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If you are not located in the United States, you -will have to check the laws of the country where you are located before -using this eBook. - -Title: Cronica di Matteo Villani, vol. I - A miglior lezione ridotta coll'aiuto de' testi a penna - -Author: Matteo Villani - -Editor: Ignazio Moutier - -Release Date: January 29, 2023 [eBook #69898] - -Language: Italian - -Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team - at http://www.pgdp.net (This file was produced from images - made available by the Bayerische Staatsbibliothek) - -*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK CRONICA DI MATTEO VILLANI, -VOL. I *** - - - CRONICA - - DI - - MATTEO - VILLANI - - - A MIGLIOR LEZIONE RIDOTTA - COLL’AIUTO - DE’ TESTI A PENNA - - TOMO I. - - - - FIRENZE - PER IL MAGHERI - 1825 - - - - -_AI LETTORI_ - -L’EDITORE IGNAZIO MOUTIER. - - -_Matteo Villani continuatore della Cronica di Giovanni è reputato -inferiore all’ultimo e per la lingua e per lo stile: ma quanto sia -ingiusto un giudizio sì decisivo emesso in vari tempi da accreditati -scrittori, e sempre ciecamente ripetuto, lo dimostra la medesima opera -sua, a coloro che si dilettassero di farne uno studio più diligente. -L’accusa datagli di diffuso scrittore è tanto essenzialmente falsa, -che sembra pronunziata da uomo mal prevenuto, o che non abbia mai -conosciuta l’opera che li piacque di condannare. Ma la cagione primaria -per cui pochi fino ad ora si dedicarono a studiare la Cronica di -Matteo, è stata certamente la pessima forma con la quale fu sempre -pubblicata nelle poche edizioni che ne furon fatte fino a questo -giorno. La buona volontà d’un lettore paziente si stanca facilmente -alla lettura d’un’opera condotta senz’ombra d’ortografia, e che trovi -ad ogni passo periodi intralciati, voci fuor di luogo, omissioni -d’ogni genere, e dei versi ancora ripetuti, e in tale stato sono le -tre edizioni eseguite dai Giunti in epoche differenti, e che tutte si -trovan citate nel Vocabolario degli Accademici della Crusca. È cosa -veramente da deplorarsi con quanta negligenza siano state impresse -nel secolo decimosesto molte opere classiche di nostra lingua. -L’esperienza di fatto mi fece conoscere, che molti editori di opere -di classici antichi scrittori, cominciando poco avanti la metà del -secolo decimosesto fino verso la fine di esso, avevano adottato un -certo loro particolar sistema di variare a capriccio la lezione dei -codici antichi, in quei luoghi che discordavano dalla loro maniera di -vedere e d’intendere, sostituendo e togliendo a vicenda voci e talvolta -interi periodi, senza altra ragione che il loro singolarissimo sistema. -Questo intollerabile abuso di torta critica guastò talmente gli scritti -di molte opere classiche, che i giudizi che ne furon fatti di esse da -chi s’affidò ciecamente alle stampe del cinquecento senza ricorrere ai -manoscritti son da tenersi per inesatti e non veri. Quanta verità possa -avere l’accusa che io do agli editori del cinquecento lo mostrerebbero -abbastanza l’edizioni di Giovanni e di Matteo Villani eseguite in quel -secolo, ma più luminosamente potrò dimostrarlo fra qualche tempo, se -la fortuna mi concede il mezzo di dare al pubblico l’opere tutte d’un -sommo scrittore, che già da qualche anno m’occupo con paziente studio -alla loro emendazione._ - -_Lorenzo Torrentino fu il primo a pubblicare in un volumetto, -in Firenze nel 1554, i soli primi quattro libri della Cronica di -Matteo Villani, corretti quanto poteva ottenersi in quel tempo da -una prima edizione di un’opera che si traeva da antico manoscritto. -Filippo e Iacopo Giunti stampatori in Firenze, commessero nel 1562 a -Domenico Guerra e Giovan Battista suo fratello stampatori in Venezia -l’impressione della Cronica di Matteo, la quale non giunse oltre il -cap. 85 del libro nono. Nella dedica che fanno i Giunti al principe -don Francesco de’ Medici in data del medesimo anno, vi si leggono -lusinghiere promesse di dare l’opera in quel modo appunto ch’ella -fu scritta dall’autore, avendone affidata la revisione ad _uomini -eccellentissimi, che ogni particella e ogni parola accomodarono -al luogo suo, ch’ella non uscì forse di mano a Matteo altramente -disposta_: ma ad onta di sì belle parole, quest’impressione fu reputata -scorretta dai medesimi Giunti, i quali nel 1581 la riprodussero più -emendata col soccorso d’un codice che allora esisteva presso Giuliano -de’ Ricci, premettendovi la medesima prefazione al principe don -Francesco senza mutar data. Quest’edizione benchè conti un capitolo di -più della prima in fine del libro nono contiene precisamente la stessa -materia, non variando che la materiale numerazione dei capitoli. Col -soccorso pure del codice di Giuliano de’ Ricci pubblicarono i Giunti -nel 1577 in Firenze i tre ultimi libri della Cronica di Matteo, così -da loro intitolati, ma che essenzialmente non sono che ventisette -capitoli che compiscono il nono libro, e il libro decimo e undecimo; di -questi ultimi libri ne fecero un’esatta ristampa nel 1596. La giunta -di Filippo comprende gli ultimi quarantadue capitoli dell’undecimo -ed ultimo libro. L’ultima edizione, e certamente la migliore della -Cronica di Matteo, fu pubblicata nel 1729 in Milano nel decimoquarto -volume della celebre collezione degli scrittori delle cose d’Italia di -Lodovico Antonio Muratori, procurata ed illustrata da Filippo Argelati. -In quest’edizione fu seguitata la stampa dei Giunti del 1581, e il -seguito impresso nel 1577; vi furono per altro aggiunte a piè della -pagina le varianti lezioni che furono tratte dal cavalier Marmi dal -codice Ricci, e da un altro manoscritto esistente allora presso il -prior Francesco Covoni; ma queste varie lezioni si trovano per la -maggior parte sì inutilmente abbondanti in principio dell’opera, come -scarseggianti dopo l’ottavo libro, da muovere ragionevolmente sospetto -che il cavalier Marmi si stancasse alla metà del suo faticoso lavoro. -In questa edizione fu con tanto scrupolo seguitata la lezione giuntina -che vi fu lasciata stare la medesima viziosa ortografia, a danno dei -poveri lettori, a’ quali è troppo grave nello studio degli antichi -classici questo barbaro sistema, che non è ancora spento del tutto._ - -_Da questo esatto ragguaglio dell’edizioni della Cronica di Matteo -e Filippo Villani fino ad ora pubblicate, è facile persuadersi del -bisogno di farne una nuova più accurata edizione, ma tal pensiero -venuto più volte in mente a uomini di molta dottrina, e amantissimi -della lingua italiana, svanì e venne meno allorchè cominciarono a -sentire il peso di questa spinosa fatica. Colui che sia nuovo affatto -di simili studi non può con approssimazione calcolare il lungo tedio -che richiedono i confronti d’opere stampate con i manoscritti, che -quasi sempre si trovano tra loro discordi nella lezione, o mancanti, -o inintelligibili, e quel che è peggio variati sovente dall’arbitrio -d’ignoranti copisti. Abituato com’io sono da molti anni a simili -studi, da me intrapresi con vero desiderio di recare con l’opera mia -qualche vantaggio agli amatori dei classici nostri, che sì deturpati -per la maggior parte erano stati impressi in antico, pubblicai già -è un anno la Cronica di Giovanni Villani (alla cui emendazione ebbi -l’assistenza un mio carissimo amico) e fin da quell’epoca contrassi -verso il pubblico l’obbligazione di dare alla luce ricorretta ed -emendata l’opera di Matteo e Filippo Villani, servendomi della lezione -del famoso codice Ricci. Questo codice cartaceo in foglio, di non -elegante ma buona forma di lettere, è scritto tutto d’una medesima -mano; ha in principio una breve nota che ci fa conoscere l’anno in -cui fu trascritto, così concepita: _Questo libro fu scritto l’anno -1378 da Ardingo di Corso de’ Ricci, e continuamente si conserva in -questa casa: e oggi, che siamo alli 6 di maggio 1608, è posseduto da -Ruberto di Giuliano de’ Ricci._ Su qual documento asserisca questo -Ruberto de’ Ricci che il codice sia stato scritto nel 1378 non è da -conoscersi tanto facilmente, ma di certo la scrittura è del secolo -in cui si vuole che sia stato copiato. Comincia il manoscritto con -la tavola delle rubriche o capitoli con le prime voci e i numeri dei -capitoli scritti in rosso, che occupano le prime diciotto carte; ne -segue poi la Cronica, che comprende carte trecentosettanta, con i -titoli de’ capitoli e la serie della loro numerazione in rosso. Questo -codice di buona conservazione, non va per altro esente dalla sorte che -hanno incontrato la maggior parte dei manoscritti, che per incuria o -ignoranza di chi gli ha avuti a mano si trovano oggi mutilati e mal -conci, poichè si hanno in esso mancanti le carte 299, e 384; mancava -pure la carta 108, che fu sostituita fino dall’anno 1573 da ignota -mano. La buonissima lezione che ha questo manoscritto fa chiara -testimonianza della diligenza del suo copista, che non deve essere -stato di que’ prezzolati emanuensi che in quel secolo flagellarono ogni -maniera di scritture, ma uomo al certo di qualche dottrina. E qui mi -sia lecito dar tributo d’obbligazione e di riconoscenza all’egregio -signor Commendatore Lapo de’ Ricci, che con tanta amorevolezza si -compiacque accordarmi l’uso per la presente edizione di questo prezioso -codice di Matteo Villani, scritto come parla l’antica tradizione da -Ardingo di Corso de’ Ricci, già di sopra menzionato, e che tuttavia si -conserva nella biblioteca di quest’illustre famiglia._ - -_Di questo codice adunque mi sono quasi interamente giovato nella -presente ristampa di Matteo Villani, come il più corretto e copioso -di quanti n’abbia veduti, ed ho solamente avuto ricorso alle varianti -del codice Covoni che esistono nell’accennata edizione dell’opera -di Matteo eseguita in Milano nel 1729, in quei pochissimi luoghi che -manifestamente erano errati. Due codici della libreria Riccardiana e -uno della Magliabechiana mi hanno fornito di qualche variante nel corso -dell’opera, la poca importanza delle quali mi disobbliga dal far di -essi un circostanziato ragguaglio._ - -_La presente edizione della Cronica di Matteo Villani potrebbe -ragionevolmente chiamarsi un’esatta copia del codice Ricci, se i -pochi luoghi che in esso si trovano errati non avessero domandato il -soccorso d’altri codici antichi per rettificarne gli errori. Così -avess’io potuto supplire con altri manoscritti alle lagune vistose -del codice Ricci, specialmente a quelle che s’incontrano ne’ tre -ultimi libri, ma il fatto mi ha dimostrato non esser questo un errore -da attribuirsi al copista, ma bensì all’autore medesimo, l’immatura -morte del quale gli tolse il modo di dar l’ultima mano all’opera sua, -giacchè tutti i manoscritti da me riscontrati, e non in piccol numero, -hanno sventuratamente lo stesso difetto, da toglier la speranza a ogni -accurato investigatore di rinvenire un giorno ciò che ora invano si -desidera. Quei passi per altro, che nell’edizioni eseguite dai Giunti -furono tolti per cagione de’ tempi, si troveranno in quest’edizione -restituiti al loro luogo, cioè al Cap. 93 del libro nono, e al Prologo -del libro undecimo._ - -_Il sistema che ho creduto dover seguitare in quest’edizione è stato il -medesimo che servì di norma alla pubblicazione del primo Villani, meno -che più libertà mi son preso intorno a’ nomi propri, avendone del tutto -banditi gl’idiotismi del tempo, che nulla han che fare con la lingua, -e che ad altro non servono che ad essere inciampo e noia al maggior -numero dei lettori. L’ortografia ho avuto cura che si presti totalmente -all’intelligenza del testo senz’altra regola speciale, semplicizzando -più che ho saputo l’andamento del periodo. Finalmente all’ultimo -volume vi ho posto l’indice generale, indispensabile ad un’opera di tal -natura, e un elenco di voci mancanti nel Vocabolario degli Accademici -della Crusca. In un volume di supplemento riprodurrò le vite degli -uomini illustri Fiorentini scritte da Filippo Villani, giovandomi -dell’edizione procurata dall’erudito Giammaria Mazzuchelli nel 1747 in -Venezia; e così mi compiacerò d’essere stato il primo a riunire in un -sol corpo tutte l’opere toscane de’ tre Villani, impresa molte volte -progettata e mai condotta a buon termine, per gl’infiniti ostacoli -ch’era d’uopo sormontare con lungo e pazientissimo studio._ - -_Il dovere mi obbligherebbe a premettere all’opera alcune notizie -intorno alla vita pubblica e privata di Matteo Villani, ma tanto scarsi -sono i documenti che lo riguardano, quanto inutili e infruttuose -sono state fino ad ora le ricerche di diligenti biografi. Il suo -figliuolo Filippo continuatore dell’opera del padre ci ha tramandata -l’epoca della di lui morte, la quale avvenne a dì 12 di luglio del -1363, anch’egli come il fratello Giovanni colpito dalla peste che da -molti anni lacerava quasi tutta Europa, ma specialmente la misera -Italia, senza che gli uomini riparassero a tanto loro esterminio. -Il Manni (Sig. Ant. T. 4. p. 75) ci addita due mogli ch’egli ebbe, -Lisa de’ Buondelmonti e Monna de’ Pazzi, e alcune altre notizie ci -riferisce illustrando l’albero di casa Villani, la più importante -è quella che Matteo come ghibellino fu da’ capitani di parte guelfa -ammonito. Di Filippo assai ne ragiona il diligentissimo Mazzuchelli -nella sua prefazione alle Vite degli Uomini illustri Fiorentini, la -quale pubblicherò nel settimo volume di quest’opera, premettendola -alle medesime Vite scritte da Filippo, procurando pure d’emendarle con -l’aiuto de’ manoscritti, benchè fino ad ora quelli che m’è avvenuto -riscontrare non meritano nessuna fiducia per essere troppo moderni, e -notoriamente variati dal capriccio de’ loro copiatori._ - -_Se questa mia non lieve fatica d’aver cercato di ridurre a miglior -lezione la Cronica di Matteo Villani non incontrerà in particolare -l’approvazione dei dotti, riscuoterà certamente il suffragio da tutti -quelli che s’esercitano nello studio dei nostri classici antichi, -che da un fonte più puro potranno trarre, con minor noia e fatica di -quel che far si potesse in addietro, preziosi documenti per l’istoria -e per l’incremento della lingua italiana. Così piaccia alla fortuna -d’accordare tal’ozio tranquillo ai dotti accademici della Crusca, -a’ quali è commesso l’incarico di nostra lingua, che applicar si -possano con vero studio all’emendazione di tanti classici, che ripieni -d’infiniti errori e mancanze, attendono ancora dalla critica di questo -secolo d’essere riprodotti nella loro vera e primitiva forma. Ad -alcuni onorevoli Accademici è debitrice la repubblica delle lettere -di alcune opere riprodotte nella loro originalità, e di altri se -ne desiderano tuttavia le studiose fatiche, ma troppe opere ancora -rimangono da emendarsi, e dell’inedite da pubblicarsi, che il loro -numero e la loro importanza può giustificare qualunque lamento che -se ne faccia. Sia loro di massimo incitamento l’esempio dell’ottimo -nostro Sovrano, che da qualche anno si compiacque di farsi membro -di quell’illustre Accademia, il quale con munificenza degna di tanto -Principe ha pubblicato in quest’anno le opere di Lorenzo il Magnifico, -con grandissimo studio da Lui emendate e illustrate._ - - - - -CRONICA - -DI MATTEO VILLANI - - - - -LIBRO PRIMO - - -_Qui comincia la Cronica di Matteo Villani, e prima il prologo, e primo -libro._ - -Esaminando nell’animo la vostra esortazione, carissimi amici, di -mettere opera a scrivere le storie e le novità che a’ nostri tempi -avverranno, pensai la mia piccola facultà essere debole a cotanta e -tale opera seguire. Ma perocchè la vostra richesta mi rende per debito -pronto a ubbidire, e il vostro consiglio aggiugne vigore alla stanca -mente; e pensando che per la macchia del peccato la generazione umana -tutta è sottoposta alle temporali calamità, e a molta miseria, e a -innumerabili mali, i quali avvengono nel mondo per varie maniere, e -per diversi e strani movimenti, e tempi; come sono inquietazioni di -guerre, movimenti di battaglie, furore di popoli, mutamenti di reami, -occupazioni di tiranni, pestilenzie, mortalità e fame, diluvi, incendi, -naufragi e altre gravi cose, delle quali gli uomini, ne’ cui tempi -avvengono, quasi da ignoranza soppresi, più forte si maravigliano, e -meno comprendono il divino giudicio, e poco conoscono il consiglio e -’l rimedio dell’avversità, se per memoria di simiglianti casi avvenuti -ne’ tempi passati non hanno alcuno ammaestramento: e in quelle che -la chiara faccia della prosperità rapporta non sanno usare il debito -temperamento; rischiudendo sotto lo scuro velo della ignoranza -l’uscimento cadevole, e il fine dubbioso delle mortali cose. Onde -pensando che l’opera puote essere fruttuosa, e debba piacere per li -naturali desideri degli uomini, mi mossi a cominciare, per esempio -di me uomo di leggieri scienza, ad apparecchiar materia a’ savi di -concedere del loro tempo alcuna parte, per lasciare agli altri memoria -delle cose appariranno di ciò degne a’ loro temporali, e a’ meno sperti -speranza con fatica e studio da poter venire a operazioni virtudiose, -e a coloro che avranno più alto ingegno, materia di ristrignere su -brevità, e con più piacere degli uditori, le nostre storie. Ma perocchè -ogni cosa è imperfetta e vana senza l’aiuto della divina grazia, -chiamiamo in nostro aiuto la carità divina, Cristo benedetto; il quale -è in unità col Padre e con lo Spirito Santo, vive e regna per tutti -i secoli, e dà cominciamento e mezzo e termine perfetto a ogni buona -operazione. - - -CAP. I. - -_Della inaudita mortalità._ - -Trovasi nella santa Scrittura, che avendo il peccato corrotto ogni via -della umana carne, Iddio mandò il diluvio sopra la terra: e riservando -per la sua misericordia l’umana carne in otto anime, di Noè, e di tre -suoi figliuoli e delle loro mogli nell’arca, tutta l’altra generazione -nel diluvio sommerse. Dappoi per li tempi multiplicando la gente, sono -stati alquanti diluvi particolari, mortalità, corruzioni e pistolenze, -fami e molti altri mali, che Iddio ha permesso venire sopra gli uomini -per li loro peccati. Tra le quali mortalità troviamo venute le più -gravi l’una al tempo di Marco Aurelio, Antonio e Lucio Aurelio Commodo -imperadori, gli anni di Cristo 171, la quale cominciò in Babilonia -d’Egitto, e comprese molte provincie del mondo. E tornando L. Commodo -colle legioni de’ Romani delle parti d’Asia, parea combattesse -ostilemente per la loro infezione gli uomini delle provincie ond’elli -passavano: e a Roma fece grave sterminio de’ suoi abitanti. E l’altra -venne al tempo di Gallo Ostilio Augusto, e Bolusseno suo figliuolo, -occupatori dello imperio, e gravi persecutori de’ cristiani, la quale -cominciò gli anni di Cristo 254, e durò, ritornando di tempo in tempo, -intorno di quindici anni: e fu di diverse e incredibili infermitadi, -e comprese molte provincie del mondo. Ma per quello che trovar si -possa per le scritture, dal generale diluvio in qua, non fu universale -giudicio di mortalità che tanto comprendesse l’universo, come quella -che ne’ nostri dì avvenne. Nella quale mortalità, considerando la -moltitudine che allora vivea, in comparazione di coloro che erano -in vita al tempo del generale diluvio, assai più ne morirono in -questa che in quello, secondo la estimazione di molti discreti. Nella -quale mortalità avendo renduta l’anima a Dio l’autore della cronica -nominata la Cronica di Giovanni Villani cittadino di Firenze, al quale -per sangue e per dilezione fui strettamente congiunto, dopo molte -gravi fortune, con più conoscimento della calamità del mondo che la -prosperità di quello non m’avea dimostrato, propuosi nell’animo mio -fare alla nostra varia e calamitosa materia cominciamento a questo -tempo, come a uno rinnovellamento di tempo e secolo, comprendendo -annualmente le novità che appariranno di memoria degne, giusta la -possa del debole ingegno, come più certa fede per li tempi avvenire ne -potremo avere. - - -CAP. II. - -_Quanto durava il tempo della moría in catuno paese._ - -Avendo per cominciamento nel nostro principio a raccontare lo sterminio -della generazione umana, e convenendone divisare il tempo e il modo, la -qualità e la quantità di quella, stupidisce la mente appressandosi a -scrivere la sentenzia, che la divina giustizia con molta misericordia -mandò sopra gli uomini, degni per la corruzione del peccato di final -giudizio. Ma pensando l’utilità salutevole che di questa memoria puote -addivenire alle nazioni che dopo noi seguiranno, con più sicurtà del -nostro animo così cominciamo. Videsi negli anni di Cristo, dalla sua -salutevole incarnazione 1346, la congiunzione di tre superiori pianeti -nel segno dell’Aquario, della quale congiunzione si disse per gli -astrolaghi che Saturno fu signore: onde pronosticarono al mondo grandi -e gravi novitadi; ma simile congiunzione per li tempi passati molte -altre volte stata e mostrata, la influenzia per altri particulari -accidenti non parve cagione di questa, ma piuttosto divino giudicio -secondo la disposizione dell’assoluta volontà di Dio. Cominciossi nelle -parti d’Oriente, nel detto anno, inverso il Cattai e l’India superiore, -e nelle altre provincie circustanti a quelle marine dell’oceano, una -pestilenzia tra gli uomini d’ogni condizione di catuna età e sesso, che -cominciavano a sputare sangue, e morivano chi di subito, chi in due o -in tre dì, e alquanti sostenevano più al morire. E avveniva, che chi -era a servire questi malati, appiccandosi quella malattia, o infetti, -di quella medesima corruzione incontanente malavano, e morivano per -somigliante modo; e a’ più ingrossava l’anguinaia, e a molti sotto le -ditella delle braccia a destra e a sinistra, e altri in altre parti -del corpo, che quasi generalmente alcuna enfiatura singulare nel corpo -infetto si dimostrava. Questa pestilenzia si venne di tempo in tempo, -e di gente in gente apprendendo, comprese infra il termine d’uno anno -la terza parte del mondo che si chiama Asia. E nell’ultimo di questo -tempo s’aggiunse alle nazioni del Mare maggiore, e alle ripe del Mare -tirreno, nella Soria e Turchia, e in verso lo Egitto e la riviera -del Mar rosso, e dalla parte settentrionale la Rossia e la Grecia, -e l’Erminia e l’altre conseguenti provincie. E in quello tempo galee -d’Italiani si partirono del Mare maggiore, e della Soria e di Romania -per fuggire la morte, e recare le loro mercatanzie in Italia: e’ non -poterono cansare, che gran parte di loro non morisse in mare di quella -infermità. E arrivati in Cicilia conversaro co’ paesani, e lasciarvi -di loro malati, onde incontanente si cominciò quella pestilenzia ne’ -Ciciliani. E venendo le dette galee a Pisa, e poi a Genova, per la -conversazione di quegli uomini cominciò la mortalità ne’ detti luoghi, -ma non generale. Poi conseguendo il tempo ordinato da Dio a’ paesi, la -Cicilia tutta fu involta in questa mortale pestilenzia. E l’Affrica -nelle marine, e nelle sue provincie di verso levante, e le rive del -nostro Mare tirreno. E venendo di tempo in tempo verso il ponente, -comprese la Sardigna, e la Corsica, e l’altre isole di questo mare; e -dall’altra parte, ch’è detta Europa, per simigliante modo aggiunse alle -parti vicine verso il ponente, volgendosi verso il mezzogiorno con più -aspro assalimento che sotto le parti settentrionali. E negli anni di -Cristo 1348 ebbe infetta tutta Italia, salvo che la città di Milano, -e certi circustanti all’Alpi, che dividono l’Italia dall’Alamagna, ove -gravò poco. E in questo medesimo anno cominciò a passare le montagne, -e stendersi in Proenza, e in Savoia, e nel Dalfinato, e in Borgogna, -e per la marina di Marsilia e d’Acquamorta, e per la Catalogna, e -nell’isola di Maiolica, e in Ispagna e in Granata. E nel 1349 ebbe -compreso fino nel ponente, le rive del Mare oceano, d’Europa e -d’Affrica e d’Irlanda, e l’isola d’Inghilterra e di Scozia, e l’altre -isole di ponente, e tutto infra terra con quasi eguale mortalità, salvo -in Brabante ove poco offese. E nel 1350 premette gli Alamanni, e gli -Ungheri, Frigia, Danesmarche, Gotti, e Vandali, e gli altri popoli e -nazioni settentrionali. E la successione di questa pestilenzia durava -nel paese ove s’apprendeva cinque mesi continovi, ovvero cinque lunari: -e questo avemmo per isperienza certa di molti paesi. Avvenne, perchè -parea che questa pestifera infezione s’appiccasse per la veduta e -per lo toccamento, che come l’uomo, o la femmina o i fanciulli si -conoscevano malati di quella enfiatura, molti n’abbandonavano, e -innumerabile quantità ne morirono, che sarebbono campati se fossono -stati aiutati delle cose bisognevoli. Tra gl’infedeli cominciò questa -inumanità crudele, che le madri e’ padri abbandonavano i figliuoli, e -i figliuoli le madri e’ padri, e l’uno fratello l’altro e gli altri -congiunti, cosa crudele e maravigliosa, e molto strana dalla umana -natura, detestata tra i fedeli cristiani, nei quali, seguendo le -nazioni barbare, questa crudeltà si trovò. Essendo cominciata nella -nostra città di Firenze, fu biasimata da’ discreti la sperienza veduta -di molti, i quali si provvidono, e rinchiusono in luoghi solitari, -e di sana aria, forniti, d’ogni buona cosa da vivere, ove non era -sospetto di gente infetta; in diverse contrade il divino giudicio (a -cui non si può serrare le porti) gli abbattè come gli altri che non -s’erano provveduti. E molti altri, i quali si dispuosono alla morte per -servire i loro parenti e amici malati, camparono avendo male, e assai -non l’ebbono continovando quello servigio; per la qual cosa ciascuno -si ravvide, e cominciarono senza sospetto ad aiutare e servire l’uno -l’altro; onde molti guarirono, ed erano più sicuri a servire gli altri. -Nella nostra città cominciò generale all’entrare del mese d’aprile gli -anni _Domini_ 1348, e durò fino al cominciamento del mese di settembre -del detto anno. E morì tra nella città, contado e distretto di Firenze, -d’ogni sesso e di catuna età de’ cinque i tre, e più, compensando -il minuto popolo e i mezzani e’ maggiori, perchè alquanto fu più -menomato, perchè cominciò prima, ed ebbe meno aiuto, e più disagi e -difetti. E nel generale per tutto il mondo mancò la generazione umana -per simigliante numero e modo, secondo le novelle che avemmo di molti -paesi strani, e di molte provincie del mondo. Ben furono provincie nel -Levante dove vie più ne moriro. Di questa pestifera infermità i medici -in catuna parte del mondo, per filosofia naturale, o per fisica, o -per arte d’astrologia non ebbono argomento nè vera cura. Alquanti per -guadagnare andarono visitando e dando loro argomenti, li quali per la -loro morte mostrarono l’arte essere fitta, e non vera: e assai per -coscienza lasciarono a ristituire i danari che di ciò aveano presi -indebitamente. - -Avemmo da mercatanti genovesi, uomini degni di fede, che aveano avute -novelle di que’ paesi, che alquanto tempo innanzi a questa pestilenzia, -nelle parti dell’Asia superiore, uscì della terra, ovvero cadde da -cielo un fuoco grandissimo, il quale stendendosi verso il ponente, arse -e consumò grandissimo paese senza alcuno riparo. E alquanti dissono, -che del puzzo di questo fuoco si generò la materia corruttibile della -generale pestilenzia: ma questo non possiamo accertare. Appresso -sapemmo da uno venerabile frate minore di Firenze vescovo di .... del -Regno, uomo degno di fede, che s’era trovato in quelle parti dov’è -la città di Lamech ne’ tempi della mortalità, che tre dì e tre notti -piovvono in quello paese biscie con sangue che appuzzarono e corruppono -tutte le contrade: e in quella tempesta fu abbattuto parte del tempio -di Maometto, e alquanto della sua sepoltura. - - -CAP. III. - -_Della indulgenzia diede il papa per la detta pistolenza._ - -In questi tempi della mortale pestilenzia, papa Clemente sesto fece -grande indulgenza generale della pena di tutti i peccati a coloro che -pentuti e confessi la domandavano a’ loro confessori, e morivano: e in -quella certa mortalità catuno cristiano credendosi morire si disponea -bene, e con molta contrizione e pazienzia rendevano l’anima a Dio. - - -CAP. IV. - -_Come gli uomini furono peggiori che prima._ - -Stimossi per quelli pochi discreti che rimasono in vita molte cose, -che per la corruzione del peccato tutte fallirono agli avvisi degli -uomini, seguendo nel contradio maravigliosamente. Credetesi che gli -uomini, i quali Iddio per grazia avea riserbati in vita, avendo veduto -lo sterminio dei loro prossimi, e di tutte le nazioni del mondo, -udito il simigliante, che divenissono di migliore condizione, umili, -virtudiosi e cattolici, guardassonsi dall’iniquità e dai peccati, e -fossono pieni d’amore e di carità l’uno contra l’altro. Ma di presente -restata la mortalità apparve il contradio; che gli uomini trovandosi -pochi, e abbondanti per l’eredità e successioni dei beni terreni, -dimenticando le cose passate come state non fossono, si dierono alla -più sconcia e disonesta vita che prima non aveano usata. Perocchè -vacando in ozio, usavano dissolutamente il peccato della gola, i -conviti, taverne e delizie con dilicate vivande, e’ giuochi, scorrendo -senza freno alla lussuria, trovando nei vestimenti strane e disusate -fogge e disoneste maniere, mutando nuove forme a tutti gli arredi. E -il minuto popolo, uomini e femmine, per la soperchia abbondanza che -si trovarono delle cose, non voleano lavorare agli usati mestieri; e -le più care e dilicate vivande voleano per loro vita, e allibito si -maritavano, vestendo le fanti e le vili femmine tutte le belle e care -robe delle orrevoli donne morte. E senza alcuno ritegno quasi tutta -la nostra città scorse alla disonesta vita; e così, e peggio, l’altre -città e provincie del mondo. E secondo le novelle che sentire potemmo, -niuna parte fu, in cui vivente in continenzia si riserbasse, campati -dal divino furore, stimando la mano di Dio essere stanca. Ma secondo -il profeta Isaia, non è abbreviato il furore d’Iddio, nè la sua mano -stanca, ma molto si compiace nella sua misericordia, e però lavora -sostenendo, per ritrarre i peccatori a conversione e penitenzia, e -punisce temperatamente. - - -CAP. V. - -_Come si stimò dovizia, e seguì carestia._ - -Stimossi per il mancamento della gente dovere essere dovizia di tutte -le cose che la terra produce, e in contradio per l’ingratitudine degli -uomini ogni cosa venne in disusata carestia, e continovò lungo tempo: -ma in certi paesi, come narreremo, furono gravi e disusate fami. E -ancora si pensò essere dovizia e abbondanza di vestimenti, e di tutte -l’altre cose che al corpo umano sono di bisogno oltre alla vita, e il -contrario apparve in fatto lungamente; che due cotanti o più valsono -la maggior parte delle cose che valere non soleano innanzi alla detta -mortalità. E il lavorio, e le manifatture d’ogni arte e mestiero -montò oltre al doppio consueto disordinatamente. Piati, quistioni, -contraversie e riotte sursono da ogni parte tra’ cittadini di catuna -terra, per cagione dell’eredità e successioni. E la nostra città -di Firenze lungamente ne riempiè le sue corti con grandi spendii e -disusate gravezze. Guerre, e diversi scandali si mossono per tutto -l’universo, contro alle opinioni degli uomini. - - -CAP. VI. - -_Come nacque in Prato un fanciullo mostruoso._ - -In questo anno, del mese d’agosto, nacque in Prato uno fanciullo -mostruoso di maravigliosa figura, perocchè a uno capo e a uno collo -furono partiti e stesi due imbusti umani con tutte le membra distinte -e partite dal collo in giuso, senza niuna diminuzione che natura dia -a corpo umano: e catuno imbusto fu colle membra e natura masculina. Ma -l’uno corpo era maggiore che l’altro: e vivette questo corpo mostruoso -e maraviglioso quindici giorni, dando pronosticazione forse di loro -futuri danni, come leggendo appresso si potrà trovare. - - -CAP. VII. - -_Come alla compagnia d’Orto san Michele fu lasciato gran tesoro._ - -Nella nostra città di Firenze, l’anno della detta mortalità, avvenne -mirabile cosa: che venendo a morte gli uomini, per la fede che i -cittadini di Firenze aveano all’ordine e all’esperienza che veduta era -della chiara, e buona e ordinata limosina che s’era fatta lungo tempo, -e facea per li capitani della compagnia di Madonna santa Maria d’Orto -san Michele, senza alcuno umano procaccio, si trovò per testamenti -fatti (i quali testamenti nella mortalità, e poco appresso, si poterono -trovare e avere) che i cittadini di Firenze lasciarono a stribuire a’ -poveri per li capitani di quella compagnia più di trecentocinquanta -migliaia di fiorini d’oro. Che vedendosi la gente morire, e morire -i loro figliuoli e i loro congiunti, ordinavano i testamenti, e chi -avea reda che vivesse, legava la reda, e se la reda morisse, volea la -detta compagnia fosse reda; e molti che non avevano alcuna reda, per -divozione dell’usata e santa limosina che questa compagnia solea fare, -acciocchè il suo si stribuisse a’ poveri com’era usato, lasciavano di -ciò ch’aveano reda la detta compagnia: e molti altri non volendo che -per successione il suo venisse a’ suoi congiunti, o a’ suoi consorti, -legavano alla detta compagnia tutti i loro beni. Per questa cagione, -restata la mortalità in Firenze, si trovò improvviso quella compagnia -in sì grande tesoro, senza quello che ancora non potea sapere. E i -mendichi poveri erano quasi tutti morti, e ogni femminella era piena -e abbondevole delle cose, sicchè non cercavano limosina. Sentendosi -questo fatto per cittadini, procacciarono molti con sollecitudine -d’essere capitani per potere amministrare questo tesoro, e cominciarono -a ragunare le masserizie e’ danari; ch’avendo a vendere le masserizie -nobili de’ grandi cittadini e mercatanti, tutte le migliori e le più -belle voleano per loro a grande mercato, e l’altre più vili faceano -vendere in pubblico, e i danari cominciarono a serbare, e chi ne tenea -una parte, e chi un’altra a loro utilità. E non essendo in quel tempo -poveri bisognosi, facevano le limosine grandi ciascuno capitano ove più -gli piaceva, poco a grado a Dio e alla sua madre. E per questo indebito -modo si consumò in poco tempo molto tesoro. E quando veniva il tempo di -rifare i nuovi capitani, i cittadini amici de’ vecchi si facevano fare -capitani nuovi da loro che avevano la balía, con molte preghiere, e -altre promessioni, intendendosi insieme per poco onesta intenzione. Le -possessioni della compagnia allogavano per amistà e buon mercato, e le -vendite faceano disonestamente. I cittadini ch’erano avviluppati nelle -mani de’ detti capitani per li lasci, e per le dote, e per li debiti, -e per le participazioni di quelli beni, e per l’altre successioni non -si poteano per lunghi tempi spacciare da loro: e ogni cosa sosteneano -in lunga contumacia senza sciogliere, se per speziale servigio non si -facea. E fu tre anni continovi più grande la loro corte che quella del -nostro comune. E avvedendosi i cittadini della ipocrisia de’ capitani, -acciocchè più non seguitasse la elezione, che l’uno facesse l’altro, -ordinarono che i capitani si chiamassono per lo consiglio. In processo -di tempo il comune prese de’ danari del mobile della detta compagnia -alcuna parte, vedendo che male si stribuivano per li capitani. E per le -dette cagioni la fede di quella compagnia tra’ cittadini e’ contadini -cominciò molto a mancare, avvelenata per lo disordinato tesoro, e per -gli avari guidatori di quello. E per lo simigliante modo fu lasciato -a una nuova compagnia chiamata la compagnia della Misericordia, -tra in mobile e in possessioni, il valore di più di venticinquemila -fiorini d’oro, i quali si stribuirono poco bene per lo difetto de’ -capitani che gli aveano a stribuire. E allo spedale di santa Maria -Nuova di san Gilio fu anche lasciato in quella mortalità il valore -di venticinquemila fiorini d’oro. Questi lasci di questo spedale si -stribuirono assai bene, perocchè lo spedale è di grande elemosina, e -sempre abbonda di molti infermi uomini e femmine, i quali sono serviti -e curati con molta diligenza e abbondanza di buone cose da vivere, e da -sovvenire a’ malati, governandosi per uomini e femmine di santa vita. - - -CAP. VIII. - -_Come in Firenze da prima si cominciò lo Studio._ - -Rallentata la mortalità, e assicurati alquanto i cittadini che -aveano a governare il comune di Firenze, volendo attrarre gente alla -nostra città, e dilatarla in fama e in onore, e dare materia a’ suoi -cittadini d’essere scienziati e virtudiosi, con buono consiglio, il -comune provvide e mise in opera che in Firenze fosse generale studio -di catuna scienzia, e in legge canonica e civile, e di teologia. E a -ciò fare ordinarono uficiali, e la moneta che bisognava per avere i -dottori delle scienze: stanziò si pagassono annualmente dalla camera -del comune; e feciono acconciare i luoghi dello Studio in su la via -che traversa da casa i Donati a casa i Visdomini, in su i casolari -de’ Tedaldini. E piuvicarono lo studio per tutta Italia; e avuti -dottori assai famosi in tutte le facultà delle leggi e dell’altre -scienze, cominciarono a leggere a dì 6 del mese di novembre, gli -anni di Cristo 1348. E mandato il comune al papa e a’ cardinali a -impetrare privilegio di potere conventare in Firenze in catuna facultà -di scienza, ed avere le immunità e onori che hanno gli altri studi -generali di santa Chiesa, papa Clemente sesto, con suoi cardinali, -ricevuta graziosamente la domanda del nostro comune, e considerando -che la città di Firenze era braccio destro in favore di santa Chiesa, -e copiosa d’ogni arte e mestiere, e che questo che s’addomandava era -onore virtudioso, acciocchè ’l buono cominciamento potesse crescere -successivamente in frutto di virtudi, di comune concordia di tutto il -collegio, e del papa, concedettono al nostro comune privilegio, che -nella città di Firenze si potesse dottorare, e ammaestrare in teologia, -e in tutte l’altre facultadi delle scienze generalmente. E attribuì -tutte le franchigie e onori al detto Studio che più pienamente avesse -da santa Chiesa Parigi o Bologna, o alcuna altra città de’ cristiani. -Il privilegio bollato della papale bolla venne a Firenze, dato in -Avignone dì 31 di maggio, gli anni _Domini_ 1349, l’ottavo anno del suo -pontificato. - - -CAP. IX. - -_Raggiugnimento di principii che furono cagione di grandi novitadi nel -Regno._ - -Avvegnachè nella cronica del nostro anticessore sia trattato della -novità sopravvenuta nel regno di Cicilia e di qua dal faro, insino -al tempo vicino alla nominata mortalità, nondimeno la nostra materia -richiede (acciocchè meglio s’intendano le cose che nel nostro tempo poi -seguiranno) che qui s’accolgano alquanti principii che furono materia e -cagioni di gravi movimenti. Il re Ruberto rimorso da buona coscienza, -avendo con Carlo Umberto di suo lignaggio re d’Ungheria trattato la -restituzione del suo reame dopo la sua morte a’ figliuoli del detto -Carlo, nipoti di Carlo Martello primogenito di Carlo secondo, a cui -di ragione succedea il detto reame di Cicilia, e fermata la detta -restituzione con promissione di matrimonio, sotto certe condizioni de’ -figliuoli del detto Carlo Umberto, e delle due figliuole di M. Carlo -duca di Calavra, figliuolo che fu del detto re Ruberto. E avendo già -accresciuto appresso di se il re Ruberto Andreasso figliuolo di Carlo -Umberto, e fattolo duca di Calavra, a cui si dovea dare per moglie -Giovanna primagenita del detto Carlo, nipote del re Ruberto, acciocchè -fosse successore del reame dopo la sua morte; e la detta Giovanna -reina, con condizioni ordinate per li casi che avvenire poteano, -che l’una succedesse all’altra in caso di mancamento di figliuoli, -acciocchè la successione del Regno non uscisse delle nipoti. Vedendosi -appressare alla morte, tanto fu stretto dallo amore della propria -carne, ch’egli commise errori i quali furono cagione di molti mali. -Perocchè innanzi la sua morte fece consumare il matrimonio del detto -duca Andreasso alla detta Giovanna sua nipote, e lei intolò reina. E -a tutti i baroni, reali, e feudatari e uficiali del Regno fece fare -il saramento alla detta reina Giovanna, lasciando per testamento, che -quando Andreasso duca di Calavra, e marito della detta reina Giovanna, -fosse in età di ventidue anni, dovesse essere coronato re del suo reame -di Cicilia. Onde avvenne che ’l senno di cotanto principe accecato -del proprio amore della carne, morendo lasciò la giovane reina ricca -di grande tesoro, e governatora del suo reame, e povera di maturo -consiglio, e maestra e donna del suo barone, il quale come marito dovea -essere suo signore. E così verificando la parola di Salomone, il quale -disse, se la moglie avrà il principato, diventerà contraria al suo -marito. La detta Giovanna vedendosi nel dominio, avendo giovanile e -vano consiglio, rendeva poco onore al suo marito, e reggeva e governava -tutto il Regno con più lasciva e vana che virtudiosa larghezza: e -l’amore matrimoniale per l’ambizione della signoria, e per inzigamento -di perversi e malvagi consigli, non conseguiva le sue ragioni, ma -piuttosto declinava nell’altra parte. E però si disse che per fattura -malefica la reina parea strana dall’amore del suo marito. Per la qual -cagione de’ reali e assai giovani baroni presono sozza baldanza, e poco -onoravano colui che attendevano per loro signore. Onde l’animo nobile -del giovane, vedendosi offendere, e tenere a vile a’ suoi sudditi, -lievemente prendeva sdegni. E moltiplicando le ingiurie per diversi -modi, dalla parte della sua donna e de’ suoi baroni, per giovanile -incostanza, alcuna volta con la reina, alcuna volta con i baroni usò -parole di minacce, per le quali, coll’altra materia che qui abbiamo -detta, appressandosi il tempo della sua coronazione, s’avacciò la -crudele e violente sua morte. Onde avvenne, che per fare la vendetta -Lodovico re d’Ungheria, fratello anzinato del detto Andreasso, con -forte braccio venne nel Regno non contastato da niuno de’ reali, o -da altro barone, se non solo da M. Luigi di Taranto, il quale dopo la -morte del duca Andreasso, per operazione della imperadrice sua madre, -di M. Niccola Acciaiuoli di Firenze suo balio, avea tolta la detta -reina Giovanna per sua moglie. E innanzi la dispensagione, ch’era sua -nipote in terzo grado, temendo il giovane d’entrare nella camera alla -reina, confortatolo, e presolo per lo braccio dal detto suo balio, -in segreto sposò la detta donna: e in palese fu dispensato il detto -matrimonio da santa Chiesa. Il quale M. Luigi si mise a contastare -alcuno tempo alla gente del detto re d’Ungheria, venuta innanzi che -la persona del detto re. Ma sopravvenendo il re, la reina Giovanna -in prima, e appresso M. Luigi, con certe galee in fretta, e male -provveduti fuori che dello scampo delle persone, fuggirono in Toscana, -e poi passarono in Proenza. - - -CAP. X. - -_Come il re d’Ungheria fece ad Aversa uccidere il duca di Durazzo._ - -Lodovico re d’Ungheria giunto ad Aversa, fece suo dimoro in quel luogo -ove fu morto il fratello. E ivi tutti i baroni del Regno l’andarono a -vicitare, e fare la reverenza come zio, e governatore di Carlo Martello -infante, figliuolo del detto duca Andreasso, e della reina Giovanna, -a cui succedeva il reame. I reali, ciò furono M. Ruberto prenze di -Taranto, M. Filippo suo fratello, M. Carlo duca di Durazzo, che avea -per moglie donna Maria sirocchia della reina Giovanna, e M. Luigi e -M. Ruberto suoi fratelli andarono ad Aversa confidentemente a fare -la reverenza al detto re d’Ungheria; e ricevuti da lui con infinta e -simulata festa, stettono con lui infino al quarto giorno. E mosso per -andare da Aversa a Napoli con grande comitiva, oltre alla sua gente, -di quella de’ reali e del Regno, rimaso addietro, e cavalcando con -lui il duca di Durazzo, il re gli disse: menatemi dove fu morto mio -fratello. E senza accettare scusa condotto al luogo, il detto duca di -Durazzo sceso del palafreno, già conoscendo il suo mortale caso, disse -il re: traditore del sangue tuo, che farai? E tirato per forza, come -era ordinato, infino ove fu strangolato il duca Andreasso, tagliatali -la testa da un infedele Cumino, in sul sabbione dal Gafo fu in due -pezzi gittato, in quell’orto e in quello luogo dove fu gittato il duca -Andreasso. E in quello stante furono presi gli altri reali, e ordinata -la condotta sotto buona guardia, e con loro il piccolo infante Carlo -Martello, furono mandati in Ungheria. Il quale Carlo poco appresso -giunto in Ungheria morì. E M. Ruberto prenze di Taranto, e ’l fratello -e’ cugini furono messi in prigione, e insieme ritenuti sotto buona -guardia. - - -CAP. XI. - -_La cagione della morte del duca di Durazzo._ - -Questo duca di Durazzo non si trovò che fosse autore della morte del -duca Andreasso, ma però ch’egli come molto astuto, avea, non senza -alcuna espettazione di speranza del Regno, coll’aiuto del zio cardinale -di Pelagorga, procacciato dispensazione dal papa, colla quale ruppe -quattro grandi misteri. Ciò furono, violando il testamento e l’ordine -e la concordia presa dal re Ruberto, e Umberto Martello re d’Ungheria, -ove era disposto che il matrimonio di dama Maria sirocchia della -reina Giovanna si dovesse fare, a conservagione della successione -del regno colla casa di Carlo Umberto, discendenti di Carlo Martello, -in certo caso di morte, o di mancamento di figliuoli alla reina. La -quale Maria il detto duca si prese per moglie. E il saramento di -ciò prestato per lo detto duca, e per altri reali in sul corpo di -Cristo; e la dispensagione di potere prendere la nipote per moglie, -la quale si prese e menò di quaresima. E bene che col duca Andreasso -si ritenesse mostrandoli amore, nondimeno lungo tempo segretamente -fece impedire a corte la diliberazione della sua coronazione. Onde -per questo soprastare fu fatto l’ordine e messo a esecuzione il -detestabile e patricida della sua morte: e questa fu la cagione perchè -il re d’Ungheria il fece morire. Di questa morte, e della carceragione -de’ reali nacque grande tremore a tutto il regno. E fu il re reputato -crudele non meno per la carceragione degl’innocenti giovani reali, che -per la morte del duca di Durazzo. - - -CAP. XII. - -_Come il re d’Ungheria entrò in Napoli._ - -Fatta il re d’Ungheria parte della sua vendetta, e ricevuto in Napoli -come signore, e ordinato i magistrati, e comandato giustizia per tutto -il regno, cominciò ad andare vicitando le città e le provincie. E -da tutti i baroni prese saramento per Carlo Martello suo nipote. E -nell’anno 1348 quasi tutto il regno l’ubbidia, salvo che in Puglia -era contra lui il forte castello d’Amalfi della montagna, il quale si -teneva per la reina, e per M. Luigi di Taranto. E questo guardavano -masnade italiane con cento cavalieri tedeschi, capitano della gente -e del castello M. Lorenzo figliuolo di M. Niccola degli Acciaiuoli di -Firenze, giovane cavaliere, e di grande cuore, e di buono aspetto. Non -avendo ancora mandato il detto re in terra d’Otranto, nè in Calavra, -i giustizieri che v’erano per la reina faceano l’uficio per lei, e non -ubbidivano al re d’Ungheria, ed egli non strignea il paese, e però non -vi si mostrava ribellione. - - -CAP. XIII. - -_Come il re d’Ungheria vicitava il regno di Puglia._ - -In questi dì essendo la mortalità già cominciata nel Regno per tutto, -nondimeno il re cavalcava vicitando le terre del Regno. Ed essendo -stato in Abruzzi, in Puglia, e in Principato, tornò a Napoli del mese -d’aprile del detto anno: e trovati già morti alquanti de’ suoi baroni, -sentì che certi conti e baroni del Regno faceano cospirazione contro -a lui. E impaurito in se medesimo per la morte de’ suoi, e per la -generale mortalità, avegnachè fosse di molto franco cuore, non gli -parve tempo da ricercare quelle cose con alcuno sospetto: anzi con -savia continenza mostrava a’ baroni piena confidenza. E copertamente -(eziandio al suo privato consiglio) intendea a fornire tutte le buone -terre e castella del Regno di gente d’arme e di vittuaglia. E con seco -aveva uno barone della Magna che avea nome Currado Lupo. Costui aveva -il re provato fedele e ardito in molti suoi servigi, e a lui accomandò -milledugento cavalieri tedeschi che aveva nel Regno. E un suo fratello, -ch’avea nome Guelforte, mise nel castello nuovo di Napoli dove era -l’abitazione reale, con buona compagnia, e bene fornito d’ogni cosa -da vivere, e d’arme e di vestimento e calzamento, e gli accomandò la -guardia di quello castello; e fornì il castello di Capovana, e quello -di Santermo sopra la città di Napoli, e il castello dell’Uovo. E -tratto del Regno il doge Guernieri Tedesco, cui egli avea soldato con -millecinquecento barbute quando entrò nel Regno, non fidandosi di lui, -lasciò suo vicario alla guardia del detto reame il detto Currado Lupo; -e ’l doge Guernieri malcontento del re, con sue masnade di Tedeschi si -ridusse in Campagna. - - -CAP. XIV. - -_Come il re d’Ungheria partitosi del Regno tornò in Ungheria._ - -Avendo il detto re ordinata la sua gente e le sue terre in tutte le -parti del Regno, le quali e’ possedeva: e ammaestrati in segreto i -suoi vicari e castellani di buona guardia, non mostrando a’ baroni -del Regno, nè eziandio a’ suoi, che del Regno si dovesse partire, si -mosse da Napoli, dove avea fatto poco dimoro, e andonne in Puglia; e -ordinata la guardia delle terre e delle castella di là in mano di suoi -Ungheri, avendo fatto armare nel porto di Barletta una sottile galea, -subitamente, improvviso a tutti quelli del Regno, all’uscita di Maggio -l’anno 1348, vi montò suso con poca compagnia, e fece dare de’ remi in -acqua, e senza arresto valicò sano e salvo in Ischiavonia, e di là con -pochi compagni a cavallo se n’andò in Ungheria. Questa subita partita -di cotanto re fu tenuta follemente fatta da molti, e da lieve e non -savio movimento d’animo, e molti il ne biasimarono. Altri dissono che -provvedutamente e con molto senno l’avea fatto, avendo diliberato il -partire nell’animo suo per tema della mortalità, e non vedendo tempo -da potersi scoprire contra i baroni, i quali sentiva male disposti -alla sua fede, come detto è, e commendaronlo di segreto e provveduto -partimento. - - -CAP. XV. - -_Novità del reame di Tunisi, e più rivolgimenti di quello._ - -In questo mese di maggio avendo Balase re del Garbo e della Bella -Marina prima conquistato il reame di Trenusi, e montatone in superbia -ambizione, trattò con Alesbi fratello del re di Tunisi: e fatta sua -armata per mare, e grande oste per terra, improvviso al re di Tunisi -fu addosso, e senza contasto, avendo il ricetto d’Alesbi, entrò -nella città, e prese il re, e di presente il fece morire. E avendo la -signoria, non attenne i patti ad Alesbi, il quale partito di Tunisi, -e aggiuntosi grande copia d’Arabi del reame, venne verso Tunisi. Il -re Balase accolta grande oste andò contro a lui, e commissono insieme -mortale battaglia, nella quale morì la maggiore parte della gente del -re Balase, ed egli sconfitto si fuggì in Carvano, suo forte castello; -e assediato in quello dagli Arabi, per danari s’acconciò con loro, e -tornossi a Tunisi. Alesbi da capo co’ gli Arabi tornò sopra Tunisi: ma -Balase si tenea la guardia delle terre, sicchè gli Arabi non potendo -combattere si tornarono in loro pasture. Avea Balase quando si partì -di suo reame lasciato nella città reale di Fessa Maumetto suo nipote, -e in Tremus Buevem suo figliuolo. Costoro avendo sentito come Balase -era sconfitto e assediato dagli Arabi, senza sapere l’uno dell’altro, -catuno si rubellò e fecionsi fare re: il figliuolo in Tremus, e il -nipote in Fessa. E sentendo Buevem che Maumetto s’era levato re in -Fessa, parendogli ch’egli avesse occupata la sua eredità, propose -nell’animo suo d’abbatterlo, e così gli venne fatto, come innanzi al -suo debito tempo racconteremo. - - -CAP. XVI. - -_Come per la partita del re d’Ungheria del Regno i baroni e’ popoli si -dolsono._ - -Sentendo gli uomini e i baroni del Regno la subita partita del re -d’Ungheria si maravigliarono forte, non ne avendo di ciò conosciuto -alcuno indizio. E molte comunanze e baroni ch’amavano il riposo del -Regno, e portavano fede alla sua signoria ne furono dolenti; perocchè -non ostante che fosse nato e nutricato in Ungheria, e avesse con seco -assai di quella gente barbara, molto mantenea grande giustizia, e non -sofferia che sua gente facesse oltraggio o noia a’ paesani, anzi gli -puniva più gravemente: e fece de’ suoi Ungheri per non troppo gravi -falli aspre e spaventevoli giustizie. E le strade e i cammini facea -per tutto il Regno sicure. E avea spente le brigate de’ paesani, delle -quali per antica consuetudine soleano grandi congregazioni di ladroni -fare, i quali sotto loro capitani conturbavano le contrade e’ cammini: -e per questo pareva a’ paesani essere in istato tranquillo e fermo da -dovere bene posare. E alquanti altri baroni che male si contentavano, -e gentili uomini di Napoli, per la morte del duca di Durazzo, e per -la presura de’ reali a cui e’ portavano grande amore, e perchè il -re non facea loro troppo onore, gli volevano male, e furono contenti -della sua partita. Gli altri se ne dolsono assai, e parve loro che il -Regno rimanesse in fortuna e in male stato, e che il peccato commesso -della morte del re Andreasso, e l’aggravamento de’ peccati commessi -per la troppa quiete de’ paesani, e per la soperchia abbondanza in -che si sconoscevano a Dio, non fosse punita, e meritasse maggior -disciplina e spogliamento di que’ beni, dai quali procedeva la viziosa -ingratitudine, come avvenne, e seguendo nostra materia diviseremo. - - -CAP. XVII. - -_Come si reggeva la sua gente nel Regno partito il re._ - -Partito il re d’Ungheria del Regno, la cavalleria dei Tedeschi e -degli Ungheri, governata per buoni capitani, con le masnade de’ fanti -a piè toscani che aveano con loro, si manteneano chetamente senza -villaneggiare i paesani. E rispondea l’una gente all’altra tutti -ubbedendo a M. Currado Lupo, cui il re avea lasciato vicario, il quale -manteneva giustizia ov’egli distrignea. E gli uomini del Regno benchè -si vedessono in debole signoria, non si ardivano a muovere contro -ai forestieri, e non parea però loro bene stare. Ma i baroni che non -amavano il re d’Ungheria, volevano che la reina e M. Luigi tornassono -nel Regno; e l’università di Napoli, co’ gentiluomini di Capovana e di -Nido, d’un animo deliberarono il simigliante; e mandarono in Proenza, -dicendo che di presente dovessono tornare nel Regno, e fare capo a -Napoli ove sarebbono ricevuti onorevolemente, mostrando come i paesani -si contentavano male della signoria de’ Tedeschi e degli Ungheri, e che -in brieve tempo col loro aiuto sarebbono signori del reame. Aggiugnendo -che i soldati Ungheri e Tedeschi si rammaricavano forte, che il re -d’Ungheria non mandava danari per le loro paghe, ond’eglino erano di -lui malcontenti; e il doge Guernieri colla sua compagnia de’ Tedeschi -ch’era in Campagna s’offeria d’essere colla reina e con M. Luigi contro -alla gente del re d’Ungheria, in quanto il volesse conducere al suo -soldo: promettendo fedelmente per se e per le sue masnade d’aiutarli -riacquistare il Regno. - - -CAP. XVIII. - -_Come messer Luigi si fe’ titolare re al papa, e mandò nel Regno._ - -Messer Luigi trovandosi in corte di papa marito della regina Giovanna, -e non re, gli parve, avendo diliberato di tornare nel Regno, che li -fosse di necessità avere titolo di re: acciocchè avendo a governare -colla reina le cose del reame, e a fare lettere da sua parte e della -reina, il titolo non disformasse, perocchè ancora la santa Chiesa -non avea diliberato di farlo re di Cicilia, si fece titolare il re -Luigi d’altro reame, il quale non avea, nè era per poter avere. E -d’allora innanzi cominciarono a scrivere le lettere intitolandole in -questo modo: _Ludovicus et Ioanna Dei gratia rex et regina Hierusalem -et Ciciliae_. E d’allora innanzi M. Luigi fu chiamato re. Il detto -re Luigi e la reina Giovanna avendo il conforto del ritornare nel -Regno, come detto è, senza soggiorno procacciarono di ciò fare. E -trovandosi poveri di moneta, richiesono d’aiuto il papa e i cardinali, -il quale non impetrarono. Allora per necessità venderono alla Chiesa -la giurisdizione che la reina avea nella città di Vignone per fiorini -trentamila d’oro. E nondimeno richiesono baroni, e comunanze, e -prelati, limosinando d’ogni parte per lo stretto bisogno. E con -molta fatica feciono armare dieci galee di Genovesi, e pagaronle -per quattro mesi. E in questo mezzo il re Luigi mandò innanzi a -se nel Regno M. Niccola Acciaiuoli di Firenze suo balio con pieno -mandato, il quale trovando la materia disposta al proponimento del suo -signore, incontanente condusse il doge Guernieri, ch’era in Campagna -con milledugento barbute di Tedeschi, ch’erano in sua compagnia. E -ordinato le cose prestamente, mandò sollecitando il re e la reina che -senza indugio venissono a Napoli con le loro galee: che essendo nel -Regno le loro persone, con l’aiuto di Dio e de’ baroni del Regno, che -desideravano la loro tornata, e de’ Napolitani, e del doge Guernieri, -cui egli avea condotto con buone masnade, e con le sue galee e’ -sarebbono a queto signori del Regno, e non conoscea che la gente del -re d’Ungheria a questo potesse riparare, sicchè in brieve al tutto -sarebbono signori. - - -CAP. XIX. - -_Come il re e la reina ritornarono nel Regno._ - -Avendo il re e la reina queste novelle, incontanente con quei baroni -che poterono accogliere di Proenza, e con la loro famiglia, si -raccolsono a Marsilia in su le dette dieci galee de’ Genovesi: ed -avendo il tempo acconcio al loro viaggio, sani e salvi in pochi giorni -arrivarono a Napoli, all’uscita del mese d’agosto del detto anno. -E perocchè le castella di Napoli, e quello dell’Uovo, e il castello -di Santermo, e ’l porto e la Tenzana erano nella signoria e guardia -della gente del re d’Ungheria, non si poterono mettere nel porto, nè -in quelle parti; anzi arrivarono fuori di Napoli sopra santa Maria del -Carmino, di verso ponte Guicciardi, e ivi scesono in terra; e il re e -la reina entrarono nella chiesa di Nostra Donna per aspettare i baroni -e l’università di Napoli, che gli conducessono nella città. - - -CAP. XX. - -_Come il re e la reina Giovanna entrarono in Napoli a gran festa._ - -I baroni ch’erano accolti a Napoli, aspettando la venuta del re e -della reina con la loro cavalleria, de’ quali erano caporali quegli -di san Severino, e della casa del Balzo, l’ammiraglio conte di -Montescheggioso, quelli dello Stendardo, il conte di Santo Agnolo, -que’ della casa della Raonessa, e di Catanzano, e molti altri. I quali -forniti di molti cavalli e di ricchi arredi e di nobili robe e arnesi, -con loro scudieri vestiti d’assise, e’ gentili uomini di Napoli con -loro proprio, apparecchiati pomposamente a cavallo e a piè con molta -festa si misono ad andare al Carmino per conducere il re e la reina -in Napoli con molta allegrezza; e da parte i Fiorentini e Sanesi e -Lucchesi mercatanti che allora erano in Napoli, e Genovesi e Provenzali -e altri forestieri, catuna gente per se, vestiti di ricche robe di -velluti e di drappi di seta e di lana, con molti stormenti d’ogni -ragione, sforzando la dissimulata festa, andarono incontro al re e -alla reina. E giunti a loro, e fatta catuna compagnia la riverenza, -apparecchiati nobilissimi destrieri, montati a cavallo, addestrati -da’ baroni, sotto ricchi palii d’oro e di seta con molte compagnie -d’armeggiatori innanzi, in prima il re, a cui andava in fronte il duca -Guernieri co’ suoi Tedeschi, smovendo il popolo, e dicendo: gridate -viva il signore: e così gridando, fu la parola da molti notata, perchè -era a loro nuovo titolo, non dicendosi viva il re, e con ragione dire -non lo potevano a quella stagione. E con questa festa il condussono -a Napoli; e perchè l’abitazioni reali erano tutte nella forza de’ -nemici, il collocarono ad Arco, sopra Capovana, nelle case che furono -di messere Aiutorio. E appresso di lui con somigliante festa vi -condussono la reina. La gente, benchè sforzata si fosse di fare festa, -pure s’avvedea per le molte città e castella che il re d’Ungheria avea -nel Regno, e per la buona gente che v’era alla guardia, che questa -tornata del re Luigi e della reina Giovanna era piuttosto aspetto di -guerra e di grande spesa, e sconcio del paese e della mercanzia e de’ -forestieri, che cominciamento di riposo, come poi n’avvenne. - - -CAP. XXI. - -_Come il re Luigi si fe’ fare cavaliere, e da cui._ - -Vedendosi il re Luigi, e conoscendo il bisogno che avea di buono -aiuto, e veggendo che la maggiore forza de’ suoi cavalieri era nel -duca Guernieri, acciocchè per onorevole beneficio più lo traesse alla -sua fede e amore, ordinò di farsi fare cavaliere per le sue mani, -della qual cosa avvilì se, per onorare altrui. E ordinata gran festa -per la sua cavalleria, del mese di settembre del detto anno, si fece -fare cavaliere al detto doge Guernieri, ed egli in quello stante fece -appresso ottanta altri cavalieri della città di Napoli, e d’altri -paesi del Regno. La libertà grande che ’l re dimostrò nel tedesco duca -Guernieri tosto trovò vana in colui, come per la sua corrotta fede nel -processo della nostra materia al suo tempo racconteremo. - - -CAP. XXII. - -_Brieve raccontamento di cose fatte per il re d’Inghilterra contra -quello di Francia._ - -Richiede il nostro proponimento, per le cose che avremo a scrivere de’ -fatti del re di Francia e di quello d’Inghilterra per la loro guerra, -che noi ci traiamo un poco addietro alle cose occorse più vicine, -acciocchè quelle che seguiranno abbiano più chiaro intendimento. -Essendo il valoroso re Adoardo d’Inghilterra passato in Normandia, del -mese d’agosto, gli anni di Cristo 1347, e avendo preso Camoboroso e -Saulu e più altre ville, venendo verso Parigi con quattromila cavalieri -e quarantamila sergenti, tra’ quali avea molti arcieri, e fatto -d’arsioni e di preda gravi danni al paese, s’accampò a Pussì e a San -Germano, presso a Parigi a due leghe. Il re di Francia era andato colla -sua forza verso Camo per farlisi incontro, e non trovandolo nel paese, -si tornò addietro, e accolta molta baronia e cavalieri e sergenti -di suo vassallaggio, s’accampò fuori di Parigi con più di settemila -cavalieri e sessantamila sergenti: il re d’Inghilterra, sentendo la -tornata del re di Francia, si levò da campo scostandosi da Parigi. -Il re di Francia con grande baldanza il seguitò con la sua gente, -tanto che sopraggiunse il re d’Inghilterra, che andava assai a lenti -passi per non mostrare paura: e aggiugnendosi l’una oste all’altra, -il re d’Inghilterra vedendosi presso il re di Francia, e quello di -Boemia e quello di Maiolica con molti baroni, e con più di due tanti -cavalieri che non avea egli, come signore di grande cuore e ardire, -di presente s’apparecchiò alla battaglia, intra Crescì e Albevilla. -E ordinò tutto il suo carreaggio alla fronte a modo d’una schiera, e -di sopra alle carra mise i cavalieri armati, e a piè d’ogni parte i -suoi arcieri. E sopravvenendo l’assalto de’ Franceschi, baldanzosi, -con grande empito cominciarono la battaglia. Gl’Inglesi fermi al loro -carreaggio, con l’ordine dato agli arcieri, senza perdere colpo, -di loro saette fedivano i cavalli e’ cavalieri de’ Franceschi. E -vedendo gl’Inglesi fediti molti de’ cavalli e de’ cavalieri de’ loro -avversari, a uno segno dato ordinate le guardie de’ sergenti sopra il -carreaggio, corsono i cavalieri a’ loro cavalli che aveano a destro -dietro al carriaggio, e montati e assettati sopra i loro cavalli, -con savia condotta vennono alle spalle de’ nimici, ed assalirono i -Franceschi con dura battaglia. I Franceschi che erano re e baroni -d’alto pregio manteneano la battaglia vigorosamente, la quale durò -da mezza nona alle due ore di notte; ove si dimostrarono di grandi -operazioni d’armi di valorosi baroni e cavalieri da catuna parte. Ma -perocchè i Franceschi e i loro cavalli erano più stanchi e magagnati -dalle saette degl’Inglesi, e molti conducitori di loro morti, come fu -la volontà d’Iddio la vittoria rimase al re d’Inghilterra, con grande -e grave danno de’ Franceschi. Morto vi fu il valente re di Boemia, -figliuolo dello imperatore Arrigo di Luzimborgo, e il duca di Loreno, -il conte di Lanzone fratello del re di Francia, e sei altri conti, con -milleseicento cavalieri grande parte baroni e banderesi, e morironvi -ventimila pedoni; fra i quali furono i Genovesi che erano andati là -con dodici galee, che pochi ne camparono. Ed il re Filippo di Francia -di notte, con sei tra prelati e baroni, e sessanta sergenti a piè, -uscì della battaglia, e campò per grazia della notte. Sul campo si -trovarono molti cavalli morti e bene quattromila fediti. E fatta questa -battaglia a dì 26 d’agosto nel 1347, il re d’Inghilterra poco appresso -pose assedio al forte castello di Calese sulla marina, e per assedio il -vinse: e fattolo più forte, per avere porto nel reame e nella marina -di Francia, lasciato nel paese il conte d’Erbi duca di Lancastro, -suo cugino, a guerreggiare, con duemila cavalieri e ventimila pedoni -i più arcieri, con grande onore si tornò in Inghilterra. Il conte -d’Erbi entrò in Guascogna l’anno appresso, e conquistò più terre di -quelle che vi tenea il re di Francia; e rotti in più abboccamenti i -cavalieri franceschi, se ne venne cavalcando e predando il paese infino -alla città di Tolosa; ma aggravando la mortalità quei paesi, si tornò -addietro con grande preda. E fatta tregua dall’uno re all’altro, con -grande onore del re d’Inghilterra, posò la guerra per alcuno tempo. - - -CAP. XXIII. - -_Come gli Ubaldini furo cominciatori della guerra che il comune di -Firenze ebbe con loro._ - -Avendo narrato de’ fatti de’ due reami, cominciano le novità della -nostra città di Firenze. Negli anni di Cristo 1348, essendo gli -Ubaldini in pace, ma in corrotta fede col nostro comune, fidandosi -nelle loro alpigiane fortezze, cominciarono a ricettare sbanditi del -comune di Firenze: e insieme con loro entravano di notte nel Mugello, -rubando le case e uccidendo gli uomini, e ricoglieansi nell’alpe con -le ruberie. E avendo fatto questo più volte di notte, il cominciarono -a fare di dì. E tornando d’Avignone uno Maghinardo da Firenze con -duemila fiorini d’oro, gli Ubaldini il seguirono e uccisono, rubandolo -sul contado di Firenze. E non volendone fare ammenda alla richesta del -comune, i Fiorentini mandarono nell’alpe suoi soldati a piè e a cavallo -col capitano della guardia. E stati più dì sopra le terre e sopra i -fedeli degli Ubaldini feciono loro gran danno, e senza alcuno contasto -si tornarono a Firenze. - - -CAP. XXIV. - -_Come i fedeli del conte Galeotto si rubellarono da lui e dieronsi al -comune di Firenze._ - -In questo anno, i fedeli del conte Galeotto de’ conti Guidi si -rubellarono da lui, perocchè lungamente gli avea male trattati, per -sua crudeltà e dissoluta vita: e all’entrata del mese di marzo del -detto anno gli tolsono il forte castello di san Niccolò, e tutte le sue -terre e tenute intorno a quello, e ’l suo tesoro e arnesi, che n’era -fornito nobilmente, e di presente si diedono al comune di Firenze. Il -quale, perocchè il detto conte sempre avea nimicato il nostro comune, -perocchè era ghibellino, ricevette la fortezza e gli uomini in sua -giurisdizione e libera signoria, con quelle solenni cautele che i -detti uomini poterono fare; e fecionli popolani e contadini, dando loro -per alcuno tempo certe immunità. E ordinata la guardia delle castella -nelle mani de’ cittadini, a’ popoli diede podestà che gli reggesse, e -messe le castella e gli uomini ne’ suoi registri. Dinominò e intitolò -l’acquisto, il contado di san Niccolò del comune di Firenze. - - -CAP. XXV. - -_Come i Fiorentini feciono guerra agli Ubaldini, e presero Montegemmoli -e loro castella._ - -Vedendo i Fiorentini che la latrocina superbia degli Ubaldini non -si gastigava per una battitura, feciono decreto, che ogni anno -si dovesse tornare sopra di loro, tanto che fossono privati delle -alpigiane spelonche. E per questa cagione, il verno furono chiamati -otto cittadini uficiali sopra provvedere e fornire la guerra: i quali, -del mese di giugno 1349, mandarono l’oste del comune nell’alpe, la -quale si dirizzò a Montegemmoli, una rocca quasi inespugnabile: nella -quale era Maghinardo da Susinana e due suoi figliuoli, con parecchie -masnade di franchi masnadieri, i più usciti di Firenze. Era fuori -della rocca in su la stretta schiena del poggio, alla guardia della -via ch’andava al castello, una torre forte e bene armata: innanzi -alla torre una tagliata in su la schiena del poggio, con forte -steccato: e a questa guardia, per voglia di fare d’arme, i caporali -de’ masnadieri del castello erano scesi co’ loro compagni: e la gente -del comune di Firenze avendo fermo il loro campo, a intendimento di -vincere il castello per assedio, e molestarlo con dificii i quali -vi faceano conducere, alquanti masnadieri s’appressarono verso la -guardia della torre per badaluccare. I valenti masnadieri d’entro, per -troppa baldanza, uscirono fuori della tagliata incontro alla gente de’ -Fiorentini, badaluccando e facendo gran cose d’arme per lo vantaggio -che aveano del terreno. In questo stante i cavalieri de’ Fiorentini -montando il poggio per dare vigore a’ loro masnadieri, cominciarono -a scendere de’ cavalli, e a pignersi innanzi con fanti e a’ nemici, i -quali per non perdere il terreno, con folle prodezza attesono tanto, -che i cavalieri e’ masnadieri de’ Fiorentini co’ balestrieri furono -mischiati tra loro, innanzi che si potessono ritrarre alla fortezza. -E volendosi ritrarre, per lo soperchio de’ loro avversari non poterono -fare, che a un’ora con loro insieme non entrassono dentro alli steccati -i masnadieri fiorentini, e a loro aiuto erano tratti tanti balestrieri, -che non lasciarono a’ nemici riprendere la fortezza della torre: anzi -la presono per loro. E ritraendosi i masnadieri degli Ubaldini per -loro scampo nella rocca, continuando la battaglia stretta alle mani, -entrarono i Fiorentini cacciando gli avversari nel primo procinto. E -crescendo della gente dell’oste la loro forza, presono tutto, fuori -de’ palagi e torri dell’ultima fortezza, ov’era racchiuso Maghinardo -e la moglie, e due suoi figliuoli con loro compagnia: i quali si -difenderono vigorosamente. Essendo il dì e la notte combattuti dalla -gente de’ Fiorentini, Maghinardo e’ figliuoli, benchè fossero in -fortezza da potersi difendere lungamente, conobbono il loro pericolo. -E sentendosi male d’accordo per loro quistioni con gli altri Ubaldini -loro consorti, si deliberarono di dare la rocca a’ Fiorentini, e di -volere essere contro a’ suoi consorti co’ Fiorentini. E fatti i patti, -e fermi a Firenze, diedono la rocca libera al comune di Firenze: e il -comune prese il saramento della fede promessa, li ricevette in amicizia -e cittadinanza, e ordinarono loro la provvigione promessa: e dati loro -cavalieri e pedoni si mossono a guerreggiare gli altri Ubaldini. E -innanzi che l’oste de’ Fiorentini tornasse, assediò Montecolloreto, e -presonlo; e misonvi fornimento e buona guardia. Andarono a Roccabruna -ed ebbonla: ed entrarono nel Podere e presono Lozzole per trattato. -E per trattato fu dato loro la signoria di Vigiano e di più altre -tenute, che appartenevano al detto Maghinardo e a certi altri degli -Ubaldini che feciono il comandamento del comune. E andarono intorno a -Susinana, guastando le case e’ campi di fuori; e tentando di volerlo -combattere, trovarono il castello sì forte e sì bene fornito alla -difesa, che lasciarono stare, e andarono a Valdagnello, e dieronvi una -battaglia, senza potervi acquistare per la fortezza del sito, e perchè -era bene provveduto alla difesa: e però guastarono i campi e le ville -d’intorno. E fornito che ebbono tutte le castella che aveano acquistate -di vittuaglia e d’arme e di buona guardia, avendo fatto agli Ubaldini e -a’ loro fedeli gran danno, del mese d’agosto, gli anni di Cristo 1349, -senza alcuno impedimento, sani e salvi con vittoria si tornarono alla -città di Firenze. - - -CAP. XXVI. - -_Come il re di Francia comperò il Dalfinato._ - -Il re di Francia posandosi nella tregua col re d’Inghilterra, avendo -papa Clemente sesto, suo protettore ne’ fatti temporali, perocchè -per lui si teneva essere al papato, e amava sopra modo d’accrescere -i suoi congiunti, i quali erano uomini del re di Francia, e però il -re traeva in sussidio della guerra danari al bisogno; e le decime del -reame e tutte grazie che volea domandare il papa senza mezzo l’otriava, -trapassando l’onestà del suo pontificato: e perocchè i cardinali erano -la maggior parte di suo reame, non si ardivano a contrapporre a cosa -che volesse. Era in que’ dì il Dalfino di Vienna uomo molle, e di poca -virtù e fermezza. Costui alcuno tempo tenne vita femminile e lasciva, -vivendo in mollizie: ed appresso volle usare l’arme: e andò capitano -per la Chiesa alle Smirne in Turchia, e dove poteva acquistare onore -e pregio, tornò con poca buona fama: e per bisogno impegnò alla Chiesa -il Dalfinato per fiorini centomila d’oro: ed essendo morta la moglie, -credendo prosperare in abito chericile, sperando in quello divenire -cardinale, vendè al re Filippo di Francia il Dalfinato, contro alla -volontà de’ suoi paesani, e pagò la Chiesa: e fatto cherico fu dal -papa promosso in patriarca.... nel quale finì sua vita spegnendo -la fama della casa sua. E il re di Francia, perdendo per la guerra -d’Inghilterra in ponente, accresceva senza guerra in levante i confini -al suo reame. - - -CAP. XXVII. - -_La cagione perchè il re d’Araona tolse Maiolica al re._ - -Vera cosa fu, che il re di Maiolica nella sua infanzia si nutricò co’ -reali di Francia, e poi che fu re di Maiolica, essendo dissimigliante -a’ Catalani onde traeva suo origine, mostrò d’essere molto scienziato -e adorno di bei costumi. Disdegnò di rendere al re d’Araona l’omaggio -debito, il quale si pagava con la reverenzia d’un bacio: e schifo della -vita catalanesca e di loro costumi, seguiva i Franceschi; la qual -cosa il fece sospetto al suo legnaggio. Cugino era del re d’Araona, -e la sirocchia carnale avea per moglie, della quale avea figliuoli. -Nondimeno il re d’Araona fece apparecchiamento d’arme contro a lui, e -trattato occulto co’ cittadini di Maiolica. Per lo quale, essendo egli -a Perpignano, e venendo sopra loro il re d’Araona, volendo mostrare di -volersi difendere, il feciono venire in Maiolica, mostrando di volerlo -atare fedelmente. Venuta la gente col re d’Araona, e scesa nell’isola, -accogliendo il consiglio in Maiolica per volere dare ordine alla -difesa, essendo tempo da potere scoprire il loro tradimento, feciono -dire al loro re, o che facesse la volontà del re d’Araona, o che se -n’andasse. Vedendosi tradito da’ suoi cittadini, i quali aveano già -abbarrata la città contro a lui, si ricolse in fretta, per campare la -persona, in una galea. E partendosi dell’isola, le porte della città -furono aperte alla gente del re d’Araona: e data loro la signoria di -tutta l’isola, con patto che ella non dovesse tornare per alcuno tempo -al loro re nè a’ suoi discendenti. - - -CAP. XXVIII. - -_Come il re di Maiolica vendè la sua parte di Mompelieri al re di -Francia._ - -Il re di Maiolica essendo cacciato dell’isola da’ suoi sudditi, venuta -l’isola nella signoria del re d’Araona, e avendo poco di quello che il -suo titolo reale richiedea, disiderando d’accogliere moneta, e d’avere -aiuto dal re di Francia, al cui servigio era stato lungamente nelle -sue guerre e battaglie personalmente, il richiese con grande istanza -d’aiuto, acciocchè potesse ricoverare lo suo, ma da lui non potè avere -alcuno aiuto. E stretto da grave bisogno, vendè al detto re di Francia -la propietà e giurisdizione ch’avea in comune consorteria col detto re -nella metà di Mompelieri, per quello pregio che il re di Francia volle, -a buono mercato. E come povero e sventurato re venia cercando modo di -riacquistare l’isola di Maiolica. La qual cosa fu cagione della sua -finale morte, come innanzi al suo tempo racconteremo. - - -CAP. XXIX. - -_Come s’ordinò il generale perdono a Roma nel 1349._ - -Essendo stato il giudicio della generale mortalità nell’universo -per giusta cagione, fu supplicato al papa che nel prossimo futuro -cinquantesimo anno la Chiesa rinnovellasse generale perdono in Roma. -Il papa Clemente sesto, col consiglio de’ suoi cardinali, e di molti -altri prelati e maestri in teologia, trovando che per lo dicreto fatto -per papa Bonifazio, ogni capo di cento anni dalla natività di Cristo -fosse ordinato generale perdono a Roma, per comune consiglio parve più -convenevole, considerando l’età umana che è brieve, che il perdono -fosse di cinquanta in cinquanta anni. Avendo ancora alcuno rispetto -all’anno Iubileo della santa Scrittura, nel quale catuno ritornava ne’ -suoi propri beni: e i propri beni de’ cristiani sono i meriti della -passione di Cristo, per li quali ci seguita indulgenzia e remissione -dei peccati. E per questa cagione la santa madre Chiesa fece decreto -e ordine: che nel prossimo futuro cinquantesimo anno, per la natività -di Cristo, cominciasse a Roma generale perdono di colpa e di pena -di tutti i peccati a’ fedeli cristiani i quali andassono a Roma, dal -detto termine a uno anno, i quali fossono confessi e contriti de’ loro -peccati, e vicitassono ogni dì la chiesa di santo Pietro e di santo -Paolo e di santo Giovanni Laterano. E le dette visitazioni furono -stribuite a’ Romani trenta dì continovi, salvo che quello si omettesse -si potesse con un altro ristorare; ed agl’Italiani quindici dì, e -agli oltramontani a tali dieci, a tali cinque dì, e meno, secondo la -distanza de’ paesi. E nondimeno la Chiesa discretamente provvide, per -molti e diversi casi e cagioni che possono avvenire, ch’e’ cardinali e -gli altri legati che andarono per lo mondo, e stettono a Roma, avessono -autorità di potere dispensare del tempo come a loro paresse. E le -lettere furono fatte e mandate per corrieri sotto le bolle papali. In -prima per tutta la cristianità, e appresso per suoi legati a predicare -per tutto le sante indulgenze, acciocchè ciascuno s’apparecchiasse e -disponesse a potere ricevere il santo perdono. In Italia furono mandati -due cardinali, quello di Bologna sopra lo Mare, messer Annibaldo di -Ceccano, e messer Ponzo di Perotto di Linguadoca vescovo d’Orbivieto, -uomo onesto, e di grande autorità, il quale era vicario di Roma per -lo papa: fu commessa piena e generale legazione a potere a tutti -dispensare il tempo delle dette visitazioni come a lui paresse, ch’era -presente continuo nella città di Roma. Lasciando alquanto la santa -disposizione del perdono, ci occorrono meno piacevoli, e più gravi cose -al presente a raccontare. - - -CAP. XXX. - -_Come il re di Maiolica andò per racquistare l’isola, e fuvvi morto._ - -Lo sventurato re di Maiolica non trovando aiuto dal re di Francia, -cui egli avea lungamente servito nelle sue guerre, nè dal papa, nè -da alcuno altro signore, strignendolo la volontà e ’l bisogno di -racquistare l’isola, come disperato d’ogni aiuto, avendo venduta la sua -parte di Mompelieri, accattò danari dal re di Francia sopra la villa -di Perpignano, ch’altro non gli era rimaso, e condusse cavalieri e -pedoni, e dodici galee di Genovesi fece armare al suo soldo, e alcuno -navilio di carico; sperando, quando fosse con forza d’arme nell’isola, -gli uomini del suo regno tornassono a lui, come forse a inganno gli era -dato intendimento, perocchè con alquanti era in trattato. Apparecchiata -l’oste, e ’l navilio con le dodici galee armate, del mese di... del -detto anno si mise in mare; e senza impedimento arrivò nell’isola di -Maiolica, presso alla città a dieci miglia; e ivi scesi in terra, -s’accampò con quattrocento cavalieri e cinquecento masnadieri, -aspettando che coloro della città con cui avea trattato, e il popolo -della terra il volessono come loro benigno e natural signore. Le dodici -galee de’ Genovesi avendo messo in terra il re, o che fosse di suo -comandamento, per mostrarsi più forte agli uomini dell’isola, o per -altre cagioni, si partirono da quella parte ove il re avea posto il -campo, e girarono da un’altra parte del’isola; e rimaso il re, e ’l -figliuolo, e l’altra gente senza il favore delle dodici galee, della -città di Maiolica subitamente uscirono più di seicento cavalieri con -grandissimo popolo, e vennero contro all’oste del re per combattere con -lui. Il re vedendosi i nimici appresso, potea stare alle difese tanto -che tornassero le sue galee: ma con vana confidanza de’ suoi regnicoli, -che non dovessero resistere contro a lui, senza attendere punto, si -volle mettere alla battaglia, per trarre a fine la sua impresa come la -fortuna il menava. E ordinata la sua gente, e confortata a ben fare, -mostrando che quivi non era altro rimedio che nel bene operare la virtù -delle loro persone, sì fedì tra i nemici, i quali erano cavalieri -catalani, maggiore quantità e migliore gente che i suoi soldati, e -guidati da buoni capitani, i quali ricevettono il re e i suoi cavalieri -francamente, per modo, che in poca d’ora furono sconfitti, e il re -morto. Il quale se avessono voluto potieno ritener prigione, ma rade -volte in fatti d’arme tra’ Catalani si trova mansuetudine: il figliuolo -fu preso, e rappresentato al zio re d’Araona, l’altra gente fu rotta -e sbarattata, e l’isola rimase libera al re d’Araona, e Mompelieri e -Perpignano al re di Francia. - - -CAP. XXXI. - -_Come i baroni italiani e catalani per loro discordie guastarono -l’isola di Cicilia._ - -Avendo detto dell’isola di Maiolica, quella di Cicilia ci s’offera con -dissimigliante fortuna. Essendo per la mortalità morto il valoroso -duca Giovanni, balio e governatore dell’isola di Cicilia, rimaso -picciolo fanciullo di dieci anni messer Luigi figliuolo che fu di -don Pietro, il quale si fece appellare re di Cicilia, a cui aspettava -l’eredità del detto reame. Costui avea due fratelli minori di se, l’uno -chiamato Giovanni, l’altro Federigo. E non essendo della casa reale -nessuno in età che governasse l’isola per lo fanciullo, discordia -nacque tra i baroni: e dall’una parte erano i Palizzi caporali, e -con loro teneano quelli di Chiaramonte, e’ conti di Vintimiglia, e i -discendenti conti della casa degli Uberti di Firenze, de’ quali era -capo il conte Scalore, e con costoro teneano quasi la maggiore parte -degl’Italiani dell’isola. E questi si faceano chiamare la parte del re, -e a loro segno rispondeano le migliori città della marina dell’isola, -Messina, Siracusa, Melazzo, Cefalu, Palermo, Trapani, Mazzara, Sciacca, -Girgenti, Taormina, e gran parte delle buone terre e castella fra la -terra dell’isola. E dall’altra parte era don Brasco d’Araona caporale -con gli altri Catalani dell’isola, e il figliuolo di Giovanni Barresi -colla sua casa, genero di don Brasco, e molti altri di Catania, i quali -aveano a loro segno alla marina la città di Catania, Iaci, Alicata, -Tose, la Catona, e il capo d’Orlando; e fra terra grande numero di -città e di castella. E per simigliante modo si faceano costoro chiamare -la parte del re. E per le loro divisioni cominciarono a far guerra -l’uno contra l’altro. E catuna parte s’armava, e afforzava d’avere -seguito di gente dell’isola: e catuno volea governare il reame per -lo re, e non potendosi trovare via d’accordo tra loro, cominciarono -a cavalcare l’uno sopra l’altro; e dove si scontravano si combatteano -mortalmente. E spesso rompea e sconfiggea l’una gente l’altra, e senza -misericordia a tenere prigione s’uccidevano insieme, e montando la loro -sfrenata mala volontà, cominciarono ad ardere le loro possessioni e -le biade ne’ campi, come fossono in terra di nimici; e facendo questo -guasto, oggi in una contrada, e domani nell’altra, consumarono il paese -senza alcuna misericordia. E seguitando l’uno dì appresso dell’altro -questa pestilente furia tra loro, in poco tempo fu tanta tribolazione -tra’ paesani, e tanta disfidanza, che lasciarono il coltivamento delle -terre, e il nutricamento del bestiame: onde avvenne che quello paese, -il quale per antico era fontana viva di grano, e di biade, e d’ogni -vittuaglia, a spandere per lo mondo tra i cristiani e tra i saracini, -che solo tra loro nell’isola non avea che manicare; e il bestiame per -simigliante modo fu consumato e disperso. Per la quale cosa avvenne -che l’anno 1349 a Palermo, e a più altre città, per inopia convenne -si provvedesse per comune consiglio grano mescolato con orzo, e dare -ogni settimana certa piccola distribuizione per testa d’uomo, acciocchè -potessono miserevolmente mantenere la loro vita. E non potendosi -sostentare i popoli con questa misera provvisione, convenne che il -popolo minuto in gran parte per nicistà abbandonasse l’isola, e molti -ne fuggirono in Calavra e nel’isola di Sardigna per scampare dalla -fame la loro vita. E questa pestilenzia non avvenne a’ Ciciliani per -sterilità di tempo avverso, che i campi aveano da Dio la loro stagione -fertile, e abbondevole della grazia del cielo. E non era tolto loro -il coltivamento da nimici strani, nè per rubellione di loro signorie, -nè per odio del paese, ch’era patria de’ suoi abitanti a catuna parte -e reame d’uno medesimo re: ma stimasi avvenisse per dimostrazione -del peccato della ingratitudine dell’abbondanza di troppi beni, e -a dimostrare come è divoratrice senza rimedio d’ogni buono stato la -cittadinesca discordia, e il divoratore fuoco della laida invidia. - - -CAP. XXXII. - -_Come il re Filippo di Francia e ’l figliuolo tolsono moglie._ - -Era nella mortalità morta la moglie del re Filippo di Francia, madre di -messer Giovanni primogenito, Dalfino di Vienna, la quale fu sirocchia -del duca di Borgogna, e la moglie di messer Giovanni suo figliuolo, -figliuola che fu del re Giovanni di Boemia della casa di Luzimborgo, -della quale rimasono quattro figliuoli maschi, che ’l primo nomato -Carlo fu duca di Normandia, e il secondo messer Luigi conte d’Angiò, -e il terzo messer Giovanni conte di Pittieri, e il quarto minore -messer Filippo: e tre figliuole, che la maggiore fu reina di Navarra, -la seconda monaca del grande monasterio di Puscì, e un’altra piccola -nominata Lisabetta. Ed essendo catuno senza moglie, il duca Giovanni -trattava di torre per moglie la sirocchia del re di Navarra, ch’era -delle più belle giovani e di maggiore pregio di virtù che niun’altra -di que’ paesi, e tenevane bargagno. Il re Filippo suo padre sapendo -che il figliuolo trattava d’avere questa damigella per moglie, un dì -che ’l duca suo figliuolo era cavalcato fuori del paese, mandò per -questa giovane: e come fu venuta, senza fare altro trattato la tolse -per moglie, perocchè ’l piacere della sua bellezza non gli lasciò -considerare più innanzi. Tornato il figliuolo se ne indegnò forte, e -alla festa delle nozze del padre non volle essere. Ma passato alcuno -tempo, richiamato dal padre, venne a lui. E riprendendolo il re -dolcemente, gli disse: caro figliuolo, se voi amavate avere a donna -questa damigella, voi non dovevate tener bargagno. Onde egli conoscendo -suo difetto, rimase contento. E allora il padre gli diè per moglie -un’altra nobile dama della casa di Bologna su lo mare, ch’era stata -moglie del duca di Borgogna: della qual cosa i Borgognoni furono mal -contenti, essendo rimaso un picciolo fanciullo della detta donna, il -quale dovea essere loro duca. E per lo detto maritaggio vendè la donna -il governamento del figliuolo con la forza del re, e il re occupò -parte della giuridizione di Borgogna, onde i baroni e’ paesani forte si -sdegnarono contro al loro re. Ma perocchè il re di Francia per troppa -giovinile vaghezza avea offeso il figliuolo e se, poco tempo stette -con la sua giovane e vaga donna, che sforzando la natura già senile -nella bellezza della damigella, raccorciò il tempo della sua vita, -come appresso al debito tempo racconteremo, narrando prima com’egli fu -ingannato dagl’Inghilesi. - - -CAP. XXXIII. - -_Come il re di Francia fu ingannato del trattato di Calese con gran -danno._ - -Il re Filippo avendo l’animo curioso di trarre del suo reame la forza -del re d’Inghilterra, il quale teneva il forte castello di Calese in su -la marina, non potendo per forza farlo, pensava fornirlo per danari con -trattato. Alla guardia di Calese era uno gentile uomo d’Inghilterra, -con sue masnade di cavalieri e di sergenti. Il re di Francia il fece -tentare se per danari gli rendesse il castello. L’Inghilese avveduto -diede orecchie al fatto, e senza indugio il fece segretamente sentire -al suo signore; il quale confidandosi nella fede di costui, gli -diede per comandamento che menasse saviamente il trattato infino al -fatto. Costui seguitò con molta astuzia, tanto, che per la sfrenata -volontà che il re di Francia avea di racquistarlo, s’indusse a dare -i danari innanzi, attenendosi alla fede del castellano, e dielli, -come era il patto, seimila scudi d’oro, di ventimila che per lo patto -gli dovea dare, e del rimanente gli fece quelle fermezze che volle, -che mettendo dentro nel castello quella gente che il re volesse, in -sul ponte compierebbe il pagamento. E così data la fede da catuna -parte, il re di Francia commise la bisogna ad alquanti suoi baroni: -i quali incontanente forniti di cavalieri e di sergenti d’arme in -grande quantità, cavalcarono al castello; e come ordinato era per -lo castellano, aperta la porta, e calato il ponte, mise dentro nel -castello coloro cui i Franceschi vollono, perchè vedessero a loro -sicurtà che dentro non vi fosse altra gente che la sua alla guardia, -acciocchè si assicurassono a fare il rimanente del pagamento; e a -costoro, com’egli avea provveduto, fece sì vedere, che del nascoso -aguato non si avvidono. Onde i Franceschi vinti dalla sprovveduta -baldanza, s’affrettarono a fare sul ponte il pagamento del rimanente -fino ne’ ventimila scudi d’oro al castellano, ed egli mise dentro nel -castello una parte de’ Franceschi, mostrando di volere assegnare loro -la fortezza del castello, e l’altra oste s’attendea di fuori. Il re -d’Inghilterra, che avea fatto menare questo trattato, era di notte -venuto nel castello egli e il figliuolo con buona compagnia di gente -eletta e fidata, come a quello affare gli parve competente, i quali -si stettono riposti per modo, ch’e’ Franceschi non se ne poterono -avvedere. I Franceschi che si credettono senza inganno essere signori -del castello, da più parti furono subitamente assaliti dal re e da sue -genti. E bene che gl’Inghilesi fossono pochi a rispetto de’ Franceschi, -per lo improvviso e subito assalto i Franceschi ch’erano nel castello -sbigottirono, e temettono, vedendosi a stretta, e non essendo usi -di cotali baratti, per sì fatto modo, che poco feciono resistenza. -Gl’Inghilesi di presente, come ordinato fu, presono le vie e le porti, -e ’l castellano che si mischiava al cominciamento co’ Franceschi -d’entro si rivolse contro a loro. E vedendo i Franceschi che non -aveano l’uscita libera della terra, lasciarono l’arme, e arrenderonsi -prigioni al re d’Inghilterra. E fatto questo, a’ Franceschi di fuori -fu la cosa sì maravigliosa, che fortemente spaventarono. E sentendo -questo il re e’ suoi presono ardire, e uscirono fuori addosso agli -spaventati, con grandi strida e ardire. E non ostante che i Franceschi -fossono presso a dieci per uno degl’Inghilesi, tanta paura gli vinse, -che si misono in fuga, e abbandonarono il campo. Ed essendo seguitati -alquanto dagl’Inghilesi, che non gli poterono troppo seguitare perchè -aveano pochi cavalli, presine e morti alquanti, con doppia vittoria si -ritornarono nel castello. - - -CAP. XXXIV. - -_Come messer Carlo eletto imperadore fu presso che morto di veleno._ - -Nella cronica del nostro anticessore è fatta memoria, come la santa -Chiesa di Roma, sappiendo come Carlo figliuolo del re Giovanni di -Boemia era di virtù e di senno e di prodezza il più eccellente prenze -della Magna, morto il Bavaro, che lungo tempo in discordia colla Chiesa -avea occupato lo ’mperio, non ostante che il re Giovanni vivesse, -ordinò di farlo eleggere allo ’mperio. Ed essendo in discordia gli -elettori, perocchè l’arcivescovo di Maganza non gli volea dare la boce -sua, papa Clemente trovando ch’egli era stato de’ fautori del Bavaro, -il privò dell’arcivescovado, ed elessene un altro; il quale avendo il -titolo, non ostante non avesse la possessione, come il papa volle diede -la sua boce al detto Carlo, e così ebbe piena la sua elezione. Costui -eletto era impotente di cavalleria e di moneta a potere mantenere campo -ad Aia la Cappella quaranta dì, a rispondere con la forza dell’arme -a chi lo volesse contastare, secondo la consuetudine degli eletti -imperadori: e però santa Chiesa dispensò con lui questa ceremonia, -e levollo dal pericolo e dalla spesa. E in questo servigio la Chiesa -prese saramento da lui, che venendo alla corona egli perdonerebbe a’ -comuni di Toscana ogni offesa fatta all’imperadore Arrigo suo avolo -e agli altri imperadori, e tratterebbegli come amici senza alcuna -oppressione. Dopo questo, morto il padre nella battaglia del re di -Francia, come detto è, a costui succedette, e fu chiamato re di Boemia. -E cercando d’accogliere forza per potere venire alla corona dello -imperio, ed essendo poco pregiato e meno ubbidito dagli Alamanni, -tenendosi gravati della sua elezione, egli umile si stava chetamente -in Boemia aspettando suo tempo. La reina con femminile consiglio -volendo attrarre l’amore del marito dall’altre donne, ch’era giovane, -avvegnachè assai onesta, gli fece dare a mangiare certa cosa, la quale -mangiata dovea crescere l’amore alla sua donna. Nella qual cosa, o erba -o altro che mescolato vi fosse che tenesse veleno, come presa l’ebbe, -ne venne a pericolo di morte; e per aiuto di grandi e subiti argomenti, -pelato de’ suoi peli, ricoverò la salute del suo corpo. Della qual -cosa facendo condannare a morte due suoi siniscalchi per giustizia, -la reina, parendo che per sua semplice operazione, più che per colpa -che avessono, i famigli del loro eletto imperadore fossono per morire -innocenti, s’inginocchiò dinanzi al re dicendo, come que’ cavalieri non -aveano colpa di quello accidente, ma se colpa c’era, era sua: perocchè -per femminile consiglio, volendo più attrarre a se il suo amore, non -credendo far cosa che offendere il dovesse, li fece dare quella cosa a -bere, ovvero a mangiare: e però, se giustizia se n’avea a fare, ella -era degna per la sua ignoranza d’ogni pena, e non coloro ch’erano -innocenti. Il discreto signore udite queste parole, considerò la -fragilità e la natura delle femmine, e colla sua mansuetudine inchinò -l’animo all’errore dell’amore femminile, e con molta benignità perdonò -alla reina dolcemente, e liberò i suoi siniscalchi, rimettendogli ne’ -loro ufici e onori. Alcuni dissono, che messer Luchino de’ Visconti -di Milano il fece avvelenare per tema di perdere la sua tirannia. Ed -essendo lo eletto imperadore nel pericolo della morte, si disse che -promise a Dio se campasse, che perdonerebbe a chi l’avesse offeso e -non ne farebbe alcuna vendetta; e quale che fosse la cagione, l’effetto -seguitò, che vendetta nessuna fece. - - -CAP. XXXV. - -_Come il re Luigi prese più castella._ - -Tornando a’ fatti d’Italia, il re Luigi fatto cavaliere, e dato alcuno -ordine a’ fatti del Regno che l’ubbidia, avvedutosi de’ baroni che -teneano col re d’Ungheria, innanzi che volesse procedere a fare altra -impresa attese a volere racquistare le castella di Napoli. E prima -cominciò al castello di Santermo sopra la detta città, e quello per -viltà di coloro che l’aveano a guardia, temendo delle minacce più -che della forza della battaglia ch’era loro cominciata, essendo da -potersi bene difendere, s’arrenderono al re. E avendo vittoriosamente -acquistato questo castello, se ne venne a quello di Capovana, che -è all’entrata della città, fortissimo, da non potersi vincere per -battaglia. Coloro che dentro v’erano alla difesa cominciarono a -resistere al primo assalto; ma inviliti per la presura di quello -di Santermo, e più perchè non vedeano apparecchiato loro soccorso, -trattaron la loro salvezza, e renderono il castello al re. Avuto il -re questi due forti castelli con poca fatica, s’addirizzò al castello -dell’Uovo fuori di Napoli sopra il mare, il quale per battaglia non -si potea avere, ma era agevole ad assediare, che tutto era in mare, -salvo d’una parte si congiungeva con una cresta del poggio, in sul -quale il re fece fare un battifolle. Que’ del castello sappiendo che -il loro soccorso non potea essere d’altra parte che per mare, e in -quello mare non era alcuna forza del re d’Ungheria, innanzi che si -volessono recare allo stremo patteggiarono col re, e renderongli il -castello. Avute il re prosperamente queste tre castella in poco tempo, -fece molto rinvigorire gli animi de’ Napoletani. E vedendo che non -v’era rimaso altro che il castello Nuovo a capo alla città, dove era -l’abitazione reale, il quale era sopra modo forte e bene fornito, tanto -era cresciuta la baldanza, che nel fervore del loro animo con molto -apparecchiamento si misono a combatterlo da ogni parte, con aspra e -fiera battaglia. Ma dentro v’era Gulforte fratello di Currado Lupo, -cui il re d’Ungheria avea lasciato vicario suo, ed era accompagnato -di buona masnada, e bene fornito alla difesa, sicchè per niente si -travagliarono della battaglia. E certificati che per forza non lo -potevano avere, e che Gulforte era fedele al suo signore, presono -consiglio d’abbarrare tra il castello e la città, e così fu fatto, e -misonvi buona guardia; sicchè fuori che dalla marina il castello era -assediato. E poi senza combattere o assalirlo, l’una gente e l’altra si -stettono lungamente. - - -CAP. XXXVI. - -_Come il re Luigi prese il conte d’Apici._ - -Avendo il re Luigi vittoriosamente racquistato tre così forti castelli, -e lasciando il quarto assediato per terra e per mare, con la sua -cavalleria, e con le masnade del doge Guernieri si mise a cavalcare -sopra i baroni che teneano col re d’Ungheria, e in prima andò sopra il -conte d’Apici, figliuolo del conte d’Ariano. Il conte vedendosi venire -il re addosso con gran forza d’uomini d’arme, si racchiuse in Apici, -e ivi s’afforzò alla difesa come potè il meglio. Il re faceva spesso -assalire la terra. Vedendo il conte che non attendea soccorso, e che -il castello non era forte da poter fare lunga difesa, s’arrendè alla -misericordia del re: il quale trattò d’avere di suoi danari trentamila -fiorini d’oro, e rimiselo nel suo stato, riconciliato alla sua grazia. - - -CAP. XXXVII. - -_Come il re Luigi assediò Nocera._ - -Prosperando la fortuna il re Luigi nelle lievi cose, gli dava speranza -di prendere le maggiori, e però si mise di presente con tutta sua -gente nel piano di Puglia, e dirizzossi a Nocera de’ saracini, che -si guardava per la gente del re d’Ungheria. Ma perocchè la città era -grande, e guasta e male acconcia a potersi difendere, sentendo gli -Ungheri che dentro v’erano l’avvenimento del re con la sua gente, -abbandonarono la terra, e ridussonsi nella rocca di sopra, ch’era -larga, e molto forte alla difesa, e ivi ridussono tutte le loro -cose. E sopravvenendo il re Luigi, senza contasto con tutta sua gente -entrarono nella città: e trovando il castello sopra la terra forte e -bene guernito alla difesa, conobbono che non era da potersi vincere per -forza di battaglie, e però non tentarono di combatterlo: ma avendo la -città in loro balía, afforzarono in ogni parte intorno alla rocca, e -puosonvi l’assedio, sperando d’averla, poichè gli Ungheri e i Tedeschi -erano per la mortalità malati e mancati, e molti se n’erano iti per -lo mancamento del soldo, e non era loro avviso che a tempo potessono -avere soccorso; e però tenendo que’ del castello di Nocera assediati, -cavalcarono tutto il piano di Puglia infino presso a Barletta; e -avendo cominciato a prendere ardire, trovando che Currado Lupo vicario -del re d’Ungheria non avea forza d’entrare in campo col re Luigi, nè -di soccorrere gli assediati di Nocera, era assai possibile al re di -mantenere l’assedio, e di fare tornare l’altre terre di Puglia a sua -volontà, cavalcando con la sua forza il paese. Ma il fallace duca -Guernieri, ch’avea milledugento cavalieri tedeschi in sua compagnia, -conoscendo il tempo che far lo potea signore e trarlo di guerra, si -mise a fargli quistione, e non lo lasciò muovere dall’assedio, nè -andare all’altre terre per lungo tempo: dando luogo a Currado Lupo -avversario del re di potersi provvedere al soccorso, e il re non era -potente da se di cavalleria nè di moneta che senza il doge potesse -fornire le sue bisogne, e però convenia che seguisse più la volontà -corrotta del doge Guernieri che la sua. E non avea ardimento di -mostrare sospetto di lui, per paura che peggio non gli facesse, e da se -nol potea partire senza peggiorare sua condizione, e crescere la forza -e ’l vigore a’ suoi nimici. Ed essendo così intrigato e male condotto, -per avere un capo a tutti i suoi soldati, perdè tempo più di cinque -mesi al disutile assedio, e diede tempo a’ nimici di procacciare aiuto -e soccorso, come fatto venne loro, come appresso racconteremo. - - -CAP. XXXVIII. - -_Come Currado Lupo liberò Nocera._ - -Mentre che l’assedio si manteneva per lo re Luigi a Nocera, Currado -Lupo, ch’era rimaso alla guardia del reame per lo re d’Ungheria, intese -a sollicitare il re, tanto che gli mandò una quantità di danari per -ristorare la gente che per la mortalità gli era mancata: il quale di -presente cavalcò in Abruzzi, e condusse de’ cavalieri tedeschi ch’erano -in Toscana e nella Marca, tanti, che co’ suoi si trovò con duemila -barbute: e lasciatine una parte alla guardia delle terre che per lui si -teneano, e eletti milledugento cavalieri in sua compagnia, si propose -di soccorrere gli assediati del castello di Nocera. Il re Luigi avendo -sentito come Currado Lupo avea accolta gente per venire contra lui, -di presente mandò il conte di Minerbino, e il conte di Sprech Tedesco, -con ottocento cavalieri a impedire i passi, che Currado Lupo co’ suoi -cavalieri non potesse entrare nel piano di Puglia. Ma il detto Currado, -come franco capitano e sollecito, la notte si mise a cammino, e fu -prima, partendosi da Guglionese, valicato i passi ed entrato nel piano -di Puglia, che la gente del re fosse a impedirlo, e senza arresto, -co’ suoi cavalieri in quello dì cavalcarono quaranta miglia, e la sera -giunsono a Nocera in sul tramontare del sole; e perocchè erano molto -affaticati della lunga giornata, e i cavalli stanchi e l’ora tarda, -se n’entrarono nel castello senza fare altro assalto, o riceverlo -dalla gente del re Luigi. E questo avvenne, imperciocchè del subito -avvenimento sbigottì forte la gente del re, e specialmente essendo -assottigliato l’oste, e non sappiendo che della loro gente andata -a’ passi si fosse avvenuto. Il re veggendo la sua gente sbigottita, -prese l’arme e montò a cavallo, e confortò francamente i suoi: e -sopravvenendo la notte, in persona ordinò buona e sollecita guardia, -attendendo il ritorno de’ suoi cavalieri. I nimici ch’erano stanchi -intesono a mangiare, e a confortare la loro gente, e dare riposo a’ -loro cavalli, per essere la mattina alla battaglia. - - -CAP. XXXIX. - -_Come il re Luigi rifiutò la battaglia con Currado Lupo._ - -La mattina seguente, Currado Lupo innanzi che scendessono del castello -nel piano, mandò a richiedere il re Luigi di battaglia, e per segno -di ciò gli mandò il guanto per lo suo trombetta; il re ricevette il -guanto, e con dimostramento di franco cuore e d’ardire, senza tenere -altro consiglio promise la battaglia: perocchè la notte medesima il -conte di Minerbino e ’l conte di Sprech erano tornati con la loro -gente al soccorso del re. Currado avendo la risposta dal re, come -accettava di venire alla battaglia, non ostante che il re avesse assai -più gente di lui, confidandosi nella buona gente che avere gli pareva, -e conoscendo la condizione del doge Guernieri, e forse intendendosi -con lui, scese del castello con tutta sua cavalleria, e ancora con gli -Ungheri ch’erano nel castello a cavallo, e valicato per una parte della -città ch’era in loro signoria, con dimostramento di grande ardire si -schierò nel piano dirimpetto alla città, aspettando che il re venisse -con la sua gente alla battaglia. E vedendo che non venia, un’altra -volta il mandò a richiedere di battaglia. Il re avendo volontà di -combattere sommovea i suoi baroni e gli altri cavalieri a ciò fare, -con grande istanzia: il doge Guernieri, quale che cagione il movesse, -che dubbia era la sua fede, vedendo il re acceso alla battaglia, fu a -lui, e con dimostramento di savio e buono consiglio, e con belle parole -il ritenne, mostrandogli che folle partito era a quel punto prendere -battaglia, allegando che per due cose sole si dovea combattere, l’una -per necessità, e l’altra per grande avvantaggio, e quivi non era nè -l’una nè l’altra. E forse che il consiglio suo fu più salutevole che -malvagio a quel punto, il re vedendo il consiglio del duca, e temendo -di non essere seguito nella battaglia da lui nè da’ suoi cavalieri, si -ritenne in Nocera, ontosamente schernito da’ suoi avversari, i quali -schierati in sul campo faceano vergogna al re, perchè non usciva alla -battaglia come promesso avea; e avendo aspettato infino al mezzodì, -e trombato e ritrombato per attrarre la gente del re alla battaglia, -e veggendo non erano acconci a uscire della terra, si partì di là -ordinatamente con le schiere fatte, e dirizzossi verso la città di -Foggia, ch’era ivi presso nello piano di Puglia, e in quella, ch’era -senza guardia e senza sospetto, s’entrò di cheto, senza trovare alcuno -riparo. E trovandola piena d’ogni bene, quivi s’alloggiarono, facendo -delle case, e delle masserizie, e della vittuaglia, e delle donne -maritate e delle pulzelle la loro sfrenata volontà, e ogni sustanza -di quella terra si recarono prima in uso, e poscia in preda. E quivi -in prima si cominciò ad assaggiare la preda dello avere del Regno da’ -Tedeschi e dagli Ungari, la quale assaggiata vi attrasse da ogni parte -i soldati, come gli uccelli alla carogna, in grave danno di tutto il -paese, come procedendo per li tempi in nostra materia dimostreremo. - - -CAP. XL. - -_Della materia medesima._ - -Essendo Currado Lupo con la sua gente in Foggia, con grande baldanza -presa contro al re Luigi, intendendosi col duca Guernieri, afforzò -la città di Foggia, per potere contastare al re il ritorno per la -via del piano in Terra di Lavoro. E così fece lungamente, crescendo -continuamente la sua gente di cavalleria e masnadieri, perchè viveano -di prede, e avanzavano sopra i paesani non usi di guerra, nè provveduti -alla loro difesa. Il re avendo scoperto come dal duca Guernieri non -potea avere servigio che utile gli fosse, e che fidare non se ne potea, -stato due mesi a Nocera senza alcuno frutto, con grande abbassamento -di suo stato e onore, poichè Currado Lupo entrò in Puglia, prese suo -tempo, e girando la Puglia, dilungandosi da’ nimici ch’erano in Foggia, -entrò in Ascoli, e ivi stato pochi dì se ne venne a Troia, e di là per -Terra beneventana si tornò a Napoli senza contasto. - - -CAP. XLI. - -_Come morì il re Alfonso di Castella._ - -In questo anno, del mese di marzo, morì il re Alfonso di Castella, -lasciando Pietro suo figliuolo legittimo, nato della reina sirocchia -del re di Portogallo, d’età di quindici anni, e sette suoi fratelli -nati di donna Dianora, grande e gentile donna di Castella, la quale il -detto re amò sopra la reina, e tennela ventiquattro anni. Morto il re, -don Pietro fu coronato del reame, ed essendo troppo giovane, i maggiori -baroni per tre anni ebbono a governare il reame. E venuto il re Pietro -in età di diciotto anni, con malizia, e con senno e con ardire, di -gran cuore prese il governamento di suo reame, e trassene i baroni, e -cominciò aspramente a farsi ubbidire; perocchè temendo de’ suoi baroni, -trovò modo di fare infamare l’uno l’altro, e prendendo cagione, gli -cominciò a uccidere colle sue mani, e in breve tempo ne fece morire -venticinque: e tre suoi fratelli fece morire e la loro madre, e gli -altri perseguitò: ed eglino valenti e di gran seguito e ardire si -ridussono in loro castella, e feciono al re aspra guerra. E ora fu, che -l’uno di loro, ch’era conte di... in uno abboccamento ebbe prigione il -re, e consentì che si fuggisse per grande benignità, e in fine si partì -di Spagna, e tornossene col fratello in Araona. - - -CAP. XLII. - -_Come il doge Guernieri fu preso in Corneto dagli Ungheri._ - -Tornato il re Luigi a Napoli, non avendo potuto acquistare in Puglia -alcuna cosa, ma peggiorata la sua condizione, acciocchè le terre -e’ baroni di sua parte non prendessono troppo sconforto della sua -partita, mandò in Puglia il doge Guernieri con quattrocento cavalieri, -e commisegli la guardia di coloro che teneano con esso lui, e che -raffrenasse la baldanza de’ suoi avversari. Il duca si mosse con sua -compagnia, e con lui mandò il re alquanti confidenti toscani, tra’ -quali fu messer Iacopo de’ Cavalcanti di Firenze, pro’ e valente -cavaliere. Costoro entrati in Puglia si ridussono in Corneto. Il -fallace duca pensava, che stando dalla parte del re non potea predare -nè avanzare come l’animo suo desiderava, e vedendo la materia acconcia, -e già cominciata per Currado Lupo e per gli Ungheri, trovò modo, -volendo coprire il suo tradimento, come fatto gli venisse senza sua -palese infamia. E per venire a questo, essendo presso a nimici più -possenti di lui, si stava senza alcuno ordine e senza fare guardia -il dì e la notte, anzi non lasciava serrare le porti della città, -e andavasi a dormire con tutta la sua masnada. Onde avvenne, come -si crede ch’egli avesse ordinato, che Currado Lupo con parte di sua -gente una notte vi cavalcò, e trovate le porte aperte, e senza difesa -e guardia, s’entrò nella città: e trovando il doge e’ suoi cavalieri -dormire ne’ loro alberghi, tutti senza dare colpo di lancia o di spada -ebbe a prigione, loro e’ loro cavalli e arnesi, senza che niuno ne -fuggisse; e avuti i forestieri a prigioni furono signori della terra, e -fecionne, come di Foggia, la loro volontà: e il dì seguente con grande -gazzarra ne menarono i prigioni e la preda a Foggia, dove faceano -loro residenza. Ed essendo il duca Guernieri prigione in Foggia, si -fece porre di taglia trentamila fiorini d’oro; e mandò al re che ’l -dovesse ricomperare in fra certo tempo, e dove questo non facesse, -disse gli conveniva essere contro a lui in aiuto del re d’Ungheria: e -però gli protestava, che se il riscatto non facesse, non gli farebbe -tradimento venendo contro a lui dal termine innanzi. Il re Luigi avendo -conosciuto per opere i suoi baratti, avvegnachè conoscesse che per -cupidità di preda e’ sarebbe contro a’ suoi agro nimico, innanzi il -volle suo avversario, potendo contro a lui scoprirsi alla sua difesa, -che averlo traditore dalla sua parte, e però nol volle riscuotere. Onde -egli trasse a se tutti i Tedeschi di sua condotta, e da Currado Lupo -fu fatto il terzo conducitore della sua oste, renduto a lui e a’ suoi -l’armi e’ cavalli e gli arnesi. Messer Iacopo de’ Cavalcanti, perocchè -altra volta era stato preso, e lasciato alla fede, fu ritenuto, e -ultimamente per mandato del re d’Ungheria, per corrotto saramento, -vituperevolemente fu impiccato. - - -CAP. XLIII. - -_Come i Fiorentini presono Colle._ - -I Colligiani avendo ripreso in loro giuridizione il reggimento libero -della loro terra, poichè ’l duca d’Atene fu cacciato di Firenze, -che per lo detto comune n’era signore, volendo mantenere la loro -libertà, non lo seppono fare, anzi cominciarono a setteggiare, e -volere cacciare l’uno l’altro, e alcuna parte trattava coll’aiuto di -grandi e possenti vicini d’esserne tiranni. E scoperto tra loro il -trattato, si condussono all’arme: e stando in combattimento dentro, -il comune di Firenze per paura che tirannia non vi si accogliesse, -subitamente vi mandò il capitano della guardia che allora tenea in -Firenze, con trecento cavalieri e con assai fanti a piè, e improvviso -vennono a’ Colligiani in su le porti e intorno alla Prateria, del mese -d’aprile gli anni 1349. E sentendo i Colligiani la gente de’ Fiorentini -alle porti, e tra loro grave discordia dentro, viddono, che volere -a’ cittadini di Firenze, che ivi erano mandati per loro bene, fare -resistenza era impossibile, e il loro peggiore, perocchè se l’una setta -si fosse messa alla difesa, l’altra si sarebbe fatta forte col comune -di Firenze, e arebbono abbattuta la setta contraria, sicchè per lo -loro migliore, di comune concordia apersono le porti, e misono dentro -la gente del comune di Firenze. E come dentro vi furono, i terrazzani -lasciarono l’arme che aveano prese per la loro divisione, e ragunati al -consiglio, conobbono, che il comune beneficio della loro comunità era -di dare la guardia di quella terra al comune di Firenze, e altrimenti -non vedeano di potere vivere in pace e in riposo senza sospetto l’uno -dell’altro. E però diliberarono solennemente tutti d’uno animo e d’una -concordia, che ’l comune di Firenze avesse in perpetuo la guardia di -quella terra; e il comune la prese, e ordinò dentro senza quistione -i loro ufici, comunicandoli discretamente tra’ loro terrazzani, a -contentamento di catuna parte; e appresso di tempo in tempo v’ordinò il -comune di Firenze la guardia de’ suoi cittadini, e i rettori di quella, -mandandovegli da Firenze ogni sei mesi successivamente. - - -CAP. XLIV. - -_Come i Fiorentini ebbono Sangimignano a tempo._ - -Nel detto anno e mese d’aprile, recata la terra di Colle a guardia -del comune di Firenze prosperamente, innanzi che il detto capitano -con sua gente a piè e a cavallo tornasse a Firenze, essendo il comune -di Sangimignano per simile modo in grande divisione per cagione del -loro reggimento, onde forte si temea non pervenisse a tiranno, il -comune di Firenze vegghiando con sollecitudine a mantenere la libertà -di Toscana, fece comandamento al capitano e a’ cittadini consiglieri -ch’erano con lui ch’andassono a Sangimignano, e senza fare alcuno -danno, o atto di guerra, domandassono per lo comune di Firenze la -guardia di quella terra, acciocchè il comune loro e ’l nostro vivessono -di ciò più sicuri, che non si potea vivere vedendogli in setta e in -divisioni. Il capitano con quella gente se n’andò a Sangimignano, e -fece il comandamento del comune di Firenze, standosi fuori della terra -senza fare danno niuno. E fatta la richesta, quegli di Sangimignano -ebbono sopra ciò diversi consigli, e dibattutosi fra loro più giorni, -che l’uno volea e l’altro no, in fine avvedendosi che le loro discordie -erano pericolose, e che non erano potenti a mantenere libertà; vedendo -il pericolo delle divisioni e sette che aveano tra loro, e che lo -sdegno del comune di Firenze potea risultare in loro maggiore pericolo, -per comune consiglio diedono per tre anni a venire il governamento e la -guardia di quella terra al comune di Firenze, con patto che il comune -vi mandasse di sei mesi in sei mesi uno cittadino popolano di Firenze -per capitano della guardia, e un altro per podestà alle loro spese; e -così deliberato, misono di gran concordia dentro la gente del comune di -Firenze. E ricevuti i rettori, cominciarono a vivere tra loro in molta -concordia e pace, e catuno intendeva a fare i fatti suoi, dimenticando -le cittadine contenzioni e gli altri sospetti che gli conturbavano, e -il capitano co’ suoi cavalieri e col popolo tornò a Firenze ricevuto a -onore, del detto mese d’aprile. - - -CAP. XLV. - -_Di tremuoti furono in Italia._ - -In questo anno, a dì 10 di settembre, si cominciarono in Italia -tremuoti disusati e maravigliosi, i quali in molte parti del mondo -durarono più dì, e a Roma feciono cadere il campanile della chiesa -grande di san Paolo, con parte delle loggi di quella chiesa, e una -parte della nobile torre delle milizie, e la torre del conte, lasciando -in molte altre parti di Roma memoria delle sue rovine. Nella città di -Napoli fece cadere il campanile, e la faccia della chiesa del vescovado -e di santo Giovanni maggiore, e in assai altre parti della città fece -grandi rovine, con poco danno degli uomini. Nella città d’Aversa, -essendo i caporali de’ Tedeschi e degli Ungheri, con molti conestabili -e cavalieri, a consiglio nella chiesa maggiore, non determinato il -loro consiglio uscirono della chiesa, e come furono fuori, la chiesa -cadde, e per volontà di Dio a niuno fece male. La città dell’Aquila ne -fu quasi distrutta, che tutte le chiese e’ grandi difici della città -caddono, con grande mortalità d’uomini e di femmine; e durando per più -dì i detti tremuoti, tutti i cittadini, ed eziandio i forestieri, si -misono a stare il dì e la notte su per le piazze e di fuori a campo, -mentre che quello movimento della terra fu, che durò otto dì e più. -Ed erano sì grandi, che in piana terra avea l’uomo fatica di potersi -tenere in piede. A san Germano e a monte Cassino fece incredibili ruine -di grandi difici, e dell’antico monistero di santo Benedetto sopra il -monte del poggio medesimo, che pare tutto sasso, abbattè buona parte; -il castello di Valzorano del poggio rovinò nella valle, con morte -quasi di tutti i suoi abitanti. Nella città di Sora fece degli edifici -grandissime ruine, e così in molte altre parti di Campagna e di terra -di Roma, e del Regno e di molte altre parti d’Italia, che sarebbono -lunghe e tediose a raccontare. Per li quali terremuoti si potea per li -savi stimare le future novità e rivolgimenti di que’ paesi, le quali -poi seguitarono, come il nostro trattato seguendo si potrà vedere. - - -CAP. XLVI. - -_Come sommerse Villacco in Alamagna._ - -In questo medesimo tempo, essendo all’entrare della Magna sopra una -valle una città che ha nome Villacco, in sul passo, con alquante -villate e castella che teneano bene dodici miglia, a’ confini della -Schiavonia, questa terra con le sue ville e castella per gli terremuoti -s’attuffò nella valle, con grande danno di morte de’ suoi abitanti. -E perocchè il luogo è sul passo del Friuli e Schiavonia, e paese -ubertuoso, e i suoi alberghi tutti si fanno di legname, che ve n’ha -grande abbondanza, fu tosto rifatto e abitato. Innanzi che l’anno fusse -compiuto dal suo rifacimento, per fuoco arse tutta la terra, che fu a -pensare non piccolo giudicio de’ suoi abitanti. Ma per lo fertile luogo -e utile per lo passo, in brieve tempo fu redificata la terra più bella -che prima. - - -CAP. XLVII. - -_De’ fatti del Regno._ - -Del mese di maggio del detto anno, sentendo il re Luigi crescere -fortemente nel Regno la forza del re d’Ungheria, fece comandamento a -tutti i suoi baroni che teneano con lui che si sforzassono d’arme e di -cavalli, e ragunassonsi in Napoli per resistere a’ loro avversari, che -aveano per la presa di Foggia e di Corneto presa superchia baldanza -in Puglia, e accolti molti Tedeschi d’Italia, per vaghezza delle -prede del Regno, più che per soldo ch’elli avessono. I baroni vedendo -il comune pericolo di loro stato e di tutto il Regno, feciono gente -d’arme, e ragunaronsi a Napoli più di tremila cavalieri ben montati -e bene armati; e ancora non era venuto il conte di Minerbino, che -avea con seco trecento barbute. Currado Lupo, che avea con seco il -duca Guernieri, e ’l conte di Lando, e messer Giovanni d’Arnicchi, -Tedeschi grandi maestri di guerra, e con grande seguito di soldati -tedeschi, avieno accolti tutti gli Ungheri del Regno, ch’erano più di -settecento, in grande fede al loro signore: e ancora erano ragunati -con loro masnadieri italiani assai, tratti per guadagnare, sentendo -che la forza del re era ragunata a Napoli, di presente fornì di -guardia tutte le terre sue, e co’ sopraddetti caporali, e co’ loro -cavalieri tedeschi e ungheri, milleseicento o più, e con briganti -a piè, acconci a guadagnare, sperando abboccarsi co’ ricchi baroni -del Regno, si partirono di Foggia, e senza fare soggiorno o trovare -resistenza se ne vennero infino ad Aversa, città di Terra di Lavoro, -presso a Napoli a otto miglia, la quale in quel tempo non era murata: -e per mala provvedenza non era guardata, avvegnachè malagevole fosse a -guardare, perchè era molto sparta, ma avea il castello molto grande e -forte. Currado Lupo con la sua cavalleria senza contasto s’entrò nella -terra, la quale era doviziosa e piena d’ogni bene. Ed essendo altra -volta stata all’ubbidienza del re d’Ungheria, non si pensarono essere -trattati in ruberia e in preda dal vicario del re, e però si trovarono -ingannati. I Tedeschi e gli Ungheri come furono dentro cominciarono a -fare delle cose, vi trovarono da vivere a comune con i cittadini, con -più temperanza e ordine che fatto non aveano in Foggia, perocchè vi -aveano più a stare. E incontanente cavalcarono per lo paese e per li -casali dintorno per farsi ubbidire, e recare il mercato derrata per -danaio; e chi non gli ubbidia di recare della roba ad Aversa sì la -rubavano e ardevano. E in fine, ora per una cagione, ora per un’altra, -tutti erano rubati, e cominciarono a cavalcare fino presso a Napoli, -ed a non lasciare a’ foresi portare alcuna roba in quella terra, che -a giornata solea abbondare della molta roba delle terre e casali di -fuori, ed ora niuno v’andava, che d’ogni parte erano rotte le strade e -i cammini, onde la città cominciò ad avere carestia, e convenia che per -mare si fornisse. Il re Luigi avea baroni e cavalieri assai in Napoli, -ma per buono consiglio riteneva i suoi baroni con il volonteroso popolo -che non uscissono contro a’ nimici a loro stanza, e attendea maggiore -forza di sua gente di dì in dì, e pensava che i nimici per le ruberie -fatte a’ paesani venissono in soffratta, e volea a sua stanza e a -suo tempo andare sopra i suoi nimici e a suo vantaggio, e non alla -loro richiesta, e questo era salutevole e buono consiglio. Ma dove la -fortuna giuoca più che ’l senno, la gente vi corre. - - -CAP. XLVIII. - -_Come la gente del re d’Ungheria sconfisse i baroni del Regno._ - -Vedendo i capitani della gente del re d’Ungheria che la baronia del -Regno era accolta a Napoli contro a loro, e non si movea nè mostrava -in campo per le loro cavalcate, si feciono loro più presso a Meleto -quattro miglia presso a Napoli; e quivi stando, cominciarono a dare -voce che discordia fosse tra’ Tedeschi e gli Ungheri, e seguendo -loro malizia s’armarono, e acconciarono il campo come se dovessero -combattere insieme; e avendo tra loro mezzani gli Ungheri, come -malcontenti d’essere con Currado Lupo, dierono voce di volersene -tornare in Puglia. I giovani baroni che sentivano di presso le novelle -de’ loro nimici, e’ baldanzosi cavalieri napoletani credendo che la -discordia fosse tra gli Ungheri e’ Tedeschi come la boce correa, non -accorgendosi del baratto, e parendo loro che per difetto di vittuaglia -e’ non potessono più stare nel paese, quasi come la preda uscisse -loro tra le mani aspettando, fremivano nell’animo d’uscire fuori, e -correre sopra i nimici; e contradicendo il re e ’l suo consiglio la -furiosa presunzione de’ giovani baroni e de’ pomposi Napoletani, in -furia s’apparecchiarono dell’arme. E montati sopra i loro destrieri e -buoni cavalli, che n’erano bene forniti, e con ricchi arredi e nobili -sopransegne, colle cinture dell’oro e dell’argento cinte, in grande -pompa, avendo fatto loro capitani messer Ruberto di Sanseverino, -e messer Ramondo del Balzo, valenti baroni, e il conte di Sprech -Tedesco, e messer Guiglielmo da Fogliano, ordinate loro battaglie, -contradicendolo il re in persona, uscirono di Napoli, e addirizzaronsi -a’ nimici. Il cammino era corto, e il paese piano, sicchè in poca d’ora -furono giunti al campo, ove trovarono di costa a Meleto nella spianata -schierati i nemici, i quali aveano sentito il furioso movimento de’ -ricchi baroni e cavalieri del Regno, e aveano con savio provvedimento -fatte tre schiere. Vedendo la folle condotta de’ loro avversari, -s’allegrarono, e’ baldanzosi regnicoli sì diedono francamente nella -prima schiera, la quale, per ordine fatto a maestria, s’aperse, e -lasciò valicare, e mescolare tra loro la cavalleria del Regno, non -ostante che assai fussono più di loro; e reggendo a testa la seconda -schiera e intrigata la battaglia, il conte di Lando, ch’era da parte -colla sua schiera, tornò un poco di campo, e venne loro alle reni, -e combattendoli dinanzi e didietro, avvegnachè v’avesse di valorosi -cavalieri, per la loro mala provvedenza in poca d’ora con non troppa -asprezza di battaglia gli ebbono vinti, e sbarattati e richiusi tra -loro per modo, che la maggior parte co’ loro capitani furono presi, -e pochi ne morirono. Quelli che poterono fuggire ne fuggirono, e -non furono incalciati, perchè erano presso alla città, e i loro -nemici n’aveano assai tra le mani a guardare, sicchè non si curarono -d’incalciare gli altri. Questa propriamente non si potè dire battaglia, -ma uno irretamento da pigliare baroni e cavalieri di grandi ricchezze. -I presi furono tra conti e baroni venticinque de’ maggiori del Regno, -con molti ricchi cavalieri napoletani di Capovana e di Nido, e nobili -scudieri e grandi borgesi e baroncelli del Regno, i quali erano tutti -bene montati. E come i capitani de’ Tedeschi e degli Ungheri ebbono -raccolti insieme i prigioni e la preda, con grande festa e sollazzo -d’avere acquistato grande tesoro senza fatica, gli condussono ad -Aversa; e messi i baroni e’ cavalieri in sicure prigioni, l’altra preda -divisono tra loro. E questo fu a dì sei di giugno 1349. - - -CAP. XLIX. - -_Come i Napoletani ricomperarono la vendemmia da’ nimici._ - -Dopo la detta sconfitta la gente del re d’Ungheria avendo presa grande -baldanza, cavalcavano ogni dì infino a Napoli per tutte le contrade -circostanti alla città, senza trovare alcuno contasto. Ch’e’ cavalieri -ch’erano in Napoli, e quelli che scamparono della sconfitta, tutti -tornarono in loro paese, e i Napoletani non ebbono più ardire di -montare a cavallo contra i nimici; per la qual cosa assai picciola -gente spesso entravano con grande ardire tra santa Maria del Carmino -e il Santolo, rubando e facendo preda in sul mercato; e per questo -avvenne che per terra non v’entrava alcuna vittuaglia, e però convenne -che per mare vi venisse d’altre parti, e montasse ogni cosa, fuori -del vino, in grande carestia. Vedendo i Napoletani nella forza de’ -loro nemici tutto il loro contado, temendo delle loro vendemmie, -e per avere alcuna posa, diedono a Currado Lupo e a’ suoi compagni -ventimila fiorini d’oro, e messer Ramondo del Balzo, e messer Ruberto -da Sanseverino, e il conte di Tricario anche della casa di Sanseverino, -e il conte di santo Angiolo, e un altro barone, ch’erano presi, si -ricomperarono fiorini centomila d’oro, e gli altri baroni del Regno -e cavalieri si ricomperarono fiorini cinquantamila, e’ cavalieri e -scudieri di Napoli si ricomperarono altri cinquantamila fiorini: e -il conte di Sprech Tedesco, e M. Guiglielmo da Fogliano e’ soldati -forestieri, tolto loro l’arme e’ cavalli, furono lasciati alla fede. E -trovandosi questa gente del re d’Ungheria fornita d’arme e di cavalli, -e pieni d’arnesi, e abbondante d’ogni bene, questi danari, e molti -gioielli d’oro e d’ariento, riposono nel castello d’Aversa senza -partire, acciocchè niuno avesse cagione di partirsi del paese. E per -accogliere maggiore tesoro, i danari del riscatto, e del tempo della -vendemmia, furono pagati, e queto il paese mentre che le vendemmie -durarono, secondo la loro promessa, e passato il tempo ricominciarono -la guerra come prima, aspettando danari freschi dal re e da’ -Napoletani, come appresso seguendo si potrà trovare. - - -CAP. L. - -_Come si fe’ triegua nel Regno._ - -Il papa e’ cardinali avendo sentita la rotta de’ baroni del Regno, -e che ’l paese si guastava, mandarono nel Regno M. Annibaldo da -Ceccano cardinale legato di santa Chiesa, a procacciare di conservare -il reame, acciocchè la discordia de’ due re non guastasse quello -ch’era di santa Chiesa. Il cardinale giunto a Napoli trovò il re e’ -Napoletani in male stato, e i paesi di Terra di Lavoro guasti, rubate -le castella, le ville, i casali, e vedendo che la forza de’ Tedeschi -e degli Ungheri guastava tutto, si mise a cercare via d’accordo, e -andava dall’una parte all’altra, ma poco frutto di concordia seppe -fare. Onde il re e’ Napoletani avvedendosi che il cardinale non facea -loro profitto, si condussono a cercare eglino con loro confidenti. E -mandarono a Currado Lupo e agli altri caporali ad Aversa, e in fine -vennono con loro a concordia, che dovessono lasciare in mano del -cardinale Aversa e Capova, e tutte le terre e castella che teneano -dal Volturno di Tuliverno in verso Napoli, per tutta Terra di Lavoro -e di Principato, e facendo questo avessono contanti centoventimila -fiorini d’oro. Le terre furono lasciate nella guardia del cardinale, -e i danari furono pagati del mese di gennaio 1349. Allora vidono il -conto de’ danari che aveano raunati, e trovaronsi in contanti più di -cinquecento migliaia di fiorini d’oro, i quali di molta concordia si -divisono a bottino. E’ caporali dividitori furono, Currado Lupo, e il -doge Guernieri, e il conte di Lando, e M. Gianni d’Ornicchi, e alcuni -altri. E oltre a questo tesoro, e oltre a molti destrieri, e ricchi -arnesi e armadure che catuno avea, ebbono parte di molte vasellamenta -d’argento, e di croci e di calici e d’altri ornamenti delle chiese che -avieno spogliate, e ornamenti delle donne, e drappi e vestimenta di -grandissima valuta, de’ quali erano pieni, avendone spogliate parecchie -città, come detto abbiamo. Costoro sopra modo ricchi, passato il -Volturno, si diliberarono di partirsi del Regno, e tutti, fuori che -Currado Lupo, e fra Moriale e gli Ungheri, che si ritennono per lo -re d’Ungheria nel Regno, si partirono e menandone molte donne rapite -a’ loro mariti, e molte altre che non aveano marito, cosa strana e -disusata tra’ fedeli cristiani; e ricchi delle loro rapine, quali -si tornarono in Alamagna, e altri si sparsono nell’italiane guerre: -e per questo modo il Regno ebbe alcuno sollevamento dalle ruberie -e dalla guerra, che catuno si posava volentieri. E dandoci alquanto -triegua le novità dello sviato Regno, ci s’apparecchia nuova e lieve -cagione, della quale surse come di picciola favilla fuoco di smisurata -grandezza. - - -CAP. LI. - -_Di novità di barbari di Bella Marina._ - -Tornando alquanto nostra materia a’ fatti de’ barbari, in questo tempo -Buevem figliuolo di Balese della Bella Marina, a cui come addietro è -narrato, il detto Buevem avea rubellato il regno di Tremusi, sentendo -che Maometto suo cugino gli avea rubellato Fessa e il suo reame, liberò -di servaggio mille cristiani, e misegli a cavallo e in arme, e accolse -suo oste di quindicimila cavalieri, e di gran popolo di Mori a piè, -e andonne verso Fessa, contro a Maometto, il quale trovò provveduto -con venticinquemila cavalieri e di grande popolo, e fecelisi incontro -fuori della città di Fessa, e non troppo lungi della città commisono -aspra battaglia, nella quale morirono grandissima quantità di saracini -da catuna parte; in fine, come piacque a Dio, per virtù de’ cristiani -Maometto fu sconfitto, colla sua gente morta e sbarattata, ed egli -si rifuggì nel castello di Villanuova, ove Buevem il tenne assediato -sei mesi senza speranza di poterlo avere per la grande fortezza; e -però argomentò di fare fuggire da se un grande caporale de’ cristiani -con sua masnada, e mostrando di perseguirlo per uccidere, si fuggì -a Maometto nel castello, il quale conoscendo la prodezza e senno de’ -cristiani, pensò di difendersi meglio, avendo costui dal suo lato, e -però gli fece onore e grandi promesse, perchè avesse materia d’aiutarlo -e d’esser leale. Costui mostrandosi agro nimico di Buevem, alcuna volta -uscì fuori percotendo il campo, e ritornando con onore. Il re Buevem -mostrando che onta gli fosse cresciuta per la fuggita del malvagio -cristiano, ordinò di volere combattere il castello. Maometto sentendo -ciò s’ordinò alla difesa: e avendo presa confidenza nel conestabile -cristiano, gli accomandò la guardia d’una porta del castello. E venendo -il re alla battaglia, il traditore gli aperse la porta, ed entrato -dentro con grande sforzo, preso Maometto, e incarcerato, in pochi dì -il fece morire. E andato a Fessa, fu ricevuto come re e loro signore, -e fu coronato re di Morocco, e della Bella Marina e di Tremusi in -poco tempo, essendo il padre a Tunisi, il quale tornando poi contro al -figliuolo per lo regno, gli avvenne quello che a suo tempo diremo. - - -CAP. LII. - -_Come Balase tornando per lo suo reame contro al figliuolo ebbe grande -fortuna, e poi fu avvelenato._ - -Balase avendo acquistato il reame di Tunisi, e perduto quello di Bella -Marina e di Tremusi, di che Buevem suo figliuolo s’avea fatto coronare, -fece in Tunisi re un altro suo figliuolo, e con sei galee armate, e -una nave di Genovesi carica di grande tesoro ch’avea tratto di Tunisi, -del mese d’ottobre del detto anno, si mise in mare per tornare nel -suo reame: confidandosi, che essendo con sua persona nel paese, i -suoi sudditi l’ubbidirebbono, non ostante che il figliuolo avesse la -signoria. E avendo lasciato il suo nuovo re in Tunisi, poco appresso la -sua partita gli Arabi entrarono in Tunisi, e uccisono questo figliuolo -rimaso, e fecionne re il nipote del re di Tunisi, cui Balase avea -morto; e ’l detto Balase essendo in mare, una fortuna il percosse, -e tutte e sei le sue galee ruppe, e tutti gli uomini perirono, salvo -il re con alquanti compagni che camparono in su uno scoglio: e indi -levato da certi pescatori fu portato a Morocco, ove riconosciuto, fu -ricevuto come loro signore. La nave col suo tesoro messasi in alto -pelago arrivò in Ispagna, e il re Pietro s’appropiò il tesoro. Balase -essendo ubbidito in Morocco e nel paese, di presente accolse di suoi -baroni, e con grande oste andò contro a Buevem suo figliuolo, inverso -Fessa; e cominciato a guerreggiare, veggendo Buevem che i suoi baroni -cominciavano a ubbidire al padre, disperandosi della difesa, argomentò -con incredibile tradimento. Egli avea seco una sua sirocchia giovane -fanciulla figliuola di Balase, costei ammaestrò di quello ch’egli -volle ch’ella facesse: la quale si partì da lui, mostrando mal suo -volere, e tornò al padre, il quale la vide allegramente, ed ella lui, -come caro padre, e commendatola della sua venuta, la tenea intorno a -se come figliuola. Ma la corrotta fanciulla osservando la malizia del -fratello, ivi a pochi dì avvelenò il padre. Finito Balase il corso -della sua vita, e delle sue grandi fortune prospere e avverse, Buevem -suo figliuolo rimase re della Bella Marina, e di Morocco e di Tremusi; -ma poco appresso i Mori gli rubellarono Tremusi, ma egli di presente -vi mandò grande oste, e racquistò tutto. E montato in grande potenzia, -per forza si sottomise il reame di Buggea e quello di Costantina, e’ -loro re mise in prigione. E incrudelito, per ambizione di reggere la -signoria con meno paura, in brieve tempo fece morire venticinque suoi -fratelli di diverse madri. Ed esaltato sopra tutti i Barberi, cominciò -a usare senza freno la sua lussuria, e gli altri diletti carnali, ove -si riposa la gloria di quelli saracini; e a un’otta avea trecento mogli -e grande novero di vergini, le più nobili e le più belle de’ suoi -reami: e quando gli piaceva, usava con quella che l’appetito della -sua concupiscenza richiedeva, e quella mettea nel numero delle sue -mogli. Uomo fu ridottato sopra gli altri signori, e aspro punitore di -giustizia; e con grande guardia e con molto ordine governava i suoi -reami. A’ cristiani mercatanti facea grande onore, e volentieri gli -ricettava in suo reame. - - -CAP. LIII. - -_Come per lievi cagioni suscitò novità in Romagna._ - -Essendo conte di Romagna messer Astorgio di Duraforte di Proenza, -il quale avea per moglie una nipote di papa Clemente sesto, o che -più vero fosse sua figliuola, il papa l’amava, e intendeva a farlo -grande. Costui il dì della Pasqua di Natale del detto anno, mostrando -familiarità co’ gentiluomini di Faenza, gli fece invitare a pasquare -seco. Ed essendo a desinare, riscaldati dalla vivanda e dal vino, -messer Giovanni de’ Manfredi dimestico del conte gli disse: in cotale -mattina per cagione di padronatico, ci è debitore il vescovo di Faenza -di mandare una gallina con dodici pulcini di pasta, e con carne cotta: -e quando questo e’ non fa, a noi è lecito mandare alla sua cucina, -e trarne la vivanda, e ciò che in quella si trova. La gallina non è -venuta, e però piacciavi che con vostra licenza noi possiamo usare -la ragione del nostro padronatico. La domanda fu indiscreta, essendo -in casa altrui, che non era certo che il vescovo avesse fallato; -e il conte con poco sentimento, non considerando il pericolo della -novità, concedette quella licenza follemente. Il vescovo avea fatto -suo dovere, e avea mandata a casa messer Giovanni d’Alberghettino la -gallina e i pulcini, a cui l’anno toccava quello onore, e la donna -per un suo scudiere l’avea mandata al marito al palagio del conte; -ma per comandamento fatto a’ portieri per lo conte che alcuno non -vi lasciassero entrare, se n’era tornato a casa. Nondimeno messer -Giovanni, ch’avea avuta la licenzia dal conte, disse a’ suoi famigli: -andate, e chiamate de’ nostri amici, e dite loro rechino le scuri, ed -entrate nel vescovado: e se le porti non vi sono aperte, colle scuri -l’aprite, e della cucina del vescovo gittate fuori vivanda, e ciò -che vi trovate dentro. Costoro andando agli amici di messer Giovanni -diceano: togliete le scuri, e venite con noi. Coloro ch’erano invitati -che togliessono le scuri non sapendo la cagione, pigliarono anche -l’altre armi, e l’uno confortava l’altro: e così armati traevano a -casa messer Giovanni. Le masnade del conte a piè e a cavallo che il -dì avieno la guardia, temendo di questa novità, trassono a casa messer -Giovanni, e cominciarono mischia contro a coloro vi trovarono armati. -I terrazzani si difendeano non sappiendo la cagione del fatto: la -gente traeva da ogni parte a romore. Sentendosi la novità al palagio -dov’erano i convitati, facendosi il conte alle finestre, vidde a piè -del palagio uno Franceschino di Valle, grande amico di messer Giovanni -Manfredi, a cui commise che andasse da sua parte a comandare alla sua -gente e a’ cittadini che lasciassono la zuffa e non contendessono -insieme. Costui disarmato andò a fare il comandamento da parte del -conte. La gente del conte, che conosceano costui amico di messer -Giovanni, presono maggiore sospetto, e rivolsonsi contro a lui, e -volendogli uno dare della spada in sulla testa, parando la mano al -colpo gli fu tagliata: e seguendo i colpi contro a lui, fu morto, e in -quello stante tre altri amici di messer Giovanni vi furono tagliati e -morti. Per la qual cosa, al matto movimento aggiunto la vergogna e il -danno, generò fellonia e sdegno in messer Giovanni, e conceputo nel -petto, propose nella mente di tentare cose quasi incredibili a poterli -venire fatte, secondo il suo piccolo e povero stato, le quali per molto -studio copertamente, come vedere si potrà appresso, condusse al suo -intendimento. - - -CAP. LIV. - -_Come messer Giovanni Manfredi rubellò Faenza alla Chiesa._ - -Messer Giovanni Ricciardi de’ Manfredi avendo conceputo il tradimento -ch’egli intendea fare, cominciò segretamente a dare ordine al fatto: -e avvennegli bene, che il conte sopraddetto andò a corte a Vignone. -E per alcuno sentimento di gelosia, per sicurtà menò con seco messer -Guglielmo fratello carnale del detto messer Giovanni, come per grande -confidenza di sua compagnia, e lasciò vececonte un Provenzale di poca -virtù, con trecento cavalieri a sua compagnia. E oltre a ciò, lasciò -fornite le fortezze della città e le castella di fuori. Messer Giovanni -de’ Manfredi con molta stanzia tenea grande familiarità col vececonte, -e con singulare studio traeva a se l’amore e la benivoglienza de’ -cittadini. E come gli parve tempo, cominciò a mettere copertamente -fanti in Faenza a pochi insieme, e feceli ricettare a’ suoi confidenti. -E seppe sì fare, che in poco tempo ebbe nella città cinquecento -fanti forestieri a sua petizione, innanzi che il vececonte o alcuno -se ne fosse accorto. Ma discordandosi da lui messer Giovanni dello -Argentino suo consorto, per via di setta, sentì come in certa contrada -nel contado, gli amici di messer Giovanni di messer Ricciardo non si -trovavano, e non si sapea dove fossono. E per questo sospettando di -tradimento, fece sentire al vececonte, com’egli sapea che gli amici di -messer Giovanni di messer Ricciardo in cotale e in cotale parte non -si ritrovavano, perchè temea che in Faenza non apparisse novità; il -visconte avendo con messer Giovanni singolare amicizia e confidenza, -non volea intendere di lui alcuno sospetto, ma provvedea al riparo. E -appressandosi il tempo che il fatto si dovea muovere, la cosa si venia -più scoprendo. Allora il visconte ingelosito mandò a fare richiedere -degli amici di messer Giovanni: costoro andarono prima a messer -Giovanni a sapere quello ch’avessono a fare. Messer Giovanni disse -loro: tornatevi a casa, e armatevi co’ vostri parenti e amici, e levate -il romore. Ed egli co’ cittadini con cui egli si confidava, e co’ fanti -che avea messi in Faenza s’andò ad armare, e accolto il suo aiuto, uscì -delle case armato, e fecesi forte a’ suoi palagi. Levato il romore, il -visconte fu a cavallo co’ suoi cavalieri e con fanti appiè soldati, e -dirizzossi alle case di messer Giovanni, ove sentiva la gente armata. -E giunto al luogo, trovando messer Giovanni co’ suoi armati cominciò a -combattere con loro fortemente. Messer Giovanni co’ suoi si difendeva -virtudiosamente, sostenendo il dì e la notte, senza perdere della -piazza. La mattina messer Giovanni prese una parte della sua gente, e -misesi sul fosso della città, onde attendea soccorso da alcuni suoi -amici di fuori, e sforzandosi il visconte di levarlo di quel luogo, -non ebbe podere. La gente venne, e misono un ponte, ch’aveano fatto -però, sopra il fosso, e atati da quelli d’entro valicarono senza -contrasto, e furono trecento fanti di Valdilamone, e altri amici di -messer Giovanni, e due bandiere di quaranta cavalieri che vi mandò il -signore di Ravenna. Il Provenzale sbigottito per codardia, avendo la -maggior parte de’ cittadini in suo aiuto, e tutte le fortezze della -città in sua guardia, e l’aiuto delle masnade di santa Chiesa a cavallo -e a piè, ed essendo vincitore, standosi fermo, tanta viltà gli occupò -la mente, ch’egli abbandonò le fortezze della terra, e la libera -signoria ch’egli avea nelle sue mani, e tutto il suo onore, e non stato -cacciato, abbandonò la città, e fuggissi a Imola colla sua gente, ove -per reverenzia di santa Chiesa fu ricevuto, e raccettato mansuetamente. -E abbandonata per costoro la città di Faenza e le sue fortezze, messer -Giovanni di messer Ricciardo de’ Manfredi ne rimase libero signore. -E incontanente si collegò col capitano di Forlì, e col signore di -Ravenna, e co’ signori di Bologna, che temeano della Chiesa, perchè per -tirannia teneano le città contro al volere della Chiesa, e segretamente -davano aiuto e consiglio a messer Giovanni, acciocchè Faenza e Romagna -non rimanesse all’ubbidienza della Chiesa. Questo appresso si dimostrò -manifestamente, come leggendo nostro trattato si potrà trovare. E -questo rubellamento avvenne a dì 27 di febbraio del detto anno. - - -CAP. LV. - -_Come il capitano di Forlì prese Brettinoro per assedio._ - -Del mese di maggio seguente, gli anni _Domini_ 1350, il capitano di -Forlì vedendo che la Chiesa avea perduta Faenza, essendosi collegato -co’ tiranni di Bologna, con quello di Ravenna e di Faenza, che -desideravano al tutto svegliere la Chiesa di Romagna e la sua forza; -conoscendo il tempo fece suo sforzo, e andò ad assedio al castello di -Brettinoro, ch’era molto forte e bene fornito. E ivi stando lungamente, -la Chiesa non lo soccorreva per avarizia, ma scrivea a’ signori di -Bologna, i quali amavano che si perdesse, e ai comuni di Toscana, che -aiutassono al conte di Romagna a soccorrerlo senza darli forza di gente -d’arme. E stando d’oggi in domane a speranza dell’aiuto degl’Italiani, -non avendo alcuna forza da se, il conte si trovò ingannato. Il -capitano stringeva gli assediati con ogni argomento, i quali disperati -di soccorso, in prima i terrazzani s’arrenderono al capitano, e -appresso quelli della rocca la dierono per danari, che bene la poteano -lungamente difendere. Ma la viltà del non sentire apparecchiare -soccorso gli fece affrettare a trarre il loro vantaggio. - - -CAP. LVI. - -_Come i cristiani d’Europa cominciarono a venire al perdono._ - -Negli anni di Cristo della sua natività 1350, il dì di Natale, cominciò -la santa indulgenza a tutti coloro che andarono in pellegrinaggio a -Roma, facendo le vicitazioni ordinate per la santa Chiesa alla basilica -di santo Pietro, e di san Giovanni Laterano, e di santo Paolo fuori di -Roma: al quale perdono uomini e femmine d’ogni stato e dignità concorse -di cristiani, con maravigliosa e incredibile moltitudine, essendo di -poco tempo innanzi stata la generale mortalità, e ancora essendo in -diverse parti d’Europa tra’ fedeli cristiani; e con tanta devozione -e umilità seguivano il romeaggio, che con molta pazienza portavano -il disagio del tempo, ch’era uno smisurato freddo, e ghiacci e nevi -e acquazzoni, e le vie per tutto disordinate e rotte: e i cammini -pieni di dì e di notte d’alberghi, e le case sopra i cammini non erano -sofficienti a tenere i cavalli e gli uomini al coperto. Ma i Tedeschi e -gli Ungheri in gregge, e a turme grandissime, stavano la notte a campo -stretti insieme per lo freddo, atandosi con grandi fuochi. E per gli -ostellani non si potea rispondere, non che a dare il pane il vino e -la biada, ma di prendere i danari. E molte volte avvenne, che i romei -volendo seguire il loro cammino, lasciavano i danari del loro scotto -sopra le mense, loro viaggio seguendo: e non era de’ viandanti chi gli -togliesse, infino che dell’ostelliere venia chi gli togliesse. - -Nel cammino non si facea riotte nè romori, ma comportava e aiutava -l’uno all’altro con pazienza e conforto. E cominciando alcuni ladroni -in Terra di Roma a rubare e a uccidere, dai romei medesimi erano -morti e presi, aiutando a soccorrere l’uno l’altro. I paesani faceano -guardare i cammini, e spaventavano i ladroni: sicchè secondo il -fatto, assai furono sicure le strade e’ cammini tutto quell’anno. -La moltitudine de’ cristiani ch’andavano a Roma era impossibile a -numerare: ma per stima di coloro ch’erano risedenti nella città, che -il dì di Natale, e de’ dì solenni appresso, e nella quaresima fino -alla pasqua della santa Resurrezione, al continovo fossono in Roma -romei dalle mille migliaia alle dodici centinaia di migliaia. E poi per -l’Ascensione e per la Pentecoste più di ottocento migliaia; essendo -pieni i cammini il dì e la notte, come detto è. Ma venendo la state -cominciò a mancare la gente per l’occupazione delle ricolte, e per -lo disordinato caldo; ma non sì, che quando v’ebbe meno romei, non -vi fossono continovamente ogni dì più di dugento migliaia d’uomini -forestieri. Le vicitazioni delle tre chiese, movendosi d’onde era -albergato catuno, e tornando a casa, furono undici miglia di via. Le -vie erano sì piene al continovo, che convenia a catuno seguitare la -turba a piede e a cavallo, che poco si poteva avanzare; e per tanto -era più malagevole. I romei ogni dì della visitazione offerivano a -catuna chiesa, chi poco, e chi assai, come gli parea. Il santo sudario -di Cristo si mostrava nella chiesa di san Pietro, per consolazione de’ -romei, ogni domenica, e ogni dì di festa solenne; sicchè la maggior -parte de’ romei il poterono vedere. La pressa v’era al continovo -grande e indiscreta. Perchè più volte avvenne, che quando due, quando -quattro, quando sei, e tal’ora fu che dodici vi si trovarono morti -dalla stretta, e dallo scalpitamento delle genti. I Romani tutti erano -fatti albergatori, dando le sue case a’ romei a cavallo; togliendo per -cavallo il dì uno tornese grosso, e quando uno e mezzo, e talvolta due, -secondo il tempo; avendosi a comprare per la sua vita e del cavallo -ogni cosa il romeo, fuori che il cattivo letto. I Romani per guadagnare -disordinatamente, potendo lasciare avere abbondanza e buono mercato -d’ogni cosa da vivere a’ romei, mantennero carestia di pane, e di -vino e di carne tutto l’anno, facendo divieto, che i mercatanti non vi -conducessono vino forestiere, nè grano nè biada, per vendere più cara -la loro. Valsevi al continovo uno pane grande di dodici o diciotto -once a peso, danari dodici. E il vino soldi tre, quattro, e cinque il -pitetto, secondo ch’era migliore. Il biado costava il rugghio, ch’era -dodici profende comunali, a comperarlo in grosso, quasi tutto l’anno, -da lire quattro e soldi dieci in lire cinque: il fieno, la paglia, -le legne, il pesce, e l’erbaggio vi furono in grande carestia. Della -carne v’ebbe convenevole mercato, ma frodavano il macello, mescolando -e vendendo insieme, con sottili inganni, la mala carne colla buona. Il -fiorino dell’oro valeva soldi quaranta di quella moneta. Nell’ultimo -dell’anno, come nel cominciamento, v’abbondò la gente e poco meno. Ma -allora vi concorsono più signori, e grandi dame, e orrevoli uomini, e -femmine d’oltre a’ monti e di lontani paesi, ed eziandio d’Italia, che -nel cominciamento o nel mezzo del tempo: e ogni dì presso alla fine si -faceano delle dispensagioni, del vicitare le chiese, maggiori grazie. -E nell’ultimo, acciocchè niuno che fosse a Roma, e non avesse tempo -a potere fornire le visitazioni, rimanesse, senza la grazia, senza -indulgenzia de’ meriti della passione di Cristo, fu dispensato infino -all’ultimo dì, che catuno avesse pienamente la detta indulgenzia. E -così fu celebrato questo anno del santo giubbileo la dispensagione -de’ meriti della passione di Cristo, e di quelli della santa Chiesa, e -remissione de’ peccati de’ fedeli cristiani. - - -CAP. LVII. - -_Perchè s’intramesse il dificio d’Orto san Michele._ - -Era cominciato innanzi alla mortalità il nobile edificio del palagio -sopra dodici pilastri nella piazza d’Orto san Michele, per farvi -granai per lo comune, acciocchè si stesse in continua provvisione di -grano e di biada, per sovvenire il popolo al tempo della carestia. -Ma avvedendosi il comune, che il minuto popolo era ingrassato e -impoltronito dopo la mortalità, e non volea servire agli usati -mestieri, e voleano per loro vita le più care e le più dilicate cose -che gli altri antichi cittadini, e con questo disordinavano tutta la -città, volendo di salario le fanti, femmine rozze e senza essere ausate -a servigio, e i ragazzi della stalla, il meno fiorini dodici l’anno, -e i più sperti diciotto e ventiquattro l’anno: e così le balie, e gli -artefici minuti manuali, volevano tre cotanti o appresso che l’usato, -e i lavoratori delle terre voleano tutti buoi e tutto seme, e lavorare -le migliori terre, e lasciare l’altre: pensarono i nostri rettori con -buono consiglio, di mettere ordine alle cose, e raffrenare i soperchi -con certe leggi, ma per cosa che fare sapessono, a questa volta non vi -poterono porre rimedio, e convenne che a Dio si lasciasse il corso e -l’addirizzamento di quelli soperchi, i quali ancora nel 1362 durano, -poco corretti, o mancati. Perocchè l’abbondanza del guadagno corrompeva -il comune corso del ben vivere, pensarono che più utile era raffrenare -lo ingrato e sconoscente popolo la carestia, che la dovizia. E allora -si rimase coperto d’un basso tetto l’edificio del palagio d’Orto san -Michele. E il comune avendo bisogno, raddoppiò la gabella del vino alle -porte, e dove pagava soldi trenta il cogno, lo recò in soldi sessanta. -E chi vendesse vino a minuto, dovesse pagare de’ due danari l’uno -al comune. E dinuovo puosono soldi due a ogni staio di farina che si -logorasse nella città, e danari quattro alla libbra della carne, e che -lo staio del sale si vendesse per lo comune lire cinque e soldi otto. -E non vollono che provvisione di grano o di biada si facesse per lo -comune, ma in contradio ordinarono, che tutto il pane vendereccio si -facesse per lo comune, e vendessesi caro: e quale fornaio ne volesse -fare per vendere, pagasse d’ogni staio soldi otto di gabella al comune. -Queste furono cose di grande gravezza; ma tanto era l’utile che traeva -d’ogni cosa il minuto popolo, che meno se ne curavano che i maggiori -cittadini. - - -CAP. LVIII. - -_Come la Chiesa mandò il conte per racquistare la contea di Romagna._ - -In questo anno 1350, parendo al papa e a’ cardinali, con vergogna -di santa Chiesa avere perduta la signoria e la propietà di Romagna, -ordinarono di volerla racquistare per forza; e avendo papa Clemente -sesto volontà d’accrescere onore e stato a messer Astorgio di -Duraforte, conte di Romagna, suo parente, il fece capitano della gente -che la Chiesa intendea di mettere in arme a questo servigio. Il quale -accolse quattrocento cavalieri gentiluomini in Proenza, e fece suo -maliscalco messer Rostagno da Vignone della casa de’ Cavalierri, pro’ -e ardito e valoroso cavaliere. E la Chiesa gli ordinò uno tesoriere, -che ricogliesse i danari, e convertissegli ne’ soldi e negli altri -bisogni che occorressono alla guerra, a volontà del conte. E innanzi -che il conte si movesse di Proenza, fece a Firenze e a Perugia soldare -ottocento cavalieri e mille masnadieri di buona gente d’arme. E oltre a -ciò, il papa con molta istanza fece richiedere i tiranni di Lombardia, -catuno per se, e i comuni di Toscana, che dovessono aiutare al conte -racquistare Romagna. L’arcivescovo di Milano gli mandò cinquecento -barbute: messer Mastino della Scala glie ne mandò dugento: i tiranni -di Bologna glie ne mandarono dugento: il marchese di Ferrara cento; -i comuni di Toscana non vi mandarono loro gente. Il conte di Romagna -avendo i suoi cavalieri e masnadieri, e questo aiuto, a dì 13 di maggio -del detto anno si partì d’Imola, e addirizzossi al ponte san Brocolo; -ed essendo il ponte molto afforzato e bene guernito di gente alla -difesa per lo signore di Faenza, a dì 15 del detto mese, con aspra -e dura battaglia combatterono la fortezza e vinsonla, che fu assai -prospero cominciamento. E rafforzata la bastita del ponte, e messovi le -guardie per difendere il passo, con tutta sua cavalleria s’addirizzò a -Salervolo, uno castello presso a Faenza a cinque miglia, il quale non -era murato, nè fortezza, nel luogo, che avendolo vinto fosse grande -acquisto. E ivi puose l’assedio, lasciando per mala provvisione di -porsi a Faenza, ch’era male fornita e poco intera alla difesa, e i -cittadini non amavano la signoria del nuovo tiranno, e però fu reputato -pe’ savi follemente fatto. Il tiranno di Faenza, messer Giovanni di -messer Ricciardo Manfredi, che stava in grande paura della città, -sentendo posta l’oste a Salervolo, fu molto contento, e prese cuore -alla difesa; e di subito mise masnadieri in Salervolo, che avea soldati -in Toscana, sperti a sapere guardare le castella, i quali francamente -difesono la terra di molte battaglie che ’l conte vi fece dare, -durandovi l’assedio dal dì 17 di maggio, fino a dì 6 del prossimo mese -di luglio, senza lasciarsi avanzare alcuna cosa. - - -CAP. LIX. - -_Processo de’ traditori di Romagna, e di certi Provenzali._ - -Seguita il processo de’ traditori, che si provvedeano con molta -sagacità a ingannare l’uno l’altro, e catuno infine con la sua parte -dell’impresa rimase disfatto e ingannato. E dell’attizzamento di questa -maladetta favilla crebbe fuoco, il cui fumo corruppe tutta Italia, -e offuscò gli occhi a’ liberi popoli, e ottenebrò la vista de’ sacri -pastori, e fu cagione di nuovi avvenimenti di signori, e di grandi e -gravi revoluzioni di stati, come seguendo a’ loro tempi racconteremo. -Per questa impresa della Chiesa, i tiranni di Bologna, che allora erano -messer Giovanni e messer Iacopo di messer Taddeo di Romeo de’ Peppoli -di Bologna, avendo occupata la città alla Chiesa di Roma sotto certo -censo, ed essendo in grande stato e pompa nella signoria, temeano che -la Chiesa non racquistasse la signoria di Romagna; e dall’altra parte -si tenea dissimulando per lo conte, che per lo loro caldo e favore -messer Giovanni Manfredi avesse rubellata Faenza alla Chiesa, e che -segretamente atassono a mantenere la difesa. E però il conte, che -era più sperto in coperta malizia, che in aperta prodezza o virtù, -continovo attendeva a tendere suoi lacci, come i tiranni i loro, e -mostravansi insieme con molta confidanza e grande amistà, e davansi -aiuto e consiglio l’uno all’altro, coperto di frode e di dolo. - - -CAP. LX. - -_Come messer Giovanni de’ Peppoli cercò accordo dal conte a messer -Giovanni._ - -In fra ’l tempo già detto dell’assedio di Salervolo, crescendo -continuo la forza del conte per lo sussidio de’ danari della Chiesa, e -dell’amistà che giugnea in aiuto al conte, messer Giovanni de’ Peppoli, -per tenere in tranquillo il conte e farli perdere tempo, cominciò -un trattato, di voler riducere messer Giovanni Manfredi di Faenza -all’ubbidienza di santa Chiesa: e mandò a dire al conte che volea -essere in ciò mezzano, facendo a santa Chiesa riavere suo diritto e -suo onore. Il conte, ch’era di natura e di studio malizioso, si mostrò -molto contento di voler seguire questo trattato, mostrando in questo, -e nell’altre cose, volersi reggere per suo consiglio, dicendo, che -così aveva in mandato dal santo padre: e nondimeno sapea al certo, -che per operazione de’ signori di Bologna, e del capitano di Forlì, -e co’ loro danari, al presente era entrato il doge Guernieri con -cinquecento barbute alla difesa di Faenza. E dato lo intendimento a -messer Giovanni, acciocchè seguisse il trattato, egli con sollecitudine -mandava in Faenza suoi ambasciadori, e nell’oste al conte, e mostravasi -già il trattato venire a concordia. Allora il conte mandò a dire -a messer Giovanni a Bologna per li suoi medesimi ambasciadori, che -innanzi che fermasse la concordia, volea essere personalmente con lui -in Bologna, o dovunque gli piacesse, per dare compimento a questo, -e ragionargli d’altre segrete cose, che dal santo padre avea in -commissione di conferire con lui: e però mandasse a dire dove e’ volea -ch’egli venisse, che avuta la risposta, con piccola compagnia subito -sarebbe a lui. - - -CAP. LXI. - -_Come messer Giovanni de’ Peppoli andò nell’oste, e fu preso._ - -Messer Giovanni de’ Peppoli signore di Bologna, avendo dal conte -dimostramento di tanta libertà, e sentendo che il papa l’amava e -davali molta fede, prese sicurtà per lo trattato ch’egli menava, e -perchè aveva nell’oste del conte dugento suoi cavalieri, e avea grande -amistà con molti altri conestabili dell’oste. E volendo mostrare -al conte com’egli era fedele di santa Chiesa, per ricoprire le sue -coperte operazioni fatte contro a quella, secondo la malizia del conte, -pervenne a sua volontà: e contro al consiglio di messer Iacopo suo -fratello, di presente prese in sua compagnia de’ maggiori cittadini -di Bologna, e di suoi soldati trecento cavalieri, e promettendo al -fratello che non passerebbe Castel san Pietro, si mise a cammino. -Ed essendo giunti la mattina a buon ora a Castel san Pietro, come il -peccato conduce, e le fini de’ tiranni s’apparecchiano per non pensato -sentiere, come si vide a Castel san Pietro non attese la promessa al -fratello, ma volendo improvviso e tosto giugnere al conte, cavalcò -senza arresto: e prima fu giunto al padiglione del conte, che sapesse -che vi dovesse venire; e scavalcato, il conte il ricevette con grande -festa, mostrandogli ne’ sembianti amore fraternale; e molto s’allegrava -con lui della sua cortese venuta. E questo fu a dì 6 di luglio in -sulla nona, che ’l caldo era grande. Innanzi fece venire vini, frutte -e confetti, per fare rinfrescare lui e la sua brigata ch’erano ivi; -e in questo soggiorno, veggendosi il conte tra le mani il tiranno -di Bologna, o ch’egli avesse prima pensato il tradimento, o che -subitamente l’animo il tirasse all’inganno, bevendo e mangiando insieme -in grande sollazzo, mandò il suo maliscalco a fare armare cavalieri -e masnadieri cui egli volle, dando voce di fare assalto a quelli di -Salervolo. E come furono armati, fece promettere a’ conestabili paga -doppia e mese compiuto, acciocchè non si mettessono alla difesa del -signore di Bologna. Messer Giovanni che avea bevuto e mangiato, e preso -rinfrescamento a volontà del conte, attendea che il conte gli parlasse: -e non vedendo che ne facesse sembiante, disse a quelli ambasciadori -che quella ambasciata gli aveano portata, che dicessono al conte che si -dovea diliberare; e già cominciava a dubitare. Il conte rispuose, che -attendeva il suo maliscalco, che di presente vi sarebbe, e fornirebbono -loro parlamento. Ancora erano le parole, quando messer Rostagno -maliscalco dell’oste giunse colla gente armata al padiglione del conte -ove messer Giovanni attendea, e fugli intorno: e apparecchiatogli -uno cavallo de’ suoi, disse: messer Giovanni, montate qui su: e -immantinente vi fu posto più tosto che non vi sarebbe montato, e -senza contesa o difesa, di salto fu menato prigione a Imola. Uno suo -famiglio cominciò a gridare e a piagnere, dicendo: oimè, signore mio: -e di presente gli fu morto a’ piedi. E giunto in Imola, fu messo nella -rocca, e ordinatogli buona guardia. I cittadini di Bologna, e tutta -la compagnia che avea menata di Bologna, e i dugento cavalieri che -avea tenuti nell’oste in servigio del conte, in quella medesima ora, -come preda di nimici vinta in battaglia, furono presi, e rubato loro -l’arme, e’ cavalli, e arnesi, e i soldati così rubati furono cacciati -del campo; e i cittadini di Bologna furono tenuti prigioni alquanti dì, -e manifestato per tutto il grande tradimento, furono lasciati. E messer -Giovanni rimase in prigione: il quale, dappoichè pervenne alla tirannia -di Bologna, non tenne fede a parte guelfa, nè a’ suoi cittadini, -nè a’ Fiorentini, nè all’altre città di sua vicinanza: e però forse -degnamente con tradimento fu punito della sua corrotta fede. - - -CAP. LXII. - -_Come il conte scoperse l’altro trattato che avea con messer Mastino._ - -Non ostante che il conte tenesse trattato con messer Giovanni de’ -Peppoli, avea trattato con messer Mastino della Scala, che venendo -egli sopra la città di Bologna gli darebbe mille cavalieri in aiuto -infino a guerra finita. Onde essendo venuto fatto al conte d’avere -messer Giovanni a prigione, prese grande speranza d’avere Bologna con -l’aiuto di messer Mastino. E significatoli il fatto, e domandatoli -l’aiuto promesso, a dì 10 di luglio, del detto anno 1350, si levò -da Salervolo, e venne a Imola con tutta l’oste. E come uomo di poca -discrezione e provvedenza promise un’altra volta paga doppia e mese -compiuto a’ suoi cavalieri, se per forza pigliassono Castel san Pietro. -I quali cavalieri di presente andarono al detto castello, che non era -fornito di gente nè provveduto alla difesa, e senza trovarvi resistenza -in poca d’ora l’ebbono preso, che non vi morirono quattro persone. -E così in meno di dieci dì i soldati del conte ebbono per vituperose -cagioni guadagnate due paghe doppie e due mesi compiuti, che montarono -un grande tesoro: e non parea che il conte se ne curasse, se non come -avesse a distribuire il tesoro di santa Chiesa. Le quali promesse -follemente fatte, con l’altre follie della sua pazza condotta, al fine -rendè il merito a santa Chiesa della provvisione di sì fatto capitano, -chente la disciplina della guerra richiede. Ed essendo il conte -con l’oste a Castel san Pietro, messer Mastino gli mandò ottocento -cavalieri, per compiere i mille che promesso gli avea, ov’egli venisse -all’assedio di Bologna, come detto è addietro. - - -CAP. LXIII. - -_Come messer Iacopo Peppoli rimaso in Bologna si provvidde alla difesa._ - -Infra queste sopraddette tempeste, messer Iacopo de’ Peppoli ch’era -rimaso in Bologna sentendo preso il fratello, e che l’oste del conte -avea preso Castel san Pietro, e venia sopra lui a Bologna: e come -messer Mastino signore di Verona e di Vicenza s’era scoperto suo -nimico, non sapea che si fare; ma come la necessità intrigata dalla -paura argomenta, mandò per soccorso al signore di Milano, e al marchese -di Ferrara, e al comune di Firenze, e in ogni parte onde sperava -avere alcuno aiuto o consiglio; e mandate le lettere e’ messaggi, -richiese con grande istanza i cittadini di Bologna, che a questo punto -soccorressono al suo e al loro pericolo. I quali già domati dal servile -giogo della tirannia, essendo venuto il tempo della franchezza, per -povertà d’animo, e per li loro peccati, non furono degni di cotale -beneficio, che senza contasto a quel punto era in loro potenzia di -tornare in libertà. E aveano il comune di Firenze vicino nimico della -tirannia, il quale per la libertà di quel popolo avrebbe prestato -loro aiuto e favore, e riparato allo assalto del conte, con giusta -cagione di pace e di concordia con la santa Chiesa, disposto che il -tiranno fosse della tirannia. Ma perocchè ne’ popoli più regna corso -di fortuna che libertà d’arbitrio, per apparecchiarsi alle debite -pene de’ peccati, per li quali l’empio tiranno regna, fu accecato -il loro intendimento: e mollemente s’apparecchiarono alla difesa per -paura del tiranno, combattuti nell’animo dall’apparecchiata libertà. -In questo stante l’arcivescovo signore di Milano sentì la presura di -messer Giovanni, e scoperto l’animo di messer Mastino, mandò al conte -suoi ambasciadori dolendosi dell’ingiuria fatta a messer Giovanni suo -amico, e di sua lega e compagnia, dimandando che di presente il dovesse -liberare: e quando questo non facesse, mandò comandamento a’ suoi -capitani e a’ suoi cavalieri che erano al servigio del conte, che di -presente si dovessono partire da lui. Il conte rispuose di non volerlo -lasciare perocchè sapea al certo ch’egli avea fatta rubellare, la città -di Faenza alla Chiesa di Roma, e come tenea trattato col capitano di -Forlì, e col signore di Ravenna, e con quello di Faenza, di rompergli -l’oste a un dì nominato, e di prendere lui a grande tradimento: e -però avea preso il traditore, e intendea tenerlo a volontà del papa -e di santa Chiesa. E però fu comandato a’ cavalieri dell’arcivescovo -si dovessono partire. Ma i cavalieri, e’ loro capitani, che aveano -promesse dal conte di due paghe doppie e di due mesi compiuti, non -si vollono partire, e rimasono cassi dal soldo dell’arcivescovo; e il -conte con lo sfrenato animo, non guardandosi innanzi, gli condusse al -soldo della Chiesa, facendo debito sopra debito. E riveduta sua gente, -si trovò a Castel san Pietro con tremila barbute e con grande popolo di -soldo. - - -CAP. LXIV. - -_L’aiuto che messer Iacopo accolse per guardare Bologna._ - -Stando il conte colla sua oste a Castel san Pietro, e cavalcando il -contado di Bologna, l’arcivescovo di Milano mandò di presente trecento -cavalieri in Bologna, per aiuto della guardia d’entro. E cominciò -a pensare, che mantenendo messer Iacopo nella città, a poco insieme -conducerebbe lui e la terra in tali stremi, che agevolemente all’ultimo -ne diverrebbe signore, come in fine fatto gli venne. Messer Malatesta -d’Arimino, ch’era allora nemico di santa Chiesa, vi venne in persona, -e dato conforto a messer Iacopo, gli lasciò dugento cavalieri de’ suoi, -e tornossene in Romagna. I Fiorentini per niuno modo vi vollono mandare -alcuna gente per riverenzia della Chiesa, ma incontanente vi mandarono -ambasciadori a cercare se tra loro e il conte potessero metter -pace o accordo; e più volte andarono da Bologna al conte senza fare -alcuno frutto tra le parti. Messer Iacopo vedendosi più l’uno dì che -l’altro infiebolire, condusse il doge Guernieri ch’era in Faenza con -cinquecento barbute; il quale volendo andare a Bologna, convenne che -valicasse per lo distretto del comune di Firenze nell’alpi, ove lieve -era a impedire per li stretti passi, ed egli era nimico del comune, e -andava contro a santa Chiesa. Trovossi che fu fattura de’ priori che -allora erano all’uficio senza sentimento degli altri cittadini; della -qual cosa in Firenze ne fu grande ripitio, ma fatta la cosa si rimase a -tanto, e il doge passò senza impedimento, e con tutta sua compagnia se -n’entrò in Bologna. - - -CAP. LXV. - -_Del male stato che si condusse la città di Bologna, e di certi -trattati che allora si tennono._ - -Come il duca Guernieri co’ suoi cavalieri fu in Bologna, prese per suo -abituro una contrada, e in quella volle le case, e le masserizie, e -quello che in esse trovò da vivere, come se egli avesse presa la terra -per forza: e non era chi osasse parlare contro a suo volere. Gli altri -soldati all’esempio di costui cominciarono a fare il simigliante. -I nimici di fuori cavalcavano ogni dì intorno alla terra, pigliando -gli uomini, e predando le ville del contado, venendo spesso fino alle -porti. Per la qual cosa la città cominciò a sentire grandissimi disagi -e carestia d’ogni bene, e i cittadini oppressati dentro e di fuori, -non sapendo che si fare, e non trovando accordo col conte per ambiziosa -superbia, messer Iacopo e’ cittadini di Bologna, di grande concordia, -e d’uno consentimento, vollono dare la guardia di Bologna libera al -comune di Firenze, disponendosi al tutto di volere lasciare la signoria -messer Iacopo, sperando che ciò fatto, colla Chiesa non mancherebbe -accordo. E nel vero questa era salutevole via: ma certi cittadini -popolani di Firenze della casa ... che aveano in quel tempo stato in -Firenze, ed erano per la Chiesa al servigio del conte e del tesoriere, -per loro spezialità avvisandosi, che venendo Bologna alle mani della -Chiesa, come speravano, e’ ne sarebbono governatori, e farebbonsene -ricchi e grandi; e per questa cagione smossono i loro amici cittadini -grandi e popolani: ed eglino medesimi essendo a consigliare quello -ch’era grandezza e stato del loro comune, e riposo di tutta Italia, si -opposono al contradio, dicendo, che il comune n’offenderebbe troppo il -papa, e’ cardinali e la santa Chiesa. Ed essendo favoreggiati da’ loro -amici, ebbono podere di non lasciare imprendere al comune di Firenze -questo servigio, e commisono grande materia di molto male a tutta -Italia, e non pervennono alla loro corrotta intenzione. I Bolognesi -disperati di questo, ove riposava tutta la loro speranza, e ’l conte -montato nella cima della sua superbia, coloro non sapevano più che si -fare, e il conte credendo senza contasto venire al suo intendimento -d’avere la città per forza, essendo stato infino al settembre a Castel -san Pietro, volle muovere l’oste, e porsi su le porti di Bologna; e -sarebbegli venuto fatto, tanto erano i cittadini oppressati da’ soldati -d’entro, e in disagio di tutte le cose da vivere, le quali al continuo -montavano in disordinata carestia, e non aveano capo a cui i cittadini -e’ forestieri ubbidissono, ma come la mala provvedenza del conte -meritò, i soldati mossono quistione come appresso diviseremo. - - -CAP. LXVI. - -_Come i soldati mossono quistione al conte, e fu loro assegnato messer -Giovanni Peppoli._ - -La mala provvedenza del conte di Romagna avendo moltiplicata gente -d’arme al suo soldo, e promesse paghe doppie e mesi compiuti per -niente, e dalla Chiesa non aveva i danari, come la sua follia avea -stimato: i soldati conoscendo loro tempo, essendo a pagare di parecchi -mesi di loro propi soldi, senza le promesse del conte, dissono, che di -quel luogo non si partirebbono, se prima non fossono pagati de’ loro -soldi serviti, e delle paghe doppie e mesi compiuti che promessi avea -loro. Il quale soldo, colle promesse fatte, montava centocinquanta -migliaia di fiorini d’oro. Il conte vedendo che la Chiesa non gli -mandava danari, se non a stento, e a pochi insieme, temette che i -soldati, ch’erano tutti di concordia, a uno volere non lo pigliassono, -trattò con loro d’avere termine da fare venire loro danari, e diede -loro in pegno messer Giovanni de’ Peppoli, e certi Bolognesi che avea -prigioni a Imola, e Castel san Pietro, e quello di Luco, e quello di -Doccia, ch’egli avea acquistati in sul Bolognese: e fu con loro in -accordo, come avessono la possessione di tutto, allora cavalcherebbono, -e porrebbonsi a campo stretto alla città di Bologna. Il conte fece -dare loro i prigioni e la guardia delle castella, e avutole, volea -che cavalcassono. I soldati colla corrotta fede, usati de’ baratti, -dissono che ’l pegno non era buono, e non voleano cavalcare nè partirsi -da Castel san Pietro. Messer Giovanni de’ Peppoli sentendo questo, -di presente ebbe de’ conestabili, e trattò con loro di dare contanti -fiorini ventimila d’oro, e per stadichi i suoi figliuoli e quelli -di messer Iacopo suo fratello, e certi cittadini di Bologna per lo -rimanente, ed elli li liberassono di prigione. L’accordo fu fatto -con assentimento del conte, se infra certo tempo la Chiesa non avesse -mandati i danari. Venuto il termine, e non i danari, i soldati presono -fiorini ventimila contanti, e gli stadichi promessi, e lasciarono -messer Giovanni, il quale tornò in Bologna, e il fratello e la parte -loro furono più forti, e signori di potere fare della città a loro -senno, senza la volontà e consiglio de’ loro cittadini, perocchè messer -Giovanni era molto temuto, e sapeva bene essere co’ soldati ne’ fatti -della guerra. - - -CAP. LXVII. - -_Come messer Giovanni tenne suoi trattati della città di Bologna._ - -Tornando messer Giovanni in Bologna, e lasciati a’ soldati della -Chiesa gli stadichi promessi, trovò la città in molto male stato per -le cagioni già dette, e non vide modo come difendere si potesse, e -conobbe che perdere gli convenia la signoria di Bologna in breve tempo. -I cittadini di Firenze, che desideravano l’accordo di quella città -colla Chiesa, sentendo tornato in Bologna messer Giovanni, vi mandarono -de’ loro cittadini più solenne ambasciata, i quali da’ tiranni furono -ricevuti a onore, e di loro volontà trattarono accordo col conte, e -condussono il trattato a questo punto. Che i tiranni lasciassono al -tutto la signoria della città e contado, e renderla alla Chiesa di -Roma per lo modo usato: ch’ella tornasse al governamento del popolo, -e avere continuo i rettori della Chiesa, e pagare il censo consueto; -e al presente voleano ricevere nella città il conte con cinquecento -cavalieri, e riformare doveano loro stato al popolo, per quelli -cittadini che ’l comune di Firenze vi mandasse a ciò fare. Il conte -che avea provati i rimprocci de’ soldati, e il pericolo che correa -con loro, dichinava le corna della sua superbia, e acconciavasi alla -detta concordia. Ma come pomposo e vano, si strinse al consiglio di -questo partito che potea pigliare con messer Guglielmo da Fogliano, -e con messer Frignano, figliuolo bastardo di messer Mastino, e altri -conestabili che v’erano per messer Mastino, i quali non v’erano tanto -per onore di santa Chiesa, quanto per loro vantaggio, per cui faceva -la guerra, e speravano con loro malizia conducere la città di Bologna -piuttosto in mano del loro signore, che del conte e della Chiesa di -Roma, i quali dissono al conte: tu vedi che i signori di Bologna non -possono più, e la città è condotta a tanta stremità dentro, che delle -mani tue non puote uscire: e però non pensare a questi patti, che noi -te ne faremo libero signore colla spada in mano. Il conte pomposo, -pieno di vanagloria, con lieve testa, non pensò i casi che occorrono -nelle guerre, e per le vane promesse de’ fallaci adulatori ruppe il -trattato menato per gli ambasciadori del comune di Firenze fedelmente, -a onore e a beneficio di santa Chiesa, e a ricoveramento di riposo al -fortunoso stato di quella città. Vedendo i tiranni la sconcia volontà -del conte, si pensarono con tradimento de’ loro cittadini e della loro -patria venire a un altro loro intendimento, già mosso per la malizia -e per lo sdegno di messer Giovanni; e però, acciocchè più copertamente -a’ loro cittadini potessono fare l’inganno, dissono che al tutto erano -diliberati mettere Bologna nella guardia del comune di Firenze. E a -questo i Bolognesi e grandi e piccoli di buona voglia s’accordarono, -e sotto questa concordia elessono tre de’ maggiori cittadini di cui -il popolo faceva maggiore capo, e quasti tre con altri compagni, e con -pieno mandato, mandarono a Firenze con diversi intendimenti. Il popolo -credendosi racquistare libertà e pace sotto la protezione del comune di -Firenze, e i tiranni avendone tratti i caporali del popolo, pensarono -senza contasto, come fatto venne loro, di venire a loro intendimento, -di potere vendere la città e i suoi cittadini all’arcivescovo di -Milano. Gli ambasciadori in fede e con grandissima affezione vennono -a Firenze, e spuosono la loro ambasciata, solennemente dinanzi a’ -signori, e a’ loro collegi, e a molti altri grandi e buoni cittadini -di Firenze, richiesti e adunati per la detta cagione. E il dicitore -fu messer Ricciardo da Saliceto, famoso dottore di legge, e la sua -proposta fu: _Ad Dominum cum tribularer clamavi, ec._ E con nobile -ed eccellente orazione, e con efficaci ragioni e induttivi argomenti, -conchiuse la sua dimanda, a inducere il comune di Firenze a prendere -la guardia della città e de’ cittadini di Bologna. I governatori del -comune di Firenze già aveano alcuna spirazione del trattato ch’e’ -tiranni di Bologna aveano col signore di Milano, e comprendevano che -questi ambasciadori fossono mandati a inganno: nondimeno per non aversi -a riprendere, in quello consiglio deliberarono di mandare solenni -ambasciadori di presente a corte per trovare accordo col papa, e in -questo mezzo di mandare cavalieri, e de’ suoi cittadini alla guardia di -Bologna, per contentare il popolo. Ma l’altro dì vegnente fu manifesto -a’ signori di Firenze e agli ambasciadori di Bologna, che i tiranni -l’aveano per danari venduta all’arcivescovo di Milano; e fu per lettera -de’ tiranni detti comandato agli ambasciadori, che non si dovessono -partire di Firenze senza loro comandamento; allora fu al tutto la cosa -palese, e seguitò il fatto come appresso racconteremo. - - -CAP. LXVIII. - -_Secondo trattato di Bologna._ - -Messer Giovanni de’ Peppoli avvelenato di sdegno della sua presura, -vedendo che però perdea la tirannia di Bologna, avendo con non -piccola fatica recato Messer Iacopo al suo volere, e vota la terra de’ -caporali di cui temea, e fortificata la guardia nella città, avendo -segretamente tenuto trattato coll’arcivescovo di Milano, coll’impeto -del suo dispettoso cuore, ebbe podere di vendere la città e’ suoi -cittadini della sua propria patria, e da cui avea ricevuto esaltamento -della sua signoria e onore, e niente per loro difetto del suo caso, -cosa molto detestabile a udire. Costui vedendo che ’l suo trattato era -scoperto, cavalcò di presente a Milano, e fermò la maledetta vendita -per dugentomila fiorini, de’ quali si dovea dare certa parte a’ -soldati della Chiesa per riavere gli stadichi che avea loro lasciati -per liberare la sua persona, e a lui e al fratello dovea rimanere in -loro libertà il castello di san Giovanni in Percesena, e Nonandola e -Crevalcuore. E tornato lui, manifestata la vendita, i Bolognesi grandi -e piccoli si tennono soggiogati di giogo d’incomportabile servaggio, e -molto si doleano palesemente e in occulto l’uno coll’altro; e innanzi -che la terra si pigliasse per lo signore di Milano grande gelosia -ebbono i traditori della patria, e molto vegghiarono e di dì e di notte -alla guardia della città. Ma i vili e codardi cittadini non ardirono -di levarsi contra a’ tiranni, nè a muovere romore nella terra: che se -fatto l’avessono, leggiermente coll’aiuto del comune di Firenze, a cui -dispiaceva la vicinanza di sì potente tiranno, sarebbe venuto fatto -di tornare in libertà. Alcuna trista vista ne feciono mollemente, e -in fine si lasciarono vendere e sottoporre al duro giogo, del mese -d’ottobre gli anni di Cristo 1350. - - -CAP. LXIX. - -_Come l’arcivescovo di Milano mandò a prendere la possessione di -Bologna._ - -Come l’arcivescovo di Milano ebbe fermo il patto della compera di -Bologna con messer Giovanni, non guardò con alcuna reverenzia o debito -di ragione che la città fosse di santa Chiesa, ma cresciuto nella -tirannesca superbia subitamente fece apparecchiare messer Bernabò -suo nipote, figliuolo di messer Stefano, valente uomo e di grande -ardire, e con millecinquecento barbute di soldati eletti il mise a -cammino, e mandollo a pigliare la tenuta di Bologna. Sentendo questa -venuta il doge Guernieri, ch’era in bando dell’arcivescovo di Milano, -con tutta sua masnada si partì di Bologna; e standosi fuori della -città, accogliea gente senza soldo per fare una compagna. Messer -Bernabò giunto alla città entrò dentro senza alcuno contasto co’ suoi -cavalieri, e con trecento che prima avea alla guardia di Bologna vi -si trovò con millecinquecento barbute: e prese la tenuta e la guardia -della città e delle castella di fuori, e appresso convocò i cittadini -a parlamento, e per forza fece loro ratificare la vendita fatta per -i tiranni, e dinuovo aggiudicarsi fedeli dell’arcivescovo e de’ suoi -successori. E l’obbligazioni e le carte e il saramento fece fare il -meglio seppe divisare; e questo fu fatto all’uscita del mese d’ottobre -1350. E così ebbe fine la tirannia della casa di Romeo de’ Peppoli, -grandi ed antichi cittadini di Bologna, i quali erano stati onorati -e fatti signori da’ loro cittadini, dalla cacciata del cardinale del -Poggetto legato del papa, i quali aveano loro signoria mantenuta assai -dolcemente co’ cittadini. Essendo di natura guelfi, per la tirannia -erano quasi alienati dalla parte, e i Fiorentini, amicissimi di quello -comune, trattavano in molte cose con dissimulata e corrotta fede; e -perocchè a’ traditori della patria tosto pare che Iddio apparecchi la -vendetta, in breve tempo seguitò a messer Iacopo e a messer Giovanni, -per addietro tiranni di Bologna, pena del peccato commesso, come -seguendo nostra materia racconteremo. - - -CAP. LXX. - -_Come capitò il conte di Romagna e l’oste della Chiesa._ - -Il conte di Romagna ventoso di superbia, e incostante per poco senno, -il quale cotante volte potè avere con grande sua gloria e onore di -santa Chiesa la città di Bologna, e non volutola se non colla spada -in mano, secondo il consiglio de’ malvagi compagni, vedendola nelle -mani del potente tiranno, vorrebbe avere creduto al consiglio de’ -Fiorentini. Non però dimeno, perocchè per tutto questo la città non era -allargata di vittuaglia, ma piuttosto aggravata, e’ soldati erano per -gli stadichi che aveano, per li ventimila fiorini ricevuti, allargati -di speranza, e messer Mastino che dell’impresa dell’arcivescovo era -dolente a cuore, offerendo al conte tutto suo sforzo di gente e di -prestare danari alla Chiesa, confortò il conte a seguitare l’impresa. -Il conte per questo si recò a conducere il doge Guernieri con -milledugento barbute, uscito di Bologna, e raccolta gente come detto -è. Messer Mastino anche vi mandò di nuovo de’ suoi cavalieri, e danari -per comportare i soldati. E il conte fatte grandi impromesse a’ soldati -mosse il campo da Castel san Pietro e venne con l’oste a Budri, in -mezzo tra Bologna e Ferrara, e di là valicarono ad Argellata e a san -Giovanni in Percesena, e ivi stettono dieci dì aspettando danari, con -intenzione di porsi presso a Bologna dalla parte di Modena, per levare -ogni soccorso a messer Bernabò: il quale era dentro in grande soffratta -di vittuaglia e di strame, e male veduto da’ cittadini, e però stava -in paura e non s’ardiva a muovere. Onde la città era a partito da -non poter durare: e per forza convenia che tornasse alle mani della -Chiesa, se il pagamento o in tutto o in parte fosse venuto a’ soldati. -Ma chi si fida ne’ fatti della guerra alla vista delle prime imprese -de’ prelati, e non considera come la Chiesa è usata a non mantenere le -imprese, spesso se ne truova ingannato. E’ non valse al conte scrivere -al papa, nè mandare ambasciadori, nè tanto mostrare come Bologna si -racquistava con grande onore di santa Chiesa, assai potè dolere la -vergogna, che l’arcivescovo di Milano facea d’avere tolta Bologna, che -danari debiti a’ soldati, per vincere così onorevole punga, venissero -da corte. Per tanto i soldati non si vollono strignere a Bologna, anzi -di loro arbitrio mossero il campo e tornarono a Budri, e ivi ch’era -luogo ubertuoso, e che ’l marchese dava copioso, si misono ad attendere -se i danari de’ loro soldi e dell’altre promesse venissero: e ivi -dimorarono infino a dì 28 di gennaio del detto anno, e però i danari -non vennono. Per la qual cosa al conte parea male stare, e per paura -di se consentì a’ soldati che trattassero d’avere le paghe sostenute e -le paghe doppie promesse per lui da messer Bernabò, condotto in parte -per la sua mala provvedenza, che altro non poteva fare; rimanendogli -alcuna vana speranza, che se messer Bernabò non si accordasse con loro, -che gli farebbono più aspra guerra, ma il tiranno s’accordò di presente -ad accordarli e pagarli, e riavere le castella e li stadichi; e questo -fornì de’ danari della compra che avea fatta di Bologna. In questo -medesimo trattato, condusse settanta bandiere di Tedeschi e Borgognoni -soldati della Chiesa al suo soldo. Ed essendo assediato, in cotanto -pericolo ricolse gli stadichi, riebbe le castella, ruppe l’oste de’ -nimici, liberò la città dell’assedio, e in uno dì mise in Bologna in -suo aiuto de’ cavalieri della Chiesa millecinquecento barbute; e tutto -gli avvenne per l’avarizia de’ prelati di santa Chiesa, e per la forza -e larghezza della sua pecunia. Il doge Guernieri colla sua compagna -si ridusse in Doccia, e la gente di messer Mastino e del marchese di -Ferrara si tornarono a’ loro signori: e il conte povero e vituperato -del fine della sua impresa si tornò co’ suoi Provenzali in Imola, -e Bologna si rimase sotto il giogo del potente tiranno, mettendo in -paura tutta Italia, e spezialmente la parte guelfa. Abbiamo stesamente -narrato il processo di questa guerra per esempio del pericolo che corre -de’ folli e ambiziosi capitani: e come per troppa superbia spesse volte -volendo tutto si perde ogni cosa: e a dimostrare come è folle chi ha -fidanza de’ danari della Chiesa far le imprese della guerra. Ancora -questa rivoltura di Bologna fu cagione d’apparecchiare a tutta Italia, -per lunghi tempi, grandi e gravi novità di guerre, come seguendo nostro -trattato si potrà vedere. - - -CAP. LXXI. - -_Come i Guazzalotri di Prato cominciarono a scoprire loro tirannia._ - -Tornando a’ fatti della nostra città di Firenze, il nobile castello -di Prato ci dà cagione di cominciare da lui, nel quale la famiglia -de’ Guazzalotri erano i migliori e più potenti, e la loro grandezza -procedeva perocchè erano amati sopra gli altri di quella terra dal -comune di Firenze: ed essendo guelfi, portavano fede e ubbidienza -grande al nostro comune. Vero è che quello comune vedendosi in -libertà e in vicinanza de’ Fiorentini, per tema che alcuna volta -non si sommettessono al comune di Firenze aveano provveduto, come si -racconta nella cronica del nostro antecessore, di darsi a messer Carlo -duca di Calavra, figliuolo del re Ruberto, e a’ suoi discendenti in -perpetuo, con misto e mero imperio, ed egli così gli prese. Nondimeno -si manteneano in fede e amore del comune di Firenze. Avvenne che -morti gli antichi e savi cavalieri della casa de’ Guazzalotri, i -quali conoscevano la loro grandezza procedere dal comune di Firenze, -rimasonvi giovani donzelli: i quali trovandosi nella signoria di quella -terra, mancando allora il governamento della casa reale per le fortune -del Regno, cominciarono i giovani a trapassare l’ordine e il modo de’ -loro antecessori nel governamento di quel castello, conducendolo a -modo tirannesco. Della quale tirannia spesso veniva richiamo a’ priori -di Firenze, e il comune per lo antico amore che portava a quelli di -quella casa mandava pe’ caporali, tra’ quali il maggiore e il più -ardito e riverito da tutti a quelle stagioni era Iacopo di Zarino, e -riprendevanli e ammonivano parentevolemente per riducerli alla regola -de’ loro maggiori. Ma i giovani caldi nella signoria e poco savi, e -inzigati da mal consiglio, non seguendo il consiglio de’ Fiorentini, -l’un dì appresso all’altro più dimostravano atto tirannesco per tenere -in paura più che in amore i loro terrazzani. E per dimostrare in -fatto quello che aveano nella mente, feciono di subito pigliare due -Pratesi, l’uno era uno buono uomo ricco, vecchio e gottoso, l’altro -era un giovane notaio ricco, onesto e di leggiadra conversazione a -cui i Guazzalotri a altro tempo aveano fatto uccidere il padre, e a -questi due appuosono, che voleano tradire Prato, e darlo a’ Cancellieri -di Pistoia. Sentendo questo il comune di Firenze mandò per Iacopo di -Zarino, e per gli altri caporali de’ Guazzalotri, e pregarongli che non -seguissono questa novità, e che i presi dovessono lasciare: perocchè -manifestamente sapieno ch’elli erano innocenti: tornarono a Prato, e -contro alla preghiera del comune di Firenze strussono gl’innocenti al -giudicio: e sentendosi in Firenze, il comune vi mandò ambasciadori e -lettere; ed essendovi gli ambasciadori del comune, e avute le lettere -che gli richiedeano che non giudicassono a torto g’innocenti, i -tirannelli per male consiglio s’affrettarono, e feciongli morire in -vergogna del comune di Firenze, nella presenza de’ suoi ambasciadori. E -fatto a catuno tagliare la testa, occuparono i loro beni indebitamente. - - -CAP. LXXII. - -_Come i Fiorentini andarono a oste a Prato, ed ebbonne la signoria._ - -I Fiorentini vedendo la novità delle guerre d’Italia che da ogni -parte s’apparecchiavano con tiranneschi aguati, e come avieno la -nuova vicinanza del potente tiranno di Milano che teneva Bologna, e -così messer Mastino, e vedeano che i Guazzalotri, congiunti per sito -alle porti della città di Firenze, cominciavano a usare tirannia, -pensarono che se possanza di grande tiranno s’appressasse loro, come -s’apparecchiava, che della terra di Prato poco si poteano fidare. E -però con buono consiglio, subitamente e improvviso a’ Pratesi, del mese -di settembre gli anni _Domini_ 1350, feciono cavalcare le masnade de’ -cavalieri soldati del comune, con alquanti cittadini e pedoni delle -leghe del contado, e d’ogni parte si puosono a campo intorno a Prato, e -senza fare preda o guasto, domandarono di volere la guardia di quella -terra. I Pratesi smarriti del subito avvenimento, e non provveduti -alla difesa, e avendo nella terra molti a cui la novella tirannia de’ -Guazzalotri dispiaceva, senza troppo contasto furono contenti di fare -la volontà del comune di Firenze. E sicurati da’ cittadini che danno -non si farebbe, dierono al comune di Firenze liberamente la guardia di -Prato, rimanendo a’ terrazzani la loro usata giurisdizione. E il comune -prese il castello dello imperadore e misevi castellano, e fece la terra -guardare solennemente. - - -CAP. LXXIII. - -_Come i Fiorentini comperarono Prato, e recaronlo al loro contado._ - -Avendo il nostro comune la guardia di Prato presa contro la comune -volontà de’ terrazzani, pensò che se mai tornasse in libertà, che -i giovani in cui mano era rimasa la signoria con provvedenza la -guarderebbono e la recherebbono a tirannia lievemente: e però sentendo -il re Luigi e la reina Giovanna ereda del duca di Calavra, tornati -di nuovo nel Regno, e che erano in fortuna e in grande bisogno, -e governavansi per consiglio di messer Niccola Acciaiuoli nostro -cittadino, feciono segretamente trattare di comperare la giurisdizione -ch’aveano in Prato. E trovando la materia disposta per lo bisogno -del re e della reina, e bene favoreggiata da messer Niccola detto, -il mercato fu fatto, e pagati per lo comune fiorini diciassettemila -e cinquecento alla reina, come fu la convegna, per solenni privilegi -e stipulazioni pubbliche dierono al comune di Firenze ogni ragione e -misto e mero imperio ch’aveano nella terra di Prato e nel suo contado. -E come il comune ebbe la ragione di questa compera, improvviso a’ -Pratesi mandò alcuna forza a Prato e prese la tenuta di nuovo, e fece -manifestare a’ Pratesi come la terra e il contado e gli uomini di quel -comune erano liberi del nostro comune per la detta compera, e mostrar -loro i privilegi e le carte; e questo fu del mese di... nel detto -anno. E presa la tenuta, incontanente levò le signorie, gli ordini -e gli statuti de’ Pratesi, e recò la terra e il contado a contado di -Firenze, e diede l’estimo e le gabelle a quello comune come a’ suoi -contadini, e diede loro quelli beneficii della cittadinanza e degli -altri privilegi ch’hanno i contadini di Firenze: e ordinovvi rettori -cittadini con certa limitata giurisdizione, recando il sangue e l’altre -cose più gravi alla corte del podestà del comune di Firenze. Della qual -cosa i Pratesi vedendosi avere perduta la loro franchigia, generalmente -si tennono mal contenti, ma poterono conoscere per non sapere usare -libertà divenire suggetti: e per la provvisione fatta di non venire -alla signoria de’ Fiorentini, con quella in perpetuo furono legati alla -sua giurisdizione. - - -CAP. LXXIV. - -_Come i guelfi furono cacciati dalla Città di Castello._ - -In questo anno, essendo ne’ collegi del reggimento di Perugia insaccati -per segreti squittini gran parte de’ ghibellini, de’ quali a quel tempo -n’erano i più all’ufficio, per operazione di Vanni da Susinana e degli -altri Ubaldini della Carda, ch’erano cittadini della Città di Castello, -fu messo in sospetto de’ Perugini la casa de’ Guelfucci, antichi -cittadini e guelfi, ed altri guelfi, apponendo loro che trattavano di -dare la Città di Castello a’ Fiorentini, e aggiungendovi alcuna altra -cagione, mossono il reggimento di Perugia, senza cercare la verità del -fatto, a fare cavalcare a Castello tutti i loro soldati, e per forza -cacciarono i Guelfucci di Castello e certi altri, i quali di queste -cose non erano colpevoli, e non si guardavano. Come gli Ubaldini ebbono -fornita la loro intenzione, tutti si vestirono di bianche robe, e -andarono a Perugia colle carte bianche in mano, offerendo al comune -di fare tutta la sua volontà: scrivessono, ed elli affermerebbono. Ma -poco stante, entrato a reggimento il nuovo uficio del loro priorato, -uomini i più guelfi, s’avvidono dello inganno che il loro comune avea -ricevuto, di cacciare i caporali di parte guelfa di Castello per malo -ingegno degli Ubaldini, e in furia arsono e ruppono i sacchi de’ loro -ufici, e di nuovo riformarono la città, mettendo ne’ sacchi per loro -squittini cittadini guelfi, e ischiusonne i ghibellini; e di presente -rimisono i Guelfucci nella Città di Castello, e confinaronne gli -Ubaldini. - - -CAP. LXXV. - -_Come morì il re Filippo di Francia._ - -Stando la tregua, rinnovellata più volte tra il re di Francia e il -re d’Inghilterra, poche notabili cose degne di memoria furono in -que’ paesi. Ma il detto re Filippo di Francia, avendo per troppa -vaghezza tolta per moglie la nobile e sopra bella dama figliuola del -re di Navarra, e levatala al figliuolo come abbiamo narrato, tanto -disordinatamente usò il diletto della sua bellezza, che cadendo -malato, la natura infiebolita non potè sostenere, e in pochi dì -diede fine colla sua morte alla sollecitudine della guerra, e a’ -pensieri del regno e ai diletti della carne. E morto in Sanlisi, -fu recato il corpo in Parigi, e fatto il reale esequio solennemente -nella presenzia de’ figliuoli e de’ baroni del reame, e sepolto co’ -suoi antecessori alla mastra chiesa di san Dionigi, a dì... gli anni -_Domini_ 1350. Immantinente appresso nella città di Rems fu coronato -del reame di Francia messer Giovanni suo figliuolo primogenito, e -la moglie in reina, e ricevette il saramento e l’omaggio da tutti -i baroni e da tutti gli altri feudatari del suo reame e dell’altro -acquisto. Questo Filippo re di Francia fu figliuolo di messer Carlo -Sanzaterra, e fu uomo di bella statura, composto e savio delle cose -del mondo, e molto astuto a trovar modo d’accogliere moneta, e in -ciò non seppe conservare nè fede nè legge. E sentendosi molto in -grazia e temuto da papa Giovanni ventiduesimo, per l’openione che -sparta avea disputando della visione dell’anime beate in Dio, la cui -openione per li teologi del reame di Francia era riprovata, e perchè -il collegio de’ cardinali erano tutti quasi fuori de’ Catalani, di -suo reame, e per questa baldanza ebbe animo d’ingannar santa Chiesa, -sotto la promessa di mostrare di volere fare passaggio oltre mare per -racquistare la Terra santa: e per questo domandò per cinque anni le -decime del suo reame a ricogliere in breve tempo, non avendo l’animo -al passaggio, come appresso l’opere dimostrarono. E nel suo reame -mutò spesso e improvviso monete d’oro, peggiorandole molto e di peso -e d’oro: per le quali mutazioni disertò e fece tornare i mercatanti di -suo reame di ricchezza in povertà: e’ suoi baroni e borgesi assottigliò -d’avere per modo, che poco era amato da loro per questa cagione. Onde -apparve quasi come sentenzia di Dio, che avendo egli cotanta baronia e -moltitudine di buoni cavalieri, i quali solieno essere pregiati sopra -gli altri del mondo in fatti d’arme, non s’abboccavano in alcuna parte -con gl’Inghilesi, che non facessono disonore al loro signore: ove per -antico gli aveano in fatti d’arme sopra modo a vile. E molte singulari -gravezze sopra la mercatanzia e sopra uomini singulari mise, onde -molti mercatanti forestieri n’abbandonarono il reame; e non ostante che -spesso fosse percosso dal bastone degl’Inghilesi, al continovo il re -accrescea il suo reame per le infortune degli altri circustanti baroni, -e per l’aiuto de’ suoi danari. Lasciò due figliuoli il re: messer -Giovanni e messer Luigi duca d’Orliens: e quattro nipoti figliuoli -del re Giovanni: il maggiore nominato messer Carlo Dalfino di Vienna -e duca di Normandia, l’altro nominato Luigi duca d’Angiò, il terzo -messer Giovanni conte di Pittieri, e il quarto messer Filippo piccolo -fanciullo: e tre femmine: la prima moglie del re di Navarra, la seconda -monaca del grande monistero di Puscì, e la terza nominata Caterina, -picciola fanciulla, la quale fu poi moglie di messer Giovan Galeazzo -de’ Visconti di Milano, come a suo tempo diviseremo. - - -CAP. LXXVI. - -_Come la Chiesa rinnovò processo contra l’arcivescovo di Milano._ - -In questo anno, avendo saputo il papa e’ cardinali come l’arcivescovo -di Milano per loro mandato non s’era voluto rimuovere dell’impresa -di Bologna, ma contro a loro volontà, e in vitupero della Chiesa, -avea presa la città e rotta l’oste della Chiesa e del conte, furono -molto turbati. E ricordandosi come l’arcivescovo era stato infedele, -e rinvoltosi nella resia dell’antipapa e fattosi suo cardinale, e poi -tornato all’ubbidienza di santa Chiesa era ricevuto a misericordia -da papa Giovanni ventesimosecondo, e riconciliato, il fece vescovo -di Novara, e poi per Clemente sesto promosso e fatto arcivescovo di -Milano, e ora ingrato era tornato nella prima eresia, di non volere -avere riverenzia nè ubbidire a santa Chiesa: rinnovellarono contro -a lui e contro a’ suoi nipoti i processi altre volte fatti per papa -Giovanni predetto, e feciono richiedere l’arcivescovo, e messer -Galeazzo, e messer Bernabò, e messer Maffiuolo di messer Stefano -Visconti, e assegnarono loro i termini debiti che s’andassono a -scusare, e gli ultimi termini perentori furono a dì 8 d’aprile 1351. -Infra il termine del detto processo vedendo il papa e’ cardinali per -la loro avarizia, in vituperio, delle loro persone e in contento di -santa Chiesa, tolta tutta la Romagna e la città di Bologna, volendo -con ingegno unire in lega e compagnia gli altri tiranni lombardi, col -comune di Firenze e di Perugia e di Siena, e colla Chiesa medesima, -per potere con maggiore forza resistere al potente tiranno, mandò in -Italia il vescovo di Ferrara, cittadino di Firenze della casa degli -Antellesi, con pieno mandato a ciò ordinare e fermare: il quale giunto -in Toscana, mandò a’ signori di Lombardia e a’ comuni predetti, che -a certo termine catuno mandasse suoi ambasciadori alla città d’Arezzo -a parlamento. E innanzi che il termine venisse, il detto legato andò -in persona a messer Mastino e al marchese di Ferrara, e al comune -di Perugia e di Siena a sporre la sua ambasciata, e tornò a Firenze, -avendo sommossi i detti comuni e signori a venire in loro servigio e -di santa Chiesa alla detta lega, perocchè catuno si temeva della gran -potenza del’arcivescovo. E messer Mastino, che gli era più vicino, con -sollecitudine confortava i Lombardi e’ comuni di Toscana che venissono -alla lega e a fare sì fatta taglia, che all’arcivescovo si potesse -resistere francamente. E del mese d’ottobre vegnente gli ambasciadori -d’ogni parte furono ragunati ad Arezzo; quelli di messer Mastino e -de’ Fiorentini v’andarono con pieno mandato; i Perugini mostravano di -volere lega e taglia, ma d’ogni punto voleano prima risposta dal loro -comune, e i Sanesi faceano il somigliante, per li quali intervalli, -gli ambasciadori stettono lungamente ad Arezzo senza poter prendere -partito. E questo avveniva perocchè a’ Perugini e a’ Sanesi parea -che la forza dell’arcivescovo non potesse giugnere a’ loro confini, e -volevano mostrare di non volersi partire dal volere di santa Chiesa -e de’ Fiorentini. E in questo soggiorno, l’arcivescovo di Milano -temendo che la Chiesa non si facesse forte coll’aiuto de’ Toscani -e de’ Lombardi, mandò a messer Mastino messer Bernabò suo genero, -pregandolo che si ritraesse da questa impresa: e grandi impromesse -al comune di Firenze faceva d’ogni patto e vantaggio che volesse -da lui: e con queste suasioni cercava disturbare la detta lega: ma -invano s’affaticava con questi tentamenti, che di presente tutti si -piovicavano nel parlamento, e’ Sanesi s’erano ridotti al segno de’ -Fiorentini, ed era preso, che se i Perugini non volessono essere alla -lega, che si facesse senza loro. E avendo questo protestato loro, -attendendo l’ultima risposta, la quale dilungavano con nuove cagioni -di dì in dì, andandovi in persona oggi l’uno ambasciadore e domane -l’altro, essendo gli altri ambasciadori per fermare la lega e la taglia -senza loro, come a Dio piacque, sopravvenne la novella della morte -di messer Mastino, per la quale cosa si ruppe il parlamento senza -fermare lega, e catuno ambasciadore si tornò a suo comune e signore; -della qual cosa tornò grande ripetio a’ comuni di Toscana. E benchè i -Fiorentini e i Sanesi non fossono cagione di questo scordo, nondimeno -peccarono in tanto aspettare i Perugini: che grande utilità era al -comune di Firenze, che confinava col tiranno, avere in suo aiuto il -braccio di santa Chiesa e del signore di Verona, e di Ferrara e di -Siena. Ma quando i falli si prendono ne’ fatti della guerra sempre -hanno uscimento di privato pericolo: e però gli antichi maestri della -disciplina militare punivano con aspre pene i mali consigliatori, -eziandio che del male consiglio conseguisse prospero fine. Ma ne’ -nostri tempi, i falli della guerra si puniscono non per giustizia, ma -per esperienza del male che ne seguita, come tosto avvenne a’ detti -comuni di Toscana, come seguendo appresso ne’ suoi tempi dimostreremo. - - -CAP. LXXVII. - -_Come il tiranno di Milano si collegò con tutti i ghibellini d’Italia._ - -Avvenne in questo anno, come l’arcivescovo di Milano sentì rotto -il trattato della lega mosso per lo papa, e morto messer Mastino di -cui più temea, gli parve che fortuna al tutto fosse con lui, e prese -speranza di sottomettersi Toscana, e appresso tutta l’Italia. E però -procacciò di recare a se il gran Cane della Scala cognato di messer -Bernabò, e vennegli fatto per la confidenza del parentado. E perchè -essendo giovane e nuovo nella signoria non facea per lui la guerra di -sì fatto vicino, e però lievemente venne a concordia e legossi con lui, -e promise d’aiutare l’uno l’altro nelle loro guerre. Sentita questa -lega gli altri tiranni lombardi tutti si legarono coll’arcivescovo, -non guardando il marchese di Ferrara perchè avesse antico amore e -singolare affetto col comune di Firenze; e così tutti i tirannelli -di Romagna feciono il simigliante, e que’ della Marca. E il comune di -Pisa per patto li promisono dugento cavalieri, e non volendo rompere -patto di pace a’ Fiorentini l’intitolarono alla guardia di Milano. E in -Toscana s’aggiunse i Tarlati d’Arezzo, non ostante che fossono in pace -e in protezione del comune di Firenze, e il somigliante di Cortona: e -gli Ubaldini, e’ Pazzi di Valdarno, e gli Ubertini, e de’ conti Guidi -tutti i ghibellini, e quei di Santafiore, e molti altri tirannelli -ghibellini, i quali segretamente s’intesono coll’arcivescovo, non -volendosi mostrare innanzi al tempo, per paura che i comuni guelfi -loro vicini nol sapessono. Questa lega fu fatta e giurata tosto e -molto segretamente, perocchè vedendo i ghibellini la gran potenza -dell’arcivescovo, e sappiendo che la Chiesa non avea potuto fare la -lega, e che i tiranni tutti di Lombardia s’erano accostati a dare -aiuto all’arcivescovo, pensarono che venuto fosse il tempo di spegnere -parte guelfa in Italia, e però senza tenere pace o fede promessa catuno -s’accostò col Biscione, e vennesi provvedendo d’arme e di cavalli per -essere alla stagione apparecchiati. In questo mezzo l’arcivescovo per -meglio coprire l’intenzione sua amichevolemente mandava al comune di -Firenze sue lettere, congratulandosi de’ suoi onori, e profferendosi -come ad amici, e con questa dissimulazione passò tutto il verno, -e mostrava d’avere l’animo a stendersi nella Romagna. E il comune -di Firenze per non mostrare in sospetto l’amicizia che dimostrava -a’ Fiorentini, non si provvedeva di capitano di guerra nè di gente -d’arme, e le strade di Bologna e di Lombardia usava sicuramente colle -mercatanzie de’ suoi cittadini; e i Milanesi e’ Bolognesi e gli altri -Lombardi faceano a Firenze il somigliante senza alcuno sospetto: -perocchè il malvagio concetto del tiranno e de’ suoi congiunti si -racchiudea ne’ loro petti, e di fuori non si dimostrava, per meglio -potere adempiere loro intenzione. - - -CAP. LXXVIII. - -_Come fu assediata Imola dal Biscione e altri._ - -In questo medesimo verno, messer Bernabò, ch’era in Bologna vicario per -l’arcivescovo, costrinse i Bolognesi, e mandò a porre l’oste a Imola -i due quartieri della città: ed egli v’andò in persona con ottocento -cavalieri, e fecevi venire il capitano di Forlì colla sua gente a piè -e a cavallo, e vennevi messer Giovanni Manfredi tiranno di Faenza colla -sua forza, e il signore di Ravenna e gli Ubaldini, e assediarono Imola -intorno con più campi. Guido degli Alidogi signore d’Imola, guelfo e -fedele a santa Chiesa, avendo sentito questo fatto dinanzi, e richiesto -i Fiorentini e gli altri comuni e amici di santa Chiesa d’aiuto, e -non avendolo trovato, per la paura che catuno avea d’offendere al -Biscione, come uomo franco e di gran cuore s’era provveduto dinanzi che -l’assedio vi venisse di molta vittuaglia; e per non moltiplicare spesa -di soldati elesse centocinquanta cavalieri di buona gente d’arme e -trecento masnadieri nomati, tutti di Toscana, e con questi si rinchiuse -in Imola; e fece intorno alla città due miglia abbattere case chiese -e quanti difici v’erano, perchè i nimici non potessono avere ridotto -intorno alla terra; e così francamente ricevette l’assedio, acquistando -onore di franca difesa, insino all’uscita di maggio gli anni _Domini_ -1351. In questo stante al continovo si mettea in ordine sotto questa -coverta d’Imola di potere improvviso a’ cittadini di Firenze assalire -la città: e approssimandosi al tempo, di subito fece levare l’oste da -Imola e lasciarvi certi battifolli, i quali in poco tempo straccati, -senza potere tenere assediata la città, se ne levarono e lasciaronla -libera. - - -CAP. LXXIX. - -_Come il capitano di Forlì tolse al conticino da Ghiaggiuolo e al conte -Carlo da Doadola loro terre._ - -In questo medesimo tempo, il capitano di Forlì disideroso d’accrescere -sua signoria, e avventurato nell’imprese, non vedendosi avere in -Romagna di cui e’ dovesse temere, co’ suoi cavalieri venne subitamente -sopra le terre del conticino da Ghiaggiuolo, di cui non si guardava, -e con lui venne l’abate di Galeata, da cui il conticino tenea certe -terre, e non gli rispondea com’era tenuto. E parve che fosse una -maraviglia, che avendo buone e forti castella e bene guernite a grande -difesa, tutte l’ebbe in pochi dì. E con questa foga se n’andò sopra le -terre di Carlo conte di Doadola, e quasi senza trovar contasto tutte le -recò sotto la sua signoria. Egli era a quel tempo in lega col signore -di Milano, e però non trovò il comune di Firenze, benchè il conticino -fosse stato suo cittadino, ch’aiutare lo volesse contro al capitano. - - -CAP. LXXX. - -_Come nella città d’Orbivieto si cominciò materia di grande scandalo._ - -In questo anno 1350, reggendosi la città d’Orbivieto a comune appo il -popolo, erano i maggiori governatori di quello stato Monaldo di messer -Ormanno, e Monaldo di messer Bernardo della casa de’ Monaldeschi; -Benedetto di messer Bonconte loro consorto, per invidia e per setta -recati a se due altri suoi consorti, trattò con loro il malificio, che -poco appresso gli venne fatto; perocchè del mese di marzo del detto -anno, uscendo amendue i Monaldi sopraddetti del palagio del comune -dal consiglio, Benedetto co’ suoi due consorti s’aggiunsono con loro, -e senza alcuno sospetto, i due Monaldi, che al continovo il dì e la -notte usavano con Benedetto, s’avviarono con lui ragionando; e avendo -il traditore l’uno di loro per mano, nel ragionamento, in sulla piazza, -il fedì d’uno stocco, e cadde morto; l’altro Monaldo vedendo questo -cominciò a fuggire: Benedetto sgridò i compagni, i quali il seguirono, -e innanzi che potesse entrare in casa sua il giunsono e uccisonlo. -Morti che furono costoro, Benedetto corse a casa sua e armossi; e -accolti certi suoi amici, co’ suoi due consorti corsono la terra: e non -trovando contasto, entrarono nel palagio del comune; e aggiuntasi forza -di cittadini di sua setta, Benedetto si fece fare signore, e cominciò -a perseguitare tutti coloro ch’erano stati amici de’ suoi consorti -morti; e montò in tanta crudeltà la sua tirannia coll’audacia de’ suoi -seguaci, che cacciati molti cittadini, in piccolo tempo, innanzi che -l’anno fosse compiuto, più di dugento tra dell’una setta e dell’altra -se ne trovarono morti di ferro. Onde il contado e il paese d’intorno se -ne ruppe in sì fatto modo, che in niuno cammino del loro distretto si -potea andare sicuro. - - -CAP. LXXXI. - -_Come la città d’Agobbio venne a tirannia di Giovanni Gabbrielli._ - -Avendo narrato delle nuove tirannie che si cominciarono in Toscana, -ci occorre a fare memoria d’un’altra che si creò nella Marca in -questo medesimo anno, la città d’Agobbio, la quale in quel tempo avea -sparti per l’Italia quasi tutti i suoi maggiori cittadini in ufici -e rettorie. Giovanni di Cantuccio de’ Gabbrielli d’Agobbio, essendo -co’ suoi consorti in discordia per una badia di Santacroce, si pensò -che agevolemente si potea fare signore e della badia e d’Agobbio, -trovandosi nella città il maggiore, e non guardandosi i suoi consorti -nè gli altri cittadini di lui. E non ostante che fosse guelfo di -nazione, considerò che tutti i comuni e signori di parte guelfa di -Romagna, e di Toscana e della Marca temeano forte del signore di -Milano, ch’avea presa di novello la città di Bologna, e provvidde, che -dove i Perugini o altra forza si movesse contro a lui, che l’aiuto -dell’arcivescovo non gli mancherebbe. E avendo così pensato, senza -indugio accolse cento fanti masnadieri, e con alquanti cittadini -disperati e acconci a mal fare, i quali accolse a questo tradimento -della patria, subitamente corse in prima alle case de’ suoi consorti, e -affocate e rotte le porti, prese messer Belo di messer Cante, e messer -Bino e Rinuccio suoi figliuoli, e Petruccio di messer Bino e quattro -altri piccioli fanciulli, e tutti gli mise in prigione; e rubate le -case, vi mise il fuoco e arsele. E fatto questo, corse al palagio de’ -consoli rettori di quello comune: e non volendo il gonfaloniere darli -il palagio, corse alle case sue e arsele in sua vista. E tornato al -palagio, disse agli altri consoli, che se non gli dessono il palagio -altrettale farebbe delle loro; onde per paura gli aprirono; e preso -il palagio, vi lasciò sue guardie, e corse la terra. I cittadini -sentendo presi i consorti di Giovanni, di cui avrebbono potuto fare -capo, si stettono per paura, e niuno si mise a contastarlo. E così -disventuratamente coll’aiuto di meno di centocinquanta fanti fu -occupata in tirannia la città d’Agobbio in una notte, la quale avea -seimila uomini d’arme. Ma i peccati loro, e massimamente le ree cose -commesse per le città d’Italia per le continove rettorie ch’aveano gli -uomini di quella città, li condusse in quelle, e nella disciplina della -nuova e disusata tirannia. E per le discordie della casa de’ Gabbrielli -a quell’ora non avea la città podestà, nè capitano nè altro rettore. -Avevavi alcune masnade de’ Perugini, i quali Giovanni ne cacciò fuori; -e ’l dì seguente, avendo cresciuta la sua forza dentro, se ne fece fare -signore; e di presente, come potè il meglio, si fornì di gente, e di -notte facea sollecita guardia, e fortificava la sua signoria. - - -CAP. LXXXII. - -_Come il comune di Perugia e il capitano del Patrimonio andarono a oste -ad Agobbio._ - -Sparta per lo paese la nuova signoria d’Agobbio, messer Iacopo, ch’era -capo della casa de’ Gabbrielli, e allora era capitano del Patrimonio -per la Chiesa, co’ suoi cavalieri, e con aiuto d’alquanti suoi amici, -di subito cavalcò a Perugia; e il comune di Perugia, che si sentiva -offeso per lo cacciare della sua gente d’Agobbio, a furore di popolo -si mosse a cavalcare popolo e cavalieri con messer Iacopo, e puosonsi -a oste intorno alla città d’Agobbio. Vedendo Giovanni di Cantuccio, -nuovo tiranno, che il comune di Perugia, e messer Iacopo e altri suoi -consorti con forte braccio l’avieno assediato, e che da se era male -fornito a potere resistere, e de’ suoi cittadini d’entro non si potea -fidare, sagacemente mandò nel campo a’ Perugini suoi ambasciadori, -i quali da parte di Giovanni dissono: Signori Perugini, Giovanni di -Cantuccio ci manda a voi a farvi assapere, com’egli è di quella casa -de’ Gabbrielli, che sempre furono amatori e fedeli del vostro comune, -e così intende d’essere egli; e intende che ’l comune di Perugia abbia -in Agobbio ogni onore e ogni giurisdizione che da qui addietro avere -vi solea, e maggiore, e vuole rendere i prigioni; ed e’ si partissono -dall’assedio, e mandassono in Agobbio que’ savi cittadini di Perugia -cui elli volessono, a mettere in ordine e riformare il governamento -del comune, e ricevere i prigioni. La profferta fu larga, e’ Perugini -più baldanzosi che discreti, confidandosi follemente alla promessa del -tiranno, elessono ambasciadori ch’andassono a ricevere i prigioni e -riformare la città, e misongli in Agobbio: e di presente si levarono -da campo della terra e tornaronsi in Perugia, e lasciarono messer -Iacopo a campo colla gente d’arme ch’avea della Chiesa, il quale rimase -all’assedio più dì partiti i Perugini; pensando coll’aiuto de’ suoi -cittadini d’entro potere da se alcuna cosa, o se la fede di Giovanni -fosse intera co’ Perugini, potere tornare in Agobbio. Gli ambasciadori -de’ Perugini entrati in Agobbio, con grandissima festa, e dimostramento -di grande amore e confidanza furono ricevuti da Giovanni. E cominciolli -prima a convitare e tenerli in desinari e in cene, e tranquillarli -d’oggi in domane; e strignendolo gli ambasciadori, disse che volea -prima vedere partito messer Iacopo dall’assedio. Messer Iacopo -s’avvide bene dell’inganno, ma stretto dagli ambasciadori perugini, -acciocchè a lui non si potesse imputare cagione che per lui seguitasse -la discordia, si partì dall’assedio e tornossi nel Patrimonio. Gli -ambasciadori di Perugia, partitosi messer Iacopo, con più baldanza -strigneano Giovanni, di rivolere i prigioni, e ordinare il reggimento -della guardia della terra, com’egli avea promesso. Il tiranno vedendosi -levato l’assedio, tenea con più fidanza gli ambasciadori in parole, -e trovando nuove cagioni a dilungare il tempo, gli tenea sospesi. Ma -vedendo che oltre al debito modo gli menava per parole, per sdegno -si partirono d’Agobbio, e rapportarono al loro comune l’inganno che -Giovanni avea fatto. A’ Perugini ne parve male: ma non trovarono tra -loro concordia di ritornarvi ad oste. Nondimeno il nuovo tiranno, -pensandosi più gravemente avere offeso il comune di Perugia, non -ostante che fosse per nazione e per patria guelfo, si pensò d’aiutare -co’ ghibellini. E mandò ambasciadori a messer Bernabò ch’era a Bologna, -dicendo: che volea tenere la città d’Agobbio dal suo signore messer -l’arcivescovo: e pregollo che gli mandasse gente d’arme alla guardia -sua e della terra; il quale senza indugio vi mandò dugentocinquanta -cavalieri, e appresso ve ne mandò maggiore quantità, parendoli avere -fatto grande acquisto alla sua intenzione. Giovanni da se sforzò i -suoi cittadini per avere danari, e fornissi di gente d’arme a piè e a -cavallo; e vedendosi fornito alla difesa si dimostrò palesemente nimico -de’ Perugini, come appresso seguendo nostro trattato racconteremo. - - -CAP. LXXXIII. - -_Come cominciò l’izza da’ Genovesi a’ Veneziani._ - -Essendo cresciuto scandalo nato d’invidia di stato tra il comune -di Genova e quello di Vinegia, tenendosi ciascuno il maggiore, -cominciamento fu di grave e grande guerra di mare. E la prima cagione -che mosse fu, che avendo avuto i Genovesi guerra e briga con Giannisbec -imperadore nelle provincie del Mare maggiore, a cui i Genovesi aveano -arsa la Tana e fatto danno grande alla gente sua, per la qual cosa i -Genovesi non potieno colle loro galee andare al mercato della Tana, -anzi facevano a Caffa porto, e per terra vi faceano venire la spezieria -e altre mercatanzie, con più costo e avarie che quando usavano la Tana. -I Veneziani dopo la detta briga s’acconciarono coll’imperadore, e alla -Tana andavano con loro navili e colle loro galee per la mercatanzia, -e traevanla a migliore mercato, la qual cosa mettea male a’ Genovesi. -Per la qual cosa richiesono i Veneziani, e pregaronli che si dovessono -accordare con loro a fare porto a Caffa, e darebbono loro quella -immunità e fondaco e franchigia ch’avieno per loro: e facendo questo, -l’arebbono in grande servigio; ed essendo in concordia, non dottavano -che Giannisbec si recherebbe a far loro ogni vantaggio che volessono, -per ritornarli al mercato della Tana: e questo tornerebbe in loro -profitto, e in onore di tutta la cristianità. I Veneziani non vi si -poterono per alcun modo recare, anzi dissono, che intendeano d’andare -con loro legni e galee alla Tana e dove più loro piacesse, che della -briga che i Genovesi aveano coll’imperadore non si curavano. Per la -quale risposta i Genovesi sdegnarono, e dispuosonsi dove si vedessono -il bello, di fare danno a’ Veneziani in mare, e i Veneziani a loro; e -d’allora innanzi, dove si trovarono in mare si combatteano insieme, e -in trapasso di non gran tempo feciono danno l’uno all’altro assai. E -sentendo catuno comune come la guerra era cominciata in mare tra’ loro -cittadini, ordinarono di mandare a maggiore riguardo e più armati i -loro navili grossi che non solieno. E per non mostrare paura nè viltà -l’uno dell’altro non si ristrinsono del navicare. - - -CAP. LXXXIV. - -_Come quattordici galee di Veneziani presono in Romania nove de’ -Genovesi._ - -Avvenne che andando in questo anno alla Tana quattordici galee di -Veneziani bene armate, come furono in Romania s’abboccarono in undici -galee de’ Genovesi ch’andavano a Caffa, sopra l’Isola di Negroponte, -e incontanente si dirizzano colle vele e co’ remi in verso loro. I -Genovesi vedendole venire, l’attesono arditamente, e acconciaronsi -alla battaglia. E sopraggiungendo le galee de’ Veneziani, combatterono -insieme. E dopo la lunga battaglia, i Veneziani sconfissono i Genovesi: -e seguitando la fuga, delle undici galee ne presono nove, e le due -camparono, e fuggirono in Pera. I Veneziani avendo questa vittoria, -trovandosi presso all’isola di Negroponte, acciocchè non impedissono -per tornare a Vinegia il loro viaggio della Tana, tornarono a Candia, e -ivi scaricarono la mercatanzia presa delle nove galee de’ Genovesi, e -misonla nel loro fondaco, e tutti i prigioni incarcerarono: e i corpi -delle galee de’ Genovesi lasciarono nel porto, pensando d’avere ogni -cosa in salvo alla loro tornata, e allora menar la preda della loro -vittoria a Vinegia con grande gazzarra; e fatto questo seguirono il -loro viaggio. Ma le cose ebbono tutto altro fine che non si pensarono, -come appresso diviseremo. - - -CAP. LXXXV. - -_Come i Genovesi di Pera presono Negroponte, e riebbono loro -mercatanzia._ - -Le due galee di Genovesi campate dalla sconfitta, e venute a Pera, -narrarono a’ Genovesi di Pera la loro fortuna. E sentito per quelli -di Pera come le quattordici galee di Veneziani erano passate nel -Mare maggiore, e come i Genovesi prigioni, e la mercatanzia e i corpi -delle loro galee erano in Candia; non inviliti per la rotta de’ loro -cittadini, ma come uomini di franco cuore e ardire, di presente avendo -in Pera sette corpi di galee le misono in mare, e quelle e le due -de’ Genovesi della sconfitta, e quanti legni aveano armarono di loro -medesimi, e montaronvi suso a gara chi meglio potè, fornendosi d’arme -e di balestra doppiamente; e senza soggiorno, improvviso a’ Veneziani -di Candia, i quali non sapieno che galee di Genovesi fossono in quel -mare, furono nel porto. I Veneziani co’ paesani, volendo contastare -la scesa a’ Genovesi in terra nel loro porto, tratti alla marina, per -forza d’arme e dalle balestra de’ Genovesi furono ributtati; e scesi in -terra i Genovesi di Pera, e romore levato per la città, tutti trassono -i cittadini alla difesa, per ritenere i Genovesi che non si mettessono -più innanzi verso la terra. Ma poco valse loro, che con tanto empito -di loro coraggioso ardire i Genovesi si misono innanzi, che coll’aiuto -delle loro balestra rotti que’ della terra, e fuggendo nella città, con -loro insieme v’entrarono. Come si vidono dentro, affocando le case, -e dilungando da loro i cittadini co’ verrettoni, gli strinsono per -modo, che già erano signori della terra; ma pervenuti alla prigione la -ruppono, e trassonne tutti i loro cittadini presi; ed entrarono nel -fondaco, e tutta la mercatanzia presa delle nove galee de’ Genovesi, -e quella che dentro v’era de’ Veneziani presono, e caricarono ne’ -corpi delle loro nove galee prese nel porto, e su le loro; e rimessi i -prigioni in su le galee, pensarono che tanto erano rotti e sbigottiti -gli abitatori di Candia, che agevole parea loro vincere la terra, ma -vincendola e convenendola guardare, convenia loro abbandonare Pera, -e però si ricolsono alle galee, e con piena vittoria si ritornarono a -Pera. E a Genova rimandarono le nove galee racquistate per loro, e gli -uomini e la mercatanzia, con notabile fama di loro prodezza e di varia -fortuna. - - -CAP. LXXXVI. - -_Come fu morto il patriarca d’Aquilea, e fattane vendetta._ - -In questo anno, del mese di giugno, messer Beltramo di san Guinigi -patriarca d’Aquilea, cavalcando per lo patriarcato, da certi terrieri -suoi sudditi, con aiuto di cavalieri del conte d’Aquilizia, ch’era -male di lui, fu nel cammino assalito e morto con tutta sua compagnia, -e senza essere conosciuti allora, coloro che feciono il malificio si -ricolsono in loro paese. Per la qual cosa rimaso il patriarcato senza -capo, i comuni smossono il duca d’Osterich, il quale con duemila -barbute venne, e fu ricevuto da tutti i paesani senza contasto, e -onorato da loro. E vicitato il paese infino nel Friuli, sentendo che ’l -papa avea fatto patriarca il figliuolo del re Giovanni di Boemia, non -illigittimo ma ligittimo, si tornò in suo paese. E poco appresso, il -detto patriarca venne nel paese, e fu con pace ricevuto e ubbidito da -tutti i comuni e terrieri del patriarcato. E statovi poco tempo, certi -castellani il vollono fare avvelenare, e furono coloro ch’avieno morto -l’altro patriarca, avendo a ciò corrotto due confidenti famigliari. -Onde egli scoperto il tradimento, messer Francesco Giovanni grande -terriere, capo di questi malfattori, con certi altri castellani che -’l seguitavano, furono da lui perseguitati senza arresto, tanto che -si ridussono a guardia nelle loro fortezze, e ivi furono assediati per -modo, che s’arrenderono al patriarca. Il quale prima abbattè tutte loro -castella, le quali erano cagione della loro sfrenata superbia, e al -detto messer Francesco, con otto de’ maggiori castellani fece tagliare -le teste, e un’altra parte ne fece impendere per la gola. Per la qual -cosa tutto il paese rimase cheto e sicuro, e il patriarca temuto e -ubbidito da tutti senza sospetto o contasto. - - -CAP. LXXXVII. - -_Come il legato del papa si partì del Regno, e il re riprese Aversa._ - -Tornando alle novità del regno di Cicilia di qua dal Faro, come è -narrato, fatto l’accordo dal re Luigi a Currado Lupo e agli altri -caporali ch’erano sotto il titolo del re d’Ungheria in Terra di Lavoro, -le città e le castella che teneano in quella furono assegnate alla -guardia del cardinale messer Annibaldo da Ceccano, salvo le torri -di Capova. Il cardinale non trovando tra le parti accordo, per dare -materia al re Luigi che si potesse riprendere le città e le castella -che a lui erano accomandate, si partì del Regno e andossene a Roma, ove -da’ Romani fu male veduto; perocchè dispensava e accorciava i termini -della vicitazione a’ romei, contro all’appetito della loro avarizia, -onde più volte standosi nel suo ostiere fu saettato da loro, e alla -sua famiglia fatta vergogna, e assaliti e fediti cavalcando per Roma. -Onde egli sdegnoso si partì, e andossone in Campagna; e nel cammino -morì di veleno con assai suoi famigliari. Dissesi che ad Aquino era -stato avvelenato vino nelle botti, del quale non ebbono guardia, e -bevvonsene: se per altro modo fu non si potè sapere. Rimasta la città -d’Aversa e la guardia del castello a certi famigliari del cardinale in -nome di santa Chiesa, il re Luigi vi cavalcò con poca gente, e fecesi -aprire le porte del castello senza contasto, e misevi fornimento o -gente d’arme alla guardia. E incontanente la città, ch’era troppo larga -e sparta da non potersi bene difendere, ristrinse, facendo disfare -tutte le case e’ palagi che fuori del cerchio che prese rimanieno; -e delle pietre fece cominciare a cignere quella di buone e grosse -mura: e a ciò fare mise grande sollecitudine, sicchè in poco tempo, -innanzi l’avvenimento del re d’Ungheria nel Regno, le mura erano alzate -per tutto sei braccia intorno alla terra. E fatto capitano messer -Iacopo Pignattaro di Gaeta, valente barone, di trecento cavalieri e -di seicento pedoni masnadieri, gli accomandò la guardia della città -d’Aversa e del castello; e nella terra fece mettere abbondanza di -vittuaglia, perocchè di quella terra, più che dell’altre, si dubitava -alla tornata del re d’Ungheria. In quel tempo Currado Lupo non -sentendosi forte di cavalieri, che s’erano partiti del Regno, s’era -ridotto a Viglionese in Abruzzi, e gli Ungheri in Puglia, e guardavano -il passo delle torri di Capova, aspettando il loro signore. - - -CAP. LXXXVIII. - -_Come il re d’Ungheria ritornò in Puglia conquistando molte terre._ - -In questo anno, Lodovico re d’Ungheria sentendo che la sua gente avea -sconfitto a Meleto i baroni del re Luigi e i Napoletani, e aveano molti -a prigioni: essendo sollecitato per lettere e per ambasciadori da’ -comuni e da’ baroni che teneano nel Regno la sua parte che ritornasse, -diliberò di farlo. E di presente mandò innanzi de’ suoi cavalieri -ungheri con certi capitani in Ischiavonia, perchè di là passassero -in Puglia. E quando gli sentì passati, subitamente con certi suoi -eletti baroni, con piccola compagnia, si mise a cammino, e prima fu -alla marina di Schiavonia che sapere si potesse della sua partita: e -trovando al porto le galee e i legni apparecchiati, vi montò suso; e -avendo il tempo buono, valicò in Puglia a salvamento, assai più tosto -che per i paesani non si stimava. E sentita la partita sua in Ungheria, -grande moltitudine d’Ungheri il seguitarono, valicando di Schiavonia -in Puglia in barche e in piccoli legni armati sì disordinatamente, che -se il re Luigi avesse avute due galee armate senza fallo gli avrebbono -rotti e impediti per modo, che non sarebbono potuti passare: ma come -furono passati, il re Luigi vi mandò tre galee armate che vi giunsono -invano. Ed essendo il re d’Ungheria in Puglia, ragunò la sua gente -insieme, e trovossi con diecimila cavalieri. In que’ dì il conte di -Minerbino, il quale s’era ribellato dal detto re, si racchiuse nella -città di Trani, alla quale il re andò ad assedio. E vedendosi il conte -senza speranza di soccorso e disperato di salute, col capestro in -collo e in camicia uscì della città, e gittossi ginocchione in terra -a piè del re domandandoli misericordia. Il re d’Ungheria dimenticati -i baratti e’ falli del conte benignamente gli perdonò, e rimiselo -nel suo stato: e lasciato nelle città e castella di Puglia quella -gente che volle, venne in Principato. La città di Salerno essendo -in cittadinesche discordie gli apersono le porte, e ricevettonlo a -onore: e ivi si riposò alquanti dì; e messo suo vicario nella città -e castellano nel castello, se ne venne a Nocera de’ cristiani; e in -quella se n’entrò senza contasto. Il castello era forte e bene fornito -alla difesa, ma invilito il castellano, per codardia l’abbandonò. Il -re il fece prendere e guardare alla sua gente. E partito di là venne a -Matalona, nella quale entrò senza contasto. E tutte le città e castella -di Terra di Lavoro feciono il suo comandamento, salvo la città di -Napoli ed Aversa. E poi il detto re con tutto suo sforzo se ne venne -ad Aversa, del mese di maggio nel detto anno, e credettelasi avere alla -prima giunta, ma trovossi ingannato, perocchè era città di mura cinta, -e bene che fossero basse, era imbertescata e fornita di legname alla -difesa; e dentro v’erano i cavalieri e i masnadieri che la difendevano -virtuosamente; e assaggiata per più volte dall’assalto degli Ungheri, -con loro dannaggio, il re conobbe che non la potea vincere per forza, e -però vi mise assedio, e strinsela con più campi per modo, che da niuna -parte vi si poteva entrare. - - -CAP. LXXXIX. - -_Come i Genovesi ebbono Ventimiglia._ - -In questo tempo dell’assedio d’Aversa, il doge di Genova e il suo -consiglio, conosciuto loro tempo, armarono dodici galee e mandaronle -nel porto di Napoli, e diedono il partito a prendere al re e a alla -reina, dicendo in questo modo: il doge di Genova e il suo consiglio -ci hanno mandati qui a essere in vostro aiuto, in quanto voi rendiate -liberamente al nostro comune la città di Ventimiglia, la quale è di -nostra riviera, avvegnachè di ragione fosse della contea di Provenza. -E se questo non fate, di presente abbiamo comandamento d’essere contro -a voi, e di servire il re d’Ungheria. Il re e la reina vedendosi -assediati per terra dalla grande cavalleria del re d’Ungheria, a cui -ubbidia tutta la Terra di Lavoro, e di mare convenia che venisse tutta -loro vittuaglia, e da loro non aveano solo una galea: pensarono che -se i Genovesi gli nimicassono in mare erano perduti, e però stretti -dalla necessità deliberarono di fare la volontà del doge e del comune -di Genova, avendo speranza dell’aiuto di quelle galee molto migliorasse -la loro condizione. E incontanente mandarono a far dare la tenuta -della città di Ventimiglia al comune di Genova. E le dodici galee non -si vollono muovere del porto di Napoli, nè fare alcuna novità infino a -tanto che la risposta non venne dal loro doge, come avessono la tenuta -della detta città. Avuta la novella, non tennono fede al re Luigi nè -alla reina di volere nimicare le terre che ubbidivano al re d’Ungheria, -nè essere contro a lui; anzi si partirono da Napoli, e presono altro -loro viaggio. - - -CAP. XC. - -_Come fu data l’ultima battaglia ad Aversa dal re d’Ungheria._ - -Stando l’assedio ad Aversa, il re d’Ungheria facea scorrere continovo -la sua gente fino a Napoli e per lo paese d’intorno d’ogni parte, e -tutti i casali e le vicinanze l’ubbidivano, e mandavano il mercato -all’oste. A Napoli per terra non entrava alcuna cosa da vivere, e però -avea soffratta d’ogni bene, salvo che di grechi e di vini latini. E -se il re d’Ungheria avesse avute galee in mare, avrebbe vinta la città -di Napoli per assedio più tosto che Aversa: perocchè non aveano d’onde -vivere, se per mare non veniva da Gaeta e di Roma con grande costo. Nel -cominciamento, l’oste del re d’Ungheria fu abbondevole d’ogni grascia, -per l’ubbidienza de’ paesani: ma soprastando l’assedio, il servigio -cominciò a rincrescere, e l’oste ad avere mancamento di molte cose, -e spezialmente di ferri di cavalli e di chiovi. E i nobili regnicoli -vedendo che il re in persona con diecimila cavalieri non poteva -prendere Aversa, debole di mura e di fortezza e con poca gente alla -difesa, cominciarono ad avere a vile gli Ungheri, e trarre le cose loro -de’ casali, e la vittuaglia non portavano al campo come erano usati. E -per questo le masnade degli Ungheri andavano a rubare oggi l’uno casale -e domane l’altro, e spaventati i paesani, la carestia e il disagio -montava nell’oste. Il re temendo che la vittuaglia non fallasse nel -soggiorno, deliberò di combattere la città con più ordine e con più -forza ch’altra volta non avea fatto, come appresso diviseremo. - - -CAP. XCI. - -_Della materia medesima._ - -Vedendo il re d’Ungheria mancare la vittuaglia all’oste, ebbe i -capitani e’ conestabili de’ suoi Ungheri e Tedeschi che v’erano a -parlamento: e disse come grande vergogna era a lui e a loro essere -stati tanto tempo intorno a quella terra, abbandonata di soccorso e -imperfetta di mura, e non averla potuta prendere; e ora conoscea che -per lo mancamento della vittuaglia il soggiorno non gli tornasse a -vergogna; e però gli richiedeva e pregava ch’elli confortassono loro e -i loro cavalieri, ch’elli adoperassono per loro virtù, che combattendo -la terra si vincesse: ch’egli intendea di volere che la battaglia -da ogni parte vi si desse aspra e forte, sicch’ella si vincesse. I -capitani e’ conestabili di grande animo e di buono volere s’offersono -al re, e il re in persona disse loro d’essere alla detta battaglia. -Quelli d’entro che sentirono come doveano essere combattuti con tutta -la forza di quella gente barbara, non si sbigottirono, anzi presono -cuore e ardire e argomento alla loro difesa. Gli Ungheri e i Tedeschi -sprovveduti d’ingegni da coprirsi e da prendere aiuto all’assalto delle -mura, fidandosi negli archi e nelle saette, da ogni parte a uno segno -fatto assalirono le mura. E il re in persona fu all’assalto, per fare -da se, e per dare vigore agli altri. E data la battaglia, e rinfrescata -spesso, per stancare i difenditori, e fatto di loro saettamento ogni -prova, ed essendo da quelli della terra in ogni parte ribattuti, -coll’aiuto de’ balestrieri e delle pietre e della calcina gittata sopra -loro, e delle lanci e pali e d’altri argomenti, non ebbono podere di -prendere alcuna parte delle mura, ma molti di loro morti e più fediti, -e infino fedito il re, con acquisto d’onta e di vergogna si ritrassono -dalla battaglia. Que’ d’entro avendo combattuto francamente, confortati -e medicati di loro fedite, presono delle fatiche riposo. - - -CAP. XCII. - -_Come il conte d’Avellino con dieci galee stette a Napoli, e Aversa -s’arrendè al re._ - -Stando l’assedio ad Aversa, la reina Giovanna non essendo bene del -re Luigi, perchè volea essere da lui più riverita che non le parea, -perocchè era donna e reina del reame, e il marito non era ancora re, -a sua ’stanza fece in Proenza al conte d’Avellino, capo e maggiore -della casa del Balzo, armare dieci galee, e all’uscita di giugno nel -detto anno giunse nel porto di Napoli colla detta armata, atteso -per soccorso, del quale aveano gran bisogno. Ma il conte pieno di -malizia, conoscendo il bisogno del re Luigi, e poco curandosi della -reina, mostrandosi di volere trattare suo vantaggio, colle sue galee -si teneva in alto sopra il porto di Napoli. E per trarre vantaggio e -mantenere l’armata, ordinò che ogni legno o barca che nel porto volesse -entrare o uscire pagasse certa quantità di danari, e per questo modo -aggravava i Napoletani, e faceva loro più grande la carestia della -vittuaglia. E stando in questo modo, trattava domandando vantaggio -al re Luigi, e il re gliel’otriava quanto sapea domandare, per avere -l’aiuto di quelle galee, aggiugnendo i prieghi della reina, mostrando -come con quelle galee poteano racquistare le terre di quella marina, -onde seguirebbe loro grande soccorso. Ma per cosa che fare sapesse -non potè smuovere il conte a dargli l’aiuto di quell’armata, anzi -si partì di là, e per potere agiare la ciurma in terra s’apportò -al castello dell’Uovo: e cominciò a trattare col re d’Ungheria di -volergli dare per moglie la sirocchia della reina, che fu moglie del -duca di Durazzo, e il re avvisato gli dava intendimento, per volere -quelle galee tenere in contumace de’ suoi avversari. E stando il conte -in trattati e di là e di qua, non si potea conoscere che facesse la -volontà della reina, nè che fosse ribello al re Luigi, o in che modo si -potesse giudicare essere col re d’Ungheria, tenendo colla sua malizia -ogni parte sospesa. Al re Luigi e ai Napoletani fece danno, alla reina -non accrebbe baldanza: ma al re d’Ungheria, per lo suo trattare, fece -piuttosto avere Aversa: che sentendo gli assediati i trattati del -conte, affaticati lungamente alla difesa d’Aversa, pensando che il re -d’Ungheria rimanesse nel Regno, benchè ancora si potessono difendere -alcun tempo, presono partito di trattare per loro. E messer Iacopo -Pignattaro loro capitano, essendo regnicolo, e di natura mobile alla -nuova signoria, tosto s’accordò col re, ed ebbe sotto titolo di loro -soldi moneta dal re d’Ungheria, e rendégli la città d’Aversa: il quale -incontanente v’entrò dentro con tutta sua cavalleria, e non lasciò -fare a’ cittadini alcuna violenza o ruberia. E questo fu del mese di -settembre del detto anno. Manifesto fu che questa vittoria venne agli -Ungheri a gran bisogno, perocchè già era sì stracca la gente, per lungo -disagio e per la carestia, che poco più vi poteano stare, e il partire -senza averla vinta tornava al re e alla sua grande cavalleria ontosa -vergogna. - - -CAP. XCIII. - -_Come il re d’Ungheria e il re Luigi vennono a certa tregua._ - -Avendo non ispedite guerre, ma piuttosto avviluppamenti di quelle -narrate de’ fatti del regno di Cicilia, seguita non meno incognito -e avviluppato processo nelle seguenti successioni di que’ fatti; ma -cotali chenti alla nostra materia s’offeriranno, con nostra scusa gli -racconteremo. Avuta il re d’Ungheria la città d’Aversa, alla quale -lungo tempo s’era dibattuto con tutta la sua grande oste, e non l’avea -potuta nè per forza nè per assedio acquistare, essendo debole città -di mura e da poca gente difesa, si pensò che l’altre maggiori e più -forti città che si teneano contro a lui sarebbono più malagevoli a -conquistare, e per esempio d’Aversa troverebbe maggiore resistenza; e i -suoi baroni aveano già compiuto con lui il termine del debito servigio, -e a volerli ritenere al conquisto del Regno bisognava che desse loro -danaro, che n’avea pochi, e del Regno non ne potea trarre, essendo in -guerra: vide che il re Luigi, i baroni, e quelli che si teneano dal -suo lato erano disposti di stare alla difesa delle mura: e però mutò -l’animo agevolmente disposto a trovare accordo, col quale con meno sua -vergogna si potesse partire del Regno. E dall’altra parte il re Luigi -era a tanto condotto, che non che potesse con arme resistere al nimico, -ma di mantenere bisognose e necessarie spese di sua vita era impotente; -e se non fosse che l’animo de’ Napoletani concorrea a lui e alla reina -alla loro difesa, non arebbono potuto sostenere. E per questa cagione -era atta la materia da catuna parte a venire alla concordia con piccolo -aiuto d’alcuni mezzani. Onde alcuno prelato di santa Chiesa, il quale -era dal papa mandato nel Regno, e il conte d’Avellino, che avea da -ogni parte puttaneggiato, coll’aiuto d’alcuno altro barone, movendosi -a cercare se potessono trovare via d’accordo, con piccola fatica vi -pervennono alla cavalleresca, in questo modo. Che triegue fossono -fatte infino a calen di aprile, gli anni _Domini_ 1351, con patto, che -chi avesse nel Regno dovesse sicuramente tenere sue città, castella -e ville in pace tutto il tempo detto. Che la questione che si faceva -contro alla reina Giovanna della morte del re Andreasso, si dovesse -commettere nel papa e ne’ cardinali: e dove fosse trovata colpevole, -dovesse perdere il reame, e tornasse libero al re d’Ungheria: e -dove ella non fosse giudicata colpevole della morte del marito, ma -liberatane per sentenza del papa e del collegio de’ cardinali dovesse -rimanere reina del detto regno. E il re d’Ungheria le dovea rendere -tutte le città, castella e baronaggi che vi tenea, riavendo da lei per -le spese fatte per lui fiorini trecentomila d’oro, per quello modo e -termine competente che ordinato fosse per la santa Chiesa; e per patto -catuno re si dovea partire personalmente, e la reina del reame. Per -la fermezza d’attenere l’uno all’altro questi patti non ebbe altro -legame, che la fe e la scrittura e la testimonianza de’ mezzani. Il re -d’Ungheria che avea d’uscire del reame maggior voglia, prese l’onesta -cagione d’andare in romeaggio a Roma al santo perdono; e in Puglia -alle terre della marina lasciò de’ suoi Ungheri alla guardia con loro -capitani, e fornì di buona guardia tutte le sue tenute in Terra di -Lavoro; e a Capova e Aversa, e per l’altre terre e castella circustanti -lasciò suo vicario messer fra Moriale cavaliere friere di san Giovanni -di Provenza, valente e ridottato cavaliere, con buone masnade di -Provenzali, di cui il detto re molto si confidava; e a Viglionese -e a Lanciano e nell’altre terre che tenea in Abruzzi lasciò vicario -messer Currado Lupo, franco cavaliere, con sue masnade di Tedeschi -a quella guardia. E ordinato ch’ebbe la guardia delle sue terre nel -Regno si mise a cammino per andare a Roma: e incontanente il re Luigi -per mostrare di volere uscire del Regno, e tenere i patti, si partì -da Napoli colla reina, e venne alla città di Gaeta in su’ confini del -reame, e ivi attendeva che il re d’Ungheria si partisse d’Italia e -tornasse in suo reame, com’era in convegna; e ciò fatto, il re Luigi -e la reina Giovanna doveano fuori del reame attendere la sentenza di -santa Chiesa. I Gaetani ricevettono il re Luigi e la reina Giovanna -in Gaeta con grande onore: e provviddongli di loro danari per aiuto -alle spese, che n’aveano grande bisogno. Ed ivi si fermarono con animo -e intenzione di non uscire del Regno, bene che promesso l’avessono, -parendo loro che il dilungamento da quello, al bisognoso e lieve stato -ch’aveano, fosse pericoloso al fatto loro. Il re d’Ungheria seguì a -Roma suo viaggio, e avuto il santo perdono senza soggiorno se ne tornò -in Ungheria. - - -CAP. XCIV. - -_Come il conte d’Avellino diè al suo figliuolo per moglie la duchessa -di Durazzo._ - -Il conte d’Avellino, il quale colle sue galee era rimaso sopra Napoli -al castello dell’Uovo, vedendo i fatti del Regno rimasi intrigati per -lungo tempo, essendo rimasa la duchessa di Durazzo sirocchia della -reina, vedova, nel castello dell’Uovo, chiamata Maria, non ostante -che ’l detto conte fosse suo compare, ma per quello mostrando più -familiarità, con piccola compagnia andò al castello per vicitarla, -innanzi alla sua partita; la duchessa con buona confidanza gli fece -aprire liberamente il castello, ed egli con due suoi figliuoli e colla -sua famiglia armata v’entrarono: e entrati, fece prendere la guardia -delle porti e delle fortezze d’entro. Ed essendo colla duchessa, disse -che volea ch’ella fosse moglie di Ruberto suo figliuolo, e per forza le -fece consumare il matrimonio: e di presente la trasse del castello con -tutti i suoi arnesi, e misela nella sua galea, per menarla in Proenza. -Il re Luigi ch’era in Gaeta sentì di presente questo fatto, e egli e -la reina ne furono molto turbati. E seguendo il conte suo viaggio per -tornare in Proenza con tutte le galee, quando furono sopra a Gaeta -l’otto entrarono nel porto, e i padroni e’ nocchieri e le ciurme -scesono in terra per pigliare rinfrescamento. Il conte colla duchessa -e co’ figliuoli rimasono fuori del porto in due galee, e attendevano -l’altre che prendevano rinfrescamento per seguire loro viaggio. Il re -Luigi cautamente fece venire a se i padroni e’ nocchieri dell’otto -galee, e fece segretamente armare de’ Gaetani e stare alla guardia, -che non potessono senza sua volontà tornare alle galee. E fatto questo, -disse: pensate di morire se non fate che le due galee dov’è il conte, -e i figliuoli e la duchessa, venghino dentro nel porto a terra; e alle -minacce aggiunse amore e preghiere: e ritenuti de’ caporali cui egli -volle per sicurtà del fatto, lasciò gli altri tornare alle galee: i -quali di presente s’accostarono alle due galee del conte, che di questo -fatto, come il peccato l’accecava, non s’era avveduto, e di presente -l’ebbono condotte a terra dentro al porto. Allora il re mandò a dire al -conte che venisse a lui. Il conte si scusò che non potea perocch’era -forte stretto dalle gotte. Il re acceso di furore e infiammato d’ira, -per l’ingiuria ricevuta della vergogna fatta al sangue reale, e de’ -suoi gravi e pericolosi baratti, non si potè temperare nè raffrenare il -conceputo sdegno: ma prese certi compagni di sua famiglia, e armati, -in persona si mosse: e giunto al porto, montò in su la galea dov’era -il conte. Venuto a lui, in brieve sermone gli raccontò tutti i suoi -tradimenti, e la folle baldanza che lo avea condotto a vituperare il -sangue reale: e detto questo, senza attendere risposta, con uno stocco -il fedì del primo colpo; e incontanente n’ebbe tanti, che senza potere -fare parola rimase morto in su la galea. La duchessa di presente fu -tratta di galea, e collocata colla sua famiglia e co’ suoi arnesi -in uno ostieri in Gaeta, e i due figliuoli del conte furono messi in -prigione. Lasceremo ora de’ fatti del Regno, che stando le triegue non -v’ebbe cosa degna di memoria, e ritorneremo alla nostra materia degli -altri fatti d’Italia, e della nostra città di Firenze. - - -CAP. XCV. - -_Della grande potenza dell’arcivescovo di Milano, e come i Fiorentini -temeano di Pistoia, e quello che ne seguì._ - -In questo medesimo tempo, tra il fine del cinquantesimo ed il -cominciamento del milletrecentocinquantuno, i Fiorentini cominciarono -forte a temere della città di Pistoia, la quale per cittadinesche -sette era divisa e in male stato. E la casa de’ Panciatichi, che non -erano originali guelfi, in que’ dì aveano cacciato della città messer -Riccardo Cancellieri e i suoi naturali, guelfi, di quella terra, e -antichi servidori del comune di Firenze: e messer Giovanni Panciatichi -s’avea recato in mano il governamento di quella terra, e per sembianti -mostrava d’essere amico del comune di Firenze. I Fiorentini sentendo -l’arcivescovo di Milano, il quale in quel tempo avea sotto la sua -tirannia ventidue città, tra in Lombardia e in Piemonte, e di nuovo -avea contro la volontà di santa Chiesa presa la città di Bologna, -la quale confinava col loro comune, temeano forte che Pistoia per le -cittadinesche discordie non pervenisse nelle sue mani, e però voleano -la guardia di quella terra. E quanto che messer Giovanni si mostrasse -amico del comune di Firenze, con diverse e nuove cagioni tranquillava -e metteva indugio col seguito de’ cittadini della sua setta, che il -comune di Firenze non avesse la guardia, raffrenando l’appetito de’ -Fiorentini, col sospetto del potente vicino. Nondimeno i Pistolesi -guelfi pur vollono che il comune di Firenze v’avesse dentro alcuna -sua sicurtà, e consentirono che i Fiorentini mettessono in Pistoia -messer Andrea Salamoncelli, uscito di Lucca loro soldato, con cento -cavalieri e con centocinquanta masnadieri alla guardia di Pistoia, alle -spese del comune di Firenze, con patto espresso, che il detto capitano -co’ suoi cavalieri e fanti giurassono di mantenere quello stato che -allora reggeva Pistoia, contro il comune di Firenze, e ogni altro che -offendere o mutare il volesse. I Fiorentini vedendo che meglio non si -poteva fare senza grave pericolo, benchè conoscessono che questa non -era la guardia che bisognava, acconsentirono, e misonvi il capitano e -la gente d’arme sotto il detto saramento: e con molte dissimulazioni -e lusinghe manteneano quella città, ritenendo i cavalieri in Firenze -senza mutazione infino al primo tempo. - - -CAP. XCVI. - -_Come certi rettori di Firenze vollono prendere Pistoia per inganno._ - -Era per successione de’ rettori di Firenze di priorato in priorato -la sollecitudine di mettere rimedio alla guardia di quella città, e -non trovandosi da potere fare altro che fatto si fosse, alcuni allora -rettori del nostro comune, con più presunzione che il loro consiglio -non permettea, provvidono di fare tra loro segretamente d’avere per -non leale ingegno la signoria di quella terra; e com’ebbono conceputo -il non debito fatto, così per non discreto nè savio modo il vollono -mettere a esecuzione, e sotto altro titolo accolsono i soldati del -comune a piedi e a cavallo, e mossonne delle leghe del contado: e -avendo a questa gente dato ordine alla notte che si doveano muovere, -vollono provvedere di mutare di Pistoia il capitano ch’avea giurato a’ -Pistolesi, ch’era troppo diritto e leale cavaliere di sua promessa, -e scambiare le masnade sotto il titolo della condotta, acciocchè -potessono senza contasto dentro meglio fornire la loro intenzione: e a -ciò fare mattamente si confidarono a uno ser Piero Gucci, soprannomato -Mucini, allora notaro della condotta, il quale era paraboloso e di -grande vista, e poco veritiere ne’ fatti. Questi promise di fornire -la bisogna chiaramente, e d’avvisare del fatto alcuni conestabili -confidenti: e preso a fornire il servigio, i poco discreti rettori del -comune ebbono la promessa di colui come se la cosa fosse ferma e certa; -e per questo la notte ordinata, a dì 26 di marzo gli anni _Domini_ -1351, feciono cavalcare i cavalieri e’ pedoni ch’aveano apparecchiati, -e con loro messer Ricciardo Cancellieri, colle scale provvedute alla -misura delle mura, e a Pistoia furono la mattina innanzi dì, ed ebbono -messe le scale, e montati de’ cavalieri e de’ pedoni in su le mura, -e scesine dentro una parte, avvisando d’avere l’aiuto de’ soldati del -comune di Firenze che v’erano dentro, come era loro dato a divedere, -pensavano a dare la via agli altri e farsi forti, e tutto era senza -contasto, perocchè i cittadini si dormivano senza sospetto. E i soldati -del comune che dentro v’erano non aveano sentimento nè avviso alcuno, -perocchè il notaio, a cui la bisogna fu commessa, fu trovato in Prato -nell’albergo a dormire. Messer Ricciardo essendo co’ suoi in sulle mura -si scoperse innanzi tempo, facendo gridare viva il comune di Firenze e -messer Ricciardo. I Pistolesi sentendo il rumore credettono fosse opera -di messer Ricciardo loro sbandito, il quale aveano in gran sospetto; -e però co’ soldati de’ Fiorentini insieme furono all’arme, e trassono -alle mura francamente ad assalire coloro che dentro erano scesi: e -feditine alquanti, tutti gli presono, e allora di prima seppono che -questa era fattura de’ Fiorentini; e tutti co’ soldati de’ Fiorentini -insieme intesono sollecitamente a guardare la terra il dì e la notte. E -la folle impresa, mattamente condotta per li rettori di Firenze, generò -in Pistoia grave e pericoloso sospetto, e in Firenze molta riprensione. -Il notaio, a cui i signori aveano commessa la bisogna, fu preso a -furore di popolo e menato alla podestà, e avrebbe perduta la persona, -se non che il grande fallo ch’aveano commesso i suoi comandatori, -perchè non gravasse loro difesono lui. E di questo seguì quello che -appresso diviseremo. - - -CAP. XCVII. - -_Come i Fiorentini assediarono Pistoia ed ebbonla a’ comandamenti loro._ - -Quando i Fiorentini s’avvidono del pericolo, ove l’indebita impresa -de’ loro rettori gli aveva messi, di recare a partito i Pistolesi, -per la nuova ingiuria ricevuta, d’aiutarsi colla forza del vicino -tiranno: temendo che questo non avvenisse, non per animo di volere di -quella città alcuna giurisdizione fuori che la guardia, per gelosia -che al tiranno non pervenisse, di presente diliberarono che la città -si strignesse per forza e per amore tanto che la guardia solo se ne -avesse, per loro sicurtà, e del nostro comune, e altro non volea; e -senza indugio alla gente che andata v’era s’aggiunse cavalieri, quanti -allora il comune ne aveva, e fanti a piè. E per decreto del comune si -diè parola agli sbanditi che catuno facesse suo sforzo, e alle sue -spese menasse gente nell’oste in aiuto al comune di Firenze secondo -suo stato, e dopo il servigio fatto sarebbe ribandito d’ogni bando. Per -la qual cosa in tre dì furono intorno a Pistoia ottocento cavalieri e -dodicimila pedoni, e ristrinsonla d’ogni parte con più campi, sicchè -di loro contado nè da altra amistà dentro non poterono avere alcuno -soccorso o aiuto. E di Firenze vi s’aggiunse sedici pennoni, uno per -gonfalone, co’ quali andarono duemila cittadini quasi tutti armati come -cavalieri, e molti ve n’andarono a cavallo; e giunti nell’oste con -loro capitani, feciono dirizzare intorno alla città otto battifolli. -In Pistoia aveva a questo tempo millecinquecento cittadini, o poco -più, da potere con arme difendere la terra, oltre alle masnade a -cavallo e a piè che dentro v’erano a soldo de’ Fiorentini, i quali -si stavano senza fare novità dentro o guerra di fuori: per la qual -cosa al gran giro della città parea che così pochi cittadini non la -dovessono potere difendere. E per questa cagione i Fiorentini aveano -speranza di vincerla per forza, quando con loro non si potesse trovare -accordo. I Pistolesi d’entro, uomini coraggiosi e altieri, con dura -faccia intendeano dì e notte alla loro difesa: e perch’erano pochi a -tanta guardia quanta il dì e la notte convenia loro fare, uscirono -delle loro case, e vennono ad abitare intorno alle mura: e le mura -armarono di bertesche e di ventiere, e dentro uno largo corridore di -legname, e fornironlo di pietre e di legname e di pali da gittare, -e di travi sopra i merli: e feciono a piè delle mura intorno intorno -molti fornelli con caldaie, per apparecchiare acqua bollita per gittare -sopra coloro che combattessono: e apparecchiarono calcina viva in -polvere per gittare, e con ferma e aspra fronte mostravano volere -difendere la loro franchigia; la qual cosa era degna di molta lode, -se per antichi e nuovi e continovi esempli, della loro cittadinesca -discordia non fosse contaminata. E addurandosi di non volere prendere -accordo col comune di Firenze, soffersono il guasto di fuori de’ loro -campi; e vedendo i Fiorentini che più s’adduravano, diliberarono che -la terra si combattesse; e per levare loro la speranza del contradio, -comandarono a messer Andrea Salamoncelli, capitano e conestabile de’ -cavalieri e de’ pedoni che dentro v’erano a soldo del nostro comune, -che ne dovesse uscire, e così fu fatto; per la qual cosa la nostra -oste s’accrebbe, e a loro mancò la speranza: e ordinati di fuori ponti -e grilli, e castella di legname e altri fornimenti da combattere le -mura, acciocchè con più sicurtà si potesse intendere alla battaglia, -cinsono di buono steccato dall’uno battifolle all’altro. I Pistolesi -vedendo la disposizione de’ Fiorentini, e pensando, eziandio che si -difendessono, non poteano bene rimanere, cominciarono più a temere. -In questo mezzo ambasciadori da Siena v’entrarono, mandati dal loro -comune per trovare accordo, e come che s’aoperassono conferendo colle -parti, manifesto fu che peggiorarono la condizione, e inacerbirono -gli animi e dentro e di fuori. E dato il dì della battaglia, e da ogni -parte apparecchiata, i guelfi di Pistoia, ch’erano la maggiore forza -della città, s’accolsono insieme con pochi ghibellini, ed essendo al -consiglio, ricercarono con l’animo più riposato il pericolo a che si -conducevano, per contrastare a’ padri loro, il comune di Firenze, la -guardia loro e della città, la quale doveano con istanza domandare -a’ Fiorentini che la prendessono, volendo mantenere la città a parte -guelfa, e in più sicuro e pacifico stato che non erano. E così parlato, -misono il partito a segreto squittino, e vinsero che la guardia della -città fosse messa liberamente nel comune di Firenze, e che dentro vi -mettesse gente e capitano alla guardia quanto al detto comune piacesse; -e che dentro alla città in su le mura si facesse un castello alle spese -de’ Fiorentini, per più sicura guardia, e che oltre a ciò avessono -la guardia di Seravalle e quella della Sambuca. E messi dentro de’ -cittadini di Firenze in quel dì, ogni cosa di grande concordia si recò -in buona pace; e dentro vi misono il capitano e’ cavalieri e’ pedoni -che i nostri cittadini vollono, e presono la tenuta, e ordinarono -la guardia di Seravalle: e per fretta e mala provvidenza indugiarono -di mandare per la tenuta della Sambuca nel passo dell’alpe, la quale -quando poi vollono, senza difetto de’ Pistolesi, non poterono avere: -onde poi ne seguì cagione di grande pericolo a’ Pistoiesi e al nostro -comune, come leggendo per innanzi si potrà trovare. Fatta la detta -concordia, i Fiorentini levarono il campo e arsono i battifolli, e -ordinatamente con gran festa tornò tutta la bene avventurata oste nella -nostra città, all’uscita d’aprile, gli anni di Cristo 1351. E pochi dì -appresso vi mandò il comune di Firenze de’ suoi grandi cittadini con -pieno mandato, i quali riformassono al piacere de’ cittadini di Pistoia -lo stato e il reggimento di quello comune; e rimisonvi messer Ricciardo -Cancellieri e’ suoi, con pace de’ Panciatichi, fortificata e ferma con -più matrimoni dall’una famiglia all’altra. - - -CAP. XCVIII. - -_Come il re d’Inghilterra sconfisse in mare gli Spagnuoli._ - -Nel tempo delle tregue del re di Francia e di quello d’Inghilterra, -gli Spagnuoli, i quali usavano colle loro cocche e navili di navicare -il mare di Fiandra, cominciarono a danneggiare i navili d’Inghilterra, -e a rubare in corso le loro mercatanzie; e seguitando con più forza la -loro guerra, per più riprese feciono agl’Inghilesi onta e danno assai. -Il re d’Inghilterra non potè dissimulare questa ingiuria, che senza -cagione di guerra gli Spagnuoli gli aveano fatta, e però accolse suo -navilio, e in persona con due suoi figliuoli assai giovani si mise in -mare per andare in Spagna. Il re di Castella che sentì l’armata del -re d’Inghilterra, fece suo sforzo d’armare molte navi, e abboccaronsi -coll’armata d’Inghilterra nella vicinanza delle loro marine, e -commisono aspra e fiera battaglia, della quale il re d’Inghilterra -ebbe la vittoria, con grande danno degli Spagnuoli e delle loro navi. -E fatta la sua vendetta, con piena vittoria si tornò in Inghilterra. E -qui finisce il nostro primo libro, anni di Cristo 1351. - - - - -LIBRO SECONDO - - -CAPITOLO PRIMO - -_Prolago._ - -Perocchè anticamente gl’infedeli e i pagani e le barbare nazioni, -compiacendosi alla reverenza delle virtù morali, i cominciamenti della -guerra alle ragioni della giustizia congiugneano, non senza debita -ammirazione ne’ nostri tempi, ne’ quali i cristiani, non solamente -dalle morali, ma dalle virtù divine ammaestrati nella perfetta fede -di Cristo nostro redentore, molti trapassano con disordinato appetito -la via eguale della vera giustizia, e seguitando la sfrenata volontà -della tirannesca ambizione, non colle debite ragioni, ma con perverse -cagioni, con subiti e sprovveduti assalti gli sprovveduti popoli -assaliscono, le città e le terre, confidandosi nella loro quiete, per -furti, per tradimenti, e per inganni rapiscono, sforzandosi con ogni -generazione d’inganni quelle soggiogare, e sottomettere al giogo della -loro tirannia; e non meno la cristianità, che le infedeli nazioni, -di queste malizie e inganni spesso si conturba. E avvegnachè queste -cose senza vergogna de’ laici secolari raccontare non si possono, ne’ -cherici, e massimamente ne’ prelati, i quali, invece di Cristo fatti -spirituali pastori della sua greggia, diventando rapaci lupi, nelle -predette cose sono con ogni abominazione da detestare. E però venendo -al cominciamento del secondo libro del nostro trattato, diverse e -varie cagioni di questa materia prima ci s’apparecchiano, vinti da -onesta necessità, la verità del fatto, con seguire nostra materia, -racconteremo. - - -CAP. II. - -_Come il comune di Firenze usava la pace coll’arcivescovo di Milano._ - -I Fiorentini avendo per gelosia presa la guardia del castello di Prato -e della città di Pistoia, usciti della paura di quelle, si stavano -in pace, riputandosi essere in amistà dell’arcivescovo di Milano, -perocchè guerra non v’era, e contro a sua impresa i Fiorentini non -s’erano voluti travagliare. Con Bologna tenea le strade e i cammini -aperti, e le mercatanzie d’ogni parte andavano e venivano sicure. E -spesso il tiranno scrivea al comune de’ suoi onori e de’ singulari -servigi, come accade ad amici, e il comune a lui, come a reverente -signore e caro amico. E con folle ignoranza stava il nostro comune -senza sospetto, e per non dare materia di sospetto al vicino tiranno, -si guardava di fornirsi di capitano di guerra e di gente d’arme, e -appena aveano fornite di guardie le loro castella. Il tiranno, ch’avea -fatta la lega con gli altri tiranni d’Italia e con tutti i ghibellini, -si venia fornendo di gente d’arme al suo soldo a piè e a cavallo, -e vegghiava al continovo contro al nostro comune nella conceputa -malizia, attendendo il tempo che a ciò avea divisato. E in questo mezzo -carezzava con doni e con servigi i suoi vicini tiranni, per averli -più pronti al suo servigio al tempo del bisogno. E si pensava, che -ingannando i Fiorentini, e venendo della città al suo intendimento, -essere appresso al tutto signore d’Italia. E i rettori della città di -Firenze avendo a’ suoi confini il tiranno potente, viveano improvvisi, -sotto confidenza degna di biasimo e di grave punizione. Ma così avviene -spesso alla nostra città: perocchè ogni vile artefice della comunanza -vuole pervenire al grado del priorato e de’ maggiori ufici del comune, -ove s’hanno a provvedere le grandi e gravi cose di quello, e per forza -delle loro capitudini vi pervengono; e così gli altri cittadini di -leggiere intendimento e di novella cittadinanza, i quali per grande -procaccio, e doni e spesa si fanno a’ temporali di tre in tre anni agli -squittini del comune insaccare: è questa tanta moltitudine, che i buoni -e gli antichi, e’ savi e discreti cittadini di rado possono provvedere -a’ fatti del comune, e in niuno tempo patrocinare quelli, che è cosa -molto strana dall’antico governamento de’ nostri antecessori, e dalla -loro sollecita provvisione. E per questo avviene, che in fretta e -in furia spesso conviene che si soccorra il nostro comune, e che più -l’antico ordine, e il gran fascio della nostra comunanza, e la fortuna, -governi e regga la città di Firenze, che il senno o la provvidenza de’ -suoi rettori. Catuno intende i due mesi c’ha a stare al sommo uficio al -comodo della sua utilità, a servire gli amici, o a diservire i nimici -col favore del comune, e non lasciano usare libertà di consiglio a’ -cittadini: e questo è spesso cagione di vergogna e di grave danno del -nostro comune, ricevuto da’ suoi minori e impotenti vicini. - - -CAP. III. - -_Come l’arcivescovo di Milano appuose tradimento e condannò messer -Iacopo Peppoli._ - -Era in questo tempo rimaso in Bologna messer Iacopo de’ Peppoli, il -quale fu traditore con messer Giovanni suo fratello della propria -patria, vendendo la città e i suoi cittadini all’arcivescovo, come -detto abbiamo, al quale la sua malizia, e il commesso peccato, tosto -apparecchiò alcuna penitenza alle sue male operazioni. Che trattando -egli con certi tiranni lombardi di fare rivolgere la città di Bologna, -l’arcivescovo, o vero o bugia che fosse, sentì che trattato si tenea -per lui e per alcuni altri cittadini di Bologna: e la boce corse -che trattavano co’ Fiorentini: e questo non ebbe sostanza alcuna di -verità. Il tiranno avea voglia di trarlo di Bologna, sicchè ogni lieve -ragionamento o materia gli fu assai: e però di presente fece prendere -lui e’ figliuoli e alcuni altri cittadini, e condannati gli altri a -morte, messer Iacopo per grande servigio condannato a perpetua carcere, -e pubblicati i suoi beni alla sua camera, come di traditore, e tolsegli -i danari che gli restavano della vendita di Bologna, e le castella che -dato gli avea, e il proprio patrimonio: e fattolo venire co’ figliuoli -a Milano, incarcerò lui nel castello di... e i figliuoli a Cremona. -L’altro fratello che a quello tempo era in Milano non involse in -questa sentenza, il quale dissimulando suo dolore rimase in Milano in -lieve stato, per passare il tempo alla provvigione del signore, con -amaro cuore. Assai tosto ha fatto manifesto qui il divino giudicio la -miseria a che sono condotti i traditori della loro patria, i quali per -disperato consiglio, i cittadini i quali gli aveano con grande onore -esaltati e fatti signori sottopuosono per avarizia al giogo del crudele -tiranno: e ora spogliati de’ propri beni, e privati d’ogni amore de’ -loro cittadini, in calamitosa prigione danno esemplo agli altri di più -intera fede a’ loro comuni. - - -CAP. IV. - -_Come l’arcivescovo fermò d’assalire improvviso la città di Firenze._ - -Nel mese di luglio del detto anno, l’arcivescovo di Milano, avendo -purgato di sospetto la città di Bologna, per la morte d’alquanti -cittadini e per l’incarcerazione di messer Iacopo de’ Peppoli e -de’ figliuoli, e accolti e fatti accogliere quasi tutti i soldati -oltramontani d’Italia, parendoli venuto il tempo di scoprire a’ suoi -collegati ghibellini d’Italia la sua intenzione, ebbe in Milano i -caporali di parte ghibellina d’Italia, e conferì con loro di volere -sottomettersi il comune di Firenze, e con molte ragioni dimostrò -com’era venuto il tempo da poterlo fare col loro aiuto: e ciò fatto, -era spento in Italia il nome di parte guelfa. La proposta fu in piacere -di tutti. Eranvi caporali, oltre a’ Lombardi, gli Ubaldini, i figliuoli -di Castruccio Interminelli e messer Francesco Castracani da Lucca, -messer Carlino di Pistoia e’ suoi, il conte Nolfo d’Urbino, i conti di -Santafiore e il conte Guglielmo Spadalunga, e de’ ribelli del comune di -Firenze alquanti di quelli da Cigliano, e messer Tassino e il fratello -discesi della casa de’ Donati. E non volendosi scoprire d’esservi in -persona i Tarlati d’Arezzo, il vescovo co’ suoi Ubertini, e’ Pazzi di -Valdarno, e il conte Tano da Montecarelli, ch’erano allora in pace e -in amore col comune di Firenze, in segreto vi mandarono catuno segreti -ambasciadori con pieno mandato. I quali tutti udita l’intenzione del -potente tiranno furono molto allegri, e confortarono l’arcivescovo -dell’impresa: aggiugnendo che sentivano i cittadini di Firenze in tanta -discordia per le loro sette, e per lo male contentamento del reggimento -della città, e Arezzo e Pistoia in sì male stato, che se la sua potenza -improvviso a quelli comuni col loro aiuto si stenderà sopra loro, non -vedeano che di tutto in breve tempo e’ non fosse signore: e la signoria -di Firenze il facea signore d’Italia. E così d’un animo rimasono in -accordo col tiranno di fare l’impresa ordinata; e data la fede della -loro credenza e di loro aiuto, con grandi promesse lieti si ritornarono -in loro contrade, e intesono d’apparecchiarsi di cavalli e d’arme al -loro podere. L’ordine fu preso, che quando l’oste dell’arcivescovo -fosse sopra i Fiorentini, che gli Ubaldini co’ Romagnuoli assalissono -nel’alpe, e i Tarlati Ubertini e Pazzi si rubellassono e assalissono -il Valdarno: e il conte Tano da Montecarelli movesse guerra in Mugello. -A’ Pisani intendea l’arcivescovo co’ suoi confidenti ambasciadori fare -rompere pace a’ Fiorentini, e muovere guerra dalla loro parte: cercando -muoverli con sue coperte suasioni, non dimostrando il perchè, in suo -aiuto. Ma i Pisani accorgendosi del fatto, nutricavano il tiranno con -parole di speranza, e mandarono a lui loro ambasciadori per potere -sentire più il vero da che movea quella inchiesta, e per avere più -tempo a deliberare. E questo avvenne, perocchè allora la città di -Pisa signoreggiava per li Gambacorti, uomini mercatanti e amici de’ -Fiorentini. Ma i governatori del comune di Firenze, addormentati e -fuori della mente, non procuravano di sentire queste cose, e quello -che sentivano mettevano al non calere, e provvisione alla loro guardia -non faceano, sentendo che molta gente d’arme s’accogliea in Lombardia, -e che Lombardia non era in guerra, ma in lega coll’arcivescovo di -Milano. I quali rettori del nostro comune non erano degni di governare -il fascio di tanta città, ma di grandi pene delle loro persone, -commettendo contro al loro comune pericolo d’irreparabile fallo. - - -CAP. V. - -_Come si mise in ordine il consiglio preso._ - -L’arcivescovo di Milano, la gente d’arme che avea in diverse parti -in Lombardia, in pochi dì la fece venire a Bologna: e fatto capitano -messer Giovanni de’ Visconti da Oleggio, il quale per fama si tenea -essere suo figliuolo, per addietro capitano de’ Pisani, e prigione -de’ Fiorentini nella battaglia che feciono per soccorrere Lucca alla -Ghiaia, animoso contro a’ Fiorentini, singularmente per quell’onta, -uomo di grande animo, e accompagnato da’ caporali ghibellini lombardi -toscani e marchigiani, maestrevoli conducitori di guerra, si pensò -prosperamente fornire la commissione a lui fatta per lo suo signore. Il -castello della Sambuca, nel passo della montagna tra Bologna e Pistoia, -era allora per difetto de’ Fiorentini nelle sue mani, al quale avea di -vittuaglia per l’oste grande apparecchiamento; e di questo non s’erano -accorti i Fiorentini: e così provveduto, subitamente a dì 28 del mese -di luglio, gli anni _Domini_ 1351, mosse colla sua oste da Bologna, e -prima fu valicato la Sambuca, e accampatosi presso a Pistoia a quattro -miglia, per attendere il rimanente del suo esercito, che i Fiorentini -sapessono alcuna cosa, o che avessono avuto pensiero che la forza del -tiranno si stendesse sopra loro: ma sentendo questo, subitamente, in -que’ due dì ch’e’ nimici attesono la loro gente, i Fiorentini misono -gente d’arme a piè e a cavallo in Pistoia, sicchè dentro vi si trovò -alla guardia da cinquecento cavalieri e seicento fanti alla venuta -dell’oste, messer Giovanni raunata tutta la sua oste e la vittuaglia, a -dì 30 di luglio predetto si strinse alla città di Pistoia, credendolasi -avere per vane promesse, ma non essendogli risposto come s’avvisava, -vi si strinse e posevisi ad assedio. La gente de’ Fiorentini che -dentro v’era, faceano di dì e di notte sofficiente e buona guardia, e -per questo, se trattato niuno v’era non s’ardì a scoprire, ma tutti i -cittadini colla gente de’ Fiorentini insieme attesono alla difesa della -città. - - -CAP. VI. - -_Come gli Ubaldini arsono Firenzuola, e presono Montecolloreto._ - -Gli Ubaldini, ch’erano in pace col comune di Firenze, sentendo l’oste -dell’arcivescovo sopra Pistoia, avendo fatto loro sforzo, e avuto -cavalieri del tiranno, improvviso a’ Fiorentini apparirono nell’alpe, -e corsono a Firenzuola, che si redificava pe’ Fiorentini, ma non era -ancora cinta di mura, nè di fossi nè di steccati, ma incominciata, e -dentro v’erano capanne per alberghi, e lieve guardia per tener sicuro -il cammino, sicchè senza contrasto la presono e arsono: e andaronsene -a oste a Montecolloreto, nel quale era castellano per lo comune di -Firenze uno popolano de’ Ciuriani di Firenze, giovane poco scorto -degl’inganni delle guerre. Costui vedendosi assediato, e dando fede -alle parole de’ nimici, i quali diceano come Firenze era per arrendersi -al signore di Milano, si condusse mattamente a patteggiar con loro: -che se in fra ’l terzo dì non fosse soccorso, darebbe la rocca: e -per istadico diede un suo fratello. I Fiorentini ch’aveano l’animo -a guardare quella fortezza, cercarono di soccorrerla, e trovato uno -conestabile valente con venticinque masnadieri, promise d’entrare -innanzi al termine nel castello; e di presente si mise in cammino: e -tanto procacciò per suo ingegno e virtù, che innanzi il termine fu nel -castello, ma non potè entrare nella mastra fortezza, che si guardava -per lo castellano, e ’l castellano avendo questo soccorso si potea -difendere per lungo tempo da tutta la forza ch’avessono potuta fare gli -Ubaldini, perocchè il luogo era fortissimo e bene fornito: ma essendo -(come egli follemente avea messo il fratello nelle mani de’ nimici, -i quali minacciavano d’impiccarlo se non rendesse la rocca) vinto -dall’amore della carne, non volle ricevere il soccorso, anzi diede la -rocca a’ nimici. E salvate le persone da’ nimici, condotto a Firenze, -e giudicato traditore del comune, per la sua dicollazione e di due suoi -compagni diede esemplo agli altri castellani di più intera fede al loro -comune. I mallevadori che dati avea di rassegnare la rocca al comune -convenne che pagassono lire ottomila com’erano obbligati. - - -CAP. VII. - -_Come gli Ubertini, e’ Tarlati, e i Pazzi assalirono il contado di -Firenze._ - -Messer Piero Sacconi co’ suoi Tarlati usciti d’Arezzo, e il vescovo -d’Arezzo degli Ubertini co’ suoi consorti, e Bustaccio co’ Pazzi di -Valdarno, per lungo tempo stati in pace e in protezione col comune -di Firenze, sentendo l’avvenimento di messer Giovanni Visconti da -Oleggio con grande forza d’arme sopra Pistoia, si ragunarono con -tutto loro sforzo di gente d’arme a piè e a cavallo a Bibbiena; e -dall’arcivescovo aveano avuto dugentocinquanta barbute, acciocchè -potessono fare maggiore guerra. Di presente, improvviso a’ Fiorentini, -cominciarono a cavalcare sopra loro, e sopra i conti Guidi, amici e -fedeli del comune di Firenze, e oggi correvano in una contrada e domane -in un’altra, uccidendo e predando, e facendo aspra guerra. I Fiorentini -vedendo d’ogni parte le subite e sprovvedute tempeste venire sopra -loro, e sentendo gli amici diventati nimici, ebbono paura non piccola, -mescolata di grande sospetto, e i provveduti rettori del comune non -sapeano che si fare. E così era la città di forza e di consiglio -spaventata, e molto piena di paura e di sospetto per modo, che non -veggendo nè per atto nè per consiglio alcuna cagione di sospetto -cittadinesco, non si fidava l’uno del’altro, e non si provvedea al -comune riparo per via di consiglio in que’ primi cominciamenti. - - -CAP. VIII. - -_Come i Fiorentini mandaro ambasciadori al capitano dell’oste._ - -Vedendosi i Fiorentini con tanta forza e da cotante parti assalire dal -signore di Milano, senza avere con lui alcuna guerra o conturbagione -di pace, elessono alquanti cittadini, e mandaronli ambasciadori nel -campo a messer Giovanni da Oleggio, capitano dell’oste sopra a Pistoia, -i quali essendo giunti nel campo, furono ricevuti dal capitano assai -cortesemente. E secondo la commissione a loro fatta da’ priori e -da’ collegi del nostro comune, domandarono messer Giovanni, con ciò -fosse cosa che tra l’arcivescovo suo signore e ’l comune di Firenze -fosse pace e niuno sospetto di guerra, perchè venuto era ostilmente -come contra suoi nimici sopra il comune di Firenze, non avendo prima -annunziato al comune la sua guerra secondo i patti della pace, salvo -che per una breve lettera, mandata per lui poichè fu sopra Pistoia: la -quale senza precedente cagione di nostro fallo, disse: _non avete voi -voluto osservare la pace, e però vi facciamo la guerra_: la quale non -era nè onesta nè debita cagione; e però siamo mandati dal nostro comune -a sapere la verità di questo movimento. Udito il capitano la loro -ambasciata, raccolse il suo consiglio, e appresso rispose altieramente -in questo modo. Il nostro signore, messer l’arcivescovo di Milano, è -potente, benigno e grazioso signore, e non fa volentieri male ad alcuna -gente, anzi mette pace e accordo in ogni luogo ove la sua potenza si -stende; è amatore di giustizia, e sopra gli altri signori la difende e -mantiene: e qui non ci ha mandati per mal fare, ma per volere tutta la -Toscana riducere e mettere in accordo e in pace, e levare le divisoni -e le gravezze che sono tra’ popoli e’ comuni di questi paesi. E perchè -a lui è pervenuto e sente le divisioni discordie e sette, e le gravezze -che sono in Firenze, le quali conturbano e aggravano la vostra città e -tutti i comuni di Toscana, ci ha mandati qui affinchè voi vi governiate -e reggiate in pace e in giustizia per lo suo consiglio, e sotto la sua -protezione e guardia; e così intende volere addirizzare tutte le terre -di Toscana. E dove questo non si possa fare con dolcezza e con amore, -intende farlo colla forza della sua potenza e degli amici suoi. E a -noi ha commesso, ove per voi non si ubbidisca al suo buono e giusto -proponimento, che mettiamo la sua oste in sulle vostre porti e intorno -alla vostra città, e che ivi tanto manterrà quella, accrescendola e -fortificandola, continuamente combattendo d’ogni parte il contado e il -distretto del vostro comune col fuoco e col ferro, e colle prede de’ -vostri beni, che tornerete per vostro bene alla volontà sua. Udendo -gli ambasciadori la superba risposta del capitano e del suo consiglio, -non parve che luogo e tempo fosse di quivi stendere più loro sermone: -e però domandarono sicurtà fino a Bologna per potere andare al signore -di Milano, come aveano in commissione dal loro comune, la quale il -capitano non volle dare. E però si tornarono a Firenze, e spuosono a’ -signori e al consiglio quello ch’aveano avuto dal capitano dell’oste -per risposta della loro ambasciata, per la quale l’animo de’ cittadini -di Firenze crebbe più in disdegno che in paura. - - -CAP. IX. - -_Come l’oste si levò da Pistoia e puosesi a Campi._ - -Essendo stata l’oste del tiranno otto dì sopra la città di Pistoia, e -mancata la speranza d’avere la terra, per la buona guardia e sollecita -che ’l dì e la notte vi faceano i Fiorentini: e il somigliante di -Prato, nelle quali terre erano le tre parti della gente d’arme che -allora aveano i Fiorentini, essendo la città di Firenze quasi rimasa -senza aiuto di soldati forestieri, e non avendo capitano di guerra: -messer Giovanni da Oleggio col consiglio de’ caporali ghibellini -ch’avea con seco, i quali stavano solleciti a sentire il fatto del -nostro comune, e sentivano essere dentro grande sospetto e poco -consiglio, e minore forza d’arme che in Pistoia e in Prato, con molte -verisimili suasioni mossono il capitano subitamente a stringersi -sopra Firenze colla sua oste: il quale essendo uomo di grande ardire, -e animoso contro a’ Fiorentini, sentendosi accompagnato da molti -buoni capitani di guerra, e da cinquemila barbute, e da duemila -altri cavalieri, e seimila masnadieri a piede, non bene provveduto di -vittuaglia, sperando nel contado di Firenze farsene abbondevole, come -mostrato gli era, a dì 4 d’agosto del detto anno subitamente levò il -campo da Pistoia, e per la strada dritta e piana senza arresto valicata -la terra di Prato, condusse la sua oste in sull’ora del vespero a -Campi, Brozzi e Peretola, improvviso, non che a’ Fiorentini, ma agli -uomini di quelle ville e contrade, per la qual cosa non poterono -campare alcuna cosa, fuori che le persone, e di quelle vi rimasono -assai. Il capitano per non conducersi al tardi, e perchè il luogo era -albergato e pieno d’ogni bene, fermò il campo a Campi. Della villa di -Campi e d’altre d’intorno raccolsono grano e biada e carnagione assai, -e molte masserizie e letta de’ paesani: e intesono a starsi ad agio e a -rinfrescare la gente di vivanda, della quale intorno a Pistoia aveano -avuto disagio. E dato l’ordine al campo di buona guardia di dì e di -notte, provviddono che ogni cavalcata che si facesse verso la città -di Firenze avesse riscossa di mille cavalieri il meno. E incontanente -cominciarono a cavalcare per lo piano, prendendo e raccogliendo -il bestiame e la roba che rimasa v’era senza trovare riparo, e -alcuna volta si stesono infino alle mura della città di Firenze. I -Fiorentini sentendo questa subita venuta dell’oste sopra la città, e la -baldanza presa d’aversi lasciato dietro Pistoia e Prato, sbigottirono -disordinatamente, non trovandosi forniti nè provveduti al riparo. E i -rettori del comune per lo fallo commesso dell’abbandonata provvisione -non sapeano che si fare; e molto temeano che fossono venuti così -baldanzosi a istanza de’ loro cittadini d’entro. E in questa contumacia -e sospetto si stette insino che manifesto apparve per l’operazione -de’ cittadini grandi e popolani grassi, che catuno era in fede al suo -comune: e levata la nebbia che teneva intenebrata la mente del popolo -e del comune, presono più ardire, e feciono trarre fuori i gonfaloni, -e andarono coll’arme alle porti, e fecionle serrare di verso la parte -d’ond’erano i nimici; e ordinarono guardie di buoni cittadini, facendo -il dì e la notte fare buona guardia. E armarono le mura di ventiere, -e le più deboli parti feciono afforzare per difendere la città, che di -mettere gente in campo a quell’ora non aveano podere. - - -CAP. X. - -_Come l’oste ebbe gran difetti a Campi e a Calenzano._ - -Avvenne, che stando l’oste a Campi, per mala provvisione, tutto il -bestiame ch’avrebbe dato con ordine lungamente carne all’oste, in -pochi dì si straziò e consumò. E in quello tempo era sformato caldo e -secco grande, e tutte mulina di quelle contrade erano state sferrate -e guaste; per la qual cosa, benchè l’oste avesse del grano, non potea -fare farine, ed erano in grande soffratta di sale. E la vittuaglia -di quel piano cominciò a mancare, e quella che venia da Bologna per -scorta era spesso in preda de’ cavalieri ch’erano in Pistoia. E per -questo avvenne, che in pochi dì all’oste mancò il pane e il sale: e -non aveano che manicare, se non carne, e di quella poca, e cocevanla -col grano, che farina non aveano. Da niuna parte del contado di Firenze -aveano mercato, e cavalcate non poteano stendere in parte onde recare -potessono fornimento al campo, perocchè tutte le circustanze aveano -sgombrato e ridotto nella città. Onde cominciarono a sentire fame, e -il caldo li consumava e affliggeva forte i corpi degli uomini; e il -maggiore sussidio ch’avessono era l’agresto e le frutta non mature: e -poco tempo v’aveano a stare, che senza essere contastati da’ Fiorentini -veniano in ultima disperazione. I loro capitani e conducitori vedendosi -a questo pericolo, diedono voce di volersi strignere alla città, e -per forza valicare nel piano di san Salvi. I Fiorentini temettono di -questo: e non trovandosi gente d’arme da potere contradiare il passo -a’ nimici, feciono una tagliata dal ponte della porta a san Gallo -infino alla costa di Montughi: e ivi misono molti balestrieri e popolo -alla guardia, con ordine di soccorso se bisogno fosse. L’altra voce -diedono di tornarsene per lo piano d’ond’erano venuti verso Pistoia; -i Pistolesi per questa tema ruppono i passi, e abbarrarono i cammini -con fossi e con alberi. E per questo i Fiorentini più temeano che non -valicassono nel piano di san Salvi, e per questa cagione afforzarono -di bertesche e di steccati la rocca di Fiesole, e fecionla guardare; -e nondimeno tutto il contado da lunge e d’appresso feciono sgombrare -da quella parte. I capitani dell’oste vedendosi a cotanto disagio, non -ardirono di strignersi più alla città, anzi levarono il campo, a dì 11 -d’agosto del detto anno, e traendosi addietro si puosono a Calenzano. I -Fiorentini stimando che se n’andassono, sonarono le campane del comune -a stormo; e il popolo volonteroso a cacciare chi fuggisse s’armò, e -alquanti mattamente senza ordine e senza capitano uscirono della città: -ma sentendo che i nimici non fuggivano, tosto ritornarono dentro dalle -mura. Ma di questo nacque la voce per lo contado e scorse per tutto, -che se n’andavano per la Valdimarina; e di stormo in stormo si mossono -i contadini senza ordine o comandamento del comune, e occuparono -le montagne sopra la Valdimarina d’ogni parte, e furono loro tanto -innanzi all’ora del vespero, che forte feciono temere e maravigliare i -nimici, ch’aveano intenzione di valicare nel Mugello per quella via. -Come i capitani ebbono fermo il loro campo sotto Calenzano in sulla -Marina, feciono combattere la pieve e certa fortezza ov’era raccolta la -vittuaglia de’ paesani, e presonle a patti, salve le persone: e anche -presono il castello di Calenzano, che non era murato nè difeso, e in -questa tenuta trovarono alcuno rinfrescamento. Fino a quell’ora non -aveano fatta alcuna arsione: stando ivi, uno grande conestabile tedesco -si stese a Pizzidimonte, e fuvvi morto da’ villani; e per questa -cagione vi cavalcarono e arsonlo, e appresso alcuna altra villa intorno -a Calenzano. E feciono provvedere i passi per valicare in Mugello, -ch’ogni altro viaggio era loro, in stremità del pane, più pericoloso a -pigliare. - - -CAP. XI. - -_Come i rettori di Firenze abbandonarono il passo di Valdimarina._ - -La necessità delle cose da vivere, l’un dì appresso l’altro già -tornata in fame, strignea l’oste del Biscione, che così si chiamava -allora, a partirsi del piano, ove senza speranza di potersi allargare, -di pane erano affamati. I cittadini di Firenze, a cui era commessa -la provvisione della guerra, ch’erano oltre a’ priori e a’ collegi -diciotto tra grandi e popolani, sapeano bene il difetto ch’aveano i -nemici, ma non aveano capitano, e da loro non sapeano la maestria della -guerra, conobbono per lo comune grido, che agevole era a tenere loro il -passo che non entrassono nel Mugello per la Valdimarina, che per natura -il luogo era stretto, e’ passi aspri e forti, da tenergli poca gente -con loro sicurtà da tutta l’oste: e vidono manifesto, che dove questa -via s’impedisse loro, convenia che si partissono, tornando addietro da -Pistoia sconciamente. Ma la tema della boce che non passassono a san -Salvi, ch’era quasi impossibile, fece al comune non riparare a quel -passo. Ma un gentile scudiere alamanno, il quale in quel tempo per lo -comune era capitano in Mugello, da se medesimo commise a uno della casa -de’ Medici, il quale era in sua compagnia, ch’andasse a provvedere al -passo, e diegli dugento fanti e cinquanta cavalieri. La commissione fu -debole a cotanto fatto: nondimeno se il cittadino fosse stato valoroso, -e avesse voluto acquistare onore, molto agevole gli era a guardare -quel passo, perocchè i Mugellesi sentendo che il capitano mandava a -guardare quel passo, con grande animo di ben fare trassono da ogni -parte allo stretto ov’era venuto il provveditore. Ed essendo nel luogo, -viddono che il passo si difendea senza dubbio, a grande sicurtà de’ -difenditori, per la fortezza naturale di quelle valli, onde conveniva -l’oste de’ nemici valicare a piede, e uomo innanzi uomo, che a cavallo -insieme non v’era modo da poter valicare. Ma il cittadino deputato -a quel servigio disse a’ Mugellesi che gli conveniva essere altrove, -e quivi per niuno modo si potea ritenere. Onde i Mugellesi ch’erano -tratti coraggiosi alla difesa, vedendo come colui cui doveano avere -per capitano a quella guardia si partiva, perderono ogni vigore: e -partito il capitano, tornarono a casa, e cominciarono a fuggire il loro -bestiame, e le loro famiglie e masserizie, maledicendo il comune di -Firenze e’ suoi governatori, con giusta cagione della loro fortuna. - - -CAP. XII. - -_Come l’oste del Biscione valicò il passo, e andò in Mugello._ - -I capitani dell’oste che si vedeano in gran bisogno d’uscire del -luogo dov’erano stretti dalla fame, seppono di presente come il passo -era abbandonato da’ Mugellesi, e però incontanente mandarono innanzi -masnadieri eletti, e buoni balestrieri a prendere il passo: e senza -arresto levarono il campo, a dì 12 d’agosto del detto anno, e misonsi -loro appresso. In sul passo erano rimasi alquanti fanti del paese, i -quali di loro volontà attesono i masnadieri de’ nemici; e alle mani con -loro, li ributtarono indietro. Ma vedendosi pochi e senza soccorso, e -vedendo i nemici che riempieano le coste de’ poggi e le valli d’ogni -parte, abbandonarono il passo, e i nemici di presente il presono, e -l’oste senza contrasto o pericolo valicò, facendosi grandi beffe del -comune di Firenze, parendo a catuno di servo essere divenuto signore. -E pensando alla viltà ch’avevano trovata ne’ Fiorentini, a non avere -fatto tenere e difendere quel passo, e al poco provvedimento che -mostravano ne’ fatti della guerra, crebbe la loro superbia. E poichè si -viddono essere valicati senza contrasto nel piano di Mugello, presono -fidanza d’essere signori di tutto il paese senza contrasto, e quel dì -medesimo cavalcarono a Barberino, e a Villanuova. Barberino era forte -e bene fornito alla difesa, e molta roba v’era dentro raccolta delle -vicinanze, ad intendimento di difendersi, tanto ch’avessono soccorso -da’ Fiorentini. Ma Niccolò da Barberino, antico castellano e de’ -nobili di quella terra, avendo la fede corta al comune di Firenze, se -n’andò al capitano dell’oste, e senza consiglio de’ suoi castellani, a -suo vantaggio trasse patto, e rendè il castello a’ nemici, e misonvi -la loro guardia, e la vittovaglia che v’era fece dare all’oste. -Villanuova, e Gagliano, e Latera, e altre terre circustanti, che non -erano di gran fortezza, nè guardate da gente d’arme del comune di -Firenze, feciono il comandamento del capitano dell’oste, e dieronli -il mercato. Trovandosi la gente affamata in paese largo e dovizioso -e pieno d’ogni bene, soggiornarono volontieri più dì, per prendere -conforto delle loro persone, e a’ loro animali, che tutti n’avevano -gran bisogno. Ma chi ha ne’ fatti della guerra il tempo da avanzare, e -per riposo lo indugia, tardi il racquista; e così avvenne a costoro per -lo detto soggiorno, come appresso diviseremo. - - -CAP. XIII. - -_Come il conte di Montecarelli si rubellò a’ Fiorentini e venne al -capitano._ - -Il conte Tano di Montecarelli rompendo la pace ch’avea col comune di -Firenze, essendo con gli altri ghibellini collegato coll’arcivescovo, -avendo in prima per inganno, per mala provvedenza del castellano, -ritolta a’ Fiorentini la rocca di Montevivagni, nella quale era a -guardia uno popolare figliuolo di Piero del Papa, il quale fu però -condannato per traditore, come sentì l’oste del Biscione nel Mugello, -fece suo sforzo di cavalieri in piccolo numero, e in persona con i -suoi compagni a cavallo e con dugento fanti venne nell’oste, e in -Montecarelli mise la guardia per l’arcivescovo e le sue insegne; e -mentre che l’oste stette in Mugello fu a nimicare il comune di Firenze, -e a dare il mercato all’oste, e ricetto in Montecarelli a’ nemici del -comune. - - -CAP. XIV. - -_Come si fornì la Scarparia e il Borgo._ - -Avvenne come l’oste del tiranno fu valicata nel Mugello, e dilungata -dalla città, a’ Fiorentini parve al tutto essere fuori di sospetto, -e ritornò loro il vigore e la virtù dell’animo a consigliare e a -provvedere a’ rimedi. E in quello stante che l’oste si riposava a -Barberino, misono nella Scarperia Iacopo di Fiore conestabile tedesco, -uomo leale e valoroso, il qual era capitano del Mugello. A costui -dierono dugento cavalieri eletti di buona gente, e trecento masnadieri -esperti in arme, de’ quali quasi tutti i conestabili furono Fiorentini, -uomini di grande pregio in fatti d’arme. E fornirono la terra di molta -vittuaglia, e d’arme, di balestra, e di saettamento, e di lagname e -di ferramenti, e di buoni maestri da fare ogni dificio da offendere -e da difendere; e fornita d’ogni cosa bisognevole per un anno, al -detto capitano e conestabile accomandarono la guardia e la difesa di -quello castello. E per simigliante modo e forma fornirono il Borgo -a san Lorenzo, e Pulicciano, e altre fortezze. E mandarono armadure, -saettamento e balestra, e ammonirongli di buona guardia, confortandogli -che a ogni bisogno avrebbono aiuto e soccorso presto dal comune. E gli -uficiali deputati alla provvigione di quella guerra si cominciarono a -provvedere, e accogliere gente di soldo a cavallo e a piè quanti avere -ne poteano, per attendere alla difesa. - - -CAP. XV. - -_Come l’oste assediò la Scarperia._ - -Messer Giovanni da Oleggio capitano dell’oste, e il Conte Nolfo -da Urbino maliscalco, veduto la gente rinfrescata, e presa forza e -baldanza per lo abbondante paese dove si trovarono, con le spalle -di Bologna, onde potevano avere prestamente aiuto e favore quando -bisogno fosse, pensavano senza contrasto essere signori di tutto. E -con questa baldanza, a dì 20 del mese d’Agosto del detto anno vennero -colle schiere fatte sopra il castello della Scarperia, e con loro -s’aggiunsono gli Ubaldini, ch’erano con tutto loro sforzo nell’alpe, -e più altri ghibellini nemici del comune di Firenze. La Scarperia -era a quell’ora debole terra di piccolo compreso, e non era murata se -non dall’una delle parti, ma in quello stare di Barberino, in molta -fretta s’era rimesso il fosso vecchio e trattone la terra, e innanzi -a quello fattone un’altro piccolo, e racconciato lo steccato assai -debole. I nimici vi furono intorno con tanta moltitudine di cavalieri -e di pedoni, che copriano tutto il piano, e avendo da ogni parte -circondato il piccolo castello, e fermi i campi loro, domandarono il -castello a coloro che ’l guardavano, dicendo come i Fiorentini non lo -potevano soccorrere nè difendere, ma perocchè sentivano che dentro -v’erano di prod’uomini e virtudiosi d’arme, voleano far loro grazia -d’avergli per amici, dove rendessono la terra senza contasto: e che -quando questo non facessono nel breve termine loro assegnato, gli -vincerebbono per battaglia, e la vita non perdonerebbono ad alcuno: e -così era deliberato per lo capitano e per tutti i guidatori dell’oste. -Gli assediati risposono che voleano termine a rispondere, e che dopo -il termine farebbono quello che la fortuna concedesse con loro onore. -Furono domandati da’ capitani quanto termine voleano. Gli assediati -risposono, che con loro onore non vedeano che potesse essere meno -di tre anni: e dopo il detto termine intendeano prima morire in su i -merli, che di quelli dessono uno a’ nimici: e di così franca risposta -molto feciono maravigliare i capitani dell’oste, parendo che si -mettessono a grande pericolo a volere difendere così debole castello, -e da cotanta forza. E fatta la risposta, di presente s’ordinarono -e di dì e di notte a molta sollecita guardia, e a buona e a franca -difesa; e cominciarono a regolare la vita di tutti, come se l’oste vi -dovesse stare due anni. I nimici cominciarono prima ad assalirli con -grossi badalucchi, per tentare il loro reggimento, il quale trovarono -sollecito, e maestrevolmente provveduto alla difesa. - - -CAP. XVI. - -_Come i Fiorentini afforzarono Spugnole._ - -I Fiorentini ch’al continovo raccoglievano gente d’arme a cavallo -e a piè al loro soldo, e sollecitavano gli amici d’aiuto, avendo -già accolto un poco di gente, deliberarono d’afforzare Spugnole e -Montegiovi per guardare le contrade di qua da Sieve, e per dare alcuna -speranza agli assediati della Scarperia, e ivi misono de’ cavalieri -ch’aveano, e parecchie masnade di buoni e valorosi masnadieri. E al -Borgo a san Lorenzo crebbono gente d’arme: e come crescea al comune -gente d’arme per soldo o per amistà gli mandavano alle frontiere -de’ nemici in Mugello. Onde avvenne più volte, che per gli aguati da -catuna parte, e per le cavalcate de’ nimici v’ebbe di belli e di grossi -assalti, ove si mostrarono operazioni di buoni cavalieri e di franchi -masnadieri. Per questo avvenne che i nemici non ardirono a valicare la -Sieve colle loro cavalcate inverso Firenze. E tutte loro cavalcate di -là da Sieve faceano grosse di mille cavalieri, o di millecinquecento, -o di duemila per volta, e nondimeno erano continuamente percossi alla -ritratta, e assaliti d’aguati che si metteano loro. E in questo modo -si venne domesticando la guerra, e gli uomini del paese cominciarono a -prendere cuore e ardire, per modo che i villani si raccoglieano insieme -e nascondevansi a’ passi, e come i cavalieri si stendevano alle ville -gli uccidevano; e avvezzi a questo guadagno dell’arme e de’ cavalli, -con molta sollecitudine intendevano a tendere i loro aguati in ogni -luogo. E per questo modo uccisono de’ nemici grande quantità nel tempo -che durò la detta guerra. - - -CAP. XVII. - -_Come si difese Pulicciano di grave battaglia._ - -Al castello di Pulicciano furono condotti per certi ghibellini della -terra in una cavalcata cinquecento cavalieri e quattrocento fanti, e -non essendo se non pochi terrazzani nella fortezza di sopra, appena la -difesono. I borghi di fuori arsono e rubarono, e mandaronne il bestiame -e la preda nel campo. Sentito questo a Firenze, subito vi mandò il -comune cento fanti masnadieri alla guardia: i quali vi furono tosto a -gran bisogno, perocchè quelli dell’oste per seducimento di traditori -del castello, e per conforto de’ soldati ch’erano stati in quella -cavalcata, si pensarono vincere la fortezza, che non era chiusa di -mura, ma da uno vile steccato, e avendo quella, signoreggerebbono un -paese forte e pieno d’ogni bene da vivere: e però una mattina per tempo -vi feciono cavalcare duemila barbute, e mille fanti e più balestrieri. -E giunti a piè del castello, i cavalieri scesono de’ cavalli, e -con gli elmi e colle barbute in testa si legarono con le braccia -insieme, tenendo l’uno ’altro, e tra loro ordinarono i balestrieri, -e cominciarono da ogni parte a un’ora a montare verso gli steccati. -I terrazzani arditi e fieri, co’ soldati che v’erano, si misono -francamente alla difesa colle balestra ch’aveano e co’ sassi maneschi. -La forza de’ nemici era grande tanto, che per forza condussono un loro -conestabile con la sua bandiera quasi al pari dello steccato. Come si -fermò con l’insegna per dare favore agli altri, tra con le balestra e -con le pietre lo traboccarono morto giù per la ripa. Nondimeno i nimici -con grave battaglia gli stringeano forte, e quelli del castello molto -vivamente senza riposo difendeano gli steccati per modo, che da mezza -terza fino a mezzo dì, che la battaglia era durata senza arresto, i -nimici non aveano potuto abbattere un legno del loro steccato. Per -la qual cosa vedendo i cavalieri la franca difesa di que’ villani, e -già morti alquanti di loro, e che il giorno era nel calare, disperati -di quell’impresa, con loro vergogna si ritrassono della battaglia e -tornarono nel campo, e più non tentarono di ritornarvi. - - -CAP. XVIII. - -_Come i Tarlati, e i Pazzi di Valdarno e gli Ubertini vennono in sul -contado di Firenze, e furonne cacciati per forza da’ Fiorentini._ - -Dall’altra parte messer Piero de’ Tarlati d’Arezzo in prospera -vecchiezza, valicati i novanta anni della sua età, e il vescovo -d’Arezzo della casa degli Ubertini, e i Pazzi di Valdarno, non ostante -che fossono in pace col comune di Firenze, avendo dugentocinquanta -cavalieri di quelli dell’arcivescovo, e aggiuntosi de’ conti -d’Urbino e altri ghibellini, mentre che l’oste era in Mugello, con -trecentocinquanta cavalieri e con duemila pedoni si misono da capo -predando il contado di Firenze, e vennono all’Ambra, e di là intendeano -entrare nel Valdarno e venire a Fegghine. I Fiorentini sdegnosi di -questi traditori, subitamente trassono dalle loro frontiere cinquecento -cavalieri, e commisono a centocinquanta cavalieri ch’aveano in Arezzo -che dovessono venire a raccozzarsi co’ nostri; e mossono il popolo -del Valdarno, che con grande animo e di buona voglia andavano in -quello servigio. Il comune di Firenze si confidò al tutto in questa -cavalcata di Albertaccio di messer Bindaccio da Ricasoli, uomo savio, -pro’ e ardito e buono capitano, se fosse stato in fede nel servigio -del comune: e benchè altri buoni cittadini fossono mandati in detto -servigio, a costui fu dato il mandato che in tutto fosse ubbidito. La -gente a piè e a cavallo che cavalcavano di volontà, sopraggiunsono -i nimici in sul vespero all’Ambra, in parte, che avendo voluto fare -quello si poteva per la nostra gente, non ne campava testa che non -fossono morti o presi: perocchè la gente del comune di Firenze era due -cotanti, e migliore gente d’arme, e erano nel loro terreno intorniati -dagli amici. Questo Albertaccio avendo parentado e amistà co’ detti -nimici, portò infamia di non avere servito il comune lealmente. In -prima d’avere sostenuta la gente del comune a Montevarchi, che potea -più infra ’l dì avere occupati i nimici: appresso, che quando fu a loro -non gli lasciò per la nostra gente badaluccare, per tenerli corti e -ristretti che non si potessono provvedere: e perocchè non lasciò porre -la sera la cavalleria de’ Fiorentini nel luogo dove si poteva torre -la via a’ nimici che andare non se ne potessono quella notte. Per li -savi che v’erano con lui si provvedeva, nondimeno per lo pieno mandato -ch’aveva dal comune fu ubbidito; ed egli mostrava di fare buona e -franca capitaneria, e di volere vincere i nimici senza pericolo della -sua gente: e però puose quella sera il campo in luogo sicuro a’ suoi, -e utile a’ nimici. O vero o bugia che fosse, infamato fu d’avere dato -il tempo e fatto assapere a’ nimici che si dovessono partire in quella -notte. I nimici traditori del nostro comune, vedendosi sorpresi a -loro gran pericolo, intesono con ogni sollecitudine, senza dormire, a -campare le persone: e non tennono per una via, ma per diverse parti per -lo scuro della notte presono la fuga molto chetamente. La nostra gente -non fu ordinata a quella guardia, e poi innanzi che il capitano facesse -armare il campo, i nimici erano più di sei miglia dilungati; allora -si strinsono ove la sera aveano lasciati i loro avversari, e niuno ve -ne trovarono: onde la infamia crebbe al capitano per lo fatto, e il -ripitio fu grande tra i cavalieri soldati e il conducitore, ch’avea -tolto loro quella preda per mala condotta. La gente che v’era d’Arezzo, -forte sdegnata di questo tradimento che parve loro avere ricevuto, -si partirono senza licenza del capitano con centocinquanta cavalieri -ch’aveano per loro guardia da’ Fiorentini, e tornaronsi in Arezzo. - - -CAP. XIX. - -_Come Bustaccio entrò e rendè la Badia a Agnano._ - -In quella notte Bustaccio degli Ubertini si ridusse con parte di quella -gente a piede e a cavallo nella Badia a Agnano, la quale era molto -forte e bene guernita. La cavalleria de’ Fiorentini rimasa con vergogna -della partita de’ nimici, sentendo come Bustaccio era ricoverato in -quella Badia, cavalcarono là, e trovaronli racchiusi, e ordinati alla -difesa di quella tenuta. Il capitano per volere ricoprire sua infamia -volea combattere la fortezza; i conestabili de’ cavalieri, stretti -insieme, dissono ch’erano stati ingannati, e per baratto aveano perduta -la preda de’ nimici fuggiti, e però non intendeano combattere se prima -non fossono sicuri della preda, se per patto si lasciassono i nimici -partire: e in fine ne furono in concordia d’avere fiorini cinquecento -d’oro, come che i nimici si capitassono. E di presente combattendo -certo borgo il vinsono. Poi combattendo la Badia furono ributtati a -dietro, e perderono tre bandiere, ch’erano in sulle case, le quali -i nimici presono, e per paura del passo ove si trovavano le locaro -ritte in sull’altare maggiore della badia. I cavalieri aontati delle -loro bandiere prese, d’un animo si disponeano per forza a vincere -la Badia, e sarebbe venuto fatto loro, ma non senza grande danno, -perchè dentro v’erano buoni guerrieri; e però innanzi che alla grave -battaglia si venisse, il Roba da Ricasoli, allora discordante per -setta d’Albertaccio, volle parlare con quelli d’entro, i quali stavano -in gran paura: e parlato loro, di presente s’acconciarono a rendere -la Badia, potendosene andare salve le persone, e i cavalli e l’arme. -E presa per lo meno reo partito la detta concordia, e data la fede, -i nimici si partirono, e la fortezza e le bandiere s’ebbono senza -vergogna del comune, e i conestabili vollono i fiorini cinquecento -d’oro loro promessi. - - -CAP. XX. - -_Come l’arcivescovo tentò i Pisani di guerra contro a’ Fiorentini._ - -Stando l’oste intorno alla Scarperia, e dando opera i capitani a -far fare dificii da traboccare nella terra per rompere le torri -e mura, e gatti e altri ingegni di legname per vincere la terra -per battaglia, e i Fiorentini d’accogliere gente d’arme, e d’avere -capitano per poterla soccorrere, l’arcivescovo non restava di tentare -i Pisani dalla sua parte in comune e in diviso che rompessono pace -a’ Fiorentini, con intenzione di mandare messer Bernabò da quella -parte con duemila cavalieri ad assalire co’ Pisani insieme il nostro -comune, e faceva loro grandi promesse. I Gambacorti, a cui segno Pisa -si governava, non vollono rompere la pace: nondimeno l’arcivescovo -avendo favore dentro, e’ consigliò del modo che avesse a tenere -di muovere il popolo naturale nemico de’ Fiorentini, ed elesse una -solenne ambasciata, fornita d’autorità di savi uomini, e mandògli a -Pisa: e giunti là, e sposta la loro ambasciata con molte suadevoli -ragioni, i Pisani astuti, per pigliare consiglio nel tempo, dissono di -rispondere all’arcivescovo per loro ambasciadori, e incontanente gli -mandarono a Milano, imponendo loro, che della volontà dell’arcivescovo -non si rompessono, ma tranquillassono il fatto. E in questo mezzo -provvidono più riposatamente sopra il partito, e conobbono che -rompere pace al comune di Firenze non tornava in loro utile: che se -l’arcivescovo prendea signoria in Toscana, era loro suggezione e danno; -e segretamente feciono quello sentire a tutti i confidenti di quello -stato, buoni cittadini. L’arcivescovo avvedendosi del modo che con -lui tenevano coloro che governavano la terra, li credette ingannare, -e per lo favore ch’avea nel popolo e in molti altri cittadini, e non -ostante che avesse gli ambasciadori pisani in Milano, fece maggiore -e più solenne ambasciata a’ Pisani; e commise loro, che in parlamento -esponessono la sua domanda, come detto gli era, sperando che a grido -di popolo avrebbe la sua intenzione contro a’ Fiorentini. E come -giunti furono in Pisa, senza sporre alcuna cosa a’ rettori del comune, -addomandarono loro di volere il parlamento, e risposto fu loro di -farlo adunare volentieri a certo giorno, onde gli ambasciadori furono -contenti; e incontanente feciono a tutti i cittadini, con cui aveano -conferito loro consiglio, dire che venissono al parlamento; e bandito e -sonato a parlamento, come ordinato fu si ragunò il popolo nella chiesa -maggiore in gran numero, ove furono tutti i cittadini che temeano di -perdere loro libertà e il loro stato. Gli ambasciadori ammaestrati in -udienza di tutto il parlamento, con molto ornato sermone, ricordando -i servigi grandi per la casa de’ Visconti fatti al comune di Pisa, -e come gli aveano onorati e aggranditi sopra gli altri cittadini di -Toscana, e’ raccontarono per ordine la mala volontà che i Fiorentini -aveano verso di loro, e l’ingiurie che altro tempo inimichevolmente -aveano loro fatte, e intendeano di fare quando si vedessono il destro, -mostrando loro come ora era venuto tempo nel quale il loro signore -intendea d’abbattere in tutto lo stato e l’arroganza de’ Fiorentini -loro antichi nemici, e spegnere parte guelfa in Italia, e a ciò fare -avea mossi tutti i ghibellini di Lombardia e di Toscana, e di Romagna e -della Marca, come per opera era loro manifesto. La qual cosa conosciuta -per loro, ch’erano capo di parte ghibellina in Toscana, molto doveano -essere contenti di poter fare in cotanta loro esaltazione la volontà -del loro signore, la quale e’ domandava con tanta istanza a quello -popolo. Essendo uditi attentamente, si pensarono a grida di popolo -avere impetrata la loro dimanda, ma la cosa andò tutt’altrimenti, -per la provvisione de’ savi cittadini, li quali si ritennero in -silenzio in quello parlamento, come per loro fu provveduto. E quando -gli ambasciadori l’uno dopo l’altro ebbono detto e confermato loro -sermone, pregarono gli ambasciadori che si attendessono alquanto, e -tosto risponderebbono di comune consentimento alla loro ambasciata, -e così si trassono del parlamento. E usciti gli ambasciadori, gli -anziani feciono la proposta che si consigliasse se il comune di Pisa -dovesse rompere pace a’ Fiorentini, oggi loro amici e loro vicini, -o no: e levatosi alcuno a dire in servigio dell’arcivescovo, molti -più, i maggiori cittadini, si levarono a dire come grande male e -vergogna del loro comune sarebbe, avendo ferma e buona pace col comune -di Firenze, a romperla contro a ragione, in perpetua infamia del -loro comune. E fatto il partito, fu vinto che pace non si rompesse -a’ Fiorentini. Gli ambasciadori, già preso sdegno per l’uscita del -parlamento, avvedendosi dove la cosa riuscirebbe, senza attendere se -n’erano andati all’ostiere. E quando gli anziani mandarono per loro per -fare la risposta del parlamento, sentendo che non sarebbe quella ch’e’ -voleano, non vi vollono andare, e senza prendere comiato montarono -a cavallo e tornaronsene a Milano. I Pisani si scusarono saviamente -all’arcivescovo, perchè non stesse indegnato, e mandarongli dugento -cavalieri, che mandar gli doveano per loro convenenza alla guardia -di Milano. Allora venne meno all’arcivescovo la maggiore speranza che -avesse di potere vincere i Fiorentini. Il comune di Firenze cercava in -questo tempo d’avere capitano di guerra che guidasse la sua gente, che -al continuo la cresceva, e avendo mandato a molti l’elezione con grande -salario, tutti la rifiutavano per paura del potente tiranno: nondimeno -il comune pensava d’atarsi con la capitaneria de’ suoi cittadini. -E avendo l’oste così grande in Mugello, non pareva se ne curasse, e -nella città catuno faceva la sua mercatanzia e sua arte senza portare -alcuna arme; e continovo facea rendere a’ cittadini i danari del -monte: e sapendo questo i nemici forte se ne maravigliavano, e molto -n’abbassarono la loro superbia. - - -CAP. XXI. - -_Come l’oste deliberò combattere la Scarperia._ - -Quando i conduttori dell’oste seppono che il comune di Pisa non voleva -rompere pace a’ Fiorentini, e come alcuno trattato ch’aveano in Pistoia -era scoperto, con tutta la loro intenzione si rivolsono alla Scarperia, -e quella cominciarono a tormentare con percosse di grandissimi dificii, -che il dì e la notte gettavano nel piccolo castello grossissime pietre, -le quali rompeano le case d’entro, e le mura e le bertesche gettavano -a terra. E ogni dì faceano assalto loro alla terra: onde gli assediati -per la continova guerra, e per la sollecita guardia che conveniva loro -fare il dì e la notte alla difesa, erano infieboliti, e pensarono che -senza soccorso di fuori, o aiuto di masnadieri freschi poco potrebbono -sostenere: e però scriveano a’ Fiorentini per loro fanti tedeschi, che -si mescolavano con gli altri Tedeschi di fuori, che avacciassono il -loro soccorso. I Fiorentini erano in ciò assai solleciti, e già avevano -al loro soldo accolti milleottocento cavalieri, e tremilacinquecento -masnadieri a piede de’ buoni d’Italia, e dugento cavalieri aveano da’ -Sanesi, e seicento n’attendeano da Perugia, i quali erano a cammino; -e avendo ordinato d’uscire a campo con questi cavalieri, e con grande -popolo, a petto a’ nemici sopra il Borgo a san Lorenzo luogo detto a -san Donnino, ove erano forti per lo sito, e con le spalle al Borgo a -san Lorenzo da potere strignere e danneggiare i nemici, ch’erano assai -di presso, e dare vigore e baldanza agli assediati della Scarperia: -ed essendo ogni cosa provveduta, attendendo i cavalieri perugini per -uscire fuori, n’avvenne la fortuna che appresso diviseremo. - - -CAP. XXII. - -_Come i Tarlati sconfissono i cavalieri de’ Perugini._ - -In questi dì, del mese di settembre del detto anno, era giunto a -messer Piero Saccone de’ Tarlati in Bibbiena, mandato dal tiranno, -il doge Rinaldo Tedesco con quattrocento cavalieri per incominciare -più forte guerra a’ Fiorentini nel Valdarno. In questo stante, messer -Piero molto avveduto, sentì che seicento cavalieri buona gente -d’arme, che ’l comune di Perugia mandava in aiuto a’ Fiorentini, -erano in cammino, e venivano baldanzosi senza sospetto, e la sera -doveano albergare all’Olmo fuori d’Arezzo a due miglia. Avendo messer -Piero il certo del fatto, col doge Rinaldo insieme con quattrocento -cavalieri e con duemila fanti cavalcò la notte, e chetamente ripose -i fanti nella montagna sopra l’Olmo, per averli al suo soccorso nel -fatto; e la mattina per tempo co’ suoi cavalieri e col doge Rinaldo -assalì la cavalleria di Perugia, che la maggior parte era ancora per -gli alberghi, ma quelli ch’erano montati a cavallo si cominciarono -francamente a difendere. E già aveano tra loro messer Piero, che -s’era messo molto innanzi nella via ov’era la battaglia, prigione, -con più altri de’ caporali in sua compagnia. E se in quello assalto -gli Aretini fossono stati favorevoli ad aiutare gli amici del comune -di Firenze, come doveano, tutta la gente di messer Piero rimaneva -presa per lo stretto luogo dove s’erano messi. Ma usciti d’Arezzo i -Brandagli con loro seguito, che allora erano i maggiori cittadini, -intesono a campare Messer Piero con gli altri prigioni che i cavalieri -di Perugia aveano ritenuti, come gente che aveano l’animo corrotto -alla tirannia della loro città, come poco appresso dimostrerò. Campato -messer Piero e’ suoi, gli Aretini si tornarono dentro senza aiutare -que’ di Perugia, o dar loro la raccolta nella città. In questo, messer -Piero e’ suoi ripresono ardire, e feciono scendere della montagna -i fanti loro, traboccando addosso a’ Perugini con smisurato romore: -i quali non vedendo essere soccorsi, nè avere ricolta, non poterono -sostenere, ma chi potè fuggire campò, e gli altri tutti furono presi -nelle vie e negli alberghi. Messer Piero raccolta la preda dell’arme, -e de’ cavalli, e de’ prigioni, senza esser contastato dagli Aretini, -si raccolse colla sua gente a salvamento, menandone più di trecento -cavalieri prigioni, ventisette bandiere cavalleresche, e trecento -cavalli; e giunto in Bibbiena con questa vittoria i cavalli e l’armi e -l’altra roba partì a bottino, e i cavalieri prigioni poveri e mendichi -lasciò alla fede. A’ Fiorentini levò l’aiuto e la speranza d’uscire a -campo al soccorso della Scarperia, come ordinato era, e a’ nimici diede -maggiore baldanza di vincere il castello. - - -CAP. XXIII. - -_Come i Fiorentini procuraro di mettere gente nella Scarperia._ - -Veggendo i Fiorentini mancato disavventuratamente l’aiuto de’ Perugini, -e cresciuta baldanza a’ nimici per quella vittoria di messer Piero -Tarlati, perderono al tutto la speranza del campeggiare, e quelli -ch’erano assediati addomandavano soccorso più sollecitamente. Avvenne -che uno valente conestabile della casa de’ Visdomini di Firenze, che -aveva nome Giovanni, con grande ardire elesse trenta compagni sperti -in arme, buoni masnadieri, e una notte si mise nel campo de’ nimici, -e per mezzo delle guardie, non pensando che gente de’ Fiorentini si -mettessono tra loro, virtuosamente si misono nella Scarperia; la -qual cosa fu agli assediati alcuno conforto, e più per la persona -del valente conestabile, che per la sua piccola compagnia, a cotanto -bisogno quanto aveano dì e notte, per gli assalti continovi de’ loro -nimici. E i conducitori dell’oste avendo sentito l’entrata di que’ -masnadieri nella Scarperia, la feciono più strignere e più guardare il -dì e la notte. E tentato i Fiorentini per più riprese di mettervi anche -gente, e non trovando per niuno prezzo il modo, un altro conestabile -cittadino di Firenze della casa de’ Medici, di grande fama tra gli -uomini d’arme, per accrescere suo onore si fece dare cento fanti -masnadieri a sua eletta, e avendo con seco uno della Scarperia che -sapeva l’ore delle vegghie delle guardie, e le loro vie, presono il -cammino di notte per l’alpe di verso quella parte donde meno si potea -temere per quelli dell’oste, con la insegna levata co’ suoi compagni -stretti si mise arditamente per lo campo, dirizzandosi verso la -Scarperia. E in su l’entrata del campo le guardie s’avviddono, e levato -il romore, venti di quelli fanti rimasono addietro, e non poterono -ristrignersi co’ compagni, e tornaronsi nell’alpe, e camparono: e il -conestabile con ottanta compagni sanza fare arresto, innanzi che i -nimici il potessono occupare con la loro forza, sano e salvo co’ suoi -compagni entrò nella Scarperia; e così per virtù di due conestabili -fu fornito quello castello di quello che aveva maggiore bisogno. E per -questo soccorso gli assediati presono cuore e speranza ferma della loro -difesa; e tra capitani dell’oste n’ebbe ripitio e grande sospetto, -temendo che gli Ubaldini non gli avessono condotti, ma niuna colpa -v’ebbono. E soprastando alquanto allo infestamento de’ nimici sopra -questo castello, ci occorre alcune altre materie a cui ci conviene dare -luogo per debito del nostro trattato, e appresso ritorneremo con più -onestà alla presente materia. - - -CAP. XXIV. - -_Come la reina Giovanna si fece scusare in corte di Roma._ - -Come addietro abbiamo narrato, quando l’accordo si fece dal re -d’Ungheria al re Luigi, ne’ patti venne fatta la commissione nel -papa e ne’ cardinali per catuna parte: che se la reina Giovanna si -trovasse colpevole della morte d’Andreasso suo marito, fratello del re -d’Ungheria, ch’ella dovesse essere privata del reame, e dove colpevole -non si trovasse, dovesse essere reina. A questo patto acconsentì il -re d’Ungheria, più per l’animo che avea di tornare in suo paese, che -per altra buona volontà che di ciò avesse, e però la commissione fu -avviluppata più che ordinato o spedito libello, e non vedendo i pastori -della Chiesa come onestamente potessono diliberare questa cosa, la -dilungarono. Essendo lungamente gli ambasciatori di catuna parte stati -in corte senza alcuno frutto dell’altre cose commesse per li detti re -nella Chiesa, vedendo che questo articolo non terminandosi portava -infamia e pericolo alla reina, con ogni studio vollono che il suo -processo si terminasse. E perocchè assoluta verità del fatto non poteva -scusare la regina, levare il luogo della dubbiosa fama proposono; -che se alcuno sospetto di non perfetto amore matrimoniale si potesse -proporre o provare, che ciò non era avvenuto per corrotta intenzione o -volontà della reina, ma per forza di malíe o fatture che le erano state -fatte, alle quali la sua fragile natura femminile non avea saputo nè -potuto riparare. E fatta prova per più testimoni come ciò era stato -vero, avendo discreti e favorevoli uditori, fu giudicata innocente -di quello malificio, e assoluta d’ogni cagione che di ciò per alcun -tempo le fosse apposto, o che per innanzi le si potesse apporre di -quella cagione: e la detta sentenza fece divulgare per la sua innocenza -ovunque la fede giunse della detta scusa. - - -CAP. XXV. - -_Come i Genovesi e i Veneziani ricominciarono guerra in mare._ - -Seguita di dar parte intra le italiane tempeste della terra a quelle -che in que’ tempi concepute ne’ nostri mari Tirreno e Adriatico -da superbe presunzioni di due comuni, in Grecia e poi nelli stremi -d’Europa partorirono gravi cose, come seguendo nostro trattato si potrà -trovare. I Genovesi infestati dalla loro alterezza, ricordandosi che -i Veneziani l’anno passato aveano soperchiato in mare le undici loro -galee, avvegnachè per l’aiuto de’ loro di Pera si fossono felicemente -vendicati, vollono per opera mostrare loro potenza a’ Veneziani, e per -comune consiglio, essendo a quel tempo catuna casa de’ loro maggiori -cittadini tornata con pace in Genova, ordinarono di fare armata, la -quale fosse fornita per più eccellente modo che mai avessono armato. -E comandarono a’ grandi e a’ popolani mercatanti, e agli artefici -minori e ad ogni maniera di gente, che di due l’uno s’acconciassono ad -andare in quell’armata, e simigliante comandamento feciono fare per -tutta la loro riviera, e certo la volontà vinse il comandamento, che -più volentieri s’acconciavano d’andare che di rimanere: i corpi delle -galee furono per numero sessantaquattro, e ammiraglio fu fatto messer -Paganino Doria; i soprassaglienti furono sopra ogni galea doppi, armati -nobilmente, e doppi i balestrieri e i galeotti, tutti forniti d’arme, -e tutti si vestirono per compagne chi d’un’assisa e chi d’un’altra, e -comandamento ebbono dal loro comune d’abbattere la forza de’ Veneziani -in mare e in terra giusta loro podere: e fornite le galee di panatica -e di ciò ch’aveano bisogno, e pagati per ordine di mercatanzia e’ -dazii, senza trarre danari di comune, per sei mesi, del mese di -luglio, gli anni di Cristo 1351, si partirono da Genova, ed entrarono -nel golfo di Vinegia facendo danno assai a’ navili e alle terre de’ -Veneziani, e senza lungo soggiorno si partirono di là e andaronne -all’isola di Negroponte. I Veneziani non provveduti della subita armata -de’ Genovesi, aveano mandate venti loro galee armate in Romania, le -quali erano nell’Arcipelago, delle quali i Genovesi ebbono lingua, e -seguitandole, le sopraggiunsono all’isola di Scio: le quali vedendosi -di presso l’armata de’ Genovesi, con la paura aggiunsono forza a’ remi, -e avendo aiuto d’alcuno vento alle loro vele, essendo seguitate da’ -Genovesi, fuggendo le diciassette ricoverarono nel porto di Candia, e -le tre presono alto mare per loro scampo. - - -CAP. XXVI. - -_Come l’armata genovese andò a Negroponte e assediò Candia, e quello -che ne seguì._ - -L’armata de’ Genovesi seguendo quella de’ Veneziani giunsono a -Negroponte, ove i Veneziani con grande studio e paura erano arrivati, e -avendo da’ terrazzani aiuto, appena aveano compiuto di tirare le loro -diciassette galee in terra, lasciando le poppe in mare per poterle -difendere, e in aringo l’aveano messe l’una a lato all’altra a modo -di bertesca per poterle meglio di terra difendere, ove giunta l’armata -de’ Genovesi, senza arresto l’assalirono con aspra e folta battaglia, e -prese l’avrebbono, se non fosse che tutti gli uomini d’arme di quella -terra furono alla loro difesa, e a guardare la marina che i Genovesi -non potessono scendere in terra: e in quello assalto la feciono sì -bene, che i Genovesi s’avvidono per forza non poterle guadagnare nè -scendere in terra nel porto: e però presono loro consiglio d’assediare -la città di Candia per mare e per terra, e procacciare di Pera e -dell’altre parti di loro amici legni grossi, e gente e dificii di -legname per combattere e vincere la terra, se per loro virtù e forza -fortuna l’assentisse. E allora lasciarono guardia delle loro galee -sopra il porto, e con l’altre girarono alquanto, e misono in terra loro -campo, attendendo gente e fornimenti che procacciavano per combattere -la terra, e que’ d’entro s’afforzavano alla difesa, e dì e notte -intendeano a fare buona guardia, avendo mandato a’ Veneziani per loro -soccorso. - - -CAP. XXVII. - -_Come i Veneziani feciono lega co’ Catalani, e di nuovo armarono -cinquanta galee._ - -Stando l’armata de’ Genovesi per mare e per terra all’assedio della -città di Candia, il comune di Vinegia ebbe le novelle, ed essendo -tanti loro grandi e buoni cittadini, e le loro galee e la loro -città assediata, ebbono grande dolore, nondimeno con franco animo -deliberarono di fare ogni loro sforzo per soccorrerli: e ricercando -la gente che allora poteano fare di loro distretto, non trovarono che -bastasse a potere fornire loro armata, tanto era mancata per la passata -mortalità, e però elessono di loro cari cittadini solenni ambasciadori, -i quali mandarono prima a Pisa, e appresso in Catalogna, per recarli a -loro lega, e averli in loro aiuto, con ogni largo patto che volessono: -e di ciò diedono agli ambasciadori piena libertà e balìa, con ispendio -di grande somma di moneta. I Pisani essendo in pace co’ Genovesi, -avvegnachè poco s’amassono, per promesse o patto che fosse offerto -loro non si vollono muovere contro a’ Genovesi, ma alquanto più che ’l -consueto s’inamicarono con loro, ricevendo grazie da’ Genovesi per la -fede mantenuta a quel punto. I Catalani per grande odio che aveano a’ -Genovesi, per ingiurie e danni ricevuti da loro in mare, di presente -s’allegarono co’ Veneziani, e promisono di dare armate di loro uomini -quelle galee che i Veneziani volessono, dando i Veneziani loro i corpi -delle galee e i debiti soldi a’ Catalani. E ferma la lega, i Veneziani -incontanente misono il banco, e cominciarono a scrivere e a soldare la -gente, e mandarono a Venezia che vi mandassono i corpi delle galee e’ -danari, i quali senza indugio vi mandarono ventitrè corpi di galee, e -danari assai, e fecionle armare di buona gente. I Veneziani a Venezia -prestamente n’armarono ventisette, e mentre che l’armata si facea -in Catalogna e a Venezia, i Veneziani mandarono una galea sottile -bene armata a portare novelle del loro grande soccorso, e mandarono -in quella danari per fare apparecchiare le galee ch’erano là, che di -presente al tempo della venuta della loro armata fossono apparecchiate, -sicchè contra a’ loro nimici fossono più possenti. Questa galea per -scontro di fortuna s’abbattè in una galea di Genovesi, e combattendo -insieme, la veneziana fu vinta e presa in segno del futuro danno. -I Genovesi ebbono i danari, e le lettere e l’avviso dell’armata de’ -Veneziani e de’ Catalani per potersi provvedere; il corpo della galea -aggiunsono alle loro, e gli uomini ritennono a prigioni, con gran festa -di questa avventura. - - -CAP. XXVIII. - -_Come la imperatrice di Costantinopoli col figliuolo si fuggì in -Salonicco._ - -Avvenne che in questi medesimi tempi che l’armata de’ Genovesi era a -Negroponte, che Mega Domestico del lignaggio imperiale, il quale si -faceva dire Cantacuzeno, cioè imperadore, essendo rimaso balio del -figliuolo dell’imperadore di Costantinopoli a cui succedea l’imperio, -governava tutto per lui, gli diè la figliuola per moglie, ingannando -la giovanezza del suo pupillo, senza consentimento della madre. -L’imperatrice sentendo quello che Mega Domestico avea fatto, prese -sospetto, e fatto le fu vedere che ’l figliuolo sarebbe avvelenato, -perchè l’imperio come era in guardia rimanesse libero al detto Mega, -balio dell’imperio e del giovane, onde l’imperadrice col figliuolo, -di furto e improvviso a Mega s’erano fuggiti di Costantinopoli, e -andati nel loro reame di Salonicco, ivi mostrando manifesto sospetto -del balio dell’imperio, si dimorarono in grande guardia. E Mega -Domestico, come è detto, vedendosi rimaso nella forza dell’imperio, -si fece dinominare imperadore: e senza fare guerra al giovane, si -fortificava nell’imperio, e aveasi confederato l’amistà de’ Veneziani. -L’imperadrice avendo sentita l’armata de’ Genovesi a Negroponte, -mossa da femminile furia e sprovveduto consiglio, mandò a trattare -co’ Genovesi, in cui prendeva confidanza, perocchè era figliuola -del conte di Savoia, assai presso di vicinanza a’ Genovesi, e sapea -ch’elli erano nimici de’ Veneziani, amici di Mega Domestico suo -avversario; il trattato fu fermo co’ Genovesi, e le promesse furono -grandi ove rimettessono il figliuolo in signoria dell’imperio di -Costantinopoli. I Genovesi per questo si pensarono di passare il verno -alle spese del’imperadrice, e abbattere molto della forza degli amici -de’ Veneziani, e d’essere più agresti e più forti contro alla loro -armata, e però si dispuosono a lasciar l’assedio con loro onore, ove -poco profittavano, e a prendere il servigio dell’imperadrice. Lasceremo -al presente questa materia per riprenderla al suo debito tempo, e -torneremo a’ fatti di Firenze. - - -CAP. XXIX. - -_Come la Scarperia sostenne la prima battaglia dal Biscione._ - -Tornando all’assedio della Scarperia, il capitano dell’oste col suo -consiglio vedendo che la Scarperia era fornita per la sua difesa di -valorosi masnadieri, e che dentro era bene fornita di vittuaglia, -e sentendo che i Fiorentini non si curavano di loro, e continovo -accresceva loro forza, ed essendo mancata la ferma de’ loro soldati: -per non partirsi con vergogna di non avere vinto per forza uno piccolo -castello, rifermarono i loro cavalieri, e avuti danari dall’arcivescovo -tutti gli pagarono, e promisono paga doppia e mese compiuto a coloro -che combattendo vincessono la Scarperia. Il tempo era già all’entrata -d’ottobre, e la vittuaglia cominciava a rincarare, e questo più gli -spronava a volere vincere la punga. I dificii da combattere la terra -erano apparecchiati, scale assai, e grilli e gatti e torri di legname, -le quali aveano condotte presso al castello al tirare della balestra, -o poco più. E così apparecchiati, una domenica mattina, ordinati -i combattitori, da più parti con molti balestrieri assalirono il -castello, e conduceano i dificii e le scale alle mura con gran tempesta -di loro grida. Quelli del castello ordinati dentro alla difesa co’ loro -capitani, si teneano coperti e cheti, e lasciarono valicare i nimici il -primo fosso e entrare nel secondo, che non v’avea acqua, e accostare -molte scale alle mura innanzi che si movessono: allora dato il segno -da’ loro conestabili, con grande romore sollecitamente cominciarono -dalle mura a percuotere sopra i nimici colle pietre, lance e pali, e -a traboccare loro legname addosso, e i balestrieri saettare da presso -e da lungi senza perdere in vano i loro verrettoni. In questo primo -assalto fediti e magagnati assai di quelli che s’erano accostati -alle mura e agli steccati per forza ne furono dilungati: nondimeno -i capitani per straccare di fatica quelli delle mura, rimutavano -spesso la loro gente dalla battaglia, rinfrescando gente nuova, e non -lasciando prendere lena nè riposo a que’ delle mura e della guardia -degli steccati, ma i franchi masnadieri si difendeano virtudiosamente, -avendo in dispregio il riposo, e confortando l’uno l’altro per modo, -che per forza nè per rinfrescamento di loro battaglia, da innanzi terza -all’ora di nona, per molte riprese di battaglie non ebbono podere -d’accostarsi alle mura, nè agli steccati ove le mura non erano. Nel -primo fosso condussono sessantaquattro scale, e nel secondo accosta -del muro tre, le quali abbandonarono, non potendo avanzare; e con poco -onore di questa prima battaglia, e con alquanti morti rimasi nel fosso, -e con molti fediti e magagnati, si ritrassono dalla battaglia, e que’ -d’entro intesono al riposo e a medicare i loro fediti, che ne aveano -gran bisogno. - - -CAP. XXX. - -_Come la Scarperia riparò alla cava de’ nimici._ - -Nonostante l’ordine delle battaglie, i conducitori dell’oste con gran -costo e con molto studio conducevano una cava sotterra per abbattere -le mura della Scarperia, e molto grande speranza aveano in quella di -vincere la terra. Que’ d’entro pensando e temendo che così dovessono -fare i loro avversari, provvidono al rimedio, e feciono un fosso dentro -intorno alle mura, il quale era braccia quattro e mezzo largo in bocca, -e braccia tre largo in fondo, e andava di sotto al fondamento delle -mura braccio uno e mezzo, acciocchè se le mura cadessono, si trovassono -l’aiuto del detto fosso alla loro difesa. E nondimeno provvidono di -cavare di fuori de’ fossi per ritrovare la cava de’ nimici innanzi che -giugnesse alle mura. E a fornire questo misono grande sollecitudine, -ma i loro avversari adoperarono grande forza per ritrarli da quello -lavorio: e condussono un castello di legname in sul primo fosso, sì -presso, che con le pietre combatteano coloro ch’erano tra l’uno fosso -e l’altro alla guardia de’ loro cavatori, e avvenne che a questa si -rivolse grande parte dell’oste, e tutta la forza di quelli d’entro. -Quelli di fuori combattendo con le pietre e con le balestre, e -rinnovando d’ora in ora i freschi combattitori, quelli del fosso colle -fosse delle parate e co’ palvesi francamente s’atavano, con le loro -balestra e con quelle del loro aiuto dalle mura, e diputati a questa -punga trecento di que’ d’entro, sostennono l’assalto de’ nimici il -lunedì e ’l martedì molto francamente, non lasciando impedire i loro -cavatori: i quali lavorando con grande sollecitudine pervennero alla -cava de’ nimici, la quale era venuta innanzi centottanta braccia, e -presso alle mura a venti braccia: la quale di presente affocarono, e -cacciarono i cavatori, e guastarono loro la cava. Essendo da catuna -parte molti fediti, que’ del campo abbandonarono l’assalto con loro -vergogna; e i valenti masnadieri alla ritratta de’ nimici presono e -arsono il castello del legname ch’era sopra il fosso, e stesonsi ad -assalire un altro ch’era più di lungi, e per forza l’affocarono, e -tornaronsi sani e salvi nel castello, avendo presa grande baldanza -della loro difesa, per la vittoriosa punga di quella cava. - - -CAP. XXXI. - -_Del secondo assalto dato alla Scarperia._ - -Vedendo il capitano dell’oste e il suo consiglio essere di ogni assalto -fatto con vergogna ributtato da que’ della Scarperia, e vedendosi -venire addosso il verno e non avere vinto il castello, e che lo strame -mancava, pensavano che la partita sarebbe con loro grande vergogna: -però vollono ancora da capo cercare la fortuna, innanzi che da quello -assedio si partissono. E per avere apparecchiato da riempiere i -fossi, feciono tutto il legname e’ frascati che aveano ne’ loro campi -conducere presso a’ fossi: e il giovedì mattina innanzi dì, essendo -l’oste armata, e le battaglie ordinate, e più torri di legnami condotte -presso a’ fossi, con ordine di palvesari e di loro balestrieri, senza -contasto riempierono di frascati il primo fosso, e le torri condussono -sopr’esso fornite di molti balestrieri. I cavalieri smontarono de’ -cavalli con gli elmi in testa, e cominciata la battaglia a un’ora da -ogni parte, i cavalieri si sforzarono di conducere gatti, grilli e -scale alle mura. Que’ d’entro che aveano preso maggiore ardire per gli -altri assalti, lasciarono fare molte cose innanzi che alla battaglia -si scoprissono, ma ordinato da’ loro conestabili, al segno dato si -mostrarono alla difesa, e con tanto impeto cominciarono a caricare di -pietre, e di pali aguti e di legname i loro assalitori, con l’aiuto -de’ loro buoni balestrieri, che per forza gli ributtarono addietro -del primo fosso. E avendo a quelli ch’erano nelle torri ordinato -di loro i migliori balestrieri, gli strinsono per modo, che non si -poteano scoprire, nè dare a loro utile aiutorio. E in questo assalto -alcuni conestabili d’entro ebbono ardire con certi loro compagni -eletti d’uscire fuori della terra, e con le lance e con le spade in -mano fediano per costa i combattitori, e incontanente si ritraevano: -e questo feciono più volte danneggiando i nimici, e ritraendoli dalla -battaglia dov’erano ordinati, senza ricevere impedimento. Ed essendo -durata la battaglia infino a nona, senza avere que’ dell’oste fatto -alcuno acquisto, feciono sonare la ritratta. E di presente quei del -castello misono fuori de’ loro masnadieri, i quali presono le torri -e’ dificii e arsonli, che i nimici aveano condotti, e dato opera -infino alla notte a mettere dentro il legname utile, tutto l’altro co’ -frascati arsono nel fosso. E intesono a medicare i loro fediti, e a -farsi ad agio d’alcuno riposo, del quale aveano gran bisogno per quella -giornata. - - -CAP. XXXII. - -_Del terzo assalto dato._ - -Avendo i capitani dell’oste quasi perduta ogni speranza di potere -vincere la Scarperia, vollono tentare l’ultimo rimedio con danari e -con ingegno; e in quello rimanente del dì feciono venire a loro tutti -i conestabili tedeschi con i più nomati cavalieri di loro lingua, i -quali nelle battaglie date al castello poco s’erano travagliati altro -che di vedere, e dissono loro: se a voi desse il cuore di vincere con -forza e con ingegno questa terra, l’onore sarebbe vostro, e oltre alla -paga doppia e mese compiuto, a catuno daremo grandi doni. I conestabili -e i loro baccellieri si strinsono insieme, e mossi da presuntuosa -vanagloria e da avarizia, rispuosono: che dove e’ fossono sicuri -d’avere di dono sopra le cose promesse fiorini diecimila d’oro, che -darebbono presa la Scarperia: e questo dava loro il cuore di fornire -con l’aiuto dell’altra oste, ove fosse fatto quello che direbbono -in quella notte. I capitani promisono tutto senza indugio, sicchè -rimasono contenti, e di presente feciono fare comandamento a tutti -i conestabili delle masnade da cavallo e da piè, che colà da mezza -notte fossono apparecchiati dell’arme e de’ cavalli; e fatto questo, -andarono a cenare e a prendere alcuno riposo. Venuta la mezza notte, -e armata l’oste chetamente, il tempo era sereno e bello, e la luna -faceva ombra in quella parte della Scarperia che i Tedeschi aveano -pensato d’assalire: e fatto tra loro elezione di trecento baccellieri, -a loro commisono tutto il fascio della loro intenzione; i quali bene -armati, separati dall’altra gente, con le scale a ciò diputate e con -altri utili argomenti, senza alcuno lume, s’addirizzarono verso quella -parte della terra ove l’ombra gli copriva. Tutta l’altra oste con -innumerabili luminarie, e con ismisurato romore e suoni di tutti gli -stromenti dell’oste, colle schiere fatte e colle battaglie ordinate -si cominciarono a dirizzare dall’altre parti verso la Scarperia. I -fanti della Scarperia, che appena aveano ancora dell’affanno del dì -preso alcuno riposo, sentendo lo stormo, e vedendo l’esercito venire -con ordine di loro battaglie a combattere la terra, cacciata la paura -e invilito il riposo, di presente furono all’arme: e con l’ardire -delle loro difese apparecchiati, andò catuno alla sua guardia delle -mura e de’ palancati; e stando cheti e senza mostrare i loro lumi -attesono tanto, che le schiere e le battaglie s’appressarono alle mura, -e cominciato fu l’assalto con suoni di tanti stromenti e con grida -d’uomini, che riempieva il cielo e tutto il paese molto di lungi. -Quest’asprezza delle grida era maggiore che dell’arme, per attrarre -l’aiuto da quella parte di que’ d’entro, e mancarlo ov’era l’aguato. -Quelli della terra maestri di cotali cose delle grida non si curavano, -e quelli che si appressavano, francamente colla balestra e colle pietre -gli faceano risentire e allungare, e niuno non si partiva o mosse dalla -sua guardia. I trecento baccellieri riposti presso della terra sentendo -il romore e l’infestamento di quelli dell’oste, chetamente colle scale -in collo passarono il primo e il secondo fosso, che non v’avea acqua, -e condussono e dirizzarono alle mura più e più scale, vedendolo e -sentendolo que’ della terra ch’erano a quella guardia, e lasciandogli -fare, finchè cominciarono a salire sopra esse, e aveano già i loro -aiutori a piede; allora quelli della guardia cominciarono a gridare, -e a mandare sopra loro grandi pietre e legname e pali, percotendoli e -facendoli traboccare delle scale nel fosso l’uno sopra l’altro. E in -un punto gli ebbono sì storditi e fediti e magagnati, che in caccia si -partirono da quello assalto, e tornaronsi all’altra oste. Dall’altra -parte fu maggiore il grido che l’assalto, ma per li buoni balestrieri -molti ve ne furono fediti in quella notte. E facendosi dì, in sulla -ritratta uscirono della terra un fiotto di buoni briganti, e dieronsi -tra’ nimici, e per forza ne presono e ne menarono tre di loro cavalieri -nella Scarperia, e gli altri ritornarono al campo perduta ogni speranza -d’avere la Scarperia. Que’ di dentro uscirono fuori un’altra volta -quella mattina, e arsono più dificii di legname ch’erano presso, e uno -castello ch’era più di lungi, e contamente senza impedimento sani e -salvi si ritornarono nella Scarperia. - - -CAP. XXXIII. - -_La partita dell’oste dalla Scarperia._ - -Vedendo il capitano dell’oste e i suoi consiglieri aver fatta la loro -oste ogni prova per vincere la Scarperia, ed esserne con vergogna -ributtati per la virtù de’ buoni masnadieri che dentro v’erano, e -tornando l’oste piena di molti fediti, e che la vittuaglia venia -mancando l’un dì appresso l’altro fortemente, e che già lo strame per i -cavalli al tutto venia loro meno, e il tempo ch’era stato fermo e bello -lungamente s’apparecchiava di corrompere all’acqua, prese per partito -d’andarsene a Bologna; e al segno dato d’una lumiera alzata sopra -ogni lume molto, il sabato notte, a dì 16 d’ottobre, l’oste si dovesse -partire, e ogni uomo si dovesse riducere verso l’alpe di Bologna, i cui -passi erano tutti in loro signoria, e il cammino era corto e il passo -aperto, e la gente volonterosa di levarsi da campo, per la qual cosa -subito ebbono passato il giogo dell’alpe. I Fiorentini avendo sentito -che i nimici erano per partirsi dall’assedio, aveano mandati in Mugello -i cavalieri che aveano per danneggiarli, se potessono, alla levata: -ma gli avvisati capitani dell’oste la domenica mattina innanzi che la -loro gente s’avviasse feciono una schiera di duemila buoni cavalieri, -i quali tennero ferma in sul piano, insino che seppono che tutta la -loro gente e la salmeria erano valicati il giogo e passati in luogo -salvo; la schiera della guardia passò, non vedendo apparire alcuno -nimico, girò e prese il suo cammino verso la montata dell’alpe, ch’era -presso a due miglia di piano: ed ebbono passato prima il giogo, che -la cavalleria de’ Fiorentini si assicurasse di stendere per lo piano, -temendo d’aguato: e così sani e salvi si ricolsono a Bologna senza -impedimento per lo senno de’ loro capitani. Quest’oste mossa con tanto -ordine e aiuto di tutti i ghibellini d’Italia, venuta di subito sopra -la nostra città sprovveduta d’ogni aiuto, stette ottantadue dì sopra -il nostro contado senza potere vincere per forza niuno castello, e de’ -quali, sessantuno dì consumarono all’assedio del piccolo castello della -Scarperia. E come fu piacer di Dio, la sfrenata potenza di cotanto -signore, aggiunta con tutta la forza de’ ghibellini d’Italia, guidata -da buoni capitani, credendosi soggiogare la città di Firenze e’ popoli -circustanti, non ebbono podere di vincere la Scarperia, da qui addietro -vilissimo castello, non murato per tutto e di piccola fortezza per -sito, ma difeso da piccolo numero di valorosi masnadieri: essendovi -a oste con più di cinquemila barbute, e duemila cavalieri, e seimila -pedoni di soldo, senza la forza degli Ubaldini e degli altri ghibellini -con loro sforzo; per la qual cosa il tiranno che avea l’animo levato a -inghiottire le italiane provincie, potè conoscere che un piccolo e vile -castello domò e fece ricredente tutta la sua forza. E come era venuto -a guisa di leone con la testa alzata, spaventevole a tutte le città -di Toscana, chinate le corna dell’ambiziosa superbia, tornò pieno di -vergogna e di vituperio, non avendo per sua potenza potuto acquistare -un debole castello, e diede materia a’ popoli di grande confidenza -della loro difesa. Lasceremo ora finita questa materia, e torneremo -all’altre tempeste italiane, che non bastando in terra conturbano -l’altrui mare. - - -CAP. XXXIV. - -_Come l’armata de’ Genovesi si partì da Negroponte e andò a Salonicco._ - -In questo tempo cominciando aspro e fortunoso verno, i Genovesi che con -la loro armata di sessantaquattro galee erano stati all’assedio della -città di Candia nell’isola di Negroponte, sentendo l’apparecchiamento -delle cinquanta galee de’ Veneziani e de’ Catalani che doveano venire -contro a loro al soccorso; e vedendo che lo stare ivi per speranza -d’avere la terra era invano, e non minor danno a loro che a’ Veneziani, -e avendo promesso il loro aiuto all’imperadrice di Costantinopoli, -ch’era fuggita col figliuolo nel reame di Salonicco, parendo per -questa cagione la loro levata dall’assedio fosse con meno vergogna, -ed entrando nell’imperio aveano più sicuro vernare, si partirono di -là e dirizzarono loro viaggio verso Salonicco; e giunti a Malvagia, -intendeano levare l’imperadrice e ’l figliuolo, e fare loro podere di -rimetterli in Costantinopoli con la loro forza e della parte che amava -il loro vero signore. L’imperadrice sentendo l’armata di presso, come -femmina mutevole, non avendo piena confidenza del figliuolo, cominciò a -sospettare: e il giovane medesimo non avendo avuto più maturo consiglio -all’impresa, convenendo la sua persona mettere nelle mani dell’altrui -forza, dubitò, e non lo volle fare, e forse fu più da biasimare il -cominciamento della folle impresa che ’l cambiamento del femminile e -giovanile animo, i quali non si vollono abbandonare alla non provata -fede de’ Genovesi; per la qual cosa l’ammiraglio col suo consiglio -presono sdegno, e rivolta la loro armata, desiderosi di rapina e -di preda, vennero all’isola di Tenedo, piena di gente e d’avere, -sottoposta all’imperio, i quali de’ Genovesi non prendeano alcuna -guardia, ed elli la presono e rubarono d’ogni sustanza. E quivi feciono -dimoro gran parte del verno prendendo rinfrescamento, e ragunando la -preda di quella e dell’altre terre di Grecia, della quale data a catuno -la parte sua, si trovarono pieni di roba e di danari, sicchè a loro non -fece bisogno altro soldo, e la loro vita tutta ebbero per niente delle -ruberie del paese. E ivi stettono fino al Natale senza mutare porto. - - -CAP. XXXV. - -_Come i Veneziani e’ Catalani s’accozzarono in Romania con l’altra -armata._ - -I Veneziani, come addietro abbiamo narrato, avendo fatta compagnia e -lega co’ Catalani contro a’ Genovesi, armarono in Venezia ventisette -galee molto nobilmente, ove si ricolsono quasi tutti i maggiori e -migliori cittadini di Venezia per governatori e soprassaglienti, -forniti a doppio di ciò che a guerra faccia mestiero, e ventitrè galee -armarono i Catalani. E tanto bolliva negli animi loro lo infocamento -dell’izza ch’aveano presa contro a’ loro avversari genovesi, che -nel tempo che l’armate sogliono abbandonare il mare e vernare in -terra, si mossono da Venezia e di Catalogna, domando le tempeste -del mare, ad andare contro a’ loro nimici in Romania. Del mese di -novembre s’accozzarono insieme in Cicilia, e di là senza soggiorno -si dirizzarono verso l’Arcipelago, e con grandi e aspre fortune, -avendo per quelle perdute sette galee veneziane e due catalane, non -senza danno della loro gente, pervennero in Turchia, e posono alla -Palatia e a Altoloco; e ivi, del mese di dicembre del detto anno, -avendo raccolte le galee che aveano a Negroponte e nelle contrade si -trovarono con settanta galee: e in Turchia stettono gran parte del -più fortunoso verno per rivedere i loro legni e avere novelle di loro -nimici. In questo travalicamento del tempo delle due armate ci occorre -a raccontare altre cose rimase addietro, e in prima una pazzia di -corrotta mente dell’ambizione umana, la quale alcuna volta combattendo, -contro al suo prospero e buono stato abbatte e rovina se medesimo con -debito e degno traboccamento. - - -CAP. XXXVI. - -_Come i Brandagli si vollono fare signori d’Arezzo._ - -Dappoich’e’ Bostoli per loro superbia furono cacciati della terra -d’Arezzo, una famiglia che si chiamarono i Brandagli, loro nimici, -cominciarono di nuovo ad avere stato in comune, e montando l’un dì -appresso all’altro vennono in maggiori, ed erano al tutto governatori -del reggimento di quello comune, e per questo montati in grandi -ricchezze: e della loro famiglia Martino e Guido di Messer Brandaglia -erano i caporali. Costoro ingrati del loro buono stato cercarono di -farsene signori con tradimento, non perchè fossono da tanto, ma per -farne loro mercatanzia, come nel fine del fatto si scoperse. Costoro -trattarono col nuovo tiranno d’Agobbio d’avere da lui al tempo ordinato -centocinquanta cavalieri, e da quello di Cortona dugento cavalieri, non -che da se gli avesse, ma per servire costoro n’accattò centocinquanta -dal prefetto da Vico, e cinquanta dal conte Nolfo da Urbino, e -feceli venire e soggiornare all’Orsaia, come gente di passaggio che -attendessono d’essere condotti e oltre a questa gente a cavallo, di -quello che non era richiesto, mise in ordine d’avere apparecchiati -undicimila fanti a piede, con intenzione, che se fortuna il mettesse in -Arezzo di volerlo per se. E ancora richiese messer Piero Tarlati, che -aveva in Bibbiena il doge Rinaldo con trecento cavalieri, benchè fosse -ghibellino e nimico del loro comune richieselo non manifestandogli -il fatto. Ma la volpe vecchia che conobbe la magagna, si offerse loro -molto liberamente, sperando altro fine del fatto che non pensavano i -traditori, accecati nella cupidigia della sperata tirannia. A conducere -questa gente aveano fuori d’Arezzo Brandaglia loro nipote, e Guido -intendeva a raccogliere i masnadieri che gli capitavano segretamente, -e a nasconderli ne’ loro palagi, e Martino stava nel palagio co’ -priori della terra a tutti i segreti del comune. In quel tempo si -dava in guardia a confidenti cittadini una porta della città che si -chiamava la porta di messer Alberto, la quale era a modo d’un cassero, -e dava l’entrata tra le due castella. Questa guardia per procaccio -di Brandaglia era ne’ figliuoli di messer Agnolo loro confidenti, con -cui elli si teneano in questo tradimento. E messe le cose d’ogni parte -in assetto, a’ signori d’Arezzo fu scritto per lo comune di Firenze -e per quello di Siena ch’avessono buona guardia, perocchè sentivano -che una terra si cercava di furare, ma non sapeano come nè quale; -Martino Brandagli ch’era nel consiglio, co’ suoi argomenti levava i -sospetti. E venuto il dì che la notte si dava il segno a que’ di fuora, -un conestabile fiorentino ch’era in Arezzo, uomo guelfo e fedele, fu -richiesto da’ Brandagli per la notte. Costui per amore della sua città -e di parte non potè sostenere per promesse che avesse avute che non -manifestasse a’ priori il tradimento di quella notte. Incontanente -i priori mandarono per Martino, il quale confidandosi nel suo grande -stato e ne’ molti amici, andò dinanzi a’ priori, e negava scusandosi -che niente sapeva di quelle cose; e in quello stante Guido suo fratello -corse a’ loro palagi, e colla gente che avea nascosa levò il romore, e -tennesi co’ suoi masnadieri forte. I cittadini in furia armati corsono -alla porta di messer Alberto, che poteva dare l’entrata a’ forestieri, -per fornire di guardia per lo comune, ma trovarono ch’ella si tenea -per i traditori. E così la città intrigata nel nuovo pericolo, e non -provveduta, fu in grande paura. La porta era forte e bene guernita alla -difesa da non poter vincersi per battaglia, e già era venuta la notte, -e quei della torre della porta d’entro feciono i cenni ordinati alla -gente di fuori, che venire doveano a loro aiuto per vincere la terra. - - -CAP. XXXVII. - -_Di quello medesimo._ - -I cittadini vedendo i cenni, temendo di non essere sorpresi dall’aiuto -provveduto da’ traditori, tempestando nell’animo, intrigati dalle -tenebre della notte e dalla paura, intendendo a combattere quei -della porta e mettere gente in su le mura, ma per questo non poteano -conoscere riparo che i forestieri non entrassono per forza nella -città, e però s’avvisarono di rompere le mura della città appresso a -quella porta: e fattane la rotta che vollono, avendo per loro guardia -cento cavalieri di Fiorentini e alcuni di loro, li misono fuori in uno -borgo fuori di quella porta, ove dovea essere l’entrata de’ nemici, -e accompagnaronli di cittadini e d’altri fanti alla difesa con buone -balestra; e di subito tagliarono alberi, e abbarrarono e impedirono -le vie al corso de’ cavalli, e le mura guarentirono di gente e di -saettamento: e nondimeno facevano dal lato d’entro combattere di -continovo quelli della porta e della torre, ma e’ si difendevano, e -di quella battaglia poco si curavano, e continovo manteneano cenni a -loro soccorso: e dentro i Brandagli difendeano i loro palazzi e la loro -contrada co’ masnadieri che aveano accolti, e attendendo Brandaglia -con la gente invitata, con la quale non dottavano d’essere signori -della terra s’ella v’entrasse. I segni della torre furono veduti dal -principio della notte, e il signore di Cortona che stava attento fu -in sul mattutino con dugento cavalieri e duemila pedoni giunto ad -Arezzo, e Brandaglia con altri dugento cavalieri. La gente di messer -Piero Saccone tardò più a venire, per riotta che mosse il doge Rinaldo -in sul fatto; gli altri ch’erano venuti baldanzosi, credendosi senza -contasto entrare nella città, come furono presso alla terra, mandarono -innanzi cento cavalieri che prendessono e guardassono l’entrata della -porta, e quella trovarono imbarrata dagli alberi e le vie innanzi al -borgo: ed essendo là venuti, e saettati da quelli ch’erano alla guardia -del borgo, e scorgendo in su l’aurora le mura piene di cittadini -armati alla difesa, e già morti due di loro compagni da quei del -borgo, si tornarono addietro, e feciono assapere a quelli dell’oste -che attendeano come stava il fatto: di che spaventati s’arrestarono -senza strignersi più alla terra, e già per segni e ammattamento che -que’ della torre e della porta facessono, e eziandio chiamandoli ad -alte voci, non si attentarono di venire più innanzi, ma ivi presso si -fermarono attendendo come i fatti dentro procedessono, e così stettono -schierati dalla mattina sino presso a nona. E in verso la nona messer -Piero Sacconi giunse co’ suoi cavalieri e pedoni, il quale sentendo -la cosa scoperta e i cittadini alla difesa, senza attendere punto co’ -suoi cavalieri diè volta e co’ suoi pedoni, e tornossene a Bibbiena; -e veduto questo, tutti gli altri si partirono, e i traditori rimasono -senza speranza di soccorso. Questa novità sentita nel contado e -distretto de’ Fiorentini, mosse senza arresto i cavalieri e’ masnadieri -che allora avea in quelle circustanze, e i Valdarnesi per venire al -soccorso degli Aretini: i quali non bene confidenti del comune di -Firenze parte ne ritennono per loro sicurtà, e agli altri diedono -commiato onestamente, senza riceverli nella città, e dolcemente fu -sostenuto. Nondimeno i traditori teneano i palagi, e la torre e la -porta: e tanta miseria occupò l’animo di que’ pochi cittadini in cui -era rimaso il reggimento, per tema di non volere fare parte agli altri -da cui e’ potessono avere aiuto, che si misono a trattare con Martino -cui eglino aveano prigione, dicendo di lasciare andare e lui e’ suoi, -e i figliuoli di messer Agnolo e le loro cose liberamente, ed e’ -rendessono la porta. E innanzi che questo venisse alla loro intenzione, -convenne che i figliuoli di messer Agnolo fossono sicuri a loro modo -d’avere contanti fiorini tremila d’oro, e avuta la sicurtà renderono la -porta e la torre al comune; e facendosi loro il pagamento per coloro -che aveano fatta la promessa, i danari furono staggiti per coloro che -aveano per loro sodo al comune, che eglino renderebbono quella fortezza -al detto comune: e così s’uscirono della città co’ Brandagli insieme; -e il seguente dì furono tutti condannati per traditori, e i loro beni -disfatti e pubblicati al comune. Trovossi poi di vero, che i traditori -aveano trattato come avessono presa la signoria, con ciò sia cosa che -non erano d’aiuto per loro lignaggio da poterla tenere, di venderla -all’arcivescovo di Milano, a gravamento della loro detestabile malizia, -la quale prese non il debito fine, ma alcuno segno della loro rovina, -per la viltà di coloro che non degni rimasono al governamento di quella -terra. - - -CAP. XXXVIII. - -_Come il re Luigi mandò il gran siniscalco ad accogliere gente in -Romagna._ - -Tanto imbrigamento di guerra sboglientava gli animi degl’Italiani per -terra e per mare in questi tempi, che volendo cercare delle novità -degli strani, non ci lasciano da loro partire. Il re Luigi valicata -la tregua dal re d’Ungheria a lui, non ostante che rimesso avessono -le loro questioni al giudicio del papa e de’ cardinali, tentava con -preghiere e impromesse di recare dalla sua parte fra Moriale, friere -di san Giovanni, il quale teneva Aversa e Capua dal re di Ungheria, -e questo fra Moriale, astuto e malizioso, mostrava di voler piacere -al re Luigi; e dandogli speranza, cominciò ad allargare il passo -alla gente del re e a’ paesani d’Aversa e di Capua, sicchè andavano -e venivano sicuramente, e non faceva guerra, ma nondimeno guardava -le città e le fortezze di quelle, e per questo corse la voce che la -concordia era fatta: ma però il re di lui, o egli del re si fidava. -Ma in questo tranquillo, il re mandò il grande siniscalco nella Marca -ad accogliere gente d’arme, il quale con grandi promesse mosse messer -Galeotto da Rimini a venire al servigio del re con trecento cavalieri, -e messer Ridolfo da Camerino con cento, a tutte loro spese, e ’l grande -siniscalco messer Niccola Acciaiuoli di Firenze ne condusse e menò -quattrocento al soldo del re, e con tutta questa cavalleria entrò in -Abruzzi. E mandò al re, che con la sua forza e con quella de’ baroni -del Regno, i quali il re avea richiesti e ragunati a Napoli, venisse -là, come era ordinato, per vincere messer Currado Lupo, e racquistare -le terre d’Abruzzi che di là si teneano per lo re d’Ungheria. - - -CAP. XXXIX. - -_Come il re Luigi accolse i baroni del Regno e andò in Abruzzi._ - -Il re Luigi sentendo come il gran siniscalco avea con seco in Abruzzi -que’ due buoni capitani con ottocento cavalieri di buona gente, fu -molto contento, e avendo presa sicurtà che fra Moriale per la concordia -ch’aveano non moverebbe guerra in Terra di Lavoro, si mosse da Napoli -per mare, e capitò incontanente a Castello a mare del Volturno, e -tutta sua gente a piè e a cavallo fece andare per terra da Pozzuolo -e per lo Gualdo al detto Castello a mare, non fidando la gente sua -per gli stretti passi d’Aversa e di Capua ch’erano in guardia di -fra Moriale: e seguendo di là loro cammino, del mese d’ottobre del -detto anno s’accozzò in Abruzzi con la cavalleria accolta per lo gran -siniscalco: e fatta fare la mostra, si trovò con undicimila cavalieri -e con grande popolo. Messer Currado Lupo avendo sentito l’oste che -gli veniva addosso, e non avendo gente da potere uscire a campo, mise -guardia nelle terre che teneva in Abruzzi e ordinolle alla difesa, e -con cinquecento cavalieri tedeschi bene montati e buoni dell’arme si -mise in Lanciano. Il re poco provveduto di quello che a mantenere oste -bisognava, e povero di moneta, volendo usare l’aiuto degli amici che -quivi avea si mise a oste a Lanciano; e dopo non molti dì, cavalcando -messer Galeotto co’ suoi cavalieri intorno alla terra, messer Currado -Lupo uscì fuori con parte de’ suoi cavalieri e percosse i nimici, e -danneggiò molto la masnada di messer Galeotto, e innanzi che dall’altra -oste fosse soccorso si ritrasse in Lanciano a salvamento. Per questa -cagione spaventato l’oste, considerando l’ardimento preso per li -cavalieri di messer Currado, e che la terra di Lanciano era forte -e bene guernita, e il verno veniva loro addosso, per lo migliore -presono consiglio e levaronsi dall’assedio: e stando in dubbio di -quello dovessono fare più dì, a messer Galeotto e a messer Ridolfo, -non vedendo di poter fare utile servigio al re, rincrebbe lo stallo, -presono congiò dal re e tornaronsi nella Marca, e i baroni del Regno -feciono il simigliante. Il re con la sua gente invilito e quasi -disperato avendo animo di volere entrare nell’Aquila, gli fu detto non -se ne mettesse a pruova, perocchè non vi sarebbe lasciato entrare, e -scoprirebbe nimico messer Lallo che gli si mostrava fedele; e così -rimaso il re pieno di sdegno e voto di forza e d’avere, si tornò a -Sulmona a mezzo dicembre del detto anno, e ivi s’arrestò per trarre -da’ paesani alcuno sussidio, e per fare in quella terra la festa del -Natale. - - -CAP. XL. - -_Come il re Luigi sostenne gli Aquilani che pasquavano con lui._ - -Vedendosi il re Luigi rotto da’ suoi intendimenti, e abbandonato -del servigio degli amici, trovandosi a Sulmona povero, si ristrinse -nell’animo, e diede opera di volere fare in Sulmona gran festa per lo -Natale, e fece a quella invitare quei gentiluomini e baroni circostanti -che potè avere. I Sulmontini il providono di moneta e d’altri doni -per aiuto alla festa. Ciascuno si sforzò di comparire bene a quella -festa, e intra gli altri principali fu invitato messer Lallo, il -quale governava il reggimento dell’Aquila, e conoscendo la sua coperta -tirannia si dubitò d’andare al re, e infinsesi d’essere malato, e sotto -questa scusa ricusò l’andare alla festa. Per fare più accetta la sua -scusa al re elesse quindici de’ maggiori cittadini d’Aquila col suo -fratello carnale, i quali portarono al re per dono da parte del comune -dell’Aquila fiorini quattromila d’oro, e costoro mandò a festeggiare -col re: e giunti a Sulmona furono ricevuti dal re graziosamente, -nonostante che si turbasse perchè messer Lallo non v’era venuto. E -fatto il corredo reale con piena festa, i cittadini dell’Aquila volendo -prendere licenza dal re per tornare a casa furono ritenuti prigioni, -della qual cosa il re fu forte biasimato di mal consiglio, parendo -a tutti più opera tirannesca che reale. La novella corse in Aquila: -il tiranno molto savio e buono parlatore raccolse il popolo, e con -argomenti di sua savia diceria infiammò il popolo all’ingiuria, e -mosselo all’arme e corse la terra, e ordinò la guardia come se il re -con l’oste vi dovesse venire, ma il re non era atto a poterlo fare, e -però si rimase, e messer Lallo più s’afforzò nella signoria. - - -CAP. XLI. - -_Come papa Clemente sesto fe’ la pace de’ due re._ - -Stando il re Luigi in Sulmona maninconoso e quasi in disperazione di -suo stato, considerando come in tutte cose la fortuna gli era avversa, -e come con abbassamento di suo onore gli avea fatte fare cose non -reali, ma di vile e mendace tiranno, e vedendosi povero e mal ubbidito, -non sapeva che si fare, e parevagli per la baldanza presa pe’ suoi -avversari ch’elli dovessono ristrignerlo o cacciare del Regno, e de’ -suoi fatti da corte non avea potuto avere alcuna speranza o novella che -buona fosse. Il papa Clemente in questo tempo era stato in una grande e -grave malattia, nella quale rimorso da coscienza di non avere capitato -il fatto tra i due re che gli era commesso, e di questo sostenere era -seguito danno e confusione di molti, propuose nell’animo come fosse -guarito di capitare quella questione senza indugio, e come fu sollevato -mise opera al fatto; e per più acconcio di quello reame, vedendo che -il re d’Ungheria avea l’animo al suo reame, ed era appagato della -vendetta fatta del suo fratello, deliberò, poichè avea deliberato la -reina, che messer Luigi fosse re: e questo pubblicò co’ suoi cardinali, -e poi il mise a esecuzione, come appresso nel suo tempo racconteremo. -La novella venne improvviso al re Luigi a Sulmona, della qual cosa -fu molto allegro: e confortato nel fondo della sua fortuna da questa -prosperità, di presente conobbe il suo esaltamento per opera, che i -baroni e’ comuni il cominciarono ad onorare e a vicitare con doni e -grandi profferte come a loro signore: e tornato a Napoli con grandi -onori, stette in festa più dì tutta la terra delle buone novelle. -Lasceremo al presente alquanto de’ fatti del Regno sollecitandoci le -novità di Toscana, delle quali prima ci conviene fare memoria, per non -travalicare il debito tempo della nostra materia. - - -CAP. XLII. - -_Come messer Piero Saccone prese il Borgo a san Sepolcro._ - -Avendo messer Piero Saccone de’ Tarlati a Bibbiena il conte Pallavicino -con quattrocento cavalieri dell’arcivescovo di Milano, e cento di suo -sforzo per fare guerra, e standosi e non facendola, faceva maravigliare -la gente, ma egli nel soggiorno lavorava copertamente quello che -prosperamente gli venne fatto. Il Borgo a san Sepolcro, terra forte e -piena di popolo e di ricchi cittadini, e fornita copiosamente d’ogni -bene da vivere, era nella guardia de’ Perugini con due casseri forniti -alla guardia de’ castellani perugini e di gente d’arme. Messer Piero -aveva appo se uno suo fedele che aveva nome Arrighetto di san Polo, -questi era grande e maraviglioso ladro, e facea grandi e belli furti -di bestiame, traendo i buoi delle tenute murate e guardate, e rompeva -tanto chetamente le mura, che niuno il sentiva, e di quelle pietre -rimurava le porti a’ villani di fuori sì contamente, che prima aveva -dilungate le turme de’ buoi, e tratte per lo rotto del muro due o tre -miglia, che i villani trovandosi murate le porti, e impacciati dalle -tenebre della notte e dalla novità del fatto, le potessono soccorrere; -così n’avea fatte molte beffe, e accusatone di furto, messer Piero il -difendea, e davagli ricetto in tutta sua giurisdizione. Questi saliva -su per li cauti delle mura e delle torri co’ suoi lievi argomenti -incredibilmente, e quanto che fossono alte non se ne curava, ed era -dell’altezza maraviglioso avvisatore. Per costui fece messer Piero -furare la forte e alta torre del castello di Chiusi alla moglie -che fu di messer Tarlato. A costui scoperse messer Piero come volea -furare il Borgo a Sansepolcro, e mandollo a provvedere l’altezza della -torre della porta: il quale tornato disse, che gli dava il cuore di -montare in su la più alta torre che vi fosse; e avuta messer Piero -questa risposta, s’intese con uno de’ Boccognani del Borgo e grande -ghibellino, il quale odiava la signoria de’ Perugini, e da lui ebbe, -che se la porta e la torre fosse presa, e di fuori fosse forza di -gente a cavallo e a piè grande, ch’egli con gli altri ghibellini -d’entro verrebbono in loro aiuto a metterli dentro. E dato l’ordine -tra loro, messer Piero con cinquecento cavalieri e duemila pedoni un -sabato notte, a dì 20 del mese di novembre del detto anno, improvviso -a’ Borghigiani, innanzi il dì fu presso al Borgo; e mandato Arrighetto -con certi masnadieri eletti in sua compagnia a prendere la torre -e la porta, il detto Arrighetto con suoi incredibili argomenti in -quello servigio, cintosi corde, e aiutato di non esser sentito per -uno grande vento che allora soffiava, e avea ristrette le guardie -sotto il coperto, montò in su la torre della porta, ed essendovi due -sole guardie, si recò il coltello ignudo in mano, e mostrò d’avere -compagnia, minacciandoli d’uccidere. Eglino storditi per la novità, -non sapendo che si fare, stettono cheti per paura, e Arrighetto data -la corda a’ masnadieri ch’erano a piè del muro, con una scala leggieri -di funi tirò su l’uno de’ capi e accomandollo a uno de’ merli, e -incontanente montati suso per quella l’uno appresso l’altro dodici -masnadieri, e quando si vidono signori della porta, feciono a quelli -traditori d’entro certo segno ordinato. Quello de’ Boccognani veduto il -segno come la porta era presa, fece sonare a stormo una campana d’una -chiesa, al cui suono, come ordinato avea, tutti i ghibellini del Borgo -furono all’arme e traevano verso la porta. I guelfi che non sapeano il -tradimento traevano storditi alla piazza senza niuno capo; e schiarito -il dì, vedendo aperta e presa la porta per i ghibellini, e sentendo -come messer Piero era di fuori con molta gente, non vedevano da potere -riparare; ma i ghibellini non volendo guastare la terra sicurarono i -guelfi che ruberia non vi si farebbe, e senza contasto vi lasciarono -entrare messer Piero con tutta la sua gente e del conte Pallavicino, -e non vi si diè colpo e non vi si fece alcuna ruberia: e così messer -Piero ne fu signore; ma le due rocche che erano forti e guardate -per li Perugini si misono alla difesa, per attendere il soccorso de’ -Perugini. Messer Piero e il conte senza prendere soggiorno con tutta -la sua gente a cavallo e a piè uscirono del Borgo, e accamparonsi -di fuori dirimpetto alle rocche per torre la via a’ Perugini, e -fecionsi innanzi al loro campo fare un fosso di subito e uno steccato, -e mandarono a tutte le terre dov’avea gente d’arme del signore di -Milano che mandassero loro aiuto, e in pochi dì vi si trovarono -con ottocento cavalieri e popolo assai. E per impedire a’ Perugini, -Giovanni di Cantuccio d’Agobbio con la cavalleria che avea del Biscione -cavalcò sopra loro: nondimeno i Perugini turbati di questa perdita, -procacciarono da ogni parte aiuto per racquistare la terra, tenendosi -i casseri, e di presente ebbono cinquecento cavalieri da’ Fiorentini: e -con millequattrocento cavalieri e con grande popolo se ne vennono alla -Città di Castello: e acconciandosi per soccorrere quelli de’ casseri, -tanta viltà fu in coloro che gli aveano in guardia, che senza attendere -il soccorso così vicino s’arrenderono a messer Piero; e incontanente -quelli del castello d’Anghiari cacciarono la guardia che v’era de’ -Perugini, e dieronsi al vicario dell’arcivescovo, ed egli lo rendè a -messer Maso de’ Tarlati. In que’ dì il castello della Pieve a santo -Stefano, e ’l Castello perugino, tenendosi mal contenti de’ Perugini, -anche si rubellarono da loro. - - -CAP. XLIII. - -_Come i Perugini arsono intorno al Borgo e sconfissono de’ nimici._ - -I Perugini avendo perduta la speranza di soccorrere le rocche, -cavalcarono al Borgo, e arsonlo intorno guastando tutte le possessioni, -e già messer Piero e ’l conte Pallavicino non ebbono ardire d’uscire -della terra contro a loro: e fatto il guasto, si tornarono alla Città -di Castello. Messer Piero preso suo tempo, con tutta la cavalleria -ch’avea nel Borgo cavalcò fino alle porti della Città di Castello: i -cavalieri che v’erano dentro de’ Perugini, e singolarmente quelli de’ -Fiorentini, ch’erano buona gente d’arme e bene montati, uscirono fuori -perchè i nimici aveano a fare lunga ritratta, e seguitando i nimici -quasi a mezzo il cammino, s’abbatterono in un grosso aguato: e ivi -cominciò l’assalto aspro e forte, ove s’accolse la maggiore parte della -gente di catuna parte senza fanti a piede; e ivi dando e ricevendo -si fece aspra battaglia, e durò lungamente, perocchè catuno voleva -mantenere l’onore del campo; e non avendo pedoni che l’impedissono, -feciono i buoni cavalieri grande punga, e in fine per virtù di certi -conestabili della masnada de’ Fiorentini, ristringendosi insieme, con -impetuoso assalto ruppono la cavalleria di messer Piero, e a forza in -isconfitta gli cacciarono del campo, e rimasono morti sessanta de’ loro -cavalieri in sul campo e più cavalli, e presi sei de’ loro conestabili -da’ cavalieri de’ Fiorentini, e messer Manfredi de’ Pazzi di Valdarno, -e più altri cavalieri tedeschi e borgognoni, a’ quali tolsono l’arme e’ -cavalli secondo l’usanza, e lasciaronli alla fede: e questo fu del mese -di dicembre del detto anno. - - -CAP. XLIV. - -_D’una cometa ch’apparve in oriente._ - -In questo anno 1351, del detto mese di dicembre, si vide in prima in -cielo a noi verso levante una cometa, la quale per li più fu giudicata -Nigra, la quale è di natura saturnina. Il suo apparimento fu a noi -all’uscita del segno del Cancro, e alcuni dissono ch’ella entrò nel -Leone: ma innanzi che per noi si vedesse fuori del Cancro, fu fuori del -verno, sicchè approssimandosi il Sole al Cancro se ne perdè la vista. -Alcuni pronosticarono morte di grandi signori, ovvero per decollazione, -e avvenimento di signorie. Noi stemmo quell’anno a vedere le novità che -più singolari e grandi apparissono onde avere potessimo novelle, e in -Italia e nel patriarcato d’Aquilea furono molte dicollazioni di grandi -terrieri e cittadini, che lungo sarebbe a riducere qui i singulari -tagliamenti. E mortalità di comune morte in questo anno non avvenne: ma -per la guerra de’ Genovesi, e Veneziani e Catalani avvennono naufragii -grandi, e mortalità di ferro grandissima in quelle genti e ne’ loro -seguaci, e per i difetti sostenuti in mare non meno ne morirono -tornando che combattendo. Avvenne in Italia singolare accidente al -grano, vino e olio e frutti degli alberi, che essendo ogni cosa in -speranza di grande ubertà, subitamente del mese di luglio si mosse una -sformata tempesta di vento, che tutti gli alberi pericolò de’ loro -frutti, e i grani e le biade ch’erano mature battè e mise per terra -con smisurato danno. Dappoi a pochi dì fu il caldo sì disordinato, che -tutte le biade verdi inaridì e seccò. Per questo accidente avvenne, -che dove s’aspettava ricolta fertile e ubertosa, fu generalmente per -tutta Italia arida e cattiva. E avvennono in questi anni singulari -diluvi d’acque, che feciono in molte parti gran danni, e gittò per -tutta Italia generale carestia di pane e sformata di vino. In questo -medesimo mese di dicembre apparve la mattina anzi giorno, a dì 17, un -grande bordone di fuoco, il quale corse di verso tramontana in mezzodì. -E in questo medesimo anno all’entrare di dicembre morì papa Clemente -sesto, e alcuno de’ cardinali. Al nostro lieve intendimento basta di -questi segni del cielo e delle cose occorse averne raccontato parte, -lasciando agli astrolaghi l’influenza di quello che s’appartiene alla -loro scienza, e noi ritorneremo alla più rozza materia. - - -CAP. XLV. - -_Come fu preso il castello della Badia de’ Perugini, e come si -racquistò._ - -Essendo i Perugini imbrigati nelle rubellioni delle loro terre per -gli assalti de’ loro vicini, con la forza dell’arcivescovo di Milano, -la quale di prima, come addietro narrammo, nel tempo che si cercò -di fare lega con la Chiesa e co’ Lombardi, dicevano che non si potea -stendere a loro, due conestabili di fanti a piè cittadini sbanditi di -Firenze, partendosi dal soldo del tiranno d’Agobbio co’ loro compagni, -di furto entrarono nel castello della Badia, grosso castello, il quale -era de’ Perugini, e cominciarono a correre e predare le villate vicine -con l’aiuto di Giovanni di Cantuccio signore d’Agobbio. I Perugini vi -mandaro certe masnade di cavalieri che aveano di Fiorentini e altra -gente a piè: costoro vi si puosono a oste del mese di gennaio. Giovanni -di Cantuccio con la cavalleria ch’avea dell’arcivescovo di Milano -e co’ suoi fanti a piè, essendo tre cotanti di cavalieri e di fanti -che quelli de’ Perugini, andarono per levarli da campo e fornire il -castello. Un conestabile tedesco delle masnade de’ Fiorentini valente -cavaliere, ch’avea nome M... si fece incontro a’ nimici a un ponte onde -conveniva ch’e’ nimici venissono, e francamente li ritenne, tanto che -l’altra cavalleria de’ Perugini ch’era alla Città di Castello venne -al soccorso del passo: e giunti, valicarono il ponte, e per forza -cacciarono l’oste di Giovanni di Cantuccio in rotta, e presono cento e -più de’ cavalieri del Biscione: e tornati al castello, i masnadieri che -’l teneano, vedendosi fuori di speranza di avere soccorso, il renderono -a’ Perugini, salvo le persone e l’arme, a dì 6 del detto mese di -gennaio. - - -CAP. XLVI. - -_Come i Fiorentini cercarono lega co’ comuni di Toscana, e accrebbono -loro entrata._ - -Temendo il comune di Firenze la gran potenza del signore di Milano, -fornito della compagnia de’ ghibellini d’Italia, con suoi ambasciadori -smosse i Perugini Sanesi e Aretini a parlamento alla città di Siena, -del mese di dicembre del detto anno, e ivi composono lega e compagnia -di tremila cavalieri e di mille masnadieri, contra qualunque volesse -fare guerra a’ detti comuni o ad alcuno di quelli; e incontanente il -comune di Firenze si fornì di cavalieri e di masnadieri di più assai -che in parte della lega non li toccava. E per avere l’entrata ordinata -a mantenere la spesa elessono venti cittadini, con balìa a crescere -l’entrata e le rendite del comune, i quali commutarono il disutile -e dannoso servigio de’ contadini personale in danari, compensandoli -che pagassono per servigio di cinque pedoni per centinaio del loro -estimo per rinnovata dell’anno, a soldi dieci il dì per fante: e -questo pagassono in tre paghe l’anno, e fossono liberi dell’antico -servigio personale: o quando per necessità occorresse il bisogno del -servigio personale, scontassono di questo. E questa entrata secondo -l’estimo nuovo montò l’anno cinquantaduemila fiorini d’oro, e fu grande -contentamento de’ condannati. E a’ cherici ordinarono certa taglia -per aiuto e guardia e alla difesa della città e del contado, la quale -stribuirono e raccolsono i loro prelati, e montò fiorini ... d’oro; e -raddoppiarono e crebbono più gabelle, per le quali entrate il comune -potè spendere l’anno trecentosessantamila fiorini d’oro. E oltre a ciò -ordinarono e distribuirono tra’ cittadini la gabella de’ fumanti, la -quale nel fatto fu per modo di sega, che catuno capo di famiglia fu -tassato in certi danari il dì per modo, che raccogliendosi il numero -montava fiorini d’oro centoquaranta il dì: poi per ogni danaro che -l’uomo avea di sega, fu recato in estimo di soldi trenta; e questa -gabella montava l’anno fiorini cinquantamila d’oro: e quando il comune -aveva necessità, riscoteva questa gabella per avere i danari presti, -e assegnavali alla restituzione di certe gabelle. Per queste sformate -gravezze, avendo carestia generale delle cose da vivere, era la città -e il contado in assai disagio, forse meritevolmente per la dissoluta -vita, e’ disordinati e non leciti guadagni de’ suoi cittadini. - - -CAP. XLVII. - -_Come i Romani feciono rettore del popolo._ - -In questo anno essendo per lo corso stato a Roma del general -perdono arricchito il popolo, i loro principi e gli altri gentilotti -cominciarono a ricettare i malandrini nelle loro tenute, che facevano -assai di male, rubando, e uccidendo, e conturbando tutto il paese. -Senatore fu fatto Giordano dal Monte degli Orsini, il quale reggeva -l’uficio con poco contentamento de’ Romani. E per questa cagione gli -fu mossa guerra a un suo castello, per la quale abbandonò il senato. -Il vicario del papa ch’era in Roma, messer Ponzo di Perotto vescovo -d’Orvieto, uomo di grande autorità, vedendo abbandonato il senato, -con la famiglia che aveva, in nome del papa entrò in Campidoglio per -guardare, tanto che la Chiesa provvedesse di senatore. Iacopo Savelli -della parte di quelli della Colonna accolse gente d’arme, e per forza -entrò in Campidoglio e trassene il vicario del papa, e Stefano della -Colonna occupò la torre del conte, e la città rimase senza governatore, -e catuno facea male a suo senno perocchè non v’era luogo di giustizia. -E per questo il popolo era in male stato, la città dentro piena di -malfattori, e fuori per tutto si rubava. I forestieri e i romei erano -in terra di Roma come le pecore tra’ lupi: ogni cosa in rapina e in -preda. A’ buoni uomini del popolo pareva stare male, ma l’uno s’era -accomandato all’una parte, e l’altro all’altra di loro maggiori, e però -i pensieri di mettervi consiglio erano prima rotti che cominciati: -e la cosa procedeva di male in peggio di dì in dì. Ultimamente non -trovando altro modo come a consiglio il popolo si potesse radunare, -il dì dopo la natività di Cristo, per consuetudine d’una compagnia -degli accomandati di Madonna santa Maria, s’accolsono avvisatamente -molti buoni popolani in santa Maria Maggiore, e ivi consigliarono di -volere avere capo di popolo: e di concordia in quello stante elessono -Giovanni Cerroni antico popolare de’ Cerroni di Roma, uomo pieno d’età, -e famoso di buona vita. E così fatto, tutti insieme uscirono della -chiesa e andarono per lui, e smosso parte del popolo, il menarono -al Campidoglio ov’era Luca Savelli. Il quale vedendo questo subito -movimento non ebbe ardire di contastare il popolo, ma dimandò di loro -volere: ed e’ dissono che voleano Campidoglio, il quale liberamente -diè loro; ed entrati dentro sonarono la campana: il popolo trasse al -Campidoglio d’ogni parte della città senza arme, e i principi con le -loro famiglie armati, ed essendo là, domandarono la cagione di questo -movimento e quello che ’l popolo volea: il popolo d’una voce risposono -che voleano Giovanni Cerroni per rettore, con piena balía di reggere -e governare in giustizia il popolo e comune di Roma. E consentendo -i principi all’ordinazione del popolo, di comune volontà fu fatto -rettore; e mandato per lo vicario del papa che lo confermasse, come -savio e discreto volle che prima giurasse la fede a santa Chiesa, e -d’ubbidire i comandamenti del papa, e ricevuto di volontà del popolo -il saramento dal rettore, il confermò per quell’autorità che aveva: e -tutto fu fatto in quella mattina di santo Stefano, innanzi ch’e’ Romani -andassono a desinare. E lasciato il rettore in Campidoglio, catuno si -tornò a casa con assai allegrezza di quello ch’era loro venuto fatto -così prosperamente. - - -CAP. XLVIII. - -_Di una lettera fu trovata in concistoro di papa._ - -Essendo per lo papa e per i cardinali molto tratto innanzi il processo -contro al’arcivescovo di Milano, una lettera fu trovata in concistoro, -la quale non si potè sapere chi la vi recasse, ma uno de’ cardinali -la si lasciò cadere avvisatamente in occulto: la lettera venne alle -mani del papa, e la fece leggere in concistoro. La lettera era d’alto -dittato, simulata da parte del principe delle tenebre al suo vicario -papa Clemente e a’ suoi consiglieri cardinali: ricordando i privati e -comuni peccati di catuno, ne’ quali li commendava altamente nel suo -cospetto, e confortavali in quelle operazioni, acciocchè pienamente -meritassono la grazia del suo regno: avvilendo e vituperando la vita -povera e la dottrina apostolica, la quale come suoi fedeli vicari -eglino aveano in odio e ripugnavano, ma non ferventemente ne’ loro -ammaestramenti come nell’opere, per la qual cosa li riprendeva e -ammoniva che se ne correggessono, acciocchè li ponesse per loro -merito in maggiore stato nel suo regno. La lettera toccò molto e bene -i vizi de’ nostri pastori di santa Chiesa, e per questo molte copie -se ne sparsono tra’ cristiani. Per molti fu tenuto fosse operazione -dell’arcivescovo di Milano allora ribello di santa Chiesa, potentissimo -tiranno, acciocchè manifestati i vizi de’ pastori si dovessono più -tollerare i suoi difetti, manifesti a tutti i cristiani. Ma il papa -e i cardinali poco se ne curarono, come per innanzi l’operazioni si -dimostreranno. - - -CAP. XLIX. - -_Come il re d’Inghilterra essendo in tregua col re di Francia acquistò -la contea di Guinisi._ - -Avvenne in questo anno, che un Inghilese prigione nella forte rocca -di Guinisi, la quale era del re di Francia, essendo per ricomperarsi, -avea larghezza d’andare per la rocca, e così andando, provvide l’ordine -delle guardie e l’altezza d’alcuna parte della rocca ond’ella si -potesse furare. E pagati i danari della sua taglia, fu lasciato; e -trovatosi con alquanti sergenti d’arme, suoi confidenti, disse ove -potesse avere il loro aiuto gli farebbe ricchi. E presa fede da loro -manifestò come intendea furare la rocca di Guinisi, e avea provveduto -come fare il poteva, i quali arditi e volonterosi di guadagnare -promisono il servigio: ed essendo tra tutti cinquanta sergenti bene -armati, avendo scale fatte alla misura del primo procinto, una notte in -su l’ora che l’Inghilese sapea che la guardia della mastra fortezza vi -si rinchiudea dentro, condotte le scale al muro chetamente montarono -sopra il primo procinto: e sorprese le guardie, per non lasciarsi -uccidere si lasciarono legare, e così legati gli faceano rispondere -all’altre guardie della rocca. Quando venne in sul fare del dì -gl’Inghilesi feciono alle guardie muovere riotta, e fare romore tra -loro in modo di mischia. Il castellano sentendo questo tra le guardie, -mostrando non avere sospetto scese della rocca, e aprendo l’uscio per -venire a correggere le guardie, gl’Inghilesi apparecchiati nell’aguato, -immantinente con l’armi ignude in mano furono sopra lui, e presono -l’uscio ed entrarono nella rocca, e presono il castello e le guardie. -E incontanente mandarono al re d’Inghilterra come aveano presa la -forte rocca di Guinisi, la quale il re molto desiderava. E di presente -vi mandò gente d’arme e fecela prendere e guardare, e commendata -la valenza e l’industria del suo fedele e degli altri scudieri fece -loro onore e provvidegli magnificamente. E per questa rocca fu il re -d’Inghilterra in tutto signore della contea di Guinisi, e il re di -Francia forte conturbato. E avvegnachè questa presura andasse per la -forma che è detto, e’ si trovò poi che il castellano avea consentito -al tradimento, e tornato di prigione, essendo lasciato, in Francia fu -squartato. - - -CAP. L. - -_Il piato fu in corte tra’ due re per la contea di Guinisi._ - -Essendo furata la contea di Guinisi al re di Francia sotto la -confidanza delle triegue, trasse in giudicio il re d’Inghilterra a -corte di Roma per suoi ambasciadori, dicendo che sotto la fede delle -triegue prestata il re d’Inghilterra gli avea tolto per furto la rocca, -e la contea occupata per forza. Per la parte del re d’Inghilterra fu -risposto, che avendo per suo prigione il conte di Guinisi conestabile -di Francia preso in battaglia, e dovendosi riscattare per lo patto -fatto della sua taglia scudi ottantamila d’oro, o in luogo di danari -la detta contea di Guinisi, e lasciato alla fede acciocchè procacciare -potesse la moneta, il re di Francia appellandolo traditore, per non -averlo a ricomperare, o acconsentirgli la contea di Guinisi il fece -dicollare: e così contro a giustizia privò il re d’Inghilterra delle -sue ragioni, le quali giustamente avea racquistate. La quistione fu -grande in concistoro, e pendeva la causa in favore del re di Francia, -e però innanzi che sentenza se ne desse, il re fece restituire la terra -di Guinisi a quell’Inghilese che data glie l’avea; e seguendo la morte -di papa Clemente non ne seguì altra sentenza. - - -CAP. LI. - -_Come l’arcivescovo di Milano ragunò i suoi soldati per rifare guerra -a’ Fiorentini._ - -In questo tempo del verno, avendo l’arcivescovo di Milano fatte -rivedere e rassegnare le sue masnade tornate da Firenze, trovò ch’aveva -a fare ammenda di bene milledugento cavalli. E turbato forte nel suo -furore, propose di fare al primo tempo maggiore e più aspra guerra -a’ Fiorentini. E trovando che avea consumato senza acquisto grande -tesoro, volendolo rifare senza mancare la sua generale entrata, fece -nuova colta in Milano e in tutte le sue terre per sì grave modo, che -tutti i mercatanti si ritrassono delle loro mercatanzie nelle sue -terre: nondimeno a catuno convenne portare la soma che gli fu imposta; -per la quale gravezza accrebbe cinquecento migliaia di fiorini d’oro -sopra le sue rendite ordinarie in piccolo tempo. In queste oppressioni -molti parlavano biasimando l’impresa contro al comune di Firenze, e -rimproveravano quello che avea fatto loro il vile castelletto della -Scarperia per provvisione del comune di Firenze, essendovi intorno la -forza de’ Lombardi e de’ ghibellini di Toscana. E in tra gli altri -un cavaliere bresciano di grande età, amico e fedele alla casa de’ -Visconti, biasimò l’impresa, dicendo semplicemente il vero, come -aveva ricordo di lungo tempo, che qualunque signore avea impreso -di far guerra al comune di Firenze n’era mal capitato, però per -amore che aveva al suo signore non lodava l’impresa. Le parole del -cavaliere furono rapportate all’arcivescovo; il tiranno inacerbito, -non considerando la fede dell’antico cavaliere, seguitando l’impetuoso -furore del suo animo, mandò per lui. E venuto nella sua presenza, il -domandò s’egli aveva usate quelle parole. Il cavaliere disse, che dette -l’avea per grande amore e fede ch’avea alla sua signoria, ricordandosi -dell’imperadore Arrigo, e dell’impresa di messer Cane della Scala e -degli altri che non erano bene capitati. Il tiranno infiammato nel -suo disordinato appetito, di presente fece armare un suo conestibile -con la sua masnada, e accomandogli il cavaliere, e disse il rimenasse -in Brescia, e in su l’uscio della sua casa gli facesse tagliare la -testa, e così fu fatto. Costui per la sua fede degno di premio e per -l’utile consiglio ricevette pena, la quale soddisfece colla sua testa -all’appetito del turbato tiranno. - - -CAP. LII. - -_Come i Fiorentini, e’ Perugini, e’ Sanesi mandarono ambasciadori a -corte._ - -Stando le città di Toscana in gran tema di futura guerra, i comuni -della lega di parte guelfa mandarono al papa e a’ cardinali solenne -ambasciata, a inducere la Chiesa contro alla grande tirannia -dell’arcivescovo di Milano per aggravare il processo che contro a lui -si faceva, e procurare l’aiuto e il favore di santa Chiesa alla loro -difesa. Gli ambasciadori furono ricevuti dal papa e da’ cardinali -graziosamente. Ma innanzi che questi ambasciadori fossono a corte, -l’arcivescovo v’avea mandati i suoi, per riconciliarsi colla Chiesa, e -fare annullare il processo fatto contro a lui per l’impresa di Bologna, -i quali ambasciadori erano forniti di molti danari contanti per -spendere e donare largamente; e facendolo con molta larghezza aveano -il favore del re di Francia, che faceva parlare per lui, e quello di -molti cardinali, e de’ parenti del papa e della contessa di Torenna, -per cui il papa si movea molto alle gran cose. E il papa medesimo avea -già l’ingiuria fatta a santa Chiesa per l’arcivescovo della tolta di -Bologna temperata, ed era disposto a prendere accordo coll’arcivescovo: -e per questo fu molto più contento della venuta degli ambasciadori -de’ tre comuni di Toscana, credendo fare l’accordo dell’arcivescovo di -loro volontà; perocchè nel primo parlamento disse agli ambasciadori: -eleggete delle tre cose che io vi proporrò l’una, quale più vi piace, o -volete pace coll’arcivescovo, o volete lega colla Chiesa, o volete la -venuta dell’imperadore in Italia per vostra difesa. L’offerte furono -larghe per conchiudere alla pace che parea più abile e migliore. Gli -ambasciadori savi e discreti di concordia rimisono la detta elezione -nel papa, a fine di farlo più pensare nel fatto dandoli gravezza, -dimostrando grande confidanza nella deliberazione. E così cominciata -la cosa a praticare ebbono tempo e cagione gli ambasciadori d’avvisare -i loro comuni, e in questo si soggiornò la maggior parte del verno -senza uscirne alcun frutto. Lasceremo alquanto gli ambasciadori e ’l -processo del papa, e torneremo agli altri fatti che occorsono in questo -soggiorno, rendendo a catuno suo diritto. - - -CAP. LIII. - -_Come l’ammiraglio di Damasco fece novità a’ cristiani._ - -In questo tempo l’ammiraglio del soldano che reggeva la gran città di -Damasco si pensò di trarre un gran tesoro da’ cristiani di Damasco per -sua malizia, e una notte fece segretamente mettere fuoco in due parti -della città, il quale fece in Damasco grave danno. Spento il fuoco, -l’ammiraglio fece apporre che questo era stato avvistatamente messo -pe’ cristiani, e richiese i più ricchi cristiani della città, che ve -n’avea assai, e feceli martoriare, e per martorio confessarono che -fatto l’aveano a fine di cacciare i saracini: e coloro che di questo -pericolo vollono campare la vita gli dierono danari assai; e tanti -furono coloro che si ricomperarono, che l’ammiraglio ne trasse gran -tesoro: agli altri diede partito o che rinnegassono la fede di Cristo -o che morissono in croce. Una gran parte di loro per corrotta fede -rinnegò per campare; rimasonne ventidue, i quali diliberarono di morire -in croce, innanzi che la perfetta fede di Cristo volessono rinnegare. E -però il crudele ammiraglio li fece mettere in sulle croci, e ordinolli -in suso i cammelli che li conducessono per la terra, e in questo -tormento vivettono tre dì. Ed era menato il padre crocifisso innanzi -al figliuolo, e il figliuolo innanzi al padre rinnegato; e i rinnegati -con pianto e con preghiere pregavano i crocifissi che volessono campare -la crudele morte e tornare alla fede di Maometto; ma i costanti -fedeli, il padre spregiava il figliuolo rinnegato, dicendo che non -era suo figliuolo, e il figliuolo il padre rinnegato, dicendo che non -era suo padre, ma del nimico che ’l volea tentare e torli i beni di -vita eterna: e molto biasimavano a’ rinnegati la loro incostanza per -la paura della pena temporale, dicendo che a loro era diletto e gran -grazia potere seguitare Cristo loro redentore. E così consumate le -loro temporali vite in grave tormento e in grandissima costanza, nella -veduta per tre dì de’ saracini e de’ cristiani, renderono l’anime -a Dio. Il soldano sentì il movimento reo del suo ammiraglio, mandò -incontanente per lui, e fecelo tagliare per mezzo. - - -CAP. LIV. - -_Come i Fiorentini disfeciono terre di Mugello._ - -In questo medesimo tempo, di verno, i Fiorentini mandarono certi loro -cittadini per lo contado a provvedere le loro castella e terre, a fine -di afforzare le parti deboli, e fornire le terre di ciò ch’alla difesa -mancasse per averle guernite, sopravvenendo la guerra che s’aspettava -del Biscione. Avvenne, come è usanza del nostro comune, acciocchè il -buon consiglio non fosse senza difetto di singolare ovvero cittadinesco -odio, che nel Mugello furono per loro fatte disfare alquante tenute -forti e utili alla difesa di quello contado per modo, che dove state -non vi fossono, era utile consiglio a porlevi di nuovo. E feciono -abbattere Barberino, Latera, Gagliano e Marcoiano, ch’erano al Mugello -mura contra i nimici di verso Montecarelli, e di Montevivagni e delle -terre degli Ubaldini, ove in que’ tempi si faceva capo pe’ nimici -a fare guerra al nostro comune, le quali tenute con piccola spesa -d’afforzamento erano gran sicurtà a tutto il Mugello, per le cui -rovine s’accrebbe campo a’ nimici senza contasto di più di sei miglia -di nostro contado, il quale tutto s’abbandonò, a danno e vergogna del -nostro comune. Riprensione comune ne seguitò a coloro che così mala -provvisione feciono, altro gastigamento no, per la corrotta usanza -del comune di Firenze di non punire le cose mal fatte, nè meritare le -buone. - - -CAP. LV. - -_Come la Scarperia fu furata e racquistata._ - -Facendo il comune di Firenze con molta sollecitudine afforzare il -castello della Scarperia di grandi fossi e di forti palancati, il -tiranno e gli Ubaldini con ogni sottigliezza d’inganno tentavano di -procacciare ridotto nel Mugello, e sopra tutto di levarsi l’onta della -Scarperia, e continovo cercavano come la potessono furare: per la qual -cosa corruppono più loro fedeli mandandoli per essere manovali, come -se fossono Mugellesi, e alcuno maestro. E messi al lavorio del votare -il fosso, del quale si portava la terra al palancato per alzare la -parte dentro, costoro provvidono la via onde la terra si portava: e -segretamente tra le due terre segarono alcuni legni del palancato, e -dierono la posta agli Ubaldini: i quali di presente feciono scendere -gente a cavallo e a piè a Montecarelli, e alla Sambuca, e a Pietramala, -e nell’alpe e nel Podere, per dare diversi riguardi a’ Fiorentini, e -seppono come pochi dì innanzi i soldati che guardavano la Scarperia -aveano fatto mischia co’ terrazzani, e mortine parecchi, onde tra’ -terrazzani e’ forestieri era sconfidanza grande. La notte che ordinata -fu a questo servigio scesono dell’alpe e da Montecarelli nel piano -di Mugello duemilacinquecento fanti, e quattro bandiere di cento -cavalieri a guida degli Ubaldini. Costoro elessono dugentocinquanta -i più pregiati briganti di tutta quella gente con dieci bandiere, e -conestabili molto famosi d’arme, e lasciati gli altri fanti e cavalieri -riposti ivi presso per loro soccorso, chetamente guidati per la via -provveduta del fosso dalla parte di Sant’Agata, e senza esser sentiti, -entrarono tutti nella Scarperia a dì 17 di gennaio del detto anno: -e stretti insieme si condussono in su la piazza, gridando, muoiano i -forestieri, e vivano i terrazzani. E in quella notte non avea nella -Scarperia tra forestieri e terrazzani centocinquanta uomini d’arme, -sicchè al tutto n’erano signori i nimici. Sentendo questo romore -nella scurità della notte i soldati forestieri, credettono che i -terrazzani li volessono offendere, e non ardivano d’uscire delle -case, e i terrazzani temeano de’ soldati, pensando che fosse in su -la piazza inganno, e non voleano uscire fuori, e così i nimici non -aveano contasto; e dove Iddio per singolar grazia non avesse liberato -quella terra, senza speranza di soccorso umano era perduta. Ma la -volontà di Dio fu, che la grande potenza del tiranno non avesse quello -ridotto a consumazione del nostro paese; onde a coloro ch’aveano presa -la terra, e che aveano presso a un miglio tutta la loro gente tolse -l’accorgimento, che non lasciassono guardia al passo ond’erano entrati, -e non feciono il segno ordinato a quelli di fuori; e diede Iddio -baldanza manifesta a que’ d’entro e accorgimento, perocchè per la vista -scura i terrazzani conobbono all’insegne che coloro dalla piazza erano -nemici: e incontanente assicurarono i conestabili de’ forestieri che -v’erano, per paura che quella gente nè quelle grida non erano per loro -fattura, ma de’ nimici ch’erano nella terra. Come i valenti masnadieri -sentirono la verità del fatto, ragunati insieme meno di cinquanta tra -terrazzani e forestieri, gridando alla morte alla morte, sì fedirono -tra’ nimici, che lungamente erano stati ammassati in su la piazza, e -nel primo assalto senza fare resistenza li ruppono, cacciandoli come -se fossono stati altrettanti montoni; e senza attendere l’uno l’altro, -affrettando d’uscire per lo luogo stretto ond’erano entrati, e’ cadeano -nel fosso, e voltolavansi per quelle ripe. Que’ d’entro erano pochi, e -però non ve ne poterono uccidere più di cinque, e dodici ne ritennono -a prigioni, tra’ quali furono conestabili di pregio, che ’l signore -avrebbe ricomperati molti danari, ma tutti furono impiccati. Que’ di -fuori che attendeano il segno per entrare dentro sentendo la tornata -in rotta, senza attendere il giorno chiaro, innanzi che la novella si -spandesse per il Mugello, si ricolsono nell’alpe a salvamento; e così -in una notte fu presa e liberata la Scarperia con dubbia e maravigliosa -fortuna. - - -CAP. LVI. - -_Come messer Piero Sacconi cavalcò con mille barbute infino in su le -porte di Perugia._ - -Del mese di febbraio del detto anno, cresciuta gente d’arme a messer -Piero Sacconi de’ Tarlati dall’arcivescovo di Milano, trovandosi -baldanzoso per la presa del Borgo a san Sepolcro e delle terre vicine, -e trovando i signori di Cortona ch’aveano rotta pace a’ Perugini, ed -eransi collegati col Biscione, se n’andò a Cortona con mille cavalieri, -e da’ Cortonesi ebbono il mercato e gente d’arme, con la quale cavalcò -sopra il contado di Perugia, ardendo e predando le ville d’intorno -al lago; e per forza presono Vagliano e arsonlo, e combatterono -Castiglione del Lago e non lo poterono avere; e partiti di là se -n’andarono fino presso a Perugia facendo grandissimi danni. E non -essendo i Perugini in concio da potere riparare a’ nemici, fatta grande -preda, senza contasto si ritornarono a Cortona sani e salvi, e di là -al Borgo a san Sepolcro, onde partirono e venderono la loro preda. -Per questa cagione grande sdegno presono i Perugini contro a’ signori -di Cortona, ma la baldanza dell’arcivescovo gli aveva sì gonfiati di -superbia, che non si curavano rompere pace nè fare ingiuria a’ loro -vicini, per la qual cosa poco appresso ricevettono quello che aveano -meritato per la loro follia, come ne’ suoi tempi racconteremo. - - -CAP. LVII. - -_Come i Chiaravallesi di Todi vollono ribellare la terra e furono -cacciati._ - -Questa sfrenata baldanza de’ ghibellini di Toscana e della Marca per la -forza del Biscione facea gravi movimenti, tra’ quali, mentre che messer -Piero Sacconi guastava e predava il contado di Perugia, i Chiaravallesi -grandi cittadini di Todi, d’animo ghibellino, feciono venire il -prefetto di Vico con trecento cavalieri subitamente per metterlo in -Todi, e cacciarne i caporali guelfi che s’intendeano co’ Perugini; ed -essendo il prefetto con la detta cavalleria già presso alla città di -Todi, il popolo e’ guelfi scoperto il trattato de’ Chiaravallesi, di -subito presono l’arme e corsono sopra i traditori: i quali essendosi -più fidati alla venuta del prefetto che provveduti d’aiuto dentro -all’assalto del popolo, non ebbono forza a ributtarlo, ma francamente -sostennono la battaglia, consumando il rimanente del dì nella loro -difensione. I Perugini che tosto sentirono la novella vi cavalcarono -prestamente, sicchè la notte furono alla porta. Il popolo per metterli -nella terra spezzarono una porta, che già non erano signori d’aprirla, -ed entrati i Perugini in Todi, e fatto giorno, i Chiaravallesi furono -costretti d’uscire della città co’ loro seguaci, e fuggendo trovarono -assai di presso il prefetto colla sua gente che veniva a loro stanza, i -quali co’ cacciati insieme vituperosamente si tornarono indietro, e la -città rimase a più fermo stato di popolo e di parte guelfa col favore -de’ Perugini in suo riposo. - - -CAP. LVIII. - -_Come que’ da Ricasoli rubellarono Vertine a’ Fiorentini._ - -Era in questi dì questione non piccola tra’ consorti della casa da -Ricasoli per cagione della pieve di san Polo di Chianti, che essendo -il piovano in decrepita età ammalato, temendo i figliuoli d’Arrigo e -il Roba da Ricasoli, che per maggioranza dello stato messer Bindaccio -da Ricasoli e’ figliuoli non occupassono la detta pieve, pervennono -ad accuparla contro la riformagione del comune di Firenze, onde -furono condannati nella persona a condizione; il Roba ubbidì, e fu -prosciolto: i figliuoli d’Arrigo, avvegnachè restituissono al comune -la possessione, non essendo loro attenuto quello che però fu loro -promesso dal comune, rimasono in bando; e sdegnati di questa ingiuria, -sapendo che molta roba de’ loro consorti era ridotta nel castello di -Vertine, accolsono centocinquanta fanti masnadieri, ed entrarono nel -castello, che non si guardava, e di presente l’afforzarono: e corsono -per le villate d’attorno, e misono nel castello molta roba, e gli -abituri e case de’ loro consorti arsono e guastarono. Il comune di -Firenze vi feciono cavalcare il podestà con certe masnade di cavalieri -e di pedoni, stimando che contro al comune non facessono resistenza: -ma i giovani trovandosi in luogo forte e bene guerniti, e la forza del -Biscione di presso, di cui il comune forte temeva, e favoreggiati da -Giovanni d’Ottolino Bottoni de’ Salimbeni di Siena, pensarono di tenere -il castello per forza, tanto che il comune di Firenze per riaverlo -farebbono la loro volontà: e però si misono a ribellione. E alla loro -follia aggiunse il tempo aiuto, che all’entrata di febbraio caddono -nevi grandissime l’una dopo l’altra, che stettono sopra la terra oltre -all’usato modo tutto il detto mese per tale maniera, che tale era a -cavalcare il contado di Firenze come le più serrate alpi. Lasceremo -Vertine tra le nevi nella sua ribellione, traendoci altra maggiore -materia in prima a raccontare. - - -CAP. LIX. - -_Come i Veneziani e’ Catalani furono sconfitti in Romania da’ Genovesi._ - -Avendo in parte narrato lo sboglientamento delle guerre e delle -seduzioni italiane, benchè ci partiamo del paese, ci accade a -raccontare le marine battaglie che gl’Italiani medesimi feciono in -Romania tra loro. Era l’armata de’ Genovesi di sessantaquattro galee -presso a Pera sopra il passo di Turchia, e ivi stavano per riguardo -che l’armata de’ Veneziani e Catalani non passassono in Costantinopoli, -acciocchè non si aggiugnessono forza dall’imperadore ch’era in lega con -loro. I Veneziani e’ Catalani avendo soggiornato gran parte del verno -a Modone e Corone in Turchia, e riparate loro galee, si trovarono con -sessantasette galee bene armate, e con aiuto di molti legni e barche -armate di loro sudditi e di certi Turchi, avendo volontà d’essere a -Costantinopoli, dove s’accrescerebbe la loro forza e per mare e per -terra, senza attendere che il verno valicasse si misono a navicare -verso Costantinopoli, a intenzione di combattere co’ Genovesi se -impedire gli volessono. I Genovesi con le sessantaquattro galee armate, -avendo per ammiraglio messer Paganino Doria, e stando solleciti alla -guardia per attendere i loro nemici, mandarono a dì 7 di febbraio due -galee a Gallipoli per avere lingua di loro nemici, e quel dì trovarono -che l’armata de’ Veneziani e Catalani entravano all’isola de’ Principi. -Come i Genovesi ebbono questa novella si mossono per andare loro -incontro, e per forza d’impetuoso vento furono portati indietro al -porto di san Dimitrum verso Peschiera, dove stettono fino al lunedì, -a dì 13 di febbraio. E partiti di là con grande fatica, tornarono al -passo di Turchia. In questo mezzo tornarono le due galee con festa -ch’aveano seguita una galea de’ Veneziani e aveanla fatta dare in -terra, e campati gli uomini, la galea aveano arsa e profondata; allora -tutte le galee insieme si misono da capo per andare contro a’ nemici, -e poco avanzato di mare per lo contrario tempo, scopersono alla uscita -di Principi l’armata de’ Veneziani e Catalani che facevano la via verso -Grecia con grosso mare e molto vento in poppa. I Catalani e’ Veneziani -com’ebbono scoperti i loro nimici genovesi, si dirizzarono verso loro -colle vele piene per combattere, conoscendo il vantaggio che aveano -per l’aiuto del vento e del mare, e passare in Costantinopoli a loro -contradio. I Genovesi veggendosi venire addosso i nimici con le vele -piene si ristrinsono insieme sopra la Turchia, e ritennonsi da parte a -modo d’una schiera, per cessare e lasciare passare l’impeto de’ nimici, -temendo della percossa delle loro galee aiutate dalla forza del vento -e del mare. E come le galee veneziane e catalane passando vennono al -pari delle poppe delle galee de’ Genovesi, i Genovesi si sforzarono -per ingegni e per forza d’arme traversarne e ritenerne alcuna, ma non -ebbono podere, tanto era forte il corso di quelle. E così i Veneziani -e’ Catalani con le loro galee e co’ loro navili armati valicarono a -Valanca lasciandosi addietro l’armata de’ Genovesi, e aggiuntosi otto -galee armate di gente greca dell’imperadore di Costantinopoli, si -trovarono settantacinque galee e molti legni armati. Le sessantaquattro -galee de’ Genovesi per lo traversare che aveano voluto fare, avendo -i marosi e ’l vento contrario, erano scerrate e sparte, e vedendosi -disordinati, e con gli avversari passati, intendeano a raccogliersi -insieme senza seguire i nimici per riducersi nel porto di san -Dimitrum. I Veneziani e’ Catalani che si trovarono valicati per -forza, e accresciuta la loro potenza, vedendo che i Genovesi non -veniano verso di loro, e ch’aveano le galee sparte e male ordinate a -potere sostenere la battaglia, presono subitamente partito di tornare -loro addosso sperando avere piena vittoria. E dato il segno a tutta -l’oste, si dirizzarono per forza di remi, avendo il mare contradio, a -venire sopra le galee de’ Genovesi, le quali non erano ancora potute -raccogliersi insieme. Ma vedendo che tutto lo stuolo de’ Veneziani, e -Catalani e Greci erano rivolti per venire loro addosso, catuna parte -della loro armata, secondo che le galee genovesi si trovarono insieme, -non potendosi ristrignere nè raccozzarsi al loro ammiraglio, come -uomini di grande cuore e ardire s’ordinarono alla loro difesa, sempre -avendo riguardo e dando opera d’accostarsi al loro capitano, ma la -traversa del mare e la fortuna forte l’impediva. L’ammiraglio a tutte -le galee che avea appresso di se fece trarre l’ancore, e ritrarsi -alquanto fuori delle grosse maree, e dirizzossi contro a’ suoi nimici -con la sua galea grossa e con sette altre che avea in sua compagnia; -e date le prode contro a’ nimici, feciono testa. Il capitano delle -galee veneziane e quello delle catalane, con seguito di gran parte -della loro armata, si trassono innanzi, avendo contrario il mare, per -assalire i loro nimici. I Genovesi vedendoli venire, mandarono loro -incontro due delle loro galee sottili per assaggiarle con le loro -balestra, e cominciare lo stormo a modo di badalucco. Il capitano -de’ Catalani s’avanzò innanzi, e quello de’ Veneziani appresso, per -investire la galea dell’ammiraglio de’ Genovesi, ma trovandole serrate -e bene in concio, non le investirono, e non si afferrarono con loro, o -per codardia, o per maestria di tramezzare l’altre galee de’ Genovesi -innanzi che si raccogliessono al loro ammiraglio: ma dietro a loro tre -grosse de’ Veneziani si misono a combattere la galea dell’ammiraglio -di Genova, e l’altre galee contro quelle ch’erano in diverse parti del -mare; e cominciata da ogni parte l’aspra battaglia tra l’una armata -e l’altra, le due grosse de’ Veneziani si misono per proda e una per -banda a combattere la sopra galea dell’ammiraglio de’ Genovesi. Quivi -fu lunga e aspra e grande battaglia, perocchè d’ogni parte s’aggiunsono -galee a quello stormo, e quivi furono molti fediti e morti da catuna -parte; e valicato l’ora del vespero, per lo grande aiuto delle galee -de’ Genovesi che soccorsono il loro ammiraglio, le tre de’ Veneziani -che s’erano afferrate con quella rimasono sbarattate e prese; e -l’altre galee de’ Veneziani e Catalani, ch’erano passate e divise tra -l’ammiraglio e l’altre galee genovesi, combattendo in diverse parti -cacciarono delle galee de’ Genovesi: in prima dieci galee, che per -campare le persone diedono in terra verso sant’Agnolo, abbandonati i -corpi delle galee a’ nimici, morti e perduti assai de’ compagni, il -rimanente si fuggì a Pera; e dopo queste altre tre galee de’ Genovesi -fuggendo innanzi a’ Veneziani feciono il simigliante, e abbandonati i -corpi delle galee si fuggirono a Pera. I Veneziani e’ Catalani misono -fuoco in quelle galee, e tutte le profondarono; e oltre a queste altre -sei galee de’ Genovesi si fuggirono nel Mare maggiore per campare. -Dall’altra parte i Genovesi combattendo per forza d’arme delle galee -de’ Veneziani e Catalani e Greci in diversi abboccamenti, con grande -uccisione di catuna parte, ne vinsono e presono assai: ma però non -sapea l’uno dell’altro chi avesse il migliore. La tempesta del mare era -grande, e non lasciava riconoscere nè raccogliere insieme alcuna delle -parti. E avendo per questo modo disordinato e fortunoso combattuto -fino alla notte senza sapere chi avesse vinto o perduto, l’uno residuo -dell’armata e l’altro si ridussono a terra alle Colonne al porto di -Sanfoca; e dividendoli la notte, dilungata l’una parte dall’altra il -più che si potè, nel detto porto cercarono per quella notte alcuno -sollevamento dalle fatiche agli affannati corpi. - - -CAP. LX. - -_Di quello medesimo._ - -La mattina vegnente, a dì 14 di febbraio, i Veneziani, Catalani e Greci -che si conobbono essere maltrattati in quella battaglia da’ Genovesi, -innanzi che ’l sole alzasse sopra la terra, per paura che i Genovesi, -ravveduti del danno che aveano fatto loro, non li sorprendessono -in quel luogo, si partirono, e andarsene a un porto che si chiama -Trapenon, ch’è nella forza de’ Greci, ove poterono stare più sicuri. I -Genovesi venuto il giorno, ricercarono la loro armata, e trovarono meno -le tredici galee profondate, e le sei ch’erano andate fuggendo i nimici -nel Mare maggiore: e della loro gente si trovarono molto scemati, tra -morti e annegati e fuggiti. Dall’altra parte trovarono, che aveano -prese quattordici galee de’ Veneziani, e dieci de’ Catalani e due de’ -Greci, e allora conobbono che i nimici come rotti s’erano partiti e -fuggiti a Trapenon. E trovandosi avere morti di loro nimici intorno -di duemila, e presine milleottocento, ebbono certezza della loro poco -allegra vittoria, e incontanente de’ loro prigioni fediti e magagnati -lasciarono quattrocento, acciocchè non corrompessono la loro gente, e -per fare alcuna misericordia della loro vittoria. Ma tanto fu il loro -danno de’ morti e fediti, e d’avere perdute le loro galee, che della -detta vittoria non poterono far festa. Questa battaglia non ebbe ordine -nè modo, anzi fu avviluppata e sparta come la tempesta marina: e però -com’ella fu varia e non potuta bene cernere nè vedere, non l’abbiamo -potuta con più certo e chiaro ordine recitare. - - -CAP. LXI. - -_Come per le discordie de’ paesani la Sicilia era in grave stato._ - -Partendoci dalle battaglie fatte per gl’Italiani negli strani paesi, -ci occorre l’intestino male dell’isola di Sicilia: la quale non avendo -nemico strano, tanto mortalmente crebbe il furore delle loro parti, che -senza alcuna misericordia, come salvatiche fiere, ovunque s’abboccavano -s’uccidevano, per aguati, per tradimenti, e per furti di loro tenute -continovo adoperavano il fuoco e il ferro, onde molti gentiluomini, -e altre genti del paese perderono la materia delle paesane divisioni -per le loro violenti morti; e ancora per questo tanto si disusarono i -campi della cultura, tanto si consumarono i frutti ricolti, che l’isola -per addietro fontana d’ogni vittuaglia, per inopia e per fame faceva -le famiglie de’ suoi popoli in grande numero pellegrinare negli altri -paesi. E per partirci un poco da tanta crudele infamia, la seguente -ferina crudelezza, con vergogna degli uomini di quella lingua, sia -per ora termine a questa materia. Un Catalano, il quale teneva una -rocca nella Valle di... fece a’ suoi compagni tenere trattato col -conte di Ventimiglia, il quale avendo voglia d’avere quella rocca, -con troppa baldanzosa fidanza sotto il trattato entrò nel castello -con centoquattro compagni, benchè più ve ne credesse mettere: ma come -con questi fu dentro, per l’ordine preso pe’ traditori furono chiuse -le porti, e ’l conte e i compagni presi; e avendovi uomini i quali si -volevano ricomperare grande moneta, ed erano da riserbare per i casi -fortunevoli della guerra, tanto incrudelì l’animo feroce de’ Catalani, -che senza arresto spogliati ignudi i miseri prigioni, e legati colle -mani di dietro, l’uno dopo l’altro posto a’ merli della maggiore torre -della rocca, sopra uno dirupinato grandissimo furono dirupinati senza -niuna misericordia, lacerando i miseri corpi con l’impeto della loro -caduta a’ crudeli sassi. Il conte solo fu riserbato, non per movimento -d’alcuna umanità, ma per cupidigia di avere per la sua testa alcuno suo -castello vicino a’ crudi nemici. Chi crederebbe questa sevizia trovare -tra’ fieri popoli delle barbare nazioni, la quale tra i cristiani, tra -i consorti d’uno reame, tra i vicini passò le crudeltà de’ tigri, e la -fierezza de’ più salvatichi animali che la terra produca? E perocchè -trovare non si potrebbe maggiore, trapassiamo a un’altra di minore -numero, ma forse non di minore infamia. - - -CAP. LXII. - -_Come fu in Firenze tagliate le teste a più de’ Guazzalotri di Prato._ - -Avendo narrata la grande crudeltà de’ Catalani, un’altra sotto ombra -di non vera scusa, non senza biasimo dell’abbandonata mansuetudine -del nostro comune, ci s’offera a raccontare. I Guazzalotri di Prato, -come è detto addietro, innanzi che il comune il comperasse, usando la -tirannia di quello tirannescamente, ne furono abbattuti: per questo -l’animo di Iacopo di Zarino caporale di quella casa era mal contento, -avvegnachè assai onestamente sel comportasse. Avvenne che alquanti -cittadini di Firenze, animosi di setta, calunniarono lui e alquanti -cittadini di Firenze di trattato contro al comune, della qual cosa -convenne che in giudicio si scusassono, e non trovandosi colpevoli, fu -infamia a quella gente che quello aveano loro apposto, ed egli con gli -altri infamati furono prosciolti. Avvenne appresso, o per fuggire il -pericolo degl’infamatori, o per sdegno conceputo, andando per podestà a -Ferrara, fu ritenuto dal tiranno di Bologna e poi lasciato, rimanendo -per stadico il figliuolo; e tornato a Firenze, e preso sospetto di -lui, fu confinato a Montepulciano: i quali confini, qual che si fosse -la cagione, e’ non seppe comportare, e fece suo trattato col signore -di Bologna per ritornare in Prato; per la qual cosa venne a Vaiano in -Valdibisenzio, e fece richiedere de’ suoi amici, e da Siena vennono -lettere al comune di Firenze di questo fatto: per le quali il nostro -comune di presente vi mise gente d’arme alla guardia, per modo che -non se ne potea dottare. Nondimeno i cittadini che reggevano allora il -comune, animosi per setta, volendo aggravare l’infamia, in su la mezza -notte feciono chiamare delle letta e armare i cittadini, e trarre fuori -i gonfaloni, come se i nimici fossono alle porti, di che i reggenti -ne furono forte biasimati. Nondimeno seguendo loro intendimento, -aveano fatto venire da Prato tutti gli uomini di casa i Guazzalotri, -i quali per numero furono sette; e incontanente, come uomini guelfi -e innocenti, e che dell’imprese di Iacopo di Zarino erano ignoranti, -vennono a Firenze: ed essendo tutti in su la porta del palagio de’ -priori, un fante giunse il dì medesimo, che le guardie erano rinforzate -in Prato, il quale disse loro da parte di Iacopo, com’egli intendea -d’essere quella notte in Prato. Costoro di presente furono a’ signori -e a’ loro collegi, e dissono quello che in quell’ora Iacopo avea loro -mandato a dire, scusando la loro innocenza. I priori co’ loro collegi -non dimostrando di loro alcuno sospetto, gli licenziarono per quel -giorno: l’altra mattina gli feciono chiamare, e tutti senza sospetto -andarono a’ signori, fuori d’un giovane, il quale quanto che non -fosse colpevole, temette di venire in esaminazione; gli altri furono -ritenuti, e messi nelle mani del capitano del popolo, uomo di poca -virtù, e fatti pigliare certi Pratesi, e un Fiorentino de’ Galigai, -e due fabbri di contado, tutti per gravi martori confessarono, come -coloro che questo feciono fare vollono, e subitamente, improvviso -agli altri cittadini, il detto capitano, del mese di marzo 1351, -fece decapitare i nove, e i fabbri impiccare; la qual cosa fu tenuta -crudele e ingiusta sentenza, e molto dispiacque a’ cittadini, perocchè -manifesto fu che non erano colpevoli. Abbiamone detto steso per due -cagioni, l’una per manifestare di quanto pericolo sono le sette -cittadinesche, che i giusti spesso com’e’ colpevoli involgono in -capitale sentenza; la seconda per dimostrare quanto a Dio dispiace -quando si spande l’innocente sangue: che per quello che i Guazzalotri -poco innanzi sparsero per tirannia nella loro terra, il loro per -simigliante modo fu sparto nella città di Firenze. - - -CAP. LXIII. - -_Come il tiranno d’Orvieto fu morto._ - -In questo anno, del mese di marzo, essendo tiranno d’Orvieto Benedetto -di messer Bonconte de’ Monaldeschi, il quale poco dinanzi aveva morti -due suoi consorti per venire alla tirannia, e stando in quella per -operazione de’ suoi consorti, da uno fante nel suo palagio fu morto. -Per la morte di costui la città fu in grave divisione; ma coll’aiuto -di gente e d’ambasciadori perugini s’acquetò alquanto il popolo -con alcuno lieve e non fermo stato, perocchè tutta la terra era -insanguinata per la divisione della casa de’ Monaldeschi, e avendo -dentro poca concordia, e di fuori sparti per lo contado e distretto -i cittadini cacciati, rimase lo stato dubbioso a potere sostenere; e -per la cavalleria che l’arcivescovo di Milano aveva in Toscana e nella -Marca, i comuni di parte guelfa poco consiglio vi misono, onde ne -seguì la rivoltura che appresso seguendo nostro trattato nel suo tempo -racconteremo. - - -CAP. LXIV. - -_Come i Fiorentini assediarono Vertine._ - -Nel predetto mese di marzo i Fiorentini feciono porre l’oste al -castello di Vertine, e strignerlo con due campi al trarre delle -balestra, e rizzaronvi due mangani che tutto dì gittavano, abbattendo -e guastando le case della terra. Nell’oste avea seicento cavalieri, -e millecinquecento masnadieri di soldo, i quali deliberarono di -combattere il castello e vincerlo per battaglia: ma avvenne mirabile -cosa, che quasi pareva fatta per arte magica, che il tempo si corruppe -all’acqua, che dì e notte non ristò infino alla Pasqua; e impedì tanto -l’oste, che alla battaglia non si potè venire per niun modo, e quelli -del castello ebbono agio di farlo più forte alla difesa; e per questa -cagione, e perchè dentro avea franca masnada di buoni briganti, poco -parea si curassono de’ Fiorentini, e minacciavano di darlo al Biscione; -e così francamente il tennono in fino all’uscita d’aprile, come -appresso diviseremo. - - -CAP. LXV. - -_Come in corte fu fermata la pace dal re d’Ungheria a’ reali di Puglia._ - -Essendo per lungo tempo trattata in corte di Roma a Vignone la pace -tra il re d’Ungheria e i reali del regno di Cicilia di qua dal Faro, -papa Clemente essendo guarito della sua infermità, nella quale aveva -avuta grave riprensione di coscienza, perchè aveva sostenuta la detta -causa in contumacia, potendola acconciare, con singulare sollecitudine -mise opera che la pace si facesse. Ed essendo il re d’Ungheria con un -solo fratello re di Pollonia, senza avere altri consorti fuori de’ -reali del regno di Cicilia, e già soddisfatto in parte non piccola -della vendetta del fratello, agevolmente si dispose a volere la pace, -gradendola al papa e a’ cardinali che con istanza ne pregavano, e però -mandò a corte suoi ambasciadori con pieno mandato, informati di sua -intenzione, lo eletto di cinque chiese, e un vescovo d’Ungheria, e -Gulforte Tedesco fratello di messer Currado Lupo vicario nel Regno del -detto re; e del mese di gennaio 1351, i detti ambasciadori in presenza -del papa e de’ cardinali, come ordinato fu per lo detto papa, si fece -la pace con gli ambasciadori del re Luigi e della reina Giovanna in -nome di tutti i reali di quella casa. E per parte del re Luigi e della -reina furono fatte l’obbliganze, per le quali, secondo che ’l papa e i -cardinali aveano trattato, il re e la reina doveano dare e restituire -al re d’Ungheria trecentomila fiorini d’oro in diversi termini, -per sodisfacimento delle spese che il re d’Ungheria avea fatte in -quell’impresa del Regno. E fatte le dette cautele e la detta pace, il -papa per l’autorità sua e del consiglio de’ suoi cardinali per decreto -confermò ogni cosa, confermando la pace, e consentendo all’obbligagione -pecuniaria del reame. E fornito ogni cosa solennemente, innanzi che -della casa si partissono le parti, gli ambasciadori del re d’Ungheria, -improvviso a tutti, seguendo il mandato segreto che aveano dal -loro signore, di grazia spontaneamente, per propria volontà del re -d’Ungheria, finirono e quetarono al re, e alla reina, e a’ reali di -Puglia, e al Regno, e alla Chiesa di Roma, di cui è il detto reame, -i detti trecentomila fiorini d’oro, dicendo, come il loro signore non -avea fatta quell’impresa per avarizia, ma per vendicare la morte del -suo fratello. E incontanente si partì Gulforte, e tornò in Ungheria a -fare assapere al re come fatto era quanto egli avea comandato, a grande -grado e piacere di santa Chiesa. E i sopraddetti prelati andarono -nel Regno a trarne gli Ungheri che v’erano salvamente, e a fare per -comandamento del loro signore restituire al re Luigi e alla reina tutte -le città, e terre e castella che la sua gente vi tenea. E fatto questo -accordo, quale che si fosse la cagione, il re d’Ungheria non lasciò -incontanente i reali ch’aveva prigioni in Ungheria, anzi gli tenne -insino al settembre prossimo, come al suo tempo si dirà, occorrendoci -altre cose che prima richieggono il debito alla nostra penna. - - -CAP. LXVI. - -_Come l’arcivescovo trattava pace colla Chiesa._ - -In questo tempo, del verno, l’arcivescovo di Milano continovo mantenea -a corte solenni ambasciadori a procurare la sua riconciliazione con -santa Chiesa, e a ciò movea il re di Francia con forza di grandi doni -che gli faceva, e al continovo pregava per sue lettere il papa e’ -cardinali che perdonassono all’arcivescovo, ed egli per essere più -favoreggiato domandava pace. I parenti del papa e certi cardinali -erano sì altamente provveduti, e sì spesso, che continovo pregavano per -lui il papa, e la contessa di Torenna non finava, per la qual cosa il -papa dimenticava l’onore e l’ingiurie di santa Chiesa. E non ostante -che tenesse sospesi gli ambasciatori de’ comuni di Toscana delle cose -che aveano proposto loro, gli ambasciadori continovo ricordavano in -concistoro l’offese fatte per l’arcivescovo e pe’ suoi antecessori, -e l’ingiurie e violenze che fatte avea, e continovo faceva a’ comuni -di Toscana fedeli e divoti di santa Chiesa. Il papa non ostante ciò -favoreggiava oltre al modo onesto la causa del tiranno, onde per alcuno -cardinale ne fu cortesemente ripreso; a costui e agli altri cardinali -che mostravano in concistoro di essere zelanti dell’onore di santa -Chiesa, procedendo il tempo, coll’ingegno e coll’arte e co’ doni del -tiranno furono racchiuse le bocche, e aperte le lingue in suo favore, -sicchè ultimamente pervenne alla sua intenzione, come seguendo al suo -tempo dimostreremo. - - -CAP. LXVII. - -_Della gran fame ch’ebbono i barbari di Morocco._ - -Avvenne in quest’anno nel reame di Morocco e nel reame della Bella -Marina un’inopinata fame per sterilità del paese, la qual fame gittò -gran carestia in Granata e nella Spagna, e stesesi per la Navarra, -e appresso in Francia infino a Parigi: che per portare il grano a’ -barbari, per disordinato guadagno che se ne facea, venne lo staio di -libbre cinquanta di peso in Parigi in valuta di due fiorini d’oro, -e per lo paese non molto meno. E i barbari saracini per sostentare -la vita s’ordinarono continovo digiuno, il quale sodisfacevano con -tre once di pane dato loro, e con un poco d’olio quanto teneva la -palma della mano, nel quale intignevano il detto pane, e con questo -mantenevano la loro vita: nondimeno gran quantità ne morirono di fame -in quell’anno. - - -CAP. LXVIII. - -_Come i rettori di Firenze cominciarono segretamente a trattare accordo -con l’eletto imperadore._ - -Mentre che il comune di Firenze e di Siena aveano gli ambasciadori -a corte di papa contro all’arcivescovo di Milano, avvedendosi che -la Chiesa per le preghiere del re di Francia e d’altri baroni, e per -la grande quantità di moneta che il tiranno spendea in corte, colla -quale avea recato in suo favore tutta la corte, ed era per essere -riconciliato e fatto assai maggiore che non era in prima, diffidandosi -di non potere per loro resistere alla sua potenza, ordinarono molto -segretamente di volere far muovere della Magna messer Carlo re de’ -Romani eletto imperadore, e però mandarono e feciono venire d’Alemagna -a Firenze segretamente un suo cancelliere con grande mandato: il quale -fu collocato e stette tutto il verno racchiuso in san Lorenzo per modo, -che i Fiorentini non sapeano chi si fosse, e di notte andavano a lui -segretari del comune, i quali trattavano il modo della venuta del detto -eletto, col favore e aiuto grande del detto comune, per abbattere la -tirannia dell’arcivescovo: e in fine vennono col detto cancelliere a -piena concordia, tanto che, nonostante l’antico odio del nome imperiale -a’ detti comuni, fu loro lecito di piuvicare la detta concordia accetta -a’ detti popoli, come a suo tempo racconteremo. - - -CAP. LXIX. - -_Come la gente de’ Fiorentini che andavano a fornire Lozzole furono -rotti dagli Ubaldini._ - -Entrando nel mese d’aprile 1352, essendo commesso per lo comune di -Firenze al capitano del Mugello che fornisse Lozzole che i Fiorentini -tenevano nel Podere, acciocchè più chiusamente si facesse, si mise -a farlo con sì poca provvisione, che più dì innanzi fu palese agli -Ubaldini la cavalcata che fare si doveva. I quali in que’ dì aveano -colla gente dell’arcivescovo di Milano preso il Monte della Fine a’ -confini di Romagna, il quale era stato accomandato, ma non difeso da’ -Fiorentini. E avendo la gente apparecchiata, si misono in più aguati -nell’alpe, ove stettono più dì aspettando la scorta de’ Fiorentini -per fornire Lozzole. Il folle capitano di Mugello con quattrocento -cavalieri e con pedoni del Mugello, non avendo prima presi i passi -più forti dell’alpe, nè fatto provvedere se aguato vi fosse, si mise -per la via del Rezzuolo con la salmeria e con la sua gente ad entrare -nell’alpe, e lasciossi uno degli aguati de’ nimici addietro; quando -ebbono valicato Rezzuolo furono assaliti da’ nimici dinanzi, e da lato -e didietro per modo, che piccola difesa v’ebbe, altro che di fuggire -chi potè. Rimasonvi morti cinquanta uomini tra a cavallo e a piede, e -ottanta presi con tutta la salmeria; e di questo fallo non fu altra -vendetta in Firenze, se non che chi fu morto o preso per la mala -condotta s’ebbe il danno. Il capitano fu Rosso di Ricciardo de’ Ricci -di Firenze. - - -CAP. LXX. - -_Come s’ebbe Vertine a patti e disfecesi la rocca._ - -Essendo stato il castello di Vertine lungamente assediato e traboccato -da’ dificii, e non volendosi arrendere, i Fiorentini diliberarono di -farlo combattere: e a dì 20 d’Aprile, gli anni Domini 1352, con molta -baldanza e con poco ordine si strinsono al castello assalendolo da -più parti; e in alcuno luogo furono infino al rompere delle mura, -ma per non avere dificii da coprire, nè le scale che bisognavano -a assalire, condotti alle mura, con danno e con vergogna, mortine -alquanti, e fediti e magagnati assai degli assalitori, si ritrassono -della battaglia, la quale aveano mantenuta tre ore del dì. L’assedio -vi si fortificò, e strinsono il castello più di presso, e ordinavano -di combatterlo con più ordine e con maggiore forza. Que’ d’entro -vedendosi senza speranza di soccorso, per fuggire il pericolo della -battaglia trattarono di rendere la terra, salve le persone e l’armi, e -che potessono trarre tutto il grano che aveano nel castello di Vertine -di que’ della casa da Ricasoli, infra quindici dì prossimi. Il trattato -fu fermo, e il primo dì di Maggio del detto anno n’uscirono que’ da -Ricasoli con centocinquantotto masnadieri, molto bella gente d’arme; e -il comune prese la terra, e incontanente fece abbattere due fortezze -che v’erano a modo di rocche, l’una di que’ da Ricasoli, e l’altra -di que’ da Vertine, acciocchè più per quelle tenute non si potesse -rubellare. - - -CAP. LXXI. - -_Esempio di cittadinesca varietà di fortuna._ - -In questo tempo avvenne una cosa notevole in Firenze, la quale per se -non era degna di memoria, ma concedelesi luogo per esempio delle cose -avvenire. Un giudice di legge di grande fama nella pratica de’ piati -criminali e civili, di assai nuova progenie, e di piccolo stato ne’ -suoi principii, venne per suo guadagno in ricchezza, e con prospera -fortuna, il dì di calen di maggio del detto anno, dottorato un suo -figliuolo e menata moglie, con dote di fiorini millecinquecento d’oro, -e con eredità di patrimonio di fiorini tremilacinquecento d’oro in -possessioni a lui pervenute, celebrò solenne festa in più dì in grande -allegrezza. E verificandosi la parola detta per santo Gregorio sopra -il Giobbe, il quale disse: _Praenuntia tribulationis est laetitia -satietatis_: poco appresso avvenne, che essendo ingrati della non -debita e sformata dote e successione ereditaria della detta donna, -vollono alla madre della fanciulla per male ingegno della loro arte -sottrarre altri certi beni, la quale turbata si difendea a ragione. -I legisti ordinarono un piato tacito, e avendo avuta per altri fatti -una procura dalla detta donna, si sforzarono, non avendo avversario, -di venire alla sentenza. Ma come Iddio volle, la corte s’avvide del -baratto; e scoperto l’inganno, il figliuolo fu condannato nel fuoco -con un suo nipote; e il padre confidandosi di difendere a ragione si -rappresentò in giudicio. Ed essendo per essere arso un suo nipote -ch’avea nome Lotto del maestro Cambio de’ Salviati, uomo di buona -condizione e amato da’ cittadini, accadde essere de’ priori di Firenze, -il quale per onore della sua casa operò tanto, che fu condannato nel -fuoco per falsità, a condizione, che se infra dieci dì non pagasse -al comune lire quattromila, e stesse a Perugia un anno a’ confini; -ed essendo già stato da dieci mesi a’ confini, tanto seppe adoperare -con un altro podestà, che rivocò i suoi confini, e tornò a Firenze -innanzi al tempo, e mostrossi palese più d’un mese. Volendosi fare -cancellare del detto bando, e restituire alla matricola ov’era stato -raso, e non trovandosi modo come di ragione fare si potesse, rimase in -bando del fuoco per avere rotti i confini, i quali aveva poco tempo a -ubbidire ed era libero. Costui fu il primo che mise in pratica nella -nostra città di conducere i civili piati in criminali, e per quella -medesima cagione fu infamato e condannato egli e ’l suo figliuolo; il -quale poi dopo l’esilio di presso a otto anni morì in bando, avendo -prima il padre ricomperato dal comune per grandi riformagioni il suo -fallo d’avere rotti i confini lire milledugento. E dopo la morte del -figliuolo la donna ritrasse della casa la dote e ’l patrimonio in -grande abbassamento di quella famiglia, lasciando esempio a’ suoi -cittadini, che come la scienza convertita in pratica di male suasioni, -e le disordinate dote fanno gli uomini arricchire e montare in stato, -così quelle medesime operazioni e dote spesso sono materia e cagioni di -gravi ruine: questo ci scusi averne fatto qui la detta memoria. - - -CAP. LXXII. - -_Come un gran re de’ Tartari venne sopra il re di Proslavia._ - -Avvenne in quest’anno, che un re del lignaggio de’ Tartari, avendo -avuta la sua gente briga col re di Proslavia infedele, avegnachè -suddito al re d’Ungheria, e fatto danno l’una gente all’altra, il detto -re de’ Tartari sentendosi di grande potenza, per prosunzione della sua -grandezza, ovvero per trarre la gente del suo paese che aveano a quel -tempo grandissima fame, uscì del suo reame con infinito numero di gente -a piè e a cavallo, ed entrò nel regno de’ Proslavi. Il re de’ Proslavi -colla sua gente si fece incontro a quella moltitudine per ritenerli -a certe frontiere, tanto che avesse il soccorso dal re d’Ungheria, il -quale di presente vi mandò quarantamila arceri a cavallo: e aggiuntosi -colla gente del re de’ Proslavi, di presente commisono la battaglia co’ -Tartari, de’ quali tanti n’uccisono, che la lena mancò agli uomini, e -lo taglio alle spade, e le saette agli archi. Ma per la soprabbondante -moltitudine de’ Tartari, non potendoli gli Ungheri e i Proslavi più -tagliare, convenne ch’abbandonassono il campo, non senza grande danno -della loro gente. I Tartari vinti rimasono vincitori: ma per disagio -di vivande, e per la corruzione dell’aria, costretti prima a manicare -de’ corpi morti, sentendo che per li due re si faceva apparecchiamento -di ritornare in campo con maggiore e più potente esercito, per paura, -e per lo gran difetto che i Tartari aveano di vittuaglia, si tornarono -addietro in loro paese. Questa novella avemmo da più e diverse parti in -Firenze del mese d’aprile 1352. - - -CAP. LXXIII. - -_Come in Orvieto ebbe mutamento e micidio._ - -Ritornando all’italiane tempeste, essendo rimasa la città d’Orvieto -con grande dissensione tra’ cittadini dopo la morte di Benedetto di -messer Bonconte loro tiranno, i cittadini da capo si cominciarono a -insanguinare insieme, e uccidea l’uno l’altro nella città e di fuori, -come s’uccidono le bestie al macello. Ed era sì corrotta la città ed -il contado, che in niuna parte si poteva andare o stare sicuro, e -i Perugini e gli altri comuni di Toscana erano sì oppressati dalla -gente del Biscione, che appena poteano intendere alla loro difesa, -sicchè de’ fatti d’Orvieto non si potevano intramettere come a quel -tempo bisognava. Avvenne che Petruccio di Peppo Monaldeschi, come -che d’animo e di nazione fosse guelfo, avendo rispetto a pigliare la -tirannia d’Orvieto, per suo trattato fece venire a condotta degli -Ubaldini a Cetona dugento cavalieri, e procacciò d’avere gente dal -prefetto da Vico: e quando si vide il bello, avendo raunato nella -terra assai fanti, levò il romore e corse la terra, e mise dentro i -dugento cavalieri ch’avea in Cetona, e uccise Bonconte suo consorto, -nipote di Benedetto, e più altri, e ridusse la città nella forza de’ -ghibellini, credendo poterla tiranneggiare per se; ma in fine, come -al suo tempo racconteremo, la signoria rimase al prefetto da Vico e a -parte ghibellina, tradita la patria e i consorti per singolare invidia -de’ suoi congiunti. - - -CAP. LXXIV. - -_Come l’armata de’ Genovesi andò a Trapenon per danneggiare i nemici._ - -Dopo la battaglia fatta in Romania tra’ Genovesi, Veneziani e Catalani, -avendo i Genovesi preso riposo per alcuno tempo, e ritornate le sei -galee fuggite nel Mare maggiore, riconoscerono la loro amara vittoria, -presono cuore dimenticando il danno loro per l’animosità ch’aveano -contro a’ loro nemici ch’erano rifuggiti a Trapenon, e procacciarono -aiuto da Pera, e mandarono per rinfrescamento di galee armate, -strignendo che quante più ne potessono mandare armate il facessono -senza indugio, a fine di disfare affatto l’armata de’ Veneziani e -Catalani, avendo anche speranza di vincere Costantinopoli. E racconce -le loro galee, e rifornite le ciurme e’ soprassaglienti se n’andarono a -Trapenon, ove i Veneziani e’ Catalani s’erano rifuggiti; e assai volte -tentarono d’assalirli, ma gli avversari aveano la forza della terra, -e l’avvantaggio della guardia del porto, sicchè poco li curavano; -e quando vidono un tempo al loro viaggio fatto e fermo, e che era -contradio a’ loro nemici a poterli impedire, con trentotto galee -racconce e rifornite si misono in mare, e atandosi con le vele e co’ -remi, avendo il vento in poppa, a contradio de’ Genovesi valicarono in -Candia: e giunti in Candia misono in terra, e disarmarono. E stando -nell’isola, per la corruzione di loro fediti e de’ disagi sostenuti -infermarono e corruppono molto la terra, e mandarono due loro galee per -avere aiuto da Vinegia, le quali s’abbatterono in dieci galee ch’e’ -Genovesi mandavano in aiuto alla loro armata, ma l’una per forza di -remi campò, l’altra diede a terra, e abbandonato il corpo della galea -salvarono le persone. - - -CAP. LXXV. - -_Come i Genovesi assediarono Costantinopoli._ - -L’armata de’ Genovesi non avendo potuto impedire l’armata de’ -Veneziani e Catalani che non fossono passati all’isola di Negroponte, -non attesono a seguirli, ma attesono ad assediare Costantinopoli per -mare, e fermarono di fare ogni loro podere per abbattere l’aiuto che i -Veneziani aveano dall’imperatore. E stando ivi, giunse in loro aiuto -sessanta legni armati di Turchi, e le dieci galee che il comune di -Genova avea mandate loro. Mega Domestico che allora governava l’imperio -come tiranno, vedendo i Veneziani rotti e soperchiati in quella guerra -da’ Genovesi, e che la loro forza cresceva, e sentendosi il vero -imperatore, il quale s’avea fatto a genero, nemico, per non venire -a peggio trattò pace co’ Genovesi, e fermossi la detta pace a dì 6 -maggio del detto anno: e fu in patto, ch’e’ Veneziani del paese fossono -salvi in avere e in persona, e che i Genovesi non dovessono pagare -in Costantinopoli commercio, e che vi potessono fare porto, e andare -e stare come amici: e che d’allora innanzi l’imperadore non dovesse -ricettare i Veneziani nè i Catalani, nè dare loro alcuno aiuto. E ferma -la pace, i Genovesi con tutta loro armata se ne vennono in Candia per -vincere il paese; e volendo porre in terra, ebbono incontro i paesani -con trecento cavalieri, e le ciurme delle galee, e contradissono -la prima scesa. I Genovesi si provvidono di fare parate, e dietro a -quelle misono i balestrieri, e messe le scale in terra, a contradio de’ -nemici presono campo; e stando in terra trovarono il paese corrotto, -e avvelenata l’aria e la terra dalla corruzione sparta dalle galee de’ -Veneziani e Catalani, e anche tra loro avea de’ fediti e degl’infermi, -e per questa cagione, e per i molti disagi sostenuti lungamente, -pensarono che il soprastare era pestilenzioso e mortale, si ricolsono a -galea, e misonsi in mare per tornarsi a Genova; e innanzi pervenissono -alla patria più di mille cinquecento uomini morti gettarono in mare: e -nondimeno lasciarono nel golfo di Vinegia dieci galee per danneggiare -i Veneziani. E del mese d’agosto del detto anno con trentadue galee -tornarono a Genova col loro ammiraglio, e con settecento prigioni -veneziani, e con molta preda dell’acquisto fatto sopra i nemici e -sopra le spoglie de’ Greci. Della qual vittoria, avvengnachè molto ne -montasse in fama il comune di Genova, più tristizia che allegrezza, più -pianto e dolore che festa tornò alla loro patria; e trovossi all’ultimo -di questa maladetta guerra di queste armate, che tra morti in -battaglia, e annegati in mare, e periti di pestilenza, tra l’una parte -e l’altra vi morirono più d’ottomila Italiani in quell’anno. E questo -avvenne solo per attizzamento d’invidia di pari stato di due popoli -Genovesi e Veneziani, che catuno si volea tenere il maggiore. - - -CAP. LXXVI. - -_Concordia fatta dall’imperadore a’ comuni di Toscana._ - -Tornando al lungo trattato menato in Firenze per li Fiorentini e -Perugini e Sanesi, molto segretamente con messer Arrigo proposto -d’Esdria dell’ordine di certi frieri, vececancelliere di messer Carlo -eletto imperadore re di Boemia e re de’ Romani, il quale con molto -senno e gran diligenza avendo il mandato dal suo signore, e per mezzano -tra lui e gli ambasciadori de’ sopraddetti comuni messer Ramondo l’uno -degli usciti guelfi di Parma marchese di Soraga, capitano di guerra -del comune di Firenze, scritte le convenenze e’ patti di concordia, si -sostenne la piuvicazione di quelli per lo detto vececancelliere e per -li detti comuni, tanto ch’ebbono la fermezza da corte come il papa avea -riconciliato per sentenza l’arcivescovo di Milano, e fatto la concordia -con lui, come nel principio del nostro terzo libro si potrà trovare; e -questa concordia fu ferma del detto mese d’aprile del detto anno. - - -CAP. LXXVII. - -_Come si levò una compagnia nel Regno, e fu rotta dal re Luigi._ - -Avvenne non ostante che la pace fosse fatta tra il re d’Ungheria e i -reali di Puglia, e deliberato fosse per lo papa la coronazione del re -Luigi, per la baldanza che i soldati forestieri aveano presa nel Regno, -uno Beltramo della Motta nipote di fra Moriale, che ancora teneva la -città d’Aversa, fece raccolta di cavalieri di sua lingua, e di Tedeschi -e d’Italiani ch’erano nel Regno senza soldo, ed ebbe quattrocento -barbute e cinquecento masnadieri: e cominciò a correre per Terra di -Lavoro, di consiglio e consentimento di Fra Moriale, secondo il suono, -benchè secondo la vista dimostrava il contradio, e prendea i casali, -e facea rimedire la gente, e molto conturbava il paese: e i baroni e’ -cavalieri regnicoli che voleano venire a Napoli alla coronazione del -re erano da costoro forte impediti, e i cammini erano rotti per loro, -e spesso assaliti, e per soperchia baldanza s’erano ridotti a Cesa, tra -la città d’Aversa e l’Acerra. E stando ivi, in gran vergogna del futuro -re Luigi, il re infiammato di questa ingiuria, subitamente e improvviso -a’ ladroni accolse de’ baroni ch’erano venuti a lui, e di Napoletani da -mille cavalieri, e montò a cavallo in persona, e seguitato da’ suoi, -a dì 28 d’aprile del detto anno occupò Beltramo della Motta e la sua -compagnia, i quali per lo subito assalto non feciono retta, ma chi potè -fuggire non attese il compagno: e così fuggendo molti ne furono morti e -presi, che pochi ne camparono. Beltramo della Motta con venti compagni -fuggì a Alife e campò. In Napoli furono giudicati a morte venticinque -paesani ch’erano in quella compagnia, gli altri rimasono prigioni: e la -detta compagnia fu al tutto consumata e spenta con onore del re Luigi, -e con più lieta festa della sua coronazione, che appresso seguitò, come -tosto diviseremo. - - -CAP. LXXVIII. - -_Come i Perugini guastarono intorno a Cortona._ - -In questo mese d’aprile del detto anno, i cavalieri dell’arcivescovo -di Milano ch’erano stati lungamente al servigio del signore di -Cortona all’Orsaia, si partirono di là, e lasciarono dugentocinquanta -cavalieri. I Perugini aontati dell’ingiuria fatta loro da’ Cortonesi, -di presente, avuto trecento cavalieri da’ Fiorentini, con settecento -barbute e con gran popolo cavalcarono sopra Cortona, ardendo e -guastando le case, e le vigne e’ campi, e tagliando gli alberi, -aoperando il fuoco e il ferro, e guastarla intorno per molti giorni, -senza potere i Cortonesi difendere in niuna parte, di fuori che -dall’Orsaia a Cortona, per la guardia vi fecero i dugentocinquanta -cavalieri del Biscione: ma senza arsione, così consumarono que’ -cavalieri quella parte difendendo, come i Perugini l’altre parti per -loro vendetta. - - -CAP. LXXIX. - -_Come i Fiorentini fornirono Lozzole._ - -I Fiorentini poco tempo innanzi per mala condotta rotti dagli Ubaldini -nell’alpe, volendo fornire Lozzole, provvidono di fornirlo con più -avviso e provvedenza; che senza fare apparecchiamento nel Mugello, -avendo in Firenze cavalieri e pedoni, e la vittuaglia apparecchiata, -senza alcuna vista mandarono improvviso agli Ubaldini, e feciono -pigliare a buoni masnadieri i passi e i poggi dell’alpe. E presi i -passi la notte, la mattina vi mandarono cento cavalieri, e quattrocento -balestrieri eletti, e seicento buoni masnadieri di soldo e tutta la -salmeria con loro, i quali andarono senza contasto. E furono sopra -il battifolle degli Ubaldini, il quale era sopra Lozzole, innanzi -che potessono avere soccorso; e vedendosi sorprendere alla gente de’ -Fiorentini, abbandonaro la bastita e l’arme, e gittaronsi per le ripe -per salvare le persone; i Fiorentini presono l’arme e la roba ch’era -nella bastita, e aggiunsonla alla loro salmeria, e misono ogni cosa nel -castello di Lozzole, e arsono il battifolle de’ nimici, e sani e salvi -senza trovare contasto si tornarono a Firenze del mese di maggio del -detto anno. - - - - -TAVOLA DEI CAPITOLI - - - _Prefazione._ Pag. V - _Qui comincia la Cronica di Matteo Villani, e prima - il prologo, e primo libro._ 1 - _CAP. I. Dell’inaudita mortalità_ 3 - _CAP. II. Quanto durava il tempo della moria in catuno - paese_ 4 - _CAP. III. Della indulgenzia diede il papa per la detta - pistolenza_ 9 - _CAP. IV. Come gli uomini furono peggiori che prima_ 10 - _CAP. V. Come si stimò dovizia, e seguì carestia_ 11 - _CAP. VI. Come nacque in Prato un fanciullo mostruoso_ 12 - _CAP. VII. Come alla compagnia d’Orto san Michele - fu lasciato gran tesoro_ 12 - _CAP. VIII. Come in Firenze da prima si cominciò lo - Studio_ 15 - _CAP. IX. Raggiugnimento di principi che furono cagione - di grandi novitadi nel Regno_ 17 - _CAP. X. Come il re d’Ungheria fece ad Aversa uccidere - il duca di Durazzo_ 20 - _CAP. XI. La cagione della morte del duca di Durazzo_ 21 - _CAP. XII. Come il re d’Ungheria entrò in Napoli_ 22 - _CAP. XIII. Come il re d’Ungheria vicitava il regno - di Puglia_ 23 - _CAP. XIV. Come il re d’Ungheria partitosi del Regno - tornò in Ungheria_ 24 - _CAP. XV. Novità del reame di Tunisi, e più rivolgimenti - di quello_ 25 - _CAP. XVI. Come per la partita del re d’Ungheria del - Regno i baroni e’ popoli si dolsono_ 26 - _CAP. XVII. Come si reggeva la sua gente nel Regno - partito il re_ 27 - _CAP. XVIII. Come messer Luigi si fe’ titolare re al - papa, e mandò nel Regno_ 28 - _CAP. XIX. Come il re e la reina ritornarono nel Regno_ 30 - _CAP. XX. Come il re e la reina Giovanna entrarono - in Napoli a gran festa_ 31 - _CAP. XXI. Come il re Luigi si fe’ fare cavaliere, e - da cui_ 32 - _CAP. XXII. Brieve raccontamento di cose fatte per - il re d’Inghilterra contra quello di Francia_ 33 - _CAP. XXIII. Come gli Ubaldini furo cominiciatori della - guerra che il comune di Firenze ebbe con loro_ 36 - _CAP. XXIV. Come i fedeli del conte Galeotto si rubellarono - da lui e dieronsi al comune di Firenze_ 36 - _CAP. XXV. Come i Fiorentini feciono guerra agli Ubaldini, - e presero Montegemmoli e loro castella_ 37 - _CAP. XXVI. Come il re di Francia comperò il Delfinato_ 40 - _CAP. XXVII. La cagione perchè il re d’Araona tolse - Maiolica al re_ 41 - _CAP. XXVIII. Come il re di Maiolica vendè la sua - parte di Mompelieri al re di Francia_ 42 - _CAP. XXIX. Come s’ordinò il generale perdono a Roma - nel 1349_ 43 - _CAP. XXX. Come il re di Maiolica andò per racquistare - l’isola e fuvvi morto_ 45 - _CAP. XXXI. Come i baroni italiani e catalani per loro - discordie guastarono l’isola di Cicilia_ 46 - _CAP. XXXII. Come il re Filippo di Francia e ’l figliuolo - tolsono moglie_ 49 - _CAP. XXXIII. Come il re di Francia fu ingannato - del trattato di Calese con gran danno_ 51 - _CAP. XXXIV. Come messer Carlo eletto imperadore - fu preso e morto di veleno_ 53 - _CAP. XXXV. Come il re Luigi prese più castella_ 56 - _CAP. XXXVI. Come il re Luigi prese il conte d’Apici_ 57 - _CAP. XXXVII. Come il re Luigi Assediò Nocera_ 58 - _CAP. XXXVIII. Come Currado Lupo liberò Nocera_ 60 - _CAP. XXXIX. Come il re Luigi rifiutò la battaglia - con Currado Lupo_ 61 - _CAP. XL. Della materia medesima_ 63 - _CAP. XLI. Come morì il re Alfonso di Castella_ 64 - _CAP. XLII. Come il doge Guernieri fu preso in Corneto - dagli Ungheri_ 65 - _CAP. XLIII. Come i Fiorentini presero Colle_ 67 - _CAP. XLIV. Come i Fiorentini ebbono Sangimignano a - tempo_ 68 - _CAP. XLV. Di tremuoti furono in Italia_ 70 - _CAP. XLVI. Come sommerse Villacco in Alamagna_ 71 - _CAP. XLVII. De’ fatti del Regno_ 72 - _CAP. XLVIII. Come la gente del re d’Ungheria sconfisse - i baroni del Regno_ 74 - _CAP. XLIX. Come i Napoletani ricomperarono la vendemmia - da’ nimici_ 76 - _CAP. L. Come si fe’ triegua nel Regno_ 78 - _CAP. LI. Di novità di barbari di Bella Marina_ 80 - _CAP. LII. Come Balese tornando per lo suo reame contro - al figliuolo ebbe grande fortuna, e poi fu avvelenato_ 81 - _CAP. LIII. Come per lievi cagioni suscitò novità in Romagna_ 83 - _CAP. LIV. Come messer Giovanni Manfredi rubellò - Faenza alla Chiesa_ 86 - _CAP. LV. Come il capitano di Forlì prese Brettinoro - per assedio_ 89 - _CAP. LVI. Come i cristiani d’Europa cominciarono a - venire al perdono_ 90 - _CAP. LVII. Perchè s’intramesse il dificio d’Orto san - Michele_ 93 - _CAP. LVIII. Come la Chiesa mandò il conte per racquistare - la contea di Romagna_ 95 - _CAP. LIX. Processo de’ traditori di Romagna, e di - certi Provenzali_ 97 - _CAP. LX. Come messer Giovanni de’ Peppoli cercò accordo - dal conte a messer Giovanni_ 98 - _CAP. LXI. Come messer Giovanni de’ Peppoli andò - nell’oste, e fu preso_ 99 - _CAP. LXII. Come il conte scoperse l’altro trattato che - avea con messer Mastino_ 101 - _CAP. LXIII. Come messer Iacopo Peppoli rimaso in - Bologna si provvidde alla difesa_ 103 - _CAP. LXIV. L’aiuto che messer Iacopo accolse per - guardare Bologna_ 105 - _CAP. LXV. Del male stato che si condusse la città di - Bologna, e di certi trattati che allora si tennono_ 106 - _CAP. LXVI. Come i soldati mossono quistione al conte, - e fu loro assegnato messer Giovanni Peppoli_ 108 - _CAP. LXVII. Come messer Giovanni tenne suoi trattati - della città di Bologna_ 109 - _CAP. LXVIII. Secondo trattato di Bologna_ 112 - _CAP. LXIX. Come l’arcivescovo di Milano mandò a - prendere la possesione di Bologna_ 114 - _CAP. LXX. Come capitò il conte di Romagna e l’oste - della Chiesa_ 115 - _CAP. LXXI. Come i Guazzalotri di Prato cominciarono - a scoprire loro tirannia_ 118 - _CAP. LXXII. Come i Fiorentini andarono a oste a - Prato, ed ebbonne la signoria_ 120 - _CAP. LXXIII. Come i Fiorentini comperarono Prato, - e recaronlo al loro contado_ 121 - _CAP. LXXIV. Come i guelfi forono cacciati dalla Città - di Castello_ 123 - _CAP. LXXV. Come morì il re Filippo di Francia_ 124 - _CAP. LXXVI. Come la Chiesa rinnovò processo contra - l’arcivescovo di Milano_ 126 - _CAP. LXXVII. Come il tiranno di Milano si collegò - con tutti i ghibellini d’Italia_ 129 - _CAP. LXXVIII. Come fu assediata Imola dal Biscione - e altri_ 131 - _CAP LXXIX. Come il capitano di Forlì tolse al conticino - da Ghiaggiuolo e al conte Carlo da Doadola - loro terre_ 133 - _CAP. LXXX. Come nella città d’Orbivieto si cominciò - materia di grande scandalo_ ivi - _CAP. LXXXI. Come la città d’Agobbio venne a tirannia - di Giovanni Gabbrielli_ 135 - _CAP. LXXXII. Come il comune di Perugia e il capitano - del Patrimonio andarono a oste ad Agobbio_ 137 - _CAP. LXXXIII. Come cominciò l’izza da’ Genovesi - a’ Veneziani_ 139 - _CAP. LXXXIV. Come quattordici galee di Veneziani - presono in Romania nove de’ Genovesi_ 141 - _CAP. LXXXV. Come i Genovesi di Pera presono Negroponte, - e riebbono loro mercatanzia_ 142 - _CAP. LXXXVI. Come fu morto il patriarca d’Aquilea, - e fattane vendetta_ 143 - _CAP. LXXXVII. Come il legato del papa si partì del - Regno, e il re riprese Aversa_ 145 - _CAP. LXXXVIII. Come il re d’Ungheria ritornò in - Puglia conquistando molte terre_ 146 - _CAP. LXXXIX. Come i Genovesi ebbono Ventimiglia_ 148 - _CAP. XC. Come fu data l’ultima battaglia ad Aversa - dal re d’Ungheria_ 150 - _CAP. XCI. Della materia medesima_ 151 - _CAP. XCII. Come il conte d’Avellino con dieci galee - stette a Napoli, e Aversa s’arrendè al re_ 152 - _CAP. XCIII. Come il re d’Ungheria e il re Luigi vennono - a certa tregua_ 154 - _CAP. XCIV. Come il conte d’Avellino diè al suo figliuolo - per moglie la duchessa di Durazzo_ 157 - _CAP. XCV. Della grande potenza dell’arcivescovo di - Milano, e come i Fiorentini temeano di Pistoia, - e quello che ne seguì_ 159 - _CAP. XCVI. Come certi rettori di Firenze vollono - prendere Pistoia per inganno_ 161 - _CAP. XCVII. Come i Fiorentini assediarono Pistoia - ed ebbonla a’ comandamenti loro_ 163 - _CAP. XCVIII. Come il re d’Inghilterra sconfisse in - mare gli Spagnuoli_ 167 - - LIBRO SECONDO - - _CAP. I. Prologo_ 169 - _CAP. II. Come il comune di Firenze usava la pace - coll’arcivescovo di Milano_ 170 - _CAP. III. Come l’arcivescovo di Milano appuose tradimento - e condannò messer Iacopo Peppoli_ 172 - _CAP. IV. Come l’arcivescovo fermò d’assalire improvviso - la città di Firenze_ 173 - _CAP. V. Come si mise in ordine il consiglio preso_ 176 - _CAP. VI. Come gli Ubaldini arsono Firenzuola, e - presono Montecolloreto_ 177 - _CAP. VII. Come gli Ubertini, e’ Tarlati, e i Pazzi - assalirono il contado di Firenze_ 179 - _CAP. VIII. Come i Fiorentini mandaro ambasciadori al - capitano dell’oste_ 180 - _CAP. IX. Come l’oste si levò da Pistoia e puosesi a - Campi_ 182 - _CAP. X. Come l’oste ebbe gran difetti a Campi e a - Calenzano_ 184 - _CAP. XI. Come i rettori di Firenze abbandonarono il - passo di Valdimarina_ 187 - _CAP. XII. Come l’oste del Biscione valicò il passo, e - andò in Mugello_ 188 - _CAP. XIII. Come il conte di Montecarelli si rubellò - a’ Fiorentini e venne al capitano_ 190 - _CAP. XIV. Come si fornì la Scarperia e il Borgo_ 191 - _CAP. XV. Come l’oste assediò la Scarperia_ 192 - _CAP. XVI. Come i Fiorentini afforzarono Spugnole_ 194 - _CAP. XVII. Come si difese Pulicciano di grave battaglia_ 195 - _CAP. XVIII. Come i Tarlati, e i Pazzi di Valdarno e - gli Ubertini vennono in sul contado di Firenze, e - furonne cacciati per forza da’ Fiorentini_ 196 - _CAP. XIX. Come Bustaccio entrò e rendè la Badia a - Agnano_ 199 - _CAP. XX. Come l’arcivescovo tentò i Pisani di guerra - contro a’ Fiorentini_ 200 - _CAP. XXI. Come l’oste deliberò combattere la Scarperia_ 204 - _CAP. XXII. Come i Tarlati sconfissono i cavalieri - de’ Perugini_ 205 - _CAP. XXIII. Come i Fiorentini procuraro di mettere - gente nella Scarperia_ 207 - _CAP. XXIV. Come la reina Giovanna si fece scusare - in corte di Roma_ 209 - _CAP. XXV. Come i Genovesi e i Veneziani ricominciarono - guerra in mare_ 210 - _CAP. XXVI. Come l’armata genovese andò a Negroponte - e assediò Candia, e quello che ne seguì_ 212 - _CAP. XXVII. Come i Veneziani feciono lega co’ Catalani, - e di nuovo armarono cinquanta galee_ 213 - _CAP. XXVIII. Come la imperatrice di Costantinopoli - col figliuolo si fuggì in Salonicco_ 215 - _CAP. XXIX. Come la Scarperia sostenne la prima battaglia - dal Biscione_ 216 - _CAP. XXX. Come la Scarperia riparò alla cava de’ - nimici_ 218 - _CAP. XXXI. Del secondo assalto dato alla Scarperia_ 220 - _CAP. XXXII. Del terzo assalto dato_ 221 - _CAP. XXXIII. La partita dell’oste dalla Scarperia_ 224 - _CAP. XXXIV. Come l’armata de’ Genovesi si partì da - Negroponte e andò a Salonicco_ 226 - _CAP. XXXV. Come i Veneziani e’ Catalani s’accozzarono - in Romania con l’altra armata_ 228 - _CAP. XXXVI. Come i Brandagli si vollono fare signori - d’Arezzo_ 229 - _CAP. XXXVII. Di quello medesimo_ 231 - _CAP. XXXVIII. Come il re Luigi mandò il gran siniscalco - ad accogliere gente in Romagna_ 234 - _CAP. XXXIX. Come il re Luigi accolse i baroni del - Regno e andò in Abruzzi_ 236 - _CAP. XL. Come il re Luigi sostenne gli Aquilani che - pasquavano con lui_ 237 - _CAP. XLI. Come papa Clemente sesto fe’ la pace - de’ due re_ 239 - _CAP. XLII. Come messer Piero Saccone prese il Borgo - a san Sepolcro_ 240 - _CAP. XLIII. Come i Perugini arsono intorno al Borgo - e sconfissono de’ nimici_ 243 - _CAP. XLIV. D’una cometa ch’apparve in oriente_ 245 - _CAP. XLV. Come fu preso il castello della Badia - de’ Perugini, e come si racquistò_ 246 - _CAP. XLVI. Come i Fiorentini cercarono lega co’ comuni - di Toscana, e accrebbono loro entrata_ 248 - _CAP. XLVII. Come i Romani feciono rettore del popolo_ 249 - _CAP. XLVIII. Di una lettera fu trovata in concistoro - di papa_ 252 - _CAP. XLIX. Come il re d’Inghilterra essendo in tregua - col re di Francia acquistò la contea di Guinisi_ 253 - _CAP. L. Il piato fu in corte tra’ due re per la contea di - Guinisi_ 254 - _CAP. LI. Come l’arcivescovo di Milano ragunò i suoi - soldati per rifare guerra a’ Fiorentini_ 255 - _CAP. LII. Come i Fiorentini, e’ Perugini, e’ Sanesi - mandarono ambasciadori a corte_ 257 - _CAP. LIII. Come l’ammiraglio di Damasco fece novità - a’ cristiani_ 258 - _CAP. LIV. Come i Fiorentini disfeciono terre di Mugello_ 260 - _CAP. LV. Come la Scarperia fu furata e racquistata_ 261 - _CAP. LVI. Come messer Piero Sacconi cavalcò con - mille barbute infino in su le porte di Perugia_ 263 - _CAP. LVII. Come i Chiaravallesi di Todi vollono rubellare - la terra e furono cacciati_ 264 - _CAP. LVIII. Come que’ da Ricasoli rubellarono Vertine - a’ Fiorentini_ 265 - _CAP. LIX. Come i Veneziani e’ Catalani furono sconfitti - in Romania da’ Genovesi_ 267 - _CAP. LX. Di quello medesimo_ 272 - _CAP. LXI. Come per le discordie de’ paesani la Sicilia - era in grave stato_ 273 - _CAP. LXII. Come fu in Firenze tagliate le teste a più - de’ Guazzalotri di Prato_ 274 - _CAP. LXIII. Come il tiranno d’Orvieto fu morto_ 277 - _CAP. LXIV. Come i Fiorentini assediarono Vertine_ 278 - _CAP. LXV. Come in corte fu fermata la pace dal re - d’Ungheria a’ reali di Puglia_ 278 - _CAP. LXVI. Come l’arcivescovo trattava pace colla - Chiesa_ 280 - _CAP. LXVII. Della gran fame ch’ebbono i barbari di - Marrocco_ 282 - _CAP. LXVIII. Come i rettori di Firenze cominciarono - segretamente a trattare accordo con l’eletto - imperadore_ 282 - _CAP. LXIX. Come la gente de’ Fiorentini che andavano - a fornire Lozzole furono rotti dagli Ubaldini_ 283 - _CAP. LXX. Come s’ebbe Vertine a patti e disfecesi la - rocca_ 284 - _CAP. LXXI. Esempio di cittadinesca varietà di fortuna_ 285 - _CAP. LXXII. Come un gran re de’ Tartari venne sopra - il re di Proslavia_ 287 - _CAP. LXXIII. Come in Orvieto ebbe mutamento e micidio_ 289 - _CAP. LXXIV. Come l’armata de’ Genovesi andò a - Trapenon per danneggiare i nemici_ 290 - _CAP. LXXV. Come i Genovesi assediarono Costantinopoli_ 291 - _CAP. LXXVI. Concordia fatta dall’imperadore a’ comuni - di Toscana_ 293 - _CAP. LXXVII. Come si levò una compagnia nel Regno, - e fu rotta dal re Luigi_ 294 - _CAP. LXXVIII. Come i Perugini guastarono intorno - a Cortona_ 295 - _CAP. LXXIX. Come i Fiorentini fornirono Lozzole_ 296 - - - - - ERRORI CORREZIONI - - TOMO PRIMO - - p. 7 v. 28 li ro (in alcuna copia) libro - — 11 — 26 volsono valsono - — 17 — 2 e 10 principi principii - — 20 — 25 traditore, del traditore del sangue - sangue tuo che tuo, che farai? - farai? - — 44 — 13 ch’ cardinali ch’e’ cardinali - — 100 — 15 o ch’gli o ch’egli - — 118 — 14 cominciorono cominciarono - — 123 — 10 in sopetto in sospetto - — 177 — 2, e 3 fanti. Alla fanti alla venuta - venuta dell’oste dell’oste, - messer Giovanni messer Giovanni - — 202 — 12 il destro il destro, - — 236 — 7 ch’fra che fra - — 259 — 3 che v’ n’avea che ve n’avea - — 268 — 24 o passare e passare - - - - - -Nota del Trascrittore - -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo -senza annotazione minimi errori tipografici. Le correzioni indicate in -fine libro sono state riportate nel testo. - -*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK CRONICA DI MATTEO VILLANI, VOL. -I *** - -Updated editions will replace the previous one--the old editions will -be renamed. - -Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright -law means that no one owns a United States copyright in these works, -so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the -United States without permission and without paying copyright -royalties. Special rules, set forth in the General Terms of Use part -of this license, apply to copying and distributing Project -Gutenberg™ electronic works to protect the PROJECT GUTENBERG™ -concept and trademark. Project Gutenberg is a registered trademark, -and may not be used if you charge for an eBook, except by following -the terms of the trademark license, including paying royalties for use -of the Project Gutenberg trademark. 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General Terms of Use and Redistributing Project -Gutenberg™ electronic works - -1.A. By reading or using any part of this Project Gutenberg™ -electronic work, you indicate that you have read, understand, agree to -and accept all the terms of this license and intellectual property -(trademark/copyright) agreement. If you do not agree to abide by all -the terms of this agreement, you must cease using and return or -destroy all copies of Project Gutenberg™ electronic works in your -possession. If you paid a fee for obtaining a copy of or access to a -Project Gutenberg™ electronic work and you do not agree to be bound -by the terms of this agreement, you may obtain a refund from the -person or entity to whom you paid the fee as set forth in paragraph -1.E.8. - -1.B. “Project Gutenberg” is a registered trademark. It may only be -used on or associated in any way with an electronic work by people who -agree to be bound by the terms of this agreement. 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Hart was the originator of the Project -Gutenberg™ concept of a library of electronic works that could be -freely shared with anyone. For forty years, he produced and -distributed Project Gutenberg™ eBooks with only a loose network of -volunteer support. - -Project Gutenberg™ eBooks are often created from several printed -editions, all of which are confirmed as not protected by copyright in -the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not -necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper -edition. - -Most people start at our website which has the main PG search -facility: www.gutenberg.org - -This website includes information about Project Gutenberg™, -including how to make donations to the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to -subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks. diff --git a/old/69898-0.zip b/old/69898-0.zip Binary files differdeleted file mode 100644 index 5362cd6..0000000 --- a/old/69898-0.zip +++ /dev/null diff --git a/old/69898-h.zip b/old/69898-h.zip Binary files differdeleted file mode 100644 index 8f6768e..0000000 --- a/old/69898-h.zip +++ /dev/null diff --git a/old/69898-h/69898-h.htm b/old/69898-h/69898-h.htm deleted file mode 100644 index 40a0240..0000000 --- a/old/69898-h/69898-h.htm +++ /dev/null @@ -1,11839 +0,0 @@ -<!DOCTYPE html> -<html lang="it"> -<head> - <meta charset="UTF-8"> - <title>Cronica vol. 1, di Matteo Villani</title> - <link rel="icon" href="images/cover.jpg" type="image/x-cover"> - <style> -body {margin-left: 10%; margin-right: 10%;} - -p {margin-top: .5em; margin-bottom: 0em; line-height: 1.2; text-align: justify;} -.center {text-align: center; text-indent: 0;} - -div.booktitle {page-break-before: always; padding: 3em;} -div.titlepage {text-align: center; margin: 0 5%; padding: 2em 0; page-break-before: always; page-break-after: always;} -div.titlepage p {text-align: inherit;} -div.somm {page-break-before: always; padding-top: 3em;} -div.chapter {page-break-before: always; padding-top: 3em;} -div.chapter h2 {page-break-before: avoid;} - -h1,h2,h3 {text-align: center; font-style: normal; -font-weight: normal; line-height: 1.5;} -h1 {font-size: 150%;} -h2 {font-size: 140%; margin-top: 1em; margin-bottom: 2em; page-break-before: avoid;} -h3 {font-size: 120%; margin-top: 2em;} - -span.smaller {display: block; font-size: 85%; margin: .5em 5%; line-height: 1.2em;} - -hr {width: 70%; margin-top: 1em; margin-bottom: 1em; margin-left: 15%; margin-right: 15%; clear: both;} -hr.silver {width: 90%; margin-left: 5%; margin-right: 5%; border-top: none; border-right: none; border-bottom: thin solid silver; border-left: none;} -.x-ebookmaker hr.silver {display: none;} - -.pagenum {position: absolute; right: 2%; font-style: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; font-size: 65%; text-align: right; color: #999999; background-color: #ffffff; clear: left;} - -.pad4 {margin-top: 4em;} -.pad2 {margin-top: 2em;} -.pad1 {margin-top: 1em;} - -.small {font-size: 85%;} -.large {font-size: 115%;} -.x-large {font-size: 130%;} -.main-t {font-size: 200%;} -.g {letter-spacing: .2em;} -.smcap {font-variant: small-caps;} -.lowercase {text-transform: lowercase;} -.upright {font-style: normal;} - -table {margin: auto; border-collapse: collapse;} -.indice {width: 80%; line-height: 1em; margin-top: 2em;} -.indice td {vertical-align: top; padding-left: 1.5em; text-indent: -1em;} -.indice td.pag {text-align: right; vertical-align: bottom; white-space: nowrap;} - -.errata {width: 90%; line-height: 1em; margin-top: 2em;} -.errata td {vertical-align: top; padding-left: 1em; text-indent: -1em; padding-right: 0.8em;} -.errata td.num {text-align: right; white-space: nowrap;} - -.tnote {background-color: #f7f1e3; color: #000; padding: 1em 1em 2em 1em; - margin: 3em 10%; font-family: sans-serif; font-size: 90%; page-break-before: always;} -.tntitle {text-align: center; text-indent: 0; padding: 1em; font-size: 120%; margin-bottom: 1em;} -.tnote p {padding: 0 1em;} -.covernote {visibility: hidden; display: none;} -.x-ebookmaker .covernote {visibility: visible; display: block;} - -</style> -</head> -<body> -<div lang='en' xml:lang='en'> -<p style='text-align:center; font-size:1.2em; font-weight:bold'>The Project Gutenberg eBook of <span lang='it' xml:lang='it'>Cronica di Matteo Villani, vol. 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I</span></p> -<p style='display:block; margin-left:2em; text-indent:0; margin-top:0; margin-bottom:1em;'><span lang='it' xml:lang='it'>A miglior lezione ridotta coll'aiuto de' testi a penna</span></p> -<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Author: Matteo Villani</p> -<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Editor: Ignazio Moutier</p> -<p style='display:block; text-indent:0; margin:1em 0'>Release Date: January 29, 2023 [eBook #69898]</p> -<p style='display:block; text-indent:0; margin:1em 0'>Language: Italian</p> - <p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em; text-align:left'>Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images made available by the Bayerische Staatsbibliothek)</p> -<div style='margin-top:2em; margin-bottom:4em'>*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK <span lang='it' xml:lang='it'>CRONICA DI MATTEO VILLANI, VOL. I</span> ***</div> - -<div class="booktitle"> -<h1> -CRONICA<br> -DI<br> -MATTEO VILLANI<br><br> -TOMO I. -</h1> -</div> - -<hr class="silver" /> - -<div class="titlepage"> -<p class="main-t"> -CRONICA -</p> - -<p class="pad2 small">DI</p> - -<p class="pad1 x-large"> -MATTEO<br> -<span class="g">VILLANI</span> -</p> - -<p class="pad2"> -A MIGLIOR LEZIONE RIDOTTA<br> -<span class="small">COLL’AIUTO</span><br> -DE’ TESTI A PENNA -</p> - -<p class="pad1 large"> -TOMO I. -</p> - -<p class="pad4"> -FIRENZE<br> -PER IL MAGHERI<br> -1825 -</p> -</div> - -<div class="somm"> -<hr> -<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p> -<hr> -</div> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_v">[v]</span> -</p> - -<h2 id="prefazione"><i>AI LETTORI</i> -<span class="smaller">L’EDITORE<br> -IGNAZIO MOUTIER.</span></h2> -</div> - -<p> -<i>Matteo Villani continuatore della Cronica -di Giovanni è reputato inferiore all’ultimo e -per la lingua e per lo stile: ma quanto sia ingiusto -un giudizio sì decisivo emesso in vari -tempi da accreditati scrittori, e sempre ciecamente -ripetuto, lo dimostra la medesima opera -sua, a coloro che si dilettassero di farne uno -studio più diligente. L’accusa datagli di diffuso -scrittore è tanto essenzialmente falsa, che -sembra pronunziata da uomo mal prevenuto, o -che non abbia mai conosciuta l’opera che li piacque -di condannare. Ma la cagione primaria -per cui pochi fino ad ora si dedicarono a studiare -la Cronica di Matteo, è stata certamente -la pessima forma con la quale fu sempre pubblicata -nelle poche edizioni che ne furon fatte -fino a questo giorno. La buona volontà d’un -lettore paziente si stanca facilmente alla lettura -d’un’opera condotta senz’ombra d’ortografia, -<span class="pagenum" id="Page_vi">[vi]</span> -e che trovi ad ogni passo periodi intralciati, -voci fuor di luogo, omissioni d’ogni genere, -e dei versi ancora ripetuti, e in tale stato sono -le tre edizioni eseguite dai Giunti in epoche -differenti, e che tutte si trovan citate nel Vocabolario -degli Accademici della Crusca. È cosa -veramente da deplorarsi con quanta negligenza -siano state impresse nel secolo decimosesto molte -opere classiche di nostra lingua. L’esperienza -di fatto mi fece conoscere, che molti editori di -opere di classici antichi scrittori, cominciando -poco avanti la metà del secolo decimosesto fino -verso la fine di esso, avevano adottato un certo -loro particolar sistema di variare a capriccio -la lezione dei codici antichi, in quei luoghi che -discordavano dalla loro maniera di vedere e -d’intendere, sostituendo e togliendo a vicenda -voci e talvolta interi periodi, senza altra ragione -che il loro singolarissimo sistema. Questo -intollerabile abuso di torta critica guastò talmente -gli scritti di molte opere classiche, che i -giudizi che ne furon fatti di esse da chi s’affidò -ciecamente alle stampe del cinquecento senza -ricorrere ai manoscritti son da tenersi per -inesatti e non veri. Quanta verità possa avere -l’accusa che io do agli editori del cinquecento -lo mostrerebbero abbastanza l’edizioni di Giovanni -e di Matteo Villani eseguite in quel secolo, -ma più luminosamente potrò dimostrarlo -fra qualche tempo, se la fortuna mi concede il -mezzo di dare al pubblico l’opere tutte d’un -sommo scrittore, che già da qualche anno m’occupo -con paziente studio alla loro emendazione.</i> -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_vii">[vii]</span> -</p> - -<p> -<i>Lorenzo Torrentino fu il primo a pubblicare -in un volumetto, in Firenze nel 1554, i soli -primi quattro libri della Cronica di Matteo -Villani, corretti quanto poteva ottenersi in quel -tempo da una prima edizione di un’opera che -si traeva da antico manoscritto. Filippo e Iacopo -Giunti stampatori in Firenze, commessero -nel 1562 a Domenico Guerra e Giovan Battista -suo fratello stampatori in Venezia l’impressione -della Cronica di Matteo, la quale non -giunse oltre il cap. 85 del libro nono. Nella dedica -che fanno i Giunti al principe don Francesco -de’ Medici in data del medesimo anno, vi -si leggono lusinghiere promesse di dare l’opera -in quel modo appunto ch’ella fu scritta dall’autore, -avendone affidata la revisione ad <span class="upright">uomini -eccellentissimi, che ogni particella e ogni parola -accomodarono al luogo suo, ch’ella non uscì -forse di mano a Matteo altramente disposta</span>: ma -ad onta di sì belle parole, quest’impressione fu -reputata scorretta dai medesimi Giunti, i quali -nel 1581 la riprodussero più emendata col soccorso -d’un codice che allora esisteva presso -Giuliano de’ Ricci, premettendovi la medesima -prefazione al principe don Francesco senza -mutar data. Quest’edizione benchè conti -un capitolo di più della prima in fine del -libro nono contiene precisamente la stessa materia, -non variando che la materiale numerazione -dei capitoli. Col soccorso pure del -codice di Giuliano de’ Ricci pubblicarono i Giunti -nel 1577 in Firenze i tre ultimi libri della -Cronica di Matteo, così da loro intitolati, ma -<span class="pagenum" id="Page_viii">[viii]</span> -che essenzialmente non sono che ventisette capitoli -che compiscono il nono libro, e il libro -decimo e undecimo; di questi ultimi libri ne -fecero un’esatta ristampa nel 1596. La giunta -di Filippo comprende gli ultimi quarantadue -capitoli dell’undecimo ed ultimo libro. L’ultima -edizione, e certamente la migliore della Cronica -di Matteo, fu pubblicata nel 1729 in Milano -nel decimoquarto volume della celebre -collezione degli scrittori delle cose d’Italia di -Lodovico Antonio Muratori, procurata ed illustrata -da Filippo Argelati. In quest’edizione -fu seguitata la stampa dei Giunti del 1581, e -il seguito impresso nel 1577; vi furono per altro -aggiunte a piè della pagina le varianti lezioni -che furono tratte dal cavalier Marmi dal codice -Ricci, e da un altro manoscritto esistente -allora presso il prior Francesco Covoni; ma -queste varie lezioni si trovano per la maggior -parte sì inutilmente abbondanti in principio -dell’opera, come scarseggianti dopo l’ottavo libro, -da muovere ragionevolmente sospetto che -il cavalier Marmi si stancasse alla metà del -suo faticoso lavoro. In questa edizione fu con -tanto scrupolo seguitata la lezione giuntina che -vi fu lasciata stare la medesima viziosa ortografia, -a danno dei poveri lettori, a’ quali è -troppo grave nello studio degli antichi classici -questo barbaro sistema, che non è ancora spento -del tutto.</i> -</p> - -<p> -<i>Da questo esatto ragguaglio dell’edizioni -della Cronica di Matteo e Filippo Villani fino -ad ora pubblicate, è facile persuadersi del bisogno -<span class="pagenum" id="Page_ix">[ix]</span> -di farne una nuova più accurata edizione, -ma tal pensiero venuto più volte in mente a uomini -di molta dottrina, e amantissimi della -lingua italiana, svanì e venne meno allorchè -cominciarono a sentire il peso di questa spinosa -fatica. Colui che sia nuovo affatto di simili studi -non può con approssimazione calcolare il lungo -tedio che richiedono i confronti d’opere -stampate con i manoscritti, che quasi sempre -si trovano tra loro discordi nella lezione, o -mancanti, o inintelligibili, e quel che è peggio -variati sovente dall’arbitrio d’ignoranti copisti. -Abituato com’io sono da molti anni a simili -studi, da me intrapresi con vero desiderio di recare -con l’opera mia qualche vantaggio agli amatori -dei classici nostri, che sì deturpati per la -maggior parte erano stati impressi in antico, -pubblicai già è un anno la Cronica di Giovanni -Villani (alla cui emendazione ebbi l’assistenza -un mio carissimo amico) e fin da quell’epoca -contrassi verso il pubblico l’obbligazione di -dare alla luce ricorretta ed emendata l’opera -di Matteo e Filippo Villani, servendomi della -lezione del famoso codice Ricci. Questo codice -cartaceo in foglio, di non elegante ma buona -forma di lettere, è scritto tutto d’una medesima -mano; ha in principio una breve nota che ci -fa conoscere l’anno in cui fu trascritto, così -concepita: <span class="upright">Questo libro fu scritto l’anno 1378 -da Ardingo di Corso de’ Ricci, e continuamente -si conserva in questa casa: e oggi, che siamo alli -6 di maggio 1608, è posseduto da Ruberto di Giuliano -de’ Ricci.</span> Su qual documento asserisca -<span class="pagenum" id="Page_x">[x]</span> -questo Ruberto de’ Ricci che il codice sia stato -scritto nel 1378 non è da conoscersi tanto facilmente, -ma di certo la scrittura è del secolo in -cui si vuole che sia stato copiato. Comincia il -manoscritto con la tavola delle rubriche o capitoli -con le prime voci e i numeri dei capitoli -scritti in rosso, che occupano le prime diciotto -carte; ne segue poi la Cronica, che comprende -carte trecentosettanta, con i titoli de’ capitoli -e la serie della loro numerazione in rosso. Questo -codice di buona conservazione, non va per -altro esente dalla sorte che hanno incontrato la -maggior parte dei manoscritti, che per incuria -o ignoranza di chi gli ha avuti a mano si trovano -oggi mutilati e mal conci, poichè si hanno -in esso mancanti le carte 299, e 384; mancava -pure la carta 108, che fu sostituita fino -dall’anno 1573 da ignota mano. La buonissima -lezione che ha questo manoscritto fa chiara -testimonianza della diligenza del suo copista, -che non deve essere stato di que’ prezzolati emanuensi -che in quel secolo flagellarono ogni maniera -di scritture, ma uomo al certo di qualche -dottrina. E qui mi sia lecito dar tributo d’obbligazione -e di riconoscenza all’egregio signor -Commendatore Lapo de’ Ricci, che con tanta -amorevolezza si compiacque accordarmi l’uso -per la presente edizione di questo prezioso codice -di Matteo Villani, scritto come parla l’antica -tradizione da Ardingo di Corso de’ Ricci, già -di sopra menzionato, e che tuttavia si conserva -nella biblioteca di quest’illustre famiglia.</i> -</p> - -<p> -<i>Di questo codice adunque mi sono quasi interamente -<span class="pagenum" id="Page_xi">[xi]</span> -giovato nella presente ristampa di -Matteo Villani, come il più corretto e copioso -di quanti n’abbia veduti, ed ho solamente -avuto ricorso alle varianti del codice -Covoni che esistono nell’accennata edizione -dell’opera di Matteo eseguita in Milano nel -1729, in quei pochissimi luoghi che manifestamente -erano errati. Due codici della libreria -Riccardiana e uno della Magliabechiana -mi hanno fornito di qualche variante nel corso -dell’opera, la poca importanza delle quali mi -disobbliga dal far di essi un circostanziato -ragguaglio.</i> -</p> - -<p> -<i>La presente edizione della Cronica di Matteo -Villani potrebbe ragionevolmente chiamarsi -un’esatta copia del codice Ricci, se i pochi luoghi -che in esso si trovano errati non avessero -domandato il soccorso d’altri codici antichi -per rettificarne gli errori. Così avess’io potuto -supplire con altri manoscritti alle lagune vistose -del codice Ricci, specialmente a quelle che -s’incontrano ne’ tre ultimi libri, ma il fatto -mi ha dimostrato non esser questo un errore da -attribuirsi al copista, ma bensì all’autore medesimo, -l’immatura morte del quale gli tolse -il modo di dar l’ultima mano all’opera sua, -giacchè tutti i manoscritti da me riscontrati, -e non in piccol numero, hanno sventuratamente -lo stesso difetto, da toglier la speranza a -ogni accurato investigatore di rinvenire un -giorno ciò che ora invano si desidera. Quei passi -per altro, che nell’edizioni eseguite dai Giunti -furono tolti per cagione de’ tempi, si troveranno -<span class="pagenum" id="Page_xii">[xii]</span> -in quest’edizione restituiti al loro luogo, -cioè al Cap. 93 del libro nono, e al Prologo del -libro undecimo.</i> -</p> - -<p> -<i>Il sistema che ho creduto dover seguitare in -quest’edizione è stato il medesimo che servì di -norma alla pubblicazione del primo Villani, -meno che più libertà mi son preso intorno a’ nomi -propri, avendone del tutto banditi gl’idiotismi -del tempo, che nulla han che fare con la lingua, -e che ad altro non servono che ad essere -inciampo e noia al maggior numero dei lettori. -L’ortografia ho avuto cura che si presti totalmente -all’intelligenza del testo senz’altra regola -speciale, semplicizzando più che ho saputo -l’andamento del periodo. Finalmente all’ultimo -volume vi ho posto l’indice generale, indispensabile -ad un’opera di tal natura, e un -elenco di voci mancanti nel Vocabolario degli -Accademici della Crusca. In un volume di supplemento -riprodurrò le vite degli uomini illustri -Fiorentini scritte da Filippo Villani, giovandomi -dell’edizione procurata dall’erudito -Giammaria Mazzuchelli nel 1747 in Venezia; -e così mi compiacerò d’essere stato il primo a -riunire in un sol corpo tutte l’opere toscane -de’ tre Villani, impresa molte volte progettata -e mai condotta a buon termine, per gl’infiniti -ostacoli ch’era d’uopo sormontare con lungo e -pazientissimo studio.</i> -</p> - -<p> -<i>Il dovere mi obbligherebbe a premettere all’opera -alcune notizie intorno alla vita pubblica -e privata di Matteo Villani, ma tanto scarsi -sono i documenti che lo riguardano, quanto -<span class="pagenum" id="Page_xiii">[xiii]</span> -inutili e infruttuose sono state fino ad ora le -ricerche di diligenti biografi. Il suo figliuolo -Filippo continuatore dell’opera del padre ci -ha tramandata l’epoca della di lui morte, la -quale avvenne a dì 12 di luglio del 1363, anch’egli -come il fratello Giovanni colpito dalla peste -che da molti anni lacerava quasi tutta Europa, -ma specialmente la misera Italia, senza che gli -uomini riparassero a tanto loro esterminio. Il -Manni (Sig. Ant. T. 4. p. 75) ci addita due -mogli ch’egli ebbe, Lisa de’ Buondelmonti e -Monna de’ Pazzi, e alcune altre notizie ci riferisce -illustrando l’albero di casa Villani, la -più importante è quella che Matteo come ghibellino -fu da’ capitani di parte guelfa ammonito. -Di Filippo assai ne ragiona il diligentissimo -Mazzuchelli nella sua prefazione -alle Vite degli Uomini illustri Fiorentini, la -quale pubblicherò nel settimo volume di quest’opera, -premettendola alle medesime Vite -scritte da Filippo, procurando pure d’emendarle -con l’aiuto de’ manoscritti, benchè fino ad -ora quelli che m’è avvenuto riscontrare non -meritano nessuna fiducia per essere troppo moderni, -e notoriamente variati dal capriccio -de’ loro copiatori.</i> -</p> - -<p> -<i>Se questa mia non lieve fatica d’aver cercato -di ridurre a miglior lezione la Cronica di -Matteo Villani non incontrerà in particolare -l’approvazione dei dotti, riscuoterà certamente -il suffragio da tutti quelli che s’esercitano -nello studio dei nostri classici antichi, che da -un fonte più puro potranno trarre, con minor -<span class="pagenum" id="Page_xiv">[xiv]</span> -noia e fatica di quel che far si potesse in addietro, -preziosi documenti per l’istoria e per -l’incremento della lingua italiana. Così piaccia -alla fortuna d’accordare tal’ozio tranquillo -ai dotti accademici della Crusca, a’ quali è -commesso l’incarico di nostra lingua, che applicar -si possano con vero studio all’emendazione -di tanti classici, che ripieni d’infiniti errori -e mancanze, attendono ancora dalla critica -di questo secolo d’essere riprodotti nella loro -vera e primitiva forma. Ad alcuni onorevoli -Accademici è debitrice la repubblica delle lettere -di alcune opere riprodotte nella loro originalità, -e di altri se ne desiderano tuttavia le -studiose fatiche, ma troppe opere ancora rimangono -da emendarsi, e dell’inedite da pubblicarsi, -che il loro numero e la loro importanza può -giustificare qualunque lamento che se ne faccia. -Sia loro di massimo incitamento l’esempio dell’ottimo -nostro Sovrano, che da qualche anno si -compiacque di farsi membro di quell’illustre -Accademia, il quale con munificenza degna di -tanto Principe ha pubblicato in quest’anno le -opere di Lorenzo il Magnifico, con grandissimo -studio da Lui emendate e illustrate.</i> -</p> - -<hr class="silver"> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_1">[1]</span> -</p> - -<h2 id="prologo">CRONICA -<span class="smaller">DI -MATTEO VILLANI</span></h2> - -<h2 id="libro1">LIBRO PRIMO</h2> - -<h3 id="prologo1"><i>Qui comincia la Cronica di Matteo Villani, -e prima il prologo, e primo libro.</i></h3> -</div> - -<p> -Esaminando nell’animo la vostra esortazione, -carissimi amici, di mettere opera a scrivere le -storie e le novità che a’ nostri tempi avverranno, -pensai la mia piccola facultà essere debole a -cotanta e tale opera seguire. Ma perocchè la vostra -richesta mi rende per debito pronto a ubbidire, -e il vostro consiglio aggiugne vigore alla -stanca mente; e pensando che per la macchia -del peccato la generazione umana tutta è sottoposta -alle temporali calamità, e a molta miseria, e -a innumerabili mali, i quali avvengono nel mondo -per varie maniere, e per diversi e strani movimenti, -<span class="pagenum" id="Page_2">[2]</span> -e tempi; come sono inquietazioni di -guerre, movimenti di battaglie, furore di popoli, -mutamenti di reami, occupazioni di tiranni, -pestilenzie, mortalità e fame, diluvi, incendi, naufragi -e altre gravi cose, delle quali gli uomini, -ne’ cui tempi avvengono, quasi da ignoranza soppresi, -più forte si maravigliano, e meno comprendono -il divino giudicio, e poco conoscono il -consiglio e ’l rimedio dell’avversità, se per memoria -di simiglianti casi avvenuti ne’ tempi passati -non hanno alcuno ammaestramento: e in -quelle che la chiara faccia della prosperità rapporta -non sanno usare il debito temperamento; -rischiudendo sotto lo scuro velo della ignoranza -l’uscimento cadevole, e il fine dubbioso delle -mortali cose. Onde pensando che l’opera puote -essere fruttuosa, e debba piacere per li naturali -desideri degli uomini, mi mossi a cominciare, -per esempio di me uomo di leggieri scienza, ad -apparecchiar materia a’ savi di concedere del loro -tempo alcuna parte, per lasciare agli altri memoria -delle cose appariranno di ciò degne a’ loro -temporali, e a’ meno sperti speranza con fatica e -studio da poter venire a operazioni virtudiose, e -a coloro che avranno più alto ingegno, materia di -ristrignere su brevità, e con più piacere degli uditori, -le nostre storie. Ma perocchè ogni cosa è imperfetta -e vana senza l’aiuto della divina grazia, -chiamiamo in nostro aiuto la carità divina, -Cristo benedetto; il quale è in unità col Padre -e con lo Spirito Santo, vive e regna per tutti i secoli, -e dà cominciamento e mezzo e termine perfetto -a ogni buona operazione. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_3">[3]</span> -</p> - -<h3 id="cap1-1">CAP. I. -<span class="smaller"><i>Della inaudita mortalità.</i></span></h3> - -<p> -Trovasi nella santa Scrittura, che avendo il -peccato corrotto ogni via della umana carne, Iddio -mandò il diluvio sopra la terra: e riservando -per la sua misericordia l’umana carne in otto -anime, di Noè, e di tre suoi figliuoli e delle -loro mogli nell’arca, tutta l’altra generazione -nel diluvio sommerse. Dappoi per li tempi multiplicando -la gente, sono stati alquanti diluvi -particolari, mortalità, corruzioni e pistolenze, -fami e molti altri mali, che Iddio ha permesso -venire sopra gli uomini per li loro peccati. Tra -le quali mortalità troviamo venute le più gravi -l’una al tempo di Marco Aurelio, Antonio e Lucio -Aurelio Commodo imperadori, gli anni di Cristo -171, la quale cominciò in Babilonia d’Egitto, -e comprese molte provincie del mondo. E tornando -L. Commodo colle legioni de’ Romani -delle parti d’Asia, parea combattesse ostilemente -per la loro infezione gli uomini delle -provincie ond’elli passavano: e a Roma fece grave -sterminio de’ suoi abitanti. E l’altra venne al -tempo di Gallo Ostilio Augusto, e Bolusseno suo -figliuolo, occupatori dello imperio, e gravi persecutori -de’ cristiani, la quale cominciò gli anni -di Cristo 254, e durò, ritornando di tempo in -tempo, intorno di quindici anni: e fu di diverse -e incredibili infermitadi, e comprese molte provincie -del mondo. Ma per quello che trovar si -<span class="pagenum" id="Page_4">[4]</span> -possa per le scritture, dal generale diluvio in -qua, non fu universale giudicio di mortalità -che tanto comprendesse l’universo, come quella -che ne’ nostri dì avvenne. Nella quale mortalità, -considerando la moltitudine che allora vivea, -in comparazione di coloro che erano in vita al -tempo del generale diluvio, assai più ne morirono -in questa che in quello, secondo la estimazione -di molti discreti. Nella quale mortalità -avendo renduta l’anima a Dio l’autore della -cronica nominata la Cronica di Giovanni Villani -cittadino di Firenze, al quale per sangue e per -dilezione fui strettamente congiunto, dopo molte -gravi fortune, con più conoscimento della calamità -del mondo che la prosperità di quello non -m’avea dimostrato, propuosi nell’animo mio -fare alla nostra varia e calamitosa materia cominciamento -a questo tempo, come a uno rinnovellamento -di tempo e secolo, comprendendo annualmente -le novità che appariranno di memoria -degne, giusta la possa del debole ingegno, come -più certa fede per li tempi avvenire ne potremo -avere. -</p> - -<h3 id="cap2-1">CAP. II. -<span class="smaller"><i>Quanto durava il tempo della moría in -catuno paese.</i></span></h3> - -<p> -Avendo per cominciamento nel nostro principio -a raccontare lo sterminio della generazione -umana, e convenendone divisare il tempo e il -modo, la qualità e la quantità di quella, stupidisce -la mente appressandosi a scrivere la sentenzia, -<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span> -che la divina giustizia con molta misericordia -mandò sopra gli uomini, degni per la -corruzione del peccato di final giudizio. Ma -pensando l’utilità salutevole che di questa memoria -puote addivenire alle nazioni che dopo noi -seguiranno, con più sicurtà del nostro animo -così cominciamo. Videsi negli anni di Cristo, -dalla sua salutevole incarnazione 1346, la -congiunzione di tre superiori pianeti nel segno -dell’Aquario, della quale congiunzione si disse -per gli astrolaghi che Saturno fu signore: onde -pronosticarono al mondo grandi e gravi novitadi; -ma simile congiunzione per li tempi passati -molte altre volte stata e mostrata, la influenzia -per altri particulari accidenti non parve cagione -di questa, ma piuttosto divino giudicio secondo -la disposizione dell’assoluta volontà di Dio. Cominciossi -nelle parti d’Oriente, nel detto anno, -inverso il Cattai e l’India superiore, e nelle altre -provincie circustanti a quelle marine dell’oceano, -una pestilenzia tra gli uomini d’ogni condizione -di catuna età e sesso, che cominciavano a sputare -sangue, e morivano chi di subito, chi in due o -in tre dì, e alquanti sostenevano più al morire. E -avveniva, che chi era a servire questi malati, appiccandosi -quella malattia, o infetti, di quella medesima -corruzione incontanente malavano, e morivano -per somigliante modo; e a’ più ingrossava -l’anguinaia, e a molti sotto le ditella delle braccia -a destra e a sinistra, e altri in altre parti del corpo, -che quasi generalmente alcuna enfiatura singulare -nel corpo infetto si dimostrava. Questa pestilenzia -si venne di tempo in tempo, e di gente in -<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span> -gente apprendendo, comprese infra il termine -d’uno anno la terza parte del mondo che si chiama -Asia. E nell’ultimo di questo tempo s’aggiunse -alle nazioni del Mare maggiore, e alle ripe del -Mare tirreno, nella Soria e Turchia, e in verso lo -Egitto e la riviera del Mar rosso, e dalla parte -settentrionale la Rossia e la Grecia, e l’Erminia -e l’altre conseguenti provincie. E in quello -tempo galee d’Italiani si partirono del Mare maggiore, -e della Soria e di Romania per fuggire la -morte, e recare le loro mercatanzie in Italia: -e’ non poterono cansare, che gran parte di loro -non morisse in mare di quella infermità. E arrivati -in Cicilia conversaro co’ paesani, e lasciarvi -di loro malati, onde incontanente si cominciò -quella pestilenzia ne’ Ciciliani. E venendo le -dette galee a Pisa, e poi a Genova, per la conversazione -di quegli uomini cominciò la mortalità -ne’ detti luoghi, ma non generale. Poi conseguendo -il tempo ordinato da Dio a’ paesi, la Cicilia -tutta fu involta in questa mortale pestilenzia. E -l’Affrica nelle marine, e nelle sue provincie di -verso levante, e le rive del nostro Mare tirreno. -E venendo di tempo in tempo verso il ponente, -comprese la Sardigna, e la Corsica, e l’altre isole -di questo mare; e dall’altra parte, ch’è detta -Europa, per simigliante modo aggiunse alle -parti vicine verso il ponente, volgendosi verso il -mezzogiorno con più aspro assalimento che sotto -le parti settentrionali. E negli anni di Cristo -1348 ebbe infetta tutta Italia, salvo che -la città di Milano, e certi circustanti all’Alpi, -che dividono l’Italia dall’Alamagna, ove -<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span> -gravò poco. E in questo medesimo anno cominciò -a passare le montagne, e stendersi in Proenza, -e in Savoia, e nel Dalfinato, e in Borgogna, -e per la marina di Marsilia e d’Acquamorta, e -per la Catalogna, e nell’isola di Maiolica, e in -Ispagna e in Granata. E nel 1349 ebbe compreso -fino nel ponente, le rive del Mare oceano, -d’Europa e d’Affrica e d’Irlanda, e l’isola -d’Inghilterra e di Scozia, e l’altre isole -di ponente, e tutto infra terra con quasi eguale -mortalità, salvo in Brabante ove poco offese. -E nel 1350 premette gli Alamanni, e gli Ungheri, -Frigia, Danesmarche, Gotti, e Vandali, e gli altri -popoli e nazioni settentrionali. E la successione -di questa pestilenzia durava nel paese ove -s’apprendeva cinque mesi continovi, ovvero -cinque lunari: e questo avemmo per isperienza -certa di molti paesi. Avvenne, perchè parea -che questa pestifera infezione s’appiccasse per la -veduta e per lo toccamento, che come l’uomo, o -la femmina o i fanciulli si conoscevano malati di -quella enfiatura, molti n’abbandonavano, e innumerabile -quantità ne morirono, che sarebbono -campati se fossono stati aiutati delle cose bisognevoli. -Tra gl’infedeli cominciò questa inumanità -crudele, che le madri e’ padri abbandonavano -i figliuoli, e i figliuoli le madri e’ padri, e l’uno -fratello l’altro e gli altri congiunti, cosa crudele -e maravigliosa, e molto strana dalla umana -natura, detestata tra i fedeli cristiani, nei quali, -seguendo le nazioni barbare, questa crudeltà -si trovò. Essendo cominciata nella nostra -città di Firenze, fu biasimata da’ discreti -<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span> -la sperienza veduta di molti, i quali si provvidono, -e rinchiusono in luoghi solitari, e di sana -aria, forniti, d’ogni buona cosa da vivere, ove -non era sospetto di gente infetta; in diverse contrade -il divino giudicio (a cui non si può serrare -le porti) gli abbattè come gli altri che non s’erano -provveduti. E molti altri, i quali si dispuosono alla -morte per servire i loro parenti e amici malati, -camparono avendo male, e assai non l’ebbono -continovando quello servigio; per la qual cosa -ciascuno si ravvide, e cominciarono senza sospetto -ad aiutare e servire l’uno l’altro; onde -molti guarirono, ed erano più sicuri a servire -gli altri. Nella nostra città cominciò generale -all’entrare del mese d’aprile gli anni -<i>Domini</i> 1348, e durò fino al cominciamento -del mese di settembre del detto anno. E morì -tra nella città, contado e distretto di Firenze, -d’ogni sesso e di catuna età de’ cinque i tre, e -più, compensando il minuto popolo e i mezzani -e’ maggiori, perchè alquanto fu più menomato, -perchè cominciò prima, ed ebbe meno aiuto, e -più disagi e difetti. E nel generale per tutto il -mondo mancò la generazione umana per simigliante -numero e modo, secondo le novelle che -avemmo di molti paesi strani, e di molte provincie -del mondo. Ben furono provincie nel Levante -dove vie più ne moriro. Di questa pestifera -infermità i medici in catuna parte del mondo, -per filosofia naturale, o per fisica, o per arte -d’astrologia non ebbono argomento nè vera cura. -Alquanti per guadagnare andarono visitando -e dando loro argomenti, li quali per la loro morte -<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span> -mostrarono l’arte essere fitta, e non vera: -e assai per coscienza lasciarono a ristituire i danari -che di ciò aveano presi indebitamente. -</p> - -<p> -Avemmo da mercatanti genovesi, uomini degni -di fede, che aveano avute novelle di que’ paesi, -che alquanto tempo innanzi a questa pestilenzia, -nelle parti dell’Asia superiore, uscì della terra, -ovvero cadde da cielo un fuoco grandissimo, il -quale stendendosi verso il ponente, arse e consumò -grandissimo paese senza alcuno riparo. E -alquanti dissono, che del puzzo di questo fuoco -si generò la materia corruttibile della generale -pestilenzia: ma questo non possiamo accertare. -Appresso sapemmo da uno venerabile frate minore -di Firenze vescovo di .... del Regno, uomo -degno di fede, che s’era trovato in quelle -parti dov’è la città di Lamech ne’ tempi della -mortalità, che tre dì e tre notti piovvono in -quello paese biscie con sangue che appuzzarono e -corruppono tutte le contrade: e in quella tempesta -fu abbattuto parte del tempio di Maometto, -e alquanto della sua sepoltura. -</p> - -<h3 id="cap3-1">CAP. III. -<span class="smaller"><i>Della indulgenzia diede il papa per la detta -pistolenza.</i></span></h3> - -<p> -In questi tempi della mortale pestilenzia, papa -Clemente sesto fece grande indulgenza generale -della pena di tutti i peccati a coloro che pentuti e -confessi la domandavano a’ loro confessori, e morivano: -e in quella certa mortalità catuno cristiano -<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span> -credendosi morire si disponea bene, e con molta -contrizione e pazienzia rendevano l’anima a Dio. -</p> - -<h3 id="cap4-1">CAP. IV. -<span class="smaller"><i>Come gli uomini furono peggiori che prima.</i></span></h3> - -<p> -Stimossi per quelli pochi discreti che rimasono -in vita molte cose, che per la corruzione del -peccato tutte fallirono agli avvisi degli uomini, -seguendo nel contradio maravigliosamente. Credetesi -che gli uomini, i quali Iddio per grazia -avea riserbati in vita, avendo veduto lo sterminio -dei loro prossimi, e di tutte le nazioni del -mondo, udito il simigliante, che divenissono di -migliore condizione, umili, virtudiosi e cattolici, -guardassonsi dall’iniquità e dai peccati, e fossono -pieni d’amore e di carità l’uno contra l’altro. Ma -di presente restata la mortalità apparve il contradio; -che gli uomini trovandosi pochi, e abbondanti -per l’eredità e successioni dei beni terreni, -dimenticando le cose passate come state -non fossono, si dierono alla più sconcia e disonesta -vita che prima non aveano usata. Perocchè -vacando in ozio, usavano dissolutamente il peccato -della gola, i conviti, taverne e delizie con -dilicate vivande, e’ giuochi, scorrendo senza freno -alla lussuria, trovando nei vestimenti strane e -disusate fogge e disoneste maniere, mutando -nuove forme a tutti gli arredi. E il minuto popolo, -uomini e femmine, per la soperchia abbondanza -che si trovarono delle cose, non voleano lavorare agli -usati mestieri; e le più care e dilicate vivande -<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span> -voleano per loro vita, e allibito si maritavano, vestendo -le fanti e le vili femmine tutte le belle e care -robe delle orrevoli donne morte. E senza alcuno -ritegno quasi tutta la nostra città scorse alla -disonesta vita; e così, e peggio, l’altre città e -provincie del mondo. E secondo le novelle che -sentire potemmo, niuna parte fu, in cui vivente -in continenzia si riserbasse, campati dal divino -furore, stimando la mano di Dio essere stanca. -Ma secondo il profeta Isaia, non è abbreviato il -furore d’Iddio, nè la sua mano stanca, ma molto -si compiace nella sua misericordia, e però lavora -sostenendo, per ritrarre i peccatori a conversione -e penitenzia, e punisce temperatamente. -</p> - -<h3 id="cap5-1">CAP. V. -<span class="smaller"><i>Come si stimò dovizia, e seguì carestia.</i></span></h3> - -<p> -Stimossi per il mancamento della gente dovere -essere dovizia di tutte le cose che la terra produce, -e in contradio per l’ingratitudine degli uomini -ogni cosa venne in disusata carestia, e continovò -lungo tempo: ma in certi paesi, come narreremo, -furono gravi e disusate fami. E ancora -si pensò essere dovizia e abbondanza di vestimenti, -e di tutte l’altre cose che al corpo umano sono -di bisogno oltre alla vita, e il contrario apparve -in fatto lungamente; che due cotanti o più valsono -la maggior parte delle cose che valere non soleano -innanzi alla detta mortalità. E il lavorio, -e le manifatture d’ogni arte e mestiero montò oltre -al doppio consueto disordinatamente. Piati, -<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span> -quistioni, contraversie e riotte sursono da ogni parte -tra’ cittadini di catuna terra, per cagione dell’eredità -e successioni. E la nostra città di -Firenze lungamente ne riempiè le sue corti con -grandi spendii e disusate gravezze. Guerre, e diversi -scandali si mossono per tutto l’universo, -contro alle opinioni degli uomini. -</p> - -<h3 id="cap6-1">CAP. VI. -<span class="smaller"><i>Come nacque in Prato un fanciullo mostruoso.</i></span></h3> - -<p> -In questo anno, del mese d’agosto, nacque -in Prato uno fanciullo mostruoso di maravigliosa -figura, perocchè a uno capo e a uno collo -furono partiti e stesi due imbusti umani con -tutte le membra distinte e partite dal collo -in giuso, senza niuna diminuzione che natura dia -a corpo umano: e catuno imbusto fu colle membra -e natura masculina. Ma l’uno corpo era maggiore -che l’altro: e vivette questo corpo mostruoso -e maraviglioso quindici giorni, dando pronosticazione -forse di loro futuri danni, come leggendo -appresso si potrà trovare. -</p> - -<h3 id="cap7-1">CAP. VII. -<span class="smaller"><i>Come alla compagnia d’Orto san Michele fu -lasciato gran tesoro.</i></span></h3> - -<p> -Nella nostra città di Firenze, l’anno della detta -mortalità, avvenne mirabile cosa: che venendo a -morte gli uomini, per la fede che i cittadini di Firenze -<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span> -aveano all’ordine e all’esperienza che veduta -era della chiara, e buona e ordinata limosina -che s’era fatta lungo tempo, e facea per li capitani -della compagnia di Madonna santa Maria d’Orto -san Michele, senza alcuno umano procaccio, -si trovò per testamenti fatti (i quali testamenti -nella mortalità, e poco appresso, si poterono trovare -e avere) che i cittadini di Firenze lasciarono -a stribuire a’ poveri per li capitani di quella -compagnia più di trecentocinquanta migliaia -di fiorini d’oro. Che vedendosi la gente morire, -e morire i loro figliuoli e i loro congiunti, ordinavano -i testamenti, e chi avea reda che vivesse, -legava la reda, e se la reda morisse, volea la -detta compagnia fosse reda; e molti che non -avevano alcuna reda, per divozione dell’usata e -santa limosina che questa compagnia solea fare, -acciocchè il suo si stribuisse a’ poveri com’era -usato, lasciavano di ciò ch’aveano reda la -detta compagnia: e molti altri non volendo -che per successione il suo venisse a’ suoi congiunti, -o a’ suoi consorti, legavano alla detta -compagnia tutti i loro beni. Per questa cagione, -restata la mortalità in Firenze, si trovò improvviso -quella compagnia in sì grande tesoro, senza -quello che ancora non potea sapere. E i mendichi -poveri erano quasi tutti morti, e ogni femminella -era piena e abbondevole delle cose, sicchè -non cercavano limosina. Sentendosi questo -fatto per cittadini, procacciarono molti con sollecitudine -d’essere capitani per potere amministrare -questo tesoro, e cominciarono a ragunare le masserizie -e’ danari; ch’avendo a vendere le masserizie -<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span> -nobili de’ grandi cittadini e mercatanti, tutte -le migliori e le più belle voleano per loro a grande -mercato, e l’altre più vili faceano vendere in -pubblico, e i danari cominciarono a serbare, e chi -ne tenea una parte, e chi un’altra a loro utilità. -E non essendo in quel tempo poveri bisognosi, -facevano le limosine grandi ciascuno capitano -ove più gli piaceva, poco a grado a Dio e alla -sua madre. E per questo indebito modo si consumò -in poco tempo molto tesoro. E quando veniva -il tempo di rifare i nuovi capitani, i cittadini -amici de’ vecchi si facevano fare capitani -nuovi da loro che avevano la balía, con molte -preghiere, e altre promessioni, intendendosi insieme -per poco onesta intenzione. Le possessioni -della compagnia allogavano per amistà e buon -mercato, e le vendite faceano disonestamente. -I cittadini ch’erano avviluppati nelle mani de’ -detti capitani per li lasci, e per le dote, e per -li debiti, e per le participazioni di quelli beni, e -per l’altre successioni non si poteano per lunghi -tempi spacciare da loro: e ogni cosa sosteneano -in lunga contumacia senza sciogliere, se per -speziale servigio non si facea. E fu tre anni -continovi più grande la loro corte che quella -del nostro comune. E avvedendosi i cittadini -della ipocrisia de’ capitani, acciocchè più -non seguitasse la elezione, che l’uno facesse l’altro, -ordinarono che i capitani si chiamassono -per lo consiglio. In processo di tempo -il comune prese de’ danari del mobile della detta -compagnia alcuna parte, vedendo che male si -stribuivano per li capitani. E per le dette cagioni -<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span> -la fede di quella compagnia tra’ cittadini -e’ contadini cominciò molto a mancare, avvelenata -per lo disordinato tesoro, e per gli avari -guidatori di quello. E per lo simigliante modo fu -lasciato a una nuova compagnia chiamata la -compagnia della Misericordia, tra in mobile e -in possessioni, il valore di più di venticinquemila -fiorini d’oro, i quali si stribuirono poco bene per lo -difetto de’ capitani che gli aveano a stribuire. E -allo spedale di santa Maria Nuova di san Gilio fu -anche lasciato in quella mortalità il valore di venticinquemila -fiorini d’oro. Questi lasci di questo -spedale si stribuirono assai bene, perocchè lo -spedale è di grande elemosina, e sempre abbonda -di molti infermi uomini e femmine, i quali -sono serviti e curati con molta diligenza e abbondanza -di buone cose da vivere, e da sovvenire -a’ malati, governandosi per uomini e femmine -di santa vita. -</p> - -<h3 id="cap8-1">CAP. VIII. -<span class="smaller"><i>Come in Firenze da prima si cominciò lo Studio.</i></span></h3> - -<p> -Rallentata la mortalità, e assicurati alquanto -i cittadini che aveano a governare il comune di -Firenze, volendo attrarre gente alla nostra città, -e dilatarla in fama e in onore, e dare materia -a’ suoi cittadini d’essere scienziati e virtudiosi, -con buono consiglio, il comune provvide e mise -in opera che in Firenze fosse generale studio di -catuna scienzia, e in legge canonica e civile, e -di teologia. E a ciò fare ordinarono uficiali, e -<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span> -la moneta che bisognava per avere i dottori delle -scienze: stanziò si pagassono annualmente -dalla camera del comune; e feciono acconciare i -luoghi dello Studio in su la via che traversa da -casa i Donati a casa i Visdomini, in su i casolari -de’ Tedaldini. E piuvicarono lo studio per tutta -Italia; e avuti dottori assai famosi in tutte le -facultà delle leggi e dell’altre scienze, cominciarono -a leggere a dì 6 del mese di novembre, -gli anni di Cristo 1348. E mandato il comune -al papa e a’ cardinali a impetrare privilegio -di potere conventare in Firenze in catuna -facultà di scienza, ed avere le immunità e onori -che hanno gli altri studi generali di santa Chiesa, -papa Clemente sesto, con suoi cardinali, -ricevuta graziosamente la domanda del nostro -comune, e considerando che la città di Firenze -era braccio destro in favore di santa Chiesa, e -copiosa d’ogni arte e mestiere, e che questo -che s’addomandava era onore virtudioso, acciocchè -’l buono cominciamento potesse crescere successivamente -in frutto di virtudi, di comune concordia -di tutto il collegio, e del papa, concedettono -al nostro comune privilegio, che nella -città di Firenze si potesse dottorare, e ammaestrare -in teologia, e in tutte l’altre facultadi delle -scienze generalmente. E attribuì tutte le franchigie -e onori al detto Studio che più pienamente -avesse da santa Chiesa Parigi o Bologna, o alcuna -altra città de’ cristiani. Il privilegio bollato della -papale bolla venne a Firenze, dato in Avignone -dì 31 di maggio, gli anni <i>Domini</i> 1349, l’ottavo -anno del suo pontificato. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span> -</p> - -<h3 id="cap9-1">CAP. IX. -<span class="smaller"><i>Raggiugnimento di principii che furono cagione -di grandi novitadi nel Regno.</i></span></h3> - -<p> -Avvegnachè nella cronica del nostro anticessore -sia trattato della novità sopravvenuta nel -regno di Cicilia e di qua dal faro, insino al tempo -vicino alla nominata mortalità, nondimeno la -nostra materia richiede (acciocchè meglio s’intendano -le cose che nel nostro tempo poi seguiranno) -che qui s’accolgano alquanti principii che -furono materia e cagioni di gravi movimenti. -Il re Ruberto rimorso da buona coscienza, avendo -con Carlo Umberto di suo lignaggio re d’Ungheria -trattato la restituzione del suo reame dopo -la sua morte a’ figliuoli del detto Carlo, nipoti -di Carlo Martello primogenito di Carlo secondo, -a cui di ragione succedea il detto reame di Cicilia, -e fermata la detta restituzione con promissione -di matrimonio, sotto certe condizioni -de’ figliuoli del detto Carlo Umberto, e delle due -figliuole di M. Carlo duca di Calavra, figliuolo -che fu del detto re Ruberto. E avendo già accresciuto -appresso di se il re Ruberto Andreasso -figliuolo di Carlo Umberto, e fattolo duca di Calavra, -a cui si dovea dare per moglie Giovanna -primagenita del detto Carlo, nipote del re Ruberto, -acciocchè fosse successore del reame dopo -la sua morte; e la detta Giovanna reina, con -condizioni ordinate per li casi che avvenire poteano, -che l’una succedesse all’altra in caso di -<span class="pagenum" id="Page_18">[18]</span> -mancamento di figliuoli, acciocchè la successione -del Regno non uscisse delle nipoti. Vedendosi -appressare alla morte, tanto fu stretto dallo amore -della propria carne, ch’egli commise errori -i quali furono cagione di molti mali. Perocchè innanzi -la sua morte fece consumare il matrimonio -del detto duca Andreasso alla detta Giovanna -sua nipote, e lei intolò reina. E a tutti i baroni, -reali, e feudatari e uficiali del Regno fece fare -il saramento alla detta reina Giovanna, lasciando -per testamento, che quando Andreasso duca di Calavra, -e marito della detta reina Giovanna, fosse -in età di ventidue anni, dovesse essere coronato re -del suo reame di Cicilia. Onde avvenne che ’l senno -di cotanto principe accecato del proprio amore -della carne, morendo lasciò la giovane reina -ricca di grande tesoro, e governatora del suo -reame, e povera di maturo consiglio, e maestra -e donna del suo barone, il quale come marito -dovea essere suo signore. E così verificando la -parola di Salomone, il quale disse, se la moglie -avrà il principato, diventerà contraria al suo -marito. La detta Giovanna vedendosi nel dominio, -avendo giovanile e vano consiglio, rendeva -poco onore al suo marito, e reggeva e governava -tutto il Regno con più lasciva e vana che virtudiosa -larghezza: e l’amore matrimoniale per l’ambizione -della signoria, e per inzigamento di perversi -e malvagi consigli, non conseguiva le sue -ragioni, ma piuttosto declinava nell’altra parte. -E però si disse che per fattura malefica la reina -parea strana dall’amore del suo marito. Per la -qual cagione de’ reali e assai giovani baroni presono -<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span> -sozza baldanza, e poco onoravano colui che -attendevano per loro signore. Onde l’animo nobile -del giovane, vedendosi offendere, e tenere a -vile a’ suoi sudditi, lievemente prendeva sdegni. -E moltiplicando le ingiurie per diversi modi, -dalla parte della sua donna e de’ suoi baroni, -per giovanile incostanza, alcuna volta con -la reina, alcuna volta con i baroni usò parole di -minacce, per le quali, coll’altra materia che -qui abbiamo detta, appressandosi il tempo della -sua coronazione, s’avacciò la crudele e violente -sua morte. Onde avvenne, che per fare la vendetta -Lodovico re d’Ungheria, fratello anzinato -del detto Andreasso, con forte braccio venne -nel Regno non contastato da niuno de’ reali, o da -altro barone, se non solo da M. Luigi di Taranto, -il quale dopo la morte del duca Andreasso, -per operazione della imperadrice sua madre, di -M. Niccola Acciaiuoli di Firenze suo balio, avea -tolta la detta reina Giovanna per sua moglie. -E innanzi la dispensagione, ch’era sua nipote in -terzo grado, temendo il giovane d’entrare nella camera -alla reina, confortatolo, e presolo per lo braccio -dal detto suo balio, in segreto sposò la detta -donna: e in palese fu dispensato il detto matrimonio -da santa Chiesa. Il quale M. Luigi si mise -a contastare alcuno tempo alla gente del detto re -d’Ungheria, venuta innanzi che la persona del -detto re. Ma sopravvenendo il re, la reina Giovanna -in prima, e appresso M. Luigi, con certe -galee in fretta, e male provveduti fuori che dello -scampo delle persone, fuggirono in Toscana, -e poi passarono in Proenza. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span> -</p> - -<h3 id="cap10-1">CAP. X. -<span class="smaller"><i>Come il re d’Ungheria fece ad Aversa uccidere -il duca di Durazzo.</i></span></h3> - -<p> -Lodovico re d’Ungheria giunto ad Aversa, fece -suo dimoro in quel luogo ove fu morto il fratello. -E ivi tutti i baroni del Regno l’andarono a vicitare, -e fare la reverenza come zio, e governatore -di Carlo Martello infante, figliuolo del detto duca -Andreasso, e della reina Giovanna, a cui succedeva -il reame. I reali, ciò furono M. Ruberto prenze -di Taranto, M. Filippo suo fratello, M. Carlo duca -di Durazzo, che avea per moglie donna Maria sirocchia -della reina Giovanna, e M. Luigi e M. -Ruberto suoi fratelli andarono ad Aversa confidentemente -a fare la reverenza al detto re d’Ungheria; -e ricevuti da lui con infinta e simulata festa, -stettono con lui infino al quarto giorno. E -mosso per andare da Aversa a Napoli con grande -comitiva, oltre alla sua gente, di quella de’ reali -e del Regno, rimaso addietro, e cavalcando con lui -il duca di Durazzo, il re gli disse: menatemi dove -fu morto mio fratello. E senza accettare scusa condotto -al luogo, il detto duca di Durazzo sceso del palafreno, -già conoscendo il suo mortale caso, disse il -re: traditore del sangue tuo, che farai? E tirato per -forza, come era ordinato, infino ove fu strangolato -il duca Andreasso, tagliatali la testa da un infedele -Cumino, in sul sabbione dal Gafo fu in due pezzi gittato, -in quell’orto e in quello luogo dove fu gittato -il duca Andreasso. E in quello stante furono presi -<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span> -gli altri reali, e ordinata la condotta sotto buona -guardia, e con loro il piccolo infante Carlo Martello, -furono mandati in Ungheria. Il quale Carlo -poco appresso giunto in Ungheria morì. E M. -Ruberto prenze di Taranto, e ’l fratello e’ cugini -furono messi in prigione, e insieme ritenuti sotto -buona guardia. -</p> - -<h3 id="cap11-1">CAP. XI. -<span class="smaller"><i>La cagione della morte del duca di Durazzo.</i></span></h3> - -<p> -Questo duca di Durazzo non si trovò che fosse -autore della morte del duca Andreasso, ma però -ch’egli come molto astuto, avea, non senza alcuna -espettazione di speranza del Regno, coll’aiuto del zio -cardinale di Pelagorga, procacciato dispensazione -dal papa, colla quale ruppe quattro grandi misteri. -Ciò furono, violando il testamento e l’ordine -e la concordia presa dal re Ruberto, e Umberto -Martello re d’Ungheria, ove era disposto che il -matrimonio di dama Maria sirocchia della reina -Giovanna si dovesse fare, a conservagione della successione -del regno colla casa di Carlo Umberto, -discendenti di Carlo Martello, in certo caso di -morte, o di mancamento di figliuoli alla reina. -La quale Maria il detto duca si prese per moglie. -E il saramento di ciò prestato per lo detto duca, e -per altri reali in sul corpo di Cristo; e la dispensagione -di potere prendere la nipote per moglie, la -quale si prese e menò di quaresima. E bene -che col duca Andreasso si ritenesse mostrandoli -amore, nondimeno lungo tempo segretamente fece -<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span> -impedire a corte la diliberazione della sua coronazione. -Onde per questo soprastare fu fatto -l’ordine e messo a esecuzione il detestabile e patricida -della sua morte: e questa fu la cagione perchè -il re d’Ungheria il fece morire. Di questa morte, -e della carceragione de’ reali nacque grande tremore -a tutto il regno. E fu il re reputato crudele -non meno per la carceragione degl’innocenti giovani -reali, che per la morte del duca di Durazzo. -</p> - -<h3 id="cap12-1">CAP. XII. -<span class="smaller"><i>Come il re d’Ungheria entrò in Napoli.</i></span></h3> - -<p> -Fatta il re d’Ungheria parte della sua vendetta, -e ricevuto in Napoli come signore, e ordinato -i magistrati, e comandato giustizia per tutto il -regno, cominciò ad andare vicitando le città e le -provincie. E da tutti i baroni prese saramento per -Carlo Martello suo nipote. E nell’anno 1348 -quasi tutto il regno l’ubbidia, salvo che in Puglia -era contra lui il forte castello d’Amalfi della -montagna, il quale si teneva per la reina, e per -M. Luigi di Taranto. E questo guardavano masnade -italiane con cento cavalieri tedeschi, capitano -della gente e del castello M. Lorenzo figliuolo -di M. Niccola degli Acciaiuoli di Firenze, -giovane cavaliere, e di grande cuore, e di buono -aspetto. Non avendo ancora mandato il detto re -in terra d’Otranto, nè in Calavra, i giustizieri che -v’erano per la reina faceano l’uficio per lei, e non -ubbidivano al re d’Ungheria, ed egli non strignea -il paese, e però non vi si mostrava ribellione. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span> -</p> - -<h3 id="cap13-1">CAP. XIII. -<span class="smaller"><i>Come il re d’Ungheria vicitava il regno -di Puglia.</i></span></h3> - -<p> -In questi dì essendo la mortalità già cominciata -nel Regno per tutto, nondimeno il re cavalcava -vicitando le terre del Regno. Ed essendo stato in -Abruzzi, in Puglia, e in Principato, tornò a Napoli -del mese d’aprile del detto anno: e trovati -già morti alquanti de’ suoi baroni, sentì che certi -conti e baroni del Regno faceano cospirazione -contro a lui. E impaurito in se medesimo per la -morte de’ suoi, e per la generale mortalità, avegnachè -fosse di molto franco cuore, non gli parve tempo -da ricercare quelle cose con alcuno sospetto: anzi -con savia continenza mostrava a’ baroni piena -confidenza. E copertamente (eziandio al suo privato -consiglio) intendea a fornire tutte le buone -terre e castella del Regno di gente d’arme e di -vittuaglia. E con seco aveva uno barone della Magna -che avea nome Currado Lupo. Costui aveva -il re provato fedele e ardito in molti suoi servigi, e -a lui accomandò milledugento cavalieri tedeschi -che aveva nel Regno. E un suo fratello, ch’avea -nome Guelforte, mise nel castello nuovo di Napoli -dove era l’abitazione reale, con buona compagnia, -e bene fornito d’ogni cosa da vivere, e -d’arme e di vestimento e calzamento, e gli accomandò -la guardia di quello castello; e fornì il -castello di Capovana, e quello di Santermo sopra -la città di Napoli, e il castello dell’Uovo. E -<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span> -tratto del Regno il doge Guernieri Tedesco, cui egli -avea soldato con millecinquecento barbute quando -entrò nel Regno, non fidandosi di lui, lasciò suo vicario -alla guardia del detto reame il detto Currado -Lupo; e ’l doge Guernieri malcontento del re, con -sue masnade di Tedeschi si ridusse in Campagna. -</p> - -<h3 id="cap14-1">CAP. XIV. -<span class="smaller"><i>Come il re d’Ungheria partitosi del Regno -tornò in Ungheria.</i></span></h3> - -<p> -Avendo il detto re ordinata la sua gente e le sue -terre in tutte le parti del Regno, le quali e’ possedeva: -e ammaestrati in segreto i suoi vicari e castellani -di buona guardia, non mostrando a’ baroni -del Regno, nè eziandio a’ suoi, che del Regno -si dovesse partire, si mosse da Napoli, dove -avea fatto poco dimoro, e andonne in Puglia; e -ordinata la guardia delle terre e delle castella di -là in mano di suoi Ungheri, avendo fatto armare -nel porto di Barletta una sottile galea, subitamente, -improvviso a tutti quelli del Regno, all’uscita di -Maggio l’anno 1348, vi montò suso con poca compagnia, -e fece dare de’ remi in acqua, e senza arresto -valicò sano e salvo in Ischiavonia, e di là con -pochi compagni a cavallo se n’andò in Ungheria. -Questa subita partita di cotanto re fu tenuta follemente -fatta da molti, e da lieve e non savio movimento -d’animo, e molti il ne biasimarono. Altri -dissono che provvedutamente e con molto senno -l’avea fatto, avendo diliberato il partire nell’animo -suo per tema della mortalità, e non vedendo -<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span> -tempo da potersi scoprire contra i baroni, i -quali sentiva male disposti alla sua fede, come -detto è, e commendaronlo di segreto e provveduto -partimento. -</p> - -<h3 id="cap15-1">CAP. XV. -<span class="smaller"><i>Novità del reame di Tunisi, e più rivolgimenti -di quello.</i></span></h3> - -<p> -In questo mese di maggio avendo Balase re del -Garbo e della Bella Marina prima conquistato il -reame di Trenusi, e montatone in superbia ambizione, -trattò con Alesbi fratello del re di Tunisi: -e fatta sua armata per mare, e grande oste per -terra, improvviso al re di Tunisi fu addosso, e -senza contasto, avendo il ricetto d’Alesbi, entrò -nella città, e prese il re, e di presente il fece morire. -E avendo la signoria, non attenne i patti ad -Alesbi, il quale partito di Tunisi, e aggiuntosi -grande copia d’Arabi del reame, venne verso -Tunisi. Il re Balase accolta grande oste andò -contro a lui, e commissono insieme mortale -battaglia, nella quale morì la maggiore parte della -gente del re Balase, ed egli sconfitto si fuggì in -Carvano, suo forte castello; e assediato in quello -dagli Arabi, per danari s’acconciò con loro, e -tornossi a Tunisi. Alesbi da capo co’ gli Arabi -tornò sopra Tunisi: ma Balase si tenea la guardia -delle terre, sicchè gli Arabi non potendo combattere -si tornarono in loro pasture. Avea Balase -quando si partì di suo reame lasciato nella città -reale di Fessa Maumetto suo nipote, e in Tremus -<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span> -Buevem suo figliuolo. Costoro avendo sentito come -Balase era sconfitto e assediato dagli Arabi, -senza sapere l’uno dell’altro, catuno si rubellò -e fecionsi fare re: il figliuolo in Tremus, e il nipote -in Fessa. E sentendo Buevem che Maumetto s’era -levato re in Fessa, parendogli ch’egli avesse occupata -la sua eredità, propose nell’animo suo -d’abbatterlo, e così gli venne fatto, come innanzi -al suo debito tempo racconteremo. -</p> - -<h3 id="cap16-1">CAP. XVI. -<span class="smaller"><i>Come per la partita del re d’Ungheria del -Regno i baroni e’ popoli si dolsono.</i></span></h3> - -<p> -Sentendo gli uomini e i baroni del Regno la -subita partita del re d’Ungheria si maravigliarono -forte, non ne avendo di ciò conosciuto alcuno -indizio. E molte comunanze e baroni -ch’amavano il riposo del Regno, e portavano -fede alla sua signoria ne furono dolenti; perocchè -non ostante che fosse nato e nutricato in -Ungheria, e avesse con seco assai di quella gente -barbara, molto mantenea grande giustizia, e non -sofferia che sua gente facesse oltraggio o noia a’ -paesani, anzi gli puniva più gravemente: e fece -de’ suoi Ungheri per non troppo gravi falli aspre -e spaventevoli giustizie. E le strade e i cammini -facea per tutto il Regno sicure. E avea -spente le brigate de’ paesani, delle quali per antica -consuetudine soleano grandi congregazioni -di ladroni fare, i quali sotto loro capitani conturbavano -le contrade e’ cammini: e per questo -<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span> -pareva a’ paesani essere in istato tranquillo e -fermo da dovere bene posare. E alquanti altri -baroni che male si contentavano, e gentili uomini -di Napoli, per la morte del duca di Durazzo, e -per la presura de’ reali a cui e’ portavano grande -amore, e perchè il re non facea loro troppo onore, -gli volevano male, e furono contenti della sua -partita. Gli altri se ne dolsono assai, e parve loro -che il Regno rimanesse in fortuna e in male stato, -e che il peccato commesso della morte del re -Andreasso, e l’aggravamento de’ peccati commessi -per la troppa quiete de’ paesani, e per la soperchia -abbondanza in che si sconoscevano a Dio, -non fosse punita, e meritasse maggior disciplina -e spogliamento di que’ beni, dai quali procedeva -la viziosa ingratitudine, come avvenne, e seguendo -nostra materia diviseremo. -</p> - -<h3 id="cap17-1">CAP. XVII. -<span class="smaller"><i>Come si reggeva la sua gente nel Regno -partito il re.</i></span></h3> - -<p> -Partito il re d’Ungheria del Regno, la cavalleria -dei Tedeschi e degli Ungheri, governata per buoni -capitani, con le masnade de’ fanti a piè toscani -che aveano con loro, si manteneano chetamente -senza villaneggiare i paesani. E rispondea -l’una gente all’altra tutti ubbedendo a M. Currado -Lupo, cui il re avea lasciato vicario, il quale -manteneva giustizia ov’egli distrignea. E gli -uomini del Regno benchè si vedessono in debole -signoria, non si ardivano a muovere contro ai forestieri, -<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span> -e non parea però loro bene stare. Ma i -baroni che non amavano il re d’Ungheria, -volevano che la reina e M. Luigi tornassono nel -Regno; e l’università di Napoli, co’ gentiluomini -di Capovana e di Nido, d’un animo deliberarono -il simigliante; e mandarono in Proenza, dicendo -che di presente dovessono tornare nel Regno, -e fare capo a Napoli ove sarebbono ricevuti onorevolemente, -mostrando come i paesani si contentavano -male della signoria de’ Tedeschi e degli -Ungheri, e che in brieve tempo col loro aiuto sarebbono -signori del reame. Aggiugnendo che i -soldati Ungheri e Tedeschi si rammaricavano -forte, che il re d’Ungheria non mandava danari -per le loro paghe, ond’eglino erano di lui malcontenti; -e il doge Guernieri colla sua compagnia -de’ Tedeschi ch’era in Campagna s’offeria d’essere -colla reina e con M. Luigi contro alla gente del -re d’Ungheria, in quanto il volesse conducere al -suo soldo: promettendo fedelmente per se e per -le sue masnade d’aiutarli riacquistare il Regno. -</p> - -<h3 id="cap18-1">CAP. XVIII. -<span class="smaller"><i>Come messer Luigi si fe’ titolare re al papa, -e mandò nel Regno.</i></span></h3> - -<p> -Messer Luigi trovandosi in corte di papa marito -della regina Giovanna, e non re, gli parve, -avendo diliberato di tornare nel Regno, che li fosse -di necessità avere titolo di re: acciocchè avendo -a governare colla reina le cose del reame, e -a fare lettere da sua parte e della reina, il titolo -<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span> -non disformasse, perocchè ancora la santa -Chiesa non avea diliberato di farlo re di Cicilia, si -fece titolare il re Luigi d’altro reame, il quale non -avea, nè era per poter avere. E d’allora innanzi -cominciarono a scrivere le lettere intitolandole in -questo modo: <i>Ludovicus et Ioanna Dei gratia -rex et regina Hierusalem et Ciciliae</i>. E d’allora -innanzi M. Luigi fu chiamato re. Il detto re -Luigi e la reina Giovanna avendo il conforto -del ritornare nel Regno, come detto è, senza soggiorno -procacciarono di ciò fare. E trovandosi -poveri di moneta, richiesono d’aiuto il papa e -i cardinali, il quale non impetrarono. Allora -per necessità venderono alla Chiesa la giurisdizione -che la reina avea nella città di Vignone per -fiorini trentamila d’oro. E nondimeno richiesono -baroni, e comunanze, e prelati, limosinando -d’ogni parte per lo stretto bisogno. E con molta -fatica feciono armare dieci galee di Genovesi, -e pagaronle per quattro mesi. E in questo mezzo -il re Luigi mandò innanzi a se nel Regno M. -Niccola Acciaiuoli di Firenze suo balio con pieno -mandato, il quale trovando la materia disposta -al proponimento del suo signore, incontanente -condusse il doge Guernieri, ch’era in Campagna -con milledugento barbute di Tedeschi, ch’erano -in sua compagnia. E ordinato le cose prestamente, -mandò sollecitando il re e la reina che -senza indugio venissono a Napoli con le loro galee: -che essendo nel Regno le loro persone, con -l’aiuto di Dio e de’ baroni del Regno, che desideravano -la loro tornata, e de’ Napolitani, e del -doge Guernieri, cui egli avea condotto con buone -<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span> -masnade, e con le sue galee e’ sarebbono a -queto signori del Regno, e non conoscea che la -gente del re d’Ungheria a questo potesse riparare, -sicchè in brieve al tutto sarebbono signori. -</p> - -<h3 id="cap19-1">CAP. XIX. -<span class="smaller"><i>Come il re e la reina ritornarono -nel Regno.</i></span></h3> - -<p> -Avendo il re e la reina queste novelle, incontanente -con quei baroni che poterono accogliere di -Proenza, e con la loro famiglia, si raccolsono a Marsilia -in su le dette dieci galee de’ Genovesi: ed avendo -il tempo acconcio al loro viaggio, sani e -salvi in pochi giorni arrivarono a Napoli, all’uscita -del mese d’agosto del detto anno. E perocchè -le castella di Napoli, e quello dell’Uovo, -e il castello di Santermo, e ’l porto e la Tenzana -erano nella signoria e guardia della gente -del re d’Ungheria, non si poterono mettere -nel porto, nè in quelle parti; anzi arrivarono -fuori di Napoli sopra santa Maria del Carmino, -di verso ponte Guicciardi, e ivi scesono in terra; -e il re e la reina entrarono nella chiesa di Nostra -Donna per aspettare i baroni e l’università -di Napoli, che gli conducessono nella città. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span> -</p> - -<h3 id="cap20-1">CAP. XX. -<span class="smaller"><i>Come il re e la reina Giovanna entrarono in -Napoli a gran festa.</i></span></h3> - -<p> -I baroni ch’erano accolti a Napoli, aspettando -la venuta del re e della reina con la loro cavalleria, -de’ quali erano caporali quegli di san -Severino, e della casa del Balzo, l’ammiraglio -conte di Montescheggioso, quelli dello Stendardo, -il conte di Santo Agnolo, que’ della casa della -Raonessa, e di Catanzano, e molti altri. I -quali forniti di molti cavalli e di ricchi arredi e -di nobili robe e arnesi, con loro scudieri vestiti -d’assise, e’ gentili uomini di Napoli con loro -proprio, apparecchiati pomposamente a cavallo -e a piè con molta festa si misono ad andare al -Carmino per conducere il re e la reina in Napoli -con molta allegrezza; e da parte i Fiorentini e -Sanesi e Lucchesi mercatanti che allora erano -in Napoli, e Genovesi e Provenzali e altri forestieri, -catuna gente per se, vestiti di ricche robe -di velluti e di drappi di seta e di lana, con molti -stormenti d’ogni ragione, sforzando la dissimulata -festa, andarono incontro al re e alla reina. -E giunti a loro, e fatta catuna compagnia la -riverenza, apparecchiati nobilissimi destrieri, -montati a cavallo, addestrati da’ baroni, sotto -ricchi palii d’oro e di seta con molte compagnie -d’armeggiatori innanzi, in prima il re, a cui -andava in fronte il duca Guernieri co’ suoi Tedeschi, -smovendo il popolo, e dicendo: gridate viva -<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span> -il signore: e così gridando, fu la parola da -molti notata, perchè era a loro nuovo titolo, non -dicendosi viva il re, e con ragione dire non lo potevano -a quella stagione. E con questa festa il -condussono a Napoli; e perchè l’abitazioni reali -erano tutte nella forza de’ nemici, il collocarono -ad Arco, sopra Capovana, nelle case che furono -di messere Aiutorio. E appresso di lui con somigliante -festa vi condussono la reina. La gente, -benchè sforzata si fosse di fare festa, pure s’avvedea -per le molte città e castella che il re -d’Ungheria avea nel Regno, e per la buona gente -che v’era alla guardia, che questa tornata del -re Luigi e della reina Giovanna era piuttosto aspetto -di guerra e di grande spesa, e sconcio del -paese e della mercanzia e de’ forestieri, che cominciamento -di riposo, come poi n’avvenne. -</p> - -<h3 id="cap21-1">CAP. XXI. -<span class="smaller"><i>Come il re Luigi si fe’ fare cavaliere, e da cui.</i></span></h3> - -<p> -Vedendosi il re Luigi, e conoscendo il bisogno -che avea di buono aiuto, e veggendo che la maggiore -forza de’ suoi cavalieri era nel duca Guernieri, -acciocchè per onorevole beneficio più lo -traesse alla sua fede e amore, ordinò di farsi fare -cavaliere per le sue mani, della qual cosa avvilì -se, per onorare altrui. E ordinata gran festa -per la sua cavalleria, del mese di settembre -del detto anno, si fece fare cavaliere al detto -doge Guernieri, ed egli in quello stante fece -appresso ottanta altri cavalieri della città di Napoli, -<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span> -e d’altri paesi del Regno. La libertà grande -che ’l re dimostrò nel tedesco duca Guernieri -tosto trovò vana in colui, come per la sua corrotta -fede nel processo della nostra materia al -suo tempo racconteremo. -</p> - -<h3 id="cap22-1">CAP. XXII. -<span class="smaller"><i>Brieve raccontamento di cose fatte per il re -d’Inghilterra contra quello di Francia.</i></span></h3> - -<p> -Richiede il nostro proponimento, per le cose -che avremo a scrivere de’ fatti del re di Francia -e di quello d’Inghilterra per la loro guerra, che -noi ci traiamo un poco addietro alle cose occorse -più vicine, acciocchè quelle che seguiranno abbiano -più chiaro intendimento. Essendo il valoroso -re Adoardo d’Inghilterra passato in Normandia, -del mese d’agosto, gli anni di Cristo 1347, -e avendo preso Camoboroso e Saulu e più altre -ville, venendo verso Parigi con quattromila -cavalieri e quarantamila sergenti, tra’ quali -avea molti arcieri, e fatto d’arsioni e di preda gravi -danni al paese, s’accampò a Pussì e a San Germano, -presso a Parigi a due leghe. Il re di Francia -era andato colla sua forza verso Camo per farlisi -incontro, e non trovandolo nel paese, si tornò -addietro, e accolta molta baronia e cavalieri e sergenti -di suo vassallaggio, s’accampò fuori di Parigi -con più di settemila cavalieri e sessantamila -sergenti: il re d’Inghilterra, sentendo la tornata -del re di Francia, si levò da campo scostandosi -da Parigi. Il re di Francia con grande baldanza -<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span> -il seguitò con la sua gente, tanto che sopraggiunse -il re d’Inghilterra, che andava assai -a lenti passi per non mostrare paura: e aggiugnendosi -l’una oste all’altra, il re d’Inghilterra -vedendosi presso il re di Francia, e quello di -Boemia e quello di Maiolica con molti baroni, -e con più di due tanti cavalieri che non avea egli, -come signore di grande cuore e ardire, di presente -s’apparecchiò alla battaglia, intra Crescì e -Albevilla. E ordinò tutto il suo carreaggio alla -fronte a modo d’una schiera, e di sopra alle carra -mise i cavalieri armati, e a piè d’ogni parte i suoi -arcieri. E sopravvenendo l’assalto de’ Franceschi, -baldanzosi, con grande empito cominciarono la -battaglia. Gl’Inglesi fermi al loro carreaggio, con -l’ordine dato agli arcieri, senza perdere colpo, -di loro saette fedivano i cavalli e’ cavalieri de’ -Franceschi. E vedendo gl’Inglesi fediti molti -de’ cavalli e de’ cavalieri de’ loro avversari, a uno -segno dato ordinate le guardie de’ sergenti sopra -il carreaggio, corsono i cavalieri a’ loro cavalli che -aveano a destro dietro al carriaggio, e montati e assettati -sopra i loro cavalli, con savia condotta vennono -alle spalle de’ nimici, ed assalirono i Franceschi -con dura battaglia. I Franceschi che erano -re e baroni d’alto pregio manteneano la battaglia -vigorosamente, la quale durò da mezza nona -alle due ore di notte; ove si dimostrarono di -grandi operazioni d’armi di valorosi baroni e cavalieri -da catuna parte. Ma perocchè i Franceschi -e i loro cavalli erano più stanchi e magagnati -dalle saette degl’Inglesi, e molti conducitori -di loro morti, come fu la volontà d’Iddio la vittoria -<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span> -rimase al re d’Inghilterra, con grande e grave -danno de’ Franceschi. Morto vi fu il valente re -di Boemia, figliuolo dello imperatore Arrigo di -Luzimborgo, e il duca di Loreno, il conte di -Lanzone fratello del re di Francia, e sei altri conti, -con milleseicento cavalieri grande parte baroni -e banderesi, e morironvi ventimila pedoni; fra i -quali furono i Genovesi che erano andati là con -dodici galee, che pochi ne camparono. Ed il re -Filippo di Francia di notte, con sei tra prelati e -baroni, e sessanta sergenti a piè, uscì della -battaglia, e campò per grazia della notte. Sul -campo si trovarono molti cavalli morti e bene -quattromila fediti. E fatta questa battaglia a -dì 26 d’agosto nel 1347, il re d’Inghilterra -poco appresso pose assedio al forte castello di Calese -sulla marina, e per assedio il vinse: e fattolo -più forte, per avere porto nel reame e nella -marina di Francia, lasciato nel paese il conte d’Erbi -duca di Lancastro, suo cugino, a guerreggiare, -con duemila cavalieri e ventimila pedoni i -più arcieri, con grande onore si tornò in Inghilterra. -Il conte d’Erbi entrò in Guascogna l’anno -appresso, e conquistò più terre di quelle che -vi tenea il re di Francia; e rotti in più abboccamenti -i cavalieri franceschi, se ne venne cavalcando -e predando il paese infino alla città di -Tolosa; ma aggravando la mortalità quei paesi, si -tornò addietro con grande preda. E fatta tregua -dall’uno re all’altro, con grande onore del re d’Inghilterra, -posò la guerra per alcuno tempo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span> -</p> - -<h3 id="cap23-1">CAP. XXIII. -<span class="smaller"><i>Come gli Ubaldini furo cominciatori della guerra -che il comune di Firenze ebbe con loro.</i></span></h3> - -<p> -Avendo narrato de’ fatti de’ due reami, cominciano -le novità della nostra città di Firenze. -Negli anni di Cristo 1348, essendo gli Ubaldini in -pace, ma in corrotta fede col nostro comune, fidandosi -nelle loro alpigiane fortezze, cominciarono -a ricettare sbanditi del comune di Firenze: -e insieme con loro entravano di notte nel Mugello, -rubando le case e uccidendo gli uomini, e ricoglieansi -nell’alpe con le ruberie. E avendo fatto -questo più volte di notte, il cominciarono a -fare di dì. E tornando d’Avignone uno Maghinardo -da Firenze con duemila fiorini d’oro, gli -Ubaldini il seguirono e uccisono, rubandolo -sul contado di Firenze. E non volendone fare -ammenda alla richesta del comune, i Fiorentini -mandarono nell’alpe suoi soldati a piè e a cavallo -col capitano della guardia. E stati più dì sopra -le terre e sopra i fedeli degli Ubaldini feciono -loro gran danno, e senza alcuno contasto si tornarono -a Firenze. -</p> - -<h3 id="cap24-1">CAP. XXIV. -<span class="smaller"><i>Come i fedeli del conte Galeotto si rubellarono -da lui e dieronsi al comune di Firenze.</i></span></h3> - -<p> -In questo anno, i fedeli del conte Galeotto de’ -conti Guidi si rubellarono da lui, perocchè lungamente -<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span> -gli avea male trattati, per sua crudeltà e -dissoluta vita: e all’entrata del mese di marzo del -detto anno gli tolsono il forte castello di san Niccolò, -e tutte le sue terre e tenute intorno a quello, -e ’l suo tesoro e arnesi, che n’era fornito nobilmente, -e di presente si diedono al comune di -Firenze. Il quale, perocchè il detto conte sempre -avea nimicato il nostro comune, perocchè era -ghibellino, ricevette la fortezza e gli uomini in -sua giurisdizione e libera signoria, con quelle solenni -cautele che i detti uomini poterono fare; -e fecionli popolani e contadini, dando loro per alcuno -tempo certe immunità. E ordinata la guardia -delle castella nelle mani de’ cittadini, a’ popoli -diede podestà che gli reggesse, e messe le castella -e gli uomini ne’ suoi registri. Dinominò e -intitolò l’acquisto, il contado di san Niccolò del -comune di Firenze. -</p> - -<h3 id="cap25-1">CAP. XXV. -<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini feciono guerra agli Ubaldini, -e presero Montegemmoli e loro castella.</i></span></h3> - -<p> -Vedendo i Fiorentini che la latrocina superbia -degli Ubaldini non si gastigava per una battitura, -feciono decreto, che ogni anno si dovesse -tornare sopra di loro, tanto che fossono privati delle -alpigiane spelonche. E per questa cagione, il -verno furono chiamati otto cittadini uficiali sopra -provvedere e fornire la guerra: i quali, del -mese di giugno 1349, mandarono l’oste del comune -nell’alpe, la quale si dirizzò a Montegemmoli, -<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span> -una rocca quasi inespugnabile: nella quale -era Maghinardo da Susinana e due suoi figliuoli, con -parecchie masnade di franchi masnadieri, i più usciti -di Firenze. Era fuori della rocca in su la -stretta schiena del poggio, alla guardia della via -ch’andava al castello, una torre forte e bene armata: -innanzi alla torre una tagliata in su la -schiena del poggio, con forte steccato: e a questa -guardia, per voglia di fare d’arme, i caporali de’ -masnadieri del castello erano scesi co’ loro compagni: -e la gente del comune di Firenze avendo -fermo il loro campo, a intendimento di vincere -il castello per assedio, e molestarlo con dificii -i quali vi faceano conducere, alquanti masnadieri -s’appressarono verso la guardia della torre per -badaluccare. I valenti masnadieri d’entro, per -troppa baldanza, uscirono fuori della tagliata incontro -alla gente de’ Fiorentini, badaluccando e facendo -gran cose d’arme per lo vantaggio che -aveano del terreno. In questo stante i cavalieri -de’ Fiorentini montando il poggio per dare vigore -a’ loro masnadieri, cominciarono a scendere -de’ cavalli, e a pignersi innanzi con fanti e -a’ nemici, i quali per non perdere il terreno, con -folle prodezza attesono tanto, che i cavalieri e’ masnadieri -de’ Fiorentini co’ balestrieri furono mischiati -tra loro, innanzi che si potessono ritrarre -alla fortezza. E volendosi ritrarre, per lo soperchio -de’ loro avversari non poterono fare, che a -un’ora con loro insieme non entrassono dentro -alli steccati i masnadieri fiorentini, e a loro aiuto -erano tratti tanti balestrieri, che non lasciarono a’ -nemici riprendere la fortezza della torre: anzi la -<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span> -presono per loro. E ritraendosi i masnadieri degli -Ubaldini per loro scampo nella rocca, continuando -la battaglia stretta alle mani, entrarono i -Fiorentini cacciando gli avversari nel primo procinto. -E crescendo della gente dell’oste la loro -forza, presono tutto, fuori de’ palagi e torri dell’ultima -fortezza, ov’era racchiuso Maghinardo e la -moglie, e due suoi figliuoli con loro compagnia: i quali -si difenderono vigorosamente. Essendo il dì e la -notte combattuti dalla gente de’ Fiorentini, Maghinardo -e’ figliuoli, benchè fossero in fortezza da potersi -difendere lungamente, conobbono il loro pericolo. -E sentendosi male d’accordo per loro quistioni -con gli altri Ubaldini loro consorti, si deliberarono -di dare la rocca a’ Fiorentini, e di volere -essere contro a’ suoi consorti co’ Fiorentini. -E fatti i patti, e fermi a Firenze, diedono la rocca -libera al comune di Firenze: e il comune prese il -saramento della fede promessa, li ricevette in -amicizia e cittadinanza, e ordinarono loro la provvigione -promessa: e dati loro cavalieri e pedoni si -mossono a guerreggiare gli altri Ubaldini. E innanzi -che l’oste de’ Fiorentini tornasse, assediò -Montecolloreto, e presonlo; e misonvi fornimento -e buona guardia. Andarono a Roccabruna ed -ebbonla: ed entrarono nel Podere e presono Lozzole -per trattato. E per trattato fu dato loro la -signoria di Vigiano e di più altre tenute, che appartenevano -al detto Maghinardo e a certi altri degli -Ubaldini che feciono il comandamento del comune. -E andarono intorno a Susinana, guastando -le case e’ campi di fuori; e tentando di volerlo -combattere, trovarono il castello sì forte e sì bene -<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span> -fornito alla difesa, che lasciarono stare, e andarono -a Valdagnello, e dieronvi una battaglia, -senza potervi acquistare per la fortezza del sito, e -perchè era bene provveduto alla difesa: e però -guastarono i campi e le ville d’intorno. E fornito -che ebbono tutte le castella che aveano -acquistate di vittuaglia e d’arme e di buona guardia, -avendo fatto agli Ubaldini e a’ loro fedeli gran -danno, del mese d’agosto, gli anni di Cristo 1349, -senza alcuno impedimento, sani e salvi con vittoria -si tornarono alla città di Firenze. -</p> - -<h3 id="cap26-1">CAP. XXVI. -<span class="smaller"><i>Come il re di Francia comperò il Dalfinato.</i></span></h3> - -<p> -Il re di Francia posandosi nella tregua col re -d’Inghilterra, avendo papa Clemente sesto, suo -protettore ne’ fatti temporali, perocchè per lui -si teneva essere al papato, e amava sopra modo d’accrescere -i suoi congiunti, i quali erano uomini -del re di Francia, e però il re traeva in sussidio -della guerra danari al bisogno; e le decime del -reame e tutte grazie che volea domandare il -papa senza mezzo l’otriava, trapassando l’onestà -del suo pontificato: e perocchè i cardinali erano -la maggior parte di suo reame, non si ardivano -a contrapporre a cosa che volesse. Era in que’ dì -il Dalfino di Vienna uomo molle, e di poca virtù -e fermezza. Costui alcuno tempo tenne vita femminile -e lasciva, vivendo in mollizie: ed appresso -volle usare l’arme: e andò capitano per la Chiesa -alle Smirne in Turchia, e dove poteva acquistare -<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span> -onore e pregio, tornò con poca buona fama: -e per bisogno impegnò alla Chiesa il Dalfinato per -fiorini centomila d’oro: ed essendo morta la -moglie, credendo prosperare in abito chericile, -sperando in quello divenire cardinale, vendè -al re Filippo di Francia il Dalfinato, contro alla -volontà de’ suoi paesani, e pagò la Chiesa: e fatto -cherico fu dal papa promosso in patriarca.... -nel quale finì sua vita spegnendo la fama della -casa sua. E il re di Francia, perdendo per la -guerra d’Inghilterra in ponente, accresceva senza -guerra in levante i confini al suo reame. -</p> - -<h3 id="cap27-1">CAP. XXVII. -<span class="smaller"><i>La cagione perchè il re d’Araona tolse -Maiolica al re.</i></span></h3> - -<p> -Vera cosa fu, che il re di Maiolica nella sua -infanzia si nutricò co’ reali di Francia, e poi che -fu re di Maiolica, essendo dissimigliante a’ Catalani -onde traeva suo origine, mostrò d’essere -molto scienziato e adorno di bei costumi. Disdegnò -di rendere al re d’Araona l’omaggio debito, -il quale si pagava con la reverenzia d’un bacio: -e schifo della vita catalanesca e di loro costumi, -seguiva i Franceschi; la qual cosa il fece -sospetto al suo legnaggio. Cugino era del re d’Araona, -e la sirocchia carnale avea per moglie, -della quale avea figliuoli. Nondimeno il re d’Araona -fece apparecchiamento d’arme contro a -lui, e trattato occulto co’ cittadini di Maiolica. Per -lo quale, essendo egli a Perpignano, e venendo sopra -<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span> -loro il re d’Araona, volendo mostrare di volersi -difendere, il feciono venire in Maiolica, -mostrando di volerlo atare fedelmente. Venuta -la gente col re d’Araona, e scesa nell’isola, accogliendo -il consiglio in Maiolica per volere dare -ordine alla difesa, essendo tempo da potere scoprire -il loro tradimento, feciono dire al loro re, -o che facesse la volontà del re d’Araona, o che -se n’andasse. Vedendosi tradito da’ suoi cittadini, -i quali aveano già abbarrata la città contro a -lui, si ricolse in fretta, per campare la persona, -in una galea. E partendosi dell’isola, le porte -della città furono aperte alla gente del re d’Araona: -e data loro la signoria di tutta l’isola, con -patto che ella non dovesse tornare per alcuno tempo -al loro re nè a’ suoi discendenti. -</p> - -<h3 id="cap28-1">CAP. XXVIII. -<span class="smaller"><i>Come il re di Maiolica vendè la sua parte di -Mompelieri al re di Francia.</i></span></h3> - -<p> -Il re di Maiolica essendo cacciato dell’isola -da’ suoi sudditi, venuta l’isola nella signoria -del re d’Araona, e avendo poco di quello che il -suo titolo reale richiedea, disiderando d’accogliere -moneta, e d’avere aiuto dal re di Francia, al -cui servigio era stato lungamente nelle sue guerre -e battaglie personalmente, il richiese con grande -istanza d’aiuto, acciocchè potesse ricoverare lo -suo, ma da lui non potè avere alcuno aiuto. E -stretto da grave bisogno, vendè al detto re di -Francia la propietà e giurisdizione ch’avea in comune -<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span> -consorteria col detto re nella metà di Mompelieri, -per quello pregio che il re di Francia volle, -a buono mercato. E come povero e sventurato -re venia cercando modo di riacquistare l’isola -di Maiolica. La qual cosa fu cagione della sua finale -morte, come innanzi al suo tempo racconteremo. -</p> - -<h3 id="cap29-1">CAP. XXIX. -<span class="smaller"><i>Come s’ordinò il generale perdono a Roma -nel 1349.</i></span></h3> - -<p> -Essendo stato il giudicio della generale mortalità -nell’universo per giusta cagione, fu supplicato -al papa che nel prossimo futuro cinquantesimo -anno la Chiesa rinnovellasse generale perdono -in Roma. Il papa Clemente sesto, col consiglio -de’ suoi cardinali, e di molti altri prelati e -maestri in teologia, trovando che per lo dicreto -fatto per papa Bonifazio, ogni capo di cento anni -dalla natività di Cristo fosse ordinato generale -perdono a Roma, per comune consiglio parve -più convenevole, considerando l’età umana che -è brieve, che il perdono fosse di cinquanta in -cinquanta anni. Avendo ancora alcuno rispetto -all’anno Iubileo della santa Scrittura, nel quale -catuno ritornava ne’ suoi propri beni: e i propri -beni de’ cristiani sono i meriti della passione di -Cristo, per li quali ci seguita indulgenzia e remissione -dei peccati. E per questa cagione la -santa madre Chiesa fece decreto e ordine: che -nel prossimo futuro cinquantesimo anno, per la -natività di Cristo, cominciasse a Roma generale -<span class="pagenum" id="Page_44">[44]</span> -perdono di colpa e di pena di tutti i peccati a’ -fedeli cristiani i quali andassono a Roma, dal -detto termine a uno anno, i quali fossono confessi -e contriti de’ loro peccati, e vicitassono ogni dì -la chiesa di santo Pietro e di santo Paolo e di santo -Giovanni Laterano. E le dette visitazioni furono -stribuite a’ Romani trenta dì continovi, salvo che -quello si omettesse si potesse con un altro ristorare; -ed agl’Italiani quindici dì, e agli oltramontani -a tali dieci, a tali cinque dì, e meno, secondo -la distanza de’ paesi. E nondimeno la Chiesa -discretamente provvide, per molti e diversi casi -e cagioni che possono avvenire, ch’e’ cardinali -e gli altri legati che andarono per lo mondo, e -stettono a Roma, avessono autorità di potere dispensare -del tempo come a loro paresse. E le -lettere furono fatte e mandate per corrieri sotto -le bolle papali. In prima per tutta la cristianità, -e appresso per suoi legati a predicare per tutto le -sante indulgenze, acciocchè ciascuno s’apparecchiasse -e disponesse a potere ricevere il santo -perdono. In Italia furono mandati due cardinali, -quello di Bologna sopra lo Mare, messer Annibaldo -di Ceccano, e messer Ponzo di Perotto di Linguadoca -vescovo d’Orbivieto, uomo onesto, e di grande -autorità, il quale era vicario di Roma per lo -papa: fu commessa piena e generale legazione a -potere a tutti dispensare il tempo delle dette visitazioni -come a lui paresse, ch’era presente -continuo nella città di Roma. Lasciando alquanto -la santa disposizione del perdono, ci occorrono -meno piacevoli, e più gravi cose al presente a -raccontare. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span> -</p> - -<h3 id="cap30-1">CAP. XXX. -<span class="smaller"><i>Come il re di Maiolica andò per racquistare -l’isola, e fuvvi morto.</i></span></h3> - -<p> -Lo sventurato re di Maiolica non trovando -aiuto dal re di Francia, cui egli avea lungamente -servito nelle sue guerre, nè dal papa, nè da -alcuno altro signore, strignendolo la volontà -e ’l bisogno di racquistare l’isola, come disperato -d’ogni aiuto, avendo venduta la sua parte -di Mompelieri, accattò danari dal re di Francia -sopra la villa di Perpignano, ch’altro non gli -era rimaso, e condusse cavalieri e pedoni, e -dodici galee di Genovesi fece armare al suo soldo, -e alcuno navilio di carico; sperando, quando fosse -con forza d’arme nell’isola, gli uomini del suo -regno tornassono a lui, come forse a inganno gli -era dato intendimento, perocchè con alquanti era -in trattato. Apparecchiata l’oste, e ’l navilio con -le dodici galee armate, del mese di... del -detto anno si mise in mare; e senza impedimento -arrivò nell’isola di Maiolica, presso alla città a -dieci miglia; e ivi scesi in terra, s’accampò -con quattrocento cavalieri e cinquecento masnadieri, -aspettando che coloro della città con -cui avea trattato, e il popolo della terra il volessono -come loro benigno e natural signore. Le -dodici galee de’ Genovesi avendo messo in terra -il re, o che fosse di suo comandamento, per mostrarsi -più forte agli uomini dell’isola, o per -altre cagioni, si partirono da quella parte ove -<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span> -il re avea posto il campo, e girarono da un’altra -parte del’isola; e rimaso il re, e ’l figliuolo, e -l’altra gente senza il favore delle dodici galee, -della città di Maiolica subitamente uscirono più -di seicento cavalieri con grandissimo popolo, -e vennero contro all’oste del re per combattere -con lui. Il re vedendosi i nimici appresso, -potea stare alle difese tanto che tornassero -le sue galee: ma con vana confidanza de’ suoi -regnicoli, che non dovessero resistere contro a -lui, senza attendere punto, si volle mettere alla -battaglia, per trarre a fine la sua impresa come -la fortuna il menava. E ordinata la sua gente, e -confortata a ben fare, mostrando che quivi -non era altro rimedio che nel bene operare la -virtù delle loro persone, sì fedì tra i nemici, i -quali erano cavalieri catalani, maggiore quantità -e migliore gente che i suoi soldati, e guidati da -buoni capitani, i quali ricevettono il re e i suoi -cavalieri francamente, per modo, che in poca -d’ora furono sconfitti, e il re morto. Il quale se -avessono voluto potieno ritener prigione, ma -rade volte in fatti d’arme tra’ Catalani si trova -mansuetudine: il figliuolo fu preso, e rappresentato -al zio re d’Araona, l’altra gente fu rotta -e sbarattata, e l’isola rimase libera al re d’Araona, -e Mompelieri e Perpignano al re di Francia. -</p> - -<h3 id="cap31-1">CAP. XXXI. -<span class="smaller"><i>Come i baroni italiani e catalani per loro -discordie guastarono l’isola di Cicilia.</i></span></h3> - -<p> -Avendo detto dell’isola di Maiolica, quella di -<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span> -Cicilia ci s’offera con dissimigliante fortuna. Essendo -per la mortalità morto il valoroso duca -Giovanni, balio e governatore dell’isola di Cicilia, -rimaso picciolo fanciullo di dieci anni messer -Luigi figliuolo che fu di don Pietro, il quale -si fece appellare re di Cicilia, a cui aspettava l’eredità -del detto reame. Costui avea due fratelli -minori di se, l’uno chiamato Giovanni, l’altro -Federigo. E non essendo della casa reale nessuno -in età che governasse l’isola per lo fanciullo, -discordia nacque tra i baroni: e dall’una -parte erano i Palizzi caporali, e con loro teneano -quelli di Chiaramonte, e’ conti di Vintimiglia, e -i discendenti conti della casa degli Uberti di Firenze, -de’ quali era capo il conte Scalore, e con costoro -teneano quasi la maggiore parte degl’Italiani -dell’isola. E questi si faceano chiamare la parte del -re, e a loro segno rispondeano le migliori città della -marina dell’isola, Messina, Siracusa, Melazzo, -Cefalu, Palermo, Trapani, Mazzara, Sciacca, Girgenti, -Taormina, e gran parte delle buone terre e -castella fra la terra dell’isola. E dall’altra parte -era don Brasco d’Araona caporale con gli altri -Catalani dell’isola, e il figliuolo di Giovanni Barresi -colla sua casa, genero di don Brasco, e molti -altri di Catania, i quali aveano a loro segno alla -marina la città di Catania, Iaci, Alicata, Tose, la -Catona, e il capo d’Orlando; e fra terra grande -numero di città e di castella. E per simigliante modo -si faceano costoro chiamare la parte del re. E -per le loro divisioni cominciarono a far guerra l’uno -contra l’altro. E catuna parte s’armava, e afforzava -d’avere seguito di gente dell’isola: e catuno -<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span> -volea governare il reame per lo re, e non potendosi -trovare via d’accordo tra loro, cominciarono -a cavalcare l’uno sopra l’altro; e dove si scontravano -si combatteano mortalmente. E spesso rompea -e sconfiggea l’una gente l’altra, e senza misericordia -a tenere prigione s’uccidevano insieme, -e montando la loro sfrenata mala volontà, cominciarono -ad ardere le loro possessioni e le biade -ne’ campi, come fossono in terra di nimici; e -facendo questo guasto, oggi in una contrada, e domani -nell’altra, consumarono il paese senza alcuna -misericordia. E seguitando l’uno dì appresso -dell’altro questa pestilente furia tra loro, -in poco tempo fu tanta tribolazione tra’ paesani, -e tanta disfidanza, che lasciarono il coltivamento -delle terre, e il nutricamento del bestiame: onde -avvenne che quello paese, il quale per antico -era fontana viva di grano, e di biade, e d’ogni vittuaglia, -a spandere per lo mondo tra i cristiani -e tra i saracini, che solo tra loro nell’isola non -avea che manicare; e il bestiame per simigliante -modo fu consumato e disperso. Per la quale -cosa avvenne che l’anno 1349 a Palermo, e a più -altre città, per inopia convenne si provvedesse -per comune consiglio grano mescolato con orzo, -e dare ogni settimana certa piccola distribuizione -per testa d’uomo, acciocchè potessono miserevolmente -mantenere la loro vita. E non potendosi -sostentare i popoli con questa misera provvisione, -convenne che il popolo minuto in gran -parte per nicistà abbandonasse l’isola, e molti ne -fuggirono in Calavra e nel’isola di Sardigna -per scampare dalla fame la loro vita. E questa -<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span> -pestilenzia non avvenne a’ Ciciliani per sterilità di -tempo avverso, che i campi aveano da Dio la loro -stagione fertile, e abbondevole della grazia del cielo. -E non era tolto loro il coltivamento da nimici -strani, nè per rubellione di loro signorie, nè per -odio del paese, ch’era patria de’ suoi abitanti a catuna -parte e reame d’uno medesimo re: ma stimasi -avvenisse per dimostrazione del peccato -della ingratitudine dell’abbondanza di troppi beni, -e a dimostrare come è divoratrice senza rimedio -d’ogni buono stato la cittadinesca discordia, -e il divoratore fuoco della laida invidia. -</p> - -<h3 id="cap32-1">CAP. XXXII. -<span class="smaller"><i>Come il re Filippo di Francia e ’l figliuolo -tolsono moglie.</i></span></h3> - -<p> -Era nella mortalità morta la moglie del re Filippo -di Francia, madre di messer Giovanni primogenito, -Dalfino di Vienna, la quale fu sirocchia -del duca di Borgogna, e la moglie di messer -Giovanni suo figliuolo, figliuola che fu del re -Giovanni di Boemia della casa di Luzimborgo, -della quale rimasono quattro figliuoli maschi, che -’l primo nomato Carlo fu duca di Normandia, -e il secondo messer Luigi conte d’Angiò, e il terzo -messer Giovanni conte di Pittieri, e il quarto -minore messer Filippo: e tre figliuole, che la -maggiore fu reina di Navarra, la seconda monaca -del grande monasterio di Puscì, e un’altra piccola -nominata Lisabetta. Ed essendo catuno senza -moglie, il duca Giovanni trattava di torre per moglie -<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span> -la sirocchia del re di Navarra, ch’era delle -più belle giovani e di maggiore pregio di virtù -che niun’altra di que’ paesi, e tenevane bargagno. -Il re Filippo suo padre sapendo che il figliuolo -trattava d’avere questa damigella per moglie, -un dì che ’l duca suo figliuolo era cavalcato fuori -del paese, mandò per questa giovane: e come -fu venuta, senza fare altro trattato la tolse per -moglie, perocchè ’l piacere della sua bellezza -non gli lasciò considerare più innanzi. Tornato -il figliuolo se ne indegnò forte, e alla festa delle -nozze del padre non volle essere. Ma passato -alcuno tempo, richiamato dal padre, venne a -lui. E riprendendolo il re dolcemente, gli disse: -caro figliuolo, se voi amavate avere a donna -questa damigella, voi non dovevate tener bargagno. -Onde egli conoscendo suo difetto, rimase -contento. E allora il padre gli diè per -moglie un’altra nobile dama della casa di Bologna -su lo mare, ch’era stata moglie del -duca di Borgogna: della qual cosa i Borgognoni -furono mal contenti, essendo rimaso un -picciolo fanciullo della detta donna, il quale dovea -essere loro duca. E per lo detto maritaggio -vendè la donna il governamento del figliuolo -con la forza del re, e il re occupò parte della giuridizione -di Borgogna, onde i baroni e’ paesani -forte si sdegnarono contro al loro re. Ma perocchè -il re di Francia per troppa giovinile vaghezza -avea offeso il figliuolo e se, poco tempo stette -con la sua giovane e vaga donna, che sforzando -la natura già senile nella bellezza della damigella, -raccorciò il tempo della sua vita, come -<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span> -appresso al debito tempo racconteremo, narrando -prima com’egli fu ingannato dagl’Inghilesi. -</p> - -<h3 id="cap33-1">CAP. XXXIII. -<span class="smaller"><i>Come il re di Francia fu ingannato del trattato -di Calese con gran danno.</i></span></h3> - -<p> -Il re Filippo avendo l’animo curioso di trarre -del suo reame la forza del re d’Inghilterra, -il quale teneva il forte castello di Calese -in su la marina, non potendo per forza farlo, -pensava fornirlo per danari con trattato. Alla -guardia di Calese era uno gentile uomo d’Inghilterra, -con sue masnade di cavalieri e di sergenti. -Il re di Francia il fece tentare se per danari gli -rendesse il castello. L’Inghilese avveduto diede -orecchie al fatto, e senza indugio il fece segretamente -sentire al suo signore; il quale confidandosi -nella fede di costui, gli diede per comandamento -che menasse saviamente il trattato -infino al fatto. Costui seguitò con molta astuzia, -tanto, che per la sfrenata volontà che il re di -Francia avea di racquistarlo, s’indusse a dare i -danari innanzi, attenendosi alla fede del castellano, -e dielli, come era il patto, seimila scudi -d’oro, di ventimila che per lo patto gli dovea -dare, e del rimanente gli fece quelle fermezze -che volle, che mettendo dentro nel castello quella -gente che il re volesse, in sul ponte compierebbe -il pagamento. E così data la fede da catuna -parte, il re di Francia commise la bisogna -ad alquanti suoi baroni: i quali incontanente -<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span> -forniti di cavalieri e di sergenti d’arme in -grande quantità, cavalcarono al castello; e come -ordinato era per lo castellano, aperta la porta, e -calato il ponte, mise dentro nel castello coloro -cui i Franceschi vollono, perchè vedessero a -loro sicurtà che dentro non vi fosse altra gente -che la sua alla guardia, acciocchè si assicurassono -a fare il rimanente del pagamento; e a -costoro, com’egli avea provveduto, fece sì vedere, -che del nascoso aguato non si avvidono. Onde -i Franceschi vinti dalla sprovveduta baldanza, -s’affrettarono a fare sul ponte il pagamento -del rimanente fino ne’ ventimila scudi d’oro al -castellano, ed egli mise dentro nel castello una parte -de’ Franceschi, mostrando di volere assegnare -loro la fortezza del castello, e l’altra oste -s’attendea di fuori. Il re d’Inghilterra, che avea -fatto menare questo trattato, era di notte venuto -nel castello egli e il figliuolo con buona compagnia -di gente eletta e fidata, come a quello affare -gli parve competente, i quali si stettono riposti -per modo, ch’e’ Franceschi non se ne poterono -avvedere. I Franceschi che si credettono -senza inganno essere signori del castello, da più -parti furono subitamente assaliti dal re e da -sue genti. E bene che gl’Inghilesi fossono pochi -a rispetto de’ Franceschi, per lo improvviso e -subito assalto i Franceschi ch’erano nel castello -sbigottirono, e temettono, vedendosi a stretta, e -non essendo usi di cotali baratti, per sì fatto modo, -che poco feciono resistenza. Gl’Inghilesi di -presente, come ordinato fu, presono le vie e le -porti, e ’l castellano che si mischiava al cominciamento -<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span> -co’ Franceschi d’entro si rivolse contro -a loro. E vedendo i Franceschi che non aveano -l’uscita libera della terra, lasciarono l’arme, -e arrenderonsi prigioni al re d’Inghilterra. E -fatto questo, a’ Franceschi di fuori fu la cosa sì -maravigliosa, che fortemente spaventarono. -E sentendo questo il re e’ suoi presono ardire, -e uscirono fuori addosso agli spaventati, con -grandi strida e ardire. E non ostante che i -Franceschi fossono presso a dieci per uno degl’Inghilesi, tanta -paura gli vinse, che si misono -in fuga, e abbandonarono il campo. Ed essendo -seguitati alquanto dagl’Inghilesi, che non -gli poterono troppo seguitare perchè aveano pochi -cavalli, presine e morti alquanti, con doppia -vittoria si ritornarono nel castello. -</p> - -<h3 id="cap34-1">CAP. XXXIV. -<span class="smaller"><i>Come messer Carlo eletto imperadore fu presso -che morto di veleno.</i></span></h3> - -<p> -Nella cronica del nostro anticessore è fatta -memoria, come la santa Chiesa di Roma, sappiendo -come Carlo figliuolo del re Giovanni di -Boemia era di virtù e di senno e di prodezza -il più eccellente prenze della Magna, morto il -Bavaro, che lungo tempo in discordia colla -Chiesa avea occupato lo ’mperio, non ostante -che il re Giovanni vivesse, ordinò di farlo eleggere -allo ’mperio. Ed essendo in discordia gli -elettori, perocchè l’arcivescovo di Maganza non -gli volea dare la boce sua, papa Clemente trovando -<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span> -ch’egli era stato de’ fautori del Bavaro, il -privò dell’arcivescovado, ed elessene un altro; -il quale avendo il titolo, non ostante non avesse -la possessione, come il papa volle diede la sua -boce al detto Carlo, e così ebbe piena la sua elezione. -Costui eletto era impotente di cavalleria -e di moneta a potere mantenere campo ad Aia la -Cappella quaranta dì, a rispondere con la forza -dell’arme a chi lo volesse contastare, secondo la -consuetudine degli eletti imperadori: e però -santa Chiesa dispensò con lui questa ceremonia, -e levollo dal pericolo e dalla spesa. E in questo -servigio la Chiesa prese saramento da lui, che venendo -alla corona egli perdonerebbe a’ comuni di -Toscana ogni offesa fatta all’imperadore Arrigo -suo avolo e agli altri imperadori, e tratterebbegli -come amici senza alcuna oppressione. Dopo -questo, morto il padre nella battaglia del re -di Francia, come detto è, a costui succedette, e -fu chiamato re di Boemia. E cercando d’accogliere -forza per potere venire alla corona dello -imperio, ed essendo poco pregiato e meno ubbidito -dagli Alamanni, tenendosi gravati della -sua elezione, egli umile si stava chetamente in -Boemia aspettando suo tempo. La reina con -femminile consiglio volendo attrarre l’amore -del marito dall’altre donne, ch’era giovane, -avvegnachè assai onesta, gli fece dare a -mangiare certa cosa, la quale mangiata dovea -crescere l’amore alla sua donna. Nella qual cosa, -o erba o altro che mescolato vi fosse che tenesse -veleno, come presa l’ebbe, ne venne a pericolo -di morte; e per aiuto di grandi e subiti -<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span> -argomenti, pelato de’ suoi peli, ricoverò la salute -del suo corpo. Della qual cosa facendo condannare -a morte due suoi siniscalchi per giustizia, la -reina, parendo che per sua semplice operazione, -più che per colpa che avessono, i famigli del -loro eletto imperadore fossono per morire innocenti, -s’inginocchiò dinanzi al re dicendo, come -que’ cavalieri non aveano colpa di quello accidente, -ma se colpa c’era, era sua: perocchè per -femminile consiglio, volendo più attrarre a se il -suo amore, non credendo far cosa che offendere -il dovesse, li fece dare quella cosa a bere, -ovvero a mangiare: e però, se giustizia se n’avea -a fare, ella era degna per la sua ignoranza -d’ogni pena, e non coloro ch’erano innocenti. -Il discreto signore udite queste parole, considerò -la fragilità e la natura delle femmine, e colla sua -mansuetudine inchinò l’animo all’errore dell’amore -femminile, e con molta benignità perdonò -alla reina dolcemente, e liberò i suoi siniscalchi, -rimettendogli ne’ loro ufici e onori. Alcuni -dissono, che messer Luchino de’ Visconti di Milano -il fece avvelenare per tema di perdere la sua -tirannia. Ed essendo lo eletto imperadore nel -pericolo della morte, si disse che promise a Dio -se campasse, che perdonerebbe a chi l’avesse offeso -e non ne farebbe alcuna vendetta; e quale -che fosse la cagione, l’effetto seguitò, che vendetta -nessuna fece. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span> -</p> - -<h3 id="cap35-1">CAP. XXXV. -<span class="smaller"><i>Come il re Luigi prese più castella.</i></span></h3> - -<p> -Tornando a’ fatti d’Italia, il re Luigi fatto -cavaliere, e dato alcuno ordine a’ fatti del Regno -che l’ubbidia, avvedutosi de’ baroni che teneano -col re d’Ungheria, innanzi che volesse procedere -a fare altra impresa attese a volere racquistare -le castella di Napoli. E prima cominciò -al castello di Santermo sopra la detta città, -e quello per viltà di coloro che l’aveano a guardia, -temendo delle minacce più che della forza -della battaglia ch’era loro cominciata, essendo -da potersi bene difendere, s’arrenderono al -re. E avendo vittoriosamente acquistato questo -castello, se ne venne a quello di Capovana, che -è all’entrata della città, fortissimo, da non potersi -vincere per battaglia. Coloro che dentro v’erano -alla difesa cominciarono a resistere al primo -assalto; ma inviliti per la presura di quello di -Santermo, e più perchè non vedeano apparecchiato -loro soccorso, trattaron la loro salvezza, e -renderono il castello al re. Avuto il re questi due -forti castelli con poca fatica, s’addirizzò al castello -dell’Uovo fuori di Napoli sopra il mare, -il quale per battaglia non si potea avere, ma era -agevole ad assediare, che tutto era in mare, salvo -d’una parte si congiungeva con una cresta -del poggio, in sul quale il re fece fare un -battifolle. Que’ del castello sappiendo che il -loro soccorso non potea essere d’altra parte che -<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span> -per mare, e in quello mare non era alcuna forza -del re d’Ungheria, innanzi che si volessono recare -allo stremo patteggiarono col re, e renderongli -il castello. Avute il re prosperamente -queste tre castella in poco tempo, fece molto rinvigorire -gli animi de’ Napoletani. E vedendo che -non v’era rimaso altro che il castello Nuovo -a capo alla città, dove era l’abitazione -reale, il quale era sopra modo forte e bene fornito, -tanto era cresciuta la baldanza, che nel -fervore del loro animo con molto apparecchiamento -si misono a combatterlo da ogni parte, -con aspra e fiera battaglia. Ma dentro v’era Gulforte -fratello di Currado Lupo, cui il re d’Ungheria -avea lasciato vicario suo, ed era accompagnato -di buona masnada, e bene fornito alla difesa, -sicchè per niente si travagliarono della battaglia. -E certificati che per forza non lo potevano -avere, e che Gulforte era fedele al suo signore, -presono consiglio d’abbarrare tra il castello -e la città, e così fu fatto, e misonvi buona guardia; -sicchè fuori che dalla marina il castello era -assediato. E poi senza combattere o assalirlo, -l’una gente e l’altra si stettono lungamente. -</p> - -<h3 id="cap36-1">CAP. XXXVI. -<span class="smaller"><i>Come il re Luigi prese il conte d’Apici.</i></span></h3> - -<p> -Avendo il re Luigi vittoriosamente racquistato -tre così forti castelli, e lasciando il quarto -assediato per terra e per mare, con la sua cavalleria, -e con le masnade del doge Guernieri -<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span> -si mise a cavalcare sopra i baroni che teneano -col re d’Ungheria, e in prima andò sopra il -conte d’Apici, figliuolo del conte d’Ariano. Il -conte vedendosi venire il re addosso con gran -forza d’uomini d’arme, si racchiuse in Apici, -e ivi s’afforzò alla difesa come potè il meglio. -Il re faceva spesso assalire la terra. Vedendo il -conte che non attendea soccorso, e che il castello -non era forte da poter fare lunga difesa, -s’arrendè alla misericordia del re: il quale trattò -d’avere di suoi danari trentamila fiorini d’oro, -e rimiselo nel suo stato, riconciliato alla sua grazia. -</p> - -<h3 id="cap37-1">CAP. XXXVII. -<span class="smaller"><i>Come il re Luigi assediò Nocera.</i></span></h3> - -<p> -Prosperando la fortuna il re Luigi nelle lievi -cose, gli dava speranza di prendere le maggiori, -e però si mise di presente con tutta sua gente -nel piano di Puglia, e dirizzossi a Nocera de’ saracini, -che si guardava per la gente del re d’Ungheria. -Ma perocchè la città era grande, e guasta -e male acconcia a potersi difendere, sentendo -gli Ungheri che dentro v’erano l’avvenimento -del re con la sua gente, abbandonarono la terra, -e ridussonsi nella rocca di sopra, ch’era larga, e -molto forte alla difesa, e ivi ridussono tutte le -loro cose. E sopravvenendo il re Luigi, senza -contasto con tutta sua gente entrarono nella città: -e trovando il castello sopra la terra forte e bene -guernito alla difesa, conobbono che non era da -potersi vincere per forza di battaglie, e però non -<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span> -tentarono di combatterlo: ma avendo la città in -loro balía, afforzarono in ogni parte intorno alla -rocca, e puosonvi l’assedio, sperando d’averla, -poichè gli Ungheri e i Tedeschi erano per la -mortalità malati e mancati, e molti se n’erano iti -per lo mancamento del soldo, e non era loro avviso -che a tempo potessono avere soccorso; e però -tenendo que’ del castello di Nocera assediati, cavalcarono -tutto il piano di Puglia infino presso -a Barletta; e avendo cominciato a prendere ardire, -trovando che Currado Lupo vicario del re -d’Ungheria non avea forza d’entrare in campo -col re Luigi, nè di soccorrere gli assediati -di Nocera, era assai possibile al re di mantenere -l’assedio, e di fare tornare l’altre terre di Puglia -a sua volontà, cavalcando con la sua forza -il paese. Ma il fallace duca Guernieri, ch’avea -milledugento cavalieri tedeschi in sua compagnia, -conoscendo il tempo che far lo potea signore -e trarlo di guerra, si mise a fargli quistione, -e non lo lasciò muovere dall’assedio, nè andare -all’altre terre per lungo tempo: dando luogo a -Currado Lupo avversario del re di potersi provvedere -al soccorso, e il re non era potente da -se di cavalleria nè di moneta che senza il doge -potesse fornire le sue bisogne, e però convenia -che seguisse più la volontà corrotta del doge -Guernieri che la sua. E non avea ardimento -di mostrare sospetto di lui, per paura che peggio -non gli facesse, e da se nol potea partire senza -peggiorare sua condizione, e crescere la forza -e ’l vigore a’ suoi nimici. Ed essendo così intrigato -e male condotto, per avere un capo a -<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span> -tutti i suoi soldati, perdè tempo più di cinque mesi -al disutile assedio, e diede tempo a’ nimici di procacciare -aiuto e soccorso, come fatto venne loro, -come appresso racconteremo. -</p> - -<h3 id="cap38-1">CAP. XXXVIII. -<span class="smaller"><i>Come Currado Lupo liberò Nocera.</i></span></h3> - -<p> -Mentre che l’assedio si manteneva per lo re -Luigi a Nocera, Currado Lupo, ch’era rimaso -alla guardia del reame per lo re d’Ungheria, -intese a sollicitare il re, tanto che gli mandò -una quantità di danari per ristorare la gente -che per la mortalità gli era mancata: il quale -di presente cavalcò in Abruzzi, e condusse de’ cavalieri -tedeschi ch’erano in Toscana e nella -Marca, tanti, che co’ suoi si trovò con duemila -barbute: e lasciatine una parte alla guardia delle -terre che per lui si teneano, e eletti milledugento -cavalieri in sua compagnia, si propose di -soccorrere gli assediati del castello di Nocera. -Il re Luigi avendo sentito come Currado Lupo -avea accolta gente per venire contra lui, di presente -mandò il conte di Minerbino, e il conte -di Sprech Tedesco, con ottocento cavalieri a -impedire i passi, che Currado Lupo co’ suoi cavalieri -non potesse entrare nel piano di Puglia. -Ma il detto Currado, come franco capitano -e sollecito, la notte si mise a cammino, e fu -prima, partendosi da Guglionese, valicato i passi -ed entrato nel piano di Puglia, che la gente del -re fosse a impedirlo, e senza arresto, co’ suoi -<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span> -cavalieri in quello dì cavalcarono quaranta miglia, -e la sera giunsono a Nocera in sul tramontare -del sole; e perocchè erano molto affaticati -della lunga giornata, e i cavalli stanchi e -l’ora tarda, se n’entrarono nel castello senza fare -altro assalto, o riceverlo dalla gente del re Luigi. -E questo avvenne, imperciocchè del subito avvenimento -sbigottì forte la gente del re, e -specialmente essendo assottigliato l’oste, e non -sappiendo che della loro gente andata a’ passi si -fosse avvenuto. Il re veggendo la sua gente sbigottita, -prese l’arme e montò a cavallo, e confortò -francamente i suoi: e sopravvenendo la -notte, in persona ordinò buona e sollecita guardia, -attendendo il ritorno de’ suoi cavalieri. I -nimici ch’erano stanchi intesono a mangiare, e -a confortare la loro gente, e dare riposo a’ loro cavalli, -per essere la mattina alla battaglia. -</p> - -<h3 id="cap39-1">CAP. XXXIX. -<span class="smaller"><i>Come il re Luigi rifiutò la battaglia con -Currado Lupo.</i></span></h3> - -<p> -La mattina seguente, Currado Lupo innanzi -che scendessono del castello nel piano, mandò a -richiedere il re Luigi di battaglia, e per segno -di ciò gli mandò il guanto per lo suo trombetta; -il re ricevette il guanto, e con dimostramento -di franco cuore e d’ardire, senza tenere altro -consiglio promise la battaglia: perocchè la notte -medesima il conte di Minerbino e ’l conte di -Sprech erano tornati con la loro gente al soccorso -<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span> -del re. Currado avendo la risposta dal re, come -accettava di venire alla battaglia, non ostante -che il re avesse assai più gente di lui, confidandosi -nella buona gente che avere gli pareva, e -conoscendo la condizione del doge Guernieri, e -forse intendendosi con lui, scese del castello con -tutta sua cavalleria, e ancora con gli Ungheri -ch’erano nel castello a cavallo, e valicato per -una parte della città ch’era in loro signoria, -con dimostramento di grande ardire si schierò -nel piano dirimpetto alla città, aspettando che -il re venisse con la sua gente alla battaglia. E -vedendo che non venia, un’altra volta il mandò -a richiedere di battaglia. Il re avendo volontà -di combattere sommovea i suoi baroni e -gli altri cavalieri a ciò fare, con grande istanzia: -il doge Guernieri, quale che cagione il -movesse, che dubbia era la sua fede, vedendo -il re acceso alla battaglia, fu a lui, e con dimostramento -di savio e buono consiglio, e con -belle parole il ritenne, mostrandogli che folle -partito era a quel punto prendere battaglia, -allegando che per due cose sole si dovea combattere, -l’una per necessità, e l’altra per grande avvantaggio, -e quivi non era nè l’una nè l’altra. E -forse che il consiglio suo fu più salutevole che -malvagio a quel punto, il re vedendo il consiglio -del duca, e temendo di non essere seguito -nella battaglia da lui nè da’ suoi cavalieri, si -ritenne in Nocera, ontosamente schernito da’ suoi -avversari, i quali schierati in sul campo faceano -vergogna al re, perchè non usciva alla battaglia -come promesso avea; e avendo aspettato infino -<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span> -al mezzodì, e trombato e ritrombato per attrarre -la gente del re alla battaglia, e veggendo -non erano acconci a uscire della terra, si partì -di là ordinatamente con le schiere fatte, e dirizzossi -verso la città di Foggia, ch’era ivi presso -nello piano di Puglia, e in quella, ch’era senza -guardia e senza sospetto, s’entrò di cheto, senza -trovare alcuno riparo. E trovandola piena d’ogni -bene, quivi s’alloggiarono, facendo delle case, -e delle masserizie, e della vittuaglia, e delle -donne maritate e delle pulzelle la loro sfrenata -volontà, e ogni sustanza di quella terra si recarono -prima in uso, e poscia in preda. E quivi -in prima si cominciò ad assaggiare la preda dello -avere del Regno da’ Tedeschi e dagli Ungari, la -quale assaggiata vi attrasse da ogni parte i soldati, -come gli uccelli alla carogna, in grave danno -di tutto il paese, come procedendo per li tempi -in nostra materia dimostreremo. -</p> - -<h3 id="cap40-1">CAP. XL. -<span class="smaller"><i>Della materia medesima.</i></span></h3> - -<p> -Essendo Currado Lupo con la sua gente in -Foggia, con grande baldanza presa contro al re -Luigi, intendendosi col duca Guernieri, afforzò -la città di Foggia, per potere contastare al re il -ritorno per la via del piano in Terra di Lavoro. -E così fece lungamente, crescendo continuamente -la sua gente di cavalleria e masnadieri, -perchè viveano di prede, e avanzavano sopra i -paesani non usi di guerra, nè provveduti alla loro -<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span> -difesa. Il re avendo scoperto come dal duca -Guernieri non potea avere servigio che utile gli -fosse, e che fidare non se ne potea, stato due -mesi a Nocera senza alcuno frutto, con grande -abbassamento di suo stato e onore, poichè Currado -Lupo entrò in Puglia, prese suo tempo, e -girando la Puglia, dilungandosi da’ nimici ch’erano -in Foggia, entrò in Ascoli, e ivi stato pochi -dì se ne venne a Troia, e di là per Terra beneventana -si tornò a Napoli senza contasto. -</p> - -<h3 id="cap41-1">CAP. XLI. -<span class="smaller"><i>Come morì il re Alfonso di Castella.</i></span></h3> - -<p> -In questo anno, del mese di marzo, morì il re -Alfonso di Castella, lasciando Pietro suo figliuolo -legittimo, nato della reina sirocchia del re di -Portogallo, d’età di quindici anni, e sette suoi -fratelli nati di donna Dianora, grande e gentile -donna di Castella, la quale il detto re amò -sopra la reina, e tennela ventiquattro anni. -Morto il re, don Pietro fu coronato del reame, -ed essendo troppo giovane, i maggiori baroni -per tre anni ebbono a governare il reame. E venuto -il re Pietro in età di diciotto anni, con malizia, -e con senno e con ardire, di gran cuore -prese il governamento di suo reame, e trassene -i baroni, e cominciò aspramente a farsi ubbidire; -perocchè temendo de’ suoi baroni, trovò modo -di fare infamare l’uno l’altro, e prendendo cagione, -gli cominciò a uccidere colle sue mani, -e in breve tempo ne fece morire venticinque: e -<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span> -tre suoi fratelli fece morire e la loro madre, e -gli altri perseguitò: ed eglino valenti e di gran -seguito e ardire si ridussono in loro castella, e -feciono al re aspra guerra. E ora fu, che l’uno -di loro, ch’era conte di... in uno abboccamento -ebbe prigione il re, e consentì che si -fuggisse per grande benignità, e in fine si partì -di Spagna, e tornossene col fratello in Araona. -</p> - -<h3 id="cap42-1">CAP. XLII. -<span class="smaller"><i>Come il doge Guernieri fu preso in Corneto -dagli Ungheri.</i></span></h3> - -<p> -Tornato il re Luigi a Napoli, non avendo potuto -acquistare in Puglia alcuna cosa, ma peggiorata -la sua condizione, acciocchè le terre e’ baroni -di sua parte non prendessono troppo sconforto -della sua partita, mandò in Puglia il doge Guernieri -con quattrocento cavalieri, e commisegli la -guardia di coloro che teneano con esso lui, e che -raffrenasse la baldanza de’ suoi avversari. Il duca -si mosse con sua compagnia, e con lui mandò il re -alquanti confidenti toscani, tra’ quali fu messer -Iacopo de’ Cavalcanti di Firenze, pro’ e valente -cavaliere. Costoro entrati in Puglia si ridussono -in Corneto. Il fallace duca pensava, che stando -dalla parte del re non potea predare nè avanzare -come l’animo suo desiderava, e vedendo la -materia acconcia, e già cominciata per Currado -Lupo e per gli Ungheri, trovò modo, volendo -coprire il suo tradimento, come fatto gli venisse -senza sua palese infamia. E per venire a questo, -<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span> -essendo presso a nimici più possenti di lui, si stava -senza alcuno ordine e senza fare guardia il -dì e la notte, anzi non lasciava serrare le porti -della città, e andavasi a dormire con tutta la sua -masnada. Onde avvenne, come si crede ch’egli -avesse ordinato, che Currado Lupo con parte di -sua gente una notte vi cavalcò, e trovate le porte -aperte, e senza difesa e guardia, s’entrò nella -città: e trovando il doge e’ suoi cavalieri dormire -ne’ loro alberghi, tutti senza dare colpo di lancia -o di spada ebbe a prigione, loro e’ loro cavalli e -arnesi, senza che niuno ne fuggisse; e avuti i forestieri -a prigioni furono signori della terra, e -fecionne, come di Foggia, la loro volontà: e il dì -seguente con grande gazzarra ne menarono i -prigioni e la preda a Foggia, dove faceano loro -residenza. Ed essendo il duca Guernieri prigione -in Foggia, si fece porre di taglia trentamila fiorini -d’oro; e mandò al re che ’l dovesse ricomperare -in fra certo tempo, e dove questo non facesse, -disse gli conveniva essere contro a lui in aiuto -del re d’Ungheria: e però gli protestava, che -se il riscatto non facesse, non gli farebbe tradimento -venendo contro a lui dal termine innanzi. -Il re Luigi avendo conosciuto per opere i suoi -baratti, avvegnachè conoscesse che per cupidità -di preda e’ sarebbe contro a’ suoi agro nimico, innanzi -il volle suo avversario, potendo contro a -lui scoprirsi alla sua difesa, che averlo traditore -dalla sua parte, e però nol volle riscuotere. Onde -egli trasse a se tutti i Tedeschi di sua condotta, -e da Currado Lupo fu fatto il terzo conducitore -della sua oste, renduto a lui e a’ suoi l’armi e’ -<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span> -cavalli e gli arnesi. Messer Iacopo de’ Cavalcanti, -perocchè altra volta era stato preso, e -lasciato alla fede, fu ritenuto, e ultimamente per -mandato del re d’Ungheria, per corrotto saramento, -vituperevolemente fu impiccato. -</p> - -<h3 id="cap43-1">CAP. XLIII. -<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini presono Colle.</i></span></h3> - -<p> -I Colligiani avendo ripreso in loro giuridizione -il reggimento libero della loro terra, poichè -’l duca d’Atene fu cacciato di Firenze, che -per lo detto comune n’era signore, volendo mantenere -la loro libertà, non lo seppono fare, anzi -cominciarono a setteggiare, e volere cacciare l’uno -l’altro, e alcuna parte trattava coll’aiuto di -grandi e possenti vicini d’esserne tiranni. E -scoperto tra loro il trattato, si condussono all’arme: -e stando in combattimento dentro, il comune -di Firenze per paura che tirannia non vi si -accogliesse, subitamente vi mandò il capitano -della guardia che allora tenea in Firenze, con -trecento cavalieri e con assai fanti a piè, e improvviso -vennono a’ Colligiani in su le porti e intorno -alla Prateria, del mese d’aprile gli anni 1349. E -sentendo i Colligiani la gente de’ Fiorentini alle -porti, e tra loro grave discordia dentro, viddono, -che volere a’ cittadini di Firenze, che ivi erano -mandati per loro bene, fare resistenza era impossibile, -e il loro peggiore, perocchè se l’una setta -si fosse messa alla difesa, l’altra si sarebbe fatta -forte col comune di Firenze, e arebbono abbattuta -<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span> -la setta contraria, sicchè per lo loro migliore, -di comune concordia apersono le porti, e -misono dentro la gente del comune di Firenze. E -come dentro vi furono, i terrazzani lasciarono -l’arme che aveano prese per la loro divisione, -e ragunati al consiglio, conobbono, che il comune -beneficio della loro comunità era di dare la guardia -di quella terra al comune di Firenze, e altrimenti -non vedeano di potere vivere in pace -e in riposo senza sospetto l’uno dell’altro. E però -diliberarono solennemente tutti d’uno animo -e d’una concordia, che ’l comune di Firenze avesse -in perpetuo la guardia di quella terra; e il -comune la prese, e ordinò dentro senza quistione -i loro ufici, comunicandoli discretamente -tra’ loro terrazzani, a contentamento di catuna -parte; e appresso di tempo in tempo v’ordinò il -comune di Firenze la guardia de’ suoi cittadini, e -i rettori di quella, mandandovegli da Firenze ogni -sei mesi successivamente. -</p> - -<h3 id="cap44-1">CAP. XLIV. -<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini ebbono Sangimignano -a tempo.</i></span></h3> - -<p> -Nel detto anno e mese d’aprile, recata la terra -di Colle a guardia del comune di Firenze prosperamente, -innanzi che il detto capitano con -sua gente a piè e a cavallo tornasse a Firenze, essendo -il comune di Sangimignano per simile -modo in grande divisione per cagione del loro -reggimento, onde forte si temea non pervenisse -<span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span> -a tiranno, il comune di Firenze vegghiando -con sollecitudine a mantenere la libertà -di Toscana, fece comandamento al capitano -e a’ cittadini consiglieri ch’erano con lui ch’andassono -a Sangimignano, e senza fare alcuno -danno, o atto di guerra, domandassono per lo -comune di Firenze la guardia di quella terra, -acciocchè il comune loro e ’l nostro vivessono -di ciò più sicuri, che non si potea vivere vedendogli -in setta e in divisioni. Il capitano con -quella gente se n’andò a Sangimignano, e fece -il comandamento del comune di Firenze, standosi -fuori della terra senza fare danno niuno. -E fatta la richesta, quegli di Sangimignano -ebbono sopra ciò diversi consigli, e dibattutosi -fra loro più giorni, che l’uno volea e l’altro -no, in fine avvedendosi che le loro discordie -erano pericolose, e che non erano potenti a mantenere -libertà; vedendo il pericolo delle divisioni -e sette che aveano tra loro, e che lo sdegno -del comune di Firenze potea risultare in -loro maggiore pericolo, per comune consiglio -diedono per tre anni a venire il governamento -e la guardia di quella terra al comune di Firenze, -con patto che il comune vi mandasse di sei -mesi in sei mesi uno cittadino popolano di Firenze -per capitano della guardia, e un altro per -podestà alle loro spese; e così deliberato, misono -di gran concordia dentro la gente del comune -di Firenze. E ricevuti i rettori, cominciarono -a vivere tra loro in molta concordia e pace, e -catuno intendeva a fare i fatti suoi, dimenticando -le cittadine contenzioni e gli altri sospetti -<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span> -che gli conturbavano, e il capitano co’ suoi cavalieri -e col popolo tornò a Firenze ricevuto a -onore, del detto mese d’aprile. -</p> - -<h3 id="cap45-1">CAP. XLV. -<span class="smaller"><i>Di tremuoti furono in Italia.</i></span></h3> - -<p> -In questo anno, a dì 10 di settembre, si cominciarono -in Italia tremuoti disusati e maravigliosi, -i quali in molte parti del mondo durarono -più dì, e a Roma feciono cadere il campanile -della chiesa grande di san Paolo, con -parte delle loggi di quella chiesa, e una parte -della nobile torre delle milizie, e la torre del -conte, lasciando in molte altre parti di Roma -memoria delle sue rovine. Nella città di Napoli -fece cadere il campanile, e la faccia della chiesa -del vescovado e di santo Giovanni maggiore, -e in assai altre parti della città fece grandi rovine, -con poco danno degli uomini. Nella città -d’Aversa, essendo i caporali de’ Tedeschi e degli -Ungheri, con molti conestabili e cavalieri, a -consiglio nella chiesa maggiore, non determinato -il loro consiglio uscirono della chiesa, e -come furono fuori, la chiesa cadde, e per volontà -di Dio a niuno fece male. La città dell’Aquila -ne fu quasi distrutta, che tutte le chiese e’ -grandi difici della città caddono, con grande -mortalità d’uomini e di femmine; e durando per -più dì i detti tremuoti, tutti i cittadini, ed eziandio -i forestieri, si misono a stare il dì e la notte -su per le piazze e di fuori a campo, mentre che -<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span> -quello movimento della terra fu, che durò otto -dì e più. Ed erano sì grandi, che in piana terra -avea l’uomo fatica di potersi tenere in piede. -A san Germano e a monte Cassino fece -incredibili ruine di grandi difici, e dell’antico -monistero di santo Benedetto sopra il monte del -poggio medesimo, che pare tutto sasso, abbattè -buona parte; il castello di Valzorano del poggio -rovinò nella valle, con morte quasi di tutti i suoi -abitanti. Nella città di Sora fece degli edifici -grandissime ruine, e così in molte altre parti -di Campagna e di terra di Roma, e del Regno -e di molte altre parti d’Italia, che sarebbono -lunghe e tediose a raccontare. Per li quali terremuoti -si potea per li savi stimare le future novità -e rivolgimenti di que’ paesi, le quali poi -seguitarono, come il nostro trattato seguendo si -potrà vedere. -</p> - -<h3 id="cap46-1">CAP. XLVI. -<span class="smaller"><i>Come sommerse Villacco in Alamagna.</i></span></h3> - -<p> -In questo medesimo tempo, essendo all’entrare -della Magna sopra una valle una città che ha -nome Villacco, in sul passo, con alquante villate -e castella che teneano bene dodici miglia, a’ -confini della Schiavonia, questa terra con le sue -ville e castella per gli terremuoti s’attuffò nella -valle, con grande danno di morte de’ suoi abitanti. -E perocchè il luogo è sul passo del Friuli e -Schiavonia, e paese ubertuoso, e i suoi alberghi -tutti si fanno di legname, che ve n’ha grande -<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span> -abbondanza, fu tosto rifatto e abitato. Innanzi -che l’anno fusse compiuto dal suo rifacimento, -per fuoco arse tutta la terra, che fu a pensare -non piccolo giudicio de’ suoi abitanti. Ma per lo -fertile luogo e utile per lo passo, in brieve tempo -fu redificata la terra più bella che prima. -</p> - -<h3 id="cap47-1">CAP. XLVII. -<span class="smaller"><i>De’ fatti del Regno.</i></span></h3> - -<p> -Del mese di maggio del detto anno, sentendo -il re Luigi crescere fortemente nel Regno la forza -del re d’Ungheria, fece comandamento a tutti i -suoi baroni che teneano con lui che si sforzassono -d’arme e di cavalli, e ragunassonsi in Napoli -per resistere a’ loro avversari, che aveano per la -presa di Foggia e di Corneto presa superchia baldanza -in Puglia, e accolti molti Tedeschi d’Italia, -per vaghezza delle prede del Regno, più che -per soldo ch’elli avessono. I baroni vedendo il comune -pericolo di loro stato e di tutto il Regno, -feciono gente d’arme, e ragunaronsi a Napoli -più di tremila cavalieri ben montati e bene -armati; e ancora non era venuto il conte di Minerbino, -che avea con seco trecento barbute. Currado -Lupo, che avea con seco il duca Guernieri, -e ’l conte di Lando, e messer Giovanni d’Arnicchi, -Tedeschi grandi maestri di guerra, e -con grande seguito di soldati tedeschi, avieno -accolti tutti gli Ungheri del Regno, ch’erano più -di settecento, in grande fede al loro signore: e -ancora erano ragunati con loro masnadieri italiani -<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span> -assai, tratti per guadagnare, sentendo che la forza -del re era ragunata a Napoli, di presente fornì -di guardia tutte le terre sue, e co’ sopraddetti -caporali, e co’ loro cavalieri tedeschi e ungheri, -milleseicento o più, e con briganti a -piè, acconci a guadagnare, sperando abboccarsi -co’ ricchi baroni del Regno, si partirono -di Foggia, e senza fare soggiorno o trovare resistenza -se ne vennero infino ad Aversa, città -di Terra di Lavoro, presso a Napoli a otto miglia, -la quale in quel tempo non era murata: -e per mala provvedenza non era guardata, avvegnachè -malagevole fosse a guardare, perchè -era molto sparta, ma avea il castello molto -grande e forte. Currado Lupo con la sua cavalleria -senza contasto s’entrò nella terra, la -quale era doviziosa e piena d’ogni bene. Ed -essendo altra volta stata all’ubbidienza del re -d’Ungheria, non si pensarono essere trattati in -ruberia e in preda dal vicario del re, e però si -trovarono ingannati. I Tedeschi e gli Ungheri come -furono dentro cominciarono a fare delle cose, -vi trovarono da vivere a comune con i cittadini, -con più temperanza e ordine che fatto -non aveano in Foggia, perocchè vi aveano più a -stare. E incontanente cavalcarono per lo paese -e per li casali dintorno per farsi ubbidire, e recare -il mercato derrata per danaio; e chi non gli -ubbidia di recare della roba ad Aversa sì la rubavano -e ardevano. E in fine, ora per una cagione, -ora per un’altra, tutti erano rubati, e cominciarono -a cavalcare fino presso a Napoli, ed a non lasciare -a’ foresi portare alcuna roba in quella terra, che -<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span> -a giornata solea abbondare della molta roba delle -terre e casali di fuori, ed ora niuno v’andava, -che d’ogni parte erano rotte le strade e i cammini, -onde la città cominciò ad avere carestia, e -convenia che per mare si fornisse. Il re Luigi -avea baroni e cavalieri assai in Napoli, ma per -buono consiglio riteneva i suoi baroni con il volonteroso -popolo che non uscissono contro a’ nimici -a loro stanza, e attendea maggiore forza di -sua gente di dì in dì, e pensava che i nimici per -le ruberie fatte a’ paesani venissono in soffratta, -e volea a sua stanza e a suo tempo andare sopra -i suoi nimici e a suo vantaggio, e non alla loro -richiesta, e questo era salutevole e buono consiglio. -Ma dove la fortuna giuoca più che ’l senno, la gente -vi corre. -</p> - -<h3 id="cap48-1">CAP. XLVIII. -<span class="smaller"><i>Come la gente del re d’Ungheria -sconfisse i baroni del Regno.</i></span></h3> - -<p> -Vedendo i capitani della gente del re d’Ungheria -che la baronia del Regno era accolta a -Napoli contro a loro, e non si movea nè mostrava -in campo per le loro cavalcate, si feciono -loro più presso a Meleto quattro miglia presso a -Napoli; e quivi stando, cominciarono a dare -voce che discordia fosse tra’ Tedeschi e gli -Ungheri, e seguendo loro malizia s’armarono, -e acconciarono il campo come se dovessero combattere -insieme; e avendo tra loro mezzani gli Ungheri, -come malcontenti d’essere con Currado -Lupo, dierono voce di volersene tornare in Puglia. -<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span> -I giovani baroni che sentivano di presso -le novelle de’ loro nimici, e’ baldanzosi cavalieri -napoletani credendo che la discordia fosse tra -gli Ungheri e’ Tedeschi come la boce correa, -non accorgendosi del baratto, e parendo loro -che per difetto di vittuaglia e’ non potessono -più stare nel paese, quasi come la preda uscisse -loro tra le mani aspettando, fremivano nell’animo -d’uscire fuori, e correre sopra i nimici; -e contradicendo il re e ’l suo consiglio la furiosa -presunzione de’ giovani baroni e de’ pomposi -Napoletani, in furia s’apparecchiarono dell’arme. -E montati sopra i loro destrieri e buoni cavalli, -che n’erano bene forniti, e con ricchi arredi -e nobili sopransegne, colle cinture dell’oro -e dell’argento cinte, in grande pompa, avendo fatto -loro capitani messer Ruberto di Sanseverino, -e messer Ramondo del Balzo, valenti baroni, e -il conte di Sprech Tedesco, e messer Guiglielmo -da Fogliano, ordinate loro battaglie, contradicendolo -il re in persona, uscirono di Napoli, e addirizzaronsi -a’ nimici. Il cammino era corto, e il paese -piano, sicchè in poca d’ora furono giunti al campo, -ove trovarono di costa a Meleto nella spianata -schierati i nemici, i quali aveano sentito il furioso -movimento de’ ricchi baroni e cavalieri del Regno, -e aveano con savio provvedimento fatte tre schiere. -Vedendo la folle condotta de’ loro avversari, s’allegrarono, -e’ baldanzosi regnicoli sì diedono francamente -nella prima schiera, la quale, per ordine -fatto a maestria, s’aperse, e lasciò valicare, -e mescolare tra loro la cavalleria del Regno, -non ostante che assai fussono più di loro; e reggendo -<span class="pagenum" id="Page_76">[76]</span> -a testa la seconda schiera e intrigata la -battaglia, il conte di Lando, ch’era da parte colla -sua schiera, tornò un poco di campo, e venne -loro alle reni, e combattendoli dinanzi e didietro, -avvegnachè v’avesse di valorosi cavalieri, -per la loro mala provvedenza in poca d’ora -con non troppa asprezza di battaglia gli ebbono -vinti, e sbarattati e richiusi tra loro per modo, che -la maggior parte co’ loro capitani furono presi, -e pochi ne morirono. Quelli che poterono fuggire -ne fuggirono, e non furono incalciati, perchè -erano presso alla città, e i loro nemici n’aveano -assai tra le mani a guardare, sicchè non si curarono -d’incalciare gli altri. Questa propriamente -non si potè dire battaglia, ma uno irretamento -da pigliare baroni e cavalieri di grandi ricchezze. -I presi furono tra conti e baroni venticinque -de’ maggiori del Regno, con molti ricchi cavalieri -napoletani di Capovana e di Nido, e nobili scudieri -e grandi borgesi e baroncelli del Regno, i quali -erano tutti bene montati. E come i capitani de’ Tedeschi -e degli Ungheri ebbono raccolti insieme -i prigioni e la preda, con grande festa e sollazzo -d’avere acquistato grande tesoro senza fatica, -gli condussono ad Aversa; e messi i baroni e’ -cavalieri in sicure prigioni, l’altra preda divisono -tra loro. E questo fu a dì sei di giugno 1349. -</p> - -<h3 id="cap49-1">CAP. XLIX. -<span class="smaller"><i>Come i Napoletani ricomperarono la vendemmia -da’ nimici.</i></span></h3> - -<p> -Dopo la detta sconfitta la gente del re d’Ungheria -<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span> -avendo presa grande baldanza, cavalcavano -ogni dì infino a Napoli per tutte le contrade -circostanti alla città, senza trovare alcuno -contasto. Ch’e’ cavalieri ch’erano in Napoli, -e quelli che scamparono della sconfitta, tutti tornarono -in loro paese, e i Napoletani non ebbono -più ardire di montare a cavallo contra i nimici; -per la qual cosa assai picciola gente spesso entravano -con grande ardire tra santa Maria del Carmino -e il Santolo, rubando e facendo preda in -sul mercato; e per questo avvenne che per terra -non v’entrava alcuna vittuaglia, e però convenne -che per mare vi venisse d’altre parti, e -montasse ogni cosa, fuori del vino, in grande carestia. -Vedendo i Napoletani nella forza de’ loro -nemici tutto il loro contado, temendo delle loro -vendemmie, e per avere alcuna posa, diedono a -Currado Lupo e a’ suoi compagni ventimila fiorini -d’oro, e messer Ramondo del Balzo, e messer -Ruberto da Sanseverino, e il conte di Tricario -anche della casa di Sanseverino, e il conte di santo -Angiolo, e un altro barone, ch’erano presi, si -ricomperarono fiorini centomila d’oro, e gli altri -baroni del Regno e cavalieri si ricomperarono fiorini -cinquantamila, e’ cavalieri e scudieri di Napoli -si ricomperarono altri cinquantamila fiorini: e il -conte di Sprech Tedesco, e M. Guiglielmo da Fogliano -e’ soldati forestieri, tolto loro l’arme e’ cavalli, -furono lasciati alla fede. E trovandosi questa -gente del re d’Ungheria fornita d’arme e di -cavalli, e pieni d’arnesi, e abbondante d’ogni -bene, questi danari, e molti gioielli d’oro e d’ariento, -riposono nel castello d’Aversa senza partire, -<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span> -acciocchè niuno avesse cagione di partirsi -del paese. E per accogliere maggiore tesoro, i danari -del riscatto, e del tempo della vendemmia, -furono pagati, e queto il paese mentre che le -vendemmie durarono, secondo la loro promessa, -e passato il tempo ricominciarono la guerra come -prima, aspettando danari freschi dal re -e da’ Napoletani, come appresso seguendo si -potrà trovare. -</p> - -<h3 id="cap50-1">CAP. L. -<span class="smaller"><i>Come si fe’ triegua nel Regno.</i></span></h3> - -<p> -Il papa e’ cardinali avendo sentita la rotta -de’ baroni del Regno, e che ’l paese si guastava, -mandarono nel Regno M. Annibaldo da Ceccano -cardinale legato di santa Chiesa, a procacciare di -conservare il reame, acciocchè la discordia de’ due -re non guastasse quello ch’era di santa Chiesa. -Il cardinale giunto a Napoli trovò il re e’ Napoletani -in male stato, e i paesi di Terra di Lavoro -guasti, rubate le castella, le ville, i casali, e vedendo -che la forza de’ Tedeschi e degli Ungheri -guastava tutto, si mise a cercare via d’accordo, -e andava dall’una parte all’altra, ma poco -frutto di concordia seppe fare. Onde il re e’ Napoletani -avvedendosi che il cardinale non facea -loro profitto, si condussono a cercare eglino con -loro confidenti. E mandarono a Currado Lupo e -agli altri caporali ad Aversa, e in fine vennono -con loro a concordia, che dovessono lasciare in -mano del cardinale Aversa e Capova, e tutte le -<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span> -terre e castella che teneano dal Volturno di -Tuliverno in verso Napoli, per tutta Terra di Lavoro -e di Principato, e facendo questo avessono -contanti centoventimila fiorini d’oro. Le terre -furono lasciate nella guardia del cardinale, e i danari -furono pagati del mese di gennaio 1349. Allora -vidono il conto de’ danari che aveano raunati, -e trovaronsi in contanti più di cinquecento migliaia -di fiorini d’oro, i quali di molta concordia -si divisono a bottino. E’ caporali dividitori -furono, Currado Lupo, e il doge Guernieri, e il -conte di Lando, e M. Gianni d’Ornicchi, e alcuni -altri. E oltre a questo tesoro, e oltre a molti -destrieri, e ricchi arnesi e armadure che catuno -avea, ebbono parte di molte vasellamenta -d’argento, e di croci e di calici e d’altri ornamenti -delle chiese che avieno spogliate, e -ornamenti delle donne, e drappi e vestimenta -di grandissima valuta, de’ quali erano pieni, avendone -spogliate parecchie città, come detto abbiamo. -Costoro sopra modo ricchi, passato il Volturno, -si diliberarono di partirsi del Regno, e -tutti, fuori che Currado Lupo, e fra Moriale e -gli Ungheri, che si ritennono per lo re d’Ungheria -nel Regno, si partirono e menandone molte donne -rapite a’ loro mariti, e molte altre che non -aveano marito, cosa strana e disusata tra’ fedeli -cristiani; e ricchi delle loro rapine, quali si -tornarono in Alamagna, e altri si sparsono nell’italiane -guerre: e per questo modo il Regno ebbe -alcuno sollevamento dalle ruberie e dalla guerra, -che catuno si posava volentieri. E dandoci alquanto -triegua le novità dello sviato Regno, ci -<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span> -s’apparecchia nuova e lieve cagione, della quale -surse come di picciola favilla fuoco di smisurata -grandezza. -</p> - -<h3 id="cap51-1">CAP. LI. -<span class="smaller"><i>Di novità di barbari di Bella Marina.</i></span></h3> - -<p> -Tornando alquanto nostra materia a’ fatti de’ -barbari, in questo tempo Buevem figliuolo di -Balese della Bella Marina, a cui come addietro è -narrato, il detto Buevem avea rubellato il regno di -Tremusi, sentendo che Maometto suo cugino gli -avea rubellato Fessa e il suo reame, liberò di servaggio -mille cristiani, e misegli a cavallo e in arme, -e accolse suo oste di quindicimila cavalieri, e -di gran popolo di Mori a piè, e andonne verso -Fessa, contro a Maometto, il quale trovò provveduto -con venticinquemila cavalieri e di grande -popolo, e fecelisi incontro fuori della città di -Fessa, e non troppo lungi della città commisono -aspra battaglia, nella quale morirono grandissima -quantità di saracini da catuna parte; in fine, come -piacque a Dio, per virtù de’ cristiani Maometto fu -sconfitto, colla sua gente morta e sbarattata, ed egli -si rifuggì nel castello di Villanuova, ove Buevem -il tenne assediato sei mesi senza speranza di poterlo -avere per la grande fortezza; e però argomentò -di fare fuggire da se un grande caporale de’ cristiani -con sua masnada, e mostrando di perseguirlo -per uccidere, si fuggì a Maometto nel castello, -il quale conoscendo la prodezza e senno -de’ cristiani, pensò di difendersi meglio, avendo -<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span> -costui dal suo lato, e però gli fece onore e grandi -promesse, perchè avesse materia d’aiutarlo -e d’esser leale. Costui mostrandosi agro nimico -di Buevem, alcuna volta uscì fuori percotendo -il campo, e ritornando con onore. Il re Buevem -mostrando che onta gli fosse cresciuta per la -fuggita del malvagio cristiano, ordinò di volere -combattere il castello. Maometto sentendo ciò -s’ordinò alla difesa: e avendo presa confidenza -nel conestabile cristiano, gli accomandò la guardia -d’una porta del castello. E venendo il re alla -battaglia, il traditore gli aperse la porta, ed -entrato dentro con grande sforzo, preso Maometto, -e incarcerato, in pochi dì il fece morire. E andato -a Fessa, fu ricevuto come re e loro signore, -e fu coronato re di Morocco, e della Bella Marina -e di Tremusi in poco tempo, essendo il padre -a Tunisi, il quale tornando poi contro al figliuolo -per lo regno, gli avvenne quello che a suo -tempo diremo. -</p> - -<h3 id="cap52-1">CAP. LII. -<span class="smaller"><i>Come Balase tornando per lo suo reame contro -al figliuolo ebbe grande fortuna, e poi -fu avvelenato.</i></span></h3> - -<p> -Balase avendo acquistato il reame di Tunisi, -e perduto quello di Bella Marina e di Tremusi, -di che Buevem suo figliuolo s’avea fatto coronare, -fece in Tunisi re un altro suo figliuolo, e -con sei galee armate, e una nave di Genovesi -carica di grande tesoro ch’avea tratto di Tunisi, -<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span> -del mese d’ottobre del detto anno, si mise in -mare per tornare nel suo reame: confidandosi, -che essendo con sua persona nel paese, i suoi -sudditi l’ubbidirebbono, non ostante che il figliuolo -avesse la signoria. E avendo lasciato il -suo nuovo re in Tunisi, poco appresso la sua -partita gli Arabi entrarono in Tunisi, e uccisono -questo figliuolo rimaso, e fecionne re il nipote -del re di Tunisi, cui Balase avea morto; e ’l -detto Balase essendo in mare, una fortuna il percosse, -e tutte e sei le sue galee ruppe, e tutti gli -uomini perirono, salvo il re con alquanti compagni -che camparono in su uno scoglio: e indi -levato da certi pescatori fu portato a Morocco, -ove riconosciuto, fu ricevuto come loro signore. -La nave col suo tesoro messasi in alto pelago arrivò -in Ispagna, e il re Pietro s’appropiò il tesoro. -Balase essendo ubbidito in Morocco e nel -paese, di presente accolse di suoi baroni, e con -grande oste andò contro a Buevem suo figliuolo, -inverso Fessa; e cominciato a guerreggiare, veggendo -Buevem che i suoi baroni cominciavano -a ubbidire al padre, disperandosi della difesa, argomentò -con incredibile tradimento. Egli avea -seco una sua sirocchia giovane fanciulla figliuola -di Balase, costei ammaestrò di quello ch’egli -volle ch’ella facesse: la quale si partì da lui, -mostrando mal suo volere, e tornò al padre, il -quale la vide allegramente, ed ella lui, come -caro padre, e commendatola della sua venuta, -la tenea intorno a se come figliuola. Ma la corrotta -fanciulla osservando la malizia del fratello, -ivi a pochi dì avvelenò il padre. Finito Balase -<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span> -il corso della sua vita, e delle sue grandi fortune -prospere e avverse, Buevem suo figliuolo -rimase re della Bella Marina, e di Morocco e di -Tremusi; ma poco appresso i Mori gli rubellarono -Tremusi, ma egli di presente vi mandò grande -oste, e racquistò tutto. E montato in grande potenzia, -per forza si sottomise il reame di Buggea -e quello di Costantina, e’ loro re mise in prigione. -E incrudelito, per ambizione di reggere la -signoria con meno paura, in brieve tempo fece -morire venticinque suoi fratelli di diverse madri. -Ed esaltato sopra tutti i Barberi, cominciò a usare -senza freno la sua lussuria, e gli altri diletti -carnali, ove si riposa la gloria di quelli saracini; -e a un’otta avea trecento mogli e grande novero -di vergini, le più nobili e le più belle de’ suoi -reami: e quando gli piaceva, usava con quella -che l’appetito della sua concupiscenza richiedeva, -e quella mettea nel numero delle sue mogli. -Uomo fu ridottato sopra gli altri signori, e -aspro punitore di giustizia; e con grande guardia -e con molto ordine governava i suoi reami. A’ -cristiani mercatanti facea grande onore, e volentieri -gli ricettava in suo reame. -</p> - -<h3 id="cap53-1">CAP. LIII. -<span class="smaller"><i>Come per lievi cagioni suscitò novità -in Romagna.</i></span></h3> - -<p> -Essendo conte di Romagna messer Astorgio di -Duraforte di Proenza, il quale avea per moglie -una nipote di papa Clemente sesto, o che più vero -<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span> -fosse sua figliuola, il papa l’amava, e intendeva -a farlo grande. Costui il dì della Pasqua di -Natale del detto anno, mostrando familiarità co’ -gentiluomini di Faenza, gli fece invitare a pasquare -seco. Ed essendo a desinare, riscaldati dalla -vivanda e dal vino, messer Giovanni de’ Manfredi -dimestico del conte gli disse: in cotale mattina -per cagione di padronatico, ci è debitore il -vescovo di Faenza di mandare una gallina con -dodici pulcini di pasta, e con carne cotta: e quando -questo e’ non fa, a noi è lecito mandare alla sua -cucina, e trarne la vivanda, e ciò che in quella si -trova. La gallina non è venuta, e però piacciavi -che con vostra licenza noi possiamo usare la ragione -del nostro padronatico. La domanda fu indiscreta, -essendo in casa altrui, che non era certo -che il vescovo avesse fallato; e il conte con poco -sentimento, non considerando il pericolo della novità, -concedette quella licenza follemente. Il vescovo -avea fatto suo dovere, e avea mandata a casa -messer Giovanni d’Alberghettino la gallina e -i pulcini, a cui l’anno toccava quello onore, e la -donna per un suo scudiere l’avea mandata al -marito al palagio del conte; ma per comandamento -fatto a’ portieri per lo conte che alcuno non vi lasciassero -entrare, se n’era tornato a casa. Nondimeno -messer Giovanni, ch’avea avuta la licenzia -dal conte, disse a’ suoi famigli: andate, e chiamate -de’ nostri amici, e dite loro rechino le scuri, ed entrate -nel vescovado: e se le porti non vi sono aperte, -colle scuri l’aprite, e della cucina del vescovo -gittate fuori vivanda, e ciò che vi trovate dentro. -Costoro andando agli amici di messer Giovanni -<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span> -diceano: togliete le scuri, e venite con noi. Coloro -ch’erano invitati che togliessono le scuri non sapendo -la cagione, pigliarono anche l’altre armi, e -l’uno confortava l’altro: e così armati traevano a -casa messer Giovanni. Le masnade del conte a -piè e a cavallo che il dì avieno la guardia, temendo -di questa novità, trassono a casa messer Giovanni, -e cominciarono mischia contro a coloro -vi trovarono armati. I terrazzani si difendeano -non sappiendo la cagione del fatto: la gente traeva -da ogni parte a romore. Sentendosi la novità -al palagio dov’erano i convitati, facendosi il -conte alle finestre, vidde a piè del palagio uno -Franceschino di Valle, grande amico di messer -Giovanni Manfredi, a cui commise che andasse -da sua parte a comandare alla sua gente e a’ cittadini -che lasciassono la zuffa e non contendessono -insieme. Costui disarmato andò a fare -il comandamento da parte del conte. La gente -del conte, che conosceano costui amico di messer -Giovanni, presono maggiore sospetto, e rivolsonsi -contro a lui, e volendogli uno dare della -spada in sulla testa, parando la mano al colpo -gli fu tagliata: e seguendo i colpi contro a lui, fu -morto, e in quello stante tre altri amici di messer -Giovanni vi furono tagliati e morti. Per la -qual cosa, al matto movimento aggiunto la vergogna -e il danno, generò fellonia e sdegno in messer -Giovanni, e conceputo nel petto, propose nella -mente di tentare cose quasi incredibili a poterli -venire fatte, secondo il suo piccolo e povero -stato, le quali per molto studio copertamente, -come vedere si potrà appresso, condusse al suo -intendimento. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span> -</p> - -<h3 id="cap54-1">CAP. LIV. -<span class="smaller"><i>Come messer Giovanni Manfredi rubellò Faenza -alla Chiesa.</i></span></h3> - -<p> -Messer Giovanni Ricciardi de’ Manfredi avendo -conceputo il tradimento ch’egli intendea fare, -cominciò segretamente a dare ordine al fatto: -e avvennegli bene, che il conte sopraddetto -andò a corte a Vignone. E per alcuno sentimento -di gelosia, per sicurtà menò con seco messer -Guglielmo fratello carnale del detto messer -Giovanni, come per grande confidenza di sua -compagnia, e lasciò vececonte un Provenzale -di poca virtù, con trecento cavalieri a sua compagnia. -E oltre a ciò, lasciò fornite le fortezze -della città e le castella di fuori. Messer Giovanni -de’ Manfredi con molta stanzia tenea -grande familiarità col vececonte, e con singulare -studio traeva a se l’amore e la benivoglienza -de’ cittadini. E come gli parve tempo, cominciò -a mettere copertamente fanti in Faenza -a pochi insieme, e feceli ricettare a’ suoi confidenti. -E seppe sì fare, che in poco tempo ebbe -nella città cinquecento fanti forestieri a sua petizione, -innanzi che il vececonte o alcuno se ne -fosse accorto. Ma discordandosi da lui messer -Giovanni dello Argentino suo consorto, per via -di setta, sentì come in certa contrada nel contado, -gli amici di messer Giovanni di messer -Ricciardo non si trovavano, e non si sapea dove -fossono. E per questo sospettando di tradimento, -<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span> -fece sentire al vececonte, com’egli sapea -che gli amici di messer Giovanni di messer Ricciardo -in cotale e in cotale parte non si ritrovavano, -perchè temea che in Faenza non apparisse -novità; il visconte avendo con messer Giovanni -singolare amicizia e confidenza, non volea -intendere di lui alcuno sospetto, ma provvedea -al riparo. E appressandosi il tempo che il fatto -si dovea muovere, la cosa si venia più scoprendo. -Allora il visconte ingelosito mandò a fare richiedere -degli amici di messer Giovanni: costoro andarono -prima a messer Giovanni a sapere quello -ch’avessono a fare. Messer Giovanni disse loro: -tornatevi a casa, e armatevi co’ vostri parenti e -amici, e levate il romore. Ed egli co’ cittadini -con cui egli si confidava, e co’ fanti che avea -messi in Faenza s’andò ad armare, e accolto il -suo aiuto, uscì delle case armato, e fecesi forte -a’ suoi palagi. Levato il romore, il visconte fu a -cavallo co’ suoi cavalieri e con fanti appiè soldati, -e dirizzossi alle case di messer Giovanni, -ove sentiva la gente armata. E giunto al luogo, -trovando messer Giovanni co’ suoi armati cominciò -a combattere con loro fortemente. Messer -Giovanni co’ suoi si difendeva virtudiosamente, -sostenendo il dì e la notte, senza perdere -della piazza. La mattina messer Giovanni prese -una parte della sua gente, e misesi sul fosso -della città, onde attendea soccorso da alcuni suoi -amici di fuori, e sforzandosi il visconte di levarlo -di quel luogo, non ebbe podere. La gente -venne, e misono un ponte, ch’aveano fatto però, -sopra il fosso, e atati da quelli d’entro valicarono -<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span> -senza contrasto, e furono trecento fanti -di Valdilamone, e altri amici di messer Giovanni, -e due bandiere di quaranta cavalieri che -vi mandò il signore di Ravenna. Il Provenzale -sbigottito per codardia, avendo la maggior parte -de’ cittadini in suo aiuto, e tutte le fortezze -della città in sua guardia, e l’aiuto delle masnade -di santa Chiesa a cavallo e a piè, ed essendo -vincitore, standosi fermo, tanta viltà gli occupò -la mente, ch’egli abbandonò le fortezze -della terra, e la libera signoria ch’egli avea -nelle sue mani, e tutto il suo onore, e non stato -cacciato, abbandonò la città, e fuggissi a Imola -colla sua gente, ove per reverenzia di santa Chiesa -fu ricevuto, e raccettato mansuetamente. E -abbandonata per costoro la città di Faenza e le -sue fortezze, messer Giovanni di messer Ricciardo -de’ Manfredi ne rimase libero signore. E incontanente -si collegò col capitano di Forlì, e col -signore di Ravenna, e co’ signori di Bologna, che -temeano della Chiesa, perchè per tirannia teneano -le città contro al volere della Chiesa, e segretamente -davano aiuto e consiglio a messer -Giovanni, acciocchè Faenza e Romagna non rimanesse -all’ubbidienza della Chiesa. Questo -appresso si dimostrò manifestamente, come leggendo -nostro trattato si potrà trovare. E questo -rubellamento avvenne a dì 27 di febbraio del -detto anno. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span> -</p> - -<h3 id="cap55-1">CAP. LV. -<span class="smaller"><i>Come il capitano di Forlì prese Brettinoro -per assedio.</i></span></h3> - -<p> -Del mese di maggio seguente, gli anni <i>Domini</i> -1350, il capitano di Forlì vedendo che la Chiesa -avea perduta Faenza, essendosi collegato co’ -tiranni di Bologna, con quello di Ravenna e -di Faenza, che desideravano al tutto svegliere -la Chiesa di Romagna e la sua forza; conoscendo -il tempo fece suo sforzo, e andò ad assedio al castello -di Brettinoro, ch’era molto forte e bene -fornito. E ivi stando lungamente, la Chiesa non -lo soccorreva per avarizia, ma scrivea a’ signori -di Bologna, i quali amavano che si perdesse, e ai -comuni di Toscana, che aiutassono al conte di -Romagna a soccorrerlo senza darli forza di gente -d’arme. E stando d’oggi in domane a speranza -dell’aiuto degl’Italiani, non avendo alcuna forza -da se, il conte si trovò ingannato. Il capitano -stringeva gli assediati con ogni argomento, -i quali disperati di soccorso, in prima i terrazzani -s’arrenderono al capitano, e appresso quelli -della rocca la dierono per danari, che bene la -poteano lungamente difendere. Ma la viltà del -non sentire apparecchiare soccorso gli fece affrettare -a trarre il loro vantaggio. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span> -</p> - -<h3 id="cap56-1">CAP. LVI. -<span class="smaller"><i>Come i cristiani d’Europa cominciarono -a venire al perdono.</i></span></h3> - -<p> -Negli anni di Cristo della sua natività 1350, -il dì di Natale, cominciò la santa indulgenza a -tutti coloro che andarono in pellegrinaggio a Roma, -facendo le vicitazioni ordinate per la santa -Chiesa alla basilica di santo Pietro, e di san -Giovanni Laterano, e di santo Paolo fuori di -Roma: al quale perdono uomini e femmine d’ogni -stato e dignità concorse di cristiani, con maravigliosa -e incredibile moltitudine, essendo di -poco tempo innanzi stata la generale mortalità, e -ancora essendo in diverse parti d’Europa tra’ fedeli -cristiani; e con tanta devozione e umilità -seguivano il romeaggio, che con molta pazienza -portavano il disagio del tempo, ch’era uno smisurato -freddo, e ghiacci e nevi e acquazzoni, -e le vie per tutto disordinate e rotte: e i cammini -pieni di dì e di notte d’alberghi, e le case sopra -i cammini non erano sofficienti a tenere i -cavalli e gli uomini al coperto. Ma i Tedeschi -e gli Ungheri in gregge, e a turme grandissime, -stavano la notte a campo stretti insieme per lo -freddo, atandosi con grandi fuochi. E per gli -ostellani non si potea rispondere, non che a -dare il pane il vino e la biada, ma di prendere -i danari. E molte volte avvenne, che i romei -volendo seguire il loro cammino, lasciavano i -danari del loro scotto sopra le mense, loro viaggio -<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span> -seguendo: e non era de’ viandanti chi gli togliesse, -infino che dell’ostelliere venia chi gli togliesse. -</p> - -<p> -Nel cammino non si facea riotte nè romori, -ma comportava e aiutava l’uno all’altro con -pazienza e conforto. E cominciando alcuni ladroni -in Terra di Roma a rubare e a uccidere, -dai romei medesimi erano morti e presi, aiutando -a soccorrere l’uno l’altro. I paesani faceano -guardare i cammini, e spaventavano i ladroni: -sicchè secondo il fatto, assai furono sicure le strade -e’ cammini tutto quell’anno. La moltitudine -de’ cristiani ch’andavano a Roma era impossibile -a numerare: ma per stima di coloro ch’erano -risedenti nella città, che il dì di Natale, -e de’ dì solenni appresso, e nella quaresima fino -alla pasqua della santa Resurrezione, al continovo -fossono in Roma romei dalle mille migliaia alle -dodici centinaia di migliaia. E poi per l’Ascensione -e per la Pentecoste più di ottocento migliaia; -essendo pieni i cammini il dì e la notte, -come detto è. Ma venendo la state cominciò a -mancare la gente per l’occupazione delle ricolte, -e per lo disordinato caldo; ma non sì, che quando -v’ebbe meno romei, non vi fossono continovamente -ogni dì più di dugento migliaia d’uomini -forestieri. Le vicitazioni delle tre chiese, movendosi -d’onde era albergato catuno, e tornando a -casa, furono undici miglia di via. Le vie erano -sì piene al continovo, che convenia a catuno -seguitare la turba a piede e a cavallo, che -poco si poteva avanzare; e per tanto era più malagevole. -I romei ogni dì della visitazione offerivano -a catuna chiesa, chi poco, e chi assai, come -<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span> -gli parea. Il santo sudario di Cristo si mostrava -nella chiesa di san Pietro, per consolazione -de’ romei, ogni domenica, e ogni dì di festa -solenne; sicchè la maggior parte de’ romei il poterono -vedere. La pressa v’era al continovo grande -e indiscreta. Perchè più volte avvenne, che -quando due, quando quattro, quando sei, e tal’ora -fu che dodici vi si trovarono morti dalla stretta, -e dallo scalpitamento delle genti. I Romani tutti -erano fatti albergatori, dando le sue case a’ romei -a cavallo; togliendo per cavallo il dì uno -tornese grosso, e quando uno e mezzo, e talvolta -due, secondo il tempo; avendosi a comprare -per la sua vita e del cavallo ogni cosa il romeo, -fuori che il cattivo letto. I Romani per guadagnare -disordinatamente, potendo lasciare avere -abbondanza e buono mercato d’ogni cosa da vivere -a’ romei, mantennero carestia di pane, e -di vino e di carne tutto l’anno, facendo divieto, -che i mercatanti non vi conducessono vino forestiere, -nè grano nè biada, per vendere più cara -la loro. Valsevi al continovo uno pane grande di -dodici o diciotto once a peso, danari dodici. -E il vino soldi tre, quattro, e cinque il pitetto, -secondo ch’era migliore. Il biado costava il rugghio, -ch’era dodici profende comunali, a comperarlo -in grosso, quasi tutto l’anno, da lire quattro -e soldi dieci in lire cinque: il fieno, la paglia, -le legne, il pesce, e l’erbaggio vi furono in grande -carestia. Della carne v’ebbe convenevole mercato, -ma frodavano il macello, mescolando e vendendo -insieme, con sottili inganni, la mala carne -colla buona. Il fiorino dell’oro valeva soldi quaranta -<span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span> -di quella moneta. Nell’ultimo dell’anno, -come nel cominciamento, v’abbondò la gente -e poco meno. Ma allora vi concorsono più signori, -e grandi dame, e orrevoli uomini, e femmine -d’oltre a’ monti e di lontani paesi, ed eziandio -d’Italia, che nel cominciamento o nel mezzo -del tempo: e ogni dì presso alla fine si faceano -delle dispensagioni, del vicitare le chiese, maggiori -grazie. E nell’ultimo, acciocchè niuno che -fosse a Roma, e non avesse tempo a potere -fornire le visitazioni, rimanesse, senza la grazia, -senza indulgenzia de’ meriti della passione di -Cristo, fu dispensato infino all’ultimo dì, che -catuno avesse pienamente la detta indulgenzia. -E così fu celebrato questo anno del santo giubbileo -la dispensagione de’ meriti della passione di -Cristo, e di quelli della santa Chiesa, e remissione -de’ peccati de’ fedeli cristiani. -</p> - -<h3 id="cap57-1">CAP. LVII. -<span class="smaller"><i>Perchè s’intramesse il dificio d’Orto -san Michele.</i></span></h3> - -<p> -Era cominciato innanzi alla mortalità il nobile -edificio del palagio sopra dodici pilastri nella -piazza d’Orto san Michele, per farvi granai per -lo comune, acciocchè si stesse in continua provvisione -di grano e di biada, per sovvenire il popolo -al tempo della carestia. Ma avvedendosi il -comune, che il minuto popolo era ingrassato e -impoltronito dopo la mortalità, e non volea servire -agli usati mestieri, e voleano per loro vita -<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span> -le più care e le più dilicate cose che gli altri -antichi cittadini, e con questo disordinavano tutta -la città, volendo di salario le fanti, femmine -rozze e senza essere ausate a servigio, e i ragazzi -della stalla, il meno fiorini dodici l’anno, e i più -sperti diciotto e ventiquattro l’anno: e così le balie, -e gli artefici minuti manuali, volevano tre -cotanti o appresso che l’usato, e i lavoratori delle -terre voleano tutti buoi e tutto seme, e lavorare -le migliori terre, e lasciare l’altre: pensarono i -nostri rettori con buono consiglio, di mettere ordine -alle cose, e raffrenare i soperchi con certe -leggi, ma per cosa che fare sapessono, a questa -volta non vi poterono porre rimedio, e convenne -che a Dio si lasciasse il corso e l’addirizzamento -di quelli soperchi, i quali ancora nel 1362 durano, -poco corretti, o mancati. Perocchè l’abbondanza -del guadagno corrompeva il comune -corso del ben vivere, pensarono che più utile era -raffrenare lo ingrato e sconoscente popolo la -carestia, che la dovizia. E allora si rimase coperto -d’un basso tetto l’edificio del palagio d’Orto -san Michele. E il comune avendo bisogno, raddoppiò -la gabella del vino alle porte, e dove pagava -soldi trenta il cogno, lo recò in soldi sessanta. -E chi vendesse vino a minuto, dovesse pagare -de’ due danari l’uno al comune. E dinuovo puosono -soldi due a ogni staio di farina che si logorasse -nella città, e danari quattro alla libbra della -carne, e che lo staio del sale si vendesse per lo -comune lire cinque e soldi otto. E non vollono -che provvisione di grano o di biada si facesse per -lo comune, ma in contradio ordinarono, che tutto -<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span> -il pane vendereccio si facesse per lo comune, e vendessesi -caro: e quale fornaio ne volesse fare per -vendere, pagasse d’ogni staio soldi otto di gabella -al comune. Queste furono cose di grande gravezza; -ma tanto era l’utile che traeva d’ogni cosa il minuto -popolo, che meno se ne curavano che i maggiori -cittadini. -</p> - -<h3 id="cap58-1">CAP. LVIII. -<span class="smaller"><i>Come la Chiesa mandò il conte per racquistare -la contea di Romagna.</i></span></h3> - -<p> -In questo anno 1350, parendo al papa e a’ cardinali, -con vergogna di santa Chiesa avere perduta -la signoria e la propietà di Romagna, ordinarono -di volerla racquistare per forza; e avendo papa -Clemente sesto volontà d’accrescere onore e stato -a messer Astorgio di Duraforte, conte di Romagna, -suo parente, il fece capitano della gente che la -Chiesa intendea di mettere in arme a questo servigio. -Il quale accolse quattrocento cavalieri gentiluomini -in Proenza, e fece suo maliscalco messer -Rostagno da Vignone della casa de’ Cavalierri, -pro’ e ardito e valoroso cavaliere. E la Chiesa -gli ordinò uno tesoriere, che ricogliesse i danari, -e convertissegli ne’ soldi e negli altri bisogni -che occorressono alla guerra, a volontà del conte. -E innanzi che il conte si movesse di Proenza, -fece a Firenze e a Perugia soldare ottocento cavalieri -e mille masnadieri di buona gente d’arme. -E oltre a ciò, il papa con molta istanza fece richiedere -i tiranni di Lombardia, catuno per se, -e i comuni di Toscana, che dovessono aiutare al -<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span> -conte racquistare Romagna. L’arcivescovo di -Milano gli mandò cinquecento barbute: messer Mastino -della Scala glie ne mandò dugento: i tiranni -di Bologna glie ne mandarono dugento: il -marchese di Ferrara cento; i comuni di Toscana -non vi mandarono loro gente. Il conte di Romagna -avendo i suoi cavalieri e masnadieri, e questo -aiuto, a dì 13 di maggio del detto anno si -partì d’Imola, e addirizzossi al ponte san Brocolo; -ed essendo il ponte molto afforzato e bene guernito -di gente alla difesa per lo signore di Faenza, -a dì 15 del detto mese, con aspra e dura -battaglia combatterono la fortezza e vinsonla, -che fu assai prospero cominciamento. E rafforzata -la bastita del ponte, e messovi le guardie per -difendere il passo, con tutta sua cavalleria s’addirizzò -a Salervolo, uno castello presso a Faenza -a cinque miglia, il quale non era murato, nè fortezza, -nel luogo, che avendolo vinto fosse grande -acquisto. E ivi puose l’assedio, lasciando -per mala provvisione di porsi a Faenza, ch’era -male fornita e poco intera alla difesa, e i cittadini -non amavano la signoria del nuovo tiranno, -e però fu reputato pe’ savi follemente fatto. Il tiranno -di Faenza, messer Giovanni di messer Ricciardo -Manfredi, che stava in grande paura della -città, sentendo posta l’oste a Salervolo, fu molto -contento, e prese cuore alla difesa; e di subito mise -masnadieri in Salervolo, che avea soldati in Toscana, -sperti a sapere guardare le castella, i -quali francamente difesono la terra di molte battaglie -che ’l conte vi fece dare, durandovi l’assedio -dal dì 17 di maggio, fino a dì 6 del prossimo -<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span> -mese di luglio, senza lasciarsi avanzare -alcuna cosa. -</p> - -<h3 id="cap59-1">CAP. LIX. -<span class="smaller"><i>Processo de’ traditori di Romagna, e di -certi Provenzali.</i></span></h3> - -<p> -Seguita il processo de’ traditori, che si provvedeano -con molta sagacità a ingannare l’uno -l’altro, e catuno infine con la sua parte dell’impresa -rimase disfatto e ingannato. E dell’attizzamento -di questa maladetta favilla crebbe -fuoco, il cui fumo corruppe tutta Italia, e offuscò -gli occhi a’ liberi popoli, e ottenebrò la vista -de’ sacri pastori, e fu cagione di nuovi avvenimenti -di signori, e di grandi e gravi revoluzioni -di stati, come seguendo a’ loro tempi racconteremo. -Per questa impresa della Chiesa, i -tiranni di Bologna, che allora erano messer Giovanni -e messer Iacopo di messer Taddeo di Romeo -de’ Peppoli di Bologna, avendo occupata la -città alla Chiesa di Roma sotto certo censo, ed -essendo in grande stato e pompa nella signoria, -temeano che la Chiesa non racquistasse la signoria -di Romagna; e dall’altra parte si tenea dissimulando -per lo conte, che per lo loro caldo e -favore messer Giovanni Manfredi avesse rubellata -Faenza alla Chiesa, e che segretamente atassono -a mantenere la difesa. E però il conte, che -era più sperto in coperta malizia, che in aperta -prodezza o virtù, continovo attendeva a tendere -suoi lacci, come i tiranni i loro, e mostravansi -<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span> -insieme con molta confidanza e grande amistà, e -davansi aiuto e consiglio l’uno all’altro, coperto -di frode e di dolo. -</p> - -<h3 id="cap60-1">CAP. LX. -<span class="smaller"><i>Come messer Giovanni de’ Peppoli cercò accordo -dal conte a messer Giovanni.</i></span></h3> - -<p> -In fra ’l tempo già detto dell’assedio di Salervolo, -crescendo continuo la forza del conte per lo -sussidio de’ danari della Chiesa, e dell’amistà che -giugnea in aiuto al conte, messer Giovanni de’ Peppoli, -per tenere in tranquillo il conte e farli perdere -tempo, cominciò un trattato, di voler riducere -messer Giovanni Manfredi di Faenza all’ubbidienza -di santa Chiesa: e mandò a dire -al conte che volea essere in ciò mezzano, facendo -a santa Chiesa riavere suo diritto e suo onore. -Il conte, ch’era di natura e di studio malizioso, -si mostrò molto contento di voler seguire questo -trattato, mostrando in questo, e nell’altre cose, -volersi reggere per suo consiglio, dicendo, che -così aveva in mandato dal santo padre: e nondimeno -sapea al certo, che per operazione de’ signori -di Bologna, e del capitano di Forlì, e co’ loro -danari, al presente era entrato il doge Guernieri -con cinquecento barbute alla difesa di Faenza. -E dato lo intendimento a messer Giovanni, -acciocchè seguisse il trattato, egli con sollecitudine -mandava in Faenza suoi ambasciadori, e nell’oste -al conte, e mostravasi già il trattato venire -a concordia. Allora il conte mandò a dire a -<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span> -messer Giovanni a Bologna per li suoi medesimi -ambasciadori, che innanzi che fermasse la -concordia, volea essere personalmente con lui -in Bologna, o dovunque gli piacesse, per dare -compimento a questo, e ragionargli d’altre segrete -cose, che dal santo padre avea in commissione -di conferire con lui: e però mandasse a dire -dove e’ volea ch’egli venisse, che avuta la risposta, -con piccola compagnia subito sarebbe -a lui. -</p> - -<h3 id="cap61-1">CAP. LXI. -<span class="smaller"><i>Come messer Giovanni de’ Peppoli andò -nell’oste, e fu preso.</i></span></h3> - -<p> -Messer Giovanni de’ Peppoli signore di Bologna, -avendo dal conte dimostramento di tanta libertà, -e sentendo che il papa l’amava e davali -molta fede, prese sicurtà per lo trattato ch’egli -menava, e perchè aveva nell’oste del conte dugento -suoi cavalieri, e avea grande amistà con -molti altri conestabili dell’oste. E volendo mostrare -al conte com’egli era fedele di santa Chiesa, -per ricoprire le sue coperte operazioni fatte -contro a quella, secondo la malizia del conte, -pervenne a sua volontà: e contro al consiglio di -messer Iacopo suo fratello, di presente prese in sua -compagnia de’ maggiori cittadini di Bologna, -e di suoi soldati trecento cavalieri, e promettendo -al fratello che non passerebbe Castel san Pietro, -si mise a cammino. Ed essendo giunti la mattina -a buon ora a Castel san Pietro, come il -<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span> -peccato conduce, e le fini de’ tiranni s’apparecchiano -per non pensato sentiere, come si vide a -Castel san Pietro non attese la promessa al fratello, -ma volendo improvviso e tosto giugnere al -conte, cavalcò senza arresto: e prima fu giunto -al padiglione del conte, che sapesse che vi dovesse -venire; e scavalcato, il conte il ricevette con -grande festa, mostrandogli ne’ sembianti amore -fraternale; e molto s’allegrava con lui della sua -cortese venuta. E questo fu a dì 6 di luglio in -sulla nona, che ’l caldo era grande. Innanzi fece -venire vini, frutte e confetti, per fare rinfrescare -lui e la sua brigata ch’erano ivi; e in questo -soggiorno, veggendosi il conte tra le mani il -tiranno di Bologna, o ch’egli avesse prima pensato -il tradimento, o che subitamente l’animo -il tirasse all’inganno, bevendo e mangiando insieme -in grande sollazzo, mandò il suo maliscalco -a fare armare cavalieri e masnadieri cui egli -volle, dando voce di fare assalto a quelli di Salervolo. -E come furono armati, fece promettere -a’ conestabili paga doppia e mese compiuto, acciocchè -non si mettessono alla difesa del signore -di Bologna. Messer Giovanni che avea bevuto e -mangiato, e preso rinfrescamento a volontà del -conte, attendea che il conte gli parlasse: e non -vedendo che ne facesse sembiante, disse a quelli -ambasciadori che quella ambasciata gli aveano -portata, che dicessono al conte che si dovea diliberare; -e già cominciava a dubitare. Il conte rispuose, -che attendeva il suo maliscalco, che di presente -vi sarebbe, e fornirebbono loro parlamento. -Ancora erano le parole, quando messer Rostagno -<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span> -maliscalco dell’oste giunse colla gente armata -al padiglione del conte ove messer Giovanni attendea, -e fugli intorno: e apparecchiatogli uno -cavallo de’ suoi, disse: messer Giovanni, montate -qui su: e immantinente vi fu posto più tosto che -non vi sarebbe montato, e senza contesa o difesa, -di salto fu menato prigione a Imola. Uno -suo famiglio cominciò a gridare e a piagnere, -dicendo: oimè, signore mio: e di presente gli fu -morto a’ piedi. E giunto in Imola, fu messo nella -rocca, e ordinatogli buona guardia. I cittadini di -Bologna, e tutta la compagnia che avea menata -di Bologna, e i dugento cavalieri che avea tenuti -nell’oste in servigio del conte, in quella medesima -ora, come preda di nimici vinta in battaglia, -furono presi, e rubato loro l’arme, e’ cavalli, -e arnesi, e i soldati così rubati furono cacciati -del campo; e i cittadini di Bologna furono -tenuti prigioni alquanti dì, e manifestato per tutto -il grande tradimento, furono lasciati. E messer -Giovanni rimase in prigione: il quale, dappoichè -pervenne alla tirannia di Bologna, non tenne fede -a parte guelfa, nè a’ suoi cittadini, nè a’ Fiorentini, -nè all’altre città di sua vicinanza: e -però forse degnamente con tradimento fu punito -della sua corrotta fede. -</p> - -<h3 id="cap62-1">CAP. LXII. -<span class="smaller"><i>Come il conte scoperse l’altro trattato -che avea con messer Mastino.</i></span></h3> - -<p> -Non ostante che il conte tenesse trattato con -<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span> -messer Giovanni de’ Peppoli, avea trattato con -messer Mastino della Scala, che venendo egli sopra -la città di Bologna gli darebbe mille cavalieri -in aiuto infino a guerra finita. Onde essendo -venuto fatto al conte d’avere messer Giovanni -a prigione, prese grande speranza d’avere Bologna -con l’aiuto di messer Mastino. E significatoli -il fatto, e domandatoli l’aiuto promesso, a -dì 10 di luglio, del detto anno 1350, si levò da -Salervolo, e venne a Imola con tutta l’oste. E -come uomo di poca discrezione e provvedenza promise -un’altra volta paga doppia e mese compiuto -a’ suoi cavalieri, se per forza pigliassono Castel -san Pietro. I quali cavalieri di presente andarono -al detto castello, che non era fornito di gente nè -provveduto alla difesa, e senza trovarvi resistenza -in poca d’ora l’ebbono preso, che non vi morirono -quattro persone. E così in meno di dieci dì i soldati -del conte ebbono per vituperose cagioni guadagnate -due paghe doppie e due mesi compiuti, -che montarono un grande tesoro: e non parea -che il conte se ne curasse, se non come avesse a -distribuire il tesoro di santa Chiesa. Le quali promesse -follemente fatte, con l’altre follie della -sua pazza condotta, al fine rendè il merito a santa -Chiesa della provvisione di sì fatto capitano, -chente la disciplina della guerra richiede. Ed -essendo il conte con l’oste a Castel san Pietro, -messer Mastino gli mandò ottocento cavalieri, -per compiere i mille che promesso gli avea, ov’egli -venisse all’assedio di Bologna, come detto -è addietro. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span> -</p> - -<h3 id="cap63-1">CAP. LXIII. -<span class="smaller"><i>Come messer Iacopo Peppoli rimaso in Bologna -si provvidde alla difesa.</i></span></h3> - -<p> -Infra queste sopraddette tempeste, messer Iacopo -de’ Peppoli ch’era rimaso in Bologna sentendo -preso il fratello, e che l’oste del conte avea -preso Castel san Pietro, e venia sopra lui a Bologna: -e come messer Mastino signore di Verona -e di Vicenza s’era scoperto suo nimico, non sapea -che si fare; ma come la necessità intrigata -dalla paura argomenta, mandò per soccorso al -signore di Milano, e al marchese di Ferrara, e -al comune di Firenze, e in ogni parte onde sperava -avere alcuno aiuto o consiglio; e mandate le -lettere e’ messaggi, richiese con grande istanza -i cittadini di Bologna, che a questo punto -soccorressono al suo e al loro pericolo. I quali -già domati dal servile giogo della tirannia, essendo -venuto il tempo della franchezza, per povertà -d’animo, e per li loro peccati, non furono -degni di cotale beneficio, che senza contasto a -quel punto era in loro potenzia di tornare in -libertà. E aveano il comune di Firenze vicino -nimico della tirannia, il quale per la libertà di -quel popolo avrebbe prestato loro aiuto e favore, -e riparato allo assalto del conte, con giusta -cagione di pace e di concordia con la santa Chiesa, -disposto che il tiranno fosse della tirannia. -Ma perocchè ne’ popoli più regna corso di fortuna -che libertà d’arbitrio, per apparecchiarsi alle debite -<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span> -pene de’ peccati, per li quali l’empio tiranno -regna, fu accecato il loro intendimento: e mollemente -s’apparecchiarono alla difesa per paura -del tiranno, combattuti nell’animo dall’apparecchiata -libertà. In questo stante l’arcivescovo -signore di Milano sentì la presura di messer Giovanni, -e scoperto l’animo di messer Mastino, -mandò al conte suoi ambasciadori dolendosi dell’ingiuria -fatta a messer Giovanni suo amico, e -di sua lega e compagnia, dimandando che di -presente il dovesse liberare: e quando questo non -facesse, mandò comandamento a’ suoi capitani e -a’ suoi cavalieri che erano al servigio del conte, -che di presente si dovessono partire da lui. Il conte -rispuose di non volerlo lasciare perocchè sapea -al certo ch’egli avea fatta rubellare, la città di -Faenza alla Chiesa di Roma, e come tenea trattato -col capitano di Forlì, e col signore di Ravenna, -e con quello di Faenza, di rompergli l’oste -a un dì nominato, e di prendere lui a grande -tradimento: e però avea preso il traditore, e -intendea tenerlo a volontà del papa e di santa -Chiesa. E però fu comandato a’ cavalieri dell’arcivescovo -si dovessono partire. Ma i cavalieri, e’ -loro capitani, che aveano promesse dal conte di -due paghe doppie e di due mesi compiuti, non -si vollono partire, e rimasono cassi dal soldo -dell’arcivescovo; e il conte con lo sfrenato animo, -non guardandosi innanzi, gli condusse al -soldo della Chiesa, facendo debito sopra debito. -E riveduta sua gente, si trovò a Castel san Pietro -con tremila barbute e con grande popolo di soldo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span> -</p> - -<h3 id="cap64-1">CAP. LXIV. -<span class="smaller"><i>L’aiuto che messer Iacopo accolse per guardare -Bologna.</i></span></h3> - -<p> -Stando il conte colla sua oste a Castel san -Pietro, e cavalcando il contado di Bologna, l’arcivescovo -di Milano mandò di presente trecento -cavalieri in Bologna, per aiuto della guardia -d’entro. E cominciò a pensare, che mantenendo -messer Iacopo nella città, a poco insieme conducerebbe -lui e la terra in tali stremi, che agevolemente -all’ultimo ne diverrebbe signore, come -in fine fatto gli venne. Messer Malatesta d’Arimino, -ch’era allora nemico di santa Chiesa, vi -venne in persona, e dato conforto a messer Iacopo, -gli lasciò dugento cavalieri de’ suoi, e tornossene -in Romagna. I Fiorentini per niuno modo -vi vollono mandare alcuna gente per riverenzia -della Chiesa, ma incontanente vi mandarono -ambasciadori a cercare se tra loro e il conte -potessero metter pace o accordo; e più volte -andarono da Bologna al conte senza fare alcuno -frutto tra le parti. Messer Iacopo vedendosi più -l’uno dì che l’altro infiebolire, condusse il doge -Guernieri ch’era in Faenza con cinquecento barbute; -il quale volendo andare a Bologna, convenne -che valicasse per lo distretto del comune -di Firenze nell’alpi, ove lieve era a impedire -per li stretti passi, ed egli era nimico del -comune, e andava contro a santa Chiesa. Trovossi -che fu fattura de’ priori che allora erano all’uficio -<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span> -senza sentimento degli altri cittadini; della -qual cosa in Firenze ne fu grande ripitio, ma -fatta la cosa si rimase a tanto, e il doge passò -senza impedimento, e con tutta sua compagnia -se n’entrò in Bologna. -</p> - -<h3 id="cap65-1">CAP. LXV. -<span class="smaller"><i>Del male stato che si condusse la città di Bologna, -e di certi trattati che allora -si tennono.</i></span></h3> - -<p> -Come il duca Guernieri co’ suoi cavalieri fu in -Bologna, prese per suo abituro una contrada, e in -quella volle le case, e le masserizie, e quello che in -esse trovò da vivere, come se egli avesse presa -la terra per forza: e non era chi osasse parlare -contro a suo volere. Gli altri soldati all’esempio -di costui cominciarono a fare il simigliante. -I nimici di fuori cavalcavano ogni dì intorno alla -terra, pigliando gli uomini, e predando le -ville del contado, venendo spesso fino alle -porti. Per la qual cosa la città cominciò a sentire -grandissimi disagi e carestia d’ogni bene, e i -cittadini oppressati dentro e di fuori, non sapendo -che si fare, e non trovando accordo col conte -per ambiziosa superbia, messer Iacopo e’ cittadini -di Bologna, di grande concordia, e d’uno -consentimento, vollono dare la guardia di Bologna -libera al comune di Firenze, disponendosi -al tutto di volere lasciare la signoria messer Iacopo, -sperando che ciò fatto, colla Chiesa non -mancherebbe accordo. E nel vero questa era salutevole -<span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span> -via: ma certi cittadini popolani di Firenze -della casa ... che aveano in quel tempo -stato in Firenze, ed erano per la Chiesa al servigio -del conte e del tesoriere, per loro spezialità -avvisandosi, che venendo Bologna alle mani della -Chiesa, come speravano, e’ ne sarebbono -governatori, e farebbonsene ricchi e grandi; e -per questa cagione smossono i loro amici cittadini -grandi e popolani: ed eglino medesimi essendo -a consigliare quello ch’era grandezza e stato -del loro comune, e riposo di tutta Italia, si opposono -al contradio, dicendo, che il comune -n’offenderebbe troppo il papa, e’ cardinali e la -santa Chiesa. Ed essendo favoreggiati da’ loro amici, -ebbono podere di non lasciare imprendere al -comune di Firenze questo servigio, e commisono -grande materia di molto male a tutta Italia, -e non pervennono alla loro corrotta intenzione. I -Bolognesi disperati di questo, ove riposava tutta -la loro speranza, e ’l conte montato nella cima -della sua superbia, coloro non sapevano più che -si fare, e il conte credendo senza contasto venire -al suo intendimento d’avere la città per forza, -essendo stato infino al settembre a Castel san -Pietro, volle muovere l’oste, e porsi su le porti -di Bologna; e sarebbegli venuto fatto, tanto -erano i cittadini oppressati da’ soldati d’entro, -e in disagio di tutte le cose da vivere, le -quali al continuo montavano in disordinata carestia, -e non aveano capo a cui i cittadini e’ forestieri -ubbidissono, ma come la mala provvedenza -del conte meritò, i soldati mossono quistione -come appresso diviseremo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span> -</p> - -<h3 id="cap66-1">CAP. LXVI. -<span class="smaller"><i>Come i soldati mossono quistione al conte, e fu -loro assegnato messer Giovanni Peppoli.</i></span></h3> - -<p> -La mala provvedenza del conte di Romagna -avendo moltiplicata gente d’arme al suo soldo, -e promesse paghe doppie e mesi compiuti per -niente, e dalla Chiesa non aveva i danari, come -la sua follia avea stimato: i soldati conoscendo -loro tempo, essendo a pagare di parecchi mesi -di loro propi soldi, senza le promesse del conte, -dissono, che di quel luogo non si partirebbono, -se prima non fossono pagati de’ loro soldi serviti, -e delle paghe doppie e mesi compiuti che promessi -avea loro. Il quale soldo, colle promesse -fatte, montava centocinquanta migliaia di fiorini -d’oro. Il conte vedendo che la Chiesa non gli -mandava danari, se non a stento, e a pochi insieme, -temette che i soldati, ch’erano tutti di concordia, -a uno volere non lo pigliassono, trattò -con loro d’avere termine da fare venire loro -danari, e diede loro in pegno messer Giovanni -de’ Peppoli, e certi Bolognesi che avea prigioni -a Imola, e Castel san Pietro, e quello di Luco, -e quello di Doccia, ch’egli avea acquistati in -sul Bolognese: e fu con loro in accordo, come avessono -la possessione di tutto, allora cavalcherebbono, -e porrebbonsi a campo stretto alla città -di Bologna. Il conte fece dare loro i prigioni e -la guardia delle castella, e avutole, volea che cavalcassono. -I soldati colla corrotta fede, usati -<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span> -de’ baratti, dissono che ’l pegno non era buono, -e non voleano cavalcare nè partirsi da Castel -san Pietro. Messer Giovanni de’ Peppoli sentendo -questo, di presente ebbe de’ conestabili, e -trattò con loro di dare contanti fiorini ventimila -d’oro, e per stadichi i suoi figliuoli e quelli di -messer Iacopo suo fratello, e certi cittadini di -Bologna per lo rimanente, ed elli li liberassono -di prigione. L’accordo fu fatto con assentimento -del conte, se infra certo tempo la Chiesa non avesse -mandati i danari. Venuto il termine, e non i -danari, i soldati presono fiorini ventimila contanti, -e gli stadichi promessi, e lasciarono messer -Giovanni, il quale tornò in Bologna, e il fratello -e la parte loro furono più forti, e signori -di potere fare della città a loro senno, senza la -volontà e consiglio de’ loro cittadini, perocchè -messer Giovanni era molto temuto, e sapeva bene -essere co’ soldati ne’ fatti della guerra. -</p> - -<h3 id="cap67-1">CAP. LXVII. -<span class="smaller"><i>Come messer Giovanni tenne suoi trattati -della città di Bologna.</i></span></h3> - -<p> -Tornando messer Giovanni in Bologna, e lasciati -a’ soldati della Chiesa gli stadichi promessi, -trovò la città in molto male stato per le cagioni -già dette, e non vide modo come difendere -si potesse, e conobbe che perdere gli convenia la -signoria di Bologna in breve tempo. I cittadini -di Firenze, che desideravano l’accordo di quella -città colla Chiesa, sentendo tornato in Bologna -<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span> -messer Giovanni, vi mandarono de’ loro cittadini -più solenne ambasciata, i quali da’ tiranni furono -ricevuti a onore, e di loro volontà trattarono accordo -col conte, e condussono il trattato a questo -punto. Che i tiranni lasciassono al tutto la signoria -della città e contado, e renderla alla Chiesa -di Roma per lo modo usato: ch’ella tornasse al -governamento del popolo, e avere continuo i rettori -della Chiesa, e pagare il censo consueto; e al -presente voleano ricevere nella città il conte con -cinquecento cavalieri, e riformare doveano loro -stato al popolo, per quelli cittadini che ’l comune di -Firenze vi mandasse a ciò fare. Il conte che -avea provati i rimprocci de’ soldati, e il pericolo -che correa con loro, dichinava le corna della sua -superbia, e acconciavasi alla detta concordia. Ma -come pomposo e vano, si strinse al consiglio di -questo partito che potea pigliare con messer -Guglielmo da Fogliano, e con messer Frignano, -figliuolo bastardo di messer Mastino, e altri conestabili -che v’erano per messer Mastino, i quali -non v’erano tanto per onore di santa Chiesa, -quanto per loro vantaggio, per cui faceva la guerra, -e speravano con loro malizia conducere la -città di Bologna piuttosto in mano del loro signore, -che del conte e della Chiesa di Roma, i quali -dissono al conte: tu vedi che i signori di Bologna -non possono più, e la città è condotta a tanta -stremità dentro, che delle mani tue non puote -uscire: e però non pensare a questi patti, che noi -te ne faremo libero signore colla spada in mano. -Il conte pomposo, pieno di vanagloria, con -lieve testa, non pensò i casi che occorrono nelle -<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span> -guerre, e per le vane promesse de’ fallaci adulatori -ruppe il trattato menato per gli ambasciadori -del comune di Firenze fedelmente, a onore e a -beneficio di santa Chiesa, e a ricoveramento di riposo -al fortunoso stato di quella città. Vedendo i -tiranni la sconcia volontà del conte, si pensarono -con tradimento de’ loro cittadini e della loro patria -venire a un altro loro intendimento, già -mosso per la malizia e per lo sdegno di messer -Giovanni; e però, acciocchè più copertamente -a’ loro cittadini potessono fare l’inganno, dissono -che al tutto erano diliberati mettere Bologna nella -guardia del comune di Firenze. E a questo i Bolognesi -e grandi e piccoli di buona voglia s’accordarono, -e sotto questa concordia elessono tre de’ maggiori -cittadini di cui il popolo faceva maggiore -capo, e quasti tre con altri compagni, e con pieno -mandato, mandarono a Firenze con diversi -intendimenti. Il popolo credendosi racquistare -libertà e pace sotto la protezione del comune di -Firenze, e i tiranni avendone tratti i caporali del -popolo, pensarono senza contasto, come fatto -venne loro, di venire a loro intendimento, di potere -vendere la città e i suoi cittadini all’arcivescovo -di Milano. Gli ambasciadori in fede e con -grandissima affezione vennono a Firenze, e spuosono -la loro ambasciata, solennemente dinanzi -a’ signori, e a’ loro collegi, e a molti altri grandi -e buoni cittadini di Firenze, richiesti e adunati -per la detta cagione. E il dicitore fu messer Ricciardo -da Saliceto, famoso dottore di legge, e la -sua proposta fu: <i>Ad Dominum cum tribularer -clamavi, ec.</i> E con nobile ed eccellente orazione, e -<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span> -con efficaci ragioni e induttivi argomenti, conchiuse -la sua dimanda, a inducere il comune di -Firenze a prendere la guardia della città e de’ -cittadini di Bologna. I governatori del comune di -Firenze già aveano alcuna spirazione del trattato -ch’e’ tiranni di Bologna aveano col signore -di Milano, e comprendevano che questi ambasciadori -fossono mandati a inganno: nondimeno -per non aversi a riprendere, in quello consiglio deliberarono -di mandare solenni ambasciadori di -presente a corte per trovare accordo col papa, e -in questo mezzo di mandare cavalieri, e de’ suoi -cittadini alla guardia di Bologna, per contentare -il popolo. Ma l’altro dì vegnente fu manifesto -a’ signori di Firenze e agli ambasciadori di Bologna, -che i tiranni l’aveano per danari venduta -all’arcivescovo di Milano; e fu per lettera de’ tiranni -detti comandato agli ambasciadori, che non -si dovessono partire di Firenze senza loro comandamento; -allora fu al tutto la cosa palese, e seguitò -il fatto come appresso racconteremo. -</p> - -<h3 id="cap68-1">CAP. LXVIII. -<span class="smaller"><i>Secondo trattato di Bologna.</i></span></h3> - -<p> -Messer Giovanni de’ Peppoli avvelenato di sdegno -della sua presura, vedendo che però perdea -la tirannia di Bologna, avendo con non piccola -fatica recato Messer Iacopo al suo volere, e vota -la terra de’ caporali di cui temea, e fortificata -la guardia nella città, avendo segretamente tenuto -trattato coll’arcivescovo di Milano, coll’impeto -<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span> -del suo dispettoso cuore, ebbe podere di -vendere la città e’ suoi cittadini della sua propria -patria, e da cui avea ricevuto esaltamento -della sua signoria e onore, e niente per loro -difetto del suo caso, cosa molto detestabile a -udire. Costui vedendo che ’l suo trattato era -scoperto, cavalcò di presente a Milano, e fermò -la maledetta vendita per dugentomila fiorini, -de’ quali si dovea dare certa parte a’ soldati della -Chiesa per riavere gli stadichi che avea loro lasciati -per liberare la sua persona, e a lui e al -fratello dovea rimanere in loro libertà il castello -di san Giovanni in Percesena, e Nonandola e Crevalcuore. -E tornato lui, manifestata la vendita, i -Bolognesi grandi e piccoli si tennono soggiogati -di giogo d’incomportabile servaggio, e molto -si doleano palesemente e in occulto l’uno coll’altro; -e innanzi che la terra si pigliasse per lo -signore di Milano grande gelosia ebbono i traditori -della patria, e molto vegghiarono e di dì e di -notte alla guardia della città. Ma i vili e codardi -cittadini non ardirono di levarsi contra a’ tiranni, -nè a muovere romore nella terra: che se fatto -l’avessono, leggiermente coll’aiuto del comune -di Firenze, a cui dispiaceva la vicinanza di -sì potente tiranno, sarebbe venuto fatto di tornare -in libertà. Alcuna trista vista ne feciono -mollemente, e in fine si lasciarono vendere e sottoporre -al duro giogo, del mese d’ottobre gli anni -di Cristo 1350. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span> -</p> - -<h3 id="cap69-1">CAP. LXIX. -<span class="smaller"><i>Come l’arcivescovo di Milano mandò a prendere -la possessione di Bologna.</i></span></h3> - -<p> -Come l’arcivescovo di Milano ebbe fermo il patto -della compera di Bologna con messer Giovanni, -non guardò con alcuna reverenzia o debito -di ragione che la città fosse di santa Chiesa, ma -cresciuto nella tirannesca superbia subitamente -fece apparecchiare messer Bernabò suo nipote, figliuolo -di messer Stefano, valente uomo e di -grande ardire, e con millecinquecento barbute di -soldati eletti il mise a cammino, e mandollo a pigliare -la tenuta di Bologna. Sentendo questa venuta -il doge Guernieri, ch’era in bando dell’arcivescovo -di Milano, con tutta sua masnada si -partì di Bologna; e standosi fuori della città, -accogliea gente senza soldo per fare una compagna. -Messer Bernabò giunto alla città entrò -dentro senza alcuno contasto co’ suoi cavalieri, -e con trecento che prima avea alla guardia di Bologna -vi si trovò con millecinquecento barbute: -e prese la tenuta e la guardia della città e delle -castella di fuori, e appresso convocò i cittadini -a parlamento, e per forza fece loro ratificare la -vendita fatta per i tiranni, e dinuovo aggiudicarsi -fedeli dell’arcivescovo e de’ suoi successori. -E l’obbligazioni e le carte e il saramento -fece fare il meglio seppe divisare; e questo fu -fatto all’uscita del mese d’ottobre 1350. E così -ebbe fine la tirannia della casa di Romeo de’ -<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span> -Peppoli, grandi ed antichi cittadini di Bologna, -i quali erano stati onorati e fatti signori da’ loro -cittadini, dalla cacciata del cardinale del Poggetto -legato del papa, i quali aveano loro signoria -mantenuta assai dolcemente co’ cittadini. Essendo -di natura guelfi, per la tirannia erano -quasi alienati dalla parte, e i Fiorentini, amicissimi -di quello comune, trattavano in molte cose -con dissimulata e corrotta fede; e perocchè a’ traditori -della patria tosto pare che Iddio apparecchi -la vendetta, in breve tempo seguitò a messer Iacopo -e a messer Giovanni, per addietro tiranni -di Bologna, pena del peccato commesso, come -seguendo nostra materia racconteremo. -</p> - -<h3 id="cap70-1">CAP. LXX. -<span class="smaller"><i>Come capitò il conte di Romagna e -l’oste della Chiesa.</i></span></h3> - -<p> -Il conte di Romagna ventoso di superbia, e incostante -per poco senno, il quale cotante volte -potè avere con grande sua gloria e onore di santa -Chiesa la città di Bologna, e non volutola se -non colla spada in mano, secondo il consiglio -de’ malvagi compagni, vedendola nelle mani del -potente tiranno, vorrebbe avere creduto al consiglio -de’ Fiorentini. Non però dimeno, perocchè -per tutto questo la città non era allargata di vittuaglia, -ma piuttosto aggravata, e’ soldati erano -per gli stadichi che aveano, per li ventimila -fiorini ricevuti, allargati di speranza, e messer -Mastino che dell’impresa dell’arcivescovo era -<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span> -dolente a cuore, offerendo al conte tutto suo sforzo -di gente e di prestare danari alla Chiesa, confortò -il conte a seguitare l’impresa. Il conte per -questo si recò a conducere il doge Guernieri con -milledugento barbute, uscito di Bologna, e raccolta -gente come detto è. Messer Mastino anche -vi mandò di nuovo de’ suoi cavalieri, e danari -per comportare i soldati. E il conte fatte grandi -impromesse a’ soldati mosse il campo da Castel -san Pietro e venne con l’oste a Budri, in mezzo -tra Bologna e Ferrara, e di là valicarono ad -Argellata e a san Giovanni in Percesena, e ivi -stettono dieci dì aspettando danari, con intenzione -di porsi presso a Bologna dalla parte di -Modena, per levare ogni soccorso a messer Bernabò: -il quale era dentro in grande soffratta di -vittuaglia e di strame, e male veduto da’ cittadini, -e però stava in paura e non s’ardiva a -muovere. Onde la città era a partito da non poter -durare: e per forza convenia che tornasse alle -mani della Chiesa, se il pagamento o in tutto -o in parte fosse venuto a’ soldati. Ma chi si fida -ne’ fatti della guerra alla vista delle prime imprese -de’ prelati, e non considera come la Chiesa -è usata a non mantenere le imprese, spesso -se ne truova ingannato. E’ non valse al conte -scrivere al papa, nè mandare ambasciadori, -nè tanto mostrare come Bologna si racquistava -con grande onore di santa Chiesa, assai potè dolere -la vergogna, che l’arcivescovo di Milano -facea d’avere tolta Bologna, che danari debiti -a’ soldati, per vincere così onorevole punga, venissero -da corte. Per tanto i soldati non si vollono -<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span> -strignere a Bologna, anzi di loro arbitrio -mossero il campo e tornarono a Budri, e ivi -ch’era luogo ubertuoso, e che ’l marchese dava -copioso, si misono ad attendere se i danari de’ -loro soldi e dell’altre promesse venissero: e -ivi dimorarono infino a dì 28 di gennaio del -detto anno, e però i danari non vennono. Per -la qual cosa al conte parea male stare, e per -paura di se consentì a’ soldati che trattassero -d’avere le paghe sostenute e le paghe doppie -promesse per lui da messer Bernabò, condotto -in parte per la sua mala provvedenza, che altro -non poteva fare; rimanendogli alcuna vana speranza, -che se messer Bernabò non si accordasse -con loro, che gli farebbono più aspra guerra, ma -il tiranno s’accordò di presente ad accordarli e -pagarli, e riavere le castella e li stadichi; e questo -fornì de’ danari della compra che avea fatta di Bologna. -In questo medesimo trattato, condusse settanta -bandiere di Tedeschi e Borgognoni soldati -della Chiesa al suo soldo. Ed essendo assediato, -in cotanto pericolo ricolse gli stadichi, riebbe -le castella, ruppe l’oste de’ nimici, liberò la città -dell’assedio, e in uno dì mise in Bologna in suo -aiuto de’ cavalieri della Chiesa millecinquecento -barbute; e tutto gli avvenne per l’avarizia de’ prelati -di santa Chiesa, e per la forza e larghezza -della sua pecunia. Il doge Guernieri colla sua -compagna si ridusse in Doccia, e la gente di -messer Mastino e del marchese di Ferrara si -tornarono a’ loro signori: e il conte povero e -vituperato del fine della sua impresa si tornò -co’ suoi Provenzali in Imola, e Bologna si rimase -<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span> -sotto il giogo del potente tiranno, mettendo -in paura tutta Italia, e spezialmente la parte -guelfa. Abbiamo stesamente narrato il processo -di questa guerra per esempio del pericolo che -corre de’ folli e ambiziosi capitani: e come per -troppa superbia spesse volte volendo tutto si perde -ogni cosa: e a dimostrare come è folle chi ha fidanza -de’ danari della Chiesa far le imprese della -guerra. Ancora questa rivoltura di Bologna -fu cagione d’apparecchiare a tutta Italia, per lunghi -tempi, grandi e gravi novità di guerre, come -seguendo nostro trattato si potrà vedere. -</p> - -<h3 id="cap71-1">CAP. LXXI. -<span class="smaller"><i>Come i Guazzalotri di Prato cominciarono -a scoprire loro tirannia.</i></span></h3> - -<p> -Tornando a’ fatti della nostra città di Firenze, -il nobile castello di Prato ci dà cagione di -cominciare da lui, nel quale la famiglia de’ Guazzalotri -erano i migliori e più potenti, e la loro -grandezza procedeva perocchè erano amati sopra -gli altri di quella terra dal comune di Firenze: -ed essendo guelfi, portavano fede e ubbidienza -grande al nostro comune. Vero è che quello comune -vedendosi in libertà e in vicinanza de’ Fiorentini, -per tema che alcuna volta non si sommettessono -al comune di Firenze aveano provveduto, -come si racconta nella cronica del nostro antecessore, -di darsi a messer Carlo duca di Calavra, -figliuolo del re Ruberto, e a’ suoi discendenti -<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span> -in perpetuo, con misto e mero imperio, ed -egli così gli prese. Nondimeno si manteneano in -fede e amore del comune di Firenze. Avvenne -che morti gli antichi e savi cavalieri della casa -de’ Guazzalotri, i quali conoscevano la loro grandezza -procedere dal comune di Firenze, rimasonvi -giovani donzelli: i quali trovandosi nella signoria -di quella terra, mancando allora il governamento -della casa reale per le fortune del -Regno, cominciarono i giovani a trapassare l’ordine -e il modo de’ loro antecessori nel governamento -di quel castello, conducendolo a modo tirannesco. -Della quale tirannia spesso veniva richiamo -a’ priori di Firenze, e il comune per lo antico -amore che portava a quelli di quella casa mandava -pe’ caporali, tra’ quali il maggiore e il più ardito e -riverito da tutti a quelle stagioni era Iacopo di Zarino, -e riprendevanli e ammonivano parentevolemente -per riducerli alla regola de’ loro maggiori. -Ma i giovani caldi nella signoria e poco savi, e inzigati -da mal consiglio, non seguendo il consiglio -de’ Fiorentini, l’un dì appresso all’altro più dimostravano -atto tirannesco per tenere in paura più -che in amore i loro terrazzani. E per dimostrare -in fatto quello che aveano nella mente, feciono -di subito pigliare due Pratesi, l’uno era uno buono -uomo ricco, vecchio e gottoso, l’altro era un -giovane notaio ricco, onesto e di leggiadra conversazione -a cui i Guazzalotri a altro tempo aveano -fatto uccidere il padre, e a questi due appuosono, -che voleano tradire Prato, e darlo a’ Cancellieri -di Pistoia. Sentendo questo il comune di -Firenze mandò per Iacopo di Zarino, e per gli -<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span> -altri caporali de’ Guazzalotri, e pregarongli che -non seguissono questa novità, e che i presi dovessono -lasciare: perocchè manifestamente sapieno -ch’elli erano innocenti: tornarono a Prato, -e contro alla preghiera del comune di Firenze -strussono gl’innocenti al giudicio: e sentendosi in -Firenze, il comune vi mandò ambasciadori e -lettere; ed essendovi gli ambasciadori del comune, -e avute le lettere che gli richiedeano che non giudicassono -a torto g’innocenti, i tirannelli per -male consiglio s’affrettarono, e feciongli morire -in vergogna del comune di Firenze, nella -presenza de’ suoi ambasciadori. E fatto a catuno -tagliare la testa, occuparono i loro beni indebitamente. -</p> - -<h3 id="cap72-1">CAP. LXXII. -<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini andarono a oste a Prato, -ed ebbonne la signoria.</i></span></h3> - -<p> -I Fiorentini vedendo la novità delle guerre -d’Italia che da ogni parte s’apparecchiavano -con tiranneschi aguati, e come avieno la nuova -vicinanza del potente tiranno di Milano che -teneva Bologna, e così messer Mastino, e vedeano -che i Guazzalotri, congiunti per sito alle -porti della città di Firenze, cominciavano a usare -tirannia, pensarono che se possanza di grande -tiranno s’appressasse loro, come s’apparecchiava, -che della terra di Prato poco si poteano fidare. -E però con buono consiglio, subitamente e -improvviso a’ Pratesi, del mese di settembre gli -<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span> -anni <i>Domini</i> 1350, feciono cavalcare le masnade -de’ cavalieri soldati del comune, con alquanti cittadini -e pedoni delle leghe del contado, e -d’ogni parte si puosono a campo intorno a Prato, -e senza fare preda o guasto, domandarono di -volere la guardia di quella terra. I Pratesi smarriti -del subito avvenimento, e non provveduti alla -difesa, e avendo nella terra molti a cui la novella -tirannia de’ Guazzalotri dispiaceva, senza -troppo contasto furono contenti di fare la volontà -del comune di Firenze. E sicurati da’ cittadini -che danno non si farebbe, dierono al comune di -Firenze liberamente la guardia di Prato, rimanendo -a’ terrazzani la loro usata giurisdizione. E -il comune prese il castello dello imperadore e misevi -castellano, e fece la terra guardare solennemente. -</p> - -<h3 id="cap73-1">CAP. LXXIII. -<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini comperarono Prato, e recaronlo -al loro contado.</i></span></h3> - -<p> -Avendo il nostro comune la guardia di Prato -presa contro la comune volontà de’ terrazzani, -pensò che se mai tornasse in libertà, che i giovani -in cui mano era rimasa la signoria con provvedenza -la guarderebbono e la recherebbono a -tirannia lievemente: e però sentendo il re Luigi -e la reina Giovanna ereda del duca di Calavra, -tornati di nuovo nel Regno, e che erano in fortuna -e in grande bisogno, e governavansi per consiglio -di messer Niccola Acciaiuoli nostro cittadino, -<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span> -feciono segretamente trattare di comperare -la giurisdizione ch’aveano in Prato. E trovando -la materia disposta per lo bisogno del re e -della reina, e bene favoreggiata da messer Niccola -detto, il mercato fu fatto, e pagati per lo comune -fiorini diciassettemila e cinquecento alla reina, -come fu la convegna, per solenni privilegi -e stipulazioni pubbliche dierono al comune di -Firenze ogni ragione e misto e mero imperio -ch’aveano nella terra di Prato e nel suo contado. -E come il comune ebbe la ragione di questa -compera, improvviso a’ Pratesi mandò alcuna forza -a Prato e prese la tenuta di nuovo, e fece manifestare -a’ Pratesi come la terra e il contado e -gli uomini di quel comune erano liberi del nostro -comune per la detta compera, e mostrar loro i -privilegi e le carte; e questo fu del mese di... -nel detto anno. E presa la tenuta, incontanente -levò le signorie, gli ordini e gli statuti de’ Pratesi, -e recò la terra e il contado a contado di Firenze, -e diede l’estimo e le gabelle a quello comune -come a’ suoi contadini, e diede loro quelli beneficii -della cittadinanza e degli altri privilegi ch’hanno -i contadini di Firenze: e ordinovvi rettori -cittadini con certa limitata giurisdizione, recando -il sangue e l’altre cose più gravi alla corte -del podestà del comune di Firenze. Della qual cosa -i Pratesi vedendosi avere perduta la loro franchigia, -generalmente si tennono mal contenti, -ma poterono conoscere per non sapere usare -libertà divenire suggetti: e per la provvisione -fatta di non venire alla signoria de’ Fiorentini, -con quella in perpetuo furono legati alla sua giurisdizione. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span> -</p> - -<h3 id="cap74-1">CAP. LXXIV. -<span class="smaller"><i>Come i guelfi furono cacciati dalla Città di -Castello.</i></span></h3> - -<p> -In questo anno, essendo ne’ collegi del reggimento -di Perugia insaccati per segreti squittini -gran parte de’ ghibellini, de’ quali a quel tempo -n’erano i più all’ufficio, per operazione di -Vanni da Susinana e degli altri Ubaldini della -Carda, ch’erano cittadini della Città di Castello, -fu messo in sospetto de’ Perugini la casa de’ Guelfucci, -antichi cittadini e guelfi, ed altri guelfi, -apponendo loro che trattavano di dare la Città di -Castello a’ Fiorentini, e aggiungendovi alcuna -altra cagione, mossono il reggimento di Perugia, -senza cercare la verità del fatto, a fare cavalcare -a Castello tutti i loro soldati, e per forza cacciarono -i Guelfucci di Castello e certi altri, i quali -di queste cose non erano colpevoli, e non si guardavano. -Come gli Ubaldini ebbono fornita la loro -intenzione, tutti si vestirono di bianche robe, -e andarono a Perugia colle carte bianche in -mano, offerendo al comune di fare tutta la sua -volontà: scrivessono, ed elli affermerebbono. -Ma poco stante, entrato a reggimento il nuovo uficio -del loro priorato, uomini i più guelfi, s’avvidono -dello inganno che il loro comune avea -ricevuto, di cacciare i caporali di parte guelfa -di Castello per malo ingegno degli Ubaldini, e -in furia arsono e ruppono i sacchi de’ loro ufici, -e di nuovo riformarono la città, mettendo ne’ sacchi -<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span> -per loro squittini cittadini guelfi, e ischiusonne -i ghibellini; e di presente rimisono i Guelfucci -nella Città di Castello, e confinaronne gli -Ubaldini. -</p> - -<h3 id="cap75-1">CAP. LXXV. -<span class="smaller"><i>Come morì il re Filippo di Francia.</i></span></h3> - -<p> -Stando la tregua, rinnovellata più volte tra il -re di Francia e il re d’Inghilterra, poche notabili -cose degne di memoria furono in que’ paesi. -Ma il detto re Filippo di Francia, avendo per -troppa vaghezza tolta per moglie la nobile e sopra -bella dama figliuola del re di Navarra, e -levatala al figliuolo come abbiamo narrato, tanto -disordinatamente usò il diletto della sua bellezza, -che cadendo malato, la natura infiebolita -non potè sostenere, e in pochi dì diede fine colla -sua morte alla sollecitudine della guerra, e -a’ pensieri del regno e ai diletti della carne. E -morto in Sanlisi, fu recato il corpo in Parigi, e fatto -il reale esequio solennemente nella presenzia -de’ figliuoli e de’ baroni del reame, e sepolto -co’ suoi antecessori alla mastra chiesa di san -Dionigi, a dì... gli anni <i>Domini</i> 1350. Immantinente -appresso nella città di Rems fu coronato del -reame di Francia messer Giovanni suo figliuolo -primogenito, e la moglie in reina, e ricevette il -saramento e l’omaggio da tutti i baroni e da -tutti gli altri feudatari del suo reame e dell’altro -acquisto. Questo Filippo re di Francia fu figliuolo -di messer Carlo Sanzaterra, e fu uomo -<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span> -di bella statura, composto e savio delle cose del -mondo, e molto astuto a trovar modo d’accogliere -moneta, e in ciò non seppe conservare nè fede -nè legge. E sentendosi molto in grazia e temuto -da papa Giovanni ventiduesimo, per l’openione -che sparta avea disputando della visione -dell’anime beate in Dio, la cui openione -per li teologi del reame di Francia era riprovata, -e perchè il collegio de’ cardinali erano tutti -quasi fuori de’ Catalani, di suo reame, e per -questa baldanza ebbe animo d’ingannar santa -Chiesa, sotto la promessa di mostrare di volere -fare passaggio oltre mare per racquistare la Terra -santa: e per questo domandò per cinque anni le -decime del suo reame a ricogliere in breve tempo, -non avendo l’animo al passaggio, come appresso -l’opere dimostrarono. E nel suo reame -mutò spesso e improvviso monete d’oro, peggiorandole -molto e di peso e d’oro: per le quali mutazioni -disertò e fece tornare i mercatanti di -suo reame di ricchezza in povertà: e’ suoi baroni -e borgesi assottigliò d’avere per modo, che -poco era amato da loro per questa cagione. -Onde apparve quasi come sentenzia di Dio, che -avendo egli cotanta baronia e moltitudine di -buoni cavalieri, i quali solieno essere pregiati sopra -gli altri del mondo in fatti d’arme, non s’abboccavano -in alcuna parte con gl’Inghilesi, che -non facessono disonore al loro signore: ove per -antico gli aveano in fatti d’arme sopra modo a -vile. E molte singulari gravezze sopra la mercatanzia -e sopra uomini singulari mise, onde molti -mercatanti forestieri n’abbandonarono il reame; -<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span> -e non ostante che spesso fosse percosso dal -bastone degl’Inghilesi, al continovo il re accrescea -il suo reame per le infortune degli altri circustanti -baroni, e per l’aiuto de’ suoi danari. Lasciò -due figliuoli il re: messer Giovanni e messer -Luigi duca d’Orliens: e quattro nipoti figliuoli -del re Giovanni: il maggiore nominato messer -Carlo Dalfino di Vienna e duca di Normandia, -l’altro nominato Luigi duca d’Angiò, il terzo -messer Giovanni conte di Pittieri, e il quarto -messer Filippo piccolo fanciullo: e tre femmine: la -prima moglie del re di Navarra, la seconda monaca -del grande monistero di Puscì, e la terza -nominata Caterina, picciola fanciulla, la quale -fu poi moglie di messer Giovan Galeazzo de’ Visconti -di Milano, come a suo tempo diviseremo. -</p> - -<h3 id="cap76-1">CAP. LXXVI. -<span class="smaller"><i>Come la Chiesa rinnovò processo contra l’arcivescovo -di Milano.</i></span></h3> - -<p> -In questo anno, avendo saputo il papa e’ cardinali -come l’arcivescovo di Milano per loro -mandato non s’era voluto rimuovere dell’impresa -di Bologna, ma contro a loro volontà, e in -vitupero della Chiesa, avea presa la città e -rotta l’oste della Chiesa e del conte, furono molto -turbati. E ricordandosi come l’arcivescovo era -stato infedele, e rinvoltosi nella resia dell’antipapa -e fattosi suo cardinale, e poi tornato all’ubbidienza -di santa Chiesa era ricevuto a misericordia da -papa Giovanni ventesimosecondo, e riconciliato, -<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span> -il fece vescovo di Novara, e poi per Clemente -sesto promosso e fatto arcivescovo di Milano, e -ora ingrato era tornato nella prima eresia, di -non volere avere riverenzia nè ubbidire a santa -Chiesa: rinnovellarono contro a lui e contro a’ -suoi nipoti i processi altre volte fatti per papa -Giovanni predetto, e feciono richiedere l’arcivescovo, -e messer Galeazzo, e messer Bernabò, e -messer Maffiuolo di messer Stefano Visconti, e -assegnarono loro i termini debiti che s’andassono -a scusare, e gli ultimi termini perentori furono -a dì 8 d’aprile 1351. Infra il termine del detto -processo vedendo il papa e’ cardinali per la loro -avarizia, in vituperio, delle loro persone e -in contento di santa Chiesa, tolta tutta la Romagna -e la città di Bologna, volendo con ingegno -unire in lega e compagnia gli altri tiranni -lombardi, col comune di Firenze e di Perugia -e di Siena, e colla Chiesa medesima, per potere -con maggiore forza resistere al potente tiranno, -mandò in Italia il vescovo di Ferrara, cittadino -di Firenze della casa degli Antellesi, con pieno -mandato a ciò ordinare e fermare: il quale giunto -in Toscana, mandò a’ signori di Lombardia e a’ -comuni predetti, che a certo termine catuno -mandasse suoi ambasciadori alla città d’Arezzo -a parlamento. E innanzi che il termine venisse, -il detto legato andò in persona a messer Mastino -e al marchese di Ferrara, e al comune di Perugia -e di Siena a sporre la sua ambasciata, e tornò -a Firenze, avendo sommossi i detti comuni e -signori a venire in loro servigio e di santa Chiesa -alla detta lega, perocchè catuno si temeva -<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span> -della gran potenza del’arcivescovo. E messer -Mastino, che gli era più vicino, con sollecitudine -confortava i Lombardi e’ comuni di Toscana -che venissono alla lega e a fare sì fatta taglia, -che all’arcivescovo si potesse resistere francamente. -E del mese d’ottobre vegnente gli ambasciadori -d’ogni parte furono ragunati ad Arezzo; -quelli di messer Mastino e de’ Fiorentini v’andarono -con pieno mandato; i Perugini mostravano -di volere lega e taglia, ma d’ogni punto voleano -prima risposta dal loro comune, e i Sanesi -faceano il somigliante, per li quali intervalli, gli -ambasciadori stettono lungamente ad Arezzo -senza poter prendere partito. E questo avveniva -perocchè a’ Perugini e a’ Sanesi parea che la forza -dell’arcivescovo non potesse giugnere a’ loro confini, -e volevano mostrare di non volersi partire -dal volere di santa Chiesa e de’ Fiorentini. E in -questo soggiorno, l’arcivescovo di Milano temendo -che la Chiesa non si facesse forte coll’aiuto -de’ Toscani e de’ Lombardi, mandò a messer -Mastino messer Bernabò suo genero, pregandolo -che si ritraesse da questa impresa: e grandi -impromesse al comune di Firenze faceva d’ogni -patto e vantaggio che volesse da lui: e con queste -suasioni cercava disturbare la detta lega: ma -invano s’affaticava con questi tentamenti, che -di presente tutti si piovicavano nel parlamento, -e’ Sanesi s’erano ridotti al segno de’ Fiorentini, -ed era preso, che se i Perugini non volessono essere -alla lega, che si facesse senza loro. E avendo -questo protestato loro, attendendo l’ultima -risposta, la quale dilungavano con nuove cagioni -<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span> -di dì in dì, andandovi in persona oggi l’uno -ambasciadore e domane l’altro, essendo gli altri -ambasciadori per fermare la lega e la taglia -senza loro, come a Dio piacque, sopravvenne la -novella della morte di messer Mastino, per la -quale cosa si ruppe il parlamento senza fermare -lega, e catuno ambasciadore si tornò a suo comune -e signore; della qual cosa tornò grande ripetio -a’ comuni di Toscana. E benchè i Fiorentini e i -Sanesi non fossono cagione di questo scordo, -nondimeno peccarono in tanto aspettare i Perugini: -che grande utilità era al comune di Firenze, -che confinava col tiranno, avere in suo aiuto -il braccio di santa Chiesa e del signore di Verona, -e di Ferrara e di Siena. Ma quando i falli si -prendono ne’ fatti della guerra sempre hanno uscimento -di privato pericolo: e però gli antichi maestri -della disciplina militare punivano con aspre -pene i mali consigliatori, eziandio che del male -consiglio conseguisse prospero fine. Ma ne’ nostri -tempi, i falli della guerra si puniscono non -per giustizia, ma per esperienza del male che ne -seguita, come tosto avvenne a’ detti comuni di -Toscana, come seguendo appresso ne’ suoi tempi -dimostreremo. -</p> - -<h3 id="cap77-1">CAP. LXXVII. -<span class="smaller"><i>Come il tiranno di Milano si collegò con tutti -i ghibellini d’Italia.</i></span></h3> - -<p> -Avvenne in questo anno, come l’arcivescovo -di Milano sentì rotto il trattato della lega mosso -<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span> -per lo papa, e morto messer Mastino di cui più -temea, gli parve che fortuna al tutto fosse con -lui, e prese speranza di sottomettersi Toscana, e -appresso tutta l’Italia. E però procacciò di recare -a se il gran Cane della Scala cognato di messer -Bernabò, e vennegli fatto per la confidenza del -parentado. E perchè essendo giovane e nuovo nella -signoria non facea per lui la guerra di sì -fatto vicino, e però lievemente venne a concordia -e legossi con lui, e promise d’aiutare l’uno l’altro -nelle loro guerre. Sentita questa lega gli altri -tiranni lombardi tutti si legarono coll’arcivescovo, -non guardando il marchese di Ferrara perchè -avesse antico amore e singolare affetto col -comune di Firenze; e così tutti i tirannelli di -Romagna feciono il simigliante, e que’ della Marca. -E il comune di Pisa per patto li promisono dugento -cavalieri, e non volendo rompere patto di -pace a’ Fiorentini l’intitolarono alla guardia di -Milano. E in Toscana s’aggiunse i Tarlati d’Arezzo, -non ostante che fossono in pace e in protezione -del comune di Firenze, e il somigliante di Cortona: -e gli Ubaldini, e’ Pazzi di Valdarno, e gli Ubertini, -e de’ conti Guidi tutti i ghibellini, e quei di -Santafiore, e molti altri tirannelli ghibellini, i -quali segretamente s’intesono coll’arcivescovo, -non volendosi mostrare innanzi al tempo, per -paura che i comuni guelfi loro vicini nol sapessono. -Questa lega fu fatta e giurata tosto e molto -segretamente, perocchè vedendo i ghibellini -la gran potenza dell’arcivescovo, e sappiendo che -la Chiesa non avea potuto fare la lega, e che i tiranni -tutti di Lombardia s’erano accostati a dare -<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span> -aiuto all’arcivescovo, pensarono che venuto fosse -il tempo di spegnere parte guelfa in Italia, e -però senza tenere pace o fede promessa catuno -s’accostò col Biscione, e vennesi provvedendo d’arme -e di cavalli per essere alla stagione apparecchiati. -In questo mezzo l’arcivescovo per meglio -coprire l’intenzione sua amichevolemente mandava -al comune di Firenze sue lettere, congratulandosi -de’ suoi onori, e profferendosi come ad amici, -e con questa dissimulazione passò tutto il verno, -e mostrava d’avere l’animo a stendersi nella Romagna. -E il comune di Firenze per non mostrare -in sospetto l’amicizia che dimostrava a’ Fiorentini, -non si provvedeva di capitano di guerra nè -di gente d’arme, e le strade di Bologna e di -Lombardia usava sicuramente colle mercatanzie -de’ suoi cittadini; e i Milanesi e’ Bolognesi e gli -altri Lombardi faceano a Firenze il somigliante -senza alcuno sospetto: perocchè il malvagio concetto -del tiranno e de’ suoi congiunti si racchiudea -ne’ loro petti, e di fuori non si dimostrava, -per meglio potere adempiere loro intenzione. -</p> - -<h3 id="cap78-1">CAP. LXXVIII. -<span class="smaller"><i>Come fu assediata Imola dal Biscione e altri.</i></span></h3> - -<p> -In questo medesimo verno, messer Bernabò, -ch’era in Bologna vicario per l’arcivescovo, costrinse -i Bolognesi, e mandò a porre l’oste a Imola -i due quartieri della città: ed egli v’andò in -persona con ottocento cavalieri, e fecevi venire il -capitano di Forlì colla sua gente a piè e a cavallo, -<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span> -e vennevi messer Giovanni Manfredi tiranno -di Faenza colla sua forza, e il signore di -Ravenna e gli Ubaldini, e assediarono Imola intorno -con più campi. Guido degli Alidogi signore -d’Imola, guelfo e fedele a santa Chiesa, -avendo sentito questo fatto dinanzi, e richiesto i -Fiorentini e gli altri comuni e amici di santa -Chiesa d’aiuto, e non avendolo trovato, per la -paura che catuno avea d’offendere al Biscione, -come uomo franco e di gran cuore s’era provveduto -dinanzi che l’assedio vi venisse di molta -vittuaglia; e per non moltiplicare spesa di soldati -elesse centocinquanta cavalieri di buona gente -d’arme e trecento masnadieri nomati, tutti di -Toscana, e con questi si rinchiuse in Imola; e -fece intorno alla città due miglia abbattere case -chiese e quanti difici v’erano, perchè i nimici -non potessono avere ridotto intorno alla terra; e -così francamente ricevette l’assedio, acquistando -onore di franca difesa, insino all’uscita di maggio -gli anni <i>Domini</i> 1351. In questo stante al continovo -si mettea in ordine sotto questa coverta -d’Imola di potere improvviso a’ cittadini di Firenze -assalire la città: e approssimandosi al tempo, -di subito fece levare l’oste da Imola e lasciarvi -certi battifolli, i quali in poco tempo straccati, -senza potere tenere assediata la città, se -ne levarono e lasciaronla libera. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span> -</p> - -<h3 id="cap79-1">CAP. LXXIX. -<span class="smaller"><i>Come il capitano di Forlì tolse al conticino da -Ghiaggiuolo e al conte Carlo da Doadola -loro terre.</i></span></h3> - -<p> -In questo medesimo tempo, il capitano di -Forlì disideroso d’accrescere sua signoria, e avventurato -nell’imprese, non vedendosi avere in -Romagna di cui e’ dovesse temere, co’ suoi cavalieri -venne subitamente sopra le terre del conticino -da Ghiaggiuolo, di cui non si guardava, -e con lui venne l’abate di Galeata, da cui -il conticino tenea certe terre, e non gli rispondea -com’era tenuto. E parve che fosse una maraviglia, -che avendo buone e forti castella e bene -guernite a grande difesa, tutte l’ebbe in pochi dì. -E con questa foga se n’andò sopra le terre di -Carlo conte di Doadola, e quasi senza trovar contasto -tutte le recò sotto la sua signoria. Egli -era a quel tempo in lega col signore di Milano, e -però non trovò il comune di Firenze, benchè -il conticino fosse stato suo cittadino, ch’aiutare -lo volesse contro al capitano. -</p> - -<h3 id="cap80-1">CAP. LXXX. -<span class="smaller"><i>Come nella città d’Orbivieto si cominciò materia -di grande scandalo.</i></span></h3> - -<p> -In questo anno 1350, reggendosi la città d’Orbivieto -a comune appo il popolo, erano i maggiori -<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span> -governatori di quello stato Monaldo di -messer Ormanno, e Monaldo di messer Bernardo -della casa de’ Monaldeschi; Benedetto di messer -Bonconte loro consorto, per invidia e per setta -recati a se due altri suoi consorti, trattò con loro -il malificio, che poco appresso gli venne fatto; -perocchè del mese di marzo del detto anno, uscendo -amendue i Monaldi sopraddetti del palagio -del comune dal consiglio, Benedetto co’ suoi -due consorti s’aggiunsono con loro, e senza alcuno -sospetto, i due Monaldi, che al continovo il -dì e la notte usavano con Benedetto, s’avviarono -con lui ragionando; e avendo il traditore l’uno -di loro per mano, nel ragionamento, in sulla -piazza, il fedì d’uno stocco, e cadde morto; l’altro -Monaldo vedendo questo cominciò a fuggire: -Benedetto sgridò i compagni, i quali il seguirono, -e innanzi che potesse entrare in casa sua il -giunsono e uccisonlo. Morti che furono costoro, -Benedetto corse a casa sua e armossi; e accolti -certi suoi amici, co’ suoi due consorti corsono -la terra: e non trovando contasto, entrarono nel -palagio del comune; e aggiuntasi forza di cittadini -di sua setta, Benedetto si fece fare signore, -e cominciò a perseguitare tutti coloro ch’erano -stati amici de’ suoi consorti morti; e montò -in tanta crudeltà la sua tirannia coll’audacia -de’ suoi seguaci, che cacciati molti cittadini, in -piccolo tempo, innanzi che l’anno fosse compiuto, -più di dugento tra dell’una setta e dell’altra -se ne trovarono morti di ferro. Onde il contado -e il paese d’intorno se ne ruppe in sì fatto modo, -che in niuno cammino del loro distretto si -potea andare sicuro. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span> -</p> - -<h3 id="cap81-1">CAP. LXXXI. -<span class="smaller"><i>Come la città d’Agobbio venne a tirannia -di Giovanni Gabbrielli.</i></span></h3> - -<p> -Avendo narrato delle nuove tirannie che si cominciarono -in Toscana, ci occorre a fare memoria -d’un’altra che si creò nella Marca in questo -medesimo anno, la città d’Agobbio, la quale in -quel tempo avea sparti per l’Italia quasi tutti i -suoi maggiori cittadini in ufici e rettorie. Giovanni -di Cantuccio de’ Gabbrielli d’Agobbio, essendo -co’ suoi consorti in discordia per una badia di -Santacroce, si pensò che agevolemente si potea -fare signore e della badia e d’Agobbio, trovandosi -nella città il maggiore, e non guardandosi i suoi -consorti nè gli altri cittadini di lui. E non ostante -che fosse guelfo di nazione, considerò che tutti -i comuni e signori di parte guelfa di Romagna, -e di Toscana e della Marca temeano forte -del signore di Milano, ch’avea presa di novello -la città di Bologna, e provvidde, che dove i Perugini -o altra forza si movesse contro a lui, che -l’aiuto dell’arcivescovo non gli mancherebbe. -E avendo così pensato, senza indugio accolse cento -fanti masnadieri, e con alquanti cittadini disperati -e acconci a mal fare, i quali accolse a questo -tradimento della patria, subitamente corse in -prima alle case de’ suoi consorti, e affocate e rotte -le porti, prese messer Belo di messer Cante, e -messer Bino e Rinuccio suoi figliuoli, e Petruccio -di messer Bino e quattro altri piccioli fanciulli, e -<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span> -tutti gli mise in prigione; e rubate le case, vi mise -il fuoco e arsele. E fatto questo, corse al palagio -de’ consoli rettori di quello comune: e non volendo -il gonfaloniere darli il palagio, corse alle -case sue e arsele in sua vista. E tornato al palagio, -disse agli altri consoli, che se non gli dessono -il palagio altrettale farebbe delle loro; onde -per paura gli aprirono; e preso il palagio, vi -lasciò sue guardie, e corse la terra. I cittadini -sentendo presi i consorti di Giovanni, di cui -avrebbono potuto fare capo, si stettono per paura, -e niuno si mise a contastarlo. E così disventuratamente -coll’aiuto di meno di centocinquanta -fanti fu occupata in tirannia la città d’Agobbio -in una notte, la quale avea seimila uomini d’arme. -Ma i peccati loro, e massimamente le ree cose -commesse per le città d’Italia per le continove -rettorie ch’aveano gli uomini di quella città, li -condusse in quelle, e nella disciplina della nuova -e disusata tirannia. E per le discordie della casa -de’ Gabbrielli a quell’ora non avea la città podestà, -nè capitano nè altro rettore. Avevavi alcune -masnade de’ Perugini, i quali Giovanni ne -cacciò fuori; e ’l dì seguente, avendo cresciuta la -sua forza dentro, se ne fece fare signore; e di presente, -come potè il meglio, si fornì di gente, e -di notte facea sollecita guardia, e fortificava la -sua signoria. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span> -</p> - -<h3 id="cap82-1">CAP. LXXXII. -<span class="smaller"><i>Come il comune di Perugia e il capitano del -Patrimonio andarono a oste ad Agobbio.</i></span></h3> - -<p> -Sparta per lo paese la nuova signoria d’Agobbio, -messer Iacopo, ch’era capo della casa de’ Gabbrielli, -e allora era capitano del Patrimonio per la -Chiesa, co’ suoi cavalieri, e con aiuto d’alquanti -suoi amici, di subito cavalcò a Perugia; e il comune -di Perugia, che si sentiva offeso per lo cacciare -della sua gente d’Agobbio, a furore di popolo -si mosse a cavalcare popolo e cavalieri con -messer Iacopo, e puosonsi a oste intorno alla città -d’Agobbio. Vedendo Giovanni di Cantuccio, -nuovo tiranno, che il comune di Perugia, e messer -Iacopo e altri suoi consorti con forte braccio -l’avieno assediato, e che da se era male fornito a -potere resistere, e de’ suoi cittadini d’entro non si -potea fidare, sagacemente mandò nel campo -a’ Perugini suoi ambasciadori, i quali da parte -di Giovanni dissono: Signori Perugini, Giovanni -di Cantuccio ci manda a voi a farvi assapere, -com’egli è di quella casa de’ Gabbrielli, che sempre -furono amatori e fedeli del vostro comune, e -così intende d’essere egli; e intende che ’l comune -di Perugia abbia in Agobbio ogni onore e -ogni giurisdizione che da qui addietro avere vi solea, -e maggiore, e vuole rendere i prigioni; ed e’ si -partissono dall’assedio, e mandassono in Agobbio -que’ savi cittadini di Perugia cui elli volessono, -a mettere in ordine e riformare il governamento -<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span> -del comune, e ricevere i prigioni. La profferta fu -larga, e’ Perugini più baldanzosi che discreti, -confidandosi follemente alla promessa del tiranno, -elessono ambasciadori ch’andassono a ricevere -i prigioni e riformare la città, e misongli in -Agobbio: e di presente si levarono da campo della -terra e tornaronsi in Perugia, e lasciarono messer -Iacopo a campo colla gente d’arme ch’avea -della Chiesa, il quale rimase all’assedio -più dì partiti i Perugini; pensando coll’aiuto -de’ suoi cittadini d’entro potere da se alcuna cosa, -o se la fede di Giovanni fosse intera co’ Perugini, -potere tornare in Agobbio. Gli ambasciadori -de’ Perugini entrati in Agobbio, con grandissima -festa, e dimostramento di grande amore e -confidanza furono ricevuti da Giovanni. E cominciolli -prima a convitare e tenerli in desinari -e in cene, e tranquillarli d’oggi in domane; -e strignendolo gli ambasciadori, disse che volea -prima vedere partito messer Iacopo dall’assedio. -Messer Iacopo s’avvide bene dell’inganno, ma -stretto dagli ambasciadori perugini, acciocchè -a lui non si potesse imputare cagione che per lui -seguitasse la discordia, si partì dall’assedio e -tornossi nel Patrimonio. Gli ambasciadori di Perugia, -partitosi messer Iacopo, con più baldanza -strigneano Giovanni, di rivolere i prigioni, e ordinare -il reggimento della guardia della terra, -com’egli avea promesso. Il tiranno vedendosi levato -l’assedio, tenea con più fidanza gli ambasciadori -in parole, e trovando nuove cagioni a dilungare -il tempo, gli tenea sospesi. Ma vedendo -che oltre al debito modo gli menava per parole, -<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span> -per sdegno si partirono d’Agobbio, e rapportarono -al loro comune l’inganno che Giovanni avea -fatto. A’ Perugini ne parve male: ma non -trovarono tra loro concordia di ritornarvi ad -oste. Nondimeno il nuovo tiranno, pensandosi -più gravemente avere offeso il comune di Perugia, -non ostante che fosse per nazione e per patria -guelfo, si pensò d’aiutare co’ ghibellini. E -mandò ambasciadori a messer Bernabò ch’era -a Bologna, dicendo: che volea tenere la città -d’Agobbio dal suo signore messer l’arcivescovo: -e pregollo che gli mandasse gente d’arme alla -guardia sua e della terra; il quale senza indugio -vi mandò dugentocinquanta cavalieri, e appresso -ve ne mandò maggiore quantità, parendoli -avere fatto grande acquisto alla sua intenzione. -Giovanni da se sforzò i suoi cittadini per avere -danari, e fornissi di gente d’arme a piè e a cavallo; -e vedendosi fornito alla difesa si dimostrò -palesemente nimico de’ Perugini, come appresso -seguendo nostro trattato racconteremo. -</p> - -<h3 id="cap83-1">CAP. LXXXIII. -<span class="smaller"><i>Come cominciò l’izza da’ Genovesi a’ Veneziani.</i></span></h3> - -<p> -Essendo cresciuto scandalo nato d’invidia di -stato tra il comune di Genova e quello di Vinegia, -tenendosi ciascuno il maggiore, cominciamento -fu di grave e grande guerra di mare. -E la prima cagione che mosse fu, che avendo -avuto i Genovesi guerra e briga con Giannisbec -imperadore nelle provincie del Mare maggiore, -<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span> -a cui i Genovesi aveano arsa la Tana e fatto -danno grande alla gente sua, per la qual cosa -i Genovesi non potieno colle loro galee andare -al mercato della Tana, anzi facevano a Caffa -porto, e per terra vi faceano venire la spezieria -e altre mercatanzie, con più costo e avarie che -quando usavano la Tana. I Veneziani dopo la -detta briga s’acconciarono coll’imperadore, e -alla Tana andavano con loro navili e colle loro -galee per la mercatanzia, e traevanla a migliore -mercato, la qual cosa mettea male a’ Genovesi. Per -la qual cosa richiesono i Veneziani, e pregaronli -che si dovessono accordare con loro a fare porto -a Caffa, e darebbono loro quella immunità e fondaco -e franchigia ch’avieno per loro: e facendo -questo, l’arebbono in grande servigio; ed essendo -in concordia, non dottavano che Giannisbec si -recherebbe a far loro ogni vantaggio che volessono, -per ritornarli al mercato della Tana: e questo -tornerebbe in loro profitto, e in onore di tutta -la cristianità. I Veneziani non vi si poterono per -alcun modo recare, anzi dissono, che intendeano -d’andare con loro legni e galee alla Tana e -dove più loro piacesse, che della briga che i Genovesi -aveano coll’imperadore non si curavano. -Per la quale risposta i Genovesi sdegnarono, e dispuosonsi -dove si vedessono il bello, di fare danno -a’ Veneziani in mare, e i Veneziani a loro; e -d’allora innanzi, dove si trovarono in mare si -combatteano insieme, e in trapasso di non gran -tempo feciono danno l’uno all’altro assai. E -sentendo catuno comune come la guerra era cominciata -in mare tra’ loro cittadini, ordinarono -<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span> -di mandare a maggiore riguardo e più armati i -loro navili grossi che non solieno. E per non mostrare -paura nè viltà l’uno dell’altro non si ristrinsono -del navicare. -</p> - -<h3 id="cap84-1">CAP. LXXXIV. -<span class="smaller"><i>Come quattordici galee di Veneziani presono -in Romania nove de’ Genovesi.</i></span></h3> - -<p> -Avvenne che andando in questo anno alla -Tana quattordici galee di Veneziani bene armate, -come furono in Romania s’abboccarono -in undici galee de’ Genovesi ch’andavano a -Caffa, sopra l’Isola di Negroponte, e incontanente -si dirizzano colle vele e co’ remi in verso loro. -I Genovesi vedendole venire, l’attesono arditamente, -e acconciaronsi alla battaglia. E sopraggiungendo -le galee de’ Veneziani, combatterono insieme. -E dopo la lunga battaglia, i Veneziani sconfissono -i Genovesi: e seguitando la fuga, delle -undici galee ne presono nove, e le due camparono, -e fuggirono in Pera. I Veneziani avendo questa -vittoria, trovandosi presso all’isola di Negroponte, -acciocchè non impedissono per tornare a -Vinegia il loro viaggio della Tana, tornarono -a Candia, e ivi scaricarono la mercatanzia -presa delle nove galee de’ Genovesi, e misonla nel -loro fondaco, e tutti i prigioni incarcerarono: -e i corpi delle galee de’ Genovesi lasciarono nel -porto, pensando d’avere ogni cosa in salvo alla -loro tornata, e allora menar la preda della loro -vittoria a Vinegia con grande gazzarra; e fatto -<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span> -questo seguirono il loro viaggio. Ma le cose ebbono -tutto altro fine che non si pensarono, come -appresso diviseremo. -</p> - -<h3 id="cap85-1">CAP. LXXXV. -<span class="smaller"><i>Come i Genovesi di Pera presono Negroponte, -e riebbono loro mercatanzia.</i></span></h3> - -<p> -Le due galee di Genovesi campate dalla sconfitta, -e venute a Pera, narrarono a’ Genovesi di -Pera la loro fortuna. E sentito per quelli di Pera -come le quattordici galee di Veneziani erano -passate nel Mare maggiore, e come i Genovesi -prigioni, e la mercatanzia e i corpi delle loro -galee erano in Candia; non inviliti per la rotta -de’ loro cittadini, ma come uomini di franco -cuore e ardire, di presente avendo in Pera sette -corpi di galee le misono in mare, e quelle e le -due de’ Genovesi della sconfitta, e quanti legni -aveano armarono di loro medesimi, e montaronvi -suso a gara chi meglio potè, fornendosi d’arme -e di balestra doppiamente; e senza soggiorno, -improvviso a’ Veneziani di Candia, i quali non -sapieno che galee di Genovesi fossono in quel -mare, furono nel porto. I Veneziani co’ paesani, -volendo contastare la scesa a’ Genovesi in terra -nel loro porto, tratti alla marina, per forza d’arme -e dalle balestra de’ Genovesi furono ributtati; -e scesi in terra i Genovesi di Pera, e romore -levato per la città, tutti trassono i cittadini alla -difesa, per ritenere i Genovesi che non si mettessono -più innanzi verso la terra. Ma poco valse -<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span> -loro, che con tanto empito di loro coraggioso ardire -i Genovesi si misono innanzi, che coll’aiuto -delle loro balestra rotti que’ della terra, e -fuggendo nella città, con loro insieme v’entrarono. -Come si vidono dentro, affocando le case, e -dilungando da loro i cittadini co’ verrettoni, gli -strinsono per modo, che già erano signori della -terra; ma pervenuti alla prigione la ruppono, e -trassonne tutti i loro cittadini presi; ed entrarono -nel fondaco, e tutta la mercatanzia presa delle -nove galee de’ Genovesi, e quella che dentro -v’era de’ Veneziani presono, e caricarono ne’ -corpi delle loro nove galee prese nel porto, e -su le loro; e rimessi i prigioni in su le galee, -pensarono che tanto erano rotti e sbigottiti gli -abitatori di Candia, che agevole parea loro vincere -la terra, ma vincendola e convenendola -guardare, convenia loro abbandonare Pera, -e però si ricolsono alle galee, e con piena -vittoria si ritornarono a Pera. E a Genova rimandarono -le nove galee racquistate per loro, e -gli uomini e la mercatanzia, con notabile fama -di loro prodezza e di varia fortuna. -</p> - -<h3 id="cap86-1">CAP. LXXXVI. -<span class="smaller"><i>Come fu morto il patriarca d’Aquilea, e fattane -vendetta.</i></span></h3> - -<p> -In questo anno, del mese di giugno, messer -Beltramo di san Guinigi patriarca d’Aquilea, -cavalcando per lo patriarcato, da certi terrieri -suoi sudditi, con aiuto di cavalieri del conte -d’Aquilizia, ch’era male di lui, fu nel cammino -<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span> -assalito e morto con tutta sua compagnia, e -senza essere conosciuti allora, coloro che feciono -il malificio si ricolsono in loro paese. Per la -qual cosa rimaso il patriarcato senza capo, i comuni -smossono il duca d’Osterich, il quale con -duemila barbute venne, e fu ricevuto da tutti i -paesani senza contasto, e onorato da loro. E -vicitato il paese infino nel Friuli, sentendo che ’l -papa avea fatto patriarca il figliuolo del re Giovanni -di Boemia, non illigittimo ma ligittimo, si -tornò in suo paese. E poco appresso, il detto -patriarca venne nel paese, e fu con pace ricevuto -e ubbidito da tutti i comuni e terrieri del patriarcato. -E statovi poco tempo, certi castellani -il vollono fare avvelenare, e furono coloro ch’avieno -morto l’altro patriarca, avendo a ciò -corrotto due confidenti famigliari. Onde egli scoperto -il tradimento, messer Francesco Giovanni -grande terriere, capo di questi malfattori, con -certi altri castellani che ’l seguitavano, furono -da lui perseguitati senza arresto, tanto che si ridussono -a guardia nelle loro fortezze, e ivi furono -assediati per modo, che s’arrenderono al patriarca. -Il quale prima abbattè tutte loro castella, -le quali erano cagione della loro sfrenata superbia, -e al detto messer Francesco, con otto -de’ maggiori castellani fece tagliare le teste, e -un’altra parte ne fece impendere per la gola. -Per la qual cosa tutto il paese rimase cheto e sicuro, -e il patriarca temuto e ubbidito da tutti -senza sospetto o contasto. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span> -</p> - -<h3 id="cap87-1">CAP. LXXXVII. -<span class="smaller"><i>Come il legato del papa si partì del Regno, -e il re riprese Aversa.</i></span></h3> - -<p> -Tornando alle novità del regno di Cicilia di -qua dal Faro, come è narrato, fatto l’accordo -dal re Luigi a Currado Lupo e agli altri caporali -ch’erano sotto il titolo del re d’Ungheria in Terra -di Lavoro, le città e le castella che teneano in -quella furono assegnate alla guardia del cardinale -messer Annibaldo da Ceccano, salvo le torri di -Capova. Il cardinale non trovando tra le parti -accordo, per dare materia al re Luigi che si potesse -riprendere le città e le castella che a lui -erano accomandate, si partì del Regno e andossene -a Roma, ove da’ Romani fu male veduto; -perocchè dispensava e accorciava i termini della -vicitazione a’ romei, contro all’appetito della loro -avarizia, onde più volte standosi nel suo ostiere -fu saettato da loro, e alla sua famiglia fatta vergogna, -e assaliti e fediti cavalcando per Roma. -Onde egli sdegnoso si partì, e andossone in Campagna; -e nel cammino morì di veleno con assai -suoi famigliari. Dissesi che ad Aquino era stato -avvelenato vino nelle botti, del quale non ebbono -guardia, e bevvonsene: se per altro modo fu non -si potè sapere. Rimasta la città d’Aversa e la -guardia del castello a certi famigliari del cardinale -in nome di santa Chiesa, il re Luigi vi cavalcò -con poca gente, e fecesi aprire le porte del -castello senza contasto, e misevi fornimento o -<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span> -gente d’arme alla guardia. E incontanente la città, -ch’era troppo larga e sparta da non potersi -bene difendere, ristrinse, facendo disfare tutte le -case e’ palagi che fuori del cerchio che prese rimanieno; -e delle pietre fece cominciare a cignere -quella di buone e grosse mura: e a ciò fare mise -grande sollecitudine, sicchè in poco tempo, innanzi -l’avvenimento del re d’Ungheria nel Regno, -le mura erano alzate per tutto sei braccia intorno -alla terra. E fatto capitano messer Iacopo Pignattaro -di Gaeta, valente barone, di trecento cavalieri -e di seicento pedoni masnadieri, gli accomandò -la guardia della città d’Aversa e del -castello; e nella terra fece mettere abbondanza di -vittuaglia, perocchè di quella terra, più che -dell’altre, si dubitava alla tornata del re d’Ungheria. -In quel tempo Currado Lupo non sentendosi -forte di cavalieri, che s’erano partiti del -Regno, s’era ridotto a Viglionese in Abruzzi, e -gli Ungheri in Puglia, e guardavano il passo delle -torri di Capova, aspettando il loro signore. -</p> - -<h3 id="cap88-1">CAP. LXXXVIII. -<span class="smaller"><i>Come il re d’Ungheria ritornò in Puglia -conquistando molte terre.</i></span></h3> - -<p> -In questo anno, Lodovico re d’Ungheria sentendo -che la sua gente avea sconfitto a Meleto i -baroni del re Luigi e i Napoletani, e aveano molti -a prigioni: essendo sollecitato per lettere e -per ambasciadori da’ comuni e da’ baroni che teneano -nel Regno la sua parte che ritornasse, diliberò -<span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span> -di farlo. E di presente mandò innanzi de’ suoi -cavalieri ungheri con certi capitani in Ischiavonia, -perchè di là passassero in Puglia. E quando -gli sentì passati, subitamente con certi suoi -eletti baroni, con piccola compagnia, si mise a -cammino, e prima fu alla marina di Schiavonia -che sapere si potesse della sua partita: e trovando -al porto le galee e i legni apparecchiati, vi montò -suso; e avendo il tempo buono, valicò in Puglia -a salvamento, assai più tosto che per i paesani -non si stimava. E sentita la partita sua in -Ungheria, grande moltitudine d’Ungheri il seguitarono, -valicando di Schiavonia in Puglia in -barche e in piccoli legni armati sì disordinatamente, -che se il re Luigi avesse avute due galee -armate senza fallo gli avrebbono rotti e impediti -per modo, che non sarebbono potuti passare: ma -come furono passati, il re Luigi vi mandò tre galee -armate che vi giunsono invano. Ed essendo il re -d’Ungheria in Puglia, ragunò la sua gente insieme, -e trovossi con diecimila cavalieri. In que’ dì -il conte di Minerbino, il quale s’era ribellato -dal detto re, si racchiuse nella città di Trani, alla -quale il re andò ad assedio. E vedendosi il conte -senza speranza di soccorso e disperato di salute, -col capestro in collo e in camicia uscì della -città, e gittossi ginocchione in terra a piè del re -domandandoli misericordia. Il re d’Ungheria -dimenticati i baratti e’ falli del conte benignamente -gli perdonò, e rimiselo nel suo stato: e lasciato -nelle città e castella di Puglia quella gente -che volle, venne in Principato. La città di Salerno -essendo in cittadinesche discordie gli apersono le -<span class="pagenum" id="Page_148">[148]</span> -porte, e ricevettonlo a onore: e ivi si riposò alquanti -dì; e messo suo vicario nella città e castellano -nel castello, se ne venne a Nocera de’ cristiani; -e in quella se n’entrò senza contasto. Il -castello era forte e bene fornito alla difesa, ma -invilito il castellano, per codardia l’abbandonò. -Il re il fece prendere e guardare alla sua gente. E -partito di là venne a Matalona, nella quale entrò -senza contasto. E tutte le città e castella di Terra -di Lavoro feciono il suo comandamento, salvo -la città di Napoli ed Aversa. E poi il detto re -con tutto suo sforzo se ne venne ad Aversa, del -mese di maggio nel detto anno, e credettelasi -avere alla prima giunta, ma trovossi ingannato, -perocchè era città di mura cinta, e bene che fossero -basse, era imbertescata e fornita di legname -alla difesa; e dentro v’erano i cavalieri e i masnadieri -che la difendevano virtuosamente; e assaggiata -per più volte dall’assalto degli Ungheri, -con loro dannaggio, il re conobbe che non la potea -vincere per forza, e però vi mise assedio, e strinsela -con più campi per modo, che da niuna parte -vi si poteva entrare. -</p> - -<h3 id="cap89-1">CAP. LXXXIX. -<span class="smaller"><i>Come i Genovesi ebbono Ventimiglia.</i></span></h3> - -<p> -In questo tempo dell’assedio d’Aversa, il doge -di Genova e il suo consiglio, conosciuto loro -tempo, armarono dodici galee e mandaronle nel -porto di Napoli, e diedono il partito a prendere -al re e a alla reina, dicendo in questo modo: il doge -<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span> -di Genova e il suo consiglio ci hanno mandati -qui a essere in vostro aiuto, in quanto voi -rendiate liberamente al nostro comune la città -di Ventimiglia, la quale è di nostra riviera, avvegnachè -di ragione fosse della contea di Provenza. -E se questo non fate, di presente abbiamo -comandamento d’essere contro a voi, e di servire il -re d’Ungheria. Il re e la reina vedendosi assediati -per terra dalla grande cavalleria del re d’Ungheria, -a cui ubbidia tutta la Terra di Lavoro, -e di mare convenia che venisse tutta loro vittuaglia, -e da loro non aveano solo una galea: pensarono -che se i Genovesi gli nimicassono in mare -erano perduti, e però stretti dalla necessità deliberarono -di fare la volontà del doge e del comune -di Genova, avendo speranza dell’aiuto -di quelle galee molto migliorasse la loro condizione. -E incontanente mandarono a far dare la -tenuta della città di Ventimiglia al comune di -Genova. E le dodici galee non si vollono muovere -del porto di Napoli, nè fare alcuna novità infino -a tanto che la risposta non venne dal loro -doge, come avessono la tenuta della detta città. -Avuta la novella, non tennono fede al re Luigi -nè alla reina di volere nimicare le terre che ubbidivano -al re d’Ungheria, nè essere contro a lui; -anzi si partirono da Napoli, e presono altro loro -viaggio. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span> -</p> - -<h3 id="cap90-1">CAP. XC. -<span class="smaller"><i>Come fu data l’ultima battaglia ad Aversa -dal re d’Ungheria.</i></span></h3> - -<p> -Stando l’assedio ad Aversa, il re d’Ungheria -facea scorrere continovo la sua gente fino a Napoli -e per lo paese d’intorno d’ogni parte, e tutti -i casali e le vicinanze l’ubbidivano, e mandavano -il mercato all’oste. A Napoli per terra non -entrava alcuna cosa da vivere, e però avea -soffratta d’ogni bene, salvo che di grechi e di vini -latini. E se il re d’Ungheria avesse avute galee -in mare, avrebbe vinta la città di Napoli per -assedio più tosto che Aversa: perocchè non aveano -d’onde vivere, se per mare non veniva da -Gaeta e di Roma con grande costo. Nel cominciamento, -l’oste del re d’Ungheria fu abbondevole -d’ogni grascia, per l’ubbidienza -de’ paesani: ma soprastando l’assedio, il servigio -cominciò a rincrescere, e l’oste ad avere -mancamento di molte cose, e spezialmente di ferri -di cavalli e di chiovi. E i nobili regnicoli vedendo -che il re in persona con diecimila cavalieri -non poteva prendere Aversa, debole di mura e -di fortezza e con poca gente alla difesa, cominciarono -ad avere a vile gli Ungheri, e trarre le -cose loro de’ casali, e la vittuaglia non portavano -al campo come erano usati. E per questo le -masnade degli Ungheri andavano a rubare oggi -l’uno casale e domane l’altro, e spaventati i -paesani, la carestia e il disagio montava nell’oste. -<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span> -Il re temendo che la vittuaglia non fallasse -nel soggiorno, deliberò di combattere la -città con più ordine e con più forza ch’altra volta -non avea fatto, come appresso diviseremo. -</p> - -<h3 id="cap91-1">CAP. XCI. -<span class="smaller"><i>Della materia medesima.</i></span></h3> - -<p> -Vedendo il re d’Ungheria mancare la vittuaglia -all’oste, ebbe i capitani e’ conestabili de’ suoi -Ungheri e Tedeschi che v’erano a parlamento: -e disse come grande vergogna era a lui e a -loro essere stati tanto tempo intorno a quella -terra, abbandonata di soccorso e imperfetta di -mura, e non averla potuta prendere; e ora conoscea -che per lo mancamento della vittuaglia il -soggiorno non gli tornasse a vergogna; e però -gli richiedeva e pregava ch’elli confortassono -loro e i loro cavalieri, ch’elli adoperassono per -loro virtù, che combattendo la terra si vincesse: -ch’egli intendea di volere che la battaglia da -ogni parte vi si desse aspra e forte, sicch’ella si -vincesse. I capitani e’ conestabili di grande animo -e di buono volere s’offersono al re, e il re in -persona disse loro d’essere alla detta battaglia. -Quelli d’entro che sentirono come doveano essere -combattuti con tutta la forza di quella gente -barbara, non si sbigottirono, anzi presono -cuore e ardire e argomento alla loro difesa. Gli -Ungheri e i Tedeschi sprovveduti d’ingegni da -coprirsi e da prendere aiuto all’assalto delle mura, -fidandosi negli archi e nelle saette, da ogni -<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span> -parte a uno segno fatto assalirono le mura. E il -re in persona fu all’assalto, per fare da se, e per -dare vigore agli altri. E data la battaglia, e rinfrescata -spesso, per stancare i difenditori, e -fatto di loro saettamento ogni prova, ed essendo -da quelli della terra in ogni parte ribattuti, coll’aiuto -de’ balestrieri e delle pietre e della calcina -gittata sopra loro, e delle lanci e pali -e d’altri argomenti, non ebbono podere di prendere -alcuna parte delle mura, ma molti di loro -morti e più fediti, e infino fedito il re, con acquisto -d’onta e di vergogna si ritrassono dalla -battaglia. Que’ d’entro avendo combattuto francamente, -confortati e medicati di loro fedite, presono -delle fatiche riposo. -</p> - -<h3 id="cap92-1">CAP. XCII. -<span class="smaller"><i>Come il conte d’Avellino con dieci galee stette -a Napoli, e Aversa s’arrendè al re.</i></span></h3> - -<p> -Stando l’assedio ad Aversa, la reina Giovanna -non essendo bene del re Luigi, perchè volea -essere da lui più riverita che non le parea, perocchè -era donna e reina del reame, e il marito non -era ancora re, a sua ’stanza fece in Proenza al conte -d’Avellino, capo e maggiore della casa del Balzo, -armare dieci galee, e all’uscita di giugno nel -detto anno giunse nel porto di Napoli colla detta -armata, atteso per soccorso, del quale aveano -gran bisogno. Ma il conte pieno di malizia, conoscendo -il bisogno del re Luigi, e poco curandosi -della reina, mostrandosi di volere trattare suo vantaggio, -<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span> -colle sue galee si teneva in alto sopra il porto -di Napoli. E per trarre vantaggio e mantenere -l’armata, ordinò che ogni legno o barca che nel -porto volesse entrare o uscire pagasse certa quantità -di danari, e per questo modo aggravava i Napoletani, -e faceva loro più grande la carestia della -vittuaglia. E stando in questo modo, trattava -domandando vantaggio al re Luigi, e il re gliel’otriava -quanto sapea domandare, per avere l’aiuto -di quelle galee, aggiugnendo i prieghi della reina, -mostrando come con quelle galee poteano racquistare -le terre di quella marina, onde seguirebbe -loro grande soccorso. Ma per cosa che fare sapesse -non potè smuovere il conte a dargli l’aiuto di -quell’armata, anzi si partì di là, e per potere agiare -la ciurma in terra s’apportò al castello dell’Uovo: -e cominciò a trattare col re d’Ungheria -di volergli dare per moglie la sirocchia della -reina, che fu moglie del duca di Durazzo, e il re -avvisato gli dava intendimento, per volere quelle -galee tenere in contumace de’ suoi avversari. -E stando il conte in trattati e di là e di qua, non -si potea conoscere che facesse la volontà della reina, -nè che fosse ribello al re Luigi, o in che modo -si potesse giudicare essere col re d’Ungheria, -tenendo colla sua malizia ogni parte sospesa. Al -re Luigi e ai Napoletani fece danno, alla reina -non accrebbe baldanza: ma al re d’Ungheria, per -lo suo trattare, fece piuttosto avere Aversa: che -sentendo gli assediati i trattati del conte, affaticati -lungamente alla difesa d’Aversa, pensando -che il re d’Ungheria rimanesse nel Regno, benchè -ancora si potessono difendere alcun tempo, -<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span> -presono partito di trattare per loro. E messer Iacopo -Pignattaro loro capitano, essendo regnicolo, -e di natura mobile alla nuova signoria, tosto s’accordò -col re, ed ebbe sotto titolo di loro soldi -moneta dal re d’Ungheria, e rendégli la città -d’Aversa: il quale incontanente v’entrò dentro -con tutta sua cavalleria, e non lasciò fare a’ cittadini -alcuna violenza o ruberia. E questo fu del -mese di settembre del detto anno. Manifesto fu -che questa vittoria venne agli Ungheri a gran bisogno, -perocchè già era sì stracca la gente, per -lungo disagio e per la carestia, che poco più vi -poteano stare, e il partire senza averla vinta -tornava al re e alla sua grande cavalleria ontosa -vergogna. -</p> - -<h3 id="cap93-1">CAP. XCIII. -<span class="smaller"><i>Come il re d’Ungheria e il re Luigi vennono -a certa tregua.</i></span></h3> - -<p> -Avendo non ispedite guerre, ma piuttosto avviluppamenti -di quelle narrate de’ fatti del regno -di Cicilia, seguita non meno incognito e -avviluppato processo nelle seguenti successioni -di que’ fatti; ma cotali chenti alla nostra materia -s’offeriranno, con nostra scusa gli racconteremo. -Avuta il re d’Ungheria la città d’Aversa, alla -quale lungo tempo s’era dibattuto con tutta la sua -grande oste, e non l’avea potuta nè per forza nè -per assedio acquistare, essendo debole città di -mura e da poca gente difesa, si pensò che l’altre -maggiori e più forti città che si teneano contro -<span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span> -a lui sarebbono più malagevoli a conquistare, -e per esempio d’Aversa troverebbe maggiore -resistenza; e i suoi baroni aveano già compiuto -con lui il termine del debito servigio, e a volerli -ritenere al conquisto del Regno bisognava -che desse loro danaro, che n’avea pochi, e del -Regno non ne potea trarre, essendo in guerra: -vide che il re Luigi, i baroni, e quelli che si teneano -dal suo lato erano disposti di stare alla -difesa delle mura: e però mutò l’animo agevolmente -disposto a trovare accordo, col quale con -meno sua vergogna si potesse partire del Regno. -E dall’altra parte il re Luigi era a tanto condotto, -che non che potesse con arme resistere al nimico, -ma di mantenere bisognose e necessarie -spese di sua vita era impotente; e se non fosse -che l’animo de’ Napoletani concorrea a lui e -alla reina alla loro difesa, non arebbono potuto -sostenere. E per questa cagione era atta la materia -da catuna parte a venire alla concordia con -piccolo aiuto d’alcuni mezzani. Onde alcuno -prelato di santa Chiesa, il quale era dal papa -mandato nel Regno, e il conte d’Avellino, che -avea da ogni parte puttaneggiato, coll’aiuto -d’alcuno altro barone, movendosi a cercare se -potessono trovare via d’accordo, con piccola fatica -vi pervennono alla cavalleresca, in questo -modo. Che triegue fossono fatte infino a calen -di aprile, gli anni <i>Domini</i> 1351, con patto, che -chi avesse nel Regno dovesse sicuramente tenere -sue città, castella e ville in pace tutto il -tempo detto. Che la questione che si faceva contro -alla reina Giovanna della morte del re Andreasso, -<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span> -si dovesse commettere nel papa e ne’ cardinali: -e dove fosse trovata colpevole, dovesse -perdere il reame, e tornasse libero al re d’Ungheria: -e dove ella non fosse giudicata colpevole -della morte del marito, ma liberatane per sentenza -del papa e del collegio de’ cardinali dovesse -rimanere reina del detto regno. E il re -d’Ungheria le dovea rendere tutte le città, castella -e baronaggi che vi tenea, riavendo da lei -per le spese fatte per lui fiorini trecentomila -d’oro, per quello modo e termine competente che -ordinato fosse per la santa Chiesa; e per patto -catuno re si dovea partire personalmente, e la -reina del reame. Per la fermezza d’attenere l’uno -all’altro questi patti non ebbe altro legame, -che la fe e la scrittura e la testimonianza de’ mezzani. -Il re d’Ungheria che avea d’uscire del reame -maggior voglia, prese l’onesta cagione d’andare -in romeaggio a Roma al santo perdono; e -in Puglia alle terre della marina lasciò de’ suoi -Ungheri alla guardia con loro capitani, e fornì di -buona guardia tutte le sue tenute in Terra di Lavoro; -e a Capova e Aversa, e per l’altre terre -e castella circustanti lasciò suo vicario messer -fra Moriale cavaliere friere di san Giovanni di -Provenza, valente e ridottato cavaliere, con buone -masnade di Provenzali, di cui il detto re -molto si confidava; e a Viglionese e a Lanciano -e nell’altre terre che tenea in Abruzzi lasciò vicario -messer Currado Lupo, franco cavaliere, -con sue masnade di Tedeschi a quella guardia. -E ordinato ch’ebbe la guardia delle sue terre -nel Regno si mise a cammino per andare a Roma: -<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span> -e incontanente il re Luigi per mostrare di volere -uscire del Regno, e tenere i patti, si partì da -Napoli colla reina, e venne alla città di Gaeta -in su’ confini del reame, e ivi attendeva che il -re d’Ungheria si partisse d’Italia e tornasse in -suo reame, com’era in convegna; e ciò fatto, il -re Luigi e la reina Giovanna doveano fuori del -reame attendere la sentenza di santa Chiesa. I -Gaetani ricevettono il re Luigi e la reina Giovanna -in Gaeta con grande onore: e provviddongli di -loro danari per aiuto alle spese, che n’aveano -grande bisogno. Ed ivi si fermarono con animo -e intenzione di non uscire del Regno, bene che -promesso l’avessono, parendo loro che il dilungamento -da quello, al bisognoso e lieve stato ch’aveano, -fosse pericoloso al fatto loro. Il re d’Ungheria -seguì a Roma suo viaggio, e avuto il santo -perdono senza soggiorno se ne tornò in Ungheria. -</p> - -<h3 id="cap94-1">CAP. XCIV. -<span class="smaller"><i>Come il conte d’Avellino diè al suo figliuolo -per moglie la duchessa di Durazzo.</i></span></h3> - -<p> -Il conte d’Avellino, il quale colle sue galee -era rimaso sopra Napoli al castello dell’Uovo, -vedendo i fatti del Regno rimasi intrigati per lungo -tempo, essendo rimasa la duchessa di Durazzo -sirocchia della reina, vedova, nel castello dell’Uovo, -chiamata Maria, non ostante che ’l detto -conte fosse suo compare, ma per quello mostrando -più familiarità, con piccola compagnia -andò al castello per vicitarla, innanzi alla sua -<span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span> -partita; la duchessa con buona confidanza gli -fece aprire liberamente il castello, ed egli con due -suoi figliuoli e colla sua famiglia armata v’entrarono: -e entrati, fece prendere la guardia delle -porti e delle fortezze d’entro. Ed essendo colla -duchessa, disse che volea ch’ella fosse moglie di -Ruberto suo figliuolo, e per forza le fece consumare -il matrimonio: e di presente la trasse del -castello con tutti i suoi arnesi, e misela nella -sua galea, per menarla in Proenza. Il re Luigi -ch’era in Gaeta sentì di presente questo fatto, -e egli e la reina ne furono molto turbati. E seguendo -il conte suo viaggio per tornare in -Proenza con tutte le galee, quando furono sopra -a Gaeta l’otto entrarono nel porto, e i padroni -e’ nocchieri e le ciurme scesono in terra per pigliare -rinfrescamento. Il conte colla duchessa e -co’ figliuoli rimasono fuori del porto in due galee, -e attendevano l’altre che prendevano rinfrescamento -per seguire loro viaggio. Il re Luigi cautamente -fece venire a se i padroni e’ nocchieri dell’otto -galee, e fece segretamente armare de’ Gaetani -e stare alla guardia, che non potessono senza -sua volontà tornare alle galee. E fatto questo, -disse: pensate di morire se non fate che le due -galee dov’è il conte, e i figliuoli e la duchessa, -venghino dentro nel porto a terra; e alle minacce -aggiunse amore e preghiere: e ritenuti de’ caporali -cui egli volle per sicurtà del fatto, lasciò -gli altri tornare alle galee: i quali di presente -s’accostarono alle due galee del conte, che di questo -fatto, come il peccato l’accecava, non s’era -avveduto, e di presente l’ebbono condotte a terra -<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span> -dentro al porto. Allora il re mandò a dire -al conte che venisse a lui. Il conte si scusò che -non potea perocch’era forte stretto dalle gotte. Il -re acceso di furore e infiammato d’ira, per l’ingiuria -ricevuta della vergogna fatta al sangue -reale, e de’ suoi gravi e pericolosi baratti, non si -potè temperare nè raffrenare il conceputo sdegno: -ma prese certi compagni di sua famiglia, e -armati, in persona si mosse: e giunto al porto, montò -in su la galea dov’era il conte. Venuto a lui, -in brieve sermone gli raccontò tutti i suoi tradimenti, -e la folle baldanza che lo avea condotto a -vituperare il sangue reale: e detto questo, senza -attendere risposta, con uno stocco il fedì del primo -colpo; e incontanente n’ebbe tanti, che senza -potere fare parola rimase morto in su la galea. -La duchessa di presente fu tratta di galea, e collocata -colla sua famiglia e co’ suoi arnesi in uno -ostieri in Gaeta, e i due figliuoli del conte furono -messi in prigione. Lasceremo ora de’ fatti del Regno, -che stando le triegue non v’ebbe cosa -degna di memoria, e ritorneremo alla nostra materia -degli altri fatti d’Italia, e della nostra città -di Firenze. -</p> - -<h3 id="cap95-1">CAP. XCV. -<span class="smaller"><i>Della grande potenza dell’arcivescovo di -Milano, e come i Fiorentini temeano di -Pistoia, e quello che ne seguì.</i></span></h3> - -<p> -In questo medesimo tempo, tra il fine del cinquantesimo -ed il cominciamento del milletrecentocinquantuno, -<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span> -i Fiorentini cominciarono forte -a temere della città di Pistoia, la quale per cittadinesche -sette era divisa e in male stato. E la casa -de’ Panciatichi, che non erano originali guelfi, in -que’ dì aveano cacciato della città messer Riccardo -Cancellieri e i suoi naturali, guelfi, di quella terra, -e antichi servidori del comune di Firenze: e messer -Giovanni Panciatichi s’avea recato in mano -il governamento di quella terra, e per sembianti -mostrava d’essere amico del comune di Firenze. -I Fiorentini sentendo l’arcivescovo di Milano, -il quale in quel tempo avea sotto la sua tirannia -ventidue città, tra in Lombardia e in Piemonte, -e di nuovo avea contro la volontà di santa Chiesa -presa la città di Bologna, la quale confinava -col loro comune, temeano forte che Pistoia per -le cittadinesche discordie non pervenisse nelle -sue mani, e però voleano la guardia di quella terra. -E quanto che messer Giovanni si mostrasse amico -del comune di Firenze, con diverse e nuove -cagioni tranquillava e metteva indugio col seguito -de’ cittadini della sua setta, che il comune di Firenze -non avesse la guardia, raffrenando l’appetito -de’ Fiorentini, col sospetto del potente vicino. -Nondimeno i Pistolesi guelfi pur vollono -che il comune di Firenze v’avesse dentro alcuna -sua sicurtà, e consentirono che i Fiorentini mettessono -in Pistoia messer Andrea Salamoncelli, -uscito di Lucca loro soldato, con cento cavalieri -e con centocinquanta masnadieri alla guardia -di Pistoia, alle spese del comune di Firenze, -con patto espresso, che il detto capitano co’ suoi -cavalieri e fanti giurassono di mantenere quello -<span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span> -stato che allora reggeva Pistoia, contro il comune -di Firenze, e ogni altro che offendere o mutare -il volesse. I Fiorentini vedendo che meglio -non si poteva fare senza grave pericolo, benchè -conoscessono che questa non era la guardia che -bisognava, acconsentirono, e misonvi il capitano -e la gente d’arme sotto il detto saramento: e -con molte dissimulazioni e lusinghe manteneano -quella città, ritenendo i cavalieri in Firenze senza -mutazione infino al primo tempo. -</p> - -<h3 id="cap96-1">CAP. XCVI. -<span class="smaller"><i>Come certi rettori di Firenze vollono prendere -Pistoia per inganno.</i></span></h3> - -<p> -Era per successione de’ rettori di Firenze di -priorato in priorato la sollecitudine di mettere -rimedio alla guardia di quella città, e non trovandosi -da potere fare altro che fatto si fosse, -alcuni allora rettori del nostro comune, con più -presunzione che il loro consiglio non permettea, -provvidono di fare tra loro segretamente d’avere -per non leale ingegno la signoria di quella terra; -e com’ebbono conceputo il non debito fatto, -così per non discreto nè savio modo il vollono -mettere a esecuzione, e sotto altro titolo accolsono -i soldati del comune a piedi e a cavallo, e -mossonne delle leghe del contado: e avendo a -questa gente dato ordine alla notte che si doveano -muovere, vollono provvedere di mutare di -Pistoia il capitano ch’avea giurato a’ Pistolesi, -ch’era troppo diritto e leale cavaliere di sua promessa, -<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span> -e scambiare le masnade sotto il titolo della -condotta, acciocchè potessono senza contasto dentro -meglio fornire la loro intenzione: e a ciò fare -mattamente si confidarono a uno ser Piero Gucci, -soprannomato Mucini, allora notaro della condotta, -il quale era paraboloso e di grande vista, -e poco veritiere ne’ fatti. Questi promise di fornire -la bisogna chiaramente, e d’avvisare del fatto -alcuni conestabili confidenti: e preso a fornire il -servigio, i poco discreti rettori del comune ebbono -la promessa di colui come se la cosa fosse ferma -e certa; e per questo la notte ordinata, a dì 26 -di marzo gli anni <i>Domini</i> 1351, feciono cavalcare -i cavalieri e’ pedoni ch’aveano apparecchiati, e -con loro messer Ricciardo Cancellieri, colle scale -provvedute alla misura delle mura, e a Pistoia -furono la mattina innanzi dì, ed ebbono messe -le scale, e montati de’ cavalieri e de’ pedoni in su -le mura, e scesine dentro una parte, avvisando -d’avere l’aiuto de’ soldati del comune di Firenze -che v’erano dentro, come era loro dato -a divedere, pensavano a dare la via agli altri -e farsi forti, e tutto era senza contasto, perocchè -i cittadini si dormivano senza sospetto. E i soldati -del comune che dentro v’erano non aveano -sentimento nè avviso alcuno, perocchè il notaio, -a cui la bisogna fu commessa, fu trovato in -Prato nell’albergo a dormire. Messer Ricciardo -essendo co’ suoi in sulle mura si scoperse innanzi -tempo, facendo gridare viva il comune di Firenze -e messer Ricciardo. I Pistolesi sentendo il -rumore credettono fosse opera di messer Ricciardo -loro sbandito, il quale aveano in gran sospetto; -<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span> -e però co’ soldati de’ Fiorentini insieme -furono all’arme, e trassono alle mura francamente -ad assalire coloro che dentro erano scesi: e feditine -alquanti, tutti gli presono, e allora di prima -seppono che questa era fattura de’ Fiorentini; -e tutti co’ soldati de’ Fiorentini insieme intesono -sollecitamente a guardare la terra il dì e la -notte. E la folle impresa, mattamente condotta -per li rettori di Firenze, generò in Pistoia grave -e pericoloso sospetto, e in Firenze molta riprensione. -Il notaio, a cui i signori aveano commessa -la bisogna, fu preso a furore di popolo e menato -alla podestà, e avrebbe perduta la persona, se -non che il grande fallo ch’aveano commesso i -suoi comandatori, perchè non gravasse loro difesono -lui. E di questo seguì quello che appresso -diviseremo. -</p> - -<h3 id="cap97-1">CAP. XCVII. -<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini assediarono Pistoia ed ebbonla -a’ comandamenti loro.</i></span></h3> - -<p> -Quando i Fiorentini s’avvidono del pericolo, -ove l’indebita impresa de’ loro rettori gli aveva -messi, di recare a partito i Pistolesi, per la nuova -ingiuria ricevuta, d’aiutarsi colla forza del -vicino tiranno: temendo che questo non avvenisse, -non per animo di volere di quella città -alcuna giurisdizione fuori che la guardia, per gelosia -che al tiranno non pervenisse, di presente -diliberarono che la città si strignesse per forza -e per amore tanto che la guardia solo se ne avesse, -<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span> -per loro sicurtà, e del nostro comune, e altro -non volea; e senza indugio alla gente che andata -v’era s’aggiunse cavalieri, quanti allora il -comune ne aveva, e fanti a piè. E per decreto del -comune si diè parola agli sbanditi che catuno -facesse suo sforzo, e alle sue spese menasse gente -nell’oste in aiuto al comune di Firenze secondo -suo stato, e dopo il servigio fatto sarebbe ribandito -d’ogni bando. Per la qual cosa in tre dì -furono intorno a Pistoia ottocento cavalieri e dodicimila -pedoni, e ristrinsonla d’ogni parte con -più campi, sicchè di loro contado nè da altra amistà -dentro non poterono avere alcuno soccorso -o aiuto. E di Firenze vi s’aggiunse sedici pennoni, -uno per gonfalone, co’ quali andarono -duemila cittadini quasi tutti armati come cavalieri, -e molti ve n’andarono a cavallo; e giunti -nell’oste con loro capitani, feciono dirizzare intorno -alla città otto battifolli. In Pistoia aveva -a questo tempo millecinquecento cittadini, o poco -più, da potere con arme difendere la terra, -oltre alle masnade a cavallo e a piè che dentro -v’erano a soldo de’ Fiorentini, i quali si stavano -senza fare novità dentro o guerra di fuori: -per la qual cosa al gran giro della città parea -che così pochi cittadini non la dovessono potere -difendere. E per questa cagione i Fiorentini -aveano speranza di vincerla per forza, quando -con loro non si potesse trovare accordo. I Pistolesi -d’entro, uomini coraggiosi e altieri, con dura -faccia intendeano dì e notte alla loro difesa: e perch’erano -pochi a tanta guardia quanta il dì e la -notte convenia loro fare, uscirono delle loro case, -<span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span> -e vennono ad abitare intorno alle mura: e le -mura armarono di bertesche e di ventiere, e dentro -uno largo corridore di legname, e fornironlo -di pietre e di legname e di pali da gittare, e di -travi sopra i merli: e feciono a piè delle mura intorno -intorno molti fornelli con caldaie, per apparecchiare -acqua bollita per gittare sopra coloro -che combattessono: e apparecchiarono calcina viva -in polvere per gittare, e con ferma e aspra fronte -mostravano volere difendere la loro franchigia; -la qual cosa era degna di molta lode, se per antichi -e nuovi e continovi esempli, della loro cittadinesca -discordia non fosse contaminata. E addurandosi -di non volere prendere accordo col -comune di Firenze, soffersono il guasto di fuori -de’ loro campi; e vedendo i Fiorentini che più -s’adduravano, diliberarono che la terra si combattesse; -e per levare loro la speranza del contradio, -comandarono a messer Andrea Salamoncelli, -capitano e conestabile de’ cavalieri e de’ pedoni -che dentro v’erano a soldo del nostro -comune, che ne dovesse uscire, e così fu fatto; -per la qual cosa la nostra oste s’accrebbe, e a loro -mancò la speranza: e ordinati di fuori ponti e grilli, -e castella di legname e altri fornimenti da -combattere le mura, acciocchè con più sicurtà -si potesse intendere alla battaglia, cinsono di -buono steccato dall’uno battifolle all’altro. I -Pistolesi vedendo la disposizione de’ Fiorentini, -e pensando, eziandio che si difendessono, non poteano -bene rimanere, cominciarono più a temere. -In questo mezzo ambasciadori da Siena v’entrarono, -mandati dal loro comune per trovare accordo, -<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span> -e come che s’aoperassono conferendo colle -parti, manifesto fu che peggiorarono la condizione, -e inacerbirono gli animi e dentro e di fuori. -E dato il dì della battaglia, e da ogni parte -apparecchiata, i guelfi di Pistoia, ch’erano la -maggiore forza della città, s’accolsono insieme -con pochi ghibellini, ed essendo al consiglio, ricercarono -con l’animo più riposato il pericolo a -che si conducevano, per contrastare a’ padri loro, il -comune di Firenze, la guardia loro e della città, -la quale doveano con istanza domandare a’ Fiorentini -che la prendessono, volendo mantenere -la città a parte guelfa, e in più sicuro e pacifico -stato che non erano. E così parlato, misono il -partito a segreto squittino, e vinsero che la guardia -della città fosse messa liberamente nel comune -di Firenze, e che dentro vi mettesse gente e -capitano alla guardia quanto al detto comune -piacesse; e che dentro alla città in su le mura si -facesse un castello alle spese de’ Fiorentini, per -più sicura guardia, e che oltre a ciò avessono la -guardia di Seravalle e quella della Sambuca. E -messi dentro de’ cittadini di Firenze in quel dì, -ogni cosa di grande concordia si recò in buona -pace; e dentro vi misono il capitano e’ cavalieri -e’ pedoni che i nostri cittadini vollono, e presono -la tenuta, e ordinarono la guardia di Seravalle: e -per fretta e mala provvidenza indugiarono di -mandare per la tenuta della Sambuca nel passo -dell’alpe, la quale quando poi vollono, senza difetto -de’ Pistolesi, non poterono avere: onde poi -ne seguì cagione di grande pericolo a’ Pistoiesi e -al nostro comune, come leggendo per innanzi si -<span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span> -potrà trovare. Fatta la detta concordia, i Fiorentini -levarono il campo e arsono i battifolli, e ordinatamente -con gran festa tornò tutta la bene -avventurata oste nella nostra città, all’uscita -d’aprile, gli anni di Cristo 1351. E pochi dì appresso -vi mandò il comune di Firenze de’ suoi -grandi cittadini con pieno mandato, i quali riformassono -al piacere de’ cittadini di Pistoia lo -stato e il reggimento di quello comune; e rimisonvi -messer Ricciardo Cancellieri e’ suoi, con pace -de’ Panciatichi, fortificata e ferma con più -matrimoni dall’una famiglia all’altra. -</p> - -<h3 id="cap98-1">CAP. XCVIII. -<span class="smaller"><i>Come il re d’Inghilterra sconfisse in mare -gli Spagnuoli.</i></span></h3> - -<p> -Nel tempo delle tregue del re di Francia e di -quello d’Inghilterra, gli Spagnuoli, i quali usavano -colle loro cocche e navili di navicare il mare -di Fiandra, cominciarono a danneggiare i navili -d’Inghilterra, e a rubare in corso le loro mercatanzie; -e seguitando con più forza la loro guerra, -per più riprese feciono agl’Inghilesi onta e danno -assai. Il re d’Inghilterra non potè dissimulare -questa ingiuria, che senza cagione di guerra gli -Spagnuoli gli aveano fatta, e però accolse suo -navilio, e in persona con due suoi figliuoli assai -giovani si mise in mare per andare in Spagna. -Il re di Castella che sentì l’armata del re d’Inghilterra, -fece suo sforzo d’armare molte navi, -e abboccaronsi coll’armata d’Inghilterra nella -<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span> -vicinanza delle loro marine, e commisono aspra -e fiera battaglia, della quale il re d’Inghilterra -ebbe la vittoria, con grande danno degli Spagnuoli -e delle loro navi. E fatta la sua vendetta, con -piena vittoria si tornò in Inghilterra. E qui finisce -il nostro primo libro, anni di Cristo 1351. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span> -</p> - -<h2>LIBRO SECONDO</h2> - -<h3 id="cap1-2">CAPITOLO PRIMO -<span class="smaller"><i>Prolago.</i></span></h3> -</div> - -<p> -Perocchè anticamente gl’infedeli e i pagani e -le barbare nazioni, compiacendosi alla reverenza -delle virtù morali, i cominciamenti della guerra -alle ragioni della giustizia congiugneano, non -senza debita ammirazione ne’ nostri tempi, ne’ -quali i cristiani, non solamente dalle morali, ma -dalle virtù divine ammaestrati nella perfetta fede -di Cristo nostro redentore, molti trapassano -con disordinato appetito la via eguale della vera -giustizia, e seguitando la sfrenata volontà della tirannesca -ambizione, non colle debite ragioni, -ma con perverse cagioni, con subiti e sprovveduti -assalti gli sprovveduti popoli assaliscono, le -città e le terre, confidandosi nella loro quiete, per -furti, per tradimenti, e per inganni rapiscono, -sforzandosi con ogni generazione d’inganni quelle -soggiogare, e sottomettere al giogo della loro -tirannia; e non meno la cristianità, che le infedeli -nazioni, di queste malizie e inganni spesso -si conturba. E avvegnachè queste cose senza vergogna -de’ laici secolari raccontare non si possono, -<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span> -ne’ cherici, e massimamente ne’ prelati, i quali, invece -di Cristo fatti spirituali pastori della sua -greggia, diventando rapaci lupi, nelle predette -cose sono con ogni abominazione da detestare. -E però venendo al cominciamento del secondo -libro del nostro trattato, diverse e varie cagioni -di questa materia prima ci s’apparecchiano, vinti -da onesta necessità, la verità del fatto, con seguire -nostra materia, racconteremo. -</p> - -<h3 id="cap2-2">CAP. II. -<span class="smaller"><i>Come il comune di Firenze usava la pace -coll’arcivescovo di Milano.</i></span></h3> - -<p> -I Fiorentini avendo per gelosia presa la guardia -del castello di Prato e della città di Pistoia, -usciti della paura di quelle, si stavano in pace, -riputandosi essere in amistà dell’arcivescovo -di Milano, perocchè guerra non v’era, e contro a -sua impresa i Fiorentini non s’erano voluti travagliare. -Con Bologna tenea le strade e i cammini -aperti, e le mercatanzie d’ogni parte andavano -e venivano sicure. E spesso il tiranno scrivea -al comune de’ suoi onori e de’ singulari servigi, -come accade ad amici, e il comune a lui, come a -reverente signore e caro amico. E con folle ignoranza -stava il nostro comune senza sospetto, e per -non dare materia di sospetto al vicino tiranno, -si guardava di fornirsi di capitano di guerra e di -gente d’arme, e appena aveano fornite di guardie -le loro castella. Il tiranno, ch’avea fatta la lega -con gli altri tiranni d’Italia e con tutti i -<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span> -ghibellini, si venia fornendo di gente d’arme al -suo soldo a piè e a cavallo, e vegghiava al continovo -contro al nostro comune nella conceputa -malizia, attendendo il tempo che a ciò avea divisato. -E in questo mezzo carezzava con doni e -con servigi i suoi vicini tiranni, per averli più -pronti al suo servigio al tempo del bisogno. E si -pensava, che ingannando i Fiorentini, e venendo -della città al suo intendimento, essere appresso -al tutto signore d’Italia. E i rettori della città -di Firenze avendo a’ suoi confini il tiranno potente, -viveano improvvisi, sotto confidenza degna -di biasimo e di grave punizione. Ma così avviene -spesso alla nostra città: perocchè ogni vile -artefice della comunanza vuole pervenire al -grado del priorato e de’ maggiori ufici del comune, -ove s’hanno a provvedere le grandi e gravi -cose di quello, e per forza delle loro capitudini -vi pervengono; e così gli altri cittadini di -leggiere intendimento e di novella cittadinanza, -i quali per grande procaccio, e doni e spesa si -fanno a’ temporali di tre in tre anni agli squittini -del comune insaccare: è questa tanta moltitudine, -che i buoni e gli antichi, e’ savi e discreti -cittadini di rado possono provvedere a’ fatti del comune, -e in niuno tempo patrocinare quelli, che -è cosa molto strana dall’antico governamento -de’ nostri antecessori, e dalla loro sollecita provvisione. -E per questo avviene, che in fretta e in -furia spesso conviene che si soccorra il nostro comune, -e che più l’antico ordine, e il gran fascio -della nostra comunanza, e la fortuna, governi e -regga la città di Firenze, che il senno o la provvidenza -<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span> -de’ suoi rettori. Catuno intende i due mesi -c’ha a stare al sommo uficio al comodo della sua -utilità, a servire gli amici, o a diservire i nimici -col favore del comune, e non lasciano usare -libertà di consiglio a’ cittadini: e questo è spesso -cagione di vergogna e di grave danno del nostro -comune, ricevuto da’ suoi minori e impotenti -vicini. -</p> - -<h3 id="cap3-2">CAP. III. -<span class="smaller"><i>Come l’arcivescovo di Milano appuose -tradimento e condannò messer Iacopo -Peppoli.</i></span></h3> - -<p> -Era in questo tempo rimaso in Bologna messer -Iacopo de’ Peppoli, il quale fu traditore con messer -Giovanni suo fratello della propria patria, -vendendo la città e i suoi cittadini all’arcivescovo, -come detto abbiamo, al quale la sua malizia, e -il commesso peccato, tosto apparecchiò alcuna penitenza -alle sue male operazioni. Che trattando -egli con certi tiranni lombardi di fare rivolgere -la città di Bologna, l’arcivescovo, o vero o bugia -che fosse, sentì che trattato si tenea per lui e per -alcuni altri cittadini di Bologna: e la boce corse -che trattavano co’ Fiorentini: e questo non ebbe -sostanza alcuna di verità. Il tiranno avea voglia -di trarlo di Bologna, sicchè ogni lieve ragionamento -o materia gli fu assai: e però di presente -fece prendere lui e’ figliuoli e alcuni altri -cittadini, e condannati gli altri a morte, messer Iacopo -per grande servigio condannato a perpetua -<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span> -carcere, e pubblicati i suoi beni alla sua camera, -come di traditore, e tolsegli i danari che gli restavano -della vendita di Bologna, e le castella che -dato gli avea, e il proprio patrimonio: e fattolo -venire co’ figliuoli a Milano, incarcerò lui nel castello -di... e i figliuoli a Cremona. L’altro -fratello che a quello tempo era in Milano non involse -in questa sentenza, il quale dissimulando -suo dolore rimase in Milano in lieve stato, per -passare il tempo alla provvigione del signore, con -amaro cuore. Assai tosto ha fatto manifesto qui il -divino giudicio la miseria a che sono condotti i -traditori della loro patria, i quali per disperato -consiglio, i cittadini i quali gli aveano con grande -onore esaltati e fatti signori sottopuosono per avarizia -al giogo del crudele tiranno: e ora spogliati -de’ propri beni, e privati d’ogni amore de’ loro -cittadini, in calamitosa prigione danno esemplo -agli altri di più intera fede a’ loro comuni. -</p> - -<h3 id="cap4-2">CAP. IV. -<span class="smaller"><i>Come l’arcivescovo fermò d’assalire improvviso -la città di Firenze.</i></span></h3> - -<p> -Nel mese di luglio del detto anno, l’arcivescovo -di Milano, avendo purgato di sospetto la città -di Bologna, per la morte d’alquanti cittadini -e per l’incarcerazione di messer Iacopo de’ Peppoli -e de’ figliuoli, e accolti e fatti accogliere quasi -tutti i soldati oltramontani d’Italia, parendoli -venuto il tempo di scoprire a’ suoi collegati -ghibellini d’Italia la sua intenzione, ebbe in -<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span> -Milano i caporali di parte ghibellina d’Italia, -e conferì con loro di volere sottomettersi il comune -di Firenze, e con molte ragioni dimostrò -com’era venuto il tempo da poterlo fare col -loro aiuto: e ciò fatto, era spento in Italia il nome -di parte guelfa. La proposta fu in piacere di -tutti. Eranvi caporali, oltre a’ Lombardi, gli -Ubaldini, i figliuoli di Castruccio Interminelli -e messer Francesco Castracani da Lucca, messer -Carlino di Pistoia e’ suoi, il conte Nolfo d’Urbino, -i conti di Santafiore e il conte Guglielmo -Spadalunga, e de’ ribelli del comune di Firenze -alquanti di quelli da Cigliano, e messer -Tassino e il fratello discesi della casa de’ Donati. -E non volendosi scoprire d’esservi in persona -i Tarlati d’Arezzo, il vescovo co’ suoi Ubertini, -e’ Pazzi di Valdarno, e il conte Tano da Montecarelli, -ch’erano allora in pace e in amore col comune -di Firenze, in segreto vi mandarono catuno -segreti ambasciadori con pieno mandato. I quali -tutti udita l’intenzione del potente tiranno furono -molto allegri, e confortarono l’arcivescovo -dell’impresa: aggiugnendo che sentivano i -cittadini di Firenze in tanta discordia per le loro -sette, e per lo male contentamento del reggimento -della città, e Arezzo e Pistoia in sì male -stato, che se la sua potenza improvviso a quelli -comuni col loro aiuto si stenderà sopra loro, non -vedeano che di tutto in breve tempo e’ non fosse -signore: e la signoria di Firenze il facea signore -d’Italia. E così d’un animo rimasono in accordo -col tiranno di fare l’impresa ordinata; -e data la fede della loro credenza e di loro -<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span> -aiuto, con grandi promesse lieti si ritornarono -in loro contrade, e intesono d’apparecchiarsi di -cavalli e d’arme al loro podere. L’ordine fu -preso, che quando l’oste dell’arcivescovo fosse -sopra i Fiorentini, che gli Ubaldini co’ Romagnuoli -assalissono nel’alpe, e i Tarlati Ubertini -e Pazzi si rubellassono e assalissono il -Valdarno: e il conte Tano da Montecarelli -movesse guerra in Mugello. A’ Pisani intendea -l’arcivescovo co’ suoi confidenti ambasciadori -fare rompere pace a’ Fiorentini, e muovere guerra -dalla loro parte: cercando muoverli con sue -coperte suasioni, non dimostrando il perchè, in -suo aiuto. Ma i Pisani accorgendosi del fatto, -nutricavano il tiranno con parole di speranza, e -mandarono a lui loro ambasciadori per potere sentire -più il vero da che movea quella inchiesta, e -per avere più tempo a deliberare. E questo avvenne, -perocchè allora la città di Pisa signoreggiava -per li Gambacorti, uomini mercatanti e amici -de’ Fiorentini. Ma i governatori del comune -di Firenze, addormentati e fuori della mente, non -procuravano di sentire queste cose, e quello che -sentivano mettevano al non calere, e provvisione -alla loro guardia non faceano, sentendo che -molta gente d’arme s’accogliea in Lombardia, -e che Lombardia non era in guerra, ma in lega -coll’arcivescovo di Milano. I quali rettori del -nostro comune non erano degni di governare il -fascio di tanta città, ma di grandi pene delle loro -persone, commettendo contro al loro comune -pericolo d’irreparabile fallo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_176">[176]</span> -</p> - -<h3 id="cap5-2">CAP. V. -<span class="smaller"><i>Come si mise in ordine il consiglio preso.</i></span></h3> - -<p> -L’arcivescovo di Milano, la gente d’arme che -avea in diverse parti in Lombardia, in pochi dì -la fece venire a Bologna: e fatto capitano messer -Giovanni de’ Visconti da Oleggio, il quale per fama -si tenea essere suo figliuolo, per addietro capitano -de’ Pisani, e prigione de’ Fiorentini nella -battaglia che feciono per soccorrere Lucca alla -Ghiaia, animoso contro a’ Fiorentini, singularmente -per quell’onta, uomo di grande animo, e accompagnato -da’ caporali ghibellini lombardi toscani -e marchigiani, maestrevoli conducitori di -guerra, si pensò prosperamente fornire la commissione -a lui fatta per lo suo signore. Il castello -della Sambuca, nel passo della montagna tra -Bologna e Pistoia, era allora per difetto de’ Fiorentini -nelle sue mani, al quale avea di vittuaglia -per l’oste grande apparecchiamento; e di -questo non s’erano accorti i Fiorentini: e così -provveduto, subitamente a dì 28 del mese di luglio, -gli anni <i>Domini</i> 1351, mosse colla sua oste -da Bologna, e prima fu valicato la Sambuca, e -accampatosi presso a Pistoia a quattro miglia, per -attendere il rimanente del suo esercito, che i -Fiorentini sapessono alcuna cosa, o che avessono -avuto pensiero che la forza del tiranno si stendesse -sopra loro: ma sentendo questo, subitamente, -in que’ due dì ch’e’ nimici attesono la loro -gente, i Fiorentini misono gente d’arme a piè -<span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span> -e a cavallo in Pistoia, sicchè dentro vi si trovò alla -guardia da cinquecento cavalieri e seicento fanti -alla venuta dell’oste, messer Giovanni raunata -tutta la sua oste e la vittuaglia, a dì 30 di luglio -predetto si strinse alla città di Pistoia, credendolasi -avere per vane promesse, ma non essendogli -risposto come s’avvisava, vi si strinse e -posevisi ad assedio. La gente de’ Fiorentini che -dentro v’era, faceano di dì e di notte sofficiente -e buona guardia, e per questo, se trattato niuno -v’era non s’ardì a scoprire, ma tutti i cittadini -colla gente de’ Fiorentini insieme attesono -alla difesa della città. -</p> - -<h3 id="cap6-2">CAP. VI. -<span class="smaller"><i>Come gli Ubaldini arsono Firenzuola, e presono -Montecolloreto.</i></span></h3> - -<p> -Gli Ubaldini, ch’erano in pace col comune -di Firenze, sentendo l’oste dell’arcivescovo sopra -Pistoia, avendo fatto loro sforzo, e avuto -cavalieri del tiranno, improvviso a’ Fiorentini -apparirono nell’alpe, e corsono a Firenzuola, -che si redificava pe’ Fiorentini, ma non era ancora -cinta di mura, nè di fossi nè di steccati, -ma incominciata, e dentro v’erano capanne per -alberghi, e lieve guardia per tener sicuro il cammino, -sicchè senza contrasto la presono e arsono: -e andaronsene a oste a Montecolloreto, nel -quale era castellano per lo comune di Firenze -uno popolano de’ Ciuriani di Firenze, giovane -poco scorto degl’inganni delle guerre. Costui -<span class="pagenum" id="Page_178">[178]</span> -vedendosi assediato, e dando fede alle parole de’ -nimici, i quali diceano come Firenze era per arrendersi -al signore di Milano, si condusse mattamente -a patteggiar con loro: che se in fra ’l -terzo dì non fosse soccorso, darebbe la rocca: e -per istadico diede un suo fratello. I Fiorentini ch’aveano -l’animo a guardare quella fortezza, cercarono -di soccorrerla, e trovato uno conestabile valente -con venticinque masnadieri, promise d’entrare -innanzi al termine nel castello; e di presente -si mise in cammino: e tanto procacciò per -suo ingegno e virtù, che innanzi il termine fu nel -castello, ma non potè entrare nella mastra fortezza, -che si guardava per lo castellano, e ’l castellano -avendo questo soccorso si potea difendere per lungo -tempo da tutta la forza ch’avessono potuta fare -gli Ubaldini, perocchè il luogo era fortissimo e -bene fornito: ma essendo (come egli follemente -avea messo il fratello nelle mani de’ nimici, i -quali minacciavano d’impiccarlo se non rendesse -la rocca) vinto dall’amore della carne, -non volle ricevere il soccorso, anzi diede la rocca -a’ nimici. E salvate le persone da’ nimici, condotto -a Firenze, e giudicato traditore del comune, -per la sua dicollazione e di due suoi compagni -diede esemplo agli altri castellani di più intera -fede al loro comune. I mallevadori che dati -avea di rassegnare la rocca al comune convenne -che pagassono lire ottomila com’erano obbligati. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span> -</p> - -<h3 id="cap7-2">CAP. VII. -<span class="smaller"><i>Come gli Ubertini, e’ Tarlati, e i Pazzi -assalirono il contado di Firenze.</i></span></h3> - -<p> -Messer Piero Sacconi co’ suoi Tarlati usciti -d’Arezzo, e il vescovo d’Arezzo degli Ubertini -co’ suoi consorti, e Bustaccio co’ Pazzi di Valdarno, -per lungo tempo stati in pace e in protezione -col comune di Firenze, sentendo l’avvenimento -di messer Giovanni Visconti da Oleggio con -grande forza d’arme sopra Pistoia, si ragunarono -con tutto loro sforzo di gente d’arme a piè e -a cavallo a Bibbiena; e dall’arcivescovo aveano -avuto dugentocinquanta barbute, acciocchè potessono -fare maggiore guerra. Di presente, improvviso -a’ Fiorentini, cominciarono a cavalcare -sopra loro, e sopra i conti Guidi, amici e fedeli -del comune di Firenze, e oggi correvano in una -contrada e domane in un’altra, uccidendo e predando, -e facendo aspra guerra. I Fiorentini vedendo -d’ogni parte le subite e sprovvedute tempeste -venire sopra loro, e sentendo gli amici diventati -nimici, ebbono paura non piccola, mescolata -di grande sospetto, e i provveduti rettori del -comune non sapeano che si fare. E così era la -città di forza e di consiglio spaventata, e molto -piena di paura e di sospetto per modo, che non -veggendo nè per atto nè per consiglio alcuna cagione -di sospetto cittadinesco, non si fidava l’uno -del’altro, e non si provvedea al comune riparo -per via di consiglio in que’ primi cominciamenti. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span> -</p> - -<h3 id="cap8-2">CAP. VIII. -<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini mandaro ambasciadori -al capitano dell’oste.</i></span></h3> - -<p> -Vedendosi i Fiorentini con tanta forza e da -cotante parti assalire dal signore di Milano, -senza avere con lui alcuna guerra o conturbagione -di pace, elessono alquanti cittadini, e mandaronli -ambasciadori nel campo a messer Giovanni -da Oleggio, capitano dell’oste sopra a Pistoia, -i quali essendo giunti nel campo, furono -ricevuti dal capitano assai cortesemente. E secondo -la commissione a loro fatta da’ priori e -da’ collegi del nostro comune, domandarono messer -Giovanni, con ciò fosse cosa che tra l’arcivescovo -suo signore e ’l comune di Firenze fosse -pace e niuno sospetto di guerra, perchè venuto -era ostilmente come contra suoi nimici sopra il -comune di Firenze, non avendo prima annunziato -al comune la sua guerra secondo i patti -della pace, salvo che per una breve lettera, mandata -per lui poichè fu sopra Pistoia: la quale senza -precedente cagione di nostro fallo, disse: <i>non avete -voi voluto osservare la pace, e però vi facciamo -la guerra</i>: la quale non era nè onesta nè -debita cagione; e però siamo mandati dal nostro -comune a sapere la verità di questo movimento. -Udito il capitano la loro ambasciata, raccolse -il suo consiglio, e appresso rispose altieramente -in questo modo. Il nostro signore, messer -l’arcivescovo di Milano, è potente, benigno e grazioso -<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span> -signore, e non fa volentieri male ad alcuna -gente, anzi mette pace e accordo in ogni luogo -ove la sua potenza si stende; è amatore di giustizia, -e sopra gli altri signori la difende e mantiene: -e qui non ci ha mandati per mal fare, ma -per volere tutta la Toscana riducere e mettere -in accordo e in pace, e levare le divisoni e le -gravezze che sono tra’ popoli e’ comuni di questi -paesi. E perchè a lui è pervenuto e sente le divisioni -discordie e sette, e le gravezze che sono -in Firenze, le quali conturbano e aggravano la -vostra città e tutti i comuni di Toscana, ci ha -mandati qui affinchè voi vi governiate e reggiate -in pace e in giustizia per lo suo consiglio, e -sotto la sua protezione e guardia; e così intende -volere addirizzare tutte le terre di Toscana. E -dove questo non si possa fare con dolcezza e con amore, -intende farlo colla forza della sua potenza -e degli amici suoi. E a noi ha commesso, ove -per voi non si ubbidisca al suo buono e giusto -proponimento, che mettiamo la sua oste in sulle -vostre porti e intorno alla vostra città, e che ivi -tanto manterrà quella, accrescendola e fortificandola, -continuamente combattendo d’ogni parte -il contado e il distretto del vostro comune col -fuoco e col ferro, e colle prede de’ vostri beni, -che tornerete per vostro bene alla volontà sua. -Udendo gli ambasciadori la superba risposta del -capitano e del suo consiglio, non parve che luogo -e tempo fosse di quivi stendere più loro sermone: -e però domandarono sicurtà fino a Bologna per -potere andare al signore di Milano, come aveano -in commissione dal loro comune, la quale il capitano -<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span> -non volle dare. E però si tornarono a Firenze, -e spuosono a’ signori e al consiglio quello -ch’aveano avuto dal capitano dell’oste per risposta -della loro ambasciata, per la quale l’animo -de’ cittadini di Firenze crebbe più in disdegno -che in paura. -</p> - -<h3 id="cap9-2">CAP. IX. -<span class="smaller"><i>Come l’oste si levò da Pistoia e puosesi -a Campi.</i></span></h3> - -<p> -Essendo stata l’oste del tiranno otto dì sopra -la città di Pistoia, e mancata la speranza -d’avere la terra, per la buona guardia e sollecita -che ’l dì e la notte vi faceano i Fiorentini: e il -somigliante di Prato, nelle quali terre erano le -tre parti della gente d’arme che allora aveano i -Fiorentini, essendo la città di Firenze quasi -rimasa senza aiuto di soldati forestieri, e non -avendo capitano di guerra: messer Giovanni da -Oleggio col consiglio de’ caporali ghibellini -ch’avea con seco, i quali stavano solleciti a sentire -il fatto del nostro comune, e sentivano essere -dentro grande sospetto e poco consiglio, e minore -forza d’arme che in Pistoia e in Prato, con -molte verisimili suasioni mossono il capitano subitamente -a stringersi sopra Firenze colla sua oste: -il quale essendo uomo di grande ardire, e animoso -contro a’ Fiorentini, sentendosi accompagnato -da molti buoni capitani di guerra, e da -cinquemila barbute, e da duemila altri cavalieri, -e seimila masnadieri a piede, non bene provveduto -<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span> -di vittuaglia, sperando nel contado di Firenze -farsene abbondevole, come mostrato gli era, a -dì 4 d’agosto del detto anno subitamente levò il -campo da Pistoia, e per la strada dritta e piana -senza arresto valicata la terra di Prato, condusse -la sua oste in sull’ora del vespero a Campi, -Brozzi e Peretola, improvviso, non che a’ Fiorentini, -ma agli uomini di quelle ville e contrade, -per la qual cosa non poterono campare alcuna -cosa, fuori che le persone, e di quelle vi -rimasono assai. Il capitano per non conducersi al -tardi, e perchè il luogo era albergato e pieno d’ogni -bene, fermò il campo a Campi. Della villa di -Campi e d’altre d’intorno raccolsono grano e -biada e carnagione assai, e molte masserizie e letta -de’ paesani: e intesono a starsi ad agio e a rinfrescare -la gente di vivanda, della quale intorno -a Pistoia aveano avuto disagio. E dato l’ordine -al campo di buona guardia di dì e di notte, -provviddono che ogni cavalcata che si facesse verso -la città di Firenze avesse riscossa di mille cavalieri -il meno. E incontanente cominciarono a -cavalcare per lo piano, prendendo e raccogliendo -il bestiame e la roba che rimasa v’era senza -trovare riparo, e alcuna volta si stesono infino -alle mura della città di Firenze. I Fiorentini sentendo -questa subita venuta dell’oste sopra la città, -e la baldanza presa d’aversi lasciato dietro -Pistoia e Prato, sbigottirono disordinatamente, -non trovandosi forniti nè provveduti al riparo. -E i rettori del comune per lo fallo commesso -dell’abbandonata provvisione non sapeano che -si fare; e molto temeano che fossono venuti così -<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span> -baldanzosi a istanza de’ loro cittadini d’entro. E -in questa contumacia e sospetto si stette insino -che manifesto apparve per l’operazione de’ cittadini -grandi e popolani grassi, che catuno era in -fede al suo comune: e levata la nebbia che teneva -intenebrata la mente del popolo e del comune, -presono più ardire, e feciono trarre fuori i -gonfaloni, e andarono coll’arme alle porti, e fecionle -serrare di verso la parte d’ond’erano i -nimici; e ordinarono guardie di buoni cittadini, -facendo il dì e la notte fare buona guardia. E -armarono le mura di ventiere, e le più deboli -parti feciono afforzare per difendere la città, che -di mettere gente in campo a quell’ora non aveano -podere. -</p> - -<h3 id="cap10-2">CAP. X. -<span class="smaller"><i>Come l’oste ebbe gran difetti a Campi -e a Calenzano.</i></span></h3> - -<p> -Avvenne, che stando l’oste a Campi, per mala -provvisione, tutto il bestiame ch’avrebbe dato con -ordine lungamente carne all’oste, in pochi dì -si straziò e consumò. E in quello tempo era sformato -caldo e secco grande, e tutte mulina di -quelle contrade erano state sferrate e guaste; per -la qual cosa, benchè l’oste avesse del grano, non -potea fare farine, ed erano in grande soffratta di -sale. E la vittuaglia di quel piano cominciò a -mancare, e quella che venia da Bologna per scorta -era spesso in preda de’ cavalieri ch’erano in -Pistoia. E per questo avvenne, che in pochi dì -<span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span> -all’oste mancò il pane e il sale: e non aveano -che manicare, se non carne, e di quella poca, e cocevanla -col grano, che farina non aveano. Da niuna -parte del contado di Firenze aveano mercato, -e cavalcate non poteano stendere in parte onde -recare potessono fornimento al campo, perocchè -tutte le circustanze aveano sgombrato e ridotto -nella città. Onde cominciarono a sentire fame, -e il caldo li consumava e affliggeva forte i corpi -degli uomini; e il maggiore sussidio ch’avessono -era l’agresto e le frutta non mature: e poco -tempo v’aveano a stare, che senza essere contastati -da’ Fiorentini veniano in ultima disperazione. I -loro capitani e conducitori vedendosi a questo -pericolo, diedono voce di volersi strignere alla -città, e per forza valicare nel piano di san Salvi. -I Fiorentini temettono di questo: e non trovandosi -gente d’arme da potere contradiare il passo -a’ nimici, feciono una tagliata dal ponte della porta -a san Gallo infino alla costa di Montughi: e ivi misono -molti balestrieri e popolo alla guardia, con -ordine di soccorso se bisogno fosse. L’altra voce -diedono di tornarsene per lo piano d’ond’erano -venuti verso Pistoia; i Pistolesi per questa tema -ruppono i passi, e abbarrarono i cammini con -fossi e con alberi. E per questo i Fiorentini più -temeano che non valicassono nel piano di san -Salvi, e per questa cagione afforzarono di bertesche -e di steccati la rocca di Fiesole, e fecionla -guardare; e nondimeno tutto il contado da lunge -e d’appresso feciono sgombrare da quella parte. -I capitani dell’oste vedendosi a cotanto disagio, -non ardirono di strignersi più alla città, anzi levarono -<span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span> -il campo, a dì 11 d’agosto del detto anno, e -traendosi addietro si puosono a Calenzano. I Fiorentini -stimando che se n’andassono, sonarono -le campane del comune a stormo; e il popolo -volonteroso a cacciare chi fuggisse s’armò, e alquanti -mattamente senza ordine e senza capitano -uscirono della città: ma sentendo che i -nimici non fuggivano, tosto ritornarono dentro -dalle mura. Ma di questo nacque la voce per lo -contado e scorse per tutto, che se n’andavano -per la Valdimarina; e di stormo in stormo si -mossono i contadini senza ordine o comandamento -del comune, e occuparono le montagne -sopra la Valdimarina d’ogni parte, e furono loro -tanto innanzi all’ora del vespero, che forte feciono -temere e maravigliare i nimici, ch’aveano -intenzione di valicare nel Mugello per quella -via. Come i capitani ebbono fermo il loro campo -sotto Calenzano in sulla Marina, feciono combattere -la pieve e certa fortezza ov’era raccolta la -vittuaglia de’ paesani, e presonle a patti, salve -le persone: e anche presono il castello di Calenzano, -che non era murato nè difeso, e in questa -tenuta trovarono alcuno rinfrescamento. Fino -a quell’ora non aveano fatta alcuna arsione: -stando ivi, uno grande conestabile tedesco si -stese a Pizzidimonte, e fuvvi morto da’ villani; -e per questa cagione vi cavalcarono e arsonlo, -e appresso alcuna altra villa intorno a Calenzano. -E feciono provvedere i passi per valicare in -Mugello, ch’ogni altro viaggio era loro, in stremità -del pane, più pericoloso a pigliare. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span> -</p> - -<h3 id="cap11-2">CAP. XI. -<span class="smaller"><i>Come i rettori di Firenze abbandonarono -il passo di Valdimarina.</i></span></h3> - -<p> -La necessità delle cose da vivere, l’un dì appresso -l’altro già tornata in fame, strignea l’oste -del Biscione, che così si chiamava allora, a -partirsi del piano, ove senza speranza di potersi -allargare, di pane erano affamati. I cittadini -di Firenze, a cui era commessa la provvisione -della guerra, ch’erano oltre a’ priori e a’ collegi -diciotto tra grandi e popolani, sapeano bene il -difetto ch’aveano i nemici, ma non aveano capitano, -e da loro non sapeano la maestria della -guerra, conobbono per lo comune grido, che agevole -era a tenere loro il passo che non entrassono -nel Mugello per la Valdimarina, che per -natura il luogo era stretto, e’ passi aspri e forti, -da tenergli poca gente con loro sicurtà da tutta -l’oste: e vidono manifesto, che dove questa via -s’impedisse loro, convenia che si partissono, -tornando addietro da Pistoia sconciamente. Ma -la tema della boce che non passassono a san Salvi, -ch’era quasi impossibile, fece al comune -non riparare a quel passo. Ma un gentile scudiere -alamanno, il quale in quel tempo per lo comune -era capitano in Mugello, da se medesimo -commise a uno della casa de’ Medici, il quale -era in sua compagnia, ch’andasse a provvedere -al passo, e diegli dugento fanti e cinquanta cavalieri. -La commissione fu debole a cotanto fatto: -<span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span> -nondimeno se il cittadino fosse stato valoroso, e -avesse voluto acquistare onore, molto agevole gli -era a guardare quel passo, perocchè i Mugellesi -sentendo che il capitano mandava a guardare -quel passo, con grande animo di ben fare trassono -da ogni parte allo stretto ov’era venuto -il provveditore. Ed essendo nel luogo, viddono che -il passo si difendea senza dubbio, a grande sicurtà -de’ difenditori, per la fortezza naturale di -quelle valli, onde conveniva l’oste de’ nemici valicare -a piede, e uomo innanzi uomo, che a cavallo -insieme non v’era modo da poter valicare. Ma il -cittadino deputato a quel servigio disse a’ Mugellesi -che gli conveniva essere altrove, e quivi per -niuno modo si potea ritenere. Onde i Mugellesi -ch’erano tratti coraggiosi alla difesa, vedendo -come colui cui doveano avere per capitano a quella -guardia si partiva, perderono ogni vigore: e -partito il capitano, tornarono a casa, e cominciarono -a fuggire il loro bestiame, e le loro famiglie -e masserizie, maledicendo il comune di Firenze -e’ suoi governatori, con giusta cagione della loro -fortuna. -</p> - -<h3 id="cap12-2">CAP. XII. -<span class="smaller"><i>Come l’oste del Biscione valicò il passo, -e andò in Mugello.</i></span></h3> - -<p> -I capitani dell’oste che si vedeano in gran -bisogno d’uscire del luogo dov’erano stretti dalla -fame, seppono di presente come il passo era -abbandonato da’ Mugellesi, e però incontanente -<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span> -mandarono innanzi masnadieri eletti, e buoni -balestrieri a prendere il passo: e senza arresto -levarono il campo, a dì 12 d’agosto del detto -anno, e misonsi loro appresso. In sul passo erano -rimasi alquanti fanti del paese, i quali di -loro volontà attesono i masnadieri de’ nemici; e -alle mani con loro, li ributtarono indietro. Ma -vedendosi pochi e senza soccorso, e vedendo i -nemici che riempieano le coste de’ poggi e le -valli d’ogni parte, abbandonarono il passo, e i -nemici di presente il presono, e l’oste senza -contrasto o pericolo valicò, facendosi grandi beffe -del comune di Firenze, parendo a catuno di -servo essere divenuto signore. E pensando alla -viltà ch’avevano trovata ne’ Fiorentini, a non -avere fatto tenere e difendere quel passo, e al -poco provvedimento che mostravano ne’ fatti -della guerra, crebbe la loro superbia. E poichè -si viddono essere valicati senza contrasto nel piano -di Mugello, presono fidanza d’essere signori -di tutto il paese senza contrasto, e quel dì medesimo -cavalcarono a Barberino, e a Villanuova. -Barberino era forte e bene fornito alla difesa, -e molta roba v’era dentro raccolta delle vicinanze, -ad intendimento di difendersi, tanto ch’avessono -soccorso da’ Fiorentini. Ma Niccolò da -Barberino, antico castellano e de’ nobili di quella -terra, avendo la fede corta al comune di Firenze, -se n’andò al capitano dell’oste, e senza -consiglio de’ suoi castellani, a suo vantaggio -trasse patto, e rendè il castello a’ nemici, e -misonvi la loro guardia, e la vittovaglia che v’era -fece dare all’oste. Villanuova, e Gagliano, e -<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span> -Latera, e altre terre circustanti, che non erano -di gran fortezza, nè guardate da gente d’arme -del comune di Firenze, feciono il comandamento -del capitano dell’oste, e dieronli il mercato. -Trovandosi la gente affamata in paese -largo e dovizioso e pieno d’ogni bene, soggiornarono -volontieri più dì, per prendere conforto -delle loro persone, e a’ loro animali, che tutti -n’avevano gran bisogno. Ma chi ha ne’ fatti -della guerra il tempo da avanzare, e per riposo -lo indugia, tardi il racquista; e così avvenne a -costoro per lo detto soggiorno, come appresso diviseremo. -</p> - -<h3 id="cap13-2">CAP. XIII. -<span class="smaller"><i>Come il conte di Montecarelli si rubellò a’ Fiorentini -e venne al capitano.</i></span></h3> - -<p> -Il conte Tano di Montecarelli rompendo la -pace ch’avea col comune di Firenze, essendo con -gli altri ghibellini collegato coll’arcivescovo, -avendo in prima per inganno, per mala provvedenza -del castellano, ritolta a’ Fiorentini la rocca -di Montevivagni, nella quale era a guardia -uno popolare figliuolo di Piero del Papa, il quale -fu però condannato per traditore, come sentì -l’oste del Biscione nel Mugello, fece suo sforzo -di cavalieri in piccolo numero, e in persona con -i suoi compagni a cavallo e con dugento fanti venne -nell’oste, e in Montecarelli mise la guardia -per l’arcivescovo e le sue insegne; e mentre -che l’oste stette in Mugello fu a nimicare il comune -<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span> -di Firenze, e a dare il mercato all’oste, e -ricetto in Montecarelli a’ nemici del comune. -</p> - -<h3 id="cap14-2">CAP. XIV. -<span class="smaller"><i>Come si fornì la Scarparia e il Borgo.</i></span></h3> - -<p> -Avvenne come l’oste del tiranno fu valicata -nel Mugello, e dilungata dalla città, a’ Fiorentini -parve al tutto essere fuori di sospetto, e ritornò -loro il vigore e la virtù dell’animo a consigliare -e a provvedere a’ rimedi. E in quello -stante che l’oste si riposava a Barberino, misono -nella Scarperia Iacopo di Fiore conestabile -tedesco, uomo leale e valoroso, il qual era -capitano del Mugello. A costui dierono dugento -cavalieri eletti di buona gente, e trecento masnadieri -esperti in arme, de’ quali quasi tutti -i conestabili furono Fiorentini, uomini di grande -pregio in fatti d’arme. E fornirono la terra -di molta vittuaglia, e d’arme, di balestra, e di saettamento, -e di lagname e di ferramenti, e di buoni -maestri da fare ogni dificio da offendere e da -difendere; e fornita d’ogni cosa bisognevole per -un anno, al detto capitano e conestabile accomandarono -la guardia e la difesa di quello castello. -E per simigliante modo e forma fornirono -il Borgo a san Lorenzo, e Pulicciano, e altre -fortezze. E mandarono armadure, saettamento e -balestra, e ammonirongli di buona guardia, confortandogli -che a ogni bisogno avrebbono aiuto -e soccorso presto dal comune. E gli uficiali deputati -alla provvigione di quella guerra si cominciarono -<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span> -a provvedere, e accogliere gente di -soldo a cavallo e a piè quanti avere ne poteano, -per attendere alla difesa. -</p> - -<h3 id="cap15-2">CAP. XV. -<span class="smaller"><i>Come l’oste assediò la Scarperia.</i></span></h3> - -<p> -Messer Giovanni da Oleggio capitano dell’oste, -e il Conte Nolfo da Urbino maliscalco, veduto -la gente rinfrescata, e presa forza e baldanza -per lo abbondante paese dove si trovarono, con -le spalle di Bologna, onde potevano avere prestamente -aiuto e favore quando bisogno fosse, -pensavano senza contrasto essere signori di tutto. -E con questa baldanza, a dì 20 del mese d’Agosto -del detto anno vennero colle schiere fatte -sopra il castello della Scarperia, e con loro s’aggiunsono -gli Ubaldini, ch’erano con tutto loro -sforzo nell’alpe, e più altri ghibellini nemici -del comune di Firenze. La Scarperia era a quell’ora -debole terra di piccolo compreso, e non -era murata se non dall’una delle parti, ma in -quello stare di Barberino, in molta fretta s’era rimesso -il fosso vecchio e trattone la terra, e innanzi -a quello fattone un’altro piccolo, e racconciato -lo steccato assai debole. I nimici vi furono -intorno con tanta moltitudine di cavalieri -e di pedoni, che copriano tutto il piano, e -avendo da ogni parte circondato il piccolo castello, -e fermi i campi loro, domandarono il castello -a coloro che ’l guardavano, dicendo come i -Fiorentini non lo potevano soccorrere nè difendere, -<span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span> -ma perocchè sentivano che dentro v’erano -di prod’uomini e virtudiosi d’arme, voleano -far loro grazia d’avergli per amici, dove rendessono -la terra senza contasto: e che quando -questo non facessono nel breve termine loro assegnato, -gli vincerebbono per battaglia, e la -vita non perdonerebbono ad alcuno: e così era -deliberato per lo capitano e per tutti i guidatori -dell’oste. Gli assediati risposono che voleano -termine a rispondere, e che dopo il termine farebbono -quello che la fortuna concedesse con -loro onore. Furono domandati da’ capitani quanto -termine voleano. Gli assediati risposono, che -con loro onore non vedeano che potesse essere -meno di tre anni: e dopo il detto termine intendeano -prima morire in su i merli, che di -quelli dessono uno a’ nimici: e di così franca risposta -molto feciono maravigliare i capitani -dell’oste, parendo che si mettessono a grande -pericolo a volere difendere così debole castello, -e da cotanta forza. E fatta la risposta, di presente -s’ordinarono e di dì e di notte a molta -sollecita guardia, e a buona e a franca difesa; e -cominciarono a regolare la vita di tutti, come -se l’oste vi dovesse stare due anni. I nimici -cominciarono prima ad assalirli con grossi badalucchi, -per tentare il loro reggimento, il quale -trovarono sollecito, e maestrevolmente provveduto -alla difesa. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span> -</p> - -<h3 id="cap16-2">CAP. XVI. -<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini afforzarono Spugnole.</i></span></h3> - -<p> -I Fiorentini ch’al continovo raccoglievano gente -d’arme a cavallo e a piè al loro soldo, e sollecitavano -gli amici d’aiuto, avendo già accolto -un poco di gente, deliberarono d’afforzare Spugnole -e Montegiovi per guardare le contrade di qua -da Sieve, e per dare alcuna speranza agli assediati -della Scarperia, e ivi misono de’ cavalieri ch’aveano, -e parecchie masnade di buoni e valorosi -masnadieri. E al Borgo a san Lorenzo crebbono -gente d’arme: e come crescea al comune gente -d’arme per soldo o per amistà gli mandavano -alle frontiere de’ nemici in Mugello. Onde avvenne -più volte, che per gli aguati da catuna -parte, e per le cavalcate de’ nimici v’ebbe -di belli e di grossi assalti, ove si mostrarono operazioni -di buoni cavalieri e di franchi masnadieri. -Per questo avvenne che i nemici non ardirono -a valicare la Sieve colle loro cavalcate inverso -Firenze. E tutte loro cavalcate di là da Sieve faceano -grosse di mille cavalieri, o di millecinquecento, -o di duemila per volta, e nondimeno -erano continuamente percossi alla ritratta, e assaliti -d’aguati che si metteano loro. E in questo -modo si venne domesticando la guerra, e gli uomini -del paese cominciarono a prendere cuore e -ardire, per modo che i villani si raccoglieano insieme -e nascondevansi a’ passi, e come i cavalieri -si stendevano alle ville gli uccidevano; e avvezzi -<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span> -a questo guadagno dell’arme e de’ cavalli, con -molta sollecitudine intendevano a tendere i loro -aguati in ogni luogo. E per questo modo uccisono -de’ nemici grande quantità nel tempo che -durò la detta guerra. -</p> - -<h3 id="cap17-2">CAP. XVII. -<span class="smaller"><i>Come si difese Pulicciano di grave battaglia.</i></span></h3> - -<p> -Al castello di Pulicciano furono condotti per -certi ghibellini della terra in una cavalcata cinquecento -cavalieri e quattrocento fanti, e non -essendo se non pochi terrazzani nella fortezza di -sopra, appena la difesono. I borghi di fuori arsono -e rubarono, e mandaronne il bestiame e la -preda nel campo. Sentito questo a Firenze, -subito vi mandò il comune cento fanti masnadieri -alla guardia: i quali vi furono tosto a gran -bisogno, perocchè quelli dell’oste per seducimento -di traditori del castello, e per conforto de’ -soldati ch’erano stati in quella cavalcata, si -pensarono vincere la fortezza, che non era chiusa -di mura, ma da uno vile steccato, e avendo quella, -signoreggerebbono un paese forte e pieno d’ogni -bene da vivere: e però una mattina per tempo -vi feciono cavalcare duemila barbute, e mille -fanti e più balestrieri. E giunti a piè del castello, -i cavalieri scesono de’ cavalli, e con gli elmi e -colle barbute in testa si legarono con le braccia -insieme, tenendo l’uno ’altro, e tra loro ordinarono -i balestrieri, e cominciarono da ogni parte -a un’ora a montare verso gli steccati. I terrazzani -<span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span> -arditi e fieri, co’ soldati che v’erano, si misono -francamente alla difesa colle balestra ch’aveano -e co’ sassi maneschi. La forza de’ nemici -era grande tanto, che per forza condussono un -loro conestabile con la sua bandiera quasi al pari -dello steccato. Come si fermò con l’insegna -per dare favore agli altri, tra con le balestra e -con le pietre lo traboccarono morto giù per la -ripa. Nondimeno i nimici con grave battaglia gli -stringeano forte, e quelli del castello molto vivamente -senza riposo difendeano gli steccati per -modo, che da mezza terza fino a mezzo dì, che la -battaglia era durata senza arresto, i nimici non -aveano potuto abbattere un legno del loro steccato. -Per la qual cosa vedendo i cavalieri la franca difesa -di que’ villani, e già morti alquanti di loro, e -che il giorno era nel calare, disperati di quell’impresa, -con loro vergogna si ritrassono della -battaglia e tornarono nel campo, e più non tentarono -di ritornarvi. -</p> - -<h3 id="cap18-2">CAP. XVIII. -<span class="smaller"><i>Come i Tarlati, e i Pazzi di Valdarno e gli -Ubertini vennono in sul contado di -Firenze, e furonne cacciati per -forza da’ Fiorentini.</i></span></h3> - -<p> -Dall’altra parte messer Piero de’ Tarlati d’Arezzo -in prospera vecchiezza, valicati i novanta anni -della sua età, e il vescovo d’Arezzo della casa -degli Ubertini, e i Pazzi di Valdarno, non ostante -che fossono in pace col comune di Firenze, avendo -<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span> -dugentocinquanta cavalieri di quelli dell’arcivescovo, -e aggiuntosi de’ conti d’Urbino e -altri ghibellini, mentre che l’oste era in Mugello, -con trecentocinquanta cavalieri e con duemila -pedoni si misono da capo predando il contado -di Firenze, e vennono all’Ambra, e di là intendeano -entrare nel Valdarno e venire a Fegghine. -I Fiorentini sdegnosi di questi traditori, subitamente -trassono dalle loro frontiere cinquecento -cavalieri, e commisono a centocinquanta cavalieri -ch’aveano in Arezzo che dovessono venire a -raccozzarsi co’ nostri; e mossono il popolo del -Valdarno, che con grande animo e di buona -voglia andavano in quello servigio. Il comune di -Firenze si confidò al tutto in questa cavalcata di -Albertaccio di messer Bindaccio da Ricasoli, uomo -savio, pro’ e ardito e buono capitano, se fosse -stato in fede nel servigio del comune: e benchè -altri buoni cittadini fossono mandati in detto -servigio, a costui fu dato il mandato che in -tutto fosse ubbidito. La gente a piè e a cavallo che -cavalcavano di volontà, sopraggiunsono i nimici in -sul vespero all’Ambra, in parte, che avendo voluto -fare quello si poteva per la nostra gente, non -ne campava testa che non fossono morti o presi: -perocchè la gente del comune di Firenze era due -cotanti, e migliore gente d’arme, e erano nel loro -terreno intorniati dagli amici. Questo Albertaccio -avendo parentado e amistà co’ detti nimici, -portò infamia di non avere servito il comune -lealmente. In prima d’avere sostenuta la gente -del comune a Montevarchi, che potea più infra -’l dì avere occupati i nimici: appresso, che -<span class="pagenum" id="Page_198">[198]</span> -quando fu a loro non gli lasciò per la nostra gente -badaluccare, per tenerli corti e ristretti che -non si potessono provvedere: e perocchè non lasciò -porre la sera la cavalleria de’ Fiorentini nel luogo -dove si poteva torre la via a’ nimici che andare -non se ne potessono quella notte. Per li savi che -v’erano con lui si provvedeva, nondimeno per lo -pieno mandato ch’aveva dal comune fu ubbidito; -ed egli mostrava di fare buona e franca capitaneria, -e di volere vincere i nimici senza pericolo -della sua gente: e però puose quella sera -il campo in luogo sicuro a’ suoi, e utile a’ nimici. -O vero o bugia che fosse, infamato fu d’avere -dato il tempo e fatto assapere a’ nimici che si dovessono -partire in quella notte. I nimici traditori -del nostro comune, vedendosi sorpresi a loro -gran pericolo, intesono con ogni sollecitudine, -senza dormire, a campare le persone: e non -tennono per una via, ma per diverse parti per -lo scuro della notte presono la fuga molto chetamente. -La nostra gente non fu ordinata a quella -guardia, e poi innanzi che il capitano facesse -armare il campo, i nimici erano più di sei miglia -dilungati; allora si strinsono ove la sera aveano -lasciati i loro avversari, e niuno ve ne trovarono: -onde la infamia crebbe al capitano per -lo fatto, e il ripitio fu grande tra i cavalieri soldati -e il conducitore, ch’avea tolto loro quella preda -per mala condotta. La gente che v’era d’Arezzo, -forte sdegnata di questo tradimento che parve -loro avere ricevuto, si partirono senza licenza -del capitano con centocinquanta cavalieri ch’aveano -per loro guardia da’ Fiorentini, e tornaronsi -in Arezzo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span> -</p> - -<h3 id="cap19-2">CAP. XIX. -<span class="smaller"><i>Come Bustaccio entrò e rendè la Badia -a Agnano.</i></span></h3> - -<p> -In quella notte Bustaccio degli Ubertini si -ridusse con parte di quella gente a piede e a cavallo -nella Badia a Agnano, la quale era molto -forte e bene guernita. La cavalleria de’ Fiorentini -rimasa con vergogna della partita de’ nimici, -sentendo come Bustaccio era ricoverato in quella -Badia, cavalcarono là, e trovaronli racchiusi, e -ordinati alla difesa di quella tenuta. Il capitano -per volere ricoprire sua infamia volea combattere -la fortezza; i conestabili de’ cavalieri, stretti insieme, -dissono ch’erano stati ingannati, e per baratto -aveano perduta la preda de’ nimici fuggiti, e -però non intendeano combattere se prima non -fossono sicuri della preda, se per patto si lasciassono -i nimici partire: e in fine ne furono in concordia -d’avere fiorini cinquecento d’oro, come che -i nimici si capitassono. E di presente combattendo -certo borgo il vinsono. Poi combattendo la -Badia furono ributtati a dietro, e perderono -tre bandiere, ch’erano in sulle case, le quali i -nimici presono, e per paura del passo ove si trovavano -le locaro ritte in sull’altare maggiore della -badia. I cavalieri aontati delle loro bandiere -prese, d’un animo si disponeano per forza a vincere -la Badia, e sarebbe venuto fatto loro, ma non -senza grande danno, perchè dentro v’erano buoni -guerrieri; e però innanzi che alla grave battaglia -<span class="pagenum" id="Page_200">[200]</span> -si venisse, il Roba da Ricasoli, allora discordante -per setta d’Albertaccio, volle parlare con -quelli d’entro, i quali stavano in gran paura: e -parlato loro, di presente s’acconciarono a rendere -la Badia, potendosene andare salve le persone, e -i cavalli e l’arme. E presa per lo meno reo partito -la detta concordia, e data la fede, i nimici si -partirono, e la fortezza e le bandiere s’ebbono -senza vergogna del comune, e i conestabili vollono -i fiorini cinquecento d’oro loro promessi. -</p> - -<h3 id="cap20-2">CAP. XX. -<span class="smaller"><i>Come l’arcivescovo tentò i Pisani di guerra -contro a’ Fiorentini.</i></span></h3> - -<p> -Stando l’oste intorno alla Scarperia, e dando -opera i capitani a far fare dificii da traboccare -nella terra per rompere le torri e mura, e gatti -e altri ingegni di legname per vincere la terra -per battaglia, e i Fiorentini d’accogliere gente -d’arme, e d’avere capitano per poterla soccorrere, -l’arcivescovo non restava di tentare i Pisani -dalla sua parte in comune e in diviso che rompessono -pace a’ Fiorentini, con intenzione di -mandare messer Bernabò da quella parte con -duemila cavalieri ad assalire co’ Pisani insieme -il nostro comune, e faceva loro grandi promesse. -I Gambacorti, a cui segno Pisa si governava, non -vollono rompere la pace: nondimeno l’arcivescovo -avendo favore dentro, e’ consigliò del modo -che avesse a tenere di muovere il popolo naturale -nemico de’ Fiorentini, ed elesse una solenne -<span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span> -ambasciata, fornita d’autorità di savi uomini, e -mandògli a Pisa: e giunti là, e sposta la loro ambasciata -con molte suadevoli ragioni, i Pisani -astuti, per pigliare consiglio nel tempo, dissono -di rispondere all’arcivescovo per loro ambasciadori, -e incontanente gli mandarono a Milano, -imponendo loro, che della volontà dell’arcivescovo -non si rompessono, ma tranquillassono il -fatto. E in questo mezzo provvidono più riposatamente -sopra il partito, e conobbono che rompere -pace al comune di Firenze non tornava in loro -utile: che se l’arcivescovo prendea signoria in -Toscana, era loro suggezione e danno; e segretamente -feciono quello sentire a tutti i confidenti -di quello stato, buoni cittadini. L’arcivescovo -avvedendosi del modo che con lui tenevano coloro -che governavano la terra, li credette ingannare, -e per lo favore ch’avea nel popolo e in -molti altri cittadini, e non ostante che avesse -gli ambasciadori pisani in Milano, fece maggiore -e più solenne ambasciata a’ Pisani; e commise -loro, che in parlamento esponessono la sua -domanda, come detto gli era, sperando che a -grido di popolo avrebbe la sua intenzione contro -a’ Fiorentini. E come giunti furono in Pisa, senza -sporre alcuna cosa a’ rettori del comune, addomandarono -loro di volere il parlamento, e risposto -fu loro di farlo adunare volentieri a certo -giorno, onde gli ambasciadori furono contenti; -e incontanente feciono a tutti i cittadini, con -cui aveano conferito loro consiglio, dire che venissono -al parlamento; e bandito e sonato a parlamento, -come ordinato fu si ragunò il popolo -<span class="pagenum" id="Page_202">[202]</span> -nella chiesa maggiore in gran numero, ove furono -tutti i cittadini che temeano di perdere -loro libertà e il loro stato. Gli ambasciadori ammaestrati -in udienza di tutto il parlamento, con -molto ornato sermone, ricordando i servigi -grandi per la casa de’ Visconti fatti al comune -di Pisa, e come gli aveano onorati e aggranditi -sopra gli altri cittadini di Toscana, e’ raccontarono -per ordine la mala volontà che i Fiorentini -aveano verso di loro, e l’ingiurie che altro -tempo inimichevolmente aveano loro fatte, e intendeano -di fare quando si vedessono il destro, -mostrando loro come ora era venuto tempo nel -quale il loro signore intendea d’abbattere in tutto -lo stato e l’arroganza de’ Fiorentini loro antichi -nemici, e spegnere parte guelfa in Italia, e a ciò -fare avea mossi tutti i ghibellini di Lombardia e -di Toscana, e di Romagna e della Marca, come per -opera era loro manifesto. La qual cosa conosciuta -per loro, ch’erano capo di parte ghibellina -in Toscana, molto doveano essere contenti di -poter fare in cotanta loro esaltazione la volontà -del loro signore, la quale e’ domandava con tanta -istanza a quello popolo. Essendo uditi attentamente, -si pensarono a grida di popolo avere impetrata -la loro dimanda, ma la cosa andò tutt’altrimenti, -per la provvisione de’ savi cittadini, -li quali si ritennero in silenzio in quello parlamento, -come per loro fu provveduto. E quando -gli ambasciadori l’uno dopo l’altro ebbono -detto e confermato loro sermone, pregarono gli -ambasciadori che si attendessono alquanto, e tosto -risponderebbono di comune consentimento -<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span> -alla loro ambasciata, e così si trassono del parlamento. -E usciti gli ambasciadori, gli anziani -feciono la proposta che si consigliasse se il comune -di Pisa dovesse rompere pace a’ Fiorentini, -oggi loro amici e loro vicini, o no: e levatosi -alcuno a dire in servigio dell’arcivescovo, -molti più, i maggiori cittadini, si levarono a -dire come grande male e vergogna del loro comune -sarebbe, avendo ferma e buona pace col -comune di Firenze, a romperla contro a ragione, -in perpetua infamia del loro comune. E fatto il -partito, fu vinto che pace non si rompesse a’ Fiorentini. -Gli ambasciadori, già preso sdegno per -l’uscita del parlamento, avvedendosi dove la -cosa riuscirebbe, senza attendere se n’erano andati -all’ostiere. E quando gli anziani mandarono -per loro per fare la risposta del parlamento, -sentendo che non sarebbe quella ch’e’ voleano, -non vi vollono andare, e senza prendere comiato -montarono a cavallo e tornaronsene a Milano. I -Pisani si scusarono saviamente all’arcivescovo, -perchè non stesse indegnato, e mandarongli dugento -cavalieri, che mandar gli doveano per loro -convenenza alla guardia di Milano. Allora -venne meno all’arcivescovo la maggiore speranza -che avesse di potere vincere i Fiorentini. Il -comune di Firenze cercava in questo tempo d’avere -capitano di guerra che guidasse la sua gente, -che al continuo la cresceva, e avendo mandato -a molti l’elezione con grande salario, tutti -la rifiutavano per paura del potente tiranno: -nondimeno il comune pensava d’atarsi con la -capitaneria de’ suoi cittadini. E avendo l’oste -<span class="pagenum" id="Page_204">[204]</span> -così grande in Mugello, non pareva se ne curasse, -e nella città catuno faceva la sua mercatanzia -e sua arte senza portare alcuna arme; e continovo -facea rendere a’ cittadini i danari del -monte: e sapendo questo i nemici forte se ne -maravigliavano, e molto n’abbassarono la loro -superbia. -</p> - -<h3 id="cap21-2">CAP. XXI. -<span class="smaller"><i>Come l’oste deliberò combattere la Scarperia.</i></span></h3> - -<p> -Quando i conduttori dell’oste seppono che -il comune di Pisa non voleva rompere pace a’ Fiorentini, -e come alcuno trattato ch’aveano in Pistoia -era scoperto, con tutta la loro intenzione -si rivolsono alla Scarperia, e quella cominciarono -a tormentare con percosse di grandissimi dificii, -che il dì e la notte gettavano nel piccolo castello -grossissime pietre, le quali rompeano le -case d’entro, e le mura e le bertesche gettavano a -terra. E ogni dì faceano assalto loro alla terra: -onde gli assediati per la continova guerra, e per -la sollecita guardia che conveniva loro fare il dì -e la notte alla difesa, erano infieboliti, e pensarono -che senza soccorso di fuori, o aiuto di masnadieri -freschi poco potrebbono sostenere: e -però scriveano a’ Fiorentini per loro fanti tedeschi, -che si mescolavano con gli altri Tedeschi -di fuori, che avacciassono il loro soccorso. I Fiorentini -erano in ciò assai solleciti, e già avevano -al loro soldo accolti milleottocento cavalieri, -e tremilacinquecento masnadieri a piede de’ buoni -<span class="pagenum" id="Page_205">[205]</span> -d’Italia, e dugento cavalieri aveano da’ Sanesi, -e seicento n’attendeano da Perugia, i -quali erano a cammino; e avendo ordinato -d’uscire a campo con questi cavalieri, e con -grande popolo, a petto a’ nemici sopra il Borgo a -san Lorenzo luogo detto a san Donnino, ove erano -forti per lo sito, e con le spalle al Borgo a san -Lorenzo da potere strignere e danneggiare i nemici, -ch’erano assai di presso, e dare vigore e -baldanza agli assediati della Scarperia: ed essendo -ogni cosa provveduta, attendendo i cavalieri -perugini per uscire fuori, n’avvenne la fortuna -che appresso diviseremo. -</p> - -<h3 id="cap22-2">CAP. XXII. -<span class="smaller"><i>Come i Tarlati sconfissono i cavalieri -de’ Perugini.</i></span></h3> - -<p> -In questi dì, del mese di settembre del detto -anno, era giunto a messer Piero Saccone de’ Tarlati -in Bibbiena, mandato dal tiranno, il doge -Rinaldo Tedesco con quattrocento cavalieri per -incominciare più forte guerra a’ Fiorentini nel -Valdarno. In questo stante, messer Piero molto -avveduto, sentì che seicento cavalieri buona gente -d’arme, che ’l comune di Perugia mandava -in aiuto a’ Fiorentini, erano in cammino, e venivano -baldanzosi senza sospetto, e la sera doveano -albergare all’Olmo fuori d’Arezzo a due -miglia. Avendo messer Piero il certo del fatto, col -doge Rinaldo insieme con quattrocento cavalieri -e con duemila fanti cavalcò la notte, e chetamente -<span class="pagenum" id="Page_206">[206]</span> -ripose i fanti nella montagna sopra l’Olmo, -per averli al suo soccorso nel fatto; e la -mattina per tempo co’ suoi cavalieri e col doge -Rinaldo assalì la cavalleria di Perugia, che la -maggior parte era ancora per gli alberghi, ma -quelli ch’erano montati a cavallo si cominciarono -francamente a difendere. E già aveano tra -loro messer Piero, che s’era messo molto innanzi -nella via ov’era la battaglia, prigione, con più -altri de’ caporali in sua compagnia. E se in quello -assalto gli Aretini fossono stati favorevoli ad -aiutare gli amici del comune di Firenze, come -doveano, tutta la gente di messer Piero rimaneva -presa per lo stretto luogo dove s’erano messi. -Ma usciti d’Arezzo i Brandagli con loro seguito, -che allora erano i maggiori cittadini, intesono -a campare Messer Piero con gli altri prigioni -che i cavalieri di Perugia aveano ritenuti, come -gente che aveano l’animo corrotto alla tirannia -della loro città, come poco appresso dimostrerò. -Campato messer Piero e’ suoi, gli Aretini -si tornarono dentro senza aiutare que’ di -Perugia, o dar loro la raccolta nella città. In questo, -messer Piero e’ suoi ripresono ardire, e feciono -scendere della montagna i fanti loro, traboccando -addosso a’ Perugini con smisurato romore: i -quali non vedendo essere soccorsi, nè avere ricolta, -non poterono sostenere, ma chi potè fuggire -campò, e gli altri tutti furono presi nelle vie -e negli alberghi. Messer Piero raccolta la preda -dell’arme, e de’ cavalli, e de’ prigioni, senza esser -contastato dagli Aretini, si raccolse colla -sua gente a salvamento, menandone più di trecento -<span class="pagenum" id="Page_207">[207]</span> -cavalieri prigioni, ventisette bandiere -cavalleresche, e trecento cavalli; e giunto in Bibbiena -con questa vittoria i cavalli e l’armi e -l’altra roba partì a bottino, e i cavalieri prigioni -poveri e mendichi lasciò alla fede. A’ Fiorentini -levò l’aiuto e la speranza d’uscire a campo al -soccorso della Scarperia, come ordinato era, e -a’ nimici diede maggiore baldanza di vincere il -castello. -</p> - -<h3 id="cap23-2">CAP. XXIII. -<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini procuraro di mettere gente -nella Scarperia.</i></span></h3> - -<p> -Veggendo i Fiorentini mancato disavventuratamente -l’aiuto de’ Perugini, e cresciuta baldanza -a’ nimici per quella vittoria di messer Piero -Tarlati, perderono al tutto la speranza del campeggiare, -e quelli ch’erano assediati addomandavano -soccorso più sollecitamente. Avvenne che -uno valente conestabile della casa de’ Visdomini -di Firenze, che aveva nome Giovanni, con -grande ardire elesse trenta compagni sperti in -arme, buoni masnadieri, e una notte si mise -nel campo de’ nimici, e per mezzo delle guardie, -non pensando che gente de’ Fiorentini si -mettessono tra loro, virtuosamente si misono -nella Scarperia; la qual cosa fu agli assediati alcuno -conforto, e più per la persona del valente conestabile, -che per la sua piccola compagnia, a -cotanto bisogno quanto aveano dì e notte, per gli -assalti continovi de’ loro nimici. E i conducitori -<span class="pagenum" id="Page_208">[208]</span> -dell’oste avendo sentito l’entrata di que’ masnadieri -nella Scarperia, la feciono più strignere -e più guardare il dì e la notte. E tentato i Fiorentini -per più riprese di mettervi anche gente, -e non trovando per niuno prezzo il modo, -un altro conestabile cittadino di Firenze della -casa de’ Medici, di grande fama tra gli uomini -d’arme, per accrescere suo onore si fece dare cento -fanti masnadieri a sua eletta, e avendo con -seco uno della Scarperia che sapeva l’ore delle -vegghie delle guardie, e le loro vie, presono il -cammino di notte per l’alpe di verso quella -parte donde meno si potea temere per quelli -dell’oste, con la insegna levata co’ suoi compagni -stretti si mise arditamente per lo campo, dirizzandosi -verso la Scarperia. E in su l’entrata -del campo le guardie s’avviddono, e levato il -romore, venti di quelli fanti rimasono addietro, -e non poterono ristrignersi co’ compagni, e -tornaronsi nell’alpe, e camparono: e il conestabile -con ottanta compagni sanza fare arresto, -innanzi che i nimici il potessono occupare -con la loro forza, sano e salvo co’ suoi compagni -entrò nella Scarperia; e così per virtù di due -conestabili fu fornito quello castello di quello -che aveva maggiore bisogno. E per questo soccorso -gli assediati presono cuore e speranza ferma -della loro difesa; e tra capitani dell’oste -n’ebbe ripitio e grande sospetto, temendo che -gli Ubaldini non gli avessono condotti, ma niuna -colpa v’ebbono. E soprastando alquanto allo -infestamento de’ nimici sopra questo castello, ci -occorre alcune altre materie a cui ci conviene -<span class="pagenum" id="Page_209">[209]</span> -dare luogo per debito del nostro trattato, e appresso -ritorneremo con più onestà alla presente -materia. -</p> - -<h3 id="cap24-2">CAP. XXIV. -<span class="smaller"><i>Come la reina Giovanna si fece scusare in -corte di Roma.</i></span></h3> - -<p> -Come addietro abbiamo narrato, quando l’accordo -si fece dal re d’Ungheria al re Luigi, ne’ -patti venne fatta la commissione nel papa e ne’ -cardinali per catuna parte: che se la reina Giovanna -si trovasse colpevole della morte d’Andreasso -suo marito, fratello del re d’Ungheria, ch’ella -dovesse essere privata del reame, e dove colpevole -non si trovasse, dovesse essere reina. A questo -patto acconsentì il re d’Ungheria, più per -l’animo che avea di tornare in suo paese, che per -altra buona volontà che di ciò avesse, e però la -commissione fu avviluppata più che ordinato -o spedito libello, e non vedendo i pastori della -Chiesa come onestamente potessono diliberare -questa cosa, la dilungarono. Essendo lungamente -gli ambasciatori di catuna parte stati in -corte senza alcuno frutto dell’altre cose commesse -per li detti re nella Chiesa, vedendo che -questo articolo non terminandosi portava infamia -e pericolo alla reina, con ogni studio vollono -che il suo processo si terminasse. E perocchè -assoluta verità del fatto non poteva scusare -la regina, levare il luogo della dubbiosa fama -proposono; che se alcuno sospetto di non perfetto -<span class="pagenum" id="Page_210">[210]</span> -amore matrimoniale si potesse proporre o -provare, che ciò non era avvenuto per corrotta -intenzione o volontà della reina, ma per forza -di malíe o fatture che le erano state fatte, alle -quali la sua fragile natura femminile non avea -saputo nè potuto riparare. E fatta prova per più -testimoni come ciò era stato vero, avendo discreti -e favorevoli uditori, fu giudicata innocente -di quello malificio, e assoluta d’ogni cagione -che di ciò per alcun tempo le fosse apposto, o -che per innanzi le si potesse apporre di quella -cagione: e la detta sentenza fece divulgare per -la sua innocenza ovunque la fede giunse della -detta scusa. -</p> - -<h3 id="cap25-2">CAP. XXV. -<span class="smaller"><i>Come i Genovesi e i Veneziani ricominciarono -guerra in mare.</i></span></h3> - -<p> -Seguita di dar parte intra le italiane tempeste -della terra a quelle che in que’ tempi concepute -ne’ nostri mari Tirreno e Adriatico da superbe -presunzioni di due comuni, in Grecia e poi nelli -stremi d’Europa partorirono gravi cose, come -seguendo nostro trattato si potrà trovare. I Genovesi -infestati dalla loro alterezza, ricordandosi -che i Veneziani l’anno passato aveano soperchiato -in mare le undici loro galee, avvegnachè -per l’aiuto de’ loro di Pera si fossono felicemente -vendicati, vollono per opera mostrare loro -potenza a’ Veneziani, e per comune consiglio, -essendo a quel tempo catuna casa de’ loro maggiori -<span class="pagenum" id="Page_211">[211]</span> -cittadini tornata con pace in Genova, ordinarono -di fare armata, la quale fosse fornita per -più eccellente modo che mai avessono armato. -E comandarono a’ grandi e a’ popolani mercatanti, -e agli artefici minori e ad ogni maniera di -gente, che di due l’uno s’acconciassono ad andare -in quell’armata, e simigliante comandamento -feciono fare per tutta la loro riviera, e certo -la volontà vinse il comandamento, che più volentieri -s’acconciavano d’andare che di rimanere: -i corpi delle galee furono per numero sessantaquattro, -e ammiraglio fu fatto messer Paganino -Doria; i soprassaglienti furono sopra ogni galea -doppi, armati nobilmente, e doppi i balestrieri -e i galeotti, tutti forniti d’arme, e tutti si vestirono -per compagne chi d’un’assisa e chi d’un’altra, -e comandamento ebbono dal loro comune -d’abbattere la forza de’ Veneziani in mare e in -terra giusta loro podere: e fornite le galee di -panatica e di ciò ch’aveano bisogno, e pagati -per ordine di mercatanzia e’ dazii, senza trarre -danari di comune, per sei mesi, del mese di luglio, -gli anni di Cristo 1351, si partirono da Genova, -ed entrarono nel golfo di Vinegia facendo -danno assai a’ navili e alle terre de’ Veneziani, e -senza lungo soggiorno si partirono di là e andaronne -all’isola di Negroponte. I Veneziani non -provveduti della subita armata de’ Genovesi, aveano -mandate venti loro galee armate in Romania, -le quali erano nell’Arcipelago, delle quali i Genovesi -ebbono lingua, e seguitandole, le sopraggiunsono -all’isola di Scio: le quali vedendosi di presso -l’armata de’ Genovesi, con la paura aggiunsono -<span class="pagenum" id="Page_212">[212]</span> -forza a’ remi, e avendo aiuto d’alcuno vento -alle loro vele, essendo seguitate da’ Genovesi, fuggendo -le diciassette ricoverarono nel porto di -Candia, e le tre presono alto mare per loro scampo. -</p> - -<h3 id="cap26-2">CAP. XXVI. -<span class="smaller"><i>Come l’armata genovese andò a Negroponte -e assediò Candia, e quello che ne seguì.</i></span></h3> - -<p> -L’armata de’ Genovesi seguendo quella de’ -Veneziani giunsono a Negroponte, ove i Veneziani -con grande studio e paura erano arrivati, e -avendo da’ terrazzani aiuto, appena aveano compiuto -di tirare le loro diciassette galee in terra, -lasciando le poppe in mare per poterle difendere, -e in aringo l’aveano messe l’una a lato all’altra -a modo di bertesca per poterle meglio -di terra difendere, ove giunta l’armata de’ Genovesi, -senza arresto l’assalirono con aspra e -folta battaglia, e prese l’avrebbono, se non fosse -che tutti gli uomini d’arme di quella terra furono -alla loro difesa, e a guardare la marina che -i Genovesi non potessono scendere in terra: e in -quello assalto la feciono sì bene, che i Genovesi -s’avvidono per forza non poterle guadagnare nè -scendere in terra nel porto: e però presono loro -consiglio d’assediare la città di Candia per mare -e per terra, e procacciare di Pera e dell’altre parti -di loro amici legni grossi, e gente e dificii di legname -per combattere e vincere la terra, se per loro -virtù e forza fortuna l’assentisse. E allora lasciarono -guardia delle loro galee sopra il porto, e con -<span class="pagenum" id="Page_213">[213]</span> -l’altre girarono alquanto, e misono in terra loro -campo, attendendo gente e fornimenti che procacciavano -per combattere la terra, e que’ d’entro -s’afforzavano alla difesa, e dì e notte intendeano -a fare buona guardia, avendo mandato a’ Veneziani -per loro soccorso. -</p> - -<h3 id="cap27-2">CAP. XXVII. -<span class="smaller"><i>Come i Veneziani feciono lega co’ Catalani, -e di nuovo armarono cinquanta galee.</i></span></h3> - -<p> -Stando l’armata de’ Genovesi per mare e per -terra all’assedio della città di Candia, il comune -di Vinegia ebbe le novelle, ed essendo tanti loro -grandi e buoni cittadini, e le loro galee e la loro -città assediata, ebbono grande dolore, nondimeno -con franco animo deliberarono di fare ogni loro -sforzo per soccorrerli: e ricercando la gente che -allora poteano fare di loro distretto, non trovarono -che bastasse a potere fornire loro armata, tanto -era mancata per la passata mortalità, e però -elessono di loro cari cittadini solenni ambasciadori, -i quali mandarono prima a Pisa, e appresso in -Catalogna, per recarli a loro lega, e averli in loro -aiuto, con ogni largo patto che volessono: e di ciò -diedono agli ambasciadori piena libertà e balìa, -con ispendio di grande somma di moneta. I -Pisani essendo in pace co’ Genovesi, avvegnachè -poco s’amassono, per promesse o patto che fosse -offerto loro non si vollono muovere contro a’ Genovesi, -ma alquanto più che ’l consueto s’inamicarono -con loro, ricevendo grazie da’ Genovesi -<span class="pagenum" id="Page_214">[214]</span> -per la fede mantenuta a quel punto. I Catalani -per grande odio che aveano a’ Genovesi, per -ingiurie e danni ricevuti da loro in mare, di presente -s’allegarono co’ Veneziani, e promisono di -dare armate di loro uomini quelle galee che i Veneziani -volessono, dando i Veneziani loro i corpi -delle galee e i debiti soldi a’ Catalani. E ferma la -lega, i Veneziani incontanente misono il banco, -e cominciarono a scrivere e a soldare la gente, e -mandarono a Venezia che vi mandassono i corpi -delle galee e’ danari, i quali senza indugio vi mandarono -ventitrè corpi di galee, e danari assai, e -fecionle armare di buona gente. I Veneziani a Venezia -prestamente n’armarono ventisette, e mentre -che l’armata si facea in Catalogna e a Venezia, -i Veneziani mandarono una galea sottile bene -armata a portare novelle del loro grande -soccorso, e mandarono in quella danari per fare -apparecchiare le galee ch’erano là, che di presente -al tempo della venuta della loro armata fossono -apparecchiate, sicchè contra a’ loro nimici -fossono più possenti. Questa galea per scontro -di fortuna s’abbattè in una galea di Genovesi, e -combattendo insieme, la veneziana fu vinta e -presa in segno del futuro danno. I Genovesi ebbono -i danari, e le lettere e l’avviso dell’armata -de’ Veneziani e de’ Catalani per potersi provvedere; -il corpo della galea aggiunsono alle loro, e gli -uomini ritennono a prigioni, con gran festa di -questa avventura. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_215">[215]</span> -</p> - -<h3 id="cap28-2">CAP. XXVIII. -<span class="smaller"><i>Come la imperatrice di Costantinopoli col -figliuolo si fuggì in Salonicco.</i></span></h3> - -<p> -Avvenne che in questi medesimi tempi che -l’armata de’ Genovesi era a Negroponte, che -Mega Domestico del lignaggio imperiale, il quale si -faceva dire Cantacuzeno, cioè imperadore, essendo -rimaso balio del figliuolo dell’imperadore di -Costantinopoli a cui succedea l’imperio, governava -tutto per lui, gli diè la figliuola per moglie, -ingannando la giovanezza del suo pupillo, senza -consentimento della madre. L’imperatrice sentendo -quello che Mega Domestico avea fatto, prese -sospetto, e fatto le fu vedere che ’l figliuolo sarebbe -avvelenato, perchè l’imperio come era in -guardia rimanesse libero al detto Mega, balio dell’imperio -e del giovane, onde l’imperadrice col -figliuolo, di furto e improvviso a Mega s’erano -fuggiti di Costantinopoli, e andati nel loro reame -di Salonicco, ivi mostrando manifesto sospetto -del balio dell’imperio, si dimorarono in grande -guardia. E Mega Domestico, come è detto, vedendosi -rimaso nella forza dell’imperio, si fece dinominare -imperadore: e senza fare guerra al giovane, -si fortificava nell’imperio, e aveasi confederato -l’amistà de’ Veneziani. L’imperadrice avendo -sentita l’armata de’ Genovesi a Negroponte, -mossa da femminile furia e sprovveduto consiglio, -mandò a trattare co’ Genovesi, in cui prendeva -confidanza, perocchè era figliuola del conte di Savoia, -<span class="pagenum" id="Page_216">[216]</span> -assai presso di vicinanza a’ Genovesi, e sapea -ch’elli erano nimici de’ Veneziani, amici di Mega -Domestico suo avversario; il trattato fu fermo -co’ Genovesi, e le promesse furono grandi ove rimettessono -il figliuolo in signoria dell’imperio -di Costantinopoli. I Genovesi per questo si pensarono -di passare il verno alle spese del’imperadrice, -e abbattere molto della forza degli amici -de’ Veneziani, e d’essere più agresti e più forti contro -alla loro armata, e però si dispuosono a lasciar -l’assedio con loro onore, ove poco profittavano, e -a prendere il servigio dell’imperadrice. Lasceremo -al presente questa materia per riprenderla -al suo debito tempo, e torneremo a’ fatti di Firenze. -</p> - -<h3 id="cap29-2">CAP. XXIX. -<span class="smaller"><i>Come la Scarperia sostenne la prima battaglia -dal Biscione.</i></span></h3> - -<p> -Tornando all’assedio della Scarperia, il capitano -dell’oste col suo consiglio vedendo che la -Scarperia era fornita per la sua difesa di valorosi -masnadieri, e che dentro era bene fornita di -vittuaglia, e sentendo che i Fiorentini non si curavano -di loro, e continovo accresceva loro forza, -ed essendo mancata la ferma de’ loro soldati: -per non partirsi con vergogna di non avere vinto -per forza uno piccolo castello, rifermarono i loro -cavalieri, e avuti danari dall’arcivescovo tutti gli -pagarono, e promisono paga doppia e mese compiuto -a coloro che combattendo vincessono la -<span class="pagenum" id="Page_217">[217]</span> -Scarperia. Il tempo era già all’entrata d’ottobre, -e la vittuaglia cominciava a rincarare, e questo -più gli spronava a volere vincere la punga. I dificii -da combattere la terra erano apparecchiati, -scale assai, e grilli e gatti e torri di legname, le -quali aveano condotte presso al castello al tirare -della balestra, o poco più. E così apparecchiati, -una domenica mattina, ordinati i combattitori, -da più parti con molti balestrieri assalirono il -castello, e conduceano i dificii e le scale alle mura -con gran tempesta di loro grida. Quelli del -castello ordinati dentro alla difesa co’ loro capitani, -si teneano coperti e cheti, e lasciarono valicare -i nimici il primo fosso e entrare nel secondo, che -non v’avea acqua, e accostare molte scale alle -mura innanzi che si movessono: allora dato il -segno da’ loro conestabili, con grande romore -sollecitamente cominciarono dalle mura a percuotere -sopra i nimici colle pietre, lance e pali, -e a traboccare loro legname addosso, e i balestrieri -saettare da presso e da lungi senza perdere -in vano i loro verrettoni. In questo primo assalto -fediti e magagnati assai di quelli che s’erano -accostati alle mura e agli steccati per forza -ne furono dilungati: nondimeno i capitani per -straccare di fatica quelli delle mura, rimutavano -spesso la loro gente dalla battaglia, rinfrescando -gente nuova, e non lasciando prendere lena nè -riposo a que’ delle mura e della guardia degli -steccati, ma i franchi masnadieri si difendeano -virtudiosamente, avendo in dispregio il riposo, e -confortando l’uno l’altro per modo, che per -forza nè per rinfrescamento di loro battaglia, da -<span class="pagenum" id="Page_218">[218]</span> -innanzi terza all’ora di nona, per molte riprese di -battaglie non ebbono podere d’accostarsi alle -mura, nè agli steccati ove le mura non erano. -Nel primo fosso condussono sessantaquattro scale, e -nel secondo accosta del muro tre, le quali abbandonarono, -non potendo avanzare; e con poco -onore di questa prima battaglia, e con alquanti -morti rimasi nel fosso, e con molti fediti e magagnati, -si ritrassono dalla battaglia, e que’ d’entro -intesono al riposo e a medicare i loro fediti, -che ne aveano gran bisogno. -</p> - -<h3 id="cap30-2">CAP. XXX. -<span class="smaller"><i>Come la Scarperia riparò alla cava de’ nimici.</i></span></h3> - -<p> -Nonostante l’ordine delle battaglie, i conducitori -dell’oste con gran costo e con molto studio -conducevano una cava sotterra per abbattere -le mura della Scarperia, e molto grande speranza -aveano in quella di vincere la terra. Que’ d’entro -pensando e temendo che così dovessono fare -i loro avversari, provvidono al rimedio, e feciono -un fosso dentro intorno alle mura, il quale -era braccia quattro e mezzo largo in bocca, e braccia -tre largo in fondo, e andava di sotto al fondamento -delle mura braccio uno e mezzo, acciocchè -se le mura cadessono, si trovassono l’aiuto -del detto fosso alla loro difesa. E nondimeno provvidono -di cavare di fuori de’ fossi per ritrovare la -cava de’ nimici innanzi che giugnesse alle mura. -E a fornire questo misono grande sollecitudine, -ma i loro avversari adoperarono grande -<span class="pagenum" id="Page_219">[219]</span> -forza per ritrarli da quello lavorio: e condussono -un castello di legname in sul primo fosso, sì -presso, che con le pietre combatteano coloro -ch’erano tra l’uno fosso e l’altro alla guardia -de’ loro cavatori, e avvenne che a questa si rivolse -grande parte dell’oste, e tutta la forza di -quelli d’entro. Quelli di fuori combattendo con le -pietre e con le balestre, e rinnovando d’ora in ora -i freschi combattitori, quelli del fosso colle fosse -delle parate e co’ palvesi francamente s’atavano, -con le loro balestra e con quelle del loro aiuto dalle -mura, e diputati a questa punga trecento di que’ -d’entro, sostennono l’assalto de’ nimici il lunedì -e ’l martedì molto francamente, non lasciando impedire -i loro cavatori: i quali lavorando con grande -sollecitudine pervennero alla cava de’ nimici, la -quale era venuta innanzi centottanta braccia, e -presso alle mura a venti braccia: la quale di presente -affocarono, e cacciarono i cavatori, e guastarono -loro la cava. Essendo da catuna parte -molti fediti, que’ del campo abbandonarono -l’assalto con loro vergogna; e i valenti masnadieri -alla ritratta de’ nimici presono e arsono il castello -del legname ch’era sopra il fosso, e stesonsi -ad assalire un altro ch’era più di lungi, e per -forza l’affocarono, e tornaronsi sani e salvi nel -castello, avendo presa grande baldanza della loro -difesa, per la vittoriosa punga di quella cava. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_220">[220]</span> -</p> - -<h3 id="cap31-2">CAP. XXXI. -<span class="smaller"><i>Del secondo assalto dato alla Scarperia.</i></span></h3> - -<p> -Vedendo il capitano dell’oste e il suo consiglio -essere di ogni assalto fatto con vergogna ributtato -da que’ della Scarperia, e vedendosi venire -addosso il verno e non avere vinto il castello, -e che lo strame mancava, pensavano che la partita -sarebbe con loro grande vergogna: però vollono -ancora da capo cercare la fortuna, innanzi che -da quello assedio si partissono. E per avere apparecchiato -da riempiere i fossi, feciono tutto il legname -e’ frascati che aveano ne’ loro campi conducere -presso a’ fossi: e il giovedì mattina innanzi -dì, essendo l’oste armata, e le battaglie ordinate, -e più torri di legnami condotte presso a’ fossi, -con ordine di palvesari e di loro balestrieri, senza -contasto riempierono di frascati il primo fosso, e -le torri condussono sopr’esso fornite di molti balestrieri. -I cavalieri smontarono de’ cavalli con -gli elmi in testa, e cominciata la battaglia a un’ora -da ogni parte, i cavalieri si sforzarono di conducere -gatti, grilli e scale alle mura. Que’ d’entro -che aveano preso maggiore ardire per gli altri -assalti, lasciarono fare molte cose innanzi -che alla battaglia si scoprissono, ma ordinato -da’ loro conestabili, al segno dato si mostrarono -alla difesa, e con tanto impeto cominciarono a -caricare di pietre, e di pali aguti e di legname -i loro assalitori, con l’aiuto de’ loro buoni -balestrieri, che per forza gli ributtarono addietro -<span class="pagenum" id="Page_221">[221]</span> -del primo fosso. E avendo a quelli ch’erano -nelle torri ordinato di loro i migliori balestrieri, -gli strinsono per modo, che non si poteano -scoprire, nè dare a loro utile aiutorio. E in questo -assalto alcuni conestabili d’entro ebbono ardire -con certi loro compagni eletti d’uscire fuori -della terra, e con le lance e con le spade in mano -fediano per costa i combattitori, e incontanente -si ritraevano: e questo feciono più volte danneggiando -i nimici, e ritraendoli dalla battaglia -dov’erano ordinati, senza ricevere impedimento. -Ed essendo durata la battaglia infino a nona, senza -avere que’ dell’oste fatto alcuno acquisto, feciono -sonare la ritratta. E di presente quei del -castello misono fuori de’ loro masnadieri, i quali -presono le torri e’ dificii e arsonli, che i nimici -aveano condotti, e dato opera infino alla notte a -mettere dentro il legname utile, tutto l’altro co’ -frascati arsono nel fosso. E intesono a medicare i -loro fediti, e a farsi ad agio d’alcuno riposo, del -quale aveano gran bisogno per quella giornata. -</p> - -<h3 id="cap32-2">CAP. XXXII. -<span class="smaller"><i>Del terzo assalto dato.</i></span></h3> - -<p> -Avendo i capitani dell’oste quasi perduta ogni -speranza di potere vincere la Scarperia, vollono -tentare l’ultimo rimedio con danari e con ingegno; -e in quello rimanente del dì feciono venire -a loro tutti i conestabili tedeschi con i più nomati -cavalieri di loro lingua, i quali nelle battaglie -date al castello poco s’erano travagliati altro che -<span class="pagenum" id="Page_222">[222]</span> -di vedere, e dissono loro: se a voi desse il cuore -di vincere con forza e con ingegno questa terra, l’onore -sarebbe vostro, e oltre alla paga doppia e -mese compiuto, a catuno daremo grandi doni. I -conestabili e i loro baccellieri si strinsono insieme, -e mossi da presuntuosa vanagloria e da avarizia, -rispuosono: che dove e’ fossono sicuri d’avere di -dono sopra le cose promesse fiorini diecimila d’oro, -che darebbono presa la Scarperia: e questo dava -loro il cuore di fornire con l’aiuto dell’altra oste, -ove fosse fatto quello che direbbono in quella -notte. I capitani promisono tutto senza indugio, -sicchè rimasono contenti, e di presente feciono -fare comandamento a tutti i conestabili delle masnade -da cavallo e da piè, che colà da mezza notte -fossono apparecchiati dell’arme e de’ cavalli; e -fatto questo, andarono a cenare e a prendere alcuno -riposo. Venuta la mezza notte, e armata l’oste -chetamente, il tempo era sereno e bello, e la -luna faceva ombra in quella parte della Scarperia -che i Tedeschi aveano pensato d’assalire: e -fatto tra loro elezione di trecento baccellieri, a -loro commisono tutto il fascio della loro intenzione; -i quali bene armati, separati dall’altra -gente, con le scale a ciò diputate e con altri utili -argomenti, senza alcuno lume, s’addirizzarono verso -quella parte della terra ove l’ombra gli copriva. -Tutta l’altra oste con innumerabili luminarie, e -con ismisurato romore e suoni di tutti gli -stromenti dell’oste, colle schiere fatte e colle -battaglie ordinate si cominciarono a dirizzare -dall’altre parti verso la Scarperia. I fanti della -Scarperia, che appena aveano ancora dell’affanno -<span class="pagenum" id="Page_223">[223]</span> -del dì preso alcuno riposo, sentendo lo stormo, -e vedendo l’esercito venire con ordine di -loro battaglie a combattere la terra, cacciata la -paura e invilito il riposo, di presente furono all’arme: -e con l’ardire delle loro difese apparecchiati, -andò catuno alla sua guardia delle mura e -de’ palancati; e stando cheti e senza mostrare i loro -lumi attesono tanto, che le schiere e le battaglie -s’appressarono alle mura, e cominciato fu l’assalto -con suoni di tanti stromenti e con grida d’uomini, -che riempieva il cielo e tutto il paese molto -di lungi. Quest’asprezza delle grida era maggiore -che dell’arme, per attrarre l’aiuto da quella -parte di que’ d’entro, e mancarlo ov’era l’aguato. -Quelli della terra maestri di cotali cose -delle grida non si curavano, e quelli che si -appressavano, francamente colla balestra e colle -pietre gli faceano risentire e allungare, e niuno -non si partiva o mosse dalla sua guardia. I trecento -baccellieri riposti presso della terra sentendo il -romore e l’infestamento di quelli dell’oste, chetamente -colle scale in collo passarono il primo e -il secondo fosso, che non v’avea acqua, e condussono -e dirizzarono alle mura più e più scale, vedendolo -e sentendolo que’ della terra ch’erano a -quella guardia, e lasciandogli fare, finchè cominciarono -a salire sopra esse, e aveano già i loro -aiutori a piede; allora quelli della guardia cominciarono -a gridare, e a mandare sopra loro grandi -pietre e legname e pali, percotendoli e facendoli -traboccare delle scale nel fosso l’uno sopra -l’altro. E in un punto gli ebbono sì storditi e -fediti e magagnati, che in caccia si partirono da -<span class="pagenum" id="Page_224">[224]</span> -quello assalto, e tornaronsi all’altra oste. Dall’altra -parte fu maggiore il grido che l’assalto, -ma per li buoni balestrieri molti ve ne furono -fediti in quella notte. E facendosi dì, in sulla ritratta -uscirono della terra un fiotto di buoni briganti, -e dieronsi tra’ nimici, e per forza ne presono -e ne menarono tre di loro cavalieri nella -Scarperia, e gli altri ritornarono al campo perduta -ogni speranza d’avere la Scarperia. Que’ di -dentro uscirono fuori un’altra volta quella mattina, -e arsono più dificii di legname ch’erano -presso, e uno castello ch’era più di lungi, e contamente -senza impedimento sani e salvi si ritornarono -nella Scarperia. -</p> - -<h3 id="cap33-2">CAP. XXXIII. -<span class="smaller"><i>La partita dell’oste dalla Scarperia.</i></span></h3> - -<p> -Vedendo il capitano dell’oste e i suoi consiglieri -aver fatta la loro oste ogni prova per vincere -la Scarperia, ed esserne con vergogna ributtati per -la virtù de’ buoni masnadieri che dentro v’erano, -e tornando l’oste piena di molti fediti, e -che la vittuaglia venia mancando l’un dì appresso -l’altro fortemente, e che già lo strame -per i cavalli al tutto venia loro meno, e il tempo -ch’era stato fermo e bello lungamente s’apparecchiava -di corrompere all’acqua, prese per partito -d’andarsene a Bologna; e al segno dato d’una -lumiera alzata sopra ogni lume molto, il sabato -notte, a dì 16 d’ottobre, l’oste si dovesse partire, -e ogni uomo si dovesse riducere verso l’alpe -<span class="pagenum" id="Page_225">[225]</span> -di Bologna, i cui passi erano tutti in loro signoria, -e il cammino era corto e il passo aperto, e la gente -volonterosa di levarsi da campo, per la qual cosa -subito ebbono passato il giogo dell’alpe. I Fiorentini -avendo sentito che i nimici erano per -partirsi dall’assedio, aveano mandati in Mugello -i cavalieri che aveano per danneggiarli, se -potessono, alla levata: ma gli avvisati capitani -dell’oste la domenica mattina innanzi che la loro -gente s’avviasse feciono una schiera di duemila -buoni cavalieri, i quali tennero ferma in -sul piano, insino che seppono che tutta la loro -gente e la salmeria erano valicati il giogo e passati -in luogo salvo; la schiera della guardia passò, -non vedendo apparire alcuno nimico, girò e prese -il suo cammino verso la montata dell’alpe, ch’era -presso a due miglia di piano: ed ebbono passato -prima il giogo, che la cavalleria de’ Fiorentini -si assicurasse di stendere per lo piano, temendo -d’aguato: e così sani e salvi si ricolsono a Bologna -senza impedimento per lo senno de’ loro -capitani. Quest’oste mossa con tanto ordine e aiuto -di tutti i ghibellini d’Italia, venuta di subito -sopra la nostra città sprovveduta d’ogni aiuto, -stette ottantadue dì sopra il nostro contado senza -potere vincere per forza niuno castello, e -de’ quali, sessantuno dì consumarono all’assedio -del piccolo castello della Scarperia. E come fu -piacer di Dio, la sfrenata potenza di cotanto signore, -aggiunta con tutta la forza de’ ghibellini -d’Italia, guidata da buoni capitani, credendosi -soggiogare la città di Firenze e’ popoli circustanti, -non ebbono podere di vincere la Scarperia, da -<span class="pagenum" id="Page_226">[226]</span> -qui addietro vilissimo castello, non murato per -tutto e di piccola fortezza per sito, ma difeso -da piccolo numero di valorosi masnadieri: essendovi -a oste con più di cinquemila barbute, e -duemila cavalieri, e seimila pedoni di soldo, -senza la forza degli Ubaldini e degli altri ghibellini -con loro sforzo; per la qual cosa il tiranno -che avea l’animo levato a inghiottire le italiane -provincie, potè conoscere che un piccolo -e vile castello domò e fece ricredente tutta la sua -forza. E come era venuto a guisa di leone con la -testa alzata, spaventevole a tutte le città di Toscana, -chinate le corna dell’ambiziosa superbia, -tornò pieno di vergogna e di vituperio, non avendo -per sua potenza potuto acquistare un debole -castello, e diede materia a’ popoli di grande confidenza -della loro difesa. Lasceremo ora finita -questa materia, e torneremo all’altre tempeste -italiane, che non bastando in terra conturbano -l’altrui mare. -</p> - -<h3 id="cap34-2">CAP. XXXIV. -<span class="smaller"><i>Come l’armata de’ Genovesi si partì da Negroponte -e andò a Salonicco.</i></span></h3> - -<p> -In questo tempo cominciando aspro e fortunoso -verno, i Genovesi che con la loro armata di sessantaquattro -galee erano stati all’assedio della -città di Candia nell’isola di Negroponte, sentendo -l’apparecchiamento delle cinquanta galee -de’ Veneziani e de’ Catalani che doveano venire -contro a loro al soccorso; e vedendo che lo stare -<span class="pagenum" id="Page_227">[227]</span> -ivi per speranza d’avere la terra era invano, -e non minor danno a loro che a’ Veneziani, e avendo -promesso il loro aiuto all’imperadrice di -Costantinopoli, ch’era fuggita col figliuolo nel -reame di Salonicco, parendo per questa cagione -la loro levata dall’assedio fosse con meno vergogna, -ed entrando nell’imperio aveano più sicuro -vernare, si partirono di là e dirizzarono loro viaggio -verso Salonicco; e giunti a Malvagia, intendeano -levare l’imperadrice e ’l figliuolo, e fare -loro podere di rimetterli in Costantinopoli con -la loro forza e della parte che amava il loro vero -signore. L’imperadrice sentendo l’armata di presso, -come femmina mutevole, non avendo piena -confidenza del figliuolo, cominciò a sospettare: -e il giovane medesimo non avendo avuto più maturo -consiglio all’impresa, convenendo la sua -persona mettere nelle mani dell’altrui forza, -dubitò, e non lo volle fare, e forse fu più da biasimare -il cominciamento della folle impresa che ’l -cambiamento del femminile e giovanile animo, i -quali non si vollono abbandonare alla non provata -fede de’ Genovesi; per la qual cosa l’ammiraglio -col suo consiglio presono sdegno, e rivolta la loro -armata, desiderosi di rapina e di preda, vennero -all’isola di Tenedo, piena di gente e d’avere, sottoposta -all’imperio, i quali de’ Genovesi non prendeano -alcuna guardia, ed elli la presono e rubarono -d’ogni sustanza. E quivi feciono dimoro gran parte -del verno prendendo rinfrescamento, e ragunando -la preda di quella e dell’altre terre di Grecia, della -quale data a catuno la parte sua, si trovarono pieni -di roba e di danari, sicchè a loro non fece bisogno -<span class="pagenum" id="Page_228">[228]</span> -altro soldo, e la loro vita tutta ebbero per -niente delle ruberie del paese. E ivi stettono -fino al Natale senza mutare porto. -</p> - -<h3 id="cap35-2">CAP. XXXV. -<span class="smaller"><i>Come i Veneziani e’ Catalani s’accozzarono in -Romania con l’altra armata.</i></span></h3> - -<p> -I Veneziani, come addietro abbiamo narrato, -avendo fatta compagnia e lega co’ Catalani contro -a’ Genovesi, armarono in Venezia ventisette -galee molto nobilmente, ove si ricolsono quasi -tutti i maggiori e migliori cittadini di Venezia -per governatori e soprassaglienti, forniti a doppio -di ciò che a guerra faccia mestiero, e ventitrè galee -armarono i Catalani. E tanto bolliva negli animi -loro lo infocamento dell’izza ch’aveano presa -contro a’ loro avversari genovesi, che nel tempo -che l’armate sogliono abbandonare il mare e vernare -in terra, si mossono da Venezia e di Catalogna, -domando le tempeste del mare, ad andare -contro a’ loro nimici in Romania. Del mese -di novembre s’accozzarono insieme in Cicilia, -e di là senza soggiorno si dirizzarono verso l’Arcipelago, -e con grandi e aspre fortune, avendo per -quelle perdute sette galee veneziane e due catalane, -non senza danno della loro gente, pervennero -in Turchia, e posono alla Palatia e a -Altoloco; e ivi, del mese di dicembre del detto -anno, avendo raccolte le galee che aveano a Negroponte -e nelle contrade si trovarono con settanta -galee: e in Turchia stettono gran parte del -<span class="pagenum" id="Page_229">[229]</span> -più fortunoso verno per rivedere i loro legni e -avere novelle di loro nimici. In questo travalicamento -del tempo delle due armate ci occorre -a raccontare altre cose rimase addietro, e in prima -una pazzia di corrotta mente dell’ambizione umana, -la quale alcuna volta combattendo, contro al -suo prospero e buono stato abbatte e rovina se medesimo -con debito e degno traboccamento. -</p> - -<h3 id="cap36-2">CAP. XXXVI. -<span class="smaller"><i>Come i Brandagli si vollono fare signori -d’Arezzo.</i></span></h3> - -<p> -Dappoich’e’ Bostoli per loro superbia furono -cacciati della terra d’Arezzo, una famiglia che -si chiamarono i Brandagli, loro nimici, cominciarono -di nuovo ad avere stato in comune, e -montando l’un dì appresso all’altro vennono -in maggiori, ed erano al tutto governatori del reggimento -di quello comune, e per questo montati -in grandi ricchezze: e della loro famiglia -Martino e Guido di Messer Brandaglia erano i -caporali. Costoro ingrati del loro buono stato -cercarono di farsene signori con tradimento, non -perchè fossono da tanto, ma per farne loro mercatanzia, -come nel fine del fatto si scoperse. -Costoro trattarono col nuovo tiranno d’Agobbio -d’avere da lui al tempo ordinato centocinquanta -cavalieri, e da quello di Cortona dugento -cavalieri, non che da se gli avesse, ma per -servire costoro n’accattò centocinquanta dal -prefetto da Vico, e cinquanta dal conte Nolfo -<span class="pagenum" id="Page_230">[230]</span> -da Urbino, e feceli venire e soggiornare all’Orsaia, -come gente di passaggio che attendessono -d’essere condotti e oltre a questa gente a -cavallo, di quello che non era richiesto, mise -in ordine d’avere apparecchiati undicimila fanti -a piede, con intenzione, che se fortuna il mettesse -in Arezzo di volerlo per se. E ancora richiese -messer Piero Tarlati, che aveva in Bibbiena il -doge Rinaldo con trecento cavalieri, benchè fosse -ghibellino e nimico del loro comune richieselo -non manifestandogli il fatto. Ma la volpe vecchia -che conobbe la magagna, si offerse loro -molto liberamente, sperando altro fine del fatto -che non pensavano i traditori, accecati nella cupidigia -della sperata tirannia. A conducere questa -gente aveano fuori d’Arezzo Brandaglia loro -nipote, e Guido intendeva a raccogliere i masnadieri -che gli capitavano segretamente, e a nasconderli -ne’ loro palagi, e Martino stava nel palagio -co’ priori della terra a tutti i segreti del comune. -In quel tempo si dava in guardia a confidenti -cittadini una porta della città che si chiamava -la porta di messer Alberto, la quale era a -modo d’un cassero, e dava l’entrata tra le due -castella. Questa guardia per procaccio di Brandaglia -era ne’ figliuoli di messer Agnolo loro confidenti, -con cui elli si teneano in questo tradimento. -E messe le cose d’ogni parte in assetto, -a’ signori d’Arezzo fu scritto per lo comune di -Firenze e per quello di Siena ch’avessono buona -guardia, perocchè sentivano che una terra si -cercava di furare, ma non sapeano come nè quale; -Martino Brandagli ch’era nel consiglio, co’ suoi -<span class="pagenum" id="Page_231">[231]</span> -argomenti levava i sospetti. E venuto il dì che -la notte si dava il segno a que’ di fuora, un conestabile -fiorentino ch’era in Arezzo, uomo -guelfo e fedele, fu richiesto da’ Brandagli per la -notte. Costui per amore della sua città e di parte -non potè sostenere per promesse che avesse avute -che non manifestasse a’ priori il tradimento di -quella notte. Incontanente i priori mandarono -per Martino, il quale confidandosi nel suo grande -stato e ne’ molti amici, andò dinanzi a’ priori, -e negava scusandosi che niente sapeva di quelle -cose; e in quello stante Guido suo fratello corse -a’ loro palagi, e colla gente che avea nascosa levò -il romore, e tennesi co’ suoi masnadieri forte. I -cittadini in furia armati corsono alla porta di -messer Alberto, che poteva dare l’entrata a’ forestieri, -per fornire di guardia per lo comune, ma -trovarono ch’ella si tenea per i traditori. E così -la città intrigata nel nuovo pericolo, e non provveduta, -fu in grande paura. La porta era forte e -bene guernita alla difesa da non poter vincersi -per battaglia, e già era venuta la notte, e quei -della torre della porta d’entro feciono i cenni ordinati -alla gente di fuori, che venire doveano a -loro aiuto per vincere la terra. -</p> - -<h3 id="cap37-2">CAP. XXXVII. -<span class="smaller"><i>Di quello medesimo.</i></span></h3> - -<p> -I cittadini vedendo i cenni, temendo di non -essere sorpresi dall’aiuto provveduto da’ traditori, -tempestando nell’animo, intrigati dalle tenebre -<span class="pagenum" id="Page_232">[232]</span> -della notte e dalla paura, intendendo a combattere -quei della porta e mettere gente in su -le mura, ma per questo non poteano conoscere -riparo che i forestieri non entrassono per forza -nella città, e però s’avvisarono di rompere le mura -della città appresso a quella porta: e fattane la -rotta che vollono, avendo per loro guardia cento -cavalieri di Fiorentini e alcuni di loro, li misono -fuori in uno borgo fuori di quella porta, ove -dovea essere l’entrata de’ nemici, e accompagnaronli -di cittadini e d’altri fanti alla difesa con -buone balestra; e di subito tagliarono alberi, e -abbarrarono e impedirono le vie al corso de’ cavalli, -e le mura guarentirono di gente e di saettamento: -e nondimeno facevano dal lato d’entro -combattere di continovo quelli della porta e della -torre, ma e’ si difendevano, e di quella battaglia -poco si curavano, e continovo manteneano -cenni a loro soccorso: e dentro i Brandagli difendeano -i loro palazzi e la loro contrada co’ masnadieri -che aveano accolti, e attendendo Brandaglia -con la gente invitata, con la quale non -dottavano d’essere signori della terra s’ella -v’entrasse. I segni della torre furono veduti dal -principio della notte, e il signore di Cortona -che stava attento fu in sul mattutino con dugento -cavalieri e duemila pedoni giunto ad Arezzo, -e Brandaglia con altri dugento cavalieri. La -gente di messer Piero Saccone tardò più a venire, -per riotta che mosse il doge Rinaldo in sul -fatto; gli altri ch’erano venuti baldanzosi, credendosi -senza contasto entrare nella città, come -furono presso alla terra, mandarono innanzi cento -<span class="pagenum" id="Page_233">[233]</span> -cavalieri che prendessono e guardassono l’entrata -della porta, e quella trovarono imbarrata -dagli alberi e le vie innanzi al borgo: ed essendo là -venuti, e saettati da quelli ch’erano alla guardia -del borgo, e scorgendo in su l’aurora le mura piene -di cittadini armati alla difesa, e già morti due -di loro compagni da quei del borgo, si tornarono -addietro, e feciono assapere a quelli dell’oste che -attendeano come stava il fatto: di che spaventati -s’arrestarono senza strignersi più alla terra, e -già per segni e ammattamento che que’ della torre -e della porta facessono, e eziandio chiamandoli -ad alte voci, non si attentarono di venire -più innanzi, ma ivi presso si fermarono attendendo -come i fatti dentro procedessono, e così -stettono schierati dalla mattina sino presso a nona. -E in verso la nona messer Piero Sacconi giunse -co’ suoi cavalieri e pedoni, il quale sentendo -la cosa scoperta e i cittadini alla difesa, senza -attendere punto co’ suoi cavalieri diè volta e -co’ suoi pedoni, e tornossene a Bibbiena; e veduto -questo, tutti gli altri si partirono, e i traditori -rimasono senza speranza di soccorso. Questa -novità sentita nel contado e distretto de’ Fiorentini, -mosse senza arresto i cavalieri e’ masnadieri -che allora avea in quelle circustanze, e -i Valdarnesi per venire al soccorso degli Aretini: -i quali non bene confidenti del comune di Firenze -parte ne ritennono per loro sicurtà, e agli altri -diedono commiato onestamente, senza riceverli -nella città, e dolcemente fu sostenuto. Nondimeno -i traditori teneano i palagi, e la torre e -la porta: e tanta miseria occupò l’animo di -<span class="pagenum" id="Page_234">[234]</span> -que’ pochi cittadini in cui era rimaso il reggimento, -per tema di non volere fare parte agli altri -da cui e’ potessono avere aiuto, che si misono -a trattare con Martino cui eglino aveano prigione, -dicendo di lasciare andare e lui e’ suoi, e -i figliuoli di messer Agnolo e le loro cose liberamente, -ed e’ rendessono la porta. E innanzi che -questo venisse alla loro intenzione, convenne che -i figliuoli di messer Agnolo fossono sicuri a loro -modo d’avere contanti fiorini tremila d’oro, e -avuta la sicurtà renderono la porta e la torre al -comune; e facendosi loro il pagamento per coloro -che aveano fatta la promessa, i danari furono -staggiti per coloro che aveano per loro sodo al -comune, che eglino renderebbono quella fortezza -al detto comune: e così s’uscirono della città co’ -Brandagli insieme; e il seguente dì furono tutti condannati -per traditori, e i loro beni disfatti e pubblicati -al comune. Trovossi poi di vero, che i traditori -aveano trattato come avessono presa la signoria, -con ciò sia cosa che non erano d’aiuto per -loro lignaggio da poterla tenere, di venderla all’arcivescovo -di Milano, a gravamento della loro -detestabile malizia, la quale prese non il debito -fine, ma alcuno segno della loro rovina, per -la viltà di coloro che non degni rimasono al governamento -di quella terra. -</p> - -<h3 id="cap38-2">CAP. XXXVIII. -<span class="smaller"><i>Come il re Luigi mandò il gran siniscalco ad -accogliere gente in Romagna.</i></span></h3> - -<p> -Tanto imbrigamento di guerra sboglientava gli -animi degl’Italiani per terra e per mare in questi -<span class="pagenum" id="Page_235">[235]</span> -tempi, che volendo cercare delle novità degli -strani, non ci lasciano da loro partire. Il re -Luigi valicata la tregua dal re d’Ungheria a lui, -non ostante che rimesso avessono le loro questioni -al giudicio del papa e de’ cardinali, tentava -con preghiere e impromesse di recare dalla sua -parte fra Moriale, friere di san Giovanni, il quale -teneva Aversa e Capua dal re di Ungheria, e -questo fra Moriale, astuto e malizioso, mostrava -di voler piacere al re Luigi; e dandogli speranza, -cominciò ad allargare il passo alla gente del -re e a’ paesani d’Aversa e di Capua, sicchè andavano -e venivano sicuramente, e non faceva -guerra, ma nondimeno guardava le città e le -fortezze di quelle, e per questo corse la voce che -la concordia era fatta: ma però il re di lui, o egli -del re si fidava. Ma in questo tranquillo, il re -mandò il grande siniscalco nella Marca ad accogliere -gente d’arme, il quale con grandi promesse -mosse messer Galeotto da Rimini a venire al -servigio del re con trecento cavalieri, e messer -Ridolfo da Camerino con cento, a tutte loro spese, -e ’l grande siniscalco messer Niccola Acciaiuoli -di Firenze ne condusse e menò quattrocento al -soldo del re, e con tutta questa cavalleria entrò -in Abruzzi. E mandò al re, che con la sua forza -e con quella de’ baroni del Regno, i quali il re -avea richiesti e ragunati a Napoli, venisse là, -come era ordinato, per vincere messer Currado -Lupo, e racquistare le terre d’Abruzzi che di là -si teneano per lo re d’Ungheria. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_236">[236]</span> -</p> - -<h3 id="cap39-2">CAP. XXXIX. -<span class="smaller"><i>Come il re Luigi accolse i baroni del Regno -e andò in Abruzzi.</i></span></h3> - -<p> -Il re Luigi sentendo come il gran siniscalco -avea con seco in Abruzzi que’ due buoni capitani -con ottocento cavalieri di buona gente, fu molto -contento, e avendo presa sicurtà che fra Moriale -per la concordia ch’aveano non moverebbe -guerra in Terra di Lavoro, si mosse da Napoli per -mare, e capitò incontanente a Castello a mare del -Volturno, e tutta sua gente a piè e a cavallo fece -andare per terra da Pozzuolo e per lo Gualdo al -detto Castello a mare, non fidando la gente sua -per gli stretti passi d’Aversa e di Capua ch’erano -in guardia di fra Moriale: e seguendo di là loro cammino, -del mese d’ottobre del detto anno s’accozzò -in Abruzzi con la cavalleria accolta per lo gran -siniscalco: e fatta fare la mostra, si trovò con undicimila -cavalieri e con grande popolo. Messer -Currado Lupo avendo sentito l’oste che gli veniva -addosso, e non avendo gente da potere uscire -a campo, mise guardia nelle terre che teneva in -Abruzzi e ordinolle alla difesa, e con cinquecento -cavalieri tedeschi bene montati e buoni dell’arme -si mise in Lanciano. Il re poco provveduto -di quello che a mantenere oste bisognava, e -povero di moneta, volendo usare l’aiuto degli amici -che quivi avea si mise a oste a Lanciano; e -dopo non molti dì, cavalcando messer Galeotto -co’ suoi cavalieri intorno alla terra, messer Currado -<span class="pagenum" id="Page_237">[237]</span> -Lupo uscì fuori con parte de’ suoi cavalieri -e percosse i nimici, e danneggiò molto la masnada -di messer Galeotto, e innanzi che dall’altra -oste fosse soccorso si ritrasse in Lanciano a salvamento. -Per questa cagione spaventato l’oste, -considerando l’ardimento preso per li cavalieri -di messer Currado, e che la terra di Lanciano -era forte e bene guernita, e il verno veniva loro -addosso, per lo migliore presono consiglio e levaronsi -dall’assedio: e stando in dubbio di quello -dovessono fare più dì, a messer Galeotto e -a messer Ridolfo, non vedendo di poter fare utile -servigio al re, rincrebbe lo stallo, presono congiò -dal re e tornaronsi nella Marca, e i baroni del -Regno feciono il simigliante. Il re con la sua gente -invilito e quasi disperato avendo animo di volere -entrare nell’Aquila, gli fu detto non se -ne mettesse a pruova, perocchè non vi sarebbe -lasciato entrare, e scoprirebbe nimico messer Lallo -che gli si mostrava fedele; e così rimaso il re -pieno di sdegno e voto di forza e d’avere, si tornò -a Sulmona a mezzo dicembre del detto anno, e -ivi s’arrestò per trarre da’ paesani alcuno sussidio, -e per fare in quella terra la festa del Natale. -</p> - -<h3 id="cap40-2">CAP. XL. -<span class="smaller"><i>Come il re Luigi sostenne gli Aquilani che -pasquavano con lui.</i></span></h3> - -<p> -Vedendosi il re Luigi rotto da’ suoi intendimenti, -e abbandonato del servigio degli amici, trovandosi -a Sulmona povero, si ristrinse nell’animo, -<span class="pagenum" id="Page_238">[238]</span> -e diede opera di volere fare in Sulmona gran -festa per lo Natale, e fece a quella invitare quei -gentiluomini e baroni circostanti che potè avere. I -Sulmontini il providono di moneta e d’altri doni -per aiuto alla festa. Ciascuno si sforzò di comparire -bene a quella festa, e intra gli altri principali -fu invitato messer Lallo, il quale governava -il reggimento dell’Aquila, e conoscendo la sua coperta -tirannia si dubitò d’andare al re, e infinsesi -d’essere malato, e sotto questa scusa ricusò -l’andare alla festa. Per fare più accetta la sua scusa -al re elesse quindici de’ maggiori cittadini d’Aquila -col suo fratello carnale, i quali portarono al re -per dono da parte del comune dell’Aquila fiorini -quattromila d’oro, e costoro mandò a festeggiare -col re: e giunti a Sulmona furono ricevuti dal re -graziosamente, nonostante che si turbasse perchè -messer Lallo non v’era venuto. E fatto il corredo -reale con piena festa, i cittadini dell’Aquila volendo -prendere licenza dal re per tornare a casa -furono ritenuti prigioni, della qual cosa il re fu forte -biasimato di mal consiglio, parendo a tutti più -opera tirannesca che reale. La novella corse in Aquila: -il tiranno molto savio e buono parlatore -raccolse il popolo, e con argomenti di sua savia diceria -infiammò il popolo all’ingiuria, e mosselo -all’arme e corse la terra, e ordinò la guardia -come se il re con l’oste vi dovesse venire, ma il -re non era atto a poterlo fare, e però si rimase, -e messer Lallo più s’afforzò nella signoria. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_239">[239]</span> -</p> - -<h3 id="cap41-2">CAP. XLI. -<span class="smaller"><i>Come papa Clemente sesto fe’ la pace de’ due re.</i></span></h3> - -<p> -Stando il re Luigi in Sulmona maninconoso e -quasi in disperazione di suo stato, considerando -come in tutte cose la fortuna gli era avversa, e come -con abbassamento di suo onore gli avea fatte -fare cose non reali, ma di vile e mendace tiranno, -e vedendosi povero e mal ubbidito, non sapeva -che si fare, e parevagli per la baldanza presa -pe’ suoi avversari ch’elli dovessono ristrignerlo -o cacciare del Regno, e de’ suoi fatti da corte non -avea potuto avere alcuna speranza o novella che -buona fosse. Il papa Clemente in questo tempo -era stato in una grande e grave malattia, nella -quale rimorso da coscienza di non avere capitato -il fatto tra i due re che gli era commesso, e di -questo sostenere era seguito danno e confusione -di molti, propuose nell’animo come fosse guarito -di capitare quella questione senza indugio, e -come fu sollevato mise opera al fatto; e per più -acconcio di quello reame, vedendo che il re d’Ungheria -avea l’animo al suo reame, ed era appagato -della vendetta fatta del suo fratello, deliberò, -poichè avea deliberato la reina, che messer Luigi -fosse re: e questo pubblicò co’ suoi cardinali, e poi -il mise a esecuzione, come appresso nel suo tempo -racconteremo. La novella venne improvviso al -re Luigi a Sulmona, della qual cosa fu molto allegro: -e confortato nel fondo della sua fortuna da -questa prosperità, di presente conobbe il suo -<span class="pagenum" id="Page_240">[240]</span> -esaltamento per opera, che i baroni e’ comuni il -cominciarono ad onorare e a vicitare con doni e -grandi profferte come a loro signore: e tornato a Napoli -con grandi onori, stette in festa più dì tutta -la terra delle buone novelle. Lasceremo al presente -alquanto de’ fatti del Regno sollecitandoci -le novità di Toscana, delle quali prima ci conviene -fare memoria, per non travalicare il debito -tempo della nostra materia. -</p> - -<h3 id="cap42-2">CAP. XLII. -<span class="smaller"><i>Come messer Piero Saccone prese il Borgo a -san Sepolcro.</i></span></h3> - -<p> -Avendo messer Piero Saccone de’ Tarlati a Bibbiena -il conte Pallavicino con quattrocento cavalieri -dell’arcivescovo di Milano, e cento di -suo sforzo per fare guerra, e standosi e non facendola, -faceva maravigliare la gente, ma egli nel -soggiorno lavorava copertamente quello che prosperamente -gli venne fatto. Il Borgo a san Sepolcro, -terra forte e piena di popolo e di ricchi cittadini, -e fornita copiosamente d’ogni bene da vivere, -era nella guardia de’ Perugini con due casseri -forniti alla guardia de’ castellani perugini e di -gente d’arme. Messer Piero aveva appo se uno -suo fedele che aveva nome Arrighetto di san -Polo, questi era grande e maraviglioso ladro, e facea -grandi e belli furti di bestiame, traendo i -buoi delle tenute murate e guardate, e rompeva -tanto chetamente le mura, che niuno il sentiva, -e di quelle pietre rimurava le porti a’ villani -<span class="pagenum" id="Page_241">[241]</span> -di fuori sì contamente, che prima aveva dilungate -le turme de’ buoi, e tratte per lo rotto del muro -due o tre miglia, che i villani trovandosi murate -le porti, e impacciati dalle tenebre della notte e -dalla novità del fatto, le potessono soccorrere; -così n’avea fatte molte beffe, e accusatone di furto, -messer Piero il difendea, e davagli ricetto in -tutta sua giurisdizione. Questi saliva su per li cauti -delle mura e delle torri co’ suoi lievi argomenti -incredibilmente, e quanto che fossono alte non se -ne curava, ed era dell’altezza maraviglioso avvisatore. -Per costui fece messer Piero furare la -forte e alta torre del castello di Chiusi alla moglie -che fu di messer Tarlato. A costui scoperse -messer Piero come volea furare il Borgo a Sansepolcro, -e mandollo a provvedere l’altezza della -torre della porta: il quale tornato disse, che gli -dava il cuore di montare in su la più alta torre -che vi fosse; e avuta messer Piero questa risposta, -s’intese con uno de’ Boccognani del Borgo e -grande ghibellino, il quale odiava la signoria de’ -Perugini, e da lui ebbe, che se la porta e la torre -fosse presa, e di fuori fosse forza di gente a cavallo -e a piè grande, ch’egli con gli altri ghibellini -d’entro verrebbono in loro aiuto a metterli dentro. -E dato l’ordine tra loro, messer Piero con -cinquecento cavalieri e duemila pedoni un sabato -notte, a dì 20 del mese di novembre del detto -anno, improvviso a’ Borghigiani, innanzi il dì fu -presso al Borgo; e mandato Arrighetto con certi -masnadieri eletti in sua compagnia a prendere la -torre e la porta, il detto Arrighetto con suoi incredibili -argomenti in quello servigio, cintosi corde, -<span class="pagenum" id="Page_242">[242]</span> -e aiutato di non esser sentito per uno grande -vento che allora soffiava, e avea ristrette le guardie -sotto il coperto, montò in su la torre della -porta, ed essendovi due sole guardie, si recò il -coltello ignudo in mano, e mostrò d’avere compagnia, -minacciandoli d’uccidere. Eglino storditi -per la novità, non sapendo che si fare, stettono -cheti per paura, e Arrighetto data la corda -a’ masnadieri ch’erano a piè del muro, con una -scala leggieri di funi tirò su l’uno de’ capi e accomandollo -a uno de’ merli, e incontanente montati -suso per quella l’uno appresso l’altro dodici masnadieri, -e quando si vidono signori della porta, feciono -a quelli traditori d’entro certo segno ordinato. -Quello de’ Boccognani veduto il segno come la -porta era presa, fece sonare a stormo una campana -d’una chiesa, al cui suono, come ordinato avea, -tutti i ghibellini del Borgo furono all’arme e -traevano verso la porta. I guelfi che non sapeano -il tradimento traevano storditi alla piazza senza -niuno capo; e schiarito il dì, vedendo aperta e -presa la porta per i ghibellini, e sentendo come -messer Piero era di fuori con molta gente, non -vedevano da potere riparare; ma i ghibellini non -volendo guastare la terra sicurarono i guelfi che -ruberia non vi si farebbe, e senza contasto vi lasciarono -entrare messer Piero con tutta la sua gente -e del conte Pallavicino, e non vi si diè colpo e non -vi si fece alcuna ruberia: e così messer Piero ne fu -signore; ma le due rocche che erano forti e guardate -per li Perugini si misono alla difesa, per attendere -il soccorso de’ Perugini. Messer Piero e il conte -senza prendere soggiorno con tutta la sua gente -<span class="pagenum" id="Page_243">[243]</span> -a cavallo e a piè uscirono del Borgo, e accamparonsi -di fuori dirimpetto alle rocche per torre la via -a’ Perugini, e fecionsi innanzi al loro campo fare -un fosso di subito e uno steccato, e mandarono -a tutte le terre dov’avea gente d’arme del signore -di Milano che mandassero loro aiuto, e in pochi -dì vi si trovarono con ottocento cavalieri e -popolo assai. E per impedire a’ Perugini, Giovanni -di Cantuccio d’Agobbio con la cavalleria -che avea del Biscione cavalcò sopra loro: nondimeno -i Perugini turbati di questa perdita, procacciarono -da ogni parte aiuto per racquistare -la terra, tenendosi i casseri, e di presente ebbono -cinquecento cavalieri da’ Fiorentini: e con -millequattrocento cavalieri e con grande popolo -se ne vennono alla Città di Castello: e acconciandosi -per soccorrere quelli de’ casseri, tanta -viltà fu in coloro che gli aveano in guardia, che -senza attendere il soccorso così vicino s’arrenderono -a messer Piero; e incontanente quelli del -castello d’Anghiari cacciarono la guardia che -v’era de’ Perugini, e dieronsi al vicario dell’arcivescovo, -ed egli lo rendè a messer Maso -de’ Tarlati. In que’ dì il castello della Pieve a -santo Stefano, e ’l Castello perugino, tenendosi -mal contenti de’ Perugini, anche si rubellarono -da loro. -</p> - -<h3 id="cap43-2">CAP. XLIII. -<span class="smaller"><i>Come i Perugini arsono intorno al Borgo e -sconfissono de’ nimici.</i></span></h3> - -<p> -I Perugini avendo perduta la speranza di soccorrere -le rocche, cavalcarono al Borgo, e arsonlo -<span class="pagenum" id="Page_244">[244]</span> -intorno guastando tutte le possessioni, e già -messer Piero e ’l conte Pallavicino non ebbono -ardire d’uscire della terra contro a loro: e fatto -il guasto, si tornarono alla Città di Castello. Messer -Piero preso suo tempo, con tutta la cavalleria -ch’avea nel Borgo cavalcò fino alle porti della -Città di Castello: i cavalieri che v’erano dentro -de’ Perugini, e singolarmente quelli de’ Fiorentini, -ch’erano buona gente d’arme e bene montati, -uscirono fuori perchè i nimici aveano a fare -lunga ritratta, e seguitando i nimici quasi a mezzo -il cammino, s’abbatterono in un grosso aguato: -e ivi cominciò l’assalto aspro e forte, -ove s’accolse la maggiore parte della gente di -catuna parte senza fanti a piede; e ivi dando e -ricevendo si fece aspra battaglia, e durò lungamente, -perocchè catuno voleva mantenere l’onore -del campo; e non avendo pedoni che -l’impedissono, feciono i buoni cavalieri grande -punga, e in fine per virtù di certi conestabili -della masnada de’ Fiorentini, ristringendosi insieme, -con impetuoso assalto ruppono la cavalleria -di messer Piero, e a forza in isconfitta gli -cacciarono del campo, e rimasono morti sessanta -de’ loro cavalieri in sul campo e più cavalli, e -presi sei de’ loro conestabili da’ cavalieri de’ Fiorentini, -e messer Manfredi de’ Pazzi di Valdarno, -e più altri cavalieri tedeschi e borgognoni, -a’ quali tolsono l’arme e’ cavalli secondo -l’usanza, e lasciaronli alla fede: e questo fu del -mese di dicembre del detto anno. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_245">[245]</span> -</p> - -<h3 id="cap44-2">CAP. XLIV. -<span class="smaller"><i>D’una cometa ch’apparve in oriente.</i></span></h3> - -<p> -In questo anno 1351, del detto mese di dicembre, -si vide in prima in cielo a noi verso -levante una cometa, la quale per li più fu giudicata -Nigra, la quale è di natura saturnina. Il -suo apparimento fu a noi all’uscita del segno -del Cancro, e alcuni dissono ch’ella entrò nel -Leone: ma innanzi che per noi si vedesse fuori -del Cancro, fu fuori del verno, sicchè approssimandosi -il Sole al Cancro se ne perdè la vista. -Alcuni pronosticarono morte di grandi signori, -ovvero per decollazione, e avvenimento di signorie. -Noi stemmo quell’anno a vedere le novità -che più singolari e grandi apparissono onde -avere potessimo novelle, e in Italia e nel patriarcato -d’Aquilea furono molte dicollazioni -di grandi terrieri e cittadini, che lungo sarebbe -a riducere qui i singulari tagliamenti. E mortalità -di comune morte in questo anno non avvenne: -ma per la guerra de’ Genovesi, e Veneziani -e Catalani avvennono naufragii grandi, e -mortalità di ferro grandissima in quelle genti e -ne’ loro seguaci, e per i difetti sostenuti in -mare non meno ne morirono tornando che -combattendo. Avvenne in Italia singolare accidente -al grano, vino e olio e frutti degli alberi, -che essendo ogni cosa in speranza di grande -ubertà, subitamente del mese di luglio si mosse -una sformata tempesta di vento, che tutti gli -<span class="pagenum" id="Page_246">[246]</span> -alberi pericolò de’ loro frutti, e i grani e le biade -ch’erano mature battè e mise per terra con -smisurato danno. Dappoi a pochi dì fu il caldo -sì disordinato, che tutte le biade verdi inaridì -e seccò. Per questo accidente avvenne, che dove -s’aspettava ricolta fertile e ubertosa, fu generalmente -per tutta Italia arida e cattiva. E avvennono -in questi anni singulari diluvi d’acque, -che feciono in molte parti gran danni, e gittò -per tutta Italia generale carestia di pane e sformata -di vino. In questo medesimo mese di dicembre -apparve la mattina anzi giorno, a dì 17, -un grande bordone di fuoco, il quale corse di -verso tramontana in mezzodì. E in questo medesimo -anno all’entrare di dicembre morì papa -Clemente sesto, e alcuno de’ cardinali. Al nostro -lieve intendimento basta di questi segni del cielo -e delle cose occorse averne raccontato parte, lasciando -agli astrolaghi l’influenza di quello che -s’appartiene alla loro scienza, e noi ritorneremo -alla più rozza materia. -</p> - -<h3 id="cap45-2">CAP. XLV. -<span class="smaller"><i>Come fu preso il castello della Badia de’ Perugini, -e come si racquistò.</i></span></h3> - -<p> -Essendo i Perugini imbrigati nelle rubellioni -delle loro terre per gli assalti de’ loro vicini, -con la forza dell’arcivescovo di Milano, la quale -di prima, come addietro narrammo, nel tempo che -si cercò di fare lega con la Chiesa e co’ Lombardi, -dicevano che non si potea stendere a -<span class="pagenum" id="Page_247">[247]</span> -loro, due conestabili di fanti a piè cittadini -sbanditi di Firenze, partendosi dal soldo del tiranno -d’Agobbio co’ loro compagni, di furto -entrarono nel castello della Badia, grosso castello, -il quale era de’ Perugini, e cominciarono -a correre e predare le villate vicine con l’aiuto -di Giovanni di Cantuccio signore d’Agobbio. I -Perugini vi mandaro certe masnade di cavalieri -che aveano di Fiorentini e altra gente a piè: costoro -vi si puosono a oste del mese di gennaio. Giovanni -di Cantuccio con la cavalleria ch’avea dell’arcivescovo -di Milano e co’ suoi fanti a piè, essendo -tre cotanti di cavalieri e di fanti che quelli -de’ Perugini, andarono per levarli da campo -e fornire il castello. Un conestabile tedesco delle -masnade de’ Fiorentini valente cavaliere, ch’avea -nome M... si fece incontro a’ nimici a un -ponte onde conveniva ch’e’ nimici venissono, e -francamente li ritenne, tanto che l’altra cavalleria -de’ Perugini ch’era alla Città di Castello venne -al soccorso del passo: e giunti, valicarono il ponte, -e per forza cacciarono l’oste di Giovanni di -Cantuccio in rotta, e presono cento e più de’ cavalieri -del Biscione: e tornati al castello, i masnadieri -che ’l teneano, vedendosi fuori di speranza -di avere soccorso, il renderono a’ Perugini, salvo -le persone e l’arme, a dì 6 del detto mese di -gennaio. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_248">[248]</span> -</p> - -<h3 id="cap46-2">CAP. XLVI. -<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini cercarono lega co’ comuni -di Toscana, e accrebbono loro entrata.</i></span></h3> - -<p> -Temendo il comune di Firenze la gran potenza -del signore di Milano, fornito della compagnia -de’ ghibellini d’Italia, con suoi ambasciadori -smosse i Perugini Sanesi e Aretini a parlamento -alla città di Siena, del mese di dicembre del -detto anno, e ivi composono lega e compagnia di -tremila cavalieri e di mille masnadieri, contra -qualunque volesse fare guerra a’ detti comuni o ad -alcuno di quelli; e incontanente il comune di Firenze -si fornì di cavalieri e di masnadieri di più -assai che in parte della lega non li toccava. E per -avere l’entrata ordinata a mantenere la spesa elessono -venti cittadini, con balìa a crescere l’entrata -e le rendite del comune, i quali commutarono -il disutile e dannoso servigio de’ contadini personale -in danari, compensandoli che pagassono -per servigio di cinque pedoni per centinaio del -loro estimo per rinnovata dell’anno, a soldi dieci -il dì per fante: e questo pagassono in tre paghe -l’anno, e fossono liberi dell’antico servigio -personale: o quando per necessità occorresse il -bisogno del servigio personale, scontassono di -questo. E questa entrata secondo l’estimo nuovo -montò l’anno cinquantaduemila fiorini d’oro, e -fu grande contentamento de’ condannati. E a’ cherici -ordinarono certa taglia per aiuto e guardia e -alla difesa della città e del contado, la quale stribuirono -<span class="pagenum" id="Page_249">[249]</span> -e raccolsono i loro prelati, e montò fiorini ... -d’oro; e raddoppiarono e crebbono più gabelle, -per le quali entrate il comune potè spendere -l’anno trecentosessantamila fiorini d’oro. -E oltre a ciò ordinarono e distribuirono tra’ cittadini -la gabella de’ fumanti, la quale nel fatto -fu per modo di sega, che catuno capo di famiglia -fu tassato in certi danari il dì per modo, che raccogliendosi -il numero montava fiorini d’oro centoquaranta -il dì: poi per ogni danaro che l’uomo -avea di sega, fu recato in estimo di soldi trenta; -e questa gabella montava l’anno fiorini -cinquantamila d’oro: e quando il comune aveva -necessità, riscoteva questa gabella per avere i danari -presti, e assegnavali alla restituzione di certe -gabelle. Per queste sformate gravezze, avendo -carestia generale delle cose da vivere, era la città -e il contado in assai disagio, forse meritevolmente -per la dissoluta vita, e’ disordinati e non -leciti guadagni de’ suoi cittadini. -</p> - -<h3 id="cap47-2">CAP. XLVII. -<span class="smaller"><i>Come i Romani feciono rettore del popolo.</i></span></h3> - -<p> -In questo anno essendo per lo corso stato a Roma -del general perdono arricchito il popolo, i -loro principi e gli altri gentilotti cominciarono a -ricettare i malandrini nelle loro tenute, che facevano -assai di male, rubando, e uccidendo, e conturbando -tutto il paese. Senatore fu fatto Giordano -dal Monte degli Orsini, il quale reggeva -l’uficio con poco contentamento de’ Romani. E -<span class="pagenum" id="Page_250">[250]</span> -per questa cagione gli fu mossa guerra a un suo -castello, per la quale abbandonò il senato. Il vicario -del papa ch’era in Roma, messer Ponzo di -Perotto vescovo d’Orvieto, uomo di grande autorità, -vedendo abbandonato il senato, con la famiglia -che aveva, in nome del papa entrò in Campidoglio -per guardare, tanto che la Chiesa provvedesse -di senatore. Iacopo Savelli della parte di -quelli della Colonna accolse gente d’arme, e per -forza entrò in Campidoglio e trassene il vicario -del papa, e Stefano della Colonna occupò la torre -del conte, e la città rimase senza governatore, e -catuno facea male a suo senno perocchè non v’era -luogo di giustizia. E per questo il popolo era in -male stato, la città dentro piena di malfattori, e -fuori per tutto si rubava. I forestieri e i romei -erano in terra di Roma come le pecore tra’ lupi: -ogni cosa in rapina e in preda. A’ buoni uomini -del popolo pareva stare male, ma l’uno s’era accomandato -all’una parte, e l’altro all’altra di -loro maggiori, e però i pensieri di mettervi consiglio -erano prima rotti che cominciati: e la cosa -procedeva di male in peggio di dì in dì. Ultimamente -non trovando altro modo come a consiglio -il popolo si potesse radunare, il dì dopo la -natività di Cristo, per consuetudine d’una compagnia -degli accomandati di Madonna santa Maria, -s’accolsono avvisatamente molti buoni popolani -in santa Maria Maggiore, e ivi consigliarono -di volere avere capo di popolo: e di concordia -in quello stante elessono Giovanni Cerroni antico -popolare de’ Cerroni di Roma, uomo pieno -d’età, e famoso di buona vita. E così fatto, tutti -<span class="pagenum" id="Page_251">[251]</span> -insieme uscirono della chiesa e andarono per lui, -e smosso parte del popolo, il menarono al Campidoglio -ov’era Luca Savelli. Il quale vedendo -questo subito movimento non ebbe ardire di -contastare il popolo, ma dimandò di loro volere: -ed e’ dissono che voleano Campidoglio, il quale -liberamente diè loro; ed entrati dentro sonarono -la campana: il popolo trasse al Campidoglio -d’ogni parte della città senza arme, e i principi -con le loro famiglie armati, ed essendo là, domandarono -la cagione di questo movimento e quello -che ’l popolo volea: il popolo d’una voce risposono -che voleano Giovanni Cerroni per rettore, -con piena balía di reggere e governare in giustizia -il popolo e comune di Roma. E consentendo -i principi all’ordinazione del popolo, di comune -volontà fu fatto rettore; e mandato per lo vicario -del papa che lo confermasse, come savio e discreto -volle che prima giurasse la fede a santa Chiesa, -e d’ubbidire i comandamenti del papa, e ricevuto -di volontà del popolo il saramento dal rettore, -il confermò per quell’autorità che aveva: -e tutto fu fatto in quella mattina di santo Stefano, -innanzi ch’e’ Romani andassono a desinare. -E lasciato il rettore in Campidoglio, catuno si -tornò a casa con assai allegrezza di quello ch’era -loro venuto fatto così prosperamente. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_252">[252]</span> -</p> - -<h3 id="cap48-2">CAP. XLVIII. -<span class="smaller"><i>Di una lettera fu trovata in concistoro -di papa.</i></span></h3> - -<p> -Essendo per lo papa e per i cardinali molto tratto -innanzi il processo contro al’arcivescovo di -Milano, una lettera fu trovata in concistoro, la -quale non si potè sapere chi la vi recasse, ma uno -de’ cardinali la si lasciò cadere avvisatamente in -occulto: la lettera venne alle mani del papa, e la fece -leggere in concistoro. La lettera era d’alto dittato, -simulata da parte del principe delle tenebre al -suo vicario papa Clemente e a’ suoi consiglieri cardinali: -ricordando i privati e comuni peccati di catuno, -ne’ quali li commendava altamente nel suo -cospetto, e confortavali in quelle operazioni, acciocchè -pienamente meritassono la grazia del suo -regno: avvilendo e vituperando la vita povera e -la dottrina apostolica, la quale come suoi fedeli -vicari eglino aveano in odio e ripugnavano, ma -non ferventemente ne’ loro ammaestramenti come -nell’opere, per la qual cosa li riprendeva e -ammoniva che se ne correggessono, acciocchè li -ponesse per loro merito in maggiore stato nel suo -regno. La lettera toccò molto e bene i vizi de’ nostri -pastori di santa Chiesa, e per questo molte -copie se ne sparsono tra’ cristiani. Per molti fu -tenuto fosse operazione dell’arcivescovo di Milano -allora ribello di santa Chiesa, potentissimo -tiranno, acciocchè manifestati i vizi de’ pastori -si dovessono più tollerare i suoi difetti, manifesti -<span class="pagenum" id="Page_253">[253]</span> -a tutti i cristiani. Ma il papa e i cardinali poco -se ne curarono, come per innanzi l’operazioni -si dimostreranno. -</p> - -<h3 id="cap49-2">CAP. XLIX. -<span class="smaller"><i>Come il re d’Inghilterra essendo in tregua col -re di Francia acquistò la contea di -Guinisi.</i></span></h3> - -<p> -Avvenne in questo anno, che un Inghilese prigione -nella forte rocca di Guinisi, la quale era -del re di Francia, essendo per ricomperarsi, avea -larghezza d’andare per la rocca, e così andando, -provvide l’ordine delle guardie e l’altezza d’alcuna -parte della rocca ond’ella si potesse furare. E -pagati i danari della sua taglia, fu lasciato; e trovatosi -con alquanti sergenti d’arme, suoi confidenti, -disse ove potesse avere il loro aiuto gli -farebbe ricchi. E presa fede da loro manifestò -come intendea furare la rocca di Guinisi, e avea -provveduto come fare il poteva, i quali arditi e -volonterosi di guadagnare promisono il servigio: -ed essendo tra tutti cinquanta sergenti bene armati, -avendo scale fatte alla misura del primo -procinto, una notte in su l’ora che l’Inghilese sapea -che la guardia della mastra fortezza vi si rinchiudea -dentro, condotte le scale al muro chetamente -montarono sopra il primo procinto: e -sorprese le guardie, per non lasciarsi uccidere si -lasciarono legare, e così legati gli faceano rispondere -all’altre guardie della rocca. Quando venne -in sul fare del dì gl’Inghilesi feciono alle -<span class="pagenum" id="Page_254">[254]</span> -guardie muovere riotta, e fare romore tra loro -in modo di mischia. Il castellano sentendo questo -tra le guardie, mostrando non avere sospetto -scese della rocca, e aprendo l’uscio per venire -a correggere le guardie, gl’Inghilesi apparecchiati -nell’aguato, immantinente con l’armi ignude -in mano furono sopra lui, e presono l’uscio ed entrarono -nella rocca, e presono il castello e le guardie. -E incontanente mandarono al re d’Inghilterra -come aveano presa la forte rocca di Guinisi, -la quale il re molto desiderava. E di presente vi -mandò gente d’arme e fecela prendere e guardare, -e commendata la valenza e l’industria del suo -fedele e degli altri scudieri fece loro onore e provvidegli -magnificamente. E per questa rocca fu il -re d’Inghilterra in tutto signore della contea di -Guinisi, e il re di Francia forte conturbato. E avvegnachè -questa presura andasse per la forma che -è detto, e’ si trovò poi che il castellano avea consentito -al tradimento, e tornato di prigione, essendo -lasciato, in Francia fu squartato. -</p> - -<h3 id="cap50-2">CAP. L. -<span class="smaller"><i>Il piato fu in corte tra’ due re per la contea di -Guinisi.</i></span></h3> - -<p> -Essendo furata la contea di Guinisi al re di Francia -sotto la confidanza delle triegue, trasse in giudicio -il re d’Inghilterra a corte di Roma per suoi -ambasciadori, dicendo che sotto la fede delle triegue -prestata il re d’Inghilterra gli avea tolto -per furto la rocca, e la contea occupata per forza. -<span class="pagenum" id="Page_255">[255]</span> -Per la parte del re d’Inghilterra fu risposto, che -avendo per suo prigione il conte di Guinisi conestabile -di Francia preso in battaglia, e dovendosi -riscattare per lo patto fatto della sua taglia scudi -ottantamila d’oro, o in luogo di danari la detta -contea di Guinisi, e lasciato alla fede acciocchè -procacciare potesse la moneta, il re di Francia -appellandolo traditore, per non averlo a ricomperare, -o acconsentirgli la contea di Guinisi il fece -dicollare: e così contro a giustizia privò il re -d’Inghilterra delle sue ragioni, le quali giustamente -avea racquistate. La quistione fu grande -in concistoro, e pendeva la causa in favore del re -di Francia, e però innanzi che sentenza se ne -desse, il re fece restituire la terra di Guinisi a -quell’Inghilese che data glie l’avea; e seguendo -la morte di papa Clemente non ne seguì altra -sentenza. -</p> - -<h3 id="cap51-2">CAP. LI. -<span class="smaller"><i>Come l’arcivescovo di Milano ragunò i suoi -soldati per rifare guerra a’ Fiorentini.</i></span></h3> - -<p> -In questo tempo del verno, avendo l’arcivescovo -di Milano fatte rivedere e rassegnare le sue -masnade tornate da Firenze, trovò ch’aveva a fare -ammenda di bene milledugento cavalli. E turbato -forte nel suo furore, propose di fare al primo tempo -maggiore e più aspra guerra a’ Fiorentini. E trovando -che avea consumato senza acquisto grande -tesoro, volendolo rifare senza mancare la sua generale -entrata, fece nuova colta in Milano e in tutte -<span class="pagenum" id="Page_256">[256]</span> -le sue terre per sì grave modo, che tutti i mercatanti -si ritrassono delle loro mercatanzie nelle -sue terre: nondimeno a catuno convenne portare -la soma che gli fu imposta; per la quale gravezza -accrebbe cinquecento migliaia di fiorini d’oro -sopra le sue rendite ordinarie in piccolo tempo. -In queste oppressioni molti parlavano biasimando -l’impresa contro al comune di Firenze, e rimproveravano -quello che avea fatto loro il vile castelletto -della Scarperia per provvisione del comune -di Firenze, essendovi intorno la forza de’ Lombardi -e de’ ghibellini di Toscana. E in tra gli altri -un cavaliere bresciano di grande età, amico -e fedele alla casa de’ Visconti, biasimò l’impresa, -dicendo semplicemente il vero, come aveva ricordo -di lungo tempo, che qualunque signore avea -impreso di far guerra al comune di Firenze n’era -mal capitato, però per amore che aveva al suo signore -non lodava l’impresa. Le parole del cavaliere -furono rapportate all’arcivescovo; il tiranno inacerbito, -non considerando la fede dell’antico -cavaliere, seguitando l’impetuoso furore del suo -animo, mandò per lui. E venuto nella sua presenza, -il domandò s’egli aveva usate quelle parole. -Il cavaliere disse, che dette l’avea per grande amore -e fede ch’avea alla sua signoria, ricordandosi -dell’imperadore Arrigo, e dell’impresa di -messer Cane della Scala e degli altri che non erano -bene capitati. Il tiranno infiammato nel suo disordinato -appetito, di presente fece armare un suo -conestibile con la sua masnada, e accomandogli il -cavaliere, e disse il rimenasse in Brescia, e in su -l’uscio della sua casa gli facesse tagliare la testa, -<span class="pagenum" id="Page_257">[257]</span> -e così fu fatto. Costui per la sua fede degno di -premio e per l’utile consiglio ricevette pena, la -quale soddisfece colla sua testa all’appetito del -turbato tiranno. -</p> - -<h3 id="cap52-2">CAP. LII. -<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini, e’ Perugini, e’ Sanesi mandarono -ambasciadori a corte.</i></span></h3> - -<p> -Stando le città di Toscana in gran tema di futura -guerra, i comuni della lega di parte guelfa -mandarono al papa e a’ cardinali solenne ambasciata, -a inducere la Chiesa contro alla grande -tirannia dell’arcivescovo di Milano per aggravare -il processo che contro a lui si faceva, e procurare -l’aiuto e il favore di santa Chiesa alla loro -difesa. Gli ambasciadori furono ricevuti dal papa -e da’ cardinali graziosamente. Ma innanzi -che questi ambasciadori fossono a corte, l’arcivescovo -v’avea mandati i suoi, per riconciliarsi -colla Chiesa, e fare annullare il processo fatto -contro a lui per l’impresa di Bologna, i quali -ambasciadori erano forniti di molti danari contanti -per spendere e donare largamente; e facendolo -con molta larghezza aveano il favore del -re di Francia, che faceva parlare per lui, e quello -di molti cardinali, e de’ parenti del papa e della -contessa di Torenna, per cui il papa si movea -molto alle gran cose. E il papa medesimo avea -già l’ingiuria fatta a santa Chiesa per l’arcivescovo -della tolta di Bologna temperata, ed era -disposto a prendere accordo coll’arcivescovo: e -<span class="pagenum" id="Page_258">[258]</span> -per questo fu molto più contento della venuta -degli ambasciadori de’ tre comuni di Toscana, -credendo fare l’accordo dell’arcivescovo di loro -volontà; perocchè nel primo parlamento disse -agli ambasciadori: eleggete delle tre cose che io vi -proporrò l’una, quale più vi piace, o volete pace -coll’arcivescovo, o volete lega colla Chiesa, -o volete la venuta dell’imperadore in Italia per -vostra difesa. L’offerte furono larghe per conchiudere -alla pace che parea più abile e migliore. Gli -ambasciadori savi e discreti di concordia rimisono -la detta elezione nel papa, a fine di farlo più -pensare nel fatto dandoli gravezza, dimostrando -grande confidanza nella deliberazione. E così -cominciata la cosa a praticare ebbono tempo e -cagione gli ambasciadori d’avvisare i loro comuni, -e in questo si soggiornò la maggior parte del -verno senza uscirne alcun frutto. Lasceremo alquanto -gli ambasciadori e ’l processo del papa, e -torneremo agli altri fatti che occorsono in questo -soggiorno, rendendo a catuno suo diritto. -</p> - -<h3 id="cap53-2">CAP. LIII. -<span class="smaller"><i>Come l’ammiraglio di Damasco fece novità -a’ cristiani.</i></span></h3> - -<p> -In questo tempo l’ammiraglio del soldano che -reggeva la gran città di Damasco si pensò di -trarre un gran tesoro da’ cristiani di Damasco per -sua malizia, e una notte fece segretamente mettere -fuoco in due parti della città, il quale fece in -Damasco grave danno. Spento il fuoco, l’ammiraglio -<span class="pagenum" id="Page_259">[259]</span> -fece apporre che questo era stato avvistatamente -messo pe’ cristiani, e richiese i più ricchi cristiani -della città, che ve n’avea assai, e feceli martoriare, -e per martorio confessarono che fatto l’aveano -a fine di cacciare i saracini: e coloro che di questo -pericolo vollono campare la vita gli dierono danari -assai; e tanti furono coloro che si ricomperarono, -che l’ammiraglio ne trasse gran tesoro: agli altri -diede partito o che rinnegassono la fede di Cristo -o che morissono in croce. Una gran parte di loro -per corrotta fede rinnegò per campare; rimasonne -ventidue, i quali diliberarono di morire in croce, -innanzi che la perfetta fede di Cristo volessono -rinnegare. E però il crudele ammiraglio li fece -mettere in sulle croci, e ordinolli in suso i cammelli -che li conducessono per la terra, e in questo -tormento vivettono tre dì. Ed era menato il padre -crocifisso innanzi al figliuolo, e il figliuolo -innanzi al padre rinnegato; e i rinnegati con -pianto e con preghiere pregavano i crocifissi che -volessono campare la crudele morte e tornare alla -fede di Maometto; ma i costanti fedeli, il padre -spregiava il figliuolo rinnegato, dicendo che non -era suo figliuolo, e il figliuolo il padre rinnegato, -dicendo che non era suo padre, ma del nimico -che ’l volea tentare e torli i beni di vita eterna: -e molto biasimavano a’ rinnegati la loro incostanza -per la paura della pena temporale, dicendo -che a loro era diletto e gran grazia potere seguitare -Cristo loro redentore. E così consumate le loro -temporali vite in grave tormento e in grandissima -costanza, nella veduta per tre dì de’ saracini -e de’ cristiani, renderono l’anime a Dio. -<span class="pagenum" id="Page_260">[260]</span> -Il soldano sentì il movimento reo del suo ammiraglio, -mandò incontanente per lui, e fecelo -tagliare per mezzo. -</p> - -<h3 id="cap54-2">CAP. LIV. -<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini disfeciono terre di -Mugello.</i></span></h3> - -<p> -In questo medesimo tempo, di verno, i Fiorentini -mandarono certi loro cittadini per lo contado -a provvedere le loro castella e terre, a fine di -afforzare le parti deboli, e fornire le terre di ciò -ch’alla difesa mancasse per averle guernite, sopravvenendo -la guerra che s’aspettava del Biscione. -Avvenne, come è usanza del nostro comune, -acciocchè il buon consiglio non fosse senza difetto -di singolare ovvero cittadinesco odio, che nel -Mugello furono per loro fatte disfare alquante tenute -forti e utili alla difesa di quello contado per -modo, che dove state non vi fossono, era utile consiglio -a porlevi di nuovo. E feciono abbattere Barberino, -Latera, Gagliano e Marcoiano, ch’erano al -Mugello mura contra i nimici di verso Montecarelli, -e di Montevivagni e delle terre degli Ubaldini, -ove in que’ tempi si faceva capo pe’ nimici -a fare guerra al nostro comune, le quali tenute -con piccola spesa d’afforzamento erano gran -sicurtà a tutto il Mugello, per le cui rovine s’accrebbe -campo a’ nimici senza contasto di più di sei -miglia di nostro contado, il quale tutto s’abbandonò, -a danno e vergogna del nostro comune. Riprensione -comune ne seguitò a coloro che così -<span class="pagenum" id="Page_261">[261]</span> -mala provvisione feciono, altro gastigamento no, -per la corrotta usanza del comune di Firenze di -non punire le cose mal fatte, nè meritare le -buone. -</p> - -<h3 id="cap55-2">CAP. LV. -<span class="smaller"><i>Come la Scarperia fu furata e racquistata.</i></span></h3> - -<p> -Facendo il comune di Firenze con molta sollecitudine -afforzare il castello della Scarperia di -grandi fossi e di forti palancati, il tiranno e gli -Ubaldini con ogni sottigliezza d’inganno tentavano -di procacciare ridotto nel Mugello, e sopra -tutto di levarsi l’onta della Scarperia, e continovo -cercavano come la potessono furare: per la qual -cosa corruppono più loro fedeli mandandoli per -essere manovali, come se fossono Mugellesi, e alcuno -maestro. E messi al lavorio del votare il -fosso, del quale si portava la terra al palancato per -alzare la parte dentro, costoro provvidono la via -onde la terra si portava: e segretamente tra le -due terre segarono alcuni legni del palancato, e -dierono la posta agli Ubaldini: i quali di presente -feciono scendere gente a cavallo e a piè a Montecarelli, -e alla Sambuca, e a Pietramala, e nell’alpe -e nel Podere, per dare diversi riguardi a’ -Fiorentini, e seppono come pochi dì innanzi i soldati -che guardavano la Scarperia aveano fatto mischia -co’ terrazzani, e mortine parecchi, onde tra’ -terrazzani e’ forestieri era sconfidanza grande. La -notte che ordinata fu a questo servigio scesono -dell’alpe e da Montecarelli nel piano di Mugello -duemilacinquecento fanti, e quattro bandiere -<span class="pagenum" id="Page_262">[262]</span> -di cento cavalieri a guida degli Ubaldini. Costoro -elessono dugentocinquanta i più pregiati briganti -di tutta quella gente con dieci bandiere, e -conestabili molto famosi d’arme, e lasciati gli altri -fanti e cavalieri riposti ivi presso per loro soccorso, -chetamente guidati per la via provveduta del fosso -dalla parte di Sant’Agata, e senza esser sentiti, -entrarono tutti nella Scarperia a dì 17 di gennaio -del detto anno: e stretti insieme si condussono -in su la piazza, gridando, muoiano i forestieri, -e vivano i terrazzani. E in quella notte -non avea nella Scarperia tra forestieri e terrazzani -centocinquanta uomini d’arme, sicchè al tutto -n’erano signori i nimici. Sentendo questo romore -nella scurità della notte i soldati forestieri, -credettono che i terrazzani li volessono offendere, -e non ardivano d’uscire delle case, e i terrazzani -temeano de’ soldati, pensando che fosse in su -la piazza inganno, e non voleano uscire fuori, e così -i nimici non aveano contasto; e dove Iddio per -singolar grazia non avesse liberato quella terra, -senza speranza di soccorso umano era perduta. -Ma la volontà di Dio fu, che la grande potenza -del tiranno non avesse quello ridotto a consumazione -del nostro paese; onde a coloro ch’aveano -presa la terra, e che aveano presso a un miglio -tutta la loro gente tolse l’accorgimento, che -non lasciassono guardia al passo ond’erano entrati, -e non feciono il segno ordinato a quelli -di fuori; e diede Iddio baldanza manifesta a -que’ d’entro e accorgimento, perocchè per la vista -scura i terrazzani conobbono all’insegne che coloro -dalla piazza erano nemici: e incontanente assicurarono -<span class="pagenum" id="Page_263">[263]</span> -i conestabili de’ forestieri che v’erano, per -paura che quella gente nè quelle grida non erano -per loro fattura, ma de’ nimici ch’erano nella -terra. Come i valenti masnadieri sentirono la verità -del fatto, ragunati insieme meno di cinquanta -tra terrazzani e forestieri, gridando alla morte -alla morte, sì fedirono tra’ nimici, che lungamente -erano stati ammassati in su la piazza, e nel primo -assalto senza fare resistenza li ruppono, cacciandoli -come se fossono stati altrettanti montoni; e -senza attendere l’uno l’altro, affrettando d’uscire -per lo luogo stretto ond’erano entrati, e’ cadeano -nel fosso, e voltolavansi per quelle ripe. -Que’ d’entro erano pochi, e però non ve ne poterono -uccidere più di cinque, e dodici ne ritennono -a prigioni, tra’ quali furono conestabili di pregio, -che ’l signore avrebbe ricomperati molti danari, -ma tutti furono impiccati. Que’ di fuori -che attendeano il segno per entrare dentro sentendo -la tornata in rotta, senza attendere il giorno -chiaro, innanzi che la novella si spandesse -per il Mugello, si ricolsono nell’alpe a salvamento; -e così in una notte fu presa e liberata la -Scarperia con dubbia e maravigliosa fortuna. -</p> - -<h3 id="cap56-2">CAP. LVI. -<span class="smaller"><i>Come messer Piero Sacconi cavalcò con mille -barbute infino in su le porte di Perugia.</i></span></h3> - -<p> -Del mese di febbraio del detto anno, cresciuta -gente d’arme a messer Piero Sacconi de’ Tarlati -dall’arcivescovo di Milano, trovandosi baldanzoso -<span class="pagenum" id="Page_264">[264]</span> -per la presa del Borgo a san Sepolcro e delle terre -vicine, e trovando i signori di Cortona ch’aveano -rotta pace a’ Perugini, ed eransi collegati col Biscione, -se n’andò a Cortona con mille cavalieri, -e da’ Cortonesi ebbono il mercato e gente d’arme, -con la quale cavalcò sopra il contado di Perugia, -ardendo e predando le ville d’intorno al -lago; e per forza presono Vagliano e arsonlo, e combatterono -Castiglione del Lago e non lo poterono -avere; e partiti di là se n’andarono fino presso -a Perugia facendo grandissimi danni. E non -essendo i Perugini in concio da potere riparare -a’ nemici, fatta grande preda, senza contasto si -ritornarono a Cortona sani e salvi, e di là al Borgo -a san Sepolcro, onde partirono e venderono -la loro preda. Per questa cagione grande sdegno -presono i Perugini contro a’ signori di Cortona, -ma la baldanza dell’arcivescovo gli aveva sì gonfiati -di superbia, che non si curavano rompere -pace nè fare ingiuria a’ loro vicini, per la qual -cosa poco appresso ricevettono quello che aveano -meritato per la loro follia, come ne’ suoi tempi -racconteremo. -</p> - -<h3 id="cap57-2">CAP. LVII. -<span class="smaller"><i>Come i Chiaravallesi di Todi vollono ribellare -la terra e furono cacciati.</i></span></h3> - -<p> -Questa sfrenata baldanza de’ ghibellini di Toscana -e della Marca per la forza del Biscione facea -gravi movimenti, tra’ quali, mentre che -messer Piero Sacconi guastava e predava il contado -<span class="pagenum" id="Page_265">[265]</span> -di Perugia, i Chiaravallesi grandi cittadini -di Todi, d’animo ghibellino, feciono venire il -prefetto di Vico con trecento cavalieri subitamente -per metterlo in Todi, e cacciarne i caporali guelfi -che s’intendeano co’ Perugini; ed essendo il -prefetto con la detta cavalleria già presso alla -città di Todi, il popolo e’ guelfi scoperto il trattato -de’ Chiaravallesi, di subito presono l’arme -e corsono sopra i traditori: i quali essendosi più -fidati alla venuta del prefetto che provveduti -d’aiuto dentro all’assalto del popolo, non ebbono -forza a ributtarlo, ma francamente sostennono -la battaglia, consumando il rimanente del -dì nella loro difensione. I Perugini che tosto sentirono -la novella vi cavalcarono prestamente, sicchè -la notte furono alla porta. Il popolo per metterli -nella terra spezzarono una porta, che già -non erano signori d’aprirla, ed entrati i Perugini -in Todi, e fatto giorno, i Chiaravallesi furono costretti -d’uscire della città co’ loro seguaci, e fuggendo -trovarono assai di presso il prefetto colla -sua gente che veniva a loro stanza, i quali co’ cacciati -insieme vituperosamente si tornarono indietro, -e la città rimase a più fermo stato di popolo -e di parte guelfa col favore de’ Perugini in suo riposo. -</p> - -<h3 id="cap58-2">CAP. LVIII. -<span class="smaller"><i>Come que’ da Ricasoli rubellarono -Vertine a’ Fiorentini.</i></span></h3> - -<p> -Era in questi dì questione non piccola tra’ consorti -della casa da Ricasoli per cagione della pieve -<span class="pagenum" id="Page_266">[266]</span> -di san Polo di Chianti, che essendo il piovano -in decrepita età ammalato, temendo i figliuoli -d’Arrigo e il Roba da Ricasoli, che per maggioranza -dello stato messer Bindaccio da Ricasoli -e’ figliuoli non occupassono la detta pieve, -pervennono ad accuparla contro la riformagione -del comune di Firenze, onde furono condannati -nella persona a condizione; il Roba ubbidì, -e fu prosciolto: i figliuoli d’Arrigo, avvegnachè -restituissono al comune la possessione, non essendo -loro attenuto quello che però fu loro promesso -dal comune, rimasono in bando; e sdegnati di questa -ingiuria, sapendo che molta roba de’ loro consorti -era ridotta nel castello di Vertine, accolsono -centocinquanta fanti masnadieri, ed entrarono -nel castello, che non si guardava, e di presente -l’afforzarono: e corsono per le villate d’attorno, e -misono nel castello molta roba, e gli abituri e case -de’ loro consorti arsono e guastarono. Il comune -di Firenze vi feciono cavalcare il podestà con certe -masnade di cavalieri e di pedoni, stimando che -contro al comune non facessono resistenza: ma -i giovani trovandosi in luogo forte e bene guerniti, -e la forza del Biscione di presso, di cui -il comune forte temeva, e favoreggiati da Giovanni -d’Ottolino Bottoni de’ Salimbeni di Siena, -pensarono di tenere il castello per forza, tanto -che il comune di Firenze per riaverlo farebbono -la loro volontà: e però si misono a ribellione. E -alla loro follia aggiunse il tempo aiuto, che all’entrata -di febbraio caddono nevi grandissime -l’una dopo l’altra, che stettono sopra la terra oltre -all’usato modo tutto il detto mese per tale maniera, -<span class="pagenum" id="Page_267">[267]</span> -che tale era a cavalcare il contado di Firenze -come le più serrate alpi. Lasceremo Vertine -tra le nevi nella sua ribellione, traendoci altra -maggiore materia in prima a raccontare. -</p> - -<h3 id="cap59-2">CAP. LIX. -<span class="smaller"><i>Come i Veneziani e’ Catalani furono sconfitti -in Romania da’ Genovesi.</i></span></h3> - -<p> -Avendo in parte narrato lo sboglientamento -delle guerre e delle seduzioni italiane, benchè ci -partiamo del paese, ci accade a raccontare le marine -battaglie che gl’Italiani medesimi feciono -in Romania tra loro. Era l’armata de’ Genovesi -di sessantaquattro galee presso a Pera sopra il -passo di Turchia, e ivi stavano per riguardo che -l’armata de’ Veneziani e Catalani non passassono -in Costantinopoli, acciocchè non si aggiugnessono -forza dall’imperadore ch’era in lega con loro. I -Veneziani e’ Catalani avendo soggiornato gran parte -del verno a Modone e Corone in Turchia, e riparate -loro galee, si trovarono con sessantasette -galee bene armate, e con aiuto di molti legni e -barche armate di loro sudditi e di certi Turchi, -avendo volontà d’essere a Costantinopoli, dove -s’accrescerebbe la loro forza e per mare e per terra, -senza attendere che il verno valicasse si misono -a navicare verso Costantinopoli, a intenzione -di combattere co’ Genovesi se impedire gli -volessono. I Genovesi con le sessantaquattro galee -armate, avendo per ammiraglio messer Paganino -Doria, e stando solleciti alla guardia per -<span class="pagenum" id="Page_268">[268]</span> -attendere i loro nemici, mandarono a dì 7 di -febbraio due galee a Gallipoli per avere lingua -di loro nemici, e quel dì trovarono che l’armata -de’ Veneziani e Catalani entravano all’isola -de’ Principi. Come i Genovesi ebbono questa novella -si mossono per andare loro incontro, e per forza -d’impetuoso vento furono portati indietro al -porto di san Dimitrum verso Peschiera, dove stettono -fino al lunedì, a dì 13 di febbraio. E partiti -di là con grande fatica, tornarono al passo di Turchia. -In questo mezzo tornarono le due galee con -festa ch’aveano seguita una galea de’ Veneziani e -aveanla fatta dare in terra, e campati gli uomini, -la galea aveano arsa e profondata; allora tutte le -galee insieme si misono da capo per andare contro -a’ nemici, e poco avanzato di mare per lo -contrario tempo, scopersono alla uscita di Principi -l’armata de’ Veneziani e Catalani che facevano -la via verso Grecia con grosso mare e molto vento -in poppa. I Catalani e’ Veneziani com’ebbono -scoperti i loro nimici genovesi, si dirizzarono -verso loro colle vele piene per combattere, -conoscendo il vantaggio che aveano per l’aiuto -del vento e del mare, e passare in Costantinopoli -a loro contradio. I Genovesi veggendosi venire -addosso i nimici con le vele piene si ristrinsono -insieme sopra la Turchia, e ritennonsi da -parte a modo d’una schiera, per cessare e lasciare -passare l’impeto de’ nimici, temendo della -percossa delle loro galee aiutate dalla forza del -vento e del mare. E come le galee veneziane e -catalane passando vennono al pari delle poppe -delle galee de’ Genovesi, i Genovesi si sforzarono -<span class="pagenum" id="Page_269">[269]</span> -per ingegni e per forza d’arme traversarne -e ritenerne alcuna, ma non ebbono podere, tanto -era forte il corso di quelle. E così i Veneziani -e’ Catalani con le loro galee e co’ loro navili armati -valicarono a Valanca lasciandosi addietro -l’armata de’ Genovesi, e aggiuntosi otto galee armate -di gente greca dell’imperadore di Costantinopoli, -si trovarono settantacinque galee e molti -legni armati. Le sessantaquattro galee de’ Genovesi -per lo traversare che aveano voluto fare, -avendo i marosi e ’l vento contrario, erano scerrate -e sparte, e vedendosi disordinati, e con gli -avversari passati, intendeano a raccogliersi insieme -senza seguire i nimici per riducersi nel porto -di san Dimitrum. I Veneziani e’ Catalani che si -trovarono valicati per forza, e accresciuta la loro -potenza, vedendo che i Genovesi non veniano -verso di loro, e ch’aveano le galee sparte e male -ordinate a potere sostenere la battaglia, presono -subitamente partito di tornare loro addosso sperando -avere piena vittoria. E dato il segno a tutta -l’oste, si dirizzarono per forza di remi, avendo -il mare contradio, a venire sopra le galee -de’ Genovesi, le quali non erano ancora potute -raccogliersi insieme. Ma vedendo che tutto lo -stuolo de’ Veneziani, e Catalani e Greci erano -rivolti per venire loro addosso, catuna parte della -loro armata, secondo che le galee genovesi si -trovarono insieme, non potendosi ristrignere nè -raccozzarsi al loro ammiraglio, come uomini di -grande cuore e ardire s’ordinarono alla loro difesa, -sempre avendo riguardo e dando opera d’accostarsi -al loro capitano, ma la traversa del mare -<span class="pagenum" id="Page_270">[270]</span> -e la fortuna forte l’impediva. L’ammiraglio -a tutte le galee che avea appresso di se fece trarre -l’ancore, e ritrarsi alquanto fuori delle grosse -maree, e dirizzossi contro a’ suoi nimici con la sua -galea grossa e con sette altre che avea in sua -compagnia; e date le prode contro a’ nimici, feciono -testa. Il capitano delle galee veneziane e -quello delle catalane, con seguito di gran parte -della loro armata, si trassono innanzi, avendo -contrario il mare, per assalire i loro nimici. I -Genovesi vedendoli venire, mandarono loro incontro -due delle loro galee sottili per assaggiarle -con le loro balestra, e cominciare lo stormo a modo -di badalucco. Il capitano de’ Catalani s’avanzò -innanzi, e quello de’ Veneziani appresso, per -investire la galea dell’ammiraglio de’ Genovesi, -ma trovandole serrate e bene in concio, non le -investirono, e non si afferrarono con loro, o per -codardia, o per maestria di tramezzare l’altre galee -de’ Genovesi innanzi che si raccogliessono al -loro ammiraglio: ma dietro a loro tre grosse -de’ Veneziani si misono a combattere la galea -dell’ammiraglio di Genova, e l’altre galee contro -quelle ch’erano in diverse parti del mare; e -cominciata da ogni parte l’aspra battaglia tra -l’una armata e l’altra, le due grosse de’ Veneziani -si misono per proda e una per banda a -combattere la sopra galea dell’ammiraglio de’ Genovesi. -Quivi fu lunga e aspra e grande battaglia, -perocchè d’ogni parte s’aggiunsono galee a quello -stormo, e quivi furono molti fediti e morti da -catuna parte; e valicato l’ora del vespero, per lo -grande aiuto delle galee de’ Genovesi che soccorsono -<span class="pagenum" id="Page_271">[271]</span> -il loro ammiraglio, le tre de’ Veneziani -che s’erano afferrate con quella rimasono -sbarattate e prese; e l’altre galee de’ Veneziani -e Catalani, ch’erano passate e divise tra l’ammiraglio -e l’altre galee genovesi, combattendo in -diverse parti cacciarono delle galee de’ Genovesi: -in prima dieci galee, che per campare le persone -diedono in terra verso sant’Agnolo, abbandonati -i corpi delle galee a’ nimici, morti e perduti assai -de’ compagni, il rimanente si fuggì a Pera; e -dopo queste altre tre galee de’ Genovesi fuggendo -innanzi a’ Veneziani feciono il simigliante, e -abbandonati i corpi delle galee si fuggirono a Pera. -I Veneziani e’ Catalani misono fuoco in quelle -galee, e tutte le profondarono; e oltre a queste -altre sei galee de’ Genovesi si fuggirono nel Mare -maggiore per campare. Dall’altra parte i Genovesi -combattendo per forza d’arme delle galee -de’ Veneziani e Catalani e Greci in diversi abboccamenti, -con grande uccisione di catuna parte, -ne vinsono e presono assai: ma però non sapea -l’uno dell’altro chi avesse il migliore. La tempesta -del mare era grande, e non lasciava riconoscere -nè raccogliere insieme alcuna delle parti. -E avendo per questo modo disordinato e fortunoso -combattuto fino alla notte senza sapere -chi avesse vinto o perduto, l’uno residuo dell’armata -e l’altro si ridussono a terra alle Colonne -al porto di Sanfoca; e dividendoli la notte, -dilungata l’una parte dall’altra il più che si -potè, nel detto porto cercarono per quella notte -alcuno sollevamento dalle fatiche agli affannati -corpi. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_272">[272]</span> -</p> - -<h3 id="cap60-2">CAP. LX. -<span class="smaller"><i>Di quello medesimo.</i></span></h3> - -<p> -La mattina vegnente, a dì 14 di febbraio, i -Veneziani, Catalani e Greci che si conobbono -essere maltrattati in quella battaglia da’ Genovesi, -innanzi che ’l sole alzasse sopra la terra, -per paura che i Genovesi, ravveduti del danno -che aveano fatto loro, non li sorprendessono in -quel luogo, si partirono, e andarsene a un porto -che si chiama Trapenon, ch’è nella forza de’ Greci, -ove poterono stare più sicuri. I Genovesi venuto -il giorno, ricercarono la loro armata, e trovarono -meno le tredici galee profondate, e le sei ch’erano -andate fuggendo i nimici nel Mare maggiore: -e della loro gente si trovarono molto scemati, tra -morti e annegati e fuggiti. Dall’altra parte trovarono, -che aveano prese quattordici galee de’ Veneziani, -e dieci de’ Catalani e due de’ Greci, e allora -conobbono che i nimici come rotti s’erano partiti -e fuggiti a Trapenon. E trovandosi avere morti -di loro nimici intorno di duemila, e presine milleottocento, -ebbono certezza della loro poco allegra -vittoria, e incontanente de’ loro prigioni fediti e -magagnati lasciarono quattrocento, acciocchè non -corrompessono la loro gente, e per fare alcuna misericordia -della loro vittoria. Ma tanto fu il loro -danno de’ morti e fediti, e d’avere perdute le loro -galee, che della detta vittoria non poterono far -festa. Questa battaglia non ebbe ordine nè modo, -anzi fu avviluppata e sparta come la tempesta -<span class="pagenum" id="Page_273">[273]</span> -marina: e però com’ella fu varia e non potuta -bene cernere nè vedere, non l’abbiamo potuta -con più certo e chiaro ordine recitare. -</p> - -<h3 id="cap61-2">CAP. LXI. -<span class="smaller"><i>Come per le discordie de’ paesani la Sicilia -era in grave stato.</i></span></h3> - -<p> -Partendoci dalle battaglie fatte per gl’Italiani -negli strani paesi, ci occorre l’intestino male -dell’isola di Sicilia: la quale non avendo nemico -strano, tanto mortalmente crebbe il furore -delle loro parti, che senza alcuna misericordia, -come salvatiche fiere, ovunque s’abboccavano -s’uccidevano, per aguati, per tradimenti, e per -furti di loro tenute continovo adoperavano il fuoco -e il ferro, onde molti gentiluomini, e altre -genti del paese perderono la materia delle paesane -divisioni per le loro violenti morti; e ancora -per questo tanto si disusarono i campi della cultura, -tanto si consumarono i frutti ricolti, che -l’isola per addietro fontana d’ogni vittuaglia, -per inopia e per fame faceva le famiglie de’ suoi -popoli in grande numero pellegrinare negli altri -paesi. E per partirci un poco da tanta crudele infamia, -la seguente ferina crudelezza, con vergogna -degli uomini di quella lingua, sia per ora -termine a questa materia. Un Catalano, il quale -teneva una rocca nella Valle di... fece a’ -suoi compagni tenere trattato col conte di Ventimiglia, -il quale avendo voglia d’avere quella -rocca, con troppa baldanzosa fidanza sotto il trattato -<span class="pagenum" id="Page_274">[274]</span> -entrò nel castello con centoquattro compagni, -benchè più ve ne credesse mettere: ma come -con questi fu dentro, per l’ordine preso pe’ traditori -furono chiuse le porti, e ’l conte e i compagni -presi; e avendovi uomini i quali si volevano -ricomperare grande moneta, ed erano da riserbare -per i casi fortunevoli della guerra, tanto incrudelì -l’animo feroce de’ Catalani, che senza arresto -spogliati ignudi i miseri prigioni, e legati -colle mani di dietro, l’uno dopo l’altro posto a’ -merli della maggiore torre della rocca, sopra uno -dirupinato grandissimo furono dirupinati senza -niuna misericordia, lacerando i miseri corpi con -l’impeto della loro caduta a’ crudeli sassi. Il conte -solo fu riserbato, non per movimento d’alcuna -umanità, ma per cupidigia di avere per -la sua testa alcuno suo castello vicino a’ crudi -nemici. Chi crederebbe questa sevizia trovare -tra’ fieri popoli delle barbare nazioni, la -quale tra i cristiani, tra i consorti d’uno reame, -tra i vicini passò le crudeltà de’ tigri, e la fierezza -de’ più salvatichi animali che la terra produca? -E perocchè trovare non si potrebbe maggiore, trapassiamo -a un’altra di minore numero, ma forse -non di minore infamia. -</p> - -<h3 id="cap62-2">CAP. LXII. -<span class="smaller"><i>Come fu in Firenze tagliate le teste a più -de’ Guazzalotri di Prato.</i></span></h3> - -<p> -Avendo narrata la grande crudeltà de’ Catalani, -un’altra sotto ombra di non vera scusa, non -<span class="pagenum" id="Page_275">[275]</span> -senza biasimo dell’abbandonata mansuetudine -del nostro comune, ci s’offera a raccontare. I -Guazzalotri di Prato, come è detto addietro, innanzi -che il comune il comperasse, usando la tirannia -di quello tirannescamente, ne furono abbattuti: -per questo l’animo di Iacopo di Zarino -caporale di quella casa era mal contento, avvegnachè -assai onestamente sel comportasse. Avvenne -che alquanti cittadini di Firenze, animosi -di setta, calunniarono lui e alquanti cittadini -di Firenze di trattato contro al comune, della -qual cosa convenne che in giudicio si scusassono, -e non trovandosi colpevoli, fu infamia a quella -gente che quello aveano loro apposto, ed egli con -gli altri infamati furono prosciolti. Avvenne appresso, -o per fuggire il pericolo degl’infamatori, -o per sdegno conceputo, andando per podestà a -Ferrara, fu ritenuto dal tiranno di Bologna e poi -lasciato, rimanendo per stadico il figliuolo; e tornato -a Firenze, e preso sospetto di lui, fu confinato -a Montepulciano: i quali confini, qual che si -fosse la cagione, e’ non seppe comportare, e fece -suo trattato col signore di Bologna per ritornare -in Prato; per la qual cosa venne a Vaiano in -Valdibisenzio, e fece richiedere de’ suoi amici, -e da Siena vennono lettere al comune di Firenze -di questo fatto: per le quali il nostro comune -di presente vi mise gente d’arme alla guardia, -per modo che non se ne potea dottare. Nondimeno -i cittadini che reggevano allora il comune, -animosi per setta, volendo aggravare l’infamia, -in su la mezza notte feciono chiamare -delle letta e armare i cittadini, e trarre fuori i -<span class="pagenum" id="Page_276">[276]</span> -gonfaloni, come se i nimici fossono alle porti, di -che i reggenti ne furono forte biasimati. Nondimeno -seguendo loro intendimento, aveano fatto -venire da Prato tutti gli uomini di casa i Guazzalotri, -i quali per numero furono sette; e incontanente, -come uomini guelfi e innocenti, e che dell’imprese -di Iacopo di Zarino erano ignoranti, -vennono a Firenze: ed essendo tutti in su la porta -del palagio de’ priori, un fante giunse il dì -medesimo, che le guardie erano rinforzate in Prato, -il quale disse loro da parte di Iacopo, com’egli -intendea d’essere quella notte in Prato. Costoro -di presente furono a’ signori e a’ loro collegi, -e dissono quello che in quell’ora Iacopo avea -loro mandato a dire, scusando la loro innocenza. -I priori co’ loro collegi non dimostrando di loro -alcuno sospetto, gli licenziarono per quel giorno: -l’altra mattina gli feciono chiamare, e tutti senza -sospetto andarono a’ signori, fuori d’un giovane, -il quale quanto che non fosse colpevole, temette -di venire in esaminazione; gli altri furono -ritenuti, e messi nelle mani del capitano del popolo, -uomo di poca virtù, e fatti pigliare certi -Pratesi, e un Fiorentino de’ Galigai, e due fabbri -di contado, tutti per gravi martori confessarono, -come coloro che questo feciono fare vollono, e -subitamente, improvviso agli altri cittadini, il detto -capitano, del mese di marzo 1351, fece decapitare -i nove, e i fabbri impiccare; la qual cosa fu -tenuta crudele e ingiusta sentenza, e molto dispiacque -a’ cittadini, perocchè manifesto fu che -non erano colpevoli. Abbiamone detto steso per -due cagioni, l’una per manifestare di quanto pericolo -<span class="pagenum" id="Page_277">[277]</span> -sono le sette cittadinesche, che i giusti spesso -com’e’ colpevoli involgono in capitale sentenza; -la seconda per dimostrare quanto a Dio dispiace -quando si spande l’innocente sangue: che per -quello che i Guazzalotri poco innanzi sparsero per -tirannia nella loro terra, il loro per simigliante -modo fu sparto nella città di Firenze. -</p> - -<h3 id="cap63-2">CAP. LXIII. -<span class="smaller"><i>Come il tiranno d’Orvieto fu morto.</i></span></h3> - -<p> -In questo anno, del mese di marzo, essendo tiranno -d’Orvieto Benedetto di messer Bonconte -de’ Monaldeschi, il quale poco dinanzi aveva -morti due suoi consorti per venire alla tirannia, -e stando in quella per operazione de’ suoi consorti, -da uno fante nel suo palagio fu morto. Per -la morte di costui la città fu in grave divisione; -ma coll’aiuto di gente e d’ambasciadori perugini -s’acquetò alquanto il popolo con alcuno lieve e -non fermo stato, perocchè tutta la terra era insanguinata -per la divisione della casa de’ Monaldeschi, -e avendo dentro poca concordia, e di fuori -sparti per lo contado e distretto i cittadini cacciati, -rimase lo stato dubbioso a potere sostenere; -e per la cavalleria che l’arcivescovo di Milano -aveva in Toscana e nella Marca, i comuni di parte -guelfa poco consiglio vi misono, onde ne seguì -la rivoltura che appresso seguendo nostro -trattato nel suo tempo racconteremo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_278">[278]</span> -</p> - -<h3 id="cap64-2">CAP. LXIV. -<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini assediarono Vertine.</i></span></h3> - -<p> -Nel predetto mese di marzo i Fiorentini feciono -porre l’oste al castello di Vertine, e strignerlo -con due campi al trarre delle balestra, e rizzaronvi -due mangani che tutto dì gittavano, abbattendo -e guastando le case della terra. Nell’oste -avea seicento cavalieri, e millecinquecento -masnadieri di soldo, i quali deliberarono di combattere -il castello e vincerlo per battaglia: ma -avvenne mirabile cosa, che quasi pareva fatta -per arte magica, che il tempo si corruppe all’acqua, -che dì e notte non ristò infino alla -Pasqua; e impedì tanto l’oste, che alla battaglia -non si potè venire per niun modo, e quelli -del castello ebbono agio di farlo più forte alla -difesa; e per questa cagione, e perchè dentro avea -franca masnada di buoni briganti, poco parea -si curassono de’ Fiorentini, e minacciavano di -darlo al Biscione; e così francamente il tennono -in fino all’uscita d’aprile, come appresso diviseremo. -</p> - -<h3 id="cap65-2">CAP. LXV. -<span class="smaller"><i>Come in corte fu fermata la pace dal re -d’Ungheria a’ reali di Puglia.</i></span></h3> - -<p> -Essendo per lungo tempo trattata in corte di -Roma a Vignone la pace tra il re d’Ungheria e i -<span class="pagenum" id="Page_279">[279]</span> -reali del regno di Cicilia di qua dal Faro, papa -Clemente essendo guarito della sua infermità, -nella quale aveva avuta grave riprensione di coscienza, -perchè aveva sostenuta la detta causa in -contumacia, potendola acconciare, con singulare -sollecitudine mise opera che la pace si facesse. Ed -essendo il re d’Ungheria con un solo fratello re -di Pollonia, senza avere altri consorti fuori de’ reali -del regno di Cicilia, e già soddisfatto in parte -non piccola della vendetta del fratello, agevolmente -si dispose a volere la pace, gradendola al -papa e a’ cardinali che con istanza ne pregavano, -e però mandò a corte suoi ambasciadori con pieno -mandato, informati di sua intenzione, lo eletto -di cinque chiese, e un vescovo d’Ungheria, e -Gulforte Tedesco fratello di messer Currado Lupo -vicario nel Regno del detto re; e del mese di -gennaio 1351, i detti ambasciadori in presenza -del papa e de’ cardinali, come ordinato fu per lo -detto papa, si fece la pace con gli ambasciadori -del re Luigi e della reina Giovanna in nome di -tutti i reali di quella casa. E per parte del re Luigi -e della reina furono fatte l’obbliganze, per le -quali, secondo che ’l papa e i cardinali aveano -trattato, il re e la reina doveano dare e restituire -al re d’Ungheria trecentomila fiorini d’oro in -diversi termini, per sodisfacimento delle spese -che il re d’Ungheria avea fatte in quell’impresa -del Regno. E fatte le dette cautele e la detta -pace, il papa per l’autorità sua e del consiglio -de’ suoi cardinali per decreto confermò ogni cosa, -confermando la pace, e consentendo all’obbligagione -pecuniaria del reame. E fornito ogni -<span class="pagenum" id="Page_280">[280]</span> -cosa solennemente, innanzi che della casa si -partissono le parti, gli ambasciadori del re d’Ungheria, -improvviso a tutti, seguendo il mandato -segreto che aveano dal loro signore, di grazia -spontaneamente, per propria volontà del re d’Ungheria, -finirono e quetarono al re, e alla reina, -e a’ reali di Puglia, e al Regno, e alla Chiesa di -Roma, di cui è il detto reame, i detti trecentomila -fiorini d’oro, dicendo, come il loro signore -non avea fatta quell’impresa per avarizia, ma -per vendicare la morte del suo fratello. E incontanente -si partì Gulforte, e tornò in Ungheria a -fare assapere al re come fatto era quanto egli -avea comandato, a grande grado e piacere di -santa Chiesa. E i sopraddetti prelati andarono -nel Regno a trarne gli Ungheri che v’erano -salvamente, e a fare per comandamento del loro -signore restituire al re Luigi e alla reina tutte -le città, e terre e castella che la sua gente vi -tenea. E fatto questo accordo, quale che si fosse -la cagione, il re d’Ungheria non lasciò incontanente -i reali ch’aveva prigioni in Ungheria, -anzi gli tenne insino al settembre prossimo, -come al suo tempo si dirà, occorrendoci altre -cose che prima richieggono il debito alla nostra -penna. -</p> - -<h3 id="cap66-2">CAP. LXVI. -<span class="smaller"><i>Come l’arcivescovo trattava pace colla Chiesa.</i></span></h3> - -<p> -In questo tempo, del verno, l’arcivescovo di Milano -continovo mantenea a corte solenni ambasciadori -<span class="pagenum" id="Page_281">[281]</span> -a procurare la sua riconciliazione con -santa Chiesa, e a ciò movea il re di Francia con -forza di grandi doni che gli faceva, e al continovo -pregava per sue lettere il papa e’ cardinali che -perdonassono all’arcivescovo, ed egli per essere -più favoreggiato domandava pace. I parenti del -papa e certi cardinali erano sì altamente provveduti, -e sì spesso, che continovo pregavano per -lui il papa, e la contessa di Torenna non finava, -per la qual cosa il papa dimenticava l’onore e -l’ingiurie di santa Chiesa. E non ostante che tenesse -sospesi gli ambasciatori de’ comuni di Toscana -delle cose che aveano proposto loro, gli ambasciadori -continovo ricordavano in concistoro l’offese -fatte per l’arcivescovo e pe’ suoi antecessori, -e l’ingiurie e violenze che fatte avea, e continovo -faceva a’ comuni di Toscana fedeli e divoti di -santa Chiesa. Il papa non ostante ciò favoreggiava -oltre al modo onesto la causa del tiranno, onde -per alcuno cardinale ne fu cortesemente ripreso; -a costui e agli altri cardinali che mostravano in -concistoro di essere zelanti dell’onore di santa -Chiesa, procedendo il tempo, coll’ingegno e coll’arte -e co’ doni del tiranno furono racchiuse -le bocche, e aperte le lingue in suo favore, sicchè -ultimamente pervenne alla sua intenzione, come -seguendo al suo tempo dimostreremo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_282">[282]</span> -</p> - -<h3 id="cap67-2">CAP. LXVII. -<span class="smaller"><i>Della gran fame ch’ebbono i barbari di -Morocco.</i></span></h3> - -<p> -Avvenne in quest’anno nel reame di Morocco -e nel reame della Bella Marina un’inopinata -fame per sterilità del paese, la qual fame gittò -gran carestia in Granata e nella Spagna, e stesesi -per la Navarra, e appresso in Francia infino -a Parigi: che per portare il grano a’ barbari, per -disordinato guadagno che se ne facea, venne lo -staio di libbre cinquanta di peso in Parigi in -valuta di due fiorini d’oro, e per lo paese non -molto meno. E i barbari saracini per sostentare -la vita s’ordinarono continovo digiuno, il quale -sodisfacevano con tre once di pane dato loro, e -con un poco d’olio quanto teneva la palma della -mano, nel quale intignevano il detto pane, e con -questo mantenevano la loro vita: nondimeno gran -quantità ne morirono di fame in quell’anno. -</p> - -<h3 id="cap68-2">CAP. LXVIII. -<span class="smaller"><i>Come i rettori di Firenze cominciarono segretamente -a trattare accordo con l’eletto -imperadore.</i></span></h3> - -<p> -Mentre che il comune di Firenze e di Siena aveano -gli ambasciadori a corte di papa contro all’arcivescovo -di Milano, avvedendosi che la Chiesa -per le preghiere del re di Francia e d’altri baroni, -<span class="pagenum" id="Page_283">[283]</span> -e per la grande quantità di moneta che il tiranno -spendea in corte, colla quale avea recato -in suo favore tutta la corte, ed era per essere riconciliato -e fatto assai maggiore che non era in -prima, diffidandosi di non potere per loro resistere -alla sua potenza, ordinarono molto segretamente -di volere far muovere della Magna -messer Carlo re de’ Romani eletto imperadore, -e però mandarono e feciono venire d’Alemagna -a Firenze segretamente un suo cancelliere -con grande mandato: il quale fu collocato e stette -tutto il verno racchiuso in san Lorenzo per modo, -che i Fiorentini non sapeano chi si fosse, e di -notte andavano a lui segretari del comune, i quali -trattavano il modo della venuta del detto eletto, -col favore e aiuto grande del detto comune, -per abbattere la tirannia dell’arcivescovo: e in -fine vennono col detto cancelliere a piena concordia, -tanto che, nonostante l’antico odio del -nome imperiale a’ detti comuni, fu loro lecito -di piuvicare la detta concordia accetta a’ detti popoli, -come a suo tempo racconteremo. -</p> - -<h3 id="cap69-2">CAP. LXIX. -<span class="smaller"><i>Come la gente de’ Fiorentini che andavano a -fornire Lozzole furono rotti dagli Ubaldini.</i></span></h3> - -<p> -Entrando nel mese d’aprile 1352, essendo commesso -per lo comune di Firenze al capitano del -Mugello che fornisse Lozzole che i Fiorentini tenevano -nel Podere, acciocchè più chiusamente si -facesse, si mise a farlo con sì poca provvisione, -<span class="pagenum" id="Page_284">[284]</span> -che più dì innanzi fu palese agli Ubaldini la cavalcata -che fare si doveva. I quali in que’ dì aveano -colla gente dell’arcivescovo di Milano preso il -Monte della Fine a’ confini di Romagna, il quale -era stato accomandato, ma non difeso da’ Fiorentini. -E avendo la gente apparecchiata, si misono -in più aguati nell’alpe, ove stettono più -dì aspettando la scorta de’ Fiorentini per fornire -Lozzole. Il folle capitano di Mugello con quattrocento -cavalieri e con pedoni del Mugello, non avendo -prima presi i passi più forti dell’alpe, nè -fatto provvedere se aguato vi fosse, si mise per la -via del Rezzuolo con la salmeria e con la sua gente -ad entrare nell’alpe, e lasciossi uno degli aguati -de’ nimici addietro; quando ebbono valicato -Rezzuolo furono assaliti da’ nimici dinanzi, e da -lato e didietro per modo, che piccola difesa v’ebbe, -altro che di fuggire chi potè. Rimasonvi -morti cinquanta uomini tra a cavallo e a piede, e -ottanta presi con tutta la salmeria; e di questo fallo -non fu altra vendetta in Firenze, se non che -chi fu morto o preso per la mala condotta s’ebbe -il danno. Il capitano fu Rosso di Ricciardo -de’ Ricci di Firenze. -</p> - -<h3 id="cap70-2">CAP. LXX. -<span class="smaller"><i>Come s’ebbe Vertine a patti e disfecesi la rocca.</i></span></h3> - -<p> -Essendo stato il castello di Vertine lungamente -assediato e traboccato da’ dificii, e non volendosi -arrendere, i Fiorentini diliberarono di farlo -combattere: e a dì 20 d’Aprile, gli anni Domini -1352, con molta baldanza e con poco ordine si -<span class="pagenum" id="Page_285">[285]</span> -strinsono al castello assalendolo da più parti; e -in alcuno luogo furono infino al rompere delle -mura, ma per non avere dificii da coprire, nè le -scale che bisognavano a assalire, condotti alle mura, -con danno e con vergogna, mortine alquanti, e fediti -e magagnati assai degli assalitori, si ritrassono -della battaglia, la quale aveano mantenuta tre -ore del dì. L’assedio vi si fortificò, e strinsono il -castello più di presso, e ordinavano di combatterlo -con più ordine e con maggiore forza. Que’ d’entro -vedendosi senza speranza di soccorso, per fuggire -il pericolo della battaglia trattarono di rendere -la terra, salve le persone e l’armi, e che potessono -trarre tutto il grano che aveano nel castello -di Vertine di que’ della casa da Ricasoli, infra -quindici dì prossimi. Il trattato fu fermo, e il primo -dì di Maggio del detto anno n’uscirono que’ -da Ricasoli con centocinquantotto masnadieri, -molto bella gente d’arme; e il comune prese la -terra, e incontanente fece abbattere due fortezze -che v’erano a modo di rocche, l’una di que’ -da Ricasoli, e l’altra di que’ da Vertine, acciocchè -più per quelle tenute non si potesse rubellare. -</p> - -<h3 id="cap71-2">CAP. LXXI. -<span class="smaller"><i>Esempio di cittadinesca varietà di fortuna.</i></span></h3> - -<p> -In questo tempo avvenne una cosa notevole in -Firenze, la quale per se non era degna di memoria, -ma concedelesi luogo per esempio delle cose -avvenire. Un giudice di legge di grande fama -nella pratica de’ piati criminali e civili, di assai -<span class="pagenum" id="Page_286">[286]</span> -nuova progenie, e di piccolo stato ne’ suoi principii, -venne per suo guadagno in ricchezza, e con -prospera fortuna, il dì di calen di maggio del detto -anno, dottorato un suo figliuolo e menata moglie, -con dote di fiorini millecinquecento d’oro, -e con eredità di patrimonio di fiorini tremilacinquecento -d’oro in possessioni a lui pervenute, celebrò -solenne festa in più dì in grande allegrezza. -E verificandosi la parola detta per santo Gregorio -sopra il Giobbe, il quale disse: <i>Praenuntia tribulationis -est laetitia satietatis</i>: poco appresso avvenne, -che essendo ingrati della non debita e sformata -dote e successione ereditaria della detta donna, -vollono alla madre della fanciulla per male ingegno -della loro arte sottrarre altri certi beni, la -quale turbata si difendea a ragione. I legisti ordinarono -un piato tacito, e avendo avuta per altri -fatti una procura dalla detta donna, si sforzarono, -non avendo avversario, di venire alla sentenza. -Ma come Iddio volle, la corte s’avvide del baratto; -e scoperto l’inganno, il figliuolo fu condannato -nel fuoco con un suo nipote; e il padre confidandosi -di difendere a ragione si rappresentò in -giudicio. Ed essendo per essere arso un suo nipote -ch’avea nome Lotto del maestro Cambio de’ Salviati, -uomo di buona condizione e amato da’ cittadini, -accadde essere de’ priori di Firenze, il -quale per onore della sua casa operò tanto, che fu -condannato nel fuoco per falsità, a condizione, che -se infra dieci dì non pagasse al comune lire quattromila, -e stesse a Perugia un anno a’ confini; ed essendo -già stato da dieci mesi a’ confini, tanto seppe -adoperare con un altro podestà, che rivocò i suoi -<span class="pagenum" id="Page_287">[287]</span> -confini, e tornò a Firenze innanzi al tempo, e mostrossi -palese più d’un mese. Volendosi fare cancellare -del detto bando, e restituire alla matricola -ov’era stato raso, e non trovandosi modo come -di ragione fare si potesse, rimase in bando del -fuoco per avere rotti i confini, i quali aveva poco -tempo a ubbidire ed era libero. Costui fu il primo -che mise in pratica nella nostra città di conducere -i civili piati in criminali, e per quella medesima -cagione fu infamato e condannato egli e ’l -suo figliuolo; il quale poi dopo l’esilio di presso -a otto anni morì in bando, avendo prima il padre -ricomperato dal comune per grandi riformagioni -il suo fallo d’avere rotti i confini lire milledugento. -E dopo la morte del figliuolo la donna -ritrasse della casa la dote e ’l patrimonio in grande -abbassamento di quella famiglia, lasciando esempio -a’ suoi cittadini, che come la scienza convertita -in pratica di male suasioni, e le disordinate -dote fanno gli uomini arricchire e montare in -stato, così quelle medesime operazioni e dote -spesso sono materia e cagioni di gravi ruine: questo -ci scusi averne fatto qui la detta memoria. -</p> - -<h3 id="cap72-2">CAP. LXXII. -<span class="smaller"><i>Come un gran re de’ Tartari venne sopra -il re di Proslavia.</i></span></h3> - -<p> -Avvenne in quest’anno, che un re del lignaggio -de’ Tartari, avendo avuta la sua gente briga -col re di Proslavia infedele, avegnachè suddito al -re d’Ungheria, e fatto danno l’una gente all’altra, -<span class="pagenum" id="Page_288">[288]</span> -il detto re de’ Tartari sentendosi di grande -potenza, per prosunzione della sua grandezza, -ovvero per trarre la gente del suo paese che aveano -a quel tempo grandissima fame, uscì del suo -reame con infinito numero di gente a piè e a cavallo, -ed entrò nel regno de’ Proslavi. Il re -de’ Proslavi colla sua gente si fece incontro a -quella moltitudine per ritenerli a certe frontiere, -tanto che avesse il soccorso dal re d’Ungheria, -il quale di presente vi mandò quarantamila -arceri a cavallo: e aggiuntosi colla gente del re -de’ Proslavi, di presente commisono la battaglia -co’ Tartari, de’ quali tanti n’uccisono, che la -lena mancò agli uomini, e lo taglio alle spade, -e le saette agli archi. Ma per la soprabbondante -moltitudine de’ Tartari, non potendoli gli -Ungheri e i Proslavi più tagliare, convenne ch’abbandonassono -il campo, non senza grande danno -della loro gente. I Tartari vinti rimasono vincitori: -ma per disagio di vivande, e per la corruzione -dell’aria, costretti prima a manicare de’ corpi -morti, sentendo che per li due re si faceva -apparecchiamento di ritornare in campo con -maggiore e più potente esercito, per paura, e per -lo gran difetto che i Tartari aveano di vittuaglia, -si tornarono addietro in loro paese. Questa novella -avemmo da più e diverse parti in Firenze del -mese d’aprile 1352. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_289">[289]</span> -</p> - -<h3 id="cap73-2">CAP. LXXIII. -<span class="smaller"><i>Come in Orvieto ebbe mutamento e micidio.</i></span></h3> - -<p> -Ritornando all’italiane tempeste, essendo rimasa -la città d’Orvieto con grande dissensione -tra’ cittadini dopo la morte di Benedetto di messer -Bonconte loro tiranno, i cittadini da capo si -cominciarono a insanguinare insieme, e uccidea -l’uno l’altro nella città e di fuori, come s’uccidono -le bestie al macello. Ed era sì corrotta la -città ed il contado, che in niuna parte si poteva -andare o stare sicuro, e i Perugini e gli altri comuni -di Toscana erano sì oppressati dalla gente -del Biscione, che appena poteano intendere alla -loro difesa, sicchè de’ fatti d’Orvieto non si -potevano intramettere come a quel tempo bisognava. -Avvenne che Petruccio di Peppo Monaldeschi, -come che d’animo e di nazione fosse -guelfo, avendo rispetto a pigliare la tirannia d’Orvieto, -per suo trattato fece venire a condotta -degli Ubaldini a Cetona dugento cavalieri, e -procacciò d’avere gente dal prefetto da Vico: e -quando si vide il bello, avendo raunato nella terra -assai fanti, levò il romore e corse la terra, e -mise dentro i dugento cavalieri ch’avea in Cetona, -e uccise Bonconte suo consorto, nipote di Benedetto, -e più altri, e ridusse la città nella forza de’ -ghibellini, credendo poterla tiranneggiare per se; -ma in fine, come al suo tempo racconteremo, la -signoria rimase al prefetto da Vico e a parte ghibellina, -tradita la patria e i consorti per singolare -invidia de’ suoi congiunti. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_290">[290]</span> -</p> - -<h3 id="cap74-2">CAP. LXXIV. -<span class="smaller"><i>Come l’armata de’ Genovesi andò a Trapenon -per danneggiare i nemici.</i></span></h3> - -<p> -Dopo la battaglia fatta in Romania tra’ Genovesi, -Veneziani e Catalani, avendo i Genovesi -preso riposo per alcuno tempo, e ritornate le sei -galee fuggite nel Mare maggiore, riconoscerono -la loro amara vittoria, presono cuore dimenticando -il danno loro per l’animosità ch’aveano -contro a’ loro nemici ch’erano rifuggiti a Trapenon, -e procacciarono aiuto da Pera, e mandarono -per rinfrescamento di galee armate, strignendo -che quante più ne potessono mandare armate il -facessono senza indugio, a fine di disfare affatto -l’armata de’ Veneziani e Catalani, avendo -anche speranza di vincere Costantinopoli. E racconce -le loro galee, e rifornite le ciurme e’ soprassaglienti -se n’andarono a Trapenon, ove i Veneziani -e’ Catalani s’erano rifuggiti; e assai volte tentarono -d’assalirli, ma gli avversari aveano la forza -della terra, e l’avvantaggio della guardia del -porto, sicchè poco li curavano; e quando vidono -un tempo al loro viaggio fatto e fermo, e che era -contradio a’ loro nemici a poterli impedire, con -trentotto galee racconce e rifornite si misono -in mare, e atandosi con le vele e co’ remi, avendo -il vento in poppa, a contradio de’ Genovesi -valicarono in Candia: e giunti in Candia misono -in terra, e disarmarono. E stando nell’isola, per -la corruzione di loro fediti e de’ disagi sostenuti -<span class="pagenum" id="Page_291">[291]</span> -infermarono e corruppono molto la terra, e mandarono -due loro galee per avere aiuto da Vinegia, -le quali s’abbatterono in dieci galee ch’e’ Genovesi -mandavano in aiuto alla loro armata, ma -l’una per forza di remi campò, l’altra diede a -terra, e abbandonato il corpo della galea salvarono -le persone. -</p> - -<h3 id="cap75-2">CAP. LXXV. -<span class="smaller"><i>Come i Genovesi assediarono Costantinopoli.</i></span></h3> - -<p> -L’armata de’ Genovesi non avendo potuto impedire -l’armata de’ Veneziani e Catalani che -non fossono passati all’isola di Negroponte, non -attesono a seguirli, ma attesono ad assediare Costantinopoli -per mare, e fermarono di fare ogni -loro podere per abbattere l’aiuto che i Veneziani -aveano dall’imperatore. E stando ivi, giunse in -loro aiuto sessanta legni armati di Turchi, e le dieci -galee che il comune di Genova avea mandate -loro. Mega Domestico che allora governava l’imperio -come tiranno, vedendo i Veneziani rotti e -soperchiati in quella guerra da’ Genovesi, e che -la loro forza cresceva, e sentendosi il vero imperatore, -il quale s’avea fatto a genero, nemico, per -non venire a peggio trattò pace co’ Genovesi, e -fermossi la detta pace a dì 6 maggio del detto -anno: e fu in patto, ch’e’ Veneziani del paese fossono -salvi in avere e in persona, e che i Genovesi -non dovessono pagare in Costantinopoli commercio, -e che vi potessono fare porto, e andare e stare -come amici: e che d’allora innanzi l’imperadore -<span class="pagenum" id="Page_292">[292]</span> -non dovesse ricettare i Veneziani nè i Catalani, -nè dare loro alcuno aiuto. E ferma la pace, i Genovesi -con tutta loro armata se ne vennono in -Candia per vincere il paese; e volendo porre in -terra, ebbono incontro i paesani con trecento cavalieri, -e le ciurme delle galee, e contradissono la -prima scesa. I Genovesi si provvidono di fare parate, -e dietro a quelle misono i balestrieri, e messe -le scale in terra, a contradio de’ nemici presono -campo; e stando in terra trovarono il paese corrotto, -e avvelenata l’aria e la terra dalla corruzione -sparta dalle galee de’ Veneziani e Catalani, -e anche tra loro avea de’ fediti e degl’infermi, -e per questa cagione, e per i molti disagi sostenuti -lungamente, pensarono che il soprastare era pestilenzioso -e mortale, si ricolsono a galea, e misonsi -in mare per tornarsi a Genova; e innanzi -pervenissono alla patria più di mille cinquecento -uomini morti gettarono in mare: e nondimeno -lasciarono nel golfo di Vinegia dieci galee -per danneggiare i Veneziani. E del mese d’agosto -del detto anno con trentadue galee tornarono a -Genova col loro ammiraglio, e con settecento -prigioni veneziani, e con molta preda dell’acquisto -fatto sopra i nemici e sopra le spoglie de’ Greci. -Della qual vittoria, avvengnachè molto ne -montasse in fama il comune di Genova, più tristizia -che allegrezza, più pianto e dolore che -festa tornò alla loro patria; e trovossi all’ultimo -di questa maladetta guerra di queste armate, che -tra morti in battaglia, e annegati in mare, e periti -di pestilenza, tra l’una parte e l’altra vi -morirono più d’ottomila Italiani in quell’anno. -<span class="pagenum" id="Page_293">[293]</span> -E questo avvenne solo per attizzamento d’invidia -di pari stato di due popoli Genovesi e Veneziani, -che catuno si volea tenere il maggiore. -</p> - -<h3 id="cap76-2">CAP. LXXVI. -<span class="smaller"><i>Concordia fatta dall’imperadore a’ comuni -di Toscana.</i></span></h3> - -<p> -Tornando al lungo trattato menato in Firenze -per li Fiorentini e Perugini e Sanesi, molto segretamente -con messer Arrigo proposto d’Esdria -dell’ordine di certi frieri, vececancelliere di -messer Carlo eletto imperadore re di Boemia e -re de’ Romani, il quale con molto senno e gran -diligenza avendo il mandato dal suo signore, -e per mezzano tra lui e gli ambasciadori de’ sopraddetti -comuni messer Ramondo l’uno degli -usciti guelfi di Parma marchese di Soraga, capitano -di guerra del comune di Firenze, scritte -le convenenze e’ patti di concordia, si sostenne la -piuvicazione di quelli per lo detto vececancelliere -e per li detti comuni, tanto ch’ebbono la -fermezza da corte come il papa avea riconciliato -per sentenza l’arcivescovo di Milano, e fatto -la concordia con lui, come nel principio del nostro -terzo libro si potrà trovare; e questa concordia -fu ferma del detto mese d’aprile del detto -anno. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_294">[294]</span> -</p> - -<h3 id="cap77-2">CAP. LXXVII. -<span class="smaller"><i>Come si levò una compagnia nel Regno, e fu -rotta dal re Luigi.</i></span></h3> - -<p> -Avvenne non ostante che la pace fosse fatta tra -il re d’Ungheria e i reali di Puglia, e deliberato -fosse per lo papa la coronazione del re Luigi, -per la baldanza che i soldati forestieri aveano -presa nel Regno, uno Beltramo della Motta nipote -di fra Moriale, che ancora teneva la città d’Aversa, -fece raccolta di cavalieri di sua lingua, e di -Tedeschi e d’Italiani ch’erano nel Regno senza -soldo, ed ebbe quattrocento barbute e cinquecento -masnadieri: e cominciò a correre per Terra -di Lavoro, di consiglio e consentimento di -Fra Moriale, secondo il suono, benchè secondo -la vista dimostrava il contradio, e prendea i casali, -e facea rimedire la gente, e molto conturbava -il paese: e i baroni e’ cavalieri regnicoli -che voleano venire a Napoli alla coronazione del -re erano da costoro forte impediti, e i cammini -erano rotti per loro, e spesso assaliti, e -per soperchia baldanza s’erano ridotti a Cesa, -tra la città d’Aversa e l’Acerra. E stando ivi, -in gran vergogna del futuro re Luigi, il re infiammato -di questa ingiuria, subitamente e improvviso -a’ ladroni accolse de’ baroni ch’erano venuti -a lui, e di Napoletani da mille cavalieri, e -montò a cavallo in persona, e seguitato da’ suoi, -a dì 28 d’aprile del detto anno occupò Beltramo -della Motta e la sua compagnia, i quali per lo -<span class="pagenum" id="Page_295">[295]</span> -subito assalto non feciono retta, ma chi potè -fuggire non attese il compagno: e così fuggendo -molti ne furono morti e presi, che pochi -ne camparono. Beltramo della Motta con venti -compagni fuggì a Alife e campò. In Napoli furono -giudicati a morte venticinque paesani ch’erano -in quella compagnia, gli altri rimasono -prigioni: e la detta compagnia fu al tutto consumata -e spenta con onore del re Luigi, e -con più lieta festa della sua coronazione, che appresso -seguitò, come tosto diviseremo. -</p> - -<h3 id="cap78-2">CAP. LXXVIII. -<span class="smaller"><i>Come i Perugini guastarono intorno -a Cortona.</i></span></h3> - -<p> -In questo mese d’aprile del detto anno, i cavalieri -dell’arcivescovo di Milano ch’erano stati -lungamente al servigio del signore di Cortona -all’Orsaia, si partirono di là, e lasciarono -dugentocinquanta cavalieri. I Perugini aontati -dell’ingiuria fatta loro da’ Cortonesi, di presente, -avuto trecento cavalieri da’ Fiorentini, con settecento -barbute e con gran popolo cavalcarono sopra -Cortona, ardendo e guastando le case, e -le vigne e’ campi, e tagliando gli alberi, aoperando -il fuoco e il ferro, e guastarla intorno -per molti giorni, senza potere i Cortonesi difendere -in niuna parte, di fuori che dall’Orsaia a -Cortona, per la guardia vi fecero i dugentocinquanta -cavalieri del Biscione: ma senza arsione, -così consumarono que’ cavalieri quella parte -<span class="pagenum" id="Page_296">[296]</span> -difendendo, come i Perugini l’altre parti per -loro vendetta. -</p> - -<h3 id="cap79-2">CAP. LXXIX. -<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini fornirono Lozzole.</i></span></h3> - -<p> -I Fiorentini poco tempo innanzi per mala condotta -rotti dagli Ubaldini nell’alpe, volendo -fornire Lozzole, provvidono di fornirlo con più -avviso e provvedenza; che senza fare apparecchiamento -nel Mugello, avendo in Firenze -cavalieri e pedoni, e la vittuaglia apparecchiata, -senza alcuna vista mandarono improvviso -agli Ubaldini, e feciono pigliare a buoni -masnadieri i passi e i poggi dell’alpe. E presi -i passi la notte, la mattina vi mandarono cento -cavalieri, e quattrocento balestrieri eletti, e -seicento buoni masnadieri di soldo e tutta la -salmeria con loro, i quali andarono senza contasto. -E furono sopra il battifolle degli Ubaldini, -il quale era sopra Lozzole, innanzi che -potessono avere soccorso; e vedendosi sorprendere -alla gente de’ Fiorentini, abbandonaro la -bastita e l’arme, e gittaronsi per le ripe per -salvare le persone; i Fiorentini presono l’arme -e la roba ch’era nella bastita, e aggiunsonla -alla loro salmeria, e misono ogni cosa nel castello -di Lozzole, e arsono il battifolle de’ nimici, e -sani e salvi senza trovare contasto si tornarono a -Firenze del mese di maggio del detto anno. -</p> - -<hr class="silver"> - -<div class="somm"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_297">[297]</span> -</p> - -<h2><a id="indice" href="#indfront"> -TAVOLA</a> -<span class="smaller">DEI CAPITOLI</span></h2> - -<table class="indice"> - <tr> - <td><i>Prefazione.</i></td> <td class="pag"><a href="#prefazione">Pag. <span class="smcap lowercase">V</span></a></td> - </tr> - <tr> - <td><i>Qui comincia la Cronica di Matteo Villani, e prima il prologo, e primo libro.</i></td> <td class="pag"><a href="#prologo">1</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> I. Dell’inaudita mortalità</i></td> <td class="pag"><a href="#cap1-1">3</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> II. Quanto durava il tempo della moria in catuno paese</i></td> <td class="pag"><a href="#cap2-1">4</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> III. Della indulgenzia diede il papa per la detta pistolenza</i></td> <td class="pag"><a href="#cap3-1">9</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> IV. Come gli uomini furono peggiori che prima</i></td> <td class="pag"><a href="#cap4-1">10</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> V. Come si stimò dovizia, e seguì carestia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap5-1">11</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VI. Come nacque in Prato un fanciullo mostruoso</i></td> <td class="pag"><a href="#cap6-1">12</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VII. Come alla compagnia d’Orto san Michele fu lasciato gran tesoro</i></td> <td class="pag"><a href="#cap7-1">12</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VIII. Come in Firenze da prima si cominciò lo Studio</i></td> <td class="pag"><a href="#cap8-1">15</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> IX. Raggiugnimento di principi che furono cagione di grandi novitadi nel Regno</i></td> <td class="pag"><a href="#cap9-1">17</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> X. Come il re d’Ungheria fece ad Aversa uccidere il duca di Durazzo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap10-1">20</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XI. La cagione della morte del duca di Durazzo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap11-1">21</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XII. Come il re d’Ungheria entrò in Napoli</i></td> <td class="pag"><a href="#cap12-1">22</a></td> - </tr> - <tr> - <td><span class="pagenum" id="Page_298">[298]</span> <i><span class="smcap">Cap.</span> XIII. Come il re d’Ungheria vicitava il regno di Puglia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap13-1">23</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIV. Come il re d’Ungheria partitosi del Regno tornò in Ungheria</i></td> <td class="pag"><a href="#cap14-1">24</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XV. Novità del reame di Tunisi, e più rivolgimenti di quello</i></td> <td class="pag"><a href="#cap15-1">25</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVI. Come per la partita del re d’Ungheria del Regno i baroni e’ popoli si dolsono</i></td> <td class="pag"><a href="#cap16-1">26</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVII. Come si reggeva la sua gente nel Regno partito il re</i></td> <td class="pag"><a href="#cap17-1">27</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVIII. Come messer Luigi si fe’ titolare re al papa, e mandò nel Regno</i></td> <td class="pag"><a href="#cap18-1">28</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIX. Come il re e la reina ritornarono nel Regno</i></td> <td class="pag"><a href="#cap19-1">30</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XX. Come il re e la reina Giovanna entrarono in Napoli a gran festa</i></td> <td class="pag"><a href="#cap20-1">31</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXI. Come il re Luigi si fe’ fare cavaliere, e da cui</i></td> <td class="pag"><a href="#cap21-1">32</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXII. Brieve raccontamento di cose fatte per il re d’Inghilterra contra quello di Francia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap22-1">33</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIII. Come gli Ubaldini furo cominiciatori della guerra che il comune di Firenze ebbe con loro</i></td> <td class="pag"><a href="#cap23-1">36</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIV. Come i fedeli del conte Galeotto si rubellarono da lui e dieronsi al comune di Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap24-1">36</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXV. Come i Fiorentini feciono guerra agli Ubaldini, e presero Montegemmoli e loro castella</i></td> <td class="pag"><a href="#cap25-1">37</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVI. Come il re di Francia comperò il Delfinato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap26-1">40</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVII. La cagione perchè il re d’Araona tolse Maiolica al re</i></td> <td class="pag"><a href="#cap27-1">41</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVIII. Come il re di Maiolica vendè la sua parte di Mompelieri al re di Francia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap28-1">42</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIX. Come s’ordinò il generale perdono a Roma nel 1349</i></td> <td class="pag"><a href="#cap29-1">43</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXX. Come il re di Maiolica andò per racquistare l’isola e fuvvi morto</i></td> <td class="pag"><a href="#cap30-1">45</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXI. Come i baroni italiani e catalani per loro discordie guastarono l’isola di Cicilia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap31-1">46</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXII. Come il re Filippo di Francia e ’l figliuolo tolsono moglie</i></td> <td class="pag"><a href="#cap32-1">49</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_299">[299]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIII. Come il re di Francia fu ingannato del trattato di Calese con gran danno</i></td> <td class="pag"><a href="#cap33-1">51</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIV. Come messer Carlo eletto imperadore fu preso e morto di veleno</i></td> <td class="pag"><a href="#cap34-1">53</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXV. Come il re Luigi prese più castella</i></td> <td class="pag"><a href="#cap35-1">56</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVI. Come il re Luigi prese il conte d’Apici</i></td> <td class="pag"><a href="#cap36-1">57</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVII. Come il re Luigi Assediò Nocera</i></td> <td class="pag"><a href="#cap37-1">58</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVIII. Come Currado Lupo liberò Nocera</i></td> <td class="pag"><a href="#cap38-1">60</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIX. Come il re Luigi rifiutò la battaglia con Currado Lupo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap39-1">61</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XL. Della materia medesima</i></td> <td class="pag"><a href="#cap40-1">63</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLI. Come morì il re Alfonso di Castella</i></td> <td class="pag"><a href="#cap41-1">64</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLII. Come il doge Guernieri fu preso in Corneto dagli Ungheri</i></td> <td class="pag"><a href="#cap42-1">65</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIII. Come i Fiorentini presero Colle</i></td> <td class="pag"><a href="#cap43-1">67</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIV. Come i Fiorentini ebbono Sangimignano a tempo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap44-1">68</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLV. Di tremuoti furono in Italia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap45-1">70</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVI. Come sommerse Villacco in Alamagna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap46-1">71</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVII. De’ fatti del Regno</i></td> <td class="pag"><a href="#cap47-1">72</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVIII. Come la gente del re d’Ungheria sconfisse i baroni del Regno</i></td> <td class="pag"><a href="#cap48-1">74</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIX. Come i Napoletani ricomperarono la vendemmia da’ nimici</i></td> <td class="pag"><a href="#cap49-1">76</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> L. Come si fe’ triegua nel Regno</i></td> <td class="pag"><a href="#cap50-1">78</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LI. Di novità di barbari di Bella Marina</i></td> <td class="pag"><a href="#cap51-1">80</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LII. Come Balese tornando per lo suo reame contro al figliuolo ebbe grande fortuna, e poi fu avvelenato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap52-1">81</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIII. Come per lievi cagioni suscitò novità in Romagna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap53-1">83</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIV. Come messer Giovanni Manfredi rubellò Faenza alla Chiesa</i></td> <td class="pag"><a href="#cap54-1">86</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LV. Come il capitano di Forlì prese Brettinoro per assedio</i></td> <td class="pag"><a href="#cap55-1">89</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVI. Come i cristiani d’Europa cominciarono a venire al perdono</i></td> <td class="pag"><a href="#cap56-1">90</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVII. Perchè s’intramesse il dificio d’Orto san Michele</i></td> <td class="pag"><a href="#cap57-1">93</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_300">[300]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVIII. Come la Chiesa mandò il conte per racquistare la contea di Romagna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap58-1">95</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIX. Processo de’ traditori di Romagna, e di certi Provenzali</i></td> <td class="pag"><a href="#cap59-1">97</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LX. Come messer Giovanni de’ Peppoli cercò accordo dal conte a messer Giovanni</i></td> <td class="pag"><a href="#cap60-1">98</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXI. Come messer Giovanni de’ Peppoli andò nell’oste, e fu preso</i></td> <td class="pag"><a href="#cap61-1">99</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXII. Come il conte scoperse l’altro trattato che avea con messer Mastino</i></td> <td class="pag"><a href="#cap62-1">101</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIII. Come messer Iacopo Peppoli rimaso in Bologna si provvidde alla difesa</i></td> <td class="pag"><a href="#cap63-1">103</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIV. L’aiuto che messer Iacopo accolse per guardare Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap64-1">105</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXV. Del male stato che si condusse la città di Bologna, e di certi trattati che allora si tennono</i></td> <td class="pag"><a href="#cap65-1">106</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVI. Come i soldati mossono quistione al conte, e fu loro assegnato messer Giovanni Peppoli</i></td> <td class="pag"><a href="#cap66-1">108</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVII. Come messer Giovanni tenne suoi trattati della città di Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap67-1">109</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVIII. Secondo trattato di Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap68-1">112</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIX. Come l’arcivescovo di Milano mandò a prendere la possesione di Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap69-1">114</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXX. Come capitò il conte di Romagna e l’oste della Chiesa</i></td> <td class="pag"><a href="#cap70-1">115</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXI. Come i Guazzalotri di Prato cominciarono a scoprire loro tirannia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap71-1">118</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXII. Come i Fiorentini andarono a oste a Prato, ed ebbonne la signoria</i></td> <td class="pag"><a href="#cap72-1">120</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIII. Come i Fiorentini comperarono Prato, e recaronlo al loro contado</i></td> <td class="pag"><a href="#cap73-1">121</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIV. Come i guelfi forono cacciati dalla Città di Castello</i></td> <td class="pag"><a href="#cap74-1">123</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXV. Come morì il re Filippo di Francia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap75-1">124</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVI. Come la Chiesa rinnovò processo contra l’arcivescovo di Milano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap76-1">126</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVII. Come il tiranno di Milano si collegò con tutti i ghibellini d’Italia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap77-1">129</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_301">[301]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVIII. Come fu assediata Imola dal Biscione e altri</i></td> <td class="pag"><a href="#cap78-1">131</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i>Cap LXXIX. Come il capitano di Forlì tolse al conticino da Ghiaggiuolo e al conte Carlo da Doadola loro terre</i></td> <td class="pag"><a href="#cap79-1">133</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXX. Come nella città d’Orbivieto si cominciò materia di grande scandalo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap80-1">ivi</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXI. Come la città d’Agobbio venne a tirannia di Giovanni Gabbrielli</i></td> <td class="pag"><a href="#cap81-1">135</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXII. Come il comune di Perugia e il capitano del Patrimonio andarono a oste ad Agobbio</i></td> <td class="pag"><a href="#cap82-1">137</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIII. Come cominciò l’izza da’ Genovesi a’ Veneziani</i></td> <td class="pag"><a href="#cap83-1">139</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIV. Come quattordici galee di Veneziani presono in Romania nove de’ Genovesi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap84-1">141</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXV. Come i Genovesi di Pera presono Negroponte, e riebbono loro mercatanzia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap85-1">142</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVI. Come fu morto il patriarca d’Aquilea, e fattane vendetta</i></td> <td class="pag"><a href="#cap86-1">143</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVII. Come il legato del papa si partì del Regno, e il re riprese Aversa</i></td> <td class="pag"><a href="#cap87-1">145</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVIII. Come il re d’Ungheria ritornò in Puglia conquistando molte terre</i></td> <td class="pag"><a href="#cap88-1">146</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIX. Come i Genovesi ebbono Ventimiglia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap89-1">148</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XC. Come fu data l’ultima battaglia ad Aversa dal re d’Ungheria</i></td> <td class="pag"><a href="#cap90-1">150</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCI. Della materia medesima</i></td> <td class="pag"><a href="#cap91-1">151</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCII. Come il conte d’Avellino con dieci galee stette a Napoli, e Aversa s’arrendè al re</i></td> <td class="pag"><a href="#cap92-1">152</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCIII. Come il re d’Ungheria e il re Luigi vennono a certa tregua</i></td> <td class="pag"><a href="#cap93-1">154</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCIV. Come il conte d’Avellino diè al suo figliuolo per moglie la duchessa di Durazzo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap94-1">157</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCV. Della grande potenza dell’arcivescovo di Milano, e come i Fiorentini temeano di Pistoia, e quello che ne seguì</i></td> <td class="pag"><a href="#cap95-1">159</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCVI. Come certi rettori di Firenze vollono prendere Pistoia per inganno</i></td> <td class="pag"><a href="#cap96-1">161</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCVII. Come i Fiorentini assediarono Pistoia ed ebbonla a’ comandamenti loro</i></td> <td class="pag"><a href="#cap97-1">163</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_302">[302]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCVIII. Come il re d’Inghilterra sconfisse in mare gli Spagnuoli</i></td> <td class="pag"><a href="#cap98-1">167</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="center">LIBRO SECONDO</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> I. Prologo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap1-2">169</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> II. Come il comune di Firenze usava la pace coll’arcivescovo di Milano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap2-2">170</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> III. Come l’arcivescovo di Milano appuose tradimento e condannò messer Iacopo Peppoli</i></td> <td class="pag"><a href="#cap3-2">172</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> IV. Come l’arcivescovo fermò d’assalire improvviso la città di Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap4-2">173</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> V. Come si mise in ordine il consiglio preso</i></td> <td class="pag"><a href="#cap5-2">176</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VI. Come gli Ubaldini arsono Firenzuola, e presono Montecolloreto</i></td> <td class="pag"><a href="#cap6-2">177</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VII. Come gli Ubertini, e’ Tarlati, e i Pazzi assalirono il contado di Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap7-2">179</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VIII. Come i Fiorentini mandaro ambasciadori al capitano dell’oste</i></td> <td class="pag"><a href="#cap8-2">180</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> IX. Come l’oste si levò da Pistoia e puosesi a Campi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap9-2">182</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> X. Come l’oste ebbe gran difetti a Campi e a Calenzano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap10-2">184</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XI. Come i rettori di Firenze abbandonarono il passo di Valdimarina</i></td> <td class="pag"><a href="#cap11-2">187</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XII. Come l’oste del Biscione valicò il passo, e andò in Mugello</i></td> <td class="pag"><a href="#cap12-2">188</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIII. Come il conte di Montecarelli si rubellò a’ Fiorentini e venne al capitano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap13-2">190</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIV. Come si fornì la Scarperia e il Borgo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap14-2">191</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XV. Come l’oste assediò la Scarperia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap15-2">192</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVI. Come i Fiorentini afforzarono Spugnole</i></td> <td class="pag"><a href="#cap16-2">194</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVII. Come si difese Pulicciano di grave battaglia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap17-2">195</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVIII. Come i Tarlati, e i Pazzi di Valdarno e gli Ubertini vennono in sul contado di Firenze, e furonne cacciati per forza da’ Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap18-2">196</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIX. Come Bustaccio entrò e rendè la Badia a Agnano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap19-2">199</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_303">[303]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XX. Come l’arcivescovo tentò i Pisani di guerra contro a’ Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap20-2">200</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXI. Come l’oste deliberò combattere la Scarperia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap21-2">204</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXII. Come i Tarlati sconfissono i cavalieri de’ Perugini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap22-2">205</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIII. Come i Fiorentini procuraro di mettere gente nella Scarperia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap23-2">207</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIV. Come la reina Giovanna si fece scusare in corte di Roma</i></td> <td class="pag"><a href="#cap24-2">209</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXV. Come i Genovesi e i Veneziani ricominciarono guerra in mare</i></td> <td class="pag"><a href="#cap25-2">210</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVI. Come l’armata genovese andò a Negroponte e assediò Candia, e quello che ne seguì</i></td> <td class="pag"><a href="#cap26-2">212</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVII. Come i Veneziani feciono lega co’ Catalani, e di nuovo armarono cinquanta galee</i></td> <td class="pag"><a href="#cap27-2">213</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVIII. Come la imperatrice di Costantinopoli col figliuolo si fuggì in Salonicco</i></td> <td class="pag"><a href="#cap28-2">215</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIX. Come la Scarperia sostenne la prima battaglia dal Biscione</i></td> <td class="pag"><a href="#cap29-2">216</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXX. Come la Scarperia riparò alla cava de’ nimici</i></td> <td class="pag"><a href="#cap30-2">218</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXI. Del secondo assalto dato alla Scarperia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap31-2">220</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXII. Del terzo assalto dato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap32-2">221</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIII. La partita dell’oste dalla Scarperia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap33-2">224</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIV. Come l’armata de’ Genovesi si partì da Negroponte e andò a Salonicco</i></td> <td class="pag"><a href="#cap34-2">226</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXV. Come i Veneziani e’ Catalani s’accozzarono in Romania con l’altra armata</i></td> <td class="pag"><a href="#cap35-2">228</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVI. Come i Brandagli si vollono fare signori d’Arezzo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap36-2">229</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVII. Di quello medesimo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap37-2">231</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVIII. Come il re Luigi mandò il gran siniscalco ad accogliere gente in Romagna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap38-2">234</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIX. Come il re Luigi accolse i baroni del Regno e andò in Abruzzi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap39-2">236</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XL. Come il re Luigi sostenne gli Aquilani che pasquavano con lui</i></td> <td class="pag"><a href="#cap40-2">237</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLI. Come papa Clemente sesto fe’ la pace de’ due re</i></td> <td class="pag"><a href="#cap41-2">239</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_304">[304]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLII. Come messer Piero Saccone prese il Borgo a san Sepolcro</i></td> <td class="pag"><a href="#cap42-2">240</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIII. Come i Perugini arsono intorno al Borgo e sconfissono de’ nimici</i></td> <td class="pag"><a href="#cap43-2">243</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIV. D’una cometa ch’apparve in oriente</i></td> <td class="pag"><a href="#cap44-2">245</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLV. Come fu preso il castello della Badia de’ Perugini, e come si racquistò</i></td> <td class="pag"><a href="#cap45-2">246</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVI. Come i Fiorentini cercarono lega co’ comuni di Toscana, e accrebbono loro entrata</i></td> <td class="pag"><a href="#cap46-2">248</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVII. Come i Romani feciono rettore del popolo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap47-2">249</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVIII. Di una lettera fu trovata in concistoro di papa</i></td> <td class="pag"><a href="#cap48-2">252</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIX. Come il re d’Inghilterra essendo in tregua col re di Francia acquistò la contea di Guinisi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap49-2">253</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> L. Il piato fu in corte tra’ due re per la contea di Guinisi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap50-2">254</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LI. Come l’arcivescovo di Milano ragunò i suoi soldati per rifare guerra a’ Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap51-2">255</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LII. Come i Fiorentini, e’ Perugini, e’ Sanesi mandarono ambasciadori a corte</i></td> <td class="pag"><a href="#cap52-2">257</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIII. Come l’ammiraglio di Damasco fece novità a’ cristiani</i></td> <td class="pag"><a href="#cap53-2">258</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIV. Come i Fiorentini disfeciono terre di Mugello</i></td> <td class="pag"><a href="#cap54-2">260</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LV. Come la Scarperia fu furata e racquistata</i></td> <td class="pag"><a href="#cap55-2">261</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVI. Come messer Piero Sacconi cavalcò con mille barbute infino in su le porte di Perugia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap56-2">263</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVII. Come i Chiaravallesi di Todi vollono rubellare la terra e furono cacciati</i></td> <td class="pag"><a href="#cap57-2">264</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVIII. Come que’ da Ricasoli rubellarono Vertine a’ Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap58-2">265</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIX. Come i Veneziani e’ Catalani furono sconfitti in Romania da’ Genovesi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap59-2">267</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LX. Di quello medesimo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap60-2">272</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXI. Come per le discordie de’ paesani la Sicilia era in grave stato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap61-2">273</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXII. Come fu in Firenze tagliate le teste a più de’ Guazzalotri di Prato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap62-2">274</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_305">[305]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIII. Come il tiranno d’Orvieto fu morto</i></td> <td class="pag"><a href="#cap63-2">277</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIV. Come i Fiorentini assediarono Vertine</i></td> <td class="pag"><a href="#cap64-2">278</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXV. Come in corte fu fermata la pace dal re d’Ungheria a’ reali di Puglia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap65-2">278</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVI. Come l’arcivescovo trattava pace colla Chiesa</i></td> <td class="pag"><a href="#cap66-2">280</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVII. Della gran fame ch’ebbono i barbari di Marrocco</i></td> <td class="pag"><a href="#cap67-2">282</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVIII. Come i rettori di Firenze cominciarono segretamente a trattare accordo con l’eletto imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap68-2">282</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIX. Come la gente de’ Fiorentini che andavano a fornire Lozzole furono rotti dagli Ubaldini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap69-2">283</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXX. Come s’ebbe Vertine a patti e disfecesi la rocca</i></td> <td class="pag"><a href="#cap70-2">284</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXI. Esempio di cittadinesca varietà di fortuna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap71-2">285</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXII. Come un gran re de’ Tartari venne sopra il re di Proslavia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap72-2">287</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIII. Come in Orvieto ebbe mutamento e micidio</i></td> <td class="pag"><a href="#cap73-2">289</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIV. Come l’armata de’ Genovesi andò a Trapenon per danneggiare i nemici</i></td> <td class="pag"><a href="#cap74-2">290</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXV. Come i Genovesi assediarono Costantinopoli</i></td> <td class="pag"><a href="#cap75-2">291</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVI. Concordia fatta dall’imperadore a’ comuni di Toscana</i></td> <td class="pag"><a href="#cap76-2">293</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVII. Come si levò una compagnia nel Regno, e fu rotta dal re Luigi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap77-2">294</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVIII. Come i Perugini guastarono intorno a Cortona</i></td> <td class="pag"><a href="#cap78-2">295</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIX. Come i Fiorentini fornirono Lozzole</i></td> <td class="pag"><a href="#cap79-2">296</a></td> - </tr> -</table> -<hr> -</div> - -<div class="chapter"> -<table class="errata"> - <tr> - <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td>ERRORI</td> <td>CORREZIONI</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="6"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="6" class="center">TOMO PRIMO</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="6"> </td> - </tr> - <tr> - <td>p.</td> <td class="num">7</td> <td>v.</td> <td class="num">28</td> <td>li ro (in alcuna copia)</td> <td>libro</td> - </tr> - <tr> - <td>—</td> <td class="num">11</td> <td>—</td> <td class="num">26</td> <td>volsono</td> <td>valsono</td> - </tr> - <tr> - <td>—</td> <td class="num">17</td> <td>—</td> <td class="num">2 e 10</td> <td>principi</td> <td>principii</td> - </tr> - <tr> - <td>—</td> <td class="num">20</td> <td>—</td> <td class="num">25</td> <td>traditore, del sangue tuo che farai?</td> <td>traditore del sangue tuo, che farai?</td> - </tr> - <tr> - <td>—</td> <td class="num">44</td> <td>—</td> <td class="num">13</td> <td>ch’ cardinali</td> <td>ch’e’ cardinali</td> - </tr> - <tr> - <td>—</td> <td class="num">100</td> <td>—</td> <td class="num">15</td> <td>o ch’gli</td> <td>o ch’egli</td> - </tr> - <tr> - <td>—</td> <td class="num">118</td> <td>—</td> <td class="num">14</td> <td>cominciorono</td> <td>cominciarono</td> - </tr> - <tr> - <td>—</td> <td class="num">123</td> <td>—</td> <td class="num">10</td> <td>in sopetto</td> <td>in sospetto</td> - </tr> - <tr> - <td>—</td> <td class="num">177</td> <td>—</td> <td class="num">2, e 3</td> <td>fanti. Alla venuta dell’oste messer Giovanni</td> <td>fanti alla venuta dell’oste, messer Giovanni</td> - </tr> - <tr> - <td>—</td> <td class="num">202</td> <td>—</td> <td class="num">12</td> <td>il destro</td> <td>il destro,</td> - </tr> - <tr> - <td>—</td> <td class="num">236</td> <td>—</td> <td class="num">7</td> <td>ch’fra</td> <td>che fra</td> - </tr> - <tr> - <td>—</td> <td class="num">259</td> <td>—</td> <td class="num">3</td> <td>che v’ n’avea</td> <td>che ve n’avea</td> - </tr> - <tr> - <td>—</td> <td class="num">268</td> <td>—</td> <td class="num">24</td> <td>o passare</td> <td>e passare</td> - </tr> -</table> -<hr> -</div> - -<div class="tnote"> -<p class="tntitle"> -Nota del Trascrittore -</p> - -<p> -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione -minimi errori tipografici. Le correzioni indicate in fine libro sono state riportate nel testo. -</p> - -<p class="covernote"> -Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio. -</p> -</div> - -<div lang='en' xml:lang='en'> -<div style='display:block; margin-top:4em'>*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK <span lang='it' xml:lang='it'>CRONICA DI MATTEO VILLANI, VOL. I</span> ***</div> -<div style='text-align:left'> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Updated editions will replace the previous one—the old editions will -be renamed. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright -law means that no one owns a United States copyright in these works, -so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the United -States without permission and without paying copyright -royalties. 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Redistribution is subject to the trademark -license, especially commercial redistribution. -</div> - -<div style='margin-top:1em; font-size:1.1em; text-align:center'>START: FULL LICENSE</div> -<div style='text-align:center;font-size:0.9em'>THE FULL PROJECT GUTENBERG LICENSE</div> -<div style='text-align:center;font-size:0.9em'>PLEASE READ THIS BEFORE YOU DISTRIBUTE OR USE THIS WORK</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -To protect the Project Gutenberg™ mission of promoting the free -distribution of electronic works, by using or distributing this work -(or any other work associated in any way with the phrase “Project -Gutenberg”), you agree to comply with all the terms of the Full -Project Gutenberg™ License available with this file or online at -www.gutenberg.org/license. -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 1. General Terms of Use and Redistributing Project Gutenberg™ electronic works -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.A. By reading or using any part of this Project Gutenberg™ -electronic work, you indicate that you have read, understand, agree to -and accept all the terms of this license and intellectual property -(trademark/copyright) agreement. If you do not agree to abide by all -the terms of this agreement, you must cease using and return or -destroy all copies of Project Gutenberg™ electronic works in your -possession. If you paid a fee for obtaining a copy of or access to a -Project Gutenberg™ electronic work and you do not agree to be bound -by the terms of this agreement, you may obtain a refund from the person -or entity to whom you paid the fee as set forth in paragraph 1.E.8. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.B. “Project Gutenberg” is a registered trademark. It may only be -used on or associated in any way with an electronic work by people who -agree to be bound by the terms of this agreement. There are a few -things that you can do with most Project Gutenberg™ electronic works -even without complying with the full terms of this agreement. See -paragraph 1.C below. There are a lot of things you can do with Project -Gutenberg™ electronic works if you follow the terms of this -agreement and help preserve free future access to Project Gutenberg™ -electronic works. See paragraph 1.E below. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.C. The Project Gutenberg Literary Archive Foundation (“the -Foundation” or PGLAF), owns a compilation copyright in the collection -of Project Gutenberg™ electronic works. Nearly all the individual -works in the collection are in the public domain in the United -States. 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The following sentence, with active links to, or other -immediate access to, the full Project Gutenberg™ License must appear -prominently whenever any copy of a Project Gutenberg™ work (any work -on which the phrase “Project Gutenberg” appears, or with which the -phrase “Project Gutenberg” is associated) is accessed, displayed, -performed, viewed, copied or distributed: -</div> - -<blockquote> - <div style='display:block; margin:1em 0'> - This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and most - other parts of the world at no cost and with almost no restrictions - whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms - of the Project Gutenberg License included with this eBook or online - at <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>. 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INDEMNITY - You agree to indemnify and hold the Foundation, the -trademark owner, any agent or employee of the Foundation, anyone -providing copies of Project Gutenberg™ electronic works in -accordance with this agreement, and any volunteers associated with the -production, promotion and distribution of Project Gutenberg™ -electronic works, harmless from all liability, costs and expenses, -including legal fees, that arise directly or indirectly from any of -the following which you do or cause to occur: (a) distribution of this -or any Project Gutenberg™ work, (b) alteration, modification, or -additions or deletions to any Project Gutenberg™ work, and (c) any -Defect you cause. -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 2. Information about the Mission of Project Gutenberg™ -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Project Gutenberg™ is synonymous with the free distribution of -electronic works in formats readable by the widest variety of -computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It -exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations -from people in all walks of life. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Volunteers and financial support to provide volunteers with the -assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg™’s -goals and ensuring that the Project Gutenberg™ collection will -remain freely available for generations to come. In 2001, the Project -Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure -and permanent future for Project Gutenberg™ and future -generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see -Sections 3 and 4 and the Foundation information page at www.gutenberg.org. -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non-profit -501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the -state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal -Revenue Service. The Foundation’s EIN or federal tax identification -number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by -U.S. federal laws and your state’s laws. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -The Foundation’s business office is located at 809 North 1500 West, -Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up -to date contact information can be found at the Foundation’s website -and official page at www.gutenberg.org/contact -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Project Gutenberg™ depends upon and cannot survive without widespread -public support and donations to carry out its mission of -increasing the number of public domain and licensed works that can be -freely distributed in machine-readable form accessible by the widest -array of equipment including outdated equipment. Many small donations -($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt -status with the IRS. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -The Foundation is committed to complying with the laws regulating -charities and charitable donations in all 50 states of the United -States. Compliance requirements are not uniform and it takes a -considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up -with these requirements. 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Thus, we do not -necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper -edition. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Most people start at our website which has the main PG search -facility: <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -This website includes information about Project Gutenberg™, -including how to make donations to the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to -subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks. -</div> - -</div> -</div> -</body> -</html> diff --git a/old/69898-h/images/cover.jpg b/old/69898-h/images/cover.jpg Binary files differdeleted file mode 100644 index 009fa7c..0000000 --- a/old/69898-h/images/cover.jpg +++ /dev/null |
