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-The Project Gutenberg eBook of Cronica di Matteo Villani, vol. I, by
-Matteo Villani
-
-This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and
-most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions
-whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms
-of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at
-www.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you
-will have to check the laws of the country where you are located before
-using this eBook.
-
-Title: Cronica di Matteo Villani, vol. I
- A miglior lezione ridotta coll'aiuto de' testi a penna
-
-Author: Matteo Villani
-
-Editor: Ignazio Moutier
-
-Release Date: January 29, 2023 [eBook #69898]
-
-Language: Italian
-
-Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team
- at http://www.pgdp.net (This file was produced from images
- made available by the Bayerische Staatsbibliothek)
-
-*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK CRONICA DI MATTEO VILLANI,
-VOL. I ***
-
-
- CRONICA
-
- DI
-
- MATTEO
- VILLANI
-
-
- A MIGLIOR LEZIONE RIDOTTA
- COLL’AIUTO
- DE’ TESTI A PENNA
-
- TOMO I.
-
-
-
- FIRENZE
- PER IL MAGHERI
- 1825
-
-
-
-
-_AI LETTORI_
-
-L’EDITORE IGNAZIO MOUTIER.
-
-
-_Matteo Villani continuatore della Cronica di Giovanni è reputato
-inferiore all’ultimo e per la lingua e per lo stile: ma quanto sia
-ingiusto un giudizio sì decisivo emesso in vari tempi da accreditati
-scrittori, e sempre ciecamente ripetuto, lo dimostra la medesima opera
-sua, a coloro che si dilettassero di farne uno studio più diligente.
-L’accusa datagli di diffuso scrittore è tanto essenzialmente falsa,
-che sembra pronunziata da uomo mal prevenuto, o che non abbia mai
-conosciuta l’opera che li piacque di condannare. Ma la cagione primaria
-per cui pochi fino ad ora si dedicarono a studiare la Cronica di
-Matteo, è stata certamente la pessima forma con la quale fu sempre
-pubblicata nelle poche edizioni che ne furon fatte fino a questo
-giorno. La buona volontà d’un lettore paziente si stanca facilmente
-alla lettura d’un’opera condotta senz’ombra d’ortografia, e che trovi
-ad ogni passo periodi intralciati, voci fuor di luogo, omissioni
-d’ogni genere, e dei versi ancora ripetuti, e in tale stato sono le
-tre edizioni eseguite dai Giunti in epoche differenti, e che tutte si
-trovan citate nel Vocabolario degli Accademici della Crusca. È cosa
-veramente da deplorarsi con quanta negligenza siano state impresse
-nel secolo decimosesto molte opere classiche di nostra lingua.
-L’esperienza di fatto mi fece conoscere, che molti editori di opere
-di classici antichi scrittori, cominciando poco avanti la metà del
-secolo decimosesto fino verso la fine di esso, avevano adottato un
-certo loro particolar sistema di variare a capriccio la lezione dei
-codici antichi, in quei luoghi che discordavano dalla loro maniera di
-vedere e d’intendere, sostituendo e togliendo a vicenda voci e talvolta
-interi periodi, senza altra ragione che il loro singolarissimo sistema.
-Questo intollerabile abuso di torta critica guastò talmente gli scritti
-di molte opere classiche, che i giudizi che ne furon fatti di esse da
-chi s’affidò ciecamente alle stampe del cinquecento senza ricorrere ai
-manoscritti son da tenersi per inesatti e non veri. Quanta verità possa
-avere l’accusa che io do agli editori del cinquecento lo mostrerebbero
-abbastanza l’edizioni di Giovanni e di Matteo Villani eseguite in quel
-secolo, ma più luminosamente potrò dimostrarlo fra qualche tempo, se
-la fortuna mi concede il mezzo di dare al pubblico l’opere tutte d’un
-sommo scrittore, che già da qualche anno m’occupo con paziente studio
-alla loro emendazione._
-
-_Lorenzo Torrentino fu il primo a pubblicare in un volumetto,
-in Firenze nel 1554, i soli primi quattro libri della Cronica di
-Matteo Villani, corretti quanto poteva ottenersi in quel tempo da
-una prima edizione di un’opera che si traeva da antico manoscritto.
-Filippo e Iacopo Giunti stampatori in Firenze, commessero nel 1562 a
-Domenico Guerra e Giovan Battista suo fratello stampatori in Venezia
-l’impressione della Cronica di Matteo, la quale non giunse oltre il
-cap. 85 del libro nono. Nella dedica che fanno i Giunti al principe
-don Francesco de’ Medici in data del medesimo anno, vi si leggono
-lusinghiere promesse di dare l’opera in quel modo appunto ch’ella
-fu scritta dall’autore, avendone affidata la revisione ad _uomini
-eccellentissimi, che ogni particella e ogni parola accomodarono
-al luogo suo, ch’ella non uscì forse di mano a Matteo altramente
-disposta_: ma ad onta di sì belle parole, quest’impressione fu reputata
-scorretta dai medesimi Giunti, i quali nel 1581 la riprodussero più
-emendata col soccorso d’un codice che allora esisteva presso Giuliano
-de’ Ricci, premettendovi la medesima prefazione al principe don
-Francesco senza mutar data. Quest’edizione benchè conti un capitolo di
-più della prima in fine del libro nono contiene precisamente la stessa
-materia, non variando che la materiale numerazione dei capitoli. Col
-soccorso pure del codice di Giuliano de’ Ricci pubblicarono i Giunti
-nel 1577 in Firenze i tre ultimi libri della Cronica di Matteo, così
-da loro intitolati, ma che essenzialmente non sono che ventisette
-capitoli che compiscono il nono libro, e il libro decimo e undecimo; di
-questi ultimi libri ne fecero un’esatta ristampa nel 1596. La giunta
-di Filippo comprende gli ultimi quarantadue capitoli dell’undecimo
-ed ultimo libro. L’ultima edizione, e certamente la migliore della
-Cronica di Matteo, fu pubblicata nel 1729 in Milano nel decimoquarto
-volume della celebre collezione degli scrittori delle cose d’Italia di
-Lodovico Antonio Muratori, procurata ed illustrata da Filippo Argelati.
-In quest’edizione fu seguitata la stampa dei Giunti del 1581, e il
-seguito impresso nel 1577; vi furono per altro aggiunte a piè della
-pagina le varianti lezioni che furono tratte dal cavalier Marmi dal
-codice Ricci, e da un altro manoscritto esistente allora presso il
-prior Francesco Covoni; ma queste varie lezioni si trovano per la
-maggior parte sì inutilmente abbondanti in principio dell’opera, come
-scarseggianti dopo l’ottavo libro, da muovere ragionevolmente sospetto
-che il cavalier Marmi si stancasse alla metà del suo faticoso lavoro.
-In questa edizione fu con tanto scrupolo seguitata la lezione giuntina
-che vi fu lasciata stare la medesima viziosa ortografia, a danno dei
-poveri lettori, a’ quali è troppo grave nello studio degli antichi
-classici questo barbaro sistema, che non è ancora spento del tutto._
-
-_Da questo esatto ragguaglio dell’edizioni della Cronica di Matteo
-e Filippo Villani fino ad ora pubblicate, è facile persuadersi del
-bisogno di farne una nuova più accurata edizione, ma tal pensiero
-venuto più volte in mente a uomini di molta dottrina, e amantissimi
-della lingua italiana, svanì e venne meno allorchè cominciarono a
-sentire il peso di questa spinosa fatica. Colui che sia nuovo affatto
-di simili studi non può con approssimazione calcolare il lungo tedio
-che richiedono i confronti d’opere stampate con i manoscritti, che
-quasi sempre si trovano tra loro discordi nella lezione, o mancanti,
-o inintelligibili, e quel che è peggio variati sovente dall’arbitrio
-d’ignoranti copisti. Abituato com’io sono da molti anni a simili
-studi, da me intrapresi con vero desiderio di recare con l’opera mia
-qualche vantaggio agli amatori dei classici nostri, che sì deturpati
-per la maggior parte erano stati impressi in antico, pubblicai già
-è un anno la Cronica di Giovanni Villani (alla cui emendazione ebbi
-l’assistenza un mio carissimo amico) e fin da quell’epoca contrassi
-verso il pubblico l’obbligazione di dare alla luce ricorretta ed
-emendata l’opera di Matteo e Filippo Villani, servendomi della lezione
-del famoso codice Ricci. Questo codice cartaceo in foglio, di non
-elegante ma buona forma di lettere, è scritto tutto d’una medesima
-mano; ha in principio una breve nota che ci fa conoscere l’anno in
-cui fu trascritto, così concepita: _Questo libro fu scritto l’anno
-1378 da Ardingo di Corso de’ Ricci, e continuamente si conserva in
-questa casa: e oggi, che siamo alli 6 di maggio 1608, è posseduto da
-Ruberto di Giuliano de’ Ricci._ Su qual documento asserisca questo
-Ruberto de’ Ricci che il codice sia stato scritto nel 1378 non è da
-conoscersi tanto facilmente, ma di certo la scrittura è del secolo
-in cui si vuole che sia stato copiato. Comincia il manoscritto con
-la tavola delle rubriche o capitoli con le prime voci e i numeri dei
-capitoli scritti in rosso, che occupano le prime diciotto carte; ne
-segue poi la Cronica, che comprende carte trecentosettanta, con i
-titoli de’ capitoli e la serie della loro numerazione in rosso. Questo
-codice di buona conservazione, non va per altro esente dalla sorte che
-hanno incontrato la maggior parte dei manoscritti, che per incuria o
-ignoranza di chi gli ha avuti a mano si trovano oggi mutilati e mal
-conci, poichè si hanno in esso mancanti le carte 299, e 384; mancava
-pure la carta 108, che fu sostituita fino dall’anno 1573 da ignota
-mano. La buonissima lezione che ha questo manoscritto fa chiara
-testimonianza della diligenza del suo copista, che non deve essere
-stato di que’ prezzolati emanuensi che in quel secolo flagellarono ogni
-maniera di scritture, ma uomo al certo di qualche dottrina. E qui mi
-sia lecito dar tributo d’obbligazione e di riconoscenza all’egregio
-signor Commendatore Lapo de’ Ricci, che con tanta amorevolezza si
-compiacque accordarmi l’uso per la presente edizione di questo prezioso
-codice di Matteo Villani, scritto come parla l’antica tradizione da
-Ardingo di Corso de’ Ricci, già di sopra menzionato, e che tuttavia si
-conserva nella biblioteca di quest’illustre famiglia._
-
-_Di questo codice adunque mi sono quasi interamente giovato nella
-presente ristampa di Matteo Villani, come il più corretto e copioso
-di quanti n’abbia veduti, ed ho solamente avuto ricorso alle varianti
-del codice Covoni che esistono nell’accennata edizione dell’opera
-di Matteo eseguita in Milano nel 1729, in quei pochissimi luoghi che
-manifestamente erano errati. Due codici della libreria Riccardiana e
-uno della Magliabechiana mi hanno fornito di qualche variante nel corso
-dell’opera, la poca importanza delle quali mi disobbliga dal far di
-essi un circostanziato ragguaglio._
-
-_La presente edizione della Cronica di Matteo Villani potrebbe
-ragionevolmente chiamarsi un’esatta copia del codice Ricci, se i
-pochi luoghi che in esso si trovano errati non avessero domandato il
-soccorso d’altri codici antichi per rettificarne gli errori. Così
-avess’io potuto supplire con altri manoscritti alle lagune vistose
-del codice Ricci, specialmente a quelle che s’incontrano ne’ tre
-ultimi libri, ma il fatto mi ha dimostrato non esser questo un errore
-da attribuirsi al copista, ma bensì all’autore medesimo, l’immatura
-morte del quale gli tolse il modo di dar l’ultima mano all’opera sua,
-giacchè tutti i manoscritti da me riscontrati, e non in piccol numero,
-hanno sventuratamente lo stesso difetto, da toglier la speranza a ogni
-accurato investigatore di rinvenire un giorno ciò che ora invano si
-desidera. Quei passi per altro, che nell’edizioni eseguite dai Giunti
-furono tolti per cagione de’ tempi, si troveranno in quest’edizione
-restituiti al loro luogo, cioè al Cap. 93 del libro nono, e al Prologo
-del libro undecimo._
-
-_Il sistema che ho creduto dover seguitare in quest’edizione è stato il
-medesimo che servì di norma alla pubblicazione del primo Villani, meno
-che più libertà mi son preso intorno a’ nomi propri, avendone del tutto
-banditi gl’idiotismi del tempo, che nulla han che fare con la lingua,
-e che ad altro non servono che ad essere inciampo e noia al maggior
-numero dei lettori. L’ortografia ho avuto cura che si presti totalmente
-all’intelligenza del testo senz’altra regola speciale, semplicizzando
-più che ho saputo l’andamento del periodo. Finalmente all’ultimo
-volume vi ho posto l’indice generale, indispensabile ad un’opera di tal
-natura, e un elenco di voci mancanti nel Vocabolario degli Accademici
-della Crusca. In un volume di supplemento riprodurrò le vite degli
-uomini illustri Fiorentini scritte da Filippo Villani, giovandomi
-dell’edizione procurata dall’erudito Giammaria Mazzuchelli nel 1747 in
-Venezia; e così mi compiacerò d’essere stato il primo a riunire in un
-sol corpo tutte l’opere toscane de’ tre Villani, impresa molte volte
-progettata e mai condotta a buon termine, per gl’infiniti ostacoli
-ch’era d’uopo sormontare con lungo e pazientissimo studio._
-
-_Il dovere mi obbligherebbe a premettere all’opera alcune notizie
-intorno alla vita pubblica e privata di Matteo Villani, ma tanto scarsi
-sono i documenti che lo riguardano, quanto inutili e infruttuose
-sono state fino ad ora le ricerche di diligenti biografi. Il suo
-figliuolo Filippo continuatore dell’opera del padre ci ha tramandata
-l’epoca della di lui morte, la quale avvenne a dì 12 di luglio del
-1363, anch’egli come il fratello Giovanni colpito dalla peste che da
-molti anni lacerava quasi tutta Europa, ma specialmente la misera
-Italia, senza che gli uomini riparassero a tanto loro esterminio.
-Il Manni (Sig. Ant. T. 4. p. 75) ci addita due mogli ch’egli ebbe,
-Lisa de’ Buondelmonti e Monna de’ Pazzi, e alcune altre notizie ci
-riferisce illustrando l’albero di casa Villani, la più importante
-è quella che Matteo come ghibellino fu da’ capitani di parte guelfa
-ammonito. Di Filippo assai ne ragiona il diligentissimo Mazzuchelli
-nella sua prefazione alle Vite degli Uomini illustri Fiorentini, la
-quale pubblicherò nel settimo volume di quest’opera, premettendola
-alle medesime Vite scritte da Filippo, procurando pure d’emendarle con
-l’aiuto de’ manoscritti, benchè fino ad ora quelli che m’è avvenuto
-riscontrare non meritano nessuna fiducia per essere troppo moderni, e
-notoriamente variati dal capriccio de’ loro copiatori._
-
-_Se questa mia non lieve fatica d’aver cercato di ridurre a miglior
-lezione la Cronica di Matteo Villani non incontrerà in particolare
-l’approvazione dei dotti, riscuoterà certamente il suffragio da tutti
-quelli che s’esercitano nello studio dei nostri classici antichi,
-che da un fonte più puro potranno trarre, con minor noia e fatica di
-quel che far si potesse in addietro, preziosi documenti per l’istoria
-e per l’incremento della lingua italiana. Così piaccia alla fortuna
-d’accordare tal’ozio tranquillo ai dotti accademici della Crusca,
-a’ quali è commesso l’incarico di nostra lingua, che applicar si
-possano con vero studio all’emendazione di tanti classici, che ripieni
-d’infiniti errori e mancanze, attendono ancora dalla critica di questo
-secolo d’essere riprodotti nella loro vera e primitiva forma. Ad
-alcuni onorevoli Accademici è debitrice la repubblica delle lettere
-di alcune opere riprodotte nella loro originalità, e di altri se
-ne desiderano tuttavia le studiose fatiche, ma troppe opere ancora
-rimangono da emendarsi, e dell’inedite da pubblicarsi, che il loro
-numero e la loro importanza può giustificare qualunque lamento che
-se ne faccia. Sia loro di massimo incitamento l’esempio dell’ottimo
-nostro Sovrano, che da qualche anno si compiacque di farsi membro
-di quell’illustre Accademia, il quale con munificenza degna di tanto
-Principe ha pubblicato in quest’anno le opere di Lorenzo il Magnifico,
-con grandissimo studio da Lui emendate e illustrate._
-
-
-
-
-CRONICA
-
-DI MATTEO VILLANI
-
-
-
-
-LIBRO PRIMO
-
-
-_Qui comincia la Cronica di Matteo Villani, e prima il prologo, e primo
-libro._
-
-Esaminando nell’animo la vostra esortazione, carissimi amici, di
-mettere opera a scrivere le storie e le novità che a’ nostri tempi
-avverranno, pensai la mia piccola facultà essere debole a cotanta e
-tale opera seguire. Ma perocchè la vostra richesta mi rende per debito
-pronto a ubbidire, e il vostro consiglio aggiugne vigore alla stanca
-mente; e pensando che per la macchia del peccato la generazione umana
-tutta è sottoposta alle temporali calamità, e a molta miseria, e a
-innumerabili mali, i quali avvengono nel mondo per varie maniere, e
-per diversi e strani movimenti, e tempi; come sono inquietazioni di
-guerre, movimenti di battaglie, furore di popoli, mutamenti di reami,
-occupazioni di tiranni, pestilenzie, mortalità e fame, diluvi, incendi,
-naufragi e altre gravi cose, delle quali gli uomini, ne’ cui tempi
-avvengono, quasi da ignoranza soppresi, più forte si maravigliano, e
-meno comprendono il divino giudicio, e poco conoscono il consiglio e
-’l rimedio dell’avversità, se per memoria di simiglianti casi avvenuti
-ne’ tempi passati non hanno alcuno ammaestramento: e in quelle che
-la chiara faccia della prosperità rapporta non sanno usare il debito
-temperamento; rischiudendo sotto lo scuro velo della ignoranza
-l’uscimento cadevole, e il fine dubbioso delle mortali cose. Onde
-pensando che l’opera puote essere fruttuosa, e debba piacere per li
-naturali desideri degli uomini, mi mossi a cominciare, per esempio
-di me uomo di leggieri scienza, ad apparecchiar materia a’ savi di
-concedere del loro tempo alcuna parte, per lasciare agli altri memoria
-delle cose appariranno di ciò degne a’ loro temporali, e a’ meno sperti
-speranza con fatica e studio da poter venire a operazioni virtudiose,
-e a coloro che avranno più alto ingegno, materia di ristrignere su
-brevità, e con più piacere degli uditori, le nostre storie. Ma perocchè
-ogni cosa è imperfetta e vana senza l’aiuto della divina grazia,
-chiamiamo in nostro aiuto la carità divina, Cristo benedetto; il quale
-è in unità col Padre e con lo Spirito Santo, vive e regna per tutti
-i secoli, e dà cominciamento e mezzo e termine perfetto a ogni buona
-operazione.
-
-
-CAP. I.
-
-_Della inaudita mortalità._
-
-Trovasi nella santa Scrittura, che avendo il peccato corrotto ogni via
-della umana carne, Iddio mandò il diluvio sopra la terra: e riservando
-per la sua misericordia l’umana carne in otto anime, di Noè, e di tre
-suoi figliuoli e delle loro mogli nell’arca, tutta l’altra generazione
-nel diluvio sommerse. Dappoi per li tempi multiplicando la gente, sono
-stati alquanti diluvi particolari, mortalità, corruzioni e pistolenze,
-fami e molti altri mali, che Iddio ha permesso venire sopra gli uomini
-per li loro peccati. Tra le quali mortalità troviamo venute le più
-gravi l’una al tempo di Marco Aurelio, Antonio e Lucio Aurelio Commodo
-imperadori, gli anni di Cristo 171, la quale cominciò in Babilonia
-d’Egitto, e comprese molte provincie del mondo. E tornando L. Commodo
-colle legioni de’ Romani delle parti d’Asia, parea combattesse
-ostilemente per la loro infezione gli uomini delle provincie ond’elli
-passavano: e a Roma fece grave sterminio de’ suoi abitanti. E l’altra
-venne al tempo di Gallo Ostilio Augusto, e Bolusseno suo figliuolo,
-occupatori dello imperio, e gravi persecutori de’ cristiani, la quale
-cominciò gli anni di Cristo 254, e durò, ritornando di tempo in tempo,
-intorno di quindici anni: e fu di diverse e incredibili infermitadi,
-e comprese molte provincie del mondo. Ma per quello che trovar si
-possa per le scritture, dal generale diluvio in qua, non fu universale
-giudicio di mortalità che tanto comprendesse l’universo, come quella
-che ne’ nostri dì avvenne. Nella quale mortalità, considerando la
-moltitudine che allora vivea, in comparazione di coloro che erano
-in vita al tempo del generale diluvio, assai più ne morirono in
-questa che in quello, secondo la estimazione di molti discreti. Nella
-quale mortalità avendo renduta l’anima a Dio l’autore della cronica
-nominata la Cronica di Giovanni Villani cittadino di Firenze, al quale
-per sangue e per dilezione fui strettamente congiunto, dopo molte
-gravi fortune, con più conoscimento della calamità del mondo che la
-prosperità di quello non m’avea dimostrato, propuosi nell’animo mio
-fare alla nostra varia e calamitosa materia cominciamento a questo
-tempo, come a uno rinnovellamento di tempo e secolo, comprendendo
-annualmente le novità che appariranno di memoria degne, giusta la
-possa del debole ingegno, come più certa fede per li tempi avvenire ne
-potremo avere.
-
-
-CAP. II.
-
-_Quanto durava il tempo della moría in catuno paese._
-
-Avendo per cominciamento nel nostro principio a raccontare lo sterminio
-della generazione umana, e convenendone divisare il tempo e il modo, la
-qualità e la quantità di quella, stupidisce la mente appressandosi a
-scrivere la sentenzia, che la divina giustizia con molta misericordia
-mandò sopra gli uomini, degni per la corruzione del peccato di final
-giudizio. Ma pensando l’utilità salutevole che di questa memoria puote
-addivenire alle nazioni che dopo noi seguiranno, con più sicurtà del
-nostro animo così cominciamo. Videsi negli anni di Cristo, dalla sua
-salutevole incarnazione 1346, la congiunzione di tre superiori pianeti
-nel segno dell’Aquario, della quale congiunzione si disse per gli
-astrolaghi che Saturno fu signore: onde pronosticarono al mondo grandi
-e gravi novitadi; ma simile congiunzione per li tempi passati molte
-altre volte stata e mostrata, la influenzia per altri particulari
-accidenti non parve cagione di questa, ma piuttosto divino giudicio
-secondo la disposizione dell’assoluta volontà di Dio. Cominciossi nelle
-parti d’Oriente, nel detto anno, inverso il Cattai e l’India superiore,
-e nelle altre provincie circustanti a quelle marine dell’oceano, una
-pestilenzia tra gli uomini d’ogni condizione di catuna età e sesso, che
-cominciavano a sputare sangue, e morivano chi di subito, chi in due o
-in tre dì, e alquanti sostenevano più al morire. E avveniva, che chi
-era a servire questi malati, appiccandosi quella malattia, o infetti,
-di quella medesima corruzione incontanente malavano, e morivano per
-somigliante modo; e a’ più ingrossava l’anguinaia, e a molti sotto le
-ditella delle braccia a destra e a sinistra, e altri in altre parti
-del corpo, che quasi generalmente alcuna enfiatura singulare nel corpo
-infetto si dimostrava. Questa pestilenzia si venne di tempo in tempo,
-e di gente in gente apprendendo, comprese infra il termine d’uno anno
-la terza parte del mondo che si chiama Asia. E nell’ultimo di questo
-tempo s’aggiunse alle nazioni del Mare maggiore, e alle ripe del Mare
-tirreno, nella Soria e Turchia, e in verso lo Egitto e la riviera
-del Mar rosso, e dalla parte settentrionale la Rossia e la Grecia,
-e l’Erminia e l’altre conseguenti provincie. E in quello tempo galee
-d’Italiani si partirono del Mare maggiore, e della Soria e di Romania
-per fuggire la morte, e recare le loro mercatanzie in Italia: e’ non
-poterono cansare, che gran parte di loro non morisse in mare di quella
-infermità. E arrivati in Cicilia conversaro co’ paesani, e lasciarvi
-di loro malati, onde incontanente si cominciò quella pestilenzia ne’
-Ciciliani. E venendo le dette galee a Pisa, e poi a Genova, per la
-conversazione di quegli uomini cominciò la mortalità ne’ detti luoghi,
-ma non generale. Poi conseguendo il tempo ordinato da Dio a’ paesi, la
-Cicilia tutta fu involta in questa mortale pestilenzia. E l’Affrica
-nelle marine, e nelle sue provincie di verso levante, e le rive del
-nostro Mare tirreno. E venendo di tempo in tempo verso il ponente,
-comprese la Sardigna, e la Corsica, e l’altre isole di questo mare; e
-dall’altra parte, ch’è detta Europa, per simigliante modo aggiunse alle
-parti vicine verso il ponente, volgendosi verso il mezzogiorno con più
-aspro assalimento che sotto le parti settentrionali. E negli anni di
-Cristo 1348 ebbe infetta tutta Italia, salvo che la città di Milano,
-e certi circustanti all’Alpi, che dividono l’Italia dall’Alamagna, ove
-gravò poco. E in questo medesimo anno cominciò a passare le montagne,
-e stendersi in Proenza, e in Savoia, e nel Dalfinato, e in Borgogna,
-e per la marina di Marsilia e d’Acquamorta, e per la Catalogna, e
-nell’isola di Maiolica, e in Ispagna e in Granata. E nel 1349 ebbe
-compreso fino nel ponente, le rive del Mare oceano, d’Europa e
-d’Affrica e d’Irlanda, e l’isola d’Inghilterra e di Scozia, e l’altre
-isole di ponente, e tutto infra terra con quasi eguale mortalità, salvo
-in Brabante ove poco offese. E nel 1350 premette gli Alamanni, e gli
-Ungheri, Frigia, Danesmarche, Gotti, e Vandali, e gli altri popoli e
-nazioni settentrionali. E la successione di questa pestilenzia durava
-nel paese ove s’apprendeva cinque mesi continovi, ovvero cinque lunari:
-e questo avemmo per isperienza certa di molti paesi. Avvenne, perchè
-parea che questa pestifera infezione s’appiccasse per la veduta e
-per lo toccamento, che come l’uomo, o la femmina o i fanciulli si
-conoscevano malati di quella enfiatura, molti n’abbandonavano, e
-innumerabile quantità ne morirono, che sarebbono campati se fossono
-stati aiutati delle cose bisognevoli. Tra gl’infedeli cominciò questa
-inumanità crudele, che le madri e’ padri abbandonavano i figliuoli, e
-i figliuoli le madri e’ padri, e l’uno fratello l’altro e gli altri
-congiunti, cosa crudele e maravigliosa, e molto strana dalla umana
-natura, detestata tra i fedeli cristiani, nei quali, seguendo le
-nazioni barbare, questa crudeltà si trovò. Essendo cominciata nella
-nostra città di Firenze, fu biasimata da’ discreti la sperienza veduta
-di molti, i quali si provvidono, e rinchiusono in luoghi solitari,
-e di sana aria, forniti, d’ogni buona cosa da vivere, ove non era
-sospetto di gente infetta; in diverse contrade il divino giudicio (a
-cui non si può serrare le porti) gli abbattè come gli altri che non
-s’erano provveduti. E molti altri, i quali si dispuosono alla morte per
-servire i loro parenti e amici malati, camparono avendo male, e assai
-non l’ebbono continovando quello servigio; per la qual cosa ciascuno
-si ravvide, e cominciarono senza sospetto ad aiutare e servire l’uno
-l’altro; onde molti guarirono, ed erano più sicuri a servire gli altri.
-Nella nostra città cominciò generale all’entrare del mese d’aprile gli
-anni _Domini_ 1348, e durò fino al cominciamento del mese di settembre
-del detto anno. E morì tra nella città, contado e distretto di Firenze,
-d’ogni sesso e di catuna età de’ cinque i tre, e più, compensando
-il minuto popolo e i mezzani e’ maggiori, perchè alquanto fu più
-menomato, perchè cominciò prima, ed ebbe meno aiuto, e più disagi e
-difetti. E nel generale per tutto il mondo mancò la generazione umana
-per simigliante numero e modo, secondo le novelle che avemmo di molti
-paesi strani, e di molte provincie del mondo. Ben furono provincie nel
-Levante dove vie più ne moriro. Di questa pestifera infermità i medici
-in catuna parte del mondo, per filosofia naturale, o per fisica, o
-per arte d’astrologia non ebbono argomento nè vera cura. Alquanti per
-guadagnare andarono visitando e dando loro argomenti, li quali per la
-loro morte mostrarono l’arte essere fitta, e non vera: e assai per
-coscienza lasciarono a ristituire i danari che di ciò aveano presi
-indebitamente.
-
-Avemmo da mercatanti genovesi, uomini degni di fede, che aveano avute
-novelle di que’ paesi, che alquanto tempo innanzi a questa pestilenzia,
-nelle parti dell’Asia superiore, uscì della terra, ovvero cadde da
-cielo un fuoco grandissimo, il quale stendendosi verso il ponente, arse
-e consumò grandissimo paese senza alcuno riparo. E alquanti dissono,
-che del puzzo di questo fuoco si generò la materia corruttibile della
-generale pestilenzia: ma questo non possiamo accertare. Appresso
-sapemmo da uno venerabile frate minore di Firenze vescovo di .... del
-Regno, uomo degno di fede, che s’era trovato in quelle parti dov’è
-la città di Lamech ne’ tempi della mortalità, che tre dì e tre notti
-piovvono in quello paese biscie con sangue che appuzzarono e corruppono
-tutte le contrade: e in quella tempesta fu abbattuto parte del tempio
-di Maometto, e alquanto della sua sepoltura.
-
-
-CAP. III.
-
-_Della indulgenzia diede il papa per la detta pistolenza._
-
-In questi tempi della mortale pestilenzia, papa Clemente sesto fece
-grande indulgenza generale della pena di tutti i peccati a coloro che
-pentuti e confessi la domandavano a’ loro confessori, e morivano: e in
-quella certa mortalità catuno cristiano credendosi morire si disponea
-bene, e con molta contrizione e pazienzia rendevano l’anima a Dio.
-
-
-CAP. IV.
-
-_Come gli uomini furono peggiori che prima._
-
-Stimossi per quelli pochi discreti che rimasono in vita molte cose,
-che per la corruzione del peccato tutte fallirono agli avvisi degli
-uomini, seguendo nel contradio maravigliosamente. Credetesi che gli
-uomini, i quali Iddio per grazia avea riserbati in vita, avendo veduto
-lo sterminio dei loro prossimi, e di tutte le nazioni del mondo,
-udito il simigliante, che divenissono di migliore condizione, umili,
-virtudiosi e cattolici, guardassonsi dall’iniquità e dai peccati, e
-fossono pieni d’amore e di carità l’uno contra l’altro. Ma di presente
-restata la mortalità apparve il contradio; che gli uomini trovandosi
-pochi, e abbondanti per l’eredità e successioni dei beni terreni,
-dimenticando le cose passate come state non fossono, si dierono alla
-più sconcia e disonesta vita che prima non aveano usata. Perocchè
-vacando in ozio, usavano dissolutamente il peccato della gola, i
-conviti, taverne e delizie con dilicate vivande, e’ giuochi, scorrendo
-senza freno alla lussuria, trovando nei vestimenti strane e disusate
-fogge e disoneste maniere, mutando nuove forme a tutti gli arredi. E
-il minuto popolo, uomini e femmine, per la soperchia abbondanza che
-si trovarono delle cose, non voleano lavorare agli usati mestieri; e
-le più care e dilicate vivande voleano per loro vita, e allibito si
-maritavano, vestendo le fanti e le vili femmine tutte le belle e care
-robe delle orrevoli donne morte. E senza alcuno ritegno quasi tutta
-la nostra città scorse alla disonesta vita; e così, e peggio, l’altre
-città e provincie del mondo. E secondo le novelle che sentire potemmo,
-niuna parte fu, in cui vivente in continenzia si riserbasse, campati
-dal divino furore, stimando la mano di Dio essere stanca. Ma secondo
-il profeta Isaia, non è abbreviato il furore d’Iddio, nè la sua mano
-stanca, ma molto si compiace nella sua misericordia, e però lavora
-sostenendo, per ritrarre i peccatori a conversione e penitenzia, e
-punisce temperatamente.
-
-
-CAP. V.
-
-_Come si stimò dovizia, e seguì carestia._
-
-Stimossi per il mancamento della gente dovere essere dovizia di tutte
-le cose che la terra produce, e in contradio per l’ingratitudine degli
-uomini ogni cosa venne in disusata carestia, e continovò lungo tempo:
-ma in certi paesi, come narreremo, furono gravi e disusate fami. E
-ancora si pensò essere dovizia e abbondanza di vestimenti, e di tutte
-l’altre cose che al corpo umano sono di bisogno oltre alla vita, e il
-contrario apparve in fatto lungamente; che due cotanti o più valsono
-la maggior parte delle cose che valere non soleano innanzi alla detta
-mortalità. E il lavorio, e le manifatture d’ogni arte e mestiero
-montò oltre al doppio consueto disordinatamente. Piati, quistioni,
-contraversie e riotte sursono da ogni parte tra’ cittadini di catuna
-terra, per cagione dell’eredità e successioni. E la nostra città
-di Firenze lungamente ne riempiè le sue corti con grandi spendii e
-disusate gravezze. Guerre, e diversi scandali si mossono per tutto
-l’universo, contro alle opinioni degli uomini.
-
-
-CAP. VI.
-
-_Come nacque in Prato un fanciullo mostruoso._
-
-In questo anno, del mese d’agosto, nacque in Prato uno fanciullo
-mostruoso di maravigliosa figura, perocchè a uno capo e a uno collo
-furono partiti e stesi due imbusti umani con tutte le membra distinte
-e partite dal collo in giuso, senza niuna diminuzione che natura dia
-a corpo umano: e catuno imbusto fu colle membra e natura masculina. Ma
-l’uno corpo era maggiore che l’altro: e vivette questo corpo mostruoso
-e maraviglioso quindici giorni, dando pronosticazione forse di loro
-futuri danni, come leggendo appresso si potrà trovare.
-
-
-CAP. VII.
-
-_Come alla compagnia d’Orto san Michele fu lasciato gran tesoro._
-
-Nella nostra città di Firenze, l’anno della detta mortalità, avvenne
-mirabile cosa: che venendo a morte gli uomini, per la fede che i
-cittadini di Firenze aveano all’ordine e all’esperienza che veduta era
-della chiara, e buona e ordinata limosina che s’era fatta lungo tempo,
-e facea per li capitani della compagnia di Madonna santa Maria d’Orto
-san Michele, senza alcuno umano procaccio, si trovò per testamenti
-fatti (i quali testamenti nella mortalità, e poco appresso, si poterono
-trovare e avere) che i cittadini di Firenze lasciarono a stribuire a’
-poveri per li capitani di quella compagnia più di trecentocinquanta
-migliaia di fiorini d’oro. Che vedendosi la gente morire, e morire
-i loro figliuoli e i loro congiunti, ordinavano i testamenti, e chi
-avea reda che vivesse, legava la reda, e se la reda morisse, volea la
-detta compagnia fosse reda; e molti che non avevano alcuna reda, per
-divozione dell’usata e santa limosina che questa compagnia solea fare,
-acciocchè il suo si stribuisse a’ poveri com’era usato, lasciavano di
-ciò ch’aveano reda la detta compagnia: e molti altri non volendo che
-per successione il suo venisse a’ suoi congiunti, o a’ suoi consorti,
-legavano alla detta compagnia tutti i loro beni. Per questa cagione,
-restata la mortalità in Firenze, si trovò improvviso quella compagnia
-in sì grande tesoro, senza quello che ancora non potea sapere. E i
-mendichi poveri erano quasi tutti morti, e ogni femminella era piena
-e abbondevole delle cose, sicchè non cercavano limosina. Sentendosi
-questo fatto per cittadini, procacciarono molti con sollecitudine
-d’essere capitani per potere amministrare questo tesoro, e cominciarono
-a ragunare le masserizie e’ danari; ch’avendo a vendere le masserizie
-nobili de’ grandi cittadini e mercatanti, tutte le migliori e le più
-belle voleano per loro a grande mercato, e l’altre più vili faceano
-vendere in pubblico, e i danari cominciarono a serbare, e chi ne tenea
-una parte, e chi un’altra a loro utilità. E non essendo in quel tempo
-poveri bisognosi, facevano le limosine grandi ciascuno capitano ove più
-gli piaceva, poco a grado a Dio e alla sua madre. E per questo indebito
-modo si consumò in poco tempo molto tesoro. E quando veniva il tempo di
-rifare i nuovi capitani, i cittadini amici de’ vecchi si facevano fare
-capitani nuovi da loro che avevano la balía, con molte preghiere, e
-altre promessioni, intendendosi insieme per poco onesta intenzione. Le
-possessioni della compagnia allogavano per amistà e buon mercato, e le
-vendite faceano disonestamente. I cittadini ch’erano avviluppati nelle
-mani de’ detti capitani per li lasci, e per le dote, e per li debiti,
-e per le participazioni di quelli beni, e per l’altre successioni non
-si poteano per lunghi tempi spacciare da loro: e ogni cosa sosteneano
-in lunga contumacia senza sciogliere, se per speziale servigio non si
-facea. E fu tre anni continovi più grande la loro corte che quella del
-nostro comune. E avvedendosi i cittadini della ipocrisia de’ capitani,
-acciocchè più non seguitasse la elezione, che l’uno facesse l’altro,
-ordinarono che i capitani si chiamassono per lo consiglio. In processo
-di tempo il comune prese de’ danari del mobile della detta compagnia
-alcuna parte, vedendo che male si stribuivano per li capitani. E per le
-dette cagioni la fede di quella compagnia tra’ cittadini e’ contadini
-cominciò molto a mancare, avvelenata per lo disordinato tesoro, e per
-gli avari guidatori di quello. E per lo simigliante modo fu lasciato
-a una nuova compagnia chiamata la compagnia della Misericordia,
-tra in mobile e in possessioni, il valore di più di venticinquemila
-fiorini d’oro, i quali si stribuirono poco bene per lo difetto de’
-capitani che gli aveano a stribuire. E allo spedale di santa Maria
-Nuova di san Gilio fu anche lasciato in quella mortalità il valore
-di venticinquemila fiorini d’oro. Questi lasci di questo spedale si
-stribuirono assai bene, perocchè lo spedale è di grande elemosina, e
-sempre abbonda di molti infermi uomini e femmine, i quali sono serviti
-e curati con molta diligenza e abbondanza di buone cose da vivere, e da
-sovvenire a’ malati, governandosi per uomini e femmine di santa vita.
-
-
-CAP. VIII.
-
-_Come in Firenze da prima si cominciò lo Studio._
-
-Rallentata la mortalità, e assicurati alquanto i cittadini che
-aveano a governare il comune di Firenze, volendo attrarre gente alla
-nostra città, e dilatarla in fama e in onore, e dare materia a’ suoi
-cittadini d’essere scienziati e virtudiosi, con buono consiglio, il
-comune provvide e mise in opera che in Firenze fosse generale studio
-di catuna scienzia, e in legge canonica e civile, e di teologia. E a
-ciò fare ordinarono uficiali, e la moneta che bisognava per avere i
-dottori delle scienze: stanziò si pagassono annualmente dalla camera
-del comune; e feciono acconciare i luoghi dello Studio in su la via
-che traversa da casa i Donati a casa i Visdomini, in su i casolari
-de’ Tedaldini. E piuvicarono lo studio per tutta Italia; e avuti
-dottori assai famosi in tutte le facultà delle leggi e dell’altre
-scienze, cominciarono a leggere a dì 6 del mese di novembre, gli
-anni di Cristo 1348. E mandato il comune al papa e a’ cardinali a
-impetrare privilegio di potere conventare in Firenze in catuna facultà
-di scienza, ed avere le immunità e onori che hanno gli altri studi
-generali di santa Chiesa, papa Clemente sesto, con suoi cardinali,
-ricevuta graziosamente la domanda del nostro comune, e considerando
-che la città di Firenze era braccio destro in favore di santa Chiesa,
-e copiosa d’ogni arte e mestiere, e che questo che s’addomandava era
-onore virtudioso, acciocchè ’l buono cominciamento potesse crescere
-successivamente in frutto di virtudi, di comune concordia di tutto il
-collegio, e del papa, concedettono al nostro comune privilegio, che
-nella città di Firenze si potesse dottorare, e ammaestrare in teologia,
-e in tutte l’altre facultadi delle scienze generalmente. E attribuì
-tutte le franchigie e onori al detto Studio che più pienamente avesse
-da santa Chiesa Parigi o Bologna, o alcuna altra città de’ cristiani.
-Il privilegio bollato della papale bolla venne a Firenze, dato in
-Avignone dì 31 di maggio, gli anni _Domini_ 1349, l’ottavo anno del suo
-pontificato.
-
-
-CAP. IX.
-
-_Raggiugnimento di principii che furono cagione di grandi novitadi nel
-Regno._
-
-Avvegnachè nella cronica del nostro anticessore sia trattato della
-novità sopravvenuta nel regno di Cicilia e di qua dal faro, insino
-al tempo vicino alla nominata mortalità, nondimeno la nostra materia
-richiede (acciocchè meglio s’intendano le cose che nel nostro tempo poi
-seguiranno) che qui s’accolgano alquanti principii che furono materia e
-cagioni di gravi movimenti. Il re Ruberto rimorso da buona coscienza,
-avendo con Carlo Umberto di suo lignaggio re d’Ungheria trattato la
-restituzione del suo reame dopo la sua morte a’ figliuoli del detto
-Carlo, nipoti di Carlo Martello primogenito di Carlo secondo, a cui
-di ragione succedea il detto reame di Cicilia, e fermata la detta
-restituzione con promissione di matrimonio, sotto certe condizioni de’
-figliuoli del detto Carlo Umberto, e delle due figliuole di M. Carlo
-duca di Calavra, figliuolo che fu del detto re Ruberto. E avendo già
-accresciuto appresso di se il re Ruberto Andreasso figliuolo di Carlo
-Umberto, e fattolo duca di Calavra, a cui si dovea dare per moglie
-Giovanna primagenita del detto Carlo, nipote del re Ruberto, acciocchè
-fosse successore del reame dopo la sua morte; e la detta Giovanna
-reina, con condizioni ordinate per li casi che avvenire poteano,
-che l’una succedesse all’altra in caso di mancamento di figliuoli,
-acciocchè la successione del Regno non uscisse delle nipoti. Vedendosi
-appressare alla morte, tanto fu stretto dallo amore della propria
-carne, ch’egli commise errori i quali furono cagione di molti mali.
-Perocchè innanzi la sua morte fece consumare il matrimonio del detto
-duca Andreasso alla detta Giovanna sua nipote, e lei intolò reina. E
-a tutti i baroni, reali, e feudatari e uficiali del Regno fece fare
-il saramento alla detta reina Giovanna, lasciando per testamento, che
-quando Andreasso duca di Calavra, e marito della detta reina Giovanna,
-fosse in età di ventidue anni, dovesse essere coronato re del suo reame
-di Cicilia. Onde avvenne che ’l senno di cotanto principe accecato
-del proprio amore della carne, morendo lasciò la giovane reina ricca
-di grande tesoro, e governatora del suo reame, e povera di maturo
-consiglio, e maestra e donna del suo barone, il quale come marito dovea
-essere suo signore. E così verificando la parola di Salomone, il quale
-disse, se la moglie avrà il principato, diventerà contraria al suo
-marito. La detta Giovanna vedendosi nel dominio, avendo giovanile e
-vano consiglio, rendeva poco onore al suo marito, e reggeva e governava
-tutto il Regno con più lasciva e vana che virtudiosa larghezza: e
-l’amore matrimoniale per l’ambizione della signoria, e per inzigamento
-di perversi e malvagi consigli, non conseguiva le sue ragioni, ma
-piuttosto declinava nell’altra parte. E però si disse che per fattura
-malefica la reina parea strana dall’amore del suo marito. Per la qual
-cagione de’ reali e assai giovani baroni presono sozza baldanza, e poco
-onoravano colui che attendevano per loro signore. Onde l’animo nobile
-del giovane, vedendosi offendere, e tenere a vile a’ suoi sudditi,
-lievemente prendeva sdegni. E moltiplicando le ingiurie per diversi
-modi, dalla parte della sua donna e de’ suoi baroni, per giovanile
-incostanza, alcuna volta con la reina, alcuna volta con i baroni usò
-parole di minacce, per le quali, coll’altra materia che qui abbiamo
-detta, appressandosi il tempo della sua coronazione, s’avacciò la
-crudele e violente sua morte. Onde avvenne, che per fare la vendetta
-Lodovico re d’Ungheria, fratello anzinato del detto Andreasso, con
-forte braccio venne nel Regno non contastato da niuno de’ reali, o
-da altro barone, se non solo da M. Luigi di Taranto, il quale dopo la
-morte del duca Andreasso, per operazione della imperadrice sua madre,
-di M. Niccola Acciaiuoli di Firenze suo balio, avea tolta la detta
-reina Giovanna per sua moglie. E innanzi la dispensagione, ch’era sua
-nipote in terzo grado, temendo il giovane d’entrare nella camera alla
-reina, confortatolo, e presolo per lo braccio dal detto suo balio,
-in segreto sposò la detta donna: e in palese fu dispensato il detto
-matrimonio da santa Chiesa. Il quale M. Luigi si mise a contastare
-alcuno tempo alla gente del detto re d’Ungheria, venuta innanzi che
-la persona del detto re. Ma sopravvenendo il re, la reina Giovanna
-in prima, e appresso M. Luigi, con certe galee in fretta, e male
-provveduti fuori che dello scampo delle persone, fuggirono in Toscana,
-e poi passarono in Proenza.
-
-
-CAP. X.
-
-_Come il re d’Ungheria fece ad Aversa uccidere il duca di Durazzo._
-
-Lodovico re d’Ungheria giunto ad Aversa, fece suo dimoro in quel luogo
-ove fu morto il fratello. E ivi tutti i baroni del Regno l’andarono a
-vicitare, e fare la reverenza come zio, e governatore di Carlo Martello
-infante, figliuolo del detto duca Andreasso, e della reina Giovanna,
-a cui succedeva il reame. I reali, ciò furono M. Ruberto prenze di
-Taranto, M. Filippo suo fratello, M. Carlo duca di Durazzo, che avea
-per moglie donna Maria sirocchia della reina Giovanna, e M. Luigi e
-M. Ruberto suoi fratelli andarono ad Aversa confidentemente a fare
-la reverenza al detto re d’Ungheria; e ricevuti da lui con infinta e
-simulata festa, stettono con lui infino al quarto giorno. E mosso per
-andare da Aversa a Napoli con grande comitiva, oltre alla sua gente,
-di quella de’ reali e del Regno, rimaso addietro, e cavalcando con
-lui il duca di Durazzo, il re gli disse: menatemi dove fu morto mio
-fratello. E senza accettare scusa condotto al luogo, il detto duca di
-Durazzo sceso del palafreno, già conoscendo il suo mortale caso, disse
-il re: traditore del sangue tuo, che farai? E tirato per forza, come
-era ordinato, infino ove fu strangolato il duca Andreasso, tagliatali
-la testa da un infedele Cumino, in sul sabbione dal Gafo fu in due
-pezzi gittato, in quell’orto e in quello luogo dove fu gittato il duca
-Andreasso. E in quello stante furono presi gli altri reali, e ordinata
-la condotta sotto buona guardia, e con loro il piccolo infante Carlo
-Martello, furono mandati in Ungheria. Il quale Carlo poco appresso
-giunto in Ungheria morì. E M. Ruberto prenze di Taranto, e ’l fratello
-e’ cugini furono messi in prigione, e insieme ritenuti sotto buona
-guardia.
-
-
-CAP. XI.
-
-_La cagione della morte del duca di Durazzo._
-
-Questo duca di Durazzo non si trovò che fosse autore della morte del
-duca Andreasso, ma però ch’egli come molto astuto, avea, non senza
-alcuna espettazione di speranza del Regno, coll’aiuto del zio cardinale
-di Pelagorga, procacciato dispensazione dal papa, colla quale ruppe
-quattro grandi misteri. Ciò furono, violando il testamento e l’ordine
-e la concordia presa dal re Ruberto, e Umberto Martello re d’Ungheria,
-ove era disposto che il matrimonio di dama Maria sirocchia della
-reina Giovanna si dovesse fare, a conservagione della successione
-del regno colla casa di Carlo Umberto, discendenti di Carlo Martello,
-in certo caso di morte, o di mancamento di figliuoli alla reina. La
-quale Maria il detto duca si prese per moglie. E il saramento di
-ciò prestato per lo detto duca, e per altri reali in sul corpo di
-Cristo; e la dispensagione di potere prendere la nipote per moglie,
-la quale si prese e menò di quaresima. E bene che col duca Andreasso
-si ritenesse mostrandoli amore, nondimeno lungo tempo segretamente
-fece impedire a corte la diliberazione della sua coronazione. Onde
-per questo soprastare fu fatto l’ordine e messo a esecuzione il
-detestabile e patricida della sua morte: e questa fu la cagione perchè
-il re d’Ungheria il fece morire. Di questa morte, e della carceragione
-de’ reali nacque grande tremore a tutto il regno. E fu il re reputato
-crudele non meno per la carceragione degl’innocenti giovani reali, che
-per la morte del duca di Durazzo.
-
-
-CAP. XII.
-
-_Come il re d’Ungheria entrò in Napoli._
-
-Fatta il re d’Ungheria parte della sua vendetta, e ricevuto in Napoli
-come signore, e ordinato i magistrati, e comandato giustizia per tutto
-il regno, cominciò ad andare vicitando le città e le provincie. E
-da tutti i baroni prese saramento per Carlo Martello suo nipote. E
-nell’anno 1348 quasi tutto il regno l’ubbidia, salvo che in Puglia
-era contra lui il forte castello d’Amalfi della montagna, il quale si
-teneva per la reina, e per M. Luigi di Taranto. E questo guardavano
-masnade italiane con cento cavalieri tedeschi, capitano della gente
-e del castello M. Lorenzo figliuolo di M. Niccola degli Acciaiuoli di
-Firenze, giovane cavaliere, e di grande cuore, e di buono aspetto. Non
-avendo ancora mandato il detto re in terra d’Otranto, nè in Calavra,
-i giustizieri che v’erano per la reina faceano l’uficio per lei, e non
-ubbidivano al re d’Ungheria, ed egli non strignea il paese, e però non
-vi si mostrava ribellione.
-
-
-CAP. XIII.
-
-_Come il re d’Ungheria vicitava il regno di Puglia._
-
-In questi dì essendo la mortalità già cominciata nel Regno per tutto,
-nondimeno il re cavalcava vicitando le terre del Regno. Ed essendo
-stato in Abruzzi, in Puglia, e in Principato, tornò a Napoli del mese
-d’aprile del detto anno: e trovati già morti alquanti de’ suoi baroni,
-sentì che certi conti e baroni del Regno faceano cospirazione contro
-a lui. E impaurito in se medesimo per la morte de’ suoi, e per la
-generale mortalità, avegnachè fosse di molto franco cuore, non gli
-parve tempo da ricercare quelle cose con alcuno sospetto: anzi con
-savia continenza mostrava a’ baroni piena confidenza. E copertamente
-(eziandio al suo privato consiglio) intendea a fornire tutte le buone
-terre e castella del Regno di gente d’arme e di vittuaglia. E con seco
-aveva uno barone della Magna che avea nome Currado Lupo. Costui aveva
-il re provato fedele e ardito in molti suoi servigi, e a lui accomandò
-milledugento cavalieri tedeschi che aveva nel Regno. E un suo fratello,
-ch’avea nome Guelforte, mise nel castello nuovo di Napoli dove era
-l’abitazione reale, con buona compagnia, e bene fornito d’ogni cosa
-da vivere, e d’arme e di vestimento e calzamento, e gli accomandò la
-guardia di quello castello; e fornì il castello di Capovana, e quello
-di Santermo sopra la città di Napoli, e il castello dell’Uovo. E
-tratto del Regno il doge Guernieri Tedesco, cui egli avea soldato con
-millecinquecento barbute quando entrò nel Regno, non fidandosi di lui,
-lasciò suo vicario alla guardia del detto reame il detto Currado Lupo;
-e ’l doge Guernieri malcontento del re, con sue masnade di Tedeschi si
-ridusse in Campagna.
-
-
-CAP. XIV.
-
-_Come il re d’Ungheria partitosi del Regno tornò in Ungheria._
-
-Avendo il detto re ordinata la sua gente e le sue terre in tutte le
-parti del Regno, le quali e’ possedeva: e ammaestrati in segreto i
-suoi vicari e castellani di buona guardia, non mostrando a’ baroni
-del Regno, nè eziandio a’ suoi, che del Regno si dovesse partire, si
-mosse da Napoli, dove avea fatto poco dimoro, e andonne in Puglia; e
-ordinata la guardia delle terre e delle castella di là in mano di suoi
-Ungheri, avendo fatto armare nel porto di Barletta una sottile galea,
-subitamente, improvviso a tutti quelli del Regno, all’uscita di Maggio
-l’anno 1348, vi montò suso con poca compagnia, e fece dare de’ remi in
-acqua, e senza arresto valicò sano e salvo in Ischiavonia, e di là con
-pochi compagni a cavallo se n’andò in Ungheria. Questa subita partita
-di cotanto re fu tenuta follemente fatta da molti, e da lieve e non
-savio movimento d’animo, e molti il ne biasimarono. Altri dissono che
-provvedutamente e con molto senno l’avea fatto, avendo diliberato il
-partire nell’animo suo per tema della mortalità, e non vedendo tempo
-da potersi scoprire contra i baroni, i quali sentiva male disposti
-alla sua fede, come detto è, e commendaronlo di segreto e provveduto
-partimento.
-
-
-CAP. XV.
-
-_Novità del reame di Tunisi, e più rivolgimenti di quello._
-
-In questo mese di maggio avendo Balase re del Garbo e della Bella
-Marina prima conquistato il reame di Trenusi, e montatone in superbia
-ambizione, trattò con Alesbi fratello del re di Tunisi: e fatta sua
-armata per mare, e grande oste per terra, improvviso al re di Tunisi
-fu addosso, e senza contasto, avendo il ricetto d’Alesbi, entrò
-nella città, e prese il re, e di presente il fece morire. E avendo la
-signoria, non attenne i patti ad Alesbi, il quale partito di Tunisi,
-e aggiuntosi grande copia d’Arabi del reame, venne verso Tunisi. Il
-re Balase accolta grande oste andò contro a lui, e commissono insieme
-mortale battaglia, nella quale morì la maggiore parte della gente del
-re Balase, ed egli sconfitto si fuggì in Carvano, suo forte castello;
-e assediato in quello dagli Arabi, per danari s’acconciò con loro, e
-tornossi a Tunisi. Alesbi da capo co’ gli Arabi tornò sopra Tunisi: ma
-Balase si tenea la guardia delle terre, sicchè gli Arabi non potendo
-combattere si tornarono in loro pasture. Avea Balase quando si partì
-di suo reame lasciato nella città reale di Fessa Maumetto suo nipote,
-e in Tremus Buevem suo figliuolo. Costoro avendo sentito come Balase
-era sconfitto e assediato dagli Arabi, senza sapere l’uno dell’altro,
-catuno si rubellò e fecionsi fare re: il figliuolo in Tremus, e il
-nipote in Fessa. E sentendo Buevem che Maumetto s’era levato re in
-Fessa, parendogli ch’egli avesse occupata la sua eredità, propose
-nell’animo suo d’abbatterlo, e così gli venne fatto, come innanzi al
-suo debito tempo racconteremo.
-
-
-CAP. XVI.
-
-_Come per la partita del re d’Ungheria del Regno i baroni e’ popoli si
-dolsono._
-
-Sentendo gli uomini e i baroni del Regno la subita partita del re
-d’Ungheria si maravigliarono forte, non ne avendo di ciò conosciuto
-alcuno indizio. E molte comunanze e baroni ch’amavano il riposo del
-Regno, e portavano fede alla sua signoria ne furono dolenti; perocchè
-non ostante che fosse nato e nutricato in Ungheria, e avesse con seco
-assai di quella gente barbara, molto mantenea grande giustizia, e non
-sofferia che sua gente facesse oltraggio o noia a’ paesani, anzi gli
-puniva più gravemente: e fece de’ suoi Ungheri per non troppo gravi
-falli aspre e spaventevoli giustizie. E le strade e i cammini facea
-per tutto il Regno sicure. E avea spente le brigate de’ paesani, delle
-quali per antica consuetudine soleano grandi congregazioni di ladroni
-fare, i quali sotto loro capitani conturbavano le contrade e’ cammini:
-e per questo pareva a’ paesani essere in istato tranquillo e fermo da
-dovere bene posare. E alquanti altri baroni che male si contentavano,
-e gentili uomini di Napoli, per la morte del duca di Durazzo, e per
-la presura de’ reali a cui e’ portavano grande amore, e perchè il
-re non facea loro troppo onore, gli volevano male, e furono contenti
-della sua partita. Gli altri se ne dolsono assai, e parve loro che il
-Regno rimanesse in fortuna e in male stato, e che il peccato commesso
-della morte del re Andreasso, e l’aggravamento de’ peccati commessi
-per la troppa quiete de’ paesani, e per la soperchia abbondanza in
-che si sconoscevano a Dio, non fosse punita, e meritasse maggior
-disciplina e spogliamento di que’ beni, dai quali procedeva la viziosa
-ingratitudine, come avvenne, e seguendo nostra materia diviseremo.
-
-
-CAP. XVII.
-
-_Come si reggeva la sua gente nel Regno partito il re._
-
-Partito il re d’Ungheria del Regno, la cavalleria dei Tedeschi e
-degli Ungheri, governata per buoni capitani, con le masnade de’ fanti
-a piè toscani che aveano con loro, si manteneano chetamente senza
-villaneggiare i paesani. E rispondea l’una gente all’altra tutti
-ubbedendo a M. Currado Lupo, cui il re avea lasciato vicario, il quale
-manteneva giustizia ov’egli distrignea. E gli uomini del Regno benchè
-si vedessono in debole signoria, non si ardivano a muovere contro
-ai forestieri, e non parea però loro bene stare. Ma i baroni che non
-amavano il re d’Ungheria, volevano che la reina e M. Luigi tornassono
-nel Regno; e l’università di Napoli, co’ gentiluomini di Capovana e di
-Nido, d’un animo deliberarono il simigliante; e mandarono in Proenza,
-dicendo che di presente dovessono tornare nel Regno, e fare capo a
-Napoli ove sarebbono ricevuti onorevolemente, mostrando come i paesani
-si contentavano male della signoria de’ Tedeschi e degli Ungheri, e che
-in brieve tempo col loro aiuto sarebbono signori del reame. Aggiugnendo
-che i soldati Ungheri e Tedeschi si rammaricavano forte, che il re
-d’Ungheria non mandava danari per le loro paghe, ond’eglino erano di
-lui malcontenti; e il doge Guernieri colla sua compagnia de’ Tedeschi
-ch’era in Campagna s’offeria d’essere colla reina e con M. Luigi contro
-alla gente del re d’Ungheria, in quanto il volesse conducere al suo
-soldo: promettendo fedelmente per se e per le sue masnade d’aiutarli
-riacquistare il Regno.
-
-
-CAP. XVIII.
-
-_Come messer Luigi si fe’ titolare re al papa, e mandò nel Regno._
-
-Messer Luigi trovandosi in corte di papa marito della regina Giovanna,
-e non re, gli parve, avendo diliberato di tornare nel Regno, che li
-fosse di necessità avere titolo di re: acciocchè avendo a governare
-colla reina le cose del reame, e a fare lettere da sua parte e della
-reina, il titolo non disformasse, perocchè ancora la santa Chiesa
-non avea diliberato di farlo re di Cicilia, si fece titolare il re
-Luigi d’altro reame, il quale non avea, nè era per poter avere. E
-d’allora innanzi cominciarono a scrivere le lettere intitolandole in
-questo modo: _Ludovicus et Ioanna Dei gratia rex et regina Hierusalem
-et Ciciliae_. E d’allora innanzi M. Luigi fu chiamato re. Il detto
-re Luigi e la reina Giovanna avendo il conforto del ritornare nel
-Regno, come detto è, senza soggiorno procacciarono di ciò fare. E
-trovandosi poveri di moneta, richiesono d’aiuto il papa e i cardinali,
-il quale non impetrarono. Allora per necessità venderono alla Chiesa
-la giurisdizione che la reina avea nella città di Vignone per fiorini
-trentamila d’oro. E nondimeno richiesono baroni, e comunanze, e
-prelati, limosinando d’ogni parte per lo stretto bisogno. E con
-molta fatica feciono armare dieci galee di Genovesi, e pagaronle
-per quattro mesi. E in questo mezzo il re Luigi mandò innanzi a
-se nel Regno M. Niccola Acciaiuoli di Firenze suo balio con pieno
-mandato, il quale trovando la materia disposta al proponimento del suo
-signore, incontanente condusse il doge Guernieri, ch’era in Campagna
-con milledugento barbute di Tedeschi, ch’erano in sua compagnia. E
-ordinato le cose prestamente, mandò sollecitando il re e la reina che
-senza indugio venissono a Napoli con le loro galee: che essendo nel
-Regno le loro persone, con l’aiuto di Dio e de’ baroni del Regno, che
-desideravano la loro tornata, e de’ Napolitani, e del doge Guernieri,
-cui egli avea condotto con buone masnade, e con le sue galee e’
-sarebbono a queto signori del Regno, e non conoscea che la gente del
-re d’Ungheria a questo potesse riparare, sicchè in brieve al tutto
-sarebbono signori.
-
-
-CAP. XIX.
-
-_Come il re e la reina ritornarono nel Regno._
-
-Avendo il re e la reina queste novelle, incontanente con quei baroni
-che poterono accogliere di Proenza, e con la loro famiglia, si
-raccolsono a Marsilia in su le dette dieci galee de’ Genovesi: ed
-avendo il tempo acconcio al loro viaggio, sani e salvi in pochi giorni
-arrivarono a Napoli, all’uscita del mese d’agosto del detto anno.
-E perocchè le castella di Napoli, e quello dell’Uovo, e il castello
-di Santermo, e ’l porto e la Tenzana erano nella signoria e guardia
-della gente del re d’Ungheria, non si poterono mettere nel porto, nè
-in quelle parti; anzi arrivarono fuori di Napoli sopra santa Maria del
-Carmino, di verso ponte Guicciardi, e ivi scesono in terra; e il re e
-la reina entrarono nella chiesa di Nostra Donna per aspettare i baroni
-e l’università di Napoli, che gli conducessono nella città.
-
-
-CAP. XX.
-
-_Come il re e la reina Giovanna entrarono in Napoli a gran festa._
-
-I baroni ch’erano accolti a Napoli, aspettando la venuta del re e
-della reina con la loro cavalleria, de’ quali erano caporali quegli
-di san Severino, e della casa del Balzo, l’ammiraglio conte di
-Montescheggioso, quelli dello Stendardo, il conte di Santo Agnolo,
-que’ della casa della Raonessa, e di Catanzano, e molti altri. I quali
-forniti di molti cavalli e di ricchi arredi e di nobili robe e arnesi,
-con loro scudieri vestiti d’assise, e’ gentili uomini di Napoli con
-loro proprio, apparecchiati pomposamente a cavallo e a piè con molta
-festa si misono ad andare al Carmino per conducere il re e la reina
-in Napoli con molta allegrezza; e da parte i Fiorentini e Sanesi e
-Lucchesi mercatanti che allora erano in Napoli, e Genovesi e Provenzali
-e altri forestieri, catuna gente per se, vestiti di ricche robe di
-velluti e di drappi di seta e di lana, con molti stormenti d’ogni
-ragione, sforzando la dissimulata festa, andarono incontro al re e
-alla reina. E giunti a loro, e fatta catuna compagnia la riverenza,
-apparecchiati nobilissimi destrieri, montati a cavallo, addestrati
-da’ baroni, sotto ricchi palii d’oro e di seta con molte compagnie
-d’armeggiatori innanzi, in prima il re, a cui andava in fronte il duca
-Guernieri co’ suoi Tedeschi, smovendo il popolo, e dicendo: gridate
-viva il signore: e così gridando, fu la parola da molti notata, perchè
-era a loro nuovo titolo, non dicendosi viva il re, e con ragione dire
-non lo potevano a quella stagione. E con questa festa il condussono
-a Napoli; e perchè l’abitazioni reali erano tutte nella forza de’
-nemici, il collocarono ad Arco, sopra Capovana, nelle case che furono
-di messere Aiutorio. E appresso di lui con somigliante festa vi
-condussono la reina. La gente, benchè sforzata si fosse di fare festa,
-pure s’avvedea per le molte città e castella che il re d’Ungheria avea
-nel Regno, e per la buona gente che v’era alla guardia, che questa
-tornata del re Luigi e della reina Giovanna era piuttosto aspetto di
-guerra e di grande spesa, e sconcio del paese e della mercanzia e de’
-forestieri, che cominciamento di riposo, come poi n’avvenne.
-
-
-CAP. XXI.
-
-_Come il re Luigi si fe’ fare cavaliere, e da cui._
-
-Vedendosi il re Luigi, e conoscendo il bisogno che avea di buono
-aiuto, e veggendo che la maggiore forza de’ suoi cavalieri era nel
-duca Guernieri, acciocchè per onorevole beneficio più lo traesse alla
-sua fede e amore, ordinò di farsi fare cavaliere per le sue mani,
-della qual cosa avvilì se, per onorare altrui. E ordinata gran festa
-per la sua cavalleria, del mese di settembre del detto anno, si fece
-fare cavaliere al detto doge Guernieri, ed egli in quello stante fece
-appresso ottanta altri cavalieri della città di Napoli, e d’altri
-paesi del Regno. La libertà grande che ’l re dimostrò nel tedesco duca
-Guernieri tosto trovò vana in colui, come per la sua corrotta fede nel
-processo della nostra materia al suo tempo racconteremo.
-
-
-CAP. XXII.
-
-_Brieve raccontamento di cose fatte per il re d’Inghilterra contra
-quello di Francia._
-
-Richiede il nostro proponimento, per le cose che avremo a scrivere de’
-fatti del re di Francia e di quello d’Inghilterra per la loro guerra,
-che noi ci traiamo un poco addietro alle cose occorse più vicine,
-acciocchè quelle che seguiranno abbiano più chiaro intendimento.
-Essendo il valoroso re Adoardo d’Inghilterra passato in Normandia, del
-mese d’agosto, gli anni di Cristo 1347, e avendo preso Camoboroso e
-Saulu e più altre ville, venendo verso Parigi con quattromila cavalieri
-e quarantamila sergenti, tra’ quali avea molti arcieri, e fatto
-d’arsioni e di preda gravi danni al paese, s’accampò a Pussì e a San
-Germano, presso a Parigi a due leghe. Il re di Francia era andato colla
-sua forza verso Camo per farlisi incontro, e non trovandolo nel paese,
-si tornò addietro, e accolta molta baronia e cavalieri e sergenti
-di suo vassallaggio, s’accampò fuori di Parigi con più di settemila
-cavalieri e sessantamila sergenti: il re d’Inghilterra, sentendo la
-tornata del re di Francia, si levò da campo scostandosi da Parigi.
-Il re di Francia con grande baldanza il seguitò con la sua gente,
-tanto che sopraggiunse il re d’Inghilterra, che andava assai a lenti
-passi per non mostrare paura: e aggiugnendosi l’una oste all’altra,
-il re d’Inghilterra vedendosi presso il re di Francia, e quello di
-Boemia e quello di Maiolica con molti baroni, e con più di due tanti
-cavalieri che non avea egli, come signore di grande cuore e ardire,
-di presente s’apparecchiò alla battaglia, intra Crescì e Albevilla.
-E ordinò tutto il suo carreaggio alla fronte a modo d’una schiera, e
-di sopra alle carra mise i cavalieri armati, e a piè d’ogni parte i
-suoi arcieri. E sopravvenendo l’assalto de’ Franceschi, baldanzosi,
-con grande empito cominciarono la battaglia. Gl’Inglesi fermi al loro
-carreaggio, con l’ordine dato agli arcieri, senza perdere colpo,
-di loro saette fedivano i cavalli e’ cavalieri de’ Franceschi. E
-vedendo gl’Inglesi fediti molti de’ cavalli e de’ cavalieri de’ loro
-avversari, a uno segno dato ordinate le guardie de’ sergenti sopra il
-carreaggio, corsono i cavalieri a’ loro cavalli che aveano a destro
-dietro al carriaggio, e montati e assettati sopra i loro cavalli,
-con savia condotta vennono alle spalle de’ nimici, ed assalirono i
-Franceschi con dura battaglia. I Franceschi che erano re e baroni
-d’alto pregio manteneano la battaglia vigorosamente, la quale durò
-da mezza nona alle due ore di notte; ove si dimostrarono di grandi
-operazioni d’armi di valorosi baroni e cavalieri da catuna parte. Ma
-perocchè i Franceschi e i loro cavalli erano più stanchi e magagnati
-dalle saette degl’Inglesi, e molti conducitori di loro morti, come fu
-la volontà d’Iddio la vittoria rimase al re d’Inghilterra, con grande
-e grave danno de’ Franceschi. Morto vi fu il valente re di Boemia,
-figliuolo dello imperatore Arrigo di Luzimborgo, e il duca di Loreno,
-il conte di Lanzone fratello del re di Francia, e sei altri conti, con
-milleseicento cavalieri grande parte baroni e banderesi, e morironvi
-ventimila pedoni; fra i quali furono i Genovesi che erano andati là
-con dodici galee, che pochi ne camparono. Ed il re Filippo di Francia
-di notte, con sei tra prelati e baroni, e sessanta sergenti a piè,
-uscì della battaglia, e campò per grazia della notte. Sul campo si
-trovarono molti cavalli morti e bene quattromila fediti. E fatta questa
-battaglia a dì 26 d’agosto nel 1347, il re d’Inghilterra poco appresso
-pose assedio al forte castello di Calese sulla marina, e per assedio il
-vinse: e fattolo più forte, per avere porto nel reame e nella marina
-di Francia, lasciato nel paese il conte d’Erbi duca di Lancastro,
-suo cugino, a guerreggiare, con duemila cavalieri e ventimila pedoni
-i più arcieri, con grande onore si tornò in Inghilterra. Il conte
-d’Erbi entrò in Guascogna l’anno appresso, e conquistò più terre di
-quelle che vi tenea il re di Francia; e rotti in più abboccamenti i
-cavalieri franceschi, se ne venne cavalcando e predando il paese infino
-alla città di Tolosa; ma aggravando la mortalità quei paesi, si tornò
-addietro con grande preda. E fatta tregua dall’uno re all’altro, con
-grande onore del re d’Inghilterra, posò la guerra per alcuno tempo.
-
-
-CAP. XXIII.
-
-_Come gli Ubaldini furo cominciatori della guerra che il comune di
-Firenze ebbe con loro._
-
-Avendo narrato de’ fatti de’ due reami, cominciano le novità della
-nostra città di Firenze. Negli anni di Cristo 1348, essendo gli
-Ubaldini in pace, ma in corrotta fede col nostro comune, fidandosi
-nelle loro alpigiane fortezze, cominciarono a ricettare sbanditi del
-comune di Firenze: e insieme con loro entravano di notte nel Mugello,
-rubando le case e uccidendo gli uomini, e ricoglieansi nell’alpe con
-le ruberie. E avendo fatto questo più volte di notte, il cominciarono
-a fare di dì. E tornando d’Avignone uno Maghinardo da Firenze con
-duemila fiorini d’oro, gli Ubaldini il seguirono e uccisono, rubandolo
-sul contado di Firenze. E non volendone fare ammenda alla richesta del
-comune, i Fiorentini mandarono nell’alpe suoi soldati a piè e a cavallo
-col capitano della guardia. E stati più dì sopra le terre e sopra i
-fedeli degli Ubaldini feciono loro gran danno, e senza alcuno contasto
-si tornarono a Firenze.
-
-
-CAP. XXIV.
-
-_Come i fedeli del conte Galeotto si rubellarono da lui e dieronsi al
-comune di Firenze._
-
-In questo anno, i fedeli del conte Galeotto de’ conti Guidi si
-rubellarono da lui, perocchè lungamente gli avea male trattati, per
-sua crudeltà e dissoluta vita: e all’entrata del mese di marzo del
-detto anno gli tolsono il forte castello di san Niccolò, e tutte le sue
-terre e tenute intorno a quello, e ’l suo tesoro e arnesi, che n’era
-fornito nobilmente, e di presente si diedono al comune di Firenze. Il
-quale, perocchè il detto conte sempre avea nimicato il nostro comune,
-perocchè era ghibellino, ricevette la fortezza e gli uomini in sua
-giurisdizione e libera signoria, con quelle solenni cautele che i
-detti uomini poterono fare; e fecionli popolani e contadini, dando loro
-per alcuno tempo certe immunità. E ordinata la guardia delle castella
-nelle mani de’ cittadini, a’ popoli diede podestà che gli reggesse, e
-messe le castella e gli uomini ne’ suoi registri. Dinominò e intitolò
-l’acquisto, il contado di san Niccolò del comune di Firenze.
-
-
-CAP. XXV.
-
-_Come i Fiorentini feciono guerra agli Ubaldini, e presero Montegemmoli
-e loro castella._
-
-Vedendo i Fiorentini che la latrocina superbia degli Ubaldini non
-si gastigava per una battitura, feciono decreto, che ogni anno
-si dovesse tornare sopra di loro, tanto che fossono privati delle
-alpigiane spelonche. E per questa cagione, il verno furono chiamati
-otto cittadini uficiali sopra provvedere e fornire la guerra: i quali,
-del mese di giugno 1349, mandarono l’oste del comune nell’alpe, la
-quale si dirizzò a Montegemmoli, una rocca quasi inespugnabile: nella
-quale era Maghinardo da Susinana e due suoi figliuoli, con parecchie
-masnade di franchi masnadieri, i più usciti di Firenze. Era fuori
-della rocca in su la stretta schiena del poggio, alla guardia della
-via ch’andava al castello, una torre forte e bene armata: innanzi
-alla torre una tagliata in su la schiena del poggio, con forte
-steccato: e a questa guardia, per voglia di fare d’arme, i caporali
-de’ masnadieri del castello erano scesi co’ loro compagni: e la gente
-del comune di Firenze avendo fermo il loro campo, a intendimento di
-vincere il castello per assedio, e molestarlo con dificii i quali
-vi faceano conducere, alquanti masnadieri s’appressarono verso la
-guardia della torre per badaluccare. I valenti masnadieri d’entro, per
-troppa baldanza, uscirono fuori della tagliata incontro alla gente de’
-Fiorentini, badaluccando e facendo gran cose d’arme per lo vantaggio
-che aveano del terreno. In questo stante i cavalieri de’ Fiorentini
-montando il poggio per dare vigore a’ loro masnadieri, cominciarono
-a scendere de’ cavalli, e a pignersi innanzi con fanti e a’ nemici, i
-quali per non perdere il terreno, con folle prodezza attesono tanto,
-che i cavalieri e’ masnadieri de’ Fiorentini co’ balestrieri furono
-mischiati tra loro, innanzi che si potessono ritrarre alla fortezza.
-E volendosi ritrarre, per lo soperchio de’ loro avversari non poterono
-fare, che a un’ora con loro insieme non entrassono dentro alli steccati
-i masnadieri fiorentini, e a loro aiuto erano tratti tanti balestrieri,
-che non lasciarono a’ nemici riprendere la fortezza della torre: anzi
-la presono per loro. E ritraendosi i masnadieri degli Ubaldini per
-loro scampo nella rocca, continuando la battaglia stretta alle mani,
-entrarono i Fiorentini cacciando gli avversari nel primo procinto. E
-crescendo della gente dell’oste la loro forza, presono tutto, fuori
-de’ palagi e torri dell’ultima fortezza, ov’era racchiuso Maghinardo
-e la moglie, e due suoi figliuoli con loro compagnia: i quali si
-difenderono vigorosamente. Essendo il dì e la notte combattuti dalla
-gente de’ Fiorentini, Maghinardo e’ figliuoli, benchè fossero in
-fortezza da potersi difendere lungamente, conobbono il loro pericolo.
-E sentendosi male d’accordo per loro quistioni con gli altri Ubaldini
-loro consorti, si deliberarono di dare la rocca a’ Fiorentini, e di
-volere essere contro a’ suoi consorti co’ Fiorentini. E fatti i patti,
-e fermi a Firenze, diedono la rocca libera al comune di Firenze: e il
-comune prese il saramento della fede promessa, li ricevette in amicizia
-e cittadinanza, e ordinarono loro la provvigione promessa: e dati loro
-cavalieri e pedoni si mossono a guerreggiare gli altri Ubaldini. E
-innanzi che l’oste de’ Fiorentini tornasse, assediò Montecolloreto, e
-presonlo; e misonvi fornimento e buona guardia. Andarono a Roccabruna
-ed ebbonla: ed entrarono nel Podere e presono Lozzole per trattato.
-E per trattato fu dato loro la signoria di Vigiano e di più altre
-tenute, che appartenevano al detto Maghinardo e a certi altri degli
-Ubaldini che feciono il comandamento del comune. E andarono intorno a
-Susinana, guastando le case e’ campi di fuori; e tentando di volerlo
-combattere, trovarono il castello sì forte e sì bene fornito alla
-difesa, che lasciarono stare, e andarono a Valdagnello, e dieronvi una
-battaglia, senza potervi acquistare per la fortezza del sito, e perchè
-era bene provveduto alla difesa: e però guastarono i campi e le ville
-d’intorno. E fornito che ebbono tutte le castella che aveano acquistate
-di vittuaglia e d’arme e di buona guardia, avendo fatto agli Ubaldini e
-a’ loro fedeli gran danno, del mese d’agosto, gli anni di Cristo 1349,
-senza alcuno impedimento, sani e salvi con vittoria si tornarono alla
-città di Firenze.
-
-
-CAP. XXVI.
-
-_Come il re di Francia comperò il Dalfinato._
-
-Il re di Francia posandosi nella tregua col re d’Inghilterra, avendo
-papa Clemente sesto, suo protettore ne’ fatti temporali, perocchè
-per lui si teneva essere al papato, e amava sopra modo d’accrescere
-i suoi congiunti, i quali erano uomini del re di Francia, e però il
-re traeva in sussidio della guerra danari al bisogno; e le decime del
-reame e tutte grazie che volea domandare il papa senza mezzo l’otriava,
-trapassando l’onestà del suo pontificato: e perocchè i cardinali erano
-la maggior parte di suo reame, non si ardivano a contrapporre a cosa
-che volesse. Era in que’ dì il Dalfino di Vienna uomo molle, e di poca
-virtù e fermezza. Costui alcuno tempo tenne vita femminile e lasciva,
-vivendo in mollizie: ed appresso volle usare l’arme: e andò capitano
-per la Chiesa alle Smirne in Turchia, e dove poteva acquistare onore
-e pregio, tornò con poca buona fama: e per bisogno impegnò alla Chiesa
-il Dalfinato per fiorini centomila d’oro: ed essendo morta la moglie,
-credendo prosperare in abito chericile, sperando in quello divenire
-cardinale, vendè al re Filippo di Francia il Dalfinato, contro alla
-volontà de’ suoi paesani, e pagò la Chiesa: e fatto cherico fu dal
-papa promosso in patriarca.... nel quale finì sua vita spegnendo
-la fama della casa sua. E il re di Francia, perdendo per la guerra
-d’Inghilterra in ponente, accresceva senza guerra in levante i confini
-al suo reame.
-
-
-CAP. XXVII.
-
-_La cagione perchè il re d’Araona tolse Maiolica al re._
-
-Vera cosa fu, che il re di Maiolica nella sua infanzia si nutricò co’
-reali di Francia, e poi che fu re di Maiolica, essendo dissimigliante
-a’ Catalani onde traeva suo origine, mostrò d’essere molto scienziato
-e adorno di bei costumi. Disdegnò di rendere al re d’Araona l’omaggio
-debito, il quale si pagava con la reverenzia d’un bacio: e schifo della
-vita catalanesca e di loro costumi, seguiva i Franceschi; la qual
-cosa il fece sospetto al suo legnaggio. Cugino era del re d’Araona,
-e la sirocchia carnale avea per moglie, della quale avea figliuoli.
-Nondimeno il re d’Araona fece apparecchiamento d’arme contro a lui, e
-trattato occulto co’ cittadini di Maiolica. Per lo quale, essendo egli
-a Perpignano, e venendo sopra loro il re d’Araona, volendo mostrare di
-volersi difendere, il feciono venire in Maiolica, mostrando di volerlo
-atare fedelmente. Venuta la gente col re d’Araona, e scesa nell’isola,
-accogliendo il consiglio in Maiolica per volere dare ordine alla
-difesa, essendo tempo da potere scoprire il loro tradimento, feciono
-dire al loro re, o che facesse la volontà del re d’Araona, o che se
-n’andasse. Vedendosi tradito da’ suoi cittadini, i quali aveano già
-abbarrata la città contro a lui, si ricolse in fretta, per campare la
-persona, in una galea. E partendosi dell’isola, le porte della città
-furono aperte alla gente del re d’Araona: e data loro la signoria di
-tutta l’isola, con patto che ella non dovesse tornare per alcuno tempo
-al loro re nè a’ suoi discendenti.
-
-
-CAP. XXVIII.
-
-_Come il re di Maiolica vendè la sua parte di Mompelieri al re di
-Francia._
-
-Il re di Maiolica essendo cacciato dell’isola da’ suoi sudditi, venuta
-l’isola nella signoria del re d’Araona, e avendo poco di quello che il
-suo titolo reale richiedea, disiderando d’accogliere moneta, e d’avere
-aiuto dal re di Francia, al cui servigio era stato lungamente nelle
-sue guerre e battaglie personalmente, il richiese con grande istanza
-d’aiuto, acciocchè potesse ricoverare lo suo, ma da lui non potè avere
-alcuno aiuto. E stretto da grave bisogno, vendè al detto re di Francia
-la propietà e giurisdizione ch’avea in comune consorteria col detto re
-nella metà di Mompelieri, per quello pregio che il re di Francia volle,
-a buono mercato. E come povero e sventurato re venia cercando modo di
-riacquistare l’isola di Maiolica. La qual cosa fu cagione della sua
-finale morte, come innanzi al suo tempo racconteremo.
-
-
-CAP. XXIX.
-
-_Come s’ordinò il generale perdono a Roma nel 1349._
-
-Essendo stato il giudicio della generale mortalità nell’universo
-per giusta cagione, fu supplicato al papa che nel prossimo futuro
-cinquantesimo anno la Chiesa rinnovellasse generale perdono in Roma.
-Il papa Clemente sesto, col consiglio de’ suoi cardinali, e di molti
-altri prelati e maestri in teologia, trovando che per lo dicreto fatto
-per papa Bonifazio, ogni capo di cento anni dalla natività di Cristo
-fosse ordinato generale perdono a Roma, per comune consiglio parve più
-convenevole, considerando l’età umana che è brieve, che il perdono
-fosse di cinquanta in cinquanta anni. Avendo ancora alcuno rispetto
-all’anno Iubileo della santa Scrittura, nel quale catuno ritornava ne’
-suoi propri beni: e i propri beni de’ cristiani sono i meriti della
-passione di Cristo, per li quali ci seguita indulgenzia e remissione
-dei peccati. E per questa cagione la santa madre Chiesa fece decreto
-e ordine: che nel prossimo futuro cinquantesimo anno, per la natività
-di Cristo, cominciasse a Roma generale perdono di colpa e di pena
-di tutti i peccati a’ fedeli cristiani i quali andassono a Roma, dal
-detto termine a uno anno, i quali fossono confessi e contriti de’ loro
-peccati, e vicitassono ogni dì la chiesa di santo Pietro e di santo
-Paolo e di santo Giovanni Laterano. E le dette visitazioni furono
-stribuite a’ Romani trenta dì continovi, salvo che quello si omettesse
-si potesse con un altro ristorare; ed agl’Italiani quindici dì, e
-agli oltramontani a tali dieci, a tali cinque dì, e meno, secondo la
-distanza de’ paesi. E nondimeno la Chiesa discretamente provvide, per
-molti e diversi casi e cagioni che possono avvenire, ch’e’ cardinali e
-gli altri legati che andarono per lo mondo, e stettono a Roma, avessono
-autorità di potere dispensare del tempo come a loro paresse. E le
-lettere furono fatte e mandate per corrieri sotto le bolle papali. In
-prima per tutta la cristianità, e appresso per suoi legati a predicare
-per tutto le sante indulgenze, acciocchè ciascuno s’apparecchiasse e
-disponesse a potere ricevere il santo perdono. In Italia furono mandati
-due cardinali, quello di Bologna sopra lo Mare, messer Annibaldo di
-Ceccano, e messer Ponzo di Perotto di Linguadoca vescovo d’Orbivieto,
-uomo onesto, e di grande autorità, il quale era vicario di Roma per
-lo papa: fu commessa piena e generale legazione a potere a tutti
-dispensare il tempo delle dette visitazioni come a lui paresse, ch’era
-presente continuo nella città di Roma. Lasciando alquanto la santa
-disposizione del perdono, ci occorrono meno piacevoli, e più gravi cose
-al presente a raccontare.
-
-
-CAP. XXX.
-
-_Come il re di Maiolica andò per racquistare l’isola, e fuvvi morto._
-
-Lo sventurato re di Maiolica non trovando aiuto dal re di Francia,
-cui egli avea lungamente servito nelle sue guerre, nè dal papa, nè
-da alcuno altro signore, strignendolo la volontà e ’l bisogno di
-racquistare l’isola, come disperato d’ogni aiuto, avendo venduta la sua
-parte di Mompelieri, accattò danari dal re di Francia sopra la villa
-di Perpignano, ch’altro non gli era rimaso, e condusse cavalieri e
-pedoni, e dodici galee di Genovesi fece armare al suo soldo, e alcuno
-navilio di carico; sperando, quando fosse con forza d’arme nell’isola,
-gli uomini del suo regno tornassono a lui, come forse a inganno gli era
-dato intendimento, perocchè con alquanti era in trattato. Apparecchiata
-l’oste, e ’l navilio con le dodici galee armate, del mese di... del
-detto anno si mise in mare; e senza impedimento arrivò nell’isola di
-Maiolica, presso alla città a dieci miglia; e ivi scesi in terra,
-s’accampò con quattrocento cavalieri e cinquecento masnadieri,
-aspettando che coloro della città con cui avea trattato, e il popolo
-della terra il volessono come loro benigno e natural signore. Le dodici
-galee de’ Genovesi avendo messo in terra il re, o che fosse di suo
-comandamento, per mostrarsi più forte agli uomini dell’isola, o per
-altre cagioni, si partirono da quella parte ove il re avea posto il
-campo, e girarono da un’altra parte del’isola; e rimaso il re, e ’l
-figliuolo, e l’altra gente senza il favore delle dodici galee, della
-città di Maiolica subitamente uscirono più di seicento cavalieri con
-grandissimo popolo, e vennero contro all’oste del re per combattere con
-lui. Il re vedendosi i nimici appresso, potea stare alle difese tanto
-che tornassero le sue galee: ma con vana confidanza de’ suoi regnicoli,
-che non dovessero resistere contro a lui, senza attendere punto, si
-volle mettere alla battaglia, per trarre a fine la sua impresa come la
-fortuna il menava. E ordinata la sua gente, e confortata a ben fare,
-mostrando che quivi non era altro rimedio che nel bene operare la virtù
-delle loro persone, sì fedì tra i nemici, i quali erano cavalieri
-catalani, maggiore quantità e migliore gente che i suoi soldati, e
-guidati da buoni capitani, i quali ricevettono il re e i suoi cavalieri
-francamente, per modo, che in poca d’ora furono sconfitti, e il re
-morto. Il quale se avessono voluto potieno ritener prigione, ma rade
-volte in fatti d’arme tra’ Catalani si trova mansuetudine: il figliuolo
-fu preso, e rappresentato al zio re d’Araona, l’altra gente fu rotta
-e sbarattata, e l’isola rimase libera al re d’Araona, e Mompelieri e
-Perpignano al re di Francia.
-
-
-CAP. XXXI.
-
-_Come i baroni italiani e catalani per loro discordie guastarono
-l’isola di Cicilia._
-
-Avendo detto dell’isola di Maiolica, quella di Cicilia ci s’offera con
-dissimigliante fortuna. Essendo per la mortalità morto il valoroso
-duca Giovanni, balio e governatore dell’isola di Cicilia, rimaso
-picciolo fanciullo di dieci anni messer Luigi figliuolo che fu di
-don Pietro, il quale si fece appellare re di Cicilia, a cui aspettava
-l’eredità del detto reame. Costui avea due fratelli minori di se, l’uno
-chiamato Giovanni, l’altro Federigo. E non essendo della casa reale
-nessuno in età che governasse l’isola per lo fanciullo, discordia
-nacque tra i baroni: e dall’una parte erano i Palizzi caporali, e
-con loro teneano quelli di Chiaramonte, e’ conti di Vintimiglia, e i
-discendenti conti della casa degli Uberti di Firenze, de’ quali era
-capo il conte Scalore, e con costoro teneano quasi la maggiore parte
-degl’Italiani dell’isola. E questi si faceano chiamare la parte del re,
-e a loro segno rispondeano le migliori città della marina dell’isola,
-Messina, Siracusa, Melazzo, Cefalu, Palermo, Trapani, Mazzara, Sciacca,
-Girgenti, Taormina, e gran parte delle buone terre e castella fra la
-terra dell’isola. E dall’altra parte era don Brasco d’Araona caporale
-con gli altri Catalani dell’isola, e il figliuolo di Giovanni Barresi
-colla sua casa, genero di don Brasco, e molti altri di Catania, i quali
-aveano a loro segno alla marina la città di Catania, Iaci, Alicata,
-Tose, la Catona, e il capo d’Orlando; e fra terra grande numero di
-città e di castella. E per simigliante modo si faceano costoro chiamare
-la parte del re. E per le loro divisioni cominciarono a far guerra
-l’uno contra l’altro. E catuna parte s’armava, e afforzava d’avere
-seguito di gente dell’isola: e catuno volea governare il reame per
-lo re, e non potendosi trovare via d’accordo tra loro, cominciarono
-a cavalcare l’uno sopra l’altro; e dove si scontravano si combatteano
-mortalmente. E spesso rompea e sconfiggea l’una gente l’altra, e senza
-misericordia a tenere prigione s’uccidevano insieme, e montando la loro
-sfrenata mala volontà, cominciarono ad ardere le loro possessioni e
-le biade ne’ campi, come fossono in terra di nimici; e facendo questo
-guasto, oggi in una contrada, e domani nell’altra, consumarono il paese
-senza alcuna misericordia. E seguitando l’uno dì appresso dell’altro
-questa pestilente furia tra loro, in poco tempo fu tanta tribolazione
-tra’ paesani, e tanta disfidanza, che lasciarono il coltivamento delle
-terre, e il nutricamento del bestiame: onde avvenne che quello paese,
-il quale per antico era fontana viva di grano, e di biade, e d’ogni
-vittuaglia, a spandere per lo mondo tra i cristiani e tra i saracini,
-che solo tra loro nell’isola non avea che manicare; e il bestiame per
-simigliante modo fu consumato e disperso. Per la quale cosa avvenne
-che l’anno 1349 a Palermo, e a più altre città, per inopia convenne
-si provvedesse per comune consiglio grano mescolato con orzo, e dare
-ogni settimana certa piccola distribuizione per testa d’uomo, acciocchè
-potessono miserevolmente mantenere la loro vita. E non potendosi
-sostentare i popoli con questa misera provvisione, convenne che il
-popolo minuto in gran parte per nicistà abbandonasse l’isola, e molti
-ne fuggirono in Calavra e nel’isola di Sardigna per scampare dalla
-fame la loro vita. E questa pestilenzia non avvenne a’ Ciciliani per
-sterilità di tempo avverso, che i campi aveano da Dio la loro stagione
-fertile, e abbondevole della grazia del cielo. E non era tolto loro
-il coltivamento da nimici strani, nè per rubellione di loro signorie,
-nè per odio del paese, ch’era patria de’ suoi abitanti a catuna parte
-e reame d’uno medesimo re: ma stimasi avvenisse per dimostrazione
-del peccato della ingratitudine dell’abbondanza di troppi beni, e
-a dimostrare come è divoratrice senza rimedio d’ogni buono stato la
-cittadinesca discordia, e il divoratore fuoco della laida invidia.
-
-
-CAP. XXXII.
-
-_Come il re Filippo di Francia e ’l figliuolo tolsono moglie._
-
-Era nella mortalità morta la moglie del re Filippo di Francia, madre di
-messer Giovanni primogenito, Dalfino di Vienna, la quale fu sirocchia
-del duca di Borgogna, e la moglie di messer Giovanni suo figliuolo,
-figliuola che fu del re Giovanni di Boemia della casa di Luzimborgo,
-della quale rimasono quattro figliuoli maschi, che ’l primo nomato
-Carlo fu duca di Normandia, e il secondo messer Luigi conte d’Angiò,
-e il terzo messer Giovanni conte di Pittieri, e il quarto minore
-messer Filippo: e tre figliuole, che la maggiore fu reina di Navarra,
-la seconda monaca del grande monasterio di Puscì, e un’altra piccola
-nominata Lisabetta. Ed essendo catuno senza moglie, il duca Giovanni
-trattava di torre per moglie la sirocchia del re di Navarra, ch’era
-delle più belle giovani e di maggiore pregio di virtù che niun’altra
-di que’ paesi, e tenevane bargagno. Il re Filippo suo padre sapendo
-che il figliuolo trattava d’avere questa damigella per moglie, un dì
-che ’l duca suo figliuolo era cavalcato fuori del paese, mandò per
-questa giovane: e come fu venuta, senza fare altro trattato la tolse
-per moglie, perocchè ’l piacere della sua bellezza non gli lasciò
-considerare più innanzi. Tornato il figliuolo se ne indegnò forte, e
-alla festa delle nozze del padre non volle essere. Ma passato alcuno
-tempo, richiamato dal padre, venne a lui. E riprendendolo il re
-dolcemente, gli disse: caro figliuolo, se voi amavate avere a donna
-questa damigella, voi non dovevate tener bargagno. Onde egli conoscendo
-suo difetto, rimase contento. E allora il padre gli diè per moglie
-un’altra nobile dama della casa di Bologna su lo mare, ch’era stata
-moglie del duca di Borgogna: della qual cosa i Borgognoni furono mal
-contenti, essendo rimaso un picciolo fanciullo della detta donna, il
-quale dovea essere loro duca. E per lo detto maritaggio vendè la donna
-il governamento del figliuolo con la forza del re, e il re occupò
-parte della giuridizione di Borgogna, onde i baroni e’ paesani forte si
-sdegnarono contro al loro re. Ma perocchè il re di Francia per troppa
-giovinile vaghezza avea offeso il figliuolo e se, poco tempo stette
-con la sua giovane e vaga donna, che sforzando la natura già senile
-nella bellezza della damigella, raccorciò il tempo della sua vita,
-come appresso al debito tempo racconteremo, narrando prima com’egli fu
-ingannato dagl’Inghilesi.
-
-
-CAP. XXXIII.
-
-_Come il re di Francia fu ingannato del trattato di Calese con gran
-danno._
-
-Il re Filippo avendo l’animo curioso di trarre del suo reame la forza
-del re d’Inghilterra, il quale teneva il forte castello di Calese in su
-la marina, non potendo per forza farlo, pensava fornirlo per danari con
-trattato. Alla guardia di Calese era uno gentile uomo d’Inghilterra,
-con sue masnade di cavalieri e di sergenti. Il re di Francia il fece
-tentare se per danari gli rendesse il castello. L’Inghilese avveduto
-diede orecchie al fatto, e senza indugio il fece segretamente sentire
-al suo signore; il quale confidandosi nella fede di costui, gli
-diede per comandamento che menasse saviamente il trattato infino al
-fatto. Costui seguitò con molta astuzia, tanto, che per la sfrenata
-volontà che il re di Francia avea di racquistarlo, s’indusse a dare
-i danari innanzi, attenendosi alla fede del castellano, e dielli,
-come era il patto, seimila scudi d’oro, di ventimila che per lo patto
-gli dovea dare, e del rimanente gli fece quelle fermezze che volle,
-che mettendo dentro nel castello quella gente che il re volesse, in
-sul ponte compierebbe il pagamento. E così data la fede da catuna
-parte, il re di Francia commise la bisogna ad alquanti suoi baroni:
-i quali incontanente forniti di cavalieri e di sergenti d’arme in
-grande quantità, cavalcarono al castello; e come ordinato era per
-lo castellano, aperta la porta, e calato il ponte, mise dentro nel
-castello coloro cui i Franceschi vollono, perchè vedessero a loro
-sicurtà che dentro non vi fosse altra gente che la sua alla guardia,
-acciocchè si assicurassono a fare il rimanente del pagamento; e a
-costoro, com’egli avea provveduto, fece sì vedere, che del nascoso
-aguato non si avvidono. Onde i Franceschi vinti dalla sprovveduta
-baldanza, s’affrettarono a fare sul ponte il pagamento del rimanente
-fino ne’ ventimila scudi d’oro al castellano, ed egli mise dentro nel
-castello una parte de’ Franceschi, mostrando di volere assegnare loro
-la fortezza del castello, e l’altra oste s’attendea di fuori. Il re
-d’Inghilterra, che avea fatto menare questo trattato, era di notte
-venuto nel castello egli e il figliuolo con buona compagnia di gente
-eletta e fidata, come a quello affare gli parve competente, i quali
-si stettono riposti per modo, ch’e’ Franceschi non se ne poterono
-avvedere. I Franceschi che si credettono senza inganno essere signori
-del castello, da più parti furono subitamente assaliti dal re e da sue
-genti. E bene che gl’Inghilesi fossono pochi a rispetto de’ Franceschi,
-per lo improvviso e subito assalto i Franceschi ch’erano nel castello
-sbigottirono, e temettono, vedendosi a stretta, e non essendo usi
-di cotali baratti, per sì fatto modo, che poco feciono resistenza.
-Gl’Inghilesi di presente, come ordinato fu, presono le vie e le porti,
-e ’l castellano che si mischiava al cominciamento co’ Franceschi
-d’entro si rivolse contro a loro. E vedendo i Franceschi che non
-aveano l’uscita libera della terra, lasciarono l’arme, e arrenderonsi
-prigioni al re d’Inghilterra. E fatto questo, a’ Franceschi di fuori
-fu la cosa sì maravigliosa, che fortemente spaventarono. E sentendo
-questo il re e’ suoi presono ardire, e uscirono fuori addosso agli
-spaventati, con grandi strida e ardire. E non ostante che i Franceschi
-fossono presso a dieci per uno degl’Inghilesi, tanta paura gli vinse,
-che si misono in fuga, e abbandonarono il campo. Ed essendo seguitati
-alquanto dagl’Inghilesi, che non gli poterono troppo seguitare perchè
-aveano pochi cavalli, presine e morti alquanti, con doppia vittoria si
-ritornarono nel castello.
-
-
-CAP. XXXIV.
-
-_Come messer Carlo eletto imperadore fu presso che morto di veleno._
-
-Nella cronica del nostro anticessore è fatta memoria, come la santa
-Chiesa di Roma, sappiendo come Carlo figliuolo del re Giovanni di
-Boemia era di virtù e di senno e di prodezza il più eccellente prenze
-della Magna, morto il Bavaro, che lungo tempo in discordia colla Chiesa
-avea occupato lo ’mperio, non ostante che il re Giovanni vivesse,
-ordinò di farlo eleggere allo ’mperio. Ed essendo in discordia gli
-elettori, perocchè l’arcivescovo di Maganza non gli volea dare la boce
-sua, papa Clemente trovando ch’egli era stato de’ fautori del Bavaro,
-il privò dell’arcivescovado, ed elessene un altro; il quale avendo il
-titolo, non ostante non avesse la possessione, come il papa volle diede
-la sua boce al detto Carlo, e così ebbe piena la sua elezione. Costui
-eletto era impotente di cavalleria e di moneta a potere mantenere campo
-ad Aia la Cappella quaranta dì, a rispondere con la forza dell’arme
-a chi lo volesse contastare, secondo la consuetudine degli eletti
-imperadori: e però santa Chiesa dispensò con lui questa ceremonia,
-e levollo dal pericolo e dalla spesa. E in questo servigio la Chiesa
-prese saramento da lui, che venendo alla corona egli perdonerebbe a’
-comuni di Toscana ogni offesa fatta all’imperadore Arrigo suo avolo
-e agli altri imperadori, e tratterebbegli come amici senza alcuna
-oppressione. Dopo questo, morto il padre nella battaglia del re di
-Francia, come detto è, a costui succedette, e fu chiamato re di Boemia.
-E cercando d’accogliere forza per potere venire alla corona dello
-imperio, ed essendo poco pregiato e meno ubbidito dagli Alamanni,
-tenendosi gravati della sua elezione, egli umile si stava chetamente
-in Boemia aspettando suo tempo. La reina con femminile consiglio
-volendo attrarre l’amore del marito dall’altre donne, ch’era giovane,
-avvegnachè assai onesta, gli fece dare a mangiare certa cosa, la quale
-mangiata dovea crescere l’amore alla sua donna. Nella qual cosa, o erba
-o altro che mescolato vi fosse che tenesse veleno, come presa l’ebbe,
-ne venne a pericolo di morte; e per aiuto di grandi e subiti argomenti,
-pelato de’ suoi peli, ricoverò la salute del suo corpo. Della qual
-cosa facendo condannare a morte due suoi siniscalchi per giustizia,
-la reina, parendo che per sua semplice operazione, più che per colpa
-che avessono, i famigli del loro eletto imperadore fossono per morire
-innocenti, s’inginocchiò dinanzi al re dicendo, come que’ cavalieri non
-aveano colpa di quello accidente, ma se colpa c’era, era sua: perocchè
-per femminile consiglio, volendo più attrarre a se il suo amore, non
-credendo far cosa che offendere il dovesse, li fece dare quella cosa a
-bere, ovvero a mangiare: e però, se giustizia se n’avea a fare, ella
-era degna per la sua ignoranza d’ogni pena, e non coloro ch’erano
-innocenti. Il discreto signore udite queste parole, considerò la
-fragilità e la natura delle femmine, e colla sua mansuetudine inchinò
-l’animo all’errore dell’amore femminile, e con molta benignità perdonò
-alla reina dolcemente, e liberò i suoi siniscalchi, rimettendogli ne’
-loro ufici e onori. Alcuni dissono, che messer Luchino de’ Visconti
-di Milano il fece avvelenare per tema di perdere la sua tirannia. Ed
-essendo lo eletto imperadore nel pericolo della morte, si disse che
-promise a Dio se campasse, che perdonerebbe a chi l’avesse offeso e
-non ne farebbe alcuna vendetta; e quale che fosse la cagione, l’effetto
-seguitò, che vendetta nessuna fece.
-
-
-CAP. XXXV.
-
-_Come il re Luigi prese più castella._
-
-Tornando a’ fatti d’Italia, il re Luigi fatto cavaliere, e dato alcuno
-ordine a’ fatti del Regno che l’ubbidia, avvedutosi de’ baroni che
-teneano col re d’Ungheria, innanzi che volesse procedere a fare altra
-impresa attese a volere racquistare le castella di Napoli. E prima
-cominciò al castello di Santermo sopra la detta città, e quello per
-viltà di coloro che l’aveano a guardia, temendo delle minacce più
-che della forza della battaglia ch’era loro cominciata, essendo da
-potersi bene difendere, s’arrenderono al re. E avendo vittoriosamente
-acquistato questo castello, se ne venne a quello di Capovana, che
-è all’entrata della città, fortissimo, da non potersi vincere per
-battaglia. Coloro che dentro v’erano alla difesa cominciarono a
-resistere al primo assalto; ma inviliti per la presura di quello
-di Santermo, e più perchè non vedeano apparecchiato loro soccorso,
-trattaron la loro salvezza, e renderono il castello al re. Avuto il
-re questi due forti castelli con poca fatica, s’addirizzò al castello
-dell’Uovo fuori di Napoli sopra il mare, il quale per battaglia non
-si potea avere, ma era agevole ad assediare, che tutto era in mare,
-salvo d’una parte si congiungeva con una cresta del poggio, in sul
-quale il re fece fare un battifolle. Que’ del castello sappiendo che
-il loro soccorso non potea essere d’altra parte che per mare, e in
-quello mare non era alcuna forza del re d’Ungheria, innanzi che si
-volessono recare allo stremo patteggiarono col re, e renderongli il
-castello. Avute il re prosperamente queste tre castella in poco tempo,
-fece molto rinvigorire gli animi de’ Napoletani. E vedendo che non
-v’era rimaso altro che il castello Nuovo a capo alla città, dove era
-l’abitazione reale, il quale era sopra modo forte e bene fornito, tanto
-era cresciuta la baldanza, che nel fervore del loro animo con molto
-apparecchiamento si misono a combatterlo da ogni parte, con aspra e
-fiera battaglia. Ma dentro v’era Gulforte fratello di Currado Lupo,
-cui il re d’Ungheria avea lasciato vicario suo, ed era accompagnato
-di buona masnada, e bene fornito alla difesa, sicchè per niente si
-travagliarono della battaglia. E certificati che per forza non lo
-potevano avere, e che Gulforte era fedele al suo signore, presono
-consiglio d’abbarrare tra il castello e la città, e così fu fatto, e
-misonvi buona guardia; sicchè fuori che dalla marina il castello era
-assediato. E poi senza combattere o assalirlo, l’una gente e l’altra si
-stettono lungamente.
-
-
-CAP. XXXVI.
-
-_Come il re Luigi prese il conte d’Apici._
-
-Avendo il re Luigi vittoriosamente racquistato tre così forti castelli,
-e lasciando il quarto assediato per terra e per mare, con la sua
-cavalleria, e con le masnade del doge Guernieri si mise a cavalcare
-sopra i baroni che teneano col re d’Ungheria, e in prima andò sopra il
-conte d’Apici, figliuolo del conte d’Ariano. Il conte vedendosi venire
-il re addosso con gran forza d’uomini d’arme, si racchiuse in Apici,
-e ivi s’afforzò alla difesa come potè il meglio. Il re faceva spesso
-assalire la terra. Vedendo il conte che non attendea soccorso, e che
-il castello non era forte da poter fare lunga difesa, s’arrendè alla
-misericordia del re: il quale trattò d’avere di suoi danari trentamila
-fiorini d’oro, e rimiselo nel suo stato, riconciliato alla sua grazia.
-
-
-CAP. XXXVII.
-
-_Come il re Luigi assediò Nocera._
-
-Prosperando la fortuna il re Luigi nelle lievi cose, gli dava speranza
-di prendere le maggiori, e però si mise di presente con tutta sua
-gente nel piano di Puglia, e dirizzossi a Nocera de’ saracini, che
-si guardava per la gente del re d’Ungheria. Ma perocchè la città era
-grande, e guasta e male acconcia a potersi difendere, sentendo gli
-Ungheri che dentro v’erano l’avvenimento del re con la sua gente,
-abbandonarono la terra, e ridussonsi nella rocca di sopra, ch’era
-larga, e molto forte alla difesa, e ivi ridussono tutte le loro
-cose. E sopravvenendo il re Luigi, senza contasto con tutta sua gente
-entrarono nella città: e trovando il castello sopra la terra forte e
-bene guernito alla difesa, conobbono che non era da potersi vincere per
-forza di battaglie, e però non tentarono di combatterlo: ma avendo la
-città in loro balía, afforzarono in ogni parte intorno alla rocca, e
-puosonvi l’assedio, sperando d’averla, poichè gli Ungheri e i Tedeschi
-erano per la mortalità malati e mancati, e molti se n’erano iti per
-lo mancamento del soldo, e non era loro avviso che a tempo potessono
-avere soccorso; e però tenendo que’ del castello di Nocera assediati,
-cavalcarono tutto il piano di Puglia infino presso a Barletta; e
-avendo cominciato a prendere ardire, trovando che Currado Lupo vicario
-del re d’Ungheria non avea forza d’entrare in campo col re Luigi, nè
-di soccorrere gli assediati di Nocera, era assai possibile al re di
-mantenere l’assedio, e di fare tornare l’altre terre di Puglia a sua
-volontà, cavalcando con la sua forza il paese. Ma il fallace duca
-Guernieri, ch’avea milledugento cavalieri tedeschi in sua compagnia,
-conoscendo il tempo che far lo potea signore e trarlo di guerra, si
-mise a fargli quistione, e non lo lasciò muovere dall’assedio, nè
-andare all’altre terre per lungo tempo: dando luogo a Currado Lupo
-avversario del re di potersi provvedere al soccorso, e il re non era
-potente da se di cavalleria nè di moneta che senza il doge potesse
-fornire le sue bisogne, e però convenia che seguisse più la volontà
-corrotta del doge Guernieri che la sua. E non avea ardimento di
-mostrare sospetto di lui, per paura che peggio non gli facesse, e da se
-nol potea partire senza peggiorare sua condizione, e crescere la forza
-e ’l vigore a’ suoi nimici. Ed essendo così intrigato e male condotto,
-per avere un capo a tutti i suoi soldati, perdè tempo più di cinque
-mesi al disutile assedio, e diede tempo a’ nimici di procacciare aiuto
-e soccorso, come fatto venne loro, come appresso racconteremo.
-
-
-CAP. XXXVIII.
-
-_Come Currado Lupo liberò Nocera._
-
-Mentre che l’assedio si manteneva per lo re Luigi a Nocera, Currado
-Lupo, ch’era rimaso alla guardia del reame per lo re d’Ungheria, intese
-a sollicitare il re, tanto che gli mandò una quantità di danari per
-ristorare la gente che per la mortalità gli era mancata: il quale di
-presente cavalcò in Abruzzi, e condusse de’ cavalieri tedeschi ch’erano
-in Toscana e nella Marca, tanti, che co’ suoi si trovò con duemila
-barbute: e lasciatine una parte alla guardia delle terre che per lui si
-teneano, e eletti milledugento cavalieri in sua compagnia, si propose
-di soccorrere gli assediati del castello di Nocera. Il re Luigi avendo
-sentito come Currado Lupo avea accolta gente per venire contra lui,
-di presente mandò il conte di Minerbino, e il conte di Sprech Tedesco,
-con ottocento cavalieri a impedire i passi, che Currado Lupo co’ suoi
-cavalieri non potesse entrare nel piano di Puglia. Ma il detto Currado,
-come franco capitano e sollecito, la notte si mise a cammino, e fu
-prima, partendosi da Guglionese, valicato i passi ed entrato nel piano
-di Puglia, che la gente del re fosse a impedirlo, e senza arresto,
-co’ suoi cavalieri in quello dì cavalcarono quaranta miglia, e la sera
-giunsono a Nocera in sul tramontare del sole; e perocchè erano molto
-affaticati della lunga giornata, e i cavalli stanchi e l’ora tarda,
-se n’entrarono nel castello senza fare altro assalto, o riceverlo
-dalla gente del re Luigi. E questo avvenne, imperciocchè del subito
-avvenimento sbigottì forte la gente del re, e specialmente essendo
-assottigliato l’oste, e non sappiendo che della loro gente andata
-a’ passi si fosse avvenuto. Il re veggendo la sua gente sbigottita,
-prese l’arme e montò a cavallo, e confortò francamente i suoi: e
-sopravvenendo la notte, in persona ordinò buona e sollecita guardia,
-attendendo il ritorno de’ suoi cavalieri. I nimici ch’erano stanchi
-intesono a mangiare, e a confortare la loro gente, e dare riposo a’
-loro cavalli, per essere la mattina alla battaglia.
-
-
-CAP. XXXIX.
-
-_Come il re Luigi rifiutò la battaglia con Currado Lupo._
-
-La mattina seguente, Currado Lupo innanzi che scendessono del castello
-nel piano, mandò a richiedere il re Luigi di battaglia, e per segno
-di ciò gli mandò il guanto per lo suo trombetta; il re ricevette il
-guanto, e con dimostramento di franco cuore e d’ardire, senza tenere
-altro consiglio promise la battaglia: perocchè la notte medesima il
-conte di Minerbino e ’l conte di Sprech erano tornati con la loro
-gente al soccorso del re. Currado avendo la risposta dal re, come
-accettava di venire alla battaglia, non ostante che il re avesse assai
-più gente di lui, confidandosi nella buona gente che avere gli pareva,
-e conoscendo la condizione del doge Guernieri, e forse intendendosi
-con lui, scese del castello con tutta sua cavalleria, e ancora con gli
-Ungheri ch’erano nel castello a cavallo, e valicato per una parte della
-città ch’era in loro signoria, con dimostramento di grande ardire si
-schierò nel piano dirimpetto alla città, aspettando che il re venisse
-con la sua gente alla battaglia. E vedendo che non venia, un’altra
-volta il mandò a richiedere di battaglia. Il re avendo volontà di
-combattere sommovea i suoi baroni e gli altri cavalieri a ciò fare,
-con grande istanzia: il doge Guernieri, quale che cagione il movesse,
-che dubbia era la sua fede, vedendo il re acceso alla battaglia, fu a
-lui, e con dimostramento di savio e buono consiglio, e con belle parole
-il ritenne, mostrandogli che folle partito era a quel punto prendere
-battaglia, allegando che per due cose sole si dovea combattere, l’una
-per necessità, e l’altra per grande avvantaggio, e quivi non era nè
-l’una nè l’altra. E forse che il consiglio suo fu più salutevole che
-malvagio a quel punto, il re vedendo il consiglio del duca, e temendo
-di non essere seguito nella battaglia da lui nè da’ suoi cavalieri, si
-ritenne in Nocera, ontosamente schernito da’ suoi avversari, i quali
-schierati in sul campo faceano vergogna al re, perchè non usciva alla
-battaglia come promesso avea; e avendo aspettato infino al mezzodì,
-e trombato e ritrombato per attrarre la gente del re alla battaglia,
-e veggendo non erano acconci a uscire della terra, si partì di là
-ordinatamente con le schiere fatte, e dirizzossi verso la città di
-Foggia, ch’era ivi presso nello piano di Puglia, e in quella, ch’era
-senza guardia e senza sospetto, s’entrò di cheto, senza trovare alcuno
-riparo. E trovandola piena d’ogni bene, quivi s’alloggiarono, facendo
-delle case, e delle masserizie, e della vittuaglia, e delle donne
-maritate e delle pulzelle la loro sfrenata volontà, e ogni sustanza
-di quella terra si recarono prima in uso, e poscia in preda. E quivi
-in prima si cominciò ad assaggiare la preda dello avere del Regno da’
-Tedeschi e dagli Ungari, la quale assaggiata vi attrasse da ogni parte
-i soldati, come gli uccelli alla carogna, in grave danno di tutto il
-paese, come procedendo per li tempi in nostra materia dimostreremo.
-
-
-CAP. XL.
-
-_Della materia medesima._
-
-Essendo Currado Lupo con la sua gente in Foggia, con grande baldanza
-presa contro al re Luigi, intendendosi col duca Guernieri, afforzò
-la città di Foggia, per potere contastare al re il ritorno per la
-via del piano in Terra di Lavoro. E così fece lungamente, crescendo
-continuamente la sua gente di cavalleria e masnadieri, perchè viveano
-di prede, e avanzavano sopra i paesani non usi di guerra, nè provveduti
-alla loro difesa. Il re avendo scoperto come dal duca Guernieri non
-potea avere servigio che utile gli fosse, e che fidare non se ne potea,
-stato due mesi a Nocera senza alcuno frutto, con grande abbassamento
-di suo stato e onore, poichè Currado Lupo entrò in Puglia, prese suo
-tempo, e girando la Puglia, dilungandosi da’ nimici ch’erano in Foggia,
-entrò in Ascoli, e ivi stato pochi dì se ne venne a Troia, e di là per
-Terra beneventana si tornò a Napoli senza contasto.
-
-
-CAP. XLI.
-
-_Come morì il re Alfonso di Castella._
-
-In questo anno, del mese di marzo, morì il re Alfonso di Castella,
-lasciando Pietro suo figliuolo legittimo, nato della reina sirocchia
-del re di Portogallo, d’età di quindici anni, e sette suoi fratelli
-nati di donna Dianora, grande e gentile donna di Castella, la quale il
-detto re amò sopra la reina, e tennela ventiquattro anni. Morto il re,
-don Pietro fu coronato del reame, ed essendo troppo giovane, i maggiori
-baroni per tre anni ebbono a governare il reame. E venuto il re Pietro
-in età di diciotto anni, con malizia, e con senno e con ardire, di
-gran cuore prese il governamento di suo reame, e trassene i baroni, e
-cominciò aspramente a farsi ubbidire; perocchè temendo de’ suoi baroni,
-trovò modo di fare infamare l’uno l’altro, e prendendo cagione, gli
-cominciò a uccidere colle sue mani, e in breve tempo ne fece morire
-venticinque: e tre suoi fratelli fece morire e la loro madre, e gli
-altri perseguitò: ed eglino valenti e di gran seguito e ardire si
-ridussono in loro castella, e feciono al re aspra guerra. E ora fu, che
-l’uno di loro, ch’era conte di... in uno abboccamento ebbe prigione il
-re, e consentì che si fuggisse per grande benignità, e in fine si partì
-di Spagna, e tornossene col fratello in Araona.
-
-
-CAP. XLII.
-
-_Come il doge Guernieri fu preso in Corneto dagli Ungheri._
-
-Tornato il re Luigi a Napoli, non avendo potuto acquistare in Puglia
-alcuna cosa, ma peggiorata la sua condizione, acciocchè le terre
-e’ baroni di sua parte non prendessono troppo sconforto della sua
-partita, mandò in Puglia il doge Guernieri con quattrocento cavalieri,
-e commisegli la guardia di coloro che teneano con esso lui, e che
-raffrenasse la baldanza de’ suoi avversari. Il duca si mosse con sua
-compagnia, e con lui mandò il re alquanti confidenti toscani, tra’
-quali fu messer Iacopo de’ Cavalcanti di Firenze, pro’ e valente
-cavaliere. Costoro entrati in Puglia si ridussono in Corneto. Il
-fallace duca pensava, che stando dalla parte del re non potea predare
-nè avanzare come l’animo suo desiderava, e vedendo la materia acconcia,
-e già cominciata per Currado Lupo e per gli Ungheri, trovò modo,
-volendo coprire il suo tradimento, come fatto gli venisse senza sua
-palese infamia. E per venire a questo, essendo presso a nimici più
-possenti di lui, si stava senza alcuno ordine e senza fare guardia
-il dì e la notte, anzi non lasciava serrare le porti della città,
-e andavasi a dormire con tutta la sua masnada. Onde avvenne, come
-si crede ch’egli avesse ordinato, che Currado Lupo con parte di sua
-gente una notte vi cavalcò, e trovate le porte aperte, e senza difesa
-e guardia, s’entrò nella città: e trovando il doge e’ suoi cavalieri
-dormire ne’ loro alberghi, tutti senza dare colpo di lancia o di spada
-ebbe a prigione, loro e’ loro cavalli e arnesi, senza che niuno ne
-fuggisse; e avuti i forestieri a prigioni furono signori della terra, e
-fecionne, come di Foggia, la loro volontà: e il dì seguente con grande
-gazzarra ne menarono i prigioni e la preda a Foggia, dove faceano
-loro residenza. Ed essendo il duca Guernieri prigione in Foggia, si
-fece porre di taglia trentamila fiorini d’oro; e mandò al re che ’l
-dovesse ricomperare in fra certo tempo, e dove questo non facesse,
-disse gli conveniva essere contro a lui in aiuto del re d’Ungheria: e
-però gli protestava, che se il riscatto non facesse, non gli farebbe
-tradimento venendo contro a lui dal termine innanzi. Il re Luigi avendo
-conosciuto per opere i suoi baratti, avvegnachè conoscesse che per
-cupidità di preda e’ sarebbe contro a’ suoi agro nimico, innanzi il
-volle suo avversario, potendo contro a lui scoprirsi alla sua difesa,
-che averlo traditore dalla sua parte, e però nol volle riscuotere. Onde
-egli trasse a se tutti i Tedeschi di sua condotta, e da Currado Lupo
-fu fatto il terzo conducitore della sua oste, renduto a lui e a’ suoi
-l’armi e’ cavalli e gli arnesi. Messer Iacopo de’ Cavalcanti, perocchè
-altra volta era stato preso, e lasciato alla fede, fu ritenuto, e
-ultimamente per mandato del re d’Ungheria, per corrotto saramento,
-vituperevolemente fu impiccato.
-
-
-CAP. XLIII.
-
-_Come i Fiorentini presono Colle._
-
-I Colligiani avendo ripreso in loro giuridizione il reggimento libero
-della loro terra, poichè ’l duca d’Atene fu cacciato di Firenze,
-che per lo detto comune n’era signore, volendo mantenere la loro
-libertà, non lo seppono fare, anzi cominciarono a setteggiare, e
-volere cacciare l’uno l’altro, e alcuna parte trattava coll’aiuto di
-grandi e possenti vicini d’esserne tiranni. E scoperto tra loro il
-trattato, si condussono all’arme: e stando in combattimento dentro,
-il comune di Firenze per paura che tirannia non vi si accogliesse,
-subitamente vi mandò il capitano della guardia che allora tenea in
-Firenze, con trecento cavalieri e con assai fanti a piè, e improvviso
-vennono a’ Colligiani in su le porti e intorno alla Prateria, del mese
-d’aprile gli anni 1349. E sentendo i Colligiani la gente de’ Fiorentini
-alle porti, e tra loro grave discordia dentro, viddono, che volere
-a’ cittadini di Firenze, che ivi erano mandati per loro bene, fare
-resistenza era impossibile, e il loro peggiore, perocchè se l’una setta
-si fosse messa alla difesa, l’altra si sarebbe fatta forte col comune
-di Firenze, e arebbono abbattuta la setta contraria, sicchè per lo
-loro migliore, di comune concordia apersono le porti, e misono dentro
-la gente del comune di Firenze. E come dentro vi furono, i terrazzani
-lasciarono l’arme che aveano prese per la loro divisione, e ragunati al
-consiglio, conobbono, che il comune beneficio della loro comunità era
-di dare la guardia di quella terra al comune di Firenze, e altrimenti
-non vedeano di potere vivere in pace e in riposo senza sospetto l’uno
-dell’altro. E però diliberarono solennemente tutti d’uno animo e d’una
-concordia, che ’l comune di Firenze avesse in perpetuo la guardia di
-quella terra; e il comune la prese, e ordinò dentro senza quistione
-i loro ufici, comunicandoli discretamente tra’ loro terrazzani, a
-contentamento di catuna parte; e appresso di tempo in tempo v’ordinò il
-comune di Firenze la guardia de’ suoi cittadini, e i rettori di quella,
-mandandovegli da Firenze ogni sei mesi successivamente.
-
-
-CAP. XLIV.
-
-_Come i Fiorentini ebbono Sangimignano a tempo._
-
-Nel detto anno e mese d’aprile, recata la terra di Colle a guardia
-del comune di Firenze prosperamente, innanzi che il detto capitano
-con sua gente a piè e a cavallo tornasse a Firenze, essendo il comune
-di Sangimignano per simile modo in grande divisione per cagione del
-loro reggimento, onde forte si temea non pervenisse a tiranno, il
-comune di Firenze vegghiando con sollecitudine a mantenere la libertà
-di Toscana, fece comandamento al capitano e a’ cittadini consiglieri
-ch’erano con lui ch’andassono a Sangimignano, e senza fare alcuno
-danno, o atto di guerra, domandassono per lo comune di Firenze la
-guardia di quella terra, acciocchè il comune loro e ’l nostro vivessono
-di ciò più sicuri, che non si potea vivere vedendogli in setta e in
-divisioni. Il capitano con quella gente se n’andò a Sangimignano, e
-fece il comandamento del comune di Firenze, standosi fuori della terra
-senza fare danno niuno. E fatta la richesta, quegli di Sangimignano
-ebbono sopra ciò diversi consigli, e dibattutosi fra loro più giorni,
-che l’uno volea e l’altro no, in fine avvedendosi che le loro discordie
-erano pericolose, e che non erano potenti a mantenere libertà; vedendo
-il pericolo delle divisioni e sette che aveano tra loro, e che lo
-sdegno del comune di Firenze potea risultare in loro maggiore pericolo,
-per comune consiglio diedono per tre anni a venire il governamento e la
-guardia di quella terra al comune di Firenze, con patto che il comune
-vi mandasse di sei mesi in sei mesi uno cittadino popolano di Firenze
-per capitano della guardia, e un altro per podestà alle loro spese; e
-così deliberato, misono di gran concordia dentro la gente del comune di
-Firenze. E ricevuti i rettori, cominciarono a vivere tra loro in molta
-concordia e pace, e catuno intendeva a fare i fatti suoi, dimenticando
-le cittadine contenzioni e gli altri sospetti che gli conturbavano, e
-il capitano co’ suoi cavalieri e col popolo tornò a Firenze ricevuto a
-onore, del detto mese d’aprile.
-
-
-CAP. XLV.
-
-_Di tremuoti furono in Italia._
-
-In questo anno, a dì 10 di settembre, si cominciarono in Italia
-tremuoti disusati e maravigliosi, i quali in molte parti del mondo
-durarono più dì, e a Roma feciono cadere il campanile della chiesa
-grande di san Paolo, con parte delle loggi di quella chiesa, e una
-parte della nobile torre delle milizie, e la torre del conte, lasciando
-in molte altre parti di Roma memoria delle sue rovine. Nella città di
-Napoli fece cadere il campanile, e la faccia della chiesa del vescovado
-e di santo Giovanni maggiore, e in assai altre parti della città fece
-grandi rovine, con poco danno degli uomini. Nella città d’Aversa,
-essendo i caporali de’ Tedeschi e degli Ungheri, con molti conestabili
-e cavalieri, a consiglio nella chiesa maggiore, non determinato il
-loro consiglio uscirono della chiesa, e come furono fuori, la chiesa
-cadde, e per volontà di Dio a niuno fece male. La città dell’Aquila ne
-fu quasi distrutta, che tutte le chiese e’ grandi difici della città
-caddono, con grande mortalità d’uomini e di femmine; e durando per più
-dì i detti tremuoti, tutti i cittadini, ed eziandio i forestieri, si
-misono a stare il dì e la notte su per le piazze e di fuori a campo,
-mentre che quello movimento della terra fu, che durò otto dì e più.
-Ed erano sì grandi, che in piana terra avea l’uomo fatica di potersi
-tenere in piede. A san Germano e a monte Cassino fece incredibili ruine
-di grandi difici, e dell’antico monistero di santo Benedetto sopra il
-monte del poggio medesimo, che pare tutto sasso, abbattè buona parte;
-il castello di Valzorano del poggio rovinò nella valle, con morte
-quasi di tutti i suoi abitanti. Nella città di Sora fece degli edifici
-grandissime ruine, e così in molte altre parti di Campagna e di terra
-di Roma, e del Regno e di molte altre parti d’Italia, che sarebbono
-lunghe e tediose a raccontare. Per li quali terremuoti si potea per li
-savi stimare le future novità e rivolgimenti di que’ paesi, le quali
-poi seguitarono, come il nostro trattato seguendo si potrà vedere.
-
-
-CAP. XLVI.
-
-_Come sommerse Villacco in Alamagna._
-
-In questo medesimo tempo, essendo all’entrare della Magna sopra una
-valle una città che ha nome Villacco, in sul passo, con alquante
-villate e castella che teneano bene dodici miglia, a’ confini della
-Schiavonia, questa terra con le sue ville e castella per gli terremuoti
-s’attuffò nella valle, con grande danno di morte de’ suoi abitanti.
-E perocchè il luogo è sul passo del Friuli e Schiavonia, e paese
-ubertuoso, e i suoi alberghi tutti si fanno di legname, che ve n’ha
-grande abbondanza, fu tosto rifatto e abitato. Innanzi che l’anno fusse
-compiuto dal suo rifacimento, per fuoco arse tutta la terra, che fu a
-pensare non piccolo giudicio de’ suoi abitanti. Ma per lo fertile luogo
-e utile per lo passo, in brieve tempo fu redificata la terra più bella
-che prima.
-
-
-CAP. XLVII.
-
-_De’ fatti del Regno._
-
-Del mese di maggio del detto anno, sentendo il re Luigi crescere
-fortemente nel Regno la forza del re d’Ungheria, fece comandamento a
-tutti i suoi baroni che teneano con lui che si sforzassono d’arme e di
-cavalli, e ragunassonsi in Napoli per resistere a’ loro avversari, che
-aveano per la presa di Foggia e di Corneto presa superchia baldanza
-in Puglia, e accolti molti Tedeschi d’Italia, per vaghezza delle
-prede del Regno, più che per soldo ch’elli avessono. I baroni vedendo
-il comune pericolo di loro stato e di tutto il Regno, feciono gente
-d’arme, e ragunaronsi a Napoli più di tremila cavalieri ben montati
-e bene armati; e ancora non era venuto il conte di Minerbino, che
-avea con seco trecento barbute. Currado Lupo, che avea con seco il
-duca Guernieri, e ’l conte di Lando, e messer Giovanni d’Arnicchi,
-Tedeschi grandi maestri di guerra, e con grande seguito di soldati
-tedeschi, avieno accolti tutti gli Ungheri del Regno, ch’erano più di
-settecento, in grande fede al loro signore: e ancora erano ragunati
-con loro masnadieri italiani assai, tratti per guadagnare, sentendo
-che la forza del re era ragunata a Napoli, di presente fornì di
-guardia tutte le terre sue, e co’ sopraddetti caporali, e co’ loro
-cavalieri tedeschi e ungheri, milleseicento o più, e con briganti
-a piè, acconci a guadagnare, sperando abboccarsi co’ ricchi baroni
-del Regno, si partirono di Foggia, e senza fare soggiorno o trovare
-resistenza se ne vennero infino ad Aversa, città di Terra di Lavoro,
-presso a Napoli a otto miglia, la quale in quel tempo non era murata:
-e per mala provvedenza non era guardata, avvegnachè malagevole fosse a
-guardare, perchè era molto sparta, ma avea il castello molto grande e
-forte. Currado Lupo con la sua cavalleria senza contasto s’entrò nella
-terra, la quale era doviziosa e piena d’ogni bene. Ed essendo altra
-volta stata all’ubbidienza del re d’Ungheria, non si pensarono essere
-trattati in ruberia e in preda dal vicario del re, e però si trovarono
-ingannati. I Tedeschi e gli Ungheri come furono dentro cominciarono a
-fare delle cose, vi trovarono da vivere a comune con i cittadini, con
-più temperanza e ordine che fatto non aveano in Foggia, perocchè vi
-aveano più a stare. E incontanente cavalcarono per lo paese e per li
-casali dintorno per farsi ubbidire, e recare il mercato derrata per
-danaio; e chi non gli ubbidia di recare della roba ad Aversa sì la
-rubavano e ardevano. E in fine, ora per una cagione, ora per un’altra,
-tutti erano rubati, e cominciarono a cavalcare fino presso a Napoli,
-ed a non lasciare a’ foresi portare alcuna roba in quella terra, che
-a giornata solea abbondare della molta roba delle terre e casali di
-fuori, ed ora niuno v’andava, che d’ogni parte erano rotte le strade e
-i cammini, onde la città cominciò ad avere carestia, e convenia che per
-mare si fornisse. Il re Luigi avea baroni e cavalieri assai in Napoli,
-ma per buono consiglio riteneva i suoi baroni con il volonteroso popolo
-che non uscissono contro a’ nimici a loro stanza, e attendea maggiore
-forza di sua gente di dì in dì, e pensava che i nimici per le ruberie
-fatte a’ paesani venissono in soffratta, e volea a sua stanza e a
-suo tempo andare sopra i suoi nimici e a suo vantaggio, e non alla
-loro richiesta, e questo era salutevole e buono consiglio. Ma dove la
-fortuna giuoca più che ’l senno, la gente vi corre.
-
-
-CAP. XLVIII.
-
-_Come la gente del re d’Ungheria sconfisse i baroni del Regno._
-
-Vedendo i capitani della gente del re d’Ungheria che la baronia del
-Regno era accolta a Napoli contro a loro, e non si movea nè mostrava
-in campo per le loro cavalcate, si feciono loro più presso a Meleto
-quattro miglia presso a Napoli; e quivi stando, cominciarono a dare
-voce che discordia fosse tra’ Tedeschi e gli Ungheri, e seguendo
-loro malizia s’armarono, e acconciarono il campo come se dovessero
-combattere insieme; e avendo tra loro mezzani gli Ungheri, come
-malcontenti d’essere con Currado Lupo, dierono voce di volersene
-tornare in Puglia. I giovani baroni che sentivano di presso le novelle
-de’ loro nimici, e’ baldanzosi cavalieri napoletani credendo che la
-discordia fosse tra gli Ungheri e’ Tedeschi come la boce correa, non
-accorgendosi del baratto, e parendo loro che per difetto di vittuaglia
-e’ non potessono più stare nel paese, quasi come la preda uscisse
-loro tra le mani aspettando, fremivano nell’animo d’uscire fuori, e
-correre sopra i nimici; e contradicendo il re e ’l suo consiglio la
-furiosa presunzione de’ giovani baroni e de’ pomposi Napoletani, in
-furia s’apparecchiarono dell’arme. E montati sopra i loro destrieri e
-buoni cavalli, che n’erano bene forniti, e con ricchi arredi e nobili
-sopransegne, colle cinture dell’oro e dell’argento cinte, in grande
-pompa, avendo fatto loro capitani messer Ruberto di Sanseverino,
-e messer Ramondo del Balzo, valenti baroni, e il conte di Sprech
-Tedesco, e messer Guiglielmo da Fogliano, ordinate loro battaglie,
-contradicendolo il re in persona, uscirono di Napoli, e addirizzaronsi
-a’ nimici. Il cammino era corto, e il paese piano, sicchè in poca d’ora
-furono giunti al campo, ove trovarono di costa a Meleto nella spianata
-schierati i nemici, i quali aveano sentito il furioso movimento de’
-ricchi baroni e cavalieri del Regno, e aveano con savio provvedimento
-fatte tre schiere. Vedendo la folle condotta de’ loro avversari,
-s’allegrarono, e’ baldanzosi regnicoli sì diedono francamente nella
-prima schiera, la quale, per ordine fatto a maestria, s’aperse, e
-lasciò valicare, e mescolare tra loro la cavalleria del Regno, non
-ostante che assai fussono più di loro; e reggendo a testa la seconda
-schiera e intrigata la battaglia, il conte di Lando, ch’era da parte
-colla sua schiera, tornò un poco di campo, e venne loro alle reni,
-e combattendoli dinanzi e didietro, avvegnachè v’avesse di valorosi
-cavalieri, per la loro mala provvedenza in poca d’ora con non troppa
-asprezza di battaglia gli ebbono vinti, e sbarattati e richiusi tra
-loro per modo, che la maggior parte co’ loro capitani furono presi,
-e pochi ne morirono. Quelli che poterono fuggire ne fuggirono, e
-non furono incalciati, perchè erano presso alla città, e i loro
-nemici n’aveano assai tra le mani a guardare, sicchè non si curarono
-d’incalciare gli altri. Questa propriamente non si potè dire battaglia,
-ma uno irretamento da pigliare baroni e cavalieri di grandi ricchezze.
-I presi furono tra conti e baroni venticinque de’ maggiori del Regno,
-con molti ricchi cavalieri napoletani di Capovana e di Nido, e nobili
-scudieri e grandi borgesi e baroncelli del Regno, i quali erano tutti
-bene montati. E come i capitani de’ Tedeschi e degli Ungheri ebbono
-raccolti insieme i prigioni e la preda, con grande festa e sollazzo
-d’avere acquistato grande tesoro senza fatica, gli condussono ad
-Aversa; e messi i baroni e’ cavalieri in sicure prigioni, l’altra preda
-divisono tra loro. E questo fu a dì sei di giugno 1349.
-
-
-CAP. XLIX.
-
-_Come i Napoletani ricomperarono la vendemmia da’ nimici._
-
-Dopo la detta sconfitta la gente del re d’Ungheria avendo presa grande
-baldanza, cavalcavano ogni dì infino a Napoli per tutte le contrade
-circostanti alla città, senza trovare alcuno contasto. Ch’e’ cavalieri
-ch’erano in Napoli, e quelli che scamparono della sconfitta, tutti
-tornarono in loro paese, e i Napoletani non ebbono più ardire di
-montare a cavallo contra i nimici; per la qual cosa assai picciola
-gente spesso entravano con grande ardire tra santa Maria del Carmino
-e il Santolo, rubando e facendo preda in sul mercato; e per questo
-avvenne che per terra non v’entrava alcuna vittuaglia, e però convenne
-che per mare vi venisse d’altre parti, e montasse ogni cosa, fuori
-del vino, in grande carestia. Vedendo i Napoletani nella forza de’
-loro nemici tutto il loro contado, temendo delle loro vendemmie,
-e per avere alcuna posa, diedono a Currado Lupo e a’ suoi compagni
-ventimila fiorini d’oro, e messer Ramondo del Balzo, e messer Ruberto
-da Sanseverino, e il conte di Tricario anche della casa di Sanseverino,
-e il conte di santo Angiolo, e un altro barone, ch’erano presi, si
-ricomperarono fiorini centomila d’oro, e gli altri baroni del Regno
-e cavalieri si ricomperarono fiorini cinquantamila, e’ cavalieri e
-scudieri di Napoli si ricomperarono altri cinquantamila fiorini: e
-il conte di Sprech Tedesco, e M. Guiglielmo da Fogliano e’ soldati
-forestieri, tolto loro l’arme e’ cavalli, furono lasciati alla fede. E
-trovandosi questa gente del re d’Ungheria fornita d’arme e di cavalli,
-e pieni d’arnesi, e abbondante d’ogni bene, questi danari, e molti
-gioielli d’oro e d’ariento, riposono nel castello d’Aversa senza
-partire, acciocchè niuno avesse cagione di partirsi del paese. E per
-accogliere maggiore tesoro, i danari del riscatto, e del tempo della
-vendemmia, furono pagati, e queto il paese mentre che le vendemmie
-durarono, secondo la loro promessa, e passato il tempo ricominciarono
-la guerra come prima, aspettando danari freschi dal re e da’
-Napoletani, come appresso seguendo si potrà trovare.
-
-
-CAP. L.
-
-_Come si fe’ triegua nel Regno._
-
-Il papa e’ cardinali avendo sentita la rotta de’ baroni del Regno,
-e che ’l paese si guastava, mandarono nel Regno M. Annibaldo da
-Ceccano cardinale legato di santa Chiesa, a procacciare di conservare
-il reame, acciocchè la discordia de’ due re non guastasse quello
-ch’era di santa Chiesa. Il cardinale giunto a Napoli trovò il re e’
-Napoletani in male stato, e i paesi di Terra di Lavoro guasti, rubate
-le castella, le ville, i casali, e vedendo che la forza de’ Tedeschi
-e degli Ungheri guastava tutto, si mise a cercare via d’accordo, e
-andava dall’una parte all’altra, ma poco frutto di concordia seppe
-fare. Onde il re e’ Napoletani avvedendosi che il cardinale non facea
-loro profitto, si condussono a cercare eglino con loro confidenti. E
-mandarono a Currado Lupo e agli altri caporali ad Aversa, e in fine
-vennono con loro a concordia, che dovessono lasciare in mano del
-cardinale Aversa e Capova, e tutte le terre e castella che teneano
-dal Volturno di Tuliverno in verso Napoli, per tutta Terra di Lavoro
-e di Principato, e facendo questo avessono contanti centoventimila
-fiorini d’oro. Le terre furono lasciate nella guardia del cardinale,
-e i danari furono pagati del mese di gennaio 1349. Allora vidono il
-conto de’ danari che aveano raunati, e trovaronsi in contanti più di
-cinquecento migliaia di fiorini d’oro, i quali di molta concordia si
-divisono a bottino. E’ caporali dividitori furono, Currado Lupo, e il
-doge Guernieri, e il conte di Lando, e M. Gianni d’Ornicchi, e alcuni
-altri. E oltre a questo tesoro, e oltre a molti destrieri, e ricchi
-arnesi e armadure che catuno avea, ebbono parte di molte vasellamenta
-d’argento, e di croci e di calici e d’altri ornamenti delle chiese che
-avieno spogliate, e ornamenti delle donne, e drappi e vestimenta di
-grandissima valuta, de’ quali erano pieni, avendone spogliate parecchie
-città, come detto abbiamo. Costoro sopra modo ricchi, passato il
-Volturno, si diliberarono di partirsi del Regno, e tutti, fuori che
-Currado Lupo, e fra Moriale e gli Ungheri, che si ritennono per lo
-re d’Ungheria nel Regno, si partirono e menandone molte donne rapite
-a’ loro mariti, e molte altre che non aveano marito, cosa strana e
-disusata tra’ fedeli cristiani; e ricchi delle loro rapine, quali
-si tornarono in Alamagna, e altri si sparsono nell’italiane guerre:
-e per questo modo il Regno ebbe alcuno sollevamento dalle ruberie
-e dalla guerra, che catuno si posava volentieri. E dandoci alquanto
-triegua le novità dello sviato Regno, ci s’apparecchia nuova e lieve
-cagione, della quale surse come di picciola favilla fuoco di smisurata
-grandezza.
-
-
-CAP. LI.
-
-_Di novità di barbari di Bella Marina._
-
-Tornando alquanto nostra materia a’ fatti de’ barbari, in questo tempo
-Buevem figliuolo di Balese della Bella Marina, a cui come addietro è
-narrato, il detto Buevem avea rubellato il regno di Tremusi, sentendo
-che Maometto suo cugino gli avea rubellato Fessa e il suo reame, liberò
-di servaggio mille cristiani, e misegli a cavallo e in arme, e accolse
-suo oste di quindicimila cavalieri, e di gran popolo di Mori a piè,
-e andonne verso Fessa, contro a Maometto, il quale trovò provveduto
-con venticinquemila cavalieri e di grande popolo, e fecelisi incontro
-fuori della città di Fessa, e non troppo lungi della città commisono
-aspra battaglia, nella quale morirono grandissima quantità di saracini
-da catuna parte; in fine, come piacque a Dio, per virtù de’ cristiani
-Maometto fu sconfitto, colla sua gente morta e sbarattata, ed egli
-si rifuggì nel castello di Villanuova, ove Buevem il tenne assediato
-sei mesi senza speranza di poterlo avere per la grande fortezza; e
-però argomentò di fare fuggire da se un grande caporale de’ cristiani
-con sua masnada, e mostrando di perseguirlo per uccidere, si fuggì
-a Maometto nel castello, il quale conoscendo la prodezza e senno de’
-cristiani, pensò di difendersi meglio, avendo costui dal suo lato, e
-però gli fece onore e grandi promesse, perchè avesse materia d’aiutarlo
-e d’esser leale. Costui mostrandosi agro nimico di Buevem, alcuna volta
-uscì fuori percotendo il campo, e ritornando con onore. Il re Buevem
-mostrando che onta gli fosse cresciuta per la fuggita del malvagio
-cristiano, ordinò di volere combattere il castello. Maometto sentendo
-ciò s’ordinò alla difesa: e avendo presa confidenza nel conestabile
-cristiano, gli accomandò la guardia d’una porta del castello. E venendo
-il re alla battaglia, il traditore gli aperse la porta, ed entrato
-dentro con grande sforzo, preso Maometto, e incarcerato, in pochi dì
-il fece morire. E andato a Fessa, fu ricevuto come re e loro signore,
-e fu coronato re di Morocco, e della Bella Marina e di Tremusi in
-poco tempo, essendo il padre a Tunisi, il quale tornando poi contro al
-figliuolo per lo regno, gli avvenne quello che a suo tempo diremo.
-
-
-CAP. LII.
-
-_Come Balase tornando per lo suo reame contro al figliuolo ebbe grande
-fortuna, e poi fu avvelenato._
-
-Balase avendo acquistato il reame di Tunisi, e perduto quello di Bella
-Marina e di Tremusi, di che Buevem suo figliuolo s’avea fatto coronare,
-fece in Tunisi re un altro suo figliuolo, e con sei galee armate, e
-una nave di Genovesi carica di grande tesoro ch’avea tratto di Tunisi,
-del mese d’ottobre del detto anno, si mise in mare per tornare nel
-suo reame: confidandosi, che essendo con sua persona nel paese, i
-suoi sudditi l’ubbidirebbono, non ostante che il figliuolo avesse la
-signoria. E avendo lasciato il suo nuovo re in Tunisi, poco appresso la
-sua partita gli Arabi entrarono in Tunisi, e uccisono questo figliuolo
-rimaso, e fecionne re il nipote del re di Tunisi, cui Balase avea
-morto; e ’l detto Balase essendo in mare, una fortuna il percosse,
-e tutte e sei le sue galee ruppe, e tutti gli uomini perirono, salvo
-il re con alquanti compagni che camparono in su uno scoglio: e indi
-levato da certi pescatori fu portato a Morocco, ove riconosciuto, fu
-ricevuto come loro signore. La nave col suo tesoro messasi in alto
-pelago arrivò in Ispagna, e il re Pietro s’appropiò il tesoro. Balase
-essendo ubbidito in Morocco e nel paese, di presente accolse di suoi
-baroni, e con grande oste andò contro a Buevem suo figliuolo, inverso
-Fessa; e cominciato a guerreggiare, veggendo Buevem che i suoi baroni
-cominciavano a ubbidire al padre, disperandosi della difesa, argomentò
-con incredibile tradimento. Egli avea seco una sua sirocchia giovane
-fanciulla figliuola di Balase, costei ammaestrò di quello ch’egli
-volle ch’ella facesse: la quale si partì da lui, mostrando mal suo
-volere, e tornò al padre, il quale la vide allegramente, ed ella lui,
-come caro padre, e commendatola della sua venuta, la tenea intorno a
-se come figliuola. Ma la corrotta fanciulla osservando la malizia del
-fratello, ivi a pochi dì avvelenò il padre. Finito Balase il corso
-della sua vita, e delle sue grandi fortune prospere e avverse, Buevem
-suo figliuolo rimase re della Bella Marina, e di Morocco e di Tremusi;
-ma poco appresso i Mori gli rubellarono Tremusi, ma egli di presente
-vi mandò grande oste, e racquistò tutto. E montato in grande potenzia,
-per forza si sottomise il reame di Buggea e quello di Costantina, e’
-loro re mise in prigione. E incrudelito, per ambizione di reggere la
-signoria con meno paura, in brieve tempo fece morire venticinque suoi
-fratelli di diverse madri. Ed esaltato sopra tutti i Barberi, cominciò
-a usare senza freno la sua lussuria, e gli altri diletti carnali, ove
-si riposa la gloria di quelli saracini; e a un’otta avea trecento mogli
-e grande novero di vergini, le più nobili e le più belle de’ suoi
-reami: e quando gli piaceva, usava con quella che l’appetito della
-sua concupiscenza richiedeva, e quella mettea nel numero delle sue
-mogli. Uomo fu ridottato sopra gli altri signori, e aspro punitore di
-giustizia; e con grande guardia e con molto ordine governava i suoi
-reami. A’ cristiani mercatanti facea grande onore, e volentieri gli
-ricettava in suo reame.
-
-
-CAP. LIII.
-
-_Come per lievi cagioni suscitò novità in Romagna._
-
-Essendo conte di Romagna messer Astorgio di Duraforte di Proenza,
-il quale avea per moglie una nipote di papa Clemente sesto, o che
-più vero fosse sua figliuola, il papa l’amava, e intendeva a farlo
-grande. Costui il dì della Pasqua di Natale del detto anno, mostrando
-familiarità co’ gentiluomini di Faenza, gli fece invitare a pasquare
-seco. Ed essendo a desinare, riscaldati dalla vivanda e dal vino,
-messer Giovanni de’ Manfredi dimestico del conte gli disse: in cotale
-mattina per cagione di padronatico, ci è debitore il vescovo di Faenza
-di mandare una gallina con dodici pulcini di pasta, e con carne cotta:
-e quando questo e’ non fa, a noi è lecito mandare alla sua cucina,
-e trarne la vivanda, e ciò che in quella si trova. La gallina non è
-venuta, e però piacciavi che con vostra licenza noi possiamo usare
-la ragione del nostro padronatico. La domanda fu indiscreta, essendo
-in casa altrui, che non era certo che il vescovo avesse fallato;
-e il conte con poco sentimento, non considerando il pericolo della
-novità, concedette quella licenza follemente. Il vescovo avea fatto
-suo dovere, e avea mandata a casa messer Giovanni d’Alberghettino la
-gallina e i pulcini, a cui l’anno toccava quello onore, e la donna
-per un suo scudiere l’avea mandata al marito al palagio del conte;
-ma per comandamento fatto a’ portieri per lo conte che alcuno non
-vi lasciassero entrare, se n’era tornato a casa. Nondimeno messer
-Giovanni, ch’avea avuta la licenzia dal conte, disse a’ suoi famigli:
-andate, e chiamate de’ nostri amici, e dite loro rechino le scuri, ed
-entrate nel vescovado: e se le porti non vi sono aperte, colle scuri
-l’aprite, e della cucina del vescovo gittate fuori vivanda, e ciò
-che vi trovate dentro. Costoro andando agli amici di messer Giovanni
-diceano: togliete le scuri, e venite con noi. Coloro ch’erano invitati
-che togliessono le scuri non sapendo la cagione, pigliarono anche
-l’altre armi, e l’uno confortava l’altro: e così armati traevano a
-casa messer Giovanni. Le masnade del conte a piè e a cavallo che il
-dì avieno la guardia, temendo di questa novità, trassono a casa messer
-Giovanni, e cominciarono mischia contro a coloro vi trovarono armati.
-I terrazzani si difendeano non sappiendo la cagione del fatto: la
-gente traeva da ogni parte a romore. Sentendosi la novità al palagio
-dov’erano i convitati, facendosi il conte alle finestre, vidde a piè
-del palagio uno Franceschino di Valle, grande amico di messer Giovanni
-Manfredi, a cui commise che andasse da sua parte a comandare alla sua
-gente e a’ cittadini che lasciassono la zuffa e non contendessono
-insieme. Costui disarmato andò a fare il comandamento da parte del
-conte. La gente del conte, che conosceano costui amico di messer
-Giovanni, presono maggiore sospetto, e rivolsonsi contro a lui, e
-volendogli uno dare della spada in sulla testa, parando la mano al
-colpo gli fu tagliata: e seguendo i colpi contro a lui, fu morto, e in
-quello stante tre altri amici di messer Giovanni vi furono tagliati e
-morti. Per la qual cosa, al matto movimento aggiunto la vergogna e il
-danno, generò fellonia e sdegno in messer Giovanni, e conceputo nel
-petto, propose nella mente di tentare cose quasi incredibili a poterli
-venire fatte, secondo il suo piccolo e povero stato, le quali per molto
-studio copertamente, come vedere si potrà appresso, condusse al suo
-intendimento.
-
-
-CAP. LIV.
-
-_Come messer Giovanni Manfredi rubellò Faenza alla Chiesa._
-
-Messer Giovanni Ricciardi de’ Manfredi avendo conceputo il tradimento
-ch’egli intendea fare, cominciò segretamente a dare ordine al fatto:
-e avvennegli bene, che il conte sopraddetto andò a corte a Vignone.
-E per alcuno sentimento di gelosia, per sicurtà menò con seco messer
-Guglielmo fratello carnale del detto messer Giovanni, come per grande
-confidenza di sua compagnia, e lasciò vececonte un Provenzale di poca
-virtù, con trecento cavalieri a sua compagnia. E oltre a ciò, lasciò
-fornite le fortezze della città e le castella di fuori. Messer Giovanni
-de’ Manfredi con molta stanzia tenea grande familiarità col vececonte,
-e con singulare studio traeva a se l’amore e la benivoglienza de’
-cittadini. E come gli parve tempo, cominciò a mettere copertamente
-fanti in Faenza a pochi insieme, e feceli ricettare a’ suoi confidenti.
-E seppe sì fare, che in poco tempo ebbe nella città cinquecento
-fanti forestieri a sua petizione, innanzi che il vececonte o alcuno
-se ne fosse accorto. Ma discordandosi da lui messer Giovanni dello
-Argentino suo consorto, per via di setta, sentì come in certa contrada
-nel contado, gli amici di messer Giovanni di messer Ricciardo non si
-trovavano, e non si sapea dove fossono. E per questo sospettando di
-tradimento, fece sentire al vececonte, com’egli sapea che gli amici di
-messer Giovanni di messer Ricciardo in cotale e in cotale parte non
-si ritrovavano, perchè temea che in Faenza non apparisse novità; il
-visconte avendo con messer Giovanni singolare amicizia e confidenza,
-non volea intendere di lui alcuno sospetto, ma provvedea al riparo. E
-appressandosi il tempo che il fatto si dovea muovere, la cosa si venia
-più scoprendo. Allora il visconte ingelosito mandò a fare richiedere
-degli amici di messer Giovanni: costoro andarono prima a messer
-Giovanni a sapere quello ch’avessono a fare. Messer Giovanni disse
-loro: tornatevi a casa, e armatevi co’ vostri parenti e amici, e levate
-il romore. Ed egli co’ cittadini con cui egli si confidava, e co’ fanti
-che avea messi in Faenza s’andò ad armare, e accolto il suo aiuto, uscì
-delle case armato, e fecesi forte a’ suoi palagi. Levato il romore, il
-visconte fu a cavallo co’ suoi cavalieri e con fanti appiè soldati, e
-dirizzossi alle case di messer Giovanni, ove sentiva la gente armata.
-E giunto al luogo, trovando messer Giovanni co’ suoi armati cominciò a
-combattere con loro fortemente. Messer Giovanni co’ suoi si difendeva
-virtudiosamente, sostenendo il dì e la notte, senza perdere della
-piazza. La mattina messer Giovanni prese una parte della sua gente, e
-misesi sul fosso della città, onde attendea soccorso da alcuni suoi
-amici di fuori, e sforzandosi il visconte di levarlo di quel luogo,
-non ebbe podere. La gente venne, e misono un ponte, ch’aveano fatto
-però, sopra il fosso, e atati da quelli d’entro valicarono senza
-contrasto, e furono trecento fanti di Valdilamone, e altri amici di
-messer Giovanni, e due bandiere di quaranta cavalieri che vi mandò il
-signore di Ravenna. Il Provenzale sbigottito per codardia, avendo la
-maggior parte de’ cittadini in suo aiuto, e tutte le fortezze della
-città in sua guardia, e l’aiuto delle masnade di santa Chiesa a cavallo
-e a piè, ed essendo vincitore, standosi fermo, tanta viltà gli occupò
-la mente, ch’egli abbandonò le fortezze della terra, e la libera
-signoria ch’egli avea nelle sue mani, e tutto il suo onore, e non stato
-cacciato, abbandonò la città, e fuggissi a Imola colla sua gente, ove
-per reverenzia di santa Chiesa fu ricevuto, e raccettato mansuetamente.
-E abbandonata per costoro la città di Faenza e le sue fortezze, messer
-Giovanni di messer Ricciardo de’ Manfredi ne rimase libero signore.
-E incontanente si collegò col capitano di Forlì, e col signore di
-Ravenna, e co’ signori di Bologna, che temeano della Chiesa, perchè per
-tirannia teneano le città contro al volere della Chiesa, e segretamente
-davano aiuto e consiglio a messer Giovanni, acciocchè Faenza e Romagna
-non rimanesse all’ubbidienza della Chiesa. Questo appresso si dimostrò
-manifestamente, come leggendo nostro trattato si potrà trovare. E
-questo rubellamento avvenne a dì 27 di febbraio del detto anno.
-
-
-CAP. LV.
-
-_Come il capitano di Forlì prese Brettinoro per assedio._
-
-Del mese di maggio seguente, gli anni _Domini_ 1350, il capitano di
-Forlì vedendo che la Chiesa avea perduta Faenza, essendosi collegato
-co’ tiranni di Bologna, con quello di Ravenna e di Faenza, che
-desideravano al tutto svegliere la Chiesa di Romagna e la sua forza;
-conoscendo il tempo fece suo sforzo, e andò ad assedio al castello di
-Brettinoro, ch’era molto forte e bene fornito. E ivi stando lungamente,
-la Chiesa non lo soccorreva per avarizia, ma scrivea a’ signori di
-Bologna, i quali amavano che si perdesse, e ai comuni di Toscana, che
-aiutassono al conte di Romagna a soccorrerlo senza darli forza di gente
-d’arme. E stando d’oggi in domane a speranza dell’aiuto degl’Italiani,
-non avendo alcuna forza da se, il conte si trovò ingannato. Il
-capitano stringeva gli assediati con ogni argomento, i quali disperati
-di soccorso, in prima i terrazzani s’arrenderono al capitano, e
-appresso quelli della rocca la dierono per danari, che bene la poteano
-lungamente difendere. Ma la viltà del non sentire apparecchiare
-soccorso gli fece affrettare a trarre il loro vantaggio.
-
-
-CAP. LVI.
-
-_Come i cristiani d’Europa cominciarono a venire al perdono._
-
-Negli anni di Cristo della sua natività 1350, il dì di Natale, cominciò
-la santa indulgenza a tutti coloro che andarono in pellegrinaggio a
-Roma, facendo le vicitazioni ordinate per la santa Chiesa alla basilica
-di santo Pietro, e di san Giovanni Laterano, e di santo Paolo fuori di
-Roma: al quale perdono uomini e femmine d’ogni stato e dignità concorse
-di cristiani, con maravigliosa e incredibile moltitudine, essendo di
-poco tempo innanzi stata la generale mortalità, e ancora essendo in
-diverse parti d’Europa tra’ fedeli cristiani; e con tanta devozione
-e umilità seguivano il romeaggio, che con molta pazienza portavano
-il disagio del tempo, ch’era uno smisurato freddo, e ghiacci e nevi
-e acquazzoni, e le vie per tutto disordinate e rotte: e i cammini
-pieni di dì e di notte d’alberghi, e le case sopra i cammini non erano
-sofficienti a tenere i cavalli e gli uomini al coperto. Ma i Tedeschi e
-gli Ungheri in gregge, e a turme grandissime, stavano la notte a campo
-stretti insieme per lo freddo, atandosi con grandi fuochi. E per gli
-ostellani non si potea rispondere, non che a dare il pane il vino e
-la biada, ma di prendere i danari. E molte volte avvenne, che i romei
-volendo seguire il loro cammino, lasciavano i danari del loro scotto
-sopra le mense, loro viaggio seguendo: e non era de’ viandanti chi gli
-togliesse, infino che dell’ostelliere venia chi gli togliesse.
-
-Nel cammino non si facea riotte nè romori, ma comportava e aiutava
-l’uno all’altro con pazienza e conforto. E cominciando alcuni ladroni
-in Terra di Roma a rubare e a uccidere, dai romei medesimi erano
-morti e presi, aiutando a soccorrere l’uno l’altro. I paesani faceano
-guardare i cammini, e spaventavano i ladroni: sicchè secondo il
-fatto, assai furono sicure le strade e’ cammini tutto quell’anno.
-La moltitudine de’ cristiani ch’andavano a Roma era impossibile a
-numerare: ma per stima di coloro ch’erano risedenti nella città, che
-il dì di Natale, e de’ dì solenni appresso, e nella quaresima fino
-alla pasqua della santa Resurrezione, al continovo fossono in Roma
-romei dalle mille migliaia alle dodici centinaia di migliaia. E poi per
-l’Ascensione e per la Pentecoste più di ottocento migliaia; essendo
-pieni i cammini il dì e la notte, come detto è. Ma venendo la state
-cominciò a mancare la gente per l’occupazione delle ricolte, e per
-lo disordinato caldo; ma non sì, che quando v’ebbe meno romei, non
-vi fossono continovamente ogni dì più di dugento migliaia d’uomini
-forestieri. Le vicitazioni delle tre chiese, movendosi d’onde era
-albergato catuno, e tornando a casa, furono undici miglia di via. Le
-vie erano sì piene al continovo, che convenia a catuno seguitare la
-turba a piede e a cavallo, che poco si poteva avanzare; e per tanto
-era più malagevole. I romei ogni dì della visitazione offerivano a
-catuna chiesa, chi poco, e chi assai, come gli parea. Il santo sudario
-di Cristo si mostrava nella chiesa di san Pietro, per consolazione de’
-romei, ogni domenica, e ogni dì di festa solenne; sicchè la maggior
-parte de’ romei il poterono vedere. La pressa v’era al continovo
-grande e indiscreta. Perchè più volte avvenne, che quando due, quando
-quattro, quando sei, e tal’ora fu che dodici vi si trovarono morti
-dalla stretta, e dallo scalpitamento delle genti. I Romani tutti erano
-fatti albergatori, dando le sue case a’ romei a cavallo; togliendo per
-cavallo il dì uno tornese grosso, e quando uno e mezzo, e talvolta due,
-secondo il tempo; avendosi a comprare per la sua vita e del cavallo
-ogni cosa il romeo, fuori che il cattivo letto. I Romani per guadagnare
-disordinatamente, potendo lasciare avere abbondanza e buono mercato
-d’ogni cosa da vivere a’ romei, mantennero carestia di pane, e di
-vino e di carne tutto l’anno, facendo divieto, che i mercatanti non vi
-conducessono vino forestiere, nè grano nè biada, per vendere più cara
-la loro. Valsevi al continovo uno pane grande di dodici o diciotto
-once a peso, danari dodici. E il vino soldi tre, quattro, e cinque il
-pitetto, secondo ch’era migliore. Il biado costava il rugghio, ch’era
-dodici profende comunali, a comperarlo in grosso, quasi tutto l’anno,
-da lire quattro e soldi dieci in lire cinque: il fieno, la paglia,
-le legne, il pesce, e l’erbaggio vi furono in grande carestia. Della
-carne v’ebbe convenevole mercato, ma frodavano il macello, mescolando
-e vendendo insieme, con sottili inganni, la mala carne colla buona. Il
-fiorino dell’oro valeva soldi quaranta di quella moneta. Nell’ultimo
-dell’anno, come nel cominciamento, v’abbondò la gente e poco meno. Ma
-allora vi concorsono più signori, e grandi dame, e orrevoli uomini, e
-femmine d’oltre a’ monti e di lontani paesi, ed eziandio d’Italia, che
-nel cominciamento o nel mezzo del tempo: e ogni dì presso alla fine si
-faceano delle dispensagioni, del vicitare le chiese, maggiori grazie.
-E nell’ultimo, acciocchè niuno che fosse a Roma, e non avesse tempo
-a potere fornire le visitazioni, rimanesse, senza la grazia, senza
-indulgenzia de’ meriti della passione di Cristo, fu dispensato infino
-all’ultimo dì, che catuno avesse pienamente la detta indulgenzia. E
-così fu celebrato questo anno del santo giubbileo la dispensagione
-de’ meriti della passione di Cristo, e di quelli della santa Chiesa, e
-remissione de’ peccati de’ fedeli cristiani.
-
-
-CAP. LVII.
-
-_Perchè s’intramesse il dificio d’Orto san Michele._
-
-Era cominciato innanzi alla mortalità il nobile edificio del palagio
-sopra dodici pilastri nella piazza d’Orto san Michele, per farvi
-granai per lo comune, acciocchè si stesse in continua provvisione di
-grano e di biada, per sovvenire il popolo al tempo della carestia.
-Ma avvedendosi il comune, che il minuto popolo era ingrassato e
-impoltronito dopo la mortalità, e non volea servire agli usati
-mestieri, e voleano per loro vita le più care e le più dilicate cose
-che gli altri antichi cittadini, e con questo disordinavano tutta la
-città, volendo di salario le fanti, femmine rozze e senza essere ausate
-a servigio, e i ragazzi della stalla, il meno fiorini dodici l’anno,
-e i più sperti diciotto e ventiquattro l’anno: e così le balie, e gli
-artefici minuti manuali, volevano tre cotanti o appresso che l’usato,
-e i lavoratori delle terre voleano tutti buoi e tutto seme, e lavorare
-le migliori terre, e lasciare l’altre: pensarono i nostri rettori con
-buono consiglio, di mettere ordine alle cose, e raffrenare i soperchi
-con certe leggi, ma per cosa che fare sapessono, a questa volta non vi
-poterono porre rimedio, e convenne che a Dio si lasciasse il corso e
-l’addirizzamento di quelli soperchi, i quali ancora nel 1362 durano,
-poco corretti, o mancati. Perocchè l’abbondanza del guadagno corrompeva
-il comune corso del ben vivere, pensarono che più utile era raffrenare
-lo ingrato e sconoscente popolo la carestia, che la dovizia. E allora
-si rimase coperto d’un basso tetto l’edificio del palagio d’Orto san
-Michele. E il comune avendo bisogno, raddoppiò la gabella del vino alle
-porte, e dove pagava soldi trenta il cogno, lo recò in soldi sessanta.
-E chi vendesse vino a minuto, dovesse pagare de’ due danari l’uno
-al comune. E dinuovo puosono soldi due a ogni staio di farina che si
-logorasse nella città, e danari quattro alla libbra della carne, e che
-lo staio del sale si vendesse per lo comune lire cinque e soldi otto.
-E non vollono che provvisione di grano o di biada si facesse per lo
-comune, ma in contradio ordinarono, che tutto il pane vendereccio si
-facesse per lo comune, e vendessesi caro: e quale fornaio ne volesse
-fare per vendere, pagasse d’ogni staio soldi otto di gabella al comune.
-Queste furono cose di grande gravezza; ma tanto era l’utile che traeva
-d’ogni cosa il minuto popolo, che meno se ne curavano che i maggiori
-cittadini.
-
-
-CAP. LVIII.
-
-_Come la Chiesa mandò il conte per racquistare la contea di Romagna._
-
-In questo anno 1350, parendo al papa e a’ cardinali, con vergogna
-di santa Chiesa avere perduta la signoria e la propietà di Romagna,
-ordinarono di volerla racquistare per forza; e avendo papa Clemente
-sesto volontà d’accrescere onore e stato a messer Astorgio di
-Duraforte, conte di Romagna, suo parente, il fece capitano della gente
-che la Chiesa intendea di mettere in arme a questo servigio. Il quale
-accolse quattrocento cavalieri gentiluomini in Proenza, e fece suo
-maliscalco messer Rostagno da Vignone della casa de’ Cavalierri, pro’
-e ardito e valoroso cavaliere. E la Chiesa gli ordinò uno tesoriere,
-che ricogliesse i danari, e convertissegli ne’ soldi e negli altri
-bisogni che occorressono alla guerra, a volontà del conte. E innanzi
-che il conte si movesse di Proenza, fece a Firenze e a Perugia soldare
-ottocento cavalieri e mille masnadieri di buona gente d’arme. E oltre a
-ciò, il papa con molta istanza fece richiedere i tiranni di Lombardia,
-catuno per se, e i comuni di Toscana, che dovessono aiutare al conte
-racquistare Romagna. L’arcivescovo di Milano gli mandò cinquecento
-barbute: messer Mastino della Scala glie ne mandò dugento: i tiranni
-di Bologna glie ne mandarono dugento: il marchese di Ferrara cento;
-i comuni di Toscana non vi mandarono loro gente. Il conte di Romagna
-avendo i suoi cavalieri e masnadieri, e questo aiuto, a dì 13 di maggio
-del detto anno si partì d’Imola, e addirizzossi al ponte san Brocolo;
-ed essendo il ponte molto afforzato e bene guernito di gente alla
-difesa per lo signore di Faenza, a dì 15 del detto mese, con aspra
-e dura battaglia combatterono la fortezza e vinsonla, che fu assai
-prospero cominciamento. E rafforzata la bastita del ponte, e messovi le
-guardie per difendere il passo, con tutta sua cavalleria s’addirizzò a
-Salervolo, uno castello presso a Faenza a cinque miglia, il quale non
-era murato, nè fortezza, nel luogo, che avendolo vinto fosse grande
-acquisto. E ivi puose l’assedio, lasciando per mala provvisione di
-porsi a Faenza, ch’era male fornita e poco intera alla difesa, e i
-cittadini non amavano la signoria del nuovo tiranno, e però fu reputato
-pe’ savi follemente fatto. Il tiranno di Faenza, messer Giovanni di
-messer Ricciardo Manfredi, che stava in grande paura della città,
-sentendo posta l’oste a Salervolo, fu molto contento, e prese cuore
-alla difesa; e di subito mise masnadieri in Salervolo, che avea soldati
-in Toscana, sperti a sapere guardare le castella, i quali francamente
-difesono la terra di molte battaglie che ’l conte vi fece dare,
-durandovi l’assedio dal dì 17 di maggio, fino a dì 6 del prossimo mese
-di luglio, senza lasciarsi avanzare alcuna cosa.
-
-
-CAP. LIX.
-
-_Processo de’ traditori di Romagna, e di certi Provenzali._
-
-Seguita il processo de’ traditori, che si provvedeano con molta
-sagacità a ingannare l’uno l’altro, e catuno infine con la sua parte
-dell’impresa rimase disfatto e ingannato. E dell’attizzamento di questa
-maladetta favilla crebbe fuoco, il cui fumo corruppe tutta Italia,
-e offuscò gli occhi a’ liberi popoli, e ottenebrò la vista de’ sacri
-pastori, e fu cagione di nuovi avvenimenti di signori, e di grandi e
-gravi revoluzioni di stati, come seguendo a’ loro tempi racconteremo.
-Per questa impresa della Chiesa, i tiranni di Bologna, che allora erano
-messer Giovanni e messer Iacopo di messer Taddeo di Romeo de’ Peppoli
-di Bologna, avendo occupata la città alla Chiesa di Roma sotto certo
-censo, ed essendo in grande stato e pompa nella signoria, temeano che
-la Chiesa non racquistasse la signoria di Romagna; e dall’altra parte
-si tenea dissimulando per lo conte, che per lo loro caldo e favore
-messer Giovanni Manfredi avesse rubellata Faenza alla Chiesa, e che
-segretamente atassono a mantenere la difesa. E però il conte, che
-era più sperto in coperta malizia, che in aperta prodezza o virtù,
-continovo attendeva a tendere suoi lacci, come i tiranni i loro, e
-mostravansi insieme con molta confidanza e grande amistà, e davansi
-aiuto e consiglio l’uno all’altro, coperto di frode e di dolo.
-
-
-CAP. LX.
-
-_Come messer Giovanni de’ Peppoli cercò accordo dal conte a messer
-Giovanni._
-
-In fra ’l tempo già detto dell’assedio di Salervolo, crescendo
-continuo la forza del conte per lo sussidio de’ danari della Chiesa, e
-dell’amistà che giugnea in aiuto al conte, messer Giovanni de’ Peppoli,
-per tenere in tranquillo il conte e farli perdere tempo, cominciò
-un trattato, di voler riducere messer Giovanni Manfredi di Faenza
-all’ubbidienza di santa Chiesa: e mandò a dire al conte che volea
-essere in ciò mezzano, facendo a santa Chiesa riavere suo diritto e
-suo onore. Il conte, ch’era di natura e di studio malizioso, si mostrò
-molto contento di voler seguire questo trattato, mostrando in questo,
-e nell’altre cose, volersi reggere per suo consiglio, dicendo, che
-così aveva in mandato dal santo padre: e nondimeno sapea al certo,
-che per operazione de’ signori di Bologna, e del capitano di Forlì,
-e co’ loro danari, al presente era entrato il doge Guernieri con
-cinquecento barbute alla difesa di Faenza. E dato lo intendimento a
-messer Giovanni, acciocchè seguisse il trattato, egli con sollecitudine
-mandava in Faenza suoi ambasciadori, e nell’oste al conte, e mostravasi
-già il trattato venire a concordia. Allora il conte mandò a dire
-a messer Giovanni a Bologna per li suoi medesimi ambasciadori, che
-innanzi che fermasse la concordia, volea essere personalmente con lui
-in Bologna, o dovunque gli piacesse, per dare compimento a questo,
-e ragionargli d’altre segrete cose, che dal santo padre avea in
-commissione di conferire con lui: e però mandasse a dire dove e’ volea
-ch’egli venisse, che avuta la risposta, con piccola compagnia subito
-sarebbe a lui.
-
-
-CAP. LXI.
-
-_Come messer Giovanni de’ Peppoli andò nell’oste, e fu preso._
-
-Messer Giovanni de’ Peppoli signore di Bologna, avendo dal conte
-dimostramento di tanta libertà, e sentendo che il papa l’amava e
-davali molta fede, prese sicurtà per lo trattato ch’egli menava, e
-perchè aveva nell’oste del conte dugento suoi cavalieri, e avea grande
-amistà con molti altri conestabili dell’oste. E volendo mostrare
-al conte com’egli era fedele di santa Chiesa, per ricoprire le sue
-coperte operazioni fatte contro a quella, secondo la malizia del conte,
-pervenne a sua volontà: e contro al consiglio di messer Iacopo suo
-fratello, di presente prese in sua compagnia de’ maggiori cittadini
-di Bologna, e di suoi soldati trecento cavalieri, e promettendo al
-fratello che non passerebbe Castel san Pietro, si mise a cammino.
-Ed essendo giunti la mattina a buon ora a Castel san Pietro, come il
-peccato conduce, e le fini de’ tiranni s’apparecchiano per non pensato
-sentiere, come si vide a Castel san Pietro non attese la promessa al
-fratello, ma volendo improvviso e tosto giugnere al conte, cavalcò
-senza arresto: e prima fu giunto al padiglione del conte, che sapesse
-che vi dovesse venire; e scavalcato, il conte il ricevette con grande
-festa, mostrandogli ne’ sembianti amore fraternale; e molto s’allegrava
-con lui della sua cortese venuta. E questo fu a dì 6 di luglio in
-sulla nona, che ’l caldo era grande. Innanzi fece venire vini, frutte
-e confetti, per fare rinfrescare lui e la sua brigata ch’erano ivi;
-e in questo soggiorno, veggendosi il conte tra le mani il tiranno
-di Bologna, o ch’egli avesse prima pensato il tradimento, o che
-subitamente l’animo il tirasse all’inganno, bevendo e mangiando insieme
-in grande sollazzo, mandò il suo maliscalco a fare armare cavalieri
-e masnadieri cui egli volle, dando voce di fare assalto a quelli di
-Salervolo. E come furono armati, fece promettere a’ conestabili paga
-doppia e mese compiuto, acciocchè non si mettessono alla difesa del
-signore di Bologna. Messer Giovanni che avea bevuto e mangiato, e preso
-rinfrescamento a volontà del conte, attendea che il conte gli parlasse:
-e non vedendo che ne facesse sembiante, disse a quelli ambasciadori
-che quella ambasciata gli aveano portata, che dicessono al conte che si
-dovea diliberare; e già cominciava a dubitare. Il conte rispuose, che
-attendeva il suo maliscalco, che di presente vi sarebbe, e fornirebbono
-loro parlamento. Ancora erano le parole, quando messer Rostagno
-maliscalco dell’oste giunse colla gente armata al padiglione del conte
-ove messer Giovanni attendea, e fugli intorno: e apparecchiatogli
-uno cavallo de’ suoi, disse: messer Giovanni, montate qui su: e
-immantinente vi fu posto più tosto che non vi sarebbe montato, e
-senza contesa o difesa, di salto fu menato prigione a Imola. Uno suo
-famiglio cominciò a gridare e a piagnere, dicendo: oimè, signore mio:
-e di presente gli fu morto a’ piedi. E giunto in Imola, fu messo nella
-rocca, e ordinatogli buona guardia. I cittadini di Bologna, e tutta
-la compagnia che avea menata di Bologna, e i dugento cavalieri che
-avea tenuti nell’oste in servigio del conte, in quella medesima ora,
-come preda di nimici vinta in battaglia, furono presi, e rubato loro
-l’arme, e’ cavalli, e arnesi, e i soldati così rubati furono cacciati
-del campo; e i cittadini di Bologna furono tenuti prigioni alquanti dì,
-e manifestato per tutto il grande tradimento, furono lasciati. E messer
-Giovanni rimase in prigione: il quale, dappoichè pervenne alla tirannia
-di Bologna, non tenne fede a parte guelfa, nè a’ suoi cittadini,
-nè a’ Fiorentini, nè all’altre città di sua vicinanza: e però forse
-degnamente con tradimento fu punito della sua corrotta fede.
-
-
-CAP. LXII.
-
-_Come il conte scoperse l’altro trattato che avea con messer Mastino._
-
-Non ostante che il conte tenesse trattato con messer Giovanni de’
-Peppoli, avea trattato con messer Mastino della Scala, che venendo
-egli sopra la città di Bologna gli darebbe mille cavalieri in aiuto
-infino a guerra finita. Onde essendo venuto fatto al conte d’avere
-messer Giovanni a prigione, prese grande speranza d’avere Bologna con
-l’aiuto di messer Mastino. E significatoli il fatto, e domandatoli
-l’aiuto promesso, a dì 10 di luglio, del detto anno 1350, si levò
-da Salervolo, e venne a Imola con tutta l’oste. E come uomo di poca
-discrezione e provvedenza promise un’altra volta paga doppia e mese
-compiuto a’ suoi cavalieri, se per forza pigliassono Castel san Pietro.
-I quali cavalieri di presente andarono al detto castello, che non era
-fornito di gente nè provveduto alla difesa, e senza trovarvi resistenza
-in poca d’ora l’ebbono preso, che non vi morirono quattro persone.
-E così in meno di dieci dì i soldati del conte ebbono per vituperose
-cagioni guadagnate due paghe doppie e due mesi compiuti, che montarono
-un grande tesoro: e non parea che il conte se ne curasse, se non come
-avesse a distribuire il tesoro di santa Chiesa. Le quali promesse
-follemente fatte, con l’altre follie della sua pazza condotta, al fine
-rendè il merito a santa Chiesa della provvisione di sì fatto capitano,
-chente la disciplina della guerra richiede. Ed essendo il conte
-con l’oste a Castel san Pietro, messer Mastino gli mandò ottocento
-cavalieri, per compiere i mille che promesso gli avea, ov’egli venisse
-all’assedio di Bologna, come detto è addietro.
-
-
-CAP. LXIII.
-
-_Come messer Iacopo Peppoli rimaso in Bologna si provvidde alla difesa._
-
-Infra queste sopraddette tempeste, messer Iacopo de’ Peppoli ch’era
-rimaso in Bologna sentendo preso il fratello, e che l’oste del conte
-avea preso Castel san Pietro, e venia sopra lui a Bologna: e come
-messer Mastino signore di Verona e di Vicenza s’era scoperto suo
-nimico, non sapea che si fare; ma come la necessità intrigata dalla
-paura argomenta, mandò per soccorso al signore di Milano, e al marchese
-di Ferrara, e al comune di Firenze, e in ogni parte onde sperava
-avere alcuno aiuto o consiglio; e mandate le lettere e’ messaggi,
-richiese con grande istanza i cittadini di Bologna, che a questo punto
-soccorressono al suo e al loro pericolo. I quali già domati dal servile
-giogo della tirannia, essendo venuto il tempo della franchezza, per
-povertà d’animo, e per li loro peccati, non furono degni di cotale
-beneficio, che senza contasto a quel punto era in loro potenzia di
-tornare in libertà. E aveano il comune di Firenze vicino nimico della
-tirannia, il quale per la libertà di quel popolo avrebbe prestato
-loro aiuto e favore, e riparato allo assalto del conte, con giusta
-cagione di pace e di concordia con la santa Chiesa, disposto che il
-tiranno fosse della tirannia. Ma perocchè ne’ popoli più regna corso
-di fortuna che libertà d’arbitrio, per apparecchiarsi alle debite
-pene de’ peccati, per li quali l’empio tiranno regna, fu accecato
-il loro intendimento: e mollemente s’apparecchiarono alla difesa per
-paura del tiranno, combattuti nell’animo dall’apparecchiata libertà.
-In questo stante l’arcivescovo signore di Milano sentì la presura di
-messer Giovanni, e scoperto l’animo di messer Mastino, mandò al conte
-suoi ambasciadori dolendosi dell’ingiuria fatta a messer Giovanni suo
-amico, e di sua lega e compagnia, dimandando che di presente il dovesse
-liberare: e quando questo non facesse, mandò comandamento a’ suoi
-capitani e a’ suoi cavalieri che erano al servigio del conte, che di
-presente si dovessono partire da lui. Il conte rispuose di non volerlo
-lasciare perocchè sapea al certo ch’egli avea fatta rubellare, la città
-di Faenza alla Chiesa di Roma, e come tenea trattato col capitano di
-Forlì, e col signore di Ravenna, e con quello di Faenza, di rompergli
-l’oste a un dì nominato, e di prendere lui a grande tradimento: e
-però avea preso il traditore, e intendea tenerlo a volontà del papa
-e di santa Chiesa. E però fu comandato a’ cavalieri dell’arcivescovo
-si dovessono partire. Ma i cavalieri, e’ loro capitani, che aveano
-promesse dal conte di due paghe doppie e di due mesi compiuti, non
-si vollono partire, e rimasono cassi dal soldo dell’arcivescovo; e il
-conte con lo sfrenato animo, non guardandosi innanzi, gli condusse al
-soldo della Chiesa, facendo debito sopra debito. E riveduta sua gente,
-si trovò a Castel san Pietro con tremila barbute e con grande popolo di
-soldo.
-
-
-CAP. LXIV.
-
-_L’aiuto che messer Iacopo accolse per guardare Bologna._
-
-Stando il conte colla sua oste a Castel san Pietro, e cavalcando il
-contado di Bologna, l’arcivescovo di Milano mandò di presente trecento
-cavalieri in Bologna, per aiuto della guardia d’entro. E cominciò
-a pensare, che mantenendo messer Iacopo nella città, a poco insieme
-conducerebbe lui e la terra in tali stremi, che agevolemente all’ultimo
-ne diverrebbe signore, come in fine fatto gli venne. Messer Malatesta
-d’Arimino, ch’era allora nemico di santa Chiesa, vi venne in persona,
-e dato conforto a messer Iacopo, gli lasciò dugento cavalieri de’ suoi,
-e tornossene in Romagna. I Fiorentini per niuno modo vi vollono mandare
-alcuna gente per riverenzia della Chiesa, ma incontanente vi mandarono
-ambasciadori a cercare se tra loro e il conte potessero metter
-pace o accordo; e più volte andarono da Bologna al conte senza fare
-alcuno frutto tra le parti. Messer Iacopo vedendosi più l’uno dì che
-l’altro infiebolire, condusse il doge Guernieri ch’era in Faenza con
-cinquecento barbute; il quale volendo andare a Bologna, convenne che
-valicasse per lo distretto del comune di Firenze nell’alpi, ove lieve
-era a impedire per li stretti passi, ed egli era nimico del comune, e
-andava contro a santa Chiesa. Trovossi che fu fattura de’ priori che
-allora erano all’uficio senza sentimento degli altri cittadini; della
-qual cosa in Firenze ne fu grande ripitio, ma fatta la cosa si rimase a
-tanto, e il doge passò senza impedimento, e con tutta sua compagnia se
-n’entrò in Bologna.
-
-
-CAP. LXV.
-
-_Del male stato che si condusse la città di Bologna, e di certi
-trattati che allora si tennono._
-
-Come il duca Guernieri co’ suoi cavalieri fu in Bologna, prese per suo
-abituro una contrada, e in quella volle le case, e le masserizie, e
-quello che in esse trovò da vivere, come se egli avesse presa la terra
-per forza: e non era chi osasse parlare contro a suo volere. Gli altri
-soldati all’esempio di costui cominciarono a fare il simigliante.
-I nimici di fuori cavalcavano ogni dì intorno alla terra, pigliando
-gli uomini, e predando le ville del contado, venendo spesso fino alle
-porti. Per la qual cosa la città cominciò a sentire grandissimi disagi
-e carestia d’ogni bene, e i cittadini oppressati dentro e di fuori,
-non sapendo che si fare, e non trovando accordo col conte per ambiziosa
-superbia, messer Iacopo e’ cittadini di Bologna, di grande concordia,
-e d’uno consentimento, vollono dare la guardia di Bologna libera al
-comune di Firenze, disponendosi al tutto di volere lasciare la signoria
-messer Iacopo, sperando che ciò fatto, colla Chiesa non mancherebbe
-accordo. E nel vero questa era salutevole via: ma certi cittadini
-popolani di Firenze della casa ... che aveano in quel tempo stato in
-Firenze, ed erano per la Chiesa al servigio del conte e del tesoriere,
-per loro spezialità avvisandosi, che venendo Bologna alle mani della
-Chiesa, come speravano, e’ ne sarebbono governatori, e farebbonsene
-ricchi e grandi; e per questa cagione smossono i loro amici cittadini
-grandi e popolani: ed eglino medesimi essendo a consigliare quello
-ch’era grandezza e stato del loro comune, e riposo di tutta Italia, si
-opposono al contradio, dicendo, che il comune n’offenderebbe troppo il
-papa, e’ cardinali e la santa Chiesa. Ed essendo favoreggiati da’ loro
-amici, ebbono podere di non lasciare imprendere al comune di Firenze
-questo servigio, e commisono grande materia di molto male a tutta
-Italia, e non pervennono alla loro corrotta intenzione. I Bolognesi
-disperati di questo, ove riposava tutta la loro speranza, e ’l conte
-montato nella cima della sua superbia, coloro non sapevano più che si
-fare, e il conte credendo senza contasto venire al suo intendimento
-d’avere la città per forza, essendo stato infino al settembre a Castel
-san Pietro, volle muovere l’oste, e porsi su le porti di Bologna; e
-sarebbegli venuto fatto, tanto erano i cittadini oppressati da’ soldati
-d’entro, e in disagio di tutte le cose da vivere, le quali al continuo
-montavano in disordinata carestia, e non aveano capo a cui i cittadini
-e’ forestieri ubbidissono, ma come la mala provvedenza del conte
-meritò, i soldati mossono quistione come appresso diviseremo.
-
-
-CAP. LXVI.
-
-_Come i soldati mossono quistione al conte, e fu loro assegnato messer
-Giovanni Peppoli._
-
-La mala provvedenza del conte di Romagna avendo moltiplicata gente
-d’arme al suo soldo, e promesse paghe doppie e mesi compiuti per
-niente, e dalla Chiesa non aveva i danari, come la sua follia avea
-stimato: i soldati conoscendo loro tempo, essendo a pagare di parecchi
-mesi di loro propi soldi, senza le promesse del conte, dissono, che di
-quel luogo non si partirebbono, se prima non fossono pagati de’ loro
-soldi serviti, e delle paghe doppie e mesi compiuti che promessi avea
-loro. Il quale soldo, colle promesse fatte, montava centocinquanta
-migliaia di fiorini d’oro. Il conte vedendo che la Chiesa non gli
-mandava danari, se non a stento, e a pochi insieme, temette che i
-soldati, ch’erano tutti di concordia, a uno volere non lo pigliassono,
-trattò con loro d’avere termine da fare venire loro danari, e diede
-loro in pegno messer Giovanni de’ Peppoli, e certi Bolognesi che avea
-prigioni a Imola, e Castel san Pietro, e quello di Luco, e quello di
-Doccia, ch’egli avea acquistati in sul Bolognese: e fu con loro in
-accordo, come avessono la possessione di tutto, allora cavalcherebbono,
-e porrebbonsi a campo stretto alla città di Bologna. Il conte fece
-dare loro i prigioni e la guardia delle castella, e avutole, volea
-che cavalcassono. I soldati colla corrotta fede, usati de’ baratti,
-dissono che ’l pegno non era buono, e non voleano cavalcare nè partirsi
-da Castel san Pietro. Messer Giovanni de’ Peppoli sentendo questo,
-di presente ebbe de’ conestabili, e trattò con loro di dare contanti
-fiorini ventimila d’oro, e per stadichi i suoi figliuoli e quelli
-di messer Iacopo suo fratello, e certi cittadini di Bologna per lo
-rimanente, ed elli li liberassono di prigione. L’accordo fu fatto
-con assentimento del conte, se infra certo tempo la Chiesa non avesse
-mandati i danari. Venuto il termine, e non i danari, i soldati presono
-fiorini ventimila contanti, e gli stadichi promessi, e lasciarono
-messer Giovanni, il quale tornò in Bologna, e il fratello e la parte
-loro furono più forti, e signori di potere fare della città a loro
-senno, senza la volontà e consiglio de’ loro cittadini, perocchè messer
-Giovanni era molto temuto, e sapeva bene essere co’ soldati ne’ fatti
-della guerra.
-
-
-CAP. LXVII.
-
-_Come messer Giovanni tenne suoi trattati della città di Bologna._
-
-Tornando messer Giovanni in Bologna, e lasciati a’ soldati della
-Chiesa gli stadichi promessi, trovò la città in molto male stato per
-le cagioni già dette, e non vide modo come difendere si potesse, e
-conobbe che perdere gli convenia la signoria di Bologna in breve tempo.
-I cittadini di Firenze, che desideravano l’accordo di quella città
-colla Chiesa, sentendo tornato in Bologna messer Giovanni, vi mandarono
-de’ loro cittadini più solenne ambasciata, i quali da’ tiranni furono
-ricevuti a onore, e di loro volontà trattarono accordo col conte, e
-condussono il trattato a questo punto. Che i tiranni lasciassono al
-tutto la signoria della città e contado, e renderla alla Chiesa di
-Roma per lo modo usato: ch’ella tornasse al governamento del popolo,
-e avere continuo i rettori della Chiesa, e pagare il censo consueto;
-e al presente voleano ricevere nella città il conte con cinquecento
-cavalieri, e riformare doveano loro stato al popolo, per quelli
-cittadini che ’l comune di Firenze vi mandasse a ciò fare. Il conte
-che avea provati i rimprocci de’ soldati, e il pericolo che correa
-con loro, dichinava le corna della sua superbia, e acconciavasi alla
-detta concordia. Ma come pomposo e vano, si strinse al consiglio di
-questo partito che potea pigliare con messer Guglielmo da Fogliano,
-e con messer Frignano, figliuolo bastardo di messer Mastino, e altri
-conestabili che v’erano per messer Mastino, i quali non v’erano tanto
-per onore di santa Chiesa, quanto per loro vantaggio, per cui faceva
-la guerra, e speravano con loro malizia conducere la città di Bologna
-piuttosto in mano del loro signore, che del conte e della Chiesa di
-Roma, i quali dissono al conte: tu vedi che i signori di Bologna non
-possono più, e la città è condotta a tanta stremità dentro, che delle
-mani tue non puote uscire: e però non pensare a questi patti, che noi
-te ne faremo libero signore colla spada in mano. Il conte pomposo,
-pieno di vanagloria, con lieve testa, non pensò i casi che occorrono
-nelle guerre, e per le vane promesse de’ fallaci adulatori ruppe il
-trattato menato per gli ambasciadori del comune di Firenze fedelmente,
-a onore e a beneficio di santa Chiesa, e a ricoveramento di riposo al
-fortunoso stato di quella città. Vedendo i tiranni la sconcia volontà
-del conte, si pensarono con tradimento de’ loro cittadini e della loro
-patria venire a un altro loro intendimento, già mosso per la malizia
-e per lo sdegno di messer Giovanni; e però, acciocchè più copertamente
-a’ loro cittadini potessono fare l’inganno, dissono che al tutto erano
-diliberati mettere Bologna nella guardia del comune di Firenze. E a
-questo i Bolognesi e grandi e piccoli di buona voglia s’accordarono,
-e sotto questa concordia elessono tre de’ maggiori cittadini di cui
-il popolo faceva maggiore capo, e quasti tre con altri compagni, e con
-pieno mandato, mandarono a Firenze con diversi intendimenti. Il popolo
-credendosi racquistare libertà e pace sotto la protezione del comune di
-Firenze, e i tiranni avendone tratti i caporali del popolo, pensarono
-senza contasto, come fatto venne loro, di venire a loro intendimento,
-di potere vendere la città e i suoi cittadini all’arcivescovo di
-Milano. Gli ambasciadori in fede e con grandissima affezione vennono
-a Firenze, e spuosono la loro ambasciata, solennemente dinanzi a’
-signori, e a’ loro collegi, e a molti altri grandi e buoni cittadini
-di Firenze, richiesti e adunati per la detta cagione. E il dicitore
-fu messer Ricciardo da Saliceto, famoso dottore di legge, e la sua
-proposta fu: _Ad Dominum cum tribularer clamavi, ec._ E con nobile
-ed eccellente orazione, e con efficaci ragioni e induttivi argomenti,
-conchiuse la sua dimanda, a inducere il comune di Firenze a prendere
-la guardia della città e de’ cittadini di Bologna. I governatori del
-comune di Firenze già aveano alcuna spirazione del trattato ch’e’
-tiranni di Bologna aveano col signore di Milano, e comprendevano che
-questi ambasciadori fossono mandati a inganno: nondimeno per non aversi
-a riprendere, in quello consiglio deliberarono di mandare solenni
-ambasciadori di presente a corte per trovare accordo col papa, e in
-questo mezzo di mandare cavalieri, e de’ suoi cittadini alla guardia di
-Bologna, per contentare il popolo. Ma l’altro dì vegnente fu manifesto
-a’ signori di Firenze e agli ambasciadori di Bologna, che i tiranni
-l’aveano per danari venduta all’arcivescovo di Milano; e fu per lettera
-de’ tiranni detti comandato agli ambasciadori, che non si dovessono
-partire di Firenze senza loro comandamento; allora fu al tutto la cosa
-palese, e seguitò il fatto come appresso racconteremo.
-
-
-CAP. LXVIII.
-
-_Secondo trattato di Bologna._
-
-Messer Giovanni de’ Peppoli avvelenato di sdegno della sua presura,
-vedendo che però perdea la tirannia di Bologna, avendo con non
-piccola fatica recato Messer Iacopo al suo volere, e vota la terra de’
-caporali di cui temea, e fortificata la guardia nella città, avendo
-segretamente tenuto trattato coll’arcivescovo di Milano, coll’impeto
-del suo dispettoso cuore, ebbe podere di vendere la città e’ suoi
-cittadini della sua propria patria, e da cui avea ricevuto esaltamento
-della sua signoria e onore, e niente per loro difetto del suo caso,
-cosa molto detestabile a udire. Costui vedendo che ’l suo trattato era
-scoperto, cavalcò di presente a Milano, e fermò la maledetta vendita
-per dugentomila fiorini, de’ quali si dovea dare certa parte a’
-soldati della Chiesa per riavere gli stadichi che avea loro lasciati
-per liberare la sua persona, e a lui e al fratello dovea rimanere in
-loro libertà il castello di san Giovanni in Percesena, e Nonandola e
-Crevalcuore. E tornato lui, manifestata la vendita, i Bolognesi grandi
-e piccoli si tennono soggiogati di giogo d’incomportabile servaggio, e
-molto si doleano palesemente e in occulto l’uno coll’altro; e innanzi
-che la terra si pigliasse per lo signore di Milano grande gelosia
-ebbono i traditori della patria, e molto vegghiarono e di dì e di notte
-alla guardia della città. Ma i vili e codardi cittadini non ardirono
-di levarsi contra a’ tiranni, nè a muovere romore nella terra: che se
-fatto l’avessono, leggiermente coll’aiuto del comune di Firenze, a cui
-dispiaceva la vicinanza di sì potente tiranno, sarebbe venuto fatto
-di tornare in libertà. Alcuna trista vista ne feciono mollemente, e
-in fine si lasciarono vendere e sottoporre al duro giogo, del mese
-d’ottobre gli anni di Cristo 1350.
-
-
-CAP. LXIX.
-
-_Come l’arcivescovo di Milano mandò a prendere la possessione di
-Bologna._
-
-Come l’arcivescovo di Milano ebbe fermo il patto della compera di
-Bologna con messer Giovanni, non guardò con alcuna reverenzia o debito
-di ragione che la città fosse di santa Chiesa, ma cresciuto nella
-tirannesca superbia subitamente fece apparecchiare messer Bernabò
-suo nipote, figliuolo di messer Stefano, valente uomo e di grande
-ardire, e con millecinquecento barbute di soldati eletti il mise a
-cammino, e mandollo a pigliare la tenuta di Bologna. Sentendo questa
-venuta il doge Guernieri, ch’era in bando dell’arcivescovo di Milano,
-con tutta sua masnada si partì di Bologna; e standosi fuori della
-città, accogliea gente senza soldo per fare una compagna. Messer
-Bernabò giunto alla città entrò dentro senza alcuno contasto co’ suoi
-cavalieri, e con trecento che prima avea alla guardia di Bologna vi
-si trovò con millecinquecento barbute: e prese la tenuta e la guardia
-della città e delle castella di fuori, e appresso convocò i cittadini
-a parlamento, e per forza fece loro ratificare la vendita fatta per
-i tiranni, e dinuovo aggiudicarsi fedeli dell’arcivescovo e de’ suoi
-successori. E l’obbligazioni e le carte e il saramento fece fare il
-meglio seppe divisare; e questo fu fatto all’uscita del mese d’ottobre
-1350. E così ebbe fine la tirannia della casa di Romeo de’ Peppoli,
-grandi ed antichi cittadini di Bologna, i quali erano stati onorati
-e fatti signori da’ loro cittadini, dalla cacciata del cardinale del
-Poggetto legato del papa, i quali aveano loro signoria mantenuta assai
-dolcemente co’ cittadini. Essendo di natura guelfi, per la tirannia
-erano quasi alienati dalla parte, e i Fiorentini, amicissimi di quello
-comune, trattavano in molte cose con dissimulata e corrotta fede; e
-perocchè a’ traditori della patria tosto pare che Iddio apparecchi la
-vendetta, in breve tempo seguitò a messer Iacopo e a messer Giovanni,
-per addietro tiranni di Bologna, pena del peccato commesso, come
-seguendo nostra materia racconteremo.
-
-
-CAP. LXX.
-
-_Come capitò il conte di Romagna e l’oste della Chiesa._
-
-Il conte di Romagna ventoso di superbia, e incostante per poco senno,
-il quale cotante volte potè avere con grande sua gloria e onore di
-santa Chiesa la città di Bologna, e non volutola se non colla spada
-in mano, secondo il consiglio de’ malvagi compagni, vedendola nelle
-mani del potente tiranno, vorrebbe avere creduto al consiglio de’
-Fiorentini. Non però dimeno, perocchè per tutto questo la città non era
-allargata di vittuaglia, ma piuttosto aggravata, e’ soldati erano per
-gli stadichi che aveano, per li ventimila fiorini ricevuti, allargati
-di speranza, e messer Mastino che dell’impresa dell’arcivescovo era
-dolente a cuore, offerendo al conte tutto suo sforzo di gente e di
-prestare danari alla Chiesa, confortò il conte a seguitare l’impresa.
-Il conte per questo si recò a conducere il doge Guernieri con
-milledugento barbute, uscito di Bologna, e raccolta gente come detto
-è. Messer Mastino anche vi mandò di nuovo de’ suoi cavalieri, e danari
-per comportare i soldati. E il conte fatte grandi impromesse a’ soldati
-mosse il campo da Castel san Pietro e venne con l’oste a Budri, in
-mezzo tra Bologna e Ferrara, e di là valicarono ad Argellata e a san
-Giovanni in Percesena, e ivi stettono dieci dì aspettando danari, con
-intenzione di porsi presso a Bologna dalla parte di Modena, per levare
-ogni soccorso a messer Bernabò: il quale era dentro in grande soffratta
-di vittuaglia e di strame, e male veduto da’ cittadini, e però stava
-in paura e non s’ardiva a muovere. Onde la città era a partito da
-non poter durare: e per forza convenia che tornasse alle mani della
-Chiesa, se il pagamento o in tutto o in parte fosse venuto a’ soldati.
-Ma chi si fida ne’ fatti della guerra alla vista delle prime imprese
-de’ prelati, e non considera come la Chiesa è usata a non mantenere le
-imprese, spesso se ne truova ingannato. E’ non valse al conte scrivere
-al papa, nè mandare ambasciadori, nè tanto mostrare come Bologna si
-racquistava con grande onore di santa Chiesa, assai potè dolere la
-vergogna, che l’arcivescovo di Milano facea d’avere tolta Bologna, che
-danari debiti a’ soldati, per vincere così onorevole punga, venissero
-da corte. Per tanto i soldati non si vollono strignere a Bologna, anzi
-di loro arbitrio mossero il campo e tornarono a Budri, e ivi ch’era
-luogo ubertuoso, e che ’l marchese dava copioso, si misono ad attendere
-se i danari de’ loro soldi e dell’altre promesse venissero: e ivi
-dimorarono infino a dì 28 di gennaio del detto anno, e però i danari
-non vennono. Per la qual cosa al conte parea male stare, e per paura
-di se consentì a’ soldati che trattassero d’avere le paghe sostenute e
-le paghe doppie promesse per lui da messer Bernabò, condotto in parte
-per la sua mala provvedenza, che altro non poteva fare; rimanendogli
-alcuna vana speranza, che se messer Bernabò non si accordasse con loro,
-che gli farebbono più aspra guerra, ma il tiranno s’accordò di presente
-ad accordarli e pagarli, e riavere le castella e li stadichi; e questo
-fornì de’ danari della compra che avea fatta di Bologna. In questo
-medesimo trattato, condusse settanta bandiere di Tedeschi e Borgognoni
-soldati della Chiesa al suo soldo. Ed essendo assediato, in cotanto
-pericolo ricolse gli stadichi, riebbe le castella, ruppe l’oste de’
-nimici, liberò la città dell’assedio, e in uno dì mise in Bologna in
-suo aiuto de’ cavalieri della Chiesa millecinquecento barbute; e tutto
-gli avvenne per l’avarizia de’ prelati di santa Chiesa, e per la forza
-e larghezza della sua pecunia. Il doge Guernieri colla sua compagna
-si ridusse in Doccia, e la gente di messer Mastino e del marchese di
-Ferrara si tornarono a’ loro signori: e il conte povero e vituperato
-del fine della sua impresa si tornò co’ suoi Provenzali in Imola,
-e Bologna si rimase sotto il giogo del potente tiranno, mettendo in
-paura tutta Italia, e spezialmente la parte guelfa. Abbiamo stesamente
-narrato il processo di questa guerra per esempio del pericolo che corre
-de’ folli e ambiziosi capitani: e come per troppa superbia spesse volte
-volendo tutto si perde ogni cosa: e a dimostrare come è folle chi ha
-fidanza de’ danari della Chiesa far le imprese della guerra. Ancora
-questa rivoltura di Bologna fu cagione d’apparecchiare a tutta Italia,
-per lunghi tempi, grandi e gravi novità di guerre, come seguendo nostro
-trattato si potrà vedere.
-
-
-CAP. LXXI.
-
-_Come i Guazzalotri di Prato cominciarono a scoprire loro tirannia._
-
-Tornando a’ fatti della nostra città di Firenze, il nobile castello
-di Prato ci dà cagione di cominciare da lui, nel quale la famiglia
-de’ Guazzalotri erano i migliori e più potenti, e la loro grandezza
-procedeva perocchè erano amati sopra gli altri di quella terra dal
-comune di Firenze: ed essendo guelfi, portavano fede e ubbidienza
-grande al nostro comune. Vero è che quello comune vedendosi in
-libertà e in vicinanza de’ Fiorentini, per tema che alcuna volta
-non si sommettessono al comune di Firenze aveano provveduto, come si
-racconta nella cronica del nostro antecessore, di darsi a messer Carlo
-duca di Calavra, figliuolo del re Ruberto, e a’ suoi discendenti in
-perpetuo, con misto e mero imperio, ed egli così gli prese. Nondimeno
-si manteneano in fede e amore del comune di Firenze. Avvenne che
-morti gli antichi e savi cavalieri della casa de’ Guazzalotri, i
-quali conoscevano la loro grandezza procedere dal comune di Firenze,
-rimasonvi giovani donzelli: i quali trovandosi nella signoria di quella
-terra, mancando allora il governamento della casa reale per le fortune
-del Regno, cominciarono i giovani a trapassare l’ordine e il modo de’
-loro antecessori nel governamento di quel castello, conducendolo a
-modo tirannesco. Della quale tirannia spesso veniva richiamo a’ priori
-di Firenze, e il comune per lo antico amore che portava a quelli di
-quella casa mandava pe’ caporali, tra’ quali il maggiore e il più
-ardito e riverito da tutti a quelle stagioni era Iacopo di Zarino, e
-riprendevanli e ammonivano parentevolemente per riducerli alla regola
-de’ loro maggiori. Ma i giovani caldi nella signoria e poco savi, e
-inzigati da mal consiglio, non seguendo il consiglio de’ Fiorentini,
-l’un dì appresso all’altro più dimostravano atto tirannesco per tenere
-in paura più che in amore i loro terrazzani. E per dimostrare in
-fatto quello che aveano nella mente, feciono di subito pigliare due
-Pratesi, l’uno era uno buono uomo ricco, vecchio e gottoso, l’altro
-era un giovane notaio ricco, onesto e di leggiadra conversazione a
-cui i Guazzalotri a altro tempo aveano fatto uccidere il padre, e a
-questi due appuosono, che voleano tradire Prato, e darlo a’ Cancellieri
-di Pistoia. Sentendo questo il comune di Firenze mandò per Iacopo di
-Zarino, e per gli altri caporali de’ Guazzalotri, e pregarongli che non
-seguissono questa novità, e che i presi dovessono lasciare: perocchè
-manifestamente sapieno ch’elli erano innocenti: tornarono a Prato, e
-contro alla preghiera del comune di Firenze strussono gl’innocenti al
-giudicio: e sentendosi in Firenze, il comune vi mandò ambasciadori e
-lettere; ed essendovi gli ambasciadori del comune, e avute le lettere
-che gli richiedeano che non giudicassono a torto g’innocenti, i
-tirannelli per male consiglio s’affrettarono, e feciongli morire in
-vergogna del comune di Firenze, nella presenza de’ suoi ambasciadori. E
-fatto a catuno tagliare la testa, occuparono i loro beni indebitamente.
-
-
-CAP. LXXII.
-
-_Come i Fiorentini andarono a oste a Prato, ed ebbonne la signoria._
-
-I Fiorentini vedendo la novità delle guerre d’Italia che da ogni
-parte s’apparecchiavano con tiranneschi aguati, e come avieno la
-nuova vicinanza del potente tiranno di Milano che teneva Bologna, e
-così messer Mastino, e vedeano che i Guazzalotri, congiunti per sito
-alle porti della città di Firenze, cominciavano a usare tirannia,
-pensarono che se possanza di grande tiranno s’appressasse loro, come
-s’apparecchiava, che della terra di Prato poco si poteano fidare. E
-però con buono consiglio, subitamente e improvviso a’ Pratesi, del mese
-di settembre gli anni _Domini_ 1350, feciono cavalcare le masnade de’
-cavalieri soldati del comune, con alquanti cittadini e pedoni delle
-leghe del contado, e d’ogni parte si puosono a campo intorno a Prato, e
-senza fare preda o guasto, domandarono di volere la guardia di quella
-terra. I Pratesi smarriti del subito avvenimento, e non provveduti
-alla difesa, e avendo nella terra molti a cui la novella tirannia de’
-Guazzalotri dispiaceva, senza troppo contasto furono contenti di fare
-la volontà del comune di Firenze. E sicurati da’ cittadini che danno
-non si farebbe, dierono al comune di Firenze liberamente la guardia di
-Prato, rimanendo a’ terrazzani la loro usata giurisdizione. E il comune
-prese il castello dello imperadore e misevi castellano, e fece la terra
-guardare solennemente.
-
-
-CAP. LXXIII.
-
-_Come i Fiorentini comperarono Prato, e recaronlo al loro contado._
-
-Avendo il nostro comune la guardia di Prato presa contro la comune
-volontà de’ terrazzani, pensò che se mai tornasse in libertà, che
-i giovani in cui mano era rimasa la signoria con provvedenza la
-guarderebbono e la recherebbono a tirannia lievemente: e però sentendo
-il re Luigi e la reina Giovanna ereda del duca di Calavra, tornati
-di nuovo nel Regno, e che erano in fortuna e in grande bisogno,
-e governavansi per consiglio di messer Niccola Acciaiuoli nostro
-cittadino, feciono segretamente trattare di comperare la giurisdizione
-ch’aveano in Prato. E trovando la materia disposta per lo bisogno
-del re e della reina, e bene favoreggiata da messer Niccola detto,
-il mercato fu fatto, e pagati per lo comune fiorini diciassettemila
-e cinquecento alla reina, come fu la convegna, per solenni privilegi
-e stipulazioni pubbliche dierono al comune di Firenze ogni ragione e
-misto e mero imperio ch’aveano nella terra di Prato e nel suo contado.
-E come il comune ebbe la ragione di questa compera, improvviso a’
-Pratesi mandò alcuna forza a Prato e prese la tenuta di nuovo, e fece
-manifestare a’ Pratesi come la terra e il contado e gli uomini di quel
-comune erano liberi del nostro comune per la detta compera, e mostrar
-loro i privilegi e le carte; e questo fu del mese di... nel detto
-anno. E presa la tenuta, incontanente levò le signorie, gli ordini
-e gli statuti de’ Pratesi, e recò la terra e il contado a contado di
-Firenze, e diede l’estimo e le gabelle a quello comune come a’ suoi
-contadini, e diede loro quelli beneficii della cittadinanza e degli
-altri privilegi ch’hanno i contadini di Firenze: e ordinovvi rettori
-cittadini con certa limitata giurisdizione, recando il sangue e l’altre
-cose più gravi alla corte del podestà del comune di Firenze. Della qual
-cosa i Pratesi vedendosi avere perduta la loro franchigia, generalmente
-si tennono mal contenti, ma poterono conoscere per non sapere usare
-libertà divenire suggetti: e per la provvisione fatta di non venire
-alla signoria de’ Fiorentini, con quella in perpetuo furono legati alla
-sua giurisdizione.
-
-
-CAP. LXXIV.
-
-_Come i guelfi furono cacciati dalla Città di Castello._
-
-In questo anno, essendo ne’ collegi del reggimento di Perugia insaccati
-per segreti squittini gran parte de’ ghibellini, de’ quali a quel tempo
-n’erano i più all’ufficio, per operazione di Vanni da Susinana e degli
-altri Ubaldini della Carda, ch’erano cittadini della Città di Castello,
-fu messo in sospetto de’ Perugini la casa de’ Guelfucci, antichi
-cittadini e guelfi, ed altri guelfi, apponendo loro che trattavano di
-dare la Città di Castello a’ Fiorentini, e aggiungendovi alcuna altra
-cagione, mossono il reggimento di Perugia, senza cercare la verità del
-fatto, a fare cavalcare a Castello tutti i loro soldati, e per forza
-cacciarono i Guelfucci di Castello e certi altri, i quali di queste
-cose non erano colpevoli, e non si guardavano. Come gli Ubaldini ebbono
-fornita la loro intenzione, tutti si vestirono di bianche robe, e
-andarono a Perugia colle carte bianche in mano, offerendo al comune
-di fare tutta la sua volontà: scrivessono, ed elli affermerebbono. Ma
-poco stante, entrato a reggimento il nuovo uficio del loro priorato,
-uomini i più guelfi, s’avvidono dello inganno che il loro comune avea
-ricevuto, di cacciare i caporali di parte guelfa di Castello per malo
-ingegno degli Ubaldini, e in furia arsono e ruppono i sacchi de’ loro
-ufici, e di nuovo riformarono la città, mettendo ne’ sacchi per loro
-squittini cittadini guelfi, e ischiusonne i ghibellini; e di presente
-rimisono i Guelfucci nella Città di Castello, e confinaronne gli
-Ubaldini.
-
-
-CAP. LXXV.
-
-_Come morì il re Filippo di Francia._
-
-Stando la tregua, rinnovellata più volte tra il re di Francia e il
-re d’Inghilterra, poche notabili cose degne di memoria furono in
-que’ paesi. Ma il detto re Filippo di Francia, avendo per troppa
-vaghezza tolta per moglie la nobile e sopra bella dama figliuola del
-re di Navarra, e levatala al figliuolo come abbiamo narrato, tanto
-disordinatamente usò il diletto della sua bellezza, che cadendo
-malato, la natura infiebolita non potè sostenere, e in pochi dì
-diede fine colla sua morte alla sollecitudine della guerra, e a’
-pensieri del regno e ai diletti della carne. E morto in Sanlisi,
-fu recato il corpo in Parigi, e fatto il reale esequio solennemente
-nella presenzia de’ figliuoli e de’ baroni del reame, e sepolto co’
-suoi antecessori alla mastra chiesa di san Dionigi, a dì... gli anni
-_Domini_ 1350. Immantinente appresso nella città di Rems fu coronato
-del reame di Francia messer Giovanni suo figliuolo primogenito, e
-la moglie in reina, e ricevette il saramento e l’omaggio da tutti
-i baroni e da tutti gli altri feudatari del suo reame e dell’altro
-acquisto. Questo Filippo re di Francia fu figliuolo di messer Carlo
-Sanzaterra, e fu uomo di bella statura, composto e savio delle cose
-del mondo, e molto astuto a trovar modo d’accogliere moneta, e in
-ciò non seppe conservare nè fede nè legge. E sentendosi molto in
-grazia e temuto da papa Giovanni ventiduesimo, per l’openione che
-sparta avea disputando della visione dell’anime beate in Dio, la cui
-openione per li teologi del reame di Francia era riprovata, e perchè
-il collegio de’ cardinali erano tutti quasi fuori de’ Catalani, di
-suo reame, e per questa baldanza ebbe animo d’ingannar santa Chiesa,
-sotto la promessa di mostrare di volere fare passaggio oltre mare per
-racquistare la Terra santa: e per questo domandò per cinque anni le
-decime del suo reame a ricogliere in breve tempo, non avendo l’animo
-al passaggio, come appresso l’opere dimostrarono. E nel suo reame
-mutò spesso e improvviso monete d’oro, peggiorandole molto e di peso
-e d’oro: per le quali mutazioni disertò e fece tornare i mercatanti di
-suo reame di ricchezza in povertà: e’ suoi baroni e borgesi assottigliò
-d’avere per modo, che poco era amato da loro per questa cagione. Onde
-apparve quasi come sentenzia di Dio, che avendo egli cotanta baronia e
-moltitudine di buoni cavalieri, i quali solieno essere pregiati sopra
-gli altri del mondo in fatti d’arme, non s’abboccavano in alcuna parte
-con gl’Inghilesi, che non facessono disonore al loro signore: ove per
-antico gli aveano in fatti d’arme sopra modo a vile. E molte singulari
-gravezze sopra la mercatanzia e sopra uomini singulari mise, onde
-molti mercatanti forestieri n’abbandonarono il reame; e non ostante che
-spesso fosse percosso dal bastone degl’Inghilesi, al continovo il re
-accrescea il suo reame per le infortune degli altri circustanti baroni,
-e per l’aiuto de’ suoi danari. Lasciò due figliuoli il re: messer
-Giovanni e messer Luigi duca d’Orliens: e quattro nipoti figliuoli
-del re Giovanni: il maggiore nominato messer Carlo Dalfino di Vienna
-e duca di Normandia, l’altro nominato Luigi duca d’Angiò, il terzo
-messer Giovanni conte di Pittieri, e il quarto messer Filippo piccolo
-fanciullo: e tre femmine: la prima moglie del re di Navarra, la seconda
-monaca del grande monistero di Puscì, e la terza nominata Caterina,
-picciola fanciulla, la quale fu poi moglie di messer Giovan Galeazzo
-de’ Visconti di Milano, come a suo tempo diviseremo.
-
-
-CAP. LXXVI.
-
-_Come la Chiesa rinnovò processo contra l’arcivescovo di Milano._
-
-In questo anno, avendo saputo il papa e’ cardinali come l’arcivescovo
-di Milano per loro mandato non s’era voluto rimuovere dell’impresa
-di Bologna, ma contro a loro volontà, e in vitupero della Chiesa,
-avea presa la città e rotta l’oste della Chiesa e del conte, furono
-molto turbati. E ricordandosi come l’arcivescovo era stato infedele,
-e rinvoltosi nella resia dell’antipapa e fattosi suo cardinale, e poi
-tornato all’ubbidienza di santa Chiesa era ricevuto a misericordia
-da papa Giovanni ventesimosecondo, e riconciliato, il fece vescovo
-di Novara, e poi per Clemente sesto promosso e fatto arcivescovo di
-Milano, e ora ingrato era tornato nella prima eresia, di non volere
-avere riverenzia nè ubbidire a santa Chiesa: rinnovellarono contro
-a lui e contro a’ suoi nipoti i processi altre volte fatti per papa
-Giovanni predetto, e feciono richiedere l’arcivescovo, e messer
-Galeazzo, e messer Bernabò, e messer Maffiuolo di messer Stefano
-Visconti, e assegnarono loro i termini debiti che s’andassono a
-scusare, e gli ultimi termini perentori furono a dì 8 d’aprile 1351.
-Infra il termine del detto processo vedendo il papa e’ cardinali per
-la loro avarizia, in vituperio, delle loro persone e in contento di
-santa Chiesa, tolta tutta la Romagna e la città di Bologna, volendo
-con ingegno unire in lega e compagnia gli altri tiranni lombardi, col
-comune di Firenze e di Perugia e di Siena, e colla Chiesa medesima,
-per potere con maggiore forza resistere al potente tiranno, mandò in
-Italia il vescovo di Ferrara, cittadino di Firenze della casa degli
-Antellesi, con pieno mandato a ciò ordinare e fermare: il quale giunto
-in Toscana, mandò a’ signori di Lombardia e a’ comuni predetti, che
-a certo termine catuno mandasse suoi ambasciadori alla città d’Arezzo
-a parlamento. E innanzi che il termine venisse, il detto legato andò
-in persona a messer Mastino e al marchese di Ferrara, e al comune
-di Perugia e di Siena a sporre la sua ambasciata, e tornò a Firenze,
-avendo sommossi i detti comuni e signori a venire in loro servigio e
-di santa Chiesa alla detta lega, perocchè catuno si temeva della gran
-potenza del’arcivescovo. E messer Mastino, che gli era più vicino, con
-sollecitudine confortava i Lombardi e’ comuni di Toscana che venissono
-alla lega e a fare sì fatta taglia, che all’arcivescovo si potesse
-resistere francamente. E del mese d’ottobre vegnente gli ambasciadori
-d’ogni parte furono ragunati ad Arezzo; quelli di messer Mastino e
-de’ Fiorentini v’andarono con pieno mandato; i Perugini mostravano di
-volere lega e taglia, ma d’ogni punto voleano prima risposta dal loro
-comune, e i Sanesi faceano il somigliante, per li quali intervalli,
-gli ambasciadori stettono lungamente ad Arezzo senza poter prendere
-partito. E questo avveniva perocchè a’ Perugini e a’ Sanesi parea
-che la forza dell’arcivescovo non potesse giugnere a’ loro confini, e
-volevano mostrare di non volersi partire dal volere di santa Chiesa
-e de’ Fiorentini. E in questo soggiorno, l’arcivescovo di Milano
-temendo che la Chiesa non si facesse forte coll’aiuto de’ Toscani
-e de’ Lombardi, mandò a messer Mastino messer Bernabò suo genero,
-pregandolo che si ritraesse da questa impresa: e grandi impromesse
-al comune di Firenze faceva d’ogni patto e vantaggio che volesse
-da lui: e con queste suasioni cercava disturbare la detta lega: ma
-invano s’affaticava con questi tentamenti, che di presente tutti si
-piovicavano nel parlamento, e’ Sanesi s’erano ridotti al segno de’
-Fiorentini, ed era preso, che se i Perugini non volessono essere alla
-lega, che si facesse senza loro. E avendo questo protestato loro,
-attendendo l’ultima risposta, la quale dilungavano con nuove cagioni
-di dì in dì, andandovi in persona oggi l’uno ambasciadore e domane
-l’altro, essendo gli altri ambasciadori per fermare la lega e la taglia
-senza loro, come a Dio piacque, sopravvenne la novella della morte
-di messer Mastino, per la quale cosa si ruppe il parlamento senza
-fermare lega, e catuno ambasciadore si tornò a suo comune e signore;
-della qual cosa tornò grande ripetio a’ comuni di Toscana. E benchè i
-Fiorentini e i Sanesi non fossono cagione di questo scordo, nondimeno
-peccarono in tanto aspettare i Perugini: che grande utilità era al
-comune di Firenze, che confinava col tiranno, avere in suo aiuto il
-braccio di santa Chiesa e del signore di Verona, e di Ferrara e di
-Siena. Ma quando i falli si prendono ne’ fatti della guerra sempre
-hanno uscimento di privato pericolo: e però gli antichi maestri della
-disciplina militare punivano con aspre pene i mali consigliatori,
-eziandio che del male consiglio conseguisse prospero fine. Ma ne’
-nostri tempi, i falli della guerra si puniscono non per giustizia, ma
-per esperienza del male che ne seguita, come tosto avvenne a’ detti
-comuni di Toscana, come seguendo appresso ne’ suoi tempi dimostreremo.
-
-
-CAP. LXXVII.
-
-_Come il tiranno di Milano si collegò con tutti i ghibellini d’Italia._
-
-Avvenne in questo anno, come l’arcivescovo di Milano sentì rotto
-il trattato della lega mosso per lo papa, e morto messer Mastino di
-cui più temea, gli parve che fortuna al tutto fosse con lui, e prese
-speranza di sottomettersi Toscana, e appresso tutta l’Italia. E però
-procacciò di recare a se il gran Cane della Scala cognato di messer
-Bernabò, e vennegli fatto per la confidenza del parentado. E perchè
-essendo giovane e nuovo nella signoria non facea per lui la guerra di
-sì fatto vicino, e però lievemente venne a concordia e legossi con lui,
-e promise d’aiutare l’uno l’altro nelle loro guerre. Sentita questa
-lega gli altri tiranni lombardi tutti si legarono coll’arcivescovo,
-non guardando il marchese di Ferrara perchè avesse antico amore e
-singolare affetto col comune di Firenze; e così tutti i tirannelli
-di Romagna feciono il simigliante, e que’ della Marca. E il comune di
-Pisa per patto li promisono dugento cavalieri, e non volendo rompere
-patto di pace a’ Fiorentini l’intitolarono alla guardia di Milano. E in
-Toscana s’aggiunse i Tarlati d’Arezzo, non ostante che fossono in pace
-e in protezione del comune di Firenze, e il somigliante di Cortona: e
-gli Ubaldini, e’ Pazzi di Valdarno, e gli Ubertini, e de’ conti Guidi
-tutti i ghibellini, e quei di Santafiore, e molti altri tirannelli
-ghibellini, i quali segretamente s’intesono coll’arcivescovo, non
-volendosi mostrare innanzi al tempo, per paura che i comuni guelfi
-loro vicini nol sapessono. Questa lega fu fatta e giurata tosto e
-molto segretamente, perocchè vedendo i ghibellini la gran potenza
-dell’arcivescovo, e sappiendo che la Chiesa non avea potuto fare la
-lega, e che i tiranni tutti di Lombardia s’erano accostati a dare
-aiuto all’arcivescovo, pensarono che venuto fosse il tempo di spegnere
-parte guelfa in Italia, e però senza tenere pace o fede promessa catuno
-s’accostò col Biscione, e vennesi provvedendo d’arme e di cavalli per
-essere alla stagione apparecchiati. In questo mezzo l’arcivescovo per
-meglio coprire l’intenzione sua amichevolemente mandava al comune di
-Firenze sue lettere, congratulandosi de’ suoi onori, e profferendosi
-come ad amici, e con questa dissimulazione passò tutto il verno,
-e mostrava d’avere l’animo a stendersi nella Romagna. E il comune
-di Firenze per non mostrare in sospetto l’amicizia che dimostrava
-a’ Fiorentini, non si provvedeva di capitano di guerra nè di gente
-d’arme, e le strade di Bologna e di Lombardia usava sicuramente colle
-mercatanzie de’ suoi cittadini; e i Milanesi e’ Bolognesi e gli altri
-Lombardi faceano a Firenze il somigliante senza alcuno sospetto:
-perocchè il malvagio concetto del tiranno e de’ suoi congiunti si
-racchiudea ne’ loro petti, e di fuori non si dimostrava, per meglio
-potere adempiere loro intenzione.
-
-
-CAP. LXXVIII.
-
-_Come fu assediata Imola dal Biscione e altri._
-
-In questo medesimo verno, messer Bernabò, ch’era in Bologna vicario per
-l’arcivescovo, costrinse i Bolognesi, e mandò a porre l’oste a Imola
-i due quartieri della città: ed egli v’andò in persona con ottocento
-cavalieri, e fecevi venire il capitano di Forlì colla sua gente a piè
-e a cavallo, e vennevi messer Giovanni Manfredi tiranno di Faenza colla
-sua forza, e il signore di Ravenna e gli Ubaldini, e assediarono Imola
-intorno con più campi. Guido degli Alidogi signore d’Imola, guelfo e
-fedele a santa Chiesa, avendo sentito questo fatto dinanzi, e richiesto
-i Fiorentini e gli altri comuni e amici di santa Chiesa d’aiuto, e
-non avendolo trovato, per la paura che catuno avea d’offendere al
-Biscione, come uomo franco e di gran cuore s’era provveduto dinanzi che
-l’assedio vi venisse di molta vittuaglia; e per non moltiplicare spesa
-di soldati elesse centocinquanta cavalieri di buona gente d’arme e
-trecento masnadieri nomati, tutti di Toscana, e con questi si rinchiuse
-in Imola; e fece intorno alla città due miglia abbattere case chiese
-e quanti difici v’erano, perchè i nimici non potessono avere ridotto
-intorno alla terra; e così francamente ricevette l’assedio, acquistando
-onore di franca difesa, insino all’uscita di maggio gli anni _Domini_
-1351. In questo stante al continovo si mettea in ordine sotto questa
-coverta d’Imola di potere improvviso a’ cittadini di Firenze assalire
-la città: e approssimandosi al tempo, di subito fece levare l’oste da
-Imola e lasciarvi certi battifolli, i quali in poco tempo straccati,
-senza potere tenere assediata la città, se ne levarono e lasciaronla
-libera.
-
-
-CAP. LXXIX.
-
-_Come il capitano di Forlì tolse al conticino da Ghiaggiuolo e al conte
-Carlo da Doadola loro terre._
-
-In questo medesimo tempo, il capitano di Forlì disideroso d’accrescere
-sua signoria, e avventurato nell’imprese, non vedendosi avere in
-Romagna di cui e’ dovesse temere, co’ suoi cavalieri venne subitamente
-sopra le terre del conticino da Ghiaggiuolo, di cui non si guardava,
-e con lui venne l’abate di Galeata, da cui il conticino tenea certe
-terre, e non gli rispondea com’era tenuto. E parve che fosse una
-maraviglia, che avendo buone e forti castella e bene guernite a grande
-difesa, tutte l’ebbe in pochi dì. E con questa foga se n’andò sopra le
-terre di Carlo conte di Doadola, e quasi senza trovar contasto tutte le
-recò sotto la sua signoria. Egli era a quel tempo in lega col signore
-di Milano, e però non trovò il comune di Firenze, benchè il conticino
-fosse stato suo cittadino, ch’aiutare lo volesse contro al capitano.
-
-
-CAP. LXXX.
-
-_Come nella città d’Orbivieto si cominciò materia di grande scandalo._
-
-In questo anno 1350, reggendosi la città d’Orbivieto a comune appo il
-popolo, erano i maggiori governatori di quello stato Monaldo di messer
-Ormanno, e Monaldo di messer Bernardo della casa de’ Monaldeschi;
-Benedetto di messer Bonconte loro consorto, per invidia e per setta
-recati a se due altri suoi consorti, trattò con loro il malificio, che
-poco appresso gli venne fatto; perocchè del mese di marzo del detto
-anno, uscendo amendue i Monaldi sopraddetti del palagio del comune
-dal consiglio, Benedetto co’ suoi due consorti s’aggiunsono con loro,
-e senza alcuno sospetto, i due Monaldi, che al continovo il dì e la
-notte usavano con Benedetto, s’avviarono con lui ragionando; e avendo
-il traditore l’uno di loro per mano, nel ragionamento, in sulla piazza,
-il fedì d’uno stocco, e cadde morto; l’altro Monaldo vedendo questo
-cominciò a fuggire: Benedetto sgridò i compagni, i quali il seguirono,
-e innanzi che potesse entrare in casa sua il giunsono e uccisonlo.
-Morti che furono costoro, Benedetto corse a casa sua e armossi; e
-accolti certi suoi amici, co’ suoi due consorti corsono la terra: e non
-trovando contasto, entrarono nel palagio del comune; e aggiuntasi forza
-di cittadini di sua setta, Benedetto si fece fare signore, e cominciò
-a perseguitare tutti coloro ch’erano stati amici de’ suoi consorti
-morti; e montò in tanta crudeltà la sua tirannia coll’audacia de’ suoi
-seguaci, che cacciati molti cittadini, in piccolo tempo, innanzi che
-l’anno fosse compiuto, più di dugento tra dell’una setta e dell’altra
-se ne trovarono morti di ferro. Onde il contado e il paese d’intorno se
-ne ruppe in sì fatto modo, che in niuno cammino del loro distretto si
-potea andare sicuro.
-
-
-CAP. LXXXI.
-
-_Come la città d’Agobbio venne a tirannia di Giovanni Gabbrielli._
-
-Avendo narrato delle nuove tirannie che si cominciarono in Toscana,
-ci occorre a fare memoria d’un’altra che si creò nella Marca in
-questo medesimo anno, la città d’Agobbio, la quale in quel tempo avea
-sparti per l’Italia quasi tutti i suoi maggiori cittadini in ufici
-e rettorie. Giovanni di Cantuccio de’ Gabbrielli d’Agobbio, essendo
-co’ suoi consorti in discordia per una badia di Santacroce, si pensò
-che agevolemente si potea fare signore e della badia e d’Agobbio,
-trovandosi nella città il maggiore, e non guardandosi i suoi consorti
-nè gli altri cittadini di lui. E non ostante che fosse guelfo di
-nazione, considerò che tutti i comuni e signori di parte guelfa di
-Romagna, e di Toscana e della Marca temeano forte del signore di
-Milano, ch’avea presa di novello la città di Bologna, e provvidde, che
-dove i Perugini o altra forza si movesse contro a lui, che l’aiuto
-dell’arcivescovo non gli mancherebbe. E avendo così pensato, senza
-indugio accolse cento fanti masnadieri, e con alquanti cittadini
-disperati e acconci a mal fare, i quali accolse a questo tradimento
-della patria, subitamente corse in prima alle case de’ suoi consorti, e
-affocate e rotte le porti, prese messer Belo di messer Cante, e messer
-Bino e Rinuccio suoi figliuoli, e Petruccio di messer Bino e quattro
-altri piccioli fanciulli, e tutti gli mise in prigione; e rubate le
-case, vi mise il fuoco e arsele. E fatto questo, corse al palagio de’
-consoli rettori di quello comune: e non volendo il gonfaloniere darli
-il palagio, corse alle case sue e arsele in sua vista. E tornato al
-palagio, disse agli altri consoli, che se non gli dessono il palagio
-altrettale farebbe delle loro; onde per paura gli aprirono; e preso
-il palagio, vi lasciò sue guardie, e corse la terra. I cittadini
-sentendo presi i consorti di Giovanni, di cui avrebbono potuto fare
-capo, si stettono per paura, e niuno si mise a contastarlo. E così
-disventuratamente coll’aiuto di meno di centocinquanta fanti fu
-occupata in tirannia la città d’Agobbio in una notte, la quale avea
-seimila uomini d’arme. Ma i peccati loro, e massimamente le ree cose
-commesse per le città d’Italia per le continove rettorie ch’aveano gli
-uomini di quella città, li condusse in quelle, e nella disciplina della
-nuova e disusata tirannia. E per le discordie della casa de’ Gabbrielli
-a quell’ora non avea la città podestà, nè capitano nè altro rettore.
-Avevavi alcune masnade de’ Perugini, i quali Giovanni ne cacciò fuori;
-e ’l dì seguente, avendo cresciuta la sua forza dentro, se ne fece fare
-signore; e di presente, come potè il meglio, si fornì di gente, e di
-notte facea sollecita guardia, e fortificava la sua signoria.
-
-
-CAP. LXXXII.
-
-_Come il comune di Perugia e il capitano del Patrimonio andarono a oste
-ad Agobbio._
-
-Sparta per lo paese la nuova signoria d’Agobbio, messer Iacopo, ch’era
-capo della casa de’ Gabbrielli, e allora era capitano del Patrimonio
-per la Chiesa, co’ suoi cavalieri, e con aiuto d’alquanti suoi amici,
-di subito cavalcò a Perugia; e il comune di Perugia, che si sentiva
-offeso per lo cacciare della sua gente d’Agobbio, a furore di popolo
-si mosse a cavalcare popolo e cavalieri con messer Iacopo, e puosonsi
-a oste intorno alla città d’Agobbio. Vedendo Giovanni di Cantuccio,
-nuovo tiranno, che il comune di Perugia, e messer Iacopo e altri suoi
-consorti con forte braccio l’avieno assediato, e che da se era male
-fornito a potere resistere, e de’ suoi cittadini d’entro non si potea
-fidare, sagacemente mandò nel campo a’ Perugini suoi ambasciadori,
-i quali da parte di Giovanni dissono: Signori Perugini, Giovanni di
-Cantuccio ci manda a voi a farvi assapere, com’egli è di quella casa
-de’ Gabbrielli, che sempre furono amatori e fedeli del vostro comune,
-e così intende d’essere egli; e intende che ’l comune di Perugia abbia
-in Agobbio ogni onore e ogni giurisdizione che da qui addietro avere
-vi solea, e maggiore, e vuole rendere i prigioni; ed e’ si partissono
-dall’assedio, e mandassono in Agobbio que’ savi cittadini di Perugia
-cui elli volessono, a mettere in ordine e riformare il governamento
-del comune, e ricevere i prigioni. La profferta fu larga, e’ Perugini
-più baldanzosi che discreti, confidandosi follemente alla promessa del
-tiranno, elessono ambasciadori ch’andassono a ricevere i prigioni e
-riformare la città, e misongli in Agobbio: e di presente si levarono
-da campo della terra e tornaronsi in Perugia, e lasciarono messer
-Iacopo a campo colla gente d’arme ch’avea della Chiesa, il quale rimase
-all’assedio più dì partiti i Perugini; pensando coll’aiuto de’ suoi
-cittadini d’entro potere da se alcuna cosa, o se la fede di Giovanni
-fosse intera co’ Perugini, potere tornare in Agobbio. Gli ambasciadori
-de’ Perugini entrati in Agobbio, con grandissima festa, e dimostramento
-di grande amore e confidanza furono ricevuti da Giovanni. E cominciolli
-prima a convitare e tenerli in desinari e in cene, e tranquillarli
-d’oggi in domane; e strignendolo gli ambasciadori, disse che volea
-prima vedere partito messer Iacopo dall’assedio. Messer Iacopo
-s’avvide bene dell’inganno, ma stretto dagli ambasciadori perugini,
-acciocchè a lui non si potesse imputare cagione che per lui seguitasse
-la discordia, si partì dall’assedio e tornossi nel Patrimonio. Gli
-ambasciadori di Perugia, partitosi messer Iacopo, con più baldanza
-strigneano Giovanni, di rivolere i prigioni, e ordinare il reggimento
-della guardia della terra, com’egli avea promesso. Il tiranno vedendosi
-levato l’assedio, tenea con più fidanza gli ambasciadori in parole,
-e trovando nuove cagioni a dilungare il tempo, gli tenea sospesi. Ma
-vedendo che oltre al debito modo gli menava per parole, per sdegno
-si partirono d’Agobbio, e rapportarono al loro comune l’inganno che
-Giovanni avea fatto. A’ Perugini ne parve male: ma non trovarono tra
-loro concordia di ritornarvi ad oste. Nondimeno il nuovo tiranno,
-pensandosi più gravemente avere offeso il comune di Perugia, non
-ostante che fosse per nazione e per patria guelfo, si pensò d’aiutare
-co’ ghibellini. E mandò ambasciadori a messer Bernabò ch’era a Bologna,
-dicendo: che volea tenere la città d’Agobbio dal suo signore messer
-l’arcivescovo: e pregollo che gli mandasse gente d’arme alla guardia
-sua e della terra; il quale senza indugio vi mandò dugentocinquanta
-cavalieri, e appresso ve ne mandò maggiore quantità, parendoli avere
-fatto grande acquisto alla sua intenzione. Giovanni da se sforzò i
-suoi cittadini per avere danari, e fornissi di gente d’arme a piè e a
-cavallo; e vedendosi fornito alla difesa si dimostrò palesemente nimico
-de’ Perugini, come appresso seguendo nostro trattato racconteremo.
-
-
-CAP. LXXXIII.
-
-_Come cominciò l’izza da’ Genovesi a’ Veneziani._
-
-Essendo cresciuto scandalo nato d’invidia di stato tra il comune
-di Genova e quello di Vinegia, tenendosi ciascuno il maggiore,
-cominciamento fu di grave e grande guerra di mare. E la prima cagione
-che mosse fu, che avendo avuto i Genovesi guerra e briga con Giannisbec
-imperadore nelle provincie del Mare maggiore, a cui i Genovesi aveano
-arsa la Tana e fatto danno grande alla gente sua, per la qual cosa i
-Genovesi non potieno colle loro galee andare al mercato della Tana,
-anzi facevano a Caffa porto, e per terra vi faceano venire la spezieria
-e altre mercatanzie, con più costo e avarie che quando usavano la Tana.
-I Veneziani dopo la detta briga s’acconciarono coll’imperadore, e alla
-Tana andavano con loro navili e colle loro galee per la mercatanzia,
-e traevanla a migliore mercato, la qual cosa mettea male a’ Genovesi.
-Per la qual cosa richiesono i Veneziani, e pregaronli che si dovessono
-accordare con loro a fare porto a Caffa, e darebbono loro quella
-immunità e fondaco e franchigia ch’avieno per loro: e facendo questo,
-l’arebbono in grande servigio; ed essendo in concordia, non dottavano
-che Giannisbec si recherebbe a far loro ogni vantaggio che volessono,
-per ritornarli al mercato della Tana: e questo tornerebbe in loro
-profitto, e in onore di tutta la cristianità. I Veneziani non vi si
-poterono per alcun modo recare, anzi dissono, che intendeano d’andare
-con loro legni e galee alla Tana e dove più loro piacesse, che della
-briga che i Genovesi aveano coll’imperadore non si curavano. Per la
-quale risposta i Genovesi sdegnarono, e dispuosonsi dove si vedessono
-il bello, di fare danno a’ Veneziani in mare, e i Veneziani a loro; e
-d’allora innanzi, dove si trovarono in mare si combatteano insieme, e
-in trapasso di non gran tempo feciono danno l’uno all’altro assai. E
-sentendo catuno comune come la guerra era cominciata in mare tra’ loro
-cittadini, ordinarono di mandare a maggiore riguardo e più armati i
-loro navili grossi che non solieno. E per non mostrare paura nè viltà
-l’uno dell’altro non si ristrinsono del navicare.
-
-
-CAP. LXXXIV.
-
-_Come quattordici galee di Veneziani presono in Romania nove de’
-Genovesi._
-
-Avvenne che andando in questo anno alla Tana quattordici galee di
-Veneziani bene armate, come furono in Romania s’abboccarono in undici
-galee de’ Genovesi ch’andavano a Caffa, sopra l’Isola di Negroponte,
-e incontanente si dirizzano colle vele e co’ remi in verso loro. I
-Genovesi vedendole venire, l’attesono arditamente, e acconciaronsi
-alla battaglia. E sopraggiungendo le galee de’ Veneziani, combatterono
-insieme. E dopo la lunga battaglia, i Veneziani sconfissono i Genovesi:
-e seguitando la fuga, delle undici galee ne presono nove, e le due
-camparono, e fuggirono in Pera. I Veneziani avendo questa vittoria,
-trovandosi presso all’isola di Negroponte, acciocchè non impedissono
-per tornare a Vinegia il loro viaggio della Tana, tornarono a Candia, e
-ivi scaricarono la mercatanzia presa delle nove galee de’ Genovesi, e
-misonla nel loro fondaco, e tutti i prigioni incarcerarono: e i corpi
-delle galee de’ Genovesi lasciarono nel porto, pensando d’avere ogni
-cosa in salvo alla loro tornata, e allora menar la preda della loro
-vittoria a Vinegia con grande gazzarra; e fatto questo seguirono il
-loro viaggio. Ma le cose ebbono tutto altro fine che non si pensarono,
-come appresso diviseremo.
-
-
-CAP. LXXXV.
-
-_Come i Genovesi di Pera presono Negroponte, e riebbono loro
-mercatanzia._
-
-Le due galee di Genovesi campate dalla sconfitta, e venute a Pera,
-narrarono a’ Genovesi di Pera la loro fortuna. E sentito per quelli
-di Pera come le quattordici galee di Veneziani erano passate nel
-Mare maggiore, e come i Genovesi prigioni, e la mercatanzia e i corpi
-delle loro galee erano in Candia; non inviliti per la rotta de’ loro
-cittadini, ma come uomini di franco cuore e ardire, di presente avendo
-in Pera sette corpi di galee le misono in mare, e quelle e le due
-de’ Genovesi della sconfitta, e quanti legni aveano armarono di loro
-medesimi, e montaronvi suso a gara chi meglio potè, fornendosi d’arme
-e di balestra doppiamente; e senza soggiorno, improvviso a’ Veneziani
-di Candia, i quali non sapieno che galee di Genovesi fossono in quel
-mare, furono nel porto. I Veneziani co’ paesani, volendo contastare
-la scesa a’ Genovesi in terra nel loro porto, tratti alla marina, per
-forza d’arme e dalle balestra de’ Genovesi furono ributtati; e scesi in
-terra i Genovesi di Pera, e romore levato per la città, tutti trassono
-i cittadini alla difesa, per ritenere i Genovesi che non si mettessono
-più innanzi verso la terra. Ma poco valse loro, che con tanto empito
-di loro coraggioso ardire i Genovesi si misono innanzi, che coll’aiuto
-delle loro balestra rotti que’ della terra, e fuggendo nella città, con
-loro insieme v’entrarono. Come si vidono dentro, affocando le case,
-e dilungando da loro i cittadini co’ verrettoni, gli strinsono per
-modo, che già erano signori della terra; ma pervenuti alla prigione la
-ruppono, e trassonne tutti i loro cittadini presi; ed entrarono nel
-fondaco, e tutta la mercatanzia presa delle nove galee de’ Genovesi,
-e quella che dentro v’era de’ Veneziani presono, e caricarono ne’
-corpi delle loro nove galee prese nel porto, e su le loro; e rimessi i
-prigioni in su le galee, pensarono che tanto erano rotti e sbigottiti
-gli abitatori di Candia, che agevole parea loro vincere la terra, ma
-vincendola e convenendola guardare, convenia loro abbandonare Pera,
-e però si ricolsono alle galee, e con piena vittoria si ritornarono a
-Pera. E a Genova rimandarono le nove galee racquistate per loro, e gli
-uomini e la mercatanzia, con notabile fama di loro prodezza e di varia
-fortuna.
-
-
-CAP. LXXXVI.
-
-_Come fu morto il patriarca d’Aquilea, e fattane vendetta._
-
-In questo anno, del mese di giugno, messer Beltramo di san Guinigi
-patriarca d’Aquilea, cavalcando per lo patriarcato, da certi terrieri
-suoi sudditi, con aiuto di cavalieri del conte d’Aquilizia, ch’era
-male di lui, fu nel cammino assalito e morto con tutta sua compagnia,
-e senza essere conosciuti allora, coloro che feciono il malificio si
-ricolsono in loro paese. Per la qual cosa rimaso il patriarcato senza
-capo, i comuni smossono il duca d’Osterich, il quale con duemila
-barbute venne, e fu ricevuto da tutti i paesani senza contasto, e
-onorato da loro. E vicitato il paese infino nel Friuli, sentendo che ’l
-papa avea fatto patriarca il figliuolo del re Giovanni di Boemia, non
-illigittimo ma ligittimo, si tornò in suo paese. E poco appresso, il
-detto patriarca venne nel paese, e fu con pace ricevuto e ubbidito da
-tutti i comuni e terrieri del patriarcato. E statovi poco tempo, certi
-castellani il vollono fare avvelenare, e furono coloro ch’avieno morto
-l’altro patriarca, avendo a ciò corrotto due confidenti famigliari.
-Onde egli scoperto il tradimento, messer Francesco Giovanni grande
-terriere, capo di questi malfattori, con certi altri castellani che
-’l seguitavano, furono da lui perseguitati senza arresto, tanto che
-si ridussono a guardia nelle loro fortezze, e ivi furono assediati per
-modo, che s’arrenderono al patriarca. Il quale prima abbattè tutte loro
-castella, le quali erano cagione della loro sfrenata superbia, e al
-detto messer Francesco, con otto de’ maggiori castellani fece tagliare
-le teste, e un’altra parte ne fece impendere per la gola. Per la qual
-cosa tutto il paese rimase cheto e sicuro, e il patriarca temuto e
-ubbidito da tutti senza sospetto o contasto.
-
-
-CAP. LXXXVII.
-
-_Come il legato del papa si partì del Regno, e il re riprese Aversa._
-
-Tornando alle novità del regno di Cicilia di qua dal Faro, come è
-narrato, fatto l’accordo dal re Luigi a Currado Lupo e agli altri
-caporali ch’erano sotto il titolo del re d’Ungheria in Terra di Lavoro,
-le città e le castella che teneano in quella furono assegnate alla
-guardia del cardinale messer Annibaldo da Ceccano, salvo le torri
-di Capova. Il cardinale non trovando tra le parti accordo, per dare
-materia al re Luigi che si potesse riprendere le città e le castella
-che a lui erano accomandate, si partì del Regno e andossene a Roma, ove
-da’ Romani fu male veduto; perocchè dispensava e accorciava i termini
-della vicitazione a’ romei, contro all’appetito della loro avarizia,
-onde più volte standosi nel suo ostiere fu saettato da loro, e alla
-sua famiglia fatta vergogna, e assaliti e fediti cavalcando per Roma.
-Onde egli sdegnoso si partì, e andossone in Campagna; e nel cammino
-morì di veleno con assai suoi famigliari. Dissesi che ad Aquino era
-stato avvelenato vino nelle botti, del quale non ebbono guardia, e
-bevvonsene: se per altro modo fu non si potè sapere. Rimasta la città
-d’Aversa e la guardia del castello a certi famigliari del cardinale in
-nome di santa Chiesa, il re Luigi vi cavalcò con poca gente, e fecesi
-aprire le porte del castello senza contasto, e misevi fornimento o
-gente d’arme alla guardia. E incontanente la città, ch’era troppo larga
-e sparta da non potersi bene difendere, ristrinse, facendo disfare
-tutte le case e’ palagi che fuori del cerchio che prese rimanieno;
-e delle pietre fece cominciare a cignere quella di buone e grosse
-mura: e a ciò fare mise grande sollecitudine, sicchè in poco tempo,
-innanzi l’avvenimento del re d’Ungheria nel Regno, le mura erano alzate
-per tutto sei braccia intorno alla terra. E fatto capitano messer
-Iacopo Pignattaro di Gaeta, valente barone, di trecento cavalieri e
-di seicento pedoni masnadieri, gli accomandò la guardia della città
-d’Aversa e del castello; e nella terra fece mettere abbondanza di
-vittuaglia, perocchè di quella terra, più che dell’altre, si dubitava
-alla tornata del re d’Ungheria. In quel tempo Currado Lupo non
-sentendosi forte di cavalieri, che s’erano partiti del Regno, s’era
-ridotto a Viglionese in Abruzzi, e gli Ungheri in Puglia, e guardavano
-il passo delle torri di Capova, aspettando il loro signore.
-
-
-CAP. LXXXVIII.
-
-_Come il re d’Ungheria ritornò in Puglia conquistando molte terre._
-
-In questo anno, Lodovico re d’Ungheria sentendo che la sua gente avea
-sconfitto a Meleto i baroni del re Luigi e i Napoletani, e aveano molti
-a prigioni: essendo sollecitato per lettere e per ambasciadori da’
-comuni e da’ baroni che teneano nel Regno la sua parte che ritornasse,
-diliberò di farlo. E di presente mandò innanzi de’ suoi cavalieri
-ungheri con certi capitani in Ischiavonia, perchè di là passassero
-in Puglia. E quando gli sentì passati, subitamente con certi suoi
-eletti baroni, con piccola compagnia, si mise a cammino, e prima fu
-alla marina di Schiavonia che sapere si potesse della sua partita: e
-trovando al porto le galee e i legni apparecchiati, vi montò suso; e
-avendo il tempo buono, valicò in Puglia a salvamento, assai più tosto
-che per i paesani non si stimava. E sentita la partita sua in Ungheria,
-grande moltitudine d’Ungheri il seguitarono, valicando di Schiavonia
-in Puglia in barche e in piccoli legni armati sì disordinatamente, che
-se il re Luigi avesse avute due galee armate senza fallo gli avrebbono
-rotti e impediti per modo, che non sarebbono potuti passare: ma come
-furono passati, il re Luigi vi mandò tre galee armate che vi giunsono
-invano. Ed essendo il re d’Ungheria in Puglia, ragunò la sua gente
-insieme, e trovossi con diecimila cavalieri. In que’ dì il conte di
-Minerbino, il quale s’era ribellato dal detto re, si racchiuse nella
-città di Trani, alla quale il re andò ad assedio. E vedendosi il conte
-senza speranza di soccorso e disperato di salute, col capestro in
-collo e in camicia uscì della città, e gittossi ginocchione in terra
-a piè del re domandandoli misericordia. Il re d’Ungheria dimenticati
-i baratti e’ falli del conte benignamente gli perdonò, e rimiselo
-nel suo stato: e lasciato nelle città e castella di Puglia quella
-gente che volle, venne in Principato. La città di Salerno essendo
-in cittadinesche discordie gli apersono le porte, e ricevettonlo a
-onore: e ivi si riposò alquanti dì; e messo suo vicario nella città
-e castellano nel castello, se ne venne a Nocera de’ cristiani; e in
-quella se n’entrò senza contasto. Il castello era forte e bene fornito
-alla difesa, ma invilito il castellano, per codardia l’abbandonò. Il
-re il fece prendere e guardare alla sua gente. E partito di là venne a
-Matalona, nella quale entrò senza contasto. E tutte le città e castella
-di Terra di Lavoro feciono il suo comandamento, salvo la città di
-Napoli ed Aversa. E poi il detto re con tutto suo sforzo se ne venne
-ad Aversa, del mese di maggio nel detto anno, e credettelasi avere alla
-prima giunta, ma trovossi ingannato, perocchè era città di mura cinta,
-e bene che fossero basse, era imbertescata e fornita di legname alla
-difesa; e dentro v’erano i cavalieri e i masnadieri che la difendevano
-virtuosamente; e assaggiata per più volte dall’assalto degli Ungheri,
-con loro dannaggio, il re conobbe che non la potea vincere per forza, e
-però vi mise assedio, e strinsela con più campi per modo, che da niuna
-parte vi si poteva entrare.
-
-
-CAP. LXXXIX.
-
-_Come i Genovesi ebbono Ventimiglia._
-
-In questo tempo dell’assedio d’Aversa, il doge di Genova e il suo
-consiglio, conosciuto loro tempo, armarono dodici galee e mandaronle
-nel porto di Napoli, e diedono il partito a prendere al re e a alla
-reina, dicendo in questo modo: il doge di Genova e il suo consiglio
-ci hanno mandati qui a essere in vostro aiuto, in quanto voi rendiate
-liberamente al nostro comune la città di Ventimiglia, la quale è di
-nostra riviera, avvegnachè di ragione fosse della contea di Provenza.
-E se questo non fate, di presente abbiamo comandamento d’essere contro
-a voi, e di servire il re d’Ungheria. Il re e la reina vedendosi
-assediati per terra dalla grande cavalleria del re d’Ungheria, a cui
-ubbidia tutta la Terra di Lavoro, e di mare convenia che venisse tutta
-loro vittuaglia, e da loro non aveano solo una galea: pensarono che
-se i Genovesi gli nimicassono in mare erano perduti, e però stretti
-dalla necessità deliberarono di fare la volontà del doge e del comune
-di Genova, avendo speranza dell’aiuto di quelle galee molto migliorasse
-la loro condizione. E incontanente mandarono a far dare la tenuta
-della città di Ventimiglia al comune di Genova. E le dodici galee non
-si vollono muovere del porto di Napoli, nè fare alcuna novità infino a
-tanto che la risposta non venne dal loro doge, come avessono la tenuta
-della detta città. Avuta la novella, non tennono fede al re Luigi nè
-alla reina di volere nimicare le terre che ubbidivano al re d’Ungheria,
-nè essere contro a lui; anzi si partirono da Napoli, e presono altro
-loro viaggio.
-
-
-CAP. XC.
-
-_Come fu data l’ultima battaglia ad Aversa dal re d’Ungheria._
-
-Stando l’assedio ad Aversa, il re d’Ungheria facea scorrere continovo
-la sua gente fino a Napoli e per lo paese d’intorno d’ogni parte, e
-tutti i casali e le vicinanze l’ubbidivano, e mandavano il mercato
-all’oste. A Napoli per terra non entrava alcuna cosa da vivere, e però
-avea soffratta d’ogni bene, salvo che di grechi e di vini latini. E
-se il re d’Ungheria avesse avute galee in mare, avrebbe vinta la città
-di Napoli per assedio più tosto che Aversa: perocchè non aveano d’onde
-vivere, se per mare non veniva da Gaeta e di Roma con grande costo. Nel
-cominciamento, l’oste del re d’Ungheria fu abbondevole d’ogni grascia,
-per l’ubbidienza de’ paesani: ma soprastando l’assedio, il servigio
-cominciò a rincrescere, e l’oste ad avere mancamento di molte cose,
-e spezialmente di ferri di cavalli e di chiovi. E i nobili regnicoli
-vedendo che il re in persona con diecimila cavalieri non poteva
-prendere Aversa, debole di mura e di fortezza e con poca gente alla
-difesa, cominciarono ad avere a vile gli Ungheri, e trarre le cose loro
-de’ casali, e la vittuaglia non portavano al campo come erano usati. E
-per questo le masnade degli Ungheri andavano a rubare oggi l’uno casale
-e domane l’altro, e spaventati i paesani, la carestia e il disagio
-montava nell’oste. Il re temendo che la vittuaglia non fallasse nel
-soggiorno, deliberò di combattere la città con più ordine e con più
-forza ch’altra volta non avea fatto, come appresso diviseremo.
-
-
-CAP. XCI.
-
-_Della materia medesima._
-
-Vedendo il re d’Ungheria mancare la vittuaglia all’oste, ebbe i
-capitani e’ conestabili de’ suoi Ungheri e Tedeschi che v’erano a
-parlamento: e disse come grande vergogna era a lui e a loro essere
-stati tanto tempo intorno a quella terra, abbandonata di soccorso e
-imperfetta di mura, e non averla potuta prendere; e ora conoscea che
-per lo mancamento della vittuaglia il soggiorno non gli tornasse a
-vergogna; e però gli richiedeva e pregava ch’elli confortassono loro e
-i loro cavalieri, ch’elli adoperassono per loro virtù, che combattendo
-la terra si vincesse: ch’egli intendea di volere che la battaglia
-da ogni parte vi si desse aspra e forte, sicch’ella si vincesse. I
-capitani e’ conestabili di grande animo e di buono volere s’offersono
-al re, e il re in persona disse loro d’essere alla detta battaglia.
-Quelli d’entro che sentirono come doveano essere combattuti con tutta
-la forza di quella gente barbara, non si sbigottirono, anzi presono
-cuore e ardire e argomento alla loro difesa. Gli Ungheri e i Tedeschi
-sprovveduti d’ingegni da coprirsi e da prendere aiuto all’assalto delle
-mura, fidandosi negli archi e nelle saette, da ogni parte a uno segno
-fatto assalirono le mura. E il re in persona fu all’assalto, per fare
-da se, e per dare vigore agli altri. E data la battaglia, e rinfrescata
-spesso, per stancare i difenditori, e fatto di loro saettamento ogni
-prova, ed essendo da quelli della terra in ogni parte ribattuti,
-coll’aiuto de’ balestrieri e delle pietre e della calcina gittata sopra
-loro, e delle lanci e pali e d’altri argomenti, non ebbono podere di
-prendere alcuna parte delle mura, ma molti di loro morti e più fediti,
-e infino fedito il re, con acquisto d’onta e di vergogna si ritrassono
-dalla battaglia. Que’ d’entro avendo combattuto francamente, confortati
-e medicati di loro fedite, presono delle fatiche riposo.
-
-
-CAP. XCII.
-
-_Come il conte d’Avellino con dieci galee stette a Napoli, e Aversa
-s’arrendè al re._
-
-Stando l’assedio ad Aversa, la reina Giovanna non essendo bene del
-re Luigi, perchè volea essere da lui più riverita che non le parea,
-perocchè era donna e reina del reame, e il marito non era ancora re,
-a sua ’stanza fece in Proenza al conte d’Avellino, capo e maggiore
-della casa del Balzo, armare dieci galee, e all’uscita di giugno nel
-detto anno giunse nel porto di Napoli colla detta armata, atteso
-per soccorso, del quale aveano gran bisogno. Ma il conte pieno di
-malizia, conoscendo il bisogno del re Luigi, e poco curandosi della
-reina, mostrandosi di volere trattare suo vantaggio, colle sue galee
-si teneva in alto sopra il porto di Napoli. E per trarre vantaggio e
-mantenere l’armata, ordinò che ogni legno o barca che nel porto volesse
-entrare o uscire pagasse certa quantità di danari, e per questo modo
-aggravava i Napoletani, e faceva loro più grande la carestia della
-vittuaglia. E stando in questo modo, trattava domandando vantaggio
-al re Luigi, e il re gliel’otriava quanto sapea domandare, per avere
-l’aiuto di quelle galee, aggiugnendo i prieghi della reina, mostrando
-come con quelle galee poteano racquistare le terre di quella marina,
-onde seguirebbe loro grande soccorso. Ma per cosa che fare sapesse
-non potè smuovere il conte a dargli l’aiuto di quell’armata, anzi
-si partì di là, e per potere agiare la ciurma in terra s’apportò
-al castello dell’Uovo: e cominciò a trattare col re d’Ungheria di
-volergli dare per moglie la sirocchia della reina, che fu moglie del
-duca di Durazzo, e il re avvisato gli dava intendimento, per volere
-quelle galee tenere in contumace de’ suoi avversari. E stando il conte
-in trattati e di là e di qua, non si potea conoscere che facesse la
-volontà della reina, nè che fosse ribello al re Luigi, o in che modo si
-potesse giudicare essere col re d’Ungheria, tenendo colla sua malizia
-ogni parte sospesa. Al re Luigi e ai Napoletani fece danno, alla reina
-non accrebbe baldanza: ma al re d’Ungheria, per lo suo trattare, fece
-piuttosto avere Aversa: che sentendo gli assediati i trattati del
-conte, affaticati lungamente alla difesa d’Aversa, pensando che il re
-d’Ungheria rimanesse nel Regno, benchè ancora si potessono difendere
-alcun tempo, presono partito di trattare per loro. E messer Iacopo
-Pignattaro loro capitano, essendo regnicolo, e di natura mobile alla
-nuova signoria, tosto s’accordò col re, ed ebbe sotto titolo di loro
-soldi moneta dal re d’Ungheria, e rendégli la città d’Aversa: il quale
-incontanente v’entrò dentro con tutta sua cavalleria, e non lasciò
-fare a’ cittadini alcuna violenza o ruberia. E questo fu del mese di
-settembre del detto anno. Manifesto fu che questa vittoria venne agli
-Ungheri a gran bisogno, perocchè già era sì stracca la gente, per lungo
-disagio e per la carestia, che poco più vi poteano stare, e il partire
-senza averla vinta tornava al re e alla sua grande cavalleria ontosa
-vergogna.
-
-
-CAP. XCIII.
-
-_Come il re d’Ungheria e il re Luigi vennono a certa tregua._
-
-Avendo non ispedite guerre, ma piuttosto avviluppamenti di quelle
-narrate de’ fatti del regno di Cicilia, seguita non meno incognito
-e avviluppato processo nelle seguenti successioni di que’ fatti; ma
-cotali chenti alla nostra materia s’offeriranno, con nostra scusa gli
-racconteremo. Avuta il re d’Ungheria la città d’Aversa, alla quale
-lungo tempo s’era dibattuto con tutta la sua grande oste, e non l’avea
-potuta nè per forza nè per assedio acquistare, essendo debole città
-di mura e da poca gente difesa, si pensò che l’altre maggiori e più
-forti città che si teneano contro a lui sarebbono più malagevoli a
-conquistare, e per esempio d’Aversa troverebbe maggiore resistenza; e i
-suoi baroni aveano già compiuto con lui il termine del debito servigio,
-e a volerli ritenere al conquisto del Regno bisognava che desse loro
-danaro, che n’avea pochi, e del Regno non ne potea trarre, essendo in
-guerra: vide che il re Luigi, i baroni, e quelli che si teneano dal
-suo lato erano disposti di stare alla difesa delle mura: e però mutò
-l’animo agevolmente disposto a trovare accordo, col quale con meno sua
-vergogna si potesse partire del Regno. E dall’altra parte il re Luigi
-era a tanto condotto, che non che potesse con arme resistere al nimico,
-ma di mantenere bisognose e necessarie spese di sua vita era impotente;
-e se non fosse che l’animo de’ Napoletani concorrea a lui e alla reina
-alla loro difesa, non arebbono potuto sostenere. E per questa cagione
-era atta la materia da catuna parte a venire alla concordia con piccolo
-aiuto d’alcuni mezzani. Onde alcuno prelato di santa Chiesa, il quale
-era dal papa mandato nel Regno, e il conte d’Avellino, che avea da
-ogni parte puttaneggiato, coll’aiuto d’alcuno altro barone, movendosi
-a cercare se potessono trovare via d’accordo, con piccola fatica vi
-pervennono alla cavalleresca, in questo modo. Che triegue fossono
-fatte infino a calen di aprile, gli anni _Domini_ 1351, con patto, che
-chi avesse nel Regno dovesse sicuramente tenere sue città, castella
-e ville in pace tutto il tempo detto. Che la questione che si faceva
-contro alla reina Giovanna della morte del re Andreasso, si dovesse
-commettere nel papa e ne’ cardinali: e dove fosse trovata colpevole,
-dovesse perdere il reame, e tornasse libero al re d’Ungheria: e
-dove ella non fosse giudicata colpevole della morte del marito, ma
-liberatane per sentenza del papa e del collegio de’ cardinali dovesse
-rimanere reina del detto regno. E il re d’Ungheria le dovea rendere
-tutte le città, castella e baronaggi che vi tenea, riavendo da lei per
-le spese fatte per lui fiorini trecentomila d’oro, per quello modo e
-termine competente che ordinato fosse per la santa Chiesa; e per patto
-catuno re si dovea partire personalmente, e la reina del reame. Per
-la fermezza d’attenere l’uno all’altro questi patti non ebbe altro
-legame, che la fe e la scrittura e la testimonianza de’ mezzani. Il re
-d’Ungheria che avea d’uscire del reame maggior voglia, prese l’onesta
-cagione d’andare in romeaggio a Roma al santo perdono; e in Puglia
-alle terre della marina lasciò de’ suoi Ungheri alla guardia con loro
-capitani, e fornì di buona guardia tutte le sue tenute in Terra di
-Lavoro; e a Capova e Aversa, e per l’altre terre e castella circustanti
-lasciò suo vicario messer fra Moriale cavaliere friere di san Giovanni
-di Provenza, valente e ridottato cavaliere, con buone masnade di
-Provenzali, di cui il detto re molto si confidava; e a Viglionese
-e a Lanciano e nell’altre terre che tenea in Abruzzi lasciò vicario
-messer Currado Lupo, franco cavaliere, con sue masnade di Tedeschi
-a quella guardia. E ordinato ch’ebbe la guardia delle sue terre nel
-Regno si mise a cammino per andare a Roma: e incontanente il re Luigi
-per mostrare di volere uscire del Regno, e tenere i patti, si partì
-da Napoli colla reina, e venne alla città di Gaeta in su’ confini del
-reame, e ivi attendeva che il re d’Ungheria si partisse d’Italia e
-tornasse in suo reame, com’era in convegna; e ciò fatto, il re Luigi
-e la reina Giovanna doveano fuori del reame attendere la sentenza di
-santa Chiesa. I Gaetani ricevettono il re Luigi e la reina Giovanna
-in Gaeta con grande onore: e provviddongli di loro danari per aiuto
-alle spese, che n’aveano grande bisogno. Ed ivi si fermarono con animo
-e intenzione di non uscire del Regno, bene che promesso l’avessono,
-parendo loro che il dilungamento da quello, al bisognoso e lieve stato
-ch’aveano, fosse pericoloso al fatto loro. Il re d’Ungheria seguì a
-Roma suo viaggio, e avuto il santo perdono senza soggiorno se ne tornò
-in Ungheria.
-
-
-CAP. XCIV.
-
-_Come il conte d’Avellino diè al suo figliuolo per moglie la duchessa
-di Durazzo._
-
-Il conte d’Avellino, il quale colle sue galee era rimaso sopra Napoli
-al castello dell’Uovo, vedendo i fatti del Regno rimasi intrigati per
-lungo tempo, essendo rimasa la duchessa di Durazzo sirocchia della
-reina, vedova, nel castello dell’Uovo, chiamata Maria, non ostante
-che ’l detto conte fosse suo compare, ma per quello mostrando più
-familiarità, con piccola compagnia andò al castello per vicitarla,
-innanzi alla sua partita; la duchessa con buona confidanza gli fece
-aprire liberamente il castello, ed egli con due suoi figliuoli e colla
-sua famiglia armata v’entrarono: e entrati, fece prendere la guardia
-delle porti e delle fortezze d’entro. Ed essendo colla duchessa, disse
-che volea ch’ella fosse moglie di Ruberto suo figliuolo, e per forza le
-fece consumare il matrimonio: e di presente la trasse del castello con
-tutti i suoi arnesi, e misela nella sua galea, per menarla in Proenza.
-Il re Luigi ch’era in Gaeta sentì di presente questo fatto, e egli e
-la reina ne furono molto turbati. E seguendo il conte suo viaggio per
-tornare in Proenza con tutte le galee, quando furono sopra a Gaeta
-l’otto entrarono nel porto, e i padroni e’ nocchieri e le ciurme
-scesono in terra per pigliare rinfrescamento. Il conte colla duchessa
-e co’ figliuoli rimasono fuori del porto in due galee, e attendevano
-l’altre che prendevano rinfrescamento per seguire loro viaggio. Il re
-Luigi cautamente fece venire a se i padroni e’ nocchieri dell’otto
-galee, e fece segretamente armare de’ Gaetani e stare alla guardia,
-che non potessono senza sua volontà tornare alle galee. E fatto questo,
-disse: pensate di morire se non fate che le due galee dov’è il conte,
-e i figliuoli e la duchessa, venghino dentro nel porto a terra; e alle
-minacce aggiunse amore e preghiere: e ritenuti de’ caporali cui egli
-volle per sicurtà del fatto, lasciò gli altri tornare alle galee: i
-quali di presente s’accostarono alle due galee del conte, che di questo
-fatto, come il peccato l’accecava, non s’era avveduto, e di presente
-l’ebbono condotte a terra dentro al porto. Allora il re mandò a dire al
-conte che venisse a lui. Il conte si scusò che non potea perocch’era
-forte stretto dalle gotte. Il re acceso di furore e infiammato d’ira,
-per l’ingiuria ricevuta della vergogna fatta al sangue reale, e de’
-suoi gravi e pericolosi baratti, non si potè temperare nè raffrenare il
-conceputo sdegno: ma prese certi compagni di sua famiglia, e armati,
-in persona si mosse: e giunto al porto, montò in su la galea dov’era
-il conte. Venuto a lui, in brieve sermone gli raccontò tutti i suoi
-tradimenti, e la folle baldanza che lo avea condotto a vituperare il
-sangue reale: e detto questo, senza attendere risposta, con uno stocco
-il fedì del primo colpo; e incontanente n’ebbe tanti, che senza potere
-fare parola rimase morto in su la galea. La duchessa di presente fu
-tratta di galea, e collocata colla sua famiglia e co’ suoi arnesi
-in uno ostieri in Gaeta, e i due figliuoli del conte furono messi in
-prigione. Lasceremo ora de’ fatti del Regno, che stando le triegue non
-v’ebbe cosa degna di memoria, e ritorneremo alla nostra materia degli
-altri fatti d’Italia, e della nostra città di Firenze.
-
-
-CAP. XCV.
-
-_Della grande potenza dell’arcivescovo di Milano, e come i Fiorentini
-temeano di Pistoia, e quello che ne seguì._
-
-In questo medesimo tempo, tra il fine del cinquantesimo ed il
-cominciamento del milletrecentocinquantuno, i Fiorentini cominciarono
-forte a temere della città di Pistoia, la quale per cittadinesche
-sette era divisa e in male stato. E la casa de’ Panciatichi, che non
-erano originali guelfi, in que’ dì aveano cacciato della città messer
-Riccardo Cancellieri e i suoi naturali, guelfi, di quella terra, e
-antichi servidori del comune di Firenze: e messer Giovanni Panciatichi
-s’avea recato in mano il governamento di quella terra, e per sembianti
-mostrava d’essere amico del comune di Firenze. I Fiorentini sentendo
-l’arcivescovo di Milano, il quale in quel tempo avea sotto la sua
-tirannia ventidue città, tra in Lombardia e in Piemonte, e di nuovo
-avea contro la volontà di santa Chiesa presa la città di Bologna,
-la quale confinava col loro comune, temeano forte che Pistoia per le
-cittadinesche discordie non pervenisse nelle sue mani, e però voleano
-la guardia di quella terra. E quanto che messer Giovanni si mostrasse
-amico del comune di Firenze, con diverse e nuove cagioni tranquillava
-e metteva indugio col seguito de’ cittadini della sua setta, che il
-comune di Firenze non avesse la guardia, raffrenando l’appetito de’
-Fiorentini, col sospetto del potente vicino. Nondimeno i Pistolesi
-guelfi pur vollono che il comune di Firenze v’avesse dentro alcuna
-sua sicurtà, e consentirono che i Fiorentini mettessono in Pistoia
-messer Andrea Salamoncelli, uscito di Lucca loro soldato, con cento
-cavalieri e con centocinquanta masnadieri alla guardia di Pistoia, alle
-spese del comune di Firenze, con patto espresso, che il detto capitano
-co’ suoi cavalieri e fanti giurassono di mantenere quello stato che
-allora reggeva Pistoia, contro il comune di Firenze, e ogni altro che
-offendere o mutare il volesse. I Fiorentini vedendo che meglio non si
-poteva fare senza grave pericolo, benchè conoscessono che questa non
-era la guardia che bisognava, acconsentirono, e misonvi il capitano e
-la gente d’arme sotto il detto saramento: e con molte dissimulazioni
-e lusinghe manteneano quella città, ritenendo i cavalieri in Firenze
-senza mutazione infino al primo tempo.
-
-
-CAP. XCVI.
-
-_Come certi rettori di Firenze vollono prendere Pistoia per inganno._
-
-Era per successione de’ rettori di Firenze di priorato in priorato
-la sollecitudine di mettere rimedio alla guardia di quella città, e
-non trovandosi da potere fare altro che fatto si fosse, alcuni allora
-rettori del nostro comune, con più presunzione che il loro consiglio
-non permettea, provvidono di fare tra loro segretamente d’avere per
-non leale ingegno la signoria di quella terra; e com’ebbono conceputo
-il non debito fatto, così per non discreto nè savio modo il vollono
-mettere a esecuzione, e sotto altro titolo accolsono i soldati del
-comune a piedi e a cavallo, e mossonne delle leghe del contado: e
-avendo a questa gente dato ordine alla notte che si doveano muovere,
-vollono provvedere di mutare di Pistoia il capitano ch’avea giurato a’
-Pistolesi, ch’era troppo diritto e leale cavaliere di sua promessa,
-e scambiare le masnade sotto il titolo della condotta, acciocchè
-potessono senza contasto dentro meglio fornire la loro intenzione: e a
-ciò fare mattamente si confidarono a uno ser Piero Gucci, soprannomato
-Mucini, allora notaro della condotta, il quale era paraboloso e di
-grande vista, e poco veritiere ne’ fatti. Questi promise di fornire
-la bisogna chiaramente, e d’avvisare del fatto alcuni conestabili
-confidenti: e preso a fornire il servigio, i poco discreti rettori del
-comune ebbono la promessa di colui come se la cosa fosse ferma e certa;
-e per questo la notte ordinata, a dì 26 di marzo gli anni _Domini_
-1351, feciono cavalcare i cavalieri e’ pedoni ch’aveano apparecchiati,
-e con loro messer Ricciardo Cancellieri, colle scale provvedute alla
-misura delle mura, e a Pistoia furono la mattina innanzi dì, ed ebbono
-messe le scale, e montati de’ cavalieri e de’ pedoni in su le mura,
-e scesine dentro una parte, avvisando d’avere l’aiuto de’ soldati del
-comune di Firenze che v’erano dentro, come era loro dato a divedere,
-pensavano a dare la via agli altri e farsi forti, e tutto era senza
-contasto, perocchè i cittadini si dormivano senza sospetto. E i soldati
-del comune che dentro v’erano non aveano sentimento nè avviso alcuno,
-perocchè il notaio, a cui la bisogna fu commessa, fu trovato in Prato
-nell’albergo a dormire. Messer Ricciardo essendo co’ suoi in sulle mura
-si scoperse innanzi tempo, facendo gridare viva il comune di Firenze e
-messer Ricciardo. I Pistolesi sentendo il rumore credettono fosse opera
-di messer Ricciardo loro sbandito, il quale aveano in gran sospetto;
-e però co’ soldati de’ Fiorentini insieme furono all’arme, e trassono
-alle mura francamente ad assalire coloro che dentro erano scesi: e
-feditine alquanti, tutti gli presono, e allora di prima seppono che
-questa era fattura de’ Fiorentini; e tutti co’ soldati de’ Fiorentini
-insieme intesono sollecitamente a guardare la terra il dì e la notte. E
-la folle impresa, mattamente condotta per li rettori di Firenze, generò
-in Pistoia grave e pericoloso sospetto, e in Firenze molta riprensione.
-Il notaio, a cui i signori aveano commessa la bisogna, fu preso a
-furore di popolo e menato alla podestà, e avrebbe perduta la persona,
-se non che il grande fallo ch’aveano commesso i suoi comandatori,
-perchè non gravasse loro difesono lui. E di questo seguì quello che
-appresso diviseremo.
-
-
-CAP. XCVII.
-
-_Come i Fiorentini assediarono Pistoia ed ebbonla a’ comandamenti loro._
-
-Quando i Fiorentini s’avvidono del pericolo, ove l’indebita impresa
-de’ loro rettori gli aveva messi, di recare a partito i Pistolesi,
-per la nuova ingiuria ricevuta, d’aiutarsi colla forza del vicino
-tiranno: temendo che questo non avvenisse, non per animo di volere di
-quella città alcuna giurisdizione fuori che la guardia, per gelosia
-che al tiranno non pervenisse, di presente diliberarono che la città
-si strignesse per forza e per amore tanto che la guardia solo se ne
-avesse, per loro sicurtà, e del nostro comune, e altro non volea; e
-senza indugio alla gente che andata v’era s’aggiunse cavalieri, quanti
-allora il comune ne aveva, e fanti a piè. E per decreto del comune si
-diè parola agli sbanditi che catuno facesse suo sforzo, e alle sue
-spese menasse gente nell’oste in aiuto al comune di Firenze secondo
-suo stato, e dopo il servigio fatto sarebbe ribandito d’ogni bando. Per
-la qual cosa in tre dì furono intorno a Pistoia ottocento cavalieri e
-dodicimila pedoni, e ristrinsonla d’ogni parte con più campi, sicchè
-di loro contado nè da altra amistà dentro non poterono avere alcuno
-soccorso o aiuto. E di Firenze vi s’aggiunse sedici pennoni, uno per
-gonfalone, co’ quali andarono duemila cittadini quasi tutti armati come
-cavalieri, e molti ve n’andarono a cavallo; e giunti nell’oste con
-loro capitani, feciono dirizzare intorno alla città otto battifolli.
-In Pistoia aveva a questo tempo millecinquecento cittadini, o poco
-più, da potere con arme difendere la terra, oltre alle masnade a
-cavallo e a piè che dentro v’erano a soldo de’ Fiorentini, i quali
-si stavano senza fare novità dentro o guerra di fuori: per la qual
-cosa al gran giro della città parea che così pochi cittadini non la
-dovessono potere difendere. E per questa cagione i Fiorentini aveano
-speranza di vincerla per forza, quando con loro non si potesse trovare
-accordo. I Pistolesi d’entro, uomini coraggiosi e altieri, con dura
-faccia intendeano dì e notte alla loro difesa: e perch’erano pochi a
-tanta guardia quanta il dì e la notte convenia loro fare, uscirono
-delle loro case, e vennono ad abitare intorno alle mura: e le mura
-armarono di bertesche e di ventiere, e dentro uno largo corridore di
-legname, e fornironlo di pietre e di legname e di pali da gittare,
-e di travi sopra i merli: e feciono a piè delle mura intorno intorno
-molti fornelli con caldaie, per apparecchiare acqua bollita per gittare
-sopra coloro che combattessono: e apparecchiarono calcina viva in
-polvere per gittare, e con ferma e aspra fronte mostravano volere
-difendere la loro franchigia; la qual cosa era degna di molta lode,
-se per antichi e nuovi e continovi esempli, della loro cittadinesca
-discordia non fosse contaminata. E addurandosi di non volere prendere
-accordo col comune di Firenze, soffersono il guasto di fuori de’ loro
-campi; e vedendo i Fiorentini che più s’adduravano, diliberarono che
-la terra si combattesse; e per levare loro la speranza del contradio,
-comandarono a messer Andrea Salamoncelli, capitano e conestabile de’
-cavalieri e de’ pedoni che dentro v’erano a soldo del nostro comune,
-che ne dovesse uscire, e così fu fatto; per la qual cosa la nostra
-oste s’accrebbe, e a loro mancò la speranza: e ordinati di fuori ponti
-e grilli, e castella di legname e altri fornimenti da combattere le
-mura, acciocchè con più sicurtà si potesse intendere alla battaglia,
-cinsono di buono steccato dall’uno battifolle all’altro. I Pistolesi
-vedendo la disposizione de’ Fiorentini, e pensando, eziandio che si
-difendessono, non poteano bene rimanere, cominciarono più a temere.
-In questo mezzo ambasciadori da Siena v’entrarono, mandati dal loro
-comune per trovare accordo, e come che s’aoperassono conferendo colle
-parti, manifesto fu che peggiorarono la condizione, e inacerbirono
-gli animi e dentro e di fuori. E dato il dì della battaglia, e da ogni
-parte apparecchiata, i guelfi di Pistoia, ch’erano la maggiore forza
-della città, s’accolsono insieme con pochi ghibellini, ed essendo al
-consiglio, ricercarono con l’animo più riposato il pericolo a che si
-conducevano, per contrastare a’ padri loro, il comune di Firenze, la
-guardia loro e della città, la quale doveano con istanza domandare
-a’ Fiorentini che la prendessono, volendo mantenere la città a parte
-guelfa, e in più sicuro e pacifico stato che non erano. E così parlato,
-misono il partito a segreto squittino, e vinsero che la guardia della
-città fosse messa liberamente nel comune di Firenze, e che dentro vi
-mettesse gente e capitano alla guardia quanto al detto comune piacesse;
-e che dentro alla città in su le mura si facesse un castello alle spese
-de’ Fiorentini, per più sicura guardia, e che oltre a ciò avessono
-la guardia di Seravalle e quella della Sambuca. E messi dentro de’
-cittadini di Firenze in quel dì, ogni cosa di grande concordia si recò
-in buona pace; e dentro vi misono il capitano e’ cavalieri e’ pedoni
-che i nostri cittadini vollono, e presono la tenuta, e ordinarono
-la guardia di Seravalle: e per fretta e mala provvidenza indugiarono
-di mandare per la tenuta della Sambuca nel passo dell’alpe, la quale
-quando poi vollono, senza difetto de’ Pistolesi, non poterono avere:
-onde poi ne seguì cagione di grande pericolo a’ Pistoiesi e al nostro
-comune, come leggendo per innanzi si potrà trovare. Fatta la detta
-concordia, i Fiorentini levarono il campo e arsono i battifolli, e
-ordinatamente con gran festa tornò tutta la bene avventurata oste nella
-nostra città, all’uscita d’aprile, gli anni di Cristo 1351. E pochi dì
-appresso vi mandò il comune di Firenze de’ suoi grandi cittadini con
-pieno mandato, i quali riformassono al piacere de’ cittadini di Pistoia
-lo stato e il reggimento di quello comune; e rimisonvi messer Ricciardo
-Cancellieri e’ suoi, con pace de’ Panciatichi, fortificata e ferma con
-più matrimoni dall’una famiglia all’altra.
-
-
-CAP. XCVIII.
-
-_Come il re d’Inghilterra sconfisse in mare gli Spagnuoli._
-
-Nel tempo delle tregue del re di Francia e di quello d’Inghilterra,
-gli Spagnuoli, i quali usavano colle loro cocche e navili di navicare
-il mare di Fiandra, cominciarono a danneggiare i navili d’Inghilterra,
-e a rubare in corso le loro mercatanzie; e seguitando con più forza la
-loro guerra, per più riprese feciono agl’Inghilesi onta e danno assai.
-Il re d’Inghilterra non potè dissimulare questa ingiuria, che senza
-cagione di guerra gli Spagnuoli gli aveano fatta, e però accolse suo
-navilio, e in persona con due suoi figliuoli assai giovani si mise in
-mare per andare in Spagna. Il re di Castella che sentì l’armata del
-re d’Inghilterra, fece suo sforzo d’armare molte navi, e abboccaronsi
-coll’armata d’Inghilterra nella vicinanza delle loro marine, e
-commisono aspra e fiera battaglia, della quale il re d’Inghilterra
-ebbe la vittoria, con grande danno degli Spagnuoli e delle loro navi.
-E fatta la sua vendetta, con piena vittoria si tornò in Inghilterra. E
-qui finisce il nostro primo libro, anni di Cristo 1351.
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-
-
-
-LIBRO SECONDO
-
-
-CAPITOLO PRIMO
-
-_Prolago._
-
-Perocchè anticamente gl’infedeli e i pagani e le barbare nazioni,
-compiacendosi alla reverenza delle virtù morali, i cominciamenti della
-guerra alle ragioni della giustizia congiugneano, non senza debita
-ammirazione ne’ nostri tempi, ne’ quali i cristiani, non solamente
-dalle morali, ma dalle virtù divine ammaestrati nella perfetta fede
-di Cristo nostro redentore, molti trapassano con disordinato appetito
-la via eguale della vera giustizia, e seguitando la sfrenata volontà
-della tirannesca ambizione, non colle debite ragioni, ma con perverse
-cagioni, con subiti e sprovveduti assalti gli sprovveduti popoli
-assaliscono, le città e le terre, confidandosi nella loro quiete, per
-furti, per tradimenti, e per inganni rapiscono, sforzandosi con ogni
-generazione d’inganni quelle soggiogare, e sottomettere al giogo della
-loro tirannia; e non meno la cristianità, che le infedeli nazioni,
-di queste malizie e inganni spesso si conturba. E avvegnachè queste
-cose senza vergogna de’ laici secolari raccontare non si possono, ne’
-cherici, e massimamente ne’ prelati, i quali, invece di Cristo fatti
-spirituali pastori della sua greggia, diventando rapaci lupi, nelle
-predette cose sono con ogni abominazione da detestare. E però venendo
-al cominciamento del secondo libro del nostro trattato, diverse e
-varie cagioni di questa materia prima ci s’apparecchiano, vinti da
-onesta necessità, la verità del fatto, con seguire nostra materia,
-racconteremo.
-
-
-CAP. II.
-
-_Come il comune di Firenze usava la pace coll’arcivescovo di Milano._
-
-I Fiorentini avendo per gelosia presa la guardia del castello di Prato
-e della città di Pistoia, usciti della paura di quelle, si stavano
-in pace, riputandosi essere in amistà dell’arcivescovo di Milano,
-perocchè guerra non v’era, e contro a sua impresa i Fiorentini non
-s’erano voluti travagliare. Con Bologna tenea le strade e i cammini
-aperti, e le mercatanzie d’ogni parte andavano e venivano sicure. E
-spesso il tiranno scrivea al comune de’ suoi onori e de’ singulari
-servigi, come accade ad amici, e il comune a lui, come a reverente
-signore e caro amico. E con folle ignoranza stava il nostro comune
-senza sospetto, e per non dare materia di sospetto al vicino tiranno,
-si guardava di fornirsi di capitano di guerra e di gente d’arme, e
-appena aveano fornite di guardie le loro castella. Il tiranno, ch’avea
-fatta la lega con gli altri tiranni d’Italia e con tutti i ghibellini,
-si venia fornendo di gente d’arme al suo soldo a piè e a cavallo,
-e vegghiava al continovo contro al nostro comune nella conceputa
-malizia, attendendo il tempo che a ciò avea divisato. E in questo mezzo
-carezzava con doni e con servigi i suoi vicini tiranni, per averli
-più pronti al suo servigio al tempo del bisogno. E si pensava, che
-ingannando i Fiorentini, e venendo della città al suo intendimento,
-essere appresso al tutto signore d’Italia. E i rettori della città di
-Firenze avendo a’ suoi confini il tiranno potente, viveano improvvisi,
-sotto confidenza degna di biasimo e di grave punizione. Ma così avviene
-spesso alla nostra città: perocchè ogni vile artefice della comunanza
-vuole pervenire al grado del priorato e de’ maggiori ufici del comune,
-ove s’hanno a provvedere le grandi e gravi cose di quello, e per forza
-delle loro capitudini vi pervengono; e così gli altri cittadini di
-leggiere intendimento e di novella cittadinanza, i quali per grande
-procaccio, e doni e spesa si fanno a’ temporali di tre in tre anni agli
-squittini del comune insaccare: è questa tanta moltitudine, che i buoni
-e gli antichi, e’ savi e discreti cittadini di rado possono provvedere
-a’ fatti del comune, e in niuno tempo patrocinare quelli, che è cosa
-molto strana dall’antico governamento de’ nostri antecessori, e dalla
-loro sollecita provvisione. E per questo avviene, che in fretta e
-in furia spesso conviene che si soccorra il nostro comune, e che più
-l’antico ordine, e il gran fascio della nostra comunanza, e la fortuna,
-governi e regga la città di Firenze, che il senno o la provvidenza de’
-suoi rettori. Catuno intende i due mesi c’ha a stare al sommo uficio al
-comodo della sua utilità, a servire gli amici, o a diservire i nimici
-col favore del comune, e non lasciano usare libertà di consiglio a’
-cittadini: e questo è spesso cagione di vergogna e di grave danno del
-nostro comune, ricevuto da’ suoi minori e impotenti vicini.
-
-
-CAP. III.
-
-_Come l’arcivescovo di Milano appuose tradimento e condannò messer
-Iacopo Peppoli._
-
-Era in questo tempo rimaso in Bologna messer Iacopo de’ Peppoli, il
-quale fu traditore con messer Giovanni suo fratello della propria
-patria, vendendo la città e i suoi cittadini all’arcivescovo, come
-detto abbiamo, al quale la sua malizia, e il commesso peccato, tosto
-apparecchiò alcuna penitenza alle sue male operazioni. Che trattando
-egli con certi tiranni lombardi di fare rivolgere la città di Bologna,
-l’arcivescovo, o vero o bugia che fosse, sentì che trattato si tenea
-per lui e per alcuni altri cittadini di Bologna: e la boce corse
-che trattavano co’ Fiorentini: e questo non ebbe sostanza alcuna di
-verità. Il tiranno avea voglia di trarlo di Bologna, sicchè ogni lieve
-ragionamento o materia gli fu assai: e però di presente fece prendere
-lui e’ figliuoli e alcuni altri cittadini, e condannati gli altri a
-morte, messer Iacopo per grande servigio condannato a perpetua carcere,
-e pubblicati i suoi beni alla sua camera, come di traditore, e tolsegli
-i danari che gli restavano della vendita di Bologna, e le castella che
-dato gli avea, e il proprio patrimonio: e fattolo venire co’ figliuoli
-a Milano, incarcerò lui nel castello di... e i figliuoli a Cremona.
-L’altro fratello che a quello tempo era in Milano non involse in
-questa sentenza, il quale dissimulando suo dolore rimase in Milano in
-lieve stato, per passare il tempo alla provvigione del signore, con
-amaro cuore. Assai tosto ha fatto manifesto qui il divino giudicio la
-miseria a che sono condotti i traditori della loro patria, i quali per
-disperato consiglio, i cittadini i quali gli aveano con grande onore
-esaltati e fatti signori sottopuosono per avarizia al giogo del crudele
-tiranno: e ora spogliati de’ propri beni, e privati d’ogni amore de’
-loro cittadini, in calamitosa prigione danno esemplo agli altri di più
-intera fede a’ loro comuni.
-
-
-CAP. IV.
-
-_Come l’arcivescovo fermò d’assalire improvviso la città di Firenze._
-
-Nel mese di luglio del detto anno, l’arcivescovo di Milano, avendo
-purgato di sospetto la città di Bologna, per la morte d’alquanti
-cittadini e per l’incarcerazione di messer Iacopo de’ Peppoli e
-de’ figliuoli, e accolti e fatti accogliere quasi tutti i soldati
-oltramontani d’Italia, parendoli venuto il tempo di scoprire a’ suoi
-collegati ghibellini d’Italia la sua intenzione, ebbe in Milano i
-caporali di parte ghibellina d’Italia, e conferì con loro di volere
-sottomettersi il comune di Firenze, e con molte ragioni dimostrò
-com’era venuto il tempo da poterlo fare col loro aiuto: e ciò fatto,
-era spento in Italia il nome di parte guelfa. La proposta fu in piacere
-di tutti. Eranvi caporali, oltre a’ Lombardi, gli Ubaldini, i figliuoli
-di Castruccio Interminelli e messer Francesco Castracani da Lucca,
-messer Carlino di Pistoia e’ suoi, il conte Nolfo d’Urbino, i conti di
-Santafiore e il conte Guglielmo Spadalunga, e de’ ribelli del comune di
-Firenze alquanti di quelli da Cigliano, e messer Tassino e il fratello
-discesi della casa de’ Donati. E non volendosi scoprire d’esservi in
-persona i Tarlati d’Arezzo, il vescovo co’ suoi Ubertini, e’ Pazzi di
-Valdarno, e il conte Tano da Montecarelli, ch’erano allora in pace e
-in amore col comune di Firenze, in segreto vi mandarono catuno segreti
-ambasciadori con pieno mandato. I quali tutti udita l’intenzione del
-potente tiranno furono molto allegri, e confortarono l’arcivescovo
-dell’impresa: aggiugnendo che sentivano i cittadini di Firenze in tanta
-discordia per le loro sette, e per lo male contentamento del reggimento
-della città, e Arezzo e Pistoia in sì male stato, che se la sua potenza
-improvviso a quelli comuni col loro aiuto si stenderà sopra loro, non
-vedeano che di tutto in breve tempo e’ non fosse signore: e la signoria
-di Firenze il facea signore d’Italia. E così d’un animo rimasono in
-accordo col tiranno di fare l’impresa ordinata; e data la fede della
-loro credenza e di loro aiuto, con grandi promesse lieti si ritornarono
-in loro contrade, e intesono d’apparecchiarsi di cavalli e d’arme al
-loro podere. L’ordine fu preso, che quando l’oste dell’arcivescovo
-fosse sopra i Fiorentini, che gli Ubaldini co’ Romagnuoli assalissono
-nel’alpe, e i Tarlati Ubertini e Pazzi si rubellassono e assalissono
-il Valdarno: e il conte Tano da Montecarelli movesse guerra in Mugello.
-A’ Pisani intendea l’arcivescovo co’ suoi confidenti ambasciadori fare
-rompere pace a’ Fiorentini, e muovere guerra dalla loro parte: cercando
-muoverli con sue coperte suasioni, non dimostrando il perchè, in suo
-aiuto. Ma i Pisani accorgendosi del fatto, nutricavano il tiranno con
-parole di speranza, e mandarono a lui loro ambasciadori per potere
-sentire più il vero da che movea quella inchiesta, e per avere più
-tempo a deliberare. E questo avvenne, perocchè allora la città di
-Pisa signoreggiava per li Gambacorti, uomini mercatanti e amici de’
-Fiorentini. Ma i governatori del comune di Firenze, addormentati e
-fuori della mente, non procuravano di sentire queste cose, e quello
-che sentivano mettevano al non calere, e provvisione alla loro guardia
-non faceano, sentendo che molta gente d’arme s’accogliea in Lombardia,
-e che Lombardia non era in guerra, ma in lega coll’arcivescovo di
-Milano. I quali rettori del nostro comune non erano degni di governare
-il fascio di tanta città, ma di grandi pene delle loro persone,
-commettendo contro al loro comune pericolo d’irreparabile fallo.
-
-
-CAP. V.
-
-_Come si mise in ordine il consiglio preso._
-
-L’arcivescovo di Milano, la gente d’arme che avea in diverse parti
-in Lombardia, in pochi dì la fece venire a Bologna: e fatto capitano
-messer Giovanni de’ Visconti da Oleggio, il quale per fama si tenea
-essere suo figliuolo, per addietro capitano de’ Pisani, e prigione
-de’ Fiorentini nella battaglia che feciono per soccorrere Lucca alla
-Ghiaia, animoso contro a’ Fiorentini, singularmente per quell’onta,
-uomo di grande animo, e accompagnato da’ caporali ghibellini lombardi
-toscani e marchigiani, maestrevoli conducitori di guerra, si pensò
-prosperamente fornire la commissione a lui fatta per lo suo signore. Il
-castello della Sambuca, nel passo della montagna tra Bologna e Pistoia,
-era allora per difetto de’ Fiorentini nelle sue mani, al quale avea di
-vittuaglia per l’oste grande apparecchiamento; e di questo non s’erano
-accorti i Fiorentini: e così provveduto, subitamente a dì 28 del mese
-di luglio, gli anni _Domini_ 1351, mosse colla sua oste da Bologna, e
-prima fu valicato la Sambuca, e accampatosi presso a Pistoia a quattro
-miglia, per attendere il rimanente del suo esercito, che i Fiorentini
-sapessono alcuna cosa, o che avessono avuto pensiero che la forza del
-tiranno si stendesse sopra loro: ma sentendo questo, subitamente, in
-que’ due dì ch’e’ nimici attesono la loro gente, i Fiorentini misono
-gente d’arme a piè e a cavallo in Pistoia, sicchè dentro vi si trovò
-alla guardia da cinquecento cavalieri e seicento fanti alla venuta
-dell’oste, messer Giovanni raunata tutta la sua oste e la vittuaglia, a
-dì 30 di luglio predetto si strinse alla città di Pistoia, credendolasi
-avere per vane promesse, ma non essendogli risposto come s’avvisava,
-vi si strinse e posevisi ad assedio. La gente de’ Fiorentini che
-dentro v’era, faceano di dì e di notte sofficiente e buona guardia, e
-per questo, se trattato niuno v’era non s’ardì a scoprire, ma tutti i
-cittadini colla gente de’ Fiorentini insieme attesono alla difesa della
-città.
-
-
-CAP. VI.
-
-_Come gli Ubaldini arsono Firenzuola, e presono Montecolloreto._
-
-Gli Ubaldini, ch’erano in pace col comune di Firenze, sentendo l’oste
-dell’arcivescovo sopra Pistoia, avendo fatto loro sforzo, e avuto
-cavalieri del tiranno, improvviso a’ Fiorentini apparirono nell’alpe,
-e corsono a Firenzuola, che si redificava pe’ Fiorentini, ma non era
-ancora cinta di mura, nè di fossi nè di steccati, ma incominciata, e
-dentro v’erano capanne per alberghi, e lieve guardia per tener sicuro
-il cammino, sicchè senza contrasto la presono e arsono: e andaronsene
-a oste a Montecolloreto, nel quale era castellano per lo comune di
-Firenze uno popolano de’ Ciuriani di Firenze, giovane poco scorto
-degl’inganni delle guerre. Costui vedendosi assediato, e dando fede
-alle parole de’ nimici, i quali diceano come Firenze era per arrendersi
-al signore di Milano, si condusse mattamente a patteggiar con loro:
-che se in fra ’l terzo dì non fosse soccorso, darebbe la rocca: e
-per istadico diede un suo fratello. I Fiorentini ch’aveano l’animo
-a guardare quella fortezza, cercarono di soccorrerla, e trovato uno
-conestabile valente con venticinque masnadieri, promise d’entrare
-innanzi al termine nel castello; e di presente si mise in cammino: e
-tanto procacciò per suo ingegno e virtù, che innanzi il termine fu nel
-castello, ma non potè entrare nella mastra fortezza, che si guardava
-per lo castellano, e ’l castellano avendo questo soccorso si potea
-difendere per lungo tempo da tutta la forza ch’avessono potuta fare gli
-Ubaldini, perocchè il luogo era fortissimo e bene fornito: ma essendo
-(come egli follemente avea messo il fratello nelle mani de’ nimici,
-i quali minacciavano d’impiccarlo se non rendesse la rocca) vinto
-dall’amore della carne, non volle ricevere il soccorso, anzi diede la
-rocca a’ nimici. E salvate le persone da’ nimici, condotto a Firenze,
-e giudicato traditore del comune, per la sua dicollazione e di due suoi
-compagni diede esemplo agli altri castellani di più intera fede al loro
-comune. I mallevadori che dati avea di rassegnare la rocca al comune
-convenne che pagassono lire ottomila com’erano obbligati.
-
-
-CAP. VII.
-
-_Come gli Ubertini, e’ Tarlati, e i Pazzi assalirono il contado di
-Firenze._
-
-Messer Piero Sacconi co’ suoi Tarlati usciti d’Arezzo, e il vescovo
-d’Arezzo degli Ubertini co’ suoi consorti, e Bustaccio co’ Pazzi di
-Valdarno, per lungo tempo stati in pace e in protezione col comune
-di Firenze, sentendo l’avvenimento di messer Giovanni Visconti da
-Oleggio con grande forza d’arme sopra Pistoia, si ragunarono con
-tutto loro sforzo di gente d’arme a piè e a cavallo a Bibbiena; e
-dall’arcivescovo aveano avuto dugentocinquanta barbute, acciocchè
-potessono fare maggiore guerra. Di presente, improvviso a’ Fiorentini,
-cominciarono a cavalcare sopra loro, e sopra i conti Guidi, amici e
-fedeli del comune di Firenze, e oggi correvano in una contrada e domane
-in un’altra, uccidendo e predando, e facendo aspra guerra. I Fiorentini
-vedendo d’ogni parte le subite e sprovvedute tempeste venire sopra
-loro, e sentendo gli amici diventati nimici, ebbono paura non piccola,
-mescolata di grande sospetto, e i provveduti rettori del comune non
-sapeano che si fare. E così era la città di forza e di consiglio
-spaventata, e molto piena di paura e di sospetto per modo, che non
-veggendo nè per atto nè per consiglio alcuna cagione di sospetto
-cittadinesco, non si fidava l’uno del’altro, e non si provvedea al
-comune riparo per via di consiglio in que’ primi cominciamenti.
-
-
-CAP. VIII.
-
-_Come i Fiorentini mandaro ambasciadori al capitano dell’oste._
-
-Vedendosi i Fiorentini con tanta forza e da cotante parti assalire dal
-signore di Milano, senza avere con lui alcuna guerra o conturbagione
-di pace, elessono alquanti cittadini, e mandaronli ambasciadori nel
-campo a messer Giovanni da Oleggio, capitano dell’oste sopra a Pistoia,
-i quali essendo giunti nel campo, furono ricevuti dal capitano assai
-cortesemente. E secondo la commissione a loro fatta da’ priori e
-da’ collegi del nostro comune, domandarono messer Giovanni, con ciò
-fosse cosa che tra l’arcivescovo suo signore e ’l comune di Firenze
-fosse pace e niuno sospetto di guerra, perchè venuto era ostilmente
-come contra suoi nimici sopra il comune di Firenze, non avendo prima
-annunziato al comune la sua guerra secondo i patti della pace, salvo
-che per una breve lettera, mandata per lui poichè fu sopra Pistoia: la
-quale senza precedente cagione di nostro fallo, disse: _non avete voi
-voluto osservare la pace, e però vi facciamo la guerra_: la quale non
-era nè onesta nè debita cagione; e però siamo mandati dal nostro comune
-a sapere la verità di questo movimento. Udito il capitano la loro
-ambasciata, raccolse il suo consiglio, e appresso rispose altieramente
-in questo modo. Il nostro signore, messer l’arcivescovo di Milano, è
-potente, benigno e grazioso signore, e non fa volentieri male ad alcuna
-gente, anzi mette pace e accordo in ogni luogo ove la sua potenza si
-stende; è amatore di giustizia, e sopra gli altri signori la difende e
-mantiene: e qui non ci ha mandati per mal fare, ma per volere tutta la
-Toscana riducere e mettere in accordo e in pace, e levare le divisoni
-e le gravezze che sono tra’ popoli e’ comuni di questi paesi. E perchè
-a lui è pervenuto e sente le divisioni discordie e sette, e le gravezze
-che sono in Firenze, le quali conturbano e aggravano la vostra città e
-tutti i comuni di Toscana, ci ha mandati qui affinchè voi vi governiate
-e reggiate in pace e in giustizia per lo suo consiglio, e sotto la sua
-protezione e guardia; e così intende volere addirizzare tutte le terre
-di Toscana. E dove questo non si possa fare con dolcezza e con amore,
-intende farlo colla forza della sua potenza e degli amici suoi. E a
-noi ha commesso, ove per voi non si ubbidisca al suo buono e giusto
-proponimento, che mettiamo la sua oste in sulle vostre porti e intorno
-alla vostra città, e che ivi tanto manterrà quella, accrescendola e
-fortificandola, continuamente combattendo d’ogni parte il contado e il
-distretto del vostro comune col fuoco e col ferro, e colle prede de’
-vostri beni, che tornerete per vostro bene alla volontà sua. Udendo
-gli ambasciadori la superba risposta del capitano e del suo consiglio,
-non parve che luogo e tempo fosse di quivi stendere più loro sermone:
-e però domandarono sicurtà fino a Bologna per potere andare al signore
-di Milano, come aveano in commissione dal loro comune, la quale il
-capitano non volle dare. E però si tornarono a Firenze, e spuosono a’
-signori e al consiglio quello ch’aveano avuto dal capitano dell’oste
-per risposta della loro ambasciata, per la quale l’animo de’ cittadini
-di Firenze crebbe più in disdegno che in paura.
-
-
-CAP. IX.
-
-_Come l’oste si levò da Pistoia e puosesi a Campi._
-
-Essendo stata l’oste del tiranno otto dì sopra la città di Pistoia, e
-mancata la speranza d’avere la terra, per la buona guardia e sollecita
-che ’l dì e la notte vi faceano i Fiorentini: e il somigliante di
-Prato, nelle quali terre erano le tre parti della gente d’arme che
-allora aveano i Fiorentini, essendo la città di Firenze quasi rimasa
-senza aiuto di soldati forestieri, e non avendo capitano di guerra:
-messer Giovanni da Oleggio col consiglio de’ caporali ghibellini
-ch’avea con seco, i quali stavano solleciti a sentire il fatto del
-nostro comune, e sentivano essere dentro grande sospetto e poco
-consiglio, e minore forza d’arme che in Pistoia e in Prato, con molte
-verisimili suasioni mossono il capitano subitamente a stringersi
-sopra Firenze colla sua oste: il quale essendo uomo di grande ardire,
-e animoso contro a’ Fiorentini, sentendosi accompagnato da molti
-buoni capitani di guerra, e da cinquemila barbute, e da duemila
-altri cavalieri, e seimila masnadieri a piede, non bene provveduto di
-vittuaglia, sperando nel contado di Firenze farsene abbondevole, come
-mostrato gli era, a dì 4 d’agosto del detto anno subitamente levò il
-campo da Pistoia, e per la strada dritta e piana senza arresto valicata
-la terra di Prato, condusse la sua oste in sull’ora del vespero a
-Campi, Brozzi e Peretola, improvviso, non che a’ Fiorentini, ma agli
-uomini di quelle ville e contrade, per la qual cosa non poterono
-campare alcuna cosa, fuori che le persone, e di quelle vi rimasono
-assai. Il capitano per non conducersi al tardi, e perchè il luogo era
-albergato e pieno d’ogni bene, fermò il campo a Campi. Della villa di
-Campi e d’altre d’intorno raccolsono grano e biada e carnagione assai,
-e molte masserizie e letta de’ paesani: e intesono a starsi ad agio e a
-rinfrescare la gente di vivanda, della quale intorno a Pistoia aveano
-avuto disagio. E dato l’ordine al campo di buona guardia di dì e di
-notte, provviddono che ogni cavalcata che si facesse verso la città
-di Firenze avesse riscossa di mille cavalieri il meno. E incontanente
-cominciarono a cavalcare per lo piano, prendendo e raccogliendo
-il bestiame e la roba che rimasa v’era senza trovare riparo, e
-alcuna volta si stesono infino alle mura della città di Firenze. I
-Fiorentini sentendo questa subita venuta dell’oste sopra la città, e la
-baldanza presa d’aversi lasciato dietro Pistoia e Prato, sbigottirono
-disordinatamente, non trovandosi forniti nè provveduti al riparo. E i
-rettori del comune per lo fallo commesso dell’abbandonata provvisione
-non sapeano che si fare; e molto temeano che fossono venuti così
-baldanzosi a istanza de’ loro cittadini d’entro. E in questa contumacia
-e sospetto si stette insino che manifesto apparve per l’operazione
-de’ cittadini grandi e popolani grassi, che catuno era in fede al suo
-comune: e levata la nebbia che teneva intenebrata la mente del popolo
-e del comune, presono più ardire, e feciono trarre fuori i gonfaloni,
-e andarono coll’arme alle porti, e fecionle serrare di verso la parte
-d’ond’erano i nimici; e ordinarono guardie di buoni cittadini, facendo
-il dì e la notte fare buona guardia. E armarono le mura di ventiere,
-e le più deboli parti feciono afforzare per difendere la città, che di
-mettere gente in campo a quell’ora non aveano podere.
-
-
-CAP. X.
-
-_Come l’oste ebbe gran difetti a Campi e a Calenzano._
-
-Avvenne, che stando l’oste a Campi, per mala provvisione, tutto il
-bestiame ch’avrebbe dato con ordine lungamente carne all’oste, in
-pochi dì si straziò e consumò. E in quello tempo era sformato caldo e
-secco grande, e tutte mulina di quelle contrade erano state sferrate
-e guaste; per la qual cosa, benchè l’oste avesse del grano, non potea
-fare farine, ed erano in grande soffratta di sale. E la vittuaglia
-di quel piano cominciò a mancare, e quella che venia da Bologna per
-scorta era spesso in preda de’ cavalieri ch’erano in Pistoia. E per
-questo avvenne, che in pochi dì all’oste mancò il pane e il sale: e
-non aveano che manicare, se non carne, e di quella poca, e cocevanla
-col grano, che farina non aveano. Da niuna parte del contado di Firenze
-aveano mercato, e cavalcate non poteano stendere in parte onde recare
-potessono fornimento al campo, perocchè tutte le circustanze aveano
-sgombrato e ridotto nella città. Onde cominciarono a sentire fame, e
-il caldo li consumava e affliggeva forte i corpi degli uomini; e il
-maggiore sussidio ch’avessono era l’agresto e le frutta non mature: e
-poco tempo v’aveano a stare, che senza essere contastati da’ Fiorentini
-veniano in ultima disperazione. I loro capitani e conducitori vedendosi
-a questo pericolo, diedono voce di volersi strignere alla città, e
-per forza valicare nel piano di san Salvi. I Fiorentini temettono di
-questo: e non trovandosi gente d’arme da potere contradiare il passo
-a’ nimici, feciono una tagliata dal ponte della porta a san Gallo
-infino alla costa di Montughi: e ivi misono molti balestrieri e popolo
-alla guardia, con ordine di soccorso se bisogno fosse. L’altra voce
-diedono di tornarsene per lo piano d’ond’erano venuti verso Pistoia;
-i Pistolesi per questa tema ruppono i passi, e abbarrarono i cammini
-con fossi e con alberi. E per questo i Fiorentini più temeano che non
-valicassono nel piano di san Salvi, e per questa cagione afforzarono
-di bertesche e di steccati la rocca di Fiesole, e fecionla guardare;
-e nondimeno tutto il contado da lunge e d’appresso feciono sgombrare
-da quella parte. I capitani dell’oste vedendosi a cotanto disagio, non
-ardirono di strignersi più alla città, anzi levarono il campo, a dì 11
-d’agosto del detto anno, e traendosi addietro si puosono a Calenzano. I
-Fiorentini stimando che se n’andassono, sonarono le campane del comune
-a stormo; e il popolo volonteroso a cacciare chi fuggisse s’armò, e
-alquanti mattamente senza ordine e senza capitano uscirono della città:
-ma sentendo che i nimici non fuggivano, tosto ritornarono dentro dalle
-mura. Ma di questo nacque la voce per lo contado e scorse per tutto,
-che se n’andavano per la Valdimarina; e di stormo in stormo si mossono
-i contadini senza ordine o comandamento del comune, e occuparono
-le montagne sopra la Valdimarina d’ogni parte, e furono loro tanto
-innanzi all’ora del vespero, che forte feciono temere e maravigliare i
-nimici, ch’aveano intenzione di valicare nel Mugello per quella via.
-Come i capitani ebbono fermo il loro campo sotto Calenzano in sulla
-Marina, feciono combattere la pieve e certa fortezza ov’era raccolta la
-vittuaglia de’ paesani, e presonle a patti, salve le persone: e anche
-presono il castello di Calenzano, che non era murato nè difeso, e in
-questa tenuta trovarono alcuno rinfrescamento. Fino a quell’ora non
-aveano fatta alcuna arsione: stando ivi, uno grande conestabile tedesco
-si stese a Pizzidimonte, e fuvvi morto da’ villani; e per questa
-cagione vi cavalcarono e arsonlo, e appresso alcuna altra villa intorno
-a Calenzano. E feciono provvedere i passi per valicare in Mugello,
-ch’ogni altro viaggio era loro, in stremità del pane, più pericoloso a
-pigliare.
-
-
-CAP. XI.
-
-_Come i rettori di Firenze abbandonarono il passo di Valdimarina._
-
-La necessità delle cose da vivere, l’un dì appresso l’altro già
-tornata in fame, strignea l’oste del Biscione, che così si chiamava
-allora, a partirsi del piano, ove senza speranza di potersi allargare,
-di pane erano affamati. I cittadini di Firenze, a cui era commessa
-la provvisione della guerra, ch’erano oltre a’ priori e a’ collegi
-diciotto tra grandi e popolani, sapeano bene il difetto ch’aveano i
-nemici, ma non aveano capitano, e da loro non sapeano la maestria della
-guerra, conobbono per lo comune grido, che agevole era a tenere loro il
-passo che non entrassono nel Mugello per la Valdimarina, che per natura
-il luogo era stretto, e’ passi aspri e forti, da tenergli poca gente
-con loro sicurtà da tutta l’oste: e vidono manifesto, che dove questa
-via s’impedisse loro, convenia che si partissono, tornando addietro da
-Pistoia sconciamente. Ma la tema della boce che non passassono a san
-Salvi, ch’era quasi impossibile, fece al comune non riparare a quel
-passo. Ma un gentile scudiere alamanno, il quale in quel tempo per lo
-comune era capitano in Mugello, da se medesimo commise a uno della casa
-de’ Medici, il quale era in sua compagnia, ch’andasse a provvedere al
-passo, e diegli dugento fanti e cinquanta cavalieri. La commissione fu
-debole a cotanto fatto: nondimeno se il cittadino fosse stato valoroso,
-e avesse voluto acquistare onore, molto agevole gli era a guardare
-quel passo, perocchè i Mugellesi sentendo che il capitano mandava a
-guardare quel passo, con grande animo di ben fare trassono da ogni
-parte allo stretto ov’era venuto il provveditore. Ed essendo nel luogo,
-viddono che il passo si difendea senza dubbio, a grande sicurtà de’
-difenditori, per la fortezza naturale di quelle valli, onde conveniva
-l’oste de’ nemici valicare a piede, e uomo innanzi uomo, che a cavallo
-insieme non v’era modo da poter valicare. Ma il cittadino deputato
-a quel servigio disse a’ Mugellesi che gli conveniva essere altrove,
-e quivi per niuno modo si potea ritenere. Onde i Mugellesi ch’erano
-tratti coraggiosi alla difesa, vedendo come colui cui doveano avere
-per capitano a quella guardia si partiva, perderono ogni vigore: e
-partito il capitano, tornarono a casa, e cominciarono a fuggire il loro
-bestiame, e le loro famiglie e masserizie, maledicendo il comune di
-Firenze e’ suoi governatori, con giusta cagione della loro fortuna.
-
-
-CAP. XII.
-
-_Come l’oste del Biscione valicò il passo, e andò in Mugello._
-
-I capitani dell’oste che si vedeano in gran bisogno d’uscire del
-luogo dov’erano stretti dalla fame, seppono di presente come il passo
-era abbandonato da’ Mugellesi, e però incontanente mandarono innanzi
-masnadieri eletti, e buoni balestrieri a prendere il passo: e senza
-arresto levarono il campo, a dì 12 d’agosto del detto anno, e misonsi
-loro appresso. In sul passo erano rimasi alquanti fanti del paese, i
-quali di loro volontà attesono i masnadieri de’ nemici; e alle mani con
-loro, li ributtarono indietro. Ma vedendosi pochi e senza soccorso, e
-vedendo i nemici che riempieano le coste de’ poggi e le valli d’ogni
-parte, abbandonarono il passo, e i nemici di presente il presono, e
-l’oste senza contrasto o pericolo valicò, facendosi grandi beffe del
-comune di Firenze, parendo a catuno di servo essere divenuto signore.
-E pensando alla viltà ch’avevano trovata ne’ Fiorentini, a non avere
-fatto tenere e difendere quel passo, e al poco provvedimento che
-mostravano ne’ fatti della guerra, crebbe la loro superbia. E poichè si
-viddono essere valicati senza contrasto nel piano di Mugello, presono
-fidanza d’essere signori di tutto il paese senza contrasto, e quel dì
-medesimo cavalcarono a Barberino, e a Villanuova. Barberino era forte
-e bene fornito alla difesa, e molta roba v’era dentro raccolta delle
-vicinanze, ad intendimento di difendersi, tanto ch’avessono soccorso
-da’ Fiorentini. Ma Niccolò da Barberino, antico castellano e de’
-nobili di quella terra, avendo la fede corta al comune di Firenze, se
-n’andò al capitano dell’oste, e senza consiglio de’ suoi castellani, a
-suo vantaggio trasse patto, e rendè il castello a’ nemici, e misonvi
-la loro guardia, e la vittovaglia che v’era fece dare all’oste.
-Villanuova, e Gagliano, e Latera, e altre terre circustanti, che non
-erano di gran fortezza, nè guardate da gente d’arme del comune di
-Firenze, feciono il comandamento del capitano dell’oste, e dieronli
-il mercato. Trovandosi la gente affamata in paese largo e dovizioso
-e pieno d’ogni bene, soggiornarono volontieri più dì, per prendere
-conforto delle loro persone, e a’ loro animali, che tutti n’avevano
-gran bisogno. Ma chi ha ne’ fatti della guerra il tempo da avanzare, e
-per riposo lo indugia, tardi il racquista; e così avvenne a costoro per
-lo detto soggiorno, come appresso diviseremo.
-
-
-CAP. XIII.
-
-_Come il conte di Montecarelli si rubellò a’ Fiorentini e venne al
-capitano._
-
-Il conte Tano di Montecarelli rompendo la pace ch’avea col comune di
-Firenze, essendo con gli altri ghibellini collegato coll’arcivescovo,
-avendo in prima per inganno, per mala provvedenza del castellano,
-ritolta a’ Fiorentini la rocca di Montevivagni, nella quale era a
-guardia uno popolare figliuolo di Piero del Papa, il quale fu però
-condannato per traditore, come sentì l’oste del Biscione nel Mugello,
-fece suo sforzo di cavalieri in piccolo numero, e in persona con i
-suoi compagni a cavallo e con dugento fanti venne nell’oste, e in
-Montecarelli mise la guardia per l’arcivescovo e le sue insegne; e
-mentre che l’oste stette in Mugello fu a nimicare il comune di Firenze,
-e a dare il mercato all’oste, e ricetto in Montecarelli a’ nemici del
-comune.
-
-
-CAP. XIV.
-
-_Come si fornì la Scarparia e il Borgo._
-
-Avvenne come l’oste del tiranno fu valicata nel Mugello, e dilungata
-dalla città, a’ Fiorentini parve al tutto essere fuori di sospetto,
-e ritornò loro il vigore e la virtù dell’animo a consigliare e a
-provvedere a’ rimedi. E in quello stante che l’oste si riposava a
-Barberino, misono nella Scarperia Iacopo di Fiore conestabile tedesco,
-uomo leale e valoroso, il qual era capitano del Mugello. A costui
-dierono dugento cavalieri eletti di buona gente, e trecento masnadieri
-esperti in arme, de’ quali quasi tutti i conestabili furono Fiorentini,
-uomini di grande pregio in fatti d’arme. E fornirono la terra di molta
-vittuaglia, e d’arme, di balestra, e di saettamento, e di lagname e
-di ferramenti, e di buoni maestri da fare ogni dificio da offendere
-e da difendere; e fornita d’ogni cosa bisognevole per un anno, al
-detto capitano e conestabile accomandarono la guardia e la difesa di
-quello castello. E per simigliante modo e forma fornirono il Borgo
-a san Lorenzo, e Pulicciano, e altre fortezze. E mandarono armadure,
-saettamento e balestra, e ammonirongli di buona guardia, confortandogli
-che a ogni bisogno avrebbono aiuto e soccorso presto dal comune. E gli
-uficiali deputati alla provvigione di quella guerra si cominciarono a
-provvedere, e accogliere gente di soldo a cavallo e a piè quanti avere
-ne poteano, per attendere alla difesa.
-
-
-CAP. XV.
-
-_Come l’oste assediò la Scarperia._
-
-Messer Giovanni da Oleggio capitano dell’oste, e il Conte Nolfo
-da Urbino maliscalco, veduto la gente rinfrescata, e presa forza e
-baldanza per lo abbondante paese dove si trovarono, con le spalle
-di Bologna, onde potevano avere prestamente aiuto e favore quando
-bisogno fosse, pensavano senza contrasto essere signori di tutto. E
-con questa baldanza, a dì 20 del mese d’Agosto del detto anno vennero
-colle schiere fatte sopra il castello della Scarperia, e con loro
-s’aggiunsono gli Ubaldini, ch’erano con tutto loro sforzo nell’alpe,
-e più altri ghibellini nemici del comune di Firenze. La Scarperia
-era a quell’ora debole terra di piccolo compreso, e non era murata se
-non dall’una delle parti, ma in quello stare di Barberino, in molta
-fretta s’era rimesso il fosso vecchio e trattone la terra, e innanzi
-a quello fattone un’altro piccolo, e racconciato lo steccato assai
-debole. I nimici vi furono intorno con tanta moltitudine di cavalieri
-e di pedoni, che copriano tutto il piano, e avendo da ogni parte
-circondato il piccolo castello, e fermi i campi loro, domandarono il
-castello a coloro che ’l guardavano, dicendo come i Fiorentini non lo
-potevano soccorrere nè difendere, ma perocchè sentivano che dentro
-v’erano di prod’uomini e virtudiosi d’arme, voleano far loro grazia
-d’avergli per amici, dove rendessono la terra senza contasto: e che
-quando questo non facessono nel breve termine loro assegnato, gli
-vincerebbono per battaglia, e la vita non perdonerebbono ad alcuno: e
-così era deliberato per lo capitano e per tutti i guidatori dell’oste.
-Gli assediati risposono che voleano termine a rispondere, e che dopo
-il termine farebbono quello che la fortuna concedesse con loro onore.
-Furono domandati da’ capitani quanto termine voleano. Gli assediati
-risposono, che con loro onore non vedeano che potesse essere meno
-di tre anni: e dopo il detto termine intendeano prima morire in su i
-merli, che di quelli dessono uno a’ nimici: e di così franca risposta
-molto feciono maravigliare i capitani dell’oste, parendo che si
-mettessono a grande pericolo a volere difendere così debole castello,
-e da cotanta forza. E fatta la risposta, di presente s’ordinarono
-e di dì e di notte a molta sollecita guardia, e a buona e a franca
-difesa; e cominciarono a regolare la vita di tutti, come se l’oste vi
-dovesse stare due anni. I nimici cominciarono prima ad assalirli con
-grossi badalucchi, per tentare il loro reggimento, il quale trovarono
-sollecito, e maestrevolmente provveduto alla difesa.
-
-
-CAP. XVI.
-
-_Come i Fiorentini afforzarono Spugnole._
-
-I Fiorentini ch’al continovo raccoglievano gente d’arme a cavallo
-e a piè al loro soldo, e sollecitavano gli amici d’aiuto, avendo
-già accolto un poco di gente, deliberarono d’afforzare Spugnole e
-Montegiovi per guardare le contrade di qua da Sieve, e per dare alcuna
-speranza agli assediati della Scarperia, e ivi misono de’ cavalieri
-ch’aveano, e parecchie masnade di buoni e valorosi masnadieri. E al
-Borgo a san Lorenzo crebbono gente d’arme: e come crescea al comune
-gente d’arme per soldo o per amistà gli mandavano alle frontiere
-de’ nemici in Mugello. Onde avvenne più volte, che per gli aguati da
-catuna parte, e per le cavalcate de’ nimici v’ebbe di belli e di grossi
-assalti, ove si mostrarono operazioni di buoni cavalieri e di franchi
-masnadieri. Per questo avvenne che i nemici non ardirono a valicare la
-Sieve colle loro cavalcate inverso Firenze. E tutte loro cavalcate di
-là da Sieve faceano grosse di mille cavalieri, o di millecinquecento,
-o di duemila per volta, e nondimeno erano continuamente percossi alla
-ritratta, e assaliti d’aguati che si metteano loro. E in questo modo
-si venne domesticando la guerra, e gli uomini del paese cominciarono a
-prendere cuore e ardire, per modo che i villani si raccoglieano insieme
-e nascondevansi a’ passi, e come i cavalieri si stendevano alle ville
-gli uccidevano; e avvezzi a questo guadagno dell’arme e de’ cavalli,
-con molta sollecitudine intendevano a tendere i loro aguati in ogni
-luogo. E per questo modo uccisono de’ nemici grande quantità nel tempo
-che durò la detta guerra.
-
-
-CAP. XVII.
-
-_Come si difese Pulicciano di grave battaglia._
-
-Al castello di Pulicciano furono condotti per certi ghibellini della
-terra in una cavalcata cinquecento cavalieri e quattrocento fanti, e
-non essendo se non pochi terrazzani nella fortezza di sopra, appena la
-difesono. I borghi di fuori arsono e rubarono, e mandaronne il bestiame
-e la preda nel campo. Sentito questo a Firenze, subito vi mandò il
-comune cento fanti masnadieri alla guardia: i quali vi furono tosto a
-gran bisogno, perocchè quelli dell’oste per seducimento di traditori
-del castello, e per conforto de’ soldati ch’erano stati in quella
-cavalcata, si pensarono vincere la fortezza, che non era chiusa di
-mura, ma da uno vile steccato, e avendo quella, signoreggerebbono un
-paese forte e pieno d’ogni bene da vivere: e però una mattina per tempo
-vi feciono cavalcare duemila barbute, e mille fanti e più balestrieri.
-E giunti a piè del castello, i cavalieri scesono de’ cavalli, e
-con gli elmi e colle barbute in testa si legarono con le braccia
-insieme, tenendo l’uno ’altro, e tra loro ordinarono i balestrieri,
-e cominciarono da ogni parte a un’ora a montare verso gli steccati.
-I terrazzani arditi e fieri, co’ soldati che v’erano, si misono
-francamente alla difesa colle balestra ch’aveano e co’ sassi maneschi.
-La forza de’ nemici era grande tanto, che per forza condussono un loro
-conestabile con la sua bandiera quasi al pari dello steccato. Come si
-fermò con l’insegna per dare favore agli altri, tra con le balestra e
-con le pietre lo traboccarono morto giù per la ripa. Nondimeno i nimici
-con grave battaglia gli stringeano forte, e quelli del castello molto
-vivamente senza riposo difendeano gli steccati per modo, che da mezza
-terza fino a mezzo dì, che la battaglia era durata senza arresto, i
-nimici non aveano potuto abbattere un legno del loro steccato. Per
-la qual cosa vedendo i cavalieri la franca difesa di que’ villani, e
-già morti alquanti di loro, e che il giorno era nel calare, disperati
-di quell’impresa, con loro vergogna si ritrassono della battaglia e
-tornarono nel campo, e più non tentarono di ritornarvi.
-
-
-CAP. XVIII.
-
-_Come i Tarlati, e i Pazzi di Valdarno e gli Ubertini vennono in sul
-contado di Firenze, e furonne cacciati per forza da’ Fiorentini._
-
-Dall’altra parte messer Piero de’ Tarlati d’Arezzo in prospera
-vecchiezza, valicati i novanta anni della sua età, e il vescovo
-d’Arezzo della casa degli Ubertini, e i Pazzi di Valdarno, non ostante
-che fossono in pace col comune di Firenze, avendo dugentocinquanta
-cavalieri di quelli dell’arcivescovo, e aggiuntosi de’ conti
-d’Urbino e altri ghibellini, mentre che l’oste era in Mugello, con
-trecentocinquanta cavalieri e con duemila pedoni si misono da capo
-predando il contado di Firenze, e vennono all’Ambra, e di là intendeano
-entrare nel Valdarno e venire a Fegghine. I Fiorentini sdegnosi di
-questi traditori, subitamente trassono dalle loro frontiere cinquecento
-cavalieri, e commisono a centocinquanta cavalieri ch’aveano in Arezzo
-che dovessono venire a raccozzarsi co’ nostri; e mossono il popolo
-del Valdarno, che con grande animo e di buona voglia andavano in
-quello servigio. Il comune di Firenze si confidò al tutto in questa
-cavalcata di Albertaccio di messer Bindaccio da Ricasoli, uomo savio,
-pro’ e ardito e buono capitano, se fosse stato in fede nel servigio
-del comune: e benchè altri buoni cittadini fossono mandati in detto
-servigio, a costui fu dato il mandato che in tutto fosse ubbidito. La
-gente a piè e a cavallo che cavalcavano di volontà, sopraggiunsono
-i nimici in sul vespero all’Ambra, in parte, che avendo voluto fare
-quello si poteva per la nostra gente, non ne campava testa che non
-fossono morti o presi: perocchè la gente del comune di Firenze era due
-cotanti, e migliore gente d’arme, e erano nel loro terreno intorniati
-dagli amici. Questo Albertaccio avendo parentado e amistà co’ detti
-nimici, portò infamia di non avere servito il comune lealmente. In
-prima d’avere sostenuta la gente del comune a Montevarchi, che potea
-più infra ’l dì avere occupati i nimici: appresso, che quando fu a loro
-non gli lasciò per la nostra gente badaluccare, per tenerli corti e
-ristretti che non si potessono provvedere: e perocchè non lasciò porre
-la sera la cavalleria de’ Fiorentini nel luogo dove si poteva torre
-la via a’ nimici che andare non se ne potessono quella notte. Per li
-savi che v’erano con lui si provvedeva, nondimeno per lo pieno mandato
-ch’aveva dal comune fu ubbidito; ed egli mostrava di fare buona e
-franca capitaneria, e di volere vincere i nimici senza pericolo della
-sua gente: e però puose quella sera il campo in luogo sicuro a’ suoi,
-e utile a’ nimici. O vero o bugia che fosse, infamato fu d’avere dato
-il tempo e fatto assapere a’ nimici che si dovessono partire in quella
-notte. I nimici traditori del nostro comune, vedendosi sorpresi a
-loro gran pericolo, intesono con ogni sollecitudine, senza dormire, a
-campare le persone: e non tennono per una via, ma per diverse parti per
-lo scuro della notte presono la fuga molto chetamente. La nostra gente
-non fu ordinata a quella guardia, e poi innanzi che il capitano facesse
-armare il campo, i nimici erano più di sei miglia dilungati; allora
-si strinsono ove la sera aveano lasciati i loro avversari, e niuno ve
-ne trovarono: onde la infamia crebbe al capitano per lo fatto, e il
-ripitio fu grande tra i cavalieri soldati e il conducitore, ch’avea
-tolto loro quella preda per mala condotta. La gente che v’era d’Arezzo,
-forte sdegnata di questo tradimento che parve loro avere ricevuto,
-si partirono senza licenza del capitano con centocinquanta cavalieri
-ch’aveano per loro guardia da’ Fiorentini, e tornaronsi in Arezzo.
-
-
-CAP. XIX.
-
-_Come Bustaccio entrò e rendè la Badia a Agnano._
-
-In quella notte Bustaccio degli Ubertini si ridusse con parte di quella
-gente a piede e a cavallo nella Badia a Agnano, la quale era molto
-forte e bene guernita. La cavalleria de’ Fiorentini rimasa con vergogna
-della partita de’ nimici, sentendo come Bustaccio era ricoverato in
-quella Badia, cavalcarono là, e trovaronli racchiusi, e ordinati alla
-difesa di quella tenuta. Il capitano per volere ricoprire sua infamia
-volea combattere la fortezza; i conestabili de’ cavalieri, stretti
-insieme, dissono ch’erano stati ingannati, e per baratto aveano perduta
-la preda de’ nimici fuggiti, e però non intendeano combattere se prima
-non fossono sicuri della preda, se per patto si lasciassono i nimici
-partire: e in fine ne furono in concordia d’avere fiorini cinquecento
-d’oro, come che i nimici si capitassono. E di presente combattendo
-certo borgo il vinsono. Poi combattendo la Badia furono ributtati a
-dietro, e perderono tre bandiere, ch’erano in sulle case, le quali
-i nimici presono, e per paura del passo ove si trovavano le locaro
-ritte in sull’altare maggiore della badia. I cavalieri aontati delle
-loro bandiere prese, d’un animo si disponeano per forza a vincere
-la Badia, e sarebbe venuto fatto loro, ma non senza grande danno,
-perchè dentro v’erano buoni guerrieri; e però innanzi che alla grave
-battaglia si venisse, il Roba da Ricasoli, allora discordante per
-setta d’Albertaccio, volle parlare con quelli d’entro, i quali stavano
-in gran paura: e parlato loro, di presente s’acconciarono a rendere
-la Badia, potendosene andare salve le persone, e i cavalli e l’arme.
-E presa per lo meno reo partito la detta concordia, e data la fede,
-i nimici si partirono, e la fortezza e le bandiere s’ebbono senza
-vergogna del comune, e i conestabili vollono i fiorini cinquecento
-d’oro loro promessi.
-
-
-CAP. XX.
-
-_Come l’arcivescovo tentò i Pisani di guerra contro a’ Fiorentini._
-
-Stando l’oste intorno alla Scarperia, e dando opera i capitani a
-far fare dificii da traboccare nella terra per rompere le torri
-e mura, e gatti e altri ingegni di legname per vincere la terra
-per battaglia, e i Fiorentini d’accogliere gente d’arme, e d’avere
-capitano per poterla soccorrere, l’arcivescovo non restava di tentare
-i Pisani dalla sua parte in comune e in diviso che rompessono pace
-a’ Fiorentini, con intenzione di mandare messer Bernabò da quella
-parte con duemila cavalieri ad assalire co’ Pisani insieme il nostro
-comune, e faceva loro grandi promesse. I Gambacorti, a cui segno Pisa
-si governava, non vollono rompere la pace: nondimeno l’arcivescovo
-avendo favore dentro, e’ consigliò del modo che avesse a tenere
-di muovere il popolo naturale nemico de’ Fiorentini, ed elesse una
-solenne ambasciata, fornita d’autorità di savi uomini, e mandògli a
-Pisa: e giunti là, e sposta la loro ambasciata con molte suadevoli
-ragioni, i Pisani astuti, per pigliare consiglio nel tempo, dissono di
-rispondere all’arcivescovo per loro ambasciadori, e incontanente gli
-mandarono a Milano, imponendo loro, che della volontà dell’arcivescovo
-non si rompessono, ma tranquillassono il fatto. E in questo mezzo
-provvidono più riposatamente sopra il partito, e conobbono che
-rompere pace al comune di Firenze non tornava in loro utile: che se
-l’arcivescovo prendea signoria in Toscana, era loro suggezione e danno;
-e segretamente feciono quello sentire a tutti i confidenti di quello
-stato, buoni cittadini. L’arcivescovo avvedendosi del modo che con
-lui tenevano coloro che governavano la terra, li credette ingannare,
-e per lo favore ch’avea nel popolo e in molti altri cittadini, e non
-ostante che avesse gli ambasciadori pisani in Milano, fece maggiore
-e più solenne ambasciata a’ Pisani; e commise loro, che in parlamento
-esponessono la sua domanda, come detto gli era, sperando che a grido
-di popolo avrebbe la sua intenzione contro a’ Fiorentini. E come
-giunti furono in Pisa, senza sporre alcuna cosa a’ rettori del comune,
-addomandarono loro di volere il parlamento, e risposto fu loro di
-farlo adunare volentieri a certo giorno, onde gli ambasciadori furono
-contenti; e incontanente feciono a tutti i cittadini, con cui aveano
-conferito loro consiglio, dire che venissono al parlamento; e bandito e
-sonato a parlamento, come ordinato fu si ragunò il popolo nella chiesa
-maggiore in gran numero, ove furono tutti i cittadini che temeano di
-perdere loro libertà e il loro stato. Gli ambasciadori ammaestrati in
-udienza di tutto il parlamento, con molto ornato sermone, ricordando
-i servigi grandi per la casa de’ Visconti fatti al comune di Pisa,
-e come gli aveano onorati e aggranditi sopra gli altri cittadini di
-Toscana, e’ raccontarono per ordine la mala volontà che i Fiorentini
-aveano verso di loro, e l’ingiurie che altro tempo inimichevolmente
-aveano loro fatte, e intendeano di fare quando si vedessono il destro,
-mostrando loro come ora era venuto tempo nel quale il loro signore
-intendea d’abbattere in tutto lo stato e l’arroganza de’ Fiorentini
-loro antichi nemici, e spegnere parte guelfa in Italia, e a ciò fare
-avea mossi tutti i ghibellini di Lombardia e di Toscana, e di Romagna e
-della Marca, come per opera era loro manifesto. La qual cosa conosciuta
-per loro, ch’erano capo di parte ghibellina in Toscana, molto doveano
-essere contenti di poter fare in cotanta loro esaltazione la volontà
-del loro signore, la quale e’ domandava con tanta istanza a quello
-popolo. Essendo uditi attentamente, si pensarono a grida di popolo
-avere impetrata la loro dimanda, ma la cosa andò tutt’altrimenti,
-per la provvisione de’ savi cittadini, li quali si ritennero in
-silenzio in quello parlamento, come per loro fu provveduto. E quando
-gli ambasciadori l’uno dopo l’altro ebbono detto e confermato loro
-sermone, pregarono gli ambasciadori che si attendessono alquanto, e
-tosto risponderebbono di comune consentimento alla loro ambasciata,
-e così si trassono del parlamento. E usciti gli ambasciadori, gli
-anziani feciono la proposta che si consigliasse se il comune di Pisa
-dovesse rompere pace a’ Fiorentini, oggi loro amici e loro vicini,
-o no: e levatosi alcuno a dire in servigio dell’arcivescovo, molti
-più, i maggiori cittadini, si levarono a dire come grande male e
-vergogna del loro comune sarebbe, avendo ferma e buona pace col comune
-di Firenze, a romperla contro a ragione, in perpetua infamia del
-loro comune. E fatto il partito, fu vinto che pace non si rompesse
-a’ Fiorentini. Gli ambasciadori, già preso sdegno per l’uscita del
-parlamento, avvedendosi dove la cosa riuscirebbe, senza attendere se
-n’erano andati all’ostiere. E quando gli anziani mandarono per loro per
-fare la risposta del parlamento, sentendo che non sarebbe quella ch’e’
-voleano, non vi vollono andare, e senza prendere comiato montarono
-a cavallo e tornaronsene a Milano. I Pisani si scusarono saviamente
-all’arcivescovo, perchè non stesse indegnato, e mandarongli dugento
-cavalieri, che mandar gli doveano per loro convenenza alla guardia
-di Milano. Allora venne meno all’arcivescovo la maggiore speranza che
-avesse di potere vincere i Fiorentini. Il comune di Firenze cercava in
-questo tempo d’avere capitano di guerra che guidasse la sua gente, che
-al continuo la cresceva, e avendo mandato a molti l’elezione con grande
-salario, tutti la rifiutavano per paura del potente tiranno: nondimeno
-il comune pensava d’atarsi con la capitaneria de’ suoi cittadini.
-E avendo l’oste così grande in Mugello, non pareva se ne curasse, e
-nella città catuno faceva la sua mercatanzia e sua arte senza portare
-alcuna arme; e continovo facea rendere a’ cittadini i danari del
-monte: e sapendo questo i nemici forte se ne maravigliavano, e molto
-n’abbassarono la loro superbia.
-
-
-CAP. XXI.
-
-_Come l’oste deliberò combattere la Scarperia._
-
-Quando i conduttori dell’oste seppono che il comune di Pisa non voleva
-rompere pace a’ Fiorentini, e come alcuno trattato ch’aveano in Pistoia
-era scoperto, con tutta la loro intenzione si rivolsono alla Scarperia,
-e quella cominciarono a tormentare con percosse di grandissimi dificii,
-che il dì e la notte gettavano nel piccolo castello grossissime pietre,
-le quali rompeano le case d’entro, e le mura e le bertesche gettavano
-a terra. E ogni dì faceano assalto loro alla terra: onde gli assediati
-per la continova guerra, e per la sollecita guardia che conveniva loro
-fare il dì e la notte alla difesa, erano infieboliti, e pensarono che
-senza soccorso di fuori, o aiuto di masnadieri freschi poco potrebbono
-sostenere: e però scriveano a’ Fiorentini per loro fanti tedeschi, che
-si mescolavano con gli altri Tedeschi di fuori, che avacciassono il
-loro soccorso. I Fiorentini erano in ciò assai solleciti, e già avevano
-al loro soldo accolti milleottocento cavalieri, e tremilacinquecento
-masnadieri a piede de’ buoni d’Italia, e dugento cavalieri aveano da’
-Sanesi, e seicento n’attendeano da Perugia, i quali erano a cammino;
-e avendo ordinato d’uscire a campo con questi cavalieri, e con grande
-popolo, a petto a’ nemici sopra il Borgo a san Lorenzo luogo detto a
-san Donnino, ove erano forti per lo sito, e con le spalle al Borgo a
-san Lorenzo da potere strignere e danneggiare i nemici, ch’erano assai
-di presso, e dare vigore e baldanza agli assediati della Scarperia:
-ed essendo ogni cosa provveduta, attendendo i cavalieri perugini per
-uscire fuori, n’avvenne la fortuna che appresso diviseremo.
-
-
-CAP. XXII.
-
-_Come i Tarlati sconfissono i cavalieri de’ Perugini._
-
-In questi dì, del mese di settembre del detto anno, era giunto a
-messer Piero Saccone de’ Tarlati in Bibbiena, mandato dal tiranno,
-il doge Rinaldo Tedesco con quattrocento cavalieri per incominciare
-più forte guerra a’ Fiorentini nel Valdarno. In questo stante, messer
-Piero molto avveduto, sentì che seicento cavalieri buona gente
-d’arme, che ’l comune di Perugia mandava in aiuto a’ Fiorentini,
-erano in cammino, e venivano baldanzosi senza sospetto, e la sera
-doveano albergare all’Olmo fuori d’Arezzo a due miglia. Avendo messer
-Piero il certo del fatto, col doge Rinaldo insieme con quattrocento
-cavalieri e con duemila fanti cavalcò la notte, e chetamente ripose
-i fanti nella montagna sopra l’Olmo, per averli al suo soccorso nel
-fatto; e la mattina per tempo co’ suoi cavalieri e col doge Rinaldo
-assalì la cavalleria di Perugia, che la maggior parte era ancora per
-gli alberghi, ma quelli ch’erano montati a cavallo si cominciarono
-francamente a difendere. E già aveano tra loro messer Piero, che
-s’era messo molto innanzi nella via ov’era la battaglia, prigione,
-con più altri de’ caporali in sua compagnia. E se in quello assalto
-gli Aretini fossono stati favorevoli ad aiutare gli amici del comune
-di Firenze, come doveano, tutta la gente di messer Piero rimaneva
-presa per lo stretto luogo dove s’erano messi. Ma usciti d’Arezzo i
-Brandagli con loro seguito, che allora erano i maggiori cittadini,
-intesono a campare Messer Piero con gli altri prigioni che i cavalieri
-di Perugia aveano ritenuti, come gente che aveano l’animo corrotto
-alla tirannia della loro città, come poco appresso dimostrerò. Campato
-messer Piero e’ suoi, gli Aretini si tornarono dentro senza aiutare
-que’ di Perugia, o dar loro la raccolta nella città. In questo, messer
-Piero e’ suoi ripresono ardire, e feciono scendere della montagna
-i fanti loro, traboccando addosso a’ Perugini con smisurato romore:
-i quali non vedendo essere soccorsi, nè avere ricolta, non poterono
-sostenere, ma chi potè fuggire campò, e gli altri tutti furono presi
-nelle vie e negli alberghi. Messer Piero raccolta la preda dell’arme,
-e de’ cavalli, e de’ prigioni, senza esser contastato dagli Aretini,
-si raccolse colla sua gente a salvamento, menandone più di trecento
-cavalieri prigioni, ventisette bandiere cavalleresche, e trecento
-cavalli; e giunto in Bibbiena con questa vittoria i cavalli e l’armi e
-l’altra roba partì a bottino, e i cavalieri prigioni poveri e mendichi
-lasciò alla fede. A’ Fiorentini levò l’aiuto e la speranza d’uscire a
-campo al soccorso della Scarperia, come ordinato era, e a’ nimici diede
-maggiore baldanza di vincere il castello.
-
-
-CAP. XXIII.
-
-_Come i Fiorentini procuraro di mettere gente nella Scarperia._
-
-Veggendo i Fiorentini mancato disavventuratamente l’aiuto de’ Perugini,
-e cresciuta baldanza a’ nimici per quella vittoria di messer Piero
-Tarlati, perderono al tutto la speranza del campeggiare, e quelli
-ch’erano assediati addomandavano soccorso più sollecitamente. Avvenne
-che uno valente conestabile della casa de’ Visdomini di Firenze, che
-aveva nome Giovanni, con grande ardire elesse trenta compagni sperti
-in arme, buoni masnadieri, e una notte si mise nel campo de’ nimici,
-e per mezzo delle guardie, non pensando che gente de’ Fiorentini si
-mettessono tra loro, virtuosamente si misono nella Scarperia; la
-qual cosa fu agli assediati alcuno conforto, e più per la persona
-del valente conestabile, che per la sua piccola compagnia, a cotanto
-bisogno quanto aveano dì e notte, per gli assalti continovi de’ loro
-nimici. E i conducitori dell’oste avendo sentito l’entrata di que’
-masnadieri nella Scarperia, la feciono più strignere e più guardare il
-dì e la notte. E tentato i Fiorentini per più riprese di mettervi anche
-gente, e non trovando per niuno prezzo il modo, un altro conestabile
-cittadino di Firenze della casa de’ Medici, di grande fama tra gli
-uomini d’arme, per accrescere suo onore si fece dare cento fanti
-masnadieri a sua eletta, e avendo con seco uno della Scarperia che
-sapeva l’ore delle vegghie delle guardie, e le loro vie, presono il
-cammino di notte per l’alpe di verso quella parte donde meno si potea
-temere per quelli dell’oste, con la insegna levata co’ suoi compagni
-stretti si mise arditamente per lo campo, dirizzandosi verso la
-Scarperia. E in su l’entrata del campo le guardie s’avviddono, e levato
-il romore, venti di quelli fanti rimasono addietro, e non poterono
-ristrignersi co’ compagni, e tornaronsi nell’alpe, e camparono: e il
-conestabile con ottanta compagni sanza fare arresto, innanzi che i
-nimici il potessono occupare con la loro forza, sano e salvo co’ suoi
-compagni entrò nella Scarperia; e così per virtù di due conestabili
-fu fornito quello castello di quello che aveva maggiore bisogno. E per
-questo soccorso gli assediati presono cuore e speranza ferma della loro
-difesa; e tra capitani dell’oste n’ebbe ripitio e grande sospetto,
-temendo che gli Ubaldini non gli avessono condotti, ma niuna colpa
-v’ebbono. E soprastando alquanto allo infestamento de’ nimici sopra
-questo castello, ci occorre alcune altre materie a cui ci conviene dare
-luogo per debito del nostro trattato, e appresso ritorneremo con più
-onestà alla presente materia.
-
-
-CAP. XXIV.
-
-_Come la reina Giovanna si fece scusare in corte di Roma._
-
-Come addietro abbiamo narrato, quando l’accordo si fece dal re
-d’Ungheria al re Luigi, ne’ patti venne fatta la commissione nel
-papa e ne’ cardinali per catuna parte: che se la reina Giovanna si
-trovasse colpevole della morte d’Andreasso suo marito, fratello del re
-d’Ungheria, ch’ella dovesse essere privata del reame, e dove colpevole
-non si trovasse, dovesse essere reina. A questo patto acconsentì il
-re d’Ungheria, più per l’animo che avea di tornare in suo paese, che
-per altra buona volontà che di ciò avesse, e però la commissione fu
-avviluppata più che ordinato o spedito libello, e non vedendo i pastori
-della Chiesa come onestamente potessono diliberare questa cosa, la
-dilungarono. Essendo lungamente gli ambasciatori di catuna parte stati
-in corte senza alcuno frutto dell’altre cose commesse per li detti re
-nella Chiesa, vedendo che questo articolo non terminandosi portava
-infamia e pericolo alla reina, con ogni studio vollono che il suo
-processo si terminasse. E perocchè assoluta verità del fatto non poteva
-scusare la regina, levare il luogo della dubbiosa fama proposono;
-che se alcuno sospetto di non perfetto amore matrimoniale si potesse
-proporre o provare, che ciò non era avvenuto per corrotta intenzione o
-volontà della reina, ma per forza di malíe o fatture che le erano state
-fatte, alle quali la sua fragile natura femminile non avea saputo nè
-potuto riparare. E fatta prova per più testimoni come ciò era stato
-vero, avendo discreti e favorevoli uditori, fu giudicata innocente
-di quello malificio, e assoluta d’ogni cagione che di ciò per alcun
-tempo le fosse apposto, o che per innanzi le si potesse apporre di
-quella cagione: e la detta sentenza fece divulgare per la sua innocenza
-ovunque la fede giunse della detta scusa.
-
-
-CAP. XXV.
-
-_Come i Genovesi e i Veneziani ricominciarono guerra in mare._
-
-Seguita di dar parte intra le italiane tempeste della terra a quelle
-che in que’ tempi concepute ne’ nostri mari Tirreno e Adriatico
-da superbe presunzioni di due comuni, in Grecia e poi nelli stremi
-d’Europa partorirono gravi cose, come seguendo nostro trattato si potrà
-trovare. I Genovesi infestati dalla loro alterezza, ricordandosi che
-i Veneziani l’anno passato aveano soperchiato in mare le undici loro
-galee, avvegnachè per l’aiuto de’ loro di Pera si fossono felicemente
-vendicati, vollono per opera mostrare loro potenza a’ Veneziani, e per
-comune consiglio, essendo a quel tempo catuna casa de’ loro maggiori
-cittadini tornata con pace in Genova, ordinarono di fare armata, la
-quale fosse fornita per più eccellente modo che mai avessono armato.
-E comandarono a’ grandi e a’ popolani mercatanti, e agli artefici
-minori e ad ogni maniera di gente, che di due l’uno s’acconciassono ad
-andare in quell’armata, e simigliante comandamento feciono fare per
-tutta la loro riviera, e certo la volontà vinse il comandamento, che
-più volentieri s’acconciavano d’andare che di rimanere: i corpi delle
-galee furono per numero sessantaquattro, e ammiraglio fu fatto messer
-Paganino Doria; i soprassaglienti furono sopra ogni galea doppi, armati
-nobilmente, e doppi i balestrieri e i galeotti, tutti forniti d’arme,
-e tutti si vestirono per compagne chi d’un’assisa e chi d’un’altra, e
-comandamento ebbono dal loro comune d’abbattere la forza de’ Veneziani
-in mare e in terra giusta loro podere: e fornite le galee di panatica
-e di ciò ch’aveano bisogno, e pagati per ordine di mercatanzia e’
-dazii, senza trarre danari di comune, per sei mesi, del mese di
-luglio, gli anni di Cristo 1351, si partirono da Genova, ed entrarono
-nel golfo di Vinegia facendo danno assai a’ navili e alle terre de’
-Veneziani, e senza lungo soggiorno si partirono di là e andaronne
-all’isola di Negroponte. I Veneziani non provveduti della subita armata
-de’ Genovesi, aveano mandate venti loro galee armate in Romania, le
-quali erano nell’Arcipelago, delle quali i Genovesi ebbono lingua, e
-seguitandole, le sopraggiunsono all’isola di Scio: le quali vedendosi
-di presso l’armata de’ Genovesi, con la paura aggiunsono forza a’ remi,
-e avendo aiuto d’alcuno vento alle loro vele, essendo seguitate da’
-Genovesi, fuggendo le diciassette ricoverarono nel porto di Candia, e
-le tre presono alto mare per loro scampo.
-
-
-CAP. XXVI.
-
-_Come l’armata genovese andò a Negroponte e assediò Candia, e quello
-che ne seguì._
-
-L’armata de’ Genovesi seguendo quella de’ Veneziani giunsono a
-Negroponte, ove i Veneziani con grande studio e paura erano arrivati, e
-avendo da’ terrazzani aiuto, appena aveano compiuto di tirare le loro
-diciassette galee in terra, lasciando le poppe in mare per poterle
-difendere, e in aringo l’aveano messe l’una a lato all’altra a modo
-di bertesca per poterle meglio di terra difendere, ove giunta l’armata
-de’ Genovesi, senza arresto l’assalirono con aspra e folta battaglia, e
-prese l’avrebbono, se non fosse che tutti gli uomini d’arme di quella
-terra furono alla loro difesa, e a guardare la marina che i Genovesi
-non potessono scendere in terra: e in quello assalto la feciono sì
-bene, che i Genovesi s’avvidono per forza non poterle guadagnare nè
-scendere in terra nel porto: e però presono loro consiglio d’assediare
-la città di Candia per mare e per terra, e procacciare di Pera e
-dell’altre parti di loro amici legni grossi, e gente e dificii di
-legname per combattere e vincere la terra, se per loro virtù e forza
-fortuna l’assentisse. E allora lasciarono guardia delle loro galee
-sopra il porto, e con l’altre girarono alquanto, e misono in terra loro
-campo, attendendo gente e fornimenti che procacciavano per combattere
-la terra, e que’ d’entro s’afforzavano alla difesa, e dì e notte
-intendeano a fare buona guardia, avendo mandato a’ Veneziani per loro
-soccorso.
-
-
-CAP. XXVII.
-
-_Come i Veneziani feciono lega co’ Catalani, e di nuovo armarono
-cinquanta galee._
-
-Stando l’armata de’ Genovesi per mare e per terra all’assedio della
-città di Candia, il comune di Vinegia ebbe le novelle, ed essendo
-tanti loro grandi e buoni cittadini, e le loro galee e la loro
-città assediata, ebbono grande dolore, nondimeno con franco animo
-deliberarono di fare ogni loro sforzo per soccorrerli: e ricercando
-la gente che allora poteano fare di loro distretto, non trovarono che
-bastasse a potere fornire loro armata, tanto era mancata per la passata
-mortalità, e però elessono di loro cari cittadini solenni ambasciadori,
-i quali mandarono prima a Pisa, e appresso in Catalogna, per recarli a
-loro lega, e averli in loro aiuto, con ogni largo patto che volessono:
-e di ciò diedono agli ambasciadori piena libertà e balìa, con ispendio
-di grande somma di moneta. I Pisani essendo in pace co’ Genovesi,
-avvegnachè poco s’amassono, per promesse o patto che fosse offerto
-loro non si vollono muovere contro a’ Genovesi, ma alquanto più che ’l
-consueto s’inamicarono con loro, ricevendo grazie da’ Genovesi per la
-fede mantenuta a quel punto. I Catalani per grande odio che aveano a’
-Genovesi, per ingiurie e danni ricevuti da loro in mare, di presente
-s’allegarono co’ Veneziani, e promisono di dare armate di loro uomini
-quelle galee che i Veneziani volessono, dando i Veneziani loro i corpi
-delle galee e i debiti soldi a’ Catalani. E ferma la lega, i Veneziani
-incontanente misono il banco, e cominciarono a scrivere e a soldare la
-gente, e mandarono a Venezia che vi mandassono i corpi delle galee e’
-danari, i quali senza indugio vi mandarono ventitrè corpi di galee, e
-danari assai, e fecionle armare di buona gente. I Veneziani a Venezia
-prestamente n’armarono ventisette, e mentre che l’armata si facea
-in Catalogna e a Venezia, i Veneziani mandarono una galea sottile
-bene armata a portare novelle del loro grande soccorso, e mandarono
-in quella danari per fare apparecchiare le galee ch’erano là, che di
-presente al tempo della venuta della loro armata fossono apparecchiate,
-sicchè contra a’ loro nimici fossono più possenti. Questa galea per
-scontro di fortuna s’abbattè in una galea di Genovesi, e combattendo
-insieme, la veneziana fu vinta e presa in segno del futuro danno.
-I Genovesi ebbono i danari, e le lettere e l’avviso dell’armata de’
-Veneziani e de’ Catalani per potersi provvedere; il corpo della galea
-aggiunsono alle loro, e gli uomini ritennono a prigioni, con gran festa
-di questa avventura.
-
-
-CAP. XXVIII.
-
-_Come la imperatrice di Costantinopoli col figliuolo si fuggì in
-Salonicco._
-
-Avvenne che in questi medesimi tempi che l’armata de’ Genovesi era a
-Negroponte, che Mega Domestico del lignaggio imperiale, il quale si
-faceva dire Cantacuzeno, cioè imperadore, essendo rimaso balio del
-figliuolo dell’imperadore di Costantinopoli a cui succedea l’imperio,
-governava tutto per lui, gli diè la figliuola per moglie, ingannando
-la giovanezza del suo pupillo, senza consentimento della madre.
-L’imperatrice sentendo quello che Mega Domestico avea fatto, prese
-sospetto, e fatto le fu vedere che ’l figliuolo sarebbe avvelenato,
-perchè l’imperio come era in guardia rimanesse libero al detto Mega,
-balio dell’imperio e del giovane, onde l’imperadrice col figliuolo,
-di furto e improvviso a Mega s’erano fuggiti di Costantinopoli, e
-andati nel loro reame di Salonicco, ivi mostrando manifesto sospetto
-del balio dell’imperio, si dimorarono in grande guardia. E Mega
-Domestico, come è detto, vedendosi rimaso nella forza dell’imperio,
-si fece dinominare imperadore: e senza fare guerra al giovane, si
-fortificava nell’imperio, e aveasi confederato l’amistà de’ Veneziani.
-L’imperadrice avendo sentita l’armata de’ Genovesi a Negroponte,
-mossa da femminile furia e sprovveduto consiglio, mandò a trattare
-co’ Genovesi, in cui prendeva confidanza, perocchè era figliuola
-del conte di Savoia, assai presso di vicinanza a’ Genovesi, e sapea
-ch’elli erano nimici de’ Veneziani, amici di Mega Domestico suo
-avversario; il trattato fu fermo co’ Genovesi, e le promesse furono
-grandi ove rimettessono il figliuolo in signoria dell’imperio di
-Costantinopoli. I Genovesi per questo si pensarono di passare il verno
-alle spese del’imperadrice, e abbattere molto della forza degli amici
-de’ Veneziani, e d’essere più agresti e più forti contro alla loro
-armata, e però si dispuosono a lasciar l’assedio con loro onore, ove
-poco profittavano, e a prendere il servigio dell’imperadrice. Lasceremo
-al presente questa materia per riprenderla al suo debito tempo, e
-torneremo a’ fatti di Firenze.
-
-
-CAP. XXIX.
-
-_Come la Scarperia sostenne la prima battaglia dal Biscione._
-
-Tornando all’assedio della Scarperia, il capitano dell’oste col suo
-consiglio vedendo che la Scarperia era fornita per la sua difesa di
-valorosi masnadieri, e che dentro era bene fornita di vittuaglia,
-e sentendo che i Fiorentini non si curavano di loro, e continovo
-accresceva loro forza, ed essendo mancata la ferma de’ loro soldati:
-per non partirsi con vergogna di non avere vinto per forza uno piccolo
-castello, rifermarono i loro cavalieri, e avuti danari dall’arcivescovo
-tutti gli pagarono, e promisono paga doppia e mese compiuto a coloro
-che combattendo vincessono la Scarperia. Il tempo era già all’entrata
-d’ottobre, e la vittuaglia cominciava a rincarare, e questo più gli
-spronava a volere vincere la punga. I dificii da combattere la terra
-erano apparecchiati, scale assai, e grilli e gatti e torri di legname,
-le quali aveano condotte presso al castello al tirare della balestra,
-o poco più. E così apparecchiati, una domenica mattina, ordinati
-i combattitori, da più parti con molti balestrieri assalirono il
-castello, e conduceano i dificii e le scale alle mura con gran tempesta
-di loro grida. Quelli del castello ordinati dentro alla difesa co’ loro
-capitani, si teneano coperti e cheti, e lasciarono valicare i nimici il
-primo fosso e entrare nel secondo, che non v’avea acqua, e accostare
-molte scale alle mura innanzi che si movessono: allora dato il segno
-da’ loro conestabili, con grande romore sollecitamente cominciarono
-dalle mura a percuotere sopra i nimici colle pietre, lance e pali, e
-a traboccare loro legname addosso, e i balestrieri saettare da presso
-e da lungi senza perdere in vano i loro verrettoni. In questo primo
-assalto fediti e magagnati assai di quelli che s’erano accostati
-alle mura e agli steccati per forza ne furono dilungati: nondimeno
-i capitani per straccare di fatica quelli delle mura, rimutavano
-spesso la loro gente dalla battaglia, rinfrescando gente nuova, e non
-lasciando prendere lena nè riposo a que’ delle mura e della guardia
-degli steccati, ma i franchi masnadieri si difendeano virtudiosamente,
-avendo in dispregio il riposo, e confortando l’uno l’altro per modo,
-che per forza nè per rinfrescamento di loro battaglia, da innanzi terza
-all’ora di nona, per molte riprese di battaglie non ebbono podere
-d’accostarsi alle mura, nè agli steccati ove le mura non erano. Nel
-primo fosso condussono sessantaquattro scale, e nel secondo accosta
-del muro tre, le quali abbandonarono, non potendo avanzare; e con poco
-onore di questa prima battaglia, e con alquanti morti rimasi nel fosso,
-e con molti fediti e magagnati, si ritrassono dalla battaglia, e que’
-d’entro intesono al riposo e a medicare i loro fediti, che ne aveano
-gran bisogno.
-
-
-CAP. XXX.
-
-_Come la Scarperia riparò alla cava de’ nimici._
-
-Nonostante l’ordine delle battaglie, i conducitori dell’oste con gran
-costo e con molto studio conducevano una cava sotterra per abbattere
-le mura della Scarperia, e molto grande speranza aveano in quella di
-vincere la terra. Que’ d’entro pensando e temendo che così dovessono
-fare i loro avversari, provvidono al rimedio, e feciono un fosso dentro
-intorno alle mura, il quale era braccia quattro e mezzo largo in bocca,
-e braccia tre largo in fondo, e andava di sotto al fondamento delle
-mura braccio uno e mezzo, acciocchè se le mura cadessono, si trovassono
-l’aiuto del detto fosso alla loro difesa. E nondimeno provvidono di
-cavare di fuori de’ fossi per ritrovare la cava de’ nimici innanzi che
-giugnesse alle mura. E a fornire questo misono grande sollecitudine,
-ma i loro avversari adoperarono grande forza per ritrarli da quello
-lavorio: e condussono un castello di legname in sul primo fosso, sì
-presso, che con le pietre combatteano coloro ch’erano tra l’uno fosso
-e l’altro alla guardia de’ loro cavatori, e avvenne che a questa si
-rivolse grande parte dell’oste, e tutta la forza di quelli d’entro.
-Quelli di fuori combattendo con le pietre e con le balestre, e
-rinnovando d’ora in ora i freschi combattitori, quelli del fosso colle
-fosse delle parate e co’ palvesi francamente s’atavano, con le loro
-balestra e con quelle del loro aiuto dalle mura, e diputati a questa
-punga trecento di que’ d’entro, sostennono l’assalto de’ nimici il
-lunedì e ’l martedì molto francamente, non lasciando impedire i loro
-cavatori: i quali lavorando con grande sollecitudine pervennero alla
-cava de’ nimici, la quale era venuta innanzi centottanta braccia, e
-presso alle mura a venti braccia: la quale di presente affocarono, e
-cacciarono i cavatori, e guastarono loro la cava. Essendo da catuna
-parte molti fediti, que’ del campo abbandonarono l’assalto con loro
-vergogna; e i valenti masnadieri alla ritratta de’ nimici presono e
-arsono il castello del legname ch’era sopra il fosso, e stesonsi ad
-assalire un altro ch’era più di lungi, e per forza l’affocarono, e
-tornaronsi sani e salvi nel castello, avendo presa grande baldanza
-della loro difesa, per la vittoriosa punga di quella cava.
-
-
-CAP. XXXI.
-
-_Del secondo assalto dato alla Scarperia._
-
-Vedendo il capitano dell’oste e il suo consiglio essere di ogni assalto
-fatto con vergogna ributtato da que’ della Scarperia, e vedendosi
-venire addosso il verno e non avere vinto il castello, e che lo strame
-mancava, pensavano che la partita sarebbe con loro grande vergogna:
-però vollono ancora da capo cercare la fortuna, innanzi che da quello
-assedio si partissono. E per avere apparecchiato da riempiere i
-fossi, feciono tutto il legname e’ frascati che aveano ne’ loro campi
-conducere presso a’ fossi: e il giovedì mattina innanzi dì, essendo
-l’oste armata, e le battaglie ordinate, e più torri di legnami condotte
-presso a’ fossi, con ordine di palvesari e di loro balestrieri, senza
-contasto riempierono di frascati il primo fosso, e le torri condussono
-sopr’esso fornite di molti balestrieri. I cavalieri smontarono de’
-cavalli con gli elmi in testa, e cominciata la battaglia a un’ora da
-ogni parte, i cavalieri si sforzarono di conducere gatti, grilli e
-scale alle mura. Que’ d’entro che aveano preso maggiore ardire per gli
-altri assalti, lasciarono fare molte cose innanzi che alla battaglia
-si scoprissono, ma ordinato da’ loro conestabili, al segno dato si
-mostrarono alla difesa, e con tanto impeto cominciarono a caricare di
-pietre, e di pali aguti e di legname i loro assalitori, con l’aiuto
-de’ loro buoni balestrieri, che per forza gli ributtarono addietro
-del primo fosso. E avendo a quelli ch’erano nelle torri ordinato
-di loro i migliori balestrieri, gli strinsono per modo, che non si
-poteano scoprire, nè dare a loro utile aiutorio. E in questo assalto
-alcuni conestabili d’entro ebbono ardire con certi loro compagni
-eletti d’uscire fuori della terra, e con le lance e con le spade in
-mano fediano per costa i combattitori, e incontanente si ritraevano:
-e questo feciono più volte danneggiando i nimici, e ritraendoli dalla
-battaglia dov’erano ordinati, senza ricevere impedimento. Ed essendo
-durata la battaglia infino a nona, senza avere que’ dell’oste fatto
-alcuno acquisto, feciono sonare la ritratta. E di presente quei del
-castello misono fuori de’ loro masnadieri, i quali presono le torri
-e’ dificii e arsonli, che i nimici aveano condotti, e dato opera
-infino alla notte a mettere dentro il legname utile, tutto l’altro co’
-frascati arsono nel fosso. E intesono a medicare i loro fediti, e a
-farsi ad agio d’alcuno riposo, del quale aveano gran bisogno per quella
-giornata.
-
-
-CAP. XXXII.
-
-_Del terzo assalto dato._
-
-Avendo i capitani dell’oste quasi perduta ogni speranza di potere
-vincere la Scarperia, vollono tentare l’ultimo rimedio con danari e
-con ingegno; e in quello rimanente del dì feciono venire a loro tutti
-i conestabili tedeschi con i più nomati cavalieri di loro lingua, i
-quali nelle battaglie date al castello poco s’erano travagliati altro
-che di vedere, e dissono loro: se a voi desse il cuore di vincere con
-forza e con ingegno questa terra, l’onore sarebbe vostro, e oltre alla
-paga doppia e mese compiuto, a catuno daremo grandi doni. I conestabili
-e i loro baccellieri si strinsono insieme, e mossi da presuntuosa
-vanagloria e da avarizia, rispuosono: che dove e’ fossono sicuri
-d’avere di dono sopra le cose promesse fiorini diecimila d’oro, che
-darebbono presa la Scarperia: e questo dava loro il cuore di fornire
-con l’aiuto dell’altra oste, ove fosse fatto quello che direbbono
-in quella notte. I capitani promisono tutto senza indugio, sicchè
-rimasono contenti, e di presente feciono fare comandamento a tutti
-i conestabili delle masnade da cavallo e da piè, che colà da mezza
-notte fossono apparecchiati dell’arme e de’ cavalli; e fatto questo,
-andarono a cenare e a prendere alcuno riposo. Venuta la mezza notte,
-e armata l’oste chetamente, il tempo era sereno e bello, e la luna
-faceva ombra in quella parte della Scarperia che i Tedeschi aveano
-pensato d’assalire: e fatto tra loro elezione di trecento baccellieri,
-a loro commisono tutto il fascio della loro intenzione; i quali bene
-armati, separati dall’altra gente, con le scale a ciò diputate e con
-altri utili argomenti, senza alcuno lume, s’addirizzarono verso quella
-parte della terra ove l’ombra gli copriva. Tutta l’altra oste con
-innumerabili luminarie, e con ismisurato romore e suoni di tutti gli
-stromenti dell’oste, colle schiere fatte e colle battaglie ordinate
-si cominciarono a dirizzare dall’altre parti verso la Scarperia. I
-fanti della Scarperia, che appena aveano ancora dell’affanno del dì
-preso alcuno riposo, sentendo lo stormo, e vedendo l’esercito venire
-con ordine di loro battaglie a combattere la terra, cacciata la paura
-e invilito il riposo, di presente furono all’arme: e con l’ardire
-delle loro difese apparecchiati, andò catuno alla sua guardia delle
-mura e de’ palancati; e stando cheti e senza mostrare i loro lumi
-attesono tanto, che le schiere e le battaglie s’appressarono alle mura,
-e cominciato fu l’assalto con suoni di tanti stromenti e con grida
-d’uomini, che riempieva il cielo e tutto il paese molto di lungi.
-Quest’asprezza delle grida era maggiore che dell’arme, per attrarre
-l’aiuto da quella parte di que’ d’entro, e mancarlo ov’era l’aguato.
-Quelli della terra maestri di cotali cose delle grida non si curavano,
-e quelli che si appressavano, francamente colla balestra e colle pietre
-gli faceano risentire e allungare, e niuno non si partiva o mosse dalla
-sua guardia. I trecento baccellieri riposti presso della terra sentendo
-il romore e l’infestamento di quelli dell’oste, chetamente colle scale
-in collo passarono il primo e il secondo fosso, che non v’avea acqua,
-e condussono e dirizzarono alle mura più e più scale, vedendolo e
-sentendolo que’ della terra ch’erano a quella guardia, e lasciandogli
-fare, finchè cominciarono a salire sopra esse, e aveano già i loro
-aiutori a piede; allora quelli della guardia cominciarono a gridare,
-e a mandare sopra loro grandi pietre e legname e pali, percotendoli e
-facendoli traboccare delle scale nel fosso l’uno sopra l’altro. E in
-un punto gli ebbono sì storditi e fediti e magagnati, che in caccia si
-partirono da quello assalto, e tornaronsi all’altra oste. Dall’altra
-parte fu maggiore il grido che l’assalto, ma per li buoni balestrieri
-molti ve ne furono fediti in quella notte. E facendosi dì, in sulla
-ritratta uscirono della terra un fiotto di buoni briganti, e dieronsi
-tra’ nimici, e per forza ne presono e ne menarono tre di loro cavalieri
-nella Scarperia, e gli altri ritornarono al campo perduta ogni speranza
-d’avere la Scarperia. Que’ di dentro uscirono fuori un’altra volta
-quella mattina, e arsono più dificii di legname ch’erano presso, e uno
-castello ch’era più di lungi, e contamente senza impedimento sani e
-salvi si ritornarono nella Scarperia.
-
-
-CAP. XXXIII.
-
-_La partita dell’oste dalla Scarperia._
-
-Vedendo il capitano dell’oste e i suoi consiglieri aver fatta la loro
-oste ogni prova per vincere la Scarperia, ed esserne con vergogna
-ributtati per la virtù de’ buoni masnadieri che dentro v’erano, e
-tornando l’oste piena di molti fediti, e che la vittuaglia venia
-mancando l’un dì appresso l’altro fortemente, e che già lo strame per i
-cavalli al tutto venia loro meno, e il tempo ch’era stato fermo e bello
-lungamente s’apparecchiava di corrompere all’acqua, prese per partito
-d’andarsene a Bologna; e al segno dato d’una lumiera alzata sopra
-ogni lume molto, il sabato notte, a dì 16 d’ottobre, l’oste si dovesse
-partire, e ogni uomo si dovesse riducere verso l’alpe di Bologna, i cui
-passi erano tutti in loro signoria, e il cammino era corto e il passo
-aperto, e la gente volonterosa di levarsi da campo, per la qual cosa
-subito ebbono passato il giogo dell’alpe. I Fiorentini avendo sentito
-che i nimici erano per partirsi dall’assedio, aveano mandati in Mugello
-i cavalieri che aveano per danneggiarli, se potessono, alla levata:
-ma gli avvisati capitani dell’oste la domenica mattina innanzi che la
-loro gente s’avviasse feciono una schiera di duemila buoni cavalieri,
-i quali tennero ferma in sul piano, insino che seppono che tutta la
-loro gente e la salmeria erano valicati il giogo e passati in luogo
-salvo; la schiera della guardia passò, non vedendo apparire alcuno
-nimico, girò e prese il suo cammino verso la montata dell’alpe, ch’era
-presso a due miglia di piano: ed ebbono passato prima il giogo, che
-la cavalleria de’ Fiorentini si assicurasse di stendere per lo piano,
-temendo d’aguato: e così sani e salvi si ricolsono a Bologna senza
-impedimento per lo senno de’ loro capitani. Quest’oste mossa con tanto
-ordine e aiuto di tutti i ghibellini d’Italia, venuta di subito sopra
-la nostra città sprovveduta d’ogni aiuto, stette ottantadue dì sopra
-il nostro contado senza potere vincere per forza niuno castello, e de’
-quali, sessantuno dì consumarono all’assedio del piccolo castello della
-Scarperia. E come fu piacer di Dio, la sfrenata potenza di cotanto
-signore, aggiunta con tutta la forza de’ ghibellini d’Italia, guidata
-da buoni capitani, credendosi soggiogare la città di Firenze e’ popoli
-circustanti, non ebbono podere di vincere la Scarperia, da qui addietro
-vilissimo castello, non murato per tutto e di piccola fortezza per
-sito, ma difeso da piccolo numero di valorosi masnadieri: essendovi
-a oste con più di cinquemila barbute, e duemila cavalieri, e seimila
-pedoni di soldo, senza la forza degli Ubaldini e degli altri ghibellini
-con loro sforzo; per la qual cosa il tiranno che avea l’animo levato a
-inghiottire le italiane provincie, potè conoscere che un piccolo e vile
-castello domò e fece ricredente tutta la sua forza. E come era venuto
-a guisa di leone con la testa alzata, spaventevole a tutte le città
-di Toscana, chinate le corna dell’ambiziosa superbia, tornò pieno di
-vergogna e di vituperio, non avendo per sua potenza potuto acquistare
-un debole castello, e diede materia a’ popoli di grande confidenza
-della loro difesa. Lasceremo ora finita questa materia, e torneremo
-all’altre tempeste italiane, che non bastando in terra conturbano
-l’altrui mare.
-
-
-CAP. XXXIV.
-
-_Come l’armata de’ Genovesi si partì da Negroponte e andò a Salonicco._
-
-In questo tempo cominciando aspro e fortunoso verno, i Genovesi che con
-la loro armata di sessantaquattro galee erano stati all’assedio della
-città di Candia nell’isola di Negroponte, sentendo l’apparecchiamento
-delle cinquanta galee de’ Veneziani e de’ Catalani che doveano venire
-contro a loro al soccorso; e vedendo che lo stare ivi per speranza
-d’avere la terra era invano, e non minor danno a loro che a’ Veneziani,
-e avendo promesso il loro aiuto all’imperadrice di Costantinopoli,
-ch’era fuggita col figliuolo nel reame di Salonicco, parendo per
-questa cagione la loro levata dall’assedio fosse con meno vergogna,
-ed entrando nell’imperio aveano più sicuro vernare, si partirono di
-là e dirizzarono loro viaggio verso Salonicco; e giunti a Malvagia,
-intendeano levare l’imperadrice e ’l figliuolo, e fare loro podere di
-rimetterli in Costantinopoli con la loro forza e della parte che amava
-il loro vero signore. L’imperadrice sentendo l’armata di presso, come
-femmina mutevole, non avendo piena confidenza del figliuolo, cominciò a
-sospettare: e il giovane medesimo non avendo avuto più maturo consiglio
-all’impresa, convenendo la sua persona mettere nelle mani dell’altrui
-forza, dubitò, e non lo volle fare, e forse fu più da biasimare il
-cominciamento della folle impresa che ’l cambiamento del femminile e
-giovanile animo, i quali non si vollono abbandonare alla non provata
-fede de’ Genovesi; per la qual cosa l’ammiraglio col suo consiglio
-presono sdegno, e rivolta la loro armata, desiderosi di rapina e
-di preda, vennero all’isola di Tenedo, piena di gente e d’avere,
-sottoposta all’imperio, i quali de’ Genovesi non prendeano alcuna
-guardia, ed elli la presono e rubarono d’ogni sustanza. E quivi feciono
-dimoro gran parte del verno prendendo rinfrescamento, e ragunando la
-preda di quella e dell’altre terre di Grecia, della quale data a catuno
-la parte sua, si trovarono pieni di roba e di danari, sicchè a loro non
-fece bisogno altro soldo, e la loro vita tutta ebbero per niente delle
-ruberie del paese. E ivi stettono fino al Natale senza mutare porto.
-
-
-CAP. XXXV.
-
-_Come i Veneziani e’ Catalani s’accozzarono in Romania con l’altra
-armata._
-
-I Veneziani, come addietro abbiamo narrato, avendo fatta compagnia e
-lega co’ Catalani contro a’ Genovesi, armarono in Venezia ventisette
-galee molto nobilmente, ove si ricolsono quasi tutti i maggiori e
-migliori cittadini di Venezia per governatori e soprassaglienti,
-forniti a doppio di ciò che a guerra faccia mestiero, e ventitrè galee
-armarono i Catalani. E tanto bolliva negli animi loro lo infocamento
-dell’izza ch’aveano presa contro a’ loro avversari genovesi, che
-nel tempo che l’armate sogliono abbandonare il mare e vernare in
-terra, si mossono da Venezia e di Catalogna, domando le tempeste
-del mare, ad andare contro a’ loro nimici in Romania. Del mese di
-novembre s’accozzarono insieme in Cicilia, e di là senza soggiorno
-si dirizzarono verso l’Arcipelago, e con grandi e aspre fortune,
-avendo per quelle perdute sette galee veneziane e due catalane, non
-senza danno della loro gente, pervennero in Turchia, e posono alla
-Palatia e a Altoloco; e ivi, del mese di dicembre del detto anno,
-avendo raccolte le galee che aveano a Negroponte e nelle contrade si
-trovarono con settanta galee: e in Turchia stettono gran parte del
-più fortunoso verno per rivedere i loro legni e avere novelle di loro
-nimici. In questo travalicamento del tempo delle due armate ci occorre
-a raccontare altre cose rimase addietro, e in prima una pazzia di
-corrotta mente dell’ambizione umana, la quale alcuna volta combattendo,
-contro al suo prospero e buono stato abbatte e rovina se medesimo con
-debito e degno traboccamento.
-
-
-CAP. XXXVI.
-
-_Come i Brandagli si vollono fare signori d’Arezzo._
-
-Dappoich’e’ Bostoli per loro superbia furono cacciati della terra
-d’Arezzo, una famiglia che si chiamarono i Brandagli, loro nimici,
-cominciarono di nuovo ad avere stato in comune, e montando l’un dì
-appresso all’altro vennono in maggiori, ed erano al tutto governatori
-del reggimento di quello comune, e per questo montati in grandi
-ricchezze: e della loro famiglia Martino e Guido di Messer Brandaglia
-erano i caporali. Costoro ingrati del loro buono stato cercarono di
-farsene signori con tradimento, non perchè fossono da tanto, ma per
-farne loro mercatanzia, come nel fine del fatto si scoperse. Costoro
-trattarono col nuovo tiranno d’Agobbio d’avere da lui al tempo ordinato
-centocinquanta cavalieri, e da quello di Cortona dugento cavalieri, non
-che da se gli avesse, ma per servire costoro n’accattò centocinquanta
-dal prefetto da Vico, e cinquanta dal conte Nolfo da Urbino, e
-feceli venire e soggiornare all’Orsaia, come gente di passaggio che
-attendessono d’essere condotti e oltre a questa gente a cavallo, di
-quello che non era richiesto, mise in ordine d’avere apparecchiati
-undicimila fanti a piede, con intenzione, che se fortuna il mettesse in
-Arezzo di volerlo per se. E ancora richiese messer Piero Tarlati, che
-aveva in Bibbiena il doge Rinaldo con trecento cavalieri, benchè fosse
-ghibellino e nimico del loro comune richieselo non manifestandogli
-il fatto. Ma la volpe vecchia che conobbe la magagna, si offerse loro
-molto liberamente, sperando altro fine del fatto che non pensavano i
-traditori, accecati nella cupidigia della sperata tirannia. A conducere
-questa gente aveano fuori d’Arezzo Brandaglia loro nipote, e Guido
-intendeva a raccogliere i masnadieri che gli capitavano segretamente,
-e a nasconderli ne’ loro palagi, e Martino stava nel palagio co’
-priori della terra a tutti i segreti del comune. In quel tempo si
-dava in guardia a confidenti cittadini una porta della città che si
-chiamava la porta di messer Alberto, la quale era a modo d’un cassero,
-e dava l’entrata tra le due castella. Questa guardia per procaccio
-di Brandaglia era ne’ figliuoli di messer Agnolo loro confidenti, con
-cui elli si teneano in questo tradimento. E messe le cose d’ogni parte
-in assetto, a’ signori d’Arezzo fu scritto per lo comune di Firenze
-e per quello di Siena ch’avessono buona guardia, perocchè sentivano
-che una terra si cercava di furare, ma non sapeano come nè quale;
-Martino Brandagli ch’era nel consiglio, co’ suoi argomenti levava i
-sospetti. E venuto il dì che la notte si dava il segno a que’ di fuora,
-un conestabile fiorentino ch’era in Arezzo, uomo guelfo e fedele, fu
-richiesto da’ Brandagli per la notte. Costui per amore della sua città
-e di parte non potè sostenere per promesse che avesse avute che non
-manifestasse a’ priori il tradimento di quella notte. Incontanente
-i priori mandarono per Martino, il quale confidandosi nel suo grande
-stato e ne’ molti amici, andò dinanzi a’ priori, e negava scusandosi
-che niente sapeva di quelle cose; e in quello stante Guido suo fratello
-corse a’ loro palagi, e colla gente che avea nascosa levò il romore, e
-tennesi co’ suoi masnadieri forte. I cittadini in furia armati corsono
-alla porta di messer Alberto, che poteva dare l’entrata a’ forestieri,
-per fornire di guardia per lo comune, ma trovarono ch’ella si tenea
-per i traditori. E così la città intrigata nel nuovo pericolo, e non
-provveduta, fu in grande paura. La porta era forte e bene guernita alla
-difesa da non poter vincersi per battaglia, e già era venuta la notte,
-e quei della torre della porta d’entro feciono i cenni ordinati alla
-gente di fuori, che venire doveano a loro aiuto per vincere la terra.
-
-
-CAP. XXXVII.
-
-_Di quello medesimo._
-
-I cittadini vedendo i cenni, temendo di non essere sorpresi dall’aiuto
-provveduto da’ traditori, tempestando nell’animo, intrigati dalle
-tenebre della notte e dalla paura, intendendo a combattere quei
-della porta e mettere gente in su le mura, ma per questo non poteano
-conoscere riparo che i forestieri non entrassono per forza nella
-città, e però s’avvisarono di rompere le mura della città appresso a
-quella porta: e fattane la rotta che vollono, avendo per loro guardia
-cento cavalieri di Fiorentini e alcuni di loro, li misono fuori in uno
-borgo fuori di quella porta, ove dovea essere l’entrata de’ nemici,
-e accompagnaronli di cittadini e d’altri fanti alla difesa con buone
-balestra; e di subito tagliarono alberi, e abbarrarono e impedirono
-le vie al corso de’ cavalli, e le mura guarentirono di gente e di
-saettamento: e nondimeno facevano dal lato d’entro combattere di
-continovo quelli della porta e della torre, ma e’ si difendevano, e
-di quella battaglia poco si curavano, e continovo manteneano cenni a
-loro soccorso: e dentro i Brandagli difendeano i loro palazzi e la loro
-contrada co’ masnadieri che aveano accolti, e attendendo Brandaglia
-con la gente invitata, con la quale non dottavano d’essere signori
-della terra s’ella v’entrasse. I segni della torre furono veduti dal
-principio della notte, e il signore di Cortona che stava attento fu
-in sul mattutino con dugento cavalieri e duemila pedoni giunto ad
-Arezzo, e Brandaglia con altri dugento cavalieri. La gente di messer
-Piero Saccone tardò più a venire, per riotta che mosse il doge Rinaldo
-in sul fatto; gli altri ch’erano venuti baldanzosi, credendosi senza
-contasto entrare nella città, come furono presso alla terra, mandarono
-innanzi cento cavalieri che prendessono e guardassono l’entrata della
-porta, e quella trovarono imbarrata dagli alberi e le vie innanzi al
-borgo: ed essendo là venuti, e saettati da quelli ch’erano alla guardia
-del borgo, e scorgendo in su l’aurora le mura piene di cittadini
-armati alla difesa, e già morti due di loro compagni da quei del
-borgo, si tornarono addietro, e feciono assapere a quelli dell’oste
-che attendeano come stava il fatto: di che spaventati s’arrestarono
-senza strignersi più alla terra, e già per segni e ammattamento che
-que’ della torre e della porta facessono, e eziandio chiamandoli ad
-alte voci, non si attentarono di venire più innanzi, ma ivi presso si
-fermarono attendendo come i fatti dentro procedessono, e così stettono
-schierati dalla mattina sino presso a nona. E in verso la nona messer
-Piero Sacconi giunse co’ suoi cavalieri e pedoni, il quale sentendo
-la cosa scoperta e i cittadini alla difesa, senza attendere punto co’
-suoi cavalieri diè volta e co’ suoi pedoni, e tornossene a Bibbiena;
-e veduto questo, tutti gli altri si partirono, e i traditori rimasono
-senza speranza di soccorso. Questa novità sentita nel contado e
-distretto de’ Fiorentini, mosse senza arresto i cavalieri e’ masnadieri
-che allora avea in quelle circustanze, e i Valdarnesi per venire al
-soccorso degli Aretini: i quali non bene confidenti del comune di
-Firenze parte ne ritennono per loro sicurtà, e agli altri diedono
-commiato onestamente, senza riceverli nella città, e dolcemente fu
-sostenuto. Nondimeno i traditori teneano i palagi, e la torre e la
-porta: e tanta miseria occupò l’animo di que’ pochi cittadini in cui
-era rimaso il reggimento, per tema di non volere fare parte agli altri
-da cui e’ potessono avere aiuto, che si misono a trattare con Martino
-cui eglino aveano prigione, dicendo di lasciare andare e lui e’ suoi,
-e i figliuoli di messer Agnolo e le loro cose liberamente, ed e’
-rendessono la porta. E innanzi che questo venisse alla loro intenzione,
-convenne che i figliuoli di messer Agnolo fossono sicuri a loro modo
-d’avere contanti fiorini tremila d’oro, e avuta la sicurtà renderono la
-porta e la torre al comune; e facendosi loro il pagamento per coloro
-che aveano fatta la promessa, i danari furono staggiti per coloro che
-aveano per loro sodo al comune, che eglino renderebbono quella fortezza
-al detto comune: e così s’uscirono della città co’ Brandagli insieme;
-e il seguente dì furono tutti condannati per traditori, e i loro beni
-disfatti e pubblicati al comune. Trovossi poi di vero, che i traditori
-aveano trattato come avessono presa la signoria, con ciò sia cosa che
-non erano d’aiuto per loro lignaggio da poterla tenere, di venderla
-all’arcivescovo di Milano, a gravamento della loro detestabile malizia,
-la quale prese non il debito fine, ma alcuno segno della loro rovina,
-per la viltà di coloro che non degni rimasono al governamento di quella
-terra.
-
-
-CAP. XXXVIII.
-
-_Come il re Luigi mandò il gran siniscalco ad accogliere gente in
-Romagna._
-
-Tanto imbrigamento di guerra sboglientava gli animi degl’Italiani per
-terra e per mare in questi tempi, che volendo cercare delle novità
-degli strani, non ci lasciano da loro partire. Il re Luigi valicata
-la tregua dal re d’Ungheria a lui, non ostante che rimesso avessono
-le loro questioni al giudicio del papa e de’ cardinali, tentava con
-preghiere e impromesse di recare dalla sua parte fra Moriale, friere
-di san Giovanni, il quale teneva Aversa e Capua dal re di Ungheria,
-e questo fra Moriale, astuto e malizioso, mostrava di voler piacere
-al re Luigi; e dandogli speranza, cominciò ad allargare il passo
-alla gente del re e a’ paesani d’Aversa e di Capua, sicchè andavano
-e venivano sicuramente, e non faceva guerra, ma nondimeno guardava
-le città e le fortezze di quelle, e per questo corse la voce che la
-concordia era fatta: ma però il re di lui, o egli del re si fidava.
-Ma in questo tranquillo, il re mandò il grande siniscalco nella Marca
-ad accogliere gente d’arme, il quale con grandi promesse mosse messer
-Galeotto da Rimini a venire al servigio del re con trecento cavalieri,
-e messer Ridolfo da Camerino con cento, a tutte loro spese, e ’l grande
-siniscalco messer Niccola Acciaiuoli di Firenze ne condusse e menò
-quattrocento al soldo del re, e con tutta questa cavalleria entrò in
-Abruzzi. E mandò al re, che con la sua forza e con quella de’ baroni
-del Regno, i quali il re avea richiesti e ragunati a Napoli, venisse
-là, come era ordinato, per vincere messer Currado Lupo, e racquistare
-le terre d’Abruzzi che di là si teneano per lo re d’Ungheria.
-
-
-CAP. XXXIX.
-
-_Come il re Luigi accolse i baroni del Regno e andò in Abruzzi._
-
-Il re Luigi sentendo come il gran siniscalco avea con seco in Abruzzi
-que’ due buoni capitani con ottocento cavalieri di buona gente, fu
-molto contento, e avendo presa sicurtà che fra Moriale per la concordia
-ch’aveano non moverebbe guerra in Terra di Lavoro, si mosse da Napoli
-per mare, e capitò incontanente a Castello a mare del Volturno, e
-tutta sua gente a piè e a cavallo fece andare per terra da Pozzuolo
-e per lo Gualdo al detto Castello a mare, non fidando la gente sua
-per gli stretti passi d’Aversa e di Capua ch’erano in guardia di
-fra Moriale: e seguendo di là loro cammino, del mese d’ottobre del
-detto anno s’accozzò in Abruzzi con la cavalleria accolta per lo gran
-siniscalco: e fatta fare la mostra, si trovò con undicimila cavalieri
-e con grande popolo. Messer Currado Lupo avendo sentito l’oste che
-gli veniva addosso, e non avendo gente da potere uscire a campo, mise
-guardia nelle terre che teneva in Abruzzi e ordinolle alla difesa, e
-con cinquecento cavalieri tedeschi bene montati e buoni dell’arme si
-mise in Lanciano. Il re poco provveduto di quello che a mantenere oste
-bisognava, e povero di moneta, volendo usare l’aiuto degli amici che
-quivi avea si mise a oste a Lanciano; e dopo non molti dì, cavalcando
-messer Galeotto co’ suoi cavalieri intorno alla terra, messer Currado
-Lupo uscì fuori con parte de’ suoi cavalieri e percosse i nimici, e
-danneggiò molto la masnada di messer Galeotto, e innanzi che dall’altra
-oste fosse soccorso si ritrasse in Lanciano a salvamento. Per questa
-cagione spaventato l’oste, considerando l’ardimento preso per li
-cavalieri di messer Currado, e che la terra di Lanciano era forte
-e bene guernita, e il verno veniva loro addosso, per lo migliore
-presono consiglio e levaronsi dall’assedio: e stando in dubbio di
-quello dovessono fare più dì, a messer Galeotto e a messer Ridolfo,
-non vedendo di poter fare utile servigio al re, rincrebbe lo stallo,
-presono congiò dal re e tornaronsi nella Marca, e i baroni del Regno
-feciono il simigliante. Il re con la sua gente invilito e quasi
-disperato avendo animo di volere entrare nell’Aquila, gli fu detto non
-se ne mettesse a pruova, perocchè non vi sarebbe lasciato entrare, e
-scoprirebbe nimico messer Lallo che gli si mostrava fedele; e così
-rimaso il re pieno di sdegno e voto di forza e d’avere, si tornò a
-Sulmona a mezzo dicembre del detto anno, e ivi s’arrestò per trarre
-da’ paesani alcuno sussidio, e per fare in quella terra la festa del
-Natale.
-
-
-CAP. XL.
-
-_Come il re Luigi sostenne gli Aquilani che pasquavano con lui._
-
-Vedendosi il re Luigi rotto da’ suoi intendimenti, e abbandonato
-del servigio degli amici, trovandosi a Sulmona povero, si ristrinse
-nell’animo, e diede opera di volere fare in Sulmona gran festa per lo
-Natale, e fece a quella invitare quei gentiluomini e baroni circostanti
-che potè avere. I Sulmontini il providono di moneta e d’altri doni
-per aiuto alla festa. Ciascuno si sforzò di comparire bene a quella
-festa, e intra gli altri principali fu invitato messer Lallo, il
-quale governava il reggimento dell’Aquila, e conoscendo la sua coperta
-tirannia si dubitò d’andare al re, e infinsesi d’essere malato, e sotto
-questa scusa ricusò l’andare alla festa. Per fare più accetta la sua
-scusa al re elesse quindici de’ maggiori cittadini d’Aquila col suo
-fratello carnale, i quali portarono al re per dono da parte del comune
-dell’Aquila fiorini quattromila d’oro, e costoro mandò a festeggiare
-col re: e giunti a Sulmona furono ricevuti dal re graziosamente,
-nonostante che si turbasse perchè messer Lallo non v’era venuto. E
-fatto il corredo reale con piena festa, i cittadini dell’Aquila volendo
-prendere licenza dal re per tornare a casa furono ritenuti prigioni,
-della qual cosa il re fu forte biasimato di mal consiglio, parendo
-a tutti più opera tirannesca che reale. La novella corse in Aquila:
-il tiranno molto savio e buono parlatore raccolse il popolo, e con
-argomenti di sua savia diceria infiammò il popolo all’ingiuria, e
-mosselo all’arme e corse la terra, e ordinò la guardia come se il re
-con l’oste vi dovesse venire, ma il re non era atto a poterlo fare, e
-però si rimase, e messer Lallo più s’afforzò nella signoria.
-
-
-CAP. XLI.
-
-_Come papa Clemente sesto fe’ la pace de’ due re._
-
-Stando il re Luigi in Sulmona maninconoso e quasi in disperazione di
-suo stato, considerando come in tutte cose la fortuna gli era avversa,
-e come con abbassamento di suo onore gli avea fatte fare cose non
-reali, ma di vile e mendace tiranno, e vedendosi povero e mal ubbidito,
-non sapeva che si fare, e parevagli per la baldanza presa pe’ suoi
-avversari ch’elli dovessono ristrignerlo o cacciare del Regno, e de’
-suoi fatti da corte non avea potuto avere alcuna speranza o novella che
-buona fosse. Il papa Clemente in questo tempo era stato in una grande e
-grave malattia, nella quale rimorso da coscienza di non avere capitato
-il fatto tra i due re che gli era commesso, e di questo sostenere era
-seguito danno e confusione di molti, propuose nell’animo come fosse
-guarito di capitare quella questione senza indugio, e come fu sollevato
-mise opera al fatto; e per più acconcio di quello reame, vedendo che
-il re d’Ungheria avea l’animo al suo reame, ed era appagato della
-vendetta fatta del suo fratello, deliberò, poichè avea deliberato la
-reina, che messer Luigi fosse re: e questo pubblicò co’ suoi cardinali,
-e poi il mise a esecuzione, come appresso nel suo tempo racconteremo.
-La novella venne improvviso al re Luigi a Sulmona, della qual cosa
-fu molto allegro: e confortato nel fondo della sua fortuna da questa
-prosperità, di presente conobbe il suo esaltamento per opera, che i
-baroni e’ comuni il cominciarono ad onorare e a vicitare con doni e
-grandi profferte come a loro signore: e tornato a Napoli con grandi
-onori, stette in festa più dì tutta la terra delle buone novelle.
-Lasceremo al presente alquanto de’ fatti del Regno sollecitandoci le
-novità di Toscana, delle quali prima ci conviene fare memoria, per non
-travalicare il debito tempo della nostra materia.
-
-
-CAP. XLII.
-
-_Come messer Piero Saccone prese il Borgo a san Sepolcro._
-
-Avendo messer Piero Saccone de’ Tarlati a Bibbiena il conte Pallavicino
-con quattrocento cavalieri dell’arcivescovo di Milano, e cento di suo
-sforzo per fare guerra, e standosi e non facendola, faceva maravigliare
-la gente, ma egli nel soggiorno lavorava copertamente quello che
-prosperamente gli venne fatto. Il Borgo a san Sepolcro, terra forte e
-piena di popolo e di ricchi cittadini, e fornita copiosamente d’ogni
-bene da vivere, era nella guardia de’ Perugini con due casseri forniti
-alla guardia de’ castellani perugini e di gente d’arme. Messer Piero
-aveva appo se uno suo fedele che aveva nome Arrighetto di san Polo,
-questi era grande e maraviglioso ladro, e facea grandi e belli furti
-di bestiame, traendo i buoi delle tenute murate e guardate, e rompeva
-tanto chetamente le mura, che niuno il sentiva, e di quelle pietre
-rimurava le porti a’ villani di fuori sì contamente, che prima aveva
-dilungate le turme de’ buoi, e tratte per lo rotto del muro due o tre
-miglia, che i villani trovandosi murate le porti, e impacciati dalle
-tenebre della notte e dalla novità del fatto, le potessono soccorrere;
-così n’avea fatte molte beffe, e accusatone di furto, messer Piero il
-difendea, e davagli ricetto in tutta sua giurisdizione. Questi saliva
-su per li cauti delle mura e delle torri co’ suoi lievi argomenti
-incredibilmente, e quanto che fossono alte non se ne curava, ed era
-dell’altezza maraviglioso avvisatore. Per costui fece messer Piero
-furare la forte e alta torre del castello di Chiusi alla moglie
-che fu di messer Tarlato. A costui scoperse messer Piero come volea
-furare il Borgo a Sansepolcro, e mandollo a provvedere l’altezza della
-torre della porta: il quale tornato disse, che gli dava il cuore di
-montare in su la più alta torre che vi fosse; e avuta messer Piero
-questa risposta, s’intese con uno de’ Boccognani del Borgo e grande
-ghibellino, il quale odiava la signoria de’ Perugini, e da lui ebbe,
-che se la porta e la torre fosse presa, e di fuori fosse forza di
-gente a cavallo e a piè grande, ch’egli con gli altri ghibellini
-d’entro verrebbono in loro aiuto a metterli dentro. E dato l’ordine
-tra loro, messer Piero con cinquecento cavalieri e duemila pedoni un
-sabato notte, a dì 20 del mese di novembre del detto anno, improvviso
-a’ Borghigiani, innanzi il dì fu presso al Borgo; e mandato Arrighetto
-con certi masnadieri eletti in sua compagnia a prendere la torre
-e la porta, il detto Arrighetto con suoi incredibili argomenti in
-quello servigio, cintosi corde, e aiutato di non esser sentito per
-uno grande vento che allora soffiava, e avea ristrette le guardie
-sotto il coperto, montò in su la torre della porta, ed essendovi due
-sole guardie, si recò il coltello ignudo in mano, e mostrò d’avere
-compagnia, minacciandoli d’uccidere. Eglino storditi per la novità,
-non sapendo che si fare, stettono cheti per paura, e Arrighetto data
-la corda a’ masnadieri ch’erano a piè del muro, con una scala leggieri
-di funi tirò su l’uno de’ capi e accomandollo a uno de’ merli, e
-incontanente montati suso per quella l’uno appresso l’altro dodici
-masnadieri, e quando si vidono signori della porta, feciono a quelli
-traditori d’entro certo segno ordinato. Quello de’ Boccognani veduto il
-segno come la porta era presa, fece sonare a stormo una campana d’una
-chiesa, al cui suono, come ordinato avea, tutti i ghibellini del Borgo
-furono all’arme e traevano verso la porta. I guelfi che non sapeano il
-tradimento traevano storditi alla piazza senza niuno capo; e schiarito
-il dì, vedendo aperta e presa la porta per i ghibellini, e sentendo
-come messer Piero era di fuori con molta gente, non vedevano da potere
-riparare; ma i ghibellini non volendo guastare la terra sicurarono i
-guelfi che ruberia non vi si farebbe, e senza contasto vi lasciarono
-entrare messer Piero con tutta la sua gente e del conte Pallavicino,
-e non vi si diè colpo e non vi si fece alcuna ruberia: e così messer
-Piero ne fu signore; ma le due rocche che erano forti e guardate
-per li Perugini si misono alla difesa, per attendere il soccorso de’
-Perugini. Messer Piero e il conte senza prendere soggiorno con tutta
-la sua gente a cavallo e a piè uscirono del Borgo, e accamparonsi
-di fuori dirimpetto alle rocche per torre la via a’ Perugini, e
-fecionsi innanzi al loro campo fare un fosso di subito e uno steccato,
-e mandarono a tutte le terre dov’avea gente d’arme del signore di
-Milano che mandassero loro aiuto, e in pochi dì vi si trovarono
-con ottocento cavalieri e popolo assai. E per impedire a’ Perugini,
-Giovanni di Cantuccio d’Agobbio con la cavalleria che avea del Biscione
-cavalcò sopra loro: nondimeno i Perugini turbati di questa perdita,
-procacciarono da ogni parte aiuto per racquistare la terra, tenendosi
-i casseri, e di presente ebbono cinquecento cavalieri da’ Fiorentini: e
-con millequattrocento cavalieri e con grande popolo se ne vennono alla
-Città di Castello: e acconciandosi per soccorrere quelli de’ casseri,
-tanta viltà fu in coloro che gli aveano in guardia, che senza attendere
-il soccorso così vicino s’arrenderono a messer Piero; e incontanente
-quelli del castello d’Anghiari cacciarono la guardia che v’era de’
-Perugini, e dieronsi al vicario dell’arcivescovo, ed egli lo rendè a
-messer Maso de’ Tarlati. In que’ dì il castello della Pieve a santo
-Stefano, e ’l Castello perugino, tenendosi mal contenti de’ Perugini,
-anche si rubellarono da loro.
-
-
-CAP. XLIII.
-
-_Come i Perugini arsono intorno al Borgo e sconfissono de’ nimici._
-
-I Perugini avendo perduta la speranza di soccorrere le rocche,
-cavalcarono al Borgo, e arsonlo intorno guastando tutte le possessioni,
-e già messer Piero e ’l conte Pallavicino non ebbono ardire d’uscire
-della terra contro a loro: e fatto il guasto, si tornarono alla Città
-di Castello. Messer Piero preso suo tempo, con tutta la cavalleria
-ch’avea nel Borgo cavalcò fino alle porti della Città di Castello: i
-cavalieri che v’erano dentro de’ Perugini, e singolarmente quelli de’
-Fiorentini, ch’erano buona gente d’arme e bene montati, uscirono fuori
-perchè i nimici aveano a fare lunga ritratta, e seguitando i nimici
-quasi a mezzo il cammino, s’abbatterono in un grosso aguato: e ivi
-cominciò l’assalto aspro e forte, ove s’accolse la maggiore parte della
-gente di catuna parte senza fanti a piede; e ivi dando e ricevendo
-si fece aspra battaglia, e durò lungamente, perocchè catuno voleva
-mantenere l’onore del campo; e non avendo pedoni che l’impedissono,
-feciono i buoni cavalieri grande punga, e in fine per virtù di certi
-conestabili della masnada de’ Fiorentini, ristringendosi insieme, con
-impetuoso assalto ruppono la cavalleria di messer Piero, e a forza in
-isconfitta gli cacciarono del campo, e rimasono morti sessanta de’ loro
-cavalieri in sul campo e più cavalli, e presi sei de’ loro conestabili
-da’ cavalieri de’ Fiorentini, e messer Manfredi de’ Pazzi di Valdarno,
-e più altri cavalieri tedeschi e borgognoni, a’ quali tolsono l’arme e’
-cavalli secondo l’usanza, e lasciaronli alla fede: e questo fu del mese
-di dicembre del detto anno.
-
-
-CAP. XLIV.
-
-_D’una cometa ch’apparve in oriente._
-
-In questo anno 1351, del detto mese di dicembre, si vide in prima in
-cielo a noi verso levante una cometa, la quale per li più fu giudicata
-Nigra, la quale è di natura saturnina. Il suo apparimento fu a noi
-all’uscita del segno del Cancro, e alcuni dissono ch’ella entrò nel
-Leone: ma innanzi che per noi si vedesse fuori del Cancro, fu fuori del
-verno, sicchè approssimandosi il Sole al Cancro se ne perdè la vista.
-Alcuni pronosticarono morte di grandi signori, ovvero per decollazione,
-e avvenimento di signorie. Noi stemmo quell’anno a vedere le novità che
-più singolari e grandi apparissono onde avere potessimo novelle, e in
-Italia e nel patriarcato d’Aquilea furono molte dicollazioni di grandi
-terrieri e cittadini, che lungo sarebbe a riducere qui i singulari
-tagliamenti. E mortalità di comune morte in questo anno non avvenne: ma
-per la guerra de’ Genovesi, e Veneziani e Catalani avvennono naufragii
-grandi, e mortalità di ferro grandissima in quelle genti e ne’ loro
-seguaci, e per i difetti sostenuti in mare non meno ne morirono
-tornando che combattendo. Avvenne in Italia singolare accidente al
-grano, vino e olio e frutti degli alberi, che essendo ogni cosa in
-speranza di grande ubertà, subitamente del mese di luglio si mosse una
-sformata tempesta di vento, che tutti gli alberi pericolò de’ loro
-frutti, e i grani e le biade ch’erano mature battè e mise per terra
-con smisurato danno. Dappoi a pochi dì fu il caldo sì disordinato, che
-tutte le biade verdi inaridì e seccò. Per questo accidente avvenne,
-che dove s’aspettava ricolta fertile e ubertosa, fu generalmente per
-tutta Italia arida e cattiva. E avvennono in questi anni singulari
-diluvi d’acque, che feciono in molte parti gran danni, e gittò per
-tutta Italia generale carestia di pane e sformata di vino. In questo
-medesimo mese di dicembre apparve la mattina anzi giorno, a dì 17, un
-grande bordone di fuoco, il quale corse di verso tramontana in mezzodì.
-E in questo medesimo anno all’entrare di dicembre morì papa Clemente
-sesto, e alcuno de’ cardinali. Al nostro lieve intendimento basta di
-questi segni del cielo e delle cose occorse averne raccontato parte,
-lasciando agli astrolaghi l’influenza di quello che s’appartiene alla
-loro scienza, e noi ritorneremo alla più rozza materia.
-
-
-CAP. XLV.
-
-_Come fu preso il castello della Badia de’ Perugini, e come si
-racquistò._
-
-Essendo i Perugini imbrigati nelle rubellioni delle loro terre per
-gli assalti de’ loro vicini, con la forza dell’arcivescovo di Milano,
-la quale di prima, come addietro narrammo, nel tempo che si cercò
-di fare lega con la Chiesa e co’ Lombardi, dicevano che non si potea
-stendere a loro, due conestabili di fanti a piè cittadini sbanditi di
-Firenze, partendosi dal soldo del tiranno d’Agobbio co’ loro compagni,
-di furto entrarono nel castello della Badia, grosso castello, il quale
-era de’ Perugini, e cominciarono a correre e predare le villate vicine
-con l’aiuto di Giovanni di Cantuccio signore d’Agobbio. I Perugini vi
-mandaro certe masnade di cavalieri che aveano di Fiorentini e altra
-gente a piè: costoro vi si puosono a oste del mese di gennaio. Giovanni
-di Cantuccio con la cavalleria ch’avea dell’arcivescovo di Milano
-e co’ suoi fanti a piè, essendo tre cotanti di cavalieri e di fanti
-che quelli de’ Perugini, andarono per levarli da campo e fornire il
-castello. Un conestabile tedesco delle masnade de’ Fiorentini valente
-cavaliere, ch’avea nome M... si fece incontro a’ nimici a un ponte onde
-conveniva ch’e’ nimici venissono, e francamente li ritenne, tanto che
-l’altra cavalleria de’ Perugini ch’era alla Città di Castello venne
-al soccorso del passo: e giunti, valicarono il ponte, e per forza
-cacciarono l’oste di Giovanni di Cantuccio in rotta, e presono cento e
-più de’ cavalieri del Biscione: e tornati al castello, i masnadieri che
-’l teneano, vedendosi fuori di speranza di avere soccorso, il renderono
-a’ Perugini, salvo le persone e l’arme, a dì 6 del detto mese di
-gennaio.
-
-
-CAP. XLVI.
-
-_Come i Fiorentini cercarono lega co’ comuni di Toscana, e accrebbono
-loro entrata._
-
-Temendo il comune di Firenze la gran potenza del signore di Milano,
-fornito della compagnia de’ ghibellini d’Italia, con suoi ambasciadori
-smosse i Perugini Sanesi e Aretini a parlamento alla città di Siena,
-del mese di dicembre del detto anno, e ivi composono lega e compagnia
-di tremila cavalieri e di mille masnadieri, contra qualunque volesse
-fare guerra a’ detti comuni o ad alcuno di quelli; e incontanente il
-comune di Firenze si fornì di cavalieri e di masnadieri di più assai
-che in parte della lega non li toccava. E per avere l’entrata ordinata
-a mantenere la spesa elessono venti cittadini, con balìa a crescere
-l’entrata e le rendite del comune, i quali commutarono il disutile
-e dannoso servigio de’ contadini personale in danari, compensandoli
-che pagassono per servigio di cinque pedoni per centinaio del loro
-estimo per rinnovata dell’anno, a soldi dieci il dì per fante: e
-questo pagassono in tre paghe l’anno, e fossono liberi dell’antico
-servigio personale: o quando per necessità occorresse il bisogno del
-servigio personale, scontassono di questo. E questa entrata secondo
-l’estimo nuovo montò l’anno cinquantaduemila fiorini d’oro, e fu grande
-contentamento de’ condannati. E a’ cherici ordinarono certa taglia
-per aiuto e guardia e alla difesa della città e del contado, la quale
-stribuirono e raccolsono i loro prelati, e montò fiorini ... d’oro; e
-raddoppiarono e crebbono più gabelle, per le quali entrate il comune
-potè spendere l’anno trecentosessantamila fiorini d’oro. E oltre a ciò
-ordinarono e distribuirono tra’ cittadini la gabella de’ fumanti, la
-quale nel fatto fu per modo di sega, che catuno capo di famiglia fu
-tassato in certi danari il dì per modo, che raccogliendosi il numero
-montava fiorini d’oro centoquaranta il dì: poi per ogni danaro che
-l’uomo avea di sega, fu recato in estimo di soldi trenta; e questa
-gabella montava l’anno fiorini cinquantamila d’oro: e quando il comune
-aveva necessità, riscoteva questa gabella per avere i danari presti,
-e assegnavali alla restituzione di certe gabelle. Per queste sformate
-gravezze, avendo carestia generale delle cose da vivere, era la città
-e il contado in assai disagio, forse meritevolmente per la dissoluta
-vita, e’ disordinati e non leciti guadagni de’ suoi cittadini.
-
-
-CAP. XLVII.
-
-_Come i Romani feciono rettore del popolo._
-
-In questo anno essendo per lo corso stato a Roma del general
-perdono arricchito il popolo, i loro principi e gli altri gentilotti
-cominciarono a ricettare i malandrini nelle loro tenute, che facevano
-assai di male, rubando, e uccidendo, e conturbando tutto il paese.
-Senatore fu fatto Giordano dal Monte degli Orsini, il quale reggeva
-l’uficio con poco contentamento de’ Romani. E per questa cagione gli
-fu mossa guerra a un suo castello, per la quale abbandonò il senato.
-Il vicario del papa ch’era in Roma, messer Ponzo di Perotto vescovo
-d’Orvieto, uomo di grande autorità, vedendo abbandonato il senato,
-con la famiglia che aveva, in nome del papa entrò in Campidoglio per
-guardare, tanto che la Chiesa provvedesse di senatore. Iacopo Savelli
-della parte di quelli della Colonna accolse gente d’arme, e per forza
-entrò in Campidoglio e trassene il vicario del papa, e Stefano della
-Colonna occupò la torre del conte, e la città rimase senza governatore,
-e catuno facea male a suo senno perocchè non v’era luogo di giustizia.
-E per questo il popolo era in male stato, la città dentro piena di
-malfattori, e fuori per tutto si rubava. I forestieri e i romei erano
-in terra di Roma come le pecore tra’ lupi: ogni cosa in rapina e in
-preda. A’ buoni uomini del popolo pareva stare male, ma l’uno s’era
-accomandato all’una parte, e l’altro all’altra di loro maggiori, e però
-i pensieri di mettervi consiglio erano prima rotti che cominciati:
-e la cosa procedeva di male in peggio di dì in dì. Ultimamente non
-trovando altro modo come a consiglio il popolo si potesse radunare,
-il dì dopo la natività di Cristo, per consuetudine d’una compagnia
-degli accomandati di Madonna santa Maria, s’accolsono avvisatamente
-molti buoni popolani in santa Maria Maggiore, e ivi consigliarono di
-volere avere capo di popolo: e di concordia in quello stante elessono
-Giovanni Cerroni antico popolare de’ Cerroni di Roma, uomo pieno d’età,
-e famoso di buona vita. E così fatto, tutti insieme uscirono della
-chiesa e andarono per lui, e smosso parte del popolo, il menarono
-al Campidoglio ov’era Luca Savelli. Il quale vedendo questo subito
-movimento non ebbe ardire di contastare il popolo, ma dimandò di loro
-volere: ed e’ dissono che voleano Campidoglio, il quale liberamente
-diè loro; ed entrati dentro sonarono la campana: il popolo trasse al
-Campidoglio d’ogni parte della città senza arme, e i principi con le
-loro famiglie armati, ed essendo là, domandarono la cagione di questo
-movimento e quello che ’l popolo volea: il popolo d’una voce risposono
-che voleano Giovanni Cerroni per rettore, con piena balía di reggere
-e governare in giustizia il popolo e comune di Roma. E consentendo
-i principi all’ordinazione del popolo, di comune volontà fu fatto
-rettore; e mandato per lo vicario del papa che lo confermasse, come
-savio e discreto volle che prima giurasse la fede a santa Chiesa, e
-d’ubbidire i comandamenti del papa, e ricevuto di volontà del popolo
-il saramento dal rettore, il confermò per quell’autorità che aveva: e
-tutto fu fatto in quella mattina di santo Stefano, innanzi ch’e’ Romani
-andassono a desinare. E lasciato il rettore in Campidoglio, catuno si
-tornò a casa con assai allegrezza di quello ch’era loro venuto fatto
-così prosperamente.
-
-
-CAP. XLVIII.
-
-_Di una lettera fu trovata in concistoro di papa._
-
-Essendo per lo papa e per i cardinali molto tratto innanzi il processo
-contro al’arcivescovo di Milano, una lettera fu trovata in concistoro,
-la quale non si potè sapere chi la vi recasse, ma uno de’ cardinali
-la si lasciò cadere avvisatamente in occulto: la lettera venne alle
-mani del papa, e la fece leggere in concistoro. La lettera era d’alto
-dittato, simulata da parte del principe delle tenebre al suo vicario
-papa Clemente e a’ suoi consiglieri cardinali: ricordando i privati e
-comuni peccati di catuno, ne’ quali li commendava altamente nel suo
-cospetto, e confortavali in quelle operazioni, acciocchè pienamente
-meritassono la grazia del suo regno: avvilendo e vituperando la vita
-povera e la dottrina apostolica, la quale come suoi fedeli vicari
-eglino aveano in odio e ripugnavano, ma non ferventemente ne’ loro
-ammaestramenti come nell’opere, per la qual cosa li riprendeva e
-ammoniva che se ne correggessono, acciocchè li ponesse per loro
-merito in maggiore stato nel suo regno. La lettera toccò molto e bene
-i vizi de’ nostri pastori di santa Chiesa, e per questo molte copie
-se ne sparsono tra’ cristiani. Per molti fu tenuto fosse operazione
-dell’arcivescovo di Milano allora ribello di santa Chiesa, potentissimo
-tiranno, acciocchè manifestati i vizi de’ pastori si dovessono più
-tollerare i suoi difetti, manifesti a tutti i cristiani. Ma il papa
-e i cardinali poco se ne curarono, come per innanzi l’operazioni si
-dimostreranno.
-
-
-CAP. XLIX.
-
-_Come il re d’Inghilterra essendo in tregua col re di Francia acquistò
-la contea di Guinisi._
-
-Avvenne in questo anno, che un Inghilese prigione nella forte rocca
-di Guinisi, la quale era del re di Francia, essendo per ricomperarsi,
-avea larghezza d’andare per la rocca, e così andando, provvide l’ordine
-delle guardie e l’altezza d’alcuna parte della rocca ond’ella si
-potesse furare. E pagati i danari della sua taglia, fu lasciato; e
-trovatosi con alquanti sergenti d’arme, suoi confidenti, disse ove
-potesse avere il loro aiuto gli farebbe ricchi. E presa fede da loro
-manifestò come intendea furare la rocca di Guinisi, e avea provveduto
-come fare il poteva, i quali arditi e volonterosi di guadagnare
-promisono il servigio: ed essendo tra tutti cinquanta sergenti bene
-armati, avendo scale fatte alla misura del primo procinto, una notte in
-su l’ora che l’Inghilese sapea che la guardia della mastra fortezza vi
-si rinchiudea dentro, condotte le scale al muro chetamente montarono
-sopra il primo procinto: e sorprese le guardie, per non lasciarsi
-uccidere si lasciarono legare, e così legati gli faceano rispondere
-all’altre guardie della rocca. Quando venne in sul fare del dì
-gl’Inghilesi feciono alle guardie muovere riotta, e fare romore tra
-loro in modo di mischia. Il castellano sentendo questo tra le guardie,
-mostrando non avere sospetto scese della rocca, e aprendo l’uscio per
-venire a correggere le guardie, gl’Inghilesi apparecchiati nell’aguato,
-immantinente con l’armi ignude in mano furono sopra lui, e presono
-l’uscio ed entrarono nella rocca, e presono il castello e le guardie.
-E incontanente mandarono al re d’Inghilterra come aveano presa la
-forte rocca di Guinisi, la quale il re molto desiderava. E di presente
-vi mandò gente d’arme e fecela prendere e guardare, e commendata
-la valenza e l’industria del suo fedele e degli altri scudieri fece
-loro onore e provvidegli magnificamente. E per questa rocca fu il re
-d’Inghilterra in tutto signore della contea di Guinisi, e il re di
-Francia forte conturbato. E avvegnachè questa presura andasse per la
-forma che è detto, e’ si trovò poi che il castellano avea consentito
-al tradimento, e tornato di prigione, essendo lasciato, in Francia fu
-squartato.
-
-
-CAP. L.
-
-_Il piato fu in corte tra’ due re per la contea di Guinisi._
-
-Essendo furata la contea di Guinisi al re di Francia sotto la
-confidanza delle triegue, trasse in giudicio il re d’Inghilterra a
-corte di Roma per suoi ambasciadori, dicendo che sotto la fede delle
-triegue prestata il re d’Inghilterra gli avea tolto per furto la rocca,
-e la contea occupata per forza. Per la parte del re d’Inghilterra fu
-risposto, che avendo per suo prigione il conte di Guinisi conestabile
-di Francia preso in battaglia, e dovendosi riscattare per lo patto
-fatto della sua taglia scudi ottantamila d’oro, o in luogo di danari
-la detta contea di Guinisi, e lasciato alla fede acciocchè procacciare
-potesse la moneta, il re di Francia appellandolo traditore, per non
-averlo a ricomperare, o acconsentirgli la contea di Guinisi il fece
-dicollare: e così contro a giustizia privò il re d’Inghilterra delle
-sue ragioni, le quali giustamente avea racquistate. La quistione fu
-grande in concistoro, e pendeva la causa in favore del re di Francia,
-e però innanzi che sentenza se ne desse, il re fece restituire la terra
-di Guinisi a quell’Inghilese che data glie l’avea; e seguendo la morte
-di papa Clemente non ne seguì altra sentenza.
-
-
-CAP. LI.
-
-_Come l’arcivescovo di Milano ragunò i suoi soldati per rifare guerra
-a’ Fiorentini._
-
-In questo tempo del verno, avendo l’arcivescovo di Milano fatte
-rivedere e rassegnare le sue masnade tornate da Firenze, trovò ch’aveva
-a fare ammenda di bene milledugento cavalli. E turbato forte nel suo
-furore, propose di fare al primo tempo maggiore e più aspra guerra
-a’ Fiorentini. E trovando che avea consumato senza acquisto grande
-tesoro, volendolo rifare senza mancare la sua generale entrata, fece
-nuova colta in Milano e in tutte le sue terre per sì grave modo, che
-tutti i mercatanti si ritrassono delle loro mercatanzie nelle sue
-terre: nondimeno a catuno convenne portare la soma che gli fu imposta;
-per la quale gravezza accrebbe cinquecento migliaia di fiorini d’oro
-sopra le sue rendite ordinarie in piccolo tempo. In queste oppressioni
-molti parlavano biasimando l’impresa contro al comune di Firenze, e
-rimproveravano quello che avea fatto loro il vile castelletto della
-Scarperia per provvisione del comune di Firenze, essendovi intorno la
-forza de’ Lombardi e de’ ghibellini di Toscana. E in tra gli altri
-un cavaliere bresciano di grande età, amico e fedele alla casa de’
-Visconti, biasimò l’impresa, dicendo semplicemente il vero, come
-aveva ricordo di lungo tempo, che qualunque signore avea impreso
-di far guerra al comune di Firenze n’era mal capitato, però per
-amore che aveva al suo signore non lodava l’impresa. Le parole del
-cavaliere furono rapportate all’arcivescovo; il tiranno inacerbito,
-non considerando la fede dell’antico cavaliere, seguitando l’impetuoso
-furore del suo animo, mandò per lui. E venuto nella sua presenza, il
-domandò s’egli aveva usate quelle parole. Il cavaliere disse, che dette
-l’avea per grande amore e fede ch’avea alla sua signoria, ricordandosi
-dell’imperadore Arrigo, e dell’impresa di messer Cane della Scala e
-degli altri che non erano bene capitati. Il tiranno infiammato nel
-suo disordinato appetito, di presente fece armare un suo conestibile
-con la sua masnada, e accomandogli il cavaliere, e disse il rimenasse
-in Brescia, e in su l’uscio della sua casa gli facesse tagliare la
-testa, e così fu fatto. Costui per la sua fede degno di premio e per
-l’utile consiglio ricevette pena, la quale soddisfece colla sua testa
-all’appetito del turbato tiranno.
-
-
-CAP. LII.
-
-_Come i Fiorentini, e’ Perugini, e’ Sanesi mandarono ambasciadori a
-corte._
-
-Stando le città di Toscana in gran tema di futura guerra, i comuni
-della lega di parte guelfa mandarono al papa e a’ cardinali solenne
-ambasciata, a inducere la Chiesa contro alla grande tirannia
-dell’arcivescovo di Milano per aggravare il processo che contro a lui
-si faceva, e procurare l’aiuto e il favore di santa Chiesa alla loro
-difesa. Gli ambasciadori furono ricevuti dal papa e da’ cardinali
-graziosamente. Ma innanzi che questi ambasciadori fossono a corte,
-l’arcivescovo v’avea mandati i suoi, per riconciliarsi colla Chiesa, e
-fare annullare il processo fatto contro a lui per l’impresa di Bologna,
-i quali ambasciadori erano forniti di molti danari contanti per
-spendere e donare largamente; e facendolo con molta larghezza aveano
-il favore del re di Francia, che faceva parlare per lui, e quello di
-molti cardinali, e de’ parenti del papa e della contessa di Torenna,
-per cui il papa si movea molto alle gran cose. E il papa medesimo avea
-già l’ingiuria fatta a santa Chiesa per l’arcivescovo della tolta di
-Bologna temperata, ed era disposto a prendere accordo coll’arcivescovo:
-e per questo fu molto più contento della venuta degli ambasciadori
-de’ tre comuni di Toscana, credendo fare l’accordo dell’arcivescovo di
-loro volontà; perocchè nel primo parlamento disse agli ambasciadori:
-eleggete delle tre cose che io vi proporrò l’una, quale più vi piace, o
-volete pace coll’arcivescovo, o volete lega colla Chiesa, o volete la
-venuta dell’imperadore in Italia per vostra difesa. L’offerte furono
-larghe per conchiudere alla pace che parea più abile e migliore. Gli
-ambasciadori savi e discreti di concordia rimisono la detta elezione
-nel papa, a fine di farlo più pensare nel fatto dandoli gravezza,
-dimostrando grande confidanza nella deliberazione. E così cominciata
-la cosa a praticare ebbono tempo e cagione gli ambasciadori d’avvisare
-i loro comuni, e in questo si soggiornò la maggior parte del verno
-senza uscirne alcun frutto. Lasceremo alquanto gli ambasciadori e ’l
-processo del papa, e torneremo agli altri fatti che occorsono in questo
-soggiorno, rendendo a catuno suo diritto.
-
-
-CAP. LIII.
-
-_Come l’ammiraglio di Damasco fece novità a’ cristiani._
-
-In questo tempo l’ammiraglio del soldano che reggeva la gran città di
-Damasco si pensò di trarre un gran tesoro da’ cristiani di Damasco per
-sua malizia, e una notte fece segretamente mettere fuoco in due parti
-della città, il quale fece in Damasco grave danno. Spento il fuoco,
-l’ammiraglio fece apporre che questo era stato avvistatamente messo
-pe’ cristiani, e richiese i più ricchi cristiani della città, che ve
-n’avea assai, e feceli martoriare, e per martorio confessarono che
-fatto l’aveano a fine di cacciare i saracini: e coloro che di questo
-pericolo vollono campare la vita gli dierono danari assai; e tanti
-furono coloro che si ricomperarono, che l’ammiraglio ne trasse gran
-tesoro: agli altri diede partito o che rinnegassono la fede di Cristo
-o che morissono in croce. Una gran parte di loro per corrotta fede
-rinnegò per campare; rimasonne ventidue, i quali diliberarono di morire
-in croce, innanzi che la perfetta fede di Cristo volessono rinnegare. E
-però il crudele ammiraglio li fece mettere in sulle croci, e ordinolli
-in suso i cammelli che li conducessono per la terra, e in questo
-tormento vivettono tre dì. Ed era menato il padre crocifisso innanzi
-al figliuolo, e il figliuolo innanzi al padre rinnegato; e i rinnegati
-con pianto e con preghiere pregavano i crocifissi che volessono campare
-la crudele morte e tornare alla fede di Maometto; ma i costanti
-fedeli, il padre spregiava il figliuolo rinnegato, dicendo che non
-era suo figliuolo, e il figliuolo il padre rinnegato, dicendo che non
-era suo padre, ma del nimico che ’l volea tentare e torli i beni di
-vita eterna: e molto biasimavano a’ rinnegati la loro incostanza per
-la paura della pena temporale, dicendo che a loro era diletto e gran
-grazia potere seguitare Cristo loro redentore. E così consumate le
-loro temporali vite in grave tormento e in grandissima costanza, nella
-veduta per tre dì de’ saracini e de’ cristiani, renderono l’anime
-a Dio. Il soldano sentì il movimento reo del suo ammiraglio, mandò
-incontanente per lui, e fecelo tagliare per mezzo.
-
-
-CAP. LIV.
-
-_Come i Fiorentini disfeciono terre di Mugello._
-
-In questo medesimo tempo, di verno, i Fiorentini mandarono certi loro
-cittadini per lo contado a provvedere le loro castella e terre, a fine
-di afforzare le parti deboli, e fornire le terre di ciò ch’alla difesa
-mancasse per averle guernite, sopravvenendo la guerra che s’aspettava
-del Biscione. Avvenne, come è usanza del nostro comune, acciocchè il
-buon consiglio non fosse senza difetto di singolare ovvero cittadinesco
-odio, che nel Mugello furono per loro fatte disfare alquante tenute
-forti e utili alla difesa di quello contado per modo, che dove state
-non vi fossono, era utile consiglio a porlevi di nuovo. E feciono
-abbattere Barberino, Latera, Gagliano e Marcoiano, ch’erano al Mugello
-mura contra i nimici di verso Montecarelli, e di Montevivagni e delle
-terre degli Ubaldini, ove in que’ tempi si faceva capo pe’ nimici
-a fare guerra al nostro comune, le quali tenute con piccola spesa
-d’afforzamento erano gran sicurtà a tutto il Mugello, per le cui
-rovine s’accrebbe campo a’ nimici senza contasto di più di sei miglia
-di nostro contado, il quale tutto s’abbandonò, a danno e vergogna del
-nostro comune. Riprensione comune ne seguitò a coloro che così mala
-provvisione feciono, altro gastigamento no, per la corrotta usanza
-del comune di Firenze di non punire le cose mal fatte, nè meritare le
-buone.
-
-
-CAP. LV.
-
-_Come la Scarperia fu furata e racquistata._
-
-Facendo il comune di Firenze con molta sollecitudine afforzare il
-castello della Scarperia di grandi fossi e di forti palancati, il
-tiranno e gli Ubaldini con ogni sottigliezza d’inganno tentavano di
-procacciare ridotto nel Mugello, e sopra tutto di levarsi l’onta della
-Scarperia, e continovo cercavano come la potessono furare: per la qual
-cosa corruppono più loro fedeli mandandoli per essere manovali, come
-se fossono Mugellesi, e alcuno maestro. E messi al lavorio del votare
-il fosso, del quale si portava la terra al palancato per alzare la
-parte dentro, costoro provvidono la via onde la terra si portava: e
-segretamente tra le due terre segarono alcuni legni del palancato, e
-dierono la posta agli Ubaldini: i quali di presente feciono scendere
-gente a cavallo e a piè a Montecarelli, e alla Sambuca, e a Pietramala,
-e nell’alpe e nel Podere, per dare diversi riguardi a’ Fiorentini, e
-seppono come pochi dì innanzi i soldati che guardavano la Scarperia
-aveano fatto mischia co’ terrazzani, e mortine parecchi, onde tra’
-terrazzani e’ forestieri era sconfidanza grande. La notte che ordinata
-fu a questo servigio scesono dell’alpe e da Montecarelli nel piano
-di Mugello duemilacinquecento fanti, e quattro bandiere di cento
-cavalieri a guida degli Ubaldini. Costoro elessono dugentocinquanta
-i più pregiati briganti di tutta quella gente con dieci bandiere, e
-conestabili molto famosi d’arme, e lasciati gli altri fanti e cavalieri
-riposti ivi presso per loro soccorso, chetamente guidati per la via
-provveduta del fosso dalla parte di Sant’Agata, e senza esser sentiti,
-entrarono tutti nella Scarperia a dì 17 di gennaio del detto anno:
-e stretti insieme si condussono in su la piazza, gridando, muoiano i
-forestieri, e vivano i terrazzani. E in quella notte non avea nella
-Scarperia tra forestieri e terrazzani centocinquanta uomini d’arme,
-sicchè al tutto n’erano signori i nimici. Sentendo questo romore
-nella scurità della notte i soldati forestieri, credettono che i
-terrazzani li volessono offendere, e non ardivano d’uscire delle
-case, e i terrazzani temeano de’ soldati, pensando che fosse in su
-la piazza inganno, e non voleano uscire fuori, e così i nimici non
-aveano contasto; e dove Iddio per singolar grazia non avesse liberato
-quella terra, senza speranza di soccorso umano era perduta. Ma la
-volontà di Dio fu, che la grande potenza del tiranno non avesse quello
-ridotto a consumazione del nostro paese; onde a coloro ch’aveano presa
-la terra, e che aveano presso a un miglio tutta la loro gente tolse
-l’accorgimento, che non lasciassono guardia al passo ond’erano entrati,
-e non feciono il segno ordinato a quelli di fuori; e diede Iddio
-baldanza manifesta a que’ d’entro e accorgimento, perocchè per la vista
-scura i terrazzani conobbono all’insegne che coloro dalla piazza erano
-nemici: e incontanente assicurarono i conestabili de’ forestieri che
-v’erano, per paura che quella gente nè quelle grida non erano per loro
-fattura, ma de’ nimici ch’erano nella terra. Come i valenti masnadieri
-sentirono la verità del fatto, ragunati insieme meno di cinquanta tra
-terrazzani e forestieri, gridando alla morte alla morte, sì fedirono
-tra’ nimici, che lungamente erano stati ammassati in su la piazza, e
-nel primo assalto senza fare resistenza li ruppono, cacciandoli come
-se fossono stati altrettanti montoni; e senza attendere l’uno l’altro,
-affrettando d’uscire per lo luogo stretto ond’erano entrati, e’ cadeano
-nel fosso, e voltolavansi per quelle ripe. Que’ d’entro erano pochi, e
-però non ve ne poterono uccidere più di cinque, e dodici ne ritennono
-a prigioni, tra’ quali furono conestabili di pregio, che ’l signore
-avrebbe ricomperati molti danari, ma tutti furono impiccati. Que’ di
-fuori che attendeano il segno per entrare dentro sentendo la tornata
-in rotta, senza attendere il giorno chiaro, innanzi che la novella si
-spandesse per il Mugello, si ricolsono nell’alpe a salvamento; e così
-in una notte fu presa e liberata la Scarperia con dubbia e maravigliosa
-fortuna.
-
-
-CAP. LVI.
-
-_Come messer Piero Sacconi cavalcò con mille barbute infino in su le
-porte di Perugia._
-
-Del mese di febbraio del detto anno, cresciuta gente d’arme a messer
-Piero Sacconi de’ Tarlati dall’arcivescovo di Milano, trovandosi
-baldanzoso per la presa del Borgo a san Sepolcro e delle terre vicine,
-e trovando i signori di Cortona ch’aveano rotta pace a’ Perugini, ed
-eransi collegati col Biscione, se n’andò a Cortona con mille cavalieri,
-e da’ Cortonesi ebbono il mercato e gente d’arme, con la quale cavalcò
-sopra il contado di Perugia, ardendo e predando le ville d’intorno
-al lago; e per forza presono Vagliano e arsonlo, e combatterono
-Castiglione del Lago e non lo poterono avere; e partiti di là se
-n’andarono fino presso a Perugia facendo grandissimi danni. E non
-essendo i Perugini in concio da potere riparare a’ nemici, fatta grande
-preda, senza contasto si ritornarono a Cortona sani e salvi, e di là
-al Borgo a san Sepolcro, onde partirono e venderono la loro preda.
-Per questa cagione grande sdegno presono i Perugini contro a’ signori
-di Cortona, ma la baldanza dell’arcivescovo gli aveva sì gonfiati di
-superbia, che non si curavano rompere pace nè fare ingiuria a’ loro
-vicini, per la qual cosa poco appresso ricevettono quello che aveano
-meritato per la loro follia, come ne’ suoi tempi racconteremo.
-
-
-CAP. LVII.
-
-_Come i Chiaravallesi di Todi vollono ribellare la terra e furono
-cacciati._
-
-Questa sfrenata baldanza de’ ghibellini di Toscana e della Marca per la
-forza del Biscione facea gravi movimenti, tra’ quali, mentre che messer
-Piero Sacconi guastava e predava il contado di Perugia, i Chiaravallesi
-grandi cittadini di Todi, d’animo ghibellino, feciono venire il
-prefetto di Vico con trecento cavalieri subitamente per metterlo in
-Todi, e cacciarne i caporali guelfi che s’intendeano co’ Perugini; ed
-essendo il prefetto con la detta cavalleria già presso alla città di
-Todi, il popolo e’ guelfi scoperto il trattato de’ Chiaravallesi, di
-subito presono l’arme e corsono sopra i traditori: i quali essendosi
-più fidati alla venuta del prefetto che provveduti d’aiuto dentro
-all’assalto del popolo, non ebbono forza a ributtarlo, ma francamente
-sostennono la battaglia, consumando il rimanente del dì nella loro
-difensione. I Perugini che tosto sentirono la novella vi cavalcarono
-prestamente, sicchè la notte furono alla porta. Il popolo per metterli
-nella terra spezzarono una porta, che già non erano signori d’aprirla,
-ed entrati i Perugini in Todi, e fatto giorno, i Chiaravallesi furono
-costretti d’uscire della città co’ loro seguaci, e fuggendo trovarono
-assai di presso il prefetto colla sua gente che veniva a loro stanza, i
-quali co’ cacciati insieme vituperosamente si tornarono indietro, e la
-città rimase a più fermo stato di popolo e di parte guelfa col favore
-de’ Perugini in suo riposo.
-
-
-CAP. LVIII.
-
-_Come que’ da Ricasoli rubellarono Vertine a’ Fiorentini._
-
-Era in questi dì questione non piccola tra’ consorti della casa da
-Ricasoli per cagione della pieve di san Polo di Chianti, che essendo
-il piovano in decrepita età ammalato, temendo i figliuoli d’Arrigo e
-il Roba da Ricasoli, che per maggioranza dello stato messer Bindaccio
-da Ricasoli e’ figliuoli non occupassono la detta pieve, pervennono
-ad accuparla contro la riformagione del comune di Firenze, onde
-furono condannati nella persona a condizione; il Roba ubbidì, e fu
-prosciolto: i figliuoli d’Arrigo, avvegnachè restituissono al comune
-la possessione, non essendo loro attenuto quello che però fu loro
-promesso dal comune, rimasono in bando; e sdegnati di questa ingiuria,
-sapendo che molta roba de’ loro consorti era ridotta nel castello di
-Vertine, accolsono centocinquanta fanti masnadieri, ed entrarono nel
-castello, che non si guardava, e di presente l’afforzarono: e corsono
-per le villate d’attorno, e misono nel castello molta roba, e gli
-abituri e case de’ loro consorti arsono e guastarono. Il comune di
-Firenze vi feciono cavalcare il podestà con certe masnade di cavalieri
-e di pedoni, stimando che contro al comune non facessono resistenza:
-ma i giovani trovandosi in luogo forte e bene guerniti, e la forza del
-Biscione di presso, di cui il comune forte temeva, e favoreggiati da
-Giovanni d’Ottolino Bottoni de’ Salimbeni di Siena, pensarono di tenere
-il castello per forza, tanto che il comune di Firenze per riaverlo
-farebbono la loro volontà: e però si misono a ribellione. E alla loro
-follia aggiunse il tempo aiuto, che all’entrata di febbraio caddono
-nevi grandissime l’una dopo l’altra, che stettono sopra la terra oltre
-all’usato modo tutto il detto mese per tale maniera, che tale era a
-cavalcare il contado di Firenze come le più serrate alpi. Lasceremo
-Vertine tra le nevi nella sua ribellione, traendoci altra maggiore
-materia in prima a raccontare.
-
-
-CAP. LIX.
-
-_Come i Veneziani e’ Catalani furono sconfitti in Romania da’ Genovesi._
-
-Avendo in parte narrato lo sboglientamento delle guerre e delle
-seduzioni italiane, benchè ci partiamo del paese, ci accade a
-raccontare le marine battaglie che gl’Italiani medesimi feciono in
-Romania tra loro. Era l’armata de’ Genovesi di sessantaquattro galee
-presso a Pera sopra il passo di Turchia, e ivi stavano per riguardo
-che l’armata de’ Veneziani e Catalani non passassono in Costantinopoli,
-acciocchè non si aggiugnessono forza dall’imperadore ch’era in lega con
-loro. I Veneziani e’ Catalani avendo soggiornato gran parte del verno
-a Modone e Corone in Turchia, e riparate loro galee, si trovarono con
-sessantasette galee bene armate, e con aiuto di molti legni e barche
-armate di loro sudditi e di certi Turchi, avendo volontà d’essere a
-Costantinopoli, dove s’accrescerebbe la loro forza e per mare e per
-terra, senza attendere che il verno valicasse si misono a navicare
-verso Costantinopoli, a intenzione di combattere co’ Genovesi se
-impedire gli volessono. I Genovesi con le sessantaquattro galee armate,
-avendo per ammiraglio messer Paganino Doria, e stando solleciti alla
-guardia per attendere i loro nemici, mandarono a dì 7 di febbraio due
-galee a Gallipoli per avere lingua di loro nemici, e quel dì trovarono
-che l’armata de’ Veneziani e Catalani entravano all’isola de’ Principi.
-Come i Genovesi ebbono questa novella si mossono per andare loro
-incontro, e per forza d’impetuoso vento furono portati indietro al
-porto di san Dimitrum verso Peschiera, dove stettono fino al lunedì,
-a dì 13 di febbraio. E partiti di là con grande fatica, tornarono al
-passo di Turchia. In questo mezzo tornarono le due galee con festa
-ch’aveano seguita una galea de’ Veneziani e aveanla fatta dare in
-terra, e campati gli uomini, la galea aveano arsa e profondata; allora
-tutte le galee insieme si misono da capo per andare contro a’ nemici,
-e poco avanzato di mare per lo contrario tempo, scopersono alla uscita
-di Principi l’armata de’ Veneziani e Catalani che facevano la via verso
-Grecia con grosso mare e molto vento in poppa. I Catalani e’ Veneziani
-com’ebbono scoperti i loro nimici genovesi, si dirizzarono verso loro
-colle vele piene per combattere, conoscendo il vantaggio che aveano
-per l’aiuto del vento e del mare, e passare in Costantinopoli a loro
-contradio. I Genovesi veggendosi venire addosso i nimici con le vele
-piene si ristrinsono insieme sopra la Turchia, e ritennonsi da parte a
-modo d’una schiera, per cessare e lasciare passare l’impeto de’ nimici,
-temendo della percossa delle loro galee aiutate dalla forza del vento
-e del mare. E come le galee veneziane e catalane passando vennono al
-pari delle poppe delle galee de’ Genovesi, i Genovesi si sforzarono
-per ingegni e per forza d’arme traversarne e ritenerne alcuna, ma non
-ebbono podere, tanto era forte il corso di quelle. E così i Veneziani
-e’ Catalani con le loro galee e co’ loro navili armati valicarono a
-Valanca lasciandosi addietro l’armata de’ Genovesi, e aggiuntosi otto
-galee armate di gente greca dell’imperadore di Costantinopoli, si
-trovarono settantacinque galee e molti legni armati. Le sessantaquattro
-galee de’ Genovesi per lo traversare che aveano voluto fare, avendo
-i marosi e ’l vento contrario, erano scerrate e sparte, e vedendosi
-disordinati, e con gli avversari passati, intendeano a raccogliersi
-insieme senza seguire i nimici per riducersi nel porto di san
-Dimitrum. I Veneziani e’ Catalani che si trovarono valicati per
-forza, e accresciuta la loro potenza, vedendo che i Genovesi non
-veniano verso di loro, e ch’aveano le galee sparte e male ordinate a
-potere sostenere la battaglia, presono subitamente partito di tornare
-loro addosso sperando avere piena vittoria. E dato il segno a tutta
-l’oste, si dirizzarono per forza di remi, avendo il mare contradio, a
-venire sopra le galee de’ Genovesi, le quali non erano ancora potute
-raccogliersi insieme. Ma vedendo che tutto lo stuolo de’ Veneziani, e
-Catalani e Greci erano rivolti per venire loro addosso, catuna parte
-della loro armata, secondo che le galee genovesi si trovarono insieme,
-non potendosi ristrignere nè raccozzarsi al loro ammiraglio, come
-uomini di grande cuore e ardire s’ordinarono alla loro difesa, sempre
-avendo riguardo e dando opera d’accostarsi al loro capitano, ma la
-traversa del mare e la fortuna forte l’impediva. L’ammiraglio a tutte
-le galee che avea appresso di se fece trarre l’ancore, e ritrarsi
-alquanto fuori delle grosse maree, e dirizzossi contro a’ suoi nimici
-con la sua galea grossa e con sette altre che avea in sua compagnia;
-e date le prode contro a’ nimici, feciono testa. Il capitano delle
-galee veneziane e quello delle catalane, con seguito di gran parte
-della loro armata, si trassono innanzi, avendo contrario il mare, per
-assalire i loro nimici. I Genovesi vedendoli venire, mandarono loro
-incontro due delle loro galee sottili per assaggiarle con le loro
-balestra, e cominciare lo stormo a modo di badalucco. Il capitano
-de’ Catalani s’avanzò innanzi, e quello de’ Veneziani appresso, per
-investire la galea dell’ammiraglio de’ Genovesi, ma trovandole serrate
-e bene in concio, non le investirono, e non si afferrarono con loro, o
-per codardia, o per maestria di tramezzare l’altre galee de’ Genovesi
-innanzi che si raccogliessono al loro ammiraglio: ma dietro a loro tre
-grosse de’ Veneziani si misono a combattere la galea dell’ammiraglio
-di Genova, e l’altre galee contro quelle ch’erano in diverse parti del
-mare; e cominciata da ogni parte l’aspra battaglia tra l’una armata
-e l’altra, le due grosse de’ Veneziani si misono per proda e una per
-banda a combattere la sopra galea dell’ammiraglio de’ Genovesi. Quivi
-fu lunga e aspra e grande battaglia, perocchè d’ogni parte s’aggiunsono
-galee a quello stormo, e quivi furono molti fediti e morti da catuna
-parte; e valicato l’ora del vespero, per lo grande aiuto delle galee
-de’ Genovesi che soccorsono il loro ammiraglio, le tre de’ Veneziani
-che s’erano afferrate con quella rimasono sbarattate e prese; e
-l’altre galee de’ Veneziani e Catalani, ch’erano passate e divise tra
-l’ammiraglio e l’altre galee genovesi, combattendo in diverse parti
-cacciarono delle galee de’ Genovesi: in prima dieci galee, che per
-campare le persone diedono in terra verso sant’Agnolo, abbandonati i
-corpi delle galee a’ nimici, morti e perduti assai de’ compagni, il
-rimanente si fuggì a Pera; e dopo queste altre tre galee de’ Genovesi
-fuggendo innanzi a’ Veneziani feciono il simigliante, e abbandonati i
-corpi delle galee si fuggirono a Pera. I Veneziani e’ Catalani misono
-fuoco in quelle galee, e tutte le profondarono; e oltre a queste altre
-sei galee de’ Genovesi si fuggirono nel Mare maggiore per campare.
-Dall’altra parte i Genovesi combattendo per forza d’arme delle galee
-de’ Veneziani e Catalani e Greci in diversi abboccamenti, con grande
-uccisione di catuna parte, ne vinsono e presono assai: ma però non
-sapea l’uno dell’altro chi avesse il migliore. La tempesta del mare era
-grande, e non lasciava riconoscere nè raccogliere insieme alcuna delle
-parti. E avendo per questo modo disordinato e fortunoso combattuto
-fino alla notte senza sapere chi avesse vinto o perduto, l’uno residuo
-dell’armata e l’altro si ridussono a terra alle Colonne al porto di
-Sanfoca; e dividendoli la notte, dilungata l’una parte dall’altra il
-più che si potè, nel detto porto cercarono per quella notte alcuno
-sollevamento dalle fatiche agli affannati corpi.
-
-
-CAP. LX.
-
-_Di quello medesimo._
-
-La mattina vegnente, a dì 14 di febbraio, i Veneziani, Catalani e Greci
-che si conobbono essere maltrattati in quella battaglia da’ Genovesi,
-innanzi che ’l sole alzasse sopra la terra, per paura che i Genovesi,
-ravveduti del danno che aveano fatto loro, non li sorprendessono
-in quel luogo, si partirono, e andarsene a un porto che si chiama
-Trapenon, ch’è nella forza de’ Greci, ove poterono stare più sicuri. I
-Genovesi venuto il giorno, ricercarono la loro armata, e trovarono meno
-le tredici galee profondate, e le sei ch’erano andate fuggendo i nimici
-nel Mare maggiore: e della loro gente si trovarono molto scemati, tra
-morti e annegati e fuggiti. Dall’altra parte trovarono, che aveano
-prese quattordici galee de’ Veneziani, e dieci de’ Catalani e due de’
-Greci, e allora conobbono che i nimici come rotti s’erano partiti e
-fuggiti a Trapenon. E trovandosi avere morti di loro nimici intorno
-di duemila, e presine milleottocento, ebbono certezza della loro poco
-allegra vittoria, e incontanente de’ loro prigioni fediti e magagnati
-lasciarono quattrocento, acciocchè non corrompessono la loro gente, e
-per fare alcuna misericordia della loro vittoria. Ma tanto fu il loro
-danno de’ morti e fediti, e d’avere perdute le loro galee, che della
-detta vittoria non poterono far festa. Questa battaglia non ebbe ordine
-nè modo, anzi fu avviluppata e sparta come la tempesta marina: e però
-com’ella fu varia e non potuta bene cernere nè vedere, non l’abbiamo
-potuta con più certo e chiaro ordine recitare.
-
-
-CAP. LXI.
-
-_Come per le discordie de’ paesani la Sicilia era in grave stato._
-
-Partendoci dalle battaglie fatte per gl’Italiani negli strani paesi,
-ci occorre l’intestino male dell’isola di Sicilia: la quale non avendo
-nemico strano, tanto mortalmente crebbe il furore delle loro parti, che
-senza alcuna misericordia, come salvatiche fiere, ovunque s’abboccavano
-s’uccidevano, per aguati, per tradimenti, e per furti di loro tenute
-continovo adoperavano il fuoco e il ferro, onde molti gentiluomini,
-e altre genti del paese perderono la materia delle paesane divisioni
-per le loro violenti morti; e ancora per questo tanto si disusarono i
-campi della cultura, tanto si consumarono i frutti ricolti, che l’isola
-per addietro fontana d’ogni vittuaglia, per inopia e per fame faceva
-le famiglie de’ suoi popoli in grande numero pellegrinare negli altri
-paesi. E per partirci un poco da tanta crudele infamia, la seguente
-ferina crudelezza, con vergogna degli uomini di quella lingua, sia
-per ora termine a questa materia. Un Catalano, il quale teneva una
-rocca nella Valle di... fece a’ suoi compagni tenere trattato col
-conte di Ventimiglia, il quale avendo voglia d’avere quella rocca,
-con troppa baldanzosa fidanza sotto il trattato entrò nel castello
-con centoquattro compagni, benchè più ve ne credesse mettere: ma come
-con questi fu dentro, per l’ordine preso pe’ traditori furono chiuse
-le porti, e ’l conte e i compagni presi; e avendovi uomini i quali si
-volevano ricomperare grande moneta, ed erano da riserbare per i casi
-fortunevoli della guerra, tanto incrudelì l’animo feroce de’ Catalani,
-che senza arresto spogliati ignudi i miseri prigioni, e legati colle
-mani di dietro, l’uno dopo l’altro posto a’ merli della maggiore torre
-della rocca, sopra uno dirupinato grandissimo furono dirupinati senza
-niuna misericordia, lacerando i miseri corpi con l’impeto della loro
-caduta a’ crudeli sassi. Il conte solo fu riserbato, non per movimento
-d’alcuna umanità, ma per cupidigia di avere per la sua testa alcuno suo
-castello vicino a’ crudi nemici. Chi crederebbe questa sevizia trovare
-tra’ fieri popoli delle barbare nazioni, la quale tra i cristiani, tra
-i consorti d’uno reame, tra i vicini passò le crudeltà de’ tigri, e la
-fierezza de’ più salvatichi animali che la terra produca? E perocchè
-trovare non si potrebbe maggiore, trapassiamo a un’altra di minore
-numero, ma forse non di minore infamia.
-
-
-CAP. LXII.
-
-_Come fu in Firenze tagliate le teste a più de’ Guazzalotri di Prato._
-
-Avendo narrata la grande crudeltà de’ Catalani, un’altra sotto ombra
-di non vera scusa, non senza biasimo dell’abbandonata mansuetudine
-del nostro comune, ci s’offera a raccontare. I Guazzalotri di Prato,
-come è detto addietro, innanzi che il comune il comperasse, usando la
-tirannia di quello tirannescamente, ne furono abbattuti: per questo
-l’animo di Iacopo di Zarino caporale di quella casa era mal contento,
-avvegnachè assai onestamente sel comportasse. Avvenne che alquanti
-cittadini di Firenze, animosi di setta, calunniarono lui e alquanti
-cittadini di Firenze di trattato contro al comune, della qual cosa
-convenne che in giudicio si scusassono, e non trovandosi colpevoli, fu
-infamia a quella gente che quello aveano loro apposto, ed egli con gli
-altri infamati furono prosciolti. Avvenne appresso, o per fuggire il
-pericolo degl’infamatori, o per sdegno conceputo, andando per podestà a
-Ferrara, fu ritenuto dal tiranno di Bologna e poi lasciato, rimanendo
-per stadico il figliuolo; e tornato a Firenze, e preso sospetto di
-lui, fu confinato a Montepulciano: i quali confini, qual che si fosse
-la cagione, e’ non seppe comportare, e fece suo trattato col signore
-di Bologna per ritornare in Prato; per la qual cosa venne a Vaiano in
-Valdibisenzio, e fece richiedere de’ suoi amici, e da Siena vennono
-lettere al comune di Firenze di questo fatto: per le quali il nostro
-comune di presente vi mise gente d’arme alla guardia, per modo che
-non se ne potea dottare. Nondimeno i cittadini che reggevano allora il
-comune, animosi per setta, volendo aggravare l’infamia, in su la mezza
-notte feciono chiamare delle letta e armare i cittadini, e trarre fuori
-i gonfaloni, come se i nimici fossono alle porti, di che i reggenti
-ne furono forte biasimati. Nondimeno seguendo loro intendimento,
-aveano fatto venire da Prato tutti gli uomini di casa i Guazzalotri,
-i quali per numero furono sette; e incontanente, come uomini guelfi
-e innocenti, e che dell’imprese di Iacopo di Zarino erano ignoranti,
-vennono a Firenze: ed essendo tutti in su la porta del palagio de’
-priori, un fante giunse il dì medesimo, che le guardie erano rinforzate
-in Prato, il quale disse loro da parte di Iacopo, com’egli intendea
-d’essere quella notte in Prato. Costoro di presente furono a’ signori
-e a’ loro collegi, e dissono quello che in quell’ora Iacopo avea loro
-mandato a dire, scusando la loro innocenza. I priori co’ loro collegi
-non dimostrando di loro alcuno sospetto, gli licenziarono per quel
-giorno: l’altra mattina gli feciono chiamare, e tutti senza sospetto
-andarono a’ signori, fuori d’un giovane, il quale quanto che non
-fosse colpevole, temette di venire in esaminazione; gli altri furono
-ritenuti, e messi nelle mani del capitano del popolo, uomo di poca
-virtù, e fatti pigliare certi Pratesi, e un Fiorentino de’ Galigai,
-e due fabbri di contado, tutti per gravi martori confessarono, come
-coloro che questo feciono fare vollono, e subitamente, improvviso
-agli altri cittadini, il detto capitano, del mese di marzo 1351,
-fece decapitare i nove, e i fabbri impiccare; la qual cosa fu tenuta
-crudele e ingiusta sentenza, e molto dispiacque a’ cittadini, perocchè
-manifesto fu che non erano colpevoli. Abbiamone detto steso per due
-cagioni, l’una per manifestare di quanto pericolo sono le sette
-cittadinesche, che i giusti spesso com’e’ colpevoli involgono in
-capitale sentenza; la seconda per dimostrare quanto a Dio dispiace
-quando si spande l’innocente sangue: che per quello che i Guazzalotri
-poco innanzi sparsero per tirannia nella loro terra, il loro per
-simigliante modo fu sparto nella città di Firenze.
-
-
-CAP. LXIII.
-
-_Come il tiranno d’Orvieto fu morto._
-
-In questo anno, del mese di marzo, essendo tiranno d’Orvieto Benedetto
-di messer Bonconte de’ Monaldeschi, il quale poco dinanzi aveva morti
-due suoi consorti per venire alla tirannia, e stando in quella per
-operazione de’ suoi consorti, da uno fante nel suo palagio fu morto.
-Per la morte di costui la città fu in grave divisione; ma coll’aiuto
-di gente e d’ambasciadori perugini s’acquetò alquanto il popolo
-con alcuno lieve e non fermo stato, perocchè tutta la terra era
-insanguinata per la divisione della casa de’ Monaldeschi, e avendo
-dentro poca concordia, e di fuori sparti per lo contado e distretto
-i cittadini cacciati, rimase lo stato dubbioso a potere sostenere; e
-per la cavalleria che l’arcivescovo di Milano aveva in Toscana e nella
-Marca, i comuni di parte guelfa poco consiglio vi misono, onde ne
-seguì la rivoltura che appresso seguendo nostro trattato nel suo tempo
-racconteremo.
-
-
-CAP. LXIV.
-
-_Come i Fiorentini assediarono Vertine._
-
-Nel predetto mese di marzo i Fiorentini feciono porre l’oste al
-castello di Vertine, e strignerlo con due campi al trarre delle
-balestra, e rizzaronvi due mangani che tutto dì gittavano, abbattendo
-e guastando le case della terra. Nell’oste avea seicento cavalieri,
-e millecinquecento masnadieri di soldo, i quali deliberarono di
-combattere il castello e vincerlo per battaglia: ma avvenne mirabile
-cosa, che quasi pareva fatta per arte magica, che il tempo si corruppe
-all’acqua, che dì e notte non ristò infino alla Pasqua; e impedì tanto
-l’oste, che alla battaglia non si potè venire per niun modo, e quelli
-del castello ebbono agio di farlo più forte alla difesa; e per questa
-cagione, e perchè dentro avea franca masnada di buoni briganti, poco
-parea si curassono de’ Fiorentini, e minacciavano di darlo al Biscione;
-e così francamente il tennono in fino all’uscita d’aprile, come
-appresso diviseremo.
-
-
-CAP. LXV.
-
-_Come in corte fu fermata la pace dal re d’Ungheria a’ reali di Puglia._
-
-Essendo per lungo tempo trattata in corte di Roma a Vignone la pace
-tra il re d’Ungheria e i reali del regno di Cicilia di qua dal Faro,
-papa Clemente essendo guarito della sua infermità, nella quale aveva
-avuta grave riprensione di coscienza, perchè aveva sostenuta la detta
-causa in contumacia, potendola acconciare, con singulare sollecitudine
-mise opera che la pace si facesse. Ed essendo il re d’Ungheria con un
-solo fratello re di Pollonia, senza avere altri consorti fuori de’
-reali del regno di Cicilia, e già soddisfatto in parte non piccola
-della vendetta del fratello, agevolmente si dispose a volere la pace,
-gradendola al papa e a’ cardinali che con istanza ne pregavano, e però
-mandò a corte suoi ambasciadori con pieno mandato, informati di sua
-intenzione, lo eletto di cinque chiese, e un vescovo d’Ungheria, e
-Gulforte Tedesco fratello di messer Currado Lupo vicario nel Regno del
-detto re; e del mese di gennaio 1351, i detti ambasciadori in presenza
-del papa e de’ cardinali, come ordinato fu per lo detto papa, si fece
-la pace con gli ambasciadori del re Luigi e della reina Giovanna in
-nome di tutti i reali di quella casa. E per parte del re Luigi e della
-reina furono fatte l’obbliganze, per le quali, secondo che ’l papa e i
-cardinali aveano trattato, il re e la reina doveano dare e restituire
-al re d’Ungheria trecentomila fiorini d’oro in diversi termini,
-per sodisfacimento delle spese che il re d’Ungheria avea fatte in
-quell’impresa del Regno. E fatte le dette cautele e la detta pace, il
-papa per l’autorità sua e del consiglio de’ suoi cardinali per decreto
-confermò ogni cosa, confermando la pace, e consentendo all’obbligagione
-pecuniaria del reame. E fornito ogni cosa solennemente, innanzi che
-della casa si partissono le parti, gli ambasciadori del re d’Ungheria,
-improvviso a tutti, seguendo il mandato segreto che aveano dal
-loro signore, di grazia spontaneamente, per propria volontà del re
-d’Ungheria, finirono e quetarono al re, e alla reina, e a’ reali di
-Puglia, e al Regno, e alla Chiesa di Roma, di cui è il detto reame,
-i detti trecentomila fiorini d’oro, dicendo, come il loro signore non
-avea fatta quell’impresa per avarizia, ma per vendicare la morte del
-suo fratello. E incontanente si partì Gulforte, e tornò in Ungheria a
-fare assapere al re come fatto era quanto egli avea comandato, a grande
-grado e piacere di santa Chiesa. E i sopraddetti prelati andarono
-nel Regno a trarne gli Ungheri che v’erano salvamente, e a fare per
-comandamento del loro signore restituire al re Luigi e alla reina tutte
-le città, e terre e castella che la sua gente vi tenea. E fatto questo
-accordo, quale che si fosse la cagione, il re d’Ungheria non lasciò
-incontanente i reali ch’aveva prigioni in Ungheria, anzi gli tenne
-insino al settembre prossimo, come al suo tempo si dirà, occorrendoci
-altre cose che prima richieggono il debito alla nostra penna.
-
-
-CAP. LXVI.
-
-_Come l’arcivescovo trattava pace colla Chiesa._
-
-In questo tempo, del verno, l’arcivescovo di Milano continovo mantenea
-a corte solenni ambasciadori a procurare la sua riconciliazione con
-santa Chiesa, e a ciò movea il re di Francia con forza di grandi doni
-che gli faceva, e al continovo pregava per sue lettere il papa e’
-cardinali che perdonassono all’arcivescovo, ed egli per essere più
-favoreggiato domandava pace. I parenti del papa e certi cardinali
-erano sì altamente provveduti, e sì spesso, che continovo pregavano per
-lui il papa, e la contessa di Torenna non finava, per la qual cosa il
-papa dimenticava l’onore e l’ingiurie di santa Chiesa. E non ostante
-che tenesse sospesi gli ambasciatori de’ comuni di Toscana delle cose
-che aveano proposto loro, gli ambasciadori continovo ricordavano in
-concistoro l’offese fatte per l’arcivescovo e pe’ suoi antecessori,
-e l’ingiurie e violenze che fatte avea, e continovo faceva a’ comuni
-di Toscana fedeli e divoti di santa Chiesa. Il papa non ostante ciò
-favoreggiava oltre al modo onesto la causa del tiranno, onde per alcuno
-cardinale ne fu cortesemente ripreso; a costui e agli altri cardinali
-che mostravano in concistoro di essere zelanti dell’onore di santa
-Chiesa, procedendo il tempo, coll’ingegno e coll’arte e co’ doni del
-tiranno furono racchiuse le bocche, e aperte le lingue in suo favore,
-sicchè ultimamente pervenne alla sua intenzione, come seguendo al suo
-tempo dimostreremo.
-
-
-CAP. LXVII.
-
-_Della gran fame ch’ebbono i barbari di Morocco._
-
-Avvenne in quest’anno nel reame di Morocco e nel reame della Bella
-Marina un’inopinata fame per sterilità del paese, la qual fame gittò
-gran carestia in Granata e nella Spagna, e stesesi per la Navarra,
-e appresso in Francia infino a Parigi: che per portare il grano a’
-barbari, per disordinato guadagno che se ne facea, venne lo staio di
-libbre cinquanta di peso in Parigi in valuta di due fiorini d’oro,
-e per lo paese non molto meno. E i barbari saracini per sostentare
-la vita s’ordinarono continovo digiuno, il quale sodisfacevano con
-tre once di pane dato loro, e con un poco d’olio quanto teneva la
-palma della mano, nel quale intignevano il detto pane, e con questo
-mantenevano la loro vita: nondimeno gran quantità ne morirono di fame
-in quell’anno.
-
-
-CAP. LXVIII.
-
-_Come i rettori di Firenze cominciarono segretamente a trattare accordo
-con l’eletto imperadore._
-
-Mentre che il comune di Firenze e di Siena aveano gli ambasciadori
-a corte di papa contro all’arcivescovo di Milano, avvedendosi che
-la Chiesa per le preghiere del re di Francia e d’altri baroni, e per
-la grande quantità di moneta che il tiranno spendea in corte, colla
-quale avea recato in suo favore tutta la corte, ed era per essere
-riconciliato e fatto assai maggiore che non era in prima, diffidandosi
-di non potere per loro resistere alla sua potenza, ordinarono molto
-segretamente di volere far muovere della Magna messer Carlo re de’
-Romani eletto imperadore, e però mandarono e feciono venire d’Alemagna
-a Firenze segretamente un suo cancelliere con grande mandato: il quale
-fu collocato e stette tutto il verno racchiuso in san Lorenzo per modo,
-che i Fiorentini non sapeano chi si fosse, e di notte andavano a lui
-segretari del comune, i quali trattavano il modo della venuta del detto
-eletto, col favore e aiuto grande del detto comune, per abbattere la
-tirannia dell’arcivescovo: e in fine vennono col detto cancelliere a
-piena concordia, tanto che, nonostante l’antico odio del nome imperiale
-a’ detti comuni, fu loro lecito di piuvicare la detta concordia accetta
-a’ detti popoli, come a suo tempo racconteremo.
-
-
-CAP. LXIX.
-
-_Come la gente de’ Fiorentini che andavano a fornire Lozzole furono
-rotti dagli Ubaldini._
-
-Entrando nel mese d’aprile 1352, essendo commesso per lo comune di
-Firenze al capitano del Mugello che fornisse Lozzole che i Fiorentini
-tenevano nel Podere, acciocchè più chiusamente si facesse, si mise
-a farlo con sì poca provvisione, che più dì innanzi fu palese agli
-Ubaldini la cavalcata che fare si doveva. I quali in que’ dì aveano
-colla gente dell’arcivescovo di Milano preso il Monte della Fine a’
-confini di Romagna, il quale era stato accomandato, ma non difeso da’
-Fiorentini. E avendo la gente apparecchiata, si misono in più aguati
-nell’alpe, ove stettono più dì aspettando la scorta de’ Fiorentini
-per fornire Lozzole. Il folle capitano di Mugello con quattrocento
-cavalieri e con pedoni del Mugello, non avendo prima presi i passi
-più forti dell’alpe, nè fatto provvedere se aguato vi fosse, si mise
-per la via del Rezzuolo con la salmeria e con la sua gente ad entrare
-nell’alpe, e lasciossi uno degli aguati de’ nimici addietro; quando
-ebbono valicato Rezzuolo furono assaliti da’ nimici dinanzi, e da lato
-e didietro per modo, che piccola difesa v’ebbe, altro che di fuggire
-chi potè. Rimasonvi morti cinquanta uomini tra a cavallo e a piede, e
-ottanta presi con tutta la salmeria; e di questo fallo non fu altra
-vendetta in Firenze, se non che chi fu morto o preso per la mala
-condotta s’ebbe il danno. Il capitano fu Rosso di Ricciardo de’ Ricci
-di Firenze.
-
-
-CAP. LXX.
-
-_Come s’ebbe Vertine a patti e disfecesi la rocca._
-
-Essendo stato il castello di Vertine lungamente assediato e traboccato
-da’ dificii, e non volendosi arrendere, i Fiorentini diliberarono di
-farlo combattere: e a dì 20 d’Aprile, gli anni Domini 1352, con molta
-baldanza e con poco ordine si strinsono al castello assalendolo da
-più parti; e in alcuno luogo furono infino al rompere delle mura,
-ma per non avere dificii da coprire, nè le scale che bisognavano
-a assalire, condotti alle mura, con danno e con vergogna, mortine
-alquanti, e fediti e magagnati assai degli assalitori, si ritrassono
-della battaglia, la quale aveano mantenuta tre ore del dì. L’assedio
-vi si fortificò, e strinsono il castello più di presso, e ordinavano
-di combatterlo con più ordine e con maggiore forza. Que’ d’entro
-vedendosi senza speranza di soccorso, per fuggire il pericolo della
-battaglia trattarono di rendere la terra, salve le persone e l’armi, e
-che potessono trarre tutto il grano che aveano nel castello di Vertine
-di que’ della casa da Ricasoli, infra quindici dì prossimi. Il trattato
-fu fermo, e il primo dì di Maggio del detto anno n’uscirono que’ da
-Ricasoli con centocinquantotto masnadieri, molto bella gente d’arme; e
-il comune prese la terra, e incontanente fece abbattere due fortezze
-che v’erano a modo di rocche, l’una di que’ da Ricasoli, e l’altra
-di que’ da Vertine, acciocchè più per quelle tenute non si potesse
-rubellare.
-
-
-CAP. LXXI.
-
-_Esempio di cittadinesca varietà di fortuna._
-
-In questo tempo avvenne una cosa notevole in Firenze, la quale per se
-non era degna di memoria, ma concedelesi luogo per esempio delle cose
-avvenire. Un giudice di legge di grande fama nella pratica de’ piati
-criminali e civili, di assai nuova progenie, e di piccolo stato ne’
-suoi principii, venne per suo guadagno in ricchezza, e con prospera
-fortuna, il dì di calen di maggio del detto anno, dottorato un suo
-figliuolo e menata moglie, con dote di fiorini millecinquecento d’oro,
-e con eredità di patrimonio di fiorini tremilacinquecento d’oro in
-possessioni a lui pervenute, celebrò solenne festa in più dì in grande
-allegrezza. E verificandosi la parola detta per santo Gregorio sopra
-il Giobbe, il quale disse: _Praenuntia tribulationis est laetitia
-satietatis_: poco appresso avvenne, che essendo ingrati della non
-debita e sformata dote e successione ereditaria della detta donna,
-vollono alla madre della fanciulla per male ingegno della loro arte
-sottrarre altri certi beni, la quale turbata si difendea a ragione.
-I legisti ordinarono un piato tacito, e avendo avuta per altri fatti
-una procura dalla detta donna, si sforzarono, non avendo avversario,
-di venire alla sentenza. Ma come Iddio volle, la corte s’avvide del
-baratto; e scoperto l’inganno, il figliuolo fu condannato nel fuoco
-con un suo nipote; e il padre confidandosi di difendere a ragione si
-rappresentò in giudicio. Ed essendo per essere arso un suo nipote
-ch’avea nome Lotto del maestro Cambio de’ Salviati, uomo di buona
-condizione e amato da’ cittadini, accadde essere de’ priori di Firenze,
-il quale per onore della sua casa operò tanto, che fu condannato nel
-fuoco per falsità, a condizione, che se infra dieci dì non pagasse
-al comune lire quattromila, e stesse a Perugia un anno a’ confini;
-ed essendo già stato da dieci mesi a’ confini, tanto seppe adoperare
-con un altro podestà, che rivocò i suoi confini, e tornò a Firenze
-innanzi al tempo, e mostrossi palese più d’un mese. Volendosi fare
-cancellare del detto bando, e restituire alla matricola ov’era stato
-raso, e non trovandosi modo come di ragione fare si potesse, rimase in
-bando del fuoco per avere rotti i confini, i quali aveva poco tempo a
-ubbidire ed era libero. Costui fu il primo che mise in pratica nella
-nostra città di conducere i civili piati in criminali, e per quella
-medesima cagione fu infamato e condannato egli e ’l suo figliuolo; il
-quale poi dopo l’esilio di presso a otto anni morì in bando, avendo
-prima il padre ricomperato dal comune per grandi riformagioni il suo
-fallo d’avere rotti i confini lire milledugento. E dopo la morte del
-figliuolo la donna ritrasse della casa la dote e ’l patrimonio in
-grande abbassamento di quella famiglia, lasciando esempio a’ suoi
-cittadini, che come la scienza convertita in pratica di male suasioni,
-e le disordinate dote fanno gli uomini arricchire e montare in stato,
-così quelle medesime operazioni e dote spesso sono materia e cagioni di
-gravi ruine: questo ci scusi averne fatto qui la detta memoria.
-
-
-CAP. LXXII.
-
-_Come un gran re de’ Tartari venne sopra il re di Proslavia._
-
-Avvenne in quest’anno, che un re del lignaggio de’ Tartari, avendo
-avuta la sua gente briga col re di Proslavia infedele, avegnachè
-suddito al re d’Ungheria, e fatto danno l’una gente all’altra, il detto
-re de’ Tartari sentendosi di grande potenza, per prosunzione della sua
-grandezza, ovvero per trarre la gente del suo paese che aveano a quel
-tempo grandissima fame, uscì del suo reame con infinito numero di gente
-a piè e a cavallo, ed entrò nel regno de’ Proslavi. Il re de’ Proslavi
-colla sua gente si fece incontro a quella moltitudine per ritenerli
-a certe frontiere, tanto che avesse il soccorso dal re d’Ungheria, il
-quale di presente vi mandò quarantamila arceri a cavallo: e aggiuntosi
-colla gente del re de’ Proslavi, di presente commisono la battaglia co’
-Tartari, de’ quali tanti n’uccisono, che la lena mancò agli uomini, e
-lo taglio alle spade, e le saette agli archi. Ma per la soprabbondante
-moltitudine de’ Tartari, non potendoli gli Ungheri e i Proslavi più
-tagliare, convenne ch’abbandonassono il campo, non senza grande danno
-della loro gente. I Tartari vinti rimasono vincitori: ma per disagio
-di vivande, e per la corruzione dell’aria, costretti prima a manicare
-de’ corpi morti, sentendo che per li due re si faceva apparecchiamento
-di ritornare in campo con maggiore e più potente esercito, per paura,
-e per lo gran difetto che i Tartari aveano di vittuaglia, si tornarono
-addietro in loro paese. Questa novella avemmo da più e diverse parti in
-Firenze del mese d’aprile 1352.
-
-
-CAP. LXXIII.
-
-_Come in Orvieto ebbe mutamento e micidio._
-
-Ritornando all’italiane tempeste, essendo rimasa la città d’Orvieto
-con grande dissensione tra’ cittadini dopo la morte di Benedetto di
-messer Bonconte loro tiranno, i cittadini da capo si cominciarono a
-insanguinare insieme, e uccidea l’uno l’altro nella città e di fuori,
-come s’uccidono le bestie al macello. Ed era sì corrotta la città ed
-il contado, che in niuna parte si poteva andare o stare sicuro, e
-i Perugini e gli altri comuni di Toscana erano sì oppressati dalla
-gente del Biscione, che appena poteano intendere alla loro difesa,
-sicchè de’ fatti d’Orvieto non si potevano intramettere come a quel
-tempo bisognava. Avvenne che Petruccio di Peppo Monaldeschi, come
-che d’animo e di nazione fosse guelfo, avendo rispetto a pigliare la
-tirannia d’Orvieto, per suo trattato fece venire a condotta degli
-Ubaldini a Cetona dugento cavalieri, e procacciò d’avere gente dal
-prefetto da Vico: e quando si vide il bello, avendo raunato nella
-terra assai fanti, levò il romore e corse la terra, e mise dentro i
-dugento cavalieri ch’avea in Cetona, e uccise Bonconte suo consorto,
-nipote di Benedetto, e più altri, e ridusse la città nella forza de’
-ghibellini, credendo poterla tiranneggiare per se; ma in fine, come
-al suo tempo racconteremo, la signoria rimase al prefetto da Vico e a
-parte ghibellina, tradita la patria e i consorti per singolare invidia
-de’ suoi congiunti.
-
-
-CAP. LXXIV.
-
-_Come l’armata de’ Genovesi andò a Trapenon per danneggiare i nemici._
-
-Dopo la battaglia fatta in Romania tra’ Genovesi, Veneziani e Catalani,
-avendo i Genovesi preso riposo per alcuno tempo, e ritornate le sei
-galee fuggite nel Mare maggiore, riconoscerono la loro amara vittoria,
-presono cuore dimenticando il danno loro per l’animosità ch’aveano
-contro a’ loro nemici ch’erano rifuggiti a Trapenon, e procacciarono
-aiuto da Pera, e mandarono per rinfrescamento di galee armate,
-strignendo che quante più ne potessono mandare armate il facessono
-senza indugio, a fine di disfare affatto l’armata de’ Veneziani e
-Catalani, avendo anche speranza di vincere Costantinopoli. E racconce
-le loro galee, e rifornite le ciurme e’ soprassaglienti se n’andarono a
-Trapenon, ove i Veneziani e’ Catalani s’erano rifuggiti; e assai volte
-tentarono d’assalirli, ma gli avversari aveano la forza della terra,
-e l’avvantaggio della guardia del porto, sicchè poco li curavano;
-e quando vidono un tempo al loro viaggio fatto e fermo, e che era
-contradio a’ loro nemici a poterli impedire, con trentotto galee
-racconce e rifornite si misono in mare, e atandosi con le vele e co’
-remi, avendo il vento in poppa, a contradio de’ Genovesi valicarono in
-Candia: e giunti in Candia misono in terra, e disarmarono. E stando
-nell’isola, per la corruzione di loro fediti e de’ disagi sostenuti
-infermarono e corruppono molto la terra, e mandarono due loro galee per
-avere aiuto da Vinegia, le quali s’abbatterono in dieci galee ch’e’
-Genovesi mandavano in aiuto alla loro armata, ma l’una per forza di
-remi campò, l’altra diede a terra, e abbandonato il corpo della galea
-salvarono le persone.
-
-
-CAP. LXXV.
-
-_Come i Genovesi assediarono Costantinopoli._
-
-L’armata de’ Genovesi non avendo potuto impedire l’armata de’
-Veneziani e Catalani che non fossono passati all’isola di Negroponte,
-non attesono a seguirli, ma attesono ad assediare Costantinopoli per
-mare, e fermarono di fare ogni loro podere per abbattere l’aiuto che i
-Veneziani aveano dall’imperatore. E stando ivi, giunse in loro aiuto
-sessanta legni armati di Turchi, e le dieci galee che il comune di
-Genova avea mandate loro. Mega Domestico che allora governava l’imperio
-come tiranno, vedendo i Veneziani rotti e soperchiati in quella guerra
-da’ Genovesi, e che la loro forza cresceva, e sentendosi il vero
-imperatore, il quale s’avea fatto a genero, nemico, per non venire
-a peggio trattò pace co’ Genovesi, e fermossi la detta pace a dì 6
-maggio del detto anno: e fu in patto, ch’e’ Veneziani del paese fossono
-salvi in avere e in persona, e che i Genovesi non dovessono pagare
-in Costantinopoli commercio, e che vi potessono fare porto, e andare
-e stare come amici: e che d’allora innanzi l’imperadore non dovesse
-ricettare i Veneziani nè i Catalani, nè dare loro alcuno aiuto. E ferma
-la pace, i Genovesi con tutta loro armata se ne vennono in Candia per
-vincere il paese; e volendo porre in terra, ebbono incontro i paesani
-con trecento cavalieri, e le ciurme delle galee, e contradissono
-la prima scesa. I Genovesi si provvidono di fare parate, e dietro a
-quelle misono i balestrieri, e messe le scale in terra, a contradio de’
-nemici presono campo; e stando in terra trovarono il paese corrotto,
-e avvelenata l’aria e la terra dalla corruzione sparta dalle galee de’
-Veneziani e Catalani, e anche tra loro avea de’ fediti e degl’infermi,
-e per questa cagione, e per i molti disagi sostenuti lungamente,
-pensarono che il soprastare era pestilenzioso e mortale, si ricolsono a
-galea, e misonsi in mare per tornarsi a Genova; e innanzi pervenissono
-alla patria più di mille cinquecento uomini morti gettarono in mare: e
-nondimeno lasciarono nel golfo di Vinegia dieci galee per danneggiare
-i Veneziani. E del mese d’agosto del detto anno con trentadue galee
-tornarono a Genova col loro ammiraglio, e con settecento prigioni
-veneziani, e con molta preda dell’acquisto fatto sopra i nemici e
-sopra le spoglie de’ Greci. Della qual vittoria, avvengnachè molto ne
-montasse in fama il comune di Genova, più tristizia che allegrezza, più
-pianto e dolore che festa tornò alla loro patria; e trovossi all’ultimo
-di questa maladetta guerra di queste armate, che tra morti in
-battaglia, e annegati in mare, e periti di pestilenza, tra l’una parte
-e l’altra vi morirono più d’ottomila Italiani in quell’anno. E questo
-avvenne solo per attizzamento d’invidia di pari stato di due popoli
-Genovesi e Veneziani, che catuno si volea tenere il maggiore.
-
-
-CAP. LXXVI.
-
-_Concordia fatta dall’imperadore a’ comuni di Toscana._
-
-Tornando al lungo trattato menato in Firenze per li Fiorentini e
-Perugini e Sanesi, molto segretamente con messer Arrigo proposto
-d’Esdria dell’ordine di certi frieri, vececancelliere di messer Carlo
-eletto imperadore re di Boemia e re de’ Romani, il quale con molto
-senno e gran diligenza avendo il mandato dal suo signore, e per mezzano
-tra lui e gli ambasciadori de’ sopraddetti comuni messer Ramondo l’uno
-degli usciti guelfi di Parma marchese di Soraga, capitano di guerra
-del comune di Firenze, scritte le convenenze e’ patti di concordia, si
-sostenne la piuvicazione di quelli per lo detto vececancelliere e per
-li detti comuni, tanto ch’ebbono la fermezza da corte come il papa avea
-riconciliato per sentenza l’arcivescovo di Milano, e fatto la concordia
-con lui, come nel principio del nostro terzo libro si potrà trovare; e
-questa concordia fu ferma del detto mese d’aprile del detto anno.
-
-
-CAP. LXXVII.
-
-_Come si levò una compagnia nel Regno, e fu rotta dal re Luigi._
-
-Avvenne non ostante che la pace fosse fatta tra il re d’Ungheria e i
-reali di Puglia, e deliberato fosse per lo papa la coronazione del re
-Luigi, per la baldanza che i soldati forestieri aveano presa nel Regno,
-uno Beltramo della Motta nipote di fra Moriale, che ancora teneva la
-città d’Aversa, fece raccolta di cavalieri di sua lingua, e di Tedeschi
-e d’Italiani ch’erano nel Regno senza soldo, ed ebbe quattrocento
-barbute e cinquecento masnadieri: e cominciò a correre per Terra di
-Lavoro, di consiglio e consentimento di Fra Moriale, secondo il suono,
-benchè secondo la vista dimostrava il contradio, e prendea i casali,
-e facea rimedire la gente, e molto conturbava il paese: e i baroni e’
-cavalieri regnicoli che voleano venire a Napoli alla coronazione del
-re erano da costoro forte impediti, e i cammini erano rotti per loro,
-e spesso assaliti, e per soperchia baldanza s’erano ridotti a Cesa, tra
-la città d’Aversa e l’Acerra. E stando ivi, in gran vergogna del futuro
-re Luigi, il re infiammato di questa ingiuria, subitamente e improvviso
-a’ ladroni accolse de’ baroni ch’erano venuti a lui, e di Napoletani da
-mille cavalieri, e montò a cavallo in persona, e seguitato da’ suoi,
-a dì 28 d’aprile del detto anno occupò Beltramo della Motta e la sua
-compagnia, i quali per lo subito assalto non feciono retta, ma chi potè
-fuggire non attese il compagno: e così fuggendo molti ne furono morti e
-presi, che pochi ne camparono. Beltramo della Motta con venti compagni
-fuggì a Alife e campò. In Napoli furono giudicati a morte venticinque
-paesani ch’erano in quella compagnia, gli altri rimasono prigioni: e la
-detta compagnia fu al tutto consumata e spenta con onore del re Luigi,
-e con più lieta festa della sua coronazione, che appresso seguitò, come
-tosto diviseremo.
-
-
-CAP. LXXVIII.
-
-_Come i Perugini guastarono intorno a Cortona._
-
-In questo mese d’aprile del detto anno, i cavalieri dell’arcivescovo
-di Milano ch’erano stati lungamente al servigio del signore di
-Cortona all’Orsaia, si partirono di là, e lasciarono dugentocinquanta
-cavalieri. I Perugini aontati dell’ingiuria fatta loro da’ Cortonesi,
-di presente, avuto trecento cavalieri da’ Fiorentini, con settecento
-barbute e con gran popolo cavalcarono sopra Cortona, ardendo e
-guastando le case, e le vigne e’ campi, e tagliando gli alberi,
-aoperando il fuoco e il ferro, e guastarla intorno per molti giorni,
-senza potere i Cortonesi difendere in niuna parte, di fuori che
-dall’Orsaia a Cortona, per la guardia vi fecero i dugentocinquanta
-cavalieri del Biscione: ma senza arsione, così consumarono que’
-cavalieri quella parte difendendo, come i Perugini l’altre parti per
-loro vendetta.
-
-
-CAP. LXXIX.
-
-_Come i Fiorentini fornirono Lozzole._
-
-I Fiorentini poco tempo innanzi per mala condotta rotti dagli Ubaldini
-nell’alpe, volendo fornire Lozzole, provvidono di fornirlo con più
-avviso e provvedenza; che senza fare apparecchiamento nel Mugello,
-avendo in Firenze cavalieri e pedoni, e la vittuaglia apparecchiata,
-senza alcuna vista mandarono improvviso agli Ubaldini, e feciono
-pigliare a buoni masnadieri i passi e i poggi dell’alpe. E presi i
-passi la notte, la mattina vi mandarono cento cavalieri, e quattrocento
-balestrieri eletti, e seicento buoni masnadieri di soldo e tutta la
-salmeria con loro, i quali andarono senza contasto. E furono sopra
-il battifolle degli Ubaldini, il quale era sopra Lozzole, innanzi
-che potessono avere soccorso; e vedendosi sorprendere alla gente de’
-Fiorentini, abbandonaro la bastita e l’arme, e gittaronsi per le ripe
-per salvare le persone; i Fiorentini presono l’arme e la roba ch’era
-nella bastita, e aggiunsonla alla loro salmeria, e misono ogni cosa nel
-castello di Lozzole, e arsono il battifolle de’ nimici, e sani e salvi
-senza trovare contasto si tornarono a Firenze del mese di maggio del
-detto anno.
-
-
-
-
-TAVOLA DEI CAPITOLI
-
-
- _Prefazione._ Pag. V
- _Qui comincia la Cronica di Matteo Villani, e prima
- il prologo, e primo libro._ 1
- _CAP. I. Dell’inaudita mortalità_ 3
- _CAP. II. Quanto durava il tempo della moria in catuno
- paese_ 4
- _CAP. III. Della indulgenzia diede il papa per la detta
- pistolenza_ 9
- _CAP. IV. Come gli uomini furono peggiori che prima_ 10
- _CAP. V. Come si stimò dovizia, e seguì carestia_ 11
- _CAP. VI. Come nacque in Prato un fanciullo mostruoso_ 12
- _CAP. VII. Come alla compagnia d’Orto san Michele
- fu lasciato gran tesoro_ 12
- _CAP. VIII. Come in Firenze da prima si cominciò lo
- Studio_ 15
- _CAP. IX. Raggiugnimento di principi che furono cagione
- di grandi novitadi nel Regno_ 17
- _CAP. X. Come il re d’Ungheria fece ad Aversa uccidere
- il duca di Durazzo_ 20
- _CAP. XI. La cagione della morte del duca di Durazzo_ 21
- _CAP. XII. Come il re d’Ungheria entrò in Napoli_ 22
- _CAP. XIII. Come il re d’Ungheria vicitava il regno
- di Puglia_ 23
- _CAP. XIV. Come il re d’Ungheria partitosi del Regno
- tornò in Ungheria_ 24
- _CAP. XV. Novità del reame di Tunisi, e più rivolgimenti
- di quello_ 25
- _CAP. XVI. Come per la partita del re d’Ungheria del
- Regno i baroni e’ popoli si dolsono_ 26
- _CAP. XVII. Come si reggeva la sua gente nel Regno
- partito il re_ 27
- _CAP. XVIII. Come messer Luigi si fe’ titolare re al
- papa, e mandò nel Regno_ 28
- _CAP. XIX. Come il re e la reina ritornarono nel Regno_ 30
- _CAP. XX. Come il re e la reina Giovanna entrarono
- in Napoli a gran festa_ 31
- _CAP. XXI. Come il re Luigi si fe’ fare cavaliere, e
- da cui_ 32
- _CAP. XXII. Brieve raccontamento di cose fatte per
- il re d’Inghilterra contra quello di Francia_ 33
- _CAP. XXIII. Come gli Ubaldini furo cominiciatori della
- guerra che il comune di Firenze ebbe con loro_ 36
- _CAP. XXIV. Come i fedeli del conte Galeotto si rubellarono
- da lui e dieronsi al comune di Firenze_ 36
- _CAP. XXV. Come i Fiorentini feciono guerra agli Ubaldini,
- e presero Montegemmoli e loro castella_ 37
- _CAP. XXVI. Come il re di Francia comperò il Delfinato_ 40
- _CAP. XXVII. La cagione perchè il re d’Araona tolse
- Maiolica al re_ 41
- _CAP. XXVIII. Come il re di Maiolica vendè la sua
- parte di Mompelieri al re di Francia_ 42
- _CAP. XXIX. Come s’ordinò il generale perdono a Roma
- nel 1349_ 43
- _CAP. XXX. Come il re di Maiolica andò per racquistare
- l’isola e fuvvi morto_ 45
- _CAP. XXXI. Come i baroni italiani e catalani per loro
- discordie guastarono l’isola di Cicilia_ 46
- _CAP. XXXII. Come il re Filippo di Francia e ’l figliuolo
- tolsono moglie_ 49
- _CAP. XXXIII. Come il re di Francia fu ingannato
- del trattato di Calese con gran danno_ 51
- _CAP. XXXIV. Come messer Carlo eletto imperadore
- fu preso e morto di veleno_ 53
- _CAP. XXXV. Come il re Luigi prese più castella_ 56
- _CAP. XXXVI. Come il re Luigi prese il conte d’Apici_ 57
- _CAP. XXXVII. Come il re Luigi Assediò Nocera_ 58
- _CAP. XXXVIII. Come Currado Lupo liberò Nocera_ 60
- _CAP. XXXIX. Come il re Luigi rifiutò la battaglia
- con Currado Lupo_ 61
- _CAP. XL. Della materia medesima_ 63
- _CAP. XLI. Come morì il re Alfonso di Castella_ 64
- _CAP. XLII. Come il doge Guernieri fu preso in Corneto
- dagli Ungheri_ 65
- _CAP. XLIII. Come i Fiorentini presero Colle_ 67
- _CAP. XLIV. Come i Fiorentini ebbono Sangimignano a
- tempo_ 68
- _CAP. XLV. Di tremuoti furono in Italia_ 70
- _CAP. XLVI. Come sommerse Villacco in Alamagna_ 71
- _CAP. XLVII. De’ fatti del Regno_ 72
- _CAP. XLVIII. Come la gente del re d’Ungheria sconfisse
- i baroni del Regno_ 74
- _CAP. XLIX. Come i Napoletani ricomperarono la vendemmia
- da’ nimici_ 76
- _CAP. L. Come si fe’ triegua nel Regno_ 78
- _CAP. LI. Di novità di barbari di Bella Marina_ 80
- _CAP. LII. Come Balese tornando per lo suo reame contro
- al figliuolo ebbe grande fortuna, e poi fu avvelenato_ 81
- _CAP. LIII. Come per lievi cagioni suscitò novità in Romagna_ 83
- _CAP. LIV. Come messer Giovanni Manfredi rubellò
- Faenza alla Chiesa_ 86
- _CAP. LV. Come il capitano di Forlì prese Brettinoro
- per assedio_ 89
- _CAP. LVI. Come i cristiani d’Europa cominciarono a
- venire al perdono_ 90
- _CAP. LVII. Perchè s’intramesse il dificio d’Orto san
- Michele_ 93
- _CAP. LVIII. Come la Chiesa mandò il conte per racquistare
- la contea di Romagna_ 95
- _CAP. LIX. Processo de’ traditori di Romagna, e di
- certi Provenzali_ 97
- _CAP. LX. Come messer Giovanni de’ Peppoli cercò accordo
- dal conte a messer Giovanni_ 98
- _CAP. LXI. Come messer Giovanni de’ Peppoli andò
- nell’oste, e fu preso_ 99
- _CAP. LXII. Come il conte scoperse l’altro trattato che
- avea con messer Mastino_ 101
- _CAP. LXIII. Come messer Iacopo Peppoli rimaso in
- Bologna si provvidde alla difesa_ 103
- _CAP. LXIV. L’aiuto che messer Iacopo accolse per
- guardare Bologna_ 105
- _CAP. LXV. Del male stato che si condusse la città di
- Bologna, e di certi trattati che allora si tennono_ 106
- _CAP. LXVI. Come i soldati mossono quistione al conte,
- e fu loro assegnato messer Giovanni Peppoli_ 108
- _CAP. LXVII. Come messer Giovanni tenne suoi trattati
- della città di Bologna_ 109
- _CAP. LXVIII. Secondo trattato di Bologna_ 112
- _CAP. LXIX. Come l’arcivescovo di Milano mandò a
- prendere la possesione di Bologna_ 114
- _CAP. LXX. Come capitò il conte di Romagna e l’oste
- della Chiesa_ 115
- _CAP. LXXI. Come i Guazzalotri di Prato cominciarono
- a scoprire loro tirannia_ 118
- _CAP. LXXII. Come i Fiorentini andarono a oste a
- Prato, ed ebbonne la signoria_ 120
- _CAP. LXXIII. Come i Fiorentini comperarono Prato,
- e recaronlo al loro contado_ 121
- _CAP. LXXIV. Come i guelfi forono cacciati dalla Città
- di Castello_ 123
- _CAP. LXXV. Come morì il re Filippo di Francia_ 124
- _CAP. LXXVI. Come la Chiesa rinnovò processo contra
- l’arcivescovo di Milano_ 126
- _CAP. LXXVII. Come il tiranno di Milano si collegò
- con tutti i ghibellini d’Italia_ 129
- _CAP. LXXVIII. Come fu assediata Imola dal Biscione
- e altri_ 131
- _CAP LXXIX. Come il capitano di Forlì tolse al conticino
- da Ghiaggiuolo e al conte Carlo da Doadola
- loro terre_ 133
- _CAP. LXXX. Come nella città d’Orbivieto si cominciò
- materia di grande scandalo_ ivi
- _CAP. LXXXI. Come la città d’Agobbio venne a tirannia
- di Giovanni Gabbrielli_ 135
- _CAP. LXXXII. Come il comune di Perugia e il capitano
- del Patrimonio andarono a oste ad Agobbio_ 137
- _CAP. LXXXIII. Come cominciò l’izza da’ Genovesi
- a’ Veneziani_ 139
- _CAP. LXXXIV. Come quattordici galee di Veneziani
- presono in Romania nove de’ Genovesi_ 141
- _CAP. LXXXV. Come i Genovesi di Pera presono Negroponte,
- e riebbono loro mercatanzia_ 142
- _CAP. LXXXVI. Come fu morto il patriarca d’Aquilea,
- e fattane vendetta_ 143
- _CAP. LXXXVII. Come il legato del papa si partì del
- Regno, e il re riprese Aversa_ 145
- _CAP. LXXXVIII. Come il re d’Ungheria ritornò in
- Puglia conquistando molte terre_ 146
- _CAP. LXXXIX. Come i Genovesi ebbono Ventimiglia_ 148
- _CAP. XC. Come fu data l’ultima battaglia ad Aversa
- dal re d’Ungheria_ 150
- _CAP. XCI. Della materia medesima_ 151
- _CAP. XCII. Come il conte d’Avellino con dieci galee
- stette a Napoli, e Aversa s’arrendè al re_ 152
- _CAP. XCIII. Come il re d’Ungheria e il re Luigi vennono
- a certa tregua_ 154
- _CAP. XCIV. Come il conte d’Avellino diè al suo figliuolo
- per moglie la duchessa di Durazzo_ 157
- _CAP. XCV. Della grande potenza dell’arcivescovo di
- Milano, e come i Fiorentini temeano di Pistoia,
- e quello che ne seguì_ 159
- _CAP. XCVI. Come certi rettori di Firenze vollono
- prendere Pistoia per inganno_ 161
- _CAP. XCVII. Come i Fiorentini assediarono Pistoia
- ed ebbonla a’ comandamenti loro_ 163
- _CAP. XCVIII. Come il re d’Inghilterra sconfisse in
- mare gli Spagnuoli_ 167
-
- LIBRO SECONDO
-
- _CAP. I. Prologo_ 169
- _CAP. II. Come il comune di Firenze usava la pace
- coll’arcivescovo di Milano_ 170
- _CAP. III. Come l’arcivescovo di Milano appuose tradimento
- e condannò messer Iacopo Peppoli_ 172
- _CAP. IV. Come l’arcivescovo fermò d’assalire improvviso
- la città di Firenze_ 173
- _CAP. V. Come si mise in ordine il consiglio preso_ 176
- _CAP. VI. Come gli Ubaldini arsono Firenzuola, e
- presono Montecolloreto_ 177
- _CAP. VII. Come gli Ubertini, e’ Tarlati, e i Pazzi
- assalirono il contado di Firenze_ 179
- _CAP. VIII. Come i Fiorentini mandaro ambasciadori al
- capitano dell’oste_ 180
- _CAP. IX. Come l’oste si levò da Pistoia e puosesi a
- Campi_ 182
- _CAP. X. Come l’oste ebbe gran difetti a Campi e a
- Calenzano_ 184
- _CAP. XI. Come i rettori di Firenze abbandonarono il
- passo di Valdimarina_ 187
- _CAP. XII. Come l’oste del Biscione valicò il passo, e
- andò in Mugello_ 188
- _CAP. XIII. Come il conte di Montecarelli si rubellò
- a’ Fiorentini e venne al capitano_ 190
- _CAP. XIV. Come si fornì la Scarperia e il Borgo_ 191
- _CAP. XV. Come l’oste assediò la Scarperia_ 192
- _CAP. XVI. Come i Fiorentini afforzarono Spugnole_ 194
- _CAP. XVII. Come si difese Pulicciano di grave battaglia_ 195
- _CAP. XVIII. Come i Tarlati, e i Pazzi di Valdarno e
- gli Ubertini vennono in sul contado di Firenze, e
- furonne cacciati per forza da’ Fiorentini_ 196
- _CAP. XIX. Come Bustaccio entrò e rendè la Badia a
- Agnano_ 199
- _CAP. XX. Come l’arcivescovo tentò i Pisani di guerra
- contro a’ Fiorentini_ 200
- _CAP. XXI. Come l’oste deliberò combattere la Scarperia_ 204
- _CAP. XXII. Come i Tarlati sconfissono i cavalieri
- de’ Perugini_ 205
- _CAP. XXIII. Come i Fiorentini procuraro di mettere
- gente nella Scarperia_ 207
- _CAP. XXIV. Come la reina Giovanna si fece scusare
- in corte di Roma_ 209
- _CAP. XXV. Come i Genovesi e i Veneziani ricominciarono
- guerra in mare_ 210
- _CAP. XXVI. Come l’armata genovese andò a Negroponte
- e assediò Candia, e quello che ne seguì_ 212
- _CAP. XXVII. Come i Veneziani feciono lega co’ Catalani,
- e di nuovo armarono cinquanta galee_ 213
- _CAP. XXVIII. Come la imperatrice di Costantinopoli
- col figliuolo si fuggì in Salonicco_ 215
- _CAP. XXIX. Come la Scarperia sostenne la prima battaglia
- dal Biscione_ 216
- _CAP. XXX. Come la Scarperia riparò alla cava de’
- nimici_ 218
- _CAP. XXXI. Del secondo assalto dato alla Scarperia_ 220
- _CAP. XXXII. Del terzo assalto dato_ 221
- _CAP. XXXIII. La partita dell’oste dalla Scarperia_ 224
- _CAP. XXXIV. Come l’armata de’ Genovesi si partì da
- Negroponte e andò a Salonicco_ 226
- _CAP. XXXV. Come i Veneziani e’ Catalani s’accozzarono
- in Romania con l’altra armata_ 228
- _CAP. XXXVI. Come i Brandagli si vollono fare signori
- d’Arezzo_ 229
- _CAP. XXXVII. Di quello medesimo_ 231
- _CAP. XXXVIII. Come il re Luigi mandò il gran siniscalco
- ad accogliere gente in Romagna_ 234
- _CAP. XXXIX. Come il re Luigi accolse i baroni del
- Regno e andò in Abruzzi_ 236
- _CAP. XL. Come il re Luigi sostenne gli Aquilani che
- pasquavano con lui_ 237
- _CAP. XLI. Come papa Clemente sesto fe’ la pace
- de’ due re_ 239
- _CAP. XLII. Come messer Piero Saccone prese il Borgo
- a san Sepolcro_ 240
- _CAP. XLIII. Come i Perugini arsono intorno al Borgo
- e sconfissono de’ nimici_ 243
- _CAP. XLIV. D’una cometa ch’apparve in oriente_ 245
- _CAP. XLV. Come fu preso il castello della Badia
- de’ Perugini, e come si racquistò_ 246
- _CAP. XLVI. Come i Fiorentini cercarono lega co’ comuni
- di Toscana, e accrebbono loro entrata_ 248
- _CAP. XLVII. Come i Romani feciono rettore del popolo_ 249
- _CAP. XLVIII. Di una lettera fu trovata in concistoro
- di papa_ 252
- _CAP. XLIX. Come il re d’Inghilterra essendo in tregua
- col re di Francia acquistò la contea di Guinisi_ 253
- _CAP. L. Il piato fu in corte tra’ due re per la contea di
- Guinisi_ 254
- _CAP. LI. Come l’arcivescovo di Milano ragunò i suoi
- soldati per rifare guerra a’ Fiorentini_ 255
- _CAP. LII. Come i Fiorentini, e’ Perugini, e’ Sanesi
- mandarono ambasciadori a corte_ 257
- _CAP. LIII. Come l’ammiraglio di Damasco fece novità
- a’ cristiani_ 258
- _CAP. LIV. Come i Fiorentini disfeciono terre di Mugello_ 260
- _CAP. LV. Come la Scarperia fu furata e racquistata_ 261
- _CAP. LVI. Come messer Piero Sacconi cavalcò con
- mille barbute infino in su le porte di Perugia_ 263
- _CAP. LVII. Come i Chiaravallesi di Todi vollono rubellare
- la terra e furono cacciati_ 264
- _CAP. LVIII. Come que’ da Ricasoli rubellarono Vertine
- a’ Fiorentini_ 265
- _CAP. LIX. Come i Veneziani e’ Catalani furono sconfitti
- in Romania da’ Genovesi_ 267
- _CAP. LX. Di quello medesimo_ 272
- _CAP. LXI. Come per le discordie de’ paesani la Sicilia
- era in grave stato_ 273
- _CAP. LXII. Come fu in Firenze tagliate le teste a più
- de’ Guazzalotri di Prato_ 274
- _CAP. LXIII. Come il tiranno d’Orvieto fu morto_ 277
- _CAP. LXIV. Come i Fiorentini assediarono Vertine_ 278
- _CAP. LXV. Come in corte fu fermata la pace dal re
- d’Ungheria a’ reali di Puglia_ 278
- _CAP. LXVI. Come l’arcivescovo trattava pace colla
- Chiesa_ 280
- _CAP. LXVII. Della gran fame ch’ebbono i barbari di
- Marrocco_ 282
- _CAP. LXVIII. Come i rettori di Firenze cominciarono
- segretamente a trattare accordo con l’eletto
- imperadore_ 282
- _CAP. LXIX. Come la gente de’ Fiorentini che andavano
- a fornire Lozzole furono rotti dagli Ubaldini_ 283
- _CAP. LXX. Come s’ebbe Vertine a patti e disfecesi la
- rocca_ 284
- _CAP. LXXI. Esempio di cittadinesca varietà di fortuna_ 285
- _CAP. LXXII. Come un gran re de’ Tartari venne sopra
- il re di Proslavia_ 287
- _CAP. LXXIII. Come in Orvieto ebbe mutamento e micidio_ 289
- _CAP. LXXIV. Come l’armata de’ Genovesi andò a
- Trapenon per danneggiare i nemici_ 290
- _CAP. LXXV. Come i Genovesi assediarono Costantinopoli_ 291
- _CAP. LXXVI. Concordia fatta dall’imperadore a’ comuni
- di Toscana_ 293
- _CAP. LXXVII. Come si levò una compagnia nel Regno,
- e fu rotta dal re Luigi_ 294
- _CAP. LXXVIII. Come i Perugini guastarono intorno
- a Cortona_ 295
- _CAP. LXXIX. Come i Fiorentini fornirono Lozzole_ 296
-
-
-
-
- ERRORI CORREZIONI
-
- TOMO PRIMO
-
- p. 7 v. 28 li ro (in alcuna copia) libro
- — 11 — 26 volsono valsono
- — 17 — 2 e 10 principi principii
- — 20 — 25 traditore, del traditore del sangue
- sangue tuo che tuo, che farai?
- farai?
- — 44 — 13 ch’ cardinali ch’e’ cardinali
- — 100 — 15 o ch’gli o ch’egli
- — 118 — 14 cominciorono cominciarono
- — 123 — 10 in sopetto in sospetto
- — 177 — 2, e 3 fanti. Alla fanti alla venuta
- venuta dell’oste dell’oste,
- messer Giovanni messer Giovanni
- — 202 — 12 il destro il destro,
- — 236 — 7 ch’fra che fra
- — 259 — 3 che v’ n’avea che ve n’avea
- — 268 — 24 o passare e passare
-
-
-
-
-
-Nota del Trascrittore
-
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
-senza annotazione minimi errori tipografici. Le correzioni indicate in
-fine libro sono state riportate nel testo.
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-*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK CRONICA DI MATTEO VILLANI, VOL.
-I ***
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- <title>Cronica vol. 1, di Matteo Villani</title>
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-<div lang='en' xml:lang='en'>
-<p style='text-align:center; font-size:1.2em; font-weight:bold'>The Project Gutenberg eBook of <span lang='it' xml:lang='it'>Cronica di Matteo Villani, vol. I</span>, by Matteo Villani</p>
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-</div>
-
-<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Title: <span lang='it' xml:lang='it'>Cronica di Matteo Villani, vol. I</span></p>
-<p style='display:block; margin-left:2em; text-indent:0; margin-top:0; margin-bottom:1em;'><span lang='it' xml:lang='it'>A miglior lezione ridotta coll&#039;aiuto de&#039; testi a penna</span></p>
-<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Author: Matteo Villani</p>
-<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Editor: Ignazio Moutier</p>
-<p style='display:block; text-indent:0; margin:1em 0'>Release Date: January 29, 2023 [eBook #69898]</p>
-<p style='display:block; text-indent:0; margin:1em 0'>Language: Italian</p>
- <p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em; text-align:left'>Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images made available by the Bayerische Staatsbibliothek)</p>
-<div style='margin-top:2em; margin-bottom:4em'>*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK <span lang='it' xml:lang='it'>CRONICA DI MATTEO VILLANI, VOL. I</span> ***</div>
-
-<div class="booktitle">
-<h1>
-CRONICA<br>
-DI<br>
-MATTEO VILLANI<br><br>
-TOMO I.
-</h1>
-</div>
-
-<hr class="silver" />
-
-<div class="titlepage">
-<p class="main-t">
-CRONICA
-</p>
-
-<p class="pad2 small">DI</p>
-
-<p class="pad1 x-large">
-MATTEO<br>
-<span class="g">VILLANI</span>
-</p>
-
-<p class="pad2">
-A MIGLIOR LEZIONE RIDOTTA<br>
-<span class="small">COLL’AIUTO</span><br>
-DE’ TESTI A PENNA
-</p>
-
-<p class="pad1 large">
-TOMO I.
-</p>
-
-<p class="pad4">
-FIRENZE<br>
-PER IL MAGHERI<br>
-1825
-</p>
-</div>
-
-<div class="somm">
-<hr>
-<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p>
-<hr>
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_v">[v]</span>
-</p>
-
-<h2 id="prefazione"><i>AI LETTORI</i>
-<span class="smaller">L’EDITORE<br>
-IGNAZIO MOUTIER.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-<i>Matteo Villani continuatore della Cronica
-di Giovanni è reputato inferiore all’ultimo e
-per la lingua e per lo stile: ma quanto sia ingiusto
-un giudizio sì decisivo emesso in vari
-tempi da accreditati scrittori, e sempre ciecamente
-ripetuto, lo dimostra la medesima opera
-sua, a coloro che si dilettassero di farne uno
-studio più diligente. L’accusa datagli di diffuso
-scrittore è tanto essenzialmente falsa, che
-sembra pronunziata da uomo mal prevenuto, o
-che non abbia mai conosciuta l’opera che li piacque
-di condannare. Ma la cagione primaria
-per cui pochi fino ad ora si dedicarono a studiare
-la Cronica di Matteo, è stata certamente
-la pessima forma con la quale fu sempre pubblicata
-nelle poche edizioni che ne furon fatte
-fino a questo giorno. La buona volontà d’un
-lettore paziente si stanca facilmente alla lettura
-d’un’opera condotta senz’ombra d’ortografia,
-<span class="pagenum" id="Page_vi">[vi]</span>
-e che trovi ad ogni passo periodi intralciati,
-voci fuor di luogo, omissioni d’ogni genere,
-e dei versi ancora ripetuti, e in tale stato sono
-le tre edizioni eseguite dai Giunti in epoche
-differenti, e che tutte si trovan citate nel Vocabolario
-degli Accademici della Crusca. È cosa
-veramente da deplorarsi con quanta negligenza
-siano state impresse nel secolo decimosesto molte
-opere classiche di nostra lingua. L’esperienza
-di fatto mi fece conoscere, che molti editori di
-opere di classici antichi scrittori, cominciando
-poco avanti la metà del secolo decimosesto fino
-verso la fine di esso, avevano adottato un certo
-loro particolar sistema di variare a capriccio
-la lezione dei codici antichi, in quei luoghi che
-discordavano dalla loro maniera di vedere e
-d’intendere, sostituendo e togliendo a vicenda
-voci e talvolta interi periodi, senza altra ragione
-che il loro singolarissimo sistema. Questo
-intollerabile abuso di torta critica guastò talmente
-gli scritti di molte opere classiche, che i
-giudizi che ne furon fatti di esse da chi s’affidò
-ciecamente alle stampe del cinquecento senza
-ricorrere ai manoscritti son da tenersi per
-inesatti e non veri. Quanta verità possa avere
-l’accusa che io do agli editori del cinquecento
-lo mostrerebbero abbastanza l’edizioni di Giovanni
-e di Matteo Villani eseguite in quel secolo,
-ma più luminosamente potrò dimostrarlo
-fra qualche tempo, se la fortuna mi concede il
-mezzo di dare al pubblico l’opere tutte d’un
-sommo scrittore, che già da qualche anno m’occupo
-con paziente studio alla loro emendazione.</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_vii">[vii]</span>
-</p>
-
-<p>
-<i>Lorenzo Torrentino fu il primo a pubblicare
-in un volumetto, in Firenze nel 1554, i soli
-primi quattro libri della Cronica di Matteo
-Villani, corretti quanto poteva ottenersi in quel
-tempo da una prima edizione di un’opera che
-si traeva da antico manoscritto. Filippo e Iacopo
-Giunti stampatori in Firenze, commessero
-nel 1562 a Domenico Guerra e Giovan Battista
-suo fratello stampatori in Venezia l’impressione
-della Cronica di Matteo, la quale non
-giunse oltre il cap. 85 del libro nono. Nella dedica
-che fanno i Giunti al principe don Francesco
-de’ Medici in data del medesimo anno, vi
-si leggono lusinghiere promesse di dare l’opera
-in quel modo appunto ch’ella fu scritta dall’autore,
-avendone affidata la revisione ad <span class="upright">uomini
-eccellentissimi, che ogni particella e ogni parola
-accomodarono al luogo suo, ch’ella non uscì
-forse di mano a Matteo altramente disposta</span>: ma
-ad onta di sì belle parole, quest’impressione fu
-reputata scorretta dai medesimi Giunti, i quali
-nel 1581 la riprodussero più emendata col soccorso
-d’un codice che allora esisteva presso
-Giuliano de’ Ricci, premettendovi la medesima
-prefazione al principe don Francesco senza
-mutar data. Quest’edizione benchè conti
-un capitolo di più della prima in fine del
-libro nono contiene precisamente la stessa materia,
-non variando che la materiale numerazione
-dei capitoli. Col soccorso pure del
-codice di Giuliano de’ Ricci pubblicarono i Giunti
-nel 1577 in Firenze i tre ultimi libri della
-Cronica di Matteo, così da loro intitolati, ma
-<span class="pagenum" id="Page_viii">[viii]</span>
-che essenzialmente non sono che ventisette capitoli
-che compiscono il nono libro, e il libro
-decimo e undecimo; di questi ultimi libri ne
-fecero un’esatta ristampa nel 1596. La giunta
-di Filippo comprende gli ultimi quarantadue
-capitoli dell’undecimo ed ultimo libro. L’ultima
-edizione, e certamente la migliore della Cronica
-di Matteo, fu pubblicata nel 1729 in Milano
-nel decimoquarto volume della celebre
-collezione degli scrittori delle cose d’Italia di
-Lodovico Antonio Muratori, procurata ed illustrata
-da Filippo Argelati. In quest’edizione
-fu seguitata la stampa dei Giunti del 1581, e
-il seguito impresso nel 1577; vi furono per altro
-aggiunte a piè della pagina le varianti lezioni
-che furono tratte dal cavalier Marmi dal codice
-Ricci, e da un altro manoscritto esistente
-allora presso il prior Francesco Covoni; ma
-queste varie lezioni si trovano per la maggior
-parte sì inutilmente abbondanti in principio
-dell’opera, come scarseggianti dopo l’ottavo libro,
-da muovere ragionevolmente sospetto che
-il cavalier Marmi si stancasse alla metà del
-suo faticoso lavoro. In questa edizione fu con
-tanto scrupolo seguitata la lezione giuntina che
-vi fu lasciata stare la medesima viziosa ortografia,
-a danno dei poveri lettori, a’ quali è
-troppo grave nello studio degli antichi classici
-questo barbaro sistema, che non è ancora spento
-del tutto.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Da questo esatto ragguaglio dell’edizioni
-della Cronica di Matteo e Filippo Villani fino
-ad ora pubblicate, è facile persuadersi del bisogno
-<span class="pagenum" id="Page_ix">[ix]</span>
-di farne una nuova più accurata edizione,
-ma tal pensiero venuto più volte in mente a uomini
-di molta dottrina, e amantissimi della
-lingua italiana, svanì e venne meno allorchè
-cominciarono a sentire il peso di questa spinosa
-fatica. Colui che sia nuovo affatto di simili studi
-non può con approssimazione calcolare il lungo
-tedio che richiedono i confronti d’opere
-stampate con i manoscritti, che quasi sempre
-si trovano tra loro discordi nella lezione, o
-mancanti, o inintelligibili, e quel che è peggio
-variati sovente dall’arbitrio d’ignoranti copisti.
-Abituato com’io sono da molti anni a simili
-studi, da me intrapresi con vero desiderio di recare
-con l’opera mia qualche vantaggio agli amatori
-dei classici nostri, che sì deturpati per la
-maggior parte erano stati impressi in antico,
-pubblicai già è un anno la Cronica di Giovanni
-Villani (alla cui emendazione ebbi l’assistenza
-un mio carissimo amico) e fin da quell’epoca
-contrassi verso il pubblico l’obbligazione di
-dare alla luce ricorretta ed emendata l’opera
-di Matteo e Filippo Villani, servendomi della
-lezione del famoso codice Ricci. Questo codice
-cartaceo in foglio, di non elegante ma buona
-forma di lettere, è scritto tutto d’una medesima
-mano; ha in principio una breve nota che ci
-fa conoscere l’anno in cui fu trascritto, così
-concepita: <span class="upright">Questo libro fu scritto l’anno 1378
-da Ardingo di Corso de’ Ricci, e continuamente
-si conserva in questa casa: e oggi, che siamo alli
-6 di maggio 1608, è posseduto da Ruberto di Giuliano
-de’ Ricci.</span> Su qual documento asserisca
-<span class="pagenum" id="Page_x">[x]</span>
-questo Ruberto de’ Ricci che il codice sia stato
-scritto nel 1378 non è da conoscersi tanto facilmente,
-ma di certo la scrittura è del secolo in
-cui si vuole che sia stato copiato. Comincia il
-manoscritto con la tavola delle rubriche o capitoli
-con le prime voci e i numeri dei capitoli
-scritti in rosso, che occupano le prime diciotto
-carte; ne segue poi la Cronica, che comprende
-carte trecentosettanta, con i titoli de’ capitoli
-e la serie della loro numerazione in rosso. Questo
-codice di buona conservazione, non va per
-altro esente dalla sorte che hanno incontrato la
-maggior parte dei manoscritti, che per incuria
-o ignoranza di chi gli ha avuti a mano si trovano
-oggi mutilati e mal conci, poichè si hanno
-in esso mancanti le carte 299, e 384; mancava
-pure la carta 108, che fu sostituita fino
-dall’anno 1573 da ignota mano. La buonissima
-lezione che ha questo manoscritto fa chiara
-testimonianza della diligenza del suo copista,
-che non deve essere stato di que’ prezzolati emanuensi
-che in quel secolo flagellarono ogni maniera
-di scritture, ma uomo al certo di qualche
-dottrina. E qui mi sia lecito dar tributo d’obbligazione
-e di riconoscenza all’egregio signor
-Commendatore Lapo de’ Ricci, che con tanta
-amorevolezza si compiacque accordarmi l’uso
-per la presente edizione di questo prezioso codice
-di Matteo Villani, scritto come parla l’antica
-tradizione da Ardingo di Corso de’ Ricci, già
-di sopra menzionato, e che tuttavia si conserva
-nella biblioteca di quest’illustre famiglia.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Di questo codice adunque mi sono quasi interamente
-<span class="pagenum" id="Page_xi">[xi]</span>
-giovato nella presente ristampa di
-Matteo Villani, come il più corretto e copioso
-di quanti n’abbia veduti, ed ho solamente
-avuto ricorso alle varianti del codice
-Covoni che esistono nell’accennata edizione
-dell’opera di Matteo eseguita in Milano nel
-1729, in quei pochissimi luoghi che manifestamente
-erano errati. Due codici della libreria
-Riccardiana e uno della Magliabechiana
-mi hanno fornito di qualche variante nel corso
-dell’opera, la poca importanza delle quali mi
-disobbliga dal far di essi un circostanziato
-ragguaglio.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>La presente edizione della Cronica di Matteo
-Villani potrebbe ragionevolmente chiamarsi
-un’esatta copia del codice Ricci, se i pochi luoghi
-che in esso si trovano errati non avessero
-domandato il soccorso d’altri codici antichi
-per rettificarne gli errori. Così avess’io potuto
-supplire con altri manoscritti alle lagune vistose
-del codice Ricci, specialmente a quelle che
-s’incontrano ne’ tre ultimi libri, ma il fatto
-mi ha dimostrato non esser questo un errore da
-attribuirsi al copista, ma bensì all’autore medesimo,
-l’immatura morte del quale gli tolse
-il modo di dar l’ultima mano all’opera sua,
-giacchè tutti i manoscritti da me riscontrati,
-e non in piccol numero, hanno sventuratamente
-lo stesso difetto, da toglier la speranza a
-ogni accurato investigatore di rinvenire un
-giorno ciò che ora invano si desidera. Quei passi
-per altro, che nell’edizioni eseguite dai Giunti
-furono tolti per cagione de’ tempi, si troveranno
-<span class="pagenum" id="Page_xii">[xii]</span>
-in quest’edizione restituiti al loro luogo,
-cioè al Cap. 93 del libro nono, e al Prologo del
-libro undecimo.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Il sistema che ho creduto dover seguitare in
-quest’edizione è stato il medesimo che servì di
-norma alla pubblicazione del primo Villani,
-meno che più libertà mi son preso intorno a’ nomi
-propri, avendone del tutto banditi gl’idiotismi
-del tempo, che nulla han che fare con la lingua,
-e che ad altro non servono che ad essere
-inciampo e noia al maggior numero dei lettori.
-L’ortografia ho avuto cura che si presti totalmente
-all’intelligenza del testo senz’altra regola
-speciale, semplicizzando più che ho saputo
-l’andamento del periodo. Finalmente all’ultimo
-volume vi ho posto l’indice generale, indispensabile
-ad un’opera di tal natura, e un
-elenco di voci mancanti nel Vocabolario degli
-Accademici della Crusca. In un volume di supplemento
-riprodurrò le vite degli uomini illustri
-Fiorentini scritte da Filippo Villani, giovandomi
-dell’edizione procurata dall’erudito
-Giammaria Mazzuchelli nel 1747 in Venezia;
-e così mi compiacerò d’essere stato il primo a
-riunire in un sol corpo tutte l’opere toscane
-de’ tre Villani, impresa molte volte progettata
-e mai condotta a buon termine, per gl’infiniti
-ostacoli ch’era d’uopo sormontare con lungo e
-pazientissimo studio.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Il dovere mi obbligherebbe a premettere all’opera
-alcune notizie intorno alla vita pubblica
-e privata di Matteo Villani, ma tanto scarsi
-sono i documenti che lo riguardano, quanto
-<span class="pagenum" id="Page_xiii">[xiii]</span>
-inutili e infruttuose sono state fino ad ora le
-ricerche di diligenti biografi. Il suo figliuolo
-Filippo continuatore dell’opera del padre ci
-ha tramandata l’epoca della di lui morte, la
-quale avvenne a dì 12 di luglio del 1363, anch’egli
-come il fratello Giovanni colpito dalla peste
-che da molti anni lacerava quasi tutta Europa,
-ma specialmente la misera Italia, senza che gli
-uomini riparassero a tanto loro esterminio. Il
-Manni (Sig. Ant. T. 4. p. 75) ci addita due
-mogli ch’egli ebbe, Lisa de’ Buondelmonti e
-Monna de’ Pazzi, e alcune altre notizie ci riferisce
-illustrando l’albero di casa Villani, la
-più importante è quella che Matteo come ghibellino
-fu da’ capitani di parte guelfa ammonito.
-Di Filippo assai ne ragiona il diligentissimo
-Mazzuchelli nella sua prefazione
-alle Vite degli Uomini illustri Fiorentini, la
-quale pubblicherò nel settimo volume di quest’opera,
-premettendola alle medesime Vite
-scritte da Filippo, procurando pure d’emendarle
-con l’aiuto de’ manoscritti, benchè fino ad
-ora quelli che m’è avvenuto riscontrare non
-meritano nessuna fiducia per essere troppo moderni,
-e notoriamente variati dal capriccio
-de’ loro copiatori.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Se questa mia non lieve fatica d’aver cercato
-di ridurre a miglior lezione la Cronica di
-Matteo Villani non incontrerà in particolare
-l’approvazione dei dotti, riscuoterà certamente
-il suffragio da tutti quelli che s’esercitano
-nello studio dei nostri classici antichi, che da
-un fonte più puro potranno trarre, con minor
-<span class="pagenum" id="Page_xiv">[xiv]</span>
-noia e fatica di quel che far si potesse in addietro,
-preziosi documenti per l’istoria e per
-l’incremento della lingua italiana. Così piaccia
-alla fortuna d’accordare tal’ozio tranquillo
-ai dotti accademici della Crusca, a’ quali è
-commesso l’incarico di nostra lingua, che applicar
-si possano con vero studio all’emendazione
-di tanti classici, che ripieni d’infiniti errori
-e mancanze, attendono ancora dalla critica
-di questo secolo d’essere riprodotti nella loro
-vera e primitiva forma. Ad alcuni onorevoli
-Accademici è debitrice la repubblica delle lettere
-di alcune opere riprodotte nella loro originalità,
-e di altri se ne desiderano tuttavia le
-studiose fatiche, ma troppe opere ancora rimangono
-da emendarsi, e dell’inedite da pubblicarsi,
-che il loro numero e la loro importanza può
-giustificare qualunque lamento che se ne faccia.
-Sia loro di massimo incitamento l’esempio dell’ottimo
-nostro Sovrano, che da qualche anno si
-compiacque di farsi membro di quell’illustre
-Accademia, il quale con munificenza degna di
-tanto Principe ha pubblicato in quest’anno le
-opere di Lorenzo il Magnifico, con grandissimo
-studio da Lui emendate e illustrate.</i>
-</p>
-
-<hr class="silver">
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_1">[1]</span>
-</p>
-
-<h2 id="prologo">CRONICA
-<span class="smaller">DI
-MATTEO VILLANI</span></h2>
-
-<h2 id="libro1">LIBRO PRIMO</h2>
-
-<h3 id="prologo1"><i>Qui comincia la Cronica di Matteo Villani,
-e prima il prologo, e primo libro.</i></h3>
-</div>
-
-<p>
-Esaminando nell’animo la vostra esortazione,
-carissimi amici, di mettere opera a scrivere le
-storie e le novità che a’ nostri tempi avverranno,
-pensai la mia piccola facultà essere debole a
-cotanta e tale opera seguire. Ma perocchè la vostra
-richesta mi rende per debito pronto a ubbidire,
-e il vostro consiglio aggiugne vigore alla
-stanca mente; e pensando che per la macchia
-del peccato la generazione umana tutta è sottoposta
-alle temporali calamità, e a molta miseria, e
-a innumerabili mali, i quali avvengono nel mondo
-per varie maniere, e per diversi e strani movimenti,
-<span class="pagenum" id="Page_2">[2]</span>
-e tempi; come sono inquietazioni di
-guerre, movimenti di battaglie, furore di popoli,
-mutamenti di reami, occupazioni di tiranni,
-pestilenzie, mortalità e fame, diluvi, incendi, naufragi
-e altre gravi cose, delle quali gli uomini,
-ne’ cui tempi avvengono, quasi da ignoranza soppresi,
-più forte si maravigliano, e meno comprendono
-il divino giudicio, e poco conoscono il
-consiglio e ’l rimedio dell’avversità, se per memoria
-di simiglianti casi avvenuti ne’ tempi passati
-non hanno alcuno ammaestramento: e in
-quelle che la chiara faccia della prosperità rapporta
-non sanno usare il debito temperamento;
-rischiudendo sotto lo scuro velo della ignoranza
-l’uscimento cadevole, e il fine dubbioso delle
-mortali cose. Onde pensando che l’opera puote
-essere fruttuosa, e debba piacere per li naturali
-desideri degli uomini, mi mossi a cominciare,
-per esempio di me uomo di leggieri scienza, ad
-apparecchiar materia a’ savi di concedere del loro
-tempo alcuna parte, per lasciare agli altri memoria
-delle cose appariranno di ciò degne a’ loro
-temporali, e a’ meno sperti speranza con fatica e
-studio da poter venire a operazioni virtudiose, e
-a coloro che avranno più alto ingegno, materia di
-ristrignere su brevità, e con più piacere degli uditori,
-le nostre storie. Ma perocchè ogni cosa è imperfetta
-e vana senza l’aiuto della divina grazia,
-chiamiamo in nostro aiuto la carità divina,
-Cristo benedetto; il quale è in unità col Padre
-e con lo Spirito Santo, vive e regna per tutti i secoli,
-e dà cominciamento e mezzo e termine perfetto
-a ogni buona operazione.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_3">[3]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap1-1">CAP. I.
-<span class="smaller"><i>Della inaudita mortalità.</i></span></h3>
-
-<p>
-Trovasi nella santa Scrittura, che avendo il
-peccato corrotto ogni via della umana carne, Iddio
-mandò il diluvio sopra la terra: e riservando
-per la sua misericordia l’umana carne in otto
-anime, di Noè, e di tre suoi figliuoli e delle
-loro mogli nell’arca, tutta l’altra generazione
-nel diluvio sommerse. Dappoi per li tempi multiplicando
-la gente, sono stati alquanti diluvi
-particolari, mortalità, corruzioni e pistolenze,
-fami e molti altri mali, che Iddio ha permesso
-venire sopra gli uomini per li loro peccati. Tra
-le quali mortalità troviamo venute le più gravi
-l’una al tempo di Marco Aurelio, Antonio e Lucio
-Aurelio Commodo imperadori, gli anni di Cristo
-171, la quale cominciò in Babilonia d’Egitto,
-e comprese molte provincie del mondo. E tornando
-L. Commodo colle legioni de’ Romani
-delle parti d’Asia, parea combattesse ostilemente
-per la loro infezione gli uomini delle
-provincie ond’elli passavano: e a Roma fece grave
-sterminio de’ suoi abitanti. E l’altra venne al
-tempo di Gallo Ostilio Augusto, e Bolusseno suo
-figliuolo, occupatori dello imperio, e gravi persecutori
-de’ cristiani, la quale cominciò gli anni
-di Cristo 254, e durò, ritornando di tempo in
-tempo, intorno di quindici anni: e fu di diverse
-e incredibili infermitadi, e comprese molte provincie
-del mondo. Ma per quello che trovar si
-<span class="pagenum" id="Page_4">[4]</span>
-possa per le scritture, dal generale diluvio in
-qua, non fu universale giudicio di mortalità
-che tanto comprendesse l’universo, come quella
-che ne’ nostri dì avvenne. Nella quale mortalità,
-considerando la moltitudine che allora vivea,
-in comparazione di coloro che erano in vita al
-tempo del generale diluvio, assai più ne morirono
-in questa che in quello, secondo la estimazione
-di molti discreti. Nella quale mortalità
-avendo renduta l’anima a Dio l’autore della
-cronica nominata la Cronica di Giovanni Villani
-cittadino di Firenze, al quale per sangue e per
-dilezione fui strettamente congiunto, dopo molte
-gravi fortune, con più conoscimento della calamità
-del mondo che la prosperità di quello non
-m’avea dimostrato, propuosi nell’animo mio
-fare alla nostra varia e calamitosa materia cominciamento
-a questo tempo, come a uno rinnovellamento
-di tempo e secolo, comprendendo annualmente
-le novità che appariranno di memoria
-degne, giusta la possa del debole ingegno, come
-più certa fede per li tempi avvenire ne potremo
-avere.
-</p>
-
-<h3 id="cap2-1">CAP. II.
-<span class="smaller"><i>Quanto durava il tempo della moría in
-catuno paese.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo per cominciamento nel nostro principio
-a raccontare lo sterminio della generazione
-umana, e convenendone divisare il tempo e il
-modo, la qualità e la quantità di quella, stupidisce
-la mente appressandosi a scrivere la sentenzia,
-<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span>
-che la divina giustizia con molta misericordia
-mandò sopra gli uomini, degni per la
-corruzione del peccato di final giudizio. Ma
-pensando l’utilità salutevole che di questa memoria
-puote addivenire alle nazioni che dopo noi
-seguiranno, con più sicurtà del nostro animo
-così cominciamo. Videsi negli anni di Cristo,
-dalla sua salutevole incarnazione 1346, la
-congiunzione di tre superiori pianeti nel segno
-dell’Aquario, della quale congiunzione si disse
-per gli astrolaghi che Saturno fu signore: onde
-pronosticarono al mondo grandi e gravi novitadi;
-ma simile congiunzione per li tempi passati
-molte altre volte stata e mostrata, la influenzia
-per altri particulari accidenti non parve cagione
-di questa, ma piuttosto divino giudicio secondo
-la disposizione dell’assoluta volontà di Dio. Cominciossi
-nelle parti d’Oriente, nel detto anno,
-inverso il Cattai e l’India superiore, e nelle altre
-provincie circustanti a quelle marine dell’oceano,
-una pestilenzia tra gli uomini d’ogni condizione
-di catuna età e sesso, che cominciavano a sputare
-sangue, e morivano chi di subito, chi in due o
-in tre dì, e alquanti sostenevano più al morire. E
-avveniva, che chi era a servire questi malati, appiccandosi
-quella malattia, o infetti, di quella medesima
-corruzione incontanente malavano, e morivano
-per somigliante modo; e a’ più ingrossava
-l’anguinaia, e a molti sotto le ditella delle braccia
-a destra e a sinistra, e altri in altre parti del corpo,
-che quasi generalmente alcuna enfiatura singulare
-nel corpo infetto si dimostrava. Questa pestilenzia
-si venne di tempo in tempo, e di gente in
-<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span>
-gente apprendendo, comprese infra il termine
-d’uno anno la terza parte del mondo che si chiama
-Asia. E nell’ultimo di questo tempo s’aggiunse
-alle nazioni del Mare maggiore, e alle ripe del
-Mare tirreno, nella Soria e Turchia, e in verso lo
-Egitto e la riviera del Mar rosso, e dalla parte
-settentrionale la Rossia e la Grecia, e l’Erminia
-e l’altre conseguenti provincie. E in quello
-tempo galee d’Italiani si partirono del Mare maggiore,
-e della Soria e di Romania per fuggire la
-morte, e recare le loro mercatanzie in Italia:
-e’ non poterono cansare, che gran parte di loro
-non morisse in mare di quella infermità. E arrivati
-in Cicilia conversaro co’ paesani, e lasciarvi
-di loro malati, onde incontanente si cominciò
-quella pestilenzia ne’ Ciciliani. E venendo le
-dette galee a Pisa, e poi a Genova, per la conversazione
-di quegli uomini cominciò la mortalità
-ne’ detti luoghi, ma non generale. Poi conseguendo
-il tempo ordinato da Dio a’ paesi, la Cicilia
-tutta fu involta in questa mortale pestilenzia. E
-l’Affrica nelle marine, e nelle sue provincie di
-verso levante, e le rive del nostro Mare tirreno.
-E venendo di tempo in tempo verso il ponente,
-comprese la Sardigna, e la Corsica, e l’altre isole
-di questo mare; e dall’altra parte, ch’è detta
-Europa, per simigliante modo aggiunse alle
-parti vicine verso il ponente, volgendosi verso il
-mezzogiorno con più aspro assalimento che sotto
-le parti settentrionali. E negli anni di Cristo
-1348 ebbe infetta tutta Italia, salvo che
-la città di Milano, e certi circustanti all’Alpi,
-che dividono l’Italia dall’Alamagna, ove
-<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span>
-gravò poco. E in questo medesimo anno cominciò
-a passare le montagne, e stendersi in Proenza,
-e in Savoia, e nel Dalfinato, e in Borgogna,
-e per la marina di Marsilia e d’Acquamorta, e
-per la Catalogna, e nell’isola di Maiolica, e in
-Ispagna e in Granata. E nel 1349 ebbe compreso
-fino nel ponente, le rive del Mare oceano,
-d’Europa e d’Affrica e d’Irlanda, e l’isola
-d’Inghilterra e di Scozia, e l’altre isole
-di ponente, e tutto infra terra con quasi eguale
-mortalità, salvo in Brabante ove poco offese.
-E nel 1350 premette gli Alamanni, e gli Ungheri,
-Frigia, Danesmarche, Gotti, e Vandali, e gli altri
-popoli e nazioni settentrionali. E la successione
-di questa pestilenzia durava nel paese ove
-s’apprendeva cinque mesi continovi, ovvero
-cinque lunari: e questo avemmo per isperienza
-certa di molti paesi. Avvenne, perchè parea
-che questa pestifera infezione s’appiccasse per la
-veduta e per lo toccamento, che come l’uomo, o
-la femmina o i fanciulli si conoscevano malati di
-quella enfiatura, molti n’abbandonavano, e innumerabile
-quantità ne morirono, che sarebbono
-campati se fossono stati aiutati delle cose bisognevoli.
-Tra gl’infedeli cominciò questa inumanità
-crudele, che le madri e’ padri abbandonavano
-i figliuoli, e i figliuoli le madri e’ padri, e l’uno
-fratello l’altro e gli altri congiunti, cosa crudele
-e maravigliosa, e molto strana dalla umana
-natura, detestata tra i fedeli cristiani, nei quali,
-seguendo le nazioni barbare, questa crudeltà
-si trovò. Essendo cominciata nella nostra
-città di Firenze, fu biasimata da’ discreti
-<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span>
-la sperienza veduta di molti, i quali si provvidono,
-e rinchiusono in luoghi solitari, e di sana
-aria, forniti, d’ogni buona cosa da vivere, ove
-non era sospetto di gente infetta; in diverse contrade
-il divino giudicio (a cui non si può serrare
-le porti) gli abbattè come gli altri che non s’erano
-provveduti. E molti altri, i quali si dispuosono alla
-morte per servire i loro parenti e amici malati,
-camparono avendo male, e assai non l’ebbono
-continovando quello servigio; per la qual cosa
-ciascuno si ravvide, e cominciarono senza sospetto
-ad aiutare e servire l’uno l’altro; onde
-molti guarirono, ed erano più sicuri a servire
-gli altri. Nella nostra città cominciò generale
-all’entrare del mese d’aprile gli anni
-<i>Domini</i> 1348, e durò fino al cominciamento
-del mese di settembre del detto anno. E morì
-tra nella città, contado e distretto di Firenze,
-d’ogni sesso e di catuna età de’ cinque i tre, e
-più, compensando il minuto popolo e i mezzani
-e’ maggiori, perchè alquanto fu più menomato,
-perchè cominciò prima, ed ebbe meno aiuto, e
-più disagi e difetti. E nel generale per tutto il
-mondo mancò la generazione umana per simigliante
-numero e modo, secondo le novelle che
-avemmo di molti paesi strani, e di molte provincie
-del mondo. Ben furono provincie nel Levante
-dove vie più ne moriro. Di questa pestifera
-infermità i medici in catuna parte del mondo,
-per filosofia naturale, o per fisica, o per arte
-d’astrologia non ebbono argomento nè vera cura.
-Alquanti per guadagnare andarono visitando
-e dando loro argomenti, li quali per la loro morte
-<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span>
-mostrarono l’arte essere fitta, e non vera:
-e assai per coscienza lasciarono a ristituire i danari
-che di ciò aveano presi indebitamente.
-</p>
-
-<p>
-Avemmo da mercatanti genovesi, uomini degni
-di fede, che aveano avute novelle di que’ paesi,
-che alquanto tempo innanzi a questa pestilenzia,
-nelle parti dell’Asia superiore, uscì della terra,
-ovvero cadde da cielo un fuoco grandissimo, il
-quale stendendosi verso il ponente, arse e consumò
-grandissimo paese senza alcuno riparo. E
-alquanti dissono, che del puzzo di questo fuoco
-si generò la materia corruttibile della generale
-pestilenzia: ma questo non possiamo accertare.
-Appresso sapemmo da uno venerabile frate minore
-di Firenze vescovo di .... del Regno, uomo
-degno di fede, che s’era trovato in quelle
-parti dov’è la città di Lamech ne’ tempi della
-mortalità, che tre dì e tre notti piovvono in
-quello paese biscie con sangue che appuzzarono e
-corruppono tutte le contrade: e in quella tempesta
-fu abbattuto parte del tempio di Maometto,
-e alquanto della sua sepoltura.
-</p>
-
-<h3 id="cap3-1">CAP. III.
-<span class="smaller"><i>Della indulgenzia diede il papa per la detta
-pistolenza.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questi tempi della mortale pestilenzia, papa
-Clemente sesto fece grande indulgenza generale
-della pena di tutti i peccati a coloro che pentuti e
-confessi la domandavano a’ loro confessori, e morivano:
-e in quella certa mortalità catuno cristiano
-<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span>
-credendosi morire si disponea bene, e con molta
-contrizione e pazienzia rendevano l’anima a Dio.
-</p>
-
-<h3 id="cap4-1">CAP. IV.
-<span class="smaller"><i>Come gli uomini furono peggiori che prima.</i></span></h3>
-
-<p>
-Stimossi per quelli pochi discreti che rimasono
-in vita molte cose, che per la corruzione del
-peccato tutte fallirono agli avvisi degli uomini,
-seguendo nel contradio maravigliosamente. Credetesi
-che gli uomini, i quali Iddio per grazia
-avea riserbati in vita, avendo veduto lo sterminio
-dei loro prossimi, e di tutte le nazioni del
-mondo, udito il simigliante, che divenissono di
-migliore condizione, umili, virtudiosi e cattolici,
-guardassonsi dall’iniquità e dai peccati, e fossono
-pieni d’amore e di carità l’uno contra l’altro. Ma
-di presente restata la mortalità apparve il contradio;
-che gli uomini trovandosi pochi, e abbondanti
-per l’eredità e successioni dei beni terreni,
-dimenticando le cose passate come state
-non fossono, si dierono alla più sconcia e disonesta
-vita che prima non aveano usata. Perocchè
-vacando in ozio, usavano dissolutamente il peccato
-della gola, i conviti, taverne e delizie con
-dilicate vivande, e’ giuochi, scorrendo senza freno
-alla lussuria, trovando nei vestimenti strane e
-disusate fogge e disoneste maniere, mutando
-nuove forme a tutti gli arredi. E il minuto popolo,
-uomini e femmine, per la soperchia abbondanza
-che si trovarono delle cose, non voleano lavorare agli
-usati mestieri; e le più care e dilicate vivande
-<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span>
-voleano per loro vita, e allibito si maritavano, vestendo
-le fanti e le vili femmine tutte le belle e care
-robe delle orrevoli donne morte. E senza alcuno
-ritegno quasi tutta la nostra città scorse alla
-disonesta vita; e così, e peggio, l’altre città e
-provincie del mondo. E secondo le novelle che
-sentire potemmo, niuna parte fu, in cui vivente
-in continenzia si riserbasse, campati dal divino
-furore, stimando la mano di Dio essere stanca.
-Ma secondo il profeta Isaia, non è abbreviato il
-furore d’Iddio, nè la sua mano stanca, ma molto
-si compiace nella sua misericordia, e però lavora
-sostenendo, per ritrarre i peccatori a conversione
-e penitenzia, e punisce temperatamente.
-</p>
-
-<h3 id="cap5-1">CAP. V.
-<span class="smaller"><i>Come si stimò dovizia, e seguì carestia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Stimossi per il mancamento della gente dovere
-essere dovizia di tutte le cose che la terra produce,
-e in contradio per l’ingratitudine degli uomini
-ogni cosa venne in disusata carestia, e continovò
-lungo tempo: ma in certi paesi, come narreremo,
-furono gravi e disusate fami. E ancora
-si pensò essere dovizia e abbondanza di vestimenti,
-e di tutte l’altre cose che al corpo umano sono
-di bisogno oltre alla vita, e il contrario apparve
-in fatto lungamente; che due cotanti o più valsono
-la maggior parte delle cose che valere non soleano
-innanzi alla detta mortalità. E il lavorio,
-e le manifatture d’ogni arte e mestiero montò oltre
-al doppio consueto disordinatamente. Piati,
-<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span>
-quistioni, contraversie e riotte sursono da ogni parte
-tra’ cittadini di catuna terra, per cagione dell’eredità
-e successioni. E la nostra città di
-Firenze lungamente ne riempiè le sue corti con
-grandi spendii e disusate gravezze. Guerre, e diversi
-scandali si mossono per tutto l’universo,
-contro alle opinioni degli uomini.
-</p>
-
-<h3 id="cap6-1">CAP. VI.
-<span class="smaller"><i>Come nacque in Prato un fanciullo mostruoso.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo anno, del mese d’agosto, nacque
-in Prato uno fanciullo mostruoso di maravigliosa
-figura, perocchè a uno capo e a uno collo
-furono partiti e stesi due imbusti umani con
-tutte le membra distinte e partite dal collo
-in giuso, senza niuna diminuzione che natura dia
-a corpo umano: e catuno imbusto fu colle membra
-e natura masculina. Ma l’uno corpo era maggiore
-che l’altro: e vivette questo corpo mostruoso
-e maraviglioso quindici giorni, dando pronosticazione
-forse di loro futuri danni, come leggendo
-appresso si potrà trovare.
-</p>
-
-<h3 id="cap7-1">CAP. VII.
-<span class="smaller"><i>Come alla compagnia d’Orto san Michele fu
-lasciato gran tesoro.</i></span></h3>
-
-<p>
-Nella nostra città di Firenze, l’anno della detta
-mortalità, avvenne mirabile cosa: che venendo a
-morte gli uomini, per la fede che i cittadini di Firenze
-<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span>
-aveano all’ordine e all’esperienza che veduta
-era della chiara, e buona e ordinata limosina
-che s’era fatta lungo tempo, e facea per li capitani
-della compagnia di Madonna santa Maria d’Orto
-san Michele, senza alcuno umano procaccio,
-si trovò per testamenti fatti (i quali testamenti
-nella mortalità, e poco appresso, si poterono trovare
-e avere) che i cittadini di Firenze lasciarono
-a stribuire a’ poveri per li capitani di quella
-compagnia più di trecentocinquanta migliaia
-di fiorini d’oro. Che vedendosi la gente morire,
-e morire i loro figliuoli e i loro congiunti, ordinavano
-i testamenti, e chi avea reda che vivesse,
-legava la reda, e se la reda morisse, volea la
-detta compagnia fosse reda; e molti che non
-avevano alcuna reda, per divozione dell’usata e
-santa limosina che questa compagnia solea fare,
-acciocchè il suo si stribuisse a’ poveri com’era
-usato, lasciavano di ciò ch’aveano reda la
-detta compagnia: e molti altri non volendo
-che per successione il suo venisse a’ suoi congiunti,
-o a’ suoi consorti, legavano alla detta
-compagnia tutti i loro beni. Per questa cagione,
-restata la mortalità in Firenze, si trovò improvviso
-quella compagnia in sì grande tesoro, senza
-quello che ancora non potea sapere. E i mendichi
-poveri erano quasi tutti morti, e ogni femminella
-era piena e abbondevole delle cose, sicchè
-non cercavano limosina. Sentendosi questo
-fatto per cittadini, procacciarono molti con sollecitudine
-d’essere capitani per potere amministrare
-questo tesoro, e cominciarono a ragunare le masserizie
-e’ danari; ch’avendo a vendere le masserizie
-<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span>
-nobili de’ grandi cittadini e mercatanti, tutte
-le migliori e le più belle voleano per loro a grande
-mercato, e l’altre più vili faceano vendere in
-pubblico, e i danari cominciarono a serbare, e chi
-ne tenea una parte, e chi un’altra a loro utilità.
-E non essendo in quel tempo poveri bisognosi,
-facevano le limosine grandi ciascuno capitano
-ove più gli piaceva, poco a grado a Dio e alla
-sua madre. E per questo indebito modo si consumò
-in poco tempo molto tesoro. E quando veniva
-il tempo di rifare i nuovi capitani, i cittadini
-amici de’ vecchi si facevano fare capitani
-nuovi da loro che avevano la balía, con molte
-preghiere, e altre promessioni, intendendosi insieme
-per poco onesta intenzione. Le possessioni
-della compagnia allogavano per amistà e buon
-mercato, e le vendite faceano disonestamente.
-I cittadini ch’erano avviluppati nelle mani de’
-detti capitani per li lasci, e per le dote, e per
-li debiti, e per le participazioni di quelli beni, e
-per l’altre successioni non si poteano per lunghi
-tempi spacciare da loro: e ogni cosa sosteneano
-in lunga contumacia senza sciogliere, se per
-speziale servigio non si facea. E fu tre anni
-continovi più grande la loro corte che quella
-del nostro comune. E avvedendosi i cittadini
-della ipocrisia de’ capitani, acciocchè più
-non seguitasse la elezione, che l’uno facesse l’altro,
-ordinarono che i capitani si chiamassono
-per lo consiglio. In processo di tempo
-il comune prese de’ danari del mobile della detta
-compagnia alcuna parte, vedendo che male si
-stribuivano per li capitani. E per le dette cagioni
-<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span>
-la fede di quella compagnia tra’ cittadini
-e’ contadini cominciò molto a mancare, avvelenata
-per lo disordinato tesoro, e per gli avari
-guidatori di quello. E per lo simigliante modo fu
-lasciato a una nuova compagnia chiamata la
-compagnia della Misericordia, tra in mobile e
-in possessioni, il valore di più di venticinquemila
-fiorini d’oro, i quali si stribuirono poco bene per lo
-difetto de’ capitani che gli aveano a stribuire. E
-allo spedale di santa Maria Nuova di san Gilio fu
-anche lasciato in quella mortalità il valore di venticinquemila
-fiorini d’oro. Questi lasci di questo
-spedale si stribuirono assai bene, perocchè lo
-spedale è di grande elemosina, e sempre abbonda
-di molti infermi uomini e femmine, i quali
-sono serviti e curati con molta diligenza e abbondanza
-di buone cose da vivere, e da sovvenire
-a’ malati, governandosi per uomini e femmine
-di santa vita.
-</p>
-
-<h3 id="cap8-1">CAP. VIII.
-<span class="smaller"><i>Come in Firenze da prima si cominciò lo Studio.</i></span></h3>
-
-<p>
-Rallentata la mortalità, e assicurati alquanto
-i cittadini che aveano a governare il comune di
-Firenze, volendo attrarre gente alla nostra città,
-e dilatarla in fama e in onore, e dare materia
-a’ suoi cittadini d’essere scienziati e virtudiosi,
-con buono consiglio, il comune provvide e mise
-in opera che in Firenze fosse generale studio di
-catuna scienzia, e in legge canonica e civile, e
-di teologia. E a ciò fare ordinarono uficiali, e
-<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span>
-la moneta che bisognava per avere i dottori delle
-scienze: stanziò si pagassono annualmente
-dalla camera del comune; e feciono acconciare i
-luoghi dello Studio in su la via che traversa da
-casa i Donati a casa i Visdomini, in su i casolari
-de’ Tedaldini. E piuvicarono lo studio per tutta
-Italia; e avuti dottori assai famosi in tutte le
-facultà delle leggi e dell’altre scienze, cominciarono
-a leggere a dì 6 del mese di novembre,
-gli anni di Cristo 1348. E mandato il comune
-al papa e a’ cardinali a impetrare privilegio
-di potere conventare in Firenze in catuna
-facultà di scienza, ed avere le immunità e onori
-che hanno gli altri studi generali di santa Chiesa,
-papa Clemente sesto, con suoi cardinali,
-ricevuta graziosamente la domanda del nostro
-comune, e considerando che la città di Firenze
-era braccio destro in favore di santa Chiesa, e
-copiosa d’ogni arte e mestiere, e che questo
-che s’addomandava era onore virtudioso, acciocchè
-’l buono cominciamento potesse crescere successivamente
-in frutto di virtudi, di comune concordia
-di tutto il collegio, e del papa, concedettono
-al nostro comune privilegio, che nella
-città di Firenze si potesse dottorare, e ammaestrare
-in teologia, e in tutte l’altre facultadi delle
-scienze generalmente. E attribuì tutte le franchigie
-e onori al detto Studio che più pienamente
-avesse da santa Chiesa Parigi o Bologna, o alcuna
-altra città de’ cristiani. Il privilegio bollato della
-papale bolla venne a Firenze, dato in Avignone
-dì 31 di maggio, gli anni <i>Domini</i> 1349, l’ottavo
-anno del suo pontificato.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap9-1">CAP. IX.
-<span class="smaller"><i>Raggiugnimento di principii che furono cagione
-di grandi novitadi nel Regno.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avvegnachè nella cronica del nostro anticessore
-sia trattato della novità sopravvenuta nel
-regno di Cicilia e di qua dal faro, insino al tempo
-vicino alla nominata mortalità, nondimeno la
-nostra materia richiede (acciocchè meglio s’intendano
-le cose che nel nostro tempo poi seguiranno)
-che qui s’accolgano alquanti principii che
-furono materia e cagioni di gravi movimenti.
-Il re Ruberto rimorso da buona coscienza, avendo
-con Carlo Umberto di suo lignaggio re d’Ungheria
-trattato la restituzione del suo reame dopo
-la sua morte a’ figliuoli del detto Carlo, nipoti
-di Carlo Martello primogenito di Carlo secondo,
-a cui di ragione succedea il detto reame di Cicilia,
-e fermata la detta restituzione con promissione
-di matrimonio, sotto certe condizioni
-de’ figliuoli del detto Carlo Umberto, e delle due
-figliuole di M. Carlo duca di Calavra, figliuolo
-che fu del detto re Ruberto. E avendo già accresciuto
-appresso di se il re Ruberto Andreasso
-figliuolo di Carlo Umberto, e fattolo duca di Calavra,
-a cui si dovea dare per moglie Giovanna
-primagenita del detto Carlo, nipote del re Ruberto,
-acciocchè fosse successore del reame dopo
-la sua morte; e la detta Giovanna reina, con
-condizioni ordinate per li casi che avvenire poteano,
-che l’una succedesse all’altra in caso di
-<span class="pagenum" id="Page_18">[18]</span>
-mancamento di figliuoli, acciocchè la successione
-del Regno non uscisse delle nipoti. Vedendosi
-appressare alla morte, tanto fu stretto dallo amore
-della propria carne, ch’egli commise errori
-i quali furono cagione di molti mali. Perocchè innanzi
-la sua morte fece consumare il matrimonio
-del detto duca Andreasso alla detta Giovanna
-sua nipote, e lei intolò reina. E a tutti i baroni,
-reali, e feudatari e uficiali del Regno fece fare
-il saramento alla detta reina Giovanna, lasciando
-per testamento, che quando Andreasso duca di Calavra,
-e marito della detta reina Giovanna, fosse
-in età di ventidue anni, dovesse essere coronato re
-del suo reame di Cicilia. Onde avvenne che ’l senno
-di cotanto principe accecato del proprio amore
-della carne, morendo lasciò la giovane reina
-ricca di grande tesoro, e governatora del suo
-reame, e povera di maturo consiglio, e maestra
-e donna del suo barone, il quale come marito
-dovea essere suo signore. E così verificando la
-parola di Salomone, il quale disse, se la moglie
-avrà il principato, diventerà contraria al suo
-marito. La detta Giovanna vedendosi nel dominio,
-avendo giovanile e vano consiglio, rendeva
-poco onore al suo marito, e reggeva e governava
-tutto il Regno con più lasciva e vana che virtudiosa
-larghezza: e l’amore matrimoniale per l’ambizione
-della signoria, e per inzigamento di perversi
-e malvagi consigli, non conseguiva le sue
-ragioni, ma piuttosto declinava nell’altra parte.
-E però si disse che per fattura malefica la reina
-parea strana dall’amore del suo marito. Per la
-qual cagione de’ reali e assai giovani baroni presono
-<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span>
-sozza baldanza, e poco onoravano colui che
-attendevano per loro signore. Onde l’animo nobile
-del giovane, vedendosi offendere, e tenere a
-vile a’ suoi sudditi, lievemente prendeva sdegni.
-E moltiplicando le ingiurie per diversi modi,
-dalla parte della sua donna e de’ suoi baroni,
-per giovanile incostanza, alcuna volta con
-la reina, alcuna volta con i baroni usò parole di
-minacce, per le quali, coll’altra materia che
-qui abbiamo detta, appressandosi il tempo della
-sua coronazione, s’avacciò la crudele e violente
-sua morte. Onde avvenne, che per fare la vendetta
-Lodovico re d’Ungheria, fratello anzinato
-del detto Andreasso, con forte braccio venne
-nel Regno non contastato da niuno de’ reali, o da
-altro barone, se non solo da M. Luigi di Taranto,
-il quale dopo la morte del duca Andreasso,
-per operazione della imperadrice sua madre, di
-M. Niccola Acciaiuoli di Firenze suo balio, avea
-tolta la detta reina Giovanna per sua moglie.
-E innanzi la dispensagione, ch’era sua nipote in
-terzo grado, temendo il giovane d’entrare nella camera
-alla reina, confortatolo, e presolo per lo braccio
-dal detto suo balio, in segreto sposò la detta
-donna: e in palese fu dispensato il detto matrimonio
-da santa Chiesa. Il quale M. Luigi si mise
-a contastare alcuno tempo alla gente del detto re
-d’Ungheria, venuta innanzi che la persona del
-detto re. Ma sopravvenendo il re, la reina Giovanna
-in prima, e appresso M. Luigi, con certe
-galee in fretta, e male provveduti fuori che dello
-scampo delle persone, fuggirono in Toscana,
-e poi passarono in Proenza.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap10-1">CAP. X.
-<span class="smaller"><i>Come il re d’Ungheria fece ad Aversa uccidere
-il duca di Durazzo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Lodovico re d’Ungheria giunto ad Aversa, fece
-suo dimoro in quel luogo ove fu morto il fratello.
-E ivi tutti i baroni del Regno l’andarono a vicitare,
-e fare la reverenza come zio, e governatore
-di Carlo Martello infante, figliuolo del detto duca
-Andreasso, e della reina Giovanna, a cui succedeva
-il reame. I reali, ciò furono M. Ruberto prenze
-di Taranto, M. Filippo suo fratello, M. Carlo duca
-di Durazzo, che avea per moglie donna Maria sirocchia
-della reina Giovanna, e M. Luigi e M.
-Ruberto suoi fratelli andarono ad Aversa confidentemente
-a fare la reverenza al detto re d’Ungheria;
-e ricevuti da lui con infinta e simulata festa,
-stettono con lui infino al quarto giorno. E
-mosso per andare da Aversa a Napoli con grande
-comitiva, oltre alla sua gente, di quella de’ reali
-e del Regno, rimaso addietro, e cavalcando con lui
-il duca di Durazzo, il re gli disse: menatemi dove
-fu morto mio fratello. E senza accettare scusa condotto
-al luogo, il detto duca di Durazzo sceso del palafreno,
-già conoscendo il suo mortale caso, disse il
-re: traditore del sangue tuo, che farai? E tirato per
-forza, come era ordinato, infino ove fu strangolato
-il duca Andreasso, tagliatali la testa da un infedele
-Cumino, in sul sabbione dal Gafo fu in due pezzi gittato,
-in quell’orto e in quello luogo dove fu gittato
-il duca Andreasso. E in quello stante furono presi
-<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span>
-gli altri reali, e ordinata la condotta sotto buona
-guardia, e con loro il piccolo infante Carlo Martello,
-furono mandati in Ungheria. Il quale Carlo
-poco appresso giunto in Ungheria morì. E M.
-Ruberto prenze di Taranto, e ’l fratello e’ cugini
-furono messi in prigione, e insieme ritenuti sotto
-buona guardia.
-</p>
-
-<h3 id="cap11-1">CAP. XI.
-<span class="smaller"><i>La cagione della morte del duca di Durazzo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Questo duca di Durazzo non si trovò che fosse
-autore della morte del duca Andreasso, ma però
-ch’egli come molto astuto, avea, non senza alcuna
-espettazione di speranza del Regno, coll’aiuto del zio
-cardinale di Pelagorga, procacciato dispensazione
-dal papa, colla quale ruppe quattro grandi misteri.
-Ciò furono, violando il testamento e l’ordine
-e la concordia presa dal re Ruberto, e Umberto
-Martello re d’Ungheria, ove era disposto che il
-matrimonio di dama Maria sirocchia della reina
-Giovanna si dovesse fare, a conservagione della successione
-del regno colla casa di Carlo Umberto,
-discendenti di Carlo Martello, in certo caso di
-morte, o di mancamento di figliuoli alla reina.
-La quale Maria il detto duca si prese per moglie.
-E il saramento di ciò prestato per lo detto duca, e
-per altri reali in sul corpo di Cristo; e la dispensagione
-di potere prendere la nipote per moglie, la
-quale si prese e menò di quaresima. E bene
-che col duca Andreasso si ritenesse mostrandoli
-amore, nondimeno lungo tempo segretamente fece
-<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span>
-impedire a corte la diliberazione della sua coronazione.
-Onde per questo soprastare fu fatto
-l’ordine e messo a esecuzione il detestabile e patricida
-della sua morte: e questa fu la cagione perchè
-il re d’Ungheria il fece morire. Di questa morte,
-e della carceragione de’ reali nacque grande tremore
-a tutto il regno. E fu il re reputato crudele
-non meno per la carceragione degl’innocenti giovani
-reali, che per la morte del duca di Durazzo.
-</p>
-
-<h3 id="cap12-1">CAP. XII.
-<span class="smaller"><i>Come il re d’Ungheria entrò in Napoli.</i></span></h3>
-
-<p>
-Fatta il re d’Ungheria parte della sua vendetta,
-e ricevuto in Napoli come signore, e ordinato
-i magistrati, e comandato giustizia per tutto il
-regno, cominciò ad andare vicitando le città e le
-provincie. E da tutti i baroni prese saramento per
-Carlo Martello suo nipote. E nell’anno 1348
-quasi tutto il regno l’ubbidia, salvo che in Puglia
-era contra lui il forte castello d’Amalfi della
-montagna, il quale si teneva per la reina, e per
-M. Luigi di Taranto. E questo guardavano masnade
-italiane con cento cavalieri tedeschi, capitano
-della gente e del castello M. Lorenzo figliuolo
-di M. Niccola degli Acciaiuoli di Firenze,
-giovane cavaliere, e di grande cuore, e di buono
-aspetto. Non avendo ancora mandato il detto re
-in terra d’Otranto, nè in Calavra, i giustizieri che
-v’erano per la reina faceano l’uficio per lei, e non
-ubbidivano al re d’Ungheria, ed egli non strignea
-il paese, e però non vi si mostrava ribellione.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap13-1">CAP. XIII.
-<span class="smaller"><i>Come il re d’Ungheria vicitava il regno
-di Puglia.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questi dì essendo la mortalità già cominciata
-nel Regno per tutto, nondimeno il re cavalcava
-vicitando le terre del Regno. Ed essendo stato in
-Abruzzi, in Puglia, e in Principato, tornò a Napoli
-del mese d’aprile del detto anno: e trovati
-già morti alquanti de’ suoi baroni, sentì che certi
-conti e baroni del Regno faceano cospirazione
-contro a lui. E impaurito in se medesimo per la
-morte de’ suoi, e per la generale mortalità, avegnachè
-fosse di molto franco cuore, non gli parve tempo
-da ricercare quelle cose con alcuno sospetto: anzi
-con savia continenza mostrava a’ baroni piena
-confidenza. E copertamente (eziandio al suo privato
-consiglio) intendea a fornire tutte le buone
-terre e castella del Regno di gente d’arme e di
-vittuaglia. E con seco aveva uno barone della Magna
-che avea nome Currado Lupo. Costui aveva
-il re provato fedele e ardito in molti suoi servigi, e
-a lui accomandò milledugento cavalieri tedeschi
-che aveva nel Regno. E un suo fratello, ch’avea
-nome Guelforte, mise nel castello nuovo di Napoli
-dove era l’abitazione reale, con buona compagnia,
-e bene fornito d’ogni cosa da vivere, e
-d’arme e di vestimento e calzamento, e gli accomandò
-la guardia di quello castello; e fornì il
-castello di Capovana, e quello di Santermo sopra
-la città di Napoli, e il castello dell’Uovo. E
-<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span>
-tratto del Regno il doge Guernieri Tedesco, cui egli
-avea soldato con millecinquecento barbute quando
-entrò nel Regno, non fidandosi di lui, lasciò suo vicario
-alla guardia del detto reame il detto Currado
-Lupo; e ’l doge Guernieri malcontento del re, con
-sue masnade di Tedeschi si ridusse in Campagna.
-</p>
-
-<h3 id="cap14-1">CAP. XIV.
-<span class="smaller"><i>Come il re d’Ungheria partitosi del Regno
-tornò in Ungheria.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo il detto re ordinata la sua gente e le sue
-terre in tutte le parti del Regno, le quali e’ possedeva:
-e ammaestrati in segreto i suoi vicari e castellani
-di buona guardia, non mostrando a’ baroni
-del Regno, nè eziandio a’ suoi, che del Regno
-si dovesse partire, si mosse da Napoli, dove
-avea fatto poco dimoro, e andonne in Puglia; e
-ordinata la guardia delle terre e delle castella di
-là in mano di suoi Ungheri, avendo fatto armare
-nel porto di Barletta una sottile galea, subitamente,
-improvviso a tutti quelli del Regno, all’uscita di
-Maggio l’anno 1348, vi montò suso con poca compagnia,
-e fece dare de’ remi in acqua, e senza arresto
-valicò sano e salvo in Ischiavonia, e di là con
-pochi compagni a cavallo se n’andò in Ungheria.
-Questa subita partita di cotanto re fu tenuta follemente
-fatta da molti, e da lieve e non savio movimento
-d’animo, e molti il ne biasimarono. Altri
-dissono che provvedutamente e con molto senno
-l’avea fatto, avendo diliberato il partire nell’animo
-suo per tema della mortalità, e non vedendo
-<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span>
-tempo da potersi scoprire contra i baroni, i
-quali sentiva male disposti alla sua fede, come
-detto è, e commendaronlo di segreto e provveduto
-partimento.
-</p>
-
-<h3 id="cap15-1">CAP. XV.
-<span class="smaller"><i>Novità del reame di Tunisi, e più rivolgimenti
-di quello.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo mese di maggio avendo Balase re del
-Garbo e della Bella Marina prima conquistato il
-reame di Trenusi, e montatone in superbia ambizione,
-trattò con Alesbi fratello del re di Tunisi:
-e fatta sua armata per mare, e grande oste per
-terra, improvviso al re di Tunisi fu addosso, e
-senza contasto, avendo il ricetto d’Alesbi, entrò
-nella città, e prese il re, e di presente il fece morire.
-E avendo la signoria, non attenne i patti ad
-Alesbi, il quale partito di Tunisi, e aggiuntosi
-grande copia d’Arabi del reame, venne verso
-Tunisi. Il re Balase accolta grande oste andò
-contro a lui, e commissono insieme mortale
-battaglia, nella quale morì la maggiore parte della
-gente del re Balase, ed egli sconfitto si fuggì in
-Carvano, suo forte castello; e assediato in quello
-dagli Arabi, per danari s’acconciò con loro, e
-tornossi a Tunisi. Alesbi da capo co’ gli Arabi
-tornò sopra Tunisi: ma Balase si tenea la guardia
-delle terre, sicchè gli Arabi non potendo combattere
-si tornarono in loro pasture. Avea Balase
-quando si partì di suo reame lasciato nella città
-reale di Fessa Maumetto suo nipote, e in Tremus
-<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span>
-Buevem suo figliuolo. Costoro avendo sentito come
-Balase era sconfitto e assediato dagli Arabi,
-senza sapere l’uno dell’altro, catuno si rubellò
-e fecionsi fare re: il figliuolo in Tremus, e il nipote
-in Fessa. E sentendo Buevem che Maumetto s’era
-levato re in Fessa, parendogli ch’egli avesse occupata
-la sua eredità, propose nell’animo suo
-d’abbatterlo, e così gli venne fatto, come innanzi
-al suo debito tempo racconteremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap16-1">CAP. XVI.
-<span class="smaller"><i>Come per la partita del re d’Ungheria del
-Regno i baroni e’ popoli si dolsono.</i></span></h3>
-
-<p>
-Sentendo gli uomini e i baroni del Regno la
-subita partita del re d’Ungheria si maravigliarono
-forte, non ne avendo di ciò conosciuto alcuno
-indizio. E molte comunanze e baroni
-ch’amavano il riposo del Regno, e portavano
-fede alla sua signoria ne furono dolenti; perocchè
-non ostante che fosse nato e nutricato in
-Ungheria, e avesse con seco assai di quella gente
-barbara, molto mantenea grande giustizia, e non
-sofferia che sua gente facesse oltraggio o noia a’
-paesani, anzi gli puniva più gravemente: e fece
-de’ suoi Ungheri per non troppo gravi falli aspre
-e spaventevoli giustizie. E le strade e i cammini
-facea per tutto il Regno sicure. E avea
-spente le brigate de’ paesani, delle quali per antica
-consuetudine soleano grandi congregazioni
-di ladroni fare, i quali sotto loro capitani conturbavano
-le contrade e’ cammini: e per questo
-<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span>
-pareva a’ paesani essere in istato tranquillo e
-fermo da dovere bene posare. E alquanti altri
-baroni che male si contentavano, e gentili uomini
-di Napoli, per la morte del duca di Durazzo, e
-per la presura de’ reali a cui e’ portavano grande
-amore, e perchè il re non facea loro troppo onore,
-gli volevano male, e furono contenti della sua
-partita. Gli altri se ne dolsono assai, e parve loro
-che il Regno rimanesse in fortuna e in male stato,
-e che il peccato commesso della morte del re
-Andreasso, e l’aggravamento de’ peccati commessi
-per la troppa quiete de’ paesani, e per la soperchia
-abbondanza in che si sconoscevano a Dio,
-non fosse punita, e meritasse maggior disciplina
-e spogliamento di que’ beni, dai quali procedeva
-la viziosa ingratitudine, come avvenne, e seguendo
-nostra materia diviseremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap17-1">CAP. XVII.
-<span class="smaller"><i>Come si reggeva la sua gente nel Regno
-partito il re.</i></span></h3>
-
-<p>
-Partito il re d’Ungheria del Regno, la cavalleria
-dei Tedeschi e degli Ungheri, governata per buoni
-capitani, con le masnade de’ fanti a piè toscani
-che aveano con loro, si manteneano chetamente
-senza villaneggiare i paesani. E rispondea
-l’una gente all’altra tutti ubbedendo a M. Currado
-Lupo, cui il re avea lasciato vicario, il quale
-manteneva giustizia ov’egli distrignea. E gli
-uomini del Regno benchè si vedessono in debole
-signoria, non si ardivano a muovere contro ai forestieri,
-<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span>
-e non parea però loro bene stare. Ma i
-baroni che non amavano il re d’Ungheria,
-volevano che la reina e M. Luigi tornassono nel
-Regno; e l’università di Napoli, co’ gentiluomini
-di Capovana e di Nido, d’un animo deliberarono
-il simigliante; e mandarono in Proenza, dicendo
-che di presente dovessono tornare nel Regno,
-e fare capo a Napoli ove sarebbono ricevuti onorevolemente,
-mostrando come i paesani si contentavano
-male della signoria de’ Tedeschi e degli
-Ungheri, e che in brieve tempo col loro aiuto sarebbono
-signori del reame. Aggiugnendo che i
-soldati Ungheri e Tedeschi si rammaricavano
-forte, che il re d’Ungheria non mandava danari
-per le loro paghe, ond’eglino erano di lui malcontenti;
-e il doge Guernieri colla sua compagnia
-de’ Tedeschi ch’era in Campagna s’offeria d’essere
-colla reina e con M. Luigi contro alla gente del
-re d’Ungheria, in quanto il volesse conducere al
-suo soldo: promettendo fedelmente per se e per
-le sue masnade d’aiutarli riacquistare il Regno.
-</p>
-
-<h3 id="cap18-1">CAP. XVIII.
-<span class="smaller"><i>Come messer Luigi si fe’ titolare re al papa,
-e mandò nel Regno.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Luigi trovandosi in corte di papa marito
-della regina Giovanna, e non re, gli parve,
-avendo diliberato di tornare nel Regno, che li fosse
-di necessità avere titolo di re: acciocchè avendo
-a governare colla reina le cose del reame, e
-a fare lettere da sua parte e della reina, il titolo
-<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span>
-non disformasse, perocchè ancora la santa
-Chiesa non avea diliberato di farlo re di Cicilia, si
-fece titolare il re Luigi d’altro reame, il quale non
-avea, nè era per poter avere. E d’allora innanzi
-cominciarono a scrivere le lettere intitolandole in
-questo modo: <i>Ludovicus et Ioanna Dei gratia
-rex et regina Hierusalem et Ciciliae</i>. E d’allora
-innanzi M. Luigi fu chiamato re. Il detto re
-Luigi e la reina Giovanna avendo il conforto
-del ritornare nel Regno, come detto è, senza soggiorno
-procacciarono di ciò fare. E trovandosi
-poveri di moneta, richiesono d’aiuto il papa e
-i cardinali, il quale non impetrarono. Allora
-per necessità venderono alla Chiesa la giurisdizione
-che la reina avea nella città di Vignone per
-fiorini trentamila d’oro. E nondimeno richiesono
-baroni, e comunanze, e prelati, limosinando
-d’ogni parte per lo stretto bisogno. E con molta
-fatica feciono armare dieci galee di Genovesi,
-e pagaronle per quattro mesi. E in questo mezzo
-il re Luigi mandò innanzi a se nel Regno M.
-Niccola Acciaiuoli di Firenze suo balio con pieno
-mandato, il quale trovando la materia disposta
-al proponimento del suo signore, incontanente
-condusse il doge Guernieri, ch’era in Campagna
-con milledugento barbute di Tedeschi, ch’erano
-in sua compagnia. E ordinato le cose prestamente,
-mandò sollecitando il re e la reina che
-senza indugio venissono a Napoli con le loro galee:
-che essendo nel Regno le loro persone, con
-l’aiuto di Dio e de’ baroni del Regno, che desideravano
-la loro tornata, e de’ Napolitani, e del
-doge Guernieri, cui egli avea condotto con buone
-<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span>
-masnade, e con le sue galee e’ sarebbono a
-queto signori del Regno, e non conoscea che la
-gente del re d’Ungheria a questo potesse riparare,
-sicchè in brieve al tutto sarebbono signori.
-</p>
-
-<h3 id="cap19-1">CAP. XIX.
-<span class="smaller"><i>Come il re e la reina ritornarono
-nel Regno.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo il re e la reina queste novelle, incontanente
-con quei baroni che poterono accogliere di
-Proenza, e con la loro famiglia, si raccolsono a Marsilia
-in su le dette dieci galee de’ Genovesi: ed avendo
-il tempo acconcio al loro viaggio, sani e
-salvi in pochi giorni arrivarono a Napoli, all’uscita
-del mese d’agosto del detto anno. E perocchè
-le castella di Napoli, e quello dell’Uovo,
-e il castello di Santermo, e ’l porto e la Tenzana
-erano nella signoria e guardia della gente
-del re d’Ungheria, non si poterono mettere
-nel porto, nè in quelle parti; anzi arrivarono
-fuori di Napoli sopra santa Maria del Carmino,
-di verso ponte Guicciardi, e ivi scesono in terra;
-e il re e la reina entrarono nella chiesa di Nostra
-Donna per aspettare i baroni e l’università
-di Napoli, che gli conducessono nella città.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap20-1">CAP. XX.
-<span class="smaller"><i>Come il re e la reina Giovanna entrarono in
-Napoli a gran festa.</i></span></h3>
-
-<p>
-I baroni ch’erano accolti a Napoli, aspettando
-la venuta del re e della reina con la loro cavalleria,
-de’ quali erano caporali quegli di san
-Severino, e della casa del Balzo, l’ammiraglio
-conte di Montescheggioso, quelli dello Stendardo,
-il conte di Santo Agnolo, que’ della casa della
-Raonessa, e di Catanzano, e molti altri. I
-quali forniti di molti cavalli e di ricchi arredi e
-di nobili robe e arnesi, con loro scudieri vestiti
-d’assise, e’ gentili uomini di Napoli con loro
-proprio, apparecchiati pomposamente a cavallo
-e a piè con molta festa si misono ad andare al
-Carmino per conducere il re e la reina in Napoli
-con molta allegrezza; e da parte i Fiorentini e
-Sanesi e Lucchesi mercatanti che allora erano
-in Napoli, e Genovesi e Provenzali e altri forestieri,
-catuna gente per se, vestiti di ricche robe
-di velluti e di drappi di seta e di lana, con molti
-stormenti d’ogni ragione, sforzando la dissimulata
-festa, andarono incontro al re e alla reina.
-E giunti a loro, e fatta catuna compagnia la
-riverenza, apparecchiati nobilissimi destrieri,
-montati a cavallo, addestrati da’ baroni, sotto
-ricchi palii d’oro e di seta con molte compagnie
-d’armeggiatori innanzi, in prima il re, a cui
-andava in fronte il duca Guernieri co’ suoi Tedeschi,
-smovendo il popolo, e dicendo: gridate viva
-<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span>
-il signore: e così gridando, fu la parola da
-molti notata, perchè era a loro nuovo titolo, non
-dicendosi viva il re, e con ragione dire non lo potevano
-a quella stagione. E con questa festa il
-condussono a Napoli; e perchè l’abitazioni reali
-erano tutte nella forza de’ nemici, il collocarono
-ad Arco, sopra Capovana, nelle case che furono
-di messere Aiutorio. E appresso di lui con somigliante
-festa vi condussono la reina. La gente,
-benchè sforzata si fosse di fare festa, pure s’avvedea
-per le molte città e castella che il re
-d’Ungheria avea nel Regno, e per la buona gente
-che v’era alla guardia, che questa tornata del
-re Luigi e della reina Giovanna era piuttosto aspetto
-di guerra e di grande spesa, e sconcio del
-paese e della mercanzia e de’ forestieri, che cominciamento
-di riposo, come poi n’avvenne.
-</p>
-
-<h3 id="cap21-1">CAP. XXI.
-<span class="smaller"><i>Come il re Luigi si fe’ fare cavaliere, e da cui.</i></span></h3>
-
-<p>
-Vedendosi il re Luigi, e conoscendo il bisogno
-che avea di buono aiuto, e veggendo che la maggiore
-forza de’ suoi cavalieri era nel duca Guernieri,
-acciocchè per onorevole beneficio più lo
-traesse alla sua fede e amore, ordinò di farsi fare
-cavaliere per le sue mani, della qual cosa avvilì
-se, per onorare altrui. E ordinata gran festa
-per la sua cavalleria, del mese di settembre
-del detto anno, si fece fare cavaliere al detto
-doge Guernieri, ed egli in quello stante fece
-appresso ottanta altri cavalieri della città di Napoli,
-<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span>
-e d’altri paesi del Regno. La libertà grande
-che ’l re dimostrò nel tedesco duca Guernieri
-tosto trovò vana in colui, come per la sua corrotta
-fede nel processo della nostra materia al
-suo tempo racconteremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap22-1">CAP. XXII.
-<span class="smaller"><i>Brieve raccontamento di cose fatte per il re
-d’Inghilterra contra quello di Francia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Richiede il nostro proponimento, per le cose
-che avremo a scrivere de’ fatti del re di Francia
-e di quello d’Inghilterra per la loro guerra, che
-noi ci traiamo un poco addietro alle cose occorse
-più vicine, acciocchè quelle che seguiranno abbiano
-più chiaro intendimento. Essendo il valoroso
-re Adoardo d’Inghilterra passato in Normandia,
-del mese d’agosto, gli anni di Cristo 1347,
-e avendo preso Camoboroso e Saulu e più altre
-ville, venendo verso Parigi con quattromila
-cavalieri e quarantamila sergenti, tra’ quali
-avea molti arcieri, e fatto d’arsioni e di preda gravi
-danni al paese, s’accampò a Pussì e a San Germano,
-presso a Parigi a due leghe. Il re di Francia
-era andato colla sua forza verso Camo per farlisi
-incontro, e non trovandolo nel paese, si tornò
-addietro, e accolta molta baronia e cavalieri e sergenti
-di suo vassallaggio, s’accampò fuori di Parigi
-con più di settemila cavalieri e sessantamila
-sergenti: il re d’Inghilterra, sentendo la tornata
-del re di Francia, si levò da campo scostandosi
-da Parigi. Il re di Francia con grande baldanza
-<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span>
-il seguitò con la sua gente, tanto che sopraggiunse
-il re d’Inghilterra, che andava assai
-a lenti passi per non mostrare paura: e aggiugnendosi
-l’una oste all’altra, il re d’Inghilterra
-vedendosi presso il re di Francia, e quello di
-Boemia e quello di Maiolica con molti baroni,
-e con più di due tanti cavalieri che non avea egli,
-come signore di grande cuore e ardire, di presente
-s’apparecchiò alla battaglia, intra Crescì e
-Albevilla. E ordinò tutto il suo carreaggio alla
-fronte a modo d’una schiera, e di sopra alle carra
-mise i cavalieri armati, e a piè d’ogni parte i suoi
-arcieri. E sopravvenendo l’assalto de’ Franceschi,
-baldanzosi, con grande empito cominciarono la
-battaglia. Gl’Inglesi fermi al loro carreaggio, con
-l’ordine dato agli arcieri, senza perdere colpo,
-di loro saette fedivano i cavalli e’ cavalieri de’
-Franceschi. E vedendo gl’Inglesi fediti molti
-de’ cavalli e de’ cavalieri de’ loro avversari, a uno
-segno dato ordinate le guardie de’ sergenti sopra
-il carreaggio, corsono i cavalieri a’ loro cavalli che
-aveano a destro dietro al carriaggio, e montati e assettati
-sopra i loro cavalli, con savia condotta vennono
-alle spalle de’ nimici, ed assalirono i Franceschi
-con dura battaglia. I Franceschi che erano
-re e baroni d’alto pregio manteneano la battaglia
-vigorosamente, la quale durò da mezza nona
-alle due ore di notte; ove si dimostrarono di
-grandi operazioni d’armi di valorosi baroni e cavalieri
-da catuna parte. Ma perocchè i Franceschi
-e i loro cavalli erano più stanchi e magagnati
-dalle saette degl’Inglesi, e molti conducitori
-di loro morti, come fu la volontà d’Iddio la vittoria
-<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span>
-rimase al re d’Inghilterra, con grande e grave
-danno de’ Franceschi. Morto vi fu il valente re
-di Boemia, figliuolo dello imperatore Arrigo di
-Luzimborgo, e il duca di Loreno, il conte di
-Lanzone fratello del re di Francia, e sei altri conti,
-con milleseicento cavalieri grande parte baroni
-e banderesi, e morironvi ventimila pedoni; fra i
-quali furono i Genovesi che erano andati là con
-dodici galee, che pochi ne camparono. Ed il re
-Filippo di Francia di notte, con sei tra prelati e
-baroni, e sessanta sergenti a piè, uscì della
-battaglia, e campò per grazia della notte. Sul
-campo si trovarono molti cavalli morti e bene
-quattromila fediti. E fatta questa battaglia a
-dì 26 d’agosto nel 1347, il re d’Inghilterra
-poco appresso pose assedio al forte castello di Calese
-sulla marina, e per assedio il vinse: e fattolo
-più forte, per avere porto nel reame e nella
-marina di Francia, lasciato nel paese il conte d’Erbi
-duca di Lancastro, suo cugino, a guerreggiare,
-con duemila cavalieri e ventimila pedoni i
-più arcieri, con grande onore si tornò in Inghilterra.
-Il conte d’Erbi entrò in Guascogna l’anno
-appresso, e conquistò più terre di quelle che
-vi tenea il re di Francia; e rotti in più abboccamenti
-i cavalieri franceschi, se ne venne cavalcando
-e predando il paese infino alla città di
-Tolosa; ma aggravando la mortalità quei paesi, si
-tornò addietro con grande preda. E fatta tregua
-dall’uno re all’altro, con grande onore del re d’Inghilterra,
-posò la guerra per alcuno tempo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap23-1">CAP. XXIII.
-<span class="smaller"><i>Come gli Ubaldini furo cominciatori della guerra
-che il comune di Firenze ebbe con loro.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo narrato de’ fatti de’ due reami, cominciano
-le novità della nostra città di Firenze.
-Negli anni di Cristo 1348, essendo gli Ubaldini in
-pace, ma in corrotta fede col nostro comune, fidandosi
-nelle loro alpigiane fortezze, cominciarono
-a ricettare sbanditi del comune di Firenze:
-e insieme con loro entravano di notte nel Mugello,
-rubando le case e uccidendo gli uomini, e ricoglieansi
-nell’alpe con le ruberie. E avendo fatto
-questo più volte di notte, il cominciarono a
-fare di dì. E tornando d’Avignone uno Maghinardo
-da Firenze con duemila fiorini d’oro, gli
-Ubaldini il seguirono e uccisono, rubandolo
-sul contado di Firenze. E non volendone fare
-ammenda alla richesta del comune, i Fiorentini
-mandarono nell’alpe suoi soldati a piè e a cavallo
-col capitano della guardia. E stati più dì sopra
-le terre e sopra i fedeli degli Ubaldini feciono
-loro gran danno, e senza alcuno contasto si tornarono
-a Firenze.
-</p>
-
-<h3 id="cap24-1">CAP. XXIV.
-<span class="smaller"><i>Come i fedeli del conte Galeotto si rubellarono
-da lui e dieronsi al comune di Firenze.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo anno, i fedeli del conte Galeotto de’
-conti Guidi si rubellarono da lui, perocchè lungamente
-<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span>
-gli avea male trattati, per sua crudeltà e
-dissoluta vita: e all’entrata del mese di marzo del
-detto anno gli tolsono il forte castello di san Niccolò,
-e tutte le sue terre e tenute intorno a quello,
-e ’l suo tesoro e arnesi, che n’era fornito nobilmente,
-e di presente si diedono al comune di
-Firenze. Il quale, perocchè il detto conte sempre
-avea nimicato il nostro comune, perocchè era
-ghibellino, ricevette la fortezza e gli uomini in
-sua giurisdizione e libera signoria, con quelle solenni
-cautele che i detti uomini poterono fare;
-e fecionli popolani e contadini, dando loro per alcuno
-tempo certe immunità. E ordinata la guardia
-delle castella nelle mani de’ cittadini, a’ popoli
-diede podestà che gli reggesse, e messe le castella
-e gli uomini ne’ suoi registri. Dinominò e
-intitolò l’acquisto, il contado di san Niccolò del
-comune di Firenze.
-</p>
-
-<h3 id="cap25-1">CAP. XXV.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini feciono guerra agli Ubaldini,
-e presero Montegemmoli e loro castella.</i></span></h3>
-
-<p>
-Vedendo i Fiorentini che la latrocina superbia
-degli Ubaldini non si gastigava per una battitura,
-feciono decreto, che ogni anno si dovesse
-tornare sopra di loro, tanto che fossono privati delle
-alpigiane spelonche. E per questa cagione, il
-verno furono chiamati otto cittadini uficiali sopra
-provvedere e fornire la guerra: i quali, del
-mese di giugno 1349, mandarono l’oste del comune
-nell’alpe, la quale si dirizzò a Montegemmoli,
-<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span>
-una rocca quasi inespugnabile: nella quale
-era Maghinardo da Susinana e due suoi figliuoli, con
-parecchie masnade di franchi masnadieri, i più usciti
-di Firenze. Era fuori della rocca in su la
-stretta schiena del poggio, alla guardia della via
-ch’andava al castello, una torre forte e bene armata:
-innanzi alla torre una tagliata in su la
-schiena del poggio, con forte steccato: e a questa
-guardia, per voglia di fare d’arme, i caporali de’
-masnadieri del castello erano scesi co’ loro compagni:
-e la gente del comune di Firenze avendo
-fermo il loro campo, a intendimento di vincere
-il castello per assedio, e molestarlo con dificii
-i quali vi faceano conducere, alquanti masnadieri
-s’appressarono verso la guardia della torre per
-badaluccare. I valenti masnadieri d’entro, per
-troppa baldanza, uscirono fuori della tagliata incontro
-alla gente de’ Fiorentini, badaluccando e facendo
-gran cose d’arme per lo vantaggio che
-aveano del terreno. In questo stante i cavalieri
-de’ Fiorentini montando il poggio per dare vigore
-a’ loro masnadieri, cominciarono a scendere
-de’ cavalli, e a pignersi innanzi con fanti e
-a’ nemici, i quali per non perdere il terreno, con
-folle prodezza attesono tanto, che i cavalieri e’ masnadieri
-de’ Fiorentini co’ balestrieri furono mischiati
-tra loro, innanzi che si potessono ritrarre
-alla fortezza. E volendosi ritrarre, per lo soperchio
-de’ loro avversari non poterono fare, che a
-un’ora con loro insieme non entrassono dentro
-alli steccati i masnadieri fiorentini, e a loro aiuto
-erano tratti tanti balestrieri, che non lasciarono a’
-nemici riprendere la fortezza della torre: anzi la
-<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span>
-presono per loro. E ritraendosi i masnadieri degli
-Ubaldini per loro scampo nella rocca, continuando
-la battaglia stretta alle mani, entrarono i
-Fiorentini cacciando gli avversari nel primo procinto.
-E crescendo della gente dell’oste la loro
-forza, presono tutto, fuori de’ palagi e torri dell’ultima
-fortezza, ov’era racchiuso Maghinardo e la
-moglie, e due suoi figliuoli con loro compagnia: i quali
-si difenderono vigorosamente. Essendo il dì e la
-notte combattuti dalla gente de’ Fiorentini, Maghinardo
-e’ figliuoli, benchè fossero in fortezza da potersi
-difendere lungamente, conobbono il loro pericolo.
-E sentendosi male d’accordo per loro quistioni
-con gli altri Ubaldini loro consorti, si deliberarono
-di dare la rocca a’ Fiorentini, e di volere
-essere contro a’ suoi consorti co’ Fiorentini.
-E fatti i patti, e fermi a Firenze, diedono la rocca
-libera al comune di Firenze: e il comune prese il
-saramento della fede promessa, li ricevette in
-amicizia e cittadinanza, e ordinarono loro la provvigione
-promessa: e dati loro cavalieri e pedoni si
-mossono a guerreggiare gli altri Ubaldini. E innanzi
-che l’oste de’ Fiorentini tornasse, assediò
-Montecolloreto, e presonlo; e misonvi fornimento
-e buona guardia. Andarono a Roccabruna ed
-ebbonla: ed entrarono nel Podere e presono Lozzole
-per trattato. E per trattato fu dato loro la
-signoria di Vigiano e di più altre tenute, che appartenevano
-al detto Maghinardo e a certi altri degli
-Ubaldini che feciono il comandamento del comune.
-E andarono intorno a Susinana, guastando
-le case e’ campi di fuori; e tentando di volerlo
-combattere, trovarono il castello sì forte e sì bene
-<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span>
-fornito alla difesa, che lasciarono stare, e andarono
-a Valdagnello, e dieronvi una battaglia,
-senza potervi acquistare per la fortezza del sito, e
-perchè era bene provveduto alla difesa: e però
-guastarono i campi e le ville d’intorno. E fornito
-che ebbono tutte le castella che aveano
-acquistate di vittuaglia e d’arme e di buona guardia,
-avendo fatto agli Ubaldini e a’ loro fedeli gran
-danno, del mese d’agosto, gli anni di Cristo 1349,
-senza alcuno impedimento, sani e salvi con vittoria
-si tornarono alla città di Firenze.
-</p>
-
-<h3 id="cap26-1">CAP. XXVI.
-<span class="smaller"><i>Come il re di Francia comperò il Dalfinato.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il re di Francia posandosi nella tregua col re
-d’Inghilterra, avendo papa Clemente sesto, suo
-protettore ne’ fatti temporali, perocchè per lui
-si teneva essere al papato, e amava sopra modo d’accrescere
-i suoi congiunti, i quali erano uomini
-del re di Francia, e però il re traeva in sussidio
-della guerra danari al bisogno; e le decime del
-reame e tutte grazie che volea domandare il
-papa senza mezzo l’otriava, trapassando l’onestà
-del suo pontificato: e perocchè i cardinali erano
-la maggior parte di suo reame, non si ardivano
-a contrapporre a cosa che volesse. Era in que’ dì
-il Dalfino di Vienna uomo molle, e di poca virtù
-e fermezza. Costui alcuno tempo tenne vita femminile
-e lasciva, vivendo in mollizie: ed appresso
-volle usare l’arme: e andò capitano per la Chiesa
-alle Smirne in Turchia, e dove poteva acquistare
-<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span>
-onore e pregio, tornò con poca buona fama:
-e per bisogno impegnò alla Chiesa il Dalfinato per
-fiorini centomila d’oro: ed essendo morta la
-moglie, credendo prosperare in abito chericile,
-sperando in quello divenire cardinale, vendè
-al re Filippo di Francia il Dalfinato, contro alla
-volontà de’ suoi paesani, e pagò la Chiesa: e fatto
-cherico fu dal papa promosso in patriarca....
-nel quale finì sua vita spegnendo la fama della
-casa sua. E il re di Francia, perdendo per la
-guerra d’Inghilterra in ponente, accresceva senza
-guerra in levante i confini al suo reame.
-</p>
-
-<h3 id="cap27-1">CAP. XXVII.
-<span class="smaller"><i>La cagione perchè il re d’Araona tolse
-Maiolica al re.</i></span></h3>
-
-<p>
-Vera cosa fu, che il re di Maiolica nella sua
-infanzia si nutricò co’ reali di Francia, e poi che
-fu re di Maiolica, essendo dissimigliante a’ Catalani
-onde traeva suo origine, mostrò d’essere
-molto scienziato e adorno di bei costumi. Disdegnò
-di rendere al re d’Araona l’omaggio debito,
-il quale si pagava con la reverenzia d’un bacio:
-e schifo della vita catalanesca e di loro costumi,
-seguiva i Franceschi; la qual cosa il fece
-sospetto al suo legnaggio. Cugino era del re d’Araona,
-e la sirocchia carnale avea per moglie,
-della quale avea figliuoli. Nondimeno il re d’Araona
-fece apparecchiamento d’arme contro a
-lui, e trattato occulto co’ cittadini di Maiolica. Per
-lo quale, essendo egli a Perpignano, e venendo sopra
-<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span>
-loro il re d’Araona, volendo mostrare di volersi
-difendere, il feciono venire in Maiolica,
-mostrando di volerlo atare fedelmente. Venuta
-la gente col re d’Araona, e scesa nell’isola, accogliendo
-il consiglio in Maiolica per volere dare
-ordine alla difesa, essendo tempo da potere scoprire
-il loro tradimento, feciono dire al loro re,
-o che facesse la volontà del re d’Araona, o che
-se n’andasse. Vedendosi tradito da’ suoi cittadini,
-i quali aveano già abbarrata la città contro a
-lui, si ricolse in fretta, per campare la persona,
-in una galea. E partendosi dell’isola, le porte
-della città furono aperte alla gente del re d’Araona:
-e data loro la signoria di tutta l’isola, con
-patto che ella non dovesse tornare per alcuno tempo
-al loro re nè a’ suoi discendenti.
-</p>
-
-<h3 id="cap28-1">CAP. XXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come il re di Maiolica vendè la sua parte di
-Mompelieri al re di Francia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il re di Maiolica essendo cacciato dell’isola
-da’ suoi sudditi, venuta l’isola nella signoria
-del re d’Araona, e avendo poco di quello che il
-suo titolo reale richiedea, disiderando d’accogliere
-moneta, e d’avere aiuto dal re di Francia, al
-cui servigio era stato lungamente nelle sue guerre
-e battaglie personalmente, il richiese con grande
-istanza d’aiuto, acciocchè potesse ricoverare lo
-suo, ma da lui non potè avere alcuno aiuto. E
-stretto da grave bisogno, vendè al detto re di
-Francia la propietà e giurisdizione ch’avea in comune
-<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span>
-consorteria col detto re nella metà di Mompelieri,
-per quello pregio che il re di Francia volle,
-a buono mercato. E come povero e sventurato
-re venia cercando modo di riacquistare l’isola
-di Maiolica. La qual cosa fu cagione della sua finale
-morte, come innanzi al suo tempo racconteremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap29-1">CAP. XXIX.
-<span class="smaller"><i>Come s’ordinò il generale perdono a Roma
-nel 1349.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo stato il giudicio della generale mortalità
-nell’universo per giusta cagione, fu supplicato
-al papa che nel prossimo futuro cinquantesimo
-anno la Chiesa rinnovellasse generale perdono
-in Roma. Il papa Clemente sesto, col consiglio
-de’ suoi cardinali, e di molti altri prelati e
-maestri in teologia, trovando che per lo dicreto
-fatto per papa Bonifazio, ogni capo di cento anni
-dalla natività di Cristo fosse ordinato generale
-perdono a Roma, per comune consiglio parve
-più convenevole, considerando l’età umana che
-è brieve, che il perdono fosse di cinquanta in
-cinquanta anni. Avendo ancora alcuno rispetto
-all’anno Iubileo della santa Scrittura, nel quale
-catuno ritornava ne’ suoi propri beni: e i propri
-beni de’ cristiani sono i meriti della passione di
-Cristo, per li quali ci seguita indulgenzia e remissione
-dei peccati. E per questa cagione la
-santa madre Chiesa fece decreto e ordine: che
-nel prossimo futuro cinquantesimo anno, per la
-natività di Cristo, cominciasse a Roma generale
-<span class="pagenum" id="Page_44">[44]</span>
-perdono di colpa e di pena di tutti i peccati a’
-fedeli cristiani i quali andassono a Roma, dal
-detto termine a uno anno, i quali fossono confessi
-e contriti de’ loro peccati, e vicitassono ogni dì
-la chiesa di santo Pietro e di santo Paolo e di santo
-Giovanni Laterano. E le dette visitazioni furono
-stribuite a’ Romani trenta dì continovi, salvo che
-quello si omettesse si potesse con un altro ristorare;
-ed agl’Italiani quindici dì, e agli oltramontani
-a tali dieci, a tali cinque dì, e meno, secondo
-la distanza de’ paesi. E nondimeno la Chiesa
-discretamente provvide, per molti e diversi casi
-e cagioni che possono avvenire, ch’e’ cardinali
-e gli altri legati che andarono per lo mondo, e
-stettono a Roma, avessono autorità di potere dispensare
-del tempo come a loro paresse. E le
-lettere furono fatte e mandate per corrieri sotto
-le bolle papali. In prima per tutta la cristianità,
-e appresso per suoi legati a predicare per tutto le
-sante indulgenze, acciocchè ciascuno s’apparecchiasse
-e disponesse a potere ricevere il santo
-perdono. In Italia furono mandati due cardinali,
-quello di Bologna sopra lo Mare, messer Annibaldo
-di Ceccano, e messer Ponzo di Perotto di Linguadoca
-vescovo d’Orbivieto, uomo onesto, e di grande
-autorità, il quale era vicario di Roma per lo
-papa: fu commessa piena e generale legazione a
-potere a tutti dispensare il tempo delle dette visitazioni
-come a lui paresse, ch’era presente
-continuo nella città di Roma. Lasciando alquanto
-la santa disposizione del perdono, ci occorrono
-meno piacevoli, e più gravi cose al presente a
-raccontare.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap30-1">CAP. XXX.
-<span class="smaller"><i>Come il re di Maiolica andò per racquistare
-l’isola, e fuvvi morto.</i></span></h3>
-
-<p>
-Lo sventurato re di Maiolica non trovando
-aiuto dal re di Francia, cui egli avea lungamente
-servito nelle sue guerre, nè dal papa, nè da
-alcuno altro signore, strignendolo la volontà
-e ’l bisogno di racquistare l’isola, come disperato
-d’ogni aiuto, avendo venduta la sua parte
-di Mompelieri, accattò danari dal re di Francia
-sopra la villa di Perpignano, ch’altro non gli
-era rimaso, e condusse cavalieri e pedoni, e
-dodici galee di Genovesi fece armare al suo soldo,
-e alcuno navilio di carico; sperando, quando fosse
-con forza d’arme nell’isola, gli uomini del suo
-regno tornassono a lui, come forse a inganno gli
-era dato intendimento, perocchè con alquanti era
-in trattato. Apparecchiata l’oste, e ’l navilio con
-le dodici galee armate, del mese di... del
-detto anno si mise in mare; e senza impedimento
-arrivò nell’isola di Maiolica, presso alla città a
-dieci miglia; e ivi scesi in terra, s’accampò
-con quattrocento cavalieri e cinquecento masnadieri,
-aspettando che coloro della città con
-cui avea trattato, e il popolo della terra il volessono
-come loro benigno e natural signore. Le
-dodici galee de’ Genovesi avendo messo in terra
-il re, o che fosse di suo comandamento, per mostrarsi
-più forte agli uomini dell’isola, o per
-altre cagioni, si partirono da quella parte ove
-<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span>
-il re avea posto il campo, e girarono da un’altra
-parte del’isola; e rimaso il re, e ’l figliuolo, e
-l’altra gente senza il favore delle dodici galee,
-della città di Maiolica subitamente uscirono più
-di seicento cavalieri con grandissimo popolo,
-e vennero contro all’oste del re per combattere
-con lui. Il re vedendosi i nimici appresso,
-potea stare alle difese tanto che tornassero
-le sue galee: ma con vana confidanza de’ suoi
-regnicoli, che non dovessero resistere contro a
-lui, senza attendere punto, si volle mettere alla
-battaglia, per trarre a fine la sua impresa come
-la fortuna il menava. E ordinata la sua gente, e
-confortata a ben fare, mostrando che quivi
-non era altro rimedio che nel bene operare la
-virtù delle loro persone, sì fedì tra i nemici, i
-quali erano cavalieri catalani, maggiore quantità
-e migliore gente che i suoi soldati, e guidati da
-buoni capitani, i quali ricevettono il re e i suoi
-cavalieri francamente, per modo, che in poca
-d’ora furono sconfitti, e il re morto. Il quale se
-avessono voluto potieno ritener prigione, ma
-rade volte in fatti d’arme tra’ Catalani si trova
-mansuetudine: il figliuolo fu preso, e rappresentato
-al zio re d’Araona, l’altra gente fu rotta
-e sbarattata, e l’isola rimase libera al re d’Araona,
-e Mompelieri e Perpignano al re di Francia.
-</p>
-
-<h3 id="cap31-1">CAP. XXXI.
-<span class="smaller"><i>Come i baroni italiani e catalani per loro
-discordie guastarono l’isola di Cicilia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo detto dell’isola di Maiolica, quella di
-<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span>
-Cicilia ci s’offera con dissimigliante fortuna. Essendo
-per la mortalità morto il valoroso duca
-Giovanni, balio e governatore dell’isola di Cicilia,
-rimaso picciolo fanciullo di dieci anni messer
-Luigi figliuolo che fu di don Pietro, il quale
-si fece appellare re di Cicilia, a cui aspettava l’eredità
-del detto reame. Costui avea due fratelli
-minori di se, l’uno chiamato Giovanni, l’altro
-Federigo. E non essendo della casa reale nessuno
-in età che governasse l’isola per lo fanciullo,
-discordia nacque tra i baroni: e dall’una
-parte erano i Palizzi caporali, e con loro teneano
-quelli di Chiaramonte, e’ conti di Vintimiglia, e
-i discendenti conti della casa degli Uberti di Firenze,
-de’ quali era capo il conte Scalore, e con costoro
-teneano quasi la maggiore parte degl’Italiani
-dell’isola. E questi si faceano chiamare la parte del
-re, e a loro segno rispondeano le migliori città della
-marina dell’isola, Messina, Siracusa, Melazzo,
-Cefalu, Palermo, Trapani, Mazzara, Sciacca, Girgenti,
-Taormina, e gran parte delle buone terre e
-castella fra la terra dell’isola. E dall’altra parte
-era don Brasco d’Araona caporale con gli altri
-Catalani dell’isola, e il figliuolo di Giovanni Barresi
-colla sua casa, genero di don Brasco, e molti
-altri di Catania, i quali aveano a loro segno alla
-marina la città di Catania, Iaci, Alicata, Tose, la
-Catona, e il capo d’Orlando; e fra terra grande
-numero di città e di castella. E per simigliante modo
-si faceano costoro chiamare la parte del re. E
-per le loro divisioni cominciarono a far guerra l’uno
-contra l’altro. E catuna parte s’armava, e afforzava
-d’avere seguito di gente dell’isola: e catuno
-<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span>
-volea governare il reame per lo re, e non potendosi
-trovare via d’accordo tra loro, cominciarono
-a cavalcare l’uno sopra l’altro; e dove si scontravano
-si combatteano mortalmente. E spesso rompea
-e sconfiggea l’una gente l’altra, e senza misericordia
-a tenere prigione s’uccidevano insieme,
-e montando la loro sfrenata mala volontà, cominciarono
-ad ardere le loro possessioni e le biade
-ne’ campi, come fossono in terra di nimici; e
-facendo questo guasto, oggi in una contrada, e domani
-nell’altra, consumarono il paese senza alcuna
-misericordia. E seguitando l’uno dì appresso
-dell’altro questa pestilente furia tra loro,
-in poco tempo fu tanta tribolazione tra’ paesani,
-e tanta disfidanza, che lasciarono il coltivamento
-delle terre, e il nutricamento del bestiame: onde
-avvenne che quello paese, il quale per antico
-era fontana viva di grano, e di biade, e d’ogni vittuaglia,
-a spandere per lo mondo tra i cristiani
-e tra i saracini, che solo tra loro nell’isola non
-avea che manicare; e il bestiame per simigliante
-modo fu consumato e disperso. Per la quale
-cosa avvenne che l’anno 1349 a Palermo, e a più
-altre città, per inopia convenne si provvedesse
-per comune consiglio grano mescolato con orzo,
-e dare ogni settimana certa piccola distribuizione
-per testa d’uomo, acciocchè potessono miserevolmente
-mantenere la loro vita. E non potendosi
-sostentare i popoli con questa misera provvisione,
-convenne che il popolo minuto in gran
-parte per nicistà abbandonasse l’isola, e molti ne
-fuggirono in Calavra e nel’isola di Sardigna
-per scampare dalla fame la loro vita. E questa
-<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span>
-pestilenzia non avvenne a’ Ciciliani per sterilità di
-tempo avverso, che i campi aveano da Dio la loro
-stagione fertile, e abbondevole della grazia del cielo.
-E non era tolto loro il coltivamento da nimici
-strani, nè per rubellione di loro signorie, nè per
-odio del paese, ch’era patria de’ suoi abitanti a catuna
-parte e reame d’uno medesimo re: ma stimasi
-avvenisse per dimostrazione del peccato
-della ingratitudine dell’abbondanza di troppi beni,
-e a dimostrare come è divoratrice senza rimedio
-d’ogni buono stato la cittadinesca discordia,
-e il divoratore fuoco della laida invidia.
-</p>
-
-<h3 id="cap32-1">CAP. XXXII.
-<span class="smaller"><i>Come il re Filippo di Francia e ’l figliuolo
-tolsono moglie.</i></span></h3>
-
-<p>
-Era nella mortalità morta la moglie del re Filippo
-di Francia, madre di messer Giovanni primogenito,
-Dalfino di Vienna, la quale fu sirocchia
-del duca di Borgogna, e la moglie di messer
-Giovanni suo figliuolo, figliuola che fu del re
-Giovanni di Boemia della casa di Luzimborgo,
-della quale rimasono quattro figliuoli maschi, che
-’l primo nomato Carlo fu duca di Normandia,
-e il secondo messer Luigi conte d’Angiò, e il terzo
-messer Giovanni conte di Pittieri, e il quarto
-minore messer Filippo: e tre figliuole, che la
-maggiore fu reina di Navarra, la seconda monaca
-del grande monasterio di Puscì, e un’altra piccola
-nominata Lisabetta. Ed essendo catuno senza
-moglie, il duca Giovanni trattava di torre per moglie
-<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span>
-la sirocchia del re di Navarra, ch’era delle
-più belle giovani e di maggiore pregio di virtù
-che niun’altra di que’ paesi, e tenevane bargagno.
-Il re Filippo suo padre sapendo che il figliuolo
-trattava d’avere questa damigella per moglie,
-un dì che ’l duca suo figliuolo era cavalcato fuori
-del paese, mandò per questa giovane: e come
-fu venuta, senza fare altro trattato la tolse per
-moglie, perocchè ’l piacere della sua bellezza
-non gli lasciò considerare più innanzi. Tornato
-il figliuolo se ne indegnò forte, e alla festa delle
-nozze del padre non volle essere. Ma passato
-alcuno tempo, richiamato dal padre, venne a
-lui. E riprendendolo il re dolcemente, gli disse:
-caro figliuolo, se voi amavate avere a donna
-questa damigella, voi non dovevate tener bargagno.
-Onde egli conoscendo suo difetto, rimase
-contento. E allora il padre gli diè per
-moglie un’altra nobile dama della casa di Bologna
-su lo mare, ch’era stata moglie del
-duca di Borgogna: della qual cosa i Borgognoni
-furono mal contenti, essendo rimaso un
-picciolo fanciullo della detta donna, il quale dovea
-essere loro duca. E per lo detto maritaggio
-vendè la donna il governamento del figliuolo
-con la forza del re, e il re occupò parte della giuridizione
-di Borgogna, onde i baroni e’ paesani
-forte si sdegnarono contro al loro re. Ma perocchè
-il re di Francia per troppa giovinile vaghezza
-avea offeso il figliuolo e se, poco tempo stette
-con la sua giovane e vaga donna, che sforzando
-la natura già senile nella bellezza della damigella,
-raccorciò il tempo della sua vita, come
-<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span>
-appresso al debito tempo racconteremo, narrando
-prima com’egli fu ingannato dagl’Inghilesi.
-</p>
-
-<h3 id="cap33-1">CAP. XXXIII.
-<span class="smaller"><i>Come il re di Francia fu ingannato del trattato
-di Calese con gran danno.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il re Filippo avendo l’animo curioso di trarre
-del suo reame la forza del re d’Inghilterra,
-il quale teneva il forte castello di Calese
-in su la marina, non potendo per forza farlo,
-pensava fornirlo per danari con trattato. Alla
-guardia di Calese era uno gentile uomo d’Inghilterra,
-con sue masnade di cavalieri e di sergenti.
-Il re di Francia il fece tentare se per danari gli
-rendesse il castello. L’Inghilese avveduto diede
-orecchie al fatto, e senza indugio il fece segretamente
-sentire al suo signore; il quale confidandosi
-nella fede di costui, gli diede per comandamento
-che menasse saviamente il trattato
-infino al fatto. Costui seguitò con molta astuzia,
-tanto, che per la sfrenata volontà che il re di
-Francia avea di racquistarlo, s’indusse a dare i
-danari innanzi, attenendosi alla fede del castellano,
-e dielli, come era il patto, seimila scudi
-d’oro, di ventimila che per lo patto gli dovea
-dare, e del rimanente gli fece quelle fermezze
-che volle, che mettendo dentro nel castello quella
-gente che il re volesse, in sul ponte compierebbe
-il pagamento. E così data la fede da catuna
-parte, il re di Francia commise la bisogna
-ad alquanti suoi baroni: i quali incontanente
-<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span>
-forniti di cavalieri e di sergenti d’arme in
-grande quantità, cavalcarono al castello; e come
-ordinato era per lo castellano, aperta la porta, e
-calato il ponte, mise dentro nel castello coloro
-cui i Franceschi vollono, perchè vedessero a
-loro sicurtà che dentro non vi fosse altra gente
-che la sua alla guardia, acciocchè si assicurassono
-a fare il rimanente del pagamento; e a
-costoro, com’egli avea provveduto, fece sì vedere,
-che del nascoso aguato non si avvidono. Onde
-i Franceschi vinti dalla sprovveduta baldanza,
-s’affrettarono a fare sul ponte il pagamento
-del rimanente fino ne’ ventimila scudi d’oro al
-castellano, ed egli mise dentro nel castello una parte
-de’ Franceschi, mostrando di volere assegnare
-loro la fortezza del castello, e l’altra oste
-s’attendea di fuori. Il re d’Inghilterra, che avea
-fatto menare questo trattato, era di notte venuto
-nel castello egli e il figliuolo con buona compagnia
-di gente eletta e fidata, come a quello affare
-gli parve competente, i quali si stettono riposti
-per modo, ch’e’ Franceschi non se ne poterono
-avvedere. I Franceschi che si credettono
-senza inganno essere signori del castello, da più
-parti furono subitamente assaliti dal re e da
-sue genti. E bene che gl’Inghilesi fossono pochi
-a rispetto de’ Franceschi, per lo improvviso e
-subito assalto i Franceschi ch’erano nel castello
-sbigottirono, e temettono, vedendosi a stretta, e
-non essendo usi di cotali baratti, per sì fatto modo,
-che poco feciono resistenza. Gl’Inghilesi di
-presente, come ordinato fu, presono le vie e le
-porti, e ’l castellano che si mischiava al cominciamento
-<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span>
-co’ Franceschi d’entro si rivolse contro
-a loro. E vedendo i Franceschi che non aveano
-l’uscita libera della terra, lasciarono l’arme,
-e arrenderonsi prigioni al re d’Inghilterra. E
-fatto questo, a’ Franceschi di fuori fu la cosa sì
-maravigliosa, che fortemente spaventarono.
-E sentendo questo il re e’ suoi presono ardire,
-e uscirono fuori addosso agli spaventati, con
-grandi strida e ardire. E non ostante che i
-Franceschi fossono presso a dieci per uno degl’Inghilesi, tanta
-paura gli vinse, che si misono
-in fuga, e abbandonarono il campo. Ed essendo
-seguitati alquanto dagl’Inghilesi, che non
-gli poterono troppo seguitare perchè aveano pochi
-cavalli, presine e morti alquanti, con doppia
-vittoria si ritornarono nel castello.
-</p>
-
-<h3 id="cap34-1">CAP. XXXIV.
-<span class="smaller"><i>Come messer Carlo eletto imperadore fu presso
-che morto di veleno.</i></span></h3>
-
-<p>
-Nella cronica del nostro anticessore è fatta
-memoria, come la santa Chiesa di Roma, sappiendo
-come Carlo figliuolo del re Giovanni di
-Boemia era di virtù e di senno e di prodezza
-il più eccellente prenze della Magna, morto il
-Bavaro, che lungo tempo in discordia colla
-Chiesa avea occupato lo ’mperio, non ostante
-che il re Giovanni vivesse, ordinò di farlo eleggere
-allo ’mperio. Ed essendo in discordia gli
-elettori, perocchè l’arcivescovo di Maganza non
-gli volea dare la boce sua, papa Clemente trovando
-<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span>
-ch’egli era stato de’ fautori del Bavaro, il
-privò dell’arcivescovado, ed elessene un altro;
-il quale avendo il titolo, non ostante non avesse
-la possessione, come il papa volle diede la sua
-boce al detto Carlo, e così ebbe piena la sua elezione.
-Costui eletto era impotente di cavalleria
-e di moneta a potere mantenere campo ad Aia la
-Cappella quaranta dì, a rispondere con la forza
-dell’arme a chi lo volesse contastare, secondo la
-consuetudine degli eletti imperadori: e però
-santa Chiesa dispensò con lui questa ceremonia,
-e levollo dal pericolo e dalla spesa. E in questo
-servigio la Chiesa prese saramento da lui, che venendo
-alla corona egli perdonerebbe a’ comuni di
-Toscana ogni offesa fatta all’imperadore Arrigo
-suo avolo e agli altri imperadori, e tratterebbegli
-come amici senza alcuna oppressione. Dopo
-questo, morto il padre nella battaglia del re
-di Francia, come detto è, a costui succedette, e
-fu chiamato re di Boemia. E cercando d’accogliere
-forza per potere venire alla corona dello
-imperio, ed essendo poco pregiato e meno ubbidito
-dagli Alamanni, tenendosi gravati della
-sua elezione, egli umile si stava chetamente in
-Boemia aspettando suo tempo. La reina con
-femminile consiglio volendo attrarre l’amore
-del marito dall’altre donne, ch’era giovane,
-avvegnachè assai onesta, gli fece dare a
-mangiare certa cosa, la quale mangiata dovea
-crescere l’amore alla sua donna. Nella qual cosa,
-o erba o altro che mescolato vi fosse che tenesse
-veleno, come presa l’ebbe, ne venne a pericolo
-di morte; e per aiuto di grandi e subiti
-<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span>
-argomenti, pelato de’ suoi peli, ricoverò la salute
-del suo corpo. Della qual cosa facendo condannare
-a morte due suoi siniscalchi per giustizia, la
-reina, parendo che per sua semplice operazione,
-più che per colpa che avessono, i famigli del
-loro eletto imperadore fossono per morire innocenti,
-s’inginocchiò dinanzi al re dicendo, come
-que’ cavalieri non aveano colpa di quello accidente,
-ma se colpa c’era, era sua: perocchè per
-femminile consiglio, volendo più attrarre a se il
-suo amore, non credendo far cosa che offendere
-il dovesse, li fece dare quella cosa a bere,
-ovvero a mangiare: e però, se giustizia se n’avea
-a fare, ella era degna per la sua ignoranza
-d’ogni pena, e non coloro ch’erano innocenti.
-Il discreto signore udite queste parole, considerò
-la fragilità e la natura delle femmine, e colla sua
-mansuetudine inchinò l’animo all’errore dell’amore
-femminile, e con molta benignità perdonò
-alla reina dolcemente, e liberò i suoi siniscalchi,
-rimettendogli ne’ loro ufici e onori. Alcuni
-dissono, che messer Luchino de’ Visconti di Milano
-il fece avvelenare per tema di perdere la sua
-tirannia. Ed essendo lo eletto imperadore nel
-pericolo della morte, si disse che promise a Dio
-se campasse, che perdonerebbe a chi l’avesse offeso
-e non ne farebbe alcuna vendetta; e quale
-che fosse la cagione, l’effetto seguitò, che vendetta
-nessuna fece.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap35-1">CAP. XXXV.
-<span class="smaller"><i>Come il re Luigi prese più castella.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornando a’ fatti d’Italia, il re Luigi fatto
-cavaliere, e dato alcuno ordine a’ fatti del Regno
-che l’ubbidia, avvedutosi de’ baroni che teneano
-col re d’Ungheria, innanzi che volesse procedere
-a fare altra impresa attese a volere racquistare
-le castella di Napoli. E prima cominciò
-al castello di Santermo sopra la detta città,
-e quello per viltà di coloro che l’aveano a guardia,
-temendo delle minacce più che della forza
-della battaglia ch’era loro cominciata, essendo
-da potersi bene difendere, s’arrenderono al
-re. E avendo vittoriosamente acquistato questo
-castello, se ne venne a quello di Capovana, che
-è all’entrata della città, fortissimo, da non potersi
-vincere per battaglia. Coloro che dentro v’erano
-alla difesa cominciarono a resistere al primo
-assalto; ma inviliti per la presura di quello di
-Santermo, e più perchè non vedeano apparecchiato
-loro soccorso, trattaron la loro salvezza, e
-renderono il castello al re. Avuto il re questi due
-forti castelli con poca fatica, s’addirizzò al castello
-dell’Uovo fuori di Napoli sopra il mare,
-il quale per battaglia non si potea avere, ma era
-agevole ad assediare, che tutto era in mare, salvo
-d’una parte si congiungeva con una cresta
-del poggio, in sul quale il re fece fare un
-battifolle. Que’ del castello sappiendo che il
-loro soccorso non potea essere d’altra parte che
-<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span>
-per mare, e in quello mare non era alcuna forza
-del re d’Ungheria, innanzi che si volessono recare
-allo stremo patteggiarono col re, e renderongli
-il castello. Avute il re prosperamente
-queste tre castella in poco tempo, fece molto rinvigorire
-gli animi de’ Napoletani. E vedendo che
-non v’era rimaso altro che il castello Nuovo
-a capo alla città, dove era l’abitazione
-reale, il quale era sopra modo forte e bene fornito,
-tanto era cresciuta la baldanza, che nel
-fervore del loro animo con molto apparecchiamento
-si misono a combatterlo da ogni parte,
-con aspra e fiera battaglia. Ma dentro v’era Gulforte
-fratello di Currado Lupo, cui il re d’Ungheria
-avea lasciato vicario suo, ed era accompagnato
-di buona masnada, e bene fornito alla difesa,
-sicchè per niente si travagliarono della battaglia.
-E certificati che per forza non lo potevano
-avere, e che Gulforte era fedele al suo signore,
-presono consiglio d’abbarrare tra il castello
-e la città, e così fu fatto, e misonvi buona guardia;
-sicchè fuori che dalla marina il castello era
-assediato. E poi senza combattere o assalirlo,
-l’una gente e l’altra si stettono lungamente.
-</p>
-
-<h3 id="cap36-1">CAP. XXXVI.
-<span class="smaller"><i>Come il re Luigi prese il conte d’Apici.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo il re Luigi vittoriosamente racquistato
-tre così forti castelli, e lasciando il quarto
-assediato per terra e per mare, con la sua cavalleria,
-e con le masnade del doge Guernieri
-<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span>
-si mise a cavalcare sopra i baroni che teneano
-col re d’Ungheria, e in prima andò sopra il
-conte d’Apici, figliuolo del conte d’Ariano. Il
-conte vedendosi venire il re addosso con gran
-forza d’uomini d’arme, si racchiuse in Apici,
-e ivi s’afforzò alla difesa come potè il meglio.
-Il re faceva spesso assalire la terra. Vedendo il
-conte che non attendea soccorso, e che il castello
-non era forte da poter fare lunga difesa,
-s’arrendè alla misericordia del re: il quale trattò
-d’avere di suoi danari trentamila fiorini d’oro,
-e rimiselo nel suo stato, riconciliato alla sua grazia.
-</p>
-
-<h3 id="cap37-1">CAP. XXXVII.
-<span class="smaller"><i>Come il re Luigi assediò Nocera.</i></span></h3>
-
-<p>
-Prosperando la fortuna il re Luigi nelle lievi
-cose, gli dava speranza di prendere le maggiori,
-e però si mise di presente con tutta sua gente
-nel piano di Puglia, e dirizzossi a Nocera de’ saracini,
-che si guardava per la gente del re d’Ungheria.
-Ma perocchè la città era grande, e guasta
-e male acconcia a potersi difendere, sentendo
-gli Ungheri che dentro v’erano l’avvenimento
-del re con la sua gente, abbandonarono la terra,
-e ridussonsi nella rocca di sopra, ch’era larga, e
-molto forte alla difesa, e ivi ridussono tutte le
-loro cose. E sopravvenendo il re Luigi, senza
-contasto con tutta sua gente entrarono nella città:
-e trovando il castello sopra la terra forte e bene
-guernito alla difesa, conobbono che non era da
-potersi vincere per forza di battaglie, e però non
-<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span>
-tentarono di combatterlo: ma avendo la città in
-loro balía, afforzarono in ogni parte intorno alla
-rocca, e puosonvi l’assedio, sperando d’averla,
-poichè gli Ungheri e i Tedeschi erano per la
-mortalità malati e mancati, e molti se n’erano iti
-per lo mancamento del soldo, e non era loro avviso
-che a tempo potessono avere soccorso; e però
-tenendo que’ del castello di Nocera assediati, cavalcarono
-tutto il piano di Puglia infino presso
-a Barletta; e avendo cominciato a prendere ardire,
-trovando che Currado Lupo vicario del re
-d’Ungheria non avea forza d’entrare in campo
-col re Luigi, nè di soccorrere gli assediati
-di Nocera, era assai possibile al re di mantenere
-l’assedio, e di fare tornare l’altre terre di Puglia
-a sua volontà, cavalcando con la sua forza
-il paese. Ma il fallace duca Guernieri, ch’avea
-milledugento cavalieri tedeschi in sua compagnia,
-conoscendo il tempo che far lo potea signore
-e trarlo di guerra, si mise a fargli quistione,
-e non lo lasciò muovere dall’assedio, nè andare
-all’altre terre per lungo tempo: dando luogo a
-Currado Lupo avversario del re di potersi provvedere
-al soccorso, e il re non era potente da
-se di cavalleria nè di moneta che senza il doge
-potesse fornire le sue bisogne, e però convenia
-che seguisse più la volontà corrotta del doge
-Guernieri che la sua. E non avea ardimento
-di mostrare sospetto di lui, per paura che peggio
-non gli facesse, e da se nol potea partire senza
-peggiorare sua condizione, e crescere la forza
-e ’l vigore a’ suoi nimici. Ed essendo così intrigato
-e male condotto, per avere un capo a
-<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span>
-tutti i suoi soldati, perdè tempo più di cinque mesi
-al disutile assedio, e diede tempo a’ nimici di procacciare
-aiuto e soccorso, come fatto venne loro,
-come appresso racconteremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap38-1">CAP. XXXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come Currado Lupo liberò Nocera.</i></span></h3>
-
-<p>
-Mentre che l’assedio si manteneva per lo re
-Luigi a Nocera, Currado Lupo, ch’era rimaso
-alla guardia del reame per lo re d’Ungheria,
-intese a sollicitare il re, tanto che gli mandò
-una quantità di danari per ristorare la gente
-che per la mortalità gli era mancata: il quale
-di presente cavalcò in Abruzzi, e condusse de’ cavalieri
-tedeschi ch’erano in Toscana e nella
-Marca, tanti, che co’ suoi si trovò con duemila
-barbute: e lasciatine una parte alla guardia delle
-terre che per lui si teneano, e eletti milledugento
-cavalieri in sua compagnia, si propose di
-soccorrere gli assediati del castello di Nocera.
-Il re Luigi avendo sentito come Currado Lupo
-avea accolta gente per venire contra lui, di presente
-mandò il conte di Minerbino, e il conte
-di Sprech Tedesco, con ottocento cavalieri a
-impedire i passi, che Currado Lupo co’ suoi cavalieri
-non potesse entrare nel piano di Puglia.
-Ma il detto Currado, come franco capitano
-e sollecito, la notte si mise a cammino, e fu
-prima, partendosi da Guglionese, valicato i passi
-ed entrato nel piano di Puglia, che la gente del
-re fosse a impedirlo, e senza arresto, co’ suoi
-<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span>
-cavalieri in quello dì cavalcarono quaranta miglia,
-e la sera giunsono a Nocera in sul tramontare
-del sole; e perocchè erano molto affaticati
-della lunga giornata, e i cavalli stanchi e
-l’ora tarda, se n’entrarono nel castello senza fare
-altro assalto, o riceverlo dalla gente del re Luigi.
-E questo avvenne, imperciocchè del subito avvenimento
-sbigottì forte la gente del re, e
-specialmente essendo assottigliato l’oste, e non
-sappiendo che della loro gente andata a’ passi si
-fosse avvenuto. Il re veggendo la sua gente sbigottita,
-prese l’arme e montò a cavallo, e confortò
-francamente i suoi: e sopravvenendo la
-notte, in persona ordinò buona e sollecita guardia,
-attendendo il ritorno de’ suoi cavalieri. I
-nimici ch’erano stanchi intesono a mangiare, e
-a confortare la loro gente, e dare riposo a’ loro cavalli,
-per essere la mattina alla battaglia.
-</p>
-
-<h3 id="cap39-1">CAP. XXXIX.
-<span class="smaller"><i>Come il re Luigi rifiutò la battaglia con
-Currado Lupo.</i></span></h3>
-
-<p>
-La mattina seguente, Currado Lupo innanzi
-che scendessono del castello nel piano, mandò a
-richiedere il re Luigi di battaglia, e per segno
-di ciò gli mandò il guanto per lo suo trombetta;
-il re ricevette il guanto, e con dimostramento
-di franco cuore e d’ardire, senza tenere altro
-consiglio promise la battaglia: perocchè la notte
-medesima il conte di Minerbino e ’l conte di
-Sprech erano tornati con la loro gente al soccorso
-<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span>
-del re. Currado avendo la risposta dal re, come
-accettava di venire alla battaglia, non ostante
-che il re avesse assai più gente di lui, confidandosi
-nella buona gente che avere gli pareva, e
-conoscendo la condizione del doge Guernieri, e
-forse intendendosi con lui, scese del castello con
-tutta sua cavalleria, e ancora con gli Ungheri
-ch’erano nel castello a cavallo, e valicato per
-una parte della città ch’era in loro signoria,
-con dimostramento di grande ardire si schierò
-nel piano dirimpetto alla città, aspettando che
-il re venisse con la sua gente alla battaglia. E
-vedendo che non venia, un’altra volta il mandò
-a richiedere di battaglia. Il re avendo volontà
-di combattere sommovea i suoi baroni e
-gli altri cavalieri a ciò fare, con grande istanzia:
-il doge Guernieri, quale che cagione il
-movesse, che dubbia era la sua fede, vedendo
-il re acceso alla battaglia, fu a lui, e con dimostramento
-di savio e buono consiglio, e con
-belle parole il ritenne, mostrandogli che folle
-partito era a quel punto prendere battaglia,
-allegando che per due cose sole si dovea combattere,
-l’una per necessità, e l’altra per grande avvantaggio,
-e quivi non era nè l’una nè l’altra. E
-forse che il consiglio suo fu più salutevole che
-malvagio a quel punto, il re vedendo il consiglio
-del duca, e temendo di non essere seguito
-nella battaglia da lui nè da’ suoi cavalieri, si
-ritenne in Nocera, ontosamente schernito da’ suoi
-avversari, i quali schierati in sul campo faceano
-vergogna al re, perchè non usciva alla battaglia
-come promesso avea; e avendo aspettato infino
-<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span>
-al mezzodì, e trombato e ritrombato per attrarre
-la gente del re alla battaglia, e veggendo
-non erano acconci a uscire della terra, si partì
-di là ordinatamente con le schiere fatte, e dirizzossi
-verso la città di Foggia, ch’era ivi presso
-nello piano di Puglia, e in quella, ch’era senza
-guardia e senza sospetto, s’entrò di cheto, senza
-trovare alcuno riparo. E trovandola piena d’ogni
-bene, quivi s’alloggiarono, facendo delle case,
-e delle masserizie, e della vittuaglia, e delle
-donne maritate e delle pulzelle la loro sfrenata
-volontà, e ogni sustanza di quella terra si recarono
-prima in uso, e poscia in preda. E quivi
-in prima si cominciò ad assaggiare la preda dello
-avere del Regno da’ Tedeschi e dagli Ungari, la
-quale assaggiata vi attrasse da ogni parte i soldati,
-come gli uccelli alla carogna, in grave danno
-di tutto il paese, come procedendo per li tempi
-in nostra materia dimostreremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap40-1">CAP. XL.
-<span class="smaller"><i>Della materia medesima.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo Currado Lupo con la sua gente in
-Foggia, con grande baldanza presa contro al re
-Luigi, intendendosi col duca Guernieri, afforzò
-la città di Foggia, per potere contastare al re il
-ritorno per la via del piano in Terra di Lavoro.
-E così fece lungamente, crescendo continuamente
-la sua gente di cavalleria e masnadieri,
-perchè viveano di prede, e avanzavano sopra i
-paesani non usi di guerra, nè provveduti alla loro
-<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span>
-difesa. Il re avendo scoperto come dal duca
-Guernieri non potea avere servigio che utile gli
-fosse, e che fidare non se ne potea, stato due
-mesi a Nocera senza alcuno frutto, con grande
-abbassamento di suo stato e onore, poichè Currado
-Lupo entrò in Puglia, prese suo tempo, e
-girando la Puglia, dilungandosi da’ nimici ch’erano
-in Foggia, entrò in Ascoli, e ivi stato pochi
-dì se ne venne a Troia, e di là per Terra beneventana
-si tornò a Napoli senza contasto.
-</p>
-
-<h3 id="cap41-1">CAP. XLI.
-<span class="smaller"><i>Come morì il re Alfonso di Castella.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo anno, del mese di marzo, morì il re
-Alfonso di Castella, lasciando Pietro suo figliuolo
-legittimo, nato della reina sirocchia del re di
-Portogallo, d’età di quindici anni, e sette suoi
-fratelli nati di donna Dianora, grande e gentile
-donna di Castella, la quale il detto re amò
-sopra la reina, e tennela ventiquattro anni.
-Morto il re, don Pietro fu coronato del reame,
-ed essendo troppo giovane, i maggiori baroni
-per tre anni ebbono a governare il reame. E venuto
-il re Pietro in età di diciotto anni, con malizia,
-e con senno e con ardire, di gran cuore
-prese il governamento di suo reame, e trassene
-i baroni, e cominciò aspramente a farsi ubbidire;
-perocchè temendo de’ suoi baroni, trovò modo
-di fare infamare l’uno l’altro, e prendendo cagione,
-gli cominciò a uccidere colle sue mani,
-e in breve tempo ne fece morire venticinque: e
-<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span>
-tre suoi fratelli fece morire e la loro madre, e
-gli altri perseguitò: ed eglino valenti e di gran
-seguito e ardire si ridussono in loro castella, e
-feciono al re aspra guerra. E ora fu, che l’uno
-di loro, ch’era conte di... in uno abboccamento
-ebbe prigione il re, e consentì che si
-fuggisse per grande benignità, e in fine si partì
-di Spagna, e tornossene col fratello in Araona.
-</p>
-
-<h3 id="cap42-1">CAP. XLII.
-<span class="smaller"><i>Come il doge Guernieri fu preso in Corneto
-dagli Ungheri.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornato il re Luigi a Napoli, non avendo potuto
-acquistare in Puglia alcuna cosa, ma peggiorata
-la sua condizione, acciocchè le terre e’ baroni
-di sua parte non prendessono troppo sconforto
-della sua partita, mandò in Puglia il doge Guernieri
-con quattrocento cavalieri, e commisegli la
-guardia di coloro che teneano con esso lui, e che
-raffrenasse la baldanza de’ suoi avversari. Il duca
-si mosse con sua compagnia, e con lui mandò il re
-alquanti confidenti toscani, tra’ quali fu messer
-Iacopo de’ Cavalcanti di Firenze, pro’ e valente
-cavaliere. Costoro entrati in Puglia si ridussono
-in Corneto. Il fallace duca pensava, che stando
-dalla parte del re non potea predare nè avanzare
-come l’animo suo desiderava, e vedendo la
-materia acconcia, e già cominciata per Currado
-Lupo e per gli Ungheri, trovò modo, volendo
-coprire il suo tradimento, come fatto gli venisse
-senza sua palese infamia. E per venire a questo,
-<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span>
-essendo presso a nimici più possenti di lui, si stava
-senza alcuno ordine e senza fare guardia il
-dì e la notte, anzi non lasciava serrare le porti
-della città, e andavasi a dormire con tutta la sua
-masnada. Onde avvenne, come si crede ch’egli
-avesse ordinato, che Currado Lupo con parte di
-sua gente una notte vi cavalcò, e trovate le porte
-aperte, e senza difesa e guardia, s’entrò nella
-città: e trovando il doge e’ suoi cavalieri dormire
-ne’ loro alberghi, tutti senza dare colpo di lancia
-o di spada ebbe a prigione, loro e’ loro cavalli e
-arnesi, senza che niuno ne fuggisse; e avuti i forestieri
-a prigioni furono signori della terra, e
-fecionne, come di Foggia, la loro volontà: e il dì
-seguente con grande gazzarra ne menarono i
-prigioni e la preda a Foggia, dove faceano loro
-residenza. Ed essendo il duca Guernieri prigione
-in Foggia, si fece porre di taglia trentamila fiorini
-d’oro; e mandò al re che ’l dovesse ricomperare
-in fra certo tempo, e dove questo non facesse,
-disse gli conveniva essere contro a lui in aiuto
-del re d’Ungheria: e però gli protestava, che
-se il riscatto non facesse, non gli farebbe tradimento
-venendo contro a lui dal termine innanzi.
-Il re Luigi avendo conosciuto per opere i suoi
-baratti, avvegnachè conoscesse che per cupidità
-di preda e’ sarebbe contro a’ suoi agro nimico, innanzi
-il volle suo avversario, potendo contro a
-lui scoprirsi alla sua difesa, che averlo traditore
-dalla sua parte, e però nol volle riscuotere. Onde
-egli trasse a se tutti i Tedeschi di sua condotta,
-e da Currado Lupo fu fatto il terzo conducitore
-della sua oste, renduto a lui e a’ suoi l’armi e’
-<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span>
-cavalli e gli arnesi. Messer Iacopo de’ Cavalcanti,
-perocchè altra volta era stato preso, e
-lasciato alla fede, fu ritenuto, e ultimamente per
-mandato del re d’Ungheria, per corrotto saramento,
-vituperevolemente fu impiccato.
-</p>
-
-<h3 id="cap43-1">CAP. XLIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini presono Colle.</i></span></h3>
-
-<p>
-I Colligiani avendo ripreso in loro giuridizione
-il reggimento libero della loro terra, poichè
-’l duca d’Atene fu cacciato di Firenze, che
-per lo detto comune n’era signore, volendo mantenere
-la loro libertà, non lo seppono fare, anzi
-cominciarono a setteggiare, e volere cacciare l’uno
-l’altro, e alcuna parte trattava coll’aiuto di
-grandi e possenti vicini d’esserne tiranni. E
-scoperto tra loro il trattato, si condussono all’arme:
-e stando in combattimento dentro, il comune
-di Firenze per paura che tirannia non vi si
-accogliesse, subitamente vi mandò il capitano
-della guardia che allora tenea in Firenze, con
-trecento cavalieri e con assai fanti a piè, e improvviso
-vennono a’ Colligiani in su le porti e intorno
-alla Prateria, del mese d’aprile gli anni 1349. E
-sentendo i Colligiani la gente de’ Fiorentini alle
-porti, e tra loro grave discordia dentro, viddono,
-che volere a’ cittadini di Firenze, che ivi erano
-mandati per loro bene, fare resistenza era impossibile,
-e il loro peggiore, perocchè se l’una setta
-si fosse messa alla difesa, l’altra si sarebbe fatta
-forte col comune di Firenze, e arebbono abbattuta
-<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span>
-la setta contraria, sicchè per lo loro migliore,
-di comune concordia apersono le porti, e
-misono dentro la gente del comune di Firenze. E
-come dentro vi furono, i terrazzani lasciarono
-l’arme che aveano prese per la loro divisione,
-e ragunati al consiglio, conobbono, che il comune
-beneficio della loro comunità era di dare la guardia
-di quella terra al comune di Firenze, e altrimenti
-non vedeano di potere vivere in pace
-e in riposo senza sospetto l’uno dell’altro. E però
-diliberarono solennemente tutti d’uno animo
-e d’una concordia, che ’l comune di Firenze avesse
-in perpetuo la guardia di quella terra; e il
-comune la prese, e ordinò dentro senza quistione
-i loro ufici, comunicandoli discretamente
-tra’ loro terrazzani, a contentamento di catuna
-parte; e appresso di tempo in tempo v’ordinò il
-comune di Firenze la guardia de’ suoi cittadini, e
-i rettori di quella, mandandovegli da Firenze ogni
-sei mesi successivamente.
-</p>
-
-<h3 id="cap44-1">CAP. XLIV.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini ebbono Sangimignano
-a tempo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Nel detto anno e mese d’aprile, recata la terra
-di Colle a guardia del comune di Firenze prosperamente,
-innanzi che il detto capitano con
-sua gente a piè e a cavallo tornasse a Firenze, essendo
-il comune di Sangimignano per simile
-modo in grande divisione per cagione del loro
-reggimento, onde forte si temea non pervenisse
-<span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span>
-a tiranno, il comune di Firenze vegghiando
-con sollecitudine a mantenere la libertà
-di Toscana, fece comandamento al capitano
-e a’ cittadini consiglieri ch’erano con lui ch’andassono
-a Sangimignano, e senza fare alcuno
-danno, o atto di guerra, domandassono per lo
-comune di Firenze la guardia di quella terra,
-acciocchè il comune loro e ’l nostro vivessono
-di ciò più sicuri, che non si potea vivere vedendogli
-in setta e in divisioni. Il capitano con
-quella gente se n’andò a Sangimignano, e fece
-il comandamento del comune di Firenze, standosi
-fuori della terra senza fare danno niuno.
-E fatta la richesta, quegli di Sangimignano
-ebbono sopra ciò diversi consigli, e dibattutosi
-fra loro più giorni, che l’uno volea e l’altro
-no, in fine avvedendosi che le loro discordie
-erano pericolose, e che non erano potenti a mantenere
-libertà; vedendo il pericolo delle divisioni
-e sette che aveano tra loro, e che lo sdegno
-del comune di Firenze potea risultare in
-loro maggiore pericolo, per comune consiglio
-diedono per tre anni a venire il governamento
-e la guardia di quella terra al comune di Firenze,
-con patto che il comune vi mandasse di sei
-mesi in sei mesi uno cittadino popolano di Firenze
-per capitano della guardia, e un altro per
-podestà alle loro spese; e così deliberato, misono
-di gran concordia dentro la gente del comune
-di Firenze. E ricevuti i rettori, cominciarono
-a vivere tra loro in molta concordia e pace, e
-catuno intendeva a fare i fatti suoi, dimenticando
-le cittadine contenzioni e gli altri sospetti
-<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span>
-che gli conturbavano, e il capitano co’ suoi cavalieri
-e col popolo tornò a Firenze ricevuto a
-onore, del detto mese d’aprile.
-</p>
-
-<h3 id="cap45-1">CAP. XLV.
-<span class="smaller"><i>Di tremuoti furono in Italia.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo anno, a dì 10 di settembre, si cominciarono
-in Italia tremuoti disusati e maravigliosi,
-i quali in molte parti del mondo durarono
-più dì, e a Roma feciono cadere il campanile
-della chiesa grande di san Paolo, con
-parte delle loggi di quella chiesa, e una parte
-della nobile torre delle milizie, e la torre del
-conte, lasciando in molte altre parti di Roma
-memoria delle sue rovine. Nella città di Napoli
-fece cadere il campanile, e la faccia della chiesa
-del vescovado e di santo Giovanni maggiore,
-e in assai altre parti della città fece grandi rovine,
-con poco danno degli uomini. Nella città
-d’Aversa, essendo i caporali de’ Tedeschi e degli
-Ungheri, con molti conestabili e cavalieri, a
-consiglio nella chiesa maggiore, non determinato
-il loro consiglio uscirono della chiesa, e
-come furono fuori, la chiesa cadde, e per volontà
-di Dio a niuno fece male. La città dell’Aquila
-ne fu quasi distrutta, che tutte le chiese e’
-grandi difici della città caddono, con grande
-mortalità d’uomini e di femmine; e durando per
-più dì i detti tremuoti, tutti i cittadini, ed eziandio
-i forestieri, si misono a stare il dì e la notte
-su per le piazze e di fuori a campo, mentre che
-<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span>
-quello movimento della terra fu, che durò otto
-dì e più. Ed erano sì grandi, che in piana terra
-avea l’uomo fatica di potersi tenere in piede.
-A san Germano e a monte Cassino fece
-incredibili ruine di grandi difici, e dell’antico
-monistero di santo Benedetto sopra il monte del
-poggio medesimo, che pare tutto sasso, abbattè
-buona parte; il castello di Valzorano del poggio
-rovinò nella valle, con morte quasi di tutti i suoi
-abitanti. Nella città di Sora fece degli edifici
-grandissime ruine, e così in molte altre parti
-di Campagna e di terra di Roma, e del Regno
-e di molte altre parti d’Italia, che sarebbono
-lunghe e tediose a raccontare. Per li quali terremuoti
-si potea per li savi stimare le future novità
-e rivolgimenti di que’ paesi, le quali poi
-seguitarono, come il nostro trattato seguendo si
-potrà vedere.
-</p>
-
-<h3 id="cap46-1">CAP. XLVI.
-<span class="smaller"><i>Come sommerse Villacco in Alamagna.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo medesimo tempo, essendo all’entrare
-della Magna sopra una valle una città che ha
-nome Villacco, in sul passo, con alquante villate
-e castella che teneano bene dodici miglia, a’
-confini della Schiavonia, questa terra con le sue
-ville e castella per gli terremuoti s’attuffò nella
-valle, con grande danno di morte de’ suoi abitanti.
-E perocchè il luogo è sul passo del Friuli e
-Schiavonia, e paese ubertuoso, e i suoi alberghi
-tutti si fanno di legname, che ve n’ha grande
-<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span>
-abbondanza, fu tosto rifatto e abitato. Innanzi
-che l’anno fusse compiuto dal suo rifacimento,
-per fuoco arse tutta la terra, che fu a pensare
-non piccolo giudicio de’ suoi abitanti. Ma per lo
-fertile luogo e utile per lo passo, in brieve tempo
-fu redificata la terra più bella che prima.
-</p>
-
-<h3 id="cap47-1">CAP. XLVII.
-<span class="smaller"><i>De’ fatti del Regno.</i></span></h3>
-
-<p>
-Del mese di maggio del detto anno, sentendo
-il re Luigi crescere fortemente nel Regno la forza
-del re d’Ungheria, fece comandamento a tutti i
-suoi baroni che teneano con lui che si sforzassono
-d’arme e di cavalli, e ragunassonsi in Napoli
-per resistere a’ loro avversari, che aveano per la
-presa di Foggia e di Corneto presa superchia baldanza
-in Puglia, e accolti molti Tedeschi d’Italia,
-per vaghezza delle prede del Regno, più che
-per soldo ch’elli avessono. I baroni vedendo il comune
-pericolo di loro stato e di tutto il Regno,
-feciono gente d’arme, e ragunaronsi a Napoli
-più di tremila cavalieri ben montati e bene
-armati; e ancora non era venuto il conte di Minerbino,
-che avea con seco trecento barbute. Currado
-Lupo, che avea con seco il duca Guernieri,
-e ’l conte di Lando, e messer Giovanni d’Arnicchi,
-Tedeschi grandi maestri di guerra, e
-con grande seguito di soldati tedeschi, avieno
-accolti tutti gli Ungheri del Regno, ch’erano più
-di settecento, in grande fede al loro signore: e
-ancora erano ragunati con loro masnadieri italiani
-<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span>
-assai, tratti per guadagnare, sentendo che la forza
-del re era ragunata a Napoli, di presente fornì
-di guardia tutte le terre sue, e co’ sopraddetti
-caporali, e co’ loro cavalieri tedeschi e ungheri,
-milleseicento o più, e con briganti a
-piè, acconci a guadagnare, sperando abboccarsi
-co’ ricchi baroni del Regno, si partirono
-di Foggia, e senza fare soggiorno o trovare resistenza
-se ne vennero infino ad Aversa, città
-di Terra di Lavoro, presso a Napoli a otto miglia,
-la quale in quel tempo non era murata:
-e per mala provvedenza non era guardata, avvegnachè
-malagevole fosse a guardare, perchè
-era molto sparta, ma avea il castello molto
-grande e forte. Currado Lupo con la sua cavalleria
-senza contasto s’entrò nella terra, la
-quale era doviziosa e piena d’ogni bene. Ed
-essendo altra volta stata all’ubbidienza del re
-d’Ungheria, non si pensarono essere trattati in
-ruberia e in preda dal vicario del re, e però si
-trovarono ingannati. I Tedeschi e gli Ungheri come
-furono dentro cominciarono a fare delle cose,
-vi trovarono da vivere a comune con i cittadini,
-con più temperanza e ordine che fatto
-non aveano in Foggia, perocchè vi aveano più a
-stare. E incontanente cavalcarono per lo paese
-e per li casali dintorno per farsi ubbidire, e recare
-il mercato derrata per danaio; e chi non gli
-ubbidia di recare della roba ad Aversa sì la rubavano
-e ardevano. E in fine, ora per una cagione,
-ora per un’altra, tutti erano rubati, e cominciarono
-a cavalcare fino presso a Napoli, ed a non lasciare
-a’ foresi portare alcuna roba in quella terra, che
-<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span>
-a giornata solea abbondare della molta roba delle
-terre e casali di fuori, ed ora niuno v’andava,
-che d’ogni parte erano rotte le strade e i cammini,
-onde la città cominciò ad avere carestia, e
-convenia che per mare si fornisse. Il re Luigi
-avea baroni e cavalieri assai in Napoli, ma per
-buono consiglio riteneva i suoi baroni con il volonteroso
-popolo che non uscissono contro a’ nimici
-a loro stanza, e attendea maggiore forza di
-sua gente di dì in dì, e pensava che i nimici per
-le ruberie fatte a’ paesani venissono in soffratta,
-e volea a sua stanza e a suo tempo andare sopra
-i suoi nimici e a suo vantaggio, e non alla loro
-richiesta, e questo era salutevole e buono consiglio.
-Ma dove la fortuna giuoca più che ’l senno, la gente
-vi corre.
-</p>
-
-<h3 id="cap48-1">CAP. XLVIII.
-<span class="smaller"><i>Come la gente del re d’Ungheria
-sconfisse i baroni del Regno.</i></span></h3>
-
-<p>
-Vedendo i capitani della gente del re d’Ungheria
-che la baronia del Regno era accolta a
-Napoli contro a loro, e non si movea nè mostrava
-in campo per le loro cavalcate, si feciono
-loro più presso a Meleto quattro miglia presso a
-Napoli; e quivi stando, cominciarono a dare
-voce che discordia fosse tra’ Tedeschi e gli
-Ungheri, e seguendo loro malizia s’armarono,
-e acconciarono il campo come se dovessero combattere
-insieme; e avendo tra loro mezzani gli Ungheri,
-come malcontenti d’essere con Currado
-Lupo, dierono voce di volersene tornare in Puglia.
-<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span>
-I giovani baroni che sentivano di presso
-le novelle de’ loro nimici, e’ baldanzosi cavalieri
-napoletani credendo che la discordia fosse tra
-gli Ungheri e’ Tedeschi come la boce correa,
-non accorgendosi del baratto, e parendo loro
-che per difetto di vittuaglia e’ non potessono
-più stare nel paese, quasi come la preda uscisse
-loro tra le mani aspettando, fremivano nell’animo
-d’uscire fuori, e correre sopra i nimici;
-e contradicendo il re e ’l suo consiglio la furiosa
-presunzione de’ giovani baroni e de’ pomposi
-Napoletani, in furia s’apparecchiarono dell’arme.
-E montati sopra i loro destrieri e buoni cavalli,
-che n’erano bene forniti, e con ricchi arredi
-e nobili sopransegne, colle cinture dell’oro
-e dell’argento cinte, in grande pompa, avendo fatto
-loro capitani messer Ruberto di Sanseverino,
-e messer Ramondo del Balzo, valenti baroni, e
-il conte di Sprech Tedesco, e messer Guiglielmo
-da Fogliano, ordinate loro battaglie, contradicendolo
-il re in persona, uscirono di Napoli, e addirizzaronsi
-a’ nimici. Il cammino era corto, e il paese
-piano, sicchè in poca d’ora furono giunti al campo,
-ove trovarono di costa a Meleto nella spianata
-schierati i nemici, i quali aveano sentito il furioso
-movimento de’ ricchi baroni e cavalieri del Regno,
-e aveano con savio provvedimento fatte tre schiere.
-Vedendo la folle condotta de’ loro avversari, s’allegrarono,
-e’ baldanzosi regnicoli sì diedono francamente
-nella prima schiera, la quale, per ordine
-fatto a maestria, s’aperse, e lasciò valicare,
-e mescolare tra loro la cavalleria del Regno,
-non ostante che assai fussono più di loro; e reggendo
-<span class="pagenum" id="Page_76">[76]</span>
-a testa la seconda schiera e intrigata la
-battaglia, il conte di Lando, ch’era da parte colla
-sua schiera, tornò un poco di campo, e venne
-loro alle reni, e combattendoli dinanzi e didietro,
-avvegnachè v’avesse di valorosi cavalieri,
-per la loro mala provvedenza in poca d’ora
-con non troppa asprezza di battaglia gli ebbono
-vinti, e sbarattati e richiusi tra loro per modo, che
-la maggior parte co’ loro capitani furono presi,
-e pochi ne morirono. Quelli che poterono fuggire
-ne fuggirono, e non furono incalciati, perchè
-erano presso alla città, e i loro nemici n’aveano
-assai tra le mani a guardare, sicchè non si curarono
-d’incalciare gli altri. Questa propriamente
-non si potè dire battaglia, ma uno irretamento
-da pigliare baroni e cavalieri di grandi ricchezze.
-I presi furono tra conti e baroni venticinque
-de’ maggiori del Regno, con molti ricchi cavalieri
-napoletani di Capovana e di Nido, e nobili scudieri
-e grandi borgesi e baroncelli del Regno, i quali
-erano tutti bene montati. E come i capitani de’ Tedeschi
-e degli Ungheri ebbono raccolti insieme
-i prigioni e la preda, con grande festa e sollazzo
-d’avere acquistato grande tesoro senza fatica,
-gli condussono ad Aversa; e messi i baroni e’
-cavalieri in sicure prigioni, l’altra preda divisono
-tra loro. E questo fu a dì sei di giugno 1349.
-</p>
-
-<h3 id="cap49-1">CAP. XLIX.
-<span class="smaller"><i>Come i Napoletani ricomperarono la vendemmia
-da’ nimici.</i></span></h3>
-
-<p>
-Dopo la detta sconfitta la gente del re d’Ungheria
-<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span>
-avendo presa grande baldanza, cavalcavano
-ogni dì infino a Napoli per tutte le contrade
-circostanti alla città, senza trovare alcuno
-contasto. Ch’e’ cavalieri ch’erano in Napoli,
-e quelli che scamparono della sconfitta, tutti tornarono
-in loro paese, e i Napoletani non ebbono
-più ardire di montare a cavallo contra i nimici;
-per la qual cosa assai picciola gente spesso entravano
-con grande ardire tra santa Maria del Carmino
-e il Santolo, rubando e facendo preda in
-sul mercato; e per questo avvenne che per terra
-non v’entrava alcuna vittuaglia, e però convenne
-che per mare vi venisse d’altre parti, e
-montasse ogni cosa, fuori del vino, in grande carestia.
-Vedendo i Napoletani nella forza de’ loro
-nemici tutto il loro contado, temendo delle loro
-vendemmie, e per avere alcuna posa, diedono a
-Currado Lupo e a’ suoi compagni ventimila fiorini
-d’oro, e messer Ramondo del Balzo, e messer
-Ruberto da Sanseverino, e il conte di Tricario
-anche della casa di Sanseverino, e il conte di santo
-Angiolo, e un altro barone, ch’erano presi, si
-ricomperarono fiorini centomila d’oro, e gli altri
-baroni del Regno e cavalieri si ricomperarono fiorini
-cinquantamila, e’ cavalieri e scudieri di Napoli
-si ricomperarono altri cinquantamila fiorini: e il
-conte di Sprech Tedesco, e M. Guiglielmo da Fogliano
-e’ soldati forestieri, tolto loro l’arme e’ cavalli,
-furono lasciati alla fede. E trovandosi questa
-gente del re d’Ungheria fornita d’arme e di
-cavalli, e pieni d’arnesi, e abbondante d’ogni
-bene, questi danari, e molti gioielli d’oro e d’ariento,
-riposono nel castello d’Aversa senza partire,
-<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span>
-acciocchè niuno avesse cagione di partirsi
-del paese. E per accogliere maggiore tesoro, i danari
-del riscatto, e del tempo della vendemmia,
-furono pagati, e queto il paese mentre che le
-vendemmie durarono, secondo la loro promessa,
-e passato il tempo ricominciarono la guerra come
-prima, aspettando danari freschi dal re
-e da’ Napoletani, come appresso seguendo si
-potrà trovare.
-</p>
-
-<h3 id="cap50-1">CAP. L.
-<span class="smaller"><i>Come si fe’ triegua nel Regno.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il papa e’ cardinali avendo sentita la rotta
-de’ baroni del Regno, e che ’l paese si guastava,
-mandarono nel Regno M. Annibaldo da Ceccano
-cardinale legato di santa Chiesa, a procacciare di
-conservare il reame, acciocchè la discordia de’ due
-re non guastasse quello ch’era di santa Chiesa.
-Il cardinale giunto a Napoli trovò il re e’ Napoletani
-in male stato, e i paesi di Terra di Lavoro
-guasti, rubate le castella, le ville, i casali, e vedendo
-che la forza de’ Tedeschi e degli Ungheri
-guastava tutto, si mise a cercare via d’accordo,
-e andava dall’una parte all’altra, ma poco
-frutto di concordia seppe fare. Onde il re e’ Napoletani
-avvedendosi che il cardinale non facea
-loro profitto, si condussono a cercare eglino con
-loro confidenti. E mandarono a Currado Lupo e
-agli altri caporali ad Aversa, e in fine vennono
-con loro a concordia, che dovessono lasciare in
-mano del cardinale Aversa e Capova, e tutte le
-<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span>
-terre e castella che teneano dal Volturno di
-Tuliverno in verso Napoli, per tutta Terra di Lavoro
-e di Principato, e facendo questo avessono
-contanti centoventimila fiorini d’oro. Le terre
-furono lasciate nella guardia del cardinale, e i danari
-furono pagati del mese di gennaio 1349. Allora
-vidono il conto de’ danari che aveano raunati,
-e trovaronsi in contanti più di cinquecento migliaia
-di fiorini d’oro, i quali di molta concordia
-si divisono a bottino. E’ caporali dividitori
-furono, Currado Lupo, e il doge Guernieri, e il
-conte di Lando, e M. Gianni d’Ornicchi, e alcuni
-altri. E oltre a questo tesoro, e oltre a molti
-destrieri, e ricchi arnesi e armadure che catuno
-avea, ebbono parte di molte vasellamenta
-d’argento, e di croci e di calici e d’altri ornamenti
-delle chiese che avieno spogliate, e
-ornamenti delle donne, e drappi e vestimenta
-di grandissima valuta, de’ quali erano pieni, avendone
-spogliate parecchie città, come detto abbiamo.
-Costoro sopra modo ricchi, passato il Volturno,
-si diliberarono di partirsi del Regno, e
-tutti, fuori che Currado Lupo, e fra Moriale e
-gli Ungheri, che si ritennono per lo re d’Ungheria
-nel Regno, si partirono e menandone molte donne
-rapite a’ loro mariti, e molte altre che non
-aveano marito, cosa strana e disusata tra’ fedeli
-cristiani; e ricchi delle loro rapine, quali si
-tornarono in Alamagna, e altri si sparsono nell’italiane
-guerre: e per questo modo il Regno ebbe
-alcuno sollevamento dalle ruberie e dalla guerra,
-che catuno si posava volentieri. E dandoci alquanto
-triegua le novità dello sviato Regno, ci
-<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span>
-s’apparecchia nuova e lieve cagione, della quale
-surse come di picciola favilla fuoco di smisurata
-grandezza.
-</p>
-
-<h3 id="cap51-1">CAP. LI.
-<span class="smaller"><i>Di novità di barbari di Bella Marina.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornando alquanto nostra materia a’ fatti de’
-barbari, in questo tempo Buevem figliuolo di
-Balese della Bella Marina, a cui come addietro è
-narrato, il detto Buevem avea rubellato il regno di
-Tremusi, sentendo che Maometto suo cugino gli
-avea rubellato Fessa e il suo reame, liberò di servaggio
-mille cristiani, e misegli a cavallo e in arme,
-e accolse suo oste di quindicimila cavalieri, e
-di gran popolo di Mori a piè, e andonne verso
-Fessa, contro a Maometto, il quale trovò provveduto
-con venticinquemila cavalieri e di grande
-popolo, e fecelisi incontro fuori della città di
-Fessa, e non troppo lungi della città commisono
-aspra battaglia, nella quale morirono grandissima
-quantità di saracini da catuna parte; in fine, come
-piacque a Dio, per virtù de’ cristiani Maometto fu
-sconfitto, colla sua gente morta e sbarattata, ed egli
-si rifuggì nel castello di Villanuova, ove Buevem
-il tenne assediato sei mesi senza speranza di poterlo
-avere per la grande fortezza; e però argomentò
-di fare fuggire da se un grande caporale de’ cristiani
-con sua masnada, e mostrando di perseguirlo
-per uccidere, si fuggì a Maometto nel castello,
-il quale conoscendo la prodezza e senno
-de’ cristiani, pensò di difendersi meglio, avendo
-<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span>
-costui dal suo lato, e però gli fece onore e grandi
-promesse, perchè avesse materia d’aiutarlo
-e d’esser leale. Costui mostrandosi agro nimico
-di Buevem, alcuna volta uscì fuori percotendo
-il campo, e ritornando con onore. Il re Buevem
-mostrando che onta gli fosse cresciuta per la
-fuggita del malvagio cristiano, ordinò di volere
-combattere il castello. Maometto sentendo ciò
-s’ordinò alla difesa: e avendo presa confidenza
-nel conestabile cristiano, gli accomandò la guardia
-d’una porta del castello. E venendo il re alla
-battaglia, il traditore gli aperse la porta, ed
-entrato dentro con grande sforzo, preso Maometto,
-e incarcerato, in pochi dì il fece morire. E andato
-a Fessa, fu ricevuto come re e loro signore,
-e fu coronato re di Morocco, e della Bella Marina
-e di Tremusi in poco tempo, essendo il padre
-a Tunisi, il quale tornando poi contro al figliuolo
-per lo regno, gli avvenne quello che a suo
-tempo diremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap52-1">CAP. LII.
-<span class="smaller"><i>Come Balase tornando per lo suo reame contro
-al figliuolo ebbe grande fortuna, e poi
-fu avvelenato.</i></span></h3>
-
-<p>
-Balase avendo acquistato il reame di Tunisi,
-e perduto quello di Bella Marina e di Tremusi,
-di che Buevem suo figliuolo s’avea fatto coronare,
-fece in Tunisi re un altro suo figliuolo, e
-con sei galee armate, e una nave di Genovesi
-carica di grande tesoro ch’avea tratto di Tunisi,
-<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span>
-del mese d’ottobre del detto anno, si mise in
-mare per tornare nel suo reame: confidandosi,
-che essendo con sua persona nel paese, i suoi
-sudditi l’ubbidirebbono, non ostante che il figliuolo
-avesse la signoria. E avendo lasciato il
-suo nuovo re in Tunisi, poco appresso la sua
-partita gli Arabi entrarono in Tunisi, e uccisono
-questo figliuolo rimaso, e fecionne re il nipote
-del re di Tunisi, cui Balase avea morto; e ’l
-detto Balase essendo in mare, una fortuna il percosse,
-e tutte e sei le sue galee ruppe, e tutti gli
-uomini perirono, salvo il re con alquanti compagni
-che camparono in su uno scoglio: e indi
-levato da certi pescatori fu portato a Morocco,
-ove riconosciuto, fu ricevuto come loro signore.
-La nave col suo tesoro messasi in alto pelago arrivò
-in Ispagna, e il re Pietro s’appropiò il tesoro.
-Balase essendo ubbidito in Morocco e nel
-paese, di presente accolse di suoi baroni, e con
-grande oste andò contro a Buevem suo figliuolo,
-inverso Fessa; e cominciato a guerreggiare, veggendo
-Buevem che i suoi baroni cominciavano
-a ubbidire al padre, disperandosi della difesa, argomentò
-con incredibile tradimento. Egli avea
-seco una sua sirocchia giovane fanciulla figliuola
-di Balase, costei ammaestrò di quello ch’egli
-volle ch’ella facesse: la quale si partì da lui,
-mostrando mal suo volere, e tornò al padre, il
-quale la vide allegramente, ed ella lui, come
-caro padre, e commendatola della sua venuta,
-la tenea intorno a se come figliuola. Ma la corrotta
-fanciulla osservando la malizia del fratello,
-ivi a pochi dì avvelenò il padre. Finito Balase
-<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span>
-il corso della sua vita, e delle sue grandi fortune
-prospere e avverse, Buevem suo figliuolo
-rimase re della Bella Marina, e di Morocco e di
-Tremusi; ma poco appresso i Mori gli rubellarono
-Tremusi, ma egli di presente vi mandò grande
-oste, e racquistò tutto. E montato in grande potenzia,
-per forza si sottomise il reame di Buggea
-e quello di Costantina, e’ loro re mise in prigione.
-E incrudelito, per ambizione di reggere la
-signoria con meno paura, in brieve tempo fece
-morire venticinque suoi fratelli di diverse madri.
-Ed esaltato sopra tutti i Barberi, cominciò a usare
-senza freno la sua lussuria, e gli altri diletti
-carnali, ove si riposa la gloria di quelli saracini;
-e a un’otta avea trecento mogli e grande novero
-di vergini, le più nobili e le più belle de’ suoi
-reami: e quando gli piaceva, usava con quella
-che l’appetito della sua concupiscenza richiedeva,
-e quella mettea nel numero delle sue mogli.
-Uomo fu ridottato sopra gli altri signori, e
-aspro punitore di giustizia; e con grande guardia
-e con molto ordine governava i suoi reami. A’
-cristiani mercatanti facea grande onore, e volentieri
-gli ricettava in suo reame.
-</p>
-
-<h3 id="cap53-1">CAP. LIII.
-<span class="smaller"><i>Come per lievi cagioni suscitò novità
-in Romagna.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo conte di Romagna messer Astorgio di
-Duraforte di Proenza, il quale avea per moglie
-una nipote di papa Clemente sesto, o che più vero
-<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span>
-fosse sua figliuola, il papa l’amava, e intendeva
-a farlo grande. Costui il dì della Pasqua di
-Natale del detto anno, mostrando familiarità co’
-gentiluomini di Faenza, gli fece invitare a pasquare
-seco. Ed essendo a desinare, riscaldati dalla
-vivanda e dal vino, messer Giovanni de’ Manfredi
-dimestico del conte gli disse: in cotale mattina
-per cagione di padronatico, ci è debitore il
-vescovo di Faenza di mandare una gallina con
-dodici pulcini di pasta, e con carne cotta: e quando
-questo e’ non fa, a noi è lecito mandare alla sua
-cucina, e trarne la vivanda, e ciò che in quella si
-trova. La gallina non è venuta, e però piacciavi
-che con vostra licenza noi possiamo usare la ragione
-del nostro padronatico. La domanda fu indiscreta,
-essendo in casa altrui, che non era certo
-che il vescovo avesse fallato; e il conte con poco
-sentimento, non considerando il pericolo della novità,
-concedette quella licenza follemente. Il vescovo
-avea fatto suo dovere, e avea mandata a casa
-messer Giovanni d’Alberghettino la gallina e
-i pulcini, a cui l’anno toccava quello onore, e la
-donna per un suo scudiere l’avea mandata al
-marito al palagio del conte; ma per comandamento
-fatto a’ portieri per lo conte che alcuno non vi lasciassero
-entrare, se n’era tornato a casa. Nondimeno
-messer Giovanni, ch’avea avuta la licenzia
-dal conte, disse a’ suoi famigli: andate, e chiamate
-de’ nostri amici, e dite loro rechino le scuri, ed entrate
-nel vescovado: e se le porti non vi sono aperte,
-colle scuri l’aprite, e della cucina del vescovo
-gittate fuori vivanda, e ciò che vi trovate dentro.
-Costoro andando agli amici di messer Giovanni
-<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span>
-diceano: togliete le scuri, e venite con noi. Coloro
-ch’erano invitati che togliessono le scuri non sapendo
-la cagione, pigliarono anche l’altre armi, e
-l’uno confortava l’altro: e così armati traevano a
-casa messer Giovanni. Le masnade del conte a
-piè e a cavallo che il dì avieno la guardia, temendo
-di questa novità, trassono a casa messer Giovanni,
-e cominciarono mischia contro a coloro
-vi trovarono armati. I terrazzani si difendeano
-non sappiendo la cagione del fatto: la gente traeva
-da ogni parte a romore. Sentendosi la novità
-al palagio dov’erano i convitati, facendosi il
-conte alle finestre, vidde a piè del palagio uno
-Franceschino di Valle, grande amico di messer
-Giovanni Manfredi, a cui commise che andasse
-da sua parte a comandare alla sua gente e a’ cittadini
-che lasciassono la zuffa e non contendessono
-insieme. Costui disarmato andò a fare
-il comandamento da parte del conte. La gente
-del conte, che conosceano costui amico di messer
-Giovanni, presono maggiore sospetto, e rivolsonsi
-contro a lui, e volendogli uno dare della
-spada in sulla testa, parando la mano al colpo
-gli fu tagliata: e seguendo i colpi contro a lui, fu
-morto, e in quello stante tre altri amici di messer
-Giovanni vi furono tagliati e morti. Per la
-qual cosa, al matto movimento aggiunto la vergogna
-e il danno, generò fellonia e sdegno in messer
-Giovanni, e conceputo nel petto, propose nella
-mente di tentare cose quasi incredibili a poterli
-venire fatte, secondo il suo piccolo e povero
-stato, le quali per molto studio copertamente,
-come vedere si potrà appresso, condusse al suo
-intendimento.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap54-1">CAP. LIV.
-<span class="smaller"><i>Come messer Giovanni Manfredi rubellò Faenza
-alla Chiesa.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Giovanni Ricciardi de’ Manfredi avendo
-conceputo il tradimento ch’egli intendea fare,
-cominciò segretamente a dare ordine al fatto:
-e avvennegli bene, che il conte sopraddetto
-andò a corte a Vignone. E per alcuno sentimento
-di gelosia, per sicurtà menò con seco messer
-Guglielmo fratello carnale del detto messer
-Giovanni, come per grande confidenza di sua
-compagnia, e lasciò vececonte un Provenzale
-di poca virtù, con trecento cavalieri a sua compagnia.
-E oltre a ciò, lasciò fornite le fortezze
-della città e le castella di fuori. Messer Giovanni
-de’ Manfredi con molta stanzia tenea
-grande familiarità col vececonte, e con singulare
-studio traeva a se l’amore e la benivoglienza
-de’ cittadini. E come gli parve tempo, cominciò
-a mettere copertamente fanti in Faenza
-a pochi insieme, e feceli ricettare a’ suoi confidenti.
-E seppe sì fare, che in poco tempo ebbe
-nella città cinquecento fanti forestieri a sua petizione,
-innanzi che il vececonte o alcuno se ne
-fosse accorto. Ma discordandosi da lui messer
-Giovanni dello Argentino suo consorto, per via
-di setta, sentì come in certa contrada nel contado,
-gli amici di messer Giovanni di messer
-Ricciardo non si trovavano, e non si sapea dove
-fossono. E per questo sospettando di tradimento,
-<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span>
-fece sentire al vececonte, com’egli sapea
-che gli amici di messer Giovanni di messer Ricciardo
-in cotale e in cotale parte non si ritrovavano,
-perchè temea che in Faenza non apparisse
-novità; il visconte avendo con messer Giovanni
-singolare amicizia e confidenza, non volea
-intendere di lui alcuno sospetto, ma provvedea
-al riparo. E appressandosi il tempo che il fatto
-si dovea muovere, la cosa si venia più scoprendo.
-Allora il visconte ingelosito mandò a fare richiedere
-degli amici di messer Giovanni: costoro andarono
-prima a messer Giovanni a sapere quello
-ch’avessono a fare. Messer Giovanni disse loro:
-tornatevi a casa, e armatevi co’ vostri parenti e
-amici, e levate il romore. Ed egli co’ cittadini
-con cui egli si confidava, e co’ fanti che avea
-messi in Faenza s’andò ad armare, e accolto il
-suo aiuto, uscì delle case armato, e fecesi forte
-a’ suoi palagi. Levato il romore, il visconte fu a
-cavallo co’ suoi cavalieri e con fanti appiè soldati,
-e dirizzossi alle case di messer Giovanni,
-ove sentiva la gente armata. E giunto al luogo,
-trovando messer Giovanni co’ suoi armati cominciò
-a combattere con loro fortemente. Messer
-Giovanni co’ suoi si difendeva virtudiosamente,
-sostenendo il dì e la notte, senza perdere
-della piazza. La mattina messer Giovanni prese
-una parte della sua gente, e misesi sul fosso
-della città, onde attendea soccorso da alcuni suoi
-amici di fuori, e sforzandosi il visconte di levarlo
-di quel luogo, non ebbe podere. La gente
-venne, e misono un ponte, ch’aveano fatto però,
-sopra il fosso, e atati da quelli d’entro valicarono
-<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span>
-senza contrasto, e furono trecento fanti
-di Valdilamone, e altri amici di messer Giovanni,
-e due bandiere di quaranta cavalieri che
-vi mandò il signore di Ravenna. Il Provenzale
-sbigottito per codardia, avendo la maggior parte
-de’ cittadini in suo aiuto, e tutte le fortezze
-della città in sua guardia, e l’aiuto delle masnade
-di santa Chiesa a cavallo e a piè, ed essendo
-vincitore, standosi fermo, tanta viltà gli occupò
-la mente, ch’egli abbandonò le fortezze
-della terra, e la libera signoria ch’egli avea
-nelle sue mani, e tutto il suo onore, e non stato
-cacciato, abbandonò la città, e fuggissi a Imola
-colla sua gente, ove per reverenzia di santa Chiesa
-fu ricevuto, e raccettato mansuetamente. E
-abbandonata per costoro la città di Faenza e le
-sue fortezze, messer Giovanni di messer Ricciardo
-de’ Manfredi ne rimase libero signore. E incontanente
-si collegò col capitano di Forlì, e col
-signore di Ravenna, e co’ signori di Bologna, che
-temeano della Chiesa, perchè per tirannia teneano
-le città contro al volere della Chiesa, e segretamente
-davano aiuto e consiglio a messer
-Giovanni, acciocchè Faenza e Romagna non rimanesse
-all’ubbidienza della Chiesa. Questo
-appresso si dimostrò manifestamente, come leggendo
-nostro trattato si potrà trovare. E questo
-rubellamento avvenne a dì 27 di febbraio del
-detto anno.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap55-1">CAP. LV.
-<span class="smaller"><i>Come il capitano di Forlì prese Brettinoro
-per assedio.</i></span></h3>
-
-<p>
-Del mese di maggio seguente, gli anni <i>Domini</i>
-1350, il capitano di Forlì vedendo che la Chiesa
-avea perduta Faenza, essendosi collegato co’
-tiranni di Bologna, con quello di Ravenna e
-di Faenza, che desideravano al tutto svegliere
-la Chiesa di Romagna e la sua forza; conoscendo
-il tempo fece suo sforzo, e andò ad assedio al castello
-di Brettinoro, ch’era molto forte e bene
-fornito. E ivi stando lungamente, la Chiesa non
-lo soccorreva per avarizia, ma scrivea a’ signori
-di Bologna, i quali amavano che si perdesse, e ai
-comuni di Toscana, che aiutassono al conte di
-Romagna a soccorrerlo senza darli forza di gente
-d’arme. E stando d’oggi in domane a speranza
-dell’aiuto degl’Italiani, non avendo alcuna forza
-da se, il conte si trovò ingannato. Il capitano
-stringeva gli assediati con ogni argomento,
-i quali disperati di soccorso, in prima i terrazzani
-s’arrenderono al capitano, e appresso quelli
-della rocca la dierono per danari, che bene la
-poteano lungamente difendere. Ma la viltà del
-non sentire apparecchiare soccorso gli fece affrettare
-a trarre il loro vantaggio.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap56-1">CAP. LVI.
-<span class="smaller"><i>Come i cristiani d’Europa cominciarono
-a venire al perdono.</i></span></h3>
-
-<p>
-Negli anni di Cristo della sua natività 1350,
-il dì di Natale, cominciò la santa indulgenza a
-tutti coloro che andarono in pellegrinaggio a Roma,
-facendo le vicitazioni ordinate per la santa
-Chiesa alla basilica di santo Pietro, e di san
-Giovanni Laterano, e di santo Paolo fuori di
-Roma: al quale perdono uomini e femmine d’ogni
-stato e dignità concorse di cristiani, con maravigliosa
-e incredibile moltitudine, essendo di
-poco tempo innanzi stata la generale mortalità, e
-ancora essendo in diverse parti d’Europa tra’ fedeli
-cristiani; e con tanta devozione e umilità
-seguivano il romeaggio, che con molta pazienza
-portavano il disagio del tempo, ch’era uno smisurato
-freddo, e ghiacci e nevi e acquazzoni,
-e le vie per tutto disordinate e rotte: e i cammini
-pieni di dì e di notte d’alberghi, e le case sopra
-i cammini non erano sofficienti a tenere i
-cavalli e gli uomini al coperto. Ma i Tedeschi
-e gli Ungheri in gregge, e a turme grandissime,
-stavano la notte a campo stretti insieme per lo
-freddo, atandosi con grandi fuochi. E per gli
-ostellani non si potea rispondere, non che a
-dare il pane il vino e la biada, ma di prendere
-i danari. E molte volte avvenne, che i romei
-volendo seguire il loro cammino, lasciavano i
-danari del loro scotto sopra le mense, loro viaggio
-<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span>
-seguendo: e non era de’ viandanti chi gli togliesse,
-infino che dell’ostelliere venia chi gli togliesse.
-</p>
-
-<p>
-Nel cammino non si facea riotte nè romori,
-ma comportava e aiutava l’uno all’altro con
-pazienza e conforto. E cominciando alcuni ladroni
-in Terra di Roma a rubare e a uccidere,
-dai romei medesimi erano morti e presi, aiutando
-a soccorrere l’uno l’altro. I paesani faceano
-guardare i cammini, e spaventavano i ladroni:
-sicchè secondo il fatto, assai furono sicure le strade
-e’ cammini tutto quell’anno. La moltitudine
-de’ cristiani ch’andavano a Roma era impossibile
-a numerare: ma per stima di coloro ch’erano
-risedenti nella città, che il dì di Natale,
-e de’ dì solenni appresso, e nella quaresima fino
-alla pasqua della santa Resurrezione, al continovo
-fossono in Roma romei dalle mille migliaia alle
-dodici centinaia di migliaia. E poi per l’Ascensione
-e per la Pentecoste più di ottocento migliaia;
-essendo pieni i cammini il dì e la notte,
-come detto è. Ma venendo la state cominciò a
-mancare la gente per l’occupazione delle ricolte,
-e per lo disordinato caldo; ma non sì, che quando
-v’ebbe meno romei, non vi fossono continovamente
-ogni dì più di dugento migliaia d’uomini
-forestieri. Le vicitazioni delle tre chiese, movendosi
-d’onde era albergato catuno, e tornando a
-casa, furono undici miglia di via. Le vie erano
-sì piene al continovo, che convenia a catuno
-seguitare la turba a piede e a cavallo, che
-poco si poteva avanzare; e per tanto era più malagevole.
-I romei ogni dì della visitazione offerivano
-a catuna chiesa, chi poco, e chi assai, come
-<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span>
-gli parea. Il santo sudario di Cristo si mostrava
-nella chiesa di san Pietro, per consolazione
-de’ romei, ogni domenica, e ogni dì di festa
-solenne; sicchè la maggior parte de’ romei il poterono
-vedere. La pressa v’era al continovo grande
-e indiscreta. Perchè più volte avvenne, che
-quando due, quando quattro, quando sei, e tal’ora
-fu che dodici vi si trovarono morti dalla stretta,
-e dallo scalpitamento delle genti. I Romani tutti
-erano fatti albergatori, dando le sue case a’ romei
-a cavallo; togliendo per cavallo il dì uno
-tornese grosso, e quando uno e mezzo, e talvolta
-due, secondo il tempo; avendosi a comprare
-per la sua vita e del cavallo ogni cosa il romeo,
-fuori che il cattivo letto. I Romani per guadagnare
-disordinatamente, potendo lasciare avere
-abbondanza e buono mercato d’ogni cosa da vivere
-a’ romei, mantennero carestia di pane, e
-di vino e di carne tutto l’anno, facendo divieto,
-che i mercatanti non vi conducessono vino forestiere,
-nè grano nè biada, per vendere più cara
-la loro. Valsevi al continovo uno pane grande di
-dodici o diciotto once a peso, danari dodici.
-E il vino soldi tre, quattro, e cinque il pitetto,
-secondo ch’era migliore. Il biado costava il rugghio,
-ch’era dodici profende comunali, a comperarlo
-in grosso, quasi tutto l’anno, da lire quattro
-e soldi dieci in lire cinque: il fieno, la paglia,
-le legne, il pesce, e l’erbaggio vi furono in grande
-carestia. Della carne v’ebbe convenevole mercato,
-ma frodavano il macello, mescolando e vendendo
-insieme, con sottili inganni, la mala carne
-colla buona. Il fiorino dell’oro valeva soldi quaranta
-<span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span>
-di quella moneta. Nell’ultimo dell’anno,
-come nel cominciamento, v’abbondò la gente
-e poco meno. Ma allora vi concorsono più signori,
-e grandi dame, e orrevoli uomini, e femmine
-d’oltre a’ monti e di lontani paesi, ed eziandio
-d’Italia, che nel cominciamento o nel mezzo
-del tempo: e ogni dì presso alla fine si faceano
-delle dispensagioni, del vicitare le chiese, maggiori
-grazie. E nell’ultimo, acciocchè niuno che
-fosse a Roma, e non avesse tempo a potere
-fornire le visitazioni, rimanesse, senza la grazia,
-senza indulgenzia de’ meriti della passione di
-Cristo, fu dispensato infino all’ultimo dì, che
-catuno avesse pienamente la detta indulgenzia.
-E così fu celebrato questo anno del santo giubbileo
-la dispensagione de’ meriti della passione di
-Cristo, e di quelli della santa Chiesa, e remissione
-de’ peccati de’ fedeli cristiani.
-</p>
-
-<h3 id="cap57-1">CAP. LVII.
-<span class="smaller"><i>Perchè s’intramesse il dificio d’Orto
-san Michele.</i></span></h3>
-
-<p>
-Era cominciato innanzi alla mortalità il nobile
-edificio del palagio sopra dodici pilastri nella
-piazza d’Orto san Michele, per farvi granai per
-lo comune, acciocchè si stesse in continua provvisione
-di grano e di biada, per sovvenire il popolo
-al tempo della carestia. Ma avvedendosi il
-comune, che il minuto popolo era ingrassato e
-impoltronito dopo la mortalità, e non volea servire
-agli usati mestieri, e voleano per loro vita
-<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span>
-le più care e le più dilicate cose che gli altri
-antichi cittadini, e con questo disordinavano tutta
-la città, volendo di salario le fanti, femmine
-rozze e senza essere ausate a servigio, e i ragazzi
-della stalla, il meno fiorini dodici l’anno, e i più
-sperti diciotto e ventiquattro l’anno: e così le balie,
-e gli artefici minuti manuali, volevano tre
-cotanti o appresso che l’usato, e i lavoratori delle
-terre voleano tutti buoi e tutto seme, e lavorare
-le migliori terre, e lasciare l’altre: pensarono i
-nostri rettori con buono consiglio, di mettere ordine
-alle cose, e raffrenare i soperchi con certe
-leggi, ma per cosa che fare sapessono, a questa
-volta non vi poterono porre rimedio, e convenne
-che a Dio si lasciasse il corso e l’addirizzamento
-di quelli soperchi, i quali ancora nel 1362 durano,
-poco corretti, o mancati. Perocchè l’abbondanza
-del guadagno corrompeva il comune
-corso del ben vivere, pensarono che più utile era
-raffrenare lo ingrato e sconoscente popolo la
-carestia, che la dovizia. E allora si rimase coperto
-d’un basso tetto l’edificio del palagio d’Orto
-san Michele. E il comune avendo bisogno, raddoppiò
-la gabella del vino alle porte, e dove pagava
-soldi trenta il cogno, lo recò in soldi sessanta.
-E chi vendesse vino a minuto, dovesse pagare
-de’ due danari l’uno al comune. E dinuovo puosono
-soldi due a ogni staio di farina che si logorasse
-nella città, e danari quattro alla libbra della
-carne, e che lo staio del sale si vendesse per lo
-comune lire cinque e soldi otto. E non vollono
-che provvisione di grano o di biada si facesse per
-lo comune, ma in contradio ordinarono, che tutto
-<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span>
-il pane vendereccio si facesse per lo comune, e vendessesi
-caro: e quale fornaio ne volesse fare per
-vendere, pagasse d’ogni staio soldi otto di gabella
-al comune. Queste furono cose di grande gravezza;
-ma tanto era l’utile che traeva d’ogni cosa il minuto
-popolo, che meno se ne curavano che i maggiori
-cittadini.
-</p>
-
-<h3 id="cap58-1">CAP. LVIII.
-<span class="smaller"><i>Come la Chiesa mandò il conte per racquistare
-la contea di Romagna.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo anno 1350, parendo al papa e a’ cardinali,
-con vergogna di santa Chiesa avere perduta
-la signoria e la propietà di Romagna, ordinarono
-di volerla racquistare per forza; e avendo papa
-Clemente sesto volontà d’accrescere onore e stato
-a messer Astorgio di Duraforte, conte di Romagna,
-suo parente, il fece capitano della gente che la
-Chiesa intendea di mettere in arme a questo servigio.
-Il quale accolse quattrocento cavalieri gentiluomini
-in Proenza, e fece suo maliscalco messer
-Rostagno da Vignone della casa de’ Cavalierri,
-pro’ e ardito e valoroso cavaliere. E la Chiesa
-gli ordinò uno tesoriere, che ricogliesse i danari,
-e convertissegli ne’ soldi e negli altri bisogni
-che occorressono alla guerra, a volontà del conte.
-E innanzi che il conte si movesse di Proenza,
-fece a Firenze e a Perugia soldare ottocento cavalieri
-e mille masnadieri di buona gente d’arme.
-E oltre a ciò, il papa con molta istanza fece richiedere
-i tiranni di Lombardia, catuno per se,
-e i comuni di Toscana, che dovessono aiutare al
-<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span>
-conte racquistare Romagna. L’arcivescovo di
-Milano gli mandò cinquecento barbute: messer Mastino
-della Scala glie ne mandò dugento: i tiranni
-di Bologna glie ne mandarono dugento: il
-marchese di Ferrara cento; i comuni di Toscana
-non vi mandarono loro gente. Il conte di Romagna
-avendo i suoi cavalieri e masnadieri, e questo
-aiuto, a dì 13 di maggio del detto anno si
-partì d’Imola, e addirizzossi al ponte san Brocolo;
-ed essendo il ponte molto afforzato e bene guernito
-di gente alla difesa per lo signore di Faenza,
-a dì 15 del detto mese, con aspra e dura
-battaglia combatterono la fortezza e vinsonla,
-che fu assai prospero cominciamento. E rafforzata
-la bastita del ponte, e messovi le guardie per
-difendere il passo, con tutta sua cavalleria s’addirizzò
-a Salervolo, uno castello presso a Faenza
-a cinque miglia, il quale non era murato, nè fortezza,
-nel luogo, che avendolo vinto fosse grande
-acquisto. E ivi puose l’assedio, lasciando
-per mala provvisione di porsi a Faenza, ch’era
-male fornita e poco intera alla difesa, e i cittadini
-non amavano la signoria del nuovo tiranno,
-e però fu reputato pe’ savi follemente fatto. Il tiranno
-di Faenza, messer Giovanni di messer Ricciardo
-Manfredi, che stava in grande paura della
-città, sentendo posta l’oste a Salervolo, fu molto
-contento, e prese cuore alla difesa; e di subito mise
-masnadieri in Salervolo, che avea soldati in Toscana,
-sperti a sapere guardare le castella, i
-quali francamente difesono la terra di molte battaglie
-che ’l conte vi fece dare, durandovi l’assedio
-dal dì 17 di maggio, fino a dì 6 del prossimo
-<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span>
-mese di luglio, senza lasciarsi avanzare
-alcuna cosa.
-</p>
-
-<h3 id="cap59-1">CAP. LIX.
-<span class="smaller"><i>Processo de’ traditori di Romagna, e di
-certi Provenzali.</i></span></h3>
-
-<p>
-Seguita il processo de’ traditori, che si provvedeano
-con molta sagacità a ingannare l’uno
-l’altro, e catuno infine con la sua parte dell’impresa
-rimase disfatto e ingannato. E dell’attizzamento
-di questa maladetta favilla crebbe
-fuoco, il cui fumo corruppe tutta Italia, e offuscò
-gli occhi a’ liberi popoli, e ottenebrò la vista
-de’ sacri pastori, e fu cagione di nuovi avvenimenti
-di signori, e di grandi e gravi revoluzioni
-di stati, come seguendo a’ loro tempi racconteremo.
-Per questa impresa della Chiesa, i
-tiranni di Bologna, che allora erano messer Giovanni
-e messer Iacopo di messer Taddeo di Romeo
-de’ Peppoli di Bologna, avendo occupata la
-città alla Chiesa di Roma sotto certo censo, ed
-essendo in grande stato e pompa nella signoria,
-temeano che la Chiesa non racquistasse la signoria
-di Romagna; e dall’altra parte si tenea dissimulando
-per lo conte, che per lo loro caldo e
-favore messer Giovanni Manfredi avesse rubellata
-Faenza alla Chiesa, e che segretamente atassono
-a mantenere la difesa. E però il conte, che
-era più sperto in coperta malizia, che in aperta
-prodezza o virtù, continovo attendeva a tendere
-suoi lacci, come i tiranni i loro, e mostravansi
-<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span>
-insieme con molta confidanza e grande amistà, e
-davansi aiuto e consiglio l’uno all’altro, coperto
-di frode e di dolo.
-</p>
-
-<h3 id="cap60-1">CAP. LX.
-<span class="smaller"><i>Come messer Giovanni de’ Peppoli cercò accordo
-dal conte a messer Giovanni.</i></span></h3>
-
-<p>
-In fra ’l tempo già detto dell’assedio di Salervolo,
-crescendo continuo la forza del conte per lo
-sussidio de’ danari della Chiesa, e dell’amistà che
-giugnea in aiuto al conte, messer Giovanni de’ Peppoli,
-per tenere in tranquillo il conte e farli perdere
-tempo, cominciò un trattato, di voler riducere
-messer Giovanni Manfredi di Faenza all’ubbidienza
-di santa Chiesa: e mandò a dire
-al conte che volea essere in ciò mezzano, facendo
-a santa Chiesa riavere suo diritto e suo onore.
-Il conte, ch’era di natura e di studio malizioso,
-si mostrò molto contento di voler seguire questo
-trattato, mostrando in questo, e nell’altre cose,
-volersi reggere per suo consiglio, dicendo, che
-così aveva in mandato dal santo padre: e nondimeno
-sapea al certo, che per operazione de’ signori
-di Bologna, e del capitano di Forlì, e co’ loro
-danari, al presente era entrato il doge Guernieri
-con cinquecento barbute alla difesa di Faenza.
-E dato lo intendimento a messer Giovanni,
-acciocchè seguisse il trattato, egli con sollecitudine
-mandava in Faenza suoi ambasciadori, e nell’oste
-al conte, e mostravasi già il trattato venire
-a concordia. Allora il conte mandò a dire a
-<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span>
-messer Giovanni a Bologna per li suoi medesimi
-ambasciadori, che innanzi che fermasse la
-concordia, volea essere personalmente con lui
-in Bologna, o dovunque gli piacesse, per dare
-compimento a questo, e ragionargli d’altre segrete
-cose, che dal santo padre avea in commissione
-di conferire con lui: e però mandasse a dire
-dove e’ volea ch’egli venisse, che avuta la risposta,
-con piccola compagnia subito sarebbe
-a lui.
-</p>
-
-<h3 id="cap61-1">CAP. LXI.
-<span class="smaller"><i>Come messer Giovanni de’ Peppoli andò
-nell’oste, e fu preso.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Giovanni de’ Peppoli signore di Bologna,
-avendo dal conte dimostramento di tanta libertà,
-e sentendo che il papa l’amava e davali
-molta fede, prese sicurtà per lo trattato ch’egli
-menava, e perchè aveva nell’oste del conte dugento
-suoi cavalieri, e avea grande amistà con
-molti altri conestabili dell’oste. E volendo mostrare
-al conte com’egli era fedele di santa Chiesa,
-per ricoprire le sue coperte operazioni fatte
-contro a quella, secondo la malizia del conte,
-pervenne a sua volontà: e contro al consiglio di
-messer Iacopo suo fratello, di presente prese in sua
-compagnia de’ maggiori cittadini di Bologna,
-e di suoi soldati trecento cavalieri, e promettendo
-al fratello che non passerebbe Castel san Pietro,
-si mise a cammino. Ed essendo giunti la mattina
-a buon ora a Castel san Pietro, come il
-<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span>
-peccato conduce, e le fini de’ tiranni s’apparecchiano
-per non pensato sentiere, come si vide a
-Castel san Pietro non attese la promessa al fratello,
-ma volendo improvviso e tosto giugnere al
-conte, cavalcò senza arresto: e prima fu giunto
-al padiglione del conte, che sapesse che vi dovesse
-venire; e scavalcato, il conte il ricevette con
-grande festa, mostrandogli ne’ sembianti amore
-fraternale; e molto s’allegrava con lui della sua
-cortese venuta. E questo fu a dì 6 di luglio in
-sulla nona, che ’l caldo era grande. Innanzi fece
-venire vini, frutte e confetti, per fare rinfrescare
-lui e la sua brigata ch’erano ivi; e in questo
-soggiorno, veggendosi il conte tra le mani il
-tiranno di Bologna, o ch’egli avesse prima pensato
-il tradimento, o che subitamente l’animo
-il tirasse all’inganno, bevendo e mangiando insieme
-in grande sollazzo, mandò il suo maliscalco
-a fare armare cavalieri e masnadieri cui egli
-volle, dando voce di fare assalto a quelli di Salervolo.
-E come furono armati, fece promettere
-a’ conestabili paga doppia e mese compiuto, acciocchè
-non si mettessono alla difesa del signore
-di Bologna. Messer Giovanni che avea bevuto e
-mangiato, e preso rinfrescamento a volontà del
-conte, attendea che il conte gli parlasse: e non
-vedendo che ne facesse sembiante, disse a quelli
-ambasciadori che quella ambasciata gli aveano
-portata, che dicessono al conte che si dovea diliberare;
-e già cominciava a dubitare. Il conte rispuose,
-che attendeva il suo maliscalco, che di presente
-vi sarebbe, e fornirebbono loro parlamento.
-Ancora erano le parole, quando messer Rostagno
-<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span>
-maliscalco dell’oste giunse colla gente armata
-al padiglione del conte ove messer Giovanni attendea,
-e fugli intorno: e apparecchiatogli uno
-cavallo de’ suoi, disse: messer Giovanni, montate
-qui su: e immantinente vi fu posto più tosto che
-non vi sarebbe montato, e senza contesa o difesa,
-di salto fu menato prigione a Imola. Uno
-suo famiglio cominciò a gridare e a piagnere,
-dicendo: oimè, signore mio: e di presente gli fu
-morto a’ piedi. E giunto in Imola, fu messo nella
-rocca, e ordinatogli buona guardia. I cittadini di
-Bologna, e tutta la compagnia che avea menata
-di Bologna, e i dugento cavalieri che avea tenuti
-nell’oste in servigio del conte, in quella medesima
-ora, come preda di nimici vinta in battaglia,
-furono presi, e rubato loro l’arme, e’ cavalli,
-e arnesi, e i soldati così rubati furono cacciati
-del campo; e i cittadini di Bologna furono
-tenuti prigioni alquanti dì, e manifestato per tutto
-il grande tradimento, furono lasciati. E messer
-Giovanni rimase in prigione: il quale, dappoichè
-pervenne alla tirannia di Bologna, non tenne fede
-a parte guelfa, nè a’ suoi cittadini, nè a’ Fiorentini,
-nè all’altre città di sua vicinanza: e
-però forse degnamente con tradimento fu punito
-della sua corrotta fede.
-</p>
-
-<h3 id="cap62-1">CAP. LXII.
-<span class="smaller"><i>Come il conte scoperse l’altro trattato
-che avea con messer Mastino.</i></span></h3>
-
-<p>
-Non ostante che il conte tenesse trattato con
-<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span>
-messer Giovanni de’ Peppoli, avea trattato con
-messer Mastino della Scala, che venendo egli sopra
-la città di Bologna gli darebbe mille cavalieri
-in aiuto infino a guerra finita. Onde essendo
-venuto fatto al conte d’avere messer Giovanni
-a prigione, prese grande speranza d’avere Bologna
-con l’aiuto di messer Mastino. E significatoli
-il fatto, e domandatoli l’aiuto promesso, a
-dì 10 di luglio, del detto anno 1350, si levò da
-Salervolo, e venne a Imola con tutta l’oste. E
-come uomo di poca discrezione e provvedenza promise
-un’altra volta paga doppia e mese compiuto
-a’ suoi cavalieri, se per forza pigliassono Castel
-san Pietro. I quali cavalieri di presente andarono
-al detto castello, che non era fornito di gente nè
-provveduto alla difesa, e senza trovarvi resistenza
-in poca d’ora l’ebbono preso, che non vi morirono
-quattro persone. E così in meno di dieci dì i soldati
-del conte ebbono per vituperose cagioni guadagnate
-due paghe doppie e due mesi compiuti,
-che montarono un grande tesoro: e non parea
-che il conte se ne curasse, se non come avesse a
-distribuire il tesoro di santa Chiesa. Le quali promesse
-follemente fatte, con l’altre follie della
-sua pazza condotta, al fine rendè il merito a santa
-Chiesa della provvisione di sì fatto capitano,
-chente la disciplina della guerra richiede. Ed
-essendo il conte con l’oste a Castel san Pietro,
-messer Mastino gli mandò ottocento cavalieri,
-per compiere i mille che promesso gli avea, ov’egli
-venisse all’assedio di Bologna, come detto
-è addietro.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap63-1">CAP. LXIII.
-<span class="smaller"><i>Come messer Iacopo Peppoli rimaso in Bologna
-si provvidde alla difesa.</i></span></h3>
-
-<p>
-Infra queste sopraddette tempeste, messer Iacopo
-de’ Peppoli ch’era rimaso in Bologna sentendo
-preso il fratello, e che l’oste del conte avea
-preso Castel san Pietro, e venia sopra lui a Bologna:
-e come messer Mastino signore di Verona
-e di Vicenza s’era scoperto suo nimico, non sapea
-che si fare; ma come la necessità intrigata
-dalla paura argomenta, mandò per soccorso al
-signore di Milano, e al marchese di Ferrara, e
-al comune di Firenze, e in ogni parte onde sperava
-avere alcuno aiuto o consiglio; e mandate le
-lettere e’ messaggi, richiese con grande istanza
-i cittadini di Bologna, che a questo punto
-soccorressono al suo e al loro pericolo. I quali
-già domati dal servile giogo della tirannia, essendo
-venuto il tempo della franchezza, per povertà
-d’animo, e per li loro peccati, non furono
-degni di cotale beneficio, che senza contasto a
-quel punto era in loro potenzia di tornare in
-libertà. E aveano il comune di Firenze vicino
-nimico della tirannia, il quale per la libertà di
-quel popolo avrebbe prestato loro aiuto e favore,
-e riparato allo assalto del conte, con giusta
-cagione di pace e di concordia con la santa Chiesa,
-disposto che il tiranno fosse della tirannia.
-Ma perocchè ne’ popoli più regna corso di fortuna
-che libertà d’arbitrio, per apparecchiarsi alle debite
-<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span>
-pene de’ peccati, per li quali l’empio tiranno
-regna, fu accecato il loro intendimento: e mollemente
-s’apparecchiarono alla difesa per paura
-del tiranno, combattuti nell’animo dall’apparecchiata
-libertà. In questo stante l’arcivescovo
-signore di Milano sentì la presura di messer Giovanni,
-e scoperto l’animo di messer Mastino,
-mandò al conte suoi ambasciadori dolendosi dell’ingiuria
-fatta a messer Giovanni suo amico, e
-di sua lega e compagnia, dimandando che di
-presente il dovesse liberare: e quando questo non
-facesse, mandò comandamento a’ suoi capitani e
-a’ suoi cavalieri che erano al servigio del conte,
-che di presente si dovessono partire da lui. Il conte
-rispuose di non volerlo lasciare perocchè sapea
-al certo ch’egli avea fatta rubellare, la città di
-Faenza alla Chiesa di Roma, e come tenea trattato
-col capitano di Forlì, e col signore di Ravenna,
-e con quello di Faenza, di rompergli l’oste
-a un dì nominato, e di prendere lui a grande
-tradimento: e però avea preso il traditore, e
-intendea tenerlo a volontà del papa e di santa
-Chiesa. E però fu comandato a’ cavalieri dell’arcivescovo
-si dovessono partire. Ma i cavalieri, e’
-loro capitani, che aveano promesse dal conte di
-due paghe doppie e di due mesi compiuti, non
-si vollono partire, e rimasono cassi dal soldo
-dell’arcivescovo; e il conte con lo sfrenato animo,
-non guardandosi innanzi, gli condusse al
-soldo della Chiesa, facendo debito sopra debito.
-E riveduta sua gente, si trovò a Castel san Pietro
-con tremila barbute e con grande popolo di soldo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap64-1">CAP. LXIV.
-<span class="smaller"><i>L’aiuto che messer Iacopo accolse per guardare
-Bologna.</i></span></h3>
-
-<p>
-Stando il conte colla sua oste a Castel san
-Pietro, e cavalcando il contado di Bologna, l’arcivescovo
-di Milano mandò di presente trecento
-cavalieri in Bologna, per aiuto della guardia
-d’entro. E cominciò a pensare, che mantenendo
-messer Iacopo nella città, a poco insieme conducerebbe
-lui e la terra in tali stremi, che agevolemente
-all’ultimo ne diverrebbe signore, come
-in fine fatto gli venne. Messer Malatesta d’Arimino,
-ch’era allora nemico di santa Chiesa, vi
-venne in persona, e dato conforto a messer Iacopo,
-gli lasciò dugento cavalieri de’ suoi, e tornossene
-in Romagna. I Fiorentini per niuno modo
-vi vollono mandare alcuna gente per riverenzia
-della Chiesa, ma incontanente vi mandarono
-ambasciadori a cercare se tra loro e il conte
-potessero metter pace o accordo; e più volte
-andarono da Bologna al conte senza fare alcuno
-frutto tra le parti. Messer Iacopo vedendosi più
-l’uno dì che l’altro infiebolire, condusse il doge
-Guernieri ch’era in Faenza con cinquecento barbute;
-il quale volendo andare a Bologna, convenne
-che valicasse per lo distretto del comune
-di Firenze nell’alpi, ove lieve era a impedire
-per li stretti passi, ed egli era nimico del
-comune, e andava contro a santa Chiesa. Trovossi
-che fu fattura de’ priori che allora erano all’uficio
-<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span>
-senza sentimento degli altri cittadini; della
-qual cosa in Firenze ne fu grande ripitio, ma
-fatta la cosa si rimase a tanto, e il doge passò
-senza impedimento, e con tutta sua compagnia
-se n’entrò in Bologna.
-</p>
-
-<h3 id="cap65-1">CAP. LXV.
-<span class="smaller"><i>Del male stato che si condusse la città di Bologna,
-e di certi trattati che allora
-si tennono.</i></span></h3>
-
-<p>
-Come il duca Guernieri co’ suoi cavalieri fu in
-Bologna, prese per suo abituro una contrada, e in
-quella volle le case, e le masserizie, e quello che in
-esse trovò da vivere, come se egli avesse presa
-la terra per forza: e non era chi osasse parlare
-contro a suo volere. Gli altri soldati all’esempio
-di costui cominciarono a fare il simigliante.
-I nimici di fuori cavalcavano ogni dì intorno alla
-terra, pigliando gli uomini, e predando le
-ville del contado, venendo spesso fino alle
-porti. Per la qual cosa la città cominciò a sentire
-grandissimi disagi e carestia d’ogni bene, e i
-cittadini oppressati dentro e di fuori, non sapendo
-che si fare, e non trovando accordo col conte
-per ambiziosa superbia, messer Iacopo e’ cittadini
-di Bologna, di grande concordia, e d’uno
-consentimento, vollono dare la guardia di Bologna
-libera al comune di Firenze, disponendosi
-al tutto di volere lasciare la signoria messer Iacopo,
-sperando che ciò fatto, colla Chiesa non
-mancherebbe accordo. E nel vero questa era salutevole
-<span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span>
-via: ma certi cittadini popolani di Firenze
-della casa ... che aveano in quel tempo
-stato in Firenze, ed erano per la Chiesa al servigio
-del conte e del tesoriere, per loro spezialità
-avvisandosi, che venendo Bologna alle mani della
-Chiesa, come speravano, e’ ne sarebbono
-governatori, e farebbonsene ricchi e grandi; e
-per questa cagione smossono i loro amici cittadini
-grandi e popolani: ed eglino medesimi essendo
-a consigliare quello ch’era grandezza e stato
-del loro comune, e riposo di tutta Italia, si opposono
-al contradio, dicendo, che il comune
-n’offenderebbe troppo il papa, e’ cardinali e la
-santa Chiesa. Ed essendo favoreggiati da’ loro amici,
-ebbono podere di non lasciare imprendere al
-comune di Firenze questo servigio, e commisono
-grande materia di molto male a tutta Italia,
-e non pervennono alla loro corrotta intenzione. I
-Bolognesi disperati di questo, ove riposava tutta
-la loro speranza, e ’l conte montato nella cima
-della sua superbia, coloro non sapevano più che
-si fare, e il conte credendo senza contasto venire
-al suo intendimento d’avere la città per forza,
-essendo stato infino al settembre a Castel san
-Pietro, volle muovere l’oste, e porsi su le porti
-di Bologna; e sarebbegli venuto fatto, tanto
-erano i cittadini oppressati da’ soldati d’entro,
-e in disagio di tutte le cose da vivere, le
-quali al continuo montavano in disordinata carestia,
-e non aveano capo a cui i cittadini e’ forestieri
-ubbidissono, ma come la mala provvedenza
-del conte meritò, i soldati mossono quistione
-come appresso diviseremo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap66-1">CAP. LXVI.
-<span class="smaller"><i>Come i soldati mossono quistione al conte, e fu
-loro assegnato messer Giovanni Peppoli.</i></span></h3>
-
-<p>
-La mala provvedenza del conte di Romagna
-avendo moltiplicata gente d’arme al suo soldo,
-e promesse paghe doppie e mesi compiuti per
-niente, e dalla Chiesa non aveva i danari, come
-la sua follia avea stimato: i soldati conoscendo
-loro tempo, essendo a pagare di parecchi mesi
-di loro propi soldi, senza le promesse del conte,
-dissono, che di quel luogo non si partirebbono,
-se prima non fossono pagati de’ loro soldi serviti,
-e delle paghe doppie e mesi compiuti che promessi
-avea loro. Il quale soldo, colle promesse
-fatte, montava centocinquanta migliaia di fiorini
-d’oro. Il conte vedendo che la Chiesa non gli
-mandava danari, se non a stento, e a pochi insieme,
-temette che i soldati, ch’erano tutti di concordia,
-a uno volere non lo pigliassono, trattò
-con loro d’avere termine da fare venire loro
-danari, e diede loro in pegno messer Giovanni
-de’ Peppoli, e certi Bolognesi che avea prigioni
-a Imola, e Castel san Pietro, e quello di Luco,
-e quello di Doccia, ch’egli avea acquistati in
-sul Bolognese: e fu con loro in accordo, come avessono
-la possessione di tutto, allora cavalcherebbono,
-e porrebbonsi a campo stretto alla città
-di Bologna. Il conte fece dare loro i prigioni e
-la guardia delle castella, e avutole, volea che cavalcassono.
-I soldati colla corrotta fede, usati
-<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span>
-de’ baratti, dissono che ’l pegno non era buono,
-e non voleano cavalcare nè partirsi da Castel
-san Pietro. Messer Giovanni de’ Peppoli sentendo
-questo, di presente ebbe de’ conestabili, e
-trattò con loro di dare contanti fiorini ventimila
-d’oro, e per stadichi i suoi figliuoli e quelli di
-messer Iacopo suo fratello, e certi cittadini di
-Bologna per lo rimanente, ed elli li liberassono
-di prigione. L’accordo fu fatto con assentimento
-del conte, se infra certo tempo la Chiesa non avesse
-mandati i danari. Venuto il termine, e non i
-danari, i soldati presono fiorini ventimila contanti,
-e gli stadichi promessi, e lasciarono messer
-Giovanni, il quale tornò in Bologna, e il fratello
-e la parte loro furono più forti, e signori
-di potere fare della città a loro senno, senza la
-volontà e consiglio de’ loro cittadini, perocchè
-messer Giovanni era molto temuto, e sapeva bene
-essere co’ soldati ne’ fatti della guerra.
-</p>
-
-<h3 id="cap67-1">CAP. LXVII.
-<span class="smaller"><i>Come messer Giovanni tenne suoi trattati
-della città di Bologna.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornando messer Giovanni in Bologna, e lasciati
-a’ soldati della Chiesa gli stadichi promessi,
-trovò la città in molto male stato per le cagioni
-già dette, e non vide modo come difendere
-si potesse, e conobbe che perdere gli convenia la
-signoria di Bologna in breve tempo. I cittadini
-di Firenze, che desideravano l’accordo di quella
-città colla Chiesa, sentendo tornato in Bologna
-<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span>
-messer Giovanni, vi mandarono de’ loro cittadini
-più solenne ambasciata, i quali da’ tiranni furono
-ricevuti a onore, e di loro volontà trattarono accordo
-col conte, e condussono il trattato a questo
-punto. Che i tiranni lasciassono al tutto la signoria
-della città e contado, e renderla alla Chiesa
-di Roma per lo modo usato: ch’ella tornasse al
-governamento del popolo, e avere continuo i rettori
-della Chiesa, e pagare il censo consueto; e al
-presente voleano ricevere nella città il conte con
-cinquecento cavalieri, e riformare doveano loro
-stato al popolo, per quelli cittadini che ’l comune di
-Firenze vi mandasse a ciò fare. Il conte che
-avea provati i rimprocci de’ soldati, e il pericolo
-che correa con loro, dichinava le corna della sua
-superbia, e acconciavasi alla detta concordia. Ma
-come pomposo e vano, si strinse al consiglio di
-questo partito che potea pigliare con messer
-Guglielmo da Fogliano, e con messer Frignano,
-figliuolo bastardo di messer Mastino, e altri conestabili
-che v’erano per messer Mastino, i quali
-non v’erano tanto per onore di santa Chiesa,
-quanto per loro vantaggio, per cui faceva la guerra,
-e speravano con loro malizia conducere la
-città di Bologna piuttosto in mano del loro signore,
-che del conte e della Chiesa di Roma, i quali
-dissono al conte: tu vedi che i signori di Bologna
-non possono più, e la città è condotta a tanta
-stremità dentro, che delle mani tue non puote
-uscire: e però non pensare a questi patti, che noi
-te ne faremo libero signore colla spada in mano.
-Il conte pomposo, pieno di vanagloria, con
-lieve testa, non pensò i casi che occorrono nelle
-<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span>
-guerre, e per le vane promesse de’ fallaci adulatori
-ruppe il trattato menato per gli ambasciadori
-del comune di Firenze fedelmente, a onore e a
-beneficio di santa Chiesa, e a ricoveramento di riposo
-al fortunoso stato di quella città. Vedendo i
-tiranni la sconcia volontà del conte, si pensarono
-con tradimento de’ loro cittadini e della loro patria
-venire a un altro loro intendimento, già
-mosso per la malizia e per lo sdegno di messer
-Giovanni; e però, acciocchè più copertamente
-a’ loro cittadini potessono fare l’inganno, dissono
-che al tutto erano diliberati mettere Bologna nella
-guardia del comune di Firenze. E a questo i Bolognesi
-e grandi e piccoli di buona voglia s’accordarono,
-e sotto questa concordia elessono tre de’ maggiori
-cittadini di cui il popolo faceva maggiore
-capo, e quasti tre con altri compagni, e con pieno
-mandato, mandarono a Firenze con diversi
-intendimenti. Il popolo credendosi racquistare
-libertà e pace sotto la protezione del comune di
-Firenze, e i tiranni avendone tratti i caporali del
-popolo, pensarono senza contasto, come fatto
-venne loro, di venire a loro intendimento, di potere
-vendere la città e i suoi cittadini all’arcivescovo
-di Milano. Gli ambasciadori in fede e con
-grandissima affezione vennono a Firenze, e spuosono
-la loro ambasciata, solennemente dinanzi
-a’ signori, e a’ loro collegi, e a molti altri grandi
-e buoni cittadini di Firenze, richiesti e adunati
-per la detta cagione. E il dicitore fu messer Ricciardo
-da Saliceto, famoso dottore di legge, e la
-sua proposta fu: <i>Ad Dominum cum tribularer
-clamavi, ec.</i> E con nobile ed eccellente orazione, e
-<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span>
-con efficaci ragioni e induttivi argomenti, conchiuse
-la sua dimanda, a inducere il comune di
-Firenze a prendere la guardia della città e de’
-cittadini di Bologna. I governatori del comune di
-Firenze già aveano alcuna spirazione del trattato
-ch’e’ tiranni di Bologna aveano col signore
-di Milano, e comprendevano che questi ambasciadori
-fossono mandati a inganno: nondimeno
-per non aversi a riprendere, in quello consiglio deliberarono
-di mandare solenni ambasciadori di
-presente a corte per trovare accordo col papa, e
-in questo mezzo di mandare cavalieri, e de’ suoi
-cittadini alla guardia di Bologna, per contentare
-il popolo. Ma l’altro dì vegnente fu manifesto
-a’ signori di Firenze e agli ambasciadori di Bologna,
-che i tiranni l’aveano per danari venduta
-all’arcivescovo di Milano; e fu per lettera de’ tiranni
-detti comandato agli ambasciadori, che non
-si dovessono partire di Firenze senza loro comandamento;
-allora fu al tutto la cosa palese, e seguitò
-il fatto come appresso racconteremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap68-1">CAP. LXVIII.
-<span class="smaller"><i>Secondo trattato di Bologna.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Giovanni de’ Peppoli avvelenato di sdegno
-della sua presura, vedendo che però perdea
-la tirannia di Bologna, avendo con non piccola
-fatica recato Messer Iacopo al suo volere, e vota
-la terra de’ caporali di cui temea, e fortificata
-la guardia nella città, avendo segretamente tenuto
-trattato coll’arcivescovo di Milano, coll’impeto
-<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span>
-del suo dispettoso cuore, ebbe podere di
-vendere la città e’ suoi cittadini della sua propria
-patria, e da cui avea ricevuto esaltamento
-della sua signoria e onore, e niente per loro
-difetto del suo caso, cosa molto detestabile a
-udire. Costui vedendo che ’l suo trattato era
-scoperto, cavalcò di presente a Milano, e fermò
-la maledetta vendita per dugentomila fiorini,
-de’ quali si dovea dare certa parte a’ soldati della
-Chiesa per riavere gli stadichi che avea loro lasciati
-per liberare la sua persona, e a lui e al
-fratello dovea rimanere in loro libertà il castello
-di san Giovanni in Percesena, e Nonandola e Crevalcuore.
-E tornato lui, manifestata la vendita, i
-Bolognesi grandi e piccoli si tennono soggiogati
-di giogo d’incomportabile servaggio, e molto
-si doleano palesemente e in occulto l’uno coll’altro;
-e innanzi che la terra si pigliasse per lo
-signore di Milano grande gelosia ebbono i traditori
-della patria, e molto vegghiarono e di dì e di
-notte alla guardia della città. Ma i vili e codardi
-cittadini non ardirono di levarsi contra a’ tiranni,
-nè a muovere romore nella terra: che se fatto
-l’avessono, leggiermente coll’aiuto del comune
-di Firenze, a cui dispiaceva la vicinanza di
-sì potente tiranno, sarebbe venuto fatto di tornare
-in libertà. Alcuna trista vista ne feciono
-mollemente, e in fine si lasciarono vendere e sottoporre
-al duro giogo, del mese d’ottobre gli anni
-di Cristo 1350.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap69-1">CAP. LXIX.
-<span class="smaller"><i>Come l’arcivescovo di Milano mandò a prendere
-la possessione di Bologna.</i></span></h3>
-
-<p>
-Come l’arcivescovo di Milano ebbe fermo il patto
-della compera di Bologna con messer Giovanni,
-non guardò con alcuna reverenzia o debito
-di ragione che la città fosse di santa Chiesa, ma
-cresciuto nella tirannesca superbia subitamente
-fece apparecchiare messer Bernabò suo nipote, figliuolo
-di messer Stefano, valente uomo e di
-grande ardire, e con millecinquecento barbute di
-soldati eletti il mise a cammino, e mandollo a pigliare
-la tenuta di Bologna. Sentendo questa venuta
-il doge Guernieri, ch’era in bando dell’arcivescovo
-di Milano, con tutta sua masnada si
-partì di Bologna; e standosi fuori della città,
-accogliea gente senza soldo per fare una compagna.
-Messer Bernabò giunto alla città entrò
-dentro senza alcuno contasto co’ suoi cavalieri,
-e con trecento che prima avea alla guardia di Bologna
-vi si trovò con millecinquecento barbute:
-e prese la tenuta e la guardia della città e delle
-castella di fuori, e appresso convocò i cittadini
-a parlamento, e per forza fece loro ratificare la
-vendita fatta per i tiranni, e dinuovo aggiudicarsi
-fedeli dell’arcivescovo e de’ suoi successori.
-E l’obbligazioni e le carte e il saramento
-fece fare il meglio seppe divisare; e questo fu
-fatto all’uscita del mese d’ottobre 1350. E così
-ebbe fine la tirannia della casa di Romeo de’
-<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span>
-Peppoli, grandi ed antichi cittadini di Bologna,
-i quali erano stati onorati e fatti signori da’ loro
-cittadini, dalla cacciata del cardinale del Poggetto
-legato del papa, i quali aveano loro signoria
-mantenuta assai dolcemente co’ cittadini. Essendo
-di natura guelfi, per la tirannia erano
-quasi alienati dalla parte, e i Fiorentini, amicissimi
-di quello comune, trattavano in molte cose
-con dissimulata e corrotta fede; e perocchè a’ traditori
-della patria tosto pare che Iddio apparecchi
-la vendetta, in breve tempo seguitò a messer Iacopo
-e a messer Giovanni, per addietro tiranni
-di Bologna, pena del peccato commesso, come
-seguendo nostra materia racconteremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap70-1">CAP. LXX.
-<span class="smaller"><i>Come capitò il conte di Romagna e
-l’oste della Chiesa.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il conte di Romagna ventoso di superbia, e incostante
-per poco senno, il quale cotante volte
-potè avere con grande sua gloria e onore di santa
-Chiesa la città di Bologna, e non volutola se
-non colla spada in mano, secondo il consiglio
-de’ malvagi compagni, vedendola nelle mani del
-potente tiranno, vorrebbe avere creduto al consiglio
-de’ Fiorentini. Non però dimeno, perocchè
-per tutto questo la città non era allargata di vittuaglia,
-ma piuttosto aggravata, e’ soldati erano
-per gli stadichi che aveano, per li ventimila
-fiorini ricevuti, allargati di speranza, e messer
-Mastino che dell’impresa dell’arcivescovo era
-<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span>
-dolente a cuore, offerendo al conte tutto suo sforzo
-di gente e di prestare danari alla Chiesa, confortò
-il conte a seguitare l’impresa. Il conte per
-questo si recò a conducere il doge Guernieri con
-milledugento barbute, uscito di Bologna, e raccolta
-gente come detto è. Messer Mastino anche
-vi mandò di nuovo de’ suoi cavalieri, e danari
-per comportare i soldati. E il conte fatte grandi
-impromesse a’ soldati mosse il campo da Castel
-san Pietro e venne con l’oste a Budri, in mezzo
-tra Bologna e Ferrara, e di là valicarono ad
-Argellata e a san Giovanni in Percesena, e ivi
-stettono dieci dì aspettando danari, con intenzione
-di porsi presso a Bologna dalla parte di
-Modena, per levare ogni soccorso a messer Bernabò:
-il quale era dentro in grande soffratta di
-vittuaglia e di strame, e male veduto da’ cittadini,
-e però stava in paura e non s’ardiva a
-muovere. Onde la città era a partito da non poter
-durare: e per forza convenia che tornasse alle
-mani della Chiesa, se il pagamento o in tutto
-o in parte fosse venuto a’ soldati. Ma chi si fida
-ne’ fatti della guerra alla vista delle prime imprese
-de’ prelati, e non considera come la Chiesa
-è usata a non mantenere le imprese, spesso
-se ne truova ingannato. E’ non valse al conte
-scrivere al papa, nè mandare ambasciadori,
-nè tanto mostrare come Bologna si racquistava
-con grande onore di santa Chiesa, assai potè dolere
-la vergogna, che l’arcivescovo di Milano
-facea d’avere tolta Bologna, che danari debiti
-a’ soldati, per vincere così onorevole punga, venissero
-da corte. Per tanto i soldati non si vollono
-<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span>
-strignere a Bologna, anzi di loro arbitrio
-mossero il campo e tornarono a Budri, e ivi
-ch’era luogo ubertuoso, e che ’l marchese dava
-copioso, si misono ad attendere se i danari de’
-loro soldi e dell’altre promesse venissero: e
-ivi dimorarono infino a dì 28 di gennaio del
-detto anno, e però i danari non vennono. Per
-la qual cosa al conte parea male stare, e per
-paura di se consentì a’ soldati che trattassero
-d’avere le paghe sostenute e le paghe doppie
-promesse per lui da messer Bernabò, condotto
-in parte per la sua mala provvedenza, che altro
-non poteva fare; rimanendogli alcuna vana speranza,
-che se messer Bernabò non si accordasse
-con loro, che gli farebbono più aspra guerra, ma
-il tiranno s’accordò di presente ad accordarli e
-pagarli, e riavere le castella e li stadichi; e questo
-fornì de’ danari della compra che avea fatta di Bologna.
-In questo medesimo trattato, condusse settanta
-bandiere di Tedeschi e Borgognoni soldati
-della Chiesa al suo soldo. Ed essendo assediato,
-in cotanto pericolo ricolse gli stadichi, riebbe
-le castella, ruppe l’oste de’ nimici, liberò la città
-dell’assedio, e in uno dì mise in Bologna in suo
-aiuto de’ cavalieri della Chiesa millecinquecento
-barbute; e tutto gli avvenne per l’avarizia de’ prelati
-di santa Chiesa, e per la forza e larghezza
-della sua pecunia. Il doge Guernieri colla sua
-compagna si ridusse in Doccia, e la gente di
-messer Mastino e del marchese di Ferrara si
-tornarono a’ loro signori: e il conte povero e
-vituperato del fine della sua impresa si tornò
-co’ suoi Provenzali in Imola, e Bologna si rimase
-<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span>
-sotto il giogo del potente tiranno, mettendo
-in paura tutta Italia, e spezialmente la parte
-guelfa. Abbiamo stesamente narrato il processo
-di questa guerra per esempio del pericolo che
-corre de’ folli e ambiziosi capitani: e come per
-troppa superbia spesse volte volendo tutto si perde
-ogni cosa: e a dimostrare come è folle chi ha fidanza
-de’ danari della Chiesa far le imprese della
-guerra. Ancora questa rivoltura di Bologna
-fu cagione d’apparecchiare a tutta Italia, per lunghi
-tempi, grandi e gravi novità di guerre, come
-seguendo nostro trattato si potrà vedere.
-</p>
-
-<h3 id="cap71-1">CAP. LXXI.
-<span class="smaller"><i>Come i Guazzalotri di Prato cominciarono
-a scoprire loro tirannia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornando a’ fatti della nostra città di Firenze,
-il nobile castello di Prato ci dà cagione di
-cominciare da lui, nel quale la famiglia de’ Guazzalotri
-erano i migliori e più potenti, e la loro
-grandezza procedeva perocchè erano amati sopra
-gli altri di quella terra dal comune di Firenze:
-ed essendo guelfi, portavano fede e ubbidienza
-grande al nostro comune. Vero è che quello comune
-vedendosi in libertà e in vicinanza de’ Fiorentini,
-per tema che alcuna volta non si sommettessono
-al comune di Firenze aveano provveduto,
-come si racconta nella cronica del nostro antecessore,
-di darsi a messer Carlo duca di Calavra,
-figliuolo del re Ruberto, e a’ suoi discendenti
-<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span>
-in perpetuo, con misto e mero imperio, ed
-egli così gli prese. Nondimeno si manteneano in
-fede e amore del comune di Firenze. Avvenne
-che morti gli antichi e savi cavalieri della casa
-de’ Guazzalotri, i quali conoscevano la loro grandezza
-procedere dal comune di Firenze, rimasonvi
-giovani donzelli: i quali trovandosi nella signoria
-di quella terra, mancando allora il governamento
-della casa reale per le fortune del
-Regno, cominciarono i giovani a trapassare l’ordine
-e il modo de’ loro antecessori nel governamento
-di quel castello, conducendolo a modo tirannesco.
-Della quale tirannia spesso veniva richiamo
-a’ priori di Firenze, e il comune per lo antico
-amore che portava a quelli di quella casa mandava
-pe’ caporali, tra’ quali il maggiore e il più ardito e
-riverito da tutti a quelle stagioni era Iacopo di Zarino,
-e riprendevanli e ammonivano parentevolemente
-per riducerli alla regola de’ loro maggiori.
-Ma i giovani caldi nella signoria e poco savi, e inzigati
-da mal consiglio, non seguendo il consiglio
-de’ Fiorentini, l’un dì appresso all’altro più dimostravano
-atto tirannesco per tenere in paura più
-che in amore i loro terrazzani. E per dimostrare
-in fatto quello che aveano nella mente, feciono
-di subito pigliare due Pratesi, l’uno era uno buono
-uomo ricco, vecchio e gottoso, l’altro era un
-giovane notaio ricco, onesto e di leggiadra conversazione
-a cui i Guazzalotri a altro tempo aveano
-fatto uccidere il padre, e a questi due appuosono,
-che voleano tradire Prato, e darlo a’ Cancellieri
-di Pistoia. Sentendo questo il comune di
-Firenze mandò per Iacopo di Zarino, e per gli
-<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span>
-altri caporali de’ Guazzalotri, e pregarongli che
-non seguissono questa novità, e che i presi dovessono
-lasciare: perocchè manifestamente sapieno
-ch’elli erano innocenti: tornarono a Prato,
-e contro alla preghiera del comune di Firenze
-strussono gl’innocenti al giudicio: e sentendosi in
-Firenze, il comune vi mandò ambasciadori e
-lettere; ed essendovi gli ambasciadori del comune,
-e avute le lettere che gli richiedeano che non giudicassono
-a torto g’innocenti, i tirannelli per
-male consiglio s’affrettarono, e feciongli morire
-in vergogna del comune di Firenze, nella
-presenza de’ suoi ambasciadori. E fatto a catuno
-tagliare la testa, occuparono i loro beni indebitamente.
-</p>
-
-<h3 id="cap72-1">CAP. LXXII.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini andarono a oste a Prato,
-ed ebbonne la signoria.</i></span></h3>
-
-<p>
-I Fiorentini vedendo la novità delle guerre
-d’Italia che da ogni parte s’apparecchiavano
-con tiranneschi aguati, e come avieno la nuova
-vicinanza del potente tiranno di Milano che
-teneva Bologna, e così messer Mastino, e vedeano
-che i Guazzalotri, congiunti per sito alle
-porti della città di Firenze, cominciavano a usare
-tirannia, pensarono che se possanza di grande
-tiranno s’appressasse loro, come s’apparecchiava,
-che della terra di Prato poco si poteano fidare.
-E però con buono consiglio, subitamente e
-improvviso a’ Pratesi, del mese di settembre gli
-<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span>
-anni <i>Domini</i> 1350, feciono cavalcare le masnade
-de’ cavalieri soldati del comune, con alquanti cittadini
-e pedoni delle leghe del contado, e
-d’ogni parte si puosono a campo intorno a Prato,
-e senza fare preda o guasto, domandarono di
-volere la guardia di quella terra. I Pratesi smarriti
-del subito avvenimento, e non provveduti alla
-difesa, e avendo nella terra molti a cui la novella
-tirannia de’ Guazzalotri dispiaceva, senza
-troppo contasto furono contenti di fare la volontà
-del comune di Firenze. E sicurati da’ cittadini
-che danno non si farebbe, dierono al comune di
-Firenze liberamente la guardia di Prato, rimanendo
-a’ terrazzani la loro usata giurisdizione. E
-il comune prese il castello dello imperadore e misevi
-castellano, e fece la terra guardare solennemente.
-</p>
-
-<h3 id="cap73-1">CAP. LXXIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini comperarono Prato, e recaronlo
-al loro contado.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo il nostro comune la guardia di Prato
-presa contro la comune volontà de’ terrazzani,
-pensò che se mai tornasse in libertà, che i giovani
-in cui mano era rimasa la signoria con provvedenza
-la guarderebbono e la recherebbono a
-tirannia lievemente: e però sentendo il re Luigi
-e la reina Giovanna ereda del duca di Calavra,
-tornati di nuovo nel Regno, e che erano in fortuna
-e in grande bisogno, e governavansi per consiglio
-di messer Niccola Acciaiuoli nostro cittadino,
-<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span>
-feciono segretamente trattare di comperare
-la giurisdizione ch’aveano in Prato. E trovando
-la materia disposta per lo bisogno del re e
-della reina, e bene favoreggiata da messer Niccola
-detto, il mercato fu fatto, e pagati per lo comune
-fiorini diciassettemila e cinquecento alla reina,
-come fu la convegna, per solenni privilegi
-e stipulazioni pubbliche dierono al comune di
-Firenze ogni ragione e misto e mero imperio
-ch’aveano nella terra di Prato e nel suo contado.
-E come il comune ebbe la ragione di questa
-compera, improvviso a’ Pratesi mandò alcuna forza
-a Prato e prese la tenuta di nuovo, e fece manifestare
-a’ Pratesi come la terra e il contado e
-gli uomini di quel comune erano liberi del nostro
-comune per la detta compera, e mostrar loro i
-privilegi e le carte; e questo fu del mese di...
-nel detto anno. E presa la tenuta, incontanente
-levò le signorie, gli ordini e gli statuti de’ Pratesi,
-e recò la terra e il contado a contado di Firenze,
-e diede l’estimo e le gabelle a quello comune
-come a’ suoi contadini, e diede loro quelli beneficii
-della cittadinanza e degli altri privilegi ch’hanno
-i contadini di Firenze: e ordinovvi rettori
-cittadini con certa limitata giurisdizione, recando
-il sangue e l’altre cose più gravi alla corte
-del podestà del comune di Firenze. Della qual cosa
-i Pratesi vedendosi avere perduta la loro franchigia,
-generalmente si tennono mal contenti,
-ma poterono conoscere per non sapere usare
-libertà divenire suggetti: e per la provvisione
-fatta di non venire alla signoria de’ Fiorentini,
-con quella in perpetuo furono legati alla sua giurisdizione.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap74-1">CAP. LXXIV.
-<span class="smaller"><i>Come i guelfi furono cacciati dalla Città di
-Castello.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo anno, essendo ne’ collegi del reggimento
-di Perugia insaccati per segreti squittini
-gran parte de’ ghibellini, de’ quali a quel tempo
-n’erano i più all’ufficio, per operazione di
-Vanni da Susinana e degli altri Ubaldini della
-Carda, ch’erano cittadini della Città di Castello,
-fu messo in sospetto de’ Perugini la casa de’ Guelfucci,
-antichi cittadini e guelfi, ed altri guelfi,
-apponendo loro che trattavano di dare la Città di
-Castello a’ Fiorentini, e aggiungendovi alcuna
-altra cagione, mossono il reggimento di Perugia,
-senza cercare la verità del fatto, a fare cavalcare
-a Castello tutti i loro soldati, e per forza cacciarono
-i Guelfucci di Castello e certi altri, i quali
-di queste cose non erano colpevoli, e non si guardavano.
-Come gli Ubaldini ebbono fornita la loro
-intenzione, tutti si vestirono di bianche robe,
-e andarono a Perugia colle carte bianche in
-mano, offerendo al comune di fare tutta la sua
-volontà: scrivessono, ed elli affermerebbono.
-Ma poco stante, entrato a reggimento il nuovo uficio
-del loro priorato, uomini i più guelfi, s’avvidono
-dello inganno che il loro comune avea
-ricevuto, di cacciare i caporali di parte guelfa
-di Castello per malo ingegno degli Ubaldini, e
-in furia arsono e ruppono i sacchi de’ loro ufici,
-e di nuovo riformarono la città, mettendo ne’ sacchi
-<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span>
-per loro squittini cittadini guelfi, e ischiusonne
-i ghibellini; e di presente rimisono i Guelfucci
-nella Città di Castello, e confinaronne gli
-Ubaldini.
-</p>
-
-<h3 id="cap75-1">CAP. LXXV.
-<span class="smaller"><i>Come morì il re Filippo di Francia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Stando la tregua, rinnovellata più volte tra il
-re di Francia e il re d’Inghilterra, poche notabili
-cose degne di memoria furono in que’ paesi.
-Ma il detto re Filippo di Francia, avendo per
-troppa vaghezza tolta per moglie la nobile e sopra
-bella dama figliuola del re di Navarra, e
-levatala al figliuolo come abbiamo narrato, tanto
-disordinatamente usò il diletto della sua bellezza,
-che cadendo malato, la natura infiebolita
-non potè sostenere, e in pochi dì diede fine colla
-sua morte alla sollecitudine della guerra, e
-a’ pensieri del regno e ai diletti della carne. E
-morto in Sanlisi, fu recato il corpo in Parigi, e fatto
-il reale esequio solennemente nella presenzia
-de’ figliuoli e de’ baroni del reame, e sepolto
-co’ suoi antecessori alla mastra chiesa di san
-Dionigi, a dì... gli anni <i>Domini</i> 1350. Immantinente
-appresso nella città di Rems fu coronato del
-reame di Francia messer Giovanni suo figliuolo
-primogenito, e la moglie in reina, e ricevette il
-saramento e l’omaggio da tutti i baroni e da
-tutti gli altri feudatari del suo reame e dell’altro
-acquisto. Questo Filippo re di Francia fu figliuolo
-di messer Carlo Sanzaterra, e fu uomo
-<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span>
-di bella statura, composto e savio delle cose del
-mondo, e molto astuto a trovar modo d’accogliere
-moneta, e in ciò non seppe conservare nè fede
-nè legge. E sentendosi molto in grazia e temuto
-da papa Giovanni ventiduesimo, per l’openione
-che sparta avea disputando della visione
-dell’anime beate in Dio, la cui openione
-per li teologi del reame di Francia era riprovata,
-e perchè il collegio de’ cardinali erano tutti
-quasi fuori de’ Catalani, di suo reame, e per
-questa baldanza ebbe animo d’ingannar santa
-Chiesa, sotto la promessa di mostrare di volere
-fare passaggio oltre mare per racquistare la Terra
-santa: e per questo domandò per cinque anni le
-decime del suo reame a ricogliere in breve tempo,
-non avendo l’animo al passaggio, come appresso
-l’opere dimostrarono. E nel suo reame
-mutò spesso e improvviso monete d’oro, peggiorandole
-molto e di peso e d’oro: per le quali mutazioni
-disertò e fece tornare i mercatanti di
-suo reame di ricchezza in povertà: e’ suoi baroni
-e borgesi assottigliò d’avere per modo, che
-poco era amato da loro per questa cagione.
-Onde apparve quasi come sentenzia di Dio, che
-avendo egli cotanta baronia e moltitudine di
-buoni cavalieri, i quali solieno essere pregiati sopra
-gli altri del mondo in fatti d’arme, non s’abboccavano
-in alcuna parte con gl’Inghilesi, che
-non facessono disonore al loro signore: ove per
-antico gli aveano in fatti d’arme sopra modo a
-vile. E molte singulari gravezze sopra la mercatanzia
-e sopra uomini singulari mise, onde molti
-mercatanti forestieri n’abbandonarono il reame;
-<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span>
-e non ostante che spesso fosse percosso dal
-bastone degl’Inghilesi, al continovo il re accrescea
-il suo reame per le infortune degli altri circustanti
-baroni, e per l’aiuto de’ suoi danari. Lasciò
-due figliuoli il re: messer Giovanni e messer
-Luigi duca d’Orliens: e quattro nipoti figliuoli
-del re Giovanni: il maggiore nominato messer
-Carlo Dalfino di Vienna e duca di Normandia,
-l’altro nominato Luigi duca d’Angiò, il terzo
-messer Giovanni conte di Pittieri, e il quarto
-messer Filippo piccolo fanciullo: e tre femmine: la
-prima moglie del re di Navarra, la seconda monaca
-del grande monistero di Puscì, e la terza
-nominata Caterina, picciola fanciulla, la quale
-fu poi moglie di messer Giovan Galeazzo de’ Visconti
-di Milano, come a suo tempo diviseremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap76-1">CAP. LXXVI.
-<span class="smaller"><i>Come la Chiesa rinnovò processo contra l’arcivescovo
-di Milano.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo anno, avendo saputo il papa e’ cardinali
-come l’arcivescovo di Milano per loro
-mandato non s’era voluto rimuovere dell’impresa
-di Bologna, ma contro a loro volontà, e in
-vitupero della Chiesa, avea presa la città e
-rotta l’oste della Chiesa e del conte, furono molto
-turbati. E ricordandosi come l’arcivescovo era
-stato infedele, e rinvoltosi nella resia dell’antipapa
-e fattosi suo cardinale, e poi tornato all’ubbidienza
-di santa Chiesa era ricevuto a misericordia da
-papa Giovanni ventesimosecondo, e riconciliato,
-<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span>
-il fece vescovo di Novara, e poi per Clemente
-sesto promosso e fatto arcivescovo di Milano, e
-ora ingrato era tornato nella prima eresia, di
-non volere avere riverenzia nè ubbidire a santa
-Chiesa: rinnovellarono contro a lui e contro a’
-suoi nipoti i processi altre volte fatti per papa
-Giovanni predetto, e feciono richiedere l’arcivescovo,
-e messer Galeazzo, e messer Bernabò, e
-messer Maffiuolo di messer Stefano Visconti, e
-assegnarono loro i termini debiti che s’andassono
-a scusare, e gli ultimi termini perentori furono
-a dì 8 d’aprile 1351. Infra il termine del detto
-processo vedendo il papa e’ cardinali per la loro
-avarizia, in vituperio, delle loro persone e
-in contento di santa Chiesa, tolta tutta la Romagna
-e la città di Bologna, volendo con ingegno
-unire in lega e compagnia gli altri tiranni
-lombardi, col comune di Firenze e di Perugia
-e di Siena, e colla Chiesa medesima, per potere
-con maggiore forza resistere al potente tiranno,
-mandò in Italia il vescovo di Ferrara, cittadino
-di Firenze della casa degli Antellesi, con pieno
-mandato a ciò ordinare e fermare: il quale giunto
-in Toscana, mandò a’ signori di Lombardia e a’
-comuni predetti, che a certo termine catuno
-mandasse suoi ambasciadori alla città d’Arezzo
-a parlamento. E innanzi che il termine venisse,
-il detto legato andò in persona a messer Mastino
-e al marchese di Ferrara, e al comune di Perugia
-e di Siena a sporre la sua ambasciata, e tornò
-a Firenze, avendo sommossi i detti comuni e
-signori a venire in loro servigio e di santa Chiesa
-alla detta lega, perocchè catuno si temeva
-<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span>
-della gran potenza del’arcivescovo. E messer
-Mastino, che gli era più vicino, con sollecitudine
-confortava i Lombardi e’ comuni di Toscana
-che venissono alla lega e a fare sì fatta taglia,
-che all’arcivescovo si potesse resistere francamente.
-E del mese d’ottobre vegnente gli ambasciadori
-d’ogni parte furono ragunati ad Arezzo;
-quelli di messer Mastino e de’ Fiorentini v’andarono
-con pieno mandato; i Perugini mostravano
-di volere lega e taglia, ma d’ogni punto voleano
-prima risposta dal loro comune, e i Sanesi
-faceano il somigliante, per li quali intervalli, gli
-ambasciadori stettono lungamente ad Arezzo
-senza poter prendere partito. E questo avveniva
-perocchè a’ Perugini e a’ Sanesi parea che la forza
-dell’arcivescovo non potesse giugnere a’ loro confini,
-e volevano mostrare di non volersi partire
-dal volere di santa Chiesa e de’ Fiorentini. E in
-questo soggiorno, l’arcivescovo di Milano temendo
-che la Chiesa non si facesse forte coll’aiuto
-de’ Toscani e de’ Lombardi, mandò a messer
-Mastino messer Bernabò suo genero, pregandolo
-che si ritraesse da questa impresa: e grandi
-impromesse al comune di Firenze faceva d’ogni
-patto e vantaggio che volesse da lui: e con queste
-suasioni cercava disturbare la detta lega: ma
-invano s’affaticava con questi tentamenti, che
-di presente tutti si piovicavano nel parlamento,
-e’ Sanesi s’erano ridotti al segno de’ Fiorentini,
-ed era preso, che se i Perugini non volessono essere
-alla lega, che si facesse senza loro. E avendo
-questo protestato loro, attendendo l’ultima
-risposta, la quale dilungavano con nuove cagioni
-<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span>
-di dì in dì, andandovi in persona oggi l’uno
-ambasciadore e domane l’altro, essendo gli altri
-ambasciadori per fermare la lega e la taglia
-senza loro, come a Dio piacque, sopravvenne la
-novella della morte di messer Mastino, per la
-quale cosa si ruppe il parlamento senza fermare
-lega, e catuno ambasciadore si tornò a suo comune
-e signore; della qual cosa tornò grande ripetio
-a’ comuni di Toscana. E benchè i Fiorentini e i
-Sanesi non fossono cagione di questo scordo,
-nondimeno peccarono in tanto aspettare i Perugini:
-che grande utilità era al comune di Firenze,
-che confinava col tiranno, avere in suo aiuto
-il braccio di santa Chiesa e del signore di Verona,
-e di Ferrara e di Siena. Ma quando i falli si
-prendono ne’ fatti della guerra sempre hanno uscimento
-di privato pericolo: e però gli antichi maestri
-della disciplina militare punivano con aspre
-pene i mali consigliatori, eziandio che del male
-consiglio conseguisse prospero fine. Ma ne’ nostri
-tempi, i falli della guerra si puniscono non
-per giustizia, ma per esperienza del male che ne
-seguita, come tosto avvenne a’ detti comuni di
-Toscana, come seguendo appresso ne’ suoi tempi
-dimostreremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap77-1">CAP. LXXVII.
-<span class="smaller"><i>Come il tiranno di Milano si collegò con tutti
-i ghibellini d’Italia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avvenne in questo anno, come l’arcivescovo
-di Milano sentì rotto il trattato della lega mosso
-<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span>
-per lo papa, e morto messer Mastino di cui più
-temea, gli parve che fortuna al tutto fosse con
-lui, e prese speranza di sottomettersi Toscana, e
-appresso tutta l’Italia. E però procacciò di recare
-a se il gran Cane della Scala cognato di messer
-Bernabò, e vennegli fatto per la confidenza del
-parentado. E perchè essendo giovane e nuovo nella
-signoria non facea per lui la guerra di sì
-fatto vicino, e però lievemente venne a concordia
-e legossi con lui, e promise d’aiutare l’uno l’altro
-nelle loro guerre. Sentita questa lega gli altri
-tiranni lombardi tutti si legarono coll’arcivescovo,
-non guardando il marchese di Ferrara perchè
-avesse antico amore e singolare affetto col
-comune di Firenze; e così tutti i tirannelli di
-Romagna feciono il simigliante, e que’ della Marca.
-E il comune di Pisa per patto li promisono dugento
-cavalieri, e non volendo rompere patto di
-pace a’ Fiorentini l’intitolarono alla guardia di
-Milano. E in Toscana s’aggiunse i Tarlati d’Arezzo,
-non ostante che fossono in pace e in protezione
-del comune di Firenze, e il somigliante di Cortona:
-e gli Ubaldini, e’ Pazzi di Valdarno, e gli Ubertini,
-e de’ conti Guidi tutti i ghibellini, e quei di
-Santafiore, e molti altri tirannelli ghibellini, i
-quali segretamente s’intesono coll’arcivescovo,
-non volendosi mostrare innanzi al tempo, per
-paura che i comuni guelfi loro vicini nol sapessono.
-Questa lega fu fatta e giurata tosto e molto
-segretamente, perocchè vedendo i ghibellini
-la gran potenza dell’arcivescovo, e sappiendo che
-la Chiesa non avea potuto fare la lega, e che i tiranni
-tutti di Lombardia s’erano accostati a dare
-<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span>
-aiuto all’arcivescovo, pensarono che venuto fosse
-il tempo di spegnere parte guelfa in Italia, e
-però senza tenere pace o fede promessa catuno
-s’accostò col Biscione, e vennesi provvedendo d’arme
-e di cavalli per essere alla stagione apparecchiati.
-In questo mezzo l’arcivescovo per meglio
-coprire l’intenzione sua amichevolemente mandava
-al comune di Firenze sue lettere, congratulandosi
-de’ suoi onori, e profferendosi come ad amici,
-e con questa dissimulazione passò tutto il verno,
-e mostrava d’avere l’animo a stendersi nella Romagna.
-E il comune di Firenze per non mostrare
-in sospetto l’amicizia che dimostrava a’ Fiorentini,
-non si provvedeva di capitano di guerra nè
-di gente d’arme, e le strade di Bologna e di
-Lombardia usava sicuramente colle mercatanzie
-de’ suoi cittadini; e i Milanesi e’ Bolognesi e gli
-altri Lombardi faceano a Firenze il somigliante
-senza alcuno sospetto: perocchè il malvagio concetto
-del tiranno e de’ suoi congiunti si racchiudea
-ne’ loro petti, e di fuori non si dimostrava,
-per meglio potere adempiere loro intenzione.
-</p>
-
-<h3 id="cap78-1">CAP. LXXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come fu assediata Imola dal Biscione e altri.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo medesimo verno, messer Bernabò,
-ch’era in Bologna vicario per l’arcivescovo, costrinse
-i Bolognesi, e mandò a porre l’oste a Imola
-i due quartieri della città: ed egli v’andò in
-persona con ottocento cavalieri, e fecevi venire il
-capitano di Forlì colla sua gente a piè e a cavallo,
-<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span>
-e vennevi messer Giovanni Manfredi tiranno
-di Faenza colla sua forza, e il signore di
-Ravenna e gli Ubaldini, e assediarono Imola intorno
-con più campi. Guido degli Alidogi signore
-d’Imola, guelfo e fedele a santa Chiesa,
-avendo sentito questo fatto dinanzi, e richiesto i
-Fiorentini e gli altri comuni e amici di santa
-Chiesa d’aiuto, e non avendolo trovato, per la
-paura che catuno avea d’offendere al Biscione,
-come uomo franco e di gran cuore s’era provveduto
-dinanzi che l’assedio vi venisse di molta
-vittuaglia; e per non moltiplicare spesa di soldati
-elesse centocinquanta cavalieri di buona gente
-d’arme e trecento masnadieri nomati, tutti di
-Toscana, e con questi si rinchiuse in Imola; e
-fece intorno alla città due miglia abbattere case
-chiese e quanti difici v’erano, perchè i nimici
-non potessono avere ridotto intorno alla terra; e
-così francamente ricevette l’assedio, acquistando
-onore di franca difesa, insino all’uscita di maggio
-gli anni <i>Domini</i> 1351. In questo stante al continovo
-si mettea in ordine sotto questa coverta
-d’Imola di potere improvviso a’ cittadini di Firenze
-assalire la città: e approssimandosi al tempo,
-di subito fece levare l’oste da Imola e lasciarvi
-certi battifolli, i quali in poco tempo straccati,
-senza potere tenere assediata la città, se
-ne levarono e lasciaronla libera.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap79-1">CAP. LXXIX.
-<span class="smaller"><i>Come il capitano di Forlì tolse al conticino da
-Ghiaggiuolo e al conte Carlo da Doadola
-loro terre.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo medesimo tempo, il capitano di
-Forlì disideroso d’accrescere sua signoria, e avventurato
-nell’imprese, non vedendosi avere in
-Romagna di cui e’ dovesse temere, co’ suoi cavalieri
-venne subitamente sopra le terre del conticino
-da Ghiaggiuolo, di cui non si guardava,
-e con lui venne l’abate di Galeata, da cui
-il conticino tenea certe terre, e non gli rispondea
-com’era tenuto. E parve che fosse una maraviglia,
-che avendo buone e forti castella e bene
-guernite a grande difesa, tutte l’ebbe in pochi dì.
-E con questa foga se n’andò sopra le terre di
-Carlo conte di Doadola, e quasi senza trovar contasto
-tutte le recò sotto la sua signoria. Egli
-era a quel tempo in lega col signore di Milano, e
-però non trovò il comune di Firenze, benchè
-il conticino fosse stato suo cittadino, ch’aiutare
-lo volesse contro al capitano.
-</p>
-
-<h3 id="cap80-1">CAP. LXXX.
-<span class="smaller"><i>Come nella città d’Orbivieto si cominciò materia
-di grande scandalo.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo anno 1350, reggendosi la città d’Orbivieto
-a comune appo il popolo, erano i maggiori
-<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span>
-governatori di quello stato Monaldo di
-messer Ormanno, e Monaldo di messer Bernardo
-della casa de’ Monaldeschi; Benedetto di messer
-Bonconte loro consorto, per invidia e per setta
-recati a se due altri suoi consorti, trattò con loro
-il malificio, che poco appresso gli venne fatto;
-perocchè del mese di marzo del detto anno, uscendo
-amendue i Monaldi sopraddetti del palagio
-del comune dal consiglio, Benedetto co’ suoi
-due consorti s’aggiunsono con loro, e senza alcuno
-sospetto, i due Monaldi, che al continovo il
-dì e la notte usavano con Benedetto, s’avviarono
-con lui ragionando; e avendo il traditore l’uno
-di loro per mano, nel ragionamento, in sulla
-piazza, il fedì d’uno stocco, e cadde morto; l’altro
-Monaldo vedendo questo cominciò a fuggire:
-Benedetto sgridò i compagni, i quali il seguirono,
-e innanzi che potesse entrare in casa sua il
-giunsono e uccisonlo. Morti che furono costoro,
-Benedetto corse a casa sua e armossi; e accolti
-certi suoi amici, co’ suoi due consorti corsono
-la terra: e non trovando contasto, entrarono nel
-palagio del comune; e aggiuntasi forza di cittadini
-di sua setta, Benedetto si fece fare signore,
-e cominciò a perseguitare tutti coloro ch’erano
-stati amici de’ suoi consorti morti; e montò
-in tanta crudeltà la sua tirannia coll’audacia
-de’ suoi seguaci, che cacciati molti cittadini, in
-piccolo tempo, innanzi che l’anno fosse compiuto,
-più di dugento tra dell’una setta e dell’altra
-se ne trovarono morti di ferro. Onde il contado
-e il paese d’intorno se ne ruppe in sì fatto modo,
-che in niuno cammino del loro distretto si
-potea andare sicuro.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap81-1">CAP. LXXXI.
-<span class="smaller"><i>Come la città d’Agobbio venne a tirannia
-di Giovanni Gabbrielli.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo narrato delle nuove tirannie che si cominciarono
-in Toscana, ci occorre a fare memoria
-d’un’altra che si creò nella Marca in questo
-medesimo anno, la città d’Agobbio, la quale in
-quel tempo avea sparti per l’Italia quasi tutti i
-suoi maggiori cittadini in ufici e rettorie. Giovanni
-di Cantuccio de’ Gabbrielli d’Agobbio, essendo
-co’ suoi consorti in discordia per una badia di
-Santacroce, si pensò che agevolemente si potea
-fare signore e della badia e d’Agobbio, trovandosi
-nella città il maggiore, e non guardandosi i suoi
-consorti nè gli altri cittadini di lui. E non ostante
-che fosse guelfo di nazione, considerò che tutti
-i comuni e signori di parte guelfa di Romagna,
-e di Toscana e della Marca temeano forte
-del signore di Milano, ch’avea presa di novello
-la città di Bologna, e provvidde, che dove i Perugini
-o altra forza si movesse contro a lui, che
-l’aiuto dell’arcivescovo non gli mancherebbe.
-E avendo così pensato, senza indugio accolse cento
-fanti masnadieri, e con alquanti cittadini disperati
-e acconci a mal fare, i quali accolse a questo
-tradimento della patria, subitamente corse in
-prima alle case de’ suoi consorti, e affocate e rotte
-le porti, prese messer Belo di messer Cante, e
-messer Bino e Rinuccio suoi figliuoli, e Petruccio
-di messer Bino e quattro altri piccioli fanciulli, e
-<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span>
-tutti gli mise in prigione; e rubate le case, vi mise
-il fuoco e arsele. E fatto questo, corse al palagio
-de’ consoli rettori di quello comune: e non volendo
-il gonfaloniere darli il palagio, corse alle
-case sue e arsele in sua vista. E tornato al palagio,
-disse agli altri consoli, che se non gli dessono
-il palagio altrettale farebbe delle loro; onde
-per paura gli aprirono; e preso il palagio, vi
-lasciò sue guardie, e corse la terra. I cittadini
-sentendo presi i consorti di Giovanni, di cui
-avrebbono potuto fare capo, si stettono per paura,
-e niuno si mise a contastarlo. E così disventuratamente
-coll’aiuto di meno di centocinquanta
-fanti fu occupata in tirannia la città d’Agobbio
-in una notte, la quale avea seimila uomini d’arme.
-Ma i peccati loro, e massimamente le ree cose
-commesse per le città d’Italia per le continove
-rettorie ch’aveano gli uomini di quella città, li
-condusse in quelle, e nella disciplina della nuova
-e disusata tirannia. E per le discordie della casa
-de’ Gabbrielli a quell’ora non avea la città podestà,
-nè capitano nè altro rettore. Avevavi alcune
-masnade de’ Perugini, i quali Giovanni ne
-cacciò fuori; e ’l dì seguente, avendo cresciuta la
-sua forza dentro, se ne fece fare signore; e di presente,
-come potè il meglio, si fornì di gente, e
-di notte facea sollecita guardia, e fortificava la
-sua signoria.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap82-1">CAP. LXXXII.
-<span class="smaller"><i>Come il comune di Perugia e il capitano del
-Patrimonio andarono a oste ad Agobbio.</i></span></h3>
-
-<p>
-Sparta per lo paese la nuova signoria d’Agobbio,
-messer Iacopo, ch’era capo della casa de’ Gabbrielli,
-e allora era capitano del Patrimonio per la
-Chiesa, co’ suoi cavalieri, e con aiuto d’alquanti
-suoi amici, di subito cavalcò a Perugia; e il comune
-di Perugia, che si sentiva offeso per lo cacciare
-della sua gente d’Agobbio, a furore di popolo
-si mosse a cavalcare popolo e cavalieri con
-messer Iacopo, e puosonsi a oste intorno alla città
-d’Agobbio. Vedendo Giovanni di Cantuccio,
-nuovo tiranno, che il comune di Perugia, e messer
-Iacopo e altri suoi consorti con forte braccio
-l’avieno assediato, e che da se era male fornito a
-potere resistere, e de’ suoi cittadini d’entro non si
-potea fidare, sagacemente mandò nel campo
-a’ Perugini suoi ambasciadori, i quali da parte
-di Giovanni dissono: Signori Perugini, Giovanni
-di Cantuccio ci manda a voi a farvi assapere,
-com’egli è di quella casa de’ Gabbrielli, che sempre
-furono amatori e fedeli del vostro comune, e
-così intende d’essere egli; e intende che ’l comune
-di Perugia abbia in Agobbio ogni onore e
-ogni giurisdizione che da qui addietro avere vi solea,
-e maggiore, e vuole rendere i prigioni; ed e’ si
-partissono dall’assedio, e mandassono in Agobbio
-que’ savi cittadini di Perugia cui elli volessono,
-a mettere in ordine e riformare il governamento
-<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span>
-del comune, e ricevere i prigioni. La profferta fu
-larga, e’ Perugini più baldanzosi che discreti,
-confidandosi follemente alla promessa del tiranno,
-elessono ambasciadori ch’andassono a ricevere
-i prigioni e riformare la città, e misongli in
-Agobbio: e di presente si levarono da campo della
-terra e tornaronsi in Perugia, e lasciarono messer
-Iacopo a campo colla gente d’arme ch’avea
-della Chiesa, il quale rimase all’assedio
-più dì partiti i Perugini; pensando coll’aiuto
-de’ suoi cittadini d’entro potere da se alcuna cosa,
-o se la fede di Giovanni fosse intera co’ Perugini,
-potere tornare in Agobbio. Gli ambasciadori
-de’ Perugini entrati in Agobbio, con grandissima
-festa, e dimostramento di grande amore e
-confidanza furono ricevuti da Giovanni. E cominciolli
-prima a convitare e tenerli in desinari
-e in cene, e tranquillarli d’oggi in domane;
-e strignendolo gli ambasciadori, disse che volea
-prima vedere partito messer Iacopo dall’assedio.
-Messer Iacopo s’avvide bene dell’inganno, ma
-stretto dagli ambasciadori perugini, acciocchè
-a lui non si potesse imputare cagione che per lui
-seguitasse la discordia, si partì dall’assedio e
-tornossi nel Patrimonio. Gli ambasciadori di Perugia,
-partitosi messer Iacopo, con più baldanza
-strigneano Giovanni, di rivolere i prigioni, e ordinare
-il reggimento della guardia della terra,
-com’egli avea promesso. Il tiranno vedendosi levato
-l’assedio, tenea con più fidanza gli ambasciadori
-in parole, e trovando nuove cagioni a dilungare
-il tempo, gli tenea sospesi. Ma vedendo
-che oltre al debito modo gli menava per parole,
-<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span>
-per sdegno si partirono d’Agobbio, e rapportarono
-al loro comune l’inganno che Giovanni avea
-fatto. A’ Perugini ne parve male: ma non
-trovarono tra loro concordia di ritornarvi ad
-oste. Nondimeno il nuovo tiranno, pensandosi
-più gravemente avere offeso il comune di Perugia,
-non ostante che fosse per nazione e per patria
-guelfo, si pensò d’aiutare co’ ghibellini. E
-mandò ambasciadori a messer Bernabò ch’era
-a Bologna, dicendo: che volea tenere la città
-d’Agobbio dal suo signore messer l’arcivescovo:
-e pregollo che gli mandasse gente d’arme alla
-guardia sua e della terra; il quale senza indugio
-vi mandò dugentocinquanta cavalieri, e appresso
-ve ne mandò maggiore quantità, parendoli
-avere fatto grande acquisto alla sua intenzione.
-Giovanni da se sforzò i suoi cittadini per avere
-danari, e fornissi di gente d’arme a piè e a cavallo;
-e vedendosi fornito alla difesa si dimostrò
-palesemente nimico de’ Perugini, come appresso
-seguendo nostro trattato racconteremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap83-1">CAP. LXXXIII.
-<span class="smaller"><i>Come cominciò l’izza da’ Genovesi a’ Veneziani.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo cresciuto scandalo nato d’invidia di
-stato tra il comune di Genova e quello di Vinegia,
-tenendosi ciascuno il maggiore, cominciamento
-fu di grave e grande guerra di mare.
-E la prima cagione che mosse fu, che avendo
-avuto i Genovesi guerra e briga con Giannisbec
-imperadore nelle provincie del Mare maggiore,
-<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span>
-a cui i Genovesi aveano arsa la Tana e fatto
-danno grande alla gente sua, per la qual cosa
-i Genovesi non potieno colle loro galee andare
-al mercato della Tana, anzi facevano a Caffa
-porto, e per terra vi faceano venire la spezieria
-e altre mercatanzie, con più costo e avarie che
-quando usavano la Tana. I Veneziani dopo la
-detta briga s’acconciarono coll’imperadore, e
-alla Tana andavano con loro navili e colle loro
-galee per la mercatanzia, e traevanla a migliore
-mercato, la qual cosa mettea male a’ Genovesi. Per
-la qual cosa richiesono i Veneziani, e pregaronli
-che si dovessono accordare con loro a fare porto
-a Caffa, e darebbono loro quella immunità e fondaco
-e franchigia ch’avieno per loro: e facendo
-questo, l’arebbono in grande servigio; ed essendo
-in concordia, non dottavano che Giannisbec si
-recherebbe a far loro ogni vantaggio che volessono,
-per ritornarli al mercato della Tana: e questo
-tornerebbe in loro profitto, e in onore di tutta
-la cristianità. I Veneziani non vi si poterono per
-alcun modo recare, anzi dissono, che intendeano
-d’andare con loro legni e galee alla Tana e
-dove più loro piacesse, che della briga che i Genovesi
-aveano coll’imperadore non si curavano.
-Per la quale risposta i Genovesi sdegnarono, e dispuosonsi
-dove si vedessono il bello, di fare danno
-a’ Veneziani in mare, e i Veneziani a loro; e
-d’allora innanzi, dove si trovarono in mare si
-combatteano insieme, e in trapasso di non gran
-tempo feciono danno l’uno all’altro assai. E
-sentendo catuno comune come la guerra era cominciata
-in mare tra’ loro cittadini, ordinarono
-<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span>
-di mandare a maggiore riguardo e più armati i
-loro navili grossi che non solieno. E per non mostrare
-paura nè viltà l’uno dell’altro non si ristrinsono
-del navicare.
-</p>
-
-<h3 id="cap84-1">CAP. LXXXIV.
-<span class="smaller"><i>Come quattordici galee di Veneziani presono
-in Romania nove de’ Genovesi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avvenne che andando in questo anno alla
-Tana quattordici galee di Veneziani bene armate,
-come furono in Romania s’abboccarono
-in undici galee de’ Genovesi ch’andavano a
-Caffa, sopra l’Isola di Negroponte, e incontanente
-si dirizzano colle vele e co’ remi in verso loro.
-I Genovesi vedendole venire, l’attesono arditamente,
-e acconciaronsi alla battaglia. E sopraggiungendo
-le galee de’ Veneziani, combatterono insieme.
-E dopo la lunga battaglia, i Veneziani sconfissono
-i Genovesi: e seguitando la fuga, delle
-undici galee ne presono nove, e le due camparono,
-e fuggirono in Pera. I Veneziani avendo questa
-vittoria, trovandosi presso all’isola di Negroponte,
-acciocchè non impedissono per tornare a
-Vinegia il loro viaggio della Tana, tornarono
-a Candia, e ivi scaricarono la mercatanzia
-presa delle nove galee de’ Genovesi, e misonla nel
-loro fondaco, e tutti i prigioni incarcerarono:
-e i corpi delle galee de’ Genovesi lasciarono nel
-porto, pensando d’avere ogni cosa in salvo alla
-loro tornata, e allora menar la preda della loro
-vittoria a Vinegia con grande gazzarra; e fatto
-<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span>
-questo seguirono il loro viaggio. Ma le cose ebbono
-tutto altro fine che non si pensarono, come
-appresso diviseremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap85-1">CAP. LXXXV.
-<span class="smaller"><i>Come i Genovesi di Pera presono Negroponte,
-e riebbono loro mercatanzia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Le due galee di Genovesi campate dalla sconfitta,
-e venute a Pera, narrarono a’ Genovesi di
-Pera la loro fortuna. E sentito per quelli di Pera
-come le quattordici galee di Veneziani erano
-passate nel Mare maggiore, e come i Genovesi
-prigioni, e la mercatanzia e i corpi delle loro
-galee erano in Candia; non inviliti per la rotta
-de’ loro cittadini, ma come uomini di franco
-cuore e ardire, di presente avendo in Pera sette
-corpi di galee le misono in mare, e quelle e le
-due de’ Genovesi della sconfitta, e quanti legni
-aveano armarono di loro medesimi, e montaronvi
-suso a gara chi meglio potè, fornendosi d’arme
-e di balestra doppiamente; e senza soggiorno,
-improvviso a’ Veneziani di Candia, i quali non
-sapieno che galee di Genovesi fossono in quel
-mare, furono nel porto. I Veneziani co’ paesani,
-volendo contastare la scesa a’ Genovesi in terra
-nel loro porto, tratti alla marina, per forza d’arme
-e dalle balestra de’ Genovesi furono ributtati;
-e scesi in terra i Genovesi di Pera, e romore
-levato per la città, tutti trassono i cittadini alla
-difesa, per ritenere i Genovesi che non si mettessono
-più innanzi verso la terra. Ma poco valse
-<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span>
-loro, che con tanto empito di loro coraggioso ardire
-i Genovesi si misono innanzi, che coll’aiuto
-delle loro balestra rotti que’ della terra, e
-fuggendo nella città, con loro insieme v’entrarono.
-Come si vidono dentro, affocando le case, e
-dilungando da loro i cittadini co’ verrettoni, gli
-strinsono per modo, che già erano signori della
-terra; ma pervenuti alla prigione la ruppono, e
-trassonne tutti i loro cittadini presi; ed entrarono
-nel fondaco, e tutta la mercatanzia presa delle
-nove galee de’ Genovesi, e quella che dentro
-v’era de’ Veneziani presono, e caricarono ne’
-corpi delle loro nove galee prese nel porto, e
-su le loro; e rimessi i prigioni in su le galee,
-pensarono che tanto erano rotti e sbigottiti gli
-abitatori di Candia, che agevole parea loro vincere
-la terra, ma vincendola e convenendola
-guardare, convenia loro abbandonare Pera,
-e però si ricolsono alle galee, e con piena
-vittoria si ritornarono a Pera. E a Genova rimandarono
-le nove galee racquistate per loro, e
-gli uomini e la mercatanzia, con notabile fama
-di loro prodezza e di varia fortuna.
-</p>
-
-<h3 id="cap86-1">CAP. LXXXVI.
-<span class="smaller"><i>Come fu morto il patriarca d’Aquilea, e fattane
-vendetta.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo anno, del mese di giugno, messer
-Beltramo di san Guinigi patriarca d’Aquilea,
-cavalcando per lo patriarcato, da certi terrieri
-suoi sudditi, con aiuto di cavalieri del conte
-d’Aquilizia, ch’era male di lui, fu nel cammino
-<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span>
-assalito e morto con tutta sua compagnia, e
-senza essere conosciuti allora, coloro che feciono
-il malificio si ricolsono in loro paese. Per la
-qual cosa rimaso il patriarcato senza capo, i comuni
-smossono il duca d’Osterich, il quale con
-duemila barbute venne, e fu ricevuto da tutti i
-paesani senza contasto, e onorato da loro. E
-vicitato il paese infino nel Friuli, sentendo che ’l
-papa avea fatto patriarca il figliuolo del re Giovanni
-di Boemia, non illigittimo ma ligittimo, si
-tornò in suo paese. E poco appresso, il detto
-patriarca venne nel paese, e fu con pace ricevuto
-e ubbidito da tutti i comuni e terrieri del patriarcato.
-E statovi poco tempo, certi castellani
-il vollono fare avvelenare, e furono coloro ch’avieno
-morto l’altro patriarca, avendo a ciò
-corrotto due confidenti famigliari. Onde egli scoperto
-il tradimento, messer Francesco Giovanni
-grande terriere, capo di questi malfattori, con
-certi altri castellani che ’l seguitavano, furono
-da lui perseguitati senza arresto, tanto che si ridussono
-a guardia nelle loro fortezze, e ivi furono
-assediati per modo, che s’arrenderono al patriarca.
-Il quale prima abbattè tutte loro castella,
-le quali erano cagione della loro sfrenata superbia,
-e al detto messer Francesco, con otto
-de’ maggiori castellani fece tagliare le teste, e
-un’altra parte ne fece impendere per la gola.
-Per la qual cosa tutto il paese rimase cheto e sicuro,
-e il patriarca temuto e ubbidito da tutti
-senza sospetto o contasto.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap87-1">CAP. LXXXVII.
-<span class="smaller"><i>Come il legato del papa si partì del Regno,
-e il re riprese Aversa.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornando alle novità del regno di Cicilia di
-qua dal Faro, come è narrato, fatto l’accordo
-dal re Luigi a Currado Lupo e agli altri caporali
-ch’erano sotto il titolo del re d’Ungheria in Terra
-di Lavoro, le città e le castella che teneano in
-quella furono assegnate alla guardia del cardinale
-messer Annibaldo da Ceccano, salvo le torri di
-Capova. Il cardinale non trovando tra le parti
-accordo, per dare materia al re Luigi che si potesse
-riprendere le città e le castella che a lui
-erano accomandate, si partì del Regno e andossene
-a Roma, ove da’ Romani fu male veduto;
-perocchè dispensava e accorciava i termini della
-vicitazione a’ romei, contro all’appetito della loro
-avarizia, onde più volte standosi nel suo ostiere
-fu saettato da loro, e alla sua famiglia fatta vergogna,
-e assaliti e fediti cavalcando per Roma.
-Onde egli sdegnoso si partì, e andossone in Campagna;
-e nel cammino morì di veleno con assai
-suoi famigliari. Dissesi che ad Aquino era stato
-avvelenato vino nelle botti, del quale non ebbono
-guardia, e bevvonsene: se per altro modo fu non
-si potè sapere. Rimasta la città d’Aversa e la
-guardia del castello a certi famigliari del cardinale
-in nome di santa Chiesa, il re Luigi vi cavalcò
-con poca gente, e fecesi aprire le porte del
-castello senza contasto, e misevi fornimento o
-<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span>
-gente d’arme alla guardia. E incontanente la città,
-ch’era troppo larga e sparta da non potersi
-bene difendere, ristrinse, facendo disfare tutte le
-case e’ palagi che fuori del cerchio che prese rimanieno;
-e delle pietre fece cominciare a cignere
-quella di buone e grosse mura: e a ciò fare mise
-grande sollecitudine, sicchè in poco tempo, innanzi
-l’avvenimento del re d’Ungheria nel Regno,
-le mura erano alzate per tutto sei braccia intorno
-alla terra. E fatto capitano messer Iacopo Pignattaro
-di Gaeta, valente barone, di trecento cavalieri
-e di seicento pedoni masnadieri, gli accomandò
-la guardia della città d’Aversa e del
-castello; e nella terra fece mettere abbondanza di
-vittuaglia, perocchè di quella terra, più che
-dell’altre, si dubitava alla tornata del re d’Ungheria.
-In quel tempo Currado Lupo non sentendosi
-forte di cavalieri, che s’erano partiti del
-Regno, s’era ridotto a Viglionese in Abruzzi, e
-gli Ungheri in Puglia, e guardavano il passo delle
-torri di Capova, aspettando il loro signore.
-</p>
-
-<h3 id="cap88-1">CAP. LXXXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come il re d’Ungheria ritornò in Puglia
-conquistando molte terre.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo anno, Lodovico re d’Ungheria sentendo
-che la sua gente avea sconfitto a Meleto i
-baroni del re Luigi e i Napoletani, e aveano molti
-a prigioni: essendo sollecitato per lettere e
-per ambasciadori da’ comuni e da’ baroni che teneano
-nel Regno la sua parte che ritornasse, diliberò
-<span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span>
-di farlo. E di presente mandò innanzi de’ suoi
-cavalieri ungheri con certi capitani in Ischiavonia,
-perchè di là passassero in Puglia. E quando
-gli sentì passati, subitamente con certi suoi
-eletti baroni, con piccola compagnia, si mise a
-cammino, e prima fu alla marina di Schiavonia
-che sapere si potesse della sua partita: e trovando
-al porto le galee e i legni apparecchiati, vi montò
-suso; e avendo il tempo buono, valicò in Puglia
-a salvamento, assai più tosto che per i paesani
-non si stimava. E sentita la partita sua in
-Ungheria, grande moltitudine d’Ungheri il seguitarono,
-valicando di Schiavonia in Puglia in
-barche e in piccoli legni armati sì disordinatamente,
-che se il re Luigi avesse avute due galee
-armate senza fallo gli avrebbono rotti e impediti
-per modo, che non sarebbono potuti passare: ma
-come furono passati, il re Luigi vi mandò tre galee
-armate che vi giunsono invano. Ed essendo il re
-d’Ungheria in Puglia, ragunò la sua gente insieme,
-e trovossi con diecimila cavalieri. In que’ dì
-il conte di Minerbino, il quale s’era ribellato
-dal detto re, si racchiuse nella città di Trani, alla
-quale il re andò ad assedio. E vedendosi il conte
-senza speranza di soccorso e disperato di salute,
-col capestro in collo e in camicia uscì della
-città, e gittossi ginocchione in terra a piè del re
-domandandoli misericordia. Il re d’Ungheria
-dimenticati i baratti e’ falli del conte benignamente
-gli perdonò, e rimiselo nel suo stato: e lasciato
-nelle città e castella di Puglia quella gente
-che volle, venne in Principato. La città di Salerno
-essendo in cittadinesche discordie gli apersono le
-<span class="pagenum" id="Page_148">[148]</span>
-porte, e ricevettonlo a onore: e ivi si riposò alquanti
-dì; e messo suo vicario nella città e castellano
-nel castello, se ne venne a Nocera de’ cristiani;
-e in quella se n’entrò senza contasto. Il
-castello era forte e bene fornito alla difesa, ma
-invilito il castellano, per codardia l’abbandonò.
-Il re il fece prendere e guardare alla sua gente. E
-partito di là venne a Matalona, nella quale entrò
-senza contasto. E tutte le città e castella di Terra
-di Lavoro feciono il suo comandamento, salvo
-la città di Napoli ed Aversa. E poi il detto re
-con tutto suo sforzo se ne venne ad Aversa, del
-mese di maggio nel detto anno, e credettelasi
-avere alla prima giunta, ma trovossi ingannato,
-perocchè era città di mura cinta, e bene che fossero
-basse, era imbertescata e fornita di legname
-alla difesa; e dentro v’erano i cavalieri e i masnadieri
-che la difendevano virtuosamente; e assaggiata
-per più volte dall’assalto degli Ungheri,
-con loro dannaggio, il re conobbe che non la potea
-vincere per forza, e però vi mise assedio, e strinsela
-con più campi per modo, che da niuna parte
-vi si poteva entrare.
-</p>
-
-<h3 id="cap89-1">CAP. LXXXIX.
-<span class="smaller"><i>Come i Genovesi ebbono Ventimiglia.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo tempo dell’assedio d’Aversa, il doge
-di Genova e il suo consiglio, conosciuto loro
-tempo, armarono dodici galee e mandaronle nel
-porto di Napoli, e diedono il partito a prendere
-al re e a alla reina, dicendo in questo modo: il doge
-<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span>
-di Genova e il suo consiglio ci hanno mandati
-qui a essere in vostro aiuto, in quanto voi
-rendiate liberamente al nostro comune la città
-di Ventimiglia, la quale è di nostra riviera, avvegnachè
-di ragione fosse della contea di Provenza.
-E se questo non fate, di presente abbiamo
-comandamento d’essere contro a voi, e di servire il
-re d’Ungheria. Il re e la reina vedendosi assediati
-per terra dalla grande cavalleria del re d’Ungheria,
-a cui ubbidia tutta la Terra di Lavoro,
-e di mare convenia che venisse tutta loro vittuaglia,
-e da loro non aveano solo una galea: pensarono
-che se i Genovesi gli nimicassono in mare
-erano perduti, e però stretti dalla necessità deliberarono
-di fare la volontà del doge e del comune
-di Genova, avendo speranza dell’aiuto
-di quelle galee molto migliorasse la loro condizione.
-E incontanente mandarono a far dare la
-tenuta della città di Ventimiglia al comune di
-Genova. E le dodici galee non si vollono muovere
-del porto di Napoli, nè fare alcuna novità infino
-a tanto che la risposta non venne dal loro
-doge, come avessono la tenuta della detta città.
-Avuta la novella, non tennono fede al re Luigi
-nè alla reina di volere nimicare le terre che ubbidivano
-al re d’Ungheria, nè essere contro a lui;
-anzi si partirono da Napoli, e presono altro loro
-viaggio.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap90-1">CAP. XC.
-<span class="smaller"><i>Come fu data l’ultima battaglia ad Aversa
-dal re d’Ungheria.</i></span></h3>
-
-<p>
-Stando l’assedio ad Aversa, il re d’Ungheria
-facea scorrere continovo la sua gente fino a Napoli
-e per lo paese d’intorno d’ogni parte, e tutti
-i casali e le vicinanze l’ubbidivano, e mandavano
-il mercato all’oste. A Napoli per terra non
-entrava alcuna cosa da vivere, e però avea
-soffratta d’ogni bene, salvo che di grechi e di vini
-latini. E se il re d’Ungheria avesse avute galee
-in mare, avrebbe vinta la città di Napoli per
-assedio più tosto che Aversa: perocchè non aveano
-d’onde vivere, se per mare non veniva da
-Gaeta e di Roma con grande costo. Nel cominciamento,
-l’oste del re d’Ungheria fu abbondevole
-d’ogni grascia, per l’ubbidienza
-de’ paesani: ma soprastando l’assedio, il servigio
-cominciò a rincrescere, e l’oste ad avere
-mancamento di molte cose, e spezialmente di ferri
-di cavalli e di chiovi. E i nobili regnicoli vedendo
-che il re in persona con diecimila cavalieri
-non poteva prendere Aversa, debole di mura e
-di fortezza e con poca gente alla difesa, cominciarono
-ad avere a vile gli Ungheri, e trarre le
-cose loro de’ casali, e la vittuaglia non portavano
-al campo come erano usati. E per questo le
-masnade degli Ungheri andavano a rubare oggi
-l’uno casale e domane l’altro, e spaventati i
-paesani, la carestia e il disagio montava nell’oste.
-<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span>
-Il re temendo che la vittuaglia non fallasse
-nel soggiorno, deliberò di combattere la
-città con più ordine e con più forza ch’altra volta
-non avea fatto, come appresso diviseremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap91-1">CAP. XCI.
-<span class="smaller"><i>Della materia medesima.</i></span></h3>
-
-<p>
-Vedendo il re d’Ungheria mancare la vittuaglia
-all’oste, ebbe i capitani e’ conestabili de’ suoi
-Ungheri e Tedeschi che v’erano a parlamento:
-e disse come grande vergogna era a lui e a
-loro essere stati tanto tempo intorno a quella
-terra, abbandonata di soccorso e imperfetta di
-mura, e non averla potuta prendere; e ora conoscea
-che per lo mancamento della vittuaglia il
-soggiorno non gli tornasse a vergogna; e però
-gli richiedeva e pregava ch’elli confortassono
-loro e i loro cavalieri, ch’elli adoperassono per
-loro virtù, che combattendo la terra si vincesse:
-ch’egli intendea di volere che la battaglia da
-ogni parte vi si desse aspra e forte, sicch’ella si
-vincesse. I capitani e’ conestabili di grande animo
-e di buono volere s’offersono al re, e il re in
-persona disse loro d’essere alla detta battaglia.
-Quelli d’entro che sentirono come doveano essere
-combattuti con tutta la forza di quella gente
-barbara, non si sbigottirono, anzi presono
-cuore e ardire e argomento alla loro difesa. Gli
-Ungheri e i Tedeschi sprovveduti d’ingegni da
-coprirsi e da prendere aiuto all’assalto delle mura,
-fidandosi negli archi e nelle saette, da ogni
-<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span>
-parte a uno segno fatto assalirono le mura. E il
-re in persona fu all’assalto, per fare da se, e per
-dare vigore agli altri. E data la battaglia, e rinfrescata
-spesso, per stancare i difenditori, e
-fatto di loro saettamento ogni prova, ed essendo
-da quelli della terra in ogni parte ribattuti, coll’aiuto
-de’ balestrieri e delle pietre e della calcina
-gittata sopra loro, e delle lanci e pali
-e d’altri argomenti, non ebbono podere di prendere
-alcuna parte delle mura, ma molti di loro
-morti e più fediti, e infino fedito il re, con acquisto
-d’onta e di vergogna si ritrassono dalla
-battaglia. Que’ d’entro avendo combattuto francamente,
-confortati e medicati di loro fedite, presono
-delle fatiche riposo.
-</p>
-
-<h3 id="cap92-1">CAP. XCII.
-<span class="smaller"><i>Come il conte d’Avellino con dieci galee stette
-a Napoli, e Aversa s’arrendè al re.</i></span></h3>
-
-<p>
-Stando l’assedio ad Aversa, la reina Giovanna
-non essendo bene del re Luigi, perchè volea
-essere da lui più riverita che non le parea, perocchè
-era donna e reina del reame, e il marito non
-era ancora re, a sua ’stanza fece in Proenza al conte
-d’Avellino, capo e maggiore della casa del Balzo,
-armare dieci galee, e all’uscita di giugno nel
-detto anno giunse nel porto di Napoli colla detta
-armata, atteso per soccorso, del quale aveano
-gran bisogno. Ma il conte pieno di malizia, conoscendo
-il bisogno del re Luigi, e poco curandosi
-della reina, mostrandosi di volere trattare suo vantaggio,
-<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span>
-colle sue galee si teneva in alto sopra il porto
-di Napoli. E per trarre vantaggio e mantenere
-l’armata, ordinò che ogni legno o barca che nel
-porto volesse entrare o uscire pagasse certa quantità
-di danari, e per questo modo aggravava i Napoletani,
-e faceva loro più grande la carestia della
-vittuaglia. E stando in questo modo, trattava
-domandando vantaggio al re Luigi, e il re gliel’otriava
-quanto sapea domandare, per avere l’aiuto
-di quelle galee, aggiugnendo i prieghi della reina,
-mostrando come con quelle galee poteano racquistare
-le terre di quella marina, onde seguirebbe
-loro grande soccorso. Ma per cosa che fare sapesse
-non potè smuovere il conte a dargli l’aiuto di
-quell’armata, anzi si partì di là, e per potere agiare
-la ciurma in terra s’apportò al castello dell’Uovo:
-e cominciò a trattare col re d’Ungheria
-di volergli dare per moglie la sirocchia della
-reina, che fu moglie del duca di Durazzo, e il re
-avvisato gli dava intendimento, per volere quelle
-galee tenere in contumace de’ suoi avversari.
-E stando il conte in trattati e di là e di qua, non
-si potea conoscere che facesse la volontà della reina,
-nè che fosse ribello al re Luigi, o in che modo
-si potesse giudicare essere col re d’Ungheria,
-tenendo colla sua malizia ogni parte sospesa. Al
-re Luigi e ai Napoletani fece danno, alla reina
-non accrebbe baldanza: ma al re d’Ungheria, per
-lo suo trattare, fece piuttosto avere Aversa: che
-sentendo gli assediati i trattati del conte, affaticati
-lungamente alla difesa d’Aversa, pensando
-che il re d’Ungheria rimanesse nel Regno, benchè
-ancora si potessono difendere alcun tempo,
-<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span>
-presono partito di trattare per loro. E messer Iacopo
-Pignattaro loro capitano, essendo regnicolo,
-e di natura mobile alla nuova signoria, tosto s’accordò
-col re, ed ebbe sotto titolo di loro soldi
-moneta dal re d’Ungheria, e rendégli la città
-d’Aversa: il quale incontanente v’entrò dentro
-con tutta sua cavalleria, e non lasciò fare a’ cittadini
-alcuna violenza o ruberia. E questo fu del
-mese di settembre del detto anno. Manifesto fu
-che questa vittoria venne agli Ungheri a gran bisogno,
-perocchè già era sì stracca la gente, per
-lungo disagio e per la carestia, che poco più vi
-poteano stare, e il partire senza averla vinta
-tornava al re e alla sua grande cavalleria ontosa
-vergogna.
-</p>
-
-<h3 id="cap93-1">CAP. XCIII.
-<span class="smaller"><i>Come il re d’Ungheria e il re Luigi vennono
-a certa tregua.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo non ispedite guerre, ma piuttosto avviluppamenti
-di quelle narrate de’ fatti del regno
-di Cicilia, seguita non meno incognito e
-avviluppato processo nelle seguenti successioni
-di que’ fatti; ma cotali chenti alla nostra materia
-s’offeriranno, con nostra scusa gli racconteremo.
-Avuta il re d’Ungheria la città d’Aversa, alla
-quale lungo tempo s’era dibattuto con tutta la sua
-grande oste, e non l’avea potuta nè per forza nè
-per assedio acquistare, essendo debole città di
-mura e da poca gente difesa, si pensò che l’altre
-maggiori e più forti città che si teneano contro
-<span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span>
-a lui sarebbono più malagevoli a conquistare,
-e per esempio d’Aversa troverebbe maggiore
-resistenza; e i suoi baroni aveano già compiuto
-con lui il termine del debito servigio, e a volerli
-ritenere al conquisto del Regno bisognava
-che desse loro danaro, che n’avea pochi, e del
-Regno non ne potea trarre, essendo in guerra:
-vide che il re Luigi, i baroni, e quelli che si teneano
-dal suo lato erano disposti di stare alla
-difesa delle mura: e però mutò l’animo agevolmente
-disposto a trovare accordo, col quale con
-meno sua vergogna si potesse partire del Regno.
-E dall’altra parte il re Luigi era a tanto condotto,
-che non che potesse con arme resistere al nimico,
-ma di mantenere bisognose e necessarie
-spese di sua vita era impotente; e se non fosse
-che l’animo de’ Napoletani concorrea a lui e
-alla reina alla loro difesa, non arebbono potuto
-sostenere. E per questa cagione era atta la materia
-da catuna parte a venire alla concordia con
-piccolo aiuto d’alcuni mezzani. Onde alcuno
-prelato di santa Chiesa, il quale era dal papa
-mandato nel Regno, e il conte d’Avellino, che
-avea da ogni parte puttaneggiato, coll’aiuto
-d’alcuno altro barone, movendosi a cercare se
-potessono trovare via d’accordo, con piccola fatica
-vi pervennono alla cavalleresca, in questo
-modo. Che triegue fossono fatte infino a calen
-di aprile, gli anni <i>Domini</i> 1351, con patto, che
-chi avesse nel Regno dovesse sicuramente tenere
-sue città, castella e ville in pace tutto il
-tempo detto. Che la questione che si faceva contro
-alla reina Giovanna della morte del re Andreasso,
-<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span>
-si dovesse commettere nel papa e ne’ cardinali:
-e dove fosse trovata colpevole, dovesse
-perdere il reame, e tornasse libero al re d’Ungheria:
-e dove ella non fosse giudicata colpevole
-della morte del marito, ma liberatane per sentenza
-del papa e del collegio de’ cardinali dovesse
-rimanere reina del detto regno. E il re
-d’Ungheria le dovea rendere tutte le città, castella
-e baronaggi che vi tenea, riavendo da lei
-per le spese fatte per lui fiorini trecentomila
-d’oro, per quello modo e termine competente che
-ordinato fosse per la santa Chiesa; e per patto
-catuno re si dovea partire personalmente, e la
-reina del reame. Per la fermezza d’attenere l’uno
-all’altro questi patti non ebbe altro legame,
-che la fe e la scrittura e la testimonianza de’ mezzani.
-Il re d’Ungheria che avea d’uscire del reame
-maggior voglia, prese l’onesta cagione d’andare
-in romeaggio a Roma al santo perdono; e
-in Puglia alle terre della marina lasciò de’ suoi
-Ungheri alla guardia con loro capitani, e fornì di
-buona guardia tutte le sue tenute in Terra di Lavoro;
-e a Capova e Aversa, e per l’altre terre
-e castella circustanti lasciò suo vicario messer
-fra Moriale cavaliere friere di san Giovanni di
-Provenza, valente e ridottato cavaliere, con buone
-masnade di Provenzali, di cui il detto re
-molto si confidava; e a Viglionese e a Lanciano
-e nell’altre terre che tenea in Abruzzi lasciò vicario
-messer Currado Lupo, franco cavaliere,
-con sue masnade di Tedeschi a quella guardia.
-E ordinato ch’ebbe la guardia delle sue terre
-nel Regno si mise a cammino per andare a Roma:
-<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span>
-e incontanente il re Luigi per mostrare di volere
-uscire del Regno, e tenere i patti, si partì da
-Napoli colla reina, e venne alla città di Gaeta
-in su’ confini del reame, e ivi attendeva che il
-re d’Ungheria si partisse d’Italia e tornasse in
-suo reame, com’era in convegna; e ciò fatto, il
-re Luigi e la reina Giovanna doveano fuori del
-reame attendere la sentenza di santa Chiesa. I
-Gaetani ricevettono il re Luigi e la reina Giovanna
-in Gaeta con grande onore: e provviddongli di
-loro danari per aiuto alle spese, che n’aveano
-grande bisogno. Ed ivi si fermarono con animo
-e intenzione di non uscire del Regno, bene che
-promesso l’avessono, parendo loro che il dilungamento
-da quello, al bisognoso e lieve stato ch’aveano,
-fosse pericoloso al fatto loro. Il re d’Ungheria
-seguì a Roma suo viaggio, e avuto il santo
-perdono senza soggiorno se ne tornò in Ungheria.
-</p>
-
-<h3 id="cap94-1">CAP. XCIV.
-<span class="smaller"><i>Come il conte d’Avellino diè al suo figliuolo
-per moglie la duchessa di Durazzo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il conte d’Avellino, il quale colle sue galee
-era rimaso sopra Napoli al castello dell’Uovo,
-vedendo i fatti del Regno rimasi intrigati per lungo
-tempo, essendo rimasa la duchessa di Durazzo
-sirocchia della reina, vedova, nel castello dell’Uovo,
-chiamata Maria, non ostante che ’l detto
-conte fosse suo compare, ma per quello mostrando
-più familiarità, con piccola compagnia
-andò al castello per vicitarla, innanzi alla sua
-<span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span>
-partita; la duchessa con buona confidanza gli
-fece aprire liberamente il castello, ed egli con due
-suoi figliuoli e colla sua famiglia armata v’entrarono:
-e entrati, fece prendere la guardia delle
-porti e delle fortezze d’entro. Ed essendo colla
-duchessa, disse che volea ch’ella fosse moglie di
-Ruberto suo figliuolo, e per forza le fece consumare
-il matrimonio: e di presente la trasse del
-castello con tutti i suoi arnesi, e misela nella
-sua galea, per menarla in Proenza. Il re Luigi
-ch’era in Gaeta sentì di presente questo fatto,
-e egli e la reina ne furono molto turbati. E seguendo
-il conte suo viaggio per tornare in
-Proenza con tutte le galee, quando furono sopra
-a Gaeta l’otto entrarono nel porto, e i padroni
-e’ nocchieri e le ciurme scesono in terra per pigliare
-rinfrescamento. Il conte colla duchessa e
-co’ figliuoli rimasono fuori del porto in due galee,
-e attendevano l’altre che prendevano rinfrescamento
-per seguire loro viaggio. Il re Luigi cautamente
-fece venire a se i padroni e’ nocchieri dell’otto
-galee, e fece segretamente armare de’ Gaetani
-e stare alla guardia, che non potessono senza
-sua volontà tornare alle galee. E fatto questo,
-disse: pensate di morire se non fate che le due
-galee dov’è il conte, e i figliuoli e la duchessa,
-venghino dentro nel porto a terra; e alle minacce
-aggiunse amore e preghiere: e ritenuti de’ caporali
-cui egli volle per sicurtà del fatto, lasciò
-gli altri tornare alle galee: i quali di presente
-s’accostarono alle due galee del conte, che di questo
-fatto, come il peccato l’accecava, non s’era
-avveduto, e di presente l’ebbono condotte a terra
-<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span>
-dentro al porto. Allora il re mandò a dire
-al conte che venisse a lui. Il conte si scusò che
-non potea perocch’era forte stretto dalle gotte. Il
-re acceso di furore e infiammato d’ira, per l’ingiuria
-ricevuta della vergogna fatta al sangue
-reale, e de’ suoi gravi e pericolosi baratti, non si
-potè temperare nè raffrenare il conceputo sdegno:
-ma prese certi compagni di sua famiglia, e
-armati, in persona si mosse: e giunto al porto, montò
-in su la galea dov’era il conte. Venuto a lui,
-in brieve sermone gli raccontò tutti i suoi tradimenti,
-e la folle baldanza che lo avea condotto a
-vituperare il sangue reale: e detto questo, senza
-attendere risposta, con uno stocco il fedì del primo
-colpo; e incontanente n’ebbe tanti, che senza
-potere fare parola rimase morto in su la galea.
-La duchessa di presente fu tratta di galea, e collocata
-colla sua famiglia e co’ suoi arnesi in uno
-ostieri in Gaeta, e i due figliuoli del conte furono
-messi in prigione. Lasceremo ora de’ fatti del Regno,
-che stando le triegue non v’ebbe cosa
-degna di memoria, e ritorneremo alla nostra materia
-degli altri fatti d’Italia, e della nostra città
-di Firenze.
-</p>
-
-<h3 id="cap95-1">CAP. XCV.
-<span class="smaller"><i>Della grande potenza dell’arcivescovo di
-Milano, e come i Fiorentini temeano di
-Pistoia, e quello che ne seguì.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo medesimo tempo, tra il fine del cinquantesimo
-ed il cominciamento del milletrecentocinquantuno,
-<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span>
-i Fiorentini cominciarono forte
-a temere della città di Pistoia, la quale per cittadinesche
-sette era divisa e in male stato. E la casa
-de’ Panciatichi, che non erano originali guelfi, in
-que’ dì aveano cacciato della città messer Riccardo
-Cancellieri e i suoi naturali, guelfi, di quella terra,
-e antichi servidori del comune di Firenze: e messer
-Giovanni Panciatichi s’avea recato in mano
-il governamento di quella terra, e per sembianti
-mostrava d’essere amico del comune di Firenze.
-I Fiorentini sentendo l’arcivescovo di Milano,
-il quale in quel tempo avea sotto la sua tirannia
-ventidue città, tra in Lombardia e in Piemonte,
-e di nuovo avea contro la volontà di santa Chiesa
-presa la città di Bologna, la quale confinava
-col loro comune, temeano forte che Pistoia per
-le cittadinesche discordie non pervenisse nelle
-sue mani, e però voleano la guardia di quella terra.
-E quanto che messer Giovanni si mostrasse amico
-del comune di Firenze, con diverse e nuove
-cagioni tranquillava e metteva indugio col seguito
-de’ cittadini della sua setta, che il comune di Firenze
-non avesse la guardia, raffrenando l’appetito
-de’ Fiorentini, col sospetto del potente vicino.
-Nondimeno i Pistolesi guelfi pur vollono
-che il comune di Firenze v’avesse dentro alcuna
-sua sicurtà, e consentirono che i Fiorentini mettessono
-in Pistoia messer Andrea Salamoncelli,
-uscito di Lucca loro soldato, con cento cavalieri
-e con centocinquanta masnadieri alla guardia
-di Pistoia, alle spese del comune di Firenze,
-con patto espresso, che il detto capitano co’ suoi
-cavalieri e fanti giurassono di mantenere quello
-<span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span>
-stato che allora reggeva Pistoia, contro il comune
-di Firenze, e ogni altro che offendere o mutare
-il volesse. I Fiorentini vedendo che meglio
-non si poteva fare senza grave pericolo, benchè
-conoscessono che questa non era la guardia che
-bisognava, acconsentirono, e misonvi il capitano
-e la gente d’arme sotto il detto saramento: e
-con molte dissimulazioni e lusinghe manteneano
-quella città, ritenendo i cavalieri in Firenze senza
-mutazione infino al primo tempo.
-</p>
-
-<h3 id="cap96-1">CAP. XCVI.
-<span class="smaller"><i>Come certi rettori di Firenze vollono prendere
-Pistoia per inganno.</i></span></h3>
-
-<p>
-Era per successione de’ rettori di Firenze di
-priorato in priorato la sollecitudine di mettere
-rimedio alla guardia di quella città, e non trovandosi
-da potere fare altro che fatto si fosse,
-alcuni allora rettori del nostro comune, con più
-presunzione che il loro consiglio non permettea,
-provvidono di fare tra loro segretamente d’avere
-per non leale ingegno la signoria di quella terra;
-e com’ebbono conceputo il non debito fatto,
-così per non discreto nè savio modo il vollono
-mettere a esecuzione, e sotto altro titolo accolsono
-i soldati del comune a piedi e a cavallo, e
-mossonne delle leghe del contado: e avendo a
-questa gente dato ordine alla notte che si doveano
-muovere, vollono provvedere di mutare di
-Pistoia il capitano ch’avea giurato a’ Pistolesi,
-ch’era troppo diritto e leale cavaliere di sua promessa,
-<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span>
-e scambiare le masnade sotto il titolo della
-condotta, acciocchè potessono senza contasto dentro
-meglio fornire la loro intenzione: e a ciò fare
-mattamente si confidarono a uno ser Piero Gucci,
-soprannomato Mucini, allora notaro della condotta,
-il quale era paraboloso e di grande vista,
-e poco veritiere ne’ fatti. Questi promise di fornire
-la bisogna chiaramente, e d’avvisare del fatto
-alcuni conestabili confidenti: e preso a fornire il
-servigio, i poco discreti rettori del comune ebbono
-la promessa di colui come se la cosa fosse ferma
-e certa; e per questo la notte ordinata, a dì 26
-di marzo gli anni <i>Domini</i> 1351, feciono cavalcare
-i cavalieri e’ pedoni ch’aveano apparecchiati, e
-con loro messer Ricciardo Cancellieri, colle scale
-provvedute alla misura delle mura, e a Pistoia
-furono la mattina innanzi dì, ed ebbono messe
-le scale, e montati de’ cavalieri e de’ pedoni in su
-le mura, e scesine dentro una parte, avvisando
-d’avere l’aiuto de’ soldati del comune di Firenze
-che v’erano dentro, come era loro dato
-a divedere, pensavano a dare la via agli altri
-e farsi forti, e tutto era senza contasto, perocchè
-i cittadini si dormivano senza sospetto. E i soldati
-del comune che dentro v’erano non aveano
-sentimento nè avviso alcuno, perocchè il notaio,
-a cui la bisogna fu commessa, fu trovato in
-Prato nell’albergo a dormire. Messer Ricciardo
-essendo co’ suoi in sulle mura si scoperse innanzi
-tempo, facendo gridare viva il comune di Firenze
-e messer Ricciardo. I Pistolesi sentendo il
-rumore credettono fosse opera di messer Ricciardo
-loro sbandito, il quale aveano in gran sospetto;
-<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span>
-e però co’ soldati de’ Fiorentini insieme
-furono all’arme, e trassono alle mura francamente
-ad assalire coloro che dentro erano scesi: e feditine
-alquanti, tutti gli presono, e allora di prima
-seppono che questa era fattura de’ Fiorentini;
-e tutti co’ soldati de’ Fiorentini insieme intesono
-sollecitamente a guardare la terra il dì e la
-notte. E la folle impresa, mattamente condotta
-per li rettori di Firenze, generò in Pistoia grave
-e pericoloso sospetto, e in Firenze molta riprensione.
-Il notaio, a cui i signori aveano commessa
-la bisogna, fu preso a furore di popolo e menato
-alla podestà, e avrebbe perduta la persona, se
-non che il grande fallo ch’aveano commesso i
-suoi comandatori, perchè non gravasse loro difesono
-lui. E di questo seguì quello che appresso
-diviseremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap97-1">CAP. XCVII.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini assediarono Pistoia ed ebbonla
-a’ comandamenti loro.</i></span></h3>
-
-<p>
-Quando i Fiorentini s’avvidono del pericolo,
-ove l’indebita impresa de’ loro rettori gli aveva
-messi, di recare a partito i Pistolesi, per la nuova
-ingiuria ricevuta, d’aiutarsi colla forza del
-vicino tiranno: temendo che questo non avvenisse,
-non per animo di volere di quella città
-alcuna giurisdizione fuori che la guardia, per gelosia
-che al tiranno non pervenisse, di presente
-diliberarono che la città si strignesse per forza
-e per amore tanto che la guardia solo se ne avesse,
-<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span>
-per loro sicurtà, e del nostro comune, e altro
-non volea; e senza indugio alla gente che andata
-v’era s’aggiunse cavalieri, quanti allora il
-comune ne aveva, e fanti a piè. E per decreto del
-comune si diè parola agli sbanditi che catuno
-facesse suo sforzo, e alle sue spese menasse gente
-nell’oste in aiuto al comune di Firenze secondo
-suo stato, e dopo il servigio fatto sarebbe ribandito
-d’ogni bando. Per la qual cosa in tre dì
-furono intorno a Pistoia ottocento cavalieri e dodicimila
-pedoni, e ristrinsonla d’ogni parte con
-più campi, sicchè di loro contado nè da altra amistà
-dentro non poterono avere alcuno soccorso
-o aiuto. E di Firenze vi s’aggiunse sedici pennoni,
-uno per gonfalone, co’ quali andarono
-duemila cittadini quasi tutti armati come cavalieri,
-e molti ve n’andarono a cavallo; e giunti
-nell’oste con loro capitani, feciono dirizzare intorno
-alla città otto battifolli. In Pistoia aveva
-a questo tempo millecinquecento cittadini, o poco
-più, da potere con arme difendere la terra,
-oltre alle masnade a cavallo e a piè che dentro
-v’erano a soldo de’ Fiorentini, i quali si stavano
-senza fare novità dentro o guerra di fuori:
-per la qual cosa al gran giro della città parea
-che così pochi cittadini non la dovessono potere
-difendere. E per questa cagione i Fiorentini
-aveano speranza di vincerla per forza, quando
-con loro non si potesse trovare accordo. I Pistolesi
-d’entro, uomini coraggiosi e altieri, con dura
-faccia intendeano dì e notte alla loro difesa: e perch’erano
-pochi a tanta guardia quanta il dì e la
-notte convenia loro fare, uscirono delle loro case,
-<span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span>
-e vennono ad abitare intorno alle mura: e le
-mura armarono di bertesche e di ventiere, e dentro
-uno largo corridore di legname, e fornironlo
-di pietre e di legname e di pali da gittare, e di
-travi sopra i merli: e feciono a piè delle mura intorno
-intorno molti fornelli con caldaie, per apparecchiare
-acqua bollita per gittare sopra coloro
-che combattessono: e apparecchiarono calcina viva
-in polvere per gittare, e con ferma e aspra fronte
-mostravano volere difendere la loro franchigia;
-la qual cosa era degna di molta lode, se per antichi
-e nuovi e continovi esempli, della loro cittadinesca
-discordia non fosse contaminata. E addurandosi
-di non volere prendere accordo col
-comune di Firenze, soffersono il guasto di fuori
-de’ loro campi; e vedendo i Fiorentini che più
-s’adduravano, diliberarono che la terra si combattesse;
-e per levare loro la speranza del contradio,
-comandarono a messer Andrea Salamoncelli,
-capitano e conestabile de’ cavalieri e de’ pedoni
-che dentro v’erano a soldo del nostro
-comune, che ne dovesse uscire, e così fu fatto;
-per la qual cosa la nostra oste s’accrebbe, e a loro
-mancò la speranza: e ordinati di fuori ponti e grilli,
-e castella di legname e altri fornimenti da
-combattere le mura, acciocchè con più sicurtà
-si potesse intendere alla battaglia, cinsono di
-buono steccato dall’uno battifolle all’altro. I
-Pistolesi vedendo la disposizione de’ Fiorentini,
-e pensando, eziandio che si difendessono, non poteano
-bene rimanere, cominciarono più a temere.
-In questo mezzo ambasciadori da Siena v’entrarono,
-mandati dal loro comune per trovare accordo,
-<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span>
-e come che s’aoperassono conferendo colle
-parti, manifesto fu che peggiorarono la condizione,
-e inacerbirono gli animi e dentro e di fuori.
-E dato il dì della battaglia, e da ogni parte
-apparecchiata, i guelfi di Pistoia, ch’erano la
-maggiore forza della città, s’accolsono insieme
-con pochi ghibellini, ed essendo al consiglio, ricercarono
-con l’animo più riposato il pericolo a
-che si conducevano, per contrastare a’ padri loro, il
-comune di Firenze, la guardia loro e della città,
-la quale doveano con istanza domandare a’ Fiorentini
-che la prendessono, volendo mantenere
-la città a parte guelfa, e in più sicuro e pacifico
-stato che non erano. E così parlato, misono il
-partito a segreto squittino, e vinsero che la guardia
-della città fosse messa liberamente nel comune
-di Firenze, e che dentro vi mettesse gente e
-capitano alla guardia quanto al detto comune
-piacesse; e che dentro alla città in su le mura si
-facesse un castello alle spese de’ Fiorentini, per
-più sicura guardia, e che oltre a ciò avessono la
-guardia di Seravalle e quella della Sambuca. E
-messi dentro de’ cittadini di Firenze in quel dì,
-ogni cosa di grande concordia si recò in buona
-pace; e dentro vi misono il capitano e’ cavalieri
-e’ pedoni che i nostri cittadini vollono, e presono
-la tenuta, e ordinarono la guardia di Seravalle: e
-per fretta e mala provvidenza indugiarono di
-mandare per la tenuta della Sambuca nel passo
-dell’alpe, la quale quando poi vollono, senza difetto
-de’ Pistolesi, non poterono avere: onde poi
-ne seguì cagione di grande pericolo a’ Pistoiesi e
-al nostro comune, come leggendo per innanzi si
-<span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span>
-potrà trovare. Fatta la detta concordia, i Fiorentini
-levarono il campo e arsono i battifolli, e ordinatamente
-con gran festa tornò tutta la bene
-avventurata oste nella nostra città, all’uscita
-d’aprile, gli anni di Cristo 1351. E pochi dì appresso
-vi mandò il comune di Firenze de’ suoi
-grandi cittadini con pieno mandato, i quali riformassono
-al piacere de’ cittadini di Pistoia lo
-stato e il reggimento di quello comune; e rimisonvi
-messer Ricciardo Cancellieri e’ suoi, con pace
-de’ Panciatichi, fortificata e ferma con più
-matrimoni dall’una famiglia all’altra.
-</p>
-
-<h3 id="cap98-1">CAP. XCVIII.
-<span class="smaller"><i>Come il re d’Inghilterra sconfisse in mare
-gli Spagnuoli.</i></span></h3>
-
-<p>
-Nel tempo delle tregue del re di Francia e di
-quello d’Inghilterra, gli Spagnuoli, i quali usavano
-colle loro cocche e navili di navicare il mare
-di Fiandra, cominciarono a danneggiare i navili
-d’Inghilterra, e a rubare in corso le loro mercatanzie;
-e seguitando con più forza la loro guerra,
-per più riprese feciono agl’Inghilesi onta e danno
-assai. Il re d’Inghilterra non potè dissimulare
-questa ingiuria, che senza cagione di guerra gli
-Spagnuoli gli aveano fatta, e però accolse suo
-navilio, e in persona con due suoi figliuoli assai
-giovani si mise in mare per andare in Spagna.
-Il re di Castella che sentì l’armata del re d’Inghilterra,
-fece suo sforzo d’armare molte navi,
-e abboccaronsi coll’armata d’Inghilterra nella
-<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span>
-vicinanza delle loro marine, e commisono aspra
-e fiera battaglia, della quale il re d’Inghilterra
-ebbe la vittoria, con grande danno degli Spagnuoli
-e delle loro navi. E fatta la sua vendetta, con
-piena vittoria si tornò in Inghilterra. E qui finisce
-il nostro primo libro, anni di Cristo 1351.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span>
-</p>
-
-<h2>LIBRO SECONDO</h2>
-
-<h3 id="cap1-2">CAPITOLO PRIMO
-<span class="smaller"><i>Prolago.</i></span></h3>
-</div>
-
-<p>
-Perocchè anticamente gl’infedeli e i pagani e
-le barbare nazioni, compiacendosi alla reverenza
-delle virtù morali, i cominciamenti della guerra
-alle ragioni della giustizia congiugneano, non
-senza debita ammirazione ne’ nostri tempi, ne’
-quali i cristiani, non solamente dalle morali, ma
-dalle virtù divine ammaestrati nella perfetta fede
-di Cristo nostro redentore, molti trapassano
-con disordinato appetito la via eguale della vera
-giustizia, e seguitando la sfrenata volontà della tirannesca
-ambizione, non colle debite ragioni,
-ma con perverse cagioni, con subiti e sprovveduti
-assalti gli sprovveduti popoli assaliscono, le
-città e le terre, confidandosi nella loro quiete, per
-furti, per tradimenti, e per inganni rapiscono,
-sforzandosi con ogni generazione d’inganni quelle
-soggiogare, e sottomettere al giogo della loro
-tirannia; e non meno la cristianità, che le infedeli
-nazioni, di queste malizie e inganni spesso
-si conturba. E avvegnachè queste cose senza vergogna
-de’ laici secolari raccontare non si possono,
-<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span>
-ne’ cherici, e massimamente ne’ prelati, i quali, invece
-di Cristo fatti spirituali pastori della sua
-greggia, diventando rapaci lupi, nelle predette
-cose sono con ogni abominazione da detestare.
-E però venendo al cominciamento del secondo
-libro del nostro trattato, diverse e varie cagioni
-di questa materia prima ci s’apparecchiano, vinti
-da onesta necessità, la verità del fatto, con seguire
-nostra materia, racconteremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap2-2">CAP. II.
-<span class="smaller"><i>Come il comune di Firenze usava la pace
-coll’arcivescovo di Milano.</i></span></h3>
-
-<p>
-I Fiorentini avendo per gelosia presa la guardia
-del castello di Prato e della città di Pistoia,
-usciti della paura di quelle, si stavano in pace,
-riputandosi essere in amistà dell’arcivescovo
-di Milano, perocchè guerra non v’era, e contro a
-sua impresa i Fiorentini non s’erano voluti travagliare.
-Con Bologna tenea le strade e i cammini
-aperti, e le mercatanzie d’ogni parte andavano
-e venivano sicure. E spesso il tiranno scrivea
-al comune de’ suoi onori e de’ singulari servigi,
-come accade ad amici, e il comune a lui, come a
-reverente signore e caro amico. E con folle ignoranza
-stava il nostro comune senza sospetto, e per
-non dare materia di sospetto al vicino tiranno,
-si guardava di fornirsi di capitano di guerra e di
-gente d’arme, e appena aveano fornite di guardie
-le loro castella. Il tiranno, ch’avea fatta la lega
-con gli altri tiranni d’Italia e con tutti i
-<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span>
-ghibellini, si venia fornendo di gente d’arme al
-suo soldo a piè e a cavallo, e vegghiava al continovo
-contro al nostro comune nella conceputa
-malizia, attendendo il tempo che a ciò avea divisato.
-E in questo mezzo carezzava con doni e
-con servigi i suoi vicini tiranni, per averli più
-pronti al suo servigio al tempo del bisogno. E si
-pensava, che ingannando i Fiorentini, e venendo
-della città al suo intendimento, essere appresso
-al tutto signore d’Italia. E i rettori della città
-di Firenze avendo a’ suoi confini il tiranno potente,
-viveano improvvisi, sotto confidenza degna
-di biasimo e di grave punizione. Ma così avviene
-spesso alla nostra città: perocchè ogni vile
-artefice della comunanza vuole pervenire al
-grado del priorato e de’ maggiori ufici del comune,
-ove s’hanno a provvedere le grandi e gravi
-cose di quello, e per forza delle loro capitudini
-vi pervengono; e così gli altri cittadini di
-leggiere intendimento e di novella cittadinanza,
-i quali per grande procaccio, e doni e spesa si
-fanno a’ temporali di tre in tre anni agli squittini
-del comune insaccare: è questa tanta moltitudine,
-che i buoni e gli antichi, e’ savi e discreti
-cittadini di rado possono provvedere a’ fatti del comune,
-e in niuno tempo patrocinare quelli, che
-è cosa molto strana dall’antico governamento
-de’ nostri antecessori, e dalla loro sollecita provvisione.
-E per questo avviene, che in fretta e in
-furia spesso conviene che si soccorra il nostro comune,
-e che più l’antico ordine, e il gran fascio
-della nostra comunanza, e la fortuna, governi e
-regga la città di Firenze, che il senno o la provvidenza
-<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span>
-de’ suoi rettori. Catuno intende i due mesi
-c’ha a stare al sommo uficio al comodo della sua
-utilità, a servire gli amici, o a diservire i nimici
-col favore del comune, e non lasciano usare
-libertà di consiglio a’ cittadini: e questo è spesso
-cagione di vergogna e di grave danno del nostro
-comune, ricevuto da’ suoi minori e impotenti
-vicini.
-</p>
-
-<h3 id="cap3-2">CAP. III.
-<span class="smaller"><i>Come l’arcivescovo di Milano appuose
-tradimento e condannò messer Iacopo
-Peppoli.</i></span></h3>
-
-<p>
-Era in questo tempo rimaso in Bologna messer
-Iacopo de’ Peppoli, il quale fu traditore con messer
-Giovanni suo fratello della propria patria,
-vendendo la città e i suoi cittadini all’arcivescovo,
-come detto abbiamo, al quale la sua malizia, e
-il commesso peccato, tosto apparecchiò alcuna penitenza
-alle sue male operazioni. Che trattando
-egli con certi tiranni lombardi di fare rivolgere
-la città di Bologna, l’arcivescovo, o vero o bugia
-che fosse, sentì che trattato si tenea per lui e per
-alcuni altri cittadini di Bologna: e la boce corse
-che trattavano co’ Fiorentini: e questo non ebbe
-sostanza alcuna di verità. Il tiranno avea voglia
-di trarlo di Bologna, sicchè ogni lieve ragionamento
-o materia gli fu assai: e però di presente
-fece prendere lui e’ figliuoli e alcuni altri
-cittadini, e condannati gli altri a morte, messer Iacopo
-per grande servigio condannato a perpetua
-<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span>
-carcere, e pubblicati i suoi beni alla sua camera,
-come di traditore, e tolsegli i danari che gli restavano
-della vendita di Bologna, e le castella che
-dato gli avea, e il proprio patrimonio: e fattolo
-venire co’ figliuoli a Milano, incarcerò lui nel castello
-di... e i figliuoli a Cremona. L’altro
-fratello che a quello tempo era in Milano non involse
-in questa sentenza, il quale dissimulando
-suo dolore rimase in Milano in lieve stato, per
-passare il tempo alla provvigione del signore, con
-amaro cuore. Assai tosto ha fatto manifesto qui il
-divino giudicio la miseria a che sono condotti i
-traditori della loro patria, i quali per disperato
-consiglio, i cittadini i quali gli aveano con grande
-onore esaltati e fatti signori sottopuosono per avarizia
-al giogo del crudele tiranno: e ora spogliati
-de’ propri beni, e privati d’ogni amore de’ loro
-cittadini, in calamitosa prigione danno esemplo
-agli altri di più intera fede a’ loro comuni.
-</p>
-
-<h3 id="cap4-2">CAP. IV.
-<span class="smaller"><i>Come l’arcivescovo fermò d’assalire improvviso
-la città di Firenze.</i></span></h3>
-
-<p>
-Nel mese di luglio del detto anno, l’arcivescovo
-di Milano, avendo purgato di sospetto la città
-di Bologna, per la morte d’alquanti cittadini
-e per l’incarcerazione di messer Iacopo de’ Peppoli
-e de’ figliuoli, e accolti e fatti accogliere quasi
-tutti i soldati oltramontani d’Italia, parendoli
-venuto il tempo di scoprire a’ suoi collegati
-ghibellini d’Italia la sua intenzione, ebbe in
-<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span>
-Milano i caporali di parte ghibellina d’Italia,
-e conferì con loro di volere sottomettersi il comune
-di Firenze, e con molte ragioni dimostrò
-com’era venuto il tempo da poterlo fare col
-loro aiuto: e ciò fatto, era spento in Italia il nome
-di parte guelfa. La proposta fu in piacere di
-tutti. Eranvi caporali, oltre a’ Lombardi, gli
-Ubaldini, i figliuoli di Castruccio Interminelli
-e messer Francesco Castracani da Lucca, messer
-Carlino di Pistoia e’ suoi, il conte Nolfo d’Urbino,
-i conti di Santafiore e il conte Guglielmo
-Spadalunga, e de’ ribelli del comune di Firenze
-alquanti di quelli da Cigliano, e messer
-Tassino e il fratello discesi della casa de’ Donati.
-E non volendosi scoprire d’esservi in persona
-i Tarlati d’Arezzo, il vescovo co’ suoi Ubertini,
-e’ Pazzi di Valdarno, e il conte Tano da Montecarelli,
-ch’erano allora in pace e in amore col comune
-di Firenze, in segreto vi mandarono catuno
-segreti ambasciadori con pieno mandato. I quali
-tutti udita l’intenzione del potente tiranno furono
-molto allegri, e confortarono l’arcivescovo
-dell’impresa: aggiugnendo che sentivano i
-cittadini di Firenze in tanta discordia per le loro
-sette, e per lo male contentamento del reggimento
-della città, e Arezzo e Pistoia in sì male
-stato, che se la sua potenza improvviso a quelli
-comuni col loro aiuto si stenderà sopra loro, non
-vedeano che di tutto in breve tempo e’ non fosse
-signore: e la signoria di Firenze il facea signore
-d’Italia. E così d’un animo rimasono in accordo
-col tiranno di fare l’impresa ordinata;
-e data la fede della loro credenza e di loro
-<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span>
-aiuto, con grandi promesse lieti si ritornarono
-in loro contrade, e intesono d’apparecchiarsi di
-cavalli e d’arme al loro podere. L’ordine fu
-preso, che quando l’oste dell’arcivescovo fosse
-sopra i Fiorentini, che gli Ubaldini co’ Romagnuoli
-assalissono nel’alpe, e i Tarlati Ubertini
-e Pazzi si rubellassono e assalissono il
-Valdarno: e il conte Tano da Montecarelli
-movesse guerra in Mugello. A’ Pisani intendea
-l’arcivescovo co’ suoi confidenti ambasciadori
-fare rompere pace a’ Fiorentini, e muovere guerra
-dalla loro parte: cercando muoverli con sue
-coperte suasioni, non dimostrando il perchè, in
-suo aiuto. Ma i Pisani accorgendosi del fatto,
-nutricavano il tiranno con parole di speranza, e
-mandarono a lui loro ambasciadori per potere sentire
-più il vero da che movea quella inchiesta, e
-per avere più tempo a deliberare. E questo avvenne,
-perocchè allora la città di Pisa signoreggiava
-per li Gambacorti, uomini mercatanti e amici
-de’ Fiorentini. Ma i governatori del comune
-di Firenze, addormentati e fuori della mente, non
-procuravano di sentire queste cose, e quello che
-sentivano mettevano al non calere, e provvisione
-alla loro guardia non faceano, sentendo che
-molta gente d’arme s’accogliea in Lombardia,
-e che Lombardia non era in guerra, ma in lega
-coll’arcivescovo di Milano. I quali rettori del
-nostro comune non erano degni di governare il
-fascio di tanta città, ma di grandi pene delle loro
-persone, commettendo contro al loro comune
-pericolo d’irreparabile fallo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_176">[176]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap5-2">CAP. V.
-<span class="smaller"><i>Come si mise in ordine il consiglio preso.</i></span></h3>
-
-<p>
-L’arcivescovo di Milano, la gente d’arme che
-avea in diverse parti in Lombardia, in pochi dì
-la fece venire a Bologna: e fatto capitano messer
-Giovanni de’ Visconti da Oleggio, il quale per fama
-si tenea essere suo figliuolo, per addietro capitano
-de’ Pisani, e prigione de’ Fiorentini nella
-battaglia che feciono per soccorrere Lucca alla
-Ghiaia, animoso contro a’ Fiorentini, singularmente
-per quell’onta, uomo di grande animo, e accompagnato
-da’ caporali ghibellini lombardi toscani
-e marchigiani, maestrevoli conducitori di
-guerra, si pensò prosperamente fornire la commissione
-a lui fatta per lo suo signore. Il castello
-della Sambuca, nel passo della montagna tra
-Bologna e Pistoia, era allora per difetto de’ Fiorentini
-nelle sue mani, al quale avea di vittuaglia
-per l’oste grande apparecchiamento; e di
-questo non s’erano accorti i Fiorentini: e così
-provveduto, subitamente a dì 28 del mese di luglio,
-gli anni <i>Domini</i> 1351, mosse colla sua oste
-da Bologna, e prima fu valicato la Sambuca, e
-accampatosi presso a Pistoia a quattro miglia, per
-attendere il rimanente del suo esercito, che i
-Fiorentini sapessono alcuna cosa, o che avessono
-avuto pensiero che la forza del tiranno si stendesse
-sopra loro: ma sentendo questo, subitamente,
-in que’ due dì ch’e’ nimici attesono la loro
-gente, i Fiorentini misono gente d’arme a piè
-<span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span>
-e a cavallo in Pistoia, sicchè dentro vi si trovò alla
-guardia da cinquecento cavalieri e seicento fanti
-alla venuta dell’oste, messer Giovanni raunata
-tutta la sua oste e la vittuaglia, a dì 30 di luglio
-predetto si strinse alla città di Pistoia, credendolasi
-avere per vane promesse, ma non essendogli
-risposto come s’avvisava, vi si strinse e
-posevisi ad assedio. La gente de’ Fiorentini che
-dentro v’era, faceano di dì e di notte sofficiente
-e buona guardia, e per questo, se trattato niuno
-v’era non s’ardì a scoprire, ma tutti i cittadini
-colla gente de’ Fiorentini insieme attesono
-alla difesa della città.
-</p>
-
-<h3 id="cap6-2">CAP. VI.
-<span class="smaller"><i>Come gli Ubaldini arsono Firenzuola, e presono
-Montecolloreto.</i></span></h3>
-
-<p>
-Gli Ubaldini, ch’erano in pace col comune
-di Firenze, sentendo l’oste dell’arcivescovo sopra
-Pistoia, avendo fatto loro sforzo, e avuto
-cavalieri del tiranno, improvviso a’ Fiorentini
-apparirono nell’alpe, e corsono a Firenzuola,
-che si redificava pe’ Fiorentini, ma non era ancora
-cinta di mura, nè di fossi nè di steccati,
-ma incominciata, e dentro v’erano capanne per
-alberghi, e lieve guardia per tener sicuro il cammino,
-sicchè senza contrasto la presono e arsono:
-e andaronsene a oste a Montecolloreto, nel
-quale era castellano per lo comune di Firenze
-uno popolano de’ Ciuriani di Firenze, giovane
-poco scorto degl’inganni delle guerre. Costui
-<span class="pagenum" id="Page_178">[178]</span>
-vedendosi assediato, e dando fede alle parole de’
-nimici, i quali diceano come Firenze era per arrendersi
-al signore di Milano, si condusse mattamente
-a patteggiar con loro: che se in fra ’l
-terzo dì non fosse soccorso, darebbe la rocca: e
-per istadico diede un suo fratello. I Fiorentini ch’aveano
-l’animo a guardare quella fortezza, cercarono
-di soccorrerla, e trovato uno conestabile valente
-con venticinque masnadieri, promise d’entrare
-innanzi al termine nel castello; e di presente
-si mise in cammino: e tanto procacciò per
-suo ingegno e virtù, che innanzi il termine fu nel
-castello, ma non potè entrare nella mastra fortezza,
-che si guardava per lo castellano, e ’l castellano
-avendo questo soccorso si potea difendere per lungo
-tempo da tutta la forza ch’avessono potuta fare
-gli Ubaldini, perocchè il luogo era fortissimo e
-bene fornito: ma essendo (come egli follemente
-avea messo il fratello nelle mani de’ nimici, i
-quali minacciavano d’impiccarlo se non rendesse
-la rocca) vinto dall’amore della carne,
-non volle ricevere il soccorso, anzi diede la rocca
-a’ nimici. E salvate le persone da’ nimici, condotto
-a Firenze, e giudicato traditore del comune,
-per la sua dicollazione e di due suoi compagni
-diede esemplo agli altri castellani di più intera
-fede al loro comune. I mallevadori che dati
-avea di rassegnare la rocca al comune convenne
-che pagassono lire ottomila com’erano obbligati.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap7-2">CAP. VII.
-<span class="smaller"><i>Come gli Ubertini, e’ Tarlati, e i Pazzi
-assalirono il contado di Firenze.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Piero Sacconi co’ suoi Tarlati usciti
-d’Arezzo, e il vescovo d’Arezzo degli Ubertini
-co’ suoi consorti, e Bustaccio co’ Pazzi di Valdarno,
-per lungo tempo stati in pace e in protezione
-col comune di Firenze, sentendo l’avvenimento
-di messer Giovanni Visconti da Oleggio con
-grande forza d’arme sopra Pistoia, si ragunarono
-con tutto loro sforzo di gente d’arme a piè e
-a cavallo a Bibbiena; e dall’arcivescovo aveano
-avuto dugentocinquanta barbute, acciocchè potessono
-fare maggiore guerra. Di presente, improvviso
-a’ Fiorentini, cominciarono a cavalcare
-sopra loro, e sopra i conti Guidi, amici e fedeli
-del comune di Firenze, e oggi correvano in una
-contrada e domane in un’altra, uccidendo e predando,
-e facendo aspra guerra. I Fiorentini vedendo
-d’ogni parte le subite e sprovvedute tempeste
-venire sopra loro, e sentendo gli amici diventati
-nimici, ebbono paura non piccola, mescolata
-di grande sospetto, e i provveduti rettori del
-comune non sapeano che si fare. E così era la
-città di forza e di consiglio spaventata, e molto
-piena di paura e di sospetto per modo, che non
-veggendo nè per atto nè per consiglio alcuna cagione
-di sospetto cittadinesco, non si fidava l’uno
-del’altro, e non si provvedea al comune riparo
-per via di consiglio in que’ primi cominciamenti.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap8-2">CAP. VIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini mandaro ambasciadori
-al capitano dell’oste.</i></span></h3>
-
-<p>
-Vedendosi i Fiorentini con tanta forza e da
-cotante parti assalire dal signore di Milano,
-senza avere con lui alcuna guerra o conturbagione
-di pace, elessono alquanti cittadini, e mandaronli
-ambasciadori nel campo a messer Giovanni
-da Oleggio, capitano dell’oste sopra a Pistoia,
-i quali essendo giunti nel campo, furono
-ricevuti dal capitano assai cortesemente. E secondo
-la commissione a loro fatta da’ priori e
-da’ collegi del nostro comune, domandarono messer
-Giovanni, con ciò fosse cosa che tra l’arcivescovo
-suo signore e ’l comune di Firenze fosse
-pace e niuno sospetto di guerra, perchè venuto
-era ostilmente come contra suoi nimici sopra il
-comune di Firenze, non avendo prima annunziato
-al comune la sua guerra secondo i patti
-della pace, salvo che per una breve lettera, mandata
-per lui poichè fu sopra Pistoia: la quale senza
-precedente cagione di nostro fallo, disse: <i>non avete
-voi voluto osservare la pace, e però vi facciamo
-la guerra</i>: la quale non era nè onesta nè
-debita cagione; e però siamo mandati dal nostro
-comune a sapere la verità di questo movimento.
-Udito il capitano la loro ambasciata, raccolse
-il suo consiglio, e appresso rispose altieramente
-in questo modo. Il nostro signore, messer
-l’arcivescovo di Milano, è potente, benigno e grazioso
-<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span>
-signore, e non fa volentieri male ad alcuna
-gente, anzi mette pace e accordo in ogni luogo
-ove la sua potenza si stende; è amatore di giustizia,
-e sopra gli altri signori la difende e mantiene:
-e qui non ci ha mandati per mal fare, ma
-per volere tutta la Toscana riducere e mettere
-in accordo e in pace, e levare le divisoni e le
-gravezze che sono tra’ popoli e’ comuni di questi
-paesi. E perchè a lui è pervenuto e sente le divisioni
-discordie e sette, e le gravezze che sono
-in Firenze, le quali conturbano e aggravano la
-vostra città e tutti i comuni di Toscana, ci ha
-mandati qui affinchè voi vi governiate e reggiate
-in pace e in giustizia per lo suo consiglio, e
-sotto la sua protezione e guardia; e così intende
-volere addirizzare tutte le terre di Toscana. E
-dove questo non si possa fare con dolcezza e con amore,
-intende farlo colla forza della sua potenza
-e degli amici suoi. E a noi ha commesso, ove
-per voi non si ubbidisca al suo buono e giusto
-proponimento, che mettiamo la sua oste in sulle
-vostre porti e intorno alla vostra città, e che ivi
-tanto manterrà quella, accrescendola e fortificandola,
-continuamente combattendo d’ogni parte
-il contado e il distretto del vostro comune col
-fuoco e col ferro, e colle prede de’ vostri beni,
-che tornerete per vostro bene alla volontà sua.
-Udendo gli ambasciadori la superba risposta del
-capitano e del suo consiglio, non parve che luogo
-e tempo fosse di quivi stendere più loro sermone:
-e però domandarono sicurtà fino a Bologna per
-potere andare al signore di Milano, come aveano
-in commissione dal loro comune, la quale il capitano
-<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span>
-non volle dare. E però si tornarono a Firenze,
-e spuosono a’ signori e al consiglio quello
-ch’aveano avuto dal capitano dell’oste per risposta
-della loro ambasciata, per la quale l’animo
-de’ cittadini di Firenze crebbe più in disdegno
-che in paura.
-</p>
-
-<h3 id="cap9-2">CAP. IX.
-<span class="smaller"><i>Come l’oste si levò da Pistoia e puosesi
-a Campi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo stata l’oste del tiranno otto dì sopra
-la città di Pistoia, e mancata la speranza
-d’avere la terra, per la buona guardia e sollecita
-che ’l dì e la notte vi faceano i Fiorentini: e il
-somigliante di Prato, nelle quali terre erano le
-tre parti della gente d’arme che allora aveano i
-Fiorentini, essendo la città di Firenze quasi
-rimasa senza aiuto di soldati forestieri, e non
-avendo capitano di guerra: messer Giovanni da
-Oleggio col consiglio de’ caporali ghibellini
-ch’avea con seco, i quali stavano solleciti a sentire
-il fatto del nostro comune, e sentivano essere
-dentro grande sospetto e poco consiglio, e minore
-forza d’arme che in Pistoia e in Prato, con
-molte verisimili suasioni mossono il capitano subitamente
-a stringersi sopra Firenze colla sua oste:
-il quale essendo uomo di grande ardire, e animoso
-contro a’ Fiorentini, sentendosi accompagnato
-da molti buoni capitani di guerra, e da
-cinquemila barbute, e da duemila altri cavalieri,
-e seimila masnadieri a piede, non bene provveduto
-<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span>
-di vittuaglia, sperando nel contado di Firenze
-farsene abbondevole, come mostrato gli era, a
-dì 4 d’agosto del detto anno subitamente levò il
-campo da Pistoia, e per la strada dritta e piana
-senza arresto valicata la terra di Prato, condusse
-la sua oste in sull’ora del vespero a Campi,
-Brozzi e Peretola, improvviso, non che a’ Fiorentini,
-ma agli uomini di quelle ville e contrade,
-per la qual cosa non poterono campare alcuna
-cosa, fuori che le persone, e di quelle vi
-rimasono assai. Il capitano per non conducersi al
-tardi, e perchè il luogo era albergato e pieno d’ogni
-bene, fermò il campo a Campi. Della villa di
-Campi e d’altre d’intorno raccolsono grano e
-biada e carnagione assai, e molte masserizie e letta
-de’ paesani: e intesono a starsi ad agio e a rinfrescare
-la gente di vivanda, della quale intorno
-a Pistoia aveano avuto disagio. E dato l’ordine
-al campo di buona guardia di dì e di notte,
-provviddono che ogni cavalcata che si facesse verso
-la città di Firenze avesse riscossa di mille cavalieri
-il meno. E incontanente cominciarono a
-cavalcare per lo piano, prendendo e raccogliendo
-il bestiame e la roba che rimasa v’era senza
-trovare riparo, e alcuna volta si stesono infino
-alle mura della città di Firenze. I Fiorentini sentendo
-questa subita venuta dell’oste sopra la città,
-e la baldanza presa d’aversi lasciato dietro
-Pistoia e Prato, sbigottirono disordinatamente,
-non trovandosi forniti nè provveduti al riparo.
-E i rettori del comune per lo fallo commesso
-dell’abbandonata provvisione non sapeano che
-si fare; e molto temeano che fossono venuti così
-<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span>
-baldanzosi a istanza de’ loro cittadini d’entro. E
-in questa contumacia e sospetto si stette insino
-che manifesto apparve per l’operazione de’ cittadini
-grandi e popolani grassi, che catuno era in
-fede al suo comune: e levata la nebbia che teneva
-intenebrata la mente del popolo e del comune,
-presono più ardire, e feciono trarre fuori i
-gonfaloni, e andarono coll’arme alle porti, e fecionle
-serrare di verso la parte d’ond’erano i
-nimici; e ordinarono guardie di buoni cittadini,
-facendo il dì e la notte fare buona guardia. E
-armarono le mura di ventiere, e le più deboli
-parti feciono afforzare per difendere la città, che
-di mettere gente in campo a quell’ora non aveano
-podere.
-</p>
-
-<h3 id="cap10-2">CAP. X.
-<span class="smaller"><i>Come l’oste ebbe gran difetti a Campi
-e a Calenzano.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avvenne, che stando l’oste a Campi, per mala
-provvisione, tutto il bestiame ch’avrebbe dato con
-ordine lungamente carne all’oste, in pochi dì
-si straziò e consumò. E in quello tempo era sformato
-caldo e secco grande, e tutte mulina di
-quelle contrade erano state sferrate e guaste; per
-la qual cosa, benchè l’oste avesse del grano, non
-potea fare farine, ed erano in grande soffratta di
-sale. E la vittuaglia di quel piano cominciò a
-mancare, e quella che venia da Bologna per scorta
-era spesso in preda de’ cavalieri ch’erano in
-Pistoia. E per questo avvenne, che in pochi dì
-<span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span>
-all’oste mancò il pane e il sale: e non aveano
-che manicare, se non carne, e di quella poca, e cocevanla
-col grano, che farina non aveano. Da niuna
-parte del contado di Firenze aveano mercato,
-e cavalcate non poteano stendere in parte onde
-recare potessono fornimento al campo, perocchè
-tutte le circustanze aveano sgombrato e ridotto
-nella città. Onde cominciarono a sentire fame,
-e il caldo li consumava e affliggeva forte i corpi
-degli uomini; e il maggiore sussidio ch’avessono
-era l’agresto e le frutta non mature: e poco
-tempo v’aveano a stare, che senza essere contastati
-da’ Fiorentini veniano in ultima disperazione. I
-loro capitani e conducitori vedendosi a questo
-pericolo, diedono voce di volersi strignere alla
-città, e per forza valicare nel piano di san Salvi.
-I Fiorentini temettono di questo: e non trovandosi
-gente d’arme da potere contradiare il passo
-a’ nimici, feciono una tagliata dal ponte della porta
-a san Gallo infino alla costa di Montughi: e ivi misono
-molti balestrieri e popolo alla guardia, con
-ordine di soccorso se bisogno fosse. L’altra voce
-diedono di tornarsene per lo piano d’ond’erano
-venuti verso Pistoia; i Pistolesi per questa tema
-ruppono i passi, e abbarrarono i cammini con
-fossi e con alberi. E per questo i Fiorentini più
-temeano che non valicassono nel piano di san
-Salvi, e per questa cagione afforzarono di bertesche
-e di steccati la rocca di Fiesole, e fecionla
-guardare; e nondimeno tutto il contado da lunge
-e d’appresso feciono sgombrare da quella parte.
-I capitani dell’oste vedendosi a cotanto disagio,
-non ardirono di strignersi più alla città, anzi levarono
-<span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span>
-il campo, a dì 11 d’agosto del detto anno, e
-traendosi addietro si puosono a Calenzano. I Fiorentini
-stimando che se n’andassono, sonarono
-le campane del comune a stormo; e il popolo
-volonteroso a cacciare chi fuggisse s’armò, e alquanti
-mattamente senza ordine e senza capitano
-uscirono della città: ma sentendo che i
-nimici non fuggivano, tosto ritornarono dentro
-dalle mura. Ma di questo nacque la voce per lo
-contado e scorse per tutto, che se n’andavano
-per la Valdimarina; e di stormo in stormo si
-mossono i contadini senza ordine o comandamento
-del comune, e occuparono le montagne
-sopra la Valdimarina d’ogni parte, e furono loro
-tanto innanzi all’ora del vespero, che forte feciono
-temere e maravigliare i nimici, ch’aveano
-intenzione di valicare nel Mugello per quella
-via. Come i capitani ebbono fermo il loro campo
-sotto Calenzano in sulla Marina, feciono combattere
-la pieve e certa fortezza ov’era raccolta la
-vittuaglia de’ paesani, e presonle a patti, salve
-le persone: e anche presono il castello di Calenzano,
-che non era murato nè difeso, e in questa
-tenuta trovarono alcuno rinfrescamento. Fino
-a quell’ora non aveano fatta alcuna arsione:
-stando ivi, uno grande conestabile tedesco si
-stese a Pizzidimonte, e fuvvi morto da’ villani;
-e per questa cagione vi cavalcarono e arsonlo,
-e appresso alcuna altra villa intorno a Calenzano.
-E feciono provvedere i passi per valicare in
-Mugello, ch’ogni altro viaggio era loro, in stremità
-del pane, più pericoloso a pigliare.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap11-2">CAP. XI.
-<span class="smaller"><i>Come i rettori di Firenze abbandonarono
-il passo di Valdimarina.</i></span></h3>
-
-<p>
-La necessità delle cose da vivere, l’un dì appresso
-l’altro già tornata in fame, strignea l’oste
-del Biscione, che così si chiamava allora, a
-partirsi del piano, ove senza speranza di potersi
-allargare, di pane erano affamati. I cittadini
-di Firenze, a cui era commessa la provvisione
-della guerra, ch’erano oltre a’ priori e a’ collegi
-diciotto tra grandi e popolani, sapeano bene il
-difetto ch’aveano i nemici, ma non aveano capitano,
-e da loro non sapeano la maestria della
-guerra, conobbono per lo comune grido, che agevole
-era a tenere loro il passo che non entrassono
-nel Mugello per la Valdimarina, che per
-natura il luogo era stretto, e’ passi aspri e forti,
-da tenergli poca gente con loro sicurtà da tutta
-l’oste: e vidono manifesto, che dove questa via
-s’impedisse loro, convenia che si partissono,
-tornando addietro da Pistoia sconciamente. Ma
-la tema della boce che non passassono a san Salvi,
-ch’era quasi impossibile, fece al comune
-non riparare a quel passo. Ma un gentile scudiere
-alamanno, il quale in quel tempo per lo comune
-era capitano in Mugello, da se medesimo
-commise a uno della casa de’ Medici, il quale
-era in sua compagnia, ch’andasse a provvedere
-al passo, e diegli dugento fanti e cinquanta cavalieri.
-La commissione fu debole a cotanto fatto:
-<span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span>
-nondimeno se il cittadino fosse stato valoroso, e
-avesse voluto acquistare onore, molto agevole gli
-era a guardare quel passo, perocchè i Mugellesi
-sentendo che il capitano mandava a guardare
-quel passo, con grande animo di ben fare trassono
-da ogni parte allo stretto ov’era venuto
-il provveditore. Ed essendo nel luogo, viddono che
-il passo si difendea senza dubbio, a grande sicurtà
-de’ difenditori, per la fortezza naturale di
-quelle valli, onde conveniva l’oste de’ nemici valicare
-a piede, e uomo innanzi uomo, che a cavallo
-insieme non v’era modo da poter valicare. Ma il
-cittadino deputato a quel servigio disse a’ Mugellesi
-che gli conveniva essere altrove, e quivi per
-niuno modo si potea ritenere. Onde i Mugellesi
-ch’erano tratti coraggiosi alla difesa, vedendo
-come colui cui doveano avere per capitano a quella
-guardia si partiva, perderono ogni vigore: e
-partito il capitano, tornarono a casa, e cominciarono
-a fuggire il loro bestiame, e le loro famiglie
-e masserizie, maledicendo il comune di Firenze
-e’ suoi governatori, con giusta cagione della loro
-fortuna.
-</p>
-
-<h3 id="cap12-2">CAP. XII.
-<span class="smaller"><i>Come l’oste del Biscione valicò il passo,
-e andò in Mugello.</i></span></h3>
-
-<p>
-I capitani dell’oste che si vedeano in gran
-bisogno d’uscire del luogo dov’erano stretti dalla
-fame, seppono di presente come il passo era
-abbandonato da’ Mugellesi, e però incontanente
-<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span>
-mandarono innanzi masnadieri eletti, e buoni
-balestrieri a prendere il passo: e senza arresto
-levarono il campo, a dì 12 d’agosto del detto
-anno, e misonsi loro appresso. In sul passo erano
-rimasi alquanti fanti del paese, i quali di
-loro volontà attesono i masnadieri de’ nemici; e
-alle mani con loro, li ributtarono indietro. Ma
-vedendosi pochi e senza soccorso, e vedendo i
-nemici che riempieano le coste de’ poggi e le
-valli d’ogni parte, abbandonarono il passo, e i
-nemici di presente il presono, e l’oste senza
-contrasto o pericolo valicò, facendosi grandi beffe
-del comune di Firenze, parendo a catuno di
-servo essere divenuto signore. E pensando alla
-viltà ch’avevano trovata ne’ Fiorentini, a non
-avere fatto tenere e difendere quel passo, e al
-poco provvedimento che mostravano ne’ fatti
-della guerra, crebbe la loro superbia. E poichè
-si viddono essere valicati senza contrasto nel piano
-di Mugello, presono fidanza d’essere signori
-di tutto il paese senza contrasto, e quel dì medesimo
-cavalcarono a Barberino, e a Villanuova.
-Barberino era forte e bene fornito alla difesa,
-e molta roba v’era dentro raccolta delle vicinanze,
-ad intendimento di difendersi, tanto ch’avessono
-soccorso da’ Fiorentini. Ma Niccolò da
-Barberino, antico castellano e de’ nobili di quella
-terra, avendo la fede corta al comune di Firenze,
-se n’andò al capitano dell’oste, e senza
-consiglio de’ suoi castellani, a suo vantaggio
-trasse patto, e rendè il castello a’ nemici, e
-misonvi la loro guardia, e la vittovaglia che v’era
-fece dare all’oste. Villanuova, e Gagliano, e
-<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span>
-Latera, e altre terre circustanti, che non erano
-di gran fortezza, nè guardate da gente d’arme
-del comune di Firenze, feciono il comandamento
-del capitano dell’oste, e dieronli il mercato.
-Trovandosi la gente affamata in paese
-largo e dovizioso e pieno d’ogni bene, soggiornarono
-volontieri più dì, per prendere conforto
-delle loro persone, e a’ loro animali, che tutti
-n’avevano gran bisogno. Ma chi ha ne’ fatti
-della guerra il tempo da avanzare, e per riposo
-lo indugia, tardi il racquista; e così avvenne a
-costoro per lo detto soggiorno, come appresso diviseremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap13-2">CAP. XIII.
-<span class="smaller"><i>Come il conte di Montecarelli si rubellò a’ Fiorentini
-e venne al capitano.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il conte Tano di Montecarelli rompendo la
-pace ch’avea col comune di Firenze, essendo con
-gli altri ghibellini collegato coll’arcivescovo,
-avendo in prima per inganno, per mala provvedenza
-del castellano, ritolta a’ Fiorentini la rocca
-di Montevivagni, nella quale era a guardia
-uno popolare figliuolo di Piero del Papa, il quale
-fu però condannato per traditore, come sentì
-l’oste del Biscione nel Mugello, fece suo sforzo
-di cavalieri in piccolo numero, e in persona con
-i suoi compagni a cavallo e con dugento fanti venne
-nell’oste, e in Montecarelli mise la guardia
-per l’arcivescovo e le sue insegne; e mentre
-che l’oste stette in Mugello fu a nimicare il comune
-<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span>
-di Firenze, e a dare il mercato all’oste, e
-ricetto in Montecarelli a’ nemici del comune.
-</p>
-
-<h3 id="cap14-2">CAP. XIV.
-<span class="smaller"><i>Come si fornì la Scarparia e il Borgo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avvenne come l’oste del tiranno fu valicata
-nel Mugello, e dilungata dalla città, a’ Fiorentini
-parve al tutto essere fuori di sospetto, e ritornò
-loro il vigore e la virtù dell’animo a consigliare
-e a provvedere a’ rimedi. E in quello
-stante che l’oste si riposava a Barberino, misono
-nella Scarperia Iacopo di Fiore conestabile
-tedesco, uomo leale e valoroso, il qual era
-capitano del Mugello. A costui dierono dugento
-cavalieri eletti di buona gente, e trecento masnadieri
-esperti in arme, de’ quali quasi tutti
-i conestabili furono Fiorentini, uomini di grande
-pregio in fatti d’arme. E fornirono la terra
-di molta vittuaglia, e d’arme, di balestra, e di saettamento,
-e di lagname e di ferramenti, e di buoni
-maestri da fare ogni dificio da offendere e da
-difendere; e fornita d’ogni cosa bisognevole per
-un anno, al detto capitano e conestabile accomandarono
-la guardia e la difesa di quello castello.
-E per simigliante modo e forma fornirono
-il Borgo a san Lorenzo, e Pulicciano, e altre
-fortezze. E mandarono armadure, saettamento e
-balestra, e ammonirongli di buona guardia, confortandogli
-che a ogni bisogno avrebbono aiuto
-e soccorso presto dal comune. E gli uficiali deputati
-alla provvigione di quella guerra si cominciarono
-<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span>
-a provvedere, e accogliere gente di
-soldo a cavallo e a piè quanti avere ne poteano,
-per attendere alla difesa.
-</p>
-
-<h3 id="cap15-2">CAP. XV.
-<span class="smaller"><i>Come l’oste assediò la Scarperia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Giovanni da Oleggio capitano dell’oste,
-e il Conte Nolfo da Urbino maliscalco, veduto
-la gente rinfrescata, e presa forza e baldanza
-per lo abbondante paese dove si trovarono, con
-le spalle di Bologna, onde potevano avere prestamente
-aiuto e favore quando bisogno fosse,
-pensavano senza contrasto essere signori di tutto.
-E con questa baldanza, a dì 20 del mese d’Agosto
-del detto anno vennero colle schiere fatte
-sopra il castello della Scarperia, e con loro s’aggiunsono
-gli Ubaldini, ch’erano con tutto loro
-sforzo nell’alpe, e più altri ghibellini nemici
-del comune di Firenze. La Scarperia era a quell’ora
-debole terra di piccolo compreso, e non
-era murata se non dall’una delle parti, ma in
-quello stare di Barberino, in molta fretta s’era rimesso
-il fosso vecchio e trattone la terra, e innanzi
-a quello fattone un’altro piccolo, e racconciato
-lo steccato assai debole. I nimici vi furono
-intorno con tanta moltitudine di cavalieri
-e di pedoni, che copriano tutto il piano, e
-avendo da ogni parte circondato il piccolo castello,
-e fermi i campi loro, domandarono il castello
-a coloro che ’l guardavano, dicendo come i
-Fiorentini non lo potevano soccorrere nè difendere,
-<span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span>
-ma perocchè sentivano che dentro v’erano
-di prod’uomini e virtudiosi d’arme, voleano
-far loro grazia d’avergli per amici, dove rendessono
-la terra senza contasto: e che quando
-questo non facessono nel breve termine loro assegnato,
-gli vincerebbono per battaglia, e la
-vita non perdonerebbono ad alcuno: e così era
-deliberato per lo capitano e per tutti i guidatori
-dell’oste. Gli assediati risposono che voleano
-termine a rispondere, e che dopo il termine farebbono
-quello che la fortuna concedesse con
-loro onore. Furono domandati da’ capitani quanto
-termine voleano. Gli assediati risposono, che
-con loro onore non vedeano che potesse essere
-meno di tre anni: e dopo il detto termine intendeano
-prima morire in su i merli, che di
-quelli dessono uno a’ nimici: e di così franca risposta
-molto feciono maravigliare i capitani
-dell’oste, parendo che si mettessono a grande
-pericolo a volere difendere così debole castello,
-e da cotanta forza. E fatta la risposta, di presente
-s’ordinarono e di dì e di notte a molta
-sollecita guardia, e a buona e a franca difesa; e
-cominciarono a regolare la vita di tutti, come
-se l’oste vi dovesse stare due anni. I nimici
-cominciarono prima ad assalirli con grossi badalucchi,
-per tentare il loro reggimento, il quale
-trovarono sollecito, e maestrevolmente provveduto
-alla difesa.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap16-2">CAP. XVI.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini afforzarono Spugnole.</i></span></h3>
-
-<p>
-I Fiorentini ch’al continovo raccoglievano gente
-d’arme a cavallo e a piè al loro soldo, e sollecitavano
-gli amici d’aiuto, avendo già accolto
-un poco di gente, deliberarono d’afforzare Spugnole
-e Montegiovi per guardare le contrade di qua
-da Sieve, e per dare alcuna speranza agli assediati
-della Scarperia, e ivi misono de’ cavalieri ch’aveano,
-e parecchie masnade di buoni e valorosi
-masnadieri. E al Borgo a san Lorenzo crebbono
-gente d’arme: e come crescea al comune gente
-d’arme per soldo o per amistà gli mandavano
-alle frontiere de’ nemici in Mugello. Onde avvenne
-più volte, che per gli aguati da catuna
-parte, e per le cavalcate de’ nimici v’ebbe
-di belli e di grossi assalti, ove si mostrarono operazioni
-di buoni cavalieri e di franchi masnadieri.
-Per questo avvenne che i nemici non ardirono
-a valicare la Sieve colle loro cavalcate inverso
-Firenze. E tutte loro cavalcate di là da Sieve faceano
-grosse di mille cavalieri, o di millecinquecento,
-o di duemila per volta, e nondimeno
-erano continuamente percossi alla ritratta, e assaliti
-d’aguati che si metteano loro. E in questo
-modo si venne domesticando la guerra, e gli uomini
-del paese cominciarono a prendere cuore e
-ardire, per modo che i villani si raccoglieano insieme
-e nascondevansi a’ passi, e come i cavalieri
-si stendevano alle ville gli uccidevano; e avvezzi
-<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span>
-a questo guadagno dell’arme e de’ cavalli, con
-molta sollecitudine intendevano a tendere i loro
-aguati in ogni luogo. E per questo modo uccisono
-de’ nemici grande quantità nel tempo che
-durò la detta guerra.
-</p>
-
-<h3 id="cap17-2">CAP. XVII.
-<span class="smaller"><i>Come si difese Pulicciano di grave battaglia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Al castello di Pulicciano furono condotti per
-certi ghibellini della terra in una cavalcata cinquecento
-cavalieri e quattrocento fanti, e non
-essendo se non pochi terrazzani nella fortezza di
-sopra, appena la difesono. I borghi di fuori arsono
-e rubarono, e mandaronne il bestiame e la
-preda nel campo. Sentito questo a Firenze,
-subito vi mandò il comune cento fanti masnadieri
-alla guardia: i quali vi furono tosto a gran
-bisogno, perocchè quelli dell’oste per seducimento
-di traditori del castello, e per conforto de’
-soldati ch’erano stati in quella cavalcata, si
-pensarono vincere la fortezza, che non era chiusa
-di mura, ma da uno vile steccato, e avendo quella,
-signoreggerebbono un paese forte e pieno d’ogni
-bene da vivere: e però una mattina per tempo
-vi feciono cavalcare duemila barbute, e mille
-fanti e più balestrieri. E giunti a piè del castello,
-i cavalieri scesono de’ cavalli, e con gli elmi e
-colle barbute in testa si legarono con le braccia
-insieme, tenendo l’uno ’altro, e tra loro ordinarono
-i balestrieri, e cominciarono da ogni parte
-a un’ora a montare verso gli steccati. I terrazzani
-<span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span>
-arditi e fieri, co’ soldati che v’erano, si misono
-francamente alla difesa colle balestra ch’aveano
-e co’ sassi maneschi. La forza de’ nemici
-era grande tanto, che per forza condussono un
-loro conestabile con la sua bandiera quasi al pari
-dello steccato. Come si fermò con l’insegna
-per dare favore agli altri, tra con le balestra e
-con le pietre lo traboccarono morto giù per la
-ripa. Nondimeno i nimici con grave battaglia gli
-stringeano forte, e quelli del castello molto vivamente
-senza riposo difendeano gli steccati per
-modo, che da mezza terza fino a mezzo dì, che la
-battaglia era durata senza arresto, i nimici non
-aveano potuto abbattere un legno del loro steccato.
-Per la qual cosa vedendo i cavalieri la franca difesa
-di que’ villani, e già morti alquanti di loro, e
-che il giorno era nel calare, disperati di quell’impresa,
-con loro vergogna si ritrassono della
-battaglia e tornarono nel campo, e più non tentarono
-di ritornarvi.
-</p>
-
-<h3 id="cap18-2">CAP. XVIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Tarlati, e i Pazzi di Valdarno e gli
-Ubertini vennono in sul contado di
-Firenze, e furonne cacciati per
-forza da’ Fiorentini.</i></span></h3>
-
-<p>
-Dall’altra parte messer Piero de’ Tarlati d’Arezzo
-in prospera vecchiezza, valicati i novanta anni
-della sua età, e il vescovo d’Arezzo della casa
-degli Ubertini, e i Pazzi di Valdarno, non ostante
-che fossono in pace col comune di Firenze, avendo
-<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span>
-dugentocinquanta cavalieri di quelli dell’arcivescovo,
-e aggiuntosi de’ conti d’Urbino e
-altri ghibellini, mentre che l’oste era in Mugello,
-con trecentocinquanta cavalieri e con duemila
-pedoni si misono da capo predando il contado
-di Firenze, e vennono all’Ambra, e di là intendeano
-entrare nel Valdarno e venire a Fegghine.
-I Fiorentini sdegnosi di questi traditori, subitamente
-trassono dalle loro frontiere cinquecento
-cavalieri, e commisono a centocinquanta cavalieri
-ch’aveano in Arezzo che dovessono venire a
-raccozzarsi co’ nostri; e mossono il popolo del
-Valdarno, che con grande animo e di buona
-voglia andavano in quello servigio. Il comune di
-Firenze si confidò al tutto in questa cavalcata di
-Albertaccio di messer Bindaccio da Ricasoli, uomo
-savio, pro’ e ardito e buono capitano, se fosse
-stato in fede nel servigio del comune: e benchè
-altri buoni cittadini fossono mandati in detto
-servigio, a costui fu dato il mandato che in
-tutto fosse ubbidito. La gente a piè e a cavallo che
-cavalcavano di volontà, sopraggiunsono i nimici in
-sul vespero all’Ambra, in parte, che avendo voluto
-fare quello si poteva per la nostra gente, non
-ne campava testa che non fossono morti o presi:
-perocchè la gente del comune di Firenze era due
-cotanti, e migliore gente d’arme, e erano nel loro
-terreno intorniati dagli amici. Questo Albertaccio
-avendo parentado e amistà co’ detti nimici,
-portò infamia di non avere servito il comune
-lealmente. In prima d’avere sostenuta la gente
-del comune a Montevarchi, che potea più infra
-’l dì avere occupati i nimici: appresso, che
-<span class="pagenum" id="Page_198">[198]</span>
-quando fu a loro non gli lasciò per la nostra gente
-badaluccare, per tenerli corti e ristretti che
-non si potessono provvedere: e perocchè non lasciò
-porre la sera la cavalleria de’ Fiorentini nel luogo
-dove si poteva torre la via a’ nimici che andare
-non se ne potessono quella notte. Per li savi che
-v’erano con lui si provvedeva, nondimeno per lo
-pieno mandato ch’aveva dal comune fu ubbidito;
-ed egli mostrava di fare buona e franca capitaneria,
-e di volere vincere i nimici senza pericolo
-della sua gente: e però puose quella sera
-il campo in luogo sicuro a’ suoi, e utile a’ nimici.
-O vero o bugia che fosse, infamato fu d’avere
-dato il tempo e fatto assapere a’ nimici che si dovessono
-partire in quella notte. I nimici traditori
-del nostro comune, vedendosi sorpresi a loro
-gran pericolo, intesono con ogni sollecitudine,
-senza dormire, a campare le persone: e non
-tennono per una via, ma per diverse parti per
-lo scuro della notte presono la fuga molto chetamente.
-La nostra gente non fu ordinata a quella
-guardia, e poi innanzi che il capitano facesse
-armare il campo, i nimici erano più di sei miglia
-dilungati; allora si strinsono ove la sera aveano
-lasciati i loro avversari, e niuno ve ne trovarono:
-onde la infamia crebbe al capitano per
-lo fatto, e il ripitio fu grande tra i cavalieri soldati
-e il conducitore, ch’avea tolto loro quella preda
-per mala condotta. La gente che v’era d’Arezzo,
-forte sdegnata di questo tradimento che parve
-loro avere ricevuto, si partirono senza licenza
-del capitano con centocinquanta cavalieri ch’aveano
-per loro guardia da’ Fiorentini, e tornaronsi
-in Arezzo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap19-2">CAP. XIX.
-<span class="smaller"><i>Come Bustaccio entrò e rendè la Badia
-a Agnano.</i></span></h3>
-
-<p>
-In quella notte Bustaccio degli Ubertini si
-ridusse con parte di quella gente a piede e a cavallo
-nella Badia a Agnano, la quale era molto
-forte e bene guernita. La cavalleria de’ Fiorentini
-rimasa con vergogna della partita de’ nimici,
-sentendo come Bustaccio era ricoverato in quella
-Badia, cavalcarono là, e trovaronli racchiusi, e
-ordinati alla difesa di quella tenuta. Il capitano
-per volere ricoprire sua infamia volea combattere
-la fortezza; i conestabili de’ cavalieri, stretti insieme,
-dissono ch’erano stati ingannati, e per baratto
-aveano perduta la preda de’ nimici fuggiti, e
-però non intendeano combattere se prima non
-fossono sicuri della preda, se per patto si lasciassono
-i nimici partire: e in fine ne furono in concordia
-d’avere fiorini cinquecento d’oro, come che
-i nimici si capitassono. E di presente combattendo
-certo borgo il vinsono. Poi combattendo la
-Badia furono ributtati a dietro, e perderono
-tre bandiere, ch’erano in sulle case, le quali i
-nimici presono, e per paura del passo ove si trovavano
-le locaro ritte in sull’altare maggiore della
-badia. I cavalieri aontati delle loro bandiere
-prese, d’un animo si disponeano per forza a vincere
-la Badia, e sarebbe venuto fatto loro, ma non
-senza grande danno, perchè dentro v’erano buoni
-guerrieri; e però innanzi che alla grave battaglia
-<span class="pagenum" id="Page_200">[200]</span>
-si venisse, il Roba da Ricasoli, allora discordante
-per setta d’Albertaccio, volle parlare con
-quelli d’entro, i quali stavano in gran paura: e
-parlato loro, di presente s’acconciarono a rendere
-la Badia, potendosene andare salve le persone, e
-i cavalli e l’arme. E presa per lo meno reo partito
-la detta concordia, e data la fede, i nimici si
-partirono, e la fortezza e le bandiere s’ebbono
-senza vergogna del comune, e i conestabili vollono
-i fiorini cinquecento d’oro loro promessi.
-</p>
-
-<h3 id="cap20-2">CAP. XX.
-<span class="smaller"><i>Come l’arcivescovo tentò i Pisani di guerra
-contro a’ Fiorentini.</i></span></h3>
-
-<p>
-Stando l’oste intorno alla Scarperia, e dando
-opera i capitani a far fare dificii da traboccare
-nella terra per rompere le torri e mura, e gatti
-e altri ingegni di legname per vincere la terra
-per battaglia, e i Fiorentini d’accogliere gente
-d’arme, e d’avere capitano per poterla soccorrere,
-l’arcivescovo non restava di tentare i Pisani
-dalla sua parte in comune e in diviso che rompessono
-pace a’ Fiorentini, con intenzione di
-mandare messer Bernabò da quella parte con
-duemila cavalieri ad assalire co’ Pisani insieme
-il nostro comune, e faceva loro grandi promesse.
-I Gambacorti, a cui segno Pisa si governava, non
-vollono rompere la pace: nondimeno l’arcivescovo
-avendo favore dentro, e’ consigliò del modo
-che avesse a tenere di muovere il popolo naturale
-nemico de’ Fiorentini, ed elesse una solenne
-<span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span>
-ambasciata, fornita d’autorità di savi uomini, e
-mandògli a Pisa: e giunti là, e sposta la loro ambasciata
-con molte suadevoli ragioni, i Pisani
-astuti, per pigliare consiglio nel tempo, dissono
-di rispondere all’arcivescovo per loro ambasciadori,
-e incontanente gli mandarono a Milano,
-imponendo loro, che della volontà dell’arcivescovo
-non si rompessono, ma tranquillassono il
-fatto. E in questo mezzo provvidono più riposatamente
-sopra il partito, e conobbono che rompere
-pace al comune di Firenze non tornava in loro
-utile: che se l’arcivescovo prendea signoria in
-Toscana, era loro suggezione e danno; e segretamente
-feciono quello sentire a tutti i confidenti
-di quello stato, buoni cittadini. L’arcivescovo
-avvedendosi del modo che con lui tenevano coloro
-che governavano la terra, li credette ingannare,
-e per lo favore ch’avea nel popolo e in
-molti altri cittadini, e non ostante che avesse
-gli ambasciadori pisani in Milano, fece maggiore
-e più solenne ambasciata a’ Pisani; e commise
-loro, che in parlamento esponessono la sua
-domanda, come detto gli era, sperando che a
-grido di popolo avrebbe la sua intenzione contro
-a’ Fiorentini. E come giunti furono in Pisa, senza
-sporre alcuna cosa a’ rettori del comune, addomandarono
-loro di volere il parlamento, e risposto
-fu loro di farlo adunare volentieri a certo
-giorno, onde gli ambasciadori furono contenti;
-e incontanente feciono a tutti i cittadini, con
-cui aveano conferito loro consiglio, dire che venissono
-al parlamento; e bandito e sonato a parlamento,
-come ordinato fu si ragunò il popolo
-<span class="pagenum" id="Page_202">[202]</span>
-nella chiesa maggiore in gran numero, ove furono
-tutti i cittadini che temeano di perdere
-loro libertà e il loro stato. Gli ambasciadori ammaestrati
-in udienza di tutto il parlamento, con
-molto ornato sermone, ricordando i servigi
-grandi per la casa de’ Visconti fatti al comune
-di Pisa, e come gli aveano onorati e aggranditi
-sopra gli altri cittadini di Toscana, e’ raccontarono
-per ordine la mala volontà che i Fiorentini
-aveano verso di loro, e l’ingiurie che altro
-tempo inimichevolmente aveano loro fatte, e intendeano
-di fare quando si vedessono il destro,
-mostrando loro come ora era venuto tempo nel
-quale il loro signore intendea d’abbattere in tutto
-lo stato e l’arroganza de’ Fiorentini loro antichi
-nemici, e spegnere parte guelfa in Italia, e a ciò
-fare avea mossi tutti i ghibellini di Lombardia e
-di Toscana, e di Romagna e della Marca, come per
-opera era loro manifesto. La qual cosa conosciuta
-per loro, ch’erano capo di parte ghibellina
-in Toscana, molto doveano essere contenti di
-poter fare in cotanta loro esaltazione la volontà
-del loro signore, la quale e’ domandava con tanta
-istanza a quello popolo. Essendo uditi attentamente,
-si pensarono a grida di popolo avere impetrata
-la loro dimanda, ma la cosa andò tutt’altrimenti,
-per la provvisione de’ savi cittadini,
-li quali si ritennero in silenzio in quello parlamento,
-come per loro fu provveduto. E quando
-gli ambasciadori l’uno dopo l’altro ebbono
-detto e confermato loro sermone, pregarono gli
-ambasciadori che si attendessono alquanto, e tosto
-risponderebbono di comune consentimento
-<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span>
-alla loro ambasciata, e così si trassono del parlamento.
-E usciti gli ambasciadori, gli anziani
-feciono la proposta che si consigliasse se il comune
-di Pisa dovesse rompere pace a’ Fiorentini,
-oggi loro amici e loro vicini, o no: e levatosi
-alcuno a dire in servigio dell’arcivescovo,
-molti più, i maggiori cittadini, si levarono a
-dire come grande male e vergogna del loro comune
-sarebbe, avendo ferma e buona pace col
-comune di Firenze, a romperla contro a ragione,
-in perpetua infamia del loro comune. E fatto il
-partito, fu vinto che pace non si rompesse a’ Fiorentini.
-Gli ambasciadori, già preso sdegno per
-l’uscita del parlamento, avvedendosi dove la
-cosa riuscirebbe, senza attendere se n’erano andati
-all’ostiere. E quando gli anziani mandarono
-per loro per fare la risposta del parlamento,
-sentendo che non sarebbe quella ch’e’ voleano,
-non vi vollono andare, e senza prendere comiato
-montarono a cavallo e tornaronsene a Milano. I
-Pisani si scusarono saviamente all’arcivescovo,
-perchè non stesse indegnato, e mandarongli dugento
-cavalieri, che mandar gli doveano per loro
-convenenza alla guardia di Milano. Allora
-venne meno all’arcivescovo la maggiore speranza
-che avesse di potere vincere i Fiorentini. Il
-comune di Firenze cercava in questo tempo d’avere
-capitano di guerra che guidasse la sua gente,
-che al continuo la cresceva, e avendo mandato
-a molti l’elezione con grande salario, tutti
-la rifiutavano per paura del potente tiranno:
-nondimeno il comune pensava d’atarsi con la
-capitaneria de’ suoi cittadini. E avendo l’oste
-<span class="pagenum" id="Page_204">[204]</span>
-così grande in Mugello, non pareva se ne curasse,
-e nella città catuno faceva la sua mercatanzia
-e sua arte senza portare alcuna arme; e continovo
-facea rendere a’ cittadini i danari del
-monte: e sapendo questo i nemici forte se ne
-maravigliavano, e molto n’abbassarono la loro
-superbia.
-</p>
-
-<h3 id="cap21-2">CAP. XXI.
-<span class="smaller"><i>Come l’oste deliberò combattere la Scarperia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Quando i conduttori dell’oste seppono che
-il comune di Pisa non voleva rompere pace a’ Fiorentini,
-e come alcuno trattato ch’aveano in Pistoia
-era scoperto, con tutta la loro intenzione
-si rivolsono alla Scarperia, e quella cominciarono
-a tormentare con percosse di grandissimi dificii,
-che il dì e la notte gettavano nel piccolo castello
-grossissime pietre, le quali rompeano le
-case d’entro, e le mura e le bertesche gettavano a
-terra. E ogni dì faceano assalto loro alla terra:
-onde gli assediati per la continova guerra, e per
-la sollecita guardia che conveniva loro fare il dì
-e la notte alla difesa, erano infieboliti, e pensarono
-che senza soccorso di fuori, o aiuto di masnadieri
-freschi poco potrebbono sostenere: e
-però scriveano a’ Fiorentini per loro fanti tedeschi,
-che si mescolavano con gli altri Tedeschi
-di fuori, che avacciassono il loro soccorso. I Fiorentini
-erano in ciò assai solleciti, e già avevano
-al loro soldo accolti milleottocento cavalieri,
-e tremilacinquecento masnadieri a piede de’ buoni
-<span class="pagenum" id="Page_205">[205]</span>
-d’Italia, e dugento cavalieri aveano da’ Sanesi,
-e seicento n’attendeano da Perugia, i
-quali erano a cammino; e avendo ordinato
-d’uscire a campo con questi cavalieri, e con
-grande popolo, a petto a’ nemici sopra il Borgo a
-san Lorenzo luogo detto a san Donnino, ove erano
-forti per lo sito, e con le spalle al Borgo a san
-Lorenzo da potere strignere e danneggiare i nemici,
-ch’erano assai di presso, e dare vigore e
-baldanza agli assediati della Scarperia: ed essendo
-ogni cosa provveduta, attendendo i cavalieri
-perugini per uscire fuori, n’avvenne la fortuna
-che appresso diviseremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap22-2">CAP. XXII.
-<span class="smaller"><i>Come i Tarlati sconfissono i cavalieri
-de’ Perugini.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questi dì, del mese di settembre del detto
-anno, era giunto a messer Piero Saccone de’ Tarlati
-in Bibbiena, mandato dal tiranno, il doge
-Rinaldo Tedesco con quattrocento cavalieri per
-incominciare più forte guerra a’ Fiorentini nel
-Valdarno. In questo stante, messer Piero molto
-avveduto, sentì che seicento cavalieri buona gente
-d’arme, che ’l comune di Perugia mandava
-in aiuto a’ Fiorentini, erano in cammino, e venivano
-baldanzosi senza sospetto, e la sera doveano
-albergare all’Olmo fuori d’Arezzo a due
-miglia. Avendo messer Piero il certo del fatto, col
-doge Rinaldo insieme con quattrocento cavalieri
-e con duemila fanti cavalcò la notte, e chetamente
-<span class="pagenum" id="Page_206">[206]</span>
-ripose i fanti nella montagna sopra l’Olmo,
-per averli al suo soccorso nel fatto; e la
-mattina per tempo co’ suoi cavalieri e col doge
-Rinaldo assalì la cavalleria di Perugia, che la
-maggior parte era ancora per gli alberghi, ma
-quelli ch’erano montati a cavallo si cominciarono
-francamente a difendere. E già aveano tra
-loro messer Piero, che s’era messo molto innanzi
-nella via ov’era la battaglia, prigione, con più
-altri de’ caporali in sua compagnia. E se in quello
-assalto gli Aretini fossono stati favorevoli ad
-aiutare gli amici del comune di Firenze, come
-doveano, tutta la gente di messer Piero rimaneva
-presa per lo stretto luogo dove s’erano messi.
-Ma usciti d’Arezzo i Brandagli con loro seguito,
-che allora erano i maggiori cittadini, intesono
-a campare Messer Piero con gli altri prigioni
-che i cavalieri di Perugia aveano ritenuti, come
-gente che aveano l’animo corrotto alla tirannia
-della loro città, come poco appresso dimostrerò.
-Campato messer Piero e’ suoi, gli Aretini
-si tornarono dentro senza aiutare que’ di
-Perugia, o dar loro la raccolta nella città. In questo,
-messer Piero e’ suoi ripresono ardire, e feciono
-scendere della montagna i fanti loro, traboccando
-addosso a’ Perugini con smisurato romore: i
-quali non vedendo essere soccorsi, nè avere ricolta,
-non poterono sostenere, ma chi potè fuggire
-campò, e gli altri tutti furono presi nelle vie
-e negli alberghi. Messer Piero raccolta la preda
-dell’arme, e de’ cavalli, e de’ prigioni, senza esser
-contastato dagli Aretini, si raccolse colla
-sua gente a salvamento, menandone più di trecento
-<span class="pagenum" id="Page_207">[207]</span>
-cavalieri prigioni, ventisette bandiere
-cavalleresche, e trecento cavalli; e giunto in Bibbiena
-con questa vittoria i cavalli e l’armi e
-l’altra roba partì a bottino, e i cavalieri prigioni
-poveri e mendichi lasciò alla fede. A’ Fiorentini
-levò l’aiuto e la speranza d’uscire a campo al
-soccorso della Scarperia, come ordinato era, e
-a’ nimici diede maggiore baldanza di vincere il
-castello.
-</p>
-
-<h3 id="cap23-2">CAP. XXIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini procuraro di mettere gente
-nella Scarperia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Veggendo i Fiorentini mancato disavventuratamente
-l’aiuto de’ Perugini, e cresciuta baldanza
-a’ nimici per quella vittoria di messer Piero
-Tarlati, perderono al tutto la speranza del campeggiare,
-e quelli ch’erano assediati addomandavano
-soccorso più sollecitamente. Avvenne che
-uno valente conestabile della casa de’ Visdomini
-di Firenze, che aveva nome Giovanni, con
-grande ardire elesse trenta compagni sperti in
-arme, buoni masnadieri, e una notte si mise
-nel campo de’ nimici, e per mezzo delle guardie,
-non pensando che gente de’ Fiorentini si
-mettessono tra loro, virtuosamente si misono
-nella Scarperia; la qual cosa fu agli assediati alcuno
-conforto, e più per la persona del valente conestabile,
-che per la sua piccola compagnia, a
-cotanto bisogno quanto aveano dì e notte, per gli
-assalti continovi de’ loro nimici. E i conducitori
-<span class="pagenum" id="Page_208">[208]</span>
-dell’oste avendo sentito l’entrata di que’ masnadieri
-nella Scarperia, la feciono più strignere
-e più guardare il dì e la notte. E tentato i Fiorentini
-per più riprese di mettervi anche gente,
-e non trovando per niuno prezzo il modo,
-un altro conestabile cittadino di Firenze della
-casa de’ Medici, di grande fama tra gli uomini
-d’arme, per accrescere suo onore si fece dare cento
-fanti masnadieri a sua eletta, e avendo con
-seco uno della Scarperia che sapeva l’ore delle
-vegghie delle guardie, e le loro vie, presono il
-cammino di notte per l’alpe di verso quella
-parte donde meno si potea temere per quelli
-dell’oste, con la insegna levata co’ suoi compagni
-stretti si mise arditamente per lo campo, dirizzandosi
-verso la Scarperia. E in su l’entrata
-del campo le guardie s’avviddono, e levato il
-romore, venti di quelli fanti rimasono addietro,
-e non poterono ristrignersi co’ compagni, e
-tornaronsi nell’alpe, e camparono: e il conestabile
-con ottanta compagni sanza fare arresto,
-innanzi che i nimici il potessono occupare
-con la loro forza, sano e salvo co’ suoi compagni
-entrò nella Scarperia; e così per virtù di due
-conestabili fu fornito quello castello di quello
-che aveva maggiore bisogno. E per questo soccorso
-gli assediati presono cuore e speranza ferma
-della loro difesa; e tra capitani dell’oste
-n’ebbe ripitio e grande sospetto, temendo che
-gli Ubaldini non gli avessono condotti, ma niuna
-colpa v’ebbono. E soprastando alquanto allo
-infestamento de’ nimici sopra questo castello, ci
-occorre alcune altre materie a cui ci conviene
-<span class="pagenum" id="Page_209">[209]</span>
-dare luogo per debito del nostro trattato, e appresso
-ritorneremo con più onestà alla presente
-materia.
-</p>
-
-<h3 id="cap24-2">CAP. XXIV.
-<span class="smaller"><i>Come la reina Giovanna si fece scusare in
-corte di Roma.</i></span></h3>
-
-<p>
-Come addietro abbiamo narrato, quando l’accordo
-si fece dal re d’Ungheria al re Luigi, ne’
-patti venne fatta la commissione nel papa e ne’
-cardinali per catuna parte: che se la reina Giovanna
-si trovasse colpevole della morte d’Andreasso
-suo marito, fratello del re d’Ungheria, ch’ella
-dovesse essere privata del reame, e dove colpevole
-non si trovasse, dovesse essere reina. A questo
-patto acconsentì il re d’Ungheria, più per
-l’animo che avea di tornare in suo paese, che per
-altra buona volontà che di ciò avesse, e però la
-commissione fu avviluppata più che ordinato
-o spedito libello, e non vedendo i pastori della
-Chiesa come onestamente potessono diliberare
-questa cosa, la dilungarono. Essendo lungamente
-gli ambasciatori di catuna parte stati in
-corte senza alcuno frutto dell’altre cose commesse
-per li detti re nella Chiesa, vedendo che
-questo articolo non terminandosi portava infamia
-e pericolo alla reina, con ogni studio vollono
-che il suo processo si terminasse. E perocchè
-assoluta verità del fatto non poteva scusare
-la regina, levare il luogo della dubbiosa fama
-proposono; che se alcuno sospetto di non perfetto
-<span class="pagenum" id="Page_210">[210]</span>
-amore matrimoniale si potesse proporre o
-provare, che ciò non era avvenuto per corrotta
-intenzione o volontà della reina, ma per forza
-di malíe o fatture che le erano state fatte, alle
-quali la sua fragile natura femminile non avea
-saputo nè potuto riparare. E fatta prova per più
-testimoni come ciò era stato vero, avendo discreti
-e favorevoli uditori, fu giudicata innocente
-di quello malificio, e assoluta d’ogni cagione
-che di ciò per alcun tempo le fosse apposto, o
-che per innanzi le si potesse apporre di quella
-cagione: e la detta sentenza fece divulgare per
-la sua innocenza ovunque la fede giunse della
-detta scusa.
-</p>
-
-<h3 id="cap25-2">CAP. XXV.
-<span class="smaller"><i>Come i Genovesi e i Veneziani ricominciarono
-guerra in mare.</i></span></h3>
-
-<p>
-Seguita di dar parte intra le italiane tempeste
-della terra a quelle che in que’ tempi concepute
-ne’ nostri mari Tirreno e Adriatico da superbe
-presunzioni di due comuni, in Grecia e poi nelli
-stremi d’Europa partorirono gravi cose, come
-seguendo nostro trattato si potrà trovare. I Genovesi
-infestati dalla loro alterezza, ricordandosi
-che i Veneziani l’anno passato aveano soperchiato
-in mare le undici loro galee, avvegnachè
-per l’aiuto de’ loro di Pera si fossono felicemente
-vendicati, vollono per opera mostrare loro
-potenza a’ Veneziani, e per comune consiglio,
-essendo a quel tempo catuna casa de’ loro maggiori
-<span class="pagenum" id="Page_211">[211]</span>
-cittadini tornata con pace in Genova, ordinarono
-di fare armata, la quale fosse fornita per
-più eccellente modo che mai avessono armato.
-E comandarono a’ grandi e a’ popolani mercatanti,
-e agli artefici minori e ad ogni maniera di
-gente, che di due l’uno s’acconciassono ad andare
-in quell’armata, e simigliante comandamento
-feciono fare per tutta la loro riviera, e certo
-la volontà vinse il comandamento, che più volentieri
-s’acconciavano d’andare che di rimanere:
-i corpi delle galee furono per numero sessantaquattro,
-e ammiraglio fu fatto messer Paganino
-Doria; i soprassaglienti furono sopra ogni galea
-doppi, armati nobilmente, e doppi i balestrieri
-e i galeotti, tutti forniti d’arme, e tutti si vestirono
-per compagne chi d’un’assisa e chi d’un’altra,
-e comandamento ebbono dal loro comune
-d’abbattere la forza de’ Veneziani in mare e in
-terra giusta loro podere: e fornite le galee di
-panatica e di ciò ch’aveano bisogno, e pagati
-per ordine di mercatanzia e’ dazii, senza trarre
-danari di comune, per sei mesi, del mese di luglio,
-gli anni di Cristo 1351, si partirono da Genova,
-ed entrarono nel golfo di Vinegia facendo
-danno assai a’ navili e alle terre de’ Veneziani, e
-senza lungo soggiorno si partirono di là e andaronne
-all’isola di Negroponte. I Veneziani non
-provveduti della subita armata de’ Genovesi, aveano
-mandate venti loro galee armate in Romania,
-le quali erano nell’Arcipelago, delle quali i Genovesi
-ebbono lingua, e seguitandole, le sopraggiunsono
-all’isola di Scio: le quali vedendosi di presso
-l’armata de’ Genovesi, con la paura aggiunsono
-<span class="pagenum" id="Page_212">[212]</span>
-forza a’ remi, e avendo aiuto d’alcuno vento
-alle loro vele, essendo seguitate da’ Genovesi, fuggendo
-le diciassette ricoverarono nel porto di
-Candia, e le tre presono alto mare per loro scampo.
-</p>
-
-<h3 id="cap26-2">CAP. XXVI.
-<span class="smaller"><i>Come l’armata genovese andò a Negroponte
-e assediò Candia, e quello che ne seguì.</i></span></h3>
-
-<p>
-L’armata de’ Genovesi seguendo quella de’
-Veneziani giunsono a Negroponte, ove i Veneziani
-con grande studio e paura erano arrivati, e
-avendo da’ terrazzani aiuto, appena aveano compiuto
-di tirare le loro diciassette galee in terra,
-lasciando le poppe in mare per poterle difendere,
-e in aringo l’aveano messe l’una a lato all’altra
-a modo di bertesca per poterle meglio
-di terra difendere, ove giunta l’armata de’ Genovesi,
-senza arresto l’assalirono con aspra e
-folta battaglia, e prese l’avrebbono, se non fosse
-che tutti gli uomini d’arme di quella terra furono
-alla loro difesa, e a guardare la marina che
-i Genovesi non potessono scendere in terra: e in
-quello assalto la feciono sì bene, che i Genovesi
-s’avvidono per forza non poterle guadagnare nè
-scendere in terra nel porto: e però presono loro
-consiglio d’assediare la città di Candia per mare
-e per terra, e procacciare di Pera e dell’altre parti
-di loro amici legni grossi, e gente e dificii di legname
-per combattere e vincere la terra, se per loro
-virtù e forza fortuna l’assentisse. E allora lasciarono
-guardia delle loro galee sopra il porto, e con
-<span class="pagenum" id="Page_213">[213]</span>
-l’altre girarono alquanto, e misono in terra loro
-campo, attendendo gente e fornimenti che procacciavano
-per combattere la terra, e que’ d’entro
-s’afforzavano alla difesa, e dì e notte intendeano
-a fare buona guardia, avendo mandato a’ Veneziani
-per loro soccorso.
-</p>
-
-<h3 id="cap27-2">CAP. XXVII.
-<span class="smaller"><i>Come i Veneziani feciono lega co’ Catalani,
-e di nuovo armarono cinquanta galee.</i></span></h3>
-
-<p>
-Stando l’armata de’ Genovesi per mare e per
-terra all’assedio della città di Candia, il comune
-di Vinegia ebbe le novelle, ed essendo tanti loro
-grandi e buoni cittadini, e le loro galee e la loro
-città assediata, ebbono grande dolore, nondimeno
-con franco animo deliberarono di fare ogni loro
-sforzo per soccorrerli: e ricercando la gente che
-allora poteano fare di loro distretto, non trovarono
-che bastasse a potere fornire loro armata, tanto
-era mancata per la passata mortalità, e però
-elessono di loro cari cittadini solenni ambasciadori,
-i quali mandarono prima a Pisa, e appresso in
-Catalogna, per recarli a loro lega, e averli in loro
-aiuto, con ogni largo patto che volessono: e di ciò
-diedono agli ambasciadori piena libertà e balìa,
-con ispendio di grande somma di moneta. I
-Pisani essendo in pace co’ Genovesi, avvegnachè
-poco s’amassono, per promesse o patto che fosse
-offerto loro non si vollono muovere contro a’ Genovesi,
-ma alquanto più che ’l consueto s’inamicarono
-con loro, ricevendo grazie da’ Genovesi
-<span class="pagenum" id="Page_214">[214]</span>
-per la fede mantenuta a quel punto. I Catalani
-per grande odio che aveano a’ Genovesi, per
-ingiurie e danni ricevuti da loro in mare, di presente
-s’allegarono co’ Veneziani, e promisono di
-dare armate di loro uomini quelle galee che i Veneziani
-volessono, dando i Veneziani loro i corpi
-delle galee e i debiti soldi a’ Catalani. E ferma la
-lega, i Veneziani incontanente misono il banco,
-e cominciarono a scrivere e a soldare la gente, e
-mandarono a Venezia che vi mandassono i corpi
-delle galee e’ danari, i quali senza indugio vi mandarono
-ventitrè corpi di galee, e danari assai, e
-fecionle armare di buona gente. I Veneziani a Venezia
-prestamente n’armarono ventisette, e mentre
-che l’armata si facea in Catalogna e a Venezia,
-i Veneziani mandarono una galea sottile bene
-armata a portare novelle del loro grande
-soccorso, e mandarono in quella danari per fare
-apparecchiare le galee ch’erano là, che di presente
-al tempo della venuta della loro armata fossono
-apparecchiate, sicchè contra a’ loro nimici
-fossono più possenti. Questa galea per scontro
-di fortuna s’abbattè in una galea di Genovesi, e
-combattendo insieme, la veneziana fu vinta e
-presa in segno del futuro danno. I Genovesi ebbono
-i danari, e le lettere e l’avviso dell’armata
-de’ Veneziani e de’ Catalani per potersi provvedere;
-il corpo della galea aggiunsono alle loro, e gli
-uomini ritennono a prigioni, con gran festa di
-questa avventura.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_215">[215]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap28-2">CAP. XXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come la imperatrice di Costantinopoli col
-figliuolo si fuggì in Salonicco.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avvenne che in questi medesimi tempi che
-l’armata de’ Genovesi era a Negroponte, che
-Mega Domestico del lignaggio imperiale, il quale si
-faceva dire Cantacuzeno, cioè imperadore, essendo
-rimaso balio del figliuolo dell’imperadore di
-Costantinopoli a cui succedea l’imperio, governava
-tutto per lui, gli diè la figliuola per moglie,
-ingannando la giovanezza del suo pupillo, senza
-consentimento della madre. L’imperatrice sentendo
-quello che Mega Domestico avea fatto, prese
-sospetto, e fatto le fu vedere che ’l figliuolo sarebbe
-avvelenato, perchè l’imperio come era in
-guardia rimanesse libero al detto Mega, balio dell’imperio
-e del giovane, onde l’imperadrice col
-figliuolo, di furto e improvviso a Mega s’erano
-fuggiti di Costantinopoli, e andati nel loro reame
-di Salonicco, ivi mostrando manifesto sospetto
-del balio dell’imperio, si dimorarono in grande
-guardia. E Mega Domestico, come è detto, vedendosi
-rimaso nella forza dell’imperio, si fece dinominare
-imperadore: e senza fare guerra al giovane,
-si fortificava nell’imperio, e aveasi confederato
-l’amistà de’ Veneziani. L’imperadrice avendo
-sentita l’armata de’ Genovesi a Negroponte,
-mossa da femminile furia e sprovveduto consiglio,
-mandò a trattare co’ Genovesi, in cui prendeva
-confidanza, perocchè era figliuola del conte di Savoia,
-<span class="pagenum" id="Page_216">[216]</span>
-assai presso di vicinanza a’ Genovesi, e sapea
-ch’elli erano nimici de’ Veneziani, amici di Mega
-Domestico suo avversario; il trattato fu fermo
-co’ Genovesi, e le promesse furono grandi ove rimettessono
-il figliuolo in signoria dell’imperio
-di Costantinopoli. I Genovesi per questo si pensarono
-di passare il verno alle spese del’imperadrice,
-e abbattere molto della forza degli amici
-de’ Veneziani, e d’essere più agresti e più forti contro
-alla loro armata, e però si dispuosono a lasciar
-l’assedio con loro onore, ove poco profittavano, e
-a prendere il servigio dell’imperadrice. Lasceremo
-al presente questa materia per riprenderla
-al suo debito tempo, e torneremo a’ fatti di Firenze.
-</p>
-
-<h3 id="cap29-2">CAP. XXIX.
-<span class="smaller"><i>Come la Scarperia sostenne la prima battaglia
-dal Biscione.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornando all’assedio della Scarperia, il capitano
-dell’oste col suo consiglio vedendo che la
-Scarperia era fornita per la sua difesa di valorosi
-masnadieri, e che dentro era bene fornita di
-vittuaglia, e sentendo che i Fiorentini non si curavano
-di loro, e continovo accresceva loro forza,
-ed essendo mancata la ferma de’ loro soldati:
-per non partirsi con vergogna di non avere vinto
-per forza uno piccolo castello, rifermarono i loro
-cavalieri, e avuti danari dall’arcivescovo tutti gli
-pagarono, e promisono paga doppia e mese compiuto
-a coloro che combattendo vincessono la
-<span class="pagenum" id="Page_217">[217]</span>
-Scarperia. Il tempo era già all’entrata d’ottobre,
-e la vittuaglia cominciava a rincarare, e questo
-più gli spronava a volere vincere la punga. I dificii
-da combattere la terra erano apparecchiati,
-scale assai, e grilli e gatti e torri di legname, le
-quali aveano condotte presso al castello al tirare
-della balestra, o poco più. E così apparecchiati,
-una domenica mattina, ordinati i combattitori,
-da più parti con molti balestrieri assalirono il
-castello, e conduceano i dificii e le scale alle mura
-con gran tempesta di loro grida. Quelli del
-castello ordinati dentro alla difesa co’ loro capitani,
-si teneano coperti e cheti, e lasciarono valicare
-i nimici il primo fosso e entrare nel secondo, che
-non v’avea acqua, e accostare molte scale alle
-mura innanzi che si movessono: allora dato il
-segno da’ loro conestabili, con grande romore
-sollecitamente cominciarono dalle mura a percuotere
-sopra i nimici colle pietre, lance e pali,
-e a traboccare loro legname addosso, e i balestrieri
-saettare da presso e da lungi senza perdere
-in vano i loro verrettoni. In questo primo assalto
-fediti e magagnati assai di quelli che s’erano
-accostati alle mura e agli steccati per forza
-ne furono dilungati: nondimeno i capitani per
-straccare di fatica quelli delle mura, rimutavano
-spesso la loro gente dalla battaglia, rinfrescando
-gente nuova, e non lasciando prendere lena nè
-riposo a que’ delle mura e della guardia degli
-steccati, ma i franchi masnadieri si difendeano
-virtudiosamente, avendo in dispregio il riposo, e
-confortando l’uno l’altro per modo, che per
-forza nè per rinfrescamento di loro battaglia, da
-<span class="pagenum" id="Page_218">[218]</span>
-innanzi terza all’ora di nona, per molte riprese di
-battaglie non ebbono podere d’accostarsi alle
-mura, nè agli steccati ove le mura non erano.
-Nel primo fosso condussono sessantaquattro scale, e
-nel secondo accosta del muro tre, le quali abbandonarono,
-non potendo avanzare; e con poco
-onore di questa prima battaglia, e con alquanti
-morti rimasi nel fosso, e con molti fediti e magagnati,
-si ritrassono dalla battaglia, e que’ d’entro
-intesono al riposo e a medicare i loro fediti,
-che ne aveano gran bisogno.
-</p>
-
-<h3 id="cap30-2">CAP. XXX.
-<span class="smaller"><i>Come la Scarperia riparò alla cava de’ nimici.</i></span></h3>
-
-<p>
-Nonostante l’ordine delle battaglie, i conducitori
-dell’oste con gran costo e con molto studio
-conducevano una cava sotterra per abbattere
-le mura della Scarperia, e molto grande speranza
-aveano in quella di vincere la terra. Que’ d’entro
-pensando e temendo che così dovessono fare
-i loro avversari, provvidono al rimedio, e feciono
-un fosso dentro intorno alle mura, il quale
-era braccia quattro e mezzo largo in bocca, e braccia
-tre largo in fondo, e andava di sotto al fondamento
-delle mura braccio uno e mezzo, acciocchè
-se le mura cadessono, si trovassono l’aiuto
-del detto fosso alla loro difesa. E nondimeno provvidono
-di cavare di fuori de’ fossi per ritrovare la
-cava de’ nimici innanzi che giugnesse alle mura.
-E a fornire questo misono grande sollecitudine,
-ma i loro avversari adoperarono grande
-<span class="pagenum" id="Page_219">[219]</span>
-forza per ritrarli da quello lavorio: e condussono
-un castello di legname in sul primo fosso, sì
-presso, che con le pietre combatteano coloro
-ch’erano tra l’uno fosso e l’altro alla guardia
-de’ loro cavatori, e avvenne che a questa si rivolse
-grande parte dell’oste, e tutta la forza di
-quelli d’entro. Quelli di fuori combattendo con le
-pietre e con le balestre, e rinnovando d’ora in ora
-i freschi combattitori, quelli del fosso colle fosse
-delle parate e co’ palvesi francamente s’atavano,
-con le loro balestra e con quelle del loro aiuto dalle
-mura, e diputati a questa punga trecento di que’
-d’entro, sostennono l’assalto de’ nimici il lunedì
-e ’l martedì molto francamente, non lasciando impedire
-i loro cavatori: i quali lavorando con grande
-sollecitudine pervennero alla cava de’ nimici, la
-quale era venuta innanzi centottanta braccia, e
-presso alle mura a venti braccia: la quale di presente
-affocarono, e cacciarono i cavatori, e guastarono
-loro la cava. Essendo da catuna parte
-molti fediti, que’ del campo abbandonarono
-l’assalto con loro vergogna; e i valenti masnadieri
-alla ritratta de’ nimici presono e arsono il castello
-del legname ch’era sopra il fosso, e stesonsi
-ad assalire un altro ch’era più di lungi, e per
-forza l’affocarono, e tornaronsi sani e salvi nel
-castello, avendo presa grande baldanza della loro
-difesa, per la vittoriosa punga di quella cava.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_220">[220]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap31-2">CAP. XXXI.
-<span class="smaller"><i>Del secondo assalto dato alla Scarperia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Vedendo il capitano dell’oste e il suo consiglio
-essere di ogni assalto fatto con vergogna ributtato
-da que’ della Scarperia, e vedendosi venire
-addosso il verno e non avere vinto il castello,
-e che lo strame mancava, pensavano che la partita
-sarebbe con loro grande vergogna: però vollono
-ancora da capo cercare la fortuna, innanzi che
-da quello assedio si partissono. E per avere apparecchiato
-da riempiere i fossi, feciono tutto il legname
-e’ frascati che aveano ne’ loro campi conducere
-presso a’ fossi: e il giovedì mattina innanzi
-dì, essendo l’oste armata, e le battaglie ordinate,
-e più torri di legnami condotte presso a’ fossi,
-con ordine di palvesari e di loro balestrieri, senza
-contasto riempierono di frascati il primo fosso, e
-le torri condussono sopr’esso fornite di molti balestrieri.
-I cavalieri smontarono de’ cavalli con
-gli elmi in testa, e cominciata la battaglia a un’ora
-da ogni parte, i cavalieri si sforzarono di conducere
-gatti, grilli e scale alle mura. Que’ d’entro
-che aveano preso maggiore ardire per gli altri
-assalti, lasciarono fare molte cose innanzi
-che alla battaglia si scoprissono, ma ordinato
-da’ loro conestabili, al segno dato si mostrarono
-alla difesa, e con tanto impeto cominciarono a
-caricare di pietre, e di pali aguti e di legname
-i loro assalitori, con l’aiuto de’ loro buoni
-balestrieri, che per forza gli ributtarono addietro
-<span class="pagenum" id="Page_221">[221]</span>
-del primo fosso. E avendo a quelli ch’erano
-nelle torri ordinato di loro i migliori balestrieri,
-gli strinsono per modo, che non si poteano
-scoprire, nè dare a loro utile aiutorio. E in questo
-assalto alcuni conestabili d’entro ebbono ardire
-con certi loro compagni eletti d’uscire fuori
-della terra, e con le lance e con le spade in mano
-fediano per costa i combattitori, e incontanente
-si ritraevano: e questo feciono più volte danneggiando
-i nimici, e ritraendoli dalla battaglia
-dov’erano ordinati, senza ricevere impedimento.
-Ed essendo durata la battaglia infino a nona, senza
-avere que’ dell’oste fatto alcuno acquisto, feciono
-sonare la ritratta. E di presente quei del
-castello misono fuori de’ loro masnadieri, i quali
-presono le torri e’ dificii e arsonli, che i nimici
-aveano condotti, e dato opera infino alla notte a
-mettere dentro il legname utile, tutto l’altro co’
-frascati arsono nel fosso. E intesono a medicare i
-loro fediti, e a farsi ad agio d’alcuno riposo, del
-quale aveano gran bisogno per quella giornata.
-</p>
-
-<h3 id="cap32-2">CAP. XXXII.
-<span class="smaller"><i>Del terzo assalto dato.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo i capitani dell’oste quasi perduta ogni
-speranza di potere vincere la Scarperia, vollono
-tentare l’ultimo rimedio con danari e con ingegno;
-e in quello rimanente del dì feciono venire
-a loro tutti i conestabili tedeschi con i più nomati
-cavalieri di loro lingua, i quali nelle battaglie
-date al castello poco s’erano travagliati altro che
-<span class="pagenum" id="Page_222">[222]</span>
-di vedere, e dissono loro: se a voi desse il cuore
-di vincere con forza e con ingegno questa terra, l’onore
-sarebbe vostro, e oltre alla paga doppia e
-mese compiuto, a catuno daremo grandi doni. I
-conestabili e i loro baccellieri si strinsono insieme,
-e mossi da presuntuosa vanagloria e da avarizia,
-rispuosono: che dove e’ fossono sicuri d’avere di
-dono sopra le cose promesse fiorini diecimila d’oro,
-che darebbono presa la Scarperia: e questo dava
-loro il cuore di fornire con l’aiuto dell’altra oste,
-ove fosse fatto quello che direbbono in quella
-notte. I capitani promisono tutto senza indugio,
-sicchè rimasono contenti, e di presente feciono
-fare comandamento a tutti i conestabili delle masnade
-da cavallo e da piè, che colà da mezza notte
-fossono apparecchiati dell’arme e de’ cavalli; e
-fatto questo, andarono a cenare e a prendere alcuno
-riposo. Venuta la mezza notte, e armata l’oste
-chetamente, il tempo era sereno e bello, e la
-luna faceva ombra in quella parte della Scarperia
-che i Tedeschi aveano pensato d’assalire: e
-fatto tra loro elezione di trecento baccellieri, a
-loro commisono tutto il fascio della loro intenzione;
-i quali bene armati, separati dall’altra
-gente, con le scale a ciò diputate e con altri utili
-argomenti, senza alcuno lume, s’addirizzarono verso
-quella parte della terra ove l’ombra gli copriva.
-Tutta l’altra oste con innumerabili luminarie, e
-con ismisurato romore e suoni di tutti gli
-stromenti dell’oste, colle schiere fatte e colle
-battaglie ordinate si cominciarono a dirizzare
-dall’altre parti verso la Scarperia. I fanti della
-Scarperia, che appena aveano ancora dell’affanno
-<span class="pagenum" id="Page_223">[223]</span>
-del dì preso alcuno riposo, sentendo lo stormo,
-e vedendo l’esercito venire con ordine di
-loro battaglie a combattere la terra, cacciata la
-paura e invilito il riposo, di presente furono all’arme:
-e con l’ardire delle loro difese apparecchiati,
-andò catuno alla sua guardia delle mura e
-de’ palancati; e stando cheti e senza mostrare i loro
-lumi attesono tanto, che le schiere e le battaglie
-s’appressarono alle mura, e cominciato fu l’assalto
-con suoni di tanti stromenti e con grida d’uomini,
-che riempieva il cielo e tutto il paese molto
-di lungi. Quest’asprezza delle grida era maggiore
-che dell’arme, per attrarre l’aiuto da quella
-parte di que’ d’entro, e mancarlo ov’era l’aguato.
-Quelli della terra maestri di cotali cose
-delle grida non si curavano, e quelli che si
-appressavano, francamente colla balestra e colle
-pietre gli faceano risentire e allungare, e niuno
-non si partiva o mosse dalla sua guardia. I trecento
-baccellieri riposti presso della terra sentendo il
-romore e l’infestamento di quelli dell’oste, chetamente
-colle scale in collo passarono il primo e
-il secondo fosso, che non v’avea acqua, e condussono
-e dirizzarono alle mura più e più scale, vedendolo
-e sentendolo que’ della terra ch’erano a
-quella guardia, e lasciandogli fare, finchè cominciarono
-a salire sopra esse, e aveano già i loro
-aiutori a piede; allora quelli della guardia cominciarono
-a gridare, e a mandare sopra loro grandi
-pietre e legname e pali, percotendoli e facendoli
-traboccare delle scale nel fosso l’uno sopra
-l’altro. E in un punto gli ebbono sì storditi e
-fediti e magagnati, che in caccia si partirono da
-<span class="pagenum" id="Page_224">[224]</span>
-quello assalto, e tornaronsi all’altra oste. Dall’altra
-parte fu maggiore il grido che l’assalto,
-ma per li buoni balestrieri molti ve ne furono
-fediti in quella notte. E facendosi dì, in sulla ritratta
-uscirono della terra un fiotto di buoni briganti,
-e dieronsi tra’ nimici, e per forza ne presono
-e ne menarono tre di loro cavalieri nella
-Scarperia, e gli altri ritornarono al campo perduta
-ogni speranza d’avere la Scarperia. Que’ di
-dentro uscirono fuori un’altra volta quella mattina,
-e arsono più dificii di legname ch’erano
-presso, e uno castello ch’era più di lungi, e contamente
-senza impedimento sani e salvi si ritornarono
-nella Scarperia.
-</p>
-
-<h3 id="cap33-2">CAP. XXXIII.
-<span class="smaller"><i>La partita dell’oste dalla Scarperia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Vedendo il capitano dell’oste e i suoi consiglieri
-aver fatta la loro oste ogni prova per vincere
-la Scarperia, ed esserne con vergogna ributtati per
-la virtù de’ buoni masnadieri che dentro v’erano,
-e tornando l’oste piena di molti fediti, e
-che la vittuaglia venia mancando l’un dì appresso
-l’altro fortemente, e che già lo strame
-per i cavalli al tutto venia loro meno, e il tempo
-ch’era stato fermo e bello lungamente s’apparecchiava
-di corrompere all’acqua, prese per partito
-d’andarsene a Bologna; e al segno dato d’una
-lumiera alzata sopra ogni lume molto, il sabato
-notte, a dì 16 d’ottobre, l’oste si dovesse partire,
-e ogni uomo si dovesse riducere verso l’alpe
-<span class="pagenum" id="Page_225">[225]</span>
-di Bologna, i cui passi erano tutti in loro signoria,
-e il cammino era corto e il passo aperto, e la gente
-volonterosa di levarsi da campo, per la qual cosa
-subito ebbono passato il giogo dell’alpe. I Fiorentini
-avendo sentito che i nimici erano per
-partirsi dall’assedio, aveano mandati in Mugello
-i cavalieri che aveano per danneggiarli, se
-potessono, alla levata: ma gli avvisati capitani
-dell’oste la domenica mattina innanzi che la loro
-gente s’avviasse feciono una schiera di duemila
-buoni cavalieri, i quali tennero ferma in
-sul piano, insino che seppono che tutta la loro
-gente e la salmeria erano valicati il giogo e passati
-in luogo salvo; la schiera della guardia passò,
-non vedendo apparire alcuno nimico, girò e prese
-il suo cammino verso la montata dell’alpe, ch’era
-presso a due miglia di piano: ed ebbono passato
-prima il giogo, che la cavalleria de’ Fiorentini
-si assicurasse di stendere per lo piano, temendo
-d’aguato: e così sani e salvi si ricolsono a Bologna
-senza impedimento per lo senno de’ loro
-capitani. Quest’oste mossa con tanto ordine e aiuto
-di tutti i ghibellini d’Italia, venuta di subito
-sopra la nostra città sprovveduta d’ogni aiuto,
-stette ottantadue dì sopra il nostro contado senza
-potere vincere per forza niuno castello, e
-de’ quali, sessantuno dì consumarono all’assedio
-del piccolo castello della Scarperia. E come fu
-piacer di Dio, la sfrenata potenza di cotanto signore,
-aggiunta con tutta la forza de’ ghibellini
-d’Italia, guidata da buoni capitani, credendosi
-soggiogare la città di Firenze e’ popoli circustanti,
-non ebbono podere di vincere la Scarperia, da
-<span class="pagenum" id="Page_226">[226]</span>
-qui addietro vilissimo castello, non murato per
-tutto e di piccola fortezza per sito, ma difeso
-da piccolo numero di valorosi masnadieri: essendovi
-a oste con più di cinquemila barbute, e
-duemila cavalieri, e seimila pedoni di soldo,
-senza la forza degli Ubaldini e degli altri ghibellini
-con loro sforzo; per la qual cosa il tiranno
-che avea l’animo levato a inghiottire le italiane
-provincie, potè conoscere che un piccolo
-e vile castello domò e fece ricredente tutta la sua
-forza. E come era venuto a guisa di leone con la
-testa alzata, spaventevole a tutte le città di Toscana,
-chinate le corna dell’ambiziosa superbia,
-tornò pieno di vergogna e di vituperio, non avendo
-per sua potenza potuto acquistare un debole
-castello, e diede materia a’ popoli di grande confidenza
-della loro difesa. Lasceremo ora finita
-questa materia, e torneremo all’altre tempeste
-italiane, che non bastando in terra conturbano
-l’altrui mare.
-</p>
-
-<h3 id="cap34-2">CAP. XXXIV.
-<span class="smaller"><i>Come l’armata de’ Genovesi si partì da Negroponte
-e andò a Salonicco.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo tempo cominciando aspro e fortunoso
-verno, i Genovesi che con la loro armata di sessantaquattro
-galee erano stati all’assedio della
-città di Candia nell’isola di Negroponte, sentendo
-l’apparecchiamento delle cinquanta galee
-de’ Veneziani e de’ Catalani che doveano venire
-contro a loro al soccorso; e vedendo che lo stare
-<span class="pagenum" id="Page_227">[227]</span>
-ivi per speranza d’avere la terra era invano,
-e non minor danno a loro che a’ Veneziani, e avendo
-promesso il loro aiuto all’imperadrice di
-Costantinopoli, ch’era fuggita col figliuolo nel
-reame di Salonicco, parendo per questa cagione
-la loro levata dall’assedio fosse con meno vergogna,
-ed entrando nell’imperio aveano più sicuro
-vernare, si partirono di là e dirizzarono loro viaggio
-verso Salonicco; e giunti a Malvagia, intendeano
-levare l’imperadrice e ’l figliuolo, e fare
-loro podere di rimetterli in Costantinopoli con
-la loro forza e della parte che amava il loro vero
-signore. L’imperadrice sentendo l’armata di presso,
-come femmina mutevole, non avendo piena
-confidenza del figliuolo, cominciò a sospettare:
-e il giovane medesimo non avendo avuto più maturo
-consiglio all’impresa, convenendo la sua
-persona mettere nelle mani dell’altrui forza,
-dubitò, e non lo volle fare, e forse fu più da biasimare
-il cominciamento della folle impresa che ’l
-cambiamento del femminile e giovanile animo, i
-quali non si vollono abbandonare alla non provata
-fede de’ Genovesi; per la qual cosa l’ammiraglio
-col suo consiglio presono sdegno, e rivolta la loro
-armata, desiderosi di rapina e di preda, vennero
-all’isola di Tenedo, piena di gente e d’avere, sottoposta
-all’imperio, i quali de’ Genovesi non prendeano
-alcuna guardia, ed elli la presono e rubarono
-d’ogni sustanza. E quivi feciono dimoro gran parte
-del verno prendendo rinfrescamento, e ragunando
-la preda di quella e dell’altre terre di Grecia, della
-quale data a catuno la parte sua, si trovarono pieni
-di roba e di danari, sicchè a loro non fece bisogno
-<span class="pagenum" id="Page_228">[228]</span>
-altro soldo, e la loro vita tutta ebbero per
-niente delle ruberie del paese. E ivi stettono
-fino al Natale senza mutare porto.
-</p>
-
-<h3 id="cap35-2">CAP. XXXV.
-<span class="smaller"><i>Come i Veneziani e’ Catalani s’accozzarono in
-Romania con l’altra armata.</i></span></h3>
-
-<p>
-I Veneziani, come addietro abbiamo narrato,
-avendo fatta compagnia e lega co’ Catalani contro
-a’ Genovesi, armarono in Venezia ventisette
-galee molto nobilmente, ove si ricolsono quasi
-tutti i maggiori e migliori cittadini di Venezia
-per governatori e soprassaglienti, forniti a doppio
-di ciò che a guerra faccia mestiero, e ventitrè galee
-armarono i Catalani. E tanto bolliva negli animi
-loro lo infocamento dell’izza ch’aveano presa
-contro a’ loro avversari genovesi, che nel tempo
-che l’armate sogliono abbandonare il mare e vernare
-in terra, si mossono da Venezia e di Catalogna,
-domando le tempeste del mare, ad andare
-contro a’ loro nimici in Romania. Del mese
-di novembre s’accozzarono insieme in Cicilia,
-e di là senza soggiorno si dirizzarono verso l’Arcipelago,
-e con grandi e aspre fortune, avendo per
-quelle perdute sette galee veneziane e due catalane,
-non senza danno della loro gente, pervennero
-in Turchia, e posono alla Palatia e a
-Altoloco; e ivi, del mese di dicembre del detto
-anno, avendo raccolte le galee che aveano a Negroponte
-e nelle contrade si trovarono con settanta
-galee: e in Turchia stettono gran parte del
-<span class="pagenum" id="Page_229">[229]</span>
-più fortunoso verno per rivedere i loro legni e
-avere novelle di loro nimici. In questo travalicamento
-del tempo delle due armate ci occorre
-a raccontare altre cose rimase addietro, e in prima
-una pazzia di corrotta mente dell’ambizione umana,
-la quale alcuna volta combattendo, contro al
-suo prospero e buono stato abbatte e rovina se medesimo
-con debito e degno traboccamento.
-</p>
-
-<h3 id="cap36-2">CAP. XXXVI.
-<span class="smaller"><i>Come i Brandagli si vollono fare signori
-d’Arezzo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Dappoich’e’ Bostoli per loro superbia furono
-cacciati della terra d’Arezzo, una famiglia che
-si chiamarono i Brandagli, loro nimici, cominciarono
-di nuovo ad avere stato in comune, e
-montando l’un dì appresso all’altro vennono
-in maggiori, ed erano al tutto governatori del reggimento
-di quello comune, e per questo montati
-in grandi ricchezze: e della loro famiglia
-Martino e Guido di Messer Brandaglia erano i
-caporali. Costoro ingrati del loro buono stato
-cercarono di farsene signori con tradimento, non
-perchè fossono da tanto, ma per farne loro mercatanzia,
-come nel fine del fatto si scoperse.
-Costoro trattarono col nuovo tiranno d’Agobbio
-d’avere da lui al tempo ordinato centocinquanta
-cavalieri, e da quello di Cortona dugento
-cavalieri, non che da se gli avesse, ma per
-servire costoro n’accattò centocinquanta dal
-prefetto da Vico, e cinquanta dal conte Nolfo
-<span class="pagenum" id="Page_230">[230]</span>
-da Urbino, e feceli venire e soggiornare all’Orsaia,
-come gente di passaggio che attendessono
-d’essere condotti e oltre a questa gente a
-cavallo, di quello che non era richiesto, mise
-in ordine d’avere apparecchiati undicimila fanti
-a piede, con intenzione, che se fortuna il mettesse
-in Arezzo di volerlo per se. E ancora richiese
-messer Piero Tarlati, che aveva in Bibbiena il
-doge Rinaldo con trecento cavalieri, benchè fosse
-ghibellino e nimico del loro comune richieselo
-non manifestandogli il fatto. Ma la volpe vecchia
-che conobbe la magagna, si offerse loro
-molto liberamente, sperando altro fine del fatto
-che non pensavano i traditori, accecati nella cupidigia
-della sperata tirannia. A conducere questa
-gente aveano fuori d’Arezzo Brandaglia loro
-nipote, e Guido intendeva a raccogliere i masnadieri
-che gli capitavano segretamente, e a nasconderli
-ne’ loro palagi, e Martino stava nel palagio
-co’ priori della terra a tutti i segreti del comune.
-In quel tempo si dava in guardia a confidenti
-cittadini una porta della città che si chiamava
-la porta di messer Alberto, la quale era a
-modo d’un cassero, e dava l’entrata tra le due
-castella. Questa guardia per procaccio di Brandaglia
-era ne’ figliuoli di messer Agnolo loro confidenti,
-con cui elli si teneano in questo tradimento.
-E messe le cose d’ogni parte in assetto,
-a’ signori d’Arezzo fu scritto per lo comune di
-Firenze e per quello di Siena ch’avessono buona
-guardia, perocchè sentivano che una terra si
-cercava di furare, ma non sapeano come nè quale;
-Martino Brandagli ch’era nel consiglio, co’ suoi
-<span class="pagenum" id="Page_231">[231]</span>
-argomenti levava i sospetti. E venuto il dì che
-la notte si dava il segno a que’ di fuora, un conestabile
-fiorentino ch’era in Arezzo, uomo
-guelfo e fedele, fu richiesto da’ Brandagli per la
-notte. Costui per amore della sua città e di parte
-non potè sostenere per promesse che avesse avute
-che non manifestasse a’ priori il tradimento di
-quella notte. Incontanente i priori mandarono
-per Martino, il quale confidandosi nel suo grande
-stato e ne’ molti amici, andò dinanzi a’ priori,
-e negava scusandosi che niente sapeva di quelle
-cose; e in quello stante Guido suo fratello corse
-a’ loro palagi, e colla gente che avea nascosa levò
-il romore, e tennesi co’ suoi masnadieri forte. I
-cittadini in furia armati corsono alla porta di
-messer Alberto, che poteva dare l’entrata a’ forestieri,
-per fornire di guardia per lo comune, ma
-trovarono ch’ella si tenea per i traditori. E così
-la città intrigata nel nuovo pericolo, e non provveduta,
-fu in grande paura. La porta era forte e
-bene guernita alla difesa da non poter vincersi
-per battaglia, e già era venuta la notte, e quei
-della torre della porta d’entro feciono i cenni ordinati
-alla gente di fuori, che venire doveano a
-loro aiuto per vincere la terra.
-</p>
-
-<h3 id="cap37-2">CAP. XXXVII.
-<span class="smaller"><i>Di quello medesimo.</i></span></h3>
-
-<p>
-I cittadini vedendo i cenni, temendo di non
-essere sorpresi dall’aiuto provveduto da’ traditori,
-tempestando nell’animo, intrigati dalle tenebre
-<span class="pagenum" id="Page_232">[232]</span>
-della notte e dalla paura, intendendo a combattere
-quei della porta e mettere gente in su
-le mura, ma per questo non poteano conoscere
-riparo che i forestieri non entrassono per forza
-nella città, e però s’avvisarono di rompere le mura
-della città appresso a quella porta: e fattane la
-rotta che vollono, avendo per loro guardia cento
-cavalieri di Fiorentini e alcuni di loro, li misono
-fuori in uno borgo fuori di quella porta, ove
-dovea essere l’entrata de’ nemici, e accompagnaronli
-di cittadini e d’altri fanti alla difesa con
-buone balestra; e di subito tagliarono alberi, e
-abbarrarono e impedirono le vie al corso de’ cavalli,
-e le mura guarentirono di gente e di saettamento:
-e nondimeno facevano dal lato d’entro
-combattere di continovo quelli della porta e della
-torre, ma e’ si difendevano, e di quella battaglia
-poco si curavano, e continovo manteneano
-cenni a loro soccorso: e dentro i Brandagli difendeano
-i loro palazzi e la loro contrada co’ masnadieri
-che aveano accolti, e attendendo Brandaglia
-con la gente invitata, con la quale non
-dottavano d’essere signori della terra s’ella
-v’entrasse. I segni della torre furono veduti dal
-principio della notte, e il signore di Cortona
-che stava attento fu in sul mattutino con dugento
-cavalieri e duemila pedoni giunto ad Arezzo,
-e Brandaglia con altri dugento cavalieri. La
-gente di messer Piero Saccone tardò più a venire,
-per riotta che mosse il doge Rinaldo in sul
-fatto; gli altri ch’erano venuti baldanzosi, credendosi
-senza contasto entrare nella città, come
-furono presso alla terra, mandarono innanzi cento
-<span class="pagenum" id="Page_233">[233]</span>
-cavalieri che prendessono e guardassono l’entrata
-della porta, e quella trovarono imbarrata
-dagli alberi e le vie innanzi al borgo: ed essendo là
-venuti, e saettati da quelli ch’erano alla guardia
-del borgo, e scorgendo in su l’aurora le mura piene
-di cittadini armati alla difesa, e già morti due
-di loro compagni da quei del borgo, si tornarono
-addietro, e feciono assapere a quelli dell’oste che
-attendeano come stava il fatto: di che spaventati
-s’arrestarono senza strignersi più alla terra, e
-già per segni e ammattamento che que’ della torre
-e della porta facessono, e eziandio chiamandoli
-ad alte voci, non si attentarono di venire
-più innanzi, ma ivi presso si fermarono attendendo
-come i fatti dentro procedessono, e così
-stettono schierati dalla mattina sino presso a nona.
-E in verso la nona messer Piero Sacconi giunse
-co’ suoi cavalieri e pedoni, il quale sentendo
-la cosa scoperta e i cittadini alla difesa, senza
-attendere punto co’ suoi cavalieri diè volta e
-co’ suoi pedoni, e tornossene a Bibbiena; e veduto
-questo, tutti gli altri si partirono, e i traditori
-rimasono senza speranza di soccorso. Questa
-novità sentita nel contado e distretto de’ Fiorentini,
-mosse senza arresto i cavalieri e’ masnadieri
-che allora avea in quelle circustanze, e
-i Valdarnesi per venire al soccorso degli Aretini:
-i quali non bene confidenti del comune di Firenze
-parte ne ritennono per loro sicurtà, e agli altri
-diedono commiato onestamente, senza riceverli
-nella città, e dolcemente fu sostenuto. Nondimeno
-i traditori teneano i palagi, e la torre e
-la porta: e tanta miseria occupò l’animo di
-<span class="pagenum" id="Page_234">[234]</span>
-que’ pochi cittadini in cui era rimaso il reggimento,
-per tema di non volere fare parte agli altri
-da cui e’ potessono avere aiuto, che si misono
-a trattare con Martino cui eglino aveano prigione,
-dicendo di lasciare andare e lui e’ suoi, e
-i figliuoli di messer Agnolo e le loro cose liberamente,
-ed e’ rendessono la porta. E innanzi che
-questo venisse alla loro intenzione, convenne che
-i figliuoli di messer Agnolo fossono sicuri a loro
-modo d’avere contanti fiorini tremila d’oro, e
-avuta la sicurtà renderono la porta e la torre al
-comune; e facendosi loro il pagamento per coloro
-che aveano fatta la promessa, i danari furono
-staggiti per coloro che aveano per loro sodo al
-comune, che eglino renderebbono quella fortezza
-al detto comune: e così s’uscirono della città co’
-Brandagli insieme; e il seguente dì furono tutti condannati
-per traditori, e i loro beni disfatti e pubblicati
-al comune. Trovossi poi di vero, che i traditori
-aveano trattato come avessono presa la signoria,
-con ciò sia cosa che non erano d’aiuto per
-loro lignaggio da poterla tenere, di venderla all’arcivescovo
-di Milano, a gravamento della loro
-detestabile malizia, la quale prese non il debito
-fine, ma alcuno segno della loro rovina, per
-la viltà di coloro che non degni rimasono al governamento
-di quella terra.
-</p>
-
-<h3 id="cap38-2">CAP. XXXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come il re Luigi mandò il gran siniscalco ad
-accogliere gente in Romagna.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tanto imbrigamento di guerra sboglientava gli
-animi degl’Italiani per terra e per mare in questi
-<span class="pagenum" id="Page_235">[235]</span>
-tempi, che volendo cercare delle novità degli
-strani, non ci lasciano da loro partire. Il re
-Luigi valicata la tregua dal re d’Ungheria a lui,
-non ostante che rimesso avessono le loro questioni
-al giudicio del papa e de’ cardinali, tentava
-con preghiere e impromesse di recare dalla sua
-parte fra Moriale, friere di san Giovanni, il quale
-teneva Aversa e Capua dal re di Ungheria, e
-questo fra Moriale, astuto e malizioso, mostrava
-di voler piacere al re Luigi; e dandogli speranza,
-cominciò ad allargare il passo alla gente del
-re e a’ paesani d’Aversa e di Capua, sicchè andavano
-e venivano sicuramente, e non faceva
-guerra, ma nondimeno guardava le città e le
-fortezze di quelle, e per questo corse la voce che
-la concordia era fatta: ma però il re di lui, o egli
-del re si fidava. Ma in questo tranquillo, il re
-mandò il grande siniscalco nella Marca ad accogliere
-gente d’arme, il quale con grandi promesse
-mosse messer Galeotto da Rimini a venire al
-servigio del re con trecento cavalieri, e messer
-Ridolfo da Camerino con cento, a tutte loro spese,
-e ’l grande siniscalco messer Niccola Acciaiuoli
-di Firenze ne condusse e menò quattrocento al
-soldo del re, e con tutta questa cavalleria entrò
-in Abruzzi. E mandò al re, che con la sua forza
-e con quella de’ baroni del Regno, i quali il re
-avea richiesti e ragunati a Napoli, venisse là,
-come era ordinato, per vincere messer Currado
-Lupo, e racquistare le terre d’Abruzzi che di là
-si teneano per lo re d’Ungheria.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_236">[236]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap39-2">CAP. XXXIX.
-<span class="smaller"><i>Come il re Luigi accolse i baroni del Regno
-e andò in Abruzzi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il re Luigi sentendo come il gran siniscalco
-avea con seco in Abruzzi que’ due buoni capitani
-con ottocento cavalieri di buona gente, fu molto
-contento, e avendo presa sicurtà che fra Moriale
-per la concordia ch’aveano non moverebbe
-guerra in Terra di Lavoro, si mosse da Napoli per
-mare, e capitò incontanente a Castello a mare del
-Volturno, e tutta sua gente a piè e a cavallo fece
-andare per terra da Pozzuolo e per lo Gualdo al
-detto Castello a mare, non fidando la gente sua
-per gli stretti passi d’Aversa e di Capua ch’erano
-in guardia di fra Moriale: e seguendo di là loro cammino,
-del mese d’ottobre del detto anno s’accozzò
-in Abruzzi con la cavalleria accolta per lo gran
-siniscalco: e fatta fare la mostra, si trovò con undicimila
-cavalieri e con grande popolo. Messer
-Currado Lupo avendo sentito l’oste che gli veniva
-addosso, e non avendo gente da potere uscire
-a campo, mise guardia nelle terre che teneva in
-Abruzzi e ordinolle alla difesa, e con cinquecento
-cavalieri tedeschi bene montati e buoni dell’arme
-si mise in Lanciano. Il re poco provveduto
-di quello che a mantenere oste bisognava, e
-povero di moneta, volendo usare l’aiuto degli amici
-che quivi avea si mise a oste a Lanciano; e
-dopo non molti dì, cavalcando messer Galeotto
-co’ suoi cavalieri intorno alla terra, messer Currado
-<span class="pagenum" id="Page_237">[237]</span>
-Lupo uscì fuori con parte de’ suoi cavalieri
-e percosse i nimici, e danneggiò molto la masnada
-di messer Galeotto, e innanzi che dall’altra
-oste fosse soccorso si ritrasse in Lanciano a salvamento.
-Per questa cagione spaventato l’oste,
-considerando l’ardimento preso per li cavalieri
-di messer Currado, e che la terra di Lanciano
-era forte e bene guernita, e il verno veniva loro
-addosso, per lo migliore presono consiglio e levaronsi
-dall’assedio: e stando in dubbio di quello
-dovessono fare più dì, a messer Galeotto e
-a messer Ridolfo, non vedendo di poter fare utile
-servigio al re, rincrebbe lo stallo, presono congiò
-dal re e tornaronsi nella Marca, e i baroni del
-Regno feciono il simigliante. Il re con la sua gente
-invilito e quasi disperato avendo animo di volere
-entrare nell’Aquila, gli fu detto non se
-ne mettesse a pruova, perocchè non vi sarebbe
-lasciato entrare, e scoprirebbe nimico messer Lallo
-che gli si mostrava fedele; e così rimaso il re
-pieno di sdegno e voto di forza e d’avere, si tornò
-a Sulmona a mezzo dicembre del detto anno, e
-ivi s’arrestò per trarre da’ paesani alcuno sussidio,
-e per fare in quella terra la festa del Natale.
-</p>
-
-<h3 id="cap40-2">CAP. XL.
-<span class="smaller"><i>Come il re Luigi sostenne gli Aquilani che
-pasquavano con lui.</i></span></h3>
-
-<p>
-Vedendosi il re Luigi rotto da’ suoi intendimenti,
-e abbandonato del servigio degli amici, trovandosi
-a Sulmona povero, si ristrinse nell’animo,
-<span class="pagenum" id="Page_238">[238]</span>
-e diede opera di volere fare in Sulmona gran
-festa per lo Natale, e fece a quella invitare quei
-gentiluomini e baroni circostanti che potè avere. I
-Sulmontini il providono di moneta e d’altri doni
-per aiuto alla festa. Ciascuno si sforzò di comparire
-bene a quella festa, e intra gli altri principali
-fu invitato messer Lallo, il quale governava
-il reggimento dell’Aquila, e conoscendo la sua coperta
-tirannia si dubitò d’andare al re, e infinsesi
-d’essere malato, e sotto questa scusa ricusò
-l’andare alla festa. Per fare più accetta la sua scusa
-al re elesse quindici de’ maggiori cittadini d’Aquila
-col suo fratello carnale, i quali portarono al re
-per dono da parte del comune dell’Aquila fiorini
-quattromila d’oro, e costoro mandò a festeggiare
-col re: e giunti a Sulmona furono ricevuti dal re
-graziosamente, nonostante che si turbasse perchè
-messer Lallo non v’era venuto. E fatto il corredo
-reale con piena festa, i cittadini dell’Aquila volendo
-prendere licenza dal re per tornare a casa
-furono ritenuti prigioni, della qual cosa il re fu forte
-biasimato di mal consiglio, parendo a tutti più
-opera tirannesca che reale. La novella corse in Aquila:
-il tiranno molto savio e buono parlatore
-raccolse il popolo, e con argomenti di sua savia diceria
-infiammò il popolo all’ingiuria, e mosselo
-all’arme e corse la terra, e ordinò la guardia
-come se il re con l’oste vi dovesse venire, ma il
-re non era atto a poterlo fare, e però si rimase,
-e messer Lallo più s’afforzò nella signoria.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_239">[239]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap41-2">CAP. XLI.
-<span class="smaller"><i>Come papa Clemente sesto fe’ la pace de’ due re.</i></span></h3>
-
-<p>
-Stando il re Luigi in Sulmona maninconoso e
-quasi in disperazione di suo stato, considerando
-come in tutte cose la fortuna gli era avversa, e come
-con abbassamento di suo onore gli avea fatte
-fare cose non reali, ma di vile e mendace tiranno,
-e vedendosi povero e mal ubbidito, non sapeva
-che si fare, e parevagli per la baldanza presa
-pe’ suoi avversari ch’elli dovessono ristrignerlo
-o cacciare del Regno, e de’ suoi fatti da corte non
-avea potuto avere alcuna speranza o novella che
-buona fosse. Il papa Clemente in questo tempo
-era stato in una grande e grave malattia, nella
-quale rimorso da coscienza di non avere capitato
-il fatto tra i due re che gli era commesso, e di
-questo sostenere era seguito danno e confusione
-di molti, propuose nell’animo come fosse guarito
-di capitare quella questione senza indugio, e
-come fu sollevato mise opera al fatto; e per più
-acconcio di quello reame, vedendo che il re d’Ungheria
-avea l’animo al suo reame, ed era appagato
-della vendetta fatta del suo fratello, deliberò,
-poichè avea deliberato la reina, che messer Luigi
-fosse re: e questo pubblicò co’ suoi cardinali, e poi
-il mise a esecuzione, come appresso nel suo tempo
-racconteremo. La novella venne improvviso al
-re Luigi a Sulmona, della qual cosa fu molto allegro:
-e confortato nel fondo della sua fortuna da
-questa prosperità, di presente conobbe il suo
-<span class="pagenum" id="Page_240">[240]</span>
-esaltamento per opera, che i baroni e’ comuni il
-cominciarono ad onorare e a vicitare con doni e
-grandi profferte come a loro signore: e tornato a Napoli
-con grandi onori, stette in festa più dì tutta
-la terra delle buone novelle. Lasceremo al presente
-alquanto de’ fatti del Regno sollecitandoci
-le novità di Toscana, delle quali prima ci conviene
-fare memoria, per non travalicare il debito
-tempo della nostra materia.
-</p>
-
-<h3 id="cap42-2">CAP. XLII.
-<span class="smaller"><i>Come messer Piero Saccone prese il Borgo a
-san Sepolcro.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo messer Piero Saccone de’ Tarlati a Bibbiena
-il conte Pallavicino con quattrocento cavalieri
-dell’arcivescovo di Milano, e cento di
-suo sforzo per fare guerra, e standosi e non facendola,
-faceva maravigliare la gente, ma egli nel
-soggiorno lavorava copertamente quello che prosperamente
-gli venne fatto. Il Borgo a san Sepolcro,
-terra forte e piena di popolo e di ricchi cittadini,
-e fornita copiosamente d’ogni bene da vivere,
-era nella guardia de’ Perugini con due casseri
-forniti alla guardia de’ castellani perugini e di
-gente d’arme. Messer Piero aveva appo se uno
-suo fedele che aveva nome Arrighetto di san
-Polo, questi era grande e maraviglioso ladro, e facea
-grandi e belli furti di bestiame, traendo i
-buoi delle tenute murate e guardate, e rompeva
-tanto chetamente le mura, che niuno il sentiva,
-e di quelle pietre rimurava le porti a’ villani
-<span class="pagenum" id="Page_241">[241]</span>
-di fuori sì contamente, che prima aveva dilungate
-le turme de’ buoi, e tratte per lo rotto del muro
-due o tre miglia, che i villani trovandosi murate
-le porti, e impacciati dalle tenebre della notte e
-dalla novità del fatto, le potessono soccorrere;
-così n’avea fatte molte beffe, e accusatone di furto,
-messer Piero il difendea, e davagli ricetto in
-tutta sua giurisdizione. Questi saliva su per li cauti
-delle mura e delle torri co’ suoi lievi argomenti
-incredibilmente, e quanto che fossono alte non se
-ne curava, ed era dell’altezza maraviglioso avvisatore.
-Per costui fece messer Piero furare la
-forte e alta torre del castello di Chiusi alla moglie
-che fu di messer Tarlato. A costui scoperse
-messer Piero come volea furare il Borgo a Sansepolcro,
-e mandollo a provvedere l’altezza della
-torre della porta: il quale tornato disse, che gli
-dava il cuore di montare in su la più alta torre
-che vi fosse; e avuta messer Piero questa risposta,
-s’intese con uno de’ Boccognani del Borgo e
-grande ghibellino, il quale odiava la signoria de’
-Perugini, e da lui ebbe, che se la porta e la torre
-fosse presa, e di fuori fosse forza di gente a cavallo
-e a piè grande, ch’egli con gli altri ghibellini
-d’entro verrebbono in loro aiuto a metterli dentro.
-E dato l’ordine tra loro, messer Piero con
-cinquecento cavalieri e duemila pedoni un sabato
-notte, a dì 20 del mese di novembre del detto
-anno, improvviso a’ Borghigiani, innanzi il dì fu
-presso al Borgo; e mandato Arrighetto con certi
-masnadieri eletti in sua compagnia a prendere la
-torre e la porta, il detto Arrighetto con suoi incredibili
-argomenti in quello servigio, cintosi corde,
-<span class="pagenum" id="Page_242">[242]</span>
-e aiutato di non esser sentito per uno grande
-vento che allora soffiava, e avea ristrette le guardie
-sotto il coperto, montò in su la torre della
-porta, ed essendovi due sole guardie, si recò il
-coltello ignudo in mano, e mostrò d’avere compagnia,
-minacciandoli d’uccidere. Eglino storditi
-per la novità, non sapendo che si fare, stettono
-cheti per paura, e Arrighetto data la corda
-a’ masnadieri ch’erano a piè del muro, con una
-scala leggieri di funi tirò su l’uno de’ capi e accomandollo
-a uno de’ merli, e incontanente montati
-suso per quella l’uno appresso l’altro dodici masnadieri,
-e quando si vidono signori della porta, feciono
-a quelli traditori d’entro certo segno ordinato.
-Quello de’ Boccognani veduto il segno come la
-porta era presa, fece sonare a stormo una campana
-d’una chiesa, al cui suono, come ordinato avea,
-tutti i ghibellini del Borgo furono all’arme e
-traevano verso la porta. I guelfi che non sapeano
-il tradimento traevano storditi alla piazza senza
-niuno capo; e schiarito il dì, vedendo aperta e
-presa la porta per i ghibellini, e sentendo come
-messer Piero era di fuori con molta gente, non
-vedevano da potere riparare; ma i ghibellini non
-volendo guastare la terra sicurarono i guelfi che
-ruberia non vi si farebbe, e senza contasto vi lasciarono
-entrare messer Piero con tutta la sua gente
-e del conte Pallavicino, e non vi si diè colpo e non
-vi si fece alcuna ruberia: e così messer Piero ne fu
-signore; ma le due rocche che erano forti e guardate
-per li Perugini si misono alla difesa, per attendere
-il soccorso de’ Perugini. Messer Piero e il conte
-senza prendere soggiorno con tutta la sua gente
-<span class="pagenum" id="Page_243">[243]</span>
-a cavallo e a piè uscirono del Borgo, e accamparonsi
-di fuori dirimpetto alle rocche per torre la via
-a’ Perugini, e fecionsi innanzi al loro campo fare
-un fosso di subito e uno steccato, e mandarono
-a tutte le terre dov’avea gente d’arme del signore
-di Milano che mandassero loro aiuto, e in pochi
-dì vi si trovarono con ottocento cavalieri e
-popolo assai. E per impedire a’ Perugini, Giovanni
-di Cantuccio d’Agobbio con la cavalleria
-che avea del Biscione cavalcò sopra loro: nondimeno
-i Perugini turbati di questa perdita, procacciarono
-da ogni parte aiuto per racquistare
-la terra, tenendosi i casseri, e di presente ebbono
-cinquecento cavalieri da’ Fiorentini: e con
-millequattrocento cavalieri e con grande popolo
-se ne vennono alla Città di Castello: e acconciandosi
-per soccorrere quelli de’ casseri, tanta
-viltà fu in coloro che gli aveano in guardia, che
-senza attendere il soccorso così vicino s’arrenderono
-a messer Piero; e incontanente quelli del
-castello d’Anghiari cacciarono la guardia che
-v’era de’ Perugini, e dieronsi al vicario dell’arcivescovo,
-ed egli lo rendè a messer Maso
-de’ Tarlati. In que’ dì il castello della Pieve a
-santo Stefano, e ’l Castello perugino, tenendosi
-mal contenti de’ Perugini, anche si rubellarono
-da loro.
-</p>
-
-<h3 id="cap43-2">CAP. XLIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Perugini arsono intorno al Borgo e
-sconfissono de’ nimici.</i></span></h3>
-
-<p>
-I Perugini avendo perduta la speranza di soccorrere
-le rocche, cavalcarono al Borgo, e arsonlo
-<span class="pagenum" id="Page_244">[244]</span>
-intorno guastando tutte le possessioni, e già
-messer Piero e ’l conte Pallavicino non ebbono
-ardire d’uscire della terra contro a loro: e fatto
-il guasto, si tornarono alla Città di Castello. Messer
-Piero preso suo tempo, con tutta la cavalleria
-ch’avea nel Borgo cavalcò fino alle porti della
-Città di Castello: i cavalieri che v’erano dentro
-de’ Perugini, e singolarmente quelli de’ Fiorentini,
-ch’erano buona gente d’arme e bene montati,
-uscirono fuori perchè i nimici aveano a fare
-lunga ritratta, e seguitando i nimici quasi a mezzo
-il cammino, s’abbatterono in un grosso aguato:
-e ivi cominciò l’assalto aspro e forte,
-ove s’accolse la maggiore parte della gente di
-catuna parte senza fanti a piede; e ivi dando e
-ricevendo si fece aspra battaglia, e durò lungamente,
-perocchè catuno voleva mantenere l’onore
-del campo; e non avendo pedoni che
-l’impedissono, feciono i buoni cavalieri grande
-punga, e in fine per virtù di certi conestabili
-della masnada de’ Fiorentini, ristringendosi insieme,
-con impetuoso assalto ruppono la cavalleria
-di messer Piero, e a forza in isconfitta gli
-cacciarono del campo, e rimasono morti sessanta
-de’ loro cavalieri in sul campo e più cavalli, e
-presi sei de’ loro conestabili da’ cavalieri de’ Fiorentini,
-e messer Manfredi de’ Pazzi di Valdarno,
-e più altri cavalieri tedeschi e borgognoni,
-a’ quali tolsono l’arme e’ cavalli secondo
-l’usanza, e lasciaronli alla fede: e questo fu del
-mese di dicembre del detto anno.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_245">[245]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap44-2">CAP. XLIV.
-<span class="smaller"><i>D’una cometa ch’apparve in oriente.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo anno 1351, del detto mese di dicembre,
-si vide in prima in cielo a noi verso
-levante una cometa, la quale per li più fu giudicata
-Nigra, la quale è di natura saturnina. Il
-suo apparimento fu a noi all’uscita del segno
-del Cancro, e alcuni dissono ch’ella entrò nel
-Leone: ma innanzi che per noi si vedesse fuori
-del Cancro, fu fuori del verno, sicchè approssimandosi
-il Sole al Cancro se ne perdè la vista.
-Alcuni pronosticarono morte di grandi signori,
-ovvero per decollazione, e avvenimento di signorie.
-Noi stemmo quell’anno a vedere le novità
-che più singolari e grandi apparissono onde
-avere potessimo novelle, e in Italia e nel patriarcato
-d’Aquilea furono molte dicollazioni
-di grandi terrieri e cittadini, che lungo sarebbe
-a riducere qui i singulari tagliamenti. E mortalità
-di comune morte in questo anno non avvenne:
-ma per la guerra de’ Genovesi, e Veneziani
-e Catalani avvennono naufragii grandi, e
-mortalità di ferro grandissima in quelle genti e
-ne’ loro seguaci, e per i difetti sostenuti in
-mare non meno ne morirono tornando che
-combattendo. Avvenne in Italia singolare accidente
-al grano, vino e olio e frutti degli alberi,
-che essendo ogni cosa in speranza di grande
-ubertà, subitamente del mese di luglio si mosse
-una sformata tempesta di vento, che tutti gli
-<span class="pagenum" id="Page_246">[246]</span>
-alberi pericolò de’ loro frutti, e i grani e le biade
-ch’erano mature battè e mise per terra con
-smisurato danno. Dappoi a pochi dì fu il caldo
-sì disordinato, che tutte le biade verdi inaridì
-e seccò. Per questo accidente avvenne, che dove
-s’aspettava ricolta fertile e ubertosa, fu generalmente
-per tutta Italia arida e cattiva. E avvennono
-in questi anni singulari diluvi d’acque,
-che feciono in molte parti gran danni, e gittò
-per tutta Italia generale carestia di pane e sformata
-di vino. In questo medesimo mese di dicembre
-apparve la mattina anzi giorno, a dì 17,
-un grande bordone di fuoco, il quale corse di
-verso tramontana in mezzodì. E in questo medesimo
-anno all’entrare di dicembre morì papa
-Clemente sesto, e alcuno de’ cardinali. Al nostro
-lieve intendimento basta di questi segni del cielo
-e delle cose occorse averne raccontato parte, lasciando
-agli astrolaghi l’influenza di quello che
-s’appartiene alla loro scienza, e noi ritorneremo
-alla più rozza materia.
-</p>
-
-<h3 id="cap45-2">CAP. XLV.
-<span class="smaller"><i>Come fu preso il castello della Badia de’ Perugini,
-e come si racquistò.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo i Perugini imbrigati nelle rubellioni
-delle loro terre per gli assalti de’ loro vicini,
-con la forza dell’arcivescovo di Milano, la quale
-di prima, come addietro narrammo, nel tempo che
-si cercò di fare lega con la Chiesa e co’ Lombardi,
-dicevano che non si potea stendere a
-<span class="pagenum" id="Page_247">[247]</span>
-loro, due conestabili di fanti a piè cittadini
-sbanditi di Firenze, partendosi dal soldo del tiranno
-d’Agobbio co’ loro compagni, di furto
-entrarono nel castello della Badia, grosso castello,
-il quale era de’ Perugini, e cominciarono
-a correre e predare le villate vicine con l’aiuto
-di Giovanni di Cantuccio signore d’Agobbio. I
-Perugini vi mandaro certe masnade di cavalieri
-che aveano di Fiorentini e altra gente a piè: costoro
-vi si puosono a oste del mese di gennaio. Giovanni
-di Cantuccio con la cavalleria ch’avea dell’arcivescovo
-di Milano e co’ suoi fanti a piè, essendo
-tre cotanti di cavalieri e di fanti che quelli
-de’ Perugini, andarono per levarli da campo
-e fornire il castello. Un conestabile tedesco delle
-masnade de’ Fiorentini valente cavaliere, ch’avea
-nome M... si fece incontro a’ nimici a un
-ponte onde conveniva ch’e’ nimici venissono, e
-francamente li ritenne, tanto che l’altra cavalleria
-de’ Perugini ch’era alla Città di Castello venne
-al soccorso del passo: e giunti, valicarono il ponte,
-e per forza cacciarono l’oste di Giovanni di
-Cantuccio in rotta, e presono cento e più de’ cavalieri
-del Biscione: e tornati al castello, i masnadieri
-che ’l teneano, vedendosi fuori di speranza
-di avere soccorso, il renderono a’ Perugini, salvo
-le persone e l’arme, a dì 6 del detto mese di
-gennaio.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_248">[248]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap46-2">CAP. XLVI.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini cercarono lega co’ comuni
-di Toscana, e accrebbono loro entrata.</i></span></h3>
-
-<p>
-Temendo il comune di Firenze la gran potenza
-del signore di Milano, fornito della compagnia
-de’ ghibellini d’Italia, con suoi ambasciadori
-smosse i Perugini Sanesi e Aretini a parlamento
-alla città di Siena, del mese di dicembre del
-detto anno, e ivi composono lega e compagnia di
-tremila cavalieri e di mille masnadieri, contra
-qualunque volesse fare guerra a’ detti comuni o ad
-alcuno di quelli; e incontanente il comune di Firenze
-si fornì di cavalieri e di masnadieri di più
-assai che in parte della lega non li toccava. E per
-avere l’entrata ordinata a mantenere la spesa elessono
-venti cittadini, con balìa a crescere l’entrata
-e le rendite del comune, i quali commutarono
-il disutile e dannoso servigio de’ contadini personale
-in danari, compensandoli che pagassono
-per servigio di cinque pedoni per centinaio del
-loro estimo per rinnovata dell’anno, a soldi dieci
-il dì per fante: e questo pagassono in tre paghe
-l’anno, e fossono liberi dell’antico servigio
-personale: o quando per necessità occorresse il
-bisogno del servigio personale, scontassono di
-questo. E questa entrata secondo l’estimo nuovo
-montò l’anno cinquantaduemila fiorini d’oro, e
-fu grande contentamento de’ condannati. E a’ cherici
-ordinarono certa taglia per aiuto e guardia e
-alla difesa della città e del contado, la quale stribuirono
-<span class="pagenum" id="Page_249">[249]</span>
-e raccolsono i loro prelati, e montò fiorini ...
-d’oro; e raddoppiarono e crebbono più gabelle,
-per le quali entrate il comune potè spendere
-l’anno trecentosessantamila fiorini d’oro.
-E oltre a ciò ordinarono e distribuirono tra’ cittadini
-la gabella de’ fumanti, la quale nel fatto
-fu per modo di sega, che catuno capo di famiglia
-fu tassato in certi danari il dì per modo, che raccogliendosi
-il numero montava fiorini d’oro centoquaranta
-il dì: poi per ogni danaro che l’uomo
-avea di sega, fu recato in estimo di soldi trenta;
-e questa gabella montava l’anno fiorini
-cinquantamila d’oro: e quando il comune aveva
-necessità, riscoteva questa gabella per avere i danari
-presti, e assegnavali alla restituzione di certe
-gabelle. Per queste sformate gravezze, avendo
-carestia generale delle cose da vivere, era la città
-e il contado in assai disagio, forse meritevolmente
-per la dissoluta vita, e’ disordinati e non
-leciti guadagni de’ suoi cittadini.
-</p>
-
-<h3 id="cap47-2">CAP. XLVII.
-<span class="smaller"><i>Come i Romani feciono rettore del popolo.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo anno essendo per lo corso stato a Roma
-del general perdono arricchito il popolo, i
-loro principi e gli altri gentilotti cominciarono a
-ricettare i malandrini nelle loro tenute, che facevano
-assai di male, rubando, e uccidendo, e conturbando
-tutto il paese. Senatore fu fatto Giordano
-dal Monte degli Orsini, il quale reggeva
-l’uficio con poco contentamento de’ Romani. E
-<span class="pagenum" id="Page_250">[250]</span>
-per questa cagione gli fu mossa guerra a un suo
-castello, per la quale abbandonò il senato. Il vicario
-del papa ch’era in Roma, messer Ponzo di
-Perotto vescovo d’Orvieto, uomo di grande autorità,
-vedendo abbandonato il senato, con la famiglia
-che aveva, in nome del papa entrò in Campidoglio
-per guardare, tanto che la Chiesa provvedesse
-di senatore. Iacopo Savelli della parte di
-quelli della Colonna accolse gente d’arme, e per
-forza entrò in Campidoglio e trassene il vicario
-del papa, e Stefano della Colonna occupò la torre
-del conte, e la città rimase senza governatore, e
-catuno facea male a suo senno perocchè non v’era
-luogo di giustizia. E per questo il popolo era in
-male stato, la città dentro piena di malfattori, e
-fuori per tutto si rubava. I forestieri e i romei
-erano in terra di Roma come le pecore tra’ lupi:
-ogni cosa in rapina e in preda. A’ buoni uomini
-del popolo pareva stare male, ma l’uno s’era accomandato
-all’una parte, e l’altro all’altra di
-loro maggiori, e però i pensieri di mettervi consiglio
-erano prima rotti che cominciati: e la cosa
-procedeva di male in peggio di dì in dì. Ultimamente
-non trovando altro modo come a consiglio
-il popolo si potesse radunare, il dì dopo la
-natività di Cristo, per consuetudine d’una compagnia
-degli accomandati di Madonna santa Maria,
-s’accolsono avvisatamente molti buoni popolani
-in santa Maria Maggiore, e ivi consigliarono
-di volere avere capo di popolo: e di concordia
-in quello stante elessono Giovanni Cerroni antico
-popolare de’ Cerroni di Roma, uomo pieno
-d’età, e famoso di buona vita. E così fatto, tutti
-<span class="pagenum" id="Page_251">[251]</span>
-insieme uscirono della chiesa e andarono per lui,
-e smosso parte del popolo, il menarono al Campidoglio
-ov’era Luca Savelli. Il quale vedendo
-questo subito movimento non ebbe ardire di
-contastare il popolo, ma dimandò di loro volere:
-ed e’ dissono che voleano Campidoglio, il quale
-liberamente diè loro; ed entrati dentro sonarono
-la campana: il popolo trasse al Campidoglio
-d’ogni parte della città senza arme, e i principi
-con le loro famiglie armati, ed essendo là, domandarono
-la cagione di questo movimento e quello
-che ’l popolo volea: il popolo d’una voce risposono
-che voleano Giovanni Cerroni per rettore,
-con piena balía di reggere e governare in giustizia
-il popolo e comune di Roma. E consentendo
-i principi all’ordinazione del popolo, di comune
-volontà fu fatto rettore; e mandato per lo vicario
-del papa che lo confermasse, come savio e discreto
-volle che prima giurasse la fede a santa Chiesa,
-e d’ubbidire i comandamenti del papa, e ricevuto
-di volontà del popolo il saramento dal rettore,
-il confermò per quell’autorità che aveva:
-e tutto fu fatto in quella mattina di santo Stefano,
-innanzi ch’e’ Romani andassono a desinare.
-E lasciato il rettore in Campidoglio, catuno si
-tornò a casa con assai allegrezza di quello ch’era
-loro venuto fatto così prosperamente.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_252">[252]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap48-2">CAP. XLVIII.
-<span class="smaller"><i>Di una lettera fu trovata in concistoro
-di papa.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo per lo papa e per i cardinali molto tratto
-innanzi il processo contro al’arcivescovo di
-Milano, una lettera fu trovata in concistoro, la
-quale non si potè sapere chi la vi recasse, ma uno
-de’ cardinali la si lasciò cadere avvisatamente in
-occulto: la lettera venne alle mani del papa, e la fece
-leggere in concistoro. La lettera era d’alto dittato,
-simulata da parte del principe delle tenebre al
-suo vicario papa Clemente e a’ suoi consiglieri cardinali:
-ricordando i privati e comuni peccati di catuno,
-ne’ quali li commendava altamente nel suo
-cospetto, e confortavali in quelle operazioni, acciocchè
-pienamente meritassono la grazia del suo
-regno: avvilendo e vituperando la vita povera e
-la dottrina apostolica, la quale come suoi fedeli
-vicari eglino aveano in odio e ripugnavano, ma
-non ferventemente ne’ loro ammaestramenti come
-nell’opere, per la qual cosa li riprendeva e
-ammoniva che se ne correggessono, acciocchè li
-ponesse per loro merito in maggiore stato nel suo
-regno. La lettera toccò molto e bene i vizi de’ nostri
-pastori di santa Chiesa, e per questo molte
-copie se ne sparsono tra’ cristiani. Per molti fu
-tenuto fosse operazione dell’arcivescovo di Milano
-allora ribello di santa Chiesa, potentissimo
-tiranno, acciocchè manifestati i vizi de’ pastori
-si dovessono più tollerare i suoi difetti, manifesti
-<span class="pagenum" id="Page_253">[253]</span>
-a tutti i cristiani. Ma il papa e i cardinali poco
-se ne curarono, come per innanzi l’operazioni
-si dimostreranno.
-</p>
-
-<h3 id="cap49-2">CAP. XLIX.
-<span class="smaller"><i>Come il re d’Inghilterra essendo in tregua col
-re di Francia acquistò la contea di
-Guinisi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avvenne in questo anno, che un Inghilese prigione
-nella forte rocca di Guinisi, la quale era
-del re di Francia, essendo per ricomperarsi, avea
-larghezza d’andare per la rocca, e così andando,
-provvide l’ordine delle guardie e l’altezza d’alcuna
-parte della rocca ond’ella si potesse furare. E
-pagati i danari della sua taglia, fu lasciato; e trovatosi
-con alquanti sergenti d’arme, suoi confidenti,
-disse ove potesse avere il loro aiuto gli
-farebbe ricchi. E presa fede da loro manifestò
-come intendea furare la rocca di Guinisi, e avea
-provveduto come fare il poteva, i quali arditi e
-volonterosi di guadagnare promisono il servigio:
-ed essendo tra tutti cinquanta sergenti bene armati,
-avendo scale fatte alla misura del primo
-procinto, una notte in su l’ora che l’Inghilese sapea
-che la guardia della mastra fortezza vi si rinchiudea
-dentro, condotte le scale al muro chetamente
-montarono sopra il primo procinto: e
-sorprese le guardie, per non lasciarsi uccidere si
-lasciarono legare, e così legati gli faceano rispondere
-all’altre guardie della rocca. Quando venne
-in sul fare del dì gl’Inghilesi feciono alle
-<span class="pagenum" id="Page_254">[254]</span>
-guardie muovere riotta, e fare romore tra loro
-in modo di mischia. Il castellano sentendo questo
-tra le guardie, mostrando non avere sospetto
-scese della rocca, e aprendo l’uscio per venire
-a correggere le guardie, gl’Inghilesi apparecchiati
-nell’aguato, immantinente con l’armi ignude
-in mano furono sopra lui, e presono l’uscio ed entrarono
-nella rocca, e presono il castello e le guardie.
-E incontanente mandarono al re d’Inghilterra
-come aveano presa la forte rocca di Guinisi,
-la quale il re molto desiderava. E di presente vi
-mandò gente d’arme e fecela prendere e guardare,
-e commendata la valenza e l’industria del suo
-fedele e degli altri scudieri fece loro onore e provvidegli
-magnificamente. E per questa rocca fu il
-re d’Inghilterra in tutto signore della contea di
-Guinisi, e il re di Francia forte conturbato. E avvegnachè
-questa presura andasse per la forma che
-è detto, e’ si trovò poi che il castellano avea consentito
-al tradimento, e tornato di prigione, essendo
-lasciato, in Francia fu squartato.
-</p>
-
-<h3 id="cap50-2">CAP. L.
-<span class="smaller"><i>Il piato fu in corte tra’ due re per la contea di
-Guinisi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo furata la contea di Guinisi al re di Francia
-sotto la confidanza delle triegue, trasse in giudicio
-il re d’Inghilterra a corte di Roma per suoi
-ambasciadori, dicendo che sotto la fede delle triegue
-prestata il re d’Inghilterra gli avea tolto
-per furto la rocca, e la contea occupata per forza.
-<span class="pagenum" id="Page_255">[255]</span>
-Per la parte del re d’Inghilterra fu risposto, che
-avendo per suo prigione il conte di Guinisi conestabile
-di Francia preso in battaglia, e dovendosi
-riscattare per lo patto fatto della sua taglia scudi
-ottantamila d’oro, o in luogo di danari la detta
-contea di Guinisi, e lasciato alla fede acciocchè
-procacciare potesse la moneta, il re di Francia
-appellandolo traditore, per non averlo a ricomperare,
-o acconsentirgli la contea di Guinisi il fece
-dicollare: e così contro a giustizia privò il re
-d’Inghilterra delle sue ragioni, le quali giustamente
-avea racquistate. La quistione fu grande
-in concistoro, e pendeva la causa in favore del re
-di Francia, e però innanzi che sentenza se ne
-desse, il re fece restituire la terra di Guinisi a
-quell’Inghilese che data glie l’avea; e seguendo
-la morte di papa Clemente non ne seguì altra
-sentenza.
-</p>
-
-<h3 id="cap51-2">CAP. LI.
-<span class="smaller"><i>Come l’arcivescovo di Milano ragunò i suoi
-soldati per rifare guerra a’ Fiorentini.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo tempo del verno, avendo l’arcivescovo
-di Milano fatte rivedere e rassegnare le sue
-masnade tornate da Firenze, trovò ch’aveva a fare
-ammenda di bene milledugento cavalli. E turbato
-forte nel suo furore, propose di fare al primo tempo
-maggiore e più aspra guerra a’ Fiorentini. E trovando
-che avea consumato senza acquisto grande
-tesoro, volendolo rifare senza mancare la sua generale
-entrata, fece nuova colta in Milano e in tutte
-<span class="pagenum" id="Page_256">[256]</span>
-le sue terre per sì grave modo, che tutti i mercatanti
-si ritrassono delle loro mercatanzie nelle
-sue terre: nondimeno a catuno convenne portare
-la soma che gli fu imposta; per la quale gravezza
-accrebbe cinquecento migliaia di fiorini d’oro
-sopra le sue rendite ordinarie in piccolo tempo.
-In queste oppressioni molti parlavano biasimando
-l’impresa contro al comune di Firenze, e rimproveravano
-quello che avea fatto loro il vile castelletto
-della Scarperia per provvisione del comune
-di Firenze, essendovi intorno la forza de’ Lombardi
-e de’ ghibellini di Toscana. E in tra gli altri
-un cavaliere bresciano di grande età, amico
-e fedele alla casa de’ Visconti, biasimò l’impresa,
-dicendo semplicemente il vero, come aveva ricordo
-di lungo tempo, che qualunque signore avea
-impreso di far guerra al comune di Firenze n’era
-mal capitato, però per amore che aveva al suo signore
-non lodava l’impresa. Le parole del cavaliere
-furono rapportate all’arcivescovo; il tiranno inacerbito,
-non considerando la fede dell’antico
-cavaliere, seguitando l’impetuoso furore del suo
-animo, mandò per lui. E venuto nella sua presenza,
-il domandò s’egli aveva usate quelle parole.
-Il cavaliere disse, che dette l’avea per grande amore
-e fede ch’avea alla sua signoria, ricordandosi
-dell’imperadore Arrigo, e dell’impresa di
-messer Cane della Scala e degli altri che non erano
-bene capitati. Il tiranno infiammato nel suo disordinato
-appetito, di presente fece armare un suo
-conestibile con la sua masnada, e accomandogli il
-cavaliere, e disse il rimenasse in Brescia, e in su
-l’uscio della sua casa gli facesse tagliare la testa,
-<span class="pagenum" id="Page_257">[257]</span>
-e così fu fatto. Costui per la sua fede degno di
-premio e per l’utile consiglio ricevette pena, la
-quale soddisfece colla sua testa all’appetito del
-turbato tiranno.
-</p>
-
-<h3 id="cap52-2">CAP. LII.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini, e’ Perugini, e’ Sanesi mandarono
-ambasciadori a corte.</i></span></h3>
-
-<p>
-Stando le città di Toscana in gran tema di futura
-guerra, i comuni della lega di parte guelfa
-mandarono al papa e a’ cardinali solenne ambasciata,
-a inducere la Chiesa contro alla grande
-tirannia dell’arcivescovo di Milano per aggravare
-il processo che contro a lui si faceva, e procurare
-l’aiuto e il favore di santa Chiesa alla loro
-difesa. Gli ambasciadori furono ricevuti dal papa
-e da’ cardinali graziosamente. Ma innanzi
-che questi ambasciadori fossono a corte, l’arcivescovo
-v’avea mandati i suoi, per riconciliarsi
-colla Chiesa, e fare annullare il processo fatto
-contro a lui per l’impresa di Bologna, i quali
-ambasciadori erano forniti di molti danari contanti
-per spendere e donare largamente; e facendolo
-con molta larghezza aveano il favore del
-re di Francia, che faceva parlare per lui, e quello
-di molti cardinali, e de’ parenti del papa e della
-contessa di Torenna, per cui il papa si movea
-molto alle gran cose. E il papa medesimo avea
-già l’ingiuria fatta a santa Chiesa per l’arcivescovo
-della tolta di Bologna temperata, ed era
-disposto a prendere accordo coll’arcivescovo: e
-<span class="pagenum" id="Page_258">[258]</span>
-per questo fu molto più contento della venuta
-degli ambasciadori de’ tre comuni di Toscana,
-credendo fare l’accordo dell’arcivescovo di loro
-volontà; perocchè nel primo parlamento disse
-agli ambasciadori: eleggete delle tre cose che io vi
-proporrò l’una, quale più vi piace, o volete pace
-coll’arcivescovo, o volete lega colla Chiesa,
-o volete la venuta dell’imperadore in Italia per
-vostra difesa. L’offerte furono larghe per conchiudere
-alla pace che parea più abile e migliore. Gli
-ambasciadori savi e discreti di concordia rimisono
-la detta elezione nel papa, a fine di farlo più
-pensare nel fatto dandoli gravezza, dimostrando
-grande confidanza nella deliberazione. E così
-cominciata la cosa a praticare ebbono tempo e
-cagione gli ambasciadori d’avvisare i loro comuni,
-e in questo si soggiornò la maggior parte del
-verno senza uscirne alcun frutto. Lasceremo alquanto
-gli ambasciadori e ’l processo del papa, e
-torneremo agli altri fatti che occorsono in questo
-soggiorno, rendendo a catuno suo diritto.
-</p>
-
-<h3 id="cap53-2">CAP. LIII.
-<span class="smaller"><i>Come l’ammiraglio di Damasco fece novità
-a’ cristiani.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo tempo l’ammiraglio del soldano che
-reggeva la gran città di Damasco si pensò di
-trarre un gran tesoro da’ cristiani di Damasco per
-sua malizia, e una notte fece segretamente mettere
-fuoco in due parti della città, il quale fece in
-Damasco grave danno. Spento il fuoco, l’ammiraglio
-<span class="pagenum" id="Page_259">[259]</span>
-fece apporre che questo era stato avvistatamente
-messo pe’ cristiani, e richiese i più ricchi cristiani
-della città, che ve n’avea assai, e feceli martoriare,
-e per martorio confessarono che fatto l’aveano
-a fine di cacciare i saracini: e coloro che di questo
-pericolo vollono campare la vita gli dierono danari
-assai; e tanti furono coloro che si ricomperarono,
-che l’ammiraglio ne trasse gran tesoro: agli altri
-diede partito o che rinnegassono la fede di Cristo
-o che morissono in croce. Una gran parte di loro
-per corrotta fede rinnegò per campare; rimasonne
-ventidue, i quali diliberarono di morire in croce,
-innanzi che la perfetta fede di Cristo volessono
-rinnegare. E però il crudele ammiraglio li fece
-mettere in sulle croci, e ordinolli in suso i cammelli
-che li conducessono per la terra, e in questo
-tormento vivettono tre dì. Ed era menato il padre
-crocifisso innanzi al figliuolo, e il figliuolo
-innanzi al padre rinnegato; e i rinnegati con
-pianto e con preghiere pregavano i crocifissi che
-volessono campare la crudele morte e tornare alla
-fede di Maometto; ma i costanti fedeli, il padre
-spregiava il figliuolo rinnegato, dicendo che non
-era suo figliuolo, e il figliuolo il padre rinnegato,
-dicendo che non era suo padre, ma del nimico
-che ’l volea tentare e torli i beni di vita eterna:
-e molto biasimavano a’ rinnegati la loro incostanza
-per la paura della pena temporale, dicendo
-che a loro era diletto e gran grazia potere seguitare
-Cristo loro redentore. E così consumate le loro
-temporali vite in grave tormento e in grandissima
-costanza, nella veduta per tre dì de’ saracini
-e de’ cristiani, renderono l’anime a Dio.
-<span class="pagenum" id="Page_260">[260]</span>
-Il soldano sentì il movimento reo del suo ammiraglio,
-mandò incontanente per lui, e fecelo
-tagliare per mezzo.
-</p>
-
-<h3 id="cap54-2">CAP. LIV.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini disfeciono terre di
-Mugello.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo medesimo tempo, di verno, i Fiorentini
-mandarono certi loro cittadini per lo contado
-a provvedere le loro castella e terre, a fine di
-afforzare le parti deboli, e fornire le terre di ciò
-ch’alla difesa mancasse per averle guernite, sopravvenendo
-la guerra che s’aspettava del Biscione.
-Avvenne, come è usanza del nostro comune,
-acciocchè il buon consiglio non fosse senza difetto
-di singolare ovvero cittadinesco odio, che nel
-Mugello furono per loro fatte disfare alquante tenute
-forti e utili alla difesa di quello contado per
-modo, che dove state non vi fossono, era utile consiglio
-a porlevi di nuovo. E feciono abbattere Barberino,
-Latera, Gagliano e Marcoiano, ch’erano al
-Mugello mura contra i nimici di verso Montecarelli,
-e di Montevivagni e delle terre degli Ubaldini,
-ove in que’ tempi si faceva capo pe’ nimici
-a fare guerra al nostro comune, le quali tenute
-con piccola spesa d’afforzamento erano gran
-sicurtà a tutto il Mugello, per le cui rovine s’accrebbe
-campo a’ nimici senza contasto di più di sei
-miglia di nostro contado, il quale tutto s’abbandonò,
-a danno e vergogna del nostro comune. Riprensione
-comune ne seguitò a coloro che così
-<span class="pagenum" id="Page_261">[261]</span>
-mala provvisione feciono, altro gastigamento no,
-per la corrotta usanza del comune di Firenze di
-non punire le cose mal fatte, nè meritare le
-buone.
-</p>
-
-<h3 id="cap55-2">CAP. LV.
-<span class="smaller"><i>Come la Scarperia fu furata e racquistata.</i></span></h3>
-
-<p>
-Facendo il comune di Firenze con molta sollecitudine
-afforzare il castello della Scarperia di
-grandi fossi e di forti palancati, il tiranno e gli
-Ubaldini con ogni sottigliezza d’inganno tentavano
-di procacciare ridotto nel Mugello, e sopra
-tutto di levarsi l’onta della Scarperia, e continovo
-cercavano come la potessono furare: per la qual
-cosa corruppono più loro fedeli mandandoli per
-essere manovali, come se fossono Mugellesi, e alcuno
-maestro. E messi al lavorio del votare il
-fosso, del quale si portava la terra al palancato per
-alzare la parte dentro, costoro provvidono la via
-onde la terra si portava: e segretamente tra le
-due terre segarono alcuni legni del palancato, e
-dierono la posta agli Ubaldini: i quali di presente
-feciono scendere gente a cavallo e a piè a Montecarelli,
-e alla Sambuca, e a Pietramala, e nell’alpe
-e nel Podere, per dare diversi riguardi a’
-Fiorentini, e seppono come pochi dì innanzi i soldati
-che guardavano la Scarperia aveano fatto mischia
-co’ terrazzani, e mortine parecchi, onde tra’
-terrazzani e’ forestieri era sconfidanza grande. La
-notte che ordinata fu a questo servigio scesono
-dell’alpe e da Montecarelli nel piano di Mugello
-duemilacinquecento fanti, e quattro bandiere
-<span class="pagenum" id="Page_262">[262]</span>
-di cento cavalieri a guida degli Ubaldini. Costoro
-elessono dugentocinquanta i più pregiati briganti
-di tutta quella gente con dieci bandiere, e
-conestabili molto famosi d’arme, e lasciati gli altri
-fanti e cavalieri riposti ivi presso per loro soccorso,
-chetamente guidati per la via provveduta del fosso
-dalla parte di Sant’Agata, e senza esser sentiti,
-entrarono tutti nella Scarperia a dì 17 di gennaio
-del detto anno: e stretti insieme si condussono
-in su la piazza, gridando, muoiano i forestieri,
-e vivano i terrazzani. E in quella notte
-non avea nella Scarperia tra forestieri e terrazzani
-centocinquanta uomini d’arme, sicchè al tutto
-n’erano signori i nimici. Sentendo questo romore
-nella scurità della notte i soldati forestieri,
-credettono che i terrazzani li volessono offendere,
-e non ardivano d’uscire delle case, e i terrazzani
-temeano de’ soldati, pensando che fosse in su
-la piazza inganno, e non voleano uscire fuori, e così
-i nimici non aveano contasto; e dove Iddio per
-singolar grazia non avesse liberato quella terra,
-senza speranza di soccorso umano era perduta.
-Ma la volontà di Dio fu, che la grande potenza
-del tiranno non avesse quello ridotto a consumazione
-del nostro paese; onde a coloro ch’aveano
-presa la terra, e che aveano presso a un miglio
-tutta la loro gente tolse l’accorgimento, che
-non lasciassono guardia al passo ond’erano entrati,
-e non feciono il segno ordinato a quelli
-di fuori; e diede Iddio baldanza manifesta a
-que’ d’entro e accorgimento, perocchè per la vista
-scura i terrazzani conobbono all’insegne che coloro
-dalla piazza erano nemici: e incontanente assicurarono
-<span class="pagenum" id="Page_263">[263]</span>
-i conestabili de’ forestieri che v’erano, per
-paura che quella gente nè quelle grida non erano
-per loro fattura, ma de’ nimici ch’erano nella
-terra. Come i valenti masnadieri sentirono la verità
-del fatto, ragunati insieme meno di cinquanta
-tra terrazzani e forestieri, gridando alla morte
-alla morte, sì fedirono tra’ nimici, che lungamente
-erano stati ammassati in su la piazza, e nel primo
-assalto senza fare resistenza li ruppono, cacciandoli
-come se fossono stati altrettanti montoni; e
-senza attendere l’uno l’altro, affrettando d’uscire
-per lo luogo stretto ond’erano entrati, e’ cadeano
-nel fosso, e voltolavansi per quelle ripe.
-Que’ d’entro erano pochi, e però non ve ne poterono
-uccidere più di cinque, e dodici ne ritennono
-a prigioni, tra’ quali furono conestabili di pregio,
-che ’l signore avrebbe ricomperati molti danari,
-ma tutti furono impiccati. Que’ di fuori
-che attendeano il segno per entrare dentro sentendo
-la tornata in rotta, senza attendere il giorno
-chiaro, innanzi che la novella si spandesse
-per il Mugello, si ricolsono nell’alpe a salvamento;
-e così in una notte fu presa e liberata la
-Scarperia con dubbia e maravigliosa fortuna.
-</p>
-
-<h3 id="cap56-2">CAP. LVI.
-<span class="smaller"><i>Come messer Piero Sacconi cavalcò con mille
-barbute infino in su le porte di Perugia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Del mese di febbraio del detto anno, cresciuta
-gente d’arme a messer Piero Sacconi de’ Tarlati
-dall’arcivescovo di Milano, trovandosi baldanzoso
-<span class="pagenum" id="Page_264">[264]</span>
-per la presa del Borgo a san Sepolcro e delle terre
-vicine, e trovando i signori di Cortona ch’aveano
-rotta pace a’ Perugini, ed eransi collegati col Biscione,
-se n’andò a Cortona con mille cavalieri,
-e da’ Cortonesi ebbono il mercato e gente d’arme,
-con la quale cavalcò sopra il contado di Perugia,
-ardendo e predando le ville d’intorno al
-lago; e per forza presono Vagliano e arsonlo, e combatterono
-Castiglione del Lago e non lo poterono
-avere; e partiti di là se n’andarono fino presso
-a Perugia facendo grandissimi danni. E non
-essendo i Perugini in concio da potere riparare
-a’ nemici, fatta grande preda, senza contasto si
-ritornarono a Cortona sani e salvi, e di là al Borgo
-a san Sepolcro, onde partirono e venderono
-la loro preda. Per questa cagione grande sdegno
-presono i Perugini contro a’ signori di Cortona,
-ma la baldanza dell’arcivescovo gli aveva sì gonfiati
-di superbia, che non si curavano rompere
-pace nè fare ingiuria a’ loro vicini, per la qual
-cosa poco appresso ricevettono quello che aveano
-meritato per la loro follia, come ne’ suoi tempi
-racconteremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap57-2">CAP. LVII.
-<span class="smaller"><i>Come i Chiaravallesi di Todi vollono ribellare
-la terra e furono cacciati.</i></span></h3>
-
-<p>
-Questa sfrenata baldanza de’ ghibellini di Toscana
-e della Marca per la forza del Biscione facea
-gravi movimenti, tra’ quali, mentre che
-messer Piero Sacconi guastava e predava il contado
-<span class="pagenum" id="Page_265">[265]</span>
-di Perugia, i Chiaravallesi grandi cittadini
-di Todi, d’animo ghibellino, feciono venire il
-prefetto di Vico con trecento cavalieri subitamente
-per metterlo in Todi, e cacciarne i caporali guelfi
-che s’intendeano co’ Perugini; ed essendo il
-prefetto con la detta cavalleria già presso alla
-città di Todi, il popolo e’ guelfi scoperto il trattato
-de’ Chiaravallesi, di subito presono l’arme
-e corsono sopra i traditori: i quali essendosi più
-fidati alla venuta del prefetto che provveduti
-d’aiuto dentro all’assalto del popolo, non ebbono
-forza a ributtarlo, ma francamente sostennono
-la battaglia, consumando il rimanente del
-dì nella loro difensione. I Perugini che tosto sentirono
-la novella vi cavalcarono prestamente, sicchè
-la notte furono alla porta. Il popolo per metterli
-nella terra spezzarono una porta, che già
-non erano signori d’aprirla, ed entrati i Perugini
-in Todi, e fatto giorno, i Chiaravallesi furono costretti
-d’uscire della città co’ loro seguaci, e fuggendo
-trovarono assai di presso il prefetto colla
-sua gente che veniva a loro stanza, i quali co’ cacciati
-insieme vituperosamente si tornarono indietro,
-e la città rimase a più fermo stato di popolo
-e di parte guelfa col favore de’ Perugini in suo riposo.
-</p>
-
-<h3 id="cap58-2">CAP. LVIII.
-<span class="smaller"><i>Come que’ da Ricasoli rubellarono
-Vertine a’ Fiorentini.</i></span></h3>
-
-<p>
-Era in questi dì questione non piccola tra’ consorti
-della casa da Ricasoli per cagione della pieve
-<span class="pagenum" id="Page_266">[266]</span>
-di san Polo di Chianti, che essendo il piovano
-in decrepita età ammalato, temendo i figliuoli
-d’Arrigo e il Roba da Ricasoli, che per maggioranza
-dello stato messer Bindaccio da Ricasoli
-e’ figliuoli non occupassono la detta pieve,
-pervennono ad accuparla contro la riformagione
-del comune di Firenze, onde furono condannati
-nella persona a condizione; il Roba ubbidì,
-e fu prosciolto: i figliuoli d’Arrigo, avvegnachè
-restituissono al comune la possessione, non essendo
-loro attenuto quello che però fu loro promesso
-dal comune, rimasono in bando; e sdegnati di questa
-ingiuria, sapendo che molta roba de’ loro consorti
-era ridotta nel castello di Vertine, accolsono
-centocinquanta fanti masnadieri, ed entrarono
-nel castello, che non si guardava, e di presente
-l’afforzarono: e corsono per le villate d’attorno, e
-misono nel castello molta roba, e gli abituri e case
-de’ loro consorti arsono e guastarono. Il comune
-di Firenze vi feciono cavalcare il podestà con certe
-masnade di cavalieri e di pedoni, stimando che
-contro al comune non facessono resistenza: ma
-i giovani trovandosi in luogo forte e bene guerniti,
-e la forza del Biscione di presso, di cui
-il comune forte temeva, e favoreggiati da Giovanni
-d’Ottolino Bottoni de’ Salimbeni di Siena,
-pensarono di tenere il castello per forza, tanto
-che il comune di Firenze per riaverlo farebbono
-la loro volontà: e però si misono a ribellione. E
-alla loro follia aggiunse il tempo aiuto, che all’entrata
-di febbraio caddono nevi grandissime
-l’una dopo l’altra, che stettono sopra la terra oltre
-all’usato modo tutto il detto mese per tale maniera,
-<span class="pagenum" id="Page_267">[267]</span>
-che tale era a cavalcare il contado di Firenze
-come le più serrate alpi. Lasceremo Vertine
-tra le nevi nella sua ribellione, traendoci altra
-maggiore materia in prima a raccontare.
-</p>
-
-<h3 id="cap59-2">CAP. LIX.
-<span class="smaller"><i>Come i Veneziani e’ Catalani furono sconfitti
-in Romania da’ Genovesi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo in parte narrato lo sboglientamento
-delle guerre e delle seduzioni italiane, benchè ci
-partiamo del paese, ci accade a raccontare le marine
-battaglie che gl’Italiani medesimi feciono
-in Romania tra loro. Era l’armata de’ Genovesi
-di sessantaquattro galee presso a Pera sopra il
-passo di Turchia, e ivi stavano per riguardo che
-l’armata de’ Veneziani e Catalani non passassono
-in Costantinopoli, acciocchè non si aggiugnessono
-forza dall’imperadore ch’era in lega con loro. I
-Veneziani e’ Catalani avendo soggiornato gran parte
-del verno a Modone e Corone in Turchia, e riparate
-loro galee, si trovarono con sessantasette
-galee bene armate, e con aiuto di molti legni e
-barche armate di loro sudditi e di certi Turchi,
-avendo volontà d’essere a Costantinopoli, dove
-s’accrescerebbe la loro forza e per mare e per terra,
-senza attendere che il verno valicasse si misono
-a navicare verso Costantinopoli, a intenzione
-di combattere co’ Genovesi se impedire gli
-volessono. I Genovesi con le sessantaquattro galee
-armate, avendo per ammiraglio messer Paganino
-Doria, e stando solleciti alla guardia per
-<span class="pagenum" id="Page_268">[268]</span>
-attendere i loro nemici, mandarono a dì 7 di
-febbraio due galee a Gallipoli per avere lingua
-di loro nemici, e quel dì trovarono che l’armata
-de’ Veneziani e Catalani entravano all’isola
-de’ Principi. Come i Genovesi ebbono questa novella
-si mossono per andare loro incontro, e per forza
-d’impetuoso vento furono portati indietro al
-porto di san Dimitrum verso Peschiera, dove stettono
-fino al lunedì, a dì 13 di febbraio. E partiti
-di là con grande fatica, tornarono al passo di Turchia.
-In questo mezzo tornarono le due galee con
-festa ch’aveano seguita una galea de’ Veneziani e
-aveanla fatta dare in terra, e campati gli uomini,
-la galea aveano arsa e profondata; allora tutte le
-galee insieme si misono da capo per andare contro
-a’ nemici, e poco avanzato di mare per lo
-contrario tempo, scopersono alla uscita di Principi
-l’armata de’ Veneziani e Catalani che facevano
-la via verso Grecia con grosso mare e molto vento
-in poppa. I Catalani e’ Veneziani com’ebbono
-scoperti i loro nimici genovesi, si dirizzarono
-verso loro colle vele piene per combattere,
-conoscendo il vantaggio che aveano per l’aiuto
-del vento e del mare, e passare in Costantinopoli
-a loro contradio. I Genovesi veggendosi venire
-addosso i nimici con le vele piene si ristrinsono
-insieme sopra la Turchia, e ritennonsi da
-parte a modo d’una schiera, per cessare e lasciare
-passare l’impeto de’ nimici, temendo della
-percossa delle loro galee aiutate dalla forza del
-vento e del mare. E come le galee veneziane e
-catalane passando vennono al pari delle poppe
-delle galee de’ Genovesi, i Genovesi si sforzarono
-<span class="pagenum" id="Page_269">[269]</span>
-per ingegni e per forza d’arme traversarne
-e ritenerne alcuna, ma non ebbono podere, tanto
-era forte il corso di quelle. E così i Veneziani
-e’ Catalani con le loro galee e co’ loro navili armati
-valicarono a Valanca lasciandosi addietro
-l’armata de’ Genovesi, e aggiuntosi otto galee armate
-di gente greca dell’imperadore di Costantinopoli,
-si trovarono settantacinque galee e molti
-legni armati. Le sessantaquattro galee de’ Genovesi
-per lo traversare che aveano voluto fare,
-avendo i marosi e ’l vento contrario, erano scerrate
-e sparte, e vedendosi disordinati, e con gli
-avversari passati, intendeano a raccogliersi insieme
-senza seguire i nimici per riducersi nel porto
-di san Dimitrum. I Veneziani e’ Catalani che si
-trovarono valicati per forza, e accresciuta la loro
-potenza, vedendo che i Genovesi non veniano
-verso di loro, e ch’aveano le galee sparte e male
-ordinate a potere sostenere la battaglia, presono
-subitamente partito di tornare loro addosso sperando
-avere piena vittoria. E dato il segno a tutta
-l’oste, si dirizzarono per forza di remi, avendo
-il mare contradio, a venire sopra le galee
-de’ Genovesi, le quali non erano ancora potute
-raccogliersi insieme. Ma vedendo che tutto lo
-stuolo de’ Veneziani, e Catalani e Greci erano
-rivolti per venire loro addosso, catuna parte della
-loro armata, secondo che le galee genovesi si
-trovarono insieme, non potendosi ristrignere nè
-raccozzarsi al loro ammiraglio, come uomini di
-grande cuore e ardire s’ordinarono alla loro difesa,
-sempre avendo riguardo e dando opera d’accostarsi
-al loro capitano, ma la traversa del mare
-<span class="pagenum" id="Page_270">[270]</span>
-e la fortuna forte l’impediva. L’ammiraglio
-a tutte le galee che avea appresso di se fece trarre
-l’ancore, e ritrarsi alquanto fuori delle grosse
-maree, e dirizzossi contro a’ suoi nimici con la sua
-galea grossa e con sette altre che avea in sua
-compagnia; e date le prode contro a’ nimici, feciono
-testa. Il capitano delle galee veneziane e
-quello delle catalane, con seguito di gran parte
-della loro armata, si trassono innanzi, avendo
-contrario il mare, per assalire i loro nimici. I
-Genovesi vedendoli venire, mandarono loro incontro
-due delle loro galee sottili per assaggiarle
-con le loro balestra, e cominciare lo stormo a modo
-di badalucco. Il capitano de’ Catalani s’avanzò
-innanzi, e quello de’ Veneziani appresso, per
-investire la galea dell’ammiraglio de’ Genovesi,
-ma trovandole serrate e bene in concio, non le
-investirono, e non si afferrarono con loro, o per
-codardia, o per maestria di tramezzare l’altre galee
-de’ Genovesi innanzi che si raccogliessono al
-loro ammiraglio: ma dietro a loro tre grosse
-de’ Veneziani si misono a combattere la galea
-dell’ammiraglio di Genova, e l’altre galee contro
-quelle ch’erano in diverse parti del mare; e
-cominciata da ogni parte l’aspra battaglia tra
-l’una armata e l’altra, le due grosse de’ Veneziani
-si misono per proda e una per banda a
-combattere la sopra galea dell’ammiraglio de’ Genovesi.
-Quivi fu lunga e aspra e grande battaglia,
-perocchè d’ogni parte s’aggiunsono galee a quello
-stormo, e quivi furono molti fediti e morti da
-catuna parte; e valicato l’ora del vespero, per lo
-grande aiuto delle galee de’ Genovesi che soccorsono
-<span class="pagenum" id="Page_271">[271]</span>
-il loro ammiraglio, le tre de’ Veneziani
-che s’erano afferrate con quella rimasono
-sbarattate e prese; e l’altre galee de’ Veneziani
-e Catalani, ch’erano passate e divise tra l’ammiraglio
-e l’altre galee genovesi, combattendo in
-diverse parti cacciarono delle galee de’ Genovesi:
-in prima dieci galee, che per campare le persone
-diedono in terra verso sant’Agnolo, abbandonati
-i corpi delle galee a’ nimici, morti e perduti assai
-de’ compagni, il rimanente si fuggì a Pera; e
-dopo queste altre tre galee de’ Genovesi fuggendo
-innanzi a’ Veneziani feciono il simigliante, e
-abbandonati i corpi delle galee si fuggirono a Pera.
-I Veneziani e’ Catalani misono fuoco in quelle
-galee, e tutte le profondarono; e oltre a queste
-altre sei galee de’ Genovesi si fuggirono nel Mare
-maggiore per campare. Dall’altra parte i Genovesi
-combattendo per forza d’arme delle galee
-de’ Veneziani e Catalani e Greci in diversi abboccamenti,
-con grande uccisione di catuna parte,
-ne vinsono e presono assai: ma però non sapea
-l’uno dell’altro chi avesse il migliore. La tempesta
-del mare era grande, e non lasciava riconoscere
-nè raccogliere insieme alcuna delle parti.
-E avendo per questo modo disordinato e fortunoso
-combattuto fino alla notte senza sapere
-chi avesse vinto o perduto, l’uno residuo dell’armata
-e l’altro si ridussono a terra alle Colonne
-al porto di Sanfoca; e dividendoli la notte,
-dilungata l’una parte dall’altra il più che si
-potè, nel detto porto cercarono per quella notte
-alcuno sollevamento dalle fatiche agli affannati
-corpi.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_272">[272]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap60-2">CAP. LX.
-<span class="smaller"><i>Di quello medesimo.</i></span></h3>
-
-<p>
-La mattina vegnente, a dì 14 di febbraio, i
-Veneziani, Catalani e Greci che si conobbono
-essere maltrattati in quella battaglia da’ Genovesi,
-innanzi che ’l sole alzasse sopra la terra,
-per paura che i Genovesi, ravveduti del danno
-che aveano fatto loro, non li sorprendessono in
-quel luogo, si partirono, e andarsene a un porto
-che si chiama Trapenon, ch’è nella forza de’ Greci,
-ove poterono stare più sicuri. I Genovesi venuto
-il giorno, ricercarono la loro armata, e trovarono
-meno le tredici galee profondate, e le sei ch’erano
-andate fuggendo i nimici nel Mare maggiore:
-e della loro gente si trovarono molto scemati, tra
-morti e annegati e fuggiti. Dall’altra parte trovarono,
-che aveano prese quattordici galee de’ Veneziani,
-e dieci de’ Catalani e due de’ Greci, e allora
-conobbono che i nimici come rotti s’erano partiti
-e fuggiti a Trapenon. E trovandosi avere morti
-di loro nimici intorno di duemila, e presine milleottocento,
-ebbono certezza della loro poco allegra
-vittoria, e incontanente de’ loro prigioni fediti e
-magagnati lasciarono quattrocento, acciocchè non
-corrompessono la loro gente, e per fare alcuna misericordia
-della loro vittoria. Ma tanto fu il loro
-danno de’ morti e fediti, e d’avere perdute le loro
-galee, che della detta vittoria non poterono far
-festa. Questa battaglia non ebbe ordine nè modo,
-anzi fu avviluppata e sparta come la tempesta
-<span class="pagenum" id="Page_273">[273]</span>
-marina: e però com’ella fu varia e non potuta
-bene cernere nè vedere, non l’abbiamo potuta
-con più certo e chiaro ordine recitare.
-</p>
-
-<h3 id="cap61-2">CAP. LXI.
-<span class="smaller"><i>Come per le discordie de’ paesani la Sicilia
-era in grave stato.</i></span></h3>
-
-<p>
-Partendoci dalle battaglie fatte per gl’Italiani
-negli strani paesi, ci occorre l’intestino male
-dell’isola di Sicilia: la quale non avendo nemico
-strano, tanto mortalmente crebbe il furore
-delle loro parti, che senza alcuna misericordia,
-come salvatiche fiere, ovunque s’abboccavano
-s’uccidevano, per aguati, per tradimenti, e per
-furti di loro tenute continovo adoperavano il fuoco
-e il ferro, onde molti gentiluomini, e altre
-genti del paese perderono la materia delle paesane
-divisioni per le loro violenti morti; e ancora
-per questo tanto si disusarono i campi della cultura,
-tanto si consumarono i frutti ricolti, che
-l’isola per addietro fontana d’ogni vittuaglia,
-per inopia e per fame faceva le famiglie de’ suoi
-popoli in grande numero pellegrinare negli altri
-paesi. E per partirci un poco da tanta crudele infamia,
-la seguente ferina crudelezza, con vergogna
-degli uomini di quella lingua, sia per ora
-termine a questa materia. Un Catalano, il quale
-teneva una rocca nella Valle di... fece a’
-suoi compagni tenere trattato col conte di Ventimiglia,
-il quale avendo voglia d’avere quella
-rocca, con troppa baldanzosa fidanza sotto il trattato
-<span class="pagenum" id="Page_274">[274]</span>
-entrò nel castello con centoquattro compagni,
-benchè più ve ne credesse mettere: ma come
-con questi fu dentro, per l’ordine preso pe’ traditori
-furono chiuse le porti, e ’l conte e i compagni
-presi; e avendovi uomini i quali si volevano
-ricomperare grande moneta, ed erano da riserbare
-per i casi fortunevoli della guerra, tanto incrudelì
-l’animo feroce de’ Catalani, che senza arresto
-spogliati ignudi i miseri prigioni, e legati
-colle mani di dietro, l’uno dopo l’altro posto a’
-merli della maggiore torre della rocca, sopra uno
-dirupinato grandissimo furono dirupinati senza
-niuna misericordia, lacerando i miseri corpi con
-l’impeto della loro caduta a’ crudeli sassi. Il conte
-solo fu riserbato, non per movimento d’alcuna
-umanità, ma per cupidigia di avere per
-la sua testa alcuno suo castello vicino a’ crudi
-nemici. Chi crederebbe questa sevizia trovare
-tra’ fieri popoli delle barbare nazioni, la
-quale tra i cristiani, tra i consorti d’uno reame,
-tra i vicini passò le crudeltà de’ tigri, e la fierezza
-de’ più salvatichi animali che la terra produca?
-E perocchè trovare non si potrebbe maggiore, trapassiamo
-a un’altra di minore numero, ma forse
-non di minore infamia.
-</p>
-
-<h3 id="cap62-2">CAP. LXII.
-<span class="smaller"><i>Come fu in Firenze tagliate le teste a più
-de’ Guazzalotri di Prato.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo narrata la grande crudeltà de’ Catalani,
-un’altra sotto ombra di non vera scusa, non
-<span class="pagenum" id="Page_275">[275]</span>
-senza biasimo dell’abbandonata mansuetudine
-del nostro comune, ci s’offera a raccontare. I
-Guazzalotri di Prato, come è detto addietro, innanzi
-che il comune il comperasse, usando la tirannia
-di quello tirannescamente, ne furono abbattuti:
-per questo l’animo di Iacopo di Zarino
-caporale di quella casa era mal contento, avvegnachè
-assai onestamente sel comportasse. Avvenne
-che alquanti cittadini di Firenze, animosi
-di setta, calunniarono lui e alquanti cittadini
-di Firenze di trattato contro al comune, della
-qual cosa convenne che in giudicio si scusassono,
-e non trovandosi colpevoli, fu infamia a quella
-gente che quello aveano loro apposto, ed egli con
-gli altri infamati furono prosciolti. Avvenne appresso,
-o per fuggire il pericolo degl’infamatori,
-o per sdegno conceputo, andando per podestà a
-Ferrara, fu ritenuto dal tiranno di Bologna e poi
-lasciato, rimanendo per stadico il figliuolo; e tornato
-a Firenze, e preso sospetto di lui, fu confinato
-a Montepulciano: i quali confini, qual che si
-fosse la cagione, e’ non seppe comportare, e fece
-suo trattato col signore di Bologna per ritornare
-in Prato; per la qual cosa venne a Vaiano in
-Valdibisenzio, e fece richiedere de’ suoi amici,
-e da Siena vennono lettere al comune di Firenze
-di questo fatto: per le quali il nostro comune
-di presente vi mise gente d’arme alla guardia,
-per modo che non se ne potea dottare. Nondimeno
-i cittadini che reggevano allora il comune,
-animosi per setta, volendo aggravare l’infamia,
-in su la mezza notte feciono chiamare
-delle letta e armare i cittadini, e trarre fuori i
-<span class="pagenum" id="Page_276">[276]</span>
-gonfaloni, come se i nimici fossono alle porti, di
-che i reggenti ne furono forte biasimati. Nondimeno
-seguendo loro intendimento, aveano fatto
-venire da Prato tutti gli uomini di casa i Guazzalotri,
-i quali per numero furono sette; e incontanente,
-come uomini guelfi e innocenti, e che dell’imprese
-di Iacopo di Zarino erano ignoranti,
-vennono a Firenze: ed essendo tutti in su la porta
-del palagio de’ priori, un fante giunse il dì
-medesimo, che le guardie erano rinforzate in Prato,
-il quale disse loro da parte di Iacopo, com’egli
-intendea d’essere quella notte in Prato. Costoro
-di presente furono a’ signori e a’ loro collegi,
-e dissono quello che in quell’ora Iacopo avea
-loro mandato a dire, scusando la loro innocenza.
-I priori co’ loro collegi non dimostrando di loro
-alcuno sospetto, gli licenziarono per quel giorno:
-l’altra mattina gli feciono chiamare, e tutti senza
-sospetto andarono a’ signori, fuori d’un giovane,
-il quale quanto che non fosse colpevole, temette
-di venire in esaminazione; gli altri furono
-ritenuti, e messi nelle mani del capitano del popolo,
-uomo di poca virtù, e fatti pigliare certi
-Pratesi, e un Fiorentino de’ Galigai, e due fabbri
-di contado, tutti per gravi martori confessarono,
-come coloro che questo feciono fare vollono, e
-subitamente, improvviso agli altri cittadini, il detto
-capitano, del mese di marzo 1351, fece decapitare
-i nove, e i fabbri impiccare; la qual cosa fu
-tenuta crudele e ingiusta sentenza, e molto dispiacque
-a’ cittadini, perocchè manifesto fu che
-non erano colpevoli. Abbiamone detto steso per
-due cagioni, l’una per manifestare di quanto pericolo
-<span class="pagenum" id="Page_277">[277]</span>
-sono le sette cittadinesche, che i giusti spesso
-com’e’ colpevoli involgono in capitale sentenza;
-la seconda per dimostrare quanto a Dio dispiace
-quando si spande l’innocente sangue: che per
-quello che i Guazzalotri poco innanzi sparsero per
-tirannia nella loro terra, il loro per simigliante
-modo fu sparto nella città di Firenze.
-</p>
-
-<h3 id="cap63-2">CAP. LXIII.
-<span class="smaller"><i>Come il tiranno d’Orvieto fu morto.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo anno, del mese di marzo, essendo tiranno
-d’Orvieto Benedetto di messer Bonconte
-de’ Monaldeschi, il quale poco dinanzi aveva
-morti due suoi consorti per venire alla tirannia,
-e stando in quella per operazione de’ suoi consorti,
-da uno fante nel suo palagio fu morto. Per
-la morte di costui la città fu in grave divisione;
-ma coll’aiuto di gente e d’ambasciadori perugini
-s’acquetò alquanto il popolo con alcuno lieve e
-non fermo stato, perocchè tutta la terra era insanguinata
-per la divisione della casa de’ Monaldeschi,
-e avendo dentro poca concordia, e di fuori
-sparti per lo contado e distretto i cittadini cacciati,
-rimase lo stato dubbioso a potere sostenere;
-e per la cavalleria che l’arcivescovo di Milano
-aveva in Toscana e nella Marca, i comuni di parte
-guelfa poco consiglio vi misono, onde ne seguì
-la rivoltura che appresso seguendo nostro
-trattato nel suo tempo racconteremo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_278">[278]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap64-2">CAP. LXIV.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini assediarono Vertine.</i></span></h3>
-
-<p>
-Nel predetto mese di marzo i Fiorentini feciono
-porre l’oste al castello di Vertine, e strignerlo
-con due campi al trarre delle balestra, e rizzaronvi
-due mangani che tutto dì gittavano, abbattendo
-e guastando le case della terra. Nell’oste
-avea seicento cavalieri, e millecinquecento
-masnadieri di soldo, i quali deliberarono di combattere
-il castello e vincerlo per battaglia: ma
-avvenne mirabile cosa, che quasi pareva fatta
-per arte magica, che il tempo si corruppe all’acqua,
-che dì e notte non ristò infino alla
-Pasqua; e impedì tanto l’oste, che alla battaglia
-non si potè venire per niun modo, e quelli
-del castello ebbono agio di farlo più forte alla
-difesa; e per questa cagione, e perchè dentro avea
-franca masnada di buoni briganti, poco parea
-si curassono de’ Fiorentini, e minacciavano di
-darlo al Biscione; e così francamente il tennono
-in fino all’uscita d’aprile, come appresso diviseremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap65-2">CAP. LXV.
-<span class="smaller"><i>Come in corte fu fermata la pace dal re
-d’Ungheria a’ reali di Puglia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo per lungo tempo trattata in corte di
-Roma a Vignone la pace tra il re d’Ungheria e i
-<span class="pagenum" id="Page_279">[279]</span>
-reali del regno di Cicilia di qua dal Faro, papa
-Clemente essendo guarito della sua infermità,
-nella quale aveva avuta grave riprensione di coscienza,
-perchè aveva sostenuta la detta causa in
-contumacia, potendola acconciare, con singulare
-sollecitudine mise opera che la pace si facesse. Ed
-essendo il re d’Ungheria con un solo fratello re
-di Pollonia, senza avere altri consorti fuori de’ reali
-del regno di Cicilia, e già soddisfatto in parte
-non piccola della vendetta del fratello, agevolmente
-si dispose a volere la pace, gradendola al
-papa e a’ cardinali che con istanza ne pregavano,
-e però mandò a corte suoi ambasciadori con pieno
-mandato, informati di sua intenzione, lo eletto
-di cinque chiese, e un vescovo d’Ungheria, e
-Gulforte Tedesco fratello di messer Currado Lupo
-vicario nel Regno del detto re; e del mese di
-gennaio 1351, i detti ambasciadori in presenza
-del papa e de’ cardinali, come ordinato fu per lo
-detto papa, si fece la pace con gli ambasciadori
-del re Luigi e della reina Giovanna in nome di
-tutti i reali di quella casa. E per parte del re Luigi
-e della reina furono fatte l’obbliganze, per le
-quali, secondo che ’l papa e i cardinali aveano
-trattato, il re e la reina doveano dare e restituire
-al re d’Ungheria trecentomila fiorini d’oro in
-diversi termini, per sodisfacimento delle spese
-che il re d’Ungheria avea fatte in quell’impresa
-del Regno. E fatte le dette cautele e la detta
-pace, il papa per l’autorità sua e del consiglio
-de’ suoi cardinali per decreto confermò ogni cosa,
-confermando la pace, e consentendo all’obbligagione
-pecuniaria del reame. E fornito ogni
-<span class="pagenum" id="Page_280">[280]</span>
-cosa solennemente, innanzi che della casa si
-partissono le parti, gli ambasciadori del re d’Ungheria,
-improvviso a tutti, seguendo il mandato
-segreto che aveano dal loro signore, di grazia
-spontaneamente, per propria volontà del re d’Ungheria,
-finirono e quetarono al re, e alla reina,
-e a’ reali di Puglia, e al Regno, e alla Chiesa di
-Roma, di cui è il detto reame, i detti trecentomila
-fiorini d’oro, dicendo, come il loro signore
-non avea fatta quell’impresa per avarizia, ma
-per vendicare la morte del suo fratello. E incontanente
-si partì Gulforte, e tornò in Ungheria a
-fare assapere al re come fatto era quanto egli
-avea comandato, a grande grado e piacere di
-santa Chiesa. E i sopraddetti prelati andarono
-nel Regno a trarne gli Ungheri che v’erano
-salvamente, e a fare per comandamento del loro
-signore restituire al re Luigi e alla reina tutte
-le città, e terre e castella che la sua gente vi
-tenea. E fatto questo accordo, quale che si fosse
-la cagione, il re d’Ungheria non lasciò incontanente
-i reali ch’aveva prigioni in Ungheria,
-anzi gli tenne insino al settembre prossimo,
-come al suo tempo si dirà, occorrendoci altre
-cose che prima richieggono il debito alla nostra
-penna.
-</p>
-
-<h3 id="cap66-2">CAP. LXVI.
-<span class="smaller"><i>Come l’arcivescovo trattava pace colla Chiesa.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo tempo, del verno, l’arcivescovo di Milano
-continovo mantenea a corte solenni ambasciadori
-<span class="pagenum" id="Page_281">[281]</span>
-a procurare la sua riconciliazione con
-santa Chiesa, e a ciò movea il re di Francia con
-forza di grandi doni che gli faceva, e al continovo
-pregava per sue lettere il papa e’ cardinali che
-perdonassono all’arcivescovo, ed egli per essere
-più favoreggiato domandava pace. I parenti del
-papa e certi cardinali erano sì altamente provveduti,
-e sì spesso, che continovo pregavano per
-lui il papa, e la contessa di Torenna non finava,
-per la qual cosa il papa dimenticava l’onore e
-l’ingiurie di santa Chiesa. E non ostante che tenesse
-sospesi gli ambasciatori de’ comuni di Toscana
-delle cose che aveano proposto loro, gli ambasciadori
-continovo ricordavano in concistoro l’offese
-fatte per l’arcivescovo e pe’ suoi antecessori,
-e l’ingiurie e violenze che fatte avea, e continovo
-faceva a’ comuni di Toscana fedeli e divoti di
-santa Chiesa. Il papa non ostante ciò favoreggiava
-oltre al modo onesto la causa del tiranno, onde
-per alcuno cardinale ne fu cortesemente ripreso;
-a costui e agli altri cardinali che mostravano in
-concistoro di essere zelanti dell’onore di santa
-Chiesa, procedendo il tempo, coll’ingegno e coll’arte
-e co’ doni del tiranno furono racchiuse
-le bocche, e aperte le lingue in suo favore, sicchè
-ultimamente pervenne alla sua intenzione, come
-seguendo al suo tempo dimostreremo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_282">[282]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap67-2">CAP. LXVII.
-<span class="smaller"><i>Della gran fame ch’ebbono i barbari di
-Morocco.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avvenne in quest’anno nel reame di Morocco
-e nel reame della Bella Marina un’inopinata
-fame per sterilità del paese, la qual fame gittò
-gran carestia in Granata e nella Spagna, e stesesi
-per la Navarra, e appresso in Francia infino
-a Parigi: che per portare il grano a’ barbari, per
-disordinato guadagno che se ne facea, venne lo
-staio di libbre cinquanta di peso in Parigi in
-valuta di due fiorini d’oro, e per lo paese non
-molto meno. E i barbari saracini per sostentare
-la vita s’ordinarono continovo digiuno, il quale
-sodisfacevano con tre once di pane dato loro, e
-con un poco d’olio quanto teneva la palma della
-mano, nel quale intignevano il detto pane, e con
-questo mantenevano la loro vita: nondimeno gran
-quantità ne morirono di fame in quell’anno.
-</p>
-
-<h3 id="cap68-2">CAP. LXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come i rettori di Firenze cominciarono segretamente
-a trattare accordo con l’eletto
-imperadore.</i></span></h3>
-
-<p>
-Mentre che il comune di Firenze e di Siena aveano
-gli ambasciadori a corte di papa contro all’arcivescovo
-di Milano, avvedendosi che la Chiesa
-per le preghiere del re di Francia e d’altri baroni,
-<span class="pagenum" id="Page_283">[283]</span>
-e per la grande quantità di moneta che il tiranno
-spendea in corte, colla quale avea recato
-in suo favore tutta la corte, ed era per essere riconciliato
-e fatto assai maggiore che non era in
-prima, diffidandosi di non potere per loro resistere
-alla sua potenza, ordinarono molto segretamente
-di volere far muovere della Magna
-messer Carlo re de’ Romani eletto imperadore,
-e però mandarono e feciono venire d’Alemagna
-a Firenze segretamente un suo cancelliere
-con grande mandato: il quale fu collocato e stette
-tutto il verno racchiuso in san Lorenzo per modo,
-che i Fiorentini non sapeano chi si fosse, e di
-notte andavano a lui segretari del comune, i quali
-trattavano il modo della venuta del detto eletto,
-col favore e aiuto grande del detto comune,
-per abbattere la tirannia dell’arcivescovo: e in
-fine vennono col detto cancelliere a piena concordia,
-tanto che, nonostante l’antico odio del
-nome imperiale a’ detti comuni, fu loro lecito
-di piuvicare la detta concordia accetta a’ detti popoli,
-come a suo tempo racconteremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap69-2">CAP. LXIX.
-<span class="smaller"><i>Come la gente de’ Fiorentini che andavano a
-fornire Lozzole furono rotti dagli Ubaldini.</i></span></h3>
-
-<p>
-Entrando nel mese d’aprile 1352, essendo commesso
-per lo comune di Firenze al capitano del
-Mugello che fornisse Lozzole che i Fiorentini tenevano
-nel Podere, acciocchè più chiusamente si
-facesse, si mise a farlo con sì poca provvisione,
-<span class="pagenum" id="Page_284">[284]</span>
-che più dì innanzi fu palese agli Ubaldini la cavalcata
-che fare si doveva. I quali in que’ dì aveano
-colla gente dell’arcivescovo di Milano preso il
-Monte della Fine a’ confini di Romagna, il quale
-era stato accomandato, ma non difeso da’ Fiorentini.
-E avendo la gente apparecchiata, si misono
-in più aguati nell’alpe, ove stettono più
-dì aspettando la scorta de’ Fiorentini per fornire
-Lozzole. Il folle capitano di Mugello con quattrocento
-cavalieri e con pedoni del Mugello, non avendo
-prima presi i passi più forti dell’alpe, nè
-fatto provvedere se aguato vi fosse, si mise per la
-via del Rezzuolo con la salmeria e con la sua gente
-ad entrare nell’alpe, e lasciossi uno degli aguati
-de’ nimici addietro; quando ebbono valicato
-Rezzuolo furono assaliti da’ nimici dinanzi, e da
-lato e didietro per modo, che piccola difesa v’ebbe,
-altro che di fuggire chi potè. Rimasonvi
-morti cinquanta uomini tra a cavallo e a piede, e
-ottanta presi con tutta la salmeria; e di questo fallo
-non fu altra vendetta in Firenze, se non che
-chi fu morto o preso per la mala condotta s’ebbe
-il danno. Il capitano fu Rosso di Ricciardo
-de’ Ricci di Firenze.
-</p>
-
-<h3 id="cap70-2">CAP. LXX.
-<span class="smaller"><i>Come s’ebbe Vertine a patti e disfecesi la rocca.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo stato il castello di Vertine lungamente
-assediato e traboccato da’ dificii, e non volendosi
-arrendere, i Fiorentini diliberarono di farlo
-combattere: e a dì 20 d’Aprile, gli anni Domini
-1352, con molta baldanza e con poco ordine si
-<span class="pagenum" id="Page_285">[285]</span>
-strinsono al castello assalendolo da più parti; e
-in alcuno luogo furono infino al rompere delle
-mura, ma per non avere dificii da coprire, nè le
-scale che bisognavano a assalire, condotti alle mura,
-con danno e con vergogna, mortine alquanti, e fediti
-e magagnati assai degli assalitori, si ritrassono
-della battaglia, la quale aveano mantenuta tre
-ore del dì. L’assedio vi si fortificò, e strinsono il
-castello più di presso, e ordinavano di combatterlo
-con più ordine e con maggiore forza. Que’ d’entro
-vedendosi senza speranza di soccorso, per fuggire
-il pericolo della battaglia trattarono di rendere
-la terra, salve le persone e l’armi, e che potessono
-trarre tutto il grano che aveano nel castello
-di Vertine di que’ della casa da Ricasoli, infra
-quindici dì prossimi. Il trattato fu fermo, e il primo
-dì di Maggio del detto anno n’uscirono que’
-da Ricasoli con centocinquantotto masnadieri,
-molto bella gente d’arme; e il comune prese la
-terra, e incontanente fece abbattere due fortezze
-che v’erano a modo di rocche, l’una di que’
-da Ricasoli, e l’altra di que’ da Vertine, acciocchè
-più per quelle tenute non si potesse rubellare.
-</p>
-
-<h3 id="cap71-2">CAP. LXXI.
-<span class="smaller"><i>Esempio di cittadinesca varietà di fortuna.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo tempo avvenne una cosa notevole in
-Firenze, la quale per se non era degna di memoria,
-ma concedelesi luogo per esempio delle cose
-avvenire. Un giudice di legge di grande fama
-nella pratica de’ piati criminali e civili, di assai
-<span class="pagenum" id="Page_286">[286]</span>
-nuova progenie, e di piccolo stato ne’ suoi principii,
-venne per suo guadagno in ricchezza, e con
-prospera fortuna, il dì di calen di maggio del detto
-anno, dottorato un suo figliuolo e menata moglie,
-con dote di fiorini millecinquecento d’oro,
-e con eredità di patrimonio di fiorini tremilacinquecento
-d’oro in possessioni a lui pervenute, celebrò
-solenne festa in più dì in grande allegrezza.
-E verificandosi la parola detta per santo Gregorio
-sopra il Giobbe, il quale disse: <i>Praenuntia tribulationis
-est laetitia satietatis</i>: poco appresso avvenne,
-che essendo ingrati della non debita e sformata
-dote e successione ereditaria della detta donna,
-vollono alla madre della fanciulla per male ingegno
-della loro arte sottrarre altri certi beni, la
-quale turbata si difendea a ragione. I legisti ordinarono
-un piato tacito, e avendo avuta per altri
-fatti una procura dalla detta donna, si sforzarono,
-non avendo avversario, di venire alla sentenza.
-Ma come Iddio volle, la corte s’avvide del baratto;
-e scoperto l’inganno, il figliuolo fu condannato
-nel fuoco con un suo nipote; e il padre confidandosi
-di difendere a ragione si rappresentò in
-giudicio. Ed essendo per essere arso un suo nipote
-ch’avea nome Lotto del maestro Cambio de’ Salviati,
-uomo di buona condizione e amato da’ cittadini,
-accadde essere de’ priori di Firenze, il
-quale per onore della sua casa operò tanto, che fu
-condannato nel fuoco per falsità, a condizione, che
-se infra dieci dì non pagasse al comune lire quattromila,
-e stesse a Perugia un anno a’ confini; ed essendo
-già stato da dieci mesi a’ confini, tanto seppe
-adoperare con un altro podestà, che rivocò i suoi
-<span class="pagenum" id="Page_287">[287]</span>
-confini, e tornò a Firenze innanzi al tempo, e mostrossi
-palese più d’un mese. Volendosi fare cancellare
-del detto bando, e restituire alla matricola
-ov’era stato raso, e non trovandosi modo come
-di ragione fare si potesse, rimase in bando del
-fuoco per avere rotti i confini, i quali aveva poco
-tempo a ubbidire ed era libero. Costui fu il primo
-che mise in pratica nella nostra città di conducere
-i civili piati in criminali, e per quella medesima
-cagione fu infamato e condannato egli e ’l
-suo figliuolo; il quale poi dopo l’esilio di presso
-a otto anni morì in bando, avendo prima il padre
-ricomperato dal comune per grandi riformagioni
-il suo fallo d’avere rotti i confini lire milledugento.
-E dopo la morte del figliuolo la donna
-ritrasse della casa la dote e ’l patrimonio in grande
-abbassamento di quella famiglia, lasciando esempio
-a’ suoi cittadini, che come la scienza convertita
-in pratica di male suasioni, e le disordinate
-dote fanno gli uomini arricchire e montare in
-stato, così quelle medesime operazioni e dote
-spesso sono materia e cagioni di gravi ruine: questo
-ci scusi averne fatto qui la detta memoria.
-</p>
-
-<h3 id="cap72-2">CAP. LXXII.
-<span class="smaller"><i>Come un gran re de’ Tartari venne sopra
-il re di Proslavia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avvenne in quest’anno, che un re del lignaggio
-de’ Tartari, avendo avuta la sua gente briga
-col re di Proslavia infedele, avegnachè suddito al
-re d’Ungheria, e fatto danno l’una gente all’altra,
-<span class="pagenum" id="Page_288">[288]</span>
-il detto re de’ Tartari sentendosi di grande
-potenza, per prosunzione della sua grandezza,
-ovvero per trarre la gente del suo paese che aveano
-a quel tempo grandissima fame, uscì del suo
-reame con infinito numero di gente a piè e a cavallo,
-ed entrò nel regno de’ Proslavi. Il re
-de’ Proslavi colla sua gente si fece incontro a
-quella moltitudine per ritenerli a certe frontiere,
-tanto che avesse il soccorso dal re d’Ungheria,
-il quale di presente vi mandò quarantamila
-arceri a cavallo: e aggiuntosi colla gente del re
-de’ Proslavi, di presente commisono la battaglia
-co’ Tartari, de’ quali tanti n’uccisono, che la
-lena mancò agli uomini, e lo taglio alle spade,
-e le saette agli archi. Ma per la soprabbondante
-moltitudine de’ Tartari, non potendoli gli
-Ungheri e i Proslavi più tagliare, convenne ch’abbandonassono
-il campo, non senza grande danno
-della loro gente. I Tartari vinti rimasono vincitori:
-ma per disagio di vivande, e per la corruzione
-dell’aria, costretti prima a manicare de’ corpi
-morti, sentendo che per li due re si faceva
-apparecchiamento di ritornare in campo con
-maggiore e più potente esercito, per paura, e per
-lo gran difetto che i Tartari aveano di vittuaglia,
-si tornarono addietro in loro paese. Questa novella
-avemmo da più e diverse parti in Firenze del
-mese d’aprile 1352.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_289">[289]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap73-2">CAP. LXXIII.
-<span class="smaller"><i>Come in Orvieto ebbe mutamento e micidio.</i></span></h3>
-
-<p>
-Ritornando all’italiane tempeste, essendo rimasa
-la città d’Orvieto con grande dissensione
-tra’ cittadini dopo la morte di Benedetto di messer
-Bonconte loro tiranno, i cittadini da capo si
-cominciarono a insanguinare insieme, e uccidea
-l’uno l’altro nella città e di fuori, come s’uccidono
-le bestie al macello. Ed era sì corrotta la
-città ed il contado, che in niuna parte si poteva
-andare o stare sicuro, e i Perugini e gli altri comuni
-di Toscana erano sì oppressati dalla gente
-del Biscione, che appena poteano intendere alla
-loro difesa, sicchè de’ fatti d’Orvieto non si
-potevano intramettere come a quel tempo bisognava.
-Avvenne che Petruccio di Peppo Monaldeschi,
-come che d’animo e di nazione fosse
-guelfo, avendo rispetto a pigliare la tirannia d’Orvieto,
-per suo trattato fece venire a condotta
-degli Ubaldini a Cetona dugento cavalieri, e
-procacciò d’avere gente dal prefetto da Vico: e
-quando si vide il bello, avendo raunato nella terra
-assai fanti, levò il romore e corse la terra, e
-mise dentro i dugento cavalieri ch’avea in Cetona,
-e uccise Bonconte suo consorto, nipote di Benedetto,
-e più altri, e ridusse la città nella forza de’
-ghibellini, credendo poterla tiranneggiare per se;
-ma in fine, come al suo tempo racconteremo, la
-signoria rimase al prefetto da Vico e a parte ghibellina,
-tradita la patria e i consorti per singolare
-invidia de’ suoi congiunti.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_290">[290]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap74-2">CAP. LXXIV.
-<span class="smaller"><i>Come l’armata de’ Genovesi andò a Trapenon
-per danneggiare i nemici.</i></span></h3>
-
-<p>
-Dopo la battaglia fatta in Romania tra’ Genovesi,
-Veneziani e Catalani, avendo i Genovesi
-preso riposo per alcuno tempo, e ritornate le sei
-galee fuggite nel Mare maggiore, riconoscerono
-la loro amara vittoria, presono cuore dimenticando
-il danno loro per l’animosità ch’aveano
-contro a’ loro nemici ch’erano rifuggiti a Trapenon,
-e procacciarono aiuto da Pera, e mandarono
-per rinfrescamento di galee armate, strignendo
-che quante più ne potessono mandare armate il
-facessono senza indugio, a fine di disfare affatto
-l’armata de’ Veneziani e Catalani, avendo
-anche speranza di vincere Costantinopoli. E racconce
-le loro galee, e rifornite le ciurme e’ soprassaglienti
-se n’andarono a Trapenon, ove i Veneziani
-e’ Catalani s’erano rifuggiti; e assai volte tentarono
-d’assalirli, ma gli avversari aveano la forza
-della terra, e l’avvantaggio della guardia del
-porto, sicchè poco li curavano; e quando vidono
-un tempo al loro viaggio fatto e fermo, e che era
-contradio a’ loro nemici a poterli impedire, con
-trentotto galee racconce e rifornite si misono
-in mare, e atandosi con le vele e co’ remi, avendo
-il vento in poppa, a contradio de’ Genovesi
-valicarono in Candia: e giunti in Candia misono
-in terra, e disarmarono. E stando nell’isola, per
-la corruzione di loro fediti e de’ disagi sostenuti
-<span class="pagenum" id="Page_291">[291]</span>
-infermarono e corruppono molto la terra, e mandarono
-due loro galee per avere aiuto da Vinegia,
-le quali s’abbatterono in dieci galee ch’e’ Genovesi
-mandavano in aiuto alla loro armata, ma
-l’una per forza di remi campò, l’altra diede a
-terra, e abbandonato il corpo della galea salvarono
-le persone.
-</p>
-
-<h3 id="cap75-2">CAP. LXXV.
-<span class="smaller"><i>Come i Genovesi assediarono Costantinopoli.</i></span></h3>
-
-<p>
-L’armata de’ Genovesi non avendo potuto impedire
-l’armata de’ Veneziani e Catalani che
-non fossono passati all’isola di Negroponte, non
-attesono a seguirli, ma attesono ad assediare Costantinopoli
-per mare, e fermarono di fare ogni
-loro podere per abbattere l’aiuto che i Veneziani
-aveano dall’imperatore. E stando ivi, giunse in
-loro aiuto sessanta legni armati di Turchi, e le dieci
-galee che il comune di Genova avea mandate
-loro. Mega Domestico che allora governava l’imperio
-come tiranno, vedendo i Veneziani rotti e
-soperchiati in quella guerra da’ Genovesi, e che
-la loro forza cresceva, e sentendosi il vero imperatore,
-il quale s’avea fatto a genero, nemico, per
-non venire a peggio trattò pace co’ Genovesi, e
-fermossi la detta pace a dì 6 maggio del detto
-anno: e fu in patto, ch’e’ Veneziani del paese fossono
-salvi in avere e in persona, e che i Genovesi
-non dovessono pagare in Costantinopoli commercio,
-e che vi potessono fare porto, e andare e stare
-come amici: e che d’allora innanzi l’imperadore
-<span class="pagenum" id="Page_292">[292]</span>
-non dovesse ricettare i Veneziani nè i Catalani,
-nè dare loro alcuno aiuto. E ferma la pace, i Genovesi
-con tutta loro armata se ne vennono in
-Candia per vincere il paese; e volendo porre in
-terra, ebbono incontro i paesani con trecento cavalieri,
-e le ciurme delle galee, e contradissono la
-prima scesa. I Genovesi si provvidono di fare parate,
-e dietro a quelle misono i balestrieri, e messe
-le scale in terra, a contradio de’ nemici presono
-campo; e stando in terra trovarono il paese corrotto,
-e avvelenata l’aria e la terra dalla corruzione
-sparta dalle galee de’ Veneziani e Catalani,
-e anche tra loro avea de’ fediti e degl’infermi,
-e per questa cagione, e per i molti disagi sostenuti
-lungamente, pensarono che il soprastare era pestilenzioso
-e mortale, si ricolsono a galea, e misonsi
-in mare per tornarsi a Genova; e innanzi
-pervenissono alla patria più di mille cinquecento
-uomini morti gettarono in mare: e nondimeno
-lasciarono nel golfo di Vinegia dieci galee
-per danneggiare i Veneziani. E del mese d’agosto
-del detto anno con trentadue galee tornarono a
-Genova col loro ammiraglio, e con settecento
-prigioni veneziani, e con molta preda dell’acquisto
-fatto sopra i nemici e sopra le spoglie de’ Greci.
-Della qual vittoria, avvengnachè molto ne
-montasse in fama il comune di Genova, più tristizia
-che allegrezza, più pianto e dolore che
-festa tornò alla loro patria; e trovossi all’ultimo
-di questa maladetta guerra di queste armate, che
-tra morti in battaglia, e annegati in mare, e periti
-di pestilenza, tra l’una parte e l’altra vi
-morirono più d’ottomila Italiani in quell’anno.
-<span class="pagenum" id="Page_293">[293]</span>
-E questo avvenne solo per attizzamento d’invidia
-di pari stato di due popoli Genovesi e Veneziani,
-che catuno si volea tenere il maggiore.
-</p>
-
-<h3 id="cap76-2">CAP. LXXVI.
-<span class="smaller"><i>Concordia fatta dall’imperadore a’ comuni
-di Toscana.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornando al lungo trattato menato in Firenze
-per li Fiorentini e Perugini e Sanesi, molto segretamente
-con messer Arrigo proposto d’Esdria
-dell’ordine di certi frieri, vececancelliere di
-messer Carlo eletto imperadore re di Boemia e
-re de’ Romani, il quale con molto senno e gran
-diligenza avendo il mandato dal suo signore,
-e per mezzano tra lui e gli ambasciadori de’ sopraddetti
-comuni messer Ramondo l’uno degli
-usciti guelfi di Parma marchese di Soraga, capitano
-di guerra del comune di Firenze, scritte
-le convenenze e’ patti di concordia, si sostenne la
-piuvicazione di quelli per lo detto vececancelliere
-e per li detti comuni, tanto ch’ebbono la
-fermezza da corte come il papa avea riconciliato
-per sentenza l’arcivescovo di Milano, e fatto
-la concordia con lui, come nel principio del nostro
-terzo libro si potrà trovare; e questa concordia
-fu ferma del detto mese d’aprile del detto
-anno.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_294">[294]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap77-2">CAP. LXXVII.
-<span class="smaller"><i>Come si levò una compagnia nel Regno, e fu
-rotta dal re Luigi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avvenne non ostante che la pace fosse fatta tra
-il re d’Ungheria e i reali di Puglia, e deliberato
-fosse per lo papa la coronazione del re Luigi,
-per la baldanza che i soldati forestieri aveano
-presa nel Regno, uno Beltramo della Motta nipote
-di fra Moriale, che ancora teneva la città d’Aversa,
-fece raccolta di cavalieri di sua lingua, e di
-Tedeschi e d’Italiani ch’erano nel Regno senza
-soldo, ed ebbe quattrocento barbute e cinquecento
-masnadieri: e cominciò a correre per Terra
-di Lavoro, di consiglio e consentimento di
-Fra Moriale, secondo il suono, benchè secondo
-la vista dimostrava il contradio, e prendea i casali,
-e facea rimedire la gente, e molto conturbava
-il paese: e i baroni e’ cavalieri regnicoli
-che voleano venire a Napoli alla coronazione del
-re erano da costoro forte impediti, e i cammini
-erano rotti per loro, e spesso assaliti, e
-per soperchia baldanza s’erano ridotti a Cesa,
-tra la città d’Aversa e l’Acerra. E stando ivi,
-in gran vergogna del futuro re Luigi, il re infiammato
-di questa ingiuria, subitamente e improvviso
-a’ ladroni accolse de’ baroni ch’erano venuti
-a lui, e di Napoletani da mille cavalieri, e
-montò a cavallo in persona, e seguitato da’ suoi,
-a dì 28 d’aprile del detto anno occupò Beltramo
-della Motta e la sua compagnia, i quali per lo
-<span class="pagenum" id="Page_295">[295]</span>
-subito assalto non feciono retta, ma chi potè
-fuggire non attese il compagno: e così fuggendo
-molti ne furono morti e presi, che pochi
-ne camparono. Beltramo della Motta con venti
-compagni fuggì a Alife e campò. In Napoli furono
-giudicati a morte venticinque paesani ch’erano
-in quella compagnia, gli altri rimasono
-prigioni: e la detta compagnia fu al tutto consumata
-e spenta con onore del re Luigi, e
-con più lieta festa della sua coronazione, che appresso
-seguitò, come tosto diviseremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap78-2">CAP. LXXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Perugini guastarono intorno
-a Cortona.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo mese d’aprile del detto anno, i cavalieri
-dell’arcivescovo di Milano ch’erano stati
-lungamente al servigio del signore di Cortona
-all’Orsaia, si partirono di là, e lasciarono
-dugentocinquanta cavalieri. I Perugini aontati
-dell’ingiuria fatta loro da’ Cortonesi, di presente,
-avuto trecento cavalieri da’ Fiorentini, con settecento
-barbute e con gran popolo cavalcarono sopra
-Cortona, ardendo e guastando le case, e
-le vigne e’ campi, e tagliando gli alberi, aoperando
-il fuoco e il ferro, e guastarla intorno
-per molti giorni, senza potere i Cortonesi difendere
-in niuna parte, di fuori che dall’Orsaia a
-Cortona, per la guardia vi fecero i dugentocinquanta
-cavalieri del Biscione: ma senza arsione,
-così consumarono que’ cavalieri quella parte
-<span class="pagenum" id="Page_296">[296]</span>
-difendendo, come i Perugini l’altre parti per
-loro vendetta.
-</p>
-
-<h3 id="cap79-2">CAP. LXXIX.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini fornirono Lozzole.</i></span></h3>
-
-<p>
-I Fiorentini poco tempo innanzi per mala condotta
-rotti dagli Ubaldini nell’alpe, volendo
-fornire Lozzole, provvidono di fornirlo con più
-avviso e provvedenza; che senza fare apparecchiamento
-nel Mugello, avendo in Firenze
-cavalieri e pedoni, e la vittuaglia apparecchiata,
-senza alcuna vista mandarono improvviso
-agli Ubaldini, e feciono pigliare a buoni
-masnadieri i passi e i poggi dell’alpe. E presi
-i passi la notte, la mattina vi mandarono cento
-cavalieri, e quattrocento balestrieri eletti, e
-seicento buoni masnadieri di soldo e tutta la
-salmeria con loro, i quali andarono senza contasto.
-E furono sopra il battifolle degli Ubaldini,
-il quale era sopra Lozzole, innanzi che
-potessono avere soccorso; e vedendosi sorprendere
-alla gente de’ Fiorentini, abbandonaro la
-bastita e l’arme, e gittaronsi per le ripe per
-salvare le persone; i Fiorentini presono l’arme
-e la roba ch’era nella bastita, e aggiunsonla
-alla loro salmeria, e misono ogni cosa nel castello
-di Lozzole, e arsono il battifolle de’ nimici, e
-sani e salvi senza trovare contasto si tornarono a
-Firenze del mese di maggio del detto anno.
-</p>
-
-<hr class="silver">
-
-<div class="somm">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_297">[297]</span>
-</p>
-
-<h2><a id="indice" href="#indfront">
-TAVOLA</a>
-<span class="smaller">DEI CAPITOLI</span></h2>
-
-<table class="indice">
- <tr>
- <td><i>Prefazione.</i></td> <td class="pag"><a href="#prefazione">Pag. <span class="smcap lowercase">V</span></a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i>Qui comincia la Cronica di Matteo Villani, e prima il prologo, e primo libro.</i></td> <td class="pag"><a href="#prologo">1</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> I. Dell’inaudita mortalità</i></td> <td class="pag"><a href="#cap1-1">3</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> II. Quanto durava il tempo della moria in catuno paese</i></td> <td class="pag"><a href="#cap2-1">4</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> III. Della indulgenzia diede il papa per la detta pistolenza</i></td> <td class="pag"><a href="#cap3-1">9</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> IV. Come gli uomini furono peggiori che prima</i></td> <td class="pag"><a href="#cap4-1">10</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> V. Come si stimò dovizia, e seguì carestia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap5-1">11</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VI. Come nacque in Prato un fanciullo mostruoso</i></td> <td class="pag"><a href="#cap6-1">12</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VII. Come alla compagnia d’Orto san Michele fu lasciato gran tesoro</i></td> <td class="pag"><a href="#cap7-1">12</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VIII. Come in Firenze da prima si cominciò lo Studio</i></td> <td class="pag"><a href="#cap8-1">15</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> IX. Raggiugnimento di principi che furono cagione di grandi novitadi nel Regno</i></td> <td class="pag"><a href="#cap9-1">17</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> X. Come il re d’Ungheria fece ad Aversa uccidere il duca di Durazzo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap10-1">20</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XI. La cagione della morte del duca di Durazzo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap11-1">21</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XII. Come il re d’Ungheria entrò in Napoli</i></td> <td class="pag"><a href="#cap12-1">22</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><span class="pagenum" id="Page_298">[298]</span> <i><span class="smcap">Cap.</span> XIII. Come il re d’Ungheria vicitava il regno di Puglia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap13-1">23</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIV. Come il re d’Ungheria partitosi del Regno tornò in Ungheria</i></td> <td class="pag"><a href="#cap14-1">24</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XV. Novità del reame di Tunisi, e più rivolgimenti di quello</i></td> <td class="pag"><a href="#cap15-1">25</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVI. Come per la partita del re d’Ungheria del Regno i baroni e’ popoli si dolsono</i></td> <td class="pag"><a href="#cap16-1">26</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVII. Come si reggeva la sua gente nel Regno partito il re</i></td> <td class="pag"><a href="#cap17-1">27</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVIII. Come messer Luigi si fe’ titolare re al papa, e mandò nel Regno</i></td> <td class="pag"><a href="#cap18-1">28</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIX. Come il re e la reina ritornarono nel Regno</i></td> <td class="pag"><a href="#cap19-1">30</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XX. Come il re e la reina Giovanna entrarono in Napoli a gran festa</i></td> <td class="pag"><a href="#cap20-1">31</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXI. Come il re Luigi si fe’ fare cavaliere, e da cui</i></td> <td class="pag"><a href="#cap21-1">32</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXII. Brieve raccontamento di cose fatte per il re d’Inghilterra contra quello di Francia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap22-1">33</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIII. Come gli Ubaldini furo cominiciatori della guerra che il comune di Firenze ebbe con loro</i></td> <td class="pag"><a href="#cap23-1">36</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIV. Come i fedeli del conte Galeotto si rubellarono da lui e dieronsi al comune di Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap24-1">36</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXV. Come i Fiorentini feciono guerra agli Ubaldini, e presero Montegemmoli e loro castella</i></td> <td class="pag"><a href="#cap25-1">37</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVI. Come il re di Francia comperò il Delfinato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap26-1">40</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVII. La cagione perchè il re d’Araona tolse Maiolica al re</i></td> <td class="pag"><a href="#cap27-1">41</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVIII. Come il re di Maiolica vendè la sua parte di Mompelieri al re di Francia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap28-1">42</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIX. Come s’ordinò il generale perdono a Roma nel 1349</i></td> <td class="pag"><a href="#cap29-1">43</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXX. Come il re di Maiolica andò per racquistare l’isola e fuvvi morto</i></td> <td class="pag"><a href="#cap30-1">45</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXI. Come i baroni italiani e catalani per loro discordie guastarono l’isola di Cicilia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap31-1">46</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXII. Come il re Filippo di Francia e ’l figliuolo tolsono moglie</i></td> <td class="pag"><a href="#cap32-1">49</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_299">[299]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIII. Come il re di Francia fu ingannato del trattato di Calese con gran danno</i></td> <td class="pag"><a href="#cap33-1">51</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIV. Come messer Carlo eletto imperadore fu preso e morto di veleno</i></td> <td class="pag"><a href="#cap34-1">53</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXV. Come il re Luigi prese più castella</i></td> <td class="pag"><a href="#cap35-1">56</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVI. Come il re Luigi prese il conte d’Apici</i></td> <td class="pag"><a href="#cap36-1">57</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVII. Come il re Luigi Assediò Nocera</i></td> <td class="pag"><a href="#cap37-1">58</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVIII. Come Currado Lupo liberò Nocera</i></td> <td class="pag"><a href="#cap38-1">60</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIX. Come il re Luigi rifiutò la battaglia con Currado Lupo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap39-1">61</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XL. Della materia medesima</i></td> <td class="pag"><a href="#cap40-1">63</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLI. Come morì il re Alfonso di Castella</i></td> <td class="pag"><a href="#cap41-1">64</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLII. Come il doge Guernieri fu preso in Corneto dagli Ungheri</i></td> <td class="pag"><a href="#cap42-1">65</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIII. Come i Fiorentini presero Colle</i></td> <td class="pag"><a href="#cap43-1">67</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIV. Come i Fiorentini ebbono Sangimignano a tempo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap44-1">68</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLV. Di tremuoti furono in Italia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap45-1">70</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVI. Come sommerse Villacco in Alamagna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap46-1">71</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVII. De’ fatti del Regno</i></td> <td class="pag"><a href="#cap47-1">72</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVIII. Come la gente del re d’Ungheria sconfisse i baroni del Regno</i></td> <td class="pag"><a href="#cap48-1">74</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIX. Come i Napoletani ricomperarono la vendemmia da’ nimici</i></td> <td class="pag"><a href="#cap49-1">76</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> L. Come si fe’ triegua nel Regno</i></td> <td class="pag"><a href="#cap50-1">78</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LI. Di novità di barbari di Bella Marina</i></td> <td class="pag"><a href="#cap51-1">80</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LII. Come Balese tornando per lo suo reame contro al figliuolo ebbe grande fortuna, e poi fu avvelenato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap52-1">81</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIII. Come per lievi cagioni suscitò novità in Romagna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap53-1">83</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIV. Come messer Giovanni Manfredi rubellò Faenza alla Chiesa</i></td> <td class="pag"><a href="#cap54-1">86</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LV. Come il capitano di Forlì prese Brettinoro per assedio</i></td> <td class="pag"><a href="#cap55-1">89</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVI. Come i cristiani d’Europa cominciarono a venire al perdono</i></td> <td class="pag"><a href="#cap56-1">90</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVII. Perchè s’intramesse il dificio d’Orto san Michele</i></td> <td class="pag"><a href="#cap57-1">93</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_300">[300]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVIII. Come la Chiesa mandò il conte per racquistare la contea di Romagna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap58-1">95</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIX. Processo de’ traditori di Romagna, e di certi Provenzali</i></td> <td class="pag"><a href="#cap59-1">97</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LX. Come messer Giovanni de’ Peppoli cercò accordo dal conte a messer Giovanni</i></td> <td class="pag"><a href="#cap60-1">98</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXI. Come messer Giovanni de’ Peppoli andò nell’oste, e fu preso</i></td> <td class="pag"><a href="#cap61-1">99</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXII. Come il conte scoperse l’altro trattato che avea con messer Mastino</i></td> <td class="pag"><a href="#cap62-1">101</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIII. Come messer Iacopo Peppoli rimaso in Bologna si provvidde alla difesa</i></td> <td class="pag"><a href="#cap63-1">103</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIV. L’aiuto che messer Iacopo accolse per guardare Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap64-1">105</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXV. Del male stato che si condusse la città di Bologna, e di certi trattati che allora si tennono</i></td> <td class="pag"><a href="#cap65-1">106</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVI. Come i soldati mossono quistione al conte, e fu loro assegnato messer Giovanni Peppoli</i></td> <td class="pag"><a href="#cap66-1">108</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVII. Come messer Giovanni tenne suoi trattati della città di Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap67-1">109</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVIII. Secondo trattato di Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap68-1">112</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIX. Come l’arcivescovo di Milano mandò a prendere la possesione di Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap69-1">114</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXX. Come capitò il conte di Romagna e l’oste della Chiesa</i></td> <td class="pag"><a href="#cap70-1">115</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXI. Come i Guazzalotri di Prato cominciarono a scoprire loro tirannia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap71-1">118</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXII. Come i Fiorentini andarono a oste a Prato, ed ebbonne la signoria</i></td> <td class="pag"><a href="#cap72-1">120</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIII. Come i Fiorentini comperarono Prato, e recaronlo al loro contado</i></td> <td class="pag"><a href="#cap73-1">121</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIV. Come i guelfi forono cacciati dalla Città di Castello</i></td> <td class="pag"><a href="#cap74-1">123</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXV. Come morì il re Filippo di Francia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap75-1">124</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVI. Come la Chiesa rinnovò processo contra l’arcivescovo di Milano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap76-1">126</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVII. Come il tiranno di Milano si collegò con tutti i ghibellini d’Italia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap77-1">129</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_301">[301]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVIII. Come fu assediata Imola dal Biscione e altri</i></td> <td class="pag"><a href="#cap78-1">131</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i>Cap LXXIX. Come il capitano di Forlì tolse al conticino da Ghiaggiuolo e al conte Carlo da Doadola loro terre</i></td> <td class="pag"><a href="#cap79-1">133</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXX. Come nella città d’Orbivieto si cominciò materia di grande scandalo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap80-1">ivi</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXI. Come la città d’Agobbio venne a tirannia di Giovanni Gabbrielli</i></td> <td class="pag"><a href="#cap81-1">135</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXII. Come il comune di Perugia e il capitano del Patrimonio andarono a oste ad Agobbio</i></td> <td class="pag"><a href="#cap82-1">137</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIII. Come cominciò l’izza da’ Genovesi a’ Veneziani</i></td> <td class="pag"><a href="#cap83-1">139</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIV. Come quattordici galee di Veneziani presono in Romania nove de’ Genovesi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap84-1">141</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXV. Come i Genovesi di Pera presono Negroponte, e riebbono loro mercatanzia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap85-1">142</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVI. Come fu morto il patriarca d’Aquilea, e fattane vendetta</i></td> <td class="pag"><a href="#cap86-1">143</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVII. Come il legato del papa si partì del Regno, e il re riprese Aversa</i></td> <td class="pag"><a href="#cap87-1">145</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVIII. Come il re d’Ungheria ritornò in Puglia conquistando molte terre</i></td> <td class="pag"><a href="#cap88-1">146</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIX. Come i Genovesi ebbono Ventimiglia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap89-1">148</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XC. Come fu data l’ultima battaglia ad Aversa dal re d’Ungheria</i></td> <td class="pag"><a href="#cap90-1">150</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCI. Della materia medesima</i></td> <td class="pag"><a href="#cap91-1">151</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCII. Come il conte d’Avellino con dieci galee stette a Napoli, e Aversa s’arrendè al re</i></td> <td class="pag"><a href="#cap92-1">152</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCIII. Come il re d’Ungheria e il re Luigi vennono a certa tregua</i></td> <td class="pag"><a href="#cap93-1">154</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCIV. Come il conte d’Avellino diè al suo figliuolo per moglie la duchessa di Durazzo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap94-1">157</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCV. Della grande potenza dell’arcivescovo di Milano, e come i Fiorentini temeano di Pistoia, e quello che ne seguì</i></td> <td class="pag"><a href="#cap95-1">159</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCVI. Come certi rettori di Firenze vollono prendere Pistoia per inganno</i></td> <td class="pag"><a href="#cap96-1">161</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCVII. Come i Fiorentini assediarono Pistoia ed ebbonla a’ comandamenti loro</i></td> <td class="pag"><a href="#cap97-1">163</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_302">[302]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCVIII. Come il re d’Inghilterra sconfisse in mare gli Spagnuoli</i></td> <td class="pag"><a href="#cap98-1">167</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="center">LIBRO SECONDO</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> I. Prologo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap1-2">169</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> II. Come il comune di Firenze usava la pace coll’arcivescovo di Milano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap2-2">170</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> III. Come l’arcivescovo di Milano appuose tradimento e condannò messer Iacopo Peppoli</i></td> <td class="pag"><a href="#cap3-2">172</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> IV. Come l’arcivescovo fermò d’assalire improvviso la città di Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap4-2">173</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> V. Come si mise in ordine il consiglio preso</i></td> <td class="pag"><a href="#cap5-2">176</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VI. Come gli Ubaldini arsono Firenzuola, e presono Montecolloreto</i></td> <td class="pag"><a href="#cap6-2">177</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VII. Come gli Ubertini, e’ Tarlati, e i Pazzi assalirono il contado di Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap7-2">179</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VIII. Come i Fiorentini mandaro ambasciadori al capitano dell’oste</i></td> <td class="pag"><a href="#cap8-2">180</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> IX. Come l’oste si levò da Pistoia e puosesi a Campi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap9-2">182</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> X. Come l’oste ebbe gran difetti a Campi e a Calenzano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap10-2">184</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XI. Come i rettori di Firenze abbandonarono il passo di Valdimarina</i></td> <td class="pag"><a href="#cap11-2">187</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XII. Come l’oste del Biscione valicò il passo, e andò in Mugello</i></td> <td class="pag"><a href="#cap12-2">188</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIII. Come il conte di Montecarelli si rubellò a’ Fiorentini e venne al capitano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap13-2">190</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIV. Come si fornì la Scarperia e il Borgo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap14-2">191</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XV. Come l’oste assediò la Scarperia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap15-2">192</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVI. Come i Fiorentini afforzarono Spugnole</i></td> <td class="pag"><a href="#cap16-2">194</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVII. Come si difese Pulicciano di grave battaglia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap17-2">195</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVIII. Come i Tarlati, e i Pazzi di Valdarno e gli Ubertini vennono in sul contado di Firenze, e furonne cacciati per forza da’ Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap18-2">196</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIX. Come Bustaccio entrò e rendè la Badia a Agnano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap19-2">199</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_303">[303]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XX. Come l’arcivescovo tentò i Pisani di guerra contro a’ Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap20-2">200</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXI. Come l’oste deliberò combattere la Scarperia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap21-2">204</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXII. Come i Tarlati sconfissono i cavalieri de’ Perugini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap22-2">205</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIII. Come i Fiorentini procuraro di mettere gente nella Scarperia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap23-2">207</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIV. Come la reina Giovanna si fece scusare in corte di Roma</i></td> <td class="pag"><a href="#cap24-2">209</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXV. Come i Genovesi e i Veneziani ricominciarono guerra in mare</i></td> <td class="pag"><a href="#cap25-2">210</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVI. Come l’armata genovese andò a Negroponte e assediò Candia, e quello che ne seguì</i></td> <td class="pag"><a href="#cap26-2">212</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVII. Come i Veneziani feciono lega co’ Catalani, e di nuovo armarono cinquanta galee</i></td> <td class="pag"><a href="#cap27-2">213</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVIII. Come la imperatrice di Costantinopoli col figliuolo si fuggì in Salonicco</i></td> <td class="pag"><a href="#cap28-2">215</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIX. Come la Scarperia sostenne la prima battaglia dal Biscione</i></td> <td class="pag"><a href="#cap29-2">216</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXX. Come la Scarperia riparò alla cava de’ nimici</i></td> <td class="pag"><a href="#cap30-2">218</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXI. Del secondo assalto dato alla Scarperia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap31-2">220</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXII. Del terzo assalto dato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap32-2">221</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIII. La partita dell’oste dalla Scarperia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap33-2">224</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIV. Come l’armata de’ Genovesi si partì da Negroponte e andò a Salonicco</i></td> <td class="pag"><a href="#cap34-2">226</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXV. Come i Veneziani e’ Catalani s’accozzarono in Romania con l’altra armata</i></td> <td class="pag"><a href="#cap35-2">228</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVI. Come i Brandagli si vollono fare signori d’Arezzo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap36-2">229</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVII. Di quello medesimo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap37-2">231</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVIII. Come il re Luigi mandò il gran siniscalco ad accogliere gente in Romagna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap38-2">234</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIX. Come il re Luigi accolse i baroni del Regno e andò in Abruzzi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap39-2">236</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XL. Come il re Luigi sostenne gli Aquilani che pasquavano con lui</i></td> <td class="pag"><a href="#cap40-2">237</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLI. Come papa Clemente sesto fe’ la pace de’ due re</i></td> <td class="pag"><a href="#cap41-2">239</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_304">[304]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLII. Come messer Piero Saccone prese il Borgo a san Sepolcro</i></td> <td class="pag"><a href="#cap42-2">240</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIII. Come i Perugini arsono intorno al Borgo e sconfissono de’ nimici</i></td> <td class="pag"><a href="#cap43-2">243</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIV. D’una cometa ch’apparve in oriente</i></td> <td class="pag"><a href="#cap44-2">245</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLV. Come fu preso il castello della Badia de’ Perugini, e come si racquistò</i></td> <td class="pag"><a href="#cap45-2">246</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVI. Come i Fiorentini cercarono lega co’ comuni di Toscana, e accrebbono loro entrata</i></td> <td class="pag"><a href="#cap46-2">248</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVII. Come i Romani feciono rettore del popolo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap47-2">249</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVIII. Di una lettera fu trovata in concistoro di papa</i></td> <td class="pag"><a href="#cap48-2">252</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIX. Come il re d’Inghilterra essendo in tregua col re di Francia acquistò la contea di Guinisi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap49-2">253</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> L. Il piato fu in corte tra’ due re per la contea di Guinisi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap50-2">254</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LI. Come l’arcivescovo di Milano ragunò i suoi soldati per rifare guerra a’ Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap51-2">255</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LII. Come i Fiorentini, e’ Perugini, e’ Sanesi mandarono ambasciadori a corte</i></td> <td class="pag"><a href="#cap52-2">257</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIII. Come l’ammiraglio di Damasco fece novità a’ cristiani</i></td> <td class="pag"><a href="#cap53-2">258</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIV. Come i Fiorentini disfeciono terre di Mugello</i></td> <td class="pag"><a href="#cap54-2">260</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LV. Come la Scarperia fu furata e racquistata</i></td> <td class="pag"><a href="#cap55-2">261</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVI. Come messer Piero Sacconi cavalcò con mille barbute infino in su le porte di Perugia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap56-2">263</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVII. Come i Chiaravallesi di Todi vollono rubellare la terra e furono cacciati</i></td> <td class="pag"><a href="#cap57-2">264</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVIII. Come que’ da Ricasoli rubellarono Vertine a’ Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap58-2">265</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIX. Come i Veneziani e’ Catalani furono sconfitti in Romania da’ Genovesi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap59-2">267</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LX. Di quello medesimo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap60-2">272</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXI. Come per le discordie de’ paesani la Sicilia era in grave stato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap61-2">273</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXII. Come fu in Firenze tagliate le teste a più de’ Guazzalotri di Prato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap62-2">274</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_305">[305]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIII. Come il tiranno d’Orvieto fu morto</i></td> <td class="pag"><a href="#cap63-2">277</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIV. Come i Fiorentini assediarono Vertine</i></td> <td class="pag"><a href="#cap64-2">278</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXV. Come in corte fu fermata la pace dal re d’Ungheria a’ reali di Puglia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap65-2">278</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVI. Come l’arcivescovo trattava pace colla Chiesa</i></td> <td class="pag"><a href="#cap66-2">280</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVII. Della gran fame ch’ebbono i barbari di Marrocco</i></td> <td class="pag"><a href="#cap67-2">282</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVIII. Come i rettori di Firenze cominciarono segretamente a trattare accordo con l’eletto imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap68-2">282</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIX. Come la gente de’ Fiorentini che andavano a fornire Lozzole furono rotti dagli Ubaldini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap69-2">283</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXX. Come s’ebbe Vertine a patti e disfecesi la rocca</i></td> <td class="pag"><a href="#cap70-2">284</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXI. Esempio di cittadinesca varietà di fortuna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap71-2">285</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXII. Come un gran re de’ Tartari venne sopra il re di Proslavia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap72-2">287</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIII. Come in Orvieto ebbe mutamento e micidio</i></td> <td class="pag"><a href="#cap73-2">289</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIV. Come l’armata de’ Genovesi andò a Trapenon per danneggiare i nemici</i></td> <td class="pag"><a href="#cap74-2">290</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXV. Come i Genovesi assediarono Costantinopoli</i></td> <td class="pag"><a href="#cap75-2">291</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVI. Concordia fatta dall’imperadore a’ comuni di Toscana</i></td> <td class="pag"><a href="#cap76-2">293</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVII. Come si levò una compagnia nel Regno, e fu rotta dal re Luigi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap77-2">294</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVIII. Come i Perugini guastarono intorno a Cortona</i></td> <td class="pag"><a href="#cap78-2">295</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIX. Come i Fiorentini fornirono Lozzole</i></td> <td class="pag"><a href="#cap79-2">296</a></td>
- </tr>
-</table>
-<hr>
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<table class="errata">
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>ERRORI</td> <td>CORREZIONI</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="6">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="6" class="center">TOMO PRIMO</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="6">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>p.</td> <td class="num">7</td> <td>v.</td> <td class="num">28</td> <td>li ro (in alcuna copia)</td> <td>libro</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>—</td> <td class="num">11</td> <td>—</td> <td class="num">26</td> <td>volsono</td> <td>valsono</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>—</td> <td class="num">17</td> <td>—</td> <td class="num">2 e 10</td> <td>principi</td> <td>principii</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>—</td> <td class="num">20</td> <td>—</td> <td class="num">25</td> <td>traditore, del sangue tuo che farai?</td> <td>traditore del sangue tuo, che farai?</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>—</td> <td class="num">44</td> <td>—</td> <td class="num">13</td> <td>ch’ cardinali</td> <td>ch’e’ cardinali</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>—</td> <td class="num">100</td> <td>—</td> <td class="num">15</td> <td>o ch’gli</td> <td>o ch’egli</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>—</td> <td class="num">118</td> <td>—</td> <td class="num">14</td> <td>cominciorono</td> <td>cominciarono</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>—</td> <td class="num">123</td> <td>—</td> <td class="num">10</td> <td>in sopetto</td> <td>in sospetto</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>—</td> <td class="num">177</td> <td>—</td> <td class="num">2, e 3</td> <td>fanti. Alla venuta dell’oste messer Giovanni</td> <td>fanti alla venuta dell’oste, messer Giovanni</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>—</td> <td class="num">202</td> <td>—</td> <td class="num">12</td> <td>il destro</td> <td>il destro,</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>—</td> <td class="num">236</td> <td>—</td> <td class="num">7</td> <td>ch’fra</td> <td>che fra</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>—</td> <td class="num">259</td> <td>—</td> <td class="num">3</td> <td>che v’ n’avea</td> <td>che ve n’avea</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>—</td> <td class="num">268</td> <td>—</td> <td class="num">24</td> <td>o passare</td> <td>e passare</td>
- </tr>
-</table>
-<hr>
-</div>
-
-<div class="tnote">
-<p class="tntitle">
-Nota del Trascrittore
-</p>
-
-<p>
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione
-minimi errori tipografici. Le correzioni indicate in fine libro sono state riportate nel testo.
-</p>
-
-<p class="covernote">
-Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.
-</p>
-</div>
-
-<div lang='en' xml:lang='en'>
-<div style='display:block; margin-top:4em'>*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK <span lang='it' xml:lang='it'>CRONICA DI MATTEO VILLANI, VOL. I</span> ***</div>
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-</div>
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-Defect you cause.
-</div>
-
-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 2. Information about the Mission of Project Gutenberg&#8482;
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Project Gutenberg&#8482; is synonymous with the free distribution of
-electronic works in formats readable by the widest variety of
-computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It
-exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations
-from people in all walks of life.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Volunteers and financial support to provide volunteers with the
-assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg&#8482;&#8217;s
-goals and ensuring that the Project Gutenberg&#8482; collection will
-remain freely available for generations to come. In 2001, the Project
-Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure
-and permanent future for Project Gutenberg&#8482; and future
-generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary
-Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see
-Sections 3 and 4 and the Foundation information page at www.gutenberg.org.
-</div>
-
-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non-profit
-501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the
-state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal
-Revenue Service. The Foundation&#8217;s EIN or federal tax identification
-number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary
-Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by
-U.S. federal laws and your state&#8217;s laws.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-The Foundation&#8217;s business office is located at 809 North 1500 West,
-Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up
-to date contact information can be found at the Foundation&#8217;s website
-and official page at www.gutenberg.org/contact
-</div>
-
-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Project Gutenberg&#8482; depends upon and cannot survive without widespread
-public support and donations to carry out its mission of
-increasing the number of public domain and licensed works that can be
-freely distributed in machine-readable form accessible by the widest
-array of equipment including outdated equipment. Many small donations
-($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt
-status with the IRS.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-The Foundation is committed to complying with the laws regulating
-charities and charitable donations in all 50 states of the United
-States. Compliance requirements are not uniform and it takes a
-considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up
-with these requirements. We do not solicit donations in locations
-where we have not received written confirmation of compliance. To SEND
-DONATIONS or determine the status of compliance for any particular state
-visit <a href="https://www.gutenberg.org/donate/">www.gutenberg.org/donate</a>.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-While we cannot and do not solicit contributions from states where we
-have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition
-against accepting unsolicited donations from donors in such states who
-approach us with offers to donate.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-International donations are gratefully accepted, but we cannot make
-any statements concerning tax treatment of donations received from
-outside the United States. U.S. laws alone swamp our small staff.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Please check the Project Gutenberg web pages for current donation
-methods and addresses. Donations are accepted in a number of other
-ways including checks, online payments and credit card donations. To
-donate, please visit: www.gutenberg.org/donate
-</div>
-
-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 5. General Information About Project Gutenberg&#8482; electronic works
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Professor Michael S. Hart was the originator of the Project
-Gutenberg&#8482; concept of a library of electronic works that could be
-freely shared with anyone. For forty years, he produced and
-distributed Project Gutenberg&#8482; eBooks with only a loose network of
-volunteer support.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Project Gutenberg&#8482; eBooks are often created from several printed
-editions, all of which are confirmed as not protected by copyright in
-the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not
-necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper
-edition.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Most people start at our website which has the main PG search
-facility: <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-This website includes information about Project Gutenberg&#8482;,
-including how to make donations to the Project Gutenberg Literary
-Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to
-subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks.
-</div>
-
-</div>
-</div>
-</body>
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