danari, ed -essendo l’entrate del comune indebitate, e porre di nuovo gravezze -senza manifesta guerra incomportabile e pericoloso parea, massimamente -per la nuova dissensione e sospetto nato tra’ cittadini per le accuse -e persecuzioni, che sotto il titolo della parte guelfa si facea de’ -buoni, e a’ buoni antichi cittadini che si voleano vivere in pace, -sotto il segno della detta pace onorando il comune, e non poteano. -Quelli che reggevano il comune cercavano nuovo modo, provvedendo per -legge che chi spontaneamente prestasse al comune fosse scritto a suo -creditore nuovamente nell’uno tre, cioè in fiorini trecento prestandone -cento di quello che veramente prestavano, dando al detto monte nuovo e -a’ suoi creditori tutti i privilegi e immunità del monte vecchio. Per -questa via il comune senza altra gravezza ebbe al suo bisogno soccorso; -e se bene si misura, non per carità o affezione ch’avessono i cittadini -alla sua repubblica, ma per la cupidigia del largo profitto; il quale -fuori del buono e antico costume de’ nostri maggiori molti n’ha tirati -dalla mercatanzia in su l’usura, e sì ha ingrossate le coscienze, che -le vedovelle poco si curano dell’anime, pur che il monte risponda bene -loro. - - -CAP. LXXII. - -_Della gran compagnia._ - -La gran compagnia essendo nella Romagna a’ confini del Bolognese, sotto -la condotta del conte Broccardo e di messer Amerigo del Cavalletto, in -numero di tremilacinquecento cavalieri e grande quantità di pedoni, -baldanzosamente del mese di luglio mandarono a domandare il passo in -Toscana al nostro comune; il quale sorpreso dalla subita domanda, -non avvedendosi de’ patti ch’aveano con loro, intra’ quali che non -dovessono offendere nè passare per lo nostro terreno fra certo tempo, -il quale ancora durava, e temendo della ricolta, che la maggiore parte -era in su l’aia, di presente vi mandarono ambasciadore, concedendo -che potessono passare a dieci bandiere insieme, togliendo derrata per -danaio. Li conducitori e caporali di quella insuperbiti per la temenza -che parea mostrasse il comune, tacendo i patti, risposono, che non -voleano passare spartiti, nè per lo luogo loro assegnato, ma per quello -più loro piacesse. Non volendosi per lo comune a ciò consentire, nel -consigliare che se ne fè furono ricordate e ritrovate le convenienze -il comune avea con loro, e furono creati ambasciadori ch’andassono a -loro, i quali furono; messer Manno Donati, messer Giovanni de’ Medici, -Amerigo di messer Giannozzo Cavalcanti, e Simone di Rinieri Peruzzi; i -quali ebbono i punti di loro ambasciata, e portarono i patti giurati, -soscritti, e suggellati per li caporali e conducitori d’essa compagnia; -i quali mostrati loro, come è usanza di gente d’arme di sì fatta -maniera quando si sente podere, niente li pregiarono; e perseverando in -loro sconce e disoneste domande, accennavano di passare a loro posta, e -donde loro bene paresse, a mal grado di chi il volesse vietare. Perchè -ciò sentendo il comune, sollicitamente s’apparecchiava alla difesa; -e per chiudere loro i passi dell’alpe a suo podere richiesto avea gli -Ubaldini, i conti Guidi e gli altri amici del comune ch’aveano podere -ne’ luoghi onde si temea che potessono passare, e con poco ordine -per la fretta, e senza capitanare, mandò la gente sua da cavallo e -assai balestrieri nel Mugello e alla guardia de’ passi. Essendo i -detti ambasciadori nel campo della compagnia, e segretamente rivocati -dalla loro ambasciata, vi fu mandato di nuovo ambasciadore Filippo -Machiavelli, a cui fu commesso in segreto, ch’aoperasse co’ caporali -ch’e’ non venissono per lo nostro contado, e che in ciò spendesse da -cinquemila in seimila fiorini: e avendosi da lui in risposta che ciò -non si potea fare, il comune raddoppiando la sollicitudine a sua difesa -intendea. - - -CAP. LXXIII. - -_Come il conte di Lando tornò d’Alamagna alla compagnia._ - -Il famoso capo di ladroni conte di Lando era nella Magna passato, -e portato n’avea il tesoro ch’avea guadagnato, ovvero rubato delle -prede degl’Italiani, e di là comperatone terre e castella, e riscosse -di quelle ch’avea impegnate. Appresso era stato con l’imperadore, -e mostratogli come e’ non era ubbidito da’ comuni di Toscana, e che -dove egli avesse titolo da lui, per forza di sua compagnia per tutto -il farebbe senza suo costo ubbidire: mostrandoli come la Toscana -era piena di soldati di lingua tedesca, che tutti, dove che fossono -a soldo, s’intenderebbono con lui. E per tanto non temea trovare in -campo contasto; e dove con suo titolo entrasse in alcuna buona città -di Toscana, l’altre domerebbe per modo, che di tutte il farebbe libero -signore. L’imperadore, ch’era cupido di natura, e astuto, conobbe il -partito, e per volere a ciò provvedere per modo indiretto e coperto, -sicchè se avesse luogo il consiglio del conte l’esecuzione fosse -pronta, e se non, almeno colorata; essendo consueto di tenere suo -vicario in Pisa, ne intitolò suo vicario il predetto conte in palese, -ma in occulto si disse li diè maggiore legazione. Costui giunto a -Bologna, sentì la condotta fatta della sua compagnia da’ Sanesi contro -a’ Perugini, la qual cosa molto andava a sua intenzione; e vedendo -la discordia del passo col comune di Firenze, di presente cavalcò -alla compagnia, e trovò che gli ambasciadori del nostro comune erano -rivocati; e volendosi ritornare a Firenze, egli li ritenne, e disse, -ch’a niuno partito volea che la compagnia valicasse contro a volontà -del comune nè per lo suo contado; e con gli ambasciadori insieme -trovarono questa via; che essendo la compagnia in Valdilamone dovesse -passare da Marradi, e dappoi passare tra Castiglione e Biforco, e -ricidere da Belforte e Dicomano, e da indi a Vicorata, e poi a Isola, -e da Isola a san Leolino, e quindi a Bibbiena; e i detti ambasciadori -promisono, che ’l comune di Firenze per cinque di loro apparecchierebbe -panatica, prendendo derrata per danaio, e in quelli luoghi donde -dovea essere loro trapasso. Questa concordia fatta senza mandato a’ -Fiorentini non dispiacque, perchè parea in parte conforme a’ patti che -i Fiorentini aveano con loro. E per tanto con sollicitudine procedea il -comune, che la vittuaglia fosse apparecchiata ne’ luoghi ragionati per -li quali doveano passare, e già n’era cominciata a mandare a Dicomano. -Gli ambasciadori erano rimasi nella compagnia come il conte avea voluto -per più sicurtà di sua condotta, ma non per mandato ch’avessono dal -loro comune. - - -CAP. LXXIV. - -_Come la compagnia fu rotta nell’alpe._ - -Fermata per lo nostro comune la concordia colla compagnia, come è di -sopra narrato, la compagnia di presente si mosse con bello ordine -de’ suoi capitani, e a dì 24 del mese di luglio 1358 prese albergo -nell’alpe tra Castiglione e Biforco: e come è d’uso di gente di -sì fatta maniera che male si può temperare, che come il ferro alla -calamita non corra alla preda, passando i patti e convegne si toglieano -la vittuaglia loro apparecchiata senza pagare, e se trovavano cose -non bene riposte nè in luogo sicuro ne faceano danno, oltraggiando -i paesani e di parole e di fatti. Perchè dolendosi gli offesi di -ciò, ed essendo male uditi e peggio intesi, ne presono cruccio; e -raccogliendosi insieme, nel mormorio alquanti di loro cominciarono -ragionamento e di vendetta e di ristoro di loro dannaggio, e senza -perdere tempo, s’intesono insieme quelli di Biforco fedeli de’ conti da -Battifolle, e quelli di Castiglione fedeli di quello d’Alberghettino, -e con loro s’aggiunsono alquanti di quelli della Valdilamone, e -disposonsi a loro vantaggio a luogo e tempo nel trapasso d’assalire la -compagnia, o parte d’essa, e cercare loro ventura per rifarsi di loro -danni, e vendicarsi degli oltraggi che aveano ricevuti. Quella sera -medesima che questo per li villani si cercava ciò fu detto al conte di -Lando, e avvisato che la seguente mattina gli s’apparecchiava novità: -poco mostrò averlo a calere, sapendo che poco numero essere potea, e di -gente alpigiana, e male in arnese quella che il cercasse d’offendere; -nondimanco avanti al fare del giorno avacciò sua cavalcata, e mise sua -gente in cammino, e ne fece più parti, nella prima fè cavalcare messer -Amerigo del Cavalletto, e con lui gli ambasciadori fiorentini, fuori -d’uno che ne tenne con seco, colla maggior parte di sua gente armata e -disarmata con tutta la salmeria. - -I conestabili con gente d’arme avvantaggiata con loro arnese sottile -e di valuta, in numero d’ottocento a cavallo e cinquecento pedoni, -col conte Broccardo lasciò alla retroguardia e riscossa. Il cammino -ch’eglino aveano a fare, tutto che non fosse lungo, era aspro e -malagevole, perocchè venendo da Biforco a Belforte presso alle due -miglia della valle, quinci e quindi fasciata dalle ripe e stretta nel -fondo, do v’era la via, la quale si leva dopo alquanto di piano repente -ed erta a maraviglia, inviluppata di pietre e di torcimenti, e tale -passo è detto alle Scalelle, che bene concorda il nome col fatto. Il -detto luogo passò liberamente messer Amerigo con tutta sua brigata, -perchè ancora non erano giunti i villani, i quali poco appresso vi -vennono in numero d’ottanta, o in quel torno, disponendosi partitamente -ne’ luoghi dove pensarono a vantaggio e loro sicurtà potere meglio -offendere i loro nemici: e volendo uno de’ maliscalchi della compagnia -con sua brigata il detto luogo passare, fu da’ villani assalito, e con -le pietre indietro ripinto. Il conte di Lando s’avea tratto la barbuta -di testa, e mangiava a cavallo, e sentendo ciò ch’era cominciato, -subito si rimise la barbuta, e fece gridare arme; onde i villani, -che come detto è, s’erano riposti per le creste de’ colli, e nelle -ripe e balzi che soprastavano le vie, sentendo il passo impedito, si -cominciarono a mostrare per le ripe dintorno, e a voltare gran sassi, -e a gittare con mano sopra la gente del conte ch’erano nel basso del -fossato, quasi come in prigione chiusi da altissime ripe. Il conte non -spaventato nè invilito per lo subito assalto, come uomo d’alto cuore -e maestro di guerre, di subito fece smontare da cavallo circa a cento -Ungheri, e li fece montare per le ripe per cacciare i villani dalle -ripe ov’erano posti colle frecce e colle grida: ma poco li valse, -perocchè i villani ch’erano ne’ luoghi avvantaggiati e sicuri, e -soprastanti assai a quelli dove gli Ungheri in uosa, e gravi di loro -armi e giubboni non poteano salire, colle pietre n’uccisono alquanti, -e gli altri cacciarono a valle. E stando il conte e’ suoi nel romore -e travaglio, colle difese che le sue genti poteano fare nel luogo -stretto e malagevole, dove poco poteano mostrare loro virtù, una gran -pietra mossa nella sommità del monte da parecchi villani, scendendo -rovinosamente percosse il conte Broccardo, e lui e ’l cavallo ne portò -nel fossato, e uccise; e per simile modo molti e morti e magagnati -ne furono. Veggendo i villani che già erano scesi alle spalle de’ -cavalieri in luogo che li poteano fedire colle lance manesche, che -i cavalieri per la morte di molti di loro erano inviliti, e per la -strettezza di loro da non si potere ordinare a difesa, nè per niuno -modo abile atare, scesono con loro alle mani; e uno fedele del conte -Guido con dodici compagni arditamente si dirizzò al conte di Lando, -e valentemente l’assalì. Il conte colla spada fè bella difesa: alla -fine non potendo alle forze resistere, s’arrendè prigione, porgendo la -spada per la punta; ed essendo ricevuto, come s’ebbe tratta la barbuta, -uno villano d’una lancia il fedì nella testa, della quale ferita lungo -tempo dopo stette in pericolo di morte. Arrenduto il conte di Lando, -tutti i cavalieri smontarono da cavallo, e come il più presto poterono, -spogliate l’armi per essere leggieri, si diedono alla fuga, e come -ciascuno meglio potea saliano per le ripe, e per li boschi e burrati -fuggendo. Allora non solo gli uomini, ma le femmine ch’erano corse al -romore, e atare i loro mariti almeno con voltare delle pietre, gli -spogliavano, e loro toglieano le cinture d’argento, e’ danari e gli -altri arnesi: e avvegnachè assai ne fuggissono per questo modo, molti -morti ne furono, e pure de’ migliori, e assai presi, e così de’ fanti -a piè. In questo baratto si trovarono morti più di trecento cavalieri -e assai presi, e più di mille cavalli e bene trecento ronzini, e molto -arnese sottile, e robe e danari vi perderono; e benchè fossono usciti -del passo, errando molti presi ne furono nelle circostanze dagli altri -paesani che non s’erano trovati alla zuffa. - - -CAP. LXXV. - -_Come il conte di Lando scampò di prigione._ - -Come volle fortuna, che per li peccati de’ popoli sovente favoreggia -coloro che a loro sono flagello di Dio, essendo il conte di Lando -preso da uno fedele e uficiale del conte Guido, il detto valente uomo -per acquistare maggior preda, essendo il conte fedito, come dicemmo, -l’accomandò a due suoi compagni: il conte vedendosi nelle mani di due -villani, temendo forte che non lo menassono a Biforco, per l’offese -di sua coscienza fatte la sera dinanzi a quelli della villa, disse a -coloro che ’l guardavano, di dare loro fiorini duemila d’oro, ed elli -lo menassono altrove ovunque a loro piacesse, e che se in questo il -servissono, li farebbe ricchi uomini. I villani conoscendo che se il -conte venisse alle mani del loro signore, che della preda e riscatto -del conte avrebbono piccola parte, si disposono a servire il conte; e -’l menarono alla donna di messer Giovanni d’Alberghettino. La donna, -non essendo ivi il marito, il fece menare a Giovacchino di Maghinardo -degli Ubaldini suo fratello a Castelpagano. Ciò sentendo il signore di -Bologna, ch’era suo intimo amico e compare, di presente vi mandò medici -e guernimenti, e lo fè medicare, e per sua operazione tanto fece, che -liberamente li fu mandato a Bologna: il quale essendo bene provveduto -e curato alla Tedesca, poco regolando sua vita, e massimamente non -prendendo guardia del vino, come fu da Bologna partito cadde in grave -infermità, nella quale più volte fu a pericolo di morte, e liberato del -male rimase in assai povero stato. - - -CAP. LXXVI. - -_Come l’altra parte della compagnia si ridusse in Dicomano._ - -Essendo rotta e sbarattata la retroguardia della compagnia, come -detto avemo, messer Amerigo del Cavalletto che guidava la parte -dinanzi avendo ciò inteso, ed essendo ne’ prati verso Belforte, e -sentendosi dintorno alcuno romore sì di coloro che fuggivano come di -coloro che li seguitavano, di subito prese grande sbigottimento: e -certo e’ li bisognava, perocchè ’l conte Guido e gli altri paesani -conosceano che venuto era il tempo di potersi vendicare della -compagnia, e d’arricchire della preda loro. Ma il peccato volle che -gli ambasciadori del comune di Firenze si trovarono con loro, a’ -quali, temendo di tradimento, si ristrinsono e messer Amerigo e’ suoi -caporali con minacce di tor loro la vita, se a loro fosse faltata -la promessa. Gli ambasciadori che si sentivano in lealtà, e sapeano -che ciò ch’era fatto non era stato operazione del loro comune, gli -assicurarono colle parole: e per non mostrarsi ne’ fatti dissonanti -alle parole, cominciarono a usare autorità che non era loro commessa, -e ferono comandamento a’ fedeli del conte Guido, e a molti altri -ch’erano tratti a’ passi, per parte del loro comune ch’e’ non dovessono -offendere nè danneggiare coloro cui aveano fidati il comune di Firenze, -a cui salvocondotto elli erano diputati, e ch’e’ si dovessono de’ -passi levare: i quali tutti, contro a loro intenzione e volere, per -reverenza del nostro comune si levarono dall’impresa. Perchè quelli -della compagnia ch’erano vogliosamente avanti passati affrettarono di -tornare alla schiera, e tutti insieme stretti avacciarono il cammino, -e per le strette vie delle piagge in quel dì si ridussono in Dicomano, -e ivi con botti e altro legname senza perdere tempo s’abbarrarono il -meglio poterono: e conoscendo il pericolo dove erano ridotti, stavano -tutti muti e smarriti alla speranza degli ambasciadori. E nel vero elli -aveano da temere per l’avviso che loro subitamente fu fatto, che ’l -nostro comune avea in quelli stretti passi più di dodicimila pedoni, -de’ quali i quattromila erano balestrieri scelti tra gli altri, e circa -a quattrocento cavalieri, che tutto che temessono il nostro comune, più -ridottavano i villani dell’alpe che li aveano assaggiati. - - -CAP. LXXVII. - -_Come il comune di Firenze procedette ne’ fatti della compagnia._ - -I rettori del nostro comune avuta la novella della detta rotta, e -di coloro ch’erano rinchiusi in Dicomano, e inteso come contro a’ -patti i loro dinanzi aveano scorso infino a Vicchio, e le some del -pane ch’erano a Dicomano aveano rubate, e tolti i muli, e fediti -de’ vetturali; avendo mescolatamente queste novelle senza altro -avviso de’ loro ambasciadori, conoscendo che la materia richiedea -tostano consiglio e partito, di presente feciono consigli di numero -di richiesti in gran quantità, nel quale furono molti notabili e -savi cittadini, e consigliato sopra la materia, di grande concordia -diliberarono, che i passi si tenessono per modo ch’e’ non entrassono -sul nostro contado, e che non si desse loro niuno fornimento, nè si -vietasse ad alcuno la loro offesa: e di presente si mandò per tutto il -contado, che là si traesse d’ogni parte per non lasciarli passare. Il -comandamento fu per li contadini subito adempiuto, perocchè gran voglia -avea il popolo di levare di terra quella maladetta compagnia; ma benchè -traesse il contado di gran volontà, mancaronli per mala provvisione -capitani e conducitori, e nondimeno presono i passi, e stavano con -grande appetito di cominciare la zuffa. E se fatto si fosse, come fare -si potea e dovea, in Dicomano senza rimedio si spegnea il nome della -compagnia per lungo tempo in Italia. - - -CAP. LXXVIII. - -_Il fine ch’ebbe l’impresa de’ Fiorentini._ - -Se necessità non fosse imposta, poichè preso abbiamo la cura di -scrivere, volentieri taceremmo per onore del nostro comune quello -ch’al presente n’occorre a narrare; ma considerato che per li -simili accidenti che nel futuro possono occorrere, quelli che per -li tempi saranno a provvedere allo stato e onore del nostro comune -possano prendere avviso, e riparare alle disordinate baldanze de’ -suoi cittadini, che passano talora e gli ordini e quello ch’è loro -imposto per lo nostro comune, ci conduciamo a scrivere. Noi dicemmo -poco appresso di sopra l’utile e savia diliberazione che prese il -nostro comune contro al resto della compagnia ch’era in Dicomano, la -quale ebbe vere e giuste cagioni, della quale erano uscite lettere -a’ conti Guidi e agli altri circustanti a que’ luoghi amici del -nostro comune, e per lo contado molte n’erano andate, e più per segno -di nostro comune. Il podestà era in que’ paesi stato mandato uomo -bolognese, e di sì poca virtù, che non pensiamo che meriti d’essere -qui nominato. Gli ambasciadori ch’erano con messer Amerigo, di subito -mandarono in Firenze l’uno di loro per volere liberare la compagnia -di coscienza del nostro comune; il perchè di nuovo e di maggiore -numero si fece consiglio di cittadini, nel quale l’ambasciadore con -belle dimostrazioni s’ingegnò di ottenere che la compagnia fosse -posta in luogo sicuro, non facendo ricordo che per gli ambasciadori -fosse preso partito di così fare; nel detto consiglio si prese e fermò -quello ch’era stato ne’ primi. L’ambasciadore era di tanta autorità -e podere, che a richiesta sua i priori ebbono tre altri consigli, -cercando in essi il consentimento di quello ch’egli e’ compagni suoi -presontuosamente aveano diliberato; in effetto in tutti si prese di -concordia quello che dinanzi negli altri era stato fermato; e ciò -fatto, si cominciò a dare ordine all’offesa di coloro cui il comune -avea diliberato che fossono nimici, e ciò fu pubblicato per tutto. -La compagnia era stretta in Dicomano in forma e per modo che tre dì -vivere non vi poteano, e circondata era intorno in maniera, che se non -volassono, partire non si poteano. I colli sopra la Sieve erano presi -pe’ balestrieri fiorentini, e fatte erano grandi tagliate a’ passi dove -l’uscite erano più larghe, ed erano bene guardate; e oltre al grande -numero de’ pedoni ch’erano nel paese mandati per lo comune, e che per -volontà v’erano tratti, v’avea quattrocento cavalieri, de’ quali era -capitano uno broccardo Tedesco antico conestabile del nostro comune, -il quale conoscendo il pericolo dov’era la compagnia, non servando -suo giuramento, con alcuno caporale andò in Dicomano, e ristrettosi -con messer Amerigo e’ suoi caporali presero insieme consiglio, il -quale fu segreto, ma per effetti s’intese, al quale si credette che -participassono gli ambasciadori, per avere di loro concetto e promessa -la scusa, di presente gravi minacce fur fatte agli ambasciadori, e -intra l’altre di torre loro vita se si trovassono di loro promessa -gabbati; appresso delle quali fu detto, e offerto di largo, che voleano -fare ciò che volesse il comune, e per osservanza voleano dare stadichi; -fu riputato malizioso e sagace consiglio. Gli ambasciadori udito questo -si strinsono insieme con fare vista d’avere gran paura, e diliberarono -quello, che come è detto, altra volta aveano diliberato, ciò fu di -trarli di Dicomano a salvamento, e di metterli a Vicchio in quello di -Firenze, ch’era proibito loro, e farli signori del piano di Mugello con -abbondanza di vittuaglia. In questo comprendere si può quanta baldanza -era in que’ tempi ne’ cittadini dello stato, e quanta poca reverenza si -portava per loro alla maestà del comune; e meritevolmente, perocchè nè -premio delle virtù, nè pena de’ falli per lo comune si rendea in que’ -giorni, ma le spezialità e le sette de’ cittadini faceano comportare -ogni grande ingiuria del comune con grande pazienza, la quale talora è -vicina di crudeltà per la remissione delle debite pene. Avendo preso -questo partito, come detto è, non degnarono di manifestarlo per lo -loro compagno al comune, e il comune avea provveduto alla gente sua -di capitani, i quali sapendo l’intenzione del comune, più credettono -agli ambasciadori ch’al comune, e consentirono a’ comandamenti che gli -ambasciadori feciono a’ balestrieri e agli altri soldati del comune; -ebbono gli ambasciadori in sul vespero Broccardo Tedesco con tutti i -soldati a cavallo che volentieri feciono quel servigio, e ordinarli -alla retroguardia, per tema de’ fedeli de’ conti che non si poteano -raffrenare, e il passo ch’era preso per li pedoni e balestrieri -fiorentini feciono allargare, e rappianare le tagliate e le fosse, e -abbattere tutte l’altre insegne con una d’un trombadore da Firenze -posta in su un’asta; e avendo fasciata dall’una parte e dall’altra -quella compagnia de’ balestrieri del comune di Firenze li condussono a -Vicchio, e feciono loro dare del pane che mandato era là per l’oste de’ -Fiorentini. E avvenne, che non potendosi raffrenare i fedeli de’ conti -dalla mischia, che i balestrieri del comune di Firenze furono costretti -dagli ambasciadori di saettarli. I cittadini, e i contadini di Firenze, -e i balestrieri, che di grande animo erano tratti per combattere la -compagnia, udendo ch’elli erano condotti in signoria del Mugello, -perderono il vigore, e grande dolore n’ebbono, più che se fossono -stati sconfitti, e ben conobbono che ’l comune era stato beffato, e -pubblicamente, e dentro e di fuori, appellavano gli ambasciadori per -poco fedeli e diritti al loro comune. - - -CAP. LXXIX. - -_Come la compagnia andò in Romagna._ - -Sentito a Firenze che contro alla diliberazione del comune la compagnia -sotto la condotta de’ suoi cittadini s’era partita da Dicomano e -ridottasi a Vicchio, e che era nella signoria del piano di Mugello, -la città per comune se ne dolse, e li rettori d’essa non sapeano che -fatto s’avessono, nè che fare s’avessono; e la grande moltitudine -di gente a piè ch’era sparta per li poggi del Mugello non essendo -capitanata, e non sapendo cui ubbidire nè offendere, non si partia -dalle poste. Quelli della compagnia, che sentivano quello ch’era -diliberato a Firenze, avendo preso riposo per un giorno e una notte -in Vicchio, veggendo i poggi intorno a loro carichi di fanti, e -massimamente di balestrieri, i quali per li vantaggi de’ luoghi onde -aveano a passare più ridottavano, temendo che crescendo la forza del -comune eziandio il piano loro non fosse impedito, la mattina raccolti -insieme da Vicchio scesono nel piano, avendo per loro conducitore -ritenuto messer Manno Donati, e come uomini usi nell’arme, vedendo che -la gente del comune, che loro era vicina, era volonterosa senza ordine -o capitano, lasciato nel piano addietro uno aguato di cento Ungheri, -s’arrestarono nel piano; e ciò feciono non per guadagno che sperassono -di fare, ma perchè vidono che i balestrieri aveano passata la Sieve, o -per vedere, come folli, o per guadagnare, stimando, che se agramente -ne gastigassono alquanti, gli altri intimidirebbono e darebbono loro -meno affanno; e così venne loro fatto. Perocchè caduti nell’aguato, -gli Ungheri gli assalirono da due parti, e non avendo i balestrieri -soccorso, di presente furono rotti e sbarattati; e come dicemmo non -attendendo a’ prigioni, ne uccisono più di sessanta; e ciò fatto, -gli Ungheri si ritrassono alla massa de’ loro, e senza niuno arresto -tutti si diviarono al cammino per lo passo dello Stale sotto la guida -di Ghisello degli Ubaldini, e quel dì cavalcarono quarantadue miglia, -fino ch’e’ giunsono in su quello d’Imola dove erano sicuri, malcontenti -e palesi nemici del nostro comune. La cagione di così lunga giornata -fu perchè Ghisello non volea s’arrestassono nell’alpe, per tema non -facessono danno a’ suoi fedeli, mostrando, se s’arrestassono, ch’e’ -sarebbono in gravi pericoli. E per tanto senza niuno indugio feciono -il detto cammino; nel quale i masnadieri, per non rimanere addietro, -lasciarono loro arme per l’alpe per essere più leggieri al cammino. Gli -ambasciadori, fornito il servigio, tornarono a Firenze, e di loro falli -presono scusa a’ governatori del comune con quelle belle ragioni che -seppono meglio divisare; e conoscendo di quanta autorità erano coloro -ch’erano a quel tempo all’uficio de’ signori, detto fu per alcuno de’ -detti ambasciadori: Non cercate più questi fatti, ma dite che noi siamo -i ben tornati. - - -CAP. LXXX. - -_Come i signori di Francia vennono sopra Parigi in arme._ - -Tornando alle travaglie del reame di Francia, nell’addietro narrammo il -subito e sfrenato movimento del popolo minuto, e de’ borgesi di Parigi -e d’altre ville di Francia contro a’ baroni e gentili uomini del paese, -sotto il mal consiglio e condotta del proposto de’ mercatanti e suoi -seguaci; per la qual cosa il Delfino di Vienna mosso e sospinto da’ -gentili uomini ch’erano stati dall’indiscreto popolo agramente offesi -e malmenati, per repremere la sua trascotata e furiosa baldanza d’ogni -parte si raccolsono insieme, e all’entrare del mese di luglio del detto -anno vennono sopra Parigi in numero di cinquemila cavalieri, o in quel -torno, avendo per loro capo il sopraddetto Delfino, e accamparonsi a -sant’Antonio, presso a Parigi a due leghe; e ivi si dimoravano senza -fare asprezza di guerra, perocchè ben sapeano che la comune di Parigi -era sommossa, e ingannata dal proposto e da’ suoi seguaci per malvagio -ingegno. Ed essendo nel paese il re di Navarra, che celatamente -s’intendea col proposto e con certi suoi confidenti che guidavano il -popolo, per mostrare di volere atare il popolo e’ borgesi dalla forza -de’ baroni e gentili uomini ch’erano venuti sopra loro, s’accampò a san -Dionigi con millecinquecento cavalieri ch’avea accolti di suo seguito, -e che segretamente avea dal re d’Inghilterra, e con assai sergenti e -arcieri inghilesi e guasconi; e stando quivi, dava ardire a coloro -che con lui s’intendeano in Parigi, dicendo di volere combattere a -petizione del popolo di Parigi col Delfino, e per tutto corse la boce -che la battaglia era ingaggiata, e datole il giorno. - - -CAP. LXXXI. - -_Come il re di Spagna uccise molti de’ suoi baroni._ - -Secondo che vogliono i savi, il parlare e lo scrivere debbe essere -conveniente alla materia di che si tratta, e da questo principio -procede l’arte del dire ch’è chiamata rettorica, la quale giunta -al nobile ingegno, meglio mostra e fa più piacere quello di che -si ragiona; di questa scienza niente sapemo, come nostra scrittura -dimostra; e per tanto del nostro scrivere rozzo, ma vero, non diletto, -ma frutto potranno prendere i belli parlatori. Questo per tanto n’è -piaciuto di dire, perchè le bestiali crudeltà remote da ogni umanità -le quali appresso scrivere dovemo, a bene dimostrarle meriterieno -l’eloquenza di Tullio, ma noi le metteremo in nota col nostro usato -volgare, fuggendo i vocaboli i quali per la prossimità della grammatica -dalli volgari a cui scrivemo sono poco intesi. Il crudelissimo e -bestiale re di Spagna, avendo contro al volere e consiglio de’ suoi -baroni palesemente ritolta la sua concubina, o più volgarmente dicendo, -bagascia, e quella sopra modo disonestamente magnificando nel suo -reame, trascorse in tanto disordinata e sconcia vita, che tutto l’animo -reale cambiò in crudele tirannia. Il forsennato re, per torsi dinanzi i -riprensori de’ suoi modi sozzi e sfrenati, e coloro di cui potea temere -che a tempo i suoi errori dovessono potere correggere, maliziatamente -trasse fuori boce ch’e’ si cercava contro a lui ribellione, e di Burgos -in Ispagna e d’altre sue terre, e sotto questo colore, come fiera -crucciato, di sua mano uccise due suoi fratelli bastardi e il zio -del re d’Araona, a cui per certa convegna s’appartenea la successione -del reame di Spagna; appresso intra lo spazio di due mesi, o in quel -torno, ancora di sua propria mano uccise venticinque de’ suoi baroni, -con trovando cagioni, e prendendo ora dell’uno ora dell’altro infinte -e simulate infamazioni. Mirabile certo e abominevole cosa, che un re -cristiano di suoi baroni innocenti e fedeli senza giudicio di corte, -almeno colorato, facesse morire, e che di sua malvagia e rabbiosa -sentenza egli fosse il manigoldo e vile esecutore. Queste iniquitadi -occorsono del mese d’agosto e di settembre detto anno. - - -CAP. LXXXII. - -_Della detta materia di Spagna._ - -Il movimento del perverso tiranno di Spagna, non degno d’essere -nominato re, ma bestia selvaggia, venne in questi dì in tanta furiosa -pazzia, che costrignea i baroni che gli erano rimasi e campati di -sua crudeltà, e i comuni, a giurare fedeltà e omaggio alla bagascia -sua, essendo in addietro per tutti prestato il saramento alla reina -vecchia madre del detto re; e facendo a ciò richiedere quelli di -Sibilla, i cittadini, fatto sopra ciò loro consiglio, elessono -dodici uomini de’ più savi e discreti, i quali per parte del comune -andassono al re, e con savie parole gli mostrassono, com’elli erano -per saramento d’omaggio obbligati alla reina vecchia, e che non -poteano il nuovo saramento fare se prima non fossono assoluti del -vecchio; e che cercassono dal suo disonesto proponimento levare il re, -cortesemente mostrandoli che quello volea nè suo bene era nè suo onore. -I valenti uomini seguendo il mandato del loro comune furono al re, e -reverentissimamente li sposono quello ch’era loro imposto dal consiglio -del comune di Sibilia. Il re chetamente, e senza mostrare atto niuno -di turbazione, gli udì, e quando ebbono detto modestissimamente quello -che vollono, credendo per loro dolce e savio parlare avere ritratto il -re dalla folle e sconcia dimanda, il re loro non fece altra risposta, -se non che si toccò la barba, e disse: Per questa barba, che male così -avete parlato; e con tale breve e sospettosa risposta gli ambasciadori -impauriti si tornarono a Sibilia. Il re infellonito poco appresso -n’andò a Sibilia, e in una notte andando alle case loro tutti i detti -ambasciadori senza niuna misericordia fece tagliare; nè contento a -tanto male, in pochi giorni circa a quaranta buoni cittadini fece -uccidere nelle loro case. Io non mi posso tenere ch’io non morda -con dente di perpetua infamia la memoria di quello iniquo tiranno, e -ch’io non passi a vituperarlo la semplicità del mio usato stile dello -scrivere. Io ho letto e riletto nelle antiche scritture quello che -in esse si pone degli iniqui e scellerati pagani, massimamente de’ -barbari, e di simili cose ho trovate, ma che tanta ingiustizia, tanta -empietà e crudeltà fosse in alcuno re cristiano, non mi ricordo d’avere -letto giammai. - - -CAP. LXXXIII. - -_Come la compagnia cavalcò a Cervia._ - -Come di sopra dicemmo, il resto della gran compagnia del conte di Lando -sotto la condotta di messer Amerigo del Cavalletto s’era ridotta in -Romagna, e ad essa tutti quelli ch’erano campati della rotta dell’alpe -s’erano ricolti con assai gente sviata e atta a mal fare, che fuggendo -l’oneste fatiche cercavano di vivere di preda, e a richiesta del -capitano di Forlì cavalcarono su quello di Ravenna, e ’l sale che -trovarono alle saline di Cervia insaccato, come fosse per caricarsi, -e non piccola quantità, e simile di grano e bestiame, senza alcuno -contasto levarono e portarono in Forlì: perchè si credette che fosse -baratto del signore di Ravenna per fornire la città di Forlì, e non -tanto per amore del capitano, quanto per tema di sè, stimando, che se -il legato avesse Forlì la guerra si volgerebbe addosso a lui. - - -CAP. LXXXIV. - -_Come il capitano di Forlì mise la compagnia in Forlì._ - -Il capitano, come uomo disperato, e con poca fede e legge, non avendo -riguardo a’ suoi cittadini ch’erano stati a ogni martiro per sostenere -lo stato suo, segretamente si convenne co’ caporali della compagnia -di dar loro venticinquemila fiorini e il ricetto in Forlì, ed elli -impromisono a lui di levare le bastite che gli erano intorno, e che per -alcuno tempo starebbono in Romagna al servigio suo; di che seguitò, -che all’entrante d’agosto e’ li mise in Forlì senza assentimento de’ -suoi cittadini: i quali essendo stati rotti, come dicemmo, avendo -patiti molti disagi, e per tanto essendo in gran bisogno di ricetto, -per prendere riposo cominciarono a torre le case de’ cittadini, -e loro masserizie e arnesi, e accomunare e abitare familiarmente -con loro, e torsi delle cose da vivere oltre a bastanza, pigliando -dimestichezze disoneste e spiacevoli colle famiglie de’ cittadini, -che per non uscire di loro case e masserizie dimoravano con loro. Il -perchè assai cittadini, a cui era più caro l’onore che la roba, si -partirono di loro abituri, e ristrignensi in piccoli luoghi, lasciando -in abbandono, per non contendere con gente bestiale, tutte loro cose. -Nel quale avviluppamento manifesto si vide gli errori degli erranti e -servili popoli, che per matta stoltizia disordinato amore portano a’ -loro signori e tiranni. Di ciò il popolo molto si dolse, e nel segreto -ricordava con mormorio la gran fede male meritata che portata aveano -al loro capitano, sofferendo il lungo assedio in contumacia di santa -Chiesa col perdimento di tutti i loro beni, con grandi disagi e affanni -di loro e di loro famiglie. Onde meritevolmente in loro fu verificato -quel proverbio che dice, chi contro a Dio getta pietra, in capo li -ritorna. - - -CAP. LXXXV. - -_D’una nuova compagnia di Tedeschi._ - -I Tedeschi di soldo che in que’ tempi erano in Italia, vedendo e -conoscendo che altra gente d’arme che venisse a dire nulla, fuori di -loro lingua, ne’ paesi di qua da’ monti non era, follemente pensarono -di farsene signori: e vedendo che la compagnia del conte di Lando -era in parte mancata per la rotta da Biforco, di presente s’intesono -insieme i Tedeschi ch’erano al servigio de’ Sanesi, e quelli ch’erano -al servigio de’ Perugini, con quelli ch’erano nella provincia della -Romagna; perchè compiuta la ferma che Anichino di Bongardo avea -co’ Sanesi, si ritrasse con sua gente in forma di compagnia, alla -quale il conte Luffo con settecento barbute ch’erano al soldo de’ -Perugini, e più altri conestabili tedeschi ch’erano in loro vicinanza, -s’aggiunsono, sicchè furono circa a duemila barbute; e assai gente da -piè atta a rubare trassono a loro, e andarsene su quello di Perugia, -e co’ Perugini si patteggiarono in atto di ricompera per fiorini -quattromila, e con avere il passo da Fossato per andare nella Marca: e -d’indi passarono verso Fabriano, dove trovarono che i passi erano presi -e guardati, onde si rivolsono per la Ravignana verso Fano, e in pochi -dì, all’uscita d’agosto detto anno, s’aggiunsono a Forlì coll’altra -compagnia, e posonsi di fuori della terra, entrando e uscendo a loro -posta della città, e avendo vittuaglia dal signore. E per non disfare -il gentile uomo ch’era assediato, mangiando quello di che vivere dovea -insieme colla compagnia ch’era in Forlì, feciono cavalcate e da lunga -e da presso, e ciò che poteano predare metteano in Forlì, facendo -vendemmiare innanzi tempo le vigne vicine a’ loro saccomanni colle -sacca, il perchè assai vino e altra roba da vivere assai misono nella -città. - - -CAP. LXXXVI. - -_Come si levò l’oste da molte terre._ - -Per la partita della gente d’arme di Toscana i Sanesi ch’erano a oste -al Montesansavino se ne levarono e tornaronsi a Siena, e i Perugini -che manteneano oste a Cortona anche se ne partirono; per la qual cosa -in poco tempo quelli di Cortona con meno di cento cavalieri, e con -alquanta gente da piè, feciono più cavalcate sul contado di Perugia, -dilungandosi da Cortona le dieci e le dodici miglia, e trovando i -contadini per li campi alle loro faccende, e il bestiame non ridotto in -luogo sicuro, feciono prede assai e di uomini e di bestiame grosso e -minuto. Ed era a tanto condotto il comune di Perugia per straccamento -della guerra, che così pochi nemici cavalcavano ne’ loro più cari -luoghi, e si tornavano colle prede a salvamento, quasi senza trovare -alcuno contasto in niuna parte. Il dì che avvenne ultimamente, che -cinquanta cavalieri e pochi pedoni corsono e girarono il lago dintorno, -e colla preda senza niuno impedimento si tornarono a Cortona, che pare -cosa incredibile a dire. Quinci si può notare quanto sono da fuggire, -e quanto sono pericolose le imprese de’ comuni con soperchia voglia -baldanzosamente cominciate, perocchè le più volte hanno altri fini che -gli orgogliosi popoli, e pronti alle imprese maggiori che non possono -portare, non istimano. Però non si può avere troppa temperanza per li -savi governatori de’ comuni, nè troppa cura a raffrenare gli appetiti -de’ popoli, a cui sovente dire si può: Signore, perdona loro, che -non sanno che si fanno. È vero che al nostro comune spesso avviene -il contrario, che o voglia il popolo o no, egli è tirato, e per forza -sospinto nelle grandi e pericolose imprese da coloro che le dovrebbono -vietare. Corsa la piena della gente dell’arme nella Romagna, il -legato fece fortificare e fornire le bastite ch’avea intorno a Forlì -di vittuaglia e di gente, e partissi da campo, e tornossi coll’oste -a Faenza, e a Cesena, e per le castella dintorno, per stare a vedere -quello che la compagnia facesse: e tutte queste cose fur fatte del -mese d’agosto detto anno. E rinnovato fu il processo, e pubblicata -la sentenza di santa Chiesa contro alla detta compagnia, come eretici -e favoreggiatori dello scismatico capitano di Forlì, e che ogni uomo -li potesse offendere, e contro a loro prendere la croce; ma tal fu la -riuscita dell’altro legato quando li ricomunicò, e loro fè tributaria -la Chiesa di Roma e’ comuni di Toscana, come addietro dicemmo, che a -vile s’ebbe la sentenza e il processo, e sua esecuzione, eziandio da -tutti gli amici e fedeli di santa Chiesa. - - -CAP. LXXXVII. - -_Come si fè accordo dal Delfino a quelli di Parigi._ - -Come addietro facemmo menzione, il duca d’Orliens, e il Delfino di -Vienna, e i gentili uomini aveano posto campo a Parigi, di che poco -appresso seguente, che parendo a quelli d’entro e a quelli di fuori -stare in molti disagi e pericoli assai, avendo ciascuno desiderio -di concio, che per mezzani assai di lieve vi si trovò accordo; ma -per tanto non vollono i borgesi che il Delfino o sua gente d’arme -entrasse in Parigi, ma pacificamente e quelli d’entro e quelli di fuori -praticavano insieme: nel quale accordo per operazione del proposto e -de’ seguaci suoi s’inchiuse il re di Navarra con tutta sua gente; sotto -la quale fidanza, o per vedere la terra, o per loro rinfrescamento, -certi Inghilesi entrarono in Parigi, i quali come veduti furono da -certi borgesi, loro levato fu il grido addosso in vendetta di loro -signore ch’era in Londra in prigione, e tanto procedette avanti la -cosa, che in quel furore in diversi luoghi in Parigi, come furono per -avventura trovati, furono morti circa a cento Inghilesi. Ciò sentito -nel campo del re di Navarra, tutto si mosse verso Parigi con animo di -prendere del misfatto vendetta; il perchè il re a consiglio de’ suoi -caporali mise un aguato, e con corridori fatti sottrarre i Parigini, e -addirizzarli per tirarli nell’aguato, i folli borgesi inbaldanziti per -quelli disarmati che aveano uccisi dentro uscirono fuori, e correndo -alla scapestrata e senza ordine niuno caddono nell’aguato, ove ne fu -morti oltre a trecento. La cosa fu rappaciata dentro e di fuori per -operazione del proposto, che avea l’animo dirizzato a maggiori fatti, -come appresso diremo. - - -CAP. LXXXVIII. - -_Di detta materia, e come fu morto il proposto._ - -Seguendo suo iniquo e malvagio proponimento il proposto con certi suoi -segretari con cui s’intendea, e che con lui teneano mano a tradire -la corona, volendo trarre a fine il tradimento che lungo tempo avea -menato e fermo col re di Navarra, vedendo che ’l popolo di Parigi si -venia riconoscendo del fallo suo contro al Delfino e’ baroni, e temendo -che l’indugio al suo maligno concetto non fosse dannoso, affrettò -l’esecuzione del trattato e la morte sua; perocchè con certi borgesi -del seguito suo, senza diliberazione o consiglio degli altri borgesi, -bene apparecchiati in arme uscì di Parigi, e andonne a una delle -bastite la quale aveano bene guernita e d’arme e di vittuaglia, e di -gente per sicurtà della terra, e quella in gran parte sfornì d’armadura -atta a difesa, e tolse le chiavi a colui a cui era stata accomandata -di volere e consiglio di tutti i borgesi, e le diede a uno borgese di -Parigi sospetto assai, perchè era stato tesoriere del re di Navarra; -e come fece a questa bastita, così fece a tutte l’altre. Veggendo -gli altri borgesi questa affrettata novità che si faceva senza niuno -loro consiglio, nè cagione vedeano perchè ciò fare si dovesse, nè che -pensiere a ciò fare avesse il proposto, cominciarono ad ammirare e a -insospettire, ed in piccola ora col mormorio del popolo tanto crebbe il -sospetto, che mandarono prestamente al Delfino, con cui novellamente -aveano preso l’accordo, a sapere se ciò fosse di suo assentimento e -volere; e avendo risposta del nò, tutto il popolo si levò a romore, -gridando: Viva il Delfino, e muoiano i traditori; e in quella furia -giunsono il proposto, e tagliarono a pezzi con certi suoi confidenti -ch’erano con lui, e nel detto furore corsono alle porte, e uccisono -tutti coloro che ’l proposto v’avea a guardare diputati, e alle bastite -rinnovellarono e guardie e serrami. - - -CAP. LXXXIX. - -_Come furono impesi que’ borgesi a cui erano state accomandate le -chiavi delle bastite._ - -Il giorno dopo la morte del proposto, i borgesi di Parigi, riconosciuti -del fallo loro, di comune consiglio mandarono nel campo al Delfino, -che li piacesse, poichè morto era il traditore della corona co’ seguaci -suoi, di volere dimenticare l’offesa che ignorantemente era fatta loro, -come persone ingannate da coloro che falsamente li conducevano, e che -in Parigi dovesse venire, e reggere e governare la città e il popolo -come loro signore naturale, che presti e apparecchiati erano tutti a -ubbidire e fare i suoi comandamenti. Il Delfino avuto suo consiglio -rispose molto benignamenente agli ambasciadori, dicendo, che bene -conoscea onde era mosso l’inganno del popolo, e che molto era contento -che la comune di Parigi avea scoperti i loro traditori e della corona, -e che per loro se n’era presa vendetta, ma ancora non a pieno: e però, -innanzi ch’e’ volesse entrare nella città, volea che del tesoriere del -re di Navarra e del compagno, a cui erano state date le chiavi delle -bastite, fosse fatta giustizia, e poi lietamente e con pieno amore de’ -suoi borgesi v’entrerebbe. Tornati gli ambasciadori nella terra, furono -presi il tesoriere e ’l compagno, e tranati per la terra, e impesi al -castelletto; e fatto ciò, il Delfino con tutta sua gente con grande -festa entrarono in Parigi, ricevuti da tutti i cittadini con singolare -allegrezza. - - -CAP. XC. - -_Come si scoperse il trattato tenea il re di Navarra._ - -Il Delfino ordinato in Parigi generale parlamento, nel quale fece -con savie e ornate parole mostrare al popolo la buona voglia ch’egli -e’ baroni e’ gentili uomini aveano a’ borgesi di Parigi, e in quello -fece nuovo proposto di mercatanti come a lui piacque, uomo di cui bene -si potea fidare: e oltre a ciò, rendendo onore al popolo, fece dire, -che quando volontà de’ borgesi fosse, e’ sarebbe contento che sei -borgesi, i quali e’ fece nominare, fossono nella guardia e giudicio -del popolo, perocch’e’ sentiva ch’erano stati segretari del proposto -cui eglino aveano giudicato per traditore della corona. Come questo -fu detto, senza arresto i detti sei borgesi furono presi, e venuti in -giudicio, senza alcuna molestia o tormento confessarono, che la notte -che il giorno dinanzi era stato morto il proposto, il re di Navarra -dovea prendere le bastite, ed entrare in Parigi con tutta sua forza, -e coll’aiuto del proposto e di suo seguito dovea correre Parigi; e che -venendo prestamente fatto e al re e al proposto loro intenzione, il re -si dovea fare coronare del reame di Francia per mano del vescovo di.... -il quale allora era in Parigi, e si partì di presente come vide morto -il proposto; e che il detto re di Navarra dovea riconoscere il reame -di Francia da quello d’Inghilterra e fargliene omaggio, e restituirgli -la contea d’Alighiero e altre terre, ed egli lo dovea atare a -racquistare il reame con tutta sua forza; e che se ciò venisse fatto, -com’era ordinato, il re d’Inghilterra dovea fare tagliare la testa al -re Giovanni di Francia, cui egli avea in prigione, e che i Lombardi -e’ Giudei ch’erano in Parigi doveano essere preda degli Inghilesi. -Fatta la detta confessione, senza arresto i detti sei borgesi furono -giustiziati; per li savi scoprire il processo fu poco senno tenuto, -essendo il re di Francia e ’l figliuolo in prigione, perchè essendone -il re d’Inghilterra infamato, si dovea potere muovere a cruccio, e mal -trattare il re e ’l figliuolo. - - -CAP. XCI. - -_Come il re di Navarra guastò intorno a Parigi._ - -Avendo avuto il re di Navarra dal proposto come avea cambiate le -guardie, e dato ordine presto alla esecuzione del trattato, non sapendo -ciò ch’era occorso al proposto, venne per prendere la prima bastita, -la quale trovando fornita di gente nuova e bene in punto alla difesa, -comprese che ’l trattato fosse scoperto: perchè mettendosi più innanzi -in sentore, intese come il proposto co’ suoi consiglieri erano stati -morti dal popolo; perchè vedendo in tutto suo pensiero annullato, d’ira -e di mal talento incrudelito nell’animo suo, non ostante concordia -nè pace ch’avesse co’ borgesi, tentò se per forza potesse vincere la -bastita: e lavorando invano, partito da quella, scorse intorno a Parigi -ardendo, e guastando, e predando ciò che potè. E poichè così ebbe -fatto alquanti giorni, non trovando in campo contasto, se ne tornò a -Monleone grosso castello, posto presso a Parigi a... leghe, e ivi si -pose ad assedio. E come che ’l fatto s’andasse, al detto re cresceva -gente d’arme da cavallo e da piè, la quale si movea d’Inghilterra non -per manifesta operazione del re, ch’era nel trattato della pace, ma i -cavalieri si mostravano muovere da loro e per loro volontà, come andare -in compagnia. Ed essendo per li cardinali mezzani della pace detto al -re che questo non era ben fatto, e che li piacesse mettervi rimedio, -scusossi, dicendo, che ciò molto gli dispiaceva, ma che quella era -gente disperata e di mala condizione, cui egli per suoi comandamenti -non potea nè correggere nè arrestare. E con questa gente il re di -Navarra cavalcava per tutto, e ardeva, e predava, e conduceva male -il reame di Francia, non ostante l’ordine della pace preso; nel quale -s’adattò il proverbio che dice, tra la pace e la triegua, guai a chi la -lieva. - - -CAP. XCII. - -_Come il marchese non volle dare Asti a’ Visconti._ - -Essendo per l’imperadore, per li patti della pace tra’ collegati e -i signori di Milano, dichiarato che Pavia rimanesse a popolo e in -libertà, e che Asti fosse renduto a’ signori di Milano, i signori di -Milano della dichiarazione non contenti pertinacemente domandavano -Pavia, e non che loro fosse ciò conceduto pe’ collegati, ma il marchese -di Monferrato, che tenea Asti, nol volea rendere loro. Così ciascuna -delle parti della pace fatta rimanevano malcontenti; e cominciarsi i -collegati a temersi de’ signori di Milano, e quelli di Milano feciono -loro sforzo, e mandarono a oste nel Piemonte contro ad Asti e all’altre -terre che ’l marchese tenea in Piemonte, e ordinarono di riporre le -bastite a Pavia, e ciò in piccolo tempo fornirono. Il marchese rimasto -povero e di danari e d’aiuto per li Lombardi, che non si ardivano a -scoprire per la pace fatta contro a’ signori di Milano, francamente -s’apparecchiava alla difesa e alla guerra come meglio potea. - - -CAP. XCIII. - -_Come la compagnia assalì Faenza._ - -Lasciando i fatti di Francia e di Lombardia e tornando ai più vicini, -la compagnia, ch’era in Romagna tra Forlì e Faenza, sentendo male -fornita di gente d’arme la città di Faenza, la quale si tenea per -la Chiesa, dove non era che uno capitano con meno di cento uomini -da cavallo, si strinsono alla terra, ed entrarono in uno dei borghi. -Il detto capitano allora era di fuori, e volendo tornare dentro, fu -abbattuto e ferito, e de’ suoi compagni assai magagnati. Per ventura -erano in quel punto in Faenza trecento cavalieri del comune di Firenze -all’ubbidienza d’uno cavaliere fiorentino, il quale vedendo il subito -e improvviso assalto prestamente si mise alla difesa colla brigata -sua, e riscosse il capitano, e i nemici fuori del borgo sospinse con -loro assai danno, e ricoverato il capitano e l’onore della Chiesa si -tornò in Faenza. Per lo detto assalimento baldanzoso e non provveduto -si temette che non fosse nella terra trattato, ma se v’era, non si -trovò. E ciò fu del mese d’agosto del detto anno. Appresso a pochi -dì la compagnia de’ Tedeschi della bassa Magna sotto il capitanato -d’Anichino di Bongardo s’accostò con quella ch’era in Romagna, e molti -altri Tedeschi che spontaneamente si partivano da’ soldi degli Italiani -s’aggiunsono con loro, e come ebbono fatta una massa, vedendosi -forti cominciarono a gridare a Firenze, tenendosi per fermo e per -lo consiglio e da tutti che da’ Fiorentini fossono stati traditi, e -nell’alpe sconfitti. Di questa adunata e di sua mala parlanza gran -sospetto si prese a Firenze, perchè si prese argomento di guardare i -passi, come appresso diremo. - - -CAP. XCIV. - -_Come i Fiorentini mandarono a Bologna per la quistione dello Stale._ - -Temendosi per lo nostro comune che la compagnia per lo passo dello -Stale, che assai era largo e aperto, non li venisse addosso, in certa -parte di quello luogo avea fatto fare e tagliare i palizzati, i quali -erano abbandonati, perocchè per li patti fatti colla compagnia doveano -passare da Biforco, come addietro dicemmo. E vedendo il comune che -la compagnia partita da Vicchio di quindi era passata in Romagna, -e considerando che quello era il più agevole passo che potesse fare -gente d’arme che da quella parte venisse in offesa di nostro paese, -prese ragionamento di farvi fortezza. Sentendo ciò gli Ubaldini e i -conti da Mangona, a cui a tempo la fortezza potea essere nociva, di -presente furono al signore di Bologna, e gli diedono a intendere che -quello luogo era del comune di Bologna; perchè per la mala informazione -turbato scrisse al nostro comune assai altieramente. Di che il nostro -comune fè ritrovare l’antiche ragioni che ’l monistero di Settimo ha -nello Stale e ne’ luoghi circostanti, colle quali per ambasciadori -e difendere delle dette ragioni mandò a Bologna messer Francesco -di messer Bico degli Albergotti d’Arezzo cittadino di Firenze, -eccellentissimo e famoso dottore in ragione civile, il quale allora -leggeva in Firenze. Questi circa lo spazio d’un mese stette a disputare -co’ dottori bolognesi sopra la materia, e in fine in presenza del detto -signore di Bologna fu determinato, che ’l nostro comune aveva ragione, -tutto che gran punga fosse fatta per li detti Ubaldini e’ conti in -contrario. E a fede di ciò, il signore scrisse appieno al nostro -comune, e le lettere e cautela furono registrate del mese di settembre -1358. - - -CAP. XCV. - -_Qui si fa menzione delle ragioni che ’l monistero di Settimo ha nello -Stale._ - -E’ n’è di piacere, poichè nel precedente capitolo detto avemo dei modi -tenuti per gli Ubaldini e’ conti di Mangona intorno alla quistione -dello Stale, di fare in sostanza alcuna memoria delle ragioni che la -badia di Settimo ha nel detto Stale, più per reverenza della buona e -fedele antichità che per vaghezza di scrivere. Trovato fu nel monistero -di Settimo una carta rogata negli anni dell’incarnazione del nostro -Signore 1040 a dì 13 di dicembre, nel quale si celebra la festa della -graziosa santa Lucia, e nell’anno secondo dell’imperio d’Arrigo, del -cui tenore in parte togliemo questo. Guglielmo conte, figliuolo di -messer Lottieri conte e di madonna Adalagia contessa, diede per rimedio -dell’anima sua e de’ suoi genitori, alla Chiesa e al monistero di san -Salvadore, nel luogo che si dice Gallano, ove si dice lo Spedale, con -ogni ragione, e aggiacenza, e pertinenza sua, e qualunque e quanto a -quel luogo s’appartiene, in perpetuo a noi Ugo, e agli Abati che per li -tempi saranno; e appresso quello che concede confina così. Da oriente, -dal Nespolo infino al Pero lupo, e infino alla Stradicciuola, e siccome -corre la detta Stradicciuola infino alla collina; da mezzogiorno -dalla detta collina infino a Ferimibaldi, e da Ferimibaldi infino a -Feumicarboni, e da Feumicarboni infino a Collina de’ monti propio.... -e infino a Fontegrosna, e siccome trae il vado d’Astronico. Dalla -parte d’occidente, dal guado Astronico infino a Montetoroni, e infino -a Ronco di Palestra, ritorna fino al Nespolo di Briga. E sono tutte le -predette terre e cose, e tutti i piani, e alpi, e le loro pertinenze, -secondo che si dice nella detta carta, infra ’l contado di Bologna e -di Firenze. Nel 1292, a dì 19 di dicembre, il popolo di santo Iacopo a -Montale e di san Martino di Castro per sentenza di lodo poterono usare -i detti beni quattordici anni, dando la decima di tutto il frutto e -certo censo al detto monistero. E perchè semo entrati in ragionamenti -di confini, diremo de’ confini tra il nostro comune e quello di -Bologna, per bene e pace dell’uno e dell’altro comune, i quali furono -terminati per messer Alderighi da Siena arbitro in tra i detti comuni, -e furono questi. Il Mulinello a piè di Pietramala è del nostro comune, -e Baragazzo, e il Poggio del fuoco, e delle valli, e mezzo Montebene, e -Sassocorvaro, e il prato di Baragazzo. - - -CAP. XCVI. - -_Come la compagnia della Rosa di Provenza si spartì e disfecesi._ - -In questi dì, sentendosi le novità di Francia che narrate sono, e -come il paese s’apparecchiava a nuova guerra per l’operazioni del -re di Navarra, la compagnia, che lungamente era stata in Provenza, e -avevanvi assai terre acquistate, vedendo che poco avanzavano stando -quivi, ed essendo parte di loro richiesti dal Delfino, sperandosi più -avanzare nelle guerre di Francia che nella povertà di Provenza, premono -per partito di partirsi, e trattarono co’ paesani d’andare, e di -rendere le terre e le castella che aveano prese; e venuti a concordia, -ebbono ventimila fiorini d’oro, e catuno se n’andò dove li piacque, e -lasciarono il paese di Provenza, ove erano stati predando i paesani e -affliggendo più di diciassette mesi continui in guastamento del paese. - - -CAP. XCVII. - -_Come s’afforzò e guardò i passi dell’alpe perchè la compagnia non -passasse._ - -Poichè fu terminata la quistione dello Stale, sentendo il nostro -comune che la compagnia s’apparecchiava a quello luogo, avendo posto -campo tra Bologna e Imola, e temendo non prendesse indi suo vantaggio -in Toscana, senza perdere tempo vi mandò provveditori e maestri per -afforzare sì quel passo, che togliesse speranza alla compagnia, e a -qualunque altra gente volesse offendere il comune, di quindi passare. -E perchè a sicurtà i maestri e’ paesani potessono intorno a ciò -lavorare, vi mandò il comune balestrieri assai e altra gente d’arme -quale pensò alla difesa essere bastevole, con fare comandamento a -tutti i paesani e vicini a quello luogo che vi dovessono essere e -colle persone e colle bestie loro ad atare, tanto che ’l luogo fosse -abbastanza afforzato, i quali vi mandarono volentieri per tema di non -essere sorpresi incautamente dalla compagnia, che da quelli dell’alpe -si tenea offesa, e avea appetito di vendicarsi. L’opera fu di volontà -affrettata perchè il pericolo era vicino, e in piccolo tempo fu tutto -fornito, cominciando dalla vetta de’ colli e passando per lo tramezzo -delle valli, li fossi e li steccati, colle torri di legname e bertesche -spesse a guisa di mura di terra, con tre belle e forti bastite in su i -poggi per dare favore a quelli che difendessono i palizzati, e perchè, -se caso di rotta avvenisse, si potessono ricogliere a salvamento. -La chiusa per lungo fu intorno di passi ottomila, stendendosi insino -presso a Montevivagni. Quelli della compagnia, che s’erano alloggiati -in su quello d’Imola, più volte tentarono e per diverse parti passare -in sul nostro contado, ma sentendo ch’e’ passi dell’alpe erano bene -guardati (che più di dodicimila pedoni, la maggiore parte balestrieri, -talora fu che si trovarono allo Stale, senza quelli ch’erano all’altre -poste) mutarono proponimento, e rivolsonsi indietro nella Romagna, -e massimamente sentendo venuto in Firenze messer Pandolfo di messer -Malatesta da Rimini per capitano di guerra, non lasciando però le -minacce contro al nostro comune. - - -CAP. XCVIII. - -_Come l’imperatore fece il duca d’Osteric re de’ Lombardi._ - -Carlo imperadore de’ Romani, essendo nel detto anno 1358 del mese di -settembre morto il duca vecchio d’Osteric, il giovane duca ch’era -rimaso signore si fece a parente, e gli diè una sua figliuola per -moglie; e lui volendo aggrandire, vedendo che la forza del genero -giunta alla sua era grandissima, e per l’avviso del conte di Lando -e degli altri caporali di lingua tedesca avea sentito, come le parti -d’Italia, massimamente Romagna e Toscana, erano male disposte, e atte -a potere venire sotto signore, si pensò ciò potere di lieve seguire -con titolo di signore naturale, perocchè il nome del tiranno a’ liberi -popoli, massimamente di Toscana, era terribile, e non potea essere -accetto, e per tanto il detto duca fece e pronunziò re de’ Lombardi. Il -duca, come giovane, e vago di crescere suo nome e signoria, accettò il -titolo del reame: ciò sentito in Italia, non fu senza gran temenza; il -perchè tantosto i signori e’ comuni s’intesono insieme, dando ordine -a leghe e a tutto ciò che pensarono essere necessario e bastevole a -impugnare l’impresa del nuovo signore. - - -CAP. XCIX. - -_De’ processi della compagnia in questi giorni._ - -Noi dicemmo addietro come il capitano di Forlì per patto promise -quindicimila fiorini alla compagnia, e la cagione perchè, onde venendo -il tempo che pagare li dovea, e non avendo il di che, eziandio -affannando di presta i suoi cittadini, diede a’ caporali contanti -fiorini duemila: ed essendo suoi prigioni il figliuolo del conte -Bandino da Montegranelli, e due figliuoli del conte Lamberto della -casa de’ Malatesti detto il conticino da Ghiaggiuolo, i quali erano -stati presi nella guerra del cardinale di Spagna, loro assegnò alla -detta compagnia in parte di pagamento per fiorini diecimila. Currado -conte di Lando, sentendo l’impotenza del gentiluomo, coll’animo suo -diritto e libero dove avesse avuto di che sadisfare, cortesemente li -fece accettare, attendendosi dell’avanzo alla fede e promessa del -capitano; e per non stare in bargagno, avendo il conte bisogno di -danari, assentì il riscatto de’ detti prigioni per quattromila fiorini: -e ciò fatto, con tutta sua brigata prese cammino, e si strinse verso -quello d’Imola e di Faenza, cercando preda per vivere. E nei detti -paesi ha una valle grassa e abbondante d’ogni cosa da vivere che detta -è Limodiccio, la quale è circondata di poggi altissimi e aspri, e con -assai stretti cammini all’entrare e all’uscire per grandi montate e -scese: i villani di quel paese s’erano ridotti alle guardie de’ poggi -ov’erano l’entrate, non sperando che per lo grande disavvantaggio -di chi venisse di sotto gente d’arme gli andasse ad assalire, poco -avendo considerazione, che la fame fa cercare per lo cibo ogni -luogo segreto, e assalire eziandio le impossibili cose. Quelli della -compagnia assalirono le montagne con franchezza d’animo, facendo in -fatti d’arme maraviglie; il perchè i villani impauriti e inviliti -lasciarono i passi, e diersi alla fuga, onde la valle tutta venne in -potestà de’ nemici, dove trovarono assai roba da vivere. E a loro fu -bene bisogno di così trovare, per ristorare i disagi e la fame patita -a Forlì: ed ivi adagiato e loro e loro bestie, vi dimorarono fino a dì -16 del mese di ottobre. E mentre che stavano a Limodiccio; più volte -cercarono di passare in sul Fiorentino, ma ciò fu in vano; perocchè -trovavano onde speravano passare sì forniti e ordinati al riparo, che -non s’assicurarono di mettersi a partito. E andarono a Modigliana, e -assaggiarono il castello con battaglia, e niente poterono acquistare. -All’uscita del mese cavalcarono a Massa, che è del vescovo d’Imola, -e come suole avvenire de’ beni de’ cherici, che non contendono se -non a pelare, essendo il luogo male provveduto di guardia la presono, -dove trovarono assai roba da vivere e arnese da preda. Alla rocca non -feciono assalto, perocchè essendo nella guardia del signore d’Imola -era bene guarnita e apparecchiata a difesa. I mascalzoni per la troppa -roba vi trovarono vennono tra loro a discordia nel pigliare della roba, -e per non venire a peggio tra loro misono fuoco nella terra, e arse -tutta colla maggiore parte di ciò che v’era dentro, perchè convenne che -la brigata si partisse e accampasse di fuori; e quivi soggiornarono -alquanto verso i confini di Bologna: e non avendo la vittuaglia che -a loro bisognava, il signore di Bologna ne dava loro, e sostenneli -quivi tutto il mese di novembre. Ciò disse che fece, perchè il legato -Cardinale di Spagna era in cammino per passare in Romagna a ripigliare -la guerra, e non sapea l’intenzione sua, sicchè per gelosia di suo -stato era contento d’avere la compagnia di presso. - - -CAP. C. - -_Come il re del Garbo fu morto._ - -Buevem re del Garbo, il quale volgarmente è detto il reame della -Bellamarina e di Tremusi, avendo lungo tempo con ardire e con senno -sostenuto l’onore di sua corona, e avendosi sottoposto, come nel primo -libro narrammo, gli altri re de’ barbari che gli erano vicini, cioè -quello di Costantina e quello di Buggea i quali tenea in prigione, -cadde in malattia da tosto guarire; ma la rabbia e la cupidigia del -signoreggiare accese gli animi de’ figliuoli, che per nobiltà doveano a -lui a tempo succedere, e sì lo strangolarono. E morto lui, il maggiore -di loro d’età di sedici anni nominato Bugale prese la signoria, e -fessi coronare, ma non con volontà e amore di tutti i baroni. Per la -qual cosa alquanti di loro, e non de’ minori, s’accostarono all’altro -fratello ch’era di meno giorni, cioè d’età di dieci anni, il quale era -oltre a quello che tale età richiedea e intendente e astuto; e il suo -nome era Bestiezti, e a lui dissono: Quando il padre tuo fu fatto re, -per potere regnare senza sospetto de’ suoi fratelli, a venticinque fece -tagliare la testa, e così pensa che tuo fratello farà a te: e però, se -vogli seguire nostro consiglio, noi ti faremo re colla nostra potenza, -se tu ci prometti di fare morire lui. La cagione di questo fu, ch’e’ -dicea che i baroni non guidavano bene i fatti del reame. Il giovane per -venire alla corona con tutto il suo consiglio a ciò s’accordò. Perchè -essendo ancora il re giovane debole nella signoria nuova, e poco da -sè accorto e meno avvisato, fu da’ baroni preso per comandamento del -fratello, e come patricida saettato, sicchè in piccolo tempo spacciò -il regno acquistato col micidio del padre, e sè di vita. Gli altri -fratelli vedendo questo crudele principio fuggirono in Sibilia, e ’l -minore fatto re, colla sua forza rimase nelle mani de’ baroni, perocchè -non era in tempo da potere nè da sapere governare il reame. Con questa -malizia fu il maggiore fratello abbattuto, onde molti de’ baroni avendo -il re fanciullo a vile, occuparono assai delle giurisdizioni del reame. -Di questo seguette, che uno antico barone e di grande seguito di fuori -di Fessa si fece fare re alla setta sua, e cominciò a guerreggiare -il giovane re. Sentendo Suscialim fratello del re Buevem morto, come -dicemmo di sopra, il quale era fuggito in Sibilia, questa divisione -de’ baroni, richiese il re Pietro di Sibilia d’aiuto, il quale li -fece armare due galee e valicò a Setta, e là fu ricevuto come re; e -avendo aiuto da’ paesani se n’andò a Fessa, ove il giovane re era con -poco aiuto e consiglio; e però giunto a Fessa fu ricevuto come re; e -disposto il fratello, e messo in prigione, e accolte maggiori forze -andò contro al barone che s’era fatto re, il quale brevemente fece -morire, ed egli rimase libero signore del reame della Bellamarina: e -questo avvenne nel detto anno 1358. È vero che quando morì il gran re -Buevem, che i re che avea in prigione furono lasciati, e ripresonsi i -loro reami di Buggea e di Costantina: e il reame di Tremusi si rubellò, -e tornossi allo stocco de’ re usati. - - -CAP. CI. - -_Come i cardinali ch’erano in Inghilterra si tornarono a corte._ - -Essendo il cardinale di Pelagorga e quello di Roma messer Iacopo -Capocci in Inghilterra, per seguire l’accordo de’ due re della pace -ordinata con titolo di santa Chiesa, e ’l cardinale il quale fu -cancelliere del re di Francia, il quale stava di là in proprio servigio -del detto re, avvedendosi l’uno dì dopo l’altro che l’operazioni del re -d’Inghilterra erano a impedire, che la moneta che si dovea pagare per -lo re di Francia, e li stadichi che si doveano dare non si fornissono; -e vedendo che il detto re mantenea in arme e in preda, e in grave -intrigamento de’ paesi di Francia, il re di Navarra, e che di continovo -li aggiugnea forza de’ suoi Inghilesi, per modo che i baroni colle -comunanze di Francia non aveano destro d’accogliere la moneta nè di -mandare li stadichi; e avendo di ciò per più riprese richiesto il re -d’Inghilterra che vi mettesse ammenda, ed egli risposto loro, che nol -potea fare; temendo che sotto l’ombra del dimoro non s’apparecchiasse -loro più vergogna che onore, se ne partirono: e per la loro partita -senza frutto feciono manifesto, che piuttosto guerra che pace dovesse -seguitare; come poi n’addivenne, secondo che a suo tempo racconteremo. -E questo fu del mese d’ottobre del detto anno. - - -CAP. CII. - -_Della pace da Sanesi a’ Perugini._ - -Essendo dibattuti i Perugini e’ Sanesi nella loro guerra novella, -come per noi addietro è fatta memoria, essendo continovo il comune -di Firenze in sollicitudine di mettere tra loro pace co’ suoi -ambasciadori, e inframettendosi anche il legato di Romagna di questa -materia, all’ultimo l’uno comune e l’altro, avendo ciascuno voglia -d’uscire di guerra e di spesa più onestamente che potesse, si rimisono -negli ambasciadori del legato e de’ Fiorentini, i quali diligentemente -praticarono con catuna parte, per vedere se modo convenevole si potesse -trovare; e trovando che ’l dibattito era di potersi con alcuno mezzo -terminare; vollono che da catuno comune venissono sindacati, e la -fermezza de’ Perugini di quello, che per loro s’avesse a ordinare -di Montepulciano, e da’ Sanesi di Cortona: e avuti i sindacati e le -cautele che domandarono, diedono la sentenza, e tennonla segreta, e -feciono a catuno comune pubblicare la pace, e sicurare le strade e’ -cammini, e feciono pubblicazione in catuna città, e in Firenze fu -celebrata solennemente dì ultimo del mese d’ottobre del detto anno: -dappoi si manifestò la sentenza, e fu in questo modo. Che tra i detti -comuni dovesse essere ferma, e buona e perpetua pace, e che i Perugini -dovessono lasciare libera la terra di Montepulciano a’ suoi terrazzani, -e dovessono patere mettere in Cortona da indi a quattro anni di tempo -in tempo podestà, e dove i Cortonesi non lo volessono, dovessono -dare il salario al detto podestà, il quale era di lire quattrocento -l’anno, e dovessono i detti Cortonesi ogni anno de’ detti quattro anni -dare a’ Perugini un palio di seta e che i Sanesi infra cinque anni -non potessono mettere podestà in Montepulciano, ma lasciare la terra -libera, e da cinque anni in là vi dovessono mettere podestà, ed avere -il censo usato. Quando dopo la pace predetta ne fu fatta pubblicazione, -e l’uno e l’altro comune se ne mostrò in grande turbazione, e ciascuno -mandò solenne ambasciata a Firenze per fare rivocare la detta sentenza. -Il comune di Firenze sentendo, che nel praticare della cosa gli -ambasciadori de’ detti comuni erano stati quasi in concordia di questo, -e che di nuovo non vi s’era fatto fuori che ’l termine e ’l modo delle -signorie, riprendendo onestamente i detti comuni in persona de’ loro -ambasciadori, rispose, che intendea che si osservasse la pace; ma però -non rimasono in vista contenti i detti comuni, benchè novità di guerra -non movessono insieme. - - -CAP. CIII. - -_Come il cardinale tornò in Italia._ - -Io non posso fare ch’io non ripeta talora in alcuna parte le cose -già dette, non per crescere scrittura (perocchè le cose notabili che -occorrono continovamente tanto abbondano, che assai di spazio prendono -nel libro) ma per giugnere insieme e le vecchie e le nuove cagioni, che -ne’ principii non conosciute, o conosciute e non debitamente curate, -o che peggio diremo, per grazia o potenza de’ cittadini con infiniti -colori trapassate, hanno danni incredibili e pericoli gravissimi più -volte giattato, e ridotta nostra città in temenza di non perdere -sua libertà. E tutto che lo scrivere aperto in sì fatte materie, -massimamente per lo pugnere cui tocca, dalli pochi intendenti paia -ch’abbia in sè materia di cruccio e malevolenza, che nel vero appo li -savi no; ma pure così fare si dee da qualunque per beneficio di sua -città, e forse dell’altre prende la cura di scrivere; perocchè tacere -il male, e solo il bene mettere in nota, toglie fede alla scrittura, -e fa l’opera di meno piacere e profitto, e se sottilmente si guarda, -forse è dannoso, perocchè li rei sentendo occultare le loro opere più -baldanzosamente procedono al male, e di sè fanno specchio a coloro -che devono venire a invitarli per l’impunità del segreto peccato -alle pessime cose, d’onde tema d’infama li suole talora ritrarre, e -il comune, per non essere avvisato delle malizie passate, con meno -cautela e meno consiglio procede in quelle che li sono apparecchiate -dinuovo. Questo parlare a molti forse parrà di soperchio in questo -luogo, ma se si recheranno alla mente, per li ricordi che sono fatti e -nelle vecchie e nelle nuove scritture, i modi per li nostri cittadini -per l’addietro alcuna volta tenuti, troveranno, che chi per ottenere -beneficii ecclesiastici, chi per essere tesoriere e capitano nelle -terre della Chiesa di Roma, non solo hanno consigliato che sia dato -aiuto e favore non dico alla Chiesa di Dio, che si dee sempre fare, ma -ai forestieri, che sotto nome di duchi, conti, e capitani, o legati di -papa, o altri titoli onesti nel nome ma tiranneschi nel fatto, della -povertà di Provenza sono passati a signoreggiare i nobili e famosi -paesi d’Italia, ma hanno sforzato o in uno o in altro modo e sospinto -il nostro comune disonestissimamente a ciò fare. Il di che è più -volte seguito, che essendo il mondano e temporale stato della Chiesa -di Roma colla forza del nostro comune in Italia ingrandito e montato -in sommo grado di signoria, i governatori d’essa insuperbiti, posto -giù ogni religione e ogni vergogna, come ingrati e sconoscenti de’ -beneficii ricevuti, a leggi e costumi di malvagi tiranni, hanno cerco -con trattati e tradimenti per occulte e coperte vie, infino a venire in -palese a volerci sottomettere a loro signoria, e torre nostra libertà; -il perchè è stato di necessità al nostro comune, per difendere suo -stato e giustizia, spendere milioni di fiorini, e che è stato peggio, -operarsi contro alla Chiesa di Roma, che ne diè il segno di parte, -sicchè si può dire quasi contro a sè stesso; e quanto che così suoni -il grido, il vero è stato, che non contro a Chiesa, ma contro a malvagi -pastori e mondani; e certo questo non è stato in pensiere a quelli che -hanno fatto procaccio delle prefende e d’altre cose, che dicemmo di -sopra. Or seguendo nostro trattato, conoscendosi per lo papa e per lo -collegio de’ suoi cardinali, i quali aveano rivocato da sua legazione -il legato di Spagna e posto in suo luogo l’abate di Clugnì, che esso -abate era uomo molle, e poco pratico e sperto, e sì nell’arme e sì -nelle baratte che richeggiono gli stati e le signorie temporali, e -che per tanto era poco ridottato e meno ubbidito, parendo loro che suo -semplice governo poco atto fosse ad acquisto, e pericoloso a sostenere -le terre che la Chiesa avea racquistate nella Marca e nella Romagna, -diliberarono di rimandare il cardinale di Spagna in Italia con più -pieno e largo mandato che per lo addietro, e così seguette; il quale, -tutto che fosse sagacissimo e astuto signore, non senza consiglio de’ -nostri cittadini, di quella natura della quale avemo di sopra parlato, -fè la via per Firenze, dove fu a costuma di papa pomposamente ricevuto -con processione, e palio di drappo ad oro sopra capo, addestrato da’ -cavalieri, e con altre ceremonie usate in simili casi per lo nostro -comune, che piuttosto in atto d’arme che d’uficio chericile era -mandato; li donarono due grandi destrieri, l’uno tutto di ricca e reale -armadura coverto, e tanti altri doni, che passarono i milledugento -fiorini d’oro. Giunto a Firenze, scavalcò a casa gli Alberti; e -sentendosi in Firenze che ’l paese ov’era destinato avea gran bisogno -di lui, per tutto si credette che giunto prendesse viaggio, ma -coll’usato consiglio de’ nostri cittadini rimase a Firenze per spazio -d’un mese, segretamente cercando l’accordo della compagnia, e lega col -nostro comune, nella quale offerea il signore di Bologna, e tutto facea -a suo vantaggio, e a mal fine e dannaggio di nostro comune; la qual -cosa conosciuta ruppe il ragionamento, e il legato ciò molto ebbe a -male, e si mostrò di partire malcontento dal nostro comune, avendo al -servigio di santa Chiesa del continovo dai cinquecento a’ settecento -cavalieri di quelli del comune di Firenze. - - -CAP. CIV. - -_Come messer Gilio di Spagna parlamentò col signore di Bologna._ - -Partito il legato di Firenze, a dì 26 di dicembre detto anno, cavalcò -dalla Scarperia, e poi traversò per l’alpe, per non appressarsi a -Bologna, acciocchè ’l signore di Bologna non prendesse gelosia, e -andò a Castelsanpiero; e ivi il signore di Bologna messer Giovanni -da Oleggio gli si fece incontro bene accompagnato di gente d’arme, e -ricevettelo onorevolmente in Castelsanpiero. E ivi essendo amendue, -pochi giorni appresso feciono parlamento, ove furono ambasciadori -del marchese di Ferrara, e della gran compagnia, e d’altri signori e -comuni, nella quale in effetto nè de’ fatti della compagnia, nè del -signore di Forlì niuna concordia pigliare si potè. Il conte di Lando -venuto in Forlì per trovarsi di presso al legato s’arrestò ivi, e così -niente fatto si partirono; il legato si tornò a Imola, e gli altri alle -luogora loro. - - -CAP. CV. - -_Come la compagnia si condusse per la Romagna._ - -Del mese di novembre sopraddetto la compagnia si partì dalla Massa -e andonne a Savignano, dove per difetto di vittuaglia stette poco, -e passò in quello d’Arimini, ove consumato in breve tempo quello che -accogliere poterono, per forza di fame più giorni strettamente patita, -come arrabbiati combatterono il castello di Sogliano, nel quale era -assai roba da vivere, e quello vinsono, e uccisono senza misericordia -niuna centoventitrè abitanti. E per la vittoria di quello sormontati -in orgoglio combatterono il Poggio de’ Borghi, e vinsonlo, e uccisono -centocinquantacinque uomini. Veggendo vinto le fortezze maggiori e più -atte a difesa, per paura le castellette vicine tutte s’abbandonarono, -nelle quali senza contrasto entrarono i nemici, ciò furono Raggiano, -Strigaro, Montecongiuzzo, Compiano, e Montemeleto, e più altre -terre poste in fortissimi luoghi in sulla stinca della montagna, ove -trovarono grande abbondanza di tutta la roba da vivere. E però quivi -s’arrestarono lungamente, tenendo in continovo sospetto il comune di -Firenze, che temeano non scendessono l’alpe dalla Faggiuola al Borgo a -Sansepolcro, e per quella di Bagno, e per questa temenza il comune di -Firenze vi pose quello riparo che si potè e di gente e d’amici. - - -CAP. CVI. - -_Dello stato della Cicilia._ - -Se bene si cercheranno le nostre scritture, e metterassi incontro tra -le ree e buone fortune, troppo avanzeranno le sinistre le felici e -avventurose, che appena si troverà non dirò uno mese dall’anno, ma uno -dì solo, che tra’ cristiani, in qualche parte della terra che per loro -si possiede, qualche pessima cosa e degna di nota surta non sia. Noi -avemo per più riprese poco addietro parlato delle travaglie de’ nostri -paesi e parte di quelle de’ Franceschi, e se intra esse fosse stato -punto di tempo quieto o tranquillo; quello medesimo è stato negli altri -paesi pericoloso e turbato, perocchè ne’ detti tempi sono mescolate -le volture della Cicilia, la quale quasi del tutto divisa, e piena di -scandali e di riotte, in continove guerre sboglientate, l’una parte -e l’altra perseguitata con quello poco di gente che loro era rimasa, -con guerra sanguinente e mortale, quelli di Messina si sono fatti -capo di parte, e così hanno fatto quelli di Catania, senza redenzione -offendendo l’uno l’altro, perchè n’è seguito gran danno di persone con -piccolo vantaggio, e senza notabile acquisto o d’una o d’altra parte. - - -CAP. CVII. - -_Del male stato del reame di Francia._ - -Il paese di Francia dopo la morte del proposto de’ mercatanti, e de’ -suoi compagni e seguaci, non prese alcuna fermezza di buono stato, -ma per contrario si ritrovò in grande confusione, che il Delfino -non era amato nè ubbidito come signore nè dal popolo nè da’ baroni, -e non ostante che lo tenessono per loro capo, poco era grazioso nel -cospetto de’ grandi e de’ piccoli; e oltre a ciò per li trattati già -scoperti stava in sospetto e paura, e per questa cagione poco potea -provvedere, e meno atare il paese da’ suoi nemici. D’altra parte il re -di Navarra si mantenea di fuori correndo e predando intorno a Parigi e -altre ville circustanti senza trovare contasto fuori che delle mura, e -continovamente sua gente cresceva d’Inghilesi, e sì di gente paesana -pronta e disposta a mal fare; e per questo si scorse il paese, che -fuori di Parigi e d’altre città e fortezze di Francia non si potea -andare, che gli uomini non fossono presi. Il Delfino, come detto è di -sopra, non potendo a tanto male porre rimedio, e temendo di tradimento, -il quale poco appresso si scoperse, stava a riguardo, e aspettava si -mutasse fortuna. - - -CAP. CVIII. - -_Di mortalità d’Alamagna e Brabante._ - -Essendo ancora il braccio di Dio disteso sopra i peccatori non corretti -nè ammendati per li suoi terribili giudicii a tutto il mondo palesi, -e per gastigarli e riducerli a migliore vita, nel detto anno nel -tempo dell’autunno ricominciò coll’usata pestilenza dell’anguinaia -a flagellare il ponente, e molto gravò in Borsella, che del mese -d’ottobre e di novembre vi morirono più di millecinquecento borgesi, -senza le femmine e’ fanciulli, che furono assai. Ad Anversa, e a -Lovano, e nell’altre ville di Brabante il simile fè. Non toccò la -Fiandra, poichè altra volta non era molto stata gravata, e però -Brabante più ne sentì; e per simile modo avvenne nella Magna a Basola, -e in altre città e castella infino a Boemia e Praga, le quali dalla -prima mortalità non erano state gravate. In questi tempi fu ne’ nostri -paesi in Valdelsa, e in Valdarno, di sotto, e nel Chianti, quasi come -l’anno dinanzi passato, generali infermità di terzane, e di quartane, -e altre febbri di lunga malattia, delle quali pochi morivano. Di ciò -si maravigliarono le genti di Valdelsa e di Chianti, perchè sono in -buone arie e purificate, perchè due anni l’uno appresso l’altro fossono -maculati di simili infermitadi, non conoscendo alcuna singulare cagione -di quello accidente. - - -CAP. CIX. - -_Di giustizia fatta in Parigi._ - -E’ non è da maravigliare della crudeltà de’ tiranni, a cui li savi -e valorosi cittadini sempre furono paurosi e sospetti, s’e’ si -dilettano nello spargimento del sangue innocente, per mantenere colla -spaventevole rigidezza della infinta giustizia in sicurtà la gelosia -del loro stato violento, e per tanto sospetti, e poco accetti a’ -sudditi, e sottoposti a molti aguati e ruine. Ma di certo è da prendere -singulare ammirazione, quando questo iniquo animo cade nel sangue -reale per lo titolo della naturale signoria, la quale suole essere -mansueta e benigna, e con umanità, eziandio offesa, trattare i sudditi -suoi. Questo diciamo, perchè del mese di novembre detto anno, essendo -il Delfino di Vienna nella città di Parigi, per sospetto d’alcuno -trattato, del quale chiara verità non si potea sapere, fece pigliare -il conte di Stampo parente del re di Navarra, e ’l conte di Rossì, -e ventisette borgesi di Parigi, dicendo, che trattavano contro a lui -col re di Navarra. Per questi borgesi l’università di Parigi turbata e -commossa, mandarono il proposto de’ mercatanti con altri de’ maggiori -borgesi al Delfino per riaverli, con dire che non erano in colpa. Il -Delfino rispose, che dove non fossono in colpa, non bisognava loro di -temere, e che sopra ciò procederebbe temperatamente infino ch’avesse la -verità del fatto. E per questo savio modo racquetato il primo bollore -del popolo, poco appresso, dicendo che li trovava colpevoli, tutti i -detti borgesi fè decapitare; i conti riserbò in prigione. Di ciò la -comunanza fu mal contenta, e mormorava, ma per paura catuno, non avendo -capo a loro modo, soffersono il nuovo gastigamento del vecchio peccato, -comportandolo senza altra novità, più per servile pazienza che per -onorare o piacere al loro signore. - - -CAP. CX. - -_De’ dificii fatti a sant’Antonio di Firenze._ - -Io non so s’egli è da lodare o da biasimare il prelato che spende negli -edificii magnifichi il danaio che trae del beneficio a lui conceduto, -perocchè, secondo che dicono gli antichi decreti de’ santi padri, -il prelato dee fare delle rendite sue tre parti; l’una dee spendere -nelle sue bisogne, l’altra dee distribuire a’ poveri, e dell’altra -dee racconciare la Chiesa, quanto si richiede a onestà di religione -fuori di pompa mondana: ma considerato che tutti coloro che prendono -frutti de’ beni della Chiesa delicatamente ne vivono, e quello che -loro avanza ai loro congiunti dispensano, e poco si curano perchè -rovinino le Chiese, o perchè i poveri di Dio si muoiano di fame, assai -è da considerare intorno a quello che qui è nel principio proposto. E -certo, se vento di fama mondano non levasse in alto alquanti che hanno -ne’ beneficii loro rilevatamente edificato, più sono da lodare che da -biasimare, secondo il corso della Chiesa terrena lussuriosa e avara, -al cui esempio assai disonesto e dannoso i secolari, che sono ghiotti -de’ beni terreni, vivendo trascorrono in grandi e disordinati peccati. -Questo tanto sia detto non per correzione, che non la vogliono udire, e -nostro uficio non è predicare, ma per argomento alla materia che segue. -Messer frate Giovanni Guidotti comandatore nella nostra provincia -nell’ordine di sant’Antonio, nato nella città di Pistoia non di -legnaggio gentile ma di meno che comune, uomo secondo suo stato d’animo -grande e liberale, avendo de’ suoi beneficii accolta moneta assai, la -quale secondo l’uso corrotto, del quale avemo parlato di sopra, poteane -ne’ suoi prossimani convertire, la spese negli edificii magnifichi -e nobili, i quali in questo anno fè cominciare al luogo dell’ordine -suo posto presso alla porta a Faenza, ne’ quali convertì gran danaio. -Avemone fatta memoria in rimprovero dell’avarizia di molti prelati, i -quali spogliano le Chiese che ne’ paesi loro e ne’ forestieri a loro -sono concedute, non curando nè l’ira di Dio nè l’infamia del mondo. - - - - -LIBRO NONO - - -CAPITOLO PRIMO. - -_Il Prologo._ - -Volendo seguire il costume dello scrivere per noi cominciato, dovemo -alcuno prologo fare al nono libro di nostra opera; e perchè di cose -occorse in questi tempi niente degno di notabile fama ci si apparecchia -d’onde torre principio atto a proemio, ci trarremo alquanto addietro a -materia che assai maravigliosa ci pare: e per meglio dare a intendere -quello che ci va per la mente, mescoleremo delle strane vecchie con le -nuove. Trovasi nell’antiche ricordanze, e massimamente nelle romane, -che per cupidigia di temporale signoria, sott’ombra d’acquisto d’onore -mondano e di fama, i re, li principi, li tiranni, e, che meno pare -credibile, i popoli liberi, sotto il governo de’ consoli, senatori, e -tribuni, e altri rettori al tempo delli falsi iddei e mendaci, senza -niuna giusta cagione, con grandi apparecchiamenti di legioni armate -assalivano li reami, le provincie, e le cittadi che si voleano posare e -vivere in libertà sotto loro leggi e costumi, prendendo e distruggendo -con ferro e con fuoco chi loro s’opponea, e per forza recavano tutti -in servaggio. Ancora si trova che molte salvatiche e barbare nazioni, -o per essere di soperchio ne’ luoghi di loro origine multiplicati, o -per fuggire i loro luoghi poveri e bretti paesi, o per essere di quelli -violentemente cacciati (come occorse al buono Enea Troiano, e a molti -altri nobili e potenti signori) con loro donne e famiglie passarono in -paesi forestieri, per acquistare sito dove si potessono alloggiare; e -per ciò potere conseguire, cose grandi e pericolose in fatti d’arme, -alte e rilevate feciono, come ne manifestano l’antiche scritture, e -massimamente quelle de’ Gotti e de’ Longobardi. Queste cose inique e -scellerate, tuttochè n’avessono alquante scusa di presa di necessità, -la quale a niuna legge pare sottoposta, hanno alquanto di colorata -giustizia; nondimeno da’ savi gentili assai è biasimata e ripresa: e -certo a noi cristiani pare, che la giustizia di Dio debitamente per -l’abominevole peccato della idolatria..... Ma chi difenderà il tempo -della grazia? cioè il tempo cristiano; sozzamente maculato dalle -orribili persecuzioni da’ micidii di.... predatori, e distruggitori, -che già anni quarantasei, o in quel torno, sotto piacevoli nomi di -compagnie in diverse parti della cristianità, sotto loro capitani e -conducitori raunati, hanno tribolato e afflitto, ed usurpato e guasto -i reami, le provincie, città e ville, rubando, ardendo, e uccidendo -senza niuna misericordia ogni maniera di gente. Chi crederà che tanti -signori nobili e gentili uomini, tanta buona gente d’arme si sia -accozzata co’ ribaldi, e ladroni, e vile gente, pronta e disposta -allo spargimento del sangue umano, e a fare ogni male che pensare -si possa per scellerata persona? Certo egli è cosa inenarrabile, -e incredibile a pensare, che questa malvagia gente rinnovandosi di -tempo in tempo sotto nuovo governo, e sotto diversi e varii titoli di -compagnie, senza trovare contrasto o resistenza abbia corsi i paesi -cristiani, e fatto ricomperare i signori e’ comuni, avendo ognuno per -di grato a nemico, sostenendo e per fame e per freddo e per altre -cagioni tormenti, martirii e affanni da loro fede a chi ne facesse -memoria di questa pistolenza. Alquanti savi uomini vogliono dire, che -il movimento del cielo, e la congiunzione di certe pianete ne sieno -state cagione. Altri, a cui noi assentiamo come a più veritieri, -affermano ciò avvenire per giusto giudicio di Dio, il quale dice: Io -farò la vendetta de’ nemici miei co’ nemici miei; e l’empio regnerà -per li peccati de’ popoli. Le cagioni dell’ira di Dio, come pubbliche e -manifeste le tacemo, e se pure ne volessimo dire, basti sotto il fascio -di poche parole di dire cotanto, che secondo il pensiere di molti -discreti mai non fu il mondo peggiore, ne più contaminato d’ogni vizio, -e maggiormente di quelli che più sono odiosi e dispiacevoli a Dio. -Potrebbesi dire il mondo crudele, senza niuna carità o amore; e chi -volesse questo testo chiosare, a suo modo e piacere lo si chiosi, che -dire non potrà tanto male che assai peggio non sia. - - -CAP. II. - -_Come la compagnia si partì da Sogliano e ricevettene danno._ - -Tornando a’ processi della compagnia e a’ suoi andamenti, avendo vinto -per battaglia il castello di Sogliano, e alquante altre castellette -della montagna, come addietro dicemmo, essendosi in quello alloggiati, -per vernare o per sentore di nuova civanza, o perchè loro paresse -stare oziosi non facendo qualche male, o per rigoglio, com’erano -usati, tutta la roba che per lo paese poterono raccogliere raunarono, -e arsono l’altre castella delle quali dubitavano che non offendessono -Sogliano; e volendo mostrare una singulare confidanza de’ terrazzani -di Sogliano, loro raccomandarono tutta la detta roba, e più di cento -di loro compagni ch’erano malati, e de’ buoni e valenti che fossono -nella brigata, facendo buone e larghe promesse a quelli di Sogliano, -come se fare volessono quello luogo loro camera o ridotto, e fare -certo chi dentro vi fosse; e ciò fatto presono viaggio, e si passarono -sopra Rimini assai presso alla terra, e’ paesani d’intorno, ch’erano -dalla compagnia stati rubati, e arsi e distrutti, e i loro congiunti -e amici o morti o guasti delle persone, e però, come sentirono che la -compagnia s’era allungata, prestamente e per forza si ritornarono in -Sogliano tutti, e quanti vi trovarono di quelli della compagnia, sì -de’ malati come di quelli che li servivano, senza niuna misericordia -gli tagliarono e uccisono, e ciò che trovarono nel castello rubarono -e portarono via, lasciando in abbandono le mura; e questo occorse del -mese di gennaio del detto anno. La compagnia essendo stata alquanti -giorni sopra Forlì in molti disagi, sì per le nevi ch’erano grandi, e -sì perchè trovarono nel paese poca roba a tanta brigata, si partirono -di quindi, e appressaronsi a Forlì, e in Forlì dal popolo per -comandamento del capitano ebbono ricetto, e rinfrescamento di pane e di -quello, che dentro v’era riposto. Questo facea il capitano, perchè ogni -altra speranza di difesa dal legato, fuori che di questa compagnia, -del tutto gli era mancata; di che più curando di suo stato, che sè -o ch’e’ suoi sottoposti e servidori, con loro mescolò molte fiate la -scellerata compagnia, con danno e con vergogna e disagio grande de’ -suoi cittadini. - - -CAP. III. - -_Come il comune di Firenze diede balía a’ cittadini contro alla -compagnia._ - -Vedendo il comune di Firenze che la mala brigata della compagnia -sempre crescea, e che il verno passava, e appressavasi il principio -della primavera, sicchè il tempo s’adattava alla guerra; e sentendo -che il conte di Lando, come persona offesa, forte si dolea del nostro -comune, e che esso e la compagnia per assentimento comune forte ne -minacciavano, e che mai campo non si mutava che tutti non gridassono a -Firenze, a Firenze; e volendosi provvedere sicchè al tempo si trovasse -sufficiente e in punto di potere rispondere alla potenza e al mal -volere della detta compagnia, ed essendo perciò necessario di trovar -modo come abbondanza di pecunia venisse in comune senza gravezza e -offesa de’ cittadini, a dì 12 di gennaio gli anni 1358, provvidono -per gli opportuni consigli che si facesse il quarto monte, ciò fu una -prestanza generale di fiorini settantamila d’oro alle borse possenti, -e chi prestasse per sè o per altrui, fosse scritto nel detto monte a -creditore del comune nell’uno tre, e avesse di provvisione il danaio -per lira il mese, che venia a ragione di cinque per cento degli -scritti, e de’ prestati a ragione di quindici per centinaio, con le -immunitadi e privilegi degli altri monti; e perchè la cosa avesse -esecuzione prestamente, feciono sedici uficiali, quattro per quartiere, -con larga e piena balía a potere accattare quanta moneta paresse loro; -i quali uficiali senza perdere tempo di subito composono settantamila -fiorini d’oro, e poco appresso ne posono cinquantamila fiorini d’oro, -i quali tutti si ricolsono in piccolo tempo e interamente, e i risidui -per tutto il mese di dicembre 1359, con tanta pace e buono volere, che -a niuna persona non fu nè guastagli casa, nè eziandio mandatoli messo, -l’uno per l’altro pagava prendendo vantaggio, e il comune rispondea del -dono e interesso fedelmente a’ tempi ordinati. - - -CAP. IV. - -_Come procedette la compagnia in Romagna._ - -Poichè preso ebbe la compagnia per alquanti giorni rinfrescamento in -Forlì, per non consumare il gentile uomo, che era a stretti bisogni, e -loro dava ricetto, non ostante il tempo fosse per le nevi e freddure a -gente d’arme malagevole, si partì, e misesi sulla marina sopra Pesero -e Fano, stendendosi fino alle coste di Montefeltro; e loro convenia -così fare, perchè la gente era molta, e per lo disagio delle nevi -non poteano stare insieme, e sufficiente vittuaglia per loro e per -la brigata loro non poteano avere, e per lo piccolo luogo non poteano -trovare bene loro agio ancora da quelli di Montefeltro pagando derrata -per danaio, e il freddo pugnente e nevi sopra nevi loro facea portare -grande penitenza de’ loro misfatti. Molti uomini d’arme, mai più -de’ saccardi, per lo brusco tempo, e per lo disagio e mala vita, non -provveduti si morirono; e grande parte de’ loro cavalli si guastarono -per difetto di strame, e per lo mangiare del grano, ch’altra biada non -aveano che dare loro; e perchè a loro li convenia tenere al sereno, e -al ghiaccio e alla neve senza coverta; ben s’atavano quanto poteano con -gran fuochi d’ogni legname, sicchè si poteano dire mezzi sconfitti dal -tempo. Questo loro pessimo stato li fece fallire, che non ostante che -da Montefeltro fossono di vittuaglia per li loro danari sovvenuti, per -inganno entrarono in Montedifabri, ove alquanto di roba trovarono che -un poco rendè li spiriti loro, ma non potendo più nel luogo durare, si -traslatarono intra Iesi e Sinigaglia, e in quel luogo ebbono trattato -d’acconciarsi al soldo col duca d’Osteric, che, come addietro dicemmo, -era stato titolato dall’imperadore re de’ Lombardi, ma non ebbe luogo, -perchè domandavano soldo impossibile alla borsa del duca. Ma per dare -a intendere se fu la verità se ’l verno fu freddissimo e aspro, in -Bologna tanto alzò la neve, che comunemente giunse all’altezza di -braccia dieci, onde per ricordanza in piazza si fece una grande volta -sotto la neve, nella quale si fece convito e festa per certi giovani -ricchi, per ricordanza della grande neve. Passando di luogo in luogo la -detta compagnia con angoscia e con fatica, in su l’uscita di febbraio, -tirando verso Fabriano, s’arrestò alla Roccacontratta, facendo -secondo il loro uso, ma non trovando quivi vittuaglia che a loro fosse -bastevole, eziandio per piccolo tempo, presono il passo della terra a -Santagnolo, il quale avvisatamente fu loro conceduto, perchè avessono -cagione di più tosto uscire del paese. E stando la compagnia in queste -travaglie, il cardinale di Spagna legato del papa senza assento del -nostro comune, continovo con la detta compagnia cercava convegna, e -’l nostro comune si provvedea e ordinava alla difesa, poco curando -minacce, e con balestrieri e fanti intendeano alla guardia de’ passi, -guardando i valichi e i luoghi che di Romagna poteano dar loro via a -venire sul nostro terreno. - - -CAP. V. - -_Di novità state tra’ signori di Cortona._ - -La signoria di Cortona, la quale lungo tempo è durata nella famiglia -di quelli da Casale, per successione era venuta in due fratelli -carnali, de’ quali l’uno avea nome Bartolommeo, e per senno e per età -era il maggiore, in lui cantava il titolo della signoria, tutto che -le rendite rispondessono egualmente a lui e al fratello che avea nome -Iacopo, il quale avea per moglie la figliuola di messer Francesco -Castracani di Lucca; la quale essendo di questa vita passata, Iacopo, -come uomo di vita dileggiata e disonesta, si tolse per moglie una -femmina mondana, la quale s’avea tenuta due anni innanzi la morte -della donna sua fuori de’ loro casamenti, e ciò fatto procedette più -oltre, e volea la femmina vituperosamente ne’ palagi abitare con la -donna di Bartolommeo, ch’era di gentile legnaggio, e d’animo grande e -di vita onesta e signorile, la quale in niuno modo il volle patire; -onde intra’ fratelli nacque riotta, e della riotta col favore e -consiglio de’ loro amici fu concordia, nella quale di comune assento -dierono in guardia la rocca a uno che tutto era famiglio di Iacopo, e -a Bartolommeo era confidente amico, con patto che per loro la dovesse -tenere comunemente, e guardarla, e non darla all’uno senza l’altro. -Segue, che a dì 8 di febbraio 1358, che vedendosi Iacopo per difetto -di gotte impotente della persona, e per tanto dal fratello trattato -non bene, e poco avutolo a capitale, tolse il figliuolo piccolo di -Bartolommeo, e lui menò alla rocca con due suoi figliuoli e trenta -cittadini di suo intendimento colla signoria. Giunto alla porta, con -ingannevoli e composte industrie condusse il castellano a farlo aprire, -ed entrò dentro colla brigata, e pinse fuori il castellano, e come -fece follemente l’impresa, così con poca provvedenza male la condusse, -non avendo di fuori ordinato donde li venisse il soccorso. Sentendo il -signore quello che ’l fratello avea fatto, come savio e coraggioso, -col favore de’ suoi cittadini subito fece prendere il torrione che -dava entrata alla rocca, e di fuori a campo si mise, fortificando di -fossi e palancati il luogo che non poteano essere forzati; onde Iacopo, -che s’era rinchiuso in prigione, mancandoli per la mala provvedenza -la roba da vivere, all’uscita di febbraio cercò patti col fratello, -il quale glie le fece volentieri, per levarsi da dosso i sospetti di -fuori e dai pericoli che in simili casi possono occorrere; li patti -furono, ch’e’ potesse abitare ne’ palagi che allora erano comuni, e -avere certe provvisioni, e che i suoi seguaci e compagni fossono salvi -delle persone, e in grazia di Bartolommeo; e in effetto gli fu ogni -cosa promesso, ed egli rendè la rocca, e fu messo ne’ palagi, ma bene -guardato, e tutta sua famiglia li fu levata; ma poi appresso a due dì, -quelli che con lui erano entrati nel cassero furono morti dal figliuolo -del signore, onde gli altri per lo migliore si cessarono; sicchè -Bartolommeo si rimase libero del tutto signore. Iacopo vedendosi mal -trattare, furtivamente si partì e andossene a Siena, dove non avendo -dal fratello alcuna provvisione, traeva sua vita assai miseramente. - - -CAP. VI. - -_Dello inganno fatto per lo legato al comune di Firenze della -compagnia._ - -Noi avemo per molte riprese fatta memoria nelle nostre scritture de’ -notabili vizii de’ nostri cittadini, i quali vizii da avarizia per -cupidigia di loro private ricchezze, e l’utile e l’onore del comune -niente hanno in calere, non sotto speranza che per loro riconoscenza -ammenda ne segua, tanto è l’usanza corrotta trascorsa e cresciuta -per la baldanza de’ passati cittadini, che sempre straboccatamente -è cresciuta per non essere de’ suoi falli corretta, ma perchè li -diritti e fedeli cittadini che si ritrovano agli ufici li tengano -a freno, se non colle parole almeno colle fave, non seguendo loro -dissoluti consigli, vogliosi e non liberi, e alla repubblica dannosi. -E certo la materia di che dovemo al presente fare nota è evidente, -e buono esempio sopra quelli che verranno poi, se fia con buono zelo -fedelmente ricolta. Il legato di Spagna, benchè di grande animo fosse, -e uomo baldanzoso e di grandi imprese, era savio e discreto, come nel -precedente libro dicemmo; ed essendo venuto a Firenze, coll’industria -e consiglio de’ nostri cittadini ch’erano a sua provvisione, più -volte tentò con sagaci e be’ modi, che ’l nostro comune prendesse -accordo con la compagnia, non tanto per affezione ch’avesse all’onore -e bene del nostro comune, quanto per levarsi da dosso la forza loro -co’ danari del nostro comune. E cerco e ricerco, trovato il nostro -comune fermo e costante in volere piuttosto spendere in sua difesa -ogni gran quantità di danari, che ricomperarsi qualunque piccola cosa -dalla compagnia, per levare via il preso costume di sì fatta gente, -che le città libere di Toscana e i possenti tiranni aveano recati -sotto palese tributo, vituperio e vergogna de’ signori naturali, -e della antica fama degl’Italiani, e massimamente del nome romano; -seguendo il consiglio di cui avemo ragionato, all’uscita del mese di -febbraio del detto anno, e per sè e per lo nostro comune, come avemmo -mandato, fermò concordia colla compagnia, la quale in effetto fu in -questa forma: che a loro darebbe fiorini quarantacinquemila d’oro -per la Chiesa di Roma, il comune di Firenze fiorini ottantamila, ed -eglino infra quattro anni seguenti non dovessono offendere la Chiesa -nè sue terre, nè ’l detto comune di Firenze, nè suo distretto e -contado; e soggiunse nel patto, che se infra cinque dì il comune di -Firenze, ricevuta la lettera da lui, non accettasse liberamente la -detta concordia, che ’l detto legato fosse tenuto loro dare fiorini -diecimila. E questo mercato procedette da sagace consiglio; perchè -li fu dato a intendere, che per la tema che ’l comune avea della -compagnia, veggendosi dell’impresa abbandonare dal legato, e avendo -poco rispetto e a consigliare e a provvedere per lo favore de’ grandi -cittadini, che per diversi rispetti, come detto avemo, accostavano -il legato, che farebbono sua intenzione, aggiugnendo, che il nostro -comune per reverenza di santa Chiesa, e di lui, di cosa fatta non gli -farebbe vergogna, ma tutto avvenne altrimenti. Il legato per due fatti -propri significò la detta concordia; la quale intesa in molti consigli -de’ cittadini, quanto che fosse per alquanti confortata e lodata, in -generale comunemente dispiacque, e fu in singolare abominazione, e -coralmente, per quelli ch’amavano lo stato e l’onore del comune, perchè -parea che ’l legato volesse guidare il nostro comune e prendere sua -tutela, e più sottilmente pensando, ombra di tacita signoria; onde il -popolo apertamente parlava in vergogna del legato, e di comune volere -si prese, che la detta convegna non si accettasse; e risposto fu al -legato, che questa, nè altra concordia con la compagnia il nostro -comune non volea, mostrando l’animo grande in poco prezzare il nimico: -e per non mostrare cruccio nè sdegno, e per rimuovere il legato dal -proprio nemico (non buono e male consiglio) di presente crearono -solenne ambasciata, e la mandarono al legato, e condussonlo a tanto, -ch’e’ promise di non fare accordo, e di nimicare a suo podere la -compagnia, avendo il braccio del nostro comune. Ciò nonostante operava -o per malizia o per senno; e a dì 21 del mese di marzo si convenne con -la compagnia per fiorini cinquantamila, i quali promise di pagare anzi -che si partissono delle terre della Chiesa. E aspettando la compagnia -prima la concordia, e appresso la detta prebenda, quasi come se avesse -a fare la sua vendemmia, sì s’allargava per lo paese studiosamente -predando e facendo ogni male, e per quattro riprese combatterono un -castello in su quello di Fermo, e non lo poterono avere; il perchè il -legato s’affrettò di pagare. La compagnia vedendosi fuori del verno, e -rincalzata de’ danari ricevuti dal cardinale, e nella speranza d’avere -da’ comuni di Toscana, stava baldanzosa, e a giornate fortemente -cresceva sì di gente a cavallo e di gente tedesca che cassare si -faceva, e sì di gente a piè, che per rubare di volontà si mettea in -brigata; e come per gli effetti di questa compagnia si vide, gente -di sì fatta ragione poco si cura di fare vendetta di sua brigata, e -molto meno di purgare sua vergogna pure ch’abbi danari, e chi è morto -s’abbi il danno, e poi è la sua morte vendetta; il perchè seguendo loro -costume, credendo con le grida spaventare il comune di Firenze e farlo -ricomperare, a ogni piè sospinto con istrida e romore minacciavano il -nostro comune. - - -CAP. VII. - -_Il male seguì per l’accordo fatto dal legato con la compagnia._ - -Sentendo il comune di Firenze per la relazione de’ suoi ambasciadori -che il legato avea fermo per sè l’accordo con la compagnia, e -abbandonato nell’impresa grande e pericolosa il nostro comune, forte -si dolse, recandosi dinanzi dagli occhi gli onori fatti a’ prelati -ch’erano passati di qua, e massimamente a costui, e i danari ch’avea -speso per difendere la Chiesa di Roma in aggrandire suo stato in -Italia, nel cui servigio avea per più anni quasi del continovo tenuti -da quattrocento in cinquecento cavalieri, e da settecento in ottocento -balestrieri, senza il grande aiuto de’ suoi singulari cittadini, e -distrettuali, e contadini, i quali in meno di sei settimane di perdono, -come s’elli combattessono con gl’infedeli, e in commessa del papa avea -tratti altrui di borsa fiorini centomila. E quanto che questi servigi -perduti conturbassono assai il nostro comune, quello che non si potea -smaltire era, che ’l comune avea offerta tutta sua possa al legato -a disfare la compagnia e cacciarla de’ terreni della Chiesa, ed egli -l’avea accettata, e battendo la compagnia sotto questa profferta, avea -fatto mercato, e venduto loro la parte del nostro comune. Aggiugnesi -a questa novella non buona, ch’e’ Pisani, e’ Sanesi e’ Perugini per -loro segreti ambasciadori cercavano accordo con la compagnia, e per -ciò sturbare tenea il comune suoi cittadini a confortare i detti comuni -all’unità e alla difesa, mostrando che la resistenza era la salute de’ -comuni di Toscana che voleano vivere in libertà e in pace; perocchè -levata la speranza del riscatto, quella gente perversa, che solo per -ingordigia di ciò si ragunava a mal fare, non sarebbono sì pronti a -farsi cassare per fare compagnia; le risposte erano fratellevoli e -buone, e gli effetti in occulto del tutto contrari, come si manifestò -per lo fine. - - -CAP. VIII. - -_Di molte fosse feciono i signori di Lombardia per difesa de’ loro -terreni._ - -Veggendo i signori di Milano li scorrimenti delle compagnie, e che ’l -paese d’Italia spesso affannato di guerre era, e non era per quotare, -per più sicurtà e fortezza de’ paesi che teneano sotto loro signoria, -con studio e diligenza feciono fare fossi ampi e profondi, uno in sul -Bresciano, il quale si stendea infino al lago di Garda, e un altro -nel Cremonese, e uno ne ferono fare in altro paese, i quali, tutto -che l’opera fosse grande e maravigliosa, per lo terreno dolce furono -in breve tempo forniti. E quanto che dalle cagioni di sopra fossono -indotti, più gl’indusse il sospetto che aveano preso del duca d’Osteric -novellamente titolato re de’ Lombardi, dubitando che se scendesse con -la forza degli Alamanni, trovando i piani liberi e spediti e senza -riparo, loro offesa non fosse più presta e maggiore; e di ciò loro -aveano fatta l’esperienza la compagnia, che più volte per quelli luoghi -aperti gli aveano assaliti improvviso, e assai danneggiati. E il simile -fece il signore di Bologna in questi giorni, facendo fare una spaziosa -e profonda fossa per simigliante temenza. E i Sanesi feciono fare una -via e un ponte sopra le Chiane per avere libero il cammino d’andare -a loro posta a Cortona. E...... per li signori di Milano, essendo -contrario al signore di Bologna, per avere al bisogno il passo e ’l -foraggio di Lombardia, feciono fare via alzata in sulle valli con fossi -d’ogni parte, del cui cavo era levata la via; e dove furono trovate le -valli profonde vi si fè ponticelli, la quale stese per lungo cammino -tanto che la congiunse col Po, la qual via per lo sito del luogo non -potea essere impedita. - - -CAP. IX. - -_Come il re d’Inghilterra dissimulando la pace cercava la guerra co’ -Franceschi._ - -Poichè detto avemo, secondo che ’l corso del tempo richiede, delle -fortune e travaglie de’ nostri paesi, diremo alquanto delle straniere; -e cominciando a quelle di Francia, all’entrata di febbraio 1358, il re -d’Inghilterra, quasi come tocco di cuore si mosse, e andò dov’era il -re di Francia, e a lui disse onestissimamente s’egli attendea la pace; -il re di Francia onestissimamente rispose di sì, e che la desiderava. -Il re d’Inghilterra procedendo più oltre disse al re di Francia, -ch’egli era in sua potestà, quando facesse quelle cose che dovea fare. -Il re rispose, ch’era pronto e disposto, ma il che non sapea. Allora -il re d’Inghilterra per convegna di buona pace chiese in sua domanda -la contea di Bologna sul mare; e che il re pacificamente li lasciasse -possedere la Guascogna, e certa parte della contea d’Anghiem, e la -Normandia, senza farne omaggio niuno; e che il conte di Monforte delle -terre che tiene in Brettagna ne facesse omaggio al re d’Inghilterra, -e togliesse la figliuola per moglie; e di quello che tiene nel detto -paese messer Carlo di Brois duca di Brettagna ne facesse omaggio al re -Giovanni di Francia, com’era usato, e che per ammenda desse fra certi -termini cinquecento migliaia di marchi di sterlini, che montavano -due milioni e mezzo di fiorini. Il re di Francia, ch’era prigione, -consentiva a ogni cosa per sua diliberanza, ma troppo era di lungi il -potere dal volere, e ciò bene conosceva il re d’Inghilterra, ma con -usata astuzia inghilese, essendo certo nell’animo suo che quello ch’e’ -domandava fare non si potea, per potere calunniare il re di Francia di -rottura di pace e di fede, e per potere la sua non diritta intenzione -antipensata adempiere, dovendo secondo i ragionamenti avuti tra loro -passare in Francia, sotto colore di più presta e spedita esecuzione -della pace, fece fare gride per tutte sue terre, che sotto la pena -del cuore niuno Inghilese con arme passasse nel reame di Francia, -promettendo di fare tornare tutta sua gente d’arme che fosse nel reame -di Francia. E per mostrare della detta pace singulare allegrezza, i -figliuoli del re feciono bandire in Londra una giostra, dove molti -signori e gentili uomini dell’isola a loro richiesta s’appresentarono, -con molta allegrezza e festa di tutto il reame, seguendo per questa -cagione il contrario nel reame di Francia, come più innanzi del nostro -trattato faremo menzione. - - -CAP. X. - -_ Come il re di Navarra tribolava Francia._ - -Gli effetti della infinta e non vera pace tra i sopraddetti due re -si cominciarono a scoprire del mese di marzo seguente, perocchè il -re di Navarra, ch’era creatura del re d’Inghilterra, colla forza -degl’Inghilesi entrò una notte di furto in Alsurro, e non potendo -vincere la rocca, ch’era forte e bene guarnita alla difesa, fè la -terra rubare, e mettere al taglio delle spade grandissimo numero di -cittadini e paesani che quivi erano ridotti, e secondo che troviamo per -vero, oltre a seimila vi furono morti. Fu riputata crudelissima cosa e -disusata, perocchè simile cosa più occorsa non era nella lunga triegua -e pertinacia della detta guerra. Partito il detto re di Navarra con -sua gente d’Alsurro, se n’andarono al Tu, e stesonsi infino in Torì, -e ivi combatterono e presono uno forte castello ove trovarono molta -roba; e predato le cose sottili, fornirono il castello, e lasciaronvi -sofficiente difesa, cercando dove potessono fare danno. E oltre a -queste inique operazioni del re d’Inghilterra, e’ si copria sotto lo -scudo del re di Navarra, la cui forza tutta era d’Inghilesi: e pertanto -si potea dire pessima cosa, che era radice di tradimento, perocchè i -paesani allegrandosi per lo grido della pace novella non attendeano -alla guardia come erano usati, e pertanto ricevettono danno in molti -luoghi grandissimo; onde essendo improvvisi fidati, così malmenati, -e senza capo o consiglio, si diruppono quasi tutti a mal fare; -verificando l’antico proverbio che dice, tra pace e tregua guai a chi -la lieva. - - -CAP. XI. - -_Del male stato di Cicilia in questi tempi._ - -Le discordie continovate per lungo tempo tra’ Ciciliani aveano l’isola -ridotta in somma impotenza e miseria, e in stato sì fievole, che poco -degno pare di memoria per le sue opere inferme e di poco valore, pur -seguendo quelle, tali quali furono racconteremo. In questo anno 1358 -del mese di febbraio, uno bastardo della casa di Chiaramonte, detto -per nome Manfredi, uomo assai valoroso e ardito, se n’andò a Messina, -e sagacemente cercò se avesse potuto riducere i Messinesi al volere -del duca, figliuolo che fu del re di Cicilia, a cui erano avversi e -contrari tutti quelli di Chiaramonte, e per sua parlanza avea tanto -operato, che i principali parziali de’ Messinesi inchinavano e davano -orecchie. Ma messer Niccolò di Cesare, il quale per lo re Luigi avea la -maggioranza e lo stato, sì s’oppose, e non volle assentire, mostrando, -che se quella città perdesse l’aiuto e lo foraggio della vittuaglia -che traeva di Calabria era in pericolo di fame, e di venire per tanto -in desolazione e in miseria. Quelli di Chiaramonte veggendo i crolli -che aveano per sostenere la parte del re Luigi, e che da lui non era -favore bastevole a mantenere loro stato, ripresono e ridussono a loro -lega la Stella di Palermo, e molte altre fortezze e tenute, le quali -aveano lasciate nella guardia del re Luigi, il quale per non potere -resistere alla spesa non le potea guardare; e forte temeano che non -le riprendessono i Catalani. E nondimeno mandarono il detto Manfredi a -Napoli al re Luigi significando lo stato loro e del paese, e pregandolo -che mandasse loro gente d’arme sofficiente a resistere alla potenza -del duca e dei Catalani, la quale tutto che piccola fosse, pure era -maggiore che la loro, e da sormontare in breve tempo se non trovasse -contasto, che continovamente crescea, sì perchè li paesani volentieri -tornavano alla grazia del signore naturale, e sì perchè d’Araona -li venia soccorso. Sentendo ciò il re Luigi, e non potendosi come -desiderava, per l’impossibilità fare prestamente quello che domandavano -i suoi parziali, s’aiutò colle grandi e larghe impromesse, promettendo -d’andarvi in persona senza lungo indugio di tempo. E di presente fè -sua ambasciata, e mandò a richiedere d’aiuto il comune di Firenze, e -gli altri comuni di Toscana per la sua andata in Cicilia. E per dare a’ -suoi amici e servidori speranza, mandò innanzi da sè il conte da Riano -con trecento cavalieri e con pedoni nell’isola, e operò sì che messer -Niccolò di Cesaro per la detta cagione venne per suo ambasciadore in -Toscana; e come ne seguì di questa materia a suo tempo racconteremo. - - -CAP. XII. - -_Del male stato di Puglia per ladroni._ - -Come detto avemo nel capitolo di sopra, il re Luigi promise di passare -alla difesa e acquisto della Cicilia, e non era sufficiente, come -appresso diremo, a purgare e a difendere suo reame delle continove -ingiurie e ruberie de’ ladroni che correvano il Regno con disordinata -baldanza. E ciò addivenne, perchè in questi dì i baroni non erano -in pace e in concordia col re, e massimamente i reali, e il re aveva -piccola entrata, e però tenea poca gente d’arme a gastigare col ferro -e col capestro il gran numero de’ ladroni sparti quasi per tutto -il reame, e caldeggiati da’ detti reali e baroni per odio del re. E -pertanto in più parti del Regno si cominciarono a fare raunanze di -gente malandrina disposta a rubare, e feceano loro capitano, e rompeano -le strade, e correano per lo paese ora in una ora in un’altra parte, -forte conturbando i forestieri e’ paesani con rapine, e violenze, e -omicidii, fra i quali uno friere dello Spedale per trattato rubellò -Alfi, e fecelo spilonca e ricetto di questi ladroni: e altri ladroni -in Nieboli feciono il simigliante: e alcuna altra brigata di questa -pessima gente ferono capo in Valle beneventana, e altri di loro ginea -altrove in diverse contrade, tenendo i paesi affannati, perchè andare -non si potea sicuro in niuna parte del Regno, se non con sicurtà de’ -baroni del paese, i quali nel vero a loro davano ricetto per essere -temuti da’ paesani. Di tanti mali giustizia fare non si potea; ma i -ladroni mancando la preda, e crescendo l’ira de’ paesani, e la paura -de’ loro malificii, partendosi molti da compagnia, i caporali rimaneano -con minore seguito, e meno poteano fare nocimento. - - -CAP. XIII. - -_Della morte di messer Bernardino da Polenta signore di Ravenna._ - -Essendo stato lungo tempo malato messer Bernardino da Polenta tiranno -e signore di Ravenna e di Cervia, a dì 13 di marzo 1358 lasciò -insieme la signoria e la vita. Costui fu dissoluto e mondano, e di -sfrenata lussuria; crudele e aspro signore, e nimico di tutti coloro -che montassono in virtù e in ricchezza, e tutti gli antichi legnaggi -dell’antica città e nobile di Ravenna spense e distrusse, non meno -per cupidigia d’usurpare i loro beni, che per tema che per alcuno -tempo non li fossono avversi; il perchè in Ravenna al suo tempo altro -che artefici minuti e villani non si vedeano. Costui talora come -censuario rispondea alla Chiesa di Roma, mostrandosi divoto e amico, -ma copertamente l’era contrario, favoreggiando i rubelli della Chiesa -in Romagna e nella Marca. E avendo ne’ dì suoi la fortuna benigna, -di masserizia, di grano, e di bestiame, e di sale, e delle colte de’ -cittadini e de’ contadini disordinatamente gravati fè grande tesoro; e -quanto ch’all’anima poco fruttasse, pure nell’estremo fè testamento, -nel quale istituì sua reda messer Guido suo figliuolo, e sì della -signoria come dell’avere; il quale, morto il padre, con la forza degli -amici e della gente dell’arme al popolo si fè confermare per quella -poca di giurisdizione che la Chiesa dice d’avere in Ravenna, e con -provvedere al legato anche fortificò la detta confermazione. Costui -mosso da benignità d’animo, e da buono e savio consiglio, tutti gli -antichi e buoni cittadini che dispersi per lo mondo aveano fuggita -la crudeltà e l’ira del padre richiamò e ridusse in Ravenna, e cacciò -via tutti i malvagi e iniqui sergenti del padre; che fu cosa notabile -assai, e atto non di tiranno, ma di giusto signore naturale. - - -CAP. XIV. - -_Operazioni della moría._ - -In quest’anno l’usata moría dell’anguinaia, la quale nell’autunno -passato avea nel Brabante e nelle circustanti parti del Reno fatti -gran danni, nel verno si dilatò, e comprese e passò nel Friuli facendo -l’uficio suo per infino al marzo, e parte della Schiavonia, ma non -troppo agramente; perocchè enfiando sotto il ditello e l’anguinaia, chi -passava il settimo giorno era sicuro; vero è che in sette dì assai ne -morivano. Ancora non pigliava le città e le ville comunemente, ma al -modo della gragnuola l’una lasciava stare e l’altra prendea; e durando -dove cominciava dalle venti alle ventidue settimane, molta gente d’ogni -generazione trasse a fine. - - -CAP. XV. - -_Di certa novità ch’ebbe in Perugia in questi tempi._ - -Chi vorrà con animo riposato recare alla mente quello che scritto si -trova degli stati mondani dal tempo di Nembrotte primo tiranno infino -ne’ giorni presenti, vedrà manifesto, che mai niuno tempo fu tanto -pacifico nè tanto durato tranquillo che ne’ reami, e nelle città, e -(che è più da maravigliare) nelle piccole e povere ville, non sieno -stati di quelli che hanno cerco e a tutti i sentimenti del corpo e -dell’animo di soprastare agli altri, e di farsi maggiori e governatori, -usurpando le pubbliche e le private ricchezze; e senza recare esempi -a prova di ciò, che sono infiniti, e notori e manifesti, cercate le -note volgarmente hanno fatto quelli di nostra famiglia intorno alle -cose che sono occorse ne’ tempi da farne memoria, troverà che non -di Roma città in Italia, ma in tutto il mondo mai non fu in tanto -riposo che per tutto non sentisse affanno di questa materia; onde li -savi, che ricordano delle cose antiche, veggendo questi casi tutto -giorno addivenire, non si dogliono nè si maravigliano, ma i semplici -e idioti, che solo tengono gli occhi alle cose che sono loro davanti, -si turbano e rammaricano, e mormorando stoltamente favellano, e non -sapendo vedere nè dare riparo potendo si contristano. Essendo dunque -questa vita comune, molte più e così ne sono state maculate l’altre -città di Toscana, come la nostra. E in questi tempi ne fece sperienza -la città di Perugia, che essendo il popolo suo villanamente barattato -per Leggieri d’Andreotto e per gli altri grandi cittadini appellati -Raspanti, che con lui s’intendeano ne’ fatti dell’impresa della -città di Cortona e della guerra de’ Sanesi ch’era seguita, quelli -che voleano vivere mezzano e popolare senza fare danno o vergogna -al suo comune ebbono tanto di podere, che feciono in Perugia venire -per sindaco di comune messer Geri della casa de’ Pazzi di Firenze, -cavaliere sagace e di grande cuore, voglioso e vago di novità come più -volte mostrò per l’opere sue. L’uficio fu con gran podestà e balía, -in ritrovare chi avesse male preso della pecunia del comune e’ beni, -e punire agramente cui trovasse colpevole; il valente cavaliere, -come giunse informato appieno per solenne investigagione di quelli -che ne’ detti casi aveano errato, non prese gli uccellini, ma formò -francamente suo processo contro al detto Leggieri, e altri maggiorenti -di quelli dello stato, ad animo di farne giustizia, senza tenere in -collo il processo. Gl’inquisiti non s’osavano rappresentare veggendo -l’uficiale coraggioso e disposto a punire, per tema di non essere -posti al tormento, e condannati personalmente e vituperosamente per -barattieri e rubatori del loro comune: e colla forza de’ Raspanti, che -li favoreggiavano, procuravano il dì e la notte come potessono impedire -l’uficiale in forma ch’e’ non potesse procedere. I gentili uomini -con tutto il seguito loro riscaldavano e francheggiavano il sindaco -perchè condannasse, stimando che se ciò fosse avvenuto rimaneano senza -dubbio i maggiori, e volgeano lo stato. Onde avveggendosi di ciò i -popolari, eziandio quelli ch’aveano cominciato la mena, si dierono -a cercare de’ rimedi, e trovarono uno statuto, che essendo eletto -per ambasciadore di comune, qualunque fosse e qualunque uficiale -inquisito, mentre che durasse il tempo dell’ambasciata si sospendea il -processo; onde operarono co’ signori, che gl’inquisiti fossono eletti -per ambasciadori, e così seguette; perchè convenne che i processi -cominciati fossono sospesi. Il perchè il valente cavaliere, veggendo -che gli erano presi i dadi, e ch’e’ non potea fare niente di suo -intendimento, lasciò l’uficio, e tornossi a Firenze. Il suo successore -trovati i processi pendenti assolse i detti grandi cittadini, e per -mostrare di fare uficio condannò i minori e gl’impotenti, onde a -furore di popolo anzi ch’e’ finisse l’uficio fu messo in prigione e -vituperosamente condannato fornì i giorni suoi in prigione. - - -CAP. XVI. - -_Di sconfitta ebbono i Turchi da’ frieri._ - -Avendo i Turchi presa sopra i Greci disordinata e troppa baldanza, -ne’ detti tempi armarono ventinove legni, e valicarono nella Romania -bassa, e non trovando in pelago chi rispondesse loro si misono per -la fiumara molto fra terra predando il paese, e pigliando a costuma -di pecore, e avendo accolti più di milledugento prigioni e altra roba -assai, e ridotta tutta alla riva del fiume per caricare i navili; il -maestro dello spedale che per sue spie avea della detta armata sentito, -e fatto armare quattro galee e uno legno, e messovi quanti e’ potè de’ -migliori e più franchi de’ suoi frieri, e altra buona gente d’arme, e -nobilmente fornita e apparecchiata a battaglia, le fè senza perdere -tempo dirizzare in Romania; li quali trovando come i Turchi avendo -i Greci a vile s’erano messi per la fiumana, presono subitamente la -bocca del fiume, e a lento passo tennono loro dietro; e non avendo -rispetto perchè i Turchi molti più fossono a numero, li soprappresono -quando intendeano a caricarei navili, e fidandosi nel nome di Cristo -e nell’aiuto suo scesono in terra, e arditamente presono la battaglia -con loro, la quale durò lungamente; e non ostante che i Turchi fossono -male ordinati, erano tanti, e vedeansi in luogo che non poteano fuggire -se non si facessono fare la via colle spade, però grande resistenza -feciono e aspra zuffa: alla fine furono rotti e sbarattati, e la -maggiore parte di loro morti e magagnati. Quelli che rimasono nella -sconfitta furono tutti presi, e i loro legni e navili, che niuno non -ne campò. I frieri liberata la preda e’ prigioni che i Turchi aveano -presi, e con piena vittoria, si ritornarono salvi a Rodi. - - -CAP. XVII. - -_Di novità state in Provenza contro a quelli del Balzo._ - -I gentili uomini della Provenza che si chiamavano villanamente -oltraggiati da’ signori e dalla casa del Balzo, i quali aveano -tenuto e condotto gran tempo sopra loro la compagnia, desiderosi -di vendicare gli oltraggi e’ danni loro fatti, del mese di marzo -s’adunarono insieme con quella gente d’arme che più presto poterono -accogliere senza fare segno di cui volessono offendere, e di furto -presono l’Aguglia, nobilissima e bella fortezza di quelli del Balzo, -e presa, senza arresto la gittarono in terra infino ne’ fondamenti. E -ciò fatto, intendeano a tutto loro potere di seguire alla distruzione -della casa del Balzo, se non che il papa e’ cardinali, veggendo che -quella guerra tuttochè fosse tra private persone e non generale, -nè con offesa altrui che di loro, per lo sturbo che di ciò seguiva -alla corte di Roma vi s’interpose perchè non procedesse più oltre, e -feciono racquetare i Provenzali, e por giù l’arme. In questi giorni -i Borgognoni e’ Provenzali che erano nel reame di Francia stavano in -pessima disposizione, perocchè chi volea mal fare non era punito, e di -tali si trovavano assai, e aveano grande seguito; onde per la detta -cagione i cammini d’ogni parte erano rotti, e’ mercatanti e l’altra -gente rubati, ed erano sì stretti i cammini da questa mala gente, -che appena i corrieri, che andavano e venivano a Avignone, dalle loro -mani poteano scampare; il perchè la corte stava in molto disagio, e ad -altro non s’intendea che a trarre a fine le nuove mura d’Avignone: e -per ciò fornire, il papa e’ cardinali aveano fatta l’imposta a tutti -i cittadini e cortigiani, la quale era certa tassa in nome di capo -censo, e per casa, e per famiglie e botteghe, le quali si ricoglievano -ogni mese una volta, o più o meno, tre dì come il bisogno occorreva. -E per seguire i fatti de’ corrieri, giugnendo insieme il caso che -viene, il cardinale di Pelagorga e quello di Bologna, i quali erano -stati in Francia e in Inghilterra a trattare la pace intra’ due re, -come addietro facemmo menzione, tornando a corte, sentendosi, furono -assaliti da gente d’arme, e nell’assalto furono morti dodici de’ -famigli loro, intra’ quali v’ebbe sei cavalieri, e però fuggirono senza -arrestarsi per spazio di quattro miglia, e’ buoni cavalli e gli sproni -li camparono che non furono presi, e ridussonsi in Celano, non sapendo -chi li cacciava. Bene si sparse la voce che i Franceschi si teneano -mal contenti di loro per li trattati menati per loro in poco favore -del loro re e signore; ma ciò non fu vero, ma piuttosto operazione di -rubatori, che stimarono essere ricchi se gli avessono potuti pigliare, -che atto di vendetta per sdegno ch’avessono preso i Franceschi. - - -CAP. XVIII. - -_Il consiglio si tenne in Francia sopra le domande degl’Inghilesi._ - -Essendo divulgata la non vera pace tra li due re d’Inghilterra e di -Francia per vera, il duca d’Orliens, e il Delfino di Vienna figliuolo -del re di Francia andò a Mompelieri dove si fè grande ragunanza de’ -baroni di Francia, e con loro furono i due cardinali ch’erano stati -altra volta al trattare della pace; quivi si fece parlamento per tutti, -nel quale chiaramente per tutti si tenne e conobbe, che quello che -domandava il re d’Inghilterra non era possibile, perchè non vedeano -che si potesse per modo alcuno inducere i Franceschi al consentimento, -tant’era la domanda ontosa e altiera, e a grande animo de’ Franceschi, -per la vituperosa e sdegnosa cosa, onde senza prendere accordo si partì -il parlamento. Il Delfino cavalcò ad Orliens con intenzione, che se -’l padre passasse in Francia col re d’Inghilterra, com’era ordinato, -li prestasse il consentimento della corona per difesa del reame, e -per tenere ciò che si potea; giunto in Orliens, mandò due baroni al -re d’Inghilterra a cercare accordo con lui, e fatto per sue lettere ed -ambasciate, a tutte le città e buone ville di Francia manifestò quello -che chiedea il re d’Inghilterra in vergogna e abbassamento della corona -e nome de’ Franceschi, e confortò li comuni che stessono attenti e -provveduti, e che si studiassono a fare buona guardia. - - -CAP. XIX. - -_Come il re di Spagna e quello d’Araona s’affrontarono e non -combatterono._ - -Seguendo le discordie e tribolazioni de’ cristiani, che a giornate -per li loro peccati rovesciano i due re, quello d’Araona e quello -di Spagna intra gli altri di nome cristiano, e grandi e famosi, -s’erano ingaggiati di battaglia, e all’entrata del mese d’aprile 1359 -ciascheduno di loro provveduto e avveduto, fatto tutto suo sforzo per -essere alla battaglia, comparirono alla fine de’ loro reami assai di -presso ciascheduno; quello di Spagna, che si noma quello di Castella, -venne con settemila cavalieri tra di sua raunata e di gente barbara, -i quali si chiamavano Mori, e con popolo assai; quello d’Araona venne -con cinquemila cavalieri catalani e con grande quantità di popolo -a piè, armati di lance e di dardi maneschi, i quali sono da loro -chiamati mugaveri, e l’una e l’altra gente con le persone de’ loro re -s’avvicinarono insieme per ordinarsi a battaglia: e non pertanto che -il re d’Araona fosse con meno cavalieri che quello di Castella, molta -sicurtà e baldanza prendea nella fede de’ suoi baroni, ma più in Dio, -perchè avea seco giusta cagione, e ciò li dava speranza di vincere; -ma quello di Spagna, tutto che si sentisse la forza maggiore, non si -fidava della fortuna della battaglia, per la coscienza di sua vita -scellerata e crudele, perocchè tornandoli a memoria che l’anno dinanzi -avea di sua mano morti venticinque de’ suoi baroni, come addietro -contammo, invilì, temendo ch’e’ baroni che gli erano rimasi non li -tenessero fede, e stornava con modi sagaci la zuffa; il perchè seguì, -che stati più giorni affrontati senza muovere assalto, o aizzare l’uno -l’altro, quasi come se avessono fatta convegna, si partirono del campo, -e tornaronsi indietro ciascuno alla sua frontiera. Di ciò fu lodato -il re d’Araona, che tutto che conoscesse che per la discordia de’ -suoi nemici la vittoria fosse nelle sue mani, non volle mettere tanti -cristiani a farli uccidere insieme. - - -CAP. XX. - -_Come il comune di Firenze si provvide contro alla compagnia._ - -Bene che ’l nostro comune di Firenze sollicitamente e con molta -provvedenza infra ’l tempo che la compagnia badava in Romagna -aspettando il tributo dal cardinale si fosse messo in assetto e alla -difesa, a all’offesa de’ suoi nemici, sentendo che ’l sabato santo a dì -20 d’aprile la pecunia promessa alla compagnia era pagata, raddoppiò la -sollecitudine, facendo gente quanta ne trovava assoldare, e affrettando -l’aiuto dell’amistadi, e rifermò per capitano di guerra messer Pandolfo -de’ Malatesti, e a dì 29 d’aprile 1359 fece la mostra della gente -sua, la quale fu da duemila barbute, e da cinquecento Ungheri, e da -duemilacinquecento balestrieri eletti tra gli altri e armati tutti a -corazzine; e avendo in punto questa brigata, messer Bernabò signore di -Milano, il quale da questa Compagnia più volte era stato oltraggiato e -l’avea in odio, offerse aiuto di mille barbute e di mille masnadieri -al nostro comune, e il comune l’accettò perocchè in quel tempo vivea -in fede e in buona pace col detto signore; fatto l’accetto, il detto -signore senza niuno intervallo di tempo ne cominciò a fare soldare in -Toscana. E mentre si facea queste cose, messer Francesco da Carrara -signore di Padova mandò in aiuto a’ Fiorentini dugento cavalieri, e -i marchesi da Este signori di Ferrara mandarono trecento cavalieri; e -fu cosa mirabile, che i tiranni che per natura sogliono essere nemici -e oppressatori de’ popoli che vogliono vivere in libertà, il perchè -le ragioni sono manifeste, si mettessono ad atare il nostro comune -fedelmente, che sopra tutti gli altri d’Italia sempre s’è opposto -a’ tiranni e disfattine molti, e i popoli di Toscana che sono vivuti -lungamente a libertà cercassono il contrario quasi di assenso comune, -bene che non apertamente, come appresso diremo. E cominciandoci a’ -più antichi e intimi amici del nostro comune, e che mai da lui non -furono offesi, ma sempre atati e difesi e esaltati ne’ loro onori, -cioè da’ Perugini, contro al volere del comune di Firenze, e per suo -abbassamento e desolazione, secondo loro credenza e speranza, presono -accordo colla compagnia per cinque anni, dando loro di censo ogni anno -fiorini quattromila d’oro, e a tutta l’oste in dono tre dì vittuaglia, -e da indi innanzi derrata per danaio, e il passo libero per lo loro -contado e distretto a ogni tempo ch’e’ volessono passare, promettendo -che non darebbono contro a loro aiuto a’ Fiorentini; la quale -coralmente punse il nostro comune, e molto l’ebbe a grave. Vedendo -i Sanesi e’ Pisani ch’e’ Perugini, che sempre erano stati un animo e -un corpo co’ Fiorentini, aveano preso l’accordo nella forma ch’avemo -detto di sopra, feciono il simigliante, e più i Pisani, come antichi e -perfidi nemici del nostro comune, foraggio, e passo, e segreta promessa -di dare loro aiuto della gente dell’arme loro; la qual cosa sagacemente -feciono poi, come leggendo nostra opera al suo tempo si potrà trovare. - - -CAP. XXI. - -_D’una folgore che cadde in sulla chiesa maggiore di Siena._ - -Tutto che i miracoli che noi veggiamo di poco ci muovano a lasciare i -peccati e tornare a penitenza, pure li dovemo scrivere a terrore de’ -mortali. In questi dì della Pasqua della resurrezione di Cristo, a dì -21 d’aprile in sull’ora della terza, essendo il tempo turbato e largo -della piova, una folgore percosse l’agnolo ch’era nel colmo della -chiesa del vescovado di Siena, e portollo via, e non lo fracassò, e -scese nella cappella, e arse i paramenti e il tavolato dell’altare -maggiore; e avendo il prete consegrato il corpo di Cristo, non essendo -ancora comunicato, cadde in terra tramortito, e cinque preti ch’erano -d’intorno al servigio dell’altare percosse e ricise, e l’ostia e la -croce dell’altare non si potè mai ritrovare. - - -CAP. XXII. - -_Di una battaglia tra due baroni del re di Rascia._ - -Il re di Rascia il quale era sotto il tributo del re d’Ungheria -cessava di fare l’omaggio, e ribellavasi al re; il perchè venuto -in indegnazione della corona, e avendo il re d’Ungheria contro a -lui conceputo e proposto nell’animo suo di farlo conoscente, duro -e malagevole li parea di passare la Danoia, per mantenere la gente -nel reame di Rascia, non avendo nel paese terra alcuna che li desse -ricetto. E stando in questi pensieri, come suole apparecchiare la -fortuna talora i non pensati acconci e’ rimedi, due baroni del reame di -Rascia per loro gare e male venture riottavano insieme; il re s’era più -volte travagliato di recarli a concordia, e nella fine in questi giorni -avuto l’uno e l’altro, e cercando di porli in pace, e non li potendo -recare, crucciato, come poco discreto, disse: Andate nella mal’ora, e -l’uno faccia all’altro il peggio che può; la parola detta sopr’ira fu -ricevuta per espressa licenza; onde partendosi amendue pieni d’odio e -di mal volere infiammati, quello di loro con alquanto meno podere avea -le sue terre in sulla riviera della Danoia, l’altro ch’era di maggiore -possanza accolta gente d’arme lo cavalcò, ardendo e guastando il suo -paese, e infine al suo abboccamento lo sconfisse; nè a ciò contento, -cercava sollicitamente di distruggerlo e trarlo a fine, e per ciò -fare lo cavalcava spesso, facendo ogni male. Vedendo il detto barone -ch’e’ non potea resistere, e nel suo re non avea speranza che levasse -dall’impresa l’avversario suo, lasciò il meglio che potè le sue terre -fornite a difesa, e segretamente valicò la Danoia, e ridussesi a uno -de’ baroni d’Ungheria che l’aiutasse, promettendoli di farsi cristiano; -il barone del re d’Ungheria li diè quella quantità d’Ungheri che li -chiese, e ’l barone a parte a parte occultamente li mise nelle sue -terre, e fece mettere la fama di volere fare di sua gente tutto suo -sforzo per vendicare sua onta e dannaggio. Il suo nemico che poco il -pregiava, per la vittoria avuta di lui era molto montato in baldanza, -venne da capo con tutto suo sforzo in sulle terre del detto barone, -e non avendo l’avviso degli Ungheri ch’erano venuti in aiuto de’ suoi -nemici, e mescolato tra loro, con animosa battaglia durissima, per la -virtù degli Ungheri fu sconfitto, e rimase morto in sul campo. E bene -cadde nella sentenza dell’antico proverbio che dice, chi è povero di -spie è ricco di vituperio, e fece fede che non si vuole avere tanto a -vile il nemico che non creda che offendere lo possa. Di questa tenzone -non curata ne’ principii, come si dovea, e lasciata passare in malattia -da non rimediare, nacque, che avuto il passo da questo barone il re -d’Ungheria con grande esercito passò la Danoia, come a suo luogo e -tempo diviseremo. - - -CAP. XXIII. - -_Come sotto nome di falsa pace il re di Navarra tribolò Francia._ - -In questo medesimo tempo il sollecito re di Navarra, avendo in -apparenza ridotti gl’Inghilesi in forma di compagnia, per non mostrare -di volere fare contro alla volontà del re d’Inghilterra, e contro alla -falsa pace che per lui era bandita, cominciò a cavalcare in Berrì, e -tribolare quel paese con aspra e mortale guerra, stendendosi infino -in Campagna, rubando le ville e’ cammini, e ardendo chi non si voleva -rimedire. I legati del papa, ch’aveano preso cura della concordia -tra’ due re, vedendo quello che il re di Navarra aveva fatto col -braccio degl’Inghilesi, ne scrissono al re d’Inghilterra, pregandolo -che per bene della pace senza più aizzare i Franceschi li piacesse -porvi rimedio; e massimamente perchè il fatto pareva contro al suo -comandamento, e non atto di pace com’era ita la grida. Il re rispose, -che di ciò li pesava, e che non vedea come a quella mala gente, e del -tutto disposta a mal fare, potesse rimediare nè mettervi riparo, che -volentieri per suo onore il farebbe. Stando le cose di Francia mal -disposte in questi baratti, nel mese d’aprile 1359, nella città di -Digiono in Borgogna, una parte del popolo minuto vago di preda si levò -a romore, e corsono a furore alle case de’ maggiori e de’ più ricchi -cittadini della terra, e rubaronli, e chi non fuggì loro dinanzi in -quella tempesta fu morto. Il duca di Borgogna sentendo questa novità, e -temendo di ribellione, mandò là di sua gente d’arme, e de’ malfattori -ne fece assai bandeggiare, e presine nel numero di centoventi, per -vendetta del misfatto gli fece appendere per la gola. - - -CAP. XXIV. - -_Novità state a Montepulciano._ - -Tornando alle italiane tempeste, messer Niccolò della casa di quelli -del Pecora di Montepulciano, il quale era stato egli e’ suoi altra -volta signori di quella terra, essendo stato lungo tempo di fuori, e -assai onorato dal comune di Perugia, il quale avendolo fatto cavaliere -gli aveano donato una tenuta del comune, la quale era in sulle -Chiane presso assai a Montepulciano, la quale si chiamava Valliano, -luogo forte, e ubertuoso d’ogni cosa, e traevanne loro vita assai -onorevolmente. Sentendo il cavaliere l’animo de’ suoi terrazzani mal -contenti, e atti a fare novità per sdegno di male reggimento, e che -mala volontà era in tra ’l comune di Siena e quello di Perugia, il -perchè lo stato de’ Montepulcianesi vagillava, ed era senza riposo, si -mise segretamente a cercare per mezzo degli amici co’ suoi terrazzani -di volere tornare in Montepulciano. E trovando la materia disposta -all’intendimento suo, accolse segretamente brigata, e di maggio 1359, -senza fare novità alcuna, s’entrò nella terra, e da’ terrazzani fu -ricevuto lietamente, dicendo esso, che non temesse nessuno, perocchè -liberamente e di buon cuore aveano perdonato a qualunque offeso gli -avesse, e ch’elli intendeano tutti tenere e trattare per fratelli. -E avendo ricordo che la riotta ch’era stata tra lui e messer Iacopo -suo consorto era stata la cagione principale perchè avea perduta -la signoria della terra, avendo provato che è il perdere lo stato -con andare all’altrui mercede, mandò prestamente per lui, e feglisi -incontro assai di spazio fuori della terra, e lo domandò, s’egli -intendea a perdonare liberamente a qualunque offeso l’avesse, e con lui -essere unito al beneficio e stato comune della terra loro, che quando -l’animo suo intendesse al contrario, che amendue prendessono altro -viaggio, e lasciassono in pace la terra al governo de’ suoi terrazzani; -e avendo detto, messer Iacopo disse, che ’l suo animo era buono, e che -liberamente a tutti avea perdonato, e promesso che mai non ne farebbe -vendetta, si presono per mano, e con festa grande e buona volontà di -quelli della terra entrarono nel castello, e furono fatti signori, e -con molta concordia si dirizzarono a ben fare, e a mantenere amistà co’ -Perugini, e a onorare i Sanesi. - - -CAP. XXV. - -_Di fanciulli mostruosi che nacquero in Firenze e nel contado._ - -Del mese d’aprile in questo anno, in Firenze e nel contado nacquero -parecchi fanciulli contraffatti, mostruosi, e spaventevoli in vista, -alcuno in figura di becco, e le braccia e il petto come membra -femminili, e libere, e compiute; altri nacquero in altre forme -mirabili, e assai differenti dall’umana natura. E appresso nell’autunno -seguente seguì, che molte donne libere del partorire dopo più giorni -morirono. E questo accidente si pensò per li savi che procedesse dal -cielo, in breve tempo non avesse fornito suo grande sfogamento: e -prendevano le donne tanta gran paura venendo all’atto del parto, che -molte se ne morivano; e se ’l cielo di questo e de’ parti strani fè -segno, ristorò ne’ leoni, che tre maschi ne nascerono la vigilia di -santo Zanobi. - - -CAP. XXVI. - -_Come la compagnia passò in Toscana, e cercò concordia con i -Fiorentini._ - -Poichè la gran compagnia del conte di Lando, afflitta e consumata la -Romagna e la Marca, aveano dal legato ricevuta la paga e la promessa -che detta avemo da’ comuni di Toscana, superba e baldanzosa si mosse, e -sotto la guida de’ cittadini che dati l’erano a condotta dal comune di -Perugia passò per lo distretto di Perugia, cioè per quello della Città -di Castello e del Borgo a Sansepolcro, che allora erano a’ comandamenti -e al seguo del comune di Perugia, e tutto che ne’ patti avessono -promesso non fare danno, le rapaci mani non si poteano contenere che -non predassono, e offendessono chi le facesse contesa; e ciò non passò -senza querele de’ paesani, poco intese da’ loro signori Perugini. -Loro passata ne’ detti luoghi fu nel detto anno 1359 entrando il mese -di maggio; e nel detto stallo e trapasso, credendo ogni gente d’arme -arricchire in sul nostro contado della preda e ricetto, e di quello -che insieme pensavano fare rimedire il comune di Firenze, abbandonato -nell’impresa, come detto avemo, dal legato e da’ comuni di Toscana, -che per invidia e mal talento prendevano speranza che molto abbassasse -nostro comune, tanto crebbe e multiplicò la detta compagnia sì di gente -cassa dal legato, e da’ Perugini, e da’ Sanesi, e da altri comuni, che -passava il numero di cinquemila cavalieri, e di mille Ungheri, e di -più di duemila masnadieri di gente senza arme fornite, ch’erano assai -più di dodicimila bocche senza le bestie. Il perchè avveniva, che -dovunque s’alloggiavano, eziandio per pochi dì, secondo i loro patti -e convegne tutto consumavano e guastavano in forma, che a’ paesani -toglieano la fatica di fare la ricolta. Quando i conducitori della -compagnia e i loro capitani si vidono in luogo che poteano per aperto -cammino, venire in sul contado di Firenze, con sottile modo e con molta -sagacità e astuzia feciono da molte parti muovere amici del comune -di Firenze, e alcuno scrivere, e alcuni venire infino a Firenze a -cercare convegna, offerendo ogni concordia, lega e patto che sapessono -o volessono domandare il comune. Stando in queste mene, e di continovo -fortificandosi il comune, in processo di tempo arrivarono a Firenze -ambasciadori del marchese di Monferrato, i quali erano stati nella -compagnia per conducerla al soldo suo e de’ suoi collegati, i quali -domandavano cortesemente al nostro comune per parte di loro signore -solo il titolo della concordia senza pagare danari, e il passo sicuro -per lo distretto del comune di Firenze, più offerendo per ammenda -dare al comune nostro fiorini dodicimila d’oro: e oltre a costoro per -simigliante cagione vennono segretamente certi cittadini di Perugia. -Il comune che per suo onore avea presa la tira, nel proposito suo -stette fermo e costante, e non intralasciava per ragionamenti che non -intendesse continovamente alla difesa, cercando di mettersi a prova -di spegnere la compagnia in Italia. E certo fu mirabile cosa, che -’l nostro comune si volesse mettere a partito e a fortuna con gente -con cui non potea guadagnare altro che fama e onore; ma così era per -quella volta disposto, e tanto pertinace al servigio, che minacce, nè -offerta di larga e onorata concordia, nè altro qual’altro vantaggio -lo potè ritrarre della pertinacia del suo proponimento; essendo tutto -di combattuto da molti grandi e potenti suoi cittadini, i quali o che -conoscessono il pericolo, o che temessono di loro possessioni, o perchè -fossono d’animo vile, apertamente ne’ pubblichi e aperti consigli -aoperavano e consigliavano che si prendesse l’accordo; ma il desiderio -di vivere in libertà vinse l’appetito de’ cittadini, che consigliavano -e voleano per maggioranza che ’l comune facesse a loro modo, e la paura -della compagnia, e ogni stimolo degli amici che si provarono di ciò. -Questo addivenne per l’unità de’ cittadini mercatanti, e artefici, e di -mezzano stato, che tutti concorsono in uno volere all’onore e bene del -comune. - - -CAP. XXVII. - -_Come la compagnia s’appressò a Firenze._ - -Mentre che questi ragionamenti si bargagnavano e menavano per lunga, la -forza del comune di Firenze continovo cresceva sì per gente di soldo -e sì per amistà, perocchè in questo venne del Regno mandato dal re -Luigi il conte di Nola della casa degli Orsini con trecento cavalieri; -e sentendo il conte di Lando sua venuta essendo a Bettona, con mille -barbute a loro cavalcò incontro, credendolisi avere a man salva; ma -ciò sentendo per sue spie il conte di Nola, il quale era molto loro -presso, come gente del re per lo capitano furono ricevuti in Spoleto: -la qual cosa a’ Perugini fu tanto grave, che al capitano predetto di -Spoleto, che era loro cittadino, cercarono di fargli tagliare la testa; -e per mandare ciò ad esecuzione, mandarono il loro conservadore che -cercasse di farlo; ma li Spoletani, che si contentavano d’avere fatto -servigio al re nella persona della gente sua, nol vollono patire, e -non lasciarono entrare il conservadore in Spoleto; per questa cagione -furono vicini a ribellarsi al comune di Perugia. Il conte di Lando -stando alla bada più dì di prendere questa gente, vedendo tornare in -fummo il suo proponimento, per non perdere più tempo si ritornò alla -sua compagnia, e il conte di Nola preso il suo tempo a salvamento se ne -venne a Firenze. Anche avvenne, che fu bella cosa, che dodici cavalieri -napoletani tra di Capovana e di Nido, facendo loro caporale un messer -Francesco Galeotto, sì per servire nostro comune, e sì per fare prova -di loro persone sentendo che con la compagnia si deliberava di prendere -battaglia, con altrettanti scudieri a loro compagnia in numero in -tutto di cinquanta barbute, nobilmente montati, e con ricche e reali -transegne e armadure, alle loro spese vennono a Firenze, e tornarono -in casa de’ cittadini, veduti lietamente e onorati da tutti, standosi -dimesticamente co’ cittadini per la terra in pace e in sollazzo, -aspettando che si facesse battaglia, e stettono tanto che si partì la -compagnia: il comune veggendo la cortesia e l’amore ch’aveano mostrato, -gli onorò di doni cavallereschi, cera e confetti. La compagnia essendo -stata oltre al tempo promesso in sul contado di Perugia, e loro fatto -gran danno e disagio, si dirizzarono a Todi, dove stettono sei dì, -danneggiando e vivendo di preda, e’ Todini ricomperarono il guasto -quelli danari che poterono fare; onde per patto di loro terreno si -partì la compagnia, e a dì 25 di giugno fu a Bonconvento e al Bagno a -Vignoni, ricevuta con apparecchio di vittuaglia da’ Sanesi, e a guida -di loro cittadini. - - -CAP. XXVIII. - -_Come il comune di Firenze diè l’insegne, e mandò a campo la sua gente._ - -I Fiorentini essendo pieni di buona speranza sì per lo loro capitano, -che a que’ tempi era riputato grande maestro di guerra e uomo di grande -cuore, e sì per li molti gentili uomini pratichi in arme ch’erano -mandati per capitani della gente ch’era venuta nell’aiuto del comune, -e sì per gli altri paesani e forestieri ch’erano sentiti, e atti non -che a seguitare ma a conducere e a governare ogni grand’oste, i quali -erano tutti di buono volere, e desiderosi di prendere battaglia e per -loro fama e onore, e per servire e accattare la grazia del comune di -Firenze, e per spegnere quella mala brigata, e l’usanza del criare -spesso compagnia per ingordigia di fare ricomperare signori e comuni; -appresso si vedea il comune fornito di bella gente e bene armata -e non di ribaldaglia; il perchè sabato a dì 29 di giugno, il dì di -san Piero, coll’usato modo e stile di nostro comune, con allegrezza -e festa si dierono l’insegne, e ’l capitano ricevuta la reale di -mano del gonfaloniere di giustizia, l’accomandò a messer Niccolò de’ -Tolomei da Siena, il quale era allora al soldo del comune di Firenze, -uomo fedele e di grande animo; e ciò fu fatto cautamente, prima per -levare invidia tra’ cittadini, appresso perchè fu pensato che tale -uomo dovesse essere più ubbidiente e riverente al capitano che se -fosse stato cittadino, ancora per onorare la casa de’ Tolomei, che -sempre era stata in fede e in divozione del comune di Firenze più -ch’altra casa di città di Toscana; la qual cosa per quella volta fu -poco a grado a’ Sanesi. L’insegna de’ feditori fu data a messer Orlando -Tedesco antico soldato del nostro comune, fedele e provato in tutte -maniere; e così si fè, per mostrare la fede che’ l nostro comune avea -ne’ Tedeschi, e animarli a ben fare, che non ostante che la zuffa -si dovesse principalmente pigliare co’ Tedeschi, volle fare palese -il comune, che quelli di quella lingua erano leali, e che ciascuno -di loro si dovea e potea fidare. Data l’insegna e piena libertà al -capitano di combattere e di non combattere per l’esaltazione e onore -del comune di Firenze, senza darli consiglieri o tutori cittadini che -’l potessono variare o impedire, cosa rade volte usata per lo comune, -ma utilmente fatta, e nella detta impresa lodata, si partì di Firenze -con l’esercito che allora avea apparecchiato nostro comune, che fu in -questo numero: duemila barbute eletti e duemila masnadieri contadini -di bello apparecchio, cinquecento Ungheri di soldo, milledugento -barbute eletti e quattrocento cavalieri già venuti di quelli di messer -Bernabò, dugento di quelli del Marchese di Ferrara, dugento di quelli -del signore di Padova, trecento di quelli del re Luigi, trecento -che n’avea mandati il legato non volontariamente, ma per virtù de’ -patti della pace, i quali era tenuto a osservare al nostro comune, -cinquanta barbute di cavalieri napoletani, messer Lupo da Parma con -trenta barbute, ottanta barbute degli Aretini e con fanti da piè -gente eletta e pulita, dugento fanti del conte Ruberto, e da Pistoia -messer Ricciardo Cancellieri con dodici a cavallo per sè proprio e -trecento fanti del suo comune, d’altra amistà e vicinanza oltre a -fanti trecento, sicchè questa prima mossa furono circa a quattromila -cavalieri e altrettanti pedoni, e il dì se n’andarono e posonsi a campo -in sulla Pesa e nelle contrade d’intorno, per ordinarsi e accogliere -l’altra gente che si attendea de’ soldati di messer Bernabò. - - -CAP. XXIX. - -_Come la compagnia girò il nostro contado, e la nostra a petto._ - -Essendo la compagnia stata più giorni al Bagno e a Bonconvento andonne -a Isola, e avuto quivi da’ Sanesi la vittuaglia in abbondanza per -portarne con seco, a dì 20 di giugno mossono campo a piccoli passi -girando per non venire su quello di Firenze, e lasciandosi Siena -alle reni feciono la via da Pratolino, e ivi dimorarono due dì di -luglio, avendo la condotta e la panatica da’ Pisani sì se n’andarono -a Ripamaraccia, e l’oste de’ Fiorentini si levò di Pesa e valicò -Castelfiorentino, e a dì 5 di luglio mutò campo, e fermossi alla -torre a Sanromano, comprendendo infino alle Celle sotto Montetopoli, -per attendere quivi la compagnia sotto verace e bello ordine e buona -guardia, stando sempre avvisati; la compagnia da Rimamortoia se -ne venne a Ponte di Sacco; e’ Pisani popolo e cavalieri con numero -d’ottocento barbute o in quel torno, sotto colore di guardia, ma nel -vero per dare alla compagnia caldo e favore, e in caso di zuffa aiuto -e soccorso, si misono al Fosso arnonico, e venuta che fu la compagnia, -la condussono al Pontadera, e come la vidono accampata, si ritornarono -ad altre frontiere vicine a quel luogo; e se ’l fatto fosse seguito -alle minacce della compagnia si trovò vicina all’oste de’ Fiorentini -a due miglia, sicchè se voluto avessono fare d’arme l’aveano in balía; -ma veggendo il conte di Lando e gli altri caporali ch’erano con lui che -l’oste de’ Fiorentini si conduceva saviamente, e con ordine e maestria -d’arme, e che di buona voglia arditamente contro a loro si metteano, -non conoscendo nel luogo vantaggio, ma piuttosto il contrario, per -migliore consiglio dopo a cinque dì che a fronte a fronte erano stati -co’ nostri senza fare niuna mostra o atto di guerra, a dì 10 di luglio -si partì bene la metà la mattina per tempo, e in sul mezzogiorno giunse -a Sanpiero in Campo nel Lucchese, e accampossi quivi; il capitano -de’ Fiorentini loro mandò alle coste messer Ricciardo Cancellieri con -cinquecento uomini da cavallo per tenerli corti e stretti in cammino, -e lasciato al passo di Sanromano bastevole guardia, a dì 21 di luglio -mosse l’oste, e s’accampò alla Pieve a Nievole molto presso a’ nemici, -in luogo, che tra l’uno oste e l’altro era il campo piano e aperto per -fare d’arme chi avesse voluto. - - -CAP. XXX. - -_Come la compagnia mandò il guanto della battaglia al nostro capitano, -e la risposta fatta._ - -Currado conte di Lando capitano e guida della compagnia, con gli altri -caporali e conducitori, avendo da’ Pisani ferma promessa e dalla gente -loro, ch’erano in numero di ottocento barbute e di duemila pedoni, la -quale teneano in punto a Montechiaro sotto colore e nome di guardia, -mischiandosi continovo con quella della compagnia, della quale cosa -i Fiorentini n’erano crucciosi e male contenti, tutto che in vista -accettassono le scuse de’ Pisani, e que’ della compagnia ne prendessono -caldo e baldanza credendo spaventare col detto appoggio, a dì 12 del -mese di luglio in persona loro trombetti mandarono con grande gazzarra -trombando nel campo de’ Fiorentini con una frasca spinosa, sopra -la quale era un guanto sanguinoso e in più parti tagliato con una -lettera che chiedea battaglia, dicendo, che se accettassono l’invito -togliessono il guanto sanguinoso di su la frasca pugnente; il capitano -con molta festa e letizia di tutta l’oste prese il guanto ridendo; e -ricordandosi che in Lombardia nel luogo detto la frasca era stata a -sconfiggere il conte di Lando, con volto temperato e savio consiglio -rispose in questa forma: Il campo è piano, libero e aperto in tra loro -e noi, e pronti siamo e apparecchiati a nostro podere a difendere ed -esaltare il campo in nome e onore del comune di Firenze e la giustizia -sua, e per niuna altra cagione qui siamo venuti, se non per mostrare -con la spada in mano che i nemici del comune di Firenze hanno il torto, -e muovonsi male senza niuna cagione di giustizia o ragione di guerra; -e per tanto speriamo in Dio, e prendiamo fidanza e certezza d’avere -vittoria di loro: e a chi manda il guanto direte, che tosto vedrà -se l’intenzione sua risponderà alla fiera e aspra domanda: e fatta -questa risposta, e onorati i trombetti di bere e di doni, il capitano -fece sonare li stromenti per vedere il cambio de’ suoi; e tutto che -dubbioso sia l’avvenimento della battaglia, e che vittoria stia nelle -mani di Dio, e diela a cui e’ vuole, grande sicurtà e fidanza prendeva -nostra gente, che in que’ giorni era fortificata di trecento soldati -di cavallo nuovamente fatti per lo nostro comune, e della venuta di -messer Ambrogiuolo figliuolo naturale di messer Bernabò che in que’ -pochi dì venne con cinquecento cavalieri e con mille masnadieri, il -quale giunto, a grande onore ricevuto da’ Fiorentini, e donatoli uno -nobile destriere, di presente cavalcò nell’oste e con molti cittadini, -i quali stimando che si facesse battaglia si misono in arme e andarono -all’oste. E infra l’altre cose che occorsono in questa faccenda fu, -che messer Biordo e ’l Farinata della casa degli Ubertini essendo in -bando per ribelli del comune di Firenze, s’offersono in suo aiuto e -onore, ed essendo graziosamente accettati, vennono con trenta a cavallo -nobilmente montati e bene in arnese, e veduti volentieri e lodati da -tutti cavalcarono al campo, d’onde per tornare in grazia del nostro -comune tanto si faticò messer Biordo, ch’era grande maestro di guerra, -che ne prese infermità, e tornato a Firenze ne morì, e per lo nostro -comune fu di sepoltura maravigliosamente onorato come a suo tempo -diremo. E stando dopo la detta richiesta a petto l’un oste all’altro -senza fare in arme atto nessuno, una notte di furto si partirono della -compagnia trecento cavalieri con alquanti masnadieri, e cavalcarono -verso Castelfranco, e ritraendosi senza, preda, si riscontrarono con -tre cittadini di Firenze e altri Empolesi i quali alla mercatantesca -tornavano da Fisa, i quali presono, e feciono ricomperare, e da indi -innanzi più non s’attentarono di cavalcare in sul nostro contado e -distretto. Stando le due osti vicine, parendo al conte di Lando, e -agli altri caporali e a tutta la compagnia avere poco onore della -invitata di giostra, a dì 16 del mese di luglio con le schiere fatte -si misono innanzi verso l’oste de’ Fiorentini: il capitano saviamente -consigliato, fatto della gente del nostro comune una massa, con -maestria e bell’ordine di gente d’arme in tutte sue parti bene divisa -e capitanata com’era mestiere, si dirizzarono verso i nemici, i quali -veggendoli venire, si fermarono in un luogo che si chiama il Campo alle -Mosche, il quale era cinto di burrati e aspre ripe, dove senza grande -disavvantaggio di chi volesse offendere non poteano essere assaliti; i -nostri gli aspettarono al piano, allettandoli alla battaglia il luogo -il quale era comune; ma i grandi minacciatori, e di poco cuore, se -non contro a chi fugge, non s’attentarono di scendere al piano, e co’ -palaiuoli e marraiuoli che assai n’aveano da’ Pisani non intesono a -spianare il campo, ma ad afforzarsi con barre e steccati in quel luogo, -e ivi alloggiatisi, e arso il campo ond’erano partiti, il capitano de’ -Fiorentini si fermò coll’oste dov’era arso il Campo, a meno d’un miglio -di piano presso a’ nemici, e quivi afforzossi per non essere improvviso -assalito, e spesse fiate con gli Ungheri insino alle barre facea -assalire i nemici, ma nulla era, che tutti o parte di loro si volessono -mettere a zuffa; il perchè faceano pensare che ciò facessono per -maestria di guerra per cogliere i nostri a partito preso e a vantaggio -loro; ma il savio capitano col buono consiglio sempre stava a riguardo -e provveduto in forma, che con inganno non li facessono vergogna. I -Sanesi veggendo che contro la loro opinione e pensiero i Fiorentini -prosperavano, per ricoprire il fallo loro ne feciono un’altro maggiore, -perocchè per loro ambasciadori si mandarono a scusare al nostro comune, -e offerendo aiuto trecento barbute; la scusa fu benignamente ricevuta, -e accettata la promessa, la quale feciono, che si convertì in fumo, -perchè non si facea nè procedea di diritto e buon cuore. - - -CAP. XXXI. - -_Come la compagnia vituperosamente si partì del Campo delle Mosche, e -fuggissi._ - -Vedendo i conducitori della compagnia che l’oste de’ Fiorentini era -loro appressata con molta allegrezza sotto il savio governo del buono -capitano, e di molti altri valenti uomini d’arme famosi, e sofficienti -ad essere ciascuno per sè capitano, e di tali v’erano ch’erano stati, -e che la gente del comune di Firenze era fresca e bene armata, e la -loro stanca, e la maggiore parte fiebole e male in arnese; e veggendo -che al continovo a’ nemici forza cresceva, e temendo di non essere -soppresi nel luogo dov’erano, e che i passi non fossono loro impediti; -e sentendo, ch’e’ Fiorentini di ciò procacciavano, e presa esecuzione -aveano mandati balestrieri e pedoni nelle montagne verso Lucca; e -conoscendo che a loro convenia vivere di ratto spargendosi, e cercando -da lunga la preda, o che essendo tenuti stretti a loro convenia o -arrendersi o morire di fame; ed essendo stati a gravare i Pisani venti -dì più che non era in patto con loro, soprastando quivi senza venire a -battaglia temeano di soffratta di vittuaglia, aspettando il soperchio -di non rincrescere ad altrui, e diffidandosi di vincere i Fiorentini -per istracca, e tutto ch’avessono domandata battaglia la schifavano, e -per tema di non esservi recati per forza s’erano afforzati con fossi -e steccati, la vilia di santo Iacopo a dì 23 di luglio, di notte, -innanzi l’apparita del giorno, misono nel loro campo fuoco, e in -fretta sconciamente si partirono, quasi come in fuga, non aspettando -l’uno l’altro, valicando il colle delle Donne in su quello di Lucca, -ch’era loro presso; sicchè prima furono in su quello di Lucca infra sei -miglia, che l’oste de’ Fiorentini li potessono impedire. E ciò avvenne, -perchè il nostro comune avea imposto al capitano che si guardasse -di non rompere la pace a’ Pisani cavalcando in su quello di Pisa o -di Lucca, che la teneano allora, e per la detta cagione il capitano -non si mise a seguirli. E certo e’ si portò valentemente in tenere a -ordine e bene in punto così grande oste, e farsi temere e ubbidire alla -gente che gli era commessa, e alla forestiera che serviva per amore, -procedendo con savia condotta, e buona e sollecita guardia, per modo -che in pochi giorni ricise il pensiero dell’offesa de’ nemici, e a loro -tolse ogni speranza che ’l conte di Lando avea e gli altri caporali di -fare quel male che aveano promesso di fare al nostro comune. Questa -utile impresa e degna di fama fece assai manifesto, e fece conoscere -pienamente a tutti i comuni di Toscana e d’Italia, e a’ signori, che -gente di compagnia, quantunque fosse in numero grande, e terribile -per sua operazione scellerata e crudele, si potea vincere e annullare, -perocchè la sperienza occorse, che tale gente somigliante furono per -natura vile e codarda cacciare dietro a chi fugge, e dinanzi si dilegua -a chi mostra i denti. Noi vedemo, che il ladro sorpreso nel fallo -invilisce, e lasciasi prendere a qualunque persona; e così addivenne -di questa mala brigata, che solo per rubare si riducea in compagnia. E -per non dimenticare il resto, quello di che giudichiamo degno di nota -intorno a questa materia, pensiamo che fosse operazione di Dio, che -in quel dì ch’elli erano stati sconfitti a piè delle Scalee nell’alpe, -in quel medesimo dì rivolto l’anno e finito, essendo nel piano largo e -aperto, si fuggirono del campo alle Mosche. Basti d’avere tanto detto, -e faremo punto qui alle nostre fortune, per seguire delle straniere -quante n’avvenne ne’ tramezzamenti di questi tempi, secondo che siamo -usati di fare. - - -CAP. XXXII. - -_Come il re d’Ungheria passò nel reame di Rascia._ - -Poco addietro di sopra scrivemmo i casi occorsi nel reame di Rascia, -e come il re di Rascia s’era partito dall’omaggio del re d’Ungheria, -ed erasi fatto rubello; e seguendo la detta materia, tenendo il re di -Rascia parte della Schiavonia appartenere a dominio al re d’Ungheria, -cessava fare il debito servigio, onde il re d’Ungheria n’era forte -indegnato. Il perchè trovato che il passo della Danoia gli era sicuro, -e ricetto di sua gente apparecchiato per lo barone del re di Rascia, -che colla forza e aiuto degli Ungheri avea vinto e sconfitto il suo -avversario, e fattosi uomo del re d’Ungheria, del mese di maggio 1359, -il re d’Ungheria con più de’ suoi baroni passarono la Rascia con grande -quantità d’arcieri a cavallo e d’altra gente d’arme, colla quale si -partirono dalla riva della Danoia, e passando per piani corsono infino -alle grandi montagne di Rascia, e quivi trovarono nel piano molto di -lungi dalle coste de’ monti gran gente del re di Rascia, quivi ragunata -per difesa del regno. Gli Ungheri vogliosamente s’abboccarono con -loro, e dopo lunga battaglia li ruppono, onde in fuga abbandonarono il -piano, e ridussonsi alla montagna. E avendo la gente del re d’Ungheria -fatto questo principio, il re in persona valicò la Danoia con grande -esercito, e accozzato con l’altra sua oste, e seguendo la fortuna, si -mise contra quella gente vile, e combattendo vinse gli aspri passi per -forza, sicchè in breve tempo tutta la grande montagna fu tutta in sua -balìa. Veggendosi il re prosperare, diliberò di valicare in persona la -montagna, ma i baroni suoi non glie l’assentirono, perchè non parve -loro che per questo la persona del re si mettesse a questa ventura, -ma molti de’ baroni e molta di sua gente valicò per combattersi -col re de’ Servi, che così è titolato il re di Rascia; il quale in -campo non osò comparire, ma con tutta sua gente si ridusse, secondo -loro costume, alle fortezze delle boscaglie, ove non poteano essere -impediti, senza smisurato disavvantaggio di chi ne fosse messo alla -punga. Gli Ungheri senza trovare contradizione o resistenza alcuna -piccola o grande cavalcarono infra ’l reame più d’otto giornate per -li piani aperti, non trovando niente che potessono predare, perchè -tutto era ridotto alle selve; alquanti cavalieri ungheri si misono -il campo in una boscaglia, ed essendo assaliti d’alquanti villani, -credendo avere trovato il grosso de’ nemici, assai di loro si ferono -cavalieri, stimando di venire a battaglia, i quali appellati furono poi -per diligione e scherno i cavalieri della Ciriegia, perocchè essendo -abbattuti nel bosco a’ ciriegi, ne mangiavano quando da’ detti villani -furono assaliti. Il re d’Ungheria, veggendo sua stanza senza profitto, -non avendo trovato contasto, con tutta sua oste si ritornò in Ungheria. - - -CAP. XXXIII. - -_Come messer Feltrino da Gonzaga tolse Reggio a’ fratelli._ - -Messer Guido da Gonzaga signore di Mantova, quando fermò la pace tra’ -signori di Milano e la lega di Lombardia, segretamente promise a messer -Bernabò, che per li suoi danari gli darebbe la città di Reggio. Questo -segreto venne agli orecchi di messer Feltrino suo fratello innanzi che -la detta promessa avesse effetto. Messer Feltrino prese suo tempo, e -senza saputa di messer Guido entrò in Reggio, e con aiuto di gente e -d’amici rubellò la città. Messer Guido credendo ricoverare la città per -forza, del mese di maggio del detto anno ricolse grande gente d’arme, -e impetrò ed ebbe aiuto da’ signori di Milano: e stando in Mantova, e -ordinandosi per porre l’assedio, sentì che ’l signore di Bologna e ’l -marchese di Ferrara aveano alla difesa fornita la terra, onde si rimase -dell’impresa, la quale faceva malvolentieri, per non appressarsi troppo -la forza de’ signori di Milano. - - -CAP. XXXIV. - -_Come il vescovo di Trievi sconfisse gl’Inghilesi._ - -Il vescovo di Trievi veggendo il reame di Francia in tanta rivoluzione -e traverse, e che necessario era a’ cherici per difesa di loro -franchigia prendere l’arme, come uomo valoroso, ricolse gente d’arme e -d’amistà e di soldo, e abboccossi per avventura in un assalto con certi -Inghilesi, ch’erano guidati per gente del re di Navarra, e combattè -con loro e sconfisseli, i quali erano intorno di millecinquecento, de’ -quali assai ne furono morti. In questo medesimo giorno il Delfino di -Vienna si mise ad assedio a Monlione, il quale era venuto alle mani -degl’Inghilesi, per racquistarlo, e forte lo strinse, perchè essendo il -castello presso a dieci leghe a Parigi, gli parea gran vergogna fosse -della corona e grande abbassamento che fosse in podestà de’ nemici, e -’l luogo era molto presso a Parigi, e forte offendea. Durante l’assedio -avea il Delfino a suo soldo certi baroni alamanni, e non avendo di che -pagarli, loro diede in gaggio due buoni castelli del reame. Puossi -considerare in quanta soffratta e debolezza era in questi giorni il -reame di Francia, che si stimò per li savi se non fosse stato, com’era, -antico e corale l’odio per lunghe riotte aveano avute i Franceschi e -gl’Inghilesi, in dispetto innaturale convertito, il quale facea a’ -Franceschi sostenere ogni affanno e ogni tormento, per certo il re -d’Inghilterra era sovrano della guerra. - - -CAP. XXXV. - -_Come fu soccorsa Pavia, e levatone l’oste de’ Visconti._ - -L’oste di messer Galeazzo signore di Milano lungamente era stato sopra -Pavia con certe bastite, forte tenendo stretta la terra; il marchese -di Monferrato preso suo tempo, con la più gente potè ragunare s’entrò -cautamente in Pavia, e avuto per sue spie del reggimento dell’oste, -e del poco ordine e guardie di quelli delle bastie, subitamente e -aspramente li assalì improvviso, e li ruppe e sbarattò, e liberò -dall’assedio, e menò in Pavia più di dugentocinquanta cavalieri e molti -prigioni, e fornimento e arnese; e ciò fatto, si tornò alle terre sue. -Messer Galeazzo per la sua gran potenza poco pregiando quella rottura -rifornì subitamente le frontiere di Pavia di gente d’arme assai più -che di prima, facendo tutto dì cavalcare in sulle porti di Pavia di -gente d’arme assai più che di prima, sicchè senza tenervi bastia forte -gli affliggea, e tenevagli sì stretti, che non s’ardivano d’uscir -fuori persona, e di loro frutti non poteano avere bene. E del seguente -mese di luglio il detto messer Galeazzo fece un’altra grande oste, e -mandolla nel Monferrato addosso al marchese. - - -CAP. XXXVI. - -_Come il capitano di Forlì s’arrendè al legato._ - -Avendo perduto il capitano di Forlì il caldo della compagnia, ed -essendo per la lunga guerra molto battuto, e vedendo che più non potea -sostenere, e che poco era in grazia e in amore de’ suoi cittadini -per la messa che fatta avea della compagnia in Forlì, essendo tra il -legato e lui per mezzani lungo trattato d’accordo, prese partito di -arrendersi liberamente alla discrezione e misericordia del legato, -con alcuna promessa d’essere bene trattato e del modo, che a dì 4 di -luglio 1359, il legato in persona, avendo prima messa la gente sua e -prese le fortezze, entrò in Forlì con grande festa e solennità e di -sua gente e de’ cittadini di Forlì. Nella quale entrata Albertaccio -da’ Ricasoli cittadino di Firenze, il quale al continovo era stato -al consiglio segreto del cardinale, e delle sue guerre in gran parte -conducitore e maestro, in sull’entrare del palagio fatto fu cavaliere. -E ciò fatto, il legato ordinato la guardia della città e lasciatovi -suo vicario se n’andò a Faenza, e ivi in piuvico parlamento, essendo -dinanzi da lui messer Francesco degli Ordelaffi per addietro capitano -di Forlì, riconobbe e confessò tutti i suoi falli ed errori che -commessi avea contro la Chiesa di Roma e suoi pastori, i quali letti -li furono nella faccia in presenza del popolo, domandando umilmente -perdono e misericordia dalla Chiesa di Roma. Il legato fatto ciò, e in -lungo e bello sermone gravando in parole l’ingiurie e la pertinacia -della resia, e le pene nelle quali era incorso il capitano, privollo -d’ogni dignità e onore, e per penitenza gl’impose, ch’elli vicitasse -certe chiese di Faenza in certa forma; e ciò fatto, il legato cavalcò -a Imola, ove venne il signore di Bologna sotto la cui confidanza il -capitano s’era arrenduto; e stati a parlamento insieme più giorni, -a dì 17 di luglio, il cardinale ricomunicò nella mensa messer -Francesco degli Ordelaffi, e nominatamente tutti i suoi aderenti -e quelli che l’aveano favoreggiato, e ristituillo nell’onore della -cavalleria, e perdonogli tutte l’offese per lui fatte alla Chiesa di -Roma, e annullò ogni processo per lui fatto di resia contro a lui, e -ridusselo nella grazia sua, e dichiarò che dieci anni fosse signore -di Forlimpopoli e di Castrocaro, potendo stare in ciascuno de’ detti -luoghi famigliarmente, e rimanendo le rocche in guardia d’amici comuni, -e liberamente li ristituì la moglie, e’ figliuoli, e tutti quelli -che tenea in prigione degli amici e seguaci del capitano; e così -ebbe fine la lunga e pertinace guerra e ribellione del capitano di -Forlì; e per la detta cagione la Romagna rimase in pace, e liberamente -all’ubbidienza della Chiesa di Roma. - - -CAP. XXXVII. - -_Di una compagnia creata d’Inghilesi in Francia._ - -Volendo il re d’Inghilterra mostrare osservazione di pace secondo -l’ordine, infintamente in suo titolo o nome niuna guerra fatta nel -reame di Francia, ma i molti Inghilesi ch’erano nel reame seguendo -il segreto ordine dato per lui ora con uno ora con altro caporale -s’accostavano che li guidasse a guerreggiare e sconciare il reame di -Francia; in questi tempi della state uno sartore inghilese il quale -avea nome Gianni della Guglia, essendo nella guerra dimostrato prode -uomo con gran cuore in fatti d’arme cominciò a fare brigata di saccardi -e assai Inghilesi che si dilettavano di mal fare, e che attendeano a -vivere di rapine, e cercando e rubando ora una villa ora un’altra nel -paese crebbe in tanto sua brigata, che da tutti i paesani era ridottato -forte; e per questo senza i casali non murati cominciarono tutti a -patteggiarsi con lui, e li davano pannaggio e danari, ed egli li faceva -sicuri; e per questo modo montò tanto sua nomea che catuno si facea suo -accomandato, onde in pochi mesi fece gran tesoro. Essendo moltiplicato -di gente e d’avere, cominciò a passare di paese in paese, e sì andando -venne insino al Pau, e ivi prese laici, e’ cherici rubò, e’ laici -lasciò andare; onde la corte di Roma ne mostrò gran paura, e pensava -a farsi forte per resistere a quella brigata. Costui nell’avvenimento -del Pau de’ signori d’Inghilterra lasciò il capitanato e la gente, e -ridussesi all’ubbidienza del re, e de’ danari ch’avea accolti ne fè -buona parte a’ reali; e così andavano in que’ tempi i fatti di Francia. - - -CAP. XXXVIII. - -_D’una zuffa che fu tra gli artefici di Bruggia._ - -Noi avemo detto più volte, che ’l mondo per lo suo peccato non sa -nè può stare in riposo, e le sue travaglie, le quali scrivemo, ne -fanno la fede, che si può dire veramente l’opera nostra il libro -della tribolazione, e nuove. In questi dì a dì 17 di luglio, avendo -il conte di Fiandra ragunata la comune di Bruggia per alcuna sentenza -che dare dovea per danno d’alcuno sopra certo misfatto, uno calzolaio -prosuntuosamente si levò a dire nella ragunanza contro alla volontà -del conte, il perchè due degli altri minuti mestieri parlando lo -ributtarono, e dissono contro a lui. Il calzolaio trasse fuori la -spada, e disse, che chi ’l volesse seguire con sua arme n’andasse -alla piazza di Bruggia, il perchè molti de’ mestieri il seguirono; e -ragunati in sul mercato con loro arme e transegne stavano in punto, -e attenti per rispondere a chi gli volesse di quel luogo cacciare. -Altri mestieri, che non erano contenti che costoro pigliassono nella -villa maggioranza, de’ quali si feciono capo folloni e tesserandoli, -s’andarono ad armare, e in breve spazio di tempo in gran numero -si ragunarono in sul mercato, e di subito senz’altro consiglio in -fiotto si dirizzarono a coloro ch’erano schierati in sulla piazza, e -percossonli, e rupponli, e nell’assalto n’uccisono cinquantasette, -e molti ne magagnarono di fedite. E ciò fatto, co’ loro avversari -di presente feciono la concordia, e di loro feciono tre capi, uno -tesserandolo, e uno carpentiere, e uno calzolaio, e in questi tre fu -riposto e commesso il fascio e tutto il pondo di loro governamento -e reggimento; e al conte non feciono violenza alcuna, nè niuno mal -sembiante. E racchetò la furia e il bollore del popolo in un batter -d’occhio, questi tre mandarono la grida, che catuno andasse a fare -suo mestiero, e ponesse giù l’arme, e così fu fatto. Che a pensare, -ed è incredibile cosa e maravigliosa, che il tumulto di tanto popolo -con cotante offensioni e tempeste s’acquetasse così lievemente, senza -ricordo delle ingiurie sanguinose mescolate della pace, ciò si può -dire, che in un punto fu la pace, e l’aspra e crudele guerra. - - -CAP. XXXIX. - -_Come l’imperadore de’ Tartari fu morto._ - -In questo tempo il figliuolo di Giannisbec imperadore de’ Tartari, -ch’abitava intorno alla marina del Mare oceano detto volgarmente il -Mare maggiore, avendo pochi anni tenuto l’imperio, e in quello piccolo -tempo fatto morire per diversi modi quasi tutti quelli ch’erano di suo -lignaggio, o per paura che non li togliessono la signoria, o per altro -animo imperversato e tirannesco, ultimamente caduto in lieve malattia, -affrettato fu di morire d’aprile 1359. E quanto che sua vita fosse -con molta guardia e cautela, difendere non si seppe da morte violente, -tanto era per sua iniquità mal voluto: e pur venne l’imperio dove con -sollecitudine s’era sforzato che non pervenisse, a uno di sua gesta. - - -CAP. XL. - -_Di novità de’ Turchi in Romania._ - -Nel medesimo tempo di sopra Ottoman Megi, il maggiore signore de’ -Turchi, avendo riavuto il figliuolo il quale, come dicemmo, era stato -preso da’ Greci, col detto suo figliuolo insieme con esercito grande -di Turchi avea lungo tempo assediata Dommettica, nobile e bella città -posta in Romania, la quale non essendo soccorsa dall’imperadore di -Costantinopoli nè dagli altri, e non potendosi più tenere, s’arrendè, e -venne in potestà de’ Turchi. E avendola Ottoman di sua gente di guardia -fornita, con grandissima gente di Turchi si dirizzò a Costantinopoli, -con speranza di prendere la terra, o per assedio, o per battaglia; e -giunti, fermarono loro campo presso alla città, correndo spesso per -tutti i paesi dintorno, e facendo a’ Greci grandissimo danno. E ivi -stati lungamente senza fare acquisto di cosa che venisse a dire niente, -veggendo che poco potea adoprare, se ne tornò in Turchia. - - -CAP. XLI. - -_Come il Delfino di Vienna fece pace col re di Navarra._ - -Quanto che la pace fatta tra’ due re d’Inghilterra e di Francia in -sostanza fosse nonnulla, nondimanco per non potere per onestà offendere -palesemente forte era allentata la guerra, e molti Inghilesi s’erano -tornati nell’isola con quello ch’aveano potuto avanzare del nò e del -sì. Al re di Navarra pochi Inghilesi erano rimasi, onde non potendo -tanto male fare quanto per l’addietro era usato, questa tiepidezza -di tempo diede materia a quei baroni di cercare pace tra ’l re e ’l -Delfino, la quale per le dette cagioni assai tosto seguì. E accozzati -il re e ’l Delfino, per buona e ferma pace si baciarono in bocca, e -il re promise di stare in fede della corona di Francia, e d’atare il -Delfino a suo potere contro all’oppressione degl’Inghilesi. Questa pace -molto fu cara, e di gran contentamento a’ Franceschi, perocchè la loro -divisione era stata materia del guasto di Francia. Ma come che ’l fatto -si fosse, la pace i più pensarono che fosse con inganno e a mal fine -per la viziata fede del re di Navarra, e corrotta per l’usanza delle -scellerate cose in che egli era trascorso, immaginando che non meno -potesse nuocere sotto fidanza di pace, che fatto s’avesse nella guerra -palese. E così ne seguette, come apparve poco appresso per segni aperti -e manifesti. - - -CAP. XLII. - -_Come l’oste de’ Fiorentini tornò a Firenze e la compagnia ne andò -nella Riviera._ - -Fuggita la compagnia del campo delle Mosche dov’erano stati appetto -dell’oste de’ Fiorentini per speranza venti giorni, com’è addietro -narrato, ed essendo al ponte a San Quirico in sul fiume del Serchio, -molti se ne partirono, e chi prese suo viaggio, e chi in uno e chi in -altro paese; e la maggiore fortezza di loro, ch’era col conte di Lando, -e con Anichino di Bongardo, quasi tutta di lingua tedesca, prese il -soldo dal marchese di Monferrato: e ricevuto per loro condotta in parte -di paga ventottomila fiorini d’oro, tutto loro arnese grosso con gran -parte di loro gente misono in arme. E conducendoli sempre i Pisani, e -avuto licenza dal doge e da’ Genovesi, e dato loro stadichi di non far -danno per la Riviera, donde loro convenia passare, e di torre derrata -per danaio, se n’andarono in sulla Magra; e s’affilarono uomo innanzi -a uomo, e misonsi in cammino per li stretti e malagevoli passi, che -alla via loro non era altra rimasa. Nè per ricordo si trova, che dal -tempo d’Annibale in qua gente d’arme numero grande per que’ luoghi -passasse, perchè sono vie malagevoli alle capre. E bene verifica la -sentenza di Valerio Massimo, il quale dice, che la nicistà dell’umana -fiebolezza è sodo legame, la quale in questa forma è rivolta in verbo -francesco. Necessità fa vecchia trottare. In questo cammino senza niuna -offesa, solo che di male vivere, misono tempo assai. La compagnia, -come detto avemo, preso suo viaggio, l’oste del comune di Firenze -stette ferma in sul campo infino al giovedì a dì primo d’agosto 1359; -a quel dì con grande festa levarono il campo molto ordinatamente, e -passarono da Serravalle, e alloggiaronsi la sera alla Bertesca tra i -confini di Firenze e di Pistoia, stendendosi fino a Prato; il venerdì -mattina a dì 2 d’agosto di quindi si tornarono a Firenze. I Fiorentini -per onorare il capitano li mandarono incontro alla porta due grandi -destrieri coverti di scarlatto, e un ricco palio d’oro levato in asti -con grandi drappelloni pendenti alla reale, sotto il quale vollono -ch’egli entrasse nella terra a guida di cavalieri, e gentili uomini e -popolari, ma il valente capitano prese e accettò cortesemente con savie -parole i cavalli, ch’erano doni cavallereschi, e ricusò di venire sotto -il palio; e fulli a maggiore onore riputato. E per rendere al comune -l’insegne, con la gente ordinata come l’avea a campo tenuta, nella -prima frontiera mise i balestrieri e gente a piè, e appresso la camera -del comune, poi gli Ungheri, appresso i cavalieri, e in fine mise il -palio innanzi per onore del comune alla sua persona, e senza niuna -pompa in mezzo del conte di Nola e del figliuolo di messer Bernabò, -e’ venne per la città al palagio de’ signori priori, e ivi con grande -allegrezza rassegnò il bastone e l’insegne a’ signori priori, le quali -accomandate gli aveano, e da indi a pochi giorni fatto a grande numero -di cittadini un nobile e solenne convito se ne tornò in Romagna. - - -CAP. XLIII. - -_Della morte e sepoltura di messer Biordo degli Ubertini._ - -Messer Biordo degli Ubertini fu cavaliere gentilesco e di bella -maniera, costumato e d’onesta vita, savio e pro’ della persona, e -ornato d’ogni virtù, e per tanto in singolare grazia dell’imperadore, -e molto amato dal legato di Spagna e da molti altri signori. Costui e’ -suoi consorti in questi tempi forte s’inimicavano co’ Tarlati d’Arezzo, -e molto erano da loro soperchiati; onde egli avendo provato che ’l -caldo e il favore de’ detti signori era troppo di lontano di passaggio -e di poco profitto, sopra tutto desiderava d’essere confidente e -servidore del comune di Firenze, la cui amicizia vedea ch’era stabile e -diritta, e che gratificava il servigio; perchè, come addietro dicemmo, -per essere egli e’ suoi in bando e ribelli del comune di Firenze, -offerse il servigio di sè e de’ suoi contro la compagnia, e accettato -venne nell’oste, dove per mostrare quello ch’egli era s’affaticò sopra -modo, che da tutti fu ricevuto da grande sentimento in opera d’arme, -tornato col capitano a Firenze, subito cadde in malattia. Il comune -avendo prima avuto a grado sua liberalità, e appresso l’opere sue, di -presente lo ribandirono co’ consorti suoi, e per mostrare verso lui -tenerezza, con molti medici alle spese del comune lo feciono medicare; -ma come a Dio piacque, potendo più l’infermità che le medicine, la -mattina a dì 16 d’agosto divotamente rendè l’anima a Dio. Il corpo -si serbò sino nel dì seguente, per attendere il vescovo d’Arezzo suo -consorto e gli altri di casa sua; ed essendo venuti, per lo comune -furono fatte l’esequie della sua sepoltura riccamente, e alla chiesa -de’ frati minori ove si ripose, che tutte le cappelle, e ’l coro, e -sopra una gran capanna fu fornita di cera e con molti doppieri, e sopra -la bara un drappo a oro con drappelloni pendenti coll’arme del popolo e -del comune, e di parte guelfa e degli Ubertini, e con vaio di sopra con -sei cavalli a bandiere di sue armi, e uno pennone di quello del popolo -e uno di parte guelfa, con molti fanti e donzelli vestiti a nero. Fu -cosa notabile e bella in segno di gratitudine del nostro comune, il -quale volentieri onora chi onora lui, dimettendo le vecchie ingiurie -per lo nuovo bene, e non avendo a parte rispetto, ma alle operazioni -fedeli e devote. Alle dette esequie fu il detto vescovo, e ’l Farinata -e tutti gli altri consorti vestiti a nero, e’ signori priori, e’ -collegi, e’ capitani della parte, e gli altri rettori e uficiali del -comune, e tutti i cherici e buoni cittadini, e ’l chericato tutto e’ -religiosi di Firenze. Morì in casa i Portinari; e la bara si pose in -sul crocicchio di Porta san Piero dalla loggia de’ Pazzi, dove posta -la mattina, tanto vi stette, che ’l vescovo venne: e intorno alla -bara erano fanti vestiti di nero, e cavalli e bandiere, l’uno appresso -l’altro, parte per la via, che viene al palagio della podestà, e parte -per quella che va a santa Reparata; fu cosa ricca e piatosa, e tutto -il popolo piccoli e grandi trassono a vedere. Abbianne fatta più lunga -scrittura che non si richiede, perchè ne parea fallire, se onorandolo -tanto il nostro comune noi non l’avessimo con la penna onorato, e -perchè pensiamo, che sia esempio a molti a tramettersi a ben fare, -veggendo essere il bene operare premiato a coloro che ’l meritano. - - -CAP. XLIV. - -_Come i Perugini mandarono ambasciata a Siena, e abominando i -Fiorentini._ - -L’arbitrata sentenza data sopra la pace tra il comune di Perugia -e quello di Siena, tutto che fosse comune utile e buona, all’uno e -all’altro comune forte dispiacea, come addietro abbiamo narrato, e -ciascheduno con sua ambasciata che piacesse al nostro comune per suo -onore e grazia loro annullare; e ciò fare non volse, perchè quasi -niente derivava da’ ragionamenti fatti con gli ambasciadori de’ detti -comuni, se non ch’alquanto nel tempo e nel modo, onde la pace si -rimase con le strade bandite, ma con gli animi pregni e pieni d’odio -e di stizza, e vollonsi dirompere se l’impossibilità non gli avesse -tenuti, perocchè tanto aveano speso, che premendo loro borse niente -vi si potea trovare se non vento e rezzo. I Perugini pregni d’animo, -alterosi e superbi, senza avere di loro possa riguardo, per mostrare -sdegno d’animo contro a’ Fiorentini, crearono otto ambasciadori di -loro cittadini più nominati e più cari, e vestironli di scarlatto, e -accompagnaronli di giovanaglia vestiti d’assisa dimezzata di scarlatto -e di nero, e con molta pompa li mandarono a Siena, dove furono ricevuti -con festa rilevatamente all’usanza sanese, recandosi in grande gloria -questa mandata; e qui ritta in parlamento, cortesemente infamando il -comune di Firenze, nella proposta dissono; l’uomo nimico nel campo del -grano soprassemina la zizzania, cioè il loglio; e recando il processo -del parlare a questa sentenza, copertamente la ridussono e rivolsono -contro al nostro comune, conchiudendo ch’e’ s’erano ravveduti, e a loro -veniano come a cari fratelli, per fermare e mantenere con gli animi -buoni, e magni e liberali, perpetua e liberale e buona pace, posta -giù ogni onta e dispetto, e ogni cruccio nel quale a stigazione altrui -fidandosi poco avvedutamente erano incorsi; e infine uditi volentieri, -presono co’ Sanesi di nuovo fermezza di pace. I Fiorentini molto si -rallegrarono della pace per sospicione che li tenea sospesi di rottura -per lo poco contentamento che l’uno comune e l’altro dimostrava in -parole di quella ch’era fatta, come fu detto di sopra; vero è che molto -punsono le villane e disoneste parole de’ Perugini, e molto furono -notate e scritte ne’ cuori de’ cittadini. Tutto poi che i Perugini -s’ingegnassono di scusare loro baldanzosa e poco consigliata diceria -e proposta, per la detta cagione poco appresso seguette, che avendo i -Perugini fatta ragunata di gente, per fama si sparse che tentavano in -Arezzo coll’appoggio degli amici di messer Gino da Castiglione. Onde -per questo sospetto, a dì 12 d’agosto, il comune di Firenze vi mandò -quattrocento cavalieri, e assai de’ suoi balestrieri: poi si trovò -che nel vero i Perugini intendeano altrove, ma pure per l’odio che -novellamente aveano in parole dimostrato, crebbe eziandio per questa -non vera novella. - - -CAP. XLV. - -_Come il comune di Firenze mandò aiuto di mille barbute a messer -Bernabò contro alla compagnia._ - -Avendo la compagnia preso viaggio per la Riviera di Genova sotto titolo -di soldo contro a’ signori di Milano, i Fiorentini il cui animo era a -perseguitarla, e perseguire a loro podere il pericoloso nimico nome di -compagnia in Italia, e avendo rispetto a questo volere, ma molto più al -servigio ricevuto da messer Bernabò contro a essa compagnia; di tutta -sua gente sceltane il fiore, e in numero di mille barbute, prestamente -e senza resta, a dì 18 d’agosto la fece cavalcare verso Milano sotto -la insegna del comune di Firenze, a guida di loro cavalieri popolari, -i quali ricevuti graziosamente in Milano, cavalcarono nell’oste. Elli -furono vincitori, come al suo tempo diviseremo, non tanto per lo numero -loro, nè per la forza loro, quanto per la fama del favore del nostro -comune, che grande era a quell’ora, per la viltà presa per la compagnia -della gente del comune e de’ Fiorentini per lo ributtamento che fatto -n’aveano. - - -CAP. XLVI. - -_Come il castello di Troco fu incorporato per la corona di Puglia._ - -Carlo Artù, com’è scritto addietro, fu incolpato della morte del re -Andreasso, e per la detta cagione condannato per traditore della -corona, e i suoi beni pubblicati, e incorporati alla camera della -reina, tra’ quali era il castello di Troco; il quale dappoi era stato -privilegiato al prenze di Taranto, e lui l’avea conceduto a messer -Lionardo di Troco di Capovana: e avendolo lungo tempo tenuto, in -questo il conte di Santagata figliuolo del detto Carlo lo fè furare -a’ masnadieri, i quali nel segreto il teneano per lui; onde aontato di -ciò il prenze accolse circa a mille uomini a cavallo, e misesi a oste -a Santagata, e gran tempo vi stette, e non potendo avere la terra del -detto conte contro alla volontà del re Luigi, infine se ne partì con -poco frutto; e bene ch’avesse animo ad altri processi, e li cominciasse -a seguire, e’ ci giova, di lasciarli, come cose lievi, e tornare alle -cose più notabili de’ nostri paesi. - - -CAP. XLVII. - -_Come il comune di Firenze assediò Bibbiena._ - -I Tarlati d’Arezzo, per che cagione il facessono, mai non aveano -voluto ratificare, come aderenti de’ signori di Milano, alla pace -fatta a Serezzana intra’ detti signori e comuni di Toscana, e stavansi -maliziosamente intra due, attenendosi alle fortezze loro, che n’aveano -molte in que’ tempi, e guerreggiando agli Ubertini, senza mostrarsi -in atto veruno contro al nostro comune; e intra l’altre terre, Marco -di messer Piero Saccone possedea liberamente la terra di Bibbiena, -la quale di ragione era del vescovo d’Arezzo, colla quale ne’ tempi -passati molta guerra avea fatta a’ Fiorentini. Ora tornando a nostro -trattato, come avanti dicemmo, gli Ubertini, nemici di quelli da -Pietramala, col senno e buono aoperare erano tornati nella grazia e -amore del nostro comune, ed essendo messer Buoso degli Ubertini vescovo -d’Arezzo venuto a Firenze per la cagione che di sopra dicemmo, si -ristrinse co’ governatori del nostro comune segretamente animandoli -all’impresa di Bibbiena, conferendo di dare le sue ragioni al comune -di Firenze. Il suo ragionamento fu accettato; e aggiunta l’intenzione -buona del vescovo all’operazione di messer Biordo, il comune per -gareggiare la famiglia degli Ubertini, e mostrare che veramente -gli avesse in amore, a dì 23 d’agosto per riformagione ribandì gli -Ubertini; e per confermare la memoria delle fedeli operazioni di messer -Biordo, domenica mattina a dì 25 d’agosto fè cavaliere di popolo Azzo -suo fratello, con onorarlo di corredi e di doni cavallereschi; e di -presente lo feciono cavalcare a Bibbiena con gente d’arme a cavallo -e a piè, e a dì 26 del detto mese con la detta gente prese il poggio -al Monistero a lato a Bibbiena, e il borgo che si chiama Lotrina, e -ivi s’afforzarono vicini alla terra al trarre del balestro. Era nella -terra Marco e messer Leale fratello naturale di messer Piero Sacconi, -attempato e savio, i quali per alcuno sentore di trattato aveano -mandati di fuori della terra tutti coloro di cui sospettavano, e nel -subito e non pensato caso si fornirono prestamente di loro confidenti e -di molti masnadieri, il perchè convenia, ch’avendo la rocca e la forza -i terrazzani stessono a posa e ubbidienti loro, e pensando che la cosa -averebbe lungo trattato, s’ordinarono e afforzarono a fare resistenza -e franca difesa, sperando nella lunghezza del tempo avere soccorso. -Il comune di Firenze multiplicava a giornate l’assedio, e in servigio -del comune v’andò il conte Ruberto con molti suoi fedeli in persona, -e di presente pose suo campo, e simile feciono gli altri. E così in -pochi dì la terra fu cerchiata d’assedio, e gli Ubertini in tutte loro -rocche e castella vicine a Bibbiena misono gente del comune di Firenze, -e per più fortezza e sicurtà di quelli ch’erano al campo. La guerra -si cominciò aspra e ontosa secondo il grado suo, e que’ d’entro per -mostrare franchezza aveano poco a pregio il comune di Firenze, uscivano -spesso fuori a badaluccare, e a dì 30 d’agosto in una zuffa stretta fu -morto il conte Deo da Porciano, che v’era in servigio de’ Fiorentini. - - -CAP. XLVIII. - -_Come il comune comperò Soci._ - -Marco di Galeotto, come vide assediata Bibbiena, e avendovi presso Soci -a due miglia, con sano consiglio abbandonò la speranza de’ Perugini che -l’aveano per loro accomandato, e avuto licenza, perchè era in bando, -se ne venne a Firenze a’ signori; e ragunati i collegi, e richiestili, -liberamente si rimise nelle mani del comune con dire, che de’ fatti -del castello Sanniccolò e di Soci, e di ciò ch’egli avea nel mondo, -ed eziandio della persona ne facessono loro volontà: il comune per -questa sua liberalità e profferta spontaneamente e di buono volere, -e non ostante ch’e’ terrazzani di Soci si volessono dare al comune, -e ciò era fattevole senza contasto per forza che appresso al castello -avea il comune, tanto legò l’animo de’ cittadini, per natura benigni -a perdonare, che ’l comune si dispose a sopra comperare, per mostrare -amore e giustizia; e perchè il valente uomo si mostrasse contento, -e sopra ciò provveduto discretamente, adì 26 d’ottobre 1359 per li -consigli ribandirono Marco, e dierongli contanti fiorini seimila -d’oro; e fè carta di vendita di Soci e di tutte le terre che in que’ -luoghi avea, e le ragioni ch’avea in castello Sanniccolò concedette al -nostro comune, e delle carte ne fu rogatore ser Piero di ser Grifo da -Pratovecchio notaio delle riformagioni e altri notai, e così pervenne -Soci a contado del comune di Firenze. Come per tema non giusta Marco di -Galeotto si mise a venire a Firenze, e fece quello ch’avemo detto di -sopra, e così vennono i conti da Montedoglio volendosi accomandare al -comune, i quali non li vollono ricevere se prima non facessono guerra -a’ Tarlati, e non volendo ciò fare, si partirono con poca grazia del -nostro comune. - - -CAP. XLIX. - -_Come il vescovo d’Arezzo diede le sue ragioni che avea in Bibbiena al -comune di Firenze._ - -Messer Buoso degli Ubertini vescovo d’Arezzo, non potendo sotto -altro titolo che d’allogagione a fitto, a dì 7 di settembre 1359 -allogò al comune di Firenze per certo fitto annuale, facendo le carte -dell’allogagione di sette anni in sette anni, e facendone molte, le -quali insieme sono gran novero d’anni, e confessò il fitto per tutto -il detto tempo, e largì al comune ogni ragione e giurisdizione e -signoria che ’l vescovado d’Arezzo avea nella terra e distretto di -Bibbiena, e le carte ne fece il detto ser Piero di ser Grifo; e con -questa cautela fu giustificata l’impresa del nostro comune. Questa -concessione fatta per lo vescovo fu approvata e confermata per lo -comune d’Arezzo, il quale per fortificare le ragioni del nostro comune -ogni ragione ch’appartenea per qualunque ragione avea in Bibbiena gli -diede liberamente. A queste giuste ragioni s’aggiugnea l’animo e buono -volere de’ terrazzani di Bibbiena, che volentieri fuggivano la tirannia -di quelli da Pietramala: ciò cominciarono a mostrare quelli ch’erano -cacciati di fuori, ch’erano nel campo de’ Fiorentini guerreggiando i -Tarlati, e di poi lo mostrarono quelli ch’erano dentro quando si vidono -il tempo di poterlo fare, come seguendo nostro trattato racconteremo. - - -CAP. L. - -_Seguita la sequela della compagnia._ - -Seguendo i principii fatti per lo comune in mandare gente a messer -Bernabò contro alla compagnia, il signore di Bologna, ch’allora era -in pace con lui, li mandò cinquecento cavalieri, e quello di Padova, e -quello di Mantova, e quello di Ferrara ancora li mandarono della gente -loro; essendo il marchese di Monferrato fatto forte con la compagnia, -uscì fuori a campo con molta baldanza, ma di subito i signori di Milano -con loro oste li furono appetto, sicchè li convenia stare a riguardo, e -per tenerlo a freno i detti signori posono l’oste a Pavia, e strinsonla -forte. Il marchese avendo alla fronte il bello e grande esercito de’ -detti signori, non si potea volgere indietro a dare soccorso a Pavia -per non avere i nemici alla coda, e stando le due osti affrontati, non -ebbono tra loro cosa notevole, se non d’uno abboccamento di cinquecento -cavalieri di que’ della compagnia, che per avventura s’abboccarono con -altrettanti di quelli del comune di Firenze, intra’ quali per onta -e per gara e per grande spazio fu dura e aspra battaglia, e infine -i cavalieri de’ Fiorentini sconfissono quelli della compagnia. Nella -quale rotta furono presi tre caporali de’ maggiorenti della compagnia -con più di dugento cavalieri, e assai ve ne furono morti e magagnati; -e ciò avvenne d’ottobre del detto anno. Nell’assedio della città di -Pavia occorse un altro caso più spiacevole per lo fine suo; che essendo -preso da quelli da Pavia uno Milanese d’assai orrevole luogo, fuori -d’ordine di buona guerra fu impiccato; e venuta la novella a messer -Bernabò, e infocato d’ira, comandò a messer Picchino nobile cavaliere, -e di grande stato e autorità in Milano, che quattordici prigioni di -Pavia ch’erano nell’oste li facesse impiccare, infra’ quali ve n’era -uno di buona fama, e di gentile luogo, e d’assai pregio, non degno di -quella morte, per lo quale molti Milanesi ch’erano nell’oste pregarono -messer Picchino che cercasse suo scampo. Il quale mosso da pietà e -dalle giuste preghiere di tali cittadini mandò a messer Bernabò di -tali cittadini, e della sua umilità ferventemente pregò il signore -che per loro grazia e amore dovesse perdonare la vita a quello nobile -uomo; il signore per queste preghiere invelenito e aspramente turbato -comandò a messer Picchino che colle sue mani il dovesse impiccare; -il gentile uomo stepidito, e impaurito di tale comandamento, e -non meno di lui tutti i suoi amici e parenti, e molti buoni e cari -cittadini, cercarono stantemente con sommessione e preghiera, che ’l -nobile e gentile cavaliere, cui il signore avea fatto tanto d’onore, -di sì vile e vituperoso servigio non fosse contaminato; il signore -indurato alle preghiere, perseverando nella pertinacie sua, aggiunse -al vecchio comandamento, che se nol facesse, primieramente farebbe -impiccare lui. Il gentile cavaliere vedendo l’animo feroce del tiranno, -che se non facesse quello che gli era comandato che li convenia -vituperosamente morire, stretto da necessità, confuso e attristito, -si spogliò i vestimenti e di tutti i segni di cavalleria, e rimaso -in camicia, vestito di sacco con vile cappelluccio, e a maraviglia di -dispetto, andò a mettere a esecuzione il comandamento del tiranno, con -proponimento di non usare più onore di cavalleria, poichè era sforzato -d’essere manigoldo; che assai diede per l’atto a intendere quanto fosse -da prezzare il beneficio della libertà, da’ Lombardi non conosciuta. - - -CAP. LI. - -_De’ fatti di Sicilia e del seguire l’ammonire in Firenze._ - -Per sperienza di natura vedemo, che l’uomo appetisce di vari cibi, e -che di tale varietà lo stomaco piglia conforto, e fa digestione; e così -quando l’orecchie con fatica pure d’un medesimo modo udire desidera -intramesse d’altro parlare. Noi seguendo quello che natura per suo -ricriamento acchiede in quello luogo, accozzeremo molte novelle occorse -in molti luoghi e in uno tempo diversi, nè del tutto degni di nota, nè -da essere posti a oblio, e farenne una nuova vivanda in queste parti. -Per lo poco polso, e per la poca forza e vigore ch’aveano le parti che -governavano l’isola di Cicilia, loro guerre erano inferme e tediose; -il duca e’ Catalani col seguito loro aveano assai poca potenza, e -la parte del re Luigi molto minore; e le lievi guerre e continove -straccavano e consumavano l’isola, e nè l’una parte nè l’altra poteano -sue imprese fornire, e pure si guastavano insieme con fame e confusione -de’ paesani, che a giornate correano in miseria. Il duca avea alquanto -più seguito, e que’ di Chiaramonte speranza nell’aiuto del re Luigi, -che promettea loro assai, e poco facea; onde i gentili uomini non -tanto per amore del re, quanto per sostenere sè medesimi, e loro fama -e grandigia, intendeano alla guardia di Palermo, e d’alcuno castello -che il duca tenea debolmente assediato col braccio de’ Catalani, tra -che gli assediatori erano fieboli e di poca possanza, e gli assediati -poveri d’aiuto, niuna notevole cosa era stata a oste di quelle terre; e -lieve era agli assediati a schernire i nemici, e fargli da oste levare, -perchè oggi si poneano, e ’l dì seguente se ne levavano, e parea la -cosa quasi nel fine suo, per impotenza dell’una parte e dell’altra. -Ma quello che segue, tutto paia da’ principii suoi da poco curare e di -piccola stificanza, più nel segreto del petto che non mostra in fronte, -se Dio per sua pietà non provvede, chi sottilmente mira, può generare -divisione e scandalo nella nostra città. In questi giorni, colle febbri -lente continove dell’isola di Cicilia, le nostre, civili mali, ne’ loro -principii non curate, si perseguia l’ammonire chi prendesse o volesse -prendere uficio, e non fosse vero guelfo, o alla casa della parte -confidente. E certo in sè la legge era buona, come addietro dicemmo, -ma era male praticata, e recata a fare vendetta, e altre poco oneste -mercatanzie, perchè forte la cosa spiacea agli antichi e veri guelfi, -e agli amatori di quella parte, e della pace e tranquillità del nostro -comune. E scorto era per tutto, che ’l mal uso della riformagione -tenea sospesi, e in tremore e in paura più i guelfi ch’e’ ghibellini, -e sospettando di non ricevere senza colpa vergogna. A queste due -travaglie aggiugneremo una novità d’altre maniere. I Romani, che già -furono del mondo signori, e che diedono le leggi e’ costumi a tutti, -erano stati gran tempo senza ordine o forza di stato popolare, onde -loro contado e distretto si potea dire una spelonca di ladroni, e gente -disposta a mal fare. Il perchè volendosi regolare, e recarsi a migliore -disposizione, avendo rispetto al reggimento de’ Fiorentini, feciono -de’ loro cittadini popolari alquanti rettori con certa podestà e balía -assomiglianti a’ nostri priori, tutto che molto minore, e feciono capo -di rioni sotto il titolo di banderesi: ivi rispondeano a ogni loro -volontà duemilacinquecento cittadini giovani eletti e bene armati, -i quali al bisogno uscivano fuori della città bene armati a fare -l’esecuzione della giustizia contro a’ malfattori. Avvenne in questi -giorni, che conturbando con ruberie il paese uno Gaetano fratello -del conte di Fondi, fu preso, e senza niuna redenzione fu impiccato, -con molti suoi compagni che furono presi con lui di nome e di lieva. -Il perchè da queste e da altre esecuzioni fatte contro a’ paesani e’ -cittadini che ricettavano i malfattori, oggi il paese di Roma è assai -libero e sicuro a ogni maniera di gente. - - -CAP. LII. - -_Come Bibbiena per nuovo capitano fu molto stretta._ - -La punga che ’l comune faceva per avere Bibbiena era grande, e la -resistenza de’ Tarlati molto maggiore, e faceano forte maravigliare -i governatori del nostro comune, veggendo la durezza e la pertinacie -loro, non aspettando soccorso di luogo che venisse a dire nulla; e come -che la cosa s’andasse, non fu senza infamia del capitano del popolo -ch’era de’ marchesi da Ferrara, il quale era stato mandato per capitano -di tutta l’oste, il quale vilmente e lentamente in tutte cose si -portava, e d’alcuni cittadini che gli erano stati dati per consiglio. -Onde il comune prese oneste cagioni e’ rivocarono il capitano e ’l suo -consiglio, e in suo luogo mandarono il potestà con altri cittadini, -il quale fu messer Ciappo da Narni, uomo d’arme valoroso, e sentito -assai. Il quale avendo da Firenze molti maestri di legname e di -cave, prestamente fece cignere la terra di fossi e di steccati, e -imbertescando i luoghi dov’era bisogno, e in più parti, e alla rocca -e alla terra fè dirizzare cave, e simile faceano que’ d’entro per -riscontrare. Appresso vi dirizzarono due dificii che gittavano gran -pietre, e di dì e di notte secondo uso di guerra li molestavano, -senza dare loro riposo. Que’ d’entro per rompere e impedire i mangani -dirizzarono manganelle, colle quali assai danno facevano. Nè contento -il capitano alla detta sollicitudine, cominciò a cavare l’altre torri -de’ Tarlati per tenerle strette, e in esse cercava trattati, ne’ -quali fu preso Corone, e Giunchereto, e Frassineto per battaglia, e -all’uscita di settembre presono Faeto castelletto ch’era di messer -Leale, nel quale trovarono assai roba, e predato il paese, si tornarono -al campo. E perchè le castella prese erano del contado d’Arezzo, il -comune liberamente le rendè agli Aretini, i quali molto le ebbono a -grado, e tutto che nostro comune perseguitasse quelli da Pietramala a -suo potere, gli Aretini seguendo il grido non stavano oziosi, facendo -dal lato loro, quanto poteano e sapeano di guerra. E nel detto tempo -in sul giogo ripresono un loro castello che ’l conte Riccardo dal Bagno -lungo tempo avea loro occupato; e perseguendo l’assedio, nell’entrante -d’ottobre furono tratti a fine e forniti tre battifolli intra’ campi -erano posti, onde la terra fu per modo circondata d’assedio ch’entrare -nè uscire non potea persona. Lasceremo assediata Bibbiena, e a suo -tempo diremo come fu presa, e diremo alquanto delle cose straniere, che -in questi tempi avvennono da fare menzione. - - -CAP. LIII. - -_Come il re d’Inghilterra passò in Francia con smisurata forza._ - -Poichè al re d’Inghilterra fu manifesto, che la pace che fatta avea col -re di Francia da’ Franceschi non era accettata, e che il re di Navarra -avea fatta pace col Delfino di Vienna, la quale si stimava per li -discreti essere proceduta d’assento e ordine di esso re d’Inghilterra, -sotto speranza, che essendo il re di Navarra ne’ consigli de’ -Franceschi e creduto da loro, più dentro potesse a tempo preso di -male operare in sovversione della casa di Francia, che di fuori -colla guerra, perocchè come il savio dice, che niuna pestilenza è al -nocimento più efficace che il domestico e famigliare nemico, aggravando -alle cagioni della guerra, con dare il carico di non volere la pace a’ -suoi avversari, fece suo sforzo di suoi Inghilesi e di gente soldata -maggiore che mai per l’addietro, e mandò in prima il duca di Lancastro -con centoventitrè navi, nelle quali furono millecinquecento cavalieri -e ventimila arcieri, all’entrata d’ottobre 1359, e posto in terra la -gente, si mise infra il reame di Francia verso Parigi, e col navilio -predetto tornato nell’isola, aggiunte molte altre navi, all’uscita del -mese il re Adoardo col prenze di Gaules e con gli altri suoi figliuoli, -con esercito innumerabile di suoi Inghilesi a piè, quasi tutti arcieri, -anche passò a Calese. E secondo ch’avemmo per vero, il numero di sua -gente passò centomila. La detta mossa contro al tempo di guerra fa -manifesto, che molto empito e smisurato volere movea il re Adoardo, e -fermezza nell’animo suo ch’era grande e smisurato d’ottenere quello che -lungo tempo avea desiderato, perchè principiò nell’entrata del verno, -che suole dare triegua e riposo alle guerre. E perchè il tempo allora -era dirotto alle piove, e il paese di Francia è pieno di riviere, molti -stimarono che ciò facesse, per dimostrare a’ nemici quello che della -guerra potesse seguire nella primavera e nella state, cominciando in -sul brusco per spiacevole tempo, e per infiebolire gli animi loro sì -con la possa smisurata, e sì con dare speranza di molta e tediosa -lunghezza di guerra. Come procedette questa trionfale e terribile -impresa, seguendo a suo tempo diremo. - - -CAP. LIV. - -_La poca fede del conte di Lando._ - -Non è da lasciare in silenzio, oltre all’altre infamie, quello che -della corrotta fede che in que’ giorni mosse il conte di Lando al -marchese di Monferrato, il quale con molto spendio e fatica gli avea -tratti di Toscana lui e sua compagnia, ove si potea dire veramente -perduta, e fatti conducere a salvamento per la Riviera di Genova, e -poi pel Piemonte nel piano di Lombardia, con patti giurati di tenerli -fede infino a guerra finita contro a’ signori di Milano, con certo -soldo limitato da potersi passare con avanzo, il traditore, rotta -ogni leanza e promessa al marchese predetto, del mese d’ottobre con -millecinquecento barbute prese segretamente il soldo di messer Bernabò, -e uscì dell’oste del marchese, e se n’andò in quello de’ nemici con -l’insegne levate, rimanendo Anichino e gli altri caporali col resto -della compagnia al marchese; i quali molto biasimarono il fallo -enorme del conte, pubblicamente appellandolo traditore; ma poco tempo -appresso, tirati dal suono della moneta de’ signori di Milano, feciono -il simigliante, e tutti abbandonarono il marchese, verificando il -verso del poeta: Nulla fides, pietas que viris qui castra sequntur; che -recato in volgare viene a dire: Niuna fede nè niuna pietà è in quelli -uomini che seguitano gli eserciti d’arme, cioè a dire in gualdana a -predare, e a fare male. I signori di Milano dopo la venuta del conte -fortissimamente strinsono la città di Pavia, togliendo a que’ d’entro -ogni speranza di soccorso, perocchè vedendo il marchese i modi tenuti -per lo conte di Lando, ed origliando i cercamenti che i Tedeschi -che gli erano rimasi faceano, non osava e non si confidava mettere a -bersaglio per soccorrere la terra. - - -CAP. LV. - -_Come Pavia s’arrendè a messer Galeazzo._ - -Gli affannati e tribolati cittadini di Pavia e disperati d’ogni -soccorso, e spezialmente di quello del marchese, cui vedeano da’ -Tedeschi gabbato e tradito, e altro capo non aveano che frate Iacopo -del Bossolaro, col suo consiglio cercarono d’arrendersi a patti a -messer Galeazzo il quale liberamente gli accettò con tutti que’ patti -e convenienze che ’l detto frate Iacopo seppe divisare: e fermo tutto -e’ ricevettono dentro messer Galeazzo con la sua gente del mese di -novembre del detto anno; il quale entrato dentro con buona cera, -si contenne senza fare novità, mostrandosi benigno e piacevole a’ -cittadini e a frate Iacopo, e fecelo di suo consiglio, mostrandoli -fede e amore, e avendolo quasi come santo e in grande reverenza; e con -questa pratica e infinta sagacità ordinò con lui assai di quello che -volle senza turbare i cittadini; e avendo recato in sua balía tutte le -fortezze della terra e di fuori si tornò a Milano, mostrando a frate -Iacopo affezione singulare, e lo menò seco, e come l’ebbe in Milano il -fece prendere, e mettere in perpetua carcere, e condannato il mandò a -Vercelli al luogo de’ frati dell’ordine suo, e ordinatoli quivi una -forte e bella prigione, con poco lume e assai disagio, ponendo fine -alle tempeste secolari che con la lingua sua ornata di ben parlare -avea commesse. E ciò fatto, tenea all’opera più di seimila persone, e -fece cominciare in Pavia una fortezza sotto nome di Cittadella, nella -quale si ricogliesse tutta sua gente d’arme senza niuno cittadino; -e ciò non fu senza lagrime e singhiozzi de’ cittadini, siccome di -prima cominciarono a vedere il principio dello spiacevole giogo della -tirannia, e sì per lo guasto delle case loro che si conteneano nel -luogo, ove s’edificava lo specchio della miseria loro, dove portavano -gran danno e disagio; e per nominare quello che suole addivenire a -chi cade in mala fortuna, frate Iacopo era infamato degli omicidi, -che non furono pochi, i quali erano proceduti delle prediche sue, -e de’ cacciamenti di molti cari e antichi cittadini di Pavia sotto -maestrevole colore di battere e affrenare i tiranni; ma quello che -più parea suo nome d’orrore nel cospetto di tutti erano le rovine de’ -nobili edifici di que’ da Beccheria e d’altri notabili cittadini che -li seguivano, mostrando che l’abbattere il nido agli uomini rei era -meritorio, quasi come se peccassono le case, che è stolta cosa, tutto -che per mala osservanza tutto giorno s’insegna queste cose, parea che -l’accusassono di crudeltà; e quello costringono d’avarizia, perocchè -sotto titolo di cattolica ubbidienza aveano fatto statuti, che chi non -fosse la mattina alla messa e la sera al vespero pagasse certa quantità -di danari; e avendo sopra ciò fatte le spie, cui trovassono in fallo il -minacciavano d’accusare, e sotto questa tema li facevano ricomperare. -E certo chi volesse stare nel servigio di Dio e nelle battaglie di -vita riligiosa, e mescolandosi nelle cose del secolo e ne’ viluppi -è spesso ingannato da colui che si trasfigura in vasello di luce per -ingannare quelli col principio della santa operazione, favoreggiando -col grido del popolo il santo l’indusse a vanagloria e in crudeltà, e, -come dovemo stimare, Iddio con le pene della croce lo ridusse alla vita -d’onde s’era per lusinghe del mondo partito. - - -CAP. LVI. - -_Come i signori di Milano sfidarono il signore di Bologna._ - -Come la sete dell’avaro per acquisto d’oro non si può saziare, così la -rabbia del tiranno non si può ammorzare per acquisto di signoria; per -divorare tiene la gola aperta, e quanto più ha cui possa distruggere -e consumare, più ne desidera. Questo per tanto dicemo, perchè in -questi dì, avendo i signori di Milano con la forza della moneta e -col tradimento del conte di Lando e d’Anichino vinto e vergognato il -marchese di Monferrato, e aggiunta per forza alla loro signoria la -nobile e antica città di Pavia, ringraziando con lettere il comune -di Firenze del bello e buono servigio della sua gente ricevuto, di -presente la rimandò; e cresciuto loro l’animo per lo felice riuscimento -della città di Pavia, entrarono in pensiero e in sollicitudine di -rivolere o per amore o per forza la città di Bologna, non ostante -che da messer Giovanni da Oleggio loro consorto che allora la tenea -avessono avuto aiuto alla loro guerra seicento barbute, le quali -ritennono ad arte e con ingegno al soldo loro, pensando d’avere -mercato nel subito loro movimento del signore di Bologna, trovandosi -ignudo e sfornito di gente d’arme a difesa; e con trovare rottura -di pace, scrissono al comune di Firenze che non si maravigliasse, -perchè sì subito assalissono con la forza loro il signore di Bologna, -da cui erano stati traditi, e che a loro avea rotta la pace senza -niuna giusta cagione; e nella lettera scritta di questa materia al -comune era intramessa la copia di quella che mandarono al signore di -Bologna, sfidandolo e appellandolo per traditore, la quale lettera fu -appresentata al signore di Bologna come l’oste de’ signori di Milano -giunse nel terreno di Bologna. - - -CAP. LVII. - -_Come messer Bernabò mandò l’oste sua sopra Bologna._ - -Seguendo la materia del precedente capitolo, all’entrata di dicembre -del detto anno, messer Bernabò fece capitano della gente che mandò -nel Bolognese il marchese Francesco da Esti, il quale essendo cacciato -di Ferrara era ridotto a messer Bernabò, ed era suo provvisionato, e -senza niuno arresto con tremila cavalieri, e millecinquecento Ungheri, -e quattromila pedoni e mille balestrieri lo fece cavalcare in su -quello di Bologna, avendo il passo dal signore di Ferrara, allora in -amicizia e compare di messer Bernabò, e oltre al passo, vittuaglia e -aiuto; e come uscì del Modenese si pose a campo intorno al castello di -Crevalcuore, e ciò fu infra dieci dì infra ’l mese di dicembre, e ivi -stette più giorni; sollecitato con parecchie battaglie il castello, -non avendo soccorso dal signore di Bologna, a dì 20 del detto mese -s’arrendè a promissione di messer Giovanni de’ Peppoli, il quale era -nell’oste al servigio di messer Bernabò; e ricevuto il castello e le -guardie del capitano dell’oste, essendo il castello abbondevole di -vittuaglia, assai n’allargò l’oste. Avuto Crevalcuore, le villate -ch’erano d’intorno da lunga e da presso per non essere predati -ubbidirono il capitano, facendo il mercato sotto il caldo e baldanza -di questo ricetto. Bene che la vernata fosse spiacevole e aspra per -le molte piove, quelli dell’oste ogni dì cavalcavano insino presso a -Bologna, levando prede e prigioni, e tribolando il paese; il signore -di Bologna, ch’era savio e d’animo grande, non faltò di cuore per -la non pensata e subita guerra, e veggendosi per l’astuzia di messer -Bernabò che gli avea levati i soldati, come dicemmo di sopra, povero di -gente d’arme e d’aiuto, senza indugio trasse delle terre di fuori que’ -terrazzani che si sentì ch’erano sospetti, e le rifornì di soldati, -perchè i terrazzani non avessono podere d’arrendersi sì prestamente -come fatto aveano quelli di Crevalcuore; e attendea con sollicitudine -allo sgombro, e ad apparecchiare la città a difesa, e a fare buona -guardia. Il cardinale di Spagna li mandò di soccorso quattrocento -barbute che li vennono a gran bisogno. Lo detto signore conoscendo -la sua impotenza, e non essere sufficiente a potere rispondere a -quella de’ signori di Milano, nondimeno cercò sottilmente con segreto -trattato, offerendo di fare alto e basso quanto fosse piacere del -comune di Firenze, di torlo in suo aiuto, ma la fede promessa per la -pace vinse ogni vantaggio che potessono avere. - - -CAP. LVIII. - -_Come fu maestrato da prima in Firenze in teologia._ - -Poco è da pregiare per onestà di fama che uno sia con le usate -solennitadi, ne’ luoghi dove sono li studi generali delle scienze -privilegiate dalla autorità del santo padre e dell’imperio di Roma, -pubblicamente scolaio maestrato; ma essendo questo atto primo e nuovo, -e più non veduto nelle città che hanno di nuovo privilegi di ciò potere -fare, bello pare e scusabile d’alcuni farne memoria, non per nome -dell’uomo, che per avventura non merita d’essere posto in ricordo di -coloro che verranno, ma per accrescimento di tali cittadi, ove tale -atto da prima è celebrato. In questi giorni per virtù de’ privilegi -alla nostra città conceduti per lo nostro papa Clemente sesto, infra -l’altre cose contenne di potere maestrare in teologia, a dì 9 di -dicembre nella chiesa di santa Reparata pubblicamente e solennemente -fu maestrato in divinità, e prese i segni di maestro in teologia frate -Francesco di Biancozzo de’ Nerli dell’ordine de’ frati romitani; e -il comune mostrandosi grato del beneficio ricevuto di potere questo -fare, per lungo spazio di tempo fece sonare a parlamento sotto titolo -di Dio lodiamo tutte le campane del comune, e’ signori priori co’ loro -collegi, e con tutti gli uficiali del comune, con numero grandissimo -di cittadini furono presenti al detto atto di maestramento, che fu cosa -notabile e bella. - - -CAP. LIX. - -_Come fu morto il signore di Verona dal fratello._ - -Messer Cane della gesta di quelli della Scala signori di Verona, -per morbidezze di nuova fortuna era divenuto dissoluto e crudele, -e per tanto in odio de’ suoi cittadini grande, senza amore de’ suoi -cortigiani, eziandio de’ suoi consorti e parenti; essendo per andare -in questi tempi nella Magna a’ marchesi di Brandimborgo, ch’erano -suoi cognati, e avendo i suoi fratelli carnali, messer Cane Signore -e Polo Albuino, secondo il testamento di messer Mastino erano con lui -consorti nella signoria, e non prendendo di niuno di loro confidanza, -ma piuttosto sospetto, segretamente fè giurare i soldati nelle mani -d’un suo figliuolo bastardo. Come questo sentirono i fratelli forte -l’ebbono a male, e presonne sdegno: messer Cane Signore ne fece parlare -dicendo al gran Cane, che tanta sconfidanza non dovea mostrare ne’ -fratelli: le parole, quanto che assai fossono amorevoli, furono gravi -e sospettose al tiranno, e con parole di minacce spaventò e impaurì il -fratello, tutto che per avventura non fosse nell’animo suo quanto le -minacce dicevano. Il giovane pensò che assai era lieve al fratello a -fare quanto dicea in parole, perchè conoscea che molta crudeltà regnava -nell’animo suo, e che per tanto poco al signore arebbe riguardato; -onde un sabato, a dì 14 di dicembre detto anno, essendo cavalcato Gran -Cane per la terra con piccola compagnia, e Cane Signore accompagnato -di due scudieri di cui tutto si confidava se n’andò alla stalla del -signore, e tolse tre corsieri i più eletti e i migliori vi trovò, e -montativi tutti e tre a cavallo, con l’armi celate si mosse per la -terra a piccoli passi cercando del gran Cane, e come lo scontrarono, il -gran Cane disse al fratello, ch’e’ non facea bene a cavalcare i suoi -corsieri, e Cane Signore rispose; Voi fate bene sì che voi non volete -ch’io cavalchi niuno buono cavallo: e tratto fuori uno stocco ch’avea -a lato accortamente gli si ficcò addosso, e con esso il passò dall’un -lato all’altro, e menatoli un altro colpo in sul capo l’abbattè del -cavallo, e per tema di non essere sorpreso prese la fuga, avacciando -in forma il cammino che in Padova giunse la sera; ed essendo come -da parte del signore ricevuto, li manifestò quello ch’avea fatto al -fratello, e le ragioni che mosso l’aveano: il signore mostrò per la -spiacevolezza del caso ne’ sembianti doglienza, senza assolvere il -fatto o condannare, confortato il giovane che a lui era fuggito, con -speranza che la cosa che proceduta era da sdegno arebbe buono fine. In -questa miserabile fortuna di tanto signore non si trovò chi traesse -ferro fuori, nè chi perseguitasse il fratello, e quelli ch’erano con -lui, tremando di sè ciascuno, per immaginazione che sì alta cosa essere -non potesse senza ordine, si fuggirono di presente, e lasciarono in -terra il loro signore a morte fedito. - - -CAP. LX. - -_Come Cane Signore fu fatto signore di Verona._ - -Sentito che fu per Verona il caso sinistro di loro signore, non si -trovò nella terra persona che si levasse di cuore, tanto era odiato e -mal voluto; e dopo alquanto spazio di tempo fu ricolto di terra senza -avere conoscimento niuno, e spiritò poco, sicchè appena levato del -luogo passò, e lasciò la tirannia e la vita. L’esequie per l’onore -del titolo che tenea, e della casa, li furono fatte magnifiche, e più -liete in vista che dolorose; perocchè riso e pianto, e l’altre forti -passioni dell’animo coll’altro contrario male si possono coprire. -Il popolo vile, e costumato in servaggio, trovandosi in sua libertà, -perocchè non v’era capo di signoria, se non per Polo Albuino ch’era -un piccolo garzone senza consiglio e senza gente d’arme, perocch’erano -tutti in servigio di messer Bernabò nell’oste a Bologna, nè altro caldo -o favore, non seppono usare la libertà e la franchigia che loro avea -non pensatamente renduto fortuna. Radunati insieme i fratelli di Gran -Cane, nel parlamento in segno di signoria diedono la bacchetta a Polo -Albuino ricevendo per sè e per lo fratello, e di presente crearono -ambasciadori, e mandaronli a Padova a Cane Signore, invitandolo -che venisse a prendere la cura della sua città di Verona; il quale -accompagnato da dugento cavalieri del signore di Padova si partì, e -giunto in Verona, con grande letizia e onore fu ricevuto, facendolisi -incontro alla porta il fratello, e ivi li diede la bacchetta, e -lo rinvestì della signoria che avea ricevuta per lui; e così per -dimostranza di fede rimasono amendue nella signoria ch’avea ricevuta -per lui, e la città si posò senza novità niuna in buona pace. - - -CAP. LXI. - -_Come fu presa Bibbiena pe’ Fiorentini._ - -Essendo stato l’assedio a Bibbiena per spazio di due mesi e dodici -dì, nel quale messer Leale e Marco, essendo senza triegue colle -battaglie continue e con trabocchi che mai non ristavano in aperto e -di fuori combattuti, e in occulto colle cave, e coll’animo grande e -colla sollecitudine sofferivano tutto senza riposo, e con consiglio -poneano a ogni cosa riparo; e indurati negli affanni e ne’ pericoli -non si dichinavano a nulla, ma con fronte dura e pertinacia più si -mostravano fieri che mai. I terrazzani per la disordinata fatica, e -perchè vedeano guastare i beni loro dentro e di fuori, desideravano -l’accordo, e vedendo che la cosa a lungo andare convenia che venisse a -quello che volea il comune di Firenze, e pareva a loro che quanto più -si stentava venire in maggiore indegnazione de’ Fiorentini, e maggiore -distruggimento e consumazione di loro e di loro cose; e pertanto alcuna -volta pregarono i Tarlati che prendessono partito a buon’ora, ed ebbono -da loro spiacevole e mala risposta. Onde seguì, che diciotto di loro -segretamente si giurarono insieme, de’ quali si fece capo uno maestro -Acciaio, uomo secondo suo grado intendente e coraggioso, i quali senza -indugio o perdimento di tempo s’intesono con alcuni de’ terrazzani di -Bibbiena, cui i Tarlati aveano per sospetto cacciati fuori e riduciensi -nell’oste de’ Fiorentini, con offerire loro, che dove potessono -avere sicurtà e fermezza che la terra non fosse rubata, che a loro -dava il cuore di farla venire assai prestamente alle mani del comune -di Firenze. E ciò avendo gli usciti sentito, se ne ristrinsono con -Farinata degli Ubertini, il quale con loro entrò in ragionamento con -due cittadini di quello uficio della guerra i quali erano nel campo, e -li domandarono che fede, che sicurtà, e che patti voleano; e fu loro -detto da’ cittadini. E ciò udito, lo conferirono a bocca a’ signori -e a’ collegi, e da loro ebbono piena balía di potere prendere piena -concordia, di promettere e sicurare come a loro paresse a beneficio e -contentamento de’ terrazzani, salvando l’onore del comune; e tornati -nel campo, feciono a quelli d’entro sentire che aveano mandato di -convenirsi con loro. I congiurati per alquanti giorni attesono il tempo -che a loro toccava la guardia in certa parte delle mura, e venuto, -con una fune collarono un fante, e mandaronlo al Farinata, il quale fu -co’ detti cittadini con cui conduceva il detto trattato, e di presente -furono al capitano, e li manifestarono il fatto com’era. Il capitano, -per coprire col senno suo segreto, diede a intendere che avea sentito -che la notte certa gente dovea entrare in Bibbiena, e che volea porre -aguato a quel luogo, per lo quale avea sentore che doveano entrare, -ed elesse sotto il detto nome quattrocento fanti de’ migliori e de’ -più gagliardi ch’erano nell’oste, e ottanta uomini di cavallo a piè -armati di tutte loro armi, e seco volle il Farinata con tutti gli -usciti di Bibbiena, i quali con altri loro confidenti furono ottanta -fanti; e avendo il capitano fatto provvedere delle scale, e ricevuto da -quelli d’entro l’avviso dove le dovesse accostare, il dì della pasqua -dell’Epifania, a dì 6 di gennaio 1359, in sulla mezza notte quetamente -s’accostarono alle mura, e avendo avuto avviso di fuori da maestro -Acciaio e da’ suoi congiurati ch’erano in sulle mura alla guardia di -quel luogo, ve ne rizzarono cinque, e Farinata di prima co’ suoi, e -appresso il capitano montarono in sulle mura, e discesono nella terra -alla condotta de’ congiurati, non trovando chi gli impedisse. Mentre -si faceano queste cose, uno masnadiere nominato, assai confidente di -Marco, che andava cercando le mura, quando giunse in quella parte, -ricevuto il nome da’ terrazzani e datoli la via, come fu in mezzo di -loro fedito il traboccarono delle mura dentro; e ciò fatto, il romore -si levò nella terra, al quale si destò tutta l’oste, che non sapeano -che si fosse, e accostati alla terra quelli ch’erano entrati, levate -l’insegne del comune di Firenze s’avvisarono insieme, attendendo che -gli eletti per lo capitano di quelli che dicemmo di sopra fossono tutti -dentro. Marco, ch’era nella rocca con la sua brigata più fiorita, uscì -fuori francamente, e percosse a quelli ch’erano entrati, ma da loro -ricevuto senza paura con le spade villanamente fu ributtato; nel quale -assalto il Farinata, ch’era di quelli dinanzi, fu fedito d’una lancia -nell’arcale del petto sì gravemente, che gli fu necessità ritirarsi -indietro, della quale fedita assai ne stette in pericolo di morte. -Il capitano scendendo nell’entrata delle scale cadde, e sconciossi -il piede in forma che non potè stare in su’ piedi, sicchè amendue i -capitani in sull’entrata in quella notte furono impediti. I terrazzani -che da’ nostri cittadini aveano ricevuta la fede, che non riceverebbono -nè danno nè ingiuria, sfatavano nelle loro case senza offendere i -Fiorentini, e alquanti di loro intimi amici di Marco e suoi servidori -per tema si fuggirono nella rocca; e stando la terra in questi termini, -da quelli d’entro a quelli di fuori fu l’una delle porti tagliata, -sicchè la gente in fiotto entrò dentro, e furono signori della terra. I -due Fiorentini, che in nome del comune aveano promesso che nè violenza -nè ruberia non si farebbe, in quella notte s’adoperarono sollecitamente -in forma e in modo che niuna ingiuria, o ruberia o danno nella terra -si fece eziandio in parole. I terrazzani uomini e donne assicurati -offeriano pane e vino, e altre cose abbondantemente, così a quelli -ch’erano entrati come a quelli ch’entravano. Come a Dio piacque, e -fu mirabile cosa, la terra si vinse senza spargimento di sangue, e -senza ruberia o ingiuria o violenza niuna o piccola o grande, che a -raccontare è cosa incredibile e vera. - - -CAP. LXII. - -_Come la rocca di Bibbiena s’arrendè al comune di Firenze._ - -Vedendo Marco che la terra era presa, e ch’egli era con gente assai -nella rocca e con poca vittuaglia, perocchè per tema delle cave l’avea -sfornita, cercò di potersi patteggiare salvando le persone, ma non -ebbe luogo, e dibattutosi sopra ciò per molte riprese, infine impetrò, -che la sua donna ch’era figliuola del prefetto da Vico, la quale era -gravida, con un suo piccolo fanciullo con tutti gli arnesi di lei se -ne potesse andare, e che i terrazzani e alcuni sbanditi del comune di -Firenze fossono salvi; e quanto s’appartenne agli sbanditi, non fu -senza ombra d’infamia a’ nostri cittadini che si trovarono a questo -servigio. Marco e Lodovico suo fratello, e messer Leale loro zio, -Francesco della Faggiuola e altri masnadieri in numero di quaranta -rimasono prigioni, tutto che poi appresso il detto Francesco ch’era -garzone e infermo fosse lasciato, e a dì 7 di gennaio del detto anno -renderono la rocca, e a dì 12 del detto mese vennono presi a Firenze -i detti Tarlati, e furono messi spartitamente l’uno dall’altro nelle -prigioni del comune di Firenze. - - -CAP. LXIII. - -_Di novità state in Spagna._ - -Carlo fratello naturale dello scellerato re di Spagna, e da lui -cacciato, si riducea col re d’Araona, conoscendo che la forza e -bestiale vita del fratello nel reame per paura lo facea temere e -odiare; e per tanto stimando che li fosse assai leggiere a fare -movimento nel reame eziandio con piccola gente, avuto dal re ottocento -cavalieri si mise in certa parte della Spagna, e correndo il paese -ricolse gran preda. Il re com’ebbe del fatto sentore, sapendo il -luogo dov’erano, e che loro era necessario volendo tornare in loro -paese passare per un certo luogo malagevole e stretto, subito mandò -duemila cavalieri ad occupare quel passo. Sentendo Carlo e’ Catalani -che ’l passo ond’era la loro ritornata era preso, e la gente che -v’era, volgendo la tema in disperazione, si deliberarono di mettersi -alla fortuna della battaglia, che altro rimedio non v’era. Il valente -giovane Carlo col volto fiero, come fosse certo della vittoria -confortando i Catalani, e inanimandoli a ben fare, mostrava che tra -la gente che gli attendea de’ nemici erano pochi buoni uomini, e che -gli altri erano gente vile e dispettosa, e male armata e novizza, e -dell’onore del re per sua crudeltà poco desiderosa, aggiugnendo, che -se voleano a loro donne e famiglie tornare, necessità era loro fare la -via con le spade in mano, e che certo si rendea, conoscendo la virtù -loro, che arebbono la via onoratamente. I Catalani vedendo l’animo -ardito e sicuro dei giovane presono speranza di vittoria, e si misono -alla battaglia, la quale fu fiera, e aspra e dura lungo tempo, ma i -Catalani, come la necessità strignea, raddoppiate le forze e l’ardire, -diportandosi valentemente, ruppono e sbarattarono gli Spagnuoli, -e oltre a’ morti e a’ magagnati ne furono presi più di trecento -cavalieri, e con la preda e con la vittuaglia non pensata si tornarono -in Araona. - - -CAP. LXIV. - -_Come i Pistoiesi ripresono il castello della Sambuca._ - -Durando la guerra dal signore di Milano a quello di Bologna, e tenendo -quello di Bologna il castello della Sambuca, ch’era del contado di -Pistoia, ed era la chiave di dare l’entrata e l’uscita per li paesi -così all’offesa come alla difesa, veggendo i Pistoiesi che il signore -di Bologna era forte impedito della detta guerra, e che messer Bernabò -sormontava, presono tempo, e consiglio e favore, e il vescovo loro, -il quale era Fiorentino, nella Sambuca trattò, e seppe tanto trattare -e ordinare, che l’una delle guardie che guardava la torre della -rocca uccise il capitano; e fermato l’uscio per modo che di sotto -non poteano essere offesi, salì nella vetta, e colle pietre cominciò -a combattere col castellano dal lato d’entro, e’ terrazzani, com’era -ordinato, cominciarono a combattere di fuori; sicchè non potendo stare -alla difesa, che non lasciava, quei della torre vi cavalcarono. Il -castellano, ch’era Lombardo, stordito per lo tradimento e per lo subito -assalto, s’arrendè, salve le persone e l’avere, e all’uscita di gennaio -del detto anno, e la terra rimase liberamente nelle mani de’ Pistolesi. -Di questa cosa i Fiorentini furono molto contenti, sperando al bisogno -potere avere la guardia di quello luogo a sua difesa. - - -CAP. LXV. - -_Come messer Bernabò strignea Bologna._ - -L’oste di messer Bernabò in questi tempi continovamente cresceva, la -quale avea fermato suo campo a Casalecchio, e il capitano del luogo -faceva cavalcare le brigate or qua or là, rompendo le strade, e facendo -assai danno a’ paesani. Gli Ubaldini ad arte si mostravano divisi, -e parte ne teneano con messer Bernabò, e parte con messer Giovanni, -il perchè le strade e l’alpi non si poteano usare. Il legato, che -come il nibbio aspettava la preda, per trarre a sè l’animo di messer -Giovanni, cui vedea dovere poco durare, l’aiutava con tutta la sua -forza, mettendo al continovo in Bologna gente e vittuaglia. Messer -Bernabò di ciò forte turbato, gli scrisse, che non faceva bene a -impedirlo che non tornasse in casa sua, minacciandolo, che se non -se ne rimanesse li farebbe novità nella Romagna e nella Marca. Per -queste minacce il legato più si sforzava ad atare messer Giovanni, il -quale vedendosi male parato e poco atto alla difesa, durando la guerra -guari di tempo, per più riprese mandava a Milano suoi ambasciadori per -levare messer Bernabò dall’impresa, e nondimeno ricercava se potesse -muovere i Fiorentini in suo aiuto; e non trovandovi modo, cominciò a -trattare collegato il ragionamento: il quale dava gli orecchi a volere -fare l’impresa, la quale nella fine venne fornita, come a suo tempo -diremo. Ma in questi dì, la cosa tanto dubbiosa e avviluppata, che -non si vedea dove la cosa ragionevolemente potesse passare, la guerra -rinforzava a giornate. Il capitano di messer Bernabò per più strignere -la terra e da lungi e da presso ponea bastie, e all’uscita di febbraio -ebbe Castiglione per trattato, ch’è un forte castello posto tra Modena -e Bologna. Il signore di Bologna, ch’era uomo al suo tempo riputato, -astuto e di buona testa, e per molti anni pratico delle battaglie del -mondo, bene conosceva che impossibile era sua difesa contro la forza -di messer Bernabò, non avendo altro aiuto, e però sagacissimamente -si sostenea, traendo delle castella quelli terrazzani che gli erano -sospetti, e bene li conoscea, e in Bologna sotto solenne guardia tenea -molti cittadini di cui non prendea confidanza; e del continovo pensava, -come con suo vantaggio e onore potesse dare ad altrui i pensieri della -guerra, e uscire di tante persecuzioni in luogo dove potesse il resto -de’ suoi giorni in pace vivere. - - -CAP. LXVI. - -_Come gli Aretini riebbono il castello della Pieve a santo Stefano._ - -Il castello della Pieve a santo Stefano lungo tempo era stato nelle -mani de’ Tarlati; e’ terrazzani sentendo che Bibbiena era presa pe’ -Fiorentini, temendo de’ mali che verisimilemente potevan loro avvenire, -cercarono di volersi acconciare con li Aretini con volontà di quelli -da Pietramala. Nella terra era uno figliuolo di messer Piero Sacconi -male in concio a potere resistere al loro volere, e però venendo -eglino a lui, loro consentì ciò che seppono divisare; e di presente -fece il fatto a’ suoi consorti sentire, e ad altri amici caporali -di loro stato, i quali senza indugio copertamente mandarono fanti al -castello, e uno di loro con pochi compagni disarmati, come se andassono -a sollazzo, entrò dentro con loro, e come si sentirono forti dentro -mutarono sermone, e coloro che si voleano accordare, e tutti quelli che -si faceano a ciò capo mandarono per stadichi ad altre loro tenute, e di -gente forestiera fornirono la guardia della terra, il perchè la cosa, -per allora si rimase. Ma i villani della terra loro intenzione, senza -mostrare segno di fuori, serbarono nel petto, e a dì 8 di febbraio -detto anno, non prendendone guardia i Tarlati che aveano la cosa per -cheta, i terrazzani preso loro tempo tutti si levarono a romore, e -presi i caporali de’ loro signori e de’ soldati, tenendoli tanto che -riebbono li stadichi loro, e liberaronsi della tirannia, racconciandosi -col comune d’Arezzo, e tornando allo stato e costume antico di loro -contadini, con certe immanità che domandarono, e loro furono concedute. -Questo fu alla casa de’ Tarlati, dopo la perdita di Bibbiena, grande -abbassamento di loro stato e signoria. - - -CAP. LXVII. - -_Come il re d’Inghilterra si pose a oste alla città di Rems._ - -Il gennaio 1359 il re d’Inghilterra pose campo vicino alla città di -Rems, usando cautela di non fare loro guasto di fuori, e per più fiate -con belli modi cercò con impromesse di magnificare e d’esaltare quella -villa sopra tutte quelle di Francia, che gli fosse prestato l’assento -che in quella città potesse prendere la corona di Francia, promettendo -a tutti di trattarli benignamente; ma poichè vide che non era udito, -stimando che facessono ciò per vergogna d’arrendersi senza dominaggio, -li cominciò a minacciare di lungo assedio e disolazione della terra se -non facessono quello che domandava; ma lusinghe nè minacce approdarono -niente, perocchè fu di comune assentimento risposto loro, che aveano -loro diritto re, a cui intendeano mentre che durasse loro spirito in -corpo stare leali, diritti e fedeli, e che facesse suo podere contro -a loro che alla difesa intenderebbono a loro podere. Avendo il re -d’Inghilterra dalla comune di Rems questa finale risposta, diede boce, -che forniti quaranta dì d’assedio, di fuori in campo prenderebbe la -corona; ma non succedendo le cose a suo proponimento, convenne che -prendesse per lo migliore altro consiglio. E ciò avvenne, perchè la -stagione era forte contraria a tenere suo esercito insieme o a sicurtà, -e dividere non lo potea; onde per fare maggiori danni per lo reame, -e per stendersi con meno gravezza nel verno, prese e ordinò la sua -cavalleria come appresso racconteremo. - - -CAP. LXVIII. - -_Discordia del conte di Focì a quello d’Armignacca._ - -Vedendo il re, come poco davanti dicemmo, che il suo stallo a Rems -era pericoloso e con poco profitto, all’entrare di febbraio divise suo -oste, e una parte ne fece cavalcare per lo paese, la quale non trovando -contrario s’arrestò a san Dionigi ch’è presso a Parigi a due leghe: e -questa mandata secondo l’opinione di molti fu di consiglio del re di -Navarra e con suo favore, sotto la scusa dello sdegno preso per lui per -lo Delfino di sospetto de’ mali ch’e’ facea. Il Delfino, col consiglio -di certi baroni fidati e fedeli alla corona, intendea a fornire le -rocche e le terre, e a fare sollecita e buona guardia in ogni luogo, -e lasciava correre e cavalcare il paese alla volontà degl’Inghilesi. E -stando in queste tenebre il reame di Francia, e non senza pericolo, era -per invidia grave discordia cresciuta intra il conte di Focì e quello -d’Armignacca, il quale solea essere assai di minore possa che quello di -Focì, molto era cresciuto in tanto ch’avanzava assai quello di Focì; e -la cagione di ciò era stato, perocchè per spazio di cinque anni quello -d’Armignacca avea tenuto il vicariato del paese per lo Delfino, onde -avea tratto grande tesoro; e per questo vizio d’invidia, il quale nelle -corti de’ signori signoreggia, il conte di Focì, veggendo il reame -in tanto pericolo, con segreto favore del re d’Inghilterra, secondo -che per fama si disse, raunò gente d’arme a cavallo e cavalcò per lo -paese, ed entrando nelle ville e nelle castella come barone fidato alla -corona, e con questo modo mandò fino a Tolosa, dicea che volea altri -cinque anni la vicheria del paese come avea avuto quello d’Armignacca, -che domandando colta per guardare il paese, non senza tema di -ribellione e per molto arbitrio s’appropriò senza l’assentimento dei -Delfino; i paesani si portavano saviamente per non dare loro in parte -a’ loro avversari, onde s’acquetò la nuova e paurosa fortuna, non che -guerra non rimanesse tra’ due conti. - - -CAP. LXIX. - -_Quello feciono gli osti del re d’Inghilterra in Francia._ - -Un’altra parte dell’oste del re d’Inghilterra, essendo il verno nel -suo più grave tempo e ridotto alle piove, sotto la condotta del duca -di Guales, ch’era il primogenito del re d’Inghilterra, e del duca di -Lancastro, che al detto re era cugino, si mise a passare in Brettagna -per luoghi stretti e guazzosi, e per li freddi spiacevoli e rei; a -quel tempo alla gloria degl’Inghilesi non era malagevole nulla, i -quali faceano a loro senno e a loro voglia del reame di Francia quale -aveano in piega, e così stimavano fare di Borgogna, dove solea essere -il pregio e l’onore di gente d’arme, e così ferono, perocchè passarono -per luoghi stretti e malagevoli senza contasto; e giunti nel paese, -lo trovarono pieno di molto bene, onde molto s’adagiarono al vernare. -Il duca di Borgogna era un giovinetto, ed egli e’ suoi baroni erano -malcontenti del re di Francia, perchè avea la duchessa madre del -detto duca tolta per moglie, e per la sua dote assai avea preso tutte -giurisdizioni del paese; la quale cosa fu cagione di non prendere -quella franca difesa contro agl’Inghilesi che si potea pigliare. -Gl’Inghilesi per questo rispetto temperatamente si portarono co’ -paesani, non prendendo più che a loro fosse mestiero; e perchè il paese -era dovizioso, e i passi nella forza degl’Inghilesi, poco appresso -del mese di marzo seguente, il re lasciate fornite in Normandia e in -Pittieri e in Berrì certe castella afforzate che aveano acquistate, -cavalcando liberamente il paese, col rimanente di sua oste se n’andò -a Celona in Borgogna, e di là mandò al papa suoi messaggi domandando -suo ricetto a Avignone; della qual cosa il papa e’ cardinali, e -tutta la corte ne fu in gelosia e in paura. Il papa gli mandò per la -detta cagione due vescovi, li quali il pregarono e comandarono che -non volesse per sua venuta turbare la Chiesa di Roma, e il re di ciò -l’ubbidì; nondimeno con ogni studio facea il papa afforzare la città -d’Avignone. - - -CAP. LXX. - -_Come più castella si rubellarono a’ Tarlati._ - -Come per esperienza vedemo, e gli uomini e gli animali senza ragione -per natura sono vaghi di libertà, e l’appetiscono come loro proprio -bene; gli uccelletti in gabbia vezzosamente nudriti si rallegrano -vedendo le selve, e se possono fuggire de’ luoghi dove sono incarcerati -ritornano a’ boschi; gli uomini che sono stati in lungo servaggio -avvezzi al giogo della tirannia, se sono continovi, e veggiono il -tempo di ricoverare loro libertà, con tutti i sentimenti del corpo si -studiano a ciò pervenire. E di ciò in questi dì ne vedemmo la prova -ne’ suggetti de’ Tarlati, perocchè a dì 13 di febbraio 1359 la Serra -si diede al comune di Firenze; la quale fortezza il nome concordia -al fatto, perocchè serra il passo della montagna che è dal comune di -Bibbiena in Romagna: e il detto dì Montecchio s’arrendè agli Aretini. -Quelli della valle di Chiusi avendo mandato per gente al podestà di -Bibbiena, e non potendola avere, se prima non ne facesse coscienza al -comune di Firenze, e a loro troppo tardava, l’ebbono dagli Aretini, e -rubellaronsi da’ Tarlati. Guido fratello di Marco si tenne alla rocca, -ch’era fortissima, e da non potersi mai vincere per forza, onde per gli -Aretini fu cinta d’assedio in forma che poco potea sperare in soccorso -di fuori. E per questa simigliante fortuna aveano considerato che i -tiranni murano a secco, che bene che loro mura per altezza passino -il cielo, come n’è tratta una pietra di sotto di quelle in su che -è carica, l’altre senza niuno ritegno rovinano; il perchè se cotali -che usurpano il dominio avessono buon sentimento, non piglierebbono -fidanza delle maravigliose fortezze, ma de’ cuori de’ suggetti loro, -trattandoli bene. - - -CAP. LXXI. - -_Di un trattato di Bologna scoperto._ - -Non meno ne’ trattati che nella forza dell’arme si riposa e rivolge -l’intenzione de’ tiranni; non meno acquistano con tradimento, e con -corrompitori di baratteria che colle battaglie. E considerato le -grandi, e le lunghe, e disordinate spese delle guerre, per meno spesa -sono larghissimi ne’ trattati. Questa regola si scoperse in questi di -ne’ caporali di messer Bernabò, i quali teneano trattati con certi -soldati ch’erano in Bologna, i quali promisono, che approssimandosi -l’oste a Bologna darebbono una porta. Per la detta cagione all’uscita -di gennaio del detto anno il campo si mosse, e approssimossi alla -terra; ma scoperto il trattato, e presi i traditori, e fattone degna -giustizia, l’oste si ritrasse indietro, perchè stando dov’erano venuti -stavano in disagio è in pericolo, e tornaronsi a casa al luogo dov’era -la loro bastita maggiore. - - -CAP. LXXII. - -_Come le sette di Cicilia si divoravano insieme._ - -La parte del re Luigi in Cicilia, sì de’ Messinesi, come de’ -Palermitani, in questo tempo era dal giovane duca di Cicilia e da’ suoi -Catalani sopra modo tribolata e astretta, che ’l re Luigi altro che con -parole non aiutava i suoi partigiani, il quale era cresciuto al duca -il seguito suo, e di continovo cavalcavano sulle porte di Palermo e di -Messina, e loro tenute e fortezze e con assedio e trattati toglieano; -onde non potendo resistere alle continove e gravi oppressioni, da -capo con grande istanza richiesono il re d’aiuto, significando loro -stato e bisogno. Il re mandò a’ Fiorentini per trecento cavalieri che -gli erano stati per tre mesi promessi. Il comune per fare più presto -il servigio li mandò settemila fiorini d’oro, avendo sopra questo -risposto, che avendo altra volta mandata gente, era stata soprattenuta -i detti danari, perchè tanto montava il soldo di trecento cavalieri per -tre mesi, acciocchè ’l re li conducesse a suo modo, e quando n’avesse -bisogno. I danari presono luogo in altri servigi, e il soccorso de’ -Ciciliani per quella volta furono lettere confortatorie, dando loro -speranza per animarli alla sofferenza, aspettando se si cambiasse -fortuna. Il di che di questo seguette, che i Catalani presono maggiore -cuore, e condussono gli amici del re a grande stretta, e con grandi -pericoli e partiti, come si potrà al suo tempo provare. - - -CAP. LXXIII. - -_Come la Chiesa deliberò l’impresa di Bologna._ - -Egli è vero, che come già detto avemo, messer Giovanni da Oleggio -non veggendo sufficiente sua possa a resistere a messer Bernabò, nè -speranza di soccorso bastevole, cercato e ricercato avea se con lui -potesse avere convegna o pace fidata, e non di manco, come sagace -e astuto, cercava col legato di rendere Bologna alla Chiesa con suo -vantaggio e profitto. Il legato, ch’era d’animo grande, e desideroso di -torre quell’impresa per crescere suo onore e nome, non si attentava, -perchè non si vedea sufficiente a sostenere tanto fatto, e cominciare -non volea senza l’assento del papa e de’ cardinali, per non avere -riprensione nè vergogna. E avendo per questa cagione e con lettere e -ambasciadori sollicitato il papa, mostrandogli quelle buone ragioni -ch’erano a sua intenzione conformi, del mese di febbraio del detto -anno, ebbe per diliberazione del santo padre e de’ suoi cardinali, che -nel nome di Dio facesse l’impresa, tutto che in questo tempo messer -Bernabò con grande spendìo cercasse con danari con suoi protettori in -corte che ci ò non si facesse; e tanta fu la forza de’ danari e de’ -doni, che ora sì ora no si dicea, con poco onore della Chiesa di Roma. -Nè a questo contento il tiranno, sua oste cresceva premendo d’imposte e -di colte tutti i cherici ch’erano di terre a lui sottoposte; e credendo -con parole altiere spaventare il legato ch’era uomo senza paura, forte -lo minacciava. E così la città di Bologna era di fuori tribolata, -e dentro stava in gelosia, e prima non sapendo a cui fosse venduta, -e sapendo che di lei si facea tenere mercato, e non osava parlare; -queste miserie si giugneano in loro gravi danni e le fatiche corporali. -Queste pene, se da’ cittadini erano pazientemente portate, meritavano -sollevamento, ma non era ancora il tempo che Iddio avea diliberato per -fine delle fatiche loro. - - -CAP. LXXIV. - -_Come messer Giovanni da Oleggio fermò suo accordo con il legato di -Bologna._ - -Il legato poich’ebbe a suo proponimento l’assento di corte di Roma, -d’onde a tempo sperava favore, ritenendo singulare amicizia con messer -Giovanni da Oleggio, e gareggiandolo molto per avere da lui quello -che cercava, riprese con lui ragionamento e trattato con animo di -contentarlo, purchè Bologna venisse alle sue mani, e perchè non dava -del suo era largo per promesse. La cosa era venuta in termine, che -poco dibattito di lievi cose fra loro aveano. Messer Giovanni stava -sospeso, perchè non li parea ben fare rimanendo nemico di messer -Bernabò e della casa de’ Visconti, della quale era per gesta. E stando -in questo intra due, sentendo messer Bernabò che la convegna era per -prendere tosto conclusione, e temendo forte che ciò non venisse fatto, -mandò a messer Giovanni certi de’ Bonzoni da Crema, che gli erano -cognati, e a loro commise che con ogn’istanza cercassono che Bologna -non tornasse nelle mani della Chiesa, e che offerissono al loro cognato -ogni patto e sicurtà ch’e’ volesse. Costoro col detto mandato di -presente furono a Bologna, e trovarono come la concordia era in alto -da potersi e doversi fornire con messer Giovanni; onde si strinsono -con lui, e dissonli quanto aveano da loro signore, e lo confortarono -con belle e indottive ragioni ch’e’ non volesse rimanere nimico del -signore suo e in contumacia de’ suoi consorti, e di tanta possanza e -grandezza, che potea con suo onore e vantaggio rimanere in buona pace -con loro. Messer Giovanni rispose, ch’e’ volea fare certo e sicuro -messer Bernabò che dopo sua morte Bologna gli verrebbe alle mani, -mentre ch’e’ vivea la volea tenere per lui, e titolarsene suo vicario, -e che volea fidanza che ciò li fosse osservato; e dove a questo messer -Bernabò venisse realmente e facesse, disse d’abbandonare ogni altro -trattato, affermando che sopra tutte le cose desiderava d’essere in -grazia de’ suoi maggiori, e a loro ubbidiente e fedele. I cognati -vollono la fede da lui, ed egli la diede loro, dicendo, ch’e’ non potea -guari aspettare, e che la risposta prestamente volea; e con questo -voltarsi indietro, e tornarsi a messer Bernabò, il quale avea sentito -che l’accordo era fatto, e che il prendere stava a messer Giovanni; -di che avendo da costoro chiara certezza in consiglio disse, ch’era -contento di fare quanto messer Giovanni avea domandato, e che così per -sua parte fermassono con lui. I giovani poco sperti e poco accorti, -non considerando il pondo del fatto, e quanto il caso portava o potea -portare, rendendo la cosa per fatta, con matta baldanza, quasi se non -dovesse nè potesse fallare nè uscire di loro mani, lieti e allegri, -perchè pareva loro fare gran fatti, presono alquanto soggiorno, -aspettando il tempo carissimo e pericoloso in vani diletti, nelle quali -cose spesono tre giorni oltre all’aspetto che messer Giovanni attendea; -il perchè ne seguì, che essendo in prima messer Giovanni in sospetto -della fede di messer Bernabò, il sospetto gli crebbe, e la tema di non -essere tenuto a parole a mal fine, e senza più attendere prese partito, -e fermò l’accordo col legato, come nel seguente capitolo diviseremo. -Fornito il fatto, i giovani che gli erano cognati li vennono il giorno -seguente, e trovarono la pietra posta in calcina, sicchè il pieno -mandato ch’aveano da messer Bernabò tornò in fumo. Per questo fallo -seguette, che i giovani a furore e tutte le loro famiglie furono -disperse, e i loro beni guasti e incorporati alla camera del signore -come di suoi traditori, e ne rimasono in bando delle persone. - - -CAP. LXXV. - -_Patti da messer Giovanni da Oleggio alla Chiesa, e la tenuta di -Bologna._ - -Per lo sospetto cresciuto a messer Giovanni di messer Bernabò, come -poco avanti dicemmo, prese l’accordo, e concedette alla Chiesa Bologna -con queste convegne: che il legato pagasse interamente i provvisionati -e’ soldati di ciò che dovessono avere infino al dì ch’e’ rassegnasse -Bologna, e che in cambio di Bologna avesse a sua vita liberamente -la signoria della città di Fermo, e di suo contado e distretto, e -che fosse titolato per lo detto marchese della Marca, e in sustanza -succedette l’accordo: e per sicurtà di fermezza dell’una parte e -dell’altra, il signore di Bologna mise nella città di Fermo messer -Azzo degli Alidogi da Imola con gente d’arme come amico comune, e al -capitano della gente che il legato avea messo in Bologna, ricevente -per lo legato e per la Chiesa di Roma, in presenza del popolo diede la -bacchetta della signoria, onde il popolo ne fece gran festa, perchè ciò -desiderava e temeva di peggio, gridandosi per tutta la terra: Viva la -santa Chiesa. Nondimeno il signore com’era ordinato nei patti, nelle -sue mani fece giurare tutta gente d’arme da piè e da cavallo infino che -li fosse attenuta l’impromessa; e così stette la città sotto titolo -e forza di messer Giovanni, come della Chiesa di Roma, da mezzo il -mese di marzo al primo dì d’aprile 1360. E in questo mezzo il legato -intendea a fare pagare i soldati, e’ cittadini avendo presa baldanza, e -in fatti e in parole villaneggiavano messer Giovanni e la famiglia sua, -ricordandosi dell’ingiurie ch’aveano ricevute da loro; e per questo -avvenne, che un dì messer Giovanni mandò per prendere di sua gente -uno de’ Bentivogli, il quale essendo bene accompagnato si contese, e -non se ne lasciò menare, gridando, all’arme all’arme; onde la terra -si levò tutta a romore, infiammata contro al vecchio tiranno: il quale -per tema si ricolse in cittadella, e tutta la notte stette armato con -la sua gente e della Chiesa sotto buona guardia. Il dì seguente giunse -messer Gomise in Bologna nipote del cardinale, il quale era marchese -della Marca, e racchetò il romore del popolo, e prese la guardia delle -porti e della città, e accomandatola a’ cittadini, corse la terra -col popolo insieme con grande allegrezza, e aperse a’ prigioni. Il -perchè i cittadini si certificarono che la signoria non potea tornare -nelle mani del tiranno, nonostante che ancora fosse in sua podestà -la cittadella, e il giuramento de’ soldati in sua mano. E stando le -cose in tale maniera, messer Giovanni fu certificato dalla moglie -come liberamente avea in sua podestà il Girfalco e l’altre fortezze di -Fermo, e come presa era per lui la signoria della terra; onde avendo -ciò, secondo i patti li convenia partire di Bologna, ma forte temea -l’ira del popolo che non l’offendesse in sulla partita, e per tanto si -stava in cittadella, e come, savio e avveduto ordinò ora una boce ora -un’altra, tenendo suo consiglio segreto nel petto; e per meglio coprire -l’animo suo pubblicamente facea cercare con gli Ubaldini che li dessono -sicura la via, e a’ Fiorentini domandò il passo per loro terreno; i -Bolognesi stavano a orecchi levati, e non faceano motto, aspettando di -predarlo, e di fare strazio di lui gran voglia n’aveano. Il savio con -maestria tranquillando i Bolognesi colse tempo, il martedì santo, a dì -31 di marzo nella mezza notte, dormendo i cittadini, chetamente e senza -fare zitto con mille barbute, tra di suoi provvisionati e soldati di -quelli della Chiesa, senza averne il dì fatta mostra uscì di Bologna, -e andossene a Imola senza impedimento nessuno, e di là si partì, e -andonne a Cesena a visitare il legato. - - -CAP. LXXVI. - -_Come la città di Bologna fu libera dal tiranno in mano del legato e -della Chiesa essendo assediata._ - -Il primo dì d’aprile, gli anni domini 1360, Bologna rimase libera -dalla dura tirannia di messer Giovanni da Oleggio della casa de’ -Visconti di Milano, il quale a dì 20 d’aprile 1355 l’avea rubata a’ -suoi consorti per cui la tenea, come addietro facemmo menzione, e -nello spazio di questi cinque anni avea decapitati oltre a cinquanta -de’ maggiori e de’ migliori cittadini della terra, con trovando loro -diverse cagioni, e dell’altro popolo n’avea morti e cacciati tanti, che -pochi n’avea lasciati che avessono polso o forma d’uomo, e con averli -munti e premuti infino alle sangui; e avendo fatte tante crudeltadi, -e tante storsioni e ruberie, come volpe vecchia seppe sì fare, che -con grandissimo mobile di moneta e gioielli liberamente se n’andò, e -ridussesi in Fermo; e levato s’era del giuoco, e ridotto in luogo di -pace e di riposo, lasciando i Bolognesi e il legato nella guerra; e per -certo, s’egli era tenuto savio, questa volta lo dimostrò. - - -CAP. LXXVII. - -_Come la Chiesa riformò Bologna._ - -Messer Gomise da Albonatio Spagnuolo nipote del legato, il quale -era stato marchese della Marca, e Niccola da Farnese capitano della -gente del legato rimasi nella libera signoria di Bologna, e fatta -grande allegrezza e festa co’ cittadini della partita di messer -Giovanni da Oleggio, e mostrando di loro grande confidanza, ma per -accattare loro benivolenza e favore, si cominciarono a ordinare alla -guardia, e alleggiarono il popolo di molte gravezze, e massimamente -delle soperchie, nelle quali li tenea il tiranno; e il popolo con -loro coscienza prese consiglio co’ più cari e sentiti cittadini, ed -elessono di comune concordia d’ogni stato e condizione, mescolando i -gentili uomini e’ popolari, e’ dottori e artefici eziandio dell’arti -minute, pure che ognuno fosse contento, certo numero di cittadini che -intendessono con gli uficiali della Chiesa alla guardia e alla difesa -della città; e ciò fatto, il capitano della gente della Chiesa mandò -comandando alla gente di messer Bernabò che si dovesse partire del -terreno della Chiesa, significando loro come Bologna era tornata alle -mani della Chiesa di Roma, com’essere dovea per ragione; la risposta -fu questa, che innanzi si partissono voleano vedere per cui, e che -s’e’ volessono se ne partissono glie n’andassono a cacciare. E preso -sdegno del baldanzoso comandamento, ed essendo loro di nuovo giunto -mille barbute, cavalcarono infino presso a Faenza, levando gran preda -di bestiame e di gente, la quale condussono al luogo senza impedimento -niuno; e com’aveano cominciato seguirono, facendo gran danno e -spaventamento de’ paesani, e rompendo le strade, minacciando di peggio -i Bolognesi e’ Romagnuoli; per le quali cose la letizia mostravano per -parere loro essere fuori delle mani del tiranno, e posto giù il caldo -voglioso si cominciò a raffreddare, e convertissi in paura di peggio, e -ciò venne loro, come si potrà leggendo innanzi trovare. - - -CAP. LXXVIII. - -_Di una congiura si scoperse in Pisa._ - -Gli artefici della città di Pisa, e massimamente quelli dell’arte -minuta, vedendo loro mancare i guadagni per la partita de’ Fiorentini -i quali il loro porto teneano in divieto, se ne doleano, e mormoravano -e parlavano male; e perseverando nelle querele, una quantità di loro -si giurarono insieme molto occultamente, e presono ordine tra loro, il -quale il venerdì santo a dì 3 d’aprile doveano uccidere gran parte de’ -loro maggiorenti ch’erano al governo della città, dove e come trovar -gli potessono insieme, o divisi; e ciò fatto, doveano mandare per li -Gambacorti, che allora si riduceano a Firenze, e con loro riformare -la terra, e pacificare co’ Fiorentini per riavere il porto. Infra’ -congiurati erano religiosi alquanti, e preti e altri cherici assai, -intra’ quali fu un prete il quale fu veduto parlare con certi de’ -secolari della congiura assai sconciamente, e per disusata maniera, -o che parola di suo ragionamento fosse intesa, o che per lo modo del -parlare si facesse sospetto, fu mandato per lui, e stretto, e’ confessò -tutto l’ordigno; onde subitamente furono presi quattro preti e sette -frati, e nel torno di cento artefici d’arte minute. I governatori della -terra procedendo nel fatto trovarono ch’erano tanti gli avviluppati in -questa congiura che per lo migliore si fermarono, e non si stesono più -oltre, e del numero ch’aveano presi dodici ne furono impiccati, i quali -trovarono più colpevoli e caporali, e gli altri furono condannati a -condizione in danari, i quali per ricomperare le persone tosto furono -pagati. Questa novità molto conturbò e impoverì la città con guasto -dello stato della setta che allora reggea, la quale ne rimase in grande -gelosia, e il popolo minuto malcontento e peggio disposto. - - -CAP. LXXIX. - -_Di un trattato menato in Forlì contro alla Chiesa._ - -Messer Bernabò per l’impresa ch’avea fatto il legato della città -di Bologna era molto stizzito o infocato, e come signore animoso e -vendicativo non posava, e senza riguardo di spesa del continovo suo -oste cresceva, e sollecitava i suoi capitani a fare buona guerra a’ -Bolognesi, e dovunque potessono ne’ terreni della Chiesa. Occorse in -questi giorni, che la gente ch’era alla guardia di Forlì gran parte -n’erano ad accompagnare infino a Fermo messer Giovanni da Oleggio; -questo caso diede materia a un messer Stefano giudice, e a un nipote -di messer Francesco degli Ordelaffi per addietro capitano di Forlì, -nato d’una sua figliuola bastarda, di cercare trattato in Forlì; questi -due matti baldanzosi, piuttosto per presuntuoso animo che per savio -consiglio, tenuto trattato col capitano della gente di messer Bernabò, -vedendo la terra sfornita di gente di soldo, sotto ombra di cavalcata -gran parte della migliore gente da cavallo e da piè dell’oste del -tiranno feciono appressare a Forlì, in luogo che per sua vicinanza -non gittasse tanto sospetto che al popolo fosse necessità prendere -l’arme, e d’onde partendosi la notte potessono entrare nella terra; -e tanto aveano predetta la cosa, che avendo i detti di sopra con -alquanti loro amici rotte in due parti le mura della città, ed essendo -condotti millenovecento barbute e fanti assai al tempo che loro era -dato alle dette rotture, poco accorti i traditori abbagliati della -voglia disordinata, tra gli steccati e le mura che fatti aveano ne -condussono tra gli ortali dentro e a piè delle mura oltre a trecento -cavalieri e dugento pedoni, anzi che dentro se ne sentisse niente, e -non presono avviso che i detti ortali erano tutti affossati, e senza -vie spedite che mettessono nelle strade mastre, il perchè ne seguì, -che nel ravvilupparsi disordinatamente e poco chetamente in quel -luogo, furono sentiti e scoperti; onde il popolo si levò a romore, e -francamente corsono ove si sentivano i nemici, e gli assalirono col -vantaggio del sito dov’erano, e non potendosi stendere nè campeggiare, -e inviliti, tutto che facessono per loro onore mostra d’arme, in fine -furono cacciati di fuori, ed essendone assai magagnati e fediti: e -mentre ch’era attizzata la zuffa, poco anzi il fare del giorno la gente -ch’avea accompagnato messer Giovanni da Oleggio tornò, onde quelli di -fuori perduta la speranza si ritrassono indietro, e’ traditori furono -presi e condannati alle forche. Parendo al capitano di messer Bernabò -avere avuto dell’impresa vergogna, quasi come se la preda gli fosse -uscita di mano, la seguente mattina con duemila barbute tentò di fare -in aperto quello che non avea potuto fare in occulto, e venuto infino -alle mura della città, la trovò sì bene ordinata e guernita a difesa, -che intendimento che dato gli fosse dentro riputò a niente; onde diè -la volta, e trovando il paese male fornito di roba da vivere, lasciò a -Luco quattrocento cavalieri, e tornossi nell’oste a Bologna. - - -CAP. LXXX. - -_Come fu combattuta Cento dall’oste del tiranno._ - -Avendo i capitani di messer Bernabò perduta la speranza della città di -Forlì, come di sopra dicemmo, la sollecitudine loro rivolsono altrove, -e lasciando fornite le bastite d’intorno a Bologna, cavalcarono a -Cento grossa terra de’ Bolognesi, posta in quella parte che guata -Ferrara, e là si fermarono quasi in forma d’assedio, stimando che se -potessono o per paura o per forza vincere la terra, per la bontà del -sito attissimo loro per sicurare le strade verso Ferrara, e per fare al -campo e alle bestie dovizia per la grande quantità di biada che dentro -v’era raccolta, d’essere vincitori della guerra; e per tanto con molto -ordine e apparecchio per più e più riprese in diversi giorni assalirono -la terra con fiere battaglie di lunga bastanza, nelle quali e dall’una -parte e dall’altra assai di buona gente vi fu morta e fedita, ma più -assai di quelli di fuori; in fine trovando i capitani che la terra era -bene guernita a difesa, e vedendo che il loro stallo poco approdava, -con avere senza acquisto fatte prodezze si levarono quindi, e andarono -a Budrio, dove trovarono più larghezza di vittuaglia, ove s’arrestarono -per lunghezza di tempo. - - -CAP. LXXXI. - -_Come gli Ubaldini si mostrarono tra loro divisi._ - -In questi tempi, maliziosamente per sagace consiglio la casa degli -Ubaldini si divise, e quelli di Tano da Castello col seguito loro -s’accostarono a messer Bernabò, e quelli di Maghinardo e d’Albizzo -da Gagliano con loro amici tennono col legato in palese, tutto che -in segreto, come ghibellini e antichi nemici della Chiesa di Roma, -s’intendessono, e che con l’animo fossono quello ch’e’ consorti loro; -litigavano per dare materia di rottura alle strade dell’alpe, sicchè -per quelle vie niuno osasse andare a Bologna. Per questa divisa, o -vera o infinta che fosse, l’una parte guerreggiava l’altra, e insieme -si danneggiavano assai; per modo che l’alpe era tutta rotta, e i passi -e le strade serrate in forma, che roba nè persona per que’ luoghi -non poteva ire a Bologna senza gravi pericoli; il perchè grave danno -e disagio ne tornava a’ Bolognesi assediati, che per quelli luoghi -soleano andare e foraggio e aiuto. E parne che sia da notare in questa -guerra lunga e pertinace, la maggiore parte di quello che bisognava per -vita dell’oste sparta, e grande opera quasi venia per Lombardia per lo -passo del Po, il quale il marchese da Ferrara compare di messer Bernabò -gli avea conceduto, pagando la roba il dazio usato, di che gran danaio -ne fece il marchese: e secondo ch’avemmo da persona degna di fede, che -di ciò ebbe degna notizia, tra soldo e vittuaglia e altri fornimenti -l’oste costava al tiranno ogni mese oltre a’ fiorini settantamila -d’oro, e tanto era la sua entrata che niente parea che ne curasse: è -vero che grande tesoro trasse da’ cherici delle terre che gli erano -suggetti, i quali con molti dispetti disordinatamente gravava. - - -CAP. LXXXII. - -_Di portamenti degl’Inghilesi in Borgogna._ - -Per sperienza vedemo, che lo stomaco pure d’una vivanda prende -fastidio, e delle variazioni d’esse ricreazione e piacere, e così gli -orecchi d’uno suono continovo rincrescimento, e della mutazione di -molti vaghezza. Da questa mostrazione naturale preso esempio, lasceremo -stare alquanto i fatti d’Italia, le cui volture e travaglie continove -senza in tramessa delle forestiere possono ingenerare tedio, e -passeremo a quelle de’ Franceschi e degl’Inghilesi che in questi giorni -apparirono. Essendo, come nel passato dicemmo, il re d’Inghilterra, -e’ figliuoli e il duca di Lancastro in Borgogna, senza arrestare con -attizzamento di guerra il paese i Borgognoni, che allora in occulto -erano poco amici della casa di Francia, s’accordarono con loro, dando -loro derrata per danaio abbondevolmente di ciò che loro fosse mestiero; -e stando in tale maniera si cercava come il re per l’avvenire dovesse -rimanere col duca, il perchè gl’Inghilesi li riguardavano forte, senza -fare ingiuria o danno niuno; e ciò avvedutamente, perchè sapeano lo -sdegno nato tra’ Borgognoni e’ Franceschi, estimando d’attrarli a -loro con piacevolezza e amore. Il duca era giovane e di grande animo, -e di possanza il maggiore barone del reame di Francia, e de’ dodici -peri, a cui stava la coronazione del reame di Francia, alla quale con -tutti i sentimenti si dirizzava l’intenzione del re d’Inghilterra, la -quale era freno che non lasciava trasandare gl’Inghilesi. Nondimeno -i paesani delle castella, e sì delle ville, per essere più sicuri -donavano al re argento secondo loro possibilità, e di buona voglia -li prendea, e gli fidanzava. E per simile modo avea fatto negli altri -paesi di Francia; prendea da cui gli s’era raccomandato ciò che dare -gli voleano senza bargagnare, e avevali fatti sicuri di preda e di -guasto; onde per questa via avea accolta tanta moneta, che di largo -forniva i soldi ch’avea a pagare, e tutte altre spese occorrenti senza -avere a trarre d’Inghilterra danaio. E per questo modo la sperienza fa -manifesto quello che in fatto e’ parea quasi impossibile, ed era: e per -certo all’acquisto del reame di Francia la fortuna e ’l senno furono -del tutto dalla parte del re d’Inghilterra e solo gli fu in contrade -l’odio e lo sdegno de’ Franceschi, i quali non poteano patire d’udire -ricordare gl’Inghilesi, che sempre come vili genti aveano avuto in -dispetto. - - -CAP. LXXXIII. - -_Come i Normandi con loro armata passarono in Inghilterra._ - -I Normandi, che più volte aveano in loro terre dagl’Inghilesi ricevuto -oltraggi e vergogna, vedendo che ’l re d’Inghilterra, e’ figliuoli -è ’l duca di Lancastro, di cui ridottavano molto, erano occupati -nell’impresa di Francia, e per ciò passati in Borgogna, pensarono che -’l tempo loro dava spazio di fare loro vendetta. E pertanto di loro -movimento raunarono in piccolo tempo centocinque navili, e di loro -gente gli armarono, e gli feciono passare nell’isola, e si posono a -Sventona e in altri porti, dove arsono legni assai, e feciono quello -danno che poterono il maggiore. Per, questo gl’Inghilesi sommossono -tutti i porti dell’isola, e furiosamente armarono per andare a trovare -i Normandi, i quali temendo i subiti movimenti e avvisi degl’Inghilesi, -avanti che loro armata fosse fornita si partirono, e tornaronsi a -salvamento in Normandia. - - -CAP. LXXXIV. - -_Come il duca di Borgogna s’accordò con gl’Inghilesi._ - -Del mese di maggio 1360, il giovane duca di Borgogna, seguendo il -consiglio de’ suoi baroni, prese accordo col re d’Inghilterra in -questa forma. Che il re si dovesse partire del paese, e il duca a lui -dovesse dare in tre anni centoventi migliaia di montoni d’oro, come ne -toccasse per anno; e oltre a ciò, ch’avendo il re d’Inghilterra a sua -coronazione del reame di Francia per boce d’imperio, che la sua sarebbe -la seconda. Sotto questa concordia assai grande al re d’Inghilterra, -più per l’onore della promessa e della boce del duca che per altra -cagione il re d’Inghilterra con tutta sua oste si partì di Borgogna, -e dirizzò suo viaggio verso Parigi, non trovando, fuori delle terre -murate, chi lo contastasse niente, e tutti i paesani e le villate che -non si sentivano da poterli fare resistenza gli si feciono incontro, -e per riscatto di loro dammaggi li portavano danari, ed egli per sua -bonarità, ciò che gli era dato prendea, e della sicurtà era a tutti -cortese. - - -CAP. LXXXV. - -_Come il re d’Inghilterra assediò Parigi._ - -Poichè ’l re d’Inghilterra vide che la fortuna per la maggiore parte -avea favoreggiati tutti i suoi consigli e ordigni, e che tutte le -cose, secondo il suo proponimento necessario a fornire anzi prendere -l’assedio di Parigi gli erano procedute prosperamente, eccetto che -presure di ville o di fortezze notabili, le quali vedea avere riguardo -a Parigi, e che quando la città ch’era capo del reame fosse a sua -podestà l’altre agevolmente gli verrebbono alle mani; e pensò come -ultimo fine d’ogni sua intenzione certo che la ventura gli concedesse -Parigi; e per tanto come trasse il piè di Borgogna, continovate sue -giornate con tutta sua oste se ne venne a Parigi, e giunto e riposato -alcuno dì, il sabato santo a dì 4 d’aprile 1360, la sua oste in tre -parti divise, l’una a Corboglio, l’altra accomandò al duca di Guales, -e lo fè porre in costa dall’altro lato della città, la terza diede al -conte di Lancastro, il quale si fermò dall’altra banda, sicchè quasi -in terzo a sesta fermarono l’assedio, e che questo fosse il deretano -pensiero manifestarono. Il re di Navarra e il fratello, il quale avea -formata pace col Delfino, come addietro dicemmo, a questo punto si -scopersono amici e servidori del re d’Inghilterra, che la pace che -fatta avea era stata infinta e a mal fine. Questa voltura del re di -Navarra e del fratello assai diedono che pensare a’ Franceschi. Il -Delfino avendo alcuno sentore della venuta del re d’Inghilterra e di -suo intendimento, con molti baroni del reame e con grande cavalleria -s’era ridotto in Parigi, e la città avea d’ogni cosa necessaria alla -vita per grande tempo abbondevolmente fornita, e con provvedenza e -sollicitudine attendeano alla guardia della città e di dì e di notte, -e di fuori lasciava fare a’ nemici il loro volere, non lasciando -uscire nè forestieri nè cittadini a fare d’arme, e tutto ciò per buono -e savio consiglio: nè tanto poteano gl’Inghilesi con sollecitudine e -scorrimenti strignere la città, che gente con vittuaglia non v’entrasse -e uscisse, tutto che con pericolo assai. Il paese fuori di Parigi, -eccetto città e terre di guardia, ubbidiano gl’Inghilesi e loro davano -vittuaglia e danari, come addietro dicemmo, sicchè l’oste ne stava -doviziosa e ad agio, e senza fatica d’avere a predare per vivere, e -senza riotta aveano la vita e i soldi loro, e i beni de’ Franceschi. -Or qui mi piace d’un poco gridare: O superbi e altieri cristiani, -dirizzate gli occhi del cuore, volgete un poco questi pensieri a -considerare gli straboccamenti della potenza mondana, e vedrete la -viltà e la miseria essere al fine delle pompe e miserie de’ mortali; -ponetevi avanti gli occhi la nobile e famosa città di Parigi assediata -dagli Scirei d’Inghilterra; ponetevi il glorioso sangue della reale -casa di Francia in quanto abbassamento era in questi giorni venuto; -ponetevi la magnanimità e il coraggio, la gentilezza e’ costumi -della cavalleria de’ Franceschi, a tanto disprezzamento in questi -tempi ridotta, che abbi lasciato in preda il reame a poca gente, e -loro dispettosa e di poca nomea, tenendo chiusa nelle terre murate, -e non ardite con le teste levate, e prendendo fidanza della violente -fortuna: più è maraviglioso a pensare che gl’Inghilesi abbiano fatto -in Francia a loro senno, che se Capalle vincesse Firenze. Il fine -dunque dell’arrogante superbia, come per esperienza sovente si vede, -è cadimento in luogo umile e pieno di miseria: e certo chi con animo -temperato vorrà giudicare, altro non potrà dire, se non che manifesto -giudicio di Dio abbi corrotto questo flagello il popolo sdegnoso, e -animo rilevato e altiero de’ Franceschi, che tutto l’altro mondo aveano -per niente. Or dunque posate mortali, e non siate troppo osi, e sievi -freno il magnifico reame di Francia, il quale è stato tra’ cristiani il -maggiore già molte centinaia d’anni, e quando vi ritrovate nel più alto -grado delle dignità temporali volgete gli occhi alla terra, e vedrete, -che quanto il luogo è più alto e più rilevato, tanto è la ruina e la -caduta maggiore, e forse poserete gli animi vostri alla sorte che v’ha -conceduta la divina provvidenza, senza più oltre cercare che vi sia di -mestiere. - - -CAP. LXXXVI. - -_Come il re d’Inghilterra si strinse a Parigi, e combattè Corboglio._ - -Essendo l’oste del re d’Inghilterra alquanti dì soggiornata a -Corboglio, e divisa, come di sopra dicemmo, in modo da potersi in -piccolo tempo raccogliere insieme quando fosse bisogno, all’ottava -della Pasqua di Resurrezione, il re con gran parte di sua oste si mosse -e avvicinossi a Parigi con le schiere fatte, e tanto che gli scorridori -si misono in sulle porti della città, facendo con parole e con atti -assai oltraggio a’ Franceschi, ma però di Parigi non usciva persona: -e ciò fu riputato gran senno, perchè uscendo, come suole il popolo -voglioso e male ordinato, e in fatti d’arme poco uso, il pericolo -era grandissimo, e il re con i suoi Inghilesi altro non desiderava, -facendo sagacemente tutto ciò che poteano per attrarli di fuori. -Veggendo il re dopo lungo stallo, che per aizzamento che fatto fosse -a’ Franceschi nè gente usciva della terra nè porta s’apriva, fatto -danno d’arsione per più sdegnare i nemici e animare a vendetta, si -trasse indietro: il prenze di Guales tornato al re senza frutto di suo -pensiero, per non lasciare niente che secondo il sottile provvedimento -del re per ottenere suo proponimento fare si dovesse, esso in persona -colla gente fresca ch’era rimasa nel campo con bell’ordine si mise a -combattere il castello di Corboglio. La battaglia fu aspra e animosa, -perocchè gli Inghilesi che erano montati nell’onore e pregio dell’arme -alla disperata senza curare la vita si metteano a ogni pericolo; i -Franceschi che conosceano che essendo vinti vituperavano il nome loro, -ed erano carne di beccheria, si difendeano francamente ributtando -i nemici; molti e dall’una parte e dall’altra ne furono morti e -fediti; in fine gl’Inghilesi non potendo niente approdare si levarono -dall’impresa. Come il duca avea fatto a Corboglio, così il conte di -Lancastro e poi la persona del re cercarono di più altre castella e -fortezze, e nulla poterono ottenere, sì bene erano in apparecchio a -difesa; e queste cose furono gran cagione di recare gl’Inghilesi a -concordia, come a suo luogo e tempo diremo. - - -CAP. LXXXVII. - -_Conta del reggimento de’ Romani, e d’alcuna giustizia fatta._ - -L’antico popolo e reggimento romano a tutto il mondo era specchio di -costanza, e incredibile fermezza d’onesto e regolato vivere, e d’ogni -morale virtù, e quello ch’al presente possiede le ruine di quella -famosa città è tutto per lo contrario mobile e incostante, e senza -alcuna ombra di morali virtù. Loro stato sovente si muove con vogliosa -e straboccata leggerezza, e cercando libertà l’hanno trovata, ma non -l’hanno saputa ordinare nè tenere, com’addietro nell’opera nostra -si può trovare. All’ultimo, dalla forma e costumi de’ reggimenti -de’ popoli della Toscana che vivono in libertà, e massimamente de’ -Fiorentini cui essi appellano figliuoli, hanno preso il modo, e fatti -hanno loro cittadini in similitudine di priori e con simigliante balía, -e riduconsi presso al Campidoglio, e per loro consiglio hanno i capi -de’ Rioni, e a similitudine de’ gonfalonieri delle compagnie di Firenze -fatti hanno banderesi con grande potestà e balía, li quali hanno altri -sotto sè a cui danno i pennoni, e ciascuno de’ banderesi ha il seguito -di millecinquecento popolari bene armati e in punto a seguirli a ogni -loro posta; e così sono circa a tremila gli ubbidienti a’ banderesi. -Questi hanno a fare l’esecuzione della giustizia di fuori contro i -possenti e grandi cittadini che male facessono, o fossono inobbedienti -al reggimento di Roma, o dessono alcuno ricetto ai mali fattori in -loro fortezze o tenute; e contro a coloro che hanno trovato mal fare -cominciato hanno così aspra giustizia, che passano i segni per troppa -rigidezza, il perchè nè principe nè barone è nella giurisdizione del -popolo di Roma che non stia spaventato, e che forte non gli ridotti, e -che per paura non ubbidisca a’ governatori di Roma e’ loro rettori. E -in questo anno occorse, che il Bello Gaietani zio del conte di Fondi, -e Matteo dalla Torre, famosi capi e ritenitori de’ ladroni del paese, -furono presi da’ detti banderesi con più loro seguaci malandrini e -rubatori di strade, e di fatto e senza alcuno soggiorno tutti furono -impiccati, e le loro tenute disfatte e ragguagliate con la terra. Ed -essendo la Campagna in ribellione de’ Romani, e spilonca di ladroni, -e questo popolo infiammato a ben fare, ridottola all’ubbidienza de’ -Romani. - - -CAP. LXXXVIII. - -_Come parte degli Ubaldini presono Montebene._ - -I figliuoli di Tano da Castello della casa degli Ubaldini seguaci -de’ signori di Milano, e pertanto ai loro consorti nimici, nel detto -anno e mese d’aprile, di ciò non prendendo guardia que’ della casa -loro, con numero di fanti a ciò bastevoli, una mattina innanzi il fare -del giorno presono Montebene, e lo steccarono di steccati e fossi, e -dentro vi feciono capanne, e lo fornirono di vittuaglia e guernimenti -da difesa, aspettando secondo l’ordine dato gente d’arme da piè e -da cavallo da’ signori di Milano per fare da quella parte guerra a’ -Bolognesi rompendo le strade. E a dì 15 d’aprile con dugento Ungheri -e con trecento barbute, e con loro fedeli cavalcarono infino presso a -Bologna, e levarono gran preda di prigioni e bestiame, e altri danni -feciono assai. Poi a dì 23 del mese i Bolognesi con loro forza, e con -loro i figliuoli di Maghinardo degli Ubaldini e loro fedeli, essendo -partita la maggior parte della detta gente de’ signori di Milano, che -male poteano nell’Alpe dimorare, cavalcarono alle valli, e quelli vi -trovarono della detta gente misono al taglio delle spade, e in quelli -paesi presono e uccisono e danneggiarono i fedeli dell’Alpe, e con -quella preda maggiore che fare poteano si ridussono a salvamento: a -quelli di Montebene non poterono noiare per la fortezza del luogo. -Montebene per metà è del comune di Firenze, il perchè i Fiorentini -mandarono ambasciadori agli Ubaldini, e gli ripresono dell’impresa, -considerato che aveano occupato del contado di Firenze; da loro ebbono -tanta umile e cortese risposta, a non volere far cosa dispiacesse -al comune, che per non fare nuova impresa per allora loro risposta -fu accettata, non che l’ingiuria con l’altre non fosse riposta, e -riserbata a loro maggiore ruina. - - -CAP. LXXXIX. - -_Di novità e morte del re di Granata, e loro esilio._ - -Nel mese d’aprile 1360 essendo Maometto re di Granata senza sospetto di -suo stato uscito a cacciare, Raisalem suo barone, uomo di grande animo -e seguito, postoli aguato lo volle uccidere, ma esso fuggì. Costui col -seguito e forza sua coronò re un fratello di Maometto di piccola età, -e perseguitava il detto Maometto, il quale per paura fuggì a Malica, -e poi a Fessa, e quivi si ridusse al servigio del re di Fessa e a sua -provvisione, e ivi dimorando aspettava tempo di ricoverare sua corona. -Guardando Raisalem il giovane re, volle che facesse morire certi de’ -suoi baroni, e non volendo il giovane re consentire perchè non erano -in colpa, Raisalem l’uccise, e col suo seguito e forza si fè coronare -re, non essendo della schiatta e casa reale, e da tutti i regnicoli -di Granata quasi spontaneamente fu ubbidito, e fecesi chiamare il re -vermiglio, e con tutta sua forza e consiglio nimicava il re Maometto, -cui egli avea del regno cacciato, e oltre nimicava il re di Castella. - - -CAP. XC. - -_Come il legato richiese d’aiuto il re d’Ungheria alla difesa di -Bologna._ - -Già era quasi certa e indubitata speranza a’ pastori della Chiesa di -Dio, e a’ governatori d’essa, sì di là come di qua da’ monti, della -difesa della città di Bologna, e il legato d’ogni parte in qualunque -modo potea cercava aiuto sollecitamente: com’a Firenze avea mandato, -così all’imperadore e al re d’Ungheria sommovendoli al soccorso -dell’onore di santa Chiesa intorno a’ fatti di Bologna; per questo lo -re d’Ungheria richiesto, e non volendo, se prima non sapeva il come -e perchè, con più certo e diliberato consiglio fare l’impresa, come -gonfaloniere e difensore di santa Chiesa, al cui bisogno dicea non -potere senza soccorso passare, lettere fece e sua ambasciata mandò -a’ signori di Milano, loro pregando si partissero dall’offesa di -santa Chiesa, e gli ammoniva sotto protesto d’aiuto che si partissono -dall’impresa. I signori di Milano sentendo che suo movimento era pigro, -e con lunga tratta di tempo, a’ suoi ambasciadori mostrarono, e a lui -scrissono con assai apparenti ragioni che loro impresa era giusta e -ragionevole, e che in corte di Roma palesemente se ne disputava, e che -la ragione per loro parte rispondea, e così la sentenza attendeano; e -però lo pregavano che contro a loro non prendesse il torto, che giusto -il podere loro ne prenderebbono difesa, e gli ambasciadori di grande -riverenza onorarono, e di molti e ricchi doni. - - -CAP. XCI. - -_Come in corte si diè sentenza contro a quelli di Milano per i fatti di -Bologna._ - -Dappoichè Bologna fu nelle mani del legato di Spagna, nonostante che -i signori di Milano circondata l’avessono d’assedio, continovo in -corte per loro ambasciadori avvocati protettori e procuratori il papa -e’ cardinali intempellavano, mostrando in grido che la Chiesa loro -faceva torto, perocchè l’aveano ancora per quattro anni a censo della -Chiesa di Roma, e loro promesso era per bolle papali di consentimento -del collegio de’ cardinali, ch’anzi il tempo loro non sarebbe tolta, -e con l’usato modo di spendere e largamente donare alla disordinata -cupidigia de’ cherici, assai de’ cardinali prelati e cortigiani aveano -che in occulto e in palese gli favoreggiavano, il perchè la questione -venne in giudicio, e convenne che per sentenza si determinasse, la -quale si credette che per lo grande aiuto e favore che in corte aveano -i signori di Milano che venisse per loro, ma tanto non si potè nè seppe -argomentare che la sentenza non venisse di ragione per la Chiesa di -Roma, perocchè i signori di Milano per difetto loro n’aveano perduta la -possessione, e non l’aveano potuta ricoverare, ed essendo la proprietà -di santa Chiesa, giustamente avea potuto racquistare la possessione. -Data la sentenza, il papa con i cardinali in concistoro deliberarono -di prenderne per tutte vie la difesa; ma come per antica usanza e de’ -prelati al sussidio della moneta la mano era pigra e remissa, e per -questo mandarono e per lettere e per ambasceria a’ signori di Milano -gravandoli si togliessono dall’impresa, contro a loro cominciando -processo, e all’imperadore, a’ principi d’Alamagna, e al re d’Ungheria, -e appresso a tutti i signori di Lombardia e a’ comuni di Toscana -scrissono per sussidio per non toccare il tesoro della Chiesa di Roma, -e in tre volte a grande stento per questo servigio di camera trassono -centoventi migliaia di fiorini, li quali vennono a sì pochi insieme -e sì tardi, che in fatti di guerra poco profitto fare se ne potè, pur -fece speranza d’alcuno leggiere sostentamento. - - -CAP. XCII. - -_Come messer Galeazzo Visconti si mandò scusando in corte di Roma -dell’impresa di Bologna._ - -Seguendo messer Bernabò sollecitamente l’impresa di Bologna nonostante -la deliberazione fatta in corte, e il processo contro a lui formato, -lo quale l’avea più d’ira infiammato e stimolato alla guerra, messer -Galeazzo, o che ’l facesse per cagione del parentado nuovamente fatto -col re di Francia, per lo quale dava la figliuola del re al figliuolo, -e temea che ’l processo di santa Chiesa contro a lui fatto non -l’impedisse, o vero che fosse di consentimento di messer Bernabò, o per -suo proprio movimento, mandò a corte suoi ambasciadori a scusarsi al -papa e a’ cardinali con dire, non intendea nè in segreto, nè in palese -aiutar o favoreggiare il fratello nell’impresa di Bologna, perocchè -egli avea il torto, e che per lui gli era stato contradetto e vietato, -e per tanto domandava d’essere levato de’ processi i quali contro a -lui e messer Bernabò eran formati; affermando non essere colpevole, e -che intendea essere all’ubbidienza di santa Chiesa, e operare quanto -onestamente contro il fratello potesse. La sua scusa fu ammessa, -ove non desse favore a messer Bernabò, e il processo contro a lui fu -sospeso. - - -CAP. XCIII. - -_Come papa Innocenzio levò le riservagioni._ - -Per lungo spazio di molti anni, cominciando al tempo di papa Giovanni -ventiduesimo, in corte di Roma erano fatte le riserbazioni di tutti i -beneficii cattedrali e collegiali i quali secondo la ragione canonica -riformare si doveano e soleano per i capitoli e collegi delle dette -chiese, e ciò diede ad intendere di fare il detto papa Giovanni per -accogliere moneta e fare il passaggio all’acquisto della Terra santa; -e come uomo sagacissimo e astuto in tutte sue cose, e massime in fare -il danaio, usava questa cautela, che vacando un beneficio di grande -entrata togliea un prelato di più basso beneficio e lo promovea al -maggiore, e un altro di minore beneficio a quello di colui cui avea -promosso al maggiore, e così d’un beneficio vacato in corte cinque o -sei ne facea vacare, avendo i frutti dell’anno, e con grande spendio -di quelli ch’erano promossi; e fece il detto papa tesoro di diciotto -milioni di fiorini in moneta coniata, e più di sei milioni in gioielli. -Il quale ben seppe secondo il mondo Clemente sesto colla contessa di -Torenna, la quale tra le poppe portava le supplicazioni, e aprendo -il seno le porgea al santo padre; il quale in cacciare, e uccellare, -e altri diletti mondani la maggior parte de’ suoi giorni spese. Ed -era la corte tanto corrotta di simonia, che il più per simonia o -per grazia de’ signori temporali e cardinali gl’indegni e scellerati -cherici erano promossi, e i buoni e onesti ributtati, non senza loro -vituperio e vergogna. Per le quali inconvenienze Innocenzio papa mosso -da spirito diritto e buono zelo, in quest’anno 1360, per suo decreto -fatto consiglio, e con volontà del collegio de’ cardinali, levò le -riserbazioni, rilasciando le elezioni e postulazioni delle chiese -cattedrali e collegiate alla grazia dello Spirito santo. - - -CAP. XCIV. - -_Come il re Luigi fece guerra al duca di Durazzo, e ultimamente -s’accordaro._ - -I processi del regno di Puglia in questi tempi di poca memoria son -degni per i loro lievi movimenti. Il duca di Durazzo sentendosi nemico -del re Luigi, per tema di suo stato accogliea in Puglia gente d’arme -nelle terre sue, e molti gentili uomini napoletani, e di Nido e di -Capovana s’erano ridotti con lui il maggior fratello del re titolato -imperadore di Costantinopoli si tramettea di fare concordia tra loro, -e lo re non volea consentire; e per mostrare quanto la cosa gli era -grave, del mese d’aprile del detto anno con molta gente d’arme in -persona cavalcò in Puglia per guerreggiare messer Luigi di Durazzo, -il quale, com’è detto, apparecchiato s’era alla difesa a suo podere; -il re, per levarli l’aiuto e favore de’ Napoletani, fece comandare a -tutti, i cavalieri di Nido e di Capovana che con lui erano che partire -se ne dovessono altrimenti per ribelli gli avrebbe e traditori della -corona; nè per tanto i gentili uomini non vollono abbandonare il duca, -onde il re gli fece sbandire, e mando a Napoli a fare l’esecuzione -con abbattere loro case; nè il re avrebbe questo potuto fornire, se -non che la reina e pregò e comandò a quelli di Capovana e di Nido che -lasciassono fare la volontà del re, e così fatto fu senza contasto per -reverenza della reina; allora abbattuti furono molti palagi e case di -gentili uomini in Capovana e in Nido, cosa di rado udita e avvenuta in -quella città. Lo re passato il furore si lasciò consigliare, temendo -che tale riotta non fosse cagione d’attrarre gente d’arme nel Regno, -e per mano dell’imperadore fermò la pace col duca; nè pertanto il duca -fidò sua persona nella forza del re, ma il figliuolo d’età di meno di -sette anni mandò a fare l’omaggio al re, a tutto che per li capitoli -della pace ordinato era alla città di Napoli. - - -CAP. XCV. - -_Come messer Niccola gran siniscalco del Regno andò in corte di Roma -per accordare il re con la Chiesa, e fattogli dal papa ciò gli domandò, -e grand’onore, se ne tornò in Lombardia._ - -Essendo intorno al re Luigi il grande siniscalco il maggiore e il più -ridottato barone, come operare suole l’invidia, comune morte e vizio -delle corti, con false informazioni mosse il re a disdegno contro -messer Niccola. Esso ch’era alla corona fedele, con animo grande -mostrava di non se n’avvedere, e prese cagioni oneste alle sue terre si -riparava, massimamente a Nocea, e provvedeva i fatti suoi. Lo re povero -di savio consiglio per le cose gli occorrevano sovente mandava per lui; -esso preso scusabili cagioni per farlo conoscente ritardava l’andare: -e certo essendo messer Niccola appresso del re niuno de’ baroni osava -alzare il ciglio. E in que’ giorni occorso era che per lo censo debito -alla Chiesa, e non pagato, il Regno era interdetto; il gran siniscalco -avendo voglia d’essere a corte per levarsi dinanzi agl’invidiosi -assalti de’ baroni, e per cercare maggiori cose, alle quali l’animo suo -si dirizzava, e per fare prova di sè, con volontà del re andò a corte -di Roma, ove e dal papa e da’ cardinali fu sopra modo onorato; e in -prima la domenica della rosa il papa commendato di virtù, di nobiltà, -e di valore messer Niccola li diede la Rosa, la quale osava dare al -più nobile uomo che allora si trovasse in corte di Roma, appresso -con lui s’accordò del censo del reame, e levò l’interdetto. Da indi a -pochi giorni il papa di proprio movimento li diede per messer Giovanni -figliuolo di Iacopo di Donato Acciaiuoli suo consorto l’arcivescovado -di Patrasso, essendo i cardinali di più altri solliciti promotori, di -costui nullo intendimento v’era: il papa mostrò come essendo uopo di -braccio secolare al sostenimento di quello beneficio, costui più idoneo -era che un altro per lo consiglio e favore del gran siniscalco, e senza -attendere altra deliberazione, come domandavano i cardinali. d’isso -fatto lo elesse. Di poi di proprio moto del santo padre, l’uficio e -dignità del senato di Roma e tutto esso uficio accomandato fu al detto -messer Niccola a sua vita, e più la rettoria del Patrimonio, e la -contea di Campagna; i quali ufici e rettorie esso messer Niccola per -riverenza del suo signore messer lo re Luigi senza licenza non volle -accettare. E oltre alle predette grazie spontaneamente fatte, molte -petizioni di beneficii il papa liberamente gli segnò, mostrando a tutti -la grande confidenza che nel nobile uomo avea. E avendo messer Niccola -preso licenza del partire dal papa, il papa gli commise ch’andasse -a’ signori di Milano, e con loro cercasse accordo sopra i fatti di -Bologna. Il savio cavaliere per questa sua partita sostenne oneste -cagioni simulando, e intanto ebbe da messer Bernabò perchè altrimenti -nel secreto fare noi volea, pensando non doverne potere avere onore: -partì adunque di corte, e dirizzossi a Milano; quello ne seguì a suo -luogo diremo. - - -CAP. XCVI. - -_Come gli Aretini per baratta ebbono Chiusi e la Rocca._ - -Essendo Marco di messer Piero Saccone de’ Tarlati in certo trattato col -comune di Firenze di dare delle sue terre al comune per liberare di -prigione e se e’ suoi, la moglie la madre e gli altri suoi fratelli, -con sagacità di chi l’ebbe a conducere, furono messi in altro -trattato, nel quale mostrato fu loro, che se in concordia fossono con -gli Aretini, ove stava il tutto, che i Fiorentini rimarrebbono per -contenti; onde pensando la donna ben fare mossa da questo consiglio, e -per conforto di certi frati minori i quali erano in questo ragionamento -mezzani, non potendo di Chiusi fare a suo senno, che v’era dentro il -figliuolo, si diliberò vogliosamente, come usanza è delle femmine, -di dare Pietramala agli Aretini, con patto che come avessono Chiusi -restituissono Pietramala; e dato Pietramala la donna fè dire al -figliuolo, che se non desse la rocca di Chiusi, come data avea la rocca -di Pietramala così darebbe quella del Caprese, e di tutte altre loro -terre. Il giovane veggendo il male principio, e conoscendo la madre -animosa e costante, diede la rocca di Chiusi agli Aretini, la quale -con sicurtà di stadichi di renderla, se non facessono Marco e gli -altri suoi trarre di prigione, e incontanente alla donna restituirono -Pietramala. Di questa baratta il comune di Firenze concepette non -piccolo sdegno contro agli Aretini, ma non lo dimostrò, aspettando che -essi di loro errore ammendassero, e rendessero al comune di Firenze suo -debito onore; la qual cosa nè vollono nè seppono fare, come col tempo -seguendo nostra scrittura si potrà trovare. - - -CAP. XCVII. - -_Come il conticino da Ghiaggiuolo fu da’ figliuoli propri preso e -vituperevolmente tenuto._ - -Seguita cosa per sua natura non degna di memoria, ma piuttosto di -perpetuo silenzio: l’esempio crudele, disonesto e abominevole ci -forza a porlo intra gli altri nostri ricordi. Ramberto della casa de’ -Malatesti da Rimini detto volgarmente il conticino da Ghìaggiuolo, uomo -assai famoso, essendo nell’età di sessantacinque anni e oltre, avea -della figliuola di Francesco della Faggiuola sua donna due figliuoli, -l’uno per nome Francesco, l’altro Niccolò, giovani costumati e di -gentile aspetto, e che in vista mostravano di più alto animo che non -mostrarono per opera. Costoro essendo col padre in arme al servigio -di santa Chiesa, eziandio contro i consorti loro allora nimici di -santa Chiesa, e contro il capitano di Forlì, presono Santarcangiolo e -altre terre, e le ridussono all’ubbidienza di santa Chiesa, e presono -la guerra contro al capitano di Forlì. In un assalto amendue questi -giovani furono presi; e avendo il conte di Lando con sua gente servito -il capitano, e dovendo da lui avere danari assai, intra gli altri -pagamenti questi due giovani gli furono assegnati in parte di pagamento -per fiorini seimila, ed egli li si prese, seguendo il proverbio, dal -male pagatore o aceto o cercone. Il padre sentendo ch’erano nelle -mani del conte di Lando, e fuori delle mani dell’antico e crudele -nemico capitano di Forlì, con molta sollecitudine e arte cercò di -riscuoterli, e infine pagati fiorini mille cinquecento gli riebbe. -È vero che essendo la madre de’ detti Francesco e Niccolò attempata -e datasi allo spirito, il detto conticino pubblicamente si tenea -in casa un’amica, e di lei avea cinque figliuoli d’assai vezzoso e -gentilesco aspetto, il maggiore d’età di dodici anni. Il conte, ch’era -nell’età che detto avemo, grande affezione mostrava a questi bastardi, -il perchè la loro madre prendea di baldanza più non si convenia; e -pertanto era in uggia e crepore a’ detti Francesco e Niccolò, non di -manco il conte i madornali e loro madre onorava quanto si convenia -teneramente, lasciando a loro madre in dominio la rocca di Ghiaggiuolo -e ’l castello, stimando in suo concetto lasciare di sua masserizia -alcuna cosa a’ bastardi, e il retaggio a’ madornali. Lo giorno di -Pasqua rosata, a dì 23 di maggio, avendo il conte e’ figliuoli desinato -insieme di buona voglia, e stando gran pezza a sollazzare insieme, -e ito il conte a dormire, e poi ritornato a festeggiare con loro, e -stando a vedere loro giuochi, un fedele del conte, fante assai pregiato -e fidatissimo a lui, lo prese di dietro; il conte pensando cianciasse, -com’era usato, niuno riparo prese, e un altro intanto sopraggiunse che -gli levò il coltello dal lato, e alandolo all’altro tenere lo gittarono -in terra; i figliuoli con le funi nelle mani, ne’ piedi con tutta -l’altra persona strettamente il legarono, come si suole di ladroni, e -così legato lo feciono portare, e nella sua propria camera in un fondo -che v’era l’incarcerarono, e sotto buona e fidata guardia il teneano, -e tanto per più giorni lo tennono legato facendolo imboccare e fare gli -altri servigi, che feciono fare una stanga di ferro, e buove, le quali -pesanti fuori d’ordine gli misono in gamba, mettendoli i piedi la notte -ne’ ceppi. La sua femmina detta Rosina nel fiumicello di Chiusercole -con un sasso al collo feciono annegare; i bastardi cacciarono tutti, -i quali con vergogna de’ madornali in piccolo tempo presono cattivo -viaggio. Lo padre facendo sovente di parole schernire, e rimprocciarli -la Rosina e’ suoi bastardi; costui pazientemente tutto portando, e -umilmente spesso domandando misericordia, con volere far ciò che i -figliuoli sapessono divisare, i lor cuori più indurando a giornate, -lungo tempo lo tennono in sì orribile vita. Io ho letto e riletto, -mai tanta crudeltà non trovai ne’ cuori de’ salvatichi barbari, e -non so a quali fiere selvaggie gli potessi assomigliare. I figliuoli -sogliono essere teneri del padre, e di sua gloria e onore; fede ne fa -Valerio Massimo per l’esempio di Manlio, il quale essendo dal padre -villanamente trattato, sentendo che il padre volea essere accusato, -andò alla casa dell’accusatore, il quale graziosamente lo ricevette -pensando che volesse favorare l’accusa contro il padre, il giovane -riduttolo in luogo segreto gli strinse il coltello sopra il capo, e -si fece promettere e giurare si leverebbe dall’accusare: costoro bene -trattati dal padre, senza cagione, che eziandio qualunque leve pena -meritase, lo crucifissono; e pertanto in perpetua infamia di sì fatti -figliuoli scritto l’avemo. - - -CAP. XCVIII. - -_Come si fermò pace dal re d’Inghilterra a’ Franceschi, e’ patti e le -convegne ebbono insieme._ - -Avendo come nell’addietro narrato avemo lo re d’Inghilterra il verno -tutto e parte della primavera co’ figliuoli e col cugino cavalcato -tutto il reame di Francia senza contasto alcuno, nè però potuto -acquistare alcuna buona terra, ed essendo stati sopra Parigi ad assedio -con niente profittare, standosi a Ciartres, il detto re come savio -e pratico prencipe, pensando e conoscendo i difetti e i pericoli che -sogliono e possono occorrere nelle continuanze delle guerre, vedendosi -il sovrano in arme e nell’onore del reame di Francia, e in caso di -poter prendere suo vantaggio nella pace, si dispose al tutto non volere -più sua fortuna tentare: onde essendo presso a Ciartres a due leghe il -cardinale di Pelagorga e l’abate di Clugnì legati del papa a cercare -la pace tra’ detti due re, lo re d’Inghilterra loro fece sentire, -ch’attenderebbe al trattato della pace cercato per loro dove per lo -governamento e’ reggenti di Francia si dovesse mandare trattatori: li -detti legati ciò inteso di presente mandarono al reggente significando, -che s’attendere volea alla pace cercata per loro per avventura la -potrebbe avere. In questo i detti legati col re d’Inghilterra elessono -per luogo comune una villa detta Beeragnì, la quale è presso a -Ciartres a una lega: lo reggente di Francia per la sua parte mandò il -vescovo di Brevagio, il conte di Trinciavilla, il quale era prigione -degl’Inghilesi, il maliscalco di Francia e più altri signori e prelati, -i quali partirono di Parigi a dì 17 d’aprile, e a dì primo di maggio -quivi co’ detti legati e con loro per la parte del re d’Inghilterra -s’accozzarono, il duca di biancastro, il conte di Norentona, il conte -di Vervich, e ’l conte di Cosmoforte, e altri signori e cavalieri in -numero di ventidue, e a dì 8 di maggio per la grazia di Dio furono -d’accordo, fermando la pace in sostanza nell’infrascritto modo. In -prima che ’l re d’Inghilterra con quello che tenea in Guascogna abbi -per quel modo le tenea il re di Francia l’infrascritte città, contee -e paesi, oltre a quelle che tenea in Ghienna e Guascogna, la città -e castella di Poittiers, e tutta la terra e ’l paese di Poittu, e ’l -fio di Tomers, e la terra di Bellavilla, la città e castello di san -Reose di Santes, e tutte le terre e paesi d’Essa; la città e castella -di Pelagorga con sue terre e paese, la città, castella, terre e paesi -di Limogia, la città, e castella, terre, e paese di Caorsa, la città -e castella, terre e paese di Tarbes; la terra e il paese e la contea -di Bigorece, la città, terre, e paese di Gaure; la città terra e -paesi di Goulogm la città terra e paesi di Rodes, la contrada e paese -di Rovergne: e se v’è alcuno signore come il conte di Foci, il conte -d’Armignacca, il conte dell’Isole, il conte di Pelagorga, il visconte -di Limoggia, o altri che tenghino alcuna cosa de’ detti luoghi e paesi, -fare debbino omaggio al re d’Inghilterra, e tutti altri servigi e -doveri per cagione di loro terre alla maniera che l’hanno fatto nel -tempo passato, e più tutto ciò che il re d’Inghilterra o alcuno di loro -tennono nella villa di Monstreul in sul mare, e più tutta la contea di -Ponthieu, salvo lo alienato per lo re d’Inghilterra ad altri che nel re -di Francia, e salvo se il re di Francia l’avesse in cambio per altre -terre, nel quale caso lo re d’Inghilterra gli dee liberare la terra -data in cambio: e se terre alienate per lo re d’Inghilterra ad altrui, -le quali poi fossono venute nelle mani del re di Francia, lo re di -Francia dare le dee a persone che ne facciano omaggio, e che rispondano -a quello d’Inghilterra. E più deve avere il detto re d’Inghilterra la -villa e castello di Galese, la villa castello e signoria della Marca, -la villa castello e signoria di Sangato, Golognegi, Amegoie con tutte -terre, vie, maresi, riviere, rendite, signorie, case, e chiese, e tutte -appartenenze e luoghi intrachiusi con tutti i loro confini, e più la -villa e tutta intera la contea di Ginis, con tutte le ville terre -e fortezze e diritture di quelle come tenea il conte diretanamente -morto, e come tenea il re di Francia, e di tutte le sopraddette città, -castella e luoghi dee il re d’Inghilterra, e sue rede e successori -liberamente avere tutti gli omaggi, obbedienze, sovranitadi, fii, -diritti, saramenti, riconoscenze, fedeli, servigi, e mero e misto -imperio, e tutte giurisdizioni e alte e basse, e padronaggi di -chiese, e ogni signoria e ogni diritto che per qualunque cagione il -re, la corona di Francia o i reali potessono per alcuna ragione o -colore domandare, tutto s’intenda essere trasferito nel re, corona -d’Inghilterra, e sue rede e successori pienamente e perpetuamente: -e tutti quelli che giurato avessono per dette cagioni nelle mani del -re, o d’alcuno de’ reali, da’ detti saramenti s’intendessono essere -liberi e quitati, rimanendo al re d’Inghilterra come e’ sono appresso -del re di Francia. E tutte dette città, terre castella e luoghi, il -re e la corona d’Inghilterra perpetualmente deve in loro franchigia -tenere, e perpetuale libertà, come signore diritto e sovrano, e come -buono vicino al re di Francia e reame, e senza fare riconoscenza -alcuna alla corona di Francia. E deve il re di Francia dare e pagare -al re d’Inghilterra tre milioni di scudi d’oro, di Filippo gli due, i -quali vagliono un obole d’Inghilterra, de’ quali al re d’Inghilterra, -o a’ suoi commessarii, secentomigliaia quattro mesi appresso che -’l re di Francia sarà in Calese, dove il pagamento far dee; e infra -l’anno prossimo avvenire quattrocento migliaia nella città di Londra, -e ciascuno anno appresso quattrocento migliaia, tanto che compiuti -sieno di pagare i detti tre milioni di scudi. E per osservanza del -detto trattato e predette e infrascritte cose, de’ prigioni presi alla -battaglia di Poittiers devono rimanere per stadichi al re d’Inghilterra -gl’infrascritti, e più ancora degli altri, ciò sono: messer Luigi conte -d’Angiò, messer Gianni conte di Poittiers figliuoli del re di Francia, -il duca d’Orliens fratello del re; e del numero de’ quaranta che ’l -re di Francia dee dare, sedici de’ presi alla battaglia di Poittiers, -i compagni del re di Francia de’ nuovi staggiai nomi sono: il duca di -Borgogna, il conte di Broig o il fratello, il conte d’Alanson o messer -Piero suo fratello, il conte di san Polo, il conte di Ricorti, il -conte di Pomeu, il conte di Valentinese, il conte di Brame, il conte -di Baluldemonte, il visconte di Belmonte, il conte di Foreste, il -sire da Iara, il sire di Fiene, il sire de’ Pratelli, il sire di san -Venante, il signore de’ Culetiers, il Delfino di Daluyernia, il sire -di Angestiem, il sire di Montener, e messer Guglielmo di Raon, messer -Luigi di Ricorti, messer Gianni de’ Lagni. I nomi de’ sedici presi -sono questi: messer Filippo di Francia, il conte d’Eia, il conte di -Largavilla, il conte di Ponthieu, il conte di Trinciavilla, il conte -di Logamb, il conte della Serra, il conte di don Martino, il conte -di Ventado, il conte di Salisbruc, il conte di Vedasme, il signore di -Truoy, il signore di.... il signore de Vali, il maliscalco di Donam, -il sire d’Ambrignì. Dati li detti staggi, e venuto il re di Francia -a Calese, e liberato di sua prigione, infra li tre mesi seguenti lo -re d’Inghilterra dee lasciare libere al re di Francia la villa e la -fortezza della Roccella, le castella e ville della contea d’Agenes e -loro appartenenze, e il re di Francia tre mesi appresso che partito -sarà da Calese dee rendere in Calese quattro persone della villa di -Parigi, e due persone di ciascuna villa, ciò sono; Santo Omer, Aranzon, -Amiens, Belvaggio, Lilla, Tornai, Doaggio, Long, Rems, Celona, Tors, -Ciartres, Tolosa, Lione, Campigno, Roano, Camo, Trasiborgo de’ più -sufficienti di dette ville per compimento del trattato. E dee il detto -re di Francia e suo primogenito rinunziare ogni diritto e sovranità, -e ogni ragione che sopra e nelle città, castella e luoghi potessono -usare come vicini, senza appello o quistione per sovranità per lo detto -re e reame di Francia, o avere potesse, sopra le dette contee, città, -castella, terre, e luoghi, o loro appartenenze, le cede e doni al re -d’Inghilterra perpetualmente. E lo re d’Inghilterra e suo primogenito -debbono rinunziare al nome e diritto della corona di Francia, e -all’omaggio, sovranità e dominio della duchea di Normandia, della -duchea di Torenna, della contea d’Arom, e al dominio, sovranità, e -omaggio del ducato di Retognac, e alla sovranità e omaggio della contea -di Fiandra, e di tutte altre cose appartenenti alla corona di Francia, -salvo delle dette contee, città, castella, ville, e luoghi suddetti, -che pervenire debbono al re e corona d’Inghilterra; e dee lo detto -re d’Inghilterra cedere e trasportare nella corona di Francia ogni -ragione somma ove potesse avere. E sì tosto il re d’Inghilterra e suo -primogenito ciò debbono fare, come il re di Francia le città, ville, -castella, e luoghi che il re di Francia tiene delle sue nominate sopra -quelle tiene il re d’Inghilterra avrà date, e consegnate liberamente -al detto re d’Inghilterra, o suoi commessarii, le quali son queste; -la città di Poittiers, e tutta la terra e paese di Poittu, con essa -il fio di Toraci, e la terra di Bellavilla, la città di Gem, la terra -e’ paesi d’Agenes, la città di Pelagorga, la città di Caorsa, la città -di Limoggia, tutta la contea di Gavera con tutte loro castella, terre -e paese. E ciò far dee il re di Francia per infino alla festa di san -Giovanni Batista; e ciò fatto, subitamente appresso, davanti a quelli -che per lo re di Francia a ciò saranno diputati, lo re d’Inghilterra e -suo primogenito debbono rinunziare al reame di Francia, come detto è di -sopra, e farne trasporto, cedizione e lasciamento per fede e saramento -solennemente, e con lettere patenti aperte e suggellate del suggello -reale, le quali lo detto re mandare dee nella natività di nostra -Donna prossima avvenire nella chiesa degli agostini di Bruggia, le -quali devono essere date a quelli i quali il re di Francia vi mandasse -per riceverle. E se nel termine di san Giovanni Batista il detto re -di Francia non potesse dare o consegnare al detto re d’Inghilterra, -o suoi commessarii a ciò deputati, le sopraddette città, castella, -ville i terre, e luoghi, le possa e debba dare e consegnare infra il -termine di tutti i Santi prossimi avvenire a un anno, e fatto ciò, -dee lo re d’Inghilterra infra il termine di sant’Andrea prossimo -seguente fare le dette renunzie, mandare e presentare a Bruggia, come -è detto di sopra. E per simile modo è tenuto e dee lo re di Francia -e suo primogenito renunziare, trasportare e cedere ogni loro ragione -della corona di Francia quali avessono sopra delle città, castella, -ville, e terre, e luoghi, che per vigore del presente trattato aver -dee lo re d’Inghilterra, e quelle mandare al suddetto termine al -luogo degli agostini, dove dare si debbono al re d’Inghilterra, o a’ -suoi commessarii a ciò deputati. Nè si dee il re di Francia nè sua -gente armare contro al re d’Inghilterra infino a tanto che fornito -sia, e mandato pienamente ad esecuzione ciò che nel trattato della -pace si contiene e specificato è: e più che durante il detto tempo e -termine nel quale lo re di Francia dee dare e consegnare le suddette -città, castella, ville, terre, e luoghi, il detto re di Francia e suo -primogenito non possano nè debbano in essi usare sovranità o servigio, -nè domandare alcuna soggezione, nè querele, nè appellagioni in loro -corpi ricevere, nè lo re d’Inghilterra si dee nè procedere nè per -altro modo in esse intromettere, nè niente travagliare. Si terminò, e -tal fine ebbe la lunga guerra per spazio di ventiquattro anni o circa -menata tra gli detti due re, con inestimabile e incredibile danno -di persone e di avere degli detti due re e reami, e loro aderenti e -seguaci, e sì de’ mercatanti che praticavano i detti due reami. So che -mi potea con meno scrittura passare, ma fatto son lungo per mostrare -alle genti a quanta viltà venne per allora la corona di Francia. E qui -faremo piccolo tramezzamento d’alcune cose occorse fuori della presente -materia, acciocchè l’animo e l’intelletto faticato sopra una materia, -e quindi avendo preso fastidio, abbi per nuovo cibo ricreazione, e -torneremo alle italiane fortune. - - -CAP. XCIX. - -_D’un trattato si scoperse in Bologna, e quello ne seguì._ - -Essendo alcuni cittadini bolognesi con alquanti forestieri in trattato -co’ capitani dell’oste del Biscione, con impromessa di dare loro -una porta se si appressassero alla città, l’oste subito si mosse, e -venne a Panicale presso a Bologna a due miglia, il perchè i Bolognesi -spaventati ebbono gran paura, onde dì e notte stando in sollecita -guardia sagacemente de’ sospetti cercavano, i quali nel mormorio del -popolo brogliavano. I traditori veggendo che loro malvagia intenzione -ad esecuzione non poteano mandare, e che loro malizia si venia a -scoprire, la notte i più presono consiglio, e si collarono a terra -delle mura, massimamente i caporali; degli altri alquanti presi -ne furono, e messi al macello. Vedendo caporali dell’oste che loro -pensiere venia fallato, e che dov’erano gran soffratta di vittuaglia -sentivano, del mese di giugno si ritrassono addietro, e tornarsi a -Castelfranco; onde dilungati da Bologna miglia ventuno, essendo il -tempo del mietere, tutti i Bolognesi, eziandio quelli che usi non erano -di sì fatto servigio, sollecitamente puosono mano alla falce, e quello -segavano, o grano o biada che fosse, con la paglia con sollecitudine a -guisa delle formiche riponeano nella città. Gl’inimici in questi giorni -soprastettono assai senza fare loro cavalcate, o per disagio che patito -avessono, o perchè attendessono loro paghe, o perchè fossono contenti -che i Bolognesi facessono la state perchè più si mantenesse la guerra, -o perchè per pecunia fossono corrotti, che più credibile fu; e certo i -Bolognesi non furono lenti, ma in pochi dì misono dentro roba da vivere -per un anno, che gran conforto fu a’ poveri lavoratori, e a tutta la -città. - - -CAP. C. - -_Come il papa confortò gli ambasciadori bolognesi, e richiese d’aiuto i -Fiorentini all’impresa di Bologna._ - -Il papa avea a grande onore e con paternale accoglienza ricevuti -gli ambasciadori bolognesi, e inteso quello che esposto aveano, con -amorevoli e persuasive parole riconfortò, con affermare che sarebbono -dal tiranno di Milano difesi. È vero che mandato avea un piccolo -sussidio di camera al legato, il quale fu prima logoro e stribuito che -al legato giugnesse. A principi d’Alamagna, al re d’Ungheria, ai comuni -di Toscana mandato avea per aiuto la Chiesa di Roma, e per lo generale -de’ romitani, il quale il papa avea per ambasciadore mandato a Firenze, -forte strinse esso comune che in servigio di santa Chiesa facesse -l’impresa della difesa di Bologna, mostrando con colorate ragioni che -atare santa Chiesa, quando seco ha la ragione e la giustizia, contro -al tiranno usurpatore, occupatore della libertà di santa Chiesa e -degli altri popoli che a libertà vogliono vivere, non era fare contro -la pace, e che più utile e fidata vicino era al comune di Firenze la -Chiesa di Dio che messer Bernabò, e più altre ragioni rettoricamente -dicendo, per le quali dimostrava che ’l comune potea e dovea servire -santa Chiesa, e massimamente per conservare in libertà i loro fratelli -Bolognesi, ma poco gli valse a questa volta sonare la campanella, che -’l comune di Firenze, usato di mantenere sua fede e lealtà, a questa -volta chiuse gli orecchi. Così avesse fatto per l’addietro, e per -l’innanzi facesse, perocchè quando per lo passato ha fatte l’alte e -grandi imprese, per i governatori della Chiesa di Roma addosso gli sono -rimase a strigare; e quando il comune ha avuto bisogno, la Chiesa l’ha -al tutto abbandonato, in grave pericolo di suo stato; ora il comune -a questa volta stette fermo e costante a non imprendere cose nè per -diretto nè per indiretto, che la pace potessono maculare. I principi -d’Alamagna e il re d’Ungheria non furono alla richiesta correnti, -vogliendo con capo di ragione gravemente procedere sicchè la riuscita -vergognosa non fosse, considerata la potenza del signore di Milano. -Dipoi del mese di giugno passarono per Firenze gli ambasciadori del re -d’Ungheria, i quali andavano al santo padre, e da loro s’ebbe che ’l -re avea desti suoi baroni e gente, per averla in punto se bisognasse. -Il legato per sodisfare alla guardia di Bologna ha premuto e preme -di sussidio di pecunia la Marca, il Ducato e la Romagna, sicchè nè -hanno potuto nè possono dormire; e in que’ giorni il legato mandò in -Bologna messer Galeotto de’ Malatesti capitano della gente dell’arme, -aspettando il gran siniscalco il quale in que’ dì tornare dovea dal -signore di Milano con trattato d’accordo; e così i Bolognesi mal -guidati e peggio trattati stavano in forse ora d’accordo ora di guerra: -la gente del legato guardavano la terra, e i nimici di fuori aveano il -campo in balía. - - -CAP. CI. - -_Come i Chiaravallesi vennero contro a Todi, e come furono rotti e -presi._ - -I Chiaravallesi di Todi aveano menato trattato con certi loro amici -d’entro per rientrare in casa loro, ed era il trattato, ch’e’ doveano -avere il castello che si chiama la Pietra; e venuto il tempo, a dì -10 di giugno mandaro per lo castello, e loro dato fu. Fatto questo -principio con quaranta uomini da cavallo e con gran popolo si -dirizzarono a Todi, con speranza che i cittadini fossono intrigati e -disordinati per la subita ribellione del castello, e che i loro amici -d’entro avessono più baldanza a metterli dentro; avvenne, che desto -il popolo per la perdita della Pietra di presente fu sotto l’arme, -e quelli del cardinale, i quali allora governavano quella città, -de’ quali era il sovrano messer Catalano, sentendo l’avvenimento -de’ Chiaravallesi lasciarono le porti con buone guardie, e con loro -seguaci a piè e a cavallo francamente si misono fuori a petto ai loro -avversari, i quali veggendo la moltitudine del popolo venire con furia -contro a loro, impauriti si misono alla fuga, e il popolo a seguitarli, -uccidendo cui giugnere poteano; e rotti e straccati i Chiaravallesi, -che mattamente s’erano messi innanzi, il popolo con quell’empito -furioso se n’andò al castello e riebbelo, con gran danno di quelli che -v’erano entrati; e tornati in Todi si riposavo, non trovando di loro -cittadini d’entro alcuno sospetto. - - -CAP. CII. - -_Come l’oste di messer Bernabò si strinse a Bologna, e fermaronvi -bastite._ - -Essendo soggiornata la gente di messer Bernabò a Castelfranco, e preso -suo rinfrescamento a utilità de’ Bolognesi come dinanzi è detto, -inverso l’uscita di giugno cavalcaro verso Bologna facendo danno -d’arsione più che non erano usati, e puosonsi presso a un miglio fuori -della porta di santo Stefano, e feciono nuove bastite, e altrove per -tenere più stretta la terra e d’intorno la cavalcarono, sicchè la gente -si ritenne dell’andare fuori più che non solea, e quando uscivano -da lunga dell’oste, ciò faceano con scorta de’ cavalieri d’entro, e -recavano della roba, ma non al modo usato, nè senza grande pericolo -delle persone. - - -CAP. CIII. - -_Come la casa reale di Francia feciono parentado co’ Visconti per -danari, con vituperio della corona._ - -La fortuna, maestra e donna delle mondane delizie, senza torre più -lontano esempio de’ suoi straboccamenti, ce n’adduce nel presente -a narrare uno, lo quale senza stupore di mente chi diritto vorrà -giudicare nè porre si può in scrittura nè leggere. Chi arebbe per lo -passato, considerato la grandezza della corona di Francia, potuto -immaginare, che per gli assalti del piccolo re d’Inghilterra in -comparazione del re di Francia fosse a tanto ridotta, che quasi -com’all’incanto la propria carne vendesse, la qual cosa è nel cospetto -de’ cristiani ammirabile specchio e certissimo dell’infelicità degli -stati mondani. E per più mostrare la grandezza di questa misera -fortuna, torneremo un poco addietro all’origine del presente stocco -regale della casa di Francia. Giovanni lo Sventurato re di Francia -ebbe per moglie la figlia del re di Boemia nata d’Ottachero, e -sorella carnale di Carlo imperadore de’ Romani, della quale avea tre -figliuoli maschi e tre femmine, delle quali l’una era consegrata a -Dio nel nobile e ricco monistero di Puscì, l’altra era donna del re di -Navarra, la terza nome Elisabetta era la donna del re di Francia: ora -esso Giovanni, per soddisfare ai secento migliaia di scudi promessi -di pagare in Calese al re d’Inghilterra per i patti della pace, si -condusse a vendere al tiranno di Milano messer Galeazzo Visconti per -secento migliaia di fiorini la figliuola per giugnerla in matrimonio -con messer Giovanni figliuolo di messer Galeazzo, allora d’età d’undici -anni, lo quale per lo titolo della dote titolato fu conte di Virtù. Il -modo fu questo, che essendo il re di Francia prigione in Inghilterra -del mese di giugno detto anno, e occorrendoli spese molte, e più -avere a pagare i detti secento migliaia di scudi, e trovandosi male -in apparecchio a ciò potere fare, la detta sua figliuola consentì -mogliera del detto messer Giovanni, avendo in dono da messer Galeazzo -trecento migliaia di fiorini d’oro, e comperando nel reame di Francia -dal re baronaggi in nome di dota della detta fanciulla di valuta di -trecento migliaia di fiorini: e ciò fu accecamento, che il re ricevuti -i danari gli diè la piccolissima contea di Vergiù, tutto che di -Virtù volgarmente si titolasse, per coprire la miseria della povera -contea. Lo re di Francia per la detta convegna promise, che avuti -i trecento migliaia di fiorini al mezzo di settembre di detto anno -farebbe la figliuola conducere in Savoia, e ivi la farebbe assegnare -al piacimento di messer Galeazzo. Fermate e stipulate solennemente -le dette convegne tra il re e messer Galeazzo, parendo a’ signori di -Milano avere fatto, quello ch’aveano fatto magnificandosi, mandarono -per tutta Italia ambasciadori a significare il fatto, e a invitare -baroni, signori e comuni che venissono e mandassono alla loro corte e -festa; e cominciarono a ricogliere gioielli, pietre preziose, sciamiti, -drappi, quanti in Italia avere ne poterono, facendo di tutto pomposo -apparecchiamento. Giunta la fanciulla in Savoia, messer Galeazzo con -l’ordine si convenia mandò per lei, e giunta in Milano a dì 8 del mese -d’ottobre, la fanciulla in abito e atto regale si contenne, ricevendo -riverenza e da’ signori e da loro donne, ma il drappo sopra capo non -sofferse, e così stette infino che fu sposata; e da quel punto innanzi -posto in oblio la reale dignità e nobiltà di sangue, reverenza fece e -a messer Galeazzo, e a messer Bernabò, e alle donne loro. Il corredo -cominciò la domenica a dì 11 d’ottobre. con apparecchiamento di molte -vivande alla lombarda, di per sè ordinate le donne in numero di secento -riccamente ornate, e magnificamente servite, e gli uomini dall’altra -parte, essendo gli ambasciadori de’ signori, de’ tiranni, e de’ comuni -in numero di più di mille alle prime tavole servite di tre vivande -copiosamente. La festa durò per tre giorni, facendo nel cortile di -messer Galeazzo del continovo giostre a tre arringhi, e le donne ne’ -casamenti d’intorno erano ordinate e alloggiate a vedere; le burbanze -furono grandi di sopravveste e cimieri, tale venne in figura del re -di Francia, tale del re d’Inghilterra, e così degli altri re, duchi -e signori, perchè la festa più onorevole fosse, tutto che valentria -d’arme poco o niente vi si facesse da doverlo pregiare; altre notabili -cose non vi furono; nell’ultimo messer Bernabò fece il convito suo, e -fu fornita la festa. È vero che lungamente dinanzi essendovi giunti gli -ambasciadori italiani tutti onorati furono, e fatte loro larghe spese -da’ signori con sollecita provvedenza. Messer Giovanni era d’età di -dieci anni, il perchè il matrimonio non si potè consumare in questo. -Alquanto avemo il tempo passato per ricogliere insieme la storia di -questo matrimonio, ora torneremo addietro a più spaventevol volto delle -miserie mondane in nostra materia. - - -CAP. CIV. - -_Come messer Niccolò di Cesaro conte di ... e signore di Messina fu -morto con quaranta compagni._ - -Nel mese di luglio detto anno, essendo messer Niccolò di Cesaro conte -di .... tornato in Messina, e senza avere avuto dal re Luigi aiuto col -quale potesse con la parte avversa campeggiare, perocchè i Catalani -liberamente scorreano il piano tra Messina e Melazzo, e aveano prese -parecchie castella, temendo messer Niccolò non prendessono il buono -e forte castello di santa Lucia, vi cavalcò con quaranta compagni a -cavallo per ordinare la guardia e la difesa che avessono a fare quelli -del castello, e per confortarli del soccorso se bisogno loro fosse. Gli -uomini del castello che vedeano l’altra parte poderosa e in campo, e -che essendo ito messer Niccolò al re Luigi per aiuto non avea menato -forza da poterli difendere, cominciarono a turbarsi contra lui, e -tanto montò il bestial furore de’ villani, ch’egli co’ suoi compagni -si rinchiuse nella rocca; i villani perseverando il loro mal talento -mandarono per i Catalani che vi erano presso, e dieronsi a loro; e in -esso stante i Catalani mandarono seicento cavalieri e popolo assai con -quelli del castello, e assediarono la rocca, la quale per lo subito -e sprovveduto caso male era fornita, in tanto che messer Niccolò fu -costretto da cercare patti d’arrendersi, e così fè salve le persone: -e avendo renduta la rocca fu menato con i suoi compagni a Melazzo, -e loro detto fu, che se voleano campare facessono sì, che quelli di -Melazzo s’arrendessero loro. Messer Niccolò vedendo nelle mani di cui -era, e il partito duro, giudicossi morto, non di manco come valente -si mise a tentare se potesse la morte fuggire, e con umili e dolci -parole quanto potè pregò quelli di Melazzo, che per lo scampo suo e de’ -compagni volessero assentire alla volontà de’ Catalani, ma essi se ne -feciono beffe, e la risposta feciono colle balestra; onde i Catalani -intralasciata, loro promessa fè, senza alcuna pietà o misericordia -davanti a Melazzo e messer Niccolò e tutti i suoi compagni tagliarono a -pezzi. Tale fu il fine della breve tirannia di messer Niccola di Cesaro -signore di Messina. I Messinesi per la morte di messer Niccolò e de’ -compagni scorta la bestiale crudeltà de’ Catalani, e visto che non si -poteano confidare, come meglio seppono e poterono s’ordinarono alla -difesa, aspettando a tempo dal re Luigi qualche soccorso. - - -CAP. CV. - -_Come fornito il trattato della pace tra i due re si fè triegua, e -giurossi l’una e l’altra, e lo re d’Inghilterra si tornò nell’isola per -mandare a esecuzione le cose ordinate._ - -Fermato a Briagnì il trattato della pace tra i due re di Francia -e d’Inghilterra, perchè parea che l’esecuzione d’essa avesse lungo -tratto di tempo, feciono ivi medesimo una triegua, perchè ogni radice -e materia di guerra cessasse. E ciò fatto, il re d’Inghilterra mandò -a Parigi messer Rinaldo di Cubano, messer Bartolommeo Durvasso, messer -Francesco Dalla, e messer Ricciardo della Vacca suoi baroni, nella cui -presenza il Delfino di Vienna e duca di Normandia, primogenito del re -di Francia e governatore del reame, in sul corpo di Cristo sagrato, e -in su li santi Evangeli giurò d’attendere e osservare la detta triegua -e la pace, e che la farebbe attendere e osservare; appresso lui simile -fecero tutti i baroni di Francia che si trovarono in Parigi; e ciò -fatto, i detti baroni del re d’Inghilterra si tornarono a Ciartres -al re d’Inghilterra. I figliuoli del re d’Inghilterra e lo conte di -Lancastro feciono simile giuramento a quello del Delfino di Vienna, e -appresso i baroni del re d’Inghilterra che col re si trovarono giuraro -come fatto aveano quelli di Francia: e ciò fatto fu a dì 11 del mese -di maggio 1360. Le promesse fatte ne’ detti giuramenti furono, che li -due re infra tre settimane dopo il prossimo san Giovanni giurerebbono -la detta pace in Calese. La detta triegua bandita fu a dì 12 di maggio -in Parigi, e appresso per tutto il reame. Fatto il saramento, agli -11 dì il re d’Inghilterra con tutto suo oste pacificamente si partì -da Ciartres passando per Normandia, e prendendo derrata per danaio, e -col prence suo figliuolo, e con gli altri suoi baroni entrò in mare a -......, e passò in Inghilterra, e tutta sua’ gente d’arme pacificamente -si ridusse a Calese. Giunto il re d’Inghilterra, quello di Francia gli -diè desinare nella torre di Londra, e quivi per loro fede giurarono -di tenere e osservare il trattato di pace; appresso a dì 8 di luglio -il re di Francia venne a Calese, e a dì 9 detto il re d’Inghilterra -il re di Francia lui e ’l figliuolo convitò a mangiare, e in quella -mattina lo re di Francia fermò l’accordo tra il re d’Inghilterra e -’l conte di Fiandra, e il detto conte andò a Calese, e da ciascuno re -lietamente fu ricevuto. Poi a dì 14 di luglio, Carlo primogenito del -re di Francia, duca di Normandia, e Delfino di Vienna, e governatore -di Francia, da Bologna sul mare andò a Calese a vedere il padre, e -desinò col re d’Inghilterra, l’altra mattina si partì. È vero che -perchè non dubitasse lo re d’Inghilterra mandò a Bologna due figliuoli -come staggi; poi sabato mattina a dì 24 di luglio, l’abate di Clugnì -nella Chiesa di san Niccolò in Calese, nella presenza de’ detti -due re e di due figliuoli di ciascuno, e di più di sessanta baroni -tra dell’uno e dell’altro re, disse messa, e consegrato il corpo di -Cristo, quando venne al terzo Agnus Dei che dice, dona nobis pacem, -li detti due re si inginocchiarono con molta reverenza; l’abate si -rivolse a loro col corpo di Cristo sagrato in mano, sopra il quale i -due re giurarono d’attendere e osservare il trattato della pace, poi -di quella detta ostia si comunicarono insieme. Appresso l’abate loro -porse li santi Evangeli, e ancora sopra essi giurarono; giurato che -ebbono i due re, similemente giurarono i loro figliuoli, e tutti i -loro baroni che erano quivi nel numero detto di sopra. Detta la messa, -messer Filippo di Navarra con tre baroni per parte del re di Navarra, -e il duca d’Orliens fratello del re di Francia con tre altri baroni -feciono e giurarono pace in vece e nome del re loro. Appresso il re -d’Inghilterra fece pace col conte di Fiandra, e il duca di Lancastro -cugino del re d’Inghilterra fece omaggio al re di Francia per le terre -che da lui tenea in Campagna per retaggio della madre; e in questo -stante la contea di Monforte fu renduta a messer Gianni di Brettagna. -Lo re di Francia per mostrare sua magnificenza, sopra i patti della -pace di grato donò al re d’Inghilterra la Roccella. Fu la detta pace -gridata ne’ due reami a dì 24 d’ottobre 1360. Lo re d’Inghilterra -dove in suo titolo dicea, re di Francia e d’Inghilterra, signore -d’Irlanda e d’Aquitania, del detto titolo levò re di Francia, ma non -rinunziò perciò alla signoria di Francia, perchè lo re di Francia -non avea rinunziato alla sovranità e risorto delle città e castella, -terre e cose le quali per l’osservanza della pace avea concedute al re -d’Inghilterra, ma bene l’avea tratte della sorte della città, castella -e luoghi al suo reame debiti e sottoposti; e certo per li patti -rinunziare dovea, ricevute certe terre dal re d’Inghilterra: e ciò -consentendo li due re, parvono per grandezza d’animo in tacito accordo. -Lo re di Francia, lo quale era stato prigione d’Inghilterra anni -quattro e dì venticinque, pagati li secento migliaia di scudi, e con la -buona volontà del re d’Inghilterra se n’andò a Bologna sul mare, e di -là poi a santo Dionigi. Lo re d’Inghilterra di poi a dì 31 di gennaio -partì da Calese, e seco ne menò il duca d’Angiò e quello di Berrì -figliuoli del re di Francia, e il duca d’Orliens, e quello di Borbona, -messer Piero di Lanzone, e ’l fratello del conte di Stapè, tutti de’ -reali di Francia, con tutti gli altri baroni e quelli che scrivemo di -sopra che dovea staggi tenere. Lo re di Francia essendo a san Dionigi, -avanti ch’entrasse in Parigi, a dì 2 di dicembre mandò al re di Navarra -che venisse a lui, e perchè sicuramente venisse, gli mandò sofficienti -stadichi. Lo re di Navarra non gli parendo avere misfatto alla corona -liberamente insieme con gli staggi che ’l re gli avea mandati venne -a lui, e giuntò gli fè la debita riverenza, e dipoi appresso giurò in -sul corpo di Cristo sagrato nella presenza del re, che da quel giorno -innanzi gli sarebbe buono e leale figliuolo, e fedele suggetto. Lo -re di Francia appresso giurò che a lui sarebbe buon padre e signore: -seguendo appresso il duca di Normandia e messer Filippo di Navarra -giurarono fedelmente diritta amistà e fratellanza; e più il detto re di -Navarra promise e giurò di fare a suo podere che ’l re d’Inghilterra -la pace conchiusa a Briagnì osserverebbe. Il seguente dì, che fu il -tredecimo dì di dicembre, lo re di Francia entrò in Parigi, dove a -grande onore fu ricevuto, e donato dalla comune vasellamento d’argento -appresso di mille marchi. Lo re riposato, ordine diede a dirizzare e -sè e il reame regolandosi a minori spese, e fè battere moneta a soldi -sedici il franco. - - -CAP. CVI. - -_Come tre castella si rubellarono nella Marca al legato._ - -Scritto avemo il fine della lunga guerra delli due re di Francia e -d’Inghilterra, tornando alle italiane tempeste ne occorre, che essendo -l’oste di messer Bernabò a Bologna, continovo facea tenere trattati in -Romagna e nella Marca, e li paesani per le disordinate gravezze che -il legato faceva loro si rammaricavano forte, onde a coloro ch’erano -disposti a mal fare ne cresceva baldanza; e però a petizione di -quelli da Boschereto, aspettando forza da messer Bernabò secondo la -promessa, ribellarono in un dì all’uscita di luglio il loro castello di -Boschereto, e Corinalto e Montenuovo, in loro vicinanza, terre forti e -ubertuose d’ogni bene da vivere. Il legato sentendo questa ribellione, -incontanente vi fece cavalcare messer Galeotto de’ Malatesti con -gente assai a piè e a cavallo, e innanzi che quelli di Corinalto si -potessono provvedere alla difesa furono soprappresi in pochi dì per -modo s’arrenderono, e salvate le persone, il castello fu rubato e -arso. L’altre due ch’erano più forti e meglio ordinate alla difesa -ricevettono l’assedio, aspettando soccorso dall’oste di messer Bernabò. - - -CAP. CVII. - -_Come mortalità dell’anguinaia ricominciò in diverse parti del mondo._ - -Non è da lasciare in obliazione la moría mirabile dell’anguinaia in -quest’anno ricominciata, simile a quella che principio ebbe nel 1348 -infino nel 1350, come narrammo nel cominciamento del primo libro di -questo nostro trattato. Questa pestilenza ricominciò del mese di maggio -in Fiandra, che di largo il terzo de’ cittadini e oltra morirono, -offendendo più il minuto popolo e povera gente che a’ mezzani, maggiori -e forestieri, che pochi ne perirono, e durovvi infino all’uscita -d’ottobre del detto anno, e così seguitò per l’altra Fiandra. In -Brabante toccò poco, e così in Piccardia, ma nel vescovado di Lieges -fè spaventevole dammaggio, perocchè la metà de’ viventi periro. Di -poi si venne stendendo nella bassa Alamagna toccando non generalmente -ogni terra, ma quasi quelle dove prima non avea gravate, e valicò nel -Frioli e nella Schiavonia; e fu di quella medesima infertà d’enfiatura -d’anguinaia e sotto il ditello come la prima generale, e sì era passato -dal tempo di quella e suo cominciamento a quello di questa per spazio -di quattordici anni, e anni dieci della fine di quella a questa, -essendo alcuna volta tra questo tempo ritocca ora in uno ora in altro -luogo, ma non grande come questo anno, certificando gli uomini correnti -nel male che la mano di Dio non è stanca nè limitata da costellazioni -nè da fisiche ragioni. Addivenne nel Frioli e in Ungheria, che la moría -cominciata in enfiatura tornò in uscimento di sangue, e poi si convertì -in febbre, e molti febbricosi farnetici, ballando e cantando morivano. -E in questi tempi occorse cosa assai degna di nota, che in Pollonia, -nelle parti confinanti con le terre dell’imperio, essendo in esse -grandissima quantità di Giudei, i paesani cominciarono a mormorare, -dicendo, che questa pestilenza loro venia per i Giudei; onde i Giudei -temendo mandarono al re de’ loro anziani a chiederli misericordia, e -fecionli gran doni di moneta, e d’una corona di smisurata valuta; lo re -conservare gli volea, ma i popoli furiosi non si poterono quietare, ma -correndo straboccatamente tra’ Giudei, e quasi a ultima consumazione, -con ferro e fuoco oltre a diecimila Giudei spensono, e alla camera del -re tutti i loro beni furono incorporati. - - -CAP. CVIII. - -_Come il comune di Firenze prese Montecarelli e Montevivagni, e in essi -preso il conte Tano, venuto a Firenze fu decapitato._ - -Essendo il conte Tano de’ conti Alberti per i suoi difetti e prave -operazioni nemico al comune di Firenze, massimamente per l’accostarsi -che fè con l’arcivescovo di Milano, in cui favore, (quando la gente -del detto arcivescovo, essendone capitano messer Giovanni da Oleggio, -passò in Mugello, e assediò la Scarperia) ribellò il castello di -Montecarelli, caldeggiando l’oste ch’era alla Scarperia, di questa -impresa ne piace dire alcuna piacevole e notabile ricordanza; che -essendo appresso del detto conte un matto giocolaro, un giorno si mise -in un fossato che dividea il contado del conte da quello del comune -di Firenze, e quivi come assalito ad alta boce cominciò a gridare per -molte riprese, accorri uomo, alle cui grida trassono in breve tempo -oltre a cinquecento fanti del contado del comune di Firenze, i quali -per le malizie del conte stavano sempre ad orecchi levati, e simile vi -trasse il conte, e riprese il matto, ed esso riprese lui, dicendoli: -Conte, guarda che a un mio piccolo grido subito sono corsi cinquecento -uomini di quello del comune di Firenze, e niuno tratto ce n’è di quelli -dell’arcivescovo di Milano: in buona fè, conte, tu sonerai il corno -d’Orlando, e in tuo aiuto e favore non trarranno cinque di quelli di -Milano in un anno. Lo detto conte bestiale, o per paura ch’avesse -del comune di Firenze, o per averlo a vile, gli sbanditi del detto -comune ritenea, e coloro ch’erano più rei e famosi di mal fare; per -questo avvenne, che a loro posta entravano nel Mugello, e gli uomini -uccideano e rubavano, e rifuggeano in Montecarelli, e ciò feciono -sconciamente più volte; il perchè il comune ciò fè noto all’arcivescovo -di Milano, il quale rispuose ch’era contro a sua coscienza, e ch’esso -non era favoreggiatore di ladroni, e che il comune di Firenze facesse -quello volesse giustizia e pace del paese; il perchè il comune con -ordinato processo fè sbandire e condannare il detto conte e più altri -nell’avere e nella persona, nonostante che per la pace dal comune -di Firenze all’arcivescovo costui da’ Fiorentini non dovesse essere -gravato. Quivi procedette, che a dì 12 d’agosto detto anno, il comune -di Firenze mandò dugento uomini di cavallo e molti fanti del Mugello -a Montecarelli, avendo trattato con fedeli del conte che il castello -sarebbe dato. Il conte Tano veggendo gli atti de’ fedeli, e di quelli -prendendo sospetto, s’era rifuggito co’ masnadieri che seco avea, e con -gli sbanditi del comune di Firenze in Montevivagni. Come il castello -di Montecarelli fu attorniato dalla gente del comune di Firenze, i -fedeli del conte che l’aveano in guardia seguendo il trattato di subito -s’arrenderono salvi, ricevuti furono nella protezione del comune. -Il castello per diliberazione del comune infino alle fondamenta fu -abbattuto, e il capitano di Firenze fatto capitano dell’oste si dirizzò -all’assedio di Montevivagni; ed essendosi il conte provveduto alla -difesa, per gli suoi sconci peccati perdè il senno a non prendere -accordo col comune di Firenze, che ’l potè avere a vantaggio, solo -dando le ragioni del detto Montevivagni al comune di Firenze, e -prendendo danari, anzi si mise mattamente alla difesa; il capitano -dell’oste gli tolse per forza un poggetto nomato l’Arcivescovo, e ciò -avuto, d’intorno intorno l’assediò infino a dì 8 di settembre. Questo -dì vi cominciò a dare la battaglia, e combattendosi forte, quelli -ch’aveano la guardia della torre domandarono d’essere salvi come -gli altri fedeli del conte, e fatto loro la promessa, cominciarono a -dare delle pietre a’ masnadieri e sbanditi ch’erano alla difesa delle -mura col conte, e per forza gliene levarono; onde il conte con suoi -malfattori fu costretto arrendersi alla misericordia del comune di -Firenze. Fuvvi preso il conte con uno degli Ubaldini, e con quattordici -caporali sbanditi del comune di Firenze, e lasciati liberi i fedeli. Il -conte con i predetti vennono legati dinanzi al potestà e capitano, che -con gran festa fu ricevuto, assai maggiore non si convenia a sì piccolo -fatto. Poi a dì 14 di settembre, il dì di santa Croce, il detto conte -Tano per lo bando che avea fu dicapitato, e seppellito in santa Croce -dirimpetto alla cappella di santo Lodovico a piè delle scalee, quasi -nel mezzo; quello degli Ubaldini a richiesta de’ suoi consorti fu loro -renduto. Gli sbanditi furono tranati e appesi vilmente. Tale fu il fine -della spelonca di Montecarelli, e del suo conte Tano e sua corrotta -fede, in non lieve esempio degli altri vicini del comune di Firenze. - - -CAP. CIX. - -_Come in Francia si cominciò compagnia denominata bianca._ - -Nella concordia presa degli due re di Francia e d’Inghilterra, della -quale s’attendea certa fine di buona pace, essendo il re d’Inghilterra -co’ figliuoli e con l’oste sua tornato nell’isola, molti cavalieri e -arcieri inghilesi usati alle prede e ruberie si rimasono nel paese: e -avendo messer Beltramo di Crechì e l’arciprete di Pelagorga ordinato -di fare compagnia, raccolsono ogni maniera di gente la quale trovarono -disposta a mal fare, ed ebbono Franceschi, Tedeschi, Inghilesi, -Guasconi, e Borgognoni, Normandi, e Provenzali, e crebbono in poco di -tempo in grande numero, e nomarsi la compagnia bianca, e cominciarono -a conturbare i paesi, e a trarre danari e roba d’ogni parte, e così -stettono infino che la pace fu ferma, e il re di Francia lasciato di -prigione; allora per comandamento de’ detti due re sotto pena di cuore -e d’avere, e d’essere perseguitati da’ loro signori, s’uscirono del -reame di Francia, e ridussonsi a Lingrè nell’impero, e ivi s’accolsono -in numero di seimila barbute, essendo in paese grasso e ubertuoso da -vivere: cercarono di valicare a Lione, i paesani s’adunarono a’ passi, -e impedivanli per modo, che dove erano si ritennono lungamente con far -danno assai con loro poco frutto. - - -CAP. CX. - -_Della gravezza fatta per messer Bernabò ai cherici e laici, rotto il -trattato della pace._ - -Vedendo messer Bernabò che la Chiesa si sforzava alla difesa di -Bologna, e che l’intenzione sua non si empieva tosto come pensava, -e che la spesa cresceva, fece stimare tutte le rendite e’ beni de’ -prelati e cherici che erano sotto sua tirannia, e fatta la tassazione -ebbe per nome e sopra nome tutti i secolari poderosi vicini alle -prelature, benefiche chiese, e comandamento fece, che qualunque -vicinanza infra certo tempo avessono pagato alla camera sua quelli -danari che il beneficio era tassato, e il beneficio rispondea alla -tassazione, che pagassono, e così convenne che fatto fosse, per modo -che in tre mesi, luglio, agosto e settembre, ebbe nella camera sua -de’ beni de’ cherici per questa via oltre a trecento trenta migliaia -di fiorini d’oro, e di secolari sudditi suoi oltre alle sue rendite -ordinate in sussidio di trecentosettanta migliaia di fiorini d’oro, -e ciò per sostenere e fornire l’impresa fatta, e che fare intendea -dell’oste sua sopra la città di Bologna: e convenne che così fatto -fosse perchè il volle, e nel tempo, stimandosi il superbo tiranno di -vincere per stracca la città di Bologna, e la Chiesa che presa l’avea. -Essendo messer Niccola Acciaiuoli grande siniscalco del regno di Puglia -con messer Bernabò per trattare accordo da lui alla Chiesa de’ fatti di -Bologna, e venuto al legato, e trovatolo con più animo fermo contro al -tiranno che non si stimava, avendo il legato ordinato certe convegne -da trattarsi nella pace, e per uno famigliare del gran siniscalco le -fece mandare a messer Bernabò, il quale volle che a capitolo a capitolo -gli fossero lette, e leggendosi, a catuno capitolo rispondea, e io -voglio Bologna, e così al tutto rimase il trattato rotto, con arrota -di più villane novelle di parole dal tiranno al legato. Ed era in -questi giorni la città di Bologna molto stretta, e pativa disagi e -gravezze assai, ma di fuori si procacciava il soccorso per il legato -con molta sollicitudine, e messer Bernabò continovo tenea un trattato -d’impacciare il legato nella Marca e nella Romagna. - - -CAP. CXI. - -_Come il capitano dell’oste di messer Bernabò mandò a soccorrere le -castella ribellate al legato nella Marca._ - -Sentendo il capitano dell’oste da Bologna come delle tre castella -rebellate al legato le due si teneano aspettando soccorso, mandò -Anichino di Bongardo Tedesco con millecinquecento barbute e con -mille masnadieri per soccorrerli, e per prendere luogo nella Marca, -e impacciare il legato sì di là che non potesse soccorrere Bologna, e -chiaramente gli venia fatto, se Anichino fosse stato leale, perocchè -senza contasto entrò in Romagna, e fu a Rimini, e messer Pandolfo e -l’oste del legato per paura si partì dall’assedio del castello: ma -come che la cosa s’andasse, e’ non volle andare più oltre, e d’allora -innanzi fece delle cose che tornarono a gran beneficio dell’impresa -del legato, e a onta e vergogna di messer Bernabò, come seguendo nostra -materia nel principio del decimo libro racconteremo. Tornossi addietro -Anichino, e le castella s’arrenderono al legato e furono disfatte, -all’uscita d’agosto detto anno. - - -CAP. CXII. - -_Ancora dello stato del tempo e della moria dell’anguinaia._ - -Questo anno fu singolare di continovo sereno tutta la state e di -notabile caldo, ed ebbe secondo il lungo tempo secco e caldo comunale -ricolta di grano e di vino, e degli altri frutti della terra, ma la -moría fu grandissima in molte parti occidentali, come narrato di sopra -avemo, e l’Italia ebbe molti infermi di lunghe malattie, ed assai -morti; e generale infermità di vaiuolo fu nella state di fanciulli -e ne’ garzoni, ed eziandio negli uomini e femmine di maggiori etadi, -ch’era cosa di stupore e fastidiosa a vedere. - - -CAP. CXIII. - -_Come i Pisani arsono un castello de’ Pistoiesi._ - -In questi dì i Pisani con dugento barbute e mille fanti cavalcarono -sopra i Pistoiesi, e presono e arsono un loro castello nella montagna, -nel quale nella veritade si riparava gente di mala condizione, e che -faceano danno ai loro distrettuali. Male ne parve ai Fiorentini, ma fu -sì piccola cosa, che per lo meno male s’infinsono di non lo vedere. - - - - -TAVOLA DEI CAPITOLI - - - _Qui comincia l’ottavo libro della Cronica di Matteo - Villani; e prima il Prologo_ Pag. 5 - _CAP. II. Chi fu frate Iacopo del Bossolaro, e come - procedette il suo nome e le sue prediche in Pavia_ 7 - _CAP. III. Come frate Iacopo fece tribuni di popolo - nelle sue prediche in Pavia_ 9 - _CAP. IV. Come frate Iacopo cacciò i signori da Beccheria - di Pavia_ 10 - _CAP. V. Della materia medesima_ 12 - _CAP. VI. Come per più riprese in diversi tempi fu - messo fuoco nelle case della Badia di Firenze_ 13 - _CAP. VII. Come la terra di Romena si comperò per - lo comune di Firenze_ 14 - _CAP. VIII. Come la compagnia di Provenza si sparse - per vernare_ 16 - _CAP. IX. Come la compagnia del conte di Lando fu - condotta per i collegati di Lombardia_ 17 - _CAP. X. Come il re Luigi richiese i comuni di Toscana - d’aiuto_ 18 - _CAP. XI. Come i Pisani feciono armata per rompere - il porto di Talamone_ 19 - _CAP. XII. Come essendo l’oste de’ Visconti a Mantova, - parte della compagnia si mise in Castro_ 20 - _CAP. XIII. Come la Chiesa di Roma fe’ gravezza - a’ cortigiani_ 21 - _CAP. XIV. Cominciamento di guerra tra certi comuni - in Toscana_ 22 - _CAP. XV. Di certe novità apparenti contro il soldano - d’Egitto_ 23 - _CAP. XVI. Come il re di Navarra fu tratto di prigione_ 24 - _CAP. XVII. Come i Perugini dall’una parte i Cortonesi - dall’altra mandarono per aiuto a Firenze_ 25 - _CAP. XVIII. Come la gente de’ signori di Milano furono - sconfitti in Bresciana_ 26 - _CAP. XIX. Come l’oste del re d’Ungheria prese la - città di Giadra_ 27 - _CAP. XX. Come messer Bernabò fece combattere - Castro_ 29 - _CAP. XXI. Come si cominciò a trattare pace da’ collegati - a’ Visconti_ 30 - _CAP. XXII. Come i Perugini puosono cinque battifolli - a Cortona_ 31 - _CAP. XXIII. Come i Trevigiani furono rotti dagli - Ungheri_ 32 - _CAP. XXIV. Cominciamenti di nuovi scandali nella - città di Firenze_ 33 - _CAP. XXV. D’un singolare accidente ch’avvenne in - questi paesi_ 37 - _CAP. XXVI. Come in Firenze nacque una fanciulla - mostruosa_ 38 - _CAP. XXVII. Come i Sanesi si scopersono nemici - de’ Perugini_ 39 - _CAP. XXVIII. Come i Sanesi misono cavalieri in - Cortona alla guardia_ 40 - _CAP. XXIX. La cagione che mosse i borgesi di Parigi - a nuovo stato_ 41 - _CAP. XXX. Della pace dal re d’Ungheria a’ Veneziani_ 43 - _CAP. XXXI. Come da prima in città di Firenze furono - accusati certi cittadini per ghibellini_ 45 - _CAP. XXXII. Come a’ capitani della parte furono - aggiunti due compagni_ 48 - _CAP. XXXIII. Come i Sanesi uscirono fuori per soccorrere - Cortona_ 50 - _CAP. XXXIV. Come si levò l’oste da Cortona_ 51 - _CAP. XXXV. Di novità di Perugia per detta cagione_ 52 - _CAP. XXXVI. Di una gran festa fe’ bandire il re - d’Inghilterra_ 53 - _CAP. XXXVII. Come l’armata del comune di Firenze - venne a Porto pisano_ 54 - _CAP. XXXVIII. Come il popolo di Parigi cominciò - scandalo_ 56 - _CAP. XXXIX. Come i Perugini tornarono a oste a Cortona_ 57 - _CAP. XL. Come i Perugini richiesono i Sanesi di battaglia_ 56 - _CAP. XLI. Come furono sconfitti Sanesi da’ Perugini_ 60 - _CAP. XLII. Come si dispuosono i Sanesi dopo la sconfitta_ 62 - _CAP. XLIII. Come i conti da Montedoglio presono e - perderono il Borgo_ 63 - _CAP. XLIV. Come il re d’Inghilterra andò a vicitare - il re di Francia, e annunziarli la pace_ 64 - _CAP. XLV. Come i Tarlati si feciono accomandati - de’ Perugini_ 65 - _CAP. XLVI. D’una folgore percosse il campanile - de’ frati predicatori di Firenze_ 66 - _CAP. XLVII. Della pomposa festa che si fè in Inghilterra - in Londra_ 67 - _CAP. XLVIII. Come i Perugini cavalcarono i Sanesi - fino alle porti di Siena_ 69 - _CAP. XLIX. Come il legato del papa ripuose l’assedio - a Forlì_ 70 - _CAP. L. Come i Provenzali feciono compagnia per - vendicarsi di quelli dal Balzo_ 71 - _CAP. LI. Come si pubblicò la pace de’ due re_ 72 - _CAP. LII. Come il legato del papa pose due bastite - a Forlì_ 73 - _CAP. LIII. Pace fatta dal re Luigi al duca di Durazzo_ 73 - _CAP. LIV. Come si partì la compagnia di Provenza_ 74 - _CAP. LV. Come i signori di Milano posono l’assedio - a Pavia_ 75 - _CAP. LVI. Come i Perugini afforzarono l’Orsaia_ 76 - _CAP. LVII. Come si fece la pace da’ signori di Milano - a’ collegati_ 76 - _CAP. LVIII. Come s’abbattè i palazzi di quelli da - Beccheria_ 78 - _CAP. LIX. Di molte paci e altre cose notevoli fatte_ 79 - _CAP. LX. Come la compagnia del conte di Lando - venne in Romagna_ 80 - _CAP. LXI. Come il re Luigi riebbe il castello di Parma_ 81 - _CAP. LXII. De’ fatti di Siena della loro guerra_ 82 - _CAP. LXIII. Come i Pisani abbandonarono la gara - di Talamone_ 83 - _CAP. LXIV. Come i Sanesi chiamarono capitano, e - uscirono a oste_ 84 - _CAP. LXV. Come si fece certa arrota al palio di san - Giovanni_ 85 - _CAP. LXVI. Come il Delfino mandò per lo proposto - di Parigi_ 85 - _CAP. LXVII. Di novità fatte per lo popolo di Parigi_ 86 - _CAP. LXVIII. Come l’altre ville seguirono di fare - come Parigi_ 87 - _CAP. LXIX. Di novità di Forlì_ 88 - _CAP. LXX. Come il legato ebbe Meldola_ 89 - _CAP. LXXI. Come i Fiorentini ordinarono il monte - nuovo per avere danari_ 90 - _CAP. LXXII. Della gran compagnia_ 92 - _CAP. LXXIII. Come il conte di Lando tornò d’Alamagna - alla compagnia_ 93 - _CAP. LXXIV. Come la compagnia fu rotta nell’alpe_ 95 - _CAP. LXXV. Come il conte di Lando scampò di prigione_ 99 - _CAP. LXXVI. Come l’altra parte della compagnia - si ridusse in Dicomano_ 100 - _CAP. LXXVII. Come il comune di Firenze procedette - ne’ fatti della compagnia_ 102 - _CAP. LXXVIII. Il fine ch’ebbe l’impresa de’ Fiorentini_ 103 - _CAP. LXXIX. Come la compagnia andò in Romagna_ 107 - _CAP. LXXX. Come i signori di Francia vennono sopra - Parigi in arme_ 109 - _CAP. LXXXI. Come il re di Spagna uccise molti - de’ suoi baroni_ 110 - _CAP. LXXXII. Della detta materia di Spagna_ 111 - _CAP. LXXXIII. Come la compagnia cavalcò a Cervia_ 113 - _CAP. LXXXIV. Come il capitano di Forlì mise la - compagnia in Forlì_ 114 - _CAP. LXXXV. D’una nuova compagnia di Tedeschi_ 115 - _CAP. LXXXVI. Come si levò l’oste da molte terre_ 116 - _CAP. LXXXVII. Come si fè accordo dal Delfino a - quelli di Parigi_ 118 - _CAP. LXXXVIII. Di detta materia, e come fu morto - il proposto_ 119 - _CAP. LXXXIX. Come furono impesi que’ borgesi a - cui erano state accomandate le chiavi delle bastite_ 121 - _CAP. XC. Come si scoperse il trattato tenea il re di - Navarra_ 122 - _CAP. XCI. Come il re di Navarra guastò intorno a Parigi_ 123 - _CAP. XCII. Come il marchese non volle dare Asti - a’ Visconti_ 124 - _CAP. XCIII. Come la compagnia assalì Faenza_ 125 - _CAP. XCIV. Come i Fiorentini mandarono a Bologna - per la questione dello Stale_ 126 - _CAP. XCV. Qui si fa menzione delle ragioni che - ’l monistero di Settimo ha nello Stale_ 128 - _CAP. XCVI. Come la compagnia della Rosa di Provenza - si spartì e disfecesi_ 129 - _CAP. XCVII. Come s’afforzò e guardò i passi dell’alpe - perchè la compagnia non passasse_ 130 - _CAP. XCVIII. Come l’imperadore fece il duca d’Osteric - re de’ Lombardi_ 132 - _CAP. XCIX. De’ processi della compagnia in questi giorni_ 133 - _CAP. C. Come il re del Garbo fu morto_ 135 - _CAP. CI. Come i cardinali ch’erano in Inghilterra si - tornarono a corte_ 137 - _CAP. CII. Della pace da’ Sanesi a’ Perugini_ 138 - _CAP. CIII. Come il cardinale tornò in Italia_ 140 - _CAP. CIV. Come messer Gilio di Spagna parlamentò - col signore di Bologna_ 143 - _CAP. CV. Come la compagnia si condusse per la Romagna_ 144 - _CAP. CVI. Dello stato della Cicilia_ 145 - _CAP. CVII. Del male stato del reame di Francia_ 146 - _CAP. CVIII. Di mortalità d’Alamagna e Brabante_ 147 - _CAP. CIX. Di giustizia fatta in Parigi_ 148 - _CAP. CX. De’ dificii fatti a sant’Antonio di Firenze_ 149 - - LIBRO NONO - - _Qui comincia il quinto libro; e prima il prologo_ 151 - _CAP. II. Come la compagnia si partì da Sogliano e - ricevettene danno_ 154 - _CAP. III. Come il comune di Firenze diede balia - a’ cittadini contro alla compagnia_ 155 - _CAP. IV. Come precedette la compagnia in Romagna_ 157 - _CAP. V. Di novità state tra signori di Cortona_ 159 - _CAP. VI. Dello inganno fatto per lo legato al comune - di Firenze della compagnia_ 161 - _CAP. VII. Il male seguì per l’accordo fatto dal legato - con la compagnia_ 164 - _CAP. VIII. Di molte fosse feciono i signori di Lombardia - per difesa de’ loro terreni_ 166 - _CAP. IX. Come il re d’Inghilterra dissimulando la - pace cercava la guerra co’ Franceschi_ 167 - _CAP. X. Come il re di Navarra tribolava Francia_ 169 - _CAP. XI. Del male stato di Cicilia in questi tempi_ 170 - _CAP. XII. Del male stato di Puglia per ladroni_ 172 - _CAP. XIII. Della morte di messer Bernardino da - Polenta signore di Ravenna_ 173 - _CAP. XIV. Operazioni della moría_ 174 - _CAP. XV. Di certa novità ch’ebbe in Perugia in questi - tempi_ 173 - _CAP. XVI. Di sconfitta ebbono i Turchi da’ frieri_ 177 - _CAP. XVII. Di novità state in Provenza contro a quelli - del Balzo_ 179 - _CAP. XVIII. Il consiglio si tenne in Francia sopra - le domande degl’Inghilesi_ 181 - _CAP. XIX. Come il re di Spagna e quello d’Araona - s’affrontarono e non combatterono_ 182 - _CAP. XX. Come il comune di Firenze si provvide contro - alla compagnia_ 183 - _CAP. XXI. D’una folgore che cadde in sulla chiesa - maggiore di Siena_ 185 - _CAP. XXII. D’una battaglia tra due baroni del re - di Rascia_ 186 - _CAP. XXIII. Come sotto nome di falsa pace il re di - Navarra tribolò Francia_ 188 - _CAP. XXIV. Novità state a Montepulciano_ 189 - _CAP. XXV. Di fanciulli mostruosi che nacquero in - Firenze e nel contado_ 191 - _CAP. XXVI. Come la compagnia passò in Toscana, e - cercò concordia con i Fiorentini_ 191 - _CAP. XXVII. Come la compagnia s’appressò a Firenze_ 194 - _CAP. XXVIII. Come il comune di Firenze diè l’insegne, - e mandò a campo la sua gente_ 196 - _CAP. XXIX. Come la compagnia girò il nostro contado, - e la nostra a petto_ 198 - _CAP. XXX. Come la compagnia mandò il guanto della - battaglia al nostro capitano, e la risposta fatta_ 200 - _CAP. XXXI. Come la compagnia vituperosamente si - partì del campo delle Mosche, e fuggissi_ 204 - _CAP. XXXII. Come il re d’Ungheria passò nel reame - di Rascia_ 206 - _CAP. XXXIII. Come messer Feltrino da Gonzaga - tolse Reggio a’ fratelli_ 208 - _CAP. XXXIV. Come il vescovo di Trievi sconfisse - gl’Inghilesi_ 209 - _CAP. XXXV. Come fu soccorsa Pavia, e levatone - l’oste de’ Visconti_ 210 - _CAP. XXXVI. Come il capitano di Forlì s’arrendè al - legato_ 211 - _CAP. XXXVII. Di una compagnia creata d’Inghilesi - in Francia_ 213 - _CAP. XXXVIII. D’una zuffa che fu tra gli artefici di - Bruggia_ 214 - _CAP. XXXIX. Come l’imperadore de’ Tartari fu morto_ 215 - _CAP. XL. Di novità de’ Turchi in Romania_ 216 - _CAP. XLI. Come il Delfino di Vienna fece pace col - re di Navarra_ 217 - _CAP. XLII. Come l’oste de’ Fiorentini tornò a Firenze - e la compagnia ne andò nella Riviera_ 218 - _CAP. XLIII. Della morte e sepoltura di messer Biordo - degli Ubertini_ 220 - _CAP. XLIV. Come i Perugini mandarono ambasciata - a Siena, e abominando i Fiorentini_ 222 - _CAP. XLV. Come il comune di Firenze mandò aiuto - di mille barbute a messer Bernabò contro alla - compagnia_ 224 - _CAP. XLVI. Come il castello di Troco fu incorporato - per la corona di Puglia_ 225 - _CAP. XLVII. Come il comune di Firenze assediò - Bibbiena_ 226 - _CAP. XLVIII. Come il comune comperò Soci_ 228 - _CAP. XLIX. Come il vescovo d’Arezzo diede le sue - ragioni che avea in Bibbiena al comune di Firenze_ 229 - _CAP. L. Seguita la sequela della compagnia_ 230 - _CAP. LI. De’ fatti di Sicilia, e del seguire l’ammonire - in Firenze_ 232 - _CAP. LII. Come Bibbiena per nuovo capitano fu molto - stretta_ 235 - _CAP. LIII. Come il re d’Inghilterra passò in Francia - con smisurata forza_ 237 - _CAP. LIV. La poca fede del conte di Lando_ 238 - _CAP. LV. Come Pavia s’arrendè a messer Galeazzo_ 239 - _CAP. LVI. Come i signori di Milano sfidarono il signore - di Bologna_ 242 - _CAP. LVII. Come messer Bernabò mandò l’oste sua - sopra Bologna_ 243 - _CAP. LVIII. Come fu maestrato da prima in Firenze - in teologia_ 245 - _CAP. LIX. Come fu morto il signore di Verona dal - fratello_ 246 - _CAP. LX. Come Cane Signore fu fatto signore di Verona_ 248 - _CAP. LXI. Come fu presa Bibbiena pe’ Fiorentini_ 249 - _CAP. LXII. Come la rocca di Bibbiena s’arrendè al - comune di Firenze_ 253 - _CAP. LXIII. Di novità state in Spagna_ 254 - _CAP. LXIV. Come i Pistoiesi ripresono il castello della - Sambuca_ 255 - _CAP. LXV. Come messer Bernabò strignea Bologna_ 256 - _CAP. LXVI. Come gli Aretini riebbono il castello della - Pieve a santo Stefano_ 258 - _CAP. LXVII. Come il re d’Inghilterra si pose a oste - alla città di Rems_ 259 - _CAP. LXVIII. Discordia del conte di Foci a quello - d’Armignacca_ 260 - _CAP. LXIX. Quello feciono gli osti del re d’Inghilterra - in Francia_ 261 - _CAP. LXX. Come più castella si rubellarono a’ Tarlati_ 263 - _CAP. LXXI. Di un trattato di Bologna scoperto_ 264 - _CAP. LXXII. Come le sette di Cicilia si divorarono - insieme_ 265 - _CAP. LXXIII. Come la Chiesa deliberò l’impresa - di Bologna_ 266 - _CAP. LXXIV. Come messer Giovanni da Oleggio fermò - suo accordo con il legato di Bologna_ 267 - _CAP. LXXV. Patti da messer Giovanni da Oleggio - alla Chiesa, e la tenuta di Bologna_ 270 - _CAP. LXXVI. Come la città di Bologna fu libera dal - tiranno in mano del legato e della Chiesa essendo - assediata_ 272 - _CAP. LXXVII. Come la Chiesa riformò Bologna_ 273 - _CAP. LXXVIII. Di una congiura si scoperse in Pisa_ 274 - _CAP. LXXIX. Di un trattato menato in Forlì contro - alla Chiesa_ 276 - _CAP. LXXX. Come fu combattuta Cento dall’oste - del tiranno_ 278 - _CAP. LXXXI. Come gli Ubaldini si mostrarono tra - loro divisi_ 279 - _CAP. LXXXII. Di portamenti degl’Inghilesi in Borgogna_ 280 - _CAP. LXXXIII. Come i Normandi con loro armata - passarono in Inghilterra_ 282 - _CAP. LXXXIV. Come il duca di Borgogna, s’accordò - con gl’Inghilesi_ 282 - _CAP. LXXXV. Come il re d’Inghilterra assediò Parigi_ 283 - _CAP. LXXXVI. Come il re d’Inghilterra si strinse a - Parigi, e combattè Corboglio_ 286 - _CAP. LXXXVII. Conta del reggimento de’ Romani, - e d’alcuna giustizia fatta_ 287 - _CAP. LXXXVIII. Come parte degli Ubaldini presono - Montebene_ 289 - _CAP. LXXXIX. Di novità e morte del re di Granata, - e loro esilio_ 290 - _CAP. XC. Come il legato richiese d’aiuto il re d’Ungheria - alla difesa di Bologna_ 291 - _CAP. XCI. Come in corte si diè sentenza contro a quelli - di Milano per i fatti di Bologna_ 292 - _CAP. XCII. Come messer Galeazzo Visconti si mandò - scusando in corte di Roma dell’impresa di Bologna_ 294 - _CAP. XCIII. Come papa Innocenzio levò la riservagioni_ 295 - _CAP. XCIV. Come il re Luigi fece guerra al duca di - Durazzo, e ultimamente s’accordaro_ 296 - _CAP. XCV. Come messer Niccola gran siniscalco del - Regno andò in corte di Roma per accordare il - re con la Chiesa, e fattogli dal papa ciò gli domandò, - e grand’onore, se ne tornò in Lombardia_ 297 - _CAP. XCVI. Come gli Aretini per baratta ebbono - Chiusi e la Rocca_ 299 - _CAP. XCVII. Come il conticino da Ghiaggiuolo fu - da’ figliuoli propri preso e vituperosamente tenuto_ 301 - _CAP. XCVIII. Come si fermò pace dal re d’Inghilterra - a’ Franceschi, e’ patti e le convegne ebbono insieme_ 304 - _CAP. XCIX. D’un trattato si scoperse in Bologna, - e quello ne seguì_ 311 - _CAP. C. Come il papa confortò gli ambasciadori bolognesi, - e richiese d’aiuto i Fiorentini all’impresa di Bologna_ 313 - _CAP. CI. Come i Chiaravallesi vennero contro a Todi, - e come furono rotti e presi_ 315 - _CAP. CII. Come l’oste di messer Bernabò si strinse a - Bologna, e fermaronvi bastite_ 316 - _CAP. CIII. Come la casa reale di Francia feciono - parentado co’ Visconti per danari, con vituperio - della corona_ 316 - _CAP. CIV. Come messer Niccolò di Cesaro conte di..... - e signore di Messina fu morto con quaranta compagni_ 320 - _CAP. CV. Come fornito il trattato della pace tra i due - re si fè triegua, e giurossi l’una e l’altra, e lo re - d’Inghilterra si tornò nell’isola per mandare a - esecuzione le cose ordinate_ 321 - _CAP. CVI. Come tre castella si rubellarono nella - Marca al legato_ 326 - _CAP. CVII. Come mortalità dell’anguinaia ricominciò - in diverse parti del mondo_ 327 - _CAP. CVIII. Come il comune di Firenze prese Montecarelli - e Montevivagni, e in essi preso il conte - Tano, venuto a Firenze fu decapitato_ 328 - _CAP. CIX. Come in Francia si cominciò compagnia - denominata bianca_ 331 - _CAP. CX. Della gravezza fatta per messer Bernabò - ai cherici e laici, rotto il trattato della pace_ 332 - _CAP. CXI. Come il capitano dell’oste di messer Bernabò - mandò a soccorrere le castella ribellate al - legato nella Marca_ 334 - _CAP. CXII. Ancora dello stato del tempo e della - moria dell’anguinaia_ 335 - _CAP. CXIII. Come i Pisani arsono un castello de’ - Pistolesi_ 335 - - - - - ERRORI CORREZIONI - - TOMO IV. - - — 141 — 30 e ogni ogni vergogna e ogni vergogna - — 154 — 8 per venire per vernare - — 252 — 4 fu ribattuto fu ributtato - — 290 — 25 cacciare cacciare, - — 325 — 23 osservebbe osserverebbe - - - - - -Nota del Trascrittore - -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo -senza annotazione minimi errori tipografici. Le correzioni indicate in -fine libro sono state riportate nel testo. - -*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK CRONICA DI MATTEO VILLANI, VOL. -IV *** - -Updated editions will replace the previous one--the old editions will -be renamed. - -Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright -law means that no one owns a United States copyright in these works, -so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the -United States without permission and without paying copyright -royalties. 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Redistribution is subject to the trademark -license, especially commercial redistribution. - -START: FULL LICENSE - -THE FULL PROJECT GUTENBERG LICENSE -PLEASE READ THIS BEFORE YOU DISTRIBUTE OR USE THIS WORK - -To protect the Project Gutenberg™ mission of promoting the free -distribution of electronic works, by using or distributing this work -(or any other work associated in any way with the phrase “Project -Gutenberg”), you agree to comply with all the terms of the Full -Project Gutenberg™ License available with this file or online at -www.gutenberg.org/license. - -Section 1. General Terms of Use and Redistributing Project -Gutenberg™ electronic works - -1.A. By reading or using any part of this Project Gutenberg™ -electronic work, you indicate that you have read, understand, agree to -and accept all the terms of this license and intellectual property -(trademark/copyright) agreement. 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IV</span>, by Matteo Villani</p> -<div style='display:block; margin:1em 0'> -This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and -most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions -whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms -of the Project Gutenberg License included with this eBook or online -at <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>. If you -are not located in the United States, you will have to check the laws of the -country where you are located before using this eBook. -</div> -</div> - -<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Title: <span lang='it' xml:lang='it'>Cronica di Matteo Villani, vol. IV</span></p> -<p style='display:block; margin-left:2em; text-indent:0; margin-top:0; margin-bottom:1em;'><span lang='it' xml:lang='it'>A miglior lezione ridotta coll'aiuto de' testi a penna</span></p> -<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Author: Matteo Villani</p> -<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Editor: Ignazio Moutier</p> -<p style='display:block; text-indent:0; margin:1em 0'>Release Date: January 29, 2023 [eBook #69901]</p> -<p style='display:block; text-indent:0; margin:1em 0'>Language: Italian</p> - <p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em; text-align:left'>Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images made available by the Bayerische Staatsbibliothek)</p> -<div style='margin-top:2em; margin-bottom:4em'>*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK <span lang='it' xml:lang='it'>CRONICA DI MATTEO VILLANI, VOL. IV</span> ***</div> - -<div class="booktitle"> -<h1> -CRONICA<br> -DI<br> -MATTEO VILLANI<br><br> -TOMO IV. -</h1> -</div> - -<hr class="silver"> - -<div class="titlepage"> -<p class="main-t"> -CRONICA -</p> - -<p class="pad2 small">DI</p> - -<p class="pad1 x-large"> -MATTEO<br> -<span class="g">VILLANI</span> -</p> - -<p class="pad2"> -A MIGLIOR LEZIONE RIDOTTA<br> -coll’aiuto<br> -DE’ TESTI A PENNA -</p> - -<p class="pad1 large"> -TOMO IV. -</p> - -<p class="pad4"> -FIRENZE<br> -PER IL MAGHERI<br> -1825 -</p> -</div> - -<div class="somm"> -<hr> -<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p> -<hr> -</div> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span> -</p> - -<h2 id="libro8">LIBRO OTTAVO</h2> - -<h3 id="capI-8">CAPITOLO PRIMO. -<span class="smaller"><i>Il Prologo.</i></span></h3> -</div> - -<p> -Avvegnachè antica questione sia stata tra’ savi, -nondimeno la mente nostra s’è affaticata in ricercare -gli esempi degli autori d’ogni tempo per -avere più chiarezza, quale sia al mondo di maggiore -operazione, o la potenza dell’armi nelle mani -de’ potentissimi duchi e signori senza la virtù -dell’eloquenza, o la nobile eloquenza diffusa -per la bocca de’ principi con assai minore potenza; -e parne trovare, avvegnachè il mio sia lieve e -non fermo giudicio, che l’eloquenza abbi soperchiata -la potenza, e fatte al mondo maggiori cose; -e l’eloquenza di Nembrot, ammaestrato da Gioniton -suo maestro, raunò d’oriente tutta la generazione -umana in un campo a edificare la torre di Babel; -la confusione della lingua mise la loro forza e la -loro opera in distruzione. Serse volendo occupare -la Grecia coprì il mare di navi, e il piano e le montagne -d’innumerabili popoli; la leggiere forza -di Leonida, con cinquecento compagni inanimati -dall’ammaestramento dell’eloquenza di quello -<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span> -uomo, fece sì incredibile resistenza a quello sformato -esercito, che a’ Greci diede speranza di vincerlo, -e al re volontà con pochi de’ suoi di ritornare -indietro. Alessandro di Macedonia con -piccolo numero di cavalieri infiammati dall’informazione -della compiacevole lingua di colui, -vinse le infinite forze di Dario e’ suoi tesori. I -nobili principi romani più per savio ammaestramento -della disciplina militare, che per arme o -per forza di loro cavalieri domarono l’universo. -E cominciando a Tullio Ostilio re de’ Romani, -condotto in campo per combattere co’ Toscani, -vedendosi in su gli estremi abbandonato e tradito -da’ compagni, e preda de’ nemici, tanta virtù -ebbe la sua provveduta ed efficace eloquenza -nel confortare i suoi con fitte suasioni, ch’e’ li -fece vincitori. E che fece il nobile Scipione affricano? -Non rimoss’egli con la virtù della sua lingua -il malvagio consiglio de’ senatori, che per -paura voleano ardere e abbandonare la città di -Roma, e per questo vinse e soggiogò Affrica al -romano imperio? Il magnifico Cesare con poca -compagnia, a rispetto della moltitudine de’ suoi -nemici, potendosi arbitrare in Francia, in Borgogna, -in Sassonia e in Inghilterra molte volte -preda de’ suoi avversari, per l’ammaestramento -e conforto della sua voce tante volte vinse i nemici -forti e potenti, che li ridusse sotto la sua libera -signoria. Che si può dire di questo, quando -con un pugno di piccolo fiotto di cavalieri, per -lo suo conforto domò e sottomise tutte le nazioni -del mondo in un campo a Tessaglia? Ma tornando -alle minori cose, Zenone filosofo vecchio, -<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span> -posto in croce miserabilmente a gran tormento, -usando la forza della sua magnifica eloquenza, fece -abbattere la sfrenata e gran potenza del tiranno -siracusano. Dunque chi commuove i popoli -chi apparecchia le grandi schiere, se non la eloquenza -risonante negli orecchi degli uditori? E -però senza comparazione pare, che l’eloquenza -ordinata al bene più giovi che l’armi, e indotta -al male più nuoce che altra cosa. E perocchè -il nostro trattato per debito ci apparecchia di fare -comincia mento all’ottavo libro, uno lieve e -piccolo esempio per lo fatto, ma assai strano e -maraviglioso per lo modo, prima ci s’offera a -raccontare. -</p> - -<h3 id="capII-8">CAP. II. -<span class="smaller"><i>Chi fu frate Iacopo del Bossolaro, e come procedette -il suo nome, e le sue prediche -in Pavia.</i></span></h3> - -<p> -Era in questi tempi nato in Pavia un giovane -figliuolo d’un picciolo artefice che facea i bossoli, -il quale nella sua giovinezza entrò nella via -della penitenza, e abbandonato il secolo, traeva -vita solitaria in alcuno romitorio nel deserto. È -vero, che per essere a ubbidienza prese l’abito -de’ frati romitani, e chiamavasi frate Iacopo -Bossolaro. E avendo costui gran fama di santità -e di scienza, fu costretto dal suo ministro di ritornare -in Pavia, e di stare nella religione, e -ivi tenea vita più solitaria e di maggiore astinenza -che gli altri del convento. Avvenne, che -venendo il tempo della quaresima, ed essendo -<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span> -consuetudine di fare il primo mercoledì della quaresima -nella sala del vescovo uno sermone al popolo, -fu commesso a questo frate Iacopo, il quale il -fece in tanto piacere del popolo, che fu costretto a -predicare tutta la quaresima. E come fu piacere -di Dio, questo religioso facea le sue prediche tanto -piacere a ogni maniera di gente, che la fama -e la devozione cresceva maravigliosamente per -modo, che molti circustanti delle terre e delle -castella traevano a udire le prediche di frate Iacopo. -Ed egli vedendo il concorso della gente, e -la fede che gli era data, cominciò a detestare i -vizi, e massimamente l’usura, e l’endiche, e le -disoneste portature delle donne, e appresso cominciò -a dire molto contro la disordinata signoria -de’ tiranni; e in poco tempo ridusse le -donne in genero a onesto abito e portamento, e -gli uomini a rimanersi dell’usure e dell’endiche. -E continovando le sue prediche contro alla sfrenata -tirannia, e avendo, come addietro è detto, -per lo suo conforto fatto pigliare l’arme al popolo -a sconfiggere quelli delle bastite, per la -qual cosa le sue parole aveano tanta efficacia, che -i signori da Beccheria, ch’erano allora signori di -Pavia, cominciarono a ingrossire delle parole -ch’egli usava in genero contro a tutti i tiranni. -E allora erano signori messer Castellano e messer -Milano. Costoro cercarono segretamente di -farlo morire per più riprese, tanto che la cosa -gli venne palese, e’ cittadini ne cominciarono ad -avere guardia, e dovunque andava l’accompagnavano, -per modo che i signori nol poteano offendere, -ed egli per questo più apertamente contro -<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span> -alle crudeltà già fatte per costoro predicava, -e incitava il popolo alla loro franchigia. -</p> - -<h3 id="capIII-8">CAP. III. -<span class="smaller"><i>Come frate Iacopo fece tribuni di popolo nelle -sue prediche in Pavia.</i></span></h3> - -<p> -Il valente frate, sentendo il popolo disposto a -seguire il suo consiglio, avendo alcuno consentimento -dal marchese di Monferrato vicario dell’imperadore -in Pavia, raunato un dì il popolo -alla sua predica, avendo molto detto contro alle -scellerate cose, e’ vizi che regnano nelle tirannie, -e aperto l’aguato che alla sua persona più volte -era fatto per li tiranni da Beccheria per torgli -la vita, disse, che la salute di quel popolo era -che si reggessono a comune, e sopra ciò ordinò -molto bene le sue parole. E stando in sul pergamo, -nominò venti buoni uomini di diverse contrade -della città, e a catuno disse, che volea -ch’avesse cento uomini al suo seguito; e de’ detti -venti fece quattro capitani di tutti. E com’egli -gli ebbe pronunziati nella predica, così il popolo -li confermò con viva boce, ed eglino accettarono -l’uficio. Sentendo questo i signori, furono sopra -modo turbati, e cercarono con forza d’arme d’uccidere -il frate, ma il popolo gli ordinò sessanta -cittadini armati alla guardia; e per tanto que’ da -Beccheria, temendo più la commozione del popolo -che degli armati, non si vollono mettere -a berzaglio. In questi dì messer Castellano era -col marchese, e volendo per questa novità tornare -<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span> -a Pavia, non potè avere la licenza da lui. -E questo manifesta assai, che ’l marchese fosse -consenziente a quello ch’era fatto per lo Bossolaro. -</p> - -<h3 id="capIV-8">CAP. IV. -<span class="smaller"><i>Come frate Iacopo cacciò i signori da -Beccheria di Pavia.</i></span></h3> - -<p> -Dopo questi centurioni fatti in Pavia, del mese -di settembre anno detto, messer Milano, ch’era -in Pavia, con assentimento del fratello, vedendosi -tolta la signoria, cercava segretamente di -dare la città a’ signori di Milano. Frate Iacopo, -che stava attento, sentì il fatto, e di presente -raunò il popolo alla sua predica, e in quella disse -molto contro il malvagio peccato del tradimento. -Ed essendo già di ciò sospetti al popolo -i signori, e chiariti per la predica del Bossolaro, -il detto frate comandò d’in sul pergamo a uno -de’ centurioni, ch’andasse a messer Milano, e -comandassegli, che di presente si partisse della -città e del contado di Pavia. Il signore temendo -il furore del popolo ubbidì, e spacciò la città -della sua persona e di tutta sua famiglia in quel -giorno, e andossene a loro castella. Avvenne poco -appresso, che essendo morta la moglie del -marchese, ed egli imbrigato nell’esequio, messer -Castellano prese suo tempo, e partissi senza -licenza, e vennesene al fratello; e come furono -insieme, diedono le castella a’ signori di Milano, -e ricevettono quella gente d’arme ch’e’ vollono, -e rifeciono trattato co’ loro amici della città, -<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span> -pensando colla forza de’ signori di Milano rientrare -in Pavia; il trattato si scoperse, e tutto il -rimanente di que’ da Beccheria furono cacciati -della città, e furono presi cento cittadini degli -amici de’ signori, e di loro quelli che più furono -trovati colpevoli ne furono dodici decapitati, -tra’ quali furono cinque giudici e avvocati servidori -de’ signori, gli altri furono liberi a volontà -del popolo e di frate Iacopo, e la terra riformata -a popolo, e ribanditi tutti gli usciti guelfi, e nominatamente -il conte Giovanni e ’l conte Filippo, -e’ loro figliuoli e discendenti, che quarantasei -anni erano stati di fuori cacciati da’ tiranni da -Beccheria. E come che ’l reggimento fosse a popolo -assai bene ordinato, niente si facea che montasse -senza il consiglio di frate Iacopo; e nondimeno -il frate osservava onestamente la sua religione, -e infino allora l’avea trenta anni usata -con laudevole vita. Chi può stimare il fine -delle cose, e la varietà delle vie della volubile -fortuna? La signoria da Beccheria non potuta -sottomettere dalla gran potenza de’ signori di -Milano, nè da molte guerre sostenute, prese fine -per le parole d’un piccolo fraticello: ma che più? -quella città credendosi essere sciolta dalla servitù -de’ suoi cittadini e tornata in libertà, poco -appresso fu sottoposta a più aspro giogo di tirannia, -come leggendo innanzi si potrà trovare. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span> -</p> - -<h3 id="capV-8">CAP. V. -<span class="smaller"><i>Della materia medesima.</i></span></h3> - -<p> -Erano in questo tempo i signori di Milano intenti -con tutto loro sforzo e studio sopra l’assedio -della città di Mantova, e però il marchese di -Monferrato andò a Pavia con milledugento barbute -e quattromila fanti, i quali improvviso a’ signori -di Milano cavalcarono il Milanese; e posono -loro campo presso alle porte di Milano; e questo -feciono avvisatamente, sapendo che gente -d’arme non era nella città, e acciocchè quelli di -Pavia ch’aveano perduto il vino, per l’assedio -e per le bastite ch’aveano avuto addosso, il -ricoverassono sopra il contado di Milano, e così -fu fatto; che stando quella gente a campo come -detto è, frate Iacopo Bossolaro in persona uscì -di Pavia con tutta la moltitudine del popolo, uomini, -e femmine, e fanciulli con tutto il carreggio -della città e del contado, e con tutti i somieri -e vasella da vendemmiare, e misonsi nelle vigne -de’ Milanesi, e in un dì vendemmiarono e misono -in Pavia diecimila vegge di vino senza alcuno -contasto, e catuno n’andò carico d’uve; e questo -avvenne, ch’e’ tiranni sentendosi poche genti -temettono di loro persone, e però non vollono -uscire della città. Il marchese con la sua gente -veduta fatta la vendemmia, e ’l popolo raccolto -a salvamento, saviamente levò il campo, e messosi -innanzi il popolo e la salmeria, del mese -d’ottobre del detto anno, sano e salvo si tornò -<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span> -in Pavia, con grande vergogna de’ superbi tiranni. -</p> - -<h3 id="capVI-8">CAP. VI. -<span class="smaller"><i>Come per più riprese in diversi tempi fu messo -fuoco nelle case della Badia di Firenze.</i></span></h3> - -<p> -Avvegnachè vergogna sia mettere in nota quello -che seguita, tuttavia può essere utile per l’esempio -il male che seguita della discordia de’ religiosi. -La Badia di Firenze avea undici monaci -in questo tempo senza abate, perocchè l’insaziabile -avarizia de’ prelati avea questo monistero -conferito alla mensa del cardinale che fu vescovo -di Firenze, messer Andrea da Todi; costui -traeva il frutto, e’ monaci rimanevano senza pastore; -e presono a fitto dal cardinale la rendita, -che ne fece loro buono mercato, per fiorini mille -d’oro l’anno, acciocchè il monastero si mantenesse -a onore. I monaci erano uomini senza -scienza e di lievi nazioni, e intendea catuno alla -propria utilità, e del monistero non si curavano, -e ’l nimico co’ suoi beveraggi gl’inebriava -per modo, che tra loro era tanta invidia e tanta -discordia, che nè dì nè notte vi si potea posare. -E come che s’andasse, cominciando di questo -mese d’ottobre, in sei mesi appresso quattro -volte fu messo fuoco nelle case della Badia, e -non si potè sapere certamente per cui, ma da’ monaci -della casa per la loro dissensione si tenne -per tutti che fatto fosse. Il primo dì d’ottobre -arse la sagrestia e le case del dormentorio infino -<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span> -alla volta della via del Garbo; e un altro ve ne -fu messo poco appresso, che avvedendosene tosto -fu spento senza troppo danno, e così un altro -dopo quello. E la notte di nostra Donna di -marzo ne fu messo uno nella casa di costa al -palagio, il quale l’arse tutta, e avrebbe arse -quelle di san Martino, che l’erano congiunte, -se non fosse il gran soccorso, ma molto -danneggiò le case e’ mercatanti lanaiuoli ch’ebbono -a sgombrare. Questa malizia benchè movesse -da singulare persona, tutta si può dire che -procedesse dalla sopraddetta avarizia de’ maggiori -prelati, che per empiere le loro disordinate -mense levano i pastori alle chiese cattedrali, -e per questo le gregge si dispergono, e diventano -pasto de’ rapaci lupi. -</p> - -<h3 id="capVII-8">CAP. VII. -<span class="smaller"><i>Come la terra di Romena si comperò -per lo comune di Firenze.</i></span></h3> - -<p> -Era lungo tempo stata questione tra ’l conte -Bandino di monte Granelli e Pietro conte di -Romena della terra e della rocca di Romena, e -in questi dì era per compromesso la questione in -mano del conte Ruberto da Battifolle, il quale -si dicea ch’avea aggiudicata, o ch’era per aggiudicare -Romena al conte Bandino contro alla volontà -del conte Piero; per la qual cosa Piero ricorse -al comune di Firenze, e con molta sollecitudine -e grandi preghiere indusse i collegi, -che ’l comune comperasse la sua parte di Romena -<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span> -per fiorini tremilacinquecento d’oro; e diliberato -questo per li collegi, si mise al consiglio -del popolo, e per due volte si combattè la detta -proposta nel consiglio, e perocchè ai popolo -non piacea l’impresa furono in discordia; in fine -i priori e’ collegi aoperarono tanto che la proposta -si vinse, e fu diliberato pe’ consigli ch’a Piero -conte fossono dati tremilacinquecento fiorini -d’oro delle ragioni ch’avea in Romena. Ed essendo -la terra e la rocca nelle mani del conte Bandino, -ed egli allora in bando del comune di Firenze, -il qual bando falsamente gli diede un suo -nemico da Calvoli quand’era podestà di Firenze, -ed egli per isdegno, o per altro, non s’era -procacciato a farlo rivocare, e per questo il -comune diliberò, o per amore o per forza di volere -avere la tenuta delle sue ragioni. Sentendo -Bandino conte l’impresa determinata per lo -comune di Firenze de’ fatti di Romena, mandò -per sicurtà di potere venire a’ signori, e avutala, -fece co’ signori raunare i collegi, e in loro -presenza disse, come Romena era sua per chiara -sentenza, e quella tenea e possedea; e sentendo -che ’l comune avea l’animo di volerla, niuno la -potea meglio dare di lui, e in grande grazia si -tenea di donarla al comune di Firenze, di cui si -riputava figliuolo e servidore; e non tanto Romena, -ma tutte l’altre sue terre volea dare liberamente -al comune di Firenze, e per lo comune -l’avea tenute, e intendea di tenere sempre. -Le profferte furono tanto libere e graziose, che -di presente impetrò grazia d’essere ribandito, e -messo in protezione del comune, e d’essere fatto -<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span> -suo cittadino. E non volendo il comune le sue -ragioni in dono, non potè essere recato a porvi -alcuno pregio. Infine i signori con discreto consiglio -ordinarono, che al detto Bandino fossono -dati contanti cinquemila fiorini d’oro, de’ quali -e’ si tenne molto contento, e di presente fece -liberamente la carta della vendita della terra di -Romena, e de’ fedeli e di tutta la giurisdizione -ch’avea in quella, come pochi dì innanzi avea -fatto Piero conte della sua parte, e a dì 23 d’ottobre -anno detto, per li consigli del comune fu -ribandito, e fatto cittadino di Firenze, e a dì 28 -del detto mese ebbe contanti fiorini cinquemila -d’oro, avendo il dì dinanzi fatta dare la tenuta -della terra e della rocca al comune di Firenze. -E le carte della detta compera di Romena si feciono -per ser Piero di ser Grifo da Pratovecchio -notaio. Da’ detti conti il comune liberò i fedeli e -feceli contadini, e diè loro l’estimo e le gabelle -come agli altri e la cittadinanza, e feceli popolari; -onde molto furono allegri e contenti, e ripararono -i difetti del castello. -</p> - -<h3 id="capVIII-8">CAP. VIII. -<span class="smaller"><i>Come la compagnia di Provenza si sparse -per vernare.</i></span></h3> - -<p> -La compagnia dell’arciprete di Pelagorga, -stata lungamente in Provenza, era cresciuta in -più di quattromila barbute. Il papa e’ cardinali -aveano cerco con preghiere di farli partire del -paese; e non avea avuto luogo. Ma sapendo come -<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span> -la maggiore parte di quella gente era del reame -di Francia, impetrarono lettere e comandamento -da parte del re di Francia, come si dovessono -partire delle terre di Provenza ch’erano del re -Luigi, il qual’era di suo lignaggio, e congiunto -parente. Le lettere e ’l comandamento furono -ubbidite come da prigione, e di presente si ridussono -in più parti di Provenza per vernare; e -così tribolarono il verno come la state tutta la -provincia. E per questo i Provenzali mandarono -al re loro signore, che li venisse a soccorrere con -forte braccio, altrimenti e’ non potrebbono sostenere. -</p> - -<h3 id="capIX-8">CAP. IX. -<span class="smaller"><i>Come la compagnia del conte di Lando fu -condotta per i collegati di Lombardia.</i></span></h3> - -<p> -L’altra compagnia in Italia dimorando in sul -terreno di Bologna, ricettati da messer Giovanni -da Oleggio ch’allora era signore, e per sicurtà -di sè s’era fatto amico del conte di Lando e degli -altri caporali di quella; e com’è narrato poco -addietro, i signori di Milano aveano presa la Serraia -di Mantova, e fortemente stretta la città -d’assedio, e quivi faceano ogni punga per vincerla. -Gli allegati lombardi contro a loro cercavano -la difesa, la quale non si potea fare senza -gran forza, che lungamente si potesse mantenere: -e però diedono ordine alla moneta che catuno dovesse -pagare ogni mese, e fu stribuita per questo -modo: che Bologna pagasse come detto è fiorini dodicimila, -e ’l marchese di Ferrara fiorini ottomila, -<span class="pagenum" id="Page_18">[18]</span> -e’ signori di Mantova fiorini tremila, il comune -di Pavia fiorini duemila, quelli di Novara -duemila, i Genovesi coll’aiuto segreto ch’avea -il doge loro da’ Pisani fiorini quattromila; il signore -di Verona allora si stava di mezzo e quello -di Padova; il marchese di Monferrato non ebbe -a conferire moneta, perocch’era capitano in -Piemonte, e là facea guerra colla sua gente; e -trovata la moneta, di presente soldarono la compagnia -del conte di Lando, e del mese d’ottobre -sopraddetto la feciono partire d’in sul Bolognese con -più di tremila barbute e con tutta l’altra -ciurma, e parte ne misono sul Mantovano, e parte -ne mandarono in Vercellese, accozzati coll’altra -loro masnada. Quello che di ciò seguì appresso -al suo tempo racconteremo. -</p> - -<h3 id="capX-8">CAP. X. -<span class="smaller"><i>Come il re Luigi richiese i comuni -di Toscana d’aiuto.</i></span></h3> - -<p> -Il re Luigi, vedendo a mal partito il contado -di Provenza, diliberò col suo consiglio d’andare -in persona al primo tempo in Provenza con -tutto suo sforzo e degli amici, per liberarla -dalla compagnia, e però richiese tutti i suoi -baroni del debito servigio, e ordinò d’avere -moneta e di fare alcuna armata; e del mese -di novembre anno detto mandò per suoi ambasciadori -a richiedere i Fiorentini d’aiuto, e -tutti gli altri comuni di Toscana. Il nostro comune -diliberò di darli l’insegna del comune con -<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span> -trecento buoni cavalieri in fino ch’avesse cacciata -la compagnia di Provenza, gli altri comuni -feciono la loro profferta più lieve, e chi se ne -diliberò con altra scusa. -</p> - -<h3 id="capXI-8">CAP. XI. -<span class="smaller"><i>Come i Pisani feciono armata per rompere -il porto di Talamone.</i></span></h3> - -<p> -Avvedendosi i Pisani ch’e’ Fiorentini per preghiere, -nè per promesse larghe, nè per minacce, -nè per armata ch’avessono fatta in lega col doge -di Genova per impedire la mercatanzia che -non andasse a Talamone, non si moveano, e -che pertinacemente ne portavano ogni sconcio e -ogni gravezza, pensarono di volere vincere Talamone -per forza, e ardere la terra e guastare il -porto, e mandaronvi subitamente e per terra e -per mare a fare quel servigio, avendo armate -otto galee e uno legno alla guardia che mercatanzia -non andasse a Talamone; ed essendo -apparecchiati in mare, s’apparecchiarono di cavalieri -e di masnadieri e d’argomenti per combattere -la terra, e di vittuaglia. I Fiorentini sentendo -questo, avvisarono i Sanesi, e di presente mandarono -per terra assai gente da cavallo e da piè e -di molti balestrieri a Talamone, per potere difendere -la terra per mare e dall’oste per terra; i Sanesi -anche vi mandarono loro sforzo. I Pisani vi -mandarono l’otto galee e un legno per mare, e -mosso la cavalleria e ’l popolo pisano per terra, -sentirono come il loro aguato era scoperto, e -<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span> -come gente d’arme da Firenze e da Siena erano -andati a Talamone per azzuffarsi con loro, sicchè -per lo migliore si tornarono addietro; e le -galee vedendo fornito il porto di cavalieri e di -balestrieri, non ardirono d’accostarsi alla terra, -e stati alquanti dì sopra il porto, del mese di -novembre anno detto lasciarono a Gilio due galee, -che ogni navilio che venisse a Talamone -fosse menato a scaricare a Porto pisano. Per questa -cagione i Fiorentini più accesi contro a’ Pisani -per li loro oltraggi, ordinarono di fare armata -in mare, per fare ricredenti i Pisani della loro -arroganza; onde seguitarono assai gran cose, -come appresso nel suo tempo racconteremo. -</p> - -<h3 id="capXII-8">CAP. XII. -<span class="smaller"><i>Come essendo l’oste de’ Visconti a Mantova, -parte della compagnia si mise in Castro.</i></span></h3> - -<p> -Essendo l’oste de’ signori di Milano stretta a -Mantova, e non movendosi per la venuta della compagnia, -nè per la guerra del Piemonte, i -collegati mandarono mille barbute e cinquecento -masnadieri in sul contado di Milano a un -grosso casale che si chiama Castro, sedici miglia -di piano presso a Milano, ed entrativi dentro, lo -trovarono bene fornito da vivere, e di là cavalcarono -il paese sino presso a Milano, facendo a’ contadini -gran danno, e a’ signori maggior vergogna. -L’altra parte della compagnia s’accostò in Vercellese -colla gente del marchese, e tolsono a’ signori -di Milano parecchi castella: e per questo -<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span> -modo, non potendo levare l’oste da Mantova, -guereggiavano i tiranni dove potevano. I signori -di Milano aontati da’ cavalieri di Castro, ch’erano -pochi, e in su gli occhi loro, di subito gli -feciono assediare con intenzione che niuno ne -campasse, ma d’avergli a man salva, e di fargli -tutti impendere per la gola, e però non li lasciavano -partire. Ma la cosa ebbe tutto altro fine, -come nel suo tempo innanzi si potrà trovare. -</p> - -<h3 id="capXIII-8">CAP. XIII. -<span class="smaller"><i>Come la Chiesa di Roma fe’ gravezza -a’ cortigiani.</i></span></h3> - -<p> -Avvegnachè lieve cosa sia per lo fatto, la disusata -e strana materia ci strigne a fare memoria, -come il papa e’ cardinali contro all’usata franchigia -della corte di Roma, rompendo quella, per -volere riparare le città d’Avignone, e fare guardare -la terra per tema della compagnia di Provenza, -non volendo toccare i danari di camera, feciono -imposta a’ mercatanti e agli artefici ben -grave, e di presente l’esazione. E misono la gabella -al vino, e un’altra più grave di fiorini uno -per testa d’uomo, e ordinarono gli esattori, e -riscossonne parte, ma era sì incomportabile alla -minuta gente, che poco andò innanzi. L’avarizia -de’ prelati, e la franchigia rotta a’ cortigiani, fece -di questo molto maravigliare ovunque se ne -seppe le novelle, e maggiormente, perchè la città -è della Chiesa. La gabella del vino e altre gravezze -rimasono in piè, in poco onore de’ guidatori -della città di Roma -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span> -</p> - -<h3 id="capXIV-8">CAP. XIV. -<span class="smaller"><i>Cominciamento di guerra tra certi comuni -in Toscana.</i></span></h3> - -<p> -Era stata, dopo la partita dell’imperadore da -Pisa, tutta Toscana in tranquillo stato, e alcuna -volta in lega tutti e quattro i maggiori comuni, e -non si dimostrava alcuna apparenza di cagione -di guerra. E’ Fiorentini erano fermi di -mantenere il porto a Talamone senza cominciare -guerra, o mostrare che rotta fosse loro da’ -Pisani. I Perugini trovandosi in prosperità, e -forti di gente d’armi, non ostante ch’avessono -doppia pace col comune e col signore di Cortona, -la prima fatta per proprio movimento del loro -comune, innanzi a quella generale che si fece -coll’arcivescovo di Milano, e co’ suoi collegati e -aderenti, alla quale prima richiesono il comune -di Firenze, che entrasse loro mallevadore al comune -e al signore di Cortona di diecimila marche -d’oro, che manterrebbono la pace lealmente, -e ’l comune fece un sindaco a potere fare il sodamento -e la promessa, e così fece; e’ Perugini, -istigati da Leggiere d’Andreotto loro grande cittadino, -il quale promettea di dare loro la terra -per trattato ch’egli avea dentro, di subito del -mese di dicembre anno detto, con quattrocento -cavalieri e con gran popolo vennero a Cortona, e -guastaronla intorno, e poi si posono all’Orsaia, -e non si trovò che trattato vi fosse dentro. L’impresa -fu rea, e mossa da gran malizia per animo -<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span> -di setta, e non ebbe il fine che s’aspettava per -i Perugini, ma fu cagione di gravi cose in Toscana, -come seguendo nostro trattato diviseremo. -</p> - -<h3 id="capXV-8">CAP. XV. -<span class="smaller"><i>Di certe novità apparenti contro il soldano -d’Egitto.</i></span></h3> - -<p> -Aspettandoci alquanto le novità de’ cristiani, -ci occorrono di quelle de’ saracini; e per meglio -intendere le presenti, ci conviene alquanto trarre -addietro la nostra materia. Quando morì il -Saladino, uomo valoroso di virtù e di prodezza, e -molto temuto e ridottato signore, e accrebbe la -sua signoria, quando venne a morte lasciò quattordici -figliuoli maschi, e ’l maggiore fu fatto soldano; -ma i suoi ammiragli avendo provato la -signoria del padre dura e ridottabile, volendosi -maliziosamente provvedere, s’intesono insieme; -e come il soldano non faceva a loro senno, l’avvilivano -di parole nel cospetto del secondo fratello, -e prometteano di farlo soldano se consentisse -la morte sua; e tanto procedettono nella -loro malizia, con inducere la vaghezza della -signoria ora all’uno fratello e ora all’altro, che in -spazio di venti anni già otto soldani di quelli -fratelli avean fatti morire l’uno appresso l’altro; -e per questo gli ammiragli aveano accresciuto -loro stato e loro baronie, e abbassato quello del -soldano, per modo che poco era ubbidito; e nel -1357 de’ quattordici figliuoli del Saladino ve -n’erano rimasi due, l’uno soldano male ubbidito. -<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span> -E per questo abbassamento della signoria -in questi dì s’era sommosso un signore de’ Tartari, -il quale si disse che s’era convertito alla -fede di Cristo per certi frati minori, il quale -s’apparecchiò con grande esercito di sua gente, -e con molti cristiani giorgiani, per volere venire -a racquistare la terra santa; e innanzi mandò -lettere al soldano comandandoli, che dovesse -a’ suo saracini fare sgombrare la terra santa. Il -soldano e’ suoi ammiragli di queste lettere si feciono -beffe, e ordinarsi dov’e’ venisse di mettersi -alla difesa. L’impresa dilatò la fama, ma -il signore, o ch’e’ non fosse in perfetta fede, o -in tanta potenza, raffreddato dell’impresa non -seguì suo viaggio. -</p> - -<h3 id="capXVI-8">CAP. XVI. -<span class="smaller"><i>Come il re di Navarra fu tratto di prigione.</i></span></h3> - -<p> -Essendo i trattati della pace e le triegue dal -re d’Inghilterra a’ Franceschi, non ostante ciò, -messer Filippo di Navarra, mostrando d’avere -accolta gente da sè, e avea molti Inghilesi in -sua compagnia, era entrato in Normandia, e -facea là e in altre parti del reame più aspra guerra -che mai non aveano fatto gl’Inghilesi, e -molto tormentava i Franceschi, dicendo, ch’a -torto teneano il re suo fratello in prigione. E -per questa tribolazione del paese, e perchè il re -avea amici tra i tre stati che governavano il reame, -i prelati, i baroni, e’ borgesi ch’erano al -governo, feciono sopra ciò loro consiglio, e mostrarono -<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span> -al popolo come messer Filippo si movea -a ragione, perchè il re di Navarra riceveva torto: -e in parlamento di gran concordia, a dì 28 di -novembre anno detto, il trassono di prigione: e -in quello parlamento e’ si scusò, e mostrossi innocente, -e mostrò, come ciò che gli era stato -fatto era stata operazione del cancelliere, ch’oggi -era cardinale; e ringraziò il popolo e i tre -stati, e seguì d’essere fedele, e fu fatto capitano -di guerra. -</p> - -<h3 id="capXVII-8">CAP. XVII. -<span class="smaller"><i>Come i Perugini dall’una parte e i Cortonesi -dall’altra mandarono per aiuto a Firenze.</i></span></h3> - -<p> -Incontanente ch’e’ Perugini s’avvidono che ’l -trattato d’avere Cortona era stato bugiardo, e -pur l’impresa era fatta, mandarono ambasciadori -a’ Fiorentini significando, ch’aveano trovati -i Cortonesi in trattato di furare certe loro terre -contro a’ patti della pace, e però erano venuti -sopra Cortona, e intendeano non partirsene d’assedio, -ch’eglino avrebbono la città ai loro comandamenti. -E molto sfacciatamente, e con -grande arroganza, sapendo che ’l nostro comune -avea promessa e sicurata la pace per loro, e’ domandarono -aiuto di gente d’arme a quello assedio. -Dall’altra parte in que’ medesimi dì, con -più giustizia e ragione, erano a’ signori gli ambasciadori -de’ Cortonesi e del loro signore, i quali -si lamentavano forte de’ Perugini, che senza alcuna -cagione di subito aveano loro rotta la pace, -<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span> -della quale il comune di Firenze era mallevadore, -e domandavano al comune che desse loro -solamente l’insegna con cento cavalieri alla guardia -della città, facendo chiaro il comune ch’e’ Perugini -non aveano ragione, e che trattato per i -Cortonesi contro a’ Perugini, o contro alle loro -terre, non era pensato non che fatto; e di questo -s’offeriano a fare ogni chiarezza. Il comune di -Firenze, che di natura e d’antica consuetudine è -tardo alle cose, per avere a diliberare con molti -consigli, in fine ordinò e mandò suoi ambasciadori -a Perugia, riprendendo il comune di quella -impresa non giusta, e pregandoli per l’onore -loro medesimo, e appresso del comune di Firenze -ch’era obbligato, a loro stanza che se ne dovessono -partire; e di ciò furono male ubbiditi. -</p> - -<h3 id="capXVIII-8">CAP. XVIII. -<span class="smaller"><i>Come la gente de’ signori di Milano furono -sconfitti in Bresciana.</i></span></h3> - -<p> -Essendo tra’ signori di Milano e’ collegati di -Lombardia contro a loro stretto trattato di concordia, -avvenne che duemila barbute della compagnia -valicavano per lo Milanese. Messer Bernabò -Visconti sentendo questo, e temendo d’alcuna -sua terra, di presente fece cavalcare messer -Giovanni da Biseggio suo capitano con millecinquecento -cavalieri, e appresso lo seguivano mille -barbute per soccorso. Messer Giovanni, franco e -coraggioso capitano, si mise innanzi senza attendere -gli altri mille cavalieri, e colla sua brigata -<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span> -s’aggiunse co’ nemici in sul Bresciano, e ivi si fedì -tra loro aspramente. Quivi avea di buoni cavalieri, -che li riceverono allegramente, ove fu -aspra e fiera battaglia. In fine i cavalieri di messer -Bernabò furono sconfitti, e preso il capitano -con venti conestabili, e bene quattrocento altri -cavalieri, e lasciati alla fede, all’usanza tedesca. -Trovaronsi morti in sul campo tra dell’una parte -e dell’altra trecento uomini, i più de’ vinti; -e questo fu del mese di dicembre anno detto. -</p> - -<h3 id="capXIX-8">CAP. XIX. -<span class="smaller"><i>Come l’oste del re d’Ungheria prese -la città di Giadra.</i></span></h3> - -<p> -Nel settimo libro addietro è narrato l’assedio -del re d’Ungheria posto a Giadra, il quale stato -lungamente, del mese di dicembre anno detto, -coll’aiuto d’alcuno trattato d’entro, si menò una -cava di fuori in certa parte ov’era l’aiuto d’entro, -e in pochi dì furono fatte cadere quaranta -braccia di muro; e atati da coloro con cui s’intendeano -dentro, ebbono l’entrata della città, -ed entrati gli Ungheri dentro, senza gran contasto -vinsono la terra, e tutta la gente de’ Veneziani -ch’erano alla guardia si raccolsono nel -castello, ch’era alla marina alquanto scostato -dalla terra, fortissimo e ben fornito a ogni gran -difesa, e da potere avere soccorso di mare. Questa -è quella città che tanta guerra ha fatto fare -tra ’l re d’Ungheria e’ Veneziani, e alla quale -<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span> -il re d’Ungheria in persona alcuna volta con centomila -cavalieri è stato all’assedio, e partito se -n’è con vergogna, e ora così vilmente è stata vinta. -Credo che l’ambiziosa superbia de’ Veneziani -per gravi discipline sia umiliata nel cospetto -di Dio, per la qual cosa si può comprendere che -Iddio per grazia gli traesse con lieve danno di -gran pericolo e di gravi spese; e bench’elli avessono -grande appetito di pace, tenendo Giadra non -la sapeano lasciare, ma ogni omaggio, ogni gran -quantità di pecunia offeriano per quella; ma il -magnanimo re volea innanzi il suo onore, che la -pecunia e l’amistà de’ Veneziani. Come i Veneziani -sentirono che la città di Giadra era tolta -loro sbigottirono forte, non ostante che tenessono -il castello, ch’era di gran fortezza, e da poterlo -tenere e fornire per mare; ma consideravansi -consumati dalle spese, e la potenza del re -essere sopra le forze loro, e però subitamente gli -mandarono ambasciadori per volere trattare della -pace con lui. Il re essendo cresciuto in vittoria -sopra loro, per farli più accendere nell’appetito -della pace, a questa non li volle udire, mostrando -animo grave contro al comune di Vinegia per -le grandi ingiurie ricevute da quello, e scrisse -in Puglia all’imperadore per volere fare armare -galee, e in Lombardia a’ signori suoi amici perchè -s’apparecchiassono al suo servigio, ch’egli intendea -di venire ad assediare Trevigi, e far guerra -per terra e per mare a’ suoi nemici veneziani. Per -questa risposta i Veneziani temettono più forte, -e conobbonsi disfatti dentro alle incomportabili -gravezze, e di fuori dalla gran potenza del re. E -<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span> -per questo diliberarono tra loro ch’ogni altra -posa era accrescimento a’ loro guai, salvo che la -pace, e questa procacciarono, come innanzi a -loro tempo racconteremo. -</p> - -<h3 id="capXX-8">CAP. XX. -<span class="smaller"><i>Come messer Bernabò fece combattere Castro.</i></span></h3> - -<p> -Come poco innanzi narrammo, messer Bernabò -signore di Milano avea lungamente tenuti assediati -nel castello di Castro in sul Milanese -mille cavalieri, e cinquecento masnadieri di quelli -della compagnia, con speranza d’averli per -forza e di farli impiccare. E avendo fatto ordinare -sua gente alla battaglia, non essendo il castello -forte, da ogni parte il fece assalire con -aspra e stretta battaglia; e avvegnachè ’l luogo -fosse debole alla loro difesa, la necessità di difendere -catuno la vita, diede loro smisurata sollecitudine -e forza alla difesa, e combatterono -sì aspramente contro alla moltitudine de’ loro -nemici, che per forza gli ributtarono addietro -della battaglia, e con danno di molti morti e -d’assai magagnati si ritornarono addietro al campo -loro, ch’era intorno al casale. Avendo l’altra -parte della compagnia ch’era in Vercelli -sentito il pericolo de’ loro compagni, mandarono -ad avvisarli della giornata, che verrebbeno -col loro sforzo per levarli di là, acciocch’elli stessono -apparecchiati. E incontanente, improvviso -alla gente de’ signori di Milano, del mese di dicembre -anno detto, con duemila barbute bene -<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span> -in concio se ne vennero in sul contado di Milano -dall’una delle parti del casale: e trovando in -concio i loro compagni ch’erano in Castro, con -bella schiera fatta s’uscirono del casale, e aggiunsonsi -co’ loro compagni, per modo che la gente -del tiranno non ebbe ardire di muoversi contro -a loro. E in questo modo senza niuno assalto si -ridussono, con vergogna de’ signori di Milano, -sani e salvi in Vercellese. -</p> - -<h3 id="capXXI-8">CAP. XXI. -<span class="smaller"><i>Come si cominciò a trattare pace da’ collegati -a’ Visconti.</i></span></h3> - -<p> -Dibattuta lungamente la guerra tra’ signori di -Milano e gli altri Lombardi collegati, e le cose -molto imbarrate da ogni parte, non ostante che -in molte cose la fortuna avesse prosperato gli -allegati, e vergognata l’altra parte, tant’era la -forza de’ signori di Milano di danari e di gente -d’arme, che solo sostenendo consumava gli allegati, -e della perdita delle genti e delle terre -piccole non si curavano, e continovo ogni mese -aveano fornite e ricresciute le loro masnade, -mostrando maggiore forza l’un dì che l’altro, -tenendo l’oste sopra Mantova, e facendo cavalcare -sopra i Lombardi, tormentandoli dopo le -sconfitte ricevute più che prima. Il signore di -Mantova, toccandogli la guerra più nel vivo, -mandò messer Feltrino da Gonzaga a’ collegati -per riprendere il trattato della pace co’ signori -di Milano, e fece dare speranza a’ signori di Milano -<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span> -di dar loro la città di Reggio, e per questo -diedono udienza al trattato del mese di gennaio -del detto anno. Ma innanzi che ’l trattato avesse -effetto, altre cose avvennono tra loro, le quali -prima ci verranno a raccontare. -</p> - -<h3 id="capXXII-8">CAP. XXII. -<span class="smaller"><i>Come i Perugini puosono cinque battifolli -a Cortona.</i></span></h3> - -<p> -Tornando a’ fatti di Cortona, trovando coloro -ch’allora reggevano il comune di Perugia, che -l’impresa non era stata ben fatta, e ch’e’ Fiorentini -glie ne riprendeano, e molti altri loro buoni -cittadini, per non avere vergogna dell’impresa, -poichè fatta l’aveano, e il popolo minuto, -che allora reggea la città, se ne mostrò tanto -infocato, che incontanente crebbono gente d’arme -da piè e da cavallo, per fornire il contradio di -quello che erano pregati da’ Fiorentini. E già -però i Fiorentini per troppo amore che portavano -a quel comune, e per vergogna che ricevessono -di loro promessa non vollono tramettersi -contro a’ Perugini per difesa de’ Cortonesi, com’e’ -poteano a loro vantaggio, altro che con parole, -onde da’ savi uomini furono assai biasimati. E’ -Perugini vedendo che ’l comune di Firenze non -volea prendere la guardia di Cortona, come e’ dovea -e potea fare, presono più baldanza, e rinforzarono -l’oste di molta gente, e chiusono la -città d’assedio con cinque battifolli, per modo -che non vi si poteva entrare nè uscire senza -<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span> -grande pericolo; e questo fu all’entrata del mese -di gennaio del detto anno. Gli assediati erano -male forniti di gente forestiera alla difesa, e a’ cittadini -convenia fare la guardia grande di dì e di -notte che gli affliggea molto, e questo dava grande -speranza a’ Perugini di venire a’ loro intendimenti; -e ’l signore ne stava in grande gelosia, -temendo de’ suoi cittadini, ma i cittadini per singolare -odio che portavano a’ Perugini, temendo -di venire alla loro suggezione, rassicurarono il -signore, e strinsonsi con lui, e ordinarono la guardia -volontaria e buona alla difesa della città, e -cominciarono a trattare de’ loro rimedi. -</p> - -<h3 id="capXXIII-8">CAP. XXIII. -<span class="smaller"><i>Come i Trevigiani furono rotti dagli Ungheri.</i></span></h3> - -<p> -Lavorandosi il terreno de’ Trevigiani per gli -Ungheri, come già è detto, trovandosi in Trevigi -una franca masnada di cavalieri e di masnadieri, -avendo pensato di fare una grande e utile -preda, ed essendo i lavoratori pe’ campi sotto la -guardia degli Ungheri operando la terra senza -paura, non temendo de’ Trevigiani, i cavalieri -ch’erano in Trevigi, con certi Veneziani e Trevigiani -a cavallo, e con tutti i masnadieri a piè, -una mattina innanzi al dì uscirono della terra -cinquecento cavalieri, e altrettanti masnadieri -e gran popolo, e cavalcarono il paese, e raccolsono -grandissima preda di bestiame grosso e minuto, -e d’uomini. Gli Ungheri sentirono il romore, -e come gente apparecchiata di loro cavalli -<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span> -e che non s’hanno a vestire arme, di tutte le castella -d’attorno trassono a pochi e ad assai insieme, -e cominciarono da ogni parte a impedire colle -loro saette i nemici, e non gli lasciavano cavalcare -innanzi alla loro ritratta. E tenendoli per -questo modo, l’altra moltitudine degli Ungheri -traeva e cresceva loro addosso sempre saettando, -uccidendo e fedendo de’ cavalli e degli uomini; -e perchè contro a loro si movessono i cavalieri, -e’ si voltavano, e fuggivano, e ritornavano -prestamente. E non valendo a’ Trevigiani il -combattere e ’l lanciare, che a mano a mano -n’aveano più addosso, convenne loro per forza -abbandonare la preda, e intendere a campare le -persone; ma non lo poterono fare sì interamente, -che de’ loro non rimanessono trecento tra morti -e presi, a cavallo e a piè. E d’allora innanzi di -Trevigi non uscì più gente per vantaggio che -fosse loro mostrato di fuori, e’ Veneziani con più -appetito procacciavano l’accordo della pace col -re d’Ungheria. -</p> - -<h3 id="capXXIV-8">CAP. XXIV. -<span class="smaller"><i>Cominciamenti di nuovi scandali nella città -di Firenze.</i></span></h3> - -<p> -Era la città di Firenze in questi tempi in grande -tranquillità e pace dentro, e di fuori non -avea nemici, e con tutti i comuni e signori -d’Italia era in amicizia, non avendo contro ad -alcuno voluto pigliare parte, e con tutti quelli -ch’aveano guerra travagliatosi della pace, e la -<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span> -novità del porto di Talamone non inducea guerra. La -città dentro per l’ordine de’ divieti delle famiglie -de’ popolani, quando alcuno era tratto -agli ufici de’ collegi, aveva fatto venire il reggimento -del comune in molte genti d’ogni ragione, -e ’l più in artefici minuti, e in singulari e -nuovi cittadini, e a costoro quasi non toccava -divieto perchè non erano di consorteria, sicchè -frequentemente ritornavano agli ufici, e’ grandi -e potenti cittadini delle gran famiglie vi tornavano -di rado. Ancora poca distinzione si faceva per -uno comune buono stato degli uomini: e chi era -senza vergogna, a’ tempi che s’insaccavano per -squittino generale gli uomini all’uficio del priorato, -si provvedea dinanzi con gli amici, e colle -preghiere, e con doni, e con spessi conviti; e per -questo modo più indegni e illiciti uomini si ritrovavano -agli ufici, che virtuosi e degni. Nondimeno -la cittadinanza era più unita al comune -bene, e le sette aveano meno luogo, e i nuovi -e piccoli cittadini negli ufici non aveano ardire -di far male nella infanzia de’ loro magistrati. -Nondimeno in grande fallo e pericoloso correa -la repubblica di non riparare a’ manifesti falli -che si commettevano negli squittini, come detto -è. Ma certi uomini grandi e popolari avvedendosi -dell’errore del comune, con grave e sagace -malizia, e a fine reo di divenire tirannelli, s’avvisarono -insieme, e quello che si dovea, e potea -racconciare con ordine di buona legge e onesta -al fare degli squittini, convertirono sotto il titolo -della parte guelfa, dicendo, ch’e’ ghibellini -occupavano gli ufici, e che se i guelfi non riparassono -<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span> -a questo, poteano pensare di perdere tosto -loro stato e la franchigia del comune, la cui -franchigia mantenea la libertà in Italia. E di -vero la parte guelfa è fondamento e rocca ferma -e stabile della libertà d’Italia, e contraria a tutte -le tirannie, per modo che se alcuno guelfo divien -tiranno, convien per forza ch’e’ diventi -ghibellino, e di ciò spesso s’è veduta la sperienza; -sicchè grande beneficio del nostro comune è -a mantenere e accrescere la parte guelfa. Costoro, -avendo conceputa la malizia, e conferita con -certi delle grandi famiglie, dicendo, che quello -che intendeano fare sarebbe materia al comune -d’abbreviare i divieti, presono conforto e favore -di venire alla loro intenzione. E succedendo -all’uficio del capitanato della parte de’ caporali -che la coperta iniquità aveano conceputa, per -potere con loro seguito avere a tutti i cittadini -guelfi e ghibellini il bastone sopra capo, e potere -le loro spezialità sotto il detto bastone in -comune e in diviso adempiere; ed essendo allora -per consueto ordine due cavalieri de’ grandi e -due popolani capitani, raccozzò la fortuna certi -cittadini grandi e popolari di pessima e iniqua -condizione, messer Guelfo Gherardini, messer Geri -de’ Pazzi, Tommaso di Serontino Brancacci, Simone -di ser Giovanni Siminetti, cittadini grandi -e popolari di pessima e iniqua condizione. I -grandi astuti e cupidi d’uficio, e d’avere poveri, -dispetti e detratti degli onori del comune -per non sapere usare la virtù col senno; gli altri -popolari erano conferenti a’ grandi nelle predette -cose, fuori che negli ufici usurpati più per -<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span> -procaccio che per virtù. Costoro tutti in concordia -traendo non al bisogno, o al beneficio del -comune o della parte, ma a quel fine che già -è detto, ordinarono una petizione, che in sustanza -contenne, che quale cittadino o contadino -di Firenze, ghibellino o non vero guelfo, avesse -avuto per addietro, o avesse per innanzi alcuno -uficio del comune di Firenze, potesse essere -accusato palesemente e occultamente, non nominando -eziandio l’accusatore; e che approvandosi -l’accusa per sei testimoni di pubblica fama, che -l’accusato fesse ghibellino o non vero guelfo, -essendo i testimoni approvati per uomini degni -da potere portare testimonianza, per li capitani -della parte, e per li consoli delle loro arti, dovesse -l’accusato e provato, com’è detto, essere -condannato ad arbitrio della signoria ch’avesse -l’accusa innanzi, nella testa o in quantità di -moneta, ch’almeno fosse libbre cinquecento di -fiorini piccioli, e rimosso da ogni uficio e onore -del comune; e ch’e’ testimoni non potessono -essere riprovati di falso. E portata l’iniqua -petizione per li detti capitani a’ signori e a’ collegi, -ed esaminata, parendo loro ch’ella fosse -iniqua e ingiusta, non la vollono ammettere nè -diliberare tra loro. Per la qual cosa i capitani gli -abominavano contro alla parte, e di loro seguaci -raunarono più di dugento cittadini scelti a loro -modo, e con essi sotto il titolo della difensione -di parte guelfa, a cui niuno s’opponeva, andarono -con grande baldanza a’ priori e al consiglio, -e dissono, ch’e’ non si partirebbono di là, che la -petizione sarebbe diliberata, e così convenne -<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span> -che si facesse; e vinta fu a dì 15 di gennaio anno -detto. E avuta la petizione alla loro malvagia -intenzione, di presente si racchiusono insieme -nel palagio della parte, e per loro squittini feciono -capitani, e priori, e consiglieri di parte di loro -seguito per molti anni, con assai pubblica, sfacciata, -e disonesta spezialtà, e sotto falso nome -di parte guelfa trovando modo di distruggere -e d’abbassare il giusto e santo nome di quella, -ebbono podere di fare ogni cosa secondo il loro -disordinato appetito. Della qual cosa seguitò subitamente -grande inquietazione del tranquillo -e buono stato del comune, e tutti i cittadini disposti -a volere fare i fatti loro, e non concorrenti -alla sconcia setta, stavano sospesi di loro stato -e di loro onore: e comune turbazione ne cadde -tra’ cittadini, e appresso ne seguitarono sconce -ingiurie e gravi pericoli alla nostra città, come -leggendo innanzi pe’ tempi si potrà comprendere. -</p> - -<h3 id="capXXV-8">CAP. XXV. -<span class="smaller"><i>D’un singolare accidente ch’avvenne in -questi paesi.</i></span></h3> - -<p> -Essendo dal cominciamento del verno continovato -fino al gennaio un’aria sottilissima, chiara -e serena, e mantenuta senza ravvolgimento di -nuvoli o di venti, oltre all’usato natural modo, -per sperienza del fatto si conobbe, che da questa -aria venne un’influenza, che poco meno che -tutti i corpi umani della città, e del contado e -distretto di Firenze, e delle circustanti vicinanze -<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span> -fece infreddare, e durare il freddo avvelenato -ne’ corpi assai più lungamente che l’usato modo. -E per dieta o per altri argomenti ch’e’ medici -facessono o sapessono trovare, non poteano -avacciare la liberagione, nè da quello liberare le -loro persone, e molti dopo la lunga malattia ne -morivano; e vegnendo appresso la primavera, -molti morirono di subitana morte. Dissesi per gli -astrolaghi, che fu per influenza di costellazioni, -altri per troppa sottigliezza d’aria nel tempo -della vernata. -</p> - -<h3 id="capXXVI-8">CAP. XXVI. -<span class="smaller"><i>Come in Firenze nacque una fanciulla -mostruosa.</i></span></h3> - -<p> -A dì 4 di febbraio anno detto nacque in Firenze -al Poggio de’ Magnoli una fanciulla portata -sette mesi nel ventre della madre, la quale avea -sei dita in ciascuna mano e in catuno piede, e i -piedi rivolti in su verso le gambe, senza naso, -e senza il labbro di sopra, e con quattro denti -canini lunghi da ogni parte della bocca due, uno -di sopra e uno di sotto; il viso avea tutto piano, e -gli occhi senza ciglia: e vivette dalla domenica a -vespro al lunedì vegnente alla detta ora, e più sarebbe -vivuta se avesse potuto prendere il latte. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span> -</p> - -<h3 id="capXXVII-8">CAP. XXVII. -<span class="smaller"><i>Come i Sanesi si scopersono nemici -de’ Perugini.</i></span></h3> - -<p> -Il comune di Siena aspettando, e vedendo -ch’e’ Fiorentini non rimoveano i Perugini della -impresa di Cortona, avendo il signore di Cortona -singulare amistà co’ Sanesi, gli avea richiesti -d’aiuto; e i Sanesi gravandosi de’ Perugini ch’atavano -contro a loro quelli di Montepulciano, furono -contenti d’avere cagione di atare i Cortonesi. -E in prima cercarono per più riprese di mettere -masnadieri di furto nella città, e per la sollecita -e buona guardia de’ Perugini non venne -fatto, anzi ne furon presi e morti, ch’aggiunse -a’ Sanesi maggiore sdegno. E trovandosi già scoperti -da’ Perugini per queste cavalcate, conobbono -che in palese conveniva fare l’impresa incominciata, -se non ne volevano rimanere vituperati. -Cercarono in prima avanzare, se fare il potessono, -e tennero in prima due trattati, l’uno in Chiusi, -e l’altro in Sarteano; e accolta gente a cavallo -e a piè cavalcarono prima a Chiusi, credendovisi -entrare, ma la guardia v’era buona, sicchè i -loro amici non ebbono ardire di muoversi, e con -vergogna si tornarono addietro. Appresso cavalcarono -a Sarteano, e anche con disonore, scoperti -al tutto nemici de’ Perugini, si tornarono in -Siena. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span> -</p> - -<h3 id="capXXVIII-8">CAP. XXVIII. -<span class="smaller"><i>Come i Sanesi misono cavalieri in Cortona -alla guardia.</i></span></h3> - -<p> -Fatto questo cominciamento per li Sanesi senza -alcuno acquisto, intendendosi con gli assediati, -sentirono da loro, come tra la bastita della Pieve -a quella dall’Orsaia avea gran campo voto -in mezzo, per lo quale avvisatamente si potea -fare passare della gente; incontanente i Sanesi -elessono cento cavalieri ben montati, e cinquanta -Ungheri con alquanti masnadieri scorti e destri, -e con buona condotta li feciono cavalcare -una notte per modo, che giunti la mattina per -tempo al luogo tra le due bastite, senz’essere -scoperti, stretti insieme si misono a passare, e -senza ricevere impedimento entrarono in Cortona, -ricevuti dal signore e da tutti i cittadini -a gran festa, come gente ch’aveano gran bisogno -d’aiuto e di soccorso; e immantinente misono -l’insegna del comune di Siena nel cospetto -de’ Perugini in sulla torre della porta maestra, -e appresso cominciarono a uscire fuori a loro posta, -e dare noia e danno a quelli del campo, e -a ricevere e a mettere roba nella città, di che eglino -aveano bisogno, e massimamente strame e legne, -che di vittuaglia erano assai bene abbondanti. -Per questa novità i Perugini si vidono al tutto -entrati in guerra co’ Sanesi, e’ Sanesi co’ Perugini, -e però catuno si mise in provvisione; e’ Sanesi -con maggiore sollecitudine feciono provvisione -<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span> -d’avere danari in comune; ed essendo uno -Anichino di Bongardo Tedesco fatto capo d’una -nuova compagnia che si levava, ed erano già -accolti insieme più di milledugento barbute, -mandaronlo a conducere con tutta sua cavalleria. -Lasceremo alquanto al presente le novità di Toscana -per dare parte a quelle di Francia, che prima -ci offrono con non minore ammirazione di -lieve materia sformato avvenimento. -</p> - -<h3 id="capXXIX-8">CAP. XXIX. -<span class="smaller"><i>La cagione che mosse i borgesi di Parigi -a nuovo stato.</i></span></h3> - -<p> -Essendo in alcuna cospirazione segreta di trattato -il proposto de’ mercatanti di Parigi col re -di Navarra, favoreggiato occultamente dal re -d’Inghilterra, prese ardire, e ’l caso gli apparecchiò -la materia acconcia al suo proponimento. -Uno borgese di Parigi vendè al Delfino di Vienna, -primogenito del re di Francia, due suoi destrieri, -e ’l Delfino comandò a un suo tesoriere che -’l pagasse: il borgese andò molte volte al tesoriere -per farsi pagare; il tesoriere il menava per -parole; e parendo essere al borgese disperato -de’ suoi danari, si turbò col tesoriere, e dissegli, -che s’e’ non pagasse, che ’l comperrebbe di suo -corpo: il tesoriere altiero e presuntuoso non si -curò del pagamento nè delle minacce del borgese. -Avvenne, che valicando del mese di febbraio -anno detto il tesoriere per una ruga di Parigi, -si scontrò nel borgese, il quale gli attenne la -<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span> -promessa; e ucciselo; e fuggissi in franchigia. La -novella corse al Delfino e al suo consiglio; i quali -di presente a forza il feciono trarre di franchigia; -e impenderlo per la gola. Per questo il -proposto di Parigi montato in furore per lo male -reggimento del consiglio del Delfino, prese compagnia -di certi borgesi di suo seguito, e crebbegli -ardimento del favore si sentiva in segreto del -re di Navarra, e che comunemente il Delfino -e ’l suo consiglio erano odiati da tutta maniera -di gente; e con meno di ottanta borgesi armati -copertamente, in quel furore se n’andò al palagio -reale ov’era il Delfino e’ suoi consiglieri; -e innanzi vi giugnessono, trovarono nella via -un avvocato ch’era del consiglio del Delfino, -e di presente l’uccisono; e seguendo loro viaggio, -giunsono al palagio; il portiere non volea lasciare -entrare altro che ’l proposto con pochi, -ma entrato dentro il proposto con alcuni compagni, -costrinsono i portieri, e misono dentro -gli altri compagni, e di brigata se n’andarono -dov’era il Delfino con due de’ suoi consiglieri, -per cui più si reggea e governava, e l’uno era -il conestabile di Chiaramonte, e l’altro il conestabile -di Campagna; il proposto nella presenza -del Delfino li fece uccidere a ghiado. Il Delfino -impaurito si gittò ginocchione innanzi al proposto, -pregandolo che nol facesse morire; il proposto -non sostenne che egli stesse a basso, ma -levollo su facendoli reverenza, e dicendo, come -l’aveano per loro signore, ma aveano in odio -coloro che per loro malizia gli davano consigli; -e acciocchè non fosse offeso nel furore della gente -<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span> -già commossa, li misono in capo un cappuccio -di loro assisa, e menaronlo con loro in una -parte di Parigi che si chiama Grieve, e ivi lo -feciono giurare che di questo fatto non renderebbe -loro per alcuno tempo mal merito, e che -si reggerebbe per consiglio de’ borgesi; e fatta -la promessa, e fermata col suo saramento, il rimisono -nel suo primo stato. Divolgata questa -cosa per tutta la città di Parigi, i borgesi lieti -s’allegrarono insieme in gran parte, sommovendo -l’uno l’altro, e prestavano il saramento come -s’ordinò per lo rettore, a mantenere il loro -novello stato e la loro usurpata franchigia. -</p> - -<h3 id="capXXX-8">CAP. XXX. -<span class="smaller"><i>Della pace del re d’Ungheria a’ Veneziani.</i></span></h3> - -<p> -Avendo i Veneziani consumato il tempo della -matta follía, la quale a torto aveano sostenuta -per molti anni contro al re d’Ungheria con molto -loro danno, si disposono di comune consentimento -che dal re si procacciasse buona e fedele -pace; e per poterla avere, liberamente il comune -si rimesse in lui, acconci di fare tutti i suoi -comandamenti delle terre d’Istria, e di Schiavonia -e di Dalmazia, che per loro si possedeano, -e che oltre a questo gli fosse offerto ogni ammenda -di danari e d’altre cose ch’alla sua signoria -piacesse di volere da’ Veneziani; e fatti -de’ maggiori della loro città solenni ambasciadori, -con pieno mandato alle predette cose li mandarono -al re; il quale sentendo la liberalità di quel -<span class="pagenum" id="Page_44">[44]</span> -comune, graziosamente li ricevette; e udita -l’ambasciata, come magnanimo signore, disse, -ch’era contento di riavere tutte le terre del suo -reame, e che quelle si levassono al tutto del titolo -del loro doge, sicchè mai per innanzi nè -’l doge nè ’l comune se ne titolasse; e quando -questo fosse fatto, intendea co’ Veneziani avere -buona pace. Ammenda di danari, disse, che non -volea, perocch’e’ non era cupido nè bisognoso -di pecunia, ma volea per ammenda e per titolo -d’amicizia, che quando e’ richiedesse il comune -di Vinegia, fosse tenuto di darli armate a sua -volontà ogni volta che le domandasse infino in -ventiquattro galee alle spese del re. E come -egli divisò, di buona volontà tutto fu accettato, e -promesso di fare fedelmente per autorità degli -ambasciadori, e ferma la pace; e incontanente -feciono rendere il castello di Giadra, e tutte le -terre che teneano in Schiavonia, e in Dalmazia -e in Istria che al re s’apparteneano, e dentro -vi misono la gente del re d’Ungheria, e del titolo -del doge le levarono tutte; e il re, del mese -di febbraio anno detto, mandò suoi ambasciadori, -i quali restituirono al comune di Vinegia -Colligrano, e tutte le castella che gli Ungheri -teneano in Trevigiana, e con grande allegrezza -e festa de’ Veneziani feciono pubblicare e bandire -la pace; e fu in patto, che tutti i gentili -uomini di Trevigiana rimanessono in pace col -comune di Vinegia, e liberi possessori delle loro -tenute e castella. E fatto solenne onore agli ambasciadori -del re, feciono per loro decreto in consiglio -che di niuna materia di guerra si dovesse -<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span> -ragionare, e che catuno si dirizzasse al navicare -e a fare mercatanzia. Costoro straccati della -guerra conobbono il beneficio della pace; il nostro -comune infastidito di troppo tranquillo stato, -cercò materia di grande turbamento della -cittadinanza, come appresso racconteremo. -</p> - -<h3 id="capXXXI-8">CAP. XXXI. -<span class="smaller"><i>Come da prima in città di Firenze furono -accusati certi cittadini per ghibellini.</i></span></h3> - -<p> -Essendo entrati nuovi capitani di parte guelfa, -messer Simone de’ Bardi, e messer Uguccione -Buondelmonti, Migliore Guadagni, e Massaiozzo -Raffacani, e de’ quali non v’era ma’ ma’ uno ch’avesse -stato in comune, e tutti erano animosi ad -accendere e suscitare lo scandalo incominciato -pe’ loro precessori; e però furono in concordia -di cominciare l’esecuzione dell’iniqua legge, e -accolsono al palagio della parte certi eletti d’industria, -uomini affocati nella volontà d’abbattere -i cittadini de’ loro ufici, e de’ loro stati e -onori per invidia, sotto titolo di dichiararli ghibellini -o non veri guelfi. E per adempire la -sfrenata volontà, misono e nominarono per -ghibellini catuno cui e’ voleano a’ loro segreti -squittini, e ivi furono nominati grandi e popolari -di molte case e famiglie delle maggiori, e -migliori e più stanti della città di Firenze, antichi -cittadini e amatori del loro comune e di -parte guelfa: e recati al partito tra così discreto -collegio, chiunque aveva più boci di essere ghibellino, -<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span> -o non vero guelfo, insaccavano in cedole, -per trarli fuori a parte a parte, e accusarli -e farli condannare, eziandio che di nazione e -d’operazione si trovassono nella verità essere -veri e diritti guelfi; e nel primo squittino insaccarono -da settanta cittadini di nome e di -stato, come detto è. Dopo questi levato il saggio -dell’accuse, dovevano insaccare degli altri, perocchè -lungamente vi si penava a farli; e bollendo -già tutta la città di questa perversa operazione, -e parendo a catuno buono cittadino male -stare, si cominciarono a destare, e a richiedere gli -amici, e a pregare i capitani; e i capitani vedendo -la commozione, cominciarono a tentare, e a reprimersi -della loro opinione contro a’ potenti, cui -già avevano insaccati per accusare. Ma per dare -cominciamento al fatto, elessono cinque cittadini, -de’ quali pensarono avere minore resistenza; -nondimeno accolsono prima alla parte d’auzzetti -di loro seguito più di dugento uomini: e formata -loro accusa di quattro, di cui si poteva alcuna -cosa sospicciare ne’ libri della parte, benchè certo -non fosse, acciocchè ’l loro cominciamento -con alcuno verisimile atasse la corrotta intenzione, -a dì otto di marzo andarono i capitani in -persona colla compagnia de’ sopraddetti richiesti -al potestà, e disonestamente, e fuori d’ogni consuetudine, -accusarono per ghibellino Neri di -Giuntino Alamanni, e Mannetto Mazzetti, Giovanni -di Lapaccio Girolami di porta santa Maria, -e Giovanni Bianciardi cambiatore: catuno aveva -avuti lievi ufici per lo tempo passato; ex abrutto -gli feciono condannare, e certi altri feciono rinunziare -<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span> -all’uficio, in che erano de’ cinque della -mercatanzia. A niuno potè valere alcuna scusa. E -avendo i capitani cominciata in parte la loro esecuzione, -cominciarono a essere temuti e ridottati -da tutti i cittadini, e chi non si sentiva ben forte, -dava opera con preghiere e con servigi, con doni -e con danari di riparare alla sua fortuna, ch’era -nelle mani de’ capitani della parte guelfa. E per seguire -i detti capitani il loro prospero cominciamento, -e sventurato e reo alla comunanza, a dì 5 -d’aprile anni 1358, avendo animo di fare più e -maggiore fascio, ma ristretti dal mormorio del popolo, -e della infamia che già correa di loro, si -ristrinsono, e fedirono nel molle, lasciando degli -squittinati, e facendo ad arbitrio, n’accusarono -altri otto; ciò furono, Domenico di Lapo -Bandini, Mazza Ramaglianti, Cambio Nucci -speziale, Giovanni Rizza, Piero di Lippo Bonagrazia, -Iacopo del Vigna, Christofano di Francesco -Cosi, e Michele Lapi; e tutti gli feciono condannare, -senz’essere uditi a ragione, in libbre -cinquecento per uno. E a dì 21 del detto mese, -avendo fatto nuovo squittino, e avvolti ne’ loro -sacelli grandissima quantità di buoni e di cari -cittadini, e di quelli delle maggiori case popolari -di Firenze di catuno quartiere, ch’a nominarle -non sarebbe onesto, ed essendo per rivelazione -del loro segreto squittino già noto a tutti, la città -tutta si doleva, e grave infamia si spandea diversamente, -non senza scandalo, che l’uno biasimava, -e l’altro lodava la mala operazione, -ma in genero tutti i buoni uomini guelfi biasimavano -la legge sopra ciò fatta, e la esecuzione -<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span> -che ne seguitava; e per questo abbassarono ancora -la loro furia i capitani. Ma volendo pur fare -male, anche rifedirono nel molle: e lasciandoli -squittinati, ciascuno accusò il suo cui e’ volle: -ed essendo senza colpa d’aver preso uficio, e da -potersi con giustizia difendere, feciono condannare -Niccolò di Bartolo del Buono, Simone Bertini, -Sandro de’ Portinari, e Giovanni Mattei. -Lasceremo ora addietro alcune altre cose che -prima occorsono che quello ch’al presente seguita, -per congiugnere a questa materia alcuna temperanza -di rimedio fatto per bene, che poi s’usò -in male, com’è usanza, non del comune, ma -degl’iniqui cittadini. -</p> - -<h3 id="capXXXII-8">CAP. XXXII. -<span class="smaller"><i>Come a’ capitani della parte furono aggiunti -due compagnia</i></span></h3> - -<p> -Al presente occorre a scrivere cosa incredibile -e vera. Questa nuova seduzione dell’iniqua legge -fatta sotto il titolo della parte, generalmente -spiacea a tutti i buoni e cari cittadini, veri e -diritti guelfi, e più la sconcia esecuzione che se -ne facea, e tutti diceano, che a ciò si mettesse -consiglio e rimedio, ch’e’ cittadini non vivessono -in tanta sospiccione di loro stato. Molti -consigli se ne teneano, e niuno modo vi sapeano -trovare, per non dirogare al nome della parte; -e coloro che entravano agli ufici de’ collegi, -e agli altri maggiori, ch’erano più sospetti, coloro -erano quelli che più parlavano, e che più -<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span> -si mostravano zelanti a mantenere la legge e la -sua esecuzione insino che la pietra cadeva sopra -loro. Ma vedendo il genero de’ cittadini essere -caduti sprovvedutamente sotto il giogo della malvagia -legge, e non potendovi per via diretta riparare, -e vedendo così i guelfi come i ghibellini, ma -troppo più i guelfi, che l’onore e lo stato potea -essere tolto a catuno, quando a tre uomini capitani -di parte paresse, e conoscendo che tutti i -più malivoli uomini di Firenze erano poco dinanzi -stati insaccati per capitani, priori e consiglieri -di parte senza alcuno divieto, per riparare -in parte, ove non si potea riparare in tutto, a -tanto male, i priori ch’erano allora, di subito -e segretamente ordinarono co’ loro collegi una -petizione, e fu di presente vinta in consiglio, -che a’ capitani di parte guelfa s’aggiugnessono -due popolani, e che niuna cosa si potesse diliberare -per li capitani, se tre popolari non fossono -in concordia; e dove i grandi doveano essere cavalieri, -s’allargò ad ogni grande, acciocchè -l’uficio non continovasse in pochi grandi; e -misono a tutti divieto un anno, e che gli squittini -della parte si dovessono rifare di nuovo, e -annullare tutti i fatti; e questa riformagione fu -ferma per li consigli a dì 24 d’aprile 1358. E -avvegnachè questo non fosse opportuno rimedio, -fu alcuno freno all’ordinato male, e molti per -questo intervallo ebbono tempo da potere rimediare -a’ fatti loro; nondimeno coloro ch’aveano -l’animo e la mente sollicita a rimanere col bastone -della parte, per potere premere gli altri cittadini, -argomentarono a nuovi squittinì, e in questo e -<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span> -in altre cose feciono tanto, ch’ogni uficio accresceva -nuovo scandalo nella cittadinanza, come -leggendo per li tempi si potrà trovare. -</p> - -<h3 id="capXXXIII-8">CAP. XXXIII. -<span class="smaller"><i>Come i Sanesi uscirono fuori per soccorrere -Cortona.</i></span></h3> - -<p> -Tornando a’ fatti di Cortona, i Sanesi ch’aveano -presa la difesa, e soldata la compagnia -d’Anichino in Lombardia, e fattala valicare a -Siena, e con alquanti loro soldati, a dì 18 del mese -di marzo 1357, uscirono fuori con milleottocento -barbute, e con gran popolo di soldo e del loro -contado per andare a soccorrere Cortona, ch’era -al tutto circondata e stretta da’ battifolli de’ Perugini; -e andaronsene in su quello di Montepulciano, -e ivi stettono quattro dì. E in questo -tempo i Perugini per recarsi più al sicuro, sentendosi -presso l’oste de’ Sanesi, arsono il battifolle -da Camuccia; e quelli di Cortona, sentendosi -presso il soccorso, e ch’e’ Perugini per tema -aveano arsa la bastita da Camuccia, presono -ardire, e subitamente popolo e cavalieri uscirono -di Cortona, e assalirono il battifolle ch’era -ad Alti sopra la città, e quello combatterono sì -aspramente, che per forza il vinsono, e molti -de’ difenditori uccisono e presono, gli altri si -salvarono fuggendo al battifolle di Mezzacosta, -e all’Orsaia. In questi medesimi dì messer Andrea -Salimbeni, che guardava la rocca di Castiglioncello -oltre al Noro, avea promesso di darla -<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span> -a’ Perugini per fiorini tredicimila d’oro, i Perugini -vi cavalcarono, e per lo trattato entrarono -nel castello; il traditore per paura de’ consorti, -o per altra provvisione de’ Sanesi, non volle dare -la rocca a’ Perugini, onde poco appresso se -ne partirono, e’ Sanesi ne presono la guardia, e -trassonla di mano a messer Andrea. -</p> - -<h3 id="capXXXIV-8">CAP. XXXIV. -<span class="smaller"><i>Come si levò l’oste da Cortona.</i></span></h3> - -<p> -I capitani dell’oste de’ Sanesi avendo fatto -vista di valicare a Cortona contro all’oste de’ Perugini -per la via dall’Olmo d’Arezzo, avendo -innanzi segretamente provveduto loro cammino, -subitamente si misono per lo contado d’Orvieto, -e cavalcando sollecitamente, prima furono al -ponte Cavaliere in sulle Chiane di là dal Castello -della Pieve ed ebbonlo passato, ch’e’ Perugini -se n’avvedessono; ed entrati in su quello di Perugia, -entrarono senza contasto in uno castelletto -de’ Perugini chiamato Piegaia; e nel borgo -arsono alquante case, e valicarono innanzi alle -taverne di Bertuccio, e di là se ne vennono a -Panicale sopra il lago; e benchè potessono fare -assai danno per lo paese, se ne temperarono, -per non accrescere materia di maggiore odio -co’ Perugini. Essendo l’oste de’ Sanesi appressata, -senza mezzo delle Chiane o di fiumari, e -bene in concio per combattere, e’ Perugini mal -provveduti da riceverli alla battaglia e alla loro -difensione, presono partito di partirsi dall’assedio -<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span> -di Cortona per lo meno reo; e in quella -notte fortificarono il battifolle da Mezzacosta, -e arrosonvi gente alla guardia, e tutti gli altri battifolli -abbandonarono, e partironsi da campo -popolo e cavalieri assai vergognosamente, e ridussonsi -in certe loro castella più vicine. La -gente de’ Sanesi scesono la mattina in sul piano -del lago, e colle schiere fatte se ne vennono -all’Orsaia, e non trovandovi i nemici, si posarono -quivi il sabato santo a dì 30 di marzo 1358, -e in Cortona misono quella gente a cavallo e a -piè che vollono con ogni altro fornimento compiutamente; -e appresso il dì della Pasqua si -tornarono all’Olmo, e appresso se ne vennero a -Torrita in su il loro terreno, sani e salvi senza -alcuno contasto. E per questo modo fu libera -Cortona dall’arroganza de’ Perugini per le mani -de’ Sanesi. -</p> - -<h3 id="capXXXV-8">CAP. XXXV. -<span class="smaller"><i>Di novità di Perugia per detta cagione.</i></span></h3> - -<p> -Venuta la novella a Perugia come la loro -oste con vergogna s’era levata, e Cortona s’era -fornita, il popolo si levò a romore e presono l’arme, -e averebbono morto Leggiere d’Andreotto loro -cittadino, e motore di questa guerra e capitano -dell’oste, perch’egli avea abbandonato a’ Sanesi -il campo dall’Orsaia, se non ch’e’ si partì, e -cessò il furore; e racquetato il bollore, egli, come -molto pratico e astuto, fece mostrare a’ rettori -del comune, come per lo migliore s’erano -<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span> -ridotti in più salvo luogo; e andando di notte ad -alcuni suoi confidenti de’ rettori, tanto adornò -sue parole, che le sapea ben dire, e tanta suasione -fece di larghe promesse da sè e da’ conestabili -de’ cavalieri di far tosto la vendetta, e di -recare onore al comune de’ loro nemici, che fu -rimandato nell’oste da capo con più cavalieri, e -con maggiore forza di masnadieri e d’altro popolo. -E per fornire questo, atandoli lo sdegno già -conceputo de’ Perugini contro a’ Sanesi, catuno -si sforzò a servire il comune di danari, e accolta -gente d’arme, chiamarono per capitano di -guerra Smeduccio da Sanseverino, con grande -animo di volersi vendicare de’ Sanesi. Lasceremo -alquanto questa materia de’ due comuni, che -catuno si provvede, e diremo dell’altre cose che -prima ci occorrono a raccontare. -</p> - -<h3 id="capXXXVI-8">CAP. XXXVI. -<span class="smaller"><i>Di una gran festa fe’ bandire il re -d’Inghilterra.</i></span></h3> - -<p> -Il re Adoardo d’Inghilterra avendo fatta concordia, -e lasciato di prigione il re David di Scozia -suo cognato, si pensò di volere fare pace col -re di Francia, la quale avesse principale movimento -dalla sua persona. E per fare questo, fece -bandire in Francia, in Fiandra, in Brabante, -in Irlanda, nella Magna, in Iscozia e altri reami, -una solenne festa di cavalieri della Tavola -rotonda alla Sangiorgio d’aprile del detto anno; -facendo ogni maniera di gente sicura in suo reame, -<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span> -e offerendo arme, cavalli, e arnesi a ogni -cavaliere che alla festa venisse, e appresso le -spese a chi fare non le potesse; e ancora a tutta -gente d’arme per loro, e chi per loro servigi -venisse, ogni cosa che loro bisognasse per loro -vita, e per far prove di loro cavallerie. Perchè -molta gente, udito il bando, si mise in assetto -per esservi al tempo, chi per mostrare di sua virtù, -chi per vedere. -</p> - -<h3 id="capXXXVII-8">CAP. XXXVII. -<span class="smaller"><i>Come l’armata del comune di Firenze -venne a Porto pisano.</i></span></h3> - -<p> -Addietro narrato avemo il malvagio movimento -de’ Pisani per levare la franchigia a’ Fiorentini -di loro mercatanzie, e come per la detta cagione -i Fiorentini del tutto partirono da Pisa, e gli altri -mercatanti forestieri che con loro trafficavano, -aveano fatto porto e Talamone; e come i -Pisani per levare il detto porto, con favore di -messer Simone Boccanegra doge di Genova amico -de’ Pisani, perchè l’aveano ricevuto e favoreggiato -quando fu sposto doge, con otto galee impedivano -il mare, il perchè mercatanzie nè uscire -nè entrare poteano in Talamone. I Fiorentini di -ciò aontati pativano disagio e dannaggio, piuttosto -che riconciliarsi co’ Pisani, essendo di ciò -richiesti e per li Pisani e per lo detto doge di Genova -a loro richiesta, offerendo ogni franchigia -e ogni vantaggio ch’e’ Fiorentini volessono -domandare. Onde seguitò, che i Fiorentini pertinacemente -<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span> -seguitando, e perseverando nel loro -proponimento, non avendo al gran costo rispetto -ma all’onore del comune, segretamente feciono -armare in Provenza dieci galee, e quattro nel Regno, -le quali dieci galee, a dì 18 del mese di marzo -detto anno, si mossono di Provenza cariche, -e se ne vennono levate l’insegne del comune di -Firenze in Porto pisano, e ivi stettono per alquanti -giorni, facendo fare la grida sotto piccolo -nolo, che chi volesse mandare mercatanzie a Talamone -in sulle galee del comune di Firenze le -potesse sicuramente caricare, e ’l simile feciono in -Foce; e d’indi si partirono, e scaricarono a Talamone; -onde molte barche e legni v’apportarono -con roba d’ogni parte, vedendo il mare sicuro. -Le quattro galee del Regno in questi medesimi -dì vennono da Napoli, e incontrarono una -galea e uno legno di Pisani cariche di mercatanzia -ch’andavano a Corneto, e presonle, e fecionle -scaricare a Talamone senza fare loro altro -danno; d’indi se n’andarono a Porto pisano per -lo modo dell’altre, e appresso in Provenza a caricare. -Appresso di questo i Fiorentini lungamente -ritennero cinque galee provenzali, che stettono -a guardia del mare il più sopra Porto pisano, -sicchè ogni legno e ogni barca liberamente caricava -a Talamone. I Pisani avendo fatta la loro -pruova, e rimasi beffati di loro pensiero, con -loro usata astuzia mandarono il bando, che ogni -uomo potesse liberamente navicare a Talamone -colle sue mercatanzie; nè già per questo i Fiorentini -non lasciarono le loro galee della guardia. -Avemo questa materia forse più stesa che non -<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span> -richieda al fatto del nostro trattato, ma la novità -del fatto ci scusi; sì perchè è la prima armata -che mai nostro comune facesse in mare, e sì per -mostrare il fermo proponimento del nostro comune; -il quale nè la disordinata spesa, che in poco -tempo passò i sessantamila fiorini, nè danno, -nè sconcio di mercatanti, nè le grandi profferte -de’ Pisani e d’altri per loro, muovere di sua -perseveranza poterono. L’animo del nostro comune -si vide netto e intero per fare de’ loro -errori ricredenti i Pisani, dimostrando, che senza -loro e il loro porto i Fiorentini potevano fare; -e appresso conobbono, che niuna altra guerra -tanto danno e abbassamento poteva loro fare, -quanto quella che si cominciava a praticare: -ancora perchè sottilmente cercando, quanto allo -stato de’ detti due comuni, la materia ha più -dentro che non mostra di fuori, e però pensiamo -d’essere scusati se di ciò avessimo soperchio -parlato. -</p> - -<h3 id="capXXXVIII-8">CAP. XXXVIII. -<span class="smaller"><i>Come il popolo di Parigi cominciò scandalo.</i></span></h3> - -<p> -Il governamento del reame di Francia, come è -detto addietro, era ridotto a tre stati, cioè prelati, -baroni, e borgesi, i quali tenevano il consiglio, -e diliberavano quello voleano che nel reame -si facesse, e il Delfino vi consentiva. Durando -il detto ordine, del mese di marzo detto anno, -avendo il proposto di Parigi con suoi confidenti -presa baldanza dell’abbacinato popolo per lo tagliamento -<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span> -fatto de’ consiglieri del Delfino, avendo -nel suo segreto il trattato col re di Navarra, -si sforzava con astuzia mostrare a’ borgesi di Parigi, -che per questi fatti s’intendea più a singulare -profitto che a comune bene, e che la pace -e l’accordo del re d’Inghilterra se ne dilungava, -e che il re loro signore n’era tradito. E sotto -questo dimostramento col favore del popolo ruppe -quell’ordine, e recò il governamento di Parigi -alle mani de’ borgesi, schiudendone prima -i baroni, e poscia i prelati. E per esempio di costoro -così feciono l’altre ville di Piccardia, ed -altre provincie del reame. E qui cominciò l’odio -da’ gentili uomini al popolo, che poi fece -grande novità nel reame, come appresso si potrà -trovare. Il Delfino di ciò mal contento, e non potendo -riparare, si partì da Parigi, e andossene -ad Orliense. -</p> - -<h3 id="capXXXIX-8">CAP. XXXIX. -<span class="smaller"><i>Come i Perugini tornarono a oste a Cortona.</i></span></h3> - -<p> -Tornando alla nuova guerra de’ Perugini e’ -Sanesi, ed essendo molto faticato il comune di -Firenze per suoi ambasciadori a Perugia per mettere -accordo e pace tra loro, disponendosi i Sanesi -liberamente alla volontà del comune di Firenze, -i Perugini per loro alterigia mai si vollono -dichinare ad alcuno accordo, parendo loro -ch’e’ Sanesi gli avessono troppo oltraggiati; non -volendosi ricordare dell’ingiuria loro fatta di -Montepulciano, e d’altre cose ond’eglino aveano -<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span> -assai villaneggiati i Sanesi, e però ne’ loro consigli -usarono atti e parole non belle contro gli -ambasciadori del comune di Firenze, non lasciandogli -dire, sufolando, e picchiando le panche -quando faceano loro diceria; e nella città -i loro famigli udivano ontose e vituperose parole -sovente dall’indiscreto popolo minuto. Ma per -l’affezione ch’aveva il nostro comune a quello, -e al mettere pace tra’ suoi vicini, ogni cosa faceva -dolcemente comportare. E stando ne’ detti -ragionamenti male intesi, i Perugini accolsono -gente d’arme e tornarono a Cortona, e fortificato -ch’ebbono e rinfrescato l’assedio, a dì 8 -d’aprile valicarono in su quello di Montepulciano -con milleottocento barbute e grande popolo, -e posono loro campo a Greggiano. I Sanesi con -loro cavalleria si stavano in Torrita con milleseicento -barbute, e masnadieri e popolo assai, -e nella terra e nelle circustanze assai erano sicuri, -se poca provvedenza e matta baldanza non -li avesse sconci, come appresso diviseremo. -</p> - -<h3 id="capXL-8">CAP. XL. -<span class="smaller"><i>Come i Perugini richiesono i Sanesi -di battaglia.</i></span></h3> - -<p> -Parendo, come detto è, a’ Perugini avere ricevuto -vergogna e oltraggio da’ Sanesi, per vendicare -loro onta li mandarono a richiedere di -battaglia: e per avventura Anichino di Bongardo -capitano de’ Tedeschi fu il primo richiesto, il -quale allora era nel borgo di Torrita. Esso vanaglorioso -<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span> -prosuntuosamente fe’ tantosto sonare li -stromenti, e con gran festa prese il guanto della -battaglia di suo proprio, facendo doni al messaggio. -Ma dopo il fatto s’avvide che troppo -avea fallato di non avere di sì gran fatto preso -consiglio co’ cittadini di Siena, ch’erano conducitori -dell’oste e suoi consiglieri, e però ritenne -il messo, ed entrò nella terra dov’erano i suoi -compagni, e loro disse quello ch’avea fatto. Ai -Sanesi molto dispiacque, conoscendo il pericolo; -e per ricoprire il fallo del loro capitano, feciono -aggiugnere alla risposta, che il giorno fosse fra -gli otto dì che seguivano. I Perugini avendo questa -risposta, e sapendo il modo che per lo capitano -prima era stato tenuto, e appresso per lo -consiglio, compresono chiaramente ch’elli non -erano acconci a torre battaglia, onde diliberarono -di trarsi innanzi, e richiederli colle schiere -fatte in vergogna di loro avversari: e ciò facendo, -senza prendere battaglia, pensavano avere purgata -loro vergogna, e tornarsene addietro; stimando, -che con loro onore poi, mediante il comune -di Firenze, si potesse venire a concordia -e a pace. Ma forse la superbia dell’uno popolo, -e l’arroganza dell’altro e presunzione, non avea -merito d’avere riposo; uscì l’impresa ad altra -fine che per loro non si stimava. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span> -</p> - -<h3 id="capXLI-8">CAP. XLI. -<span class="smaller"><i>Come furono sconfitti i Sanesi da’ Perugini.</i></span></h3> - -<p> -Come detto è, il seguente dì a di 10 del mese -d’aprile detto anno, i Perugini, come saviamente -aveano diliberato e provveduto, si partirono da -Greggiano, dirizzandosi con tre schiere fatte -di loro verso Turrita, e strinsonsi infino a piè -della terra nel piano, e cominciarono a trombare -e richiedere i nemici di battaglia. I Sanesi vedendo -i loro nemici venire baldanzosi colle schiere -fatte n’ebbono sospetto, e per non avere quella -vergogna, presono consiglio d’armarsi, e d’uscire -fuori del castello a loro vantaggio in luogo -ch’e’ non potessono essere sforzati, e ivi starsi, e -rendere suono per suono, e per parole parole senza -combattere, non pensando potere essere tratti -a battaglia per la fortezza del luogo, e per le -spalle della terra. Ma non sono nell’uomo le vie -sue, ma nella provvidenza di Dio, la quale sovente -dispone oltre agl’ingegni e consigli degli -uomini; e così avvenne a questi due popoli, e a -ciascuno fuori di sua opinione o pensiero. Perocch’e’ -Sanesi fidandosi, come è detto, della fortezza -del luogo e delle spalle della terra, uscirono -fuori all’inviluppata, e con poco ordine, e senza -il loro capitano Anichino di Bongardo, il quale, -o per sdegno preso della folle accettagione da’ -Sanesi non esaudita, o per altra pazzia, o malizia, -co’ suoi Tedeschi non prendea arme. Intanto -da quaranta cavalieri scorridori di quelli de’ Sanesi -<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span> -si misono di costa in su un collicello, ch’era -in mezzo tra l’una e l’altra oste, per vedere -con loro sicurtà il reggimento de’ nemici loro; -e ciò veduto per li Perugini, si mossono di loro -schiera circa a cento cavalieri, e per traverso -giunsono sopra i detti scorridori de’ Sanesi, e loro -quasi improvviso assalirono; perchè non potendo -sostenere il soperchio, si ritrassono alla schiera. -Gli Ungheri arditi e vogliosi gli seguitarono, -e tanto avanti trascorsono, che a salvamento ritrarre -non si poterono; e’ Perugini non vedendo -senza grande pericolo poterli soccorere, gli avevano -posti per abbandonati, ma il loro capitano -disse: Facciamci innanzi colle schiere, sicchè -s’e’ si vogliono raccogliere noi li possiamo più -da presso ricevere; e così seguette. I Sanesi vedendo -muovere le schiere verso loro, non avendo -pensiere di combattere, e temendo di non esservi -recati per forza, non essendo con loro Anichino -colla sua gente, volsono le insegne, e tornaronsi -in Torrita. I Perugini veggendo che sconciamente -e per viltà si partivano, montarono -in ardire, e misonsi innanzi; e non trovando -contasto, in fino alle barre del borgo di Torrita -giunsono baldanzosi, e cominciarono con grande -romore ad assalire il borgo. Veggendo ciò Anichino, -colla sua gente disordinatamente si mise -di fuori tra’ nemici, e di presente fu preso col -maliscalco dell’oste e con cinquanta altri cavalieri, -perchè di tradimento mala boce li corse. -Preso il capitano e la sua gente fuori del borgo, -e rotta, i Perugini assalirono il borgo; e scesi -molti cavalieri de’ loro a piede, e trovando al riparo -<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span> -lieve contasto, per forza lo presono; e più -avanti passando messer Cagnuolo da Coreggio soldato -de’ Perugini con sessanta cavalieri per entrare -nel castello, i Sanesi uscirono per costa, e -tutti a man salva li presono. Allora si ritrassono -i Perugini e rubarono e arsono il borgo, e tornaronsi -co’ prigioni, e colla preda e colla non pensata -vittoria a Greggiano, portandone bandiere assai -de’ conestabili ch’aveano trovate negli alberghi. -Nella detta battaglia non ebbe oltre a cento -uomini morti tra dall’una parte e dall’altra, -ma assai cavalli morti e fediti, e più di quelli -de’ Perugini. I Sanesi rotti vilissimamente, venendo -la notte, distribuirono i cavalieri alla -guardia delle loro terre, e scrissono al comune -loro, che se di subito non s’avesse gente nuova -al riparo, che il loro contado sarebbe arso e -guasto da’ Perugini. -</p> - -<h3 id="capXLII-8">CAP. XLII. -<span class="smaller"><i>Come si dispuosono i Sanesi dopo la sconfitta.</i></span></h3> - -<p> -I Sanesi udita la mala novella gran dolore ne -presono, sì per la vergogna, e sì perchè credendosi -avere pace co’ novelli nemici loro, per l’arroto -oltraggiati, si vedevano nella guerra rifermi, e -sentivano ch’e’ Perugini per loro crescere vergogna -erano per venire infino alle loro porte, -e non vedeano ciò potere vietare; che perchè il -comune di Firenze avesse d’ogni parte suoi ambasciadori, -misurato mezzo trovare non vi poteano, -per la disordinata superbia e dell’uno e -<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span> -dell’altro comune, onde si disposono di fare danari -per diversi modi, quanti più ne potessono -ragunare, e feciono ambasciadori a’ signori di Milano, -e mandarono alla compagnia ch’era in -Lombardia per conducerla contro a’ Perugini, e -aspettando questo, si ritennono alla guardia -delle loro terre murate, e sgombrarono il contado. -I Fiorentini non poterono ritenere i Perugini, -ch’e’ non volessono per loro arroganza, -sentendosi il favore della fortuna, ed essendo -nel caldo della vittoria, andare infino alle porte -di Siena, come appresso racconteremo. -</p> - -<h3 id="capXLIII-8">CAP. XLIII. -<span class="smaller"><i>Come i conti da Montedoglio presono -e perderono il Borgo.</i></span></h3> - -<p> -Sentendo i conti di Montedoglio, che la maggior -parte degli uomini del Borgo a Sansepolcro -erano andati in aiuto de’ Perugini, e che per -tanto, la terra era rimasa sfornita di gente da -guardia, avvisato loro tempo, nel quale si credettono -agevolmente prendere la terra e recarla -alla loro signoria, a dì 5 del mese d’aprile detto -anno, dato ordine d’avere gente di soccorso -alla loro impresa, cominciarono con numero di -seicento fanti, co’ quali si misono nella terra, e -la corsono senza contasto, e in parte rubarono. -I terrazzani spauriti per lo subito assalto si ridussono -nel cassero, e prestamente a’ loro amici -e vicini il fatto feciono assapere, domandando -soccorso, e nell’oste de’ Perugini loro stato feciono -<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span> -sentire; onde i castellani v’andarono di presente -per comune con tutta loro possa, ed ebbono -l’entrata per lo cassero. I conti conoscendosi impotenti -a potere tenere la terra contro a tanti e -tali nemici già venuti al soccorso, e a quello -che speravano che tosto dovesse potere venire, -senza indugio di tempo, non s’affidarono di fare -lunga dimoranza nella terra, ma l’abbandonarono -il secondo dì che presa l’aveano, portandosene -quelle cose sottili che poterono, e ciò non -senza danno della codazza di loro gente, che ne -fu morta e presa. -</p> - -<h3 id="capXLIV-8">CAP. XLIV. -<span class="smaller"><i>Come il re d’Inghilterra andò a vicitare -il re di Francia, e annunziarli la pace.</i></span></h3> - -<p> -A dì 14 d’aprile, essendo bandita la gran -festa che il re d’Inghilterra dovea fare alla -Sangiorgio, il re mandò innanzi a Guindifora, -ov’era prigione il re di Francia, e ’l figliuolo, -e altri baroni di Francia, messer Lionello suo -figliuolo a dirli, che il re suo padre volea venire -a fare con lui colezione. Il re di Francia il ricevette -a gran festa, e tennelo la mattina con -seco a desinare; appresso mangiare il re d’Inghilterra -fu là, e il re di Francia gli si fece incontro, -e ricevettonsi insieme con molta reverenza, -e dopo molta contesa di mettere innanzi, -e onorare l’uno l’altro, il re di Francia lo prese -di pari, e andarono a bere insieme con gran -festa e allegrezza; di che uno ministriere festeggiando -<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span> -disse: Mala morte possa fare chi di voi -sturba la pace: il re d’Inghilterra rispose al motto, -che già per lui non rimarrebbe, e che coll’aiuto -di Dio tra loro sarebbe buona pace; e -invitò il re di Francia alla festa ch’avea ordinata -alla Sangiorgio, e il re di Francia accettò, -e fece suo sforzo per potervi comparire magnificamente -come a lui s’appartenea; dopo ciò il -re d’Inghilterra preso il congio si tornò al suo -ostiere. -</p> - -<h3 id="capXLV-8">CAP. XLV. -<span class="smaller"><i>Come i Tarlati si feciono accomandati -de’ Perugini.</i></span></h3> - -<p> -Montata la pompa de’ Perugini per la nuova -vittoria, segretamente teneano trattato co’ Tarlati -d’Arezzo, e ricevutigli in loro protezione e -accomandigia con mala intenzione, pensando -coll’aiuto de’ segreti amici, e per furto e per ingegno -rimetterli in Arezzo per averne la signoria, -senza scoprirsi contro a’ Fiorentini, cadendo -il bisogno del borgo come è detto, e richiesti -furono i Tarlati da’ Perugini, ed elli s’apparecchiarono -prestamente con tutta loro forza -d’andare a soccorrere la terra: non fu bisogno; -perocchè i castellani, come di sopra dicemmo, -aveano fatto il servigio, e liberata la terra. Allora -si scoperse, e fu palese che i Perugini senza -richiesta de’ guelfi di Toscana, o consiglio, s’erano -collegati co’ Tarlati, e gli aveano ricevuti loro -accomandati, e promesso di rimetterli in Arezzo, -<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span> -onde i Fiorentini e gli Aretini forte se ne -turbarono, e cominciossi a fare in Arezzo di dì -e di notte buona e sollecita guardia coll’aiuto e -consiglio de’ Fiorentini, sicchè cortesemente fu rotta -la speranza a’ Perugini e a’ Tarlati di rivolgere -lo stato d’Arezzo. Nel quale trattato non si trovò -messer Luzzi figliuolo naturale di messer Piero -Saccone, il quale per sdegno ch’avea co’ suoi -consorti s’accostò a’ Sanesi, e non volle essere -co’ Perugini, e apertamente si mescolò nella -guerra contro a loro. -</p> - -<h3 id="capXLVI-8">CAP. XLVI. -<span class="smaller"><i>D’una folgore percosse il campanile de’ frati -predicatori di Firenze.</i></span></h3> - -<p> -Nel detto anno, a dì 20 d’aprile, nell’ora quasi -di mezza notte, il tempo ch’era sereno si -turbò con disordinata e subita pioggia, e una -folgore percosse nella punta del campanile de’ frati -predicatori, dov’era un agnolo di marmo di statura -in altezza di quattro braccia con grandi alie -di ferro, il quale volgea sopra una grossa stanga di -ferro, mostrando col braccio steso il segno de’ venti, -la quale figura in molte parti spezzò, e la stanga -volta in arco volse con una gran corteccia del -campanile, e assai di lontano gittò le pietre, -spargendole: e discesa nella maggiore cappella -in più parti la incese, e abbronzò le figure, e -il simile fè nel dormentorio senza far danno a -persona, vituperando le cose pompose. Stimossi -per molti che ciò non fosse senza singolare dimostramento -<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span> -d’occulto giudicio, considerato -che i frati del detto luogo disordinatamente passando -l’umiltà della regola loro data da san -Domenico, i loro chiostri e’ dormentori sono -pomposi, vezzosamente intendendo alle delicatezze -e piaceri temporali. E di ciò accorgendosi -il venerabile maestro Piero degli Strozzi del detto -ordine, uomo di santa vita, considerando che -ne’ suoi giorni tre volte il detto caso era avvenuto, -non volle che figura niuna più si ponesse -nel detto luogo, ma armò la vetta del campanile -contro la forza delle folgori con reliquie sante. -Continovando alla predetta materia, le simili cose -ne’ detti giorni occorsero infino al mese di luglio, -che spesso cadde grandine sformata nel nostro -contado, e nell’altre parti della Toscana e della -Romagna con grandissimi danni di frutti, e di -bestiame e d’alquante persone: nel nostro contado -cadde in grandezza di due tanti d’un uovo -di gallina: altrove udimmo che cadde vie maggiore. -</p> - -<h3 id="capXLVII-8">CAP. XLVII. -<span class="smaller"><i>Della pomposa festa che si fè in Inghilterra -in Londra.</i></span></h3> - -<p> -Avendo il valoroso Adoardo re d’Inghilterra -promessa pace al re di Francia, come di sopra dicemmo, -e ordinato alla Sangiorgio d’aprile la -solenne e vana festa de’ cavalieri erranti alla -città di Londra, grandissima quantità di baroni, -e di cavalieri, e di nobili uomini d’arme del -reame s’accolsono per essere alla festa. I baroni -<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span> -come meglio poterono, ciascuno bene montato, e -con nobili armadure e sopravveste, e insegne vaghe -e maravigliose, e le donne vestite di ricchi -drappi, e ornate di ghirlande, fermagli e cinture -di perle e d’altre pietre preziose di gran valuta, -ciascuna come meglio potè. Nella città di Londra -era per tutto apparecchiato a ricevere i forestieri -onoratamente, ciascuno secondo il grado -suo. Quivi rinnovellandosi l’antiche favole della -Tavola rotonda, furono fatti ventiquattro cavalieri -erranti, i quali seguendo i fallaci romanzi che -della vecchia parlano, richiedeano, ed erano richiesti -di giostra e battaglia per amore di donna. -E intorno alla piazza erano levati incastellamenti -di legname con panche da sedere, coperti -di ricchi drappi a oro, e forniti di dietro di -ricche spalliere, dove il re e le reine e altre -nobili dame stavano a vedere; e davanti al re -veniano dame e cavalieri con finti e composti -richiami di gravi oltraggi, e differenti l’uno dall’altro, -domandando l’ammenda del misfatto, -o battaglia, e il re discernea la giostra, e quale -era vinto perdeva sua dama: le quali facevano -alle loro giostre cavalcare, quasi come presente -premio di colui che vincesse: le conquistate erano -di presente menate a corte, e assegnate alla -reina come gaggio del vincitore: e altre molte -cose simili a queste vane e pompose, e piene di -tante inveccerie, che forse a Dio ne dispiacque. -Le mense furono poste ornatissime, vezzose e -dilicate, con molte e varie vivande. Alle prime -mense fu posto sopra tutte quella della reina -vecchia d’Inghilterra, appresso quella del re di -<span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span> -Francia, alla quale cinque figliuoli del re d’Inghilterra -servirono in su grandi destrieri; e il re -d’Inghilterra medesimo, ch’era all’altra tavola -con quello di Scozia, alcuna volta si levò dalla -mensa, e andò a vicitare quella del re di Francia. -Questa solennità di festa si coprì sotto il titolo -della pace, e per tanto alcuna scusa ricevette -della disordinata burbanza e vanità. E nota lettore, -che le parole del savio che dicono, gli -estremi dell’allegrezza sono occupati dal pianto, -si verificarono nel re d’Inghilterra, a cui la moria, -che poco appresso seguette, tolse i figliuoli -con molto dolore e tristizia. -</p> - -<h3 id="capXLVIII-8">CAP. XLVIII. -<span class="smaller"><i>Come i Perugini cavalcarono i Sanesi fino -alle porti di Siena.</i></span></h3> - -<p> -Smeduccio da Sanseverino della Marca, nuovo -capitano di guerra de’ Perugini, come giunse nell’oste, -di presente con duemila cavalieri e con gran -numero di gente da piè si dirizzò verso Chianciano, -e lo combatterono, e arsone i borghi. Appresso -entrarono in Valdorcia, e arsono Bonconvento, e -corsono infino al Bagno a Vignoni, facendo danni -assai maggiori in vista che in fatto, ardendo -di rado allora capanne e altre vili e disutili cose, -e a dì 29 di aprile cavalcarono verso Siena, e passate -le forche assai di presso a Siena fermarono il -campo; e coll’usate burbanze toscane alquanti -cittadini di Perugia ivi si feciono cavalieri, e’ loro -scorridori passarono infino a porta nuova: nella -<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span> -quale per matta baldanza entrarono due di -loro, de’ quali l’uno vi fu morto, e l’altro rimase -prigione. Sopraggiugnendo la sera, co’ prigioni -che presi aveano in numero di centocinquanta -si ritrassono a Isola, e il seguente dì -ripigliarono la via d’Asciano, e si ritornarono a -Perugia: per la qual cavalcata lo sdegno oltre a -modo a’ Sanesi crebbe, di che ne seguì quanto -appresso diviseremo. È vero, che come uso di guerra -sovente dimostra, i Perugini non ebbono netta -del tutto l’avventurosa vittoria, perocchè -sentendo il signore di Cortona che tutto lo sforzo -da cavallo e da piè era cavalcato a oltraggiare -i Sanesi, veggendosi libero il tempo da potere -danneggiare i nemici, nol volle perdere, e con -dugento cavalieri mandò il popolo di Cortona, e -assai danno feciono intorno a Castiglionaretino -e a Montecchio, e arsono presso al lago la -Valdecchio; e correndo infino all’Orsaia, presono -due de’ cavalieri novelli de’ Perugini, che per -quella via poco accortamente si tornavano a casa, -e a salvamento si tornarono a Cortona con molta -preda, e circa a dugento prigioni. La preda e il -danno fu grande, perchè avendo a vile i Cortonesi, -con baldanzosa sicurtà sprovveduti furono sopraggiunti. -</p> - -<h3 id="capXLIX-8">CAP. XLIX. -<span class="smaller"><i>Come il legato del papa ripuose -l’assedio a Forlì.</i></span></h3> - -<p> -L’ultimo dì del detto mese d’aprile, l’abate -di Clugnì legato del papa, avendo accolta molta -<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span> -gente d’arme, fece bandire, che qualunque cittadino -o forestiere volesse uscire di Forlì, sarebbe -ricevuto benignamente da lui e dalla sua gente, -e perdonatogli l’offesa di santa Chiesa, e -ricomunicato. Per la qual cosa molti per più riprese -se ne fuggirono al legato, e assai volte -quelli che v’erano messi alle guardie delle mura -se ne collavano a terra, e fuggivansi la notte -a’ nemici. Il legato vi si ripuose ad assedio con -grandissimo popolo, e con mille cavalieri al cominciamento. -Il capitano e’ suoi cittadini pazzi -di lui disperatamente, senza volere prendere -accordo, attaccarsi alla pertinacia e alla durezza, -disponendo di tenersi alle difese con grandissimo -loro affanno e disagio. -</p> - -<h3 id="capL-8">CAP. L. -<span class="smaller"><i>Come i Provenzali feciono compagnia per -vendicarsi di quelli dal Balzo.</i></span></h3> - -<p> -Essendo molto assottigliata la compagnia di -Provenza, i gentili uomini, ch’aveano lungamente -ricevuto danno ne’ loro paesi, avendo preso sdegno -sopra la casa del Balzo, e sopra quelli del Delfinato -che l’aveano mantenuta loro addosso, si raunarono -insieme più di ottocento cavalieri, e corsono -sopra le terre di quelli del Balzo, e guastarono -di fuori, e nel Delfinato feciono alcuno -danno. E se il re Luigi avesse valicato di là, -com’avea promesso loro, avrebbono fatte assai -maggiori cose. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span> -</p> - -<h3 id="capLI-8">CAP. LI. -<span class="smaller"><i>Come si pubblicò la pace de’ due re.</i></span></h3> - -<p> -Finita la pomposa e vana festa del re d’Inghilterra -fatta a Londra, della quale di sopra abbiamo -fatta menzione, poco appresso, a dì 8 -del mese di maggio, il re di Francia e quello -d’Inghilterra in pubblico parlamento feciono -pace insieme, e abbracciaronsi e baciarono in -bocca: e dissesi, che per buona concordia e -buona pace il re di Francia lasciava al re d’Inghilterra -la contea di Aghemme, e la Normandia, -e la contea di Guinisi, con Galese e le terre -che ’l re d’Inghilterra avea acquistate, e che il -re di Francia, in fra la festa di tutti i Santi milletrecentosessantotto, -dovea avere dati al re d’Inghilterra -seicento migliaia di scudi vecchi, e il -re Adoardo dovea con tutto suo sforzo riporre il -re di Francia in signoria di suo reame. Onde ciò -seguendo per fornire l’impresa, il re di Francia -mandò messer Giovanni conte di Pittieri suo -minore figliuolo, il quale era stato preso con lui -in Linguadoca, a procacciare la moneta, con patto -ch’alla festa di santo Dionigi dovesse tornare, e -rimanere per stadico a Bologna sul mare, tanto -che l’altre promessioni e convegne fossono fornite. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span> -</p> - -<h3 id="capLII-8">CAP. LII. -<span class="smaller"><i>Come il legato del papa pose due bastite -a Forlì.</i></span></h3> - -<p> -Di questo mese di maggio, vedendo il legato la -durezza del capitano di Forlì e del popolo di -quella città, che per niuno modo si disviava dal -volere del capitano di Forlì, acciocch’e’ s’avvedessono, -che senza abbandonare l’assedio la state -e ’l verno, il legato era fermo di vincerli per -forza, pose tra Faenza e Forlì una grande e forte -bastita, ove mise quella gente a cavallo e a piè -che bisognava, per tenere da quella parte stretta -e assediata la città di Forlì; e appresso ne -pose un’altra tra Forlì e Cesena al ponte a Ronco; -e nondimeno il campo suo con l’altra oste -pose presso alla città, e continovamente cercava -d’assalire la terra il dì e la notte. E di tutto -questo non parea che ’l capitano e’ Forlivesi si -curassono niente, ma spesso il capitano colla giovanaglia -di Forlì usciva della terra, e assaliva il -campo, e ritornavasi contamente a salvamento. -</p> - -<h3 id="capLIII-8">CAP. LIII. -<span class="smaller"><i>Pace fatta dal re Luigi al duca di Durazzo.</i></span></h3> - -<p> -Lungamente era durato lo sdegno che il duca -di Durazzo avea portato contro al re Luigi, parendoli -male essere trattato da lui; e per questo -modo guerra si nutricò nel Regno per la compagnia, -<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span> -e poi per lo conte Paladino, e per gli altri -baroni che teneano la parte del duca, di che il -Regno era per tutto mal disposto, e’ ladroni multiplicavano, -e non v’era paese nè strada che -sicura fosse. Avvenne, che morto il conte Paladino -e ’l fratello, i baroni cercarono di fare la pace -tra’ reali, e il gran siniscalco sopra tutti v’adoperò -tanto, che gli recò a buona pace. E del -mese di maggio 1358 con gran festa, con tutti i -baroni e gentili uomini di Napoli, desinarono -insieme al vescovado, e cavalcarono per tutta la -terra insieme. E incontanente s’ordinò e bandì, -che tutti i forestieri uomini d’arme si dovessono -partire del reame, e cominciossi a venire rassicurando -il paese. -</p> - -<h3 id="capLIV-8">CAP. LIV. -<span class="smaller"><i>Come si partì la compagnia di Provenza.</i></span></h3> - -<p> -Abbiamo innanzi narrato, come il re Luigi -era costretto d’andare in Provenza per difenderla -dalla compagnia che lungamente l’avea -tribolata, e avea richiesti i baroni d’aiuto e i -comuni di Toscana, e catuno s’apparecchiava -di servirlo ove andasse la sua persona. Avvenne, -che per le ribellioni che le comuni di Francia -avevano fatte contro al Delfino duca di Normandia, -primogenito del re di Francia, e contro -agli altri baroni e gentili uomini del paese, i -baroni col Delfino furono costretti di fare gente -d’arme per la loro difesa, e per offendere le -comunanze. E perocchè la compagnia era nutricata -<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span> -e creata al suo caldo e degli altri baroni, -per averli presti al bisogno, e mantenerli alle -spese de’ Provenzali di qua dal Rodano; a questo -bisogno chi mandò per l’una parte e chi per -l’altra: e così si partì di Provenza una parte della -detta compagnia. E il re Luigi per questa cagione, -e perchè mal volentieri si partiva del Regno, -sostenne l’andata di Provenza. -</p> - -<h3 id="capLV-8">CAP. LV. -<span class="smaller"><i>Come i signori di Milano posono l’assedio -a Pavia.</i></span></h3> - -<p> -I signori di Milano, per la grande entrata -ch’aveano di loro terre in que’ tempi erano -di gran podere, sicchè perchè alcuna volta perdessono -loro gente d’arme, di presente per la -forza del danaro erano riforniti di nuovo, e possenti -a tornare in campo meglio che prima. E -però non ostante ch’avessono l’oste grande sopra -Mantova, e fornissono contro al marchese di -Monferrato la guerra di Novara e di Vercelli, essendo -la compagnia del conte di Lando, come -detto avemo, in aiuto a’ Lombardi collegati, -feciono di nuovo grande oste, e andarono a porre -l’assedio alla città di Pavia del mese di maggio, -ove aveano più di duemila cavalieri e pedoni, -e popolo assai per questi assedi. E per mantenere -le grandi spese consumavano le forze de’ collegati, -non ostante che spesso negli assalti la loro -gente ricevessono danno e vergogna; e ciò addiveniva, -perchè i loro soldati tedeschi aveano -<span class="pagenum" id="Page_76">[76]</span> -ricetto, e parte di loro cavalcatori nella compagnia, -sicchè contro a loro non si combatteano -lealmente, per non disfare la detta compagnia; -e avvedutisi i signori di Milano per più volte di -questo, e trovatisi con diecimila cavalieri a loro -soldo, e mille di quelli della compagnia gli cavalcavano -presso a Milano, non ostante ch’avessono -vantaggio contro a’ loro avversari, per questa -cagione cominciarono a dare gli orecchi al -trattato della pace, la quale poi si fornì, come -al suo tempo racconteremo. -</p> - -<h3 id="capLVI-8">CAP. LVI. -<span class="smaller"><i>Come i Perugini afforzarono l’Orsaia.</i></span></h3> - -<p> -Di questo mese d’agosto, i Perugini per potere -con meno gente d’arme e con minore spesa -mantenere l’assedio a Cortona, cominciarono -ad afforzare di mura e di fossi l’Orsaia per farvi -una terra nuova, sicchè il verno come la -state potessono tenere assediati i Cortonesi dal lato -del piano. I Cortonesi per questo poco si curavano, -perocchè la montagna era in loro balía, e aveano -gente a cavallo e a piè che spesso faceano risentire -i loro nemici. -</p> - -<h3 id="capLVII-8">CAP. LVII. -<span class="smaller"><i>Come si fece la pace da’ signori di Milano -a’ collegati.</i></span></h3> - -<p> -Quasi per spazio di tre anni era continovata la -guerra da’ signori di Milano a’ collegati Lombardi, -<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span> -nella quale erano i signori di Mantova, di -Ferrara, e di Bologna, e il marchese di Monferrato, -Genova, e Pavia; nelle quali battaglie, -ribellioni e presure d’assai città e castella erano -fatte, com’addietro abbiamo narrato, con -vari avvenimenti di guerra e di fortuna e d’una -e d’altra parte; e come che la possanza de’ signori -di Milano fosse grandissima, pure aveano -perdute la maggior parte delle terre che tenere -soleano nel Piemonte, e Novara, Como, Pavia, e -Genova, e Savona, e con la Riviera e di levante -e di ponente, e molte altre castella in quelli -paesi; ma tutto che queste terre fossono loro tolte, -per loro entrata e potenza conduceano gente -d’arme, e nuove osti faceano, avendo più forza -l’un dì che l’altro, almeno in apparenza. -Per le quali cose i collegati straccati dalle gravezze -delle spese incomportabili a loro, con gran -pericolo e pena sosteneano la guerra, avendo -nel segreto grande appetito di pace; dall’altra -parte i signori di Milano s’erano trovati più -volte ingannati dalla gente d’arme di lingua tedesca, -che avendo essi forza di novemila in diecimila -cavalieri, mille o duemila barbute della -compagnia per più riprese, come mostrato abbiamo, -correano infino alle porte di Milano, e -stavano a oste nel loro contado, e non trovavano -Tedeschi che contro a loro facessono resistenza, -che tutti teneano parte nella compagnia, e i cassi -da’ soldi entravano in quella, e per questa cagione -s’aveano vedute rubellare molte terre; -per la qual cosa anche eglino desideravano concordia. -Onde essendo mezzano e sollicitatore della -<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span> -pace messer Feltrino da Gonzaga de’ signori di -Mantova, la pace si fornì, e palesossi per tutto -all’uscita del mese di maggio, gli anni 1358, -con certi patti e convegne che poco vennono a -dire, come appresso si dimostrò per lo fine. -</p> - -<h3 id="capLVIII-8">CAP. LVIII. -<span class="smaller"><i>Come s’abbattè i palazzi di quelli -di Beccheria.</i></span></h3> - -<p> -Essendo cacciati da Pavia quelli della casa di -Beccheria, come a verno addietro narrato, frate -Iacopo Bossolaro fece sua predicazione, alla quale -s’adunò tutto il popolo di Pavia uomini e -donne; e con belle e ornate parole mostrò, che -non era bastevole avere cacciati di Pavia i tiranni, -se a loro non si togliesse la speranza del -tornare, la quale loro durerebbe mentre che le -loro case e’ palagi fossono in piè; e che per tanto -a lui necessario parea d’abbatterli, e fare piazza -del sito dov’erano. Fornita la predica, tutto il -popolo si mosse, e volonterosamente corse ad -abbattere le dette case e palagi: e in picciolo -tempo non vi lasciarono pietra sopra pietra, che -non portassono via; e il luogo recarono a piazza, -secondo che il frate predicando avea consigliato. -E fu ciò cosa mirabile, che tutti, maschi e femmine, -piccoli e grandi vi furono per maestri -e manovali, e a modo delle formiche ciascuno -ne portò via la parte sua. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span> -</p> - -<h3 id="capLIX-8">CAP. LIX. -<span class="smaller"><i>Di molte paci e altre cose notevoli fatte.</i></span></h3> - -<p> -Gli antichi Romani al tempo del popolo gentile -aveano un tempio nella città consacrato a Giano, -il quale nel loro errore faceano Iddio dell’anno. -E per tanto il primo mese dell’anno a questo loro -Iddio era consacrato, e da lui era denominato Gianuaro, -che noi volgarmente appelliamo Gennaio. -Questo tempio di Giano, quando stava aperto -era segno di guerra, e quando stava chiuso era -segno di pace. Di che tornando alle favole antiche, -e all’usanze antiche della magnificenza romana, -questo nostro anno dire si potrebbe quello -della pace: perchè in esso fu fatta e fermata la -pace dal re d’Inghilterra al re di Scozia, e lasciato -fu di prigione il re David, che carcerato -il tenea quello d’Inghilterra. Ancora si fè la concordia -dal re di Spagna al re d’Araona, e quella -dal re d’Inghilterra al re di Francia, il quale -era suo prigione, benchè per li patti rimanesse -sospesa. E fecesi la pace dal comune di Vinegia -al re d’Ungheria; e quella de’ signori e tiranni -di Lombardia, che di sopra avemo raccontata; -e quella dal re Luigi al duca di Durazzo; e quella -da’ Perugini a’ Sanesi. E più ad aumento di pace -in questo anno fu abbondanza di tutti i frutti -della terra. È vero, che furono nel verno malattie -di freddo, e nella state molte febbri terzane, -e semplici e doppie, sicchè se gli uomini fer pace -delle loro guerre, non dimanco gli elementi per -<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span> -li peccati sconci degli uomini loro fecero guerra. -Nella quale fu da notare, che come l’anno passato -la Valdelsa, e il Chianti, e il Valdarno furono -di molte infermitadi gravate e morie, che così -nel presente, che fu mirabile cosa. E perchè per -queste paci fossono liete molte provincie, il reame -di Francia in questi giorni ebbe grandi e gravi -commozioni di popoli contro a’ gentili uomini, -che molto guastarono il paese, e tre gran compagnie -di gente d’arme settentrionali conturbarono -forte Italia e la Provenza. Il perchè appare, che -universale pace non può essere nel mondo, come -fu al tempo che ’l figliuolo di Dio umana carne -della Vergine prese. -</p> - -<h3 id="capLX-8">CAP. LX. -<span class="smaller"><i>Come la compagnia del conte di Lando -venne in Romagna.</i></span></h3> - -<p> -Incontanente che la pace de’ Lombardi fu fatta, -la compagnia del conte di Lando, ch’era stata -contro a’ signori di Milano per condotta de’ collegati, -com’addietro abbiamo narrato, si partì -di quei paesi; e all’uscita del mese di giugno, -avendo per tutto il passo aperto, e la vittuaglia -da’ paesani, con licenza del signore di Bologna -se ne vennono a Budrio in sul Bolognese; e ivi -stettono alquanto di tempo prendendo loro rinfrescamento, -dando di loro usati aguati e improvvisi -assalti assai di tema a tutti i Toscani, e -al legato del papa in Romagna, e così al Regno, -aspettando in quel luogo civanza di condotta, e -<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span> -danari da chi con loro si volesse patteggiare e -comporre. -</p> - -<h3 id="capLXI-8">CAP. LXI. -<span class="smaller"><i>Come il re Luigi riebbe il castello di Parma.</i></span></h3> - -<p> -Narreremo in questo capitolo cosa che non -pare degna di memoria, nè certo è, se non in, tanto -per quanto per essa si può dimostrare la debolezza -in que’ giorni del famoso reame di Puglia. -Certi ladroni e rubatori di strade nel detto regno -in questi giorni faceano compagnia, e aveano -preso per loro ridotto un castelletto tra Serni -e Castello da mare che si chiama Parma: e ivi -s’erano adunati, e rubavano le strade e’ paesi -che da loro non si volieno rimedire. E aveano già -tanto fatto, che circa a centoventi di loro erano -montati a cavallo, e armati a guisa di cavalieri, e -spesso correano fino a Napoli, e per Terra di Lavoro; -e maggiore guerra e danno faceano a’ paesani, -che quelli della gran compagnia quand’erano -nel Regno, perocch’e’ sapeano i passi e le vie -del paese, e conoscevano i massari e’ paesani da -cui si poteva trarre il danaro. E così teneano in -mala ventura e angoscia tutto il paese, che niuno -osava andare per cammini senza buona scorta. -E per questa cagione il re fece gente d’arme, e ristrinseli -nel detto castello, e assediolli: e in fine -vedendo i detti ladroni che non poteano tenere -il castello, l’abbandonarono, e fuggirsi del paese, -e il re riprese la terra, e la fornì di sua gente; -perchè alquanto ne migliorò la sicurtà delle strade -e de’ cammini. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span> -</p> - -<h3 id="capLXII-8">CAP. LXII. -<span class="smaller"><i>De’ fatti di Siena della loro guerra.</i></span></h3> - -<p> -Li Sanesi avendo veduto non rotte le loro forze, -nè con ordine di battaglia, essere così sventuratamente -sconfitti e cavalcati da’ Perugini -infino alle porti, essendo di natura sdegnosa e -altiera e di voglioso consiglio, di comune assentimento -deliberarono di fare ogni loro sforzo e -podere per qualunque modo potessono, per vendicare -loro vergogna; non ostante che per lo comune -di Firenze oltre all’usato amore consueto -di faticarsi a pacificare loro vicini, ingelosito che -per loro riotte non surgesse allettamento di signore -forestiere, di continovo sollecitamente cercasse -modo comportevole a sgravare il soperchio -dell’onta fatta a’ Sanesi, e a questo per forza d’amistà -de’ reggenti e maggiori di Perugia avessono -condotto ad assentire i Perugini, nè modo nè -verso co’ Sanesi trovare non potè, i quali nel furore -di loro lieve animo, non guardando a stato -di parte guelfa, nè a’ pericoli che seguire ne potesse -alla libertà de’ comuni di Toscana, malcontenti -di ciò che per l’uno comune e per l’altro si -facea, cercando sempre concordia tra loro senza -favorare in segreto o in palese eziandio in parole -nessuno di loro contro all’altro, solenni ambasciadori -con pieno mandato e larghe promesse -mandarono a’ signori di Milano per impetrare -loro aiuto e favore; ma poco loro valse, tutto che -in niente montasse per loro mal volere e pravo -<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span> -concetto, perocchè per la pace tra detti signori -e comuni di Toscana fatta, per non romperla non -se ne vollono travagliare. Il perchè veggendosi i -Sanesi mancare la detta speranza, in sulla quale -stavano ventosamente a cavallo, cercarono convegna -colla compagnia che di Lombardia era -venuta a Budrio, e si patteggiarono ch’andasse -al loro soldo per certa quantità di moneta: e nel -patto inchiusono, che la compagnia un mese e -più con altra loro gente dovesse stare in sul contado -di Perugia; e per lo detto servigio diedono -caparra e la ferma, all’entrata del mese di giugno -1358. Semoci un poco allargati in parlanza -sopra questa materia, per fare ricordanza a coloro -che per li tempi verranno al reggimento del -nostro comune, che stieno avvisati a’ rimedi della -straboccata e ventosa volontà de’ Sanesi, i quali -sovente per levità d’animo hanno tentata la loro -sovversione e degli altri comuni di Toscana, che -vogliono e amano di vivere in libertà. -</p> - -<h3 id="capLXIII-8">CAP. LXIII. -<span class="smaller"><i>Come i Pisani abbandonarono la gara -di Talamone.</i></span></h3> - -<p> -I Pisani avendo provato e riprovato per molte -riprese, che nè per loro armate, nè per impedimenti -di mare, nè per lega che tacitamente avessono -col doge di Genova, nè per qualunque altri -loro argomenti o sagacità, usando larghe promesse -di nuove franchigie e più utile a’ Fiorentini, -non aveano potuto rimuovere il comune di -<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span> -Firenze dal suo fermo proponimento del non tornare -a fare porto a Pisa, ma piuttosto coll’aizzamento -gli aveano fatti indurare; e veggendo -ch’esso comune di Firenze s’era messo in armare -galee, e cercare ventura di mare contro a loro; -colla usata astuzia, del mese di giugno detto anno, -con segreta deliberazione fatta tra loro mandarono -la grida, che i Pisani e’ loro distrettuali, -e ogni altra maniera di gente liberamente potesse -andare a Talamone co’ suoi legni e mercatanzie, -e di là recare e portare mercatanzia salvi -e sicuri da tutta loro gente. E incontanente cominciarono -a mandarvi della roba loro con fare -porto a Talamone; e nondimeno i Fiorentini -continovo le loro galee teneano alla guardia del -mare. -</p> - -<h3 id="capLXIV-8">CAP. LXIV. -<span class="smaller"><i>Come i Sanesi chiamarono capitano, -e uscirono a oste.</i></span></h3> - -<p> -Avendo i Sanesi l’animo infiammato contro al -comune di Perugia, elessono per loro capitano -di guerra il prefetto da Vico con gran balìa nella -città e di fuori sopra la gente d’arme, il quale -accettò: ma non venendo presto come il furore -de’ Sanesi cercava; a dì 21 di giugno uscirono -fuori a oste sopra il Monte a Sansavino colla loro -gente d’arme, e con settecento barbute che avea -Anichino di Bongardo capitano della nuova compagnia, -e ivi sforzandosi di vincere la terra, senza -frutto stettono aspettando il loro capitano e -<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span> -l’altra gran compagnia che aveano condotta in -Lombardia. I Perugini temeano forte l’avvenimento -della compagnia, e acconciavansi bene a -lasciare trovare modo a’ Fiorentini d’avere la pace; -nondimeno afforzavano l’Orsaia per potersi tenere -più forti e provveduti alla loro difesa. -</p> - -<h3 id="capLXV-8">CAP. LXV. -<span class="smaller"><i>Come si fece certa arrota al palio di -san Giovanni.</i></span></h3> - -<p> -Di questo mese i Fiorentini arrosono al palio di -san Giovanni, ch’era di due finissimi velluti -chermesi, con uno nastro d’oro largo quattro dita -coll’arme del popolo e del comune, riccamente -ricamate di seta d’otto braccia di lunghezza, -quanto le dette due pezze erano larghe, di vaio -sgrigiato; cosa molto orrevole e bella alla nostra -festa. -</p> - -<h3 id="capLXVI-8">CAP. LXVI. -<span class="smaller"><i>Come il Delfino mandò per lo proposto -di Parigi.</i></span></h3> - -<p> -Tornando a’ fatti di Francia che occorsono in -que’ tempi, il Delfino di Vienna, e ’l duca d’Orleans, -come addietro avemo fatta menzione, per -disdegno, o forse per paura piuttosto, che più -verisimile parve, s’era partito di Parigi, e l’amministrazione -e governo del tutto avea lasciato -al proposto de’ mercatanti e a’ borgesi di Parigi; -<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span> -perchè essendo ripreso di codardia, si mosse, e -appressossi alla città, stimando che il proposto -li portasse reverenza, e come reale lo ridottasse, -e a lui mandò a dire, che con trenta compagni -li venisse a parlare. Il proposto rispose di farlo; -e di presente tutto il popolo commosse, il quale -in numero di trentamila o più il seguirono per -ire seco infino al luogo dove stava il Delfino. Il -quale udendo in che forma venia, non lo attese, -ma si partì in fretta, per non attendere la piena -del popolo ignorante e mal consigliato, e tornossene -ad Orliens. E ciò fu all’entrata di giugno. -</p> - -<h3 id="capLXVII-8">CAP. LXVII. -<span class="smaller"><i>Di novità fatte per lo popolo di Parigi.</i></span></h3> - -<p> -I borgesi e ’l popolo minuto di Parigi vedendosi -armati, che n’erano poco usi, e che ’l Delfino -non attendendo loro furia s’era partito, -montarono in baldanza; e come suole avvenire, -e per sperienza si vede, che i vili, che prendono -ardire contro a chi fugge, vantandosi di loro cuore -e ardire, col fumo della vittoria senza contasto -si fermarono, aspettando se loro fosse mosso -niente. Il proposto con quelli che lui seguivano -nel malvagio proponimento e consiglio, -veggendo lo stolto popolo armato, e per levità -d’animo nimicato contro la casa reale, pensarono -con esso, avanti che giù ponessono l’arme, -a maggiori fatti procedere. E per tanto confortato -il popolo, e inanimatolo a speranza di migliore -fortuna, quasi come gente furiosa e irata la condussono -<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span> -spartamente come vedeano che richiedesse -la faccenda, e ogni parte d’essa sotto guida -a’ palagi e a’ manieri de’ gentili uomini ch’erano -vicini a Parigi, i quali non prendendo guardia -di loro, e non avendo alcuno avviso di loro iniquo -e reo proponimento, nè del movimento di -chi li guidava, molti ne furono sorpresi. Il furioso -popolo incrudelito, quanti ne giugnea tanti -ne mettea al taglio delle spade, non perdonando -a fanciulli o a donne; e a’ micidi aggiugneano -l’arsioni, diroccando fortezze e manieri a -costuma di fiere selvagge. E intra gli altri nobili -e ricchi dificii guastarono il bello castello di Montmorensì, -e altre molte castella notabili. E con -questa rabbiosa vittoria, con spargimento di cittadinesco -sangue, si tornarono in Parigi, avendosi -fatti nemici i gentili uomini e i baroni del -reame. -</p> - -<h3 id="capLXVIII-8">CAP. LXVIII. -<span class="smaller"><i>Come l’altre ville seguirono di fare come -Parigi.</i></span></h3> - -<p> -Sentendosi per lo paese quanto inumanamente, -e con quanta bestiale fierezza il popolo di Parigi -s’era portato contro a’ baroni e a’ gentili uomini -circustanti e vicini a Parigi, l’altre buone -ville di Piccardia e di Francia, prendendo esempio -dal popolo di Parigi, tantosto s’adunarono -in arme, e uscirono delle ville come se andassono -contro a’ nemici, e ricercarono i gentili -uomini e le famiglie loro per li manieri, e per -<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span> -le castella, e per le tenute dove si riduceano, -e quanti ne poterono giugnere senza misericordia -n’uccisono, e i loro manieri e castella dove -poterono entrare disfeciono. E fu sì subita e -improvvisa questa tempesta, che molti tra le -loro mani ne perirono, dando boce e cagione, -ch’e’ gentili uomini e i baroni erano traditori -del re loro signore; ma certo chi fu primo motore -di tanto scellerato male fu il reo e il traditore -di suo signore e di tutto il reame, come -appresso leggendo si potrà trovare. -</p> - -<h3 id="capLXIX-8">CAP. LXIX. -<span class="smaller"><i>Di novità di Forlì.</i></span></h3> - -<p> -Bene che paia assai disonesto e fuori di ragione, -che li prelati che dovrebbono essere correggitori -de’ difetti e peccati de’ secolari s’inviluppino -e rivolgano in quelli, e massimamente in -quelli errori mondani che più paiono orribili -e abominevoli, come sono tradimenti, o se volemo -più onesto parlare, trattati, nondimeno -per la corrotta usanza del malvagio tempo che -corre, non pare si disdica a coloro che sono -posti da santa Chiesa alla cura de’ suoi beni temporali, -tutto che cherici sieno, usare arte di tradigione. -Per questa larga e non dannata licenza, -l’abate di Clugnì legato di papa in Romagna, -avendo fatto tenere certo trattato con le guardie -d’alquante bertesche della città di Forlì, le -quali gli doveano essere date, mandò della sua -gente una notte intorno di seicento tra a piè e a -<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span> -cavallo, e presonle, ed entrarono nella terra; e -se avessono avuto con loro più forte braccio n’erano -signori. I cittadini, per l’improvviso e -subito assalto non sbigottiti, insieme col capitano -francamente si fedirono tra loro ch’erano entrati, -e per forza gli ripinsono di fuori, avendone -morti e presi una parte di quelli che più s’erano -messi innanzi; intra gli altri rimase preso il -figliuolo del conte Bandino di Montegranelli; -e gli altri si fuggirono senza avere caccia fuori -della terra, e tornarsi al legato beffati. -</p> - -<h3 id="capLXX-8">CAP. LXX. -<span class="smaller"><i>Come il legato ebbe Meldola.</i></span></h3> - -<p> -Uno de’ terrazzani di Meldola capo di setta, -essendo per più tempo stato con certi suoi congiunti -sostenuto dal capitano di Forlì per sua -sicurtà di quella terra, si collò dalle mura con -suoi compagni di furto, e fuggissi nel campo -al legato, e ivi segretamente stando più giorni -s’intese con altri suoi terrazzani. E a dì 2 di -luglio detto anno, il legato ordinata sua gente -sott’ombra di combattere Meldola, si strinse alla -terra. Lo Meldolese di cui avemo parlato, -senza arme uscì della schiera, e innanzi si mise -verso la terra, e fè certo segno a quelli delle mura, -sicchè fu conosciuto; e sperando nell’ordine -e nel favore di coloro che dentro avea temperati -con belle e savie parole, ed efficaci alla -materia, disse a’ suoi terrazzani, che non volessono -essere morti e disfatti in contumacia di -<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span> -santa Chiesa, che domandava con gran ragione -la sua terra, e con beneficio, per servire al tiranno -scomunicato, che contro a Dio e contro a ragione -si tenea in ribellione del legato e di santa -Chiesa, il quale era stretto per modo, che tosto -dovea e potea essere disfatto; loro assicurando -che dalla gente della Chiesa non riceverebbono -offesa nè danno alcuno. I Meldolesi alla Romagnuola -voltanti, e affannati dalla lunga guerra, -udendo così parlare il loro terrazzano, ed essendo -sospinti da’ consigli e conforti di quelli dentro -che col detto loro terrazzano s’intendeano, di -presente apersono le porte, e ricevettono liberamente -con allegrezza e festa la gente del legato -pacificamente. Li forestieri che v’erano ciò -vedendo, bellamente si ricolsono al cassero, e -quelli del legato di presente s’afforzarono nel -castello, e assediarono la rocca dentro e di fuori, -avendo dottanza che la compagnia ch’allora era -di presso non li venisse a impedire; e strignendo -forte con assedio, e ricercando spesso con trabocchi -e con altre battaglie quelli della rocca, a -dì 25 del detto mese s’arrenderono salve le -persone. -</p> - -<h3 id="capLXXI-8">CAP. LXXI. -<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini ordinarono il monte nuovo -per avere danari.</i></span></h3> - -<p> -Per l’armata del mare essendo consumata -molta moneta dell’usate rendite del comune, sopravvenendo -le compagnie del conte di Lando e -d’Anichino di Bongardo, e apparecchiandosi -<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span> -molte altre novità in Italia, alle quali per conservare -suo stato necessità era al nostro comune -di provvedere; e non potendosi ciò fare senza -danari, ed essendo l’entrate del comune indebitate, -e porre di nuovo gravezze senza manifesta -guerra incomportabile e pericoloso parea, -massimamente per la nuova dissensione e sospetto -nato tra’ cittadini per le accuse e persecuzioni, -che sotto il titolo della parte guelfa si facea de’ buoni, -e a’ buoni antichi cittadini che si voleano vivere -in pace, sotto il segno della detta pace onorando il -comune, e non poteano. Quelli che reggevano il -comune cercavano nuovo modo, provvedendo per -legge che chi spontaneamente prestasse al comune -fosse scritto a suo creditore nuovamente nell’uno -tre, cioè in fiorini trecento prestandone cento di -quello che veramente prestavano, dando al detto -monte nuovo e a’ suoi creditori tutti i privilegi -e immunità del monte vecchio. Per questa via il -comune senza altra gravezza ebbe al suo bisogno -soccorso; e se bene si misura, non per carità o -affezione ch’avessono i cittadini alla sua repubblica, -ma per la cupidigia del largo profitto; -il quale fuori del buono e antico costume de’ nostri -maggiori molti n’ha tirati dalla mercatanzia -in su l’usura, e sì ha ingrossate le coscienze, che -le vedovelle poco si curano dell’anime, pur che -il monte risponda bene loro. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span> -</p> - -<h3 id="capLXXII-8">CAP. LXXII. -<span class="smaller"><i>Della gran compagnia.</i></span></h3> - -<p> -La gran compagnia essendo nella Romagna -a’ confini del Bolognese, sotto la condotta del conte -Broccardo e di messer Amerigo del Cavalletto, -in numero di tremilacinquecento cavalieri e -grande quantità di pedoni, baldanzosamente del -mese di luglio mandarono a domandare il passo -in Toscana al nostro comune; il quale sorpreso -dalla subita domanda, non avvedendosi de’ patti -ch’aveano con loro, intra’ quali che non dovessono -offendere nè passare per lo nostro terreno fra -certo tempo, il quale ancora durava, e temendo -della ricolta, che la maggiore parte era in su l’aia, -di presente vi mandarono ambasciadore, concedendo -che potessono passare a dieci bandiere insieme, -togliendo derrata per danaio. Li conducitori -e caporali di quella insuperbiti per la temenza -che parea mostrasse il comune, tacendo -i patti, risposono, che non voleano passare spartiti, -nè per lo luogo loro assegnato, ma per quello -più loro piacesse. Non volendosi per lo comune -a ciò consentire, nel consigliare che se ne fè -furono ricordate e ritrovate le convenienze il -comune avea con loro, e furono creati ambasciadori -ch’andassono a loro, i quali furono; messer -Manno Donati, messer Giovanni de’ Medici, -Amerigo di messer Giannozzo Cavalcanti, e Simone -di Rinieri Peruzzi; i quali ebbono i punti -di loro ambasciata, e portarono i patti giurati, -<span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span> -soscritti, e suggellati per li caporali e -conducitori d’essa compagnia; i quali mostrati -loro, come è usanza di gente d’arme di sì fatta -maniera quando si sente podere, niente li pregiarono; -e perseverando in loro sconce e disoneste -domande, accennavano di passare a loro -posta, e donde loro bene paresse, a mal grado di -chi il volesse vietare. Perchè ciò sentendo il comune, -sollicitamente s’apparecchiava alla difesa; -e per chiudere loro i passi dell’alpe a suo podere -richiesto avea gli Ubaldini, i conti Guidi -e gli altri amici del comune ch’aveano podere -ne’ luoghi onde si temea che potessono passare, -e con poco ordine per la fretta, e senza capitanare, -mandò la gente sua da cavallo e assai balestrieri -nel Mugello e alla guardia de’ passi. Essendo -i detti ambasciadori nel campo della compagnia, -e segretamente rivocati dalla loro ambasciata, -vi fu mandato di nuovo ambasciadore -Filippo Machiavelli, a cui fu commesso in segreto, -ch’aoperasse co’ caporali ch’e’ non venissono -per lo nostro contado, e che in ciò spendesse da -cinquemila in seimila fiorini: e avendosi da lui -in risposta che ciò non si potea fare, il comune -raddoppiando la sollicitudine a sua difesa intendea. -</p> - -<h3 id="capLXXIII-8">CAP. LXXIII. -<span class="smaller"><i>Come il conte di Lando tornò d’Alamagna -alla compagnia.</i></span></h3> - -<p> -Il famoso capo di ladroni conte di Lando era -nella Magna passato, e portato n’avea il tesoro -<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span> -ch’avea guadagnato, ovvero rubato delle prede -degl’Italiani, e di là comperatone terre e -castella, e riscosse di quelle ch’avea impegnate. -Appresso era stato con l’imperadore, e mostratogli -come e’ non era ubbidito da’ comuni di Toscana, -e che dove egli avesse titolo da lui, per -forza di sua compagnia per tutto il farebbe senza -suo costo ubbidire: mostrandoli come la Toscana -era piena di soldati di lingua tedesca, che tutti, -dove che fossono a soldo, s’intenderebbono con -lui. E per tanto non temea trovare in campo -contasto; e dove con suo titolo entrasse in alcuna -buona città di Toscana, l’altre domerebbe per -modo, che di tutte il farebbe libero signore. L’imperadore, -ch’era cupido di natura, e astuto, -conobbe il partito, e per volere a ciò provvedere -per modo indiretto e coperto, sicchè se avesse -luogo il consiglio del conte l’esecuzione fosse -pronta, e se non, almeno colorata; essendo consueto -di tenere suo vicario in Pisa, ne intitolò -suo vicario il predetto conte in palese, ma in -occulto si disse li diè maggiore legazione. Costui -giunto a Bologna, sentì la condotta fatta della -sua compagnia da’ Sanesi contro a’ Perugini, la -qual cosa molto andava a sua intenzione; e vedendo -la discordia del passo col comune di Firenze, -di presente cavalcò alla compagnia, e trovò -che gli ambasciadori del nostro comune erano rivocati; -e volendosi ritornare a Firenze, egli li -ritenne, e disse, ch’a niuno partito volea che -la compagnia valicasse contro a volontà del comune -nè per lo suo contado; e con gli ambasciadori -insieme trovarono questa via; che essendo la -<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span> -compagnia in Valdilamone dovesse passare da -Marradi, e dappoi passare tra Castiglione e Biforco, -e ricidere da Belforte e Dicomano, e da indi -a Vicorata, e poi a Isola, e da Isola a san Leolino, e -quindi a Bibbiena; e i detti ambasciadori promisono, -che ’l comune di Firenze per cinque di loro apparecchierebbe -panatica, prendendo derrata per -danaio, e in quelli luoghi donde dovea essere loro -trapasso. Questa concordia fatta senza mandato -a’ Fiorentini non dispiacque, perchè parea in parte -conforme a’ patti che i Fiorentini aveano con loro. -E per tanto con sollicitudine procedea il comune, -che la vittuaglia fosse apparecchiata ne’ luoghi ragionati -per li quali doveano passare, e già n’era -cominciata a mandare a Dicomano. Gli ambasciadori -erano rimasi nella compagnia come il conte -avea voluto per più sicurtà di sua condotta, ma -non per mandato ch’avessono dal loro comune. -</p> - -<h3 id="capLXXIV-8">CAP. LXXIV. -<span class="smaller"><i>Come la compagnia fu rotta nell’alpe.</i></span></h3> - -<p> -Fermata per lo nostro comune la concordia -colla compagnia, come è di sopra narrato, la compagnia -di presente si mosse con bello ordine -de’ suoi capitani, e a dì 24 del mese di luglio -1358 prese albergo nell’alpe tra Castiglione e -Biforco: e come è d’uso di gente di sì fatta maniera -che male si può temperare, che come il -ferro alla calamita non corra alla preda, passando -i patti e convegne si toglieano la vittuaglia -loro apparecchiata senza pagare, e se trovavano -<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span> -cose non bene riposte nè in luogo sicuro ne faceano -danno, oltraggiando i paesani e di parole -e di fatti. Perchè dolendosi gli offesi di ciò, ed -essendo male uditi e peggio intesi, ne presono -cruccio; e raccogliendosi insieme, nel mormorio -alquanti di loro cominciarono ragionamento e -di vendetta e di ristoro di loro dannaggio, e -senza perdere tempo, s’intesono insieme quelli -di Biforco fedeli de’ conti da Battifolle, e -quelli di Castiglione fedeli di quello d’Alberghettino, -e con loro s’aggiunsono alquanti di -quelli della Valdilamone, e disposonsi a loro -vantaggio a luogo e tempo nel trapasso d’assalire -la compagnia, o parte d’essa, e cercare loro -ventura per rifarsi di loro danni, e vendicarsi -degli oltraggi che aveano ricevuti. Quella -sera medesima che questo per li villani si cercava -ciò fu detto al conte di Lando, e avvisato -che la seguente mattina gli s’apparecchiava -novità: poco mostrò averlo a calere, sapendo -che poco numero essere potea, e di gente alpigiana, -e male in arnese quella che il cercasse d’offendere; -nondimanco avanti al fare del giorno -avacciò sua cavalcata, e mise sua gente in cammino, -e ne fece più parti, nella prima fè cavalcare -messer Amerigo del Cavalletto, e con lui -gli ambasciadori fiorentini, fuori d’uno che ne -tenne con seco, colla maggior parte di sua gente -armata e disarmata con tutta la salmeria. -</p> - -<p> -I conestabili con gente d’arme avvantaggiata con -loro arnese sottile e di valuta, in numero d’ottocento -a cavallo e cinquecento pedoni, col conte -Broccardo lasciò alla retroguardia e riscossa. Il -<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span> -cammino ch’eglino aveano a fare, tutto che -non fosse lungo, era aspro e malagevole, perocchè -venendo da Biforco a Belforte presso alle due -miglia della valle, quinci e quindi fasciata dalle -ripe e stretta nel fondo, do v’era la via, la quale -si leva dopo alquanto di piano repente ed erta -a maraviglia, inviluppata di pietre e di torcimenti, -e tale passo è detto alle Scalelle, che bene -concorda il nome col fatto. Il detto luogo passò -liberamente messer Amerigo con tutta sua -brigata, perchè ancora non erano giunti i villani, -i quali poco appresso vi vennono in numero -d’ottanta, o in quel torno, disponendosi partitamente -ne’ luoghi dove pensarono a vantaggio e -loro sicurtà potere meglio offendere i loro nemici: -e volendo uno de’ maliscalchi della compagnia -con sua brigata il detto luogo passare, fu -da’ villani assalito, e con le pietre indietro ripinto. -Il conte di Lando s’avea tratto la barbuta -di testa, e mangiava a cavallo, e sentendo -ciò ch’era cominciato, subito si rimise la barbuta, -e fece gridare arme; onde i villani, che -come detto è, s’erano riposti per le creste de’ colli, -e nelle ripe e balzi che soprastavano le vie, -sentendo il passo impedito, si cominciarono a -mostrare per le ripe dintorno, e a voltare gran -sassi, e a gittare con mano sopra la gente del -conte ch’erano nel basso del fossato, quasi come -in prigione chiusi da altissime ripe. Il conte -non spaventato nè invilito per lo subito assalto, -come uomo d’alto cuore e maestro di guerre, di -subito fece smontare da cavallo circa a cento Ungheri, -e li fece montare per le ripe per cacciare i -<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span> -villani dalle ripe ov’erano posti colle frecce e -colle grida: ma poco li valse, perocchè i villani -ch’erano ne’ luoghi avvantaggiati e sicuri, e -soprastanti assai a quelli dove gli Ungheri in -uosa, e gravi di loro armi e giubboni non poteano -salire, colle pietre n’uccisono alquanti, e -gli altri cacciarono a valle. E stando il conte -e’ suoi nel romore e travaglio, colle difese che -le sue genti poteano fare nel luogo stretto e malagevole, -dove poco poteano mostrare loro virtù, -una gran pietra mossa nella sommità del monte -da parecchi villani, scendendo rovinosamente -percosse il conte Broccardo, e lui e ’l cavallo -ne portò nel fossato, e uccise; e per simile modo -molti e morti e magagnati ne furono. Veggendo -i villani che già erano scesi alle spalle de’ cavalieri -in luogo che li poteano fedire colle lance -manesche, che i cavalieri per la morte di molti -di loro erano inviliti, e per la strettezza di loro -da non si potere ordinare a difesa, nè per niuno -modo abile atare, scesono con loro alle mani; e -uno fedele del conte Guido con dodici compagni -arditamente si dirizzò al conte di Lando, e valentemente -l’assalì. Il conte colla spada fè bella difesa: -alla fine non potendo alle forze resistere, -s’arrendè prigione, porgendo la spada per la -punta; ed essendo ricevuto, come s’ebbe tratta -la barbuta, uno villano d’una lancia il fedì nella -testa, della quale ferita lungo tempo dopo stette -in pericolo di morte. Arrenduto il conte di -Lando, tutti i cavalieri smontarono da cavallo, -e come il più presto poterono, spogliate l’armi -per essere leggieri, si diedono alla fuga, e come -<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span> -ciascuno meglio potea saliano per le ripe, e per -li boschi e burrati fuggendo. Allora non solo gli -uomini, ma le femmine ch’erano corse al romore, -e atare i loro mariti almeno con voltare delle -pietre, gli spogliavano, e loro toglieano le cinture -d’argento, e’ danari e gli altri arnesi: e avvegnachè -assai ne fuggissono per questo modo, -molti morti ne furono, e pure de’ migliori, e -assai presi, e così de’ fanti a piè. In questo baratto -si trovarono morti più di trecento cavalieri e -assai presi, e più di mille cavalli e bene trecento -ronzini, e molto arnese sottile, e robe e danari -vi perderono; e benchè fossono usciti del -passo, errando molti presi ne furono nelle circostanze -dagli altri paesani che non s’erano trovati -alla zuffa. -</p> - -<h3 id="capLXXV-8">CAP. LXXV. -<span class="smaller"><i>Come il conte di Lando scampò di prigione.</i></span></h3> - -<p> -Come volle fortuna, che per li peccati de’ popoli -sovente favoreggia coloro che a loro sono -flagello di Dio, essendo il conte di Lando preso -da uno fedele e uficiale del conte Guido, il detto -valente uomo per acquistare maggior preda, -essendo il conte fedito, come dicemmo, l’accomandò -a due suoi compagni: il conte vedendosi -nelle mani di due villani, temendo forte che -non lo menassono a Biforco, per l’offese di sua -coscienza fatte la sera dinanzi a quelli della -villa, disse a coloro che ’l guardavano, di dare -loro fiorini duemila d’oro, ed elli lo menassono -<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span> -altrove ovunque a loro piacesse, e che se in -questo il servissono, li farebbe ricchi uomini. I -villani conoscendo che se il conte venisse alle -mani del loro signore, che della preda e riscatto -del conte avrebbono piccola parte, si disposono -a servire il conte; e ’l menarono alla donna di -messer Giovanni d’Alberghettino. La donna, -non essendo ivi il marito, il fece menare a Giovacchino -di Maghinardo degli Ubaldini suo fratello -a Castelpagano. Ciò sentendo il signore -di Bologna, ch’era suo intimo amico e compare, -di presente vi mandò medici e guernimenti, -e lo fè medicare, e per sua operazione tanto fece, -che liberamente li fu mandato a Bologna: il quale -essendo bene provveduto e curato alla Tedesca, -poco regolando sua vita, e massimamente -non prendendo guardia del vino, come fu da Bologna -partito cadde in grave infermità, nella -quale più volte fu a pericolo di morte, e liberato -del male rimase in assai povero stato. -</p> - -<h3 id="capLXXVI-8">CAP. LXXVI. -<span class="smaller"><i>Come l’altra parte della compagnia si ridusse -in Dicomano.</i></span></h3> - -<p> -Essendo rotta e sbarattata la retroguardia della -compagnia, come detto avemo, messer Amerigo -del Cavalletto che guidava la parte dinanzi -avendo ciò inteso, ed essendo ne’ prati verso Belforte, -e sentendosi dintorno alcuno romore sì di -coloro che fuggivano come di coloro che li -seguitavano, di subito prese grande sbigottimento: -<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span> -e certo e’ li bisognava, perocchè ’l conte -Guido e gli altri paesani conosceano che venuto -era il tempo di potersi vendicare della compagnia, -e d’arricchire della preda loro. Ma -il peccato volle che gli ambasciadori del comune -di Firenze si trovarono con loro, a’ quali, -temendo di tradimento, si ristrinsono e messer -Amerigo e’ suoi caporali con minacce di tor loro -la vita, se a loro fosse faltata la promessa. Gli -ambasciadori che si sentivano in lealtà, e sapeano -che ciò ch’era fatto non era stato operazione -del loro comune, gli assicurarono colle parole: e -per non mostrarsi ne’ fatti dissonanti alle parole, -cominciarono a usare autorità che non era loro -commessa, e ferono comandamento a’ fedeli del -conte Guido, e a molti altri ch’erano tratti a’ -passi, per parte del loro comune ch’e’ non dovessono -offendere nè danneggiare coloro cui aveano -fidati il comune di Firenze, a cui salvocondotto -elli erano diputati, e ch’e’ si dovessono -de’ passi levare: i quali tutti, contro a loro intenzione -e volere, per reverenza del nostro comune -si levarono dall’impresa. Perchè quelli -della compagnia ch’erano vogliosamente avanti -passati affrettarono di tornare alla schiera, e tutti -insieme stretti avacciarono il cammino, e per -le strette vie delle piagge in quel dì si ridussono -in Dicomano, e ivi con botti e altro legname -senza perdere tempo s’abbarrarono il meglio -poterono: e conoscendo il pericolo dove erano -ridotti, stavano tutti muti e smarriti alla speranza -degli ambasciadori. E nel vero elli aveano -da temere per l’avviso che loro subitamente fu -<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span> -fatto, che ’l nostro comune avea in quelli stretti -passi più di dodicimila pedoni, de’ quali i quattromila -erano balestrieri scelti tra gli altri, e circa -a quattrocento cavalieri, che tutto che temessono -il nostro comune, più ridottavano i villani dell’alpe -che li aveano assaggiati. -</p> - -<h3 id="capLXXVII-8">CAP. LXXVII. -<span class="smaller"><i>Come il comune di Firenze procedette ne’ fatti -della compagnia.</i></span></h3> - -<p> -I rettori del nostro comune avuta la novella -della detta rotta, e di coloro ch’erano rinchiusi -in Dicomano, e inteso come contro a’ patti i -loro dinanzi aveano scorso infino a Vicchio, e le -some del pane ch’erano a Dicomano aveano -rubate, e tolti i muli, e fediti de’ vetturali; avendo -mescolatamente queste novelle senza altro -avviso de’ loro ambasciadori, conoscendo che la -materia richiedea tostano consiglio e partito, di -presente feciono consigli di numero di richiesti -in gran quantità, nel quale furono molti notabili -e savi cittadini, e consigliato sopra la materia, -di grande concordia diliberarono, che i passi si -tenessono per modo ch’e’ non entrassono sul -nostro contado, e che non si desse loro niuno -fornimento, nè si vietasse ad alcuno la loro offesa: -e di presente si mandò per tutto il contado, -che là si traesse d’ogni parte per non lasciarli passare. -Il comandamento fu per li contadini subito -adempiuto, perocchè gran voglia avea il popolo -di levare di terra quella maladetta compagnia; -<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span> -ma benchè traesse il contado di gran volontà, -mancaronli per mala provvisione capitani e conducitori, -e nondimeno presono i passi, e stavano -con grande appetito di cominciare la zuffa. E se -fatto si fosse, come fare si potea e dovea, in -Dicomano senza rimedio si spegnea il nome della -compagnia per lungo tempo in Italia. -</p> - -<h3 id="capLXXVIII-8">CAP. LXXVIII. -<span class="smaller"><i>Il fine ch’ebbe l’impresa de’ Fiorentini.</i></span></h3> - -<p> -Se necessità non fosse imposta, poichè preso -abbiamo la cura di scrivere, volentieri taceremmo -per onore del nostro comune quello ch’al presente -n’occorre a narrare; ma considerato che -per li simili accidenti che nel futuro possono -occorrere, quelli che per li tempi saranno a -provvedere allo stato e onore del nostro comune -possano prendere avviso, e riparare alle disordinate -baldanze de’ suoi cittadini, che passano -talora e gli ordini e quello ch’è loro imposto -per lo nostro comune, ci conduciamo a scrivere. -Noi dicemmo poco appresso di sopra l’utile -e savia diliberazione che prese il nostro comune -contro al resto della compagnia ch’era in -Dicomano, la quale ebbe vere e giuste cagioni, -della quale erano uscite lettere a’ conti Guidi -e agli altri circustanti a que’ luoghi amici -del nostro comune, e per lo contado molte n’erano -andate, e più per segno di nostro comune. -Il podestà era in que’ paesi stato mandato uomo -bolognese, e di sì poca virtù, che non pensiamo -<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span> -che meriti d’essere qui nominato. Gli ambasciadori -ch’erano con messer Amerigo, di subito -mandarono in Firenze l’uno di loro per volere -liberare la compagnia di coscienza del nostro comune; -il perchè di nuovo e di maggiore numero -si fece consiglio di cittadini, nel quale l’ambasciadore -con belle dimostrazioni s’ingegnò di -ottenere che la compagnia fosse posta in luogo -sicuro, non facendo ricordo che per gli ambasciadori -fosse preso partito di così fare; nel detto -consiglio si prese e fermò quello ch’era stato -ne’ primi. L’ambasciadore era di tanta autorità -e podere, che a richiesta sua i priori ebbono tre -altri consigli, cercando in essi il consentimento -di quello ch’egli e’ compagni suoi presontuosamente -aveano diliberato; in effetto in tutti si -prese di concordia quello che dinanzi negli altri -era stato fermato; e ciò fatto, si cominciò a -dare ordine all’offesa di coloro cui il comune -avea diliberato che fossono nimici, e ciò fu pubblicato -per tutto. La compagnia era stretta in -Dicomano in forma e per modo che tre dì vivere -non vi poteano, e circondata era intorno in -maniera, che se non volassono, partire non si -poteano. I colli sopra la Sieve erano presi pe’ balestrieri -fiorentini, e fatte erano grandi tagliate -a’ passi dove l’uscite erano più larghe, ed erano -bene guardate; e oltre al grande numero -de’ pedoni ch’erano nel paese mandati per lo -comune, e che per volontà v’erano tratti, v’avea -quattrocento cavalieri, de’ quali era capitano -uno broccardo Tedesco antico conestabile del nostro -comune, il quale conoscendo il pericolo dov’era -<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span> -la compagnia, non servando suo giuramento, -con alcuno caporale andò in Dicomano, e -ristrettosi con messer Amerigo e’ suoi caporali -presero insieme consiglio, il quale fu segreto, ma -per effetti s’intese, al quale si credette che participassono -gli ambasciadori, per avere di loro -concetto e promessa la scusa, di presente gravi -minacce fur fatte agli ambasciadori, e intra l’altre -di torre loro vita se si trovassono di loro -promessa gabbati; appresso delle quali fu detto, -e offerto di largo, che voleano fare ciò che volesse -il comune, e per osservanza voleano dare -stadichi; fu riputato malizioso e sagace consiglio. -Gli ambasciadori udito questo si strinsono insieme -con fare vista d’avere gran paura, e diliberarono -quello, che come è detto, altra volta -aveano diliberato, ciò fu di trarli di Dicomano -a salvamento, e di metterli a Vicchio in quello -di Firenze, ch’era proibito loro, e farli signori -del piano di Mugello con abbondanza di vittuaglia. -In questo comprendere si può quanta baldanza -era in que’ tempi ne’ cittadini dello stato, -e quanta poca reverenza si portava per loro alla -maestà del comune; e meritevolmente, perocchè -nè premio delle virtù, nè pena de’ falli per -lo comune si rendea in que’ giorni, ma le spezialità -e le sette de’ cittadini faceano comportare -ogni grande ingiuria del comune con grande pazienza, -la quale talora è vicina di crudeltà per la -remissione delle debite pene. Avendo preso questo -partito, come detto è, non degnarono di manifestarlo -per lo loro compagno al comune, e il comune -avea provveduto alla gente sua di capitani, i -<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span> -quali sapendo l’intenzione del comune, più credettono -agli ambasciadori ch’al comune, e consentirono -a’ comandamenti che gli ambasciadori -feciono a’ balestrieri e agli altri soldati del -comune; ebbono gli ambasciadori in sul vespero -Broccardo Tedesco con tutti i soldati a cavallo -che volentieri feciono quel servigio, e ordinarli -alla retroguardia, per tema de’ fedeli de’ conti -che non si poteano raffrenare, e il passo ch’era -preso per li pedoni e balestrieri fiorentini feciono -allargare, e rappianare le tagliate e le -fosse, e abbattere tutte l’altre insegne con una -d’un trombadore da Firenze posta in su un’asta; -e avendo fasciata dall’una parte e dall’altra -quella compagnia de’ balestrieri del comune di -Firenze li condussono a Vicchio, e feciono loro -dare del pane che mandato era là per l’oste -de’ Fiorentini. E avvenne, che non potendosi raffrenare -i fedeli de’ conti dalla mischia, che i balestrieri -del comune di Firenze furono costretti -dagli ambasciadori di saettarli. I cittadini, e i -contadini di Firenze, e i balestrieri, che di grande -animo erano tratti per combattere la compagnia, -udendo ch’elli erano condotti in signoria -del Mugello, perderono il vigore, e grande dolore -n’ebbono, più che se fossono stati sconfitti, -e ben conobbono che ’l comune era stato beffato, -e pubblicamente, e dentro e di fuori, appellavano -gli ambasciadori per poco fedeli e diritti -al loro comune. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span> -</p> - -<h3 id="capLXXIX-8">CAP. LXXIX. -<span class="smaller"><i>Come la compagnia andò in Romagna.</i></span></h3> - -<p> -Sentito a Firenze che contro alla diliberazione -del comune la compagnia sotto la condotta -de’ suoi cittadini s’era partita da Dicomano e -ridottasi a Vicchio, e che era nella signoria del -piano di Mugello, la città per comune se ne dolse, -e li rettori d’essa non sapeano che fatto -s’avessono, nè che fare s’avessono; e la grande -moltitudine di gente a piè ch’era sparta per li -poggi del Mugello non essendo capitanata, e non -sapendo cui ubbidire nè offendere, non si partia -dalle poste. Quelli della compagnia, che sentivano -quello ch’era diliberato a Firenze, avendo -preso riposo per un giorno e una notte in Vicchio, -veggendo i poggi intorno a loro carichi di -fanti, e massimamente di balestrieri, i quali -per li vantaggi de’ luoghi onde aveano a passare -più ridottavano, temendo che crescendo la -forza del comune eziandio il piano loro non fosse -impedito, la mattina raccolti insieme da Vicchio -scesono nel piano, avendo per loro conducitore -ritenuto messer Manno Donati, e come -uomini usi nell’arme, vedendo che la gente -del comune, che loro era vicina, era volonterosa -senza ordine o capitano, lasciato nel piano -addietro uno aguato di cento Ungheri, s’arrestarono -nel piano; e ciò feciono non per guadagno -che sperassono di fare, ma perchè vidono -che i balestrieri aveano passata la Sieve, o per vedere, -<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span> -come folli, o per guadagnare, stimando, -che se agramente ne gastigassono alquanti, gli -altri intimidirebbono e darebbono loro meno affanno; -e così venne loro fatto. Perocchè caduti -nell’aguato, gli Ungheri gli assalirono da due -parti, e non avendo i balestrieri soccorso, di presente -furono rotti e sbarattati; e come dicemmo -non attendendo a’ prigioni, ne uccisono più di -sessanta; e ciò fatto, gli Ungheri si ritrassono alla -massa de’ loro, e senza niuno arresto tutti si diviarono -al cammino per lo passo dello Stale -sotto la guida di Ghisello degli Ubaldini, e quel -dì cavalcarono quarantadue miglia, fino ch’e’ -giunsono in su quello d’Imola dove erano sicuri, -malcontenti e palesi nemici del nostro comune. -La cagione di così lunga giornata fu perchè -Ghisello non volea s’arrestassono nell’alpe, -per tema non facessono danno a’ suoi fedeli, -mostrando, se s’arrestassono, ch’e’ sarebbono -in gravi pericoli. E per tanto senza niuno indugio -feciono il detto cammino; nel quale i masnadieri, -per non rimanere addietro, lasciarono loro -arme per l’alpe per essere più leggieri al -cammino. Gli ambasciadori, fornito il servigio, -tornarono a Firenze, e di loro falli presono scusa -a’ governatori del comune con quelle belle -ragioni che seppono meglio divisare; e conoscendo -di quanta autorità erano coloro ch’erano a -quel tempo all’uficio de’ signori, detto fu per alcuno -de’ detti ambasciadori: Non cercate più -questi fatti, ma dite che noi siamo i ben tornati. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span> -</p> - -<h3 id="capLXXX-8">CAP. LXXX. -<span class="smaller"><i>Come i signori di Francia vennono sopra -Parigi in arme.</i></span></h3> - -<p> -Tornando alle travaglie del reame di Francia, -nell’addietro narrammo il subito e sfrenato movimento -del popolo minuto, e de’ borgesi di -Parigi e d’altre ville di Francia contro a’ baroni -e gentili uomini del paese, sotto il mal -consiglio e condotta del proposto de’ mercatanti -e suoi seguaci; per la qual cosa il Delfino di -Vienna mosso e sospinto da’ gentili uomini ch’erano -stati dall’indiscreto popolo agramente offesi e -malmenati, per repremere la sua trascotata e furiosa -baldanza d’ogni parte si raccolsono insieme, -e all’entrare del mese di luglio del detto anno -vennono sopra Parigi in numero di cinquemila -cavalieri, o in quel torno, avendo per loro capo -il sopraddetto Delfino, e accamparonsi a sant’Antonio, -presso a Parigi a due leghe; e ivi si dimoravano -senza fare asprezza di guerra, perocchè -ben sapeano che la comune di Parigi era -sommossa, e ingannata dal proposto e da’ suoi -seguaci per malvagio ingegno. Ed essendo nel -paese il re di Navarra, che celatamente s’intendea -col proposto e con certi suoi confidenti che -guidavano il popolo, per mostrare di volere atare -il popolo e’ borgesi dalla forza de’ baroni e -gentili uomini ch’erano venuti sopra loro, s’accampò -a san Dionigi con millecinquecento cavalieri -ch’avea accolti di suo seguito, e che segretamente -<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span> -avea dal re d’Inghilterra, e con assai -sergenti e arcieri inghilesi e guasconi; e stando -quivi, dava ardire a coloro che con lui s’intendeano -in Parigi, dicendo di volere combattere a -petizione del popolo di Parigi col Delfino, e per -tutto corse la boce che la battaglia era ingaggiata, -e datole il giorno. -</p> - -<h3 id="capLXXXI-8">CAP. LXXXI. -<span class="smaller"><i>Come il re di Spagna uccise molti -de’ suoi baroni.</i></span></h3> - -<p> -Secondo che vogliono i savi, il parlare e lo -scrivere debbe essere conveniente alla materia di -che si tratta, e da questo principio procede l’arte -del dire ch’è chiamata rettorica, la quale -giunta al nobile ingegno, meglio mostra e fa -più piacere quello di che si ragiona; di questa -scienza niente sapemo, come nostra scrittura -dimostra; e per tanto del nostro scrivere rozzo, -ma vero, non diletto, ma frutto potranno prendere -i belli parlatori. Questo per tanto n’è piaciuto -di dire, perchè le bestiali crudeltà remote -da ogni umanità le quali appresso scrivere dovemo, -a bene dimostrarle meriterieno l’eloquenza -di Tullio, ma noi le metteremo in nota -col nostro usato volgare, fuggendo i vocaboli i -quali per la prossimità della grammatica dalli -volgari a cui scrivemo sono poco intesi. Il -crudelissimo e bestiale re di Spagna, avendo -contro al volere e consiglio de’ suoi baroni palesemente -ritolta la sua concubina, o più volgarmente -<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span> -dicendo, bagascia, e quella sopra modo -disonestamente magnificando nel suo reame, -trascorse in tanto disordinata e sconcia vita, -che tutto l’animo reale cambiò in crudele tirannia. -Il forsennato re, per torsi dinanzi i riprensori -de’ suoi modi sozzi e sfrenati, e coloro di -cui potea temere che a tempo i suoi errori dovessono -potere correggere, maliziatamente trasse -fuori boce ch’e’ si cercava contro a lui ribellione, -e di Burgos in Ispagna e d’altre sue terre, e -sotto questo colore, come fiera crucciato, di sua -mano uccise due suoi fratelli bastardi e il zio -del re d’Araona, a cui per certa convegna s’appartenea -la successione del reame di Spagna; -appresso intra lo spazio di due mesi, o in quel -torno, ancora di sua propria mano uccise venticinque -de’ suoi baroni, con trovando cagioni, e -prendendo ora dell’uno ora dell’altro infinte -e simulate infamazioni. Mirabile certo e abominevole -cosa, che un re cristiano di suoi baroni -innocenti e fedeli senza giudicio di corte, -almeno colorato, facesse morire, e che di sua -malvagia e rabbiosa sentenza egli fosse il manigoldo -e vile esecutore. Queste iniquitadi occorsono -del mese d’agosto e di settembre detto -anno. -</p> - -<h3 id="capLXXXII-8">CAP. LXXXII. -<span class="smaller"><i>Della detta materia di Spagna.</i></span></h3> - -<p> -Il movimento del perverso tiranno di Spagna, -non degno d’essere nominato re, ma bestia selvaggia, -<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span> -venne in questi dì in tanta furiosa pazzia, -che costrignea i baroni che gli erano rimasi -e campati di sua crudeltà, e i comuni, a giurare -fedeltà e omaggio alla bagascia sua, essendo -in addietro per tutti prestato il saramento -alla reina vecchia madre del detto re; e facendo -a ciò richiedere quelli di Sibilla, i cittadini, fatto -sopra ciò loro consiglio, elessono dodici uomini -de’ più savi e discreti, i quali per parte -del comune andassono al re, e con savie parole -gli mostrassono, com’elli erano per saramento -d’omaggio obbligati alla reina vecchia, e che -non poteano il nuovo saramento fare se prima -non fossono assoluti del vecchio; e che cercassono -dal suo disonesto proponimento levare il re, -cortesemente mostrandoli che quello volea nè -suo bene era nè suo onore. I valenti uomini seguendo -il mandato del loro comune furono al re, e -reverentissimamente li sposono quello ch’era loro -imposto dal consiglio del comune di Sibilia. Il re -chetamente, e senza mostrare atto niuno di turbazione, -gli udì, e quando ebbono detto modestissimamente -quello che vollono, credendo -per loro dolce e savio parlare avere ritratto il -re dalla folle e sconcia dimanda, il re loro non -fece altra risposta, se non che si toccò la barba, -e disse: Per questa barba, che male così avete -parlato; e con tale breve e sospettosa risposta -gli ambasciadori impauriti si tornarono a Sibilia. -Il re infellonito poco appresso n’andò a Sibilia, -e in una notte andando alle case loro tutti i -detti ambasciadori senza niuna misericordia fece -tagliare; nè contento a tanto male, in pochi -<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span> -giorni circa a quaranta buoni cittadini fece uccidere -nelle loro case. Io non mi posso tenere -ch’io non morda con dente di perpetua infamia -la memoria di quello iniquo tiranno, e ch’io -non passi a vituperarlo la semplicità del mio usato -stile dello scrivere. Io ho letto e riletto nelle -antiche scritture quello che in esse si pone degli -iniqui e scellerati pagani, massimamente de’ barbari, -e di simili cose ho trovate, ma che tanta -ingiustizia, tanta empietà e crudeltà fosse in alcuno -re cristiano, non mi ricordo d’avere letto -giammai. -</p> - -<h3 id="capLXXXIII-8">CAP. LXXXIII. -<span class="smaller"><i>Come la compagnia cavalcò a Cervia.</i></span></h3> - -<p> -Come di sopra dicemmo, il resto della gran -compagnia del conte di Lando sotto la condotta -di messer Amerigo del Cavalletto s’era ridotta -in Romagna, e ad essa tutti quelli ch’erano campati -della rotta dell’alpe s’erano ricolti con assai -gente sviata e atta a mal fare, che fuggendo -l’oneste fatiche cercavano di vivere di preda, -e a richiesta del capitano di Forlì cavalcarono -su quello di Ravenna, e ’l sale che trovarono alle -saline di Cervia insaccato, come fosse per caricarsi, -e non piccola quantità, e simile di grano -e bestiame, senza alcuno contasto levarono e -portarono in Forlì: perchè si credette che fosse -baratto del signore di Ravenna per fornire la -città di Forlì, e non tanto per amore del capitano, -quanto per tema di sè, stimando, che se il -<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span> -legato avesse Forlì la guerra si volgerebbe addosso -a lui. -</p> - -<h3 id="capLXXXIV-8">CAP. LXXXIV. -<span class="smaller"><i>Come il capitano di Forlì mise la compagnia -in Forlì.</i></span></h3> - -<p> -Il capitano, come uomo disperato, e con poca -fede e legge, non avendo riguardo a’ suoi cittadini -ch’erano stati a ogni martiro per sostenere -lo stato suo, segretamente si convenne co’ caporali -della compagnia di dar loro venticinquemila -fiorini e il ricetto in Forlì, ed elli impromisono -a lui di levare le bastite che gli erano intorno, -e che per alcuno tempo starebbono in Romagna -al servigio suo; di che seguitò, che all’entrante -d’agosto e’ li mise in Forlì senza assentimento -de’ suoi cittadini: i quali essendo stati -rotti, come dicemmo, avendo patiti molti disagi, -e per tanto essendo in gran bisogno di ricetto, -per prendere riposo cominciarono a torre le case -de’ cittadini, e loro masserizie e arnesi, e -accomunare e abitare familiarmente con loro, -e torsi delle cose da vivere oltre a bastanza, pigliando -dimestichezze disoneste e spiacevoli colle -famiglie de’ cittadini, che per non uscire di -loro case e masserizie dimoravano con loro. Il -perchè assai cittadini, a cui era più caro l’onore -che la roba, si partirono di loro abituri, e ristrignensi -in piccoli luoghi, lasciando in abbandono, -per non contendere con gente bestiale, -tutte loro cose. Nel quale avviluppamento manifesto -<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span> -si vide gli errori degli erranti e servili popoli, -che per matta stoltizia disordinato amore -portano a’ loro signori e tiranni. Di ciò il popolo -molto si dolse, e nel segreto ricordava con mormorio -la gran fede male meritata che portata -aveano al loro capitano, sofferendo il lungo assedio -in contumacia di santa Chiesa col perdimento -di tutti i loro beni, con grandi disagi e -affanni di loro e di loro famiglie. Onde meritevolmente -in loro fu verificato quel proverbio che -dice, chi contro a Dio getta pietra, in capo li ritorna. -</p> - -<h3 id="capLXXXV-8">CAP. LXXXV. -<span class="smaller"><i>D’una nuova compagnia di Tedeschi.</i></span></h3> - -<p> -I Tedeschi di soldo che in que’ tempi erano -in Italia, vedendo e conoscendo che altra gente -d’arme che venisse a dire nulla, fuori di loro -lingua, ne’ paesi di qua da’ monti non era, follemente -pensarono di farsene signori: e vedendo -che la compagnia del conte di Lando era in parte -mancata per la rotta da Biforco, di presente -s’intesono insieme i Tedeschi ch’erano al servigio -de’ Sanesi, e quelli ch’erano al servigio -de’ Perugini, con quelli ch’erano nella provincia -della Romagna; perchè compiuta la ferma -che Anichino di Bongardo avea co’ Sanesi, si ritrasse -con sua gente in forma di compagnia, alla -quale il conte Luffo con settecento barbute -ch’erano al soldo de’ Perugini, e più altri conestabili -tedeschi ch’erano in loro vicinanza, -s’aggiunsono, sicchè furono circa a duemila barbute; -<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span> -e assai gente da piè atta a rubare trassono -a loro, e andarsene su quello di Perugia, e -co’ Perugini si patteggiarono in atto di ricompera -per fiorini quattromila, e con avere il passo da -Fossato per andare nella Marca: e d’indi passarono -verso Fabriano, dove trovarono che i passi -erano presi e guardati, onde si rivolsono per -la Ravignana verso Fano, e in pochi dì, all’uscita -d’agosto detto anno, s’aggiunsono a Forlì -coll’altra compagnia, e posonsi di fuori della -terra, entrando e uscendo a loro posta della città, -e avendo vittuaglia dal signore. E per non -disfare il gentile uomo ch’era assediato, mangiando -quello di che vivere dovea insieme colla -compagnia ch’era in Forlì, feciono cavalcate -e da lunga e da presso, e ciò che poteano predare -metteano in Forlì, facendo vendemmiare innanzi -tempo le vigne vicine a’ loro saccomanni -colle sacca, il perchè assai vino e altra roba da -vivere assai misono nella città. -</p> - -<h3 id="capLXXXVI-8">CAP. LXXXVI. -<span class="smaller"><i>Come si levò l’oste da molte terre.</i></span></h3> - -<p> -Per la partita della gente d’arme di Toscana -i Sanesi ch’erano a oste al Montesansavino se -ne levarono e tornaronsi a Siena, e i Perugini -che manteneano oste a Cortona anche se -ne partirono; per la qual cosa in poco tempo -quelli di Cortona con meno di cento cavalieri, -e con alquanta gente da piè, feciono più cavalcate -sul contado di Perugia, dilungandosi da -<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span> -Cortona le dieci e le dodici miglia, e trovando -i contadini per li campi alle loro faccende, e il -bestiame non ridotto in luogo sicuro, feciono -prede assai e di uomini e di bestiame grosso e -minuto. Ed era a tanto condotto il comune di -Perugia per straccamento della guerra, che così -pochi nemici cavalcavano ne’ loro più cari luoghi, -e si tornavano colle prede a salvamento, quasi -senza trovare alcuno contasto in niuna parte. Il -dì che avvenne ultimamente, che cinquanta cavalieri -e pochi pedoni corsono e girarono il lago -dintorno, e colla preda senza niuno impedimento -si tornarono a Cortona, che pare cosa incredibile -a dire. Quinci si può notare quanto sono -da fuggire, e quanto sono pericolose le imprese -de’ comuni con soperchia voglia baldanzosamente -cominciate, perocchè le più volte hanno altri -fini che gli orgogliosi popoli, e pronti alle imprese -maggiori che non possono portare, non istimano. -Però non si può avere troppa temperanza -per li savi governatori de’ comuni, nè troppa -cura a raffrenare gli appetiti de’ popoli, a cui sovente -dire si può: Signore, perdona loro, che non -sanno che si fanno. È vero che al nostro comune -spesso avviene il contrario, che o voglia il -popolo o no, egli è tirato, e per forza sospinto -nelle grandi e pericolose imprese da coloro che -le dovrebbono vietare. Corsa la piena della gente -dell’arme nella Romagna, il legato fece fortificare -e fornire le bastite ch’avea intorno -a Forlì di vittuaglia e di gente, e partissi -da campo, e tornossi coll’oste a Faenza, e a -Cesena, e per le castella dintorno, per stare a -<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span> -vedere quello che la compagnia facesse: e tutte -queste cose fur fatte del mese d’agosto detto anno. -E rinnovato fu il processo, e pubblicata la -sentenza di santa Chiesa contro alla detta compagnia, -come eretici e favoreggiatori dello scismatico -capitano di Forlì, e che ogni uomo li -potesse offendere, e contro a loro prendere la -croce; ma tal fu la riuscita dell’altro legato -quando li ricomunicò, e loro fè tributaria la -Chiesa di Roma e’ comuni di Toscana, come -addietro dicemmo, che a vile s’ebbe la sentenza -e il processo, e sua esecuzione, eziandio da -tutti gli amici e fedeli di santa Chiesa. -</p> - -<h3 id="capLXXXVII-8">CAP. LXXXVII. -<span class="smaller"><i>Come si fè accordo dal Delfino -a quelli di Parigi.</i></span></h3> - -<p> -Come addietro facemmo menzione, il duca -d’Orliens, e il Delfino di Vienna, e i gentili -uomini aveano posto campo a Parigi, di che poco -appresso seguente, che parendo a quelli d’entro -e a quelli di fuori stare in molti disagi e -pericoli assai, avendo ciascuno desiderio di concio, -che per mezzani assai di lieve vi si trovò -accordo; ma per tanto non vollono i borgesi che -il Delfino o sua gente d’arme entrasse in Parigi, -ma pacificamente e quelli d’entro e quelli di -fuori praticavano insieme: nel quale accordo per -operazione del proposto e de’ seguaci suoi s’inchiuse -il re di Navarra con tutta sua gente; sotto -la quale fidanza, o per vedere la terra, o per -<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span> -loro rinfrescamento, certi Inghilesi entrarono in -Parigi, i quali come veduti furono da certi borgesi, -loro levato fu il grido addosso in vendetta -di loro signore ch’era in Londra in prigione, e -tanto procedette avanti la cosa, che in quel furore -in diversi luoghi in Parigi, come furono -per avventura trovati, furono morti circa a cento -Inghilesi. Ciò sentito nel campo del re di -Navarra, tutto si mosse verso Parigi con animo -di prendere del misfatto vendetta; il perchè il -re a consiglio de’ suoi caporali mise un aguato, -e con corridori fatti sottrarre i Parigini, e addirizzarli -per tirarli nell’aguato, i folli borgesi inbaldanziti -per quelli disarmati che aveano uccisi -dentro uscirono fuori, e correndo alla scapestrata -e senza ordine niuno caddono nell’aguato, -ove ne fu morti oltre a trecento. La cosa -fu rappaciata dentro e di fuori per operazione -del proposto, che avea l’animo dirizzato a maggiori -fatti, come appresso diremo. -</p> - -<h3 id="capLXXXVIII-8">CAP. LXXXVIII. -<span class="smaller"><i>Di detta materia, e come fu morto -il proposto.</i></span></h3> - -<p> -Seguendo suo iniquo e malvagio proponimento -il proposto con certi suoi segretari con cui -s’intendea, e che con lui teneano mano a tradire -la corona, volendo trarre a fine il tradimento -che lungo tempo avea menato e fermo col -re di Navarra, vedendo che ’l popolo di Parigi -si venia riconoscendo del fallo suo contro al Delfino -<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span> -e’ baroni, e temendo che l’indugio al suo -maligno concetto non fosse dannoso, affrettò -l’esecuzione del trattato e la morte sua; perocchè -con certi borgesi del seguito suo, senza diliberazione -o consiglio degli altri borgesi, bene -apparecchiati in arme uscì di Parigi, e andonne -a una delle bastite la quale aveano bene -guernita e d’arme e di vittuaglia, e di gente per -sicurtà della terra, e quella in gran parte sfornì -d’armadura atta a difesa, e tolse le chiavi a colui -a cui era stata accomandata di volere e consiglio -di tutti i borgesi, e le diede a uno borgese -di Parigi sospetto assai, perchè era stato tesoriere -del re di Navarra; e come fece a questa bastita, -così fece a tutte l’altre. Veggendo gli altri borgesi -questa affrettata novità che si faceva senza -niuno loro consiglio, nè cagione vedeano perchè -ciò fare si dovesse, nè che pensiere a ciò fare -avesse il proposto, cominciarono ad ammirare -e a insospettire, ed in piccola ora col mormorio -del popolo tanto crebbe il sospetto, che mandarono -prestamente al Delfino, con cui novellamente -aveano preso l’accordo, a sapere se ciò -fosse di suo assentimento e volere; e avendo -risposta del nò, tutto il popolo si levò a romore, -gridando: Viva il Delfino, e muoiano i traditori; -e in quella furia giunsono il proposto, e tagliarono -a pezzi con certi suoi confidenti ch’erano -con lui, e nel detto furore corsono alle porte, -e uccisono tutti coloro che ’l proposto v’avea a -guardare diputati, e alle bastite rinnovellarono -e guardie e serrami. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span> -</p> - -<h3 id="capLXXXIX-8">CAP. LXXXIX. -<span class="smaller"><i>Come furono impesi que’ borgesi a cui erano -state accomandate le chiavi delle bastite.</i></span></h3> - -<p> -Il giorno dopo la morte del proposto, i borgesi -di Parigi, riconosciuti del fallo loro, di comune -consiglio mandarono nel campo al Delfino, -che li piacesse, poichè morto era il traditore -della corona co’ seguaci suoi, di volere dimenticare -l’offesa che ignorantemente era fatta loro, -come persone ingannate da coloro che falsamente -li conducevano, e che in Parigi dovesse -venire, e reggere e governare la città e il -popolo come loro signore naturale, che presti -e apparecchiati erano tutti a ubbidire e fare i -suoi comandamenti. Il Delfino avuto suo consiglio -rispose molto benignamenente agli ambasciadori, -dicendo, che bene conoscea onde era -mosso l’inganno del popolo, e che molto era -contento che la comune di Parigi avea scoperti -i loro traditori e della corona, e che per loro -se n’era presa vendetta, ma ancora non a pieno: -e però, innanzi ch’e’ volesse entrare nella città, -volea che del tesoriere del re di Navarra e del -compagno, a cui erano state date le chiavi delle -bastite, fosse fatta giustizia, e poi lietamente -e con pieno amore de’ suoi borgesi v’entrerebbe. -Tornati gli ambasciadori nella terra, furono -presi il tesoriere e ’l compagno, e tranati per -la terra, e impesi al castelletto; e fatto ciò, il -Delfino con tutta sua gente con grande festa entrarono -<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span> -in Parigi, ricevuti da tutti i cittadini -con singolare allegrezza. -</p> - -<h3 id="capXC-8">CAP. XC. -<span class="smaller"><i>Come si scoperse il trattato tenea -il re di Navarra.</i></span></h3> - -<p> -Il Delfino ordinato in Parigi generale parlamento, -nel quale fece con savie e ornate parole mostrare -al popolo la buona voglia ch’egli e’ baroni e’ -gentili uomini aveano a’ borgesi di Parigi, e in -quello fece nuovo proposto di mercatanti come -a lui piacque, uomo di cui bene si potea fidare: -e oltre a ciò, rendendo onore al popolo, fece dire, -che quando volontà de’ borgesi fosse, e’ sarebbe -contento che sei borgesi, i quali e’ fece nominare, -fossono nella guardia e giudicio del popolo, -perocch’e’ sentiva ch’erano stati segretari del -proposto cui eglino aveano giudicato per traditore -della corona. Come questo fu detto, senza arresto -i detti sei borgesi furono presi, e venuti -in giudicio, senza alcuna molestia o tormento -confessarono, che la notte che il giorno dinanzi -era stato morto il proposto, il re di Navarra -dovea prendere le bastite, ed entrare in Parigi -con tutta sua forza, e coll’aiuto del proposto e -di suo seguito dovea correre Parigi; e che venendo -prestamente fatto e al re e al proposto -loro intenzione, il re si dovea fare coronare del -reame di Francia per mano del vescovo di.... -il quale allora era in Parigi, e si partì di presente -come vide morto il proposto; e che il detto -<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span> -re di Navarra dovea riconoscere il reame di Francia -da quello d’Inghilterra e fargliene omaggio, -e restituirgli la contea d’Alighiero e altre terre, -ed egli lo dovea atare a racquistare il reame con -tutta sua forza; e che se ciò venisse fatto, com’era -ordinato, il re d’Inghilterra dovea fare -tagliare la testa al re Giovanni di Francia, cui -egli avea in prigione, e che i Lombardi e’ Giudei -ch’erano in Parigi doveano essere preda -degli Inghilesi. Fatta la detta confessione, senza -arresto i detti sei borgesi furono giustiziati; -per li savi scoprire il processo fu poco senno tenuto, -essendo il re di Francia e ’l figliuolo in -prigione, perchè essendone il re d’Inghilterra -infamato, si dovea potere muovere a cruccio, e -mal trattare il re e ’l figliuolo. -</p> - -<h3 id="capXCI-8">CAP. XCI. -<span class="smaller"><i>Come il re di Navarra guastò intorno -a Parigi.</i></span></h3> - -<p> -Avendo avuto il re di Navarra dal proposto -come avea cambiate le guardie, e dato ordine -presto alla esecuzione del trattato, non sapendo -ciò ch’era occorso al proposto, venne per prendere -la prima bastita, la quale trovando fornita -di gente nuova e bene in punto alla difesa, -comprese che ’l trattato fosse scoperto: perchè -mettendosi più innanzi in sentore, intese come -il proposto co’ suoi consiglieri erano stati morti -dal popolo; perchè vedendo in tutto suo pensiero -annullato, d’ira e di mal talento incrudelito -<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span> -nell’animo suo, non ostante concordia nè pace -ch’avesse co’ borgesi, tentò se per forza potesse -vincere la bastita: e lavorando invano, partito -da quella, scorse intorno a Parigi ardendo, -e guastando, e predando ciò che potè. E -poichè così ebbe fatto alquanti giorni, non trovando -in campo contasto, se ne tornò a Monleone -grosso castello, posto presso a Parigi a... leghe, -e ivi si pose ad assedio. E come che ’l fatto s’andasse, -al detto re cresceva gente d’arme da cavallo -e da piè, la quale si movea d’Inghilterra -non per manifesta operazione del re, ch’era nel -trattato della pace, ma i cavalieri si mostravano -muovere da loro e per loro volontà, come andare -in compagnia. Ed essendo per li cardinali -mezzani della pace detto al re che questo non -era ben fatto, e che li piacesse mettervi rimedio, -scusossi, dicendo, che ciò molto gli dispiaceva, -ma che quella era gente disperata e di mala -condizione, cui egli per suoi comandamenti non -potea nè correggere nè arrestare. E con questa -gente il re di Navarra cavalcava per tutto, e ardeva, -e predava, e conduceva male il reame di -Francia, non ostante l’ordine della pace preso; -nel quale s’adattò il proverbio che dice, tra -la pace e la triegua, guai a chi la lieva. -</p> - -<h3 id="capXCII-8">CAP. XCII. -<span class="smaller"><i>Come il marchese non volle dare Asti a’ Visconti.</i></span></h3> - -<p> -Essendo per l’imperadore, per li patti della -pace tra’ collegati e i signori di Milano, dichiarato -<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span> -che Pavia rimanesse a popolo e in libertà, -e che Asti fosse renduto a’ signori di Milano, i -signori di Milano della dichiarazione non contenti -pertinacemente domandavano Pavia, e -non che loro fosse ciò conceduto pe’ collegati, -ma il marchese di Monferrato, che tenea Asti, -nol volea rendere loro. Così ciascuna delle parti -della pace fatta rimanevano malcontenti; e cominciarsi -i collegati a temersi de’ signori di Milano, -e quelli di Milano feciono loro sforzo, e -mandarono a oste nel Piemonte contro ad Asti -e all’altre terre che ’l marchese tenea in Piemonte, -e ordinarono di riporre le bastite a Pavia, -e ciò in piccolo tempo fornirono. Il marchese -rimasto povero e di danari e d’aiuto per li -Lombardi, che non si ardivano a scoprire per la -pace fatta contro a’ signori di Milano, francamente -s’apparecchiava alla difesa e alla guerra -come meglio potea. -</p> - -<h3 id="capXCIII-8">CAP. XCIII. -<span class="smaller"><i>Come la compagnia assalì Faenza.</i></span></h3> - -<p> -Lasciando i fatti di Francia e di Lombardia -e tornando ai più vicini, la compagnia, ch’era -in Romagna tra Forlì e Faenza, sentendo male -fornita di gente d’arme la città di Faenza, la -quale si tenea per la Chiesa, dove non era che -uno capitano con meno di cento uomini da cavallo, -si strinsono alla terra, ed entrarono in -uno dei borghi. Il detto capitano allora era di -fuori, e volendo tornare dentro, fu abbattuto e -<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span> -ferito, e de’ suoi compagni assai magagnati. Per -ventura erano in quel punto in Faenza trecento -cavalieri del comune di Firenze all’ubbidienza -d’uno cavaliere fiorentino, il quale vedendo il -subito e improvviso assalto prestamente si mise -alla difesa colla brigata sua, e riscosse il capitano, -e i nemici fuori del borgo sospinse con -loro assai danno, e ricoverato il capitano e l’onore -della Chiesa si tornò in Faenza. Per lo detto -assalimento baldanzoso e non provveduto si -temette che non fosse nella terra trattato, ma -se v’era, non si trovò. E ciò fu del mese d’agosto -del detto anno. Appresso a pochi dì la compagnia -de’ Tedeschi della bassa Magna sotto il -capitanato d’Anichino di Bongardo s’accostò -con quella ch’era in Romagna, e molti altri -Tedeschi che spontaneamente si partivano da’ soldi -degli Italiani s’aggiunsono con loro, e come -ebbono fatta una massa, vedendosi forti cominciarono -a gridare a Firenze, tenendosi per fermo -e per lo consiglio e da tutti che da’ Fiorentini -fossono stati traditi, e nell’alpe sconfitti. Di questa -adunata e di sua mala parlanza gran sospetto -si prese a Firenze, perchè si prese argomento di -guardare i passi, come appresso diremo. -</p> - -<h3 id="capXCIV-8">CAP. XCIV. -<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini mandarono a Bologna -per la quistione dello Stale.</i></span></h3> - -<p> -Temendosi per lo nostro comune che la compagnia -per lo passo dello Stale, che assai era -<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span> -largo e aperto, non li venisse addosso, in certa -parte di quello luogo avea fatto fare e tagliare -i palizzati, i quali erano abbandonati, perocchè -per li patti fatti colla compagnia doveano passare -da Biforco, come addietro dicemmo. E vedendo -il comune che la compagnia partita da Vicchio -di quindi era passata in Romagna, e considerando -che quello era il più agevole passo che -potesse fare gente d’arme che da quella parte -venisse in offesa di nostro paese, prese ragionamento -di farvi fortezza. Sentendo ciò gli Ubaldini -e i conti da Mangona, a cui a tempo la fortezza -potea essere nociva, di presente furono al -signore di Bologna, e gli diedono a intendere -che quello luogo era del comune di Bologna; -perchè per la mala informazione turbato scrisse -al nostro comune assai altieramente. Di che il -nostro comune fè ritrovare l’antiche ragioni -che ’l monistero di Settimo ha nello Stale e -ne’ luoghi circostanti, colle quali per ambasciadori -e difendere delle dette ragioni mandò a Bologna -messer Francesco di messer Bico degli Albergotti -d’Arezzo cittadino di Firenze, eccellentissimo -e famoso dottore in ragione civile, il -quale allora leggeva in Firenze. Questi circa lo -spazio d’un mese stette a disputare co’ dottori -bolognesi sopra la materia, e in fine in presenza -del detto signore di Bologna fu determinato, che -’l nostro comune aveva ragione, tutto che gran -punga fosse fatta per li detti Ubaldini e’ conti -in contrario. E a fede di ciò, il signore scrisse -appieno al nostro comune, e le lettere e cautela -furono registrate del mese di settembre 1358. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span> -</p> - -<h3 id="capXCV-8">CAP. XCV. -<span class="smaller"><i>Qui si fa menzione delle ragioni che ’l monistero -di Settimo ha nello Stale.</i></span></h3> - -<p> -E’ n’è di piacere, poichè nel precedente capitolo -detto avemo dei modi tenuti per gli Ubaldini -e’ conti di Mangona intorno alla quistione -dello Stale, di fare in sostanza alcuna memoria -delle ragioni che la badia di Settimo ha nel -detto Stale, più per reverenza della buona e fedele -antichità che per vaghezza di scrivere. -Trovato fu nel monistero di Settimo una carta -rogata negli anni dell’incarnazione del nostro -Signore 1040 a dì 13 di dicembre, nel quale si -celebra la festa della graziosa santa Lucia, e -nell’anno secondo dell’imperio d’Arrigo, del cui -tenore in parte togliemo questo. Guglielmo conte, -figliuolo di messer Lottieri conte e di madonna -Adalagia contessa, diede per rimedio dell’anima -sua e de’ suoi genitori, alla Chiesa e al monistero -di san Salvadore, nel luogo che si dice -Gallano, ove si dice lo Spedale, con ogni ragione, -e aggiacenza, e pertinenza sua, e qualunque -e quanto a quel luogo s’appartiene, in perpetuo -a noi Ugo, e agli Abati che per li tempi -saranno; e appresso quello che concede confina -così. Da oriente, dal Nespolo infino al Pero lupo, -e infino alla Stradicciuola, e siccome corre la detta -Stradicciuola infino alla collina; da mezzogiorno -dalla detta collina infino a Ferimibaldi, e da -Ferimibaldi infino a Feumicarboni, e da Feumicarboni -<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span> -infino a Collina de’ monti propio.... -e infino a Fontegrosna, e siccome trae il vado -d’Astronico. Dalla parte d’occidente, dal guado -Astronico infino a Montetoroni, e infino a Ronco -di Palestra, ritorna fino al Nespolo di Briga. -E sono tutte le predette terre e cose, e tutti i -piani, e alpi, e le loro pertinenze, secondo che -si dice nella detta carta, infra ’l contado di Bologna -e di Firenze. Nel 1292, a dì 19 di dicembre, -il popolo di santo Iacopo a Montale e di -san Martino di Castro per sentenza di lodo poterono -usare i detti beni quattordici anni, dando -la decima di tutto il frutto e certo censo al detto -monistero. E perchè semo entrati in ragionamenti -di confini, diremo de’ confini tra il nostro -comune e quello di Bologna, per bene e -pace dell’uno e dell’altro comune, i quali furono -terminati per messer Alderighi da Siena -arbitro in tra i detti comuni, e furono questi. Il -Mulinello a piè di Pietramala è del nostro comune, -e Baragazzo, e il Poggio del fuoco, e delle -valli, e mezzo Montebene, e Sassocorvaro, e il -prato di Baragazzo. -</p> - -<h3 id="capXCVI-8">CAP. XCVI. -<span class="smaller"><i>Come la compagnia della Rosa di Provenza -si spartì e disfecesi.</i></span></h3> - -<p> -In questi dì, sentendosi le novità di Francia -che narrate sono, e come il paese s’apparecchiava -a nuova guerra per l’operazioni del re di Navarra, -la compagnia, che lungamente era stata -<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span> -in Provenza, e avevanvi assai terre acquistate, -vedendo che poco avanzavano stando quivi, -ed essendo parte di loro richiesti dal Delfino, -sperandosi più avanzare nelle guerre di Francia -che nella povertà di Provenza, premono per partito -di partirsi, e trattarono co’ paesani d’andare, -e di rendere le terre e le castella che aveano -prese; e venuti a concordia, ebbono ventimila -fiorini d’oro, e catuno se n’andò dove li piacque, -e lasciarono il paese di Provenza, ove erano -stati predando i paesani e affliggendo più -di diciassette mesi continui in guastamento del -paese. -</p> - -<h3 id="capXCVII-8">CAP. XCVII. -<span class="smaller"><i>Come s’afforzò e guardò i passi dell’alpe -perchè la compagnia non passasse.</i></span></h3> - -<p> -Poichè fu terminata la quistione dello Stale, -sentendo il nostro comune che la compagnia -s’apparecchiava a quello luogo, avendo posto -campo tra Bologna e Imola, e temendo non prendesse -indi suo vantaggio in Toscana, senza perdere -tempo vi mandò provveditori e maestri -per afforzare sì quel passo, che togliesse speranza -alla compagnia, e a qualunque altra gente -volesse offendere il comune, di quindi passare. -E perchè a sicurtà i maestri e’ paesani potessono -intorno a ciò lavorare, vi mandò il comune balestrieri -assai e altra gente d’arme quale pensò -alla difesa essere bastevole, con fare comandamento -a tutti i paesani e vicini a quello luogo -che vi dovessono essere e colle persone e colle -<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span> -bestie loro ad atare, tanto che ’l luogo fosse abbastanza -afforzato, i quali vi mandarono volentieri -per tema di non essere sorpresi incautamente -dalla compagnia, che da quelli dell’alpe si tenea -offesa, e avea appetito di vendicarsi. L’opera -fu di volontà affrettata perchè il pericolo era -vicino, e in piccolo tempo fu tutto fornito, cominciando -dalla vetta de’ colli e passando per -lo tramezzo delle valli, li fossi e li steccati, colle -torri di legname e bertesche spesse a guisa di -mura di terra, con tre belle e forti bastite in -su i poggi per dare favore a quelli che difendessono -i palizzati, e perchè, se caso di rotta -avvenisse, si potessono ricogliere a salvamento. -La chiusa per lungo fu intorno di passi ottomila, -stendendosi insino presso a Montevivagni. Quelli -della compagnia, che s’erano alloggiati in su -quello d’Imola, più volte tentarono e per diverse -parti passare in sul nostro contado, ma -sentendo ch’e’ passi dell’alpe erano bene guardati -(che più di dodicimila pedoni, la maggiore -parte balestrieri, talora fu che si trovarono -allo Stale, senza quelli ch’erano all’altre poste) -mutarono proponimento, e rivolsonsi indietro -nella Romagna, e massimamente sentendo -venuto in Firenze messer Pandolfo di messer -Malatesta da Rimini per capitano di guerra, non -lasciando però le minacce contro al nostro comune. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span> -</p> - -<h3 id="capXCVIII-8">CAP. XCVIII. -<span class="smaller"><i>Come l’imperatore fece il duca d’Osteric -re de’ Lombardi.</i></span></h3> - -<p> -Carlo imperadore de’ Romani, essendo nel detto -anno 1358 del mese di settembre morto il -duca vecchio d’Osteric, il giovane duca ch’era -rimaso signore si fece a parente, e gli diè una -sua figliuola per moglie; e lui volendo aggrandire, -vedendo che la forza del genero giunta alla -sua era grandissima, e per l’avviso del conte di -Lando e degli altri caporali di lingua tedesca -avea sentito, come le parti d’Italia, massimamente -Romagna e Toscana, erano male disposte, -e atte a potere venire sotto signore, si pensò ciò -potere di lieve seguire con titolo di signore naturale, -perocchè il nome del tiranno a’ liberi popoli, -massimamente di Toscana, era terribile, e -non potea essere accetto, e per tanto il detto -duca fece e pronunziò re de’ Lombardi. Il duca, -come giovane, e vago di crescere suo nome e signoria, -accettò il titolo del reame: ciò sentito -in Italia, non fu senza gran temenza; il perchè -tantosto i signori e’ comuni s’intesono insieme, -dando ordine a leghe e a tutto ciò che pensarono -essere necessario e bastevole a impugnare -l’impresa del nuovo signore. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span> -</p> - -<h3 id="capXCIX-8">CAP. XCIX. -<span class="smaller"><i>De’ processi della compagnia in questi giorni.</i></span></h3> - -<p> -Noi dicemmo addietro come il capitano di -Forlì per patto promise quindicimila fiorini alla -compagnia, e la cagione perchè, onde venendo -il tempo che pagare li dovea, e non avendo il -di che, eziandio affannando di presta i suoi cittadini, -diede a’ caporali contanti fiorini duemila: -ed essendo suoi prigioni il figliuolo del conte Bandino -da Montegranelli, e due figliuoli del conte -Lamberto della casa de’ Malatesti detto il conticino -da Ghiaggiuolo, i quali erano stati presi -nella guerra del cardinale di Spagna, loro assegnò -alla detta compagnia in parte di pagamento per -fiorini diecimila. Currado conte di Lando, sentendo -l’impotenza del gentiluomo, coll’animo -suo diritto e libero dove avesse avuto di che -sadisfare, cortesemente li fece accettare, attendendosi -dell’avanzo alla fede e promessa del capitano; -e per non stare in bargagno, avendo il -conte bisogno di danari, assentì il riscatto de’ detti -prigioni per quattromila fiorini: e ciò fatto, -con tutta sua brigata prese cammino, e si strinse -verso quello d’Imola e di Faenza, cercando -preda per vivere. E nei detti paesi ha una valle -grassa e abbondante d’ogni cosa da vivere che -detta è Limodiccio, la quale è circondata di poggi -altissimi e aspri, e con assai stretti cammini -all’entrare e all’uscire per grandi montate e -scese: i villani di quel paese s’erano ridotti alle -<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span> -guardie de’ poggi ov’erano l’entrate, non sperando -che per lo grande disavvantaggio di chi -venisse di sotto gente d’arme gli andasse ad -assalire, poco avendo considerazione, che la fame -fa cercare per lo cibo ogni luogo segreto, e -assalire eziandio le impossibili cose. Quelli della -compagnia assalirono le montagne con franchezza -d’animo, facendo in fatti d’arme maraviglie; -il perchè i villani impauriti e inviliti lasciarono -i passi, e diersi alla fuga, onde la valle tutta -venne in potestà de’ nemici, dove trovarono -assai roba da vivere. E a loro fu bene bisogno -di così trovare, per ristorare i disagi e la fame -patita a Forlì: ed ivi adagiato e loro e loro bestie, -vi dimorarono fino a dì 16 del mese di ottobre. -E mentre che stavano a Limodiccio; più -volte cercarono di passare in sul Fiorentino, ma -ciò fu in vano; perocchè trovavano onde speravano -passare sì forniti e ordinati al riparo, che -non s’assicurarono di mettersi a partito. E andarono -a Modigliana, e assaggiarono il castello -con battaglia, e niente poterono acquistare. All’uscita -del mese cavalcarono a Massa, che è del -vescovo d’Imola, e come suole avvenire de’ beni -de’ cherici, che non contendono se non a pelare, -essendo il luogo male provveduto di guardia -la presono, dove trovarono assai roba da vivere -e arnese da preda. Alla rocca non feciono assalto, -perocchè essendo nella guardia del signore d’Imola -era bene guarnita e apparecchiata a difesa. -I mascalzoni per la troppa roba vi trovarono -vennono tra loro a discordia nel pigliare della roba, -e per non venire a peggio tra loro misono -<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span> -fuoco nella terra, e arse tutta colla maggiore parte -di ciò che v’era dentro, perchè convenne -che la brigata si partisse e accampasse di fuori; -e quivi soggiornarono alquanto verso i confini -di Bologna: e non avendo la vittuaglia che a -loro bisognava, il signore di Bologna ne dava loro, -e sostenneli quivi tutto il mese di novembre. -Ciò disse che fece, perchè il legato Cardinale di -Spagna era in cammino per passare in Romagna -a ripigliare la guerra, e non sapea l’intenzione -sua, sicchè per gelosia di suo stato era contento -d’avere la compagnia di presso. -</p> - -<h3 id="capC-8">CAP. C. -<span class="smaller"><i>Come il re del Garbo fu morto.</i></span></h3> - -<p> -Buevem re del Garbo, il quale volgarmente è -detto il reame della Bellamarina e di Tremusi, -avendo lungo tempo con ardire e con senno sostenuto -l’onore di sua corona, e avendosi sottoposto, -come nel primo libro narrammo, gli altri -re de’ barbari che gli erano vicini, cioè quello -di Costantina e quello di Buggea i quali tenea -in prigione, cadde in malattia da tosto guarire; -ma la rabbia e la cupidigia del signoreggiare -accese gli animi de’ figliuoli, che per nobiltà -doveano a lui a tempo succedere, e sì lo strangolarono. -E morto lui, il maggiore di loro d’età -di sedici anni nominato Bugale prese la signoria, -e fessi coronare, ma non con volontà e -amore di tutti i baroni. Per la qual cosa alquanti -di loro, e non de’ minori, s’accostarono all’altro -<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span> -fratello ch’era di meno giorni, cioè d’età -di dieci anni, il quale era oltre a quello che -tale età richiedea e intendente e astuto; e il -suo nome era Bestiezti, e a lui dissono: Quando il -padre tuo fu fatto re, per potere regnare senza -sospetto de’ suoi fratelli, a venticinque fece tagliare -la testa, e così pensa che tuo fratello farà -a te: e però, se vogli seguire nostro consiglio, -noi ti faremo re colla nostra potenza, se tu ci -prometti di fare morire lui. La cagione di questo -fu, ch’e’ dicea che i baroni non guidavano bene -i fatti del reame. Il giovane per venire alla corona -con tutto il suo consiglio a ciò s’accordò. -Perchè essendo ancora il re giovane debole nella -signoria nuova, e poco da sè accorto e meno -avvisato, fu da’ baroni preso per comandamento -del fratello, e come patricida saettato, sicchè in -piccolo tempo spacciò il regno acquistato col micidio -del padre, e sè di vita. Gli altri fratelli vedendo -questo crudele principio fuggirono in Sibilia, -e ’l minore fatto re, colla sua forza rimase -nelle mani de’ baroni, perocchè non era in tempo -da potere nè da sapere governare il reame. -Con questa malizia fu il maggiore fratello abbattuto, -onde molti de’ baroni avendo il re fanciullo -a vile, occuparono assai delle giurisdizioni del -reame. Di questo seguette, che uno antico barone -e di grande seguito di fuori di Fessa si fece fare -re alla setta sua, e cominciò a guerreggiare il -giovane re. Sentendo Suscialim fratello del re -Buevem morto, come dicemmo di sopra, il quale -era fuggito in Sibilia, questa divisione de’ baroni, -richiese il re Pietro di Sibilia d’aiuto, il -<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span> -quale li fece armare due galee e valicò a Setta, -e là fu ricevuto come re; e avendo aiuto da’ paesani -se n’andò a Fessa, ove il giovane re era -con poco aiuto e consiglio; e però giunto a Fessa -fu ricevuto come re; e disposto il fratello, e -messo in prigione, e accolte maggiori forze andò -contro al barone che s’era fatto re, il quale -brevemente fece morire, ed egli rimase libero -signore del reame della Bellamarina: e questo -avvenne nel detto anno 1358. È vero che quando -morì il gran re Buevem, che i re che avea -in prigione furono lasciati, e ripresonsi i loro -reami di Buggea e di Costantina: e il reame -di Tremusi si rubellò, e tornossi allo stocco de’ re -usati. -</p> - -<h3 id="capCI-8">CAP. CI. -<span class="smaller"><i>Come i cardinali ch’erano in Inghilterra -si tornarono a corte.</i></span></h3> - -<p> -Essendo il cardinale di Pelagorga e quello di -Roma messer Iacopo Capocci in Inghilterra, per -seguire l’accordo de’ due re della pace ordinata -con titolo di santa Chiesa, e ’l cardinale il quale -fu cancelliere del re di Francia, il quale stava -di là in proprio servigio del detto re, avvedendosi -l’uno dì dopo l’altro che l’operazioni del -re d’Inghilterra erano a impedire, che la moneta -che si dovea pagare per lo re di Francia, e li -stadichi che si doveano dare non si fornissono; -e vedendo che il detto re mantenea in arme e -in preda, e in grave intrigamento de’ paesi di -<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span> -Francia, il re di Navarra, e che di continovo li -aggiugnea forza de’ suoi Inghilesi, per modo che -i baroni colle comunanze di Francia non aveano -destro d’accogliere la moneta nè di mandare li -stadichi; e avendo di ciò per più riprese richiesto -il re d’Inghilterra che vi mettesse ammenda, -ed egli risposto loro, che nol potea fare; temendo -che sotto l’ombra del dimoro non s’apparecchiasse -loro più vergogna che onore, se ne partirono: -e per la loro partita senza frutto feciono -manifesto, che piuttosto guerra che pace dovesse -seguitare; come poi n’addivenne, secondo che -a suo tempo racconteremo. E questo fu del mese -d’ottobre del detto anno. -</p> - -<h3 id="capCII-8">CAP. CII. -<span class="smaller"><i>Della pace da Sanesi a’ Perugini.</i></span></h3> - -<p> -Essendo dibattuti i Perugini e’ Sanesi nella -loro guerra novella, come per noi addietro è fatta -memoria, essendo continovo il comune di Firenze -in sollicitudine di mettere tra loro pace -co’ suoi ambasciadori, e inframettendosi anche -il legato di Romagna di questa materia, all’ultimo -l’uno comune e l’altro, avendo ciascuno -voglia d’uscire di guerra e di spesa più onestamente -che potesse, si rimisono negli ambasciadori -del legato e de’ Fiorentini, i quali diligentemente -praticarono con catuna parte, per vedere -se modo convenevole si potesse trovare; e trovando -che ’l dibattito era di potersi con alcuno -mezzo terminare; vollono che da catuno comune -<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span> -venissono sindacati, e la fermezza de’ Perugini -di quello, che per loro s’avesse a ordinare di -Montepulciano, e da’ Sanesi di Cortona: e avuti -i sindacati e le cautele che domandarono, diedono -la sentenza, e tennonla segreta, e feciono -a catuno comune pubblicare la pace, e sicurare -le strade e’ cammini, e feciono pubblicazione in -catuna città, e in Firenze fu celebrata solennemente -dì ultimo del mese d’ottobre del detto anno: -dappoi si manifestò la sentenza, e fu in questo -modo. Che tra i detti comuni dovesse essere ferma, -e buona e perpetua pace, e che i Perugini dovessono -lasciare libera la terra di Montepulciano -a’ suoi terrazzani, e dovessono patere mettere in -Cortona da indi a quattro anni di tempo in tempo -podestà, e dove i Cortonesi non lo volessono, dovessono -dare il salario al detto podestà, il quale -era di lire quattrocento l’anno, e dovessono i detti -Cortonesi ogni anno de’ detti quattro anni dare -a’ Perugini un palio di seta e che i Sanesi infra -cinque anni non potessono mettere podestà in -Montepulciano, ma lasciare la terra libera, e da -cinque anni in là vi dovessono mettere podestà, -ed avere il censo usato. Quando dopo la pace predetta -ne fu fatta pubblicazione, e l’uno e l’altro -comune se ne mostrò in grande turbazione, -e ciascuno mandò solenne ambasciata a Firenze -per fare rivocare la detta sentenza. Il comune -di Firenze sentendo, che nel praticare della cosa -gli ambasciadori de’ detti comuni erano stati -quasi in concordia di questo, e che di nuovo non -vi s’era fatto fuori che ’l termine e ’l modo -delle signorie, riprendendo onestamente i detti -<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span> -comuni in persona de’ loro ambasciadori, rispose, -che intendea che si osservasse la pace; ma -però non rimasono in vista contenti i detti comuni, -benchè novità di guerra non movessono -insieme. -</p> - -<h3 id="capCIII-8">CAP. CIII. -<span class="smaller"><i>Come il cardinale tornò in Italia.</i></span></h3> - -<p> -Io non posso fare ch’io non ripeta talora in -alcuna parte le cose già dette, non per crescere -scrittura (perocchè le cose notabili che occorrono -continovamente tanto abbondano, che assai -di spazio prendono nel libro) ma per giugnere -insieme e le vecchie e le nuove cagioni, -che ne’ principii non conosciute, o conosciute e -non debitamente curate, o che peggio diremo, -per grazia o potenza de’ cittadini con infiniti -colori trapassate, hanno danni incredibili e pericoli -gravissimi più volte giattato, e ridotta nostra -città in temenza di non perdere sua libertà. -E tutto che lo scrivere aperto in sì fatte materie, -massimamente per lo pugnere cui tocca, dalli -pochi intendenti paia ch’abbia in sè materia -di cruccio e malevolenza, che nel vero appo li -savi no; ma pure così fare si dee da qualunque -per beneficio di sua città, e forse dell’altre prende -la cura di scrivere; perocchè tacere il male, -e solo il bene mettere in nota, toglie fede alla -scrittura, e fa l’opera di meno piacere e profitto, -e se sottilmente si guarda, forse è dannoso, perocchè -li rei sentendo occultare le loro opere più -<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span> -baldanzosamente procedono al male, e di sè fanno -specchio a coloro che devono venire a invitarli -per l’impunità del segreto peccato alle -pessime cose, d’onde tema d’infama li suole talora -ritrarre, e il comune, per non essere avvisato -delle malizie passate, con meno cautela e -meno consiglio procede in quelle che li sono -apparecchiate dinuovo. Questo parlare a molti -forse parrà di soperchio in questo luogo, ma se -si recheranno alla mente, per li ricordi che -sono fatti e nelle vecchie e nelle nuove scritture, -i modi per li nostri cittadini per l’addietro -alcuna volta tenuti, troveranno, che chi per -ottenere beneficii ecclesiastici, chi per essere tesoriere -e capitano nelle terre della Chiesa di Roma, -non solo hanno consigliato che sia dato -aiuto e favore non dico alla Chiesa di Dio, che -si dee sempre fare, ma ai forestieri, che sotto -nome di duchi, conti, e capitani, o legati di -papa, o altri titoli onesti nel nome ma tiranneschi -nel fatto, della povertà di Provenza sono -passati a signoreggiare i nobili e famosi paesi -d’Italia, ma hanno sforzato o in uno o in altro -modo e sospinto il nostro comune disonestissimamente -a ciò fare. Il di che è più volte seguito, -che essendo il mondano e temporale stato della -Chiesa di Roma colla forza del nostro comune in -Italia ingrandito e montato in sommo grado di -signoria, i governatori d’essa insuperbiti, posto giù -ogni religione e ogni vergogna, come ingrati e -sconoscenti de’ beneficii ricevuti, a leggi e costumi -di malvagi tiranni, hanno cerco con trattati e -tradimenti per occulte e coperte vie, infino a venire -<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span> -in palese a volerci sottomettere a loro signoria, -e torre nostra libertà; il perchè è stato di necessità -al nostro comune, per difendere suo stato -e giustizia, spendere milioni di fiorini, e che è -stato peggio, operarsi contro alla Chiesa di Roma, -che ne diè il segno di parte, sicchè si può -dire quasi contro a sè stesso; e quanto che così -suoni il grido, il vero è stato, che non contro a -Chiesa, ma contro a malvagi pastori e mondani; -e certo questo non è stato in pensiere a -quelli che hanno fatto procaccio delle prefende -e d’altre cose, che dicemmo di sopra. Or seguendo -nostro trattato, conoscendosi per lo papa -e per lo collegio de’ suoi cardinali, i quali aveano -rivocato da sua legazione il legato di Spagna -e posto in suo luogo l’abate di Clugnì, che esso -abate era uomo molle, e poco pratico e sperto, e -sì nell’arme e sì nelle baratte che richeggiono -gli stati e le signorie temporali, e che per tanto -era poco ridottato e meno ubbidito, parendo -loro che suo semplice governo poco atto fosse -ad acquisto, e pericoloso a sostenere le terre che -la Chiesa avea racquistate nella Marca e nella -Romagna, diliberarono di rimandare il cardinale -di Spagna in Italia con più pieno e largo -mandato che per lo addietro, e così seguette; il -quale, tutto che fosse sagacissimo e astuto signore, -non senza consiglio de’ nostri cittadini, -di quella natura della quale avemo di sopra -parlato, fè la via per Firenze, dove fu a costuma -di papa pomposamente ricevuto con processione, -e palio di drappo ad oro sopra capo, -addestrato da’ cavalieri, e con altre ceremonie -<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span> -usate in simili casi per lo nostro comune, che -piuttosto in atto d’arme che d’uficio chericile -era mandato; li donarono due grandi destrieri, -l’uno tutto di ricca e reale armadura coverto, e -tanti altri doni, che passarono i milledugento -fiorini d’oro. Giunto a Firenze, scavalcò a casa -gli Alberti; e sentendosi in Firenze che ’l paese -ov’era destinato avea gran bisogno di lui, per -tutto si credette che giunto prendesse viaggio, -ma coll’usato consiglio de’ nostri cittadini rimase -a Firenze per spazio d’un mese, segretamente -cercando l’accordo della compagnia, e lega -col nostro comune, nella quale offerea il signore -di Bologna, e tutto facea a suo vantaggio, e a -mal fine e dannaggio di nostro comune; la qual -cosa conosciuta ruppe il ragionamento, e il legato -ciò molto ebbe a male, e si mostrò di partire -malcontento dal nostro comune, avendo al servigio -di santa Chiesa del continovo dai cinquecento -a’ settecento cavalieri di quelli del comune di -Firenze. -</p> - -<h3 id="capCIV-8">CAP. CIV. -<span class="smaller"><i>Come messer Gilio di Spagna parlamentò col -signore di Bologna.</i></span></h3> - -<p> -Partito il legato di Firenze, a dì 26 di dicembre -detto anno, cavalcò dalla Scarperia, e poi -traversò per l’alpe, per non appressarsi a Bologna, -acciocchè ’l signore di Bologna non prendesse -gelosia, e andò a Castelsanpiero; e ivi il -signore di Bologna messer Giovanni da Oleggio -<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span> -gli si fece incontro bene accompagnato di gente -d’arme, e ricevettelo onorevolmente in Castelsanpiero. -E ivi essendo amendue, pochi giorni -appresso feciono parlamento, ove furono ambasciadori -del marchese di Ferrara, e della gran -compagnia, e d’altri signori e comuni, nella -quale in effetto nè de’ fatti della compagnia, nè -del signore di Forlì niuna concordia pigliare si -potè. Il conte di Lando venuto in Forlì per trovarsi -di presso al legato s’arrestò ivi, e così -niente fatto si partirono; il legato si tornò a -Imola, e gli altri alle luogora loro. -</p> - -<h3 id="capCV-8">CAP. CV. -<span class="smaller"><i>Come la compagnia si condusse per -la Romagna.</i></span></h3> - -<p> -Del mese di novembre sopraddetto la compagnia -si partì dalla Massa e andonne a Savignano, -dove per difetto di vittuaglia stette poco, e -passò in quello d’Arimini, ove consumato in -breve tempo quello che accogliere poterono, -per forza di fame più giorni strettamente patita, come -arrabbiati combatterono il castello di Sogliano, -nel quale era assai roba da vivere, e quello -vinsono, e uccisono senza misericordia niuna -centoventitrè abitanti. E per la vittoria di quello -sormontati in orgoglio combatterono il Poggio -de’ Borghi, e vinsonlo, e uccisono centocinquantacinque -uomini. Veggendo vinto le fortezze -maggiori e più atte a difesa, per paura le castellette -vicine tutte s’abbandonarono, nelle -<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span> -quali senza contrasto entrarono i nemici, ciò furono -Raggiano, Strigaro, Montecongiuzzo, Compiano, -e Montemeleto, e più altre terre poste in -fortissimi luoghi in sulla stinca della montagna, -ove trovarono grande abbondanza di tutta la roba -da vivere. E però quivi s’arrestarono lungamente, -tenendo in continovo sospetto il comune di -Firenze, che temeano non scendessono l’alpe dalla -Faggiuola al Borgo a Sansepolcro, e per quella -di Bagno, e per questa temenza il comune di -Firenze vi pose quello riparo che si potè e di -gente e d’amici. -</p> - -<h3 id="capCVI-8">CAP. CVI. -<span class="smaller"><i>Dello stato della Cicilia.</i></span></h3> - -<p> -Se bene si cercheranno le nostre scritture, e -metterassi incontro tra le ree e buone fortune, -troppo avanzeranno le sinistre le felici e avventurose, -che appena si troverà non dirò uno mese -dall’anno, ma uno dì solo, che tra’ cristiani, in -qualche parte della terra che per loro si possiede, -qualche pessima cosa e degna di nota surta -non sia. Noi avemo per più riprese poco addietro -parlato delle travaglie de’ nostri paesi e parte -di quelle de’ Franceschi, e se intra esse fosse -stato punto di tempo quieto o tranquillo; quello -medesimo è stato negli altri paesi pericoloso -e turbato, perocchè ne’ detti tempi sono mescolate -le volture della Cicilia, la quale quasi del -tutto divisa, e piena di scandali e di riotte, in continove -guerre sboglientate, l’una parte e l’altra -<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span> -perseguitata con quello poco di gente che loro -era rimasa, con guerra sanguinente e mortale, -quelli di Messina si sono fatti capo di parte, e -così hanno fatto quelli di Catania, senza redenzione -offendendo l’uno l’altro, perchè n’è seguito -gran danno di persone con piccolo vantaggio, -e senza notabile acquisto o d’una o d’altra -parte. -</p> - -<h3 id="capCVII-8">CAP. CVII. -<span class="smaller"><i>Del male stato del reame di Francia.</i></span></h3> - -<p> -Il paese di Francia dopo la morte del proposto -de’ mercatanti, e de’ suoi compagni e seguaci, -non prese alcuna fermezza di buono stato, ma -per contrario si ritrovò in grande confusione, -che il Delfino non era amato nè ubbidito come -signore nè dal popolo nè da’ baroni, e non ostante -che lo tenessono per loro capo, poco era -grazioso nel cospetto de’ grandi e de’ piccoli; e -oltre a ciò per li trattati già scoperti stava in -sospetto e paura, e per questa cagione poco potea -provvedere, e meno atare il paese da’ suoi -nemici. D’altra parte il re di Navarra si mantenea -di fuori correndo e predando intorno a Parigi -e altre ville circustanti senza trovare contasto -fuori che delle mura, e continovamente -sua gente cresceva d’Inghilesi, e sì di gente paesana -pronta e disposta a mal fare; e per questo -si scorse il paese, che fuori di Parigi e d’altre -città e fortezze di Francia non si potea andare, -che gli uomini non fossono presi. Il Delfino, come -<span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span> -detto è di sopra, non potendo a tanto male -porre rimedio, e temendo di tradimento, il quale -poco appresso si scoperse, stava a riguardo, e -aspettava si mutasse fortuna. -</p> - -<h3 id="capCVIII-8">CAP. CVIII. -<span class="smaller"><i>Di mortalità d’Alamagna e Brabante.</i></span></h3> - -<p> -Essendo ancora il braccio di Dio disteso sopra -i peccatori non corretti nè ammendati per li -suoi terribili giudicii a tutto il mondo palesi, e -per gastigarli e riducerli a migliore vita, nel detto -anno nel tempo dell’autunno ricominciò coll’usata -pestilenza dell’anguinaia a flagellare il -ponente, e molto gravò in Borsella, che del mese -d’ottobre e di novembre vi morirono più di -millecinquecento borgesi, senza le femmine e’ -fanciulli, che furono assai. Ad Anversa, e a -Lovano, e nell’altre ville di Brabante il simile -fè. Non toccò la Fiandra, poichè altra volta non -era molto stata gravata, e però Brabante più ne -sentì; e per simile modo avvenne nella Magna a -Basola, e in altre città e castella infino a Boemia -e Praga, le quali dalla prima mortalità non erano -state gravate. In questi tempi fu ne’ nostri paesi -in Valdelsa, e in Valdarno, di sotto, e nel Chianti, -quasi come l’anno dinanzi passato, generali infermità -di terzane, e di quartane, e altre febbri di lunga -malattia, delle quali pochi morivano. Di ciò si -maravigliarono le genti di Valdelsa e di Chianti, -perchè sono in buone arie e purificate, perchè -due anni l’uno appresso l’altro fossono maculati -<span class="pagenum" id="Page_148">[148]</span> -di simili infermitadi, non conoscendo alcuna -singulare cagione di quello accidente. -</p> - -<h3 id="capCIX-8">CAP. CIX. -<span class="smaller"><i>Di giustizia fatta in Parigi.</i></span></h3> - -<p> -E’ non è da maravigliare della crudeltà de’ tiranni, -a cui li savi e valorosi cittadini sempre -furono paurosi e sospetti, s’e’ si dilettano nello -spargimento del sangue innocente, per mantenere -colla spaventevole rigidezza della infinta -giustizia in sicurtà la gelosia del loro stato violento, -e per tanto sospetti, e poco accetti a’ sudditi, -e sottoposti a molti aguati e ruine. Ma di -certo è da prendere singulare ammirazione, quando -questo iniquo animo cade nel sangue reale -per lo titolo della naturale signoria, la quale suole -essere mansueta e benigna, e con umanità, -eziandio offesa, trattare i sudditi suoi. Questo diciamo, -perchè del mese di novembre detto anno, -essendo il Delfino di Vienna nella città di -Parigi, per sospetto d’alcuno trattato, del quale -chiara verità non si potea sapere, fece pigliare -il conte di Stampo parente del re di Navarra, e -’l conte di Rossì, e ventisette borgesi di Parigi, -dicendo, che trattavano contro a lui col re di -Navarra. Per questi borgesi l’università di Parigi -turbata e commossa, mandarono il proposto -de’ mercatanti con altri de’ maggiori borgesi al -Delfino per riaverli, con dire che non erano in -colpa. Il Delfino rispose, che dove non fossono -in colpa, non bisognava loro di temere, e che -<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span> -sopra ciò procederebbe temperatamente infino -ch’avesse la verità del fatto. E per questo savio -modo racquetato il primo bollore del popolo, poco -appresso, dicendo che li trovava colpevoli, -tutti i detti borgesi fè decapitare; i conti riserbò -in prigione. Di ciò la comunanza fu mal contenta, -e mormorava, ma per paura catuno, non -avendo capo a loro modo, soffersono il nuovo -gastigamento del vecchio peccato, comportandolo -senza altra novità, più per servile pazienza che -per onorare o piacere al loro signore. -</p> - -<h3 id="capCX-8">CAP. CX. -<span class="smaller"><i>De’ dificii fatti a sant’Antonio di Firenze.</i></span></h3> - -<p> -Io non so s’egli è da lodare o da biasimare il -prelato che spende negli edificii magnifichi il danaio -che trae del beneficio a lui conceduto, perocchè, -secondo che dicono gli antichi decreti -de’ santi padri, il prelato dee fare delle rendite -sue tre parti; l’una dee spendere nelle sue bisogne, -l’altra dee distribuire a’ poveri, e dell’altra -dee racconciare la Chiesa, quanto si richiede a -onestà di religione fuori di pompa mondana: -ma considerato che tutti coloro che prendono -frutti de’ beni della Chiesa delicatamente ne -vivono, e quello che loro avanza ai loro congiunti -dispensano, e poco si curano perchè rovinino -le Chiese, o perchè i poveri di Dio si -muoiano di fame, assai è da considerare intorno -a quello che qui è nel principio proposto. E -certo, se vento di fama mondano non levasse in -<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span> -alto alquanti che hanno ne’ beneficii loro rilevatamente -edificato, più sono da lodare che da -biasimare, secondo il corso della Chiesa terrena -lussuriosa e avara, al cui esempio assai disonesto -e dannoso i secolari, che sono ghiotti de’ beni -terreni, vivendo trascorrono in grandi e disordinati -peccati. Questo tanto sia detto non per -correzione, che non la vogliono udire, e nostro -uficio non è predicare, ma per argomento alla -materia che segue. Messer frate Giovanni Guidotti -comandatore nella nostra provincia nell’ordine -di sant’Antonio, nato nella città di Pistoia -non di legnaggio gentile ma di meno che comune, -uomo secondo suo stato d’animo grande e -liberale, avendo de’ suoi beneficii accolta -moneta assai, la quale secondo l’uso corrotto, del -quale avemo parlato di sopra, poteane ne’ suoi -prossimani convertire, la spese negli edificii magnifichi -e nobili, i quali in questo anno fè cominciare -al luogo dell’ordine suo posto presso -alla porta a Faenza, ne’ quali convertì gran danaio. -Avemone fatta memoria in rimprovero -dell’avarizia di molti prelati, i quali spogliano -le Chiese che ne’ paesi loro e ne’ forestieri a -loro sono concedute, non curando nè l’ira di Dio -nè l’infamia del mondo. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span> -</p> - -<h2 id="libro9">LIBRO NONO</h2> - -<h3 id="capI-9">CAPITOLO PRIMO. -<span class="smaller"><i>Il Prologo.</i></span></h3> -</div> - -<p> -Volendo seguire il costume dello scrivere per -noi cominciato, dovemo alcuno prologo fare al -nono libro di nostra opera; e perchè di cose occorse -in questi tempi niente degno di notabile -fama ci si apparecchia d’onde torre principio -atto a proemio, ci trarremo alquanto addietro a -materia che assai maravigliosa ci pare: e per -meglio dare a intendere quello che ci va per la -mente, mescoleremo delle strane vecchie con le -nuove. Trovasi nell’antiche ricordanze, e massimamente -nelle romane, che per cupidigia di -temporale signoria, sott’ombra d’acquisto d’onore -mondano e di fama, i re, li principi, li tiranni, -e, che meno pare credibile, i popoli liberi, -sotto il governo de’ consoli, senatori, e tribuni, e -altri rettori al tempo delli falsi iddei e mendaci, -senza niuna giusta cagione, con grandi apparecchiamenti -di legioni armate assalivano li reami, -le provincie, e le cittadi che si voleano posare -e vivere in libertà sotto loro leggi e costumi, -<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span> -prendendo e distruggendo con ferro e con fuoco -chi loro s’opponea, e per forza recavano tutti in -servaggio. Ancora si trova che molte salvatiche -e barbare nazioni, o per essere di soperchio ne’ luoghi -di loro origine multiplicati, o per fuggire i -loro luoghi poveri e bretti paesi, o per essere di -quelli violentemente cacciati (come occorse al -buono Enea Troiano, e a molti altri nobili e potenti -signori) con loro donne e famiglie passarono -in paesi forestieri, per acquistare sito dove -si potessono alloggiare; e per ciò potere conseguire, -cose grandi e pericolose in fatti d’arme, alte e -rilevate feciono, come ne manifestano l’antiche -scritture, e massimamente quelle de’ Gotti e -de’ Longobardi. Queste cose inique e scellerate, -tuttochè n’avessono alquante scusa di presa di -necessità, la quale a niuna legge pare sottoposta, -hanno alquanto di colorata giustizia; nondimeno -da’ savi gentili assai è biasimata e ripresa: e -certo a noi cristiani pare, che la giustizia di Dio -debitamente per l’abominevole peccato della idolatria..... -Ma chi difenderà il tempo della -grazia? cioè il tempo cristiano; sozzamente maculato -dalle orribili persecuzioni da’ micidii di.... -predatori, e distruggitori, che già anni quarantasei, -o in quel torno, sotto piacevoli nomi di compagnie -in diverse parti della cristianità, sotto loro -capitani e conducitori raunati, hanno tribolato e -afflitto, ed usurpato e guasto i reami, le provincie, -città e ville, rubando, ardendo, e uccidendo -senza niuna misericordia ogni maniera di gente. -Chi crederà che tanti signori nobili e gentili -uomini, tanta buona gente d’arme si sia accozzata -<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span> -co’ ribaldi, e ladroni, e vile gente, pronta -e disposta allo spargimento del sangue umano, -e a fare ogni male che pensare si possa per scellerata -persona? Certo egli è cosa inenarrabile, e -incredibile a pensare, che questa malvagia gente -rinnovandosi di tempo in tempo sotto nuovo governo, -e sotto diversi e varii titoli di compagnie, -senza trovare contrasto o resistenza abbia corsi -i paesi cristiani, e fatto ricomperare i signori e’ -comuni, avendo ognuno per di grato a nemico, -sostenendo e per fame e per freddo e per altre -cagioni tormenti, martirii e affanni da loro fede -a chi ne facesse memoria di questa pistolenza. -Alquanti savi uomini vogliono dire, che il movimento -del cielo, e la congiunzione di certe pianete -ne sieno state cagione. Altri, a cui noi assentiamo -come a più veritieri, affermano ciò -avvenire per giusto giudicio di Dio, il quale dice: -Io farò la vendetta de’ nemici miei co’ nemici -miei; e l’empio regnerà per li peccati de’ popoli. -Le cagioni dell’ira di Dio, come pubbliche -e manifeste le tacemo, e se pure ne volessimo -dire, basti sotto il fascio di poche parole di dire -cotanto, che secondo il pensiere di molti discreti -mai non fu il mondo peggiore, ne più contaminato -d’ogni vizio, e maggiormente di quelli che -più sono odiosi e dispiacevoli a Dio. Potrebbesi -dire il mondo crudele, senza niuna carità o amore; -e chi volesse questo testo chiosare, a suo modo -e piacere lo si chiosi, che dire non potrà -tanto male che assai peggio non sia. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span> -</p> - -<h3 id="capII-9">CAP. II. -<span class="smaller"><i>Come la compagnia si partì da Sogliano -e ricevettene danno.</i></span></h3> - -<p> -Tornando a’ processi della compagnia e a’ suoi -andamenti, avendo vinto per battaglia il castello -di Sogliano, e alquante altre castellette della -montagna, come addietro dicemmo, essendosi in -quello alloggiati, per vernare o per sentore di -nuova civanza, o perchè loro paresse stare oziosi -non facendo qualche male, o per rigoglio, com’erano -usati, tutta la roba che per lo paese -poterono raccogliere raunarono, e arsono l’altre -castella delle quali dubitavano che non offendessono -Sogliano; e volendo mostrare una -singulare confidanza de’ terrazzani di Sogliano, -loro raccomandarono tutta la detta roba, e più -di cento di loro compagni ch’erano malati, e -de’ buoni e valenti che fossono nella brigata, -facendo buone e larghe promesse a quelli di -Sogliano, come se fare volessono quello luogo -loro camera o ridotto, e fare certo chi dentro vi -fosse; e ciò fatto presono viaggio, e si passarono -sopra Rimini assai presso alla terra, e’ paesani -d’intorno, ch’erano dalla compagnia stati rubati, -e arsi e distrutti, e i loro congiunti e amici o -morti o guasti delle persone, e però, come sentirono -che la compagnia s’era allungata, prestamente -e per forza si ritornarono in Sogliano tutti, -e quanti vi trovarono di quelli della compagnia, -sì de’ malati come di quelli che li servivano, -<span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span> -senza niuna misericordia gli tagliarono e uccisono, -e ciò che trovarono nel castello rubarono -e portarono via, lasciando in abbandono le -mura; e questo occorse del mese di gennaio del -detto anno. La compagnia essendo stata alquanti -giorni sopra Forlì in molti disagi, sì per le nevi -ch’erano grandi, e sì perchè trovarono nel -paese poca roba a tanta brigata, si partirono di -quindi, e appressaronsi a Forlì, e in Forlì dal -popolo per comandamento del capitano ebbono ricetto, -e rinfrescamento di pane e di quello, che -dentro v’era riposto. Questo facea il capitano, -perchè ogni altra speranza di difesa dal legato, -fuori che di questa compagnia, del tutto gli era -mancata; di che più curando di suo stato, che -sè o ch’e’ suoi sottoposti e servidori, con loro -mescolò molte fiate la scellerata compagnia, con -danno e con vergogna e disagio grande de’ suoi -cittadini. -</p> - -<h3 id="capIII-9">CAP. III. -<span class="smaller"><i>Come il comune di Firenze diede balía -a’ cittadini contro alla compagnia.</i></span></h3> - -<p> -Vedendo il comune di Firenze che la mala -brigata della compagnia sempre crescea, e che il -verno passava, e appressavasi il principio della -primavera, sicchè il tempo s’adattava alla guerra; -e sentendo che il conte di Lando, come -persona offesa, forte si dolea del nostro comune, -e che esso e la compagnia per assentimento comune -forte ne minacciavano, e che mai campo -<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span> -non si mutava che tutti non gridassono a Firenze, -a Firenze; e volendosi provvedere sicchè -al tempo si trovasse sufficiente e in punto di -potere rispondere alla potenza e al mal volere -della detta compagnia, ed essendo perciò necessario -di trovar modo come abbondanza di pecunia -venisse in comune senza gravezza e offesa -de’ cittadini, a dì 12 di gennaio gli anni 1358, -provvidono per gli opportuni consigli che si facesse -il quarto monte, ciò fu una prestanza generale -di fiorini settantamila d’oro alle borse -possenti, e chi prestasse per sè o per altrui, -fosse scritto nel detto monte a creditore del comune -nell’uno tre, e avesse di provvisione il -danaio per lira il mese, che venia a ragione di -cinque per cento degli scritti, e de’ prestati a -ragione di quindici per centinaio, con le immunitadi -e privilegi degli altri monti; e perchè la -cosa avesse esecuzione prestamente, feciono sedici -uficiali, quattro per quartiere, con larga e -piena balía a potere accattare quanta moneta paresse -loro; i quali uficiali senza perdere tempo -di subito composono settantamila fiorini d’oro, -e poco appresso ne posono cinquantamila fiorini -d’oro, i quali tutti si ricolsono in piccolo tempo -e interamente, e i risidui per tutto il mese di dicembre -1359, con tanta pace e buono volere, -che a niuna persona non fu nè guastagli casa, nè -eziandio mandatoli messo, l’uno per l’altro pagava -prendendo vantaggio, e il comune rispondea -del dono e interesso fedelmente a’ tempi -ordinati. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span> -</p> - -<h3 id="capIV-9">CAP. IV. -<span class="smaller"><i>Come procedette la compagnia in Romagna.</i></span></h3> - -<p> -Poichè preso ebbe la compagnia per alquanti -giorni rinfrescamento in Forlì, per non consumare -il gentile uomo, che era a stretti bisogni, -e loro dava ricetto, non ostante il tempo fosse -per le nevi e freddure a gente d’arme malagevole, -si partì, e misesi sulla marina sopra Pesero -e Fano, stendendosi fino alle coste di Montefeltro; -e loro convenia così fare, perchè la gente -era molta, e per lo disagio delle nevi non poteano -stare insieme, e sufficiente vittuaglia per loro -e per la brigata loro non poteano avere, e per lo -piccolo luogo non poteano trovare bene loro agio -ancora da quelli di Montefeltro pagando derrata -per danaio, e il freddo pugnente e nevi sopra -nevi loro facea portare grande penitenza de’ loro -misfatti. Molti uomini d’arme, mai più -de’ saccardi, per lo brusco tempo, e per lo disagio -e mala vita, non provveduti si morirono; e -grande parte de’ loro cavalli si guastarono per -difetto di strame, e per lo mangiare del grano, -ch’altra biada non aveano che dare loro; e -perchè a loro li convenia tenere al sereno, e al -ghiaccio e alla neve senza coverta; ben s’atavano -quanto poteano con gran fuochi d’ogni legname, -sicchè si poteano dire mezzi sconfitti dal -tempo. Questo loro pessimo stato li fece fallire, -che non ostante che da Montefeltro fossono di -vittuaglia per li loro danari sovvenuti, per inganno -<span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span> -entrarono in Montedifabri, ove alquanto di -roba trovarono che un poco rendè li spiriti loro, -ma non potendo più nel luogo durare, si -traslatarono intra Iesi e Sinigaglia, e in quel luogo -ebbono trattato d’acconciarsi al soldo col -duca d’Osteric, che, come addietro dicemmo, -era stato titolato dall’imperadore re de’ Lombardi, -ma non ebbe luogo, perchè domandavano -soldo impossibile alla borsa del duca. Ma per -dare a intendere se fu la verità se ’l verno fu -freddissimo e aspro, in Bologna tanto alzò la -neve, che comunemente giunse all’altezza di -braccia dieci, onde per ricordanza in piazza si -fece una grande volta sotto la neve, nella quale -si fece convito e festa per certi giovani ricchi, -per ricordanza della grande neve. Passando di -luogo in luogo la detta compagnia con angoscia -e con fatica, in su l’uscita di febbraio, tirando -verso Fabriano, s’arrestò alla Roccacontratta, -facendo secondo il loro uso, ma non trovando -quivi vittuaglia che a loro fosse bastevole, -eziandio per piccolo tempo, presono il passo -della terra a Santagnolo, il quale avvisatamente -fu loro conceduto, perchè avessono cagione di -più tosto uscire del paese. E stando la compagnia -in queste travaglie, il cardinale di Spagna legato -del papa senza assento del nostro comune, -continovo con la detta compagnia cercava convegna, -e ’l nostro comune si provvedea e ordinava -alla difesa, poco curando minacce, e con -balestrieri e fanti intendeano alla guardia de’ -passi, guardando i valichi e i luoghi che di -Romagna poteano dar loro via a venire sul nostro -terreno. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span> -</p> - -<h3 id="capV-9">CAP. V. -<span class="smaller"><i>Di novità state tra’ signori di Cortona.</i></span></h3> - -<p> -La signoria di Cortona, la quale lungo tempo -è durata nella famiglia di quelli da Casale, per -successione era venuta in due fratelli carnali, -de’ quali l’uno avea nome Bartolommeo, e per -senno e per età era il maggiore, in lui cantava -il titolo della signoria, tutto che le rendite rispondessono -egualmente a lui e al fratello che -avea nome Iacopo, il quale avea per moglie la -figliuola di messer Francesco Castracani di Lucca; -la quale essendo di questa vita passata, Iacopo, -come uomo di vita dileggiata e disonesta, -si tolse per moglie una femmina mondana, la -quale s’avea tenuta due anni innanzi la morte -della donna sua fuori de’ loro casamenti, e ciò -fatto procedette più oltre, e volea la femmina -vituperosamente ne’ palagi abitare con la donna -di Bartolommeo, ch’era di gentile legnaggio, e -d’animo grande e di vita onesta e signorile, la -quale in niuno modo il volle patire; onde intra’ -fratelli nacque riotta, e della riotta col favore -e consiglio de’ loro amici fu concordia, nella -quale di comune assento dierono in guardia la -rocca a uno che tutto era famiglio di Iacopo, e -a Bartolommeo era confidente amico, con patto -che per loro la dovesse tenere comunemente, e -guardarla, e non darla all’uno senza l’altro. -Segue, che a dì 8 di febbraio 1358, che vedendosi -Iacopo per difetto di gotte impotente della -<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span> -persona, e per tanto dal fratello trattato non bene, -e poco avutolo a capitale, tolse il figliuolo piccolo -di Bartolommeo, e lui menò alla rocca con -due suoi figliuoli e trenta cittadini di suo intendimento -colla signoria. Giunto alla porta, con ingannevoli -e composte industrie condusse il castellano -a farlo aprire, ed entrò dentro colla -brigata, e pinse fuori il castellano, e come fece -follemente l’impresa, così con poca provvedenza -male la condusse, non avendo di fuori ordinato -donde li venisse il soccorso. Sentendo il signore -quello che ’l fratello avea fatto, come savio e -coraggioso, col favore de’ suoi cittadini subito -fece prendere il torrione che dava entrata alla -rocca, e di fuori a campo si mise, fortificando -di fossi e palancati il luogo che non poteano -essere forzati; onde Iacopo, che s’era rinchiuso -in prigione, mancandoli per la mala provvedenza -la roba da vivere, all’uscita di febbraio cercò -patti col fratello, il quale glie le fece volentieri, -per levarsi da dosso i sospetti di fuori e dai pericoli -che in simili casi possono occorrere; li patti -furono, ch’e’ potesse abitare ne’ palagi che allora -erano comuni, e avere certe provvisioni, -e che i suoi seguaci e compagni fossono salvi -delle persone, e in grazia di Bartolommeo; e in -effetto gli fu ogni cosa promesso, ed egli rendè -la rocca, e fu messo ne’ palagi, ma bene guardato, -e tutta sua famiglia li fu levata; ma poi appresso -a due dì, quelli che con lui erano entrati -nel cassero furono morti dal figliuolo del signore, -onde gli altri per lo migliore si cessarono; -sicchè Bartolommeo si rimase libero del tutto signore. -<span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span> -Iacopo vedendosi mal trattare, furtivamente -si partì e andossene a Siena, dove non -avendo dal fratello alcuna provvisione, traeva sua -vita assai miseramente. -</p> - -<h3 id="capVI-9">CAP. VI. -<span class="smaller"><i>Dello inganno fatto per lo legato al comune -di Firenze della compagnia.</i></span></h3> - -<p> -Noi avemo per molte riprese fatta memoria -nelle nostre scritture de’ notabili vizii de’ nostri -cittadini, i quali vizii da avarizia per cupidigia di -loro private ricchezze, e l’utile e l’onore del comune -niente hanno in calere, non sotto speranza che -per loro riconoscenza ammenda ne segua, tanto è -l’usanza corrotta trascorsa e cresciuta per la baldanza -de’ passati cittadini, che sempre straboccatamente -è cresciuta per non essere de’ suoi falli -corretta, ma perchè li diritti e fedeli cittadini -che si ritrovano agli ufici li tengano a freno, se -non colle parole almeno colle fave, non seguendo -loro dissoluti consigli, vogliosi e non liberi, -e alla repubblica dannosi. E certo la materia di -che dovemo al presente fare nota è evidente, -e buono esempio sopra quelli che verranno poi, -se fia con buono zelo fedelmente ricolta. Il legato -di Spagna, benchè di grande animo fosse, e uomo -baldanzoso e di grandi imprese, era savio e discreto, -come nel precedente libro dicemmo; ed -essendo venuto a Firenze, coll’industria e consiglio -de’ nostri cittadini ch’erano a sua provvisione, -più volte tentò con sagaci e be’ modi, -<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span> -che ’l nostro comune prendesse accordo con la -compagnia, non tanto per affezione ch’avesse -all’onore e bene del nostro comune, quanto -per levarsi da dosso la forza loro co’ danari del -nostro comune. E cerco e ricerco, trovato il nostro -comune fermo e costante in volere piuttosto -spendere in sua difesa ogni gran quantità di -danari, che ricomperarsi qualunque piccola cosa -dalla compagnia, per levare via il preso costume -di sì fatta gente, che le città libere di Toscana -e i possenti tiranni aveano recati sotto palese tributo, -vituperio e vergogna de’ signori naturali, -e della antica fama degl’Italiani, e massimamente -del nome romano; seguendo il consiglio -di cui avemo ragionato, all’uscita del mese di -febbraio del detto anno, e per sè e per lo nostro -comune, come avemmo mandato, fermò concordia -colla compagnia, la quale in effetto fu in questa -forma: che a loro darebbe fiorini quarantacinquemila -d’oro per la Chiesa di Roma, il comune di -Firenze fiorini ottantamila, ed eglino infra quattro -anni seguenti non dovessono offendere la -Chiesa nè sue terre, nè ’l detto comune di Firenze, -nè suo distretto e contado; e soggiunse nel -patto, che se infra cinque dì il comune di Firenze, -ricevuta la lettera da lui, non accettasse -liberamente la detta concordia, che ’l detto legato -fosse tenuto loro dare fiorini diecimila. E -questo mercato procedette da sagace consiglio; -perchè li fu dato a intendere, che per la tema -che ’l comune avea della compagnia, veggendosi -dell’impresa abbandonare dal legato, e avendo -poco rispetto e a consigliare e a provvedere per -<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span> -lo favore de’ grandi cittadini, che per diversi rispetti, -come detto avemo, accostavano il legato, -che farebbono sua intenzione, aggiugnendo, -che il nostro comune per reverenza di santa -Chiesa, e di lui, di cosa fatta non gli farebbe vergogna, -ma tutto avvenne altrimenti. Il legato per -due fatti propri significò la detta concordia; la -quale intesa in molti consigli de’ cittadini, quanto -che fosse per alquanti confortata e lodata, in -generale comunemente dispiacque, e fu in singolare -abominazione, e coralmente, per quelli -ch’amavano lo stato e l’onore del comune, perchè -parea che ’l legato volesse guidare il nostro -comune e prendere sua tutela, e più sottilmente -pensando, ombra di tacita signoria; onde il popolo -apertamente parlava in vergogna del legato, -e di comune volere si prese, che la detta convegna -non si accettasse; e risposto fu al legato, che -questa, nè altra concordia con la compagnia il -nostro comune non volea, mostrando l’animo -grande in poco prezzare il nimico: e per non mostrare -cruccio nè sdegno, e per rimuovere il legato -dal proprio nemico (non buono e male consiglio) -di presente crearono solenne ambasciata, -e la mandarono al legato, e condussonlo a tanto, -ch’e’ promise di non fare accordo, e di nimicare -a suo podere la compagnia, avendo il braccio -del nostro comune. Ciò nonostante operava o -per malizia o per senno; e a dì 21 del mese di -marzo si convenne con la compagnia per fiorini -cinquantamila, i quali promise di pagare anzi che -si partissono delle terre della Chiesa. E aspettando -la compagnia prima la concordia, e appresso -<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span> -la detta prebenda, quasi come se avesse a fare -la sua vendemmia, sì s’allargava per lo paese -studiosamente predando e facendo ogni male, e -per quattro riprese combatterono un castello in -su quello di Fermo, e non lo poterono avere; il -perchè il legato s’affrettò di pagare. La compagnia -vedendosi fuori del verno, e rincalzata de’ danari -ricevuti dal cardinale, e nella speranza -d’avere da’ comuni di Toscana, stava baldanzosa, -e a giornate fortemente cresceva sì di gente -a cavallo e di gente tedesca che cassare si faceva, -e sì di gente a piè, che per rubare di volontà -si mettea in brigata; e come per gli effetti di -questa compagnia si vide, gente di sì fatta ragione -poco si cura di fare vendetta di sua brigata, -e molto meno di purgare sua vergogna pure -ch’abbi danari, e chi è morto s’abbi il danno, -e poi è la sua morte vendetta; il perchè seguendo -loro costume, credendo con le grida spaventare -il comune di Firenze e farlo ricomperare, a -ogni piè sospinto con istrida e romore minacciavano -il nostro comune. -</p> - -<h3 id="capVII-9">CAP. VII. -<span class="smaller"><i>Il male seguì per l’accordo fatto dal legato -con la compagnia.</i></span></h3> - -<p> -Sentendo il comune di Firenze per la relazione -de’ suoi ambasciadori che il legato avea fermo -per sè l’accordo con la compagnia, e abbandonato -nell’impresa grande e pericolosa il nostro -comune, forte si dolse, recandosi dinanzi -<span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span> -dagli occhi gli onori fatti a’ prelati ch’erano -passati di qua, e massimamente a costui, e i -danari ch’avea speso per difendere la Chiesa di -Roma in aggrandire suo stato in Italia, nel cui -servigio avea per più anni quasi del continovo tenuti -da quattrocento in cinquecento cavalieri, e -da settecento in ottocento balestrieri, senza il grande -aiuto de’ suoi singulari cittadini, e distrettuali, -e contadini, i quali in meno di sei settimane di -perdono, come s’elli combattessono con gl’infedeli, -e in commessa del papa avea tratti altrui di borsa -fiorini centomila. E quanto che questi servigi -perduti conturbassono assai il nostro comune, quello -che non si potea smaltire era, che ’l comune -avea offerta tutta sua possa al legato a disfare la -compagnia e cacciarla de’ terreni della Chiesa, ed -egli l’avea accettata, e battendo la compagnia -sotto questa profferta, avea fatto mercato, e venduto -loro la parte del nostro comune. Aggiugnesi -a questa novella non buona, ch’e’ Pisani, e’ Sanesi -e’ Perugini per loro segreti ambasciadori cercavano -accordo con la compagnia, e per ciò sturbare -tenea il comune suoi cittadini a confortare -i detti comuni all’unità e alla difesa, mostrando -che la resistenza era la salute de’ comuni di -Toscana che voleano vivere in libertà e in pace; -perocchè levata la speranza del riscatto, quella -gente perversa, che solo per ingordigia di ciò si -ragunava a mal fare, non sarebbono sì pronti a -farsi cassare per fare compagnia; le risposte erano -fratellevoli e buone, e gli effetti in occulto -del tutto contrari, come si manifestò per lo fine. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span> -</p> - -<h3 id="capVIII-9">CAP. VIII. -<span class="smaller"><i>Di molte fosse feciono i signori di Lombardia -per difesa de’ loro terreni.</i></span></h3> - -<p> -Veggendo i signori di Milano li scorrimenti -delle compagnie, e che ’l paese d’Italia spesso -affannato di guerre era, e non era per quotare, -per più sicurtà e fortezza de’ paesi che teneano -sotto loro signoria, con studio e diligenza feciono -fare fossi ampi e profondi, uno in sul Bresciano, -il quale si stendea infino al lago di Garda, e -un altro nel Cremonese, e uno ne ferono fare -in altro paese, i quali, tutto che l’opera fosse -grande e maravigliosa, per lo terreno dolce furono -in breve tempo forniti. E quanto che dalle -cagioni di sopra fossono indotti, più gl’indusse -il sospetto che aveano preso del duca d’Osteric -novellamente titolato re de’ Lombardi, dubitando -che se scendesse con la forza degli Alamanni, -trovando i piani liberi e spediti e senza riparo, -loro offesa non fosse più presta e maggiore; -e di ciò loro aveano fatta l’esperienza la compagnia, -che più volte per quelli luoghi aperti gli -aveano assaliti improvviso, e assai danneggiati. E -il simile fece il signore di Bologna in questi giorni, -facendo fare una spaziosa e profonda fossa -per simigliante temenza. E i Sanesi feciono fare -una via e un ponte sopra le Chiane per avere -libero il cammino d’andare a loro posta a Cortona. -E...... per li signori di Milano, essendo -contrario al signore di Bologna, per avere al bisogno -<span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span> -il passo e ’l foraggio di Lombardia, feciono -fare via alzata in sulle valli con fossi d’ogni -parte, del cui cavo era levata la via; e dove furono -trovate le valli profonde vi si fè ponticelli, -la quale stese per lungo cammino tanto -che la congiunse col Po, la qual via per lo sito -del luogo non potea essere impedita. -</p> - -<h3 id="capIX-9">CAP. IX. -<span class="smaller"><i>Come il re d’Inghilterra dissimulando la pace -cercava la guerra co’ Franceschi.</i></span></h3> - -<p> -Poichè detto avemo, secondo che ’l corso del -tempo richiede, delle fortune e travaglie de’ -nostri paesi, diremo alquanto delle straniere; -e cominciando a quelle di Francia, all’entrata -di febbraio 1358, il re d’Inghilterra, quasi -come tocco di cuore si mosse, e andò dov’era -il re di Francia, e a lui disse onestissimamente -s’egli attendea la pace; il re di Francia onestissimamente -rispose di sì, e che la desiderava. Il -re d’Inghilterra procedendo più oltre disse al -re di Francia, ch’egli era in sua potestà, quando -facesse quelle cose che dovea fare. Il re rispose, -ch’era pronto e disposto, ma il che non -sapea. Allora il re d’Inghilterra per convegna -di buona pace chiese in sua domanda la contea -di Bologna sul mare; e che il re pacificamente -li lasciasse possedere la Guascogna, e certa parte -della contea d’Anghiem, e la Normandia, senza -farne omaggio niuno; e che il conte di Monforte -delle terre che tiene in Brettagna ne facesse -<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span> -omaggio al re d’Inghilterra, e togliesse la figliuola -per moglie; e di quello che tiene nel detto -paese messer Carlo di Brois duca di Brettagna -ne facesse omaggio al re Giovanni di Francia, -com’era usato, e che per ammenda desse fra -certi termini cinquecento migliaia di marchi di -sterlini, che montavano due milioni e mezzo -di fiorini. Il re di Francia, ch’era prigione, consentiva -a ogni cosa per sua diliberanza, ma troppo -era di lungi il potere dal volere, e ciò bene -conosceva il re d’Inghilterra, ma con usata astuzia -inghilese, essendo certo nell’animo suo -che quello ch’e’ domandava fare non si potea, -per potere calunniare il re di Francia di rottura -di pace e di fede, e per potere la sua non diritta -intenzione antipensata adempiere, dovendo secondo -i ragionamenti avuti tra loro passare in -Francia, sotto colore di più presta e spedita esecuzione -della pace, fece fare gride per tutte sue -terre, che sotto la pena del cuore niuno Inghilese -con arme passasse nel reame di Francia, -promettendo di fare tornare tutta sua gente d’arme -che fosse nel reame di Francia. E per mostrare -della detta pace singulare allegrezza, i figliuoli -del re feciono bandire in Londra una giostra, -dove molti signori e gentili uomini dell’isola -a loro richiesta s’appresentarono, con -molta allegrezza e festa di tutto il reame, seguendo -per questa cagione il contrario nel reame -di Francia, come più innanzi del nostro trattato -faremo menzione. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span> -</p> - -<h3 id="capX-9">CAP. X. -<span class="smaller"><i> -Come il re di Navarra tribolava Francia.</i></span></h3> - -<p> -Gli effetti della infinta e non vera pace tra -i sopraddetti due re si cominciarono a scoprire del -mese di marzo seguente, perocchè il re di Navarra, -ch’era creatura del re d’Inghilterra, colla -forza degl’Inghilesi entrò una notte di furto in -Alsurro, e non potendo vincere la rocca, ch’era -forte e bene guarnita alla difesa, fè la terra rubare, -e mettere al taglio delle spade grandissimo -numero di cittadini e paesani che quivi erano -ridotti, e secondo che troviamo per vero, oltre -a seimila vi furono morti. Fu riputata crudelissima -cosa e disusata, perocchè simile cosa più -occorsa non era nella lunga triegua e pertinacia -della detta guerra. Partito il detto re di Navarra -con sua gente d’Alsurro, se n’andarono al Tu, -e stesonsi infino in Torì, e ivi combatterono e -presono uno forte castello ove trovarono molta -roba; e predato le cose sottili, fornirono il castello, -e lasciaronvi sofficiente difesa, cercando -dove potessono fare danno. E oltre a queste inique -operazioni del re d’Inghilterra, e’ si copria -sotto lo scudo del re di Navarra, la cui forza -tutta era d’Inghilesi: e pertanto si potea dire -pessima cosa, che era radice di tradimento, perocchè -i paesani allegrandosi per lo grido della -pace novella non attendeano alla guardia come -erano usati, e pertanto ricevettono danno in molti -luoghi grandissimo; onde essendo improvvisi fidati, -<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span> -così malmenati, e senza capo o consiglio, si -diruppono quasi tutti a mal fare; verificando -l’antico proverbio che dice, tra pace e tregua -guai a chi la lieva. -</p> - -<h3 id="capXI-9">CAP. XI. -<span class="smaller"><i>Del male stato di Cicilia in questi tempi.</i></span></h3> - -<p> -Le discordie continovate per lungo tempo tra’ -Ciciliani aveano l’isola ridotta in somma impotenza -e miseria, e in stato sì fievole, che poco -degno pare di memoria per le sue opere inferme -e di poco valore, pur seguendo quelle, tali quali -furono racconteremo. In questo anno 1358 del -mese di febbraio, uno bastardo della casa di Chiaramonte, -detto per nome Manfredi, uomo assai -valoroso e ardito, se n’andò a Messina, e sagacemente -cercò se avesse potuto riducere i Messinesi -al volere del duca, figliuolo che fu del re -di Cicilia, a cui erano avversi e contrari tutti -quelli di Chiaramonte, e per sua parlanza avea -tanto operato, che i principali parziali de’ Messinesi -inchinavano e davano orecchie. Ma messer -Niccolò di Cesare, il quale per lo re Luigi -avea la maggioranza e lo stato, sì s’oppose, e -non volle assentire, mostrando, che se quella -città perdesse l’aiuto e lo foraggio della vittuaglia -che traeva di Calabria era in pericolo di -fame, e di venire per tanto in desolazione e in -miseria. Quelli di Chiaramonte veggendo i crolli -che aveano per sostenere la parte del re Luigi, e -che da lui non era favore bastevole a mantenere -<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span> -loro stato, ripresono e ridussono a loro lega la -Stella di Palermo, e molte altre fortezze e tenute, -le quali aveano lasciate nella guardia del -re Luigi, il quale per non potere resistere alla -spesa non le potea guardare; e forte temeano che -non le riprendessono i Catalani. E nondimeno -mandarono il detto Manfredi a Napoli al re Luigi -significando lo stato loro e del paese, e pregandolo -che mandasse loro gente d’arme sofficiente -a resistere alla potenza del duca e dei Catalani, -la quale tutto che piccola fosse, pure era maggiore -che la loro, e da sormontare in breve tempo -se non trovasse contasto, che continovamente -crescea, sì perchè li paesani volentieri tornavano -alla grazia del signore naturale, e sì perchè d’Araona -li venia soccorso. Sentendo ciò il re Luigi, -e non potendosi come desiderava, per l’impossibilità -fare prestamente quello che domandavano -i suoi parziali, s’aiutò colle grandi e larghe -impromesse, promettendo d’andarvi in persona -senza lungo indugio di tempo. E di presente -fè sua ambasciata, e mandò a richiedere d’aiuto -il comune di Firenze, e gli altri comuni di Toscana -per la sua andata in Cicilia. E per dare a’ suoi -amici e servidori speranza, mandò innanzi da -sè il conte da Riano con trecento cavalieri e -con pedoni nell’isola, e operò sì che messer -Niccolò di Cesaro per la detta cagione venne per -suo ambasciadore in Toscana; e come ne seguì di -questa materia a suo tempo racconteremo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span> -</p> - -<h3 id="capXII-9">CAP. XII. -<span class="smaller"><i>Del male stato di Puglia per ladroni.</i></span></h3> - -<p> -Come detto avemo nel capitolo di sopra, il -re Luigi promise di passare alla difesa e acquisto -della Cicilia, e non era sufficiente, come appresso -diremo, a purgare e a difendere suo reame delle -continove ingiurie e ruberie de’ ladroni che correvano -il Regno con disordinata baldanza. E ciò -addivenne, perchè in questi dì i baroni non erano -in pace e in concordia col re, e massimamente -i reali, e il re aveva piccola entrata, e -però tenea poca gente d’arme a gastigare col ferro -e col capestro il gran numero de’ ladroni sparti -quasi per tutto il reame, e caldeggiati da’ detti -reali e baroni per odio del re. E pertanto in più -parti del Regno si cominciarono a fare raunanze -di gente malandrina disposta a rubare, e feceano -loro capitano, e rompeano le strade, e correano -per lo paese ora in una ora in un’altra parte, -forte conturbando i forestieri e’ paesani con rapine, -e violenze, e omicidii, fra i quali uno friere -dello Spedale per trattato rubellò Alfi, e fecelo -spilonca e ricetto di questi ladroni: e altri ladroni -in Nieboli feciono il simigliante: e alcuna altra -brigata di questa pessima gente ferono capo -in Valle beneventana, e altri di loro ginea altrove -in diverse contrade, tenendo i paesi affannati, -perchè andare non si potea sicuro in niuna -parte del Regno, se non con sicurtà de’ baroni -del paese, i quali nel vero a loro davano ricetto -<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span> -per essere temuti da’ paesani. Di tanti mali giustizia -fare non si potea; ma i ladroni mancando -la preda, e crescendo l’ira de’ paesani, e la paura -de’ loro malificii, partendosi molti da compagnia, -i caporali rimaneano con minore seguito, e meno -poteano fare nocimento. -</p> - -<h3 id="capXIII-9">CAP. XIII. -<span class="smaller"><i>Della morte di messer Bernardino da Polenta -signore di Ravenna.</i></span></h3> - -<p> -Essendo stato lungo tempo malato messer Bernardino -da Polenta tiranno e signore di Ravenna -e di Cervia, a dì 13 di marzo 1358 lasciò -insieme la signoria e la vita. Costui fu dissoluto -e mondano, e di sfrenata lussuria; crudele e aspro -signore, e nimico di tutti coloro che montassono -in virtù e in ricchezza, e tutti gli antichi legnaggi -dell’antica città e nobile di Ravenna spense e -distrusse, non meno per cupidigia d’usurpare i loro -beni, che per tema che per alcuno tempo non -li fossono avversi; il perchè in Ravenna al suo -tempo altro che artefici minuti e villani non si -vedeano. Costui talora come censuario rispondea -alla Chiesa di Roma, mostrandosi divoto e -amico, ma copertamente l’era contrario, favoreggiando -i rubelli della Chiesa in Romagna e -nella Marca. E avendo ne’ dì suoi la fortuna benigna, -di masserizia, di grano, e di bestiame, e di -sale, e delle colte de’ cittadini e de’ contadini disordinatamente -gravati fè grande tesoro; e quanto -ch’all’anima poco fruttasse, pure nell’estremo -<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span> -fè testamento, nel quale istituì sua reda -messer Guido suo figliuolo, e sì della signoria -come dell’avere; il quale, morto il padre, con la -forza degli amici e della gente dell’arme al -popolo si fè confermare per quella poca di giurisdizione -che la Chiesa dice d’avere in Ravenna, e -con provvedere al legato anche fortificò la detta -confermazione. Costui mosso da benignità d’animo, -e da buono e savio consiglio, tutti gli antichi -e buoni cittadini che dispersi per lo mondo -aveano fuggita la crudeltà e l’ira del padre richiamò -e ridusse in Ravenna, e cacciò via tutti -i malvagi e iniqui sergenti del padre; che fu cosa -notabile assai, e atto non di tiranno, ma di -giusto signore naturale. -</p> - -<h3 id="capXIV-9">CAP. XIV. -<span class="smaller"><i>Operazioni della moría.</i></span></h3> - -<p> -In quest’anno l’usata moría dell’anguinaia, -la quale nell’autunno passato avea nel Brabante -e nelle circustanti parti del Reno fatti gran danni, -nel verno si dilatò, e comprese e passò nel -Friuli facendo l’uficio suo per infino al marzo, -e parte della Schiavonia, ma non troppo agramente; -perocchè enfiando sotto il ditello e l’anguinaia, -chi passava il settimo giorno era sicuro; -vero è che in sette dì assai ne morivano. Ancora -non pigliava le città e le ville comunemente, -ma al modo della gragnuola l’una lasciava stare -e l’altra prendea; e durando dove cominciava -dalle venti alle ventidue settimane, molta gente -d’ogni generazione trasse a fine. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span> -</p> - -<h3 id="capXV-9">CAP. XV. -<span class="smaller"><i>Di certa novità ch’ebbe in Perugia -in questi tempi.</i></span></h3> - -<p> -Chi vorrà con animo riposato recare alla mente -quello che scritto si trova degli stati mondani -dal tempo di Nembrotte primo tiranno infino -ne’ giorni presenti, vedrà manifesto, che mai -niuno tempo fu tanto pacifico nè tanto durato -tranquillo che ne’ reami, e nelle città, e (che è -più da maravigliare) nelle piccole e povere -ville, non sieno stati di quelli che hanno cerco e -a tutti i sentimenti del corpo e dell’animo di -soprastare agli altri, e di farsi maggiori e governatori, -usurpando le pubbliche e le private ricchezze; -e senza recare esempi a prova di ciò, -che sono infiniti, e notori e manifesti, cercate -le note volgarmente hanno fatto quelli di nostra -famiglia intorno alle cose che sono occorse -ne’ tempi da farne memoria, troverà che non di -Roma città in Italia, ma in tutto il mondo mai -non fu in tanto riposo che per tutto non sentisse -affanno di questa materia; onde li savi, che ricordano -delle cose antiche, veggendo questi casi -tutto giorno addivenire, non si dogliono nè si maravigliano, -ma i semplici e idioti, che solo tengono -gli occhi alle cose che sono loro davanti, si -turbano e rammaricano, e mormorando stoltamente -favellano, e non sapendo vedere nè dare -riparo potendo si contristano. Essendo dunque -questa vita comune, molte più e così ne sono state -<span class="pagenum" id="Page_176">[176]</span> -maculate l’altre città di Toscana, come la -nostra. E in questi tempi ne fece sperienza la -città di Perugia, che essendo il popolo suo villanamente -barattato per Leggieri d’Andreotto e -per gli altri grandi cittadini appellati Raspanti, -che con lui s’intendeano ne’ fatti dell’impresa -della città di Cortona e della guerra de’ Sanesi -ch’era seguita, quelli che voleano vivere mezzano -e popolare senza fare danno o vergogna -al suo comune ebbono tanto di podere, che feciono -in Perugia venire per sindaco di comune -messer Geri della casa de’ Pazzi di Firenze, cavaliere -sagace e di grande cuore, voglioso e vago di -novità come più volte mostrò per l’opere sue. -L’uficio fu con gran podestà e balía, in ritrovare -chi avesse male preso della pecunia del comune -e’ beni, e punire agramente cui trovasse colpevole; -il valente cavaliere, come giunse informato -appieno per solenne investigagione di quelli -che ne’ detti casi aveano errato, non prese gli -uccellini, ma formò francamente suo processo -contro al detto Leggieri, e altri maggiorenti di -quelli dello stato, ad animo di farne giustizia, -senza tenere in collo il processo. Gl’inquisiti -non s’osavano rappresentare veggendo l’uficiale -coraggioso e disposto a punire, per tema di non -essere posti al tormento, e condannati personalmente -e vituperosamente per barattieri e rubatori -del loro comune: e colla forza de’ Raspanti, -che li favoreggiavano, procuravano il dì e la -notte come potessono impedire l’uficiale in forma -ch’e’ non potesse procedere. I gentili uomini -con tutto il seguito loro riscaldavano e francheggiavano -<span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span> -il sindaco perchè condannasse, stimando -che se ciò fosse avvenuto rimaneano senza -dubbio i maggiori, e volgeano lo stato. Onde -avveggendosi di ciò i popolari, eziandio quelli -ch’aveano cominciato la mena, si dierono -a cercare de’ rimedi, e trovarono uno statuto, che -essendo eletto per ambasciadore di comune, qualunque -fosse e qualunque uficiale inquisito, mentre -che durasse il tempo dell’ambasciata si sospendea -il processo; onde operarono co’ signori, -che gl’inquisiti fossono eletti per ambasciadori, -e così seguette; perchè convenne che i processi -cominciati fossono sospesi. Il perchè il valente -cavaliere, veggendo che gli erano presi i dadi, -e ch’e’ non potea fare niente di suo intendimento, -lasciò l’uficio, e tornossi a Firenze. Il suo -successore trovati i processi pendenti assolse i -detti grandi cittadini, e per mostrare di fare -uficio condannò i minori e gl’impotenti, onde -a furore di popolo anzi ch’e’ finisse l’uficio fu -messo in prigione e vituperosamente condannato -fornì i giorni suoi in prigione. -</p> - -<h3 id="capXVI-9">CAP. XVI. -<span class="smaller"><i>Di sconfitta ebbono i Turchi da’ frieri.</i></span></h3> - -<p> -Avendo i Turchi presa sopra i Greci disordinata -e troppa baldanza, ne’ detti tempi armarono -ventinove legni, e valicarono nella Romania bassa, -e non trovando in pelago chi rispondesse loro -si misono per la fiumara molto fra terra predando -il paese, e pigliando a costuma di pecore, e -<span class="pagenum" id="Page_178">[178]</span> -avendo accolti più di milledugento prigioni e -altra roba assai, e ridotta tutta alla riva del fiume -per caricare i navili; il maestro dello spedale -che per sue spie avea della detta armata sentito, -e fatto armare quattro galee e uno legno, e messovi -quanti e’ potè de’ migliori e più franchi -de’ suoi frieri, e altra buona gente d’arme, e -nobilmente fornita e apparecchiata a battaglia, -le fè senza perdere tempo dirizzare in Romania; -li quali trovando come i Turchi avendo i Greci -a vile s’erano messi per la fiumana, presono subitamente -la bocca del fiume, e a lento passo -tennono loro dietro; e non avendo rispetto perchè -i Turchi molti più fossono a numero, li soprappresono -quando intendeano a caricarei navili, -e fidandosi nel nome di Cristo e nell’aiuto -suo scesono in terra, e arditamente presono la battaglia -con loro, la quale durò lungamente; e non -ostante che i Turchi fossono male ordinati, erano -tanti, e vedeansi in luogo che non poteano -fuggire se non si facessono fare la via colle spade, -però grande resistenza feciono e aspra zuffa: alla -fine furono rotti e sbarattati, e la maggiore -parte di loro morti e magagnati. Quelli che rimasono -nella sconfitta furono tutti presi, e i loro -legni e navili, che niuno non ne campò. I frieri -liberata la preda e’ prigioni che i Turchi aveano -presi, e con piena vittoria, si ritornarono salvi -a Rodi. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span> -</p> - -<h3 id="capXVII-9">CAP. XVII. -<span class="smaller"><i>Di novità state in Provenza contro a quelli -del Balzo.</i></span></h3> - -<p> -I gentili uomini della Provenza che si chiamavano -villanamente oltraggiati da’ signori e dalla -casa del Balzo, i quali aveano tenuto e condotto -gran tempo sopra loro la compagnia, desiderosi -di vendicare gli oltraggi e’ danni loro fatti, del -mese di marzo s’adunarono insieme con quella -gente d’arme che più presto poterono accogliere -senza fare segno di cui volessono offendere, e di -furto presono l’Aguglia, nobilissima e bella fortezza -di quelli del Balzo, e presa, senza arresto -la gittarono in terra infino ne’ fondamenti. E ciò -fatto, intendeano a tutto loro potere di seguire -alla distruzione della casa del Balzo, se non che -il papa e’ cardinali, veggendo che quella guerra -tuttochè fosse tra private persone e non generale, -nè con offesa altrui che di loro, per lo -sturbo che di ciò seguiva alla corte di Roma vi -s’interpose perchè non procedesse più oltre, e -feciono racquetare i Provenzali, e por giù l’arme. -In questi giorni i Borgognoni e’ Provenzali che -erano nel reame di Francia stavano in pessima -disposizione, perocchè chi volea mal fare non era -punito, e di tali si trovavano assai, e aveano -grande seguito; onde per la detta cagione i cammini -d’ogni parte erano rotti, e’ mercatanti e -l’altra gente rubati, ed erano sì stretti i cammini -da questa mala gente, che appena i corrieri, -<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span> -che andavano e venivano a Avignone, dalle loro -mani poteano scampare; il perchè la corte stava -in molto disagio, e ad altro non s’intendea che -a trarre a fine le nuove mura d’Avignone: e per -ciò fornire, il papa e’ cardinali aveano fatta l’imposta -a tutti i cittadini e cortigiani, la quale era -certa tassa in nome di capo censo, e per casa, e -per famiglie e botteghe, le quali si ricoglievano -ogni mese una volta, o più o meno, tre dì come il -bisogno occorreva. E per seguire i fatti de’ corrieri, -giugnendo insieme il caso che viene, il -cardinale di Pelagorga e quello di Bologna, i -quali erano stati in Francia e in Inghilterra a -trattare la pace intra’ due re, come addietro facemmo -menzione, tornando a corte, sentendosi, -furono assaliti da gente d’arme, e nell’assalto -furono morti dodici de’ famigli loro, intra’ quali -v’ebbe sei cavalieri, e però fuggirono senza arrestarsi -per spazio di quattro miglia, e’ buoni cavalli -e gli sproni li camparono che non furono -presi, e ridussonsi in Celano, non sapendo -chi li cacciava. Bene si sparse la voce che i -Franceschi si teneano mal contenti di loro per li -trattati menati per loro in poco favore del loro -re e signore; ma ciò non fu vero, ma piuttosto -operazione di rubatori, che stimarono essere ricchi -se gli avessono potuti pigliare, che atto di -vendetta per sdegno ch’avessono preso i Franceschi. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span> -</p> - -<h3 id="capXVIII-9">CAP. XVIII. -<span class="smaller"><i>Il consiglio si tenne in Francia sopra -le domande degl’Inghilesi.</i></span></h3> - -<p> -Essendo divulgata la non vera pace tra li due -re d’Inghilterra e di Francia per vera, il duca -d’Orliens, e il Delfino di Vienna figliuolo del -re di Francia andò a Mompelieri dove si fè grande -ragunanza de’ baroni di Francia, e con loro -furono i due cardinali ch’erano stati altra volta -al trattare della pace; quivi si fece parlamento -per tutti, nel quale chiaramente per tutti si -tenne e conobbe, che quello che domandava il -re d’Inghilterra non era possibile, perchè non -vedeano che si potesse per modo alcuno inducere -i Franceschi al consentimento, tant’era la -domanda ontosa e altiera, e a grande animo -de’ Franceschi, per la vituperosa e sdegnosa cosa, -onde senza prendere accordo si partì il parlamento. -Il Delfino cavalcò ad Orliens con intenzione, -che se ’l padre passasse in Francia col -re d’Inghilterra, com’era ordinato, li prestasse il -consentimento della corona per difesa del reame, -e per tenere ciò che si potea; giunto in Orliens, -mandò due baroni al re d’Inghilterra a cercare -accordo con lui, e fatto per sue lettere ed ambasciate, -a tutte le città e buone ville di Francia -manifestò quello che chiedea il re d’Inghilterra -in vergogna e abbassamento della corona e nome -de’ Franceschi, e confortò li comuni che stessono -<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span> -attenti e provveduti, e che si studiassono a -fare buona guardia. -</p> - -<h3 id="capXIX-9">CAP. XIX. -<span class="smaller"><i>Come il re di Spagna e quello d’Araona -s’affrontarono e non combatterono.</i></span></h3> - -<p> -Seguendo le discordie e tribolazioni de’ cristiani, -che a giornate per li loro peccati rovesciano -i due re, quello d’Araona e quello di -Spagna intra gli altri di nome cristiano, e grandi -e famosi, s’erano ingaggiati di battaglia, e -all’entrata del mese d’aprile 1359 ciascheduno -di loro provveduto e avveduto, fatto tutto suo -sforzo per essere alla battaglia, comparirono alla -fine de’ loro reami assai di presso ciascheduno; -quello di Spagna, che si noma quello di Castella, -venne con settemila cavalieri tra di sua -raunata e di gente barbara, i quali si chiamavano -Mori, e con popolo assai; quello d’Araona -venne con cinquemila cavalieri catalani e con -grande quantità di popolo a piè, armati di lance -e di dardi maneschi, i quali sono da loro chiamati -mugaveri, e l’una e l’altra gente con le -persone de’ loro re s’avvicinarono insieme per -ordinarsi a battaglia: e non pertanto che il re -d’Araona fosse con meno cavalieri che quello di -Castella, molta sicurtà e baldanza prendea nella -fede de’ suoi baroni, ma più in Dio, perchè avea -seco giusta cagione, e ciò li dava speranza di -vincere; ma quello di Spagna, tutto che si sentisse -<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span> -la forza maggiore, non si fidava della fortuna -della battaglia, per la coscienza di sua vita scellerata -e crudele, perocchè tornandoli a memoria -che l’anno dinanzi avea di sua mano morti venticinque -de’ suoi baroni, come addietro contammo, -invilì, temendo ch’e’ baroni che gli erano rimasi -non li tenessero fede, e stornava con modi sagaci -la zuffa; il perchè seguì, che stati più giorni -affrontati senza muovere assalto, o aizzare -l’uno l’altro, quasi come se avessono fatta convegna, -si partirono del campo, e tornaronsi indietro -ciascuno alla sua frontiera. Di ciò fu lodato -il re d’Araona, che tutto che conoscesse -che per la discordia de’ suoi nemici la vittoria -fosse nelle sue mani, non volle mettere tanti -cristiani a farli uccidere insieme. -</p> - -<h3 id="capXX-9">CAP. XX. -<span class="smaller"><i>Come il comune di Firenze si provvide -contro alla compagnia.</i></span></h3> - -<p> -Bene che ’l nostro comune di Firenze sollicitamente -e con molta provvedenza infra ’l tempo -che la compagnia badava in Romagna aspettando -il tributo dal cardinale si fosse messo in -assetto e alla difesa, a all’offesa de’ suoi nemici, -sentendo che ’l sabato santo a dì 20 -d’aprile la pecunia promessa alla compagnia -era pagata, raddoppiò la sollecitudine, facendo -gente quanta ne trovava assoldare, e affrettando -l’aiuto dell’amistadi, e rifermò per capitano -di guerra messer Pandolfo de’ Malatesti, e a dì 29 -<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span> -d’aprile 1359 fece la mostra della gente sua, -la quale fu da duemila barbute, e da cinquecento -Ungheri, e da duemilacinquecento balestrieri -eletti tra gli altri e armati tutti a corazzine; e -avendo in punto questa brigata, messer Bernabò -signore di Milano, il quale da questa Compagnia -più volte era stato oltraggiato e l’avea in odio, -offerse aiuto di mille barbute e di mille masnadieri -al nostro comune, e il comune l’accettò perocchè -in quel tempo vivea in fede e in buona -pace col detto signore; fatto l’accetto, il detto -signore senza niuno intervallo di tempo ne cominciò -a fare soldare in Toscana. E mentre si -facea queste cose, messer Francesco da Carrara -signore di Padova mandò in aiuto a’ Fiorentini -dugento cavalieri, e i marchesi da Este signori -di Ferrara mandarono trecento cavalieri; -e fu cosa mirabile, che i tiranni che per natura -sogliono essere nemici e oppressatori de’ popoli -che vogliono vivere in libertà, il perchè le ragioni -sono manifeste, si mettessono ad atare il -nostro comune fedelmente, che sopra tutti gli altri -d’Italia sempre s’è opposto a’ tiranni e disfattine -molti, e i popoli di Toscana che sono -vivuti lungamente a libertà cercassono il contrario -quasi di assenso comune, bene che non apertamente, -come appresso diremo. E cominciandoci -a’ più antichi e intimi amici del nostro comune, -e che mai da lui non furono offesi, ma -sempre atati e difesi e esaltati ne’ loro onori, cioè -da’ Perugini, contro al volere del comune di Firenze, -e per suo abbassamento e desolazione, secondo -loro credenza e speranza, presono accordo -<span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span> -colla compagnia per cinque anni, dando loro di -censo ogni anno fiorini quattromila d’oro, e a tutta -l’oste in dono tre dì vittuaglia, e da indi innanzi -derrata per danaio, e il passo libero per lo -loro contado e distretto a ogni tempo ch’e’ -volessono passare, promettendo che non darebbono contro -a loro aiuto a’ Fiorentini; la quale coralmente -punse il nostro comune, e molto l’ebbe a grave. -Vedendo i Sanesi e’ Pisani ch’e’ Perugini, che -sempre erano stati un animo e un corpo co’ Fiorentini, -aveano preso l’accordo nella forma -ch’avemo detto di sopra, feciono il simigliante, -e più i Pisani, come antichi e perfidi nemici del -nostro comune, foraggio, e passo, e segreta promessa -di dare loro aiuto della gente dell’arme -loro; la qual cosa sagacemente feciono poi, come -leggendo nostra opera al suo tempo si potrà -trovare. -</p> - -<h3 id="capXXI-9">CAP. XXI. -<span class="smaller"><i>D’una folgore che cadde in sulla chiesa -maggiore di Siena.</i></span></h3> - -<p> -Tutto che i miracoli che noi veggiamo di poco -ci muovano a lasciare i peccati e tornare a penitenza, -pure li dovemo scrivere a terrore de’ mortali. -In questi dì della Pasqua della resurrezione -di Cristo, a dì 21 d’aprile in sull’ora -della terza, essendo il tempo turbato e largo della -piova, una folgore percosse l’agnolo ch’era -nel colmo della chiesa del vescovado di Siena, -e portollo via, e non lo fracassò, e scese nella -<span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span> -cappella, e arse i paramenti e il tavolato dell’altare -maggiore; e avendo il prete consegrato il -corpo di Cristo, non essendo ancora comunicato, -cadde in terra tramortito, e cinque preti ch’erano -d’intorno al servigio dell’altare percosse e -ricise, e l’ostia e la croce dell’altare non si potè -mai ritrovare. -</p> - -<h3 id="capXXII-9">CAP. XXII. -<span class="smaller"><i>Di una battaglia tra due baroni -del re di Rascia.</i></span></h3> - -<p> -Il re di Rascia il quale era sotto il tributo del -re d’Ungheria cessava di fare l’omaggio, e ribellavasi -al re; il perchè venuto in indegnazione -della corona, e avendo il re d’Ungheria contro -a lui conceputo e proposto nell’animo suo di -farlo conoscente, duro e malagevole li parea di -passare la Danoia, per mantenere la gente nel reame -di Rascia, non avendo nel paese terra alcuna -che li desse ricetto. E stando in questi pensieri, -come suole apparecchiare la fortuna talora -i non pensati acconci e’ rimedi, due baroni del reame -di Rascia per loro gare e male venture riottavano -insieme; il re s’era più volte travagliato -di recarli a concordia, e nella fine in questi giorni -avuto l’uno e l’altro, e cercando di porli in -pace, e non li potendo recare, crucciato, come -poco discreto, disse: Andate nella mal’ora, e -l’uno faccia all’altro il peggio che può; la parola -detta sopr’ira fu ricevuta per espressa licenza; -onde partendosi amendue pieni d’odio e -<span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span> -di mal volere infiammati, quello di loro con alquanto -meno podere avea le sue terre in sulla -riviera della Danoia, l’altro ch’era di maggiore -possanza accolta gente d’arme lo cavalcò, ardendo -e guastando il suo paese, e infine al suo abboccamento -lo sconfisse; nè a ciò contento, cercava -sollicitamente di distruggerlo e trarlo a fine, -e per ciò fare lo cavalcava spesso, facendo -ogni male. Vedendo il detto barone ch’e’ non -potea resistere, e nel suo re non avea speranza -che levasse dall’impresa l’avversario suo, lasciò -il meglio che potè le sue terre fornite a difesa, -e segretamente valicò la Danoia, e ridussesi a -uno de’ baroni d’Ungheria che l’aiutasse, promettendoli -di farsi cristiano; il barone del re -d’Ungheria li diè quella quantità d’Ungheri -che li chiese, e ’l barone a parte a parte occultamente -li mise nelle sue terre, e fece mettere la -fama di volere fare di sua gente tutto suo sforzo -per vendicare sua onta e dannaggio. Il suo nemico -che poco il pregiava, per la vittoria avuta di -lui era molto montato in baldanza, venne da capo -con tutto suo sforzo in sulle terre del detto barone, -e non avendo l’avviso degli Ungheri ch’erano -venuti in aiuto de’ suoi nemici, e mescolato -tra loro, con animosa battaglia durissima, per la -virtù degli Ungheri fu sconfitto, e rimase morto -in sul campo. E bene cadde nella sentenza dell’antico -proverbio che dice, chi è povero di spie -è ricco di vituperio, e fece fede che non si vuole -avere tanto a vile il nemico che non creda che -offendere lo possa. Di questa tenzone non curata -ne’ principii, come si dovea, e lasciata passare -<span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span> -in malattia da non rimediare, nacque, che avuto -il passo da questo barone il re d’Ungheria con -grande esercito passò la Danoia, come a suo luogo -e tempo diviseremo. -</p> - -<h3 id="capXXIII-9">CAP. XXIII. -<span class="smaller"><i>Come sotto nome di falsa pace il re di Navarra -tribolò Francia.</i></span></h3> - -<p> -In questo medesimo tempo il sollecito re di -Navarra, avendo in apparenza ridotti gl’Inghilesi -in forma di compagnia, per non mostrare di -volere fare contro alla volontà del re d’Inghilterra, -e contro alla falsa pace che per lui era bandita, -cominciò a cavalcare in Berrì, e tribolare -quel paese con aspra e mortale guerra, stendendosi -infino in Campagna, rubando le ville e’ -cammini, e ardendo chi non si voleva rimedire. -I legati del papa, ch’aveano preso cura della concordia -tra’ due re, vedendo quello che il re di -Navarra aveva fatto col braccio degl’Inghilesi, -ne scrissono al re d’Inghilterra, pregandolo che -per bene della pace senza più aizzare i Franceschi -li piacesse porvi rimedio; e massimamente -perchè il fatto pareva contro al suo comandamento, -e non atto di pace com’era ita la grida. -Il re rispose, che di ciò li pesava, e che non -vedea come a quella mala gente, e del tutto -disposta a mal fare, potesse rimediare nè mettervi -riparo, che volentieri per suo onore il farebbe. -Stando le cose di Francia mal disposte in -questi baratti, nel mese d’aprile 1359, nella -<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span> -città di Digiono in Borgogna, una parte del popolo -minuto vago di preda si levò a romore, e -corsono a furore alle case de’ maggiori e de’ più -ricchi cittadini della terra, e rubaronli, e chi -non fuggì loro dinanzi in quella tempesta fu -morto. Il duca di Borgogna sentendo questa novità, -e temendo di ribellione, mandò là di sua -gente d’arme, e de’ malfattori ne fece assai bandeggiare, -e presine nel numero di centoventi, -per vendetta del misfatto gli fece appendere per -la gola. -</p> - -<h3 id="capXXIV-9">CAP. XXIV. -<span class="smaller"><i>Novità state a Montepulciano.</i></span></h3> - -<p> -Tornando alle italiane tempeste, messer Niccolò -della casa di quelli del Pecora di Montepulciano, -il quale era stato egli e’ suoi altra volta -signori di quella terra, essendo stato lungo tempo -di fuori, e assai onorato dal comune di Perugia, -il quale avendolo fatto cavaliere gli aveano -donato una tenuta del comune, la quale era in -sulle Chiane presso assai a Montepulciano, la -quale si chiamava Valliano, luogo forte, e ubertuoso -d’ogni cosa, e traevanne loro vita assai -onorevolmente. Sentendo il cavaliere l’animo -de’ suoi terrazzani mal contenti, e atti a fare novità -per sdegno di male reggimento, e che mala -volontà era in tra ’l comune di Siena e quello di -Perugia, il perchè lo stato de’ Montepulcianesi -vagillava, ed era senza riposo, si mise segretamente -a cercare per mezzo degli amici co’ suoi -<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span> -terrazzani di volere tornare in Montepulciano. -E trovando la materia disposta all’intendimento -suo, accolse segretamente brigata, e di maggio -1359, senza fare novità alcuna, s’entrò nella -terra, e da’ terrazzani fu ricevuto lietamente, -dicendo esso, che non temesse nessuno, perocchè -liberamente e di buon cuore aveano perdonato a -qualunque offeso gli avesse, e ch’elli intendeano -tutti tenere e trattare per fratelli. E avendo ricordo -che la riotta ch’era stata tra lui e messer -Iacopo suo consorto era stata la cagione principale -perchè avea perduta la signoria della terra, -avendo provato che è il perdere lo stato con -andare all’altrui mercede, mandò prestamente -per lui, e feglisi incontro assai di spazio fuori -della terra, e lo domandò, s’egli intendea a perdonare -liberamente a qualunque offeso l’avesse, -e con lui essere unito al beneficio e stato comune -della terra loro, che quando l’animo suo intendesse -al contrario, che amendue prendessono altro -viaggio, e lasciassono in pace la terra al governo -de’ suoi terrazzani; e avendo detto, messer -Iacopo disse, che ’l suo animo era buono, e che -liberamente a tutti avea perdonato, e promesso -che mai non ne farebbe vendetta, si presono per -mano, e con festa grande e buona volontà di -quelli della terra entrarono nel castello, e furono -fatti signori, e con molta concordia si dirizzarono -a ben fare, e a mantenere amistà co’ Perugini, -e a onorare i Sanesi. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span> -</p> - -<h3 id="capXXV-9">CAP. XXV. -<span class="smaller"><i>Di fanciulli mostruosi che nacquero in -Firenze e nel contado.</i></span></h3> - -<p> -Del mese d’aprile in questo anno, in Firenze -e nel contado nacquero parecchi fanciulli contraffatti, -mostruosi, e spaventevoli in vista, alcuno -in figura di becco, e le braccia e il petto come -membra femminili, e libere, e compiute; altri -nacquero in altre forme mirabili, e assai differenti -dall’umana natura. E appresso nell’autunno -seguente seguì, che molte donne libere -del partorire dopo più giorni morirono. E questo -accidente si pensò per li savi che procedesse -dal cielo, in breve tempo non avesse fornito suo -grande sfogamento: e prendevano le donne tanta -gran paura venendo all’atto del parto, che molte -se ne morivano; e se ’l cielo di questo e -de’ parti strani fè segno, ristorò ne’ leoni, che tre -maschi ne nascerono la vigilia di santo Zanobi. -</p> - -<h3 id="capXXVI-9">CAP. XXVI. -<span class="smaller"><i>Come la compagnia passò in Toscana, e cercò -concordia con i Fiorentini.</i></span></h3> - -<p> -Poichè la gran compagnia del conte di Lando, -afflitta e consumata la Romagna e la Marca, -aveano dal legato ricevuta la paga e la promessa -che detta avemo da’ comuni di Toscana, superba -e baldanzosa si mosse, e sotto la guida -<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span> -de’ cittadini che dati l’erano a condotta dal -comune di Perugia passò per lo distretto di Perugia, -cioè per quello della Città di Castello e -del Borgo a Sansepolcro, che allora erano a’ comandamenti -e al seguo del comune di Perugia, -e tutto che ne’ patti avessono promesso non fare -danno, le rapaci mani non si poteano contenere -che non predassono, e offendessono chi le facesse -contesa; e ciò non passò senza querele de’ paesani, -poco intese da’ loro signori Perugini. Loro -passata ne’ detti luoghi fu nel detto anno 1359 -entrando il mese di maggio; e nel detto stallo -e trapasso, credendo ogni gente d’arme arricchire -in sul nostro contado della preda e ricetto, e -di quello che insieme pensavano fare rimedire -il comune di Firenze, abbandonato nell’impresa, -come detto avemo, dal legato e da’ comuni di -Toscana, che per invidia e mal talento prendevano -speranza che molto abbassasse nostro comune, -tanto crebbe e multiplicò la detta compagnia -sì di gente cassa dal legato, e da’ Perugini, -e da’ Sanesi, e da altri comuni, che passava -il numero di cinquemila cavalieri, e di mille -Ungheri, e di più di duemila masnadieri di gente -senza arme fornite, ch’erano assai più di dodicimila -bocche senza le bestie. Il perchè avveniva, -che dovunque s’alloggiavano, eziandio per -pochi dì, secondo i loro patti e convegne tutto consumavano -e guastavano in forma, che a’ paesani toglieano -la fatica di fare la ricolta. Quando i conducitori -della compagnia e i loro capitani si vidono -in luogo che poteano per aperto cammino, venire -in sul contado di Firenze, con sottile modo -<span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span> -e con molta sagacità e astuzia feciono da molte -parti muovere amici del comune di Firenze, e -alcuno scrivere, e alcuni venire infino a Firenze -a cercare convegna, offerendo ogni concordia, -lega e patto che sapessono o volessono domandare -il comune. Stando in queste mene, e di -continovo fortificandosi il comune, in processo di -tempo arrivarono a Firenze ambasciadori del -marchese di Monferrato, i quali erano stati nella -compagnia per conducerla al soldo suo e de’ suoi -collegati, i quali domandavano cortesemente al -nostro comune per parte di loro signore solo il -titolo della concordia senza pagare danari, e il -passo sicuro per lo distretto del comune di Firenze, -più offerendo per ammenda dare al comune -nostro fiorini dodicimila d’oro: e oltre a costoro -per simigliante cagione vennono segretamente -certi cittadini di Perugia. Il comune che -per suo onore avea presa la tira, nel proposito -suo stette fermo e costante, e non intralasciava -per ragionamenti che non intendesse continovamente -alla difesa, cercando di mettersi a prova -di spegnere la compagnia in Italia. E certo fu -mirabile cosa, che ’l nostro comune si volesse -mettere a partito e a fortuna con gente con -cui non potea guadagnare altro che fama e onore; -ma così era per quella volta disposto, e tanto -pertinace al servigio, che minacce, nè offerta di -larga e onorata concordia, nè altro qual’altro -vantaggio lo potè ritrarre della pertinacia del suo -proponimento; essendo tutto di combattuto da -molti grandi e potenti suoi cittadini, i quali o -che conoscessono il pericolo, o che temessono di -<span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span> -loro possessioni, o perchè fossono d’animo vile, -apertamente ne’ pubblichi e aperti consigli aoperavano -e consigliavano che si prendesse l’accordo; -ma il desiderio di vivere in libertà vinse -l’appetito de’ cittadini, che consigliavano -e voleano per maggioranza che ’l comune facesse -a loro modo, e la paura della compagnia, -e ogni stimolo degli amici che si provarono di -ciò. Questo addivenne per l’unità de’ cittadini -mercatanti, e artefici, e di mezzano stato, che -tutti concorsono in uno volere all’onore e bene -del comune. -</p> - -<h3 id="capXXVII-9">CAP. XXVII. -<span class="smaller"><i>Come la compagnia s’appressò a Firenze.</i></span></h3> - -<p> -Mentre che questi ragionamenti si bargagnavano -e menavano per lunga, la forza del comune -di Firenze continovo cresceva sì per gente di -soldo e sì per amistà, perocchè in questo venne -del Regno mandato dal re Luigi il conte di -Nola della casa degli Orsini con trecento cavalieri; -e sentendo il conte di Lando sua venuta essendo -a Bettona, con mille barbute a loro cavalcò -incontro, credendolisi avere a man salva; ma -ciò sentendo per sue spie il conte di Nola, il quale -era molto loro presso, come gente del re per -lo capitano furono ricevuti in Spoleto: la qual -cosa a’ Perugini fu tanto grave, che al capitano -predetto di Spoleto, che era loro cittadino, cercarono -di fargli tagliare la testa; e per mandare -ciò ad esecuzione, mandarono il loro conservadore -<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span> -che cercasse di farlo; ma li Spoletani, che si -contentavano d’avere fatto servigio al re nella -persona della gente sua, nol vollono patire, e non -lasciarono entrare il conservadore in Spoleto; per -questa cagione furono vicini a ribellarsi al comune -di Perugia. Il conte di Lando stando alla bada -più dì di prendere questa gente, vedendo tornare -in fummo il suo proponimento, per non perdere -più tempo si ritornò alla sua compagnia, e il -conte di Nola preso il suo tempo a salvamento -se ne venne a Firenze. Anche avvenne, che fu -bella cosa, che dodici cavalieri napoletani tra -di Capovana e di Nido, facendo loro caporale un -messer Francesco Galeotto, sì per servire nostro -comune, e sì per fare prova di loro persone sentendo -che con la compagnia si deliberava di prendere -battaglia, con altrettanti scudieri a loro -compagnia in numero in tutto di cinquanta barbute, -nobilmente montati, e con ricche e reali -transegne e armadure, alle loro spese vennono a -Firenze, e tornarono in casa de’ cittadini, veduti -lietamente e onorati da tutti, standosi dimesticamente -co’ cittadini per la terra in pace e in sollazzo, -aspettando che si facesse battaglia, e stettono -tanto che si partì la compagnia: il comune -veggendo la cortesia e l’amore ch’aveano mostrato, -gli onorò di doni cavallereschi, cera e -confetti. La compagnia essendo stata oltre al -tempo promesso in sul contado di Perugia, e loro -fatto gran danno e disagio, si dirizzarono a Todi, -dove stettono sei dì, danneggiando e vivendo -di preda, e’ Todini ricomperarono il guasto -quelli danari che poterono fare; onde per patto -<span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span> -di loro terreno si partì la compagnia, e a dì 25 di -giugno fu a Bonconvento e al Bagno a Vignoni, -ricevuta con apparecchio di vittuaglia da’ Sanesi, -e a guida di loro cittadini. -</p> - -<h3 id="capXXVIII-9">CAP. XXVIII. -<span class="smaller"><i>Come il comune di Firenze diè l’insegne, -e mandò a campo la sua gente.</i></span></h3> - -<p> -I Fiorentini essendo pieni di buona speranza sì -per lo loro capitano, che a que’ tempi era riputato -grande maestro di guerra e uomo di grande cuore, -e sì per li molti gentili uomini pratichi in arme -ch’erano mandati per capitani della gente ch’era -venuta nell’aiuto del comune, e sì per gli altri -paesani e forestieri ch’erano sentiti, e atti non -che a seguitare ma a conducere e a governare -ogni grand’oste, i quali erano tutti di buono volere, -e desiderosi di prendere battaglia e per loro -fama e onore, e per servire e accattare la grazia -del comune di Firenze, e per spegnere quella mala -brigata, e l’usanza del criare spesso compagnia -per ingordigia di fare ricomperare signori e comuni; -appresso si vedea il comune fornito di bella -gente e bene armata e non di ribaldaglia; il perchè -sabato a dì 29 di giugno, il dì di san Piero, -coll’usato modo e stile di nostro comune, con allegrezza -e festa si dierono l’insegne, e ’l capitano -ricevuta la reale di mano del gonfaloniere di -giustizia, l’accomandò a messer Niccolò de’ Tolomei -da Siena, il quale era allora al soldo del -comune di Firenze, uomo fedele e di grande animo; -<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span> -e ciò fu fatto cautamente, prima per levare -invidia tra’ cittadini, appresso perchè fu pensato -che tale uomo dovesse essere più ubbidiente e riverente -al capitano che se fosse stato cittadino, -ancora per onorare la casa de’ Tolomei, che sempre -era stata in fede e in divozione del comune -di Firenze più ch’altra casa di città di Toscana; -la qual cosa per quella volta fu poco a grado a’ Sanesi. -L’insegna de’ feditori fu data a messer Orlando -Tedesco antico soldato del nostro comune, -fedele e provato in tutte maniere; e così si fè, -per mostrare la fede che’ l nostro comune avea ne’ -Tedeschi, e animarli a ben fare, che non ostante -che la zuffa si dovesse principalmente pigliare -co’ Tedeschi, volle fare palese il comune, che -quelli di quella lingua erano leali, e che ciascuno -di loro si dovea e potea fidare. Data l’insegna -e piena libertà al capitano di combattere e di non -combattere per l’esaltazione e onore del comune -di Firenze, senza darli consiglieri o tutori cittadini -che ’l potessono variare o impedire, cosa rade -volte usata per lo comune, ma utilmente fatta, e -nella detta impresa lodata, si partì di Firenze con -l’esercito che allora avea apparecchiato nostro -comune, che fu in questo numero: duemila barbute -eletti e duemila masnadieri contadini di -bello apparecchio, cinquecento Ungheri di soldo, -milledugento barbute eletti e quattrocento cavalieri -già venuti di quelli di messer Bernabò, -dugento di quelli del Marchese di Ferrara, dugento -di quelli del signore di Padova, trecento di -quelli del re Luigi, trecento che n’avea mandati -il legato non volontariamente, ma per virtù -<span class="pagenum" id="Page_198">[198]</span> -de’ patti della pace, i quali era tenuto a osservare -al nostro comune, cinquanta barbute di cavalieri -napoletani, messer Lupo da Parma con trenta barbute, -ottanta barbute degli Aretini e con fanti -da piè gente eletta e pulita, dugento fanti del -conte Ruberto, e da Pistoia messer Ricciardo -Cancellieri con dodici a cavallo per sè proprio e -trecento fanti del suo comune, d’altra amistà e -vicinanza oltre a fanti trecento, sicchè questa -prima mossa furono circa a quattromila cavalieri -e altrettanti pedoni, e il dì se n’andarono e posonsi -a campo in sulla Pesa e nelle contrade -d’intorno, per ordinarsi e accogliere l’altra gente -che si attendea de’ soldati di messer Bernabò. -</p> - -<h3 id="capXXIX-9">CAP. XXIX. -<span class="smaller"><i>Come la compagnia girò il nostro contado, -e la nostra a petto.</i></span></h3> - -<p> -Essendo la compagnia stata più giorni al Bagno -e a Bonconvento andonne a Isola, e avuto -quivi da’ Sanesi la vittuaglia in abbondanza per -portarne con seco, a dì 20 di giugno mossono -campo a piccoli passi girando per non venire su -quello di Firenze, e lasciandosi Siena alle reni feciono -la via da Pratolino, e ivi dimorarono due -dì di luglio, avendo la condotta e la panatica -da’ Pisani sì se n’andarono a Ripamaraccia, e -l’oste de’ Fiorentini si levò di Pesa e valicò -Castelfiorentino, e a dì 5 di luglio mutò campo, -e fermossi alla torre a Sanromano, comprendendo -infino alle Celle sotto Montetopoli, per attendere -<span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span> -quivi la compagnia sotto verace e bello ordine -e buona guardia, stando sempre avvisati; -la compagnia da Rimamortoia se ne venne a -Ponte di Sacco; e’ Pisani popolo e cavalieri con -numero d’ottocento barbute o in quel torno, sotto -colore di guardia, ma nel vero per dare alla compagnia -caldo e favore, e in caso di zuffa aiuto e -soccorso, si misono al Fosso arnonico, e venuta -che fu la compagnia, la condussono al Pontadera, -e come la vidono accampata, si ritornarono -ad altre frontiere vicine a quel luogo; e se ’l fatto -fosse seguito alle minacce della compagnia si -trovò vicina all’oste de’ Fiorentini a due miglia, -sicchè se voluto avessono fare d’arme l’aveano -in balía; ma veggendo il conte di Lando e gli -altri caporali ch’erano con lui che l’oste de’ Fiorentini -si conduceva saviamente, e con ordine e -maestria d’arme, e che di buona voglia arditamente -contro a loro si metteano, non conoscendo -nel luogo vantaggio, ma piuttosto il contrario, -per migliore consiglio dopo a cinque dì che a fronte -a fronte erano stati co’ nostri senza fare niuna -mostra o atto di guerra, a dì 10 di luglio si partì -bene la metà la mattina per tempo, e in sul mezzogiorno -giunse a Sanpiero in Campo nel Lucchese, -e accampossi quivi; il capitano de’ Fiorentini -loro mandò alle coste messer Ricciardo Cancellieri -con cinquecento uomini da cavallo per tenerli -corti e stretti in cammino, e lasciato al -passo di Sanromano bastevole guardia, a dì 21 -di luglio mosse l’oste, e s’accampò alla Pieve a -Nievole molto presso a’ nemici, in luogo, che tra -l’uno oste e l’altro era il campo piano e aperto -per fare d’arme chi avesse voluto. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_200">[200]</span> -</p> - -<h3 id="capXXX-9">CAP. XXX. -<span class="smaller"><i>Come la compagnia mandò il guanto -della battaglia al nostro capitano, -e la risposta fatta.</i></span></h3> - -<p> -Currado conte di Lando capitano e guida della -compagnia, con gli altri caporali e conducitori, -avendo da’ Pisani ferma promessa e dalla gente -loro, ch’erano in numero di ottocento barbute -e di duemila pedoni, la quale teneano in punto -a Montechiaro sotto colore e nome di guardia, -mischiandosi continovo con quella della compagnia, -della quale cosa i Fiorentini n’erano crucciosi -e male contenti, tutto che in vista accettassono -le scuse de’ Pisani, e que’ della compagnia -ne prendessono caldo e baldanza credendo -spaventare col detto appoggio, a dì 12 -del mese di luglio in persona loro trombetti mandarono -con grande gazzarra trombando nel campo -de’ Fiorentini con una frasca spinosa, sopra -la quale era un guanto sanguinoso e in più parti -tagliato con una lettera che chiedea battaglia, -dicendo, che se accettassono l’invito togliessono -il guanto sanguinoso di su la frasca pugnente; -il capitano con molta festa e letizia di tutta l’oste -prese il guanto ridendo; e ricordandosi che in -Lombardia nel luogo detto la frasca era stata a -sconfiggere il conte di Lando, con volto temperato -e savio consiglio rispose in questa forma: -Il campo è piano, libero e aperto in tra loro e -noi, e pronti siamo e apparecchiati a nostro podere -<span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span> -a difendere ed esaltare il campo in nome e -onore del comune di Firenze e la giustizia sua, -e per niuna altra cagione qui siamo venuti, se -non per mostrare con la spada in mano che i -nemici del comune di Firenze hanno il torto, e -muovonsi male senza niuna cagione di giustizia -o ragione di guerra; e per tanto speriamo in Dio, -e prendiamo fidanza e certezza d’avere vittoria -di loro: e a chi manda il guanto direte, che tosto -vedrà se l’intenzione sua risponderà alla fiera e -aspra domanda: e fatta questa risposta, e onorati -i trombetti di bere e di doni, il capitano fece -sonare li stromenti per vedere il cambio de’ suoi; -e tutto che dubbioso sia l’avvenimento della -battaglia, e che vittoria stia nelle mani di Dio, -e diela a cui e’ vuole, grande sicurtà e fidanza -prendeva nostra gente, che in que’ giorni era fortificata -di trecento soldati di cavallo nuovamente -fatti per lo nostro comune, e della venuta di -messer Ambrogiuolo figliuolo naturale di messer -Bernabò che in que’ pochi dì venne con cinquecento -cavalieri e con mille masnadieri, il quale -giunto, a grande onore ricevuto da’ Fiorentini, e -donatoli uno nobile destriere, di presente cavalcò -nell’oste e con molti cittadini, i quali stimando -che si facesse battaglia si misono in arme -e andarono all’oste. E infra l’altre cose che occorsono -in questa faccenda fu, che messer Biordo -e ’l Farinata della casa degli Ubertini essendo -in bando per ribelli del comune di Firenze, -s’offersono in suo aiuto e onore, ed essendo graziosamente -accettati, vennono con trenta a cavallo -nobilmente montati e bene in arnese, e veduti -<span class="pagenum" id="Page_202">[202]</span> -volentieri e lodati da tutti cavalcarono al campo, -d’onde per tornare in grazia del nostro comune -tanto si faticò messer Biordo, ch’era grande -maestro di guerra, che ne prese infermità, e -tornato a Firenze ne morì, e per lo nostro comune -fu di sepoltura maravigliosamente onorato -come a suo tempo diremo. E stando dopo la detta -richiesta a petto l’un oste all’altro senza fare -in arme atto nessuno, una notte di furto si partirono -della compagnia trecento cavalieri con alquanti -masnadieri, e cavalcarono verso Castelfranco, -e ritraendosi senza, preda, si riscontrarono -con tre cittadini di Firenze e altri Empolesi i -quali alla mercatantesca tornavano da Fisa, i -quali presono, e feciono ricomperare, e da indi -innanzi più non s’attentarono di cavalcare in sul -nostro contado e distretto. Stando le due osti vicine, -parendo al conte di Lando, e agli altri caporali -e a tutta la compagnia avere poco onore -della invitata di giostra, a dì 16 del mese di luglio -con le schiere fatte si misono innanzi verso -l’oste de’ Fiorentini: il capitano saviamente consigliato, -fatto della gente del nostro comune una -massa, con maestria e bell’ordine di gente d’arme -in tutte sue parti bene divisa e capitanata -com’era mestiere, si dirizzarono verso i nemici, -i quali veggendoli venire, si fermarono in un -luogo che si chiama il Campo alle Mosche, il -quale era cinto di burrati e aspre ripe, dove senza -grande disavvantaggio di chi volesse offendere -non poteano essere assaliti; i nostri gli aspettarono -al piano, allettandoli alla battaglia il luogo -il quale era comune; ma i grandi minacciatori, -<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span> -e di poco cuore, se non contro a chi fugge, non -s’attentarono di scendere al piano, e co’ palaiuoli -e marraiuoli che assai n’aveano da’ Pisani non -intesono a spianare il campo, ma ad afforzarsi con -barre e steccati in quel luogo, e ivi alloggiatisi, -e arso il campo ond’erano partiti, il capitano -de’ Fiorentini si fermò coll’oste dov’era -arso il Campo, a meno d’un miglio di piano -presso a’ nemici, e quivi afforzossi per non essere -improvviso assalito, e spesse fiate con gli Ungheri -insino alle barre facea assalire i nemici, ma -nulla era, che tutti o parte di loro si volessono -mettere a zuffa; il perchè faceano pensare che ciò -facessono per maestria di guerra per cogliere i -nostri a partito preso e a vantaggio loro; ma il -savio capitano col buono consiglio sempre stava -a riguardo e provveduto in forma, che con inganno -non li facessono vergogna. I Sanesi veggendo -che contro la loro opinione e pensiero i -Fiorentini prosperavano, per ricoprire il fallo -loro ne feciono un’altro maggiore, perocchè -per loro ambasciadori si mandarono a scusare al -nostro comune, e offerendo aiuto trecento barbute; -la scusa fu benignamente ricevuta, e accettata -la promessa, la quale feciono, che si convertì -in fumo, perchè non si facea nè procedea di diritto -e buon cuore. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_204">[204]</span> -</p> - -<h3 id="capXXXI-9">CAP. XXXI. -<span class="smaller"><i>Come la compagnia vituperosamente si partì -del Campo delle Mosche, e fuggissi.</i></span></h3> - -<p> -Vedendo i conducitori della compagnia che -l’oste de’ Fiorentini era loro appressata con molta -allegrezza sotto il savio governo del buono capitano, -e di molti altri valenti uomini d’arme -famosi, e sofficienti ad essere ciascuno per sè capitano, -e di tali v’erano ch’erano stati, e che la -gente del comune di Firenze era fresca e bene armata, -e la loro stanca, e la maggiore parte fiebole -e male in arnese; e veggendo che al continovo -a’ nemici forza cresceva, e temendo di non essere -soppresi nel luogo dov’erano, e che i passi -non fossono loro impediti; e sentendo, ch’e’ Fiorentini -di ciò procacciavano, e presa esecuzione -aveano mandati balestrieri e pedoni nelle montagne -verso Lucca; e conoscendo che a loro convenia -vivere di ratto spargendosi, e cercando da -lunga la preda, o che essendo tenuti stretti a loro -convenia o arrendersi o morire di fame; ed essendo -stati a gravare i Pisani venti dì più che -non era in patto con loro, soprastando quivi senza -venire a battaglia temeano di soffratta di vittuaglia, -aspettando il soperchio di non rincrescere -ad altrui, e diffidandosi di vincere i Fiorentini -per istracca, e tutto ch’avessono domandata battaglia -la schifavano, e per tema di non esservi -recati per forza s’erano afforzati con fossi e -steccati, la vilia di santo Iacopo a dì 23 di luglio, -<span class="pagenum" id="Page_205">[205]</span> -di notte, innanzi l’apparita del giorno, misono -nel loro campo fuoco, e in fretta sconciamente -si partirono, quasi come in fuga, non aspettando -l’uno l’altro, valicando il colle delle Donne in -su quello di Lucca, ch’era loro presso; sicchè -prima furono in su quello di Lucca infra sei miglia, -che l’oste de’ Fiorentini li potessono impedire. -E ciò avvenne, perchè il nostro comune -avea imposto al capitano che si guardasse di non -rompere la pace a’ Pisani cavalcando in su quello -di Pisa o di Lucca, che la teneano allora, e -per la detta cagione il capitano non si mise a seguirli. -E certo e’ si portò valentemente in tenere -a ordine e bene in punto così grande oste, e -farsi temere e ubbidire alla gente che gli era -commessa, e alla forestiera che serviva per amore, -procedendo con savia condotta, e buona e -sollecita guardia, per modo che in pochi giorni -ricise il pensiero dell’offesa de’ nemici, e a loro -tolse ogni speranza che ’l conte di Lando avea -e gli altri caporali di fare quel male che aveano -promesso di fare al nostro comune. Questa -utile impresa e degna di fama fece assai manifesto, -e fece conoscere pienamente a tutti i comuni -di Toscana e d’Italia, e a’ signori, che -gente di compagnia, quantunque fosse in numero -grande, e terribile per sua operazione scellerata -e crudele, si potea vincere e annullare, -perocchè la sperienza occorse, che tale -gente somigliante furono per natura vile e codarda -cacciare dietro a chi fugge, e dinanzi si -dilegua a chi mostra i denti. Noi vedemo, che -il ladro sorpreso nel fallo invilisce, e lasciasi -<span class="pagenum" id="Page_206">[206]</span> -prendere a qualunque persona; e così addivenne -di questa mala brigata, che solo per rubare si -riducea in compagnia. E per non dimenticare il -resto, quello di che giudichiamo degno di nota -intorno a questa materia, pensiamo che fosse -operazione di Dio, che in quel dì ch’elli erano -stati sconfitti a piè delle Scalee nell’alpe, in -quel medesimo dì rivolto l’anno e finito, essendo -nel piano largo e aperto, si fuggirono del -campo alle Mosche. Basti d’avere tanto detto, e -faremo punto qui alle nostre fortune, per seguire -delle straniere quante n’avvenne ne’ tramezzamenti -di questi tempi, secondo che siamo usati -di fare. -</p> - -<h3 id="capXXXII-9">CAP. XXXII. -<span class="smaller"><i>Come il re d’Ungheria passò nel reame -di Rascia.</i></span></h3> - -<p> -Poco addietro di sopra scrivemmo i casi occorsi -nel reame di Rascia, e come il re di Rascia s’era -partito dall’omaggio del re d’Ungheria, ed erasi -fatto rubello; e seguendo la detta materia, tenendo -il re di Rascia parte della Schiavonia appartenere -a dominio al re d’Ungheria, cessava -fare il debito servigio, onde il re d’Ungheria -n’era forte indegnato. Il perchè trovato che il -passo della Danoia gli era sicuro, e ricetto di sua -gente apparecchiato per lo barone del re di Rascia, -che colla forza e aiuto degli Ungheri avea -vinto e sconfitto il suo avversario, e fattosi uomo -del re d’Ungheria, del mese di maggio -1359, il re d’Ungheria con più de’ suoi baroni -<span class="pagenum" id="Page_207">[207]</span> -passarono la Rascia con grande quantità d’arcieri -a cavallo e d’altra gente d’arme, colla quale -si partirono dalla riva della Danoia, e passando -per piani corsono infino alle grandi montagne -di Rascia, e quivi trovarono nel piano molto di -lungi dalle coste de’ monti gran gente del re di -Rascia, quivi ragunata per difesa del regno. Gli -Ungheri vogliosamente s’abboccarono con loro, -e dopo lunga battaglia li ruppono, onde in fuga -abbandonarono il piano, e ridussonsi alla montagna. -E avendo la gente del re d’Ungheria fatto -questo principio, il re in persona valicò la -Danoia con grande esercito, e accozzato con -l’altra sua oste, e seguendo la fortuna, si mise -contra quella gente vile, e combattendo vinse -gli aspri passi per forza, sicchè in breve tempo -tutta la grande montagna fu tutta in sua balìa. -Veggendosi il re prosperare, diliberò di valicare -in persona la montagna, ma i baroni suoi non -glie l’assentirono, perchè non parve loro che -per questo la persona del re si mettesse a questa -ventura, ma molti de’ baroni e molta di sua -gente valicò per combattersi col re de’ Servi, -che così è titolato il re di Rascia; il quale in -campo non osò comparire, ma con tutta sua gente -si ridusse, secondo loro costume, alle fortezze -delle boscaglie, ove non poteano essere impediti, -senza smisurato disavvantaggio di chi ne fosse -messo alla punga. Gli Ungheri senza trovare -contradizione o resistenza alcuna piccola o -grande cavalcarono infra ’l reame più d’otto -giornate per li piani aperti, non trovando niente -che potessono predare, perchè tutto era ridotto -<span class="pagenum" id="Page_208">[208]</span> -alle selve; alquanti cavalieri ungheri si misono -il campo in una boscaglia, ed essendo assaliti -d’alquanti villani, credendo avere trovato il -grosso de’ nemici, assai di loro si ferono cavalieri, -stimando di venire a battaglia, i quali appellati -furono poi per diligione e scherno i cavalieri -della Ciriegia, perocchè essendo abbattuti nel -bosco a’ ciriegi, ne mangiavano quando da’ detti -villani furono assaliti. Il re d’Ungheria, veggendo -sua stanza senza profitto, non avendo trovato -contasto, con tutta sua oste si ritornò in Ungheria. -</p> - -<h3 id="capXXXIII-9">CAP. XXXIII. -<span class="smaller"><i>Come messer Feltrino da Gonzaga tolse Reggio -a’ fratelli.</i></span></h3> - -<p> -Messer Guido da Gonzaga signore di Mantova, -quando fermò la pace tra’ signori di Milano e la -lega di Lombardia, segretamente promise a messer -Bernabò, che per li suoi danari gli darebbe -la città di Reggio. Questo segreto venne agli orecchi -di messer Feltrino suo fratello innanzi che -la detta promessa avesse effetto. Messer Feltrino -prese suo tempo, e senza saputa di messer Guido -entrò in Reggio, e con aiuto di gente e d’amici -rubellò la città. Messer Guido credendo ricoverare -la città per forza, del mese di maggio del -detto anno ricolse grande gente d’arme, e impetrò ed -ebbe aiuto da’ signori di Milano: e stando -in Mantova, e ordinandosi per porre l’assedio, -sentì che ’l signore di Bologna e ’l marchese -<span class="pagenum" id="Page_209">[209]</span> -di Ferrara aveano alla difesa fornita la terra, -onde si rimase dell’impresa, la quale faceva -malvolentieri, per non appressarsi troppo la forza -de’ signori di Milano. -</p> - -<h3 id="capXXXIV-9">CAP. XXXIV. -<span class="smaller"><i>Come il vescovo di Trievi sconfisse -gl’Inghilesi.</i></span></h3> - -<p> -Il vescovo di Trievi veggendo il reame di -Francia in tanta rivoluzione e traverse, e che -necessario era a’ cherici per difesa di loro franchigia -prendere l’arme, come uomo valoroso, -ricolse gente d’arme e d’amistà e di soldo, e -abboccossi per avventura in un assalto con certi -Inghilesi, ch’erano guidati per gente del re di -Navarra, e combattè con loro e sconfisseli, i quali -erano intorno di millecinquecento, de’ quali assai -ne furono morti. In questo medesimo giorno -il Delfino di Vienna si mise ad assedio a Monlione, -il quale era venuto alle mani degl’Inghilesi, -per racquistarlo, e forte lo strinse, perchè essendo -il castello presso a dieci leghe a Parigi, gli -parea gran vergogna fosse della corona e grande -abbassamento che fosse in podestà de’ nemici, -e ’l luogo era molto presso a Parigi, e forte offendea. -Durante l’assedio avea il Delfino a suo soldo -certi baroni alamanni, e non avendo di che -pagarli, loro diede in gaggio due buoni castelli -del reame. Puossi considerare in quanta soffratta -e debolezza era in questi giorni il reame di -Francia, che si stimò per li savi se non fosse stato, -<span class="pagenum" id="Page_210">[210]</span> -com’era, antico e corale l’odio per lunghe riotte -aveano avute i Franceschi e gl’Inghilesi, in dispetto -innaturale convertito, il quale facea a’ Franceschi -sostenere ogni affanno e ogni tormento, per -certo il re d’Inghilterra era sovrano della guerra. -</p> - -<h3 id="capXXXV-9">CAP. XXXV. -<span class="smaller"><i>Come fu soccorsa Pavia, e levatone l’oste -de’ Visconti.</i></span></h3> - -<p> -L’oste di messer Galeazzo signore di Milano -lungamente era stato sopra Pavia con certe bastite, -forte tenendo stretta la terra; il marchese -di Monferrato preso suo tempo, con la più gente -potè ragunare s’entrò cautamente in Pavia, e -avuto per sue spie del reggimento dell’oste, e del -poco ordine e guardie di quelli delle bastie, subitamente -e aspramente li assalì improvviso, e -li ruppe e sbarattò, e liberò dall’assedio, e menò -in Pavia più di dugentocinquanta cavalieri e -molti prigioni, e fornimento e arnese; e ciò fatto, -si tornò alle terre sue. Messer Galeazzo per la -sua gran potenza poco pregiando quella rottura rifornì -subitamente le frontiere di Pavia di gente -d’arme assai più che di prima, facendo tutto dì -cavalcare in sulle porti di Pavia di gente d’arme -assai più che di prima, sicchè senza tenervi bastia -forte gli affliggea, e tenevagli sì stretti, -che non s’ardivano d’uscir fuori persona, e di -loro frutti non poteano avere bene. E del seguente -mese di luglio il detto messer Galeazzo fece -un’altra grande oste, e mandolla nel Monferrato -addosso al marchese. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_211">[211]</span> -</p> - -<h3 id="capXXXVI-9">CAP. XXXVI. -<span class="smaller"><i>Come il capitano di Forlì s’arrendè al legato.</i></span></h3> - -<p> -Avendo perduto il capitano di Forlì il caldo -della compagnia, ed essendo per la lunga guerra -molto battuto, e vedendo che più non potea sostenere, -e che poco era in grazia e in amore -de’ suoi cittadini per la messa che fatta avea -della compagnia in Forlì, essendo tra il legato -e lui per mezzani lungo trattato d’accordo, prese -partito di arrendersi liberamente alla discrezione -e misericordia del legato, con alcuna promessa -d’essere bene trattato e del modo, che a -dì 4 di luglio 1359, il legato in persona, avendo -prima messa la gente sua e prese le fortezze, entrò -in Forlì con grande festa e solennità e di sua -gente e de’ cittadini di Forlì. Nella quale entrata -Albertaccio da’ Ricasoli cittadino di Firenze, -il quale al continovo era stato al consiglio segreto -del cardinale, e delle sue guerre in gran -parte conducitore e maestro, in sull’entrare del -palagio fatto fu cavaliere. E ciò fatto, il legato -ordinato la guardia della città e lasciatovi suo -vicario se n’andò a Faenza, e ivi in piuvico -parlamento, essendo dinanzi da lui messer Francesco -degli Ordelaffi per addietro capitano di Forlì, -riconobbe e confessò tutti i suoi falli ed errori -che commessi avea contro la Chiesa di Roma -e suoi pastori, i quali letti li furono nella -faccia in presenza del popolo, domandando umilmente -perdono e misericordia dalla Chiesa di -<span class="pagenum" id="Page_212">[212]</span> -Roma. Il legato fatto ciò, e in lungo e bello sermone -gravando in parole l’ingiurie e la pertinacia -della resia, e le pene nelle quali era incorso il -capitano, privollo d’ogni dignità e onore, e per -penitenza gl’impose, ch’elli vicitasse certe chiese -di Faenza in certa forma; e ciò fatto, il legato -cavalcò a Imola, ove venne il signore di Bologna -sotto la cui confidanza il capitano s’era arrenduto; -e stati a parlamento insieme più giorni, a dì -17 di luglio, il cardinale ricomunicò nella mensa -messer Francesco degli Ordelaffi, e nominatamente -tutti i suoi aderenti e quelli che l’aveano -favoreggiato, e ristituillo nell’onore della cavalleria, -e perdonogli tutte l’offese per lui fatte alla -Chiesa di Roma, e annullò ogni processo per -lui fatto di resia contro a lui, e ridusselo nella -grazia sua, e dichiarò che dieci anni fosse signore -di Forlimpopoli e di Castrocaro, potendo stare -in ciascuno de’ detti luoghi famigliarmente, e -rimanendo le rocche in guardia d’amici comuni, -e liberamente li ristituì la moglie, e’ figliuoli, e -tutti quelli che tenea in prigione degli amici -e seguaci del capitano; e così ebbe fine la lunga -e pertinace guerra e ribellione del capitano di -Forlì; e per la detta cagione la Romagna rimase -in pace, e liberamente all’ubbidienza della Chiesa -di Roma. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_213">[213]</span> -</p> - -<h3 id="capXXXVII-9">CAP. XXXVII. -<span class="smaller"><i>Di una compagnia creata d’Inghilesi -in Francia.</i></span></h3> - -<p> -Volendo il re d’Inghilterra mostrare osservazione -di pace secondo l’ordine, infintamente in -suo titolo o nome niuna guerra fatta nel reame -di Francia, ma i molti Inghilesi ch’erano nel reame -seguendo il segreto ordine dato per lui ora -con uno ora con altro caporale s’accostavano -che li guidasse a guerreggiare e sconciare il -reame di Francia; in questi tempi della state -uno sartore inghilese il quale avea nome Gianni -della Guglia, essendo nella guerra dimostrato -prode uomo con gran cuore in fatti d’arme -cominciò a fare brigata di saccardi e assai -Inghilesi che si dilettavano di mal fare, e che -attendeano a vivere di rapine, e cercando e rubando -ora una villa ora un’altra nel paese crebbe -in tanto sua brigata, che da tutti i paesani era -ridottato forte; e per questo senza i casali non -murati cominciarono tutti a patteggiarsi con lui, -e li davano pannaggio e danari, ed egli li faceva -sicuri; e per questo modo montò tanto sua -nomea che catuno si facea suo accomandato, onde -in pochi mesi fece gran tesoro. Essendo moltiplicato -di gente e d’avere, cominciò a passare -di paese in paese, e sì andando venne insino -al Pau, e ivi prese laici, e’ cherici rubò, e’ laici -lasciò andare; onde la corte di Roma ne mostrò -gran paura, e pensava a farsi forte per resistere -<span class="pagenum" id="Page_214">[214]</span> -a quella brigata. Costui nell’avvenimento del -Pau de’ signori d’Inghilterra lasciò il capitanato -e la gente, e ridussesi all’ubbidienza del re, e -de’ danari ch’avea accolti ne fè buona parte -a’ reali; e così andavano in que’ tempi i fatti di -Francia. -</p> - -<h3 id="capXXXVIII-9">CAP. XXXVIII. -<span class="smaller"><i>D’una zuffa che fu tra gli artefici -di Bruggia.</i></span></h3> - -<p> -Noi avemo detto più volte, che ’l mondo per -lo suo peccato non sa nè può stare in riposo, -e le sue travaglie, le quali scrivemo, ne fanno -la fede, che si può dire veramente l’opera nostra -il libro della tribolazione, e nuove. In questi -dì a dì 17 di luglio, avendo il conte di Fiandra -ragunata la comune di Bruggia per alcuna sentenza -che dare dovea per danno d’alcuno sopra -certo misfatto, uno calzolaio prosuntuosamente -si levò a dire nella ragunanza contro alla volontà -del conte, il perchè due degli altri minuti mestieri -parlando lo ributtarono, e dissono contro -a lui. Il calzolaio trasse fuori la spada, e disse, -che chi ’l volesse seguire con sua arme n’andasse -alla piazza di Bruggia, il perchè molti de’ mestieri -il seguirono; e ragunati in sul mercato con loro -arme e transegne stavano in punto, e attenti -per rispondere a chi gli volesse di quel luogo cacciare. -Altri mestieri, che non erano contenti -che costoro pigliassono nella villa maggioranza, -de’ quali si feciono capo folloni e tesserandoli, -<span class="pagenum" id="Page_215">[215]</span> -s’andarono ad armare, e in breve spazio di -tempo in gran numero si ragunarono in sul mercato, -e di subito senz’altro consiglio in fiotto -si dirizzarono a coloro ch’erano schierati in -sulla piazza, e percossonli, e rupponli, e nell’assalto -n’uccisono cinquantasette, e molti ne magagnarono -di fedite. E ciò fatto, co’ loro avversari -di presente feciono la concordia, e di loro feciono -tre capi, uno tesserandolo, e uno carpentiere, -e uno calzolaio, e in questi tre fu riposto e -commesso il fascio e tutto il pondo di loro governamento -e reggimento; e al conte non feciono -violenza alcuna, nè niuno mal sembiante. -E racchetò la furia e il bollore del popolo in -un batter d’occhio, questi tre mandarono la -grida, che catuno andasse a fare suo mestiero, e -ponesse giù l’arme, e così fu fatto. Che a pensare, -ed è incredibile cosa e maravigliosa, che il -tumulto di tanto popolo con cotante offensioni -e tempeste s’acquetasse così lievemente, senza -ricordo delle ingiurie sanguinose mescolate della -pace, ciò si può dire, che in un punto fu la pace, -e l’aspra e crudele guerra. -</p> - -<h3 id="capXXXIX-9">CAP. XXXIX. -<span class="smaller"><i>Come l’imperadore de’ Tartari fu morto.</i></span></h3> - -<p> -In questo tempo il figliuolo di Giannisbec -imperadore de’ Tartari, ch’abitava intorno alla -marina del Mare oceano detto volgarmente il -Mare maggiore, avendo pochi anni tenuto l’imperio, -e in quello piccolo tempo fatto morire per -<span class="pagenum" id="Page_216">[216]</span> -diversi modi quasi tutti quelli ch’erano di suo -lignaggio, o per paura che non li togliessono la -signoria, o per altro animo imperversato e tirannesco, -ultimamente caduto in lieve malattia, -affrettato fu di morire d’aprile 1359. E quanto -che sua vita fosse con molta guardia e cautela, -difendere non si seppe da morte violente, tanto -era per sua iniquità mal voluto: e pur venne -l’imperio dove con sollecitudine s’era sforzato -che non pervenisse, a uno di sua gesta. -</p> - -<h3 id="capXL-9">CAP. XL. -<span class="smaller"><i>Di novità de’ Turchi in Romania.</i></span></h3> - -<p> -Nel medesimo tempo di sopra Ottoman Megi, -il maggiore signore de’ Turchi, avendo riavuto -il figliuolo il quale, come dicemmo, era stato -preso da’ Greci, col detto suo figliuolo insieme -con esercito grande di Turchi avea lungo -tempo assediata Dommettica, nobile e bella -città posta in Romania, la quale non essendo -soccorsa dall’imperadore di Costantinopoli -nè dagli altri, e non potendosi più tenere, -s’arrendè, e venne in potestà de’ Turchi. E -avendola Ottoman di sua gente di guardia fornita, -con grandissima gente di Turchi si dirizzò -a Costantinopoli, con speranza di prendere la -terra, o per assedio, o per battaglia; e giunti, -fermarono loro campo presso alla città, correndo -spesso per tutti i paesi dintorno, e facendo a’ Greci -grandissimo danno. E ivi stati lungamente -senza fare acquisto di cosa che venisse a dire -<span class="pagenum" id="Page_217">[217]</span> -niente, veggendo che poco potea adoprare, se -ne tornò in Turchia. -</p> - -<h3 id="capXLI-9">CAP. XLI. -<span class="smaller"><i>Come il Delfino di Vienna fece pace col re -di Navarra.</i></span></h3> - -<p> -Quanto che la pace fatta tra’ due re d’Inghilterra -e di Francia in sostanza fosse nonnulla, -nondimanco per non potere per onestà offendere -palesemente forte era allentata la guerra, e molti -Inghilesi s’erano tornati nell’isola con quello -ch’aveano potuto avanzare del nò e del sì. Al -re di Navarra pochi Inghilesi erano rimasi, onde -non potendo tanto male fare quanto per l’addietro -era usato, questa tiepidezza di tempo diede -materia a quei baroni di cercare pace tra ’l -re e ’l Delfino, la quale per le dette cagioni -assai tosto seguì. E accozzati il re e ’l Delfino, -per buona e ferma pace si baciarono in bocca, e -il re promise di stare in fede della corona di -Francia, e d’atare il Delfino a suo potere contro -all’oppressione degl’Inghilesi. Questa pace molto -fu cara, e di gran contentamento a’ Franceschi, -perocchè la loro divisione era stata materia -del guasto di Francia. Ma come che ’l fatto -si fosse, la pace i più pensarono che fosse con -inganno e a mal fine per la viziata fede del re -di Navarra, e corrotta per l’usanza delle scellerate -cose in che egli era trascorso, immaginando -che non meno potesse nuocere sotto fidanza -di pace, che fatto s’avesse nella guerra palese. -<span class="pagenum" id="Page_218">[218]</span> -E così ne seguette, come apparve poco appresso -per segni aperti e manifesti. -</p> - -<h3 id="capXLII-9">CAP. XLII. -<span class="smaller"><i>Come l’oste de’ Fiorentini tornò a Firenze -e la compagnia ne andò nella Riviera.</i></span></h3> - -<p> -Fuggita la compagnia del campo delle Mosche -dov’erano stati appetto dell’oste de’ Fiorentini -per speranza venti giorni, com’è addietro -narrato, ed essendo al ponte a San Quirico in -sul fiume del Serchio, molti se ne partirono, e -chi prese suo viaggio, e chi in uno e chi in altro -paese; e la maggiore fortezza di loro, ch’era -col conte di Lando, e con Anichino di Bongardo, -quasi tutta di lingua tedesca, prese il soldo dal -marchese di Monferrato: e ricevuto per loro condotta -in parte di paga ventottomila fiorini d’oro, -tutto loro arnese grosso con gran parte di loro -gente misono in arme. E conducendoli sempre -i Pisani, e avuto licenza dal doge e da’ Genovesi, -e dato loro stadichi di non far danno per -la Riviera, donde loro convenia passare, e di torre -derrata per danaio, se n’andarono in sulla -Magra; e s’affilarono uomo innanzi a uomo, e -misonsi in cammino per li stretti e malagevoli -passi, che alla via loro non era altra rimasa. -Nè per ricordo si trova, che dal tempo d’Annibale -in qua gente d’arme numero grande per -que’ luoghi passasse, perchè sono vie malagevoli -alle capre. E bene verifica la sentenza di Valerio -Massimo, il quale dice, che la nicistà dell’umana -<span class="pagenum" id="Page_219">[219]</span> -fiebolezza è sodo legame, la quale in -questa forma è rivolta in verbo francesco. Necessità -fa vecchia trottare. In questo cammino senza -niuna offesa, solo che di male vivere, misono -tempo assai. La compagnia, come detto avemo, -preso suo viaggio, l’oste del comune di Firenze -stette ferma in sul campo infino al giovedì a dì -primo d’agosto 1359; a quel dì con grande festa -levarono il campo molto ordinatamente, e passarono -da Serravalle, e alloggiaronsi la sera alla Bertesca -tra i confini di Firenze e di Pistoia, stendendosi -fino a Prato; il venerdì mattina a dì 2 d’agosto -di quindi si tornarono a Firenze. I Fiorentini -per onorare il capitano li mandarono incontro alla -porta due grandi destrieri coverti di scarlatto, e -un ricco palio d’oro levato in asti con grandi -drappelloni pendenti alla reale, sotto il quale -vollono ch’egli entrasse nella terra a guida di -cavalieri, e gentili uomini e popolari, ma il valente -capitano prese e accettò cortesemente con -savie parole i cavalli, ch’erano doni cavallereschi, -e ricusò di venire sotto il palio; e fulli a -maggiore onore riputato. E per rendere al comune -l’insegne, con la gente ordinata come l’avea a -campo tenuta, nella prima frontiera mise i balestrieri -e gente a piè, e appresso la camera del -comune, poi gli Ungheri, appresso i cavalieri, -e in fine mise il palio innanzi per onore del comune -alla sua persona, e senza niuna pompa in -mezzo del conte di Nola e del figliuolo di messer -Bernabò, e’ venne per la città al palagio de’ signori -priori, e ivi con grande allegrezza rassegnò il -bastone e l’insegne a’ signori priori, le quali accomandate -<span class="pagenum" id="Page_220">[220]</span> -gli aveano, e da indi a pochi giorni -fatto a grande numero di cittadini un nobile e -solenne convito se ne tornò in Romagna. -</p> - -<h3 id="capXLIII-9">CAP. XLIII. -<span class="smaller"><i>Della morte e sepoltura di messer Biordo -degli Ubertini.</i></span></h3> - -<p> -Messer Biordo degli Ubertini fu cavaliere gentilesco -e di bella maniera, costumato e d’onesta -vita, savio e pro’ della persona, e ornato d’ogni -virtù, e per tanto in singolare grazia dell’imperadore, -e molto amato dal legato di Spagna e da -molti altri signori. Costui e’ suoi consorti in questi -tempi forte s’inimicavano co’ Tarlati d’Arezzo, -e molto erano da loro soperchiati; onde egli -avendo provato che ’l caldo e il favore de’ detti -signori era troppo di lontano di passaggio e di -poco profitto, sopra tutto desiderava d’essere -confidente e servidore del comune di Firenze, -la cui amicizia vedea ch’era stabile e diritta, e -che gratificava il servigio; perchè, come addietro -dicemmo, per essere egli e’ suoi in bando e ribelli -del comune di Firenze, offerse il servigio di sè -e de’ suoi contro la compagnia, e accettato venne -nell’oste, dove per mostrare quello ch’egli -era s’affaticò sopra modo, che da tutti fu ricevuto -da grande sentimento in opera d’arme, -tornato col capitano a Firenze, subito cadde in -malattia. Il comune avendo prima avuto a grado -sua liberalità, e appresso l’opere sue, di presente -lo ribandirono co’ consorti suoi, e per mostrare -<span class="pagenum" id="Page_221">[221]</span> -verso lui tenerezza, con molti medici alle spese -del comune lo feciono medicare; ma come a Dio -piacque, potendo più l’infermità che le medicine, -la mattina a dì 16 d’agosto divotamente rendè l’anima -a Dio. Il corpo si serbò sino nel dì seguente, -per attendere il vescovo d’Arezzo suo consorto -e gli altri di casa sua; ed essendo venuti, per lo -comune furono fatte l’esequie della sua sepoltura -riccamente, e alla chiesa de’ frati minori ove -si ripose, che tutte le cappelle, e ’l coro, e sopra -una gran capanna fu fornita di cera e con molti -doppieri, e sopra la bara un drappo a oro con drappelloni -pendenti coll’arme del popolo e del comune, -e di parte guelfa e degli Ubertini, e con -vaio di sopra con sei cavalli a bandiere di sue armi, -e uno pennone di quello del popolo e uno -di parte guelfa, con molti fanti e donzelli vestiti -a nero. Fu cosa notabile e bella in segno di gratitudine -del nostro comune, il quale volentieri -onora chi onora lui, dimettendo le vecchie ingiurie -per lo nuovo bene, e non avendo a parte -rispetto, ma alle operazioni fedeli e devote. Alle -dette esequie fu il detto vescovo, e ’l Farinata -e tutti gli altri consorti vestiti a nero, e’ signori -priori, e’ collegi, e’ capitani della parte, e gli altri -rettori e uficiali del comune, e tutti i cherici -e buoni cittadini, e ’l chericato tutto e’ religiosi -di Firenze. Morì in casa i Portinari; e la bara -si pose in sul crocicchio di Porta san Piero dalla -loggia de’ Pazzi, dove posta la mattina, tanto -vi stette, che ’l vescovo venne: e intorno alla -bara erano fanti vestiti di nero, e cavalli e bandiere, -l’uno appresso l’altro, parte per la via, -<span class="pagenum" id="Page_222">[222]</span> -che viene al palagio della podestà, e parte per quella -che va a santa Reparata; fu cosa ricca e piatosa, -e tutto il popolo piccoli e grandi trassono a -vedere. Abbianne fatta più lunga scrittura che -non si richiede, perchè ne parea fallire, se onorandolo -tanto il nostro comune noi non l’avessimo -con la penna onorato, e perchè pensiamo, -che sia esempio a molti a tramettersi a ben fare, -veggendo essere il bene operare premiato a -coloro che ’l meritano. -</p> - -<h3 id="capXLIV-9">CAP. XLIV. -<span class="smaller"><i>Come i Perugini mandarono ambasciata a Siena, -e abominando i Fiorentini.</i></span></h3> - -<p> -L’arbitrata sentenza data sopra la pace tra il -comune di Perugia e quello di Siena, tutto che -fosse comune utile e buona, all’uno e all’altro -comune forte dispiacea, come addietro abbiamo -narrato, e ciascheduno con sua ambasciata che -piacesse al nostro comune per suo onore e grazia -loro annullare; e ciò fare non volse, perchè quasi -niente derivava da’ ragionamenti fatti con gli -ambasciadori de’ detti comuni, se non ch’alquanto -nel tempo e nel modo, onde la pace si rimase -con le strade bandite, ma con gli animi pregni -e pieni d’odio e di stizza, e vollonsi dirompere -se l’impossibilità non gli avesse tenuti, -perocchè tanto aveano speso, che premendo loro -borse niente vi si potea trovare se non vento e -rezzo. I Perugini pregni d’animo, alterosi e superbi, -senza avere di loro possa riguardo, per mostrare -<span class="pagenum" id="Page_223">[223]</span> -sdegno d’animo contro a’ Fiorentini, crearono -otto ambasciadori di loro cittadini più nominati -e più cari, e vestironli di scarlatto, e accompagnaronli -di giovanaglia vestiti d’assisa dimezzata -di scarlatto e di nero, e con molta pompa -li mandarono a Siena, dove furono ricevuti con -festa rilevatamente all’usanza sanese, recandosi -in grande gloria questa mandata; e qui ritta in -parlamento, cortesemente infamando il comune -di Firenze, nella proposta dissono; l’uomo nimico -nel campo del grano soprassemina la zizzania, -cioè il loglio; e recando il processo del parlare -a questa sentenza, copertamente la ridussono e -rivolsono contro al nostro comune, conchiudendo -ch’e’ s’erano ravveduti, e a loro veniano come -a cari fratelli, per fermare e mantenere con gli -animi buoni, e magni e liberali, perpetua e liberale -e buona pace, posta giù ogni onta e dispetto, -e ogni cruccio nel quale a stigazione altrui -fidandosi poco avvedutamente erano incorsi; e -infine uditi volentieri, presono co’ Sanesi di nuovo -fermezza di pace. I Fiorentini molto si rallegrarono -della pace per sospicione che li tenea -sospesi di rottura per lo poco contentamento che -l’uno comune e l’altro dimostrava in parole di -quella ch’era fatta, come fu detto di sopra; vero -è che molto punsono le villane e disoneste parole -de’ Perugini, e molto furono notate e scritte -ne’ cuori de’ cittadini. Tutto poi che i Perugini -s’ingegnassono di scusare loro baldanzosa -e poco consigliata diceria e proposta, per -la detta cagione poco appresso seguette, che -avendo i Perugini fatta ragunata di gente, per -<span class="pagenum" id="Page_224">[224]</span> -fama si sparse che tentavano in Arezzo coll’appoggio -degli amici di messer Gino da Castiglione. -Onde per questo sospetto, a dì 12 -d’agosto, il comune di Firenze vi mandò quattrocento -cavalieri, e assai de’ suoi balestrieri: poi -si trovò che nel vero i Perugini intendeano -altrove, ma pure per l’odio che novellamente -aveano in parole dimostrato, crebbe eziandio per -questa non vera novella. -</p> - -<h3 id="capXLV-9">CAP. XLV. -<span class="smaller"><i>Come il comune di Firenze mandò aiuto di -mille barbute a messer Bernabò contro -alla compagnia.</i></span></h3> - -<p> -Avendo la compagnia preso viaggio per la Riviera -di Genova sotto titolo di soldo contro a’ signori -di Milano, i Fiorentini il cui animo era a perseguitarla, -e perseguire a loro podere il pericoloso nimico -nome di compagnia in Italia, e avendo rispetto -a questo volere, ma molto più al servigio ricevuto -da messer Bernabò contro a essa compagnia; di -tutta sua gente sceltane il fiore, e in numero di -mille barbute, prestamente e senza resta, a dì 18 -d’agosto la fece cavalcare verso Milano sotto la -insegna del comune di Firenze, a guida di loro -cavalieri popolari, i quali ricevuti graziosamente -in Milano, cavalcarono nell’oste. Elli furono -vincitori, come al suo tempo diviseremo, non -tanto per lo numero loro, nè per la forza loro, -quanto per la fama del favore del nostro comune, -che grande era a quell’ora, per la viltà presa -<span class="pagenum" id="Page_225">[225]</span> -per la compagnia della gente del comune e -de’ Fiorentini per lo ributtamento che fatto n’aveano. -</p> - -<h3 id="capXLVI-9">CAP. XLVI. -<span class="smaller"><i>Come il castello di Troco fu incorporato per -la corona di Puglia.</i></span></h3> - -<p> -Carlo Artù, com’è scritto addietro, fu incolpato -della morte del re Andreasso, e per la detta cagione -condannato per traditore della corona, e i -suoi beni pubblicati, e incorporati alla camera -della reina, tra’ quali era il castello di Troco; il -quale dappoi era stato privilegiato al prenze di -Taranto, e lui l’avea conceduto a messer Lionardo -di Troco di Capovana: e avendolo lungo -tempo tenuto, in questo il conte di Santagata -figliuolo del detto Carlo lo fè furare a’ masnadieri, -i quali nel segreto il teneano per lui; onde aontato -di ciò il prenze accolse circa a mille uomini -a cavallo, e misesi a oste a Santagata, e gran -tempo vi stette, e non potendo avere la terra -del detto conte contro alla volontà del re Luigi, -infine se ne partì con poco frutto; e bene ch’avesse -animo ad altri processi, e li cominciasse a -seguire, e’ ci giova, di lasciarli, come cose lievi, -e tornare alle cose più notabili de’ nostri paesi. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_226">[226]</span> -</p> - -<h3 id="capXLVII-9">CAP. XLVII. -<span class="smaller"><i>Come il comune di Firenze assediò Bibbiena.</i></span></h3> - -<p> -I Tarlati d’Arezzo, per che cagione il facessono, -mai non aveano voluto ratificare, come aderenti -de’ signori di Milano, alla pace fatta a Serezzana -intra’ detti signori e comuni di Toscana, -e stavansi maliziosamente intra due, attenendosi -alle fortezze loro, che n’aveano molte in que’ -tempi, e guerreggiando agli Ubertini, senza mostrarsi -in atto veruno contro al nostro comune; -e intra l’altre terre, Marco di messer Piero Saccone -possedea liberamente la terra di Bibbiena, -la quale di ragione era del vescovo d’Arezzo, -colla quale ne’ tempi passati molta guerra avea -fatta a’ Fiorentini. Ora tornando a nostro trattato, -come avanti dicemmo, gli Ubertini, nemici di -quelli da Pietramala, col senno e buono aoperare -erano tornati nella grazia e amore del nostro -comune, ed essendo messer Buoso degli Ubertini -vescovo d’Arezzo venuto a Firenze per la cagione -che di sopra dicemmo, si ristrinse co’ governatori -del nostro comune segretamente animandoli -all’impresa di Bibbiena, conferendo di dare -le sue ragioni al comune di Firenze. Il suo ragionamento -fu accettato; e aggiunta l’intenzione -buona del vescovo all’operazione di messer Biordo, -il comune per gareggiare la famiglia degli -Ubertini, e mostrare che veramente gli avesse -in amore, a dì 23 d’agosto per riformagione -ribandì gli Ubertini; e per confermare la memoria -<span class="pagenum" id="Page_227">[227]</span> -delle fedeli operazioni di messer Biordo, domenica -mattina a dì 25 d’agosto fè cavaliere di -popolo Azzo suo fratello, con onorarlo di corredi -e di doni cavallereschi; e di presente lo feciono -cavalcare a Bibbiena con gente d’arme a cavallo -e a piè, e a dì 26 del detto mese con la detta gente -prese il poggio al Monistero a lato a Bibbiena, -e il borgo che si chiama Lotrina, e ivi s’afforzarono -vicini alla terra al trarre del balestro. Era -nella terra Marco e messer Leale fratello naturale -di messer Piero Sacconi, attempato e savio, -i quali per alcuno sentore di trattato aveano -mandati di fuori della terra tutti coloro di cui -sospettavano, e nel subito e non pensato caso -si fornirono prestamente di loro confidenti e di -molti masnadieri, il perchè convenia, ch’avendo -la rocca e la forza i terrazzani stessono a -posa e ubbidienti loro, e pensando che la cosa -averebbe lungo trattato, s’ordinarono e afforzarono -a fare resistenza e franca difesa, sperando -nella lunghezza del tempo avere soccorso. Il comune -di Firenze multiplicava a giornate l’assedio, -e in servigio del comune v’andò il conte -Ruberto con molti suoi fedeli in persona, e di -presente pose suo campo, e simile feciono gli altri. -E così in pochi dì la terra fu cerchiata d’assedio, -e gli Ubertini in tutte loro rocche e castella -vicine a Bibbiena misono gente del comune -di Firenze, e per più fortezza e sicurtà di -quelli ch’erano al campo. La guerra si cominciò -aspra e ontosa secondo il grado suo, e que’ d’entro -per mostrare franchezza aveano poco a pregio -il comune di Firenze, uscivano spesso fuori -<span class="pagenum" id="Page_228">[228]</span> -a badaluccare, e a dì 30 d’agosto in una zuffa -stretta fu morto il conte Deo da Porciano, che -v’era in servigio de’ Fiorentini. -</p> - -<h3 id="capXLVIII-9">CAP. XLVIII. -<span class="smaller"><i>Come il comune comperò Soci.</i></span></h3> - -<p> -Marco di Galeotto, come vide assediata Bibbiena, -e avendovi presso Soci a due miglia, con -sano consiglio abbandonò la speranza de’ Perugini -che l’aveano per loro accomandato, e avuto -licenza, perchè era in bando, se ne venne a -Firenze a’ signori; e ragunati i collegi, e richiestili, -liberamente si rimise nelle mani del comune -con dire, che de’ fatti del castello Sanniccolò -e di Soci, e di ciò ch’egli avea nel mondo, ed -eziandio della persona ne facessono loro volontà: -il comune per questa sua liberalità e profferta -spontaneamente e di buono volere, e non ostante -ch’e’ terrazzani di Soci si volessono dare al comune, -e ciò era fattevole senza contasto per forza -che appresso al castello avea il comune, tanto -legò l’animo de’ cittadini, per natura benigni -a perdonare, che ’l comune si dispose a sopra -comperare, per mostrare amore e giustizia; -e perchè il valente uomo si mostrasse contento, -e sopra ciò provveduto discretamente, adì 26 -d’ottobre 1359 per li consigli ribandirono Marco, -e dierongli contanti fiorini seimila d’oro; -e fè carta di vendita di Soci e di tutte le terre -che in que’ luoghi avea, e le ragioni ch’avea -in castello Sanniccolò concedette al nostro comune, -<span class="pagenum" id="Page_229">[229]</span> -e delle carte ne fu rogatore ser Piero di -ser Grifo da Pratovecchio notaio delle riformagioni -e altri notai, e così pervenne Soci a contado -del comune di Firenze. Come per tema non -giusta Marco di Galeotto si mise a venire a Firenze, -e fece quello ch’avemo detto di sopra, -e così vennono i conti da Montedoglio volendosi -accomandare al comune, i quali non li vollono -ricevere se prima non facessono guerra a’ Tarlati, -e non volendo ciò fare, si partirono con poca -grazia del nostro comune. -</p> - -<h3 id="capXLIX-9">CAP. XLIX. -<span class="smaller"><i>Come il vescovo d’Arezzo diede le sue ragioni -che avea in Bibbiena al comune di Firenze.</i></span></h3> - -<p> -Messer Buoso degli Ubertini vescovo d’Arezzo, -non potendo sotto altro titolo che d’allogagione -a fitto, a dì 7 di settembre 1359 allogò al -comune di Firenze per certo fitto annuale, facendo -le carte dell’allogagione di sette anni in -sette anni, e facendone molte, le quali insieme -sono gran novero d’anni, e confessò il fitto per -tutto il detto tempo, e largì al comune ogni ragione -e giurisdizione e signoria che ’l vescovado -d’Arezzo avea nella terra e distretto di Bibbiena, -e le carte ne fece il detto ser Piero di ser Grifo; -e con questa cautela fu giustificata l’impresa del -nostro comune. Questa concessione fatta per lo -vescovo fu approvata e confermata per lo comune -d’Arezzo, il quale per fortificare le ragioni -del nostro comune ogni ragione ch’appartenea -<span class="pagenum" id="Page_230">[230]</span> -per qualunque ragione avea in Bibbiena gli diede -liberamente. A queste giuste ragioni s’aggiugnea -l’animo e buono volere de’ terrazzani di -Bibbiena, che volentieri fuggivano la tirannia -di quelli da Pietramala: ciò cominciarono a mostrare -quelli ch’erano cacciati di fuori, ch’erano -nel campo de’ Fiorentini guerreggiando i Tarlati, -e di poi lo mostrarono quelli ch’erano -dentro quando si vidono il tempo di poterlo -fare, come seguendo nostro trattato racconteremo. -</p> - -<h3 id="capL-9">CAP. L. -<span class="smaller"><i>Seguita la sequela della compagnia.</i></span></h3> - -<p> -Seguendo i principii fatti per lo comune in mandare -gente a messer Bernabò contro alla compagnia, -il signore di Bologna, ch’allora era in pace -con lui, li mandò cinquecento cavalieri, e quello -di Padova, e quello di Mantova, e quello di Ferrara -ancora li mandarono della gente loro; essendo il -marchese di Monferrato fatto forte con la compagnia, -uscì fuori a campo con molta baldanza, ma -di subito i signori di Milano con loro oste li furono -appetto, sicchè li convenia stare a riguardo, e per -tenerlo a freno i detti signori posono l’oste a Pavia, -e strinsonla forte. Il marchese avendo alla -fronte il bello e grande esercito de’ detti signori, -non si potea volgere indietro a dare soccorso a -Pavia per non avere i nemici alla coda, e stando -le due osti affrontati, non ebbono tra loro -cosa notevole, se non d’uno abboccamento di -<span class="pagenum" id="Page_231">[231]</span> -cinquecento cavalieri di que’ della compagnia, -che per avventura s’abboccarono con altrettanti -di quelli del comune di Firenze, intra’ quali per -onta e per gara e per grande spazio fu dura e -aspra battaglia, e infine i cavalieri de’ Fiorentini -sconfissono quelli della compagnia. Nella quale -rotta furono presi tre caporali de’ maggiorenti -della compagnia con più di dugento cavalieri, -e assai ve ne furono morti e magagnati; e ciò -avvenne d’ottobre del detto anno. Nell’assedio -della città di Pavia occorse un altro caso più -spiacevole per lo fine suo; che essendo preso da -quelli da Pavia uno Milanese d’assai orrevole -luogo, fuori d’ordine di buona guerra fu impiccato; -e venuta la novella a messer Bernabò, e -infocato d’ira, comandò a messer Picchino nobile -cavaliere, e di grande stato e autorità in Milano, -che quattordici prigioni di Pavia ch’erano -nell’oste li facesse impiccare, infra’ quali ve -n’era uno di buona fama, e di gentile luogo, e -d’assai pregio, non degno di quella morte, per -lo quale molti Milanesi ch’erano nell’oste pregarono -messer Picchino che cercasse suo scampo. -Il quale mosso da pietà e dalle giuste preghiere -di tali cittadini mandò a messer Bernabò di tali -cittadini, e della sua umilità ferventemente pregò -il signore che per loro grazia e amore dovesse -perdonare la vita a quello nobile uomo; il -signore per queste preghiere invelenito e aspramente -turbato comandò a messer Picchino che -colle sue mani il dovesse impiccare; il gentile -uomo stepidito, e impaurito di tale comandamento, -e non meno di lui tutti i suoi amici e -<span class="pagenum" id="Page_232">[232]</span> -parenti, e molti buoni e cari cittadini, cercarono -stantemente con sommessione e preghiera, che -’l nobile e gentile cavaliere, cui il signore avea -fatto tanto d’onore, di sì vile e vituperoso servigio -non fosse contaminato; il signore indurato -alle preghiere, perseverando nella pertinacie sua, -aggiunse al vecchio comandamento, che se nol facesse, -primieramente farebbe impiccare lui. Il -gentile cavaliere vedendo l’animo feroce del tiranno, -che se non facesse quello che gli era comandato -che li convenia vituperosamente morire, -stretto da necessità, confuso e attristito, si spogliò -i vestimenti e di tutti i segni di cavalleria, -e rimaso in camicia, vestito di sacco con vile cappelluccio, -e a maraviglia di dispetto, andò a mettere -a esecuzione il comandamento del tiranno, -con proponimento di non usare più onore di cavalleria, -poichè era sforzato d’essere manigoldo; -che assai diede per l’atto a intendere quanto -fosse da prezzare il beneficio della libertà, da’ -Lombardi non conosciuta. -</p> - -<h3 id="capLI-9">CAP. LI. -<span class="smaller"><i>De’ fatti di Sicilia e del seguire l’ammonire -in Firenze.</i></span></h3> - -<p> -Per sperienza di natura vedemo, che l’uomo -appetisce di vari cibi, e che di tale varietà lo stomaco -piglia conforto, e fa digestione; e così quando -l’orecchie con fatica pure d’un medesimo modo -udire desidera intramesse d’altro parlare. Noi -seguendo quello che natura per suo ricriamento -<span class="pagenum" id="Page_233">[233]</span> -acchiede in quello luogo, accozzeremo molte novelle -occorse in molti luoghi e in uno tempo diversi, -nè del tutto degni di nota, nè da essere -posti a oblio, e farenne una nuova vivanda in -queste parti. Per lo poco polso, e per la poca forza -e vigore ch’aveano le parti che governavano -l’isola di Cicilia, loro guerre erano inferme -e tediose; il duca e’ Catalani col seguito loro -aveano assai poca potenza, e la parte del re Luigi -molto minore; e le lievi guerre e continove -straccavano e consumavano l’isola, e nè l’una -parte nè l’altra poteano sue imprese fornire, -e pure si guastavano insieme con fame e confusione -de’ paesani, che a giornate correano in miseria. -Il duca avea alquanto più seguito, e que’ di -Chiaramonte speranza nell’aiuto del re Luigi, -che promettea loro assai, e poco facea; onde i -gentili uomini non tanto per amore del re, quanto -per sostenere sè medesimi, e loro fama e grandigia, -intendeano alla guardia di Palermo, e -d’alcuno castello che il duca tenea debolmente -assediato col braccio de’ Catalani, tra che gli assediatori -erano fieboli e di poca possanza, e gli -assediati poveri d’aiuto, niuna notevole cosa era -stata a oste di quelle terre; e lieve era agli assediati -a schernire i nemici, e fargli da oste levare, -perchè oggi si poneano, e ’l dì seguente se -ne levavano, e parea la cosa quasi nel fine suo, per -impotenza dell’una parte e dell’altra. Ma quello -che segue, tutto paia da’ principii suoi da poco -curare e di piccola stificanza, più nel segreto -del petto che non mostra in fronte, se Dio per -sua pietà non provvede, chi sottilmente mira, -<span class="pagenum" id="Page_234">[234]</span> -può generare divisione e scandalo nella nostra -città. In questi giorni, colle febbri lente continove -dell’isola di Cicilia, le nostre, civili mali, ne’ loro -principii non curate, si perseguia l’ammonire -chi prendesse o volesse prendere uficio, e non -fosse vero guelfo, o alla casa della parte confidente. -E certo in sè la legge era buona, come -addietro dicemmo, ma era male praticata, e recata -a fare vendetta, e altre poco oneste mercatanzie, -perchè forte la cosa spiacea agli antichi -e veri guelfi, e agli amatori di quella parte, e -della pace e tranquillità del nostro comune. E -scorto era per tutto, che ’l mal uso della riformagione -tenea sospesi, e in tremore e in paura più -i guelfi ch’e’ ghibellini, e sospettando di non ricevere -senza colpa vergogna. A queste due travaglie -aggiugneremo una novità d’altre maniere. -I Romani, che già furono del mondo signori, e -che diedono le leggi e’ costumi a tutti, erano -stati gran tempo senza ordine o forza di stato -popolare, onde loro contado e distretto si potea -dire una spelonca di ladroni, e gente disposta a -mal fare. Il perchè volendosi regolare, e recarsi -a migliore disposizione, avendo rispetto al reggimento -de’ Fiorentini, feciono de’ loro cittadini -popolari alquanti rettori con certa podestà e balía -assomiglianti a’ nostri priori, tutto che molto -minore, e feciono capo di rioni sotto il titolo di -banderesi: ivi rispondeano a ogni loro volontà -duemilacinquecento cittadini giovani eletti e bene -armati, i quali al bisogno uscivano fuori della -città bene armati a fare l’esecuzione della -giustizia contro a’ malfattori. Avvenne in questi -<span class="pagenum" id="Page_235">[235]</span> -giorni, che conturbando con ruberie il paese uno -Gaetano fratello del conte di Fondi, fu preso, e -senza niuna redenzione fu impiccato, con molti -suoi compagni che furono presi con lui di nome -e di lieva. Il perchè da queste e da altre esecuzioni -fatte contro a’ paesani e’ cittadini che -ricettavano i malfattori, oggi il paese di Roma -è assai libero e sicuro a ogni maniera di gente. -</p> - -<h3 id="capLII-9">CAP. LII. -<span class="smaller"><i>Come Bibbiena per nuovo capitano fu molto -stretta.</i></span></h3> - -<p> -La punga che ’l comune faceva per avere Bibbiena -era grande, e la resistenza de’ Tarlati molto -maggiore, e faceano forte maravigliare i governatori -del nostro comune, veggendo la durezza e -la pertinacie loro, non aspettando soccorso di -luogo che venisse a dire nulla; e come che la -cosa s’andasse, non fu senza infamia del capitano -del popolo ch’era de’ marchesi da Ferrara, il -quale era stato mandato per capitano di tutta -l’oste, il quale vilmente e lentamente in tutte -cose si portava, e d’alcuni cittadini che gli -erano stati dati per consiglio. Onde il comune -prese oneste cagioni e’ rivocarono il capitano e -’l suo consiglio, e in suo luogo mandarono il potestà -con altri cittadini, il quale fu messer Ciappo -da Narni, uomo d’arme valoroso, e sentito -assai. Il quale avendo da Firenze molti maestri -di legname e di cave, prestamente fece cignere -la terra di fossi e di steccati, e imbertescando -<span class="pagenum" id="Page_236">[236]</span> -i luoghi dov’era bisogno, e in più parti, e alla -rocca e alla terra fè dirizzare cave, e simile faceano -que’ d’entro per riscontrare. Appresso vi -dirizzarono due dificii che gittavano gran pietre, -e di dì e di notte secondo uso di guerra li molestavano, -senza dare loro riposo. Que’ d’entro -per rompere e impedire i mangani dirizzarono -manganelle, colle quali assai danno facevano. -Nè contento il capitano alla detta sollicitudine, -cominciò a cavare l’altre torri de’ Tarlati per tenerle -strette, e in esse cercava trattati, ne’ quali -fu preso Corone, e Giunchereto, e Frassineto -per battaglia, e all’uscita di settembre presono -Faeto castelletto ch’era di messer Leale, nel -quale trovarono assai roba, e predato il paese, -si tornarono al campo. E perchè le castella prese -erano del contado d’Arezzo, il comune liberamente -le rendè agli Aretini, i quali molto le ebbono -a grado, e tutto che nostro comune perseguitasse -quelli da Pietramala a suo potere, gli -Aretini seguendo il grido non stavano oziosi, facendo -dal lato loro, quanto poteano e sapeano di -guerra. E nel detto tempo in sul giogo ripresono -un loro castello che ’l conte Riccardo dal Bagno -lungo tempo avea loro occupato; e perseguendo -l’assedio, nell’entrante d’ottobre furono -tratti a fine e forniti tre battifolli intra’ campi -erano posti, onde la terra fu per modo circondata -d’assedio ch’entrare nè uscire non potea persona. -Lasceremo assediata Bibbiena, e a suo tempo -diremo come fu presa, e diremo alquanto -delle cose straniere, che in questi tempi avvennono -da fare menzione. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_237">[237]</span> -</p> - -<h3 id="capLIII-9">CAP. LIII. -<span class="smaller"><i>Come il re d’Inghilterra passò in Francia -con smisurata forza.</i></span></h3> - -<p> -Poichè al re d’Inghilterra fu manifesto, che -la pace che fatta avea col re di Francia da’ Franceschi -non era accettata, e che il re di Navarra -avea fatta pace col Delfino di Vienna, la quale -si stimava per li discreti essere proceduta d’assento -e ordine di esso re d’Inghilterra, sotto -speranza, che essendo il re di Navarra ne’ consigli -de’ Franceschi e creduto da loro, più dentro -potesse a tempo preso di male operare in sovversione -della casa di Francia, che di fuori colla -guerra, perocchè come il savio dice, che niuna -pestilenza è al nocimento più efficace che il domestico -e famigliare nemico, aggravando alle -cagioni della guerra, con dare il carico di non -volere la pace a’ suoi avversari, fece suo sforzo -di suoi Inghilesi e di gente soldata maggiore -che mai per l’addietro, e mandò in prima il -duca di Lancastro con centoventitrè navi, nelle -quali furono millecinquecento cavalieri e ventimila -arcieri, all’entrata d’ottobre 1359, e posto -in terra la gente, si mise infra il reame di -Francia verso Parigi, e col navilio predetto tornato -nell’isola, aggiunte molte altre navi, all’uscita -del mese il re Adoardo col prenze di Gaules -e con gli altri suoi figliuoli, con esercito innumerabile -di suoi Inghilesi a piè, quasi tutti arcieri, -anche passò a Calese. E secondo ch’avemmo -<span class="pagenum" id="Page_238">[238]</span> -per vero, il numero di sua gente passò centomila. -La detta mossa contro al tempo di guerra -fa manifesto, che molto empito e smisurato volere -movea il re Adoardo, e fermezza nell’animo -suo ch’era grande e smisurato d’ottenere quello -che lungo tempo avea desiderato, perchè principiò -nell’entrata del verno, che suole dare triegua -e riposo alle guerre. E perchè il tempo -allora era dirotto alle piove, e il paese di Francia -è pieno di riviere, molti stimarono che ciò facesse, -per dimostrare a’ nemici quello che della -guerra potesse seguire nella primavera e nella -state, cominciando in sul brusco per spiacevole -tempo, e per infiebolire gli animi loro sì con la -possa smisurata, e sì con dare speranza di molta -e tediosa lunghezza di guerra. Come procedette -questa trionfale e terribile impresa, seguendo -a suo tempo diremo. -</p> - -<h3 id="capLIV-9">CAP. LIV. -<span class="smaller"><i>La poca fede del conte di Lando.</i></span></h3> - -<p> -Non è da lasciare in silenzio, oltre all’altre -infamie, quello che della corrotta fede che in -que’ giorni mosse il conte di Lando al marchese -di Monferrato, il quale con molto spendio e fatica -gli avea tratti di Toscana lui e sua compagnia, -ove si potea dire veramente perduta, e fatti -conducere a salvamento per la Riviera di Genova, -e poi pel Piemonte nel piano di Lombardia, con -patti giurati di tenerli fede infino a guerra finita -contro a’ signori di Milano, con certo soldo -<span class="pagenum" id="Page_239">[239]</span> -limitato da potersi passare con avanzo, il traditore, -rotta ogni leanza e promessa al marchese -predetto, del mese d’ottobre con millecinquecento -barbute prese segretamente il soldo di messer -Bernabò, e uscì dell’oste del marchese, e se -n’andò in quello de’ nemici con l’insegne levate, -rimanendo Anichino e gli altri caporali col -resto della compagnia al marchese; i quali molto -biasimarono il fallo enorme del conte, pubblicamente -appellandolo traditore; ma poco tempo -appresso, tirati dal suono della moneta de’ signori -di Milano, feciono il simigliante, e tutti abbandonarono -il marchese, verificando il verso -del poeta: Nulla fides, pietas que viris qui castra -sequntur; che recato in volgare viene a -dire: Niuna fede nè niuna pietà è in quelli uomini -che seguitano gli eserciti d’arme, cioè a -dire in gualdana a predare, e a fare male. I signori -di Milano dopo la venuta del conte fortissimamente -strinsono la città di Pavia, togliendo -a que’ d’entro ogni speranza di soccorso, perocchè -vedendo il marchese i modi tenuti per lo -conte di Lando, ed origliando i cercamenti che i -Tedeschi che gli erano rimasi faceano, non osava -e non si confidava mettere a bersaglio per -soccorrere la terra. -</p> - -<h3 id="capLV-9">CAP. LV. -<span class="smaller"><i>Come Pavia s’arrendè a messer Galeazzo.</i></span></h3> - -<p> -Gli affannati e tribolati cittadini di Pavia e -disperati d’ogni soccorso, e spezialmente di quello -<span class="pagenum" id="Page_240">[240]</span> -del marchese, cui vedeano da’ Tedeschi gabbato -e tradito, e altro capo non aveano che frate -Iacopo del Bossolaro, col suo consiglio cercarono -d’arrendersi a patti a messer Galeazzo -il quale liberamente gli accettò con tutti que’ patti -e convenienze che ’l detto frate Iacopo -seppe divisare: e fermo tutto e’ ricevettono dentro -messer Galeazzo con la sua gente del mese -di novembre del detto anno; il quale entrato -dentro con buona cera, si contenne senza -fare novità, mostrandosi benigno e piacevole a’ cittadini -e a frate Iacopo, e fecelo di suo consiglio, -mostrandoli fede e amore, e avendolo quasi come -santo e in grande reverenza; e con questa pratica -e infinta sagacità ordinò con lui assai di -quello che volle senza turbare i cittadini; e -avendo recato in sua balía tutte le fortezze della -terra e di fuori si tornò a Milano, mostrando a -frate Iacopo affezione singulare, e lo menò seco, -e come l’ebbe in Milano il fece prendere, e mettere -in perpetua carcere, e condannato il mandò -a Vercelli al luogo de’ frati dell’ordine suo, e -ordinatoli quivi una forte e bella prigione, con -poco lume e assai disagio, ponendo fine alle tempeste -secolari che con la lingua sua ornata di -ben parlare avea commesse. E ciò fatto, tenea -all’opera più di seimila persone, e fece cominciare -in Pavia una fortezza sotto nome di Cittadella, -nella quale si ricogliesse tutta sua gente -d’arme senza niuno cittadino; e ciò non fu -senza lagrime e singhiozzi de’ cittadini, siccome -di prima cominciarono a vedere il principio dello -spiacevole giogo della tirannia, e sì per lo guasto -<span class="pagenum" id="Page_241">[241]</span> -delle case loro che si conteneano nel luogo, -ove s’edificava lo specchio della miseria loro, -dove portavano gran danno e disagio; e per nominare -quello che suole addivenire a chi cade in -mala fortuna, frate Iacopo era infamato degli -omicidi, che non furono pochi, i quali erano proceduti -delle prediche sue, e de’ cacciamenti di -molti cari e antichi cittadini di Pavia sotto maestrevole -colore di battere e affrenare i tiranni; -ma quello che più parea suo nome d’orrore nel -cospetto di tutti erano le rovine de’ nobili edifici -di que’ da Beccheria e d’altri notabili cittadini -che li seguivano, mostrando che l’abbattere il -nido agli uomini rei era meritorio, quasi come se -peccassono le case, che è stolta cosa, tutto che per -mala osservanza tutto giorno s’insegna queste -cose, parea che l’accusassono di crudeltà; e quello -costringono d’avarizia, perocchè sotto titolo -di cattolica ubbidienza aveano fatto statuti, che -chi non fosse la mattina alla messa e la sera al -vespero pagasse certa quantità di danari; e avendo -sopra ciò fatte le spie, cui trovassono in fallo -il minacciavano d’accusare, e sotto questa tema -li facevano ricomperare. E certo chi volesse stare -nel servigio di Dio e nelle battaglie di vita riligiosa, -e mescolandosi nelle cose del secolo e ne’ -viluppi è spesso ingannato da colui che si trasfigura -in vasello di luce per ingannare quelli col -principio della santa operazione, favoreggiando -col grido del popolo il santo l’indusse a vanagloria -e in crudeltà, e, come dovemo stimare, Iddio -con le pene della croce lo ridusse alla vita d’onde -s’era per lusinghe del mondo partito. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_242">[242]</span> -</p> - -<h3 id="capLVI-9">CAP. LVI. -<span class="smaller"><i>Come i signori di Milano sfidarono il signore -di Bologna.</i></span></h3> - -<p> -Come la sete dell’avaro per acquisto d’oro -non si può saziare, così la rabbia del tiranno -non si può ammorzare per acquisto di signoria; -per divorare tiene la gola aperta, e quanto più -ha cui possa distruggere e consumare, più ne -desidera. Questo per tanto dicemo, perchè in -questi dì, avendo i signori di Milano con la forza -della moneta e col tradimento del conte di -Lando e d’Anichino vinto e vergognato il marchese -di Monferrato, e aggiunta per forza alla loro -signoria la nobile e antica città di Pavia, ringraziando -con lettere il comune di Firenze del bello -e buono servigio della sua gente ricevuto, di presente -la rimandò; e cresciuto loro l’animo per -lo felice riuscimento della città di Pavia, entrarono -in pensiero e in sollicitudine di rivolere -o per amore o per forza la città di Bologna, non -ostante che da messer Giovanni da Oleggio loro -consorto che allora la tenea avessono avuto aiuto -alla loro guerra seicento barbute, le quali ritennono -ad arte e con ingegno al soldo loro, pensando -d’avere mercato nel subito loro movimento -del signore di Bologna, trovandosi ignudo -e sfornito di gente d’arme a difesa; e con trovare -rottura di pace, scrissono al comune di Firenze -che non si maravigliasse, perchè sì subito assalissono -con la forza loro il signore di Bologna, -<span class="pagenum" id="Page_243">[243]</span> -da cui erano stati traditi, e che a loro avea rotta -la pace senza niuna giusta cagione; e nella -lettera scritta di questa materia al comune era -intramessa la copia di quella che mandarono al -signore di Bologna, sfidandolo e appellandolo -per traditore, la quale lettera fu appresentata al -signore di Bologna come l’oste de’ signori di Milano -giunse nel terreno di Bologna. -</p> - -<h3 id="capLVII-9">CAP. LVII. -<span class="smaller"><i>Come messer Bernabò mandò l’oste sua -sopra Bologna.</i></span></h3> - -<p> -Seguendo la materia del precedente capitolo, -all’entrata di dicembre del detto anno, messer -Bernabò fece capitano della gente che mandò -nel Bolognese il marchese Francesco da Esti, il -quale essendo cacciato di Ferrara era ridotto a -messer Bernabò, ed era suo provvisionato, e -senza niuno arresto con tremila cavalieri, e millecinquecento -Ungheri, e quattromila pedoni e -mille balestrieri lo fece cavalcare in su quello di -Bologna, avendo il passo dal signore di Ferrara, -allora in amicizia e compare di messer Bernabò, -e oltre al passo, vittuaglia e aiuto; e come uscì del -Modenese si pose a campo intorno al castello di -Crevalcuore, e ciò fu infra dieci dì infra ’l mese -di dicembre, e ivi stette più giorni; sollecitato -con parecchie battaglie il castello, non avendo -soccorso dal signore di Bologna, a dì 20 del detto -mese s’arrendè a promissione di messer Giovanni -de’ Peppoli, il quale era nell’oste al servigio di -<span class="pagenum" id="Page_244">[244]</span> -messer Bernabò; e ricevuto il castello e le guardie -del capitano dell’oste, essendo il castello -abbondevole di vittuaglia, assai n’allargò l’oste. -Avuto Crevalcuore, le villate ch’erano d’intorno -da lunga e da presso per non essere predati ubbidirono -il capitano, facendo il mercato sotto il -caldo e baldanza di questo ricetto. Bene che la -vernata fosse spiacevole e aspra per le molte piove, -quelli dell’oste ogni dì cavalcavano insino presso -a Bologna, levando prede e prigioni, e tribolando -il paese; il signore di Bologna, ch’era savio -e d’animo grande, non faltò di cuore per -la non pensata e subita guerra, e veggendosi per -l’astuzia di messer Bernabò che gli avea levati -i soldati, come dicemmo di sopra, povero di gente -d’arme e d’aiuto, senza indugio trasse delle terre -di fuori que’ terrazzani che si sentì ch’erano -sospetti, e le rifornì di soldati, perchè i terrazzani -non avessono podere d’arrendersi sì prestamente -come fatto aveano quelli di Crevalcuore; -e attendea con sollicitudine allo sgombro, e -ad apparecchiare la città a difesa, e a fare buona -guardia. Il cardinale di Spagna li mandò di soccorso -quattrocento barbute che li vennono a gran -bisogno. Lo detto signore conoscendo la sua impotenza, -e non essere sufficiente a potere rispondere -a quella de’ signori di Milano, nondimeno -cercò sottilmente con segreto trattato, offerendo -di fare alto e basso quanto fosse piacere del comune -di Firenze, di torlo in suo aiuto, ma la -fede promessa per la pace vinse ogni vantaggio -che potessono avere. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_245">[245]</span> -</p> - -<h3 id="capLVIII-9">CAP. LVIII. -<span class="smaller"><i>Come fu maestrato da prima in Firenze -in teologia.</i></span></h3> - -<p> -Poco è da pregiare per onestà di fama che -uno sia con le usate solennitadi, ne’ luoghi dove -sono li studi generali delle scienze privilegiate -dalla autorità del santo padre e dell’imperio di -Roma, pubblicamente scolaio maestrato; ma essendo -questo atto primo e nuovo, e più non veduto -nelle città che hanno di nuovo privilegi di -ciò potere fare, bello pare e scusabile d’alcuni farne -memoria, non per nome dell’uomo, che per -avventura non merita d’essere posto in ricordo -di coloro che verranno, ma per accrescimento di -tali cittadi, ove tale atto da prima è celebrato. -In questi giorni per virtù de’ privilegi alla nostra -città conceduti per lo nostro papa Clemente sesto, -infra l’altre cose contenne di potere maestrare -in teologia, a dì 9 di dicembre nella chiesa -di santa Reparata pubblicamente e solennemente -fu maestrato in divinità, e prese i segni di -maestro in teologia frate Francesco di Biancozzo -de’ Nerli dell’ordine de’ frati romitani; e il comune -mostrandosi grato del beneficio ricevuto di -potere questo fare, per lungo spazio di tempo fece -sonare a parlamento sotto titolo di Dio lodiamo -tutte le campane del comune, e’ signori priori co’ -loro collegi, e con tutti gli uficiali del comune, con -numero grandissimo di cittadini furono presenti -<span class="pagenum" id="Page_246">[246]</span> -al detto atto di maestramento, che fu cosa notabile e bella. -</p> - -<h3 id="capLIX-9">CAP. LIX. -<span class="smaller"><i>Come fu morto il signore di Verona -dal fratello.</i></span></h3> - -<p> -Messer Cane della gesta di quelli della Scala -signori di Verona, per morbidezze di nuova fortuna -era divenuto dissoluto e crudele, e per tanto -in odio de’ suoi cittadini grande, senza amore -de’ suoi cortigiani, eziandio de’ suoi consorti e parenti; -essendo per andare in questi tempi nella -Magna a’ marchesi di Brandimborgo, ch’erano -suoi cognati, e avendo i suoi fratelli carnali, -messer Cane Signore e Polo Albuino, secondo il -testamento di messer Mastino erano con lui consorti -nella signoria, e non prendendo di niuno di -loro confidanza, ma piuttosto sospetto, segretamente -fè giurare i soldati nelle mani d’un suo -figliuolo bastardo. Come questo sentirono i fratelli -forte l’ebbono a male, e presonne sdegno: -messer Cane Signore ne fece parlare dicendo al -gran Cane, che tanta sconfidanza non dovea mostrare -ne’ fratelli: le parole, quanto che assai -fossono amorevoli, furono gravi e sospettose al -tiranno, e con parole di minacce spaventò e impaurì -il fratello, tutto che per avventura non -fosse nell’animo suo quanto le minacce dicevano. -Il giovane pensò che assai era lieve al fratello a -fare quanto dicea in parole, perchè conoscea -<span class="pagenum" id="Page_247">[247]</span> -che molta crudeltà regnava nell’animo suo, e -che per tanto poco al signore arebbe riguardato; -onde un sabato, a dì 14 di dicembre detto anno, -essendo cavalcato Gran Cane per la terra con piccola -compagnia, e Cane Signore accompagnato -di due scudieri di cui tutto si confidava se n’andò -alla stalla del signore, e tolse tre corsieri i -più eletti e i migliori vi trovò, e montativi -tutti e tre a cavallo, con l’armi celate si mosse -per la terra a piccoli passi cercando del gran -Cane, e come lo scontrarono, il gran Cane disse -al fratello, ch’e’ non facea bene a cavalcare i suoi -corsieri, e Cane Signore rispose; Voi fate bene -sì che voi non volete ch’io cavalchi niuno buono -cavallo: e tratto fuori uno stocco ch’avea a -lato accortamente gli si ficcò addosso, e con esso -il passò dall’un lato all’altro, e menatoli un altro -colpo in sul capo l’abbattè del cavallo, e -per tema di non essere sorpreso prese la fuga, -avacciando in forma il cammino che in Padova -giunse la sera; ed essendo come da parte del signore -ricevuto, li manifestò quello ch’avea fatto -al fratello, e le ragioni che mosso l’aveano: il signore -mostrò per la spiacevolezza del caso ne’ -sembianti doglienza, senza assolvere il fatto o -condannare, confortato il giovane che a lui era -fuggito, con speranza che la cosa che proceduta -era da sdegno arebbe buono fine. In questa miserabile -fortuna di tanto signore non si trovò -chi traesse ferro fuori, nè chi perseguitasse il fratello, -e quelli ch’erano con lui, tremando di -sè ciascuno, per immaginazione che sì alta cosa -essere non potesse senza ordine, si fuggirono di -<span class="pagenum" id="Page_248">[248]</span> -presente, e lasciarono in terra il loro signore a -morte fedito. -</p> - -<h3 id="capLX-9">CAP. LX. -<span class="smaller"><i>Come Cane Signore fu fatto signore di Verona.</i></span></h3> - -<p> -Sentito che fu per Verona il caso sinistro di -loro signore, non si trovò nella terra persona -che si levasse di cuore, tanto era odiato e mal -voluto; e dopo alquanto spazio di tempo fu ricolto -di terra senza avere conoscimento niuno, e -spiritò poco, sicchè appena levato del luogo passò, -e lasciò la tirannia e la vita. L’esequie per -l’onore del titolo che tenea, e della casa, li furono -fatte magnifiche, e più liete in vista che dolorose; -perocchè riso e pianto, e l’altre forti -passioni dell’animo coll’altro contrario male si -possono coprire. Il popolo vile, e costumato in -servaggio, trovandosi in sua libertà, perocchè -non v’era capo di signoria, se non per Polo -Albuino ch’era un piccolo garzone senza consiglio -e senza gente d’arme, perocch’erano tutti -in servigio di messer Bernabò nell’oste a Bologna, -nè altro caldo o favore, non seppono -usare la libertà e la franchigia che loro avea non -pensatamente renduto fortuna. Radunati insieme -i fratelli di Gran Cane, nel parlamento in segno -di signoria diedono la bacchetta a Polo Albuino -ricevendo per sè e per lo fratello, e di presente -crearono ambasciadori, e mandaronli a Padova -a Cane Signore, invitandolo che venisse a -prendere la cura della sua città di Verona; il -<span class="pagenum" id="Page_249">[249]</span> -quale accompagnato da dugento cavalieri del signore -di Padova si partì, e giunto in Verona, -con grande letizia e onore fu ricevuto, facendolisi -incontro alla porta il fratello, e ivi li diede -la bacchetta, e lo rinvestì della signoria che avea -ricevuta per lui; e così per dimostranza di fede -rimasono amendue nella signoria ch’avea ricevuta -per lui, e la città si posò senza novità niuna in -buona pace. -</p> - -<h3 id="capLXI-9">CAP. LXI. -<span class="smaller"><i>Come fu presa Bibbiena pe’ Fiorentini.</i></span></h3> - -<p> -Essendo stato l’assedio a Bibbiena per spazio -di due mesi e dodici dì, nel quale messer Leale -e Marco, essendo senza triegue colle battaglie -continue e con trabocchi che mai non ristavano -in aperto e di fuori combattuti, e in occulto colle -cave, e coll’animo grande e colla sollecitudine -sofferivano tutto senza riposo, e con consiglio -poneano a ogni cosa riparo; e indurati negli affanni -e ne’ pericoli non si dichinavano a nulla, -ma con fronte dura e pertinacia più si mostravano -fieri che mai. I terrazzani per la disordinata -fatica, e perchè vedeano guastare i beni loro dentro -e di fuori, desideravano l’accordo, e vedendo -che la cosa a lungo andare convenia che venisse -a quello che volea il comune di Firenze, e -pareva a loro che quanto più si stentava venire -in maggiore indegnazione de’ Fiorentini, -e maggiore distruggimento e consumazione di -loro e di loro cose; e pertanto alcuna volta pregarono -i Tarlati che prendessono partito a buon’ora, -<span class="pagenum" id="Page_250">[250]</span> -ed ebbono da loro spiacevole e mala risposta. -Onde seguì, che diciotto di loro segretamente -si giurarono insieme, de’ quali si fece -capo uno maestro Acciaio, uomo secondo suo grado -intendente e coraggioso, i quali senza indugio -o perdimento di tempo s’intesono con alcuni -de’ terrazzani di Bibbiena, cui i Tarlati aveano -per sospetto cacciati fuori e riduciensi nell’oste -de’ Fiorentini, con offerire loro, che dove potessono -avere sicurtà e fermezza che la terra non fosse -rubata, che a loro dava il cuore di farla venire -assai prestamente alle mani del comune di Firenze. -E ciò avendo gli usciti sentito, se ne ristrinsono -con Farinata degli Ubertini, il quale con -loro entrò in ragionamento con due cittadini di -quello uficio della guerra i quali erano nel campo, -e li domandarono che fede, che sicurtà, e -che patti voleano; e fu loro detto da’ cittadini. -E ciò udito, lo conferirono a bocca a’ signori e -a’ collegi, e da loro ebbono piena balía di potere -prendere piena concordia, di promettere e sicurare -come a loro paresse a beneficio e contentamento -de’ terrazzani, salvando l’onore del comune; -e tornati nel campo, feciono a quelli d’entro -sentire che aveano mandato di convenirsi -con loro. I congiurati per alquanti giorni attesono -il tempo che a loro toccava la guardia in certa -parte delle mura, e venuto, con una fune collarono -un fante, e mandaronlo al Farinata, il -quale fu co’ detti cittadini con cui conduceva -il detto trattato, e di presente furono al capitano, -e li manifestarono il fatto com’era. Il capitano, -per coprire col senno suo segreto, diede a intendere -<span class="pagenum" id="Page_251">[251]</span> -che avea sentito che la notte certa gente -dovea entrare in Bibbiena, e che volea porre -aguato a quel luogo, per lo quale avea sentore -che doveano entrare, ed elesse sotto il detto nome -quattrocento fanti de’ migliori e de’ più gagliardi -ch’erano nell’oste, e ottanta uomini di -cavallo a piè armati di tutte loro armi, e seco -volle il Farinata con tutti gli usciti di Bibbiena, -i quali con altri loro confidenti furono ottanta -fanti; e avendo il capitano fatto provvedere delle -scale, e ricevuto da quelli d’entro l’avviso -dove le dovesse accostare, il dì della pasqua dell’Epifania, -a dì 6 di gennaio 1359, in sulla mezza -notte quetamente s’accostarono alle mura, e -avendo avuto avviso di fuori da maestro Acciaio e -da’ suoi congiurati ch’erano in sulle mura alla -guardia di quel luogo, ve ne rizzarono cinque, -e Farinata di prima co’ suoi, e appresso il capitano -montarono in sulle mura, e discesono nella -terra alla condotta de’ congiurati, non trovando -chi gli impedisse. Mentre si faceano queste cose, -uno masnadiere nominato, assai confidente di Marco, -che andava cercando le mura, quando giunse -in quella parte, ricevuto il nome da’ terrazzani -e datoli la via, come fu in mezzo di loro fedito -il traboccarono delle mura dentro; e ciò -fatto, il romore si levò nella terra, al quale si -destò tutta l’oste, che non sapeano che si fosse, -e accostati alla terra quelli ch’erano entrati, levate -l’insegne del comune di Firenze s’avvisarono -insieme, attendendo che gli eletti per lo capitano -di quelli che dicemmo di sopra fossono -tutti dentro. Marco, ch’era nella rocca con la -<span class="pagenum" id="Page_252">[252]</span> -sua brigata più fiorita, uscì fuori francamente, -e percosse a quelli ch’erano entrati, ma da loro -ricevuto senza paura con le spade villanamente -fu ributtato; nel quale assalto il Farinata, -ch’era di quelli dinanzi, fu fedito d’una lancia -nell’arcale del petto sì gravemente, che gli fu -necessità ritirarsi indietro, della quale fedita assai -ne stette in pericolo di morte. Il capitano -scendendo nell’entrata delle scale cadde, e sconciossi -il piede in forma che non potè stare in su’ -piedi, sicchè amendue i capitani in sull’entrata -in quella notte furono impediti. I terrazzani che -da’ nostri cittadini aveano ricevuta la fede, che -non riceverebbono nè danno nè ingiuria, sfatavano -nelle loro case senza offendere i Fiorentini, -e alquanti di loro intimi amici di Marco e suoi -servidori per tema si fuggirono nella rocca; e -stando la terra in questi termini, da quelli -d’entro a quelli di fuori fu l’una delle porti tagliata, -sicchè la gente in fiotto entrò dentro, e -furono signori della terra. I due Fiorentini, che -in nome del comune aveano promesso che nè -violenza nè ruberia non si farebbe, in quella -notte s’adoperarono sollecitamente in forma e -in modo che niuna ingiuria, o ruberia o danno -nella terra si fece eziandio in parole. I terrazzani -uomini e donne assicurati offeriano pane e -vino, e altre cose abbondantemente, così a quelli -ch’erano entrati come a quelli ch’entravano. -Come a Dio piacque, e fu mirabile cosa, la terra -si vinse senza spargimento di sangue, e senza -ruberia o ingiuria o violenza niuna o piccola o -grande, che a raccontare è cosa incredibile e -vera. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_253">[253]</span> -</p> - -<h3 id="capLXII-9">CAP. LXII. -<span class="smaller"><i>Come la rocca di Bibbiena s’arrendè -al comune di Firenze.</i></span></h3> - -<p> -Vedendo Marco che la terra era presa, e ch’egli -era con gente assai nella rocca e con poca vittuaglia, -perocchè per tema delle cave l’avea -sfornita, cercò di potersi patteggiare salvando -le persone, ma non ebbe luogo, e dibattutosi sopra -ciò per molte riprese, infine impetrò, che -la sua donna ch’era figliuola del prefetto da Vico, -la quale era gravida, con un suo piccolo fanciullo -con tutti gli arnesi di lei se ne potesse -andare, e che i terrazzani e alcuni sbanditi del -comune di Firenze fossono salvi; e quanto s’appartenne -agli sbanditi, non fu senza ombra d’infamia -a’ nostri cittadini che si trovarono a questo -servigio. Marco e Lodovico suo fratello, e -messer Leale loro zio, Francesco della Faggiuola -e altri masnadieri in numero di quaranta rimasono -prigioni, tutto che poi appresso il detto -Francesco ch’era garzone e infermo fosse lasciato, -e a dì 7 di gennaio del detto anno renderono -la rocca, e a dì 12 del detto mese vennono presi -a Firenze i detti Tarlati, e furono messi spartitamente -l’uno dall’altro nelle prigioni del comune -di Firenze. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_254">[254]</span> -</p> - -<h3 id="capLXIII-9">CAP. LXIII. -<span class="smaller"><i>Di novità state in Spagna.</i></span></h3> - -<p> -Carlo fratello naturale dello scellerato re di Spagna, -e da lui cacciato, si riducea col re d’Araona, -conoscendo che la forza e bestiale vita del fratello -nel reame per paura lo facea temere e odiare; e -per tanto stimando che li fosse assai leggiere a fare -movimento nel reame eziandio con piccola gente, -avuto dal re ottocento cavalieri si mise in certa -parte della Spagna, e correndo il paese ricolse -gran preda. Il re com’ebbe del fatto sentore, -sapendo il luogo dov’erano, e che loro era necessario -volendo tornare in loro paese passare per -un certo luogo malagevole e stretto, subito mandò -duemila cavalieri ad occupare quel passo. Sentendo -Carlo e’ Catalani che ’l passo ond’era la -loro ritornata era preso, e la gente che v’era, -volgendo la tema in disperazione, si deliberarono -di mettersi alla fortuna della battaglia, che -altro rimedio non v’era. Il valente giovane Carlo -col volto fiero, come fosse certo della vittoria -confortando i Catalani, e inanimandoli a ben -fare, mostrava che tra la gente che gli attendea -de’ nemici erano pochi buoni uomini, e che gli -altri erano gente vile e dispettosa, e male armata -e novizza, e dell’onore del re per sua crudeltà -poco desiderosa, aggiugnendo, che se voleano a -loro donne e famiglie tornare, necessità era loro -fare la via con le spade in mano, e che certo si -rendea, conoscendo la virtù loro, che arebbono -<span class="pagenum" id="Page_255">[255]</span> -la via onoratamente. I Catalani vedendo l’animo -ardito e sicuro dei giovane presono speranza di -vittoria, e si misono alla battaglia, la quale fu -fiera, e aspra e dura lungo tempo, ma i Catalani, -come la necessità strignea, raddoppiate le forze -e l’ardire, diportandosi valentemente, ruppono -e sbarattarono gli Spagnuoli, e oltre a’ morti e -a’ magagnati ne furono presi più di trecento cavalieri, -e con la preda e con la vittuaglia non pensata -si tornarono in Araona. -</p> - -<h3 id="capLXIV-9">CAP. LXIV. -<span class="smaller"><i>Come i Pistoiesi ripresono il castello -della Sambuca.</i></span></h3> - -<p> -Durando la guerra dal signore di Milano a quello -di Bologna, e tenendo quello di Bologna il castello -della Sambuca, ch’era del contado di Pistoia, -ed era la chiave di dare l’entrata e l’uscita -per li paesi così all’offesa come alla difesa, -veggendo i Pistoiesi che il signore di Bologna -era forte impedito della detta guerra, e che messer -Bernabò sormontava, presono tempo, e consiglio -e favore, e il vescovo loro, il quale era Fiorentino, -nella Sambuca trattò, e seppe tanto -trattare e ordinare, che l’una delle guardie -che guardava la torre della rocca uccise il capitano; -e fermato l’uscio per modo che di sotto -non poteano essere offesi, salì nella vetta, e colle -pietre cominciò a combattere col castellano dal -lato d’entro, e’ terrazzani, com’era ordinato, cominciarono -a combattere di fuori; sicchè non -<span class="pagenum" id="Page_256">[256]</span> -potendo stare alla difesa, che non lasciava, quei -della torre vi cavalcarono. Il castellano, ch’era -Lombardo, stordito per lo tradimento e per lo -subito assalto, s’arrendè, salve le persone e l’avere, -e all’uscita di gennaio del detto anno, e la -terra rimase liberamente nelle mani de’ Pistolesi. -Di questa cosa i Fiorentini furono molto contenti, -sperando al bisogno potere avere la guardia -di quello luogo a sua difesa. -</p> - -<h3 id="capLXV-9">CAP. LXV. -<span class="smaller"><i>Come messer Bernabò strignea Bologna.</i></span></h3> - -<p> -L’oste di messer Bernabò in questi tempi continovamente -cresceva, la quale avea fermato suo -campo a Casalecchio, e il capitano del luogo faceva -cavalcare le brigate or qua or là, rompendo -le strade, e facendo assai danno a’ paesani. -Gli Ubaldini ad arte si mostravano divisi, e parte -ne teneano con messer Bernabò, e parte -con messer Giovanni, il perchè le strade e l’alpi -non si poteano usare. Il legato, che come il -nibbio aspettava la preda, per trarre a sè l’animo -di messer Giovanni, cui vedea dovere poco -durare, l’aiutava con tutta la sua forza, mettendo -al continovo in Bologna gente e vittuaglia. -Messer Bernabò di ciò forte turbato, gli scrisse, -che non faceva bene a impedirlo che non tornasse -in casa sua, minacciandolo, che se non se -ne rimanesse li farebbe novità nella Romagna -e nella Marca. Per queste minacce il legato più -si sforzava ad atare messer Giovanni, il quale -<span class="pagenum" id="Page_257">[257]</span> -vedendosi male parato e poco atto alla difesa, -durando la guerra guari di tempo, per più riprese -mandava a Milano suoi ambasciadori per levare -messer Bernabò dall’impresa, e nondimeno -ricercava se potesse muovere i Fiorentini in suo -aiuto; e non trovandovi modo, cominciò a trattare -collegato il ragionamento: il quale dava gli orecchi -a volere fare l’impresa, la quale nella fine venne -fornita, come a suo tempo diremo. Ma -in questi dì, la cosa tanto dubbiosa e avviluppata, -che non si vedea dove la cosa ragionevolemente -potesse passare, la guerra rinforzava a giornate. -Il capitano di messer Bernabò per più strignere la -terra e da lungi e da presso ponea bastie, -e all’uscita di febbraio ebbe Castiglione per -trattato, ch’è un forte castello posto tra Modena e -Bologna. Il signore di Bologna, ch’era uomo al -suo tempo riputato, astuto e di buona testa, e per -molti anni pratico delle battaglie del mondo, bene -conosceva che impossibile era sua difesa contro -la forza di messer Bernabò, non avendo altro -aiuto, e però sagacissimamente si sostenea, traendo -delle castella quelli terrazzani che gli erano -sospetti, e bene li conoscea, e in Bologna sotto -solenne guardia tenea molti cittadini di cui non -prendea confidanza; e del continovo pensava, -come con suo vantaggio e onore potesse dare ad -altrui i pensieri della guerra, e uscire di tante -persecuzioni in luogo dove potesse il resto de’ suoi -giorni in pace vivere. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_258">[258]</span> -</p> - -<h3 id="capLXVI-9">CAP. LXVI. -<span class="smaller"><i>Come gli Aretini riebbono il castello della -Pieve a santo Stefano.</i></span></h3> - -<p> -Il castello della Pieve a santo Stefano lungo -tempo era stato nelle mani de’ Tarlati; e’ terrazzani -sentendo che Bibbiena era presa pe’ Fiorentini, -temendo de’ mali che verisimilemente -potevan loro avvenire, cercarono di volersi acconciare -con li Aretini con volontà di quelli da -Pietramala. Nella terra era uno figliuolo di messer -Piero Sacconi male in concio a potere resistere -al loro volere, e però venendo eglino a lui, loro -consentì ciò che seppono divisare; e di presente -fece il fatto a’ suoi consorti sentire, e ad altri -amici caporali di loro stato, i quali senza indugio -copertamente mandarono fanti al castello, e uno -di loro con pochi compagni disarmati, come se -andassono a sollazzo, entrò dentro con loro, e -come si sentirono forti dentro mutarono sermone, -e coloro che si voleano accordare, e tutti -quelli che si faceano a ciò capo mandarono per -stadichi ad altre loro tenute, e di gente forestiera -fornirono la guardia della terra, il perchè la -cosa, per allora si rimase. Ma i villani della terra -loro intenzione, senza mostrare segno di fuori, -serbarono nel petto, e a dì 8 di febbraio detto -anno, non prendendone guardia i Tarlati che -aveano la cosa per cheta, i terrazzani preso loro -tempo tutti si levarono a romore, e presi i caporali -de’ loro signori e de’ soldati, tenendoli -<span class="pagenum" id="Page_259">[259]</span> -tanto che riebbono li stadichi loro, e liberaronsi -della tirannia, racconciandosi col comune d’Arezzo, -e tornando allo stato e costume antico di -loro contadini, con certe immanità che domandarono, -e loro furono concedute. Questo fu alla -casa de’ Tarlati, dopo la perdita di Bibbiena, -grande abbassamento di loro stato e signoria. -</p> - -<h3 id="capLXVII-9">CAP. LXVII. -<span class="smaller"><i>Come il re d’Inghilterra si pose a oste -alla città di Rems.</i></span></h3> - -<p> -Il gennaio 1359 il re d’Inghilterra pose campo -vicino alla città di Rems, usando cautela di -non fare loro guasto di fuori, e per più fiate -con belli modi cercò con impromesse di magnificare -e d’esaltare quella villa sopra tutte -quelle di Francia, che gli fosse prestato l’assento -che in quella città potesse prendere la corona -di Francia, promettendo a tutti di trattarli -benignamente; ma poichè vide che non era -udito, stimando che facessono ciò per vergogna -d’arrendersi senza dominaggio, li cominciò a minacciare -di lungo assedio e disolazione della terra -se non facessono quello che domandava; ma -lusinghe nè minacce approdarono niente, perocchè -fu di comune assentimento risposto loro, che -aveano loro diritto re, a cui intendeano mentre -che durasse loro spirito in corpo stare leali, diritti -e fedeli, e che facesse suo podere contro a -loro che alla difesa intenderebbono a loro podere. -Avendo il re d’Inghilterra dalla comune di Rems -<span class="pagenum" id="Page_260">[260]</span> -questa finale risposta, diede boce, che forniti -quaranta dì d’assedio, di fuori in campo prenderebbe -la corona; ma non succedendo le cose a -suo proponimento, convenne che prendesse per -lo migliore altro consiglio. E ciò avvenne, perchè -la stagione era forte contraria a tenere suo -esercito insieme o a sicurtà, e dividere non lo -potea; onde per fare maggiori danni per lo reame, -e per stendersi con meno gravezza nel verno, -prese e ordinò la sua cavalleria come appresso -racconteremo. -</p> - -<h3 id="capLXVIII-9">CAP. LXVIII. -<span class="smaller"><i>Discordia del conte di Focì a quello -d’Armignacca.</i></span></h3> - -<p> -Vedendo il re, come poco davanti dicemmo, -che il suo stallo a Rems era pericoloso e con poco -profitto, all’entrare di febbraio divise suo -oste, e una parte ne fece cavalcare per lo paese, -la quale non trovando contrario s’arrestò a san -Dionigi ch’è presso a Parigi a due leghe: e questa -mandata secondo l’opinione di molti fu di consiglio -del re di Navarra e con suo favore, sotto la -scusa dello sdegno preso per lui per lo Delfino di -sospetto de’ mali ch’e’ facea. Il Delfino, col consiglio -di certi baroni fidati e fedeli alla corona, -intendea a fornire le rocche e le terre, e a fare -sollecita e buona guardia in ogni luogo, e lasciava -correre e cavalcare il paese alla volontà degl’Inghilesi. -E stando in queste tenebre il reame di -Francia, e non senza pericolo, era per invidia -<span class="pagenum" id="Page_261">[261]</span> -grave discordia cresciuta intra il conte di Focì -e quello d’Armignacca, il quale solea essere assai -di minore possa che quello di Focì, molto era -cresciuto in tanto ch’avanzava assai quello di -Focì; e la cagione di ciò era stato, perocchè per -spazio di cinque anni quello d’Armignacca avea -tenuto il vicariato del paese per lo Delfino, onde -avea tratto grande tesoro; e per questo vizio -d’invidia, il quale nelle corti de’ signori signoreggia, -il conte di Focì, veggendo il reame in -tanto pericolo, con segreto favore del re d’Inghilterra, -secondo che per fama si disse, raunò -gente d’arme a cavallo e cavalcò per lo paese, -ed entrando nelle ville e nelle castella come barone -fidato alla corona, e con questo modo mandò -fino a Tolosa, dicea che volea altri cinque -anni la vicheria del paese come avea avuto -quello d’Armignacca, che domandando colta per -guardare il paese, non senza tema di ribellione -e per molto arbitrio s’appropriò senza l’assentimento -dei Delfino; i paesani si portavano saviamente -per non dare loro in parte a’ loro avversari, -onde s’acquetò la nuova e paurosa fortuna, -non che guerra non rimanesse tra’ due conti. -</p> - -<h3 id="capLXIX-9">CAP. LXIX. -<span class="smaller"><i>Quello feciono gli osti del re d’Inghilterra -in Francia.</i></span></h3> - -<p> -Un’altra parte dell’oste del re d’Inghilterra, -essendo il verno nel suo più grave tempo e ridotto -alle piove, sotto la condotta del duca di -<span class="pagenum" id="Page_262">[262]</span> -Guales, ch’era il primogenito del re d’Inghilterra, -e del duca di Lancastro, che al detto re -era cugino, si mise a passare in Brettagna per -luoghi stretti e guazzosi, e per li freddi spiacevoli -e rei; a quel tempo alla gloria degl’Inghilesi -non era malagevole nulla, i quali faceano -a loro senno e a loro voglia del reame di Francia -quale aveano in piega, e così stimavano fare -di Borgogna, dove solea essere il pregio e l’onore -di gente d’arme, e così ferono, perocchè passarono -per luoghi stretti e malagevoli senza contasto; -e giunti nel paese, lo trovarono pieno di -molto bene, onde molto s’adagiarono al vernare. -Il duca di Borgogna era un giovinetto, ed -egli e’ suoi baroni erano malcontenti del re di -Francia, perchè avea la duchessa madre del detto -duca tolta per moglie, e per la sua dote assai -avea preso tutte giurisdizioni del paese; la quale -cosa fu cagione di non prendere quella franca difesa -contro agl’Inghilesi che si potea pigliare. -Gl’Inghilesi per questo rispetto temperatamente -si portarono co’ paesani, non prendendo più -che a loro fosse mestiero; e perchè il paese era -dovizioso, e i passi nella forza degl’Inghilesi, -poco appresso del mese di marzo seguente, il re -lasciate fornite in Normandia e in Pittieri e in -Berrì certe castella afforzate che aveano acquistate, -cavalcando liberamente il paese, col rimanente -di sua oste se n’andò a Celona in Borgogna, -e di là mandò al papa suoi messaggi -domandando suo ricetto a Avignone; della qual -cosa il papa e’ cardinali, e tutta la corte ne fu -in gelosia e in paura. Il papa gli mandò per -<span class="pagenum" id="Page_263">[263]</span> -la detta cagione due vescovi, li quali il pregarono -e comandarono che non volesse per sua venuta -turbare la Chiesa di Roma, e il re di ciò -l’ubbidì; nondimeno con ogni studio facea il papa -afforzare la città d’Avignone. -</p> - -<h3 id="capLXX-9">CAP. LXX. -<span class="smaller"><i>Come più castella si rubellarono a’ Tarlati.</i></span></h3> - -<p> -Come per esperienza vedemo, e gli uomini e gli -animali senza ragione per natura sono vaghi di -libertà, e l’appetiscono come loro proprio bene; -gli uccelletti in gabbia vezzosamente nudriti si -rallegrano vedendo le selve, e se possono fuggire -de’ luoghi dove sono incarcerati ritornano a’ boschi; -gli uomini che sono stati in lungo servaggio -avvezzi al giogo della tirannia, se sono continovi, -e veggiono il tempo di ricoverare loro -libertà, con tutti i sentimenti del corpo si studiano -a ciò pervenire. E di ciò in questi dì ne -vedemmo la prova ne’ suggetti de’ Tarlati, perocchè -a dì 13 di febbraio 1359 la Serra si diede -al comune di Firenze; la quale fortezza il nome -concordia al fatto, perocchè serra il passo della -montagna che è dal comune di Bibbiena in Romagna: -e il detto dì Montecchio s’arrendè agli -Aretini. Quelli della valle di Chiusi avendo mandato -per gente al podestà di Bibbiena, e non potendola -avere, se prima non ne facesse coscienza -al comune di Firenze, e a loro troppo tardava, -l’ebbono dagli Aretini, e rubellaronsi da’ -Tarlati. Guido fratello di Marco si tenne alla -<span class="pagenum" id="Page_264">[264]</span> -rocca, ch’era fortissima, e da non potersi mai -vincere per forza, onde per gli Aretini fu cinta -d’assedio in forma che poco potea sperare in soccorso -di fuori. E per questa simigliante fortuna -aveano considerato che i tiranni murano a secco, -che bene che loro mura per altezza passino il -cielo, come n’è tratta una pietra di sotto di -quelle in su che è carica, l’altre senza niuno -ritegno rovinano; il perchè se cotali che usurpano -il dominio avessono buon sentimento, non -piglierebbono fidanza delle maravigliose fortezze, -ma de’ cuori de’ suggetti loro, trattandoli bene. -</p> - -<h3 id="capLXXI-9">CAP. LXXI. -<span class="smaller"><i>Di un trattato di Bologna scoperto.</i></span></h3> - -<p> -Non meno ne’ trattati che nella forza dell’arme -si riposa e rivolge l’intenzione de’ tiranni; -non meno acquistano con tradimento, e con corrompitori -di baratteria che colle battaglie. E considerato -le grandi, e le lunghe, e disordinate -spese delle guerre, per meno spesa sono larghissimi -ne’ trattati. Questa regola si scoperse in -questi di ne’ caporali di messer Bernabò, i quali -teneano trattati con certi soldati ch’erano in Bologna, -i quali promisono, che approssimandosi -l’oste a Bologna darebbono una porta. Per la -detta cagione all’uscita di gennaio del detto anno -il campo si mosse, e approssimossi alla terra; -ma scoperto il trattato, e presi i traditori, e fattone -degna giustizia, l’oste si ritrasse indietro, -perchè stando dov’erano venuti stavano in disagio -<span class="pagenum" id="Page_265">[265]</span> -è in pericolo, e tornaronsi a casa al luogo -dov’era la loro bastita maggiore. -</p> - -<h3 id="capLXXII-9">CAP. LXXII. -<span class="smaller"><i>Come le sette di Cicilia si divoravano insieme.</i></span></h3> - -<p> -La parte del re Luigi in Cicilia, sì de’ Messinesi, -come de’ Palermitani, in questo tempo era dal -giovane duca di Cicilia e da’ suoi Catalani sopra -modo tribolata e astretta, che ’l re Luigi altro -che con parole non aiutava i suoi partigiani, -il quale era cresciuto al duca il seguito suo, e di -continovo cavalcavano sulle porte di Palermo e -di Messina, e loro tenute e fortezze e con assedio -e trattati toglieano; onde non potendo resistere -alle continove e gravi oppressioni, da capo -con grande istanza richiesono il re d’aiuto, -significando loro stato e bisogno. Il re mandò -a’ Fiorentini per trecento cavalieri che gli erano -stati per tre mesi promessi. Il comune per fare -più presto il servigio li mandò settemila fiorini -d’oro, avendo sopra questo risposto, che avendo -altra volta mandata gente, era stata soprattenuta -i detti danari, perchè tanto montava il soldo di -trecento cavalieri per tre mesi, acciocchè ’l re li -conducesse a suo modo, e quando n’avesse bisogno. -I danari presono luogo in altri servigi, e il -soccorso de’ Ciciliani per quella volta furono lettere -confortatorie, dando loro speranza per animarli -alla sofferenza, aspettando se si cambiasse -fortuna. Il di che di questo seguette, che i Catalani -presono maggiore cuore, e condussono gli -<span class="pagenum" id="Page_266">[266]</span> -amici del re a grande stretta, e con grandi pericoli -e partiti, come si potrà al suo tempo provare. -</p> - -<h3 id="capLXXIII-9">CAP. LXXIII. -<span class="smaller"><i>Come la Chiesa deliberò l’impresa di Bologna.</i></span></h3> - -<p> -Egli è vero, che come già detto avemo, messer -Giovanni da Oleggio non veggendo sufficiente sua -possa a resistere a messer Bernabò, nè speranza -di soccorso bastevole, cercato e ricercato avea se -con lui potesse avere convegna o pace fidata, e -non di manco, come sagace e astuto, cercava -col legato di rendere Bologna alla Chiesa con suo -vantaggio e profitto. Il legato, ch’era d’animo -grande, e desideroso di torre quell’impresa per -crescere suo onore e nome, non si attentava, perchè -non si vedea sufficiente a sostenere tanto fatto, -e cominciare non volea senza l’assento del papa -e de’ cardinali, per non avere riprensione nè vergogna. -E avendo per questa cagione e con lettere -e ambasciadori sollicitato il papa, mostrandogli -quelle buone ragioni ch’erano a sua intenzione -conformi, del mese di febbraio del detto anno, -ebbe per diliberazione del santo padre e de’ suoi -cardinali, che nel nome di Dio facesse l’impresa, -tutto che in questo tempo messer Bernabò con -grande spendìo cercasse con danari con suoi protettori -in corte che ci ò non si facesse; e tanta fu -la forza de’ danari e de’ doni, che ora sì ora no -si dicea, con poco onore della Chiesa di Roma. -Nè a questo contento il tiranno, sua oste cresceva -<span class="pagenum" id="Page_267">[267]</span> -premendo d’imposte e di colte tutti i cherici -ch’erano di terre a lui sottoposte; e credendo -con parole altiere spaventare il legato ch’era uomo -senza paura, forte lo minacciava. E così la -città di Bologna era di fuori tribolata, e dentro -stava in gelosia, e prima non sapendo a cui fosse -venduta, e sapendo che di lei si facea tenere -mercato, e non osava parlare; queste miserie si -giugneano in loro gravi danni e le fatiche corporali. -Queste pene, se da’ cittadini erano pazientemente -portate, meritavano sollevamento, ma -non era ancora il tempo che Iddio avea diliberato -per fine delle fatiche loro. -</p> - -<h3 id="capLXXIV-9">CAP. LXXIV. -<span class="smaller"><i>Come messer Giovanni da Oleggio fermò suo -accordo con il legato di Bologna.</i></span></h3> - -<p> -Il legato poich’ebbe a suo proponimento l’assento -di corte di Roma, d’onde a tempo sperava -favore, ritenendo singulare amicizia con messer -Giovanni da Oleggio, e gareggiandolo molto per -avere da lui quello che cercava, riprese con lui -ragionamento e trattato con animo di contentarlo, -purchè Bologna venisse alle sue mani, e -perchè non dava del suo era largo per promesse. -La cosa era venuta in termine, che poco dibattito -di lievi cose fra loro aveano. Messer Giovanni -stava sospeso, perchè non li parea ben fare rimanendo -nemico di messer Bernabò e della casa -de’ Visconti, della quale era per gesta. E stando -in questo intra due, sentendo messer Bernabò -<span class="pagenum" id="Page_268">[268]</span> -che la convegna era per prendere tosto conclusione, -e temendo forte che ciò non venisse fatto, -mandò a messer Giovanni certi de’ Bonzoni da -Crema, che gli erano cognati, e a loro commise -che con ogn’istanza cercassono che Bologna non -tornasse nelle mani della Chiesa, e che offerissono -al loro cognato ogni patto e sicurtà ch’e’ volesse. -Costoro col detto mandato di presente furono -a Bologna, e trovarono come la concordia -era in alto da potersi e doversi fornire con messer -Giovanni; onde si strinsono con lui, e dissonli -quanto aveano da loro signore, e lo confortarono -con belle e indottive ragioni ch’e’ non -volesse rimanere nimico del signore suo e in contumacia -de’ suoi consorti, e di tanta possanza e -grandezza, che potea con suo onore e vantaggio -rimanere in buona pace con loro. Messer Giovanni -rispose, ch’e’ volea fare certo e sicuro messer -Bernabò che dopo sua morte Bologna gli verrebbe -alle mani, mentre ch’e’ vivea la volea -tenere per lui, e titolarsene suo vicario, e che -volea fidanza che ciò li fosse osservato; e dove a -questo messer Bernabò venisse realmente e facesse, -disse d’abbandonare ogni altro trattato, -affermando che sopra tutte le cose desiderava -d’essere in grazia de’ suoi maggiori, e a loro ubbidiente -e fedele. I cognati vollono la fede da lui, -ed egli la diede loro, dicendo, ch’e’ non potea -guari aspettare, e che la risposta prestamente -volea; e con questo voltarsi indietro, e tornarsi a -messer Bernabò, il quale avea sentito che l’accordo -era fatto, e che il prendere stava a messer -Giovanni; di che avendo da costoro chiara certezza -<span class="pagenum" id="Page_269">[269]</span> -in consiglio disse, ch’era contento di fare -quanto messer Giovanni avea domandato, e che -così per sua parte fermassono con lui. I giovani -poco sperti e poco accorti, non considerando il -pondo del fatto, e quanto il caso portava o potea -portare, rendendo la cosa per fatta, con matta baldanza, -quasi se non dovesse nè potesse fallare nè -uscire di loro mani, lieti e allegri, perchè pareva -loro fare gran fatti, presono alquanto soggiorno, aspettando -il tempo carissimo e pericoloso in vani -diletti, nelle quali cose spesono tre giorni oltre -all’aspetto che messer Giovanni attendea; il -perchè ne seguì, che essendo in prima messer -Giovanni in sospetto della fede di messer Bernabò, -il sospetto gli crebbe, e la tema di non essere -tenuto a parole a mal fine, e senza più attendere -prese partito, e fermò l’accordo col legato, -come nel seguente capitolo diviseremo. Fornito -il fatto, i giovani che gli erano cognati li -vennono il giorno seguente, e trovarono la pietra -posta in calcina, sicchè il pieno mandato -ch’aveano da messer Bernabò tornò in fumo. -Per questo fallo seguette, che i giovani a furore -e tutte le loro famiglie furono disperse, e i loro -beni guasti e incorporati alla camera del signore -come di suoi traditori, e ne rimasono in bando -delle persone. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_270">[270]</span> -</p> - -<h3 id="capLXXV-9">CAP. LXXV. -<span class="smaller"><i>Patti da messer Giovanni da Oleggio -alla Chiesa, e la tenuta di Bologna.</i></span></h3> - -<p> -Per lo sospetto cresciuto a messer Giovanni di -messer Bernabò, come poco avanti dicemmo, prese -l’accordo, e concedette alla Chiesa Bologna con -queste convegne: che il legato pagasse interamente -i provvisionati e’ soldati di ciò che dovessono -avere infino al dì ch’e’ rassegnasse Bologna, e che -in cambio di Bologna avesse a sua vita liberamente -la signoria della città di Fermo, e di suo contado -e distretto, e che fosse titolato per lo detto marchese -della Marca, e in sustanza succedette l’accordo: -e per sicurtà di fermezza dell’una parte -e dell’altra, il signore di Bologna mise nella -città di Fermo messer Azzo degli Alidogi da Imola -con gente d’arme come amico comune, e al -capitano della gente che il legato avea messo in -Bologna, ricevente per lo legato e per la Chiesa -di Roma, in presenza del popolo diede la bacchetta -della signoria, onde il popolo ne fece gran -festa, perchè ciò desiderava e temeva di peggio, -gridandosi per tutta la terra: Viva la santa Chiesa. -Nondimeno il signore com’era ordinato nei -patti, nelle sue mani fece giurare tutta gente -d’arme da piè e da cavallo infino che li fosse -attenuta l’impromessa; e così stette la città sotto -titolo e forza di messer Giovanni, come della -Chiesa di Roma, da mezzo il mese di marzo al -primo dì d’aprile 1360. E in questo mezzo il -<span class="pagenum" id="Page_271">[271]</span> -legato intendea a fare pagare i soldati, e’ cittadini -avendo presa baldanza, e in fatti e in parole -villaneggiavano messer Giovanni e la famiglia -sua, ricordandosi dell’ingiurie ch’aveano ricevute -da loro; e per questo avvenne, che un dì -messer Giovanni mandò per prendere di sua gente -uno de’ Bentivogli, il quale essendo bene accompagnato -si contese, e non se ne lasciò menare, -gridando, all’arme all’arme; onde la terra -si levò tutta a romore, infiammata contro al -vecchio tiranno: il quale per tema si ricolse in -cittadella, e tutta la notte stette armato con la -sua gente e della Chiesa sotto buona guardia. -Il dì seguente giunse messer Gomise in Bologna -nipote del cardinale, il quale era marchese della -Marca, e racchetò il romore del popolo, e prese -la guardia delle porti e della città, e accomandatola -a’ cittadini, corse la terra col popolo insieme -con grande allegrezza, e aperse a’ prigioni. -Il perchè i cittadini si certificarono che la signoria -non potea tornare nelle mani del tiranno, -nonostante che ancora fosse in sua podestà la -cittadella, e il giuramento de’ soldati in sua mano. -E stando le cose in tale maniera, messer Giovanni -fu certificato dalla moglie come liberamente -avea in sua podestà il Girfalco e l’altre fortezze -di Fermo, e come presa era per lui la signoria -della terra; onde avendo ciò, secondo i -patti li convenia partire di Bologna, ma forte -temea l’ira del popolo che non l’offendesse in -sulla partita, e per tanto si stava in cittadella, -e come, savio e avveduto ordinò ora una boce -ora un’altra, tenendo suo consiglio segreto nel -<span class="pagenum" id="Page_272">[272]</span> -petto; e per meglio coprire l’animo suo pubblicamente -facea cercare con gli Ubaldini che li -dessono sicura la via, e a’ Fiorentini domandò il -passo per loro terreno; i Bolognesi stavano a -orecchi levati, e non faceano motto, aspettando -di predarlo, e di fare strazio di lui gran voglia -n’aveano. Il savio con maestria tranquillando i -Bolognesi colse tempo, il martedì santo, a dì -31 di marzo nella mezza notte, dormendo i cittadini, -chetamente e senza fare zitto con mille -barbute, tra di suoi provvisionati e soldati di -quelli della Chiesa, senza averne il dì fatta mostra -uscì di Bologna, e andossene a Imola senza -impedimento nessuno, e di là si partì, e andonne -a Cesena a visitare il legato. -</p> - -<h3 id="capLXXVI-9">CAP. LXXVI. -<span class="smaller"><i>Come la città di Bologna fu libera dal tiranno -in mano del legato e della Chiesa -essendo assediata.</i></span></h3> - -<p> -Il primo dì d’aprile, gli anni domini 1360, Bologna rimase -libera dalla dura tirannia di messer -Giovanni da Oleggio della casa de’ Visconti di -Milano, il quale a dì 20 d’aprile 1355 l’avea -rubata a’ suoi consorti per cui la tenea, come addietro -facemmo menzione, e nello spazio di questi -cinque anni avea decapitati oltre a cinquanta -de’ maggiori e de’ migliori cittadini della terra, -con trovando loro diverse cagioni, e dell’altro -popolo n’avea morti e cacciati tanti, che pochi -n’avea lasciati che avessono polso o forma d’uomo, -<span class="pagenum" id="Page_273">[273]</span> -e con averli munti e premuti infino alle -sangui; e avendo fatte tante crudeltadi, e tante -storsioni e ruberie, come volpe vecchia seppe sì -fare, che con grandissimo mobile di moneta e -gioielli liberamente se n’andò, e ridussesi in -Fermo; e levato s’era del giuoco, e ridotto in luogo -di pace e di riposo, lasciando i Bolognesi e il -legato nella guerra; e per certo, s’egli era tenuto -savio, questa volta lo dimostrò. -</p> - -<h3 id="capLXXVII-9">CAP. LXXVII. -<span class="smaller"><i>Come la Chiesa riformò Bologna.</i></span></h3> - -<p> -Messer Gomise da Albonatio Spagnuolo nipote -del legato, il quale era stato marchese della Marca, -e Niccola da Farnese capitano della gente del -legato rimasi nella libera signoria di Bologna, e -fatta grande allegrezza e festa co’ cittadini della -partita di messer Giovanni da Oleggio, e mostrando -di loro grande confidanza, ma per accattare -loro benivolenza e favore, si cominciarono a ordinare -alla guardia, e alleggiarono il popolo -di molte gravezze, e massimamente delle soperchie, -nelle quali li tenea il tiranno; e il popolo -con loro coscienza prese consiglio co’ più cari e -sentiti cittadini, ed elessono di comune concordia -d’ogni stato e condizione, mescolando i gentili -uomini e’ popolari, e’ dottori e artefici eziandio -dell’arti minute, pure che ognuno fosse contento, -certo numero di cittadini che intendessono -con gli uficiali della Chiesa alla guardia e alla -difesa della città; e ciò fatto, il capitano della -<span class="pagenum" id="Page_274">[274]</span> -gente della Chiesa mandò comandando alla gente -di messer Bernabò che si dovesse partire del -terreno della Chiesa, significando loro come Bologna -era tornata alle mani della Chiesa di Roma, -com’essere dovea per ragione; la risposta -fu questa, che innanzi si partissono voleano vedere -per cui, e che s’e’ volessono se ne partissono -glie n’andassono a cacciare. E preso sdegno -del baldanzoso comandamento, ed essendo -loro di nuovo giunto mille barbute, cavalcarono -infino presso a Faenza, levando gran preda di -bestiame e di gente, la quale condussono al luogo -senza impedimento niuno; e com’aveano cominciato -seguirono, facendo gran danno e spaventamento -de’ paesani, e rompendo le strade, -minacciando di peggio i Bolognesi e’ Romagnuoli; -per le quali cose la letizia mostravano per -parere loro essere fuori delle mani del tiranno, -e posto giù il caldo voglioso si cominciò a raffreddare, -e convertissi in paura di peggio, e ciò -venne loro, come si potrà leggendo innanzi trovare. -</p> - -<h3 id="capLXXVIII-9">CAP. LXXVIII. -<span class="smaller"><i>Di una congiura si scoperse in Pisa.</i></span></h3> - -<p> -Gli artefici della città di Pisa, e massimamente -quelli dell’arte minuta, vedendo loro mancare -i guadagni per la partita de’ Fiorentini i quali -il loro porto teneano in divieto, se ne doleano, -e mormoravano e parlavano male; e perseverando -nelle querele, una quantità di loro si giurarono -<span class="pagenum" id="Page_275">[275]</span> -insieme molto occultamente, e presono ordine -tra loro, il quale il venerdì santo a dì 3 -d’aprile doveano uccidere gran parte de’ loro -maggiorenti ch’erano al governo della città, dove -e come trovar gli potessono insieme, o divisi; -e ciò fatto, doveano mandare per li Gambacorti, -che allora si riduceano a Firenze, e con loro riformare -la terra, e pacificare co’ Fiorentini per riavere -il porto. Infra’ congiurati erano religiosi -alquanti, e preti e altri cherici assai, intra’ quali -fu un prete il quale fu veduto parlare con certi -de’ secolari della congiura assai sconciamente, e -per disusata maniera, o che parola di suo ragionamento -fosse intesa, o che per lo modo del parlare -si facesse sospetto, fu mandato per lui, e stretto, -e’ confessò tutto l’ordigno; onde subitamente -furono presi quattro preti e sette frati, e nel torno -di cento artefici d’arte minute. I governatori -della terra procedendo nel fatto trovarono ch’erano -tanti gli avviluppati in questa congiura che -per lo migliore si fermarono, e non si stesono -più oltre, e del numero ch’aveano presi dodici -ne furono impiccati, i quali trovarono più colpevoli -e caporali, e gli altri furono condannati a -condizione in danari, i quali per ricomperare le -persone tosto furono pagati. Questa novità molto -conturbò e impoverì la città con guasto dello -stato della setta che allora reggea, la quale ne -rimase in grande gelosia, e il popolo minuto malcontento -e peggio disposto. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_276">[276]</span> -</p> - -<h3 id="capLXXIX-9">CAP. LXXIX. -<span class="smaller"><i>Di un trattato menato in Forlì -contro alla Chiesa.</i></span></h3> - -<p> -Messer Bernabò per l’impresa ch’avea fatto -il legato della città di Bologna era molto stizzito -o infocato, e come signore animoso e vendicativo -non posava, e senza riguardo di spesa -del continovo suo oste cresceva, e sollecitava i -suoi capitani a fare buona guerra a’ Bolognesi, e -dovunque potessono ne’ terreni della Chiesa. Occorse -in questi giorni, che la gente ch’era alla -guardia di Forlì gran parte n’erano ad accompagnare -infino a Fermo messer Giovanni da Oleggio; -questo caso diede materia a un messer Stefano -giudice, e a un nipote di messer Francesco -degli Ordelaffi per addietro capitano di Forlì, -nato d’una sua figliuola bastarda, di cercare trattato -in Forlì; questi due matti baldanzosi, piuttosto -per presuntuoso animo che per savio consiglio, -tenuto trattato col capitano della gente di -messer Bernabò, vedendo la terra sfornita di gente -di soldo, sotto ombra di cavalcata gran parte -della migliore gente da cavallo e da piè dell’oste -del tiranno feciono appressare a Forlì, in luogo -che per sua vicinanza non gittasse tanto sospetto -che al popolo fosse necessità prendere l’arme, -e d’onde partendosi la notte potessono entrare -nella terra; e tanto aveano predetta la cosa, che -avendo i detti di sopra con alquanti loro amici -rotte in due parti le mura della città, ed essendo -<span class="pagenum" id="Page_277">[277]</span> -condotti millenovecento barbute e fanti assai -al tempo che loro era dato alle dette rotture, -poco accorti i traditori abbagliati della voglia disordinata, -tra gli steccati e le mura che fatti aveano -ne condussono tra gli ortali dentro e a piè delle -mura oltre a trecento cavalieri e dugento pedoni, -anzi che dentro se ne sentisse niente, e non -presono avviso che i detti ortali erano tutti affossati, -e senza vie spedite che mettessono nelle -strade mastre, il perchè ne seguì, che nel ravvilupparsi -disordinatamente e poco chetamente -in quel luogo, furono sentiti e scoperti; onde -il popolo si levò a romore, e francamente corsono -ove si sentivano i nemici, e gli assalirono col -vantaggio del sito dov’erano, e non potendosi -stendere nè campeggiare, e inviliti, tutto che facessono -per loro onore mostra d’arme, in fine -furono cacciati di fuori, ed essendone assai magagnati -e fediti: e mentre ch’era attizzata la -zuffa, poco anzi il fare del giorno la gente ch’avea -accompagnato messer Giovanni da Oleggio tornò, -onde quelli di fuori perduta la speranza si ritrassono -indietro, e’ traditori furono presi e condannati -alle forche. Parendo al capitano di messer -Bernabò avere avuto dell’impresa vergogna, quasi -come se la preda gli fosse uscita di mano, la -seguente mattina con duemila barbute tentò di -fare in aperto quello che non avea potuto fare in -occulto, e venuto infino alle mura della città, -la trovò sì bene ordinata e guernita a difesa, che -intendimento che dato gli fosse dentro riputò a -niente; onde diè la volta, e trovando il paese -male fornito di roba da vivere, lasciò a Luco -<span class="pagenum" id="Page_278">[278]</span> -quattrocento cavalieri, e tornossi nell’oste a Bologna. -</p> - -<h3 id="capLXXX-9">CAP. LXXX. -<span class="smaller"><i>Come fu combattuta Cento dall’oste -del tiranno.</i></span></h3> - -<p> -Avendo i capitani di messer Bernabò perduta -la speranza della città di Forlì, come di sopra -dicemmo, la sollecitudine loro rivolsono altrove, -e lasciando fornite le bastite d’intorno a Bologna, -cavalcarono a Cento grossa terra de’ Bolognesi, -posta in quella parte che guata Ferrara, -e là si fermarono quasi in forma d’assedio, stimando -che se potessono o per paura o per forza -vincere la terra, per la bontà del sito attissimo -loro per sicurare le strade verso Ferrara, e per -fare al campo e alle bestie dovizia per la grande -quantità di biada che dentro v’era raccolta, -d’essere vincitori della guerra; e per tanto con -molto ordine e apparecchio per più e più riprese -in diversi giorni assalirono la terra con fiere -battaglie di lunga bastanza, nelle quali e dall’una -parte e dall’altra assai di buona gente vi fu -morta e fedita, ma più assai di quelli di fuori; -in fine trovando i capitani che la terra era bene -guernita a difesa, e vedendo che il loro stallo -poco approdava, con avere senza acquisto fatte -prodezze si levarono quindi, e andarono a Budrio, -dove trovarono più larghezza di vittuaglia, -ove s’arrestarono per lunghezza di tempo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_279">[279]</span> -</p> - -<h3 id="capLXXXI-9">CAP. LXXXI. -<span class="smaller"><i>Come gli Ubaldini si mostrarono tra loro -divisi.</i></span></h3> - -<p> -In questi tempi, maliziosamente per sagace -consiglio la casa degli Ubaldini si divise, e quelli -di Tano da Castello col seguito loro s’accostarono -a messer Bernabò, e quelli di Maghinardo -e d’Albizzo da Gagliano con loro amici tennono -col legato in palese, tutto che in segreto, come -ghibellini e antichi nemici della Chiesa di Roma, -s’intendessono, e che con l’animo fossono quello -ch’e’ consorti loro; litigavano per dare materia -di rottura alle strade dell’alpe, sicchè per -quelle vie niuno osasse andare a Bologna. Per -questa divisa, o vera o infinta che fosse, l’una -parte guerreggiava l’altra, e insieme si danneggiavano -assai; per modo che l’alpe era tutta rotta, -e i passi e le strade serrate in forma, che roba -nè persona per que’ luoghi non poteva ire a Bologna -senza gravi pericoli; il perchè grave danno -e disagio ne tornava a’ Bolognesi assediati, che -per quelli luoghi soleano andare e foraggio e aiuto. -E parne che sia da notare in questa guerra -lunga e pertinace, la maggiore parte di quello che -bisognava per vita dell’oste sparta, e grande -opera quasi venia per Lombardia per lo passo del -Po, il quale il marchese da Ferrara compare di -messer Bernabò gli avea conceduto, pagando la -roba il dazio usato, di che gran danaio ne fece il -marchese: e secondo ch’avemmo da persona degna -<span class="pagenum" id="Page_280">[280]</span> -di fede, che di ciò ebbe degna notizia, tra -soldo e vittuaglia e altri fornimenti l’oste costava -al tiranno ogni mese oltre a’ fiorini settantamila -d’oro, e tanto era la sua entrata che niente -parea che ne curasse: è vero che grande tesoro -trasse da’ cherici delle terre che gli erano suggetti, -i quali con molti dispetti disordinatamente -gravava. -</p> - -<h3 id="capLXXXII-9">CAP. LXXXII. -<span class="smaller"><i>Di portamenti degl’Inghilesi in Borgogna.</i></span></h3> - -<p> -Per sperienza vedemo, che lo stomaco pure -d’una vivanda prende fastidio, e delle variazioni -d’esse ricreazione e piacere, e così gli orecchi -d’uno suono continovo rincrescimento, e della -mutazione di molti vaghezza. Da questa mostrazione -naturale preso esempio, lasceremo stare -alquanto i fatti d’Italia, le cui volture e travaglie -continove senza in tramessa delle forestiere -possono ingenerare tedio, e passeremo a quelle -de’ Franceschi e degl’Inghilesi che in questi giorni -apparirono. Essendo, come nel passato dicemmo, -il re d’Inghilterra, e’ figliuoli e il duca di Lancastro -in Borgogna, senza arrestare con attizzamento -di guerra il paese i Borgognoni, che allora -in occulto erano poco amici della casa di Francia, -s’accordarono con loro, dando loro derrata per danaio -abbondevolmente di ciò che loro fosse mestiero; -e stando in tale maniera si cercava come il re -per l’avvenire dovesse rimanere col duca, il perchè -gl’Inghilesi li riguardavano forte, senza fare -<span class="pagenum" id="Page_281">[281]</span> -ingiuria o danno niuno; e ciò avvedutamente, -perchè sapeano lo sdegno nato tra’ Borgognoni -e’ Franceschi, estimando d’attrarli a loro con -piacevolezza e amore. Il duca era giovane e di -grande animo, e di possanza il maggiore barone -del reame di Francia, e de’ dodici peri, a cui stava -la coronazione del reame di Francia, alla quale -con tutti i sentimenti si dirizzava l’intenzione -del re d’Inghilterra, la quale era freno che non -lasciava trasandare gl’Inghilesi. Nondimeno i -paesani delle castella, e sì delle ville, per essere -più sicuri donavano al re argento secondo loro -possibilità, e di buona voglia li prendea, e gli fidanzava. -E per simile modo avea fatto negli -altri paesi di Francia; prendea da cui gli s’era -raccomandato ciò che dare gli voleano senza bargagnare, -e avevali fatti sicuri di preda e di guasto; -onde per questa via avea accolta tanta moneta, -che di largo forniva i soldi ch’avea a pagare, -e tutte altre spese occorrenti senza avere -a trarre d’Inghilterra danaio. E per questo modo -la sperienza fa manifesto quello che in fatto -e’ parea quasi impossibile, ed era: e per certo all’acquisto -del reame di Francia la fortuna e ’l -senno furono del tutto dalla parte del re d’Inghilterra -e solo gli fu in contrade l’odio e lo -sdegno de’ Franceschi, i quali non poteano patire -d’udire ricordare gl’Inghilesi, che sempre come -vili genti aveano avuto in dispetto. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_282">[282]</span> -</p> - -<h3 id="capLXXXIII-9">CAP. LXXXIII. -<span class="smaller"><i>Come i Normandi con loro armata passarono -in Inghilterra.</i></span></h3> - -<p> -I Normandi, che più volte aveano in loro terre -dagl’Inghilesi ricevuto oltraggi e vergogna, -vedendo che ’l re d’Inghilterra, e’ figliuoli è ’l -duca di Lancastro, di cui ridottavano molto, erano -occupati nell’impresa di Francia, e per ciò -passati in Borgogna, pensarono che ’l tempo loro -dava spazio di fare loro vendetta. E pertanto di -loro movimento raunarono in piccolo tempo centocinque -navili, e di loro gente gli armarono, e gli -feciono passare nell’isola, e si posono a Sventona -e in altri porti, dove arsono legni assai, e -feciono quello danno che poterono il maggiore. -Per, questo gl’Inghilesi sommossono tutti i porti -dell’isola, e furiosamente armarono per andare -a trovare i Normandi, i quali temendo i subiti -movimenti e avvisi degl’Inghilesi, avanti che -loro armata fosse fornita si partirono, e tornaronsi -a salvamento in Normandia. -</p> - -<h3 id="capLXXXIV-9">CAP. LXXXIV. -<span class="smaller"><i>Come il duca di Borgogna s’accordò -con gl’Inghilesi.</i></span></h3> - -<p> -Del mese di maggio 1360, il giovane duca di -Borgogna, seguendo il consiglio de’ suoi baroni, -prese accordo col re d’Inghilterra in questa forma. -<span class="pagenum" id="Page_283">[283]</span> -Che il re si dovesse partire del paese, e il duca -a lui dovesse dare in tre anni centoventi migliaia -di montoni d’oro, come ne toccasse per -anno; e oltre a ciò, ch’avendo il re d’Inghilterra -a sua coronazione del reame di Francia per boce -d’imperio, che la sua sarebbe la seconda. Sotto -questa concordia assai grande al re d’Inghilterra, -più per l’onore della promessa e della boce del -duca che per altra cagione il re d’Inghilterra -con tutta sua oste si partì di Borgogna, e dirizzò -suo viaggio verso Parigi, non trovando, fuori delle -terre murate, chi lo contastasse niente, e tutti i -paesani e le villate che non si sentivano da poterli -fare resistenza gli si feciono incontro, e per riscatto -di loro dammaggi li portavano danari, ed -egli per sua bonarità, ciò che gli era dato prendea, -e della sicurtà era a tutti cortese. -</p> - -<h3 id="capLXXXV-9">CAP. LXXXV. -<span class="smaller"><i>Come il re d’Inghilterra assediò Parigi.</i></span></h3> - -<p> -Poichè ’l re d’Inghilterra vide che la fortuna -per la maggiore parte avea favoreggiati tutti i suoi consigli -e ordigni, e che tutte le cose, secondo il -suo proponimento necessario a fornire anzi prendere -l’assedio di Parigi gli erano procedute prosperamente, -eccetto che presure di ville o di fortezze -notabili, le quali vedea avere riguardo a -Parigi, e che quando la città ch’era capo del reame -fosse a sua podestà l’altre agevolmente gli -verrebbono alle mani; e pensò come ultimo fine -d’ogni sua intenzione certo che la ventura gli concedesse -<span class="pagenum" id="Page_284">[284]</span> -Parigi; e per tanto come trasse il piè di -Borgogna, continovate sue giornate con tutta -sua oste se ne venne a Parigi, e giunto e riposato -alcuno dì, il sabato santo a dì 4 d’aprile 1360, -la sua oste in tre parti divise, l’una a Corboglio, -l’altra accomandò al duca di Guales, e lo fè -porre in costa dall’altro lato della città, la terza -diede al conte di Lancastro, il quale si fermò -dall’altra banda, sicchè quasi in terzo a sesta -fermarono l’assedio, e che questo fosse il deretano -pensiero manifestarono. Il re di Navarra -e il fratello, il quale avea formata pace col Delfino, -come addietro dicemmo, a questo punto si -scopersono amici e servidori del re d’Inghilterra, -che la pace che fatta avea era stata infinta -e a mal fine. Questa voltura del re di Navarra -e del fratello assai diedono che pensare a’ Franceschi. -Il Delfino avendo alcuno sentore della -venuta del re d’Inghilterra e di suo intendimento, -con molti baroni del reame e con grande -cavalleria s’era ridotto in Parigi, e la città avea -d’ogni cosa necessaria alla vita per grande tempo -abbondevolmente fornita, e con provvedenza -e sollicitudine attendeano alla guardia della città -e di dì e di notte, e di fuori lasciava fare a’ nemici -il loro volere, non lasciando uscire nè forestieri -nè cittadini a fare d’arme, e tutto ciò per -buono e savio consiglio: nè tanto poteano gl’Inghilesi -con sollecitudine e scorrimenti strignere -la città, che gente con vittuaglia non v’entrasse -e uscisse, tutto che con pericolo assai. Il paese -fuori di Parigi, eccetto città e terre di guardia, -ubbidiano gl’Inghilesi e loro davano vittuaglia -<span class="pagenum" id="Page_285">[285]</span> -e danari, come addietro dicemmo, sicchè l’oste -ne stava doviziosa e ad agio, e senza fatica d’avere -a predare per vivere, e senza riotta aveano la vita -e i soldi loro, e i beni de’ Franceschi. Or qui -mi piace d’un poco gridare: O superbi e altieri -cristiani, dirizzate gli occhi del cuore, volgete -un poco questi pensieri a considerare gli straboccamenti -della potenza mondana, e vedrete la viltà -e la miseria essere al fine delle pompe e miserie -de’ mortali; ponetevi avanti gli occhi la nobile -e famosa città di Parigi assediata dagli Scirei d’Inghilterra; -ponetevi il glorioso sangue della reale -casa di Francia in quanto abbassamento era in -questi giorni venuto; ponetevi la magnanimità e -il coraggio, la gentilezza e’ costumi della cavalleria -de’ Franceschi, a tanto disprezzamento in questi -tempi ridotta, che abbi lasciato in preda il -reame a poca gente, e loro dispettosa e di poca -nomea, tenendo chiusa nelle terre murate, e non -ardite con le teste levate, e prendendo fidanza -della violente fortuna: più è maraviglioso a pensare -che gl’Inghilesi abbiano fatto in Francia a -loro senno, che se Capalle vincesse Firenze. Il -fine dunque dell’arrogante superbia, come per -esperienza sovente si vede, è cadimento in luogo -umile e pieno di miseria: e certo chi con animo -temperato vorrà giudicare, altro non potrà -dire, se non che manifesto giudicio di Dio abbi -corrotto questo flagello il popolo sdegnoso, e animo -rilevato e altiero de’ Franceschi, che tutto -l’altro mondo aveano per niente. Or dunque posate -mortali, e non siate troppo osi, e sievi freno -il magnifico reame di Francia, il quale è stato tra’ -<span class="pagenum" id="Page_286">[286]</span> -cristiani il maggiore già molte centinaia -d’anni, e quando vi ritrovate nel più alto grado -delle dignità temporali volgete gli occhi alla -terra, e vedrete, che quanto il luogo è più alto -e più rilevato, tanto è la ruina e la caduta -maggiore, e forse poserete gli animi vostri alla -sorte che v’ha conceduta la divina provvidenza, -senza più oltre cercare che vi sia di mestiere. -</p> - -<h3 id="capLXXXVI-9">CAP. LXXXVI. -<span class="smaller"><i>Come il re d’Inghilterra si strinse a Parigi, -e combattè Corboglio.</i></span></h3> - -<p> -Essendo l’oste del re d’Inghilterra alquanti -dì soggiornata a Corboglio, e divisa, come di sopra -dicemmo, in modo da potersi in piccolo tempo -raccogliere insieme quando fosse bisogno, all’ottava -della Pasqua di Resurrezione, il re con -gran parte di sua oste si mosse e avvicinossi a -Parigi con le schiere fatte, e tanto che gli scorridori -si misono in sulle porti della città, facendo -con parole e con atti assai oltraggio a’ Franceschi, -ma però di Parigi non usciva persona: e -ciò fu riputato gran senno, perchè uscendo, come -suole il popolo voglioso e male ordinato, e in -fatti d’arme poco uso, il pericolo era grandissimo, -e il re con i suoi Inghilesi altro non desiderava, -facendo sagacemente tutto ciò che poteano per -attrarli di fuori. Veggendo il re dopo lungo stallo, -che per aizzamento che fatto fosse a’ Franceschi -nè gente usciva della terra nè porta s’apriva, -<span class="pagenum" id="Page_287">[287]</span> -fatto danno d’arsione per più sdegnare i nemici -e animare a vendetta, si trasse indietro: il -prenze di Guales tornato al re senza frutto di suo -pensiero, per non lasciare niente che secondo il -sottile provvedimento del re per ottenere suo -proponimento fare si dovesse, esso in persona colla -gente fresca ch’era rimasa nel campo con bell’ordine -si mise a combattere il castello di Corboglio. -La battaglia fu aspra e animosa, perocchè -gli Inghilesi che erano montati nell’onore -e pregio dell’arme alla disperata senza curare -la vita si metteano a ogni pericolo; i Franceschi -che conosceano che essendo vinti vituperavano il -nome loro, ed erano carne di beccheria, si difendeano -francamente ributtando i nemici; molti -e dall’una parte e dall’altra ne furono morti -e fediti; in fine gl’Inghilesi non potendo niente -approdare si levarono dall’impresa. Come il duca -avea fatto a Corboglio, così il conte di Lancastro -e poi la persona del re cercarono di più altre -castella e fortezze, e nulla poterono ottenere, -sì bene erano in apparecchio a difesa; e queste -cose furono gran cagione di recare gl’Inghilesi a -concordia, come a suo luogo e tempo diremo. -</p> - -<h3 id="capLXXXVII-9">CAP. LXXXVII. -<span class="smaller"><i>Conta del reggimento de’ Romani, e d’alcuna -giustizia fatta.</i></span></h3> - -<p> -L’antico popolo e reggimento romano a tutto -il mondo era specchio di costanza, e incredibile -fermezza d’onesto e regolato vivere, e d’ogni -<span class="pagenum" id="Page_288">[288]</span> -morale virtù, e quello ch’al presente possiede le -ruine di quella famosa città è tutto per lo contrario -mobile e incostante, e senza alcuna ombra di -morali virtù. Loro stato sovente si muove con vogliosa -e straboccata leggerezza, e cercando libertà -l’hanno trovata, ma non l’hanno saputa ordinare -nè tenere, com’addietro nell’opera nostra si -può trovare. All’ultimo, dalla forma e costumi -de’ reggimenti de’ popoli della Toscana che vivono -in libertà, e massimamente de’ Fiorentini -cui essi appellano figliuoli, hanno preso il modo, -e fatti hanno loro cittadini in similitudine di priori -e con simigliante balía, e riduconsi presso al -Campidoglio, e per loro consiglio hanno i capi -de’ Rioni, e a similitudine de’ gonfalonieri delle -compagnie di Firenze fatti hanno banderesi con -grande potestà e balía, li quali hanno altri sotto -sè a cui danno i pennoni, e ciascuno de’ banderesi -ha il seguito di millecinquecento popolari bene -armati e in punto a seguirli a ogni loro posta; -e così sono circa a tremila gli ubbidienti -a’ banderesi. Questi hanno a fare l’esecuzione -della giustizia di fuori contro i possenti e grandi -cittadini che male facessono, o fossono inobbedienti -al reggimento di Roma, o dessono alcuno -ricetto ai mali fattori in loro fortezze o tenute; -e contro a coloro che hanno trovato mal fare cominciato -hanno così aspra giustizia, che passano -i segni per troppa rigidezza, il perchè nè principe -nè barone è nella giurisdizione del popolo di Roma -che non stia spaventato, e che forte non gli -ridotti, e che per paura non ubbidisca a’ governatori -di Roma e’ loro rettori. E in questo anno -<span class="pagenum" id="Page_289">[289]</span> -occorse, che il Bello Gaietani zio del conte di Fondi, -e Matteo dalla Torre, famosi capi e ritenitori -de’ ladroni del paese, furono presi da’ detti -banderesi con più loro seguaci malandrini e rubatori -di strade, e di fatto e senza alcuno soggiorno -tutti furono impiccati, e le loro tenute disfatte -e ragguagliate con la terra. Ed essendo la Campagna -in ribellione de’ Romani, e spilonca di -ladroni, e questo popolo infiammato a ben fare, -ridottola all’ubbidienza de’ Romani. -</p> - -<h3 id="capLXXXVIII-9">CAP. LXXXVIII. -<span class="smaller"><i>Come parte degli Ubaldini presono Montebene.</i></span></h3> - -<p> -I figliuoli di Tano da Castello della casa degli -Ubaldini seguaci de’ signori di Milano, e pertanto -ai loro consorti nimici, nel detto anno e -mese d’aprile, di ciò non prendendo guardia -que’ della casa loro, con numero di fanti a ciò bastevoli, -una mattina innanzi il fare del giorno -presono Montebene, e lo steccarono di steccati -e fossi, e dentro vi feciono capanne, e lo fornirono -di vittuaglia e guernimenti da difesa, aspettando -secondo l’ordine dato gente d’arme da -piè e da cavallo da’ signori di Milano per fare da -quella parte guerra a’ Bolognesi rompendo le strade. -E a dì 15 d’aprile con dugento Ungheri e con -trecento barbute, e con loro fedeli cavalcarono -infino presso a Bologna, e levarono gran preda -di prigioni e bestiame, e altri danni feciono assai. -Poi a dì 23 del mese i Bolognesi con loro forza, -e con loro i figliuoli di Maghinardo degli Ubaldini -<span class="pagenum" id="Page_290">[290]</span> -e loro fedeli, essendo partita la maggior parte -della detta gente de’ signori di Milano, che male -poteano nell’Alpe dimorare, cavalcarono alle valli, -e quelli vi trovarono della detta gente misono -al taglio delle spade, e in quelli paesi presono -e uccisono e danneggiarono i fedeli dell’Alpe, -e con quella preda maggiore che fare poteano -si ridussono a salvamento: a quelli di Montebene -non poterono noiare per la fortezza del luogo. -Montebene per metà è del comune di Firenze, il -perchè i Fiorentini mandarono ambasciadori agli -Ubaldini, e gli ripresono dell’impresa, considerato -che aveano occupato del contado di Firenze; -da loro ebbono tanta umile e cortese risposta, -a non volere far cosa dispiacesse al comune, -che per non fare nuova impresa per allora loro -risposta fu accettata, non che l’ingiuria con -l’altre non fosse riposta, e riserbata a loro maggiore -ruina. -</p> - -<h3 id="capLXXXIX-9">CAP. LXXXIX. -<span class="smaller"><i>Di novità e morte del re di Granata, -e loro esilio.</i></span></h3> - -<p> -Nel mese d’aprile 1360 essendo Maometto re -di Granata senza sospetto di suo stato uscito a -cacciare, Raisalem suo barone, uomo di grande -animo e seguito, postoli aguato lo volle uccidere, -ma esso fuggì. Costui col seguito e forza sua coronò -re un fratello di Maometto di piccola età, e perseguitava -il detto Maometto, il quale per paura -fuggì a Malica, e poi a Fessa, e quivi si ridusse al -<span class="pagenum" id="Page_291">[291]</span> -servigio del re di Fessa e a sua provvisione, e ivi -dimorando aspettava tempo di ricoverare sua corona. -Guardando Raisalem il giovane re, volle che -facesse morire certi de’ suoi baroni, e non volendo -il giovane re consentire perchè non erano in colpa, -Raisalem l’uccise, e col suo seguito e forza si fè -coronare re, non essendo della schiatta e casa reale, -e da tutti i regnicoli di Granata quasi spontaneamente -fu ubbidito, e fecesi chiamare il re -vermiglio, e con tutta sua forza e consiglio nimicava -il re Maometto, cui egli avea del regno cacciato, -e oltre nimicava il re di Castella. -</p> - -<h3 id="capXC-9">CAP. XC. -<span class="smaller"><i>Come il legato richiese d’aiuto il re d’Ungheria -alla difesa di Bologna.</i></span></h3> - -<p> -Già era quasi certa e indubitata speranza a’ pastori -della Chiesa di Dio, e a’ governatori d’essa, -sì di là come di qua da’ monti, della difesa della -città di Bologna, e il legato d’ogni parte in qualunque -modo potea cercava aiuto sollecitamente: -com’a Firenze avea mandato, così all’imperadore -e al re d’Ungheria sommovendoli al soccorso -dell’onore di santa Chiesa intorno a’ fatti di Bologna; -per questo lo re d’Ungheria richiesto, e -non volendo, se prima non sapeva il come e perchè, -con più certo e diliberato consiglio fare -l’impresa, come gonfaloniere e difensore di santa -Chiesa, al cui bisogno dicea non potere senza -soccorso passare, lettere fece e sua ambasciata -mandò a’ signori di Milano, loro pregando si partissero -<span class="pagenum" id="Page_292">[292]</span> -dall’offesa di santa Chiesa, e gli ammoniva -sotto protesto d’aiuto che si partissono dall’impresa. -I signori di Milano sentendo che suo -movimento era pigro, e con lunga tratta di tempo, -a’ suoi ambasciadori mostrarono, e a lui scrissono -con assai apparenti ragioni che loro impresa -era giusta e ragionevole, e che in corte di Roma -palesemente se ne disputava, e che la ragione -per loro parte rispondea, e così la sentenza attendeano; -e però lo pregavano che contro a loro -non prendesse il torto, che giusto il podere loro -ne prenderebbono difesa, e gli ambasciadori di -grande riverenza onorarono, e di molti e ricchi -doni. -</p> - -<h3 id="capXCI-9">CAP. XCI. -<span class="smaller"><i>Come in corte si diè sentenza contro a quelli -di Milano per i fatti di Bologna.</i></span></h3> - -<p> -Dappoichè Bologna fu nelle mani del legato -di Spagna, nonostante che i signori di Milano -circondata l’avessono d’assedio, continovo in -corte per loro ambasciadori avvocati protettori e -procuratori il papa e’ cardinali intempellavano, -mostrando in grido che la Chiesa loro faceva -torto, perocchè l’aveano ancora per quattro anni -a censo della Chiesa di Roma, e loro promesso -era per bolle papali di consentimento del collegio -de’ cardinali, ch’anzi il tempo loro non -sarebbe tolta, e con l’usato modo di spendere e largamente -donare alla disordinata cupidigia de’ cherici, -assai de’ cardinali prelati e cortigiani aveano -<span class="pagenum" id="Page_293">[293]</span> -che in occulto e in palese gli favoreggiavano, -il perchè la questione venne in giudicio, e convenne -che per sentenza si determinasse, la quale -si credette che per lo grande aiuto e favore -che in corte aveano i signori di Milano che venisse -per loro, ma tanto non si potè nè seppe argomentare -che la sentenza non venisse di ragione -per la Chiesa di Roma, perocchè i signori -di Milano per difetto loro n’aveano perduta la -possessione, e non l’aveano potuta ricoverare, ed -essendo la proprietà di santa Chiesa, giustamente -avea potuto racquistare la possessione. Data la -sentenza, il papa con i cardinali in concistoro deliberarono -di prenderne per tutte vie la difesa; -ma come per antica usanza e de’ prelati al sussidio -della moneta la mano era pigra e remissa, e -per questo mandarono e per lettere e per ambasceria -a’ signori di Milano gravandoli si togliessono -dall’impresa, contro a loro cominciando processo, -e all’imperadore, a’ principi d’Alamagna, -e al re d’Ungheria, e appresso a tutti i signori di -Lombardia e a’ comuni di Toscana scrissono per -sussidio per non toccare il tesoro della Chiesa -di Roma, e in tre volte a grande stento per -questo servigio di camera trassono centoventi migliaia -di fiorini, li quali vennono a sì pochi insieme -e sì tardi, che in fatti di guerra poco profitto -fare se ne potè, pur fece speranza d’alcuno -leggiere sostentamento. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_294">[294]</span> -</p> - -<h3 id="capXCII-9">CAP. XCII. -<span class="smaller"><i>Come messer Galeazzo Visconti si mandò -scusando in corte di Roma -dell’impresa di Bologna.</i></span></h3> - -<p> -Seguendo messer Bernabò sollecitamente l’impresa -di Bologna nonostante la deliberazione fatta -in corte, e il processo contro a lui formato, lo -quale l’avea più d’ira infiammato e stimolato -alla guerra, messer Galeazzo, o che ’l facesse per -cagione del parentado nuovamente fatto col re di -Francia, per lo quale dava la figliuola del re al -figliuolo, e temea che ’l processo di santa Chiesa -contro a lui fatto non l’impedisse, o vero che -fosse di consentimento di messer Bernabò, o per -suo proprio movimento, mandò a corte suoi ambasciadori -a scusarsi al papa e a’ cardinali con -dire, non intendea nè in segreto, nè in palese -aiutar o favoreggiare il fratello nell’impresa di -Bologna, perocchè egli avea il torto, e che per -lui gli era stato contradetto e vietato, e per tanto -domandava d’essere levato de’ processi i quali -contro a lui e messer Bernabò eran formati; -affermando non essere colpevole, e che intendea -essere all’ubbidienza di santa Chiesa, e operare -quanto onestamente contro il fratello potesse. La -sua scusa fu ammessa, ove non desse favore a -messer Bernabò, e il processo contro a lui fu sospeso. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_295">[295]</span> -</p> - -<h3 id="capXCIII-9">CAP. XCIII. -<span class="smaller"><i>Come papa Innocenzio levò le riservagioni.</i></span></h3> - -<p> -Per lungo spazio di molti anni, cominciando -al tempo di papa Giovanni ventiduesimo, in corte -di Roma erano fatte le riserbazioni di tutti i beneficii -cattedrali e collegiali i quali secondo la -ragione canonica riformare si doveano e soleano -per i capitoli e collegi delle dette chiese, e ciò -diede ad intendere di fare il detto papa Giovanni -per accogliere moneta e fare il passaggio all’acquisto -della Terra santa; e come uomo sagacissimo -e astuto in tutte sue cose, e massime in -fare il danaio, usava questa cautela, che vacando -un beneficio di grande entrata togliea un prelato -di più basso beneficio e lo promovea al maggiore, -e un altro di minore beneficio a quello di colui -cui avea promosso al maggiore, e così d’un -beneficio vacato in corte cinque o sei ne facea -vacare, avendo i frutti dell’anno, e con grande -spendio di quelli ch’erano promossi; e fece il -detto papa tesoro di diciotto milioni di fiorini in -moneta coniata, e più di sei milioni in gioielli. -Il quale ben seppe secondo il mondo Clemente -sesto colla contessa di Torenna, la quale tra le -poppe portava le supplicazioni, e aprendo il seno -le porgea al santo padre; il quale in cacciare, -e uccellare, e altri diletti mondani la maggior -parte de’ suoi giorni spese. Ed era la corte tanto -corrotta di simonia, che il più per simonia o per -grazia de’ signori temporali e cardinali gl’indegni -<span class="pagenum" id="Page_296">[296]</span> -e scellerati cherici erano promossi, e i buoni -e onesti ributtati, non senza loro vituperio e vergogna. -Per le quali inconvenienze Innocenzio -papa mosso da spirito diritto e buono zelo, in -quest’anno 1360, per suo decreto fatto consiglio, -e con volontà del collegio de’ cardinali, levò le -riserbazioni, rilasciando le elezioni e postulazioni -delle chiese cattedrali e collegiate alla grazia -dello Spirito santo. -</p> - -<h3 id="capXCIV-9">CAP. XCIV. -<span class="smaller"><i>Come il re Luigi fece guerra al duca di -Durazzo, e ultimamente s’accordaro.</i></span></h3> - -<p> -I processi del regno di Puglia in questi tempi -di poca memoria son degni per i loro lievi -movimenti. Il duca di Durazzo sentendosi nemico -del re Luigi, per tema di suo stato accogliea -in Puglia gente d’arme nelle terre sue, e -molti gentili uomini napoletani, e di Nido e -di Capovana s’erano ridotti con lui il maggior -fratello del re titolato imperadore di Costantinopoli -si tramettea di fare concordia tra loro, e lo -re non volea consentire; e per mostrare quanto la -cosa gli era grave, del mese d’aprile del detto anno -con molta gente d’arme in persona cavalcò -in Puglia per guerreggiare messer Luigi di Durazzo, -il quale, com’è detto, apparecchiato s’era -alla difesa a suo podere; il re, per levarli l’aiuto e -favore de’ Napoletani, fece comandare a tutti, -i cavalieri di Nido e di Capovana che con lui erano -che partire se ne dovessono altrimenti per -<span class="pagenum" id="Page_297">[297]</span> -ribelli gli avrebbe e traditori della corona; nè -per tanto i gentili uomini non vollono abbandonare -il duca, onde il re gli fece sbandire, e -mando a Napoli a fare l’esecuzione con abbattere -loro case; nè il re avrebbe questo potuto fornire, -se non che la reina e pregò e comandò a quelli -di Capovana e di Nido che lasciassono fare la volontà -del re, e così fatto fu senza contasto per -reverenza della reina; allora abbattuti furono -molti palagi e case di gentili uomini in Capovana -e in Nido, cosa di rado udita e avvenuta - in quella città. Lo re passato il furore si lasciò -consigliare, temendo che tale riotta non fosse -cagione d’attrarre gente d’arme nel Regno, e per -mano dell’imperadore fermò la pace col duca; -nè pertanto il duca fidò sua persona nella forza -del re, ma il figliuolo d’età di meno di sette anni mandò -a fare l’omaggio al re, a tutto che per li -capitoli della pace ordinato era alla città di Napoli. -</p> - -<h3 id="capXCV-9">CAP. XCV. -<span class="smaller"><i>Come messer Niccola gran siniscalco del Regno -andò in corte di Roma per accordare il re -con la Chiesa, e fattogli dal papa ciò gli domandò, -e grand’onore, se ne tornò -in Lombardia.</i></span></h3> - -<p> -Essendo intorno al re Luigi il grande siniscalco -il maggiore e il più ridottato barone, come operare -suole l’invidia, comune morte e vizio delle -corti, con false informazioni mosse il re a disdegno -<span class="pagenum" id="Page_298">[298]</span> -contro messer Niccola. Esso ch’era alla corona -fedele, con animo grande mostrava di non -se n’avvedere, e prese cagioni oneste alle sue terre -si riparava, massimamente a Nocea, e provvedeva -i fatti suoi. Lo re povero di savio consiglio -per le cose gli occorrevano sovente mandava per -lui; esso preso scusabili cagioni per farlo conoscente -ritardava l’andare: e certo essendo messer -Niccola appresso del re niuno de’ baroni osava -alzare il ciglio. E in que’ giorni occorso era che -per lo censo debito alla Chiesa, e non pagato, il -Regno era interdetto; il gran siniscalco avendo -voglia d’essere a corte per levarsi dinanzi agl’invidiosi -assalti de’ baroni, e per cercare maggiori -cose, alle quali l’animo suo si dirizzava, e per -fare prova di sè, con volontà del re andò a corte -di Roma, ove e dal papa e da’ cardinali fu sopra -modo onorato; e in prima la domenica della rosa -il papa commendato di virtù, di nobiltà, e di valore -messer Niccola li diede la Rosa, la quale osava -dare al più nobile uomo che allora si trovasse -in corte di Roma, appresso con lui s’accordò del -censo del reame, e levò l’interdetto. Da indi a -pochi giorni il papa di proprio movimento li diede -per messer Giovanni figliuolo di Iacopo di Donato -Acciaiuoli suo consorto l’arcivescovado di -Patrasso, essendo i cardinali di più altri solliciti -promotori, di costui nullo intendimento v’era: il -papa mostrò come essendo uopo di braccio secolare -al sostenimento di quello beneficio, costui -più idoneo era che un altro per lo consiglio e favore -del gran siniscalco, e senza attendere altra -deliberazione, come domandavano i cardinali. -<span class="pagenum" id="Page_299">[299]</span> -d’isso fatto lo elesse. Di poi di proprio moto del -santo padre, l’uficio e dignità del senato di Roma -e tutto esso uficio accomandato fu al detto -messer Niccola a sua vita, e più la rettoria del -Patrimonio, e la contea di Campagna; i quali -ufici e rettorie esso messer Niccola per riverenza -del suo signore messer lo re Luigi senza licenza -non volle accettare. E oltre alle predette grazie -spontaneamente fatte, molte petizioni di beneficii -il papa liberamente gli segnò, mostrando a -tutti la grande confidenza che nel nobile uomo -avea. E avendo messer Niccola preso licenza del -partire dal papa, il papa gli commise ch’andasse -a’ signori di Milano, e con loro cercasse accordo -sopra i fatti di Bologna. Il savio cavaliere per -questa sua partita sostenne oneste cagioni simulando, -e intanto ebbe da messer Bernabò perchè -altrimenti nel secreto fare noi volea, pensando -non doverne potere avere onore: partì adunque -di corte, e dirizzossi a Milano; quello ne seguì -a suo luogo diremo. -</p> - -<h3 id="capXCVI-9">CAP. XCVI. -<span class="smaller"><i>Come gli Aretini per baratta ebbono Chiusi e -la Rocca.</i></span></h3> - -<p> -Essendo Marco di messer Piero Saccone de’ Tarlati -in certo trattato col comune di Firenze di -dare delle sue terre al comune per liberare di -prigione e se e’ suoi, la moglie la madre e gli altri -suoi fratelli, con sagacità di chi l’ebbe a conducere, -furono messi in altro trattato, nel quale -<span class="pagenum" id="Page_300">[300]</span> -mostrato fu loro, che se in concordia fossono con -gli Aretini, ove stava il tutto, che i Fiorentini -rimarrebbono per contenti; onde pensando la -donna ben fare mossa da questo consiglio, e per -conforto di certi frati minori i quali erano in -questo ragionamento mezzani, non potendo di -Chiusi fare a suo senno, che v’era dentro il figliuolo, -si diliberò vogliosamente, come usanza -è delle femmine, di dare Pietramala agli Aretini, -con patto che come avessono Chiusi restituissono -Pietramala; e dato Pietramala la donna fè dire -al figliuolo, che se non desse la rocca di Chiusi, -come data avea la rocca di Pietramala così darebbe -quella del Caprese, e di tutte altre loro terre. -Il giovane veggendo il male principio, e conoscendo -la madre animosa e costante, diede la -rocca di Chiusi agli Aretini, la quale con sicurtà -di stadichi di renderla, se non facessono Marco -e gli altri suoi trarre di prigione, e incontanente -alla donna restituirono Pietramala. Di questa baratta -il comune di Firenze concepette non piccolo -sdegno contro agli Aretini, ma non lo dimostrò, -aspettando che essi di loro errore ammendassero, -e rendessero al comune di Firenze suo debito onore; -la qual cosa nè vollono nè seppono fare, come -col tempo seguendo nostra scrittura si potrà -trovare. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_301">[301]</span> -</p> - -<h3 id="capXCVII-9">CAP. XCVII. -<span class="smaller"><i>Come il conticino da Ghiaggiuolo fu da’ figliuoli -propri preso e vituperevolmente -tenuto.</i></span></h3> - -<p> -Seguita cosa per sua natura non degna di memoria, -ma piuttosto di perpetuo silenzio: l’esempio -crudele, disonesto e abominevole ci forza a -porlo intra gli altri nostri ricordi. Ramberto della -casa de’ Malatesti da Rimini detto volgarmente -il conticino da Ghìaggiuolo, uomo assai famoso, -essendo nell’età di sessantacinque anni e oltre, -avea della figliuola di Francesco della Faggiuola -sua donna due figliuoli, l’uno per nome Francesco, -l’altro Niccolò, giovani costumati e di gentile -aspetto, e che in vista mostravano di più alto -animo che non mostrarono per opera. Costoro -essendo col padre in arme al servigio di santa -Chiesa, eziandio contro i consorti loro allora -nimici di santa Chiesa, e contro il capitano di -Forlì, presono Santarcangiolo e altre terre, e le -ridussono all’ubbidienza di santa Chiesa, e presono -la guerra contro al capitano di Forlì. In un -assalto amendue questi giovani furono presi; e -avendo il conte di Lando con sua gente servito -il capitano, e dovendo da lui avere danari assai, -intra gli altri pagamenti questi due giovani gli -furono assegnati in parte di pagamento per fiorini -seimila, ed egli li si prese, seguendo il proverbio, -dal male pagatore o aceto o cercone. Il padre -sentendo ch’erano nelle mani del conte di Lando, -<span class="pagenum" id="Page_302">[302]</span> -e fuori delle mani dell’antico e crudele nemico -capitano di Forlì, con molta sollecitudine e arte -cercò di riscuoterli, e infine pagati fiorini mille -cinquecento gli riebbe. È vero che essendo la madre -de’ detti Francesco e Niccolò attempata e -datasi allo spirito, il detto conticino pubblicamente -si tenea in casa un’amica, e di lei avea cinque -figliuoli d’assai vezzoso e gentilesco aspetto, il -maggiore d’età di dodici anni. Il conte, ch’era -nell’età che detto avemo, grande affezione mostrava -a questi bastardi, il perchè la loro madre -prendea di baldanza più non si convenia; e pertanto -era in uggia e crepore a’ detti Francesco e Niccolò, -non di manco il conte i madornali e loro -madre onorava quanto si convenia teneramente, -lasciando a loro madre in dominio la rocca di -Ghiaggiuolo e ’l castello, stimando in suo concetto -lasciare di sua masserizia alcuna cosa a’ bastardi, -e il retaggio a’ madornali. Lo giorno di Pasqua -rosata, a dì 23 di maggio, avendo il conte e’ figliuoli -desinato insieme di buona voglia, e stando gran -pezza a sollazzare insieme, e ito il conte a dormire, -e poi ritornato a festeggiare con loro, e stando -a vedere loro giuochi, un fedele del conte, -fante assai pregiato e fidatissimo a lui, lo prese -di dietro; il conte pensando cianciasse, com’era -usato, niuno riparo prese, e un altro intanto sopraggiunse -che gli levò il coltello dal lato, e alandolo -all’altro tenere lo gittarono in terra; i -figliuoli con le funi nelle mani, ne’ piedi con -tutta l’altra persona strettamente il legarono, -come si suole di ladroni, e così legato lo feciono -portare, e nella sua propria camera in un fondo -<span class="pagenum" id="Page_303">[303]</span> -che v’era l’incarcerarono, e sotto buona e fidata -guardia il teneano, e tanto per più giorni lo tennono -legato facendolo imboccare e fare gli altri -servigi, che feciono fare una stanga di ferro, e -buove, le quali pesanti fuori d’ordine gli misono -in gamba, mettendoli i piedi la notte ne’ -ceppi. La sua femmina detta Rosina nel fiumicello -di Chiusercole con un sasso al collo feciono annegare; -i bastardi cacciarono tutti, i quali con -vergogna de’ madornali in piccolo tempo presono -cattivo viaggio. Lo padre facendo sovente di parole -schernire, e rimprocciarli la Rosina e’ suoi -bastardi; costui pazientemente tutto portando, e -umilmente spesso domandando misericordia, con -volere far ciò che i figliuoli sapessono divisare, -i lor cuori più indurando a giornate, lungo tempo -lo tennono in sì orribile vita. Io ho letto e riletto, -mai tanta crudeltà non trovai ne’ cuori de’ -salvatichi barbari, e non so a quali fiere selvaggie -gli potessi assomigliare. I figliuoli sogliono -essere teneri del padre, e di sua gloria e onore; -fede ne fa Valerio Massimo per l’esempio di -Manlio, il quale essendo dal padre villanamente -trattato, sentendo che il padre volea essere accusato, -andò alla casa dell’accusatore, il quale -graziosamente lo ricevette pensando che volesse -favorare l’accusa contro il padre, il giovane riduttolo -in luogo segreto gli strinse il coltello -sopra il capo, e si fece promettere e giurare si -leverebbe dall’accusare: costoro bene trattati -dal padre, senza cagione, che eziandio qualunque -leve pena meritase, lo crucifissono; e pertanto in -perpetua infamia di sì fatti figliuoli scritto l’avemo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_304">[304]</span> -</p> - -<h3 id="capXCVIII-9">CAP. XCVIII. -<span class="smaller"><i>Come si fermò pace dal re d’Inghilterra -a’ Franceschi, e’ patti e le convegne -ebbono insieme.</i></span></h3> - -<p> -Avendo come nell’addietro narrato avemo lo -re d’Inghilterra il verno tutto e parte della primavera -co’ figliuoli e col cugino cavalcato tutto -il reame di Francia senza contasto alcuno, nè -però potuto acquistare alcuna buona terra, ed -essendo stati sopra Parigi ad assedio con niente -profittare, standosi a Ciartres, il detto re come -savio e pratico prencipe, pensando e conoscendo i -difetti e i pericoli che sogliono e possono occorrere -nelle continuanze delle guerre, vedendosi il -sovrano in arme e nell’onore del reame di Francia, -e in caso di poter prendere suo vantaggio -nella pace, si dispose al tutto non volere più sua -fortuna tentare: onde essendo presso a Ciartres -a due leghe il cardinale di Pelagorga e l’abate -di Clugnì legati del papa a cercare la pace tra’ -detti due re, lo re d’Inghilterra loro fece sentire, -ch’attenderebbe al trattato della pace cercato per -loro dove per lo governamento e’ reggenti di -Francia si dovesse mandare trattatori: li detti legati -ciò inteso di presente mandarono al reggente -significando, che s’attendere volea alla pace -cercata per loro per avventura la potrebbe avere. -In questo i detti legati col re d’Inghilterra elessono -per luogo comune una villa detta Beeragnì, -la quale è presso a Ciartres a una lega: lo reggente -<span class="pagenum" id="Page_305">[305]</span> -di Francia per la sua parte mandò il vescovo -di Brevagio, il conte di Trinciavilla, il quale era -prigione degl’Inghilesi, il maliscalco di Francia -e più altri signori e prelati, i quali partirono di -Parigi a dì 17 d’aprile, e a dì primo di maggio -quivi co’ detti legati e con loro per la parte del -re d’Inghilterra s’accozzarono, il duca di biancastro, -il conte di Norentona, il conte di Vervich, -e ’l conte di Cosmoforte, e altri signori e -cavalieri in numero di ventidue, e a dì 8 di maggio -per la grazia di Dio furono d’accordo, fermando -la pace in sostanza nell’infrascritto modo. In -prima che ’l re d’Inghilterra con quello che -tenea in Guascogna abbi per quel modo le tenea -il re di Francia l’infrascritte città, contee e paesi, -oltre a quelle che tenea in Ghienna e Guascogna, -la città e castella di Poittiers, e tutta la -terra e ’l paese di Poittu, e ’l fio di Tomers, e -la terra di Bellavilla, la città e castello di san -Reose di Santes, e tutte le terre e paesi d’Essa; -la città e castella di Pelagorga con sue terre e -paese, la città, castella, terre e paesi di Limogia, -la città, e castella, terre, e paese di Caorsa, la città -e castella, terre e paese di Tarbes; la terra e -il paese e la contea di Bigorece, la città, terre, e -paese di Gaure; la città terra e paesi di Goulogm -la città terra e paesi di Rodes, la contrada e paese -di Rovergne: e se v’è alcuno signore come -il conte di Foci, il conte d’Armignacca, il conte -dell’Isole, il conte di Pelagorga, il visconte di Limoggia, o -altri che tenghino alcuna cosa de’ detti -luoghi e paesi, fare debbino omaggio al re d’Inghilterra, -e tutti altri servigi e doveri per cagione di loro -<span class="pagenum" id="Page_306">[306]</span> -terre alla maniera che l’hanno fatto nel tempo -passato, e più tutto ciò che il re d’Inghilterra o -alcuno di loro tennono nella villa di Monstreul in -sul mare, e più tutta la contea di Ponthieu, salvo -lo alienato per lo re d’Inghilterra ad altri che nel -re di Francia, e salvo se il re di Francia l’avesse in -cambio per altre terre, nel quale caso lo re d’Inghilterra -gli dee liberare la terra data in cambio: -e se terre alienate per lo re d’Inghilterra ad altrui, -le quali poi fossono venute nelle mani del -re di Francia, lo re di Francia dare le dee a persone -che ne facciano omaggio, e che rispondano -a quello d’Inghilterra. E più deve avere il detto -re d’Inghilterra la villa e castello di Galese, la -villa castello e signoria della Marca, la villa castello -e signoria di Sangato, Golognegi, Amegoie -con tutte terre, vie, maresi, riviere, rendite, signorie, -case, e chiese, e tutte appartenenze e luoghi intrachiusi -con tutti i loro confini, e più la villa e -tutta intera la contea di Ginis, con tutte le ville -terre e fortezze e diritture di quelle come tenea il -conte diretanamente morto, e come tenea il re -di Francia, e di tutte le sopraddette città, castella -e luoghi dee il re d’Inghilterra, e sue rede e -successori liberamente avere tutti gli omaggi, obbedienze, -sovranitadi, fii, diritti, saramenti, riconoscenze, -fedeli, servigi, e mero e misto imperio, -e tutte giurisdizioni e alte e basse, e padronaggi -di chiese, e ogni signoria e ogni diritto che -per qualunque cagione il re, la corona di Francia -o i reali potessono per alcuna ragione o colore domandare, -tutto s’intenda essere trasferito nel re, -corona d’Inghilterra, e sue rede e successori -<span class="pagenum" id="Page_307">[307]</span> -pienamente e perpetuamente: e tutti quelli che -giurato avessono per dette cagioni nelle mani del -re, o d’alcuno de’ reali, da’ detti saramenti s’intendessono -essere liberi e quitati, rimanendo al -re d’Inghilterra come e’ sono appresso del re di -Francia. E tutte dette città, terre castella e luoghi, il -re e la corona d’Inghilterra perpetualmente -deve in loro franchigia tenere, e perpetuale -libertà, come signore diritto e sovrano, e come -buono vicino al re di Francia e reame, e senza -fare riconoscenza alcuna alla corona di Francia. -E deve il re di Francia dare e pagare al re d’Inghilterra -tre milioni di scudi d’oro, di Filippo -gli due, i quali vagliono un obole d’Inghilterra, -de’ quali al re d’Inghilterra, o a’ suoi commessarii, -secentomigliaia quattro mesi appresso che ’l re di -Francia sarà in Calese, dove il pagamento far dee; -e infra l’anno prossimo avvenire quattrocento migliaia -nella città di Londra, e ciascuno anno appresso -quattrocento migliaia, tanto che compiuti -sieno di pagare i detti tre milioni di scudi. E -per osservanza del detto trattato e predette e infrascritte -cose, de’ prigioni presi alla battaglia di -Poittiers devono rimanere per stadichi al re d’Inghilterra -gl’infrascritti, e più ancora degli altri, -ciò sono: messer Luigi conte d’Angiò, messer -Gianni conte di Poittiers figliuoli del re di Francia, -il duca d’Orliens fratello del re; e del numero -de’ quaranta che ’l re di Francia dee dare, sedici -de’ presi alla battaglia di Poittiers, i compagni -del re di Francia de’ nuovi staggiai nomi sono: -il duca di Borgogna, il conte di Broig o il fratello, -il conte d’Alanson o messer Piero suo fratello, -<span class="pagenum" id="Page_308">[308]</span> -il conte di san Polo, il conte di Ricorti, -il conte di Pomeu, il conte di Valentinese, il -conte di Brame, il conte di Baluldemonte, il visconte -di Belmonte, il conte di Foreste, il sire -da Iara, il sire di Fiene, il sire de’ Pratelli, il -sire di san Venante, il signore de’ Culetiers, il -Delfino di Daluyernia, il sire di Angestiem, il -sire di Montener, e messer Guglielmo di Raon, -messer Luigi di Ricorti, messer Gianni de’ Lagni. -I nomi de’ sedici presi sono questi: messer -Filippo di Francia, il conte d’Eia, il conte di -Largavilla, il conte di Ponthieu, il conte di -Trinciavilla, il conte di Logamb, il conte della -Serra, il conte di don Martino, il conte di Ventado, -il conte di Salisbruc, il conte di Vedasme, -il signore di Truoy, il signore di.... il signore -de Vali, il maliscalco di Donam, il sire d’Ambrignì. -Dati li detti staggi, e venuto il re di Francia a -Calese, e liberato di sua prigione, infra li tre mesi -seguenti lo re d’Inghilterra dee lasciare libere -al re di Francia la villa e la fortezza della Roccella, -le castella e ville della contea d’Agenes -e loro appartenenze, e il re di Francia tre mesi -appresso che partito sarà da Calese dee rendere -in Calese quattro persone della villa di Parigi, -e due persone di ciascuna villa, ciò sono; Santo -Omer, Aranzon, Amiens, Belvaggio, Lilla, Tornai, -Doaggio, Long, Rems, Celona, Tors, Ciartres, -Tolosa, Lione, Campigno, Roano, Camo, -Trasiborgo de’ più sufficienti di dette ville per -compimento del trattato. E dee il detto re di -Francia e suo primogenito rinunziare ogni diritto -e sovranità, e ogni ragione che sopra e nelle -<span class="pagenum" id="Page_309">[309]</span> -città, castella e luoghi potessono usare come vicini, -senza appello o quistione per sovranità per -lo detto re e reame di Francia, o avere potesse, -sopra le dette contee, città, castella, terre, e -luoghi, o loro appartenenze, le cede e doni al -re d’Inghilterra perpetualmente. E lo re d’Inghilterra -e suo primogenito debbono rinunziare -al nome e diritto della corona di Francia, e all’omaggio, -sovranità e dominio della duchea di -Normandia, della duchea di Torenna, della contea -d’Arom, e al dominio, sovranità, e omaggio -del ducato di Retognac, e alla sovranità e -omaggio della contea di Fiandra, e di tutte altre -cose appartenenti alla corona di Francia, salvo -delle dette contee, città, castella, ville, e luoghi -suddetti, che pervenire debbono al re e corona -d’Inghilterra; e dee lo detto re d’Inghilterra -cedere e trasportare nella corona di Francia ogni -ragione somma ove potesse avere. E sì tosto il -re d’Inghilterra e suo primogenito ciò debbono -fare, come il re di Francia le città, ville, castella, -e luoghi che il re di Francia tiene delle sue -nominate sopra quelle tiene il re d’Inghilterra -avrà date, e consegnate liberamente al detto re -d’Inghilterra, o suoi commessarii, le quali son -queste; la città di Poittiers, e tutta la terra e paese -di Poittu, con essa il fio di Toraci, e la terra -di Bellavilla, la città di Gem, la terra e’ paesi -d’Agenes, la città di Pelagorga, la città di Caorsa, -la città di Limoggia, tutta la contea di Gavera -con tutte loro castella, terre e paese. E ciò far -dee il re di Francia per infino alla festa di san -Giovanni Batista; e ciò fatto, subitamente appresso, -<span class="pagenum" id="Page_310">[310]</span> -davanti a quelli che per lo re di Francia a ciò -saranno diputati, lo re d’Inghilterra e suo primogenito -debbono rinunziare al reame di Francia, -come detto è di sopra, e farne trasporto, cedizione -e lasciamento per fede e saramento solennemente, -e con lettere patenti aperte e suggellate -del suggello reale, le quali lo detto re mandare -dee nella natività di nostra Donna prossima avvenire -nella chiesa degli agostini di Bruggia, le -quali devono essere date a quelli i quali il re di -Francia vi mandasse per riceverle. E se nel termine -di san Giovanni Batista il detto re di Francia -non potesse dare o consegnare al detto re -d’Inghilterra, o suoi commessarii a ciò deputati, -le sopraddette città, castella, ville i terre, e luoghi, -le possa e debba dare e consegnare infra il -termine di tutti i Santi prossimi avvenire a un anno, -e fatto ciò, dee lo re d’Inghilterra infra il -termine di sant’Andrea prossimo seguente fare -le dette renunzie, mandare e presentare a Bruggia, -come è detto di sopra. E per simile modo è tenuto -e dee lo re di Francia e suo primogenito renunziare, -trasportare e cedere ogni loro ragione -della corona di Francia quali avessono sopra delle -città, castella, ville, e terre, e luoghi, che -per vigore del presente trattato aver dee lo re -d’Inghilterra, e quelle mandare al suddetto termine -al luogo degli agostini, dove dare si debbono -al re d’Inghilterra, o a’ suoi commessarii a -ciò deputati. Nè si dee il re di Francia nè sua -gente armare contro al re d’Inghilterra infino a -tanto che fornito sia, e mandato pienamente ad -esecuzione ciò che nel trattato della pace si contiene -<span class="pagenum" id="Page_311">[311]</span> -e specificato è: e più che durante il detto -tempo e termine nel quale lo re di Francia dee -dare e consegnare le suddette città, castella, ville, -terre, e luoghi, il detto re di Francia e suo primogenito -non possano nè debbano in essi usare sovranità -o servigio, nè domandare alcuna soggezione, -nè querele, nè appellagioni in loro corpi -ricevere, nè lo re d’Inghilterra si dee nè procedere -nè per altro modo in esse intromettere, nè -niente travagliare. Si terminò, e tal fine ebbe la -lunga guerra per spazio di ventiquattro anni o circa -menata tra gli detti due re, con inestimabile e -incredibile danno di persone e di avere degli -detti due re e reami, e loro aderenti e seguaci, e -sì de’ mercatanti che praticavano i detti due reami. -So che mi potea con meno scrittura passare, -ma fatto son lungo per mostrare alle genti a quanta -viltà venne per allora la corona di Francia. E -qui faremo piccolo tramezzamento d’alcune cose -occorse fuori della presente materia, acciocchè -l’animo e l’intelletto faticato sopra una materia, -e quindi avendo preso fastidio, abbi per nuovo -cibo ricreazione, e torneremo alle italiane fortune. -</p> - -<h3 id="capXCIX-9">CAP. XCIX. -<span class="smaller"><i>D’un trattato si scoperse in Bologna, -e quello ne seguì.</i></span></h3> - -<p> -Essendo alcuni cittadini bolognesi con alquanti -forestieri in trattato co’ capitani dell’oste del -Biscione, con impromessa di dare loro una porta -<span class="pagenum" id="Page_312">[312]</span> -se si appressassero alla città, l’oste subito si mosse, -e venne a Panicale presso a Bologna a due miglia, -il perchè i Bolognesi spaventati ebbono -gran paura, onde dì e notte stando in sollecita -guardia sagacemente de’ sospetti cercavano, i quali -nel mormorio del popolo brogliavano. I traditori -veggendo che loro malvagia intenzione -ad esecuzione non poteano mandare, e che loro -malizia si venia a scoprire, la notte i più -presono consiglio, e si collarono a terra delle mura, -massimamente i caporali; degli altri alquanti -presi ne furono, e messi al macello. Vedendo -caporali dell’oste che loro pensiere venia fallato, -e che dov’erano gran soffratta di vittuaglia -sentivano, del mese di giugno si ritrassono addietro, -e tornarsi a Castelfranco; onde dilungati -da Bologna miglia ventuno, essendo il tempo -del mietere, tutti i Bolognesi, eziandio quelli -che usi non erano di sì fatto servigio, sollecitamente -puosono mano alla falce, e quello segavano, -o grano o biada che fosse, con la paglia con -sollecitudine a guisa delle formiche riponeano -nella città. Gl’inimici in questi giorni soprastettono -assai senza fare loro cavalcate, o per disagio -che patito avessono, o perchè attendessono -loro paghe, o perchè fossono contenti che i Bolognesi -facessono la state perchè più si mantenesse -la guerra, o perchè per pecunia fossono corrotti, -che più credibile fu; e certo i Bolognesi -non furono lenti, ma in pochi dì misono dentro -roba da vivere per un anno, che gran conforto -fu a’ poveri lavoratori, e a tutta la città. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_313">[313]</span> -</p> - -<h3 id="capC-9">CAP. C. -<span class="smaller"><i>Come il papa confortò gli ambasciadori -bolognesi, e richiese d’aiuto i Fiorentini -all’impresa di Bologna.</i></span></h3> - -<p> -Il papa avea a grande onore e con paternale -accoglienza ricevuti gli ambasciadori bolognesi, -e inteso quello che esposto aveano, con amorevoli -e persuasive parole riconfortò, con affermare -che sarebbono dal tiranno di Milano difesi. È -vero che mandato avea un piccolo sussidio di -camera al legato, il quale fu prima logoro e stribuito -che al legato giugnesse. A principi d’Alamagna, -al re d’Ungheria, ai comuni di Toscana -mandato avea per aiuto la Chiesa di Roma, -e per lo generale de’ romitani, il quale il papa -avea per ambasciadore mandato a Firenze, forte -strinse esso comune che in servigio di santa Chiesa -facesse l’impresa della difesa di Bologna, mostrando -con colorate ragioni che atare santa Chiesa, -quando seco ha la ragione e la giustizia, contro -al tiranno usurpatore, occupatore della libertà di -santa Chiesa e degli altri popoli che a libertà vogliono -vivere, non era fare contro la pace, e che -più utile e fidata vicino era al comune di Firenze -la Chiesa di Dio che messer Bernabò, e più altre -ragioni rettoricamente dicendo, per le quali dimostrava -che ’l comune potea e dovea servire santa -Chiesa, e massimamente per conservare in libertà -i loro fratelli Bolognesi, ma poco gli valse a -questa volta sonare la campanella, che ’l comune -<span class="pagenum" id="Page_314">[314]</span> -di Firenze, usato di mantenere sua fede e lealtà, -a questa volta chiuse gli orecchi. Così avesse fatto -per l’addietro, e per l’innanzi facesse, perocchè -quando per lo passato ha fatte l’alte e grandi imprese, -per i governatori della Chiesa di Roma -addosso gli sono rimase a strigare; e quando il -comune ha avuto bisogno, la Chiesa l’ha al tutto -abbandonato, in grave pericolo di suo stato; ora -il comune a questa volta stette fermo e costante -a non imprendere cose nè per diretto nè per -indiretto, che la pace potessono maculare. I principi -d’Alamagna e il re d’Ungheria non furono -alla richiesta correnti, vogliendo con capo -di ragione gravemente procedere sicchè la riuscita -vergognosa non fosse, considerata la potenza -del signore di Milano. Dipoi del mese di -giugno passarono per Firenze gli ambasciadori -del re d’Ungheria, i quali andavano al santo -padre, e da loro s’ebbe che ’l re avea desti suoi -baroni e gente, per averla in punto se bisognasse. -Il legato per sodisfare alla guardia di Bologna -ha premuto e preme di sussidio di pecunia la -Marca, il Ducato e la Romagna, sicchè nè hanno -potuto nè possono dormire; e in que’ giorni il -legato mandò in Bologna messer Galeotto de’ Malatesti -capitano della gente dell’arme, aspettando -il gran siniscalco il quale in que’ dì tornare -dovea dal signore di Milano con trattato d’accordo; -e così i Bolognesi mal guidati e peggio -trattati stavano in forse ora d’accordo ora di -guerra: la gente del legato guardavano la terra, e -i nimici di fuori aveano il campo in balía. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_315">[315]</span> -</p> - -<h3 id="capCI-9">CAP. CI. -<span class="smaller"><i>Come i Chiaravallesi vennero contro a Todi, -e come furono rotti e presi.</i></span></h3> - -<p> -I Chiaravallesi di Todi aveano menato trattato -con certi loro amici d’entro per rientrare in casa -loro, ed era il trattato, ch’e’ doveano avere il -castello che si chiama la Pietra; e venuto il tempo, -a dì 10 di giugno mandaro per lo castello, e -loro dato fu. Fatto questo principio con quaranta -uomini da cavallo e con gran popolo si dirizzarono -a Todi, con speranza che i cittadini fossono -intrigati e disordinati per la subita ribellione del -castello, e che i loro amici d’entro avessono più -baldanza a metterli dentro; avvenne, che desto -il popolo per la perdita della Pietra di presente -fu sotto l’arme, e quelli del cardinale, i quali -allora governavano quella città, de’ quali era il -sovrano messer Catalano, sentendo l’avvenimento -de’ Chiaravallesi lasciarono le porti con buone -guardie, e con loro seguaci a piè e a cavallo -francamente si misono fuori a petto ai loro avversari, -i quali veggendo la moltitudine del popolo -venire con furia contro a loro, impauriti si -misono alla fuga, e il popolo a seguitarli, uccidendo -cui giugnere poteano; e rotti e straccati i Chiaravallesi, -che mattamente s’erano messi innanzi, -il popolo con quell’empito furioso se n’andò -al castello e riebbelo, con gran danno di quelli -che v’erano entrati; e tornati in Todi si riposavo, -non trovando di loro cittadini d’entro alcuno -sospetto. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_316">[316]</span> -</p> - -<h3 id="capCII-9">CAP. CII. -<span class="smaller"><i>Come l’oste di messer Bernabò si strinse -a Bologna, e fermaronvi bastite.</i></span></h3> - -<p> -Essendo soggiornata la gente di messer Bernabò -a Castelfranco, e preso suo rinfrescamento a -utilità de’ Bolognesi come dinanzi è detto, inverso -l’uscita di giugno cavalcaro verso Bologna -facendo danno d’arsione più che non erano usati, -e puosonsi presso a un miglio fuori della porta -di santo Stefano, e feciono nuove bastite, e -altrove per tenere più stretta la terra e d’intorno -la cavalcarono, sicchè la gente si ritenne -dell’andare fuori più che non solea, e quando -uscivano da lunga dell’oste, ciò faceano con -scorta de’ cavalieri d’entro, e recavano della roba, -ma non al modo usato, nè senza grande pericolo -delle persone. -</p> - -<h3 id="capCIII-9">CAP. CIII. -<span class="smaller"><i>Come la casa reale di Francia feciono parentado -co’ Visconti per danari, con vituperio -della corona.</i></span></h3> - -<p> -La fortuna, maestra e donna delle mondane -delizie, senza torre più lontano esempio de’ suoi -straboccamenti, ce n’adduce nel presente a narrare -uno, lo quale senza stupore di mente chi diritto -vorrà giudicare nè porre si può in scrittura -nè leggere. Chi arebbe per lo passato, considerato -<span class="pagenum" id="Page_317">[317]</span> -la grandezza della corona di Francia, potuto immaginare, -che per gli assalti del piccolo re d’Inghilterra -in comparazione del re di Francia fosse -a tanto ridotta, che quasi com’all’incanto la propria -carne vendesse, la qual cosa è nel cospetto -de’ cristiani ammirabile specchio e certissimo -dell’infelicità degli stati mondani. E per più -mostrare la grandezza di questa misera fortuna, -torneremo un poco addietro all’origine del presente -stocco regale della casa di Francia. Giovanni -lo Sventurato re di Francia ebbe per moglie -la figlia del re di Boemia nata d’Ottachero, e -sorella carnale di Carlo imperadore de’ Romani, -della quale avea tre figliuoli maschi e tre femmine, -delle quali l’una era consegrata a Dio -nel nobile e ricco monistero di Puscì, l’altra -era donna del re di Navarra, la terza nome Elisabetta -era la donna del re di Francia: ora esso -Giovanni, per soddisfare ai secento migliaia di -scudi promessi di pagare in Calese al re d’Inghilterra -per i patti della pace, si condusse a -vendere al tiranno di Milano messer Galeazzo -Visconti per secento migliaia di fiorini la figliuola -per giugnerla in matrimonio con messer Giovanni -figliuolo di messer Galeazzo, allora d’età -d’undici anni, lo quale per lo titolo della dote -titolato fu conte di Virtù. Il modo fu questo, che -essendo il re di Francia prigione in Inghilterra -del mese di giugno detto anno, e occorrendoli -spese molte, e più avere a pagare i detti secento -migliaia di scudi, e trovandosi male in apparecchio -a ciò potere fare, la detta sua figliuola -consentì mogliera del detto messer Giovanni, -<span class="pagenum" id="Page_318">[318]</span> -avendo in dono da messer Galeazzo trecento migliaia -di fiorini d’oro, e comperando nel reame -di Francia dal re baronaggi in nome di dota -della detta fanciulla di valuta di trecento migliaia -di fiorini: e ciò fu accecamento, che il re -ricevuti i danari gli diè la piccolissima contea -di Vergiù, tutto che di Virtù volgarmente si titolasse, -per coprire la miseria della povera contea. -Lo re di Francia per la detta convegna promise, -che avuti i trecento migliaia di fiorini al mezzo -di settembre di detto anno farebbe la figliuola -conducere in Savoia, e ivi la farebbe assegnare al -piacimento di messer Galeazzo. Fermate e stipulate -solennemente le dette convegne tra il re e -messer Galeazzo, parendo a’ signori di Milano -avere fatto, quello ch’aveano fatto magnificandosi, -mandarono per tutta Italia ambasciadori a significare -il fatto, e a invitare baroni, signori e comuni -che venissono e mandassono alla loro corte -e festa; e cominciarono a ricogliere gioielli, -pietre preziose, sciamiti, drappi, quanti in Italia -avere ne poterono, facendo di tutto pomposo -apparecchiamento. Giunta la fanciulla in Savoia, -messer Galeazzo con l’ordine si convenia mandò -per lei, e giunta in Milano a dì 8 del mese -d’ottobre, la fanciulla in abito e atto regale -si contenne, ricevendo riverenza e da’ signori e da -loro donne, ma il drappo sopra capo non sofferse, -e così stette infino che fu sposata; e da quel punto -innanzi posto in oblio la reale dignità e nobiltà -di sangue, reverenza fece e a messer Galeazzo, -e a messer Bernabò, e alle donne loro. Il -corredo cominciò la domenica a dì 11 d’ottobre. -<span class="pagenum" id="Page_319">[319]</span> -con apparecchiamento di molte vivande alla lombarda, -di per sè ordinate le donne in numero -di secento riccamente ornate, e magnificamente -servite, e gli uomini dall’altra parte, essendo -gli ambasciadori de’ signori, de’ tiranni, e de’ comuni -in numero di più di mille alle prime tavole -servite di tre vivande copiosamente. La festa durò -per tre giorni, facendo nel cortile di messer Galeazzo -del continovo giostre a tre arringhi, e le -donne ne’ casamenti d’intorno erano ordinate e -alloggiate a vedere; le burbanze furono grandi -di sopravveste e cimieri, tale venne in figura -del re di Francia, tale del re d’Inghilterra, e così -degli altri re, duchi e signori, perchè la festa -più onorevole fosse, tutto che valentria d’arme poco -o niente vi si facesse da doverlo pregiare; altre -notabili cose non vi furono; nell’ultimo messer -Bernabò fece il convito suo, e fu fornita la festa. -È vero che lungamente dinanzi essendovi giunti -gli ambasciadori italiani tutti onorati furono, e -fatte loro larghe spese da’ signori con sollecita -provvedenza. Messer Giovanni era d’età di dieci -anni, il perchè il matrimonio non si potè consumare -in questo. Alquanto avemo il tempo passato -per ricogliere insieme la storia di questo matrimonio, -ora torneremo addietro a più spaventevol -volto delle miserie mondane in nostra materia. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_320">[320]</span> -</p> - -<h3 id="capCIV-9">CAP. CIV. -<span class="smaller"><i>Come messer Niccolò di Cesaro conte di ... -e signore di Messina fu morto con -quaranta compagni.</i></span></h3> - -<p> -Nel mese di luglio detto anno, essendo messer Niccolò -di Cesaro conte di .... tornato in Messina, -e senza avere avuto dal re Luigi aiuto col -quale potesse con la parte avversa campeggiare, -perocchè i Catalani liberamente scorreano il piano -tra Messina e Melazzo, e aveano prese parecchie -castella, temendo messer Niccolò non prendessono -il buono e forte castello di santa Lucia, -vi cavalcò con quaranta compagni a cavallo per -ordinare la guardia e la difesa che avessono a -fare quelli del castello, e per confortarli del soccorso -se bisogno loro fosse. Gli uomini del castello -che vedeano l’altra parte poderosa e in -campo, e che essendo ito messer Niccolò al re -Luigi per aiuto non avea menato forza da poterli -difendere, cominciarono a turbarsi contra lui, -e tanto montò il bestial furore de’ villani, ch’egli -co’ suoi compagni si rinchiuse nella rocca; i villani -perseverando il loro mal talento mandarono -per i Catalani che vi erano presso, e dieronsi a -loro; e in esso stante i Catalani mandarono seicento -cavalieri e popolo assai con quelli del castello, -e assediarono la rocca, la quale per lo subito -e sprovveduto caso male era fornita, in -tanto che messer Niccolò fu costretto da cercare -patti d’arrendersi, e così fè salve le persone: e -<span class="pagenum" id="Page_321">[321]</span> -avendo renduta la rocca fu menato con i suoi -compagni a Melazzo, e loro detto fu, che se voleano -campare facessono sì, che quelli di Melazzo -s’arrendessero loro. Messer Niccolò vedendo nelle -mani di cui era, e il partito duro, giudicossi -morto, non di manco come valente si mise a -tentare se potesse la morte fuggire, e con umili -e dolci parole quanto potè pregò quelli di Melazzo, -che per lo scampo suo e de’ compagni volessero -assentire alla volontà de’ Catalani, ma -essi se ne feciono beffe, e la risposta feciono colle -balestra; onde i Catalani intralasciata, loro -promessa fè, senza alcuna pietà o misericordia -davanti a Melazzo e messer Niccolò e tutti i suoi -compagni tagliarono a pezzi. Tale fu il fine della -breve tirannia di messer Niccola di Cesaro signore -di Messina. I Messinesi per la morte di messer -Niccolò e de’ compagni scorta la bestiale -crudeltà de’ Catalani, e visto che non si poteano -confidare, come meglio seppono e poterono s’ordinarono -alla difesa, aspettando a tempo dal re -Luigi qualche soccorso. -</p> - -<h3 id="capCV-9">CAP. CV. -<span class="smaller"><i>Come fornito il trattato della pace tra i due re -si fè triegua, e giurossi l’una e l’altra, e -lo re d’Inghilterra si tornò nell’isola per -mandare a esecuzione le cose ordinate.</i></span></h3> - -<p> -Fermato a Briagnì il trattato della pace tra i -due re di Francia e d’Inghilterra, perchè parea -che l’esecuzione d’essa avesse lungo tratto di tempo, -<span class="pagenum" id="Page_322">[322]</span> -feciono ivi medesimo una triegua, perchè ogni -radice e materia di guerra cessasse. E ciò fatto, -il re d’Inghilterra mandò a Parigi messer Rinaldo -di Cubano, messer Bartolommeo Durvasso, -messer Francesco Dalla, e messer Ricciardo della -Vacca suoi baroni, nella cui presenza il Delfino -di Vienna e duca di Normandia, primogenito del -re di Francia e governatore del reame, in sul -corpo di Cristo sagrato, e in su li santi Evangeli -giurò d’attendere e osservare la detta triegua -e la pace, e che la farebbe attendere e osservare; -appresso lui simile fecero tutti i baroni -di Francia che si trovarono in Parigi; e ciò fatto, -i detti baroni del re d’Inghilterra si tornarono -a Ciartres al re d’Inghilterra. I figliuoli -del re d’Inghilterra e lo conte di Lancastro feciono -simile giuramento a quello del Delfino di -Vienna, e appresso i baroni del re d’Inghilterra -che col re si trovarono giuraro come fatto aveano -quelli di Francia: e ciò fatto fu a dì 11 del -mese di maggio 1360. Le promesse fatte ne’ detti -giuramenti furono, che li due re infra tre settimane -dopo il prossimo san Giovanni giurerebbono -la detta pace in Calese. La detta triegua bandita -fu a dì 12 di maggio in Parigi, e appresso -per tutto il reame. Fatto il saramento, agli 11 dì -il re d’Inghilterra con tutto suo oste pacificamente -si partì da Ciartres passando per Normandia, -e prendendo derrata per danaio, e col prence suo -figliuolo, e con gli altri suoi baroni entrò in mare -a ......, e passò in Inghilterra, e tutta sua’ -gente d’arme pacificamente si ridusse a Calese. -Giunto il re d’Inghilterra, quello di Francia gli -<span class="pagenum" id="Page_323">[323]</span> -diè desinare nella torre di Londra, e quivi per -loro fede giurarono di tenere e osservare il trattato -di pace; appresso a dì 8 di luglio il re di Francia -venne a Calese, e a dì 9 detto il re d’Inghilterra -il re di Francia lui e ’l figliuolo convitò -a mangiare, e in quella mattina lo re di Francia -fermò l’accordo tra il re d’Inghilterra e ’l conte -di Fiandra, e il detto conte andò a Calese, e da -ciascuno re lietamente fu ricevuto. Poi a dì 14 di -luglio, Carlo primogenito del re di Francia, duca -di Normandia, e Delfino di Vienna, e governatore -di Francia, da Bologna sul mare andò a Calese -a vedere il padre, e desinò col re d’Inghilterra, -l’altra mattina si partì. È vero che perchè -non dubitasse lo re d’Inghilterra mandò a -Bologna due figliuoli come staggi; poi sabato -mattina a dì 24 di luglio, l’abate di Clugnì nella -Chiesa di san Niccolò in Calese, nella presenza -de’ detti due re e di due figliuoli di ciascuno, e -di più di sessanta baroni tra dell’uno e dell’altro -re, disse messa, e consegrato il corpo di Cristo, -quando venne al terzo Agnus Dei che dice, -dona nobis pacem, li detti due re si inginocchiarono -con molta reverenza; l’abate si rivolse -a loro col corpo di Cristo sagrato in mano, sopra -il quale i due re giurarono d’attendere e osservare -il trattato della pace, poi di quella detta ostia -si comunicarono insieme. Appresso l’abate loro -porse li santi Evangeli, e ancora sopra essi giurarono; -giurato che ebbono i due re, similemente -giurarono i loro figliuoli, e tutti i loro baroni -che erano quivi nel numero detto di sopra. Detta -la messa, messer Filippo di Navarra con tre baroni -<span class="pagenum" id="Page_324">[324]</span> -per parte del re di Navarra, e il duca d’Orliens -fratello del re di Francia con tre altri baroni -feciono e giurarono pace in vece e nome -del re loro. Appresso il re d’Inghilterra fece pace -col conte di Fiandra, e il duca di Lancastro cugino -del re d’Inghilterra fece omaggio al re di -Francia per le terre che da lui tenea in Campagna -per retaggio della madre; e in questo stante la -contea di Monforte fu renduta a messer Gianni -di Brettagna. Lo re di Francia per mostrare sua -magnificenza, sopra i patti della pace di grato donò -al re d’Inghilterra la Roccella. Fu la detta -pace gridata ne’ due reami a dì 24 d’ottobre -1360. Lo re d’Inghilterra dove in suo titolo dicea, -re di Francia e d’Inghilterra, signore d’Irlanda -e d’Aquitania, del detto titolo levò re di -Francia, ma non rinunziò perciò alla signoria di -Francia, perchè lo re di Francia non avea rinunziato -alla sovranità e risorto delle città e castella, -terre e cose le quali per l’osservanza della -pace avea concedute al re d’Inghilterra, ma bene -l’avea tratte della sorte della città, castella -e luoghi al suo reame debiti e sottoposti; e certo -per li patti rinunziare dovea, ricevute certe -terre dal re d’Inghilterra: e ciò consentendo li -due re, parvono per grandezza d’animo in tacito -accordo. Lo re di Francia, lo quale era stato prigione -d’Inghilterra anni quattro e dì venticinque, -pagati li secento migliaia di scudi, e con la -buona volontà del re d’Inghilterra se n’andò a -Bologna sul mare, e di là poi a santo Dionigi. -Lo re d’Inghilterra di poi a dì 31 di gennaio -partì da Calese, e seco ne menò il duca d’Angiò -<span class="pagenum" id="Page_325">[325]</span> -e quello di Berrì figliuoli del re di Francia, e il -duca d’Orliens, e quello di Borbona, messer -Piero di Lanzone, e ’l fratello del conte di Stapè, -tutti de’ reali di Francia, con tutti gli altri baroni -e quelli che scrivemo di sopra che dovea staggi -tenere. Lo re di Francia essendo a san Dionigi, -avanti ch’entrasse in Parigi, a dì 2 di dicembre -mandò al re di Navarra che venisse a lui, e perchè -sicuramente venisse, gli mandò sofficienti -stadichi. Lo re di Navarra non gli parendo avere -misfatto alla corona liberamente insieme con gli -staggi che ’l re gli avea mandati venne a lui, -e giuntò gli fè la debita riverenza, e dipoi appresso -giurò in sul corpo di Cristo sagrato nella presenza -del re, che da quel giorno innanzi gli sarebbe -buono e leale figliuolo, e fedele suggetto. -Lo re di Francia appresso giurò che a lui sarebbe -buon padre e signore: seguendo appresso il duca -di Normandia e messer Filippo di Navarra giurarono -fedelmente diritta amistà e fratellanza; e più -il detto re di Navarra promise e giurò di fare a -suo podere che ’l re d’Inghilterra la pace conchiusa -a Briagnì osserverebbe. Il seguente dì, che fu il -tredecimo dì di dicembre, lo re di Francia entrò -in Parigi, dove a grande onore fu ricevuto, e donato -dalla comune vasellamento d’argento appresso -di mille marchi. Lo re riposato, ordine diede a -dirizzare e sè e il reame regolandosi a minori -spese, e fè battere moneta a soldi sedici il franco. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_326">[326]</span> -</p> - -<h3 id="capCVI-9">CAP. CVI. -<span class="smaller"><i>Come tre castella si rubellarono nella Marca -al legato.</i></span></h3> - -<p> -Scritto avemo il fine della lunga guerra delli -due re di Francia e d’Inghilterra, tornando alle -italiane tempeste ne occorre, che essendo l’oste -di messer Bernabò a Bologna, continovo facea tenere -trattati in Romagna e nella Marca, e li -paesani per le disordinate gravezze che il legato -faceva loro si rammaricavano forte, onde a coloro -ch’erano disposti a mal fare ne cresceva -baldanza; e però a petizione di quelli da Boschereto, -aspettando forza da messer Bernabò secondo -la promessa, ribellarono in un dì all’uscita di luglio -il loro castello di Boschereto, e Corinalto e -Montenuovo, in loro vicinanza, terre forti e ubertuose -d’ogni bene da vivere. Il legato sentendo -questa ribellione, incontanente vi fece cavalcare -messer Galeotto de’ Malatesti con gente assai a piè -e a cavallo, e innanzi che quelli di Corinalto si -potessono provvedere alla difesa furono soprappresi -in pochi dì per modo s’arrenderono, e salvate le -persone, il castello fu rubato e arso. L’altre due -ch’erano più forti e meglio ordinate alla difesa ricevettono -l’assedio, aspettando soccorso dall’oste -di messer Bernabò. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_327">[327]</span> -</p> - -<h3 id="capCVII-9">CAP. CVII. -<span class="smaller"><i>Come mortalità dell’anguinaia ricominciò -in diverse parti del mondo.</i></span></h3> - -<p> -Non è da lasciare in obliazione la moría mirabile -dell’anguinaia in quest’anno ricominciata, -simile a quella che principio ebbe nel 1348 infino -nel 1350, come narrammo nel cominciamento -del primo libro di questo nostro trattato. Questa -pestilenza ricominciò del mese di maggio in -Fiandra, che di largo il terzo de’ cittadini e oltra -morirono, offendendo più il minuto popolo -e povera gente che a’ mezzani, maggiori e forestieri, -che pochi ne perirono, e durovvi infino -all’uscita d’ottobre del detto anno, e così seguitò -per l’altra Fiandra. In Brabante toccò poco, -e così in Piccardia, ma nel vescovado di Lieges -fè spaventevole dammaggio, perocchè la metà -de’ viventi periro. Di poi si venne stendendo -nella bassa Alamagna toccando non generalmente -ogni terra, ma quasi quelle dove prima non -avea gravate, e valicò nel Frioli e nella Schiavonia; -e fu di quella medesima infertà d’enfiatura -d’anguinaia e sotto il ditello come la prima generale, -e sì era passato dal tempo di quella e suo -cominciamento a quello di questa per spazio di -quattordici anni, e anni dieci della fine di quella -a questa, essendo alcuna volta tra questo tempo -ritocca ora in uno ora in altro luogo, ma non -grande come questo anno, certificando gli uomini -correnti nel male che la mano di Dio non -<span class="pagenum" id="Page_328">[328]</span> -è stanca nè limitata da costellazioni nè da fisiche -ragioni. Addivenne nel Frioli e in Ungheria, -che la moría cominciata in enfiatura tornò -in uscimento di sangue, e poi si convertì in febbre, -e molti febbricosi farnetici, ballando e cantando -morivano. E in questi tempi occorse cosa -assai degna di nota, che in Pollonia, nelle parti -confinanti con le terre dell’imperio, essendo -in esse grandissima quantità di Giudei, i paesani -cominciarono a mormorare, dicendo, che questa -pestilenza loro venia per i Giudei; onde i Giudei -temendo mandarono al re de’ loro anziani a chiederli -misericordia, e fecionli gran doni di moneta, -e d’una corona di smisurata valuta; lo re conservare -gli volea, ma i popoli furiosi non si poterono -quietare, ma correndo straboccatamente -tra’ Giudei, e quasi a ultima consumazione, con -ferro e fuoco oltre a diecimila Giudei spensono, e -alla camera del re tutti i loro beni furono incorporati. -</p> - -<h3 id="capCVIII-9">CAP. CVIII. -<span class="smaller"><i>Come il comune di Firenze prese Montecarelli -e Montevivagni, e in essi preso il conte Tano, -venuto a Firenze fu decapitato.</i></span></h3> - -<p> -Essendo il conte Tano de’ conti Alberti per i -suoi difetti e prave operazioni nemico al comune -di Firenze, massimamente per l’accostarsi -che fè con l’arcivescovo di Milano, in cui favore, -(quando la gente del detto arcivescovo, essendone -capitano messer Giovanni da Oleggio, passò in -<span class="pagenum" id="Page_329">[329]</span> -Mugello, e assediò la Scarperia) ribellò il castello -di Montecarelli, caldeggiando l’oste ch’era -alla Scarperia, di questa impresa ne piace dire -alcuna piacevole e notabile ricordanza; che essendo -appresso del detto conte un matto giocolaro, -un giorno si mise in un fossato che dividea -il contado del conte da quello del comune di Firenze, -e quivi come assalito ad alta boce cominciò -a gridare per molte riprese, accorri uomo, alle -cui grida trassono in breve tempo oltre a cinquecento -fanti del contado del comune di Firenze, -i quali per le malizie del conte stavano sempre -ad orecchi levati, e simile vi trasse il conte, -e riprese il matto, ed esso riprese lui, dicendoli: -Conte, guarda che a un mio piccolo grido subito -sono corsi cinquecento uomini di quello del comune -di Firenze, e niuno tratto ce n’è di quelli -dell’arcivescovo di Milano: in buona fè, conte, -tu sonerai il corno d’Orlando, e in tuo aiuto e favore -non trarranno cinque di quelli di Milano in -un anno. Lo detto conte bestiale, o per paura -ch’avesse del comune di Firenze, o per averlo a -vile, gli sbanditi del detto comune ritenea, e coloro -ch’erano più rei e famosi di mal fare; per questo -avvenne, che a loro posta entravano nel Mugello, -e gli uomini uccideano e rubavano, e rifuggeano -in Montecarelli, e ciò feciono sconciamente più -volte; il perchè il comune ciò fè noto all’arcivescovo -di Milano, il quale rispuose ch’era contro -a sua coscienza, e ch’esso non era favoreggiatore -di ladroni, e che il comune di Firenze facesse -quello volesse giustizia e pace del paese; il -perchè il comune con ordinato processo fè sbandire -<span class="pagenum" id="Page_330">[330]</span> -e condannare il detto conte e più altri nell’avere -e nella persona, nonostante che per la -pace dal comune di Firenze all’arcivescovo costui -da’ Fiorentini non dovesse essere gravato. -Quivi procedette, che a dì 12 d’agosto detto anno, -il comune di Firenze mandò dugento uomini di -cavallo e molti fanti del Mugello a Montecarelli, -avendo trattato con fedeli del conte che il castello -sarebbe dato. Il conte Tano veggendo gli atti -de’ fedeli, e di quelli prendendo sospetto, s’era -rifuggito co’ masnadieri che seco avea, e con gli -sbanditi del comune di Firenze in Montevivagni. -Come il castello di Montecarelli fu attorniato -dalla gente del comune di Firenze, i fedeli -del conte che l’aveano in guardia seguendo il -trattato di subito s’arrenderono salvi, ricevuti -furono nella protezione del comune. Il castello -per diliberazione del comune infino alle fondamenta -fu abbattuto, e il capitano di Firenze -fatto capitano dell’oste si dirizzò all’assedio di -Montevivagni; ed essendosi il conte provveduto -alla difesa, per gli suoi sconci peccati perdè il -senno a non prendere accordo col comune di Firenze, -che ’l potè avere a vantaggio, solo dando -le ragioni del detto Montevivagni al comune di -Firenze, e prendendo danari, anzi si mise mattamente -alla difesa; il capitano dell’oste gli tolse -per forza un poggetto nomato l’Arcivescovo, -e ciò avuto, d’intorno intorno l’assediò infino a -dì 8 di settembre. Questo dì vi cominciò a dare -la battaglia, e combattendosi forte, quelli ch’aveano -la guardia della torre domandarono d’essere -salvi come gli altri fedeli del conte, e fatto loro -<span class="pagenum" id="Page_331">[331]</span> -la promessa, cominciarono a dare delle pietre -a’ masnadieri e sbanditi ch’erano alla difesa -delle mura col conte, e per forza gliene levarono; -onde il conte con suoi malfattori fu -costretto arrendersi alla misericordia del comune -di Firenze. Fuvvi preso il conte con uno degli -Ubaldini, e con quattordici caporali sbanditi -del comune di Firenze, e lasciati liberi i fedeli. -Il conte con i predetti vennono legati dinanzi al -potestà e capitano, che con gran festa fu ricevuto, -assai maggiore non si convenia a sì piccolo fatto. -Poi a dì 14 di settembre, il dì di santa Croce, il -detto conte Tano per lo bando che avea fu dicapitato, -e seppellito in santa Croce dirimpetto alla -cappella di santo Lodovico a piè delle scalee, quasi -nel mezzo; quello degli Ubaldini a richiesta de’ -suoi consorti fu loro renduto. Gli sbanditi furono -tranati e appesi vilmente. Tale fu il fine della -spelonca di Montecarelli, e del suo conte Tano -e sua corrotta fede, in non lieve esempio degli altri -vicini del comune di Firenze. -</p> - -<h3 id="capCIX-9">CAP. CIX. -<span class="smaller"><i>Come in Francia si cominciò compagnia -denominata bianca.</i></span></h3> - -<p> -Nella concordia presa degli due re di Francia -e d’Inghilterra, della quale s’attendea certa fine -di buona pace, essendo il re d’Inghilterra co’ figliuoli -e con l’oste sua tornato nell’isola, molti -cavalieri e arcieri inghilesi usati alle prede e -ruberie si rimasono nel paese: e avendo messer -<span class="pagenum" id="Page_332">[332]</span> -Beltramo di Crechì e l’arciprete di Pelagorga -ordinato di fare compagnia, raccolsono ogni maniera -di gente la quale trovarono disposta a mal -fare, ed ebbono Franceschi, Tedeschi, Inghilesi, -Guasconi, e Borgognoni, Normandi, e Provenzali, -e crebbono in poco di tempo in grande -numero, e nomarsi la compagnia bianca, e cominciarono -a conturbare i paesi, e a trarre danari -e roba d’ogni parte, e così stettono infino che -la pace fu ferma, e il re di Francia lasciato di -prigione; allora per comandamento de’ detti due -re sotto pena di cuore e d’avere, e d’essere -perseguitati da’ loro signori, s’uscirono del reame -di Francia, e ridussonsi a Lingrè nell’impero, e -ivi s’accolsono in numero di seimila barbute, essendo -in paese grasso e ubertuoso da vivere: cercarono -di valicare a Lione, i paesani s’adunarono -a’ passi, e impedivanli per modo, che dove -erano si ritennono lungamente con far danno assai -con loro poco frutto. -</p> - -<h3 id="capCX-9">CAP. CX. -<span class="smaller"><i>Della gravezza fatta per messer Bernabò ai -cherici e laici, rotto il trattato della pace.</i></span></h3> - -<p> -Vedendo messer Bernabò che la Chiesa si sforzava -alla difesa di Bologna, e che l’intenzione -sua non si empieva tosto come pensava, e che -la spesa cresceva, fece stimare tutte le rendite -e’ beni de’ prelati e cherici che erano sotto sua -tirannia, e fatta la tassazione ebbe per nome e sopra -nome tutti i secolari poderosi vicini alle prelature, -<span class="pagenum" id="Page_333">[333]</span> -benefiche chiese, e comandamento fece, -che qualunque vicinanza infra certo tempo avessono -pagato alla camera sua quelli danari che il -beneficio era tassato, e il beneficio rispondea alla -tassazione, che pagassono, e così convenne che -fatto fosse, per modo che in tre mesi, luglio, agosto -e settembre, ebbe nella camera sua de’ beni de’ cherici -per questa via oltre a trecento trenta migliaia -di fiorini d’oro, e di secolari sudditi suoi oltre alle -sue rendite ordinate in sussidio di trecentosettanta -migliaia di fiorini d’oro, e ciò per sostenere e -fornire l’impresa fatta, e che fare intendea dell’oste -sua sopra la città di Bologna: e convenne -che così fatto fosse perchè il volle, e nel tempo, -stimandosi il superbo tiranno di vincere per -stracca la città di Bologna, e la Chiesa che presa -l’avea. Essendo messer Niccola Acciaiuoli grande -siniscalco del regno di Puglia con messer Bernabò -per trattare accordo da lui alla Chiesa de’ fatti -di Bologna, e venuto al legato, e trovatolo con -più animo fermo contro al tiranno che non si stimava, -avendo il legato ordinato certe convegne -da trattarsi nella pace, e per uno famigliare del -gran siniscalco le fece mandare a messer Bernabò, -il quale volle che a capitolo a capitolo gli fossero -lette, e leggendosi, a catuno capitolo rispondea, e -io voglio Bologna, e così al tutto rimase il trattato -rotto, con arrota di più villane novelle di parole -dal tiranno al legato. Ed era in questi giorni la -città di Bologna molto stretta, e pativa disagi e -gravezze assai, ma di fuori si procacciava il soccorso -per il legato con molta sollicitudine, e messer -<span class="pagenum" id="Page_334">[334]</span> -Bernabò continovo tenea un trattato d’impacciare -il legato nella Marca e nella Romagna. -</p> - -<h3 id="capCXI-9">CAP. CXI. -<span class="smaller"><i>Come il capitano dell’oste di messer Bernabò -mandò a soccorrere le castella ribellate al -legato nella Marca.</i></span></h3> - -<p> -Sentendo il capitano dell’oste da Bologna come -delle tre castella rebellate al legato le due -si teneano aspettando soccorso, mandò Anichino -di Bongardo Tedesco con millecinquecento barbute -e con mille masnadieri per soccorrerli, e per -prendere luogo nella Marca, e impacciare il legato -sì di là che non potesse soccorrere Bologna, -e chiaramente gli venia fatto, se Anichino fosse -stato leale, perocchè senza contasto entrò in Romagna, -e fu a Rimini, e messer Pandolfo e l’oste -del legato per paura si partì dall’assedio del -castello: ma come che la cosa s’andasse, e’ non -volle andare più oltre, e d’allora innanzi fece -delle cose che tornarono a gran beneficio dell’impresa -del legato, e a onta e vergogna di messer -Bernabò, come seguendo nostra materia nel -principio del decimo libro racconteremo. Tornossi -addietro Anichino, e le castella s’arrenderono -al legato e furono disfatte, all’uscita d’agosto -detto anno. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_335">[335]</span> -</p> - -<h3 id="capCXII-9">CAP. CXII. -<span class="smaller"><i>Ancora dello stato del tempo e della moria -dell’anguinaia.</i></span></h3> - -<p> -Questo anno fu singolare di continovo sereno -tutta la state e di notabile caldo, ed ebbe secondo -il lungo tempo secco e caldo comunale ricolta -di grano e di vino, e degli altri frutti della -terra, ma la moría fu grandissima in molte parti -occidentali, come narrato di sopra avemo, e -l’Italia ebbe molti infermi di lunghe malattie, -ed assai morti; e generale infermità di vaiuolo -fu nella state di fanciulli e ne’ garzoni, ed eziandio -negli uomini e femmine di maggiori etadi, -ch’era cosa di stupore e fastidiosa a vedere. -</p> - -<h3 id="capCXIII-9">CAP. CXIII. -<span class="smaller"><i>Come i Pisani arsono un castello de’ Pistoiesi.</i></span></h3> - -<p> -In questi dì i Pisani con dugento barbute e -mille fanti cavalcarono sopra i Pistoiesi, e presono -e arsono un loro castello nella montagna, nel -quale nella veritade si riparava gente di mala -condizione, e che faceano danno ai loro distrettuali. -Male ne parve ai Fiorentini, ma fu sì piccola -cosa, che per lo meno male s’infinsono di -non lo vedere. -</p> - -<div class="somm"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_337">[337]</span> -</p> - -<h2><a id="indice" href="#indfront"> -TAVOLA</a> -<span class="smaller">DEI CAPITOLI</span></h2> - -<table class="indice"> - <tr> - <td><i>Qui comincia l’ottavo libro della Cronica di Matteo Villani; e prima il Prologo</i></td> <td class="pag"><a href="#capI-8">Pag. 5</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. II.</span> Chi fu frate Iacopo del Bossolaro, e come procedette il suo nome e le sue prediche in Pavia</i></td> <td class="pag"><a href="#capII-8">7</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. III.</span> Come frate Iacopo fece tribuni di popolo nelle sue prediche in Pavia</i></td> <td class="pag"><a href="#capIII-8">9</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. IV.</span> Come frate Iacopo cacciò i signori da Beccheria di Pavia</i></td> <td class="pag"><a href="#capIV-8">10</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. V.</span> Della materia medesima</i></td> <td class="pag"><a href="#capV-8">12</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. VI.</span> Come per più riprese in diversi tempi fu messo fuoco nelle case della Badia di Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#capVI-8">13</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. VII.</span> Come la terra di Romena si comperò per lo comune di Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#capVII-8">14</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. VIII.</span> Come la compagnia di Provenza si sparse per vernare</i></td> <td class="pag"><a href="#capVIII-8">16</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. IX.</span> Come la compagnia del conte di Lando fu condotta per i collegati di Lombardia</i></td> <td class="pag"><a href="#capIX-8">17</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. X.</span> Come il re Luigi richiese i comuni di Toscana d’aiuto</i></td> <td class="pag"><a href="#capX-8">18</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XI.</span> Come i Pisani feciono armata per rompere il porto di Talamone</i></td> <td class="pag"><a href="#capXI-8">19</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XII.</span> Come essendo l’oste de’ Visconti a Mantova, parte della compagnia si mise in Castro</i></td> <td class="pag"><a href="#capXII-8">20</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_338">[338]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XIII.</span> Come la Chiesa di Roma fe’ gravezza a’ cortigiani</i></td> <td class="pag"><a href="#capXIII-8">21</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XIV.</span> Cominciamento di guerra tra certi comuni in Toscana</i></td> <td class="pag"><a href="#capXIV-8">22</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XV.</span> Di certe novità apparenti contro il soldano d’Egitto</i></td> <td class="pag"><a href="#capXV-8">23</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XVI.</span> Come il re di Navarra fu tratto di prigione</i></td> <td class="pag"><a href="#capXVI-8">24</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XVII.</span> Come i Perugini dall’una parte i Cortonesi dall’altra mandarono per aiuto a Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#capXVII-8">25</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XVIII.</span> Come la gente de’ signori di Milano furono sconfitti in Bresciana</i></td> <td class="pag"><a href="#capXVIII-8">26</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XIX.</span> Come l’oste del re d’Ungheria prese la città di Giadra</i></td> <td class="pag"><a href="#capXIX-8">27</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XX.</span> Come messer Bernabò fece combattere Castro</i></td> <td class="pag"><a href="#capXX-8">29</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXI.</span> Come si cominciò a trattare pace da’ collegati a’ Visconti</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXI-8">30</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXII.</span> Come i Perugini puosono cinque battifolli a Cortona</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXII-8">31</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXIII.</span> Come i Trevigiani furono rotti dagli Ungheri</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXIII-8">32</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXIV.</span> Cominciamenti di nuovi scandali nella città di Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXIV-8">33</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXV.</span> D’un singolare accidente ch’avvenne in questi paesi</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXV-8">37</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXVI.</span> Come in Firenze nacque una fanciulla mostruosa</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXVI-8">38</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXVII.</span> Come i Sanesi si scopersono nemici de’ Perugini</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXVII-8">39</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXVIII.</span> Come i Sanesi misono cavalieri in Cortona alla guardia</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXVIII-8">40</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXIX.</span> La cagione che mosse i borgesi di Parigi a nuovo stato</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXIX-8">41</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXX.</span> Della pace dal re d’Ungheria a’ Veneziani</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXX-8">43</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXXI.</span> Come da prima in città di Firenze furono accusati certi cittadini per ghibellini</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXI-8">45</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_339">[339]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXXII.</span> Come a’ capitani della parte furono aggiunti due compagni</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXII-8">48</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXXIII.</span> Come i Sanesi uscirono fuori per soccorrere Cortona</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXIII-8">50</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXXIV.</span> Come si levò l’oste da Cortona</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXIV-8">51</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXXV.</span> Di novità di Perugia per detta cagione</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXV-8">52</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXXVI.</span> Di una gran festa fe’ bandire il re d’Inghilterra</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXVI-8">53</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXXVII.</span> Come l’armata del comune di Firenze venne a Porto pisano</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXVII-8">54</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXXVIII.</span> Come il popolo di Parigi cominciò scandalo</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXVIII-8">56</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXXIX.</span> Come i Perugini tornarono a oste a Cortona</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXIX-8">57</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XL.</span> Come i Perugini richiesono i Sanesi di battaglia</i></td> <td class="pag"><a href="#capXL-8">56</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XLI.</span> Come furono sconfitti Sanesi da’ Perugini</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLI-8">60</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XLII.</span> Come si dispuosono i Sanesi dopo la sconfitta</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLII-8">62</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XLIII.</span> Come i conti da Montedoglio presono e perderono il Borgo</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLIII-8">63</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XLIV.</span> Come il re d’Inghilterra andò a vicitare il re di Francia, e annunziarli la pace</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLIV-8">64</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XLV.</span> Come i Tarlati si feciono accomandati de’ Perugini</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLV-8">65</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XLVI.</span> D’una folgore percosse il campanile de’ frati predicatori di Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLVI-8">66</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XLVII.</span> Della pomposa festa che si fè in Inghilterra in Londra</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLVII-8">67</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XLVIII.</span> Come i Perugini cavalcarono i Sanesi fino alle porti di Siena</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLVIII-8">69</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XLIX.</span> Come il legato del papa ripuose l’assedio a Forlì</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLIX-8">70</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. L.</span> Come i Provenzali feciono compagnia per vendicarsi di quelli dal Balzo</i></td> <td class="pag"><a href="#capL-8">71</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LI.</span> Come si pubblicò la pace de’ due re</i></td> <td class="pag"><a href="#capLI-8">72</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LII.</span> Come il legato del papa pose due bastite a Forlì</i></td> <td class="pag"><a href="#capLII-8">73</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_340">[340]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LIII.</span> Pace fatta dal re Luigi al duca di Durazzo</i></td> <td class="pag"><a href="#capLIII-8">73</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LIV.</span> Come si partì la compagnia di Provenza</i></td> <td class="pag"><a href="#capLIV-8">74</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LV.</span> Come i signori di Milano posono l’assedio a Pavia</i></td> <td class="pag"><a href="#capLV-8">75</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LVI.</span> Come i Perugini afforzarono l’Orsaia</i></td> <td class="pag"><a href="#capLVI-8">76</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LVII.</span> Come si fece la pace da’ signori di Milano a’ collegati</i></td> <td class="pag"><a href="#capLVII-8">76</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LVIII.</span> Come s’abbattè i palazzi di quelli da Beccheria</i></td> <td class="pag"><a href="#capLVIII-8">78</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LIX.</span> Di molte paci e altre cose notevoli fatte</i></td> <td class="pag"><a href="#capLIX-8">79</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LX.</span> Come la compagnia del conte di Lando venne in Romagna</i></td> <td class="pag"><a href="#capLX-8">80</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXI.</span> Come il re Luigi riebbe il castello di Parma</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXI-8">81</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXII.</span> De’ fatti di Siena della loro guerra</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXII-8">82</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXIII.</span> Come i Pisani abbandonarono la gara di Talamone</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXIII-8">83</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXIV.</span> Come i Sanesi chiamarono capitano, e uscirono a oste</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXIV-8">84</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXV.</span> Come si fece certa arrota al palio di san Giovanni</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXV-8">85</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXVI.</span> Come il Delfino mandò per lo proposto di Parigi</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXVI-8">85</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXVII.</span> Di novità fatte per lo popolo di Parigi</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXVII-8">86</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXVIII.</span> Come l’altre ville seguirono di fare come Parigi</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXVIII-8">87</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXIX.</span> Di novità di Forlì</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXIX-8">88</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXX.</span> Come il legato ebbe Meldola</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXX-8">89</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXI.</span> Come i Fiorentini ordinarono il monte nuovo per avere danari</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXI-8">90</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXII.</span> Della gran compagnia</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXII-8">92</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXIII.</span> Come il conte di Lando tornò d’Alamagna alla compagnia</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXIII-8">93</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXIV.</span> Come la compagnia fu rotta nell’alpe</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXIV-8">95</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXV.</span> Come il conte di Lando scampò di prigione</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXV-8">99</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXVI.</span> Come l’altra parte della compagnia si ridusse in Dicomano</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXVI-8">100</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_341">[341]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXVII.</span> Come il comune di Firenze procedette ne’ fatti della compagnia</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXVII-8">102</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXVIII.</span> Il fine ch’ebbe l’impresa de’ Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXVIII-8">103</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXIX.</span> Come la compagnia andò in Romagna</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXIX-8">107</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXX.</span> Come i signori di Francia vennono sopra Parigi in arme</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXX-8">109</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXXI.</span> Come il re di Spagna uccise molti de’ suoi baroni</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXI-8">110</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXXII.</span> Della detta materia di Spagna</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXII-8">111</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXXIII.</span> Come la compagnia cavalcò a Cervia</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXIII-8">113</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXXIV.</span> Come il capitano di Forlì mise la compagnia in Forlì</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXIV-8">114</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXXV.</span> D’una nuova compagnia di Tedeschi</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXV-8">115</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXXVI.</span> Come si levò l’oste da molte terre</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXVI-8">116</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXXVII.</span> Come si fè accordo dal Delfino a quelli di Parigi</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXVII-8">118</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXXVIII.</span> Di detta materia, e come fu morto il proposto</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXVIII-8">119</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXXIX.</span> Come furono impesi que’ borgesi a cui erano state accomandate le chiavi delle bastite</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXIX-8">121</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XC.</span> Come si scoperse il trattato tenea il re di Navarra</i></td> <td class="pag"><a href="#capXC-8">122</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XCI.</span> Come il re di Navarra guastò intorno a Parigi</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCI-8">123</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XCII.</span> Come il marchese non volle dare Asti a’ Visconti</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCII-8">124</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XCIII.</span> Come la compagnia assalì Faenza</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCIII-8">125</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XCIV.</span> Come i Fiorentini mandarono a Bologna per la questione dello Stale</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCIV-8">126</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XCV.</span> Qui si fa menzione delle ragioni che ’l monistero di Settimo ha nello Stale</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCV-8">128</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XCVI.</span> Come la compagnia della Rosa di Provenza si spartì e disfecesi</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCVI-8">129</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XCVII.</span> Come s’afforzò e guardò i passi dell’alpe perchè la compagnia non passasse</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCVII-8">130</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_342">[342]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XCVIII.</span> Come l’imperadore fece il duca d’Osteric re de’ Lombardi</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCVIII-8">132</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XCIX.</span> De’ processi della compagnia in questi giorni</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCIX-8">133</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. C.</span> Come il re del Garbo fu morto</i></td> <td class="pag"><a href="#capC-8">135</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. CI.</span> Come i cardinali ch’erano in Inghilterra si tornarono a corte</i></td> <td class="pag"><a href="#capCI-8">137</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. CII.</span> Della pace da’ Sanesi a’ Perugini</i></td> <td class="pag"><a href="#capCII-8">138</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. CIII.</span> Come il cardinale tornò in Italia</i></td> <td class="pag"><a href="#capCIII-8">140</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. CIV.</span> Come messer Gilio di Spagna parlamentò col signore di Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#capCIV-8">143</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. CV.</span> Come la compagnia si condusse per la Romagna</i></td> <td class="pag"><a href="#capCV-8">144</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. CVI.</span> Dello stato della Cicilia</i></td> <td class="pag"><a href="#capCVI-8">145</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. CVII.</span> Del male stato del reame di Francia</i></td> <td class="pag"><a href="#capCVII-8">146</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. CVIII.</span> Di mortalità d’Alamagna e Brabante</i></td> <td class="pag"><a href="#capCVIII-8">147</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. CIX.</span> Di giustizia fatta in Parigi</i></td> <td class="pag"><a href="#capCIX-8">148</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. CX.</span> De’ dificii fatti a sant’Antonio di Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#capCX-8">149</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="center">LIBRO NONO</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> - </tr> - <tr> - <td><i>Qui comincia il quinto libro; e prima il prologo</i></td> <td class="pag"><a href="#capI-9">151</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. II.</span> Come la compagnia si partì da Sogliano e ricevettene danno</i></td> <td class="pag"><a href="#capII-9">154</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. III.</span> Come il comune di Firenze diede balia a’ cittadini contro alla compagnia</i></td> <td class="pag"><a href="#capIII-9">155</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. IV.</span> Come precedette la compagnia in Romagna</i></td> <td class="pag"><a href="#capIV-9">157</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. V.</span> Di novità state tra signori di Cortona</i></td> <td class="pag"><a href="#capV-9">159</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. VI.</span> Dello inganno fatto per lo legato al comune di Firenze della compagnia</i></td> <td class="pag"><a href="#capVI-9">161</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. VII.</span> Il male seguì per l’accordo fatto dal legato con la compagnia</i></td> <td class="pag"><a href="#capVII-9">164</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. VIII.</span> Di molte fosse feciono i signori di Lombardia per difesa de’ loro terreni</i></td> <td class="pag"><a href="#capVIII-9">166</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. IX.</span> Come il re d’Inghilterra dissimulando la pace cercava la guerra co’ Franceschi</i></td> <td class="pag"><a href="#capIX-9">167</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. X.</span> Come il re di Navarra tribolava Francia</i></td> <td class="pag"><a href="#capX-9">169</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_343">[343]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XI.</span> Del male stato di Cicilia in questi tempi</i></td> <td class="pag"><a href="#capXI-9">170</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XII.</span> Del male stato di Puglia per ladroni</i></td> <td class="pag"><a href="#capXII-9">172</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XIII.</span> Della morte di messer Bernardino da Polenta signore di Ravenna</i></td> <td class="pag"><a href="#capXIII-9">173</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XIV.</span> Operazioni della moría</i></td> <td class="pag"><a href="#capXIV-9">174</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XV.</span> Di certa novità ch’ebbe in Perugia in questi tempi</i></td> <td class="pag"><a href="#capXV-9">173</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XVI.</span> Di sconfitta ebbono i Turchi da’ frieri</i></td> <td class="pag"><a href="#capXVI-9">177</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XVII.</span> Di novità state in Provenza contro a quelli del Balzo</i></td> <td class="pag"><a href="#capXVII-9">179</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XVIII.</span> Il consiglio si tenne in Francia sopra le domande degl’Inghilesi</i></td> <td class="pag"><a href="#capXVIII-9">181</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XIX.</span> Come il re di Spagna e quello d’Araona s’affrontarono e non combatterono</i></td> <td class="pag"><a href="#capXIX-9">182</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XX.</span> Come il comune di Firenze si provvide contro alla compagnia</i></td> <td class="pag"><a href="#capXX-9">183</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXI.</span> D’una folgore che cadde in sulla chiesa maggiore di Siena</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXI-9">185</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXII.</span> D’una battaglia tra due baroni del re di Rascia</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXII-9">186</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXIII.</span> Come sotto nome di falsa pace il re di Navarra tribolò Francia</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXIII-9">188</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXIV.</span> Novità state a Montepulciano</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXIV-9">189</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXV.</span> Di fanciulli mostruosi che nacquero in Firenze e nel contado</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXV-9">191</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXVI.</span> Come la compagnia passò in Toscana, e cercò concordia con i Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXVI-9">191</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXVII.</span> Come la compagnia s’appressò a Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXVII-9">194</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXVIII.</span> Come il comune di Firenze diè l’insegne, e mandò a campo la sua gente</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXVIII-9">196</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXIX.</span> Come la compagnia girò il nostro contado, e la nostra a petto</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXIX-9">198</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXX.</span> Come la compagnia mandò il guanto della battaglia al nostro capitano, e la risposta fatta</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXX-9">200</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXXI.</span> Come la compagnia vituperosamente si partì del campo delle Mosche, e fuggissi</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXI-9">204</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_344">[344]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXXII.</span> Come il re d’Ungheria passò nel reame di Rascia</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXII-9">206</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXXIII.</span> Come messer Feltrino da Gonzaga tolse Reggio a’ fratelli</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXIII-9">208</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXXIV.</span> Come il vescovo di Trievi sconfisse gl’Inghilesi</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXIV-9">209</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXXV.</span> Come fu soccorsa Pavia, e levatone l’oste de’ Visconti</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXV-9">210</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXXVI.</span> Come il capitano di Forlì s’arrendè al legato</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXVI-9">211</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXXVII.</span> Di una compagnia creata d’Inghilesi in Francia</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXVII-9">213</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXXVIII.</span> D’una zuffa che fu tra gli artefici di Bruggia</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXVIII-9">214</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XXXIX.</span> Come l’imperadore de’ Tartari fu morto</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXIX-9">215</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XL.</span> Di novità de’ Turchi in Romania</i></td> <td class="pag"><a href="#capXL-9">216</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XLI.</span> Come il Delfino di Vienna fece pace col re di Navarra</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLI-9">217</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XLII.</span> Come l’oste de’ Fiorentini tornò a Firenze e la compagnia ne andò nella Riviera</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLII-9">218</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XLIII.</span> Della morte e sepoltura di messer Biordo degli Ubertini</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLIII-9">220</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XLIV.</span> Come i Perugini mandarono ambasciata a Siena, e abominando i Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLIV-9">222</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XLV.</span> Come il comune di Firenze mandò aiuto di mille barbute a messer Bernabò contro alla compagnia</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLV-9">224</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XLVI.</span> Come il castello di Troco fu incorporato per la corona di Puglia</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLVI-9">225</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XLVII.</span> Come il comune di Firenze assediò Bibbiena</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLVII-9">226</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XLVIII.</span> Come il comune comperò Soci</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLVIII-9">228</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XLIX.</span> Come il vescovo d’Arezzo diede le sue ragioni che avea in Bibbiena al comune di Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLIX-9">229</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. L.</span> Seguita la sequela della compagnia</i></td> <td class="pag"><a href="#capL-9">230</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LI.</span> De’ fatti di Sicilia, e del seguire l’ammonire in Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#capLI-9">232</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_345">[345]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LII.</span> Come Bibbiena per nuovo capitano fu molto stretta</i></td> <td class="pag"><a href="#capLII-9">235</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LIII.</span> Come il re d’Inghilterra passò in Francia con smisurata forza</i></td> <td class="pag"><a href="#capLIII-9">237</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LIV.</span> La poca fede del conte di Lando</i></td> <td class="pag"><a href="#capLIV-9">238</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LV.</span> Come Pavia s’arrendè a messer Galeazzo</i></td> <td class="pag"><a href="#capLV-9">239</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LVI.</span> Come i signori di Milano sfidarono il signore di Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#capLVI-9">242</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LVII.</span> Come messer Bernabò mandò l’oste sua sopra Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#capLVII-9">243</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LVIII.</span> Come fu maestrato da prima in Firenze in teologia</i></td> <td class="pag"><a href="#capLVIII-9">245</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LIX.</span> Come fu morto il signore di Verona dal fratello</i></td> <td class="pag"><a href="#capLIX-9">246</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LX.</span> Come Cane Signore fu fatto signore di Verona</i></td> <td class="pag"><a href="#capLX-9">248</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXI.</span> Come fu presa Bibbiena pe’ Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXI-9">249</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXII.</span> Come la rocca di Bibbiena s’arrendè al comune di Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXII-9">253</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXIII.</span> Di novità state in Spagna</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXIII-9">254</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXIV.</span> Come i Pistoiesi ripresono il castello della Sambuca</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXIV-9">255</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXV.</span> Come messer Bernabò strignea Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXV-9">256</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXVI.</span> Come gli Aretini riebbono il castello della Pieve a santo Stefano</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXVI-9">258</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXVII.</span> Come il re d’Inghilterra si pose a oste alla città di Rems</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXVII-9">259</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXVIII.</span> Discordia del conte di Foci a quello d’Armignacca</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXVIII-9">260</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXIX.</span> Quello feciono gli osti del re d’Inghilterra in Francia</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXIX-9">261</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXX.</span> Come più castella si rubellarono a’ Tarlati</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXX-9">263</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXI.</span> Di un trattato di Bologna scoperto</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXI-9">264</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXII.</span> Come le sette di Cicilia si divorarono insieme</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXII-9">265</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXIII.</span> Come la Chiesa deliberò l’impresa di Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXIII-9">266</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_346">[346]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXIV.</span> Come messer Giovanni da Oleggio fermò suo accordo con il legato di Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXIV-9">267</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXV.</span> Patti da messer Giovanni da Oleggio alla Chiesa, e la tenuta di Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXV-9">270</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXVI.</span> Come la città di Bologna fu libera dal tiranno in mano del legato e della Chiesa essendo assediata</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXVI-9">272</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXVII.</span> Come la Chiesa riformò Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXVII-9">273</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXVIII.</span> Di una congiura si scoperse in Pisa</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXVIII-9">274</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXIX.</span> Di un trattato menato in Forlì contro alla Chiesa</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXIX-9">276</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXX.</span> Come fu combattuta Cento dall’oste del tiranno</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXX-9">278</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXXI.</span> Come gli Ubaldini si mostrarono tra loro divisi</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXI-9">279</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXXII.</span> Di portamenti degl’Inghilesi in Borgogna</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXII-9">280</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXXIII.</span> Come i Normandi con loro armata passarono in Inghilterra</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXIII-9">282</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXXIV.</span> Come il duca di Borgogna, s’accordò con gl’Inghilesi</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXIV-9">282</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXXV.</span> Come il re d’Inghilterra assediò Parigi</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXV-9">283</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXXVI.</span> Come il re d’Inghilterra si strinse a Parigi, e combattè Corboglio</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXVI-9">286</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXXVII.</span> Conta del reggimento de’ Romani, e d’alcuna giustizia fatta</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXVII-9">287</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXXVIII.</span> Come parte degli Ubaldini presono Montebene</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXVIII-9">289</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. LXXXIX.</span> Di novità e morte del re di Granata, e loro esilio</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXIX-9">290</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XC.</span> Come il legato richiese d’aiuto il re d’Ungheria alla difesa di Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#capXC-9">291</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XCI.</span> Come in corte si diè sentenza contro a quelli di Milano per i fatti di Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCI-9">292</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XCII.</span> Come messer Galeazzo Visconti si mandò scusando in corte di Roma dell’impresa di Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCII-9">294</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_347">[347]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XCIII.</span> Come papa Innocenzio levò la riservagioni</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCIII-9">295</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XCIV.</span> Come il re Luigi fece guerra al duca di Durazzo, e ultimamente s’accordaro</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCIV-9">296</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XCV.</span> Come messer Niccola gran siniscalco del Regno andò in corte di Roma per accordare il re con la Chiesa, e fattogli dal papa ciò gli domandò, e grand’onore, se ne tornò in Lombardia</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCV-9">297</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XCVI.</span> Come gli Aretini per baratta ebbono Chiusi e la Rocca</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCVI-9">299</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XCVII.</span> Come il conticino da Ghiaggiuolo fu da’ figliuoli propri preso e vituperosamente tenuto</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCVII-9">301</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XCVIII.</span> Come si fermò pace dal re d’Inghilterra a’ Franceschi, e’ patti e le convegne ebbono insieme</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCVIII-9">304</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. XCIX.</span> D’un trattato si scoperse in Bologna, e quello ne seguì</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCIX-9">311</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. C.</span> Come il papa confortò gli ambasciadori bolognesi, e richiese d’aiuto i Fiorentini all’impresa di Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#capC-9">313</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. CI.</span> Come i Chiaravallesi vennero contro a Todi, e come furono rotti e presi</i></td> <td class="pag"><a href="#capCI-9">315</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. CII.</span> Come l’oste di messer Bernabò si strinse a Bologna, e fermaronvi bastite</i></td> <td class="pag"><a href="#capCII-9">316</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. CIII.</span> Come la casa reale di Francia feciono parentado co’ Visconti per danari, con vituperio della corona</i></td> <td class="pag"><a href="#capCIII-9">316</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. CIV.</span> Come messer Niccolò di Cesaro conte di..... e signore di Messina fu morto con quaranta compagni</i></td> <td class="pag"><a href="#capCIV-9">320</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. CV.</span> Come fornito il trattato della pace tra i due re si fè triegua, e giurossi l’una e l’altra, e lo re d’Inghilterra si tornò nell’isola per mandare a esecuzione le cose ordinate</i></td> <td class="pag"><a href="#capCV-9">321</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. CVI.</span> Come tre castella si rubellarono nella Marca al legato</i></td> <td class="pag"><a href="#capCVI-9">326</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. CVII.</span> Come mortalità dell’anguinaia ricominciò in diverse parti del mondo</i></td> <td class="pag"><a href="#capCVII-9">327</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_348">[348]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. CVIII.</span> Come il comune di Firenze prese Montecarelli e Montevivagni, e in essi preso il conte Tano, venuto a Firenze fu decapitato</i></td> <td class="pag"><a href="#capCVIII-9">328</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. CIX.</span> Come in Francia si cominciò compagnia denominata bianca</i></td> <td class="pag"><a href="#capCIX-9">331</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. CX.</span> Della gravezza fatta per messer Bernabò ai cherici e laici, rotto il trattato della pace</i></td> <td class="pag"><a href="#capCX-9">332</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. CXI.</span> Come il capitano dell’oste di messer Bernabò mandò a soccorrere le castella ribellate al legato nella Marca</i></td> <td class="pag"><a href="#capCXI-9">334</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. CXII.</span> Ancora dello stato del tempo e della moria dell’anguinaia</i></td> <td class="pag"><a href="#capCXII-9">335</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap. CXIII.</span> Come i Pisani arsono un castello de’ Pistolesi</i></td> <td class="pag"><a href="#capCXIII-9">335</a></td> - </tr> -</table> -<hr> -</div> - -<div class="chapter"> - -<table class="errata"> - <tr> -<td> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td>ERRORI</td> <td>CORREZIONI</td> - </tr> -<tr> - <td colspan="6"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="6" class="center">TOMO IV.</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="6"> </td> - </tr> - <tr> - <td>p.</td> <td class="num">141</td> <td>v.</td> <td class="num">30</td> <td>e ogni ogni vergogna</td> <td>e ogni vergogna</td> - </tr> - <tr> - <td>—</td> <td class="num">154</td> <td>—</td> <td class="num">8</td> <td>per venire</td> <td>per vernare</td> - </tr> - <tr> - <td>—</td> <td class="num">152</td> <td>—</td> <td class="num">4</td> <td>fu ribattuto</td> <td>fu ributtato</td> - </tr> - <tr> - <td>—</td> <td class="num">290</td> <td>—</td> <td class="num">25</td> <td>cacciare</td> <td>cacciare,</td> - </tr> - <tr> - <td>—</td> <td class="num">325</td> <td>—</td> <td class="num">23</td> <td>osservebbe</td> <td>osserverebbe</td> - </tr> -</table> - -</div> - -<div class="tnote"> -<p class="tntitle"> -Nota del Trascrittore -</p> - -<p> -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo -senza annotazione minimi errori tipografici. Le correzioni indicate in -fine libro sono state riportate nel testo. -</p> - -<p class="covernote"> -Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio. -</p> -</div> - -<div lang='en' xml:lang='en'> -<div style='display:block; margin-top:4em'>*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK <span lang='it' xml:lang='it'>CRONICA DI MATTEO VILLANI, VOL. IV</span> ***</div> -<div style='text-align:left'> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Updated editions will replace the previous one—the old editions will -be renamed. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright -law means that no one owns a United States copyright in these works, -so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the United -States without permission and without paying copyright -royalties. 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Redistribution is subject to the trademark -license, especially commercial redistribution. -</div> - -<div style='margin-top:1em; font-size:1.1em; text-align:center'>START: FULL LICENSE</div> -<div style='text-align:center;font-size:0.9em'>THE FULL PROJECT GUTENBERG LICENSE</div> -<div style='text-align:center;font-size:0.9em'>PLEASE READ THIS BEFORE YOU DISTRIBUTE OR USE THIS WORK</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -To protect the Project Gutenberg™ mission of promoting the free -distribution of electronic works, by using or distributing this work -(or any other work associated in any way with the phrase “Project -Gutenberg”), you agree to comply with all the terms of the Full -Project Gutenberg™ License available with this file or online at -www.gutenberg.org/license. -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 1. General Terms of Use and Redistributing Project Gutenberg™ electronic works -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.A. By reading or using any part of this Project Gutenberg™ -electronic work, you indicate that you have read, understand, agree to -and accept all the terms of this license and intellectual property -(trademark/copyright) agreement. If you do not agree to abide by all -the terms of this agreement, you must cease using and return or -destroy all copies of Project Gutenberg™ electronic works in your -possession. If you paid a fee for obtaining a copy of or access to a -Project Gutenberg™ electronic work and you do not agree to be bound -by the terms of this agreement, you may obtain a refund from the person -or entity to whom you paid the fee as set forth in paragraph 1.E.8. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.B. “Project Gutenberg” is a registered trademark. It may only be -used on or associated in any way with an electronic work by people who -agree to be bound by the terms of this agreement. There are a few -things that you can do with most Project Gutenberg™ electronic works -even without complying with the full terms of this agreement. See -paragraph 1.C below. There are a lot of things you can do with Project -Gutenberg™ electronic works if you follow the terms of this -agreement and help preserve free future access to Project Gutenberg™ -electronic works. See paragraph 1.E below. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.C. The Project Gutenberg Literary Archive Foundation (“the -Foundation” or PGLAF), owns a compilation copyright in the collection -of Project Gutenberg™ electronic works. Nearly all the individual -works in the collection are in the public domain in the United -States. 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Copyright laws in most countries are -in a constant state of change. If you are outside the United States, -check the laws of your country in addition to the terms of this -agreement before downloading, copying, displaying, performing, -distributing or creating derivative works based on this work or any -other Project Gutenberg™ work. The Foundation makes no -representations concerning the copyright status of any work in any -country other than the United States. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.E. Unless you have removed all references to Project Gutenberg: -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.E.1. The following sentence, with active links to, or other -immediate access to, the full Project Gutenberg™ License must appear -prominently whenever any copy of a Project Gutenberg™ work (any work -on which the phrase “Project Gutenberg” appears, or with which the -phrase “Project Gutenberg” is associated) is accessed, displayed, -performed, viewed, copied or distributed: -</div> - -<blockquote> - <div style='display:block; margin:1em 0'> - This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and most - other parts of the world at no cost and with almost no restrictions - whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms - of the Project Gutenberg License included with this eBook or online - at <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>. 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If an individual Project Gutenberg™ electronic work is posted -with the permission of the copyright holder, your use and distribution -must comply with both paragraphs 1.E.1 through 1.E.7 and any -additional terms imposed by the copyright holder. Additional terms -will be linked to the Project Gutenberg™ License for all works -posted with the permission of the copyright holder found at the -beginning of this work. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.E.4. Do not unlink or detach or remove the full Project Gutenberg™ -License terms from this work, or any files containing a part of this -work or any other work associated with Project Gutenberg™. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.E.5. 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If any disclaimer or limitation set forth in this agreement -violates the law of the state applicable to this agreement, the -agreement shall be interpreted to make the maximum disclaimer or -limitation permitted by the applicable state law. The invalidity or -unenforceability of any provision of this agreement shall not void the -remaining provisions. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.F.6. 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Information about the Mission of Project Gutenberg™ -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Project Gutenberg™ is synonymous with the free distribution of -electronic works in formats readable by the widest variety of -computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It -exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations -from people in all walks of life. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Volunteers and financial support to provide volunteers with the -assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg™’s -goals and ensuring that the Project Gutenberg™ collection will -remain freely available for generations to come. In 2001, the Project -Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure -and permanent future for Project Gutenberg™ and future -generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see -Sections 3 and 4 and the Foundation information page at www.gutenberg.org. -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non-profit -501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the -state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal -Revenue Service. The Foundation’s EIN or federal tax identification -number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by -U.S. federal laws and your state’s laws. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -The Foundation’s business office is located at 809 North 1500 West, -Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up -to date contact information can be found at the Foundation’s website -and official page at www.gutenberg.org/contact -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Project Gutenberg™ depends upon and cannot survive without widespread -public support and donations to carry out its mission of -increasing the number of public domain and licensed works that can be -freely distributed in machine-readable form accessible by the widest -array of equipment including outdated equipment. Many small donations -($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt -status with the IRS. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -The Foundation is committed to complying with the laws regulating -charities and charitable donations in all 50 states of the United -States. Compliance requirements are not uniform and it takes a -considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up -with these requirements. 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Thus, we do not -necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper -edition. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Most people start at our website which has the main PG search -facility: <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -This website includes information about Project Gutenberg™, -including how to make donations to the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to -subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks. -</div> - -</div> -</div> -</body> -</html> diff --git a/old/69901-h/images/cover.jpg b/old/69901-h/images/cover.jpg Binary files differdeleted file mode 100644 index 6ff46f0..0000000 --- a/old/69901-h/images/cover.jpg +++ /dev/null |
