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+
+*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK 76652 ***
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+
+ C. AUGUSTO VECCHJ.
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+
+ POMPEI.
+
+
+ SECONDA EDIZIONE,
+ RIVEDUTA E AMPLIATA DALL’AUTORE.
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+
+ FIRENZE.
+ SUCCESSORI LE MONNIER.
+ 1868.
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+ Proprietà letteraria.
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+ [Illustrazione: DIS MANIBUS POMPEIANORUM]
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+DUE PAROLE SU QUESTA SECONDA EDIZIONE.
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+
+È nel mondo una nobile e poetica scienza, la quale risveglia i morti
+— strappa dalle loro ossa i secolari lenzuoli — gli aiuta ad escir
+dai sepolcri — e, rimpolpati e rifatti, gli veste graziosamente dei
+loro pepli, delle loro tuniche, delle loro stole, delle loro clamidi
+leggere. Nè ancor paga, cotesta fata benefica raccoglie nel vasto
+carnaio una infinità di oggetti svariati e belli, coperti dalla polvere
+dell’obblio, e gli restituisce a quelli che un giorno li maneggiarono.
+Quindi, sorretta dal suo fine criterio e dai consigli di una illustre
+sorella, rifà vivi uomini e cose dinanzi alla riscossa e curiosa
+fantasia.
+
+Le due parenti — l’Archeologia e la Storia — a me soccorsero nell’arduo
+tentativo di questo nuovo genere di letteratura italiana che per la
+seconda volta offro ai lettori. Le iscrizioni graffite e i ruderi
+eloquenti operarono il resto.
+
+Le varie epoche dei racconti sono istoriche. Istorici i nomi di quei
+che parlano e agiscono, possibilmente e quasi sempre collocati sulla
+scena che loro fu propria. Molte frasi ch’escono da quelle bocche le
+deciferai sulle pareti, mute per dieciotto secoli.
+
+Ho abitato, dì e notte, per cinque mesi continovi la città dei morti.
+Ed i morti risposero alle mie premurose e studiate evocazioni.
+
+Al pari degli antichi artisti di sangue pelasgo-italiota non lavorai
+pei ricchi o per piacere ai potenti, sì, pel Dio unico, per la Libertà,
+per la Patria.
+
+ _Di Pompei, ai 25 marzo 1865_
+
+ C. AUG. VECCHJ.
+
+
+
+
+I TEMPLI.
+
+SCENE RELIGIOSE IN POMPEI.
+
+=Anni di Roma 673 — Anni avanti il Cristo 81.=
+
+
+ AL MINISTRO DEI CULTI IN ITALIA
+
+ GIUSEPPE PISANELLI.
+
+ I.
+
+
+La notte volge alla metà del suo corso. Erano gli ultimi giorni di
+febbraio. Soffiava lo scirocco, uno di quei venti caldi ed umidi che
+sopraccaricano il corpo di fatica e l’anima di eccitazione. — Sul
+firmamento non una stella. — Al basso udivasi il fragore monotono e
+cupo che fa il mare agitato rompendosi con impeto sugli scogli e sui
+ciottoli rotondati. Anche la terra sembrava sprofondata nella tristezza
+temporanea di quelle regioni scosse e rimbalzanti sovente dai gassi
+sotterranei dell’igne eterno. — Genti meno preoccupate di quelle cui
+si parava dinanzi un simile quadro non avrebbero potuto non esserne
+impensierite.
+
+Due uomini camminavano l’uno accanto dell’altro. Non parlavano. Esciti
+dalla porta occidentale che menava ad Herculanum, costeggiarono le
+mura a dritta sulla via per cui si andava a Sarnus, senza traversare
+Pompei. E non le lasciarono che nello avviarsi per una strada male
+incassata che menava sulla collina. In una rivolta, uno di essi battè
+il ferro sur un pezzo di silice, bruciò un poco di amianto inzolfato
+sull’esca ed accese una lanterna di bronzo senza coperchio. Egli era
+vestito di una trabea di porpora con fasce di scarlatto. — I capelli
+già grigi lasciavano scoperta la sua energica fronte, illuminata da un
+occhio solo. Ma quell’unico, e le labbra sottili, e il naso aquilino,
+e la fredda impassibilità del viso accentuato, facevano chiara, in un
+destro osservatore, la furberia della mente e la impudenza del cuore.
+— L’altro era un uomo in sui cinquant’anni: di quegli esseri dalle
+gote infossate e di colore olivastro, dallo sguardo ora spento, ora
+eccitato, a seconda della passione unica che or desta consolazioni,
+ora dubbi, ora timori. Aveva sul capo un piccolo berretto di lana
+bianca, ed uno scuro mantello coprivagli la persona. Poco sensibile
+al disonore e alla infamia, tutti i mezzi gli erano sembrati onesti
+per formarsi un peculio e riscattare la sua libertà: prostituzione,
+ladronecci, complicità alle abbominazioni del padrone, usure. Egli
+chiamavasi Pothus. — Ma siccome era stato schiavo di M. Plazio,
+rimase pur schiavo dell’uso, che voleva il nome dello antico padrone
+precedesse il suo proprio. Laonde nel sigillo con cui marcava ogni sua
+cosa era scritto: PLATIUS POTHVS. — Esercitava la mercatura. Vendeva
+stoffe che faceva venire di Taranto e dall’Oriente. Egli riceveva merci
+dalle città commercianti della Campania, e specialmente da Nola, da
+Acerra e da Nocera, e le spediva lontano. — Ora a lui premeva, pria di
+spedire un grosso carico in Egitto, saperne la fortuna, interrogandone
+un aruspice. Erasi pertanto indirizzato a Taranis, e questi gli aveva
+indicato l’ora ed il luogo nel _pomærium_, sopra un posto elevato, per
+cercare gli auspicii.
+
+Cotesta geldra d’impostori non apparteneva a nessun collegio dei
+sacerdoti latini, nè ad alcuna gerarchia religiosa. La impudenza gli
+aveva cacciati innanzi. La stupidezza gli aveva accolti. Lo interesse
+pauroso li carezzava. — Essi avevano doppie funzioni: predicevano
+lo avvenire studiando gli avvenimenti anteriori od i fenomeni, o ne
+chiedevano la rivelazione alle viscere delle vittime. Oltre a ciò
+spandevano nel volgo le novelle più strane ed incredibili... e forse
+per ciò credute. Furono gli aruspici che inventarono i sacrifizi
+umani — e la frottola delle pioggie di latte, di sangue e di mattoni
+cotti — e le statue degli Dei che sudavano — e le lagrime sgorgate
+dagli occhi di Vesta — e le case cangianti di posto — e un lupo che
+sguaina una daga — e un bue che parla — e i galli divenuti galline
+e le galline galli — e il cielo macchiato di sangue — e la luna
+triplice nel firmamento — e il sole apparso di notte — e le torce
+ardenti traversanti lo spazio — ed altre fandonie da mercato a queste
+simiglianti. — Essi venivano dall’Etruria ed erano ricerchi come quelli
+che sapevano l’arte della osservazione, della interpretazione e della
+congiurazione.
+
+E il popolo li pagava e li teneva grassi e gaudenti. — Ma quando
+incontravansi e si narravano a vicenda le cose occorse e la bestialità
+del popolo che credeva alle loro menzogne, e la doppiezza dei
+magistrati che fingevano di prestar fede alle loro predizioni, e la
+ipocrisia dei generali che facevan loro sparare i polli per sapere pria
+di rompere sull’inimico le sorti della battaglia, e’ si sbellicavano
+dalle risa e scherzavano sull’Olimpo che essi ed i sacerdoti di ogni
+culto avevano popolato colle incarnazioni di tutti i bisogni della
+terra, e propiziavano alla umana paura che non si stancherebbe mai di
+offerire il grosso contingente alla malizia degl’impostori — cangino
+pur essi il nome col succedersi dei secoli.
+
+I due erano giunti là dove volevano. Sotto i loro piedi posava il
+sobborgo Felice colla doppia fila di sepolcreti. — Taranis fece sedere
+lo affrancato sopra una pietra colla faccia rivolta al mare — cioè
+a mezzodì — ed egli rimase in piedi a sinistra colla testa coperta.
+L’impostore diresse una preghiera agli dei che insultava cogli atti, si
+girò verso l’Oriente e col _lituus_ — piccolo bastone senza nodi, dalla
+punta ricurva — divise il cielo in diverse regioni — che addimandavansi
+_templa_ nel gergo di quei ghiottoni — e fissò un punto lontano dove
+l’occhio giungeva. — Quindi, passato il bastone augurale nella mano
+manca, posò la destra sul capo del liberto di Plazio, sempre velato. —
+E,
+
+— _Jupiter pater, si est fas_, se il destino permette che cotesto
+Plazio Pothus, di cui tocco la testa, abbia fortuna nel commercio che
+imprende, invia a noi segni certi della tua volontà _inter eos fines
+quos feci_, nei templi che ho tracciato nell’orizzonte. —
+
+Nel firmamento alcun segno. — Lo scirocco aveva annuvolato il cielo, e
+perciò nessuna stella brillava per poter dire a quel gianfrullone nello
+scoprirgli gli occhi:
+
+— Guarda! In quell’astro sta il lieto destino che il padre della natura
+ti annuncia per mezzo del suo umile servo. —
+
+Ambidue stettero alcun tempo nella più completa immobilità. Quindi
+l’aruspice brontolò, crollando il capo:
+
+— Nulla!... Almeno avessimo portato gli _oscines_ od i _præpetes_, gli
+uccelli che dicono col volo, col becco o col canto. A domani..... o, se
+vuoi, ora, in tua casa.
+
+— Andiamo —
+
+ripetè l’altro, levandosi e gittando un grosso sospiro:
+
+— E sapremo dai polli quello che il sommo Giove non volle
+annunciarci. —
+
+Discesero. — Passarono a fianco di una tomba isolata; e,
+
+— Sono Taranis, di Volaterra, in Etruria. —
+
+E mostrò il lituo al soldato che, escito dalla _ædicula_ a diritta
+presso la porta della città, veniva loro incontro per sapere chi
+fossero.
+
+Entrati nella via Domizia, si fermarono in faccia alla cisterna
+pubblica, destinata a supplire alle fontane quando per soverchio di
+siccità l’acqua mancasse.
+
+E salito l’opposto margine, entrarono nella casa, costruita sulle
+antiche mura e declinantesi per via di terrazzi sino al mare.
+Traversarono l’atrio, discesero una scala, ed eccoli in una stanza
+inferiore illuminata da due lampade di bronzo. Uno schiavo vegliante
+aveva ricevuto un ordine. — La voce stridente dei polli, sorpresi nel
+sonno, chiarì quale ei si fosse. — La gabbia fu posata sul mosaico. Il
+prete etrusco le pose dinanzi l’_offa pultis_, sminuzzando la pasta
+nella mangiatoia. Da principio i gallinacei parea rifiutassero la
+offerta. — Erano impauriti, agitati e guardavano i lumi. Ma quando si
+avvidero del perchè erano stati svegliati, si gettarono furiosi su quei
+pezzi di carne, di farina e di cacio, facendo tripudio.
+
+— _Pascuntur_. — Lieto augurio. — _Tripudium solistimum_. Le ali si
+aprono con giubilo. Tu ottenesti lieto presagio..... Ma se tu vuoi
+l’_animalis hostia_, io son pronto a leggere la predizione sulla
+vittima immolata. — Consenti a pagare la offerta agli Dei? —
+
+L’altro estrasse dal seno una borsa di pelle e l’aperse. E l’aruspice
+— che dalla fisonomia, dalle parole e dagli atti potrebbe facilmente
+parere un nostro contemporaneo — gittatovi sopra l’avido sguardo e la
+mano, contò.
+
+— Cinquanta.... centoventi e cinque — cento venticinque danari
+— _Medium sestertium_. — Sta bene. — Gli è quel che ci vuole per
+allontanare il _prodigium_, cioè lo avvenimento sinistro. —
+
+E tratto un coltello vittimario, tolse la vita ad un pollo e lo sparò.
+Strappò dal corpo il cuor palpitante, il fegato, il polmone ed il
+fiele; e postili sulla tavola, disse:
+
+— Ecco dinanzi ai tuoi occhi _pars inimici et pars familiaris_ —
+quella che concerne coloro che possono contrariare i tuoi commerci e
+quella che te risguarda.... — Oh! il fegato ha due lobi. — È eccellente
+presagio. — Anzi, vedi, si ripiega in dentro a partire dal basso della
+fibra. Ciò vuol dinotare grandezza e felicità. — Il cuore spande sangue
+vermiglio. Il grasso è sulla punta dei visceri — Le vene, nè livide, nè
+tese. — Fa partire le navi; chè i venti lor saranno propizi. —
+
+Pothus a quei nunci rideva convulsivamente e stringeva i pugni quasi vi
+avesse afferrato i grossi lucri predetti da quell’impostore. Il quale,
+tracannato d’un fiato un grosso calice di _merum vetus_ che il mercante
+volle mescergli da una piccola anfora, strinse la mano al gaglioffo, e,
+salito al piano superiore, partì.
+
+I sacerdoti non mai satolli, collo esagerare il sentimento religioso
+— che è uno istinto della umanità — o collo intenderlo malamente,
+spinsero i timorati a passar la giornata in preghiere ed in sacrifici
+per ottenere che i loro figliuoli loro sopravvivessero — _superstites
+essent_. — Onde questi furono chiamati superstiziosi; e quelli
+decaddero prima dalla stima dei filosofi e poi dalla credulità del
+popolo che leggeva nei loro vizi la inutile loro missione, nelle
+loro parole la mala fede, nei loro atti il mendacio. Da principio
+la vittima offerta era intera bruciata sull’ara del nume; ed il
+mele ed i vini squisiti crepitavano sulle brage. — Ma i ghiottoni e
+gli avari cominciarono a farsi casuisti. E pensarono che — gl’Iddii
+respirando solamente l’odore delle vittime — bastava farne rosolar
+dalle fiamme la testa ed i piedi — _pars Deorum_ — e serbare le parti
+delicate e carnose al festino dei loro triclini, le quali chiamarono
+_polluctum_ dal verbo _pollucere_ che significa consacrare. Più tardi
+— incoraggiati dalla stupidezza degli uomini che guardavano e non
+vedevano — propagarono la novella, aver ottenuto da Giove che la parte
+degli Dei sarebbero le ossa. E le carni devolute ai sacerdoti. — E
+quando erano esuberanti, le mandarono ai questori del tesoro che le
+facevano vendere a profitto dello erario. Fattisi ricchi e delicati,
+non vollero più insudiciarsi nel sangue come beccai, e tolsero a loro
+servigio i _popes_, vittimari che compirono la loro bisogna. E una
+parte del _polluctum_ la dispensarono alle amiche devote — che ai
+nostri tempi vestono da monache o in abito pinzochero — e l’altra più
+grossolana ai loro sacrestani che la vendevano ai tavernai.
+
+Avanti di uccidere l’animale, il sacerdote gli gittava sul capo un
+pizzico di farina mescolata col sale. — Se la bestia non si ritraeva
+impaurita, dichiaravasi acconcia al sacrificio. — Comprendesi
+facilmente che la spaventavano se la fosse magra e non di loro gusto.
+— La ceremonia dicevasi _immolatio_ da _mola_, la pietra conforme
+con cui macinavasi il grano, il più stimabile dei beni. Ed il sale
+impiegavasi nel rito come simbolo della purezza dell’anima. Le
+libazioni le facevano col vino di una vigna potata. — E pur domandavano
+all’offerente se il fulmine fosse mai caduto nella cantina od un uomo
+appiccatosi sul ramo di un albero vicino.
+
+Il primo omaggio di vino o d’incenso era propiziato a Giano, il
+portiere del cielo, affinchè facesse giungere la preghiera a quello
+fra gli Dei che volevasi invocare. Il vino si versava con un simpulo
+a goccia a goccia sul fuoco; e l’olio ad onde perchè ardesse senza far
+puzzo.
+
+Gl’Iddii maggiori erano dodici. — Giove, il re dell’Olimpo, cui
+sacrificavasi il bue bianco o maculato. — Giunone, sorella e moglie
+sua, cui s’immolava una vacca. — A Minerva lo stesso animale. E a
+queste sole vittime si doravano le corna. — Vesta, la Deessa del fuoco
+eterno, dovevasi contentare del sacrificio bene involontario che sei
+donne le facevano della loro verginità; sterile come la natura del
+fuoco che alimentavano continuo sull’ara; il quale era emanazione
+celeste, perchè ogni anno alle calende di marzo lo si faceva accendere
+dal sole col mezzo di un vaso metallico concavo, di forma conica
+rettangola. Quelle misere erano le guardiane degli Dei particolari del
+popolo romano e sopratutto del Palladio, da cui dipendevano le sorti
+liete della grande Repubblica. — A Cerere, Dea delle biade, si uccideva
+una scrofa, perchè distruggitrice delle mietiture. — Nettuno, Dio del
+mare — Apollo, della musica, della poesia e della medicina — e Marte,
+della guerra, erano i soli cui potesse offerirsi un toro bianco. —
+A Venere, la Iddia dell’amore e della bellezza, si davano colombe. —
+Mercurio, Dio della eloquenza e del commercio, prendeva tutto. — Diana,
+Dea della caccia e delle Foreste, facevasi contenta col dono di una
+cerva. — Plutone, lo affummicato rettore del Tartaro, chiedeva capri,
+becchi e tori neri. — Queste dodici divinità erano chiamate consentes,
+perchè formavano il consiglio supremo del Fato, potenza costituzionale
+dai poteri limitati e corretti dalle varie passioni umane che
+s’indiavano attorno al suo trono temuto.
+
+Lo appetito viene mangiando. — Laonde gli uomini antichi non si
+tennero beati e soddisfatti di un re e del suo ministero. Vollero
+altresì il corpo legislativo, composto dapprima dagli Dei scelti,
+come Saturno, che rappresentò il tempo; — Giano, l’annata; Rea, la
+Deessa della terra; — Bacco, il Dio del vino; — Vulcano, del fuoco; —
+Febo, dell’astro vivificatore; — la Luna, la patrona degli amanti; —
+e il Genio, che presiedeva alle opere degli umani. — Quindi spedirono
+al parlamento i piccoli Dii, cioè: i semones, gli uomini deificati —
+Ercole; Castore e Polluce; Enea; Romolo; Pane; Fauno; Silvano; Palete,
+Iddia del gregge; Vertunno, delle stagioni; Pomona, dei giardini e dei
+prati; Flora, dei fiori; Termine, dei termini; Robigo, della ruggine;
+Fascino, dei sortilegi; Averrunco, che allontana le calamità; Vacuna,
+patrona degl’infingardi e del riposo; Laverna, dei ladri; Mefite, del
+puzzo; Cloacina, dei luoghi immondi; Imene, del matrimonio. — Tutte
+le ninfe dei boschi, delle fontane, delle montagne, dei fiumi, del
+mare partirono anch’esse. Nè i giudici dello inferno le lasciarono
+andar sole; e tanto più che le videro accompagnate dalla Pietà, dal
+Pudore, dalla Fede, e.... dalla Speranza. La Febbre corse lor dietro.
+— E le madri impaurite pei cari figliuoli, elessero, senza bisogno
+di ballottaggio, Vitunno che ministra ad essi il soffio della vita;
+— Sentino, che dà il sentimento; — Presa e Postverta, che gli mette
+in buona postura nell’utero; — Ops li soccorre; — Vaticano loro apre
+la bocca e li fa vagire; — Rumina che gl’inspira a suggere il latte
+dal seno materno; — Potina gli consiglia a bere; — Educa, a mangiare;
+— Cunina veglia presso la culla; — Ageronia è attenta a tutti i loro
+movimenti. — Nè questi bastando al genio affettuoso delle madri, esse
+ne nominarono altri per acclamazione. E furono Juventas che accompagna
+il figliuolo già grande; — Barbato, che gli adorna il mento di peli;
+— Stimula, che il punzecchia di desiderii; — Volupia, necessaria
+alla generazione; — Numeria, gli dà la scienza dei numeri; — Camena,
+gl’insegna il canto; — Strenua, lo rende un eroe; — Consus, gl’inspira
+nobili consigli; — e Jugatinus presiede al suo matrimonio.
+
+Quando i sacerdoti si avvidero che il Fato — inviolabile — non parlava;
+— e il gran consiglio — responsabile — non facea motto; — e i _semones_
+in nome dei loro uffici parea che convalidassero senza opposizione la
+scelta delle deità, fatta nei collegi elettorali degli uomini, senza
+votarsi il capo nei riguardi legali, ne crearono essi, di proprio moto,
+per alzata e seduta; e non fu cosa sulla terra di cui non mandassero
+il rappresentante negli stalli del parlamento celeste. — I gloriosi
+avi nostri carezzarono quelle sacre fandonie, perchè necessarie ad
+infrenare il popolo ignorante, riottoso e spavaldo, ch’essi volevano
+condurre al dominio del mondo. E quando i numi fur troppi, gli divisero
+in _ordo et populus_, cioè in _Dii majorum gentium_ ed in _Dii minorum
+gentium_. — Ma venne un giorno in cui si stancarono di quella docilità
+dimostrata e parlarono e scrissero del Dio unico e lo confessarono
+morendo. — D’allora in poi, a poco a poco, i deputati delle umane
+sciocchezze disertarono l’olimpico Parlamento, che fu riempiuto
+dall’occhio incommensurabile della ragione. Le loro statue le abbiam
+nei Musei, nei giardini, nelle pubbliche piazze. — Un altro Olimpo pur
+sorse — sul calco di quello antico — meno poetico, molto ridicolo e
+troppo triviale. Fu popoloso in secoli d’ignoranza, in tempi di fine
+ipocrisia, e nei giorni lunghi della tirannia dello spirito. — Di lassù
+venivano i fulmini per punire i peccati degli uomini. E l’uomo afferrò
+quel fulmine, lo chiuse in una macchina e lo fece il fattorino dei suoi
+pensieri. — Di lassù venivano le febbri, il vaiuolo, gli stravasi di
+sangue e tutti i guasti della fragile natura umana. E l’uomo studiò
+la medecina e la farmacopea, inventò strumenti chirurgici, ed i morbi
+furono domati. — Di lassù venivano i venti furiosi che inabissavano
+le navi o le mandavano erranti a genio dei loro soffi. E l’uomo
+inventò la bussola ed un meccanismo che rende inutile lo sforzo dei
+venti contrari. — Gl’idoli sono tutti già esciti, anche una volta,
+dall’Olimpo della ragione. Alcuni vennero nei Musei a far compagnia
+ai predecessori. Altri rimangono ancora sugli altari, vergognosi e
+raumiliati nel vedere il riso intelligente che destano e la nessuna
+pietà di chi gli coltiva. Ei sanno pur troppo che omai seggono sulle
+ruine.
+
+Ora la descrizione di una cerimonia solenne in Pompei.
+
+Il Flamine-Diale è sul peristilio del tempio di Giove. Ha la testa
+coperta di un elmo bianco, sormontato da un breve cono allungato e
+cinto da un fiocco di lana, che simboleggia il fulmine nel nume. Veste
+la toga pretesta e va di pari coi grandi magistrati. — Non vi ha un
+nodo sulle sue vesti che la sacerdotessa sua moglie filò di lana, tessè
+e cucì. La calzatura fu tagliata dalla pelle di un animale ucciso. Sul
+dito gli splende un anello a giorno ed unito. La consorte gli è presso
+e lo assiste. Sacerdoti minori lo attorniano.
+
+I duumviri, gli edili, i decurioni, i cavalieri salgono la gradinata
+del tempio. Nel Foro è il popolo; e, separate dagli uomini — perchè
+nulla si opponga alla decenza ed alla gravità della pia cerimonia —
+sono le donne adorne delle loro vesti bianche e sfarzose.
+
+Non canti di allegrezza, ma accenti di sdegno. — Non rendimenti di
+grazie, ma suppliche levate al cielo perchè venga allontanato dalla
+città di Pompei un crudele disastro, una tremenda sciagura. Un coro di
+fanciulli e di vergini cantano in note lamentevoli l’inno del dolore.
+— Alcuni soldati e centurioni sono appoggiati ai piedistalli; e, senza
+parola, rimangono impassibili spettatori di quella scena.
+
+Gli è che da tempo Pompædio Silo aveva inalberato lo stendardo della
+rivolta nella Marsica; e — tranne Aiserninum e Lucera — tutte le città
+adriache e tirrene avevano fatto eco a quel grido di guerra. Roma
+invero stancava la Italia. Per estendere la sua potenza, ne esauriva
+le ricchezze, ne toglieva i soldati e gli dava compagni d’armi ai
+cittadini romani, accordando loro l’unica eguaglianza in faccia alla
+morte. Corfinium, piccola terra tra il monte Corno e la Maiella, fu
+decretata città capitale degl’Italioti. Capua in un versante degli
+Appennini, Asculum Picenum nell’altro, tenevano acceso il fuoco
+sacro della libertà e dello affrancamento dall’Urbe. Si combatteva da
+parecchi mesi e vincevasi. — Ma Silla aveva preso Stabia per assalto,
+ne trucidava i difensori e metteva in fiamme le case e i monumenti.
+I Pompeiani vedevano quello strazio dalle loro mura; lo reputarono
+presagio della sorte che gli attendeva; decisero animosamente di
+difendersi, ed intanto di placare l’ira celeste con una espiazione
+solenne, offerendo sacrifizi a Giove, agli Dei maggiori e alle divinità
+inferiori e recitando preghiere, dette _obsecrationes_.
+
+Sotto la gradinata del tempio sono due buoi di manto bianchissimo;
+sette vacche ed un toro, grassi tanto che stentano a muoversi. Hanno
+le corna dorate, la fronte incoronata di fiori, ed il corpo cinto da
+una stola terminante con una frangia. — Un vittimario, nudo sino alla
+cintura, e coperti i fianchi da una stoffa di porpora, era presso
+ogni bestia, tenendola con una corda che le stringeva il muso e colla
+sinistra sosteneva un martello rotondo e a lungo manico che appoggiava
+sulla spalla. Taluno impugnava la scure invece del martello.
+
+Dietro di essi erano i _cultrarii_ ed i _popes_, aventi appeso alla
+cintura un grosso astuccio guarnito di parecchi coltelli. Alcuni
+fanciulli tenevano un vaso di bronzo con acqua lustrale e nell’altra
+mano un aspersorio come una coda di cavallo con manico ornato. Altri,
+una cassetta quadrata, piena di farina e di sale, per la consacrazione
+delle vittime. Vi erano anche i suonatori di flauto.
+
+Il Flamine si avanza e discende. — I vicini lo seguono. Dopo i
+magistrati vengono i collegi sacerdotali. — Essi erano coronati di rami
+di quercia.
+
+La processione — cui prende parte il popolo tutto — percorre le grandi
+vie della città e va verso le XII torri per sempre più animare i
+soldati che sono sopra le mura. Quindi il numeroso corteo — compiuto
+il giro — si approssima al tempio dalla diritta via della fontana di
+Mercurio. — I buoi erano già sul peristilio. — Vi ascesero i sacerdoti
+ed i magistrati. Gli altri taciti e pensierosi ristanno.
+
+Sotto quel portico elevasi lo altare dei sacrifizi: chè non immolavasi
+mai nello interno dei templi. Ghirlande di verbena cingono l’ara. Il
+Flamine si avanza. — Prende lo incenso dall’_acerra_ ov’era chiuso;
+lo spande sul _præfericulum_ e ne volge il fumo alla statua del re
+dell’Olimpo. — Quindi liba il vino in onore di Giano.
+
+Seguìto dai sacerdoti, entra nel tempio e saluta Giove portando la mano
+destra alla bocca. Voltosi a manca, fa lo stesso saluto alla porta.
+Quando gli altri lo ebbero imitato tutti si assisero nella cella e —
+racchiuso il capo nel lembo della toga per evitare distrazioni — ognuno
+prega a voce bassa o mentalmente. — Dopo alcuni momenti, il Flamine si
+leva, esce dalla edicola e grida alla folla adunata.
+
+— _Favete linguis._ —
+
+Raccomandato così il silenzio all’assemblea, si appressa allo altare,
+si purifica le mani coll’acqua contenuta in un vaso senza piede, detto
+_futilis_, e le asciuga con un tessuto di bianco lino. Allora i popi si
+accostarono colle vittime. — Ei le asperse di quell’acqua; gittò sulle
+loro teste farina e sale; e disse loro:
+
+— Sia addoppiato il valor vostro, perchè possiate, o buoi, essere
+accetti ai sommi iddii. —
+
+Impolverò lo altare di farina e di sale; così, i coltelli
+sacrificatori. — Spinse quindi leggermente la lama di uno di essi dalla
+fronte alla coda. Tagliò un ciuffo dei più lunghi peli tra le corna di
+un bue, lo gittò sulle fiamme, e disse, libando altro vino:
+
+— Sii aumentato per questo vino nuovo. — _Macte hoc vino inferio
+esto._ —
+
+E a ciascuna consacrazione di animale pronunciava il nome di Dio o
+della Deessa a cui faceva la oblazione. Così, offerì due buoi a Giove;
+due vacche a Giunone; due a Minerva, due alla Iddia della Salute
+pubblica; una alla Felicità; ed un toro all’esercito che difendeva il
+paese. — Quindi, voltosi al simulacro:
+
+— O sommo Giove, magnanimo e grande, se tu difendi questo tuo popolo
+devoto, se tu ispiri coraggio nei suoi difensori, se tu disperdi il
+pericolo che noi tutti circonda, in nome dei collegi sacerdotali qui
+uniti, noi ti votiamo due buoi dalle corna dorate. —
+
+Ed alla celeste sorella e consorte.
+
+— O Giunone, regina, accetta anche tu la preghiera rivolta al signor
+dell’Olimpo. Allora ti offriremo due vacche dalle corna dorate. —
+
+Così alle altre Iddie.
+
+Compiuto il rituale, un vittimario a lui si accosta e dice:
+
+— Posso? —
+
+E avendone ricevuto l’ordine, scaglia violentemente un colpo di
+martello sulla fronte del bue. Questo vacilla sui piedi e cade. — Gli
+accoltellatori lo ghermiscono per le corna e gli cacciano l’acuta lama
+nel cuore. Il sangue sgorga nella patere di bronzo, gorgoglia e fuma.
+Il Flamine ne raccoglie con una patella e lo gitta sullo altare dei
+sacrifizi. — I _jecurarii_ aprono il ventre della vittima, e poi che
+gli auguri hanno trovato in perfetto stato le viscere, la scuoiano,
+la spezzano, e mettono in un solo paniere le gambe ed il cuore che,
+impolverati di farina d’orzo, presentano al Flamine. Le fiamme sacre
+accolgono la parte del Dio e la consumano.
+
+Come quel bue, così vengono uccisi, sparati e divisi il toro e
+le vacche. — E nell’atto i suonatori di flauto non cessano di far
+echeggiar l’aere dei loro fischi acuti e discordanti.
+
+Il Flamine-Diale terminò la cerimonia con una invocazione a Vesta e
+disse agli assistenti:
+
+— _I licet._ — Voi potete ritirarvi. —
+
+Allora un sacerdote di Venere se gli accostò e lo richiese:
+
+— Noi versiamo in grave periglio. La escita dalle mura è impossibile.
+E dove ritirarsi? Se Silla entra qui..... e vita e tesori. Tu i cui
+capelli e le cui unghie son sacre, non avrai la persona rispettata da
+quei crudeli. Tu che hai la porta della casa ornata di lauri; e se un
+uom di delitti vi penetra, si è obbligati scioglierlo dalle catene e
+gittarle dallo impluvio nella strada. Tu che impedisci uno schiavo
+sia fustigato, se giunge ad abbracciare le tue ginocchia,.... di’,
+credi tu alla influenza di Giove nello allontanamento dei mali che ci
+minacciano?
+
+Il Flamine guardò fiso il compagno, e veramente non sapea che
+rispondere. Era la prima volta che una simile interrogazione veniva
+innanzi alla sua mente, in faccia al grave e certo pericolo. Egli era
+tal uomo, cui un misterioso sentimento di adorazione fa vedere in un
+paesaggio, ove avanza con passo distratto, un tempio che lo ritiene;
+il cui orecchio risuona d’ignoti rumori; sorta di musica spirituale
+che innonda l’anima di gioia segreta e l’apparecchia a consolanti
+apparizioni. Il suo cuore appetiva la pace: ma sentiva il morso del
+dubbio nella liturgia che amministrava. Il mondo futuro lo intravedeva
+in una nube caliginosa ed oscura; ed avrebbe assai volentieri fatto
+sommessione a colui che lo avesse posto sur una via semplice e certa
+che nel fondo ha la statua della fede trionfante.
+
+— Ma se non Giove, e chi? —
+
+Un sorriso ironico e doloroso sfiorò sulle labbra di Anchario, il
+vecchio ministro nel tempio di Venere. Da molti anni e lunghi egli
+seguiva i sogni di una fede impossibile con pratiche misteriose. Le
+bizzarre confidenze tra la Iddia seduttrice e la carne sedotta erano
+le invenzioni furbe della sua mente. Finchè la gioventù e la forza
+lo tennero, lo interesse, il lieto vivere e le grossolane delizie
+arrestarono la coscienza del vero sulle sue labbra impudiche. Quando
+le cose vive partirono da lui sulle ali larghe e fugaci, ei si vide
+sprofondato nel vuoto e deposto sur una landa arida e nuda. Siccome
+Vulcano, era caduto dall’empireo nella pozzanghera di una fede zoppa e
+sciancata.
+
+— Lo arcano ch’è nei cieli consola la mia tristezza e si fa mio custode
+da che mi vidi spostato dal mio antico sostegno. — Giove, Giunone,
+Venere, Marte sono i sacri luoghi comuni della vita, e gli sfato. — Un
+Dio solo è lassù che la realtà non offende. —
+
+— Ma credi tu che a noi pensi e provvegga alla nostra salvezza?
+
+Il canuto pose la mano sul petto e rispose:
+
+— Io comincio a credere che in noi esista e ci faccia arbitri delle
+nostre sorti. — Quando il popolo romano volle, vinse; e non gli Dei
+combatterono per lui. — Quando tu, schiavo delle abitudini sociali
+di questi tempi, vuoi escire dall’audace immoralità che ne circonda,
+sprigiona lo accento eroico del cuore e vincerai ogni disperata
+ventura. — Fida in me. — La morte mi fa già i suoi segni e può rendermi
+libero da un istante all’altro. Allorchè i nostri soldati e la gioventù
+popolana combatteranno sulle mura..... e i Sanniti ci aiutino.....
+saremo salvi dalla sventura che ci soprasta. —
+
+— E gli Dei? —
+
+— Gli Dei — sgombere le tenebre del nembo ruinoso — gli rivedrai
+impassibili sui loro stalli di marmo, innanzi le lampade votive e tra i
+vortici del fumo delle pelli bruciate. —
+
+I due Flamini si divisero. Il più vecchio pareva avesse sedato le
+agitazioni del cuore. — Il più giovane si avviò verso la sua casa
+costernato e dolente. — Incontrò il popolo che raumiliato dallo
+infortunio correva dall’un tempio nell’altro per offerir voti e preci
+agli Iddii salvatori. E lo salutavano riverenti, ponendo la mano destra
+alla bocca e baciandogli il lembo della toga. Un solo sentimento tutti
+occupava — la processione espiatrice. — Drappelli di giovanetti di
+ambedue i sessi — _patrimi e matrimi_, perchè nati di sangue equestre
+con padri e madri viventi — di forme bellissime, schierati in ordine e
+coronati di fiori, cantavano inni sacri. E i magistrati gli seguivano
+come lui avevano pur dianzi seguito. — Ma quella turba la vedeva come
+fantasmi. Le realtà della vita — preoccupato com’era — pareano lontane
+lontane dal suo corpo angosciato.
+
+Egli abitava in una delle ultime case della via che ha la fontana dalla
+testa di Mercurio nel mezzo. Quando udì dalle mura una voce cui molte
+rispondono:
+
+— Soldati, all’armi!.... Ecco Silla colle legioni..... sangue sannita e
+greco vi scorre nelle vene. Venere Fisica vi protegga! — Difendete gli
+altari, le vostre donne, i vostri figli..... l’onore del nome. —
+
+Ma le legioni romane non attaccavano la città. — La cavalleria
+foraggiava nelle campagne vicine allo Anfiteatro e sollevava un nembo
+di polvere sotto le zampe dei cavalli. — E un altro grido ben presto
+scoppia dai petti agitati:
+
+— È Cluvenzio, il generale dei Sanniti che giunge. — Marte gli arrida.
+— Viva Vitelia, madre alla patria e ai suoi difensori! —
+
+Silla si sentì insultato dallo ardir di Cluvenzio. E rapidamente move
+innanzi al nemico. Questo riceve l’urto poderoso e lo respinge con
+perdita. I Pompeiani escono dalla porta occidentale e da quella di
+Sarnus. Il generale romano che aveva rinculato verso il padule — ove
+tempo innanzi Cassinio rischiò di essere sconfitto da Spartaco, —
+raccoglie i suoi e li caccia alla riscossa. Il combattimento fu lungo
+e ostinato. Cluvenzio dovette piegare e ritirarsi. E lo indomani,
+avendo ricevuto un soccorso di Galli, profittava della lezione di
+audacia offertagli da Silla e ritornava sul campo ove aveva lasciato i
+suoi morti. Ma il suo competitore era tetragono in faccia al destino.
+Lo accoglie, lo preme nei fianchi, lo mira vacillante, lo siegue, lo
+raggiunge presso Nola, sfascia le sue ordinanze e lo uccide.
+
+Felicemente per Pompei, Silla volea il consolato nell’Urbe. Nè ebbe
+l’agio di soffermarsi per castigare i Pompeiani e i loro torpidi numi.
+Lo ardente pensiero lo spingeva a Roma per reprimervi la rivolta che
+vi aveva eccitato il tribuno P. Sulpicio, alla istigazione di Mario,
+suo emulo. Laonde condusse le sue legioni nel paese degli Irpini e nel
+Sannio, devastò Capua e non vi lasciò gente viva che la necessaria per
+la cultura delle terre. Spedì Publio Silla, suo nipote, a Pompei e lo
+pose a capo delle tre coorti di veterani, come corpo di osservazione.
+Ordinò che il municipio si convertisse in colonia militare — il che
+impediva che la magistratura potesse trattare alleanze politiche e
+private senza il permesso di Roma — ed impose un tributo in uomini ed
+in pecunia. La colonia s’ebbe due nomi: quello di _Veneria_, desunto
+dalla divinità protettrice della città; e l’altro di _Cornelia_,
+ritolto dalla illustre famiglia, cui egli apparteneva. I Pompeiani
+accettarono. — Non vollero però concedere i diritti di cittadinanza ai
+soldati a piedi e a cavallo che formavano le tre coorti. — Il nipote
+inalberò. — Accaddero risse, turbolenze, disordini. — Publio venne
+richiamato; fu difeso da Cicerone. Quindi assoluto. — Ma i coloni
+militari dovettero abitare fuori della città nella parte occidentale.
+Si costruì per essi un sobborgo che ebbe nome di _Pagus Felix_ e li
+comandò il valoroso generale Ninnio Mulo, di cui Silla aveva stima ben
+meritata.
+
+Cotesti avvenimenti erano giunti in buon punto per una classe di
+sacerdoti, i meglio austeri nelle forme, i più destri nel maneggio
+della cosa religiosa. Erano i ministri di un culto — e più che di un
+culto — di una setta misteriosa sorta sulle sponde del Nilo, da Orfeo
+trasportata in Eleusis e dai Greci introdotta in Pompei. Esercitavano
+le cerimonie comuni e vi aggiungevano pie frodi ed oracoli meditati
+dalla dottrina e dalla prudenza, e maniere gravi e gentili che
+incutevano soggezione e rispetto.
+
+Nel tempio — uno dei più completi e dei più ricchi che fossero
+in Pompei — era una edicola isolata — non lungi dallo altare dei
+sacrifizi — coperta al di fuori di eleganti bassirilievi di stucco,
+rappresentanti Marte e Venere, Mercurio e una ninfa, delfini, genii
+ed amori con sacerdotesse e donne che pregano. Al di dentro era la
+scala per cui si scendeva in una cripta, ove gl’iniziati ai misteri
+— pria di subire le loro prove fisiche e morali — toglievano il bagno
+di purificazione. Dietro il santuario stava la grande sala alla quale
+cinque porte ad arco concedeano lo accesso. Colà penetravano i soli
+iniziati che accomunavano le loro preci, le loro esortazioni, i loro
+canti e le loro processioni solenni. Pitture squisite ne decoravano le
+pareti. E tutte eran simboli di cose strane ed ignote.
+
+Sopra il santuario — sollevato dal suolo e disposto nel fondo del
+peribolo, circuito da un portico di colonne doriche — posava la statua
+della iddia, di bianco marmo, dagli occhi, dalle ciglia e dai capelli
+rossi, dal peplo indorato; il cui corpo ignudo era coperto da un
+velo finissimo — collantesi sulle membra — e di una leggera tinta di
+porpora. Nella mano dritta stringeva un sistro di bronzo, e coll’altra,
+distesa lungo la coscia, tenea la chiave regolatrice delle inondazioni
+del Nilo, simbolo dell’abbondanza e della fertilità.
+
+Quella Iddia avea nome Iside — cioè — chi fu, chi è, chi sarà. Nessun
+mortale osò levare il velo che copria le sue forme. — Il solo Apuleio
+nè parlò a modo di enimma quando scrisse: — «Mi accostai ai limiti
+della morte. Calpestando co’ piedi la soglia di Proserpina, ritornai
+a traverso ogni elemento. Nel mezzo della notte parvemi che il sole
+splendesse di viva luce. E mi trovai in presenza degli Dei supremi ed
+infimi e gli adorai da presso.» — Sembra che i misteri isiaci fossero
+di tre gradi — la purificazione allo ingresso della tomba — il giudizio
+dei morti e la dottrina di una vita futura — la contemplazione del
+lume eterno nell’essenziale e nell’universale. — Gl’iniziati subivano
+quattro piccole prove e tre grandi. Il sublime segreto doveva essere la
+virtù e la saggezza che colla ipocrisia seduceva i profani, col volgo
+ingannato domava la forza brutale e tendeva al dominio della terra
+colla redenzione dello spirito umano.
+
+L’oracolo della Iddia aveva tardato a rispondere. Finalmente aveva
+detto:
+
+— «Il popolo compirà la sua missione di giustizia e di carità. E la
+città sarà salva. Si presti fede alle mie parole.» —
+
+Lo aspetto dei sacerdoti non avea nulla di timido e d’incerto. I
+loro occhi neri, brillanti sopra i candidi lini che li coprivano
+maestosamente, ispiravano una tranquillità profonda che afferrava la
+coscienza degli accorsi in folla nel tempio. E quando giunse il nuncio
+che il paese era salvo e le bocche entusiaste lo ripeterono in ogni
+canto, i doni alla egizia deità furono ricchi e copiosi. E il credito
+dei suoi sacerdoti crebbe a cento doppi.
+
+Dissipate le paure, il popolo — semi-osco, semi-etrusco, semi-greco,
+semi-latino, tutto meridionale — si diè alla più grande allegrezza. E
+i Luperchi — i Flamini del dio Pane — una gliene prestarono delle più
+bizzarre e delle più originali.
+
+Sui clivi del Vesvius erano caverne grigiastre, di cui le antiche
+eruzioni di lava — che non eran più nella memoria degli uomini —
+avevano formato le volte ruvide e spugnose. Quivi essi abitavano.
+Erano sozzi, selvaggi, brutali, inintelligenti, e vivevano ignudi in
+ogni stagione, ed erano in venerazione presso i campagnuoli, perchè
+nunciavano i cangiamenti della temperatura, guarivano gli animali e
+predicevano i buoni ricolti e i rovesci di pioggia. I villici — omai
+salvi dalle scorrerie degli amici e degli inimici — corsero ad essi
+e li trovarono russanti nei loro spechi sul fieno. Entrarono in un
+rustico tempio formato da quattro alberi forcuti e coperto da una
+tettoia di radiche nere di lupini. Il loro dio Pane era una mostruosità
+fatta di legno coll’accetta. Gl’immolarono una capra ed un cane. Si
+tinsero del loro sangue caldo la fronte. Si unsero il sudicio corpo
+col grasso delle due bestie. Ne cucinarono sui tizzoni le carni e
+ne mangiarono a furia con feroci smorfie di gioia. — Terminato il
+sacrificio espiatorio, tagliarono le pelli ancor sanguinose e di alcuni
+pezzi si cinsero i fianchi e di alcuni brandelli fecero fruste per
+allontanare i curiosi sul loro passaggio. Così corsero a slascio pei
+campi e nelle vicinanze di Pompei. Urlavano inni in una lingua ignota
+e frustavano, correndo, quanti incontravano. Le donne particolarmente
+si facevano loro innanzi per aver parte di quella flagellazione;
+avvegnachè in quei tempi credessero come la staffilata di un Luperco
+avesse la virtù di cangiare in prolifica una donna sterile. Siccome ai
+nostri tempi pur credono la stessa virtù nel cordone che cinge i lombi
+non casti di un frataccio da zoccoli e da cappuccio. — Più d’uno però
+che si permise una brutta distrazione, vacillante e vagellante, se ne
+andò anzi tempo _ad canes_. — I devoti ch’esercitarono quella pratica
+liturgica sui crani e sulle costole di quei bipedi senza ragione,
+scavarono una fossa sotto un albero da frutto e gli fecero utili mal
+loro grado.
+
+In quel giorno di abbandonata gioia non si guardava sottilmente alle
+cose. Ognuno occupavasi a suo modo delle proprie devozioni. — E nel
+vero, eravi di che. I preti — oltre i parecchi fani, fatti erigere
+sontuosamente dai decurioni col denaro del popolo — oltre i _Dii
+patellarii_, ch’erano i Lari delle case, adorati alle calende, agl’idi,
+alle none, nei dì di festa ed anche ogni giorno — avevano ispirato le
+genti bietolone — che formano la maggioranza nell’umanità — ad erigere
+altari agli Dei pubblici, agli Dei ignoti — pel comodo della plebe,
+pei bisogni degli stranieri — sulle crocivie. — Gli è perciò che furono
+chiamati Lari Compitali da _compita_, crocicchi. — Cosa fatta capo ha.
+— Napoli, Palermo, e le città minori dell’ostro avevano pure in questi
+giorni i loro Compitali sur ogni strada, sotto la forma di donne o di
+uomini lividi e sanguinosi. I loro padri abbatterono furiosamente la
+idolatria e fecero calce delle statue di Giove e di Marte; e con quelle
+di Venere e di Mercurio fusero campane. I loro figli ristabilirono
+l’antica fede. Ma, avendo perduto la nozione del bello, adorarono
+le mostruosità, e, non ha molto, accendevano i lumi ed appendevano
+gingilli d’oro e di argento su quanto di più brutto ed osceno veniva
+fuori dallo scalpello di un Lupercale.
+
+Consultato il divo Apollo sui sacrifizi da offerirsi ai Lari Compitali,
+il feroce prete — che trovossi alla instituzione di quel culto —
+rispose per lui — _caput pro capite_. — Allora Tarquinio pose sui
+piccoli altari capi mozzi di miseri bambini. Giunio Bruto, dopo la
+cacciata di quel tiranno, tradusse meglio l’oracolo ed offerì teste di
+aglio e di papaveri. Più tardi gli fecero lieti dei primi fiori delle
+stagioni. — In Pompei eravene uno presso la fontana del Lupo, più in su
+della bottega del lattaio, che ha per insegna una capra di terra cotta.
+Era dedicato al padre dell’Olimpo. Gli altri Lari — protettori dei
+quatrivi e delle strade — si dicevano figliuoli a Mercurio e prodotti
+dalla ninfa Lara. E i loro altari — oltre allo aver banchi di riposo
+pei viandanti — servivano altresì di asilo ai rei perseguitati. Laonde
+Plauto narra nella Mostellaria come Tranione temendo di ricevere da
+Teuropide i colpi che aveva sì ben meritati, si assise sul Compitale
+dinanzi la casa di lui. E Properzio canta _Triviae lumina ferre Deae_,
+di Cinzia che correva a portar lampade sugli altari di Diana Trivia.
+
+Il selciato aveva perduto le sue tristezze. — Nell’odissea di quel
+giorno faceva le parti dell’Oceano. — Salti, gridi, rumori per
+tutto. Ogni _impedimenta_ diveniva tribuna. Ogni Compitale, teatro. E
+gridavano:
+
+— Trionfo, trionfo! Marte e Venere Fisica ci salvarono! Giano aprì
+la porta dell’Olimpo e fece escirne gli Dei soccorritori. O Lari,
+accordateci pace e protezione. Onore ad Iside e ai suoi sacerdoti.
+Trionfo e gloria agli Dei immortali! —
+
+E lungo le vie, e nelle _pistrinae_, e nelle _popinae_ — dovunque
+era scolpito, od in terra cotta, il simbolo del Dio degli orti — le
+facili e proterve fanciulle intessevano corone di rose e di frutti e le
+inchiodavano come cornice intorno a quel segno della forza muscolare,
+dell’abbondanza, della ricchezza della natura. Ed un uomo opulento,
+— M. Epidio Prisco, poco più innanzi della fontana di Venere, gli
+sacrificò un asinello, le cui carni servirono la sera al banchettare
+gioioso degli schiavi in una taverna.
+
+Intanto l’angiolo delle ore estreme, raccolte le sue ali sanguigne,
+correva con passi frettolosi sul campo della offesa e della difesa.
+Alle grida della battaglia erano succeduti flebili lamenti — appello
+lontano ai loro cari di quei feriti che la Morte pietosa baciava sulla
+bocca per soffocarvi il dolore. — La terra era spogliata di ogni suo
+riso. Il sole cadeva. L’ombra uniforme spargevasi su tutto. — Membra
+mozze — carni stracciate — sangue aggrumito e nero. — E sopra la
+faccia della penisola, il pensiero degli Italioti — oltraggiato, ma non
+defunto — attendendo per secoli l’ora della grande vittoria.
+
+Epidio Rufo Italico — il figliuolo di Prisco — fu trasportato nella
+casa paterna — quella dal lungo podio sporgente, sormontato da una
+ringhiera di ferro che dalle estremità menava alla porta mercè le
+due gradinate a rivolta. Acte gittò un grido e semispenta lo strinse
+al suo cuore. Egli premè convulso gli occhi e le pallide guance di
+quell’afflitta, girò lo sguardo intorno alla camera piena di memorie,
+di tenerezze e di singhiozzi, ov’erano il padre, la sposa, la felicità
+dei suoi giovani anni. E stringendo colla mano il petto piagato,
+prosciolse le membra. — Aveva dato lo eterno vale al padre in lagrime,
+alla sposa svenuta, alla felicità morta!
+
+
+
+
+LA CAMPAGNA.
+
+SCENE DELLA VITA RUSTICA.
+
+=Anni di Roma 695 — Anni avanti il Cristo 59.=
+
+
+ A GIUSEPPE GARIBALDI.
+
+ II.
+
+
+Re Gige reputavasi lo avventurato tra i mortali — Per meglio assicurare
+la sua fede, interrogò l’oracolo di Delfo. Nè dubitava di una lieta
+risposta.
+
+— Di’ il nome del più felice fra gli uomini. —
+
+— Due nomi; non uno — Fedio ed Aglao. —
+
+Piccato nel vivo, mandò attorno i suoi consiglieri. Spedì messaggi per
+ogni dove, affine di rintracciare quegli ignoti individui che nel paese
+nessuno conoscea nè di persona, nè di nomèa. Dopo molte ricerche il re
+venne a sapere, che Fedio era morto, difendendo dai prepotenti il sacro
+suolo della sua patria; e che Aglao ancor viveva in Arcadia, coltivando
+colle sue mani un povero campicello, lasciatogli dai suoi padri.
+
+L’oracolo volle significare a quel re, la felicità non essere chiusa
+nei forzieri d’oro, nella corona gemmata, nelle braccia di una donna
+amica e nel numero grande degli adulatori alla fortuna, — sibbene,
+nello esercizio dei doveri di un cittadino, quali sono precipuamente,
+servire il proprio paese e coltivare il suo campo.
+
+Se in Roma fosse il culto del vero Iddio, e si compiacesse rispondere
+oracoli, ed un re gli chiedesse il nome del più felice tra tutti gli
+umani, risponderebbe:
+
+— Giuseppe Garibaldi! —
+
+Ebbene! — I nostri avi gloriosi vivevano la sua vita in Caprera.
+Compiuto lo ufficio di consolo, di senatore, di duumviro, di decurione,
+di pretore, di edile, di questore, di tribuno di soldati, correvano
+ai piaceri della vita campestre; circondati da uomini laboriosi e
+contenti, vedeano coronate le modeste fatiche da una ricompensa sicura;
+godevano la tranquillità e la pace in seno di una famiglia felice;
+sfatavano le brighe che traggono seco notti affannose; studiavano ad un
+tempo la natura e le arti; e terminavano la loro carriera, o nel bacio
+degli affettuosi figliuoli, o cogli occhi irradiati dalla vittoria sul
+campo di battaglia della repubblica.
+
+Due uomini montarono a cavallo — salendo sur un sasso elevato sull’orlo
+della via, come di aiuto — allo escire della porta di Herculanum, in
+Pompei. L’uno era giovane e l’altro nella piena maturità. — E siccome
+il cielo annuvolato minacciava la pioggia, eransi avvolti in una veste
+di pelle detta _scortea_ e sul capo avevano il _petasus_, berretto a
+larghe ali. — Di qua e di là della via erano vigne, olivi, pioppi,
+ciliegi, mandorli e fichi. Lo aspetto di una ricca cultura e del
+fertilissimo territorio offeriva uno spettacolo maraviglioso.
+
+— Sì. — Ho deciso. — Quei coloni non mi vanno. Gli è vero che tutto è
+a loro rischio e pericolo. Ma per fornirmi delle legna convenute, mi
+tagliano il bosco che io stesso piantai. I primi frutti raramente li
+portano in casa. E i denari del fitto a centellini. — Il lustro scade.
+Siamo presso alle calende di marzo. E ritoglierò la terra per conto
+proprio.
+
+— Credo, anche lo agente che tu mandavi sul luogo per raccogliere le
+parti di frutti convenute, ti fosse mal fido. — Gli è che ognun tira
+l’acqua al suo prato. —
+
+Ben dici. — Ma gli schiavi — razza incurante e onerosa — che colà
+impiegherò, converrà sorvegliarli. Al mio vicino lasciarono deperire
+il gregge; e i buoi e le vacche ed i muli li affittavano a chi loro li
+chiedeva. Per abito, quei pigri coltivano male, lasciano rubare le uve,
+o le rubano per sè. E sul registro segnano minori quantità di grano
+raccolto e più semenza di quella impiegata. — Come regolare la cosa?
+Di uso se ne seminano da quattro a cinque _modii_ per jugero, secondo
+la bontà del terreno. E il ricolto è diverso se si semina in autunno
+o all’appressare del verno; se in un tempo umido, od in tempo secco; e
+secondo la pioggia abbondante o la neve.
+
+— Le visite le faremo frequenti — _Frons occipitio prior est_. —
+È proverbio trito. L’occhio dello schiavo non può valer quello del
+padrone. — E perciò leggeva l’altro dì nel trattato di Agricoltura di
+Magone, il cartaginese: _Qui agrum parabit domum vendat_. —
+
+— _Est modus in rebus._ — Senza abbandonare la città, e i propri uffici
+pur doverosi, e la educazione dei figliuoli, si può allontanare il
+grappolo guasto dal sano e non permettere che la incuria — a conti
+fatti — costi più della debita oculatezza. Imperocchè, siavi un adagio
+non meno vero dello accennato poc’anzi, il quale dice: _Laboriosior est
+negligentia quam diligentia_. —
+
+I cavalli si posero al trotto. — Un aquazzone irruento per pochi
+istanti calmò ben presto la nuvola di polvere che le zampe ferrate
+agitavano. Rimessisi al passo, il più anziano proseguì:
+
+— Dio Pluvio, invece di offenderci, ci giovò. Ed è tutto un beneficio
+di lui su queste terre, composte di pomici infrante e di ceneri,
+vomitate in tempi remotissimi dal vecchio Vesvius. — In continovo
+accordo col dio di Delo, noi abbiamo fertili e prosperosi i campi di
+ogni bene e di ogni delizia....... Non credere già, o mio Lucio, ch’io
+voglia condannarmi, o condannarti a viaggi troppo frequenti ai raggi
+della canicola. Farò la scelta di un onesto _villicus_ che il buon
+vecchio Coecilio Casella mi proporrà; e cotesto schiavo dirigerà in
+capo, sotto i miei consigli ed i tuoi, i rustici lavori. Mi ha pur
+promesso un valente _promus_ per la fattura dei vini. Quelli avuti
+sinora sono dolciumi che guastano lo stomaco. — Voglio del buon falerno
+che a dieci e a quindici anni consoli. — E del surrentino, adatto ai
+convalescenti. — E di quello di Cales, leggero e profumato. — Ed il
+cecubo secco, generoso e confortante. E quello eccellente di Setin, il
+quale possiede le più notevoli qualità digestive.
+
+— Ve’, padre, la bella casa che sorge ridente sul pendìo del colle —
+Non parmi vi sieno colonne, nè portici. — Oh! Una sola statua.
+
+— Sì, figliuolo mio. Una sola — quella della Libertà, dallo sguardo
+aperto, dalle braccia robuste, dalla prestanza di tutte le forme. — La
+situazione che tu ammirasti attira l’attenzione; e la vastità dei campi
+allo intorno annuncia la ricchezza di chi li possiede; e l’un delubro
+rivela i nobili pensieri del cittadino che presso dimora. — È Casella
+il suo nome, il vecchio amico che tu non conosci, perchè non abita più
+la città. Egli fu _Meddixtutticus_, il primo dei magistrati municipali
+quand’io era pur giovanetto. Era stato _suffectus_, succedaneo al
+comandante gli eserciti ai tempi che furono. Quindi egli stesso ordinò
+le battaglie a difesa ed a gloria del nome sannita. Ha l’animo austero
+che conservò la impronta dei tempi.
+
+— Comprendo io bene un vecchio generale che si toglie dallo sguardo
+del popolo di altra età e che pure è costretto a rispettare; che si
+sottrae dalla folla dei clienti importuni; e coltivi nel suo pacifico
+ritiro; e si circondi di una numerosa famiglia di schiavi — ricordo
+vivo del potere già esercitato. — Ma il repubblicano del mattino sarà
+il Tarquinio della sera su quanti lo attorniano.
+
+— Poichè siamo presso il viale che ver lui mena, andiamo. Voglio, senza
+risponderti, che tu lo conosca e lo giudichi. —
+
+Una strada ascendente, attelata da pioppi italici e da una siepe di
+albospino, aprivasi da un cancello di legno, presso il quale da un
+lato era una camera per l’_ostiarius_ e dall’altro un simile fabbricato
+in _opus recticulatum_ — ossia muratura a scacchi di tufo, riquadrata
+negli angoli da mattoni sopraposti — che aveva la iscrizione a grossi
+caratteri rossi
+
+ CAVE CANEM
+
+e sotto, la stia, dove abitava lo incatenato ed abbaiante molosso.
+
+Per essa i due si avviarono al galoppo. — Giunti presso il simulacro
+della Iddia colà venerata, smontarono ed il maturo diè ordine allo
+schiavo accorso di menare i cavalli nella stalla, mentr’essi sarebbero
+iti a sorprendere il suo padrone.
+
+Nelle diverse aiuole piene dei fiori della stagione erano viole,
+mandorli a fior doppio, rose di Preneste e giacinti. Più oltre era un
+largo bacino, circondato da zolle erbose e pieno di acque limpidissime,
+incanalate da una sorgente lontana. Dai verzieri coronati di bosso
+si andava verso il bosco e si scendea nell’orto. — Colaggiù, curvato
+dagli anni e dalla specie di lavoro che allor lo occupava, era Coecilio
+Casella, presso il quale i due sopraggiunti movevano. Al rumore dei
+passi sulle sabbie crepitanti, il vecchio levossi; e riconosciuto lo
+amico, corsegli incontro e abbracciollo.
+
+— O mio Vestorio Tucca, salve — _Si tu vales, et ego valeo._ —
+Raccoglieva baccelli pel mio desinare.
+
+— _Gratulor tibi prius. Deinde ad me convertar._ — Questi che mi
+accompagna è Lucio, il figliuol mio, il quale arde del desio di
+conoscerti. —
+
+Quel canuto baciò sulla gota il giovanetto; e, presolo per la mano, lo
+invitò col padre a sedere sur un banco di pietra.
+
+— Voi camminaste. — Io fatigai. — Ognuno acquistò il diritto di
+riposarsi..... quantunque per la mia età quel diritto io il tema
+invece di bramarlo. — Questi alberi che ci adombrano colle foglie
+nascenti, io gli piantai e gl’innestai di mia mano. — Vedi giù,
+davanti la _fructuaria_, dov’è quella fabbrica disposta intorno ad
+una corte? I miei giovani schiavi fanno buche presso gli alberi di
+olivo per seppellirvi ritagli di pelli, piedi e corna di animali —
+possente concime che si forma e mette tre anni a consumarsi. Ebbene!
+Essi raddoppiano di zelo allo aspetto di me vecchio, che divido i loro
+sudori e le loro cure. — Qui, nè tiranno, nè schiavi. Laonde lo stato
+di quei miseri più sopportabile.
+
+— Ah! tu sei sempre degno d’impero, perchè sapesti servire!
+
+— Il tuo figliuolo osserva, con vagante e smanioso sguardo, le varie
+culture della mia villa. — Giacchè il sole ci volge i suoi tepidi
+raggi, permetti che a lui — non indifferente — mostri le occupazioni
+mie e dei miei servi, ed i risultati che ne otteniamo.
+
+— Grazie, o mio, della somma bontà che ti muove. — Ho molto caro che
+Lucio apprenda da tanto esempio — non la cultura dei campi soltanto —
+sibbene la virtù del tuo carattere antico.
+
+— Qui sopra, o amici, è un colle, bene esposto all’oriente, ove cresce
+un vigneto delle specie migliori. — Non tutte erano nostrane. — Ora sì,
+mercè le mie cure. — Andiamo a vederle. — Sbottonano già. —
+
+E lo adusto vecchio, appoggiandosi al braccio di Lucio, seguitò:
+
+— La vite annosa si piace appoggiarsi su giovane olmo. — E anch’io
+così. — Però, ti prego, non affrettare i tuoi passi, com’io non
+allenterò i miei. Cercheremo riescirci gradevoli, quantunque Lucina
+non assistesse lo stesso giorno al parto delle nostre madri. —
+Faremo bugiardo il proverbio che dice: _Pares cum paribus facillime
+congregantur_.
+
+Mira! Cotesta strada larga che noi ascendiamo appellasi _cardinal_ con
+parola etrusca, perchè taglia il terreno dall’ostro al settentrione,
+verso i poli del mondo. Le vie traversali si chiamano _decumanus_. — E
+sono sì larghe, perchè i carri non abbiano difficile il passo in tempo
+della vendemmia. — Laonde, lo aspetto intero di una vigna si presenta
+distribuito in regolari quadrati, detti _hortus_, cioè giardino. —
+Ciascun gode di una divisione siffatta — il padrone che sa le piante
+egualmente esposte al sole ed al vento e con facilità può sorvegliarle
+— ed i servi, che veggono ad ogni colpo di vanga accelerarsi il termine
+del proprio còmpito. — Ogni _hortus_ contiene cento cinquanta viti ed è
+largo un mezzo jugero quadrato. Le propagini si attelano in _quincunx_
+e traversalmente alla ascensione del terreno, a fine di mantenere le
+terre ed impedire alle pioggie ruinose di cacciarle tutte nel piano.
+Alcuni fanno crescere la vigna sui pioppi come nella Campania; altri
+sulle canne come in Arpinum; altri su pali tenuti insieme da corde di
+crine, come in Brundusium; altri sugli olmi come nella Emilia; altri su
+brevi pali, come presso i Maruccini e i Peligni; altri aggioga i tralci
+tra un albero e un altro, come presso i Piceni e i Galli-Cisalpini;
+altri la lascia sdraiata per terra, come nell’isola Pandataria, ma di
+tal modo mangiano il suo frutto le volpi, i ratti e i coltivatori assai
+più che il padrone. — Io, come vedi, uso la forca, che è quel palo
+fisso nella terra perpendicolarmente, su cui posano in traverso altre
+pertiche che la vite abbraccia coi suoi viticchi. Così godo di due
+vantaggi in una volta — il terreno caldo e secco è riparato dai raggi
+ardenti del sole — ed i grappoli maturano meglio e fruiscono di una
+ventilazione salubre.
+
+Gli Etruschi tagliavano la vigna nel marzo. E gli Osci, padri nostri,
+l’appresero a fare nel dominio dei primi. I Latini la lasciavano libera
+e ne ottenevano un liquor fermentato che inacidiva ben presto. Re Numa,
+per costringere il suo popolo a praticare il buon sistema, dichiarò
+in una legge come ogni libazione fatta con vino prodotto da vite
+non potata fosse orribile sacrilegio. — Agl’idi di maggio io faccio
+spampinare poco innanzi la fioritura. E rinnovo la operazione — qui
+che fa caldo — quando il grappolo è formato. E i miei servi vangano e
+concimano il vigneto due volte l’anno al levarsi delle Pleiadi — quando
+tolgono i primi pampini e rimboccano il ceppo con letame paglioso e un
+po’ di sale — e allora che i racemi imbiondano e anneriscono.
+
+— Una volta, o Casella, due curiose specie di uva, che la industria ti
+aveva additato, qui mi mostrasti. — Ne mangiai e ne ho lieto ricordo.
+— Sii cortese nel farne motto al mio Lucio, che è tutt’orecchi per
+ascoltarti.
+
+— Tutto l’_hortus_ superiore, ch’è di prospetto, è composto di tali
+viti che danno il buon da mangiare. — Ecco come io mi vi adoperai.
+Presi quattro ramicelli di diverse specie, delle qualità migliori. Li
+ligai forte e li cacciai in un tubo di terra cotta, lasciando due soli
+bottoni fuori. Quindi, in una fossa, ricoperta di letame. — Corsi due
+o tre anni, quando mi avvidi che i ramicelli eransi collimati insieme
+e formavano un solo stelo, ruppi il tubo in cui era chiuso, lo piantai
+nella terra ed i grappoli che ne colsi a suo tempo offerirono chicchi
+di sapore e di colore svariato.
+
+Operai anche nel modo seguente. — Spaccai una margotta nel mezzo
+in tutta la sua lunghezza. Ne trassi il midollo. — Collimate le due
+parti, le legai strette senza offenderne i getti. La piantai nella
+terra letaminata e l’annaffiai spesso. Ed il frutto che ne mangiai non
+produsse mai acini.
+
+Coteste operazioni sono divertimenti, o Lucio, e non entrano
+nell’ordine della cultura. La specie buona s’innesta — ecco il modo
+di propagarla, e trarne pro. Ora ti nominerò le migliori qualità ch’io
+posseggo.
+
+L’_amminea_, i cui grani sono coperti di fine lanugine. È della
+stessa specie la _gemina_, perchè i grappoli fioriscono a due a due.
+— La vite di Nomentum è molto feconda. Ve n’ha di due sorta. Una
+la chiamano _rubelliana_, perchè il suo legno è rossastro dentro.
+E l’altra _feciniana_, perchè il suo vino dà sedimento copioso. Ho
+una moscatella; che pur dicono uva _apia_, perchè ricerca con amore
+da quegl’insetti che ce la rendono nel verno col loro mele odoroso.
+Un’altra uva dicesi _uncialis_ dal peso dei suoi grossi chicchi. Nel
+recinto che qui vedete ne coltivo più di ottanta specie svariate,
+che riunite nel tino danno squisitissime qualità di vino. — Che più?
+Nominartene una per una fa lungo il discorso ed inutile. Sarebbe lo
+stesso dirti il nome di ciascun granello di sabbia agiti Favonio. Ti
+basti che ne ho di Chio, di Thasos, di Spagna, della Rhezia, di Sicilia
+e del paese degli Allobrogi. — Ora, ridammi il braccio e scendiamo a
+vedere l’oliveto. —
+
+Lucio era incantato della semplicità di quel vecchio illustre e della
+bonarietà che spiravano le sue parole. — Si sentiva superbo di essergli
+al fianco e pensava quanti in Pompei gl’invidierebbero una tanta
+fortuna.
+
+— Tu, o Vestorio, avrai detto al tuo figlio come quegli alberi cui
+ci avviciniamo ed ai quali i Greci attribuirono una origine celeste,
+fossero stati qui da essi portati. — In Italia non v’erano. Anzi,
+nell’anno di Roma 505, una libra di olio valeva dodici assi. Ed oggi
+ce ne danno dieci per un asse. — V’è chi ha scritto, vi è pur chi dice
+che quelli che piantano ulivi non ne veggano il frutto. — Errore! —
+Ecco, siam giunti. — Vedete i grossi alberi! E tutti da me piantati.
+— Antestio, gli ulivi che piantammo gli ultimi, da quanti anni messi
+sotterra? —
+
+— Mio buon padrone, nell’anno del tremuoto........ ed in cui partorì
+la mia figliuola. Giunti al quarto mese della germinazione, sono cinque
+anni. —
+
+— Vedete, amici, sono cinque anni, e già compensano le nostre
+sollecitudini! — Antestio, togli un ramicello delle tre qualità
+migliori commestibili. — Vo’ che le osserviate da presso..... Questa
+dalla foglia larga ed argentea al di sotto viene di Spagna e perciò
+ai suoi grossi frutti diamo il nome di _orchites_. — Dapprima li
+ponghiamo in un bagno caustico, composto di acqua stillata dalla calce
+e dalla cenere. Tratto tratto si esaminano tagliandone la polpa col
+coltello. Appena si scorge il punto che il ranno è arrivato a mordere,
+le olive si tolgono e si lavano con acqua pura. Indi si tornano a
+maturare nella salamoia, formando sopra uno strato di steli e di fiori
+spezzati di finocchio salvatico. — Queste dalle bacche più larghe le
+chiamiamo _pausiane_; esse pure formano la delizia della nostra tavola
+nello inverno. L’ultimo ramicello appartiene ad Emerita, terra della
+Lusitania. I suoi frutti sono grossi e polputi. — Non abbisognano
+di salamoia. Basta esporli durante le fredde notti del decembre e
+del gennaio all’aquilone e divengono dopo una decade dolci come uve
+passe. —
+
+Poi, voltosi al monte, riprese:
+
+— Vesvius — creatore di questa deliziosa contrada e che talvolta,
+quasi schiacciasse col suo peso i Titani, freme e traballa — oltre le
+pomici, la pozzolana e quelle spugne rossastre di cui ci serviamo per
+fabbricare muri leggieri e soffitte, pare ci abbia pur dato una pietra
+dura quanto il granito. Me ne servii per molti lavori qui. — Or, sopra
+i crepacci della roccia eransi piantati di per sè alcuni caprifichi
+salvatichi, i quali portavano le loro frutta con maturità anticipata.
+Allora io piantai dinanzi fichi di qualità migliori.
+
+Perdona, o giovanetto, la parlantina di un vecchio che la vanità ha
+sorpreso sul declinare della vita. I miei coetanei sono lodatori di
+antiche cose. — Nè io son libero di quel difetto, se difetto è. — Ma
+lodo pure le nuove, perchè sono presso la natura che si rinnuova pur
+sempre. — Là a diritta ho una piantagione di peri. Mi danno frutta
+squisite. Ho la _decimia_ — la _dolabella_, che ha lungo il picciuolo
+— la _laurina_, il cui aroma somiglia a quello della corona degli
+eroi — la _nardina_, che ha l’odore del nardo — la _superba_, che
+chiamasi così per antifrasi, essendo la più piccina della specie — la
+_libralia_, che vien colta dopo i primi geli — la _veneria_, dedicata
+alla Iddia che a me sorrise e a te sorride benevola, detta così per la
+forma elegante e pei suoi vivaci colori. — I cotogni che miri in fondo,
+dai rami ricurvi dal peso che l’anno scorso patirono per la quantità
+dei suoi frutti pesanti, gli ho piantati per adornare gli altari dei
+domestici Iddii e per la loro fragranza. — Là, a sinistra, su quel
+terreno più fresco e più pingue, sono alberi di mele che sbocciano
+già le loro tenere foglie. Ve’ la primaticcia, che apre la fila. Poi
+la _sceptia_, che devesi ad un mio liberto. — Le più ricercate sono
+le _appiolae_ — le _claudiae_ — le _manliae_ — le _gestiae_ — tutte
+coi nomi di quei che le fecero primi conoscere. — Furono uomini egregi
+del vecchio Lazio e del Sannio; i quali, dopo avere condotto i soldati
+della repubblica sul sentiero della gloria immortale, tornarono come
+me alla onesta quiete dei campi d’ond’erano partiti. — Nessun piange
+o muore per queste loro conquiste. — Esse sono tutte ed a tutti
+benefiche. — E la pubblica riconoscenza gli nomina e gli nominerà
+quantunque volte gli uomini ricorderanno i loro frutti squisiti,
+fintanto che i padri trasmetteranno ai figli le due nobili lingue della
+libertà e della civiltà. —
+
+Il vecchio Casella, di curvo che era, sollevò baldo il suo capo
+canuto, e due cicatrici mostrò sulla fronte e sul collo. — Il giovane
+fu commosso da quello aspetto dopo quelle parole e strinse la mano al
+padre suo. Tre diverse fasi di sole erano in presenza — l’alba — il
+mezzodì — ed il tramonto. Ma tutte si coloravano di una tinta splendida
+ed ardente. — Lucio, dominato dalla fiera inspirazione dell’onore e
+della gloria, era grande, magro e un po’ stretto di spalle. Bruno e
+dai capelli naturalmente arricciati, aveva un fuoco negli occhi che
+rivelava gli entusiasmi del cuore. — Vestorio; di media statura e
+tarchiato e forte, aveva seguito la carriera delle armi ed era poeta
+come un valente uomo dev’essere; imperocchè il medesimo slancio solleva
+di terra — per trasportarle con ala possente verso un nume misterioso
+ed ignoto — la mente coraggiosa e la mente inspirata. Nei tempi di
+pace adempiva alla pubblica funzione di questore, che la elezione del
+popolo gli aveva dato. — Coecilio era un uomo di una forte razza, di
+cui non abbiamo che un solo modello ai dì nostri. Nè grande, nè piccolo
+di persona. Grave negli atti e nelle parole. Pari sempre alle varie
+venture della vita. E tutto lo aspetto raggiante di un velato e mesto
+sorriso che nessun pericolo, per tremendo che fosse, avrebbe avuto la
+forza di spogliarne il suo labbro. — La emozione di quei tre era come
+lo ardore profondo di un sentimento che appena facevasi sospettare
+al di fuori — Il vecchio fu il primo a parlare e disse, rivolto agli
+amici:
+
+— Visitammo abbastanza i piedi degli alberi, i miei sono stanchi.
+— Forse i vostri, no. — Pure, per tutti stimo conveniente il
+riposo. —
+
+Gli altri assentirono con un cenno del capo. Ed avviandosi verso
+l’abitazione, traversarono la parte ove si coltivavano i legumi.
+
+— Qui sono le piante nominali di famiglie illustri e che sempre più ci
+richiamano alla memoria la origine d’onde venimmo. I Pisoni derivarono
+da un coltivatore di piselli. — I Lentuli, di lenticchie. — I Fabi,
+di fave. — La cura dell’orto fu cura di uomini sommi che le istorie
+ricordano. — Qui, di fuori, non sono che gli asparagi che riportai di
+Ravenna. — Ah! pur vo’ mostrarti il luogo d’onde io traggo gli aromi.
+— Costì sono seminati il _libisticus_, che tien luogo della mirra —
+il _cominus_, la cui semente fragrante piace tanto ai colombi — la
+_nepitella_, il cui sapore mordente condisce le vivande. — Ma, andiamo
+a rifocillare lo stomaco, che ne ha bisogno. —
+
+Il triclinio di quell’uomo virtuoso era semplice come la sua persona.
+— La camera bianca di calce. Tre larghe finestre vi facevano penetrare
+il dolce tepore della stagione. Il sole era raggiante. La natura tutta
+chiusa in un suo pensiero di amore. — Dopo aversi lavato le mani e
+propinato agli Dei domestici della patria, si assisero attorno al
+desco, su cui fumava un pezzo di montone arrosto. Pane saporito, latte,
+mele, frutta ed erbaggi. — Il vino era mesciuto in coppe di terra di
+Nola, ornate di belle pitture. — Gli uccelli cantavano i loro inni
+sugli alberi vicini.
+
+Dopo una seconda abluzione si levarono dal desco. Ed andarono verso una
+stanza, ove trovarono il _librarius_, lo schiavo che tenea conto dei
+papiri e trascriveva quelli che Casella facea venir di Herculanum e di
+Cuma a prestito dai suoi amici. La camera era sopra un terrazzo elevato
+e la luce veniva dentro da spiragli praticati sul tetto e coperti da
+vetri. Tutto allo intorno era un armadio. E dentro, distesi su lunghe
+tavole, posavano le leggi, i plebisciti, i decreti dei magistrati e gli
+editti meglio importanti. Venivano quindi gl’istorici, i filosofi, gli
+agronomi.
+
+— Ieri piovve e ben tardi rasserenò. Laonde qui venni, cacciato dai
+campi. Pamphilo — questo giovane greco, che ora copia le opere di
+Catone — mi fece lettura per più ore del libro. — Io non saprò mai
+imitare quel saggio. —
+
+Vestorio si fe’ tosto a richiedergli:
+
+— Stupisco della tua severità. — Dinne a noi le cagioni. —
+
+— Catone studiò forte la economia e la volse all’eccesso. — In
+verità, i risparmi oculati dei cittadini fanno fiorente uno Stato.
+Ma non bisogna spingerli allo estremo. — Nè avaro — nè dissipatore.
+— Rammentati, o Lucio, che anche gli eroi sono soggetti a fallire.
+E i grandi uomini debbono continuo studiarsi, onde evitare che i
+loro errori non mangino la grossa parte dei benefici effetti delle
+immense loro virtù. — Immagina, Vestorio. Egli prescrive di menomare
+il cibo agli schiavi quando i fichi maturano e di niegare ad essi la
+distribuzione del frumento, quando pei campi e sulle siepi sono bacche
+che sappiano in alcun modo surrogarlo. — E raccomanda d’inviarli,
+quando sonosi fatti vecchi, al mercato, per non avere a dare alimento
+ad uomini inutili. — Ora comprendi ch’io non posso imitarlo. — Io ne
+ho alcuni, pieni di giorni al pari di me e sono tutti affrancati. —
+E, di abito, soglio ritardare di pochi anni — a seconda della loro
+laboriosità — la tonsura dei capelli e il dono del berretto frigio. —
+Ed oggi tu, magistrato, procederai legalmente allo affrancamento dei
+meritevoli. — Pamphilo, tu sai quali sono. Invitali a radersi le chiome
+e ad attenderci sotto il delubro della Dea.
+
+— Nobile amico!
+
+— Ecco le mie gioie e i miei teatri; lontano dal fracasso del
+mondo. —
+
+Lo attendere fu corto. Le grida di gioia ed un inno greco, cantato da
+giovani donne, annunciò ch’essi potevano discendere.
+
+Il primo ad essere fatto liberto fu Pamphilo. Coecilio gl’impose la
+destra sul capo e pronunciò:
+
+— Io voglio che questo uomo sia libero e goda dei diritti di
+cittadino. —
+
+Vestorio, poichè l’altro tolse la mano, gli toccò tre volte la testa
+con una baccetta. Allora, il padrone lo prese pel braccio, lo fece
+girar sui talloni e gli diè un piccolo schiaffo.
+
+— Ora sei libero. E possa giovarti la libertà che ti rendo per quanto
+ti fu grave la condizione in cui io ti conobbi. —
+
+Il giovane piangendo abbracciò il suo generoso signore. E questi a
+lui sussurrò brevi parole all’orecchio. — Quindi la stessa funzione fu
+praticata a favore di Sica, di Castricio, di Precilio, di Egypta, di
+Mustella, di Thalna e di Cerellia.
+
+La _vindicta_ era compiuta, allorchè Vestorio ebbe scritto i loro nomi
+sur una tavola incerata. Chiamavasi così, perchè Vindicio fu il primo
+schiavo cui in Roma venne conceduta la libertà per aver con generosa
+denuncia salvato le sorti della repubblica. — Ed allo schiavo si facea
+fare un giro sopra se stesso, per indicargli che quindi innanzi poteva
+andare dove meglio gli talentasse. Però tutti aggiungevano al loro
+nome quello dello antico signore e rimanevano aggregati in certo tal
+modo alla famiglia, divenendone clienti. Non potevano sposare nè la
+sorella, nè la figlia, nè la vedova di quegli che li aveva affrancati
+e si distinguevano dai cittadini nati liberi col coprire la testa del
+frigio berretto. Nelle pubbliche magistrature essi e i loro discendenti
+potevano aspirare soltanto al grado di maestri dei quatrivi e dei
+paghi, o di edili del popolo.
+
+Coecili Pamphilo, liberto di Casella, aveva portato un papiro. Ed il
+vecchio, svoltolo, disse a Vestorio:
+
+— Ecco il testamento nel quale ho instituito il mio erede universale. —
+Privo di famiglia, non voglio che i miei beni sieno venduti alle grida.
+— Alconte, mio schiavo, tu che per tanti anni mi accompagnasti nella
+vita fortunosa che insieme menammo, sii tu il mio _hæres necessarius_
+e, per cotesto atto, libero. —
+
+Una gioia singolare circolò nelle vene degli adunati. Tutti baciavano
+il lembo della veste del vecchio. Ed egli, con dolce sorriso,
+assaporava la loro felicità nuova, come quel padre non ricco il quale
+coi suoi risparmi ha raccolto danaro bastante per mandare al ballo le
+proprie figliuole, vestite di seta.
+
+— Ora, ognuno torni alle proprie occupazioni. —
+
+I tre amici rimasero soli. — Ma dire le soavi emozioni sentite da Lucio
+durante la festa della Libertà, è impossibile. — Ed era ancora assopito
+in quei dolci pensieri, quando la mano di Coecilio lo scosse.
+
+— Ti ho mostrato il giardino e il pomario. Debbo ora condurti
+nel podere che dà il buono da nutricare questa mia numerosa
+famiglia. —
+
+Si avviarono a sinistra.
+
+— Per amministrare un campo a dovere occorrono tre cose — acqua —
+pascoli — e bosco. — Del bosco ho quanto basti. — Dell’acqua poco.
+— Dei pascoli a sufficienza pel mio bestiame. — Per vivere felice
+in campagna ne occorrono tre altre — purezza di aria — fertilità di
+terreno — e buon vicinato. — L’aria è balsamica — Il suolo è fecondo —
+I miei vicini siete voi, o Vestorio; e Lucio Tucca. —
+
+I due amici lo abbracciarono con affetto.
+
+— Io vergogno della vastità di questo podere. — Sono quattrocento
+iugeri di terreno. — Cincinnato possedeva un orto, e vi piantava
+cipolle quando vennero a nunciargli il popolo averlo nominato a suo
+dittatore. — Caio Fabrizio era padrone di sei iugeri di terra. — Curio
+Dentato, di sette — ... In verità l’onta mia rimanesi inosservata,
+quando molti altri posseggono assai di più. —
+
+Camminavano per campi pieni di graminacee e di rape salvatiche in fiore.
+
+— Noi calpestiamo ora il terreno che fruttò l’anno scorso. Lo farò
+arare a suo tempo, poi che abbia posato. Il terreno che colaggiù
+verdeggia mi darà nel mese di Cerere quel prezioso ricolto per cui si
+fa lieta la razza umana. — Andiamo là, ove Strobilo lavora coi buoi....
+mirate i suoi solchi diritti!.... Bene... veramente bene! — .... Ehi!
+Strobilo, ti felicito.... Eguali tutti! Oh! non può dirsi che il bravo
+boaro _delira_! — Tu non esci dalla linea. —
+
+Lo aratore fu coi buoi presso il padrone. Gli volse e poi li fece
+posare per prender fiato; e colla destra teneva le redini e colla
+sinistra appoggiossi sullo stimolo di cui si serviva per eccitare gli
+animali al lavoro.
+
+— Io son lieto di poter appagare coll’opera mia l’ottimo dei padroni. —
+Hai altro a dirmi? —
+
+— Vanne, o Strobilo... e che Saturno ti aiuti! —
+
+Proseguendo oltre, si trovarono nell’aia e poi in faccia alla dimora
+dei coltivatori. Il _villicus_ fu primo a presentarsi. Gli altri erano
+tutti in movimento al nuncio che Coecilio era venuto da quella parte.
+I bambini, che ignorano le teorie dei riguardi e che amano chi li
+ama, usi alla di lui naturale bontà, gli corsero incontro gioiosi e
+gareggiarono per afferrargli le mani. — Egli li carezzò dolcemente; e
+poi:
+
+— Ebbene? Caro Cilindro, come va la bisogna?
+
+— Va! — Gli Dei ci concedono pioggia e sole. — Ho fatto seminare i
+fagioli e prospereranno.
+
+— Accompagnaci, se ti piace, nelle dipendenze della casa. — Vedi,
+Lucio, nella _equilia_ di contro erano molti cavalli una volta. Come
+belli i miei compagni nelle battaglie! Erano delle migliori razze
+d’Italia. E ricordo con piacere Signifer, Deceratus, Murrhinus e
+Pontifex, i due ultimi feriti insieme con me. — Ora non risponderebbero
+allo scopo. Preferisco i buoi e le vacche ai cavalli. — Andiamo a
+vederli. —
+
+Entrarono nella _bubilia_.
+
+— Ho molta cura del bestiame io. Mira che grandezza e che forza!
+
+— Ma così belli davvero!
+
+— Vestorio, ho corso il mondo cogli eserciti e in nessun luogo gli
+trovai belli ed adatti per la loro forza al lavoro come nel Lazio. E
+gli feci venire dal paese dei Volsci. — Che nobili corna!
+
+— Di simili buoi dovette far uso Annibale per impaurire di notte i
+Romani e scompigliarli nel loro campo. Nelle piccole corna dei buoi
+nostrani non avrebbe potuto legar grossi fasci di frasche.
+
+— Bene rifletti, o Lucio. — Non potetti per difetto di posto costruir
+qui la stalla d’inverno e quella di estate. — Ma questa è in tali
+condizioni da farne a meno. — Io non li lego. Una specie di giogo li
+frena e non vieta loro verun comodo movimento. Tra l’uno e l’altro v’è
+spazio bastevole perchè il bovaro possa girare loro intorno, allorchè,
+sdraiati, ruminano. — Cilindro, fa aprire l’_ovilia et caprilia_.
+— Tengo cotesti animali pur esposti al mezzodì come i buoi, per
+allontanare il loro puzzo dalla casa dei coltivatori — che è in faccia
+— e perchè sieno alla loro portata. — L’uomo non libero è pigro. Eh!
+Bisogna venire a patti colla loro pigrizia! —
+
+La soffitta di quel locale era più bassa, acciò il calore meglio vi
+si concentri. L’ovile aveva un pavimento di mattoni. — E fra il parco
+delle pecore e delle capre era uno spazio, coperto di una lettiera
+abbondante di ramicelli di felce, su cui posavano le già pronte a
+partorire.
+
+— Vedete pecore di buona razza. — L’ho migliorata, incrociandola
+con quella di Taranto. — E ne ho lana copiosa e più bella. — Nelle
+_harae_ dei maiali non vi farò entrare. — Sì, nel _gallinarium_. —
+Mirate i bei galli! Vi faccio per mezzo di un tubo penetrare un po’ di
+fumo; avvegnachè pei polli sia gradevole e salutare. — Colà in fondo
+è il _teporarium_ pei conigli che i miei coltivatori mangiano. E il
+_chenoboscium_, ove le anitre e le oche mangiano e prendono bagni.
+Quel muro alto che vedete lo feci rizzare per due usi — a riparo del
+favonio — ed alla moltiplicazione delle lumache. — È il _cocleare_. —
+Sul ruvido intonaco è il muschio che le attira ed io ne faccio delizia
+della mia mensa. — Costì, sotto al _gallinarium_, è lo _ergastolum_.
+Allorchè io compero gli schiavi non li trovo quali io gli vorrei. E
+Cilindro deve piegarli. Or quando i miei modi ed i suoi non bastano
+allo intento, conviene cacciarli in quel sotterraneo che riceve aria
+e luce dalle alte e strette finestre che vedete. — Non li visiteremo
+perchè sono bricconi. Ma.... diverranno buoni come gli altri che
+abbiamo insieme affrancato. —
+
+Una donna in sui trent’anni, tarchiata e di buon aspetto, si fa innanzi
+a Coecilio, lo saluta e gli stringe la mano. Era la _villica_, la
+moglie di Cilindro, ambedue liberti, agli ordini e al servizio del
+marito suo, sobria, casta, non superstiziosa, ed avente cura alle none
+ed agli idi di ciascun mese — siccome pure alle feste prescritte — di
+appendere corone ad Epona, la Dea protettrice del bestiame e di volgere
+preghiere per tutti al Lare domestico.
+
+— Abbi gli Dei propizi, o buona Gymnasia. — Vi è da fare, eh?
+
+— Il lavoro nudre, o padrone. E col tuo esempio l’uom si migliora. —
+Che la Parca perda la forbice il giorno in cui si rammenta che Coecilio
+Casella nacque e vive.
+
+— Accetto lo augurio buono. — Abbi cura delle vesti dei miei schiavi.
+E che i bambini sieno puliti. — Ve’, quello dai grandi occhi e il
+paffutello che mi ha preso la mano. Ambidue hanno il viso sudicio.
+
+— Sono la disperazione delle loro madri. Sempre nel fango, che sembran
+oche.
+
+— Ho notato molti crani di asino confitti nei pali qua e là. — È per
+congiurarne la mortalità, forse?
+
+— No, o mio Lucio. — Preservano i campi da influenze maligne. Ma, son
+troppe; hai ragione!
+
+— Che tu fossi divenuta superstiziosa, o Gymnasia?..... Amo la moralità
+negli schiavi. Ma non voglio che luperchi schifosi, che aruspici ladri,
+che indovini bugiardi, che maghe vagabonde vengano qui a mettere ubbie
+nelle vostre teste. — La credulità istupidisce. La ignoranza mangia
+i risparmi. Il bisogno del denaro mena al delitto. — .... Ed io non
+voglio punire al possibile! — Intendi? —
+
+Cilindro diè una occhiataccia alla moglie. La quale, confusa dal
+rimprovero, si fece rossa e curvò la testa.
+
+— _Peream male si_.....
+
+— Basta, o Cilindro. Non vedi? La divenne taciturna come una statua.
+
+— Sai il mio costume, o padrone — _sequere potius quam ducere funem_.
+— Ma Gymnasia farà ch’io mi cangi e la fune la tirerò. — Qui mai più
+ribaldi, intendi? Gl’inghiotta Cocito questi ladri delle campagne.
+
+— Via! O buona, drizza su il capo e menaci alla cucina. — È la sede
+della tua magistratura e non vi sarà a ridire colà. —
+
+Era una vasta camera, a soffitto alto e bene imbiancata. Il focolare
+aprivasi largo e con un banco circolare di muro per riscaldarvi
+gli schiavi nelle giornate fredde del verno e per asciugarvi negli
+acquazzoni estivi. Sulle pareti erano pentoli e tegami e tripodi di
+ferro e vassoi di bronzo. — Sopra il pavimento di lapilli impastati
+con calce e battuti lungo la parete sollevavansi spessi appoggi di
+mattoni murati, sui quali sedevano grossi caldai nettissimi e _calati_
+di piombo per conservare acqua da bere e al servizio della cucina.
+Una porta laterale menava ai bagni degli agricoltori, i quali solevano
+farvisi netti nei dì festivi e più spesso le loro donne e i bambini.
+Sopra i bagni era l’_apotheca_, ove chiudevasi il vino nuovo, perchè
+esposto al fumo maturava più agevolmente.
+
+— Bene, Gymnasia. Sono contento di te. Perdona il rimprovero che ti
+feci. _Oculus in agro fertilissimus._
+
+— Or dove dormono i tuoi schiavi, Coecilio?
+
+— Amo, o Vestorio, nel tuo Lucio la curiosità che addottrina. —
+Qui, sopra la cucina e le stalle. — I bovari e i pastori, nelle
+_bubiliæ_, perchè sieno vigili custodi del mio bestiame. — Credeva di
+averti mostrate le loro cellule coi loro numeri sopra, per eccitare
+la emulazione e fare ognuno testimonio della incuria dell’altro.
+— La corte, colla fontana nel mezzo e, sotto, la cisterna per la
+conservazione delle acque piovane, è chiusa dall’_horreum_, magazzino
+ove sono in serbo gli aratri, gl’istrumenti di ferro ed i _tympana_,
+carri a ruote piene senza raggi, destinati al trasporto dei pesanti
+prodotti dell’agro. — Qui, tutto vedemmo che meglio importava. —
+Torciamo ora i passi verso la mia dimora, e di là alla _fructuaria_,
+dove convengono tutti i ricolti. — Addio, amici. Gli Dei vi concedano
+tanti beni, quanti occorrono al vostro vantaggio. —
+
+Alcune lepri correvano lungo i campi, e si rinselvavano nel bosco.
+Le pernici squittivano accenti di amore. In un recinto di reti gli
+agnelli spoppati apprendevano a nudrirsi dell’erbe tenerelle che il
+tepore primaverile in quelle felici contrade facea germogliare. E
+mentre le talpe minavano sordamente la terra, i passeri, le allodole,
+i pettirossi e le cingallegre modulavano gentili armonie. La strada,
+dov’essi passavano, seguiti da Cilindro, offeriva ai loro sguardi uno
+spettacolo visto e rivisto e pur sempre nuovo. Il terreno discendeva
+in anfiteatro sino alla riva, abbellito da gruppi di alberi, da
+fichi spinosi e da case variopinte, che colle loro terrazze e coi
+loro portici parea sorridessero a quel cielo olimpico. L’occhio
+abbracciava in una volta il mare senza limite, il golfo di Stabia,
+le coste abrupte di Sorrento, l’isola di Capreas, la lunga sponda di
+Posilipo, la vaghissima Neapolis, lo artistico e nobile Herculanum e il
+vecchio Vesvius, fucina degli spessi tremuoti e più tardi operatore di
+distruzione e di morte. — Quei luoghi d’incanto avevano una espressione
+di tutta dolcezza; e, come la musica, spandevano pei nervi un fluido,
+padre d’idee passionate e triste. Coecilio arrestossi e levando la
+mano.
+
+— O Campania, giardino d’Italia! E tu, fiore del mondo, Pompei! —
+
+Parlando su cotesto argomento giunsero dove erano diretti i loro passi.
+— Il fabbricato aveva in mezzo una corte. — Ciascuna parte era addetta
+al suo uso particolare. A diritta era il _torcular_, il molino delle
+olive e il pressoio per estrarne l’olio. A lato era la _cella olearia_.
+A sinistra aprivasi la _cella vinaria_, il cui pavimento di marmo
+inclinavasi verso un bacino che riceveva il mosto dei tini scoppiati
+per la forza della fermentazione. — Una grande vasca — _calcatorium_
+— serviva alla pestatura delle uve. Era sollevato sur uno zoccolo di
+quattro gradini e due bacini profondi ricevevano il mosto che poi si
+versava nei _dolia_ — tini panciuti di terra cotta — posati lungo i
+muri. Presso i torchi, in fondo, levavasi la caldaia, dove il mosto
+convertivasi in vino cotto. — Poi, nelle anfore conservavasi nella
+cantina, luogo chiuso e quasi oscuro, munito di qualche spiraglio verso
+il settentrione.
+
+Sopra era il _penus_ — il luogo ove si conservavano i commestibili
+— e l’_oporotheca_, dove si serbavano le frutte in particolare. Nel
+primo, le fave raccolte, i piselli, le olive edule, le zucche, le uova
+fresche, i meloni ed altre cose simiglianti. — Nell’altro, i fichi,
+le mele, le pere, e via dicendo. Quivi il suolo, le pareti e la volta
+erano di marmo per intrattenervi vie meglio la frescura.
+
+Il granaio chiudeva la corte coi suoi magazzini a volta e sollevati
+dal suolo. Il pavimento era formato di lapillo, di calce e di sabbia
+impastati col sedimento dai vasi da olio novello e non salato. Quando
+era battuto ed asciugato, vi si spalmava anche dell’olio buono ed
+il fondaco diveniva eccellente, e mai i sorci, i calabroni od altri
+animali nocivi vi penetravano.
+
+— Tu mi chiedesti un _promus_, o Vestorio. — E ti darò Mustella che ama
+una tua liberta chiamata Pyrgo; talchè sarà felicissimo nel tuo podere.
+E pur mi chiedesti un _villicus_ valente. — E ti darò Castriccio che il
+mio Cilindro istruì. È per sposarsi con Cerellia, una delle schiave che
+tu stamane legalizzasti liberta. — Noi, mio Lucio, correggiamo un uso
+dei repubblicani di Roma. Quando quel gran popolo conquistò la Italia
+e la Grecia, si appropriò il territorio dei vinti. — Se era coltivato,
+i triumviri addetti all’amministrazione della nuova colonia o lo
+vendevano o lo affittavano. Se il popolo aveva seriamente resistito, la
+terra si dava agl’incanti; e quegli cui rimaneva pagava alla repubblica
+il decimo del prodotto che ne ritirava. La quale tendeva a moltiplicare
+ovunque la popolazione agricola che le forniva i più bravi soldati, i
+più duri alle fatiche e non pensavano al male. Ma moltiplicandosi le
+guerre — e gli uomini liberi, tutti a difesa delle aquile, — la cultura
+dei vasti dominii fu giuocoforza affidarla agli schiavi, ch’erano le
+popolazioni soggette. Tu hai osservato con quanta carità io li tratti.
+— Non tutti così!.... E gl’italici si solleveranno i primi. I Romani
+forse li domeranno col ferro o scenderanno a patti.... Verrà giorno
+però in cui il lusso, la mollezza e i vizi disegneranno la curva della
+caducità di un gran popolo. I campi popolati tutti di schiavi oppressi
+saranno teatro a macelli e ad incendii. I crocefissi inchioderanno i
+loro crocefissori... Oh! non permettano gli Dei tanta ruina. —
+
+Il sole illuminava dei suoi ultimi fuochi le cose. Pei due Pompeiani
+era tempo di ritirarsi. Ringraziato l’ospite illustre del cortese
+accoglimento e della cessione dei propri coltivatori, Vestorio Tucca e
+Lucio tolsero da lui commiato e lo baciarono sulla gota.
+
+Poi che li vide a cavallo, Coecilio Casella fece loro un atto benevolo
+colla mano e disse:
+
+— Il tragitto alla tua casa è breve, o amico. — Ma in viaggio un
+giovane allegro e caro, come il tuo figliuolo, vale un _cisium_ leggero
+per un pedestre stanco e trafelato. —
+
+
+
+
+IL FORO.
+
+LA ELEZIONE DEI MAGISTRATI IN POMPEI.
+
+=Anni di Roma 705 — Anni avanti il Cristo 49.=
+
+
+ A GIUSEPPE FIORELLI.
+
+ III.
+
+
+Il cielo era azzurro e radiante — come spesso — sull’ampio e vaghissimo
+cratere partenopeo; una tinta che non è altrove; che infiamma e fa
+pensare; che soffia sull’anima gli slanci passionati e le eroiche
+rassegnazioni. — Il golfo era circondato da colline verdeggianti sino
+al promontorio di Minerva e da un antico vulcano, detto Vesvius, le cui
+lave vedevansi lungo la strada che da Pompei sulla riva del mare menava
+in Oplonte, Retina ed Herculanum, o sulla via Popilia che guidava a
+Nola, o sulla terza che, traversando il copioso Sarno e dividendosi in
+due, metteva a Nocera ed a Stabia. — Bella per le sue rive incantate su
+cui i poeti favoleggiavano le sirene, ricca pel suo fiume navigabile,
+avente l’occhio sur una fertile pianura, e l’altro sulla collina
+gremita di case variopinte, la città-emporio — detta perciò dai Greci
+ΠΟΜΠΕΙΟΝ — era posizione militare, posto commerciale e luogo di delizie
+in una volta. I pittori venivano a cercarvi le loro inspirazioni — i
+poeti, i segni sensibili delle armonie della natura — i filosofi, le
+felicità profonde nello stracciare un per uno i troppi veli parati
+dinanzi al genio dell’uomo — i timidi, gli stanchi, gli uomini di
+pecunia, il luogo riposato e tranquillo ove appena giungeva l’eco degli
+avvenimenti fragorosi del mondo — i ricchi giovani, le più splendide
+illusioni, i sorrisi delle labbra divine, gli sguardi vellutati che
+vi passano il cuore e le parole dorate dalla intelligenza o profumate
+dal candore che quella sola regione poteva ancora offerire, patronata
+siccom’ell’era da Venere Fisica e da Iside misteriosa.
+
+Correva l’anno di Roma 705.
+
+Erano le calende di maggio.
+
+Il quadrante solare e la clessidra di acqua — questa surrogante
+l’altro nei tempi oscuri o nebulosi — deposti nei pubblici luoghi,
+designavano già la quarta ora, corsa dopo il _diluculum_, parola
+colla quale indicavasi la punta del giorno. — Malgrado però quelle
+acconce invenzioni di cui Roma seppe godere sol cinque secoli dopo la
+sua fondazione, lo _accensus_ — ufficiale subalterno dei _duumviri_ —
+urlava a piena gola sui canti delle vie la misura del tempo che il sole
+e l’acqua notavano, per meglio aiutare alla intelligenza dei forestieri
+e della gente minuta della città e della campagna.
+
+Sino dal mattino — aperti i cancelli di legno sullo sbocco delle otto
+strade che mettevano nel Foro — il vasto recinto era un va e vieni
+di fitto popolo di tutte le classi e di varie favelle. Oltre che i
+meridionali hanno la tradizionale abitudine di viver meglio fuori
+che dentro le proprie dimore — oltre che quel vasto edifizio solevasi
+costruire di preferenza presso il porto nelle città marittime o nel
+luogo più elevato e centrale in quelle dentro terra — siccome il sito
+favorito dei ritrovi, dei commerci e delle riunioni di tutti i pubblici
+affari — in quel giorno la Colonia Veneria Cornelia di Pompei era
+chiamata alla elezione diretta dei suoi magistrati.
+
+Sur ogni muro esterno delle case e specialmente sugli angoli dei
+quatrivi, erano inscrizioni a grandi lettere di color rosso, mercè
+le quali i devoti, i riconoscenti per ricevuti favori, i clienti,
+i parassiti e i liberti sollecitavano il pubblico voto a pro dei
+loro propri candidati. Per cui leggevansi elogi tributati a nomi
+di cittadini e biasimo ai più sconosciuti od immeritevoli dell’alto
+ufficio.
+
+La politica dei padroni del mondo divise i paesi conquistati in città
+latine, in città federate, in prefetture ed in colonie. — Erano libere,
+ma nella dipendenza di Roma. Laonde non potevano stringere alleanza
+tra esse, nè politica, nè privata, senza prima ottenerne il permesso.
+— La Italia si divideva in dodici provincie indipendenti con leggi,
+con usi più o meno simili a quelli che reggevano la grande metropoli;
+e dal golfo di Taranto distendevasi sino al Rubicone, piccolo fiume che
+sbocca nell’Adriatico. — E nel Mediterraneo giungeva sino a Luna, città
+che gli Etruschi avevano fondato là dove il fiume Magra si gitta nel
+mare. — La potente repubblica privava della libertà i popoli manchevoli
+alla fede dei suoi trattati. — Se recidivi, gli deportavano tutti
+fuori del loro paese. — O ne distruggevano la città. — O confiscavano
+una parte del loro territorio. — Tutte le dodici provincie erano più o
+meno colonie militari, cioè deposito di un corpo di fanti e di cavalli
+in permanente osservazione; e dovevano pagare un tributo in uomini
+ed in danaro. — E come puniva le aperte rivolte, così ricompensava le
+tacite fedeltà. — E la colonia di Pompei era pur _municipium_. Aveva,
+cioè, ricevuto il _munus_, il donativo tutto speciale dei diritti di
+cittadinanza romana. — Onde la sua costituzione era pari a quella
+dell’Urbe, che divideva i suoi abitanti in tre ordini — senato —
+cavalieri — e popolo. La magistratura municipale di Pompei rassegnavasi
+in un edile — nei duumviri che rendevano altresì la giustizia — nel
+pretore — nel censore — nel questore, gerente del reddito pubblico —
+nel patrono della città — nei maestri dei subborghi e dei trivi — ed in
+cento decurioni — quelli che in Roma chiamavansi senatori — i quali —
+decimando i coloni — formavano il pubblico Consiglio.
+
+La forma del Foro — che fu l’_agora_ già costruita dai Greci — era
+un parallelogrammo molto allungato. Un pavimento regolare di bianco
+travertino, su cui sorgevano tutto all’intorno colonne d’ordine dorico
+di svelte ed eleganti proporzioni, che sostenevano un porticato di
+due piani. — Lungo l’area erano piedistalli rivestiti di marmo pario o
+colorato, che presentavano in piedi le statue — votate in vita o dopo
+morte — dei cittadini illustri per le loro virtù o per lo esercizio
+di gradi eminenti. — Sur altri quattro erano statue equestri ed una
+quadriga. — Sull’una estremità — quella che prospetta il mare — si
+elevava un arco di trionfo. — E più su, due altri piedistalli con
+statue. — Statue di marmo coronavano altresì il tetto del porticato
+del Foro. — E nel fondo stava il maestoso edificio — alla cui sommità
+giungevasi per una gradinata interna di marmo — il quale era in un
+tempo l’_ærarium_ ed il tempio sacro a Giove ed al figlio Esculapio.
+Siccome la costruzione di parecchi metri sollevavasi dal suolo, il
+piano superiore lo avevano dedicato al principe dell’Olimpo, ed il
+sottano a deposito della pubblica pecunia.
+
+Otto strade diverse menavano al Foro. — Quelle dei due lati del tempio.
+— L’altra che veniva dal crocicchio del Lupo. — Una dal canto del
+Pecile — luogo riparato dal vento e dal sole, sacro al passeggio, dalle
+pareti adorne di pitture sui fasti gloriosi della Colonia — metteva
+nell’Araiostylo, l’ambulatorio sotto il portico a lato del tempio di
+Venere. — Una veniva dalla marina ed immettevasi nel parallelogrammo
+tra il suddetto fano, sacro alla Iddia della plastica bellezza, patrona
+della città, e la _Basilica_. — Un’altra questa isolava dalle case
+particolari. — Una imboccava nel porticato costeggiando a diritta
+la scuola pubblica — ed un’altra ascendeva verso quel punto rilevato
+sulla via detta dell’Abbondanza, per la immagine di cotesta divinità
+spicciante acqua nel fonte di quel quatrivio. — Passavano per là quei
+che entravano in Pompei dalla porta di Stabia. — Ogni sbocco di quelle
+vie aveva gradini e pilastri in piedi — _impedimenta_ — e pietre ovali
+massiccie rilevate dal selciato — in uso pur queste in tutte le altre
+strade della città, a comodo degli abitanti, onde traversassero a piede
+asciutto nei casi di grandi acquazzoni — per impedire il passo alle
+vetture e ai cavalli e non aggiungere lo strepito delle cose al rumor
+delle voci.
+
+E nel vero, molta gente togata alla romana era colà e parlava a bocca
+sfrenata, aggiungendo energicamente il gesto ad ogni detto. — Sotto
+il portico gironzavano, arrestandosi tratto tratto i _fæneratores_ —
+lepra dei tempi che tante leggi non potettero mai sanar per intero —
+i quali usavano i loro brevi capitali, o ne improntavano da altri per
+poi prestarli al grosso agio del cinque per cento al mese. La famosa
+ritirata della plebe al Monte-Sacro, quindi sul Gianicolo, ebbe origine
+dal rifiuto dell’abolizione dei debiti enormi, creati dall’avarizia
+dei prestatori. — Una legge recente aveva ordinato che i cambiatori di
+moneta — riconosciuti per tali — fossero nel Foro e dessero a prestito
+il denaro con usura semissuale — cioè, del sei per cento all’anno.
+Non mancavano però gli usurai di accalappiare qualche ignorante e i
+forestieri, in un giorno di tanta folla. Erano rizzate sotto i portici
+le _tabulæ auctionariæ_, coll’enumerazione scritta dei beni mobili
+ed immobili da vendersi in tale ora alla pubblica licitazione. E i
+_præcones_ gridavano i meriti di una casa, di un terreno, o dei mobili
+di legno, di bronzo o di più fine metallo. — Altrove erano botteghe
+posticce, ove si vedevano intorno ai venditori rotoli di cordami e
+pacchi di vele. — O tuniche e mantelli di grosso saio con cappuccio,
+per gente di campagna e per marinai. — O vasi di terra, fabbricati
+nella vicina Nola, di ogni dimensione, di ogni ornato, di ogni prezzo.
+— O lucerne, licnoferi, nassiterni, bombille e vasi unguentari. —
+O calzari di ogni stoffa e di ogni foggia. — O Dei penati, e voti
+di terra cotta o di bronzo. — O astragoli e pallottole di piombo ed
+altri giocattoli per bambini. — E tutti gridavano — e tutti urlavano,
+vantando la bontà delle loro merci e la mitezza dei prezzi. — V’erano
+persino i ristoratori ambulanti, offrenti vini caldi ed acque melate. —
+E fra i venditori di cialde, di nastri, di calzari, di stoffe di Tyro e
+di Tarentum, di pelli conciate, si aggirava il misero Verna, maestro di
+scuola, che con voce supplichevole e monotona, raccomandava a colui che
+sarebbe stato eletto edile sè ed i propri discepoli.
+
+Sotto il portico laterale al tempio di Venere Fisica, in una icona
+quadrata, erano costrutte di tufo le pubbliche misure di capacità
+di varie grandezze, affidate, per decreto dei decurioni, ai duumviri
+Clodio Flacco e Arelliano Caledo.
+
+Procedendo più oltre, penetravasi nella _Basilica_ — uno degli edifizi
+meglio notevoli del Foro — ove i duumviri rendevano la giustizia.
+
+Di prospetto al tempio di Giove Tonante erano le tre _Curiæ_, luoghi
+sacri, ov’erano depositate le scritture dei pubblici archivi.
+
+Sull’altro lato del Foro, Eumachia, figlia di Lucio, sacerdotessa
+pubblica, in nome suo e di Numistro Frontone, suo figliuolo, aveva
+costruito di proprio il magnifico monumento del _Chalcidicum_, della
+cripta e del portico interno della _Concordia_, ch’era in un tempo
+un tribunale per gli affari di commercio ed un luogo riparato dalle
+intemperie e dallo strepito della vita pubblica per la trattazione di
+essi. — I _fullones_ — che avevano altrove il loro opificio — grati
+alla munifica sacerdotessa, le votarono una statua di marmo nell’abside
+interno. — Il muro laterale esterno della cripta, riccamente ornato di
+cornici, di frontoni e suddiviso in tutta la sua lunghezza di pilastri,
+simulanti porte, era l’_album_, ove si pingevano a grandi caratteri
+rossi o neri le inscrizioni di pubblico interesse, che risguardavano
+le vendite, gli affitti, le feste, gli spettacoli. — Difatti vi si
+leggeva lo annuncio che una compagnia di gladiatori avrebbe pugnato
+in Pompei l’ultimo giorno di maggio. — E con un altro tutti gli
+orefici invocavano Gaio Cuspio Pansa, edile. — E il maestro di scuola,
+Valentino, coi suoi discepoli, raccomandava con uno sproposito di
+lingua — che non procacciava meriti al saper suo — Sabinio o Rufo,
+come edili, degnissimi della repubblica. — Ed un Osco dava nella sua
+lingua — ch’era pure una delle favelle del paese, sendo stati i Sanniti
+i suoi primi abitanti — lo indirizzo della sua locanda pubblica ai
+viaggiatori, colle enumerazioni delle comodità che offeriva.
+
+Andando anche più in su, si trovava il fano dedicato a Mercurio. —
+Quindi il _senaculum_, luogo destinato alle assemblee dei decurioni.
+— Ed in fondo erano le _tabernæ argentariæ_, fondachi dove operavano
+i loro commerci i cambiatori di moneta, gli orefici e gli scultori nel
+bronzo.
+
+Ai lati del tempio di Giove si elevavano due eleganti archi a trionfo,
+eretti ad incliti cittadini per le loro virtù.
+
+Ascendevasi al sacrario massimo per una doppia gradinata, presso
+due larghi piedestalli ornati di statue equestri. Dal _pulpitum_ —
+piattaforma spaziosa d’onde i magistrati e gli arringatori concionavano
+al popolo — si saliva su più larghi gradini al porticato del tempio,
+sostenuto da dodici colonne di ordine corintio, rivestite di bianco
+stucco. E sedici colonne eguali, di ordine ionico composito — aventi
+le sue volute sulla diagonale, sopportate elegantemente da foglie
+di acanto — sostenevano nello interno un altro colonnato corintio
+su cui chiudevasi il tetto. La statua gigantesca del nume drizzavasi
+dinanzi le tre camere a volta, nel fondo della cella, belle di pittura
+architettonica, nelle quali tenevansi gli archivisti degli atti di
+deposito erariale. E su tutta la superficie del bianco mosaico — in
+mezzo e nello intercolunnio — si aprivano larghi spiragli per dar
+aria ed alcuna poca luce allo edificio sottano, ove era custodita la
+pubblica pecunia.
+
+La folla erasi fatta vie più spessa. — Le matrone — cioè le donne
+sposate colla _confarreatio_ e non colla semplice _cœmptio_, per cui
+queste divenivano soggette dello sposo ed in una continua tutela, e
+dalla cui razza non si sceglievano flamini nè vestali — ripeto — le
+matrone, a cui tutti avevano ceduto il passo lunghesso le vie, salivano
+prime sul terrazzo coperto sopra il portico del Foro per le due scale
+disposte alle estremità delle _Curiæ_. Esse vestivano la _stola_,
+cioè la lunga vesta di lana bianca che cuopre la metà dei piedi. E si
+avviluppavano in un ampio mantello detto _palla_, che non permetteva lo
+aspetto della persona. Una truppa di liberte e di schiave lor faceva
+corona e largo al tempo stesso. Esse, in grazia del gesto animato con
+cui accompagnavano la breve parola, si permettevano tutto al più lo
+innocente civettismo di mostrare la bella mano dalle dita affilate e
+piene di gemme. — Le altre donne più giovani — e perciò più eleganti
+e più libere — che dopo esse salivano, portavano sopra l’acconciatura
+del capo finissimi veli, coi quali artificiosamente e per metà celavano
+ai desiosi sguardi degli ammiratori il loro viso ovale dal tipo greco.
+Ricchi i tessuti delle vesti e di ogni tinta. Ma la porpora primeggiava
+tra tutte. — Mutabili nelle loro idee, erano pure svariate le fogge
+del loro vestire. Alcune si coprivano colla _regilla_, la quale era una
+grande tunica dritta. O colla _impluviata_, una specie di toga femminea
+di forma quadrata come l’impluvio di una casa. O col _basilicus_ o
+coll’_exoticus_, manti reali o stranieri, colle frange o coi meandri
+d’oro. O colla tunica _intusiata, calthula, patagiata, crocotula,
+plumatile_, questa sparsa di ricami d’oro leggerissimi al pari delle
+piume. — Una di esse, nel porre il breve piede sulla scala, ebbe cura
+con tal movimento di disegnare i rotondi contorni della leggiadra
+persona. Una bionda, per mostrare il suo petto bianco come la neve, si
+volse dalla parte d’onde spirava il vento, perchè zeffiro soffiando sul
+suo _linteolum cæsicium_, le scoprisse la spalla sinistra ed una parte
+del braccio, tornito dagli amori. — E una bruna vanerella, vestita di
+una _mendicula_ molto scollata, lasciava ammirare un suo neo sull’omero
+di alabastro. Tutte avevano collato sul loro volto pieno di grazie
+piccoli pezzi di pellicola nerastra, di forma rotonda o di mezza luna
+— nei di artificio coi quali pretendevano dare maggiore rilievo alle
+loro naturali attrattive. E presso che tutte — di bruni capelli — si
+ostinavano per moda di averli cangiati in biondi ardenti, in dorati
+od in tinta cinerea. E cotesto ottenevanlo col farsi ungere le chiome
+dalle loro _ciniflones_ — addette a siffatto mestiere — con una pomata
+composta di ragia, di aceto e di olio di lentisco, che imbiondiva
+i capelli in una sola notte. — Non eravene una che non avesse sulle
+orecchie due e sino tre pendenti d’oro, di pietre preziose e di perle.
+— Cotesti gingilli così combinati erano detti _crotales_; perocchè
+nello urtarsi formavano un suono, atto a destar l’attenzione e a far
+doppio il loro civettismo. — Alcuna passava dall’una mano nell’altra
+alcune piccole palle di cristallo di monte e di ambra gialla — le prime
+per tener fresca la palma, e le altre per profumarle soavemente. Altre
+stringevano i polsi per entro braccialetti d’oro a forma di serpi, che
+pesavano da due a tre chilogrammi.
+
+Giovani — e ben più ridicoli per la loro raffinata ricercatezza —
+avevano molte di quelle leggere donne accompagnate dalle loro case o
+dai bagni fin là. Anch’essi avevano profumati od arricciati con arte
+i capelli. — Ed il mento rasato. — E mani, e braccia, e gambe monde
+di pelo dalla pietra pomice. — E chiusi entro le ricche pieghe di
+una larga tunica di porpora. Od avvolti in un bruno _lacerna_, veste
+militare che l’abitudine delle guerre civili aveva messo in uso ed
+in moda. Di alcuno tra essi poteasi dir con Orazio, _ad unguem factus
+homo_, cioè, azzimato sino alla perfezione.
+
+Ai quattro canti del Foro alcuni _viatores_ — che già avevano per
+tutte le strade avvisato come l’assemblea popolare fosse per aprirsi
+— suonarono le loro trombe. E poi, l’un dopo l’altro gridarono che i
+decurioni andassero al loro posto, e quelli i quali avevano diritto di
+dare il suffragio apparecchiassero le loro tessere.
+
+Allora, uomini dalle larghe toghe preteste, orlate da una striscia
+di porpora, dalle laticlave e dai bianchi stivaletti, ascesero i
+gradini del tempio e si assisero sulle sedie curuli. Altri — al cui
+passaggio ognuno deferente faceva inchino col capo — nel traversare il
+parallelogrammo salutava con benigno ed orgoglioso sorriso quelli che
+tra i suoi conoscenti distingueva tra i gruppi. — A quanti egli e i
+suoi somiglianti avevano in quel giorno pagato un piccolo debito, ed il
+desinare nelle _popinæ_, e la tessera del teatro!
+
+Intanto, un giovane accorso rapidamente dalla via della fontana del
+Lupo, sparse una novella, la quale venne da molte bocche bentosto
+riprodotta, ed offerì nuovo soggetto all’animato disordine, alla
+febbrile parola, al gesto impetuoso di quel popolo meridionale. Di
+fatti, i curiosi — che si erano spinti fin sotto l’acquedotto dalle
+due fontane che simulava il secondo arco trionfale dopo quello a
+sinistra a lato del tempio — videro un vecchio circondato da gran
+numero di clienti, portare la mano destra alla bocca e contornare
+un po’ il suo corpo da diritta a manca dinanzi il grazioso tempio
+della Fortuna, edificato dai suoi sur un’area di loro pertinenza.
+— Avendo riconosciuto nella folla due militari, strinse gli occhi
+affettuosamente e chiamogli:
+
+— _Læti victores._ —
+
+I suoi bianchi capelli erano lucidi e ben pettinati. — La toga gli
+scendeva sino a terra. — La pretesta era bruna ed il corpo ed il capo
+copriva colla _penula_, mantello di viaggio e dei tempi di lutto. —
+Era una grande semplicità nella sua persona. Il volto, sovente gaio e
+sfiorante in epigrammi nel facile consorzio, si aprì a mesto sorriso
+alla vista dei _salutatores_ che in frotta se gli fecero intorno. —
+E taluno il chiese del suo mal d’occhi. — Ed altri su ciò che stava
+scrivendo. — Ed un terzo, da quando era giunto di Roma. — Ed uno più
+intrinseco gli domandò le novelle di Tulliola amata e di Quinto, suo
+fratello. — E molti delle importanti notizie dell’Urbe.
+
+Egli prese il mento colla sua mano sinistra — suo gesto di abitudine —
+e mostrando Dolabella, suo genero, e sè stesso in _toga atrata_:
+
+— L’anima fuggitiva di quella soave creatura ci disse lo eterno vale
+dopo averci fatto dono di un suo figliuolo. Anch’esso disertò la
+trista dimora degli uomini, ov’era inconsolato il pianto. Ma il lugubre
+annoso cipresso starà, quantunque più non senta i profumi della giovane
+rosa. —
+
+E ad un più vicino:
+
+— Ti è grato l’animo mio. — Attico mi ha diretto Asclepiades, un famoso
+_oftalmicus_ della Grecia, che riprova ogni medicina e mi guarisce con
+lozioni di acqua fredda. —
+
+E ad un altro:
+
+— Scrivo sur un argomento che il dolor mi ha fornito — _De
+consolatione._ — Ieri, a notte tarda, giunsi nella mia suburbana,
+accompagnatovi dalle lettere consolatrici di M. Bruto, di Servio
+Sulpicio, di Lucio Lucceio e di Caio Cesare. —
+
+E a molti in atto di aver pubbliche novelle:
+
+— Alcuni deputati di Laodicea vennero ad implorare la libertà della
+loro patria. — E noi, per la nostra?... Il dittatore mi colma di
+gentilezze e par che tema che io qualcosa desideri. — Arte dei nuovi!
+— E più di colui, che intende cancellare dai nostri ricordi il valico
+recente e audacissimo sul Rubicone. —
+
+Cui Numidio Canca — uno dei vecchi militari da lui pur dianzi salutato:
+
+— E perchè ti confini tu nel tuo Tusculum ed or qui, sì che nell’Urbe
+s’ignora se sii ancor tra i viventi? —
+
+— E vuoi tu, nobile avanzo dei ferri catilinari, che io non rinunci
+alla pubblica cosa quando questa più non esiste? Quando la libertà
+la dicono pacificata e le nostre vecchie instituzioni le chiamano
+moderande, da sorreggersi e persin migliorate?.... La gloria è in
+interdetto. — La eloquenza — voi il sapete — è una fiamma che abbisogna
+di alimento per ardere di moto per eccitarsi. —
+
+E Dolabella:
+
+— E la Repubblica tranquilla, la Repubblica dell’ordine dice che noi
+gittavamo tutti gli errori nel cuor fecondo delle masse per quella
+maledetta ambizione di popolarità. — Laonde fazioni e lotte continue
+tra il patriziato e il popolo minuto. —
+
+La voce di un giovane allor sorse a dire:
+
+— Lo editto dittatorio che ha rilegato nel tempio di Marte-Vendicatore
+il dibattimento delle cause pubbliche, ha tolto il fermento, la
+licenza, la dissennatezza omai generale. — La eloquenza, no, non è
+morta. Essa vive e scintilla per fare il bene, procede pel sostegno dei
+sani principii e trionferà dei pessimi cittadini. — Che! Son fatte mute
+le labbra sublimi che inabissarono Catilina, Verre ed Antonio, surti
+per rovesciare a talento le sorti della Patria e del Mondo? —
+
+Lo elogio espresso dal giovine retore Consinio Mestrio, quantunque
+meritato, sommamente piacque a colui si quale era diretto. — Onde
+rispose:
+
+— La mia età mi condanna al triste privilegio di dire: — Ho vissuto. —
+Ma... o tirone, quello che tu chiami licenza, io la chiamo libertà....
+
+— E pur dai Rostri tu l’accusasti compagna delle sedizioni, ribelle,
+arrogante, parricida. — E noi giovani comprendemmo come le pietre
+sieno fatte per selciare le vie e non per abbarrarle, e le daghe per
+difendere il Campidoglio e non per abbatterlo. —
+
+Allora dal crocchio emerse la testa di un canuto, sulla cui fronte ogni
+dolore lasciato avea la sua ruga, e
+
+— Parmi non la santa libertà tu rimpianga, ben la rivalità di un uomo
+possente, cui tu apristi la strada al salire. —
+
+— Basta, o amici. Ragioni non mancano. Pur mangerebbero il tempo alle
+pubbliche elezioni della Colonia. — M. Clodio Pulcro venga a suo libito
+nella mia Pompeiana, ove mi piaccio ed è il solo luogo oramai ove io
+sia pienamente contento. — Là parleremo. —
+
+E sì dicendo ruppe il cerchio dinnanzi coll’atto benevolo della mano. E
+fattosi nel Foro, ascese anch’egli la gradinata del tempio.
+
+Un suo liberto che pur era venuto con lui di Roma, un tal Suculo — che
+negli spazi smisurati aveva veduto abbassare il volo alle chimere della
+lunga sua vita — accostossi ad un affrancato di sua conoscenza e gli
+disse colla palma tesa verso l’orecchio:
+
+— Oh! Un po’ di umiltà sposata a tanto ingegno! Se un raggio di sole
+gli avesse almeno scaldato il cuore! — Terenzia — la buona padrona
+che mi diede la libertà — fu da lui reietta e presto dimenticata. —
+Tulliola — che aveva i suoi tratti e le sue nobili frasi congiunte ad
+una grande anima, ch’egli diceva adorare — morta appena ed obliata. —
+Ora, a 58 anni, ha sposato Publilia, giovane, bella e ricca, colla cui
+dote ha pagato i molti suoi debiti.
+
+— Tu mi conoscesti schiavo di Hortensio, nella villa di quel gran
+ciarlone, in Bauli. Preso di matta passione pei suoi _piscinarii_,
+ammalò quando lesse il decreto del dittatore che vietava si gittassero
+più oltre gli schiavi ad ingrassar le murene. Ei soleva parlar con
+dispregio di M. Lucullo — il fratello del vincitore di Mithridate —
+perchè non aveva nei suoi vivai il quartiere di estate per i suoi pesci
+favoriti. — Per cotal gente noi valghiamo meno di un’ostrica di Lucrino
+o di Brundusium. E Crasso, l’uomo censoriale, lo illustre, il grave
+uomo di Stato, quegli che ama tanto la Repubblica, e nol vid’io porre
+una collana di perle e gli orecchini d’oro ad una murena?
+
+— Udii ben io Domizio, il suo collega nella Censura, rimproverargli
+tale sciocchezza in pieno Senato, ed egli testimoniarla senza rossore,
+vantandosene come di nobile atto di pietà di cuore.
+
+— Per Castore e Polluce! V’ha dei giorni in cui, vedendo girare le
+verghe e cadere sul corpo dei miei poveri compagni in casa di Aricio
+Scauro — quegli che mi comperò dallo antico padrone — la rivolta
+mi sembra quasi un dovere. — E quando io mi chiudo nel mio povero
+giaciglio la sera, io m’inginocchio dinanzi una Iddia che mi sta nel
+fondo del cuore e le canto un inno tacitamente, siccome Spartaco lo
+urlò coi coltello da beccaio nello anfiteatro Campano. — Ah! —
+
+— Tu vai tropp’oltre, fratello. Rammenta che se è vietato gittar gli
+uomini ai pesci, non la è così per le fauci dei leoni, delle tigri,
+degli orsi. — Sommessione e pazienza. —
+
+E si separarono.
+
+Rincarirò sul già detto da quelli schiavi. Era in Roma un Figellio,
+poeta assai caro a Cesare e ad Augusto. Ei cantava d’improvviso una
+serie lunga di versi su qualunque argomento. E siccome, non sole
+parole, ma concetti, ognuno ne maravigliava; e dalla maraviglia il
+favore. Nasceva di gente Iliese, rintanata sulle più aspre montagne
+della Sardinia. Ribelle ai Romani, nobilmente testarda, combattuta
+d’ordine del Senato, carpita dai suoi nidi di aquila e venduta ne’
+pubblici mercati. Solo Nerone, a sedici anni, sposata Ottavia, difese
+gl’Iliesi, origine della casa Giulia, perchè di seme troiano, da Ænea
+colà trasportato. Figellio era un liberto. Aveva il padre, i congiunti,
+i nati nei suoi monti combattuti, morti, martoriati, venduti, dispersi.
+O perchè Cicerone l’odiava?... Schiccherava versi d’incanto e tutti ne
+lo lodavano. Ed egli, poetastro stentato, non di vena, n’era geloso e
+non sapeva frenarsi.
+
+Uno Scauro, iniquo pretore, ito in Sardinia colle sacca vuote, le
+riportava nell’Urbe gravi di argento e di pietre preziose. Cicerone orò
+per lui. Aveva bene accusato Verre per missione avutane dai Siculi.
+Cangiato il nome, il soggetto era lo stesso. Ma egli spese la sua
+splendida eloquenza contro i Sardi derubati e immiseriti, perchè Scauro
+fu il primo a complirlo e fecegli udire il sonito dei nummi d’oro, di
+cui lo sciupone aveva tanto bisogno. E ritorse il dritto. E raddrizzò
+lo storto.
+
+Erasi allora allora partito dall’Urbe, e i suoi rancori, i suoi
+desiderii, le sue speranze attribuiva alla società pur dianzi lasciata.
+Pensava che il suo malcontento avrebbe prodotto la rivoluzione. In ogni
+baruffa vedea la rivolta. Credeva pianto della patria il pianto del suo
+cuore. E i suoi vecchi colleghi, tutti tormentati dalle sue smanie. E
+s’ingannava.
+
+L’uomo politico, cacciato in bando da una fazione avversa, guarda il
+presente e lo avvenire a traverso un prisma fallace. Il tempo accresce
+le vanità della mente e aduna fiamma nel cuore. L’esule esagera i
+meriti suoi. La impazienza gli fa accettare qualunque consorzio. I
+riuniti per la medesima causa ragionano intorno a ciò ch’essi erano,
+intorno a ciò ch’essi sarebbero; e s’incitano contro il comune nemico;
+e si pascono di vittorie e di vendette; e maturano imprese di passione,
+non di criterio, che i non tormentati dai medesimi sentimenti — tutto
+che amici loro — giudicano disperate, insane e di successo infelice.
+
+Silla avea detto che in Cesare erano molti Marii. Nelle sue imprese
+era cauto, di sguardo lungo ed audace. Trionfava a miracolo. Acquetava
+con spettacoli, con desinari fastosi, con giuochi, con larghezze.
+Abbelliva la città. Ampliava lo impero. I soldati erano suoi. Deponeva
+agevolmente odii e nimicizie. I ricchi, le donne, il popolo, tutti
+per lui. Il dado era gettato. Cesare aveva vinto. Or l’Arpinate
+farneticava; ed eccitatore di animi, sentiva bene nel profondo la
+vanità dei propositi suoi.
+
+Infrattanto il vecchio M. Tullio Cicerone, riconosciuto od atteso, ebbe
+le mani strette con grande espansione da tutti ch’erano pel peristilio
+del tempio. Parecchi lo baciarono sulle due gote, segno di affetto
+che i Romani prodigavano ai loro amici. — Fattasi un po’ di calma,
+Alleio Lucio Libella, col suo collega nel duumvirato Munazio Fausto, si
+presentò alla faccia del popolo adunato per ritogliere gli auspicii;
+osservò il volo di un aquila a cui gli aruspici diedero la libertà;
+una vittima venne immolata sullo altare interno del nume, e i sacerdoti
+dichiararono che i padri potevano deliberare. I duumviri, il pretore,
+il questore, i magistri dei sobborghi e dei trivii, e i decurioni
+andarono l’un dopo l’altro ad offrir al Dio vino ed incenso, e la
+seduta fu aperta.
+
+I primi sedettero sulle sedie curuli del centro. Lo edile ed il
+questore più al basso ai lati del _pulpitum_. — Gli altri sedevano alla
+rinfusa sotto il colonnato. — E nelle parti laterali, sotto le statue
+equestri, erano gli _actuarii_, scribi e schiavi pubblici, incaricati
+di raccogliere i discorsi mercè alcune note od abbreviazioni che con
+brevi tratti di stilo rappresentavano molte parole.
+
+— Salute ai tre ordini della Colonia. Gli Dei le siano propizi. —
+
+Quindi i duumviri indicarono allo edile e al questore che potevano dar
+còmpito della loro amministrazione.
+
+Aufidio Mamusa cominciò dal leggere un disegno di senato-consulto,
+ordinando preci nei templi per cinque giorni e la immolazione di cento
+vittime sugli altari, per calmare la collera celeste che tratto tratto
+manifestavasi nel territorio della Colonia con dannosi tremuoti. —
+La legge passava _per discessionem_, cioè, senza discutersi e per
+acclamazione. — Quindi parlò delle nuove terme costruite nel fondo
+della via dell’Abbondanza, cui erasi aggiunto anche la palestra dei
+giuochi ginnastici della gioventù, una biblioteca, una sala da giuoco
+ed una di profumeria. — E lo edile seguiva:
+
+— Il mio collega Cascellio Testa, questore, prese gran cura nella
+fattura di cotesto edificio — non solo bisogno — ma lustro della nostra
+Colonia. Come Catone e Fabio Massimo egli ha regolato la temperatura
+dei getti di acqua calda. I condotti portano pure le onde dai larghi
+depositi del Sarno e le si rinnovellano continuo. Una imposta più grave
+converrà votare per....
+
+Una voce potente tuonò dai portici ed interruppe lo edile.
+
+— I ricchi hanno i loro _balinea_ domestici, corredati di ogni femminea
+ricercatezza. Al popolo bastano le terme dove toglieva i suoi bagni
+Scipione l’Africano. Quel terrore dei Cartaginesi bagnava in povero
+luogo il suo corpo affaticato dai lavori dell’agricoltura; che il
+grand’uomo piacevasi coltivar _more antiquo_ il piccolo predio colle
+sue mani gloriose. — Ora, pavimenti istoriati per poco venerabili
+piedi! Soffitte dorate e a rilievi sopra capi senza cervello! — Stanze
+da giuoco e da unguenti! — Mascherate ridicole! — Ai bei tempi che non
+son più, i nostri padri sitivano di guerra e di gloria. — Poveri eroi
+del vecchio Sannio! Ora passa un nipote degenere sul margine della via,
+e vi sembra che là sia piantato un giardino.
+
+— Ingiusta è la tua rampogna, Appio Crispo. Altri e diversi i tempi
+da te mentovati. Una volta il popolo lavava le braccia e le gambe
+allorchè i lavori, cui era addetto, quelle membra particolarmente
+gl’insudiciavano. L’abluzione della intera persona non avea luogo che
+ogni novenio, nell’epoca dei mercati. — Ora trovi tu male ch’ei si lavi
+ogni dì? Che prenda il bagno caldo? Che preferisca le pure linfe alle
+torbide? Che le sale ove l’occhio ei riposa siano adorne dalle arti del
+bello e i pavimenti abbiano musaici invece di pallidi mattoni?
+
+— Anche i ricchi si contentavano di una giornaliera abluzione. Ora
+passano la loro vita nel bagno. Per Ercole! E la sera, dopo averne
+presi otto a vapore, fanno pietà a vederli. Hanno a mala pena la forza
+di star ritti e di risponder col gesto se sono salutati. — Vuoi che
+anche la plebe si mummifichi al pari di essi? Vuoi ch’essa apprenda a
+tergere collo strigilo i suoi profumi invece che i suoi sudori? —
+
+Un mormorio di grida indistinte udissi in ogni parte del Foro.
+Allora il questore levossi in piedi e cominciò a ragionare. Ma le
+interpellazioni violente, partendo da vari gruppi sotto i portici,
+coprirono il timbro della sua voce. Aveva un bello affannarsi nel dire:
+
+— Pace, pace! —
+
+Nessuno gli dava retta, e tutti ad una volta, con gran lusso di gesti,
+dicevano:
+
+— È contro la plebe.
+
+— No. È per lei che ha fabbricato le Terme.
+
+— Plutone lo inforchi! — Come? Forzarci a prendere i bagni ogni dì?
+Converrebbe essere censuari, o non aver famiglia da nudrire!
+
+— Sappiate almeno, prima di bociar tanto, contro qual cosa facciate il
+vostro richiamo. — Le Terme, come il Tempio, come la Basilica, come il
+Teatro, sono lustro e vanto di una città.
+
+— Io trovo che nel _baptisterium_, dove andai a prendere il bagno
+freddo in comune, tutte le delicature enumerate non vi erano.
+
+— Bestia! — Se fossi entrato nell’_apodyterium_, nella sala a dritta,
+ove si depongono le vesti, avresti notato il fastigio degli ornati che
+non sono nel tempio.
+
+— E bene sta. — La plebe è sovrana, finchè i vizi di Rema non l’avranno
+venduta — o finchè i suoi propri non dicano il suo prezzo all’uomo che
+ha l’occhio dell’aquila. Abbia anch’essa il suo _frigidarium_, il suo
+_tepidarium_, il suo _sudatorium_ e il suo _eleotesium_ per spargersi
+di profumi sul corpo estenuato dalle fatiche. —
+
+E con una voce stentorea, addensandola nelle palme chiuse in arco,
+proseguiva:
+
+— Parli lo illustre Cascellio. — I duumviri ristabiliscano il
+silenzio. —
+
+Gli araldi dopo vari tentativi potettero ottenere un po’ di calma.
+Allora il questore:
+
+— Appio Crispo mi permetterà ciò che mai non seppi rifiutare ad alcuno
+nella mia non breve vita di magistrato. Potrei dirgli com’egli mal
+collochi la sua demofilìa. — Chè, val meglio far gustare ai diseredati
+dalla fortuna i comodi della vita domestica, onde averli discreti,
+costumati, tranquilli, di quello che averli selvaggi e brutali. — A
+mente posata tutti mi daranno ragione e plaudiranno a questo prodotto
+della nostra amministrazione. — Or noi prendiamo a nostro carico
+la eccedenza della spesa sulla somma che ci venne allogata. — Ed io
+pagherò di proprio il mantenimento delle pubbliche nuove Terme, acciò
+non dia ragione ad elevare le tasse sulle colonne e sulle terre, o di
+lasciarlo a carico del pubblico tesoro. —
+
+Secondato da un mormorio favorevole dell’assemblea, il questore
+tornò alla sua sedia curale. Ma tutti i decurioni lasciarono le loro
+e si fecero a stringerlo, a lodarlo, e taluni anche a baciarlo. La
+discussione venne continuata pro o contro lo assunto, ognuno terminando
+il suo discorso colle parole:
+
+— _De ea re ita censeo._ — Oppure — _Assentior._ — Oppure — _Assentior
+et hoc amplius censeo._ —
+
+Non levandosi alcuna voce sulle altre questioni dell’amministrazione
+municipale, furono tacitamente adottati per buoni i temperamenti
+ritolti dall’autorità. — Non così quando Mamusa venne a trattare
+della costruzione delle vie interne e delle pretorie, nonchè delle
+vicinali, che menavano a piccole borgate e ad oppidi o li traversavano.
+Un decurione, breve della persona, dagli occhi piccini ma divoranti
+come quelli del tigre, valoroso soldato sotto Silla, il gran
+capitano, chiese se gli desse facoltà di parlare. Dotato di una grande
+originalità di carattere e d’immenso coraggio — perciò amico fedele al
+vero e a tutta la sua parentela — di cuore elevato, mia soffrente gli
+entusiasmi del momento, credeva che la parola fosse per correggere gli
+errori, per togliere le cose dalle mani incapaci, e per far sorgere di
+terra bisogni acquetati, universalmente riconosciuti. Tale era Ninnio
+Mulo, il quale discesa la gradinata si apprestava ad arringare sul
+pulpito.
+
+— Tu vuoi, o popolo, ch’io dica la verità, non è vero?... Ho la mano
+memore di colpi di daga, ma la lingua non seppe dir mai fiori retorici.
+— Fui marinaio — Sono soldato — Do quel che ho — Ebbene! quegli egregi
+che seggono dietro di me non fanno il loro dovere. — Sarebbe stato bene
+tu non li avessi mai eletti. Ma farai meglio di non li eleggere più. O
+popolo! Cotesto ingombro di schiavi di ogni terra del mondo ti degrada,
+ti dà i suoi vizi. E omai domandi di esser nudrito e distratto coi
+giuochi dello anfiteatro. — Scorgendo qual sia il mezzo di piacerti,
+erigono bagni di lusso, rizzano per sè e pei liberti sepolcreti
+maestosi che giammai ebbe un salvatore della Repubblica in campo, e con
+ingenti spese fanno venire dalle scuole di Capua e di Ravenna compagnie
+gladiatorie e di Roma bestie feroci. I tuoi padri sarebbero stati loro
+grati per le opere di utilità pubblica, compiute a gloria di tutti. I
+porti, le vie interne, le strade consolari; ecco i lavori degni della
+tua maestà, o popolo. Giulio Cesare non ha speso pei bagni, egli — ma
+per la riparazione della via Appia.
+
+Guarda or le tue strade urbane — osservane i _margines_ sbocconcellati,
+mancanti, alti, bassi, irregolari. — Per iddio Marte! Non sono molte
+sere ebbi a snoccolarmi un piede sulla via ove sono le fontane del Toro
+e di Sileno — Par greto di fiume. —
+
+E volgendosi indietro rosso come bragia:
+
+— Ti fa vergogna, o Mamusa! —
+
+Poi continuando:
+
+— Presso la fontana della testa di Venere, sulla via che mena alla
+porta di Stabia, ebbi a raccogliere un povero vecchio che aveva perduto
+lo equilibrio su quei solchi di pietra — e tutto sanguinoso nel capo,
+votava i magistrati alle furie di Averno. — Onta e danno! Ho detto
+abbastanza.... Pure aggiungo che la strada per Oplonte ad Herculanum
+è impraticabile, e le carra vi s’impaltenano nel verno a non poterne
+uscir fuori che a stento. — Strade e... scuole... Anche queste fanno
+pietà! Una plebe più istruita e meno profumata fa gli affari della
+Repubblica. —
+
+Quando Ninnio — terminato il discorso che il nobile cuor gli dettava —
+si volse alla sua sedia curule, trovò Cicerone che colle aperte braccia
+lo accolse e gli disse:
+
+— Salve, amico. Bene dicesti! —
+
+Nel Foro molte le voci plaudenti. Scarse sul peristilio del tempio.
+
+Aufidio Mamusa che avrebbe voluto essere rieletto, non volle rimanere
+sotto il peso di tanta censura. — E rispose:
+
+— L’onorato cittadino che tutti amiamo e stimiamo, equo sempre nei
+suoi giudizi, volle esser ingiusto oggi con noi. La via suburbana
+dei sepolcri, che appellasi _Domitia_ e che mena a Neapolis, fu
+rifatta dai magistrati che ci precedettero nell’arduo incarico. Il
+suo stato è eccellente. Solo negli acquazzoni estivi le terre di
+alluvione la ingombrano, ed abbiam cura di farla netta dal fango in
+ogni circostanza. — Dal tempio della Fortuna sino al crocicchio della
+fontana del Toro facemmo selciar di bel nuovo la via colle pietre
+del monte Vesvio, e la superficie dei margini fu composta di ciottoli
+spianati e murati a livello. Computata la spesa di quel tratto, avremmo
+a poco a poco restaurato il resto sino al quatrivio e subito messo mano
+a riparare la strada veramente ruinosa che dalle mura sbocca fuor della
+porta di Stabia _ad cisiarios_. Se il suffragio popolare continuerà a
+farci onore, le mie parole diverranno fatti.
+
+Allor sorse un uomo dal corpo tarchiato e breve, dallo aspetto
+infantile, dalla parola facile e petulante. Volea parer grave — e
+non lo era. — Volea essere austero — e non gli era possibile. — Volea
+sembrare decente — e tutto glielo vietava! — Egli apparteneva a quella
+falange di ambiziosi — leviti dei culti riconosciuti — predella agli
+audaci che salgono — difesa a compenso di chi teme e spera — uomini che
+impongono ordine e non danno sicurezza al partito che a sè lo chiama. —
+Ei cominciò:
+
+— Ninnio per fermo vince battaglie — e sè stesso non vince. — Regge
+a meraviglia le sue coorti ed è la spada di Marte quando a capo dei
+veterani si scaglia in mezzo ai nemici. — Ma conosce egli le difficoltà
+di una amministrazione civile? — Oh quanto il dire è diverso dal fare!
+— Io fui già _curator viarum_, o meglio appartenni al quatuorvirato
+dei _viocures_, come il popolo gli appella. Mi si permetta pertanto
+di dire col sublime oratore che oggi onora la nostra assemblea:
+_cedant arma togae_. — Per istabilire una strada si comincia dallo
+aprire un fossato sino al terreno solido. — Livellato il fondo lo si
+cuopre di uno strato spesso di fina sabbia. — Allora la costruzione ha
+principio collo _statumen_, che è il fondamento, composto di larghe
+pietre e piatte, riunite da un cemento durissimo — col _rudus_, che
+è una zavorra di sassi, di mattoni, di tegole rotte e di calce — col
+_nucleus_ che è uno strato di sabbia e di calce e che ben livellato
+forma il nocciolo della strada — colla _summa crusta_, o il _summum
+dorsum_, formati da grandi poligoni irregolari di silice o di pietra
+vulcanica; quasi dura quanto il ferro. Cotesti lavori chieggono tempo e
+danaro. Date denaro e tempo agli egregi magistrati, che ora è un anno
+voi nominaste; e le strade e le scuole e tutte le nobili instituzioni
+della Colonia risorgeranno. Le ultime guerre civili nocquero ad esse.
+Allorchè i partiti si disputavano lo imperio, e il Governo era nei
+campi di battaglia, e la pecunia pubblica veniva assorbita dai soldati,
+tutte le civili magistrature decaddero. — Una nuova êra è risorta. Già
+in Roma alcuni senatori hanno preso il còmpito di dar riparo alle vie
+abbandonate da quindici anni. E il dittatore medesimo ha assunto la
+ricostruzione della strada Flaminia, che mena dall’Urbe ad Ariminum.
+— Gli attuali magistrati io li dichiaro degni della Repubblica, ed al
+popolo raccomando la loro rielezione. —
+
+A quei detti Ninnio sorge con impeto, e tutto rosso per la collera,
+grida dal pulpito ov’è corso:
+
+— No, cittadini — _Oro ut non faciatis._ —
+
+Una certa agitazione in senso diverso occupò allor l’assemblea. I
+clienti si slanciavano nei gruppi per patronare i suffragi pei loro
+candidati, dicevano il loro elogio, parlavano della loro condotta
+passata e della malleveria per lo avvenire, citavano testimoni e
+garanti, o il personaggio sotto i cui ordini avevano portato le
+armi, o quegli presso il quale erano stati questori. E taluna volta
+aggiungevano verità o calunnie sulla nascita e sui costumi del
+competitore che osava presentarsi candidato della magistratura a fronte
+del proprio degnissimo.
+
+In fra tanto i duumviri interrogarono i decurioni un per uno colla
+formola:
+
+— _Dic quid censes_ —
+
+per sapere se la discussione dovesse esser finita, o passare
+immediatamente ai voti. — Venne accettata la seconda proposta. — Allora
+furono fatte suonar le trombe per intimare il silenzio e un duumviro
+gridò dal pulpito, invitando il popolo a ritirarsi:
+
+— _Si vobis videtur, discedite_ —
+
+e lesse ad alta voce il senato-consulto ordinario, il quale ratifica
+anticipatamente la scelta dei magistrati futuri del popolo. Ed aggiunse
+la nota di quelli le cui funzioni scadevano in tal giorno ed i nomi
+degli altri, raccolti dalle rogazioni inscritte in rossi caratteri sui
+canti delle vie. Quindi:
+
+— _Quod bonum, faustum, felixque sit_ —
+
+cioè, che tutto questo avvenga per il bene, la felicità e la prosperità
+pubblica. E si ritirò col collega e cogli altri magistrati da quel
+posto sino allora occupato, e cogli altri magistrati discese la
+gradinata del tempio, quasi per confondersi colla folla. — Gli era
+un mostrare di bel nuovo le loro persone ai cittadini riuniti ed un
+testimoniare che si ritiravano in un canto per lasciare una maggiore
+libertà di voto alla coscienza del popolo.
+
+Nell’atto dodici littori coi loro fasci armati di scuri escirono dal
+_Senaculum_ e vennero a porsi in mezzo all’area del Foro insieme cogli
+araldi, i quali deposero sopra una predella un alto paniere cilindrico,
+detto _cista_, dove i cittadini avrebbero gittato i loro voti. I
+littori abbassarono rispettosamente i fasci dinanzi l’assemblea in
+segno di omaggio alla sovranità del popolo.
+
+In un luogo designato si distribuivano ai cittadini tre tessere di
+bussolo. Una portava incise le due lettere V. R., cioè _uti rogas_,
+che indicava l’accettazione delle leggi come erano state richieste.
+L’altra portava la sola lettera A. cioè _antiquo_, che voleva dire,
+il rifiuto delle leggi proposte. La terza era bianca di cera e su di
+essa si scrivevano i nomi dei magistrati cui ognuno dava il suffragio.
+— E colà più vive erano le passioni dei partiti. Gli amici andavano,
+venivano, correvano dalle centurie dei cavalieri a quelle del popolo —
+e sugli occhi dei votanti leggevano la indifferenza, la incertezza od
+il partito preso — e seminavano la calunnia — e reiteravano le promesse
+— e proclamavano il loro candidato _bonum virum_ — o _verecundissimum_
+— o _dignum reipublicæ_ — o _ædilem optimum_. — E i giovani — sempre i
+più bollenti — mettevano in siffatte sollicitazioni lo ardore, lo zelo,
+il fuoco, della loro età e correvano a riferire ai loro favoriti tutto
+che poteva interessarli.
+
+Le guerre civili avevano spezzato le nobili tradizioni dei popolani
+diritti. — La confusione e la inerzia — i bisogni sureccitati e il
+desiderio dei facili guadagni — le immoralità che avevano scoperto il
+debole della corazza e sapevano dove spingere la loro punta — tutto
+questo aveva fatto del popolo una mandra di pecore, le quali vanno dove
+veggono andare gli animali della loro specie.
+
+Quando una centuria ebbe scritto i suoi nomi, essa aprì il varco tra le
+colonne del portico e gittò ostensibilmente le tessere di legno nella
+_cista_. Gli addetti alla ricognizione dei suffragi — i _rogatores_
+— colle braccia nude sino alle ascelle, ritiravano le tavole e, dopo
+averne volto la superficie bianca verso il popolo, le leggevano a
+chiara voce. — Altri, preposti _ad dirimenda suffragia_, le separavano,
+le contavano e marcavano sur una loro grande tessera un punto per
+ciascuna legge o per ciascun nome di candidato. — Conosciuto il voto
+di ogni centuria, un suo araldo — il _praeco_ — ne proclamava il
+risultato. — E si udivano battute di mano, o segni di disapprovazione,
+a seconda delle opinioni degli uomini. Le donne dall’alto del terrazzo
+agitavano anch’esse le braccia bellissime nello udire il trionfo dei
+prediletti dal loro cuore.
+
+Mentre quel fatto importante occupava il popolo nella piazza, Ninnio
+traeva M. Tullio Cicerone in un angolo interno del tempio e dicevagli:
+
+— Ascoltami, o grande cittadino. — Il rovescio della pubblica cosa mi
+morde potentemente il cuore. — Talvolta il dolore pieno di maturità
+è sì forte, ch’io sento l’arma del suicidio corrermi per le mani,
+quasi io mi fossi un uomo senza energia e senza fede. — Tale altra una
+disperazione piena di gioventù mi offre il rifugio migliore contro i
+disgusti e le tristezze dei miei pensieri. — Io soffro una di quelle
+febbri che logorano la cosa immortale — quando esse vengono per
+accenderla o per consumarla. —
+
+E stringendogli forte le mani, riprese:
+
+— Ho due nobili parenti — la Patria e la Libertà che a vicenda e
+simultaneamente io sento madri delle sole virtù che i disinganni
+non uccidono mai. — E come te vidi trionfanti quando aveva i piedi
+nel sangue e la testa avvolta nella polvere riscossa del campo di
+battaglia, così ora mi appaiono avvilite, prostrate e presto uccise
+nella visione del mio dolore. — Vuoi tu salvarle dalle mani parricide
+di colui che ha assorbito il dominio del mondo e che spossa lo aiuto
+delle leggi, travolgendole con pratiche da moneta? —
+
+— _De illo quem penes est omnis potestas?_ Comprendo il tuo dolore e lo
+sento. Con lui la giustizia e i diritti sono violati. Spesso lo udii
+ripetere i versi di Euripide. — «Se si ha a violar la giustizia, ciò
+si debbe fare per cagione di dominio. Nelle altre cose si debbe aver
+rispetto alla pietà inverso la patria.» — La legge è il suo Capriccio.
+Gli è perciò ch’io mi son ritirato di Roma. La Curia ed il Foro, vani
+nomi. Mi duole esser nato troppo tardi e sorpreso — pria di compiere
+il viaggio della mia vita — dalla notte profonda in cui brancola la
+pubblica cosa. Ammiro Catone. Ma dipenderà sempre da me lo imitarlo
+quando vorrò. Solo mio studio è procacciare che una tal fine non mi si
+faccia come a lui necessaria. —
+
+— Che parli di morte? — Diamola a chi la merita. — Qui sono tre
+coorti di veterani — uomini provati sui campi decorosi di nobili
+cicatrici, tenuti in conto dalle altre milizie e non ancora corrosi
+dall’oro del tiranno. — Me, le coorti e questo paese io ti consegno. —
+Accetti? —
+
+Cicerone si strofinava il mento colla mano sinistra. Dopo una breve
+pausa rispondeva:
+
+— Rifletti, o egregio. Tre coorti che sono? Ed anche fossero dieci,
+e più, che sarebbero? E quali le preparazioni per un sì grave
+avvenimento? Quell’uomo è potente di genio e di prestigio. Non è
+albero che crolli. E se giungi a tagliarlo, ripullula. — Tali i segni
+del tempo! — Ho lettere colle quali uomini ignoti mi ringraziano per
+aver ottenuto col mio suffragio — così credono! — il titolo di re.
+La tirannia si corona di falsi senati-consulti. — E i padri coscritti
+hanno tutto obliato. — Son fango! —
+
+— E Bruto e Cassio....
+
+— Vieni domani a trovarmi. — Intanto penserò. — Voglia Iddio non fare
+sterile la lotta contro le leggi implacabili che qui distrussero la
+Libertà. —
+
+Ma il grande ingegno presumente e vano di Cicerone non era adatto alla
+rigenerazione di un popolo. La calda immaginazione che lampeggiava
+sui Rostri e nel Senato gl’impediva di ben conoscere gli uomini e le
+cose. — Era anche onesto e il suo animo rifuggiva da quei patti che
+le rivoluzioni impongono per aggiungere il trionfo. Tornato in villa,
+prese il bagno, si chiuse nella biblioteca e riflettè lunga pezza sulle
+cose dettegli da Ninnio. — Lo esempio dei saggi di Atene e di Siracusa
+il consigliò a liberamente vivere senza urtare nell’orgoglio dei
+prepotenti e senza punto umiliare il proprio carattere. Pianse la sua
+patria amaramente — come si piange la morte di un unigenito — e decise
+di consolarsene, dandosi allo studio e ai lavori letterari che stimava
+non poter essere affatto inutili ai suoi concittadini. — Pria di
+coricarsi, scrisse ad Attico sulle proposte ardite fattegli da Ninnio
+e gli rivelò la risoluzione presa di andarsene _ante lucem_ a Cuma,
+per evitare inutili e perigliosi accordi. — Grande ingegno! Non grande
+uomo!
+
+Lo scrutinio dei voti era terminato. — Si suonarono le trombe per
+richiamare l’attenzione pubblica. Uno dei _rogatores_ salì sur un piano
+centrale elevato e proclamò quello che gli scribi avrebbero poi notato
+nelle _tabulæ publicæ_ insieme colle particolarità e col risultato
+della elezione. Per la qual cosa, nel 705 della fondazione di Roma,
+vennero eletti a magistrati in Pompei, sedenti Consoli nell’Urbe C.
+Claudio Marcello e L. Cornelio Lentulo:
+
+ M · BLATTIVS · M · FILIVS
+ M · CERRINIVS · M · FILIVS
+ M · SEPVLLIVS
+ C · CORNELIVS · RVFVS
+ M · SALVIVS · EPAPHRA
+ P · ROGIVS · VARVS · P · FILIVS
+ M · TITIVS · PLVTVS · LIBERTVS
+ M · STRONNIVS · LIBERTVS
+
+La clessidra notava la settima ora. — La folla si disperse per tutte le
+direzioni della città e di fuori. Gli eletti, riunitisi, procedettero
+verso il tempio; e di là, uno in nome dei colleghi ringraziò il popolo
+dei suoi suffragi e promise quello che ogni magistrato promette e non
+tiene. Quindi si ritrassero nello interno per sacrificare agli Dei.
+
+Intanto la novella della elezione era corsa rapidamente. — Le case dei
+nuovi brulicavano di clienti, di parassiti e di supplicanti. — Festoni
+di lauro inghirlandavano le porte. — Corone di fiori circondavano le
+immagini dei maggiori o dei patroni della famiglia. — Innanzi la casa
+di Cerrinio v’era distribuzione di pane e di vino.
+
+— Vedi plebaglia che si nudre della propria venalità! —
+
+— E il corruttore là dentro, nell’oro e nella porpora! —
+
+Coteste parole si ricambiavano Crispo e Ninnio, soffermandosi un poco
+sul margine opposto, nella via dell’Abbondanza.
+
+
+
+
+LA STRADA.
+
+SCENE DIURNE IN POMPEI.
+
+=Anni di Roma 767 — Anni del Cristo 14.=
+
+
+ A GIULIA, EMILIA E MARIA DINO
+
+ A MARIA HACKE.
+
+ IV.
+
+
+— Ho udito un gran caribo stamane. — Suonano il campanello a rompere i
+timpani! — Di’. — Sono molti i _visitatores_?
+
+— Come al solito, padrone. — Troppi. — _Ingentem undam!_
+
+— Temerario! — Tu non devi giudicarli. — Solo dirmi se sono _primæ aut
+secundæ admissionis_.
+
+— Di ambedue. — L’_ostiarius_ ne ha picchiato qualcuno colla sua
+verga. — Un ortolano tra gli altri con un mazzo di bei carciofi voleva
+introdursi _a prima luce_, per forza in cucina. —
+
+— Non una parola. — Tu saresti com’egli è, se non qui. — Portami
+un’acqua melata e aromatica. — Apparecchia il tutto per le abluzioni. —
+Disponi la _vestis domestica_... — È buona la temperatura?
+
+— Il sole indora coi suoi primi raggi i monti Lettuari e il nostro
+Vesvius, sacro al padre dei Numi.
+
+— Vanne. —
+
+Poi che il liberto escì facendo ricadere sull’apertura del _cubiculum_
+una spessa stoffa di Tyro, il padrone si tolse ignudo dalle coperte di
+lana e di pelli di talpa — colle quali era avvolto nel suo letticciuolo
+a rilievi di avorio su piedi di bronzo. — Ed asperse di acqua le
+membra partitamente. Chiuso in un’ampia veste di lana bianca che gli
+scendea sopra i piedi, pose nell’anulare il cerchio di ferro — antica
+ricompensa della virtù guerriera — e adattò alle braccia i _calbeos_ di
+bronzo, pari a quelli che portavano i militi distinti pel loro valore.
+— Il servo rientrò e gli offerse fin una tazza di cristallo la bevanda
+richiesta. Ei la sorbì a piccoli sorsi, facendo scoppiettare le labbra.
+E rivoltosi al liberto:
+
+— Ecco la vera essenza della gioia umana, o Crisanto. — Ciò non aveva
+nei campi ove ho lasciato il mio sangue. Se può gustarsi qualche cosa
+di migliore, io voglio che me lo dicano. —
+
+Marco Olconio Rufo, figlio di Marco — duumviro incaricato per la
+quinta volta di rendere la giustizia, tribuno dei soldati nominato dal
+popolo, uomo a cui i pompeiani avevano eretto una statua nel Foro,
+a compenso delle molte liberalità sue e specialmente per aver fatto
+costruire dal suo liberto, lo architetto Martorio Primo, un tribunale
+presso l’_Ecatonstylon_, il gran teatro, una cripta e il muro laterale
+del tempio di Venere Fisica per formare lo ambulatorio nel portico
+dell’Agora antica — era un generale ritiratosi dall’azione per riposare
+la sua vigorosa vecchiezza negli agi della casa avita e presso il
+patrimonio della famiglia. L’alta statura, il grave incesso, la memoria
+dei fatti compiuti incutevano rispetto. Il suo profilo largamente
+delineato accusava una certa durezza procacciatagli dall’abito del
+comando che non vuol repliche. Il viso aveva bronzato dalle intemperie
+dell’aria. E quando i neri e copiosi sopraccigli si aggrinzavano sui
+suoi occhi aggrottati, ai suoi servi parea vedere quel cumulo di nubi
+oscure da cui scoppia la folgore.
+
+L’affluenza dei clienti era grande. — Ve n’erano sulla strada. E
+nel vestibolo e nell’atrio secondo la loro condizione. — Nessuno
+mormorava. Tutti facevano prova di pazienza la più intrepida, malgrado
+lo sguardo sdegnoso e venale dell’ostiario e i titoli di cani e di
+piaggiatori ch’egli distribuiva ai miseri che pur faceano di tutto
+per ingrazionirselo e renderselo benevolo. Alcuni eransi levati di
+notte per attendere presso la porta di Olconio i primi fuochi del
+giorno. Nè avevano avuto il tempo di farsi radere. Erano appena coperti
+sull’epidermide della toga di rigore, per far presto ad onorare il
+patrono in faccia al pubblico e per darsi l’aria di essere cittadini
+di un certo ordine agli occhi del cerbero brontolone. Il popolano
+indossava il _plebeius amictus_, la così detta _pullata_, ch’era una
+tunica corta, di color bruno, senza maniche e discendente poco più
+oltre della metà delle coscie.
+
+— Il patrono è egli desto? — È egli di gaio umore? — Fugli propizio
+Morfeo?
+
+— Via canaglia! Ho anche a rendervi conto di quello che fa il mio
+signore? Indietro. O vi sguinzaglio il molosso!
+
+— Sii più umano. — Prendi questo denaro. — Calmati. — Vedi, non sono
+indiscreto io come il _pomarius_ che poc’anzi scacciasti per la sua
+audacia. —
+
+Ma egli era anche più audace. Perchè, entrato dopo aver unto le dure
+ferramenta dell’uscio, nel dispetto de’ suoi compagni rimasti al di
+fuori, faceva già cenni col capo al cubiculario che vide passar nel
+_cavaedium_, il quale non gli diè retta, e poi al _nomenclator_,
+servo non meno insolente, che aveva il còmpito di prender nota dei
+nomi e delle qualità delle persone venute a complire il padrone e
+di soffiargliele all’orecchio a misura che a lui si presentavano. Ma
+questi, nell’atto che moveva verso lui, fu richiamato indietro da un
+liberto, il quale lo avvertiva come il generale fosse per passare
+nel tablino. Di fatto, ecco gli amici che gli vanno incontro e gli
+stringono la destra, e gli chieggono della salute e gli augurano
+un giorno felice. Egli li chiama a nome; loro dimostra una certa
+familiarità; s’informa delle cagioni che a lui li guidarono; dice che
+farà per essi ciò che si fa pei propri figliuoli; promette colla sua
+influenza di raddrizzare i torti che loro vennero fatti; di assumerne
+le difese contro i loro accusatori o di procurare ad essi quella
+tranquillità di cui avevano bisogno negli affari pubblici o privati. —
+I clienti da parte loro a lui rivelano le proprie cose. — E lo pregano
+d’influire al matrimonio d’una figliuola con un ricco suo amico. — Ed
+aggiungere un regalo al suo corredo. — E ad aiutarlo di pecunia per
+rizzare su la casa screpolata e guasta dal terremoto. — E a proteggerlo
+per aggiungere la magistratura cui aspira. — Ed a farlo nominar augure
+pei servizi prestati da molti anni nel decurionato. — Ed a procurargli
+l’area gratuita nella necropoli sulla Via Popilia che menava a Nola,
+ove voleva erigere un sepolcro per sè e pei suoi.
+
+La Clientela fu una nobile instituzione creata da Romolo per unire in
+istretto legame i patrizi ai plebei. Questi dovevano scegliere i loro
+_patres_ perchè gli proteggessero. Essi avevano il debito di soccorrere
+ai _colentes_ che gli onoravano. Nè potevano mutuamente accusarsi
+dinanzi i tribunali. Nè testimoniar contro l’altro. Nè farsi inimici
+mai. Ed ove cotesto accadesse e ne fosse constatata la infrazione,
+il reo avea il capo mozzo come vittima sacra a Plutone. Una legge
+siffatta e tenuta in rispetto per parecchi secoli strinse in vincoli
+di famiglia il popolo quirite. Le famiglie patrizie si onorarono di un
+gran numero di clienti e li perpetuavano nella loro discendenza come
+una tradizione. Ognuno si faceva superbo nell’aumentarlo. E i ricchi e
+potenti erano fieri nel rendere buoni uffici. E i bisognevoli temevano
+di abusarne chiedendoli. E tutti fecero consistere la felicità nel
+buono, nell’onesto, nella parte produttrice della virtù.
+
+Ma l’ampiezza soverchia di Roma logorò a poco a poco i legami della
+vecchia famiglia e non si sentì più l’obbligo rispettivo dei doveri
+tra i protettori e i protetti. Per riallacciare i rallentati ricambi,
+i necessitosi di aiuto ricorsero all’adulazione, alle viltà, alle
+bassezze. E i superbi e i vogliosi di cortigianerie, alle _sportulae_
+ed al _panariolum_, viveri di mediocre qualità che il patrono facea
+pubblicamente distribuire sul vestibolo della sua casa alla folla
+affamata che vi si stipava. Alcuni invece di vettovaglie davano danaro;
+tanto da procurare a quella geldra raumiliata i sandali, una tunica
+usata, un poco di fuoco per riscaldarsi, un po’ d’olio per rischiarare
+il tugurio e una coperta per avvolgervisi nell’inverno. E quelli, di
+rimando, lor davano i titoli i più esagerati, fin quello di _rex_,
+quantunque proscritto insiem coi Tarquini. — Era la _Eccellenza_ e la
+_Uscenza_ che i popoli meridiani d’Italia appresero nei tristi tempi
+dei Vicerè e dei Borboni, con cui per vecchia consuetudine ancor si
+salutano — ridendone dentro — malgrado lo espresso decreto del più
+accetto tra i dittatori e del più nobile tra gli uomini — il generale
+Garibaldi.
+
+Così in Pompei, ove gli usi di Roma erano penetrati colla conquista.
+— Olconio e i suoi eguali in dovizie, in virtù ed in potenza, volendo
+ricevere i propri amici e beneficarli, doveva pur ricevere la vile
+plebaglia dei chiedoni, dei sopraccarichi di famiglia, dei postulatori
+d’impieghi — senza voglia di lavorare — e degli accattoni, pronti
+alla menzogna e al mal fare. — Erano cittadini — avevano diritto
+al suffragio nelle elezioni alle magistrature annuali. Dunque era
+necessario aprir la porta e far entrare quelli che pur dianzi _ibi
+fucum faciebant_ — cioè — che colà imitavano il ronzìo delle vespe.
+
+Il diritto di clientela non era ristretto alle sole persone. — Le
+colonie, le città conquistate, le alleate nazioni e i re barbari
+imitarono gl’individui e scelsero i loro patroni nell’Urbe, il
+_caput mundi_. Così Cicerone patronava i Campani. — Fabio Sanga, gli
+Allobrogi. — Catone, l’isola di Cipro ed il reame di Cappadocia. —
+Marcello, la Sicilia. — Un patronato siffatto era bello, onorevole,
+lusinghiero — il più nobile, il più caro privilegio — quello di fare
+il bene, di acquetare i dolori dei popoli, di riparare ai lor danni. —
+Anche i deputati al Parlamento italiano potrebbero talvolta suffragare
+ai più cari interessi di qualche provincia, o far cange le sorti di
+sventurate famiglie, se i ministri — od i loro subordinati — non si
+opponessero troppo spesso ai giusti loro richiami.
+
+Olconio avea già spacciato gli affari col suo piccolo cerchio di amici
+o di clienti che facevan parte della _prima admissio_. La educazione
+dei tempi chiedeva che quelli della _secunda_ aspettassero il suo
+comodo. Rientrò quando a lui parve nella camera e dopo qualche tempo
+ne esciva vestito col suo abito da Foro. Preceduto dai primi, riceveva
+i saluti e i piati e i desiderii dei secondi. E poi, da essi seguìto e
+aiutato dal nomenclatore, parlò affabilmente ai miseri ed abbietti che
+gli venivano presentati, dava il buongiorno a tutti; qualcheduno, che
+sapeva influente nei trivi, baciava; qualche altro accoglieva con una
+stretta di mano; ed il resto salutava gravemente.... duramente quasi. —
+Dinanzi la porta era una lettiga, portata sulle spalle da sei schiavi.
+Vi si chiude. I più fedeli clienti, di un certo ordine, lo accompagnano
+intorno. — Gli altri lo seguitano formando una coorte. — Hanno lasciato
+però i loro nomi al nomenclatore, per ricevere più tardi le beneficenze
+del munifico _rex_.
+
+Il corteggio va verso il Foro. — Parecchi se ne incontrano sul posto.
+— Quivi discende. — Ed entra nelle Curie. — E si apre l’adito nella
+Basilica. — E penetra nel Calcidico. — E va sino al Senacolo. — E per
+ogni dove la sua parola è ascoltata, i duumviri acconsentono, gli edili
+promettono, il questore non niega. Persino i sacerdoti — gente per
+abito arrogante ed egoista — palesano una deferenza ai suoi desiderii.
+
+Siccom’egli, gli altri. — Dalla terza alla sesta ora del giorno —
+cioè dalle otto del mattino a mezzodì — tutta Pompei è in faccende.
+— I tribunali rendono la giustizia. — I banchieri lavorano nei loro
+fondachi argentari. — I magistrati sono in funzioni. — Gli artigiani
+martellano, scolpiscono, dipingono, cuciono, gridano il nome delle cose
+che vendono. — I preti inventano frottole e le danno come oracoli in
+nome degli Dei, cui dicono di essere ministri. — I fannulloni vanno
+nel pubblico bagno. — I villici trasportano le derrate dei campi
+per venderle ai tavernai, ai _cauponatores_, ai cittadini che ne
+abbisognano, ai fornai; o pur le consegnano ai fattori del padroni che
+le fanno vendere nelle due botteghe che si aprono ai lati della porta
+della casa. — I naviganti e i mercatori si occupano dei loro commerci
+nel porto, nel deposito delle merci venute dal mare e nel portico del
+tempio della Concordia. — Gli agenti del pubblico tesoro riscuotono dai
+rivenduglioli il centesimo del prezzo delle cose vendute, le esaminano,
+verificano il peso del pane e rifiutano dal mercato tutto ciò che
+lor paia di pessima qualità. — Gli scribi li seguono per far processo
+verbale all’occorrenza sulla pubblica via.
+
+Poco più in su della taverna di Fortunato, sulla via Domizia, un
+cittadino arrestavasi presso l’angolo della bottega del farmacista e
+si appresta a compiere un atto nè decente, nè pulito. Uno che passa, lo
+picchia sulla spalla e gli dice:
+
+— Ehi! _Quid agis, dulcissime?... Non est hic locus._ Non hai occhi per
+vedere la pittura sul muro? —
+
+Quegli si ricompose e si disse straniero. Allora l’altro gli aggiunse
+in greco che i due serpenti a lato di un modio ripieno di frutti e i
+geni domestici dipinti sul muro, significavano — oltre molte cose — che
+quel posto chiedeva rispetto. V’erano barili segati. V’erano anfore
+rotte in ogni quatrivio per lo affar suo. E gli additava quei mobili
+poco discosto col dito. Il forestiero si arrese al monito e ringraziò.
+— Gli è che in Pompei, per impedire a chiunque lo sbarazzarsi in ogni
+loco della soprabbondanza del fluido che dentro lo tormentava — oltre
+aver instituito latrine pubbliche nei posti i più frequentati — ed
+una amplissima ve n’ha a lato della prigione nel Foro — collocavano in
+ogni crocicchio anfore o barili per accostarvi le immonde aspersioni. E
+per guarentirne i luoghi sacri e le passeggiate faceano dipingere quei
+serpenti ch’erano pur simbolo di Esculapio e d’Igea. Furono i tavernai
+ed i rivenduglioli che inventarono cotesto rimedio per ispaventare i
+fanciulli che insudiciavano gli angoli esterni delle loro botteghe.
+Alcuni aggiungevano al simbolico spauracchio una inscrizione apposita.
+— E i sacerdoti con esse invocavano sul capo dei rei la collera dei
+dodici grandi Iddii e particolarmente di Giove e di Diana, i quali
+non avrebbero risparmiato la gente grossolana che obliasse ai piedi
+di un tempio com’essa non avesse un’anfora od una botte dinanzi. — Il
+serpe che divora una pigna era adunque come la croce nera sui canti di
+Napoli. — Laonde Persio dice nella Satira prima:
+
+ _Pinge duos angues; pueri, sacer est locus; extra_
+ _Mejite._
+
+Per tutto è frastuono di voci. — I rivenditori di cose crude o cotte
+non si contentano dell’_oculiferium_, cioè della merce che spacciano
+posta in mostra. Nè di un quadro di terra cotta in rilievo incastrato
+sul muro esterno della bottega. Nè di un dipinto allo encausto,
+rappresentante il nume a cui è devoto, o una giostra di gladiatori,
+od un combattimento di cui egli abbia o no fatto parte, o lo aspetto
+di qualche strana figura che richiami l’attenzione di chi passa. — Nè
+li suffraga lo spander legumi, prosciutti, meloni, cataste di cipolle,
+di cavoli e di altre cose sul margine e fin sulla via ad abbarrarla.
+— No. — Essi debbono urlare i pregi della loro merce e il nome della
+regione d’onde provengono e la mitezza dei prezzi. — E i venditori di
+vino dispongono anche al di fuori botticelli ed anfore, legati per
+tema dei ladruncoli, ed urlano presso la porta, agitando un ramo di
+edera. — I beccai infilzano le carni a vista di tutti; a lato di quelle
+di capra sospendono rami di mirto per indicare che le provengono da
+una prateria di montagna, dove cresce quello arbusto; e gridano alla
+loro volta. — Nè stanno cheti i venditori ambulanti di pesci di mare e
+dei delicatissimi del Sarno. — Nè quelli stazionari che vendono carni
+cotte, bodini, salsicce, lardo, formaggi. — Tutti parlano a voce alta.
+— Tutti gesticolano furiosamente. — Tutti hanno argomenti sempre pronti
+per arrestare la curiosità dei passanti sulla loro via.
+
+E chi non dee far le spese per la sua casa, pure è forzato di far
+sosta, perchè un monello vuol vendergli per forza una ricotta entro
+un piccolo imbuto di vimini; — od una bambina, un cestino di ginestre
+ripieno di more o di frutti del gelso nero; — od una graziosa
+fanciulla, dagli occhi neri e procaccianti, mazzolini di giacinti, di
+rose di Poestum o di pervinche azzurre.
+
+A tanto baccano onesto, conviene aggiungerne uno nè bello, nè decoroso.
+— I marinai erano abituati a bever la _posca_ delle milizie lungo il
+viaggio di mare; cioè, una miscela di acqua e di aceto per acquetare la
+sete. — Una volta a terra, popolano le taverne — e ne escono cantori
+discordanti di canzoni bacchiche ed erotiche. — I villici che hanno
+intascato danaro nel _sinus_ della loro tunica, fanno stazioni lungo
+le vie là dove veggono agitarsi il ramo dell’edera, e ne vengono
+fuori bisticciandosi o cantando, a saltelloni correndo da un margine
+all’altro; e inforcato l’asino od il cavallo, con male articolate
+ingiurie trebbiano di vergate la misera bestia che deve pur trasportare
+un animalaccio più bruto di loro ai domestici lari.
+
+Un’altra immondezza delle vie era la mendicità di mestiere. Presso
+i bagni, sulle gradinate dei templi, ai piedi delle tombe, presso
+la porta delle _popinæ_ vedevi questi ladri del sentimento e della
+commiserazione tendere la mano, qual lamentando un naufragio che di
+ricco che era lo aveva reso povero.
+
+— Un asse, per carità, nobile patrizio. — Io ne diedi degli assi ai
+tempi lieti. — Eolo e Nettuno mi hanno ruinato. — Onore agli Dei,
+quantunque avversi. —
+
+Qual si ferisce o pur fascia la gamba in maniera da parerlo, e
+piagnucola e si dice morente per febbre e per fame:
+
+— Abbi pietà di un infelice, o tu che passi. — Era un _saccarius_.
+Mi cadde un peso addosso e mi ha ruinato. Per lo affetto dei tuoi
+figliuoli, pei mani dei tuoi nobili avi, un asse al povero facchino da
+grano che non può più lavorare e che presto morrà. —
+
+V’erano altresì alcuni speculatori, i quali datisi al culto di quella
+sirena, che si chiama la infingardaggine, e pur vogliosi di viver bene,
+offerivano alla lenta e sudicia Iddia lo incenso delle immoralità.
+Assoldavano alcuni storpi di Neapolis, di Herculanum, di Capua, di
+Poestum, e gli sguinzagliavano il mattino come cani famelici per le
+vie della città. Chi recitava la parte di soldato mutilato per la
+gloria e la salute della Repubblica. — Quale era stato prigioniero di
+Silla nella distruzione di Stabia; e riparatosi sotto i vessilli di
+Cluvenzio, generale Sannita, fu ferito gravemente alla battaglia di
+Nola; e mostrava una profonda cicatrice sull’occipite e ne accusava
+una più larga sul petto coperto. — Chi diceva sommesso essere un gallo
+schiavo, fuggito da uno spietato padrone nell’Urbe e chiedeva uno
+_stips_ — la più piccola moneta di rame che esistesse. — E la sera lo
+speculatore lor dava convenio fuor delle mura in luogo appartato, e si
+facea render conto da quei vagabondi delle somme raccolte.
+
+— E perchè così poco, o malandrino?
+
+— E tu, brigante, non avrai pianto abbastanza. — To’, una pedata. —
+Domani sera, se non porti di più, ti apprenderò io a piangere la tua
+sventura davvero.
+
+— Vile storpiato; ti farò passar per le verghe; così saprai meglio
+modulare al pianto la voce.
+
+— E tutti studiate i modi ingegnosi di questo gobbo di Baiae che ha
+saputo ingannare anche me, stamane presso il tempio di Romolo, non
+riconoscendolo. — Tieni, o camello. — Oltre ciò che ti spetta, anche
+un denaro di buon peso per te. — Vanne a scialare in una _popina_ per
+conto mio. —
+
+Sono passati diciotto secoli e la tradizione rimane ancor verde. Vi ha
+tal gente in Napoli che lautamente vive di una siffatta speculazione
+ladra ed infame. Il cattolicesimo vi presta la sua mano sacrilega. —
+Sozzi frati colla bisaccia sul collo; sozzi preti con un bussolo che
+scuotono nelle botteghe nel nome santo di Dio; sozza bordaglia, coperta
+di un sacco, cinto da una corda sui lombi, chiede danaro e l’ottiene
+a pro di turpi speculatori e per cause non vere. — E quel buon popolo
+— il migliore d’Italia per pronta intelligenza, per docilità di
+carattere, per esuberanza di cuore — su ricchissimo suolo, vegeta
+sudicio, lacero ed infingardo. — Demoralizzato dai preti, commette
+opere inique e crudeli. — Abbuiato dalla paura, dimentica il domani
+della vita e sciupa il sopravanzo dei suoi guadagni nello inutile
+tentativo di spegnere il sacro incendio del purgatorio cattolico,
+apostolico, romano.
+
+Lo _accensus_ grida per le vie popolose il segno del quadrante solare.
+— È l’ora sesta. — L’astro maggiore indica il mezzodì. — L’uso, e — più
+che l’uso — il clima, impongono la cessazione di ogni fatica. Le porte
+delle botteghe si chiudono. I patroni congedano i loro clienti. Qualche
+usuraio ancor cerca per le strade una qualche vittima. La plebaglia
+torna nelle sue case col beneficio che i _nomenclatores_ hanno a
+lei distribuito. — Ognuno desina, e mangia che può. — I ricchi e gli
+sfaccendati si gittano quindi sul letto per dormirvi qualche ore. Alle
+otto i più diligenti si levano per riprendere il filo degli affari. Ma
+alle nove — cioè, tre ore dopo il mezzodì — nessun pensa ad altro che a
+ricrearsi o a far panciolle.
+
+Lungo il canale del Sarno era uno spianato, convenio di tutti i monelli
+della città. Le bambine, assise al rezzo dei pioppi, giuocano cogli
+astragoli che gittano in aria col dosso della mano e, addoppiandoli,
+li riprendono nella palma. — I ragazzi si lanciano a vicenda il
+pallone, detto _follis_, lo raccattano e lo ripercuotono. — Altri, su
+terreno più duro, fanno girare una trottola, che chiamasi _turbo_, e
+a furia di sferzate le imprimono rigiri irregolari; quindi impalatala
+sulla mano destra, ve la tengono sin che si fermi. — I più piccini
+corrono a cavallo sur una canna. — O col fango costruiscono casucce;
+— o formandone un orciuolo, producono un rumore, scaraventandolo con
+impeto per terra; — o giuocano a pari e caffo; o lanciano in aria
+un asse, scommettendo se nel cadere presenterà la testa di Giano o
+la prua del trireme — _capita aut navis_. — I perdenti offerivano il
+polpaccio della gamba; e gli altri che avevan vinto, vi applicavano
+un colpo a mano spianata; e perchè nessuno ne desse uno di più per
+frode, il punito minacciava di una labbrata chiunque si presentasse.
+— I più grandi tentavano di far cadere una noce dentro il collo di
+un’anfora, conficcata in determinata distanza; o colpivano con una
+noce un cumulo di altre tre sormontate di una quarta, e la guadagnava
+chi faceva cadere il castello. — Fra gli adulti, ve n’era chi lanciava
+colla fionda una pietra a seicento passi entro un fagotto di paglia
+sospeso ad un albero; oppur unti di olio si esercitavano alla lotta
+come gli atleti; o infintisi soldati, marciavano com’essi, armati di
+corti bastoni; o simulando un tribunale e un delitto, si accusava un
+incriminato, lo si difendeva, si udivano i testimoni, o si assolveva
+o si condannava colla gravità dei magistrati. — Correvano, sudavano,
+urlavano. E stanchi, si gittavano nel canale per nettarsi dalla polvere
+o per nuotare. — I giovani di venti anni andavano fuori della porta
+di Nola e là giuocavano al disco, ch’era di bronzo o di marmo. Lo
+afferravano colla palma stringendolo con quattro dita, e lo cingevano
+con una correggia allacciata con nodo scorsoio nel polso. Dopo averlo
+fatto girare attorno al capo, facevano piccoli passi frettolosi sin
+presso un segno solcato per terra; e tenendo il braccio sinistro sul
+destro ginocchio e inclinando la persona in avanti, lanciavano il
+disco; questo, fischiando, fendeva l’aria e arrestavasi quando la forza
+dello slancio lo abbandonava. Il rivale discobolo tentava di superarlo,
+e vinceva la scommessa colui che lo spingea più lontano.
+
+Siffatti divertimenti erano a tutti comuni, al figliuoli dei parenti
+agiati siccome a quelli che esercitavano un’arte quale si fosse. E
+Ottaviano Augusto, quando, al cessare delle guerre civili, cessò dallo
+esercitarsi romanamente nel Campo Marzio a cavallo ed in armi, si
+diè per suo esercizio al giuoco della palla piccola e grossa. O per
+prendere un poco di esalamento, or pescava coll’amo, or giuocava ai
+dadi, or trastullavasi coi bimbi nei giuocolini adatti alla loro età,
+purchè fossero aggraziati, vivaci, linguacciuti, chiassoni. Talvolta,
+per esercizio ginnastico, inforcava il cavallo e lo faceva andare
+di trotto e a saltelloni, o lo spingeva a slascio lungo lo spazio.
+E allora vestiva alla leggera, avvolgendosi in un gabbano, detto
+_sestertium_, od in mantelletto di cavalleria, nominato _lodicola_.
+— Nei tempi anteriori erasi visto Mario, già vecchio e vincitore
+dei Cimbri, discendere nel campo di Marte dell’Urbe e gareggiare coi
+giovani negli esercizi della milizia. E Pompeo saltare coi più agili e
+correre coi più destri. E Catone giuocare alle bocce cogli amici suoi,
+come il generale Garibaldi in Caprera coi propri compagni d’arme.
+
+Poichè ho parlato delle varie età dei giuocatori, i pazienti che
+leggono questi miei studi sull’antico mi permettino una breve
+digressione dal racconto. Non sarà inutile.
+
+I nostri avi indicavano la età degli individui della forma delle
+vesti. I fanciulli indossavano la toga pretesta e la lasciavano
+nell’adolescenza, cioè a dire, alla età di quindici anni. La vita di
+un uomo, divisa in cinque periodi, distinguevasi in _pueritia_, in
+_adolescentia_, in _juventute_, in _maturitate_, e in _senectute_.
+Gli adolescenti nello acquistare i diritti di cittadino, indossavano
+la toga virile, di lana bianca e non più orlata dalla striscia di
+porpora, come la consolare che essi avevano portato fin da bambini.
+I quali — era mente di quei savi — dovevano essere rispettati quanto
+i primi magistrati della Repubblica. — Toccava al padre o al parente
+più prossimo il rivestire il fanciullo di quella veste. La funzione
+era solenne e facevasi in pubblico, sia nella città, sia in paese
+straniero. Vi erano invitati tutti i parenti. — In sull’alba, il
+giovanetto che aveva dormito vestito colla regilla, in segno di buon
+presagio, lasciava la sua _bulta_, e l’appendeva al collo dei Lari
+domestici. Quindi tutti accompagnavano lo affrancato dalla infanzia
+nel tempio, ove si facean sacrifizi ed offerta agli Dei nell’atto che
+gittavasi sulle sue spalle la toga pura. Lo stesso corteggio lo seguiva
+nel Foro, come per presentarlo al popolo che da quel dì dovea contarlo
+per uno dei suoi membri.
+
+Cotesta solennità compivasi una volta l’anno il XVI delle calende
+di aprile — a’ 17 di marzo — giorno in cui si celebravano le feste
+liberali, o di Bacco. Pompei — siccome tutte le città nel dominio
+della Repubblica romana — era in tal giorno gremita di gente. In
+ogni crocicchio erano assise vecchie donne, coronate di edera, aventi
+sulle loro gambe un paniere di paste coperte di bianco mele ch’esse
+offerivano, lodandone la dolcezza e il buon gusto, a chi passava. Ad
+ogni scambiare di strada vedevansi giovanetti sorridenti, da tenere
+occhiate all’abito nuovo, da tempo ambito e sognato; e i genitori e
+gli amici, anche lietissimi di quella fanciullesca ambizione. — E vi
+era di che. — Il quindicenne diveniva cittadino libero, e sceglieva la
+propria carriera. Se l’avvocheria, il padre lo presentava il dì poi al
+migliore oratore, perchè glielo addottrinasse. — Se la disciplina delle
+armi, lo affidava ad un amico, governatore di una provincia, perchè
+gl’insegnasse a difendere la patria, non come soldato — non avendo
+ancor prestato giuramento — ma come _contubernalis_, cioè aggregato.
+— O lo raccomandava ad un Senatore in Roma, o ad un decurione
+nelle colonie e nelle provincie, acciò assistesse alle assemblee ed
+acquistasse la scienza governativa.
+
+L’adolescenza finiva all’età di trent’anni. — La gioventù a quella di
+quarantacinque. — La maturità a sessanta. — Oltre quel periodo era la
+vecchiezza grave ed assennata. — E qui chiudo la parentesi.
+
+Infrattanto che i giovani e i minori fanciulli si divertivano presso il
+porto e sulla via Popilia, altri erano nelle scuole ad apprendervi a
+leggere, a scrivere, a contare. — Quanti scappellotti! Quante nerbate
+sulle palme delle mani! Quanti colpi di staffile sulle parti carnose!
+Quante stiracchiature di orecchie! — E tutto ciò per inspirare alla
+tenera età lo amore al lavoro e l’applicazione allo studio! Anche per
+tale riguardo in tempi diversi simiglianti procedimenti. — I preti
+ch’educarono la mia generazione fecero di tutto perchè abborrissimo lo
+studio. — Iddio perdoni ai morti, come già mortifica i vivi!
+
+In Pompei si parlavano le tre lingue — la sannita — la greca — la
+latina. — Le prime erano di uso domestico. L’ultima s’insegnava. E
+per la differenza dei caratteri, conveniva chiarirne la forma ed i
+suoni. Sur una tavola erano essi incavati; per modo che il bambino,
+passando su quei segni alfabetici il dito e lo stile, cominciava per
+distinguerne la immagine, la indicava colla voce e la tracciava poi
+colla mano. Collo accoppiamento delle lettere finivano per leggere. Col
+pigiare una punta su tavolette di cera, si perfezionavano nel copiare i
+_præscripta_, ch’erano esemplari di bella forma di lettere.
+
+I meglio avanzati in età studiavano la grammatica. Quindi leggevano
+Omero e i migliori poeti latini e le arringhe di Ortensio e di
+Cicerone. — Talvolta avevano il còmpito d’impararne squarci a memoria e
+di scriverne. — Tale altra di esercitarsi in una specie di parafrasi,
+che addimandavasi _chria_, la qual cosa consisteva nello ampliare
+e commentare una parola sentenziosa od un fatto memorabile. Questi
+esercizi i discenti li portavano in casa, per mostrarli ai parenti.
+
+L’acqua aveva appena marcato l’ora nella clessidra, che un grido di
+gioia rintronò nella scuola del Foro. I monelli si levarono in piedi
+e corsero all’uscio. Il peggio ardito, in quel momento di disordine,
+scagliò la tavola incerata che aveva per mano sulla testa del maestro.
+— Tutti fuori e a slascio, facendo un grande baccano. Il misero
+vecchio, _minumi pretii_, perchè col suo salario aveva appena di che
+sostentare la vita, seguì lo indisciplinato, gridando. Si avvenne col
+padre che saliva per la via dell’Abbondanza.
+
+— Mira la cattiveria del tuo figliuolo tristissimo. Mi ruppe la cute,
+qui, nell’orecchio.
+
+— Forse, o Verna, tu l’hai picchiato ed egli si vendicò. — Riconosco il
+mio sangue. — Son certo che, presa persona, nessuno saprà impunemente
+ingiuriarlo.
+
+— E tu così parli?.... Ah! meglio maneggiare il remo che consumare i
+miei poveri giorni per gente sì ingrata. —
+
+Tornò nella scuola brontolando e si fasciò il capo e l’orecchio pesto
+con una benda di tela oliata, che parea una lanterna.
+
+Era la decima ora, cioè le quattro dopo il mezzodì. E i rintocchi
+fragorosi di un martello su largo cerchio di bronzo sospeso ad un
+chiodo nel muro, si facevano udir di lontano presso il tempio della
+Fortuna e nel fondo della via dell’Abbondanza. — _Discus crepuebat._
+— Ciò indicava che i bagni pubblici erano aperti. — E le botteghe
+di consumo chiudevansi. — E i cittadini laboriosi e quelli di medio
+censo ed i ricchi s’incamminavano verso le Terme. Gli è che, nel
+mentre i raggi del sole perdevano un po’ della loro forza, e diveniva
+piacevol cosa il riposarsi dalle fatiche o dalle noie della giornata,
+i nettatori delle strade entravano dai subburbi coi carri per togliere
+le immondezze, il fango, la polvere i rottami dinanzi le case in
+costruzione, i concimi delle stalle e gli erbaggi che i rivenduglioli
+avevano gittato fuori della soglia. Un decreto degli edili avea pur
+fissato quell’ora per introdurre sui muli le legna, i mattoni, la calce
+e i pezzi di marmo, affinchè potessero circolare senza incomodo per la
+maggior parte dei cittadini.
+
+Sì le prime Terme come le più grandi ov’era la _palestra_ — vasto
+paralellogrammo dedicato alla ginnastica per lo spigliamento delle
+membra nei giovani — erano già piene di gente. — Mosaici sui pavimenti.
+Stucchi coloriti sulle volte. Mobili di bronzo e bacini di marmo.
+Inservienti al bisogno. — In faccia al porticato di colonne scannellate
+era il _baptisterium_, ove ognun che voleva si gittava ignudo e sudato
+nel bagno freddo in comune. — Quello dei bagni poco lungi del Foro era
+rotondo, ristretto e sotto una cupola, d’onde veniva la luce. Nella
+prima stanza sotto il colonnato lasciavansi le vesti e di là entravasi
+in una sala spaziosa, riccamente ornata, ove pur potevasi togliere il
+bagno freddo dalla gente che preferiva prenderlo al coperto. Lungo le
+pareti sono sedili per agio di quelli che accompagnano i bagnanti e
+conversano con essi od attendono il loro turno. — Nella sala che apresi
+a manca è il _tepidarium_, il cui pavimento e le cui pareti tramandano
+un dolce calorico, proveniente dal _laconinum_, il fornello dei bagni.
+— Quivi erano larghi bacini di marmo e sedili di bronzo per asciugarsi
+o riposarsi allorchè si usciva estenuati dal _sudatorium_, sala delle
+bagnature a vapore. Il quale, escendo a nuvoli che si spandano da per
+tutto nell’apposita sala, va verso la volta di forma emisferica, a
+lavori di stucco scannellato, e discende pei regoli successivi lungo
+le pareti. L’apertura praticata sul sommo della soffitta era chiusa da
+uno scudo di bronzo, e col mezzo di una catena potevasi aprire come
+una valvola, nel caso che il calore del caldario divenisse troppo
+eccessivo. Quelli che si facevano colà dentro, ansimavano, davano in
+singhiozzi, respiravano appena. L’aria infuocata e la grande umidità
+non danno requie ad alcuna parte del corpo. — Scuote, opprime, stanca,
+accascia, prostra le forze. — Val quanto trovarsi nel focolare di un
+incendio. — E non so come i Romani non abbiano scritto nelle dodici
+tavole l’applicazione della condanna ad esser bagnato vivo su quei
+tristi che intendevano correggere invece di uccidere.
+
+L’_eleotesium_ era il luogo ove si tengono i profumi e gli unguenti
+campani. — In altre piccole stanze posavano bagni di marmo per le
+donne di età grave o per uomini difettosi della persona che non amavano
+mostrarsi avvizziti e deformi al pubblico sguardo. Ma dal povero plebeo
+coperto della sua _pullata_ ai magistrati che indossavano la pretesta,
+dagli illustri cittadini agli uomini di piccole fortune, nessuno
+sdegnava i pubblici bagni. Unica distinzione era che il ricco veniva
+preceduto dai suoi schiavi e seguito dai clienti. Ed il plebeo entrava
+solo.
+
+Le genti agiate frequentavano le Terme per moda, per accidia, per
+curiosità e per trovarvi conoscenti ed amici, onde invitarli a cena,
+al giuoco dei dadi e ad un’orgia. — I derelitti dalla fortuna, per
+raccapezzarvi — chiedendolo — un qualche asse. — E le donne per
+stare in esercizio di pettegolezzi, per narrare ed udire la cronaca
+scandalosa della città, per osservare da vicino le forme decantate di
+una bella e trovarvi alcun che da ridire, e..... per filare un intrigo
+amoroso su quel terreno neutrale, ove la folla sapeva celarlo nei
+ripieghi dell’uso e della prescrizione medicale. Nelle due Terme le
+donne avevano un bagno a parte ed entravano per uscio diverso da quello
+degli uomini. — Sur una delle porte della Palestra, nel vicolo, era
+scritto: _Mulieres_.
+
+Non molti gl’inservienti. — Un guardiano del bagno — un _fornicator_,
+cioè, quegli che poneva il combustibile nella fornace — e parecchi
+schiavi, condannati ai lavori pubblici per delitti. — Questi hanno
+nome secondo lo ufficio. Addimandavansi _capsarii_ quelli che serbavano
+chiuse in una cassetta le vesti di un bagnante e ne traevano mercede.
+— _Aliptae_ o _unctores_, i profumatori cogli unguenti. — _Alipili_,
+gli spelatori col mezzo di una pomata, o colla pietra pomice. —
+_Tractatores_, i frizionanti nel bagno a vapore. — Per siffatti servigi
+le donne conducevano con sè le loro schiave.
+
+— Ahimè! Come sono stanco. Spero nel tepidario riprendere un po’ di
+forza per poi goder meglio i piaceri della mensa.
+
+— O, non si direbbe che Publio Ametistio abbia fatto oggi sforzi
+prodigiosi per passar la giornata?
+
+— Tu hai, o Statilio, del toro, e le forme ed il nome. Nè sai compatire
+ad un gracilino par mio che desinò tre volte e vomitò due. La bella
+Iddia vi mette anche del suo. E se la dura a lungo, è miracolo.
+
+— Taglia la corda e resterai libero. —
+
+Ed un altro aggiunse, cacciandosi nel bacino pieno d’acqua fumante:
+
+— Facile a dirsi. _Quisquis amat venit_, dice il poeta. E a sedurre
+Ametistio ci vuol meno che far cadere un pettorosso nella pania.
+
+— O tu, Atimeto. Guazza un po’ meno..... e pensa che hai misurato
+l’amico colla tua spanna. — Se potessi dir qui una novella..... Ma nol
+debbo, _quia lupus est in fabula_.
+
+— Hilaro Sulla, or narrala e ci piacerà. —
+
+Atimeto versò sul curioso Statilio acqua a manciate e profittò del
+rumore per dire usassero prudenza; — avvegnachè non il lupo fosse
+presente al racconto di una sua debolezza di cuore; ma un altro animale
+che aveva di che allontanare ogni fascino. E coll’occhio lo designò.
+— Era un uomo adiposo che soffiava nel bacino di contro come un
+ippopotamo. Orafo, arricchito dal mestiere, aveva comperato dal padrone
+la sua libertà. E più erasi fatto danaroso colle usure a carico dei
+giovani spensierati. — Zozzo, liberto di Popidio Ampliato, verso la
+cinquantina, aveva domandato ad una bella giovane se voleva essere la
+donna sua. La non rispose nè si nè no. Ma il terrore d’istinto — che,
+bruttissimo era e guasto dal vaiuolo — egli lo interpretò come eccesso
+di gioia. — La vittima venne trascinata sullo altare, coperta di bei
+monili e di collane di perle. — Pare che anch’essa lo ricambiasse di
+una bella corona. E non era di rose..... Almeno così diceva la mala
+lingua di Sulla nel bagno.
+
+Quei giovani passarono nel sudatorio e si distesero sopra lettucci
+di riposo, dove alcuni giovanetti, appena vestiti, cominciarono a
+strofinarli con spugne finissime. — Quindi a mani piene pigiavano le
+loro carni, li ravvoltolarono per ogni verso e fecero che tutte le
+articolazioni scricchiolassero. — Da prima ridevano e scherzavano.
+Poi caddero in una prostrazione come per grande stanchezza. — Quel
+_malaxare articulos_ era per fermo una operazione dolorosa, quando
+i frizionatori non fossero dotati di una certa abilità e destrezza.
+Allora questi diedero di mano agli strigili — ch’erano di avorio o
+di argento, adorni di bei graffiti, la cui forma somiglia a quella di
+una falce concava che possa applicarsi alla rotondità delle membra —
+e staccarono dalla dermide tutte le ineguaglianze e le impurità che la
+traspirazione vi aveva adunato.
+
+Trasportati di nuovo dond’erano venuti, gli epilatori li spelarono
+con un unguento fatto con semi di salcio nero e con egual dose di
+litargirio. — E i profumieri li unsero di distrutto di porco con
+elleboro bianco. — Aspersi poi di olio di nardo e di megalio, furono
+asciugati con stoffe di lana finissima. — Vennero in ultimo avviluppati
+in una _coccina gausapa_ — specie di grande toga scarlatta, vellosa al
+di dentro — e deposto ognun di que’ giovani entro una lettiga coperta,
+furono ricondotti in casa loro. — Nel congedarsi, Publio Ametistio ebbe
+a dura prova la forza di dire, sbadigliando:
+
+— O, chi verrà alla _comissatio_ meco?..... Prometto _mirabilia!_
+
+— Verremo! —
+
+Statilio Tauro, nel porre il piede nella sua sedia chiusa, voltosi agli
+amici, lor disse:
+
+— Parlare consigli di saviezza a quel caro epicureo è lo stesso che
+raccontare una storia ad un asino sordo. — Valete. —
+
+Intanto che quei giovani infemminiti prendevano il loro bagno
+caldissimo che gli slombava, i popolani si procacciavano un sudore
+abbondante e senza spesa nella palestra. Gli uni — ignudi nati —
+si esercitavano nella lotta; e ciascuno procacciava con sgambetti
+di cacciare il compagno per le terre. — Altri bilanciavano le loro
+braccia, avendo nei pugni pezzi di piombo. — Altri, giuocavano alla
+palla. — Ed altri ancora, colle mani legate sul dorso, prendevano
+colla bocca anelli per terra e si rialzavano. E fra i più destri, uno
+inginocchiato, rovesciavasi indietro sino a mordersi il tallone dei
+piedi. Quindi si tuffavan tutti nell’acqua gioiosamente, con grandi
+risa e con più alto baccano.
+
+Il bagno addetto alle donne è più quieto. Ma il bisbiglio dei vari
+tuoni delle voci è anche più discordante. — In una epoca ed in
+un paese, ove le vesti dinotavano la condizione di quelle che le
+indossano, la nudità assoluta delle persone stabiliva una eguaglianza,
+una democrazia, di cui ognuna traeva suo pro per la libertà propria.
+
+— O che hai, Rufilla, che sei costì tanto cheta. Da che siamo nel
+bacino non sferrasti pur anco una parola.
+
+— Mia cara Aglaia, sto ammirando le carni flosce della mia padrona,
+sulle quali sarebbero così bene applicati i colpi di verghe che mi
+fece dar non ha molto. — Ne ho ancor le lividure alle reni. — Mira che
+pelle. — Toccherà a me domani il renderla bianca di carnagione, nelle
+parti visibili, colla cerussa di Rodi. — Buon per lei che un’altra
+l’asciuga. — Io la pizzicherei di dispetto.
+
+— E non hai tu altra sorgente di collera contro di lei?..... Il mio
+padrone, ch’è il maggiordomo nella casa di Bleso, disse alla moglie
+aver inteso come il marito della tua signora volesse affrancarti
+perchè..... sei bruna e piacente. —
+
+Rufilla sorrise e replicò a bassa voce:
+
+— Ho rotto pace con molte illusioni, io. — Pur sono ancora in
+civettismo colla speranza. Chi sa? Finora alla Iddia bendata non vidi
+mai il viso. — Ed in vero non saprei dirti ciò che meglio io desideri.
+
+— Tu parli come gli aruspici. Pure ti ho inteso. — Venere ti
+sorrida! —
+
+Quando le due schiave si levarono di là per asciugarsi, altre due
+parlavano greco nell’atto che le donne loro affibbiavano addosso le
+vesti. Sembra che quella lingua esse ignorassero.
+
+— Dì! — È egli vero, o Lelia, che tu ti mariti? Piacerebbemi. —
+È un dabbene quel tuo promesso. — Sia la dolce Iddia propizia ed
+entrambi! —
+
+La giovanetta cui fu volta la domanda era diciottenne, dalla persona
+delicata, dal viso pallido, dalle linee rotonde, soavi e fine. Una
+leggera lanugine le adombrava l’orlo superiore della bocca. — Sorrise.
+— E da quelle fila di perle escì cotesta risposta:
+
+— Minucia, grazie ai tuoi voti. — Presto. — Altrimenti la vita mi
+parrebbe insopportabile. — Quinto Muzio io l’amo e spesso lo sogno con
+ardente follia. — Una sera mi ha baciato. — E, fatta sola nella mia
+stanza, io ne ho pianto e tremava tutta. — Chè, il bacio di un uomo
+non è come il tuo, sai?..... Oh! qual bacio! — Era qualche cosa di
+bruciante e di leggero che mi penetrò come il soffio di una carezza nel
+cuore. —
+
+E stringendosi forte mutualmente le mani, partirono.
+
+Una donna, già completamente vestita, fe’ cenno colla mano ad un’altra
+di appressarsi.
+
+— Esce ora colla sua figlia. — La vedesti nel bagno? Brutta e
+manchevole..... E che sa trovarvi egli di bello?..... Io lui desidero e
+voglio. Intendi? — Gli diè forse a bere un filtro amoroso, colei?
+
+— Mia nobile padrona, una sola droga ne apparecchia uno infallibile:
+— Amate e sarete amati. — Cotesto è lo avviso della esperienza. — La
+umiliazione t’irrita. — Cancellane le tracce. — Lo visiterò domani e —
+credimi — ti porterò domani il suo cuore.
+
+— Torna a vedermi.... nel tempio. — Farò offerte alla Dea protettrice.
+— Intanto questa borsa a te per testimoniarti che Giulia sa essere
+riconoscente e generosa. —
+
+Quando la _lena_ escì dalla sala, rimasta sola nel corridoio, la ricca
+donna pensò:
+
+— Io prendo una ben dura lezione, e i miei Giunoni sanno a quali prove
+io vo incontro. — In un momento di disgusto lasciai l’uomo al quale
+io mi era donata. — M’invaghii perdutamente di Gneo Melissa. S’egli
+compenserà il mio grande e miracoloso amore, apparterrò ad un padrone
+le cui esigenze aumenteranno sempre. — Accetto la condizione in cui lo
+alato Dio mi gittò. Sono doviziosa tanto da pagare i suoi capricci e da
+allacciare con catene d’oro il suo cuore. — Ben lungi dal chiedere per
+la mia passione quello che follemente desidero, un eterno obblio per
+Numanzia, una parola affettuosa per me. — O Venere potente! O Venere
+santa! O delizia dell’Olimpo e della terra, fa’ che quell’uomo mi paghi
+di amore e dissipi le miserie di questo mio cuor lacerato! —
+
+Povera donna, a trentacinque anni! Quel piccino fra tutti gl’Iddii,
+passando un giorno dinanzi la sua ricca dimora, usò un tratto della sua
+eterna malizia e sorridendo le scoccò lo strale.
+
+Lo indomani fu essa contenta? Lo ignoro! So questo solo. — Era nata
+in Pompei col nome di Giulia Felice, figlia di Spurio. — La sua casa
+conteneva grandi ricchezze in oggetti d’arte di marmo, d’oro e di
+argento. Eravi un sacrario con divinità egizie ed un magnifico tripode
+di bronzo cogli attributi del dio di Lampsaco.
+
+
+
+
+LA BASILICA.
+
+UNA CONDANNA A MORTE.
+
+=Anni di Roma 770 — Anni del Cristo 17.=
+
+
+ A LEOPOLDO TARANTINI.
+
+ V.
+
+
+In Pompei la gente per bene ristoravasi quattro volte per giorno. Il
+_jentaculum_, nel saltar giù dal letticciuolo, consisteva in una fetta
+di pane bagnata nel vino — od in pane e cacio — o nel solo vino ove era
+stato infuso per tutta notte un bastone di finocchio aromatico detto
+_silum_, per cui questi addimandavano _silatum_ il loro asciolvere
+— od in una bevanda dolce e profumata da sciacquare la bocca e
+toglierle il tanfo della digestione. — Verso la sesta ora — mezzodì —
+cominciava il _prandium_, cibo di sostegno sino alla sera. Chiamavasi
+ancora _merenda_, da _meridies_; oppure _prandiculum_, tanto la gente
+costumata contentavasi di poco. — Un po’ di pane — qualche pasta calda
+di forno — o del _liquamen_ di vino stracotto, detto _sapa_, o di
+emulsioni di ciliege, di mele apie o di cotogne, addolciate col favo.
+— La _cœna_ sì, che era copiosa. Prendevasi _supremo sole_, cioè al
+declinare del giorno, quando le faccende pubbliche o le particolari
+erano terminate, verso la decima ora, cioè alle nostre quattro di
+sera. — Solo i giovani scioperati mangiavano in sull’ora ottava, cioè
+alle due dopo il mezzodì. E lo facevano più volte col recere e col
+rimangiare; e poi toglievano il bagno caldissimo per debilitarsi ad
+aver fame per la _comissatio_, specie di orgia cui Bacco e Venere
+presiedevano e che si prolungava lungo la notte.
+
+A lato dei Lari compitali sulla via non lungi dal Foro, ov’è la
+fontana dalla testa del Leone, parecchi giovani si fermano e picchiano
+ad una porta. L’ostiario apre, chiede i nomi e lor dà passaggio sul
+_prothyrum_ di bianco mosaico su cui sono rappresentati con neri dadi
+due lottatori afferratisi. — Erano attesi. — Dal peristilio entrano nel
+triclinio, ove altri gli accoglie e gli bacia. — Il padrone del luogo
+gli computa e dice:
+
+— _Septem convivium. Novem convicium._ —
+
+Una gaia risata festeggiò quel motto spiritoso. Avvegnachè, avesse
+detto come sette a desco avrebbero composto un’allegra brigata. Ma
+trovandosi in nove, la riunione la sarebbe stata chiassona. — Ed era
+ciò che chiedeva. Per le disposizioni e pei mobili di quelle stanze,
+i convitati non dovevano essere numerosi. E il buon genere dei tempi
+imponeva che non eccedessero le Muse e non fossero da meno delle
+Grazie.
+
+ +-------------------------------------------------+
+ | | | | | |
+ | III | VI | V | IV | VII |
+ | | | | | |
+ |---------|-----------------------------|---------|
+ | | | |
+ | II | | VIII |
+ | | | |
+ |---------| |---------|
+ | | | |
+ | I | | IX |
+ | | | |
+ +---------+ +---------+
+
+Compite le abluzioni e le altre formalità di uso, il padre del festino
+— _cœnae pater_ — indirizzò una breve prece agli Dei e a suon di flauto
+fece le debite libazioni di vino. Quindi distribuì i convitati sul
+triclinio nell’ordine seguente. — Sul posto V del _summus lectus_ ei si
+sdraiò appoggiandosi al gomito sinistro. Indicò a Psiche di allungarsi
+sui cuscini del IV, ed invitava P. Ametistio ad assidersi sul luogo
+consolare VI. Sul letto di sinistra si disposero Calliopa, Suavis
+ed Issa su III, II e I. E sul _lectus imus_ si adagiarono M. Porcio,
+Scapido e Metrodoro nel VII, VIII e IX; questi ultimi erano _umbrae_,
+cioè non da lui invitati.
+
+Il vuoto era riempito da una larga tavola di marmo, ove si disponevano
+i _riton_ e le tazze e le scodelle per le vivande. Dietro ognuno era un
+servo, _succintus puer_, la cui attenzione era desta dalla scoppiettio
+delle dita.
+
+Gli uomini e le donne ricevettero sul capo corone di edera, di rose,
+di viole e di fiori di zafferano. Altre più larghe erano poste ad
+armacollo. Sui capelli furono sparse essenze di nardo, di balano e
+di altre sostanze odorose. Credevasi che quel verde, quei fiori, quei
+profumi, aprendo i pori, facessero facilmente evaporare i fumi del vino
+greco ed indigeno.
+
+Le vivande erano apportate sopra un _ferculum_, grande vassoio di
+argento che copriva tutta la tavola. Allorchè il padrone volea che
+fosse servita la _mensa secunda_, facea scoppiettare il pollice
+coll’indice, e i servi ubbidivano. Così pure per empire i _riton_ coi
+ciati, specie di misura con cui si prendeva il liquido e si versava nel
+calice che lo invitato stendeva. Cucchiai erano sul desco e piccini
+di fine argento. Vi erano coltelli. E pur cannelli di penna d’oca o
+fuscellini aguzzi di lentisco per iscalzarsi i denti. Ma gli alimenti
+solidi, di pesce e di carne li prendevano colle dita, salvo a lavarle
+nel _trullum_, catino che lo schiavo sopportava, ed asciugarle colla
+_mappa_ che ognuno recava da sè. — Avevano inventate tante raffinatezze
+di lusso, meglio che di uso, e non avevano pensato a distendere una
+tovaglia sul desco, a fornire gl’invitati di tovagliuoli e a fabbricar
+le forchette con cui infilzare le vivande.
+
+Dopo aver mangiato e bevuto, ribevvero ancora. Era l’uso di non levarsi
+dai soffici cuscini senza prima salutare le donne che sedevano accanto.
+Quei begli umori erano discreti. I più perdevano la ragione. Ma nessuno
+poteva esimersi dalla regola, abbandonatamente accettata, la quale
+prescriveva, _Omnis amica numeratur ab adfuso Falerno_.
+
+Laonde il _pater cœnae_, volto alla Psiche sua colla tazza ricolma:
+
+— _Cor cordium, nomen tuum bibo._ —
+
+E tranne lei, tutti appressarono sei volte le labbra al bicchiere,
+ingoiandone i sorsi. Quindi Ametistio:
+
+— Alla cugina di Venere.... Al fascino dei tuoi sguardi, o Calliopa....
+Io bevo ogni lettera del tuo nome armonioso. —
+
+Metrodoro aveva Suavis sul corno opposto del triclinio. E lei
+guardandolo amorosamente,
+
+— _Sex cyathos_ per te, o maga del cuore. —
+
+Scapido, appena sdraiatosi, aveva notato le copiose trecce della
+fanciulla che il re del convito, od il caso, gli aveva disposto di
+fronte. A forza di vederla, si prese ad amarla. E siccome egli non era
+fatto per dispiacere ad alcuna, anch’egli a lei piacque. Veramente
+Porcio era il suo amante. Ma quando lo amore s’infiltrava nel cuore
+greco-latino, ogni cosa doveva cedere — e ancor cede! — pregiudizi,
+interesse, doveri. Scapido bevve quattro sorsi al suo nome. E Porcio,
+pur morsicato dalla vanità nel vedere gli sguardi e i sorrisi di lei,
+acuti come un dardo, leggeri come il soffio e fragili come la virtù,
+rivolti spesso alla persona a lui daccanto, bevve e intero il nome
+della passionata pompeiana. Però, brontolando, non si ristette dal
+dire:
+
+— _Alii adnutat, alii adnietat, alium amat et me tenet._
+
+Aveva torto. Le donne di tal conio usarono sempre ad uno far segni, con
+altri occhieggiare. E se taluno amano, tengono altri per le unghie.
+
+I servi partirono.
+
+Rimasti soli, parlarono su quel tema, inesauribile come la musica —
+perchè anch’esso è la musica delle anime — che addimandasi amore. Ed
+una felicità di una nuova specie ed ignota gl’innondò tutti. Pareva
+temessero che qualcuno sarebbe venuto a rapir loro quella serie di ore
+beate che nessun certo lor disputava. La rapidità piena del piacere
+svanisce come un minuto e stanca. Ma poi torna secolo, carico di
+ricordi festosi e delle delizie di un istante — e tanto più nei momenti
+in cui si è colpiti dal dardo di un grande dolore.
+
+Calliopa, dopo aver guardato per qualche tempo Ametistio, tornò a lui;
+e, sedutasi sulle sue ginocchia gli mormorò:
+
+— Mi ami, Publio?
+
+— Sì, cara; come il mare la sponda.
+
+— Infido! —
+
+E appoggiando il gomito sulla sua spalla, velò la faccia. La misera!
+— Sulla veste sottile di Laïs essa avea ricamato coi fili d’oro la
+ingenua serenità dell’anima e quella freschezza e quella limpidità di
+sguardo che ammalia e seduce. Quando la donna si sente così penetrata
+dai raggi di un celeste amore, acquista immediatamente un non so che
+di dignitoso e di augusto, che spinge gli umani a ringraziarne gli Dei.
+Essa intravide d’un tratto dove i suoi nobili sentimenti la spingevano
+e pur discerse come la mano amica le mancasse nello avviarsi verso la
+landa ignota dei suoi destini. Fidanzata della miseria, o fidanzata
+del dolore, sapeva il paese d’ond’era venuta e giurò dentro di non vi
+tornare mai più. — E mentre essa pensava, ed anche Ametistio pensava.
+— Ma l’una pianse e l’altro rise. — E si ricambiarono un bacio ov’era
+chiusa un’antitesi dolorosa.
+
+— Chi giuoca alle tessere?... Su, poltroni! O crederò che Bacco vi
+abbia fuorviato... E tu, Publio, scostati da Calliopa, che da qualche
+tempo medita disegni sinistri sulla tua pace. —
+
+Quegli si svincolò ridendo dalle sue braccia, e:
+
+— Giammai fui felice coi dadi. — Immagina ora che mi strappi con
+violenza di Pafo. — La bella Iddia si vendicherà! —
+
+Il giuoco delle tessere consisteva in cotesto. — Tre piccoli cubi di
+avorio si mettevano entro un cornetto, detto _phimus_; si agitavano
+colla mano e si versavano sur una tavola scavata che chiamavasi
+_alveolus_. Ogni cubo portava sulle sei facce una serie di punti,
+cominciando da • e aumentandosi successivamente su ciascuna superficie,
+per unità sino a [Illustrazione: sei puntini] — Le tre facce, che
+i dadi mostravano, decidevano del punto. — Allorchè i tre cubi
+presentavano ••• il giuocatore perdeva; avvegnachè, egli avesse fatto
+il colpo del cane. Quando invece le superficie tutte offerivano il
+[Illustrazione: sei puntini], egli vinceva la scommessa, avendo fatto
+il colpo di Venere.
+
+Lo amico giuocò per il primo, e i cubi dissero due, cinque, sei. —
+Giuocò Ametistio e presentò i tre assi. — Aveva perduto.
+
+— Lo vedi?... Il colpo del cane! — Giù cinquanta denari.
+
+— Accetto.
+
+Si scuotono i dadi e si mostra il colpo di Venere. — Si scuotono anche
+una volta e tornano i tre assi.
+
+— Hai perduto. — Altri cinquanta?
+
+— Altri cento.
+
+— Ah! sei proprio infelice! Ho vinto.
+
+— Vedremo. — Non potrebbe Venere aiutarmi? —
+
+Ametistio agita forte il _phimus_ e ne escono uno, uno e tre.
+
+— È una vera fatalità! — Séguiti il giuoco?
+
+— Sì; e scommetto un _nummus aureus_. —
+
+Intanto Porcio e Scapido, assisi presso una tavola, divisa in quadrati
+alternativamente bianchi e neri giuocavano ai _lutrunculi_, una
+specie dei nostri scacchi. Palamede aveva inventato quel divertimento
+nel campo dei Greci per distrarre nobilmente sotto la tenda i re
+confederati che assediavano Troia. — Ognuno attelava dinanzi a sè
+alcuni pezzi di vetro bianchi per l’uno, neri per l’altro. E col dito,
+spingevali innanzi come soldati di un esercito, a piedi e a cavallo,
+muniti di torri e guidati dai capi, entusiasmati dalla regina e retti
+dal re. La buona tattica consisteva nel sorprendere tra due pezzi il
+pezzo di vetro dello avversario e così acquistare il diritto di farlo
+prigione e toglierlo dal campo di battaglia.
+
+Suavis e Psiche si divertivano coi _tali_, ch’erano ossi di astragolo
+di montone. Quelli avevamo la loro forma ma erano di argento.
+
+— Tu hai una destrezza rara, o Psiche. — Quantunque volte io mi provi
+a raccattarli tutti e quattro, si sparpagliano in aria, e perdo.
+Se il vuoi, io ti darò un tessuto di nodi complicati e te li darò a
+sbrogliare.
+
+— Apparecchialo. — So già la tua perizia nello allacciare i cuori. Non
+pensi ad Æliano che si muore di amore per te? Non ha molto il vidi in
+teatro ed ei si strugge nel labirinto ove tu lo chiudesti.
+
+— Gli gioverà lo starvi. — Venere mi diè la missione di vendicarla.
+
+— Cattiva!... Non la Iddia... te, per la tua leggerezza.
+
+— O se l’è una mosca!... Lascialo pur nella ragna!.... Provati ora a
+disciogliere questo nodo di Gordio. —
+
+Metrodoro, che aveva assistito alle evoluzioni che Porcio e Scapido
+aveano eseguito col loro esercito di vetro, si fermò dietro la sedia
+della bionda Suavis. Psiche si provava a sciogliere lo intricato
+gomitolo e non riesciva. — Levati gli occhi, disse:
+
+— Il conterraneo di Alessandro potrà sbrogliarlo, non io. — Che pensi?
+
+— Io penso che Metrodoro non s’abbia a provarvi. Non dev’egli
+apprenderne il segreto. Giammai costruirò un labirinto per lui. Ei
+venne a me ed io lo tengo.
+
+— Il Tartaro m’ingoi, s’io mai lo caccio dal cuore ove egli scrisse il
+suo nome. —
+
+E spingendo il capo indietro, levò la faccia sorridente di amore. — Il
+greco curvò la sua e le loro labbra s’incontrarono.
+
+— Undici volte perdente! — Sei volte il colpo del cane! — Che è questo
+mai? — Calliopa, togliti di qui, se ti piace. — Hai la faccia sì seria,
+e gli occhi sì lucidi, che temo mi affascini. —
+
+La bella fanciulla posò la mano sulla spalla di Ametistio, si fece
+rossa e poi pallida, e lo guardò di quello sguardo con cui la madre
+fissa il figliuolo. — Uno sterile sdegno; lo imbarazzo dell’anima;
+la tenerezza profonda; una incantevole illusione ben tosto fugata dal
+fantasma della brutta regione in cui per parecchi mesi aveva vissuto;
+ecco le parole che dissero quello sguardo innamorato. — Ametistio non
+lo notò. — Aveva altre cure che lo occupavano. — E la misera andò a
+celar le sue lacrime in un canto della camera — pioggia impetuosa che
+distruggeva i fiori ed il verde di una forte passione.
+
+Scapido e Porcio s’erano tolti dal giuoco e, stirandosi le braccia, si
+appressarono alla tavola dove la sorte capricciosa imponeva ai dadi le
+sue fantasie. Le donne anch’esse composero il cerchio.
+
+— Togliti, Metrodoro, di costì. — L’amico dirà che gli nuoci.
+
+— Danno e sventura! — Una ruina sull’altra! — Uno, sei, due. Ah!
+Venere! Ti frangerei volentieri le costole con una mazza. — In verità,
+io rinuncio alle tessere e mi ritiro.
+
+— Quanto perdi, o Ametistio!
+
+— Chiedine, o Psiche, a quel fortunato. —
+
+Issa prese sul deschetto il breve bussolo incerato e, fatta l’addizione
+delle cifre, pronunciò:
+
+— Sei mila dugento cinquanta denari. — Psiche, si può dir del tuo
+amico, come di Fabio, il temporeggiante, _romanus sedendo vincit_. E
+viva lui! —
+
+Publio Ametistio — giovane, orfano, già ricco, scialacquatore —
+apparteneva a quella categoria di uomini amati e maladetti dal fato —
+stelle filanti nell’atmosfera della vita, che splendono di vivo lume
+per poco; che impallidiscono al passar di una nube; e scompaiono nella
+pace della natura, quando tutto irraggia, canta ed ama intorno ad essi.
+— I piccoli e i grandi avvenimenti della esistenza gli aveva assaporati
+tutti. Pur questa volta l’urto che la ruota della Fortuna gli aveva
+dato passando, gli cagionava un fremito dentro che gli rendeva malato
+il cuore. — Non ostante, scosse lo altero capo per coronare di un falso
+sorriso la necessità, e disse:
+
+— L’ora è tarda. — Valete, amici. — A domani.
+
+— A domani, Publio; e quando vorrai. — Ricordati che l’amicizia è la
+catena più forte delle nostre affezioni. —
+
+Allora si fece innanzi Calliopa e prendendogli la mano distratta con un
+guardo che dicea molte cose, gli aggiunse:
+
+— No... Vi è una catena anche più forte e tenace... l’amore!
+
+— A tutti sia propizio Morfeo. —
+
+Così mutuamente tutti si salutarono. — E, accompagnati o soli,
+reddirono alle loro dimore.
+
+Ametistio aveva molto giuocato, e perduto, e pagato. Aveva pur molto
+speso per giovanili follie e poco omai più gli restava del censo avito.
+Avrebbe dovuto arrestarsi e dar ordine alle sue cose. Lo amor proprio,
+la vanità lo spinsero oltre. — E in quella sera ei si vide giunto
+sull’orlo dello abisso, e la via del regresso era scomparsa. Quando
+pose il piede sulla gradinata della strada dell’Abbondanza, un sudor
+freddo gl’imperlava la fronte, le gambe gli vacillarono e si appoggiò
+ad uno degli _impedimenta_ di sasso. Ma si rimise ben tosto e continuò.
+— Continuò con passo regolare e sicuro, col corpo diritto, colla testa
+immobile, cogli occhi fissi, come una statua che avesse l’uso delle
+sue gambe. — Entrò in casa sua, si fece nel suo cubiculo e si gittò sul
+letticciuolo vestito com’era.
+
+L’anima, ripiegata violentemente sopra sè stessa e compressa per ore
+dallo sforzo della volontà, riprendendo i suoi diritti e distendendosi
+disordinatamente per tutta la persona, si rifece padrona dei suoi
+dolorosi pensieri. E alla luce della lampada vide tremolare sulle
+pareti ombre leggere e fugaci e ripresentantisi. Erano i suoi ricordi
+or lieti, or tristi. — Era la idea dolorosa del domani. — Ma un’altra
+immagine passò a traverso la sua mente febbrile che limò l’acuta
+preoccupazione colla speranza; e, tranquillato a metà, chiuse gli occhi
+e distese le membra spossate.
+
+La impotenza generale dei sensi rabbonacciò lo spirito agitato. Le sue
+idee navigavano pur sempre nel caos. Ma gli sembrava, nelle tenebre, in
+fondo, lontano, di vedere un porto consolatore ove avrebbero trovato
+un approdo. Immobile, nè dormente, nè desto, quel crepuscolo della
+propria intelligenza leniva in certo tal modo la prostrazione fisica e
+morale nelle cui braccia lo aveva gittato il pensiero della vergogna
+e la idea di mancare — malgrado suo — allo impegno che il giuoco gli
+avea fatto contrarre. A poco a poco aggiornò nella sua mente. — Il
+passato aveva preso il di sopra. — Festini — bagni — viaggi — ed amori.
+— Adorati fantasimi tornarono ad impadronirsi dei suoi pensieri. —
+Cuma, Neapolis, Capua, Tarentum, Brundusium, Roma le vide popolate
+di creature graziose, di desiderii appagati, di spettacoli goduti.
+Sentì voci gentili ripetergli frasi già udite. Un braccio appoggiarsi
+delicatamente sul suo e stringerla con un tremito soave. Ripensò ad
+un mazzo di fiori ricambiato da un bacio. Ad una ciocca di capelli
+bruni che aveva sfiorato la sua gota. Ad una immagine divina, fremente
+di piacere sotto le sue carezze. Ad un banco, in uno xisto, su cui,
+lungi di ogni sguardo, erasi assiso presso una idoleggiata, sotto un
+odoroso cespo di caprifolio. Ad una brigata di amici che pur dianzi
+accoglievalo e gli facea festa. A Calliopa, di cui avea letto nel cuore
+lo affetto secreto, folle, insensato.
+
+— E domani? —
+
+Cotesta parola, come tarlo rodente, lo svegliava dai sogni e lo
+trascinava ai piedi di una triste realtà.
+
+— Oh! Si allontani la idea! Troverò danaro. — Pagherò. — Indi,
+vita nuova. — Un buon matrimonio... la pace e.... l’onore sino alla
+morte. —
+
+E chiuse gli occhi colle dita, per forza, e cacciò lontano ogni
+pensiero. Volse la testa sul cuscino, chiamò il sonno... Ma l’anima
+vegliava e lo facea dimenare sul letto quasi fosse un fascio di spini.
+
+— Oh! la crudele espiazione! L’Erebo ha minori tormenti! — E che feci
+io che gli altri non fanno? — Essi dormono! — Ed io mi torturo! Sì mi
+torturo... e soffro senza speranza... Forse troverò un _fœnerator_...
+Che! Tutti ladri! — Gli subisco da un pezzo! Mi fecero il loro
+schiavo... mi composero questo crudele destino!... Ma, non ne fui
+l’autore io medesimo? La vita mi è a carico... E se io la troncassi,
+aiutando la parca insonnita?... —
+
+Si levò di letto. — Aveva lo aspetto livido, sconvolto. — Si appressò
+ad una cassetta di ebano e ne trasse uno stile. Lo esamina con cura,
+ne prova la punta acuta e sottile sull’unghia del pollice, lo adatta
+tra le due costole sul cuore..... è per pigiarlo dentro colle due mani
+e..... si arresta.
+
+— E l’onore?... E il mio nome?... E merito io la fine di Socrate e di
+Catone?... E che direbbero di me morto i miei creditori... e l’ultimo,
+se io usassi la prerogativa di un uomo libero che si sottrae dalle
+angosce dell’animo?... Giù il ferro di cui non son degno! —
+
+E lo cacciò sul mosaico della stanza. — Levò la mano in alto e, voltosi
+verso lo _impluvium_, ov’erano sotto il portico le statue di stucco dei
+suoi maggiori, seguiva:
+
+— Date venia all’ultimo della vostra stirpe, o miei. — Voi serviste
+leggi che io non debbo, nè voglio, mai offendere. — A meno che Giove
+non mi dissenni, nè morti, nè viventi eleveranno contro me la loro voce
+di spregio. Bocche severe mi dissero leggero, depravato, sciupone.
+— Meritai la sentenza! Cercherò danaro. — Me ne daranno quei tristi
+ch’io contribuii ad arricchire! — Quindi darò piena ospitalità alla
+saggezza. —
+
+Siffatte idee lo racconsolarono. — Di chiaro giorno escì. — Corse nel
+Foro. — Callicles, l’usuraio, disse non aver sesterzi disponibili. —
+Toctucio, il liberto ladro che facea commercio di giovanetti greci di
+ambo i sessi, rispose avere in casa un capitale morto che pur mangiava
+e non poter disporre di un solo quadrante. — Cancer, il sudicio ed
+insaziabile affrancato, lamentò il terremoto che gli aveva screpolato
+le molte botteghe che affittava e maladì ai _tignarii_ e _cœmentarii_
+di Teanum che nelle travature e nelle ricostruzioni gli assorbivano il
+peculio deposto nell’_horreum_ — il magazzino pubblico, ove i cittadini
+deponevano la moneta e gli oggetti preziosi sotto la salvaguardia dello
+Stato. — Il solo Gurges — la cui avidità gli avea dato quel meritato
+soprannome — consentì a trattare, chiese la cifra e promise una
+risposta fra tre giorni. — Ma, richiamato quel contentissimo indietro,
+gli aggiunse:
+
+— Il _fœnus_ però sarà centesimale, cioè, mi darai due assi per cento
+ogni mese. — Va?
+
+— Accetto. —
+
+E a quai patti non avrebbe consentito Publio Ametistio per escire
+onorato dalla voragine ov’era caduto? — Stanco, ma rinfrescato dalla
+speranza, attese. — Dormì. — Riparò le forze perdute. — Per distrazione
+— non per amore — ricercò la compagnia di Calliopa. — Povero, cuore
+riannobilitato dal raggio nuovo di una sensazione profonda!
+
+Intanto Gurges aveva parlato con Alfio, degno collega suo. E questi:
+
+— Mercurio ti aiuti! Il suo patrimonio lo fuse in bagordi, in vini
+squisiti, in bagni, in profumi.... e in usure. Chiedine a Scapzio e a
+Matinio, cui Cicerone tagliò le unghie a Salamina. Gli è proprio un
+_hilarus nepos_. — Se gli aurei nummi ti vennero a noia, danne....
+Allora torneremo a chiamarti col nome di tuo padre! —
+
+— Basta. — Quand’anche lo segassi — secondo il prescritto delle XII
+Tavole, — di quel corpicino estenuato dai vizi non mi verrebbe gran
+parte. —
+
+Corsi i tre giorni, alla decima ora di sera Ametistio cercò di Gurges
+nel Foro. — In casa non era. — Visitò parecchi luoghi. — Domandò ad
+alcuno di quella geldra ove fosse. — Frugò inutilmente ogni canto. —
+Alla fine trovollo nel porto. — E tra il timore e la speranza:
+
+— Ebbene?
+
+— Per Ercole! Non si dirà mai che i miei denari, con tanto sudore
+acquistati, passino come un papavero in un formicaio. — Tu credesti il
+tuo censo immortale. — _Magister improbus!_ — Lo dasti alle sciupate?
+Fa’ che le sciupate tel rendano! —
+
+A quelle parole Ametistio sentì mancarsi il cuore. — Crollava intero lo
+edificio delle sue speranze. Un sudor freddo gli diacciò la fronte. E,
+voltosi all’usuraio che con passo frettoloso si allontanava, lo salutò
+con tale rampogna:
+
+— Ti colga la peste, _furcifer_. —
+
+Era annientato. — Il crepuscolo copriva colle prime ombre le cose. Si
+avviò sbalordito verso la città. — Passò sotto l’arco della porta della
+Marina. Si assise sui gradini del magazzino della Dogana e appoggiò
+la fronte bruciante sulla parete. Le idee tornarono nella sua mente
+con tutta la loro chiarezza. D’un tratto si leva e cammina frettoloso.
+Si arresta sul piano e poi va innanzi, agitando le braccia come un
+insensato e parlando inarticolate parole. Si ferma di nuovo dinanzi il
+tempio di Venere Fisica. L’uscio è aperto ed egli entra. — Qual disegno
+lo spinge? — Nessuno. — S’inoltra e poggia il capo sull’ara. Per tutto
+è silenzio. Nessun rumore. Nessun mormorìo attorno di lui. Alza gli
+occhi e mira la statua di marmo della bellissima Iddia, cui tanto
+danaro le sue scioperatezze aveano sacrificato. Una lampada votiva
+illumina la edicola. Ametistio ripensò alle parole di Gurges — che le
+sciupate aveano a rendergli quello che alle sciupate egli avea dato.
+Si guardò attorno, ascese la scala di marmo a grandi passi, afferra la
+lampada d’oro e fugge.
+
+Ma il coperchio — rotta la cerniera dall’urto — si stacca e ruzzola
+per la gradinata. Un sacerdote, che andava a chiudere la porta del
+tempio, ode il rumore, vede un’ombra che passa, il lume spento innanzi
+il delubro, immagina la profanazione, corre e grida al ladro, al
+sacrilego, all’empio.
+
+Lo ingresso nel Foro era chiuso. Laonde il misero corre per la via
+d’ond’era venuto. — Alcuni che bevevano in un _thermopolium_ si
+affacciano sulla strada. — Due marinai ed un soldato vengono dalla
+porta della Marina. — Non vi è scampo per lui. Una idea lo prende e la
+esegue. — Lancia con quanta forza gli ministra la disperazione il ricco
+oggetto che avea fra le mani al di là di un alto muro, il quale serviva
+di sostegno al terrapieno per la edificazione di un tempio ad Augusto.
+
+Il sacerdote lo arresta e al primo cittadino che vede, dice:
+
+— _Licet te antestari?_ —
+
+Avendogli risposto affermativamente, ei gli toccò il basso della
+orecchia, supponendosi allora che quella fosse la sede della memoria.
+
+Gli accorsi si accrescono. — Il misero è svenuto nelle loro braccia. —
+Altri sacerdoti giungono colle torce. Ed una luce livida rischiara la
+persona di quel caduto. — Uno lo riconosce e dice:
+
+— Publio! il ricco giovane che abita nella via dov’è la fontana di
+Medusa!... Oh! non è possibile!
+
+— Dov’è l’oggetto involato cui i sacerdoti accennano?
+
+Tutti si scostano. — Quei dalle torce accese le volgono per ogni verso
+e nulla trovano. — Allora il soldato si accosta all’orecchio di un
+marinaio suo amico, e gli susurra:
+
+— O che il flamine abbia preso la lampada, e poi voglia averne una di
+ferro col sangue delle vene di quello sventurato?
+
+Altri soldati ed altri curiosi vennero su quel posto. — Ametistio aprì
+gli occhi tutto smarrito. — Vide la gente. — Si rimise sui piedi e
+toccandosi la fronte riarsa, balbettò:
+
+— Ove sono?... Oh! il terribile sogno!
+
+— Dove hai celato la lampada tu?
+
+— Quale lampada?
+
+— Quella che tu involasti a Venere sacra.
+
+— Ah! Gurges lo ha detto. — Pietà di me. — Uccidetemi e sarete
+pietosi.... La lampada....
+
+— Ebbene?... La lampada?
+
+— _Venus diobolaris_ l’ha presa. — La venderà a Gurges, o a Cancer....
+E quelle mignatte vomiteranno il mio sangue nella tua bocca, o flamine
+impudico.... mignatta del popolo.
+
+— Bestemmia lo infame. — Trascinatelo al pretore. —
+
+Un centurione aprì la folla, la interrogò, vide il giovane di nuovo
+svenuto e ordinò si chiamassero due schiavi pubblici con una lettiga
+per condurlo presso il magistrato.
+
+— Rendi la lampada, o sacrilego. — La vendetta della Iddia piomberà sul
+tuo capo.... —
+
+L’uomo coperto di ferro distese con autorità la mano sullo incolpato e
+disse.
+
+— Pace, o sacerdoti. — Comprendo il delitto e ne sento l’orrore. — Ma
+il giovane parlò poc’anzi in delirio. — Ora è svenuto od è morto. I
+magistrati sentenzieranno. —
+
+Giunta la lettiga, vi fu adagiato Ametistio, venne aperto il passaggio
+nel Foro e il trasportarono per quella via. — I sacerdoti, i curiosi,
+gli sfaccendati, i perditempo, le bigotte rimasero su quel posto per
+lunga ora ad esclamare, a non credere, ad accusare e colle lanterne a
+scoprire dove il reo avesse nascosto la lampada rubata. Ma la lampada
+non si trovò.
+
+Il pretore cui presentarono lo incolpato, appena potè riconoscerlo agli
+occhi sbarrati, alla faccia livida, alla persona affranta. — Udito il
+reato di cui Ametistio era accusato, siccome questo implicava la pena
+della _maxima capitis diminutio_, cioè la sottrazione di una testa al
+consorzio dei cittadini e alla libertà, dovette ordinare fosse menato
+nella pubblica prigione.
+
+A dritta dello ingresso del Foro dalla viuzza dietro le Terme e dal
+trivio della fontana del Lupo, era il posto dedicato alla carcerazione
+preventiva. Una piccola e stretta porta di quercia vi dava accesso. Un
+pernio di ferro nel centro la faceva aprire a metà. Grosse spranghe
+confitte nelle spallette di pietra la facevano immobile al di fuori.
+Due scalini mettono in una stanza umida e oscura, non ricevendo
+aria e luce che da un piccolo tubo superiore alla porta; e due altri
+fanno ascendere ad una seconda, stretta e lunga come la prima. — Le
+pareti sono lisce e composte di larghe pietre di taglio, aggiunte
+senza cemento. — Così le soffitte. E la costruzione è sì solida da
+non offerire ad un rinchiuso veruna speranza di fuga. Nulla di peggio
+orribile di quelle due fosse....
+
+Colà sur un po’ di paglia venne gittato Ametistio. Il quale, fuori di
+senno e quasi immemore delle cose avvenute, potette dormire sino al
+dimani.
+
+La novella corse ben presto per le bocche di tutti in Pompei. — I suoi
+amici ne rimasero sprofondati. — Calliopa cadde come corpo esanime;
+chè, il dolore che non ha refrigerio di lacrime uccide o quasi. — Il
+vincitore alle tessere e quanti furono del numero della sua ultima
+festa, credettero o falso il delitto o nato di subita follia. Laonde
+deliberarono di farsene essi gli accusatori pubblici — _auctores causæ_
+— per impedire che altri si presentasse e non col loro cuore. Ma il
+giudice della questione, il quale senza essere magistrato aveva pure
+tutte le attribuzioni di un _quæsitor_, cioè presidente — non volle
+che lo incriminato ottenesse dai suoi fidi una persecuzione fiacca,
+incompleta per calcolo onde sicurargli la impunità. Accettò meglio
+l’atto di accusa prodotto da Stazio Rufo e dai suoi _custodes_, Vatinio
+Svezzio e Caio Pedio — sorta di accusatori in secondo, sia chiamati dal
+primo come aiuto ai suoi ordini; sia, suo malgrado, per chiarire la di
+lui condotta, per sorvegliarlo e costringerlo ad una franca accusa. —
+L’atto diceva così:
+
+«Vivente Tiberio imperatore, e sedenti consoli C. Cecilio Rufo e L.
+Pomponio Flacco Grecino, agli VIII degli idi di aprile — dinanzi i
+questori Velario Grato e Vibrio Saturnino — Stazio Rufo coi suoi
+custodi, dichiaro Publio Ametistio reo di furto di oggetto sacro
+e dimanda che secondo le leggi venga condannato alla interdizione
+dell’acqua e del fuoco.»
+
+Il quesitore mandò il libello all’accusato, perchè apparecchiasse la
+sua difesa pel giorno di poi.
+
+Lo indomani un araldo, salito sul pulpito della Basilica — dopo aver
+suonato la tromba, ripetè l’atto di accusa, scritto precedentemente
+dagli autori della causa. — Quindi colla stessa formalità lo chiarì dal
+pulpito del tempio di Giove e dinanzi la porta dello accusato.
+
+I giudizi sui reati pei quali era prescritta la condanna nel capo
+erano dapprima riserbati ai comizi. Occorsi alcuni casi, creduti al
+disopra della intelligenza del popolo, o della sua istruzione, si
+cominciò a consultare i decurioni, ch’erano una emanazione popolare.
+Quindi si pensò di creare un corpo giudiziario permanente, scelto tra
+i cittadini i quali pel loro grado sociale o pel loro censo fossero
+nella condizione di occuparsi dei pubblici negozi senza alcun danno.
+Il popolo — approvando siffatto accordo — serbò per sè i giudizi sulle
+cause di alto tradimento e la revisione delle sentenze sui condannati
+che a lui si appellassero come a sovrano.
+
+La Basilica è aperta. — Una folla numerosa occupa il portico e l’atrio.
+— Le donne e i curiosi sono sul terrazzo del Foro e dei tempio di
+Venere. I più vicini odono. — I più lontani veggono. Ma il vedere vale
+quanto lo udire; avvegnachè gli oratori, accompagnando le loro parole
+con gesti espressivi e giusti, traducessero a maraviglia il detto
+coll’atto.
+
+I duumviri sono sulle sedie curuli. — Gli accusatori sul pulpito.
+— Indietro, a dritta ed a sinistra seggono ottanta uno giudici. —
+Sotto la ringhiera, lo araldo e gli scribi. — Una barriera mobile di
+legno chiude il tribunale. — E dentro è l’accusato in mezzo ai suoi
+difensori, fra i quali uno è il _patronus_, cioè l’oratore e gli altri
+sono _advocati_, cioè i chiamati per la loro scienza nel diritto e per
+la loro perizia nelle cose giudiziarie.
+
+Quando gli scribi ebbero dispensate parecchie copie della lista
+dei giudici agli assistenti per chiarire come veruno che non fosse
+registrato nell’Albo giudiziario usurpava illegalmente siffatto
+ufficio, i duumviri fecero prestare giuramento agli ottanta uno
+cittadini che avrebbero giudicato secondo le leggi. — E tutti, chiamati
+per nome, risposero:
+
+— _Juro ex mei animi sententia._ —
+
+I magistrati non giurarono perchè essi in tale circostanza si
+limitavano a dirigere i dibattimenti, a proclamare il risultato dei
+voti ed a pronunciare l’applicazione della legge.
+
+Si cominciò dalla audizione dei testimoni. Ognuno di questi giurò pel
+sommo Giove — _cujus nomine_ — dice Cicerone nell’arringa a difesa di
+Milone — _majores nostri vinctam testimoniorum fidem esse voluerunt_
+— di dire la verità. Il primo chiamato fu Venerio Epafrodite — il
+sacerdote del tempio che vide il fuggente e il raggiunse. — Disse della
+lampada involata dalla edicola e del solo coperchio trovato ai piedi
+dello altare, dei lucignoli unti raccattati lo indomani uno sulla via
+corsa dallo accusato e l’altro tra le pieghe della sua toga. — Ymnus
+— il venditore d’idromele e di acque aromatiche nel _thermopolium_,
+dinanzi il quale quel che correva venne arrestato — narrò le grida del
+sacerdote e il passo concitato del giovane, che da uno che prendeva
+ristori nella sua bottega udì chiamarsi Publio e aver casa nella
+via della fontana di Medusa. — Pupo — il marinaio che venne su dalla
+porta della città, ripetè le stesse cose ed aggiunse aver veduto lo
+incriminato svenuto e poi udito dalla sua bocca parole sconnesse, o da
+ubriaco o da pazzo. — Il centurione Eleno Missilus chiarì quello che
+avea visto, cioè, il misero giovane ch’ei stimò morto tra le braccia di
+chi il sosteneva. Aver udito parlare di una lampada rubata. Pur quella
+lampada non essersi rinvenuta, nè sul posto, nè sui luoghi vicini.
+
+Stazio Rufo cominciò allora l’accusa. — Dipinse la depravazione dello
+incolpato. Le ricche imbandigioni e gli apparecchi della gola aver
+sciupato e guasto il suo censo avito. Altri scialacqui, di cui è onesto
+il tacere; e l’amplissima villa, non più sua; e i tanti schiavi di
+tante lingue; e i bronzi e le pitture di miracolo; e il vestir di seta
+come le donne, averlo gittato nelle braccia degli usurai, divoratori
+anch’essi del suo patrimonio. — Coteste le cagioni dell’ultima colpa. E
+potrebb’egli sconfessarla?
+
+— No! —
+
+Il patrono difensore nello udire il monosillabo accusatore del suo
+cliente:
+
+— Rufo, tu obblii il saggio costume degli avi, i quali si espressero
+sempre dubbiosamente in giustizia. — Come puoi tu asserire le cose
+intime che narri? — Vedesti tu — coi propri occhi tuoi — il furto sacro
+commesso? — E dimentichi tu per ventura come le tue arrischiate parole
+sappiano strappare un amico da braccia amiche, privare lo Stato di un
+cittadino ed egli stesso diminuire?
+
+— Pace, o Caio Calvenzio. Qui non si trattano piacevolezze. Tu non
+vorrai scendere a giuochi retorici. — Fatti. Non altro che fatti. — A
+tutti è chiara la vita del tuo cliente. — Egli avea debiti. — Chiese
+danaro. — Nessun usurario volle dargliene. — Entra nel tempio di Venere
+e ruba. Ruba accecato dalla disperazione.
+
+— E la lampada ov’è?
+
+— Non sii formalista, Calvenzio. — La sua tunica e la toga sono unte.
+Un lucignolo sulla persona.... Egli stesso non smentisce il reato. —
+Ecco quello che io credo..... e i nostri avi anch’essi in simile caso
+si sarebbero espressi così. — Ho detto. — Rispondi, se il puoi, sulla
+innocenza di lui.
+
+— Cotesti fatti — se sono fatti, ed io gli nego — non avrebbero
+potuta rifar la fortuna di Publio. Poteva vendere la sua casa, e i
+suoi bronzi, e le ricche suppellettili, e gli ori e gli argenti, e le
+gemme, e gli schiavi; ed avrebbe pagato i suoi debiti cui tu accenni
+ed io ignoro. In verità una lampada del peso di III libre e once II e
+del valore di 40,800 sesterzi, non può solleticare la cupidigia di un
+giovane agiato e spendente come tu dici. —
+
+Adora sorse l’amico presso cui Ametistio passò l’ultima sera gioiosa
+giuocando — il quale, dimentico del danaro scommesso e vinto, erasi
+fatto insieme con Metrodoro uno degli _advocati_, non avendo potuto
+essere gli _auctores causæ_ — e col viso acceso dalla indignazione,
+proferì:
+
+— E la lampada, per Polluce! E dov’è cotesta lampada? — Abbiamo un
+sacerdote interessato che accusa. — Abbiamo un incriminato che non si
+difende. — E l’oggetto del reato scomparso! — O Venere lo ha nascosto
+agli occhi dei suoi.... sacerdoti, o volò di per sè, come il divo
+Romolo, nell’empireo presso la Iddia! —
+
+Metrodoro era afflittissimo. Teneva la mano dell’amico chiusa nelle
+sue. E spesso a voce bassa parlavagli nell’orecchio. — Ma non ne aveva
+nessuna confortante risposta.
+
+— Ebbene! siccome s’intesero i testimoni, si ascolti ora il supposto
+reo. S’egli ripeterà ciò che disse agli astanti e poi al pretore,
+l’accusa non avrà altra cosa da aggiungere. —
+
+Un movimento di attenzione si produsse allora nell’assemblea. — I più
+lontani si sollevarono sulla punta dei piedi. Uno dei duumviri disse:
+
+— Parli or l’accusato e si scolpi. —
+
+— La lampada disparve dal tempio.... Vili ed ipocriti i sacerdoti.... A
+Venere non importa che l’olio bruci. Ha il sole che illumina il cielo,
+la terra e i pianeti....
+
+— Ei bestemmia!
+
+— Epafrodite impostore!... Nel vostro collegio, quando siete satolli
+e il vino v’inebria, ridete fra voi degli Dei e degli uomini. —
+Una donna che fu vostra, ed anche mia, lo udiva e mel disse.... — I
+colombi di argento e i melagrani d’oro — che anche la mia stupidezza
+vi ha confidato, come voti alla Iddia — e non gli vendete voi fuori di
+qui?... La lampada.... valea pur essa i miei danari.... e partì.
+
+— E dov’è ora quel prezioso tra i sacri arredi?
+
+— Non la trovaste?... Bene sta!... Lo inferno v’inghiotta, o pubblici
+ladri!... Quella lampada non rischiarerà più le vostre soppiatte
+libidini sacerdotali....
+
+— A me, che ti accuso, rispondi semplice e sincero. I giuochi di
+parole, di mente smarrita non ti gioveranno. E se lo interrogatorio non
+valse a strapparti dal labbro la verità, potrebbe ben la tortura....
+
+— Come! insolente; osi tu proporre la prova dei servi ai duumviri sul
+mio misero cliente? Il dolore e lo spasimo depongono il falso sempre.
+
+— Ma la tortura è permessa sur ogni cittadino per causa di congiure
+e di sacrilegio. — E qui sacrilegio è negli atti e nelle avventate
+parole. —
+
+Metrodoro si stacca vivamente dalle braccia di Publio, e parla:
+
+— Uno accusa. — L’altro non dice. — La tortura? Sia! La subisca prima
+Epafrodite e quindi il cliente. — Così, se il vero sta nei tendini
+distesi e nelle carni lacerate, vedremo. — E se il mio amico risulta
+innocente, avrò il libito di chiedere ai magistrati di far marcare
+sulla fronte del prete calunniatore K, la stimmate che avrà meritato.
+
+I membri di tutti i collegi sacerdotali muggirono di rabbia a quelle
+parole oltraggiose. — Parecchi giudici ne furono inorriditi. — La
+plebaglia ruppe in alti clamori. La tempesta fu sì violenta che lo
+araldo ebbe ordine di suonare la tromba e di annunciare che i testimoni
+avevano detto, e la udienza era levata.
+
+Lo indomani del giorno d’intervallo tra un’accusa e l’altra, gli
+autori della causa ripetettero l’_anquisitio_, cioè la pena richiesta
+al delitto. Corsi anche due giorni, gli accusatori fecero affiggere
+nel Foro l’_irrogatio_, cioè uno scritto in cui palesavano la pena
+che il crimine sembrava meritasse, ed accusarono per l’ultima volta
+lo incriminato, invitando i giudici a pronunciare la sentenza. —
+Nelle due comparizioni si procedè alle accuse e alle difese, come
+nella prima. — Ametistio non volle difendersi. — I sacerdoti — non
+solo nei loro covacci di empietà e di frode — ma nelle taverne e nei
+trivi cercarono di persuadere il popolo ad impedire che lo scellerato
+sacrilego sfuggisse alla giusta vendetta dei numi. — Sempre gli stessi,
+assetati d’oro e di sangue! — Sempre tributari agli Dei delle atroci
+loro passioni, chiamandoli vendicativi ed autori dei pubblici disastri.
+— Coi giudici usarono altri mezzi — danari a iosa, e per sopra ciò
+_noctes mulierum atque adolescentulorum nobilium introductiones
+nonnullis judicibus pro mercedis cumulo fuerunt_. Non traduco tali
+immondezze.
+
+In quel giorno tutte le taverne, le botteghe, persino le terme furono
+chiuse. — Qualche scriba aveva venduto il suo posto e rimaneva in
+piedi. — Lo araldo intimò il silenzio, si fece lo appello dei giudici e
+gli autori della causa parlarono per due ore, tempo che la legge loro
+accordava. Caio Calvenzio replicò solo e apparecchiò lo uditorio ad
+intenderlo col tossire, collo scricchiolare delle dita, con sospiri e
+con tristi sguardi or volti al cliente, ora ai giudici, ora al popolo
+riunito. Parve agitato da una violenta emozione e la voce tremavagli
+nella gola. — Quando ebbe pronunciato: _dixi_, lo araldo gridò
+dall’alto: _dixerunt_, e i duumviri offerirono allo accusato ed agli
+accusatori il diritto che la legge Pompea loro accordava, di rifiutare
+per giudici quelli che loro non andassero a verso. Di ottanta uno ne
+rimasero cinquanta uno. — A cotesti vennero distribuite tavolette
+di bossolo coperte di uno strato di cera e ciascuno sopra scrisse
+la iniziale del voto che la propria coscienza o il turpe maneggio
+sacerdotale dettavagli. A voleva dire _Absolvo_ — C _Condemno_ — N L
+_Non liquet_ — ciò non è chiaro nella mia mente, se lo incriminato sia
+innocente, o colpevole. Ognuno gittò la propria tavoletta in un’urna,
+levando la toga per scoprire il braccio e serbando l’iniziale scritta
+dalla parte della palma della mano. — Il misero Ametistio venne
+condotto per una scala nella prigione ch’era al disotto della tribuna.
+— Fatto lo scrutinio dei voti, gli scribi ne diedero il risultato ai
+duumviri. Tre giudici opinarono per una più ampia informazione. Dieci
+negarono il crimine. Trentotto lo accertarono.
+
+Allora i duumviri spogliaronsi della toga pretesta in segno di lutto;
+ed uno di essi, con aspetto triste e solenne, disse nel silenzio
+dell’assemblea:
+
+— Sembra che Publio Ametistio meriti di essere punito. E a noi piace
+interdirgli l’acqua, l’aria ed il fuoco. — E sia crocefisso. —
+
+E nell’atto che uno degli scribi leggeva la stessa sentenza dallo
+spiraglio superiore del carcere a quei che doveva farsi _inanimatus_,
+nella sua qualità di _servus pœnæ_, l’altro dei duumviri dicea alla
+gente stipata:
+
+— _I licet._ —
+
+Così tutti, a poco a poco, vociferando, gesticolando, alcuni gioiosi,
+altri addolorati, escirono dalla Basilica e si disseminarono pel
+Foro. — Metrodoro, innanzi la prima Curia, arrestò due dei giudici,
+mettendosi con violenza nel mezzo di essi.
+
+— Sapete voi perchè tanto apparato di milizia nei tre accessi del
+tribunale e fuori?... Non per evitar turbolenze, no. — Per arrestare
+i _manticularii_ che vi sbarazzassero destramente della moneta che
+questa notte guadagnaste con tanto onore: — Uomini da conio.... e
+insanguinati! —
+
+Ed un altro, nella via della fontana del Leone, mirando camminare a lui
+dinanzi un sacerdote d’Iside, tolse di peso un’anfora spezzata piena di
+calce e la cacciò quasi elmetto di flamine sul capo di lui.
+
+— Tizzone d’Averno, imbiancati se puoi! —
+
+Finchè quel briccone potè levarsi la mala cuffia di testa e nettar gli
+occhi e la barba, il poco riverente cittadino era scomparso.
+
+Intanto Publio Ametistio aveva ascoltato la sua sentenza con un
+coraggio e quasi direi con un orgoglio di razza che dava una smentita
+alla poco gagliarda persona sua. — La morte sulla croce! — La sua
+vita, tutta di piaceri, non ve lo aveva preparato. — E lo sguardo della
+folla! — E lo scherno della plebaglia! — Le idee ed i nomi amici gli si
+arruffavano nella mente e lo racconsolavano dello spasimo morale che
+allora pativa e della morte crudele cui andava incontro. — Nell’atto
+entrano due feroci uomini nella prigione. Uno gli lega le mani dietro
+con una corda. L’altro gli appende al petto una tavola che chiarisce
+il suo nome e il delitto. Fuori sono soldati che lo attendono. Molta
+gente pur v’è — e in ispecie donne con bambini sul braccio o lattanti,
+curiose di vederlo una volta e di assistere alla sua crocefissione. —
+Una giovane lo guarda, gli lancia un bacio e dice:
+
+— Oh! se gli è bello, e piacente! Lo avrei amato! Se fossi una
+Vestale.... — gli è impossibile lo sperarlo, perchè non si torna
+indietro mai.... colla mia presenza avrei potuto dirgli — _sii
+libero_.... — e poi più alle fiamme del cuore che a quello dello
+altare.
+
+— Quando ti farai cheta, sguaiata?
+
+— Quando mi darai a bere del vino. —
+
+E cavato uno spillone dalle nerissime trecce, scrisse sulla parete:
+
+— _Suavis, vinaria, valde sitit. Rogo vos valde sitiat._ —
+
+Traversando il Foro, gli amici che la sventura gli avea risparmiato e
+i suoi poveri schiavi, i primi gli baciarono convulsivamente gli occhi
+e la bocca, gli altri i piedi, e disperati li lasciarono. — Ametistio
+sentì dentro tutto, uno strazio e camminò innanzi.
+
+Lungo la via dell’Abbondanza e quella della fontana di Venere, fissava
+le genti che il riguardavano, smemorato. Vedea doppio e triplo. — Fuori
+della porta di Stabia la comitiva si fermò _ad cisiarios_, colà dove si
+affittavano i veicoli; e venne consegnato al carnefice, a cui le leggi
+censoriali niegavano la luce e l’aria che si respirava in Pompei.
+
+Spogliato delle sue vesti, fu gittato sur una croce di pioppo. Due gli
+tennero le mani distese con una corda. — E il carnefice le inchiodò. —
+Poi gli distesero i due piedi riuniti. — E il carnefice li inchiodò.
+— Il poveretto soffriva acuti dolori. Ma non dicea verbo. — Quindi i
+tre giustizieri levarono di peso la croce e la conficcarono, per la
+estremità dove penzolava la testa, in una buca di sasso, assestandola
+con due cunei.
+
+La plebaglia — avida di quegli spettacoli — rimase sul posto sino a
+sera. Alle prime ombre partì. — I littori di guardia rimasero seduti
+presso un fuoco di frasche ed un’anfora di vino.
+
+Dopo un’ora, una donna si trascinò colà barcollando. Al chiarore
+rossastro vide lo inchiodato a capo in giù e corse a lui.
+
+— Ametistio! Mi ascolti? — Mi vedi?
+
+— Calliopa... un bacio... ecco la morte.... Io ti.... atten...
+
+— Espio tutto sulla tua bocca e muoio! —
+
+Fu l’ultimo accento di una doppia agonia. — La mattina i soldati si
+provarono a rialzare la donna prostrata che colle braccia stringeva
+la croce. — Era morta! — Fecero una buca e la seppellirono. E poi
+ch’ebbero pigiata la terra sul cadavere:
+
+— La credi moglie del crocefisso colei?
+
+— No! — La donna dallo anello non muore di amor disperato! —
+
+
+
+
+LA NECROPOLI.
+
+SCENE DI FUNERALI.
+
+=Anni di Roma 779 — Anni del Cristo 26.=
+
+
+ A J. C. HACKE VAN MYNDEN.
+
+ VI.
+
+
+— La tua tragedia, o Sirio Crixsio, non posso accettarla. L’ho letta
+— piacerebbe in Herculanum... lo credo — qui, ne dubito forte. — Le
+lettere non vi sono in molto onore come nella tua grande città. — La
+tua commedia, o Delio, non è adatta alla circostanza. — Se si trattasse
+di festeggiare un duumvirato, eh!... Ma noi piangiamo la perdita di un
+dabbene, i cui pari non nascono ogni dì. — Andate. — Ci rivedremo in
+altra occasione. —
+
+E voltosi ad un uom vecchio e tarchiato:
+
+— Salve, _operarum theatralium dux_. Tu puoi acconciar tutto a dovere.
+Mi occorrono tre _taurocentas_ e tre _succursores pontarios_. — Le
+coppie dei tori le ho già provviste. La giostra nel Foro. — Oltre la
+venazione vorrei dare lo spettacolo dei _pugiles catervarios_ insieme
+coi _pyctas_, secondo il costume greco. Vi sia musica e pantomima. — Tu
+penserai a provveder le macchine, il vestiario, i giostratori e tutto.
+— Quanto alla spesa — tu mi conosci — non vi sarà a ridire. — Agisci
+con zelo. — La famiglia è ricca e generosa. E vuol fare obliare «lo
+assedio di Troia» che tu preparasti nel gran teatro pei funerali di
+Munazio Fausto — lo arricchito dal mare — cui Nevoleja Tyche diè quella
+testimonianza di amor coniugale.
+
+— Compresi, Eumenes. La famiglia di Flacco non avrà a dolersi di me.
+Ma ier l’altro io vidi il brav’uomo passeggiar nel Pecile. — Vi entrai
+per parlar collo edile — ed egli mi strinse la mano e mi chiese del
+figliuol mio che — come sai — vive nell’Urbe. —
+
+Eumenes nello udir lo elogio del suo padrone, valido e sano due
+giorni innanzi, sentì tremolare negli occhi le lacrime. Le asciugò
+col _sudarium_ che aveva chiuso nelle pieghe della tunica, e con voce
+velata rispose:
+
+— Tornò in casa pieno di salute. Dopo la cena si dolse del mal
+di capo e andò a coricarsi. Il _clinicus_ Stertinio lo visitò lo
+indomani, prescrisse i suoi _placita_ che io feci comprare dal vicino
+_seplasiarius_; e malgrado il medico il consigliasse a rimanersi nel
+letto, od almeno in camera, volle uscire e andar nella Curia. — Colà
+svenne e fu qui riportato in lettiga. Non parlava. Aveva storta la
+bocca, gli occhi sbarrati e la faccia accesa. — Vengono due medici e
+gli tastano i polsi, uno di qua, l’altro di là. — Quei mercanti della
+salute furono in questo solo di accordo — che il sangue fosse ito con
+impeto a cacciarglisi nel cervello. — Ma per rimediare a quel guasto
+Stertinio indicava il bagno freddo e Archagathas un bagno caldissimo
+ai piedi con farina di senape. Allora si bisticciarono, chiamandosi
+_vespillones_, spoglia-cadaveri, e peggio. I figliuoli — per non aver
+rimorsi più tardi — usarono interpolatamente i due rimedi. Il bagno
+ai piedi parve lo rianimasse un poco. — Coi segni prima e poi collo
+stilo sulla cera quel degnissimo di vita affrancò dodici schiavi, si
+tolse gli anelli e dandoli a Lelio lo designò suo erede. Il misero
+ebbe appena il tempo di collar le sue labbra sulla bocca del vecchio e
+riceverne il suo ultimo sospiro. Lydia era svenuta nelle braccia delle
+liberte. — Aterio Flacco era vissuto.
+
+— Consolati, Eumenes. — Il figlio somiglierà a suo padre.
+
+— Sì, o Filone. È il suo ritratto e dentro e fuori. E il vedrem presto
+degno della pubblica cosa. — Ma giacchè tanto spendemmo per quei
+due becchini — chiesero ed ottennero dugento denari! — vorrei che il
+padrone facesse incidere nella epigrafe: _ignorantia medicorum periit_.
+
+— Postuma è la sentenza, o fedele. — Non si fischia quando s’inghiotte.
+— Sta’ sano. —
+
+Eumenes era un uomo della seconda gioventù. — Tratti regolari e belli,
+velati da una espressione di dolce melanconia. — Neri e ricciuti
+capelli gli adombravano il viso. — Spessi sopraccigli celavano i suoi
+occhi lucenti, e vi si leggeva l’audacia che inspira la forza fisica,
+la contentezza del proprio stato e una certa tinta di arroganza
+insolente mista a bontà di carattere che acquistano tutti i servi
+i quali invecchiano nella casa del loro padrone. — Era Messenio,
+e fu comprato fanciullo da Flacco. Passò per tutti i gradi della
+domesticità. — Dapprima _succinctus puer_ nel triclinio. Quindi
+_structor_, quegli che apparecchiava il desco e acconciava le vivande
+in un ordine simmetrico e studiato; e poi _scissor_ e così abile,
+ch’egli sapeva scalzare un’oca pulitamente e sì presto da vederla
+intera e tagliata in un attimo. La sua fedeltà e continenza lo fece
+salire in fiducia e divenne _promuscondus_, lo ispettore della cantina.
+— Allorchè venne assunto allo ufficio di _tricliniarcha_ Flacco lo
+affrancò, e qual maggiordomo fu il primo fra tutti i familiari della
+casa.
+
+Per lo addolorato liberto era giorno di grandi faccende quel giorno.
+Allorchè Lelio chiuse gli occhi a suo padre e andò a piangere nella
+sua camera nelle braccia della sorella, egli dovette correre per
+dichiarare la morte del suo padrone e prevenire i _libitinarii_ per
+lo apparecchio delle esequie. Cotesti ministri della Dea luttuosa,
+avevano nel tempio quanto era necessario per la triste cerimonia —
+portatori — guardie — piagnenti — vasi di vetro, di alabastro, di
+bronzo, di terra per chiuder le ceneri — legni resinosi — unguenti —
+tutto — a seconda del grado della persona morta e della magnificenza
+della famiglia. Per questo pagavasi una somma convenuta — _arbitrium_
+— e si gettava in un’urna la moneta che serviva di registro dei
+morti nell’anno. — Combinata la spesa, Eumenes tornò in casa coi
+_pollinctores_ che dovevano lavare con acqua calda il cadavere,
+aromatizzarlo di cinnamomo, di mirra e di nardo, acconciare la faccia
+del morto, infarinarla col _pollen_ e colorirla come da vivo. Fecero
+però prima la _conclamatio_ per quattro volte, chiamandolo a nome
+presso le orecchie, e suonarono le buccine due volte, onde accertarsi
+se quell’apparente tranquillità fosse riposo, o sonno eterno. Compiuta
+l’opera libitinaria, il cadavere venne esposto sur un letto solenne,
+colla faccia scoperta, vestito di bianca toga, nell’atrio, coi piedi
+volti verso la strada. — Siccome aveva in gioventù raccattato nel
+porto un fanciullo che annegava, fu messa sulla sua testa una corona di
+quercia _ob civem servatum_. — Sul _prothyrum_ era un’ara, ove ardevano
+profumi. — Dinanzi all’uscio, un grosso ramo di cipresso. — E attorno
+alla bara i custodi con altri rami per discacciare le mosche.
+
+Sette giorni durò la esposizione. — I profumi e gl’incensi bastavano
+a dura prova ad attutire il puzzo della materia corrotta. — L’ottavo
+in sull’alba, un araldo percorse le vie, i crocicchi ed il Foro. E
+gridava:
+
+— _Aterius Flaccus ollus leto datus est._ — Queglino cui convenisse di
+assistere ai funerali, _jam tempus est_. — Si celebreranno giuochi; e
+il ministro della dea Libitina avrà un apparitore e dei littori. —
+
+Qualche ora dopo, la strada e la casa si empivano di gente. — Tutti
+vestivano la _penula_ invece della toga che non indossavasi nei
+funerali.
+
+Una _præfica_, armonizzò colla lira una _nenia_, cioè un poemetto
+funebre in lode del morto. Quando la cantilena ebbe fine, Lelio e tre
+dei suoi parenti più prossimi, vestiti di bruna pretesta, caricarono
+il letto funebre sulle loro spalle. E benchè il sole splendesse
+sull’orizzonte, il convoglio s’incamminò fra torchi accesi di cera
+e di stoppa impegolata. Un _designator_, andava innanzi coi littori
+dalla nera tunica. E dietro sfilavano suonatori di _tubæ_, cori di
+satiri danzanti un comico ballo chiamato _sicinna_, e la truppa degli
+schiavi affrancati con Eumenes alla loro testa, tutti col capo coperto
+dal berretto frigio della libertà. Immediatamente seguiva il corpo
+del defunto cogli amici, coi parenti, in tunica nera e senza anelli.
+Dietro di essi, a distanza di parecchi passi, era Lydia colle vesti
+in disordine, coi capelli sparsi, in lacrime e gittando tratto tratto
+gridi di dolore. L’accompagnavano alcune amiche devote che nel settenio
+non l’avevano lasciata mai sola. Tutte — come la grande afflitta —
+erano coperte dal _ricinium_, piccolo mantello bruno. Quindi camminava
+una prefica che colla pantomima dell’angoscia che non sentiva dava il
+tuono dei gemiti alle serve della famiglia ed alle loro figliuole. —
+Chiudevano il corteggio altre prefiche divise in due drappelli, di cui
+le prime piangevano percuotendosi il seno e strappandosi i capelli e le
+altre cantavano inni ed omei. E ad istanti cangiavano ufficio, cantando
+le prime e piangendo le ultime.
+
+Salito il cadavere sul pulpito del tempio di Giove, il letto fu
+innalzato di dietro talmente perchè il popolo riunito il vedesse.
+E Lelio pronunciò un discorso, in cui unì agli elogi del padre le
+principali azioni della sua vita. Talvolta il misero giovane si
+arrestava per piangere. Allora una musica flebile rimpiazzava le
+sue parole. E si udì per la piazza ai singhiozzi della figliuola ed
+al pianto degli affrancati unirsi qualche voce lamentosa di persone
+riconoscenti.
+
+Nello escire dal Foro la pompa funebre voltò dinanzi al tempio della
+Fortuna e più in su prese la via Domizia per escir fuori della porta
+di Herculanum. Avvegnachè nel sobborgo Felice fosse la tomba della
+famiglia.
+
+Nell’_Ustrinum_ sorgeva il rogo composto, a modo di un’ara, di legna
+secche di elce, di frassino e di pino, decorato di ghirlande di
+fiori. Negl’interstizi erano pezzi di pece, perchè aiutassero alla
+combustione. Distesovi sopra un lenzuolo di amianto, i libitinari
+vi collocarono il cadavere, cui erano stati prima aperti gli occhi
+dal figliuolo onde vedessero il cielo, e introdotto tra i denti un
+triente — circa due centesimi di lira — per pagare il tragitto al nauta
+infernale. — Quindi Lelio e Lydia, baciandolo sulla bocca per l’ultima
+volta, avevano gridato con una voce piena di lagrime:
+
+— _Salve aeternum, aeternumque vale_. — Noi ti seguiremo, o padre,
+nell’ordine che la natura ci assegnerà. —
+
+Allora tutti fecero il giro del rogo, gittandovi sopra ogni maniera di
+ultime offerte — oli profumati — balsami — incenso — mirra — cinnamomo
+— nardo — e la figliuola una ciocca de’ suoi biondi capelli. — Chiuso
+il lenzuolo, l’_ustor_ presentò le due torce accese a Lelio ed a Lydia.
+Essi le presero. E, copertisi gli occhi col lembo della veste e volte
+le spalle — per provare il ribrezzo sentito nel distruggere quelle
+amate reliquie — appiccarono il fuoco al rogo. — Ben presto un turbine
+di fumo elevasi in aria. — E pianti, e gemiti, e singhiozzi, e canti
+funebri, e suono di trombe con essi. — Colui che aveva presentato le
+torcie vegliava sulle fiamme e le attizzava. — Appena la catasta di
+legna la divenne cenere e bragia, l’_ustor_ inforcò il lenzuolo pei
+nodi e lo depose in terra. Lo aperse. E i parenti, inginocchiatisi,
+cercarono con cura le ossa che il fuoco non avea calcinato e lavatele
+con vino vecchio e latte e poi asciugatele con veli di lino, le
+chiusero in un’urna di alabastro orientale insieme a foglie di rose e
+ad aromati. Ivi pure scossero la cenere chiusa nel lapideo lenzuolo.
+Allora il _designator_, che avea già cambiato il ramo di cipresso con
+un ramo di lauro, fece tre volte il giro intorno ai ragunati per la
+trista cerimonia, li purificò con una aspersione di acqua pura; quindi
+gli congedò colla parola,
+
+— _I licet_. —
+
+Il nono giorno le ceneri vennero deposte nella tomba della famiglia, la
+quale trovavasi dietro l’ustrino. Lelio aprì colla chiave la porta di
+marmo che girò fischiando sui suoi cardini di bronzo. Si curvò, discese
+tre scalini e depose nella nicchia in faccia a sè la ricca urna che
+aveva nelle mani. — Levato il coperchio, gittò dentro un anello d’oro
+con una pietra su cui era incisa una cerva — il _symbolus_ del padre
+morto. — Volse mestamente gli occhi allo intorno e sulla predella vide
+l’urna di marmo colle ceneri di sua madre; di vetro, con quelle di una
+sorella; e di terra rossa, adorna di bei rilievi, che racchiudea le
+reliquie di un fratello morto anzi tempo. Sospirò ed escì. L’ultimo
+atto dei funerali era compiuto. E lo fu a suono di trombe, dette
+_sitinae_, dal timbro grave e melanconico.
+
+Tornato in casa, trovò i parenti e gli amici riuniti a banchetto.
+Nessuna bocca potè sfiorare gai propositi. Le menti erano afflitte e
+preoccupate e tutte miravano un solo spettro.
+
+Già da due mesi — sendo morti Germanico in Syria e Druso in Roma —
+Tiberio imperatore erasi chiuso in Capreas, stanza recondita e di molto
+comodo alle sue paure e alle sue crudeli sporcizie. Dodici anni prima,
+accompagnando nella Campania Cesare Augusto — marito di sua madre
+Livia Drusilla e suo padre adottivo — aveva visto l’isola assai bella
+e dilettevole, cinta di rupi scoscese ed altissime ed accessibile sul
+mare profondo da una sola banda e ristretta. Era vecchio, dal corpo
+brutto, sottile, lungo, chinato e calvo. Aveva il viso chiazzato di
+margini e di spesse stianze e piastrelli. Era stomacato dello abbietto
+Senato ch’egli spesso svillaneggiava in greco — «o gente nata a
+servire» — plaudendo lui distruggitore delle pubbliche libertà. Odiava
+sua madre che non volea socia al dominio, e discacciare non la potea
+perchè per le sue moine Augusto lo aveva preferito a Germanico, nipote
+della sorella Ottavia. Checchè ne fosse, era partito dall’Urbe con
+poca corte, per lo più di greci, amando ragionare in tale idioma. Il
+pretesto fu il sacrare il Campidoglio di Capua e il tempio di Augusto
+in Nola. Lo infinito restitutore di antichi ordini colà guadagnossi
+i sopranomi di Biberio Caldio Merone e di Caprineo. I suoi desinari
+duravano non ore, ma giorni interi e serviti da fanciulle di corpo
+vago ed ignudo. Premiati i maestri di disonesti sollazzi. Ai più alti
+uffizi i beoni, i corrotti, gli autori di libri lascivi e di pitture
+libidinose. Chiamava suoi piscicoli i bambini coi quali bagnavasi,
+sendo incitamento la loro innocente modestia. In più nefande camere,
+rizzate qua e là nell’isola erano i ministri di quanto in esse si può.
+Ed altri ministri lettigavano per la contrada in cerca di vittime alla
+sua sporca e focosa lussuria.
+
+Ma avaro nello spendere, moderò negli altri lo sciupo nei giuochi e
+nelle feste, e scemò le provisioni agli istrioni ed agli accoltellanti.
+Pur, se illimitato il castigo ai prevaricatori, illimitate le vie
+per deludere la pena ed ovviare il castigo. E tratto tratto vedeva
+e puniva. E spegneva i riottosi e ne ghermiva gli averi. E la plebe
+diceva nel vedere i ricchi puniti:
+
+— Cesare coi suoi occhi raccolti vede di notte all’oscuro. Gli altri,
+di giorno, per lui. —
+
+Intanto il Foro rumoreggiava dei giuochi che il fasto della famiglia
+in corruccio faceva eseguire, perchè la memoria del padre fosse più
+durevole nel cuore del popolo. L’uso era rischioso, irreflessivo ed
+audace, nè poteva esser vinto sì di leggieri.
+
+Tori furiosi corrono a capo ricurvo nella lizza. — I bestiari, scalzi
+e vestiti appena di una corta ed ampia tunica senza maniche, gli
+attendono, evitano con destrezza l’urto delle loro corna, li feriscono
+colla punta di un giavellotto; e quando li veggono arrestarsi confusi,
+e sbalorditi raschiare colla zampa il selciato, si presentano loro
+dinanzi squassando una stoffa di color chermisino. I soccorritori,
+agili anch’essi e quasi nudi, corrono dietro i tori frementi e con alte
+grida gli aizzano contro i loro avversari e gli pungono con una lunga
+asta, armata nella sua estremità di un ferro acuminato. La bestia nel
+parossismo del suo furore si slancia, crede di sbuzzare il nemico e non
+trova infilzato alle corna che un cencio che gli annuvola la vista.
+Allora altre punzecchiature di dietro; altre sfide dinanzi. E urli
+dalla galleria ed oltre lo steccato di legno che circonda l’arena. —
+Però che il popolo in quelle venazioni non vedea più la idea pietosa
+che la faceva offerire, ma solo lo amor del piacere e lo spirito di
+turbolenza che il mena. Per poco che un taurocenta, nel salvarsi da
+una cornata, faccia un passo falso e cada, escono tali fischi da quelle
+gole, sino a ghiacciare di spavento e di confusione le bestie. Se poi
+queste ristanno malgrado i colpi di lancia dei succursori puntari, le
+grida, le imprecazioni, le minaccie scoppiano contro di esse.
+
+Il pugilato succedette alla corsa dei tori. — Frigidus e Vitulus —
+rotti agli esercizi violenti e al regime austero della loro professione
+di atleti — discendono nel parallelogrammo. — Hulvio e Tetrix — non
+meno rinomati dei primi — si mostrano anch’essi. E siccome erano stati
+altra volta in Pompei, sono applauditi calorosamente. — Una coppia
+verso il tempio. — Un’altra verso le curie, perchè tutti veggano. —
+Gli atleti gettano via dalle spalle un ampio mantello e fanno mostra
+di larghe membra, di braccia nervose, di ossa gigantesche. Hanno rasi i
+capelli, tranne sulla sommità della testa, adorna di un grosso ciuffo,
+quasi a garanzia dei colpi che possono ricevere sur una parte così
+sensibile e delicata. — Alcuni schiavi allacciano dalla prima falange
+della dita sino all’avambraccio un paio di cèsti perfettamente eguali,
+formati di sette striscie di cuoio di toro ancor velloso e guarniti di
+piastre di ferro o di piombo.
+
+Appena armati, si assicurano sui loro piedi e levano le braccia in
+aria per saggiare se i cèsti sono bene aggiustati. — Dato il segno,
+le due coppie gettano la testa indietro e presentano i cèsti allo
+avversario. Le mani s’incrociano e il combattimento incomincia.
+Frigidus è più leggero; meglio agile; lo soccorre la gioventù. Vitulus
+è più provetto e più forte; ma le sue ginocchia non sono ferme ed
+ha grosso il respiro. — Hulvio è membruto e saldo sui suoi larghi
+fianchi. — E Tetrix non è da meno di lui. — I colpi d’ambi i lati dello
+steccato si avvicendano; e, o rompono l’aria, o rimbombano sui petti.
+Si guardano, si studiano, si minacciano, si evitano, si stancano. — Il
+sudore copioso prima imperla e poi riga la epidermide di quei giganti.
+— Frigidus vuol porre un termine alle lotta e impetuoso si getta in
+avanti colle braccia levate e scaglia due colpi simultanei. Vitulus
+— che cercava un accesso or a dritta, or a sinistra per colpire con
+profitto l’emulo suo — rincula con prestezza; e l’altro, non sostenuto
+dalla resistenza, trascinato dal proprio peso, cade boccone sul
+lastricato.
+
+Urli e fischi scoppiano di ogni lato. — Altri plaudisce alla destrezza
+di Vitulus. — Ma il caduto si solleva con impeto e rinnova gli
+attacchi.
+
+Hulvio anch’esso vuol compiere rapidamente il proprio trionfo; e
+digrignando i denti, si precipita sullo avversario e gli assesta colpi
+spessi e di lieve portata. Tetrix nota quella furia e la trae a suo
+vantaggio. — Para la minaccia, o la evita col gittarsi di fianco, o
+fugge. L’altro prende allor più coraggio e irrompe più furioso che mai.
+Tetrix si volge, finge un colpo di lato e gliene squadra uno terribile
+sulla faccia che lo atterra sbalordito e fuori di sè. Il sangue spicca
+a rivi dal viso lacerato e pesto.
+
+Frigidus e Vitulus grondano di sudore ed ansimano come due mantici.
+— Di comune accordo si fermano e vanno ad aiutare il compagno che
+trascinano via col capo penzoloni sulle spalle.
+
+— Per Castore e Polluce, sono valenti atleti! Come lo chiamano il
+ferito?
+
+— Lo ignoro, Comio. Mi pare di averlo visto a Capua, un anno fa, nello
+anfiteatro. E anche là — se ben lo rammento — buscò una scellerata
+botta sul fianco.
+
+— Eh! Se naufragò anche altra volta, or accusa a torto Nettuno. — Io
+preferisco il mio mestiere al suo. — Che ne pensi, o Mola?
+
+— Certo val meglio far bollire le carni che far pestare le proprie. —
+_Archimagiri_ di buone case come noi non hanno ad invidiare un Flamine,
+— Eppure!...
+
+— Già ti penti della tua sorte?
+
+— Mai no. — Talvolta però che veggo gladiatori ed atleti balzare
+nel Circo e applauditi.... Tal’altra che miro le donne correre loro
+appresso come le mosche al mele.... Che la dea Fornax mi perdoni!... Ma
+di siffatte delizie a noi cuochi non arrivano mai!
+
+— A ognuno la sua. Consolati! Lo stomaco e la borsa — se consultati —
+ti darebbero torto. — Ma cosa accade là in faccia a noi? —
+
+Un gran baccano difatti accadeva di contro. Alcuni uomini gesticolavano
+furiosi. — Che è. — Che non è. — Le donne supplicavano, ma non
+riuscivano a calmarli. Alla fine si vide un soldato dibattersi tra
+quella stiaccia, tolto di peso e cacciato fuori con pochissimo garbo.
+Un triario — giunto tardi — non aveva trovato posto tra gli assegnati
+ai suoi pari. Ed allora per godere dello spettacolo, erasi fatto strada
+là dov’era il popolo. Un ardire siffatto aveva eccitato il sentimento
+plebeo della dignità sovrana, e lo intruso venne scacciato dal posto
+che avea tentato usurpare.
+
+— Orestilla, vedi com’è tronfio e pettoruto quel bruno che si fa largo
+là, tra la gente. — Pavone antipatico!
+
+— Colui dalla tunica di porpora?... È uggioso anche a me, Pothusa. —
+Nol vidi mai prima d’ora.
+
+— Debb’essere straniero. — Che farà egli in Pompei?
+
+— Eh! Continuerà il suo mestiere! — Maraviglio del magistrato che fa
+entrar simil gente nella nostra città. —
+
+Callityche — ch’era presso alle due giovinette, l’una _calamistra_,
+arricciatrice di chiome donnesche, l’altra _vestifica_, che tagliava le
+vesti e le cuciva — voll’essere del pettegolezzo ed aggiunse:
+
+— Mi pare sia del mio sangue. — Ho la casa da affittare... Io gliela
+cederei. —
+
+Uno ch’era servo in una _diversoria_ fuori la porta della Marina,
+felice di poter offerire informazioni esatte, entra a dire:
+
+— Tre giorni fa approdava nel porto. — Dormì e mangiò nello albergo.
+Lo indomani il padrone, ch’è meticoloso, gli chiese il pagamento della
+cena e del letto; ed egli aprì la borsa — e cen’eran dentro dei bianchi
+e dei gialli! — pagò e — forse stizzito dalla scortesia — partì. Spese
+due denari e tre quadranti, e a me diede due assi. Un altro avrebbe
+pagato un solo denaro.... e avrebbe detto le sue.
+
+— Nummi e denari?
+
+— Dev’essere molto ricco allora!
+
+— Me n’ha l’aria. — E quegli che portò via la sua cassa, mi disse
+ch’era ben grave. —
+
+Orestilla guardò la sua amica, e:
+
+— La verità entra in casa, parlando — Eh! per la gioconda Iddia! Ha un
+bello aspetto quel forestiero! — Guardato meglio, guadagna.
+
+— Poichè spende grosso, sia il bene arrivato.
+
+— Scommetto che quando lo incontrerete per via — oh! gli è un greco di
+certo! — gli lancerete tenere occhiate per farvelo amico! — Attenti.
+— Ecco i lottatori ch’entrano in scena. — Bei giovani! Paiono fatti al
+torno. —
+
+Erano quattro. — Sono ignudi dalla testa ai piedi. — Ma si potrebbero
+dire vestiti di grigio, perchè unti di olio e di cera e coperti da
+una cenere fine che trovavasi in Puteoli. Quella specie di pomata
+dava scioltezza alle membra, turava i pori, e facendo aspra la pelle,
+rendeva più facile il ghermirsi.
+
+La lotta è per cominciare. I giovani si apparecchiano col corpo proteso
+dinanzi, col capo insaccato nelle spalle, colle braccia a cerchio.
+
+— Artoces è un pompeiano. Io scommetto per lui dieci denari. — Che ne
+dici, Rutilio, accetti?
+
+— Sì, Cocceo. Io quindici per Dama. Mi pare sia meglio piantato sulle
+sue gambe.
+
+— Sai tu, Munazio, come si chiami quel lottatore che ha le forme di
+Ercole, costaggiù? Io tengo per lui quaranta sesterzi.
+
+— Povero Sandiliano, li perderai e sono troppi. — Lo dicono Aphrocides.
+Tu sbuchi un pozzo nel momento che ho sete. — Mira, farò il colpo di
+Venere come alle tessere — Triplo sei. — Lydo mi darà vittoria.
+
+— Basta! — È convenuto tra noi. — Oh! Eccoli alle prese. —
+
+Durante quel dialogo i lottatori si erano osservati, si accostavano
+e miravano al modo come si attaccherebbero. Parvero decisi. Si
+ghermiscono mutuamente per le braccia, si danno delle scosse,
+si spingono, e si tirano con tanta violenza che — nel silenzio
+degli spettatori — si odono le ossa delle spalle e delle reni che
+scricchiolano. Lo scopo finale della lotta è il gittar per le terre
+lo avversario. Non colpi. — Non pugni. — Sono proibiti. — Convien
+dunque fare degli sforzi di tendini e di muscoli, prendendo piede
+contro piede, fronte contro fronte, quasi fossero due capri o tori,
+per ottenere lo intento. I conati eguali. Pari le forze dei quattro
+campioni. L’ansia degli scommettitori è estrema. — E se le donne non
+fanno mercato delle loro aspirazioni, dentro però scelgono il loro
+campione, e a lui augurano la vittoria e trepidano per lui.
+
+— Decimilla, che bel giovane quel biondo dai capelli inanellati, eh?
+Non mi par convenevole mostrare in pubblico quegli uomini ignudi!...
+Pure che petti! che gambe!... Quel mio pare un Apollo. — Vorrei così
+formato il marito che Jugatinus — il dolce Iddio — vorrà destinarmi.
+
+— Io sono per quel bruno, Cœsia. — I biondi non mi piacciono punto.
+Quantunque volte io oda novelle d’infedeltà, sempre nel fondo vi è
+l’uomo dagli occhi azzurri — la tinta del cielo, del mare, dell’aria —
+le cose più mal fide ch’io mi conosca.... E poi è bruno il mio Anteros.
+— Sai? Il mio promesso che ha bottega di stoffe per vesti, dinanzi la
+fontana del Toro.
+
+— Avrai un bel prospetto per fuorviare l’occhio maligno.
+
+— Ed Anteros un soggetto di meditazione non molto piacevole. — Ma
+guarda il tuo biondo, Cœsia. — Per Ercole! Cangia lo attacco. —
+
+Queste parole dicevale Alleia alle compagne, a voce bassa e ridendo....
+Difatti Lydo avea preso risolutamente pel collo Aphrocides e lo
+stringeva come un nodo scorsoio. L’altro non piega di una linea e lo
+abbranca alla sua volta. — Quindi si stringono e son petto a petto.
+Le loro gambe si allacciano e l’un cerca di far piegare all’altro
+il ginocchio perchè cada. Ma Aphrocides diè una scossa violenta e si
+staccò, scivolando come una murena dalle strette di Lydo.
+
+— Che dici, Munazio, di quella prova? È un Anteo che ritocca la terra
+coi piedi.
+
+— Per Giove tonante! Ne convengo. Si tirò da un cattivo passo. — Il tuo
+Dama suda, o Rutilio, ed ansima come un cavallo bolzo. — Aggiungo sei
+denari alla sua caduta.
+
+— Gli tengo, impavido Cocceo. Il tuo patriotismo ti onora. Non so se
+il destino sarà pel nostro pompeiano. — Vedi! Si sono separati. Vanno
+a tuffarsi nelle casse piene di polvere. — Per Cocito! Gocciolano come
+usciti da un _calidarium_. —
+
+Rieccoli tutti grigi. — E la lotta si rinnovava. — Dama, rifatto dalla
+piccola tregua, si slancia primo e accaviglia la sua gamba sotto il
+ginocchio destro dello avversario. Questi piega, non regge e cade.
+L’altro, posandogli il piede sul petto, gli dice di arrendersi vinto.
+Ma Artoces gli distende per tutta risposta una solenne pedata sotto il
+mento e si rialza come spinto da una molla nell’atto che il primo va a
+gambe in aria.
+
+Un fremito di gioia prendeva il cuore del popolo. Il pompeiano avea
+vinto. E tutti accalcandosi spingevano fuori le braccia e gridavano:
+
+— Bravo Artoces! Bel colpo! Viva l’onore di Pompei!
+
+— Che ne dici Rutilio?
+
+— Aspetto che il mio cada due volte per dar la palma al tuo. —
+
+Intanto Lydo, che gli applausi per altri han renduto spavaldo, si gitta
+sull’emulo come un leone e lo afferra per le gambe. L’altro, vista le
+mala parata, si abbassa e lo preme di tutto il suo peso, perchè quegli
+non lo sollevi di terra. Aphrocides valeva quanto un bue, e rizzarlo
+era impossibile. Allora lo lascia e ambedue corrono. In una rivolta il
+giovane biondo lo sorprende di dietro, gli cinge il collo, gli caccia
+un ginocchio sui reni e lo distende sul selciato. E prima che sappia
+sollevarsi, lo avvinghia colle braccia, dà un urlo, lo innalza con
+supremo sforzo fin sopra il capo e lo gitta ai suoi piedi.
+
+Gli scommettitori e le donne sono in grande agitazione. Sono gridi
+che non si odono che nei paesi meridionali, dove si nasce, si vive,
+si muore per entusiasmo e per gloria. Scuotevano in aria le toghe e
+spargevano fiori e corone di alloro. Pareva che la patria in pericolo
+fosse salva e che Lydo l’avesse salvata.
+
+Anche Artoces avea vinto. Caddero ambedue abbracciati per terra. Ma
+Dama sendo di sotto non potette sciogliersi e l’altro si sollevò
+puntandogli il piede sulla pancia e salutando col braccio teso il
+popolo sovrano. — Uno schiavo vestito di tunica azzurra entrò nella
+lizza ed offerse ai due vincitori una palma e una corona di foglie di
+lauro indorate.
+
+— Cœsia, sognerai di quel biondo tu questa notte.
+
+— Rutilio, non avesti fortuna e men duole. Giuoca alle tessere e
+prenderai la rivincita.
+
+— Non schernirmi, Cocceo. — Ecco io ti pago. Ma possono accader molte
+cose tra la bocca ed il pezzo di pane. — Ad un’altra volta.
+
+— Scherza pur, Decimilla. — Lydo è bello e grazioso.
+
+Intanto alcuni bambini gironzavano sotto il portico del Foro e sul
+piano superiore, offerendo a chi volesse comprarne mandorle verdi,
+castagne e fichi secchi, lupini e ceci abbrustolati. Avevano pure
+idromele e vino dolce per chi ne chiedesse.
+
+Lo spettacolo offerto al popolo da Lelio Flacco non era finito. Partiti
+i lottatori, entrarono i musicisti i quali si attelarono ai due lati
+dei portici. Dopo di essi comparvero gl’istrioni, di quelli noti sotto
+il nome di Pantomimi, che significava — imitatori di tutto. — E nel
+vero, essi senza dir verbo e aiutandosi con gesti e posture plastiche
+e sostenuti dal suono di un flauto particolare, detto _dactylica_,
+faceano comprendere agli occhi quello che difficilmente si può narrare
+colla parola.
+
+Le loro mani parlavano, le loro dita avevano una lingua ed erano
+eloquenti senza aprire la bocca. Nè si aiutavano col soccorso della
+fisonomia; chè le loro maschere erano colla bocca naturale — non
+come i comici e i tragici, che le avevano sbarrate, larghe e con un
+orlo sporgente semicircolare, per servire di portavoce agli attori
+nei circhi e nei teatri immensi in pien’aria. — Avevano bisogno di
+usarne una per ogni carattere che rappresentavano, siccome gli odierni
+le vesti, in _saltatio_, cioè, il gesto, accompagnato dal flauto e
+talvolta dalla fistola, e dal cembalo, bastava per rappresentare drammi
+completi, tragici e comici. Le principali situazioni venivano indicate
+dai monologhi che i cantanti recitavano nell’atto che i pantomimi
+esprimevano.
+
+In quel giorno venne rappresentato l’Eunuco di Terenzio. Il soggetto
+era questo:
+
+Un soldato per nome Thrason aveva con sè una giovanetta che credevasi
+sorella di Thaïs; ma ei lo ignorava; e, ito in Atene, ne fece dono a
+lei. — Nell’atto, Phedria, amante di Thaïs, avendo comperato un eunuco,
+le ne fa dono e parte per la campagna, perchè le ha promesso di cedere
+il suo posto al soldato durante due giorni. Un giovanetto, fratello di
+Phedria, che si è innamorato perdutamente della fanciulla avuta in dono
+da Thaïs, siegue il consiglio del suo schiavo Parmenon, si veste da
+eunuco, penetra nella stanza della fanciulla senza sospetto e l’ha. Un
+fratello di lei costringe il giovane a sposarla. E Thrason ottiene da
+Phedria ch’ei sia secondo presso Thaïs.
+
+Erano le delizie sceniche degli avi nostri. — I retrogradi ed i preti
+che piagnucolano sulle immoralità del nostro teatro — se sapessero —
+potrebbero consolarsi.
+
+Tutte le circostanze della favola furono espresse. — E le grida della
+serva di Thaïs contro il vero eunuco, creduto lo autore del danno.
+— E i mali trattamenti che gli fa patir Phedria. E l’ultimo patto,
+fra questi e il soldato. — Il popolo provò gran piacere a codesto
+spettacolo. In modo che quando l’istrione, il quale faceva la parte di
+Phedria, espresse coi gesti la fine obbligata di tutti i drammi:
+
+— E voi applaudite! —
+
+i picchi delle mani, le grida, gli urli fecero echeggiare tutti i canti
+del Foro e dei luoghi vicini. — E la riconoscenza ricordò a molti il
+nome di Aterio Flacco, defunto, e di Lelio, il suo generoso figliuolo.
+— Nè mancarono vivi plausi a Filone; l’ordinatore di quei magnifici
+giuochi.
+
+Lo indomani dovevano farsi i _denicales_, cioè le purificazioni dei
+parenti e degli schiavi, sì nella casa del morto, come nelle case di
+quelli che avevano tolta la loro parte nei funerali del loro amico e
+del loro patrono. — Lelio la fece nella sua dimora. Così gli altri
+nella loro. — Spazzò il pavimento con una granata di verbena. Pose
+un braciere nell’atrio, gittò un po’ di zolfo sui carboni ardenti, e
+prendendo per la mano la sorella e seguìto da tutta la famiglia, fece
+parecchi giri intorno a quella fumigazione. — Quel giorno diviene
+feriale per essa e nessuno lavora. E tal’era il rispetto degli antichi
+ai doveri verso i vissuti, che nessuno della parentela poteva essere
+citato dinanzi i tribunali dal dì della morte sino a quello della
+purificazione.
+
+Il nono giorno dicevasi _novendiale_, e si andava a banchettare
+sopra la pietra, per cui _silicernium_. La qual cena fu poi chiamata
+_ferale_, o _parentale_ del _silicernium_. In Pompei, questo triclinio
+dove asciolvevasi dopo il periodo del dolore il più intenso, è un
+ricinto quadrato, circondato di pareti dipinte con poca eleganza,
+presentanti in mezzo a cornici ippogrifi, cervi, pavoni e cigni. In
+fondo e ai lati sono finti usci con piante di felce a colori. Letti
+inclinati verso l’esterno, come tutti i triclini estivi, cuoprono
+l’area. Nel mezzo è un parallelogrammo, destinato a servire di desco. E
+dinanzi una piccola ara circolare sulla quale facevansi le libazioni ai
+Numi e agli Dei d’Averno, o posavasi l’urna colle ceneri lacrimate cui
+si propiziava.
+
+Gli amici quivi condussero Lelio Flacco e i parenti e i clienti. Neri
+cuscini cuoprivano i letti di muro. Mangiarono ostriche e patelle
+e brindarono all’ombra dello amico perduto dinanzi agli occhi della
+carne, ma non disertato dalla mente di chi lo aveva conosciuto.
+
+Nello escire dal _silicernium_ al tramontare del sole, la comitiva
+racconsolata imbattevasi nel mortorio di una donna di mediocre
+condizione ed in quello dei poveri. — Gli uomini sanno di essere eguali
+in faccia alla morte. Ma il fasto e la vanità gli fa smemorati.
+
+La famiglia di colei, che in quell’ora passava cadavere nel sobborgo
+Felice, non aveva invitato il popolo; perchè nè giuochi da offrire, nè
+festini a dare. — I parenti sì. — Fu eretto un letto funebre modesto.
+— Dieci musicisti precedevano il corteggio. — Ma non si fermò nel
+Foro. — Avi da lodare non erano. Le virtù da raccomandare, cotanto
+oscure e fuori delle abitudini, che valea meglio tacerle. — E poi le
+si narravano presto. — _Domum mansit — lanam fecit._ — I resti della
+defunta erano però attorniati da fiaccole accese. Il che indicava lo
+antico costume di far simili funzioni di notte, affinchè i magistrati
+e i sacerdoti non ne fossero stati profanati dallo aspetto. Laonde, il
+nome di funerali da _funale_, torcia di stoppa incatramata. — I ricchi
+passarono oltre alla vecchia consuetudine per potere in pieno giorno
+testimoniare il loro fasto e le loro ricchezze.
+
+Il rogo, apparecchiato in pieno selciato in faccia all’_ustrinum_,
+era basso, piccino e bastevole appena alla combustione del corpo.
+Vedevasi pure una modesta urna di terra cotta, preparata allo scopo.
+— Non profumi. Non libazioni. Non offerte. — Quindi, nè combattimenti
+sanguinosi per piacere ai Mani. Nè spettacoli di lotte, di pugni, di
+calci, di gesti. — Le Ombre degli antenati — poichè questi gli hanno
+tutti — dovevano esser discrete e contentarsi di una coperta sanguigna,
+del colore della porpora e non veder altro.
+
+I sacerdoti antichi dicevano — «Spendete; e le Ombre amate godranno
+nei Campi-Elisi delle ricchezze che avrete profuso nel loro
+mortorio!» —
+
+E i sacerdoti moderni pur dicono — «Spendete; e allor suoneremo
+campane, canteremo, borbotteremo in latino e tratteremo con Dio
+come fosse un giudice borbonico; e a furia di danari dati a noi, noi
+costringeremo lui a riconoscere in un’anima ribalda una onesta.» —
+
+Tutti così. — E sempre così!
+
+Arso il cadavere, la pietà del marito raccolse le ossa che avevano
+resistito all’azione del fuoco. E chiusele nell’urna la seppellì in una
+fossa. E sopra pose una _columella_, rotondata a guisa di una testa con
+due trecce dietro. — E sul dinanzi, ch’era liscio, leggevasi:
+
+ MARONILLAE
+ L. ATIMETI
+ ANNIS. LVI.
+
+I cadaveri dei poveri erano stati fermati più in su, quasi rimpetto
+la ricca casa dalle colonne di mosaico nella interna fontana. Cotesti
+_fricti ciceris et nucis emptores_, siccome vivevano in incognito,
+così pure incogniti partivano dal mondo. Nessun ramo di cipresso sulla
+porta della casa ov’erano morti. Là dove spiravano rimanevano distesi
+tre giorni. E poi il becchino li adagiava in una _sandapila_, dopo aver
+infilzato con mal garbo nelle loro braccia una toga di apparenza che
+ad uno ad uno finiva per coprir tutti. — E tre dei suoi compagni, detti
+_vespillones_, li barellavano al posto dopo il tramonto. Colà presso è
+il forno, dove li cacciavano per forza, ripiegandoli. Un po’ di pece
+surrogava i profumi e le essenze Campane. E quando la mortalità era
+grande, allora componevano una catasta di legna in un luogo appartato
+e sopra ponevano i cadaveri in fila — quelli delle donne sotto, perchè
+credevano racchiudessero maggior calorico e s’infiammassero meglio.
+— Avevano anche un’altra ubbia. Pretendevano sapere, nel Tartaro
+non esservi _popinæ_. — Per conseguenza Caronte non aver bisogno di
+oboli. Allora, gli toglievano il fastidio di chiederne qual mercede al
+tragitto. Ed avevano cura di aprir la bocca ai morti e di ritirarne la
+moneta.
+
+I soli cadaveri a non esser arsi erano quelli dei condannati a morte,
+o delle persone uccise dalla folgore, o dei bambini spenti avanti la
+dentizione. I primi erano abbandonati ai corvi. Gli altri venivano
+sepolti.
+
+Il lutto era un obbligo morale. L’uso però costringeva le donne a
+prenderlo; gli uomini no. In ogni caso non durava oltre l’anno. E
+siccome si pretendeva che le morti premature profanassero una casa,
+così le esequie funeste si compivano a notte tarda, senza invito, senza
+esposizione e senza pompa.
+
+Ogni cittadino morendo perdeva la proprietà sulle sue cose. Una sola
+le leggi gliene lasciavano — il possesso della sua tomba. — E per me’
+ricordare quel diritto che non ha altro difensore che la fede pubblica,
+alcuni volevano che il sasso che li copriva il testificasse. E le
+lettere iniziali sur alcuni sepolcri H. M. H. N. S. — _Hoc Monumentum
+Hæredem Non Sequitur_, volea dire: Cotesto monumento non appartiene
+allo erede.
+
+I Mani avevano-dimora nelle tornile; per cui tutte erano loro dedicate.
+— _Diis Manibus sacrum._ — Il loro culto era generale, siccome
+incalcolabile il loro numero che la morte annualmente accresceva.
+— Due feste tendevano a placarli. Una agl’idi di febbraio, detta
+_feralis_. — L’altra a’ III degl’idi di maggio. — Gli Dei dello Stige
+non aveano sacerdoti, e perciò erano ben lungi dall’avidità degli altri
+e si faceano lieti di semplici corone di fiori, di qualche frutto,
+di un pizzico di sale, di una fetta di pane inzuppata nel vino, e di
+un mazzolino di viole. Quelle dette _lemurales_ erano più curiose.
+A mezzanotte, quando tutto tace allo intorno, i devoti levavansi di
+letto e a piedi nudi — facendo schioppare col pollice il medio di
+ciascuna mano, per allontanar l’ombra leggera che loro venisse incontro
+— andavano silenziosi ad una fontana per purificarsi le mani tre
+volte. Voltisi quindi e prese dalla bocca alcune fave nere, gittavanle
+indietro, e dicevano:
+
+— T’invio queste fave e con esse riscatto me ed i miei. —
+
+Allora l’ombra invisibile ai loro occhi credevano raccogliesse le loro
+fave e partisse. — Si rilavavano le mani, battevano dei tonfi su vasi
+di bronzo, scongiuravano l’ombra perchè se ne andasse, dicendo per nove
+volte:
+
+— Mani paterni, escite! —
+
+Sembra che Romolo instituisse quella festa di espiazione per
+rabbonacciare i Mani di Remo ch’ei supponeva errassero irosi sulle rive
+dello Stige. E i Latini credevano che le anime di quelli i quali erano
+morti di morte violenta non fossero ammesse nei regni bui che dopo il
+periodo di anni che avrebbero abitato nei loro corpi sulla terra.
+
+Lasciai libero Eumenes perchè facesse i suoi conti. — Egli ebbe a
+bisticciarsi coi libitinari per le spese dei funerali. — Pretendevano
+— offendendo lo _arbitrium_ già fatto — esser pagati in ragione della
+fortuna del morto. Quei preti ne udirono di dure verità. — Ma che
+importava ad essi? Avrebbero presi anche i ceffoni e.... parata l’altra
+guancia, purchè i denari venissero. — I conti coll’onesto ed abile
+Filone furono presto fatti. — Costarono un orrore quelle feste nel
+Foro! — Ma come splendide e bene ordinate! Se ne parlò per più mesi
+in Pompei e nei paesi vicini. — Vi fu un po’ di litigio coi beccai per
+la valutazione della _visceratio_ — la distribuzione delle carni crude
+alla plebe. — Eumenes non sapea dire quali le Arpie più rapaci, quelle
+che avean ricevuto o quelle che aveano venduto.
+
+Ritiratosi nella sua camera, posò la lucerna sul candelabro, chiuse la
+testa tra le mani e stette così qualche tempo.
+
+— Non vederlo.... non udirlo più! — Nel suo sguardo soave, e dolce come
+il mattino è pieno di misteri come la notte, trovava un sorriso, ch’io
+salutava con tutte le voci del cuore.... Ah! mio buon padrone, la tua
+morte — che non avea sospettato mai potesse arrivare — sarà un’ombra,
+una oscurità; una desolazione profonda sulla regione terrestre della
+mia vita....
+
+.... Salve, ombra diletta, che per questa casa ti aggiri. — I tuoi cari
+figli ch’io vidi nascere — come tu mi conoscesti bambino — i tuoi figli
+io gli amerò a doppio nel nome tuo! —
+
+Queste parole erano il vale eterno che il cuore di Eumenes espresse
+alla memoria di Aterio Flacco.
+
+
+
+
+I TEATRI.
+
+SCENE DI DISTRAZIONE.
+
+=Anni di Roma 812 — Anni del Cristo 59.=
+
+
+ A MIEI FIGLI, VITTORIO
+ E LIONELLO.
+
+ VII.
+
+
+ _M. Herennius Epidianus Sextilio suo._
+
+ _Romæ._
+
+_Apud me est ut volo. — Male, mehercle, de Popidio nostro._ — Sì!
+— Un grande cambiamento si è operato nelle sue lettere e nella sua
+maniera di essere. — Vengono rare e sconnesse. — Che è egli mai? —
+Tu sai come teneramente ami ambedue. — E più penso e meno comprendo
+lo scritto sibillino. Qual cosa potette cagionare in Popidio una tale
+rivoluzione?... Qui, notai, sullo scorcio del mese in cui ci separammo,
+il suo spirito malato, un po’ guasto. Sperai guarisse nel riposo della
+provincia. Egli ha carattere sì dolce; sì collegantesi; sì pronto al
+ritorno! — Dimmi se il male è profondo. — E, se hai bisogno di aiuto,
+io verrò. _Multum vos amo. Valete._
+
+ _C. Sextilius Ampliatus Herennio suo._
+
+ _Pompeis._
+
+_Si vales, bene est._ Tu mi chiedi con premura le novelle di Popidio
+nostro. Ei trascina miseramente la vita. Empie i modii colle sue
+sciocchezze. Sono giovane anch’io, e qualcuna ne permetto anche a lui.
+— Ma tu vuoi te ne citi?... Per Ercole! Sono nello imbarazzo, perchè
+poche quelle che a lui gracile e delicato non nocciano.
+
+Le gite lunghe e a cavallo ed a slascio lo uccidono. — Ed egli corre.
+— Le cene prolungate lo sfibrano. — Ed egli crapula. — E fosse pur
+lieto dello amore di Plilia!. Mai no! — È farfalla che si agita e
+fa i suoi giri intorno alle faci, sinchè — bruciate le ali — cada...
+Bello, elegante, culto, dovizioso, nobile cuore, ei distrugge la vita,
+sospinto al Tartaro dalla noia che mai lo lascia, non in mezzo ai
+divertimenti che meglio desiderava, non nelle braccia di Venere, il cui
+cinto non lo sa ritenere.
+
+Tu ambedue conosci. — Crescemmo insieme. — C’istruimmo insieme in
+Athenas. — Fummo insieme nell’Urbe. — Ah! Non vi avesse mai posto
+il piede! Costì fu colto dal male che lo divora. In cotesta fogna,
+splendida di marmi, di porpora e di oro, apprese ad adorare la
+Luna e a detestare il Sole.... E qui, quando si leva spossato dalle
+tremule coltrici, sbadiglia, ad imitar Cerbero che latra, e chiede
+chi lo distragga e lo faccia ridere. — Nè gli adulatori mancano. Sono
+nell’Atrio i parassiti e gl’istrioni che lo elogiano e lo ammirano.
+— Talvolta egli piacesi delle loro arti, dei loro salti, delle loro
+pantomime, delle loro viltà — Talaltra, la noia lo riguadagna e — o gli
+caccia brutalmente — o li manda al _tricliniarcha_ perchè sfami il loro
+_ventrem iratum_. — Tu la conosci cotesta plebe — razza infame di cui
+l’Urbe abbonda e che qui scese a praticare il turpe mestiere. — _Capti
+sunt nidore culinæ._ Quell’odore gli attira. — E si credono pari ai
+Numi quando possono _gallina tergere palatum_. — Questi i suoi clienti,
+i suoi _salutatores_, i quali lo accompagnano di portico in portico,
+dalle Terme in via della Fortuna alle Terme sulla via alla porta di
+Stabia. — E si bagna e si ribagna. E dalla Palestra va all’Apoditerio;
+dal Tepidario al Calidario; dal Sudatorio all’Eleotesio. — Ne esce
+slombato. — Misero! Ha appena la forza di dire, fatti — in — là, ad uno
+schiavo briaco.
+
+Mi chiama uom da sermoni. Ed io lo prego per me; per te e per lo
+affetto di Plilia che ora è in Neapolis. _Vale._
+
+ _Plilia Sextilio suo._
+
+ _Bays._
+
+_Apud Pliliam recte est._ Una lettera giuntami or ora mi ha
+impaurito.... — Popidio non pare già un uomo; _sed litus et aer et
+solitudo mera_. Ne sono afflittissima. — Ho qui i miei cari parenti che
+mi ritengono. — Altrimenti fosse, sarei volata a Pompei. — Il suo male
+è la noia. Ad essa sacrifica e liba come a una Iddia.
+
+I miei greci mai furono così! Eppure, i vostri latini ne dicono tante
+ad ingiuria!
+
+Parlai con Acutilio tuo, cui mi raccomandasti in Neapolis. _Ex omnibus
+molestiis et laboribus uno illo conquiesco._ — Ma Popidio mi sta fitto
+dentro. Attendo la mia sorella Myrrhina con ansia. — Intanto _mater mea
+magnos articulorum dolores habet_. — Siegue le prescrizioni di Charmis,
+_stagna refusa_, e guarirà presto. Ma io sono sulle spine per amore di
+quel caro che soffre. — _Cura, amabo te, Popidium nostrum. — Ei nos_
+συννοσεῖν _videmur._
+
+
+Erano consoli in Roma C. Vipsanio Aproniano e L. Fonteio Capitone.
+Reggeva a suo modo le cose del mondo Nerone imperatore!
+
+Giulio Cesare per usurpare il dominio aveva con ogni mala arte corrotto
+l’anime dei Romani. Ma già il terreno era preparato dalle grandi
+vittorie le quali avevano infiltrato nelle vene del popolo quirite il
+lento veleno del lusso colla smania dei capolavori nelle arti e della
+opulenza. Sembrava che ognuno dicesse:
+
+— Arricchiamoci e poi ci rammenteremo della prisca virtù. —
+
+Nel mentovarsi un uomo dabbene, incontanente chiedevasi:
+
+— È ricco? — Quanti schiavi possiede? Quante le migliaia di iugeri di
+terra? La sua mensa è delicata? Ha piscine e vivai? —
+
+Quando sapevasi ch’era ricco, il prender conto dei suoi costumi pareva
+inutile pleonasmo. L’oro — la tariffa della probità! — E più l’uom
+possedeva, e più degnissimo era di stima e di onori.
+
+C. Crispo Sallustio, uomo di coscienza assai elastica, che belle
+cose scriveva e brutte cose faceva — laonde venne cacciato da Cesare
+dal governo della Numidia per le concussioni e le ruberie operatevi
+— scrisse al pacificatore delle romane libertà nobili parole contro
+la invalsa passione delle ricchezze, seria e tremenda minaccia alla
+società ed allo imperio. — E sì, ch’ei predicava di esempio! Ed a chi!
+
+«Il maggior beneficio tu possa fare alla patria, ai cittadini, a te
+stesso, ai nostri figli — a tutto il mondo — è lo spegnere la sete
+dell’oro o diminuirla almeno per quanto lo permettino le circostanze.
+Altrimenti, in pace od in guerra, gli è impossibile ordinare gli
+affari pubblici e privati; avvegnachè, là ove la sete delle dovizie è
+penetrata non sieno più instituzioni, non arti utili, noto più genio
+che sappia resistere. — L’anima — tosto o tardi — debbe anch’essa
+soccombere. Ovunque le ricchezze sono in auge, tutti i veri beni
+avviliti, la buona fede, la probità, il pudore, il casto vivere. Però
+che un solo cammino meni alla virtù, ed è stretto, aspro e difficile.
+Mentre ciascun corre allo accaparramento della pecunia per la strada
+che vuole. — E molte ve n’ha di buone e di triste.»
+
+Presa Siracusa, i capolavori di quella ricca città andarono nell’Urbe.
+— Conquistata l’Asia, i triremi caricarono tutto il lusso dell’Oriente,
+e gli diedero diritto di cittadinanza in Italia. — Vinta l’Acaia, si
+rivoltò ogni cosa, e il buon costume antico smarrì la sua via. La
+caduta di Cartagine diè l’ultimo crollo, e le larghe e molteplici
+braccia strinsero quanto potettero e vollero. Tutti, abbassati,
+aspettavano che il principe comandasse senza darsi pensiero. Tutti,
+avviliti — e i più illustri per nome — correvano con calca al servire,
+al piaggiare il despota e chi per lui. Lo amor si comprava. Il successo
+nelle battaglie, la magistratura, il senato, si comperavano. Ogni cosa
+si otteneva coi nummi d’oro. E il furore febrile di averne giunse al
+segno per la servitù inghiottita, che qualche dura cosetta fu fatta per
+forza; le altre quiete e ricerche.
+
+Cicerone — autore anch’egli del danno e sua vittima — sciupatore
+per vanità in ville sontuose ed in viaggi continovi e di fasto, pur
+contrario ai prodighi de’ suoi tempi — scriveva:
+
+«Gli scialacquii irriflettuti si tirano dietro le rapine. Uomini
+impoveriti dallo spendere — _alienis bonis manus afferre coguntur_ — si
+veggono forzati di allungare la mano ladra sui beni altrui.»
+
+Quel _coguntur_ pinge l’epoca perversa. — Il rapinare erasi fatto
+necessità. — Bisognava esser ricchi a qualunque costo. Lo impero voleva
+così. E i già liberi, fatti schiavi, rimossa ogni infinta virtù, non
+curanti tema o vergogna, aprirono il varco alle nascose lussurie,
+s’infradiciarono in scelleraggini ed in sporcizie. Chi volea fuggire i
+mali soprastanti o i presenti, svenavasi. Chi inghiottiva il partito
+pessimo, gloriava; e coi maggiori brutto adulatore facevasi; coi
+minori, arrogante; e fastidioso coi pari. La gioventù si tuffava nelle
+libidini e perdeva i polsi. — Le cetere, le belle e facili donne,
+il vino, in onore. — I patrizi, istrioni. — Lo imperatore, di voce
+chioccia, cantante in casa nei giuochi giovenali, quando primavolta fu
+raso. — E nelle feste, matrone sui gradi come ai trionfi, usate alle
+allegrezze, in faccia a sciupate ignude con gesti e dimenari impudichi.
+— Cotesta la Roma e la Italia dei tempi!!!
+
+Popidio Celsino era un giovane di venticinque anni. Di statura mezzana,
+sottile e ben fatto della persona, pallido, magro, di uno aspetto quasi
+femmineo illuminato da grandi occhi neri, aveva la voce di un suono
+dolce e penetrante che andava dritto al cuor delle donne e le rendeva
+pensose. Cantava greche canzoni come non altri. Agilissimo, educato al
+maneggio delle armi, a lanciare il giavellotto con vigore e con garbo,
+a manovrare la fionda con abilità e giustezza di tiro, a cacciare
+una freccia in un bersaglio indicato, a domare corsieri e a saltarvi
+sopra a diritta o a sinistra di slancio, danzava come un ginnasta, ed
+era difficile che la danzante con lui, teneramente guardata, sapesse
+fuggire dalle sue maglie. E quando, tornato di Roma, nei ludi del Foro,
+per le feste augurali degli eletti duumviri, aveva voluto provarsi
+a discendere quasi nudo allo attacco dei tori; la sua perizia nello
+evitare con un movimento di fianco le corna dello animale furioso e nel
+ferirlo mentre quello irrompeva nel vuoto, era sì bella e graziosa che
+gli spettatori frenetici gli gittavano dal terrazzo corone di alloro,
+e le fanciulle sentivano menomare il loro pudore e maledicevano alla
+resistenza usata a qualche suo ladro sguardo.
+
+Così, sulle prime. Poi anneghittì; e la noia lo punse del suo spino
+velenoso.
+
+I vecchi che ricordavano i tempi di Augusto, avevano trovato nelle
+ricchezze un mezzo qualunque che dava sfogo alla loro ambizione. Il
+popolo di allora riceveva il pane cotidiano delle sue vergogne e nulla
+poteva più dare. Laonde, i ricchi giovani, che pur dentro sentivano
+una energia da spiegare, si stancavano di una opulenza che si esauriva
+nelle labili gioie e nelle sfrenatezze del cubicolo e del triclinio
+e, sbadiglianti, senza desiderii, lodavano la sera, perchè corsa e si
+auguravano un domani diverso. Ma quello sorgeva il medesimo, _idem
+et semper idem_. E cercavano, cercavano qualcosa di nuovo pei loro
+appetiti guasti. E ne arricchivano lo inventore o chi lo forniva. E
+ogni snaturalezza, pagata, coperta di porpora e di oro. — Lo amore
+di donna? — Trita cosa! — Il matrimonio? — Anticaglia! — Nefandi
+accoppiamenti sì, perchè la nefandigia era illecita e nuova.
+
+Il misero Popidio viaggiò; e quantunque volte arrestavasi, nel trar
+fuori del sacco le vesti di ricambio, smucciava la noia con esse.
+Esciva di casa — ne abitava una magnifica dietro la Basilica, quella
+che ha nel pavimento dell’atrio pezzi irregolari, di tutte forme e
+di marmi diversi chiusi nell’_opus signinum_ — per sfuggire la sua
+persecutrice. Ed appena giunto nel Foro o sulla soglia della casa di C.
+Sestilio Ampliato, tornavasene indietro ed entrava nella magione vicina
+— che pur era la sua — augurandovisi una distrazione. Talvolta faceva
+porre il freno ad uno dei suoi cavalli e appariva come freccia scoccata
+sulla via della porta di Sarnus, ov’erano i suoi poderi e la sua villa
+maestosa. Parea corresse a spegnere uno incendio, o i piedi del suo
+destriero portassero la salute di una famiglia, di una città. Giunge
+trafelato e in sudore. I servi gli sono intorno. Tutto ansimante va
+nello xisto, si gitta sur un triclinio campestre coperto da una pergola
+in faccia alla bella piscina, e là mangia assiso, su vasi di argilla,
+un pasto semplice e frugale frettolosamente apparecchiato. Caduto nel
+sonno, gli schiavi lo adagiano sul letto. Quivi oblia la noia e la
+disperazione che la vuota opulenza cagiona. Ma, una volta desto, i
+due sproni gli si conficcano ai fianchi. Inforca di nuovo il cavallo e
+rieccolo in Pompei coi capelli sparsi, col sudore sulle guance, colle
+narici aperte come quelle del suo corsiero. — E in sull’uscio?...
+Sull’uscio è la statua immobile che lo aveva seguito, che lo seguiva
+per tutto e che pur lo attendeva.... la Noia.... che il Governo
+imperiale vi aveva rizzato e... inchiodato, dopo aver messo in pezzi il
+santo simulacro della Libertà.
+
+Misero Popidio! Malato di languore nell’anima, impotente a dissipar
+la tristezza ed obblioso che dovunque egli andasse, sempre seco la
+trasportava.
+
+Il suo cuore era passato per la trafila di molti amori. Ma nessuno lo
+aveva fermato. — Nessuno aveva saputo congiungerlo. — Venuta Plilia
+di Grecia, questa lo avvinghiò meglio delle altre... Era straniera...
+Parlava altra lingua... Prestavasi meglio alla curiosità... Possedeva
+artificii d’amore... E poi... era una bella mostra del tipo ateniese.
+
+Plilia contava i venti anni. Era piccina e ben fatta. L’ovale della sua
+faccia, senza menda, aveva una tinta piacevolmente bruna. I sopraccigli
+formavano un solo arco sulla fronte ampia ed altera. L’orlo del labbro
+soprano era adombrato da una leggera lanugine che imprimeva sulla bocca
+un sorriso voluttuoso e aggradevole. Gli occhi grandi e neri, a forma
+di mandorle, brillavano malgrado che la lunghezza delle ciglia ricurve
+ne temperasse il fuoco. Un neo sulla gota sinistra, la bianchezza
+canina dei denti, il gaio conversare sur ogni proposito, la risposta
+pronta ed ardita su piacevolezze scabrose la facevano amata e ricerca
+da tutti.
+
+Essa era una etera. — Cioè, una fanciulla libera; filosofante coi
+chiari filosofi; artista cogli scultori e coi pittori in grido;
+letterata cogli oratori i meglio famosi; sempre nella luna di mele
+dello amore; permettentesi, ma non donantesi; in balìa di quella
+passione accettata dagli Dei e non dagli uomini tutti — quantunque così
+deliziosa, così bruciante; — un giorno spettro sinistro agli occhi di
+donne gelose; e l’altro ospite gentile e grazioso di un peristilio.
+
+Dopo la risposta di Sestilio, essa non tardò molto a venire in Pompei.
+Un servo si fece all’uscio della camera di Popidio e ne tirava la
+spessa cortina di Tyro. — Un raggio di sole penetrò nel cubiculo.
+
+— Per lo inferno! Che luce! Abbi Venere irata, o Milphio. — Come? Mi
+desti ora appunto che avea preso sonno?
+
+— Padrone! È Plilia che è giunta e chiede vederti.
+
+— Ma, di’.... nel tuo paese..... e non dormono la notte?
+
+— La notte sì. — Ora è alto il sole. Da un’ora già varcò la metà del
+suo corso.
+
+— E pur qual silenzio! Pompei zittisce adunque come l’anima mia?....
+Ah!.... Va. Chiedi a Plilia il favore di attendermi.... E apparecchia,
+se vuoi, il bagno. —
+
+Un altro più lungo sbadiglio. — Trasse le braccia in alto, stirandole.
+Discese lentamente dal letto di cedro, intarsiato di tartaruga; posò i
+piedi su ricco tappeto; li pose nei sandali; si gittò sulle spalle una
+_gausapa_ cremisina, vellosa al di dentro, e cominciò a camminare per
+la stanza, ora celeremente, ora a passi misurati.
+
+— E Plilia che vuole? Aveva un po’ di tregua da che è in Neapolis.
+— Torna qui ad agitarmi. — Vuol sempre sia desto.... Non ha mai posa
+costei!.... Ma che, l’amo io?... Io?... E non posso amar più. Oh! Il
+potessi!... Plilia è proprio un serpentello che mi avvolge nelle sue
+spire. Ed è serpentello che piace... e che io riscaldo sul mio povero
+cuore, che batte i battiti di una vita incresciosa...
+
+— Ah! Popidio!... Caro!... Siimi indulgente! Ma io ardeva di
+rivederti... e non attesi...
+
+— Fanciulla amata... _dulcissima rer_... —
+
+Ma i baci ch’essa gli diede sulla bocca niegarono il varco alla
+compiuta parola.
+
+— M’impaurì la lettera che mi raggiunse a Baiæ. Ma.... la mia madre
+era soffrente.... la mia sorella Myrrhina doveva arrivare e la lasciai
+là.... E qui corsi per riabbracciarti. —
+
+E curvò la sua bella testa sul petto di lui, pur cogli occhi
+guardandolo amorosamente.
+
+La donna è per sè stessa un animaluccio seducente, grazioso e benigno.
+— Plilia poi era per sopra ciò un fiore vivace e profumato, sorto nella
+solitudine dell’anima sua. Onde, preso da quell’olezzo di gioventù e
+di bellezza, la baciò e ribaciò sulla fronte e sugli occhi. Gli pareva
+di sentire un nuovo moto nelle sue vene. Una novella energia picchiava
+tonfi sul suo cuore sfibrato, quasi dicesse:
+
+— Aprimi, ed io resto. —
+
+Il fatto è che Popidio in tal momento pensava e diceva alto:
+
+— Infine, sono come gli altri, io. — Sestilio mi sgrida, mi
+rimprovera.... Ma, ha torto. — Mi annoio. — Ecco tutto. — Provo e
+riprovo e non riesco.... Pure, io saprei difenderti, o mia. Saprei
+morire per difenderti. — Ho l’anima fiacca spesso... è vero. — Destala,
+o Plilia.... E l’avrai amante, ingenua..... Non feci mai male ad
+alcuno, io.
+
+— Lo so. — Tu sei buono, o soave amore. E puoi guarire della malattia
+dolorosa quando che vuoi.... E per sanare bisogna che tu colmi il vuoto
+che hai dentro.... E una donna.... se saprà fare, lo riempirà.... e
+se tu la lascerai fare. — Ora gli è al poeta ch’io parlo. — L’uomo
+non è felice e sano se il poetico entusiasmo nol rende contento di sè
+medesimo.... Oh! Ecco Sestilio!..... Vieni, o amico. — Seguita tu i
+miei ragionari. — Dobbiamo persuadere questo caro ad essere felice.
+
+— Ora lo sono. — Durerò? No, se voi mi lasciate. — Voi due mi siete ben
+necessari. Senza te, o Plilia, le tenebre mi attorniano e la psiche
+va errando e cade. Talvolta anche Sestilio sa togliermi di dosso
+la _impluviata_ di piombo — la noia — la quale, come la camicia del
+centauro, mi brucia. — Con voi rimarrò giulivo; nella villa, studierò
+i papiri greci di Phylodemo. — Come te, _deliciola mea_, filosoferò
+sulla ricchezza, dichiarandola una povertà regolata sui bisogni della
+natura. E non stimando necessario il superfluo, ci contenteremo di
+ciò che basta. — Con te, o Sestilio, l’anima diverrà lo strumento
+della mia gloria. Non dubiterò più.... Io mi sentiva nato per qualche
+ragione al mondo.... e non per la usura dei miei nervi e per una
+inutile morte..... No.... V’ha una parola nella tua lingua, o Plilia,
+che m’inspira una tenerezza feroce. V’ha una parola nella mia, al cui
+sacro mistero io dedicherei volentieri tutte le grandi gioie dei sensi,
+tutti i grandi dolori della vita. — Eλευθερία — _Patria_ sono un teatro
+su cui il misero amico vostro avrebbe recitato con nobili emozioni la
+parte sua!
+
+— Ma tu appartieni a te medesimo.
+
+— No, o Sestilio.... La fresca alba della libertà ov’è mai? — La luce
+che vivifica, che depura, che sorride all’anima di un romano e di un
+greco è scomparsa dalle nostre contrade! — Le tenebre sono spesse e
+fredde.... E quando la mia cosa immortale s’interroga, ode un rumor
+di catene, vede il ghigno dello imbestiato signore del mondo e cerca
+smaniosa uno asilo e nol trova. — Questo pauroso ha fatto della
+terra una carcere. — È omai delitto il mentovare le parole della mia
+mente!... Talvolta, un tuo sorriso, o Plilia, dorato dalla intelligenza
+e profumato dalla bontà, mi solleva dal peso insopportabile del mio
+sogno penoso. — E il tuo affetto sincero, o amico, mi strappa dalla
+battaglia senza tregua di questa mia misera vita, dove.... — l’ho a
+dire?... — mi sento in catene e non domo, come Spartaco, di Tessaglia.
+— Ma, voi partite.... E la dolorosa noia ritorna e.... lentamente mi
+caccia nel cuore la punta uncinata che dentro rode. — Tu dicesti....
+una donna! — Ah! passò quello istante in cui la nozza per me sarebbe
+stata una cosa sensata ed onesta. — Quando io vidi la gelosia strozzata
+ai piedi dei miei pensieri; quando la mia ragione non trovò più parole
+di lamento e di richieste indiscrete per torturare la donna amata,
+compresi ch’essa può avere un passato legittimo nel pellegrinaggio
+della vita e lo rispettai. — Allora tu, etera, fosti la sorgente
+di qualche mia gioia. — Ma, associarti ai miei destini?.... Mai! —
+Popidio non commette atti iniqui! — I despoti della mia patria non
+tormenteranno il mio seme. — Viviamo in tempi in cui i figli feriscono
+nel ventre le madri e dicono ad Aniceto, liberto:
+
+— «Oggi, da te lo impero. Corri con arditissimi e fa’ lo effetto.»
+
+— Ieri una lira accordata valeva più della spada di Scipione. Domani
+lo applaudire alla voce fessa del despota darà lucrosi incarichi. Ogni
+dì, i poetuzzi che rabberciano gli stentati suoi versi sono onorati di
+bisellii e di corone, come già il divino Virgilio... Il popolo ha fatto
+il callo sur ogni obbrobrio.... Ecco le ragioni dei miei disordini, del
+mio correre a slascio, dei miei lunghi e crudeli riposi.
+
+— Condizione crudele! — _Prorsus, ut dicis, ita sentio._ — Ma tu troppo
+presto appressasti al cuore la vampa per incenerirlo. Ingrossasti
+la testa per atrofiare il corpo. — Chiamasti lo avvoltoio perchè si
+cibasse del tuo fegato!
+
+— Discaccia le cure che ti tormentano. Vivi e consolati dello amor
+nostro. —
+
+Popidio si assise sul letto. I due lo imitarono. Le belle guance di
+Plilia furono lentamente rigate da due grosse lacrime. — Ed egli prese
+le mani degli amici suoi, e, tutto commosso:
+
+— Miseri! Soffrite per me! — E mi compiangete! — Era così infelice
+a non dirvelo per lo addietro. — Gli Dei!... Oh!... Io ne venero un
+solo! — Le donne!.... Io non amo che te! — Gli amici!.... Disprezzo
+i viventi e mi stringo a Sestilio.... Ho il turbine qui! V’ha sorrisi
+che paiono da vino. — V’ha tormenti eziandio da dannato. — Pietà di me!
+— _Utinam illum diem videam, quum vobis agam gratias, quod me vivere
+coegistis!_ —
+
+Su questo, Milphio entra nella stanza e dice:
+
+— Padrone, il bagno è apparecchiato.
+
+— Verrò. — Voi andate nello xisto, nella biblioteca, ove meglio.
+Voi siete altri me, qui. — Plilia, un bacio. — Oh! io mi sento
+innovato! —
+
+Si cacciò nel bacino di porfido e vi si distese. — Chiuse gli occhi. —
+E in quella specie di veglia gli parve di esser libero di una catena
+con cui il suo spirito era stato sino allora legato. Ciò che dentro
+pria lo affliggeva, sparito. Sentivasi pronto ad una felicità — non
+la intesa e praticata dalla saggezza convenzionale — quella che dà
+godimenti veri, meritati, segreti e di un ordine proprio. — Da una
+piega della cortina, che abbarrava l’uscio, sino al bacino scendeva
+diritto un filo di raggio solare — solco luminoso composto di quanto
+v’ha nell’acqua, nell’aria, nella terra e che pur trovasi in date
+proporzioni negli animali, nelle piante, nei sassi. — I suoi pensieri
+ascesero per quella via sino a Dio, e ritornarono gioiosi a lui su
+quella dorata atmosfera. — Mai, come quel giorno! — Si levò, si vestì
+della _synthesis_, aiutato da Milphio, ed escì azzimato incontro agli
+amici.
+
+— Plilia e Sestilio, andate nelle vostre camere. — Vi troverete
+la _vestis cœnatoria_. — Vi attendo nel triclinio. — È l’ora
+decima. —
+
+Nel sommo letto si pose Popidio, nello inferiore l’amico, nell’altro la
+etera. — Dopo la libazione, i giovanetti schiavi li coronarono di fiori
+e giuncarono di rose il musaico. La ricchezza del _pater cœnæ_ esigeva
+che la _comissatio_ fosse _recta_, cioè composta di tre imbandigioni.
+Laonde nel primo vassoio di argento furono portate uova, lattughe,
+olive, fichi e mangiari delicati e leggeri per aguzzar lo appetito. Nel
+secondo, stufati di varie sorti ed un arrosto di vitello. Nel terzo,
+confetture, mele d’Hymetto con semi di papavero bianco tostati, paste,
+e poi altri frutti entro cestelli di giunchi intrecciati, di argento.
+— In ultimo, dopo la lavatura delle mani e della bocca, vennero
+distribuiti i profumi per togliere di dosso l’odore delle vivande.
+
+La gaiezza dei commensali erasi irradiata sui _pueri_ che servivano
+e sul bravo e fedele Hegio, il _tricliniarcha_. E tutti cogli occhi e
+coll’assiduità del servizio ne ringraziavano Plilia, la bella ateniese,
+operatrice del miracolo.
+
+Anche la luna illuminò quella regione vivente e dianzi sì desolata.
+— Andarono a godere del suo pallido raggio sull’orlo dello xisto che
+prospettava sul mare. — Gli amanti avevano le mani congiunte. Il misero
+dallo abisso, aiutato dalle ali dello amore, era risalito sugli spazi
+i più luminosi delle regioni felici. Gli è che Plilia, strettasi al
+suo cuore, gli susurrava tratto tratto all’orecchio parole che gli
+uomini tutti non sanno ricambiarsi tra loro. — Sestilio abbracciò i due
+avventurati e partì.
+
+Essi restarono. Per qualche istante nessuno parlò. Quindi:
+
+— Io ti appartengo, o Plilia. Un legame mi unisce a te, potente,
+indistruttibile, eterno. — Quali le nostre labbra, così le anime negli
+Elisi. Dammi la tua mano. — Come bella! — Questo anello d’oro serbalo
+nel dito finchè tu non perda la memoria di chi molto ti amò. —
+
+Si fidanzarono. — E fu spontaneo e gradito quell’atto, perchè
+compiuto tra essi, senza sospetti, siccome gli atti abituali della
+loro tenerezza. La donna gli coronò il collo delle sue braccia e così
+rientrarono nella casa; e di là, nella prossima, messa a disposizione
+di Plilia. — Ore di felicità! — Silenzio gradito! — Solitudine sacra!
+— In quel sepolcro era chiuso il supremo contento di due cuori degni
+di batter l’un presso all’altro i segni della vita e delle sue brevi
+delizie.
+
+— Così per tempo, Halisca, che vuoi?
+
+— La mia padrona è levata, o Sanga. — Il tuo si leva. — Ambi chieggono
+si appresti il bagno.
+
+— Ma, se appena la clessidra marca l’ora ottava del mattino!
+
+— Vita nuova!
+
+— E qual genere di bagno?
+
+— Tiepido. — Rammenta che gli unguenti per Plilia debbono sitire di
+nardo. — _Hoc age._
+
+— Corro. —
+
+Intanto Popidio sentivasi felice. E nello augurare alla maga che lo
+aveva innovato un giorno lieto, dicevale:
+
+— Dalle tue grazie infantili io prendo una forza di carattere che mi
+stupisce. — Debbo a te un sentimento di cui non mi credea più capace.
+— Ecco, tu cammini.... tu mi guardi.... ed io comprendo il mistero
+ch’è tra il figliuolo e la madre. — E se parli e sorridi, io provo una
+emozione soave che non so ridire.
+
+— Allora le mie labbra sorrideranno sempre per te. —
+
+E nel vero, Plilia meritava un tanto affetto. — Essa non aveva diviso
+continuo le sensazioni che or facea nascere. Ma la simpatia, uno
+accordo nervoso tra i due, la omogeneità dei pensieri, la reciproca
+bellezza della mente e della persona, facevano sì ch’uno nell’altro
+riguardasse il suo cielo.
+
+Preso il bagno, asciolsero. — Quindi deliberarono di andarsene in
+villa. Allorchè tutto fu pronto, escirono; e, traversato il Foro e la
+via Domizia, trovarono presso la porta di Herculanum un carro a quattro
+ruote. Plilia si distese sur un cuscino di seta colmo di soffici piume
+di cigno, appoggiando il corpo sul braccio sinistro. Halisca — la
+_pedissequa_ — aprì tele distese su sottili bastoni alla estremità di
+una canna delle Indie, e con questa _umbella_ la riparava dal sole.
+Essa avea nelle mani una specie di palma, fatta di penne di pavone, per
+discacciare le mosche importune. Popidio, in piedi, prese le redini e
+diresse i quattro rapidi corsieri africani sulla via costeggiante le
+mura che menava a Sarnus.
+
+La villa era grande e maestosa. — Aprivasi per una specie di arco
+trionfale che serviva di porta e continuava per un viale ascendente,
+limitato da alberi di platano e da muri. Una larga serie di gradini
+di marmo menava all’uscio della casa, la quale — di due piani,
+senza finestre al di fuori, e coronata da un’alta torre rotonda — si
+componeva di un atrio spazioso, di un portico sostenuto da colonne di
+stucco, ed in mezzo, sopra lo impluvio, un tritone di marmo mandava un
+getto d’acqua da una conchiglia che aveva nella bocca. Intorno erano
+camere da letto dipinte da greci pennelli. Oltre il peristilio vedevasi
+uno xisto assai grande con quattro palme nel fondo per dar ombra agli
+alveari e riposo alle api dopo il loro gironzare sui fiori. Presso
+quegli alberi erano il timo dell’Attica, la melissa, l’asfodelo, il
+citiso, la maggiorana, i giacinti, l’iride, lo zafferano, il narciso. E
+poi rose di Preneste, viole di Tusculum, papaveri, rosmarino, basilico,
+lentisco, bocche di leone, gigli dal calice di vario colore, altre
+rose di Mileto rossissime, di Eraclea, e quelle bianche di Alabanda.
+— Da un lato dello xisto era il triclinio. — E al di là per una via
+serpeggiante a traverso alberi da frutto e vigneti, dinanzi vasta
+piscina, era sotto la pergola un triclinio in piena aria, rispondente
+alle fantasie dei villeggianti.
+
+Plilia — al rezzo di quegli alberi, e presso i cespi dei gigli —
+splendida di freschezza — pareva un rosaio che alla rivolta d’un
+viale solitario sorprende quasi fosse un’apparizione di fate. —
+Oh! i felici!.... Popidio nel dolce asilo dimenticava le sozzure di
+Roma — le infami mostruosità imperiali — il vergognoso zittire di
+Seneca — le piaggerie adulatrici di Peto Trasea, corrette poi colla
+morte — gl’imbratti del patriziato — le basse vigliaccherie dei suoi
+conterranei. — Spesso entravano nel bosco fitto, ov’era uno stretto
+spazio scemo di alberi, e sotto una quercia annosa uno scoglio.
+Come la grotta marina di Caprea nei dì sereni e di sole è azzurra;
+così quel posto era verde del velo magico della speranza. — Colà o
+Plilia o Popidio leggeva Omero, Virgilio e cominciavano nei riposi
+le discussioni erudite sulle bellezze del poema di quei cantori
+sovrani. O recitavano a memoria le odi di Orazio e di Anacreonte. —
+E si baciavano, e ridevano di quelle licenze puerili che i due poeti
+bacchici si permettevano. Laonde Plilia diceva:
+
+— _Pipere qui abundat, oleribus miscet piper._
+
+— E qual pepe! ve n’ha a condire tutti i cavoli di Sicilia, o mia.
+
+— Per lo iddio Fidio! Gli era un vecchio di assai scarso pudore — servo
+di Cupido, figlio della Notte e dell’Erebo — non di Amore, nato di
+Venere pompeiana.
+
+— Io poi credo _amabat linea extrema_: e più per gli altri che per
+sè. —
+
+Talvolta rivangavano con orgoglio un passato glorioso alle due patrie
+e ragionavano degli antichi legnaggi, della potenza di carattere,
+della saggezza mai sorpassata e delle nobili arti. E la sapienza la
+individualizzavano sui remoti e sui contemporanei, o la criticavano.
+
+— Grande e poderoso ingegno quello di Cesare. Ma i meriti pel
+laminatoio. I vizi pieni e di corsa.
+
+— Augusto potè gareggiare con lui che fu tra i maggiori eloquenti del
+suo tempo. Pur, se chiaro e corrente nel dire e magnifico nel fare, ben
+corrotto e corruttore, come dei principi è l’uso.
+
+— Malvagi tutti! Tiberio sovrano nell’arte del pesar le parole. Vivi
+concetti e soavi apposta. Occhio e dimora dolorosa sul vero. Fretta
+crudele nella ferocia. Disonesto poi....
+
+— Oh! l’ostica sua disonestà non inghiotto nè sputo.
+
+— E Caligola? Quali nobili parenti! E quanto vario il figliuolo!
+Calzarino d’infamie ove il mondo doveva mettere il piè. Matto.... e
+peggiore per non attendere; di quelli che per non aspettare il dolce
+fico colla gocciola, lo schiantano dal ramo col lattificio. Malgrado la
+grande spensieratezza, attivo molto al bel dire. Ma la bestialità glie
+ne tolse la forza.
+
+— Claudio poi, se diceva pensato, era eloquente. Ed emulo di Cadmo
+fenicio, di Cecrope ateniese, di Palamede argivo, di Damarato corintio
+e di Evandro arcadio, Cesare si piacque aggiungere tre lettere —
+tentativo di grafico perfezionamento. — Ma il duo digamma eolico a
+rovescio, e l’antisigma, e l’iota modificato durarono quanto il suo
+dominio e li vedi ancor nei decreti suoi per le corti e pei templi.
+
+— Sciagurato! Lo pagò bene Aloto, un degli eunuchi, che facea la
+credenza per sicurar le vivande dal tossico, omai masserizia di Stato.
+La trista Agrippina strappò il testamento ed antepose il suo figlio al
+figliastro Britannico — forse correttivo a doppio disastro.
+
+— E cotesto istrione — suo dono — sviato ad arte da Seneca verso il
+dipignere, lo intaglio ed il canto, parla imboccato le dicerie già
+composte dal falso e lezioso ingegno del suo maestro. E omai rotto
+a tutto, uccisa la madre incestuosa e randagia, a Seneca promette e
+terrà. Schifosi mostri!
+
+— Omai, i buoni e i tristi spacciati sono. Lo ammazzatore è per via.
+I più acuti porgano pure il collo, offrano le vene al cerusico ed
+apprestino il rogo.
+
+— Quel che tu dici or mi rammenta Petronio, maestro in morbidezza e
+dei più intimi nelle delizie industriose di Cesare. Tigellino ne provò
+invidia e per calunnia lo fe’ reo di maestà. Tutto risi e piaceri, non
+seppe tôrsi la vita, poi che ritenuto in Cuma. Fattesi segare le vene,
+le tappò, poi le sciolse e le ritappò a sua posta per sentir leggere
+versi piacevoli. Non potendo battere Tigellino — causa del danno —
+fe’ trebbiare gli schiavi. E pria di quietarsi nel sonno estremo cui
+si sentiva dannato, mandò a Nerone scritte a mo’ di testamento le sue
+ribalderie con tutte le disoneste fogge. E sigillò la pergamena e ruppe
+lo anello. Cesare vi trovò le sue notturne invenzioni con Silia, da lei
+ripetute a Petronio e, indignato, la confinò.
+
+— Tutto è omai spiantato e guasto.
+
+— Per qual via escirem noi?
+
+— Ecco le mie braccia a siepe del buio sentiero, o Popidio. Ti sia
+patria il mio cuore. Il tuo è uno altare per me! —
+
+E que’ miei avevano ragione nella diversa sentenza. Consolante invero
+lo affetto. Ma l’atroce agonia d’ogni dì? E le crudeltà in altrui?
+E le beffe dei barbari? Ogni santità, profanata. Gli scogli marini
+d’Italia, asilo, e luogo di morte per fame. La nobiltà e le dovizie,
+peccati gravi. La virtù, certa ruina. Anche il silenzio riguardoso,
+delitto. La vita sicura, quella delle spie e dei ladri. Anzi alle spie,
+quasi spoglie opimi, consolati e sacerdozi. Ma, per contrapposto a
+tanti adulteri dell’anima, eroiche morti come in antico; mogli seguaci
+dei mariti scacciati, schiavi e liberti fedeli ai tormenti, amici
+difenditori — comodo _sellisternium_, non più per gl’iddii incuranti
+gli atroci mali del popolo, sì per posarvi la immagine serena del
+crocefisso da Ponzio Pilato, procuratore.
+
+Alcune volte cavalcavano per la villa e fuori. — Od in una biga, essa
+menava i cavalli. — O, postisi in una barca sul lago, aiutati dalla
+vela e dal timone, si faceano condurre a genio del vento. — Era una
+vita d’incanto! — Le vere visioni quaggiù sono gli aspetti di varietà
+e di luce che appaiono sulle fronti delle persone amate. E Popidio e
+Plilia non videro che i raggi dello amore, i fiori della felicità e il
+verde della speranza.
+
+Un giorno venne una lettera alla giovane ateniese. — Aveva talmente
+dimenticato la esistenza al di fuori della villa vastissima e dei
+poderi, che fu stupita come qualcuno potesse scriverle. — L’aprì — e si
+fece pensosa e turbata. — Mirrhyna l’avvisava che la madre peggiorava,
+e volea rivederla. — La novella diè doppia ferita al suo cuore. Si levò
+pallida, e in uno slancio di tenerezza e di angoscia offerse la lettera
+allo amico suo e lo abbracciò.
+
+Popidio per qualche istante non potè leggere. Prevedeva un disastro. —
+Quando chiarì la cosa, si levò, e abbracciando la donna amata, disse:
+
+— _Suavis_, ho avuto così stretto il cuore testè, che or non sembrami
+amaro ciò che ti dico. — Parti... Va presso la madre... E se il
+credi... se non ti costerà sacrificio, ritorna a chi ti ama assai più
+che la vita.
+
+— Sempre desolanti cose fra noi: — Separazione crudele! — Che diverrai
+tu nell’assenza? —
+
+E sì dicendo pose le sue dita delicate come un velo sulla faccia e
+singhiozzò, innalzando spesso convulsivamente il capo e le spalle.
+— Egli le assettò sulla testa il _ricam_ — velo lungo e quadrato con
+frange, di porpora — che coprì colle pieghe ample il _cincticulum_ —
+la corta tunica bianca senza maniche — la strinse al petto più volte,
+l’aiutò a salire sul carro e la vide partire per Neapolis in compagnia
+di Halisca. Ed egli, saltando sur un cisio elegante, corse verso
+Pompei.
+
+La luce era partita. — Le tenebre erano tornate. — Desolato nel giorno.
+Vegliante la notte. — Inspirazione — slancio — volontà — desiderii —
+tutto con lei.
+
+— Idolo caro della mia fantasia! Creatura amata! Quasi sangue delle mie
+vene! O favilla di quel fuoco misterioso che Dio dà e ritoglie. Vieni a
+me presto, o io mi muoio. —
+
+Sestilio venne a consolarlo, e lo aiutò a dar pieno corso al suo
+dolore, parlando di lei e del suo pronto ritorno. Intanto per offerire
+distrazione propose di andare al teatro. — La speranza di ricrearsi
+rese accetto il partito.
+
+L’_Odeum_ era un teatro coperto — a lato del tragico — che Quinzio
+Valgo e Marco Porcio, duumviri, avevano fatto edificare e collaudato.
+Serviva agli spettacoli musicali, alle rappresentazioni drammatiche
+e ai concorsi poetici. Potea contenere mille cinquecento spettatori.
+Circoscritto in uno spazio rettangolare, la metà infima soltanto
+prende la forma di un completo emiciclo. La superiore, tra i gradini
+circolari interrotti su ciascuna estremità. I posti riservati — i
+quattro primi gradini, cui dava accesso la orchestra — erano l’_ima
+cavea_. Poi veniva il _balteus_ che serviva di spalliera ai magistrati,
+ai cavalieri, a quelli assisi sul quarto gradino. La seconda _cavea_
+divisa da sei scale e composta di diecisette ordini di sedili di
+pietra, era riservata al popolo che vi penetrava dai vomitori.
+
+Sulle tessere di avorio, contornate da un serpe che morde la coda, era
+scritto CAV · I · GRAD · IV · ANDRIA · TERENTII · Ne presero due ed
+andarono al loro posto. Si erano già nunciati i nomi degli attori e le
+parti loro affidate. Si era detto il prologo, in cui lo autore confessa
+il suo plagio a Menandro e lo scusa, dichiarando valer meglio una buona
+imitazione che una mediocre creazione. Il subbietto era cotesto:
+
+— Pamphilo ha sedotto Glycera, creduta sorella di una sciupata di
+Andria. — I segni divengono patenti. Ma il seduttore la consola col
+prometterle nozze, quantunque il padre lo abbia fidanzato alla figlia
+di Chremes. Ma questi, sapendo gli amori del figliuol suo, simula
+apparecchi di nozze per iscandagliare i pensieri di lui. Pamphilo ode
+i consigli di Davo e non fa resistenza. Ma Chremes, veduto il neonato,
+non vuol aver più per genero quel seduttore. — Un incidente stranissimo
+disvela come Glycera sia figliuola di Chremes. — Allora dà questa a
+Pamphilo, e l’altra che eragli fidanzata, la sposa a Charino.
+
+Facili i versi — ben condotto lo intreccio — lo scioglimento felice.
+— Di due commedie di Menandro — l’_Andria_ e la _Perinzia_ — lo
+affrancato di Scipione fece questa una, spigolandone tutto il buono. —
+Pur quando Davo disse agli spettatori.
+
+« — Non attendete che gli attori escano..... Gli accordi, il
+contratto, tutto che rimane a farsi, si compirà là dentro..... Voi
+applaudite.» —
+
+Popidio non ne poteva più. — Sestilio, nello escire — perchè lo amico
+così voleva — facendo lo elogio delle commedie di Terenzio; sempre vere
+e delicate e senza ciniche licenze, gli chiese la sua opinione. L’altro
+— che aveva l’anima vagante — rispose, egli preferir Plauto per la
+somma vivacità del dialogo. — Lo africano averlo fatto dormire.
+
+— Preferendo l’azione, sarai più lieto nel grande teatro. —
+
+— Sia, — Tu, mio Mentore e senno, da che Plilia è lontana!
+
+Nello escire dal piccolo entrarono nel grande. Le tessere privilegiate
+diedero loro lo ingresso in un corridoio a volta che li menò ai posti
+sopra la orchestra. — Erano di avorio e portavano da una parte lo
+incavo di un edificio teatrale e dall’altro le cifre che seguono
+VI. ΑΙΣΧΥΛΟΥ · IB · Avevano posto sul sesto gradino della _cavea_
+riservata. Altri corridoi, pure a vôlta, passando sotto la gradinata,
+guidavano al primo claustro e alla _media cavea_; una scala poi al di
+fuori del teatro faceva giungere direttamente alla _summa cavea_ ed
+al culmine dello edificio pel servizio del _velarium_. — Sulla parte
+opposta elevavasi una torre quadrata e rotonda al didentro, serbatoio
+di acqua piovana, la quale, profumata da essenze, era sparsa come una
+nebbia per tubi capillari di piombo sugli spettatori nei calori estivi.
+— Nel centro della orchestra elevavasi la _thymele_, o piccolo altare
+su cui sacrificavasi a Bacco al cominciare dello spettacolo.
+
+La scena fissa presentava tre porte, le _hospitales_ e l’_aula regia_.
+— Fra queste porte nelle due nicchie posavano le statue di Nerone e di
+Agrippina.
+
+Si recitava la tragedia _I sette contro Tebe_, la quale veniva chiamata
+il parto di Marte. Ma se il Dio della guerra aveva sovente inspirato
+lo autore dei _Persi_ di _Agamennone_, dei _Coefori_, del _Prometeo_,
+delle _Supplichevoli_ e delle _Eumenidi_, certo ei non ebbe minori
+obblighi a quello del vino.
+
+Gli attori sono sulla scena. — Gli adunati, tutt’orecchi in udirli.
+— Popidio, noiato, trovava i flauti fuor di tuono, le maschere degli
+attori logore, le voci non abbastanza forti per essere intese.
+
+— Che l’architetto Martorio Primo non avesse nozione nel costruire il
+teatro di quei grandi vasi di bronzo, i quali portano la voce dall’una
+all’altra estremità della sala? Tu rammenti che li vedemmo in Athenas,
+in Milo, in Argo e in Sicyone.
+
+— Rammento. Qui costumasi il flauto perchè sostiene la voce, la chiama
+se travia, e serve a dare la intuonazione al nuovo attore che entra.
+
+— Qui si costuma quanto vi ha di più odioso per me. Mira Volumnio, il
+decurione, che fa! Oh! io non reggo a siffatte scempiaggini! —
+
+Si levò e andò via. — Quel suo vicino aveva tratto un colombo dal
+seno e dopo avergli legato una tavoletta scritta nel piede, lo faceva
+volare. Altri lo imitarono. — Erano corrieri domestici che i mariti
+e gli amanti inviavano alle donne loro. — Sestilio raggiunse l’amico
+sulla via di Stabia.
+
+— Tu che da per tutto ti aduggi, oh! certo non ti annoierai nello
+Anfiteatro. — La folla che corre da quella parte mi rammenta il grande
+spettacolo offerto da Livineio Regolo. —
+
+— Io tornerei volentieri alle mie case.....
+
+— No. Vieni, Popidio, e la maschia scena ti distrarrà. —
+
+L. Livineio Regolo, di famiglia plebea — nato di Lucio prefetto di
+Roma — era stato quatuorviro monetale ai tempi di Cesare. Ferito dalla
+stessa scure che aveva decapitata la repubblica, amico di Cicerone e di
+Bruto, amareggiato dall’ozio febbrile che legano le rivoluzioni morte,
+cospirò per la causa a lui sacra. Senatore, Augusto tiranno volle che
+venisse raso dal senato. — Invano stracciò le vesti per mostrare le
+onorate cicatrici. — Invano parlò de’ suoi meriti. Fu raso. — Cacciato
+in esilio in Pompei, per ingraziarsi il popolo si fece editore di ludi
+gladiatori e belluari, cioè, di orsi e di cinghiali.
+
+Lo edificio destinato ai sanguinosi combattimenti degli uomini e delle
+belve era la riunione di due teatri, siccome il greco nome Αμφιθέατρον,
+che i Romani gl’imposero, il dice. Le due orchestre ne formavano la
+elittica arena. La quale in Pompei era scavata di man d’uomo tanto al
+disotto del livello del suolo per quanto le mura si elevavano al di
+sopra. Costruito nella parte meridionale della città presso le mura
+che guardavano Stabia, l’architettura esterna di pietra vesuviana
+non presenta verun ornamento. Nello ingresso del grande vomitorio
+settentrionale su due nicchie posavano le statue di Cuspio Pansa
+duumviro, padre e figliuolo; ed a sinistra sul selciato di lava che
+discende, sono pietre bucate entro le quali era fissa una barriera di
+legno, perchè gli addetti al servizio e al mantenimento dell’ordine
+non fossero schiacciati dalla folla irrompente. Di là si andava ad un
+cripto-portico circolare interno, che per via di scalinate metteva
+ai gradini. Questi erano divisi in tre piani — _summa — media — ima
+cavea_. — Sopra le vôlte delle due ultime è una serie di arcate che
+metteva in una galleria che dava accesso alle scale per escir fuori. Il
+primo _deambulacrum_ era coperto. L’altro no. — L’arena era circondata
+da un _podium_, alto quasi due metri, difeso da un cancello di ferro
+a protezione degli spettatori. Esso è ornato di pitture che presentano
+combattimenti di tigri contro orsi, di un cervio contro una leonessa,
+di un orso contro un toro. V’ha pure una scena gladiatoria, e si vede
+un _lanista_ dar consigli a quelli che debbono accoltellarsi, nell’atto
+che altri due assisi aspettano la stessa lezione e che un musicista
+saggia le note della sua tromba ricurva, atta a dar lena ai gladiatori.
+
+La prima _cavea_ ha cinque gradini. Ma nelle due grandi parti dello
+Anfiteatro è un vasto spazio, chiuso da un breve muro di appoggio che
+scende perpendicolare al _podium_, e non ha che quattro comodi scalini.
+Gli era il posto riservato alle vestali, ai magistrati ed a quelli
+che avevano l’onore del bisellio. — Nel centro del podio occidentale
+apresi una piccola porta di quercia, il _catabolus_, per cui escivano
+le bestie feroci, chiuse nei covacci sotto la gradinata. — Il sole
+d’Italia, volgendo all’occaso, illumina vivamente la scena. E il monte
+Vesvius sta muto testimonio della gioia crudele del popolo e della
+coraggiosa rassegnazione degli accoltellanti, pronti alla morte per dar
+piacere agli schiavi di Nerone che omai dei gloriosi padri non avevano
+più che le vesti ed il nome.
+
+Quando i due amici arrivarono allo Anfiteatro, questo era pieno per
+modo che sarebbe stato impossibile il trovarvi luogo, se un littore
+— riconoscendo in Sestilio il figliuolo del duumviro non gli avesse
+condotti — attraversando le file con autorità — in due posti rimasti
+ancor vuoti. Già compivano il giro dell’arena cinque coppie di giovani
+di alta statura e di membra robuste. Alcuni erano schiavi e costretti
+al carnaio. — Altri volontari, e si votavano alla trista professione
+per cupidigia, per sete di fama, per disperazione accagionata dai
+politici rovesci. Un uomo attempato che li avea sotto la sua disciplina
+— il _lanista_ Cneo Mezio Felice — gli chiamò a nome ed in ragione
+della forza e della destrezza a lui note, gli accoppiò, armandoli
+di gladi taglienti ed aguzzi. Il loro contegno, di giulivo che era,
+d’improvviso fu cangio. Ed Harpax guardò con occhio minaccioso l’emulo
+suo Philoxeno. — Ed Antioco, il dace Proculo. — E Thytridi, il gallo
+Lycon. — Ed Hanthrax, il bruno Polinice. — E Dromon, Poenulo il
+cartaginese. — Ora inoltravansi. Or ritraevansi, evitando con arte le
+percosse ed i tagli. — Thytridi fu il primo a ferir gravemente sul
+braccio lo avversario. Invano egli diede uno sguardo pietoso allo
+intorno. Chè, il popolo con urlo di belva, levando il pollice, gridava:
+
+— _Habet._ — Lo ha preso!... Lo ha preso! —
+
+Allora il misero porse il collo al compagno che glielo segò. —
+Nell’atto, Proculo, facendo un salto di fianco per isfuggire il colpo
+che Antioco gli aveva assestato, mirando come fosse col corpo piegato
+innanzi e scoperto, gl’immerge il gladio nel cuore. — Gli schiavi
+cogli uncini trassero i cadaveri in una specie di fossa destinata a
+ricevere le spoglie degli uccisi. Harpax e Philoxeno, destri e vigorosi
+entrambi, si sforzavano indarno in falsi attacchi e in sorprese; si
+avventavano, indietreggiavano, si ferivano, ma senza farsi gran male.
+Ed il popolo plaudiva alle percosse che credea decisive e pur plaudiva
+all’altro che aveva saputo schivarle. Alla fine Harpax afferra la
+spada a due mani e si precipita sullo avversario. — Lo scudo ne rimane
+spezzato e il colosso cade disteso per le terre. Philoxeno, che ha
+ferito il braccio sinistro dal fiero colpo, gli è sopra e gli punge
+col coltello la gola. — Le donne s’impietosiscono di quel caduto che la
+sventura colpiva ed alzano la palma, gridando:
+
+— _Non habet!_ — Sia salvo! —
+
+Allora quegli ch’era già presto a far da carnefice al compagno — il
+quale era forse suo amico — gitta la spada, si curva, solleva di terra
+lo sciagurato e lo consegna fuor dell’arena ai destinati a medicar le
+ferite, per conservarlo ad altri cimenti.
+
+Dromon e Poenulo si corrono dietro per l’arena. Grondano sangue e
+sudore. Si arrestano. — Si guardano con occhi di tigre e si avventano.
+— E l’un l’altro ferisce, aprendosi nel fianco e nella coscia due
+piaghe profonde. — Sono anch’essi perdonati e vanno via.
+
+Entrano sulla scena Curzio, Charino, Ballion, Prisciano e Curculio.
+Sono ignudi, o quasi, e armati di coltello e di lancia. Dal _Catabolus_
+escono orsi e cinghiali. — Da una porta, due tori. — Ad una correggia
+di cuoio che gli cinge nei fianchi è legata una corda che stringe il
+collare di due molossi. Due pigri bufali erano siffattamente allacciati
+a due lupi. Gli urli delle bestie feroci e le grida dei bestiari
+intronano l’aere.
+
+— La dea Libitina oggi sarà satolla, o Popidio.
+
+— Stragi e omicidi, ecco i trastulli dei tempi!
+
+— Per cotal gente l’arena è il patibolo. — Vita di delitti. — Morte
+spregevole.
+
+— Ecco perchè non destano nel cuore alcuna pietà. — E lo sanno. — E ne
+fanno soggetto di beffe. — _Sanguis venalis!_
+
+— Ora, colui — di cui la statua equestre è sull’arco a trionfo — si
+è fatto lanista, ed ha i suoi accoltellanti _postulatitii_, sempre
+pronti a combattere e a morire pei suoi gusti e alla richiesta della
+plebaglia. E gli nudre della _gladiatoria sagina_, perchè quella forte
+razione di carne gli faccia meglio vigorosi ed abbiano maggior sangue
+da spandere.
+
+— Ma tu vedesti nell’Urbe i figli di razze illustri scendere nella
+lizza per guadagnarvi il plauso — che omai è serbato alle sole vergogne
+— e il frusto di quattromila denari per anno.
+
+— Gli udii pur anche prestar giuramento _uri, vinciri, verberari,
+ferroque necari_. — E, gl’infilzi Plutone col suo tridente! meritano
+bene il fuoco, le catene, le verghe. — La morte di spada è troppo
+nobile per essi.
+
+— Pur mira quel Thytridi che incurante è appoggiato al muro del podio.
+L’ho veduto in parecchi ludi e credo sia già scampato da sessanta
+vittorie. — Ha il cuoio ben duro, o Sestilio, eh?
+
+— Parmi! — E in Capua ve n’ha pur molti che, ricevuta dallo edile
+la palma della vittoria e appesa al loro fianco la spada di legno,
+passeggiano sciolti dai doveri della loro professione. Ed uno ne vidi
+che in una solennità avea sul capo la _lemnisca_, la corona di fiori
+intrecciata da bende. È l’onore più grande cui possano aspirare. —
+
+Intanto che i due amici parlavano, ed altri parlavano. Quale
+battaglia! Il rumore di chi combatteva, il cozzo delle armi, le grida
+degli sbuzzati e dei moribondi, il mugghiar delle bestie morsicate
+e morsicanti, il sangue che spargevasi nell’arena, producevano nel
+pubblico una quasi ebbrezza che non si può descrivere. Pareva che gli
+spettatori ardessero di combattere; perchè si spenzolavano dai loro
+posti, ed urlavano come belve, e gesticolavano come briachi.
+
+D’un tratto altri attori entrano nella scena — due leoni di Africa —
+un tigre delle Indie — una pantera pomellata. — Guardano allo intorno
+coi loro occhi di fiamma, strisciano lungo il podio, si fermano,
+si ripiegano, battono il suolo colla loro coda nervosa, passano
+e ripassano la lingua irsuta e assetata sui loro denti aguzzi. Il
+tigre si slancia sopra un cinghiale. Il leone azzanna un bufalo sulla
+giogaia. La pantera in meno che non si dice ha sbranato un molosso
+ed un lupo. L’altro leone — quantunque ferito di lancia nel ventre —
+strazia colle unghie e colle zanne Charino. — Gemiti soffocanti. Grida
+di dolore. Ruggiti di belve. Scricchiolio di ossa sotto i denti. Il
+tigre e uno dei leoni escono dalla mischia ringhiando e satolli. Ed
+errano per l’arena, portando nella bocca sanguinosa informi brandelli
+di carne.
+
+Sotto il gradino dove sedevano Popidio e Sestilio era uno in sui
+venti anni che avea a sè vicino una giovane della stessa età. La
+vide animarsi degli entusiasmi della giornata. Gli piacque il suo
+naso sottile sur una bocca di corallo. Gli piacquero quei suoi occhi
+estatici, selvaggi ed azzurri adombrati dalle chiome bionde, increspate
+e copiose. A furia di guardarla sottecchi, s’innamorò delle belle linee
+piene, svelte e proporzionate di quella leggiadra persona. La vide
+parlare sovente con un uomo che sedevale a lato, e dentro ne ingelosì.
+Non sapea dire s’ei le fosse fratello, marito, amante. Più volte volle
+rivolgerle la parola per appurarlo. Borbottò qualche frase. — Ma, o
+ch’essa avesse l’attenzione altrove, o il fracasso di sotto e di sopra
+impedisse lo intendere, gli parve non aver raggiunto lo scopo. Ecco
+ch’ella si leva in piedi e col suo corpo rotondo si appressa troppo a
+lui. La sentì callipiga e vi posò su la mano convulsa, con una ansietà
+voluttuosa. — La pompeiana gittò un grido e si ritrasse volgendo allo
+sconosciuto lo sguardo irritato. Il vicino le domandò cosa avesse. E
+saputolo, colla faccia che assume un geloso che non ama la divisione
+nei beni da lui goduti, apostrofò il giovane:
+
+— Chi fa ciò che non deve, vuole più che non dovrebbe! Insolente!
+
+— Chi ti fa or censore dei fatti miei?
+
+— Giù le mani e la lingua, o le mozzo! — Intendi? È la mia donna costei.
+
+— Ah! la tua donna?... Sta bene! — Nessun uomo in Pompei te l’avrebbe
+tocca, finchè tu lo avessi permesso.
+
+— Oh! Sì?...
+
+— Credimi, per Ercole! Sei un uomo ingegnoso. Ora la tua custodia muove
+tutti alle prese. —
+
+Il pompeiano non seppe patire il villano insulto. Brandì uno stile che
+avea sotto la tunica, ritrasse colla sinistra la moglie, e vibrò un
+colpo sul petto del giovane a nascondergli la lama nel cuore sino al
+pugno. Il ferito gittò un grido gorgogliante, prosciolse le membra e
+cadde morto sulle gambe di Popidio.
+
+Uno a poca distanza, ch’erasi rivolto alle parole della contesa, disse,
+levando le braccia:
+
+— È Anicato che han morto! A me, voi da Nocera! —
+
+Erano molti gli accorsi di quel paese alla festa. — Ognuno dal seggio
+su cui si trovava, accorreva furioso, e pestando confusamente gli
+assisi e i tranquilli, iva bociando:
+
+— Morte ai pompeiani! Gli Dei ci aiutino. —
+
+Ed anche questi infellonirono alla lor volta. — E i più forti che non
+avevano armi alle mani, ghermivano i Nocerini e gli scaraventavano alle
+fiere. E gli altri alle coltella. — Sangue nell’arena. — Sangue sui
+gradini. — La confusione era immensa.
+
+Intanto un uomo insatanassato vien barcollando tra i caduti e i
+fuggiaschi.
+
+S’imbatte con Popidio, lo teme avverso, lo ferisce, e va innanzi.
+Questi cade nelle braccia dello amico. Trattolo a stento tra quella
+calca, di peso, nel _deambulacrum_, lo posa per le terre e se
+gl’inginocchia vicino. La ferita ricevuta nel petto era mortale.
+
+— Plilia!... o mia Plilia!... mai più... —
+
+E prese la mano di Sestilio e l’appose sulla piaga per arrestare la
+emorragia che gli toglieva le forze.
+
+— A Plilia tutto che mi appartiene. Una delle mie case... a te... in
+memoria mia... O Plilia, ultimo amore e forte amore! — Prendi questo
+_symbolus_ che racchiude la gemma... la testa di Bruto... guarentisca
+le mie volontà estreme. — Affranca i due servi ancor schiavi...
+
+— Iniquo il coltello che ti uccide, o amato Popidio!
+
+— No!... Mi aiuta ad escire da questa immonda cloaca dello impero, ove
+io era in ritardo. Veggo già i vasti orizzonti della vita nuova.... Vi
+rimaneva — credilo — per lei... per te... Sento che le estremità si
+raffreddano... La vista s’indebolisce... non veggo più... Un bacio e
+l’ultimo... O Libertà... Italia!...
+
+Era morto!
+
+Dei Nocerini fu fatto empio macello. — Armi — sassi — unghie — tutto
+usato per la vendetta dalle due genti. Ma vinse la plebe pompeiana che
+aveva la festa in casa. Rari quelli che potessero fuggire o appiattarsi
+finchè il furore scemasse. E i feriti, e gli storpiati, e il pianto dei
+padri e dei figliuoli corsero nell’Urbe per chiedere vendetta a Cesare.
+Il principe rimise la causa al Senato. — E il Senato ai consoli. —
+E Vipsanio e Fonteio la ritornarono ai padri. — I quali vietarono
+ai pompeiani lo aprir ludi gladiatori nello Anfiteatro per dieci
+anni. Disfecero le compagnie degli accoltellanti fatte fuori legge e
+sbandirono Livineio Regolo e i primi rissanti dalle terre d’Italia.
+
+ _C. Sextilius Ampliatus Acutilio suo._
+
+ _Pompeis._
+
+_Maximis et miserrimis rebus perturbatus sum._ — Popidio nostro non
+è più. — Il coltello di un Nocerino lo uccise nello Anfiteatro. —
+Non so dirti quanto ho sofferto e soffro. — Il suo a Plilia, unica
+consolazione della sua vita. — Or, conviene ella sappia la tremenda
+novella. A me manca il cuore di scriverle. Agisci a modo, ed evita a me
+il doppio danno. _Quid futurum sit, nescio. — Vale._
+
+ _Plilia Sextilio suo._
+
+ _Neapolis._
+
+_Ego tamdiu requiesco, quamdiu ad te scribo._ Oh! il grande, lo
+invincibile dolore per la morte di un essere amato!..... O Popidio....,
+Popidio del cuor mio!... Misero! Sentisti tutte le sofferenze del fuoco
+che non si spegne... tutte le morsicature del verme che non muore!...
+Sono stata per tre dì senza vita esterna, ma pensando... e a lui che
+non vedrò più. — Vieni, qui, o Sestilio, e piangeremo insieme. Vieni, e
+potrò sopravvivere allo amico mio morto. —
+
+
+
+
+LA STRADA.
+
+SCENE NOTTURNE IN POMPEI.
+
+=Anni di Roma 825 — Anni del Cristo 72.=
+
+
+ A GIUSEPPE LAVRIA.
+
+ VIII.
+
+
+Il giorno finiva — e il quadro che offrivasi agli occhi dei riguardanti
+potea dirsi il più splendido che la fantasia di un poeta sappia mai
+immaginare. Il sole dechinando celavasi dietro nuvole grandiose e
+bizzarre, tinte di sangue. I suoi ultimi raggi infuocati baciavano le
+onde quete del golfo ed indoravano le isole — formanti lo asserraglio
+del Cratere — dall’Atheneum — il promontorio di Minerva — al capo
+Miseno. Il mare immenso, confuso il suo limite coll’orizzonte e
+scintillante ai riflessi di quella viva luce, sembrava la fornace
+in cui i Titani facessero la fusione e la miscela dei loro metalli.
+Vedeansi da lungi bianche vele prendere il colore di quella zona
+candente ed accennare al porto, formato dal fiume Sarno là dove
+sboccava nel mare, tra i paduli pompeiani e le saline di Ercole,
+dinanzi lo scoglio da cui toglievano il nome.
+
+Le vie della città cominciano per poco a farsi solitarie e chete.
+Una fanciulla esce canterellando da una casa di gente doviziosa e
+s’incammina verso la porta che mena all’oppido di Sarnus. Oltre il
+_pomærium_ è un bosco ove una sorgente di acqua limpidissima aveva
+riputazione di contenere proprietà salutari. Alla padrona era venuto il
+capriccio di berne e la schiava obbediva. Un sentieruolo guidava tra
+due verdi prati alla fontana, che gli alberi cuoprivano d’ombra e le
+coppie amorose degli uccelli inneggiavano. — I sogni compongono le idee
+di una mente giovanile, siccome le violette e le margherite sorridono
+tra il fil verde delle erbe e danno tenere occhiate a chi passa.
+Corista le ricambiava a quei fiori e deposta l’anfora, ricominciò il
+suo canto distratta, ne colse un mazzolino e lo pose tra i capelli
+e l’orecchio. Levatasi ed alzati gli occhi, vide presso il fonte,
+appoggiato al tronco di un pioppo, un giovane vestito di una tunica
+di colore oscuro, dagli occhi azzurri, dalla barba nascente e dalla
+copiosa capigliatura bionda, i cui riflessi così bene si maritavano a
+quelli dei verdi rami che si curvavano sulle acque. Altre volte aveva
+veduto quel giovine nel tempio di Venere e nello Anfiteatro, ed aveva
+dovuto chinar le sue luci dinanzi allo infiammato sguardo di lui. Molti
+pensieri arruffati le fecero tremante il cuore e arrestossi. Ma il
+giovane, indovinandola, con voce soave le disse:
+
+— I miei presentimenti non mi avevano ingannato. — Iside m’inspirava
+che in questo luogo sì bello avrei trovato felicità. — Ed io sono
+grandemente lieto di qui vederti, o fanciulla, e di poterti parlare.
+
+— E quale interesse ti spinge verso una povera figliuola di Corinto che
+i propri parenti hanno venduto?
+
+— Quello che il piccolo Iddio alato mette nel sangue degli uomini
+dell’arte mia allo aspetto del bello. Quando primavolta ti vidi, mi
+sembrasti apparizione di cielo. — Ed ebbi sempre da quel giorno la
+mente piena di te. — E nella casa di Scauro ho dipinto una Venere che
+tutto ritrae dalla soave immagine tua.
+
+— Lusinghieri i tuoi detti. — Dallo accento non sembri di queste
+contrade. Quale il tuo nome? Ove nascesti?
+
+— Olympio. — Di Athenas. — Di poveri parenti. — Qui venni chiamato
+dalla fama per le pitture decorative. E pingo sulle pareti xysti,
+foreste, colline, case di piacere ove si giunge a traverso un lago,
+piscine, gente che va in battello, che caccia, che vendemmia, e
+paesaggi fantastici con animali e con alberi. Pingo pur torri colle
+cime verdeggianti di edere e di lauri; pergole sotto le quali gironzano
+fagiani, pavoni e pernici; viali di bosso e gruppi di mirto tarentino;
+e tra le aiuole di fiori, fontane dalle forme capricciose e bizzarre,
+adorne di conchiglie e di maschere di marmo; portici con ricchi mosaici
+e con cortine azzurre per guarentire dai raggi del sole; tempietti
+ascosi tra gli oleandri della Laconia e le rose di Preneste; sedili
+sormontati da un orologio solare sulla punta di un dirupo; statue di
+filosofi, delle muse, delle iddie e di Priapo — interprete, stimolo,
+dolcezza, delizia di questa razza orgogliosa arricchitasi colle spoglie
+del nostro misero paese. —
+
+Qui Olympio si strinse colla mano la fronte, quasi volesse premervi un
+pensiero affannoso; quindi, rasserenatosi alquanto, continovò:
+
+— Vedi, o Corista. Un quadro non finito ha per me un indescrivibile
+incanto. Lo artefice gode nella inquietezza a nelle pennellate che
+creano la composizione.... Ed io or mi pasco di una gioia secreta nel
+dirti che ti amo, nel mirare questo abbozzato dipinto, che io non già,
+ma tu puoi terminare. — E godo..... E temo..... —
+
+La fanciulla si fece rossa di bragia e, tendendogli la mano:
+
+— Sii il benvenuto nel mio cuore, o Olympio. — Tu non vorrai farne il
+tuo trastullo, spero. — Vivo in umile stato presso la moglie di Pacuvio
+Bleso. La mia padrona Aquilia mi ama. — Serba questi fiori del bosco
+per memoria mia.
+
+— Grazie, o amore. — Sempre qui, sul mio petto. —
+
+E nell’atto che Corista appressò l’anfora al fonte per empierla,
+il giovane artefice le baciò amorosamente la tempia. Ed insieme
+s’incamminarono verso la vicina porta della città.
+
+Un soldato colle gambe in croce si appoggiava al pilo. Altri quattro
+stavano ritti o seduti presso la stanza di guardia sotto l’arco. Poi
+che i due giovani furono passati, la sentinella fece un gesto col mento
+teso ai compagni.
+
+— Rata ne accenna che è una vestale.
+
+— Per Ercole! — La non farebbe spegnere il foco sacro per la faccia
+tagliuzzata del povero Sammanara.
+
+— Lieto compenso e cinquanta colpi di verghe, o Kinnamo. Il suo
+incesso, i suoi lineamenti mi ricordano una mia ventura nelle Gallie.
+Grazie, o Mnemosine, del dono tuo! —
+
+Incontro ai due amanti veniva barcollando un avvinazzato. Era scalzo ed
+aveva la tunica lacerata. — Appena li discerse, cominciò ad urlare con
+voci smozzicate:
+
+— Là! Donde venite? — Hai fave o lupini cotti? Ah! Rapisti la mia
+Sabina tu! Ridalla al misero Bibulo che la piange perduta. — Ti darò
+in cambio un’olla con porri e testa di montone. — Ah! non intendi?
+_Damnese bibimus, puer?_ Ti apprenderò il latino io! —
+
+E brandendo un nodoso bastone sul quale appoggiavasi, si piantò
+loro dinanzi. — Corista, impaurita, si strinse alla persona del suo
+protettore. — Il quale, afferrata la mazza nella punta, la scosse sì
+forte che il beone andò per le terre lungo disteso.
+
+— Ah! tu Vuoi ch’io riscaldi la punta del gladio nella tua
+iugulare?.... I piedi!... Chi mi tiene pei piedi! Aiuto! Feci le prime
+armi con Cesare.... Rispetto al cittadino romano..... —
+
+Gli amanti, affrettato il passo, furono ben presto sul margine presso
+la porta della casa di Bleso.
+
+— Salve, o divina creatura. — E il tuo nome?
+
+— Non tel dissi? — Corista. — Quando ti rivedrò?
+
+— Presto. — E un bacio sui tuoi begli occhi. — Vale. —
+
+E l’una entrò nel vestibolo. — E l’altro seguì la sua strada. —
+Sulla rivolta, ecco che s’imbatte con cinque o sei giovanastri, quali
+coperto il capo di un pileo, quali di un galero di lana, che ridevano,
+parlavano alto e parevano esciti anch’essi da una cena inaffiata oltre
+misura. Sghignazzando entrarono in una taverna vinaria, ove per solito
+vendevasi vino annacquato. E per tale oltraggio fatto al figliuolo di
+Giove e di Semele, ruppero i calici e le anfore del povero _ænopolus_
+e tirarono innanzi. — E vista mal ferma la porta di una bottega
+di _salsamentarius_, la ruppero e sparsero per le terre i pezzi di
+maiale affumicato e cotto. Così pure dispersero i budini di un povero
+_botularius_, che corse dal piano superiore, ma troppo tardi, per
+salvar le sue robe dal mal governo di quei beoni.
+
+Dinanzi il tempio di Romolo s’imbatteva con alcuni, seguiti da schiavi
+e da liberti, schiaranti la via con torce o con lanterne di bronzo,
+rotonde e chiuse coi vetri. — Gli è che al tramonto, detto vesper,
+erano succedute le prime ombre, che addimandavansi _crepusculus_;
+quindi era giunta l’ora dell’accensione delle lampade, _prima fax_;
+una delle otto suddivisioni delle quattro veglie che costituivano la
+notte romana. — Lungo tutte le vie vedevansi luccicare tizzoni ardenti,
+lanterne di sottili foglie di corno, di tela oliata e di pelle di
+vescica.
+
+Era raccolta una eletta brigata di amici nella casa di Pacuvio Bleso. —
+Arricchito dal traffico colla Grecia e coll’Asia, aveva speso migliaia
+di sesterzi per abbellire il suo nido. La porta di quercia, ornata
+nelle fasciature di _bullæ_ — grossi chiodi di bronzo — aprendosi,
+mostrava nel _prothyrum_ — un magnifico mosaico di piccoli cubi di
+marmo bianco su cui campeggiava in nero un timone da triremi incrociato
+con un caduceo. — A dritta e a manca erano la cella del molosso,
+custode rabbioso colle zanne e colla voce; — e quella dell’_ostiarius_
+— il portiere — che, armato di lunga verga, chiedeva il nome dei
+visitatori. Ascendendo pel piccolo corridoio, un uscio interno apriva
+l’adito sur una bella corte quadrata, adorna di colonne doriche di
+stucco bianco e tinte in rosso verso la base; le quali formavano un
+elegante portico, comodo per l’ombra e per le comunicazioni interne. —
+Chiamavasi _atrium_, perchè cotesta disposizione architettonica la fu
+inventata in Hatria, repubblica primigenia della nostra nobile Italia,
+sedente sul mare, tra gl’Interamni e i Picenti. — Davasi il nome di
+_impluvium_ al bacino di marmo di Luni nel cui centro zampillava la
+fontana, e a tutta la corte quello di _cavædium_. — Nell’angolo era il
+_puteal_, margella di marmo, depositario dei fulmini di Giove, luogo di
+devote espiazioni nei tempi etruschi, e più tardi margine del pozzo da
+cui si traeva l’acqua pluviatile dalla cisterna.
+
+Dall’atrio si entrava nel _tablinum_, ov’erano gli archivi della
+famiglia. E nel _triclinium_, stanza due volte più lunga che larga,
+ricca di pitture; di colonne variopinte; di mosaici litostrati; di
+statue dorate sopportanti lampade per la notte; di letti triclinari
+di bronzo, a meandri di argento incrostato nel metallo, e coperti di
+soffici cuscini di piume, chiusi in una stoffa di lana a ricami d’oro.
+Eravi pure l’_abacus_, mobile di bronzo, situato presso la parete
+centrale, in faccia ai triclini, sui quali i Pompeiani si sdraiavano
+a metà nel banchettare, appoggiando il corpo sul gomito sinistro.
+L’abaco, nei giorni di festino, sopportava vasi preziosi di vetro e di
+argento, adorni di rilievi col nome del padrone e colla cifra del peso;
+non che patere e coppe di cristallo, di vari colori. Il ricco mobile
+abbellivasi di fasciature e di placche di bronzo cesellato, aventi nel
+centro maschere sceniche rilievate di argento; e sopra, statuette di
+rinomati artefici greci.
+
+I corridoi laterali, chiamati _fauces_, menavano alla cucina, agli
+alloggiamenti degli schiavi e dei liberti, ed al piano superiore, ove
+abitava la famiglia.
+
+In fondo dell’atrio aprivasi un portico più lungo che largo, detto
+_peristylium_, che uno spesso cortinaggio di porpora riparava dai
+raggi del sole e dalle intemperie. Quivi maggiore la magnificenza e la
+raffinatezza del lusso. Fra ciascheduna colonna è una statua di marmo.
+— Le pareti sono rivestite su tutta la loro altezza di tavole di rosso
+o di giallo antico. Le colonne del portico sono di stucco, simulanti
+l’oltremare, con leggerissime venature di piriti di ferro. Il pavimento
+rappresenta un labirinto in mosaico, fasciato da un meandro greco.
+La soffitta è divisa in compartimenti di legno col corniciame dorato.
+Nel centro del porticato le cortine sollevate aprono gli sguardi sullo
+xysto, giardino pieno di verzura e di fiori, che ha pur lauri e rose
+dipinti sulle sue mura, con uccelli svolazzanti o fenicopteri posati
+sulle loro gambe altissime.
+
+Sul lato occidentale del peristilio, un corridoio — avente sulla parete
+di prospetto una icone pei Dei Penati — metteva a diritta nelle due
+camere del bagno, ed a sinistra nello appartamento delle donne, ove
+queste abitualmente si tengono durante il giorno per lavorare o per
+ricevere le loro amiche. Coteste sale si addimandavano _æci_, e sono
+dipinte a bizzarra architettura, con quadri rappresentanti Lucrezia
+che fila, e Penelope che tesse, ed Achille con Deidamia, e Venere
+nascente dalle spume marine, e Diana cacciatrice, tra uno zoccolo di
+fondo nero con busti di donne a coda di delfini, o di uomini terminanti
+con ornati capricciosi; ed un fregio di fondo pur nero, su cui sono
+fogliami sviluppati in volute con fiori, dal cui calice esce tutta
+la parte anteriore di un leone, di un orso, di un elefante. Mediante
+una scala di legno si saliva ad un piano superiore, ove solevasi
+intrattenere i bambini colle loro nudrici. Sul lato della casa era una
+stanzuccia con armadi contenenti i papiri. — Su quello della strada,
+il muro sopportava un terrazzo pensile, detto _solarium_, lungo quanto
+l’_æcus_, con larghe finestre guernite di vetri, per garanzia del
+freddo invernale, e di tele trasparenti per velare il sole di estate.
+
+Sul piano terreno dell’atrio, come su quello soprano, aprivansi le
+_cubicula_, stanze da dormire, più o meno adorne, secondo le persone
+cui erano destinate; e sull’angolo, nello incavo praticato nella parete
+dalla parte del capo, posava il piccolo letto di _citrum_, specie
+di cipresso salvatico di Mauritania, di soave odor resinoso, o di
+terebinto, o di ebano, o di noce, o di quercia, i più ricchi sostenuti
+da piedi di bronzo e gli altri di ferro. I cuscini erano di piume di
+cigno, o di lana, ed avevano superiormente coperte di grosso panno o di
+pelli di talpa ricucite.
+
+Dimore simili a questa di Bleso per vastità, per eleganza, per
+magnificenza erano molte nella città di Pompei. Quella di Olconio
+Prisco. Quella di Pansa. Quella di Sallustio. Quella di Cornelio
+Rufo. Quella di Aulo Allazio. Quella suburbana di Tullio Cicerone, e
+del ricco negoziante greco Agatocles. Quella di Mevio Apulo, ov’era
+il fauno danzante in mezzo allo impluvio ed il celebre mosaico
+rappresentante la battaglia di Alessandro il Macedone contro Dario
+persiano. — Ognuna di esse è spaziosa quanto il podere solcato dallo
+aratro di Cincinnato. E la casa del console Valerio Poplicola — il
+quale s’ebbe tal soprannome dal popolo, perchè dopo la cacciata dei
+re tolse le scuri dai fasci dei littori, ed i medesimi fasci di verghe
+faceva deporre ai piedi della plebe allorchè si aprivano le assemblee
+— poteva comodamente essere edificata entro lo impluvio pur dianzi
+descritto. E la dimora di quel Catone — che non meno illustrò Utica
+colla sua morte, che Roma per la sua nascita — era esigua quanto i
+bisogni che quel savio si permetteva. — Cotesti esempi risplendevano
+in antico. L’aquila romana non aveva spinto ancora il suo volo
+glorioso su tutte le contrade dell’universo. Il Senato non accolto
+i re supplichevoli sulla porta del Campidoglio. Nè i generali della
+Repubblica distribuito i regni ai loro clienti. — Nei remoti tempi la
+riputazione della virtù imponeva un sacro rispetto alla piccola dimora
+di un grande cittadino. Nei tempi di cui discorro, il lusso della casa
+dava fama al padrone, e si era riveriti per la fastosa ospitalità, per
+la magnificenza degli arredi, pei sontuosi triclini, per le colonne dei
+cortili, per le pitture delle camere, e pei marmi preziosi e rari che
+coprivano le pareti ed i pavimenti.
+
+Pacuvio Bleso era un uomo in sui quarant’anni. Un giorno, preso dalla
+malinconia, decise di ammogliarsi. — Diede allora un vale alle gioiose
+e procaccevoli avventure, e si sacrò intero ad Aquilia, donna dallo
+spirito fecondo e svariato. Era della famiglia Rufa, e nel vederla
+ciascuno diceva: «Io la preferisco ad ogni bella.» La sua persona era
+il velo trasparente di un’anima pura e soave. Buona cogl’inferiori,
+benevola cogli eguali, le sue amiche non l’avevano mai disertata,
+come colei che non sapeva urtare nelle individuali vanità, causa di
+veri dolori nelle donnesche coscienze. Se nelle intimità avvenivano
+involontari disgusti, un suo sorriso, un suo sguardo, una parola
+gentile toglieva il peso da ogni cuore e diradava ogni nube.
+
+In quella sera una dolce armonia, un cinguettìo di voci, una splendida
+illuminazione escivano dal peristilio, le cui cortine erano aperte dal
+lato del giardino giuncato di fiori. L’allegra brigata erasi aggruppata
+e disposta con leggi intelligenti. Numilla, figliuola di Osculo, aveva
+nel disegno e nella espressione dei suoi lineamenti, quel tipo di greca
+bellezza, che le statue a noi tramandarono. Il naso formante una linea
+colla sua fronte; gli occhi che aprivano sotto i lunghi cigli neri le
+loro profondità di colore azzurro; il collo svelto, l’aitante persona,
+le tornite proporzioni palesate dalle graziose muovenze delle membra,
+facevano di lei la più avvenente fanciulla che fosse nella Colonia.
+Il padre suo, facoltoso, augure e da poco assunto al sacerdozio,
+l’amava quanto le sue pupille ed intendeva maritarla ad un cavaliere
+romano nell’Urbe. Domna, la figliuola di Agatocles e di Ulissia,
+abitanti nel sobborgo Felice, era del festoso ritrovo. La giovanetta,
+bruna di carnagione, un po’ paffutella, e soltanto leggiadra per la
+sua freschezza. Eravi Arrunzia, moglie del questore Vinicio Oveo.
+Sedeva a lei da presso Charmis, il famigerato medico di Massilia dei
+Focesi, il quale le parlava in greco, non dovendo un distinto della
+sua professione parlare altra lingua, quantunque sapesse che la sua
+interlocutrice fosse romana ed ignara. Stranezza della moda, la quale
+costringeva ad aver fede in uomini ed in cose — costosi ambedue — e
+per sopra ciò inintelligibili! Nè vi mancava una delle migliori amiche
+di Aquilia, la innocente, la buona Lollia Valeria, un flore profumato
+dalla virtù. Non era bella, ma aggradevole. La bocca grande, le
+labbra grosse. I denti regolari, bianchissimi. Lo sguardo attraente,
+inesprimibile a traverso la frangia dei suoi lunghi cigli. Avea sedici
+anni quando la doventò sposa ad Anneo Nella Ceriale, uom grave, duro
+e romanamente marito. Laonde s’ella sentiva il sole nella testa, negli
+occhi, nel cuore, egli il freddo calcolo, le ambizioni municipali e i
+momentanei capricci. — Erano corse dicerie su cotesta disparata unione.
+Gli è che un giorno la giovanetta si avvide che la sua grazia, l’olezzo
+dell’anima sua, i cantici affettuosi della sua mente erano accolti con
+svagato sorriso e non assaporati. La povera delusa pianse, si nascose
+e disperata chiedeva la morte. Ma una situazione nuova venne d’un
+tratto a sorreggere la idealità del primo istante delle sue nozze. Un
+pegno doloroso, gradito potea consolarla e riallacciare i legami che
+la sua dignità di donna offesa le aveva fatto rompere e che stimava
+rotti per sempre. Già Pollutia, di L. Cornelio Orfito, era passata col
+vagabondo suo cuore ad altre ebbrezze. Nella solitudine di una valle
+presso Sorrentum erale nata Flavilla, lo anello di unione tra lei e il
+divagato Ceriale. La emozione nuova e nervosa aveva vinto lo egoista.
+Lollia, augurandosi una trasformazione duratura per lo avvenire,
+consentì a riedere in Pompei. E mostrandosi pubblicamente lieta, i
+pettegolezzi stanchi si erano acquetati per lo alimento esaurito.
+
+La giovane Corista suonava per intanto l’arpa nello xysto, sposando
+la vibrazione delle corde all’armonia della voce. Essa cantava un
+inno all’Amore, nello idioma natìo; e la musica, e il dolce accento,
+e la inflessione vocale, tradendo lo ardore secreto dell’anima sua,
+innondava di delizio quel luogo, sino a rapire il pensiero e a deporlo
+incantevolmente nelle valli amene della Tessaglia, e nei sacri boschi
+di mirti e di aranci in Pafo. Pochi, e ad intervalli, badavano alla
+bella schiava. La quale parea cantasse per proprio diletto, e lasciava
+correre agili dita sulle corde, come avrebbe fatto correre i piedi
+sur un prato verdeggiante. Più degli altri Numilla — allorchè nessuno
+la interrogava — sembrava viaggiasse cogli occhi nelle regioni ideali
+dell’armonia. Essa piacevasi di quest’arte che già s’insegnava come
+complemento di accurata educazione, da che Silla avevala nobilitata in
+Roma collo esercizio del canto.
+
+La immaginazione, prigioniera delle altrui volontà — appena sente
+chiasso e tumulto — rivoluzionaria d’istinto — riprende la sua
+indipendenza e il suo isolamento, si seppellisce nei propri capricci,
+vola sulle ali dorate di un sogno, o si raccoglie in un pensiero
+delizioso; e i suoi accenti ricordano i luoghi secreti e cari ove si
+è vissuto la vita di un affetto, ed aprono allo sguardo dell’anima le
+raggianti dimore che la lusinghiera speranza apparecchia dopo il sonno
+della materia. — La bellissima pompeiana era in mezzo a fantasmi tristi
+e graziosi evocati dal proprio cuore, e il suo sguardo fisso e profondo
+or volgevasi alla schiava gentile, or alla padrona del luogo. La quale,
+leggendo nel pensiero quello che le labbra non ancora dicevano, si
+curvò verso di lei, le prese amorosamente la mano e le disse:
+
+— Numilla, la sorte della misera schiava è un errore del fato. Hai
+ragione. Convien ripararlo. La delicatezza dei tuoi sentimenti
+l’ha fatta libera. — Corista, fletti il ginocchio dinanzi alla
+tua liberatrice ed amala come sempre mi amasti, o povera figlia di
+Corinto. —
+
+La nobile giovanetta — nello udire così delicatamente tradotto il suo
+secreto pensiero — sentì più profondo il fuoco di quel sentimento in
+cui bruciano le anime martirizzate dalla sventura, e pianse. E più fu
+commossa nel sentir lacrime e baci bagnar le sue mani. Era la bella
+greca ch’erasi gittata alle sue ginocchia e spandeva a riprese le
+sue carezze or sulla padrona or sulla sua amica, ripetendo nelle due
+lingue:
+
+— _Libertas!_ Ἐλευθερία! _Libertas!_ Ἐλευθερία! —
+
+Quindi, levandosi e volgendo la testa indietro, incrociava le mani sul
+petto ansimante e diceva:
+
+— O Dei della mia patria! Quante felicità in un sol giorno! —
+
+Gli astanti furono più o meno scossi di quella scena a seconda dei loro
+caratteri. Charmis però più di tutti, malgrado le abitudini austere
+della sua educazione, che gl’imponevano le reticenze del cuore. Laonde,
+appressatosi alla signora del luogo, aggiunse alle parole degli altri —
+ch’erano meglio frasi che sentimenti:
+
+— Grazie per lei, per tutti, per me alla grande generosità del tuo
+nobile atto. —
+
+In fra tanto che tali emozioni accadevano nello interno, eranvene e
+di più vive anche al di fuori. Olympio, in preda a quei pensieri che
+indìano un’anima — ed in particolar modo quella di un artista — era
+appoggiato colle spalle ad un muro rimpetto ed avea fra le dita una
+rosa, la immagine apparente della persona amata. Si tolse dal capo una
+corona contesta di erbe odorose e di fiori di granato, l’appese con un
+chiodo presso la porta della casa di Pacuvio e tratto uno stile, graffì
+queste parole sullo intonaco:
+
+— Corista. — _Vale, mea sava. — Fac me ames._ —
+
+Indi si allontanò. — E sentì nel suo petto quelle cose viventi, sublimi
+e sacre ai cuori che le racchiudono — e troppo spesso vacue, ridicole
+e misere alle menti profane, verso le quali sono trasportate dal giuoco
+indiscreto del fato.
+
+Aveva scambiato pochi passi, quando sentì dietro di sè un confuso
+rumore di voci. — Si volse e vide una luce rossastra sul tetto della
+casa pur dianzi lasciata. E l’_ostiarius_ suonare una campana ed
+urlare:
+
+— Il fuoco! Il fuoco! Chi passa ne avverta la coorte! Sia prevenuto il
+prefetto dei vigili! È la casa di Bleso che brucia! —
+
+Olympio corse anch’egli gridando a tutta gola come un forsennato. —
+Quanti incontrava erano presi dalla stessa smania. — Ed ecco accorrere
+dal posto vicino alle Terme una frotta di affrancati, condotti dai
+loro tribuni. — Avevano nelle mani i _pubblici siphi_; le scale; le
+secchie; le spugne e gli stracci legati sulla estremità di lunghe
+aste; le accette e i graffi di ferro annodati sulle punte di grosse
+corde. Cotesta gente penetrò nella casa alla rinfusa con Olympio. —
+Lo incendio, sorto nella cucina, lambiva colle sue lingue di fiamma
+la soffitta dell’_œcus_. — Le donne e i fanciulli piangevano. — Gli
+schiavi domestici — invece di occuparsi di quel sinistro — usavano le
+scuri per abbattere gli usci che racchiudevano le provviste. — Olmasio
+— il _tricliniarcha_ fedele già affrancato dal suo padrone per la sua
+virtù — armato di un nerbo di bue, faceva piovere una grandine di colpi
+sulle braccia e sulle teste di quei ribaldi e di altri ancora venuti
+di fuori per profittare di quel disordine ed esercitare impunemente le
+loro rapine. Le grida di dolore, le cose cadute, lo agitarsi confuso
+di chi fuggiva impicciavano potentemente i soccorsi e gl’intelligenti
+lavori comandati dai tribuni. — Ma il prefetto dei vigili, Martorio
+Primo, architetto della città, e lo edile Q. Postumio Proco, accorsi
+cogli operai, coi _saccarii_ — i facchini da grano — e coi propri
+liberti, spensero ben presto il focolare dello incendio, senza aver
+bisogno di abbattere il terrazzo pensile ed una casuccia vicina — come
+altri già proponeva — a fine d’impedire che il flagello si distendesse
+più oltre nella città.
+
+Olympio, penetrando cogli altri nella casa minacciata, corse per
+le stanze come un limiero per togliere dal pericolo la fanciulla
+che amava. E la trova tra le braccia di Cillica — la figliuola del
+tricliniarca — ambedue impaurite e bianche, quasi statue di marmo. — Il
+riflesso della fiamma parea coronasse di un’aureola raggiante le loro
+capigliature.
+
+— Vieni! Salvati, Corista. —
+
+E la prese per mano. — E la condusse verso la strada. — E sì dolce era
+la scambievole loro emozione, che camminarono, egli senza dir altro,
+essa senza rendersi conto di quel che faceva. — Colà giunti:
+
+— Vedi, o amore, quello che avea graffito per te. —
+
+Al lume delle vampe essa lesse, si strinse al petto dell’amico del cuor
+suo e mormorò nella vertigine dei sentimenti diversi:
+
+— Io sono liberta... La buona padrona,... ed una giovane, bella come
+Venere pudica,.... cancellarono con atto generoso i destini della mia
+vita.
+
+— Oh! I Giunoni sieno ad esse propizi. E i Geni allontanino ogni
+disastro dalla casa di Bleso. — Correndo in cerca di te, vidi il danno
+non grave. Il fuoco sarà presto spento. Non così quello che mi brucia
+il sangue di un amore impetuoso, esclusivo, che ha preso possesso di
+tutto me stesso. —
+
+Anch’ella ardeva di quella fiamma. Ma non lasciò fuggire una sola
+gocciola della lava che bolliva nel suo cervello. — Era stata molto
+infelice. — La emozione nel sentirsi restituita d’un tratto la vita
+dell’anima e la vita del cuore, che la crudeltà dei parenti le aveva
+niegato, la soffocava. Grosse lacrime le sgorgavano dagli occhi e le
+bagnavano il viso. — E l’altro:
+
+— Celeste creatura! — Musa dell’arte mia! — Nati di uno stesso sangue,
+l’altrui pietà fece eguali le nostre condizioni. — Come te io sentiva
+il vuoto nei luoghi profondi. Come te or li sento colmati da un
+sentimento che nega il patto allo spazio. — Consenti tu a chiamarmi...
+fratello? —
+
+La giovanetta lo guardò fiso, gli fe’ cerchio colle sue braccia e,
+soffusa di subito rossore, balbettò con voce lenta e indistinta:
+
+— Sposo mio!... —
+
+Lo amante, coll’anima innondata di gioia, prese colle due mani il
+capo, ch’essa aveva nascosto sul petto di lui, e lo cuoprì di un bacio
+di fuoco. Le vere nozze — quelle dell’anima, cui Dio assiste — erano
+compiute. Il rituale della legge al domani.
+
+Olympio e Corista si separarono.
+
+La signora della casa e le persone ch’erano venute la sera per
+visitarla, accompagnarono questa presso una famiglia amica. Lungo la
+via, lamentando lo accaduto ed offrendo consolazioni, ognuno stringeva
+sotto la tunica un arnese di argento o di avorio, atto ad allontanare
+il fascino ed a distruggerlo.
+
+Intanto Pacuvio, oltre i pensieri che lo tenevano inquieto, e gli
+ordini che dava ai suoi servi per lo sgombero delle suppellettili
+dalle camere minacciate, aveva il sopracapo di vedersi attorniato
+dai proprietari delle case vicine, i quali erano corsi a computarne
+il prezzo con lui nel caso che le fossero incendiate. E due vecchi
+liberti, arricchiti dalle usure — Cancer e Toctucio — ne addoppiavano
+lo esagerato valore, per poi trarne il loro pro, comperando di proprio,
+o dividendo coi padroni il grande lucro che avevan saputo ritrarne,
+mercè loro, dall’altrui sventura. — Cotesta iniqua speculazione era
+stata inventata di corto da Crasso, il censore, lo amico di Bruto
+e di Cicerone, che pur dicevasi amico alla libertà e alle antiche
+instituzioni della gloriosa Repubblica Romana.
+
+Erasi fatta l’ora del _conticinium_. Laonde, ai tanti rumori confusi
+e a quel grido disordinato che aveva empito l’aere sino a quel
+punto, avrebbe dovuto succedere un po’ di silenzio. Ma in una città
+meridionale lo strepito notturno affievolisce; si tace in qualche
+strada; pure onninamente non cessa. — In una storta viuzza, le cui case
+avevano sull’uscio lanterne di terra cotta di forme bizzarre, erano
+donne assise, o sghignazzanti in piedi e bisticciandosi a proposito
+di nulla, poco vestite da un leggero velo di Coa, e qualcuna anche
+sdegnosa di quello incomodo velo. — Erano le sentinelle avanzate della
+Venere Pompeiana. — Continuando più in giù, traversata la strada
+della fontana, il cui bacino è arrotondato, presso una _cauponula_
+— locanda di poca importanza — era un soldato allor allor arrivato
+dall’Urbe, il quale cercava di metter pace fra tre male femmine che
+coi capelli discinti, e gli occhi sbarrati, e le voci alte e roche
+se lo disputavano a vicenda con graffi e villane ingiurie. — Vibio
+Restituto, che aveva fatto lungo cammino e intendeva riposarsi e —
+dalla iscrizione lasciata sulla parete della camera dove dormì, —
+pareva preso di fedeltà per la urbana sua, perduta la pazienza, disse a
+Clodio — commilite e compagno di viaggio che erasi tratto in disparte —
+una breve parola. Lo effetto fu prodigioso. Una secchia d’acqua versata
+su quelle furie le rese chete d’un tratto e lontane.
+
+Nelle vie vicine erano ubbriachi che misuravano il selciato coi loro
+piedi vacillanti, e si appoggiavano sur un bastone resinoso già spento,
+o colle mani aperte, sui muri. — Uno diceva:
+
+— _Ego monere te possum, Miccio. Corrigere non possum._ — Quante volte
+dissi allo stomaco: — Per Ercole! Finirai per bruciarmelo il povero
+cervello!... E come ho a reggere io che sono _tractator_ nelle Terme
+al calore del _sudatorium_, massando e frizionando i bagnanti? Ahimè di
+me! —
+
+— Ohe! Miccio. — E di che gracidi? Veramente non è cotesta la tua
+strada... _Nemo flammis ustus amare potest._ —
+
+Un altro, urtando in una di quelle pietre ovali — ponti di passaggio
+nei grandi rovesci di pioggia — diè una capata solenne sul sasso. —
+Alcuni mossero ad aiutarlo; chè il vino fa caritatevole e pietoso il
+cuore. — Ma più si provavano a rialzar quel tapino, grondante sangue
+dalla fronte rotta e dal naso pesto, e più il ricacciavano per le
+terre, cadendovi tutti insieme.
+
+— Ah! _Venus scratia!_ Credeva di aver afferrato il tuo crine biondo...
+Ed urtai nel martello della porta del tempio. — Indietro, o beoni...
+Lasciatemi tranquillo con lei. —
+
+Non lungi di quella strada cessava il frastuono delle voci lamentevoli
+ed irose. Due, sommessi parlavano. — Una vecchia ed un giovane.
+
+— Di’, sei tu quello che ha graffito sul muro il monito della Iddia
+pompeiana?
+
+— Fui.
+
+— _Odisti tu nigras puellas?_
+
+— Mai no. Io le amerò sempre.
+
+— Tiche ebbe pietà dei tuoi ardori. — Va sotto il _solarium_. —
+Chiama a nome la mia padrona ed essa ti scenderà con un filo la chiave
+dell’uscio. — Gli Dei ti sieno propizi! —
+
+Il giovane accorse desioso. — Guardò in alto sul terrazzo sporgente. Un
+lume pallido e poi più acceso illuminò i vetri. — Egli mormorò il nome
+della donna bruna e salace che da parecchi giorni seguiva per tutto. —
+La finestra si aprì. — La chiave discese. Aiutandosi col dito, trovò la
+toppa. — Diè due giri e una spinta...
+
+Un molosso senza abbaiare lo addenta e, agitando la testa, gli straccia
+la tunica, l’afferra e la straccia ancora e lo tiene. Un vecchio aizza
+il cane colla voce e con un bastone trebbia il mal capitato. Il quale
+grida, e prega e fa sforzi violenti per fuggire. Ma il cane lo azzanna
+per un piede. — Il marito geloso picchia come sopra un sacco di lana. —
+E Tiche di sopra sorride. Perciocchè, egli avesse graffito sul muro le
+seguenti parole:
+
+ _Candida me docuit nigras odisse puellas._
+ _Oderis, sed iteras. Ego non invitus amabo._
+ _Scripsit Venus physica pompeiana._
+
+Quando quei crudeli lo abbandonarono, lo scalzo di un piede e
+zoppicante, corse verso la crocevia dalla fontana colla testa
+di Giunone. Più in giù, alcuni ch’erano fermi dinanzi una casa
+dell’angolo, udendolo lamentarsi, gliene chiesero la cagione.
+— Il misero giovane — che aveva nome Virgula ed era padrone del
+_mycopolium_, nella via di Mercurio, ove vendeva gli aromi in uso pei
+sacrifici e pei funerali — stava per rispondere forse una menzogna,
+quando vide escire dal prossimo usciolino alcune donne curiose dei
+fatti suoi, imbellettate, vestite di toga maschile ed aventi sul capo
+tosato una _picta mitra_. — Ebbe orrore del luogo e della compagnia
+che il duro fato gli avea procacciato. Quantunque fosse pesto e ferito
+in più parti della persona, rifiutò le offerte d’idromele e di vino
+caldo da Svezzio, — quegli che aveva restituito lo albergo dello
+Elefante. — E partì, appoggiandosi al braccio di Phœbo, unguentario di
+sua conoscenza e cliente assiduo di quei luoghi, il quale lo avrebbe
+accompagnato a casa, non lungi dalla propria.
+
+L’ora del _concubitum_ — che i nostri padri chiamavano anche
+_intempestum_, per indicare che il sonno fa intempestiva ogni
+occupazione — era l’ora di veglia involontaria per alcuni uomini
+destinati a fabbricare il pane ed a cuocerlo per la comodità dei
+cittadini. Cotesti infelici obbligati al lavoro durante la notte, non
+avevano intero il giorno feriale mai. Abbrutiti dallo eccesso del loro
+còmpito, e dalla miseria; — coperti di cenci e lividi di frustate; —
+colle pupille sanguigne dalla veglia e dal fumo del forno; — piccoli,
+magri e rasi nel capo perchè i capelli non cadessero nelle impastate
+farine; — pallidi e fatti anche più pallidi dalla farina di cui erano
+coperti, parevano meglio spettri che uomini vivi. — E siccome per lo
+più erano schiavi fuggitivi — e ne avevano il marchio di fuoco sulla
+fronte — il padrone gli facea lavorare coi piedi chiusi da anelli di
+ferro riuniti da breve catena.
+
+Nelle _pistrinæ_ — così chiamate perchè sino all’anno 580 di Roma ogni
+famiglia pestava il grano nei mortai in casa, e le donne fabbricavano
+il pane — v’erano le _molæ jumentariæ_ e le _molæ manuariæ_ — cioè
+— molini girati dalle bestie o dagli uomini. Nell’isola di Sardegna
+sono in uso anche oggidì come ai tempi di cui queste carte. — Nel
+centro di un atrio tetrastile, a giusta distanza, erano grosse pietre
+cilindriche, simili a coni tronchi, riunite nella parte più stretta.
+— Le pietre, porose e di colore grigio-nerastro, riposavano su una
+breve base circolare. — La parte del cono fissa addimandavasi _meta
+molendaria_ ed era congiunta alla base. La parte mobile del cono
+superiore, detta _catillus_, aveva un’armatura di legno fissa presso
+lo addentellato libero nella pietra; ed era congegnata in modo, da
+sostenere il catillo e da farlo girare, dando al grano il passaggio
+graduato per macinarlo, e far cadere la farina nel bacino circolare.
+La quale era divisa nelle sue qualità da stacci di crine di cavallo di
+varia finezza. — In una camera erano tavole orlate di pietra, ove si
+amalgamava la pasta col lievito salato, che aveva il peso di ettogrammi
+2.17 per ogni _modius_ di farina.
+
+A diritta delle macine trovavasi il forno. Sotto, il cinerario. —
+A lato, un’anfora spezzata, contenente il buono da impolverare la
+pala, perchè infornando, il pane non vi si attaccasse. — Sopra l’arco
+della bocca, fatto di mattoni, solevasene porre uno come chiave,
+rappresentante un _phallus_; e spesso vi ponevano la iscrizione, _Hic
+habitat felicitas_. — Presso una parete laterale dell’atrio aprivasi
+un pozzo. — E siccome l’uomo fu, è, e sarà sempre un ente pieno
+di stupidezze, di pregiudizi e di strane paure, consigliato dagli
+interessati sacerdoti, il panettiere riconobbe nella deessa _Fornax_ la
+patrona del suo mestiere. E le fece un altarino sul muro e le offerì
+pane di fior fiore, acquatico, partico e picentino col mezzo dei suoi
+ministri impostori e scrocconi, i quali lo mangiavamo per lei.
+
+Quei miseri operai, cospersi di sudore, noiati dalle mosche, resi quasi
+ciechi dal fumo, estenuati dalla fatica, emunti dai sacerdoti, erano di
+notte assediati dal rifiuto dei trivi che lor vendeva lo amore per un
+pugno di grano. — Gli è perciò che quelle donne erano distinte col nome
+dispregevole di _alicariæ_. — Eppure! Quanti miseri schiavi saranno
+stati debitori a quelle derelitte creature di un obblìo ben fuggevole!
+Il quale, spegnendo per poco il tarlo della disperazione, dava loro la
+forza di traversare gli spazi immensi sulle ali che il solo amore — o
+ciò che a lui più somiglia — sa aggiungere!
+
+Molte strade eransi fatte deserte. Non tutte. — Tratto tratto udivasi
+sul selciato il rumore dei sandali col tallone ferrato di qualcuno
+che passava. — Erano i _popes_, i sacrificatori vittimari, — altra
+emanazione del sacerdozio — i quali andavano di celato a vendere ai
+tavernai la parte dei buoi e dei montoni, offerti dai credenti agli
+altari dei Numi, ch’erano di troppo pel triclinio del tempio. — Onde
+quei luoghi si chiamavano _popinæ_ ed erano le botteghe di ristoro dei
+villici e degli artigiani ordinari durante il giorno; e dei gladiatori,
+dei soldati e degli schiavi lungo la notte. — Oltre le carni cotte vi
+si vendevano lupini ravvivati nell’acqua salata; fave con cipolle e
+lardo; ceci fritti; cavoli crudi a fette, conditi coll’aceto; polenta;
+salcicce con aglio. — Tutte cose masticabili con pane di farina d’orzo
+e di frumento detto _panis plebeius_. Un pranzo od una cena costava due
+assi — dodici centesimi della nostra moneta. — Gli alimenti cuocevan
+sempre ed in pubblico. — I banchi che sostenevano i fornelli — sui
+quali erano incastrate tre pignatte di terra — vedonsi anche oggi
+rivestiti di marmi di varia specie e colore. Sulla loro estremità è
+un piccolo gradino che serviva ad esporre i commestibili e a tenervi i
+vasi e le coppe. Una tavola di pietra, sulla quale si spezzavano o si
+dividevano le porzioni, aveva i pesi ed una bilancia. Il padrone del
+luogo era spesso un _lanista_ invecchiato o imbozzito, e perciò non più
+adatto ai giuochi gladiatorii. Laonde selvaggio, brutale, vestito di
+un _subligaculum_ — mutande di tela — o di una tunica lacera e sporca.
+Una donna — detta _focaria_ — facea la cucina. Ed un’altra serviva gli
+ospiti, sovente ladri, assassini, beccamorti e schiavi fuggiti dai loro
+padroni.
+
+Quella che forma l’angolo sulla via e sul vicolo di Mercurio era la
+più frequentata, perchè essendo presso il Foro e la dimora dei ricchi,
+chiamava a sè facilmente i servi che li trasportavano in lettiga e li
+accompagnavano con lanterne alle loro orgie e li andavano a riprendere
+all’alba ubriachi. Nel fondo della taverna sono due porte che danno
+accesso alle stanze di ristoro. Grossolane pitture bruttano le pareti.
+Alcune presentano oscenità. Un quadro accenna a due uomini che traggono
+il vino da un grande otre di pelle che è sopra un carro a quattro
+ruote, da cui sono stati sciolti i due muli. Uno mesce a un soldato; e
+sotto è graffita la iscrizione seguente: _Da fridam pusillum_ — cioè
+— dammi un po’ d’acqua fredda. — Altri giuocano ai dadi e cioncano.
+— Altri ancora mangiano presso un desco con due sciupate, il capo
+coperto dal _cucullus_, cappuccio soprapposto alla loro mitra. Festoni
+di salcicce e di frutti sono sospesi al soffitto di quel dipinto
+triclinio.
+
+Tali le decorazioni del luogo. Tale la immonda brigata. — Un beccaio
+provavasi a rilevare un sacerdote di Cibele caduto sopra i suoi
+cembali produttivi. — Per poco in piedi. Poi per le terre ambedue.
+— Un gladiatore mostra le nervose sue membra e brinda a Bacco che il
+rese forte e invincibile nei ludi; e promette, nei prossimi, di ferire
+Tigris, il numida, e mozzargli il capo, quantunque sia un buon compagno
+e l’arteria del suo cuore. — La serva del luogo depone un _crater_
+sulla tavola e col _cyathus_ misura il vino che mesce nei _majores
+calices_. — Il feroce l’afferra per la vita, e con un ruggito gioviale
+la bacia sulla gota. La vipera si volge e gli dà un potente ceffone che
+fece ridere gli avvinazzati.
+
+— Brava, Saïs. — Giù, un altro! — Tu puoi sbarbarmi, strapparmi i
+capelli e mi piacerà per lo amore dei tuoi begli occhi. — Tò; un altro
+bacio!
+
+— E a te un’altra labbrata, Scilex.
+
+— Ah! così?... Ebbene! All’ammenda! Ti coricherai bruco e ti leverai
+crisalide. — Miracolo di Marte! —
+
+E il membruto la tolse di peso, quantunque la si dimenasse, e la portò
+in un’altra stanza. — Nessuno badò alle sue grida. — Sopraggiungono
+due donne. — Una suona una specie di flauto a due canne, detto
+_sarranae_. — L’altra accompagna colle naccare i passi di una danza
+lasciva. La truppa servile si leva, e salta e canta una turpe canzone.
+Il prete di Cibele — pestato in un piede — si alza sonnacchioso,
+raccatta i cembali, si contorce e sgambetta cogli altri. Al rumore,
+tre che passavano per la via, entrano. Sono Tigris, Cappadox e Syro,
+accoltellanti. — Escono dalla stanza Saïs e Scilex. — La femmina offesa
+giammai perdona. — Ond’essa, a vendetta, rivela allo amante numida le
+millanterie del compagno. Un subito rossore infiamma la fronte dello
+insultato. Era un gigante, bruno di carnagione e dagli occhi di iena.
+Si morse il labbro inferiore, e col pugno teso:
+
+— Cane rognoso! Mi rubi lo amore e vuoi anche la vita? O Romano, prendi
+or cotesto dal figliuol del deserto! —
+
+Il pugno distesogli sul petto fece traballare il gladiatore avvinato.
+Dalla parete che lo avea sostenuto, si cacciò innanzi a capo ricurvo. —
+Ma tutti gli furono addosso e il ritennero.
+
+— Ha insultato un libero cittadino. — Lasciatemi. — Gli anni pesano al
+barbaro. — Lo manderò a Caronte, senza l’asse pel suo tragitto.
+
+— Qui, di piè fermo. — E non vedete che la riflessione il consiglia a
+morir di vecchiaia? —
+
+Tulnes — il padrone della tavernaccia — scorgendo che la cosa prendeva
+il mal verso, avvertì che i galli già salutavano i primi albori. —
+Riscosse il prezzo del ristoro da ognuno, salvo dal sacerdote che
+russava, poi che il fecero smettere dal ballo, sotto la tavola. E
+mise tutti fuor dell’uscio. — Chi per una via. Chi per un’altra. — I
+_lecticarii_ s’incamminarono a coppie verso le dimore, dove la sera
+avevano trasportato i padroni.
+
+Le ore notturne di questi somigliavano a capello a quelle dei loro
+schiavi. Avevano crapulato — e oscenamente cantato — e portato sulle
+spalle le loro amanti — e cioncato con esse — e caduti erano privi
+di forza, in poco decenti posture, sui cuscini dei triclini. — Era
+un’onta della natura umana il vedere come una grande prosperità avesse
+degradato quel gentil seme latino e trascinatolo allo studio raffinato
+delle male e vergognose opere!
+
+Nell’_aphrodisium_ di C. Sallustio non udivasi che il monotono
+russare dei nove briachi di vino e di vizi. — Lo schiavo incaricato di
+vegliarli, tirò le cortine del triclinio e vi fe’ penetrare i chiarori
+dell’alba. — Alcune lampade sui loro alti candelabri erano spente o
+fumigavano. — Altre ancor mandavano una fioca luce. Il pavimento di
+marmo e di mosaico era sparso di veli cincignati, di corone di rose,
+di rottami di cristallo e di anfore e di larghe macchie di cecubo. La
+_comissatio_ era stata copiosa.
+
+Herma spinse col labbro inferiore il soprano in atto di chi dispregia.
+— Crollò il capo e poi disse:
+
+— Oh!.... Ecco i padroni del mondo.... Povera patria mia!.... _Dî vos
+eradicent!_ —
+
+
+
+
+VENVS PHYSICA.
+
+SCENE DEL CUORE.
+
+=Anni di Roma 826 — Anni del Cristo 73.=
+
+
+ A ME.
+
+ IX.
+
+
+Sulla via Domizia, in faccia alla dimora del _chirurgus_ Hemos,
+reputato per le sue operazioni conservatrici, sedeva una casa
+fabbricata sulle antiche mura della città, le quali per decreto dei
+decurioni erano state concedute ai mercatanti greci e di altre nazioni
+per rizzarvi fondachi a terrazzo in faccia al grande canale del
+Sarno, e su di essi le dimore per le loro famiglie. — Il popolo del
+vecchio Latium, ed in progresso i popoli che, confederati o domati,
+combatterono e conquistarono per lui, consumavano, non producevano. Il
+bronzo, l’argento e l’oro carpiti ai vinti, mercè il formidabile pilo,
+servivano al ricambio dell’avorio, dell’ambra, delle tazze di vetro,
+della porpora, delle pietre incise, delle perle, delle vesti di lana
+finissima e di seta, delle belle schiave, dei vaghi e procaccevoli
+cinedi, dei piaceri offerti dai cuochi, dai mimi, dai gladiatori, dai
+citaristi e dei conforti prestati dagli astrologi, dai sacerdoti e
+da altri consimili ciurmatori. Il Quirite si fece aggressore per non
+essere conquistato. Educato ed educante alla forza del corpo ed alla
+vigoria dell’animo, dichiarò sino dai primi tempi il lavoro essere
+faccenda da prigionieri e da schiavi; e sola, unica professione degna
+dell’uomo libero macinare il grano e maciullare gli uomini. Fido alla
+origine, elevò templi a Giove ladro — _Jovi prædatori_. — In Etruria
+fecero spade e lance cogli assi di bronzo, fecero calce colle statue di
+marmo. In Capua, in Cuma, in Poseidonia arsero gli artistici monumenti.
+In Tarentum, in Syracosion, in Corinthum quei ruvidi soldati giuocavano
+ai dadi sui dipinti dei grandi maestri. E quando i signori dell’Urbe
+cominciarono a riflettere che le statue e le opere di pennello della
+Magna-Grecia valevano ben qualche cosa, Lucio Mummio, uno dei loro
+tribuni di militi, disse al nauta incaricato di trasportare per mare
+quei capi d’opera a Roma.
+
+— Bada. Se tu gli affondi, e tu gli rimpiazzi. —
+
+I Romani di quei tempi avevano per calendario un chiodo che
+martellavano ogni anno con pompa religiosa sul muro del tempio di
+Giove nei primordi del settembre. Il giorno avea tre periodi. Una
+libra di bronzo fusa in una forma grossolana bastava ai bisogni della
+loro civiltà. La industria era affidata agli schiavi, e persino i
+poeti escivano da quella classe disprezzata e reietta. — Tetragoni
+sui campi di battaglia, sentivano un orrore istintivo pel mare e
+l’arsione delle navi era la prima condizione di pace coi vinti. Anche
+Ottaviano-Augusto, quantunque avesse vinto in Actium, confessava di
+avere uno spavento invincibile dell’acqua. Un editto contemporaneo alle
+prime lotte colla rivale Cartagine diceva quel popolo di mercatanti
+pria vinti e poi schiavi. I Romani non si sarebbero mai abbassati al
+mestiere dei vili e dei menzogneri.
+
+Or il commercio così disonorato dai vincitori e le inutilità dei
+forti cuori divenute primo bisogno della vita civile, trassero la navi
+cariche dalle sponde lontane, e su di esse i trafficanti e gli artisti.
+I quali, ricomprata coi risparmi e colle usure la propria libertà, e
+arricchitisi ben presto, dall’Urbe si sparsero, dovunque le opportunità
+ed i facili guadagni gli richiamassero. Ne vennero anche presso la
+nostra gente in Pompei, dove i Sanniti e i Romani, per uno spirito
+di ripugnanza alle idee d’ordine e di pacifiche imprese, fattisi i
+pensionari del mondo, mai supponevano che l’oro sì facile a spendersi
+finirebbe per non più riprodursi.
+
+La casa sulla via Domizia era spaziosa e dall’alto si godeva lo aspetto
+di un magnifico orizzonte — il largo canale colle circolanti triremi —
+e sulla pianura, lungo la bella costiera, Oplonti, Retina, Herculanum,
+Tegianum, Taurania, Cosa — e sul mare Capreas, la _sellaria_ gigantesca
+destinata da Tiberio alle proprie turpitudini; Prochyta, detta da
+Giovenale la porta di Baiæ; Pitecusa, cui soprasta l’Epomeo, monte di
+forma bizzarra, tremulo ed ignivomo un tempo, in voce di schiacciare
+col suo peso il titano Tifeo.
+
+L’atrio, coperto da una larga tettoia rettangola, circondava il
+_compluvium_, a lato del quale era un _puteal_, scannellato, di pietra
+calcarea. Le pareti allo intorno si abbellivano di pitture — una
+cicogna passeggiante tra le ninfee di uno stagno — una nave di cui i
+nauti ammainavano le vele — un prato con lepri saltellanti — un poeta
+che legge versi ad una fanciulla, con un _locumentum_ ai piedi, ove
+erano chiusi i papiri. — Cotesti dipinti erano separati da quadrucci
+di maniera, grotteschi, di caricatura, detti _grylli_, eseguiti da
+Peireico, messi in uso quasi generale da lui, e gli erano pagati più
+cari che non le opere dei migliori artisti.
+
+Il pavimento era in _opus signinum_, incrostato di piccoli cubi neri
+che tratto tratto, senza simetria rinserravano pezzi di marmo di tutte
+forme e colori. Sur un angolo a sinistra posava inchiodata da un pernio
+una cassa di legno, foderata di rame, cerchiata di ferro, guarnita di
+due serrature e di numerosi ornamenti di bronzo. Nel fondo aprivasi
+un _tablinum_ dal bianco musaico, dalle ricche pitture e dai due
+lettucci laterali di cedro di Mauritania, coperti da cuscini di piume.
+Gl’Italo-greci pingevano sulle pareti coi colori cementati coll’olio
+e colla cera punica per difendere le tinte delicate dall’azione
+dell’aria e della umidità. Lo encausto si usava di tre modi — al
+cestro sull’avorio — colla cera colorita — colla cera liquefatta al
+fuoco. — Quest’ultima maniera faceva il dipinto più durevole. I freschi
+meglio pregiati si pingevano sur un intonaco chiuso entro una cornice
+di legno che fissavasi sulla parete e poteva ritogliervisi quando si
+voleva. I Pompeiani a cagione dei frequenti tremuoti solevano prendere
+siffatta precauzione. Collocavano altrove le predilette loro dipinture
+e al cessare del disastro le ricollocavano al posto. Quivi erano —
+Meleagro, figliuolo del re dei Caledonii, che si accinge a dar la
+caccia al cinghiale; ed Atalanta, vergine bella e fortissima, della
+cui gagliardia l’altro s’innamorò, — e le nozze di Zefiro che scende
+voluttuoso e si appressa alla vaghissima ed addormentata Clori, il
+simbolo di tutta la vegetazione. — Dalla parte dell’atrio una spessa
+stoffa di Tyro divisa in due _cortinæ_ ne chiudeva lo aspetto. Sul lato
+opposto le innalzate tende davano accesso ad uno xysto quadrato con
+ambulatorio allo intorno, posante sur un cripto-portico, rischiarato
+al di sotto da quattro spiragli a cono che sollevavansi sull’arca tra i
+pelargoni e le rose di Præneste. I giardini di tal fatta erano chiamati
+_horti pensiles_.
+
+Cotesta casa, rispondente nelle sue varie partizioni a tutti i comodi
+di un’agiata famiglia, apparteneva a Demophilo, di Rhodum, che da
+dodici anni aveva fissato la sua stanza in Pompei. Numerosi erano i
+suoi schiavi e spesso approdavano nel porto le sue navi cariche di
+merci. Traeva dall’Africa le lane e i profumi; dalla Spagna, la cera,
+il mele, i metalli; dalla Gallia, gli olii ed i vini; dalla Grecia, gli
+oggetti di arte e di gusto; dalle rive del Ponto i cuoi e le pelli;
+dalla Sardegna e dalla Sicilia, i grani. E tutte queste cose spediva
+nelle città interne per suffragare alle abitudini dei ricchi, alle
+ricerche degli effeminati, alle distribuzioni pubbliche dei magistrati
+e del governo centrale del mondo, obbligato a soccorrere le miriadi dei
+venturieri, dei vagabondi e delle popolazioni infingarde, abbrutite dal
+dispotismo, affamate di viveri ed assetate di profumi e di spettacoli.
+E quantunque Sallustio avesse detto che i Romani _pecuniam omnibus
+modis vexant_, cioè, che tormentavano l’oro di ogni maniera; e Cicerone
+nel suo libro dei Doveri; _Ne quidquam ingenuum potest habere officina?
+Mercatura, si tenuis est, sordida putanda est; sin autem magna et
+copiosa, multa undique apportans, non est admodum vituperanda. Nihil
+enim proficiunt mercatores, nisi admodum mentiantur._ — cioè: — Che
+può uscir di onesto da una bottega? Il commercio è sordida cosa se
+tenue; è un mestiere tutto al più tollerabile se coltivato in grande,
+e per approvigionare il paese. I mercatori non profittano senza molto
+mentire. — Pure il nostro rodiano verecondo, caritatevole ed onesto,
+coi suoi modi franchi e leali aveva inspirato la devozione nei clienti
+e negl’infimi, la stima negli eguali, ed ogni maniera di onoranza nelle
+genti d’imperio e nei ricchi del paese.
+
+E tutto questo Demophilo sapea meritare. Nato in un’isola, il suo
+istinto viaggiatore e avventuroso lo aveva sospinto a slanciarsi nello
+spazio schiuso dinanzi i suoi sguardi. Apparteneva a quella razza
+ardita che scoprì e popolò i nuovi continenti; che disputò alle altre
+nazioni i marosi del mare, come i Romani disputavano le montagne,
+le pianure e le valli ai popoli che le coltivavano e non sapeano
+difenderle. Da giovanetto avea navigato. E la contemplazione del vasto
+orizzonte, e l’abitudine della immensità, e il perpetuo movimento
+delle onde lo avevano fatto religioso, libero, intrepido, ospitaliero,
+silenzioso come la solitudine, poetico come le notti, affabile come le
+stelle che guidano i naviganti al porto desiderato.
+
+Alto della persona, di lineamenti regolari e piacenti, un poco curvo
+dai pensieri e dai pericoli che aveva bravato, il suo portamento, il
+breve sorriso, lo sguardo dicevano la tenerezza del cuore, la fantasia
+inquieta della mente e le rassegnazioni della nobile anima sua.
+Trattava colla vita come in molti casi aveva già trattato colla morte,
+con una inalterabile dolcezza. Le gravi cure delle dovizie, i semplici
+doveri della famiglia, lo esercizio delle severe virtù, il contatto
+colla miseria che il circondava, la pratica gli avevano mangiato
+a lento morso un po’ di poesia, un po’ di corriva bontà, un po’ di
+grazia. Ma quello ch’era rimasto non erasi fatto lo egoismo che spesso
+va a nozze colla superbia. Era meglio un sentimento melanconico, che
+talvolta la gaiezza di un fanciullo derugava e la fede sanava.
+
+Passeggiando sotto il portico dello impluvio, chiuso nei suoi pensieri,
+un uomo entra, stende la destra sulle labbra, _a facie_ — ciò che die’
+origine al verbo _adorare_ — e dice:
+
+— _Ave._ —
+
+Demophilo pone la mano sul cuore e poi offerendola al sopravenuto,
+risponde:
+
+— Anche tu abbi il giorno lieto, C. Helvio Babinio. Quale novella a me
+ti mena? Hai mercati a propormi?
+
+— No, amico. — Una cessione piuttosto. — Melissæa, quando tu qui
+prendesti fissa dimora, aveva sette anni. Alle none di aprile ne contò
+diecinove. I nostri Digesti indicano la età acconcia al matrimonio
+allo uscire dalla infanzia — XIV anni pei giovani — XII anni per
+le donzelle. — So che tu l’ami come la pupilla degli occhi tuoi.
+So che a lei duole staccarsi dalle tue braccia, escire dalla casa
+paterna. Finora, cotesta la cagione dei rifiuti. — Avranno a durar
+sempre? —
+
+Demophilo sentì la idea sicura e rapida prendergli il cuore. Pur
+dominandosi, forzò lo increscioso spettro a rientrare nell’ombra, ed
+aggiunse con ansia affannosa:
+
+— Non io. La mia figliuola deciderà.... Quale il nome di colui che
+aspira a coteste nozze? —
+
+— Cneo Vibio, lo edile... — Oh! non temere. I tuoi abiatici non gli
+vedrai _ambigena animalia_. Nè saran detti _musimones, umbri, canes
+ex venatico et gregario_, quasi fossero bastardi, o figliuoli di un
+cavallo e di un’asina, o nati di un cane da caccia e di una cagna di
+pecoraio. — No. — Quel magistrato ne ha scritto allo Imperatore, e gli
+è giunto il permesso speciale _ne turpis maritus vixisset cum coniuge
+barbara_. E a te procacciava il decreto che ti accorda il diritto di
+cittadino romano.
+
+— Un dono con una mano! Un rapimento coll’altra! Sia! — Melissæa, o
+Babinio, è una di quelle creature che di umano hanno solo lo inviluppo,
+ancor tutto pieno di celesti profumi, tutto raggiante di lume divino. È
+il mio consiglio, il mio tesoro... la vita.... —
+
+E qui premette colla mano il petto quasi frenasse i moti dentro. E
+seguiva:
+
+— Le grazie coronarono la sua ragione. Ama le arti, i lavori donneschi
+ed i giuochi del pensiero. Se Vibio è accettato — ed io ciò terrei a
+grande onore — di gran cuore _despondebo filiam meam_. La interrogherò
+per sapere se il suo cuor parli a favore di lui.
+
+— Oh! Non dubitarne. Io credo che le mela e i fiori di granato —
+messaggeri della bella e gioconda iddia — abbiano dato giuliva risposta
+a qualche vaso di Nola. —
+
+O Babinio indovinava, o il sapeva. Vibio aveva notato la gentile
+persona nella necropoli, nei teatri, nei templi. A poco a poco erasene
+perdutamente invaghito. E tanto più che la nudrice di lei un giorno gli
+disse i rari pregi che più e più l’abbellivano. E saputo da essa come
+la fosse nata alle none del quarto mese — ch’ebbe nome da _aperire_,
+avvegnachè allora la terra apra il seme alla generazione — le aveva
+mandato un vaso fittile dipinto degno dell’artefice e del donatore.
+— Un genio alato, avente sul capo una corona di fiori, versa una
+libazione sulla fiamma che brucia sur un piccolo altare. Sotto era
+un’ape, e accanto si leggeva graffito καλή.
+
+La destinazione era chiaramente espressa dalla libazione che indicava
+il dì natalizio e dagli aggettivi di _bella_ e di _soave_ dati alla
+pecchia che in greco diceasi _melissa_. Essa aveva risposto con mandare
+una corona di modeste viole avvizzite e portata da lei nella vigilia —
+mele morsicate, perchè in ogni tempo e presso tutti i popoli il pomo fu
+accetto messaggero di amore — e _rosæ vexatæ_, ch’erano il vero incanto
+dello amor ricambiato. Marziale in un distico diretto al calore del
+cuor suo, si esprime così:
+
+ _Intactas quare mittis mihi, Polla, coronas?_
+ _A te vexatas malo tenere rosas._
+
+«Perchè mandarmi, o Polla, fresche corone? Preferisco le rose appassite
+sul corpo tuo.»
+
+— Se così, meglio — χαίρε — Vado a far scaricare una grossa nave
+caudicaria in cui ho vino, lardo, fave, schiavi ed acque distillate
+dell’Asia. Gli affari sono il lievito del mio peculio.
+
+— _Quidquid tu tangis crescit tanquam favus._ Nettuno ti affidò il suo
+tridente, e tu comandi ad Eolo di soffiare a tuo senno sulle vele delle
+tue triremi.
+
+— Credi a me. _Assem habeas, asse valeas._ Ne hai? Ne avrai. —
+Giammai però io vidi effigiata sul conio della moneta d’oro la faccia
+sorridente della gioia intima e di una vita senza rimorsi.
+
+— _Vale._ —
+
+E si separarono.
+
+Intanto che coteste cose si erano pensate e dette tra i due
+interlocutori, gli edili C. Vibio e Q. Poppæo, nominati dal popolo a
+procacciargli i voti, l’annona e le feste solenni, erano in un vasto
+locale presso il porto ad assistere alla distribuzione dei grani fatta
+da una corporazione di misuratori. I littori, poggiando le mani sui
+fasci, pendevano dal cenno dei magistrati. Una guardia di liberti
+custodiva le porte dello edificio, facevano entrare i soli che avessero
+una tavoluccia di ligustro, chiamata _tessera frumenti_, e picchiavano
+gl’intrusi che non vi avessero diritto.
+
+Nei tempi primordiali della potenza di Roma l’ense e lo aratro
+provvidero alla sussistenza del popolo. Quando il gladio rimase
+solo nelle mani dei forti, le provincie italiche, sottomesse al suo
+impero alimentarono le braccia di quei superbi che ormai sentivano
+il dovere unico della conquista del mondo. E la Sardegna fu chiamata
+_nutrium plebis romanæ_. E la Sicilia _cellam penariam reipublicæ_, e
+_fidissimum Annonæ subsidium_. Ma venne un’epoca in cui le frumentarie
+di Roma che esportarono i loro grani nei più lontani paesi, dovettero
+chiedere anch’esse un alimento vergognoso al loro fertilissimo
+suolo. Il Governo ne procacciò dalla Gallia, dal Chersoneso-Taurico,
+dall’isola di Cipro, dalla Beozia, dalle Baleari, dalla Spagna,
+dall’Egitto e dall’Africa. Il Mediterraneo divenne il vero lago
+romano, facile via dai paesi frugiferi lontani. Si creò il Prefetto
+dell’Annona, magistrato importante che veniva subito dopo i Consoli.
+Era suo còmpito mantener l’abbondanza nell’Urbe. Pompeo ne fu investito
+per cinque anni; ebbe quindici luogotenenti scelti tra i senatori;
+ed al còmpito immenso aggiunse un potere immenso che gli permetteva
+disporre a libito del pubblico tesoro, di muovere eserciti, di armare
+navigli, e di essere nelle provincie il sopra ciò dei governatori
+medesimi. I grani si prendevano per contribuzioni o per compra. Si
+tenevano in serbo nei paesi frumentari e a seconda del bisogno una
+flotta speciale, detta _sacra_, li trasportava pel Tevere inferiore
+alle falde del monte Aventino, ov’era un porto che addimandavasi
+_Navalia_.
+
+Una magistratura così potente non poteva piacere all’ombrosa monarchia
+repubblicana dei Cesari. E questi istituirono gli Edili nelle Colonie
+e i Pretori Cereali nell’Urbe. Nelle prime erano gli eletti del popolo.
+In Roma lo imperatore gli sceglieva tra i patrizi a lui più devoti.
+
+Allorchè Caio Sempronio Gracco salì al tribunato propose una legge,
+mercè la quale il grano sarebbe stato distribuito al popolo in ricambio
+di un _triens_ — circa quattro centesimi di lira — per ogni modio,
+mentre al Governo costava un denaro, cioè settantotto centesimi.
+Cotesta legge, basata sulla eguaglianza, era iniqua nell’applicazione,
+perchè demoralizzava le masse e ruinava il Tesoro. Ho letto su
+parecchie pietre funebri del tempo, PERCEPIT FRUMENTUM, volendo gli
+eredi del quivi sepolto attestare con orgoglio com’egli avesse fruito
+della più bella prerogativa del cittadino romano, l’essere stato
+nudrito a spese dello erario pubblico. Un altro tribuno, Marco Ottavio,
+l’abolì e vi sostituiva la nuova che ammetteva alle distribuzioni
+dell’Annona i soli necessitosi. Al cominciar della guerra sociale,
+Livio Druso ravvivò la legge Sempronia che fu in seguito modificata
+dalla legge Terenzia-Cassia. Clodio Pulcro limitò con una nuova legge
+le liberalità frumentarie ai soli plebei proletari, e tolse un’arma
+affilata dalle mani degli ambiziosi che in un popolo affamato avevano
+sempre una milizia pronta allo insorgere e ai delitti. Gli è perciò che
+dopo una grande carestia, Augusto ridusse a dugentomila il numero degli
+ammessi all’Annona e donò dodici _frumentationes_ — una distribuzione
+per mese — di proprio.
+
+Così in Pompei. — Sotto il portico del Foro i gratificati andavano a
+far constatare il loro diritto e ricevevano l’ordine di distribuzione
+in una _tesserula_, su cui era notato il giorno da presentarsi. Gli
+Edili facevano misurare a quel portatore cinque modii di grano. I quali
+pesavano in media centocinque libbre e per conseguenza ne producevano
+almeno ben centotrenta di pane. Il pane cotidiano era adunque del peso
+di quattro libbre e quattro once, ossia diecisette once per bocca,
+supponendo una famiglia composta di tre individui. Cui aggiunti i
+lupini, i ceci, i legumi che si avevano per poco; e le sportule e il
+_panariolum_ che i patroni facevano dare pieni di carni e di pesci di
+mediocre qualità, sul vestibolo delle loro case, alla folla affamata,
+questa sì che poteva vivere; ma l’abbiettezza cresceva e la corruzione
+ancor peggio.
+
+Cneo Vibio è avvertito che una donna al di fuori chiede parlargli. Esce
+e vede Eulamia, la nudrice nella casa di Demophilo, che lo avvisa come
+la sua padrona lo attenda nel tempio di Venere. La buona ed affettuosa
+vecchia era contenta; non capiva in sè dalla gioia. E nello andar via
+per raggiungere la sua figliuola di latte, parlava tra i denti frasi
+inarticolate, accompagnandole con sorrisi e gesti che significavano
+forse lo avvenire festoso cui essa credeva.
+
+Anche Vibio corse all’aperto. E risaliva dal porto alla città scuotendo
+dall’anima la melanconia sospettosa che invischia i pensieri di chi ama
+potentemente e teme. Lungo il tragitto, tutti lo salutavano. Egli però
+alcuno non vide. Nè anche il selciato pareagli più quello che con passi
+indifferenti tante volte aveva calcato. Tutto prendeva un’anima. Tutto
+si trasformava al suo sguardo. Perchè dietro quelle mura che cingevano
+il tempio e fra quelle colonne di stucco era la donna che sola a lui
+donna sembrava, eravi il cuore per cui notte e dì il suo pur palpitava.
+
+Nel varcare la soglia, ei la vide seduta sur un banco sotto il portico
+a sinistra. Nell’atto che vèr lei corse, essa levossi. E in tutta la
+sua gentile persona era una gaiezza serena, luminosa, infantile come la
+speranza, rischiarata dal suo sguardo azzurro e profondo.
+
+— Ebbene, ζωη και ψυκη, dolcissimo amore, qual nuova?... Che rispose
+tuo padre a Babinio?.... E tu, richiesta, che a lui?... Ei, cittadino
+romano,... tu mia eguale.... sai?... —
+
+La bellissima fanciulla distese la piccola mano affilata e bianca che
+risplendette come una perla sulla mano bruna di Vibio. Quindi:
+
+— Tutto so, o mio... Il padre lieto, e io lieta.... Ciò venni a
+dirti.... Oh! I nostri cuori sono le due ali che sollevano un’anima
+sola sino al trono di Venere Urania che a noi arride propizia. —
+
+Quella soave creatura era tale da avvinghiare immediatamente un cuore,
+e più e più quello che allor batteva dinanzi a lei i segni della vita
+e della felicità piena. Ella era in una età in cui le impressioni sono
+vertigini. Aveva biondi i capelli — non di quel colore rossastro od
+ardente che venne alla moda dopo il conquisto delle rive del Reno e
+che procurò ricco mercato a chi portò in Roma, in Capua, in Herculanum,
+in Pompei le capigliature dorate delle donne dei Catti, dei Sicambri e
+dei Germani. — Le sue chiome erano un’aureola che rivelava inquietanti
+delizie alle bocche che vi si sarebbero posate. I suoi occhi cilestri,
+da cui veniva un così dolce lume e tanta soavità di sguardo, erano
+carichi di carezze, di amplessi, di baci. Il naso piccolo e un po’
+sollevato aveva un sorriso come l’hanno le labbra; ed anche queste,
+spiranti nella breve curva la innocenza e il candore; ed il collo
+svelto ed alabastrino; e la persona spigliata; e le proporzioni delle
+statue di Fidia; e la grazia decente dello incesso trasportavano
+l’anima nelle regioni armoniose dove si obliano tutte le amarezze della
+vita.
+
+Pompei era invero la città del mondo in cui la grande divinità pagana
+— che ogni culto posteriore non seppe mai disertare — era adorata con
+entusiasmo maggiore. Vibio anch’esso nella età prima aveva sacrificato
+alla onnipotente iddia. Ma la sua sviluppata intelligenza e il suo
+fine criterio avevano calmato le irrequiete smanie e dettogli che pur
+erano nella vita migliori problemi da sciogliere. La religione antica
+l’ebbe tra i suoi miscredenti. Le sensazioni del cuore gli aprirono un
+più largo orizzonte. Studiò i principii della fede novella. Sfatò ciò
+che gli parve vaporosa illusione e fanatismo di neofiti. Pur l’uomo per
+lui rimase uomo, e di tutti gli dei compose un solo dio — dio clemente,
+misericordioso, benefattore.
+
+Or, un giorno lo amore — il quale non ha poi nel turcasso quei dardi
+avvelenati che i poeti melanconici vi hanno immaginato — usò una delle
+sue solite ribalderie, e fece passare dinanzi i suoi sguardi la bella
+ed innocente Melissæa. Stimava molto Demophilo. Ed ei carezzò quel suo
+fiore bellamente sbocciato nella solitudine della sua mente. A poco a
+poco una passione profonda germogliò in quel cuore meridionale. Essa
+divenne il suo dio. Essa, la sua Venere celeste. — Giovanezza — beltà
+— grazia infantile. — Tutto il fascino di un amore che non costava
+nulla alla virtù. — E poi egli amava la donna per intuizione, e il
+matrimonio per istinto. Melissæa era bionda, ed il bruno eragli odioso.
+— E nel vero cosa è il bruno? È l’ombra. È la negazione della luce.
+È una tinta, e nessun colore. Venere era bionda. È biondo l’oro. La
+fanciullezza e ciò che scintilla e che allegra son biondi. — La rivide
+tra i fiori dello xysto. La seguì una sera nel Pago Felice come si
+segue febbrilmente il filo di un sogno dorato. E assaporando un dolce
+avvenire; ebbe orrore della tenebra che il circondava. Un violento
+slancio dell’anima interrompeva l’ordine del tempo e gli mostrava
+le ore ancora velate della sua esistenza. Un giorno nell’Odeon cadde
+dalle mani di Melissæa una rosa di Pœstum, bella ed odorosa come il suo
+cuore. Ei la raccolse e la chiuse nelle pieghe della sua veste. L’atto
+non isfuggì alla fanciulla, e i loro occhi dissero a vicenda come in
+tal momento il nodo della vita allacciasse due disparati destini.
+
+Cneo Vibio, alto della persona, di piacevole aspetto, non pativa
+tristezza di cuore. Quelle del cervello non le aveva conosciute mai.
+E nei suoi occhi scintillava una dolce magia, un certo lume sorridente
+— dono del fato, o dono degli atti, che attira le anime piacevolmente
+e trasforma i casi che occorrono in nuvole leggere. — E per dir tutto,
+era nella età felice per gli uomini pubblici e per gli artisti, in cui
+il sole della vita rischiara il sommo dell’uomo — la fronte — siccome
+in quella ora del giorno illumina di luce più concentrata ed attraente
+l’alta cima dei monti.
+
+— Tu sei la mia iddia, o soave amore. Felice il mio tetto che ti avrà
+padrona e signora. Vedi! Non è gocciola del mio sangue che non mi parli
+di te. Non una idea delle mia mente che non irraggi della passione che
+mi arde.... Dicono che un dio nascesse — imperante Ottaviano Augusto —
+in un povero presepe in Galilea. E che le stelle il sapessero. E che le
+foreste il salutassero. Ebbene! Quanto or mi circonda è ai piedi dello
+amor ch’io ti giuro.
+
+— Le parole che tu mi dici, e che dentro io bacio e ribacio
+segretamente, sono le perle della corona che il tuo cuore pose sulla
+mia testa, e che mi rende fiera e felice. Io guardo gli altri con
+un’aria di regina... il titolo che la tua mente mi diede.
+
+— E lo avrai sempre, o amante e presto sposa. Quest’ora beata non
+dovrebbe volare. Afferriamone le ali, che sono i ricordi. Più tardi li
+premeremo sui nostri cuori come la mano purissima che a me porgi, patto
+di felicità durevole oltre la tomba.
+
+— _Vale_, o mio. Gli dei della patria ti sieno propizi. —
+
+Ed ambedue, colla espressione della gioia sul volto, ripresero la via
+delle loro case.
+
+C. Helvio Babinio trovò lo amico consapevole e nella gioia maggiore.
+Combinarono che la domanda si farebbe per lettera, e che un’assemblea
+di parenti e di fedeli andrebbe ad offerirla a Demophilo e fisserebbe
+gli articoli del contratto sopra le _tabellæ legitimæ_, quelle
+tavolette che essi avrebbero poi suggellato coi loro _symboli_, come
+marchio di guarentigia.
+
+I Digesti riconoscevano _justum matrimonium_ la unione legale composta
+in tre diverse maniere. La prima dicevasi _usus_ — per abitudine o
+per prescrizione — allorchè una donna col consenso dei suoi parenti
+conviveva con un uomo per un anno intero _matrimonii causa_. E se
+questi non fosse assente per tre notti da lei, essa diveniva la sposa
+legittima e dicevasi _usu capta fuit_. Ma se avveniva il _trinoctium_,
+la prescrizione era interrotta, la donna era dichiarata libera perchè
+_usurpatio est usucapionis interruptio_. — L’altra addimandavasi
+_confarreatio_, cioè consacrazione, allorchè il diale di Giove
+benediceva al matrimonio, in presenza almeno di dieci testimoni,
+prendendo il frumento dalle mani della sposa — _far_ — impastandolo
+coll’acqua piovana e formandone una focaccia, cotta sotto le ceneri
+dello altare. Quel _panis farreus_ o _farreum libum_ era assaggiato
+dal sacerdote, lo divideva tra gli sposi, esprimendo con questo sacro e
+comun cibo come omai tutto dovesse essere mutuo fra essi, amaritudini e
+gioie. Le libazioni si facevano di vino melato e di latte. S’immolava
+quindi un montone, avendo cura di gittar via il fiele della vittima,
+a significare che ogni agrezza dovesse essere bandita nel coniugio.
+Siffatta specie di unioni era però principalmente in uso fra i ministri
+degli dei, sì perchè gl’ipocriti non ammettevano innovazioni nei
+costumi antichi — rotta una maglia, ei dicevano e dicono in tutte le
+lingue, addio rete per accalappiare i gianfrulli — sì perchè era la
+sola unione che sapesse dare alle mogli loro il diritto di esser socii
+al loro ministerio e di partecipare ai profittevoli riti. Dicevasi
+_defarreatio_ il divorzio. Se il marito moriva senza figliuoli e
+senza far testamento, la donna ereditava i suoi beni quasi propria
+figlia. Altrimenti coi nati suoi prendeva parte in eguale divisione.
+Nel caso di mancanze, il marito la giudicava in presenza dei parenti
+di lei. Se condannata dalle leggi, veniva pubblicamente abbandonata
+al castigo della famiglia. I nati da siffatta unione potevano essere
+scelti flamini di Giove e vestali. Ed erano detti _patrimi_ i bambini
+che avessero vivente il solo padre, e _matrimi_ quelli che la madre
+soltanto. Ed assumeva il nome di _pater patrimus_ quel cittadino che
+avesse contentamento di figli durante la vita del proprio genitore. —
+La _coemptio_ era una maniera di unirsi per reciproco contratto. L’uomo
+e la donna si presentavano al magistrato insieme con cinque testimoni,
+cittadini romani e puberi e il pesatore delle monete che assisteva a
+tutte le vendite — il _libripens_. — Essi ricambiavano un asse — sei
+centesimi di lira — e lo _speratus_ diceva alla sua _sperata_:
+
+— _An mihi mater familias esse velis?_
+
+— _Me velle._ —
+
+La donna faceva all’uomo una simile domanda; la _venditio_ era compita.
+La _sponsa_ acquistava sul suo sposo i diritti di figlia, e quegli
+tenevale luogo di padre. Laonde cominciava a chiamarsi per esempio
+HERENNIA EPIDIANI — SABINA BIBULI — DELPHIA AGATHEMERI. E riconoscendo
+il marito per padrone, chiamavalo _dominus_. Se aveva un patrimonio
+oltre la dote, quei _bona paraphernalia_ li rimetteva al suo signore.
+Ma questi erano poca cosa nei primi tempi; poichè il senato all’orfana
+di Scipione Africano diede per dote undici mila assi di rame, pari a L.
+852.50 di nostra moneta.
+
+La sposa talvolta _in usum suum reservabat_ una porzione della dote
+ed uno schiavo — _servus receptitius_, sul quale lo sposo perdeva la
+potestà.
+
+Oltre questo matrimonio plebeo — _pro emptione_ — che poi divenne
+la unione generalmente in uso — un padrone coniugato poteva avere la
+_concubina_, cioè la donna da lui amata, la donna di mezzo matrimonio
+che le leggi riconoscevano. Però, a mal suo grado, essa aveva il
+libito di sposare un altro, ove cotesto le convenisse. — Gli schiavi
+si univano per promessa reciproca, detta _contubernium_. I liberti
+chiamavano _pellam_ la donna che con essi viveva. E le congiunte
+per _confarreatio_ erano dette _matronæ_. Quelle per _coemptio_ si
+gloriavano di essere _matres familias_.
+
+È festa nella casa di Demophilo. Cneo Vibio e gli amici vi sono
+convenuti alla prima ora del giorno che rende gli sponsali migliori e
+più favorevoli. Il duumviro _jure dicundo_ L. Giulio Pontico presiede
+all’atto solenne. Uno scriba redige il contratto. Il padre concede alla
+sua cara figliuola la dote di _decies centena_, cioè, un milione di
+_sestertia_ — pari a L. 193,749 — da pagarsi in tre periodi, il primo
+dei quali avrebbe luogo il giorno del matrimonio. Demophilo aveva fatto
+inoltre un ricco presente a Melissæa di vesti, di pietre incise e di
+monili d’oro.
+
+Già da lungo tempo gli auguri avevano cessato di combattere la volontà
+degli uomini in nome della divinità. Quegli impostori non erano più
+curati da alcuno. Ma, sfacciati e impudichi, non mancavano di far
+gli auspicii per conoscere la volontà suprema, allorchè trattavasi di
+ricchi sponsali. E Thelestis si presentò, facendo smorfie ed inchini
+e dicendo avere il giorno innanzi sacrificato al cielo e alla terra
+— come ai primi sposi; — ed a Minerva, la iddia della verginità; ed a
+Giunone propizia ai casti connubi. Egli aveva veduto nel cielo i segni
+favorevoli. E poichè nessuno ne lo consultava, stimavasi fortunato nel
+poterli nunciare. Gli era un di quei luridi frati dei tempi nostri
+che la melonaggine dei ricchi peccatori e delle vecchie adultere
+ingrassa insieme col popolo ignorante e supino. Quale la differenza
+tra gli antichi e i moderni? Questi borbottano finanche le stesse frasi
+latine. — Demophilo in tanta domestica gioia, voleva dargli il buon da
+scialare. Vibio non lo permise, e il fe’ cacciar via dai littori.
+
+Allora Giulio Pontico chiese all’herus della casa se consentiva
+_despondere filiam suam_. L’altro, annuendo ai voti per quelle nozze,
+aggiunse:
+
+— _Quæ dii bene vertant._ —
+
+E il primo gravemente riprese:
+
+— _Sponsalia et nuptiæ_ non si contraggono che col libero assentimento
+delle due parti. Ed una fanciulla può resistere alla paterna volontà
+nel caso che il padre le offra a suo sperato, e sposo un uomo notato
+d’infamia o che meni una riprovevole vita.... Hai tu, o Melissæa, a
+muover lamento di tal fatta?... Poichè non rispondi, e non ti rifiuti
+alle nozze, è segno che tu consenti. —
+
+E richiese partitamente ad ambedue:
+
+— _An spondes?_ —
+
+E quei felici replicarono colla favella del cuore:
+
+— _Spondeo_. —
+
+Era la formula della stipulazione che tutti fissavano sulla pergamena
+col loro suggello. Vibio trasse dalla sua veste un anello d’oro
+massiccio, ottangolare, traforato a giorno con sottile artificio che
+nel mezzo di una linea ovale aveva cotesta leggenda in greco:
+
+ ΑΦΡΟΔ
+ ΓΕΝΕΤ
+ ΔΟΣ
+
+Melissæa accettò quella garanzia del suo amore, quel segno che
+moralmente li faceva un essere solo; e subito lo pose nel dito
+mignolo della mano destra, perchè credevasi che vi fosse un nervo
+corrispondente da quel dito al cuore. Quel semplice dono dovea sempre
+precedere il matrimonio.
+
+Convenne fissare il giorno delle nozze. Il calendario romano aveva
+segnato col nero i dì infausti — le calende — le none — gl’idi —
+quelli che immediatamente li seguivano — i parentali che ricordavano
+i funerali paterni — e in generale tutto il mese di maggio. Bisognava
+adunque far correre tutto quel mese e la metà del seguente, ch’era
+dichiarata l’epoca più felice. — Nello intervallo gli _sponsi_ potevano
+_infirmare sponsalia_, cioè rompere i fatti accordi collo scrivere
+coteste parole: _Conditione tua non utor_. Era il _repudium_ che
+annullava ogni promessa. Ma Vibio e Melissæa non sarebbero stati capaci
+di dir quella frase. Il loro sguardo ed il loro sorriso favellavano
+le promesse immortali; avvegnachè il vecchio monarca di questo mondo,
+ricciuto, rosso per belletto e azzimato, padre alla menzogna ed allo
+egoismo, non li avesse mai ammaliati e sedotti. La sposa trasse dal
+seno una piccola _bombilia_ di cristallo di roccia, piena di essenza
+odorosa e la offerse al re del suo cuore. Ei l’annusò e fe’ un cenno
+cogli occhi. Erano uno. Poteva ringraziare sè stesso? Aveva sentito su
+pel cervello le carezze senza rimorsi delle ninfe espansive racchiuse
+nel prezioso dono della sua gentile regina. Tutti escirono con lui.
+
+— Mio caro collega, se ogni fanciulla somigliasse a quella alla quale
+tu desti la fede, lo imperatore non avrebbe bisogno di promulgar leggi
+per costringere la gente togata a menar moglie.
+
+— Giulio Pontico, ben dici. Ma tu hai tre sorelle che rassembrano le
+cugine di Venere e di Minerva. Nè occorrono editti per toglierle dallo
+stato smanioso della nubilità. E so che non passeranno lunghi mesi
+e saranno le spose. Hanno parenti raccomandati dalla virtù. E la tua
+famiglia è tale a fornir ricche doti.
+
+— Lo penso. E ciò mi toccava il cuore quando pronunciava le parole
+formali. Vedi! lo amor di famiglia nel cuore delle fanciulle è come una
+gocciola. Scuotila e cade.... Dev’essere così!! —
+
+Manio Acilio, soffermandosi alquanto dinanzi la bottega del farmacista
+— occupante uno degli angoli della insula triangolare della via Domizia
+— disse con voce bassa a Quinto Lepta — suo socio nella testimonianza
+degli sponsali — in modo che chi camminava non lo sentisse:
+
+— Parlano a maraviglia, l’uno perchè non ha sorelle, e l’altro perchè
+il padre riccamente le dota. Certo, grossi partiti non mancheranno.
+Or si negozia nel menar moglie come per la compera di una casa, di un
+podere, o di due cavalli africani. I _sestertia_ sono le principali,
+anzi le sole virtù che si cercano in una donna.
+
+— Guai.... oh! guai per colui che le sposa ricche. _Dotata regit
+virum._ Il loro orgoglio, le loro esigenze sono una catena pesante
+a tirare. Vespasiano come dà il grano alle famiglie, dovrebbe pur
+dar le doti. Allora l’amore matrimoniale riprenderebbe il disopra,
+e la cospirazione della saviezza celibataria cesserebbe, e tutti
+tornerebbero egualmente a pagare cotesta patriotica gabella. Ma gli
+è avaro ed ingordo. Compera e rivende. Nè si vergogna di far pagare i
+magistrati a chi li chiede e le assoluzioni ai ricchi colpevoli. De’
+rapaci proconsoli fa uso di spugna; risecchi gli manda ai migliori
+uffizi perchè si bagnino bene e — quando ripieni — gli strizza a suo
+pro.
+
+— Che! Tu a torto lo ingiuri. Dovette angariare i popoli per necessità.
+Dovette punire i ladri per dovere. Fatto imperatore e trovato il fisco
+e lo erario povero e vòto, volle ridurre la repubblica nello stato
+di prima e fare che la rimanesse in piedi. E dei denari ingiustamente
+presi fece ottimo uso. Non sostentò i bisognosi cittadini consolari,
+dando loro un annua provvigione? Non rifece le mura e gli edifizi
+di molte città, guaste dal tremuoto e dalle arsioni? E qui ne hai la
+prova.
+
+— Sia che vuolsi. Eh! non basta. Saria d’uopo che il pontefice massimo
+— sì buono e pio come tu pensi — ottenesse almeno da Venere fisica il
+favore speciale e perpetuo per le genti latine che tutte le giovanette
+fossero belle. Allora sì che lo Stato avrebbe ragione di confiscare le
+successioni devolute ai celibi ostinati.
+
+— Bando agli scherzi. Nel disordine generale dei costumi e delle
+abitudini il carico di una moglie può patirlo un cavaliere che abbia
+spogliato una provincia come Verre, o tratto un re vinto dietro il
+suo carro trionfale, od empito la sua casa e le sue ville di schiavi.
+Le donne si contentavano un giorno dei profumi campani. Ora se non
+vengono dalle Indie, li gittano schifate alle loro liberte, e conviene
+surrogarli con quelli che — a parola di chi gli spaccia — furono
+trasportati in Italia malgrado la collera di Nettuno, gli artigli dei
+dragoni alati e le zanne delle bestie feroci.
+
+— E i diamanti? E le perle? E le gemme incise? E gli anelli che cingono
+tutte le articolazioni delle mani, e che si cambiano in ogni giorno
+della settimana?
+
+— E sì! Tiberio se n’ebbe a scandalizzare, e di Capreas ne scrisse al
+Senato. Ora la seta tessuta nell’India, sfilata e ritessuta col lino
+e colla lana nell’isola di Cos, _ventus textilis, nebula_, e così
+trasparente, che se non stretta al corpo con mille pieghe, mostrerebbe
+la dermide a traverso, la sfatano. Vogliono _vestis holoserica
+bombycina_, tutta filata dal verme.
+
+— Oh! in quanto a me son lieto di facili e poco spendiosi amori. La
+bella iddia gli sostenga, ed Iside gli aiuti. Sai? Sulle corna dei buoi
+cattivi sogliono legare fascetti di paglia per avvertire chi passa a
+non accostarsi....
+
+— Intendo. Nelle fanciulle inquiete e vogliose del nodo erculeo vedi
+il fieno sui corni.... O, lascia ch’io saluti Pontico e Vibio che sulla
+rivolta tendono al Foro. Io vado da Quinto Poppæo pei suffragi. —
+
+Ai passi frettolosi, gli altri si fermarono, i magistrati si volsero,
+e tutti si strinsero amicalmente le mani e si salutarono. Quale per una
+via, quale per un’altra.
+
+Ma Lepta, camminando sul margine laterale del tempio alla Fortuna
+Augusta, e ripensando ai lieti amori di Acilio, inaccessibili alle cure
+ed al carico della famiglia, considerò valer meglio per lui il visitare
+la donna del cuor suo che mendicare i voti dallo edile per le prossime
+elezioni. Alla vanità il domani. Discese la lunga strada, voltò in
+quella Deciale che mena alla porta di Stabia, torse i passi a sinistra
+e si volse a diritta verso la porta di Nola. Quella parte della
+città era un laberinto di sentieruoli stretti, colle mura delle case
+puntellate; e sotto, tegole rotte e marmi spezzati, sparsi sulle corti
+e persino sui tetti degl’impluvii. Le dimore dei ricchi erano intatte
+od ancora nelle mani degli artefici. Tratto tratto parecchie case
+colle aderenti botteghe escivano bianche e ristorate dalle concomitanti
+ruine. Qua e là, alcune donne, dagli occhi neri, espressivi, e dalle
+bocche fine e graziose, frenando i loro vivaci bambini seminudi,
+si facevano sugli usci e sorridendo mestamente a lui che passava,
+dicevano:
+
+— Sii il benvenuto in questi luoghi desolati. La tua gravità, la
+tua eccellenza abbia pietà delle nostre disgrazie. Se sei uomo di
+pubblico affare — le tue sembianze dicono che tu il sia — ripara a
+tanta miseria. Le volte crollarono. Le mura hanno lesioni. Se piove,
+l’acqua c’infradicia. Gli è come dormir sulla via. Fa’ che non
+s’invidino i morti sotto le macerie. Venere ti sia propizia, o nobile
+pompeiano. —
+
+Per un cuore innamorato le parole delle donne colpite dalla sventura
+sono come le lacrime voluttuose che caddero dalle chiome della iddia di
+Pafo al subito uscire dal mare. Le prime inteneriscono. Le altre fecero
+sbocciare le rose sotto i piedi divini. I suoi pensieri inebriati
+dal profumo di una donna lo trassero ad atti di carità che in altra
+circostanza avrebbe negato. Sciolse i nodi della _manticula_ e tanti
+assi e tanti denari vi trovò, tanti ne diede. Disse non esser egli
+magistrato. — Sperarlo. — Ma amico degli amministratori della Colonia.
+Sapere che dall’Urbe sarebbero venuti soccorsi e provvidenze. Le povere
+famiglie si racconsolarono.
+
+Gli Oschi — i primi abitatori di questa contrada — sapeano per
+tradizione come il monte soprastante al golfo avesse bruciato da tempi
+immemorabili. E perciò lo chiamarono _Vesbius_, che valea quanto dire
+_fuoco estinto_. L’ultimo suo incendio però era ignoto ad ogni poesia.
+Solo supponevasi che in tale circostanza fosse stato colmato il vasto
+e lungo golfo che per lo stretto dell’antica Marcina si congiungeva
+al mare di Salernum, dando così origine alla immensa pianura di Nola,
+di Nuceria e di Sarnus. Corsero secoli, e il monte si cinse per ogni
+lato di fertili campi, di verdi pampini, il cui frutto generoso empiva
+del suo succo le anfore. Sui pianori, sul pendìo delle sue amene
+colline erano sontuose ville coi terrazzi, colle torri per godere
+lontane vedute, coi giardini creati dagli schiavi _topiarii_, adorni
+di statue, cinti da piante fronzute e verdeggianti ed intersecati da
+ruscelli e da laghi. Un giorno, ai tempi della congiura di Catilina,
+Marco Herennio, decurione di Pompei, cadde morto nel Foro, colpito dal
+fulmine. Il cielo era sereno. Il sole, raggiante. Cicerone compose su
+quel fatto strano due pessimi versi ridicoleggiati da Crispo Sallustio.
+E nessuno seppe indagare la causa di quel fatale avvenimento. In vero,
+la folgore dovette provenire dal soverchio elettricismo adunatosi
+nel monte. Nell’anno 803 di Roma — pari al 50 dell’êra nostra — i
+tremuoti cominciarono ad affliggere la Campania. E nel 63 — due lustri
+prima dei casi che narro in coteste pagine — la scossa del suolo fu
+terribile, continovata e fatale. Nerone imperatore trovavasi nel teatro
+di Neapolis, canterellando colla chioccia voce un’aria sua favorita.
+In lui potè più l’arte mal coltivata che la vigliaccheria d’istinto. E
+quantunque il _visorium_ pieno zeppo di spettatori ed il _proscenium_
+traballassero, non volle imitare quelli che escivano a furia, finchè
+non ebbe terminato il suo trillo. Erano le none di febbraio, cioè il
+dì cinque di quel mese, quando le città e gli oppidi sedenti sulle
+rive, che formano col loro incurvamento il ridente cratere partenopeo,
+furono maltrattati dal violento flagello. Una parte di Herculanum venne
+distrutta; un’altra screpolata e guasta. La colonia di Nuceria, se
+non rovinata, malconcia. Neapolis soffrì perdite piuttosto particolari
+che pubbliche. Molte case di campagna risentirono scosse senza gravi
+effetti. Stabia ed Oplonti ruinarono. Pompei fu devastata. Le statue
+del Foro caddero dai loro piedistalli. La morìa degli abitanti sommò a
+parecchie migliaia. Un gregge di seicento pecore fu schiacciato sotto
+le macìe. E i campi vicini si videro funestati da gente errante priva
+di conoscenza e di sensi. La misera città rimase per qualche giorni
+deserta. Quindi risorse a poco a poco più bella dalle rovine. Alcune
+case si ampliarono; giunsero decoratori di ogni parte; il commercio
+straniero rifiorì più che mai. La pietà dei congiunti surrogò le
+cornici e le tavole di marmo agli ornamenti di tufo, o di stucco dei
+sepolcreti. Il bigottismo di Nonnio Popidio Celsino fece ricostruire
+di proprio il tempio d’Iside. I devoti ripararono il portico del Fano
+di Venere protettrice, cangiandone l’ordine in un corintio di fantasia;
+il fregio dorico fu ricoperto di stucco; una statua nuova rimpiazzò la
+spezzata; e nuove pitture dai vivi colori, rappresentanti paesaggi,
+ville sontuose — come l’Isola Bella sul Lago Verbano — interni con
+figure alle quali l’artista die’ teste d’uomini a corpi di fanciulli —
+riabbellirono le pareti del porticato. I duumviri Sepunio Sandiliano ed
+Herennio Epidiano sul lato della gradinata che mena alla edicola fecero
+collocare a loro spese una colonna ionica di cipollino sormontata da
+un quadrante solare. Il tempio greco nel Foro _Hecatonstylon_, il più
+puro degli edifici pubblici in Pompei, venne completamente restaurato
+dai commercianti e dedicato a Nettuno, il dio che favoriva i loro
+grossi guadagni. Le Terme furono riparate per le prime dai munifici
+cittadini. Ed il tremuoto avendo assai danneggiato il tempio di Giove e
+il colonnato del Foro, i duumviri ordinarono che le colonne doriche del
+portico ch’erano di tufo si ricostruissero di pietra calcarea, e pur
+di travertino si selciasse il parallelogrammo dell’area. Le statue che
+decoravano i piedestalli furono provvisoriamente serbate in un vasto
+pubblico edificio.
+
+Nel periodo di quasi tre lustri molte erano state le novità incresciose
+e consolanti nel mondo romano. Laodicea, grossa città dell’Asia, erasi
+rovinata per tremuoti, al pari di Pompei e di Herculanum, e di proprio
+rifatta. Puteoli, terra antica, rinomata da Nerone, poi che colonia. In
+Tarentum ed in Anctium, posti a guardia vecchi soldati per ripopolarle
+coi lor maritaggi, furono diserte da quei raccogliticci, insofferenti
+di famigliari cure. Nerone, stanco di Ottavia, aveva sposato la
+concubina Poppæa, sposa ad Ottone, che amandola, mal suo grado glie la
+concesse. Ma l’ira del popolo lo incitò ad un ripiego. E chiamato a sè
+Aniceto:
+
+— Tu mi campasti dalla madre insidiatrice. Fammi minore servigio.
+Levami dinnanzi la odiata moglie. Nè mani. Nè ferro. Testimonia
+averlati goduta. —
+
+Il dirotto in mal fare confessò il vitupero. N’ebbe a premio dovizie
+e confino in Sardinia. E la casta donna, lacrimosa più che per mille
+morti, partì per la Pandataria. Aveva venti anni. E colà i soldati
+le segarono le vene. Nell’816 nacque dalle nuove nozze una figlia in
+Anctium, e questa dopo quattro mesi morì. Furono chiamate Auguste
+ambedue. E le pazzie pei natali e pel lutto, sì di Cesare che del
+senato, furono fatali ai dignitosi ed onesti. Egli, per consolarsi,
+cantava vestito da Apollo, o da femmina. E forzava gli applausi. E
+cominciò i mangiari in pubblico. Fra due colli era il lago di Agrippa;
+e sulle acque fe’ costruire un tavolato, mobile, ove pose il convito,
+tirato da triremi, commesso d’oro e di avorio. Remavano cinedi, maestri
+in libidine. Erano tende rizzate sulle rive con matrone e sciupate
+ignude. Cessata la imbandigione e venuta la notte, i boschetti e le
+case dei colli risuonarono di canti; e i falò illuminarono la scena.
+Aocchiato uno stallone in quella mandra vituperata, lo volle marito. E
+Pitagora fu lo sposo di Cesare per le ceremonie di uso. E lo imperatore
+del mondo coprì il capo di velo giallo. Udì gli augurii. Si decretò
+la dote. E i torchi scacciarono le tenebre attorno il letto geniale.
+Per frode del principe Roma bruciò. Fra il monte Palatino ed il Celio
+le botteghe piene di merci furono esca alle case. La vecchia viuzza,
+i torti quatrivi, preda alle fiamme sui colli e sul piano. Grande la
+morìa. Ma gli scampati ricoverò nei palagi e nei templi. Fece venir
+masserizie da Ostia e rinvilì il prezzo del grano. Rifece il palazzo
+imperiale, di miracolo, per opera degli architetti Severo e Celere,
+con selve allo intorno, laghi e bellezze sopra natura. E surse l’Urbe
+nuova. E non più a vanvera come era dapprima. Ma larghe strade con
+traverse fatte a misura, con più larghe piazze. E per distrarre le
+ire popolari contro lo autor dello incendio — ignoto a veruno — furono
+stranamente puniti quali rei del delitto i palesi credenti alle parole
+del Cristo; i quali ne’ tormenti altri molti ne nominarono; — i preti
+avranno santificato anche questi? — e tutti furono uccisi in modo vario
+e spietato, quali nemici al genere umano.
+
+Una vasta congiura minacciò i giorni del mostro imperiale. Spillata
+la cosa e fatta certa, Caio Pisone, e i suoi amici, e gli affidati,
+e gl’insofferenti l’onta del nome romano empirono l’Urbe di mortori
+e il Campidoglio di vittime. — Una sera, tornato dal teatro, ove
+aveva cantato i suoi versi e chiesto in ginocchio, a mani giunte,
+le battute ed i plausi dal popolo, Nerone, crucciatosi con Poppæa,
+le die’ un calcio nel ventre pregno e la uccise. Ne fu dolente a suo
+modo. E salito in ringhiera, ne lodò alla folla le belle membra, non
+la virtù. — Tempeste e pestilenza desolarono Italia. Ma il signore
+del mondo era più grave di ogni malanno. E un bel dì i pretoriani
+stanchi lo abbandonarono solo nel palagio. Ond’egli impaurito fuggiva;
+e sentendosi inseguito, si appiatta dietro il muro di un orto, cerca
+trafiggersi, ma al grande omicida delle migliaia manca il cuore di
+spingere il ferro nelle viscere. Epafrodito, scrittor di memoriali, lo
+aiuta a morire. E il citaredo non lamenta lo impero, sì l’arte che in
+lui perde il migliore tra i suoi cultori.
+
+L’allegrezza nell’universale fu grande. La plebe coi cappelli in testa
+andò a zonzo per la città quasi di schiava fatta libera.
+
+Livio Ocellare, di Fondi, che poi si chiamò Sergio Sulpizio Galba,
+settuagenario e gottoso, proclamato imperatore da Vindice e dai suoi
+legionari, venne d’Iberia in Roma non molto gradito dal popolo,
+perchè vecchio, rigido, modesto, schiavo dei liberti, stretto di
+mano e brutto; nè accetto ai pretoriani, alle neroniane largizioni
+avvezzi, i quali più amavano i vizi che le virtù dei principi. Adottò
+a figliuolo e nominò Cesare Pisone Frugi Liciniano, giovane nobile
+e valoroso. E presentandolo alla folla e alle milizie, disse secco
+secco: — _Vir virum legit_ — cioè, con alquanta boria, espresse come
+un prode eleggesse un prode. E non parlò di donativo, nè di feste, nè
+di spettacoli, nè di baldorie. Quelle sue grinze accompagnate da tanto
+rigore antico non erano più di stagione.
+
+Ma Silvio Othone — compagno negli stravizi al morto principe, marito di
+Poppæa Sabina ceduta ed amata, sì che Nerone geloso l’ebbe a sbandire
+dall’Urbe e un distico famoso sentenziò Othone adultero della propria
+consorte — comperò l’animo dei soldati colla promessa di riserbare per
+sè quella pecunia che da essi fossegli conceduta. E tre dì poi dalla
+proclamazione di Pisone, questi e Galba morirono scannati nel Foro
+presso la voragine, ove M. Curzio erasi gittato in antico col cavallo
+ed in armi.
+
+La plebe corrotta, non capendo in sè dalla gioia, il salutò col nome
+di Nerone. E le prime epistole ai governatori delle provincie le
+sottoscrisse con siffatto cognome aggiunto al proprio. Ma già Aulo
+Vitellio — l’uom dalle prodighe cure — era proclamato imperatore
+dallo esercito di Germania. Othone se gli offre compagno e genero.
+Nemico egli era alle guerre civili e punto sanguinario. Pure dovette
+ire incontro coi suoi alle genti che Vitellio mandava innanzi. Fabio
+Valente coll’aquila della quinta legione per le Alpi Cozie; Cecina
+colla ventunesima pei monti pennini. Le due osti si azzuffarono.
+Scaramucciano in Cremona, in Brescello; ma la giornata fu grande
+presso Bebriaco in favore di Vitellio. Othone poteva ritentare la prova
+atroce, lacrimevole, dubbia coll’arrischiata virtù dei suoi. Non volle.
+Giudicassero di lui i secoli. Bevve acqua fresca. Tenne aperto l’uscio
+della casa. Dormì placidamente tutta notte. E in sull’alba ridesto,
+tastò la punta di due pugnali, ne scelse uno e se lo infilzò sul cuore.
+Fu arso e sotterrato incontanente dalla pietà dei soldati presso a
+Veliternum. Dopo 95 giorni d’impero morì a 37 anni, con fama di virtù,
+di molti vizi, e di aver promosso la morte di Galba, non per sete di
+signoria, ma per restituire la libertà perduta ai Romani.
+
+Il nuovo era uomo di ventre. Fu a vitupero chiamato lo Spintria,
+quando cogli altri giovani s’intrattenne nella corte di Tiberio in
+Capreas. E ligio a Caligola, a Claudio e a Nerone, ottenne magistrature
+e consolati, e da Galba il comando della Germania inferiore. Era
+sua gloria la gozzoviglia, e compartiva i suoi pasti in asciolvere,
+desinare, cenare e pusignare. E imponeva ai grandi di convitarlo. Ed
+ogni apparecchio non costava meno di cinquanta mila denari. È famosa
+la cena imbanditagli, dal fratello il dì del suo ingresso nell’Urbe.
+Vi consacrò un piatto, — il quale per la smisurata ampiezza ei chiamò
+lo scudo di Minerva — ov’erano mescolati fegati di scaro, cervella di
+fagiano, lingue di psittaci, latte di murene. E vi furono consumati
+duemila pesci elettissimi e settemila uccelli. Nè men fu crudele che
+ghiotto. I possibilmente rivali, avvelenati, ed alcun di sua mano.
+I creditori e gli usurai suoi, uccisi alla sua presenza per pascer
+l’occhio — ei diceva — ed esser certo di averli saldati.
+
+Dopo otto mesi di tale imperio gli eserciti della Mesia, della
+Schiavonia, quel di Giudea e di Sorìa si ribellarono, obbligando la
+fede a Flavio Vespasiano. Vitellio ne impaurì. Tentò un’abdicazione
+a pro di ogni scelta, e comperò la salute da Flavio Sabino e dai suoi
+Reatini. A tradimento condottili al Campidoglio, gli arse nel tempio
+di Giove, nell’atto ch’ei banchettava nel prossimo palazzo di Tiberio.
+Approssimantisi le coorti, mandò loro innanzi le vestali per chiamar
+pace. Intanto fuggì per la campagna in compagnia del cuoco e del
+suo pistore. E tornato in casa sulla voce della vita consentitagli,
+abbandonato da tutti, rubacchiò in furia un po’ di oro, lo chiuse
+in una cintola e si fortificò nella stanza dell’ostiario. Colà lo
+trovò l’antiguardo e, lui piagnucolante trascinarono con una cavezza
+alla gola e, mezzo ignudo, giù per la Via Sacra, tra i dileggi della
+plebaglia che gli gittava sulla persona sterco e fango e lo chiamava
+incendiario e lecca-piatti. Finalmente, lancettato, pizzicato, urtato,
+ferito di lancia e di gladio, cadde morto a piè delle scale Gemonie.
+E trascinatala con un uncino, quella cosa sozza la scaraventarono nel
+Tevere.
+
+Come le materie da incendio accrescono le arsioni, così il nuncio
+della sua morte infellonì vie peggio la plebe. Le vie piene di
+cadaveri. I templi, di sangue. Per la scusa di trar fuori i nascosti,
+rovistati i palagi, frugati i ripostigli. E chi si opponeva ai soldati,
+ucciso. E la canaglia morta di fame, sfondava, bruciava, e gavazzava
+nell’insolente disordine, nello spietato carnaio.
+
+Il senato decretò a Vespasiano gli onori usati ai principi, e chiamò
+il nuovo imperatore Consolo insieme con Tito. L’altro figliuolo,
+Domiziano, fece pretore con podestà consolare. Flavio scrisse con
+modestia di sè, con magnificenza della repubblica.
+
+L’Urbe per le frequenti arsioni e rovine — ristorata un po’ da Nerone —
+era sformata, e guasta. Laonde, Flavio ordinò che i padroni dell’area
+vuota non edificando, chi volesse la riempisse di casamenti. Egli
+restituì il Campidoglio, e fu il primo a portar via sulle spalle
+corbellate di calcinacci, di cui ingombro era il luogo. E vi rifece
+tremila tavole di rame — già logore e quasi fuse dal fuoco — sui
+modelli e sulle scritture antiche di quelle. Non che uno inventario
+delle cose pubbliche dai tempi remoti, nel quale si contenevano le
+deliberazioni del senato, i plebisciti, le confederazioni pattovite, e
+i privilegi conceduti a chiunque, dall’evo romuleo sino allora. Rizzò
+il tempio della Pace sulla piazza; lo anfiteatro, secondo il modello
+ideato da Augusto; e il monumento al divo Claudio, incominciato da
+Agrippina e disfatto dal suo figliuolo parricida. Ridusse l’ordine dei
+cavalieri e dei senatori allo splendore antico e gli portò al solito
+numero, radendone le persone vili ed ignobili, e posti ne’ loro stalli
+uomini dabbene d’Italia e di fuori. Ed, occorse aspre parole tra un
+senatore ed un cavaliere, sentenziò, brutta cosa fare atto d’ingiuria
+ad uom del senato; ma rispondere ingiuriosamente a quelle ingiurie
+essere cosa lecita e civile.
+
+Mai dissimulò la bassezza dei suoi natali. Permise a tutti la libertà
+del dire, e fu tollerante verso chi malediceva di lui. Obliò di gran
+cuore le offese; nè temette le inimicizie o tolse via la usanza di far
+cercare coloro che venivano a salutarlo, se essi avesser armi nascoste,
+costume durato fin dai tempi della guerra civile.
+
+Si palesò però avaro ed ingordo. Addoppiò i tributi e si die’ a
+negozi da vergogna, quando anche fosse stato uomo privato. E’ pare
+che cotal difetto lo avesse di natura come quelli che arricchiscono
+dopo umiliante povertà e lunga. Laonde un vecchio bifolco — che a lui
+chiedeva lo affrancamento ed egli rifiutoglielo senza denari — rampognò
+lo imperatore col dirgli:
+
+— «La volpe muta il pelo e non il costume.» —
+
+Malgrado ciò, largamente pagò i maestri di retorica greci e latini,
+formò la sua corte di uomini dotti ed eccellenti nelle lettere e
+nelle arti, restituì i giuochi e le recitazioni antiche, premiò poeti,
+tragedi e citaristi.
+
+E in Falacrine, suo luogo natale, lasciò la casa che prima vi era, per
+soddisfare ai suoi occhi e ricordarsi con modesto orgoglio dell’antica
+dimora.
+
+Quinto Lepta, ancora commosso dalle miserie del popolo, entrò in
+una casa piena di melodia. Dal fondo, presso lo xysto, uscivano da
+una cetra i sospiri di un’anima stanca dalle ricerche delle gioie
+terrestri, gli accordi di una tristezza passionata, gli accenti di un
+amor combattuto, tempesta che ancor tramanda i profumi delle rose e
+delle viole sbattute ed infrante. A lato dell’uscio chiuso, ad altezza
+d’uomo era un foro rotondo coperto da un vetro. Da quel buco vedevasi
+per di dietro una donna assisa, in su i trent’anni, evocando il coro
+de’ suoi pensieri colle sue dita di sibilla.
+
+— O divina creatura! La donna appartiene allo amore come l’erba dei
+prati allo armento. Byrrhia con quei capelli accesi dai sensuali
+ardori, con quello aspetto di grappolo indorato dal sole, mi brucia
+l’anima e il corpo. —
+
+E senz’altro, rotto il filo ai pensieri che gli si arruffavano, spinse
+la porta ed entrò. La donna, nel volgersi, emise un raggio luminoso dai
+suoi occhi vivaci e neri, velati da una nube di tenerezza e da un mesto
+sorriso. Le loro bocche s’incontrarono.
+
+— _Suavia et iterum suavia._ Io sono lieta che tu mi desideri con
+ardore.
+
+— Sì, altri baci ancora, o dolcissima tra le cose. Io te desidero ed
+amo.... La celeste armonia mi penetrò nel profondo.
+
+— Era un’ode di Sapho di una singolare potenza, disordinata come la
+passione, lamentosa come il dolore. Misera! Quanto soffrì. La sola
+Morte colle sue dita affilate può medicare una ferita pari alla sua...
+Ma tu non mi spingerai allo scoglio d’Ercole per chiedere l’oblio ai
+gorghi del mare.
+
+— _Unum habeo solatium in te_, o Byrrhia. Arrida ad entrambi la bella
+dea Pompeiana.
+
+— E arriderà! Ha spesso i miei doni e le mie preci ferventi. Oh!
+Abbracciami, Quinto. Il tuo affetto è la pietra che ricuopre il mio
+cuore. Ebbene! sii custode di questo sepolcro ove riposa la innamorata
+anima mia, e nessuno saprà penetrarvi. —
+
+La stanzuccia, ove i due felici si trovavano soli, aveva sulle pareti
+gioconde pitture, per terra un tappeto discreto, una _cathedra_ —
+specie di lettuccio di legno dorato e coperto di un materasso purpureo
+di piume — un tavolino leggero con sopra due vasi di _mourrhina_,
+e dallo xysto vi entrava il profumo dei fiori che riscuote come la
+musica, ed ammalia come lo sguardo. Le più fredde virtù si sarebbero
+fuse sotto quei raggi d’oro della eleganza e dello amore.
+
+La indolenza è una felicità. E la felicità è orizzontale.
+
+Lachesis poteva rompere lo stame di quelle due vite. Esse avrebbero
+veduto nel Tartaro con occhio eterno le prospettive magiche di quei
+novissimi istanti!
+
+O Amore! giocondissimo iddio, tu non puoi rendere la creatura
+continuamente felice col medesimo oggetto, a dispetto di ogni promessa
+e malgrado le più seducenti speranze. Bambino, non prendi persona, nè
+invecchi. Muori e rinasci. Da secoli infiniti le tue vampe si allumano
+e si spengono nel cuore istesso. E se vi hanno anime le quali bruciano
+senza farsi mai cange, esse usurpano il tuo nome, o Amore, e calunniano
+la tua nobile ed infedele esistenza. Sono caparbi — indifferenti — rosi
+dalla noia — impigriti dalle abitudini — dimezzati dal disgusto. — Sono
+ipocriti od imbecilli, che natura diseredava.... ed io li so, ed ognun
+che mi legge li nomina della sua mente.
+
+Nella _fauces_ presso l’atrio di quella casa erano seduti per le
+terre Chresto e Methe Cominiæs, due schiavi, l’uno di dieciotto,
+l’altra di sedici anni. Giuocavano cogli astragoli. Gli gittavano in
+aria sul dorso della mano a uno, a due, a tre, a quattro, a cinque
+e li raccoglievano sulla palma. Bisognava esser destri e prestarvi
+attenzione. La fanciulla vinceva. — Chresto badava più ai di lei occhi
+che ai _tari_.
+
+— Tu fai sempre il colpo del carro, o il colpo dello avvoltoio. Di’, a
+che pensi così distratto?
+
+— Penso.... penso al nostro padrone Aulo Vezio, il quale mangiava le
+sue allegre cene sui piatti della bilancia di Temi ed ora Byrrhia le
+digerisce per lui.
+
+— Vuoi che intisichisca per dolore?
+
+— Mai no. La sua disonestà non la inghiotto nè sputo. Ma cacciare il
+chiodo sì presto nel muro!
+
+— Per ribadir l’altro.... Gli è perciò che tu....
+
+Il giovinetto drizzò lo sguardo nuovamente sul viso pallido, sulle
+linee delicate e fine, su tutta la persona appetitosa che avea dinanzi,
+e quello sguardo acuto impedì che la frase si terminasse. Ma ei la
+compì, pronunciando per sè medesimo:
+
+— Perchè non mi promette una serie di giorni felici!... La donna qui
+è tra la terra ed il cielo. La poesia la esalta lassù nelle nubi. Chi
+passa la ghermisce e l’ha.... _Res fragilis!_ O spettro di Vezio, quali
+corone tu aduni in questi giorni nell’urna delle tue ceneri!
+
+— Chi deve.... prometterti felicità, o Chresto?
+
+— Chi?... Una fanciulla che da parecchie notti mi vieta il sonno e
+che forse si destina ad uomo che val meno di me. Apparterrà ad un
+imbecille, all’_atriensis_, allo _structor_, che apparecchia il desco,
+od al _coquus_, quello animalaccio venuto di Sicilia, il quale ruba la
+riputazione che gli danno.... Ed io l’amo e la merito, per Ercole!
+
+— Nel mentre, o Chresto, tu ristai melanconico e dubbioso dinanzi
+all’_ostium_, non ti avvedi che la desiderata ritira i _pessuli_
+dall’uscio ed attende che tu lo spinga!... Io sono nella luna di mele
+del tuo e mio primo amore e provo in ascoltarti e in vederti delizie
+ineffabili.
+
+— È egli vero? Vuoi tu essere la mia _contubernalis_?
+
+— Ma che chieggo io a Venere sacra dal dì in cui venisti sul mio
+sentiero?
+
+— Vieni tra le mie braccia, _lux mea_. Non essa oggi la sola felice.
+Anche noi! —
+
+Salirono al piano superiore ed assaporarono l’ora presente coll’audacia
+di chi non teme i tradimenti dello avvenire ed obliarono le tristezze
+cuocenti del giorno svanito. — La felicità è di gaio umore; non può
+star chiusa; è meridionale; esce di casa e va via ciarlando. Gli è
+perciò che dieciotto secoli più tardi, interrogando i muri della mia
+offesa Pompei, vi lessi cotesto graffito indiscreto.
+
+_Methe Cominiæs, Atellana, amat Chrestum corde. Sit utreisque Venus
+Pompeiana propitia. Et semper concordes veivant._
+
+Presso queste anime piacevolmente innamorate — che dedicavano il
+loro tempo alla iddia sorridente e gioconda — altre erano in Pompei
+allegre e chiassone, il cui punto di riunione, pria delle Terme,
+erano le _tonstrinæ_, luoghi di perdi-giorni, di novellieri e di
+ricchi fannulloni. Siccome i Greci avevano il costume di tagliarsi i
+capelli e di farsi radere, di Sicilia cotesta moda risalì il littorale
+peninsulare e nel 454 di Roma l’uso divenne quasi comune nel mondo
+all’Urbe soggetto. Nella età di quarant’anni Scipione Africano si
+fe’ radere tutti i giorni, e non fu persona distinta in Italia che
+in seguito non lo imitasse. In Pompei la industria dei tonsores fu
+dapprima in pien’aria finchè contarono tra i loro clienti i marinai
+e la plebe. Allorchè la comoda usanza venne adottata dalla grande
+maggioranza dei Quiriti, tornando indietro nobilitata, richiese
+eleganti botteghe e stanzucce appartate nei migliori quartieri della
+città; graziosi musaici e grandi specchi; _camini portatiles, foculi,
+ignitabula, escharæ_, cioè bracieri di varie forme per riscaldarvi
+i _calamistri_; piccoli rasoi, adatti allo scopo, detti _novacula_;
+larghe e brevi cesoie che addimandavansi _axiciæ_; e sottili mollette,
+nominate _volsellæ_. Avvegnachè, in quelle botteghe uno potesse _barbam
+ponere_, se volea farsi radere, o _tondere forfice_, se preferiva
+corti i capelli; o _pillos vellere_, se piacevasi di quella effeminata
+abitudine di farsi carpire i peli colle pinzette sul mento, sotto le
+ascelle e in altre parti della persona. Alcune schiave — _ustriculæ_
+— erano addette a cotesto ufficio. Altre dette — _tonstrices_ —
+spargevano sul mento una specie di pomata che avea nome _psilothrum_
+o _dropax_; oppure lo imbrattavano con certa pasta veneta, o resina
+calda; che Giovenale chiama _calidi fascia visci_ e quindi coi
+_novacula_, estratti dalla _theca_ ricurva, mondavano la epidermide. I
+più delicati e schizzignosi si nettavano il corpo dai peli col farli
+bruciare dalla fiamma di un guscio di noce, e poi vi facean passar
+sopra la pietra pomice.
+
+La _tonstrina_ dinanzi la Palestra delle Terme, dipendente dalla casa
+di Olconio Prisco, aveva due botteghe sul margine della via dalle
+fontane di Pallade e dell’Abbondanza, e una stanza di retro. Era
+affollata. Vi erano giovani che avevano fatto arricciare i loro capelli
+coi ferri caldi e si miravano nello specchio per osservare se gli
+anelli fossero tutti eguali. Altri erano _inter pectinem speculumque
+occupati_. Altri _uno digito caput scalpebant_.
+
+Un giovane che veniva dal Foro, si appressa al primo uscio e s’imbatte
+con un cinquantenne che ne esciva ringiovanito per la patina esterna. E
+scherzando gli dice:
+
+— _Dispeream!_ Philomuso, se potea riconoscerti. Ti aveva incontrato
+cigno stamane nella _salutatio_ presso Pansa ed or ti ravviso corvo.
+Ah! Ah!... Credi tu d’ingannare Proserpina? La fuligginosa iddia ti
+strapperà la maschera. _Cave!_
+
+— Seguo la moda che in Roma trionfa. Sembra che la canizie debba essere
+abolita. Ed io l’abolisco. — Ma, avviso per avviso, o Mathone. E tu non
+giuocare con Glaucia presso il gladio di suo marito tribuno. — _Cave!_
+
+— E che ho io a temere?
+
+— La pena degli adolescenti.
+
+— Oh! Il taglio è vietato or dalle leggi.
+
+— È forse permesso quel che tu fai?
+
+— E anch’io un avviso, se lo consenti. Non appressare la face d’amore
+alla lucerna fumosa di Clancia, la vedova di dugento mariti. — Buschi
+nomèa di avaro e nol sei. —
+
+— Rientro nella vita comune e seguo il tuo esempio. _Vale._ —
+
+Philomuso andò via, e Mathone entrò nella _tonstrina_. Uno che si era
+fatto radere ed allora si faceva arricciare i capelli, ricurvo sotto
+l’azione del calamistro, dice:
+
+— Salve, o amico. Che diceati la sciupata di quel buontempone?
+
+— Vuoi parlare della sua amante, o Tongilio?
+
+— No, della sua lingua che taglia e fende.
+
+— _Nugæ._ Astonio lo ha ringiovanito che sembra un risorto. Mio padre
+il conobbe biondo. O perchè il festi nero, o Astonio miracoloso?
+
+— È la tinta in favore per gli uomini. Per le donne il rosso ardente.
+Vedesti Levina di Bleso, per la festa delle _Palilies_, alle none
+di aprile? Per lo anniversario della fondazione di Roma essa adottò
+il nuovo colore. Durante il giuoco troiano — che il giovane Ascanio
+creò in Alba a ricordo della patria distrutta — i cavalieri che si
+avanzavano nel Foro in ordine di battaglia non miravano che a lei
+bellissima e, pel color dei capelli, innovata. Le donne ne ingelosirono
+e la imitarono. Nei teatri e nei templi omai non vedi che chiome
+ardenti. — Torneranno brune al cader della moda.
+
+Vacerra — un ch’era nella bottega — già sbarbato e terso, si leva dal
+seggio ed aggiunge:
+
+— Levina è una Venere mendace, e senza aiuti commette adulterio. —
+
+Lucio Adirano sorge anch’egli e dice:
+
+— Cotesto forse quando frequentava i bagni di Stabia e i paesani. Ma,
+Penelope a Baiæ nell’anno decorso, ti accerto che Elena ne esciva.
+
+— E qual nume operava il prodigio? Per Ercole! Non parea pompeiana e
+civile.
+
+— Il divo Apollo si piacque discendere nella tunica di Mario Venicio, e
+Cupido addoppiò lo splendore delle sue faci. Lo amico nostro passò lo
+inverno con lei in Neapolis. Ora sono qui, ed essa brucia alle vampe
+del suo cuore.
+
+— _Ita me bene ament numina excripta_ che ho dipinti nell’atrio della
+mia casa e che veggono le buone e le villane mie azioni! Davvero che
+men compiaccio e correggo il mio errore. — E il marito?
+
+— Cosconio Classico _strabo est, pætus et ocella_. Con siffatti malanni
+negli occhi si veggono le paglie nelle altrui case e non le travi nella
+propria. E poi in gioventù ne die’ ad usura. Or glie ne rendono.
+
+— Mathone, ecco Cneo Apro ch’esce dalla stanza. Se vuoi farti azzimare,
+entra. —
+
+Il giovane seguì il consiglio del _tonsor_. La cameruccia era piccina,
+ma elegantissima. Sopra una tavola di legno nero e dorato nelle cornici
+erano capsule di vetro, bombyli, bilbini, paropsidi, unguentari, ambici
+e tazze piene di quelle paste, di quelle resine, di quelle pomate, di
+quelle polveri, atte a sbarbarsi, a tingersi il pelo, a far liscia la
+pelle e ad imbellettarla.
+
+Una fanciulla ventenne — coperta da una tunica senza maniche che
+giungeva sino ai ginocchi e avente sul capo ricciuto un berretto
+frigio le cui alette scendeano bellamente sulle spalle e sul petto — lo
+attendeva sorridente e graziosa. Era una delle _tonstrices_.
+
+Pria di sedersi il giovane — dopo averla attentamente mirata — le disse:
+
+— Non di qui. — Giunta di fresco? — Quale il tuo nome?
+
+— _Mica vocor._ — Siracusana. — Da due anni.
+
+— Ben ti chiamarono pagliucola d’oro. Splendi come raggio di sole. Or
+fammi degno di colei per cui arde il mio sangue.
+
+— Eccomi. — Ambidue sembrate.... la unione preziosa del cinnamo e del
+nardo. La felice miscela del massico col melo d’Egitto. Venere dispensa
+a te i suoi favori. Il tempo passi e.... e non si accorga di lei.
+
+— La conosci?
+
+— Mi è nota. Tutto si sa qui. — Poni i piedi sul _suppedaneum_. — La
+_novacula_ ti par bene affilata?
+
+— Risuona. Ma scorre sulla dermide a maraviglia.
+
+— Ti vidi entrare un dì nella _tonstrina_ di Glaphyro. E ne provai
+fugace dolore. E la notte successiva la passai vegliando.
+
+— Perchè?
+
+— Val meglio patire una operazione dal chirurgo Hemos che farsi
+radere da Glaphyro e dai suoi Poserio, Spicolo e Chœria. Pei cinici
+e per gli stoici, eh! sono adatti. Le facce stimmatizzate del paese
+non appartengono già a vecchi atleti, nè a mariti di donne gelose.
+No. Ma subirono sfregi dalla mano scellerata di Chœria. E Prometeo
+ridomanderebbe a Giove il becco dello avvoltoio se Glaphyro accennasse
+di carezzarlo coi suoi rasoi di bronzo.
+
+— Veh! che or mi dirai che le capre serbano il fiocco di peli per tema
+di lui... o di lei! — Gelosia di mestiere!
+
+— Ti accerto che Baccara — or mia compagna — lasciò la bottega, sulla
+via di Mercurio, per l’orrore del sangue. — Io temeva per te una
+soppiatta vendetta!
+
+— Di lui?
+
+— Di lui.... e di Nata. Ti ripeto, noi sappiam tutto qui. —
+
+Il giovane si volse e la guardò fiso. La fanciulla siracusana sostenne
+lo sguardo.
+
+— Parli tu cogli aruspici? Nata, di Cornelio Rufo, è bella sì, di
+vivaci occhi, di portamento leggiadro, di lusinghiero accento: ma
+è donna di marmo. A contatto, la crederesti assente. Io l’amai da
+forsennato.... E l’amo ancora.... Non essa me.
+
+— Ti amo di vertigine per mesi. Alcune teorie del dovere le calmarono
+il cuore. Ti ama pur di memoria e di gelosia per sè, non per te.
+Capricciosa donna!... Tortura, non tortore!...
+
+— Ma come tu sai sì recondite cose?
+
+— I miei, di Egitto in Corinto e di là a Syracosion. Leggo nelle stelle
+e negli occhi — altre stelle che rifrangono il lume dentro e dicono
+alla nostra gente ascosi arcani. Ne vuoi esempio?... A Glaucia piace
+il tuo nome e il trionfo sulla tua fresca età. È leggiadra, nol nego.
+Ma.... piacevolmente si vendica in te del brutto tribuno, il quale è
+sì magro che par minacci rientrare un dì o l’altro per sempre d’onde la
+prima volta escì fuori. —
+
+La mano di Mica era tremante. La voce tremava. Lucio Mathone respirò
+nel vederla posar la _novacula_. Si asciugò la faccia, sedette di nuovo
+per farsi ungere i ricciuti capelli e soggiunse:
+
+— Calmati, o soave. Non temerò vendette di ferro, poichè a te mi
+affido. Tu sarai la mia tonstrice per sempre.
+
+— Sì.... Ma abbandona Glaucia, che non ti merita, al suo diafano
+marito. Lascia pure a Cornelio Rufo, _ancilloriolus_, le vendette tue
+sulla fredda e calcolatrice Nata. Un altro cuore si appoggi su quello
+di Lucio, e la dea pompeiana gli sarà propizia. —
+
+Mathone si levò, prese colle due mani la testa della fanciulla
+siracusana e le baciò gli occhi ripetutamente. Erano umidi e
+luccicavano come pianeti. Mica lo abbracciò con ardore e dentro
+era convulsa. Si separarono colla promessa di rivedersi la sera. E,
+ribaciandosi anche una volta, dissero in coro quella parola spensierata
+ch’è sulle labbra di tutti, sì breve, sì fuggevole, sì mal fida:
+
+— Sempre. —
+
+Allorchè Lucio rientrò nelle sale verdi, dove poc’anzi avea lasciato
+i suoi amici, questi non v’erano più. Altri gli avevano surrogati.
+Quinzio Volcano e Postumio Afra lo salutarono tra l’onda fumosa che
+i caldi _calamistri_ sprigionavano dai loro capelli. Ateio Capito a
+lui mestamente sorrise. Misizio Cotilo e Claudio Pudente narravano
+aneddoti di famiglie che eccitavano le risa della briosa brigata.
+Antonio Saturnino diceva i pregi di due bei cavalli africani che avea
+comperato, i quali anteponeva alla coppia di schiavi sicambri, di
+recente acquistati da Capito nel mercato di Herculanum nella occasione
+del _Regifugium_, alle none di febbraio, per cui si solennizzavano
+nei grandi centri del vasto impero la cacciata dei Tarquini e lo
+affrancamento del popolo romano. Fabullo Nucerio vantava la bellezza
+e le grazie di Phlogis e di Chione, tonstrici della bottega della
+via Jovia di Antioco. Astonio con molto rispetto celebrò le sue Mica,
+Marmerion e Nicidion, abilissime nel mestiere e di gentile aspetto.
+Nell’atto si udì uno strepito nella via che troncò ogni discorso. Nella
+Palestra di contro _discus crepuebat_. Era il segno che le botteghe
+dovevano chiudersi, e le terme si aprivano al popolo. I lavori della
+giornata erano finiti.
+
+I giovani pagarono Astonio delle sue eleganti fatiche e partirono.
+Alcuni entrarono nel pubblico edificio, ove la folla già conveniva.
+Ateio Capito, accompagnato dal bellissimo Lucio, andò per la via delle
+fontane di Pallade e dell’Abbondanza verso il Foro, dove si separarono.
+E Mathone piegò a manca e l’altro a diritta per reddire nelle loro
+case. L’ultimo avea la morte nel cuore. E appena solo, mormorò
+dolorosamente:
+
+— Il più giovane dei miei giovani affetti, la fresca alba del mio
+mattino, il lume che schiarava la mia fantasia è partito.... ritorna
+nell’Urbe. Essa qui resta amaro e pur delizioso ricordo — un idilio che
+ancor commuove il cuore. Ne cerco macchinalmente la mano colla mia e
+la ritraggo a me vuota. Fui lo schiavo di molte maghe. Ma l’ultima....
+Aveva fatto di questo asilo un Eliso.... Oh! le splendide illusioni!
+fugate come le foglie secche del bosco! —
+
+Queste parole, a se stesso, in una stanza buia e riccamente addobbata
+della casa ch’è di contro alle Terme presso il Foro e proprio innanzi
+allo ingresso praticato dalle donne.
+
+Era disteso sur un lettuccio, prostrato, avvilito. Sentiva nel profondo
+il fremito dei pensieri alati che corrono ardenti, che volano verso
+quelli che si amano e che poi tornano monchi, desolati e soli. Era
+passato a traverso di tutte le gioie, di tutti i disgusti, di tutti i
+disinganni, di tutte le tristezze, di tutti i peccati del mondo. Il
+mistero aveva gittato ogni velo alla sua presenza. L’anima era giù
+nello abisso. Molti nel suo caso in Roma si segavano le vene, o si
+facevano uccidere da un liberto. Levossi, scoppiettò colle dita, uscì
+dal cubicolo, e s’avviò verso il triclinio, ove bene spesso aveva fatto
+gioiosi mangiari. Due giovanetti biondi e cincinnati, i più belli che
+fossero in Pompei, Belder e Hado, vestiti succintamente di un tessuto
+di lino egizio, apportarono entro ricco paniere frutti gustosi — pane
+e idromele — un’anfora di vino di Chio ed un vaso di argento d’onde
+esciva il vapore della acqua bollente. Due piccole tazze dorate erano
+sul desco. In una mescevasi il _merum vetus_ e nell’altra più larga e
+profonda l’acqua che riscaldasse il vino. Archigenes, giovane medico
+in voga, prescriveva — giusta il dettato di Heraclide di Tarentum — e
+raccomandava l’uso del vino caldo mangiando i fichi.
+
+Ateio Capito si trovò solo su quei cuscini, premuti altra volta da
+figure animate e graziose. Un raggio di sole pallido e tristo guizzando
+tra le foglie degli aranci e tra i cespi di rose dello xysto, entrava
+sul limitare della stanza e rischiarava pareti abbellite da squisite
+pitture. — Leda che presenta a Tindaro i suoi figli Castore, Polluce
+ed Elena in un nido — Amore che si lagna colla madre del disprezzo di
+Diana — Teseo che abbandona Arianna. — Mangiò e bevve sbadatamente.
+Ombre invisibili lo circondavano e seguivano i suoi movimenti distratti
+coi loro lunghi sguardi.
+
+Si ritolse di quivi smanioso. Offerse frutti ai penati nella edicola in
+fondo al giardino e andò a ricacciarsi sul letto. Avea le vertigini.
+Nulla amava in tal momento...... neppure la donna — malgrado che
+sì seducente fosse e che avesse voluto di proprio moto partire —
+Nikopolis, la bella greca, aveva trastullato la sua mente — vi aveva
+lasciato un vuoto — ma non si era impadronita del suo cuore.
+
+Hado leva la tenda spessa di panno e con accento gutturale sicambro
+pronuncia:
+
+— Padrone, una giovane donna manda a te questa epistola. —
+
+Ateio ruppe il filo che legava il rotolato papiro, staccò il nodo col
+suggello di cera; e lesse:
+
+«_Chrysis A. Capito suo._
+
+«So le tue cure. Verrò. _Deos obsecro ut te conservent._»
+
+Nella corsa state erasi imbattuto in Baiæ con una etera sedicenne, di
+una rara bellezza. — Bruna. — I capelli come ala di corvo coi riflessi
+turchini. — Ciglia nere e lunghe. — Naso profilato e formante una linea
+retta dalla fronte alla base — Ovale divino. — Sorrideva come altre
+mai. — E parlava coi suoi labruzzi di corallo con una volubilità, con
+una grazia da incanto. — Nè grande, nè piccola. — Un bello ideale di
+donna, di quell’essere incompreso ed incomprensibile; Angiolo decaduto,
+sulla cui fronte sembra che Iddio lasciasse piovere un raggio della sua
+divinità, e il cui sangue conserva sempre i ricordi dell’Eden perduto
+insieme col fomite dell’antica smania curiosa. Nata ai piedi di un
+vulcano, ne aveva le furie, il calore, la bellezza e il mistero. Da
+essa potevasi attendere tutto. Gioie di paradiso, annegazione completa,
+disperazione da dannato.
+
+— Venere me la manda, e pare la faccia prendere dal malizioso suo
+figlio. Chrysis è _oro che si vende per oro_. E Nikopolis cosa era? Lo
+ardore dei sensi velato da un ingenuo civettismo che pur valea aurei
+nummi. La _bastarna_ che la porta nell’Urbe non soffra nè la pioggia
+nè il vento; e le mule che la trascinano non la ribaltino per via.
+Rifabbricando sui ruderi i ricordi estivi, ricompongo i miei giorni
+felici. — Sì, _suavissima mea_, vieni e ti amerò. —
+
+Levossi di letto, stirò le braccia, sbadigliò e riprese;
+
+— Sciocco che io era. Stava soffiando una burrasca in un simpulo.
+Tutte eguali! Diverse soltanto dalla voce e dello incarnato! Essa
+verrà, e colle dita di rosa raggiusterà il mio rotto cuore e lo renderà
+sensitivo e profumato. Stravaganza insensata l’ostinarsi negli affetti
+sentiti e di altri tempi! I miei padri colla virtù della mente e delle
+braccia conquistarono il mondo. Quirino lo disse, e noi cel godiamo.
+È il diritto degli eredi. L’uomo antico è spogliato. La pellicola
+vetere cadde; e chi la conserva, la infradicia nella carcere Mamertina
+o soffre la grande o la piccola diminuzione del capo — la morte —
+o l’esilio. — Venga Chrysis e sdimenticherò la noia e quel ridicolo
+rammarico per l’assenza dell’Ateniese, pessima cicuta che già scorreva
+col sangue nelle mie vene. Farei vergogna al mio nome e al gentil seme
+latino che regge l’orbe a capo della nostra possente repubblica. —
+
+Gli attenti lettori di questi miei studi di risurrezione non taccino
+di anacronismo le ultime parole di Ateio Capito. Quel degradato
+Quirite visse e morì credendosi repubblicano. Non dobbiamo attribuire
+agli antichi le distinzioni delle nostre parti politiche. È lo stesso
+sproposito dello scultore che pose la _lorica_, il _sagum_ militare,
+la _solea_ coi _vincula_ che legavano i sandali sulle gambe di
+Scipione l’Africano alle statue equestri dei due Ferdinandi della casa
+Borbone, e la _toga pura_ colla _tunica_ a quella in piedi di Leopoldo
+di Lorena. Nel mondo romano non potevasi fare una distinzione tra
+repubblica e monarchia, perchè l’una era la forma dell’altra. Quando
+Giulio Cesare ammodernò il reggimento, dicendo che era necessario
+tranquillizzare i cittadini col moderare la pubblica cosa e porre un
+freno alla licenza e alla dissennatezza omai generale, le istituzioni
+rimasero, e nulla fu cangio. Il potere era stato spesso nelle mani di
+un solo. E i troppi avevano plaudito alla dittatura. Sì, che sursero
+sentenze a suo pro. — _Nulla regni societas. — Insociabile est regnum.
+— Nulla fides regni sociis._ — E allorchè succedaneamente un solo
+governò lo impero della repubblica, nessuno si die’ a lamentarlo perchè
+pareva acconcio che un sì vasto dominio avesse ad essere retto da un
+solo capo. Tacito — il giustissimo e severo giudice delle peccata dei
+suoi tempi — apre il libro quarto dei suoi annali con queste parole:
+_Caio Asinio, Caio Antistio Coss. nonus Tiberio annus erat compositæ
+Reipublicæ florentis domus_ — cioè — Sendo Consoli Caio Asinio e Caio
+Antistio, volgea per Tiberio il nono anno di racchetata repubblica e di
+fiorente famiglia. —
+
+Al tempo di cui narro gli avvenimenti in Pompei nessuno pensava a
+rovesciare la forma del governo. Ma tutti avrebbero amato di non
+trepidare sulla cara vita e sulle acquisite fortune. Trasea, Tacito,
+Persio, i fieri patrizi, i filosofi malcontenti aveano lamentato i
+vecchi costumi di Roma e gli antichi usi politici non incompatibili
+collo impero. Chiedevano che il principe non nominasse i senatori, nè
+li radesse a capriccio od a seconda della mala sua voglia. Nè salisse i
+liberti ai primi gradi del governo. Laonde i virtuosi e i pochi onesti
+non alla Repubblica erano devoti, ma alla cosa pubblica.
+
+— Odo rumore di voce. È dessa. Viene. —
+
+Ed Ateio non s’ingannava. Trasse a sè la cortina e Chrysis gli apparve
+dinanzi come una visione mattinale.
+
+— Eccomi a te, _dulcissime animæ meæ_. —
+
+E gli cadde tra le braccia. L’altro la baciò sul viso e colle due mani
+quasi la cinse. Era un’ape; e infantile, sorridente e appassionata
+nell’atto stesso. L’uomo ebbe baci di ricambio e sentì un filtro soave
+penetrare lentamente per tutte le parti del suo essere. Era così noiato
+poc’anzi. Allora, qual cambiamento!
+
+— Sono venuta a guarirti. Ti porto un miracoloso amore sul quale,
+o ingrato, non sapevi contare. Eppure io so che soffiavi nei lunghi
+flauti, affannandoti per una donna il cui cuore paga i devoti alle
+calende della sua patria. Credilo. Ti ostinavi a porre il basto sulla
+schiena di un bove.
+
+— E chi è colui che vestì la _toga prætexta_ per le funzioni di edile
+senza aver bisogno dei miei suffragi?
+
+— Epidico Rufo, il tuo amico _a teneris annis_.
+
+— Può crepar gli occhi alla cornacchia, poichè ha lo sguardo che va sì
+lontano. Ciò che v’ha di vero è cotesto. Io ti amo, o Chrysis. E ti
+dovrò le grazie maggiori se per qualche giorni — per quanto tempo ti
+parrà — mi farai qui menare la vita che vivevamo in Baiæ, quella vita
+che lascia corredo di sogni per la età a venire. Prometti?
+
+— Lo giuro per la gentile patrona della nostra Colonia.
+
+— Mira! Tu se’ giunta in tempo. Il sole cade. Farò venire Epidico e
+Cæsonio. Con essi le amanti loro. Va nello xysto ad intesserti la
+corona di rose. Poi ceneremo lietamente e lungamente. Thespio, il
+tricliniarcha, ti aprirà i cubicoli qui, o sopra e sceglierai. Se temi
+i tremuoti, meglio stare a terreno. Comunque tu opini, io sarò presso
+di te. E morire tra le tue braccia, o Chrysis, è un desiarsi in grembo
+a Venere celeste. —
+
+La fanciulla di Neapolis non era una vestale. Nè per quella vita
+claustrata avea vocazioni. Le frasi di amore l’erano ben familiari. Ma
+dette così — e da lui — le fecero uno strano effetto. Grosse lacrime
+le velarono le pupille. Impallidì. Masticò per qualche istanti il
+proprio silenzio. Gli prese la testa fra le mani. Vi pigiò su le labbra
+convulse e andò via. Quelle lacrime, quel pallore, quel bacio valevano
+bene un lungo discorso.
+
+Ateio si lavò; si profumò; vestì la _synthesis_ che Nerone fece
+adottare col proprio esempio; la strinse ai fianchi col _cingulum_ di
+seta, le cui estremità pendenti servivano di _crumena_ da riporvi il
+danaro; vi appese il _sudarium_; pose ai piedi le _phæcasiæ_, specie
+di calzatura posta in moda recente dai Greci; adattò al collo una
+_catenula_ composta di anelli d’oro; ed aperta la _dactylotheca_,
+trasse da quello astuccio alcuni cerchi di diamanti, di rubino e di
+sardonica che aggiunse al _symbolus_ che serviva di sicurtà ai suoi
+contratti. E così andò incontro agli amici nel peristilio e di là al
+luogo della festevole _comissatio_.
+
+Cotesto scioperato era assai giovane. Ventitrè anni. E velava di
+esagerato scetticismo l’albospino fiorito della età sua per dinotare
+come le illusioni le avesse cacciate lontano. Schiavo del piacere,
+credeva in esso il solo sovrano possibile, mai esautorato, della umana
+stirpe. Talvolta, in mezzo alle orgie — donde nascea la follia, lo
+epigramma, il cozzo dei bicchieri e il tumultuar delle voci — s’isolava
+in un capriccio, si racchiudeva in un sogno, volava ad un pensiero che
+lo togliea dalla crapula ove gli altri si degradavano. E ciò lo rendea
+caro alla fanciulla napolitana la quale lo avrebbe voluto sempre così.
+Allora si sentivano di una carne, di uno spirito solo; e le delicatezze
+più sacre erano quelle che si ricambiavano. In quella sera egli le
+prese furtivamente la mano e la baciò con un rispetto che lo rendeva
+felice.
+
+Tra i fumi del vino che invadevano i cervelli e gli scabrosi parlari,
+Ateio si curvò verso l’orecchio di Chrysis e le disse sommessamente:
+
+— Sai comprendermi tu? Io ti amo di tutta l’anima mia.... come se non
+avessi amato giammai.... come non pensai fin qui che avrei amato alcuna
+donna nella vita.
+
+— Oh! non parlarmi così, luce di sole...... Da qualche tempo ti guardo
+e non mi sembri più umano.
+
+— E che rispondi a questo grido del cuore?
+
+— Mi abbia Venere irata se la passione m’inganna... Ma io perdutamente
+ti riamo.
+
+— Che io viva, o ch’io muoia, io rivaleggio coi numi. —
+
+La bella fanciulla aveva avuto il suo amante improvvisato in Baiæ,
+offertole dal capriccio dei passi. E pur d’improvviso la era apparsa
+ad Ateio quando men l’attendeva. Abitavano ambidue la contrada poco
+acconcia al viver casto e pudico. Avevano appartenuto al capriccio,
+di cui il nome ed il viso potevano cambiarsi, ma le esigenze sì
+per lei, come per lui non cambiavano mai. Amarezze sdegnose, inique
+collere, sterili gelosie i miei padri non le conobbero. Rispettavano il
+passato come sacro mistero. Ora lo affetto bollente erasi fatto sangue
+impetuoso e carne trionfante. — I beoni vedevano triplo. Le donne
+avevano il volto acceso e stralunato. — E nessuno di essi notò quando
+il _pater convivii_ e la sua amante si levarono dal _textile stragulum_
+per andar via. Essi corsero a celarsi nello Eliso della voluttà e dello
+amore.
+
+La luna risplende in Pompei come non vidi mai altrove. Sembra ch’essa
+corra amorosa per ogni via in cerca del bello Endimione, di cui tanti
+i dipinti sulle pareti degli atrii e dei cubicoli. In quella sera
+navigava per l’aere azzurro nella sua pienezza.
+
+Belder era appoggiato al muro sul margine della strada. Pensava alle
+sue verdi lande popolate di buoi. Alla indipendenza della sua razza
+indomabile. Alla obbrobriosa sua schiavitù. Egli, libero già come
+l’usignuolo delle sue native foreste, ora abbandonato dai suoi rapitori
+poichè il vendettero, disperava di più rivedere i ruvidi altari,
+le funebri collinette di sabbia sotto le quali posavano calcinate
+dal fuoco le ossa dei padri e i ripari di terra dietro cui si erano
+trincerati i Kanine-faten per difendere dalla ingorda prepotenza dei
+Romani i nati del proprio sangue e le pelli — letto, veste, coperta,
+difesa, lusso della loro esordiente civiltà.... E sospirava!
+
+Alto e ben fatto della persona, ventenne, biondi capelli inanellati
+gli cadeano sulle spalle — poichè era _acersecomes_, cioè, intonso — e
+una leggera lanuggine gli adombrava il labbro ed il mento. Aveva uno
+di quegli ingenui sorrisi che sembrano tutto comprendere; e tale era
+lo sguardo racchiuso nella sua glauca pupilla, a ricordare i disegni
+capricciosi delle torbe accese nella capanna ov’era nato, in cui da
+bambino pareagli notare i gigli dei laghi, i cespi fioriti delle eriche
+e i gruppi dei pini agitati dal vento e guizzanti come onde oscure di
+fumo nella spessa ed umida atmosfera.
+
+Un gruppo di giovanette escì parlando e gesticolando e ridendo dalla
+porta delle Terme. Erano le liberte e le schiave di C. Cuspio Pansa
+che rientravano dopo il bagno dirimpetto, nella casa vicina. Una delle
+fanciulle vide più in giù a diritta il sicambro. La luna lo illuminava
+tutto. E con una grazia quasi infantile, che le parole non sanno
+dipingere, corse a lui ed aperto gli disse:
+
+— Da che ti vidi mi sembrasti Adone. E quando ricordo il bacio che in
+Milo la madre mi dava al destarmi, desidero ardentemente che tu mel dia
+in questa terra straniera. Vuoi tu riscaldarmi l’anima con tanto bene?
+Senti tu gli affetti siccome noi li sentiamo? —
+
+Il giovane distese la sinistra sul capo di lei, le volse la faccia
+verso la luna ed aggiunse:
+
+— Sei bella, quantunque le Nornen — le sorelle del Fato — ti abbiano
+abbronzato la pelle ed acceso il fuoco negli occhi. Wodan — il
+terribile iddio — bacia le stelle negli spazi del cielo. Io bacerò la
+tua bocca. Ma io non amo mettere da parte l’anima mia nelle felicità
+dei miei sensi. —
+
+Phanisco gli fissò gli occhi addosso con una espressione di soave
+languore. Lo sguardo fiero e più la parola austera del selvaggio
+figliuolo dei boschi la penetrarono.
+
+— Qui, nei nostri cuori una comunione eterna di gioie, di pensieri, di
+pene. Vuoi tu amarmi? Puoi tu cementare la unione divina di due cose
+immortali che si confondono? —
+
+— Dammi la mano — Freya ti spinse ver me per alleviar le mie pene...
+Quando avrai bisogno di un uomo che si faccia uccidere per salvarti,
+non correre lungi, io sarò qui. —
+
+La donna, nervosa e passionata, debole e pure dominatrice, si slanciò
+nelle sue braccia senza rispondere. Trionfava dell’uomo che da parecchi
+mesi spesso incontrava e subito amò. Era il papiro su cui voleva
+scrivere la pagina gentile della sua vita. L’avarizia non potette mai
+appressare le labbra livide sulla sua fronte. Nè i doni, nè i rigori di
+Pansa valsero a vincere l’ostinato rifiuto. Le sensazioni deliziose che
+ora provava erano la sua ricompensa.
+
+Fra i due giovani nati in sì diverse contrade — l’una bagnata dalle
+nebbie, l’altra calcinata dal sole — che forse incontrandosi per la
+prima volta si erano ritrovati — seguì per qualche tempo un dialogo che
+chi legge ricorderà senza che io il dica. Nel separarsi si promisero
+un più discreto ritrovo. Diana è patrona agli amanti circospetti e
+pudichi. Ma, se inverecondi, gli svela.
+
+— Oh! l’oro fluttuante sul capo tuo! Quante volte sognai di carezzarlo
+colle mie mani!
+
+— _Geif my een zun. Faruel._ —
+
+Phanisco gli accordò di gran cuore il bacio che l’atto delle labbra
+protese — e non la frase sicambra — le parve volesse significare e andò
+via. Ambedue, rientrati nelle dimore dei loro padroni, si coricarono
+sui velli di montone che servivano loro di letto. Non una parola, non
+un sospiro, per tema che l’ospite divino, penetrato nel cuore, offeso
+da distrazioni, fuggisse.
+
+Cneo Vibio aveva voluto disporre e rinnovare lo aspetto interno della
+casa pel ricevimento della sua sperata. I migliori pittori vennero a
+decorarla coi loro pennelli. Ordinò vasi fittili in Nola. I bronzi, nel
+paese. I trapezoidi e le statue di marmo, in Herculanum.
+
+Si lavorava. Gli artisti davano l’ultima mano alle pitture. Gli schiavi
+avevano lustrato col piombo i pavimenti. I fonditori consegnavano i
+candelabri; il letto nuziale e le _sellæ jugatæ_, con quel meandro che
+noi chiamiamo _greco_ e i Romani dicevano _lacunar_ ed i Greci φάτνωμα,
+da φάτνη, alveolo, specie d’intarsia di argento sopra una fascia di
+rame sul bronzo; le lampade; gli arnesi molteplici al servizio delle
+imbandigioni e dei delicati mangiari. Nel tablino — il cui piano era
+di mosaico bianco inquadrato da un filetto nero; e le pareti, dipinte
+da Alectryon, rappresentavano le muse Talia, Euterpe e Melpomene,
+gruppi di baccanti e di fauni, Ganimede rapito dall’aquila di Giove, la
+collera di Achille, Ulisse che con una gherminella gli rivela i maschi
+istinti, e il mendicante re d’Ithaca che chiede soccorso ad Eumeo —
+erano stati deposti sui banchi e sul mosaico i vasi, le tazze di vetro
+egizio scolpito, una statua di bronzo ed una di marmo.
+
+L’uscio di strada era aperto. Uomini eleganti, o svagati che occupavano
+il loro tempo nel girandolare, nel domandare e nel ricambiarsi le
+novellucce del giorno, nel ber fresco o condito in ogni termopolio, nel
+rilevare i vizi e le ridicolaggini dei particolari — tutte cose nate
+dalla attività dello spirito e dalla oziosaggine della vita — scorgono
+colà dentro il padrone della casa ed entrano, siccom’erano già entrati
+in ogni bottega di profumiere e di orificeria per far compre per sè o
+per le loro amanti.
+
+Alleio Nigidio fu il primo a salutare e a stringer la mano allo edile
+ch’era loro venuto incontro nel _prothyrum_.
+
+— I tuoi dioscuri sono bellissimi, o Vibio. Chi gli ha dipinti?
+
+— Poseidonio.... — Ehi!... vien qua per udir la critica sul tuo lavoro.
+— Mi pare però ch’egli abbia reso questo ingresso uno dei più splendidi
+di Pompei. —
+
+Il pittore che stava dando gli ultimi tocchi nell’atrio ad una Venere
+celeste coronata, vestita di azzurro con stelle d’oro e appoggiantesi
+sur un timone di nave, presso il quale Amore è in piedi sur un
+piedistallo, si fece innanzi sorridente e sicuro. Aveva un berretto
+frigio sul capo. Una tunica rossa sulla persona. La fronte alta. La
+barba grigia. Il naso breve e ammassato. Gli occhi rotondi, scrutatori,
+memori, pieni d’immagini e di scoperte ingegnose. Quella sua figura
+parlante affascinò i curiosi in sull’uscio.
+
+— Ho seguito la tradizione di Apollodoro. Polluce, immortale, figliuolo
+di Giove. Castore, generato la notte di poi da Pindaro, mortale. Il
+consorzio di un novilunio, pria di vedere la luce, teneramente gli
+affratellò. E quando il geloso Ida rese vedova la rapita Ilaira, e quei
+solenni domatori di cavalli divennero costellazioni....
+
+— Tu credesti acconcia cosa il ritrarre i due nati di Leda allo
+ingresso della casa del nostro edile, come curatori e patroni delle
+sue prossime felicità. Bene facesti nel presentarli in atto di camminar
+lentamente, reggendo ciascuno pel freno il cavallo. — Nobile e divina
+movenza! —
+
+Così Giunio Semplice. Ma a Milio Maio non piaceva che i due
+affettuosissimi procedessero sulle opposte pareti a rovescio.
+Simiglianti di volto, di persona, di arnesi, d’intendimenti, avrebber
+dovuto, secondo lui, camminar di concerto. Laonde, il pittore a lui
+replicò:
+
+— Siccome Giove permise che l’un rinascesse ogni semestre per consolare
+il gemello immortale, così l’una stella sorge e l’altra tramonta; ed io
+diedi all’uno la direzione opposta dell’altro.
+
+— E quel pileo costellato il ponesti sui ricciuti loro capi per
+dinotarli nati di un uovo?
+
+— Plozio Svellio potrebbe non ingannarsi. Luciano pur dice così. Ma io
+credo con Festo Pompeo che il pileo fosse dato a Castore e a Polluce
+perchè spartani, i quali avevano il costume di combattere pileati. E
+la clamide la posi sugli omeri _insidentem_, come Aliano il decise. Ed
+_ambo hastile gerunt_, siccome Stazio ha notato. Non trascurai veruna
+particolarità. —
+
+Il capannello erasi accresciuto. E tra gli altri, fattasi innanzi
+Laconies, una schiava addetta alla tessitura delle tele, volle
+anch’essa dire il suo verbo.
+
+— E al ver ti apponi. Orazio dice nelle satire,
+
+ _Castor gaudet equis, ovo prognatus eodem_
+ _Pugnis_....
+
+Dunque se Castore fu detto _equorum domitor_ e distinto nei giuochi
+delle corse, Polluce si palesò valente pugillatore e patrono agli
+atleti:
+
+— Al duro accento ti riconosco spartana. E mal comprendo come tu abbia
+sì presto obbliato i tuoi conterranei, i quali mai si dipartono dai
+loro cavalli, doppia forza al guerriero. E ti aggiungerò qualmente la
+voce della tradizione faccia Giunone donatrice ai Dioscuri di generosi
+destrieri; laonde sempre, o sopra, od a lato di essi, ritraggonsi sui
+bassorilievi, sulle medaglie, sulle gemme, sui vasi e sul marmo. Se
+non vuoi ammettermi queste ragioni, concedi ad un pittore il seguir la
+legge della euritmìa, e torna al tuo mestiere di Aracne. —
+
+Risero gli amici alla confusione di Laconies che andò via borbottando.
+Ma prese a difenderla Vibio.
+
+— In una città qual’è la nostra, a poche miglia di Herculanum, presso
+Neapolis e Nola, non lungi da Baiæ e da Cuma, ove ad ogni piè sospinto
+si rizzano dal suolo edifici eleganti; ove di statue son prodighi il
+Foro, i teatri ed i templi; ove l’occhio di tutti viene educato al
+vero ed al bello ideale; ove i portici delle case private si animano e
+parlano agli occhi di chi attento riguarda; ove la vita, dopo il breve
+lavoro manovale, si passa in letture, o in racconti, od in poetiche
+rapsodie, non è maraviglia che anche la mia povera schiava abbia potuto
+emettere il suo giudizio e non aver torto. Nell’Urbe il Campidoglio
+si abbella di Dioscuri colossali a lato dei loro cavalli. E ricordo i
+versi del poeta che pur dice:
+
+ _Puerosque Ledæ,_
+ _Hunc equis, illum superare pugnis_
+ _Nobilem_....
+
+Ma, udite il tafferuglio delle mie genti nel tablino! Mirano e
+sentenziano. Andiamo a vedere il Meleagro, la Baccante, la Venere
+celeste ed un Marte, or or condotti dal nostro valente Poseidonio.
+Quindi esamineremo i dipinti di Atheneo, di Charicles e di
+Astynoos. —
+
+E di fatto, non eran chete le gazze. Rhodope e Primigenia avevano per
+le mani due specchi; il disco del primo, di argento, era sostenuto da
+una figura ignuda che ha elevato le mani e poggia i piedi sopra una
+tartaruga; il secondo aveva un capriccioso manico ricurvo, terminante
+con una testa d’oca, quasi per appenderlo; ed il disco era afferrato
+dalla bocca di un ariete che colle prolungate corna pur lo fermava.
+
+— Mercurio, nipote di Atlante, sostiene convenevolmente la immagine di
+una donna, ch’è il pernio del mondo. La testuggine, simbolo del facondo
+dio, indica il voto che la bellezza sia lenta a sparire. Ma le serpi,
+le ali, la borsa perchè qui obliati?
+
+— Chiedi stranezze, o Rhodope. Le corna sì, in questo che ho nelle
+mani, sono di troppo.... Oh! Mira il bel vaso che fa Lochiades
+opponente da Batracho. Quel giovane che ha l’asfodelo nel pugno è in
+vero manchevole nella persona.
+
+— Sì, quel torso non fa onore al pennello di Echeclos. Potea
+risparmiarsi di graffiarvi καλος. La giovanetta nuda è meglio
+trattata. Le linee s’intrecciano armoniose, con grazia e con eleganza
+d’invenzione.
+
+— Di’ sino a domani. Ma il Nolano sa quello che fa. E chiudi la bocca
+dinanzi l’altro fittile che presenta la leggiadra donna che ha nella
+destra lo scettro della bellezza, e porge colla manca una coppa piena
+di gioielli a quel giovane che accetta il dono e ne toglie di sorpresa
+una grossa perla. Gli è il simbolo delle nozze di Vibio. La perla del
+dolore. Il premio alla virtù.... Oh! lui beato!
+
+— Veh! Epogato il bel vase di bronzo dal solo manico che finisce con
+due colli d’oca e dalle foglie di acanto che accompagnano i tre piedi
+con gentili incisioni.
+
+— Ricorda, o Polydemo, i bei versi di Virgilio:
+
+ _Et nobis idem Alcimedon duo pocula fecit,_
+ _Et molli circum est ansas amplexus acantho;_
+ _Orpheaque in medio posuit_......
+
+— E vedi nel manico la testina di Orfeo che da Alcimedonte fu posta nel
+mezzo del vaso cennato dal Mantovano. Meglio interessante questa diota
+col gruppo formato dal puttino alato e dal tigre sui due manichi.
+
+— _Butu Batta!_ Cotesti κακαβοι, o come qui gli chiamano, _akena_,
+faranno brontolare il _coquus_ Elesiade di Messana. Più eleganti le
+_sartagines_ da friggere, le _pelves_ da cuocervi dentro le carni e
+le _patellæ_, quelle tegghie da pesce. Eccolo che viene, o Lucidea.
+Scommetto approverà lo _ahenum_, di forma elegante, che ha il manico
+del coperchio simulante un delfino.
+
+— V’ingannate, o Abacino, o Issa, o Hagyo e Certa. I cacabi da
+appendere o da poggiare sui tripodi gli amo meglio semplici e senza
+ornamenti. La dea Fornax nè sa qualcosa quando gli schiavi gli
+nettano. Le casseruole le avrei volute fornite di bei manichi — una
+testa di lepre — un capo d’aglio — un ariete. — V’è solo il buco per
+appenderli. La patella per cuocer le uova a riverbero nei loro gusci
+onora l’artefice. Cotesta sì, è una sorpresa, e debb’essere Mutraio
+Quirinale, il fabbro che ha bottega sulla via Domizia. Liberò alla sua
+salute stasera dal vinaio Spiritus. E poi, come tutto è bene stagnato
+nello interno, secondo il recente sistema dei Galli Biturigi, sì che
+pare inargentato come pria si faceva.
+
+— E che dici, o sapiente manipolatore, di quella fornacella di ferro,
+contenente il vaso per le opere tue?
+
+— Non la lodava, o Certa, perchè _pars maxima in ea_. Ne dissi il
+congegno a Saturnio, il puteolano; ho assistito alla sua fattura, e
+me ne servirò per tenervi calde le salse con pochissimo fuoco, chiuso
+com’è di ogni parte. Ma i tre manichi ch’egli vi aggiunse, uno pel
+coperchio e gli altri per trasportar la fornace ove piaccia — quelle
+statuette di donne giacenti — sono proprio una maraviglia.
+
+— Berrai anche per lui, o Elesiade, eh?
+
+— E berrò triplo, o Abacino, se tu mi secondi. — E berrò decuplo
+come Anacreonte, se Certa non disdegna il contatto delle mie labbra e
+l’autocrazia sulle vampe del mio cuore.
+
+— Salve, o imperatrice dei cacabi!
+
+— Eh! dicesse da senno.... accetterei. —
+
+Due ragionavano tra loro in mezzo agli sguaiati parlari. E miravano
+due statue di perfetto lavoro. Quella di bronzo posava sur un globo
+guarnito dalla fascia zodiacale. Era da collocarsi nello impluvio,
+dinanzi lo ingresso della casa. L’altra di marmo aveva un occhio di
+bronzo nelle reni per collocarla sospesa in aria tra le tettoie della
+seconda corte e sopra lo xysto. Erano veramente due capi d’opera.
+
+— Mira, o Aurelio Postumio. Le chiome cadenti sugli omeri, il seno
+ricolmo, il peplo che dal capo va giù in lunghe pieghe, la rotondità
+delle forme la testimonierebbero donna, se l’artista l’avesse tutta
+coperta. La destra rialzata sulla spalla per rilevare l’unica veste e
+il flabello che stringe colla sinistra sono pur muliebri atteggiamenti.
+Quel figliuolo di Mercurio e di Venere nel cui corpo la passionata
+Salmace si compenetrò, servì all’allegoria di cui sono scuole perpetue
+le antiche iniziazioni.
+
+— Come, o Vepinio, l’ermafrodismo non è dunque nella natura, e le son
+favole quelle che troviamo nei papiri?
+
+— Sono e non sono. Ma la statua che Vibio commise allo artista
+ercolanese dice tutt’altra cosa. Cotesto accozzamento delle parti
+maschili e delle forme femminee che posa i piedi sul globo terrestre è
+il genio della natura che s’immedesima nei due sessi.
+
+— Che ammirate di bello?
+
+— Ammiravamo, o Giunio Semplice, l’allegoria ch’è in quella statua di
+bronzo e.... Vibio, tu fosti servito a dovere. Il Fauno, il Narciso, il
+Sileno, il Bacco, ed altre poche scolture in Pompei possono gareggiare
+in siffatto confronto. Ti costa molto?
+
+— Aurei nummi!
+
+— Bene spesi!... E lo stesso artista fe’ pure la statuetta di marmo?
+
+— Mai no. — Una è di Apollonio, figlio di Archias. L’altra è di
+Suliodes, lo ateniese. Rappresenta l’anima umana che allargando
+mollemente le braccia e spingendo lo intero corpo vaghissimo nello
+spazio, cerca, ricerca, urta, cade, si risolleva e vola nelle ondulanti
+spire dell’aria.
+
+— O maraviglia!
+
+— E perchè nel destro polso la sottile armilla? —
+
+Un uomo ch’era stato ad udire colle braccia in croce dietro le spalle,
+e tutt’occhi guardava la statua posta sur un tappeto di lana per terra,
+non potè a meno di dire:
+
+— È il legame della psiche immortale col suo velo corporeo quaggiù.
+
+— Bravo! è un uom di genio costui!
+
+— Merita del vino _diffusum consule capillato_.
+
+— No. Se ne avessi sarebbe dolciume. Darò a Peloro di quello _mecum
+natum consule antiquo_.
+
+— Io rimango estatico, o Giunio, dinanzi quella scultura. La rivedrò
+messa al posto. Come la gioventù diffondesi per tutte le membra, e
+colla gioventù la bellezza!
+
+— La correzione del disegno, o Vepinio, la grazia dello atteggiamento
+sono un insieme che rapisce ed incanta. —
+
+Nell’atto entravano per l’uscio di strada Hermio e Macerio. Erano due
+schiavi dello edile. Uno richiamò la di lui attenzione su due briglie
+che avea per le mani — una semplice — una più adorna. — Erano di
+bronzo.
+
+— Mira, o padrone. Questa a sinistra non la desidero. Nessun ornamento.
+Lo artefice però ha aggiunto al _prostomis_ la bella catena, la
+_psellion_, per sedurmi. Sfibbierò l’altra e la ficcherò pei due
+anelletti laterali, ne’ quali va il freno, e la passerò sotto il labbro
+inferiore del tuo nobile africano, perchè non apra la bocca. Consenti?
+
+— Tu hai gusto, vecchio Hermio. La equilia è il tuo regno e disponine a
+modo tuo.
+
+— È buono il signor nostro. Sappiano tutti gli dei ascoltare i miei
+voti. — Comperai anche un _prometopides_, da porsi sul fronte del
+cavallo. È di bronzo, intarsiato di argento con bella maestria. Mira!
+In mezzo havvi un dischetto ove appariscono in basso rilievo due uomini
+seminudi che si tengono per mano, pigiando le uve sotto una pergola.
+
+— E tu, Macerio, che rechi?
+
+— Una lanterna, o padrone. La luce fumosa della fune impegolata,
+nottetempo ti offende. — I due sostegni sono di metallo a getto. Per
+dar passaggio alla luce interna ho preferito il corno, sottile più del
+vetro e più forte. La comperai da Tiburzio Cato; nè ho a dir altro.
+
+— Sono contento dell’opera vostra. Andate. —
+
+Quei giovani s’intrattennero anche alcun tempo collo edile, ragionando
+di arte, aspirandone per la retina degli occhi e traspirandone per ogni
+poro.
+
+E chi non era artista in Pompei? Scuole, siccome noi or le intendiamo,
+non esistevano. Ma tutto e tutti ne fornivano continuo i modelli, dalla
+natura animata alla natura palpitante. I pesci nel mare, le triremi
+sul Sarno, i begli alberi carichi di frutta sul piano, le case di
+campagna sul versante del Vesvio, i monumenti nella città, i bambini
+ignudi, le donne non molto coperte — di belle linee fornite e di facile
+consorzio — il culto professato largamente alla iddia del cuore dalla
+pubertà sino al possibile, ecco gli educatori allo sguardo per la
+scienza della forma, per la leggiadria delle movenze, per la magia dei
+colori, per l’armonia dei gruppi. Io veggo graffite sui muri caricature
+delineate col sentimento dell’arte. Nello ambulatorio addetto alla
+famiglia degli accoltellanti erano immagini di giostre, di uccisioni
+e di cacce che nessun soldato oggi saprebbe segnare colla baionetta. I
+mosaici presentano una varietà di disegni ed uno accoppiamento di marmi
+ammirevole. Non un quadro copia di un altro. Se raffigurante lo stesso
+soggetto, diversa la posizione delle figure. E ve ne ha di quella che
+Raffaello e Michelangelo avrebbero testimoniato co’ loro nomi.
+
+Io credo che ai monelli — dopo aver macinato i colori e visto il
+metodo di adoperarli — prendesse sovente la fantasia dello imbratto e
+riescissero. E incoraggiati e plauditi, continovassero. Quell’_anch’io
+son pittore_ debb’essere di antica data. Ed è certo di origine italiota
+dai secoli lontani.
+
+Gli amici si salutarono e si strinsero le mani.
+
+— Quando le nozze? —
+
+— Appena, o miei, avrò posto in assetto queste domestiche cose.... Nei
+giorni fausti del quinto mese. — Fra poco. —
+
+— Augurii lieti, felici. —
+
+Tutti partirono. Andarono di concerto sino all’arco a trionfo. Quindi
+ognun prese il suo cammino, quale verso il Foro, quale alle sue case.
+Un d’essi, Marco Porcio, avviossi colà d’onde esciva la luce che
+irraggiava in quei giorni il suo cuore. E camminando diceva a sè stesso
+con quel gesto animato dei meridionali.
+
+— La mia chimera è svelta come Diana cacciatrice. La donna breve, più
+che uno sproposito, è una inavvedutezza di Vitunno che dà il soffio
+della vita ai mortali. L’amo bianca, perchè il giglio è bianco. I poeti
+per velare gli orrori della pelle bruna la dicono dorata dai baci del
+sole. Quell’oro è rame brunito; è una epidermide di assi. Ho qualche
+sospetto però sul colore dei suoi capelli. Ma così qual’è, anima e
+corpo sono un invidiabile possesso. —
+
+Cennia Augusta — della famiglia Procula — che l’occupava sì da veder
+lei in ogni cosa nella quale imbattevasi, lo riamava; ma di quello
+affetto di donna giovane e svagata che vien dopo la idolatria di sè
+stessa. Quanta giovinezza! Quali occhi! Oh! come purissimi i suoi
+contorni! Tre anni innanzi, in aprile, aveva compito dodici anni. E
+se lo spirito avea progredito, anche la natura aveva sviluppato su
+di lei le sue forme svariate. Già nella notte un ribollimento del
+sangue aveva sollevato i suoi sensi nel calore del riposo ed operata
+una gradevole epurazione che avevala agitata e commossa tutta. E nel
+maggio, la natura fiorì in lei d’un tratto e senza sforzo, siccome una
+rosa vivace e fresca che sbocci al bacio possente dei raggi di un sole
+di primavera. Non poteva uom vederla senza sentirsene punto dentro. In
+quell’ora la era discesa dal letto di avorio per andare nel domestico
+bagno. Quivi:
+
+ _Effulgent camerae, vario fastigia vitro_
+ _In species animosque nitent:_
+
+E la giovane etèra baloccavasi nel tino di bronzo, lucido e terso come
+oro, e udiva la cronaca scandolosa del giorno che Feda, la sua venerea,
+le andava narrando, intanto che la _flabellifera_ le teneva lontane le
+mosche dal capo. Dopo un lungo cicaleccio su molti svariati propositi,
+Giulia interruppe:
+
+— Oh! Tutto concedo ad Horania di M. Alleio Sirico. — Il lusso di
+cui non abbisogno — lo amore che mi circonda — gli affetti di Porcio
+dipendenti dal mio sorriso — le di lei ville sontuose in Capreas e sul
+Vesbio — tutto — tranne quella _crotocula_ dal colore di zafferano,
+tanto ora in moda.... Ahimè!.... Tamno; il mercante nella via Popidiana
+che mena alla porta di Nola, mi assicura non averne più di tal
+tinta. —
+
+— Eh!... l’avrà. E vorrà fartela pagar nummi d’oro. Phrygia — la tua
+nudrice — udì lo sproloquio che Tamno facea con Ebelana e con Lusia
+al proposito di quella stoffa egizia. Certo, par cosa maravigliosa.
+Sai?... Egli riceve dal paese che crea ogni portento tessuti bianchi,
+ma apparecchiati da industri artefici in Tyro. Gli tuffa nella
+caldaia ove bolle un mordente, e le stoffe impregnate escono fuori di
+colore diverso, cui nè l’uso impallidisce, nè l’acqua della fullonica
+lava. —
+
+— In verità, di quella tinta io non vidi mai alcuna veste. E la voglio.
+E l’avrò. —
+
+Odesi un leggero rumore di passi sul molle tappeto della stanza vicina.
+Una mano solleva la portiera. Ed ecco due giovani e belle schiave,
+vestite di lunghe tuniche bianche, le quali penetrano nel misterioso
+asilo di Venere e delle Grazie.
+
+— Marco Porcio, o padrona, è venuto e chiede vederti. —
+
+— Mercurio, o Feda, a me propizio lo manda. Sacrificherò a quel divino
+nel mio larario. —
+
+E sì dicendo si sollevò dal tino. E dal suo bellissimo e ignudo corpo
+discese a goccioloni, come pioggia di perle, l’acqua profumata da
+asiatiche essenze. Le schiave denudaronsi anch’esse le braccia e il
+petto rigonfio per essere più libere nei loro movimenti. E carezzarono
+con minuziosa cura la dermide delicata della padrona mercè sottili
+spugne tinte di porpora. E presi gli strigili di avorio, con essi
+mollemente la tersero. E la nettarono colle pomici. E la dipelarono
+col _lutum venetum_ — miscela di terra di Cypras e di aceto. — E
+l’asciugarono a modo colle pelli del petto dei cigni.
+
+Quando in seguito la Cennia fu innondata di aromi i meglio preziosi
+dell’Assiria e dell’India, chiuse la seducente persona in una di quelle
+tuniche di lana che Varrone chiamava stoffe di vetro per la somma loro
+leggerezza: calzò i piedini in eleganti _soleæ_ scarlatte, adorne di
+ricami d’oro e di granati. E appoggiata sulle spalle delle schiave, si
+trascinò in una stanza bene illuminata, dove le donne di quella tempra
+_dum comuntur, dum moliuntur_ spendevano un anno di vita.
+
+Finchè durarono le prime cure nessun occhio indiscreto potè penetrare
+in quello asilo, come se quivi si fossero celebrati i misteri della
+Buona Iddia. Fra lo _speculum_ di argento e la persona è sulla tavola
+tutto un _mundus muliebris_ — spilloni, stili, lime per le unghie,
+spazzolini pei denti, pennelli pel liscio, mollette per strappare i
+peli del mento, vasi di avorio, di alabastro, di argento, di vetro, di
+terra di Nola, di murrhina, contenenti i cosmetici i più svariati e le
+essenze preziose. — Vi erano le pomate di Cosmos, e di Marcelliano.
+E i profumi d’Iris di Corinthum. E gli olii estratti dalle rose di
+Pæstum, di Præneste, dallo zafferano di Rhodum, dalla maggiorana di
+Cos. Nè tra gli aromi mancava quello delle mandorle amare di Mendes; e
+del cinnamomo che costava venticinque denari la fiala; e il così detto
+_regalis_, perchè composto pei re dei Parti, il quale odore era il più
+stimato e ricerco per la ragione che gli era il peggio costoso degli
+altri.
+
+Dopo avere annerito i sopracigli e le palpebre con uno spillo esposto
+alla fiaccola della lucerna e rosate le gote col belletto — sì che
+gli sguardi doventassero vivaci e lo incarnato attraente — una nuova
+schiava, Hellen, sparse sulle chiome di Cennia un’acqua il cui secreto
+era dovuto ai Germani, il popolo suo. Quei capelli, poc’anzi neri
+come ala di corvo, presero presto lo splendore dell’oro, ardente qual
+fuoco. Dappoi che Nerone avea celebrato coi suoi pessimi versi il
+biondo arrischiato della sua consorte Poppæa — cui egli diè il nome
+di saccinum, fossile combustibile, bituminoso di un giallo rossiccio
+come il giacinto — le eleganti avevano sdegnato le nere capigliature
+che ornavano la fronte delle figliuole del popolo italiota e, o si
+adattavano sul capo i capelli tessuti delle bianche donne nate sulle
+rive del Reno, o li tingevano del colore dell’ambra per non parere
+creature volgari.
+
+Allorchè la _coma_ fu _calamistrata et crispata calido ferro_, e gli
+aghi crinali la tennero in quell’ordine di anelli che la moda imponeva,
+lo amante poteva entrare ed assistere al compimento dell’acconciatura.
+I veli del mistero non avevano altro a coprire dinanzi al suo sguardo.
+
+— Venere physica e Mercurio abbiano lo altare giuncato di fiori.
+Poi sacrificherò io in secreto alle divinità favorite. Intendi, o
+venerea? Ora, introduci qui il giovane Porcio.... Prima però dammi la
+_calthula_.... eccola là... quella leggera, azzurra, che si accorda
+coi miei capelli ora biondi. Mi avvilupperò in essa per quanto
+occorra. —
+
+Marco venne accolto con una di quelle frasi che danno al colloquio
+della prima ora lo incanto e la dolcezza della intimità profonda.
+Cennia gli stese la piccola mano, gemmata in ogni falange, che l’altro
+passionatamente baciò. Non so se i pochi lettori, che le cure nazionali
+e le depauperate fortune mi economizzano, abbiano mai riflettuto al
+rapporto misterioso che esiste tra la mano e la bocca di una donna
+amata. Parmi che in quelle dita, su quelle labbra arda una qualche
+fiamma che bruci il sangue. Sono i due punti da cui scaturisce il
+filtro che crea le grandi ubriachezze del mondo.
+
+Erano soli e senza alcun sospetto. Non io narrerò la conversazione
+del cuore ch’ebbero insieme. Un profumo divino era racchiuso in ogni
+loro pensiero. Un mistico fiore fu colto, assaporato, goduto. Quando
+il dialogo — interrotto talvolta da eloquenti silenzi e riattaccato da
+frasi velate che dicono tutte le cose della terrà e del cielo — ebbe
+fine, la donna dominata da una idea cardinale che l’agitava da tempo,
+discese dallo empireo dei sensi e così prese a dire:
+
+— Io sono ciò che hai voluto.... Mi sento tua. E ne son lieta.... Sì,
+tu mi fai la donna felice quaggiù. Ma....
+
+— Che manca a Cennia Augusta, l’amica dell’anima mia?
+
+— Ho il bene supremo con te.... Avrei Venere irata se mi dolessi.
+Mi ami e mi dài continove prove di affetto. Ma una goccia di pioggia
+turbinosa mi è caduta sul cuore. E i dragoni, le arpie, le chimere,
+tutti i mostri di Acheronte non m’impaurano come il pensiero che da
+qualche istante mi assedia. —
+
+Allora lo amante ansioso si levò dalla _cathedra_; e abbracciandola,
+cercò consolarla:
+
+— Se tu mi ami riamata, qual fuoco incendia le ali della tua psiche
+divina?... Tu guardi confusa sulle tue mani?... Sei stanca delle
+gemme incise da Phrygillo, da Tamyro, da Apollonide, da Tryphone, da
+Dioscoride? Preferisci ornar le tue dita di smeraldi, di granati, di
+ametiste, di niccoli lavorati da Aquilas, da Quintillo, da Rufo, i
+migliori tra gli artefici del giorno? Dillo ed avrai....
+
+— No, caro ed amato Porcio.
+
+— Tu arrossi confusa? Ah! comprendo ciò che da me ti divide. Rivedesti
+nell’Odeon Q. Pompeo Amethysto che un giorno sospirava ai tuoi piedi.
+Ha un fascino il suo sguardo. Parecchie donne mi han detto che i suoi
+occhi dimoiano più facilmente le reticenze del cuore, di quello che il
+sole la neve.
+
+— Tu evochi periglioso ricordo. Che la memoria solletica più
+furiosamente dell’atto. E lo invisibile dà una scossa dolorosa e di
+tutte delizie alla fibra delicata di certi cuori... Ma, non temere. Non
+è l’ombra che viene ad assalirmi.... Bene, una cosa reale. —
+
+E lo chiuse tra le sue braccia e lo baciò colle labbra smaniose. E
+poi, mirandolo fisso per meglio immedesimarselo — era sentimento?
+era artificio? chi comprese mai il vero sullo sguardo delle anime
+innamorate? — proseguì:
+
+— Se io ti oblio, o Marco, che Venere mi oblii. Il mio amore per te
+è la saviezza del cuore. Io mi voto a te con tutta la tenerezza della
+creatura composta di nervi e di sangue.
+
+— Ma dunque, parla. Che è mai?
+
+— Perdona. Noi — fragili cose — siamo l’orgoglio, la curiosità, il
+capriccio, lo interesse vanitoso del sesso più forte. Una _crotocula_
+io vidi del colore ora in moda. Tamno l’ha venduta ad Horania, donna
+del tuo amico Sirico.
+
+— Ma Tamno altre ne avrà.
+
+— No. Sol’una ed è quella. Lungo è il tragitto da Tyro. Breve
+dall’Urbe. Toglimi da questa malattia del cuore. Ed avrai tra le tue
+braccia la donna scherzosa come un epigramma e passionata come una
+elegia. Vuoi?
+
+— Il sole ha mille aspetti commoventi, e tu sei come il sole, o mia. Mi
+facesti tremare pur dianzi. Or mi sollevi dal profondo ove la fantasia
+incerta non trovava la strada per tornar su. Sì, o amore, sarai
+consolata. —
+
+Chi descrive il sorriso di Cennia Augusta a quei detti? Non io.
+Sulla sua faccia splendeva qualche cosa di fuggitivo, d’indistinto,
+di misterioso che fornisce nuovi alimenti alle vampe che allumano il
+nostro sangue. Quegli che sa le grazie della donna, e che passò la
+sua gioventù a contemplarla, e che apprese a vivere contemplandola,
+comprenderà e delineerà il sorriso di quella bellissima creatura
+appagata.
+
+— Lo giuro a Venere sacra, e l’avrai. —
+
+Partì. E quel giuramento della volontà fu un di quei pochi che il vento
+mal fido non osò portar via.
+
+Horania — la giovane donna invidiata pel possesso della _crotocula_
+— era allora in una sua villa sul versante meridionale del Vesbio. La
+strada che vi conduceva — praticabile dai cavalli e non da alcun carro
+— era abbellita di alberi e di fiori, e di utili culture. Le quali
+venivano qua e là interrotte da enormi massi grigiastri che facevano
+pensare ai combattimenti misteriosi tra esseri di una forza sopraumana
+ed altri la cui natura il senso religioso tentava spiegare. Su quei
+massi non una pianta; qualche arido stelo sulle crepacce. Pareva la
+preda offerta agli ardori divoranti del sole. La casa era grande e
+di forme svariate. Torri — porticati a colonne — piscine elittiche —
+atrii con camere da letto, sale, bagni, e fauci che il tutto riuniva,
+esponendo ad un cielo di zaffiro le sue mura bianche ed incontaminate.
+
+Il padrone di quel luogo sontuoso era assente. Sirico — che in città
+possedeva la casa prossima alle Terme, dal triclinio il più ricco
+di pitture che sia in Pompei, dal protiro che saluta il lucro quale
+la divinità del suo cuore, e che sul muro di contro aveva fatto
+pingere ad encausto i serpi simbolici contro il mal’occhio colla
+iscrizione: HOTIOSIS LOCUS HIC NON EST PROCEDE MORATOR — era un uomo
+di speculazioni arrischiate che i costumi depravati ammettevano.
+Provvedeva di cinedi e di fanciulle i fastosi del paese e di fuori,
+e faceva mercato di schiavi da lui comperati in Europa e nell’Asia.
+Da due mesi trattenevasi nell’Urbe a cagione del suo turpe commercio.
+Horania era stata a sedici anni da lui acquistata in Pale, dell’isola
+di Cephallenia che con Ithaca prospetta il promontorio greco
+dell’Acarnania. Più che quarantenne, avevane fatto la compagna della
+sua esistenza; impadronendosi di una giovane vita — non del suo cuore —
+e sommettendola ai suoi capricci. Il lusso, i vini delicati, i ricchi
+mobili, le più ricche vesti, i monili d’oro, le gemme, le perle, il
+codazzo dei servi, la casa di città e di campagna sono lo accessorio
+della felicità per l’anima giovanile della donna; ma non la felicità
+piena. Laonde la si era incaricata un giorno di secondar la fortuna, la
+quale talvolta tradiva il commerciante nei traffici suoi.
+
+Giovinezza e bellezza non sono di frequente sinonimi. Vi ha donne, non
+giovani, bellissime. Vi ha giovani incompiutamente belle. Se il volto
+è appassito, il corpo è un fiore sul gambo. Se il viso è fiorente, la
+persona non è ancor ritondata. La donna dai venticinque ai trenta anni
+è la vera madre della grazia, della bontà per tutti, delizie ch’essa
+rivela cogli occhi ricchi di pietà, di gentilezza e di amore.
+
+Ed Horania era, quale io la veggo nei miei pensieri, di una bellezza
+antica. Con un elmo greco sulla testa e il torace coperto da squame
+d’oro avrebbe raffigurato Minerva in quei tempi della carne glorificata
+e dei divini ardori. Le sue narici mobili e graziose posavano sur una
+bocca rosea, umida e sempre aperta al sorriso. Quando parlava pareva un
+uccello. Quando taceva sembrava un fiore. Due grandi occhi, del colore
+delle viole mammole, si disegnavano sotto una fronte diritta, adorna
+di capelli abbondanti, che in onde oscure le s’inanellavano sulle
+spalle, ritenuti da una rete di fili d’oro. I piedi, le braccia, le
+mani impensierivano i cultori dell’arte imitatrice. Da tutta la persona
+snella e leggiadra venivano allo sguardo emanazioni sottili, invisibili
+di fascino e di voluttà.
+
+Un giorno Catullo Messalino, tornando da una ispezione alla colonia dei
+veterani, la incontrò colle sue schiave in una via solitaria del monte.
+L’uomo e la donna si guardarono a vicenda. Ed ambedue compresero dai
+battiti del cuore lo arcano che la natura compone nel sangue e rivela
+quando che sia.
+
+Il giovane centurione era siculo. Aveva l’anima di fuoco. E la pelle
+che coprìa le sue carni era pure bronzata dai raggi del sole natìo.
+Non era bello di quel tipo che Phidias, Gorgias, Pithagora di Rhegium,
+Patroclo di Crotone, Hypatodoro e Aristomede di Thebes avevano fissato
+con linee convenzionali. Di statura mediocre. Di forme proporzionate.
+Un misto di tristezza e di grande energia. Se sul campo contrastato
+avesse avuto la fortuna a rovescio e i militi fuggenti, come Arrio
+Secondo avrebbe strappato l’aquila dalle mani del vessillifero e,
+gittatala in mezzo alle falangi nemiche, detto cogli occhi:
+
+— Io corro al pericolo in nome di Roma eterna. Seguitemi e riprendete
+la gloriosa insegna! —
+
+Molti uomini, presi dal fulmine di quegli occhi, sarebbero tornati i
+vincitori del campo. Nessuna donna — almeno per un istante — avrebbe
+potuto restarsi muta allo appello.
+
+Quei due esseri si amarono e ardentemente si amarono. Messalino passava
+alcune ore deliziose della sua giornata con lei. Sulle di lei labbra
+gli sembravano più belle le parole della lingua natale. Le frasi si
+dipingevano di un candor virginale e di certe delicatezze che pareano
+innocenza. Egli coglieva per essa le più belle rose e i più bei frutti
+del luogo. Ed Horania, sdraiata ai suoi piedi sur una pelle di tigre,
+accennando alle ridenti piagge di Surrentum, di Capreas e di Pithecusa
+che chiudevano il cratere partenopeo, addolciava la vita di poetici
+pensieri, sollevati dalla immagine estatica ed amante che aveva
+dinanzi. Una subita e terribile fatalità poteva troncare il filo di
+quei sogni dai quali quegli spensierati si faceano cullare.
+
+La passione è il vino delle grandi ebbrezze, o è l’acqua di Lete — vino
+ed acqua che hanno la potenza di annuvolare i cervelli.
+
+— Amore! tu mi hai ritolto da una vita di noie e di secreti lamenti e
+mi portasti sulle tue braccia in paesi ignorati. Ciò che tu m’inspiri
+lo sapeva io pria di vederti? I tuoi baci sono profumati come il mele
+d’Hymetto. Il tuo amplesso mi ha creato il cuore. — Sirico.... Oh!
+Sirico non era da tanto! —
+
+Messalino si rammentò di un uso antico della sicula gente che meglio
+avrebbe risposto allo incantesimo di quelle parole. Prese dalla corona
+di rose che a lei cingeva le tempia un bottone rossissimo di Mileto che
+parea fior di granato. Lo sfogliò in una coppa di murrhina ripiena di
+falerno e la vuotò in onore di lei e della sua idoleggiata bellezza.
+
+Questa era la vita che furtivamente, o per caso infinto, o per meditato
+convenio menavano da due mesi quelle creature felici sotto il cielo
+ardente della Campania e nella invocazione di Venere protettrice. Le
+ore lietissime sono siffattamente fugaci da eludere il taglio dello
+scalpello, il graffito della penna, il plagio del colorito. Lo spettro,
+che è cosa morta, non può riprodurre la scena del cuore, che è cosa
+viva. Non posso però ritrarmi dal pingere la sofferenza che straccia e
+dilania le viscere di quegli amanti sorpresi nel grembo di una svagata
+sicurtà.
+
+Catullo Messalino, attraversato un bosco di lauri, entra in uno xysto,
+penetra nell’æcus e si ferma. Quale inno cantavano i begli occhi neri e
+radianti dello eroico centurione? Era un’ode. I ricordi, la speranza,
+la gioia illuminavano gli sguardi ricercatori. Ma Horania non vi è.
+Esce e nel sollevare la cortina che abbuiava la luce di una camera,
+la donna dell’anima sua si leva dal lettuccio e gittandosi nelle sue
+braccia, pallida ed in lacrime, chiude il viso sul collo di lui.
+
+— Domani.... forse oggi.... egli qui! —
+
+Siffatto caso, sì preveduto, e tante volte meditato, parve ad ambedue
+una inattesa sventura. Messalino non rispose e più ardentemente la
+baciò. Quindi:
+
+— Horania.... egli venga e trovi vuoto il cubicolo tuo.... Abbandona
+queste equivoche dovizie, sparse di lacrime e sporche di fango....
+Vieni meco.... Dovunque sarò e tu sarai.... Posso omai vivere senza
+te?... E non morresti tu lontana dal leone del cuor tuo? —
+
+La donna era così sprofondata nel suo cupo dolore, che lo udiva
+trasognata e levava gli occhi lucidi al cielo quasi per incontrarvi una
+idea consolatrice. Ma vi sono momenti nella vita in cui le illusioni
+fanno paura a sè stesse e non osano entrare nelle menti desolate dalle
+passioni, poi che la innocenza le ha disertate per sempre. E comunque
+una idea di affetto le fosse discesa dal cielo o venuta su dal cuore,
+la bellissima greca l’avrebbe sfatata. Il centurione era lo avvenire
+incerto, l’uomo del gladio, il padrone del braccio, la lotta dello
+indomani, la vita dei continovi pericoli. Sirico era il focolare
+domestico senza dignità, senza stima nè amore, sì. Ma il focolare che
+riscalda, che ha il domani. Era la carezza del lusso, l’abbondanza
+dei profumi. Era la età matura sui cuscini di porpora e sul rispetto
+degli schiavi prostrati. Era la prosa della Danae abituata alle visite
+metalliche di Giove che allontanava da sè la poesia dei ricordi i quali
+si facevano ognor più velati. Gittò un sospiro profondo, lo strinse
+forte al suo petto, lo baciò furiosamente e poi parlò.
+
+— Tu sei il bene supremo. Tu sei la esistenza.... La mia sarà omai
+breve, lo so. Ma.... la mia vita non poteva confondersi colla tua.
+Separiamoci. Il Fato vuole così. Allontanati prima ch’ei giunga. —
+
+Il siciliano comprese. Ma l’amava. Ed ogni suo nume era in lei. La
+guardò fiso per qualche istanti. La baciò sulla bocca, sulla fronte,
+sugli occhi e sì febbrilmente da dar vita con quei baci di fuoco a una
+morta. E partì.
+
+Partì. E lo xysto, ed il lago, e la fontana, e gli alberi e la foresta
+di lauri ebbero i suoi sguardi sfiduciati e il vale estremo. Se lo
+imperatore lo avesse chiamato a combattere, il suo braccio avrebbe
+commesso miracoli di virtù in tale istante. Desiderava in tanto dolore
+la morte utile agli altri — refrigerio al suo cuore — la morte eroica
+del centurione romano sotto lo sguardo dei Dioscuri protettori.
+
+Corse al mare e si cacciò nelle onde agitate e spumanti. Nuotò per
+un’ora onde raccattare un po’ di distrazione e qualche stanchezza. Ma
+il sangue bolliva, i nervi erano tesi. — Inforcò un cavallo e di corsa
+verso Neapolis. Ma, non appena giuntovi, indietro a slascio, attratto
+dalla memoria di lei. — Si racchiuse nel suo cubicolo e passò la notte
+in ismanie e mordendo le coltri. Oh! i disegni della sua mente delira!
+
+— I seguaci di Romolo, le Sabine!... Senza quel ratto l’Urbe non
+sarebbe sorta potente.... E qual Sabina la Horania mia! Mia?...
+D’altri.... non mia! Di mio non ho che il dolore di averla perduta....
+la memoria di un limitato possesso!... Ecco, io mi slancio alla testa
+dei miei veterani, brucio, ruino la casa del mio rivale e rubo la
+donna, la sola nata agli occhi del mio cuor travagliato. —
+
+Cotesto vano trionfo di un istante inebbriava per poco il suo cervello
+che ardeva. Ma le leggi del dovere cui era abituato lo tranquillavano
+ben presto e gli facevano disprezzare le stravaganti avventure che pur
+dianzi lo avevano solleticato.
+
+Barcollante tra pensieri diversi, uno alla perfino seppe accettarne. E
+corso al tribuno dei militi, che aveva il comando delle tre coorti di
+stazione nell’agro pompeiano, chiese ed ottenne il permesso di andare
+nell’Urbe col pretesto di faccende a lui care.
+
+Io scrivo sulle agitazioni di un povero spirito, immerso in un pelago
+d’idee tumultuose quali esse sono, non quali la convenzione adottata
+sui tempi eroici a noi le trasmise nelle pagine istoriche e nei
+monumenti. L’uomo nato di donna è sempre uomo. La vita pubblica e il
+campo di battaglia possono trasumanarlo; e in questo istante solenne
+il cuore si divinizza, la frase diviene sublime e l’atto non è più cosa
+mortale.
+
+Or uno schiavo entra nell’atrio e chiede di M. Catullo Messaline.
+Questi esce, svolge una pergamena che gli vien pôrta: e,
+
+— «Sono ancor sola e libera. E brucio di amore. Vieni.» —
+
+Corse allo invito e rientrò nella felicità come se riprendesse il filo
+di un sogno beato dopo breve vegliare.
+
+Ore piene! Ore deliziose! Ore che qualche lettore ricorderà.
+
+A notte tarda riprese la via del ritorno. Era più consolato. Sentiva
+ancor sulle labbra il fremito delle labbra non sue. Sentiva quasi sul
+petto il contatto di lei. Quando, giunto presso un burrone profondo,
+vide nella oscurità escire un’ombra da un masso di lava e venirgli
+incontro in atto di minaccia. Dai battiti del cuore di quel fantasma
+comprese chi fosse.
+
+Sirico avea tutto saputo da uno schiavo fedele. Volea vendicarsi. E
+aveva in mano il coltello da ciò. La sfida mortale. Il luogo scelto era
+adatto.
+
+La lama aguzza aduna il poco chiarore dell’aria e scintilla in alto
+nelle tenebre. Messalino dà indietro, sguaina il brando e ferisce con
+impeto. Un urlo disperato e il tonfo di un corpo pesante che precipita
+a sbalzi in fondo al burrone compirono la tragedia.
+
+Tornò sui suoi passi e destò la giovane addormentata.
+
+— L’ho ucciso. — Or mi appartieni.
+
+— Ma è sangue oltraggiato quello che hai sparso!
+
+— Egli uccideva me. Vieni. Mi salvo e ti salvo. —
+
+Ricoverarono nell’Urbe un delitto di più.
+
+Delitto?... Eh! baie!... Gli era il prodotto di un funesto amore
+dell’anima umana, fiore sanguigno sbocciato in tempi assai diversi
+dai nostri, cresciuto nella esaltazione, anaffiato dalla gelosia,
+colto dalla minaccia e che sentiva lo aroma di una natura aspra e
+gagliarda.... Uomini di tal tempra non permettevano a piedi stranieri
+di calpestare con insulto la sacra terra dov’erano nati! Coteste parole
+servano a Messalino di scusa presso coloro che coi _se_ e coi _ma_
+si addormentano placidamente ogni sera sulla coltrice delle nazionali
+vergogne!
+
+Siccome gli sguardi, esistono nei lessici di tutte le lingue parole
+di doppia vitalità — quella del cuore d’onde escono — quella del cuore
+che le riceve. — E spesso in una di esse si annicchia la genesi di una
+battaglia, la trasformazione di una esistenza, il rifugio di una grande
+speranza, una resurrezione piena di dolcezza.
+
+Herculanilla era la rarissima tra quelle creature che i poeti
+covano nella mente come la più intima, la più cara, la più completa
+espressione della grazia, del candore, della intelligenza, della
+beltà. Il suo merito supremo consisteva nell’esser lei, non altra
+che lei. Nè i pennelli, nè la penna possono fare il suo ritratto. La
+donna immensamente amata non si tratteggia, non ha chi le somigli,
+è quella! Così Herculanilla era incisa e scolpita nel cuore di
+Lucio Vitelio Hycca, colla sua capigliatura ardente e impregnata di
+amorosa elettricità, colla sua voce fine, carezzevole, colorata, col
+suo pudico sorriso che diceva promesse e la unione del cuore. Egli
+aveva combattuto in Giudea; e, nella ostinata e rabbiosa difesa del
+tempio in Jerusalem, aveva avuto la fronte solcata dal gladio e il
+petto scalfitto da un colpo di lancia. Il primo allo assalto. Il
+primo a penetrare colà dentro. Avrebbe dovuto ricevere la _corona
+aurea vallaris_, o _castrensis_, perchè quello era un baluardo del
+campo nemico. Gli fu data invece la _corona muralis_, perchè si volle
+considerare il muro del tempio come il muro di una città. E Flavio
+Vespasiano imperatore la offeriva a lui ferito e disteso in faccia
+alle legioni vittoriose. E quando egli andava a’ teatri, nel Pecile,
+nella Basilica, nelle Curie, in ogni pubblico spettacolo, il suo posto
+era dopo quello dei magistrati; e i decurioni in segno di rispetto si
+levavano in piedi.
+
+Aveva in quei giorni arringato a pro di Septumio Clycone, giovane
+amante, il quale — non gradito qual genero da T. Uliteo Satanio,
+prefetto dei vigili, ed insultato pubblicamente da un di lui liberto —
+erasi obbliato sino a batterlo con grave _injuria_ sulla persona. La
+rottura di un braccio indicava l’ammenda di trecento assi o libre di
+rame. Lo eroe del dramma era un giovane ben noto. La eroina era Vereia
+— nome che in Osco volea dire repubblica, forma di reggimento sempre
+cara ai Pompeiani — che parea volesse morirne di dolore, mentr’egli
+minacciava di uccidersi sul di lei cadavere. La cronachetta era corsa
+nella bocca di ognuno. Il bisticcio colpevole. — Lo amore infelice. —
+La potenza della parola che aveva tutti commosso nella Basilica, sino
+ad ottenere dal padre irritato che l’accusa cessasse pel _dijudicium
+intra parietes_. — Gli sponsali accaduti. — Era siffatto trionfo da
+annuvolare la mente del debolissimo sesso, il quale per sopraciò non
+sa reggere e s’intenerisce alla vista di un uomo generoso, crismato dal
+valore e coronato dalla vittoria.
+
+Vitelio narrava di cotesto suo recente trionfo nella casa di Alphinio
+Secondo. Herculanilla, la sua figliuola, parlando, lo interrogava cogli
+occhi inspirati da segrete intenzioni. E il valente soldato fu ferito
+anche una volta nel cuore. Impigliato nel glutine dello entusiasmo
+ideale, comprese; ed ambedue si amarono sin da quel giorno. E se la
+fanciulla dopo pochi mesi pensava che la vita spesa senza vederlo, nè
+udirlo, non era vita vissuta per lei, egli non sapeva comprendere a che
+servissero le ore non irradiate dallo sguardo adorato di quella Venere
+terrena, cugina alla Iddia.
+
+Quanti sutterfugi! Quali lotte! Quanti andirivieni! Quali scuse per un
+ritrovo; per una visita; per allontanare un importuno; per celare ad un
+indiscreto un prezioso istante della vita; ed esser soli; e goder soli
+di quello scoppio di felicità che invade due cuori amanti; e dirsi l’un
+l’altro quella parola che non invecchia mai col consumo dei secoli e
+sarà ripetuta sino allo istante supremo in cui per lo esaurimento del
+calorico terrestre il mondo cesserà dal germogliare e morrà.
+
+Un giorno che il piacere spensierato, la innocenza sorridente, la
+bellezza di bianco vestita irruppe nella camera ove Vitelio attendevela
+per secreto messaggio, egli gravemente le disse:
+
+— Herculanilla! Amore! Soavità della mia vita! Noi siamo dannati a
+separarci.
+
+— Come!.... E da chi?
+
+— Dal dovere. La mia legione, l’_antiqua_ ritorna in Galilea. _Evocatus
+sum._ Non son sacerdote. Non son magistrato. _Beneficium non habeo_
+dai decurioni e dal popolo, quella dispensa che mi darebbe legittima
+esenzione dallo esercito.
+
+— _Heu, me misera!_ Amore degli occhi miei, mi abbandoni così?
+
+— Non piangere! _Vexilla sublata sunt in Capitolium_, il rosso per la
+evocazione dei fanti, lo azzurro pei cavalli. Tito gli chiede ed io ho
+già detto il mio sacramento. —
+
+Herculanilla gitta un piccolo grido, si copre il viso e piange a
+dirotto. Vi sono dolori di privilegio che abbelliscono. E quelle
+lacrime amare, che tremano come gioielli sulle ciglia, divinizzano la
+donna idolatrata.
+
+— Lascia ch’io beva quelle stille di pianto. Consolati. Tornerò. E
+sarai mia... E allora, teco per sempre!
+
+— Rispetta il mio dolore. Sarà compagno della mia corsa felicità. Sarà
+il mio custode nella tua assenza.... E se tu morissi?
+
+— E se io morissi!... Non dilaniare il tuo cuore con tristi presagi. Io
+sono _centurio primipilus_, e porterò l’aquila della legione. Perciò,
+col consolo e coi tribuni. Roma vincerà i suoi ribelli, ed io tornerò
+al tuo fianco a narrarti il secondo trionfo dei nostri sul più testardo
+e feroce dei popoli domi.
+
+— Va, nuovo Promoteo. Ubriacato dalla gloria, che tu non possa sentire
+lo strazio del tuo fegato roso dal vulture crudele! Oh! la immensa
+giornata di lacrime e di angoscia del mio cuor vedovato!
+
+— Tra le mie braccia, o soave delizia di questo istante. —
+
+E sollevatala di peso, se la premette sul cuore semisvenuta.
+
+E la baciò a furia, febbrilmente, senza dir verbo. Il dire distrae.
+E l’anima era piena di lei e del suo crudo destino. Ma d’un tratto si
+staccò di forza e bruscamente partì. Una voce, dolce come una carezza
+e lamentosa come un vale estremo, piangeva in un angolo della stanza e
+mormorava:
+
+— Lucio.... a me anche una volta.... poi alla tua Patria! —
+
+Tornò. E le due teste si collarono per un istante come fossero una
+sola. E quel luogo pieno di tanto amore rimase pieno di lutto, di
+singhiozzi e di amare memorie.
+
+Il grande spettacolo della guerra calma ed acqueta le fantasticaggini
+della mente e a poco a poco il soverchio calore del cuore. Chiuso nei
+nuovi suoi obblighi, Vitelio vi trovò il migliore dei rifugi contro
+tutti i disgusti e le tristezze dell’animo. La ferita ben presto
+marginò. Tratto tratto la divina credulità delle grandi passioni lo
+spingeva dall’Asia in Europa per riassaporare le felici ore godute e
+il ricambio delle affettuose cure. E colle preoccupazioni di ciascun
+giorno i viaggi dello spirito si fecero meno frequenti. Quando la
+morte è attiva e militante, e colla falce delle battaglie miete sul
+campo desolato, e distende sotterra l’uomo pria ch’egli abbia consunto
+l’opera sua, quello spettacolo riconcentra l’anima svagata e la fissa
+al suo grave compito. I Giudei che stimavano la forza ostile non
+superabile, fecero il gran giuro e fermarono morire prima che sostenere
+la schiavitù della patria. In Tarichea, non più pane per le donne, non
+più pei figliuoli; e già tutti, d’una voglia sola, sacrati alla morte.
+Un rogo s’innalza. Vi ha chi tronca la vita e chi gitta con mano libera
+ancora i cadaveri sulla catasta. E ciascheduno attendendo lo istante di
+ardervi colle persone più caramente dilette, grida:
+
+— Meglio morire che veder morto il nido natio! La morte non è un
+morire; ma gli è un vivere col Dio di Moises e dei profeti. —
+
+Ed Herculanilla in lacrime attendeva sempre nel suo amore immortale il
+ritorno di Lucio Vitelio Hycca vittorioso e fedele.
+
+XVII EIDIBVS JVNI. Era giorno fasto. Lungo l’anno venivano deposte in
+un vicolo chiuso presso il tempio di Vesta le ceneri del fuoco sacro
+che si ritiravano dallo altare. La porta di quel chiassuolo, detto
+_janua stercoraria_, si apriva dal pontefice Massimo e le ceneri erano
+gittate nel Sarno. Quel giorno rispondeva a’ dì quindici giugno del
+nostro calendario, fissato già per le nozze religiose di Cneo Vibio e
+di Melissæa.
+
+Gran folla era nella via Domizia. L’atrio, pieno di amici delle due
+famiglie che univano il loro sangue. Ve n’erano di prima e di seconda
+ammessione. E qua e là i clienti e gli affrancati in faccende.
+
+Ma il grande affare trattavasi nella camera della sposa. Le _cosmetes_,
+le _ciniflones_, le _calamistæ_, le _psecæ_, le _vestificæ_, cioè le
+schiave che pettinavano, che acconciavano i capelli e vi soffiavano
+su una polvere che ne faceva risaltare il colore; che li arricciavano
+co’ ferri caldi; che davano l’ultimo assetto alla pettinatura; e le
+sarte che vestivano la giovanetta erano tutte attorno di lei. Escita
+appena dal bagno e asciugata, Scaphion gittò sul bellissimo ignudo
+corpo il _supparum_ di lino egizio, ch’era pur detto _sindon_, o
+_vestis byssina_, simile per la forma ad una camicia, senza maniche
+e sparata sul petto; e chiusi i piccoli piedi nei _calcei purpurei_.
+Sur una tavola era la _narthekia_, il mobile più prezioso allo assetto
+delle donne. Era una scatola di legno odoroso, guarnita di cornici e di
+fasce di avorio in rilievo. Conteneva unguentari di cristallo scolpito;
+fibule d’oro; piccoli arnesi di argento per le unghie, per le orecchie
+e pei denti; fiale di sardonica; e vasettini di alabastro, contenenti
+essenze profumate venute di Antiochia e di Alessandria. Fabricio
+ci ha serbato i nomi di venticinque di esse; nomi nuovi e svariati
+di raffinamenti e modificazioni impercettibili, con cui i mercanti
+spacciavano gli stessi odori che avevano tutti per base la radice di un
+arbusto chiamato _costum_, o le foglie aromatiche dello _spicanardus_.
+
+Melissæa è seduta. Delphia tiene a lei dinanzi uno specchio di argento
+lucidissimo, di forma rotonda, chiuso in una cornice dorata, di
+quelli che si fabbricavano in Brundusium. Nape la pettina, _rutilabat
+comam_, la profumava, _crispabat calido ferro_, adattava i ricci onde
+la fronte apparisse bassa, giusta la esigenza della moda romana, e
+intrecciava a quei suoi capelli d’oro fili di perle, di pietre preziose
+e le _crinales vitiæ_, cioè fasce e nastri di vario colore. Erotia e
+Scapha animarono una discussione importante. L’una dicea che i capelli
+della sposa conveniva separarli col ferro di una lancia intrisa nel
+sangue di un gladiatore morto nello Anfiteatro. E poi dividerli in
+sei trecce a foggia di quelle delle Vestali. L’altra — e Nape era con
+lei — non volea saperne della lancia. Coraggiosi figliuoli sarebbero
+sempre nati da così nobile seme. E piuttosto che separare i capelli in
+sull’occipite in sei ciocche, valea meglio, così arricciati ed ondulosi
+com’erano, racchiuderli nel _reticulum auratum_ e farli cadere copiosi
+sulle spalle. Avrebbero dato maggior risalto alla sua testa divina.
+
+— La mia padrona non abbisogna che si pettini a tuo senno per essere
+ancor degna di alimentare il sacro fuoco. Tu sì che commetteresti
+sacrilegio se ti facessi foggiare in tal guisa.
+
+— Impudica! Pria di dirmi insolenze, avresti dovuto non confidare
+alcuna cosa ad Eulalia ed alla tua memoria.
+
+— Sibili come una serpe. Scapha sa — e tu non lo ignori — che la lancia
+che hai costì nelle mani non è gladiatoria nè mai fu bagnata di umano
+sangue. Bando alle ciurmerie.
+
+— Via. Chetatevi. Perchè Erotia non si affligga in questo giorno
+felice, dividete i capelli col ferro della lancia. Involgi, o Nape, le
+chiome nella leggera vesica. Poni sul capo la corona di verbene, che
+io stessa ho raccolto e tessuto, e ricuoprila col _luteum flammeum qui
+debebit me nubere viro meo_. —
+
+Così fu fatto. Le posero nel foro delle orecchie pendenti d’oro,
+simulanti foglie di edera, ed una face accesa la cui estremità finiva
+in una perla. Quei pendenti, l’uno distaccato dall’altro, si chiamavano
+_crotalia_, perchè risuonavano urtandosi. — E la face dinotava le
+fiamme del cuore. E l’edera lo attaccamento della sposa all’uomo suo.
+
+Cypassis, la bruna schiava di Memphis — che aveva un affetto
+particolare per la sua gentile padrona — volle incaricarsi dello
+affare il meglio importante; e tanto più che facea contrasto colla
+fosca sua carnagione. Aggiustato il capo, affibbiati gli ori e il
+_segmentum_, stretta la persona nello _strophium_, essa la vestì della
+_tunica recta_, tutta bianca, amplissima, ornata di bende. E la cinse
+col _cingulum laneum_, sostenuto dal _nodus Herculeus_, che il marito
+avrebbe poi sciolto. Gli è perciò che diceasi _zonam solvere_ per
+esprimere l’ultimo grado di domestichezza tra l’uomo e la donna.
+
+Melissæa, meglio che ordinare, permise che le affettuose sue schiave
+acconciassero sulla sua persona le vesti nuziali che accrescerebbero
+di tanto la sua naturale avvenenza. La mente era presa da una
+involontaria inquietudine. Sentiva dentro la commozione nuova che
+fa provare la vicinanza di un gran cambiamento, per quanto esso si
+creda felice. Amava suo padre. N’era teneramente riamata. Sorgevano
+altri doveri. Passava dal certo allo ignoto. Si distaccava da una
+sollecitudine devota, andava in braccio ad una sollecitudine più
+intima e confidenziale. E quando le sue amiche, Giulia, Emilia e
+Maria, le sorelle del duumviro Pontico, entrarono per avvertirla che
+il Flamine-Diale era già nel sacrarium della casa; e lo sposo, e i
+dieci testimoni, e gli amici, e i parenti l’attendevano per la sacra
+ceremonia, essa si gittò tremante al collo di quelle sue fide compagne
+e pianse. Le lacrime sono contagiose. E più, perchè destavano nelle
+sopravvenute un certo tal qual turbamento, di cui sarebbero anch’esse
+colpite fra non molto per la circostanza medesima.
+
+Melissæa apparisce nell’atrio. Il vestibolo è aperto ai curiosi, ed il
+portico, il peristilio, lo xysto sono gremiti di gente.
+
+Gli sposi siedono sur una _sella jugata_, coperta di una pelle di
+pecora. Il sacerdote di Giove prende la mano destra della giovanetta e
+la pone nella mano destra di Vibio e pronuncia:
+
+— _Hanc tibi in manum do._ —
+
+Con altre parole sacramentali e solenni dichiara che la donna dovrà
+partecipare ai beni del coniuge suo siccome ad ogni altra santa cosa.
+Liba a Giunone. Compie la _confarreatio_. E fa che la sposa ponga
+nel dito mignolo dell’uomo il cerchio d’oro formato da una verghetta
+incrociata, terminante in due piccoli globi, riuniti da una fune cui
+era sopraposto un rubino dalla immagine di Ercole in rilievo, chiusa
+in una cornice d’oro. Era la antico nodo che prima fu cingolo alla
+persona, poi monile al collo, armilla al polso della sposa ed anello al
+dito degli sposi.
+
+Vibio, commosso, le prese con ambe le mani la fronte e la baciò. E
+amorosamente guardandola, le disse:
+
+— Un dio è in te, o Melissæa..... Qual dio? Lo ignoro. Ma, vi è un
+dio! —
+
+E cavato dalle pieghe della tunica uno _spinther_, ossia cerchio d’oro,
+aperto e terminante in due teste di serpe, lo adattò sullo avambraccio
+di lei. Eravi sopra scritto: SPERATA. PACTA. SPONSA. NUPTA.
+
+Nello uscir del sacrario le due famiglie e i testimoni entrarono negli
+_æci_ per occuparsi del primo pagamento della dote fissata. La folla
+andò via lentamente di casa per soffermarsi sulla via.
+
+Demophilo, presa per la mano Melissæa, l’accompagnò sino al
+_prothyrum_. Quivi alcuni giovani la presero sulle braccia come per
+costringerla ad abbandonare per forza le paterne dimore ed incontrar
+con dolore lo allontanamento delle persone legate con lei dallo affetto
+e dalle abitudini. Cotesta finta violenza richiamava alla memoria il
+ratto delle donne sabine. Vibio aveva mandato cinque dei suoi liberti
+presso la casa degli Edili per accendervi le torce nuziali che doveano
+precedere la processione. Essi tornati, il corteo si pose in cammino.
+Tre fanciulli vestiti di pretesta si presentarono. Uno andò innanzi,
+squassando un ramo di albospino acceso per ovviare il mal’occhio.
+Gli altri due condussero la sposa per le mani. Dietro era una schiava
+colla conocchia guarnita di lana ed un fuso. E con lei, un giovanetto,
+detto _camillus_, che in un cesto di vimini portava i _crepundia_, i
+giuocherelli, le pupazzole con cui Melissæa erasi baloccata. Venivano
+poi quattro statue sorrette sulle stanghe dorate da sedici schiavi. —
+Iugatino, il dio che aggioga; — Domiduco, che presiede alla processione
+nuziale verso la casa dello sposo; — Domicio, che introduce la
+sposa nella nuova dimora; — Manturna, mercè la cui protezione essa
+soggiornerà sino alla morte col marito suo. — Poi venivano lo sposo,
+i testimoni, gli amici e la folla. E questa, accompagnando la voce al
+suono delle _sarranæ_, cioè alle armonie di un doppio flauto lungo e
+breve, cantava un inno a Talassio, uno dei banditi accorso al richiamo
+di Romolo, che rubando la sua sabina, ebbe con essa lunga e fortunata
+unione.
+
+Giunta la sposa sul margine della via di Mercurio, dinanzi la porta
+principale della casa nuziale — tutta adorna di ghirlande di mortella
+e di rose, e parata di una stoffa di lana bianca — Melissæa vi appese
+alcune bende unte di grasso di lupo, onde allontanare i sortilegi,
+soggetto di terrore per quella razza d’uomini che pur di nulla temeva.
+— E la folla cantava l’inno a Talassio.
+
+Vibio allor si fece sul margine; e fingendo ignorare il nome della
+fanciulla biancovestita, le chiese:
+
+— _Quis es?_
+
+— _Ubi tu Caius, ibi ego Caia._ —
+
+Cioè a dire: — dove tu sei signore e padre di famiglia, ed io sarò
+signora e madre. — Avvegnachè fosse di suo diritto il dichiarargli
+ch’essa contava vivere secolui con patto di eguaglianza e pur
+compirebbe esattamente i doveri di moglie e di massaia, ad esempio
+della nuora di Tarquinio, Caia Cæcilia Tanaquilla che lasciò nome
+di un’abile lanifica e di una virtuosa sposa. Due bambini le fecero
+toccare la torcia accesa e l’acqua, per significarle che quind’innanzi
+avrebbe comune col marito la vita, cioè, l’acqua ed il fuoco.
+
+L’uscio si aprì. E Giulia, Emilia e Maria la sollevarono di terra e la
+deposero mollemente nell’atrio, senza che i suoi piedi toccassero la
+soglia. Questa era sacra a Vesta; e sarebbe stata una profanazione e
+un funesto presagio, se colei che avea rinunciato agli attributi della
+dea — tutela ai grandi destini del mondo romano — l’avesse toccata coi
+piedi.
+
+Nell’atrio era distesa una pelle di montone dai lunghi velli. Su
+di essa le amiche la posarono, quasi per ricordarle le sue prossime
+occupazioni. E Vibio le presentò colla sinistra le chiavi della casa
+raccolte in un medesimo anello e coll’altra una patera di argento con
+alcuni nummi d’oro, premio alla sua compiacenza. Quindi i due felici
+gittavano l’uno manciate di noci, l’altra i suoi _crepundia_, per
+testimoniare com’essi da quel momento davano bando alle futilità, e non
+si sarebbero occupati che delle gravi cure della famiglia.
+
+Per solennizzare la festa Vibio offerse una sontuosa _cœna nuptialis_
+ai parenti, agli amici ed agli altri invitati. Gli schiavi tirarono
+le cortine del _tablinum_. La lunga pergola ed il giardino erano
+illuminati. Tutti mossero; e volgendo a diritta, entrarono nel
+triclinio, decorato di marmi africani e orientali, rossi, gialli e
+sanguigni, con bella architettura innestati da fasce di alabastro
+egiziano. Invece dei tre letti, eravene uno solo semi-circolare
+ed oblungo, rispondente alla forma della stanza assai vasta. La
+illuminazione era splendida. Il _convivium_ anche più. Giovani schiave
+riccamente vestite, giovani succinti, liberti e curiosi erano sotto
+le colonne della pergola, tutt’occhi allo spettacolo che pel loro
+divertimento si stava apparecchiando.
+
+Dal _posticum_ — ch’è nella viuzza parallela a quella spaziosa
+dalla fontana di Mercurio — era entrata nello xysto una truppa di
+orchestredi, giocolieri che di Creta mostraronsi in Atene, e di
+Syracosion si propagarono nelle nostre contrade. Ippoclide onorò la
+cibistesi, allorchè per ottenere la figliuola di Clistene in isposa,
+pose in mostra la sua destrezza, imitando il giro della ruota della
+Fortuna, e così rendersi benevola la iddia capricciosa. Ed al padre
+sdegnato che a lui rifiutava il possesso della nata di lui, lo ateniese
+die’ la famosa risposta: — Οὐ φροντίς Ἱπποκλεὶδη — È l’unico pensiero
+d’Ippoclide — che passò tra i Greci in proverbio. In Pompei chiamavano
+quelle acrobate coi nomi di _cernuatores_ e _petauristæ_. Erano belle
+giovanette di Gnathia e di Rubi, condotte da un uomo che traeva pro
+della loro bravura, egli suonando le _sarranæ_ ed un fanciullo la
+cetra. Allorchè fu distesa per terra una tavola ov’erano a determinate
+distanze confitti tre gladii, una di esse, cacciata giù la _lacerna_
+— specie di largo mantello col _cucullus_ col quale erasi coperta —
+mostrossi nuda, avendo soltanto i capelli tenuti in freno da una benda
+ed i fianchi cinti da un grembiule, fascia che i greci chiamavano
+περὶζωμα e i latini _subligaculum_. Aveva le armille ai polsi e la
+periscelide sul destro malleolo. Colle mani aperte, gittatasi a capo
+rovescio, rimase per poco colle gambe in aria; quindi si capovolse
+sulle spade con mirabile prestezza, senza rimanerne offesa. Dopo
+parecchie prove, l’_editor_ collocò in fine della tavola, in alto,
+un cerchio entro il quale erano pur confitti altri pugnali; e la
+taumatopia colla medesima destrezza capitombolò sui gladii, penetrò
+colle gambe nel cerchio e piegando il corpo come un verde fuscello,
+saltò fuori sui piedi ed illesa.
+
+— _Terror et metus nudis insultant gladiis._ —
+
+— Nè il terror, nè il timore saltano con lei, o Grumio. La cibistetere
+si volge con spigliata sicurezza come i pesci rossi saettano a capo in
+giù nel vivaio del mio padrone in Puteoli.
+
+— Maraviglia! Non ha molto, o Syra, vidi delfini guizzare sulle onde
+del nostro cratere e rituffarsi con movimenti meno leggiadri e punto
+pericolosi.
+
+— Oh! mira quest’altra, Dorippe. L’_editor_ siede, suonando i flauti.
+La scleropecta è in piedi sulle sue ginocchia.... afferra colle mani
+la spalliera.... si lancia in aria e volgendosi su se medesima, a lui
+poggia i piedi nudi sul capo.
+
+— Oh! Curiosa cosa! Mira il cagnolino che ne prese il posto. E drizzasi
+sulle zampe deretane.
+
+— Apparecchiano una tavola, o Loto. O, cosa è?... Ah! Una patera piena
+di vino e due aranci.... Ecco la più bella che salta.
+
+— Cotesto sì, o Elpinike, io non vidi mai. Come! Nessun tremolìo sul
+deschetto! Nessuna gocciola del liquido fuori del vaso! E gli aranci
+afferrati, lanciati in aria e raccolti nelle aperte palme ora che è in
+piedi sul suolo! In _Pæstum_, per le feste di Nettuno, erano abilissimi
+taumaturghi. Ma Cneo Vibio soltanto sa offerire simiglianti difficili
+giuochi. —
+
+Il giovanetto Loto aveva col braccio sul collo stretto a sè la persona
+della sua interlocutrice. E le baciò la tempia amorosamente.
+
+Carion ch’era loro da presso, vide l’atto ed aggiunse:
+
+— Caldi vi avviticchiate come la pianta di Bacco. Bada! È una vergogna
+in Pompei _non continere libidinem suam_. Fratello, sarò costretto a
+chiamarti, _Canis_. —
+
+Loto era per rispondere alla ingiuria, quantunque detta col sorriso
+sul labbro. Ma un altro spettacolo richiamò la sua attenzione. Un’altra
+fanciulla, coperta dalle anassiridi listate di rosso e di nero — come
+le maglie strette dei nostri giuocolieri — camminando sulle mani,
+ricevette da un bambino sulle piante dei piedi un bicchiere di terra
+detto _cyathus_, ed un’anfora _figlina_ e breve, sulla cui pancia
+era il _pittacium_ in pergamena colla scritta, _Setinum annorum
+decem_. Destramente dalla diota mescè il vino nella _lingula_ e con
+un movimento rapido delle reni trovossi sulle sue gambe, avendo in
+una mano l’anfora e appressando alle labbra il bicchiere che aveva
+raccolto. E nel vuoto, neanche una gocciola venne rovesciata per terra.
+
+— Per Ercole! — _Piper, non fœmina._ — Ormai per la munificenza di
+questi sposi ci abitueremo alle cose impossibili. E non maraviglierò se
+un dì o l’altro vedrò grugnirmi attorno i porci belli e cotti.
+
+— Oh! questo sì che è un giuoco, o Curculio. Ben altro di quello
+offertoci nel corso inverno da Pilonino Rufo, coi suoi gladiatori
+pezzenti e decrepiti che cadeano ad un soffio. Meno vili quelli esposti
+alle fiere.
+
+— E il combattimento a piedi a lume di fiaccole? Per Giove tonante,
+parean pollastrelli. L’uno snello come un gatto di marmo. L’altro
+_loripes_, coi piedi torti, come te, o Camurio. Il terzo, il quarto, il
+quinto che si finsero feriti per cessare dalla fraudolenta commedia.
+
+— Oh! La bella cibistetere che è quella che viene! E ben fece a velare
+le parti ghiotte che Postverta ad essa compose. Che Volupia si accordi
+con Morfeo ed ambedue me la conducano in sogno. Pel Panteon riunito! Mi
+crederei di più che Vespasiano imperatore. —
+
+Nell’atto che Phosphoro cacciava al vento così inutili esclamazioni,
+la bellissima ignuda — chè il velo nulla copriva — postasi coi piedi
+in aria e poggiantesi per terra sui gomiti e sulle braccia distese,
+infilzò l’arco con due frecce nel grosso dito del piede sinistro,
+incoccò un giavellotto e mirò il bersaglio colla testa rilevata. Il
+piccolo citarista si era posto a dieci passi di distanza e con ambe
+le mani tenea sul suo capo ricciuto una tavoletta imbiancata avente un
+segno rosso nel mezzo. La _petaurista_ strinse la corda colle dita del
+piede destro, la tirò a sè e vibrò il colpo. La saetta erasi conficcata
+nel centro. — Gli applausi, il picchiar delle mani, le frenesie furono
+vivissime. La fanciulla venne baciata, abbracciata, brancicata.
+
+Il rientrare dei convitati nel tablino ruppe il filo alla meridionale
+baldoria. E tutti a gridare colle braccia alte:
+
+— Vivano gli sposi! Vesta pianga, ma Venere rida! —
+
+Caddero le cortine di Tyro d’ambe la fauci della stanza, e due
+donne maritate che aveano sulle chiome una corona di bianche rose,
+profittarono di quello istante di confusione per condurre Melissæa al
+letto nuziale. La camera da ciò era a lato del triclinio ed in fondo
+allo xysto, adorna di maschere bacchiche e di un quadro che rappresenta
+Giove presso la vacca Io, e di un altro che mostra Adone affaticato al
+reddir della caccia, attorniato da amorini e da ninfe. Il toro geniale
+splendeva di oro e di porpora. Il Genio — la divinità del coniugio
+— _quia genitos tuebatur_ — sacrando il letto, questo venne chiamato
+_talamus genialis_. Ghirlande di mirto, disposte con vago artifizio,
+gli danno le apparenze di un trono, degno di accogliere la dea eterna
+del cuore. Le gravi pronube spogliano colle loro mani la sposa, la
+pongono a letto e si ritirano dopo averle dato gli avvertimenti che la
+loro esperienza giudicava opportuni.
+
+Nel tablino si beve. Sotto la pergola si beve. Nello xysto si beve.
+Nell’atrio si beve. Da per tutto si beve. Il falerno, il massico, il
+caleno, il cæcubo, il surrentino, il lesbio, il mamertino, il mæonio
+empie le _ampullæ_, i _cyathi_, i _calices_, i _pocula_, i _tortiles_ e
+sono bentosto vuotati, dopo aver propinato colle parole,
+
+— _Bene illis — Bene mihi — Bene vobis._ —
+
+Bacco aveva usurpato di un tratto un incenso che non doveva bruciare
+per lui. Eravi però chi non avea lasciato il culto di Venere
+nell’oblio. E quando i libatori si accorsero che lo sposo gli avea
+disertati, gridarono a coro:
+
+— _Talassius! Talassius!_
+
+Allora, un concerto di flauti accompagnò le voci dei giovani e delle
+fanciulle che cantarono nel cavedio l’inno che segue.
+
+ Biondo figliuol di Venere,
+ Nume dei casti amori,
+ Tu che di mirto e d’edera
+ Il crine in ciel t’infiori,
+ Signor dell’Elicona,
+ Odi la tua canzona,
+ E scendi in queste arene,
+ Scendi, invocato Imene.
+ Di Melissæa e di Vibio
+ Sorridi ai primi amplessi.
+ Ricco di lieti auspicii,
+ Stendi il tuo vel sovr’essi.
+ Sull’ali del mistero
+ Siati il pudor foriero
+ E scendi in queste arene,
+ Scendi, invocato Imene.
+ Voi, pudibonde vergini,
+ Cui simil gaudio attende,
+ Voi ricingete il talamo
+ Di profumate bende.
+ Turbar di amor gli arcani
+ Non osino i profani,
+ Oggi che in queste arene
+ Scende invocato Imene.
+ Ed ei già vien! — Già pronuba
+ Venere a lui si accoppia.
+ Già la cortina mistica
+ Cela l’ansante coppia.
+ Spenta ogni face sia....
+ Cessi ogni melodia....
+ Insino al dì che viene
+ Solo qui regni Imene.
+
+Cotesto Imeneo era stato in tempi remoti un giovane di Argos, il
+quale avea reso alla loro patria le fanciulle di Athenes rubate dai
+pirati. Qual premio al suo valore ottenne a sposa una delle captive
+che amava teneramente riamato. E da quell’epoca i Greci e i Latini, da
+essi inciviliti, deificando il giovane zelante e dabbene come celeste
+progenie, non contrattavano matrimonio senza rammentare il suo nome nei
+canti nuziali.
+
+Al cessare delle note armoniose i parenti e gli amici libarono anche
+una volta. E ripeterono a coro,
+
+— _Talassius! Talassius!_ —
+
+Era tempo di dare alcuna requie ai congiunti dalle nozze. I magistrati
+e gli amici riaccompagnarono Demophilo alla sua dimora. Il quale pria
+di partirsi dal luogo ove lasciava la metà del suo cuore, volgendo gli
+occhi al cielo disse nella sua lingua:
+
+ — Θυμαρην βιοτας ολβον εχοιεν αει.
+
+— Godano essi sempre una soddisfacente felicità di vita. —
+
+Gli altri, chi di qua, chi di là tornarono alle case loro.
+
+Ma i convitati della sera erano i convitati dello indomani. Nei
+_repotia_ si beveva di nuovo alla felicità degli sposi. — E si bevve e
+si cantò. E Melissæa, appoggiata familiarmente alla spalla di Vibio,
+ricevette dai parenti, dagli amici doni e congratulazioni che nel
+tumulto inevitabile e nello scivolar via dalla folla bene a proposito,
+non avevano potuto offerire la sera innanzi.
+
+Solitudine e amore!... Una strada aperta, di soavi ombre, che mena alla
+felicità. Oh! Come leggero, vivo, misterioso, divino lo affetto che
+innonda l’anima, quando la graziosa persona è da presso, vi consola,
+vi esalta, vi indìa! La non è già della vostra carne. No! — Essa è la
+parte più delicata, più pura della cosa immortale che freme in voi. È
+il pensiero che parla. È lo sguardo che sa. — La primavera ha i suoi
+fiori. Il giorno, la luce. L’aurora, la rugiada. La donna ha i profumi
+che aduna o che spande sullo eletto dal suo poetico cuore. — Alcuni
+lamentano il dialogo dei primi parenti sotto l’albero della vita, e la
+cacciata inesorabile dall’Eden, e il frutto amaro della ingordigia —
+la morte. — Essi s’ingannano! La esistenza beata è in questo esiglio
+eterno — ma con lei che sente e porta nel seno i sublimi e ricambiati
+amori della umanità.
+
+
+
+
+IL CATACLISMA.
+
+SCENE DEL NOVISSIMO GIORNO.
+
+=Anni di Roma 832 — Anni del Cristo 79.=
+
+
+ AL VECCHIO VESVIUS.
+
+ X.
+
+
+La vasta pianura che da Cuma e da Capua — le antiche e grandi città
+della Campania — distendendosi verso levante, abbraccia e circonda il
+cratere partenopeo, era il loco ove i Greci, venuti dalla Macedonia e
+dalla Tessaglia, credettero che, come nelle loro contrade, anche quivi
+i giganti avessero combattuta la fiera battaglia contro gli Dei. E quei
+campi dissero Flegrei, da φλὲγω — ardo — per le tracce dello zolfo e
+delle lave sparse su quel terreno. Gli è certo che Ercole, visitando il
+bel paese sorriso da tutti i numi celesti e vedendolo corso e devastato
+da uomini di fiero e selvaggio costume, avrà voluto purgarnelo per
+incivilirlo. E l’atto benemerito per le genti salve, e la fondazione
+di una città che tolse il nome da lui, e le altre opere verso il mare
+aperto intorno il lago d’Averno, coronarono di una poesia maravigliosa
+il vincente semideo, i mostri vinti da lui ed i campi, teatro delle sue
+gesta. Su di essi elevavasi un monte isolato dai tempi primordiali. Era
+cinto di fertili campagne, e verdeggiava da lungi per le erbe e per
+gli alberi, tranne in sul culmine che sembrava coperto di cenere, di
+sassi fuliginosi ed arsi dal fuoco. Malagevole era lo ascendervi. Una
+e difficile l’angusta strada su quelle scorie tra rupi, caverne e punte
+aguzze sporgenti al di fuori. Nel 682 di Roma Spartaco, dopo aver fatto
+un carnaio nello Anfiteatro di Capua, riparava su quelle balze con
+sessantaquattro dei suoi compagni nella rivolta. Ma seguito d’appresso
+e accerchiato da Clodio Glabro alla testa di tremila soldati, pensò di
+tessere corde coi tralci delle viti salvatiche di lambrusco, le legò
+forte alle rocce e se ne servì di scala per discendere coi suoi sino
+alla pianura. Il pretore che lo aveva fatto rinculare in uno spazio
+ristretto, di una sola escita, di cui i suoi soldati tenevano la
+chiave, non credette ai suoi occhi quando quell’audacissimo lo assalì
+con tanto vigore da disfare il grosso delle sue ordinanze e porre in
+iscompiglio il campo.
+
+Tale era il Vesvio nel primo anno del regno di Tito imperatore,
+allorchè — come scrisse Stazio — piacque al sommo Giove strappare
+dal profondo le sue viscere, sollevarle sino al cielo e scaraventarle
+lontano sur alcune sventurate città.
+
+Era il nono giorno delle calende di decembre — 23 novembre dell’anno 79
+di nostra êra.
+
+Il canto dei galli annunciava l’aurora. I molossi abbaiavano nello
+udire lo strèpito de’ passi sui margini delle vie. I salutatori,
+i chiedoni, i saccari, i rivenduglioli ambulanti, i mercanti delle
+botteghe, i viaggiatori che partono, i littori, gli schiavi animano
+il selciato. I gladiatori escono con reti e panieri dal loro quartiere
+e, accompagnati dal lanista C. Aelio Astragalo, vanno a far provvista
+di viveri per la famiglia. Tutti gli artigiani sono in moto verso il
+loro destino. E in breve ora, quale mura ed intonaca le pareti già
+apparecchiate dal cemento sparso a striscie come spini di pesce, quale
+sfilza una per una le tavole dallo incavo longitudinale della soglia di
+pietra della bottega e le pone in un canto perchè non lo imbarazzino
+nelle trattazioni degli affari, quale apre il suo _thermopolium_ e
+canta o getta briosi frizzi ed inviti a chi passa. — Il venditore di
+pani e di piccole focacce, dopo avere attelato la sua merce a spicchi
+una sull’altra; e, spiegando i panieri sull’_oculiferium_, mostrando
+il _pollen_ del suo fior di farina; gli _speustici_, stiacciate cotte
+sotto le ceneri; gli _ortolagani_ composti col vino, col pepe, col
+latte e coll’olio; gli _ostrearii_, che si mangiavano coll’ostriche, e
+i pani disegnati a quadrelli, conditi di anici, di cacio e di grasso,
+grida — esagerandoli — i meriti dei suoi prodotti. — Il carraio espone
+sulla porta il _cisium_ che costruisce e la _traha_ senza ruote che
+mena su e giù nel selciato dinanzi il villico che la contratta, mentre
+i suoi operai lavorano attorno ad un _birotum_ per ultimarlo. Parecchie
+carriuole — dette _unarota_ — sono ammonticchiate nel fondo. — I
+_fullones_, cioè, i lavandai e gli smacchiatori, spandono le loro umide
+stoffe sulla via a certi bastoni sostenuti da travicelli sporgenti sul
+muro; e così, nell’atto che richiamano l’attenzione di chi passa sulla
+loro industria, usano di uno spazio che pure al pubblico è riserbato.
+Gli edili avevano un bel difendere la libertà delle strade, dei trivi
+e dei portici con piccole e gravi ammende a quel popolo accaparratore
+di ogni spazio che il proprio non fosse. Lo interno della bottega o
+della casa pareva uggioso ad ognuno. Tutti erano lieti quando potevano
+starsene al lavoro sull’uscio, sul margine, alla luce. La parola _via
+publica_ veniva interpretata alla lettera. E purchè lo ingombro dei
+due margini lasciasse libero sulla strada l’adito ad un carro, nessuno
+potea venir condannato per offesa alla legge. E ove non fossero cadute
+gocciole di acqua dalle preteste, dalle toghe e dalle vesti donnesche,
+certo quella mostra variopinta abbelliva la doppia via di Mercurio e
+la parallela al di dietro, dove i fulloni avevano il loro laboratorio.
+Era quella la meglio importante tra le industrie pompeiane. Nel 354 i
+due consoli C. Flaminio e L. Æmilio, reggendo un popolo che vestiva di
+lana e dormiva ignudo tra coperte di lana, avevano decretato il modo
+di trattare e di tergere quelle stoffe. E prescrissero, si laverebbero
+i panni con terra di Sardinia disciolta; indi si affumigherebbero
+collo zolfo, e poi si purgherebbero con terra cimolia di buon colore.
+Avvegnachè questa ravvivasse le tinte sbiadite dallo zolfo. E per le
+vesti bianche, dopo inzolfate, dissero convenevole la terra chiamata
+sasso, la quale però era dannosa alle colorite.
+
+I magistrati — i quali, creati dal popolo per occuparsi dei suoi
+affari, rientravano in casa al cadere del sole, allorchè i pubblici
+lavori cessavano — preceduti dai littori vanno gravemente ai loro
+uffici. Alcuni uomini — vestiti di una tunica stretta senza maniche,
+di colore oscuro, detta _exomis_, o _diphthera_, col _cucullus_ per
+coprire il capo in caso di pioggia e continovare il lavoro — procedono
+dal vico storto in una strada a perpendicolo su quella che mena alla
+porta di Stabia. Avevano sulla spalla una lunga e stretta lamina di
+acciaio, senza denti, terminato con due manichi di legno. E nella mano
+un sacchetto di sabbia di Etiopia. Erano segatori di marmo che andavano
+a ridurre in lastre per impiallacciature e per pavimenti le tavole di
+serpentino, di fior di persico, di alabastro egizio, e di verde antico
+che attendevano l’opera loro nella prossima casa. Ed altra gente dalle
+sembianze pallide e triste che or si fermano presso i ragionatori, or
+guardano dalla parte opposta ove l’orecchio tendeva, si veggono in sui
+canti, per entro i templi, nel Foro. Erano le spie di Roma, adoperate
+la prima volta da Cicerone ai tempi catilinari; mantenute da Cesare;
+moltiplicate da Tiberio, da Nerone e dai pessimi che vennero poi, a
+tutela delle imperiali paure. Razza perversa che disponeva della vita
+e delle sostanze dei cittadini e viveva lautamente a carico degli alti
+e dei bassi timori. Sulle mani, invece dei chiodi portavano anelli
+da cavaliere; e sul collo in luogo del nodo scorsoio splendeva il
+medaglione di onore.
+
+Il cielo era nuvoloso e fosco. E quantunque albeggiasse appena, il
+calore era eccessivo e l’aria grave e affannosa.
+
+Una donna viene da un vicolo per attinger acqua alla fontana del
+quatrivio dell’Aquila che ghermisce una lepre. Vi trova un suo
+conoscente che beve al cannello.
+
+— Abbi lontano dal capo la collera di Bacco, o Venerio. I
+_meditrinalia_ — le feste del vin nuovo come rimedio utile alla salute
+— corrono dal primo allo undecimo delle calende di ottobre. Non lo
+rammenti?... Il bianco di Surrentum è confortevole a venticinque anni.
+Cotesto novellino del Sarno ti guasterà lo stomaco.
+
+— L’ho bello e guasto, o Tataia, dal molto berne e dal gran sudare che
+fo. Mira! Abbiamo il fuoco nell’aria. Mai il calore di questo anno. E
+le fontane gocciolano, non fluiscono. Gli _ænopoles_ mi brinerebbero i
+lucri.
+
+— Davvero! Eppure da due lune cadono frequenti e copiose pioggie. Che
+il fiume siasi prosciugato alla foce? —
+
+Una donna, che avea la _taverna vinaria_ dietro la fontana, si
+approssima a quei due ed aggiunge:
+
+— Quasi. Cominciò a mancare da tre dì. Ed ora vien giù a centellini.
+E siccome un beone di vin cotto alla mirra mi accusò di aver aperto
+nel mio cuore uno spaccio di bibite calde, io mandai alla fontana più
+in su per averne acqua fresca; e dopo lungo attendere n’ebbi. Ma la fu
+attinta dalla pubblica cisterna, colà presso, dove due littori vegliano
+dì e notte per la custodia e la distribuzione di quell’acqua piovana.
+
+— L’anno del terremoto — se tel rammenti, o Fortunata — avvenne pure
+così. Le acque diminuirono. —
+
+Il _seplasiarius_, che aveva la sua farmacia poco discosto, viene
+anch’egli a verificare il misero stato della fontana. E Fortunata a
+lui:
+
+— L’arte della Seplasia che dà credito alle erbe amarissime e alle
+pillole disgustose, trae anche Flavio Fimbria alle manchevoli linfe. O,
+che il tuo pozzo è turato?
+
+— Peggio. Dapprima diminuì la sorgente. E la rimasta ha un sensibile
+grado di calore ed un gusto acidulo e disgustoso al palato. — Che! Non
+ve n’ha più costì? —
+
+Tataia gli addita il cannello di ferro che sgocciola a mala pena, e
+s’incammina ver la pubblica cisterna. Quivi era un pettegolezzo, un
+accapigliarsi, un bere a furia, tumulto che i littori acquetavano a
+dura prova. Ognuno il primo a gittare giù il secchio. E le donne le
+peggio ardite e linguacciute.
+
+— Sii _formosa, decens, dives, fecunda_, o Pannikide. Concedimi il tuo
+posto. Se tardo — e sono qui da un’ora — la mia crudele padrona mi farà
+dare dieci vergate sulle spalle.
+
+— _Esto beata_, Heracla. Ma le busse che ti risparmio, le busco per me;
+Lisistrata di Neptunale è una gorgona.
+
+— Fuori la intrusa. Io vengo poi. O bel littore, fa rispettare la tua
+autorità e il mio diritto.
+
+— Vedi chi parla di dritto! Januaria, di padre incerto e che ha securo
+amante nella casa dov’abita.
+
+— Frena quella linguaccia di serpe. O mi forzerai, Melitta, a darti lo
+aggettivo che i tuoi casti ardori nelle _popinæ_ ti meritarono, quello
+di lurida _pellax_ — .... e anche peggio, di _porna_.
+
+— Che ho a rispondere ad una donna _cujus ne spiritus purus est_? —
+
+Allora Ianuaria più infuria e con voce maggiore e con gesti vibrati
+si slancia verso uno dei littori che per calmare quel tafferuglio,
+distendeva la mano onde separare le due litigiose e quelli che già
+prendevano partito.
+
+— Ah! Vuoi anche tu ch’io mi muoia di sete, o difensore di male
+femmine? Fai bene a darle compenso, poichè con donne di garbo tu pugnar
+più non puoi.
+
+— Le tue chiacchiere, o sguaiata, sono più inutili di _vitrea fracta
+et somniorum interpretamenta_. Inutili discordie! Ognuno avrà l’acqua
+a suo tempo senza motti villani e senza che abbiate a comperarvi un
+_galerum_ e porvelo come un elmo di chiome sul capo invece dei capelli
+che vorreste strapparvi.
+
+— Ha ragione Nupeo. Si quieti la tentigine di queste piche parlanti e
+la destrezza prevalga. —
+
+Così Nilodoro. Il quale, schiavo di un tintore presso la fontana dalla
+testa di Giunone, era venuto alla cisterna per compiacere alle voglie
+della leggiadra padrona che coll’audacia dello sguardo spiegava la
+segreta sua simpatia, eloquente però nei soppiatti incontri. Allora
+uno scoppio di risa ed un battere di mani. Anche le trecchiere
+dissimularono lo sdegno con finta ilarità. Ma le voci e gli alterchi
+ricominciarono ben presto a logorar la pazienza ai littori addetti a
+quel disgustoso ufficio.
+
+Per quanto ognuno il vedesse, nessuno sapeva spiegarsi cotesta
+deficienza di acqua nel Sarno, cotesto ringoiamento delle sorgenti
+nella terra e quel sapore acidulo e puzzolente nelle acque che
+rimanevano ancora nei pozzi.
+
+Due uomini passano per quella strada. Sono Solonas, il mattonaio ed
+Elio Gemino, il carradore. Si arrestano, ridono ed infilzano molte
+parole su quelle femmine che qua e là scorrevano, arrovellandosi.
+
+— _Picæ pulvinares._ Gazze da mercato. Le trovi sempre pessime lingue e
+a gridare di piena notte che è mezzodì. — Manca l’acqua? Vi è il vino!
+Bacco ne spremette molto l’altro anno. Ce ne darà copiosamente anche in
+questo.
+
+— Ma la baccante non è massaia. Ed io stimo la _eupatria qui providet
+omnia_. E poi cotesta stranezza non è a prendersi a gabbo, o Salonas. È
+nelle cantine un certo aere maligno che uccide gli animali che dentro
+penetrano. Due gatti del mio vicino, là sotto le mura che guardano
+verso Nuceria, furono trovati morti.
+
+— E due facchini di Polibio, nel penetrare nel fondachi di quel
+ricco, presso il porto, prima ebbero spente le lampade e poi caddero
+stecchiti. Un altro che andava a soccorrerli, nel curvarsi sentì
+mancare il respiro e le idee vacillare. Escì fuori in tempo e potè
+riaversi sulla scala, alitando l’aria al di fuori. I cadaveri furono
+tratti su cogli uncini e non avevano un graffio sulla persona. Dunque
+la dea Mephite tolse loro il respiro.
+
+— Ben dici, o Epietetos. Strano paese divenne il nostro da che Marco
+Herennio, decurione, venne a sol diffuso, a cielo sereno colpito dal
+fulmine nel Foro. — Dove di presente tu pingi?
+
+— In una casa, quasi in fondo della strada che ha la fontana dal
+bacino arrotondato, presso il bello Edone, vinaio. Sai? Dove talvolta,
+o Pistosxenos, ti ho visto bere di tarda sera con Floro e Frutto,
+festevoli compagni, allorchè ti eri sbarazzato del carico di figulina
+che avevi portato da Nola. —
+
+I quattro continuano a scendere per la via consolare.
+
+— Veh! qual processione votiva! Come se fosse il sedicesimo delle
+calende di aprile, all’epoca delle _liberalia_, per le feste di Bacco,
+nell’assunzione della toga virile. Oh! il calore è eccessivo.... Guarda
+i due batavi di Capito come soffiano in sull’uscio! Il nostro clima ad
+essi deve parere l’alito di un forno acceso.
+
+— E che dici di quel succoso che ti passava vicino? La felicità lo die’
+a balia presso la Fortuna. E se suda, ha ben molte tuniche da cambiare.
+È Clodio Alypo, liberto di Calvisio; il quale, comperati i montoni a
+Tarentum, dopo il tremuoto e la gran morìa delle bestie, e ridottili
+in mandra, divenne mercante di lane e di proprio ha sei tintorie.
+Dicono possegga i suoi ottocento talenti. E in sua casa la borra dei
+suoi origlieri è tinta di porpora e di scarlatto. Sul suo desco _apros
+gautupatos, opera pistoria_ e vini squisiti.
+
+— Come! Mangia i cinghiali cotti nella loro pelle? Allora gli spiriti
+incubi gli diedero il loro cappello perchè trovasse il tesoro.
+
+— Egli felice che non suda al tornio facendo vasi ed orciuoli!
+
+— Nè cuocendo mattoni al pari di me.
+
+— Oh! parlaste a proposito degli effetti del caldo. Ho la gola
+arsiccia. Entriamo nella _taberna vinaria_, e beviamo del buono
+aromatizzato che spegne la sete.
+
+— Savio il consiglio di Gemino. Il vino generoso e melato e mirrino,
+se supplisce ai panni nel verno, ingagliarda e sostiene il corpo in
+estate.
+
+— Sì, se nol fai salire al cervello ad ondate; imperocchè allora
+vacilli e cadi.
+
+— Io per me amo più i termopolii che la fullonica. _Aqua dentes habet,
+et cor nostrum quotidie liquescit._ Ma quando ho un _pultarium_, di
+quello che ha la _schedula_ sulla pancia e non si vergogna come le
+donne di dire la sua età, le squadro a tutti io. E Pistosxenos lo sa,
+il buon compagnone.
+
+— Concediam libero il dire al figliuolo di Semele, lo allegratore degli
+uomini.... Ohe! Bubbio. Abbi Venere ritrosa se mai facesti galileo il
+vino che ti chiediamo. Del _calenum_.... e di quel _dominicum_, il vino
+che bevono i padroni di casa; e non sia concinnato con pepe o con erbe
+aromatiche. Non son del gusto di Gemino io.
+
+— O Epictetos, tu devi andare al lavoro, rammentalo, e il pennello
+delira, se lo stomaco bolle. E la vedova di Alessandro Citus....
+
+— Oh! per Ercole! Valeria Eupraxia non applicherà le sue labbra sulle
+mie per fiutare il _cadus Aliphanis_ che mia madre aiutata mi compose
+nel petto. Erano gli uomini che ai tempi dei re baciavano le mogli
+sulla bocca — e il dilettoso costume perdura — per conoscere dal loro
+alito s’esse avevano bevuto del vino. — Attento... Il vinaio mesce. E
+Solonas brinda.
+
+— _Mihi, Tibi.... Vobis!_ Ah! Gli è pur buono.... Arianna tutto
+obbliava quando trovò un tal conforto dell’animo.... Ehi! Athicto
+Sinna, non passar oltre senza bere con noi. O che hai con quel viso da
+funerale?
+
+— _Mulier, mulvinum genus._ È un nibbio. Non conviene usar bene con
+alcuna, perchè gli è come gittare il bene in un pozzo. Se giovane,
+è lo abbandono di se stessa, è la noia, la solitudine, lo ideale che
+arde nel suo cuore di una vampa bugiarda. Se matura, è un carcere, un
+imbarazzo.
+
+— Sentenzia come Cicerone da vivo. — È amaro ricordo. Addolcialo con
+questo _vetustate edentulum_. Tradito a ponente, volgiti a levante.
+
+— Conosci, o Gemino, il nome di quel tristo suo disinganno?
+
+— Sì, Solonas lo diceva ora all’orecchio di Pistosxenos. La giovane
+Kallisto, figlia di Narcissio Moscho, presso le proprietà degli eredi
+di Giulia Felice.
+
+— Veramente bella, grassoccia, al punto. La vidi di sera nel tempio
+di Venere; e la sua veste bianca si staccava dalla semi-oscurità come
+raggio di luna.
+
+— Athicto, non piangere. Bevi piuttosto.
+
+— Lascia ch’io mi beva le lacrime. L’amava come non aveva amato mai.
+Diceva appartenermi intera, senza riserva. _Semper et ubique_. —
+
+— Ed ecco le parole cui tu non dovevi fare a fidanza. È lo stesso che
+attendersi inerzia da una farfalla. Ma non dubitare. Andrà lontano.
+Troverà la fiaccola che le arderà le ali.
+
+— E che fa egli costì contro il muro?
+
+— Poichè l’oro mi si fe’ piombo fra mano, scrivo con Ovidio:
+
+ Quisquis amat veniat. Veneri volo frangere costas
+ Fustibus et lumbis debilitare bene.
+ Sermo est illa mihi tenerum pertundere pectus,
+ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
+ Quos ego non possem caput illud frangere fuste.
+
+— La donna, amico, è come la coda del vitello, _retroversus crescit_.
+Appicca quindinnanzi il voto a ogni immagine, e sarai vendicato.
+
+— Ma io l’amo e non posso. E così passerà la mia vita. —
+
+Epictetos si appressa all’orecchio di Pistosxenos e susurra:
+
+— Dì.... parla da senno Athicto.... e così.... in Pompei?
+
+— Anch’io vi pensava su..., e comincio a temere che Plutone abbia
+respirato troppo vicino a quel suo delicato cervello.
+
+— Orsù, fratelli, l’ultima alzata di gomito. E beviamo alla tua pace,
+o Sinna. E perchè ne profitti, ricordati che lo amore è la sfinge, la
+quale divora chiunque la interroga.
+
+Quegli amici seguitarono la via e volsero pel vico storto, piegarono a
+sinistra presso la fonte del quatrivio, e discesero in giù. Un _vale_
+incrociato; ed ognuno pei fatti suoi.
+
+Il pittore Castresio, cui avevano dato il soprannome di κάλος, era
+già al lavoro. Sulle pareti del _cavædium_, tinte in nero, dipingeva
+baccanti abbracciate o sostenute da fauni festosi e danzanti. Erano i
+devoti seguaci del giocondo iddio che prometteva per non spinoso calle
+i piaceri di una vita beata. A’ suoi piedi era la tavolozza di granito
+egizio, posta sopra un braciere. I suoi rotondi incavi contenevano i
+colori di cui allora servivasi. Cosenzio abbelliva una scala. Vetidio,
+un _œcus_. Succidio Epitinka, lo xysto. Damisio restaurava un cubicolo.
+Poche altre pennellate, e tutto il lavoro sarebbe compito. Cantavano
+canzoni del loro paese. Lo amico che vide entrare Pistosxenos,
+scherzosamente il garrisce:
+
+— Ti dai bel tempo, per tutte le muse eh? Hai ragione. L’aria è sì
+grave che spossa i nervi e le facoltà dell’occhio. E qui cantiamo come
+cicale di Rhegium. Ma indovino chi ti trattenne. _Colubra restem non
+parit._ Di serpi non si fanno corde, e tu saresti capace _resecare
+ungues_ allo avvoltoio che vola.
+
+— A che miri con questo dir da sibilla?
+
+— Penso che tu, _iterum et feliciter_, ti trattieni sotto coltri non
+tue e non ti fai sorprendere dal geloso. Bada! Cornelio Vitale or’è più
+di un anno _dispensatorem suum ad bestias dedit_. I duumviri glie lo
+accordarono ad esempio.
+
+Vetidio entra a dire:
+
+— Misero! Qual colpa in lui, se forzato a fare? Qual colpa in lei,
+s’egli bruttissimo?
+
+— Eh! legge di taglione! Finire straziato dal toro! _amasiuncule mi_,
+smetti o ci capiti. — Dipingi qui e non in casa. Farai fortuna. Valeria
+Eupraxia ha ammirato il tuo Narcisso e la tua Danae col Perseo salvato
+nelle braccia. E parlò _libentissime_ di te e del valor tuo a Memore
+Istacidio, il sacerdote di Mercurio e di Maia. Pare voglia ridipingere
+il tempio e dare a te quel lavoro. Mio padre mel dicea sempre; _Literæ
+thesaurum est; et artificium nunquam moritur._
+
+— Ti so grado, o bel Castresio, del sermone e delle liete novelle. Con
+siffatti stimoli vado a compire il lavoro. Ma non Klimenes me rattenne
+come tu ti piacesti pensare. Ma è disordine e sgomento nella città per
+l’acqua che manca. Ed Ælio Gemino, il carraio, con altri buontemponi mi
+trassero alla taverna.
+
+Dopo un’ora le pitture erano ultimate per tutto. Nel cavedio mancava
+il _podium_, cioè lo zoccolo. Ma Castresio lo segnò, perchè, i
+_cementarii_ sapessero il punto dove avrebbero incastrato le tavole di
+marmo di Luna. Ed in punto, ecco Edone, il vicino vinaio che così tutti
+rimbecca:
+
+— Come! Quando lo scirocco pesa talmente a soffocare il respiro e si
+suda solo pensando, e voi, beoni che mi sapete alla distanza della
+voce, vi state costì ansimanti qual mantice e non chiedete soccorso a
+chi ha tal merce che rinfranca ed allieta?
+
+— Ti sieno propizi gli dei, o bellissimo Edone. Possa tu versarmi il
+vino sul capo se io manco al tuo invito. E non solo ceci e lupini; ma
+un po’ di _scriblita frigida_, di quella torta eccellente di ieri, se
+pur te ne avanza. Condita col mele caldo, berremo come Anacreonte, e tu
+sarai lieto di noi.
+
+— Se tu paghi lo scotto, o bel Castresio, permetti al tuo Pistosxenos
+di aggiungere il cacio molle e rape con senape. Consenti?
+
+— Costui mi vuol Trimalcione. E sia! V’ha tra noi Succidio e Damisio
+che nell’atto chiederanno fegato nei bacini, busecca di bue ed uova
+pileate. Non somigliano punto a Vetidio, del quale ebbi a scrivere ieri
+sul muro; _Ubi perna cocta est, si convivæ apponitur non gustat pernam,
+ligit ollam aut caccabum._
+
+— No, saremo discreti. Non dubitarne. Ove mai tu imbandissi un
+prosciutto cotto, lo mangeremo tutto, e sii certo che non leccheremo
+l’unto della pignatta. —
+
+E Pistosxenos, preso uno spillo, graffì sulla nera parete la sentenza
+che segue:
+
+— _Invicte Castresi, habeas propiteas deas tuas tres. Ite et qui leges,
+calos Edone, valeat qui legerit_. Cotesto è il voto pel nostro caro
+anfitrione. Ma più che Giunone e Minerva io so che Venere lo prese per
+gli occhi. E ad essa il pomo.
+
+— In fede di Edone, gli è un suo devoto e dei più passionati. E gli
+bisogna mangiar caldo e ber freddo. Or permettete ch’io pur graffisca
+qualcosa a mia volta?
+
+— Eccoti lo spillo e scrivi.
+
+Il vinaio pensò e poi stese la mano sulla parete.
+
+— _Edone dicit. Assibus hic bibitur dipondium. Si dederis meliora,
+bibes conditus. Si dederis mina I, XL urna bib_....
+
+— Orsù, a me lo spillo e traccerò il mio nome a conferma.
+
+E graffì,
+
+— _Calos Castresi_.
+
+— Oh! Andiamo. Venere è losca. Perciò più bella. Diverrebbe irata se
+più qui tardassimo. E imbruttirebbe. Allora tutti gli dei contro di
+noi, ed avremmo pane pei nostri denti.
+
+E gli allegri pittori seguirono Edone nella sua _taberna vinaria._
+
+Per le vie sono mercanti di carne che portano sur un _cesticillus_
+pezzi di trippe e di fegato, ed urlano i meriti della loro merce a buon
+mercato.
+
+E _dendrophores,_ che tagliano, spaccano, segano e portano il legname
+da ardere a chi vuol comprarlo. E carbonai che spingono innanzi i loro
+asini pazienti e carichi, che a posta loro dirigono, ed arrestano per
+la coda. E venditori di fuscellini inzolfati che cercano di ricambiare
+coi rottami di vetri e con tibie di bue già mangiato. E ciechi che
+suonano nei flauti per buscare la vita. E saltimbanchi che imitano i
+giuochi del Circo. E prestigidatori. E robusti uomini che sollevano
+fanciulli sulla testa e sulle braccia, d’onde ricadono in piedi per le
+terre senza farsi alcun male. E uccellatori che si fanno ubbidire dai
+piccioni o dalle passere ad ogni loro cenno. Havvene uno finanche che
+presenta al suo cerchio di curiosi e di sfaccendati un bel ciuco, dalla
+testa maestosa e dalle orecchie ancor più, il quale indovina per un
+_triens_ quale del crocchio sia il meglio amato, il peggio infingardo,
+il più.... mariuolo. E le grosse risa quantunque volte la culta plebe e
+gl’incliti gladiatori credono che lo indovino abbia colto nel segno.
+
+Uno che passava dà una occhiata di spregio alla folla, vi scorge un
+conoscente, lo tocca piacevolmente sulla spalla e gli dice:
+
+— Che fai costì ritto, o C. Vibrio Saturnino! Studi per trovare un
+nuovo Dio in quell’asino addottrinato?
+
+— La parola dello epicureo è sempre mordace. Credo, o mio Caio
+Nivillio, che tu sedotto da pochi anni dalla falsa dottrina,
+l’abiurerai pel nessuno interesse di sostenerla.
+
+— Non è cotesto il luogo da tali ragionamenti. Vien meco nel Foro
+triangolare. Sederemo nella _exedra_, e correggerò le tue false idee
+sulla filosofia del grand’uomo di Gargettium, la saggezza e il luminare
+dell’Attica e quasi l’idolo degli Ateniesi. —
+
+Un cielo caliginoso ma con estive temperie; strade piene di popolo gaio
+e incurante; la eterna bellezza di una contrada che dalle prime ore
+del mondo sembra voglia rivelare agli uomini un grande secreto, tutto
+cotesto impressionava i due amici sempre pronti, siccome meridionali,
+ad ogni specie di emozioni.
+
+Nel passare sulla cantonata dinanzi la bottega del musaicista, Nivillio
+salutò Morultronio, intento al lavoro di genio e di pazienza. Era la
+copia di un musaico già fatto in una casa dinanzi le Terme del Foro,
+operato con minute pietre e scelte pastiglie di vetro.
+
+— Bravo! Rinnuovi lo stesso genio bacchico di altra volta? Chi lo
+desidera?
+
+— C. Calvenzio Quieto. Tu sai che ama il bere. E vuole che nel
+triclinio io collochi Acrato, l’antica personificazione del _vinum
+merum_.
+
+— La sua coscienza val meglio di mille testimoni. _Vale_.
+
+— _Valete_. —
+
+Giunti presso il tempio di Nettuno e sedutisi, Nivillio cominciò:
+
+— Mira. Non uso preamboli. Vi hanno cose che emergono come le verità
+dai pozzi, perchè sono gli ospiti invisibili delle nostre coscienze.
+Una voce autorevole, avvezza a scrutinare i misteri, vibra; i veli
+cadono; e le menti si aprono alla luce di un nuovo orizzonte. Epicuro
+meditò e scoprì che la natura si compose _ab æterno_ e si completò a
+seconda della necessità in tutte le parti dello universo. La ignoranza
+degli uomini creò gli dei invisibili a tranquillità delle loro visibili
+paure e gl’identificò negli uomini chiari degli evi anteriori, quasi
+per iscusa delle proprie debolezze e passioni. I legislatori persuasero
+le società alla credenza di siffatte menzogne. I tiranni le imposero
+per consacrare le loro inique malvagità. —
+
+Così affermava Nivillio ai suoi tempi. Ed io dico nei miei come la
+religione sia una passione della umana natura, che assume il colorito
+dell’epoca, dei costumi, delle leggi, delle contrarietà, del clima,
+della maggiore o minore intelligenza degl’individui. I quali, dopo
+aver nutricato quella passione di futilità, di paure, di ferocia,
+di avarizia, di libidini e di egoismo la esprimono fuori del cuore
+immedesimata delle virtù e dei difetti del loro carattere peculiare.
+Laonde, ai tempi andati come nei nostri potevasi e si può essere
+religiosissimi idolatri, israeliti, cristiani, islamiti, bramini,
+cattolici, anche papisti,... e vivere vita lussuriosa, palesarsi
+usurai, ubbriacarsi, macchiarsi di sangue, ordinare macelli d’uomini,
+parlare di pietà, temere Iddio ed offerirsi alla storia sotto il nome
+di David, di Elagabalo, di Filippo II, di Luigi XI, di Cromvello, di
+Borgia, di Calvino e dei Borbonidi. Le temperie dell’aria, il calore
+del sangue, le ragioni di Stato sono elementi acconci a sanare di molte
+rotture ed a lenire qualche rimorso. Nè giovano riforme a rimedio di
+epoche rilasciate. Chè una religione troppo assottigliata dallo staccio
+della ragione cessa di essere una fede. Ed una fede imposta senza
+il consentimento della ragione è una cieca stupidezza ed una solenne
+bestialità.
+
+Or ecco come C. Vibrio Saturnino rispondeva alle sentenze del suo
+compaesano C. Nivillio, lo epicureo:
+
+— Ma Epicuro disse si onorassero gli Dei a cagione della eccellente
+loro natura.
+
+— Lo disse, ma non lo credette. Poichè pur disse com’egli non
+attendesse alcun bene, nè temesse verun male da essi. Di fatti, non
+gridarono pei crocicchi i perversi suoi oppositori ch’egli rovesciava
+colle sue dottrine la osservanza agli dei? Nè voleva il culto
+mercenario? E se dicea si onorasse e si rispettasse ciò che è grande
+e perfetto, non era cotesto un temperare le sue arditezze con un giro
+di frasi che lo salvavano dalla morte? La ragione parlava per la sua
+bocca. Ai secoli la sentenza!
+
+— Ma chi calmerà i rimorsi dell’uomo colpevole? Chi darà la forza alle
+virtù ignorate di continovare quando tutti i falli nascosti saranno
+scusabili ed impuniti? Le vostre dottrine limitano la esistenza ai
+brevi istanti di questa vita. E al di là l’uomo decoroso di virtù avrà
+la stessa sorte dello scellerato e dell’empio? Ah! io sarei veramente
+addolorato se avessi a perdere la fiducia in un soggiorno di delizie o
+di pene dopo la morte.
+
+— Se tu togliessi per te il fastidio di pensare, proveresti lo stesso
+rammarico che senti allorchè ti desti il mattino dopo un sogno felice.
+
+— Ma se tu dissipi cotesto sogno, non togli tu allo infelice le soavità
+che sospendevano i suoi mali?
+
+— No. Il mio maestro elevò l’anima e fortificò la ragione. E insegnò
+che il vero coraggio sta nello affidarsi alla necessità.... In
+Jerusalem una setta perversa, quella dei Farisei, si sbracciò per
+accusare un filosofo di Galilea appo i Romani. E lo calunniarono
+dinanzi le leggi. E lo resero odioso al popolo. E gavazzarono allorchè
+lo videro sospeso sulla croce dei ladri e degli assassini. Pure quel
+crocefisso — lo udii anche dai circoncisi che sono qui — predicava una
+fede che a tutti doveva piacere: «Ogni uomo nato di donna è figliuolo
+di Dio onnipossente — Ognuno per conseguenza è eguale all’altro
+in faccia alla bontà divina.» Ed il pernio della sua dottrina era
+conchiuso in cotesta formola: «Non fare altrui quello che non vorresti
+che a te facessero.» Ebbene! Gli stoici, che sono i Farisei del
+panteismo, dicono di Epicuro le abbominazioni delle maladizioni perchè
+professò che la felicità dell’uomo consiste nel piacere....
+
+— E ti par questa la teoria di una sana morale?
+
+— Nel piacere che risulta dalla pratica delle virtù. E nessuno tra i
+tuoi brontoloni potette mai accusare nè Epicuro, nè i suoi adepti di
+sensuali pecche. Il popolo invece vede voi nè casti, nè temperanti, nè
+frugali.
+
+— Ci sa religiosissimi.
+
+— Ipocriti, frequentate i templi. Crapulosi, aiutate alla crapula dei
+sacerdoti e gli satollate di ricchezze e di prestigio. Se magistrati,
+vendete la giustizia. Se privati, cittadini, ponete allo incanto la
+bilancia di Temi. I legami sociali voi li rompete ognidì. I rimorsi
+nel cuor vostro assumono le sembianze di pregiudizi infantili; e gli
+dissipate coll’offerire una melagrana a Venere, un montone a Giunone,
+un voto a Giove, un’anfora di vino antico al dio Bacco. Arricchite
+colle usure?... Che monta! Una parte al flamine di Mercurio, lo incenso
+al comodo nume, il resto per voi. E vi beccate il nome di _boni viri_,
+di _verecundi_, di _religiosi_, di _integri_, di _innocui_, di _frugi_,
+di _omni bono meriti_, di _dignissimi Reipublicæ_.
+
+— Non tutti così.... In ogni modo val meglio aspirare a leggi pure,
+solide, di facile esercizio e consolanti, di quello che ad una sterile
+virtù stabilita dalla opinione mobile degli uomini. E ve n’ha già di
+parecchi sistemi. E ne diviene imbarazzante la scelta.
+
+— Ma quando la morale — che tu riconosci per tale al pari di me — non
+può più accordarsi con una religione malsana che corrompe i costumi e
+che riverisce ed incensa iddii ingiusti, dissoluti e crudeli, e non val
+meglio negare la loro esistenza piuttosto che degradarsi dinanzi a quei
+rivenduglioli di antiche frottole che di soppiatto si smascellano dalle
+risa della vostra melonaggine?... Ah! Voi siete gli empi davvero!...
+
+— Io penso che tu rammenti come nella nostra prima gioventù, presi
+ambedue da una grande simpatia l’uno per l’altro, risolvemmo di
+consultare la iddia Iside sulle sorti che ci attendevano. Me la
+curiostà spingeva, a ver dire. Te una credulità superstiziosa. Andammo
+nel tempio. Affidammo al jerofante le due pergamene rotolate che
+contenevano le nostre domande e attendemmo prostrati a’ piè della
+edicola. Un sacerdote triste, pallido, abbattuto, cinto il capo di
+bende e di una corona di alloro, allumò sullo altare un fascetto di
+erbe aromatiche, masticò alcune foglie della corona, gittò questa nel
+fuoco insieme con una pugnata di farina d’orzo e annusò a piene narici
+le crepitanti fiamme. Quell’uomo lo dicono stretto al celibato; e le
+frizioni di cicuta par lo accomodino egregiamente ad osservare una
+strana legge contraria alla natura. Assistito da due sacerdoti che
+aveano nelle mani gli attributi del Sole e della Luna, passarono dietro
+la edicola.
+
+— Rammento, o Nivillio, che due altri ci purificarono coll’acqua santa
+nell’atto che i vittimari scannavano i due vitelli bianchi di Surrentum
+che noi avevamo offerto alla iddia per renderla a noi propizia.
+
+— Io tutto vidi, o credulo amico. E allorchè chiesi la ragione perchè
+al tuo vitello fecero mangiare la farina che gli presentavano; e
+perchè pittarono acqua fredda sulle aperte viscere del mio — il quale
+d’immobile ch’era divenuto, agitossi — nessuno di quegl’impostori
+rispose. Avvegnachè più le cose sieno inesplicabili e dure a ingoiarsi,
+più inspirano fede al volgo bietolone e ignorante. Un soave odore si
+sparse a noi d’intorno. Tu lo credesti prodigio. A me parve grossolano
+abuso della mia ragione. D’un tratto dietro il nume vedemmo sorgere
+una nube di fumo olezzante. E poi una voce cupa gutturale pronunciare
+parole sconnesse, ignote alcune, altre di nostra lingua — che non
+avevano senso veruno. Eh! era giovane allora e il mendicare un responso
+alla Iddia, se mi fece oltraggio alla mente, pur mi parlò di pericoli
+ch’era follia lo sfidare. Socrate morì di veleno. Diogene fu salvo
+della sua miscredenza per la nomea di strano filosofo. Tacqui. E
+siccome ambedue, senza dircelo, avevamo chiesto se avremmo patito il
+dolore di sopravvivere allo amico del cuore, il sacerdote portò a noi
+in una sola pergamena il responso deciferato. Qual’era che tu morresti
+colpito dalla folgore, ed io strangolato. Baie!
+
+— Tu stracciasti, o profano, l’oracolo, e mal te ne coglierà.
+
+— Morrò. Sei immortale tu forse?... Ho meditato lunghi anni su quella
+scempiaggine della mia gioventù; e nel segreto sentii gli orrori
+cagionati ai popoli e agl’individui dalle pitonesse, dai misteri
+di Cerere, dalle soperchierie di Delphi, dai responsi degl’ipocriti
+sacerdoti e dagli oracoli degli egiziani che vendono le loro frottole
+in nome d’Iside, qui. Una parola dettata da quei corrotti e mai
+satolli del proprio egoismo, suscitò guerre sanguinose in antico,
+portò desolazioni in una repubblica, ridusse in cattività gli abitanti
+di un intero paese, creò lo eccidio di una famiglia, troncò la vita
+di una creatura innocente. Giacchè mentovai i ciurmadori del tempio
+di Delphi, vo’ ricordarti quello che fecero al popolo di Cyrra, nella
+Phocide, correndo la LXXIII Olimpiade, quattro anni dopo che Euripides,
+il grande tragedo della Grecia, nacque in Athenæ. Gli abitanti di
+Cyrra, nel seno Crissæo, possessori della valle che si stende dal monte
+Cirphis al Parnaso, imponevano balzelli sui greci che sbarcavano nel
+loro porto per andare a consultare in Delphi il vantato oracolo. Ma
+nuocevano alla turpe officina. E l’oracolo, richiesto, rispose che i
+colpevoli meritavano il supplizio, cioè, che ogni cittadino di Cyrra
+dovesse esser perseguitato di giorno e di notte come cane idrofobo;
+si saccheggiasse il paese; e le donne stuprate; e i bambini ridotti a
+schiavitù. Parecchie nazioni si levarono in armi. La città fu rasa,
+il porto colmato, gli abitanti morti od in ferri, e i ricchi campi
+sacrati al tempio di Delphi. Una colonna fu rizzata sulla vasta pianura
+a ricordo del fatto. E col sangue delle migliaia di vittime eravi
+scritto: _Chiunque osi rompere cotesto giuramento sia esecrato agli
+occhi di Apollo e delle altre divinità di Delphi. Che le loro terre non
+portino più frutto. Che le loro donne e i loro greggi producano mostri.
+Che perano nei combattimenti. Che falliscano in ogni loro impresa.
+Che la loro razza si spenga. Che per tutto il periodo della loro vita
+Apollo e le altre deità di Delphi rigettino con orrore i loro voti e
+i loro sacrificii._ Questi i tuoi sacerdoti, avari, ingordi, mendaci,
+ladri, impudichi, arpie, mai satolle di dominio e di sangue. E l’empia
+sentenza correrà tradotta in ogni lingua nei secoli avvenire.
+
+— Lo ammetto, ed ammetto altresì i vizi e le passioni umane
+identificate nei Numi. Ma se noi pervenissimo a purificare il culto
+delle superstizioni accumulate dai secoli, saprebbero gli Epicurei
+rendere omaggio alla Divinità rinnovata?
+
+— Sei pure il dabben’uomo, o Vibrio Saturnino. Tu infradici i numi nel
+brago e poi gli correggi e gli lavi nel ranno a posta tua. Dunque,
+o buoni, o pessimi, sono l’opera delle vostre mani. Provami un po’
+meglio la loro esistenza. Guarentiscimi con testimonianze irrefragabili
+ch’essi prendono cura di noi, ed io mi prosternerò ai loro altari.
+
+— Sei tu che devi provarmi la loro nullità. Perchè sei tu che zappi
+le fondamenta ad un domma che i popoli osservano per lungo periodo di
+secoli. Ma un monumento che attesti la esistenza dei Numi pur vi è,
+e tu il vedi e il calpesti. Il sole, le stelle, la terra, l’organismo
+dei corpi, la differenza degli esseri, il petalo dei fiori, la polvere
+dorata delle farfalle, lo istinto degli animali, la nostra ragione.
+La natura sin dallo aprile è stata in un rapido movimento finqui. Ora
+si acconcia al riposo. Dunque vi è un primo motore. Cotesta azione è
+soggetta ad un ordine costante. Questo ordine esige una intelligenza
+suprema. Qui la mia mente si arresta. Se tu, o Nivillio, procedi
+innanzi, io dubiterò della mia esistenza e della tua.
+
+— Coteste prove non arrestarono mai i filosofi sulla via della ragione.
+
+— Voi siete presumenti.
+
+— Noi siamo ragionevoli. E pensiamo colla nostra testa piuttosto che
+per quella di Aristotile e di Numa Pompilio. Leggi Timeo di Locrum,
+Anassagora, Platone, Pythagora, Antisthene, Epicuro, Socrate; e verrai
+facilmente alla soluzione del misterioso problema: «Molte sono le
+divinità adorate dagli uomini. Ma la natura ne indica una sola. Tutti
+hanno considerato lo universo come uno esercito mosso dal genio del suo
+generale, o come una vasta monarchia, in cui la pienezza dello imperio
+risiede nel principe.» Se Dio fosse, lo insetto, la lucertola, il
+rospo, il lombrico, il coccodrillo, la talpa, l’erba che non è albero,
+la scimmia che non è uomo, non dovrebbero lagnarsi delle imperfezioni
+loro prodigate? Ma son essi cogli altri i componenti del tutto e i
+perpetuatori del tutto, e non havvi ragione a lamento.
+
+— Tu mi persuadi ed io fuggo. Oh! la illusione dei Campi-Elisi! _Vale._
+
+— Ho speso fruttuosamente la mia giornata. _Faustum, felicemque._ —
+
+Intanto che i filosofi si avviavano alle loro case ed una parte di
+popolo vagava per le sue faccende o si trastullava, le donne e i
+bigotti muovevano verso i templi alle preci votive a cui li invitavano
+i magistrati. Le stranezze che occorrevano erano insolite cose. Il
+maraviglioso mena al maraviglioso. La paura e la impotenza legano
+la credulità al carro dello ignoto cui si chieggono favori, aiuti,
+riparo e conforti. E tutti i superstiziosi e gli sgomentati corsero ai
+sacerdoti per offerir loro _ex-voto_, monili, pecunia e commestibili
+onde pregassero i numi a far cessare le minacce misteriose o patenti
+che pesavano sulla pubblica coscienza dei Pompeiani. I fani di Giove,
+di Mercurio, di Venere e dell’Augusteum, di Esculapio, di Cerere, di
+Nettuno e di altri iddii si affollarono di gente. E più quello d’Iside,
+deità di non remota instituzione e di moda. Grato Arrio, Amphio Serapa,
+Puccio Chilo, Messio Inventus, Merulino, Nimphiodoto Caprasio e gli
+altri loro consorti in ipocrisie accettarono la mèsse che la ignoranza
+impensierita loro forniva; ed ognuno — secondo il rituale del proprio
+culto — sacrificò, libò ed orò il meglio che seppe. Perchè, a ver dire,
+un po’ di spavento aveva pur scosso quei pubblici ladri e profittevoli
+ingannatori. Persino dalla parte più ignobile della città, verso il
+Sarno, accorsero gli ebrei, negozianti e schiavi venuti dalla loro
+distrutta città. Non avendo più tempio, nè potendo creare in terra
+straniera il loro _sanhedrin_, cercavano in tanto pericolo il dio unico
+dove poteva discendere, richiamatovi dagli incensi e dalle preghiere.
+Eliachim Verpa, il ricco mercatante, ne ritenne ben pochi e furono
+quelli tra i quali spandeva la buona novella e col loro mezzo faceva
+proseliti e propugnava di soppiatto negli schiavi la notizia della
+redenzione.
+
+Sur un’ampia via che dal Foro, traversando quella che mena alla
+porta di Stabia, conduce direttamente allo Anfiteatro, è a sinistra
+una casa, il cui uscio apresi subito dopo un terrazzo lungo quanto
+l’abitazione precedente, guarnito di una balaustrata di ferro. Numerosi
+cittadini, solleciti liberti, procuratori officiosi, chiedoni di
+ogni genere sono sul selciato, assaltano l’uscio, empiono l’atrio.
+La diversità delle vesti, le varie persone che parlano di affari che
+la mobile fisonomia traduce a chi finamente le osserva, la magnifica
+architettura dello edificio sono indizi che colà dentro dimori un uomo
+di alta considerazione. Ed una voce ecco che l’indica. Nessuno degli
+annunciatori ha parlato. Laonde, tutti gli occhi si volgono sorridenti
+ad una gabbia di legno dorato sospesa ad una verga di ferro che
+traversa lo impluvio. La voce ripete il suo verso e dice:
+
+— _Svedius Clemens, sanctissimus judex._ —
+
+Era uno Ψίττακός verde, dal capo giallo e dalla coda rossa, cui avevano
+dato il nome di Catina, ch’erano le sole tre sillabe che pronunciasse
+pria che i servi altre glie ne apprendessero. Alle parole di
+quell’uccello, credutele escite dalla bocca del _nomenclator_, la calca
+si fece più innanzi nell’atrio.
+
+— Isocriso Fortunato, qual cura qui ti conduce? Fatti in qua ed
+eviterai di aver pesti i piedi.
+
+— Sì, o Claudio Espedito, meglio è serbar sane le costole e non esser
+dei primi.... E poi è un’afa che uccide. Qualcuno di quei solleciti, là
+nella schiaccia, perderà il respiro. Mira L. Pullio Mactoriano, corso
+in tanta fretta da non avere ancora allacciato le corregge dei calzari.
+
+— E che dici di M. Epidio Sabino che pur sbadiglia ed ha la cispa negli
+occhi. La vanità gli vieta il sonno. E si fa spingere qui grosso e
+rubicondo per sollecitare dal sommo giudice imperiale la ratifica dei
+suffragi del vicinato per le prossime elezioni. _Habebimus ædilem trium
+cannearum!_
+
+— Qual vita! Nei tempi antichi, pria che Silla legasse le ruote
+del nostro carro municipale, eh! amministrare il paese era un fatto
+onorevole ed onorato. Ma ora.... l’ombra e nulla più! Il magistrato
+è servo dei capricci dell’Urbe.... Ne avemmo di mostri a patire!...
+Vespasiano non ebbe nè grandi vizi, nè grandi virtù. Era alquanto
+dozzinale e plebeo, e di parole licenziose e brutte. Di lui, vecchio,
+massiccio, colle membra annodate e sode, e colla faccia rappresa che
+parea che ponzasse, innamorò Petronia, poi che fu morta la Cenide
+sua. La fe’ passare nel bagno, e ordinò al dispensatore di darle
+dugencinquanta nummi d’oro. Or, questi domandandogli in qual modo
+quella partita si avesse ad acconciar nei suoi conti, rispose: «Metti
+a uscita Vespasiano, di cui le donne invaghiscono.» Il figliuol suo,
+Tito, lo amore e la delizia dell’uman genere, per ora.... Durerà?
+
+— Eh!... Amministrando lo impero insieme col padre, fu poco civile e
+molto crudele. Rammenta tra gli altri, Aulo Cecinna, uom consolare,
+pria convitato a cena e poi fuor del triclinio per suo ordine
+pugnalato. Si disse di una congiura di militi apparecchiatagli contro e
+che il pericolo lo forzasse. Le leggi erano. Poteva por mano ad esse ed
+evitare il biasimo grande.
+
+— E quel suo mangiare e bere cogli amici e familiari i peggio
+vituperosi e disutili? E la folla di giovanetti sbarbati, dotti nella
+danza ed in libidinose posture? E gli amori colla regina Berenice? E
+il mercato di uffizi? E il riceverne mance e premi?... Vero è che,
+ottenuto il principato, si palesò uomo diverso. E non si mostrò al
+pubblico, ove tutta Roma plaudiva i suoi giovani e graziosi istrioni.
+E mandò fuori dell’Urbe l’amata e piangente regina. Nè tolse più cosa
+alcuna ai cittadini. E consacrò lo anfiteatro, e nelle Terme edificate
+colà presso ordinò con bellissimo apparecchio il magnifico spettacolo
+dei gladiatori. Parmi dunque, o Espedito, ch’ei....
+
+— Farà prospera la repubblica, se non lo guastano colle adulazioni e
+colle abbiettezze.... o non lo uccidono. — Veh! lo sguardo sdegnoso
+e venale dei portinai come trasceglie nella folla dei clienti che gli
+assediano quelli che per pecunia faranno passare i primi! La venalità
+è il pessimo veleno che omai filtra per tutto. — Non mi hai ancor detto
+che ti mena da Svedio.
+
+— Quando ei fu inviato da Cesare nella nostra Colonia, io era in
+Lutezia dei Parisi. Un mio vicino di campagna prese per sè la parte di
+terreno che mi veniva restituita, ed ora vo’ chiedergli giustizia senza
+aver che fare con quei sollecitatori che vendono a sì caro prezzo le
+loro parole. —
+
+Cotesto insigne giureconsulto, per nome Tito Svedio Clemente,
+tribuno, era stato nel vero inviato in Pompei da Flavio Vespasiano per
+delimitare i confini del territorio della Repubblica Romana, occupato
+nel Pago Felice-Augusto dalle tre coorti dei veterani. Da che Silla
+gli dispose qui come corpo di osservazione, quegli uomini arroganti
+e spavaldi, perchè armati, commisero insolenze contro i cittadini.
+Avvegnachè, sentendosi essi il principale sostegno della politica
+dittatoriale, stimavano che gli altri fossero di un ordine inferiore.
+Divennero i tiranni della città. Commisero violenze e brutalità di ogni
+maniera. Il selciato pompeiano fu insanguinato. Publio, loro generale,
+pretendeva che i suoi soldati venissero riconosciuti come i liberi
+cittadini della Colonia. I magistrati, gelosi dei popolani privilegi,
+fermamente si opposero a quella imperiosa volontà; e ricorsero al
+senato nell’Urbe. Cicerone, pauroso di Silla, difese il nipote,
+quantunque in cuor suo lo accusasse. E Publio assoluto. E surrogato
+da Ninnio Mulo. E i veterani ebbero un vasto terreno, in proprio, da
+coltivarsi e da trasmettersi ai figli. Nella distribuzione dei campi
+furono però usurpate le proprietà dei cittadini. Laonde, litigi,
+ingiurie, busse e macelli. Bastava muovere doglianza contro un soldato,
+per veder sorgere la centuria e colle centurie le coorti, onde chiedere
+riparo col gladio al coltello. Svedio compose le liti insorte e i
+decurioni elevarono la sua statua sur un piedestallo, proprio sul posto
+dei diritti acquetati e riconosciuti, presso la strada dopo lo emiciclo
+di Mamia e sull’angolo della via che menava alla villa di Cicerone.
+
+La iscrizione diceva:
+
+ EX AVCTORITATE
+ IMP · CAESARIS
+ VESPASIANI AVG·
+ LOCA PVBLICA A PRIVATIS
+ POSSESSA T. SVEDIVS CLEMENS
+ TRIBVNVS CAVSIS COGNITIS ET
+ MENSVRIS FACTIS REI
+ PVBLICAE POMPEIANORVM
+ RESTITVIT.
+
+Un subito moto, come onde di mare che si seguono e si accavalcano,
+dinotò l’apparizione del magistrato imperiale nell’atrio. E la turba
+degli ossequiosi si spinse verso quella parte. Erano i _salutatores_
+che volevano solo complirlo. E i _deductores_ che intendevano
+accompagnarlo se mai fosse escito. E gli _assectatores_ che in pubblico
+desideravano farsi vedere al suo fianco.
+
+Di mediana statura, vigoroso, solido, dalle braccia e dalle gambe
+scultorie, sotto quella fronte larga e possente si disegnavano due
+occhi neri e fermi, di cui era difficile sostenere lo sguardo. La sua
+fisonomia aperta e ruvida palesava la energia del carattere. Lo aspetto
+complessivo della persona lo testimoniava.
+
+E quel suo aspetto spirava un’adusta vecchiezza, quella beltà non più
+materiale, che è il canto dell’anima dopo la vittoria riportata sui
+sensi.
+
+Il tablino, ove si mostrò ai clienti, era ornato di pitture bellissime.
+Sulla parete sinistra, tra’ lavori architettonici, vedesi ancora un
+Ermafrodito itifallico sedente, il quale colla manca acciuffa la barba
+di Sileno che è dietro le sue spalle, e colla destra si scuopre la
+persona. Una baccante ha nelle mani una coppa ed un tirso. Tutto il
+fondo del quadro è turchino, sormontato da un cortinaggio rosso con
+frange, i cui lembi d’ambo i lati scendono bellamente sopra lo zoccolo.
+
+Svedio si presentò portando la mano dritta alla bocca e curvando
+il corpo a sinistra. Offerì quindi la destra ai più vicini che il
+nomenclatore gli presentava. Chiese della salute di tutti. Lamentò
+il caldo insolito, soffogante; ed il tanfo che sorgea dalle cantine
+e dai pozzi a far recere i mulattieri. Ascoltò le ragioni d’Isocriso
+Fortunato e chiese documenti per giudicarle. Si assise e terse il
+sudore della faccia. Rivolse la parola alle persone che riconosceva
+nella folla. Ed accolse benignamente le petizioni che gli venivano
+offerte. Cessato quel còmpito, e notando nel fondo dell’atrio la
+folla compatta degli accattoni, che invilivano la cosa immortale per
+provvedere senza fatica e coll’abbiettezza del limosinare ai loro
+giornalieri bisogni, aggrottando le ciglia gridò con voce sonora:
+
+— Quei famelici clienti, quei chiedoni di _sportulæ_ non vo’ vederli
+io qui. Vadano all’Annona. Cesare mi mandava a rendere la giustizia
+sui piati straordinari e non a provvedere i fannulloni e gli stomachi
+vuoti. —
+
+Ed accigliato rientrava nelle interne stanze.
+
+Svedio aveva ragione. Il cuore umano non era più quello. Le contese
+civili col corredo del livore e della ferocia. La guerra servile
+col legittimo spregio all’autorità. La rivolta sociale collo inutile
+carnaio e col rammarico della ingiusta disfatta. La idea riscossa da
+quegli avvenimenti non pienamente acquetata. L’oblio che ferisce e
+dentro rode. Le perdite patite. Le ambizioni in trionfo. Lo intrigo in
+auge. Le schifose brutture imperiali. Il piacere dei sensi abbeverato
+di sangue e di lacrime. L’adorazione della libertà defunta. Ed un idolo
+sconosciuto ancora, ma pur fremente nella coscienza degli uomini. Tutte
+queste cose — cagioni ed effetti di molti mali senza rimedio — avevano
+prodotto un ibridume vergognoso — i parassiti, i pedanti, gli epuloni,
+le sciupate, i poetastri, i buffoni, gl’ignavi e i viventi di pubbliche
+e di private limosine. — Le dimore dei ricchi erano ogni mattina in
+sull’alba assiepate da gente stracciata che trascinava seco figliuoli
+sparuti, sudici e seminudi e persino donne languenti e prossime al
+parto. Le sante delicatezze dell’anima erano tutte morte... Ma non si
+erano consumate sulla croce del Golgota. E verrebbe il giorno in cui
+sarebbero risorte per far cangio lo aspetto delle generazioni a venire.
+
+Gl’inquieti escirono dalla casa del giustiziere imperiale col ghigno
+sul labbro, colle maledizioni nel loro pensiero.
+
+— Kale, ho inteso parlare degl’infortuni di Ulisse ch’errò per venti
+anni lungi dall’isola natale. Ben di lui più infelice, io mi smarrii
+qui dove nacqui e d’onde mai partirò.
+
+— Non so trovare, o Priscilla, un’acqua abbastanza sporca per gittarla
+sul viso di quell’impuro egoista! Briccone! Egli ha i suoi redditi.
+E non pensa che noi non ne abbiamo. Ogni cosa aumenta di prezzo.
+Ieri, Scapula, con cui lamentava lo accresciuto valor del suo lardo,
+mi mostrò i pesi di piombo, sui quali era in rilievo ALVMVR-CAVE.
+Magistrati cani!
+
+— Lo udiste, eh! lo uccellaccio di cattivo augurio! Quali occhi di
+gufo. Già, per noi poveretti non vi è che la croce! Cotesti ricchi sono
+tutti pirati e non risparmiano alcuno.
+
+— Tu poi non puoi lagnarti, o Thessalo. In una casa il pesce. In
+un’altra un po’ di pecunia. E per sopra ciò hai così acconci i denti
+come le mani.
+
+— Sì, non mi reputo tra i grandi infelici. E prego sempre Laverna che
+mi offra il destro di esercitar le mie dita.
+
+— Ho udito ragionare da Spetillo, or or tornato dall’Urbe, come Cesare
+sia affettuoso e benefico a non lasciare alcuno partirsi da lui senza
+beneficio, od alcuna speranza. E soler dire: mai nessuno debb’essere
+del principe malcontento. E una sera cenando, risovvenendosi non aver
+fatto servigio ad alcuno, dicesse malinconoso agli amici, come quel
+giorno fosse un giorno perduto. Eh! Qual differenza tra lui e questi
+che qui lo adombra!
+
+— Odo rumor di voci di gente riunita dietro le Terme. E suon di flauti
+con esse. Andiamo, Papyria, e inganneremo la fame cibando gli sguardi.
+
+— Molti pur vanno da quella parte. Corriamo. —
+
+Nè si erano ingannati. Al di sopra, al di sotto ed in faccia alla
+caupona di Svezzio, dalla insegna dello Elefante, era grande la folla,
+chiamatavi dal piacere dello spettacolo. Sur un triangolo avevano
+posato un canapo e distesolo sur un altro simigliante a dieci passi di
+distanza; un uomo con un grosso chiodo lo assicurava tra le commessure
+del selciato. Altri uomini in figura di Fauni mostravansi coperti di
+anassiridi verdi, rosse, gialle e turchine. Un tirso nella mano, una
+pelle di capro sul braccio, un fiocco di crini in arco sull’osso sacro.
+
+Una voce grida;
+
+— Abbastanza suonarono le tube, i flauti ed i cembali. Che tardate? Il
+circo è pronto. Gli spettatori sono impazienti.
+
+— E le spettatrici? Ohe, Phæbo, sei tu che proibisci alle tue clienti
+di mostrarsi sul davanzale del _solarium_?
+
+— O che tu dici, Hypsæo. Non son le mie schiave. —
+
+Ma un funambulo è già sulla corda. Ha il corpo vestito di rosso e le
+chiome, la coda e la lira gialla. Con una gamba piegata ed un’altra
+distesa suona con ambe le mani la cetra, tenendo tutto il peso del
+corpo poggiato sulla punta del piede destro e sulla estremità del
+tallone sinistro. Guai se spianasse il piè sulla corda. I fischi
+lo assordirebbero. Debbono reggersi in equilibrio sulla punta o sul
+tallone.
+
+— Sante vestali, al verone. Bene! Vivano i _rorarii_ della truppa
+leggera.
+
+— Eccoci.
+
+— Fuori gli _adcensi_. Voi siete i _triarii_ della riserva. Oh! Le
+belle affrancate del piacere! Dite: Salve, o Libertà! —
+
+Il terrazzo sporgente sulla doppia via erasi a poco a poco guarnito
+di donne. Erano le Veneri plebee, le degradate che pagavano caro le
+infamie della loro vita. Giudicate indegne di protezione, non hanno
+tutori, e perciò non possono compiere verun atto legale. E acciocchè
+ognuno le riconosca, hanno rasi i capelli, coperti da una _picta mitra_
+a diversi colori ed indossano la toga maschile. Erano o affrancate,
+o straniere, taluna bella di forme, tale altra bella per la vivacità
+dello ingegno, sino a maritare la voce agli accordi della lira, e a
+spiegare le loro grazie nelle danze le più seducenti. Dilettavano gli
+ozi dei marinari, dei poetastri — che sotto infinti nomi cantavano i
+loro vezzi — e dei gladiatori.
+
+Un altro funambulo è sulla corda tesa. Questi è tutto verde. Salta e
+poi, stendendo ambe le braccia, si curva per mostrare ch’ei sa mantener
+lo equilibrio della persona in quella difficile postura. Gli gittano
+un _rhyton_, cioè, un bicchiere a forma di corno, che tiene sollevato
+nella destra e versa il vino in un cratere a due manichi che ha nella
+sinistra, abbassandola di modo che lo sprillo del liquido con arduo
+giuoco gli faccia arco sopra la testa. Quel bicchiere, detto anche
+_fluens_, dal rapido scorrere del vino, valeva a ricordare come di
+corna forate fossero i primi bicchieri nei rozzi banchetti degli uomini
+che cominciarono a coltivare le nostre contrade.
+
+— A che più guardi, o Epeo, alla corda, o alle corde che ti allacciano
+i sensi? Quella bruna procace, la terza a diritta, che ti guarda e
+sorride, scrisse un suo vanto sulla parete. Vincitore nello Anfiteatro,
+tu da lei fosti vinto. VICTRIX VICTORIS. CONTICVERE.
+
+— _Ita me bene amet_, non era dessa il mio dolce mele, il piacer di mia
+vita. Sticho mi rubò la mia Fimie, quella che poggia le belle braccia
+sulla balaustra. Oh! Per Antippe non darei nè anche il _ciccum_, la
+pelle bianca che cuopre gli acini di questa melagrana. —
+
+Altri danzanti si succedono sul canapo. Saltano col tirso. Suonano le
+tibie od eseguono con destrezza giuochi di simil fatta. E la gente
+lo applaudisce e paga piccola moneta allo editore di quel popolare
+sollazzo.
+
+— _Cape hoc flabellum_, Eris. Rinfrescati la faccia con esso e scaccia
+le mosche villane.
+
+— Lo accetto, Annio Lucifero. Ma tu non guardare in alto; perchè
+opereresti follie indegne della tua età e dei capelli bianchi.
+
+— _Deos compreco_ perchè ti tolgano questa pazza gelosia dal cuore....
+Però, quella fanciulla lassù, che ride e sghignazza sguaiatamente, è
+bella.
+
+— Non mi chiamare _febris querquera, aut tussis_. Ma, se non stesse
+in quel posto, anche tu, Kleopatra, _salubritas mea_, siffatta la
+troveresti. —
+
+La moglie a questi detti si inorcò più che per natura nol fosse. Lo
+trasse a sè per andar via e die’ in questa espressione di spregio.
+
+— _Butu batta!_ Trista razza d’uomo. Valea meglio affogarsi che darmiti
+sposa! —
+
+Partirono brontolando e gesticolando. Desiderava la cosa impossibile,
+la fedeltà a tutta prova in Pompei.
+
+— Dimmi, o bella Armonia, mi lascerai seder sullo altare, presso di te,
+che ammiro ed amo?
+
+— E chi può negarti, o bel Sosio, quello che tu chiedi con tanta
+modestia? Entra, o alimento del cuore, ed espierò i miei torti nelle
+tue braccia.
+
+— Sosio ha troppo bevuto, o Lycio. Sieguilo. Noi dobbiamo profittare di
+questo filo di vento propizio e partire per Rhegium.
+
+— Oh! il mio giocondo compagno tornerà presto. Ma, poichè il vuoi,
+entrerò anch’io nel tempio e ne lo trarrò fuori.
+
+— Come il corvo, voli al fiuto della carogna. Bada! In fede di
+Autolyco, se non vieni presto, farò disegnare sulle vostre spalle il
+nome che le madri vi diedero. —
+
+Un altro funambulo, con anassiride turchina, è sulla punta dei piedi; e
+danza e suona ad un tempo le tibie. Il popolo plaudisce. Le donne del
+verone si abbandonano ai loro lazzi abituali e parlano a voce alta e
+chiassona delle solo cose che loro son familiari.
+
+Quando di un tratto s’ode un rumor sotterraneo, come di un carro
+ruotato il quale strepitosamente corresse tra le fondamenta della
+città. Poi, uno scoppio terribile.
+
+Era la settima ora; cioè, il tocco dopo il mezzodì.
+
+Le mura delle case traballano. Alcune crepitano. Altre ruinano.
+Le pietre del selciato si sollevano in più luoghi. Il funambulo
+cade dalla corda, batte la tempia e muore. Tutti fuggono, urlano,
+piangono, incespicano, corrono smarriti senza saper dove. I muggiti
+della natura continuano, e un denso e nero fumo, a foggia di pino
+mostruoso, si leva dal Vesvio che gorgoglia, rugge e lancia folgori al
+cielo. Grossi basalti infuocati briccolano sulle strade, sui tetti. I
+colpiti muoiono. Le cose inerti si spezzano, sbalzano, si sfasciano e
+prorompono al piano con ripetuto fracasso. La gente impaurita scappa
+ove può.
+
+Ecco altro nembo furioso. Una gragnuola di piccole pietre porose,
+leggiere, infuocate oscura l’aria, cade e saltella sur uno spazio
+immenso. Gli usci si chiudono. Le travi che non reggono il peso che sui
+tetti si aduna, crollano e schiacciano gli uomini riparati e le cose.
+
+Oh! i gemiti, la disperazione, le grida, le smanie, lo smarrimento del
+popolo! Ed il turbine continova. E le orride detonazioni continovano.
+Ed i fulmini saettano l’aria. E vivi baleni tentano di penetrare
+la oscurità, la tingono per poco di luce corusca, poi la tenebra si
+addensa e tutto chiude allo sguardo.
+
+Qua e là nelle vie, uomini audaci, rischiarandosi colle torce
+impegolate, procedono come possono sul nuovo suolo composto dalle
+pomici infrante. I passi si ricambiano a stento; chè, il piede infossa,
+si seppellisce tra i lapilli che scalfiscono e bruciano la pelle. I
+cani anch’essi cercano da tanta confusione uno scampo. I buoi, le
+capre, gli asini dei _pistores_ si affannano ad escire illesi dal
+tremendo flagello e col loro correre disordinato impediscono la fuga
+alle genti, le pestano e le feriscono.
+
+Un fulmine solca l’aere tenebrosa ed illumina una scena di dolore.
+Presso le Terme, due framezzano gli ultimi gemiti coi baci. Un uomo
+col capo coperto è seduto sulle pomici che innondano il suolo di una
+bottega. Stringe al petto e tiene sulle gambe una giovane donna. Le sue
+labbra si posano sulla fronte pallida della ferita a morte che sanguina
+per le membra offese. I di lei occhi hanno lo sguardo estatico,
+incurante le sofferenze della carne. L’uno, sembrava fare e l’altra
+ricevere la confidenza estrema di quel segreto che è il fomite di tutte
+le grandi tristezze e di tutte le grandi speranze del cuor giovanile.
+Parea che l’uno dicesse:
+
+— Il mio cuore sul tuo, o adorata. Giammai uniti quaggiù. O _mors
+amoris_, nel tuo grembo la pace delle mie ossa contristate. —
+
+E l’altra coll’occhio fisso, quasi invetrato, parea ripetesse:
+
+— Una sola speme. Fu vana. Muoio almeno fra le tue braccia. —
+
+E la morente esalò in un bacio l’anima sua e sorrise. Ed il giovane
+si curvò, prosciolse le membra e cadde riverso sul corpo di lei. Erano
+morti, l’una di ferite, l’altro di schianto.
+
+E le pietre pomici piovevano sempre.
+
+Una bianca colomba errava alitando per l’aere caliginoso e nero. Offesa
+dalle pomici, grida, si asconde in un’apertura fatta dal tremuoto,
+vola, cade sbattuta sul suolo e, rialzata dal disio, sorvola e vola
+sempre. Alla fine si posa sur un antefisso di un impluvio, guarda
+smaniosa allo intorno, emette un grido di piacer passionato e si caccia
+nella buca di un muro. Altri gridi brevi, febbrili rispondono al suo.
+È coi figli. Si accoccola su di essi, gli bacia col becco, li ricuopre
+colle sue ali e dolcemente li garrisce.... Povera madre! Ebbe almeno il
+conforto di morire coi nati dalle sue uova!
+
+In un luogo remoto, al di là dell’atrio, presso un piccolo xysto,
+sono appoggiati alle pareti di una stanza da lavoro trapezoidi
+finiti, e abbozzati e massi di marmo: e qua e là, per le terre, o
+sui cavalletti, grossi pali di ferro per levar pietre e volgerle a
+talento, varie seghe — una ancor conficcata nel solco operato sul sasso
+— martelli, mazzuole, lime e scalpelli con compassi retti e ricurvi.
+La casa è spaziosa, a due piani, che una scala di legno accomuna. Il
+silenzio delle voci è per tutto. Chi vi abitava, chi vi martellava,
+chi vi segava, chi digrossava i ruvidi pezzi di tufo e di marmo, al
+primo tremendo scoppio, seguito dalla commozione del suolo, fuggiva
+esterrefatto per far salva la vita a lui cara. Un uomo solo vi era
+rimasto impassibile e tetragono in tanta ruina di pubbliche cose.
+Suliodes ha il martello in una mano. Ha lo scalpello nell’altra. È
+dinanzi a una statua di marmo, nuda, di artistica bellezza, di un
+ideale ammirevole, coi segni impressi della voluttà e dello amore.
+Breve della persona, ha il volto greco cui la grandezza romana aggiugne
+qualcosa di suo. Gli occhi ha neri, grandi, estatici. I capelli crespi
+e ondulati si rizzano sull’ampia fronte. — L’aria si oscura. Sul
+selciato della via battono tonfi le pietre ardenti. Sulla terra soffice
+dello xysto si affondano e si ammonticano. Ed egli che sino dalla
+prima sua gioventù era stato reputato un vile, uno schiavo; egli che
+passava i suoi giorni evocando dal paese delle ombre, collo accento
+della fantasia degna di Orfeo, le Veneri, le Baccanti, le Muse, il divo
+Apollo e Mercurio, e le ninfe dei boschi e delle fontane; in quello
+istante di supremo disastro, egli contemplava l’ultima opera sua e non
+sapea distaccarsene. Nobile artista!
+
+L’ora sublime degli affetti è quella della separazione; chè, nello
+abbandonare l’oggetto amato l’uom parte pregno degli effluvi di un
+eroico amore. E Suliodes, preveggendo il danno estremo, gittò le
+braccia al collo della sua statua e proruppe:
+
+— Tu sei la donna dei miei pensieri. Sei la nata del mio cuore
+d’artista.... Che io muoia! E tu resta! Resta intatto, o marmo, a
+testimoniare ch’io ti diedi i palpiti della vita. — Ah!... —
+
+Fu un grido straziante. Aprì le braccia e cadde stramazzone sul suolo,
+rigandolo di una larga striscia di sangue. Il soffitto, spezzato e
+affondato dai basalti se gli rovesciò addosso, spaccandogli il cranio e
+spezzandogli le membra. E la statua cadde sopra il suo osceno cadavere.
+
+Suliodes era tal’uomo dall’anima semplice, diritta, sensibilissima,
+febbrile, smaniosa, martirizzata, non appagata mai, collo istinto di
+tutti i segreti della vita. Macilento, dalle gote infossate, le precoci
+rughe dicevano com’egli dentro soffrisse di quel male logorante che il
+volgo degli uomini non intende, nè scusa, di cui non si muore e che dà
+la esistenza eterna, quella del genio. La statua nello impluvio della
+casa di Cneo Vibio, raffigurante la psiche umana, era sua. I trapezoidi
+in quella di Cornelio Rufo, pur suoi. Da un anno lo schiavo aveva
+ricomprato dallo avaro padrone Aulo Castricio Scauro la sua libertà....
+Il nobile artista era morto!...
+
+E le pietre pomici piovevano sempre!
+
+Sulla via che a diritta declina alla porta di Stabia e seguitandola
+mette alla porta di Nola, i carri tratti dai buoi, dai cavalli, dai
+muli, da man d’uomo s’incrociano con gente che fugge per diversioni
+svariate. Sopra una tavola alcuni trasportano una donna scolorata colle
+braccia pendenti, grondante sangue. Un’altra donna più giovane la segue
+ed è seguita da due piccoli figli attaccati colle manine alle vesti
+di lei e piangono ed urlano che è tutto uno strazio. Un uomo arresta
+i portatori di quel corpo esanime, si gitta sul selciato ingombro di
+rottami e di pietre e singhiozza.
+
+— Mentre ei piange la madre ed obblia sè, la moglie e i suoi nati,
+lasciamolo al suo dolore e fuggiamo.
+
+— Bene dici, o Volusio. E tanto più che ci pagò la mercede. —
+
+E ratti si dileguarono.
+
+I margini si fanno sempre più ingombri di feriti e di morti. I
+gelosi delle loro robe preziose e più care; quei che nel disordine
+delle idee non fuggirono presto dalle case che crollano, colpiti dai
+sassi e da un muro che, perduto lo equilibrio ruina, hanno rotto le
+membra o franto il cranio sulla soglia che pur dianzi era il pensiero
+della loro salute. E quasi non bastasse lo immenso orrore, coi danni
+irreparabili che veniva adunando, schiavi abbrutiti e nefarii — i
+quali, disonestamente trattati, non avevano alcuna nozione di ciò che
+onesto e verecondo fosse — afferravano bestialmente la occasione che
+loro forniva la irritata natura, per derubare, per uccidere e per dare
+ampio sfogo alle loro infami libidini. Uno si fa largo col coltello
+tra i denti, spoglia il vicino, ferisce e corre. Quale ruba una gentile
+ed innocente vergine dalle braccia dei propri parenti e, bestemmiando
+parole di dileggio e da trivio, sen fugge. Terrore. Emozioni. Grida di
+schianto. Brevi e disperate zuffe. Dolori che uccidono. Sguardi che
+imprecano. Ansietà impossibili a dirsi. Eroismo di amore. Brutalità
+da dannati. Ecco la multiplice scena offerta sulla lunga via che
+dallo sbocco della consolare, passando a lato del tempio della
+Fortuna-Augusta, menava alla porta. La quale gli Oschi costruirono
+di tufo, scolpendo sulla chiave dell’arco la protoma di Venere,
+l’affettuosa iddia che in quel giorno — al pari dei santi patroni, cui
+le bigotte, irriflessive, superstiziose, timorate e bietolone coscienze
+sogliono rivolgersi nei dì del pericolo colle novene e coi voti — non
+seppe difendere la città che in lei avea piena fede.
+
+Apro Aulio Rufo — quegli i cui pilastri dell’uscio presentano i bei
+capitelli con una baccante e due piccoli putti in alto rilievo — aveva
+tratto per tempo, sui cocchi, nelle lettighe ed a piedi Celsa, Heria,
+Ada; e il giovanetto Cerio, ed il piccolo Valente, e la bellissima
+nelle sue grazie infantili, la Cumbennia, natagli da tre anni, l’olezzo
+del cuor suo, alla quale avea dato il nome della tribù antica cui era
+ascritta la sua doviziosa famiglia. Ma il cisiario Diofante invade con
+una ruota il margine e rovescia. Fallox e Nasso che seguono nella quasi
+oscurità il primo carro, pestano i caduti colle zampe de’ loro cavalli.
+I quali, impauriti dalle grida di dolore, sferzati da chi gli menava
+e sospinti dalla gente che fuggiva, inalberano rompono i ritegni,
+spezzano il timone, urtano, schiacciano e fuggono a furia sul declivio
+della via suburbana. Ada muore mentovando la madre. Celsa, che ha rotta
+la spina dorsale pel solco che suvvi fece una ruota, si volse al suono
+dell’amata voce, fruga amorosamente cogli occhi la tenebre e spira.
+
+Oh! i funebri pensieri dei rimasti per terra, feriti e senza soccorso!
+Tutti invocano la morte; perchè la morte sola ha un sorriso per
+essi!... E la viene, colorata di sangue ed infuocata delle fiamme del
+Vesbio.
+
+Il misero Rufo marito e padre, accorre fra quei morti e morenti,
+istupidito dall’ambascia. Un’unica speranza.... la salvezza della
+bambina che aveva stretta al suo petto. Parole dissennate escono
+dalla sua bocca.... Fugge e lascia coi cari estinti le collane, i
+pendenti, le perle, le monete d’oro, le patere, le tazze, i vasi di
+argento, tutto che in fretta aveva potuto rammassar nella fuga.... Dove
+morirono?!...
+
+Un cisiario, per nome Felicissimo, ed un altro, Erosala, sferzano
+maladettamente i loro cavalli. Vengono dalla via di Mercurio ed
+avanzano malgrado gl’inciampi. Molta gente erasi riparata sotto
+le volte della porta di Stabia. I cavalli e le ruote traversano
+quell’ostacolo vivente e passano oltre. Vibio e Melissæa tengono
+abbracciati in sul carro i due loro bambini, di sei anni e di quattro.
+Nel successivo sono due liberti con ciò che di più prezioso si potette
+adunare nei sacchi. Giungono in faccia allo scoglio di Ercole, sulle
+saline, dove Cassinio poco mancò non fosse sorpreso da Spartaco nel
+bagno. Colà gemiti, urli, parole da lacerare il cuore.
+
+Un padre che, fuggendo, avea smarrita la sua cara figliuola ed era
+tornato indietro due volte per rintracciarla ed erasi quivi ridotto
+per far salva almeno la sua vita, piangeva, si stracciava le vesti e
+parlava,
+
+— O natura, forza imperiosa del sangue, ridammi viva la nata dalle mie
+vene.
+
+E cuoprivasi il capo, si cacciava per terra e piangeva.
+
+Un altro che aveva ritirato la moglie di sotto una parete ch’eralesi
+rovinata addosso e sulle spalle l’aveva trasportata fin là —
+discaricandola ed adagiandola mollemente sul suolo, disperato ed in
+lacrime le diceva,
+
+— Pannixis, ti sposai da due mesi, sei lo amor mio, svegliati. Non mi
+abbandonare. Senti i miei baci? Vedi le mie carezze?... Qua... una
+face... O iniquo Giove! Scaglia su di me le tue folgori! Morta!...
+Morta!... Povera donna mia!... Qual nuovo Sinis, qual novello Procuste,
+pose in brandelli le tue misere carni! _Heu me!_ Che sono divenute
+le grazie del tuo viso e quegli occhi che splendevano come le stelle?
+_Exanimis jaces!_... Almeno, nume crudele, infame, fa’ ch’io la segua
+sulle onde di Styge e a traverso il torrente infiammato del Tartaro!...
+Che! Neppur le bestemmie ti muovono?... Ti proclamo inutile in questa
+ora estrema!
+
+— Cessa dal tuo dir forsennato, o Salvio Curzio.
+
+— Ahi sei qui, _machinator fraudis_? Disertasti l’ara di Mercurio e di
+Maia, o Memore Istacidio? Non gioirai a lungo dei dolori degli uomini.
+Giù nei gorghi del mare e con me.
+
+E lo ghermì per le reni, lo sollevò di peso, lo trasse nelle onde. Il
+sacerdote si dimenava, lo mordea sulla spalla, gridava lo aiutassero.
+In tanta confusione un solo si mosse. Fu Felice Helvio, il suo collega
+nelle imposture.
+
+— Anche tu, scellerato. Riderà Minosse in vedervi.
+
+Il mare si aperse e si chiuse gorgogliante e spumoso. La natura li
+cancellò ben presto dal numero dei viventi.
+
+Una face apparisce sulle onde. È una barca che si avvicina. Due uomini
+ne discendono, approdano, chiamano ad alta voce e procedono. I due
+bambini vanno loro incontro; essi li portano via. Cneo Vibio prende
+la cara donna nelle sue braccia, entra nelle onde, la consegna nelle
+mani smaniose, convulse di Demophilo e la vede in piedi tra i figli.
+È per salir dentro, quando un rumore immenso s’ode lungo la spiaggia
+da Stabia ad Herculanum. Il mare si ritira furiosamente e ribolle.
+Vibio e la barca sono sbalzati lontano. La barca sbattuta dalle onde,
+galleggia. Vibio... non è più. Il soffio di Dio erasi ritirato dalla
+sua bocca e lo aveva lasciato livido ed inerte cadavere.
+
+Poco di poi, cessato il grandinar delle pietre, ecco un rovescio
+immenso di pioggia sul suolo. Le acque del Sarno e delle sorgenti
+dei pozzi, assorbite nei giorni innanzi dalle materie candenti
+ch’eransi sviluppate nel Vesvio, avevano servito di alimento al
+fuoco e, convertitesi in vapore, datogli la forza di scaraventare in
+aria i basalti, le grosse pietre e le pomici addenti. Ora, aspirando
+dai sotterranei meati le onde saline, le rigettava a torrenti sui
+sottoposti piani, compiva la ruina delle case e livellava i lapilli
+poco innanzi caduti. Al cessare della forza aspirante, il mare tornò
+impetuosamente a mordere le sponde. E tanti erano i fuggiaschi nelle
+Saline, tanti abbracciò nelle sue spire spumose e li trasse con sè
+negli abissi.
+
+Demophilo, coi servi e colle ricchezze scampate, tornò indietro,
+malgrado i grandi pericoli, colà dove tutti speravano con ansia
+trovarvi Vibio, la doppia vita di Melissæa, la vita di quel cuore da
+cui tante dolcezze eransi rovesciate su dì lei cuore amoroso. Inutili
+ricerche! Ogni esistenza era scomparsa sul suolo lavato dalle onde
+furiose. La misera pianse, si strappò i capelli e pensò ove mai avrebbe
+portato le amare sue lacrime... Ma, tutto si cancella nel mondo, anche
+la esistenza ideale che è l’ultima requie della speranza! Tutto si
+raffredda, anche il pensiero.... E ciò che or or parea vivo, forse è
+già morto!
+
+Nella strada che rade il fianco del tempio della Fortuna ha lo ingresso
+principale una casa sontuosa cui tre altre vie rendono isolata. La
+grandine dei basalti ha sfondato il suo tetto, crepacciato i suoi muri,
+crollato le sue pareti. Le lamine di piombo conficcate con chiodi di
+ferro spessissimi su di esse — per allontanar dallo intonaco sparsovi
+sopra la umidità della recente costruzione — pendono schiantate e
+rotte. Nei vasti atrii, nello xysto fiorito e pesto, nei peristilii
+corrono creature umane esterrefatte, a tastoni, urlando, piangendo
+e cadendo. La soffitta del tablino poggiante su rosse colonne erasi
+sprofondata sul più prezioso monumento dell’arte antica, il mosaico,
+rappresentante la grande battaglia di Arbelle, in cui Alessandro, a
+capo dei suoi cavalieri, si slancia verso il vinto Dario per farlo
+prigione. La terra, scuotendosi e sollevandosi, crepacciava i pavimenti
+di marmo, gonfiava i mosaici e le opere signine che tanta fatica
+avevano costato ai nobili artisti, miseri schiavi. Le pomici tutto
+ricuoprono.... anche una bella fanciulla, la piccola Irimilla, che
+atterrita e dissennata correva spinta dal genio della morte a salvarsi
+tra le fredde sue braccia. Il padre Mevio Apulo che la seguia per
+salvarla, stramazzato a terra da una colonna, perdette anch’egli colla
+vita le molte ricchezze che lo esteso commercio dei vini gli avea
+procurato. Al cominciar dello inesplicabile disastro egli avea detto a
+Caio, il suo figliuol primogenito.
+
+— Va’ colla tua giovane sposa! Va’, corri e non volgerti indietro.
+I fulmini rischiaran la via. Profitta di quel lume di Averno per
+riconoscere e sfuggire lo estremo pericolo. — Abbracciami! O io salvo
+gli averi e ti raggiungo. O là... negli Elisi! —
+
+I due amanti e sposi, convulsivamante stretti l’un l’altro, correndo a
+riprese sul nuovo suolo delle vie formato dai basalti, dai lapilli di
+pomice e dai muri caduti, livellato dalle ceneri fangose per l’acqua
+bollente, molti ne videro dannati dal feroce loro destino impaltenarsi,
+cadere, escire dalle profonde pozzanghere e ricadere anche una volta
+feriti, trafelati e presi per non sorgere mai più. Essi potettero
+giungere sino alla spiaggia, sostenuti dalla forza che lo spavento
+ministra e che addoppia lo amore. Nella oscurità si cacciano in una
+barca apprestata per lo edile M. Epidio Sabino dal liberto Hedysio, e
+fatti salvi dallo equivoco, col cuor sollevato si allontanarono dalla
+riva di tutti i dolori e di tante morti svariate. Allo scroscio delle
+folgori, al fulgore delle fiamme, al fracasso dei muri cadenti, le urla
+strazianti di un popolo e il ricordo dei cari lasciati non commuove più
+il loro cuore. La terra diviene per quei fuggitivi una visione svanita.
+Il solo mare ribollente, agitato risponde ai loro attoniti sguardi. Gli
+è che fra il cielo ottenebrato dalle ceneri, invisibile come il fato,
+e i flutti oscuri e tumultuosi una potenza unica, lo amor ricambiato
+ed egoista, aveva loro accavigliato l’anima a non permetterle più le
+sensazioni al di fuori.
+
+Intanto nel gineceo delle donne, Mesionia, la moglie di Alleio,
+adunava gli oggetti preziosi ch’erano nelle camere. Braccialetti
+d’oro, fibbie, anelli, orecchini venivano da lei chiusi in fretta
+in una tunica. Alcune schiave, urtandosi, piangendo, gesticolando
+e pallide dallo spavento, trasportavano vasi di bronzo, tazze di
+argento e pitture di pareti; e incontrandosi lasciavano coteste cose
+per terra, piangevano, si abbracciavano, svenivano. Una bambina ed un
+giovanetto, curvi sul pavimento, ponevano in un cesto di vimini i loro
+_crepundia_, la bambola, un piccolo specchio di argento e una statuetta
+della Speranza. Creature infelici, non commoveste la natura col vano
+augurio! Un vecchio servo, Amiantho, togliea sulle braccia un’ara di
+marmo portatile colla iscrizione osca [Illustrazione: lettere osche]
+— Flousai, cioè Flora — che doveva essere la dea protettrice della sua
+sventurata padrona, — Tutti morirono. E lutto lasciarono!
+
+Dirimpetto la entrata principale dello anfiteatro era un triclinio,
+dove solea darsi ai gladiatori un pubblico pasto, detto libero.
+Colà presso era un ricinto murato che accoglieva gli accoltellanti
+per vestirsi e per attender lo istante di scendere nell’arena.
+Quivi l’_editor_ portava le vesti, le armi, le reti per fornirne ai
+_secutores, retiarii, mirmillones, samnites, hoplomachi, dimachæri,
+essedarii, andabatæ, fiscales, subdilitii, catervarii, meridiani,
+postulatitii, laquearii_. Cotesti i nomi che distinguevano nella loro
+fatale professione i miseri operai dei trastulli romani. — Nei due
+luoghi, alcuni ragionavano, cioncavano e ridevano allorchè accadde il
+grande scoppio, nunciator del disastro.
+
+Trulla e Naso erano giovani cui la passione della libertà caduta avea
+ritolto lo amor della vita. Ambedue da qualche anni, in epoca diversa,
+eransi ascritti alla famiglia del lanista C. Aellio Astragalo. E
+giurando _uri, vinciri, verberari, ferroque necari_, ricevevano il
+salario _auctoramentum_, perchè volontari e non _ad gladium_, oppure
+_ad ludum damnati_. Lo esercizio della ferocia parea che lor facesse
+obliare i gravi pensieri del proprio cuore. E gli austeri ardori dello
+isolamento e del pericolo sembrava che tranquillassero la loro fantasia
+ferita. Uno era _laquearius_. E toccando familiarmente, con certa
+spavalderia, la corda dal nodo scorsoio che gli cingea la persona,
+provava la immorale felicità di dar morte allo infelice avversario che
+il capriccio del lanista avrebbegli dato nello steccato. Vestiva una
+tunica corta di colore scarlatto. L’altro apparteneva alla categoria
+dei cavalieri e vestito di maglia — _clausis oculis andabatarum more
+pugnabat_ — e rischiava la vita, o uccideva senza vedere il suo bendato
+competitore.
+
+I discorsi furono dimezzati, e per la prima volta quegli audaci
+fuggirono dinanzi il pericolo. Vaccula, il dapifero, e tre dei suoi
+schiavi corsero anch’essi smarriti verso lo anfiteatro. Uno fu ucciso
+da un basalto presso lo ingresso sotto la statua di C. Cuspio Pansa
+pontefice. Gli altri si cacciarono alla rinfusa nei corridoi; allo
+infuori di uno che nella furia e nella oscurità discese nell’arena
+e cadde nell’_euripo_ — canale pieno di acqua scavato attorno il
+_podium_, pur cinto di un _ferreus clathrus_ — le due difese che gli
+spettatori avessero dalle irruzioni disperate delle bestie feroci.
+Sull’orlo di quel parapetto si veggono in Pompei i buchi dove erano
+conficcati i graticci di ferro che Plinio chiamò reti per la forma che
+presentavano.
+
+Nel catabolo erano due leoni. Uno, ruggendo cupamente si accovacciò
+aspirando l’aria umida nell’angolo della cella. L’altro fuggì rompendo
+le sbarre del carcere; urtò Trulla; lo azzannò e lo stracciò colle
+unghie come un impedimento alla fuga ed uscì fuori per morir soffocato
+dalla mefite non molto lontano.
+
+Vaccula accese una lampada e con essa schiarò alquanto le tenebre.
+Gli altri si raccolsero attorno di lui. Pareano fantasime o quei
+malati che vedi errare nel paese delle febbri. Alcuni piangevano.
+Alcuni bestemmiavano il nome degli dei. Naso intravide la sua sorte
+con segreta rassegnazione. A quei cui il sangue rivela alcuna delle
+grandezze della vita, il pericolo delle battaglie, le sofferenze
+del dolore, le tristezze del carcere, lo aspetto della morte offrono
+splendidi e misteriosi orizzonti che le nature volgari non veggono.
+Afferrò animoso la nuova situazione quale gli dei glie la componevano.
+Si assise per terra lungi dagli altri; chiuse il capo nel _sagum_;
+gittò ai piedi un pezzo di catena d’oro, un anello ed alcune monete;
+si appoggiò colle spalle al muro del _vomitorium_; ed attese nella
+pienezza delle sue facoltà la visita dell’amica che aveva sempre
+creduto la venisse a lui armata di gladio.... La non tardò molto a
+venire. E le giovanili ambizioni, e le vanità della forza muscolare, e
+le irrequietezze del cuore, e i giorni di piena felicità, e le gioie
+grossolane dei sensi, e le aspirazioni di una gloria migliore, ed i
+palpiti della libertà, tutto fu consumato in un istante in quell’oscuro
+calvario di ben altri e più cuocenti dolori.
+
+Nella via Domizia, sulla linea dirimpetto alla casa di C. Giulio
+Polybio, era la dimora dèi chirurgo Hemos, allievo di Bucchio di
+Tanagre, interprete in Cos della dottrina del grande Hippocrate. Il
+quale quivi era nato nel primo anno della quarta Olimpiade, e quivi
+fondò la sua celebre scuola. Questo nobile rampollo degli Asclepiadi
+— famiglia conservatrice per secoli delle teorie del sommo Esculapio
+— profittando delle discussioni dei filosofi che si occupavano del
+sistema generale della natura e della esperienza dei suoi — e più
+di quella del suo padre Heraclide — sulle vicissitudini patite dal
+corpo umano, concepì la splendida idea che fissa un’epoca alla istoria
+del genio — rischiarare la esperienza col ragionamento — rettificare
+la teoria eolia pratica — considerare i diversi fenomeni presentali
+dall’organismo animale nei suoi rapporti di malattia e di salute —
+L’arte siffattamente elevata alla dignità di scienza, camminò di piè
+fermo sulla nuova via che un alto ingegno le aveva dischiuso. E tre
+scuole si aprirono ben presto, in Rhodum, in Cnidum, in Cos. Lo spasimo
+venne curato secondo le regole confermate dalle numerose guarigioni e
+le tre scuole si allietarono di molte eccellenti scoperte.
+
+Non lo amor del guadagno, nè il desio di celebrità avevano condotto
+Hemos dalla Grecia in Pompei. Demophilo ve lo invitava. Il sollievo
+dei malati ve lo facea rimanere. Creatore di una nuova scuola
+conservatrice, registrava i risultati della esperienza propria e degli
+altri, dettava i doveri di un medico e notava con pari franchezza le
+guarigioni e le morti. Una volta accadde che a lui portassero sur una
+scala un _tignarius_ che, caduto nel restauro delle mura presso la
+porta di Herculanum, aveva ricevuto parecchi sassi sulla persona. Il
+sofferente era tramortito. I _lecticarii_ non seppero rispondere alle
+sue domande. Ed egli non si avvide che gli era mestieri ricorrere al
+trapano. Funesti segni lo avvertirono dell’oblio. Dopo quindici dì
+fece la operazione. Ma il muratore morì lo indomani. Ed egli, il sommo
+maestro, confessò pubblicamente il suo fallo. Imperocchè, superiore
+ad un fallace amor proprio, volle che anche gli errori servissero di
+lezione. Sono corsi parecchi secoli e cotesta sincerità in luogo di
+accrescersi, è di troppo diminuita nei curatori delle malattie umane.
+
+La casa aprivasi sullo impluvio ed in fondo era lo xysto. Ai lati,
+lunghe camere abbellite di graziose pitture, ed una di straordinaria
+grandezza e schiarata da parecchie finestre. Era la sala anatomica e la
+scuola.
+
+Un letto di quercia in pendìo è nel mezzo. Sopra il letto è un
+cadavere. Ai piedi del cadavere sul pavimento è un vaso di terra per
+accogliere i liquidi che potrebbero scolare dal letto che finisce
+come una gronda. A lato del cadavere sta in piedi Hemos parlante ai
+discepoli, tutt’occhi ed orecchi in udirlo.
+
+Quel saggio ha le linee regolari di una statua, illuminate da uno
+sguardo che un misterioso splendore anima ed avviva. La fronte è calva
+e i capelli imbiancano. È piccolo di persona, un po’ stanca, quasi
+emaciata. Di sobrie parole, ha il gesto concitato e di slancio, perchè
+ricco di sensibilità meravigliosa. Quelli che lo veggono grave allo
+esterno malamente lo giudicano. Le sensazioni delicate e profonde del
+cuor suo sono come quelle piante energiche e sottili che si veggono
+sospese agli scogli, a picco sul mare, nell’isola ove nacque. I venti
+impetuosi che spirano dal golfo Ceramicus le agitano in tutti i sensi
+nelle tempeste di autunno, e d’inverno; ma non valgono a sradicarle
+dove germogliano.
+
+— La vita è breve e l’arte che noi esercitammo domanda lunghi studi e
+vocazione decisa. — Giudizio sano. Pronto discernimento. Carattere pien
+di fermezza e di dolcezza insieme. Amore alle cose oneste e al lavoro.
+E se l’anima s’intenerisce sui mali della umanità, certo che chiunque
+fra voi n’è dotato si passionerà per un’arte che insegna a guarirli....
+Operate — e non vi stancate mai di operare — col taglio sul cadavere.
+Percorrete il cerchio delle scienze. La fisica dice la influenza dei
+climi su questa bene ordinata matassa di muscoli, di nervi, di vene,
+di fibre. E fatti dotti, viaggiate, osservate la situazione dei luoghi,
+le variazioni dell’aria, le acque che si bevono. Gli alimenti di cui il
+popolo si nudre, tutte le cause che guastano lo assetto della economia
+animale. —
+
+E toccando colla mano il cadavere, seguitò:
+
+— Le brevi e ricise massime scolpite nella nostra memoria guidano ma
+non illuminano abbastanza. Conviene applicare i principii generali
+ai casi particolari e interrogare la natura per non ingannarsi. E
+— ciò che è più difficile — attendere la sua risposta. Di celato
+io feci portare qui da un vespillone il cadavere di uno schiavo. Il
+pregiudizio non vorrebbe che quale è coperto dalle ombre della morte
+giovi al soccorso della vita in pericolo. Le leggi si oppongono. Ma le
+leggi permettono il macello dei sani nelle battaglie. E il pregiudizio
+applaude al carnaio nello anfiteatro.... La scienza è sovrana. E se ha
+doveri, ha pure i suoi diritti.
+
+E preso il coltello di rame temprato — lo _scalpellum_ dei latini, lo
+σμιλιον dei greci — lo appuntò con tutta sicurezza sul disteso cadavere
+nella parte destra laterale del torace, là ove le costole ossee si
+articolano colle cartilaginee. Ma, infisso lo strumento, fermossi di un
+tratto come per arrestare una idea ch’eraglisi affacciata alla mente. E
+levando in alto il coltello con un gesto atto ad imprimere con maggior
+forza i suoi detti negli ascoltanti continovò:
+
+— L’uomo di cui qui vedete i laceri avanzi era nato in Coronea nella
+Boeotia, condotto schiavo in Pompei e venduto a C. Pumidio Dipilo. Ora
+che con ribrezzo ne mirate le spoglie, mi avveggo com’egli differisca
+da noi, uomini vivi e liberi. Ma, allorchè quegli occhi opachi
+fulgevano, e quelle smorte labbra articolavano parole di vita, e quelle
+mani assottigliate e nodose erano validi strumenti per effettuare le
+idee, io non vedeva lo schiavo in quell’uomo. No!... Elette le forme.
+Vivace ed acuto lo intelletto. Impetuoso lo ardir giovanile. Nobile
+l’anima. E di squisito e commovente sentire il cuor suo!... Ben più
+libero ei mi sembrava di Sirico che lo aveva venduto e di C. Pumidio
+Dipilo, ricco di pecunia e d’immagini avite, che lo aveva comprato.
+Crixsos era il nome dello infelice. Io, famigliare di Caio, ebbi
+campo di studiare le fasi corporee e morali di questo estinto. Col
+_liber_ di quella pianta palustre di Syracosion, il quale rotolato si
+chiama _volumen_ — invenzione dovuta ad Eumenes di Pergamus — egli
+scriveva i βύβλος dei miei trattati sulla salute, i διφθερα che voi
+meditate. L’arte del pennello era pure la sua. E varie case in Pompei
+sono abbellite dai suoi colori. Amò perdutamente Sfinge, la schiava
+di Calepio Secario, di cui si fece il _contubernalis_, e ne fu amato
+con eguale ardore. Dopo poco però i favori di Venere assottigliarono
+lo stame delle due esistenze. La giovanotta morì di arsione. Egli,
+consunto e accasciato dal dolore di tanta perdita. Eccolo qui disteso
+dalla Phtysi o Phtoe, che fa pallido, debole, tossicoloso, emaciato.
+
+E volti gli occhi ai discepoli, dopo aver rimirato il cadavere:
+
+— Ora, uditemi attentamente.... I mali spiriti del mondo esterno
+sovente investono il nostro corpo, e suscitano una lotta coi loro
+poteri distruttori, cui la medicatrice natura si oppone coi suoi
+conati salutari. Allora l’uomo che sente in sè cotesto certame si fa
+tristo; e il terapeuta chiamalo egroto. Se la natura medicatrice ha
+tanta forza da affrontare la maligna natura e la respinge, lo egroto
+risana e si rassecura. Ma se l’impeto distruttore prevalse, la materia
+del corpo nostro più o meno lentamente si guasta, i pori si allargano,
+la contestura delle viscere si corrode e sopraggiunge la morte a dar
+l’ultimo crollo alla ruinosa economia. Allorchè siffatti guasti si
+stanno operando, il paziente è assalito da un calore urente che lo
+divora dentro e gli produce l’ambascia, lo anelito, che io chiamo
+_dispnea_, la prostrazione e la colliquazione. Or mirate come a tal
+penosissimo sentire corrisponda la spaventosa trasformazione del corpo.
+
+Ciò detto, si approssimava al letto e accennava col tatto le parti del
+cadavere di cui faceva menzione.
+
+— Mirate! — I muscoli impiccioliti e tabidi. Le unghie adunche. Rugoso
+il polpaccio. Le narici acuminate e gracili. Incavati gli occhi dentro
+le scatole ossee. Le labbra sottili che stringonsi ai denti. Prominente
+la mandibola. Sul petto voi potete contare le costole. Nello addome
+scorgete una cavità che va sino alla spina. Qui, sulle spalle, le
+scapole elevate e nude che paiono ali di uccello. Le nocche articolari
+delle ginocchia tanto prominenti da sembrare la estremità di una
+mazza.... Voi inorridite, o miei? Ma voi dovete pugnare contro la morte
+e conoscere la fisonomia della orribile Iddia in tutti i particolari
+suoi atteggiamenti. Altrimenti, come combatterla e vincerla?...
+Appressati, Albucio.... Che?... Turi il naso colle dita?... E sputi
+sul terreno come un profano?... Così non faceva Hippocrate, il padre
+nostro. Ed io vidi Buccino, da giovanetto, in Cos, rivoltolare colle
+mani gl’intestini di un morto che tale un sito fastidioso tramandavano
+da far recere parecchi tironi.... Ma tu sei bianco come un cadavere....
+Ebbene! Vien qua, Menomaco. Tu sei più provetto cultor di Esculapio
+ch’egli non sia. Sostieni il braccio destro di questa materia inerte,
+perchè io possa col coltello aprire la cassa delle nobili viscere.
+
+Il discepolo senza ripugnanza ubbidisce. Ed Hemos con due tagli
+regolari nel torace ed uno per traverso alla estremità delle costole
+ove ha principio lo addome, lo apre, ne squarcia le pleure e,
+rovesciandone il coperchio sopra la faccia, riprese:
+
+— Ah! Il prevedea. I polmoni disuguali, rattratti, maculati qua di
+rosso, là di nero, su di olivastro.... Ecco la phtoe polmonare. Ecco
+il guasto di una lotta per quanto lunga, altrettanto straziante.
+Voi, Parato, Aquano, Faventino, Marcello, Paquio, Callisto e....
+tu pure o Albucio,... vedete lo interno dei bronchi e della trachea
+che ho aperto. La empiema, o la purulenza, ha quasi ostruito questi
+condotti che portano ai polmoni e dai polmoni al cuore l’aria vitale
+refrigerante. Quindi, il cuore che qui è rosso e più grosso del mio
+pugno non essendo temprato da bastevole frigorico, tanto calore emanava
+nei visceri nobili e specialmente nei polmoni, da distruggerli quasi e
+ridurli alla forma che in voi desta ribrezzo....
+
+Marcello interrompe:
+
+— Ma il cuore, o maestro, come sviluppa il vitale calore sì necessario
+alla esistenza? Gli è l’organo da cui hanno scaturigine i nostri
+affetti, le nostre passioni. Dunque gli affetti e le passioni avrebbero
+una qualche simiglianza al calore che ci anima?
+
+— Ben parli, o giovane sacerdote della umanità. Gli amori, le ardenze
+passionate commuovono le fibre di quest’organo che sta fra i polmoni.
+Quindi è che tu lo senti battere entro te stesso. E più tu desideri,
+più vibrati sono i colpi di questo martello. Le vibrazioni producono
+calore siccome il ferro percosso sulla incudine del fabbro. E il
+calore quindi regola la vita.... Questo schiavo amò potentemente.
+Il suo povero cuore picchiò forte e generò grande calore. I polmoni
+ne rimasero offesi. L’aria non valse a temperarne l’arsione ed il
+misero....
+
+La parola della scienza fu tronca da uno scoppio terribile che mandò
+in minuzzoli i vetri della finestra e fece vacillare le pareti ed
+il suolo. Gli occhi dei discepoli fissarono esterrefatti quelli
+del terapeuta, e quai prigionieri dietro le sbarre facevano segni
+passionati e di grande sgomento. Il tonfo dei sassi sullo impluvio
+persuase alcuni ad escire da quella specie di letargo pauroso e correre
+allo aperto. Al traballare successivo e continovato della terra gli
+altri più provetti, che pure avevano le abitudini dei dolori e delle
+sciagure umane, a due, a tre volsero i talloni alla camera ov’era
+lo spettacolo della morte distesa, senza riflettere che anche fuori
+Libitina mieteva in vario modo le esistenze, come il villico colla
+falce l’erba dei prati.
+
+Ed Hemos?... Hemos sentì qualcosa di strano infiltrarsi e correre
+per tutta la sua persona. Le gocciole di sudore cadevano dalla sua
+fronte, la quale aveva preso la pallidezza del marmo. Nella mente
+incerta volava uno sciame di figure alate che, urtandosi a furia, gli
+scendevano dal cervello nel cuore. Un supremo sforzo... e la psiche
+immortale aveva atterrato nella lotta la carne peritura che geme,
+e piange, e si agita convulsa nella strettoia delle avversità e del
+dolore.
+
+— È l’ultimo giorno! E il novissimo istante! Da parecchi dì gli strani
+fenomeni che occorrevano e lo affannoso mutismo degli animali bruti mi
+facevano prevedere il danno di questa contrada.
+
+Sale una scala di legno, traversa le _cœnacula_, si fa sul terrazzo
+sfondato in un angolo da un basalto e vede il Vesvio ardente ed
+eruttante in mezzo a turbini di fumo sassi e cose che di travi accesi
+aveano sembianza. Chiude il capo tra le mani e pacatamente discende.
+Ridottosi di nuovo nella sala anatomica, rimane alquanto pensieroso. E
+poi mormora:
+
+— Urli disperati al di fuori. Il silenzio qui. I servi disertarono
+là casa. Ed io resto come un milite a guardia di una pubblica ruina.
+Rassegnato alla volontà degli Dei, attenderò con calma l’ora del mio
+passaggio. Abbellii l’anima di ornamenti suoi propri, la giustizia, la
+temperanza, la carità, la famiglia intera della virtù. Non feci male ad
+alcuno. Sento la loro voce che mi chiama e mi avvio.
+
+L’aria erasi fatta soffocante ed oscura. La mefite serpeggiava sol
+suolo. Hemos chiuse il capo nella toga e si adagiò sul mosaico.
+
+— _Fata vocant, conditque natantia lumina somnus_.... Qui, sul letto
+drizzato nelle tenebre. Esculapio, Hippocrate, Galeno.... io vi
+raggiungo.....
+
+Per qualche istanti parea che due cadaveri fossero in quella sala,
+l’uno ignudo, l’altro coperto. Ma un piccolo moto convulso, succeduto
+da un lungo sospiro, pareggiò ambedue all’occhio dello invisibile.
+Hemos era morto!
+
+Allorchè nel 1771 si sgomberarono i lapilli e le ceneri ammonticchiate
+in quella camera, vi si rinvenne sparso sul pavimento quanto l’arte
+chirurgica aveva inventato a sollievo della misera umanità. Vi erano le
+_cocurbitulæ_, ventose di metallo a foggia di ampolle con quattro buchi
+che si turavano colla creta e poi si sturavano perchè lo strumento si
+staccasse della epidermide. E l’ordigno per saldare le vene del capo. E
+gli scalpelli escisori a guisa di piccole punte di lancia e nell’altra
+estremità il _malleum_ per rompere le ossa. E le _spatulæ_ di varie
+forme. E gli specilli concavi da un lato e dall’altro come un’oliva. E
+un catetero forato colla sua mobile guaina. Ed un _unco_ per estrarre
+il feto già morto. Ed infiniti ami ed aghi chirurgici. E le _forfices
+dentariæ_, come le nostre tanaglie. E i _circines_, le _volsellæ_ e
+le tente urinarie ricurve. E le lancette di rame temprato assai duro.
+E le siringhe auricolarie, le seghe, i coltelli da taglio. Altri
+strumenti pur v’erano di uso e di nomi ignoti, racchiusi entro astucci
+di bronzo, di bosso e di avorio. E lo _speculum_, e le _ligulæ_ e il
+_pareuniterium_ pur troppo noti.
+
+Nel vicolo poco discosto s’odono molte voci rauche, confuse e concitate
+in una volta. È Tito Atullio, il fabbricante dei _camini portatiles_,
+dei _foculi_, degl’_ignitabula_, delle _escharæ_ di bronzo — tanto
+in uso nelle Terme e nelle case degli agiati in Pompei — il quale
+riunito alla madre, alla sorella, al figliuolo Istacinio ed ai servi,
+nello escire ha perduto la moglie. I parenti ristanno nella oscurità
+e nella pioggia dei lapilli, curando le cose di pregio salvate —
+quattro orecchini d’oro, una collana, dei braccialetti, molte monete.
+— Il bambino ha una lucerna di bronzo che la bufera subito spense.
+Dopo molto errare presso le mura, eccolo ei torna, avendo tra le
+braccia Cœsia Prima, la cui bellezza era il sogno di un artista. Una
+capigliatura aerea e dorata si distaccava in anelli sul suo collo
+di cigno. Le rose delle ardenti voluttà eransi schiacciate sulle sue
+labbra. Ora sono pallide come i gigli e si fa trascinar dal marito come
+cosa morta. Procedono innanzi a stento... si arrestano.... piangono....
+cadono.... e, tutti stretti, abbracciati, muoiono.
+
+E le pietre pomici piovevano sempre!
+
+Morto Popidio Celsino, la eredità di Plilia fu venduta, ed essa colla
+sorella tornossene in Grecia, dove da lento morbo consunta morì. La
+casa venne compera da Flavio Ceppysiodoro, liberto di Flavio Licinio
+Romano, arricchito dal commercio dei marmi. Avendo vissuto a contatto
+di tre diverse civiltà — molto in Egitto, un po’ nell’Urbe ed in Sycion
+ov’era nato, e per sopra ciò schiavo — aveva elevato a religione la
+teoria del tornaconto; e il re del suo Olimpo per lui era Mercurio che
+per sua propria devozione aveva mandato a nozze colla Malafede e faceva
+adultero coll’Astuzia, colla Menzogna e colla Viltà. A cotesti soli
+iddei egli dava incensi ed onori. Gli altri numi ei li lasciava tutti
+alla gente sciocca e gocciolona che non s’intendeva di affari. Per gli
+uomini arricchiti, di tal conio, la virtù in quei tempi era la virtù
+in questi che corrono — vano nome. — I nummi rappresentavano molte cose
+manchevoli, necessarie e richieste. Come oggi!...
+
+Aveva sposato da alcuni anni Perennia, la figliuola di un’altro liberto
+ricchissimo, suo coetaneo, il quale era morto per un’apoplessia che
+lo colse nelle braccia di una donna. Un terapeuta corse in suo aiuto.
+Ma il brav’uomo era già nel Tartaro, attendendo che i _pollinctores_
+gli lavassero e gli profumassero il cadavere e facendo voti che i
+_vespillones_ non gli togliessero di bocca la moneta per pagare il
+navicellaio Caronte. Come sempre, senza mercede non si passava in quel
+mondo che anche oggi si spera e si dice migliore.
+
+Perennia era giovane e bella. Nè amava. Nè stimava il marito. Ma, molle
+e licenziosa, lo conduceva a suo modo. La sua faccia agl’indifferenti
+non diceva verbo e pareva una Sfinge. I giovani a modo però e che a lei
+piacessero vi leggevano quello che nel verno, appoggiati i piedi sugli
+alari di un camino, noi vediamo sui capricciosi disegni delle fiamme e
+del fumo. Val quanto dire ciò ch’essi volevano e desideravano.
+
+Nel secondo atrio adorno di bel pavimento a musaico e che ha un
+recipiente rettangolare nel mezzo per raccorvi l’acqua piovana del
+tetto, sono molte donne che tessono e filano con quella rilasciatezza
+con cui lavorano le genti comprate, cui i rimproveri e lo staffile
+sono incitamento alle opere. Ed il caldo soverchio sin dalle prime
+ore del giorno — quell’afa sì straordinaria, in tal mese autunnale
+— avrebbe loro fornito le proprietà sonnifere del papavero, se non
+avessero dato alcun riposo alle mani e molta libertà alle ali del
+pensiero. Una sola aveva un viso misterioso. E, poggiati i gomiti sulle
+ginocchia, lo sosteneva sulle palme aperte delle mani. Clysma, nata in
+un paese dell’Asia, era poco loquace per abito, e parea che, prestando
+l’orecchio alle armonie della sua mente, si confortasse della schiavitù
+e della durezza di quello stato con consolanti e fatidiche apparizioni.
+
+Perennia che dormiva in una stanza vicina ruppe con un grande urlo
+il cicaleccio delle sue schiave. Alcune accorrono nel cubicolo. Poco
+stante essa giunge pallida in volto, si asside e si terge il sudor
+della fronte. E tutte ansiose a domandarle che fosse.
+
+— Ah! Io feci un sogno tremendo. E mi destai affannosa e fradicia
+tutta. —
+
+E Scaura, e Maronia, e Giulia, ed Angipta, ed Auga, e Tanablea le
+ripetevano la domanda.
+
+— Pareami di essere in un paese pieno di strepito e di lamenti. Era in
+Pompei? Non so dirlo. Ma nessuno io scorgeva intorno di me. Volti gli
+occhi in aria vidi Nemesi irata lanciar sulla terra gruppi di serpi
+lividi e schifosi. Tento uscir dallo xysto e riparare in casa, quando
+odo un urlo straziante.... e inorridita veggo il piccolo Cæsariano coi
+capelli irti sulla fronte correre a me e precipitarmisi nel grembo. Un
+di quegli aspidi lo mordea sulla nuca e le sue spire strette al collo
+glielo serravano a soffocarlo. Pallida, tremante, fuori di me dallo
+spavento, mi provo a discioglierlo da quel laccio. Ma.... le forze mi
+mancano, le dita s’irrigidiscono, grido.... alfine mi desto.
+
+— Terribile sogno! Clysma? Esci dai tuoi abituali silenzi.... Soccorri
+alla nostra padrona colla tua prescienza e la calma.
+
+— Maronia.... E che dirò? Voci giulive non mi esciranno dal labbro. È
+il sogno men chiuso che Perennia abbia mai fatto. —
+
+E Scaura;
+
+— Orsù. Toglici dall’ambascia. Apri gli arcani del sogno. —
+
+La Egiziana allora guardò tutte in viso una per una, e si levò dalla
+postura in cui erasi per ore tenuta. E per quella facoltà dello
+spirito la quale nelle sofferenze morali, fa che la creatura dai nervi
+sensibilissimi presagisca gli avvenimenti o, nella esaltazione del
+cervello, li vegga svolgere in luoghi discosti, Clysma continovò:
+
+— Osiris, lo sposo della sorella Isis.... Typhon, suo fratello, lo è
+di Nephtis. Questi ha trovato la corona fraterna sul letto nuziale
+presso la moglie addormentata e stanca... Mirate lo scoppio della
+gelosia!... Le acque invece di fecondare distruggeranno. Le terre
+aride colmeranno le terre piene di vita e di germinazione. La nimphæa
+nelumbo impallidisce e muore su suo verde stelo.... La felicità morta!
+Le dovizie morte! Lo amor morto!... Tutto morrà in questa contrada che
+ha dilaniato a lento morso i miei verdi anni e il mio misero cuore!...
+Amset, Hapi, Satmouf, Mamses — i geni di Amenthi — non accoglieranno
+col natrum le nostre viscere nel loro grembo. L’orecchio di Retiset
+è già chiuso ai vostri lamenti.... Apparecchiatevi. Apparecchiamoci
+tutti.
+
+— Io ti farò battere _usque ad necem_, o nera maliarda. È l’acre
+vendetta della vile anima tua che a te suggerisce....
+
+— Nè padroni. Nè schiavi. Tutti eguali innanzi all’ira di Typhon.
+Le sue collere tu le hai vedute. Esse si spanderanno su te.... Era
+l’agonia che ti troncava i polsi e ti vietava di salvar Cæsariano....
+Dì! Non vedesti il monte nel sogno?... No?.... E pure dal monte Typhon
+verrà. —
+
+Ciò detto, Clysma tornò a sedere per terra, appoggiando le guancie
+sulle sue mani. E le altre più impaurite che mai. E Perennia divenne
+livida come se l’alito della morte le avesse sfiorato la fronte. Ma,
+cambiata idea, replicò:
+
+— Io ti ho comprato _gypsatis pedibus et auribus perforatis_; ed eri
+una _vernacula_ nata in casa di un cittadino romano in Babylon. Ti feci
+istruire _in artibus ingenuis_ e fosti _pædagoga_ del mio Cæsariano.
+Eri considerata la Perennipora qui. Così tu ricambi la bontà del mio
+cuore?
+
+— Accorciando lo stame della mia vita tu non allunghi il tuo. Io tel
+ripeto... Typhon si agita per febbre ardente nel monte. Credi tu che
+le tue verghe solcanti il mio corpo possano fare ch’egli non ne esca
+fuori? E pensi che se tu dicessi al pretore:
+
+ — _Hanc fœminam liberam esse volo jure Quiritum._ —
+
+cotesta affrancazione salverebbe la città dall’ultimo esterminio?
+
+— Oh! Questa schiava coi suoi delirii m’insulta. Chiudetela nello
+ergastolo, e questa sera deciderò della sua sorte.
+
+— Presumente!.... Non sarai in tempo fra un’ora. Un’ora?... Ecco. Trema
+la terra... Ah!... Lo scoppio!
+
+Tutte balzarono qua e là, tenendosi alle vacillanti pareti. L’orribile
+scroscio rintronò nei cuori già preparati dalla paura. La gragnuola
+delle pietre incomincia. Un tetto è sfondato. Cæsariano ferito nel
+collo corre barcollante e piangendo in cerca della madre e la giunge.
+Auga, Maronia entrano nelle stanze e raccolgono anelli, armille e
+monili d’oro, utensili di argento e una copia grande di monete. Riedono
+presso la padrona e la persuadono alla fuga.
+
+Ma dove e come? La pioggia delle pomici ha oscurato l’aria e ricuopre
+il suolo. Tentano a tastoni, a lato del tablino, di penetrare pel
+piccolo uscio nel sotterraneo e salvarsi dal triclinio a terreno per la
+pianura. Scambiati pochi passi un’aria pestilenziale e non respirabile
+ne le caccia indietro.
+
+— Salvaci, o tu, che lo puoi. Le dovizie di mio marito per te!...
+Affida alle braccia del tuo Dio questo frutto almeno delle mie
+viscere. —
+
+E stringeva al petto il bambino e lo baciava coll’amor passionato di
+una madre. E stendendolo a Clysma, cadde stramazzoni, sui lapilli,
+affogata dalla mefite. E tutte caddero morte nell’atto stesso.
+
+E le pietre pomici piovevano sempre!
+
+Sino dal giorno innanzi Tito Plasilio Aliano, figliuolo dello
+affrancato Timagène era tornato dal _Pontus Euxinus_, sur una delle
+navi paterne. Disceso e abbracciata la famiglia e tutti gli amici
+che ben presto gli furono d’intorno, die’ ordine di scaricare la
+_caudicaria_ che aveva guidato nel porto. Il dì poi chi passava
+trovavalo laggiù e gli stringeva la mano e festosamente lo baciava.
+Era un bravo uomo, tutto inteso all’ora presente e felice nei ghirigori
+della vita. L’anima sua e le cose esterne nel vagabondar che faceva mai
+trovavano il chiodo fastidioso della fermata. Nomade nel deserto dei
+mari, le sue corse erano come i raggi del sole i quali splendono per
+tutti; e non sentiva gli accessi melanconici della poesia solitaria,
+figliuola allo egoismo. Giunto laddove gli affari del traffico paterno
+il menavano, vendeva, cambiava, comperava. Ed intanto provvedevasi
+di uno alloggio e di un’anima che non fosse tirannica, permettentesi
+senza donarsi. Talvolta erano doni di Numi. Tale altra merci lucrose.
+Sempre passeggere felicità, incarnate e colorite da un vivido sangue;
+il quale, al pari del liquore dei grappoli d’uva, forniva ebbrezze
+subitanee ed accessibili a tutti.
+
+Giovanetto e col padre erasi dato al mestiere del nauta. Aveva visto
+molte contrade, e il suo intelletto erasi sviluppato al contatto dei
+diversi popoli che avea bazzicato. Sapeva la storia dei Greci, suoi
+compatrioti di origine. Conosceva i loro usi, i loro spettacoli.
+Erasi maravigliato dei monumenti del vecchio Egitto e delle pitture di
+vivi colori — mezzo decorativo, recondita storia. — Tende — Armenti
+— Deserti — Vaste solitudini — Città incivilite. E il lago immenso
+detto il _Palus Maeotis_. E Panticapea, dalla cui altezza scorgevasi la
+imboccatura dello stretto del Bosforo Cimmerio che congiunge il lago al
+_Pontus Euxinus_.
+
+Begli anni vaganti e bene spesi, perchè proficui al suo commercio
+e allo addottrinamento del cuore. Tornato in paese, gli pareva
+ringiovanire. Emozioni, sorrisi, riposo. E quelle maghe graziose dello
+spirito, che aleggiano attorno e dicono il dolce incanto a chi ritorna
+dopo una non breve assenza nel loco natio.
+
+— Sii il ben giunto, o Plasilio, nella nostra città. Che io ti abbracci
+e mi gratuli teco della fiorente sanità che gli Dei ti conservano.
+
+— Sei sempre il mio amico, o Porcinio Rodio, fin da quando Verna ci
+forzava ad apprendere a furia di nerbate. Sia pace ai suoi Mani. Ma
+aveva il braccio assai grave. Che fai costì nel porto?
+
+— Seppi il tuo arrivo ieri nell’Odeon dagli amici Umbricio Bifurco e
+Karminio Hyccario. E venni a vederti, poichè immaginai come nelle tue
+case fosse vano il trovarti. D’onde vieni?...
+
+— Dalla costa orientale del Chersoneso Taurico.
+
+— Quali le merci trasportate qui?
+
+— Molta parte del carico è il frumento che gli schiavi e i saccari
+ammonticano dinanzi il magazzino, là in fondo. Or che la Sardinia e la
+Sicilia ne fanno desiderare, stimai affare migliore comperarne nella
+Tauride che ne produce in abbondanza. La terra, solcata appena dallo
+aratro, ne dà trenta per uno. E l’affluenza da qualche anno è siffatta
+che hanno aperto di recente in Theodosia un porto capace di almen cento
+navi. Giunio Sequestro, il pompeiano, e lo ateniese Hyphidamas sono
+andati a Panticapea. Il grano quivi è più caro. Ma lo caricano subito
+senza attendere il turno, e per una nuova legge non vi si paga diritto
+nè di entrata nè di escita.
+
+— Anche di quel porto dicono maraviglie.
+
+— E a ragione. E l’arsenale? E il castro? E la città? E le case dei
+particolari? E le taberne? E le fabbriche? Tutto grande quello che qui
+è piccino. Al ricordo le mie sensazioni si ravvivano e....
+
+— E più se rammenti le creature che furono parte animata delle tue
+felicità, eh?
+
+— Eh!... Gli è pur così.... E molte volte io chieggo a me stesso se il
+lago Maeotis non sia il più vasto dei mari e Panticapea la più bella e
+vaga ed ospitaliera città dello universo.
+
+— A trent’anni... e sempre eguale come a diciotto quando lo spettacolo
+del mare t’inteneriva sino alle lacrime.
+
+— T’inganni, o Porcinio. Così fosse?... Il molto vedere ha strozzato la
+sorpresa innanzi i miei occhi e di tal guisa svanirono i molti piaceri
+di cui essa è la madre. La esperienza a poco a poco si è rivestita
+delle spoglie che appartennero alle sensazioni defunte e rimango quasi
+insensibile a ciò che una volta m’illuminava tutto.
+
+— Il solo Ponto opera però il miracolo!
+
+— Vorrei veder te in faccia a quello immenso bacino, circondato quasi
+per ogni dove da montagne che più o meno si sollevano dalle sue rive
+ed in cui quaranta fiumi versano le loro acque, provenienti dall’Asia e
+dalla Europa. La sua lunghezza è di undici mila stadi. La sua maggiore
+ampiezza, di tremila e trecento. Differenti nazioni sono disseminate
+sui margini suoi, di diversa lingua, di varia origine, di più svariati
+costumi. Vi siedono città fondate da quei di Mileto, di Megara, di
+Athenes. A levante è la Colchide, celebre pel viaggio degli Argonauti.
+
+— Dicono che nel verno Eolo vi abbia il suo trono.
+
+— Grande verità! Gli è perciò che prevedendo le nebbie le quali
+oscurano la sua superficie, io drizzai la prora al ritorno. Hannovi nel
+verno terribili tempeste e naufragi numerosi. Ma quai pesci eccellenti!
+E quanta abbondanza! Il fango e le sostanze vegetali che i fiumi vi
+scaricano gl’ingrossano e gl’ingrassano. Si vive sulle sue coste a
+ruba. Immagina! Un bue di prima qualità pel nutrimento dei rematori te
+lo danno per ottanta dramme. Un montone per sedici. Un agnello per due.
+Un manovale costa per giorno tre oboli. Vi ho comperato mantelli di
+lana per venti dramme e delle scarpe per sei.
+
+— Verrò da te ad approvigionarmi al bisogno. Per ora la temperatura
+non lo richiede, e cotesta è una grande stranezza del nostro clima in
+questo anno.
+
+— E sì, che anch’io ieri nello imboccar nel cratere me ne avvidi e ne
+stupii forte. Ænonao, il protosaccario di mio padre, ha chiesto doppia
+razione di _posca_ per ognuno dei facchini da scarico.
+
+— Nè basta, o padrone. Ci pare di aver lo stomaco di ferro rovente. Più
+se ne beve e maggiore è la sete. —
+
+Era Cantrio che ripassava dopo aver gittato il suo sacco sul cumulo.
+
+— Lavorate animosi e ne avrete.... Ehi! Santapila, tu che vai carico
+verso il fondaco, di’ ad Ænoao che addoppi il buono che con tanta
+facilità traspirate. Ma in tre dì voglio sgombera la nave per caricarla
+d’olio in Capreas. —
+
+Presumente! Parlava di avvenire in una città condannata e sopra un
+selciato, mobile e vacillante quanto la tolda della sua nave!
+
+I due amici si trassero di là e per la porta della Marina si avviarono
+verso Pompei. Dinanzi la nicchia di Minerva sotto l’arco, incontrarono
+Hera Nevia, Appia Callista e Terzia Turpedia, giovanette in preda
+a febbri d’artificio che lo amore condanna e le cui fiamme sono
+incerte ed effimere. Erano seguite da Abiginio Albulato, da Sesto
+Eppio, da Afrenio Helvino, giovani sfaccendati che uccidevano la noia
+logorante delle dodici ore luminose nella tonstrina, nei termopoli,
+nelle Terme e le altre dodici nelle orgie. Un ricambio di sorrisi.
+Strette di mano cordiali, ed innanzi. Giunti presso la Basilica,
+il suolo traballa, le mura crepitano, le colonne piegano in volta.
+E poi un rumor sotterraneo. Quindi lo scoppio sul Vesbio. Corrono
+barcollanti nel Foro. Una colonna di fumo. Una grandine di sassi. Si
+cacciano a precipizio sotto il portico e fuggono.... Fuggono. E lo
+spavento cammina loro dinanzi colla testa imprecante agli Dei. E sono
+abbracciati dalla morte che gli attendeva come certa sua preda.
+
+Agato Vaio — il quale reggeva una _Caupona_ nella via Domizia, che
+Giulio Polybio, il mercante di grani e duumviro, fattosi suo collega,
+avevalo aiutato ad edificare — escì di casa difendendo il capo
+dalle pomici con un cesto di vimini, corse forsennatamente verso il
+_Ponderarium_ — officina del pubblico peso, che ora direbbesi Dogana —
+urtò in un ciuco che la stranezza degli avvenimenti lasciava indeciso
+nella fuga e che le voci interne del capriccio e..... dell’asineria
+— spesso ascoltate dalle sue lunghe orecchie — lasciavano allora
+impensierito ed immoto, lo gittò disperato da un canto e per una porta
+di contro discese a saltelloni nel porto. Colà può afferrare una barca,
+vi si caccia dentro e voga in salvo. — Era stato meglio _Cauponius_
+che _Caupo_ in altri tempi; cioè, arnese di osteria piuttosto che
+reggitore e padrone. Allora faceva versi. E quelli _exodia_, specie
+di farse oscene, atte a dissipare in teatro le impressioni tristi
+della tragedia, cui succedevano. Erane adunque _actor et auctor_. E
+conservava i diritti di cittadino. E potea servire nello esercito, —
+due prerogative che non godevano gli attori seri i quali recitavano le
+commedie di Nevio, di Plauto, di Cœcilio, di Afranio, di Terenzio. Ma
+tanto le _fabellæ atellanæ_ come il _carmen togatum_ — od incontrassero
+plausi o fischiate — non gli facevano afferrare le chiome della
+Fortuna. Laonde Agato erasi dato a più profittevole esercizio.....
+Eh! La più bella Musa dell’Olympo non sa nudrire il suo povero amante.
+Conviene far propria — secondo il gusto — una di quelle nove fanciulle
+e risguardarla come una ganza. Esso non possono dare altro che ore di
+compiacenza, fumi di gloria, nebbie di vanità, pecunia mai..... almeno
+in Italia, dove la supina ignoranza delle plebi non le conosce, nè
+stima.
+
+Il sole è alla metà del suo corso. Una brigata di uomini in gran
+parte canuti seggono in una sala decorata di bei dipinti, tra i quali
+rifulge la splendida pagina murale che presenta lo episodio poetico
+di Virgilio, il _pio_ Ænea che parte di Cartagine a furia di remi e
+lascia sulla riva Didone costernata ed in lacrime fra i suoi attoniti
+cortigiani. Intorno sono raffigurati il crotalo, il sisifo, la tromba,
+i flauti, le tibie pari e lo scabillo, quello istrumento pneumatico,
+come i nostri organi, che i tibicini suonavano coi pedali di legno o
+di ferro per accordare i tuoni dello strumento da fato. Sono per la
+stanza supellettili di bronzo e di vetro elegantissime con un vaso
+di alabastro di graziosa forma. E nel mezzo è una tavola di porfido
+con suvvi una piccola statua, simulante un giovane appoggiato sul dio
+Termine. Il più provetto, Nicia di Mileto, continova la discussione che
+animava gli occhi ed il gesto dei convenuti:
+
+— No! Non ammetto con Hedilo che il divino poeta, dalla fantasia facile
+e la meglio feconda, siasi servito per costruire i suoi versi di una
+lingua strana e bizzarra. Mi sembra più naturale il pensiero ch’egli
+abbia voluto fare suo pro della lingua volgare dei tempi suoi. E nel
+vero. Dugento anni pria che nascesse, i Jonii condotti da Neleo vennero
+a stabilirsi sulle coste dell’Asia-Minore. Ma con essi erano i Tebani,
+quei della Focide e di altri paesi della Grecia. I loro idiomi misti
+a quelli degli Eolii dovettero formare la lingua nuova, parlata, di
+cui Homero si servì. I dialetti, limitati ad alcune città, presero un
+carattere distinto in progresso. Ma la stessa varietà testimoniava
+l’antica confusione. Le medesime lettere anche ai dì nostri non
+hanno forse in più luoghi pronuncia diversa? E quante le parole che
+in Athenes indicano un significato ed un altro presso un popolo che
+variamente le termina? Homero, aiutato dallo strano suo genio, spigolò
+il buono di tutti i dialetti e creò la lingua monumentale che noi
+parliamo.
+
+— E gli è cotesto ch’io non ammetto. La poesia era assai coltivata
+dai lirici dei tempi suoi. La lingua era già abbondante e piena
+d’immagini. Due grandi avvenimenti, la guerra di Thebes e quella di
+Troas esercitavano gl’ingegni. E di ogni parte i rapsodi colla lira
+annunciavano al popolo le gesta dei loro antichi guerrieri.
+
+Rhiano anch’egli divideva tale opinione e aggiungeva:
+
+— Ed Orpheo? E Lino e Museo? Ed altri, le cui opere andarono smarrite?
+Ed Hesiodo, il suo contemporaneo, che in uno stile pieno di soavità
+e di armonia descrisse la genealogia degli Dei, i lavori campestri ed
+altri interessanti argomenti? Homero trovò dunque la lingua e l’arte
+già adulte. Trovò un emulo altresì. Ma s’ei primeggiò, non posso per
+questo consentire che Nicia lo proclami genio creatore.
+
+— Parlerete ambedue sino alla restituzione della libertà popolare
+in Grecia ed in Italia, vantando Orpheo, Lino ed Hesiodo, ed io
+crederò che la Iliade e la Odissea sieno la disperazione dei poeti
+che furono, che sono e che saranno. Cosa fece il divino Homero? Nello
+assedio decennale scelse uno episodio — Achille si crede insultato da
+Agamennone per la ritolta amante e si ritira nei suoi accampamenti.
+I Troiani, incuorati, escono dalle mura; e più volte vittoriosi,
+appiccano lo incendio alle navi nemiche. Patroclo, lo amasio di
+Achille, si veste delle sue armi, combatte e muore per le mani di
+Hettore. L’offeso ritorna colle armi nel campo, vendica lo amato
+cadavere e cede, per riscatto, a Priamo le spoglie del prode figliuolo
+che ha trascinato più volte dietro il suo carro intorno alle mura
+nemiche a ludibrio. — Era una storia. Per abbellirla finse che l’Olympo
+parteggiasse pei due popoli duellanti. E perchè il racconto poetico
+assumesse interesse maggiore, usò artificio non usato dianzi, e i suoi
+eroi parlarono ed agirono. — Nel decennale viaggio di Ulisse adoperò
+gli stessi spedienti per ottenere un eguale successo. — Il figliuolo
+Telemaco dopo un lungo attendere, si parte da Ithaca per interrogare
+Nestore e Menelao sulle sorti del padre. Gente ingorda dissipa i suoi
+beni. I Proci aspiravano alle nozze della madre desolata. Nel punto
+Ulisse partiva dall’isola di Calipso e approdava naufrago in un’isola
+presso alla sua. Chi ve lo accolse ospitale volle udir di sua bocca i
+maravigliosi eventi, i mali sofferti. Ed in premio, avendo ottenuto
+soccorsi, parte per Ithaca, arripa, si fa riconoscere e si vendica
+dei propri nemici. — Cotesto poema pare opera senile. Il vegliardo
+ripete il già detto su Troas arsa e distrutta; fa mostra di maggiori
+cognizioni geografiche; dà caratteri più miti ai suoi personaggi; ed
+in tutto il dramma circola un tiepido calore pari a quello del sole al
+tramonto.
+
+Tutti avevano udito la dotta e pur semplice analisi che Leonida di
+Tarentum, avea fatto dei due poemi. Alexis, di Thurium, plaudendolo
+aggiunse:
+
+— Tacesti sulle nobili sentenze che chiare risultano dai due poemi, e
+che Homero lasciò alle meditazioni del suo secolo che pure ad altro
+tendeva. — I popoli sono sempre la vittima delle contese di chi gli
+guida. — La prudenza e il coraggio trionfano tosto o tardi dei maggiori
+ostacoli. — Uomo sublime!
+
+Un vecchio presso la tavola, il quale appoggiava il bianco capo sulla
+palma della mano diritta, il poeta Xenocrate, di Locrum, pieno di
+entusiasmo prese a dire:
+
+— E il genio dell’uomo sublime parlò al genio del grande legislatore!
+Lycurgo copiò i due poemi e persuase gl’istrioni a declamarne i
+frammenti nei teatri. Solone ordinò a quei rapsodi di non distaccarne
+i brani a talento; ma riuniti, che l’uno seguisse il racconto dove
+l’altro aveva finito. Ma siccome la purezza del testo venivasi
+alterando sulle bocche ignoranti dei ripetitori, Pisistrato ed Hipparco
+— padre e figliuolo tiranni in Athenes — aiutati da abili grammatici,
+ripurgarono dalle errata i due quadri istorici della Grecia e li
+fecero cantare alla festa delle Panathenee, processione votiva a
+Minerva, e poi alla memoria di Harmodio e di Aristogitone, regicidi. Io
+proclamo con Nicia, di Mileto, Homero non solo creatore della lingua,
+ma eziandio della greca nazionalità. Noi tutto dobbiamo a quell’uomo
+divino. Leggi — Gloria — Costumi. L’ammirazione è in ogni cuore. Il
+suo nome in ogni mente. La sua immagine da per tutto. Se vi furono
+città contendentisi l’onore di avergli dato la culla, quante le città
+che gli sacrarono un tempio? Eschilo, Sophocle, Archiloco, Herodoto,
+Demosthene, Platone seminarono i loro scritti dei fiori raccolti nello
+inesauribile giardino del balio a noi tutti. E da quelle cantiche
+sublimi Phidias e il pittore Euphranor attinsero il tipo che degnamente
+rappresentasse le fattezze maestose di Giove Olympico. Homero era
+cieco. E doveva esserlo! il suo sguardo assorbito dalla luce divina
+della poesia, che splendevagli nella mente e nel cuore, disdegnava il
+lume del sole, luce più debole, gran cosa per gli altri.
+
+— Xenocrate col mentovare il primo fra tutti gli Dei, mi fa col volo
+della mente percorrere i cieli, avendo a guida il grande poeta. Mirate
+Venere col cinto da cui scaturiscono gl’impazienti desiri, i fuochi
+dello amore, le seducenti grazie e lo incantesimo degli occhi e della
+parola. E Pallade alla cui egida sono sospesi i terrori, la discordia,
+la violenza e la spaventosa testa della Gorgona. Nettuno è tra gli
+onnipossenti; ma gli occorre un tridente per iscuotere la terra. E
+se dopo la corsa fantastica del cielo, torno a ricalpestarla, chi vi
+trovo? Achille, Aiace e Diomede; i peggio temibili tra i Greci eroi.
+Ma l’ultimo si ritira, rincula dinanzi l’oste troiana. Aiace non cede
+che dopo averla fatta indietreggiare più volte. Achille si mostra e il
+nemico dispare. —
+
+Così Sosicles, il poeta siracusano. Ora ad Hedilo parve di dovere
+interloquire per cancellare le tracce dei suoi paradossi.
+
+— Platone disse non essere dignitoso il dolore di Achille, nè quello
+di Priamo, allorchè il primo si rotola sulla polvere per la morte di
+Patroclo e l’altro si umilia per ottenere il cadavere del figlio. Ma,
+quale dignità può mai spegnere il sentimento?... Io lodo Homero di
+aver imitato la natura che colloca la debolezza presso la forza, e
+lo abisso a lato della sublimità. Lo lodo altresì per avermi palesato
+il migliore dei padri nel più possente dei re e lo amico tenerissimo
+nello audacissimo fra gli eroi.... Cotesti ed altri pregi però non
+scusano il poeta se spesso riposa e talvolta sonnecchia. È vero che
+quando si desta scaglia i fulmini al pari di Giove.... Ma _quandoque
+dormitat_....
+
+— E gli Dei non dormono essi?
+
+— Gli Dei furono uomini. Pindaro il disse. E non possono dominare la
+nostra illuminata coscienza. Un ente supremo esiste, e a lui inchiniamo
+in secreto. Quelli a cui si volgono i voli della plebe umana....
+
+Un rumor sordo, cupo, terribile chiuse la parola autorevole sulla bocca
+del vecchio Nicia, di Mileto. Tutti si levarono in piedi, e le scosse
+del suolo li balzarono in terra insieme coi mobili della stanza. Si
+rizzarono sbalorditi e contusi ed escirono. Una grandine di sassi. Poi
+cenere e lapilli da oscurare ogni luce.... Quindi.... la morte....
+
+Alle prime ore del mattino Acilio Heliodoro, incontrando i suoi amici
+nella _tonstrina_ di Glaphyro, gli aveva invitati al _prandium_ in
+casa sua ch’era sulla via ampia e prolungata dell’Abbondanza, le
+quale, solcando parecchi crocicchi, finiva presso lo Anfiteatro.
+Era un giovane di origine greca e di nascita pompeiana. Suo padre,
+arricchitosi nel commercio colle pie frodi che il traffico allor
+permettea, dopo aver maritata la figlia con Anniceris, suo amico, il
+rinomato vasaio in Rubi, aveva creduto lasciarlo libero dispensiero
+delle accumulate dovizie alla età di trent’anni, affogandosi nel
+mare un dì che vi prendeva i suoi bagni. Menava la vita paesana
+in tutta la sua purezza; la quale, pari a quella dei destrieri nei
+prati, consisteva nel mangiare, dormire, riprodursi, aspirar l’aria,
+sbadigliare e volgere gli occhi dolcemente qua e là in busca di cavalle
+e di erba migliore. La sua casa era doppia — per sè e per gli ospiti di
+fuori — e quella abitata da lui, sontuosa. Belle pitture sulle pareti
+— Ulisse che presenta in Scyros allo infemminito Achille le armi e lo
+ravvisa pel celato figliuol di Peleo. — La frode di Giove che mutato
+in cigno stringe nella spatula la lingua di Leda e la pone sul nudo
+e bellissimo seno. E Amore, che è il faccendiero del luogo, il quale
+sostenendo in una cassetta diversi attrezzi muliebri, ride sottecchi ed
+accenna con aria furba al Nume trasformato in uccello. — La più ricca
+stanza era quella del triclinio che prendeva luce dalla porta e da un
+finestrino aperto nello xysto. Da un lato alberi e fiori. Dall’altro il
+soave rumore di una fontana zampillante.
+
+— Oggi non sarai sola, o Nossis. Verranno i miei amici a distrarti,
+Acrio Heleno, Lucio Modiano e Narceo Flacco. — Acilio — come tu vedi
+— tutto che pieno di tenerezze terrestri, ama le distrazioni del tuo
+nobile cuore per poterti esprimere tratto tratto e senza annoiarti le
+novelle dello amor suo.
+
+La persona cui erano dirette quelle parole, sedicenne, snella e
+spigliata, parea nata fatta per seguire i moti ardenti e graziosi di
+un poledro africano. Era un’amazzone tranne nei voti. Sulla sua faccia
+leggevi fierezza, intelligenza, risoluzione, generosità mista ad un
+piglio che nulla avea del virile. Una malattia aveva punito leggermente
+il suo volto bucherellandolo di minuto vaiuolo. Ma i suoi grandi
+occhi neri e i sorrisi che da essi balenavano faceano dimenticare il
+fuorviamento della natura, che un giorno colla febbre del sangue le
+avea maculato la faccia. Era di Locrum ed apparteneva alla tribù delle
+etère che offeriva un amabile contingente alla libera e grande tribù
+dei celibatari.
+
+— La donna ha un fiero istinto che le fa respingere la innocenza.
+Lo so. Meglio il serpe che ammalia e stringe nelle sue potenti spire
+di quello che il bianco giglio odoroso. Ma vi è una razza d’uomini,
+ricercatori di voluttà, idoli impuri, i quali credono in ogni donna il
+loro trastullo, sognano avventure, le realizzano e di ciò fanno tardo
+argomento di risa e di sprezzo. Oh! Venere gli punisce! Essi terminano
+la vita col confessare la onesta fede al coniugio, e gli Egisti
+maliziosi ridono di quel riso che fa cadere le stelle sulla terra.
+
+— Eccoli che vengono. Sono e non sono quali tu gli dipingi....... Qui,
+amici.... nel tablino. Malgrado il caldo oppressivo della giornata, un
+po’ d’aria vi circola e aiuta al respiro. —
+
+Una tavola è nel mezzo della stanza sopra un musaico di scelti e
+variopinti marmi. Sul deschetto è un vaso di murrhina con entrovi un
+fascio di ordinati fiori. Ed altri fiori sono nei vasi nolani attelati
+alle pareti, che coi loro vivi colori e il soave olezzo cantano l’inno
+misterioso della natura. La luce è abilmente disposta. Le cortine di
+Tyro sono abbassate dal lato del mezzodì. Quella clemente e dolce che
+viene dall’altra parte, accorda all’ombra una ospitalità generosa, di
+cui la donna, per giovanetta che sia, non sa mai dolersi.
+
+Ricambiati i mattinali saluti, ognuno aggiunse a quel tema le
+variazioni che la originalità dei caratteri sapeva fornire. Narceo
+Flacco primeggiava nei paradossi; ma gli escivano così naturalmente
+di bocca, che volontieri erano uditi e sovente ricerchi. Di uno in un
+altro discorso, siccome suole accadere, Aerio Heleno aveva mentovato il
+loro amico comune Agathemaro Vezzio, di recente morto nelle strette di
+Bovianum Vetus in un conflitto coi banditi, ribelli alle leggi.
+
+— Sì, morto inosservato e lungi da noi. Eh! il sangue umano presto
+dissecca. E gli estinti rimangono vivi nel cuor delle madri e degli
+amici. Una donna avrebbe dovuto piangerlo però.... La sposava!
+
+— Chi?
+
+— Nympha, della famiglia Nomentana. Io le recai un suo anello ed ebbi
+anche il mandato di dirle quelle parole sacre che lasciano — od almeno
+si spera che lascino — qualcosa di proprio nei cuori in cui era chiusa
+tutta la propria terrestre felicità.
+
+— Ed essa?
+
+— Eh! Pianse un poco... e poi gli occhi rossi li lasciò agli schiavi
+che attizzano il fuoco nel _laconicum_ delle Terme.
+
+— Penso che non a tutte le donne tu accordi una tanta indifferenza di
+cuore. La unità non è numero. —
+
+Nossis disse quelle parole con un certo cipiglio che valeva un
+rimprovero. Ed era per levarsi dalla sedia, quando l’altro riprese:
+
+— Rimanti, ten prego e non ti offenda la mia sentenza. Tu hai nei begli
+occhi fantasime che non ingannano e tenerezze caparbie che sfidano le
+tenzoni di amore. Ma comunemente io non vidi negli amanti che un’ora
+sola sublime, quella in cui i cuori prendono congedo tra loro. Gli
+affetti eroici non li ho mai incontrati. Venere un me ne accordi, ed
+io mi vi dedicherò intero. Non feci mai saggio della mia costanza. E
+pure vi ho fede come se fossi nato ai tempi del misero P. Ametistio,
+il crocefisso, mentre ebbi vita sedente Nerone imperatore, dopo
+l’abolizione dei ludi gladiatorii nello Anfiteatro.
+
+— Siffatta fede ti onora. Merita ed avrai la tua ricompensa. —
+
+E voltasi ad Acilio lo guardò con tanto entusiasmo e fiducia che questi
+sentì i propri affetti rinfrescati da un sentimento novello. E gli
+disse:
+
+— L’ora del pranzo è accennata dalla clessidra. Andiamo. —
+
+E tutti mossero verso il triclinio.
+
+Questo era splendido di pitture, di tappeti, di mobili e di vasi
+di argento. In mezzo era la _mensa delphica_ colle imbandigioni. Si
+coronarono di rose. Ma non si coricarono sui letti, e sedettero secondo
+il costume dei Greci. Ad ognuno, dopo che si ebbe lavate le mani,
+venne offerta la _mappa_, orlata come una laticlava di una frangia di
+porpora.
+
+Qual differenza dalla parca e sobria mensa degli antichi senatori di
+Roma! Curio faceva cuocere i suoi _oluscula_ — i legumi dell’orto —
+coltivati da lui, sul suo umile focolare. Altravolta si conservava
+preziosamente il lombo salato del porco per celebrare un dì natalizio;
+e si offeriva ai parenti una fetta di lardo con un po’ di carne
+fresca, se mai fosse stata immolata una vittima. E a siffatto festino
+vedevasi arrivare, colla zappa sulla spalla, un parente illustre
+per tre volte console, o imperatore di accampamenti, o dittatore, il
+quale in quel giorno abbandonava più presto del solito il rude lavoro
+sul monte. Nell’epoca dei Fabi, del severo Catone, degli Scauri,
+dell’onesto Fabricio, allorquando lo austero Salinatore facea tremare
+il suo collega censore sulla sedia curule, nessuno aveva pensato ove
+nuotassero le tartarughe, il cui dorso gaio e levigato avrebbe fatto
+più splendidi i letti dei discendenti di Enea. Tale la casa. Tali i
+mobili. Tali gli alimenti. Da bastare alla vita, e non al lusso ed alle
+morbidezze. E quando quei ruvidi eroi — stranieri ancora alle arti
+della Grecia — dopo il sacco di una città, si trovavano per le mani
+una coppa cesellata di argento, la rompevano per fondere una _phalera_
+da bardarne il cavallo delle battaglie, od una lupa a ricordo della
+mansuefatta dal Destino, che allattò i gemini quirini sotto la rupe. Lo
+argento splendeva allora soltanto sulle armi dominatrici. Le fave, i
+ceci, il farro, la carne e i pesci arrosto, i frutti freschi o quelli
+che nel verno avevano perduto la crudezza del loro succo componevano
+il desinare, scodellato ed offerto su piatti di terra bituminosa. E
+vivevano lunghi anni, e non mentivano alle leggi della dignità umana.
+E col pilo e col gladio assoggettavano il mondo noto. E gli ospiti
+erano accolti francamente, con abbandono, di pieno cuore, come Evandro
+accolse Hercole, lo eroe di Tiryntho, seme divino, _contingens sanguine
+cœlum_.
+
+Compiuto lo asciolvere fatto coi cibi i meglio squisiti, e mangiate
+le _mustacea_, paste condite di aromi che servivano a correggere dopo
+il pasto le crudezze dello stomaco, Acrio Heleno propose il giuoco
+dei _griphi_, cioè, problemi soliti a sciogliersi a tavola. Chi non
+riesciva a deciferarli, pagava un’ammenda.
+
+E Nossis disse:
+
+— Indovina, o Narceo, la rete ch’io t’offero. _Io sono grandissima
+nascendo. Sono pur grande invecchiando. Sono però piccolissima nel
+vigor della età._ —
+
+L’altro pensò, chiuse gli occhi, apri la bocca per dire... quindi
+risolutamente rispose:
+
+— L’ombra.
+
+— Indovinasti. A te, Modiano. _Qual nome dài tu alle due sorelle che
+non cessano di generarsi a vicenda?_ —
+
+Anch’egli pensò, masticò parole non articolate, si diè per vinto e pagò.
+
+— Nulla di più facile per chi lo sa: la giornata e la notte.
+
+— Ora te, o Nossis. Mi auguro che tu lo sciolga. _Vi sono tre animali
+in terra, nel mare, nel cielo._ Puoi dirne i nomi?
+
+— Più presto di quel che non pensi, o Heliodero. — Il cane. Il serpe.
+L’orsa. — Sei pago? —
+
+Lucio Modiano, ch’era stato perdente, voleva porre gli altri nella
+stessa condizione e disegnò fare il giuoco delle lettere, delle
+sillabe, delle parole. Erano detti _logogriphi_ perchè reti formate
+coi versi che si dovevano recitare al nuncio della prima lettera, o
+di un motto che racchiudevano, o terminanti con una sillaba che veniva
+indicata. Astrusaggini venute di Grecia nelle nostre contrade.
+
+Tutti vi si provarono. Nessuno riescì. E l’afa essendo omai grave,
+escirono allo aperto nello xysto. Erano pure radiosi come la speranza.
+E l’ora presente inesorabile, pareva la dovesse esser madre di
+ore innumeri, liete, felici.... E quegli istanti erano gli ultimi!
+Passioni, dovizie, ingegno, bellezza, schiacciate e sepolte come le
+vanità della vita. E le convulsioni della natura affogarono e coprirono
+la casa di Acilio, racchiudendovi brevi ma disperate agonie.
+
+I sacerdoti d’Iside banchettavano nell’ora in cui il disastro aveva
+principio. Si radunarono tutti nella sala dalle cinque arcate che è
+dietro la edicola della Iddia, dove si celebravano i misteri, e i soli
+iniziati penetravano: Nymphiodoto Caprasio persuase gli altri a non
+fuggire e a rinfrancare i cuori. Egli si prostrò dinanzi il delubro ed
+orò come se i devoti fossero nel tempio e il vedessero.
+
+E le pietre pomici piovevano sempre.
+
+Allorchè quel furbo si avvide che i lapilli si livellavano cogli ultimi
+gradini e le esalazioni di zolfo gli eccitavano la gola, indignato
+proruppe:
+
+— Tu vedi lo scompiglio, tu senti le preghiere dei tuoi, e le tue
+labbra rimangono immobili? La tua bocca di marmo parli, e questo
+nembo micidiale di Averno rientrerà negli abissi. E i pietosi incensi
+bruciati sul tuo altare. E le vittime sacrificate. E le offerte dei
+devoti tuoi. E il sacrificio della nostra castità..... sino alla
+rivolta della natura..... Dunque tra la tua statua e la faccia di
+Bathyllo, il pantomimo, non vi ha differenza?.... _Non movent divos
+preces?_ Tutto è mendacio, fuor che l’antro tenebroso da cui sorgono
+infuocate le pietre del Vesvio? Io incisi le mie scelleratezze sul
+falso e per tua colpa, o iddia. —
+
+Due orecchie umane, fatte di stucco, erano sui lati della nicchia, per
+dare ad intendere plasticamente alle turbe ignoranti e bietolone come
+le loro preci, mediante ricche offerte, fossero intese dai numi.
+
+Il prete ipocrita, levando gli occhi, vide quei simboli della credulità
+meridionale e di subito sdegno inalberò. Dato di piglio ad un sistro
+di bronzo, pose in bricioli un orecchio. Un fulmine solcò la spessa
+atmosfera e fece sgomento quel profanatore delle stesse cose di cui
+sino allora avea tratto profitto. I ricoverati nella sala postica
+corsero a salti in cucina; e siccome le soffitte delle stanze soprane
+erano cadute, si accoccolarono sulla scala che ad esse saliva. La
+mefite quivi gli colse e gli uccise di disperata agonia. Nymphiodoto
+riparò ansimante nella camera vicina al refettorio. Ma siccome dal
+tempio veniva un veemente ed insoffribile calore — con un fumo vibrato
+ed invisibile con tenue odore di zolfo, ma più di ammoniaca, di nitro
+e di vitriolo che affannava istantaneamente il respiro — egli cercò
+di chiuder l’uscio come meglio; e, presa una barra di ferro, si die’
+a rompere la parete ch’era di mattoni e di spume vulcaniche. Quel
+disperato non avea scampo. Pria di porre il termine alla rottura, la
+mefite lo prese alla gola e lo stese cadavere come i compagni.
+
+Nel tempio di Giove pativa una quasi eguale offesa il flamine diale.
+Ultimo ad escire, perchè carico degli _ex-voto_ di oro e di argento,
+una delle colonne corintie del vestibolo scardinata dal tremuoto cadde
+e lo schiacciò sotto il suo peso. Quella incarnazione dell’orgoglio e
+della soperchieria veniva affranta a cagione del solo interesse avaro
+ed egoista che avealo inspirato nella vita.
+
+Sur uno dei piedistalli, a livello del _pulpitum_, dal lato opposto, la
+statua erasi spezzata e caduta al suolo. Una creatura vivente vi sedeva
+in suo luogo. Aveva le gambe penzoloni, il capo coperto dal _sagum_,
+per guarentirlo dalle pomici cadenti; e le braccia al petto. Al rumore
+della colonna, all’urlo soffocato del flamine, l’uomo innalzò il panno
+dagli occhi e si volse.
+
+— _Dehisce tellus. Recipe illum, dirum chaos!_ È giorno di grande
+giustizia cotesto. Tutti morti!... E chi meritava vita qui?... Quando
+nello Anfiteatro fui ferito sulla spalla da un colpo di gladio, quattro
+donne soltanto porsero la mano aperta e gridarono: _Non habet_. I miei
+occhi le fissarono e le loro soavi immagini mi si dipinsero nel cuore.
+Wodan le farà salve. Le Ondine sosterranno la nave che porterà lontano
+le loro lacrime per la terra dei ricordi perduta...... Lo abbietto
+gladiatore non vedrà più i nativi suoi boschi e la bionda razza che
+li abita..... Povero popolo di Herman!... Giù, Vesbius... inghiotti,
+straripa, incendia, ruina. Racchiuderai fango in un ampio sepolcro!
+Pesi la terra sull’empia stirpe latina che, mai sazia, ha assorbito le
+libertà del mondo. Oerda, Werdandi, Schott, Neva, le sorelle del Fato,
+stanno sul monte.... Io le sento... E mi vendicano. Ora, posso anch’io
+morire.... O foreste di pini! O Astara, che vi spiri dentro l’alito
+della primavera! O Freya, dea dello amore! O Wali ed Oller, miei buoni
+compagni nella infanzia! O Scada, mia madre! O Norna e Rinda, sorelle
+mie! Gefion prende commiato da voi e per sempre. —
+
+Questo Gefion era un germano della famiglia gladiatoria in Pompei.
+Preso da fanciullo tra i prigionieri di guerra, lo chiamarono Libero i
+suoi piacevoli consorti. Era stato otto volte vincitore nei ludi. Forte
+ed impavido, addestrato alla professione degli _artifices decollandi_,
+aveva risguardata la vita come cosa fuggevole, misteriosa ed incerta.
+Or le grazie della morte le conosce soltanto colui che passa i suoi
+giorni a contemplarla. Ed era divenuta l’amica dalle cui mani attendeva
+la sua libertà. In quell’ora di rivelazione inattesa, in cui tutti
+fuggivano il bacio delle sue labbra gelate, egli scelse invece il luogo
+dei suoi accoppiamenti con lei. Non avea più dinanzi Itatago Vale, od
+Anarto Viridea, od Apsoto Jutto, od Amonio Scava, o Sceunio Sitio, o
+Aptoneto Macula, od Epeo, o Sticho che gli avessero detto, _gladium
+gladio copulemus_. No. L’apparizione divina eragli venuta incontro nel
+Foro e gli aveva parlato al cuore le dolci parole:
+
+— Eccomi. Apparecchiati. Quello che cercavi e che ti adora, tra poco ti
+abbraccerà. —
+
+Il bisogno fatale di quell’anima assetata fu compiuto. Lo architrave
+dei tempio cadde, e il suo corpo divenne osceno cadavere.
+
+Il Vesbio continova le sue collere. E nel mezzo del fumo e nei lati
+dello stelo del pino serpeggiano saette che s’incrociano e scoppiano
+con orribile strepito. Quindi dallo infiammato monte sboccano fiamme
+in forma di travi e di grosse onde tempestose. E poi, guizzi come di
+artifiziati fuochi rapidamente scorrenti e senza scoppio. Ed altri che
+si allungano e pria di dileguarsi rintronano l’aere. Ed altri ancora
+che scendono al basso e radono il suolo e bruciano gli alberi e le case
+ed uccidono uomini ed animali che coi loro passi ricercano la vita omai
+minacciata per ogni dove.
+
+Cotesto avvenne alla misera Eutichia presso il postico della casa di
+Sallustio. Scorgendo come la infernale bufera non si arresti, per escir
+di quella agonia, dice ai tre schiavi — cui il timore riflessivo aveva
+impedito di seguire i compagni postisi in salvo insieme col padrone —
+di aiutarla a discendere dal muro e a scampare. Aveva chiuso nella sua
+_palla_, colla quale cuoprivasi il capo, e le spalle, uno _speculum_ di
+argento, tre anelli, alcune paia di orecchini, una collana di catene
+d’oro e cinque braccialetti dello stesso metallo. E serbava in una
+borsa trentadue monete e un suggello col nome suo. Scambiati pochi
+passi, mancava ai quattro infelici il respiro e cadevano morti.
+
+Contemporaneamente nella casa di Agatocles, ricco negoziante greco,
+abitante nel pago Augusto-Felice, un liberto ed una schiava erano
+nell’_æcus cyzicenes_, che interrompeva l’ambulatorio sotto il
+portico che circondava il grande xysto quadrato ed aveva lo sguardo
+sul maraviglioso cratere partenopeo. L’uno cacciava in fretta in
+una borsa di pelle ventitre monete di bronzo alla effigie di Galba.
+L’altra gittava in un paniere di vimini una moneta d’oro di Nerone,
+quarantatre denari di argento, quattro orecchini a spigo d’aglio ed una
+cornalina incisa. Nel correre fuori si sentirono opprimere il respiro,
+si appoggiarono alla parete e caddero. Nè diversa sorte aveva avuto
+l’altra schiava, corsa dispesatamente in fondo del portico a diritta
+ed entrata nel gabinetto di riposo che fa fronte al larario sulla
+opposta parte. Aveva un braccialetto di bronzo ed al dito lo anello
+d’argento del suo _contubernalis_. Misera! Non ebbe il tempo che di
+baciare quel caro pegno di fede e spirare. Ulissia — la moglie del
+padrone di quella casa — avea sperato salvarsi dal tremendo flagello,
+ricoverandosi nel crypto-portico, ch’era la _cella vinaria_, la quale
+contornava sotterraneamente lo xysto per la lunghezza dei tre portici
+soprani. Fra ciascun pilastro, a fior di terra, aprivansi spiragli
+dalla forma d’imbuti. Larghe provvisioni erano adunate in un canto ed
+atte a sicurare la esistenza per qualche giorni. Di anfore piene di
+vino ve ne aveva dovizia. Stimando il disastro passeggero come l’altro
+di sedici anni innanzi, Ulissia conducea seco giù per la scala la
+sua figlia Domna, gli altri bambini minori con dodici liberte. Giunte
+verso la metà della crypta, un vapore ardente e soffogante entra per
+gli spiragli da dentro. Un grido solo escì da quei petti affannosi.
+E tutti a precipitarsi verso la porta per la quale erano entrati.
+Troppo tardi. Un alito pestifero veniva pur dalla scala. Si fermano.
+Si aggruppano. Si stringono convulsivamente insieme, quasi chiedendosi
+l’un l’altro soccorso. E d’istinto, avendo compreso essere quello lo
+istante estremo della vita, ognuno si velò il capo colla veste in atto
+rassegnato e decente. Così furono rinvenuti quegli infelici diecisette
+secoli più tardi, allorchè si cominciò a strappare il funebre lenzuolo
+dal cadavere pompeiano. Sulle persone e per le terre erano gemme,
+monete, uno stupendo candelabro, i resti di un _mundus muliebris_, un
+pettine di legno, braccialetti d’oro, spilli ed anelli. La cenere fine
+del Vesbio, penetrando per gli spiragli, copriva quei morti addossatisi
+al muro. L’acqua impregnò di umidità e di sali quella cenere. La
+quale indurì cogli anni e conservò le parti molli fino a che i secoli
+queste ridussero in polvere. Lo ammasso delle ceneri, fattosi tufo
+e attaccatosi al muro, era divenuto nel 1763 la forma di tutte le
+cose vive che aveva racchiuso Ma i poco zelanti scavatori — uomini di
+stipendio, non di scienza — accoppiarono il cataclisma della ignoranza
+al cataclisma della natura. E ruppero bestialmente le ceneri indurate.
+E le posero in frantumi per estrarre di quel fango le gemme e i monili
+preziosi. E trasportarono nel Museo trionfalmente una collana di
+filograna d’oro, avente nel mezzo una piastra d’onde pendono catenelle
+terminate da foglie di vigna, un bel braccialetto formato da due corni
+di abbondanza, riuniti da una testa di leone, e due orecchini. Cotesti
+oggetti d’arte avevano più e più abbellito la bella persona di Domna,
+di cui la cenere conservò per secoli l’ovale del viso, la forma del
+seno, delle spalle e delle braccia; non che la stoffa leggera — di
+_ventus textilis_ o di _nebula_, come Petronio e Tibullo chiamarono
+quel tessuto dell’isola di Cos. — Collocarono infine entro una cassa di
+cristallo la forma di una mammella, il cranio e qualche osso e qualche
+pezzo di tessuto nella cenere tufacea.
+
+Agatocles dovette aver l’anima vendereccia in un cuor duro ed egoista.
+Non pensò alla famiglia quel mercante greco. Egli non cura che la sua
+vita e le proprie ricchezze. Laonde, seguendo la schiava che andò a
+morire nel gabinetto di riposo, volse a sinistra e si fermò dinanzi
+all’uscio del portico occidentale che aprivasi verso i campi ed il
+mare. Ma quivi lo attendeva Venere-Libitina, dalle dita affilate e
+forti. Le due chiavi dell’uscio gli caddero dalla mano, dove splendeva
+un anello formato da un serpe a due teste, un _amphisbene_. Provò
+uno stringimento alle fauci, la vista si oscurò, le gambe vacillarono
+e ruinò per le terre. Il liberto che avealo seguito, carico di vasi
+d’argento e di una grande quantità di monete imperiali e consolari
+chiuse in un sacco di tela, prosciolse anch’egli le membra e si distese
+sul pavimento. Una bella lanterna di bronzo rischiarò la breve loro
+agonia.
+
+Nove altri scheletri furono rinvenuti fuori della casa nella direzione
+del mare. Ed altri sopra un’aia non molto lungi dalla fine del
+subborgo. Forse erano anche i servi della famiglia di Agatocles.
+
+Perennio Nimpherois, il padrone del _thermopolium_ dinanzi la locanda
+di Albino — al quale Augusto avea conceduto quel luogo come _mansio_,
+cioè stazione di posta per aver subito le novelle di ciò che avveniva
+nelle provincie ed Albino medesimo con tre soldati, coi forestieri
+che aveva in casa, corsero affannosamente verso la porta vicina
+ad Herculanum, malgrado la pioggia di acqua bollente. Lo astato è
+nell’edicola, appoggiato al pilo e respirando a mala pena. Col gladio
+ha rotto il muro nel fondo per aver aria più pura. Uno dei soldati gli
+dice correndo:
+
+— Bithinico, salvati. Il mondo finisce.
+
+— Eh! Il mondo finisce. Ma l’Urbe rimane. —
+
+Passa una donna che ha un bambino lattante nelle braccia ed uno per la
+mano. Corre dissennata, urlando, fuori di sè. Si ferma, asciuga colle
+mani convulse il volto al figliuolo e lo bacia, lo ribacia e lo bacia
+ancora. Oh! le parole di conforto, dette cogli occhi, ma non espresse
+dal labbro! La sua vita è concentrata, è tutta là. — Il soldato
+s’impietosisce e dice:
+
+— Donna, ripara qui dentro, al sicuro. Riposata, partirai quando
+cesserà questa pioggia di Averno.
+
+— La mia vita non curo. — I figli! I figli! Oh! non me li uccidete, o
+dei spietati!... Tulliolo, non lamentare i tuoi piedini piagati. Altri
+pochi passi e sarem giunti.
+
+— _Miserere, mater._ — La gola mi si stringe. — Soccorrimi. —
+
+La infelice donna lo imbraccia in furia e corre, cogli occhi ch’escono
+dall’orbita. Corre a sbalzi. Corre. Giunta presso l’_ustrinum_, non può
+più ire innanzi. La mefite invadeva la strada. Aveva ucciso i fuggenti
+che la precedevano. Si assise sui lapilli. Appressò la bocca alle
+bocche dei suoi bambini..... Avevano vissuto! Bithinico non tardò molto
+a raggiungerli sulle rive di Lete.
+
+Nella casa di Vibio i servi partirono a precipizio dopo la fuga dei
+padroni, ognuno portando seco ciò che potette. Morirono qua e là nelle
+vie suburbane. Una donna greca, che la chiamavano Milphidippa per le
+sue lunghe ciglia, va presso il forziere di legno, guarnito di fasce
+di rame e di maschere di bronzo, lo apre e vede dentro quarantacinque
+nummi d’oro, cinque denari, un piccolo busto della Fortuna.... ma
+il respiro le manca.... sente sulle tempia lo stringimento di una
+tenaglia, corre nel vicino cubicolo, cade supina sul letto e muore.
+Danista è già sulla soglia del _posticum_. Avara per istinto, non ha
+perduto il suo tempo. Un aruspice le aveva predetto pochi dì innanzi
+che una grande fortuna attendevala.
+
+— Egli mi disse: «Escirai grave da una piccola porta ed entrerai in una
+maestosa con seguito di molta gente.» Convien prepararsi. —
+
+E girando per le stanze vuote di abitatori, cacciò in un sacco di tela
+ciò che trovava, cinque anelli d’oro, cinque pietre incise, molte
+monete di argento e di bronzo, la _bombilia_ di cristallo di roccia
+che Melissæa avea dato allo sposo il giorno in cui egli le die’ la
+sua fede, e due orecchini in forma di bilancia. Va per escire col
+piede diritto, il sinistro essendo di cattivo augurio. E la Parca si
+rammenta in quello istante di lei ed appressa le forbice allo stame
+della sua vita. Si appoggia illanguidita alla spalletta dell’usciolo.
+Le gambe flettono. Il lume degli occhi si oscura e sviene. Nel 1829
+gli scavatori trovarono dispersi attorno al suo scheletro gli oggetti
+della ghiotta vanità che occuparono gli ultimi istanti di quella misera
+schiava.
+
+E la pioggia continova sempre ruinosa e scottante.
+
+Nella estremità della viuzza dei _Dii majorum gentium_ che il poeta
+Ennio racchiuse, nominandoli, in due versi,
+
+ _Iuno, Vesta, Ceres, Diana, Minerva, Venus, Mars,_
+ _Mercurius, Jovi, Neptunus, Volcanus, Apollo,_
+
+colà, dove presso la fontana del Vitello si andava allo _Ecatonstylon_
+e ai teatri, odonsi gridi, singhiozzi e parole imperiose. Nella
+casa è un correre, un disordine, una confusione grande. Alcune donne
+coi bambini sono in fondo al vastissimo giardino e s’inginocchiano,
+piangono sotto la volta del _lararium_, sostenuta da due colonne di
+stucco. Un’altra donna bellissima si è riparata in una stanzuccia
+presso il tablino, illuminata da una lampada posta in una nicchia di
+marmo bianco. Il suolo traballa. Sembra si sollevi e ricada. — Jucunda
+corre ad una larga finestra che dava nel giardino. Ma lo sportello
+è chiuso e nell’orgasmo da cui è presa non le riesce di aprirla.
+Allora si volge affannosa ad un occhio di marmo bianco che è a lato
+sull’angolo. Con un pugno ne rompe disperatamente il vetro e grida con
+quanta voce lo spavento pur le risparmia:
+
+— Suilimea! Hilaria! Mima! Sema! E tu, Thalamo!... Qua i miei bambini!
+A me! A me!... Ah! gli dei son pure spietati!
+
+L’atrio corintio, sostenuto da pilastri adorni da elegante meandri, e
+posante sur un _pluteus_ di appoggio, è crollato a metà sulle pomici
+piovute. Nel pericolo della vita, essa esce coi capelli disciolti
+e colla _palla_ trascinata. Muove verso il giardino. Tra la fitta
+oscurità urta, cade sui lapilli, si solleva furiosa, chiama i figli
+per nome, gli afferra convulsa, prende nelle braccia il piccolo Licinio
+e per la mano Animula. — Iphygenia e Nymphio, coperti da Calepio e da
+Euporo, la seguono. — L. Saginio Valga ha in fretta adunato nella toga
+una quantità di nummi di oro, di anelli, di orecchini, di perle, di
+cucchiai d’argento con altri oggetti preziosi. Vien loro incontro e
+grida che è tempo di salvarsi.
+
+Salgono nella casa addetta ai forestieri — ogni ricco pompeiano ne
+aveva una attigua, comunicante, da ciò. — Saginio fa sforzi rabbiosi
+per aprir l’uscio dal quale si scende nella strada che mena colla
+rivolta al Foro, presso il fonte della Gorgone. Urta, spinge e l’apre.
+Ma nell’atto, un pezzo di muro crolla e ruina sopra Euporo e Calepio,
+i quali vengono schiacciati sul _sigma_, triclinio semicircolare di
+estate, ch’era nel mezzo dell’atrio. La madre si volge, gitta un urlo
+straziante, mira i nati dalle sue viscere sepolti sotto le macerie e
+sviene. — Sema e Thalamo fuggono verso il Foro, spinti dal desio della
+vita. — Il marito raccoglie di peso la moglie fuori dei sensi e collo
+aiuto di Mima, di Hilaria e di Suilimea trae i dolci pegni dello amor
+suo verso l’abitazione deserta di povera gente ch’era di contro. Sotto
+la cucina aprivasi un sotterraneo con un pozzo profondo. Un largo
+_clathrus_ abbarrato da steli incrociati di ferro, all’altezza del
+petto dava luce all’antrone dal margine soprastante. Colà riposarono
+gl’infelici. — Si abbracciavano. Si chiamavano a nome disperatamente.
+E baciavano piangendo i due bambini ancor vivi, pallidi, esterrefatti.
+Miseri!...... Anche pochi istanti.... e raggiunsero Nymphio ed
+Iphygenia sulla via dolorosa che quelli prima avevano percorso.
+
+Intanto da una casa presso le mura scendono correndo per la via dalla
+fontana di Mercurio cinque persone. Thylliano Januario sorregge nei
+passi incerti Sogellia Fausta che, dentro impietrita, non piange, non
+grida, e si fa guidare come inerte cosa. Gallione e Stallio camminano
+innanzi colle faci accese. Gli segue Philonio Casto, il fratello
+di lei. Giunti in faccia alla _popina_, quelli che precedono sono
+arrestati da due cavalli e da un mulo, esciti alla impazzata dai
+_carceres_, forse poco lungi di là. Gli animali attratti dal lume
+s’imbrogliano con essi. Ad evitarli, entrano in una piccola abitazione
+contigua alla taverna. Si rannicchiano in una camera vuota ed attendono
+che il flagello mai sospettato finisca. Ma le soffitte delle stanze,
+sopracariche di basalti e di pomici, si piegano e cadono. Thylliano
+si curva in arco sulla moglie diletta per salvarla dalle offese dei
+sassi. Nella fuga aveva raccolto braccialetti, anelli d’oro e monete di
+diversi metalli. E gl’infelici tutto perdettero insiem colla vita.
+
+Poco discosto, nella via che in quei giorni selciavasi sotto le mura,
+un uomo e un cavallo avevano trovato rifugio in un largo stanzone.
+L’uomo erasi provveduto di pane. La terra si scuote. I muri si fendono.
+Un pezzo perde lo equilibrio e si rovescia sopra quell’infelice.
+Cavallo e cavaliere, sepolti dalle macerie.
+
+In una casa presso il Foro — poco lungi dalla scuola ove il successore
+di Verna pubblicamente istruiva i fanciulli di ambedue i sessi — si
+ode un fracasso di tetti e di mura che cadono. Le macerie impediscono
+la via della uscita. Il fuoco si è appigliato alle travi nella cucina
+e i turbini del fumo rotondeggiano nell’aria. Le case allo intorno
+ruinano del pari. — Una donna, scampata già, corre verso le Curie
+disperatamente ed accenna coi passi al porto vicino. — Dentro è rimasto
+un uomo più che quarantenne. I suoi pensieri erano elevati. I suoi
+sentimenti generosi. Dentro il suo cranio volgevasi uno strano dramma
+che lo faceva serio, grave, pensoso. Il mistero ei lo vedeva per tutto,
+sugli occhi della donna, sui rami fronzuti degli alberi, sui riflessi
+delle acque, sulle stelle scintillanti, sulle molecole che formano
+i macigni. E giammai aveva potuto assidersi lungo la sponda del mare
+senza sentir nel profondo uno incanto che lo attirava e lo riteneva
+forzatamente a contemplare il succedersi dei marosi che spumavano
+all’urto e si spandevano in laminette e in meandri bianchi, ricamati
+sullo azzurro. Non fu mai lo sperato, nè il marito di una donna. Non
+aveva parenti. Non liberti nè schiavi. Una sola donna — quella cui lo
+spavento avea posto ai piedi le ali — gli forniva i sobri alimenti che
+Pythagora, lo illustre filosofo di Croton, aveva prescritto coi saggi
+consigli e coll’uso.
+
+Crasso Frugi era in piedi presso un trapezoide nel _cavædium_ e con
+una mano si velava la fronte. L’altra la posava sul marmo ov’erano
+sparsi venzette nummi d’oro, cinquantuno denari e due maniglie d’oro
+di femminile ornamento. Ai suoi piedi è una giovanetta vestita di
+bianco. Era quella la sola creatura che con lui vivesse in una certa
+dimestichezza e con ricambio di affetti. Avevala un dì raccattata
+fanciulla e piangente sulla soglia di una stanza isolata, nella via di
+Dafne — lurido albergo di prezzolati amori — entro cui era distesa sur
+un letto di muro una povera donna morta.... Era la figliuola di quella
+estinta? Lo aveva supposto; ma non mai domandato.
+
+Vasto lo edificio ch’egli abitava, di fresco ricostruito e con bei
+musaici signini. Solo in tanto fastigio? Gli è che sin dalla prima età
+erasi palesemente ammogliato con una divina che chiede grande spazio
+a chi l’ama e con lei si congiunge. I poeti la chiamano fantasia. I
+filosofi, idea. Gl’imbecilli, follia. Ed io, la saviezza della mente e
+del cuore. Era la scienza della giustizia, della verità, della luce.
+
+La fanciulla raccolta erasi fatta col prendere persona l’armonia della
+sua vita e irradiava sopra di lui uno splendore particolare. I di lei
+occhi neri, aprendo sotto fini ed eleganti sopracigli le loro arcane
+profondità, erano pieni di quello incanto che sgorga dallo sguardo
+umido della donna. L’avevano chiamata Sapho nascendo.... Eh!... Pari
+alla donna illustre così nomata aveva nel cuore tracce di amaritudini e
+di dolori in germe che la sua mente scrutatrice non sapeva deciferare.
+La sua origine scrupolosamente celata era rimasta un’enimma.
+
+— Cosa è lo universo?... L’ordine. Cosa la morte?... La eguaglianza.
+Uniti nel mondo da un sentimento purissimo, punto egoista, quello
+dell’amicizia, come un solo essere ci presenteremo alla Divinità...
+Sapho... creatura innocente offertami dal cuore sui miei passi vaganti,
+noi dormiremo insieme in questo sepolcro che il Vesbio ricolma colle
+sue pomici.
+
+La giovanetta sollevò gli sguardi paurosi e pur soavi sull’uomo tutto
+di bianco vestito, che a lei parlava come in un’estasi; gli afferrò la
+mano che allor pendeva lungo la tunica e febbrilmente la baciò. E la
+desolata a lui:
+
+— Oh! Gli Dei!... Pietosi, perchè non mi lasciano morir sola!... Ma
+il nostro avello non sarà guarnito di foglie di mirto, di ulivo e di
+pioppo, come Pythagora, il taumaturgo, il divino, prescrive.
+
+— Rari gli uomini! il loro numero appena eguale a quello delle porte di
+Thebes, o delle bocche del fiume che feconda l’Egitto. Qui crescevano
+uomini non più utili al mondo, e gli Dei affogano gli animali dai quali
+ricevevano offesa. In verità, i giorni furono contati e l’ora fatale
+appressa. Apparecchiamoci da forti all’ultimo istante.
+
+— Sei tu che lo dici, o padre. Son pronta.
+
+— Lo dico e lo sento. Rientriamo in noi stessi e rimproveriamoci i
+falli di commessione e di ommessione. E cantiamo tacitamente un inno in
+onor degli Dei..... Nè lacrime, nè singhiozzi nella sventura!
+
+— Sì, nè tema, nè debolezza nel supremo pericolo. Come i discepoli
+di lui perirono in Croton, noi pure saremo divorati dalle fiamme
+medesime.... Ma... la mia gioventù è grande, o padre!
+
+— Sorgi, diletta figliuola del cuore. Prendi forza a ben morire dal
+calor del mio sangue.... Le leggi della vita sono violate... Il bacio
+estremo.... e il segno che ci distingue e ci unisce...
+
+E l’una nelle braccia dell’altro, tenendosi per la mano, entrarono nel
+sonno eterno. Ed il Vesbio coi suoi candidi lapilli compose il sudario
+sui loro cadaveri.
+
+Pythagora avea concepito un grande disegno — quello di una vasta
+congrega di uomini, esistente sempre, e sempre depositaria di scienze
+e di costumi, la quale sarebbe l’organo di verità e di virtù, quando la
+umanità fosse in istato di sentir l’una e di comprendere l’altra.
+
+Gli urli disperati avvicendano il mugghio ripetuto della natura che
+freme. Quelli che ripararono nei primi piani e non furono macellati
+dalle pietre, dalle travi e dalle tegole cadute, nè arsi dal fuoco, nè
+schiacciati dalle soffitte, nè asfissiati dalle mefite, corrono nella
+oscurità per ogni verso. Una fanciulla piange, si dispera, scambia i
+passi, si arresta, non sa dove dirigersi. Viene dalla via di Stabia.
+Quivi perdette di vista la sua fuggente famiglia. Entra nell’atrio
+di Cornelio Rufo. La casa arde. Il ferro si torceva masticato dalle
+fiamme. Sprofonda il tetto. Essa si salva. La Palestra nelle Terme è
+chiusa. Le botteghe più in su sono chiuse. Urta nella fontana dalla
+testa di Pallade. Avanza ancora e trova un uscio aperto.
+
+La casa era in riparazione. Mura squallide e non dipinte. In fondo
+i lampi frequenti le mostrano uno xysto. A manca è un _aecus_ che i
+_tignarii_ avevano poche ore fa disertato. Solida è la volta. La misera
+fanciulla si asside sur un mucchio di sabbia e piange lacrime dirotte.
+
+— I fulmini di Giove si spengono nel nostro sangue. _Heu me!_ La città
+in fiamme. Il popolo che spira sotto i rottami e nel fuoco. E i miei
+cari?... Morti!... Ed io sola qui! Che sarà di me! Venere aiutami. Oh!
+La iddia a me soccorre.... Polla ti raggiunge, o Siliginio, se pure
+anche tu sei tra gli estinti. Ah!... —
+
+La misera era caduta distesa sulla sabbia col capo penzolone, riverso.
+Aveva le mani incrociate e parea che dormisse. Forse la morte le
+fu propizia. Che avrebbe fatto nel mondo, povera e sola? Nata da
+gente _lare incerto_; la quale, obbligata a prendere in fitto le
+camerucce che abitava, tenuta nella categoria — che, pur numerosa
+era e dispregiata — degl’_inquilini_ e vivente giorno per giorno e di
+pensieri vagabondi e mal fidi, unico sollievo per Polla era la vita del
+cuore. Grazie alle illusioni dei primi affetti, Siliginio, fullone,
+era per lei, tredicenne, quella tenerezza senza limite con cui essa
+desiderava essere amata. Sotto un albero di ulivo ei le rivelò il suo
+pensiero. Ed essa sentì come un filtro soave le addolcisse il sangue
+e le invadesse la ragione. Uniti, popolavano una solitudine, ove i
+loro occhi vedevano sorgere di terra fiori incantevoli e profumati....
+Povere anime, pure, tranquille, serene, divine nelle loro speranze!
+Povere anime, dove ne andaste?...
+
+E la pioggia cadeva ruinosa e bollente.
+
+Un uomo pareva non la curasse. Discesi dalle _hibernacula_, camere
+poste al di sopra del forno, dove il misero aveva per sette mesi
+lavorato _præferratus ad molas_, esciva dal _pistrinum_ della via
+che menava alla porta di Nola, nudo, trascinante una catena col piede
+sinistro e coi capelli rasi da un solo lato. Nè grande, nè piccolo;
+quantunque la mobilità della persona impedisse di definirlo. I suoi
+pensieri ondulavano. E così egli ondulava. Brandiva colla destra
+un tridente insanguinato e tratto tratto lo piegava per terra e lo
+pigiava, lo pigiava ancora cogli occhi stralunati e feroci. Quindi,
+ridendo sgangheratamente, procedeva innanzi. Incurante le scottature
+della dermide, si fermò, si drizzò sulla punta dei piedi come per
+seguire il volo della sua povera mente e poi pianse a dirotto.
+
+— Gylo! Misero. Sei vendicato! Ma Nea è morta.... Lo infame Numisio
+mi schiantò il cuore dal petto rubandola ai miei amplessi. O mio
+sospiro! Avevi un termopolio nel cuore.... Ma l’ho cacciato ben io nel
+_pistrinum usque ad necem_ e l’ho strigliato d’importanza con questa
+_scutica de pene taurino_.... La sua donna, Eitixia, voleva difenderlo.
+Dovetti persuadere anche lei. E se mai li libererò dal penoso lavoro,
+_ego pro eis molam_!... O Nea! Ora ch’essi girano le macine, tu sei
+libera e infiorerai la mia vita di polline. Eccola...: Viene.... Ha i
+capelli annodati in spessi ricci che le coronano il capo leggiadro.
+Oh! i grandi occhi neri.... quasi dardi spuntati dalla mansuetudine
+dell’anima sua!... La terra balla. Ballano le case. — Il Vesbio fa
+boati ed illumina con faci la mia festa nuziale. Gli amici — quelli che
+soffrirono finqui — verranno a posare il gomito nel mio triclinio. Ah!
+Sono innanzi la mia magione. ...... Entriamo! —
+
+Ed il misero penetrò in una bottega della via Jovia e cadde rifinito
+sulle pomici che la ingombravano. Era rosso, tumefatto, scottato dal
+capo ai piedi. — Nel respiro affannoso borbottava male articolate
+parole e tra esse spesso mentovava Nea, il farnetico della sua mente
+smarrita, l’unico lume di quel povero cuore.... Ecco, ei ride, dà in un
+tremito convulso, si rotola sulla china che avevano formato i lapilli,
+e le ondate di pioggia lo spingono, lo affogano, lo stracciano e lo
+cuoprono. Gli uomini erano stati crudeli con Gylo. La natura pietosa
+spense il tarlo della memoria che a lento morso rodeva la sua ragione
+fuorviata e malsana.
+
+La famiglia gladiatoria non fugge. Nel momento del flagello inatteso
+molti erano nel vasto parallelogrammo, specie di chiostro circondato
+da portici, sostenuti da ventidue colonne in un senso e da diecisette
+nell’altro. Facevano gli esercizi nell’area. Il lanista nel mezzo.
+Gli allievi, dirozzati dai più provetti, _doctores tyronum_, armati di
+una spada di legno, si schermivano vivamente contro piuoli profondati
+sul terreno. La _gladiatoria sagina_ bolliva nel vasto caldaio per
+rendere con quel cibo sostanzioso più forti e più sanguigni quei poveri
+giovani. Le armi sono chiuse nel piano superiore e le chiavi le tengono
+i magistrati. I littori sono di guardia per tenere nell’obbedienza
+quella gente degradata che spende il suo coraggio avvilito al trastullo
+del popolo, e — passata la fuggevole ebbrezza — a molto mal loro grado.
+Seneca narra come un condannato a quel brutto mestiere, privo ancor
+d’armi e pur bramando meglio morire che discendere nell’arena, si
+cacciasse un bastone nella gola sino ad esserne soffocato. Così salvava
+l’onore.
+
+Sessantatrè ripararono dalla grandine infuocata nelle camere soprane.
+E quivi morirono. Quattro erano nella prigione a terreno, cui nessuno
+pensò ad aiutare. I loro piedi, chiusi nei ceppi di ferro, gli
+obbligava di stare assisi sulla nuda terra, o supini. Destino terribile
+e ben più triste che la morte dello anfiteatro.
+
+Nella parte commerciale della casa di Pansa — il cittadino illustre
+incaricato da Vespasiano a presiedere ai pubblici ludi ed a far
+rispettata la legge Petronia, impedire cioè ai cavalieri ed ai senatori
+di degradarsi nell’arena, o di farvi discendere di arbitrio schiavi
+non condannati da un formale giudizio — infamia posta in uso da Giulio
+Cesare nel 708 di Roma, epoca del suo quadruplo trionfo e continuata
+più tardi nei funerali della sua figliuola — in quella parte che
+aprivasi sulla via Domizia e nel chiassuolo dinanzi la osteria di
+Fortunata, era un _pistrinum_ colla bottega di spaccio e colle camere
+addette all’abitazione del _siliginarius_. Quivi un liberto facea
+macinare il grano del padrone, impastare la _siligo_ e cuocere il
+pane. Egli, il _pistor_, ne dava conto al _dispensator_, specie di
+tesoriere contabile che registrava in alcuni libri, detti _ephemerides_
+le entrate e le spese, minorando la cifra delle prime ed accrescendo
+quella delle seconde; rispettando però la _merces insularis_, perchè
+quel prodotto degli affitti delle case potea agevolmente rivelare il
+larcinio. Cuspio Tubero, liberto di Pansa, aveva sulla parete della
+bottega, ove vendeva le varietà del pane e della farina, una pittura
+che rappresentava il serpente simbolico — la divinità custode contro il
+mal occhio — e sotto, un mattone sul quale ardeva sempre la lampada.
+Di contro al serpe sporgeva dallo intonaco una croce nera, il segno
+riverito dai nuovi affrancatori dello spirito umano, perchè su quella
+forca dei ladri e degli schiavi era stato inchiodato il Galileo,
+apostolo della redenzione, rivelatore del grande secreto, di quella
+parola che è suprema e definitiva iniziazione umana e consolatrice
+delle anime oppresse. Nel forno, i miseri schiavi incensavano ad altro
+simbolo dei materiali godimenti. Era una immagine phallica, in rilievo,
+colorata in rosso e sotto vi avevano scritto la leggenda — _Hic habitat
+felicitas_ — Stranezze dei tempi!
+
+Gl’idolatri erano fuggiti. La superstizione — cioè, il vuoto — avea
+messo le ali ai piedi di tutti. Nello istante del pericolo il culto
+religioso diveniva dannosa ipocrisia, di cui ognun si affrancava. Grato
+Arrio, Messio Inventus, Menophilo Ancario, L. Celio Doripo, Hyalisso
+Eppio Primo, Amphio Serapa, Agatho, Perennio Merulino, N. Paccio
+Chilo, Quinto Pompeo, sacerdoti di Giove, di Venere, di Mercurio, di
+Esculapio, di Cerere, di Quirino, di Giunone, erano fuggiti dalle
+botteghe oscene dei loro mendacii profanatori. Il monte ardeva. La
+terra traballava commossa. Il mare ritiravasi dalle sponde. Il sole
+non luceva più. E i mercanti di una fede ipocrita e ladra, i quali
+avevano la impudenza per principio, il sangue e le lacrime per mezzo,
+i godimenti e l’alterigia per fine, disertarono gli altari pericolosi,
+portando con sè i preziosi redditi che le coscienze sedotte avevano
+cumulato nei templi. Ma, non uno potè riparare in loco sicuro. Quale
+per via fu derubato ed ucciso; quale ebbe il cranio infranto; quale
+fu sepolto per metà dai lapilli che lo scottavano, e nessuno volle
+arrestarsi per aiutarlo ad escir dalle pomici che il propaginavano.
+Quale fu garrito con disumano dileggio:
+
+— Chiama i tuoi numi, o _scelerum artifex_, che vengano ad aiutarti. O
+che? Sono muti o sordi per te? —
+
+Ed un altro:
+
+— Chiama la donna che tu mi hai profanata, non me. Ora soffri
+la sete di Tantalo, gli sforzi rabbiosi di Sisipho, e la ruota
+d’Issione. —
+
+Ed un altro,
+
+— Ti baciai una volta la mano sanguinosa, o impudico. Espia ora i tuoi
+falli, o furfante, ministro di Giove, parricida ed infame. —
+
+E la pioggia cadeva ruinosa e bollente.
+
+Così morirono tutti nel penoso viaggio che lo istinto della
+conservazione loro imponeva
+
+Ma Tubero non si mosse per escire. Chiuse colle tavole sovrapposte la
+bottega, accese la lampada e si prostrò dinanzi la croce. Potea farlo
+senza pericolo, senza sospetto, senza taccia di ridicolo in quell’ora
+estrema. Quel segno, conforto segreto del suo cuore, non diceva
+alla mente misteriosi ed impossibili natali, spropositi aritmetici,
+resurrezioni favolose, abbrutimento della umanità, signoria di arbitrio
+sulle cose del mondo. Quel simbolo della croce parlava una grande
+parola alle anime offese viventi e nasciture nei secoli.
+
+— Bevvi il sangue rappreso di un giusto. Sentii le scosse convulse dei
+suoi tendini lacerati. Udii l’ultimo grido del suo gran cuore: _Eli,
+Eli, lamma sabacthani!_ Maledissi alle zolle che alimentarono le mie
+radici. —
+
+Non era adunque un pugno di cemento allineato sulla parete. Era il
+ricordo delle torture patite dall’uomo che in nome del Dio unico aveva
+annunciato ai popoli la Libertà, l’aveva professata colla voce e cogli
+atti, e colle gocciole escite dalle sue vene avea scritto:
+
+«Io muoio per tutti. E questo sangue sia lavacro alle umane stirpi sino
+alla consumazione del tempo.»
+
+Tubero levò il capo raumiliato e pieno di lacrime. Aveva recitato
+un inno senza dir verbo. Aveva adorato Dio senza idolatria. Aveva
+intraveduto lo infinito, la potenza arcana da cui dipendiamo. E quel
+fiore della fede esciva odoroso dalle ruine di una città, siccome più
+tardi avrebbe germogliato sulle ruine di un mondo panteista, che anche
+una volta deve morire e — giovi sperarlo — per sempre.
+
+Pochi istanti dipoi, e la mefite penetrò colà dentro. Uno sguardo
+d’ineffabile melanconia. Un sorriso di trionfante fiducia... Tubero era
+morto....
+
+E al di fuori la pioggia cadeva ruinosa e bollente.
+
+Alla fine ristette. Dopo alcune ore di tremenda agonia e d’indicibili
+strazi il funesto fenomeno si tranquillò, si tacque. La terra non
+oscillava. Il Vesvio più non fremeva. Calma, silenzio e tenebre. Allora
+i riparati nelle parti più alte delle case escirono dalle crepacciate
+mura e dai tetti infranti ed aperti. E gittatisi sullo strato dei
+lapilli che alzavasi per parecchie braccia sul selciato, cominciarono
+a correre a precipizio verso le porte colla speranza di salvarsi a
+Nuceria od a Stabia, o verso la piaggia marina. Ma, molti infelici
+rimasero per via fracassati dalle pietre fuor di equilibrio che
+cadevano loro addosso, od asfissiati dalla mefite che sprigionavasi dal
+suolo fumante.
+
+Nella via di Dafne, un uomo alto della persona è già in piedi. Stende
+le braccia e vi accoglie la sua figliuola undicenne. La depone sulle
+pomici inzuppate e livellate dalle acque e leva di nuovo le mani per
+aiutare la moglie a discendere. Si cuoprono il capo, si avvolgono il
+manto attorno il braccio sinistro ed il corpo per essere più liberi
+nella corsa. L’uomo raccoglie una borsa di pelle ove avea chiuso un po’
+di danaro, un anello e gli orecchini d’oro, dà un bacio sulla fronte
+scolorata della figliuola, chiamandola,
+
+— _Salve, o dulce pignus._ —
+
+e s’incammina. Era in su i cinquant’anni. Grossi baffi ombreggiavano il
+suo labbro superiore. I _femoralia_ cuoprivangli le cosce e le gambe.
+Aveva nel mignolo della destra lo anello di ferro delle sue nozze.
+Sotto i sandali allacciati erano chiodi per fare la _solea_ più forte.
+Quel suo piglio risoluto e marziale lo fa supporre uno dei veterani
+coloni, venuto dal Pago Felice al mercato colla sua famigliuola. Anche
+la moglie ha un anello di ferro. Scambiano pochi passi. Avanzano sulla
+crocevia e cadono. L’uomo, supino. Le donne, a quattro braccia di
+distanza, incrociando le gambe insieme e a traverso della strada. La
+madre solleva una mano increspata dall’agonia e si sdraia sul fianco
+destro. La figliuola cade a sinistra ed appoggia mollemente il capo
+sulle due mani ed alza la gamba ed il piede nell’ultimo moto dei
+tendini.
+
+Più in giù, verso le Terme una matrona cammina arditamente. Anch’essa
+forse si gittò da un tetto sulla via. Aveva chiuso in un manto due
+vasi di argento, alcune chiavi, novantuno monete, orecchini, fibule ed
+altre minute cose. La mefite a lei tolse il respiro e cadde sul gomito
+sinistro col capo appoggiato a diritta e colle gambe e le braccia
+contratte dall’agonia. Orribili sofferenze le sue!
+
+Siccome un liquido che bolle entro un caldaio pel soverchio del calore
+sollevasi rigoglioso verso gli orli, e gl’invade, e gl’innonda, e gli
+supera; così una infuocata materia cominciò a rifluire da tutte le
+parti del Vesvio e rovesciò ruinosamente sulle sue spalle, pari a larga
+fiumana. Frequenti baleni con terribili detonazioni squarciavano le
+fitte tenebre. Ed un nembo di cenere cominciò a cader sullo spazio. E
+sopra il golfo correva verso Capreas un nuvolo denso per entro il quale
+vedeasi tratto tratto una gran fiamma in tutta la sua lunghezza. La
+quale, ora chiarissima, ora rossa di sangue, lanciava fuori fiammelle
+in varie lingue e figure, ondeggiando, balenando, tuonando, e vibrando
+fulmini al cielo. Succede una terribile scossa. La terra si fende. E da
+quello squarcio escono fiamme e fumo. E l’orlo si allarga, s’innalza,
+si colma e prorompe. In alcune parti putrido fango esce dal suolo
+aperto.
+
+E le ceneri piovono fitte, oscure, impalpabili e continove.
+
+Nella notte, in due tremendi scrosci parve che il globo crollasse dalle
+sue basi. Era il Vesvio che scompariva tra i fulmini e il grandinar
+dei macigni; e alle falde del vecchio monte spaccato ed inghiottito
+sorgeva in poco tempo una nuova fucina di sassi, di pomici e di lava
+che ricostruivano il Vesuvio ardente dove ora si trova. E il gorgoglio
+cupo, continovo, profondo commoveva in tempesta le acque del cratere
+partenopeo.
+
+Allorchè scoppiò la grande eruzione ed il fumo assunse la forma di un
+pino colossale sull’orizzonte, Plinio, che comandava la flotta romana
+in Miseno, giaceva nel letto e studiava. Avvertitone dalla sorella e
+dal nipote, si levò e salì sur un terrazzo elevato per osservar meglio
+il prodigio. Dotto uomo, curò esaminar da vicino la strana catastrofe.
+Una nave leggera è già pronta. Esce di casa colle tavolette nelle mani,
+s’imbarca, quando i _classiarii_, cioè i soldati della flotta che erano
+in Retina, vengono a pregarlo gli salvi dal grande pericolo. Ciò che
+prima era in lui curiosità di scienziato, divenne dovere di capitano.
+Fa che le quadriremi si apprestino e parte verso tutti i borghi della
+costa onde dar loro soccorso. Nello accostarsi a Pompei — ove il
+pericolo gli parve maggiore — le ceneri calde erano più spesse. Il mare
+rifluiva dalle sponde le quali erano inaccessibili pei pezzi interi
+di montagna di cui erano coperte. Il piloto il consigliava di tornare
+indietro. Cui Plinio rispose,
+
+— _Fortes fortuna juvat. Pomponianum pete._ —
+
+Or questo Pomponiano era il comandante delle triremi che stanziavano in
+Stabia. E forte impaurito del cataclisma, avea fatto trasportare i suoi
+mobili sulle navi ed attendeva un vento meno contrario per levare le
+ancore. Plinio lo accosta, lo abbracciagli fa cuore. E per me’ riescire
+allo scopo, ordina gli apparecchino un bagno. E presolo, cena colle
+apparenze della gaiezza abituale. I fuochi del monte illuminavano il
+triclinio. Gli astanti tremavano, credendo al finimondo.
+
+— Rassicuratevi, amici. Quelle grandi fiamme vengono dalle amene ville
+che disertate dagli abitatori bruciano, perchè senza soccorso. —
+
+Quindi si sdraia sul letto e dorme un sonno profondo. Ma, finalmente
+la corte che dava accesso alla sua camera si empie sì fattamente di
+cenere e di pomici che gli avrebbero vietato la uscita se più avesse
+tardato. Lo destano. Esce. E raggiunge Pomponiano e gli altri che
+aveano vegliato. Tengono consiglio. Le frequenti scosse del suolo
+scardinavano la casa dalle fondamenta. Fuori, la pioggia dei sassi,
+quantunque leggeri e disseccati dal fuoco, era a temersi. Bilanciati i
+due pericoli, fu deciso di rimanere nella rasa campagna.
+
+Tutti escono dalla casa. Cuoprono il capo di guanciali, tenuti fermi
+sul mento con legami. Albeggiava. Ma, nel posto ov’erano continuava
+la notte profonda e la più scura di tutte le notti, schiarata solo
+da un gran numero di fiaccole e da altri lumi. Si stimò prudente lo
+accostarsi alla riva per esaminare da presso il mare. Le onde erano
+furiose ed agitate dal vento contrario.
+
+Plinio chiese dell’acqua e bevve due volte. Fece distendere un tappeto
+per terra e vi si assise. Le fiamme si accrebbero. E l’odore di zolfo,
+annunciando il loro avvicinarsi, fece che tutti se la dessero a gambe.
+L’uomo dotto avrebbe voluto studiare quello sconvolgimento della
+natura. Non lo potè fare. Ordinò a due servi il sollevassero; chè,
+obeso era di corpo ed asmatico. Ricambia qualche passi. Ma, non può
+correre. Gli esorta dunque a partire e salvarsi. Egli si curva e muore.
+Una nube di zolfo circondandolo, lo avea soffocato.
+
+E la cenere copiosa, sottile ed oscura cadeva sempre.
+
+Molti pompeiani si erano salvati dirigendo i passi in sul primo
+scoppiar del flagello verso il porto e le sue adiacenze. Quando le
+acque assorbite dalla forza dell’igne che saliva dal centro della terra
+prosciugarono le sponde, ed il mare rifluì impetuosamente lontano, le
+triremi e le piccole barche si curvarono sui fianchi nell’arena. Ognuno
+incoraggiato dall’altro corse sul canale a piede asciutto e come meglio
+potè, si cacciò sulle navi. Oh! la confusione di quello istante! L’uomo
+nei grandi pericoli è egoista. Vi furono padri che disputarono ai
+figli la corda per salir su! Vi furono madri coi lattanti sul braccio
+che niegarono aiuto ai più adulti per salvare l’ultimo nato dalle loro
+viscere! E vecchi cadenti rifiutati! E amanti sbracciarsi per far salva
+la idoleggiata dal loro cuore colla perdita dei propri parenti! E donne
+stendere un remo e tirar su con forza non pria creduta lo eroe dei cari
+entusiasmi, il sorriso delle gioie più intime! A ciascuno pareva di
+avere innanzi a sè alcuni secoli a vivere e ne accaparrava le delizie
+ed i redditi. Eh!... Dei secoli avevano sulla persona e sulle vesti la
+polvere che in forma di sottilissima cenere pioveva, pioveva sempre!
+
+Ecco il mare respinto che torna impetuosamente nei suoi dominii. I
+marosi urtano, spingono tutto che trovano sulla loro via, uomini e
+cose. La folla ancor sul canale annega e si straccia sotto le carene
+irrompenti. Alcune barche si sfasciano. E le onde feroci nel loro
+riflusso trascinano confusamente la facile preda. — La ferocia del mare
+è una verità! È la passione alle prese colle sue vittime. Vedi montagne
+mobili e colline di acqua che si urtano insieme e si spezzano con alto
+fracasso. Ora i cavalloni spumosi e fosforeggianti levavano i triremi,
+i rottami e i cadaveri sull’erta di un’Alpe. Ora scaraventavano tutto
+per la china nella valle profonda. Ora nello ascendere accadeva uno
+scontro; e tra gli spruzzi e le ondate sonore, il misero schifo
+affondava nello abisso e la più grossa nave trovava la via dello
+scampo. E dentro?... Oh! Dentro poi, musica e agrume di vomiti, membra
+infrante ed uomini balzati nelle onde, grida di marinai e pianti
+miaulati di donne, sordi urli del vento, muggiti, fischi, spettacolo di
+morte!
+
+Alcuni che si avviavano al porto, alla vista di quello esterminio
+rischiarato dalle grandi fiamme del monte, se ne ritrassero impauriti e
+corsero a salvarsi sulla collina ove si costruiva un tempio dedicato ad
+Augusto.
+
+Il vecchio Svedio era nel numero. I servi, i clienti, gli adulatori
+nello istante del supremo pericolo lo avevano lasciato solo. Adiposo
+e grave, aiutato da qualche passante superò gli ostacoli sulla larga
+via delle fontane di Pallade e dell’Abbondanza. Riprese fiato sotto
+la volta della porta della Marina. E poi, in su cogli altri. Pensava
+fra sè che i suoi giorni erano contati e che ben presto il suo cuore
+cesserebbe di tormentarlo. Si assise dietro un muro sul capitello
+di una colonna ed attese i decreti del Fato. Corsi alcuni momenti,
+gli accenti desolati di una fanciulla lo volsero alla parte d’onde
+venivano. La chiamò e la invitò a sedergli accanto.
+
+— O chiunque tu sia, ho paura.... Tieni, dammi la promessa di non
+farmi morir sola. I miei, morti, o salvati. Era con essi.... e
+disparvero. —
+
+E piangeva e singhiozzava disperatamente.
+
+— Infelice! Non morrai. Dove io andrò, e tu verrai, o misera.
+
+— Ma nell’Erebo no, sai? I miei genitori dicevano che colà vi è qualche
+cosa migliore della vita. Ma... in questo istante supremo in cui
+lo spirito trionfa, il sangue mi dice di non andare, la gioventù mi
+ritiene.... la partenza dal mondo mi sembra sinistra.... E poi colà
+abitano i numi.... crudeli... spietati.
+
+— Gli dei ti ascoltano ed avranno pietà di una innocente. Io
+ebbi aspirazioni diverse da quelle che or provo. Ora io desidero
+semplicemente, sinceramente di vivere per aiutarti. Cessa dal piangere
+i tuoi. Tu diverrai la mia figliuola, la consolazione del vecchio
+Svedio nell’Urbe, se....
+
+Uno scroscio immenso gli troncò le affettuose parole sul labbro. La
+bambina si chiuse nelle sue braccia e mormorò sull’ampio suo petto:
+
+— Ecco, ecco la morte.... colla sua falce assetata!.... O madre mia!
+
+— Quei che t’amano.... o che ti amarono ti raggiungeranno.... o ci
+accoglieranno negli Elisi. —
+
+Un’onda di cenere li circondò, li coprì, li tolse dallo sguardo
+dei fulmini che solcavano l’aria. E il dialogo di due cuori, l’uno
+sconosciuto e l’altro illustre, fu rotto per sempre.
+
+Poco discosto dal gran giustiziero avea trovato mezz’ora innanzi
+rifugio Quinto Lepta, lo antico amante di Byrrhia, la vedova consolata
+del duumviro Aulo Vezio. Appoggialo al muro laterale della Basilica,
+teneva stretta sul petto una donna cui baciava convulsivamente la
+fronte e i capelli. Tra i dolci nomi ch’ei proferiva nel suo dolore
+udivasi mormorare Amaredia.... E Byrrhia? La soave creatura aveva
+vissuto la stagion delle rose, ed un giorno partì per riabbracciare
+nel Tartaro l’ombra tradita del coniuge suo. — Le tristezze dell’animo
+non duravano a lungo in Pompei. Lepta era in su i quarant’anni. E
+contemplando con una tal quale curiosità in uno _speculum_ di argento
+brunito quel personaggio misterioso ed ignoto per ciascuno di noi che
+addimandasi sè stesso, vide alcune rughe ed alcuni fili d’argento che
+facevano ingiuria alle nere sue chiome. Lo amore è la fede. Conveniva
+legar l’uno e l’altra e non perderli. Diede ai suoi occhi quella serie
+di espressioni animate, desiose, attente cui la psiche risponde. E
+Amaredia, della famiglia Rufa, ignara della scienza della vita, si
+avviluppò di quella passione ch’era una _stola_ per lei, e lo sposò.
+Erano allora illuminati dal languido chiarore della prima luna....
+Quella luce serena doveva ben presto offuscarsi! Dopo alcune ore
+passate in trepidanti smanie, in imminenti pericoli, in cui i dolci
+ricordi si arruffavano colle incertezze dello avvenire, Lepta potè
+trarre in salvo la donna, per cui sentiva cara la vita. Ma da una
+varietà di sciagura era caduto in un’altra. Ambedue coi piedi sepolti
+nei lapilli e coperti a metà dalle ceneri che cadevano loro sul capo,
+attendevano in un estremo bacio la morte.
+
+— _Tecum vivere amen. Tecum obeam libens._
+
+E la bella dai capelli non lucidi e dalle pallide gote accorse allo
+invito. Ed il raggio dello amore immortale gl’irradiò coll’aureola dei
+martiri.
+
+Il ridestarsi del vulcano dal sopore dei lunghi secoli, compiendo
+l’ultima rovina della mia gentile Pompei, accomunò le istesse sorti
+agli oppidi, ai borghi e alla grande artistica città di Herculanum che
+componevano una graziosa ghirlanda ai piedi del Vesvio. Da per tutto il
+suolo traballò come baccante briaco. I sopravvissuti si salvarono per
+mare verso Surrentum, Capreas, Neapolis e Misenum. Il maggior numero
+che prese le vie di terra, le trovò aperte ed eruttanti putrido fango;
+od interrotte in tutte le direzioni dai torrenti di acqua assorbita
+e vomitata dal monte e da alti incendii e da vastissime fiamme che in
+molti punti del vulcano splendevano. E tutti morirono. Herculanum restò
+sepolto sino al tetto dei secondi piani dei suoi nobili edifizi da un
+cumulo di acqua e di ceneri, or divenuto tufo assai duro, e poi, per
+una assai maggiore altezza dalla pioggia ulteriore delle ceneri, dei
+sassi e delle pomici sciolte.
+
+Plinio il giovane, nipote dello ammiraglio, ch’era rimasto colla
+madre in Misenum per ordine dello zio, descrisse a Cornelio Tacito
+ciò che avveniva nel luogo ov’era, il dì poi della catastrofe. Cotesto
+frammento di lettera s’innesta di per sè sulle pagine precedenti.
+
+«.... Era la prima ora del giorno, e ancor non appariva che un debole
+chiarore, pari al crepuscolo. Allora le case furono disordinate
+da sì forti scosse che non fu più sicuro lo stare in un luogo per
+verità scoperto, ma molto stretto. Risolvemmo di lasciar l’oppido;
+il popolo spaventato ci siegue in folla, ci attornia, ci spinge. E
+scambiando la paura in prudenza, ciascuno modella la propria sicurezza
+su quella degli altri. Esciti dallo abitato, ci fermiamo. E là, nuovi
+prodigi, nuovi sgomenti. I veicoli che avevamo con noi erano ad ogni
+istante agitati, quantunque in rasa campagna; e non si poteva neppure
+collo aiuto di grosse pietre fermarli nel posto. Il mare, parea, si
+rovesciasse sopra sè stesso, come fosse cacciato via dalla sponda dal
+moto della terra. E nel vero, la riva erasi fatta più larga, e sulle
+sabbie erano diversi pesci rimasti a secco. D’altro lato, una nugola
+nera ed orribile, squarciata da fuochi che si slanciavano serpeggiando,
+mettea fuori lunghi razzi simili a lampi, ma di questi più grandi.
+Nell’atto un amico di mio zio, venuto allora allora di Spagna, tornò
+per la seconda volta ad insistere:
+
+» — Se il fratel vostro, se il vostro zio è ancor vivo, si augura
+al certo che voi vi salviate. Se gli è morto, volle che a lui
+sopravviviate. Che più attendete? Perchè non scampate? —
+
+»Noi gli rispondemmo;
+
+» — Non possiamo pensare alla nostra salute finchè saremo mal certi
+della sorte di Plinio. —
+
+» Lo Spagnuolo senza ritardo cercò lo scampo in una fuga precipitata.
+Quasi subito la nube cade a terra e cuopre il mare. Ci nasconde l’isola
+di Capreas che avviluppava e ci fa perdere di vista il promontorio di
+Misenum. Mia madre mi prega, mi scongiura, mi ordina di salvarmi come
+che sia. Io il posso alla mia età. Non essa, carica d’anni com’è e
+grave di forme. La morrebbe contenta se non mi fosse cagione di morte.
+Or io le dichiaro che non v’ha salute per me senza lei. Le prendo
+la mano e la forzo ad accompagnarmi. Lo fa con pena e si rimprovera
+di ritardare i miei passi. La cenere ci cadeva addosso quantunque in
+piccola quantità. Volgo il capo e veggo dietro di noi uno spesso fumo
+che ci segue e si spande sulla terra come un torrente. Dico a mia
+madre:
+
+» — Finchè luce, lasciamo la grande strada per tema che la folla
+inseguente non ci soffoghi nelle tenebre. —
+
+»A mala pena eravamci scostati, la oscurità divenne sì fitta, come
+non già in una notte fosca e senza luna, ma in una camera ove tutte
+le lampade fossero spente. Non avresti udito che lamenti di donne,
+gemiti di fanciulli, grida di uomini. L’uno chiamava il padre. L’altro
+il figliuolo. L’altro, la donna sua. E non si riconoscevano che dalle
+voci. Quale deplorava la sua disgrazia. Quale, la sorte dei suoi
+parenti. Ve n’erano persino a cui il timor della morte faceva invocare
+la morte. Molti imploravano il soccorso degli dei. E molti credevano
+non ve ne avesse più. E quella l’ultima ed eterna notte in cui il mondo
+sarebbe sepolto. Eranvene altresì di quelli che aumentavano il timore
+ragionevole e giusto con paure immaginarie e chimeriche. E dicevano che
+in Misenum questo è caduto e quello arde. E lo sgomento dava peso alle
+loro menzogne.
+
+» Apparve alla fine un bagliore che annunciava — non il giorno — ma lo
+approssimarsi del fuoco che ci minacciava; si arrestò pertanto lungi da
+noi. Reddiva la oscurità e la pioggia di cenere ricomincia più forte e
+più spessa. Eravamo ridotti a levarci di tempo in tempo e scuotere le
+vesti; senza ciò ci avrebbe coperti e inghiottiti. Posso menar vanto
+che in mezzo a tali pericoli, non dissi verbo, non mostrai debolezza.
+Era sostenuto da quella consolazione poco ragionevole — quantunque
+abituale nell’uomo — il credere che tutto lo universo perisse con
+me. Finalmente lo spesso e nero vapore si dissipò, e a poco a poco si
+perdette come fumo o come nuvola. E poi apparve il giorno ed anche il
+sole, giallognolo però come in una ecclissi.
+
+» Tutto ci parve cangio. E nulla era se non coperto sotto monti di
+cenere come di verno sotto la neve. Torniamo a Misenum. Ciascuno vi
+si aggiusta come può. E noi vi passiamo una notte tra il timore e la
+speranza — lo spavento però usurpando la parte maggiore. — Imperocchè
+il tremuoto continovava sempre. Non si vedevano che genti impaurite
+coltivare il proprio sgomento e quello degli altri, con sinistri
+presagi. Non ci venne mai però il pensiero di ritirarci finchè non
+avessimo avuto le novelle dello zio, malgrado che fossimo ancora in
+attenzione di un pericolo così tremendo, visto sì da vicino.»
+
+La catastrofe durò tre giorni. La cenere corse largo spazio. Si legge
+fosse volata in Africa. Certo, i Romani l’ebbero sui sette colli e
+temettero il disordine nei pianeti; cioè, che il sole cadesse sulla
+terra per spegnersi; e la terra salisse nel vuoto per incendiarsi.
+Quando la natura si acquetò, ed il mare si fece più calmo, e il
+disco raggiante potè mostrare il suo eterno sorriso a queste desolate
+contrade, Pomponiano tornò su quel posto ove il suo capitano era morto.
+Plinio era disteso sul tappeto in attitudine d’uom che dormisse.
+
+Gli scampati da Pompei tornarono sul suolo della terra natia. Ma, come
+diversa da quella che era! Una grave mora di lapilli e di cenere!
+Una collina grigiastra d’onde tratto tratto sorgeva una colonna
+infranta, un capitello, un muro sporgente e senza forma.... i segni
+di un cimitero immenso!... Morte! Morte parziale però, e meglio una
+nascita che una morte. Il passaggio di larva a crisalide, un seguito
+di metamorfosi al servizio della vita generale. Rapidità. Fissità.
+Eternità. Il fil verde sotto le nevi cadute. — Oh! le lacrime! Oh! gli
+omei di quei miseri! Indarno cercavano su quel piano le dimore ov’erano
+nati, ove giacevano sepolti i cari congiunti, ov’erano celati gli
+oggetti più preziosi e più cari. Alcuni disperati grattavano le pomici
+colle unghie, sperando calmare lo schianto dell’anima nel riveder le
+sembianze morte, quale dei figli, qual dell’amante. E nella impotenza
+si carpivano i capelli, si dilaniavano il volto, si stracciavano le
+vesti. Miseri! ahi, miseri!
+
+I più ricchi, calmata la prima passione, vennero con schiavi compri a
+praticare alcuni pozzi, sostenuti da tavole puntellate, per riavere
+i loro marmi, le loro statue, le loro gemme, i loro denari. Cotesto
+fatto creò una industria di disseppellitori, i quali rubarono quanto
+trovarono. Ed in una casa in riparazione nell’atto del cataclisma,
+piena di marmi pregevoli da collocarsi, aggiunsero persin lo epigramma,
+scrivendo colla punta ΔΟΥΜΜΟC ΠΕΡΤΟΥCΑ presso l’uscio, dopo averla
+forata per ogni verso. Quel mestiero da talpe fu proficuo a parecchi;
+chè, ogni casa fu visitata; e particolarmente quelle delle agiate
+famiglie e le botteghe, ove supponevasi fosse rimasto il peculio. E
+fu ad altri letale. I ladri isolati, chiusi dalle facili frane dei
+lapilli, perdettero il respiro e la vita ed il sepolcro servì loro di
+carcere.
+
+Tito Vespasiano trasse per sorte dal numero dei cittadini consolari
+i procuratori per dar ordine agli inconvenienti occorsi e con molta
+pecunia soccorrere le popolazioni del littorale, prive delle loro
+case e dei loro campi. Nella mente di Cesare era il pensiero di
+sgomberare lo abitato e di ricostruirlo come in antico; ed i beni di
+quelli ch’erano stati oppressi dallo straordinario incendio e dal più
+straordinario seppellimento — dei quali non si ritrovassero gli eredi
+legittimi — fossero assegnati al rifacimento delle cose guaste e delle
+genti afflitte. Ma, i dignitarii, esaminati i luoghi sotto il vulcano
+che potea un dì o l’altro ricominciar la catastrofe, stimarono che la
+ingente spesa la sarebbe perduta. Lo imperatore non vi pensò su più che
+tanto. Le erbe ben presto germinarono sulla collina che copriva Pompei.
+Le vigne e gli alberi ne usurparono il posto a contrasto. Sursero sopra
+le case dei villici. Ai secoli successero i secoli. E le generazioni
+perdettero per sino il ricordo che il suolo dal loro aratro solcato era
+il coperchio di una nobile tomba.
+
+L’uomo è fatto così. Facilmente è distratto ed oblia.
+
+Aveva dieciotto anni quando venni la prima volta a visitare la
+dissepolta città. Vi tornai più tardi per Garibaldi e con Garibaldi. Il
+suo aspetto ebbe sempre per me qualche cosa di attraente, di fuggevole,
+di misterioso che attizza potentemente le fiamme del cuore. A furia di
+contemplare con riverente affetto le dirute cose io finii per disvelare
+secreti che i molti non vedono. E qui provo rivelazioni inattese e
+faccio conoscenze gradite che tanto piacciono all’anima mia.
+
+Dopo il discoprimento di Pompei molte parole furono dette sopra il
+suo funebre lenzuolo e sulle rotte e vaghe sue membra. La fredda
+temperie del sepolcro le ha tutte diacciate. Le pagine che ho scritto
+conserveranno forse un po’ di calore nello amato cadavere. Io raccolsi
+il sangue delle ferite ond’essa morì. Feci tesoro dei suoi aneliti
+estremi. Afferrai la parte taciuta della sua vita, e l’ho rivelata ai
+pietosi che gitteranno lo sguardo su queste povere carte.
+
+
+ FINE.
+
+
+
+
+INDICE DEL VOLUME.
+
+
+ DUE PAROLE SU QUESTA SECONDA EDIZIONE Pag. 1
+
+ I. I TEMPLI. Scene religiose in Pompei. — (Anni di Roma
+ 673. — Anni avanti il Cristo 84) 3
+ II. LA CAMPAGNA. Scene della vita rustica. (Anni di Roma
+ 695. — Anni avanti il Cristo 59) 25
+ III. IL FORO. La elezione dei Magistrati in Pompei. — (Anni
+ di Roma 705. — Anni avanti il Cristo 49) 47
+ IV. LA STRADA. Scene diurne in Pompei. — (Anni di Roma
+ 767. — Anni del Cristo 44) 75
+ V. LA BASILICA. Una condanna a morte. — (Anni di Roma
+ 770. — Anni del Cristo 17) 99
+ VI. LA NECROPOLI. Scene di funerali. — (Anni di Roma 779.
+ — Anni del Cristo 26) 125
+ VII. I TEATRI. Scene di distrazione. — (Anni di Roma 812.
+ — Anni del Cristo 59) 147
+ VIII. LA STRADA. Scene notturne in Pompei. — (Anni di Roma
+ 825. — Anni del Cristo 72) 177
+ IX. VENVS PHYSICA. Scene del cuore. — (Anni di Roma 826.
+ — Anni del Cristo 73) 201
+ X. IL CATACLISMA. Scene del novissimo giorno. — (Anni di
+ Roma 832. — Anni del Cristo 79) 281
+
+
+
+
+
+Nota del Trascrittore
+
+Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
+senza annotazione minimi errori tipografici.
+
+
+
+*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK 76652 ***
diff --git a/76652-h/76652-h.htm b/76652-h/76652-h.htm
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+ <title>Pompei | Project Gutenberg</title>
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+<body>
+<div style='text-align:center'>*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK 76652 ***</div>
+
+<div class="booktitle">
+<h1>
+POMPEI.
+</h1>
+</div>
+
+<hr class="silver">
+
+<div class="titlepage">
+<p class="x-large">
+C. AUGUSTO VECCHJ.
+</p>
+
+<p class="pad2 main-t">
+POMPEI.
+</p>
+
+<p class="pad2 large">
+SECONDA EDIZIONE,<br>
+<span class="small">RIVEDUTA E AMPLIATA DALL’AUTORE.</span>
+</p>
+
+<p class="pad4">
+<span class="large g">FIRENZE.</span><br>
+SUCCESSORI LE MONNIER.<br>
+<span class="small">1868.</span>
+</p>
+</div>
+
+<div class="verso">
+<hr class="mid">
+<p>
+Proprietà letteraria.
+</p>
+<hr class="mid">
+</div>
+
+<div class="somm">
+<hr>
+<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p>
+<hr>
+</div>
+
+<figure class="figini"><a id="fill-0-005"></a>
+ <img src="images/ill-0-005.jpg" alt="DIS MANIBUS POMPEIANORUM">
+</figure>
+
+<div class="chapter">
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_1">[1]</span>
+</p>
+
+<h2 id="prefazione">DUE PAROLE SU QUESTA SECONDA EDIZIONE.</h2>
+</div>
+
+<p>
+È nel mondo una nobile e poetica scienza, la quale
+risveglia i morti — strappa dalle loro ossa i secolari lenzuoli — gli
+aiuta ad escir dai sepolcri — e, rimpolpati
+e rifatti, gli veste graziosamente dei loro pepli, delle
+loro tuniche, delle loro stole, delle loro clamidi leggere.
+Nè ancor paga, cotesta fata benefica raccoglie nel vasto
+carnaio una infinità di oggetti svariati e belli, coperti
+dalla polvere dell’obblio, e gli restituisce a quelli che
+un giorno li maneggiarono. Quindi, sorretta dal suo
+fine criterio e dai consigli di una illustre sorella, rifà
+vivi uomini e cose dinanzi alla riscossa e curiosa fantasia.
+</p>
+
+<p>
+Le due parenti — l’Archeologia e la Storia — a
+me soccorsero nell’arduo tentativo di questo nuovo genere
+di letteratura italiana che per la seconda volta offro
+ai lettori. Le iscrizioni graffite e i ruderi eloquenti
+operarono il resto.
+</p>
+
+<p>
+Le varie epoche dei racconti sono istoriche. Istorici
+i nomi di quei che parlano e agiscono, possibilmente
+e quasi sempre collocati sulla scena che loro fu
+<span class="pagenum" id="Page_2">[2]</span>
+propria. Molte frasi ch’escono da quelle bocche le deciferai
+sulle pareti, mute per dieciotto secoli.
+</p>
+
+<p>
+Ho abitato, dì e notte, per cinque mesi continovi la
+città dei morti. Ed i morti risposero alle mie premurose
+e studiate evocazioni.
+</p>
+
+<p>
+Al pari degli antichi artisti di sangue pelasgo-italiota
+non lavorai pei ricchi o per piacere ai potenti, sì, pel
+Dio unico, per la Libertà, per la Patria.
+</p>
+
+<p class="indl">
+<i>Di Pompei, ai 25 marzo 1865</i>
+</p>
+
+<p class="indr">
+<span class="smcap">C. Aug. Vecchj.</span>
+</p>
+
+<hr class="silver">
+
+<div class="chapter">
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_3">[3]</span>
+</p>
+
+<h2 id="cap1">I TEMPLI.
+<span class="smaller">SCENE RELIGIOSE IN POMPEI.</span></h2>
+
+<p class="center"><b>Anni di Roma 673 — Anni avanti il Cristo 81.</b></p>
+
+<p class="center pad2">
+AL MINISTRO DEI CULTI IN ITALIA
+</p>
+
+<p class="center">
+GIUSEPPE PISANELLI.
+</p>
+
+<p class="center">
+I.
+</p>
+</div>
+
+<div class="chapter">
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span>
+</p>
+</div>
+
+<p>
+La notte volge alla metà del suo corso. Erano gli ultimi
+giorni di febbraio. Soffiava lo scirocco, uno di quei venti caldi
+ed umidi che sopraccaricano il corpo di fatica e l’anima di
+eccitazione. — Sul firmamento non una stella. — Al basso
+udivasi il fragore monotono e cupo che fa il mare agitato rompendosi
+con impeto sugli scogli e sui ciottoli rotondati. Anche
+la terra sembrava sprofondata nella tristezza temporanea di
+quelle regioni scosse e rimbalzanti sovente dai gassi sotterranei
+dell’igne eterno. — Genti meno preoccupate di quelle
+cui si parava dinanzi un simile quadro non avrebbero potuto
+non esserne impensierite.
+</p>
+
+<p>
+Due uomini camminavano l’uno accanto dell’altro. Non
+parlavano. Esciti dalla porta occidentale che menava ad Herculanum,
+costeggiarono le mura a dritta sulla via per cui si
+andava a Sarnus, senza traversare Pompei. E non le lasciarono
+che nello avviarsi per una strada male incassata che
+menava sulla collina. In una rivolta, uno di essi battè il ferro
+sur un pezzo di silice, bruciò un poco di amianto inzolfato
+sull’esca ed accese una lanterna di bronzo senza coperchio.
+Egli era vestito di una trabea di porpora con fasce di scarlatto. — I
+capelli già grigi lasciavano scoperta la sua energica
+fronte, illuminata da un occhio solo. Ma quell’unico, e le labbra
+sottili, e il naso aquilino, e la fredda impassibilità del
+viso accentuato, facevano chiara, in un destro osservatore,
+la furberia della mente e la impudenza del cuore. — L’altro
+era un uomo in sui cinquant’anni: di quegli esseri dalle gote
+<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span>
+infossate e di colore olivastro, dallo sguardo ora spento, ora
+eccitato, a seconda della passione unica che or desta consolazioni,
+ora dubbi, ora timori. Aveva sul capo un piccolo berretto
+di lana bianca, ed uno scuro mantello coprivagli la persona.
+Poco sensibile al disonore e alla infamia, tutti i mezzi
+gli erano sembrati onesti per formarsi un peculio e riscattare
+la sua libertà: prostituzione, ladronecci, complicità alle abbominazioni
+del padrone, usure. Egli chiamavasi Pothus. — Ma
+siccome era stato schiavo di M. Plazio, rimase pur schiavo
+dell’uso, che voleva il nome dello antico padrone precedesse
+il suo proprio. Laonde nel sigillo con cui marcava ogni sua
+cosa era scritto: PLATIUS POTHVS. — Esercitava la mercatura.
+Vendeva stoffe che faceva venire di Taranto e dall’Oriente.
+Egli riceveva merci dalle città commercianti della
+Campania, e specialmente da Nola, da Acerra e da Nocera, e
+le spediva lontano. — Ora a lui premeva, pria di spedire un
+grosso carico in Egitto, saperne la fortuna, interrogandone
+un aruspice. Erasi pertanto indirizzato a Taranis, e questi gli
+aveva indicato l’ora ed il luogo nel <i>pomærium</i>, sopra un posto
+elevato, per cercare gli auspicii.
+</p>
+
+<p>
+Cotesta geldra d’impostori non apparteneva a nessun collegio
+dei sacerdoti latini, nè ad alcuna gerarchia religiosa. La
+impudenza gli aveva cacciati innanzi. La stupidezza gli aveva
+accolti. Lo interesse pauroso li carezzava. — Essi avevano doppie
+funzioni: predicevano lo avvenire studiando gli avvenimenti
+anteriori od i fenomeni, o ne chiedevano la rivelazione
+alle viscere delle vittime. Oltre a ciò spandevano nel volgo le
+novelle più strane ed incredibili... e forse per ciò credute.
+Furono gli aruspici che inventarono i sacrifizi umani — e la
+frottola delle pioggie di latte, di sangue e di mattoni cotti — e
+le statue degli Dei che sudavano — e le lagrime sgorgate
+dagli occhi di Vesta — e le case cangianti di posto — e un
+lupo che sguaina una daga — e un bue che parla — e i galli
+divenuti galline e le galline galli — e il cielo macchiato di
+sangue — e la luna triplice nel firmamento — e il sole apparso
+di notte — e le torce ardenti traversanti lo spazio — ed
+altre fandonie da mercato a queste simiglianti. — Essi venivano
+dall’Etruria ed erano ricerchi come quelli che sapevano
+<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span>
+l’arte della osservazione, della interpretazione e della
+congiurazione.
+</p>
+
+<p>
+E il popolo li pagava e li teneva grassi e gaudenti. — Ma
+quando incontravansi e si narravano a vicenda le cose occorse
+e la bestialità del popolo che credeva alle loro menzogne, e la
+doppiezza dei magistrati che fingevano di prestar fede alle
+loro predizioni, e la ipocrisia dei generali che facevan loro
+sparare i polli per sapere pria di rompere sull’inimico le
+sorti della battaglia, e’ si sbellicavano dalle risa e scherzavano
+sull’Olimpo che essi ed i sacerdoti di ogni culto avevano popolato
+colle incarnazioni di tutti i bisogni della terra, e propiziavano
+alla umana paura che non si stancherebbe mai di offerire
+il grosso contingente alla malizia degl’impostori — cangino
+pur essi il nome col succedersi dei secoli.
+</p>
+
+<p>
+I due erano giunti là dove volevano. Sotto i loro piedi
+posava il sobborgo Felice colla doppia fila di sepolcreti. — Taranis
+fece sedere lo affrancato sopra una pietra colla faccia
+rivolta al mare — cioè a mezzodì — ed egli rimase in piedi a
+sinistra colla testa coperta. L’impostore diresse una preghiera
+agli dei che insultava cogli atti, si girò verso l’Oriente e col
+<i>lituus</i> — piccolo bastone senza nodi, dalla punta ricurva — divise
+il cielo in diverse regioni — che addimandavansi <i>templa</i>
+nel gergo di quei ghiottoni — e fissò un punto lontano
+dove l’occhio giungeva. — Quindi, passato il bastone augurale
+nella mano manca, posò la destra sul capo del liberto di Plazio,
+sempre velato. — E,
+</p>
+
+<p>
+— <i>Jupiter pater, si est fas</i>, se il destino permette che cotesto
+Plazio Pothus, di cui tocco la testa, abbia fortuna nel
+commercio che imprende, invia a noi segni certi della tua
+volontà <i>inter eos fines quos feci</i>, nei templi che ho tracciato
+nell’orizzonte.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Nel firmamento alcun segno. — Lo scirocco aveva annuvolato
+il cielo, e perciò nessuna stella brillava per poter dire
+a quel gianfrullone nello scoprirgli gli occhi:
+</p>
+
+<p>
+— Guarda! In quell’astro sta il lieto destino che il padre
+della natura ti annuncia per mezzo del suo umile servo.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Ambidue stettero alcun tempo nella più completa immobilità.
+Quindi l’aruspice brontolò, crollando il capo:
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Nulla!... Almeno avessimo portato gli <i>oscines</i> od i <i>præpetes</i>,
+gli uccelli che dicono col volo, col becco o col canto.
+A domani..... o, se vuoi, ora, in tua casa.
+</p>
+
+<p>
+— Andiamo&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+ripetè l’altro, levandosi e gittando un grosso sospiro:
+</p>
+
+<p>
+— E sapremo dai polli quello che il sommo Giove non
+volle annunciarci.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Discesero. — Passarono a fianco di una tomba isolata; e,
+</p>
+
+<p>
+— Sono Taranis, di Volaterra, in Etruria.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E mostrò il lituo al soldato che, escito dalla <i>ædicula</i> a
+diritta presso la porta della città, veniva loro incontro per sapere
+chi fossero.
+</p>
+
+<p>
+Entrati nella via Domizia, si fermarono in faccia alla cisterna
+pubblica, destinata a supplire alle fontane quando per
+soverchio di siccità l’acqua mancasse.
+</p>
+
+<p>
+E salito l’opposto margine, entrarono nella casa, costruita
+sulle antiche mura e declinantesi per via di terrazzi sino al
+mare. Traversarono l’atrio, discesero una scala, ed eccoli in
+una stanza inferiore illuminata da due lampade di bronzo.
+Uno schiavo vegliante aveva ricevuto un ordine. — La voce
+stridente dei polli, sorpresi nel sonno, chiarì quale ei si fosse. — La
+gabbia fu posata sul mosaico. Il prete etrusco le
+pose dinanzi l’<i>offa pultis</i>, sminuzzando la pasta nella mangiatoia.
+Da principio i gallinacei parea rifiutassero la offerta. — Erano
+impauriti, agitati e guardavano i lumi. Ma quando si
+avvidero del perchè erano stati svegliati, si gettarono furiosi
+su quei pezzi di carne, di farina e di cacio, facendo tripudio.
+</p>
+
+<p>
+— <i>Pascuntur</i>. — Lieto augurio. — <i>Tripudium solistimum</i>.
+Le ali si aprono con giubilo. Tu ottenesti lieto presagio.....
+Ma se tu vuoi l’<i>animalis hostia</i>, io son pronto a leggere
+la predizione sulla vittima immolata. — Consenti a pagare
+la offerta agli Dei?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+L’altro estrasse dal seno una borsa di pelle e l’aperse.
+E l’aruspice — che dalla fisonomia, dalle parole e dagli atti
+potrebbe facilmente parere un nostro contemporaneo — gittatovi
+sopra l’avido sguardo e la mano, contò.
+</p>
+
+<p>
+— Cinquanta.... centoventi e cinque — cento venticinque
+danari — <i>Medium sestertium</i>. — Sta bene. — Gli è quel che
+<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span>
+ci vuole per allontanare il <i>prodigium</i>, cioè lo avvenimento
+sinistro.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E tratto un coltello vittimario, tolse la vita ad un pollo
+e lo sparò. Strappò dal corpo il cuor palpitante, il fegato, il
+polmone ed il fiele; e postili sulla tavola, disse:
+</p>
+
+<p>
+— Ecco dinanzi ai tuoi occhi <i>pars inimici et pars familiaris</i> — quella
+che concerne coloro che possono contrariare
+i tuoi commerci e quella che te risguarda.... — Oh! il fegato
+ha due lobi. — È eccellente presagio. — Anzi, vedi, si ripiega
+in dentro a partire dal basso della fibra. Ciò vuol dinotare
+grandezza e felicità. — Il cuore spande sangue vermiglio. Il
+grasso è sulla punta dei visceri — Le vene, nè livide, nè
+tese. — Fa partire le navi; chè i venti lor saranno propizi.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Pothus a quei nunci rideva convulsivamente e stringeva
+i pugni quasi vi avesse afferrato i grossi lucri predetti da
+quell’impostore. Il quale, tracannato d’un fiato un grosso
+calice di <i>merum vetus</i> che il mercante volle mescergli da una
+piccola anfora, strinse la mano al gaglioffo, e, salito al piano
+superiore, partì.
+</p>
+
+<p>
+I sacerdoti non mai satolli, collo esagerare il sentimento
+religioso — che è uno istinto della umanità — o collo intenderlo
+malamente, spinsero i timorati a passar la giornata in
+preghiere ed in sacrifici per ottenere che i loro figliuoli loro
+sopravvivessero — <i>superstites essent</i>. — Onde questi furono
+chiamati superstiziosi; e quelli decaddero prima dalla stima
+dei filosofi e poi dalla credulità del popolo che leggeva nei
+loro vizi la inutile loro missione, nelle loro parole la mala
+fede, nei loro atti il mendacio. Da principio la vittima offerta
+era intera bruciata sull’ara del nume; ed il mele ed i vini
+squisiti crepitavano sulle brage. — Ma i ghiottoni e gli avari
+cominciarono a farsi casuisti. E pensarono che — gl’Iddii respirando
+solamente l’odore delle vittime — bastava farne rosolar
+dalle fiamme la testa ed i piedi — <i>pars Deorum</i> — e
+serbare le parti delicate e carnose al festino dei loro triclini,
+le quali chiamarono <i>polluctum</i> dal verbo <i>pollucere</i> che significa
+consacrare. Più tardi — incoraggiati dalla stupidezza degli
+uomini che guardavano e non vedevano — propagarono
+la novella, aver ottenuto da Giove che la parte degli Dei sarebbero
+<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span>
+le ossa. E le carni devolute ai sacerdoti. — E quando
+erano esuberanti, le mandarono ai questori del tesoro che le
+facevano vendere a profitto dello erario. Fattisi ricchi e delicati,
+non vollero più insudiciarsi nel sangue come beccai, e
+tolsero a loro servigio i <i>popes</i>, vittimari che compirono la loro
+bisogna. E una parte del <i>polluctum</i> la dispensarono alle amiche
+devote — che ai nostri tempi vestono da monache o in
+abito pinzochero — e l’altra più grossolana ai loro sacrestani
+che la vendevano ai tavernai.
+</p>
+
+<p>
+Avanti di uccidere l’animale, il sacerdote gli gittava sul
+capo un pizzico di farina mescolata col sale. — Se la bestia
+non si ritraeva impaurita, dichiaravasi acconcia al sacrificio. — Comprendesi
+facilmente che la spaventavano se la fosse magra
+e non di loro gusto. — La ceremonia dicevasi <i>immolatio</i>
+da <i>mola</i>, la pietra conforme con cui macinavasi il grano, il
+più stimabile dei beni. Ed il sale impiegavasi nel rito come
+simbolo della purezza dell’anima. Le libazioni le facevano col
+vino di una vigna potata. — E pur domandavano all’offerente
+se il fulmine fosse mai caduto nella cantina od un uomo appiccatosi
+sul ramo di un albero vicino.
+</p>
+
+<p>
+Il primo omaggio di vino o d’incenso era propiziato a
+Giano, il portiere del cielo, affinchè facesse giungere la preghiera
+a quello fra gli Dei che volevasi invocare. Il vino si
+versava con un simpulo a goccia a goccia sul fuoco; e l’olio
+ad onde perchè ardesse senza far puzzo.
+</p>
+
+<p>
+Gl’Iddii maggiori erano dodici. — Giove, il re dell’Olimpo,
+cui sacrificavasi il bue bianco o maculato. — Giunone, sorella
+e moglie sua, cui s’immolava una vacca. — A Minerva
+lo stesso animale. E a queste sole vittime si doravano le corna. — Vesta,
+la Deessa del fuoco eterno, dovevasi contentare
+del sacrificio bene involontario che sei donne le facevano della
+loro verginità; sterile come la natura del fuoco che alimentavano
+continuo sull’ara; il quale era emanazione celeste,
+perchè ogni anno alle calende di marzo lo si faceva accendere
+dal sole col mezzo di un vaso metallico concavo, di forma
+conica rettangola. Quelle misere erano le guardiane degli Dei
+particolari del popolo romano e sopratutto del Palladio, da
+cui dipendevano le sorti liete della grande Repubblica. — A
+<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span>
+Cerere, Dea delle biade, si uccideva una scrofa, perchè distruggitrice
+delle mietiture. — Nettuno, Dio del mare — Apollo,
+della musica, della poesia e della medicina — e Marte,
+della guerra, erano i soli cui potesse offerirsi un toro bianco. — A
+Venere, la Iddia dell’amore e della bellezza, si davano colombe. — Mercurio,
+Dio della eloquenza e del commercio,
+prendeva tutto. — Diana, Dea della caccia e delle Foreste,
+facevasi contenta col dono di una cerva. — Plutone, lo affummicato
+rettore del Tartaro, chiedeva capri, becchi e tori neri. — Queste
+dodici divinità erano chiamate consentes, perchè
+formavano il consiglio supremo del Fato, potenza costituzionale
+dai poteri limitati e corretti dalle varie passioni umane
+che s’indiavano attorno al suo trono temuto.
+</p>
+
+<p>
+Lo appetito viene mangiando. — Laonde gli uomini antichi
+non si tennero beati e soddisfatti di un re e del suo
+ministero. Vollero altresì il corpo legislativo, composto dapprima
+dagli Dei scelti, come Saturno, che rappresentò il
+tempo; — Giano, l’annata; Rea, la Deessa della terra; — Bacco,
+il Dio del vino; — Vulcano, del fuoco; — Febo, dell’astro
+vivificatore; — la Luna, la patrona degli amanti; — e
+il Genio, che presiedeva alle opere degli umani. — Quindi
+spedirono al parlamento i piccoli Dii, cioè: i semones, gli uomini
+deificati — Ercole; Castore e Polluce; Enea; Romolo;
+Pane; Fauno; Silvano; Palete, Iddia del gregge; Vertunno,
+delle stagioni; Pomona, dei giardini e dei prati; Flora, dei
+fiori; Termine, dei termini; Robigo, della ruggine; Fascino,
+dei sortilegi; Averrunco, che allontana le calamità; Vacuna,
+patrona degl’infingardi e del riposo; Laverna, dei ladri; Mefite,
+del puzzo; Cloacina, dei luoghi immondi; Imene, del matrimonio. — Tutte
+le ninfe dei boschi, delle fontane, delle
+montagne, dei fiumi, del mare partirono anch’esse. Nè i giudici
+dello inferno le lasciarono andar sole; e tanto più che le
+videro accompagnate dalla Pietà, dal Pudore, dalla Fede, e....
+dalla Speranza. La Febbre corse lor dietro. — E le madri
+impaurite pei cari figliuoli, elessero, senza bisogno di ballottaggio,
+Vitunno che ministra ad essi il soffio della vita; — Sentino,
+che dà il sentimento; — Presa e Postverta, che gli
+mette in buona postura nell’utero; — Ops li soccorre; — Vaticano
+<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span>
+loro apre la bocca e li fa vagire; — Rumina che
+gl’inspira a suggere il latte dal seno materno; — Potina gli
+consiglia a bere; — Educa, a mangiare; — Cunina veglia
+presso la culla; — Ageronia è attenta a tutti i loro movimenti. — Nè
+questi bastando al genio affettuoso delle madri,
+esse ne nominarono altri per acclamazione. E furono Juventas
+che accompagna il figliuolo già grande; — Barbato, che
+gli adorna il mento di peli; — Stimula, che il punzecchia di
+desiderii; — Volupia, necessaria alla generazione; — Numeria,
+gli dà la scienza dei numeri; — Camena, gl’insegna il
+canto; — Strenua, lo rende un eroe; — Consus, gl’inspira
+nobili consigli; — e Jugatinus presiede al suo matrimonio.
+</p>
+
+<p>
+Quando i sacerdoti si avvidero che il Fato — inviolabile — non
+parlava; — e il gran consiglio — responsabile — non
+facea motto; — e i <i>semones</i> in nome dei loro uffici parea che
+convalidassero senza opposizione la scelta delle deità, fatta nei
+collegi elettorali degli uomini, senza votarsi il capo nei riguardi
+legali, ne crearono essi, di proprio moto, per alzata e
+seduta; e non fu cosa sulla terra di cui non mandassero il
+rappresentante negli stalli del parlamento celeste. — I gloriosi
+avi nostri carezzarono quelle sacre fandonie, perchè necessarie
+ad infrenare il popolo ignorante, riottoso e spavaldo,
+ch’essi volevano condurre al dominio del mondo. E quando
+i numi fur troppi, gli divisero in <i>ordo et populus</i>, cioè in <i>Dii
+majorum gentium</i> ed in <i>Dii minorum gentium</i>. — Ma venne
+un giorno in cui si stancarono di quella docilità dimostrata e
+parlarono e scrissero del Dio unico e lo confessarono morendo. — D’allora
+in poi, a poco a poco, i deputati delle umane
+sciocchezze disertarono l’olimpico Parlamento, che fu riempiuto
+dall’occhio incommensurabile della ragione. Le loro statue
+le abbiam nei Musei, nei giardini, nelle pubbliche piazze. — Un
+altro Olimpo pur sorse — sul calco di quello antico — meno
+poetico, molto ridicolo e troppo triviale. Fu popoloso in
+secoli d’ignoranza, in tempi di fine ipocrisia, e nei giorni lunghi
+della tirannia dello spirito. — Di lassù venivano i fulmini
+per punire i peccati degli uomini. E l’uomo afferrò quel fulmine,
+lo chiuse in una macchina e lo fece il fattorino dei suoi
+pensieri. — Di lassù venivano le febbri, il vaiuolo, gli stravasi
+<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span>
+di sangue e tutti i guasti della fragile natura umana. E
+l’uomo studiò la medecina e la farmacopea, inventò strumenti
+chirurgici, ed i morbi furono domati. — Di lassù venivano i
+venti furiosi che inabissavano le navi o le mandavano erranti
+a genio dei loro soffi. E l’uomo inventò la bussola ed un meccanismo
+che rende inutile lo sforzo dei venti contrari. — Gl’idoli
+sono tutti già esciti, anche una volta, dall’Olimpo
+della ragione. Alcuni vennero nei Musei a far compagnia ai
+predecessori. Altri rimangono ancora sugli altari, vergognosi
+e raumiliati nel vedere il riso intelligente che destano e la
+nessuna pietà di chi gli coltiva. Ei sanno pur troppo che omai
+seggono sulle ruine.
+</p>
+
+<p>
+Ora la descrizione di una cerimonia solenne in Pompei.
+</p>
+
+<p>
+Il Flamine-Diale è sul peristilio del tempio di Giove. Ha
+la testa coperta di un elmo bianco, sormontato da un breve
+cono allungato e cinto da un fiocco di lana, che simboleggia
+il fulmine nel nume. Veste la toga pretesta e va di pari coi
+grandi magistrati. — Non vi ha un nodo sulle sue vesti che
+la sacerdotessa sua moglie filò di lana, tessè e cucì. La calzatura
+fu tagliata dalla pelle di un animale ucciso. Sul dito gli
+splende un anello a giorno ed unito. La consorte gli è presso
+e lo assiste. Sacerdoti minori lo attorniano.
+</p>
+
+<p>
+I duumviri, gli edili, i decurioni, i cavalieri salgono la
+gradinata del tempio. Nel Foro è il popolo; e, separate dagli
+uomini — perchè nulla si opponga alla decenza ed alla gravità
+della pia cerimonia — sono le donne adorne delle loro
+vesti bianche e sfarzose.
+</p>
+
+<p>
+Non canti di allegrezza, ma accenti di sdegno. — Non
+rendimenti di grazie, ma suppliche levate al cielo perchè
+venga allontanato dalla città di Pompei un crudele disastro,
+una tremenda sciagura. Un coro di fanciulli e di vergini cantano
+in note lamentevoli l’inno del dolore. — Alcuni soldati
+e centurioni sono appoggiati ai piedistalli; e, senza parola,
+rimangono impassibili spettatori di quella scena.
+</p>
+
+<p>
+Gli è che da tempo Pompædio Silo aveva inalberato lo
+stendardo della rivolta nella Marsica; e — tranne Aiserninum
+e Lucera — tutte le città adriache e tirrene avevano fatto eco
+a quel grido di guerra. Roma invero stancava la Italia. Per
+<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span>
+estendere la sua potenza, ne esauriva le ricchezze, ne toglieva
+i soldati e gli dava compagni d’armi ai cittadini romani, accordando
+loro l’unica eguaglianza in faccia alla morte. Corfinium,
+piccola terra tra il monte Corno e la Maiella, fu decretata
+città capitale degl’Italioti. Capua in un versante degli
+Appennini, Asculum Picenum nell’altro, tenevano acceso il
+fuoco sacro della libertà e dello affrancamento dall’Urbe. Si
+combatteva da parecchi mesi e vincevasi. — Ma Silla aveva
+preso Stabia per assalto, ne trucidava i difensori e metteva
+in fiamme le case e i monumenti. I Pompeiani vedevano quello
+strazio dalle loro mura; lo reputarono presagio della sorte
+che gli attendeva; decisero animosamente di difendersi, ed
+intanto di placare l’ira celeste con una espiazione solenne,
+offerendo sacrifizi a Giove, agli Dei maggiori e alle divinità
+inferiori e recitando preghiere, dette <i>obsecrationes</i>.
+</p>
+
+<p>
+Sotto la gradinata del tempio sono due buoi di manto
+bianchissimo; sette vacche ed un toro, grassi tanto che stentano
+a muoversi. Hanno le corna dorate, la fronte incoronata
+di fiori, ed il corpo cinto da una stola terminante con una
+frangia. — Un vittimario, nudo sino alla cintura, e coperti i
+fianchi da una stoffa di porpora, era presso ogni bestia, tenendola
+con una corda che le stringeva il muso e colla sinistra
+sosteneva un martello rotondo e a lungo manico che appoggiava
+sulla spalla. Taluno impugnava la scure invece del
+martello.
+</p>
+
+<p>
+Dietro di essi erano i <i>cultrarii</i> ed i <i>popes</i>, aventi appeso
+alla cintura un grosso astuccio guarnito di parecchi coltelli.
+Alcuni fanciulli tenevano un vaso di bronzo con acqua lustrale
+e nell’altra mano un aspersorio come una coda di cavallo
+con manico ornato. Altri, una cassetta quadrata, piena di farina
+e di sale, per la consacrazione delle vittime. Vi erano
+anche i suonatori di flauto.
+</p>
+
+<p>
+Il Flamine si avanza e discende. — I vicini lo seguono.
+Dopo i magistrati vengono i collegi sacerdotali. — Essi erano
+coronati di rami di quercia.
+</p>
+
+<p>
+La processione — cui prende parte il popolo tutto — percorre
+le grandi vie della città e va verso le <span class="smcap lowercase">XII</span> torri per
+sempre più animare i soldati che sono sopra le mura. Quindi il
+<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span>
+numeroso corteo — compiuto il giro — si approssima al tempio
+dalla diritta via della fontana di Mercurio. — I buoi erano
+già sul peristilio. — Vi ascesero i sacerdoti ed i magistrati.
+Gli altri taciti e pensierosi ristanno.
+</p>
+
+<p>
+Sotto quel portico elevasi lo altare dei sacrifizi: chè non
+immolavasi mai nello interno dei templi. Ghirlande di verbena
+cingono l’ara. Il Flamine si avanza. — Prende lo incenso dall’<i>acerra</i>
+ov’era chiuso; lo spande sul <i>præfericulum</i> e ne
+volge il fumo alla statua del re dell’Olimpo. — Quindi liba il
+vino in onore di Giano.
+</p>
+
+<p>
+Seguìto dai sacerdoti, entra nel tempio e saluta Giove
+portando la mano destra alla bocca. Voltosi a manca, fa lo
+stesso saluto alla porta. Quando gli altri lo ebbero imitato
+tutti si assisero nella cella e — racchiuso il capo nel lembo
+della toga per evitare distrazioni — ognuno prega a voce
+bassa o mentalmente. — Dopo alcuni momenti, il Flamine si
+leva, esce dalla edicola e grida alla folla adunata.
+</p>
+
+<p>
+— <i>Favete linguis.</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Raccomandato così il silenzio all’assemblea, si appressa
+allo altare, si purifica le mani coll’acqua contenuta in un vaso
+senza piede, detto <i>futilis</i>, e le asciuga con un tessuto di bianco
+lino. Allora i popi si accostarono colle vittime. — Ei le asperse
+di quell’acqua; gittò sulle loro teste farina e sale; e disse loro:
+</p>
+
+<p>
+— Sia addoppiato il valor vostro, perchè possiate, o buoi,
+essere accetti ai sommi iddii.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Impolverò lo altare di farina e di sale; così, i coltelli sacrificatori. — Spinse
+quindi leggermente la lama di uno di
+essi dalla fronte alla coda. Tagliò un ciuffo dei più lunghi peli
+tra le corna di un bue, lo gittò sulle fiamme, e disse, libando
+altro vino:
+</p>
+
+<p>
+— Sii aumentato per questo vino nuovo. — <i>Macte hoc
+vino inferio esto.</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E a ciascuna consacrazione di animale pronunciava il
+nome di Dio o della Deessa a cui faceva la oblazione. Così, offerì
+due buoi a Giove; due vacche a Giunone; due a Minerva,
+due alla Iddia della Salute pubblica; una alla Felicità; ed un
+toro all’esercito che difendeva il paese. — Quindi, voltosi al
+simulacro:
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span>
+</p>
+
+<p>
+— O sommo Giove, magnanimo e grande, se tu difendi
+questo tuo popolo devoto, se tu ispiri coraggio nei suoi difensori,
+se tu disperdi il pericolo che noi tutti circonda, in nome
+dei collegi sacerdotali qui uniti, noi ti votiamo due buoi dalle
+corna dorate.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Ed alla celeste sorella e consorte.
+</p>
+
+<p>
+— O Giunone, regina, accetta anche tu la preghiera rivolta
+al signor dell’Olimpo. Allora ti offriremo due vacche
+dalle corna dorate.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Così alle altre Iddie.
+</p>
+
+<p>
+Compiuto il rituale, un vittimario a lui si accosta e dice:
+</p>
+
+<p>
+— Posso?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E avendone ricevuto l’ordine, scaglia violentemente un
+colpo di martello sulla fronte del bue. Questo vacilla sui piedi
+e cade. — Gli accoltellatori lo ghermiscono per le corna e gli
+cacciano l’acuta lama nel cuore. Il sangue sgorga nella patere
+di bronzo, gorgoglia e fuma. Il Flamine ne raccoglie con una
+patella e lo gitta sullo altare dei sacrifizi. — I <i>jecurarii</i>
+aprono il ventre della vittima, e poi che gli auguri hanno trovato
+in perfetto stato le viscere, la scuoiano, la spezzano, e
+mettono in un solo paniere le gambe ed il cuore che, impolverati
+di farina d’orzo, presentano al Flamine. Le fiamme
+sacre accolgono la parte del Dio e la consumano.
+</p>
+
+<p>
+Come quel bue, così vengono uccisi, sparati e divisi il
+toro e le vacche. — E nell’atto i suonatori di flauto non cessano
+di far echeggiar l’aere dei loro fischi acuti e discordanti.
+</p>
+
+<p>
+Il Flamine-Diale terminò la cerimonia con una invocazione
+a Vesta e disse agli assistenti:
+</p>
+
+<p>
+— <i>I licet.</i> — Voi potete ritirarvi.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Allora un sacerdote di Venere se gli accostò e lo richiese:
+</p>
+
+<p>
+— Noi versiamo in grave periglio. La escita dalle mura
+è impossibile. E dove ritirarsi? Se Silla entra qui..... e vita e
+tesori. Tu i cui capelli e le cui unghie son sacre, non avrai la
+persona rispettata da quei crudeli. Tu che hai la porta della
+casa ornata di lauri; e se un uom di delitti vi penetra, si è
+obbligati scioglierlo dalle catene e gittarle dallo impluvio nella
+strada. Tu che impedisci uno schiavo sia fustigato, se giunge
+<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span>
+ad abbracciare le tue ginocchia,.... di’, credi tu alla influenza
+di Giove nello allontanamento dei mali che ci minacciano?
+</p>
+
+<p>
+Il Flamine guardò fiso il compagno, e veramente non
+sapea che rispondere. Era la prima volta che una simile interrogazione
+veniva innanzi alla sua mente, in faccia al grave
+e certo pericolo. Egli era tal uomo, cui un misterioso sentimento
+di adorazione fa vedere in un paesaggio, ove avanza
+con passo distratto, un tempio che lo ritiene; il cui orecchio
+risuona d’ignoti rumori; sorta di musica spirituale che innonda
+l’anima di gioia segreta e l’apparecchia a consolanti
+apparizioni. Il suo cuore appetiva la pace: ma sentiva il morso
+del dubbio nella liturgia che amministrava. Il mondo futuro
+lo intravedeva in una nube caliginosa ed oscura; ed avrebbe
+assai volentieri fatto sommessione a colui che lo avesse posto
+sur una via semplice e certa che nel fondo ha la statua della
+fede trionfante.
+</p>
+
+<p>
+— Ma se non Giove, e chi?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Un sorriso ironico e doloroso sfiorò sulle labbra di Anchario,
+il vecchio ministro nel tempio di Venere. Da molti
+anni e lunghi egli seguiva i sogni di una fede impossibile con
+pratiche misteriose. Le bizzarre confidenze tra la Iddia seduttrice
+e la carne sedotta erano le invenzioni furbe della sua
+mente. Finchè la gioventù e la forza lo tennero, lo interesse,
+il lieto vivere e le grossolane delizie arrestarono la coscienza
+del vero sulle sue labbra impudiche. Quando le cose vive partirono
+da lui sulle ali larghe e fugaci, ei si vide sprofondato
+nel vuoto e deposto sur una landa arida e nuda. Siccome Vulcano,
+era caduto dall’empireo nella pozzanghera di una fede
+zoppa e sciancata.
+</p>
+
+<p>
+— Lo arcano ch’è nei cieli consola la mia tristezza e si
+fa mio custode da che mi vidi spostato dal mio antico sostegno. — Giove,
+Giunone, Venere, Marte sono i sacri luoghi comuni
+della vita, e gli sfato. — Un Dio solo è lassù che la
+realtà non offende.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— Ma credi tu che a noi pensi e provvegga alla nostra
+salvezza?
+</p>
+
+<p>
+Il canuto pose la mano sul petto e rispose:
+</p>
+
+<p>
+— Io comincio a credere che in noi esista e ci faccia arbitri
+<span class="pagenum" id="Page_18">[18]</span>
+delle nostre sorti. — Quando il popolo romano volle, vinse;
+e non gli Dei combatterono per lui. — Quando tu, schiavo
+delle abitudini sociali di questi tempi, vuoi escire dall’audace
+immoralità che ne circonda, sprigiona lo accento eroico del
+cuore e vincerai ogni disperata ventura. — Fida in me. — La
+morte mi fa già i suoi segni e può rendermi libero da un
+istante all’altro. Allorchè i nostri soldati e la gioventù popolana
+combatteranno sulle mura..... e i Sanniti ci aiutino.....
+saremo salvi dalla sventura che ci soprasta.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— E gli Dei?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— Gli Dei — sgombere le tenebre del nembo ruinoso — gli
+rivedrai impassibili sui loro stalli di marmo, innanzi le
+lampade votive e tra i vortici del fumo delle pelli bruciate.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+I due Flamini si divisero. Il più vecchio pareva avesse
+sedato le agitazioni del cuore. — Il più giovane si avviò verso
+la sua casa costernato e dolente. — Incontrò il popolo che
+raumiliato dallo infortunio correva dall’un tempio nell’altro
+per offerir voti e preci agli Iddii salvatori. E lo salutavano riverenti,
+ponendo la mano destra alla bocca e baciandogli il
+lembo della toga. Un solo sentimento tutti occupava — la processione
+espiatrice. — Drappelli di giovanetti di ambedue i
+sessi — <i>patrimi e matrimi</i>, perchè nati di sangue equestre
+con padri e madri viventi — di forme bellissime, schierati in
+ordine e coronati di fiori, cantavano inni sacri. E i magistrati
+gli seguivano come lui avevano pur dianzi seguito. — Ma quella
+turba la vedeva come fantasmi. Le realtà della vita — preoccupato
+com’era — pareano lontane lontane dal suo corpo
+angosciato.
+</p>
+
+<p>
+Egli abitava in una delle ultime case della via che ha la
+fontana dalla testa di Mercurio nel mezzo. Quando udì dalle
+mura una voce cui molte rispondono:
+</p>
+
+<p>
+— Soldati, all’armi!.... Ecco Silla colle legioni..... sangue
+sannita e greco vi scorre nelle vene. Venere Fisica vi
+protegga! — Difendete gli altari, le vostre donne, i vostri
+figli..... l’onore del nome.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Ma le legioni romane non attaccavano la città. — La cavalleria
+foraggiava nelle campagne vicine allo Anfiteatro e
+<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span>
+sollevava un nembo di polvere sotto le zampe dei cavalli. — E
+un altro grido ben presto scoppia dai petti agitati:
+</p>
+
+<p>
+— È Cluvenzio, il generale dei Sanniti che giunge. — Marte
+gli arrida. — Viva Vitelia, madre alla patria e ai suoi
+difensori!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Silla si sentì insultato dallo ardir di Cluvenzio. E rapidamente
+move innanzi al nemico. Questo riceve l’urto poderoso
+e lo respinge con perdita. I Pompeiani escono dalla porta occidentale
+e da quella di Sarnus. Il generale romano che aveva
+rinculato verso il padule — ove tempo innanzi Cassinio rischiò
+di essere sconfitto da Spartaco, — raccoglie i suoi e li
+caccia alla riscossa. Il combattimento fu lungo e ostinato. Cluvenzio
+dovette piegare e ritirarsi. E lo indomani, avendo ricevuto
+un soccorso di Galli, profittava della lezione di audacia
+offertagli da Silla e ritornava sul campo ove aveva lasciato i
+suoi morti. Ma il suo competitore era tetragono in faccia al
+destino. Lo accoglie, lo preme nei fianchi, lo mira vacillante,
+lo siegue, lo raggiunge presso Nola, sfascia le sue ordinanze e
+lo uccide.
+</p>
+
+<p>
+Felicemente per Pompei, Silla volea il consolato nell’Urbe.
+Nè ebbe l’agio di soffermarsi per castigare i Pompeiani e
+i loro torpidi numi. Lo ardente pensiero lo spingeva a Roma
+per reprimervi la rivolta che vi aveva eccitato il tribuno P.
+Sulpicio, alla istigazione di Mario, suo emulo. Laonde condusse
+le sue legioni nel paese degli Irpini e nel Sannio, devastò Capua
+e non vi lasciò gente viva che la necessaria per la cultura
+delle terre. Spedì Publio Silla, suo nipote, a Pompei e lo
+pose a capo delle tre coorti di veterani, come corpo di osservazione.
+Ordinò che il municipio si convertisse in colonia militare — il
+che impediva che la magistratura potesse trattare
+alleanze politiche e private senza il permesso di Roma — ed
+impose un tributo in uomini ed in pecunia. La colonia s’ebbe
+due nomi: quello di <i>Veneria</i>, desunto dalla divinità protettrice
+della città; e l’altro di <i>Cornelia</i>, ritolto dalla illustre
+famiglia, cui egli apparteneva. I Pompeiani accettarono. — Non
+vollero però concedere i diritti di cittadinanza ai soldati
+a piedi e a cavallo che formavano le tre coorti. — Il nipote
+inalberò. — Accaddero risse, turbolenze, disordini. — Publio
+<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span>
+venne richiamato; fu difeso da Cicerone. Quindi assoluto. — Ma
+i coloni militari dovettero abitare fuori della città nella
+parte occidentale. Si costruì per essi un sobborgo che ebbe nome
+di <i>Pagus Felix</i> e li comandò il valoroso generale Ninnio
+Mulo, di cui Silla aveva stima ben meritata.
+</p>
+
+<p>
+Cotesti avvenimenti erano giunti in buon punto per una
+classe di sacerdoti, i meglio austeri nelle forme, i più destri
+nel maneggio della cosa religiosa. Erano i ministri di un culto — e
+più che di un culto — di una setta misteriosa sorta sulle
+sponde del Nilo, da Orfeo trasportata in Eleusis e dai Greci
+introdotta in Pompei. Esercitavano le cerimonie comuni e vi
+aggiungevano pie frodi ed oracoli meditati dalla dottrina e
+dalla prudenza, e maniere gravi e gentili che incutevano soggezione
+e rispetto.
+</p>
+
+<p>
+Nel tempio — uno dei più completi e dei più ricchi che
+fossero in Pompei — era una edicola isolata — non lungi dallo
+altare dei sacrifizi — coperta al di fuori di eleganti bassirilievi
+di stucco, rappresentanti Marte e Venere, Mercurio e una
+ninfa, delfini, genii ed amori con sacerdotesse e donne che
+pregano. Al di dentro era la scala per cui si scendeva in una
+cripta, ove gl’iniziati ai misteri — pria di subire le loro prove
+fisiche e morali — toglievano il bagno di purificazione. Dietro
+il santuario stava la grande sala alla quale cinque porte ad
+arco concedeano lo accesso. Colà penetravano i soli iniziati
+che accomunavano le loro preci, le loro esortazioni, i loro canti
+e le loro processioni solenni. Pitture squisite ne decoravano
+le pareti. E tutte eran simboli di cose strane ed ignote.
+</p>
+
+<p>
+Sopra il santuario — sollevato dal suolo e disposto nel
+fondo del peribolo, circuito da un portico di colonne doriche — posava
+la statua della iddia, di bianco marmo, dagli occhi,
+dalle ciglia e dai capelli rossi, dal peplo indorato; il cui
+corpo ignudo era coperto da un velo finissimo — collantesi
+sulle membra — e di una leggera tinta di porpora. Nella mano
+dritta stringeva un sistro di bronzo, e coll’altra, distesa lungo
+la coscia, tenea la chiave regolatrice delle inondazioni del Nilo,
+simbolo dell’abbondanza e della fertilità.
+</p>
+
+<p>
+Quella Iddia avea nome Iside — cioè — chi fu, chi è, chi
+sarà. Nessun mortale osò levare il velo che copria le sue forme. — Il
+<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span>
+solo Apuleio nè parlò a modo di enimma quando
+scrisse: — «Mi accostai ai limiti della morte. Calpestando
+co’ piedi la soglia di Proserpina, ritornai a traverso ogni
+elemento. Nel mezzo della notte parvemi che il sole splendesse
+di viva luce. E mi trovai in presenza degli Dei supremi
+ed infimi e gli adorai da presso.» — Sembra che i misteri
+isiaci fossero di tre gradi — la purificazione allo ingresso della
+tomba — il giudizio dei morti e la dottrina di una vita futura — la
+contemplazione del lume eterno nell’essenziale e
+nell’universale. — Gl’iniziati subivano quattro piccole prove
+e tre grandi. Il sublime segreto doveva essere la virtù e la
+saggezza che colla ipocrisia seduceva i profani, col volgo ingannato
+domava la forza brutale e tendeva al dominio della
+terra colla redenzione dello spirito umano.
+</p>
+
+<p>
+L’oracolo della Iddia aveva tardato a rispondere. Finalmente
+aveva detto:
+</p>
+
+<p>
+— «Il popolo compirà la sua missione di giustizia e di
+carità. E la città sarà salva. Si presti fede alle mie parole.»&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Lo aspetto dei sacerdoti non avea nulla di timido e d’incerto.
+I loro occhi neri, brillanti sopra i candidi lini che li coprivano
+maestosamente, ispiravano una tranquillità profonda
+che afferrava la coscienza degli accorsi in folla nel tempio. E
+quando giunse il nuncio che il paese era salvo e le bocche entusiaste
+lo ripeterono in ogni canto, i doni alla egizia deità
+furono ricchi e copiosi. E il credito dei suoi sacerdoti crebbe
+a cento doppi.
+</p>
+
+<p>
+Dissipate le paure, il popolo — semi-osco, semi-etrusco,
+semi-greco, semi-latino, tutto meridionale — si diè alla più
+grande allegrezza. E i Luperchi — i Flamini del dio Pane — una
+gliene prestarono delle più bizzarre e delle più originali.
+</p>
+
+<p>
+Sui clivi del Vesvius erano caverne grigiastre, di cui le
+antiche eruzioni di lava — che non eran più nella memoria
+degli uomini — avevano formato le volte ruvide e spugnose.
+Quivi essi abitavano. Erano sozzi, selvaggi, brutali, inintelligenti,
+e vivevano ignudi in ogni stagione, ed erano in venerazione
+presso i campagnuoli, perchè nunciavano i cangiamenti
+della temperatura, guarivano gli animali e predicevano
+<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span>
+i buoni ricolti e i rovesci di pioggia. I villici — omai salvi
+dalle scorrerie degli amici e degli inimici — corsero ad
+essi e li trovarono russanti nei loro spechi sul fieno. Entrarono
+in un rustico tempio formato da quattro alberi forcuti e
+coperto da una tettoia di radiche nere di lupini. Il loro dio
+Pane era una mostruosità fatta di legno coll’accetta. Gl’immolarono
+una capra ed un cane. Si tinsero del loro sangue caldo
+la fronte. Si unsero il sudicio corpo col grasso delle due bestie.
+Ne cucinarono sui tizzoni le carni e ne mangiarono a
+furia con feroci smorfie di gioia. — Terminato il sacrificio
+espiatorio, tagliarono le pelli ancor sanguinose e di alcuni
+pezzi si cinsero i fianchi e di alcuni brandelli fecero fruste per
+allontanare i curiosi sul loro passaggio. Così corsero a slascio
+pei campi e nelle vicinanze di Pompei. Urlavano inni in una
+lingua ignota e frustavano, correndo, quanti incontravano. Le
+donne particolarmente si facevano loro innanzi per aver parte
+di quella flagellazione; avvegnachè in quei tempi credessero
+come la staffilata di un Luperco avesse la virtù di cangiare
+in prolifica una donna sterile. Siccome ai nostri tempi pur
+credono la stessa virtù nel cordone che cinge i lombi non casti
+di un frataccio da zoccoli e da cappuccio. — Più d’uno
+però che si permise una brutta distrazione, vacillante e vagellante,
+se ne andò anzi tempo <i>ad canes</i>. — I devoti ch’esercitarono
+quella pratica liturgica sui crani e sulle costole di
+quei bipedi senza ragione, scavarono una fossa sotto un albero
+da frutto e gli fecero utili mal loro grado.
+</p>
+
+<p>
+In quel giorno di abbandonata gioia non si guardava sottilmente
+alle cose. Ognuno occupavasi a suo modo delle proprie
+devozioni. — E nel vero, eravi di che. I preti — oltre i parecchi
+fani, fatti erigere sontuosamente dai decurioni col denaro del
+popolo — oltre i <i>Dii patellarii</i>, ch’erano i Lari delle case, adorati
+alle calende, agl’idi, alle none, nei dì di festa ed anche ogni
+giorno — avevano ispirato le genti bietolone — che formano la
+maggioranza nell’umanità — ad erigere altari agli Dei pubblici,
+agli Dei ignoti — pel comodo della plebe, pei bisogni degli
+stranieri — sulle crocivie. — Gli è perciò che furono chiamati
+Lari Compitali da <i>compita</i>, crocicchi. — Cosa fatta capo
+ha. — Napoli, Palermo, e le città minori dell’ostro avevano
+<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span>
+pure in questi giorni i loro Compitali sur ogni strada, sotto
+la forma di donne o di uomini lividi e sanguinosi. I loro padri
+abbatterono furiosamente la idolatria e fecero calce delle
+statue di Giove e di Marte; e con quelle di Venere e di Mercurio
+fusero campane. I loro figli ristabilirono l’antica fede.
+Ma, avendo perduto la nozione del bello, adorarono le mostruosità,
+e, non ha molto, accendevano i lumi ed appendevano
+gingilli d’oro e di argento su quanto di più brutto ed
+osceno veniva fuori dallo scalpello di un Lupercale.
+</p>
+
+<p>
+Consultato il divo Apollo sui sacrifizi da offerirsi ai Lari
+Compitali, il feroce prete — che trovossi alla instituzione di
+quel culto — rispose per lui — <i>caput pro capite</i>. — Allora
+Tarquinio pose sui piccoli altari capi mozzi di miseri bambini.
+Giunio Bruto, dopo la cacciata di quel tiranno, tradusse meglio
+l’oracolo ed offerì teste di aglio e di papaveri. Più tardi
+gli fecero lieti dei primi fiori delle stagioni. — In Pompei eravene
+uno presso la fontana del Lupo, più in su della bottega
+del lattaio, che ha per insegna una capra di terra cotta. Era
+dedicato al padre dell’Olimpo. Gli altri Lari — protettori
+dei quatrivi e delle strade — si dicevano figliuoli a Mercurio
+e prodotti dalla ninfa Lara. E i loro altari — oltre allo aver
+banchi di riposo pei viandanti — servivano altresì di asilo ai
+rei perseguitati. Laonde Plauto narra nella Mostellaria come
+Tranione temendo di ricevere da Teuropide i colpi che aveva
+sì ben meritati, si assise sul Compitale dinanzi la casa di lui.
+E Properzio canta <i>Triviae lumina ferre Deae</i>, di Cinzia che
+correva a portar lampade sugli altari di Diana Trivia.
+</p>
+
+<p>
+Il selciato aveva perduto le sue tristezze. — Nell’odissea
+di quel giorno faceva le parti dell’Oceano. — Salti, gridi, rumori
+per tutto. Ogni <i>impedimenta</i> diveniva tribuna. Ogni
+Compitale, teatro. E gridavano:
+</p>
+
+<p>
+— Trionfo, trionfo! Marte e Venere Fisica ci salvarono!
+Giano aprì la porta dell’Olimpo e fece escirne gli Dei soccorritori.
+O Lari, accordateci pace e protezione. Onore ad Iside
+e ai suoi sacerdoti. Trionfo e gloria agli Dei immortali!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E lungo le vie, e nelle <i>pistrinae</i>, e nelle <i>popinae</i> — dovunque
+era scolpito, od in terra cotta, il simbolo del Dio degli
+orti — le facili e proterve fanciulle intessevano corone di
+<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span>
+rose e di frutti e le inchiodavano come cornice intorno a quel
+segno della forza muscolare, dell’abbondanza, della ricchezza
+della natura. Ed un uomo opulento, — M. Epidio Prisco, poco
+più innanzi della fontana di Venere, gli sacrificò un asinello,
+le cui carni servirono la sera al banchettare gioioso degli
+schiavi in una taverna.
+</p>
+
+<p>
+Intanto l’angiolo delle ore estreme, raccolte le sue ali
+sanguigne, correva con passi frettolosi sul campo della offesa
+e della difesa. Alle grida della battaglia erano succeduti flebili
+lamenti — appello lontano ai loro cari di quei feriti che la
+Morte pietosa baciava sulla bocca per soffocarvi il dolore. — La
+terra era spogliata di ogni suo riso. Il sole cadeva. L’ombra
+uniforme spargevasi su tutto. — Membra mozze — carni
+stracciate — sangue aggrumito e nero. — E sopra la faccia
+della penisola, il pensiero degli Italioti — oltraggiato, ma non
+defunto — attendendo per secoli l’ora della grande vittoria.
+</p>
+
+<p>
+Epidio Rufo Italico — il figliuolo di Prisco — fu trasportato
+nella casa paterna — quella dal lungo podio sporgente,
+sormontato da una ringhiera di ferro che dalle estremità menava
+alla porta mercè le due gradinate a rivolta. Acte gittò
+un grido e semispenta lo strinse al suo cuore. Egli premè convulso
+gli occhi e le pallide guance di quell’afflitta, girò lo
+sguardo intorno alla camera piena di memorie, di tenerezze e
+di singhiozzi, ov’erano il padre, la sposa, la felicità dei suoi
+giovani anni. E stringendo colla mano il petto piagato, prosciolse
+le membra. — Aveva dato lo eterno vale al padre in
+lagrime, alla sposa svenuta, alla felicità morta!
+</p>
+
+<div class="chapter">
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span>
+</p>
+
+<h2 id="cap2">LA CAMPAGNA.
+<span class="smaller">SCENE DELLA VITA RUSTICA.</span></h2>
+
+<p class="center">
+<b>Anni di Roma 695 — Anni avanti il Cristo 59.</b>
+</p>
+
+<p class="center pad2">
+A GIUSEPPE GARIBALDI.
+</p>
+
+<p class="center">
+II.
+</p>
+</div>
+
+<div class="chapter">
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span>
+</p>
+</div>
+
+<p>
+Re Gige reputavasi lo avventurato tra i mortali — Per
+meglio assicurare la sua fede, interrogò l’oracolo di Delfo. Nè
+dubitava di una lieta risposta.
+</p>
+
+<p>
+— Di’ il nome del più felice fra gli uomini.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— Due nomi; non uno — Fedio ed Aglao.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Piccato nel vivo, mandò attorno i suoi consiglieri. Spedì
+messaggi per ogni dove, affine di rintracciare quegli ignoti individui
+che nel paese nessuno conoscea nè di persona, nè di
+nomèa. Dopo molte ricerche il re venne a sapere, che Fedio
+era morto, difendendo dai prepotenti il sacro suolo della sua
+patria; e che Aglao ancor viveva in Arcadia, coltivando colle
+sue mani un povero campicello, lasciatogli dai suoi padri.
+</p>
+
+<p>
+L’oracolo volle significare a quel re, la felicità non essere
+chiusa nei forzieri d’oro, nella corona gemmata, nelle
+braccia di una donna amica e nel numero grande degli adulatori
+alla fortuna, — sibbene, nello esercizio dei doveri di un
+cittadino, quali sono precipuamente, servire il proprio paese
+e coltivare il suo campo.
+</p>
+
+<p>
+Se in Roma fosse il culto del vero Iddio, e si compiacesse
+rispondere oracoli, ed un re gli chiedesse il nome del più felice
+tra tutti gli umani, risponderebbe:
+</p>
+
+<p>
+— Giuseppe Garibaldi!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Ebbene! — I nostri avi gloriosi vivevano la sua vita in
+Caprera. Compiuto lo ufficio di consolo, di senatore, di duumviro,
+di decurione, di pretore, di edile, di questore, di tribuno
+di soldati, correvano ai piaceri della vita campestre; circondati
+<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span>
+da uomini laboriosi e contenti, vedeano coronate le
+modeste fatiche da una ricompensa sicura; godevano la tranquillità
+e la pace in seno di una famiglia felice; sfatavano le
+brighe che traggono seco notti affannose; studiavano ad un
+tempo la natura e le arti; e terminavano la loro carriera, o
+nel bacio degli affettuosi figliuoli, o cogli occhi irradiati dalla
+vittoria sul campo di battaglia della repubblica.
+</p>
+
+<p>
+Due uomini montarono a cavallo — salendo sur un sasso
+elevato sull’orlo della via, come di aiuto — allo escire della
+porta di Herculanum, in Pompei. L’uno era giovane e
+l’altro nella piena maturità. — E siccome il cielo annuvolato
+minacciava la pioggia, eransi avvolti in una veste di pelle
+detta <i>scortea</i> e sul capo avevano il <i>petasus</i>, berretto a larghe
+ali. — Di qua e di là della via erano vigne, olivi, pioppi, ciliegi,
+mandorli e fichi. Lo aspetto di una ricca cultura e del
+fertilissimo territorio offeriva uno spettacolo maraviglioso.
+</p>
+
+<p>
+— Sì. — Ho deciso. — Quei coloni non mi vanno. Gli è
+vero che tutto è a loro rischio e pericolo. Ma per fornirmi delle
+legna convenute, mi tagliano il bosco che io stesso piantai. I
+primi frutti raramente li portano in casa. E i denari del fitto
+a centellini. — Il lustro scade. Siamo presso alle calende di
+marzo. E ritoglierò la terra per conto proprio.
+</p>
+
+<p>
+— Credo, anche lo agente che tu mandavi sul luogo per
+raccogliere le parti di frutti convenute, ti fosse mal fido. — Gli
+è che ognun tira l’acqua al suo prato.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Ben dici. — Ma gli schiavi — razza incurante e onerosa — che
+colà impiegherò, converrà sorvegliarli. Al mio vicino
+lasciarono deperire il gregge; e i buoi e le vacche ed i muli
+li affittavano a chi loro li chiedeva. Per abito, quei pigri coltivano
+male, lasciano rubare le uve, o le rubano per sè.
+E sul registro segnano minori quantità di grano raccolto e più
+semenza di quella impiegata. — Come regolare la cosa? Di
+uso se ne seminano da quattro a cinque <i>modii</i> per jugero,
+secondo la bontà del terreno. E il ricolto è diverso se si semina
+in autunno o all’appressare del verno; se in un tempo
+umido, od in tempo secco; e secondo la pioggia abbondante o
+la neve.
+</p>
+
+<p>
+— Le visite le faremo frequenti — <i>Frons occipitio prior
+<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span>
+est</i>. — È proverbio trito. L’occhio dello schiavo non può valer
+quello del padrone. — E perciò leggeva l’altro dì nel trattato
+di Agricoltura di Magone, il cartaginese: <i>Qui agrum parabit
+domum vendat</i>.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— <i>Est modus in rebus.</i> — Senza abbandonare la città,
+e i propri uffici pur doverosi, e la educazione dei figliuoli, si
+può allontanare il grappolo guasto dal sano e non permettere
+che la incuria — a conti fatti — costi più della debita oculatezza.
+Imperocchè, siavi un adagio non meno vero dello accennato
+poc’anzi, il quale dice: <i>Laboriosior est negligentia
+quam diligentia</i>.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+I cavalli si posero al trotto. — Un aquazzone irruento
+per pochi istanti calmò ben presto la nuvola di polvere che le
+zampe ferrate agitavano. Rimessisi al passo, il più anziano
+proseguì:
+</p>
+
+<p>
+— Dio Pluvio, invece di offenderci, ci giovò. Ed è tutto
+un beneficio di lui su queste terre, composte di pomici infrante
+e di ceneri, vomitate in tempi remotissimi dal vecchio
+Vesvius. — In continovo accordo col dio di Delo, noi abbiamo
+fertili e prosperosi i campi di ogni bene e di ogni delizia.......
+Non credere già, o mio Lucio, ch’io voglia condannarmi, o
+condannarti a viaggi troppo frequenti ai raggi della canicola.
+Farò la scelta di un onesto <i>villicus</i> che il buon vecchio Coecilio
+Casella mi proporrà; e cotesto schiavo dirigerà in capo,
+sotto i miei consigli ed i tuoi, i rustici lavori. Mi ha pur promesso
+un valente <i>promus</i> per la fattura dei vini. Quelli avuti
+sinora sono dolciumi che guastano lo stomaco. — Voglio del
+buon falerno che a dieci e a quindici anni consoli. — E del
+surrentino, adatto ai convalescenti. — E di quello di Cales,
+leggero e profumato. — Ed il cecubo secco, generoso e confortante.
+E quello eccellente di Setin, il quale possiede le più
+notevoli qualità digestive.
+</p>
+
+<p>
+— Ve’, padre, la bella casa che sorge ridente sul pendìo
+del colle — Non parmi vi sieno colonne, nè portici. — Oh!
+Una sola statua.
+</p>
+
+<p>
+— Sì, figliuolo mio. Una sola — quella della Libertà,
+dallo sguardo aperto, dalle braccia robuste, dalla prestanza
+di tutte le forme. — La situazione che tu ammirasti attira
+<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span>
+l’attenzione; e la vastità dei campi allo intorno annuncia la
+ricchezza di chi li possiede; e l’un delubro rivela i nobili pensieri
+del cittadino che presso dimora. — È Casella il suo nome,
+il vecchio amico che tu non conosci, perchè non abita più la
+città. Egli fu <i>Meddixtutticus</i>, il primo dei magistrati municipali
+quand’io era pur giovanetto. Era stato <i>suffectus</i>, succedaneo
+al comandante gli eserciti ai tempi che furono. Quindi
+egli stesso ordinò le battaglie a difesa ed a gloria del nome
+sannita. Ha l’animo austero che conservò la impronta dei
+tempi.
+</p>
+
+<p>
+— Comprendo io bene un vecchio generale che si toglie
+dallo sguardo del popolo di altra età e che pure è costretto a
+rispettare; che si sottrae dalla folla dei clienti importuni; e
+coltivi nel suo pacifico ritiro; e si circondi di una numerosa
+famiglia di schiavi — ricordo vivo del potere già esercitato. — Ma
+il repubblicano del mattino sarà il Tarquinio della sera
+su quanti lo attorniano.
+</p>
+
+<p>
+— Poichè siamo presso il viale che ver lui mena, andiamo.
+Voglio, senza risponderti, che tu lo conosca e lo giudichi.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Una strada ascendente, attelata da pioppi italici e da una
+siepe di albospino, aprivasi da un cancello di legno, presso il
+quale da un lato era una camera per l’<i>ostiarius</i> e dall’altro
+un simile fabbricato in <i>opus recticulatum</i> — ossia muratura
+a scacchi di tufo, riquadrata negli angoli da mattoni sopraposti — che
+aveva la iscrizione a grossi caratteri rossi
+</p>
+
+<p class="center">
+CAVE CANEM
+</p>
+
+<p>
+e sotto, la stia, dove abitava lo incatenato ed abbaiante molosso.
+</p>
+
+<p>
+Per essa i due si avviarono al galoppo. — Giunti presso
+il simulacro della Iddia colà venerata, smontarono ed il maturo
+diè ordine allo schiavo accorso di menare i cavalli nella
+stalla, mentr’essi sarebbero iti a sorprendere il suo padrone.
+</p>
+
+<p>
+Nelle diverse aiuole piene dei fiori della stagione erano
+viole, mandorli a fior doppio, rose di Preneste e giacinti. Più
+oltre era un largo bacino, circondato da zolle erbose e pieno
+di acque limpidissime, incanalate da una sorgente lontana.
+Dai verzieri coronati di bosso si andava verso il bosco e si
+scendea nell’orto. — Colaggiù, curvato dagli anni e dalla specie
+<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span>
+di lavoro che allor lo occupava, era Coecilio Casella, presso
+il quale i due sopraggiunti movevano. Al rumore dei passi
+sulle sabbie crepitanti, il vecchio levossi; e riconosciuto lo
+amico, corsegli incontro e abbracciollo.
+</p>
+
+<p>
+— O mio Vestorio Tucca, salve — <i>Si tu vales, et ego valeo.</i> — Raccoglieva
+baccelli pel mio desinare.
+</p>
+
+<p>
+— <i>Gratulor tibi prius. Deinde ad me convertar.</i> — Questi
+che mi accompagna è Lucio, il figliuol mio, il quale arde
+del desio di conoscerti.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Quel canuto baciò sulla gota il giovanetto; e, presolo per
+la mano, lo invitò col padre a sedere sur un banco di pietra.
+</p>
+
+<p>
+— Voi camminaste. — Io fatigai. — Ognuno acquistò il
+diritto di riposarsi..... quantunque per la mia età quel diritto
+io il tema invece di bramarlo. — Questi alberi che ci adombrano
+colle foglie nascenti, io gli piantai e gl’innestai di mia
+mano. — Vedi giù, davanti la <i>fructuaria</i>, dov’è quella fabbrica
+disposta intorno ad una corte? I miei giovani schiavi
+fanno buche presso gli alberi di olivo per seppellirvi ritagli
+di pelli, piedi e corna di animali — possente concime che si
+forma e mette tre anni a consumarsi. Ebbene! Essi raddoppiano
+di zelo allo aspetto di me vecchio, che divido i loro sudori
+e le loro cure. — Qui, nè tiranno, nè schiavi. Laonde
+lo stato di quei miseri più sopportabile.
+</p>
+
+<p>
+— Ah! tu sei sempre degno d’impero, perchè sapesti
+servire!
+</p>
+
+<p>
+— Il tuo figliuolo osserva, con vagante e smanioso sguardo,
+le varie culture della mia villa. — Giacchè il sole ci volge
+i suoi tepidi raggi, permetti che a lui — non indifferente — mostri
+le occupazioni mie e dei miei servi, ed i risultati che
+ne otteniamo.
+</p>
+
+<p>
+— Grazie, o mio, della somma bontà che ti muove. — Ho
+molto caro che Lucio apprenda da tanto esempio — non
+la cultura dei campi soltanto — sibbene la virtù del tuo carattere
+antico.
+</p>
+
+<p>
+— Qui sopra, o amici, è un colle, bene esposto all’oriente,
+ove cresce un vigneto delle specie migliori. — Non tutte erano
+nostrane. — Ora sì, mercè le mie cure. — Andiamo a vederle. — Sbottonano
+già.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span>
+</p>
+
+<p>
+E lo adusto vecchio, appoggiandosi al braccio di Lucio,
+seguitò:
+</p>
+
+<p>
+— La vite annosa si piace appoggiarsi su giovane olmo. — E
+anch’io così. — Però, ti prego, non affrettare i tuoi
+passi, com’io non allenterò i miei. Cercheremo riescirci gradevoli,
+quantunque Lucina non assistesse lo stesso giorno al
+parto delle nostre madri. — Faremo bugiardo il proverbio che
+dice: <i>Pares cum paribus facillime congregantur</i>.
+</p>
+
+<p>
+Mira! Cotesta strada larga che noi ascendiamo appellasi
+<i>cardinal</i> con parola etrusca, perchè taglia il terreno dall’ostro
+al settentrione, verso i poli del mondo. Le vie traversali si
+chiamano <i>decumanus</i>. — E sono sì larghe, perchè i carri non
+abbiano difficile il passo in tempo della vendemmia. — Laonde,
+lo aspetto intero di una vigna si presenta distribuito in regolari
+quadrati, detti <i>hortus</i>, cioè giardino. — Ciascun gode di
+una divisione siffatta — il padrone che sa le piante egualmente
+esposte al sole ed al vento e con facilità può sorvegliarle — ed
+i servi, che veggono ad ogni colpo di vanga accelerarsi
+il termine del proprio còmpito. — Ogni <i>hortus</i> contiene
+cento cinquanta viti ed è largo un mezzo jugero quadrato.
+Le propagini si attelano in <i>quincunx</i> e traversalmente alla
+ascensione del terreno, a fine di mantenere le terre ed impedire
+alle pioggie ruinose di cacciarle tutte nel piano. Alcuni
+fanno crescere la vigna sui pioppi come nella Campania; altri
+sulle canne come in Arpinum; altri su pali tenuti insieme
+da corde di crine, come in Brundusium; altri sugli olmi
+come nella Emilia; altri su brevi pali, come presso i Maruccini
+e i Peligni; altri aggioga i tralci tra un albero e
+un altro, come presso i Piceni e i Galli-Cisalpini; altri la
+lascia sdraiata per terra, come nell’isola Pandataria, ma di
+tal modo mangiano il suo frutto le volpi, i ratti e i coltivatori
+assai più che il padrone. — Io, come vedi, uso la
+forca, che è quel palo fisso nella terra perpendicolarmente,
+su cui posano in traverso altre pertiche che la vite abbraccia
+coi suoi viticchi. Così godo di due vantaggi in una volta — il
+terreno caldo e secco è riparato dai raggi ardenti del
+sole — ed i grappoli maturano meglio e fruiscono di una
+ventilazione salubre.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span>
+</p>
+
+<p>
+Gli Etruschi tagliavano la vigna nel marzo. E gli Osci,
+padri nostri, l’appresero a fare nel dominio dei primi. I Latini
+la lasciavano libera e ne ottenevano un liquor fermentato
+che inacidiva ben presto. Re Numa, per costringere il suo popolo
+a praticare il buon sistema, dichiarò in una legge come
+ogni libazione fatta con vino prodotto da vite non potata
+fosse orribile sacrilegio. — Agl’idi di maggio io faccio spampinare
+poco innanzi la fioritura. E rinnovo la operazione — qui
+che fa caldo — quando il grappolo è formato. E i miei
+servi vangano e concimano il vigneto due volte l’anno al levarsi
+delle Pleiadi — quando tolgono i primi pampini e rimboccano
+il ceppo con letame paglioso e un po’ di sale — e allora
+che i racemi imbiondano e anneriscono.
+</p>
+
+<p>
+— Una volta, o Casella, due curiose specie di uva, che
+la industria ti aveva additato, qui mi mostrasti. — Ne mangiai
+e ne ho lieto ricordo. — Sii cortese nel farne motto al mio
+Lucio, che è tutt’orecchi per ascoltarti.
+</p>
+
+<p>
+— Tutto l’<i>hortus</i> superiore, ch’è di prospetto, è composto
+di tali viti che danno il buon da mangiare. — Ecco come
+io mi vi adoperai. Presi quattro ramicelli di diverse specie,
+delle qualità migliori. Li ligai forte e li cacciai in un tubo di
+terra cotta, lasciando due soli bottoni fuori. Quindi, in una
+fossa, ricoperta di letame. — Corsi due o tre anni, quando
+mi avvidi che i ramicelli eransi collimati insieme e formavano
+un solo stelo, ruppi il tubo in cui era chiuso, lo piantai nella
+terra ed i grappoli che ne colsi a suo tempo offerirono chicchi
+di sapore e di colore svariato.
+</p>
+
+<p>
+Operai anche nel modo seguente. — Spaccai una margotta
+nel mezzo in tutta la sua lunghezza. Ne trassi il midollo. — Collimate
+le due parti, le legai strette senza offenderne i getti.
+La piantai nella terra letaminata e l’annaffiai spesso. Ed il
+frutto che ne mangiai non produsse mai acini.
+</p>
+
+<p>
+Coteste operazioni sono divertimenti, o Lucio, e non entrano
+nell’ordine della cultura. La specie buona s’innesta — ecco
+il modo di propagarla, e trarne pro. Ora ti nominerò le
+migliori qualità ch’io posseggo.
+</p>
+
+<p>
+L’<i>amminea</i>, i cui grani sono coperti di fine lanugine. È
+della stessa specie la <i>gemina</i>, perchè i grappoli fioriscono a
+<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span>
+due a due. — La vite di Nomentum è molto feconda. Ve n’ha
+di due sorta. Una la chiamano <i>rubelliana</i>, perchè il suo legno
+è rossastro dentro. E l’altra <i>feciniana</i>, perchè il suo vino
+dà sedimento copioso. Ho una moscatella; che pur dicono uva
+<i>apia</i>, perchè ricerca con amore da quegl’insetti che ce la rendono
+nel verno col loro mele odoroso. Un’altra uva dicesi
+<i>uncialis</i> dal peso dei suoi grossi chicchi. Nel recinto che qui
+vedete ne coltivo più di ottanta specie svariate, che riunite
+nel tino danno squisitissime qualità di vino. — Che più? Nominartene
+una per una fa lungo il discorso ed inutile. Sarebbe
+lo stesso dirti il nome di ciascun granello di sabbia agiti Favonio.
+Ti basti che ne ho di Chio, di Thasos, di Spagna, della
+Rhezia, di Sicilia e del paese degli Allobrogi. — Ora, ridammi
+il braccio e scendiamo a vedere l’oliveto.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Lucio era incantato della semplicità di quel vecchio illustre
+e della bonarietà che spiravano le sue parole. — Si sentiva
+superbo di essergli al fianco e pensava quanti in Pompei
+gl’invidierebbero una tanta fortuna.
+</p>
+
+<p>
+— Tu, o Vestorio, avrai detto al tuo figlio come quegli
+alberi cui ci avviciniamo ed ai quali i Greci attribuirono una
+origine celeste, fossero stati qui da essi portati. — In Italia
+non v’erano. Anzi, nell’anno di Roma 505, una libra di olio
+valeva dodici assi. Ed oggi ce ne danno dieci per un asse. — V’è
+chi ha scritto, vi è pur chi dice che quelli che piantano
+ulivi non ne veggano il frutto. — Errore! — Ecco, siam
+giunti. — Vedete i grossi alberi! E tutti da me piantati. — Antestio,
+gli ulivi che piantammo gli ultimi, da quanti anni
+messi sotterra?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— Mio buon padrone, nell’anno del tremuoto........ ed in
+cui partorì la mia figliuola. Giunti al quarto mese della germinazione,
+sono cinque anni.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— Vedete, amici, sono cinque anni, e già compensano
+le nostre sollecitudini! — Antestio, togli un ramicello delle
+tre qualità migliori commestibili. — Vo’ che le osserviate da
+presso..... Questa dalla foglia larga ed argentea al di sotto
+viene di Spagna e perciò ai suoi grossi frutti diamo il nome
+di <i>orchites</i>. — Dapprima li ponghiamo in un bagno caustico,
+composto di acqua stillata dalla calce e dalla cenere. Tratto
+<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span>
+tratto si esaminano tagliandone la polpa col coltello. Appena
+si scorge il punto che il ranno è arrivato a mordere, le olive
+si tolgono e si lavano con acqua pura. Indi si tornano a maturare
+nella salamoia, formando sopra uno strato di steli e di
+fiori spezzati di finocchio salvatico. — Queste dalle bacche più
+larghe le chiamiamo <i>pausiane</i>; esse pure formano la delizia
+della nostra tavola nello inverno. L’ultimo ramicello appartiene
+ad Emerita, terra della Lusitania. I suoi frutti sono
+grossi e polputi. — Non abbisognano di salamoia. Basta esporli
+durante le fredde notti del decembre e del gennaio all’aquilone
+e divengono dopo una decade dolci come uve passe.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Poi, voltosi al monte, riprese:
+</p>
+
+<p>
+— Vesvius — creatore di questa deliziosa contrada e che
+talvolta, quasi schiacciasse col suo peso i Titani, freme e traballa — oltre
+le pomici, la pozzolana e quelle spugne rossastre
+di cui ci serviamo per fabbricare muri leggieri e soffitte,
+pare ci abbia pur dato una pietra dura quanto il granito. Me
+ne servii per molti lavori qui. — Or, sopra i crepacci della
+roccia eransi piantati di per sè alcuni caprifichi salvatichi, i
+quali portavano le loro frutta con maturità anticipata. Allora
+io piantai dinanzi fichi di qualità migliori.
+</p>
+
+<p>
+Perdona, o giovanetto, la parlantina di un vecchio che
+la vanità ha sorpreso sul declinare della vita. I miei coetanei
+sono lodatori di antiche cose. — Nè io son libero di quel difetto,
+se difetto è. — Ma lodo pure le nuove, perchè sono presso
+la natura che si rinnuova pur sempre. — Là a diritta ho una
+piantagione di peri. Mi danno frutta squisite. Ho la <i>decimia</i> — la
+<i>dolabella</i>, che ha lungo il picciuolo — la <i>laurina</i>, il cui
+aroma somiglia a quello della corona degli eroi — la <i>nardina</i>,
+che ha l’odore del nardo — la <i>superba</i>, che chiamasi così
+per antifrasi, essendo la più piccina della specie — la <i>libralia</i>,
+che vien colta dopo i primi geli — la <i>veneria</i>, dedicata alla
+Iddia che a me sorrise e a te sorride benevola, detta così per
+la forma elegante e pei suoi vivaci colori. — I cotogni che
+miri in fondo, dai rami ricurvi dal peso che l’anno scorso
+patirono per la quantità dei suoi frutti pesanti, gli ho piantati
+per adornare gli altari dei domestici Iddii e per la loro fragranza. — Là,
+a sinistra, su quel terreno più fresco e più pingue,
+<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span>
+sono alberi di mele che sbocciano già le loro tenere foglie.
+Ve’ la primaticcia, che apre la fila. Poi la <i>sceptia</i>, che
+devesi ad un mio liberto. — Le più ricercate sono le <i>appiolae</i> — le
+<i>claudiae</i> — le <i>manliae</i> — le <i>gestiae</i> — tutte coi nomi
+di quei che le fecero primi conoscere. — Furono uomini egregi
+del vecchio Lazio e del Sannio; i quali, dopo avere condotto
+i soldati della repubblica sul sentiero della gloria immortale,
+tornarono come me alla onesta quiete dei campi d’ond’erano
+partiti. — Nessun piange o muore per queste loro conquiste. — Esse
+sono tutte ed a tutti benefiche. — E la pubblica riconoscenza
+gli nomina e gli nominerà quantunque volte gli uomini
+ricorderanno i loro frutti squisiti, fintanto che i padri
+trasmetteranno ai figli le due nobili lingue della libertà e della
+civiltà.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Il vecchio Casella, di curvo che era, sollevò baldo il suo
+capo canuto, e due cicatrici mostrò sulla fronte e sul collo. — Il
+giovane fu commosso da quello aspetto dopo quelle parole
+e strinse la mano al padre suo. Tre diverse fasi di sole erano
+in presenza — l’alba — il mezzodì — ed il tramonto. Ma
+tutte si coloravano di una tinta splendida ed ardente. — Lucio,
+dominato dalla fiera inspirazione dell’onore e della gloria,
+era grande, magro e un po’ stretto di spalle. Bruno e dai
+capelli naturalmente arricciati, aveva un fuoco negli occhi
+che rivelava gli entusiasmi del cuore. — Vestorio; di media
+statura e tarchiato e forte, aveva seguito la carriera delle
+armi ed era poeta come un valente uomo dev’essere; imperocchè
+il medesimo slancio solleva di terra — per trasportarle
+con ala possente verso un nume misterioso ed ignoto — la
+mente coraggiosa e la mente inspirata. Nei tempi di pace
+adempiva alla pubblica funzione di questore, che la elezione
+del popolo gli aveva dato. — Coecilio era un uomo di una
+forte razza, di cui non abbiamo che un solo modello ai dì nostri.
+Nè grande, nè piccolo di persona. Grave negli atti e
+nelle parole. Pari sempre alle varie venture della vita. E tutto
+lo aspetto raggiante di un velato e mesto sorriso che nessun
+pericolo, per tremendo che fosse, avrebbe avuto la forza di
+spogliarne il suo labbro. — La emozione di quei tre era come
+lo ardore profondo di un sentimento che appena facevasi sospettare
+<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span>
+al di fuori — Il vecchio fu il primo a parlare e disse,
+rivolto agli amici:
+</p>
+
+<p>
+— Visitammo abbastanza i piedi degli alberi, i miei sono
+stanchi. — Forse i vostri, no. — Pure, per tutti stimo conveniente
+il riposo.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Gli altri assentirono con un cenno del capo. Ed avviandosi
+verso l’abitazione, traversarono la parte ove si coltivavano
+i legumi.
+</p>
+
+<p>
+— Qui sono le piante nominali di famiglie illustri e che
+sempre più ci richiamano alla memoria la origine d’onde venimmo.
+I Pisoni derivarono da un coltivatore di piselli. — I
+Lentuli, di lenticchie. — I Fabi, di fave. — La cura dell’orto
+fu cura di uomini sommi che le istorie ricordano. — Qui, di
+fuori, non sono che gli asparagi che riportai di Ravenna. — Ah!
+pur vo’ mostrarti il luogo d’onde io traggo gli aromi. — Costì
+sono seminati il <i>libisticus</i>, che tien luogo della mirra — il
+<i>cominus</i>, la cui semente fragrante piace tanto ai colombi — la
+<i>nepitella</i>, il cui sapore mordente condisce le vivande. — Ma,
+andiamo a rifocillare lo stomaco, che ne ha bisogno.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Il triclinio di quell’uomo virtuoso era semplice come la
+sua persona. — La camera bianca di calce. Tre larghe finestre
+vi facevano penetrare il dolce tepore della stagione. Il sole
+era raggiante. La natura tutta chiusa in un suo pensiero di
+amore. — Dopo aversi lavato le mani e propinato agli Dei domestici
+della patria, si assisero attorno al desco, su cui fumava
+un pezzo di montone arrosto. Pane saporito, latte, mele, frutta
+ed erbaggi. — Il vino era mesciuto in coppe di terra di Nola,
+ornate di belle pitture. — Gli uccelli cantavano i loro inni sugli
+alberi vicini.
+</p>
+
+<p>
+Dopo una seconda abluzione si levarono dal desco. Ed andarono
+verso una stanza, ove trovarono il <i>librarius</i>, lo schiavo
+che tenea conto dei papiri e trascriveva quelli che Casella facea
+venir di Herculanum e di Cuma a prestito dai suoi amici.
+La camera era sopra un terrazzo elevato e la luce veniva
+dentro da spiragli praticati sul tetto e coperti da vetri. Tutto
+allo intorno era un armadio. E dentro, distesi su lunghe tavole,
+posavano le leggi, i plebisciti, i decreti dei magistrati e
+<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span>
+gli editti meglio importanti. Venivano quindi gl’istorici, i filosofi,
+gli agronomi.
+</p>
+
+<p>
+— Ieri piovve e ben tardi rasserenò. Laonde qui venni,
+cacciato dai campi. Pamphilo — questo giovane greco, che
+ora copia le opere di Catone — mi fece lettura per più ore del
+libro. — Io non saprò mai imitare quel saggio.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Vestorio si fe’ tosto a richiedergli:
+</p>
+
+<p>
+— Stupisco della tua severità. — Dinne a noi le cagioni.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— Catone studiò forte la economia e la volse all’eccesso. — In
+verità, i risparmi oculati dei cittadini fanno fiorente
+uno Stato. Ma non bisogna spingerli allo estremo. — Nè avaro — nè
+dissipatore. — Rammentati, o Lucio, che anche gli eroi
+sono soggetti a fallire. E i grandi uomini debbono continuo
+studiarsi, onde evitare che i loro errori non mangino la grossa
+parte dei benefici effetti delle immense loro virtù. — Immagina,
+Vestorio. Egli prescrive di menomare il cibo agli schiavi
+quando i fichi maturano e di niegare ad essi la distribuzione
+del frumento, quando pei campi e sulle siepi sono bacche che
+sappiano in alcun modo surrogarlo. — E raccomanda d’inviarli,
+quando sonosi fatti vecchi, al mercato, per non avere
+a dare alimento ad uomini inutili. — Ora comprendi ch’io
+non posso imitarlo. — Io ne ho alcuni, pieni di giorni al pari
+di me e sono tutti affrancati. — E, di abito, soglio ritardare
+di pochi anni — a seconda della loro laboriosità — la tonsura
+dei capelli e il dono del berretto frigio. — Ed oggi tu, magistrato,
+procederai legalmente allo affrancamento dei meritevoli. — Pamphilo,
+tu sai quali sono. Invitali a radersi le
+chiome e ad attenderci sotto il delubro della Dea.
+</p>
+
+<p>
+— Nobile amico!
+</p>
+
+<p>
+— Ecco le mie gioie e i miei teatri; lontano dal fracasso
+del mondo.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Lo attendere fu corto. Le grida di gioia ed un inno greco,
+cantato da giovani donne, annunciò ch’essi potevano discendere.
+</p>
+
+<p>
+Il primo ad essere fatto liberto fu Pamphilo. Coecilio
+gl’impose la destra sul capo e pronunciò:
+</p>
+
+<p>
+— Io voglio che questo uomo sia libero e goda dei diritti
+di cittadino.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span>
+</p>
+
+<p>
+Vestorio, poichè l’altro tolse la mano, gli toccò tre volte
+la testa con una baccetta. Allora, il padrone lo prese pel braccio,
+lo fece girar sui talloni e gli diè un piccolo schiaffo.
+</p>
+
+<p>
+— Ora sei libero. E possa giovarti la libertà che ti rendo
+per quanto ti fu grave la condizione in cui io ti conobbi.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Il giovane piangendo abbracciò il suo generoso signore.
+E questi a lui sussurrò brevi parole all’orecchio. — Quindi
+la stessa funzione fu praticata a favore di Sica, di Castricio, di
+Precilio, di Egypta, di Mustella, di Thalna e di Cerellia.
+</p>
+
+<p>
+La <i>vindicta</i> era compiuta, allorchè Vestorio ebbe scritto
+i loro nomi sur una tavola incerata. Chiamavasi così, perchè
+Vindicio fu il primo schiavo cui in Roma venne conceduta la
+libertà per aver con generosa denuncia salvato le sorti della
+repubblica. — Ed allo schiavo si facea fare un giro sopra se
+stesso, per indicargli che quindi innanzi poteva andare dove
+meglio gli talentasse. Però tutti aggiungevano al loro nome
+quello dello antico signore e rimanevano aggregati in certo
+tal modo alla famiglia, divenendone clienti. Non potevano
+sposare nè la sorella, nè la figlia, nè la vedova di quegli che
+li aveva affrancati e si distinguevano dai cittadini nati liberi
+col coprire la testa del frigio berretto. Nelle pubbliche magistrature
+essi e i loro discendenti potevano aspirare soltanto
+al grado di maestri dei quatrivi e dei paghi, o di edili del
+popolo.
+</p>
+
+<p>
+Coecili Pamphilo, liberto di Casella, aveva portato un papiro.
+Ed il vecchio, svoltolo, disse a Vestorio:
+</p>
+
+<p>
+— Ecco il testamento nel quale ho instituito il mio erede
+universale. — Privo di famiglia, non voglio che i miei beni
+sieno venduti alle grida. — Alconte, mio schiavo, tu che per
+tanti anni mi accompagnasti nella vita fortunosa che insieme
+menammo, sii tu il mio <i>hæres necessarius</i> e, per cotesto atto,
+libero.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Una gioia singolare circolò nelle vene degli adunati. Tutti
+baciavano il lembo della veste del vecchio. Ed egli, con dolce
+sorriso, assaporava la loro felicità nuova, come quel padre
+non ricco il quale coi suoi risparmi ha raccolto danaro bastante
+per mandare al ballo le proprie figliuole, vestite di
+seta.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Ora, ognuno torni alle proprie occupazioni.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+I tre amici rimasero soli. — Ma dire le soavi emozioni
+sentite da Lucio durante la festa della Libertà, è impossibile. — Ed
+era ancora assopito in quei dolci pensieri, quando la
+mano di Coecilio lo scosse.
+</p>
+
+<p>
+— Ti ho mostrato il giardino e il pomario. Debbo ora
+condurti nel podere che dà il buono da nutricare questa mia
+numerosa famiglia.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Si avviarono a sinistra.
+</p>
+
+<p>
+— Per amministrare un campo a dovere occorrono tre
+cose — acqua — pascoli — e bosco. — Del bosco ho quanto
+basti. — Dell’acqua poco. — Dei pascoli a sufficienza pel mio
+bestiame. — Per vivere felice in campagna ne occorrono tre
+altre — purezza di aria — fertilità di terreno — e buon vicinato. — L’aria
+è balsamica — Il suolo è fecondo — I miei
+vicini siete voi, o Vestorio; e Lucio Tucca.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+I due amici lo abbracciarono con affetto.
+</p>
+
+<p>
+— Io vergogno della vastità di questo podere. — Sono
+quattrocento iugeri di terreno. — Cincinnato possedeva un
+orto, e vi piantava cipolle quando vennero a nunciargli il popolo
+averlo nominato a suo dittatore. — Caio Fabrizio era padrone
+di sei iugeri di terra. — Curio Dentato, di sette — ... In
+verità l’onta mia rimanesi inosservata, quando molti altri
+posseggono assai di più.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Camminavano per campi pieni di graminacee e di rape
+salvatiche in fiore.
+</p>
+
+<p>
+— Noi calpestiamo ora il terreno che fruttò l’anno scorso.
+Lo farò arare a suo tempo, poi che abbia posato. Il terreno
+che colaggiù verdeggia mi darà nel mese di Cerere quel prezioso
+ricolto per cui si fa lieta la razza umana. — Andiamo là,
+ove Strobilo lavora coi buoi.... mirate i suoi solchi diritti!....
+Bene... veramente bene! — .... Ehi! Strobilo, ti felicito....
+Eguali tutti! Oh! non può dirsi che il bravo boaro <i>delira</i>! — Tu
+non esci dalla linea.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Lo aratore fu coi buoi presso il padrone. Gli volse e poi
+li fece posare per prender fiato; e colla destra teneva le redini
+e colla sinistra appoggiossi sullo stimolo di cui si serviva
+per eccitare gli animali al lavoro.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Io son lieto di poter appagare coll’opera mia l’ottimo
+dei padroni. — Hai altro a dirmi?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— Vanne, o Strobilo... e che Saturno ti aiuti!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Proseguendo oltre, si trovarono nell’aia e poi in faccia
+alla dimora dei coltivatori. Il <i>villicus</i> fu primo a presentarsi.
+Gli altri erano tutti in movimento al nuncio che Coecilio era
+venuto da quella parte. I bambini, che ignorano le teorie dei
+riguardi e che amano chi li ama, usi alla di lui naturale bontà,
+gli corsero incontro gioiosi e gareggiarono per afferrargli le
+mani. — Egli li carezzò dolcemente; e poi:
+</p>
+
+<p>
+— Ebbene? Caro Cilindro, come va la bisogna?
+</p>
+
+<p>
+— Va! — Gli Dei ci concedono pioggia e sole. — Ho
+fatto seminare i fagioli e prospereranno.
+</p>
+
+<p>
+— Accompagnaci, se ti piace, nelle dipendenze della
+casa. — Vedi, Lucio, nella <i>equilia</i> di contro erano molti cavalli
+una volta. Come belli i miei compagni nelle battaglie!
+Erano delle migliori razze d’Italia. E ricordo con piacere Signifer,
+Deceratus, Murrhinus e Pontifex, i due ultimi feriti
+insieme con me. — Ora non risponderebbero allo scopo. Preferisco
+i buoi e le vacche ai cavalli. — Andiamo a vederli.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Entrarono nella <i>bubilia</i>.
+</p>
+
+<p>
+— Ho molta cura del bestiame io. Mira che grandezza e
+che forza!
+</p>
+
+<p>
+— Ma così belli davvero!
+</p>
+
+<p>
+— Vestorio, ho corso il mondo cogli eserciti e in nessun
+luogo gli trovai belli ed adatti per la loro forza al lavoro
+come nel Lazio. E gli feci venire dal paese dei Volsci. — Che
+nobili corna!
+</p>
+
+<p>
+— Di simili buoi dovette far uso Annibale per impaurire
+di notte i Romani e scompigliarli nel loro campo. Nelle piccole
+corna dei buoi nostrani non avrebbe potuto legar grossi fasci
+di frasche.
+</p>
+
+<p>
+— Bene rifletti, o Lucio. — Non potetti per difetto di
+posto costruir qui la stalla d’inverno e quella di estate. — Ma
+questa è in tali condizioni da farne a meno. — Io non li lego.
+Una specie di giogo li frena e non vieta loro verun comodo
+movimento. Tra l’uno e l’altro v’è spazio bastevole perchè
+il bovaro possa girare loro intorno, allorchè, sdraiati, ruminano. — Cilindro,
+<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span>
+fa aprire l’<i>ovilia et caprilia</i>. — Tengo
+cotesti animali pur esposti al mezzodì come i buoi, per
+allontanare il loro puzzo dalla casa dei coltivatori — che è
+in faccia — e perchè sieno alla loro portata. — L’uomo non
+libero è pigro. Eh! Bisogna venire a patti colla loro pigrizia!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+La soffitta di quel locale era più bassa, acciò il calore meglio
+vi si concentri. L’ovile aveva un pavimento di mattoni. — E
+fra il parco delle pecore e delle capre era uno spazio,
+coperto di una lettiera abbondante di ramicelli di felce, su
+cui posavano le già pronte a partorire.
+</p>
+
+<p>
+— Vedete pecore di buona razza. — L’ho migliorata, incrociandola
+con quella di Taranto. — E ne ho lana copiosa e
+più bella. — Nelle <i>harae</i> dei maiali non vi farò entrare. — Sì,
+nel <i>gallinarium</i>. — Mirate i bei galli! Vi faccio per mezzo
+di un tubo penetrare un po’ di fumo; avvegnachè pei polli
+sia gradevole e salutare. — Colà in fondo è il <i>teporarium</i> pei
+conigli che i miei coltivatori mangiano. E il <i>chenoboscium</i>, ove
+le anitre e le oche mangiano e prendono bagni. Quel muro
+alto che vedete lo feci rizzare per due usi — a riparo del favonio — ed
+alla moltiplicazione delle lumache. — È il <i>cocleare</i>. — Sul
+ruvido intonaco è il muschio che le attira ed io ne
+faccio delizia della mia mensa. — Costì, sotto al <i>gallinarium</i>,
+è lo <i>ergastolum</i>. Allorchè io compero gli schiavi non li trovo
+quali io gli vorrei. E Cilindro deve piegarli. Or quando i miei
+modi ed i suoi non bastano allo intento, conviene cacciarli in
+quel sotterraneo che riceve aria e luce dalle alte e strette
+finestre che vedete. — Non li visiteremo perchè sono bricconi.
+Ma.... diverranno buoni come gli altri che abbiamo insieme
+affrancato.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Una donna in sui trent’anni, tarchiata e di buon aspetto,
+si fa innanzi a Coecilio, lo saluta e gli stringe la mano. Era la
+<i>villica</i>, la moglie di Cilindro, ambedue liberti, agli ordini e
+al servizio del marito suo, sobria, casta, non superstiziosa,
+ed avente cura alle none ed agli idi di ciascun mese — siccome
+pure alle feste prescritte — di appendere corone ad
+Epona, la Dea protettrice del bestiame e di volgere preghiere
+per tutti al Lare domestico.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Abbi gli Dei propizi, o buona Gymnasia. — Vi è da
+fare, eh?
+</p>
+
+<p>
+— Il lavoro nudre, o padrone. E col tuo esempio l’uom
+si migliora. — Che la Parca perda la forbice il giorno in cui
+si rammenta che Coecilio Casella nacque e vive.
+</p>
+
+<p>
+— Accetto lo augurio buono. — Abbi cura delle vesti dei
+miei schiavi. E che i bambini sieno puliti. — Ve’, quello dai
+grandi occhi e il paffutello che mi ha preso la mano. Ambidue
+hanno il viso sudicio.
+</p>
+
+<p>
+— Sono la disperazione delle loro madri. Sempre nel
+fango, che sembran oche.
+</p>
+
+<p>
+— Ho notato molti crani di asino confitti nei pali qua e
+là. — È per congiurarne la mortalità, forse?
+</p>
+
+<p>
+— No, o mio Lucio. — Preservano i campi da influenze
+maligne. Ma, son troppe; hai ragione!
+</p>
+
+<p>
+— Che tu fossi divenuta superstiziosa, o Gymnasia?.....
+Amo la moralità negli schiavi. Ma non voglio che luperchi
+schifosi, che aruspici ladri, che indovini bugiardi, che maghe
+vagabonde vengano qui a mettere ubbie nelle vostre teste. — La
+credulità istupidisce. La ignoranza mangia i risparmi. Il
+bisogno del denaro mena al delitto. — .... Ed io non voglio
+punire al possibile! — Intendi?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Cilindro diè una occhiataccia alla moglie. La quale, confusa
+dal rimprovero, si fece rossa e curvò la testa.
+</p>
+
+<p>
+— <i>Peream male si</i>.....
+</p>
+
+<p>
+— Basta, o Cilindro. Non vedi? La divenne taciturna
+come una statua.
+</p>
+
+<p>
+— Sai il mio costume, o padrone — <i>sequere potius quam
+ducere funem</i>. — Ma Gymnasia farà ch’io mi cangi e la fune
+la tirerò. — Qui mai più ribaldi, intendi? Gl’inghiotta Cocito
+questi ladri delle campagne.
+</p>
+
+<p>
+— Via! O buona, drizza su il capo e menaci alla cucina. — È
+la sede della tua magistratura e non vi sarà a ridire
+colà.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Era una vasta camera, a soffitto alto e bene imbiancata.
+Il focolare aprivasi largo e con un banco circolare di muro
+per riscaldarvi gli schiavi nelle giornate fredde del verno e
+per asciugarvi negli acquazzoni estivi. Sulle pareti erano
+<span class="pagenum" id="Page_44">[44]</span>
+pentoli e tegami e tripodi di ferro e vassoi di bronzo. — Sopra
+il pavimento di lapilli impastati con calce e battuti lungo
+la parete sollevavansi spessi appoggi di mattoni murati, sui
+quali sedevano grossi caldai nettissimi e <i>calati</i> di piombo per
+conservare acqua da bere e al servizio della cucina. Una porta
+laterale menava ai bagni degli agricoltori, i quali solevano
+farvisi netti nei dì festivi e più spesso le loro donne e i bambini.
+Sopra i bagni era l’<i>apotheca</i>, ove chiudevasi il vino
+nuovo, perchè esposto al fumo maturava più agevolmente.
+</p>
+
+<p>
+— Bene, Gymnasia. Sono contento di te. Perdona il rimprovero
+che ti feci. <i>Oculus in agro fertilissimus.</i>
+</p>
+
+<p>
+— Or dove dormono i tuoi schiavi, Coecilio?
+</p>
+
+<p>
+— Amo, o Vestorio, nel tuo Lucio la curiosità che addottrina. — Qui,
+sopra la cucina e le stalle. — I bovari e i
+pastori, nelle <i>bubiliæ</i>, perchè sieno vigili custodi del mio bestiame. — Credeva
+di averti mostrate le loro cellule coi loro
+numeri sopra, per eccitare la emulazione e fare ognuno testimonio
+della incuria dell’altro. — La corte, colla fontana nel
+mezzo e, sotto, la cisterna per la conservazione delle acque
+piovane, è chiusa dall’<i>horreum</i>, magazzino ove sono in serbo
+gli aratri, gl’istrumenti di ferro ed i <i>tympana</i>, carri a ruote
+piene senza raggi, destinati al trasporto dei pesanti prodotti
+dell’agro. — Qui, tutto vedemmo che meglio importava. — Torciamo
+ora i passi verso la mia dimora, e di là alla <i>fructuaria</i>,
+dove convengono tutti i ricolti. — Addio, amici. Gli
+Dei vi concedano tanti beni, quanti occorrono al vostro vantaggio.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Alcune lepri correvano lungo i campi, e si rinselvavano
+nel bosco. Le pernici squittivano accenti di amore. In un recinto
+di reti gli agnelli spoppati apprendevano a nudrirsi dell’erbe
+tenerelle che il tepore primaverile in quelle felici contrade
+facea germogliare. E mentre le talpe minavano sordamente
+la terra, i passeri, le allodole, i pettirossi e le cingallegre
+modulavano gentili armonie. La strada, dov’essi passavano,
+seguiti da Cilindro, offeriva ai loro sguardi uno spettacolo visto
+e rivisto e pur sempre nuovo. Il terreno discendeva in
+anfiteatro sino alla riva, abbellito da gruppi di alberi, da fichi
+spinosi e da case variopinte, che colle loro terrazze e coi loro
+<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span>
+portici parea sorridessero a quel cielo olimpico. L’occhio abbracciava
+in una volta il mare senza limite, il golfo di Stabia,
+le coste abrupte di Sorrento, l’isola di Capreas, la lunga
+sponda di Posilipo, la vaghissima Neapolis, lo artistico e nobile
+Herculanum e il vecchio Vesvius, fucina degli spessi tremuoti
+e più tardi operatore di distruzione e di morte. — Quei
+luoghi d’incanto avevano una espressione di tutta dolcezza;
+e, come la musica, spandevano pei nervi un fluido, padre
+d’idee passionate e triste. Coecilio arrestossi e levando la mano.
+</p>
+
+<p>
+— O Campania, giardino d’Italia! E tu, fiore del mondo,
+Pompei!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Parlando su cotesto argomento giunsero dove erano diretti
+i loro passi. — Il fabbricato aveva in mezzo una corte. — Ciascuna
+parte era addetta al suo uso particolare. A diritta
+era il <i>torcular</i>, il molino delle olive e il pressoio per estrarne
+l’olio. A lato era la <i>cella olearia</i>. A sinistra aprivasi la <i>cella
+vinaria</i>, il cui pavimento di marmo inclinavasi verso un bacino
+che riceveva il mosto dei tini scoppiati per la forza della
+fermentazione. — Una grande vasca — <i>calcatorium</i> — serviva
+alla pestatura delle uve. Era sollevato sur uno zoccolo
+di quattro gradini e due bacini profondi ricevevano il mosto
+che poi si versava nei <i>dolia</i> — tini panciuti di terra cotta — posati
+lungo i muri. Presso i torchi, in fondo, levavasi la caldaia,
+dove il mosto convertivasi in vino cotto. — Poi, nelle
+anfore conservavasi nella cantina, luogo chiuso e quasi oscuro,
+munito di qualche spiraglio verso il settentrione.
+</p>
+
+<p>
+Sopra era il <i>penus</i> — il luogo ove si conservavano i commestibili — e
+l’<i>oporotheca</i>, dove si serbavano le frutte in particolare.
+Nel primo, le fave raccolte, i piselli, le olive edule,
+le zucche, le uova fresche, i meloni ed altre cose simiglianti. — Nell’altro,
+i fichi, le mele, le pere, e via dicendo. Quivi
+il suolo, le pareti e la volta erano di marmo per intrattenervi
+vie meglio la frescura.
+</p>
+
+<p>
+Il granaio chiudeva la corte coi suoi magazzini a volta
+e sollevati dal suolo. Il pavimento era formato di lapillo,
+di calce e di sabbia impastati col sedimento dai vasi da olio
+novello e non salato. Quando era battuto ed asciugato, vi si
+spalmava anche dell’olio buono ed il fondaco diveniva eccellente,
+<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span>
+e mai i sorci, i calabroni od altri animali nocivi vi penetravano.
+</p>
+
+<p>
+— Tu mi chiedesti un <i>promus</i>, o Vestorio. — E ti darò
+Mustella che ama una tua liberta chiamata Pyrgo; talchè sarà
+felicissimo nel tuo podere. E pur mi chiedesti un <i>villicus</i> valente. — E
+ti darò Castriccio che il mio Cilindro istruì. È per
+sposarsi con Cerellia, una delle schiave che tu stamane legalizzasti
+liberta. — Noi, mio Lucio, correggiamo un uso dei
+repubblicani di Roma. Quando quel gran popolo conquistò la
+Italia e la Grecia, si appropriò il territorio dei vinti. — Se era
+coltivato, i triumviri addetti all’amministrazione della nuova
+colonia o lo vendevano o lo affittavano. Se il popolo aveva
+seriamente resistito, la terra si dava agl’incanti; e quegli cui
+rimaneva pagava alla repubblica il decimo del prodotto che
+ne ritirava. La quale tendeva a moltiplicare ovunque la popolazione
+agricola che le forniva i più bravi soldati, i più duri
+alle fatiche e non pensavano al male. Ma moltiplicandosi le
+guerre — e gli uomini liberi, tutti a difesa delle aquile, — la
+cultura dei vasti dominii fu giuocoforza affidarla agli schiavi,
+ch’erano le popolazioni soggette. Tu hai osservato con quanta
+carità io li tratti. — Non tutti così!.... E gl’italici si solleveranno
+i primi. I Romani forse li domeranno col ferro o scenderanno
+a patti.... Verrà giorno però in cui il lusso, la mollezza
+e i vizi disegneranno la curva della caducità di un gran
+popolo. I campi popolati tutti di schiavi oppressi saranno teatro
+a macelli e ad incendii. I crocefissi inchioderanno i loro
+crocefissori... Oh! non permettano gli Dei tanta ruina.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Il sole illuminava dei suoi ultimi fuochi le cose. Pei due
+Pompeiani era tempo di ritirarsi. Ringraziato l’ospite illustre
+del cortese accoglimento e della cessione dei propri coltivatori,
+Vestorio Tucca e Lucio tolsero da lui commiato e lo baciarono
+sulla gota.
+</p>
+
+<p>
+Poi che li vide a cavallo, Coecilio Casella fece loro un
+atto benevolo colla mano e disse:
+</p>
+
+<p>
+— Il tragitto alla tua casa è breve, o amico. — Ma in
+viaggio un giovane allegro e caro, come il tuo figliuolo, vale
+un <i>cisium</i> leggero per un pedestre stanco e trafelato.&nbsp;—
+</p>
+
+<div class="chapter">
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span>
+</p>
+
+<h2 id="cap3">IL FORO.
+<span class="smaller">LA ELEZIONE DEI MAGISTRATI IN POMPEI.</span></h2>
+
+<p class="center">
+<b>Anni di Roma 705 — Anni avanti il Cristo 49.</b>
+</p>
+
+<p class="center pad2">
+A GIUSEPPE FIORELLI.
+</p>
+
+<p class="center">
+III.
+</p>
+</div>
+
+<div class="chapter">
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span>
+</p>
+</div>
+
+<p>
+Il cielo era azzurro e radiante — come spesso — sull’ampio
+e vaghissimo cratere partenopeo; una tinta che non è altrove;
+che infiamma e fa pensare; che soffia sull’anima gli
+slanci passionati e le eroiche rassegnazioni. — Il golfo era circondato
+da colline verdeggianti sino al promontorio di Minerva
+e da un antico vulcano, detto Vesvius, le cui lave vedevansi
+lungo la strada che da Pompei sulla riva del mare menava in
+Oplonte, Retina ed Herculanum, o sulla via Popilia che guidava
+a Nola, o sulla terza che, traversando il copioso Sarno e
+dividendosi in due, metteva a Nocera ed a Stabia. — Bella
+per le sue rive incantate su cui i poeti favoleggiavano le sirene,
+ricca pel suo fiume navigabile, avente l’occhio sur una
+fertile pianura, e l’altro sulla collina gremita di case variopinte,
+la città-emporio — detta perciò dai Greci ΠΟΜΠΕΙΟΝ — era
+posizione militare, posto commerciale e luogo di delizie
+in una volta. I pittori venivano a cercarvi le loro inspirazioni — i
+poeti, i segni sensibili delle armonie della natura — i
+filosofi, le felicità profonde nello stracciare un per uno i
+troppi veli parati dinanzi al genio dell’uomo — i timidi, gli
+stanchi, gli uomini di pecunia, il luogo riposato e tranquillo
+ove appena giungeva l’eco degli avvenimenti fragorosi del
+mondo — i ricchi giovani, le più splendide illusioni, i sorrisi
+delle labbra divine, gli sguardi vellutati che vi passano il
+cuore e le parole dorate dalla intelligenza o profumate dal
+<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span>
+candore che quella sola regione poteva ancora offerire, patronata
+siccom’ell’era da Venere Fisica e da Iside misteriosa.
+</p>
+
+<p>
+Correva l’anno di Roma 705.
+</p>
+
+<p>
+Erano le calende di maggio.
+</p>
+
+<p>
+Il quadrante solare e la clessidra di acqua — questa surrogante
+l’altro nei tempi oscuri o nebulosi — deposti nei pubblici
+luoghi, designavano già la quarta ora, corsa dopo il <i>diluculum</i>,
+parola colla quale indicavasi la punta del giorno. — Malgrado
+però quelle acconce invenzioni di cui Roma seppe
+godere sol cinque secoli dopo la sua fondazione, lo <i>accensus</i> — ufficiale
+subalterno dei <i>duumviri</i> — urlava a piena gola
+sui canti delle vie la misura del tempo che il sole e l’acqua
+notavano, per meglio aiutare alla intelligenza dei forestieri e
+della gente minuta della città e della campagna.
+</p>
+
+<p>
+Sino dal mattino — aperti i cancelli di legno sullo sbocco
+delle otto strade che mettevano nel Foro — il vasto recinto
+era un va e vieni di fitto popolo di tutte le classi e di varie
+favelle. Oltre che i meridionali hanno la tradizionale abitudine
+di viver meglio fuori che dentro le proprie dimore — oltre
+che quel vasto edifizio solevasi costruire di preferenza presso
+il porto nelle città marittime o nel luogo più elevato e centrale
+in quelle dentro terra — siccome il sito favorito dei ritrovi,
+dei commerci e delle riunioni di tutti i pubblici affari — in
+quel giorno la Colonia Veneria Cornelia di Pompei era chiamata
+alla elezione diretta dei suoi magistrati.
+</p>
+
+<p>
+Sur ogni muro esterno delle case e specialmente sugli
+angoli dei quatrivi, erano inscrizioni a grandi lettere di color
+rosso, mercè le quali i devoti, i riconoscenti per ricevuti favori,
+i clienti, i parassiti e i liberti sollecitavano il pubblico
+voto a pro dei loro propri candidati. Per cui leggevansi elogi
+tributati a nomi di cittadini e biasimo ai più sconosciuti od
+immeritevoli dell’alto ufficio.
+</p>
+
+<p>
+La politica dei padroni del mondo divise i paesi conquistati
+in città latine, in città federate, in prefetture ed in colonie. — Erano
+libere, ma nella dipendenza di Roma. Laonde
+non potevano stringere alleanza tra esse, nè politica, nè privata,
+senza prima ottenerne il permesso. — La Italia si divideva
+in dodici provincie indipendenti con leggi, con usi più
+<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span>
+o meno simili a quelli che reggevano la grande metropoli; e
+dal golfo di Taranto distendevasi sino al Rubicone, piccolo
+fiume che sbocca nell’Adriatico. — E nel Mediterraneo giungeva
+sino a Luna, città che gli Etruschi avevano fondato là
+dove il fiume Magra si gitta nel mare. — La potente repubblica
+privava della libertà i popoli manchevoli alla fede dei
+suoi trattati. — Se recidivi, gli deportavano tutti fuori del
+loro paese. — O ne distruggevano la città. — O confiscavano
+una parte del loro territorio. — Tutte le dodici provincie
+erano più o meno colonie militari, cioè deposito di un corpo
+di fanti e di cavalli in permanente osservazione; e dovevano
+pagare un tributo in uomini ed in danaro. — E come puniva
+le aperte rivolte, così ricompensava le tacite fedeltà. — E la
+colonia di Pompei era pur <i>municipium</i>. Aveva, cioè, ricevuto
+il <i>munus</i>, il donativo tutto speciale dei diritti di cittadinanza
+romana. — Onde la sua costituzione era pari a quella dell’Urbe,
+che divideva i suoi abitanti in tre ordini — senato — cavalieri — e
+popolo. La magistratura municipale di Pompei
+rassegnavasi in un edile — nei duumviri che rendevano altresì
+la giustizia — nel pretore — nel censore — nel questore,
+gerente del reddito pubblico — nel patrono della città — nei
+maestri dei subborghi e dei trivi — ed in cento decurioni — quelli
+che in Roma chiamavansi senatori — i quali — decimando
+i coloni — formavano il pubblico Consiglio.
+</p>
+
+<p>
+La forma del Foro — che fu l’<i>agora</i> già costruita dai
+Greci — era un parallelogrammo molto allungato. Un pavimento
+regolare di bianco travertino, su cui sorgevano tutto
+all’intorno colonne d’ordine dorico di svelte ed eleganti proporzioni,
+che sostenevano un porticato di due piani. — Lungo
+l’area erano piedistalli rivestiti di marmo pario o colorato,
+che presentavano in piedi le statue — votate in vita o dopo
+morte — dei cittadini illustri per le loro virtù o per lo esercizio
+di gradi eminenti. — Sur altri quattro erano statue equestri
+ed una quadriga. — Sull’una estremità — quella che
+prospetta il mare — si elevava un arco di trionfo. — E più
+su, due altri piedistalli con statue. — Statue di marmo coronavano
+altresì il tetto del porticato del Foro. — E nel fondo
+stava il maestoso edificio — alla cui sommità giungevasi per
+<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span>
+una gradinata interna di marmo — il quale era in un tempo
+l’<i>ærarium</i> ed il tempio sacro a Giove ed al figlio Esculapio.
+Siccome la costruzione di parecchi metri sollevavasi dal suolo,
+il piano superiore lo avevano dedicato al principe dell’Olimpo,
+ed il sottano a deposito della pubblica pecunia.
+</p>
+
+<p>
+Otto strade diverse menavano al Foro. — Quelle dei due
+lati del tempio. — L’altra che veniva dal crocicchio del Lupo. — Una
+dal canto del Pecile — luogo riparato dal vento e dal
+sole, sacro al passeggio, dalle pareti adorne di pitture sui fasti
+gloriosi della Colonia — metteva nell’Araiostylo, l’ambulatorio
+sotto il portico a lato del tempio di Venere. — Una veniva
+dalla marina ed immettevasi nel parallelogrammo tra il
+suddetto fano, sacro alla Iddia della plastica bellezza, patrona
+della città, e la <i>Basilica</i>. — Un’altra questa isolava dalle case
+particolari. — Una imboccava nel porticato costeggiando a
+diritta la scuola pubblica — ed un’altra ascendeva verso quel
+punto rilevato sulla via detta dell’Abbondanza, per la immagine
+di cotesta divinità spicciante acqua nel fonte di quel quatrivio. — Passavano
+per là quei che entravano in Pompei
+dalla porta di Stabia. — Ogni sbocco di quelle vie aveva gradini
+e pilastri in piedi — <i>impedimenta</i> — e pietre ovali massiccie
+rilevate dal selciato — in uso pur queste in tutte le altre
+strade della città, a comodo degli abitanti, onde traversassero
+a piede asciutto nei casi di grandi acquazzoni — per
+impedire il passo alle vetture e ai cavalli e non aggiungere lo
+strepito delle cose al rumor delle voci.
+</p>
+
+<p>
+E nel vero, molta gente togata alla romana era colà e
+parlava a bocca sfrenata, aggiungendo energicamente il gesto
+ad ogni detto. — Sotto il portico gironzavano, arrestandosi
+tratto tratto i <i>fæneratores</i> — lepra dei tempi che tante leggi
+non potettero mai sanar per intero — i quali usavano i loro
+brevi capitali, o ne improntavano da altri per poi prestarli al
+grosso agio del cinque per cento al mese. La famosa ritirata
+della plebe al Monte-Sacro, quindi sul Gianicolo, ebbe origine
+dal rifiuto dell’abolizione dei debiti enormi, creati dall’avarizia
+dei prestatori. — Una legge recente aveva ordinato che i
+cambiatori di moneta — riconosciuti per tali — fossero nel
+Foro e dessero a prestito il denaro con usura semissuale — cioè,
+<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span>
+del sei per cento all’anno. Non mancavano però gli usurai
+di accalappiare qualche ignorante e i forestieri, in un
+giorno di tanta folla. Erano rizzate sotto i portici le <i>tabulæ
+auctionariæ</i>, coll’enumerazione scritta dei beni mobili ed immobili
+da vendersi in tale ora alla pubblica licitazione. E i
+<i>præcones</i> gridavano i meriti di una casa, di un terreno, o dei
+mobili di legno, di bronzo o di più fine metallo. — Altrove
+erano botteghe posticce, ove si vedevano intorno ai venditori
+rotoli di cordami e pacchi di vele. — O tuniche e mantelli di
+grosso saio con cappuccio, per gente di campagna e per marinai. — O
+vasi di terra, fabbricati nella vicina Nola, di ogni
+dimensione, di ogni ornato, di ogni prezzo. — O lucerne,
+licnoferi, nassiterni, bombille e vasi unguentari. — O calzari
+di ogni stoffa e di ogni foggia. — O Dei penati, e voti di terra
+cotta o di bronzo. — O astragoli e pallottole di piombo ed altri
+giocattoli per bambini. — E tutti gridavano — e tutti urlavano,
+vantando la bontà delle loro merci e la mitezza dei
+prezzi. — V’erano persino i ristoratori ambulanti, offrenti
+vini caldi ed acque melate. — E fra i venditori di cialde, di
+nastri, di calzari, di stoffe di Tyro e di Tarentum, di pelli
+conciate, si aggirava il misero Verna, maestro di scuola, che
+con voce supplichevole e monotona, raccomandava a colui che
+sarebbe stato eletto edile sè ed i propri discepoli.
+</p>
+
+<p>
+Sotto il portico laterale al tempio di Venere Fisica, in
+una icona quadrata, erano costrutte di tufo le pubbliche misure
+di capacità di varie grandezze, affidate, per decreto dei
+decurioni, ai duumviri Clodio Flacco e Arelliano Caledo.
+</p>
+
+<p>
+Procedendo più oltre, penetravasi nella <i>Basilica</i> — uno
+degli edifizi meglio notevoli del Foro — ove i duumviri rendevano
+la giustizia.
+</p>
+
+<p>
+Di prospetto al tempio di Giove Tonante erano le tre <i>Curiæ</i>,
+luoghi sacri, ov’erano depositate le scritture dei pubblici
+archivi.
+</p>
+
+<p>
+Sull’altro lato del Foro, Eumachia, figlia di Lucio, sacerdotessa
+pubblica, in nome suo e di Numistro Frontone, suo
+figliuolo, aveva costruito di proprio il magnifico monumento del
+<i>Chalcidicum</i>, della cripta e del portico interno della <i>Concordia</i>,
+ch’era in un tempo un tribunale per gli affari di commercio
+<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span>
+ed un luogo riparato dalle intemperie e dallo strepito della
+vita pubblica per la trattazione di essi. — I <i>fullones</i> — che
+avevano altrove il loro opificio — grati alla munifica sacerdotessa,
+le votarono una statua di marmo nell’abside interno. — Il
+muro laterale esterno della cripta, riccamente ornato di
+cornici, di frontoni e suddiviso in tutta la sua lunghezza di
+pilastri, simulanti porte, era l’<i>album</i>, ove si pingevano a
+grandi caratteri rossi o neri le inscrizioni di pubblico interesse,
+che risguardavano le vendite, gli affitti, le feste, gli
+spettacoli. — Difatti vi si leggeva lo annuncio che una compagnia
+di gladiatori avrebbe pugnato in Pompei l’ultimo
+giorno di maggio. — E con un altro tutti gli orefici invocavano
+Gaio Cuspio Pansa, edile. — E il maestro di scuola, Valentino,
+coi suoi discepoli, raccomandava con uno sproposito
+di lingua — che non procacciava meriti al saper suo — Sabinio
+o Rufo, come edili, degnissimi della repubblica. — Ed
+un Osco dava nella sua lingua — ch’era pure una delle favelle
+del paese, sendo stati i Sanniti i suoi primi abitanti — lo
+indirizzo della sua locanda pubblica ai viaggiatori, colle enumerazioni
+delle comodità che offeriva.
+</p>
+
+<p>
+Andando anche più in su, si trovava il fano dedicato a
+Mercurio. — Quindi il <i>senaculum</i>, luogo destinato alle assemblee
+dei decurioni. — Ed in fondo erano le <i>tabernæ argentariæ</i>,
+fondachi dove operavano i loro commerci i cambiatori di
+moneta, gli orefici e gli scultori nel bronzo.
+</p>
+
+<p>
+Ai lati del tempio di Giove si elevavano due eleganti archi
+a trionfo, eretti ad incliti cittadini per le loro virtù.
+</p>
+
+<p>
+Ascendevasi al sacrario massimo per una doppia gradinata,
+presso due larghi piedestalli ornati di statue equestri.
+Dal <i>pulpitum</i> — piattaforma spaziosa d’onde i magistrati e
+gli arringatori concionavano al popolo — si saliva su più
+larghi gradini al porticato del tempio, sostenuto da dodici colonne
+di ordine corintio, rivestite di bianco stucco. E sedici
+colonne eguali, di ordine ionico composito — aventi le sue
+volute sulla diagonale, sopportate elegantemente da foglie di
+acanto — sostenevano nello interno un altro colonnato corintio
+su cui chiudevasi il tetto. La statua gigantesca del nume
+drizzavasi dinanzi le tre camere a volta, nel fondo della cella,
+<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span>
+belle di pittura architettonica, nelle quali tenevansi gli archivisti
+degli atti di deposito erariale. E su tutta la superficie del
+bianco mosaico — in mezzo e nello intercolunnio — si aprivano
+larghi spiragli per dar aria ed alcuna poca luce allo edificio
+sottano, ove era custodita la pubblica pecunia.
+</p>
+
+<p>
+La folla erasi fatta vie più spessa. — Le matrone — cioè
+le donne sposate colla <i>confarreatio</i> e non colla semplice <i>cœmptio</i>,
+per cui queste divenivano soggette dello sposo ed in una
+continua tutela, e dalla cui razza non si sceglievano flamini
+nè vestali — ripeto — le matrone, a cui tutti avevano ceduto
+il passo lunghesso le vie, salivano prime sul terrazzo coperto
+sopra il portico del Foro per le due scale disposte alle estremità
+delle <i>Curiæ</i>. Esse vestivano la <i>stola</i>, cioè la lunga vesta
+di lana bianca che cuopre la metà dei piedi. E si avviluppavano
+in un ampio mantello detto <i>palla</i>, che non permetteva
+lo aspetto della persona. Una truppa di liberte e di schiave
+lor faceva corona e largo al tempo stesso. Esse, in grazia del
+gesto animato con cui accompagnavano la breve parola, si
+permettevano tutto al più lo innocente civettismo di mostrare la
+bella mano dalle dita affilate e piene di gemme. — Le altre
+donne più giovani — e perciò più eleganti e più libere — che
+dopo esse salivano, portavano sopra l’acconciatura del capo
+finissimi veli, coi quali artificiosamente e per metà celavano
+ai desiosi sguardi degli ammiratori il loro viso ovale dal tipo
+greco. Ricchi i tessuti delle vesti e di ogni tinta. Ma la porpora
+primeggiava tra tutte. — Mutabili nelle loro idee, erano
+pure svariate le fogge del loro vestire. Alcune si coprivano
+colla <i>regilla</i>, la quale era una grande tunica dritta. O colla
+<i>impluviata</i>, una specie di toga femminea di forma quadrata
+come l’impluvio di una casa. O col <i>basilicus</i> o coll’<i>exoticus</i>,
+manti reali o stranieri, colle frange o coi meandri d’oro. O
+colla tunica <i>intusiata, calthula, patagiata, crocotula, plumatile</i>,
+questa sparsa di ricami d’oro leggerissimi al pari
+delle piume. — Una di esse, nel porre il breve piede sulla
+scala, ebbe cura con tal movimento di disegnare i rotondi
+contorni della leggiadra persona. Una bionda, per mostrare
+il suo petto bianco come la neve, si volse dalla parte d’onde
+spirava il vento, perchè zeffiro soffiando sul suo <i>linteolum
+<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span>
+cæsicium</i>, le scoprisse la spalla sinistra ed una parte del braccio,
+tornito dagli amori. — E una bruna vanerella, vestita
+di una <i>mendicula</i> molto scollata, lasciava ammirare un suo
+neo sull’omero di alabastro. Tutte avevano collato sul loro
+volto pieno di grazie piccoli pezzi di pellicola nerastra, di
+forma rotonda o di mezza luna — nei di artificio coi quali
+pretendevano dare maggiore rilievo alle loro naturali attrattive.
+E presso che tutte — di bruni capelli — si ostinavano
+per moda di averli cangiati in biondi ardenti, in dorati od in
+tinta cinerea. E cotesto ottenevanlo col farsi ungere le chiome
+dalle loro <i>ciniflones</i> — addette a siffatto mestiere — con una
+pomata composta di ragia, di aceto e di olio di lentisco, che
+imbiondiva i capelli in una sola notte. — Non eravene una
+che non avesse sulle orecchie due e sino tre pendenti d’oro,
+di pietre preziose e di perle. — Cotesti gingilli così combinati
+erano detti <i>crotales</i>; perocchè nello urtarsi formavano un
+suono, atto a destar l’attenzione e a far doppio il loro civettismo. — Alcuna
+passava dall’una mano nell’altra alcune piccole
+palle di cristallo di monte e di ambra gialla — le prime
+per tener fresca la palma, e le altre per profumarle soavemente.
+Altre stringevano i polsi per entro braccialetti d’oro
+a forma di serpi, che pesavano da due a tre chilogrammi.
+</p>
+
+<p>
+Giovani — e ben più ridicoli per la loro raffinata ricercatezza — avevano
+molte di quelle leggere donne accompagnate
+dalle loro case o dai bagni fin là. Anch’essi avevano profumati
+od arricciati con arte i capelli. — Ed il mento rasato. — E
+mani, e braccia, e gambe monde di pelo dalla pietra pomice. — E
+chiusi entro le ricche pieghe di una larga tunica
+di porpora. Od avvolti in un bruno <i>lacerna</i>, veste militare
+che l’abitudine delle guerre civili aveva messo in uso ed in
+moda. Di alcuno tra essi poteasi dir con Orazio, <i>ad unguem
+factus homo</i>, cioè, azzimato sino alla perfezione.
+</p>
+
+<p>
+Ai quattro canti del Foro alcuni <i>viatores</i> — che già avevano
+per tutte le strade avvisato come l’assemblea popolare
+fosse per aprirsi — suonarono le loro trombe. E poi, l’un
+dopo l’altro gridarono che i decurioni andassero al loro posto,
+e quelli i quali avevano diritto di dare il suffragio apparecchiassero
+le loro tessere.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span>
+</p>
+
+<p>
+Allora, uomini dalle larghe toghe preteste, orlate da una
+striscia di porpora, dalle laticlave e dai bianchi stivaletti,
+ascesero i gradini del tempio e si assisero sulle sedie curuli.
+Altri — al cui passaggio ognuno deferente faceva inchino col
+capo — nel traversare il parallelogrammo salutava con benigno
+ed orgoglioso sorriso quelli che tra i suoi conoscenti distingueva
+tra i gruppi. — A quanti egli e i suoi somiglianti
+avevano in quel giorno pagato un piccolo debito, ed il desinare
+nelle <i>popinæ</i>, e la tessera del teatro!
+</p>
+
+<p>
+Intanto, un giovane accorso rapidamente dalla via della
+fontana del Lupo, sparse una novella, la quale venne da
+molte bocche bentosto riprodotta, ed offerì nuovo soggetto
+all’animato disordine, alla febbrile parola, al gesto impetuoso
+di quel popolo meridionale. Di fatti, i curiosi — che si erano
+spinti fin sotto l’acquedotto dalle due fontane che simulava
+il secondo arco trionfale dopo quello a sinistra a lato del tempio — videro
+un vecchio circondato da gran numero di clienti,
+portare la mano destra alla bocca e contornare un po’ il suo
+corpo da diritta a manca dinanzi il grazioso tempio della Fortuna,
+edificato dai suoi sur un’area di loro pertinenza. — Avendo
+riconosciuto nella folla due militari, strinse gli occhi
+affettuosamente e chiamogli:
+</p>
+
+<p>
+— <i>Læti victores.</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+I suoi bianchi capelli erano lucidi e ben pettinati. — La
+toga gli scendeva sino a terra. — La pretesta era bruna ed
+il corpo ed il capo copriva colla <i>penula</i>, mantello di viaggio
+e dei tempi di lutto. — Era una grande semplicità nella sua
+persona. Il volto, sovente gaio e sfiorante in epigrammi nel
+facile consorzio, si aprì a mesto sorriso alla vista dei <i>salutatores</i>
+che in frotta se gli fecero intorno. — E taluno il chiese
+del suo mal d’occhi. — Ed altri su ciò che stava scrivendo. — Ed
+un terzo, da quando era giunto di Roma. — Ed uno
+più intrinseco gli domandò le novelle di Tulliola amata e di
+Quinto, suo fratello. — E molti delle importanti notizie dell’Urbe.
+</p>
+
+<p>
+Egli prese il mento colla sua mano sinistra — suo gesto
+di abitudine — e mostrando Dolabella, suo genero, e sè stesso
+in <i>toga atrata</i>:
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span>
+</p>
+
+<p>
+— L’anima fuggitiva di quella soave creatura ci disse lo
+eterno vale dopo averci fatto dono di un suo figliuolo. Anch’esso
+disertò la trista dimora degli uomini, ov’era inconsolato
+il pianto. Ma il lugubre annoso cipresso starà, quantunque
+più non senta i profumi della giovane rosa.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E ad un più vicino:
+</p>
+
+<p>
+— Ti è grato l’animo mio. — Attico mi ha diretto Asclepiades,
+un famoso <i>oftalmicus</i> della Grecia, che riprova ogni
+medicina e mi guarisce con lozioni di acqua fredda.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E ad un altro:
+</p>
+
+<p>
+— Scrivo sur un argomento che il dolor mi ha fornito — <i>De
+consolatione.</i> — Ieri, a notte tarda, giunsi nella mia suburbana,
+accompagnatovi dalle lettere consolatrici di M. Bruto,
+di Servio Sulpicio, di Lucio Lucceio e di Caio Cesare.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E a molti in atto di aver pubbliche novelle:
+</p>
+
+<p>
+— Alcuni deputati di Laodicea vennero ad implorare la
+libertà della loro patria. — E noi, per la nostra?... Il dittatore
+mi colma di gentilezze e par che tema che io qualcosa
+desideri. — Arte dei nuovi! — E più di colui, che intende
+cancellare dai nostri ricordi il valico recente e audacissimo
+sul Rubicone.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Cui Numidio Canca — uno dei vecchi militari da lui pur
+dianzi salutato:
+</p>
+
+<p>
+— E perchè ti confini tu nel tuo Tusculum ed or qui, sì
+che nell’Urbe s’ignora se sii ancor tra i viventi?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— E vuoi tu, nobile avanzo dei ferri catilinari, che io
+non rinunci alla pubblica cosa quando questa più non esiste?
+Quando la libertà la dicono pacificata e le nostre vecchie instituzioni
+le chiamano moderande, da sorreggersi e persin migliorate?....
+La gloria è in interdetto. — La eloquenza — voi
+il sapete — è una fiamma che abbisogna di alimento per ardere
+di moto per eccitarsi.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E Dolabella:
+</p>
+
+<p>
+— E la Repubblica tranquilla, la Repubblica dell’ordine
+dice che noi gittavamo tutti gli errori nel cuor fecondo delle
+masse per quella maledetta ambizione di popolarità. — Laonde
+fazioni e lotte continue tra il patriziato e il popolo
+minuto.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span>
+</p>
+
+<p>
+La voce di un giovane allor sorse a dire:
+</p>
+
+<p>
+— Lo editto dittatorio che ha rilegato nel tempio di Marte-Vendicatore
+il dibattimento delle cause pubbliche, ha tolto il
+fermento, la licenza, la dissennatezza omai generale. — La
+eloquenza, no, non è morta. Essa vive e scintilla per fare il
+bene, procede pel sostegno dei sani principii e trionferà dei
+pessimi cittadini. — Che! Son fatte mute le labbra sublimi
+che inabissarono Catilina, Verre ed Antonio, surti per rovesciare
+a talento le sorti della Patria e del Mondo?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Lo elogio espresso dal giovine retore Consinio Mestrio,
+quantunque meritato, sommamente piacque a colui si quale
+era diretto. — Onde rispose:
+</p>
+
+<p>
+— La mia età mi condanna al triste privilegio di dire: — Ho
+vissuto. — Ma... o tirone, quello che tu chiami licenza,
+io la chiamo libertà....
+</p>
+
+<p>
+— E pur dai Rostri tu l’accusasti compagna delle sedizioni,
+ribelle, arrogante, parricida. — E noi giovani comprendemmo
+come le pietre sieno fatte per selciare le vie e non
+per abbarrarle, e le daghe per difendere il Campidoglio e non
+per abbatterlo.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Allora dal crocchio emerse la testa di un canuto, sulla
+cui fronte ogni dolore lasciato avea la sua ruga, e
+</p>
+
+<p>
+— Parmi non la santa libertà tu rimpianga, ben la rivalità
+di un uomo possente, cui tu apristi la strada al salire.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— Basta, o amici. Ragioni non mancano. Pur mangerebbero
+il tempo alle pubbliche elezioni della Colonia. — M. Clodio
+Pulcro venga a suo libito nella mia Pompeiana, ove mi
+piaccio ed è il solo luogo oramai ove io sia pienamente contento. — Là
+parleremo.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E sì dicendo ruppe il cerchio dinnanzi coll’atto benevolo
+della mano. E fattosi nel Foro, ascese anch’egli la gradinata
+del tempio.
+</p>
+
+<p>
+Un suo liberto che pur era venuto con lui di Roma, un
+tal Suculo — che negli spazi smisurati aveva veduto abbassare
+il volo alle chimere della lunga sua vita — accostossi ad
+un affrancato di sua conoscenza e gli disse colla palma tesa
+verso l’orecchio:
+</p>
+
+<p>
+— Oh! Un po’ di umiltà sposata a tanto ingegno! Se un
+<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span>
+raggio di sole gli avesse almeno scaldato il cuore! — Terenzia — la
+buona padrona che mi diede la libertà — fu da lui
+reietta e presto dimenticata. — Tulliola — che aveva i suoi
+tratti e le sue nobili frasi congiunte ad una grande anima,
+ch’egli diceva adorare — morta appena ed obliata. — Ora,
+a 58 anni, ha sposato Publilia, giovane, bella e ricca, colla
+cui dote ha pagato i molti suoi debiti.
+</p>
+
+<p>
+— Tu mi conoscesti schiavo di Hortensio, nella villa di
+quel gran ciarlone, in Bauli. Preso di matta passione pei suoi
+<i>piscinarii</i>, ammalò quando lesse il decreto del dittatore che
+vietava si gittassero più oltre gli schiavi ad ingrassar le murene.
+Ei soleva parlar con dispregio di M. Lucullo — il fratello
+del vincitore di Mithridate — perchè non aveva nei suoi
+vivai il quartiere di estate per i suoi pesci favoriti. — Per
+cotal gente noi valghiamo meno di un’ostrica di Lucrino o di
+Brundusium. E Crasso, l’uomo censoriale, lo illustre, il grave
+uomo di Stato, quegli che ama tanto la Repubblica, e nol
+vid’io porre una collana di perle e gli orecchini d’oro ad una
+murena?
+</p>
+
+<p>
+— Udii ben io Domizio, il suo collega nella Censura, rimproverargli
+tale sciocchezza in pieno Senato, ed egli testimoniarla
+senza rossore, vantandosene come di nobile atto di pietà
+di cuore.
+</p>
+
+<p>
+— Per Castore e Polluce! V’ha dei giorni in cui, vedendo
+girare le verghe e cadere sul corpo dei miei poveri
+compagni in casa di Aricio Scauro — quegli che mi comperò
+dallo antico padrone — la rivolta mi sembra quasi un dovere. — E
+quando io mi chiudo nel mio povero giaciglio la sera,
+io m’inginocchio dinanzi una Iddia che mi sta nel fondo del
+cuore e le canto un inno tacitamente, siccome Spartaco lo urlò
+coi coltello da beccaio nello anfiteatro Campano. — Ah!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— Tu vai tropp’oltre, fratello. Rammenta che se è vietato
+gittar gli uomini ai pesci, non la è così per le fauci dei
+leoni, delle tigri, degli orsi. — Sommessione e pazienza.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E si separarono.
+</p>
+
+<p>
+Rincarirò sul già detto da quelli schiavi. Era in Roma
+un Figellio, poeta assai caro a Cesare e ad Augusto. Ei cantava
+d’improvviso una serie lunga di versi su qualunque argomento.
+<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span>
+E siccome, non sole parole, ma concetti, ognuno ne
+maravigliava; e dalla maraviglia il favore. Nasceva di gente
+Iliese, rintanata sulle più aspre montagne della Sardinia. Ribelle
+ai Romani, nobilmente testarda, combattuta d’ordine
+del Senato, carpita dai suoi nidi di aquila e venduta ne’ pubblici
+mercati. Solo Nerone, a sedici anni, sposata Ottavia, difese
+gl’Iliesi, origine della casa Giulia, perchè di seme troiano,
+da Ænea colà trasportato. Figellio era un liberto. Aveva il
+padre, i congiunti, i nati nei suoi monti combattuti, morti,
+martoriati, venduti, dispersi. O perchè Cicerone l’odiava?...
+Schiccherava versi d’incanto e tutti ne lo lodavano. Ed egli,
+poetastro stentato, non di vena, n’era geloso e non sapeva
+frenarsi.
+</p>
+
+<p>
+Uno Scauro, iniquo pretore, ito in Sardinia colle sacca
+vuote, le riportava nell’Urbe gravi di argento e di pietre preziose.
+Cicerone orò per lui. Aveva bene accusato Verre per
+missione avutane dai Siculi. Cangiato il nome, il soggetto era
+lo stesso. Ma egli spese la sua splendida eloquenza contro i
+Sardi derubati e immiseriti, perchè Scauro fu il primo a complirlo
+e fecegli udire il sonito dei nummi d’oro, di cui lo sciupone
+aveva tanto bisogno. E ritorse il dritto. E raddrizzò lo storto.
+</p>
+
+<p>
+Erasi allora allora partito dall’Urbe, e i suoi rancori, i
+suoi desiderii, le sue speranze attribuiva alla società pur
+dianzi lasciata. Pensava che il suo malcontento avrebbe prodotto
+la rivoluzione. In ogni baruffa vedea la rivolta. Credeva
+pianto della patria il pianto del suo cuore. E i suoi vecchi
+colleghi, tutti tormentati dalle sue smanie. E s’ingannava.
+</p>
+
+<p>
+L’uomo politico, cacciato in bando da una fazione avversa,
+guarda il presente e lo avvenire a traverso un prisma
+fallace. Il tempo accresce le vanità della mente e aduna
+fiamma nel cuore. L’esule esagera i meriti suoi. La impazienza
+gli fa accettare qualunque consorzio. I riuniti per la
+medesima causa ragionano intorno a ciò ch’essi erano, intorno
+a ciò ch’essi sarebbero; e s’incitano contro il comune nemico;
+e si pascono di vittorie e di vendette; e maturano imprese di
+passione, non di criterio, che i non tormentati dai medesimi
+sentimenti — tutto che amici loro — giudicano disperate, insane
+e di successo infelice.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span>
+</p>
+
+<p>
+Silla avea detto che in Cesare erano molti Marii. Nelle
+sue imprese era cauto, di sguardo lungo ed audace. Trionfava
+a miracolo. Acquetava con spettacoli, con desinari fastosi, con
+giuochi, con larghezze. Abbelliva la città. Ampliava lo impero.
+I soldati erano suoi. Deponeva agevolmente odii e nimicizie. I
+ricchi, le donne, il popolo, tutti per lui. Il dado era gettato.
+Cesare aveva vinto. Or l’Arpinate farneticava; ed eccitatore
+di animi, sentiva bene nel profondo la vanità dei propositi
+suoi.
+</p>
+
+<p>
+Infrattanto il vecchio M. Tullio Cicerone, riconosciuto od
+atteso, ebbe le mani strette con grande espansione da tutti
+ch’erano pel peristilio del tempio. Parecchi lo baciarono sulle
+due gote, segno di affetto che i Romani prodigavano ai loro
+amici. — Fattasi un po’ di calma, Alleio Lucio Libella, col
+suo collega nel duumvirato Munazio Fausto, si presentò alla
+faccia del popolo adunato per ritogliere gli auspicii; osservò
+il volo di un aquila a cui gli aruspici diedero la libertà; una
+vittima venne immolata sullo altare interno del nume, e i
+sacerdoti dichiararono che i padri potevano deliberare. I
+duumviri, il pretore, il questore, i magistri dei sobborghi e
+dei trivii, e i decurioni andarono l’un dopo l’altro ad offrir
+al Dio vino ed incenso, e la seduta fu aperta.
+</p>
+
+<p>
+I primi sedettero sulle sedie curuli del centro. Lo edile
+ed il questore più al basso ai lati del <i>pulpitum</i>. — Gli altri
+sedevano alla rinfusa sotto il colonnato. — E nelle parti laterali,
+sotto le statue equestri, erano gli <i>actuarii</i>, scribi e schiavi
+pubblici, incaricati di raccogliere i discorsi mercè alcune note
+od abbreviazioni che con brevi tratti di stilo rappresentavano
+molte parole.
+</p>
+
+<p>
+— Salute ai tre ordini della Colonia. Gli Dei le siano propizi.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Quindi i duumviri indicarono allo edile e al questore che
+potevano dar còmpito della loro amministrazione.
+</p>
+
+<p>
+Aufidio Mamusa cominciò dal leggere un disegno di senato-consulto,
+ordinando preci nei templi per cinque giorni e
+la immolazione di cento vittime sugli altari, per calmare la
+collera celeste che tratto tratto manifestavasi nel territorio
+della Colonia con dannosi tremuoti. — La legge passava <i>per
+<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span>
+discessionem</i>, cioè, senza discutersi e per acclamazione. — Quindi
+parlò delle nuove terme costruite nel fondo della via
+dell’Abbondanza, cui erasi aggiunto anche la palestra dei
+giuochi ginnastici della gioventù, una biblioteca, una sala da
+giuoco ed una di profumeria. — E lo edile seguiva:
+</p>
+
+<p>
+— Il mio collega Cascellio Testa, questore, prese gran
+cura nella fattura di cotesto edificio — non solo bisogno — ma
+lustro della nostra Colonia. Come Catone e Fabio Massimo
+egli ha regolato la temperatura dei getti di acqua calda. I condotti
+portano pure le onde dai larghi depositi del Sarno e le
+si rinnovellano continuo. Una imposta più grave converrà votare
+per....
+</p>
+
+<p>
+Una voce potente tuonò dai portici ed interruppe lo
+edile.
+</p>
+
+<p>
+— I ricchi hanno i loro <i>balinea</i> domestici, corredati di
+ogni femminea ricercatezza. Al popolo bastano le terme dove
+toglieva i suoi bagni Scipione l’Africano. Quel terrore dei
+Cartaginesi bagnava in povero luogo il suo corpo affaticato dai
+lavori dell’agricoltura; che il grand’uomo piacevasi coltivar
+<i>more antiquo</i> il piccolo predio colle sue mani gloriose. — Ora,
+pavimenti istoriati per poco venerabili piedi! Soffitte dorate
+e a rilievi sopra capi senza cervello! — Stanze da giuoco e
+da unguenti! — Mascherate ridicole! — Ai bei tempi che non
+son più, i nostri padri sitivano di guerra e di gloria. — Poveri
+eroi del vecchio Sannio! Ora passa un nipote degenere sul
+margine della via, e vi sembra che là sia piantato un giardino.
+</p>
+
+<p>
+— Ingiusta è la tua rampogna, Appio Crispo. Altri e diversi
+i tempi da te mentovati. Una volta il popolo lavava le
+braccia e le gambe allorchè i lavori, cui era addetto, quelle
+membra particolarmente gl’insudiciavano. L’abluzione della
+intera persona non avea luogo che ogni novenio, nell’epoca
+dei mercati. — Ora trovi tu male ch’ei si lavi ogni dì? Che
+prenda il bagno caldo? Che preferisca le pure linfe alle torbide?
+Che le sale ove l’occhio ei riposa siano adorne dalle
+arti del bello e i pavimenti abbiano musaici invece di pallidi
+mattoni?
+</p>
+
+<p>
+— Anche i ricchi si contentavano di una giornaliera abluzione.
+<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span>
+Ora passano la loro vita nel bagno. Per Ercole! E la
+sera, dopo averne presi otto a vapore, fanno pietà a vederli.
+Hanno a mala pena la forza di star ritti e di risponder col gesto
+se sono salutati. — Vuoi che anche la plebe si mummifichi
+al pari di essi? Vuoi ch’essa apprenda a tergere collo strigilo
+i suoi profumi invece che i suoi sudori?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Un mormorio di grida indistinte udissi in ogni parte del
+Foro. Allora il questore levossi in piedi e cominciò a ragionare.
+Ma le interpellazioni violente, partendo da vari gruppi
+sotto i portici, coprirono il timbro della sua voce. Aveva un
+bello affannarsi nel dire:
+</p>
+
+<p>
+— Pace, pace!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Nessuno gli dava retta, e tutti ad una volta, con gran
+lusso di gesti, dicevano:
+</p>
+
+<p>
+— È contro la plebe.
+</p>
+
+<p>
+— No. È per lei che ha fabbricato le Terme.
+</p>
+
+<p>
+— Plutone lo inforchi! — Come? Forzarci a prendere i
+bagni ogni dì? Converrebbe essere censuari, o non aver famiglia
+da nudrire!
+</p>
+
+<p>
+— Sappiate almeno, prima di bociar tanto, contro qual
+cosa facciate il vostro richiamo. — Le Terme, come il Tempio,
+come la Basilica, come il Teatro, sono lustro e vanto di una città.
+</p>
+
+<p>
+— Io trovo che nel <i>baptisterium</i>, dove andai a prendere
+il bagno freddo in comune, tutte le delicature enumerate non
+vi erano.
+</p>
+
+<p>
+— Bestia! — Se fossi entrato nell’<i>apodyterium</i>, nella
+sala a dritta, ove si depongono le vesti, avresti notato il fastigio
+degli ornati che non sono nel tempio.
+</p>
+
+<p>
+— E bene sta. — La plebe è sovrana, finchè i vizi di
+Rema non l’avranno venduta — o finchè i suoi propri non
+dicano il suo prezzo all’uomo che ha l’occhio dell’aquila. Abbia
+anch’essa il suo <i>frigidarium</i>, il suo <i>tepidarium</i>, il suo
+<i>sudatorium</i> e il suo <i>eleotesium</i> per spargersi di profumi sul
+corpo estenuato dalle fatiche.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E con una voce stentorea, addensandola nelle palme
+chiuse in arco, proseguiva:
+</p>
+
+<p>
+— Parli lo illustre Cascellio. — I duumviri ristabiliscano
+il silenzio.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span>
+</p>
+
+<p>
+Gli araldi dopo vari tentativi potettero ottenere un po’ di
+calma. Allora il questore:
+</p>
+
+<p>
+— Appio Crispo mi permetterà ciò che mai non seppi rifiutare
+ad alcuno nella mia non breve vita di magistrato. Potrei
+dirgli com’egli mal collochi la sua demofilìa. — Chè, val
+meglio far gustare ai diseredati dalla fortuna i comodi della
+vita domestica, onde averli discreti, costumati, tranquilli, di
+quello che averli selvaggi e brutali. — A mente posata tutti
+mi daranno ragione e plaudiranno a questo prodotto della nostra
+amministrazione. — Or noi prendiamo a nostro carico la
+eccedenza della spesa sulla somma che ci venne allogata. — Ed
+io pagherò di proprio il mantenimento delle pubbliche
+nuove Terme, acciò non dia ragione ad elevare le tasse sulle
+colonne e sulle terre, o di lasciarlo a carico del pubblico tesoro.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Secondato da un mormorio favorevole dell’assemblea, il
+questore tornò alla sua sedia curale. Ma tutti i decurioni lasciarono
+le loro e si fecero a stringerlo, a lodarlo, e taluni
+anche a baciarlo. La discussione venne continuata pro o contro
+lo assunto, ognuno terminando il suo discorso colle parole:
+</p>
+
+<p>
+— <i>De ea re ita censeo.</i> — Oppure — <i>Assentior.</i> — Oppure — <i>Assentior
+et hoc amplius censeo.</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Non levandosi alcuna voce sulle altre questioni dell’amministrazione
+municipale, furono tacitamente adottati per
+buoni i temperamenti ritolti dall’autorità. — Non così quando
+Mamusa venne a trattare della costruzione delle vie interne e
+delle pretorie, nonchè delle vicinali, che menavano a piccole
+borgate e ad oppidi o li traversavano. Un decurione,
+breve della persona, dagli occhi piccini ma divoranti come
+quelli del tigre, valoroso soldato sotto Silla, il gran capitano,
+chiese se gli desse facoltà di parlare. Dotato di una grande
+originalità di carattere e d’immenso coraggio — perciò amico
+fedele al vero e a tutta la sua parentela — di cuore elevato,
+mia soffrente gli entusiasmi del momento, credeva che la parola
+fosse per correggere gli errori, per togliere le cose dalle
+mani incapaci, e per far sorgere di terra bisogni acquetati,
+universalmente riconosciuti. Tale era Ninnio Mulo, il quale
+discesa la gradinata si apprestava ad arringare sul pulpito.
+</p>
+
+<p>
+— Tu vuoi, o popolo, ch’io dica la verità, non è vero?...
+<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span>
+Ho la mano memore di colpi di daga, ma la lingua non seppe
+dir mai fiori retorici. — Fui marinaio — Sono soldato — Do
+quel che ho — Ebbene! quegli egregi che seggono dietro di
+me non fanno il loro dovere. — Sarebbe stato bene tu non li
+avessi mai eletti. Ma farai meglio di non li eleggere più. O popolo!
+Cotesto ingombro di schiavi di ogni terra del mondo ti degrada,
+ti dà i suoi vizi. E omai domandi di esser nudrito e distratto
+coi giuochi dello anfiteatro. — Scorgendo qual sia il
+mezzo di piacerti, erigono bagni di lusso, rizzano per sè e pei
+liberti sepolcreti maestosi che giammai ebbe un salvatore della
+Repubblica in campo, e con ingenti spese fanno venire dalle
+scuole di Capua e di Ravenna compagnie gladiatorie e di
+Roma bestie feroci. I tuoi padri sarebbero stati loro grati per
+le opere di utilità pubblica, compiute a gloria di tutti. I porti,
+le vie interne, le strade consolari; ecco i lavori degni della
+tua maestà, o popolo. Giulio Cesare non ha speso pei bagni,
+egli — ma per la riparazione della via Appia.
+</p>
+
+<p>
+Guarda or le tue strade urbane — osservane i <i>margines</i>
+sbocconcellati, mancanti, alti, bassi, irregolari. — Per iddio
+Marte! Non sono molte sere ebbi a snoccolarmi un piede sulla
+via ove sono le fontane del Toro e di Sileno — Par greto di
+fiume.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E volgendosi indietro rosso come bragia:
+</p>
+
+<p>
+— Ti fa vergogna, o Mamusa!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Poi continuando:
+</p>
+
+<p>
+— Presso la fontana della testa di Venere, sulla via che
+mena alla porta di Stabia, ebbi a raccogliere un povero vecchio
+che aveva perduto lo equilibrio su quei solchi di pietra — e
+tutto sanguinoso nel capo, votava i magistrati alle furie
+di Averno. — Onta e danno! Ho detto abbastanza.... Pure
+aggiungo che la strada per Oplonte ad Herculanum è impraticabile,
+e le carra vi s’impaltenano nel verno a non poterne
+uscir fuori che a stento. — Strade e... scuole... Anche queste
+fanno pietà! Una plebe più istruita e meno profumata fa gli
+affari della Repubblica.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Quando Ninnio — terminato il discorso che il nobile cuor
+gli dettava — si volse alla sua sedia curule, trovò Cicerone
+che colle aperte braccia lo accolse e gli disse:
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Salve, amico. Bene dicesti!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Nel Foro molte le voci plaudenti. Scarse sul peristilio del
+tempio.
+</p>
+
+<p>
+Aufidio Mamusa che avrebbe voluto essere rieletto, non
+volle rimanere sotto il peso di tanta censura. — E rispose:
+</p>
+
+<p>
+— L’onorato cittadino che tutti amiamo e stimiamo, equo
+sempre nei suoi giudizi, volle esser ingiusto oggi con noi. La
+via suburbana dei sepolcri, che appellasi <i>Domitia</i> e che mena
+a Neapolis, fu rifatta dai magistrati che ci precedettero nell’arduo
+incarico. Il suo stato è eccellente. Solo negli acquazzoni
+estivi le terre di alluvione la ingombrano, ed abbiam cura
+di farla netta dal fango in ogni circostanza. — Dal tempio
+della Fortuna sino al crocicchio della fontana del Toro facemmo
+selciar di bel nuovo la via colle pietre del monte Vesvio,
+e la superficie dei margini fu composta di ciottoli spianati
+e murati a livello. Computata la spesa di quel tratto,
+avremmo a poco a poco restaurato il resto sino al quatrivio
+e subito messo mano a riparare la strada veramente ruinosa
+che dalle mura sbocca fuor della porta di Stabia <i>ad cisiarios</i>.
+Se il suffragio popolare continuerà a farci onore, le mie parole
+diverranno fatti.
+</p>
+
+<p>
+Allor sorse un uomo dal corpo tarchiato e breve, dallo
+aspetto infantile, dalla parola facile e petulante. Volea parer
+grave — e non lo era. — Volea essere austero — e non gli
+era possibile. — Volea sembrare decente — e tutto glielo vietava! — Egli
+apparteneva a quella falange di ambiziosi — leviti
+dei culti riconosciuti — predella agli audaci che salgono — difesa
+a compenso di chi teme e spera — uomini che impongono
+ordine e non danno sicurezza al partito che a sè lo
+chiama. — Ei cominciò:
+</p>
+
+<p>
+— Ninnio per fermo vince battaglie — e sè stesso non
+vince. — Regge a meraviglia le sue coorti ed è la spada di
+Marte quando a capo dei veterani si scaglia in mezzo ai nemici. — Ma
+conosce egli le difficoltà di una amministrazione
+civile? — Oh quanto il dire è diverso dal fare! — Io fui già
+<i>curator viarum</i>, o meglio appartenni al quatuorvirato dei
+<i>viocures</i>, come il popolo gli appella. Mi si permetta pertanto
+di dire col sublime oratore che oggi onora la nostra assemblea:
+<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span>
+<i>cedant arma togae</i>. — Per istabilire una strada si comincia
+dallo aprire un fossato sino al terreno solido. — Livellato il
+fondo lo si cuopre di uno strato spesso di fina sabbia. — Allora
+la costruzione ha principio collo <i>statumen</i>, che è il fondamento,
+composto di larghe pietre e piatte, riunite da un
+cemento durissimo — col <i>rudus</i>, che è una zavorra di sassi,
+di mattoni, di tegole rotte e di calce — col <i>nucleus</i> che è uno
+strato di sabbia e di calce e che ben livellato forma il nocciolo
+della strada — colla <i>summa crusta</i>, o il <i>summum dorsum</i>,
+formati da grandi poligoni irregolari di silice o di pietra
+vulcanica; quasi dura quanto il ferro. Cotesti lavori chieggono
+tempo e danaro. Date denaro e tempo agli egregi magistrati,
+che ora è un anno voi nominaste; e le strade e le scuole e
+tutte le nobili instituzioni della Colonia risorgeranno. Le ultime
+guerre civili nocquero ad esse. Allorchè i partiti si disputavano
+lo imperio, e il Governo era nei campi di battaglia, e
+la pecunia pubblica veniva assorbita dai soldati, tutte le civili
+magistrature decaddero. — Una nuova êra è risorta. Già in
+Roma alcuni senatori hanno preso il còmpito di dar riparo
+alle vie abbandonate da quindici anni. E il dittatore medesimo
+ha assunto la ricostruzione della strada Flaminia, che mena
+dall’Urbe ad Ariminum. — Gli attuali magistrati io li dichiaro
+degni della Repubblica, ed al popolo raccomando la loro
+rielezione.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+A quei detti Ninnio sorge con impeto, e tutto rosso per la
+collera, grida dal pulpito ov’è corso:
+</p>
+
+<p>
+— No, cittadini — <i>Oro ut non faciatis.</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Una certa agitazione in senso diverso occupò allor l’assemblea.
+I clienti si slanciavano nei gruppi per patronare i
+suffragi pei loro candidati, dicevano il loro elogio, parlavano
+della loro condotta passata e della malleveria per lo avvenire,
+citavano testimoni e garanti, o il personaggio sotto i cui ordini
+avevano portato le armi, o quegli presso il quale erano
+stati questori. E taluna volta aggiungevano verità o calunnie
+sulla nascita e sui costumi del competitore che osava presentarsi
+candidato della magistratura a fronte del proprio degnissimo.
+</p>
+
+<p>
+In fra tanto i duumviri interrogarono i decurioni un per
+uno colla formola:
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span>
+</p>
+
+<p>
+— <i>Dic quid censes</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+per sapere se la discussione dovesse esser finita, o passare
+immediatamente ai voti. — Venne accettata la seconda proposta. — Allora
+furono fatte suonar le trombe per intimare
+il silenzio e un duumviro gridò dal pulpito, invitando il popolo
+a ritirarsi:
+</p>
+
+<p>
+— <i>Si vobis videtur, discedite</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+e lesse ad alta voce il senato-consulto ordinario, il quale ratifica
+anticipatamente la scelta dei magistrati futuri del popolo.
+Ed aggiunse la nota di quelli le cui funzioni scadevano
+in tal giorno ed i nomi degli altri, raccolti dalle rogazioni inscritte
+in rossi caratteri sui canti delle vie. Quindi:
+</p>
+
+<p>
+— <i>Quod bonum, faustum, felixque sit</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+cioè, che tutto questo avvenga per il bene, la felicità e la
+prosperità pubblica. E si ritirò col collega e cogli altri magistrati
+da quel posto sino allora occupato, e cogli altri magistrati
+discese la gradinata del tempio, quasi per confondersi colla
+folla. — Gli era un mostrare di bel nuovo le loro persone ai cittadini
+riuniti ed un testimoniare che si ritiravano in un canto per
+lasciare una maggiore libertà di voto alla coscienza del popolo.
+</p>
+
+<p>
+Nell’atto dodici littori coi loro fasci armati di scuri escirono
+dal <i>Senaculum</i> e vennero a porsi in mezzo all’area del
+Foro insieme cogli araldi, i quali deposero sopra una predella
+un alto paniere cilindrico, detto <i>cista</i>, dove i cittadini avrebbero
+gittato i loro voti. I littori abbassarono rispettosamente i fasci dinanzi
+l’assemblea in segno di omaggio alla sovranità del popolo.
+</p>
+
+<p>
+In un luogo designato si distribuivano ai cittadini tre
+tessere di bussolo. Una portava incise le due lettere V. R.,
+cioè <i>uti rogas</i>, che indicava l’accettazione delle leggi come
+erano state richieste. L’altra portava la sola lettera A. cioè <i>antiquo</i>,
+che voleva dire, il rifiuto delle leggi proposte. La terza
+era bianca di cera e su di essa si scrivevano i nomi dei magistrati
+cui ognuno dava il suffragio. — E colà più vive erano
+le passioni dei partiti. Gli amici andavano, venivano, correvano
+dalle centurie dei cavalieri a quelle del popolo — e sugli
+occhi dei votanti leggevano la indifferenza, la incertezza od
+il partito preso — e seminavano la calunnia — e reiteravano
+le promesse — e proclamavano il loro candidato <i>bonum virum</i> — o
+<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span>
+<i>verecundissimum</i> — o <i>dignum reipublicæ</i> — o <i>ædilem
+optimum</i>. — E i giovani — sempre i più bollenti — mettevano
+in siffatte sollicitazioni lo ardore, lo zelo, il fuoco, della
+loro età e correvano a riferire ai loro favoriti tutto che poteva
+interessarli.
+</p>
+
+<p>
+Le guerre civili avevano spezzato le nobili tradizioni dei
+popolani diritti. — La confusione e la inerzia — i bisogni
+sureccitati e il desiderio dei facili guadagni — le immoralità
+che avevano scoperto il debole della corazza e sapevano dove
+spingere la loro punta — tutto questo aveva fatto del popolo
+una mandra di pecore, le quali vanno dove veggono
+andare gli animali della loro specie.
+</p>
+
+<p>
+Quando una centuria ebbe scritto i suoi nomi, essa aprì
+il varco tra le colonne del portico e gittò ostensibilmente le
+tessere di legno nella <i>cista</i>. Gli addetti alla ricognizione dei
+suffragi — i <i>rogatores</i> — colle braccia nude sino alle ascelle,
+ritiravano le tavole e, dopo averne volto la superficie bianca
+verso il popolo, le leggevano a chiara voce. — Altri, preposti
+<i>ad dirimenda suffragia</i>, le separavano, le contavano e marcavano
+sur una loro grande tessera un punto per ciascuna
+legge o per ciascun nome di candidato. — Conosciuto il voto
+di ogni centuria, un suo araldo — il <i>praeco</i> — ne proclamava
+il risultato. — E si udivano battute di mano, o segni di disapprovazione,
+a seconda delle opinioni degli uomini. Le donne
+dall’alto del terrazzo agitavano anch’esse le braccia bellissime
+nello udire il trionfo dei prediletti dal loro cuore.
+</p>
+
+<p>
+Mentre quel fatto importante occupava il popolo nella
+piazza, Ninnio traeva M. Tullio Cicerone in un angolo interno
+del tempio e dicevagli:
+</p>
+
+<p>
+— Ascoltami, o grande cittadino. — Il rovescio della pubblica
+cosa mi morde potentemente il cuore. — Talvolta il
+dolore pieno di maturità è sì forte, ch’io sento l’arma del
+suicidio corrermi per le mani, quasi io mi fossi un uomo senza
+energia e senza fede. — Tale altra una disperazione piena di
+gioventù mi offre il rifugio migliore contro i disgusti e le tristezze
+dei miei pensieri. — Io soffro una di quelle febbri che
+logorano la cosa immortale — quando esse vengono per accenderla
+o per consumarla.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span>
+</p>
+
+<p>
+E stringendogli forte le mani, riprese:
+</p>
+
+<p>
+— Ho due nobili parenti — la Patria e la Libertà che a
+vicenda e simultaneamente io sento madri delle sole virtù che i
+disinganni non uccidono mai. — E come te vidi trionfanti quando
+aveva i piedi nel sangue e la testa avvolta nella polvere riscossa
+del campo di battaglia, così ora mi appaiono avvilite, prostrate
+e presto uccise nella visione del mio dolore. — Vuoi tu
+salvarle dalle mani parricide di colui che ha assorbito il dominio
+del mondo e che spossa lo aiuto delle leggi, travolgendole
+con pratiche da moneta?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— <i>De illo quem penes est omnis potestas?</i> Comprendo il
+tuo dolore e lo sento. Con lui la giustizia e i diritti sono
+violati. Spesso lo udii ripetere i versi di Euripide. — «Se si
+ha a violar la giustizia, ciò si debbe fare per cagione di
+dominio. Nelle altre cose si debbe aver rispetto alla pietà
+inverso la patria.» — La legge è il suo Capriccio. Gli è perciò
+ch’io mi son ritirato di Roma. La Curia ed il Foro, vani
+nomi. Mi duole esser nato troppo tardi e sorpreso — pria di
+compiere il viaggio della mia vita — dalla notte profonda in
+cui brancola la pubblica cosa. Ammiro Catone. Ma dipenderà
+sempre da me lo imitarlo quando vorrò. Solo mio studio è procacciare
+che una tal fine non mi si faccia come a lui necessaria.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— Che parli di morte? — Diamola a chi la merita. — Qui
+sono tre coorti di veterani — uomini provati sui campi
+decorosi di nobili cicatrici, tenuti in conto dalle altre milizie
+e non ancora corrosi dall’oro del tiranno. — Me, le coorti e
+questo paese io ti consegno. — Accetti?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Cicerone si strofinava il mento colla mano sinistra. Dopo
+una breve pausa rispondeva:
+</p>
+
+<p>
+— Rifletti, o egregio. Tre coorti che sono? Ed anche
+fossero dieci, e più, che sarebbero? E quali le preparazioni
+per un sì grave avvenimento? Quell’uomo è potente di genio
+e di prestigio. Non è albero che crolli. E se giungi a tagliarlo,
+ripullula. — Tali i segni del tempo! — Ho lettere colle quali
+uomini ignoti mi ringraziano per aver ottenuto col mio suffragio — così
+credono! — il titolo di re. La tirannia si corona
+di falsi senati-consulti. — E i padri coscritti hanno tutto
+obliato. — Son fango!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span>
+</p>
+
+<p>
+— E Bruto e Cassio....
+</p>
+
+<p>
+— Vieni domani a trovarmi. — Intanto penserò. — Voglia
+Iddio non fare sterile la lotta contro le leggi implacabili che
+qui distrussero la Libertà.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Ma il grande ingegno presumente e vano di Cicerone
+non era adatto alla rigenerazione di un popolo. La calda immaginazione
+che lampeggiava sui Rostri e nel Senato gl’impediva
+di ben conoscere gli uomini e le cose. — Era anche
+onesto e il suo animo rifuggiva da quei patti che le rivoluzioni
+impongono per aggiungere il trionfo. Tornato in villa, prese
+il bagno, si chiuse nella biblioteca e riflettè lunga pezza sulle
+cose dettegli da Ninnio. — Lo esempio dei saggi di Atene e
+di Siracusa il consigliò a liberamente vivere senza urtare nell’orgoglio
+dei prepotenti e senza punto umiliare il proprio
+carattere. Pianse la sua patria amaramente — come si piange
+la morte di un unigenito — e decise di consolarsene, dandosi
+allo studio e ai lavori letterari che stimava non poter essere
+affatto inutili ai suoi concittadini. — Pria di coricarsi, scrisse
+ad Attico sulle proposte ardite fattegli da Ninnio e gli rivelò
+la risoluzione presa di andarsene <i>ante lucem</i> a Cuma, per
+evitare inutili e perigliosi accordi. — Grande ingegno! Non
+grande uomo!
+</p>
+
+<p>
+Lo scrutinio dei voti era terminato. — Si suonarono le
+trombe per richiamare l’attenzione pubblica. Uno dei <i>rogatores</i>
+salì sur un piano centrale elevato e proclamò quello
+che gli scribi avrebbero poi notato nelle <i>tabulæ publicæ</i> insieme
+colle particolarità e col risultato della elezione. Per la
+qual cosa, nel 705 della fondazione di Roma, vennero eletti a
+magistrati in Pompei, sedenti Consoli nell’Urbe C. Claudio
+Marcello e L. Cornelio Lentulo:
+</p>
+
+<ul>
+<li>M · BLATTIVS · M · FILIVS</li>
+<li>M · CERRINIVS · M · FILIVS</li>
+<li>M · SEPVLLIVS</li>
+<li>C · CORNELIVS · RVFVS</li>
+<li>M · SALVIVS · EPAPHRA</li>
+<li>P · ROGIVS · VARVS · P · FILIVS</li>
+<li>M · TITIVS · PLVTVS · LIBERTVS</li>
+<li>M · STRONNIVS · LIBERTVS</li>
+</ul>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span>
+</p>
+
+<p>
+La clessidra notava la settima ora. — La folla si disperse
+per tutte le direzioni della città e di fuori. Gli eletti, riunitisi,
+procedettero verso il tempio; e di là, uno in nome dei colleghi
+ringraziò il popolo dei suoi suffragi e promise quello che
+ogni magistrato promette e non tiene. Quindi si ritrassero
+nello interno per sacrificare agli Dei.
+</p>
+
+<p>
+Intanto la novella della elezione era corsa rapidamente. — Le
+case dei nuovi brulicavano di clienti, di parassiti e di
+supplicanti. — Festoni di lauro inghirlandavano le porte. — Corone
+di fiori circondavano le immagini dei maggiori o dei
+patroni della famiglia. — Innanzi la casa di Cerrinio v’era distribuzione
+di pane e di vino.
+</p>
+
+<p>
+— Vedi plebaglia che si nudre della propria venalità!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— E il corruttore là dentro, nell’oro e nella porpora!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Coteste parole si ricambiavano Crispo e Ninnio, soffermandosi
+un poco sul margine opposto, nella via dell’Abbondanza.
+</p>
+
+<div class="chapter">
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span>
+</p>
+
+<h2 id="cap4">LA STRADA.
+<span class="smaller">SCENE DIURNE IN POMPEI.</span></h2>
+
+<p class="center">
+<b>Anni di Roma 767 — Anni del Cristo 14.</b>
+</p>
+
+<p class="center pad2">
+A GIULIA, EMILIA E MARIA DINO
+</p>
+
+<p class="center">
+A MARIA HACKE.
+</p>
+
+<p class="center">
+IV.
+</p>
+</div>
+
+<div class="chapter">
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span>
+</p>
+</div>
+
+<p>
+— Ho udito un gran caribo stamane. — Suonano il campanello
+a rompere i timpani! — Di’. — Sono molti i <i>visitatores</i>?
+</p>
+
+<p>
+— Come al solito, padrone. — Troppi. — <i>Ingentem undam!</i>
+</p>
+
+<p>
+— Temerario! — Tu non devi giudicarli. — Solo dirmi
+se sono <i>primæ aut secundæ admissionis</i>.
+</p>
+
+<p>
+— Di ambedue. — L’<i>ostiarius</i> ne ha picchiato qualcuno
+colla sua verga. — Un ortolano tra gli altri con un mazzo di bei
+carciofi voleva introdursi <i>a prima luce</i>, per forza in cucina.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— Non una parola. — Tu saresti com’egli è, se non qui. — Portami
+un’acqua melata e aromatica. — Apparecchia il tutto
+per le abluzioni. — Disponi la <i>vestis domestica</i>... — È buona la
+temperatura?
+</p>
+
+<p>
+— Il sole indora coi suoi primi raggi i monti Lettuari e
+il nostro Vesvius, sacro al padre dei Numi.
+</p>
+
+<p>
+— Vanne.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Poi che il liberto escì facendo ricadere sull’apertura del
+<i>cubiculum</i> una spessa stoffa di Tyro, il padrone si tolse
+ignudo dalle coperte di lana e di pelli di talpa — colle quali
+era avvolto nel suo letticciuolo a rilievi di avorio su piedi di
+bronzo. — Ed asperse di acqua le membra partitamente. Chiuso
+in un’ampia veste di lana bianca che gli scendea sopra i piedi,
+pose nell’anulare il cerchio di ferro — antica ricompensa della
+virtù guerriera — e adattò alle braccia i <i>calbeos</i> di bronzo,
+pari a quelli che portavano i militi distinti pel loro valore. — Il
+servo rientrò e gli offerse fin una tazza di cristallo la bevanda
+<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span>
+richiesta. Ei la sorbì a piccoli sorsi, facendo scoppiettare
+le labbra. E rivoltosi al liberto:
+</p>
+
+<p>
+— Ecco la vera essenza della gioia umana, o Crisanto. — Ciò
+non aveva nei campi ove ho lasciato il mio sangue. Se può
+gustarsi qualche cosa di migliore, io voglio che me lo dicano.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Marco Olconio Rufo, figlio di Marco — duumviro incaricato
+per la quinta volta di rendere la giustizia, tribuno dei
+soldati nominato dal popolo, uomo a cui i pompeiani avevano
+eretto una statua nel Foro, a compenso delle molte liberalità
+sue e specialmente per aver fatto costruire dal suo liberto,
+lo architetto Martorio Primo, un tribunale presso l’<i>Ecatonstylon</i>,
+il gran teatro, una cripta e il muro laterale del tempio
+di Venere Fisica per formare lo ambulatorio nel portico
+dell’Agora antica — era un generale ritiratosi dall’azione per
+riposare la sua vigorosa vecchiezza negli agi della casa avita
+e presso il patrimonio della famiglia. L’alta statura, il grave
+incesso, la memoria dei fatti compiuti incutevano rispetto. Il
+suo profilo largamente delineato accusava una certa durezza
+procacciatagli dall’abito del comando che non vuol repliche.
+Il viso aveva bronzato dalle intemperie dell’aria. E quando i
+neri e copiosi sopraccigli si aggrinzavano sui suoi occhi aggrottati,
+ai suoi servi parea vedere quel cumulo di nubi oscure
+da cui scoppia la folgore.
+</p>
+
+<p>
+L’affluenza dei clienti era grande. — Ve n’erano sulla
+strada. E nel vestibolo e nell’atrio secondo la loro condizione. — Nessuno
+mormorava. Tutti facevano prova di pazienza
+la più intrepida, malgrado lo sguardo sdegnoso e venale
+dell’ostiario e i titoli di cani e di piaggiatori ch’egli distribuiva
+ai miseri che pur faceano di tutto per ingrazionirselo e renderselo
+benevolo. Alcuni eransi levati di notte per attendere
+presso la porta di Olconio i primi fuochi del giorno. Nè avevano
+avuto il tempo di farsi radere. Erano appena coperti
+sull’epidermide della toga di rigore, per far presto ad onorare
+il patrono in faccia al pubblico e per darsi l’aria di essere
+cittadini di un certo ordine agli occhi del cerbero brontolone.
+Il popolano indossava il <i>plebeius amictus</i>, la così detta <i>pullata</i>,
+ch’era una tunica corta, di color bruno, senza maniche e discendente
+poco più oltre della metà delle coscie.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Il patrono è egli desto? — È egli di gaio umore? — Fugli
+propizio Morfeo?
+</p>
+
+<p>
+— Via canaglia! Ho anche a rendervi conto di quello che
+fa il mio signore? Indietro. O vi sguinzaglio il molosso!
+</p>
+
+<p>
+— Sii più umano. — Prendi questo denaro. — Calmati. — Vedi,
+non sono indiscreto io come il <i>pomarius</i> che poc’anzi
+scacciasti per la sua audacia.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Ma egli era anche più audace. Perchè, entrato dopo aver
+unto le dure ferramenta dell’uscio, nel dispetto de’ suoi compagni
+rimasti al di fuori, faceva già cenni col capo al cubiculario
+che vide passar nel <i>cavaedium</i>, il quale non gli diè retta,
+e poi al <i>nomenclator</i>, servo non meno insolente, che aveva il
+còmpito di prender nota dei nomi e delle qualità delle persone
+venute a complire il padrone e di soffiargliele all’orecchio a
+misura che a lui si presentavano. Ma questi, nell’atto che
+moveva verso lui, fu richiamato indietro da un liberto, il
+quale lo avvertiva come il generale fosse per passare nel
+tablino. Di fatto, ecco gli amici che gli vanno incontro e gli
+stringono la destra, e gli chieggono della salute e gli augurano
+un giorno felice. Egli li chiama a nome; loro dimostra una
+certa familiarità; s’informa delle cagioni che a lui li guidarono;
+dice che farà per essi ciò che si fa pei propri figliuoli;
+promette colla sua influenza di raddrizzare i torti che loro
+vennero fatti; di assumerne le difese contro i loro accusatori
+o di procurare ad essi quella tranquillità di cui avevano bisogno
+negli affari pubblici o privati. — I clienti da parte loro a
+lui rivelano le proprie cose. — E lo pregano d’influire al
+matrimonio d’una figliuola con un ricco suo amico. — Ed
+aggiungere un regalo al suo corredo. — E ad aiutarlo di pecunia
+per rizzare su la casa screpolata e guasta dal terremoto. — E
+a proteggerlo per aggiungere la magistratura cui aspira. — Ed
+a farlo nominar augure pei servizi prestati da molti anni
+nel decurionato. — Ed a procurargli l’area gratuita nella necropoli
+sulla Via Popilia che menava a Nola, ove voleva
+erigere un sepolcro per sè e pei suoi.
+</p>
+
+<p>
+La Clientela fu una nobile instituzione creata da Romolo
+per unire in istretto legame i patrizi ai plebei. Questi dovevano
+scegliere i loro <i>patres</i> perchè gli proteggessero. Essi
+<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span>
+avevano il debito di soccorrere ai <i>colentes</i> che gli onoravano.
+Nè potevano mutuamente accusarsi dinanzi i tribunali. Nè testimoniar
+contro l’altro. Nè farsi inimici mai. Ed ove cotesto
+accadesse e ne fosse constatata la infrazione, il reo avea il capo
+mozzo come vittima sacra a Plutone. Una legge siffatta e tenuta
+in rispetto per parecchi secoli strinse in vincoli di famiglia
+il popolo quirite. Le famiglie patrizie si onorarono di un
+gran numero di clienti e li perpetuavano nella loro discendenza
+come una tradizione. Ognuno si faceva superbo nell’aumentarlo.
+E i ricchi e potenti erano fieri nel rendere buoni
+uffici. E i bisognevoli temevano di abusarne chiedendoli. E tutti
+fecero consistere la felicità nel buono, nell’onesto, nella parte
+produttrice della virtù.
+</p>
+
+<p>
+Ma l’ampiezza soverchia di Roma logorò a poco a poco i
+legami della vecchia famiglia e non si sentì più l’obbligo rispettivo
+dei doveri tra i protettori e i protetti. Per riallacciare
+i rallentati ricambi, i necessitosi di aiuto ricorsero all’adulazione,
+alle viltà, alle bassezze. E i superbi e i vogliosi di cortigianerie,
+alle <i>sportulae</i> ed al <i>panariolum</i>, viveri di mediocre
+qualità che il patrono facea pubblicamente distribuire sul vestibolo
+della sua casa alla folla affamata che vi si stipava. Alcuni
+invece di vettovaglie davano danaro; tanto da procurare
+a quella geldra raumiliata i sandali, una tunica usata, un poco
+di fuoco per riscaldarsi, un po’ d’olio per rischiarare il tugurio
+e una coperta per avvolgervisi nell’inverno. E quelli, di
+rimando, lor davano i titoli i più esagerati, fin quello di <i>rex</i>,
+quantunque proscritto insiem coi Tarquini. — Era la <i>Eccellenza</i>
+e la <i>Uscenza</i> che i popoli meridiani d’Italia appresero
+nei tristi tempi dei Vicerè e dei Borboni, con cui per vecchia
+consuetudine ancor si salutano — ridendone dentro — malgrado
+lo espresso decreto del più accetto tra i dittatori e del
+più nobile tra gli uomini — il generale Garibaldi.
+</p>
+
+<p>
+Così in Pompei, ove gli usi di Roma erano penetrati colla
+conquista. — Olconio e i suoi eguali in dovizie, in virtù ed
+in potenza, volendo ricevere i propri amici e beneficarli, doveva
+pur ricevere la vile plebaglia dei chiedoni, dei sopraccarichi
+di famiglia, dei postulatori d’impieghi — senza voglia
+di lavorare — e degli accattoni, pronti alla menzogna e al
+<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span>
+mal fare. — Erano cittadini — avevano diritto al suffragio
+nelle elezioni alle magistrature annuali. Dunque era necessario
+aprir la porta e far entrare quelli che pur dianzi <i>ibi fucum
+faciebant</i> — cioè — che colà imitavano il ronzìo delle
+vespe.
+</p>
+
+<p>
+Il diritto di clientela non era ristretto alle sole persone. — Le
+colonie, le città conquistate, le alleate nazioni e i re
+barbari imitarono gl’individui e scelsero i loro patroni nell’Urbe,
+il <i>caput mundi</i>. Così Cicerone patronava i Campani. — Fabio
+Sanga, gli Allobrogi. — Catone, l’isola di Cipro ed
+il reame di Cappadocia. — Marcello, la Sicilia. — Un patronato
+siffatto era bello, onorevole, lusinghiero — il più nobile,
+il più caro privilegio — quello di fare il bene, di acquetare i
+dolori dei popoli, di riparare ai lor danni. — Anche i deputati
+al Parlamento italiano potrebbero talvolta suffragare ai più
+cari interessi di qualche provincia, o far cange le sorti di
+sventurate famiglie, se i ministri — od i loro subordinati — non
+si opponessero troppo spesso ai giusti loro richiami.
+</p>
+
+<p>
+Olconio avea già spacciato gli affari col suo piccolo cerchio
+di amici o di clienti che facevan parte della <i>prima admissio</i>.
+La educazione dei tempi chiedeva che quelli della <i>secunda</i>
+aspettassero il suo comodo. Rientrò quando a lui parve
+nella camera e dopo qualche tempo ne esciva vestito col suo
+abito da Foro. Preceduto dai primi, riceveva i saluti e i piati
+e i desiderii dei secondi. E poi, da essi seguìto e aiutato dal
+nomenclatore, parlò affabilmente ai miseri ed abbietti che gli
+venivano presentati, dava il buongiorno a tutti; qualcheduno,
+che sapeva influente nei trivi, baciava; qualche altro accoglieva
+con una stretta di mano; ed il resto salutava gravemente....
+duramente quasi. — Dinanzi la porta era una lettiga,
+portata sulle spalle da sei schiavi. Vi si chiude. I più fedeli
+clienti, di un certo ordine, lo accompagnano intorno. — Gli
+altri lo seguitano formando una coorte. — Hanno lasciato
+però i loro nomi al nomenclatore, per ricevere più tardi le
+beneficenze del munifico <i>rex</i>.
+</p>
+
+<p>
+Il corteggio va verso il Foro. — Parecchi se ne incontrano
+sul posto. — Quivi discende. — Ed entra nelle Curie. — E
+si apre l’adito nella Basilica. — E penetra nel Calcidico. — E
+<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span>
+va sino al Senacolo. — E per ogni dove la sua parola è
+ascoltata, i duumviri acconsentono, gli edili promettono, il
+questore non niega. Persino i sacerdoti — gente per abito arrogante
+ed egoista — palesano una deferenza ai suoi desiderii.
+</p>
+
+<p>
+Siccom’egli, gli altri. — Dalla terza alla sesta ora del
+giorno — cioè dalle otto del mattino a mezzodì — tutta Pompei
+è in faccende. — I tribunali rendono la giustizia. — I banchieri
+lavorano nei loro fondachi argentari. — I magistrati
+sono in funzioni. — Gli artigiani martellano, scolpiscono, dipingono,
+cuciono, gridano il nome delle cose che vendono. — I
+preti inventano frottole e le danno come oracoli in nome
+degli Dei, cui dicono di essere ministri. — I fannulloni vanno
+nel pubblico bagno. — I villici trasportano le derrate dei
+campi per venderle ai tavernai, ai <i>cauponatores</i>, ai cittadini
+che ne abbisognano, ai fornai; o pur le consegnano ai fattori
+del padroni che le fanno vendere nelle due botteghe che si
+aprono ai lati della porta della casa. — I naviganti e i mercatori
+si occupano dei loro commerci nel porto, nel deposito
+delle merci venute dal mare e nel portico del tempio della
+Concordia. — Gli agenti del pubblico tesoro riscuotono dai rivenduglioli
+il centesimo del prezzo delle cose vendute, le esaminano,
+verificano il peso del pane e rifiutano dal mercato
+tutto ciò che lor paia di pessima qualità. — Gli scribi li seguono
+per far processo verbale all’occorrenza sulla pubblica
+via.
+</p>
+
+<p>
+Poco più in su della taverna di Fortunato, sulla via Domizia,
+un cittadino arrestavasi presso l’angolo della bottega
+del farmacista e si appresta a compiere un atto nè decente, nè
+pulito. Uno che passa, lo picchia sulla spalla e gli dice:
+</p>
+
+<p>
+— Ehi! <i>Quid agis, dulcissime?... Non est hic locus.</i> Non
+hai occhi per vedere la pittura sul muro?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Quegli si ricompose e si disse straniero. Allora l’altro gli
+aggiunse in greco che i due serpenti a lato di un modio ripieno
+di frutti e i geni domestici dipinti sul muro, significavano — oltre
+molte cose — che quel posto chiedeva rispetto. V’erano
+barili segati. V’erano anfore rotte in ogni quatrivio per lo
+affar suo. E gli additava quei mobili poco discosto col dito. Il
+forestiero si arrese al monito e ringraziò. — Gli è che in Pompei,
+<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span>
+per impedire a chiunque lo sbarazzarsi in ogni loco della
+soprabbondanza del fluido che dentro lo tormentava — oltre
+aver instituito latrine pubbliche nei posti i più frequentati — ed
+una amplissima ve n’ha a lato della prigione nel Foro — collocavano
+in ogni crocicchio anfore o barili per accostarvi
+le immonde aspersioni. E per guarentirne i luoghi sacri e le
+passeggiate faceano dipingere quei serpenti ch’erano pur
+simbolo di Esculapio e d’Igea. Furono i tavernai ed i rivenduglioli
+che inventarono cotesto rimedio per ispaventare i
+fanciulli che insudiciavano gli angoli esterni delle loro botteghe.
+Alcuni aggiungevano al simbolico spauracchio una inscrizione
+apposita. — E i sacerdoti con esse invocavano sul capo
+dei rei la collera dei dodici grandi Iddii e particolarmente di
+Giove e di Diana, i quali non avrebbero risparmiato la gente
+grossolana che obliasse ai piedi di un tempio com’essa non
+avesse un’anfora od una botte dinanzi. — Il serpe che divora
+una pigna era adunque come la croce nera sui canti di Napoli. — Laonde
+Persio dice nella Satira prima:
+</p>
+
+<div class="poem"><div class="stanza">
+<p class="i01"><i>Pinge duos angues; pueri, sacer est locus; extra</i></p>
+<p class="i01"><i>Mejite.</i></p>
+</div></div>
+
+<p>
+Per tutto è frastuono di voci. — I rivenditori di cose
+crude o cotte non si contentano dell’<i>oculiferium</i>, cioè della
+merce che spacciano posta in mostra. Nè di un quadro di
+terra cotta in rilievo incastrato sul muro esterno della bottega.
+Nè di un dipinto allo encausto, rappresentante il nume a cui
+è devoto, o una giostra di gladiatori, od un combattimento
+di cui egli abbia o no fatto parte, o lo aspetto di qualche strana
+figura che richiami l’attenzione di chi passa. — Nè li suffraga
+lo spander legumi, prosciutti, meloni, cataste di cipolle, di
+cavoli e di altre cose sul margine e fin sulla via ad abbarrarla. — No. — Essi
+debbono urlare i pregi della loro merce
+e il nome della regione d’onde provengono e la mitezza dei
+prezzi. — E i venditori di vino dispongono anche al di fuori
+botticelli ed anfore, legati per tema dei ladruncoli, ed urlano
+presso la porta, agitando un ramo di edera. — I beccai infilzano
+le carni a vista di tutti; a lato di quelle di capra sospendono
+rami di mirto per indicare che le provengono da una
+<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span>
+prateria di montagna, dove cresce quello arbusto; e gridano
+alla loro volta. — Nè stanno cheti i venditori ambulanti di
+pesci di mare e dei delicatissimi del Sarno. — Nè quelli stazionari
+che vendono carni cotte, bodini, salsicce, lardo, formaggi. — Tutti
+parlano a voce alta. — Tutti gesticolano furiosamente. — Tutti
+hanno argomenti sempre pronti per arrestare
+la curiosità dei passanti sulla loro via.
+</p>
+
+<p>
+E chi non dee far le spese per la sua casa, pure è forzato
+di far sosta, perchè un monello vuol vendergli per forza
+una ricotta entro un piccolo imbuto di vimini; — od una
+bambina, un cestino di ginestre ripieno di more o di frutti
+del gelso nero; — od una graziosa fanciulla, dagli occhi neri
+e procaccianti, mazzolini di giacinti, di rose di Poestum o di
+pervinche azzurre.
+</p>
+
+<p>
+A tanto baccano onesto, conviene aggiungerne uno nè
+bello, nè decoroso. — I marinai erano abituati a bever la <i>posca</i>
+delle milizie lungo il viaggio di mare; cioè, una miscela di
+acqua e di aceto per acquetare la sete. — Una volta a terra,
+popolano le taverne — e ne escono cantori discordanti di canzoni
+bacchiche ed erotiche. — I villici che hanno intascato
+danaro nel <i>sinus</i> della loro tunica, fanno stazioni lungo le vie
+là dove veggono agitarsi il ramo dell’edera, e ne vengono
+fuori bisticciandosi o cantando, a saltelloni correndo da un
+margine all’altro; e inforcato l’asino od il cavallo, con male
+articolate ingiurie trebbiano di vergate la misera bestia che
+deve pur trasportare un animalaccio più bruto di loro ai domestici
+lari.
+</p>
+
+<p>
+Un’altra immondezza delle vie era la mendicità di mestiere.
+Presso i bagni, sulle gradinate dei templi, ai piedi
+delle tombe, presso la porta delle <i>popinæ</i> vedevi questi ladri
+del sentimento e della commiserazione tendere la mano, qual
+lamentando un naufragio che di ricco che era lo aveva reso
+povero.
+</p>
+
+<p>
+— Un asse, per carità, nobile patrizio. — Io ne diedi
+degli assi ai tempi lieti. — Eolo e Nettuno mi hanno ruinato. — Onore
+agli Dei, quantunque avversi.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Qual si ferisce o pur fascia la gamba in maniera da parerlo,
+e piagnucola e si dice morente per febbre e per fame:
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Abbi pietà di un infelice, o tu che passi. — Era un
+<i>saccarius</i>. Mi cadde un peso addosso e mi ha ruinato. Per lo
+affetto dei tuoi figliuoli, pei mani dei tuoi nobili avi, un asse
+al povero facchino da grano che non può più lavorare e che
+presto morrà.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+V’erano altresì alcuni speculatori, i quali datisi al culto
+di quella sirena, che si chiama la infingardaggine, e pur vogliosi
+di viver bene, offerivano alla lenta e sudicia Iddia lo
+incenso delle immoralità. Assoldavano alcuni storpi di Neapolis,
+di Herculanum, di Capua, di Poestum, e gli sguinzagliavano
+il mattino come cani famelici per le vie della città. Chi
+recitava la parte di soldato mutilato per la gloria e la salute
+della Repubblica. — Quale era stato prigioniero di Silla nella
+distruzione di Stabia; e riparatosi sotto i vessilli di Cluvenzio,
+generale Sannita, fu ferito gravemente alla battaglia di
+Nola; e mostrava una profonda cicatrice sull’occipite e ne
+accusava una più larga sul petto coperto. — Chi diceva sommesso
+essere un gallo schiavo, fuggito da uno spietato padrone
+nell’Urbe e chiedeva uno <i>stips</i> — la più piccola moneta
+di rame che esistesse. — E la sera lo speculatore lor dava convenio
+fuor delle mura in luogo appartato, e si facea render
+conto da quei vagabondi delle somme raccolte.
+</p>
+
+<p>
+— E perchè così poco, o malandrino?
+</p>
+
+<p>
+— E tu, brigante, non avrai pianto abbastanza. — To’,
+una pedata. — Domani sera, se non porti di più, ti apprenderò
+io a piangere la tua sventura davvero.
+</p>
+
+<p>
+— Vile storpiato; ti farò passar per le verghe; così saprai
+meglio modulare al pianto la voce.
+</p>
+
+<p>
+— E tutti studiate i modi ingegnosi di questo gobbo di
+Baiae che ha saputo ingannare anche me, stamane presso il
+tempio di Romolo, non riconoscendolo. — Tieni, o camello. — Oltre
+ciò che ti spetta, anche un denaro di buon peso per te. — Vanne
+a scialare in una <i>popina</i> per conto mio.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Sono passati diciotto secoli e la tradizione rimane ancor
+verde. Vi ha tal gente in Napoli che lautamente vive di una
+siffatta speculazione ladra ed infame. Il cattolicesimo vi presta
+la sua mano sacrilega. — Sozzi frati colla bisaccia sul collo;
+sozzi preti con un bussolo che scuotono nelle botteghe nel
+<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span>
+nome santo di Dio; sozza bordaglia, coperta di un sacco,
+cinto da una corda sui lombi, chiede danaro e l’ottiene a pro
+di turpi speculatori e per cause non vere. — E quel buon
+popolo — il migliore d’Italia per pronta intelligenza, per docilità
+di carattere, per esuberanza di cuore — su ricchissimo
+suolo, vegeta sudicio, lacero ed infingardo. — Demoralizzato
+dai preti, commette opere inique e crudeli. — Abbuiato dalla
+paura, dimentica il domani della vita e sciupa il sopravanzo
+dei suoi guadagni nello inutile tentativo di spegnere il sacro
+incendio del purgatorio cattolico, apostolico, romano.
+</p>
+
+<p>
+Lo <i>accensus</i> grida per le vie popolose il segno del quadrante
+solare. — È l’ora sesta. — L’astro maggiore indica il
+mezzodì. — L’uso, e — più che l’uso — il clima, impongono
+la cessazione di ogni fatica. Le porte delle botteghe si chiudono.
+I patroni congedano i loro clienti. Qualche usuraio ancor
+cerca per le strade una qualche vittima. La plebaglia torna
+nelle sue case col beneficio che i <i>nomenclatores</i> hanno a lei
+distribuito. — Ognuno desina, e mangia che può. — I ricchi
+e gli sfaccendati si gittano quindi sul letto per dormirvi qualche
+ore. Alle otto i più diligenti si levano per riprendere il filo
+degli affari. Ma alle nove — cioè, tre ore dopo il mezzodì — nessun
+pensa ad altro che a ricrearsi o a far panciolle.
+</p>
+
+<p>
+Lungo il canale del Sarno era uno spianato, convenio di
+tutti i monelli della città. Le bambine, assise al rezzo dei
+pioppi, giuocano cogli astragoli che gittano in aria col dosso
+della mano e, addoppiandoli, li riprendono nella palma. — I
+ragazzi si lanciano a vicenda il pallone, detto <i>follis</i>, lo raccattano
+e lo ripercuotono. — Altri, su terreno più duro, fanno
+girare una trottola, che chiamasi <i>turbo</i>, e a furia di sferzate
+le imprimono rigiri irregolari; quindi impalatala sulla mano
+destra, ve la tengono sin che si fermi. — I più piccini corrono
+a cavallo sur una canna. — O col fango costruiscono
+casucce; — o formandone un orciuolo, producono un rumore,
+scaraventandolo con impeto per terra; — o giuocano a pari
+e caffo; o lanciano in aria un asse, scommettendo se nel cadere
+presenterà la testa di Giano o la prua del trireme — <i>capita
+aut navis</i>. — I perdenti offerivano il polpaccio della
+gamba; e gli altri che avevan vinto, vi applicavano un colpo
+<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span>
+a mano spianata; e perchè nessuno ne desse uno di più per
+frode, il punito minacciava di una labbrata chiunque si presentasse. — I
+più grandi tentavano di far cadere una noce
+dentro il collo di un’anfora, conficcata in determinata distanza;
+o colpivano con una noce un cumulo di altre tre sormontate
+di una quarta, e la guadagnava chi faceva cadere il castello. — Fra
+gli adulti, ve n’era chi lanciava colla fionda una pietra
+a seicento passi entro un fagotto di paglia sospeso ad un
+albero; oppur unti di olio si esercitavano alla lotta come gli
+atleti; o infintisi soldati, marciavano com’essi, armati di
+corti bastoni; o simulando un tribunale e un delitto, si accusava
+un incriminato, lo si difendeva, si udivano i testimoni,
+o si assolveva o si condannava colla gravità dei magistrati. — Correvano,
+sudavano, urlavano. E stanchi, si gittavano
+nel canale per nettarsi dalla polvere o per nuotare. — I giovani
+di venti anni andavano fuori della porta di Nola e là
+giuocavano al disco, ch’era di bronzo o di marmo. Lo afferravano
+colla palma stringendolo con quattro dita, e lo cingevano
+con una correggia allacciata con nodo scorsoio nel polso.
+Dopo averlo fatto girare attorno al capo, facevano piccoli
+passi frettolosi sin presso un segno solcato per terra; e tenendo
+il braccio sinistro sul destro ginocchio e inclinando la
+persona in avanti, lanciavano il disco; questo, fischiando, fendeva
+l’aria e arrestavasi quando la forza dello slancio lo abbandonava.
+Il rivale discobolo tentava di superarlo, e vinceva
+la scommessa colui che lo spingea più lontano.
+</p>
+
+<p>
+Siffatti divertimenti erano a tutti comuni, al figliuoli dei
+parenti agiati siccome a quelli che esercitavano un’arte quale si
+fosse. E Ottaviano Augusto, quando, al cessare delle guerre civili,
+cessò dallo esercitarsi romanamente nel Campo Marzio a
+cavallo ed in armi, si diè per suo esercizio al giuoco della
+palla piccola e grossa. O per prendere un poco di esalamento,
+or pescava coll’amo, or giuocava ai dadi, or trastullavasi coi
+bimbi nei giuocolini adatti alla loro età, purchè fossero aggraziati,
+vivaci, linguacciuti, chiassoni. Talvolta, per esercizio
+ginnastico, inforcava il cavallo e lo faceva andare di trotto
+e a saltelloni, o lo spingeva a slascio lungo lo spazio. E allora
+vestiva alla leggera, avvolgendosi in un gabbano, detto <i>sestertium</i>,
+<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span>
+od in mantelletto di cavalleria, nominato <i>lodicola</i>. — Nei
+tempi anteriori erasi visto Mario, già vecchio e vincitore
+dei Cimbri, discendere nel campo di Marte dell’Urbe e gareggiare
+coi giovani negli esercizi della milizia. E Pompeo saltare
+coi più agili e correre coi più destri. E Catone giuocare alle
+bocce cogli amici suoi, come il generale Garibaldi in Caprera
+coi propri compagni d’arme.
+</p>
+
+<p>
+Poichè ho parlato delle varie età dei giuocatori, i pazienti
+che leggono questi miei studi sull’antico mi permettino una
+breve digressione dal racconto. Non sarà inutile.
+</p>
+
+<p>
+I nostri avi indicavano la età degli individui della forma
+delle vesti. I fanciulli indossavano la toga pretesta e la lasciavano
+nell’adolescenza, cioè a dire, alla età di quindici anni.
+La vita di un uomo, divisa in cinque periodi, distinguevasi
+in <i>pueritia</i>, in <i>adolescentia</i>, in <i>juventute</i>, in <i>maturitate</i>, e in
+<i>senectute</i>. Gli adolescenti nello acquistare i diritti di cittadino,
+indossavano la toga virile, di lana bianca e non più orlata
+dalla striscia di porpora, come la consolare che essi avevano
+portato fin da bambini. I quali — era mente di quei savi — dovevano
+essere rispettati quanto i primi magistrati della Repubblica. — Toccava
+al padre o al parente più prossimo il rivestire
+il fanciullo di quella veste. La funzione era solenne e
+facevasi in pubblico, sia nella città, sia in paese straniero. Vi
+erano invitati tutti i parenti. — In sull’alba, il giovanetto
+che aveva dormito vestito colla regilla, in segno di buon presagio,
+lasciava la sua <i>bulta</i>, e l’appendeva al collo dei Lari
+domestici. Quindi tutti accompagnavano lo affrancato dalla infanzia
+nel tempio, ove si facean sacrifizi ed offerta agli Dei
+nell’atto che gittavasi sulle sue spalle la toga pura. Lo stesso
+corteggio lo seguiva nel Foro, come per presentarlo al popolo
+che da quel dì dovea contarlo per uno dei suoi membri.
+</p>
+
+<p>
+Cotesta solennità compivasi una volta l’anno il <span class="smcap lowercase">XVI</span> delle
+calende di aprile — a’ 17 di marzo — giorno in cui si celebravano
+le feste liberali, o di Bacco. Pompei — siccome tutte
+le città nel dominio della Repubblica romana — era in tal
+giorno gremita di gente. In ogni crocicchio erano assise vecchie
+donne, coronate di edera, aventi sulle loro gambe un paniere
+di paste coperte di bianco mele ch’esse offerivano, lodandone
+<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span>
+la dolcezza e il buon gusto, a chi passava. Ad ogni
+scambiare di strada vedevansi giovanetti sorridenti, da tenere
+occhiate all’abito nuovo, da tempo ambito e sognato; e
+i genitori e gli amici, anche lietissimi di quella fanciullesca
+ambizione. — E vi era di che. — Il quindicenne diveniva cittadino
+libero, e sceglieva la propria carriera. Se l’avvocheria,
+il padre lo presentava il dì poi al migliore oratore, perchè
+glielo addottrinasse. — Se la disciplina delle armi, lo affidava
+ad un amico, governatore di una provincia, perchè
+gl’insegnasse a difendere la patria, non come soldato — non
+avendo ancor prestato giuramento — ma come <i>contubernalis</i>,
+cioè aggregato. — O lo raccomandava ad un Senatore in Roma,
+o ad un decurione nelle colonie e nelle provincie, acciò
+assistesse alle assemblee ed acquistasse la scienza governativa.
+</p>
+
+<p>
+L’adolescenza finiva all’età di trent’anni. — La gioventù
+a quella di quarantacinque. — La maturità a sessanta. — Oltre
+quel periodo era la vecchiezza grave ed assennata. — E
+qui chiudo la parentesi.
+</p>
+
+<p>
+Infrattanto che i giovani e i minori fanciulli si divertivano
+presso il porto e sulla via Popilia, altri erano nelle
+scuole ad apprendervi a leggere, a scrivere, a contare. — Quanti
+scappellotti! Quante nerbate sulle palme delle mani!
+Quanti colpi di staffile sulle parti carnose! Quante stiracchiature
+di orecchie! — E tutto ciò per inspirare alla tenera età
+lo amore al lavoro e l’applicazione allo studio! Anche per
+tale riguardo in tempi diversi simiglianti procedimenti. — I
+preti ch’educarono la mia generazione fecero di tutto perchè
+abborrissimo lo studio. — Iddio perdoni ai morti, come già
+mortifica i vivi!
+</p>
+
+<p>
+In Pompei si parlavano le tre lingue — la sannita — la
+greca — la latina. — Le prime erano di uso domestico. L’ultima
+s’insegnava. E per la differenza dei caratteri, conveniva
+chiarirne la forma ed i suoni. Sur una tavola erano essi incavati;
+per modo che il bambino, passando su quei segni alfabetici
+il dito e lo stile, cominciava per distinguerne la immagine,
+la indicava colla voce e la tracciava poi colla mano.
+Collo accoppiamento delle lettere finivano per leggere. Col
+pigiare una punta su tavolette di cera, si perfezionavano nel
+<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span>
+copiare i <i>præscripta</i>, ch’erano esemplari di bella forma di
+lettere.
+</p>
+
+<p>
+I meglio avanzati in età studiavano la grammatica. Quindi
+leggevano Omero e i migliori poeti latini e le arringhe di Ortensio
+e di Cicerone. — Talvolta avevano il còmpito d’impararne
+squarci a memoria e di scriverne. — Tale altra di esercitarsi
+in una specie di parafrasi, che addimandavasi <i>chria</i>,
+la qual cosa consisteva nello ampliare e commentare una parola
+sentenziosa od un fatto memorabile. Questi esercizi i discenti
+li portavano in casa, per mostrarli ai parenti.
+</p>
+
+<p>
+L’acqua aveva appena marcato l’ora nella clessidra, che
+un grido di gioia rintronò nella scuola del Foro. I monelli si
+levarono in piedi e corsero all’uscio. Il peggio ardito, in quel
+momento di disordine, scagliò la tavola incerata che aveva
+per mano sulla testa del maestro. — Tutti fuori e a slascio,
+facendo un grande baccano. Il misero vecchio, <i>minumi pretii</i>,
+perchè col suo salario aveva appena di che sostentare la
+vita, seguì lo indisciplinato, gridando. Si avvenne col padre
+che saliva per la via dell’Abbondanza.
+</p>
+
+<p>
+— Mira la cattiveria del tuo figliuolo tristissimo. Mi
+ruppe la cute, qui, nell’orecchio.
+</p>
+
+<p>
+— Forse, o Verna, tu l’hai picchiato ed egli si vendicò. — Riconosco
+il mio sangue. — Son certo che, presa persona,
+nessuno saprà impunemente ingiuriarlo.
+</p>
+
+<p>
+— E tu così parli?.... Ah! meglio maneggiare il remo che
+consumare i miei poveri giorni per gente sì ingrata.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Tornò nella scuola brontolando e si fasciò il capo e l’orecchio
+pesto con una benda di tela oliata, che parea una lanterna.
+</p>
+
+<p>
+Era la decima ora, cioè le quattro dopo il mezzodì. E i
+rintocchi fragorosi di un martello su largo cerchio di bronzo
+sospeso ad un chiodo nel muro, si facevano udir di lontano
+presso il tempio della Fortuna e nel fondo della via dell’Abbondanza. — <i>Discus
+crepuebat.</i> — Ciò indicava che i bagni
+pubblici erano aperti. — E le botteghe di consumo chiudevansi. — E
+i cittadini laboriosi e quelli di medio censo ed i ricchi
+s’incamminavano verso le Terme. Gli è che, nel mentre i
+raggi del sole perdevano un po’ della loro forza, e diveniva
+piacevol cosa il riposarsi dalle fatiche o dalle noie della giornata,
+<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span>
+i nettatori delle strade entravano dai subburbi coi carri
+per togliere le immondezze, il fango, la polvere i rottami dinanzi
+le case in costruzione, i concimi delle stalle e gli erbaggi
+che i rivenduglioli avevano gittato fuori della soglia. Un
+decreto degli edili avea pur fissato quell’ora per introdurre
+sui muli le legna, i mattoni, la calce e i pezzi di marmo, affinchè
+potessero circolare senza incomodo per la maggior
+parte dei cittadini.
+</p>
+
+<p>
+Sì le prime Terme come le più grandi ov’era la <i>palestra</i> — vasto
+paralellogrammo dedicato alla ginnastica per lo spigliamento
+delle membra nei giovani — erano già piene di
+gente. — Mosaici sui pavimenti. Stucchi coloriti sulle volte.
+Mobili di bronzo e bacini di marmo. Inservienti al bisogno. — In
+faccia al porticato di colonne scannellate era il <i>baptisterium</i>,
+ove ognun che voleva si gittava ignudo e sudato nel bagno
+freddo in comune. — Quello dei bagni poco lungi del Foro era
+rotondo, ristretto e sotto una cupola, d’onde veniva la luce.
+Nella prima stanza sotto il colonnato lasciavansi le vesti e di
+là entravasi in una sala spaziosa, riccamente ornata, ove pur
+potevasi togliere il bagno freddo dalla gente che preferiva
+prenderlo al coperto. Lungo le pareti sono sedili per agio di
+quelli che accompagnano i bagnanti e conversano con essi od
+attendono il loro turno. — Nella sala che apresi a manca è il
+<i>tepidarium</i>, il cui pavimento e le cui pareti tramandano un
+dolce calorico, proveniente dal <i>laconinum</i>, il fornello dei bagni. — Quivi
+erano larghi bacini di marmo e sedili di bronzo
+per asciugarsi o riposarsi allorchè si usciva estenuati dal <i>sudatorium</i>,
+sala delle bagnature a vapore. Il quale, escendo a
+nuvoli che si spandano da per tutto nell’apposita sala, va verso
+la volta di forma emisferica, a lavori di stucco scannellato, e
+discende pei regoli successivi lungo le pareti. L’apertura praticata
+sul sommo della soffitta era chiusa da uno scudo di
+bronzo, e col mezzo di una catena potevasi aprire come una
+valvola, nel caso che il calore del caldario divenisse troppo
+eccessivo. Quelli che si facevano colà dentro, ansimavano,
+davano in singhiozzi, respiravano appena. L’aria infuocata e
+la grande umidità non danno requie ad alcuna parte del corpo. — Scuote,
+opprime, stanca, accascia, prostra le forze. — Val
+<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span>
+quanto trovarsi nel focolare di un incendio. — E non so come
+i Romani non abbiano scritto nelle dodici tavole l’applicazione
+della condanna ad esser bagnato vivo su quei tristi che intendevano
+correggere invece di uccidere.
+</p>
+
+<p>
+L’<i>eleotesium</i> era il luogo ove si tengono i profumi e gli
+unguenti campani. — In altre piccole stanze posavano bagni di
+marmo per le donne di età grave o per uomini difettosi della
+persona che non amavano mostrarsi avvizziti e deformi al
+pubblico sguardo. Ma dal povero plebeo coperto della sua
+<i>pullata</i> ai magistrati che indossavano la pretesta, dagli illustri
+cittadini agli uomini di piccole fortune, nessuno sdegnava i
+pubblici bagni. Unica distinzione era che il ricco veniva preceduto
+dai suoi schiavi e seguito dai clienti. Ed il plebeo entrava
+solo.
+</p>
+
+<p>
+Le genti agiate frequentavano le Terme per moda, per
+accidia, per curiosità e per trovarvi conoscenti ed amici, onde
+invitarli a cena, al giuoco dei dadi e ad un’orgia. — I derelitti
+dalla fortuna, per raccapezzarvi — chiedendolo — un
+qualche asse. — E le donne per stare in esercizio di pettegolezzi,
+per narrare ed udire la cronaca scandalosa della città,
+per osservare da vicino le forme decantate di una bella e trovarvi
+alcun che da ridire, e..... per filare un intrigo amoroso
+su quel terreno neutrale, ove la folla sapeva celarlo nei ripieghi
+dell’uso e della prescrizione medicale. Nelle due Terme
+le donne avevano un bagno a parte ed entravano per uscio
+diverso da quello degli uomini. — Sur una delle porte della
+Palestra, nel vicolo, era scritto: <i>Mulieres</i>.
+</p>
+
+<p>
+Non molti gl’inservienti. — Un guardiano del bagno — un
+<i>fornicator</i>, cioè, quegli che poneva il combustibile nella
+fornace — e parecchi schiavi, condannati ai lavori pubblici
+per delitti. — Questi hanno nome secondo lo ufficio. Addimandavansi
+<i>capsarii</i> quelli che serbavano chiuse in una cassetta
+le vesti di un bagnante e ne traevano mercede. — <i>Aliptae</i> o
+<i>unctores</i>, i profumatori cogli unguenti. — <i>Alipili</i>, gli spelatori
+col mezzo di una pomata, o colla pietra pomice. — <i>Tractatores</i>,
+i frizionanti nel bagno a vapore. — Per siffatti servigi le
+donne conducevano con sè le loro schiave.
+</p>
+
+<p>
+— Ahimè! Come sono stanco. Spero nel tepidario riprendere
+<span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span>
+un po’ di forza per poi goder meglio i piaceri della
+mensa.
+</p>
+
+<p>
+— O, non si direbbe che Publio Ametistio abbia fatto
+oggi sforzi prodigiosi per passar la giornata?
+</p>
+
+<p>
+— Tu hai, o Statilio, del toro, e le forme ed il nome. Nè
+sai compatire ad un gracilino par mio che desinò tre volte
+e vomitò due. La bella Iddia vi mette anche del suo. E se la
+dura a lungo, è miracolo.
+</p>
+
+<p>
+— Taglia la corda e resterai libero.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Ed un altro aggiunse, cacciandosi nel bacino pieno
+d’acqua fumante:
+</p>
+
+<p>
+— Facile a dirsi. <i>Quisquis amat venit</i>, dice il poeta. E a
+sedurre Ametistio ci vuol meno che far cadere un pettorosso
+nella pania.
+</p>
+
+<p>
+— O tu, Atimeto. Guazza un po’ meno..... e pensa che
+hai misurato l’amico colla tua spanna. — Se potessi dir qui
+una novella..... Ma nol debbo, <i>quia lupus est in fabula</i>.
+</p>
+
+<p>
+— Hilaro Sulla, or narrala e ci piacerà.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Atimeto versò sul curioso Statilio acqua a manciate e profittò
+del rumore per dire usassero prudenza; — avvegnachè
+non il lupo fosse presente al racconto di una sua debolezza di
+cuore; ma un altro animale che aveva di che allontanare ogni
+fascino. E coll’occhio lo designò. — Era un uomo adiposo che
+soffiava nel bacino di contro come un ippopotamo. Orafo, arricchito
+dal mestiere, aveva comperato dal padrone la sua
+libertà. E più erasi fatto danaroso colle usure a carico dei giovani
+spensierati. — Zozzo, liberto di Popidio Ampliato, verso
+la cinquantina, aveva domandato ad una bella giovane se voleva
+essere la donna sua. La non rispose nè si nè no. Ma il
+terrore d’istinto — che, bruttissimo era e guasto dal vaiuolo — egli
+lo interpretò come eccesso di gioia. — La vittima venne
+trascinata sullo altare, coperta di bei monili e di collane di
+perle. — Pare che anch’essa lo ricambiasse di una bella corona.
+E non era di rose..... Almeno così diceva la mala lingua
+di Sulla nel bagno.
+</p>
+
+<p>
+Quei giovani passarono nel sudatorio e si distesero sopra
+lettucci di riposo, dove alcuni giovanetti, appena vestiti, cominciarono
+a strofinarli con spugne finissime. — Quindi a mani
+<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span>
+piene pigiavano le loro carni, li ravvoltolarono per ogni verso
+e fecero che tutte le articolazioni scricchiolassero. — Da prima
+ridevano e scherzavano. Poi caddero in una prostrazione
+come per grande stanchezza. — Quel <i>malaxare articulos</i> era
+per fermo una operazione dolorosa, quando i frizionatori non
+fossero dotati di una certa abilità e destrezza. Allora questi
+diedero di mano agli strigili — ch’erano di avorio o di argento,
+adorni di bei graffiti, la cui forma somiglia a quella di una
+falce concava che possa applicarsi alla rotondità delle membra — e
+staccarono dalla dermide tutte le ineguaglianze e le
+impurità che la traspirazione vi aveva adunato.
+</p>
+
+<p>
+Trasportati di nuovo dond’erano venuti, gli epilatori li
+spelarono con un unguento fatto con semi di salcio nero e con
+egual dose di litargirio. — E i profumieri li unsero di distrutto
+di porco con elleboro bianco. — Aspersi poi di olio di nardo
+e di megalio, furono asciugati con stoffe di lana finissima. — Vennero
+in ultimo avviluppati in una <i>coccina gausapa</i> — specie
+di grande toga scarlatta, vellosa al di dentro — e deposto
+ognun di que’ giovani entro una lettiga coperta, furono ricondotti
+in casa loro. — Nel congedarsi, Publio Ametistio ebbe a
+dura prova la forza di dire, sbadigliando:
+</p>
+
+<p>
+— O, chi verrà alla <i>comissatio</i> meco?..... Prometto
+<i>mirabilia!</i>
+</p>
+
+<p>
+— Verremo!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Statilio Tauro, nel porre il piede nella sua sedia chiusa,
+voltosi agli amici, lor disse:
+</p>
+
+<p>
+— Parlare consigli di saviezza a quel caro epicureo è lo
+stesso che raccontare una storia ad un asino sordo. — Valete.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Intanto che quei giovani infemminiti prendevano il loro
+bagno caldissimo che gli slombava, i popolani si procacciavano
+un sudore abbondante e senza spesa nella palestra. Gli uni — ignudi
+nati — si esercitavano nella lotta; e ciascuno procacciava
+con sgambetti di cacciare il compagno per le terre. — Altri
+bilanciavano le loro braccia, avendo nei pugni pezzi di
+piombo. — Altri, giuocavano alla palla. — Ed altri ancora,
+colle mani legate sul dorso, prendevano colla bocca anelli per
+terra e si rialzavano. E fra i più destri, uno inginocchiato,
+<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span>
+rovesciavasi indietro sino a mordersi il tallone dei piedi. Quindi
+si tuffavan tutti nell’acqua gioiosamente, con grandi risa e
+con più alto baccano.
+</p>
+
+<p>
+Il bagno addetto alle donne è più quieto. Ma il bisbiglio
+dei vari tuoni delle voci è anche più discordante. — In una
+epoca ed in un paese, ove le vesti dinotavano la condizione di
+quelle che le indossano, la nudità assoluta delle persone stabiliva
+una eguaglianza, una democrazia, di cui ognuna traeva
+suo pro per la libertà propria.
+</p>
+
+<p>
+— O che hai, Rufilla, che sei costì tanto cheta. Da che
+siamo nel bacino non sferrasti pur anco una parola.
+</p>
+
+<p>
+— Mia cara Aglaia, sto ammirando le carni flosce della
+mia padrona, sulle quali sarebbero così bene applicati i colpi
+di verghe che mi fece dar non ha molto. — Ne ho ancor le lividure
+alle reni. — Mira che pelle. — Toccherà a me domani il
+renderla bianca di carnagione, nelle parti visibili, colla cerussa
+di Rodi. — Buon per lei che un’altra l’asciuga. — Io
+la pizzicherei di dispetto.
+</p>
+
+<p>
+— E non hai tu altra sorgente di collera contro di lei?.....
+Il mio padrone, ch’è il maggiordomo nella casa di Bleso, disse
+alla moglie aver inteso come il marito della tua signora volesse
+affrancarti perchè..... sei bruna e piacente.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Rufilla sorrise e replicò a bassa voce:
+</p>
+
+<p>
+— Ho rotto pace con molte illusioni, io. — Pur sono
+ancora in civettismo colla speranza. Chi sa? Finora alla Iddia
+bendata non vidi mai il viso. — Ed in vero non saprei dirti
+ciò che meglio io desideri.
+</p>
+
+<p>
+— Tu parli come gli aruspici. Pure ti ho inteso. — Venere
+ti sorrida!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Quando le due schiave si levarono di là per asciugarsi,
+altre due parlavano greco nell’atto che le donne loro affibbiavano
+addosso le vesti. Sembra che quella lingua esse ignorassero.
+</p>
+
+<p>
+— Dì! — È egli vero, o Lelia, che tu ti mariti? Piacerebbemi. — È
+un dabbene quel tuo promesso. — Sia la dolce
+Iddia propizia ed entrambi!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+La giovanetta cui fu volta la domanda era diciottenne,
+dalla persona delicata, dal viso pallido, dalle linee rotonde,
+<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span>
+soavi e fine. Una leggera lanugine le adombrava l’orlo superiore
+della bocca. — Sorrise. — E da quelle fila di perle escì
+cotesta risposta:
+</p>
+
+<p>
+— Minucia, grazie ai tuoi voti. — Presto. — Altrimenti
+la vita mi parrebbe insopportabile. — Quinto Muzio io l’amo
+e spesso lo sogno con ardente follia. — Una sera mi ha baciato. — E,
+fatta sola nella mia stanza, io ne ho pianto e tremava
+tutta. — Chè, il bacio di un uomo non è come il tuo, sai?.....
+Oh! qual bacio! — Era qualche cosa di bruciante e di leggero
+che mi penetrò come il soffio di una carezza nel cuore.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E stringendosi forte mutualmente le mani, partirono.
+</p>
+
+<p>
+Una donna, già completamente vestita, fe’ cenno colla
+mano ad un’altra di appressarsi.
+</p>
+
+<p>
+— Esce ora colla sua figlia. — La vedesti nel bagno?
+Brutta e manchevole..... E che sa trovarvi egli di bello?.....
+Io lui desidero e voglio. Intendi? — Gli diè forse a bere un
+filtro amoroso, colei?
+</p>
+
+<p>
+— Mia nobile padrona, una sola droga ne apparecchia uno
+infallibile: — Amate e sarete amati. — Cotesto è lo avviso
+della esperienza. — La umiliazione t’irrita. — Cancellane le
+tracce. — Lo visiterò domani e — credimi — ti porterò domani
+il suo cuore.
+</p>
+
+<p>
+— Torna a vedermi.... nel tempio. — Farò offerte alla Dea
+protettrice. — Intanto questa borsa a te per testimoniarti che
+Giulia sa essere riconoscente e generosa.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Quando la <i>lena</i> escì dalla sala, rimasta sola nel corridoio,
+la ricca donna pensò:
+</p>
+
+<p>
+— Io prendo una ben dura lezione, e i miei Giunoni sanno
+a quali prove io vo incontro. — In un momento di disgusto
+lasciai l’uomo al quale io mi era donata. — M’invaghii perdutamente
+di Gneo Melissa. S’egli compenserà il mio grande
+e miracoloso amore, apparterrò ad un padrone le cui esigenze
+aumenteranno sempre. — Accetto la condizione in cui lo alato
+Dio mi gittò. Sono doviziosa tanto da pagare i suoi capricci e
+da allacciare con catene d’oro il suo cuore. — Ben lungi dal
+chiedere per la mia passione quello che follemente desidero,
+un eterno obblio per Numanzia, una parola affettuosa per
+me. — O Venere potente! O Venere santa! O delizia dell’Olimpo
+<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span>
+e della terra, fa’ che quell’uomo mi paghi di amore e dissipi
+le miserie di questo mio cuor lacerato!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Povera donna, a trentacinque anni! Quel piccino fra tutti
+gl’Iddii, passando un giorno dinanzi la sua ricca dimora, usò
+un tratto della sua eterna malizia e sorridendo le scoccò lo
+strale.
+</p>
+
+<p>
+Lo indomani fu essa contenta? Lo ignoro! So questo solo. — Era
+nata in Pompei col nome di Giulia Felice, figlia di
+Spurio. — La sua casa conteneva grandi ricchezze in oggetti
+d’arte di marmo, d’oro e di argento. Eravi un sacrario con
+divinità egizie ed un magnifico tripode di bronzo cogli attributi
+del dio di Lampsaco.
+</p>
+
+<div class="chapter">
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span>
+</p>
+
+<h2 id="cap5">LA BASILICA.
+<span class="smaller">UNA CONDANNA A MORTE.</span></h2>
+
+<p class="center">
+<b>Anni di Roma 770 — Anni del Cristo 17.</b>
+</p>
+
+<p class="center pad2">
+A LEOPOLDO TARANTINI.
+</p>
+
+<p class="center">
+V.
+</p>
+</div>
+
+<div class="chapter">
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span>
+</p>
+</div>
+
+<p>
+In Pompei la gente per bene ristoravasi quattro volte
+per giorno. Il <i>jentaculum</i>, nel saltar giù dal letticciuolo, consisteva
+in una fetta di pane bagnata nel vino — od in pane e
+cacio — o nel solo vino ove era stato infuso per tutta notte
+un bastone di finocchio aromatico detto <i>silum</i>, per cui questi
+addimandavano <i>silatum</i> il loro asciolvere — od in una bevanda
+dolce e profumata da sciacquare la bocca e toglierle il tanfo
+della digestione. — Verso la sesta ora — mezzodì — cominciava
+il <i>prandium</i>, cibo di sostegno sino alla sera. Chiamavasi
+ancora <i>merenda</i>, da <i>meridies</i>; oppure <i>prandiculum</i>, tanto la
+gente costumata contentavasi di poco. — Un po’ di pane — qualche
+pasta calda di forno — o del <i>liquamen</i> di vino stracotto,
+detto <i>sapa</i>, o di emulsioni di ciliege, di mele apie o di cotogne,
+addolciate col favo. — La <i>cœna</i> sì, che era copiosa.
+Prendevasi <i>supremo sole</i>, cioè al declinare del giorno, quando
+le faccende pubbliche o le particolari erano terminate, verso
+la decima ora, cioè alle nostre quattro di sera. — Solo i giovani
+scioperati mangiavano in sull’ora ottava, cioè alle due
+dopo il mezzodì. E lo facevano più volte col recere e col rimangiare;
+e poi toglievano il bagno caldissimo per debilitarsi
+ad aver fame per la <i>comissatio</i>, specie di orgia cui Bacco e
+Venere presiedevano e che si prolungava lungo la notte.
+</p>
+
+<p>
+A lato dei Lari compitali sulla via non lungi dal Foro,
+ov’è la fontana dalla testa del Leone, parecchi giovani si fermano
+e picchiano ad una porta. L’ostiario apre, chiede i nomi
+e lor dà passaggio sul <i>prothyrum</i> di bianco mosaico su cui
+<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span>
+sono rappresentati con neri dadi due lottatori afferratisi. — Erano
+attesi. — Dal peristilio entrano nel triclinio, ove altri
+gli accoglie e gli bacia. — Il padrone del luogo gli computa
+e dice:
+</p>
+
+<p>
+— <i>Septem convivium. Novem convicium.</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Una gaia risata festeggiò quel motto spiritoso. Avvegnachè,
+avesse detto come sette a desco avrebbero composto
+un’allegra brigata. Ma trovandosi in nove, la riunione la sarebbe
+stata chiassona. — Ed era ciò che chiedeva. Per le disposizioni
+e pei mobili di quelle stanze, i convitati non dovevano
+essere numerosi. E il buon genere dei tempi imponeva
+che non eccedessero le Muse e non fossero da meno delle
+Grazie.
+</p>
+
+<figure class="figcenter"><a id="fill-102"></a>
+ <img src="images/ill-102.jpg" alt="&nbsp;">
+</figure>
+
+<p>
+Compite le abluzioni e le altre formalità di uso, il padre
+del festino — <i>cœnae pater</i> — indirizzò una breve prece agli
+Dei e a suon di flauto fece le debite libazioni di vino. Quindi
+distribuì i convitati sul triclinio nell’ordine seguente. — Sul
+posto V del <i>summus lectus</i> ei si sdraiò appoggiandosi al gomito
+sinistro. Indicò a Psiche di allungarsi sui cuscini del IV, ed
+invitava P. Ametistio ad assidersi sul luogo consolare VI. Sul
+letto di sinistra si disposero Calliopa, Suavis ed Issa su III, II
+<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span>
+e I. E sul <i>lectus imus</i> si adagiarono M. Porcio, Scapido e Metrodoro
+nel VII, VIII e IX; questi ultimi erano <i>umbrae</i>, cioè
+non da lui invitati.
+</p>
+
+<p>
+Il vuoto era riempito da una larga tavola di marmo, ove
+si disponevano i <i>riton</i> e le tazze e le scodelle per le vivande.
+Dietro ognuno era un servo, <i>succintus puer</i>, la cui attenzione
+era desta dalla scoppiettio delle dita.
+</p>
+
+<p>
+Gli uomini e le donne ricevettero sul capo corone di edera,
+di rose, di viole e di fiori di zafferano. Altre più larghe erano
+poste ad armacollo. Sui capelli furono sparse essenze di nardo,
+di balano e di altre sostanze odorose. Credevasi che quel
+verde, quei fiori, quei profumi, aprendo i pori, facessero facilmente
+evaporare i fumi del vino greco ed indigeno.
+</p>
+
+<p>
+Le vivande erano apportate sopra un <i>ferculum</i>, grande
+vassoio di argento che copriva tutta la tavola. Allorchè il padrone
+volea che fosse servita la <i>mensa secunda</i>, facea scoppiettare
+il pollice coll’indice, e i servi ubbidivano. Così pure
+per empire i <i>riton</i> coi ciati, specie di misura con cui si prendeva
+il liquido e si versava nel calice che lo invitato stendeva.
+Cucchiai erano sul desco e piccini di fine argento. Vi erano
+coltelli. E pur cannelli di penna d’oca o fuscellini aguzzi di
+lentisco per iscalzarsi i denti. Ma gli alimenti solidi, di pesce
+e di carne li prendevano colle dita, salvo a lavarle nel <i>trullum</i>,
+catino che lo schiavo sopportava, ed asciugarle colla
+<i>mappa</i> che ognuno recava da sè. — Avevano inventate tante
+raffinatezze di lusso, meglio che di uso, e non avevano pensato
+a distendere una tovaglia sul desco, a fornire gl’invitati
+di tovagliuoli e a fabbricar le forchette con cui infilzare le vivande.
+</p>
+
+<p>
+Dopo aver mangiato e bevuto, ribevvero ancora. Era
+l’uso di non levarsi dai soffici cuscini senza prima salutare le
+donne che sedevano accanto. Quei begli umori erano discreti.
+I più perdevano la ragione. Ma nessuno poteva esimersi dalla
+regola, abbandonatamente accettata, la quale prescriveva,
+<i>Omnis amica numeratur ab adfuso Falerno</i>.
+</p>
+
+<p>
+Laonde il <i>pater cœnae</i>, volto alla Psiche sua colla tazza
+ricolma:
+</p>
+
+<p>
+— <i>Cor cordium, nomen tuum bibo.</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span>
+</p>
+
+<p>
+E tranne lei, tutti appressarono sei volte le labbra al bicchiere,
+ingoiandone i sorsi. Quindi Ametistio:
+</p>
+
+<p>
+— Alla cugina di Venere.... Al fascino dei tuoi sguardi,
+o Calliopa.... Io bevo ogni lettera del tuo nome armonioso.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Metrodoro aveva Suavis sul corno opposto del triclinio. E
+lei guardandolo amorosamente,
+</p>
+
+<p>
+— <i>Sex cyathos</i> per te, o maga del cuore.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Scapido, appena sdraiatosi, aveva notato le copiose trecce
+della fanciulla che il re del convito, od il caso, gli aveva disposto
+di fronte. A forza di vederla, si prese ad amarla. E siccome
+egli non era fatto per dispiacere ad alcuna, anch’egli a
+lei piacque. Veramente Porcio era il suo amante. Ma quando
+lo amore s’infiltrava nel cuore greco-latino, ogni cosa doveva
+cedere — e ancor cede! — pregiudizi, interesse, doveri.
+Scapido bevve quattro sorsi al suo nome. E Porcio, pur morsicato
+dalla vanità nel vedere gli sguardi e i sorrisi di lei,
+acuti come un dardo, leggeri come il soffio e fragili come la
+virtù, rivolti spesso alla persona a lui daccanto, bevve e intero
+il nome della passionata pompeiana. Però, brontolando, non
+si ristette dal dire:
+</p>
+
+<p>
+— <i>Alii adnutat, alii adnietat, alium amat et me tenet.</i>
+</p>
+
+<p>
+Aveva torto. Le donne di tal conio usarono sempre ad
+uno far segni, con altri occhieggiare. E se taluno amano, tengono
+altri per le unghie.
+</p>
+
+<p>
+I servi partirono.
+</p>
+
+<p>
+Rimasti soli, parlarono su quel tema, inesauribile come
+la musica — perchè anch’esso è la musica delle anime — che
+addimandasi amore. Ed una felicità di una nuova specie ed
+ignota gl’innondò tutti. Pareva temessero che qualcuno sarebbe
+venuto a rapir loro quella serie di ore beate che nessun certo
+lor disputava. La rapidità piena del piacere svanisce come un
+minuto e stanca. Ma poi torna secolo, carico di ricordi festosi
+e delle delizie di un istante — e tanto più nei momenti in cui
+si è colpiti dal dardo di un grande dolore.
+</p>
+
+<p>
+Calliopa, dopo aver guardato per qualche tempo Ametistio,
+tornò a lui; e, sedutasi sulle sue ginocchia gli mormorò:
+</p>
+
+<p>
+— Mi ami, Publio?
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Sì, cara; come il mare la sponda.
+</p>
+
+<p>
+— Infido!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E appoggiando il gomito sulla sua spalla, velò la faccia.
+La misera! — Sulla veste sottile di Laïs essa avea ricamato
+coi fili d’oro la ingenua serenità dell’anima e quella freschezza
+e quella limpidità di sguardo che ammalia e seduce.
+Quando la donna si sente così penetrata dai raggi di un celeste
+amore, acquista immediatamente un non so che di dignitoso
+e di augusto, che spinge gli umani a ringraziarne gli Dei.
+Essa intravide d’un tratto dove i suoi nobili sentimenti la
+spingevano e pur discerse come la mano amica le mancasse
+nello avviarsi verso la landa ignota dei suoi destini. Fidanzata
+della miseria, o fidanzata del dolore, sapeva il paese d’ond’era
+venuta e giurò dentro di non vi tornare mai più. — E mentre
+essa pensava, ed anche Ametistio pensava. — Ma l’una pianse
+e l’altro rise. — E si ricambiarono un bacio ov’era chiusa
+un’antitesi dolorosa.
+</p>
+
+<p>
+— Chi giuoca alle tessere?... Su, poltroni! O crederò
+che Bacco vi abbia fuorviato... E tu, Publio, scostati da Calliopa,
+che da qualche tempo medita disegni sinistri sulla tua
+pace.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Quegli si svincolò ridendo dalle sue braccia, e:
+</p>
+
+<p>
+— Giammai fui felice coi dadi. — Immagina ora che mi
+strappi con violenza di Pafo. — La bella Iddia si vendicherà!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Il giuoco delle tessere consisteva in cotesto. — Tre piccoli
+cubi di avorio si mettevano entro un cornetto, detto <i>phimus</i>;
+si agitavano colla mano e si versavano sur una tavola scavata
+che chiamavasi <i>alveolus</i>. Ogni cubo portava sulle sei facce
+una serie di punti, cominciando da • e aumentandosi successivamente
+su ciascuna superficie, per unità sino a <img class="letter" src="images/ill-dadi-105.jpg" alt="sei puntini"> — Le tre
+facce, che i dadi mostravano, decidevano del punto. — Allorchè
+i tre cubi presentavano •&#160;•&#160;• il giuocatore perdeva; avvegnachè,
+egli avesse fatto il colpo del cane. Quando invece le
+superficie tutte offerivano il <img class="letter" src="images/ill-dadi-105.jpg" alt="sei puntini">, egli vinceva la scommessa,
+avendo fatto il colpo di Venere.
+</p>
+
+<p>
+Lo amico giuocò per il primo, e i cubi dissero due, cinque,
+sei. — Giuocò Ametistio e presentò i tre assi. — Aveva perduto.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Lo vedi?... Il colpo del cane! — Giù cinquanta denari.
+</p>
+
+<p>
+— Accetto.
+</p>
+
+<p>
+Si scuotono i dadi e si mostra il colpo di Venere. — Si
+scuotono anche una volta e tornano i tre assi.
+</p>
+
+<p>
+— Hai perduto. — Altri cinquanta?
+</p>
+
+<p>
+— Altri cento.
+</p>
+
+<p>
+— Ah! sei proprio infelice! Ho vinto.
+</p>
+
+<p>
+— Vedremo. — Non potrebbe Venere aiutarmi?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Ametistio agita forte il <i>phimus</i> e ne escono uno, uno
+e tre.
+</p>
+
+<p>
+— È una vera fatalità! — Séguiti il giuoco?
+</p>
+
+<p>
+— Sì; e scommetto un <i>nummus aureus</i>.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Intanto Porcio e Scapido, assisi presso una tavola, divisa
+in quadrati alternativamente bianchi e neri giuocavano ai
+<i>lutrunculi</i>, una specie dei nostri scacchi. Palamede aveva
+inventato quel divertimento nel campo dei Greci per distrarre
+nobilmente sotto la tenda i re confederati che assediavano
+Troia. — Ognuno attelava dinanzi a sè alcuni pezzi di vetro
+bianchi per l’uno, neri per l’altro. E col dito, spingevali innanzi
+come soldati di un esercito, a piedi e a cavallo, muniti
+di torri e guidati dai capi, entusiasmati dalla regina e retti dal
+re. La buona tattica consisteva nel sorprendere tra due pezzi
+il pezzo di vetro dello avversario e così acquistare il diritto
+di farlo prigione e toglierlo dal campo di battaglia.
+</p>
+
+<p>
+Suavis e Psiche si divertivano coi <i>tali</i>, ch’erano ossi di
+astragolo di montone. Quelli avevamo la loro forma ma erano
+di argento.
+</p>
+
+<p>
+— Tu hai una destrezza rara, o Psiche. — Quantunque
+volte io mi provi a raccattarli tutti e quattro, si sparpagliano
+in aria, e perdo. Se il vuoi, io ti darò un tessuto di nodi
+complicati e te li darò a sbrogliare.
+</p>
+
+<p>
+— Apparecchialo. — So già la tua perizia nello allacciare
+i cuori. Non pensi ad Æliano che si muore di amore per te?
+Non ha molto il vidi in teatro ed ei si strugge nel labirinto
+ove tu lo chiudesti.
+</p>
+
+<p>
+— Gli gioverà lo starvi. — Venere mi diè la missione di
+vendicarla.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Cattiva!... Non la Iddia... te, per la tua leggerezza.
+</p>
+
+<p>
+— O se l’è una mosca!... Lascialo pur nella ragna!....
+Provati ora a disciogliere questo nodo di Gordio.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Metrodoro, che aveva assistito alle evoluzioni che Porcio
+e Scapido aveano eseguito col loro esercito di vetro, si fermò
+dietro la sedia della bionda Suavis. Psiche si provava a sciogliere
+lo intricato gomitolo e non riesciva. — Levati gli occhi,
+disse:
+</p>
+
+<p>
+— Il conterraneo di Alessandro potrà sbrogliarlo, non
+io. — Che pensi?
+</p>
+
+<p>
+— Io penso che Metrodoro non s’abbia a provarvi. Non
+dev’egli apprenderne il segreto. Giammai costruirò un labirinto
+per lui. Ei venne a me ed io lo tengo.
+</p>
+
+<p>
+— Il Tartaro m’ingoi, s’io mai lo caccio dal cuore ove
+egli scrisse il suo nome.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E spingendo il capo indietro, levò la faccia sorridente di
+amore. — Il greco curvò la sua e le loro labbra s’incontrarono.
+</p>
+
+<p>
+— Undici volte perdente! — Sei volte il colpo del cane! — Che
+è questo mai? — Calliopa, togliti di qui, se ti piace. — Hai
+la faccia sì seria, e gli occhi sì lucidi, che temo mi
+affascini.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+La bella fanciulla posò la mano sulla spalla di Ametistio,
+si fece rossa e poi pallida, e lo guardò di quello sguardo con
+cui la madre fissa il figliuolo. — Uno sterile sdegno; lo imbarazzo
+dell’anima; la tenerezza profonda; una incantevole illusione
+ben tosto fugata dal fantasma della brutta regione in
+cui per parecchi mesi aveva vissuto; ecco le parole che dissero
+quello sguardo innamorato. — Ametistio non lo notò. — Aveva
+altre cure che lo occupavano. — E la misera andò a celar le
+sue lacrime in un canto della camera — pioggia impetuosa che
+distruggeva i fiori ed il verde di una forte passione.
+</p>
+
+<p>
+Scapido e Porcio s’erano tolti dal giuoco e, stirandosi le
+braccia, si appressarono alla tavola dove la sorte capricciosa
+imponeva ai dadi le sue fantasie. Le donne anch’esse composero
+il cerchio.
+</p>
+
+<p>
+— Togliti, Metrodoro, di costì. — L’amico dirà che gli
+nuoci.
+</p>
+
+<p>
+— Danno e sventura! — Una ruina sull’altra! — Uno,
+<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span>
+sei, due. Ah! Venere! Ti frangerei volentieri le costole con
+una mazza. — In verità, io rinuncio alle tessere e mi ritiro.
+</p>
+
+<p>
+— Quanto perdi, o Ametistio!
+</p>
+
+<p>
+— Chiedine, o Psiche, a quel fortunato.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Issa prese sul deschetto il breve bussolo incerato e, fatta
+l’addizione delle cifre, pronunciò:
+</p>
+
+<p>
+— Sei mila dugento cinquanta denari. — Psiche, si può dir
+del tuo amico, come di Fabio, il temporeggiante, <i>romanus
+sedendo vincit</i>. E viva lui!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Publio Ametistio — giovane, orfano, già ricco, scialacquatore — apparteneva
+a quella categoria di uomini amati e maladetti
+dal fato — stelle filanti nell’atmosfera della vita, che
+splendono di vivo lume per poco; che impallidiscono al passar
+di una nube; e scompaiono nella pace della natura, quando
+tutto irraggia, canta ed ama intorno ad essi. — I piccoli e i
+grandi avvenimenti della esistenza gli aveva assaporati tutti.
+Pur questa volta l’urto che la ruota della Fortuna gli aveva
+dato passando, gli cagionava un fremito dentro che gli rendeva
+malato il cuore. — Non ostante, scosse lo altero capo
+per coronare di un falso sorriso la necessità, e disse:
+</p>
+
+<p>
+— L’ora è tarda. — Valete, amici. — A domani.
+</p>
+
+<p>
+— A domani, Publio; e quando vorrai. — Ricordati che
+l’amicizia è la catena più forte delle nostre affezioni.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Allora si fece innanzi Calliopa e prendendogli la mano
+distratta con un guardo che dicea molte cose, gli aggiunse:
+</p>
+
+<p>
+— No... Vi è una catena anche più forte e tenace... l’amore!
+</p>
+
+<p>
+— A tutti sia propizio Morfeo.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Così mutuamente tutti si salutarono. — E, accompagnati
+o soli, reddirono alle loro dimore.
+</p>
+
+<p>
+Ametistio aveva molto giuocato, e perduto, e pagato.
+Aveva pur molto speso per giovanili follie e poco omai più
+gli restava del censo avito. Avrebbe dovuto arrestarsi e dar
+ordine alle sue cose. Lo amor proprio, la vanità lo spinsero
+oltre. — E in quella sera ei si vide giunto sull’orlo dello abisso,
+e la via del regresso era scomparsa. Quando pose il piede
+sulla gradinata della strada dell’Abbondanza, un sudor freddo
+gl’imperlava la fronte, le gambe gli vacillarono e si appoggiò
+ad uno degli <i>impedimenta</i> di sasso. Ma si rimise ben tosto e
+<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span>
+continuò. — Continuò con passo regolare e sicuro, col corpo
+diritto, colla testa immobile, cogli occhi fissi, come una statua
+che avesse l’uso delle sue gambe. — Entrò in casa sua, si fece
+nel suo cubiculo e si gittò sul letticciuolo vestito com’era.
+</p>
+
+<p>
+L’anima, ripiegata violentemente sopra sè stessa e compressa
+per ore dallo sforzo della volontà, riprendendo i suoi
+diritti e distendendosi disordinatamente per tutta la persona,
+si rifece padrona dei suoi dolorosi pensieri. E alla luce della
+lampada vide tremolare sulle pareti ombre leggere e fugaci e
+ripresentantisi. Erano i suoi ricordi or lieti, or tristi. — Era
+la idea dolorosa del domani. — Ma un’altra immagine passò a
+traverso la sua mente febbrile che limò l’acuta preoccupazione
+colla speranza; e, tranquillato a metà, chiuse gli occhi e distese
+le membra spossate.
+</p>
+
+<p>
+La impotenza generale dei sensi rabbonacciò lo spirito
+agitato. Le sue idee navigavano pur sempre nel caos. Ma gli
+sembrava, nelle tenebre, in fondo, lontano, di vedere un
+porto consolatore ove avrebbero trovato un approdo. Immobile,
+nè dormente, nè desto, quel crepuscolo della propria
+intelligenza leniva in certo tal modo la prostrazione fisica e
+morale nelle cui braccia lo aveva gittato il pensiero della vergogna
+e la idea di mancare — malgrado suo — allo impegno
+che il giuoco gli avea fatto contrarre. A poco a poco aggiornò
+nella sua mente. — Il passato aveva preso il di sopra. — Festini — bagni — viaggi — ed
+amori. — Adorati fantasimi tornarono
+ad impadronirsi dei suoi pensieri. — Cuma, Neapolis, Capua,
+Tarentum, Brundusium, Roma le vide popolate di creature
+graziose, di desiderii appagati, di spettacoli goduti. Sentì voci
+gentili ripetergli frasi già udite. Un braccio appoggiarsi delicatamente
+sul suo e stringerla con un tremito soave. Ripensò
+ad un mazzo di fiori ricambiato da un bacio. Ad una ciocca di
+capelli bruni che aveva sfiorato la sua gota. Ad una immagine
+divina, fremente di piacere sotto le sue carezze. Ad un banco,
+in uno xisto, su cui, lungi di ogni sguardo, erasi assiso presso
+una idoleggiata, sotto un odoroso cespo di caprifolio. Ad una
+brigata di amici che pur dianzi accoglievalo e gli facea festa.
+A Calliopa, di cui avea letto nel cuore lo affetto secreto, folle,
+insensato.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span>
+</p>
+
+<p>
+— E domani?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Cotesta parola, come tarlo rodente, lo svegliava dai sogni
+e lo trascinava ai piedi di una triste realtà.
+</p>
+
+<p>
+— Oh! Si allontani la idea! Troverò danaro. — Pagherò. — Indi,
+vita nuova. — Un buon matrimonio... la pace e....
+l’onore sino alla morte.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E chiuse gli occhi colle dita, per forza, e cacciò lontano
+ogni pensiero. Volse la testa sul cuscino, chiamò il sonno...
+Ma l’anima vegliava e lo facea dimenare sul letto quasi fosse
+un fascio di spini.
+</p>
+
+<p>
+— Oh! la crudele espiazione! L’Erebo ha minori tormenti! — E
+che feci io che gli altri non fanno? — Essi dormono! — Ed
+io mi torturo! Sì mi torturo... e soffro senza
+speranza... Forse troverò un <i>fœnerator</i>... Che! Tutti ladri! — Gli
+subisco da un pezzo! Mi fecero il loro schiavo... mi composero
+questo crudele destino!... Ma, non ne fui l’autore io
+medesimo? La vita mi è a carico... E se io la troncassi, aiutando
+la parca insonnita?...&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Si levò di letto. — Aveva lo aspetto livido, sconvolto. — Si
+appressò ad una cassetta di ebano e ne trasse uno stile. Lo
+esamina con cura, ne prova la punta acuta e sottile sull’unghia
+del pollice, lo adatta tra le due costole sul cuore..... è per pigiarlo
+dentro colle due mani e..... si arresta.
+</p>
+
+<p>
+— E l’onore?... E il mio nome?... E merito io la fine di
+Socrate e di Catone?... E che direbbero di me morto i miei
+creditori... e l’ultimo, se io usassi la prerogativa di un uomo
+libero che si sottrae dalle angosce dell’animo?... Giù il ferro
+di cui non son degno!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E lo cacciò sul mosaico della stanza. — Levò la mano in
+alto e, voltosi verso lo <i>impluvium</i>, ov’erano sotto il portico
+le statue di stucco dei suoi maggiori, seguiva:
+</p>
+
+<p>
+— Date venia all’ultimo della vostra stirpe, o miei. — Voi
+serviste leggi che io non debbo, nè voglio, mai offendere. — A
+meno che Giove non mi dissenni, nè morti, nè viventi
+eleveranno contro me la loro voce di spregio. Bocche severe
+mi dissero leggero, depravato, sciupone. — Meritai la sentenza!
+Cercherò danaro. — Me ne daranno quei tristi ch’io contribuii
+ad arricchire! — Quindi darò piena ospitalità alla saggezza.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span>
+</p>
+
+<p>
+Siffatte idee lo racconsolarono. — Di chiaro giorno escì. — Corse
+nel Foro. — Callicles, l’usuraio, disse non aver
+sesterzi disponibili. — Toctucio, il liberto ladro che facea commercio
+di giovanetti greci di ambo i sessi, rispose avere in
+casa un capitale morto che pur mangiava e non poter disporre
+di un solo quadrante. — Cancer, il sudicio ed insaziabile affrancato,
+lamentò il terremoto che gli aveva screpolato le
+molte botteghe che affittava e maladì ai <i>tignarii</i> e <i>cœmentarii</i>
+di Teanum che nelle travature e nelle ricostruzioni gli assorbivano
+il peculio deposto nell’<i>horreum</i> — il magazzino pubblico,
+ove i cittadini deponevano la moneta e gli oggetti preziosi
+sotto la salvaguardia dello Stato. — Il solo Gurges — la cui
+avidità gli avea dato quel meritato soprannome — consentì
+a trattare, chiese la cifra e promise una risposta fra tre giorni. — Ma,
+richiamato quel contentissimo indietro, gli aggiunse:
+</p>
+
+<p>
+— Il <i>fœnus</i> però sarà centesimale, cioè, mi darai due
+assi per cento ogni mese. — Va?
+</p>
+
+<p>
+— Accetto.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E a quai patti non avrebbe consentito Publio Ametistio
+per escire onorato dalla voragine ov’era caduto? — Stanco,
+ma rinfrescato dalla speranza, attese. — Dormì. — Riparò le
+forze perdute. — Per distrazione — non per amore — ricercò
+la compagnia di Calliopa. — Povero, cuore riannobilitato dal
+raggio nuovo di una sensazione profonda!
+</p>
+
+<p>
+Intanto Gurges aveva parlato con Alfio, degno collega suo.
+E questi:
+</p>
+
+<p>
+— Mercurio ti aiuti! Il suo patrimonio lo fuse in bagordi,
+in vini squisiti, in bagni, in profumi.... e in usure. Chiedine a
+Scapzio e a Matinio, cui Cicerone tagliò le unghie a Salamina.
+Gli è proprio un <i>hilarus nepos</i>. — Se gli aurei nummi ti vennero
+a noia, danne.... Allora torneremo a chiamarti col nome
+di tuo padre!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— Basta. — Quand’anche lo segassi — secondo il prescritto
+delle <span class="smcap lowercase">XII</span> Tavole, — di quel corpicino estenuato dai vizi
+non mi verrebbe gran parte.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Corsi i tre giorni, alla decima ora di sera Ametistio cercò
+di Gurges nel Foro. — In casa non era. — Visitò parecchi
+<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span>
+luoghi. — Domandò ad alcuno di quella geldra ove fosse. — Frugò
+inutilmente ogni canto. — Alla fine trovollo nel porto. — E
+tra il timore e la speranza:
+</p>
+
+<p>
+— Ebbene?
+</p>
+
+<p>
+— Per Ercole! Non si dirà mai che i miei denari, con
+tanto sudore acquistati, passino come un papavero in un formicaio. — Tu
+credesti il tuo censo immortale. — <i>Magister
+improbus!</i> — Lo dasti alle sciupate? Fa’ che le sciupate tel
+rendano!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+A quelle parole Ametistio sentì mancarsi il cuore. — Crollava
+intero lo edificio delle sue speranze. Un sudor freddo gli
+diacciò la fronte. E, voltosi all’usuraio che con passo frettoloso
+si allontanava, lo salutò con tale rampogna:
+</p>
+
+<p>
+— Ti colga la peste, <i>furcifer</i>.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Era annientato. — Il crepuscolo copriva colle prime ombre
+le cose. Si avviò sbalordito verso la città. — Passò sotto
+l’arco della porta della Marina. Si assise sui gradini del magazzino
+della Dogana e appoggiò la fronte bruciante sulla parete.
+Le idee tornarono nella sua mente con tutta la loro chiarezza.
+D’un tratto si leva e cammina frettoloso. Si arresta sul
+piano e poi va innanzi, agitando le braccia come un insensato
+e parlando inarticolate parole. Si ferma di nuovo dinanzi il
+tempio di Venere Fisica. L’uscio è aperto ed egli entra. — Qual
+disegno lo spinge? — Nessuno. — S’inoltra e poggia il
+capo sull’ara. Per tutto è silenzio. Nessun rumore. Nessun
+mormorìo attorno di lui. Alza gli occhi e mira la statua di
+marmo della bellissima Iddia, cui tanto danaro le sue scioperatezze
+aveano sacrificato. Una lampada votiva illumina la edicola.
+Ametistio ripensò alle parole di Gurges — che le sciupate
+aveano a rendergli quello che alle sciupate egli avea dato. Si
+guardò attorno, ascese la scala di marmo a grandi passi, afferra
+la lampada d’oro e fugge.
+</p>
+
+<p>
+Ma il coperchio — rotta la cerniera dall’urto — si stacca
+e ruzzola per la gradinata. Un sacerdote, che andava a chiudere
+la porta del tempio, ode il rumore, vede un’ombra che
+passa, il lume spento innanzi il delubro, immagina la profanazione,
+corre e grida al ladro, al sacrilego, all’empio.
+</p>
+
+<p>
+Lo ingresso nel Foro era chiuso. Laonde il misero corre
+<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span>
+per la via d’ond’era venuto. — Alcuni che bevevano in un
+<i>thermopolium</i> si affacciano sulla strada. — Due marinai ed un
+soldato vengono dalla porta della Marina. — Non vi è scampo
+per lui. Una idea lo prende e la esegue. — Lancia con quanta
+forza gli ministra la disperazione il ricco oggetto che avea fra
+le mani al di là di un alto muro, il quale serviva di sostegno
+al terrapieno per la edificazione di un tempio ad Augusto.
+</p>
+
+<p>
+Il sacerdote lo arresta e al primo cittadino che vede, dice:
+</p>
+
+<p>
+— <i>Licet te antestari?</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Avendogli risposto affermativamente, ei gli toccò il basso
+della orecchia, supponendosi allora che quella fosse la sede
+della memoria.
+</p>
+
+<p>
+Gli accorsi si accrescono. — Il misero è svenuto nelle
+loro braccia. — Altri sacerdoti giungono colle torce. Ed una
+luce livida rischiara la persona di quel caduto. — Uno lo riconosce
+e dice:
+</p>
+
+<p>
+— Publio! il ricco giovane che abita nella via dov’è la
+fontana di Medusa!... Oh! non è possibile!
+</p>
+
+<p>
+— Dov’è l’oggetto involato cui i sacerdoti accennano?
+</p>
+
+<p>
+Tutti si scostano. — Quei dalle torce accese le volgono
+per ogni verso e nulla trovano. — Allora il soldato si accosta
+all’orecchio di un marinaio suo amico, e gli susurra:
+</p>
+
+<p>
+— O che il flamine abbia preso la lampada, e poi voglia
+averne una di ferro col sangue delle vene di quello sventurato?
+</p>
+
+<p>
+Altri soldati ed altri curiosi vennero su quel posto. — Ametistio
+aprì gli occhi tutto smarrito. — Vide la gente. — Si
+rimise sui piedi e toccandosi la fronte riarsa, balbettò:
+</p>
+
+<p>
+— Ove sono?... Oh! il terribile sogno!
+</p>
+
+<p>
+— Dove hai celato la lampada tu?
+</p>
+
+<p>
+— Quale lampada?
+</p>
+
+<p>
+— Quella che tu involasti a Venere sacra.
+</p>
+
+<p>
+— Ah! Gurges lo ha detto. — Pietà di me. — Uccidetemi
+e sarete pietosi.... La lampada....
+</p>
+
+<p>
+— Ebbene?... La lampada?
+</p>
+
+<p>
+— <i>Venus diobolaris</i> l’ha presa. — La venderà a Gurges,
+o a Cancer.... E quelle mignatte vomiteranno il mio sangue
+nella tua bocca, o flamine impudico.... mignatta del popolo.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Bestemmia lo infame. — Trascinatelo al pretore.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Un centurione aprì la folla, la interrogò, vide il giovane
+di nuovo svenuto e ordinò si chiamassero due schiavi pubblici
+con una lettiga per condurlo presso il magistrato.
+</p>
+
+<p>
+— Rendi la lampada, o sacrilego. — La vendetta della
+Iddia piomberà sul tuo capo....&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+L’uomo coperto di ferro distese con autorità la mano sullo
+incolpato e disse.
+</p>
+
+<p>
+— Pace, o sacerdoti. — Comprendo il delitto e ne sento
+l’orrore. — Ma il giovane parlò poc’anzi in delirio. — Ora è
+svenuto od è morto. I magistrati sentenzieranno.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Giunta la lettiga, vi fu adagiato Ametistio, venne aperto
+il passaggio nel Foro e il trasportarono per quella via. — I
+sacerdoti, i curiosi, gli sfaccendati, i perditempo, le bigotte
+rimasero su quel posto per lunga ora ad esclamare, a non credere,
+ad accusare e colle lanterne a scoprire dove il reo avesse
+nascosto la lampada rubata. Ma la lampada non si trovò.
+</p>
+
+<p>
+Il pretore cui presentarono lo incolpato, appena potè riconoscerlo
+agli occhi sbarrati, alla faccia livida, alla persona
+affranta. — Udito il reato di cui Ametistio era accusato, siccome
+questo implicava la pena della <i>maxima capitis diminutio</i>,
+cioè la sottrazione di una testa al consorzio dei cittadini
+e alla libertà, dovette ordinare fosse menato nella pubblica
+prigione.
+</p>
+
+<p>
+A dritta dello ingresso del Foro dalla viuzza dietro le
+Terme e dal trivio della fontana del Lupo, era il posto dedicato
+alla carcerazione preventiva. Una piccola e stretta porta
+di quercia vi dava accesso. Un pernio di ferro nel centro la
+faceva aprire a metà. Grosse spranghe confitte nelle spallette
+di pietra la facevano immobile al di fuori. Due scalini mettono
+in una stanza umida e oscura, non ricevendo aria e luce che
+da un piccolo tubo superiore alla porta; e due altri fanno
+ascendere ad una seconda, stretta e lunga come la prima. — Le
+pareti sono lisce e composte di larghe pietre di taglio, aggiunte
+senza cemento. — Così le soffitte. E la costruzione è sì
+solida da non offerire ad un rinchiuso veruna speranza di fuga.
+Nulla di peggio orribile di quelle due fosse....
+</p>
+
+<p>
+Colà sur un po’ di paglia venne gittato Ametistio. Il quale,
+<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span>
+fuori di senno e quasi immemore delle cose avvenute, potette
+dormire sino al dimani.
+</p>
+
+<p>
+La novella corse ben presto per le bocche di tutti in Pompei. — I
+suoi amici ne rimasero sprofondati. — Calliopa cadde
+come corpo esanime; chè, il dolore che non ha refrigerio di
+lacrime uccide o quasi. — Il vincitore alle tessere e quanti furono
+del numero della sua ultima festa, credettero o falso il
+delitto o nato di subita follia. Laonde deliberarono di farsene
+essi gli accusatori pubblici — <i>auctores causæ</i> — per impedire
+che altri si presentasse e non col loro cuore. Ma il giudice
+della questione, il quale senza essere magistrato aveva pure
+tutte le attribuzioni di un <i>quæsitor</i>, cioè presidente — non volle
+che lo incriminato ottenesse dai suoi fidi una persecuzione
+fiacca, incompleta per calcolo onde sicurargli la impunità. Accettò
+meglio l’atto di accusa prodotto da Stazio Rufo e dai
+suoi <i>custodes</i>, Vatinio Svezzio e Caio Pedio — sorta di accusatori
+in secondo, sia chiamati dal primo come aiuto ai suoi
+ordini; sia, suo malgrado, per chiarire la di lui condotta, per
+sorvegliarlo e costringerlo ad una franca accusa. — L’atto diceva
+così:
+</p>
+
+<p>
+«Vivente Tiberio imperatore, e sedenti consoli C. Cecilio
+Rufo e L. Pomponio Flacco Grecino, agli VIII degli idi
+di aprile — dinanzi i questori Velario Grato e Vibrio Saturnino — Stazio
+Rufo coi suoi custodi, dichiaro Publio Ametistio
+reo di furto di oggetto sacro e dimanda che secondo
+le leggi venga condannato alla interdizione dell’acqua e del
+fuoco.»
+</p>
+
+<p>
+Il quesitore mandò il libello all’accusato, perchè apparecchiasse
+la sua difesa pel giorno di poi.
+</p>
+
+<p>
+Lo indomani un araldo, salito sul pulpito della Basilica — dopo
+aver suonato la tromba, ripetè l’atto di accusa,
+scritto precedentemente dagli autori della causa. — Quindi
+colla stessa formalità lo chiarì dal pulpito del tempio di Giove
+e dinanzi la porta dello accusato.
+</p>
+
+<p>
+I giudizi sui reati pei quali era prescritta la condanna nel
+capo erano dapprima riserbati ai comizi. Occorsi alcuni casi,
+creduti al disopra della intelligenza del popolo, o della sua
+istruzione, si cominciò a consultare i decurioni, ch’erano una
+<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span>
+emanazione popolare. Quindi si pensò di creare un corpo giudiziario
+permanente, scelto tra i cittadini i quali pel loro grado
+sociale o pel loro censo fossero nella condizione di occuparsi
+dei pubblici negozi senza alcun danno. Il popolo — approvando
+siffatto accordo — serbò per sè i giudizi sulle cause di alto
+tradimento e la revisione delle sentenze sui condannati che a
+lui si appellassero come a sovrano.
+</p>
+
+<p>
+La Basilica è aperta. — Una folla numerosa occupa il
+portico e l’atrio. — Le donne e i curiosi sono sul terrazzo del
+Foro e dei tempio di Venere. I più vicini odono. — I più lontani
+veggono. Ma il vedere vale quanto lo udire; avvegnachè
+gli oratori, accompagnando le loro parole con gesti espressivi
+e giusti, traducessero a maraviglia il detto coll’atto.
+</p>
+
+<p>
+I duumviri sono sulle sedie curuli. — Gli accusatori sul
+pulpito. — Indietro, a dritta ed a sinistra seggono ottanta uno
+giudici. — Sotto la ringhiera, lo araldo e gli scribi. — Una
+barriera mobile di legno chiude il tribunale. — E dentro è
+l’accusato in mezzo ai suoi difensori, fra i quali uno è il <i>patronus</i>,
+cioè l’oratore e gli altri sono <i>advocati</i>, cioè i chiamati
+per la loro scienza nel diritto e per la loro perizia nelle cose
+giudiziarie.
+</p>
+
+<p>
+Quando gli scribi ebbero dispensate parecchie copie della
+lista dei giudici agli assistenti per chiarire come veruno che
+non fosse registrato nell’Albo giudiziario usurpava illegalmente
+siffatto ufficio, i duumviri fecero prestare giuramento
+agli ottanta uno cittadini che avrebbero giudicato secondo le
+leggi. — E tutti, chiamati per nome, risposero:
+</p>
+
+<p>
+— <i>Juro ex mei animi sententia.</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+I magistrati non giurarono perchè essi in tale circostanza
+si limitavano a dirigere i dibattimenti, a proclamare il risultato
+dei voti ed a pronunciare l’applicazione della legge.
+</p>
+
+<p>
+Si cominciò dalla audizione dei testimoni. Ognuno di questi
+giurò pel sommo Giove — <i>cujus nomine</i> — dice Cicerone
+nell’arringa a difesa di Milone — <i>majores nostri vinctam testimoniorum
+fidem esse voluerunt</i> — di dire la verità. Il primo
+chiamato fu Venerio Epafrodite — il sacerdote del tempio che
+vide il fuggente e il raggiunse. — Disse della lampada involata
+dalla edicola e del solo coperchio trovato ai piedi dello
+<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span>
+altare, dei lucignoli unti raccattati lo indomani uno sulla via
+corsa dallo accusato e l’altro tra le pieghe della sua toga. — Ymnus — il
+venditore d’idromele e di acque aromatiche nel
+<i>thermopolium</i>, dinanzi il quale quel che correva venne arrestato — narrò
+le grida del sacerdote e il passo concitato del
+giovane, che da uno che prendeva ristori nella sua bottega
+udì chiamarsi Publio e aver casa nella via della fontana di
+Medusa. — Pupo — il marinaio che venne su dalla porta
+della città, ripetè le stesse cose ed aggiunse aver veduto lo
+incriminato svenuto e poi udito dalla sua bocca parole sconnesse,
+o da ubriaco o da pazzo. — Il centurione Eleno Missilus
+chiarì quello che avea visto, cioè, il misero giovane ch’ei
+stimò morto tra le braccia di chi il sosteneva. Aver udito parlare
+di una lampada rubata. Pur quella lampada non essersi
+rinvenuta, nè sul posto, nè sui luoghi vicini.
+</p>
+
+<p>
+Stazio Rufo cominciò allora l’accusa. — Dipinse la depravazione
+dello incolpato. Le ricche imbandigioni e gli apparecchi
+della gola aver sciupato e guasto il suo censo avito. Altri
+scialacqui, di cui è onesto il tacere; e l’amplissima villa, non
+più sua; e i tanti schiavi di tante lingue; e i bronzi e le pitture
+di miracolo; e il vestir di seta come le donne, averlo
+gittato nelle braccia degli usurai, divoratori anch’essi del suo
+patrimonio. — Coteste le cagioni dell’ultima colpa. E potrebb’egli
+sconfessarla?
+</p>
+
+<p>
+— No!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Il patrono difensore nello udire il monosillabo accusatore
+del suo cliente:
+</p>
+
+<p>
+— Rufo, tu obblii il saggio costume degli avi, i quali si
+espressero sempre dubbiosamente in giustizia. — Come puoi
+tu asserire le cose intime che narri? — Vedesti tu — coi propri
+occhi tuoi — il furto sacro commesso? — E dimentichi tu
+per ventura come le tue arrischiate parole sappiano strappare
+un amico da braccia amiche, privare lo Stato di un cittadino
+ed egli stesso diminuire?
+</p>
+
+<p>
+— Pace, o Caio Calvenzio. Qui non si trattano piacevolezze.
+Tu non vorrai scendere a giuochi retorici. — Fatti. Non
+altro che fatti. — A tutti è chiara la vita del tuo cliente. — Egli
+avea debiti. — Chiese danaro. — Nessun usurario volle
+<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span>
+dargliene. — Entra nel tempio di Venere e ruba. Ruba accecato
+dalla disperazione.
+</p>
+
+<p>
+— E la lampada ov’è?
+</p>
+
+<p>
+— Non sii formalista, Calvenzio. — La sua tunica e la
+toga sono unte. Un lucignolo sulla persona.... Egli stesso non
+smentisce il reato. — Ecco quello che io credo..... e i nostri
+avi anch’essi in simile caso si sarebbero espressi così. — Ho
+detto. — Rispondi, se il puoi, sulla innocenza di lui.
+</p>
+
+<p>
+— Cotesti fatti — se sono fatti, ed io gli nego — non
+avrebbero potuta rifar la fortuna di Publio. Poteva vendere
+la sua casa, e i suoi bronzi, e le ricche suppellettili, e gli ori
+e gli argenti, e le gemme, e gli schiavi; ed avrebbe pagato i
+suoi debiti cui tu accenni ed io ignoro. In verità una lampada
+del peso di III libre e once II e del valore di 40,800 sesterzi,
+non può solleticare la cupidigia di un giovane agiato e spendente
+come tu dici.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Adora sorse l’amico presso cui Ametistio passò l’ultima
+sera gioiosa giuocando — il quale, dimentico del danaro scommesso
+e vinto, erasi fatto insieme con Metrodoro uno degli
+<i>advocati</i>, non avendo potuto essere gli <i>auctores causæ</i> — e
+col viso acceso dalla indignazione, proferì:
+</p>
+
+<p>
+— E la lampada, per Polluce! E dov’è cotesta lampada? — Abbiamo
+un sacerdote interessato che accusa. — Abbiamo
+un incriminato che non si difende. — E l’oggetto del reato
+scomparso! — O Venere lo ha nascosto agli occhi dei suoi....
+sacerdoti, o volò di per sè, come il divo Romolo, nell’empireo
+presso la Iddia!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Metrodoro era afflittissimo. Teneva la mano dell’amico
+chiusa nelle sue. E spesso a voce bassa parlavagli nell’orecchio. — Ma
+non ne aveva nessuna confortante risposta.
+</p>
+
+<p>
+— Ebbene! siccome s’intesero i testimoni, si ascolti ora
+il supposto reo. S’egli ripeterà ciò che disse agli astanti e poi
+al pretore, l’accusa non avrà altra cosa da aggiungere.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Un movimento di attenzione si produsse allora nell’assemblea. — I
+più lontani si sollevarono sulla punta dei piedi.
+Uno dei duumviri disse:
+</p>
+
+<p>
+— Parli or l’accusato e si scolpi.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— La lampada disparve dal tempio.... Vili ed ipocriti i
+<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span>
+sacerdoti.... A Venere non importa che l’olio bruci. Ha il sole
+che illumina il cielo, la terra e i pianeti....
+</p>
+
+<p>
+— Ei bestemmia!
+</p>
+
+<p>
+— Epafrodite impostore!... Nel vostro collegio, quando
+siete satolli e il vino v’inebria, ridete fra voi degli Dei e degli
+uomini. — Una donna che fu vostra, ed anche mia, lo
+udiva e mel disse.... — I colombi di argento e i melagrani
+d’oro — che anche la mia stupidezza vi ha confidato, come
+voti alla Iddia — e non gli vendete voi fuori di qui?... La
+lampada.... valea pur essa i miei danari.... e partì.
+</p>
+
+<p>
+— E dov’è ora quel prezioso tra i sacri arredi?
+</p>
+
+<p>
+— Non la trovaste?... Bene sta!... Lo inferno v’inghiotta,
+o pubblici ladri!... Quella lampada non rischiarerà più le vostre
+soppiatte libidini sacerdotali....
+</p>
+
+<p>
+— A me, che ti accuso, rispondi semplice e sincero. I
+giuochi di parole, di mente smarrita non ti gioveranno. E se
+lo interrogatorio non valse a strapparti dal labbro la verità,
+potrebbe ben la tortura....
+</p>
+
+<p>
+— Come! insolente; osi tu proporre la prova dei servi
+ai duumviri sul mio misero cliente? Il dolore e lo spasimo depongono
+il falso sempre.
+</p>
+
+<p>
+— Ma la tortura è permessa sur ogni cittadino per causa
+di congiure e di sacrilegio. — E qui sacrilegio è negli atti e
+nelle avventate parole.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Metrodoro si stacca vivamente dalle braccia di Publio, e
+parla:
+</p>
+
+<p>
+— Uno accusa. — L’altro non dice. — La tortura? Sia!
+La subisca prima Epafrodite e quindi il cliente. — Così, se il
+vero sta nei tendini distesi e nelle carni lacerate, vedremo. — E
+se il mio amico risulta innocente, avrò il libito di chiedere
+ai magistrati di far marcare sulla fronte del prete calunniatore
+K, la stimmate che avrà meritato.
+</p>
+
+<p>
+I membri di tutti i collegi sacerdotali muggirono di rabbia
+a quelle parole oltraggiose. — Parecchi giudici ne furono
+inorriditi. — La plebaglia ruppe in alti clamori. La tempesta
+fu sì violenta che lo araldo ebbe ordine di suonare la tromba
+e di annunciare che i testimoni avevano detto, e la udienza era
+levata.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span>
+</p>
+
+<p>
+Lo indomani del giorno d’intervallo tra un’accusa e l’altra,
+gli autori della causa ripetettero l’<i>anquisitio</i>, cioè la pena
+richiesta al delitto. Corsi anche due giorni, gli accusatori fecero
+affiggere nel Foro l’<i>irrogatio</i>, cioè uno scritto in cui palesavano
+la pena che il crimine sembrava meritasse, ed accusarono
+per l’ultima volta lo incriminato, invitando i giudici
+a pronunciare la sentenza. — Nelle due comparizioni si procedè
+alle accuse e alle difese, come nella prima. — Ametistio
+non volle difendersi. — I sacerdoti — non solo nei loro covacci
+di empietà e di frode — ma nelle taverne e nei trivi
+cercarono di persuadere il popolo ad impedire che lo scellerato
+sacrilego sfuggisse alla giusta vendetta dei numi. — Sempre
+gli stessi, assetati d’oro e di sangue! — Sempre tributari
+agli Dei delle atroci loro passioni, chiamandoli vendicativi ed
+autori dei pubblici disastri. — Coi giudici usarono altri mezzi — danari
+a iosa, e per sopra ciò <i>noctes mulierum atque adolescentulorum
+nobilium introductiones nonnullis judicibus pro
+mercedis cumulo fuerunt</i>. Non traduco tali immondezze.
+</p>
+
+<p>
+In quel giorno tutte le taverne, le botteghe, persino le
+terme furono chiuse. — Qualche scriba aveva venduto il suo
+posto e rimaneva in piedi. — Lo araldo intimò il silenzio, si
+fece lo appello dei giudici e gli autori della causa parlarono
+per due ore, tempo che la legge loro accordava. Caio Calvenzio
+replicò solo e apparecchiò lo uditorio ad intenderlo col
+tossire, collo scricchiolare delle dita, con sospiri e con tristi
+sguardi or volti al cliente, ora ai giudici, ora al popolo riunito.
+Parve agitato da una violenta emozione e la voce tremavagli
+nella gola. — Quando ebbe pronunciato: <i>dixi</i>, lo
+araldo gridò dall’alto: <i>dixerunt</i>, e i duumviri offerirono allo
+accusato ed agli accusatori il diritto che la legge Pompea loro
+accordava, di rifiutare per giudici quelli che loro non andassero
+a verso. Di ottanta uno ne rimasero cinquanta uno. — A
+cotesti vennero distribuite tavolette di bossolo coperte di uno
+strato di cera e ciascuno sopra scrisse la iniziale del voto che
+la propria coscienza o il turpe maneggio sacerdotale dettavagli.
+A voleva dire <i>Absolvo</i> — C <i>Condemno</i> — N L <i>Non
+liquet</i> — ciò non è chiaro nella mia mente, se lo incriminato
+sia innocente, o colpevole. Ognuno gittò la propria tavoletta
+<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span>
+in un’urna, levando la toga per scoprire il braccio e serbando
+l’iniziale scritta dalla parte della palma della mano. — Il misero
+Ametistio venne condotto per una scala nella prigione
+ch’era al disotto della tribuna. — Fatto lo scrutinio dei voti,
+gli scribi ne diedero il risultato ai duumviri. Tre giudici opinarono
+per una più ampia informazione. Dieci negarono il
+crimine. Trentotto lo accertarono.
+</p>
+
+<p>
+Allora i duumviri spogliaronsi della toga pretesta in segno
+di lutto; ed uno di essi, con aspetto triste e solenne,
+disse nel silenzio dell’assemblea:
+</p>
+
+<p>
+— Sembra che Publio Ametistio meriti di essere punito.
+E a noi piace interdirgli l’acqua, l’aria ed il fuoco. — E sia
+crocefisso.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E nell’atto che uno degli scribi leggeva la stessa sentenza
+dallo spiraglio superiore del carcere a quei che doveva farsi
+<i>inanimatus</i>, nella sua qualità di <i>servus pœnæ</i>, l’altro dei
+duumviri dicea alla gente stipata:
+</p>
+
+<p>
+— <i>I licet.</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Così tutti, a poco a poco, vociferando, gesticolando, alcuni
+gioiosi, altri addolorati, escirono dalla Basilica e si disseminarono
+pel Foro. — Metrodoro, innanzi la prima Curia,
+arrestò due dei giudici, mettendosi con violenza nel mezzo di
+essi.
+</p>
+
+<p>
+— Sapete voi perchè tanto apparato di milizia nei tre accessi
+del tribunale e fuori?... Non per evitar turbolenze, no. — Per
+arrestare i <i>manticularii</i> che vi sbarazzassero destramente
+della moneta che questa notte guadagnaste con tanto onore: — Uomini
+da conio.... e insanguinati!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Ed un altro, nella via della fontana del Leone, mirando
+camminare a lui dinanzi un sacerdote d’Iside, tolse di peso
+un’anfora spezzata piena di calce e la cacciò quasi elmetto di
+flamine sul capo di lui.
+</p>
+
+<p>
+— Tizzone d’Averno, imbiancati se puoi!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Finchè quel briccone potè levarsi la mala cuffia di testa
+e nettar gli occhi e la barba, il poco riverente cittadino era
+scomparso.
+</p>
+
+<p>
+Intanto Publio Ametistio aveva ascoltato la sua sentenza
+con un coraggio e quasi direi con un orgoglio di razza che
+<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span>
+dava una smentita alla poco gagliarda persona sua. — La
+morte sulla croce! — La sua vita, tutta di piaceri, non ve lo
+aveva preparato. — E lo sguardo della folla! — E lo scherno
+della plebaglia! — Le idee ed i nomi amici gli si arruffavano
+nella mente e lo racconsolavano dello spasimo morale che allora
+pativa e della morte crudele cui andava incontro. — Nell’atto
+entrano due feroci uomini nella prigione. Uno gli lega
+le mani dietro con una corda. L’altro gli appende al petto
+una tavola che chiarisce il suo nome e il delitto. Fuori sono
+soldati che lo attendono. Molta gente pur v’è — e in ispecie
+donne con bambini sul braccio o lattanti, curiose di vederlo
+una volta e di assistere alla sua crocefissione. — Una giovane
+lo guarda, gli lancia un bacio e dice:
+</p>
+
+<p>
+— Oh! se gli è bello, e piacente! Lo avrei amato! Se
+fossi una Vestale.... — gli è impossibile lo sperarlo, perchè non
+si torna indietro mai.... colla mia presenza avrei potuto
+dirgli — <i>sii libero</i>.... — e poi più alle fiamme del cuore che
+a quello dello altare.
+</p>
+
+<p>
+— Quando ti farai cheta, sguaiata?
+</p>
+
+<p>
+— Quando mi darai a bere del vino.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E cavato uno spillone dalle nerissime trecce, scrisse sulla
+parete:
+</p>
+
+<p>
+— <i>Suavis, vinaria, valde sitit. Rogo vos valde sitiat.</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Traversando il Foro, gli amici che la sventura gli avea
+risparmiato e i suoi poveri schiavi, i primi gli baciarono convulsivamente
+gli occhi e la bocca, gli altri i piedi, e disperati
+li lasciarono. — Ametistio sentì dentro tutto, uno strazio e
+camminò innanzi.
+</p>
+
+<p>
+Lungo la via dell’Abbondanza e quella della fontana di
+Venere, fissava le genti che il riguardavano, smemorato. Vedea
+doppio e triplo. — Fuori della porta di Stabia la comitiva
+si fermò <i>ad cisiarios</i>, colà dove si affittavano i veicoli; e venne
+consegnato al carnefice, a cui le leggi censoriali niegavano la
+luce e l’aria che si respirava in Pompei.
+</p>
+
+<p>
+Spogliato delle sue vesti, fu gittato sur una croce di
+pioppo. Due gli tennero le mani distese con una corda. — E
+il carnefice le inchiodò. — Poi gli distesero i due piedi riuniti. — E
+il carnefice li inchiodò. — Il poveretto soffriva acuti
+<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span>
+dolori. Ma non dicea verbo. — Quindi i tre giustizieri levarono
+di peso la croce e la conficcarono, per la estremità dove
+penzolava la testa, in una buca di sasso, assestandola con due
+cunei.
+</p>
+
+<p>
+La plebaglia — avida di quegli spettacoli — rimase sul
+posto sino a sera. Alle prime ombre partì. — I littori di guardia
+rimasero seduti presso un fuoco di frasche ed un’anfora
+di vino.
+</p>
+
+<p>
+Dopo un’ora, una donna si trascinò colà barcollando. Al
+chiarore rossastro vide lo inchiodato a capo in giù e corse
+a lui.
+</p>
+
+<p>
+— Ametistio! Mi ascolti? — Mi vedi?
+</p>
+
+<p>
+— Calliopa... un bacio... ecco la morte.... Io ti.... atten...
+</p>
+
+<p>
+— Espio tutto sulla tua bocca e muoio!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Fu l’ultimo accento di una doppia agonia. — La mattina
+i soldati si provarono a rialzare la donna prostrata che colle
+braccia stringeva la croce. — Era morta! — Fecero una
+buca e la seppellirono. E poi ch’ebbero pigiata la terra sul
+cadavere:
+</p>
+
+<p>
+— La credi moglie del crocefisso colei?
+</p>
+
+<p>
+— No! — La donna dallo anello non muore di amor disperato!&nbsp;—
+</p>
+
+<div class="chapter">
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span>
+</p>
+
+<h2 id="cap6">LA NECROPOLI.
+<span class="smaller">SCENE DI FUNERALI.</span></h2>
+
+<p class="center">
+<b>Anni di Roma 779 — Anni del Cristo 26.</b>
+</p>
+
+<p class="center pad2">
+A J. C. HACKE VAN MYNDEN.
+</p>
+
+<p class="center">
+VI.
+</p>
+</div>
+
+<div class="chapter">
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span>
+</p>
+</div>
+
+<p>
+— La tua tragedia, o Sirio Crixsio, non posso accettarla.
+L’ho letta — piacerebbe in Herculanum... lo credo — qui,
+ne dubito forte. — Le lettere non vi sono in molto onore
+come nella tua grande città. — La tua commedia, o Delio,
+non è adatta alla circostanza. — Se si trattasse di festeggiare
+un duumvirato, eh!... Ma noi piangiamo la perdita di un dabbene,
+i cui pari non nascono ogni dì. — Andate. — Ci rivedremo
+in altra occasione.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E voltosi ad un uom vecchio e tarchiato:
+</p>
+
+<p>
+— Salve, <i>operarum theatralium dux</i>. Tu puoi acconciar
+tutto a dovere. Mi occorrono tre <i>taurocentas</i> e tre <i>succursores
+pontarios</i>. — Le coppie dei tori le ho già provviste. La
+giostra nel Foro. — Oltre la venazione vorrei dare lo spettacolo
+dei <i>pugiles catervarios</i> insieme coi <i>pyctas</i>, secondo il costume
+greco. Vi sia musica e pantomima. — Tu penserai a
+provveder le macchine, il vestiario, i giostratori e tutto. — Quanto
+alla spesa — tu mi conosci — non vi sarà a ridire. — Agisci
+con zelo. — La famiglia è ricca e generosa. E vuol
+fare obliare «lo assedio di Troia» che tu preparasti nel gran
+teatro pei funerali di Munazio Fausto — lo arricchito dal
+mare — cui Nevoleja Tyche diè quella testimonianza di amor
+coniugale.
+</p>
+
+<p>
+— Compresi, Eumenes. La famiglia di Flacco non avrà
+a dolersi di me. Ma ier l’altro io vidi il brav’uomo passeggiar
+nel Pecile. — Vi entrai per parlar collo edile — ed egli mi
+strinse la mano e mi chiese del figliuol mio che — come sai — vive
+nell’Urbe.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span>
+</p>
+
+<p>
+Eumenes nello udir lo elogio del suo padrone, valido e
+sano due giorni innanzi, sentì tremolare negli occhi le lacrime.
+Le asciugò col <i>sudarium</i> che aveva chiuso nelle pieghe
+della tunica, e con voce velata rispose:
+</p>
+
+<p>
+— Tornò in casa pieno di salute. Dopo la cena si dolse
+del mal di capo e andò a coricarsi. Il <i>clinicus</i> Stertinio lo visitò
+lo indomani, prescrisse i suoi <i>placita</i> che io feci comprare
+dal vicino <i>seplasiarius</i>; e malgrado il medico il consigliasse a
+rimanersi nel letto, od almeno in camera, volle uscire e andar
+nella Curia. — Colà svenne e fu qui riportato in lettiga.
+Non parlava. Aveva storta la bocca, gli occhi sbarrati e la
+faccia accesa. — Vengono due medici e gli tastano i polsi,
+uno di qua, l’altro di là. — Quei mercanti della salute furono
+in questo solo di accordo — che il sangue fosse ito con
+impeto a cacciarglisi nel cervello. — Ma per rimediare a quel
+guasto Stertinio indicava il bagno freddo e Archagathas
+un bagno caldissimo ai piedi con farina di senape. Allora si
+bisticciarono, chiamandosi <i>vespillones</i>, spoglia-cadaveri, e
+peggio. I figliuoli — per non aver rimorsi più tardi — usarono
+interpolatamente i due rimedi. Il bagno ai piedi parve
+lo rianimasse un poco. — Coi segni prima e poi collo stilo
+sulla cera quel degnissimo di vita affrancò dodici schiavi,
+si tolse gli anelli e dandoli a Lelio lo designò suo erede.
+Il misero ebbe appena il tempo di collar le sue labbra sulla
+bocca del vecchio e riceverne il suo ultimo sospiro. Lydia
+era svenuta nelle braccia delle liberte. — Aterio Flacco era
+vissuto.
+</p>
+
+<p>
+— Consolati, Eumenes. — Il figlio somiglierà a suo
+padre.
+</p>
+
+<p>
+— Sì, o Filone. È il suo ritratto e dentro e fuori. E il
+vedrem presto degno della pubblica cosa. — Ma giacchè tanto
+spendemmo per quei due becchini — chiesero ed ottennero
+dugento denari! — vorrei che il padrone facesse incidere
+nella epigrafe: <i>ignorantia medicorum periit</i>.
+</p>
+
+<p>
+— Postuma è la sentenza, o fedele. — Non si fischia
+quando s’inghiotte. — Sta’ sano.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Eumenes era un uomo della seconda gioventù. — Tratti
+regolari e belli, velati da una espressione di dolce melanconia. — Neri
+<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span>
+e ricciuti capelli gli adombravano il viso. — Spessi
+sopraccigli celavano i suoi occhi lucenti, e vi si leggeva l’audacia
+che inspira la forza fisica, la contentezza del proprio
+stato e una certa tinta di arroganza insolente mista a bontà di
+carattere che acquistano tutti i servi i quali invecchiano nella
+casa del loro padrone. — Era Messenio, e fu comprato fanciullo
+da Flacco. Passò per tutti i gradi della domesticità. — Dapprima
+<i>succinctus puer</i> nel triclinio. Quindi <i>structor</i>, quegli
+che apparecchiava il desco e acconciava le vivande in un
+ordine simmetrico e studiato; e poi <i>scissor</i> e così abile, ch’egli
+sapeva scalzare un’oca pulitamente e sì presto da vederla intera
+e tagliata in un attimo. La sua fedeltà e continenza lo
+fece salire in fiducia e divenne <i>promuscondus</i>, lo ispettore
+della cantina. — Allorchè venne assunto allo ufficio di <i>tricliniarcha</i>
+Flacco lo affrancò, e qual maggiordomo fu il primo
+fra tutti i familiari della casa.
+</p>
+
+<p>
+Per lo addolorato liberto era giorno di grandi faccende
+quel giorno. Allorchè Lelio chiuse gli occhi a suo padre e andò
+a piangere nella sua camera nelle braccia della sorella, egli
+dovette correre per dichiarare la morte del suo padrone e
+prevenire i <i>libitinarii</i> per lo apparecchio delle esequie. Cotesti
+ministri della Dea luttuosa, avevano nel tempio quanto
+era necessario per la triste cerimonia — portatori — guardie — piagnenti — vasi
+di vetro, di alabastro, di bronzo, di terra
+per chiuder le ceneri — legni resinosi — unguenti — tutto — a
+seconda del grado della persona morta e della magnificenza
+della famiglia. Per questo pagavasi una somma convenuta — <i>arbitrium</i> — e
+si gettava in un’urna la moneta che serviva
+di registro dei morti nell’anno. — Combinata la spesa, Eumenes
+tornò in casa coi <i>pollinctores</i> che dovevano lavare con acqua
+calda il cadavere, aromatizzarlo di cinnamomo, di mirra
+e di nardo, acconciare la faccia del morto, infarinarla col
+<i>pollen</i> e colorirla come da vivo. Fecero però prima la <i>conclamatio</i>
+per quattro volte, chiamandolo a nome presso le orecchie,
+e suonarono le buccine due volte, onde accertarsi se
+quell’apparente tranquillità fosse riposo, o sonno eterno. Compiuta
+l’opera libitinaria, il cadavere venne esposto sur un
+letto solenne, colla faccia scoperta, vestito di bianca toga, nell’atrio,
+<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span>
+coi piedi volti verso la strada. — Siccome aveva in
+gioventù raccattato nel porto un fanciullo che annegava, fu
+messa sulla sua testa una corona di quercia <i>ob civem servatum</i>. — Sul
+<i>prothyrum</i> era un’ara, ove ardevano profumi. — Dinanzi
+all’uscio, un grosso ramo di cipresso. — E attorno
+alla bara i custodi con altri rami per discacciare le mosche.
+</p>
+
+<p>
+Sette giorni durò la esposizione. — I profumi e gl’incensi
+bastavano a dura prova ad attutire il puzzo della materia corrotta. — L’ottavo
+in sull’alba, un araldo percorse le vie, i
+crocicchi ed il Foro. E gridava:
+</p>
+
+<p>
+— <i>Aterius Flaccus ollus leto datus est.</i> — Queglino cui
+convenisse di assistere ai funerali, <i>jam tempus est</i>. — Si celebreranno
+giuochi; e il ministro della dea Libitina avrà un
+apparitore e dei littori.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Qualche ora dopo, la strada e la casa si empivano di
+gente. — Tutti vestivano la <i>penula</i> invece della toga che non
+indossavasi nei funerali.
+</p>
+
+<p>
+Una <i>præfica</i>, armonizzò colla lira una <i>nenia</i>, cioè un
+poemetto funebre in lode del morto. Quando la cantilena ebbe
+fine, Lelio e tre dei suoi parenti più prossimi, vestiti di bruna
+pretesta, caricarono il letto funebre sulle loro spalle. E benchè
+il sole splendesse sull’orizzonte, il convoglio s’incamminò
+fra torchi accesi di cera e di stoppa impegolata. Un <i>designator</i>,
+andava innanzi coi littori dalla nera tunica. E dietro
+sfilavano suonatori di <i>tubæ</i>, cori di satiri danzanti un comico
+ballo chiamato <i>sicinna</i>, e la truppa degli schiavi affrancati con
+Eumenes alla loro testa, tutti col capo coperto dal berretto
+frigio della libertà. Immediatamente seguiva il corpo del defunto
+cogli amici, coi parenti, in tunica nera e senza anelli.
+Dietro di essi, a distanza di parecchi passi, era Lydia colle
+vesti in disordine, coi capelli sparsi, in lacrime e gittando
+tratto tratto gridi di dolore. L’accompagnavano alcune amiche
+devote che nel settenio non l’avevano lasciata mai sola.
+Tutte — come la grande afflitta — erano coperte dal <i>ricinium</i>,
+piccolo mantello bruno. Quindi camminava una prefica che
+colla pantomima dell’angoscia che non sentiva dava il tuono
+dei gemiti alle serve della famiglia ed alle loro figliuole. — Chiudevano
+il corteggio altre prefiche divise in due drappelli,
+<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span>
+di cui le prime piangevano percuotendosi il seno e strappandosi
+i capelli e le altre cantavano inni ed omei. E ad istanti
+cangiavano ufficio, cantando le prime e piangendo le ultime.
+</p>
+
+<p>
+Salito il cadavere sul pulpito del tempio di Giove, il letto
+fu innalzato di dietro talmente perchè il popolo riunito il vedesse.
+E Lelio pronunciò un discorso, in cui unì agli elogi
+del padre le principali azioni della sua vita. Talvolta il misero
+giovane si arrestava per piangere. Allora una musica
+flebile rimpiazzava le sue parole. E si udì per la piazza ai
+singhiozzi della figliuola ed al pianto degli affrancati unirsi
+qualche voce lamentosa di persone riconoscenti.
+</p>
+
+<p>
+Nello escire dal Foro la pompa funebre voltò dinanzi al
+tempio della Fortuna e più in su prese la via Domizia per
+escir fuori della porta di Herculanum. Avvegnachè nel sobborgo
+Felice fosse la tomba della famiglia.
+</p>
+
+<p>
+Nell’<i>Ustrinum</i> sorgeva il rogo composto, a modo di
+un’ara, di legna secche di elce, di frassino e di pino, decorato
+di ghirlande di fiori. Negl’interstizi erano pezzi di pece,
+perchè aiutassero alla combustione. Distesovi sopra un lenzuolo
+di amianto, i libitinari vi collocarono il cadavere, cui
+erano stati prima aperti gli occhi dal figliuolo onde vedessero
+il cielo, e introdotto tra i denti un triente — circa due
+centesimi di lira — per pagare il tragitto al nauta infernale. — Quindi
+Lelio e Lydia, baciandolo sulla bocca per l’ultima
+volta, avevano gridato con una voce piena di lagrime:
+</p>
+
+<p>
+— <i>Salve aeternum, aeternumque vale</i>. — Noi ti seguiremo,
+o padre, nell’ordine che la natura ci assegnerà.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Allora tutti fecero il giro del rogo, gittandovi sopra ogni
+maniera di ultime offerte — oli profumati — balsami — incenso — mirra — cinnamomo — nardo — e
+la figliuola una
+ciocca de’ suoi biondi capelli. — Chiuso il lenzuolo, l’<i>ustor</i>
+presentò le due torce accese a Lelio ed a Lydia. Essi le presero.
+E, copertisi gli occhi col lembo della veste e volte le
+spalle — per provare il ribrezzo sentito nel distruggere quelle
+amate reliquie — appiccarono il fuoco al rogo. — Ben presto
+un turbine di fumo elevasi in aria. — E pianti, e gemiti,
+e singhiozzi, e canti funebri, e suono di trombe con
+essi. — Colui che aveva presentato le torcie vegliava sulle
+<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span>
+fiamme e le attizzava. — Appena la catasta di legna la divenne
+cenere e bragia, l’<i>ustor</i> inforcò il lenzuolo pei nodi e
+lo depose in terra. Lo aperse. E i parenti, inginocchiatisi,
+cercarono con cura le ossa che il fuoco non avea calcinato e
+lavatele con vino vecchio e latte e poi asciugatele con veli
+di lino, le chiusero in un’urna di alabastro orientale insieme
+a foglie di rose e ad aromati. Ivi pure scossero la cenere
+chiusa nel lapideo lenzuolo. Allora il <i>designator</i>, che avea già
+cambiato il ramo di cipresso con un ramo di lauro, fece tre
+volte il giro intorno ai ragunati per la trista cerimonia, li
+purificò con una aspersione di acqua pura; quindi gli congedò
+colla parola,
+</p>
+
+<p>
+— <i>I licet</i>.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Il nono giorno le ceneri vennero deposte nella tomba
+della famiglia, la quale trovavasi dietro l’ustrino. Lelio aprì
+colla chiave la porta di marmo che girò fischiando sui suoi
+cardini di bronzo. Si curvò, discese tre scalini e depose nella
+nicchia in faccia a sè la ricca urna che aveva nelle mani. — Levato
+il coperchio, gittò dentro un anello d’oro con una
+pietra su cui era incisa una cerva — il <i>symbolus</i> del padre
+morto. — Volse mestamente gli occhi allo intorno e sulla predella
+vide l’urna di marmo colle ceneri di sua madre; di vetro,
+con quelle di una sorella; e di terra rossa, adorna di bei
+rilievi, che racchiudea le reliquie di un fratello morto anzi
+tempo. Sospirò ed escì. L’ultimo atto dei funerali era compiuto.
+E lo fu a suono di trombe, dette <i>sitinae</i>, dal timbro
+grave e melanconico.
+</p>
+
+<p>
+Tornato in casa, trovò i parenti e gli amici riuniti a banchetto.
+Nessuna bocca potè sfiorare gai propositi. Le menti
+erano afflitte e preoccupate e tutte miravano un solo spettro.
+</p>
+
+<p>
+Già da due mesi — sendo morti Germanico in Syria e
+Druso in Roma — Tiberio imperatore erasi chiuso in Capreas,
+stanza recondita e di molto comodo alle sue paure e alle sue
+crudeli sporcizie. Dodici anni prima, accompagnando nella
+Campania Cesare Augusto — marito di sua madre Livia Drusilla
+e suo padre adottivo — aveva visto l’isola assai bella e
+dilettevole, cinta di rupi scoscese ed altissime ed accessibile
+sul mare profondo da una sola banda e ristretta. Era vecchio,
+<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span>
+dal corpo brutto, sottile, lungo, chinato e calvo. Aveva il
+viso chiazzato di margini e di spesse stianze e piastrelli. Era
+stomacato dello abbietto Senato ch’egli spesso svillaneggiava in
+greco — «o gente nata a servire» — plaudendo lui distruggitore
+delle pubbliche libertà. Odiava sua madre che non volea
+socia al dominio, e discacciare non la potea perchè per le
+sue moine Augusto lo aveva preferito a Germanico, nipote
+della sorella Ottavia. Checchè ne fosse, era partito dall’Urbe
+con poca corte, per lo più di greci, amando ragionare in tale
+idioma. Il pretesto fu il sacrare il Campidoglio di Capua e il
+tempio di Augusto in Nola. Lo infinito restitutore di antichi
+ordini colà guadagnossi i sopranomi di Biberio Caldio Merone
+e di Caprineo. I suoi desinari duravano non ore, ma giorni
+interi e serviti da fanciulle di corpo vago ed ignudo. Premiati
+i maestri di disonesti sollazzi. Ai più alti uffizi i beoni, i corrotti,
+gli autori di libri lascivi e di pitture libidinose. Chiamava
+suoi piscicoli i bambini coi quali bagnavasi, sendo incitamento
+la loro innocente modestia. In più nefande camere,
+rizzate qua e là nell’isola erano i ministri di quanto in esse
+si può. Ed altri ministri lettigavano per la contrada in cerca
+di vittime alla sua sporca e focosa lussuria.
+</p>
+
+<p>
+Ma avaro nello spendere, moderò negli altri lo sciupo nei
+giuochi e nelle feste, e scemò le provisioni agli istrioni ed agli
+accoltellanti. Pur, se illimitato il castigo ai prevaricatori, illimitate
+le vie per deludere la pena ed ovviare il castigo. E
+tratto tratto vedeva e puniva. E spegneva i riottosi e ne ghermiva
+gli averi. E la plebe diceva nel vedere i ricchi puniti:
+</p>
+
+<p>
+— Cesare coi suoi occhi raccolti vede di notte all’oscuro.
+Gli altri, di giorno, per lui.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Intanto il Foro rumoreggiava dei giuochi che il fasto della
+famiglia in corruccio faceva eseguire, perchè la memoria del padre
+fosse più durevole nel cuore del popolo. L’uso era rischioso,
+irreflessivo ed audace, nè poteva esser vinto sì di leggieri.
+</p>
+
+<p>
+Tori furiosi corrono a capo ricurvo nella lizza. — I bestiari,
+scalzi e vestiti appena di una corta ed ampia tunica
+senza maniche, gli attendono, evitano con destrezza l’urto
+delle loro corna, li feriscono colla punta di un giavellotto; e
+quando li veggono arrestarsi confusi, e sbalorditi raschiare
+<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span>
+colla zampa il selciato, si presentano loro dinanzi squassando
+una stoffa di color chermisino. I soccorritori, agili anch’essi
+e quasi nudi, corrono dietro i tori frementi e con alte grida
+gli aizzano contro i loro avversari e gli pungono con una lunga
+asta, armata nella sua estremità di un ferro acuminato. La
+bestia nel parossismo del suo furore si slancia, crede di sbuzzare
+il nemico e non trova infilzato alle corna che un cencio
+che gli annuvola la vista. Allora altre punzecchiature di dietro;
+altre sfide dinanzi. E urli dalla galleria ed oltre lo steccato
+di legno che circonda l’arena. — Però che il popolo in
+quelle venazioni non vedea più la idea pietosa che la faceva
+offerire, ma solo lo amor del piacere e lo spirito di turbolenza
+che il mena. Per poco che un taurocenta, nel salvarsi da una
+cornata, faccia un passo falso e cada, escono tali fischi da
+quelle gole, sino a ghiacciare di spavento e di confusione le
+bestie. Se poi queste ristanno malgrado i colpi di lancia dei
+succursori puntari, le grida, le imprecazioni, le minaccie scoppiano
+contro di esse.
+</p>
+
+<p>
+Il pugilato succedette alla corsa dei tori. — Frigidus e
+Vitulus — rotti agli esercizi violenti e al regime austero della
+loro professione di atleti — discendono nel parallelogrammo. — Hulvio
+e Tetrix — non meno rinomati dei primi — si mostrano
+anch’essi. E siccome erano stati altra volta in Pompei,
+sono applauditi calorosamente. — Una coppia verso il tempio. — Un’altra
+verso le curie, perchè tutti veggano. — Gli
+atleti gettano via dalle spalle un ampio mantello e fanno mostra
+di larghe membra, di braccia nervose, di ossa gigantesche.
+Hanno rasi i capelli, tranne sulla sommità della testa,
+adorna di un grosso ciuffo, quasi a garanzia dei colpi che
+possono ricevere sur una parte così sensibile e delicata. — Alcuni
+schiavi allacciano dalla prima falange della dita sino
+all’avambraccio un paio di cèsti perfettamente eguali, formati
+di sette striscie di cuoio di toro ancor velloso e guarniti di
+piastre di ferro o di piombo.
+</p>
+
+<p>
+Appena armati, si assicurano sui loro piedi e levano le
+braccia in aria per saggiare se i cèsti sono bene aggiustati. — Dato
+il segno, le due coppie gettano la testa indietro e presentano
+i cèsti allo avversario. Le mani s’incrociano e il combattimento
+<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span>
+incomincia. Frigidus è più leggero; meglio agile;
+lo soccorre la gioventù. Vitulus è più provetto e più forte; ma
+le sue ginocchia non sono ferme ed ha grosso il respiro. — Hulvio
+è membruto e saldo sui suoi larghi fianchi. — E Tetrix
+non è da meno di lui. — I colpi d’ambi i lati dello steccato
+si avvicendano; e, o rompono l’aria, o rimbombano sui petti.
+Si guardano, si studiano, si minacciano, si evitano, si stancano. — Il
+sudore copioso prima imperla e poi riga la epidermide
+di quei giganti. — Frigidus vuol porre un termine alle
+lotta e impetuoso si getta in avanti colle braccia levate e scaglia
+due colpi simultanei. Vitulus — che cercava un accesso or
+a dritta, or a sinistra per colpire con profitto l’emulo suo — rincula
+con prestezza; e l’altro, non sostenuto dalla resistenza,
+trascinato dal proprio peso, cade boccone sul lastricato.
+</p>
+
+<p>
+Urli e fischi scoppiano di ogni lato. — Altri plaudisce alla
+destrezza di Vitulus. — Ma il caduto si solleva con impeto e
+rinnova gli attacchi.
+</p>
+
+<p>
+Hulvio anch’esso vuol compiere rapidamente il proprio
+trionfo; e digrignando i denti, si precipita sullo avversario e
+gli assesta colpi spessi e di lieve portata. Tetrix nota quella
+furia e la trae a suo vantaggio. — Para la minaccia, o la evita
+col gittarsi di fianco, o fugge. L’altro prende allor più coraggio
+e irrompe più furioso che mai. Tetrix si volge, finge un
+colpo di lato e gliene squadra uno terribile sulla faccia che lo
+atterra sbalordito e fuori di sè. Il sangue spicca a rivi dal
+viso lacerato e pesto.
+</p>
+
+<p>
+Frigidus e Vitulus grondano di sudore ed ansimano come
+due mantici. — Di comune accordo si fermano e vanno ad
+aiutare il compagno che trascinano via col capo penzoloni sulle
+spalle.
+</p>
+
+<p>
+— Per Castore e Polluce, sono valenti atleti! Come lo
+chiamano il ferito?
+</p>
+
+<p>
+— Lo ignoro, Comio. Mi pare di averlo visto a Capua, un
+anno fa, nello anfiteatro. E anche là — se ben lo rammento — buscò
+una scellerata botta sul fianco.
+</p>
+
+<p>
+— Eh! Se naufragò anche altra volta, or accusa a torto
+Nettuno. — Io preferisco il mio mestiere al suo. — Che ne
+pensi, o Mola?
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Certo val meglio far bollire le carni che far pestare le
+proprie. — <i>Archimagiri</i> di buone case come noi non hanno ad
+invidiare un Flamine, — Eppure!...
+</p>
+
+<p>
+— Già ti penti della tua sorte?
+</p>
+
+<p>
+— Mai no. — Talvolta però che veggo gladiatori ed atleti
+balzare nel Circo e applauditi.... Tal’altra che miro le donne
+correre loro appresso come le mosche al mele.... Che la dea
+Fornax mi perdoni!... Ma di siffatte delizie a noi cuochi non
+arrivano mai!
+</p>
+
+<p>
+— A ognuno la sua. Consolati! Lo stomaco e la borsa — se
+consultati — ti darebbero torto. — Ma cosa accade là
+in faccia a noi?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Un gran baccano difatti accadeva di contro. Alcuni uomini
+gesticolavano furiosi. — Che è. — Che non è. — Le
+donne supplicavano, ma non riuscivano a calmarli. Alla fine
+si vide un soldato dibattersi tra quella stiaccia, tolto di peso
+e cacciato fuori con pochissimo garbo. Un triario — giunto
+tardi — non aveva trovato posto tra gli assegnati ai suoi pari.
+Ed allora per godere dello spettacolo, erasi fatto strada là
+dov’era il popolo. Un ardire siffatto aveva eccitato il sentimento
+plebeo della dignità sovrana, e lo intruso venne scacciato
+dal posto che avea tentato usurpare.
+</p>
+
+<p>
+— Orestilla, vedi com’è tronfio e pettoruto quel bruno
+che si fa largo là, tra la gente. — Pavone antipatico!
+</p>
+
+<p>
+— Colui dalla tunica di porpora?... È uggioso anche a
+me, Pothusa. — Nol vidi mai prima d’ora.
+</p>
+
+<p>
+— Debb’essere straniero. — Che farà egli in Pompei?
+</p>
+
+<p>
+— Eh! Continuerà il suo mestiere! — Maraviglio del
+magistrato che fa entrar simil gente nella nostra città.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Callityche — ch’era presso alle due giovinette, l’una <i>calamistra</i>,
+arricciatrice di chiome donnesche, l’altra <i>vestifica</i>,
+che tagliava le vesti e le cuciva — voll’essere del pettegolezzo
+ed aggiunse:
+</p>
+
+<p>
+— Mi pare sia del mio sangue. — Ho la casa da affittare...
+Io gliela cederei.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Uno ch’era servo in una <i>diversoria</i> fuori la porta della Marina,
+felice di poter offerire informazioni esatte, entra a dire:
+</p>
+
+<p>
+— Tre giorni fa approdava nel porto. — Dormì e mangiò
+<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span>
+nello albergo. Lo indomani il padrone, ch’è meticoloso,
+gli chiese il pagamento della cena e del letto; ed egli aprì la
+borsa — e cen’eran dentro dei bianchi e dei gialli! — pagò
+e — forse stizzito dalla scortesia — partì. Spese due denari e
+tre quadranti, e a me diede due assi. Un altro avrebbe pagato
+un solo denaro.... e avrebbe detto le sue.
+</p>
+
+<p>
+— Nummi e denari?
+</p>
+
+<p>
+— Dev’essere molto ricco allora!
+</p>
+
+<p>
+— Me n’ha l’aria. — E quegli che portò via la sua cassa,
+mi disse ch’era ben grave.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Orestilla guardò la sua amica, e:
+</p>
+
+<p>
+— La verità entra in casa, parlando — Eh! per la gioconda
+Iddia! Ha un bello aspetto quel forestiero! — Guardato
+meglio, guadagna.
+</p>
+
+<p>
+— Poichè spende grosso, sia il bene arrivato.
+</p>
+
+<p>
+— Scommetto che quando lo incontrerete per via — oh!
+gli è un greco di certo! — gli lancerete tenere occhiate per
+farvelo amico! — Attenti. — Ecco i lottatori ch’entrano in
+scena. — Bei giovani! Paiono fatti al torno.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Erano quattro. — Sono ignudi dalla testa ai piedi. — Ma
+si potrebbero dire vestiti di grigio, perchè unti di olio e di
+cera e coperti da una cenere fine che trovavasi in Puteoli.
+Quella specie di pomata dava scioltezza alle membra, turava i
+pori, e facendo aspra la pelle, rendeva più facile il ghermirsi.
+</p>
+
+<p>
+La lotta è per cominciare. I giovani si apparecchiano col
+corpo proteso dinanzi, col capo insaccato nelle spalle, colle
+braccia a cerchio.
+</p>
+
+<p>
+— Artoces è un pompeiano. Io scommetto per lui dieci
+denari. — Che ne dici, Rutilio, accetti?
+</p>
+
+<p>
+— Sì, Cocceo. Io quindici per Dama. Mi pare sia meglio
+piantato sulle sue gambe.
+</p>
+
+<p>
+— Sai tu, Munazio, come si chiami quel lottatore che
+ha le forme di Ercole, costaggiù? Io tengo per lui quaranta
+sesterzi.
+</p>
+
+<p>
+— Povero Sandiliano, li perderai e sono troppi. — Lo dicono
+Aphrocides. Tu sbuchi un pozzo nel momento che ho
+sete. — Mira, farò il colpo di Venere come alle tessere — Triplo
+sei. — Lydo mi darà vittoria.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Basta! — È convenuto tra noi. — Oh! Eccoli alle
+prese.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Durante quel dialogo i lottatori si erano osservati, si accostavano
+e miravano al modo come si attaccherebbero. Parvero
+decisi. Si ghermiscono mutuamente per le braccia, si
+danno delle scosse, si spingono, e si tirano con tanta violenza
+che — nel silenzio degli spettatori — si odono le ossa
+delle spalle e delle reni che scricchiolano. Lo scopo finale
+della lotta è il gittar per le terre lo avversario. Non colpi. — Non
+pugni. — Sono proibiti. — Convien dunque fare degli
+sforzi di tendini e di muscoli, prendendo piede contro piede,
+fronte contro fronte, quasi fossero due capri o tori, per ottenere
+lo intento. I conati eguali. Pari le forze dei quattro
+campioni. L’ansia degli scommettitori è estrema. — E se le
+donne non fanno mercato delle loro aspirazioni, dentro però
+scelgono il loro campione, e a lui augurano la vittoria e trepidano
+per lui.
+</p>
+
+<p>
+— Decimilla, che bel giovane quel biondo dai capelli
+inanellati, eh? Non mi par convenevole mostrare in pubblico
+quegli uomini ignudi!... Pure che petti! che gambe!... Quel
+mio pare un Apollo. — Vorrei così formato il marito che Jugatinus — il
+dolce Iddio — vorrà destinarmi.
+</p>
+
+<p>
+— Io sono per quel bruno, Cœsia. — I biondi non mi
+piacciono punto. Quantunque volte io oda novelle d’infedeltà,
+sempre nel fondo vi è l’uomo dagli occhi azzurri — la tinta
+del cielo, del mare, dell’aria — le cose più mal fide ch’io
+mi conosca.... E poi è bruno il mio Anteros. — Sai? Il mio
+promesso che ha bottega di stoffe per vesti, dinanzi la fontana
+del Toro.
+</p>
+
+<p>
+— Avrai un bel prospetto per fuorviare l’occhio maligno.
+</p>
+
+<p>
+— Ed Anteros un soggetto di meditazione non molto piacevole. — Ma
+guarda il tuo biondo, Cœsia. — Per Ercole!
+Cangia lo attacco.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Queste parole dicevale Alleia alle compagne, a voce bassa
+e ridendo.... Difatti Lydo avea preso risolutamente pel collo
+Aphrocides e lo stringeva come un nodo scorsoio. L’altro non
+piega di una linea e lo abbranca alla sua volta. — Quindi si
+<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span>
+stringono e son petto a petto. Le loro gambe si allacciano e
+l’un cerca di far piegare all’altro il ginocchio perchè cada.
+Ma Aphrocides diè una scossa violenta e si staccò, scivolando
+come una murena dalle strette di Lydo.
+</p>
+
+<p>
+— Che dici, Munazio, di quella prova? È un Anteo che ritocca
+la terra coi piedi.
+</p>
+
+<p>
+— Per Giove tonante! Ne convengo. Si tirò da un cattivo
+passo. — Il tuo Dama suda, o Rutilio, ed ansima come un cavallo
+bolzo. — Aggiungo sei denari alla sua caduta.
+</p>
+
+<p>
+— Gli tengo, impavido Cocceo. Il tuo patriotismo ti onora.
+Non so se il destino sarà pel nostro pompeiano. — Vedi! Si
+sono separati. Vanno a tuffarsi nelle casse piene di polvere. — Per
+Cocito! Gocciolano come usciti da un <i>calidarium</i>.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Rieccoli tutti grigi. — E la lotta si rinnovava. — Dama,
+rifatto dalla piccola tregua, si slancia primo e accaviglia la
+sua gamba sotto il ginocchio destro dello avversario. Questi
+piega, non regge e cade. L’altro, posandogli il piede sul petto,
+gli dice di arrendersi vinto. Ma Artoces gli distende per tutta
+risposta una solenne pedata sotto il mento e si rialza come
+spinto da una molla nell’atto che il primo va a gambe in aria.
+</p>
+
+<p>
+Un fremito di gioia prendeva il cuore del popolo. Il pompeiano
+avea vinto. E tutti accalcandosi spingevano fuori le
+braccia e gridavano:
+</p>
+
+<p>
+— Bravo Artoces! Bel colpo! Viva l’onore di Pompei!
+</p>
+
+<p>
+— Che ne dici Rutilio?
+</p>
+
+<p>
+— Aspetto che il mio cada due volte per dar la palma
+al tuo.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Intanto Lydo, che gli applausi per altri han renduto spavaldo,
+si gitta sull’emulo come un leone e lo afferra per le
+gambe. L’altro, vista le mala parata, si abbassa e lo preme
+di tutto il suo peso, perchè quegli non lo sollevi di terra.
+Aphrocides valeva quanto un bue, e rizzarlo era impossibile.
+Allora lo lascia e ambedue corrono. In una rivolta il giovane
+biondo lo sorprende di dietro, gli cinge il collo, gli caccia
+un ginocchio sui reni e lo distende sul selciato. E prima che
+sappia sollevarsi, lo avvinghia colle braccia, dà un urlo, lo
+innalza con supremo sforzo fin sopra il capo e lo gitta ai suoi
+piedi.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span>
+</p>
+
+<p>
+Gli scommettitori e le donne sono in grande agitazione.
+Sono gridi che non si odono che nei paesi meridionali, dove
+si nasce, si vive, si muore per entusiasmo e per gloria. Scuotevano
+in aria le toghe e spargevano fiori e corone di alloro.
+Pareva che la patria in pericolo fosse salva e che Lydo
+l’avesse salvata.
+</p>
+
+<p>
+Anche Artoces avea vinto. Caddero ambedue abbracciati
+per terra. Ma Dama sendo di sotto non potette sciogliersi e
+l’altro si sollevò puntandogli il piede sulla pancia e salutando
+col braccio teso il popolo sovrano. — Uno schiavo vestito di
+tunica azzurra entrò nella lizza ed offerse ai due vincitori
+una palma e una corona di foglie di lauro indorate.
+</p>
+
+<p>
+— Cœsia, sognerai di quel biondo tu questa notte.
+</p>
+
+<p>
+— Rutilio, non avesti fortuna e men duole. Giuoca alle
+tessere e prenderai la rivincita.
+</p>
+
+<p>
+— Non schernirmi, Cocceo. — Ecco io ti pago. Ma possono
+accader molte cose tra la bocca ed il pezzo di pane. — Ad
+un’altra volta.
+</p>
+
+<p>
+— Scherza pur, Decimilla. — Lydo è bello e grazioso.
+</p>
+
+<p>
+Intanto alcuni bambini gironzavano sotto il portico del
+Foro e sul piano superiore, offerendo a chi volesse comprarne
+mandorle verdi, castagne e fichi secchi, lupini e ceci abbrustolati.
+Avevano pure idromele e vino dolce per chi ne chiedesse.
+</p>
+
+<p>
+Lo spettacolo offerto al popolo da Lelio Flacco non era
+finito. Partiti i lottatori, entrarono i musicisti i quali si attelarono
+ai due lati dei portici. Dopo di essi comparvero
+gl’istrioni, di quelli noti sotto il nome di Pantomimi, che significava — imitatori
+di tutto. — E nel vero, essi senza dir
+verbo e aiutandosi con gesti e posture plastiche e sostenuti
+dal suono di un flauto particolare, detto <i>dactylica</i>, faceano
+comprendere agli occhi quello che difficilmente si può narrare
+colla parola.
+</p>
+
+<p>
+Le loro mani parlavano, le loro dita avevano una lingua
+ed erano eloquenti senza aprire la bocca. Nè si aiutavano col
+soccorso della fisonomia; chè le loro maschere erano colla bocca
+naturale — non come i comici e i tragici, che le avevano
+sbarrate, larghe e con un orlo sporgente semicircolare, per
+<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span>
+servire di portavoce agli attori nei circhi e nei teatri immensi
+in pien’aria. — Avevano bisogno di usarne una per ogni carattere
+che rappresentavano, siccome gli odierni le vesti, in
+<i>saltatio</i>, cioè, il gesto, accompagnato dal flauto e talvolta dalla
+fistola, e dal cembalo, bastava per rappresentare drammi
+completi, tragici e comici. Le principali situazioni venivano
+indicate dai monologhi che i cantanti recitavano nell’atto che
+i pantomimi esprimevano.
+</p>
+
+<p>
+In quel giorno venne rappresentato l’Eunuco di Terenzio.
+Il soggetto era questo:
+</p>
+
+<p>
+Un soldato per nome Thrason aveva con sè una giovanetta
+che credevasi sorella di Thaïs; ma ei lo ignorava; e,
+ito in Atene, ne fece dono a lei. — Nell’atto, Phedria, amante
+di Thaïs, avendo comperato un eunuco, le ne fa dono e parte
+per la campagna, perchè le ha promesso di cedere il suo posto
+al soldato durante due giorni. Un giovanetto, fratello di
+Phedria, che si è innamorato perdutamente della fanciulla
+avuta in dono da Thaïs, siegue il consiglio del suo schiavo
+Parmenon, si veste da eunuco, penetra nella stanza della fanciulla
+senza sospetto e l’ha. Un fratello di lei costringe il
+giovane a sposarla. E Thrason ottiene da Phedria ch’ei sia
+secondo presso Thaïs.
+</p>
+
+<p>
+Erano le delizie sceniche degli avi nostri. — I retrogradi
+ed i preti che piagnucolano sulle immoralità del nostro teatro — se
+sapessero — potrebbero consolarsi.
+</p>
+
+<p>
+Tutte le circostanze della favola furono espresse. — E le
+grida della serva di Thaïs contro il vero eunuco, creduto lo
+autore del danno. — E i mali trattamenti che gli fa patir
+Phedria. E l’ultimo patto, fra questi e il soldato. — Il popolo
+provò gran piacere a codesto spettacolo. In modo che
+quando l’istrione, il quale faceva la parte di Phedria, espresse
+coi gesti la fine obbligata di tutti i drammi:
+</p>
+
+<p>
+— E voi applaudite!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+i picchi delle mani, le grida, gli urli fecero echeggiare tutti i
+canti del Foro e dei luoghi vicini. — E la riconoscenza ricordò
+a molti il nome di Aterio Flacco, defunto, e di Lelio, il suo
+generoso figliuolo. — Nè mancarono vivi plausi a Filone; l’ordinatore
+di quei magnifici giuochi.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span>
+</p>
+
+<p>
+Lo indomani dovevano farsi i <i>denicales</i>, cioè le purificazioni
+dei parenti e degli schiavi, sì nella casa del morto, come
+nelle case di quelli che avevano tolta la loro parte nei funerali
+del loro amico e del loro patrono. — Lelio la fece nella
+sua dimora. Così gli altri nella loro. — Spazzò il pavimento
+con una granata di verbena. Pose un braciere nell’atrio,
+gittò un po’ di zolfo sui carboni ardenti, e prendendo
+per la mano la sorella e seguìto da tutta la famiglia, fece
+parecchi giri intorno a quella fumigazione. — Quel giorno diviene
+feriale per essa e nessuno lavora. E tal’era il rispetto
+degli antichi ai doveri verso i vissuti, che nessuno della parentela
+poteva essere citato dinanzi i tribunali dal dì della
+morte sino a quello della purificazione.
+</p>
+
+<p>
+Il nono giorno dicevasi <i>novendiale</i>, e si andava a banchettare
+sopra la pietra, per cui <i>silicernium</i>. La qual cena fu poi
+chiamata <i>ferale</i>, o <i>parentale</i> del <i>silicernium</i>. In Pompei, questo
+triclinio dove asciolvevasi dopo il periodo del dolore il più intenso,
+è un ricinto quadrato, circondato di pareti dipinte con
+poca eleganza, presentanti in mezzo a cornici ippogrifi, cervi,
+pavoni e cigni. In fondo e ai lati sono finti usci con piante di
+felce a colori. Letti inclinati verso l’esterno, come tutti i triclini
+estivi, cuoprono l’area. Nel mezzo è un parallelogrammo,
+destinato a servire di desco. E dinanzi una piccola ara circolare
+sulla quale facevansi le libazioni ai Numi e agli Dei d’Averno,
+o posavasi l’urna colle ceneri lacrimate cui si propiziava.
+</p>
+
+<p>
+Gli amici quivi condussero Lelio Flacco e i parenti e i
+clienti. Neri cuscini cuoprivano i letti di muro. Mangiarono
+ostriche e patelle e brindarono all’ombra dello amico perduto
+dinanzi agli occhi della carne, ma non disertato dalla mente
+di chi lo aveva conosciuto.
+</p>
+
+<p>
+Nello escire dal <i>silicernium</i> al tramontare del sole, la
+comitiva racconsolata imbattevasi nel mortorio di una donna
+di mediocre condizione ed in quello dei poveri. — Gli uomini
+sanno di essere eguali in faccia alla morte. Ma il fasto e la
+vanità gli fa smemorati.
+</p>
+
+<p>
+La famiglia di colei, che in quell’ora passava cadavere
+nel sobborgo Felice, non aveva invitato il popolo; perchè nè
+giuochi da offrire, nè festini a dare. — I parenti sì. — Fu
+<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span>
+eretto un letto funebre modesto. — Dieci musicisti precedevano
+il corteggio. — Ma non si fermò nel Foro. — Avi da lodare
+non erano. Le virtù da raccomandare, cotanto oscure e fuori
+delle abitudini, che valea meglio tacerle. — E poi le si narravano
+presto. — <i>Domum mansit — lanam fecit.</i> — I resti
+della defunta erano però attorniati da fiaccole accese. Il che
+indicava lo antico costume di far simili funzioni di notte, affinchè
+i magistrati e i sacerdoti non ne fossero stati profanati
+dallo aspetto. Laonde, il nome di funerali da <i>funale</i>, torcia
+di stoppa incatramata. — I ricchi passarono oltre alla vecchia
+consuetudine per potere in pieno giorno testimoniare il loro
+fasto e le loro ricchezze.
+</p>
+
+<p>
+Il rogo, apparecchiato in pieno selciato in faccia all’<i>ustrinum</i>,
+era basso, piccino e bastevole appena alla combustione
+del corpo. Vedevasi pure una modesta urna di terra cotta,
+preparata allo scopo. — Non profumi. Non libazioni. Non offerte. — Quindi,
+nè combattimenti sanguinosi per piacere ai
+Mani. Nè spettacoli di lotte, di pugni, di calci, di gesti. — Le
+Ombre degli antenati — poichè questi gli hanno tutti — dovevano
+esser discrete e contentarsi di una coperta sanguigna,
+del colore della porpora e non veder altro.
+</p>
+
+<p>
+I sacerdoti antichi dicevano — «Spendete; e le Ombre
+amate godranno nei Campi-Elisi delle ricchezze che avrete
+profuso nel loro mortorio!»&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E i sacerdoti moderni pur dicono — «Spendete; e allor
+suoneremo campane, canteremo, borbotteremo in latino e
+tratteremo con Dio come fosse un giudice borbonico; e a
+furia di danari dati a noi, noi costringeremo lui a riconoscere
+in un’anima ribalda una onesta.»&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Tutti così. — E sempre così!
+</p>
+
+<p>
+Arso il cadavere, la pietà del marito raccolse le ossa che
+avevano resistito all’azione del fuoco. E chiusele nell’urna
+la seppellì in una fossa. E sopra pose una <i>columella</i>, rotondata
+a guisa di una testa con due trecce dietro. — E sul dinanzi,
+ch’era liscio, leggevasi:
+</p>
+
+<p class="center">
+MARONILLAE<br>
+L. ATIMETI<br>
+ANNIS. LVI.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span>
+</p>
+
+<p>
+I cadaveri dei poveri erano stati fermati più in su, quasi
+rimpetto la ricca casa dalle colonne di mosaico nella interna
+fontana. Cotesti <i>fricti ciceris et nucis emptores</i>, siccome vivevano
+in incognito, così pure incogniti partivano dal mondo.
+Nessun ramo di cipresso sulla porta della casa ov’erano morti.
+Là dove spiravano rimanevano distesi tre giorni. E poi il becchino
+li adagiava in una <i>sandapila</i>, dopo aver infilzato con
+mal garbo nelle loro braccia una toga di apparenza che ad uno
+ad uno finiva per coprir tutti. — E tre dei suoi compagni,
+detti <i>vespillones</i>, li barellavano al posto dopo il tramonto. Colà
+presso è il forno, dove li cacciavano per forza, ripiegandoli.
+Un po’ di pece surrogava i profumi e le essenze Campane. E
+quando la mortalità era grande, allora componevano una catasta
+di legna in un luogo appartato e sopra ponevano i cadaveri
+in fila — quelli delle donne sotto, perchè credevano
+racchiudessero maggior calorico e s’infiammassero meglio. — Avevano
+anche un’altra ubbia. Pretendevano sapere, nel Tartaro
+non esservi <i>popinæ</i>. — Per conseguenza Caronte non
+aver bisogno di oboli. Allora, gli toglievano il fastidio di chiederne
+qual mercede al tragitto. Ed avevano cura di aprir la
+bocca ai morti e di ritirarne la moneta.
+</p>
+
+<p>
+I soli cadaveri a non esser arsi erano quelli dei condannati
+a morte, o delle persone uccise dalla folgore, o dei bambini
+spenti avanti la dentizione. I primi erano abbandonati ai
+corvi. Gli altri venivano sepolti.
+</p>
+
+<p>
+Il lutto era un obbligo morale. L’uso però costringeva
+le donne a prenderlo; gli uomini no. In ogni caso non durava
+oltre l’anno. E siccome si pretendeva che le morti premature
+profanassero una casa, così le esequie funeste si compivano a
+notte tarda, senza invito, senza esposizione e senza pompa.
+</p>
+
+<p>
+Ogni cittadino morendo perdeva la proprietà sulle sue
+cose. Una sola le leggi gliene lasciavano — il possesso della
+sua tomba. — E per me’ ricordare quel diritto che non ha
+altro difensore che la fede pubblica, alcuni volevano che il
+sasso che li copriva il testificasse. E le lettere iniziali sur alcuni
+sepolcri H. M. H. N. S. — <i>Hoc Monumentum Hæredem
+Non Sequitur</i>, volea dire: Cotesto monumento non appartiene
+allo erede.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span>
+</p>
+
+<p>
+I Mani avevano-dimora nelle tornile; per cui tutte erano
+loro dedicate. — <i>Diis Manibus sacrum.</i> — Il loro culto era
+generale, siccome incalcolabile il loro numero che la morte
+annualmente accresceva. — Due feste tendevano a placarli.
+Una agl’idi di febbraio, detta <i>feralis</i>. — L’altra a’ III degl’idi
+di maggio. — Gli Dei dello Stige non aveano sacerdoti, e perciò
+erano ben lungi dall’avidità degli altri e si faceano lieti di
+semplici corone di fiori, di qualche frutto, di un pizzico di
+sale, di una fetta di pane inzuppata nel vino, e di un mazzolino
+di viole. Quelle dette <i>lemurales</i> erano più curiose. A
+mezzanotte, quando tutto tace allo intorno, i devoti levavansi
+di letto e a piedi nudi — facendo schioppare col pollice il medio
+di ciascuna mano, per allontanar l’ombra leggera che loro
+venisse incontro — andavano silenziosi ad una fontana per
+purificarsi le mani tre volte. Voltisi quindi e prese dalla bocca
+alcune fave nere, gittavanle indietro, e dicevano:
+</p>
+
+<p>
+— T’invio queste fave e con esse riscatto me ed i miei.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Allora l’ombra invisibile ai loro occhi credevano raccogliesse
+le loro fave e partisse. — Si rilavavano le mani,
+battevano dei tonfi su vasi di bronzo, scongiuravano l’ombra
+perchè se ne andasse, dicendo per nove volte:
+</p>
+
+<p>
+— Mani paterni, escite!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Sembra che Romolo instituisse quella festa di espiazione
+per rabbonacciare i Mani di Remo ch’ei supponeva errassero
+irosi sulle rive dello Stige. E i Latini credevano che le anime
+di quelli i quali erano morti di morte violenta non fossero
+ammesse nei regni bui che dopo il periodo di anni che avrebbero
+abitato nei loro corpi sulla terra.
+</p>
+
+<p>
+Lasciai libero Eumenes perchè facesse i suoi conti. — Egli
+ebbe a bisticciarsi coi libitinari per le spese dei funerali. — Pretendevano — offendendo
+lo <i>arbitrium</i> già fatto — esser
+pagati in ragione della fortuna del morto. Quei preti ne udirono
+di dure verità. — Ma che importava ad essi? Avrebbero
+presi anche i ceffoni e.... parata l’altra guancia, purchè i denari
+venissero. — I conti coll’onesto ed abile Filone furono
+presto fatti. — Costarono un orrore quelle feste nel Foro! — Ma
+come splendide e bene ordinate! Se ne parlò per più mesi
+in Pompei e nei paesi vicini. — Vi fu un po’ di litigio coi
+<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span>
+beccai per la valutazione della <i>visceratio</i> — la distribuzione
+delle carni crude alla plebe. — Eumenes non sapea dire quali
+le Arpie più rapaci, quelle che avean ricevuto o quelle che
+aveano venduto.
+</p>
+
+<p>
+Ritiratosi nella sua camera, posò la lucerna sul candelabro,
+chiuse la testa tra le mani e stette così qualche tempo.
+</p>
+
+<p>
+— Non vederlo.... non udirlo più! — Nel suo sguardo
+soave, e dolce come il mattino è pieno di misteri come la notte,
+trovava un sorriso, ch’io salutava con tutte le voci del cuore....
+Ah! mio buon padrone, la tua morte — che non avea sospettato
+mai potesse arrivare — sarà un’ombra, una oscurità; una
+desolazione profonda sulla regione terrestre della mia vita....
+</p>
+
+<p>
+.... Salve, ombra diletta, che per questa casa ti aggiri. — I
+tuoi cari figli ch’io vidi nascere — come tu mi conoscesti
+bambino — i tuoi figli io gli amerò a doppio nel nome tuo!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Queste parole erano il vale eterno che il cuore di Eumenes
+espresse alla memoria di Aterio Flacco.
+</p>
+
+<div class="chapter">
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span>
+</p>
+
+<h2 id="cap7">I TEATRI.
+<span class="smaller">SCENE DI DISTRAZIONE.</span></h2>
+
+<p class="center">
+<b>Anni di Roma 812 — Anni del Cristo 59.</b>
+</p>
+
+<p class="center pad2">
+A MIEI FIGLI, VITTORIO<br>
+E LIONELLO.
+</p>
+
+<p class="center">
+VII.
+</p>
+</div>
+
+<div class="chapter">
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span>
+</p>
+</div>
+
+<p class="indl">
+<i>M. Herennius Epidianus Sextilio suo.</i>
+</p>
+
+<p class="indr">
+<i>Romæ.</i>
+</p>
+
+<p>
+<i>Apud me est ut volo. — Male, mehercle, de Popidio nostro.</i> — Sì! — Un
+grande cambiamento si è operato nelle sue
+lettere e nella sua maniera di essere. — Vengono rare e sconnesse. — Che
+è egli mai? — Tu sai come teneramente ami
+ambedue. — E più penso e meno comprendo lo scritto sibillino.
+Qual cosa potette cagionare in Popidio una tale rivoluzione?...
+Qui, notai, sullo scorcio del mese in cui ci separammo,
+il suo spirito malato, un po’ guasto. Sperai guarisse nel
+riposo della provincia. Egli ha carattere sì dolce; sì collegantesi;
+sì pronto al ritorno! — Dimmi se il male è profondo. — E,
+se hai bisogno di aiuto, io verrò. <i>Multum vos amo. Valete.</i>
+</p>
+
+<p class="indl">
+<i>C. Sextilius Ampliatus Herennio suo.</i>
+</p>
+
+<p class="indr">
+<i>Pompeis.</i>
+</p>
+
+<p>
+<i>Si vales, bene est.</i> Tu mi chiedi con premura le novelle
+di Popidio nostro. Ei trascina miseramente la vita. Empie i
+modii colle sue sciocchezze. Sono giovane anch’io, e qualcuna
+ne permetto anche a lui. — Ma tu vuoi te ne citi?... Per Ercole!
+Sono nello imbarazzo, perchè poche quelle che a lui
+gracile e delicato non nocciano.
+</p>
+
+<p>
+Le gite lunghe e a cavallo ed a slascio lo uccidono. — Ed
+egli corre. — Le cene prolungate lo sfibrano. — Ed egli crapula. — E
+fosse pur lieto dello amore di Plilia!. Mai no! — È
+farfalla che si agita e fa i suoi giri intorno alle faci, sinchè — bruciate
+le ali — cada... Bello, elegante, culto, dovizioso,
+<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span>
+nobile cuore, ei distrugge la vita, sospinto al Tartaro dalla
+noia che mai lo lascia, non in mezzo ai divertimenti che meglio
+desiderava, non nelle braccia di Venere, il cui cinto non
+lo sa ritenere.
+</p>
+
+<p>
+Tu ambedue conosci. — Crescemmo insieme. — C’istruimmo
+insieme in Athenas. — Fummo insieme nell’Urbe. — Ah!
+Non vi avesse mai posto il piede! Costì fu colto dal male che
+lo divora. In cotesta fogna, splendida di marmi, di porpora e
+di oro, apprese ad adorare la Luna e a detestare il Sole.... E
+qui, quando si leva spossato dalle tremule coltrici, sbadiglia,
+ad imitar Cerbero che latra, e chiede chi lo distragga e lo faccia
+ridere. — Nè gli adulatori mancano. Sono nell’Atrio i parassiti
+e gl’istrioni che lo elogiano e lo ammirano. — Talvolta
+egli piacesi delle loro arti, dei loro salti, delle loro pantomime,
+delle loro viltà — Talaltra, la noia lo riguadagna e — o
+gli caccia brutalmente — o li manda al <i>tricliniarcha</i> perchè
+sfami il loro <i>ventrem iratum</i>. — Tu la conosci cotesta plebe — razza
+infame di cui l’Urbe abbonda e che qui scese a praticare
+il turpe mestiere. — <i>Capti sunt nidore culinæ.</i> Quell’odore
+gli attira. — E si credono pari ai Numi quando possono <i>gallina
+tergere palatum</i>. — Questi i suoi clienti, i suoi <i>salutatores</i>,
+i quali lo accompagnano di portico in portico, dalle Terme
+in via della Fortuna alle Terme sulla via alla porta di Stabia. — E
+si bagna e si ribagna. E dalla Palestra va all’Apoditerio;
+dal Tepidario al Calidario; dal Sudatorio all’Eleotesio. — Ne
+esce slombato. — Misero! Ha appena la forza di dire, fatti — in — là,
+ad uno schiavo briaco.
+</p>
+
+<p>
+Mi chiama uom da sermoni. Ed io lo prego per me; per
+te e per lo affetto di Plilia che ora è in Neapolis. <i>Vale.</i>
+</p>
+
+<p class="indl">
+<i>Plilia Sextilio suo.</i>
+</p>
+
+<p class="indr">
+<i>Bays.</i>
+</p>
+
+<p>
+<i>Apud Pliliam recte est.</i> Una lettera giuntami or ora mi ha
+impaurito.... — Popidio non pare già un uomo; <i>sed litus et
+aer et solitudo mera</i>. Ne sono afflittissima. — Ho qui i miei
+cari parenti che mi ritengono. — Altrimenti fosse, sarei volata
+a Pompei. — Il suo male è la noia. Ad essa sacrifica e
+liba come a una Iddia.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span>
+</p>
+
+<p>
+I miei greci mai furono così! Eppure, i vostri latini ne
+dicono tante ad ingiuria!
+</p>
+
+<p>
+Parlai con Acutilio tuo, cui mi raccomandasti in Neapolis.
+<i>Ex omnibus molestiis et laboribus uno illo conquiesco.</i> — Ma
+Popidio mi sta fitto dentro. Attendo la mia sorella Myrrhina
+con ansia. — Intanto <i>mater mea magnos articulorum dolores
+habet</i>. — Siegue le prescrizioni di Charmis, <i>stagna refusa</i>, e
+guarirà presto. Ma io sono sulle spine per amore di quel caro
+che soffre. — <i>Cura, amabo te, Popidium nostrum. — Ei nos</i>
+συννοσεῖν <i>videmur.</i>
+</p>
+
+<hr class="tbs">
+
+<p>
+Erano consoli in Roma C. Vipsanio Aproniano e L. Fonteio
+Capitone. Reggeva a suo modo le cose del mondo Nerone
+imperatore!
+</p>
+
+<p>
+Giulio Cesare per usurpare il dominio aveva con ogni mala
+arte corrotto l’anime dei Romani. Ma già il terreno era preparato
+dalle grandi vittorie le quali avevano infiltrato nelle
+vene del popolo quirite il lento veleno del lusso colla smania
+dei capolavori nelle arti e della opulenza. Sembrava che
+ognuno dicesse:
+</p>
+
+<p>
+— Arricchiamoci e poi ci rammenteremo della prisca
+virtù.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Nel mentovarsi un uomo dabbene, incontanente chiedevasi:
+</p>
+
+<p>
+— È ricco? — Quanti schiavi possiede? Quante le migliaia
+di iugeri di terra? La sua mensa è delicata? Ha piscine
+e vivai?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Quando sapevasi ch’era ricco, il prender conto dei suoi
+costumi pareva inutile pleonasmo. L’oro — la tariffa della
+probità! — E più l’uom possedeva, e più degnissimo era di
+stima e di onori.
+</p>
+
+<p>
+C. Crispo Sallustio, uomo di coscienza assai elastica, che
+belle cose scriveva e brutte cose faceva — laonde venne cacciato
+da Cesare dal governo della Numidia per le concussioni
+e le ruberie operatevi — scrisse al pacificatore delle romane
+libertà nobili parole contro la invalsa passione delle ricchezze,
+seria e tremenda minaccia alla società ed allo imperio. — E
+sì, ch’ei predicava di esempio! Ed a chi!
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span>
+</p>
+
+<p>
+«Il maggior beneficio tu possa fare alla patria, ai cittadini,
+a te stesso, ai nostri figli — a tutto il mondo — è lo
+spegnere la sete dell’oro o diminuirla almeno per quanto
+lo permettino le circostanze. Altrimenti, in pace od in
+guerra, gli è impossibile ordinare gli affari pubblici e privati;
+avvegnachè, là ove la sete delle dovizie è penetrata
+non sieno più instituzioni, non arti utili, noto più genio che
+sappia resistere. — L’anima — tosto o tardi — debbe anch’essa
+soccombere. Ovunque le ricchezze sono in auge,
+tutti i veri beni avviliti, la buona fede, la probità, il pudore,
+il casto vivere. Però che un solo cammino meni alla
+virtù, ed è stretto, aspro e difficile. Mentre ciascun corre
+allo accaparramento della pecunia per la strada che vuole. — E
+molte ve n’ha di buone e di triste.»
+</p>
+
+<p>
+Presa Siracusa, i capolavori di quella ricca città andarono
+nell’Urbe. — Conquistata l’Asia, i triremi caricarono tutto il
+lusso dell’Oriente, e gli diedero diritto di cittadinanza in Italia. — Vinta
+l’Acaia, si rivoltò ogni cosa, e il buon costume
+antico smarrì la sua via. La caduta di Cartagine diè l’ultimo
+crollo, e le larghe e molteplici braccia strinsero quanto potettero
+e vollero. Tutti, abbassati, aspettavano che il principe comandasse
+senza darsi pensiero. Tutti, avviliti — e i più illustri
+per nome — correvano con calca al servire, al piaggiare il
+despota e chi per lui. Lo amor si comprava. Il successo nelle
+battaglie, la magistratura, il senato, si comperavano. Ogni cosa
+si otteneva coi nummi d’oro. E il furore febrile di averne
+giunse al segno per la servitù inghiottita, che qualche dura
+cosetta fu fatta per forza; le altre quiete e ricerche.
+</p>
+
+<p>
+Cicerone — autore anch’egli del danno e sua vittima — sciupatore
+per vanità in ville sontuose ed in viaggi continovi
+e di fasto, pur contrario ai prodighi de’ suoi tempi — scriveva:
+</p>
+
+<p>
+«Gli scialacquii irriflettuti si tirano dietro le rapine. Uomini
+impoveriti dallo spendere — <i>alienis bonis manus afferre
+coguntur</i> — si veggono forzati di allungare la mano
+ladra sui beni altrui.»
+</p>
+
+<p>
+Quel <i>coguntur</i> pinge l’epoca perversa. — Il rapinare
+erasi fatto necessità. — Bisognava esser ricchi a qualunque
+<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span>
+costo. Lo impero voleva così. E i già liberi, fatti schiavi, rimossa
+ogni infinta virtù, non curanti tema o vergogna, aprirono
+il varco alle nascose lussurie, s’infradiciarono in scelleraggini
+ed in sporcizie. Chi volea fuggire i mali soprastanti o
+i presenti, svenavasi. Chi inghiottiva il partito pessimo, gloriava;
+e coi maggiori brutto adulatore facevasi; coi minori,
+arrogante; e fastidioso coi pari. La gioventù si tuffava nelle
+libidini e perdeva i polsi. — Le cetere, le belle e facili donne,
+il vino, in onore. — I patrizi, istrioni. — Lo imperatore, di
+voce chioccia, cantante in casa nei giuochi giovenali, quando
+primavolta fu raso. — E nelle feste, matrone sui gradi come
+ai trionfi, usate alle allegrezze, in faccia a sciupate ignude
+con gesti e dimenari impudichi. — Cotesta la Roma e la Italia
+dei tempi!!!
+</p>
+
+<p>
+Popidio Celsino era un giovane di venticinque anni. Di
+statura mezzana, sottile e ben fatto della persona, pallido,
+magro, di uno aspetto quasi femmineo illuminato da grandi
+occhi neri, aveva la voce di un suono dolce e penetrante che
+andava dritto al cuor delle donne e le rendeva pensose. Cantava
+greche canzoni come non altri. Agilissimo, educato al maneggio
+delle armi, a lanciare il giavellotto con vigore e con
+garbo, a manovrare la fionda con abilità e giustezza di tiro, a
+cacciare una freccia in un bersaglio indicato, a domare corsieri
+e a saltarvi sopra a diritta o a sinistra di slancio, danzava
+come un ginnasta, ed era difficile che la danzante con
+lui, teneramente guardata, sapesse fuggire dalle sue maglie.
+E quando, tornato di Roma, nei ludi del Foro, per le feste
+augurali degli eletti duumviri, aveva voluto provarsi a discendere
+quasi nudo allo attacco dei tori; la sua perizia nello evitare
+con un movimento di fianco le corna dello animale furioso
+e nel ferirlo mentre quello irrompeva nel vuoto, era sì bella
+e graziosa che gli spettatori frenetici gli gittavano dal terrazzo
+corone di alloro, e le fanciulle sentivano menomare il loro pudore
+e maledicevano alla resistenza usata a qualche suo ladro
+sguardo.
+</p>
+
+<p>
+Così, sulle prime. Poi anneghittì; e la noia lo punse del
+suo spino velenoso.
+</p>
+
+<p>
+I vecchi che ricordavano i tempi di Augusto, avevano
+<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span>
+trovato nelle ricchezze un mezzo qualunque che dava sfogo
+alla loro ambizione. Il popolo di allora riceveva il pane cotidiano
+delle sue vergogne e nulla poteva più dare. Laonde, i
+ricchi giovani, che pur dentro sentivano una energia da spiegare,
+si stancavano di una opulenza che si esauriva nelle labili
+gioie e nelle sfrenatezze del cubicolo e del triclinio e, sbadiglianti,
+senza desiderii, lodavano la sera, perchè corsa e si
+auguravano un domani diverso. Ma quello sorgeva il medesimo,
+<i>idem et semper idem</i>. E cercavano, cercavano qualcosa
+di nuovo pei loro appetiti guasti. E ne arricchivano lo inventore
+o chi lo forniva. E ogni snaturalezza, pagata, coperta di
+porpora e di oro. — Lo amore di donna? — Trita cosa! — Il
+matrimonio? — Anticaglia! — Nefandi accoppiamenti sì,
+perchè la nefandigia era illecita e nuova.
+</p>
+
+<p>
+Il misero Popidio viaggiò; e quantunque volte arrestavasi,
+nel trar fuori del sacco le vesti di ricambio, smucciava la noia
+con esse. Esciva di casa — ne abitava una magnifica dietro la
+Basilica, quella che ha nel pavimento dell’atrio pezzi irregolari,
+di tutte forme e di marmi diversi chiusi nell’<i>opus signinum</i> — per
+sfuggire la sua persecutrice. Ed appena giunto
+nel Foro o sulla soglia della casa di C. Sestilio Ampliato, tornavasene
+indietro ed entrava nella magione vicina — che pur
+era la sua — augurandovisi una distrazione. Talvolta faceva
+porre il freno ad uno dei suoi cavalli e appariva come freccia
+scoccata sulla via della porta di Sarnus, ov’erano i suoi poderi
+e la sua villa maestosa. Parea corresse a spegnere uno incendio,
+o i piedi del suo destriero portassero la salute di una famiglia,
+di una città. Giunge trafelato e in sudore. I servi gli sono intorno.
+Tutto ansimante va nello xisto, si gitta sur un triclinio campestre
+coperto da una pergola in faccia alla bella piscina, e là
+mangia assiso, su vasi di argilla, un pasto semplice e frugale
+frettolosamente apparecchiato. Caduto nel sonno, gli schiavi
+lo adagiano sul letto. Quivi oblia la noia e la disperazione che
+la vuota opulenza cagiona. Ma, una volta desto, i due sproni
+gli si conficcano ai fianchi. Inforca di nuovo il cavallo e rieccolo
+in Pompei coi capelli sparsi, col sudore sulle guance,
+colle narici aperte come quelle del suo corsiero. — E in sull’uscio?...
+Sull’uscio è la statua immobile che lo aveva seguito,
+<span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span>
+che lo seguiva per tutto e che pur lo attendeva.... la
+Noia.... che il Governo imperiale vi aveva rizzato e... inchiodato,
+dopo aver messo in pezzi il santo simulacro della Libertà.
+</p>
+
+<p>
+Misero Popidio! Malato di languore nell’anima, impotente
+a dissipar la tristezza ed obblioso che dovunque egli andasse,
+sempre seco la trasportava.
+</p>
+
+<p>
+Il suo cuore era passato per la trafila di molti amori.
+Ma nessuno lo aveva fermato. — Nessuno aveva saputo congiungerlo. — Venuta
+Plilia di Grecia, questa lo avvinghiò meglio
+delle altre... Era straniera... Parlava altra lingua... Prestavasi
+meglio alla curiosità... Possedeva artificii d’amore... E
+poi... era una bella mostra del tipo ateniese.
+</p>
+
+<p>
+Plilia contava i venti anni. Era piccina e ben fatta. L’ovale
+della sua faccia, senza menda, aveva una tinta piacevolmente
+bruna. I sopraccigli formavano un solo arco sulla fronte ampia
+ed altera. L’orlo del labbro soprano era adombrato da una
+leggera lanugine che imprimeva sulla bocca un sorriso voluttuoso
+e aggradevole. Gli occhi grandi e neri, a forma di
+mandorle, brillavano malgrado che la lunghezza delle ciglia
+ricurve ne temperasse il fuoco. Un neo sulla gota sinistra, la
+bianchezza canina dei denti, il gaio conversare sur ogni proposito,
+la risposta pronta ed ardita su piacevolezze scabrose la
+facevano amata e ricerca da tutti.
+</p>
+
+<p>
+Essa era una etera. — Cioè, una fanciulla libera; filosofante
+coi chiari filosofi; artista cogli scultori e coi pittori in
+grido; letterata cogli oratori i meglio famosi; sempre nella
+luna di mele dello amore; permettentesi, ma non donantesi;
+in balìa di quella passione accettata dagli Dei e non dagli uomini
+tutti — quantunque così deliziosa, così bruciante; — un
+giorno spettro sinistro agli occhi di donne gelose; e l’altro
+ospite gentile e grazioso di un peristilio.
+</p>
+
+<p>
+Dopo la risposta di Sestilio, essa non tardò molto a venire
+in Pompei. Un servo si fece all’uscio della camera di Popidio
+e ne tirava la spessa cortina di Tyro. — Un raggio di sole penetrò
+nel cubiculo.
+</p>
+
+<p>
+— Per lo inferno! Che luce! Abbi Venere irata, o Milphio. — Come?
+Mi desti ora appunto che avea preso sonno?
+</p>
+
+<p>
+— Padrone! È Plilia che è giunta e chiede vederti.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Ma, di’.... nel tuo paese..... e non dormono la notte?
+</p>
+
+<p>
+— La notte sì. — Ora è alto il sole. Da un’ora già varcò
+la metà del suo corso.
+</p>
+
+<p>
+— E pur qual silenzio! Pompei zittisce adunque come
+l’anima mia?.... Ah!.... Va. Chiedi a Plilia il favore di attendermi....
+E apparecchia, se vuoi, il bagno.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Un altro più lungo sbadiglio. — Trasse le braccia in alto,
+stirandole. Discese lentamente dal letto di cedro, intarsiato
+di tartaruga; posò i piedi su ricco tappeto; li pose nei sandali;
+si gittò sulle spalle una <i>gausapa</i> cremisina, vellosa al
+di dentro, e cominciò a camminare per la stanza, ora celeremente,
+ora a passi misurati.
+</p>
+
+<p>
+— E Plilia che vuole? Aveva un po’ di tregua da che è
+in Neapolis. — Torna qui ad agitarmi. — Vuol sempre sia desto....
+Non ha mai posa costei!.... Ma che, l’amo io?... Io?...
+E non posso amar più. Oh! Il potessi!... Plilia è proprio un
+serpentello che mi avvolge nelle sue spire. Ed è serpentello
+che piace... e che io riscaldo sul mio povero cuore, che batte
+i battiti di una vita incresciosa...
+</p>
+
+<p>
+— Ah! Popidio!... Caro!... Siimi indulgente! Ma io ardeva
+di rivederti... e non attesi...
+</p>
+
+<p>
+— Fanciulla amata... <i>dulcissima rer</i>...&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Ma i baci ch’essa gli diede sulla bocca niegarono il varco
+alla compiuta parola.
+</p>
+
+<p>
+— M’impaurì la lettera che mi raggiunse a Baiæ. Ma....
+la mia madre era soffrente.... la mia sorella Myrrhina doveva
+arrivare e la lasciai là.... E qui corsi per riabbracciarti.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E curvò la sua bella testa sul petto di lui, pur cogli occhi
+guardandolo amorosamente.
+</p>
+
+<p>
+La donna è per sè stessa un animaluccio seducente, grazioso
+e benigno. — Plilia poi era per sopra ciò un fiore vivace
+e profumato, sorto nella solitudine dell’anima sua. Onde,
+preso da quell’olezzo di gioventù e di bellezza, la baciò e
+ribaciò sulla fronte e sugli occhi. Gli pareva di sentire un
+nuovo moto nelle sue vene. Una novella energia picchiava
+tonfi sul suo cuore sfibrato, quasi dicesse:
+</p>
+
+<p>
+— Aprimi, ed io resto.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Il fatto è che Popidio in tal momento pensava e diceva alto:
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Infine, sono come gli altri, io. — Sestilio mi sgrida, mi
+rimprovera.... Ma, ha torto. — Mi annoio. — Ecco tutto. — Provo
+e riprovo e non riesco.... Pure, io saprei difenderti, o
+mia. Saprei morire per difenderti. — Ho l’anima fiacca spesso...
+è vero. — Destala, o Plilia.... E l’avrai amante, ingenua.....
+Non feci mai male ad alcuno, io.
+</p>
+
+<p>
+— Lo so. — Tu sei buono, o soave amore. E puoi guarire
+della malattia dolorosa quando che vuoi.... E per sanare bisogna
+che tu colmi il vuoto che hai dentro.... E una donna.... se saprà
+fare, lo riempirà.... e se tu la lascerai fare. — Ora gli è al
+poeta ch’io parlo. — L’uomo non è felice e sano se il poetico
+entusiasmo nol rende contento di sè medesimo.... Oh! Ecco
+Sestilio!..... Vieni, o amico. — Seguita tu i miei ragionari. — Dobbiamo
+persuadere questo caro ad essere felice.
+</p>
+
+<p>
+— Ora lo sono. — Durerò? No, se voi mi lasciate. — Voi
+due mi siete ben necessari. Senza te, o Plilia, le tenebre mi
+attorniano e la psiche va errando e cade. Talvolta anche Sestilio
+sa togliermi di dosso la <i>impluviata</i> di piombo — la noia — la
+quale, come la camicia del centauro, mi brucia. — Con
+voi rimarrò giulivo; nella villa, studierò i papiri greci di
+Phylodemo. — Come te, <i>deliciola mea</i>, filosoferò sulla ricchezza,
+dichiarandola una povertà regolata sui bisogni della
+natura. E non stimando necessario il superfluo, ci contenteremo
+di ciò che basta. — Con te, o Sestilio, l’anima diverrà
+lo strumento della mia gloria. Non dubiterò più.... Io mi sentiva
+nato per qualche ragione al mondo.... e non per la usura
+dei miei nervi e per una inutile morte..... No.... V’ha una
+parola nella tua lingua, o Plilia, che m’inspira una tenerezza
+feroce. V’ha una parola nella mia, al cui sacro mistero io dedicherei
+volentieri tutte le grandi gioie dei sensi, tutti i grandi
+dolori della vita. — Eλευθερία — <i>Patria</i> sono un teatro su
+cui il misero amico vostro avrebbe recitato con nobili emozioni
+la parte sua!
+</p>
+
+<p>
+— Ma tu appartieni a te medesimo.
+</p>
+
+<p>
+— No, o Sestilio.... La fresca alba della libertà ov’è mai? — La
+luce che vivifica, che depura, che sorride all’anima di un
+romano e di un greco è scomparsa dalle nostre contrade! — Le
+tenebre sono spesse e fredde.... E quando la mia cosa immortale
+<span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span>
+s’interroga, ode un rumor di catene, vede il ghigno
+dello imbestiato signore del mondo e cerca smaniosa uno asilo
+e nol trova. — Questo pauroso ha fatto della terra una carcere. — È
+omai delitto il mentovare le parole della mia mente!...
+Talvolta, un tuo sorriso, o Plilia, dorato dalla intelligenza e
+profumato dalla bontà, mi solleva dal peso insopportabile del
+mio sogno penoso. — E il tuo affetto sincero, o amico, mi
+strappa dalla battaglia senza tregua di questa mia misera vita,
+dove.... — l’ho a dire?... — mi sento in catene e non domo,
+come Spartaco, di Tessaglia. — Ma, voi partite.... E la dolorosa
+noia ritorna e.... lentamente mi caccia nel cuore la punta
+uncinata che dentro rode. — Tu dicesti.... una donna! — Ah!
+passò quello istante in cui la nozza per me sarebbe stata una
+cosa sensata ed onesta. — Quando io vidi la gelosia strozzata
+ai piedi dei miei pensieri; quando la mia ragione non trovò
+più parole di lamento e di richieste indiscrete per torturare
+la donna amata, compresi ch’essa può avere un passato legittimo
+nel pellegrinaggio della vita e lo rispettai. — Allora tu,
+etera, fosti la sorgente di qualche mia gioia. — Ma, associarti
+ai miei destini?.... Mai! — Popidio non commette atti iniqui! — I
+despoti della mia patria non tormenteranno il mio
+seme. — Viviamo in tempi in cui i figli feriscono nel ventre
+le madri e dicono ad Aniceto, liberto:
+</p>
+
+<p>
+— «Oggi, da te lo impero. Corri con arditissimi e fa’ lo
+effetto.»
+</p>
+
+<p>
+— Ieri una lira accordata valeva più della spada di Scipione.
+Domani lo applaudire alla voce fessa del despota darà lucrosi
+incarichi. Ogni dì, i poetuzzi che rabberciano gli stentati suoi
+versi sono onorati di bisellii e di corone, come già il divino
+Virgilio... Il popolo ha fatto il callo sur ogni obbrobrio.... Ecco
+le ragioni dei miei disordini, del mio correre a slascio, dei miei
+lunghi e crudeli riposi.
+</p>
+
+<p>
+— Condizione crudele! — <i>Prorsus, ut dicis, ita sentio.</i> — Ma
+tu troppo presto appressasti al cuore la vampa per incenerirlo.
+Ingrossasti la testa per atrofiare il corpo. — Chiamasti
+lo avvoltoio perchè si cibasse del tuo fegato!
+</p>
+
+<p>
+— Discaccia le cure che ti tormentano. Vivi e consolati
+dello amor nostro.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span>
+</p>
+
+<p>
+Popidio si assise sul letto. I due lo imitarono. Le belle
+guance di Plilia furono lentamente rigate da due grosse lacrime. — Ed
+egli prese le mani degli amici suoi, e, tutto commosso:
+</p>
+
+<p>
+— Miseri! Soffrite per me! — E mi compiangete! — Era
+così infelice a non dirvelo per lo addietro. — Gli Dei!... Oh!...
+Io ne venero un solo! — Le donne!.... Io non amo che te! — Gli
+amici!.... Disprezzo i viventi e mi stringo a Sestilio.... Ho
+il turbine qui! V’ha sorrisi che paiono da vino. — V’ha tormenti
+eziandio da dannato. — Pietà di me! — <i>Utinam illum
+diem videam, quum vobis agam gratias, quod me vivere
+coegistis!</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Su questo, Milphio entra nella stanza e dice:
+</p>
+
+<p>
+— Padrone, il bagno è apparecchiato.
+</p>
+
+<p>
+— Verrò. — Voi andate nello xisto, nella biblioteca, ove
+meglio. Voi siete altri me, qui. — Plilia, un bacio. — Oh! io
+mi sento innovato!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Si cacciò nel bacino di porfido e vi si distese. — Chiuse
+gli occhi. — E in quella specie di veglia gli parve di esser libero
+di una catena con cui il suo spirito era stato sino allora
+legato. Ciò che dentro pria lo affliggeva, sparito. Sentivasi
+pronto ad una felicità — non la intesa e praticata dalla saggezza
+convenzionale — quella che dà godimenti veri, meritati,
+segreti e di un ordine proprio. — Da una piega della cortina,
+che abbarrava l’uscio, sino al bacino scendeva diritto un filo
+di raggio solare — solco luminoso composto di quanto v’ha
+nell’acqua, nell’aria, nella terra e che pur trovasi in date
+proporzioni negli animali, nelle piante, nei sassi. — I suoi
+pensieri ascesero per quella via sino a Dio, e ritornarono
+gioiosi a lui su quella dorata atmosfera. — Mai, come quel
+giorno! — Si levò, si vestì della <i>synthesis</i>, aiutato da Milphio,
+ed escì azzimato incontro agli amici.
+</p>
+
+<p>
+— Plilia e Sestilio, andate nelle vostre camere. — Vi troverete
+la <i>vestis cœnatoria</i>. — Vi attendo nel triclinio. — È l’ora
+decima.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Nel sommo letto si pose Popidio, nello inferiore l’amico,
+nell’altro la etera. — Dopo la libazione, i giovanetti schiavi li
+coronarono di fiori e giuncarono di rose il musaico. La ricchezza
+<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span>
+del <i>pater cœnæ</i> esigeva che la <i>comissatio</i> fosse <i>recta</i>,
+cioè composta di tre imbandigioni. Laonde nel primo vassoio
+di argento furono portate uova, lattughe, olive, fichi e mangiari
+delicati e leggeri per aguzzar lo appetito. Nel secondo,
+stufati di varie sorti ed un arrosto di vitello. Nel terzo, confetture,
+mele d’Hymetto con semi di papavero bianco tostati,
+paste, e poi altri frutti entro cestelli di giunchi intrecciati, di
+argento. — In ultimo, dopo la lavatura delle mani e della
+bocca, vennero distribuiti i profumi per togliere di dosso
+l’odore delle vivande.
+</p>
+
+<p>
+La gaiezza dei commensali erasi irradiata sui <i>pueri</i> che
+servivano e sul bravo e fedele Hegio, il <i>tricliniarcha</i>. E tutti
+cogli occhi e coll’assiduità del servizio ne ringraziavano Plilia,
+la bella ateniese, operatrice del miracolo.
+</p>
+
+<p>
+Anche la luna illuminò quella regione vivente e dianzi
+sì desolata. — Andarono a godere del suo pallido raggio sull’orlo
+dello xisto che prospettava sul mare. — Gli amanti
+avevano le mani congiunte. Il misero dallo abisso, aiutato dalle
+ali dello amore, era risalito sugli spazi i più luminosi delle
+regioni felici. Gli è che Plilia, strettasi al suo cuore, gli susurrava
+tratto tratto all’orecchio parole che gli uomini tutti
+non sanno ricambiarsi tra loro. — Sestilio abbracciò i due avventurati
+e partì.
+</p>
+
+<p>
+Essi restarono. Per qualche istante nessuno parlò.
+Quindi:
+</p>
+
+<p>
+— Io ti appartengo, o Plilia. Un legame mi unisce a te, potente,
+indistruttibile, eterno. — Quali le nostre labbra, così
+le anime negli Elisi. Dammi la tua mano. — Come bella! — Questo
+anello d’oro serbalo nel dito finchè tu non perda la
+memoria di chi molto ti amò.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Si fidanzarono. — E fu spontaneo e gradito quell’atto,
+perchè compiuto tra essi, senza sospetti, siccome gli atti abituali
+della loro tenerezza. La donna gli coronò il collo delle
+sue braccia e così rientrarono nella casa; e di là, nella prossima,
+messa a disposizione di Plilia. — Ore di felicità! — Silenzio
+gradito! — Solitudine sacra! — In quel sepolcro
+era chiuso il supremo contento di due cuori degni di batter
+l’un presso all’altro i segni della vita e delle sue brevi delizie.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Così per tempo, Halisca, che vuoi?
+</p>
+
+<p>
+— La mia padrona è levata, o Sanga. — Il tuo si leva. — Ambi
+chieggono si appresti il bagno.
+</p>
+
+<p>
+— Ma, se appena la clessidra marca l’ora ottava del
+mattino!
+</p>
+
+<p>
+— Vita nuova!
+</p>
+
+<p>
+— E qual genere di bagno?
+</p>
+
+<p>
+— Tiepido. — Rammenta che gli unguenti per Plilia debbono
+sitire di nardo. — <i>Hoc age.</i>
+</p>
+
+<p>
+— Corro.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Intanto Popidio sentivasi felice. E nello augurare alla
+maga che lo aveva innovato un giorno lieto, dicevale:
+</p>
+
+<p>
+— Dalle tue grazie infantili io prendo una forza di carattere
+che mi stupisce. — Debbo a te un sentimento di cui non mi
+credea più capace. — Ecco, tu cammini.... tu mi guardi.... ed
+io comprendo il mistero ch’è tra il figliuolo e la madre. — E
+se parli e sorridi, io provo una emozione soave che non so
+ridire.
+</p>
+
+<p>
+— Allora le mie labbra sorrideranno sempre per te.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E nel vero, Plilia meritava un tanto affetto. — Essa non
+aveva diviso continuo le sensazioni che or facea nascere. Ma
+la simpatia, uno accordo nervoso tra i due, la omogeneità dei
+pensieri, la reciproca bellezza della mente e della persona,
+facevano sì ch’uno nell’altro riguardasse il suo cielo.
+</p>
+
+<p>
+Preso il bagno, asciolsero. — Quindi deliberarono di andarsene
+in villa. Allorchè tutto fu pronto, escirono; e, traversato
+il Foro e la via Domizia, trovarono presso la porta di
+Herculanum un carro a quattro ruote. Plilia si distese sur un
+cuscino di seta colmo di soffici piume di cigno, appoggiando il
+corpo sul braccio sinistro. Halisca — la <i>pedissequa</i> — aprì
+tele distese su sottili bastoni alla estremità di una canna delle
+Indie, e con questa <i>umbella</i> la riparava dal sole. Essa avea
+nelle mani una specie di palma, fatta di penne di pavone, per
+discacciare le mosche importune. Popidio, in piedi, prese le
+redini e diresse i quattro rapidi corsieri africani sulla via costeggiante
+le mura che menava a Sarnus.
+</p>
+
+<p>
+La villa era grande e maestosa. — Aprivasi per una specie
+di arco trionfale che serviva di porta e continuava per un
+<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span>
+viale ascendente, limitato da alberi di platano e da muri. Una
+larga serie di gradini di marmo menava all’uscio della casa,
+la quale — di due piani, senza finestre al di fuori, e coronata
+da un’alta torre rotonda — si componeva di un atrio spazioso,
+di un portico sostenuto da colonne di stucco, ed in mezzo,
+sopra lo impluvio, un tritone di marmo mandava un getto
+d’acqua da una conchiglia che aveva nella bocca. Intorno
+erano camere da letto dipinte da greci pennelli. Oltre il peristilio
+vedevasi uno xisto assai grande con quattro palme nel
+fondo per dar ombra agli alveari e riposo alle api dopo il loro
+gironzare sui fiori. Presso quegli alberi erano il timo dell’Attica,
+la melissa, l’asfodelo, il citiso, la maggiorana, i giacinti,
+l’iride, lo zafferano, il narciso. E poi rose di Preneste, viole
+di Tusculum, papaveri, rosmarino, basilico, lentisco, bocche di
+leone, gigli dal calice di vario colore, altre rose di Mileto rossissime,
+di Eraclea, e quelle bianche di Alabanda. — Da un
+lato dello xisto era il triclinio. — E al di là per una via serpeggiante
+a traverso alberi da frutto e vigneti, dinanzi vasta
+piscina, era sotto la pergola un triclinio in piena aria, rispondente
+alle fantasie dei villeggianti.
+</p>
+
+<p>
+Plilia — al rezzo di quegli alberi, e presso i cespi dei
+gigli — splendida di freschezza — pareva un rosaio che alla
+rivolta d’un viale solitario sorprende quasi fosse un’apparizione
+di fate. — Oh! i felici!.... Popidio nel dolce asilo dimenticava
+le sozzure di Roma — le infami mostruosità imperiali — il
+vergognoso zittire di Seneca — le piaggerie adulatrici
+di Peto Trasea, corrette poi colla morte — gl’imbratti del
+patriziato — le basse vigliaccherie dei suoi conterranei. — Spesso
+entravano nel bosco fitto, ov’era uno stretto spazio scemo di
+alberi, e sotto una quercia annosa uno scoglio. Come la grotta
+marina di Caprea nei dì sereni e di sole è azzurra; così quel
+posto era verde del velo magico della speranza. — Colà o
+Plilia o Popidio leggeva Omero, Virgilio e cominciavano nei
+riposi le discussioni erudite sulle bellezze del poema di quei
+cantori sovrani. O recitavano a memoria le odi di Orazio e di
+Anacreonte. — E si baciavano, e ridevano di quelle licenze
+puerili che i due poeti bacchici si permettevano. Laonde Plilia
+diceva:
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span>
+</p>
+
+<p>
+— <i>Pipere qui abundat, oleribus miscet piper.</i>
+</p>
+
+<p>
+— E qual pepe! ve n’ha a condire tutti i cavoli di Sicilia,
+o mia.
+</p>
+
+<p>
+— Per lo iddio Fidio! Gli era un vecchio di assai scarso
+pudore — servo di Cupido, figlio della Notte e dell’Erebo — non
+di Amore, nato di Venere pompeiana.
+</p>
+
+<p>
+— Io poi credo <i>amabat linea extrema</i>: e più per gli altri
+che per sè.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Talvolta rivangavano con orgoglio un passato glorioso
+alle due patrie e ragionavano degli antichi legnaggi, della
+potenza di carattere, della saggezza mai sorpassata e delle
+nobili arti. E la sapienza la individualizzavano sui remoti e
+sui contemporanei, o la criticavano.
+</p>
+
+<p>
+— Grande e poderoso ingegno quello di Cesare. Ma i
+meriti pel laminatoio. I vizi pieni e di corsa.
+</p>
+
+<p>
+— Augusto potè gareggiare con lui che fu tra i maggiori
+eloquenti del suo tempo. Pur, se chiaro e corrente nel dire e
+magnifico nel fare, ben corrotto e corruttore, come dei principi
+è l’uso.
+</p>
+
+<p>
+— Malvagi tutti! Tiberio sovrano nell’arte del pesar le
+parole. Vivi concetti e soavi apposta. Occhio e dimora dolorosa
+sul vero. Fretta crudele nella ferocia. Disonesto poi....
+</p>
+
+<p>
+— Oh! l’ostica sua disonestà non inghiotto nè sputo.
+</p>
+
+<p>
+— E Caligola? Quali nobili parenti! E quanto vario il
+figliuolo! Calzarino d’infamie ove il mondo doveva mettere
+il piè. Matto.... e peggiore per non attendere; di quelli che
+per non aspettare il dolce fico colla gocciola, lo schiantano
+dal ramo col lattificio. Malgrado la grande spensieratezza,
+attivo molto al bel dire. Ma la bestialità glie ne tolse la
+forza.
+</p>
+
+<p>
+— Claudio poi, se diceva pensato, era eloquente. Ed
+emulo di Cadmo fenicio, di Cecrope ateniese, di Palamede
+argivo, di Damarato corintio e di Evandro arcadio, Cesare
+si piacque aggiungere tre lettere — tentativo di grafico perfezionamento. — Ma
+il duo digamma eolico a rovescio, e l’antisigma,
+e l’iota modificato durarono quanto il suo dominio e
+li vedi ancor nei decreti suoi per le corti e pei templi.
+</p>
+
+<p>
+— Sciagurato! Lo pagò bene Aloto, un degli eunuchi,
+<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span>
+che facea la credenza per sicurar le vivande dal tossico, omai
+masserizia di Stato. La trista Agrippina strappò il testamento
+ed antepose il suo figlio al figliastro Britannico — forse correttivo
+a doppio disastro.
+</p>
+
+<p>
+— E cotesto istrione — suo dono — sviato ad arte da
+Seneca verso il dipignere, lo intaglio ed il canto, parla imboccato
+le dicerie già composte dal falso e lezioso ingegno del
+suo maestro. E omai rotto a tutto, uccisa la madre incestuosa
+e randagia, a Seneca promette e terrà. Schifosi mostri!
+</p>
+
+<p>
+— Omai, i buoni e i tristi spacciati sono. Lo ammazzatore
+è per via. I più acuti porgano pure il collo, offrano le vene al
+cerusico ed apprestino il rogo.
+</p>
+
+<p>
+— Quel che tu dici or mi rammenta Petronio, maestro
+in morbidezza e dei più intimi nelle delizie industriose di Cesare.
+Tigellino ne provò invidia e per calunnia lo fe’ reo di
+maestà. Tutto risi e piaceri, non seppe tôrsi la vita, poi che
+ritenuto in Cuma. Fattesi segare le vene, le tappò, poi le
+sciolse e le ritappò a sua posta per sentir leggere versi piacevoli.
+Non potendo battere Tigellino — causa del danno — fe’
+trebbiare gli schiavi. E pria di quietarsi nel sonno estremo
+cui si sentiva dannato, mandò a Nerone scritte a mo’ di testamento
+le sue ribalderie con tutte le disoneste fogge. E sigillò
+la pergamena e ruppe lo anello. Cesare vi trovò le sue notturne
+invenzioni con Silia, da lei ripetute a Petronio e, indignato,
+la confinò.
+</p>
+
+<p>
+— Tutto è omai spiantato e guasto.
+</p>
+
+<p>
+— Per qual via escirem noi?
+</p>
+
+<p>
+— Ecco le mie braccia a siepe del buio sentiero, o Popidio.
+Ti sia patria il mio cuore. Il tuo è uno altare per me!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E que’ miei avevano ragione nella diversa sentenza.
+Consolante invero lo affetto. Ma l’atroce agonia d’ogni dì?
+E le crudeltà in altrui? E le beffe dei barbari? Ogni santità,
+profanata. Gli scogli marini d’Italia, asilo, e luogo di morte
+per fame. La nobiltà e le dovizie, peccati gravi. La virtù,
+certa ruina. Anche il silenzio riguardoso, delitto. La vita sicura,
+quella delle spie e dei ladri. Anzi alle spie, quasi spoglie
+opimi, consolati e sacerdozi. Ma, per contrapposto a tanti
+adulteri dell’anima, eroiche morti come in antico; mogli seguaci
+<span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span>
+dei mariti scacciati, schiavi e liberti fedeli ai tormenti,
+amici difenditori — comodo <i>sellisternium</i>, non più per gl’iddii
+incuranti gli atroci mali del popolo, sì per posarvi la immagine
+serena del crocefisso da Ponzio Pilato, procuratore.
+</p>
+
+<p>
+Alcune volte cavalcavano per la villa e fuori. — Od in una
+biga, essa menava i cavalli. — O, postisi in una barca sul
+lago, aiutati dalla vela e dal timone, si faceano condurre a
+genio del vento. — Era una vita d’incanto! — Le vere visioni
+quaggiù sono gli aspetti di varietà e di luce che appaiono
+sulle fronti delle persone amate. E Popidio e Plilia non videro
+che i raggi dello amore, i fiori della felicità e il verde della
+speranza.
+</p>
+
+<p>
+Un giorno venne una lettera alla giovane ateniese. — Aveva
+talmente dimenticato la esistenza al di fuori della villa vastissima
+e dei poderi, che fu stupita come qualcuno potesse scriverle. — L’aprì — e
+si fece pensosa e turbata. — Mirrhyna
+l’avvisava che la madre peggiorava, e volea rivederla. — La
+novella diè doppia ferita al suo cuore. Si levò pallida, e in
+uno slancio di tenerezza e di angoscia offerse la lettera allo
+amico suo e lo abbracciò.
+</p>
+
+<p>
+Popidio per qualche istante non potè leggere. Prevedeva
+un disastro. — Quando chiarì la cosa, si levò, e abbracciando
+la donna amata, disse:
+</p>
+
+<p>
+— <i>Suavis</i>, ho avuto così stretto il cuore testè, che or
+non sembrami amaro ciò che ti dico. — Parti... Va presso la
+madre... E se il credi... se non ti costerà sacrificio, ritorna
+a chi ti ama assai più che la vita.
+</p>
+
+<p>
+— Sempre desolanti cose fra noi: — Separazione crudele! — Che
+diverrai tu nell’assenza?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E sì dicendo pose le sue dita delicate come un velo sulla
+faccia e singhiozzò, innalzando spesso convulsivamente il capo
+e le spalle. — Egli le assettò sulla testa il <i>ricam</i> — velo
+lungo e quadrato con frange, di porpora — che coprì colle pieghe
+ample il <i>cincticulum</i> — la corta tunica bianca senza maniche — la
+strinse al petto più volte, l’aiutò a salire sul carro
+e la vide partire per Neapolis in compagnia di Halisca. Ed
+egli, saltando sur un cisio elegante, corse verso Pompei.
+</p>
+
+<p>
+La luce era partita. — Le tenebre erano tornate. — Desolato
+<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span>
+nel giorno. Vegliante la notte. — Inspirazione — slancio — volontà — desiderii — tutto
+con lei.
+</p>
+
+<p>
+— Idolo caro della mia fantasia! Creatura amata! Quasi
+sangue delle mie vene! O favilla di quel fuoco misterioso che
+Dio dà e ritoglie. Vieni a me presto, o io mi muoio.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Sestilio venne a consolarlo, e lo aiutò a dar pieno corso
+al suo dolore, parlando di lei e del suo pronto ritorno. Intanto
+per offerire distrazione propose di andare al teatro. — La
+speranza di ricrearsi rese accetto il partito.
+</p>
+
+<p>
+L’<i>Odeum</i> era un teatro coperto — a lato del tragico — che
+Quinzio Valgo e Marco Porcio, duumviri, avevano fatto
+edificare e collaudato. Serviva agli spettacoli musicali, alle rappresentazioni
+drammatiche e ai concorsi poetici. Potea contenere
+mille cinquecento spettatori. Circoscritto in uno spazio rettangolare,
+la metà infima soltanto prende la forma di un completo
+emiciclo. La superiore, tra i gradini circolari interrotti
+su ciascuna estremità. I posti riservati — i quattro primi
+gradini, cui dava accesso la orchestra — erano l’<i>ima cavea</i>.
+Poi veniva il <i>balteus</i> che serviva di spalliera ai magistrati, ai
+cavalieri, a quelli assisi sul quarto gradino. La seconda
+<i>cavea</i> divisa da sei scale e composta di diecisette ordini di
+sedili di pietra, era riservata al popolo che vi penetrava dai
+vomitori.
+</p>
+
+<p>
+Sulle tessere di avorio, contornate da un serpe che morde
+la coda, era scritto CAV · I · GRAD · IV · ANDRIA · TERENTII ·
+Ne presero due ed andarono al loro posto. Si erano già nunciati
+i nomi degli attori e le parti loro affidate. Si era detto
+il prologo, in cui lo autore confessa il suo plagio a Menandro
+e lo scusa, dichiarando valer meglio una buona imitazione che
+una mediocre creazione. Il subbietto era cotesto:
+</p>
+
+<p>
+— Pamphilo ha sedotto Glycera, creduta sorella di una
+sciupata di Andria. — I segni divengono patenti. Ma il seduttore
+la consola col prometterle nozze, quantunque il padre lo
+abbia fidanzato alla figlia di Chremes. Ma questi, sapendo gli
+amori del figliuol suo, simula apparecchi di nozze per iscandagliare
+i pensieri di lui. Pamphilo ode i consigli di Davo e
+non fa resistenza. Ma Chremes, veduto il neonato, non vuol
+aver più per genero quel seduttore. — Un incidente stranissimo
+<span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span>
+disvela come Glycera sia figliuola di Chremes. — Allora
+dà questa a Pamphilo, e l’altra che eragli fidanzata, la sposa
+a Charino.
+</p>
+
+<p>
+Facili i versi — ben condotto lo intreccio — lo scioglimento
+felice. — Di due commedie di Menandro — l’<i>Andria</i>
+e la <i>Perinzia</i> — lo affrancato di Scipione fece questa una,
+spigolandone tutto il buono. — Pur quando Davo disse agli
+spettatori.
+</p>
+
+<p>
+« — Non attendete che gli attori escano..... Gli accordi,
+il contratto, tutto che rimane a farsi, si compirà là dentro.....
+Voi applaudite.»&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Popidio non ne poteva più. — Sestilio, nello escire — perchè
+lo amico così voleva — facendo lo elogio delle commedie
+di Terenzio; sempre vere e delicate e senza ciniche licenze,
+gli chiese la sua opinione. L’altro — che aveva l’anima
+vagante — rispose, egli preferir Plauto per la somma vivacità
+del dialogo. — Lo africano averlo fatto dormire.
+</p>
+
+<p>
+— Preferendo l’azione, sarai più lieto nel grande teatro.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— Sia, — Tu, mio Mentore e senno, da che Plilia è lontana!
+</p>
+
+<p>
+Nello escire dal piccolo entrarono nel grande. Le tessere
+privilegiate diedero loro lo ingresso in un corridoio a volta
+che li menò ai posti sopra la orchestra. — Erano di avorio e
+portavano da una parte lo incavo di un edificio teatrale e dall’altro
+le cifre che seguono VI. ΑΙΣΧΥΛΟΥ · IB · Avevano posto
+sul sesto gradino della <i>cavea</i> riservata. Altri corridoi, pure a
+vôlta, passando sotto la gradinata, guidavano al primo claustro
+e alla <i>media cavea</i>; una scala poi al di fuori del teatro faceva
+giungere direttamente alla <i>summa cavea</i> ed al culmine dello
+edificio pel servizio del <i>velarium</i>. — Sulla parte opposta elevavasi
+una torre quadrata e rotonda al didentro, serbatoio di
+acqua piovana, la quale, profumata da essenze, era sparsa
+come una nebbia per tubi capillari di piombo sugli spettatori
+nei calori estivi. — Nel centro della orchestra elevavasi la
+<i>thymele</i>, o piccolo altare su cui sacrificavasi a Bacco al cominciare
+dello spettacolo.
+</p>
+
+<p>
+La scena fissa presentava tre porte, le <i>hospitales</i> e l’<i>aula
+<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span>
+regia</i>. — Fra queste porte nelle due nicchie posavano le statue
+di Nerone e di Agrippina.
+</p>
+
+<p>
+Si recitava la tragedia <i>I sette contro Tebe</i>, la quale veniva
+chiamata il parto di Marte. Ma se il Dio della guerra
+aveva sovente inspirato lo autore dei <i>Persi</i> di <i>Agamennone</i>,
+dei <i>Coefori</i>, del <i>Prometeo</i>, delle <i>Supplichevoli</i> e delle <i>Eumenidi</i>,
+certo ei non ebbe minori obblighi a quello del vino.
+</p>
+
+<p>
+Gli attori sono sulla scena. — Gli adunati, tutt’orecchi
+in udirli. — Popidio, noiato, trovava i flauti fuor di tuono,
+le maschere degli attori logore, le voci non abbastanza forti
+per essere intese.
+</p>
+
+<p>
+— Che l’architetto Martorio Primo non avesse nozione
+nel costruire il teatro di quei grandi vasi di bronzo, i quali
+portano la voce dall’una all’altra estremità della sala? Tu
+rammenti che li vedemmo in Athenas, in Milo, in Argo e in
+Sicyone.
+</p>
+
+<p>
+— Rammento. Qui costumasi il flauto perchè sostiene la
+voce, la chiama se travia, e serve a dare la intuonazione al
+nuovo attore che entra.
+</p>
+
+<p>
+— Qui si costuma quanto vi ha di più odioso per me.
+Mira Volumnio, il decurione, che fa! Oh! io non reggo a
+siffatte scempiaggini!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Si levò e andò via. — Quel suo vicino aveva tratto un
+colombo dal seno e dopo avergli legato una tavoletta scritta
+nel piede, lo faceva volare. Altri lo imitarono. — Erano corrieri
+domestici che i mariti e gli amanti inviavano alle donne
+loro. — Sestilio raggiunse l’amico sulla via di Stabia.
+</p>
+
+<p>
+— Tu che da per tutto ti aduggi, oh! certo non ti annoierai
+nello Anfiteatro. — La folla che corre da quella parte
+mi rammenta il grande spettacolo offerto da Livineio Regolo.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— Io tornerei volentieri alle mie case.....
+</p>
+
+<p>
+— No. Vieni, Popidio, e la maschia scena ti distrarrà.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+L. Livineio Regolo, di famiglia plebea — nato di Lucio
+prefetto di Roma — era stato quatuorviro monetale ai tempi
+di Cesare. Ferito dalla stessa scure che aveva decapitata la
+repubblica, amico di Cicerone e di Bruto, amareggiato dall’ozio
+febbrile che legano le rivoluzioni morte, cospirò per la
+causa a lui sacra. Senatore, Augusto tiranno volle che venisse
+<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span>
+raso dal senato. — Invano stracciò le vesti per mostrare le
+onorate cicatrici. — Invano parlò de’ suoi meriti. Fu raso. — Cacciato
+in esilio in Pompei, per ingraziarsi il popolo si fece
+editore di ludi gladiatori e belluari, cioè, di orsi e di cinghiali.
+</p>
+
+<p>
+Lo edificio destinato ai sanguinosi combattimenti degli
+uomini e delle belve era la riunione di due teatri, siccome il
+greco nome Αμφιθέατρον, che i Romani gl’imposero, il dice. Le
+due orchestre ne formavano la elittica arena. La quale in
+Pompei era scavata di man d’uomo tanto al disotto del
+livello del suolo per quanto le mura si elevavano al di
+sopra. Costruito nella parte meridionale della città presso
+le mura che guardavano Stabia, l’architettura esterna
+di pietra vesuviana non presenta verun ornamento. Nello ingresso
+del grande vomitorio settentrionale su due nicchie posavano
+le statue di Cuspio Pansa duumviro, padre e figliuolo;
+ed a sinistra sul selciato di lava che discende, sono pietre
+bucate entro le quali era fissa una barriera di legno, perchè
+gli addetti al servizio e al mantenimento dell’ordine non fossero
+schiacciati dalla folla irrompente. Di là si andava ad un
+cripto-portico circolare interno, che per via di scalinate metteva
+ai gradini. Questi erano divisi in tre piani — <i>summa — media — ima
+cavea</i>. — Sopra le vôlte delle due ultime è una
+serie di arcate che metteva in una galleria che dava accesso
+alle scale per escir fuori. Il primo <i>deambulacrum</i> era coperto.
+L’altro no. — L’arena era circondata da un <i>podium</i>, alto
+quasi due metri, difeso da un cancello di ferro a protezione
+degli spettatori. Esso è ornato di pitture che presentano combattimenti
+di tigri contro orsi, di un cervio contro una leonessa,
+di un orso contro un toro. V’ha pure una scena gladiatoria,
+e si vede un <i>lanista</i> dar consigli a quelli che debbono
+accoltellarsi, nell’atto che altri due assisi aspettano la stessa
+lezione e che un musicista saggia le note della sua tromba
+ricurva, atta a dar lena ai gladiatori.
+</p>
+
+<p>
+La prima <i>cavea</i> ha cinque gradini. Ma nelle due grandi
+parti dello Anfiteatro è un vasto spazio, chiuso da un breve
+muro di appoggio che scende perpendicolare al <i>podium</i>, e non
+ha che quattro comodi scalini. Gli era il posto riservato alle
+vestali, ai magistrati ed a quelli che avevano l’onore del bisellio. — Nel
+<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span>
+centro del podio occidentale apresi una piccola
+porta di quercia, il <i>catabolus</i>, per cui escivano le bestie feroci,
+chiuse nei covacci sotto la gradinata. — Il sole d’Italia,
+volgendo all’occaso, illumina vivamente la scena. E il monte
+Vesvius sta muto testimonio della gioia crudele del popolo e
+della coraggiosa rassegnazione degli accoltellanti, pronti alla
+morte per dar piacere agli schiavi di Nerone che omai dei
+gloriosi padri non avevano più che le vesti ed il nome.
+</p>
+
+<p>
+Quando i due amici arrivarono allo Anfiteatro, questo era
+pieno per modo che sarebbe stato impossibile il trovarvi luogo,
+se un littore — riconoscendo in Sestilio il figliuolo del duumviro
+non gli avesse condotti — attraversando le file con autorità — in
+due posti rimasti ancor vuoti. Già compivano il
+giro dell’arena cinque coppie di giovani di alta statura e di
+membra robuste. Alcuni erano schiavi e costretti al carnaio. — Altri
+volontari, e si votavano alla trista professione per cupidigia,
+per sete di fama, per disperazione accagionata dai
+politici rovesci. Un uomo attempato che li avea sotto la sua
+disciplina — il <i>lanista</i> Cneo Mezio Felice — gli chiamò a
+nome ed in ragione della forza e della destrezza a lui note,
+gli accoppiò, armandoli di gladi taglienti ed aguzzi. Il loro
+contegno, di giulivo che era, d’improvviso fu cangio. Ed
+Harpax guardò con occhio minaccioso l’emulo suo Philoxeno. — Ed
+Antioco, il dace Proculo. — E Thytridi, il gallo Lycon. — Ed
+Hanthrax, il bruno Polinice. — E Dromon, Poenulo il
+cartaginese. — Ora inoltravansi. Or ritraevansi, evitando con
+arte le percosse ed i tagli. — Thytridi fu il primo a ferir gravemente
+sul braccio lo avversario. Invano egli diede uno
+sguardo pietoso allo intorno. Chè, il popolo con urlo di belva,
+levando il pollice, gridava:
+</p>
+
+<p>
+— <i>Habet.</i> — Lo ha preso!... Lo ha preso!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Allora il misero porse il collo al compagno che glielo
+segò. — Nell’atto, Proculo, facendo un salto di fianco per
+isfuggire il colpo che Antioco gli aveva assestato, mirando
+come fosse col corpo piegato innanzi e scoperto, gl’immerge
+il gladio nel cuore. — Gli schiavi cogli uncini trassero i cadaveri
+in una specie di fossa destinata a ricevere le spoglie degli
+uccisi. Harpax e Philoxeno, destri e vigorosi entrambi, si
+<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span>
+sforzavano indarno in falsi attacchi e in sorprese; si avventavano,
+indietreggiavano, si ferivano, ma senza farsi gran male.
+Ed il popolo plaudiva alle percosse che credea decisive e pur
+plaudiva all’altro che aveva saputo schivarle. Alla fine Harpax
+afferra la spada a due mani e si precipita sullo avversario. — Lo
+scudo ne rimane spezzato e il colosso cade disteso per le
+terre. Philoxeno, che ha ferito il braccio sinistro dal fiero
+colpo, gli è sopra e gli punge col coltello la gola. — Le donne
+s’impietosiscono di quel caduto che la sventura colpiva ed
+alzano la palma, gridando:
+</p>
+
+<p>
+— <i>Non habet!</i> — Sia salvo!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Allora quegli ch’era già presto a far da carnefice al compagno — il
+quale era forse suo amico — gitta la spada, si
+curva, solleva di terra lo sciagurato e lo consegna fuor dell’arena
+ai destinati a medicar le ferite, per conservarlo ad
+altri cimenti.
+</p>
+
+<p>
+Dromon e Poenulo si corrono dietro per l’arena. Grondano
+sangue e sudore. Si arrestano. — Si guardano con
+occhi di tigre e si avventano. — E l’un l’altro ferisce, aprendosi
+nel fianco e nella coscia due piaghe profonde. — Sono
+anch’essi perdonati e vanno via.
+</p>
+
+<p>
+Entrano sulla scena Curzio, Charino, Ballion, Prisciano e
+Curculio. Sono ignudi, o quasi, e armati di coltello e di lancia.
+Dal <i>Catabolus</i> escono orsi e cinghiali. — Da una porta, due
+tori. — Ad una correggia di cuoio che gli cinge nei fianchi è
+legata una corda che stringe il collare di due molossi. Due
+pigri bufali erano siffattamente allacciati a due lupi. Gli urli
+delle bestie feroci e le grida dei bestiari intronano l’aere.
+</p>
+
+<p>
+— La dea Libitina oggi sarà satolla, o Popidio.
+</p>
+
+<p>
+— Stragi e omicidi, ecco i trastulli dei tempi!
+</p>
+
+<p>
+— Per cotal gente l’arena è il patibolo. — Vita di delitti. — Morte
+spregevole.
+</p>
+
+<p>
+— Ecco perchè non destano nel cuore alcuna pietà. — E
+lo sanno. — E ne fanno soggetto di beffe. — <i>Sanguis venalis!</i>
+</p>
+
+<p>
+— Ora, colui — di cui la statua equestre è sull’arco a
+trionfo — si è fatto lanista, ed ha i suoi accoltellanti <i>postulatitii</i>,
+sempre pronti a combattere e a morire pei suoi gusti e
+alla richiesta della plebaglia. E gli nudre della <i>gladiatoria sagina</i>,
+<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span>
+perchè quella forte razione di carne gli faccia meglio
+vigorosi ed abbiano maggior sangue da spandere.
+</p>
+
+<p>
+— Ma tu vedesti nell’Urbe i figli di razze illustri scendere
+nella lizza per guadagnarvi il plauso — che omai è serbato
+alle sole vergogne — e il frusto di quattromila denari
+per anno.
+</p>
+
+<p>
+— Gli udii pur anche prestar giuramento <i>uri, vinciri,
+verberari, ferroque necari</i>. — E, gl’infilzi Plutone col suo
+tridente! meritano bene il fuoco, le catene, le verghe. — La
+morte di spada è troppo nobile per essi.
+</p>
+
+<p>
+— Pur mira quel Thytridi che incurante è appoggiato al
+muro del podio. L’ho veduto in parecchi ludi e credo sia già
+scampato da sessanta vittorie. — Ha il cuoio ben duro, o
+Sestilio, eh?
+</p>
+
+<p>
+— Parmi! — E in Capua ve n’ha pur molti che, ricevuta
+dallo edile la palma della vittoria e appesa al loro fianco
+la spada di legno, passeggiano sciolti dai doveri della loro
+professione. Ed uno ne vidi che in una solennità avea sul
+capo la <i>lemnisca</i>, la corona di fiori intrecciata da bende. È
+l’onore più grande cui possano aspirare.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Intanto che i due amici parlavano, ed altri parlavano.
+Quale battaglia! Il rumore di chi combatteva, il cozzo delle
+armi, le grida degli sbuzzati e dei moribondi, il mugghiar
+delle bestie morsicate e morsicanti, il sangue che spargevasi
+nell’arena, producevano nel pubblico una quasi ebbrezza che
+non si può descrivere. Pareva che gli spettatori ardessero di
+combattere; perchè si spenzolavano dai loro posti, ed urlavano
+come belve, e gesticolavano come briachi.
+</p>
+
+<p>
+D’un tratto altri attori entrano nella scena — due leoni
+di Africa — un tigre delle Indie — una pantera pomellata. — Guardano
+allo intorno coi loro occhi di fiamma, strisciano
+lungo il podio, si fermano, si ripiegano, battono il suolo colla
+loro coda nervosa, passano e ripassano la lingua irsuta e assetata
+sui loro denti aguzzi. Il tigre si slancia sopra un cinghiale.
+Il leone azzanna un bufalo sulla giogaia. La pantera
+in meno che non si dice ha sbranato un molosso ed un lupo.
+L’altro leone — quantunque ferito di lancia nel ventre — strazia
+colle unghie e colle zanne Charino. — Gemiti soffocanti.
+<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span>
+Grida di dolore. Ruggiti di belve. Scricchiolio di ossa sotto i
+denti. Il tigre e uno dei leoni escono dalla mischia ringhiando
+e satolli. Ed errano per l’arena, portando nella bocca sanguinosa
+informi brandelli di carne.
+</p>
+
+<p>
+Sotto il gradino dove sedevano Popidio e Sestilio era
+uno in sui venti anni che avea a sè vicino una giovane della
+stessa età. La vide animarsi degli entusiasmi della giornata.
+Gli piacque il suo naso sottile sur una bocca di corallo. Gli
+piacquero quei suoi occhi estatici, selvaggi ed azzurri adombrati
+dalle chiome bionde, increspate e copiose. A furia di
+guardarla sottecchi, s’innamorò delle belle linee piene, svelte
+e proporzionate di quella leggiadra persona. La vide parlare
+sovente con un uomo che sedevale a lato, e dentro ne ingelosì.
+Non sapea dire s’ei le fosse fratello, marito, amante. Più
+volte volle rivolgerle la parola per appurarlo. Borbottò qualche
+frase. — Ma, o ch’essa avesse l’attenzione altrove, o il
+fracasso di sotto e di sopra impedisse lo intendere, gli parve
+non aver raggiunto lo scopo. Ecco ch’ella si leva in piedi e
+col suo corpo rotondo si appressa troppo a lui. La sentì callipiga
+e vi posò su la mano convulsa, con una ansietà voluttuosa. — La
+pompeiana gittò un grido e si ritrasse volgendo
+allo sconosciuto lo sguardo irritato. Il vicino le domandò cosa
+avesse. E saputolo, colla faccia che assume un geloso che non
+ama la divisione nei beni da lui goduti, apostrofò il giovane:
+</p>
+
+<p>
+— Chi fa ciò che non deve, vuole più che non dovrebbe!
+Insolente!
+</p>
+
+<p>
+— Chi ti fa or censore dei fatti miei?
+</p>
+
+<p>
+— Giù le mani e la lingua, o le mozzo! — Intendi? È
+la mia donna costei.
+</p>
+
+<p>
+— Ah! la tua donna?... Sta bene! — Nessun uomo in
+Pompei te l’avrebbe tocca, finchè tu lo avessi permesso.
+</p>
+
+<p>
+— Oh! Sì?...
+</p>
+
+<p>
+— Credimi, per Ercole! Sei un uomo ingegnoso. Ora la
+tua custodia muove tutti alle prese.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Il pompeiano non seppe patire il villano insulto. Brandì
+uno stile che avea sotto la tunica, ritrasse colla sinistra la
+moglie, e vibrò un colpo sul petto del giovane a nascondergli
+la lama nel cuore sino al pugno. Il ferito gittò un grido gorgogliante,
+<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span>
+prosciolse le membra e cadde morto sulle gambe di
+Popidio.
+</p>
+
+<p>
+Uno a poca distanza, ch’erasi rivolto alle parole della
+contesa, disse, levando le braccia:
+</p>
+
+<p>
+— È Anicato che han morto! A me, voi da Nocera!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Erano molti gli accorsi di quel paese alla festa. — Ognuno
+dal seggio su cui si trovava, accorreva furioso, e pestando
+confusamente gli assisi e i tranquilli, iva bociando:
+</p>
+
+<p>
+— Morte ai pompeiani! Gli Dei ci aiutino.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Ed anche questi infellonirono alla lor volta. — E i più
+forti che non avevano armi alle mani, ghermivano i Nocerini
+e gli scaraventavano alle fiere. E gli altri alle coltella. — Sangue
+nell’arena. — Sangue sui gradini. — La confusione
+era immensa.
+</p>
+
+<p>
+Intanto un uomo insatanassato vien barcollando tra i
+caduti e i fuggiaschi.
+</p>
+
+<p>
+S’imbatte con Popidio, lo teme avverso, lo ferisce, e va
+innanzi. Questi cade nelle braccia dello amico. Trattolo a
+stento tra quella calca, di peso, nel <i>deambulacrum</i>, lo posa
+per le terre e se gl’inginocchia vicino. La ferita ricevuta nel
+petto era mortale.
+</p>
+
+<p>
+— Plilia!... o mia Plilia!... mai più...&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E prese la mano di Sestilio e l’appose sulla piaga per
+arrestare la emorragia che gli toglieva le forze.
+</p>
+
+<p>
+— A Plilia tutto che mi appartiene. Una delle mie case...
+a te... in memoria mia... O Plilia, ultimo amore e forte
+amore! — Prendi questo <i>symbolus</i> che racchiude la gemma...
+la testa di Bruto... guarentisca le mie volontà estreme. — Affranca
+i due servi ancor schiavi...
+</p>
+
+<p>
+— Iniquo il coltello che ti uccide, o amato Popidio!
+</p>
+
+<p>
+— No!... Mi aiuta ad escire da questa immonda cloaca
+dello impero, ove io era in ritardo. Veggo già i vasti orizzonti
+della vita nuova.... Vi rimaneva — credilo — per lei... per
+te... Sento che le estremità si raffreddano... La vista s’indebolisce...
+non veggo più... Un bacio e l’ultimo... O Libertà...
+Italia!...
+</p>
+
+<p>
+Era morto!
+</p>
+
+<p>
+Dei Nocerini fu fatto empio macello. — Armi — sassi — unghie — tutto
+<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span>
+usato per la vendetta dalle due genti. Ma vinse
+la plebe pompeiana che aveva la festa in casa. Rari quelli che
+potessero fuggire o appiattarsi finchè il furore scemasse. E i
+feriti, e gli storpiati, e il pianto dei padri e dei figliuoli corsero
+nell’Urbe per chiedere vendetta a Cesare. Il principe
+rimise la causa al Senato. — E il Senato ai consoli. — E
+Vipsanio e Fonteio la ritornarono ai padri. — I quali vietarono
+ai pompeiani lo aprir ludi gladiatori nello Anfiteatro per
+dieci anni. Disfecero le compagnie degli accoltellanti fatte
+fuori legge e sbandirono Livineio Regolo e i primi rissanti
+dalle terre d’Italia.
+</p>
+
+<p class="indl">
+<i>C. Sextilius Ampliatus Acutilio suo.</i>
+</p>
+
+<p class="indr">
+<i>Pompeis.</i>
+</p>
+
+<p>
+<i>Maximis et miserrimis rebus perturbatus sum.</i> — Popidio
+nostro non è più. — Il coltello di un Nocerino lo uccise
+nello Anfiteatro. — Non so dirti quanto ho sofferto e soffro. — Il
+suo a Plilia, unica consolazione della sua vita. — Or, conviene
+ella sappia la tremenda novella. A me manca il cuore
+di scriverle. Agisci a modo, ed evita a me il doppio danno.
+<i>Quid futurum sit, nescio. — Vale.</i>
+</p>
+
+<p class="indl">
+<i>Plilia Sextilio suo.</i>
+</p>
+
+<p class="indr">
+<i>Neapolis.</i>
+</p>
+
+<p>
+<i>Ego tamdiu requiesco, quamdiu ad te scribo.</i> Oh! il
+grande, lo invincibile dolore per la morte di un essere
+amato!..... O Popidio...., Popidio del cuor mio!... Misero! Sentisti
+tutte le sofferenze del fuoco che non si spegne... tutte le
+morsicature del verme che non muore!... Sono stata per tre
+dì senza vita esterna, ma pensando... e a lui che non vedrò
+più. — Vieni, qui, o Sestilio, e piangeremo insieme. Vieni,
+e potrò sopravvivere allo amico mio morto.&nbsp;—
+</p>
+
+<div class="chapter">
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span>
+</p>
+
+<h2 id="cap8">LA STRADA.
+<span class="smaller">SCENE NOTTURNE IN POMPEI.</span></h2>
+
+<p class="center">
+<b>Anni di Roma 825 — Anni del Cristo 72.</b>
+</p>
+
+<p class="center pad2">
+A GIUSEPPE LAVRIA.
+</p>
+
+<p class="center">
+VIII.
+</p>
+</div>
+
+<div class="chapter">
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span>
+</p>
+</div>
+
+<p>
+Il giorno finiva — e il quadro che offrivasi agli occhi dei
+riguardanti potea dirsi il più splendido che la fantasia di un
+poeta sappia mai immaginare. Il sole dechinando celavasi
+dietro nuvole grandiose e bizzarre, tinte di sangue. I suoi
+ultimi raggi infuocati baciavano le onde quete del golfo ed
+indoravano le isole — formanti lo asserraglio del Cratere — dall’Atheneum — il
+promontorio di Minerva — al capo Miseno.
+Il mare immenso, confuso il suo limite coll’orizzonte e scintillante
+ai riflessi di quella viva luce, sembrava la fornace in
+cui i Titani facessero la fusione e la miscela dei loro metalli.
+Vedeansi da lungi bianche vele prendere il colore di quella
+zona candente ed accennare al porto, formato dal fiume Sarno
+là dove sboccava nel mare, tra i paduli pompeiani e le saline
+di Ercole, dinanzi lo scoglio da cui toglievano il nome.
+</p>
+
+<p>
+Le vie della città cominciano per poco a farsi solitarie e
+chete. Una fanciulla esce canterellando da una casa di gente
+doviziosa e s’incammina verso la porta che mena all’oppido
+di Sarnus. Oltre il <i>pomærium</i> è un bosco ove una sorgente
+di acqua limpidissima aveva riputazione di contenere proprietà
+salutari. Alla padrona era venuto il capriccio di berne e la
+schiava obbediva. Un sentieruolo guidava tra due verdi prati
+alla fontana, che gli alberi cuoprivano d’ombra e le coppie
+amorose degli uccelli inneggiavano. — I sogni compongono le
+idee di una mente giovanile, siccome le violette e le margherite
+sorridono tra il fil verde delle erbe e danno tenere occhiate
+a chi passa. Corista le ricambiava a quei fiori e deposta
+l’anfora, ricominciò il suo canto distratta, ne colse un mazzolino
+<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span>
+e lo pose tra i capelli e l’orecchio. Levatasi ed alzati
+gli occhi, vide presso il fonte, appoggiato al tronco di un
+pioppo, un giovane vestito di una tunica di colore oscuro,
+dagli occhi azzurri, dalla barba nascente e dalla copiosa capigliatura
+bionda, i cui riflessi così bene si maritavano a quelli
+dei verdi rami che si curvavano sulle acque. Altre volte
+aveva veduto quel giovine nel tempio di Venere e nello Anfiteatro,
+ed aveva dovuto chinar le sue luci dinanzi allo infiammato
+sguardo di lui. Molti pensieri arruffati le fecero tremante
+il cuore e arrestossi. Ma il giovane, indovinandola, con
+voce soave le disse:
+</p>
+
+<p>
+— I miei presentimenti non mi avevano ingannato. — Iside
+m’inspirava che in questo luogo sì bello avrei trovato
+felicità. — Ed io sono grandemente lieto di qui vederti, o
+fanciulla, e di poterti parlare.
+</p>
+
+<p>
+— E quale interesse ti spinge verso una povera figliuola
+di Corinto che i propri parenti hanno venduto?
+</p>
+
+<p>
+— Quello che il piccolo Iddio alato mette nel sangue degli
+uomini dell’arte mia allo aspetto del bello. Quando primavolta
+ti vidi, mi sembrasti apparizione di cielo. — Ed ebbi
+sempre da quel giorno la mente piena di te. — E nella casa di
+Scauro ho dipinto una Venere che tutto ritrae dalla soave immagine
+tua.
+</p>
+
+<p>
+— Lusinghieri i tuoi detti. — Dallo accento non sembri
+di queste contrade. Quale il tuo nome? Ove nascesti?
+</p>
+
+<p>
+— Olympio. — Di Athenas. — Di poveri parenti. — Qui
+venni chiamato dalla fama per le pitture decorative. E pingo
+sulle pareti xysti, foreste, colline, case di piacere ove si giunge
+a traverso un lago, piscine, gente che va in battello, che
+caccia, che vendemmia, e paesaggi fantastici con animali e
+con alberi. Pingo pur torri colle cime verdeggianti di edere e
+di lauri; pergole sotto le quali gironzano fagiani, pavoni e
+pernici; viali di bosso e gruppi di mirto tarentino; e tra le
+aiuole di fiori, fontane dalle forme capricciose e bizzarre,
+adorne di conchiglie e di maschere di marmo; portici con
+ricchi mosaici e con cortine azzurre per guarentire dai raggi
+del sole; tempietti ascosi tra gli oleandri della Laconia e le
+rose di Preneste; sedili sormontati da un orologio solare sulla
+<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span>
+punta di un dirupo; statue di filosofi, delle muse, delle iddie
+e di Priapo — interprete, stimolo, dolcezza, delizia di questa
+razza orgogliosa arricchitasi colle spoglie del nostro misero
+paese.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Qui Olympio si strinse colla mano la fronte, quasi volesse
+premervi un pensiero affannoso; quindi, rasserenatosi alquanto,
+continovò:
+</p>
+
+<p>
+— Vedi, o Corista. Un quadro non finito ha per me un indescrivibile
+incanto. Lo artefice gode nella inquietezza a
+nelle pennellate che creano la composizione.... Ed io or mi
+pasco di una gioia secreta nel dirti che ti amo, nel mirare
+questo abbozzato dipinto, che io non già, ma tu puoi terminare. — E
+godo..... E temo.....&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+La fanciulla si fece rossa di bragia e, tendendogli la mano:
+</p>
+
+<p>
+— Sii il benvenuto nel mio cuore, o Olympio. — Tu non
+vorrai farne il tuo trastullo, spero. — Vivo in umile stato
+presso la moglie di Pacuvio Bleso. La mia padrona Aquilia mi
+ama. — Serba questi fiori del bosco per memoria mia.
+</p>
+
+<p>
+— Grazie, o amore. — Sempre qui, sul mio petto.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E nell’atto che Corista appressò l’anfora al fonte per
+empierla, il giovane artefice le baciò amorosamente la tempia.
+Ed insieme s’incamminarono verso la vicina porta della città.
+</p>
+
+<p>
+Un soldato colle gambe in croce si appoggiava al pilo.
+Altri quattro stavano ritti o seduti presso la stanza di guardia
+sotto l’arco. Poi che i due giovani furono passati, la sentinella
+fece un gesto col mento teso ai compagni.
+</p>
+
+<p>
+— Rata ne accenna che è una vestale.
+</p>
+
+<p>
+— Per Ercole! — La non farebbe spegnere il foco sacro
+per la faccia tagliuzzata del povero Sammanara.
+</p>
+
+<p>
+— Lieto compenso e cinquanta colpi di verghe, o Kinnamo.
+Il suo incesso, i suoi lineamenti mi ricordano una mia
+ventura nelle Gallie. Grazie, o Mnemosine, del dono tuo!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Incontro ai due amanti veniva barcollando un avvinazzato.
+Era scalzo ed aveva la tunica lacerata. — Appena li
+discerse, cominciò ad urlare con voci smozzicate:
+</p>
+
+<p>
+— Là! Donde venite? — Hai fave o lupini cotti? Ah!
+Rapisti la mia Sabina tu! Ridalla al misero Bibulo che la
+piange perduta. — Ti darò in cambio un’olla con porri e testa
+<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span>
+di montone. — Ah! non intendi? <i>Damnese bibimus, puer?</i> Ti
+apprenderò il latino io!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E brandendo un nodoso bastone sul quale appoggiavasi,
+si piantò loro dinanzi. — Corista, impaurita, si strinse alla
+persona del suo protettore. — Il quale, afferrata la mazza
+nella punta, la scosse sì forte che il beone andò per le terre
+lungo disteso.
+</p>
+
+<p>
+— Ah! tu Vuoi ch’io riscaldi la punta del gladio nella
+tua iugulare?.... I piedi!... Chi mi tiene pei piedi! Aiuto!
+Feci le prime armi con Cesare.... Rispetto al cittadino romano.....&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Gli amanti, affrettato il passo, furono ben presto sul
+margine presso la porta della casa di Bleso.
+</p>
+
+<p>
+— Salve, o divina creatura. — E il tuo nome?
+</p>
+
+<p>
+— Non tel dissi? — Corista. — Quando ti rivedrò?
+</p>
+
+<p>
+— Presto. — E un bacio sui tuoi begli occhi. — Vale.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E l’una entrò nel vestibolo. — E l’altro seguì la sua
+strada. — Sulla rivolta, ecco che s’imbatte con cinque o sei
+giovanastri, quali coperto il capo di un pileo, quali di un
+galero di lana, che ridevano, parlavano alto e parevano esciti
+anch’essi da una cena inaffiata oltre misura. Sghignazzando
+entrarono in una taverna vinaria, ove per solito vendevasi
+vino annacquato. E per tale oltraggio fatto al figliuolo di Giove
+e di Semele, ruppero i calici e le anfore del povero <i>ænopolus</i>
+e tirarono innanzi. — E vista mal ferma la porta di una bottega
+di <i>salsamentarius</i>, la ruppero e sparsero per le terre i
+pezzi di maiale affumicato e cotto. Così pure dispersero i
+budini di un povero <i>botularius</i>, che corse dal piano superiore,
+ma troppo tardi, per salvar le sue robe dal mal governo di
+quei beoni.
+</p>
+
+<p>
+Dinanzi il tempio di Romolo s’imbatteva con alcuni, seguiti
+da schiavi e da liberti, schiaranti la via con torce o con
+lanterne di bronzo, rotonde e chiuse coi vetri. — Gli è che al
+tramonto, detto vesper, erano succedute le prime ombre, che
+addimandavansi <i>crepusculus</i>; quindi era giunta l’ora dell’accensione
+delle lampade, <i>prima fax</i>; una delle otto suddivisioni
+delle quattro veglie che costituivano la notte romana. — Lungo
+tutte le vie vedevansi luccicare tizzoni ardenti, lanterne
+<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span>
+di sottili foglie di corno, di tela oliata e di pelle di vescica.
+</p>
+
+<p>
+Era raccolta una eletta brigata di amici nella casa di
+Pacuvio Bleso. — Arricchito dal traffico colla Grecia e coll’Asia,
+aveva speso migliaia di sesterzi per abbellire il suo
+nido. La porta di quercia, ornata nelle fasciature di <i>bullæ</i> — grossi
+chiodi di bronzo — aprendosi, mostrava nel <i>prothyrum</i> — un
+magnifico mosaico di piccoli cubi di marmo bianco su cui
+campeggiava in nero un timone da triremi incrociato con un
+caduceo. — A dritta e a manca erano la cella del molosso, custode
+rabbioso colle zanne e colla voce; — e quella dell’<i>ostiarius</i> — il
+portiere — che, armato di lunga verga, chiedeva il nome
+dei visitatori. Ascendendo pel piccolo corridoio, un uscio interno
+apriva l’adito sur una bella corte quadrata, adorna di
+colonne doriche di stucco bianco e tinte in rosso verso la base;
+le quali formavano un elegante portico, comodo per l’ombra
+e per le comunicazioni interne. — Chiamavasi <i>atrium</i>, perchè
+cotesta disposizione architettonica la fu inventata in Hatria,
+repubblica primigenia della nostra nobile Italia, sedente sul
+mare, tra gl’Interamni e i Picenti. — Davasi il nome di <i>impluvium</i>
+al bacino di marmo di Luni nel cui centro zampillava
+la fontana, e a tutta la corte quello di <i>cavædium</i>. — Nell’angolo
+era il <i>puteal</i>, margella di marmo, depositario dei
+fulmini di Giove, luogo di devote espiazioni nei tempi etruschi,
+e più tardi margine del pozzo da cui si traeva l’acqua pluviatile
+dalla cisterna.
+</p>
+
+<p>
+Dall’atrio si entrava nel <i>tablinum</i>, ov’erano gli archivi
+della famiglia. E nel <i>triclinium</i>, stanza due volte più lunga
+che larga, ricca di pitture; di colonne variopinte; di mosaici
+litostrati; di statue dorate sopportanti lampade per la notte;
+di letti triclinari di bronzo, a meandri di argento incrostato
+nel metallo, e coperti di soffici cuscini di piume, chiusi in una
+stoffa di lana a ricami d’oro. Eravi pure l’<i>abacus</i>, mobile di
+bronzo, situato presso la parete centrale, in faccia ai triclini,
+sui quali i Pompeiani si sdraiavano a metà nel banchettare,
+appoggiando il corpo sul gomito sinistro. L’abaco, nei giorni
+di festino, sopportava vasi preziosi di vetro e di argento,
+adorni di rilievi col nome del padrone e colla cifra del peso;
+<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span>
+non che patere e coppe di cristallo, di vari colori. Il ricco
+mobile abbellivasi di fasciature e di placche di bronzo cesellato,
+aventi nel centro maschere sceniche rilievate di argento; e
+sopra, statuette di rinomati artefici greci.
+</p>
+
+<p>
+I corridoi laterali, chiamati <i>fauces</i>, menavano alla cucina,
+agli alloggiamenti degli schiavi e dei liberti, ed al piano superiore,
+ove abitava la famiglia.
+</p>
+
+<p>
+In fondo dell’atrio aprivasi un portico più lungo che largo,
+detto <i>peristylium</i>, che uno spesso cortinaggio di porpora riparava
+dai raggi del sole e dalle intemperie. Quivi maggiore
+la magnificenza e la raffinatezza del lusso. Fra ciascheduna
+colonna è una statua di marmo. — Le pareti sono rivestite su
+tutta la loro altezza di tavole di rosso o di giallo antico. Le
+colonne del portico sono di stucco, simulanti l’oltremare, con
+leggerissime venature di piriti di ferro. Il pavimento rappresenta
+un labirinto in mosaico, fasciato da un meandro greco.
+La soffitta è divisa in compartimenti di legno col corniciame
+dorato. Nel centro del porticato le cortine sollevate aprono
+gli sguardi sullo xysto, giardino pieno di verzura e di fiori,
+che ha pur lauri e rose dipinti sulle sue mura, con uccelli
+svolazzanti o fenicopteri posati sulle loro gambe altissime.
+</p>
+
+<p>
+Sul lato occidentale del peristilio, un corridoio — avente
+sulla parete di prospetto una icone pei Dei Penati — metteva a
+diritta nelle due camere del bagno, ed a sinistra nello appartamento
+delle donne, ove queste abitualmente si tengono durante
+il giorno per lavorare o per ricevere le loro amiche.
+Coteste sale si addimandavano <i>æci</i>, e sono dipinte a bizzarra
+architettura, con quadri rappresentanti Lucrezia che fila, e
+Penelope che tesse, ed Achille con Deidamia, e Venere nascente
+dalle spume marine, e Diana cacciatrice, tra uno zoccolo
+di fondo nero con busti di donne a coda di delfini, o di
+uomini terminanti con ornati capricciosi; ed un fregio di fondo
+pur nero, su cui sono fogliami sviluppati in volute con fiori,
+dal cui calice esce tutta la parte anteriore di un leone, di un
+orso, di un elefante. Mediante una scala di legno si saliva ad
+un piano superiore, ove solevasi intrattenere i bambini colle
+loro nudrici. Sul lato della casa era una stanzuccia con armadi
+contenenti i papiri. — Su quello della strada, il muro
+<span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span>
+sopportava un terrazzo pensile, detto <i>solarium</i>, lungo quanto
+l’<i>æcus</i>, con larghe finestre guernite di vetri, per garanzia del
+freddo invernale, e di tele trasparenti per velare il sole di
+estate.
+</p>
+
+<p>
+Sul piano terreno dell’atrio, come su quello soprano,
+aprivansi le <i>cubicula</i>, stanze da dormire, più o meno adorne,
+secondo le persone cui erano destinate; e sull’angolo, nello
+incavo praticato nella parete dalla parte del capo, posava il
+piccolo letto di <i>citrum</i>, specie di cipresso salvatico di Mauritania,
+di soave odor resinoso, o di terebinto, o di ebano, o di
+noce, o di quercia, i più ricchi sostenuti da piedi di bronzo e
+gli altri di ferro. I cuscini erano di piume di cigno, o di lana,
+ed avevano superiormente coperte di grosso panno o di pelli
+di talpa ricucite.
+</p>
+
+<p>
+Dimore simili a questa di Bleso per vastità, per eleganza,
+per magnificenza erano molte nella città di Pompei. Quella di
+Olconio Prisco. Quella di Pansa. Quella di Sallustio. Quella di
+Cornelio Rufo. Quella di Aulo Allazio. Quella suburbana di Tullio
+Cicerone, e del ricco negoziante greco Agatocles. Quella di Mevio
+Apulo, ov’era il fauno danzante in mezzo allo impluvio ed il celebre
+mosaico rappresentante la battaglia di Alessandro il Macedone
+contro Dario persiano. — Ognuna di esse è spaziosa quanto
+il podere solcato dallo aratro di Cincinnato. E la casa del console
+Valerio Poplicola — il quale s’ebbe tal soprannome dal popolo,
+perchè dopo la cacciata dei re tolse le scuri dai fasci dei littori,
+ed i medesimi fasci di verghe faceva deporre ai piedi
+della plebe allorchè si aprivano le assemblee — poteva comodamente
+essere edificata entro lo impluvio pur dianzi descritto.
+E la dimora di quel Catone — che non meno illustrò Utica
+colla sua morte, che Roma per la sua nascita — era esigua
+quanto i bisogni che quel savio si permetteva. — Cotesti esempi
+risplendevano in antico. L’aquila romana non aveva spinto
+ancora il suo volo glorioso su tutte le contrade dell’universo.
+Il Senato non accolto i re supplichevoli sulla porta del Campidoglio.
+Nè i generali della Repubblica distribuito i regni ai
+loro clienti. — Nei remoti tempi la riputazione della virtù imponeva
+un sacro rispetto alla piccola dimora di un grande
+cittadino. Nei tempi di cui discorro, il lusso della casa dava
+<span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span>
+fama al padrone, e si era riveriti per la fastosa ospitalità, per
+la magnificenza degli arredi, pei sontuosi triclini, per le colonne
+dei cortili, per le pitture delle camere, e pei marmi
+preziosi e rari che coprivano le pareti ed i pavimenti.
+</p>
+
+<p>
+Pacuvio Bleso era un uomo in sui quarant’anni. Un giorno,
+preso dalla malinconia, decise di ammogliarsi. — Diede allora
+un vale alle gioiose e procaccevoli avventure, e si sacrò intero
+ad Aquilia, donna dallo spirito fecondo e svariato. Era
+della famiglia Rufa, e nel vederla ciascuno diceva: «Io la
+preferisco ad ogni bella.» La sua persona era il velo trasparente
+di un’anima pura e soave. Buona cogl’inferiori, benevola
+cogli eguali, le sue amiche non l’avevano mai disertata,
+come colei che non sapeva urtare nelle individuali vanità,
+causa di veri dolori nelle donnesche coscienze. Se nelle intimità
+avvenivano involontari disgusti, un suo sorriso, un suo
+sguardo, una parola gentile toglieva il peso da ogni cuore e
+diradava ogni nube.
+</p>
+
+<p>
+In quella sera una dolce armonia, un cinguettìo di voci,
+una splendida illuminazione escivano dal peristilio, le cui cortine
+erano aperte dal lato del giardino giuncato di fiori.
+L’allegra brigata erasi aggruppata e disposta con leggi intelligenti.
+Numilla, figliuola di Osculo, aveva nel disegno e nella
+espressione dei suoi lineamenti, quel tipo di greca bellezza,
+che le statue a noi tramandarono. Il naso formante una linea
+colla sua fronte; gli occhi che aprivano sotto i lunghi cigli
+neri le loro profondità di colore azzurro; il collo svelto, l’aitante
+persona, le tornite proporzioni palesate dalle graziose
+muovenze delle membra, facevano di lei la più avvenente
+fanciulla che fosse nella Colonia. Il padre suo, facoltoso, augure
+e da poco assunto al sacerdozio, l’amava quanto le sue
+pupille ed intendeva maritarla ad un cavaliere romano nell’Urbe.
+Domna, la figliuola di Agatocles e di Ulissia, abitanti
+nel sobborgo Felice, era del festoso ritrovo. La giovanetta,
+bruna di carnagione, un po’ paffutella, e soltanto leggiadra
+per la sua freschezza. Eravi Arrunzia, moglie del questore
+Vinicio Oveo. Sedeva a lei da presso Charmis, il famigerato
+medico di Massilia dei Focesi, il quale le parlava in greco,
+non dovendo un distinto della sua professione parlare altra
+<span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span>
+lingua, quantunque sapesse che la sua interlocutrice fosse
+romana ed ignara. Stranezza della moda, la quale costringeva
+ad aver fede in uomini ed in cose — costosi ambedue — e per
+sopra ciò inintelligibili! Nè vi mancava una delle migliori
+amiche di Aquilia, la innocente, la buona Lollia Valeria, un
+flore profumato dalla virtù. Non era bella, ma aggradevole.
+La bocca grande, le labbra grosse. I denti regolari, bianchissimi.
+Lo sguardo attraente, inesprimibile a traverso la frangia
+dei suoi lunghi cigli. Avea sedici anni quando la doventò
+sposa ad Anneo Nella Ceriale, uom grave, duro e romanamente
+marito. Laonde s’ella sentiva il sole nella testa, negli
+occhi, nel cuore, egli il freddo calcolo, le ambizioni municipali
+e i momentanei capricci. — Erano corse dicerie su cotesta
+disparata unione. Gli è che un giorno la giovanetta si avvide
+che la sua grazia, l’olezzo dell’anima sua, i cantici affettuosi
+della sua mente erano accolti con svagato sorriso e non assaporati.
+La povera delusa pianse, si nascose e disperata chiedeva
+la morte. Ma una situazione nuova venne d’un tratto a
+sorreggere la idealità del primo istante delle sue nozze. Un
+pegno doloroso, gradito potea consolarla e riallacciare i legami
+che la sua dignità di donna offesa le aveva fatto rompere e
+che stimava rotti per sempre. Già Pollutia, di L. Cornelio
+Orfito, era passata col vagabondo suo cuore ad altre ebbrezze.
+Nella solitudine di una valle presso Sorrentum erale nata
+Flavilla, lo anello di unione tra lei e il divagato Ceriale. La
+emozione nuova e nervosa aveva vinto lo egoista. Lollia, augurandosi
+una trasformazione duratura per lo avvenire, consentì
+a riedere in Pompei. E mostrandosi pubblicamente lieta,
+i pettegolezzi stanchi si erano acquetati per lo alimento esaurito.
+</p>
+
+<p>
+La giovane Corista suonava per intanto l’arpa nello xysto,
+sposando la vibrazione delle corde all’armonia della voce.
+Essa cantava un inno all’Amore, nello idioma natìo; e la musica,
+e il dolce accento, e la inflessione vocale, tradendo lo
+ardore secreto dell’anima sua, innondava di delizio quel luogo,
+sino a rapire il pensiero e a deporlo incantevolmente nelle
+valli amene della Tessaglia, e nei sacri boschi di mirti e di
+aranci in Pafo. Pochi, e ad intervalli, badavano alla bella
+<span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span>
+schiava. La quale parea cantasse per proprio diletto, e lasciava
+correre agili dita sulle corde, come avrebbe fatto correre i
+piedi sur un prato verdeggiante. Più degli altri Numilla — allorchè
+nessuno la interrogava — sembrava viaggiasse cogli
+occhi nelle regioni ideali dell’armonia. Essa piacevasi di quest’arte
+che già s’insegnava come complemento di accurata
+educazione, da che Silla avevala nobilitata in Roma collo esercizio
+del canto.
+</p>
+
+<p>
+La immaginazione, prigioniera delle altrui volontà — appena
+sente chiasso e tumulto — rivoluzionaria d’istinto — riprende
+la sua indipendenza e il suo isolamento, si seppellisce
+nei propri capricci, vola sulle ali dorate di un sogno, o si raccoglie
+in un pensiero delizioso; e i suoi accenti ricordano i
+luoghi secreti e cari ove si è vissuto la vita di un affetto, ed
+aprono allo sguardo dell’anima le raggianti dimore che la lusinghiera
+speranza apparecchia dopo il sonno della materia. — La
+bellissima pompeiana era in mezzo a fantasmi tristi e graziosi
+evocati dal proprio cuore, e il suo sguardo fisso e profondo
+or volgevasi alla schiava gentile, or alla padrona del
+luogo. La quale, leggendo nel pensiero quello che le labbra
+non ancora dicevano, si curvò verso di lei, le prese amorosamente
+la mano e le disse:
+</p>
+
+<p>
+— Numilla, la sorte della misera schiava è un errore del
+fato. Hai ragione. Convien ripararlo. La delicatezza dei tuoi
+sentimenti l’ha fatta libera. — Corista, fletti il ginocchio dinanzi
+alla tua liberatrice ed amala come sempre mi amasti, o
+povera figlia di Corinto.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+La nobile giovanetta — nello udire così delicatamente
+tradotto il suo secreto pensiero — sentì più profondo il fuoco
+di quel sentimento in cui bruciano le anime martirizzate dalla
+sventura, e pianse. E più fu commossa nel sentir lacrime e
+baci bagnar le sue mani. Era la bella greca ch’erasi gittata
+alle sue ginocchia e spandeva a riprese le sue carezze or sulla
+padrona or sulla sua amica, ripetendo nelle due lingue:
+</p>
+
+<p>
+— <i>Libertas!</i> Ἐλευθερία! <i>Libertas!</i> Ἐλευθερία!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Quindi, levandosi e volgendo la testa indietro, incrociava
+le mani sul petto ansimante e diceva:
+</p>
+
+<p>
+— O Dei della mia patria! Quante felicità in un sol giorno!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span>
+</p>
+
+<p>
+Gli astanti furono più o meno scossi di quella scena a seconda
+dei loro caratteri. Charmis però più di tutti, malgrado
+le abitudini austere della sua educazione, che gl’imponevano
+le reticenze del cuore. Laonde, appressatosi alla signora del
+luogo, aggiunse alle parole degli altri — ch’erano meglio
+frasi che sentimenti:
+</p>
+
+<p>
+— Grazie per lei, per tutti, per me alla grande generosità
+del tuo nobile atto.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+In fra tanto che tali emozioni accadevano nello interno,
+eranvene e di più vive anche al di fuori. Olympio, in preda a
+quei pensieri che indìano un’anima — ed in particolar modo
+quella di un artista — era appoggiato colle spalle ad un muro
+rimpetto ed avea fra le dita una rosa, la immagine apparente
+della persona amata. Si tolse dal capo una corona contesta di
+erbe odorose e di fiori di granato, l’appese con un chiodo
+presso la porta della casa di Pacuvio e tratto uno stile, graffì
+queste parole sullo intonaco:
+</p>
+
+<p>
+— Corista. — <i>Vale, mea sava. — Fac me ames.</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Indi si allontanò. — E sentì nel suo petto quelle cose viventi,
+sublimi e sacre ai cuori che le racchiudono — e troppo
+spesso vacue, ridicole e misere alle menti profane, verso le
+quali sono trasportate dal giuoco indiscreto del fato.
+</p>
+
+<p>
+Aveva scambiato pochi passi, quando sentì dietro di sè
+un confuso rumore di voci. — Si volse e vide una luce rossastra
+sul tetto della casa pur dianzi lasciata. E l’<i>ostiarius</i>
+suonare una campana ed urlare:
+</p>
+
+<p>
+— Il fuoco! Il fuoco! Chi passa ne avverta la coorte! Sia
+prevenuto il prefetto dei vigili! È la casa di Bleso che brucia!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Olympio corse anch’egli gridando a tutta gola come un
+forsennato. — Quanti incontrava erano presi dalla stessa smania. — Ed
+ecco accorrere dal posto vicino alle Terme una
+frotta di affrancati, condotti dai loro tribuni. — Avevano nelle
+mani i <i>pubblici siphi</i>; le scale; le secchie; le spugne e gli
+stracci legati sulla estremità di lunghe aste; le accette e i
+graffi di ferro annodati sulle punte di grosse corde. Cotesta
+gente penetrò nella casa alla rinfusa con Olympio. — Lo incendio,
+sorto nella cucina, lambiva colle sue lingue di fiamma
+<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span>
+la soffitta dell’<i>œcus</i>. — Le donne e i fanciulli piangevano. — Gli
+schiavi domestici — invece di occuparsi di quel sinistro — usavano
+le scuri per abbattere gli usci che racchiudevano le
+provviste. — Olmasio — il <i>tricliniarcha</i> fedele già affrancato
+dal suo padrone per la sua virtù — armato di un nerbo di bue,
+faceva piovere una grandine di colpi sulle braccia e sulle teste
+di quei ribaldi e di altri ancora venuti di fuori per profittare
+di quel disordine ed esercitare impunemente le loro rapine.
+Le grida di dolore, le cose cadute, lo agitarsi confuso di chi
+fuggiva impicciavano potentemente i soccorsi e gl’intelligenti
+lavori comandati dai tribuni. — Ma il prefetto dei vigili, Martorio
+Primo, architetto della città, e lo edile Q. Postumio
+Proco, accorsi cogli operai, coi <i>saccarii</i> — i facchini da grano — e
+coi propri liberti, spensero ben presto il focolare dello incendio,
+senza aver bisogno di abbattere il terrazzo pensile ed
+una casuccia vicina — come altri già proponeva — a fine
+d’impedire che il flagello si distendesse più oltre nella città.
+</p>
+
+<p>
+Olympio, penetrando cogli altri nella casa minacciata,
+corse per le stanze come un limiero per togliere dal pericolo
+la fanciulla che amava. E la trova tra le braccia di Cillica — la
+figliuola del tricliniarca — ambedue impaurite e bianche,
+quasi statue di marmo. — Il riflesso della fiamma parea coronasse
+di un’aureola raggiante le loro capigliature.
+</p>
+
+<p>
+— Vieni! Salvati, Corista.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E la prese per mano. — E la condusse verso la strada. — E
+sì dolce era la scambievole loro emozione, che camminarono,
+egli senza dir altro, essa senza rendersi conto di quel che
+faceva. — Colà giunti:
+</p>
+
+<p>
+— Vedi, o amore, quello che avea graffito per te.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Al lume delle vampe essa lesse, si strinse al petto dell’amico
+del cuor suo e mormorò nella vertigine dei sentimenti
+diversi:
+</p>
+
+<p>
+— Io sono liberta... La buona padrona,... ed una giovane,
+bella come Venere pudica,.... cancellarono con atto
+generoso i destini della mia vita.
+</p>
+
+<p>
+— Oh! I Giunoni sieno ad esse propizi. E i Geni allontanino
+ogni disastro dalla casa di Bleso. — Correndo in cerca
+di te, vidi il danno non grave. Il fuoco sarà presto spento.
+<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span>
+Non così quello che mi brucia il sangue di un amore impetuoso,
+esclusivo, che ha preso possesso di tutto me stesso.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Anch’ella ardeva di quella fiamma. Ma non lasciò fuggire
+una sola gocciola della lava che bolliva nel suo cervello. — Era
+stata molto infelice. — La emozione nel sentirsi restituita
+d’un tratto la vita dell’anima e la vita del cuore, che la crudeltà
+dei parenti le aveva niegato, la soffocava. Grosse lacrime
+le sgorgavano dagli occhi e le bagnavano il viso. — E l’altro:
+</p>
+
+<p>
+— Celeste creatura! — Musa dell’arte mia! — Nati di
+uno stesso sangue, l’altrui pietà fece eguali le nostre condizioni. — Come
+te io sentiva il vuoto nei luoghi profondi. Come
+te or li sento colmati da un sentimento che nega il patto allo
+spazio. — Consenti tu a chiamarmi... fratello?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+La giovanetta lo guardò fiso, gli fe’ cerchio colle sue
+braccia e, soffusa di subito rossore, balbettò con voce lenta e
+indistinta:
+</p>
+
+<p>
+— Sposo mio!...&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Lo amante, coll’anima innondata di gioia, prese colle
+due mani il capo, ch’essa aveva nascosto sul petto di lui, e
+lo cuoprì di un bacio di fuoco. Le vere nozze — quelle dell’anima,
+cui Dio assiste — erano compiute. Il rituale della
+legge al domani.
+</p>
+
+<p>
+Olympio e Corista si separarono.
+</p>
+
+<p>
+La signora della casa e le persone ch’erano venute la sera
+per visitarla, accompagnarono questa presso una famiglia
+amica. Lungo la via, lamentando lo accaduto ed offrendo consolazioni,
+ognuno stringeva sotto la tunica un arnese di argento
+o di avorio, atto ad allontanare il fascino ed a distruggerlo.
+</p>
+
+<p>
+Intanto Pacuvio, oltre i pensieri che lo tenevano inquieto,
+e gli ordini che dava ai suoi servi per lo sgombero delle
+suppellettili dalle camere minacciate, aveva il sopracapo di
+vedersi attorniato dai proprietari delle case vicine, i quali
+erano corsi a computarne il prezzo con lui nel caso che le
+fossero incendiate. E due vecchi liberti, arricchiti dalle usure — Cancer
+e Toctucio — ne addoppiavano lo esagerato valore,
+per poi trarne il loro pro, comperando di proprio, o dividendo
+coi padroni il grande lucro che avevan saputo ritrarne, mercè
+<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span>
+loro, dall’altrui sventura. — Cotesta iniqua speculazione era
+stata inventata di corto da Crasso, il censore, lo amico di
+Bruto e di Cicerone, che pur dicevasi amico alla libertà e alle
+antiche instituzioni della gloriosa Repubblica Romana.
+</p>
+
+<p>
+Erasi fatta l’ora del <i>conticinium</i>. Laonde, ai tanti rumori
+confusi e a quel grido disordinato che aveva empito
+l’aere sino a quel punto, avrebbe dovuto succedere un po’ di
+silenzio. Ma in una città meridionale lo strepito notturno affievolisce;
+si tace in qualche strada; pure onninamente non
+cessa. — In una storta viuzza, le cui case avevano sull’uscio
+lanterne di terra cotta di forme bizzarre, erano donne assise,
+o sghignazzanti in piedi e bisticciandosi a proposito di nulla,
+poco vestite da un leggero velo di Coa, e qualcuna anche sdegnosa
+di quello incomodo velo. — Erano le sentinelle avanzate
+della Venere Pompeiana. — Continuando più in giù, traversata
+la strada della fontana, il cui bacino è arrotondato, presso
+una <i>cauponula</i> — locanda di poca importanza — era un soldato
+allor allor arrivato dall’Urbe, il quale cercava di metter
+pace fra tre male femmine che coi capelli discinti, e gli occhi
+sbarrati, e le voci alte e roche se lo disputavano a vicenda
+con graffi e villane ingiurie. — Vibio Restituto, che aveva fatto
+lungo cammino e intendeva riposarsi e — dalla iscrizione lasciata
+sulla parete della camera dove dormì, — pareva preso
+di fedeltà per la urbana sua, perduta la pazienza, disse a
+Clodio — commilite e compagno di viaggio che erasi tratto in
+disparte — una breve parola. Lo effetto fu prodigioso. Una
+secchia d’acqua versata su quelle furie le rese chete d’un
+tratto e lontane.
+</p>
+
+<p>
+Nelle vie vicine erano ubbriachi che misuravano il selciato
+coi loro piedi vacillanti, e si appoggiavano sur un bastone resinoso
+già spento, o colle mani aperte, sui muri. — Uno diceva:
+</p>
+
+<p>
+— <i>Ego monere te possum, Miccio. Corrigere non possum.</i> — Quante
+volte dissi allo stomaco: — Per Ercole! Finirai
+per bruciarmelo il povero cervello!... E come ho a reggere
+io che sono <i>tractator</i> nelle Terme al calore del <i>sudatorium</i>,
+massando e frizionando i bagnanti? Ahimè di me!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— Ohe! Miccio. — E di che gracidi? Veramente non è
+cotesta la tua strada... <i>Nemo flammis ustus amare potest.</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span>
+</p>
+
+<p>
+Un altro, urtando in una di quelle pietre ovali — ponti
+di passaggio nei grandi rovesci di pioggia — diè una capata
+solenne sul sasso. — Alcuni mossero ad aiutarlo; chè il vino
+fa caritatevole e pietoso il cuore. — Ma più si provavano a
+rialzar quel tapino, grondante sangue dalla fronte rotta e dal
+naso pesto, e più il ricacciavano per le terre, cadendovi tutti
+insieme.
+</p>
+
+<p>
+— Ah! <i>Venus scratia!</i> Credeva di aver afferrato il tuo
+crine biondo... Ed urtai nel martello della porta del tempio. — Indietro,
+o beoni... Lasciatemi tranquillo con lei.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Non lungi di quella strada cessava il frastuono delle voci
+lamentevoli ed irose. Due, sommessi parlavano. — Una vecchia
+ed un giovane.
+</p>
+
+<p>
+— Di’, sei tu quello che ha graffito sul muro il monito
+della Iddia pompeiana?
+</p>
+
+<p>
+— Fui.
+</p>
+
+<p>
+— <i>Odisti tu nigras puellas?</i>
+</p>
+
+<p>
+— Mai no. Io le amerò sempre.
+</p>
+
+<p>
+— Tiche ebbe pietà dei tuoi ardori. — Va sotto il <i>solarium</i>. — Chiama
+a nome la mia padrona ed essa ti scenderà con un
+filo la chiave dell’uscio. — Gli Dei ti sieno propizi!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Il giovane accorse desioso. — Guardò in alto sul terrazzo
+sporgente. Un lume pallido e poi più acceso illuminò i vetri. — Egli
+mormorò il nome della donna bruna e salace che da
+parecchi giorni seguiva per tutto. — La finestra si aprì. — La
+chiave discese. Aiutandosi col dito, trovò la toppa. — Diè due
+giri e una spinta...
+</p>
+
+<p>
+Un molosso senza abbaiare lo addenta e, agitando la testa,
+gli straccia la tunica, l’afferra e la straccia ancora e lo
+tiene. Un vecchio aizza il cane colla voce e con un bastone
+trebbia il mal capitato. Il quale grida, e prega e fa sforzi
+violenti per fuggire. Ma il cane lo azzanna per un piede. — Il
+marito geloso picchia come sopra un sacco di lana. — E Tiche
+di sopra sorride. Perciocchè, egli avesse graffito sul muro le
+seguenti parole:
+</p>
+
+<div class="poem"><div class="stanza">
+<p class="i01"><i>Candida me docuit nigras odisse puellas.</i></p>
+<p class="i01"><i>Oderis, sed iteras. Ego non invitus amabo.</i></p>
+<p class="i01"><i>Scripsit Venus physica pompeiana.</i></p>
+</div></div>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span>
+</p>
+
+<p>
+Quando quei crudeli lo abbandonarono, lo scalzo di un
+piede e zoppicante, corse verso la crocevia dalla fontana colla
+testa di Giunone. Più in giù, alcuni ch’erano fermi dinanzi
+una casa dell’angolo, udendolo lamentarsi, gliene chiesero la
+cagione. — Il misero giovane — che aveva nome Virgula ed
+era padrone del <i>mycopolium</i>, nella via di Mercurio, ove vendeva
+gli aromi in uso pei sacrifici e pei funerali — stava per
+rispondere forse una menzogna, quando vide escire dal prossimo
+usciolino alcune donne curiose dei fatti suoi, imbellettate,
+vestite di toga maschile ed aventi sul capo tosato una <i>picta
+mitra</i>. — Ebbe orrore del luogo e della compagnia che il duro
+fato gli avea procacciato. Quantunque fosse pesto e ferito in
+più parti della persona, rifiutò le offerte d’idromele e di vino
+caldo da Svezzio, — quegli che aveva restituito lo albergo
+dello Elefante. — E partì, appoggiandosi al braccio di Phœbo,
+unguentario di sua conoscenza e cliente assiduo di quei luoghi,
+il quale lo avrebbe accompagnato a casa, non lungi dalla
+propria.
+</p>
+
+<p>
+L’ora del <i>concubitum</i> — che i nostri padri chiamavano anche
+<i>intempestum</i>, per indicare che il sonno fa intempestiva
+ogni occupazione — era l’ora di veglia involontaria per alcuni
+uomini destinati a fabbricare il pane ed a cuocerlo per la comodità
+dei cittadini. Cotesti infelici obbligati al lavoro durante
+la notte, non avevano intero il giorno feriale mai. Abbrutiti
+dallo eccesso del loro còmpito, e dalla miseria; — coperti di
+cenci e lividi di frustate; — colle pupille sanguigne dalla veglia
+e dal fumo del forno; — piccoli, magri e rasi nel capo perchè
+i capelli non cadessero nelle impastate farine; — pallidi e fatti
+anche più pallidi dalla farina di cui erano coperti, parevano
+meglio spettri che uomini vivi. — E siccome per lo più erano
+schiavi fuggitivi — e ne avevano il marchio di fuoco sulla
+fronte — il padrone gli facea lavorare coi piedi chiusi da anelli
+di ferro riuniti da breve catena.
+</p>
+
+<p>
+Nelle <i>pistrinæ</i> — così chiamate perchè sino all’anno 580
+di Roma ogni famiglia pestava il grano nei mortai in casa, e
+le donne fabbricavano il pane — v’erano le <i>molæ jumentariæ</i>
+e le <i>molæ manuariæ</i> — cioè — molini girati dalle bestie
+o dagli uomini. Nell’isola di Sardegna sono in uso anche oggidì
+<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span>
+come ai tempi di cui queste carte. — Nel centro di un
+atrio tetrastile, a giusta distanza, erano grosse pietre cilindriche,
+simili a coni tronchi, riunite nella parte più stretta. — Le
+pietre, porose e di colore grigio-nerastro, riposavano su
+una breve base circolare. — La parte del cono fissa addimandavasi
+<i>meta molendaria</i> ed era congiunta alla base. La parte
+mobile del cono superiore, detta <i>catillus</i>, aveva un’armatura
+di legno fissa presso lo addentellato libero nella pietra; ed
+era congegnata in modo, da sostenere il catillo e da farlo girare,
+dando al grano il passaggio graduato per macinarlo, e
+far cadere la farina nel bacino circolare. La quale era divisa
+nelle sue qualità da stacci di crine di cavallo di varia finezza. — In
+una camera erano tavole orlate di pietra, ove si amalgamava
+la pasta col lievito salato, che aveva il peso di ettogrammi
+2.17 per ogni <i>modius</i> di farina.
+</p>
+
+<p>
+A diritta delle macine trovavasi il forno. Sotto, il cinerario. — A
+lato, un’anfora spezzata, contenente il buono da
+impolverare la pala, perchè infornando, il pane non vi si
+attaccasse. — Sopra l’arco della bocca, fatto di mattoni, solevasene
+porre uno come chiave, rappresentante un <i>phallus</i>;
+e spesso vi ponevano la iscrizione, <i>Hic habitat felicitas</i>. — Presso
+una parete laterale dell’atrio aprivasi un pozzo. — E
+siccome l’uomo fu, è, e sarà sempre un ente pieno di stupidezze,
+di pregiudizi e di strane paure, consigliato dagli interessati
+sacerdoti, il panettiere riconobbe nella deessa <i>Fornax</i>
+la patrona del suo mestiere. E le fece un altarino sul muro e
+le offerì pane di fior fiore, acquatico, partico e picentino col
+mezzo dei suoi ministri impostori e scrocconi, i quali lo mangiavamo
+per lei.
+</p>
+
+<p>
+Quei miseri operai, cospersi di sudore, noiati dalle mosche,
+resi quasi ciechi dal fumo, estenuati dalla fatica, emunti
+dai sacerdoti, erano di notte assediati dal rifiuto dei trivi che
+lor vendeva lo amore per un pugno di grano. — Gli è perciò
+che quelle donne erano distinte col nome dispregevole
+di <i>alicariæ</i>. — Eppure! Quanti miseri schiavi saranno stati
+debitori a quelle derelitte creature di un obblìo ben fuggevole!
+Il quale, spegnendo per poco il tarlo della disperazione,
+dava loro la forza di traversare gli spazi immensi
+<span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span>
+sulle ali che il solo amore — o ciò che a lui più somiglia — sa
+aggiungere!
+</p>
+
+<p>
+Molte strade eransi fatte deserte. Non tutte. — Tratto
+tratto udivasi sul selciato il rumore dei sandali col tallone
+ferrato di qualcuno che passava. — Erano i <i>popes</i>, i sacrificatori
+vittimari, — altra emanazione del sacerdozio — i quali
+andavano di celato a vendere ai tavernai la parte dei buoi
+e dei montoni, offerti dai credenti agli altari dei Numi,
+ch’erano di troppo pel triclinio del tempio. — Onde quei luoghi
+si chiamavano <i>popinæ</i> ed erano le botteghe di ristoro dei
+villici e degli artigiani ordinari durante il giorno; e dei gladiatori,
+dei soldati e degli schiavi lungo la notte. — Oltre le
+carni cotte vi si vendevano lupini ravvivati nell’acqua salata;
+fave con cipolle e lardo; ceci fritti; cavoli crudi a fette, conditi
+coll’aceto; polenta; salcicce con aglio. — Tutte cose masticabili
+con pane di farina d’orzo e di frumento detto <i>panis
+plebeius</i>. Un pranzo od una cena costava due assi — dodici
+centesimi della nostra moneta. — Gli alimenti cuocevan sempre
+ed in pubblico. — I banchi che sostenevano i fornelli — sui
+quali erano incastrate tre pignatte di terra — vedonsi anche
+oggi rivestiti di marmi di varia specie e colore. Sulla loro
+estremità è un piccolo gradino che serviva ad esporre i commestibili
+e a tenervi i vasi e le coppe. Una tavola di pietra,
+sulla quale si spezzavano o si dividevano le porzioni, aveva i
+pesi ed una bilancia. Il padrone del luogo era spesso un
+<i>lanista</i> invecchiato o imbozzito, e perciò non più adatto ai
+giuochi gladiatorii. Laonde selvaggio, brutale, vestito di un
+<i>subligaculum</i> — mutande di tela — o di una tunica lacera e
+sporca. Una donna — detta <i>focaria</i> — facea la cucina. Ed
+un’altra serviva gli ospiti, sovente ladri, assassini, beccamorti
+e schiavi fuggiti dai loro padroni.
+</p>
+
+<p>
+Quella che forma l’angolo sulla via e sul vicolo di Mercurio
+era la più frequentata, perchè essendo presso il Foro e
+la dimora dei ricchi, chiamava a sè facilmente i servi che li
+trasportavano in lettiga e li accompagnavano con lanterne alle
+loro orgie e li andavano a riprendere all’alba ubriachi. Nel
+fondo della taverna sono due porte che danno accesso alle
+stanze di ristoro. Grossolane pitture bruttano le pareti. Alcune
+<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span>
+presentano oscenità. Un quadro accenna a due uomini che
+traggono il vino da un grande otre di pelle che è sopra un
+carro a quattro ruote, da cui sono stati sciolti i due muli.
+Uno mesce a un soldato; e sotto è graffita la iscrizione seguente:
+<i>Da fridam pusillum</i> — cioè — dammi un po’ d’acqua
+fredda. — Altri giuocano ai dadi e cioncano. — Altri ancora
+mangiano presso un desco con due sciupate, il capo coperto
+dal <i>cucullus</i>, cappuccio soprapposto alla loro mitra. Festoni
+di salcicce e di frutti sono sospesi al soffitto di quel dipinto
+triclinio.
+</p>
+
+<p>
+Tali le decorazioni del luogo. Tale la immonda brigata. — Un
+beccaio provavasi a rilevare un sacerdote di Cibele caduto
+sopra i suoi cembali produttivi. — Per poco in piedi. Poi
+per le terre ambedue. — Un gladiatore mostra le nervose
+sue membra e brinda a Bacco che il rese forte e invincibile
+nei ludi; e promette, nei prossimi, di ferire Tigris, il numida,
+e mozzargli il capo, quantunque sia un buon compagno
+e l’arteria del suo cuore. — La serva del luogo depone
+un <i>crater</i> sulla tavola e col <i>cyathus</i> misura il vino
+che mesce nei <i>majores calices</i>. — Il feroce l’afferra per la
+vita, e con un ruggito gioviale la bacia sulla gota. La vipera
+si volge e gli dà un potente ceffone che fece ridere gli avvinazzati.
+</p>
+
+<p>
+— Brava, Saïs. — Giù, un altro! — Tu puoi sbarbarmi,
+strapparmi i capelli e mi piacerà per lo amore dei tuoi begli
+occhi. — Tò; un altro bacio!
+</p>
+
+<p>
+— E a te un’altra labbrata, Scilex.
+</p>
+
+<p>
+— Ah! così?... Ebbene! All’ammenda! Ti coricherai
+bruco e ti leverai crisalide. — Miracolo di Marte!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E il membruto la tolse di peso, quantunque la si dimenasse,
+e la portò in un’altra stanza. — Nessuno badò alle sue
+grida. — Sopraggiungono due donne. — Una suona una specie
+di flauto a due canne, detto <i>sarranae</i>. — L’altra accompagna
+colle naccare i passi di una danza lasciva. La truppa servile
+si leva, e salta e canta una turpe canzone. Il prete di Cibele — pestato
+in un piede — si alza sonnacchioso, raccatta i cembali,
+si contorce e sgambetta cogli altri. Al rumore, tre che
+passavano per la via, entrano. Sono Tigris, Cappadox e Syro,
+<span class="pagenum" id="Page_198">[198]</span>
+accoltellanti. — Escono dalla stanza Saïs e Scilex. — La femmina
+offesa giammai perdona. — Ond’essa, a vendetta, rivela
+allo amante numida le millanterie del compagno. Un subito
+rossore infiamma la fronte dello insultato. Era un gigante,
+bruno di carnagione e dagli occhi di iena. Si morse il labbro
+inferiore, e col pugno teso:
+</p>
+
+<p>
+— Cane rognoso! Mi rubi lo amore e vuoi anche la vita?
+O Romano, prendi or cotesto dal figliuol del deserto!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Il pugno distesogli sul petto fece traballare il gladiatore
+avvinato. Dalla parete che lo avea sostenuto, si cacciò innanzi
+a capo ricurvo. — Ma tutti gli furono addosso e il ritennero.
+</p>
+
+<p>
+— Ha insultato un libero cittadino. — Lasciatemi. — Gli
+anni pesano al barbaro. — Lo manderò a Caronte, senza l’asse
+pel suo tragitto.
+</p>
+
+<p>
+— Qui, di piè fermo. — E non vedete che la riflessione
+il consiglia a morir di vecchiaia?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Tulnes — il padrone della tavernaccia — scorgendo che
+la cosa prendeva il mal verso, avvertì che i galli già salutavano
+i primi albori. — Riscosse il prezzo del ristoro da ognuno,
+salvo dal sacerdote che russava, poi che il fecero smettere
+dal ballo, sotto la tavola. E mise tutti fuor dell’uscio. — Chi
+per una via. Chi per un’altra. — I <i>lecticarii</i> s’incamminarono
+a coppie verso le dimore, dove la sera avevano trasportato i
+padroni.
+</p>
+
+<p>
+Le ore notturne di questi somigliavano a capello a quelle
+dei loro schiavi. Avevano crapulato — e oscenamente cantato — e
+portato sulle spalle le loro amanti — e cioncato con esse — e
+caduti erano privi di forza, in poco decenti posture, sui
+cuscini dei triclini. — Era un’onta della natura umana il vedere
+come una grande prosperità avesse degradato quel gentil
+seme latino e trascinatolo allo studio raffinato delle male
+e vergognose opere!
+</p>
+
+<p>
+Nell’<i>aphrodisium</i> di C. Sallustio non udivasi che il monotono
+russare dei nove briachi di vino e di vizi. — Lo schiavo
+incaricato di vegliarli, tirò le cortine del triclinio e vi fe’ penetrare
+i chiarori dell’alba. — Alcune lampade sui loro alti
+candelabri erano spente o fumigavano. — Altre ancor mandavano
+<span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span>
+una fioca luce. Il pavimento di marmo e di mosaico era
+sparso di veli cincignati, di corone di rose, di rottami di
+cristallo e di anfore e di larghe macchie di cecubo. La <i>comissatio</i>
+era stata copiosa.
+</p>
+
+<p>
+Herma spinse col labbro inferiore il soprano in atto di
+chi dispregia. — Crollò il capo e poi disse:
+</p>
+
+<p>
+— Oh!.... Ecco i padroni del mondo.... Povera patria
+mia!.... <i>Dî vos eradicent!</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<div class="chapter">
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span>
+</p>
+
+<h2 id="cap9">VENVS PHYSICA.
+<span class="smaller">SCENE DEL CUORE.</span></h2>
+
+<p class="center">
+<b>Anni di Roma 826 — Anni del Cristo 73.</b>
+</p>
+
+<p class="center pad2">
+A ME.
+</p>
+
+<p class="center">
+IX.
+</p>
+</div>
+
+<div class="chapter">
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span>
+</p>
+</div>
+
+<p>
+Sulla via Domizia, in faccia alla dimora del <i>chirurgus</i>
+Hemos, reputato per le sue operazioni conservatrici, sedeva
+una casa fabbricata sulle antiche mura della città, le quali per
+decreto dei decurioni erano state concedute ai mercatanti greci
+e di altre nazioni per rizzarvi fondachi a terrazzo in faccia al
+grande canale del Sarno, e su di essi le dimore per le loro famiglie. — Il
+popolo del vecchio Latium, ed in progresso i popoli
+che, confederati o domati, combatterono e conquistarono
+per lui, consumavano, non producevano. Il bronzo, l’argento
+e l’oro carpiti ai vinti, mercè il formidabile pilo, servivano
+al ricambio dell’avorio, dell’ambra, delle tazze di vetro, della
+porpora, delle pietre incise, delle perle, delle vesti di lana
+finissima e di seta, delle belle schiave, dei vaghi e procaccevoli
+cinedi, dei piaceri offerti dai cuochi, dai mimi, dai gladiatori,
+dai citaristi e dei conforti prestati dagli astrologi, dai
+sacerdoti e da altri consimili ciurmatori. Il Quirite si fece aggressore
+per non essere conquistato. Educato ed educante
+alla forza del corpo ed alla vigoria dell’animo, dichiarò sino
+dai primi tempi il lavoro essere faccenda da prigionieri e da
+schiavi; e sola, unica professione degna dell’uomo libero macinare
+il grano e maciullare gli uomini. Fido alla origine,
+elevò templi a Giove ladro — <i>Jovi prædatori</i>. — In Etruria
+fecero spade e lance cogli assi di bronzo, fecero calce colle
+statue di marmo. In Capua, in Cuma, in Poseidonia arsero
+gli artistici monumenti. In Tarentum, in Syracosion, in Corinthum
+quei ruvidi soldati giuocavano ai dadi sui dipinti dei
+grandi maestri. E quando i signori dell’Urbe cominciarono a
+riflettere che le statue e le opere di pennello della Magna-Grecia
+<span class="pagenum" id="Page_204">[204]</span>
+valevano ben qualche cosa, Lucio Mummio, uno dei
+loro tribuni di militi, disse al nauta incaricato di trasportare
+per mare quei capi d’opera a Roma.
+</p>
+
+<p>
+— Bada. Se tu gli affondi, e tu gli rimpiazzi.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+I Romani di quei tempi avevano per calendario un chiodo
+che martellavano ogni anno con pompa religiosa sul muro del
+tempio di Giove nei primordi del settembre. Il giorno avea
+tre periodi. Una libra di bronzo fusa in una forma grossolana
+bastava ai bisogni della loro civiltà. La industria era affidata
+agli schiavi, e persino i poeti escivano da quella classe disprezzata
+e reietta. — Tetragoni sui campi di battaglia, sentivano
+un orrore istintivo pel mare e l’arsione delle navi era la
+prima condizione di pace coi vinti. Anche Ottaviano-Augusto,
+quantunque avesse vinto in Actium, confessava di avere uno
+spavento invincibile dell’acqua. Un editto contemporaneo alle
+prime lotte colla rivale Cartagine diceva quel popolo di mercatanti
+pria vinti e poi schiavi. I Romani non si sarebbero mai
+abbassati al mestiere dei vili e dei menzogneri.
+</p>
+
+<p>
+Or il commercio così disonorato dai vincitori e le inutilità
+dei forti cuori divenute primo bisogno della vita civile, trassero
+la navi cariche dalle sponde lontane, e su di esse i trafficanti
+e gli artisti. I quali, ricomprata coi risparmi e colle
+usure la propria libertà, e arricchitisi ben presto, dall’Urbe si
+sparsero, dovunque le opportunità ed i facili guadagni gli richiamassero.
+Ne vennero anche presso la nostra gente in Pompei,
+dove i Sanniti e i Romani, per uno spirito di ripugnanza
+alle idee d’ordine e di pacifiche imprese, fattisi i pensionari
+del mondo, mai supponevano che l’oro sì facile a spendersi
+finirebbe per non più riprodursi.
+</p>
+
+<p>
+La casa sulla via Domizia era spaziosa e dall’alto si godeva
+lo aspetto di un magnifico orizzonte — il largo canale
+colle circolanti triremi — e sulla pianura, lungo la bella costiera,
+Oplonti, Retina, Herculanum, Tegianum, Taurania,
+Cosa — e sul mare Capreas, la <i>sellaria</i> gigantesca destinata
+da Tiberio alle proprie turpitudini; Prochyta, detta da Giovenale
+la porta di Baiæ; Pitecusa, cui soprasta l’Epomeo, monte
+di forma bizzarra, tremulo ed ignivomo un tempo, in voce
+di schiacciare col suo peso il titano Tifeo.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_205">[205]</span>
+</p>
+
+<p>
+L’atrio, coperto da una larga tettoia rettangola, circondava
+il <i>compluvium</i>, a lato del quale era un <i>puteal</i>, scannellato,
+di pietra calcarea. Le pareti allo intorno si abbellivano
+di pitture — una cicogna passeggiante tra le ninfee di uno
+stagno — una nave di cui i nauti ammainavano le vele — un
+prato con lepri saltellanti — un poeta che legge versi ad una
+fanciulla, con un <i>locumentum</i> ai piedi, ove erano chiusi i
+papiri. — Cotesti dipinti erano separati da quadrucci di maniera,
+grotteschi, di caricatura, detti <i>grylli</i>, eseguiti da Peireico,
+messi in uso quasi generale da lui, e gli erano pagati
+più cari che non le opere dei migliori artisti.
+</p>
+
+<p>
+Il pavimento era in <i>opus signinum</i>, incrostato di piccoli
+cubi neri che tratto tratto, senza simetria rinserravano pezzi
+di marmo di tutte forme e colori. Sur un angolo a sinistra
+posava inchiodata da un pernio una cassa di legno, foderata
+di rame, cerchiata di ferro, guarnita di due serrature e di
+numerosi ornamenti di bronzo. Nel fondo aprivasi un <i>tablinum</i>
+dal bianco musaico, dalle ricche pitture e dai due lettucci
+laterali di cedro di Mauritania, coperti da cuscini di
+piume. Gl’Italo-greci pingevano sulle pareti coi colori cementati
+coll’olio e colla cera punica per difendere le tinte delicate
+dall’azione dell’aria e della umidità. Lo encausto si usava di
+tre modi — al cestro sull’avorio — colla cera colorita — colla
+cera liquefatta al fuoco. — Quest’ultima maniera faceva il
+dipinto più durevole. I freschi meglio pregiati si pingevano
+sur un intonaco chiuso entro una cornice di legno che fissavasi
+sulla parete e poteva ritogliervisi quando si voleva. I
+Pompeiani a cagione dei frequenti tremuoti solevano prendere
+siffatta precauzione. Collocavano altrove le predilette loro
+dipinture e al cessare del disastro le ricollocavano al posto.
+Quivi erano — Meleagro, figliuolo del re dei Caledonii, che si
+accinge a dar la caccia al cinghiale; ed Atalanta, vergine
+bella e fortissima, della cui gagliardia l’altro s’innamorò, — e
+le nozze di Zefiro che scende voluttuoso e si appressa alla
+vaghissima ed addormentata Clori, il simbolo di tutta la vegetazione. — Dalla
+parte dell’atrio una spessa stoffa di Tyro
+divisa in due <i>cortinæ</i> ne chiudeva lo aspetto. Sul lato opposto
+le innalzate tende davano accesso ad uno xysto quadrato con
+<span class="pagenum" id="Page_206">[206]</span>
+ambulatorio allo intorno, posante sur un cripto-portico, rischiarato
+al di sotto da quattro spiragli a cono che sollevavansi
+sull’arca tra i pelargoni e le rose di Præneste. I giardini
+di tal fatta erano chiamati <i>horti pensiles</i>.
+</p>
+
+<p>
+Cotesta casa, rispondente nelle sue varie partizioni a tutti
+i comodi di un’agiata famiglia, apparteneva a Demophilo, di
+Rhodum, che da dodici anni aveva fissato la sua stanza in
+Pompei. Numerosi erano i suoi schiavi e spesso approdavano
+nel porto le sue navi cariche di merci. Traeva dall’Africa le
+lane e i profumi; dalla Spagna, la cera, il mele, i metalli;
+dalla Gallia, gli olii ed i vini; dalla Grecia, gli oggetti di arte
+e di gusto; dalle rive del Ponto i cuoi e le pelli; dalla Sardegna
+e dalla Sicilia, i grani. E tutte queste cose spediva nelle
+città interne per suffragare alle abitudini dei ricchi, alle ricerche
+degli effeminati, alle distribuzioni pubbliche dei magistrati
+e del governo centrale del mondo, obbligato a soccorrere le
+miriadi dei venturieri, dei vagabondi e delle popolazioni
+infingarde, abbrutite dal dispotismo, affamate di viveri ed assetate
+di profumi e di spettacoli. E quantunque Sallustio avesse
+detto che i Romani <i>pecuniam omnibus modis vexant</i>, cioè, che
+tormentavano l’oro di ogni maniera; e Cicerone nel suo libro
+dei Doveri; <i>Ne quidquam ingenuum potest habere officina?
+Mercatura, si tenuis est, sordida putanda est; sin autem magna
+et copiosa, multa undique apportans, non est admodum
+vituperanda. Nihil enim proficiunt mercatores, nisi admodum
+mentiantur.</i> — cioè: — Che può uscir di onesto da una bottega?
+Il commercio è sordida cosa se tenue; è un mestiere
+tutto al più tollerabile se coltivato in grande, e per approvigionare
+il paese. I mercatori non profittano senza molto mentire. — Pure
+il nostro rodiano verecondo, caritatevole ed onesto,
+coi suoi modi franchi e leali aveva inspirato la devozione
+nei clienti e negl’infimi, la stima negli eguali, ed ogni maniera
+di onoranza nelle genti d’imperio e nei ricchi del paese.
+</p>
+
+<p>
+E tutto questo Demophilo sapea meritare. Nato in un’isola,
+il suo istinto viaggiatore e avventuroso lo aveva sospinto a
+slanciarsi nello spazio schiuso dinanzi i suoi sguardi. Apparteneva
+a quella razza ardita che scoprì e popolò i nuovi continenti;
+che disputò alle altre nazioni i marosi del mare, come
+<span class="pagenum" id="Page_207">[207]</span>
+i Romani disputavano le montagne, le pianure e le valli ai
+popoli che le coltivavano e non sapeano difenderle. Da giovanetto
+avea navigato. E la contemplazione del vasto orizzonte,
+e l’abitudine della immensità, e il perpetuo movimento delle
+onde lo avevano fatto religioso, libero, intrepido, ospitaliero,
+silenzioso come la solitudine, poetico come le notti, affabile
+come le stelle che guidano i naviganti al porto desiderato.
+</p>
+
+<p>
+Alto della persona, di lineamenti regolari e piacenti, un
+poco curvo dai pensieri e dai pericoli che aveva bravato, il
+suo portamento, il breve sorriso, lo sguardo dicevano la tenerezza
+del cuore, la fantasia inquieta della mente e le rassegnazioni
+della nobile anima sua. Trattava colla vita come in
+molti casi aveva già trattato colla morte, con una inalterabile
+dolcezza. Le gravi cure delle dovizie, i semplici doveri della
+famiglia, lo esercizio delle severe virtù, il contatto colla miseria
+che il circondava, la pratica gli avevano mangiato a
+lento morso un po’ di poesia, un po’ di corriva bontà, un po’ di
+grazia. Ma quello ch’era rimasto non erasi fatto lo egoismo
+che spesso va a nozze colla superbia. Era meglio un sentimento
+melanconico, che talvolta la gaiezza di un fanciullo
+derugava e la fede sanava.
+</p>
+
+<p>
+Passeggiando sotto il portico dello impluvio, chiuso nei
+suoi pensieri, un uomo entra, stende la destra sulle labbra,
+<i>a facie</i> — ciò che die’ origine al verbo <i>adorare</i> — e dice:
+</p>
+
+<p>
+— <i>Ave.</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Demophilo pone la mano sul cuore e poi offerendola al
+sopravenuto, risponde:
+</p>
+
+<p>
+— Anche tu abbi il giorno lieto, C. Helvio Babinio. Quale
+novella a me ti mena? Hai mercati a propormi?
+</p>
+
+<p>
+— No, amico. — Una cessione piuttosto. — Melissæa,
+quando tu qui prendesti fissa dimora, aveva sette anni. Alle
+none di aprile ne contò diecinove. I nostri Digesti indicano
+la età acconcia al matrimonio allo uscire dalla infanzia — XIV
+anni pei giovani — XII anni per le donzelle. — So che
+tu l’ami come la pupilla degli occhi tuoi. So che a lei duole
+staccarsi dalle tue braccia, escire dalla casa paterna. Finora,
+cotesta la cagione dei rifiuti. — Avranno a durar sempre?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Demophilo sentì la idea sicura e rapida prendergli il
+<span class="pagenum" id="Page_208">[208]</span>
+cuore. Pur dominandosi, forzò lo increscioso spettro a rientrare
+nell’ombra, ed aggiunse con ansia affannosa:
+</p>
+
+<p>
+— Non io. La mia figliuola deciderà.... Quale il nome di
+colui che aspira a coteste nozze?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— Cneo Vibio, lo edile... — Oh! non temere. I tuoi abiatici
+non gli vedrai <i>ambigena animalia</i>. Nè saran detti <i>musimones,
+umbri, canes ex venatico et gregario</i>, quasi fossero
+bastardi, o figliuoli di un cavallo e di un’asina, o nati di un
+cane da caccia e di una cagna di pecoraio. — No. — Quel
+magistrato ne ha scritto allo Imperatore, e gli è giunto il permesso
+speciale <i>ne turpis maritus vixisset cum coniuge barbara</i>.
+E a te procacciava il decreto che ti accorda il diritto di cittadino
+romano.
+</p>
+
+<p>
+— Un dono con una mano! Un rapimento coll’altra!
+Sia! — Melissæa, o Babinio, è una di quelle creature che
+di umano hanno solo lo inviluppo, ancor tutto pieno di celesti
+profumi, tutto raggiante di lume divino. È il mio consiglio,
+il mio tesoro... la vita....&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E qui premette colla mano il petto quasi frenasse i moti
+dentro. E seguiva:
+</p>
+
+<p>
+— Le grazie coronarono la sua ragione. Ama le arti, i
+lavori donneschi ed i giuochi del pensiero. Se Vibio è accettato — ed
+io ciò terrei a grande onore — di gran cuore <i>despondebo
+filiam meam</i>. La interrogherò per sapere se il suo
+cuor parli a favore di lui.
+</p>
+
+<p>
+— Oh! Non dubitarne. Io credo che le mela e i fiori di
+granato — messaggeri della bella e gioconda iddia — abbiano
+dato giuliva risposta a qualche vaso di Nola.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+O Babinio indovinava, o il sapeva. Vibio aveva notato la
+gentile persona nella necropoli, nei teatri, nei templi. A poco
+a poco erasene perdutamente invaghito. E tanto più che la
+nudrice di lei un giorno gli disse i rari pregi che più e più
+l’abbellivano. E saputo da essa come la fosse nata alle none
+del quarto mese — ch’ebbe nome da <i>aperire</i>, avvegnachè allora
+la terra apra il seme alla generazione — le aveva mandato
+un vaso fittile dipinto degno dell’artefice e del donatore. — Un
+genio alato, avente sul capo una corona di fiori,
+versa una libazione sulla fiamma che brucia sur un piccolo
+<span class="pagenum" id="Page_209">[209]</span>
+altare. Sotto era un’ape, e accanto si leggeva graffito
+καλή.
+</p>
+
+<p>
+La destinazione era chiaramente espressa dalla libazione
+che indicava il dì natalizio e dagli aggettivi di <i>bella</i> e di <i>soave</i>
+dati alla pecchia che in greco diceasi <i>melissa</i>. Essa aveva risposto
+con mandare una corona di modeste viole avvizzite e
+portata da lei nella vigilia — mele morsicate, perchè in ogni
+tempo e presso tutti i popoli il pomo fu accetto messaggero
+di amore — e <i>rosæ vexatæ</i>, ch’erano il vero incanto dello
+amor ricambiato. Marziale in un distico diretto al calore del
+cuor suo, si esprime così:
+</p>
+
+<div class="poem"><div class="stanza">
+<p class="i01"><i>Intactas quare mittis mihi, Polla, coronas?</i></p>
+<p class="i01"><i>A te vexatas malo tenere rosas.</i></p>
+</div></div>
+
+<p>
+«Perchè mandarmi, o Polla, fresche corone? Preferisco
+le rose appassite sul corpo tuo.»
+</p>
+
+<p>
+— Se così, meglio — χαίρε — Vado a far scaricare una grossa
+nave caudicaria in cui ho vino, lardo, fave, schiavi ed acque
+distillate dell’Asia. Gli affari sono il lievito del mio peculio.
+</p>
+
+<p>
+— <i>Quidquid tu tangis crescit tanquam favus.</i> Nettuno ti
+affidò il suo tridente, e tu comandi ad Eolo di soffiare a tuo
+senno sulle vele delle tue triremi.
+</p>
+
+<p>
+— Credi a me. <i>Assem habeas, asse valeas.</i> Ne hai? Ne
+avrai. — Giammai però io vidi effigiata sul conio della moneta
+d’oro la faccia sorridente della gioia intima e di una vita
+senza rimorsi.
+</p>
+
+<p>
+— <i>Vale.</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E si separarono.
+</p>
+
+<p>
+Intanto che coteste cose si erano pensate e dette tra i
+due interlocutori, gli edili C. Vibio e Q. Poppæo, nominati
+dal popolo a procacciargli i voti, l’annona e le feste solenni,
+erano in un vasto locale presso il porto ad assistere alla distribuzione
+dei grani fatta da una corporazione di misuratori.
+I littori, poggiando le mani sui fasci, pendevano dal cenno
+dei magistrati. Una guardia di liberti custodiva le porte dello
+edificio, facevano entrare i soli che avessero una tavoluccia
+di ligustro, chiamata <i>tessera frumenti</i>, e picchiavano gl’intrusi
+che non vi avessero diritto.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_210">[210]</span>
+</p>
+
+<p>
+Nei tempi primordiali della potenza di Roma l’ense e lo
+aratro provvidero alla sussistenza del popolo. Quando il gladio
+rimase solo nelle mani dei forti, le provincie italiche, sottomesse
+al suo impero alimentarono le braccia di quei superbi
+che ormai sentivano il dovere unico della conquista del
+mondo. E la Sardegna fu chiamata <i>nutrium plebis romanæ</i>.
+E la Sicilia <i>cellam penariam reipublicæ</i>, e <i>fidissimum Annonæ
+subsidium</i>. Ma venne un’epoca in cui le frumentarie di Roma
+che esportarono i loro grani nei più lontani paesi, dovettero
+chiedere anch’esse un alimento vergognoso al loro fertilissimo
+suolo. Il Governo ne procacciò dalla Gallia, dal Chersoneso-Taurico,
+dall’isola di Cipro, dalla Beozia, dalle Baleari, dalla
+Spagna, dall’Egitto e dall’Africa. Il Mediterraneo divenne il
+vero lago romano, facile via dai paesi frugiferi lontani. Si
+creò il Prefetto dell’Annona, magistrato importante che veniva
+subito dopo i Consoli. Era suo còmpito mantener l’abbondanza
+nell’Urbe. Pompeo ne fu investito per cinque anni;
+ebbe quindici luogotenenti scelti tra i senatori; ed al còmpito
+immenso aggiunse un potere immenso che gli permetteva disporre
+a libito del pubblico tesoro, di muovere eserciti, di
+armare navigli, e di essere nelle provincie il sopra ciò dei governatori
+medesimi. I grani si prendevano per contribuzioni
+o per compra. Si tenevano in serbo nei paesi frumentari e a
+seconda del bisogno una flotta speciale, detta <i>sacra</i>, li trasportava
+pel Tevere inferiore alle falde del monte Aventino,
+ov’era un porto che addimandavasi <i>Navalia</i>.
+</p>
+
+<p>
+Una magistratura così potente non poteva piacere all’ombrosa
+monarchia repubblicana dei Cesari. E questi istituirono
+gli Edili nelle Colonie e i Pretori Cereali nell’Urbe.
+Nelle prime erano gli eletti del popolo. In Roma lo imperatore
+gli sceglieva tra i patrizi a lui più devoti.
+</p>
+
+<p>
+Allorchè Caio Sempronio Gracco salì al tribunato propose
+una legge, mercè la quale il grano sarebbe stato distribuito
+al popolo in ricambio di un <i>triens</i> — circa quattro centesimi
+di lira — per ogni modio, mentre al Governo costava un denaro,
+cioè settantotto centesimi. Cotesta legge, basata sulla
+eguaglianza, era iniqua nell’applicazione, perchè demoralizzava
+le masse e ruinava il Tesoro. Ho letto su parecchie pietre
+<span class="pagenum" id="Page_211">[211]</span>
+funebri del tempo, <span class="smcap lowercase">PERCEPIT FRUMENTUM</span>, volendo gli
+eredi del quivi sepolto attestare con orgoglio com’egli avesse
+fruito della più bella prerogativa del cittadino romano, l’essere
+stato nudrito a spese dello erario pubblico. Un altro tribuno,
+Marco Ottavio, l’abolì e vi sostituiva la nuova che
+ammetteva alle distribuzioni dell’Annona i soli necessitosi.
+Al cominciar della guerra sociale, Livio Druso ravvivò la
+legge Sempronia che fu in seguito modificata dalla legge Terenzia-Cassia.
+Clodio Pulcro limitò con una nuova legge le
+liberalità frumentarie ai soli plebei proletari, e tolse un’arma
+affilata dalle mani degli ambiziosi che in un popolo affamato
+avevano sempre una milizia pronta allo insorgere e ai delitti.
+Gli è perciò che dopo una grande carestia, Augusto ridusse a
+dugentomila il numero degli ammessi all’Annona e donò dodici
+<i>frumentationes</i> — una distribuzione per mese — di proprio.
+</p>
+
+<p>
+Così in Pompei. — Sotto il portico del Foro i gratificati
+andavano a far constatare il loro diritto e ricevevano l’ordine
+di distribuzione in una <i>tesserula</i>, su cui era notato il
+giorno da presentarsi. Gli Edili facevano misurare a quel portatore
+cinque modii di grano. I quali pesavano in media centocinque
+libbre e per conseguenza ne producevano almeno
+ben centotrenta di pane. Il pane cotidiano era adunque del
+peso di quattro libbre e quattro once, ossia diecisette once
+per bocca, supponendo una famiglia composta di tre individui.
+Cui aggiunti i lupini, i ceci, i legumi che si avevano
+per poco; e le sportule e il <i>panariolum</i> che i patroni facevano
+dare pieni di carni e di pesci di mediocre qualità, sul vestibolo
+delle loro case, alla folla affamata, questa sì che poteva
+vivere; ma l’abbiettezza cresceva e la corruzione ancor
+peggio.
+</p>
+
+<p>
+Cneo Vibio è avvertito che una donna al di fuori chiede
+parlargli. Esce e vede Eulamia, la nudrice nella casa di Demophilo,
+che lo avvisa come la sua padrona lo attenda nel
+tempio di Venere. La buona ed affettuosa vecchia era contenta;
+non capiva in sè dalla gioia. E nello andar via per
+raggiungere la sua figliuola di latte, parlava tra i denti frasi
+inarticolate, accompagnandole con sorrisi e gesti che significavano
+forse lo avvenire festoso cui essa credeva.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_212">[212]</span>
+</p>
+
+<p>
+Anche Vibio corse all’aperto. E risaliva dal porto alla
+città scuotendo dall’anima la melanconia sospettosa che invischia
+i pensieri di chi ama potentemente e teme. Lungo il
+tragitto, tutti lo salutavano. Egli però alcuno non vide. Nè
+anche il selciato pareagli più quello che con passi indifferenti
+tante volte aveva calcato. Tutto prendeva un’anima. Tutto
+si trasformava al suo sguardo. Perchè dietro quelle mura che
+cingevano il tempio e fra quelle colonne di stucco era la
+donna che sola a lui donna sembrava, eravi il cuore per cui
+notte e dì il suo pur palpitava.
+</p>
+
+<p>
+Nel varcare la soglia, ei la vide seduta sur un banco
+sotto il portico a sinistra. Nell’atto che vèr lei corse, essa levossi.
+E in tutta la sua gentile persona era una gaiezza serena,
+luminosa, infantile come la speranza, rischiarata dal
+suo sguardo azzurro e profondo.
+</p>
+
+<p>
+— Ebbene, ζωη και ψυκη, dolcissimo amore, qual nuova?...
+Che rispose tuo padre a Babinio?.... E tu, richiesta, che a
+lui?... Ei, cittadino romano,... tu mia eguale.... sai?...&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+La bellissima fanciulla distese la piccola mano affilata e
+bianca che risplendette come una perla sulla mano bruna di
+Vibio. Quindi:
+</p>
+
+<p>
+— Tutto so, o mio... Il padre lieto, e io lieta.... Ciò venni
+a dirti.... Oh! I nostri cuori sono le due ali che sollevano
+un’anima sola sino al trono di Venere Urania che a noi arride
+propizia.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Quella soave creatura era tale da avvinghiare immediatamente
+un cuore, e più e più quello che allor batteva dinanzi
+a lei i segni della vita e della felicità piena. Ella era in una
+età in cui le impressioni sono vertigini. Aveva biondi i capelli — non
+di quel colore rossastro od ardente che venne
+alla moda dopo il conquisto delle rive del Reno e che procurò
+ricco mercato a chi portò in Roma, in Capua, in Herculanum,
+in Pompei le capigliature dorate delle donne dei Catti, dei Sicambri
+e dei Germani. — Le sue chiome erano un’aureola
+che rivelava inquietanti delizie alle bocche che vi si sarebbero
+posate. I suoi occhi cilestri, da cui veniva un così dolce lume
+e tanta soavità di sguardo, erano carichi di carezze, di amplessi,
+di baci. Il naso piccolo e un po’ sollevato aveva un
+<span class="pagenum" id="Page_213">[213]</span>
+sorriso come l’hanno le labbra; ed anche queste, spiranti
+nella breve curva la innocenza e il candore; ed il collo svelto
+ed alabastrino; e la persona spigliata; e le proporzioni delle
+statue di Fidia; e la grazia decente dello incesso trasportavano
+l’anima nelle regioni armoniose dove si obliano tutte
+le amarezze della vita.
+</p>
+
+<p>
+Pompei era invero la città del mondo in cui la grande
+divinità pagana — che ogni culto posteriore non seppe mai
+disertare — era adorata con entusiasmo maggiore. Vibio anch’esso
+nella età prima aveva sacrificato alla onnipotente iddia.
+Ma la sua sviluppata intelligenza e il suo fine criterio
+avevano calmato le irrequiete smanie e dettogli che pur erano
+nella vita migliori problemi da sciogliere. La religione antica
+l’ebbe tra i suoi miscredenti. Le sensazioni del cuore gli aprirono
+un più largo orizzonte. Studiò i principii della fede novella.
+Sfatò ciò che gli parve vaporosa illusione e fanatismo
+di neofiti. Pur l’uomo per lui rimase uomo, e di tutti gli dei
+compose un solo dio — dio clemente, misericordioso, benefattore.
+</p>
+
+<p>
+Or, un giorno lo amore — il quale non ha poi nel turcasso
+quei dardi avvelenati che i poeti melanconici vi hanno
+immaginato — usò una delle sue solite ribalderie, e fece passare
+dinanzi i suoi sguardi la bella ed innocente Melissæa.
+Stimava molto Demophilo. Ed ei carezzò quel suo fiore bellamente
+sbocciato nella solitudine della sua mente. A poco a
+poco una passione profonda germogliò in quel cuore meridionale.
+Essa divenne il suo dio. Essa, la sua Venere celeste. — Giovanezza — beltà — grazia
+infantile. — Tutto il fascino di
+un amore che non costava nulla alla virtù. — E poi egli
+amava la donna per intuizione, e il matrimonio per istinto.
+Melissæa era bionda, ed il bruno eragli odioso. — E nel vero
+cosa è il bruno? È l’ombra. È la negazione della luce. È una
+tinta, e nessun colore. Venere era bionda. È biondo l’oro. La
+fanciullezza e ciò che scintilla e che allegra son biondi. — La
+rivide tra i fiori dello xysto. La seguì una sera nel Pago Felice
+come si segue febbrilmente il filo di un sogno dorato. E assaporando
+un dolce avvenire; ebbe orrore della tenebra che il
+circondava. Un violento slancio dell’anima interrompeva l’ordine
+<span class="pagenum" id="Page_214">[214]</span>
+del tempo e gli mostrava le ore ancora velate della sua
+esistenza. Un giorno nell’Odeon cadde dalle mani di Melissæa
+una rosa di Pœstum, bella ed odorosa come il suo cuore. Ei
+la raccolse e la chiuse nelle pieghe della sua veste. L’atto non
+isfuggì alla fanciulla, e i loro occhi dissero a vicenda come in
+tal momento il nodo della vita allacciasse due disparati destini.
+</p>
+
+<p>
+Cneo Vibio, alto della persona, di piacevole aspetto, non
+pativa tristezza di cuore. Quelle del cervello non le aveva
+conosciute mai. E nei suoi occhi scintillava una dolce magia,
+un certo lume sorridente — dono del fato, o dono degli atti,
+che attira le anime piacevolmente e trasforma i casi che occorrono
+in nuvole leggere. — E per dir tutto, era nella età
+felice per gli uomini pubblici e per gli artisti, in cui il sole
+della vita rischiara il sommo dell’uomo — la fronte — siccome
+in quella ora del giorno illumina di luce più concentrata ed
+attraente l’alta cima dei monti.
+</p>
+
+<p>
+— Tu sei la mia iddia, o soave amore. Felice il mio tetto
+che ti avrà padrona e signora. Vedi! Non è gocciola del mio
+sangue che non mi parli di te. Non una idea delle mia mente
+che non irraggi della passione che mi arde.... Dicono che un
+dio nascesse — imperante Ottaviano Augusto — in un povero
+presepe in Galilea. E che le stelle il sapessero. E che le foreste
+il salutassero. Ebbene! Quanto or mi circonda è ai piedi
+dello amor ch’io ti giuro.
+</p>
+
+<p>
+— Le parole che tu mi dici, e che dentro io bacio e ribacio
+segretamente, sono le perle della corona che il tuo
+cuore pose sulla mia testa, e che mi rende fiera e felice. Io
+guardo gli altri con un’aria di regina... il titolo che la tua
+mente mi diede.
+</p>
+
+<p>
+— E lo avrai sempre, o amante e presto sposa. Quest’ora
+beata non dovrebbe volare. Afferriamone le ali, che sono i
+ricordi. Più tardi li premeremo sui nostri cuori come la mano
+purissima che a me porgi, patto di felicità durevole oltre la
+tomba.
+</p>
+
+<p>
+— <i>Vale</i>, o mio. Gli dei della patria ti sieno propizi.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Ed ambedue, colla espressione della gioia sul volto, ripresero
+la via delle loro case.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_215">[215]</span>
+</p>
+
+<p>
+C. Helvio Babinio trovò lo amico consapevole e nella gioia
+maggiore. Combinarono che la domanda si farebbe per lettera,
+e che un’assemblea di parenti e di fedeli andrebbe ad offerirla
+a Demophilo e fisserebbe gli articoli del contratto sopra
+le <i>tabellæ legitimæ</i>, quelle tavolette che essi avrebbero poi
+suggellato coi loro <i>symboli</i>, come marchio di guarentigia.
+</p>
+
+<p>
+I Digesti riconoscevano <i>justum matrimonium</i> la unione
+legale composta in tre diverse maniere. La prima dicevasi
+<i>usus</i> — per abitudine o per prescrizione — allorchè una donna
+col consenso dei suoi parenti conviveva con un uomo per un
+anno intero <i>matrimonii causa</i>. E se questi non fosse assente
+per tre notti da lei, essa diveniva la sposa legittima e dicevasi
+<i>usu capta fuit</i>. Ma se avveniva il <i>trinoctium</i>, la prescrizione
+era interrotta, la donna era dichiarata libera perchè
+<i>usurpatio est usucapionis interruptio</i>. — L’altra addimandavasi
+<i>confarreatio</i>, cioè consacrazione, allorchè il diale di
+Giove benediceva al matrimonio, in presenza almeno di dieci
+testimoni, prendendo il frumento dalle mani della sposa — <i>far</i> — impastandolo
+coll’acqua piovana e formandone una
+focaccia, cotta sotto le ceneri dello altare. Quel <i>panis farreus</i>
+o <i>farreum libum</i> era assaggiato dal sacerdote, lo divideva tra
+gli sposi, esprimendo con questo sacro e comun cibo come
+omai tutto dovesse essere mutuo fra essi, amaritudini e gioie.
+Le libazioni si facevano di vino melato e di latte. S’immolava
+quindi un montone, avendo cura di gittar via il fiele della
+vittima, a significare che ogni agrezza dovesse essere bandita
+nel coniugio. Siffatta specie di unioni era però principalmente
+in uso fra i ministri degli dei, sì perchè gl’ipocriti non ammettevano
+innovazioni nei costumi antichi — rotta una maglia,
+ei dicevano e dicono in tutte le lingue, addio rete per accalappiare
+i gianfrulli — sì perchè era la sola unione che sapesse
+dare alle mogli loro il diritto di esser socii al loro ministerio
+e di partecipare ai profittevoli riti. Dicevasi <i>defarreatio</i>
+il divorzio. Se il marito moriva senza figliuoli e senza far testamento,
+la donna ereditava i suoi beni quasi propria figlia.
+Altrimenti coi nati suoi prendeva parte in eguale divisione.
+Nel caso di mancanze, il marito la giudicava in presenza dei
+parenti di lei. Se condannata dalle leggi, veniva pubblicamente
+<span class="pagenum" id="Page_216">[216]</span>
+abbandonata al castigo della famiglia. I nati da siffatta unione
+potevano essere scelti flamini di Giove e vestali. Ed erano
+detti <i>patrimi</i> i bambini che avessero vivente il solo padre,
+e <i>matrimi</i> quelli che la madre soltanto. Ed assumeva il nome
+di <i>pater patrimus</i> quel cittadino che avesse contentamento di
+figli durante la vita del proprio genitore. — La <i>coemptio</i> era
+una maniera di unirsi per reciproco contratto. L’uomo e la
+donna si presentavano al magistrato insieme con cinque testimoni,
+cittadini romani e puberi e il pesatore delle monete
+che assisteva a tutte le vendite — il <i>libripens</i>. — Essi ricambiavano
+un asse — sei centesimi di lira — e lo <i>speratus</i> diceva
+alla sua <i>sperata</i>:
+</p>
+
+<p>
+— <i>An mihi mater familias esse velis?</i>
+</p>
+
+<p>
+— <i>Me velle.</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+La donna faceva all’uomo una simile domanda; la <i>venditio</i>
+era compita. La <i>sponsa</i> acquistava sul suo sposo i diritti
+di figlia, e quegli tenevale luogo di padre. Laonde cominciava
+a chiamarsi per esempio <span class="smcap lowercase">HERENNIA EPIDIANI — SABINA
+BIBULI — DELPHIA AGATHEMERI</span>. E riconoscendo il marito per
+padrone, chiamavalo <i>dominus</i>. Se aveva un patrimonio oltre
+la dote, quei <i>bona paraphernalia</i> li rimetteva al suo signore.
+Ma questi erano poca cosa nei primi tempi; poichè il senato
+all’orfana di Scipione Africano diede per dote undici mila assi
+di rame, pari a L. 852.50 di nostra moneta.
+</p>
+
+<p>
+La sposa talvolta <i>in usum suum reservabat</i> una porzione
+della dote ed uno schiavo — <i>servus receptitius</i>, sul quale lo
+sposo perdeva la potestà.
+</p>
+
+<p>
+Oltre questo matrimonio plebeo — <i>pro emptione</i> — che
+poi divenne la unione generalmente in uso — un padrone coniugato
+poteva avere la <i>concubina</i>, cioè la donna da lui amata,
+la donna di mezzo matrimonio che le leggi riconoscevano.
+Però, a mal suo grado, essa aveva il libito di sposare un altro,
+ove cotesto le convenisse. — Gli schiavi si univano per
+promessa reciproca, detta <i>contubernium</i>. I liberti chiamavano
+<i>pellam</i> la donna che con essi viveva. E le congiunte per <i>confarreatio</i>
+erano dette <i>matronæ</i>. Quelle per <i>coemptio</i> si gloriavano
+di essere <i>matres familias</i>.
+</p>
+
+<p>
+È festa nella casa di Demophilo. Cneo Vibio e gli amici
+<span class="pagenum" id="Page_217">[217]</span>
+vi sono convenuti alla prima ora del giorno che rende gli
+sponsali migliori e più favorevoli. Il duumviro <i>jure dicundo</i>
+L. Giulio Pontico presiede all’atto solenne. Uno scriba redige
+il contratto. Il padre concede alla sua cara figliuola la
+dote di <i>decies centena</i>, cioè, un milione di <i>sestertia</i> — pari
+a L. 193,749 — da pagarsi in tre periodi, il primo dei quali
+avrebbe luogo il giorno del matrimonio. Demophilo aveva
+fatto inoltre un ricco presente a Melissæa di vesti, di pietre
+incise e di monili d’oro.
+</p>
+
+<p>
+Già da lungo tempo gli auguri avevano cessato di combattere
+la volontà degli uomini in nome della divinità. Quegli
+impostori non erano più curati da alcuno. Ma, sfacciati e impudichi,
+non mancavano di far gli auspicii per conoscere la
+volontà suprema, allorchè trattavasi di ricchi sponsali. E Thelestis
+si presentò, facendo smorfie ed inchini e dicendo avere
+il giorno innanzi sacrificato al cielo e alla terra — come ai
+primi sposi; — ed a Minerva, la iddia della verginità; ed a
+Giunone propizia ai casti connubi. Egli aveva veduto nel
+cielo i segni favorevoli. E poichè nessuno ne lo consultava,
+stimavasi fortunato nel poterli nunciare. Gli era un di quei
+luridi frati dei tempi nostri che la melonaggine dei ricchi peccatori
+e delle vecchie adultere ingrassa insieme col popolo
+ignorante e supino. Quale la differenza tra gli antichi e i moderni?
+Questi borbottano finanche le stesse frasi latine. — Demophilo
+in tanta domestica gioia, voleva dargli il buon da
+scialare. Vibio non lo permise, e il fe’ cacciar via dai littori.
+</p>
+
+<p>
+Allora Giulio Pontico chiese all’herus della casa se consentiva
+<i>despondere filiam suam</i>. L’altro, annuendo ai voti per
+quelle nozze, aggiunse:
+</p>
+
+<p>
+— <i>Quæ dii bene vertant.</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E il primo gravemente riprese:
+</p>
+
+<p>
+— <i>Sponsalia et nuptiæ</i> non si contraggono che col libero
+assentimento delle due parti. Ed una fanciulla può resistere
+alla paterna volontà nel caso che il padre le offra a suo sperato,
+e sposo un uomo notato d’infamia o che meni una riprovevole
+vita.... Hai tu, o Melissæa, a muover lamento di
+tal fatta?... Poichè non rispondi, e non ti rifiuti alle nozze, è
+segno che tu consenti.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_218">[218]</span>
+</p>
+
+<p>
+E richiese partitamente ad ambedue:
+</p>
+
+<p>
+— <i>An spondes?</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E quei felici replicarono colla favella del cuore:
+</p>
+
+<p>
+— <i>Spondeo</i>.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Era la formula della stipulazione che tutti fissavano sulla
+pergamena col loro suggello. Vibio trasse dalla sua veste un
+anello d’oro massiccio, ottangolare, traforato a giorno con
+sottile artificio che nel mezzo di una linea ovale aveva cotesta
+leggenda in greco:
+</p>
+
+<p class="center">
+ΑΦΡΟΔ<br>
+ΓΕΝΕΤ<br>
+ΔΟΣ
+</p>
+
+<p>
+Melissæa accettò quella garanzia del suo amore, quel segno
+che moralmente li faceva un essere solo; e subito lo pose
+nel dito mignolo della mano destra, perchè credevasi che vi
+fosse un nervo corrispondente da quel dito al cuore. Quel semplice
+dono dovea sempre precedere il matrimonio.
+</p>
+
+<p>
+Convenne fissare il giorno delle nozze. Il calendario romano
+aveva segnato col nero i dì infausti — le calende — le
+none — gl’idi — quelli che immediatamente li seguivano — i
+parentali che ricordavano i funerali paterni — e in generale
+tutto il mese di maggio. Bisognava adunque far correre tutto
+quel mese e la metà del seguente, ch’era dichiarata l’epoca
+più felice. — Nello intervallo gli <i>sponsi</i> potevano <i>infirmare
+sponsalia</i>, cioè rompere i fatti accordi collo scrivere coteste
+parole: <i>Conditione tua non utor</i>. Era il <i>repudium</i> che annullava
+ogni promessa. Ma Vibio e Melissæa non sarebbero stati
+capaci di dir quella frase. Il loro sguardo ed il loro sorriso
+favellavano le promesse immortali; avvegnachè il vecchio
+monarca di questo mondo, ricciuto, rosso per belletto e azzimato,
+padre alla menzogna ed allo egoismo, non li avesse
+mai ammaliati e sedotti. La sposa trasse dal seno una piccola
+<i>bombilia</i> di cristallo di roccia, piena di essenza odorosa e la
+offerse al re del suo cuore. Ei l’annusò e fe’ un cenno cogli
+occhi. Erano uno. Poteva ringraziare sè stesso? Aveva sentito
+su pel cervello le carezze senza rimorsi delle ninfe espansive
+racchiuse nel prezioso dono della sua gentile regina. Tutti
+escirono con lui.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_219">[219]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Mio caro collega, se ogni fanciulla somigliasse a quella
+alla quale tu desti la fede, lo imperatore non avrebbe bisogno
+di promulgar leggi per costringere la gente togata a menar
+moglie.
+</p>
+
+<p>
+— Giulio Pontico, ben dici. Ma tu hai tre sorelle che
+rassembrano le cugine di Venere e di Minerva. Nè occorrono
+editti per toglierle dallo stato smanioso della nubilità. E so
+che non passeranno lunghi mesi e saranno le spose. Hanno
+parenti raccomandati dalla virtù. E la tua famiglia è tale a
+fornir ricche doti.
+</p>
+
+<p>
+— Lo penso. E ciò mi toccava il cuore quando pronunciava
+le parole formali. Vedi! lo amor di famiglia nel cuore
+delle fanciulle è come una gocciola. Scuotila e cade.... Dev’essere
+così!!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Manio Acilio, soffermandosi alquanto dinanzi la bottega
+del farmacista — occupante uno degli angoli della insula triangolare
+della via Domizia — disse con voce bassa a Quinto
+Lepta — suo socio nella testimonianza degli sponsali — in
+modo che chi camminava non lo sentisse:
+</p>
+
+<p>
+— Parlano a maraviglia, l’uno perchè non ha sorelle, e
+l’altro perchè il padre riccamente le dota. Certo, grossi partiti
+non mancheranno. Or si negozia nel menar moglie come
+per la compera di una casa, di un podere, o di due cavalli
+africani. I <i>sestertia</i> sono le principali, anzi le sole virtù che si
+cercano in una donna.
+</p>
+
+<p>
+— Guai.... oh! guai per colui che le sposa ricche. <i>Dotata
+regit virum.</i> Il loro orgoglio, le loro esigenze sono una catena
+pesante a tirare. Vespasiano come dà il grano alle famiglie,
+dovrebbe pur dar le doti. Allora l’amore matrimoniale riprenderebbe
+il disopra, e la cospirazione della saviezza celibataria
+cesserebbe, e tutti tornerebbero egualmente a pagare cotesta
+patriotica gabella. Ma gli è avaro ed ingordo. Compera e rivende.
+Nè si vergogna di far pagare i magistrati a chi li
+chiede e le assoluzioni ai ricchi colpevoli. De’ rapaci proconsoli
+fa uso di spugna; risecchi gli manda ai migliori uffizi perchè
+si bagnino bene e — quando ripieni — gli strizza a suo pro.
+</p>
+
+<p>
+— Che! Tu a torto lo ingiuri. Dovette angariare i popoli
+per necessità. Dovette punire i ladri per dovere. Fatto imperatore
+<span class="pagenum" id="Page_220">[220]</span>
+e trovato il fisco e lo erario povero e vòto, volle ridurre
+la repubblica nello stato di prima e fare che la rimanesse
+in piedi. E dei denari ingiustamente presi fece ottimo
+uso. Non sostentò i bisognosi cittadini consolari, dando loro
+un annua provvigione? Non rifece le mura e gli edifizi di
+molte città, guaste dal tremuoto e dalle arsioni? E qui ne hai
+la prova.
+</p>
+
+<p>
+— Sia che vuolsi. Eh! non basta. Saria d’uopo che il
+pontefice massimo — sì buono e pio come tu pensi — ottenesse
+almeno da Venere fisica il favore speciale e perpetuo per le
+genti latine che tutte le giovanette fossero belle. Allora sì che
+lo Stato avrebbe ragione di confiscare le successioni devolute
+ai celibi ostinati.
+</p>
+
+<p>
+— Bando agli scherzi. Nel disordine generale dei costumi
+e delle abitudini il carico di una moglie può patirlo un cavaliere
+che abbia spogliato una provincia come Verre, o tratto
+un re vinto dietro il suo carro trionfale, od empito la sua
+casa e le sue ville di schiavi. Le donne si contentavano un
+giorno dei profumi campani. Ora se non vengono dalle Indie,
+li gittano schifate alle loro liberte, e conviene surrogarli con
+quelli che — a parola di chi gli spaccia — furono trasportati
+in Italia malgrado la collera di Nettuno, gli artigli dei dragoni
+alati e le zanne delle bestie feroci.
+</p>
+
+<p>
+— E i diamanti? E le perle? E le gemme incise? E gli
+anelli che cingono tutte le articolazioni delle mani, e che si
+cambiano in ogni giorno della settimana?
+</p>
+
+<p>
+— E sì! Tiberio se n’ebbe a scandalizzare, e di Capreas ne
+scrisse al Senato. Ora la seta tessuta nell’India, sfilata e ritessuta
+col lino e colla lana nell’isola di Cos, <i>ventus textilis,
+nebula</i>, e così trasparente, che se non stretta al corpo con
+mille pieghe, mostrerebbe la dermide a traverso, la sfatano.
+Vogliono <i>vestis holoserica bombycina</i>, tutta filata dal verme.
+</p>
+
+<p>
+— Oh! in quanto a me son lieto di facili e poco spendiosi
+amori. La bella iddia gli sostenga, ed Iside gli aiuti. Sai?
+Sulle corna dei buoi cattivi sogliono legare fascetti di paglia
+per avvertire chi passa a non accostarsi....
+</p>
+
+<p>
+— Intendo. Nelle fanciulle inquiete e vogliose del nodo
+erculeo vedi il fieno sui corni.... O, lascia ch’io saluti Pontico
+<span class="pagenum" id="Page_221">[221]</span>
+e Vibio che sulla rivolta tendono al Foro. Io vado da Quinto
+Poppæo pei suffragi.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Ai passi frettolosi, gli altri si fermarono, i magistrati si
+volsero, e tutti si strinsero amicalmente le mani e si salutarono.
+Quale per una via, quale per un’altra.
+</p>
+
+<p>
+Ma Lepta, camminando sul margine laterale del tempio
+alla Fortuna Augusta, e ripensando ai lieti amori di Acilio,
+inaccessibili alle cure ed al carico della famiglia, considerò
+valer meglio per lui il visitare la donna del cuor suo che mendicare
+i voti dallo edile per le prossime elezioni. Alla vanità
+il domani. Discese la lunga strada, voltò in quella Deciale che
+mena alla porta di Stabia, torse i passi a sinistra e si volse a
+diritta verso la porta di Nola. Quella parte della città era un
+laberinto di sentieruoli stretti, colle mura delle case puntellate;
+e sotto, tegole rotte e marmi spezzati, sparsi sulle corti
+e persino sui tetti degl’impluvii. Le dimore dei ricchi erano
+intatte od ancora nelle mani degli artefici. Tratto tratto parecchie
+case colle aderenti botteghe escivano bianche e ristorate
+dalle concomitanti ruine. Qua e là, alcune donne, dagli
+occhi neri, espressivi, e dalle bocche fine e graziose, frenando
+i loro vivaci bambini seminudi, si facevano sugli usci e sorridendo
+mestamente a lui che passava, dicevano:
+</p>
+
+<p>
+— Sii il benvenuto in questi luoghi desolati. La tua gravità,
+la tua eccellenza abbia pietà delle nostre disgrazie. Se
+sei uomo di pubblico affare — le tue sembianze dicono che tu
+il sia — ripara a tanta miseria. Le volte crollarono. Le mura
+hanno lesioni. Se piove, l’acqua c’infradicia. Gli è come dormir
+sulla via. Fa’ che non s’invidino i morti sotto le macerie.
+Venere ti sia propizia, o nobile pompeiano.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Per un cuore innamorato le parole delle donne colpite
+dalla sventura sono come le lacrime voluttuose che caddero
+dalle chiome della iddia di Pafo al subito uscire dal mare.
+Le prime inteneriscono. Le altre fecero sbocciare le rose sotto
+i piedi divini. I suoi pensieri inebriati dal profumo di una
+donna lo trassero ad atti di carità che in altra circostanza
+avrebbe negato. Sciolse i nodi della <i>manticula</i> e tanti assi e
+tanti denari vi trovò, tanti ne diede. Disse non esser egli
+magistrato. — Sperarlo. — Ma amico degli amministratori
+<span class="pagenum" id="Page_222">[222]</span>
+della Colonia. Sapere che dall’Urbe sarebbero venuti soccorsi
+e provvidenze. Le povere famiglie si racconsolarono.
+</p>
+
+<p>
+Gli Oschi — i primi abitatori di questa contrada — sapeano
+per tradizione come il monte soprastante al golfo avesse
+bruciato da tempi immemorabili. E perciò lo chiamarono <i>Vesbius</i>,
+che valea quanto dire <i>fuoco estinto</i>. L’ultimo suo incendio
+però era ignoto ad ogni poesia. Solo supponevasi che
+in tale circostanza fosse stato colmato il vasto e lungo golfo
+che per lo stretto dell’antica Marcina si congiungeva al mare
+di Salernum, dando così origine alla immensa pianura di
+Nola, di Nuceria e di Sarnus. Corsero secoli, e il monte si
+cinse per ogni lato di fertili campi, di verdi pampini, il cui
+frutto generoso empiva del suo succo le anfore. Sui pianori,
+sul pendìo delle sue amene colline erano sontuose ville coi
+terrazzi, colle torri per godere lontane vedute, coi giardini
+creati dagli schiavi <i>topiarii</i>, adorni di statue, cinti da piante
+fronzute e verdeggianti ed intersecati da ruscelli e da laghi.
+Un giorno, ai tempi della congiura di Catilina, Marco Herennio,
+decurione di Pompei, cadde morto nel Foro, colpito dal
+fulmine. Il cielo era sereno. Il sole, raggiante. Cicerone compose
+su quel fatto strano due pessimi versi ridicoleggiati da
+Crispo Sallustio. E nessuno seppe indagare la causa di quel
+fatale avvenimento. In vero, la folgore dovette provenire dal
+soverchio elettricismo adunatosi nel monte. Nell’anno 803 di
+Roma — pari al 50 dell’êra nostra — i tremuoti cominciarono
+ad affliggere la Campania. E nel 63 — due lustri prima
+dei casi che narro in coteste pagine — la scossa del suolo fu
+terribile, continovata e fatale. Nerone imperatore trovavasi
+nel teatro di Neapolis, canterellando colla chioccia voce un’aria
+sua favorita. In lui potè più l’arte mal coltivata che la vigliaccheria
+d’istinto. E quantunque il <i>visorium</i> pieno zeppo di spettatori
+ed il <i>proscenium</i> traballassero, non volle imitare quelli
+che escivano a furia, finchè non ebbe terminato il suo trillo.
+Erano le none di febbraio, cioè il dì cinque di quel mese, quando
+le città e gli oppidi sedenti sulle rive, che formano col loro
+incurvamento il ridente cratere partenopeo, furono maltrattati
+dal violento flagello. Una parte di Herculanum venne distrutta;
+un’altra screpolata e guasta. La colonia di Nuceria,
+<span class="pagenum" id="Page_223">[223]</span>
+se non rovinata, malconcia. Neapolis soffrì perdite piuttosto
+particolari che pubbliche. Molte case di campagna risentirono
+scosse senza gravi effetti. Stabia ed Oplonti ruinarono. Pompei
+fu devastata. Le statue del Foro caddero dai loro piedistalli.
+La morìa degli abitanti sommò a parecchie migliaia. Un gregge
+di seicento pecore fu schiacciato sotto le macìe. E i campi vicini
+si videro funestati da gente errante priva di conoscenza
+e di sensi. La misera città rimase per qualche giorni deserta.
+Quindi risorse a poco a poco più bella dalle rovine. Alcune
+case si ampliarono; giunsero decoratori di ogni parte; il commercio
+straniero rifiorì più che mai. La pietà dei congiunti
+surrogò le cornici e le tavole di marmo agli ornamenti di
+tufo, o di stucco dei sepolcreti. Il bigottismo di Nonnio Popidio
+Celsino fece ricostruire di proprio il tempio d’Iside. I devoti
+ripararono il portico del Fano di Venere protettrice, cangiandone
+l’ordine in un corintio di fantasia; il fregio dorico
+fu ricoperto di stucco; una statua nuova rimpiazzò la spezzata;
+e nuove pitture dai vivi colori, rappresentanti paesaggi,
+ville sontuose — come l’Isola Bella sul Lago Verbano — interni
+con figure alle quali l’artista die’ teste d’uomini a corpi
+di fanciulli — riabbellirono le pareti del porticato. I duumviri
+Sepunio Sandiliano ed Herennio Epidiano sul lato della gradinata
+che mena alla edicola fecero collocare a loro spese una
+colonna ionica di cipollino sormontata da un quadrante solare.
+Il tempio greco nel Foro <i>Hecatonstylon</i>, il più puro degli edifici
+pubblici in Pompei, venne completamente restaurato dai
+commercianti e dedicato a Nettuno, il dio che favoriva i loro
+grossi guadagni. Le Terme furono riparate per le prime dai
+munifici cittadini. Ed il tremuoto avendo assai danneggiato il
+tempio di Giove e il colonnato del Foro, i duumviri ordinarono
+che le colonne doriche del portico ch’erano di tufo si ricostruissero
+di pietra calcarea, e pur di travertino si selciasse
+il parallelogrammo dell’area. Le statue che decoravano i piedestalli
+furono provvisoriamente serbate in un vasto pubblico
+edificio.
+</p>
+
+<p>
+Nel periodo di quasi tre lustri molte erano state le novità
+incresciose e consolanti nel mondo romano. Laodicea,
+grossa città dell’Asia, erasi rovinata per tremuoti, al pari di
+<span class="pagenum" id="Page_224">[224]</span>
+Pompei e di Herculanum, e di proprio rifatta. Puteoli, terra
+antica, rinomata da Nerone, poi che colonia. In Tarentum ed
+in Anctium, posti a guardia vecchi soldati per ripopolarle coi
+lor maritaggi, furono diserte da quei raccogliticci, insofferenti
+di famigliari cure. Nerone, stanco di Ottavia, aveva sposato
+la concubina Poppæa, sposa ad Ottone, che amandola, mal suo
+grado glie la concesse. Ma l’ira del popolo lo incitò ad un ripiego.
+E chiamato a sè Aniceto:
+</p>
+
+<p>
+— Tu mi campasti dalla madre insidiatrice. Fammi minore
+servigio. Levami dinnanzi la odiata moglie. Nè mani.
+Nè ferro. Testimonia averlati goduta.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Il dirotto in mal fare confessò il vitupero. N’ebbe a premio
+dovizie e confino in Sardinia. E la casta donna, lacrimosa
+più che per mille morti, partì per la Pandataria. Aveva venti
+anni. E colà i soldati le segarono le vene. Nell’816 nacque
+dalle nuove nozze una figlia in Anctium, e questa dopo quattro
+mesi morì. Furono chiamate Auguste ambedue. E le pazzie
+pei natali e pel lutto, sì di Cesare che del senato, furono
+fatali ai dignitosi ed onesti. Egli, per consolarsi, cantava vestito
+da Apollo, o da femmina. E forzava gli applausi. E cominciò
+i mangiari in pubblico. Fra due colli era il lago di
+Agrippa; e sulle acque fe’ costruire un tavolato, mobile, ove
+pose il convito, tirato da triremi, commesso d’oro e di avorio.
+Remavano cinedi, maestri in libidine. Erano tende rizzate
+sulle rive con matrone e sciupate ignude. Cessata la imbandigione
+e venuta la notte, i boschetti e le case dei colli risuonarono
+di canti; e i falò illuminarono la scena. Aocchiato
+uno stallone in quella mandra vituperata, lo volle marito. E
+Pitagora fu lo sposo di Cesare per le ceremonie di uso. E lo
+imperatore del mondo coprì il capo di velo giallo. Udì gli augurii.
+Si decretò la dote. E i torchi scacciarono le tenebre attorno
+il letto geniale. Per frode del principe Roma bruciò.
+Fra il monte Palatino ed il Celio le botteghe piene di merci
+furono esca alle case. La vecchia viuzza, i torti quatrivi, preda
+alle fiamme sui colli e sul piano. Grande la morìa. Ma gli
+scampati ricoverò nei palagi e nei templi. Fece venir masserizie
+da Ostia e rinvilì il prezzo del grano. Rifece il palazzo
+imperiale, di miracolo, per opera degli architetti Severo e
+<span class="pagenum" id="Page_225">[225]</span>
+Celere, con selve allo intorno, laghi e bellezze sopra natura.
+E surse l’Urbe nuova. E non più a vanvera come era dapprima.
+Ma larghe strade con traverse fatte a misura, con più
+larghe piazze. E per distrarre le ire popolari contro lo autor
+dello incendio — ignoto a veruno — furono stranamente puniti
+quali rei del delitto i palesi credenti alle parole del Cristo;
+i quali ne’ tormenti altri molti ne nominarono; — i preti
+avranno santificato anche questi? — e tutti furono uccisi in
+modo vario e spietato, quali nemici al genere umano.
+</p>
+
+<p>
+Una vasta congiura minacciò i giorni del mostro imperiale.
+Spillata la cosa e fatta certa, Caio Pisone, e i suoi amici,
+e gli affidati, e gl’insofferenti l’onta del nome romano empirono
+l’Urbe di mortori e il Campidoglio di vittime. — Una
+sera, tornato dal teatro, ove aveva cantato i suoi versi e
+chiesto in ginocchio, a mani giunte, le battute ed i plausi dal
+popolo, Nerone, crucciatosi con Poppæa, le die’ un calcio nel
+ventre pregno e la uccise. Ne fu dolente a suo modo. E salito
+in ringhiera, ne lodò alla folla le belle membra, non la virtù. — Tempeste
+e pestilenza desolarono Italia. Ma il signore del
+mondo era più grave di ogni malanno. E un bel dì i pretoriani
+stanchi lo abbandonarono solo nel palagio. Ond’egli impaurito
+fuggiva; e sentendosi inseguito, si appiatta dietro il
+muro di un orto, cerca trafiggersi, ma al grande omicida
+delle migliaia manca il cuore di spingere il ferro nelle viscere.
+Epafrodito, scrittor di memoriali, lo aiuta a morire. E
+il citaredo non lamenta lo impero, sì l’arte che in lui perde
+il migliore tra i suoi cultori.
+</p>
+
+<p>
+L’allegrezza nell’universale fu grande. La plebe coi cappelli
+in testa andò a zonzo per la città quasi di schiava fatta
+libera.
+</p>
+
+<p>
+Livio Ocellare, di Fondi, che poi si chiamò Sergio Sulpizio
+Galba, settuagenario e gottoso, proclamato imperatore
+da Vindice e dai suoi legionari, venne d’Iberia in Roma non
+molto gradito dal popolo, perchè vecchio, rigido, modesto,
+schiavo dei liberti, stretto di mano e brutto; nè accetto ai
+pretoriani, alle neroniane largizioni avvezzi, i quali più amavano
+i vizi che le virtù dei principi. Adottò a figliuolo e nominò
+Cesare Pisone Frugi Liciniano, giovane nobile e valoroso.
+<span class="pagenum" id="Page_226">[226]</span>
+E presentandolo alla folla e alle milizie, disse secco
+secco: — <i>Vir virum legit</i> — cioè, con alquanta boria,
+espresse come un prode eleggesse un prode. E non parlò di
+donativo, nè di feste, nè di spettacoli, nè di baldorie. Quelle
+sue grinze accompagnate da tanto rigore antico non erano più
+di stagione.
+</p>
+
+<p>
+Ma Silvio Othone — compagno negli stravizi al morto
+principe, marito di Poppæa Sabina ceduta ed amata, sì che
+Nerone geloso l’ebbe a sbandire dall’Urbe e un distico famoso
+sentenziò Othone adultero della propria consorte — comperò
+l’animo dei soldati colla promessa di riserbare per
+sè quella pecunia che da essi fossegli conceduta. E tre dì poi
+dalla proclamazione di Pisone, questi e Galba morirono scannati
+nel Foro presso la voragine, ove M. Curzio erasi gittato
+in antico col cavallo ed in armi.
+</p>
+
+<p>
+La plebe corrotta, non capendo in sè dalla gioia, il salutò
+col nome di Nerone. E le prime epistole ai governatori delle
+provincie le sottoscrisse con siffatto cognome aggiunto al proprio.
+Ma già Aulo Vitellio — l’uom dalle prodighe cure — era
+proclamato imperatore dallo esercito di Germania. Othone
+se gli offre compagno e genero. Nemico egli era alle guerre
+civili e punto sanguinario. Pure dovette ire incontro coi suoi
+alle genti che Vitellio mandava innanzi. Fabio Valente coll’aquila
+della quinta legione per le Alpi Cozie; Cecina colla ventunesima
+pei monti pennini. Le due osti si azzuffarono. Scaramucciano
+in Cremona, in Brescello; ma la giornata fu grande
+presso Bebriaco in favore di Vitellio. Othone poteva ritentare
+la prova atroce, lacrimevole, dubbia coll’arrischiata virtù
+dei suoi. Non volle. Giudicassero di lui i secoli. Bevve acqua
+fresca. Tenne aperto l’uscio della casa. Dormì placidamente
+tutta notte. E in sull’alba ridesto, tastò la punta di due pugnali,
+ne scelse uno e se lo infilzò sul cuore. Fu arso e sotterrato
+incontanente dalla pietà dei soldati presso a Veliternum.
+Dopo 95 giorni d’impero morì a 37 anni, con fama di virtù,
+di molti vizi, e di aver promosso la morte di Galba, non
+per sete di signoria, ma per restituire la libertà perduta ai
+Romani.
+</p>
+
+<p>
+Il nuovo era uomo di ventre. Fu a vitupero chiamato lo
+<span class="pagenum" id="Page_227">[227]</span>
+Spintria, quando cogli altri giovani s’intrattenne nella corte
+di Tiberio in Capreas. E ligio a Caligola, a Claudio e a Nerone,
+ottenne magistrature e consolati, e da Galba il comando della
+Germania inferiore. Era sua gloria la gozzoviglia, e compartiva
+i suoi pasti in asciolvere, desinare, cenare e pusignare. E imponeva
+ai grandi di convitarlo. Ed ogni apparecchio non costava
+meno di cinquanta mila denari. È famosa la cena imbanditagli,
+dal fratello il dì del suo ingresso nell’Urbe. Vi consacrò un
+piatto, — il quale per la smisurata ampiezza ei chiamò lo scudo
+di Minerva — ov’erano mescolati fegati di scaro, cervella di
+fagiano, lingue di psittaci, latte di murene. E vi furono consumati
+duemila pesci elettissimi e settemila uccelli. Nè men
+fu crudele che ghiotto. I possibilmente rivali, avvelenati, ed
+alcun di sua mano. I creditori e gli usurai suoi, uccisi alla
+sua presenza per pascer l’occhio — ei diceva — ed esser
+certo di averli saldati.
+</p>
+
+<p>
+Dopo otto mesi di tale imperio gli eserciti della Mesia,
+della Schiavonia, quel di Giudea e di Sorìa si ribellarono, obbligando
+la fede a Flavio Vespasiano. Vitellio ne impaurì.
+Tentò un’abdicazione a pro di ogni scelta, e comperò la salute
+da Flavio Sabino e dai suoi Reatini. A tradimento condottili
+al Campidoglio, gli arse nel tempio di Giove, nell’atto
+ch’ei banchettava nel prossimo palazzo di Tiberio. Approssimantisi
+le coorti, mandò loro innanzi le vestali per chiamar
+pace. Intanto fuggì per la campagna in compagnia del cuoco
+e del suo pistore. E tornato in casa sulla voce della vita consentitagli,
+abbandonato da tutti, rubacchiò in furia un po’ di
+oro, lo chiuse in una cintola e si fortificò nella stanza dell’ostiario.
+Colà lo trovò l’antiguardo e, lui piagnucolante trascinarono
+con una cavezza alla gola e, mezzo ignudo, giù per
+la Via Sacra, tra i dileggi della plebaglia che gli gittava sulla
+persona sterco e fango e lo chiamava incendiario e lecca-piatti.
+Finalmente, lancettato, pizzicato, urtato, ferito di lancia
+e di gladio, cadde morto a piè delle scale Gemonie. E trascinatala
+con un uncino, quella cosa sozza la scaraventarono nel
+Tevere.
+</p>
+
+<p>
+Come le materie da incendio accrescono le arsioni, così
+il nuncio della sua morte infellonì vie peggio la plebe. Le vie
+<span class="pagenum" id="Page_228">[228]</span>
+piene di cadaveri. I templi, di sangue. Per la scusa di trar
+fuori i nascosti, rovistati i palagi, frugati i ripostigli. E chi si
+opponeva ai soldati, ucciso. E la canaglia morta di fame, sfondava,
+bruciava, e gavazzava nell’insolente disordine, nello spietato
+carnaio.
+</p>
+
+<p>
+Il senato decretò a Vespasiano gli onori usati ai principi,
+e chiamò il nuovo imperatore Consolo insieme con Tito. L’altro
+figliuolo, Domiziano, fece pretore con podestà consolare.
+Flavio scrisse con modestia di sè, con magnificenza della repubblica.
+</p>
+
+<p>
+L’Urbe per le frequenti arsioni e rovine — ristorata un
+po’ da Nerone — era sformata, e guasta. Laonde, Flavio ordinò
+che i padroni dell’area vuota non edificando, chi volesse
+la riempisse di casamenti. Egli restituì il Campidoglio, e fu il
+primo a portar via sulle spalle corbellate di calcinacci, di cui
+ingombro era il luogo. E vi rifece tremila tavole di rame — già
+logore e quasi fuse dal fuoco — sui modelli e sulle scritture
+antiche di quelle. Non che uno inventario delle cose pubbliche
+dai tempi remoti, nel quale si contenevano le deliberazioni
+del senato, i plebisciti, le confederazioni pattovite, e i
+privilegi conceduti a chiunque, dall’evo romuleo sino allora.
+Rizzò il tempio della Pace sulla piazza; lo anfiteatro, secondo
+il modello ideato da Augusto; e il monumento al divo Claudio,
+incominciato da Agrippina e disfatto dal suo figliuolo parricida.
+Ridusse l’ordine dei cavalieri e dei senatori allo splendore
+antico e gli portò al solito numero, radendone le persone
+vili ed ignobili, e posti ne’ loro stalli uomini dabbene d’Italia
+e di fuori. Ed, occorse aspre parole tra un senatore ed un
+cavaliere, sentenziò, brutta cosa fare atto d’ingiuria ad uom
+del senato; ma rispondere ingiuriosamente a quelle ingiurie
+essere cosa lecita e civile.
+</p>
+
+<p>
+Mai dissimulò la bassezza dei suoi natali. Permise a tutti
+la libertà del dire, e fu tollerante verso chi malediceva di lui.
+Obliò di gran cuore le offese; nè temette le inimicizie o tolse
+via la usanza di far cercare coloro che venivano a salutarlo,
+se essi avesser armi nascoste, costume durato fin dai tempi
+della guerra civile.
+</p>
+
+<p>
+Si palesò però avaro ed ingordo. Addoppiò i tributi e si
+<span class="pagenum" id="Page_229">[229]</span>
+die’ a negozi da vergogna, quando anche fosse stato uomo
+privato. E’ pare che cotal difetto lo avesse di natura come
+quelli che arricchiscono dopo umiliante povertà e lunga.
+Laonde un vecchio bifolco — che a lui chiedeva lo affrancamento
+ed egli rifiutoglielo senza denari — rampognò lo imperatore
+col dirgli:
+</p>
+
+<p>
+— «La volpe muta il pelo e non il costume.»&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Malgrado ciò, largamente pagò i maestri di retorica greci
+e latini, formò la sua corte di uomini dotti ed eccellenti nelle
+lettere e nelle arti, restituì i giuochi e le recitazioni antiche,
+premiò poeti, tragedi e citaristi.
+</p>
+
+<p>
+E in Falacrine, suo luogo natale, lasciò la casa che prima
+vi era, per soddisfare ai suoi occhi e ricordarsi con modesto
+orgoglio dell’antica dimora.
+</p>
+
+<p>
+Quinto Lepta, ancora commosso dalle miserie del popolo,
+entrò in una casa piena di melodia. Dal fondo, presso lo xysto,
+uscivano da una cetra i sospiri di un’anima stanca dalle ricerche
+delle gioie terrestri, gli accordi di una tristezza passionata,
+gli accenti di un amor combattuto, tempesta che ancor
+tramanda i profumi delle rose e delle viole sbattute ed infrante.
+A lato dell’uscio chiuso, ad altezza d’uomo era un
+foro rotondo coperto da un vetro. Da quel buco vedevasi per
+di dietro una donna assisa, in su i trent’anni, evocando il
+coro de’ suoi pensieri colle sue dita di sibilla.
+</p>
+
+<p>
+— O divina creatura! La donna appartiene allo amore
+come l’erba dei prati allo armento. Byrrhia con quei capelli
+accesi dai sensuali ardori, con quello aspetto di grappolo indorato
+dal sole, mi brucia l’anima e il corpo.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E senz’altro, rotto il filo ai pensieri che gli si arruffavano,
+spinse la porta ed entrò. La donna, nel volgersi, emise
+un raggio luminoso dai suoi occhi vivaci e neri, velati da
+una nube di tenerezza e da un mesto sorriso. Le loro bocche
+s’incontrarono.
+</p>
+
+<p>
+— <i>Suavia et iterum suavia.</i> Io sono lieta che tu mi desideri
+con ardore.
+</p>
+
+<p>
+— Sì, altri baci ancora, o dolcissima tra le cose. Io te
+desidero ed amo.... La celeste armonia mi penetrò nel profondo.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_230">[230]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Era un’ode di Sapho di una singolare potenza, disordinata
+come la passione, lamentosa come il dolore. Misera!
+Quanto soffrì. La sola Morte colle sue dita affilate può medicare
+una ferita pari alla sua... Ma tu non mi spingerai allo
+scoglio d’Ercole per chiedere l’oblio ai gorghi del mare.
+</p>
+
+<p>
+— <i>Unum habeo solatium in te</i>, o Byrrhia. Arrida ad entrambi
+la bella dea Pompeiana.
+</p>
+
+<p>
+— E arriderà! Ha spesso i miei doni e le mie preci ferventi.
+Oh! Abbracciami, Quinto. Il tuo affetto è la pietra che
+ricuopre il mio cuore. Ebbene! sii custode di questo sepolcro
+ove riposa la innamorata anima mia, e nessuno saprà penetrarvi.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+La stanzuccia, ove i due felici si trovavano soli, aveva
+sulle pareti gioconde pitture, per terra un tappeto discreto,
+una <i>cathedra</i> — specie di lettuccio di legno dorato e coperto
+di un materasso purpureo di piume — un tavolino leggero
+con sopra due vasi di <i>mourrhina</i>, e dallo xysto vi entrava il
+profumo dei fiori che riscuote come la musica, ed ammalia
+come lo sguardo. Le più fredde virtù si sarebbero fuse sotto
+quei raggi d’oro della eleganza e dello amore.
+</p>
+
+<p>
+La indolenza è una felicità. E la felicità è orizzontale.
+</p>
+
+<p>
+Lachesis poteva rompere lo stame di quelle due vite. Esse
+avrebbero veduto nel Tartaro con occhio eterno le prospettive
+magiche di quei novissimi istanti!
+</p>
+
+<p>
+O Amore! giocondissimo iddio, tu non puoi rendere la
+creatura continuamente felice col medesimo oggetto, a dispetto
+di ogni promessa e malgrado le più seducenti speranze. Bambino,
+non prendi persona, nè invecchi. Muori e rinasci. Da secoli
+infiniti le tue vampe si allumano e si spengono nel cuore
+istesso. E se vi hanno anime le quali bruciano senza farsi mai
+cange, esse usurpano il tuo nome, o Amore, e calunniano la
+tua nobile ed infedele esistenza. Sono caparbi — indifferenti — rosi
+dalla noia — impigriti dalle abitudini — dimezzati dal disgusto. — Sono
+ipocriti od imbecilli, che natura diseredava....
+ed io li so, ed ognun che mi legge li nomina della sua mente.
+</p>
+
+<p>
+Nella <i>fauces</i> presso l’atrio di quella casa erano seduti per
+le terre Chresto e Methe Cominiæs, due schiavi, l’uno di dieciotto,
+l’altra di sedici anni. Giuocavano cogli astragoli. Gli
+<span class="pagenum" id="Page_231">[231]</span>
+gittavano in aria sul dorso della mano a uno, a due, a tre, a
+quattro, a cinque e li raccoglievano sulla palma. Bisognava
+esser destri e prestarvi attenzione. La fanciulla vinceva. — Chresto
+badava più ai di lei occhi che ai <i>tari</i>.
+</p>
+
+<p>
+— Tu fai sempre il colpo del carro, o il colpo dello avvoltoio.
+Di’, a che pensi così distratto?
+</p>
+
+<p>
+— Penso.... penso al nostro padrone Aulo Vezio, il quale
+mangiava le sue allegre cene sui piatti della bilancia di Temi
+ed ora Byrrhia le digerisce per lui.
+</p>
+
+<p>
+— Vuoi che intisichisca per dolore?
+</p>
+
+<p>
+— Mai no. La sua disonestà non la inghiotto nè sputo.
+Ma cacciare il chiodo sì presto nel muro!
+</p>
+
+<p>
+— Per ribadir l’altro.... Gli è perciò che tu....
+</p>
+
+<p>
+Il giovinetto drizzò lo sguardo nuovamente sul viso pallido,
+sulle linee delicate e fine, su tutta la persona appetitosa
+che avea dinanzi, e quello sguardo acuto impedì che la frase
+si terminasse. Ma ei la compì, pronunciando per sè medesimo:
+</p>
+
+<p>
+— Perchè non mi promette una serie di giorni felici!...
+La donna qui è tra la terra ed il cielo. La poesia la esalta
+lassù nelle nubi. Chi passa la ghermisce e l’ha.... <i>Res fragilis!</i>
+O spettro di Vezio, quali corone tu aduni in questi giorni nell’urna
+delle tue ceneri!
+</p>
+
+<p>
+— Chi deve.... prometterti felicità, o Chresto?
+</p>
+
+<p>
+— Chi?... Una fanciulla che da parecchie notti mi vieta
+il sonno e che forse si destina ad uomo che val meno di me.
+Apparterrà ad un imbecille, all’<i>atriensis</i>, allo <i>structor</i>, che
+apparecchia il desco, od al <i>coquus</i>, quello animalaccio venuto
+di Sicilia, il quale ruba la riputazione che gli danno.... Ed io
+l’amo e la merito, per Ercole!
+</p>
+
+<p>
+— Nel mentre, o Chresto, tu ristai melanconico e dubbioso
+dinanzi all’<i>ostium</i>, non ti avvedi che la desiderata ritira
+i <i>pessuli</i> dall’uscio ed attende che tu lo spinga!... Io sono nella
+luna di mele del tuo e mio primo amore e provo in ascoltarti
+e in vederti delizie ineffabili.
+</p>
+
+<p>
+— È egli vero? Vuoi tu essere la mia <i>contubernalis</i>?
+</p>
+
+<p>
+— Ma che chieggo io a Venere sacra dal dì in cui venisti
+sul mio sentiero?
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_232">[232]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Vieni tra le mie braccia, <i>lux mea</i>. Non essa oggi la
+sola felice. Anche noi!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Salirono al piano superiore ed assaporarono l’ora presente
+coll’audacia di chi non teme i tradimenti dello avvenire
+ed obliarono le tristezze cuocenti del giorno svanito. — La felicità
+è di gaio umore; non può star chiusa; è meridionale;
+esce di casa e va via ciarlando. Gli è perciò che dieciotto secoli
+più tardi, interrogando i muri della mia offesa Pompei,
+vi lessi cotesto graffito indiscreto.
+</p>
+
+<p>
+<i>Methe Cominiæs, Atellana, amat Chrestum corde. Sit
+utreisque Venus Pompeiana propitia. Et semper concordes
+veivant.</i>
+</p>
+
+<p>
+Presso queste anime piacevolmente innamorate — che
+dedicavano il loro tempo alla iddia sorridente e gioconda — altre
+erano in Pompei allegre e chiassone, il cui punto di
+riunione, pria delle Terme, erano le <i>tonstrinæ</i>, luoghi di
+perdi-giorni, di novellieri e di ricchi fannulloni. Siccome i
+Greci avevano il costume di tagliarsi i capelli e di farsi radere,
+di Sicilia cotesta moda risalì il littorale peninsulare e
+nel 454 di Roma l’uso divenne quasi comune nel mondo all’Urbe
+soggetto. Nella età di quarant’anni Scipione Africano
+si fe’ radere tutti i giorni, e non fu persona distinta in Italia
+che in seguito non lo imitasse. In Pompei la industria dei tonsores
+fu dapprima in pien’aria finchè contarono tra i loro
+clienti i marinai e la plebe. Allorchè la comoda usanza venne
+adottata dalla grande maggioranza dei Quiriti, tornando indietro
+nobilitata, richiese eleganti botteghe e stanzucce appartate
+nei migliori quartieri della città; graziosi musaici e
+grandi specchi; <i>camini portatiles, foculi, ignitabula, escharæ</i>,
+cioè bracieri di varie forme per riscaldarvi i <i>calamistri</i>; piccoli
+rasoi, adatti allo scopo, detti <i>novacula</i>; larghe e brevi
+cesoie che addimandavansi <i>axiciæ</i>; e sottili mollette, nominate
+<i>volsellæ</i>. Avvegnachè, in quelle botteghe uno potesse
+<i>barbam ponere</i>, se volea farsi radere, o <i>tondere forfice</i>, se
+preferiva corti i capelli; o <i>pillos vellere</i>, se piacevasi di quella
+effeminata abitudine di farsi carpire i peli colle pinzette sul
+mento, sotto le ascelle e in altre parti della persona. Alcune
+schiave — <i>ustriculæ</i> — erano addette a cotesto ufficio. Altre
+<span class="pagenum" id="Page_233">[233]</span>
+dette — <i>tonstrices</i> — spargevano sul mento una specie di pomata
+che avea nome <i>psilothrum</i> o <i>dropax</i>; oppure lo imbrattavano
+con certa pasta veneta, o resina calda; che Giovenale
+chiama <i>calidi fascia visci</i> e quindi coi <i>novacula</i>, estratti dalla
+<i>theca</i> ricurva, mondavano la epidermide. I più delicati e
+schizzignosi si nettavano il corpo dai peli col farli bruciare
+dalla fiamma di un guscio di noce, e poi vi facean passar sopra
+la pietra pomice.
+</p>
+
+<p>
+La <i>tonstrina</i> dinanzi la Palestra delle Terme, dipendente
+dalla casa di Olconio Prisco, aveva due botteghe sul margine
+della via dalle fontane di Pallade e dell’Abbondanza, e una
+stanza di retro. Era affollata. Vi erano giovani che avevano
+fatto arricciare i loro capelli coi ferri caldi e si miravano nello
+specchio per osservare se gli anelli fossero tutti eguali. Altri
+erano <i>inter pectinem speculumque occupati</i>. Altri <i>uno digito
+caput scalpebant</i>.
+</p>
+
+<p>
+Un giovane che veniva dal Foro, si appressa al primo
+uscio e s’imbatte con un cinquantenne che ne esciva ringiovanito
+per la patina esterna. E scherzando gli dice:
+</p>
+
+<p>
+— <i>Dispeream!</i> Philomuso, se potea riconoscerti. Ti
+aveva incontrato cigno stamane nella <i>salutatio</i> presso Pansa
+ed or ti ravviso corvo. Ah! Ah!... Credi tu d’ingannare
+Proserpina? La fuligginosa iddia ti strapperà la maschera.
+<i>Cave!</i>
+</p>
+
+<p>
+— Seguo la moda che in Roma trionfa. Sembra che la
+canizie debba essere abolita. Ed io l’abolisco. — Ma, avviso
+per avviso, o Mathone. E tu non giuocare con Glaucia presso
+il gladio di suo marito tribuno. — <i>Cave!</i>
+</p>
+
+<p>
+— E che ho io a temere?
+</p>
+
+<p>
+— La pena degli adolescenti.
+</p>
+
+<p>
+— Oh! Il taglio è vietato or dalle leggi.
+</p>
+
+<p>
+— È forse permesso quel che tu fai?
+</p>
+
+<p>
+— E anch’io un avviso, se lo consenti. Non appressare
+la face d’amore alla lucerna fumosa di Clancia, la vedova di
+dugento mariti. — Buschi nomèa di avaro e nol sei.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— Rientro nella vita comune e seguo il tuo esempio.
+<i>Vale.</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Philomuso andò via, e Mathone entrò nella <i>tonstrina</i>. Uno
+<span class="pagenum" id="Page_234">[234]</span>
+che si era fatto radere ed allora si faceva arricciare i capelli,
+ricurvo sotto l’azione del calamistro, dice:
+</p>
+
+<p>
+— Salve, o amico. Che diceati la sciupata di quel buontempone?
+</p>
+
+<p>
+— Vuoi parlare della sua amante, o Tongilio?
+</p>
+
+<p>
+— No, della sua lingua che taglia e fende.
+</p>
+
+<p>
+— <i>Nugæ.</i> Astonio lo ha ringiovanito che sembra un risorto.
+Mio padre il conobbe biondo. O perchè il festi nero,
+o Astonio miracoloso?
+</p>
+
+<p>
+— È la tinta in favore per gli uomini. Per le donne il
+rosso ardente. Vedesti Levina di Bleso, per la festa delle <i>Palilies</i>,
+alle none di aprile? Per lo anniversario della fondazione
+di Roma essa adottò il nuovo colore. Durante il giuoco
+troiano — che il giovane Ascanio creò in Alba a ricordo della
+patria distrutta — i cavalieri che si avanzavano nel Foro in
+ordine di battaglia non miravano che a lei bellissima e, pel
+color dei capelli, innovata. Le donne ne ingelosirono e la
+imitarono. Nei teatri e nei templi omai non vedi che chiome
+ardenti. — Torneranno brune al cader della moda.
+</p>
+
+<p>
+Vacerra — un ch’era nella bottega — già sbarbato e
+terso, si leva dal seggio ed aggiunge:
+</p>
+
+<p>
+— Levina è una Venere mendace, e senza aiuti commette
+adulterio.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Lucio Adirano sorge anch’egli e dice:
+</p>
+
+<p>
+— Cotesto forse quando frequentava i bagni di Stabia e i
+paesani. Ma, Penelope a Baiæ nell’anno decorso, ti accerto
+che Elena ne esciva.
+</p>
+
+<p>
+— E qual nume operava il prodigio? Per Ercole! Non
+parea pompeiana e civile.
+</p>
+
+<p>
+— Il divo Apollo si piacque discendere nella tunica di
+Mario Venicio, e Cupido addoppiò lo splendore delle sue faci.
+Lo amico nostro passò lo inverno con lei in Neapolis. Ora sono
+qui, ed essa brucia alle vampe del suo cuore.
+</p>
+
+<p>
+— <i>Ita me bene ament numina excripta</i> che ho dipinti
+nell’atrio della mia casa e che veggono le buone e le villane
+mie azioni! Davvero che men compiaccio e correggo il mio
+errore. — E il marito?
+</p>
+
+<p>
+— Cosconio Classico <i>strabo est, pætus et ocella</i>. Con siffatti
+<span class="pagenum" id="Page_235">[235]</span>
+malanni negli occhi si veggono le paglie nelle altrui case
+e non le travi nella propria. E poi in gioventù ne die’ ad
+usura. Or glie ne rendono.
+</p>
+
+<p>
+— Mathone, ecco Cneo Apro ch’esce dalla stanza. Se
+vuoi farti azzimare, entra.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Il giovane seguì il consiglio del <i>tonsor</i>. La cameruccia era
+piccina, ma elegantissima. Sopra una tavola di legno nero e
+dorato nelle cornici erano capsule di vetro, bombyli, bilbini,
+paropsidi, unguentari, ambici e tazze piene di quelle paste, di
+quelle resine, di quelle pomate, di quelle polveri, atte a sbarbarsi,
+a tingersi il pelo, a far liscia la pelle e ad imbellettarla.
+</p>
+
+<p>
+Una fanciulla ventenne — coperta da una tunica senza
+maniche che giungeva sino ai ginocchi e avente sul capo ricciuto
+un berretto frigio le cui alette scendeano bellamente
+sulle spalle e sul petto — lo attendeva sorridente e graziosa.
+Era una delle <i>tonstrices</i>.
+</p>
+
+<p>
+Pria di sedersi il giovane — dopo averla attentamente
+mirata — le disse:
+</p>
+
+<p>
+— Non di qui. — Giunta di fresco? — Quale il tuo nome?
+</p>
+
+<p>
+— <i>Mica vocor.</i> — Siracusana. — Da due anni.
+</p>
+
+<p>
+— Ben ti chiamarono pagliucola d’oro. Splendi come raggio
+di sole. Or fammi degno di colei per cui arde il mio sangue.
+</p>
+
+<p>
+— Eccomi. — Ambidue sembrate.... la unione preziosa
+del cinnamo e del nardo. La felice miscela del massico col
+melo d’Egitto. Venere dispensa a te i suoi favori. Il tempo
+passi e.... e non si accorga di lei.
+</p>
+
+<p>
+— La conosci?
+</p>
+
+<p>
+— Mi è nota. Tutto si sa qui. — Poni i piedi sul <i>suppedaneum</i>. — La
+<i>novacula</i> ti par bene affilata?
+</p>
+
+<p>
+— Risuona. Ma scorre sulla dermide a maraviglia.
+</p>
+
+<p>
+— Ti vidi entrare un dì nella <i>tonstrina</i> di Glaphyro. E ne
+provai fugace dolore. E la notte successiva la passai vegliando.
+</p>
+
+<p>
+— Perchè?
+</p>
+
+<p>
+— Val meglio patire una operazione dal chirurgo Hemos
+che farsi radere da Glaphyro e dai suoi Poserio, Spicolo e
+Chœria. Pei cinici e per gli stoici, eh! sono adatti. Le facce
+stimmatizzate del paese non appartengono già a vecchi atleti,
+nè a mariti di donne gelose. No. Ma subirono sfregi dalla
+<span class="pagenum" id="Page_236">[236]</span>
+mano scellerata di Chœria. E Prometeo ridomanderebbe a
+Giove il becco dello avvoltoio se Glaphyro accennasse di carezzarlo
+coi suoi rasoi di bronzo.
+</p>
+
+<p>
+— Veh! che or mi dirai che le capre serbano il fiocco di
+peli per tema di lui... o di lei! — Gelosia di mestiere!
+</p>
+
+<p>
+— Ti accerto che Baccara — or mia compagna — lasciò
+la bottega, sulla via di Mercurio, per l’orrore del sangue. — Io
+temeva per te una soppiatta vendetta!
+</p>
+
+<p>
+— Di lui?
+</p>
+
+<p>
+— Di lui.... e di Nata. Ti ripeto, noi sappiam tutto
+qui.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Il giovane si volse e la guardò fiso. La fanciulla siracusana
+sostenne lo sguardo.
+</p>
+
+<p>
+— Parli tu cogli aruspici? Nata, di Cornelio Rufo, è
+bella sì, di vivaci occhi, di portamento leggiadro, di lusinghiero
+accento: ma è donna di marmo. A contatto, la crederesti
+assente. Io l’amai da forsennato.... E l’amo ancora.... Non
+essa me.
+</p>
+
+<p>
+— Ti amo di vertigine per mesi. Alcune teorie del dovere
+le calmarono il cuore. Ti ama pur di memoria e di gelosia
+per sè, non per te. Capricciosa donna!... Tortura, non
+tortore!...
+</p>
+
+<p>
+— Ma come tu sai sì recondite cose?
+</p>
+
+<p>
+— I miei, di Egitto in Corinto e di là a Syracosion. Leggo
+nelle stelle e negli occhi — altre stelle che rifrangono il lume
+dentro e dicono alla nostra gente ascosi arcani. Ne vuoi esempio?...
+A Glaucia piace il tuo nome e il trionfo sulla tua fresca
+età. È leggiadra, nol nego. Ma.... piacevolmente si vendica in
+te del brutto tribuno, il quale è sì magro che par minacci
+rientrare un dì o l’altro per sempre d’onde la prima volta
+escì fuori.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+La mano di Mica era tremante. La voce tremava. Lucio
+Mathone respirò nel vederla posar la <i>novacula</i>. Si asciugò la
+faccia, sedette di nuovo per farsi ungere i ricciuti capelli e
+soggiunse:
+</p>
+
+<p>
+— Calmati, o soave. Non temerò vendette di ferro, poichè
+a te mi affido. Tu sarai la mia tonstrice per sempre.
+</p>
+
+<p>
+— Sì.... Ma abbandona Glaucia, che non ti merita, al
+<span class="pagenum" id="Page_237">[237]</span>
+suo diafano marito. Lascia pure a Cornelio Rufo, <i>ancilloriolus</i>,
+le vendette tue sulla fredda e calcolatrice Nata. Un altro
+cuore si appoggi su quello di Lucio, e la dea pompeiana gli
+sarà propizia.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Mathone si levò, prese colle due mani la testa della fanciulla
+siracusana e le baciò gli occhi ripetutamente. Erano
+umidi e luccicavano come pianeti. Mica lo abbracciò con ardore
+e dentro era convulsa. Si separarono colla promessa di
+rivedersi la sera. E, ribaciandosi anche una volta, dissero in
+coro quella parola spensierata ch’è sulle labbra di tutti, sì
+breve, sì fuggevole, sì mal fida:
+</p>
+
+<p>
+— Sempre.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Allorchè Lucio rientrò nelle sale verdi, dove poc’anzi
+avea lasciato i suoi amici, questi non v’erano più. Altri gli
+avevano surrogati. Quinzio Volcano e Postumio Afra lo salutarono
+tra l’onda fumosa che i caldi <i>calamistri</i> sprigionavano
+dai loro capelli. Ateio Capito a lui mestamente sorrise. Misizio
+Cotilo e Claudio Pudente narravano aneddoti di famiglie che
+eccitavano le risa della briosa brigata. Antonio Saturnino diceva
+i pregi di due bei cavalli africani che avea comperato, i
+quali anteponeva alla coppia di schiavi sicambri, di recente
+acquistati da Capito nel mercato di Herculanum nella occasione
+del <i>Regifugium</i>, alle none di febbraio, per cui si solennizzavano
+nei grandi centri del vasto impero la cacciata dei
+Tarquini e lo affrancamento del popolo romano. Fabullo Nucerio
+vantava la bellezza e le grazie di Phlogis e di Chione,
+tonstrici della bottega della via Jovia di Antioco. Astonio con
+molto rispetto celebrò le sue Mica, Marmerion e Nicidion, abilissime
+nel mestiere e di gentile aspetto. Nell’atto si udì uno
+strepito nella via che troncò ogni discorso. Nella Palestra di
+contro <i>discus crepuebat</i>. Era il segno che le botteghe dovevano
+chiudersi, e le terme si aprivano al popolo. I lavori della giornata
+erano finiti.
+</p>
+
+<p>
+I giovani pagarono Astonio delle sue eleganti fatiche e
+partirono. Alcuni entrarono nel pubblico edificio, ove la folla
+già conveniva. Ateio Capito, accompagnato dal bellissimo Lucio,
+andò per la via delle fontane di Pallade e dell’Abbondanza
+verso il Foro, dove si separarono. E Mathone piegò a
+<span class="pagenum" id="Page_238">[238]</span>
+manca e l’altro a diritta per reddire nelle loro case. L’ultimo
+avea la morte nel cuore. E appena solo, mormorò dolorosamente:
+</p>
+
+<p>
+— Il più giovane dei miei giovani affetti, la fresca alba
+del mio mattino, il lume che schiarava la mia fantasia è partito....
+ritorna nell’Urbe. Essa qui resta amaro e pur delizioso
+ricordo — un idilio che ancor commuove il cuore. Ne cerco
+macchinalmente la mano colla mia e la ritraggo a me vuota.
+Fui lo schiavo di molte maghe. Ma l’ultima.... Aveva fatto di
+questo asilo un Eliso.... Oh! le splendide illusioni! fugate
+come le foglie secche del bosco!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Queste parole, a se stesso, in una stanza buia e riccamente
+addobbata della casa ch’è di contro alle Terme presso
+il Foro e proprio innanzi allo ingresso praticato dalle donne.
+</p>
+
+<p>
+Era disteso sur un lettuccio, prostrato, avvilito. Sentiva
+nel profondo il fremito dei pensieri alati che corrono ardenti,
+che volano verso quelli che si amano e che poi tornano monchi,
+desolati e soli. Era passato a traverso di tutte le gioie,
+di tutti i disgusti, di tutti i disinganni, di tutte le tristezze,
+di tutti i peccati del mondo. Il mistero aveva gittato ogni
+velo alla sua presenza. L’anima era giù nello abisso. Molti
+nel suo caso in Roma si segavano le vene, o si facevano uccidere
+da un liberto. Levossi, scoppiettò colle dita, uscì dal
+cubicolo, e s’avviò verso il triclinio, ove bene spesso aveva
+fatto gioiosi mangiari. Due giovanetti biondi e cincinnati, i più
+belli che fossero in Pompei, Belder e Hado, vestiti succintamente
+di un tessuto di lino egizio, apportarono entro ricco
+paniere frutti gustosi — pane e idromele — un’anfora di vino
+di Chio ed un vaso di argento d’onde esciva il vapore della
+acqua bollente. Due piccole tazze dorate erano sul desco. In
+una mescevasi il <i>merum vetus</i> e nell’altra più larga e profonda
+l’acqua che riscaldasse il vino. Archigenes, giovane
+medico in voga, prescriveva — giusta il dettato di Heraclide
+di Tarentum — e raccomandava l’uso del vino caldo mangiando
+i fichi.
+</p>
+
+<p>
+Ateio Capito si trovò solo su quei cuscini, premuti altra
+volta da figure animate e graziose. Un raggio di sole pallido
+e tristo guizzando tra le foglie degli aranci e tra i cespi di
+<span class="pagenum" id="Page_239">[239]</span>
+rose dello xysto, entrava sul limitare della stanza e rischiarava
+pareti abbellite da squisite pitture. — Leda che presenta
+a Tindaro i suoi figli Castore, Polluce ed Elena in un nido — Amore
+che si lagna colla madre del disprezzo di Diana — Teseo
+che abbandona Arianna. — Mangiò e bevve sbadatamente.
+Ombre invisibili lo circondavano e seguivano i suoi
+movimenti distratti coi loro lunghi sguardi.
+</p>
+
+<p>
+Si ritolse di quivi smanioso. Offerse frutti ai penati nella
+edicola in fondo al giardino e andò a ricacciarsi sul letto.
+Avea le vertigini. Nulla amava in tal momento...... neppure
+la donna — malgrado che sì seducente fosse e che avesse
+voluto di proprio moto partire — Nikopolis, la bella greca,
+aveva trastullato la sua mente — vi aveva lasciato un vuoto — ma
+non si era impadronita del suo cuore.
+</p>
+
+<p>
+Hado leva la tenda spessa di panno e con accento gutturale
+sicambro pronuncia:
+</p>
+
+<p>
+— Padrone, una giovane donna manda a te questa epistola.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Ateio ruppe il filo che legava il rotolato papiro, staccò il
+nodo col suggello di cera; e lesse:
+</p>
+
+<p>
+«<i>Chrysis A. Capito suo.</i>
+</p>
+
+<p>
+«So le tue cure. Verrò. <i>Deos obsecro ut te conservent.</i>»
+</p>
+
+<p>
+Nella corsa state erasi imbattuto in Baiæ con una etera
+sedicenne, di una rara bellezza. — Bruna. — I capelli come
+ala di corvo coi riflessi turchini. — Ciglia nere e lunghe. — Naso
+profilato e formante una linea retta dalla fronte alla base — Ovale
+divino. — Sorrideva come altre mai. — E parlava
+coi suoi labruzzi di corallo con una volubilità, con una grazia
+da incanto. — Nè grande, nè piccola. — Un bello ideale di
+donna, di quell’essere incompreso ed incomprensibile; Angiolo
+decaduto, sulla cui fronte sembra che Iddio lasciasse piovere
+un raggio della sua divinità, e il cui sangue conserva sempre
+i ricordi dell’Eden perduto insieme col fomite dell’antica
+smania curiosa. Nata ai piedi di un vulcano, ne aveva le furie,
+il calore, la bellezza e il mistero. Da essa potevasi attendere
+tutto. Gioie di paradiso, annegazione completa, disperazione
+da dannato.
+</p>
+
+<p>
+— Venere me la manda, e pare la faccia prendere dal
+<span class="pagenum" id="Page_240">[240]</span>
+malizioso suo figlio. Chrysis è <i>oro che si vende per oro</i>. E
+Nikopolis cosa era? Lo ardore dei sensi velato da un ingenuo
+civettismo che pur valea aurei nummi. La <i>bastarna</i> che la
+porta nell’Urbe non soffra nè la pioggia nè il vento; e le mule
+che la trascinano non la ribaltino per via. Rifabbricando sui
+ruderi i ricordi estivi, ricompongo i miei giorni felici. — Sì,
+<i>suavissima mea</i>, vieni e ti amerò.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Levossi di letto, stirò le braccia, sbadigliò e riprese;
+</p>
+
+<p>
+— Sciocco che io era. Stava soffiando una burrasca in
+un simpulo. Tutte eguali! Diverse soltanto dalla voce e dello
+incarnato! Essa verrà, e colle dita di rosa raggiusterà il mio
+rotto cuore e lo renderà sensitivo e profumato. Stravaganza
+insensata l’ostinarsi negli affetti sentiti e di altri tempi! I
+miei padri colla virtù della mente e delle braccia conquistarono
+il mondo. Quirino lo disse, e noi cel godiamo. È il diritto
+degli eredi. L’uomo antico è spogliato. La pellicola vetere
+cadde; e chi la conserva, la infradicia nella carcere Mamertina
+o soffre la grande o la piccola diminuzione del capo — la
+morte — o l’esilio. — Venga Chrysis e sdimenticherò la
+noia e quel ridicolo rammarico per l’assenza dell’Ateniese,
+pessima cicuta che già scorreva col sangue nelle mie vene. Farei
+vergogna al mio nome e al gentil seme latino che regge
+l’orbe a capo della nostra possente repubblica.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Gli attenti lettori di questi miei studi di risurrezione non
+taccino di anacronismo le ultime parole di Ateio Capito. Quel
+degradato Quirite visse e morì credendosi repubblicano. Non
+dobbiamo attribuire agli antichi le distinzioni delle nostre parti
+politiche. È lo stesso sproposito dello scultore che pose la <i>lorica</i>,
+il <i>sagum</i> militare, la <i>solea</i> coi <i>vincula</i> che legavano i
+sandali sulle gambe di Scipione l’Africano alle statue equestri
+dei due Ferdinandi della casa Borbone, e la <i>toga pura</i> colla
+<i>tunica</i> a quella in piedi di Leopoldo di Lorena. Nel mondo
+romano non potevasi fare una distinzione tra repubblica e
+monarchia, perchè l’una era la forma dell’altra. Quando
+Giulio Cesare ammodernò il reggimento, dicendo che era necessario
+tranquillizzare i cittadini col moderare la pubblica
+cosa e porre un freno alla licenza e alla dissennatezza omai
+generale, le istituzioni rimasero, e nulla fu cangio. Il potere
+<span class="pagenum" id="Page_241">[241]</span>
+era stato spesso nelle mani di un solo. E i troppi avevano
+plaudito alla dittatura. Sì, che sursero sentenze a suo pro. — <i>Nulla
+regni societas. — Insociabile est regnum. — Nulla fides
+regni sociis.</i> — E allorchè succedaneamente un solo governò
+lo impero della repubblica, nessuno si die’ a lamentarlo
+perchè pareva acconcio che un sì vasto dominio avesse ad essere
+retto da un solo capo. Tacito — il giustissimo e severo
+giudice delle peccata dei suoi tempi — apre il libro quarto
+dei suoi annali con queste parole: <i>Caio Asinio, Caio Antistio
+Coss. nonus Tiberio annus erat compositæ Reipublicæ florentis
+domus</i> — cioè — Sendo Consoli Caio Asinio e Caio Antistio,
+volgea per Tiberio il nono anno di racchetata repubblica
+e di fiorente famiglia.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Al tempo di cui narro gli avvenimenti in Pompei nessuno
+pensava a rovesciare la forma del governo. Ma tutti avrebbero
+amato di non trepidare sulla cara vita e sulle acquisite fortune.
+Trasea, Tacito, Persio, i fieri patrizi, i filosofi malcontenti aveano
+lamentato i vecchi costumi di Roma e gli antichi usi politici
+non incompatibili collo impero. Chiedevano che il principe non
+nominasse i senatori, nè li radesse a capriccio od a seconda
+della mala sua voglia. Nè salisse i liberti ai primi gradi del governo.
+Laonde i virtuosi e i pochi onesti non alla Repubblica
+erano devoti, ma alla cosa pubblica.
+</p>
+
+<p>
+— Odo rumore di voce. È dessa. Viene.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Ed Ateio non s’ingannava. Trasse a sè la cortina e Chrysis
+gli apparve dinanzi come una visione mattinale.
+</p>
+
+<p>
+— Eccomi a te, <i>dulcissime animæ meæ</i>.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E gli cadde tra le braccia. L’altro la baciò sul viso e
+colle due mani quasi la cinse. Era un’ape; e infantile, sorridente
+e appassionata nell’atto stesso. L’uomo ebbe baci di
+ricambio e sentì un filtro soave penetrare lentamente per tutte
+le parti del suo essere. Era così noiato poc’anzi. Allora, qual
+cambiamento!
+</p>
+
+<p>
+— Sono venuta a guarirti. Ti porto un miracoloso amore
+sul quale, o ingrato, non sapevi contare. Eppure io so che
+soffiavi nei lunghi flauti, affannandoti per una donna il cui
+cuore paga i devoti alle calende della sua patria. Credilo. Ti
+ostinavi a porre il basto sulla schiena di un bove.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_242">[242]</span>
+</p>
+
+<p>
+— E chi è colui che vestì la <i>toga prætexta</i> per le funzioni
+di edile senza aver bisogno dei miei suffragi?
+</p>
+
+<p>
+— Epidico Rufo, il tuo amico <i>a teneris annis</i>.
+</p>
+
+<p>
+— Può crepar gli occhi alla cornacchia, poichè ha lo
+sguardo che va sì lontano. Ciò che v’ha di vero è cotesto. Io ti
+amo, o Chrysis. E ti dovrò le grazie maggiori se per qualche
+giorni — per quanto tempo ti parrà — mi farai qui menare
+la vita che vivevamo in Baiæ, quella vita che lascia corredo
+di sogni per la età a venire. Prometti?
+</p>
+
+<p>
+— Lo giuro per la gentile patrona della nostra Colonia.
+</p>
+
+<p>
+— Mira! Tu se’ giunta in tempo. Il sole cade. Farò venire
+Epidico e Cæsonio. Con essi le amanti loro. Va nello xysto ad
+intesserti la corona di rose. Poi ceneremo lietamente e lungamente.
+Thespio, il tricliniarcha, ti aprirà i cubicoli qui, o
+sopra e sceglierai. Se temi i tremuoti, meglio stare a terreno.
+Comunque tu opini, io sarò presso di te. E morire tra le tue
+braccia, o Chrysis, è un desiarsi in grembo a Venere celeste.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+La fanciulla di Neapolis non era una vestale. Nè per
+quella vita claustrata avea vocazioni. Le frasi di amore l’erano
+ben familiari. Ma dette così — e da lui — le fecero uno strano
+effetto. Grosse lacrime le velarono le pupille. Impallidì. Masticò
+per qualche istanti il proprio silenzio. Gli prese la testa
+fra le mani. Vi pigiò su le labbra convulse e andò via. Quelle
+lacrime, quel pallore, quel bacio valevano bene un lungo
+discorso.
+</p>
+
+<p>
+Ateio si lavò; si profumò; vestì la <i>synthesis</i> che Nerone
+fece adottare col proprio esempio; la strinse ai fianchi col
+<i>cingulum</i> di seta, le cui estremità pendenti servivano di <i>crumena</i>
+da riporvi il danaro; vi appese il <i>sudarium</i>; pose ai
+piedi le <i>phæcasiæ</i>, specie di calzatura posta in moda recente
+dai Greci; adattò al collo una <i>catenula</i> composta di anelli
+d’oro; ed aperta la <i>dactylotheca</i>, trasse da quello astuccio
+alcuni cerchi di diamanti, di rubino e di sardonica che aggiunse
+al <i>symbolus</i> che serviva di sicurtà ai suoi contratti. E
+così andò incontro agli amici nel peristilio e di là al luogo
+della festevole <i>comissatio</i>.
+</p>
+
+<p>
+Cotesto scioperato era assai giovane. Ventitrè anni. E velava
+<span class="pagenum" id="Page_243">[243]</span>
+di esagerato scetticismo l’albospino fiorito della età sua
+per dinotare come le illusioni le avesse cacciate lontano.
+Schiavo del piacere, credeva in esso il solo sovrano possibile,
+mai esautorato, della umana stirpe. Talvolta, in mezzo alle
+orgie — donde nascea la follia, lo epigramma, il cozzo dei
+bicchieri e il tumultuar delle voci — s’isolava in un capriccio,
+si racchiudeva in un sogno, volava ad un pensiero che lo togliea
+dalla crapula ove gli altri si degradavano. E ciò lo rendea
+caro alla fanciulla napolitana la quale lo avrebbe voluto sempre
+così. Allora si sentivano di una carne, di uno spirito solo; e le
+delicatezze più sacre erano quelle che si ricambiavano. In quella
+sera egli le prese furtivamente la mano e la baciò con un rispetto
+che lo rendeva felice.
+</p>
+
+<p>
+Tra i fumi del vino che invadevano i cervelli e gli scabrosi
+parlari, Ateio si curvò verso l’orecchio di Chrysis e le
+disse sommessamente:
+</p>
+
+<p>
+— Sai comprendermi tu? Io ti amo di tutta l’anima
+mia.... come se non avessi amato giammai.... come non pensai
+fin qui che avrei amato alcuna donna nella vita.
+</p>
+
+<p>
+— Oh! non parlarmi così, luce di sole...... Da qualche
+tempo ti guardo e non mi sembri più umano.
+</p>
+
+<p>
+— E che rispondi a questo grido del cuore?
+</p>
+
+<p>
+— Mi abbia Venere irata se la passione m’inganna... Ma
+io perdutamente ti riamo.
+</p>
+
+<p>
+— Che io viva, o ch’io muoia, io rivaleggio coi numi.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+La bella fanciulla aveva avuto il suo amante improvvisato
+in Baiæ, offertole dal capriccio dei passi. E pur d’improvviso
+la era apparsa ad Ateio quando men l’attendeva.
+Abitavano ambidue la contrada poco acconcia al viver casto e
+pudico. Avevano appartenuto al capriccio, di cui il nome ed
+il viso potevano cambiarsi, ma le esigenze sì per lei, come
+per lui non cambiavano mai. Amarezze sdegnose, inique collere,
+sterili gelosie i miei padri non le conobbero. Rispettavano
+il passato come sacro mistero. Ora lo affetto bollente
+erasi fatto sangue impetuoso e carne trionfante. — I beoni vedevano
+triplo. Le donne avevano il volto acceso e stralunato. — E
+nessuno di essi notò quando il <i>pater convivii</i> e la sua
+amante si levarono dal <i>textile stragulum</i> per andar via. Essi
+<span class="pagenum" id="Page_244">[244]</span>
+corsero a celarsi nello Eliso della voluttà e dello amore.
+</p>
+
+<p>
+La luna risplende in Pompei come non vidi mai altrove.
+Sembra ch’essa corra amorosa per ogni via in cerca del bello
+Endimione, di cui tanti i dipinti sulle pareti degli atrii e dei
+cubicoli. In quella sera navigava per l’aere azzurro nella sua
+pienezza.
+</p>
+
+<p>
+Belder era appoggiato al muro sul margine della strada.
+Pensava alle sue verdi lande popolate di buoi. Alla indipendenza
+della sua razza indomabile. Alla obbrobriosa sua schiavitù.
+Egli, libero già come l’usignuolo delle sue native foreste,
+ora abbandonato dai suoi rapitori poichè il vendettero,
+disperava di più rivedere i ruvidi altari, le funebri collinette
+di sabbia sotto le quali posavano calcinate dal fuoco le ossa
+dei padri e i ripari di terra dietro cui si erano trincerati i
+Kanine-faten per difendere dalla ingorda prepotenza dei Romani
+i nati del proprio sangue e le pelli — letto, veste, coperta,
+difesa, lusso della loro esordiente civiltà.... E sospirava!
+</p>
+
+<p>
+Alto e ben fatto della persona, ventenne, biondi capelli
+inanellati gli cadeano sulle spalle — poichè era <i>acersecomes</i>,
+cioè, intonso — e una leggera lanuggine gli adombrava il
+labbro ed il mento. Aveva uno di quegli ingenui sorrisi che
+sembrano tutto comprendere; e tale era lo sguardo racchiuso
+nella sua glauca pupilla, a ricordare i disegni capricciosi
+delle torbe accese nella capanna ov’era nato, in cui da bambino
+pareagli notare i gigli dei laghi, i cespi fioriti delle eriche
+e i gruppi dei pini agitati dal vento e guizzanti come onde
+oscure di fumo nella spessa ed umida atmosfera.
+</p>
+
+<p>
+Un gruppo di giovanette escì parlando e gesticolando e
+ridendo dalla porta delle Terme. Erano le liberte e le schiave
+di C. Cuspio Pansa che rientravano dopo il bagno dirimpetto,
+nella casa vicina. Una delle fanciulle vide più in giù a diritta
+il sicambro. La luna lo illuminava tutto. E con una grazia
+quasi infantile, che le parole non sanno dipingere, corse a lui
+ed aperto gli disse:
+</p>
+
+<p>
+— Da che ti vidi mi sembrasti Adone. E quando ricordo
+il bacio che in Milo la madre mi dava al destarmi, desidero ardentemente
+che tu mel dia in questa terra straniera. Vuoi tu
+<span class="pagenum" id="Page_245">[245]</span>
+riscaldarmi l’anima con tanto bene? Senti tu gli affetti siccome
+noi li sentiamo?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Il giovane distese la sinistra sul capo di lei, le volse la
+faccia verso la luna ed aggiunse:
+</p>
+
+<p>
+— Sei bella, quantunque le Nornen — le sorelle del Fato — ti
+abbiano abbronzato la pelle ed acceso il fuoco negli occhi.
+Wodan — il terribile iddio — bacia le stelle negli spazi
+del cielo. Io bacerò la tua bocca. Ma io non amo mettere da
+parte l’anima mia nelle felicità dei miei sensi.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Phanisco gli fissò gli occhi addosso con una espressione
+di soave languore. Lo sguardo fiero e più la parola austera
+del selvaggio figliuolo dei boschi la penetrarono.
+</p>
+
+<p>
+— Qui, nei nostri cuori una comunione eterna di gioie,
+di pensieri, di pene. Vuoi tu amarmi? Puoi tu cementare la
+unione divina di due cose immortali che si confondono?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— Dammi la mano — Freya ti spinse ver me per alleviar
+le mie pene... Quando avrai bisogno di un uomo che si
+faccia uccidere per salvarti, non correre lungi, io sarò qui.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+La donna, nervosa e passionata, debole e pure dominatrice,
+si slanciò nelle sue braccia senza rispondere. Trionfava
+dell’uomo che da parecchi mesi spesso incontrava e subito
+amò. Era il papiro su cui voleva scrivere la pagina gentile
+della sua vita. L’avarizia non potette mai appressare le labbra
+livide sulla sua fronte. Nè i doni, nè i rigori di Pansa
+valsero a vincere l’ostinato rifiuto. Le sensazioni deliziose che
+ora provava erano la sua ricompensa.
+</p>
+
+<p>
+Fra i due giovani nati in sì diverse contrade — l’una
+bagnata dalle nebbie, l’altra calcinata dal sole — che forse
+incontrandosi per la prima volta si erano ritrovati — seguì
+per qualche tempo un dialogo che chi legge ricorderà senza
+che io il dica. Nel separarsi si promisero un più discreto ritrovo.
+Diana è patrona agli amanti circospetti e pudichi. Ma,
+se inverecondi, gli svela.
+</p>
+
+<p>
+— Oh! l’oro fluttuante sul capo tuo! Quante volte sognai
+di carezzarlo colle mie mani!
+</p>
+
+<p>
+— <i>Geif my een zun. Faruel.</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Phanisco gli accordò di gran cuore il bacio che l’atto
+delle labbra protese — e non la frase sicambra — le parve
+<span class="pagenum" id="Page_246">[246]</span>
+volesse significare e andò via. Ambedue, rientrati nelle dimore
+dei loro padroni, si coricarono sui velli di montone che
+servivano loro di letto. Non una parola, non un sospiro, per
+tema che l’ospite divino, penetrato nel cuore, offeso da distrazioni,
+fuggisse.
+</p>
+
+<p>
+Cneo Vibio aveva voluto disporre e rinnovare lo aspetto
+interno della casa pel ricevimento della sua sperata. I migliori
+pittori vennero a decorarla coi loro pennelli. Ordinò
+vasi fittili in Nola. I bronzi, nel paese. I trapezoidi e le statue
+di marmo, in Herculanum.
+</p>
+
+<p>
+Si lavorava. Gli artisti davano l’ultima mano alle pitture.
+Gli schiavi avevano lustrato col piombo i pavimenti. I fonditori
+consegnavano i candelabri; il letto nuziale e le <i>sellæ jugatæ</i>,
+con quel meandro che noi chiamiamo <i>greco</i> e i Romani
+dicevano <i>lacunar</i> ed i Greci φάτνωμα, da φάτνη, alveolo, specie
+d’intarsia di argento sopra una fascia di rame sul bronzo;
+le lampade; gli arnesi molteplici al servizio delle imbandigioni
+e dei delicati mangiari. Nel tablino — il cui piano era di
+mosaico bianco inquadrato da un filetto nero; e le pareti, dipinte
+da Alectryon, rappresentavano le muse Talia, Euterpe
+e Melpomene, gruppi di baccanti e di fauni, Ganimede rapito
+dall’aquila di Giove, la collera di Achille, Ulisse che con una
+gherminella gli rivela i maschi istinti, e il mendicante re
+d’Ithaca che chiede soccorso ad Eumeo — erano stati deposti
+sui banchi e sul mosaico i vasi, le tazze di vetro egizio scolpito,
+una statua di bronzo ed una di marmo.
+</p>
+
+<p>
+L’uscio di strada era aperto. Uomini eleganti, o svagati
+che occupavano il loro tempo nel girandolare, nel domandare
+e nel ricambiarsi le novellucce del giorno, nel ber fresco o
+condito in ogni termopolio, nel rilevare i vizi e le ridicolaggini
+dei particolari — tutte cose nate dalla attività dello spirito
+e dalla oziosaggine della vita — scorgono colà dentro
+il padrone della casa ed entrano, siccom’erano già entrati in
+ogni bottega di profumiere e di orificeria per far compre per
+sè o per le loro amanti.
+</p>
+
+<p>
+Alleio Nigidio fu il primo a salutare e a stringer la mano
+allo edile ch’era loro venuto incontro nel <i>prothyrum</i>.
+</p>
+
+<p>
+— I tuoi dioscuri sono bellissimi, o Vibio. Chi gli ha dipinti?
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_247">[247]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Poseidonio.... — Ehi!... vien qua per udir la critica
+sul tuo lavoro. — Mi pare però ch’egli abbia reso questo ingresso
+uno dei più splendidi di Pompei.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Il pittore che stava dando gli ultimi tocchi nell’atrio ad
+una Venere celeste coronata, vestita di azzurro con stelle
+d’oro e appoggiantesi sur un timone di nave, presso il quale
+Amore è in piedi sur un piedistallo, si fece innanzi sorridente
+e sicuro. Aveva un berretto frigio sul capo. Una tunica rossa
+sulla persona. La fronte alta. La barba grigia. Il naso breve e
+ammassato. Gli occhi rotondi, scrutatori, memori, pieni d’immagini
+e di scoperte ingegnose. Quella sua figura parlante affascinò
+i curiosi in sull’uscio.
+</p>
+
+<p>
+— Ho seguito la tradizione di Apollodoro. Polluce, immortale,
+figliuolo di Giove. Castore, generato la notte di poi
+da Pindaro, mortale. Il consorzio di un novilunio, pria di vedere
+la luce, teneramente gli affratellò. E quando il geloso Ida
+rese vedova la rapita Ilaira, e quei solenni domatori di cavalli
+divennero costellazioni....
+</p>
+
+<p>
+— Tu credesti acconcia cosa il ritrarre i due nati di
+Leda allo ingresso della casa del nostro edile, come curatori
+e patroni delle sue prossime felicità. Bene facesti nel presentarli
+in atto di camminar lentamente, reggendo ciascuno pel
+freno il cavallo. — Nobile e divina movenza!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Così Giunio Semplice. Ma a Milio Maio non piaceva che i
+due affettuosissimi procedessero sulle opposte pareti a rovescio.
+Simiglianti di volto, di persona, di arnesi, d’intendimenti,
+avrebber dovuto, secondo lui, camminar di concerto.
+Laonde, il pittore a lui replicò:
+</p>
+
+<p>
+— Siccome Giove permise che l’un rinascesse ogni semestre
+per consolare il gemello immortale, così l’una stella
+sorge e l’altra tramonta; ed io diedi all’uno la direzione opposta
+dell’altro.
+</p>
+
+<p>
+— E quel pileo costellato il ponesti sui ricciuti loro capi
+per dinotarli nati di un uovo?
+</p>
+
+<p>
+— Plozio Svellio potrebbe non ingannarsi. Luciano pur
+dice così. Ma io credo con Festo Pompeo che il pileo fosse dato
+a Castore e a Polluce perchè spartani, i quali avevano il costume
+di combattere pileati. E la clamide la posi sugli omeri
+<span class="pagenum" id="Page_248">[248]</span>
+<i>insidentem</i>, come Aliano il decise. Ed <i>ambo hastile gerunt</i>,
+siccome Stazio ha notato. Non trascurai veruna particolarità.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Il capannello erasi accresciuto. E tra gli altri, fattasi innanzi
+Laconies, una schiava addetta alla tessitura delle tele,
+volle anch’essa dire il suo verbo.
+</p>
+
+<p>
+— E al ver ti apponi. Orazio dice nelle satire,
+</p>
+
+<div class="poem"><div class="stanza">
+<p class="i01"><i>Castor gaudet equis, ovo prognatus eodem</i></p>
+<p class="i01"><i>Pugnis</i>....</p>
+</div></div>
+
+<p>
+Dunque se Castore fu detto <i>equorum domitor</i> e distinto nei
+giuochi delle corse, Polluce si palesò valente pugillatore e
+patrono agli atleti:
+</p>
+
+<p>
+— Al duro accento ti riconosco spartana. E mal comprendo
+come tu abbia sì presto obbliato i tuoi conterranei, i
+quali mai si dipartono dai loro cavalli, doppia forza al guerriero.
+E ti aggiungerò qualmente la voce della tradizione faccia
+Giunone donatrice ai Dioscuri di generosi destrieri; laonde
+sempre, o sopra, od a lato di essi, ritraggonsi sui bassorilievi,
+sulle medaglie, sulle gemme, sui vasi e sul marmo. Se non
+vuoi ammettermi queste ragioni, concedi ad un pittore il seguir
+la legge della euritmìa, e torna al tuo mestiere di Aracne.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Risero gli amici alla confusione di Laconies che andò via
+borbottando. Ma prese a difenderla Vibio.
+</p>
+
+<p>
+— In una città qual’è la nostra, a poche miglia di Herculanum,
+presso Neapolis e Nola, non lungi da Baiæ e da Cuma,
+ove ad ogni piè sospinto si rizzano dal suolo edifici eleganti;
+ove di statue son prodighi il Foro, i teatri ed i templi;
+ove l’occhio di tutti viene educato al vero ed al bello ideale;
+ove i portici delle case private si animano e parlano agli occhi
+di chi attento riguarda; ove la vita, dopo il breve lavoro
+manovale, si passa in letture, o in racconti, od in poetiche
+rapsodie, non è maraviglia che anche la mia povera schiava
+abbia potuto emettere il suo giudizio e non aver torto. Nell’Urbe
+il Campidoglio si abbella di Dioscuri colossali a lato dei
+loro cavalli. E ricordo i versi del poeta che pur dice:
+</p>
+
+<div class="poem"><div class="stanza">
+<p class="i08"> <i>Puerosque Ledæ,</i></p>
+<p class="i01"><i>Hunc equis, illum superare pugnis</i></p>
+<p class="i01"><i>Nobilem</i>....</p>
+</div></div>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_249">[249]</span>
+</p>
+
+<p>
+Ma, udite il tafferuglio delle mie genti nel tablino! Mirano e
+sentenziano. Andiamo a vedere il Meleagro, la Baccante, la
+Venere celeste ed un Marte, or or condotti dal nostro valente
+Poseidonio. Quindi esamineremo i dipinti di Atheneo, di Charicles
+e di Astynoos.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E di fatto, non eran chete le gazze. Rhodope e Primigenia
+avevano per le mani due specchi; il disco del primo, di argento,
+era sostenuto da una figura ignuda che ha elevato le
+mani e poggia i piedi sopra una tartaruga; il secondo aveva
+un capriccioso manico ricurvo, terminante con una testa d’oca,
+quasi per appenderlo; ed il disco era afferrato dalla bocca di
+un ariete che colle prolungate corna pur lo fermava.
+</p>
+
+<p>
+— Mercurio, nipote di Atlante, sostiene convenevolmente
+la immagine di una donna, ch’è il pernio del mondo. La testuggine,
+simbolo del facondo dio, indica il voto che la bellezza sia
+lenta a sparire. Ma le serpi, le ali, la borsa perchè qui obliati?
+</p>
+
+<p>
+— Chiedi stranezze, o Rhodope. Le corna sì, in questo
+che ho nelle mani, sono di troppo.... Oh! Mira il bel vaso che
+fa Lochiades opponente da Batracho. Quel giovane che ha
+l’asfodelo nel pugno è in vero manchevole nella persona.
+</p>
+
+<p>
+— Sì, quel torso non fa onore al pennello di Echeclos.
+Potea risparmiarsi di graffiarvi καλος. La giovanetta nuda è
+meglio trattata. Le linee s’intrecciano armoniose, con grazia
+e con eleganza d’invenzione.
+</p>
+
+<p>
+— Di’ sino a domani. Ma il Nolano sa quello che fa. E
+chiudi la bocca dinanzi l’altro fittile che presenta la leggiadra
+donna che ha nella destra lo scettro della bellezza, e porge
+colla manca una coppa piena di gioielli a quel giovane che accetta
+il dono e ne toglie di sorpresa una grossa perla. Gli è il
+simbolo delle nozze di Vibio. La perla del dolore. Il premio
+alla virtù.... Oh! lui beato!
+</p>
+
+<p>
+— Veh! Epogato il bel vase di bronzo dal solo manico
+che finisce con due colli d’oca e dalle foglie di acanto che accompagnano
+i tre piedi con gentili incisioni.
+</p>
+
+<p>
+— Ricorda, o Polydemo, i bei versi di Virgilio:
+</p>
+
+<div class="poem"><div class="stanza">
+<p class="i01"><i>Et nobis idem Alcimedon duo pocula fecit,</i></p>
+<p class="i01"><i>Et molli circum est ansas amplexus acantho;</i></p>
+<p class="i01"><i>Orpheaque in medio posuit</i>......</p>
+</div></div>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_250">[250]</span>
+</p>
+
+<p>
+— E vedi nel manico la testina di Orfeo che da Alcimedonte
+fu posta nel mezzo del vaso cennato dal Mantovano. Meglio
+interessante questa diota col gruppo formato dal puttino
+alato e dal tigre sui due manichi.
+</p>
+
+<p>
+— <i>Butu Batta!</i> Cotesti κακαβοι, o come qui gli chiamano,
+<i>akena</i>, faranno brontolare il <i>coquus</i> Elesiade di Messana. Più
+eleganti le <i>sartagines</i> da friggere, le <i>pelves</i> da cuocervi dentro
+le carni e le <i>patellæ</i>, quelle tegghie da pesce. Eccolo che
+viene, o Lucidea. Scommetto approverà lo <i>ahenum</i>, di forma
+elegante, che ha il manico del coperchio simulante un delfino.
+</p>
+
+<p>
+— V’ingannate, o Abacino, o Issa, o Hagyo e Certa. I
+cacabi da appendere o da poggiare sui tripodi gli amo meglio
+semplici e senza ornamenti. La dea Fornax nè sa qualcosa
+quando gli schiavi gli nettano. Le casseruole le avrei
+volute fornite di bei manichi — una testa di lepre — un capo
+d’aglio — un ariete. — V’è solo il buco per appenderli. La
+patella per cuocer le uova a riverbero nei loro gusci onora
+l’artefice. Cotesta sì, è una sorpresa, e debb’essere Mutraio
+Quirinale, il fabbro che ha bottega sulla via Domizia. Liberò
+alla sua salute stasera dal vinaio Spiritus. E poi, come tutto
+è bene stagnato nello interno, secondo il recente sistema dei
+Galli Biturigi, sì che pare inargentato come pria si faceva.
+</p>
+
+<p>
+— E che dici, o sapiente manipolatore, di quella fornacella
+di ferro, contenente il vaso per le opere tue?
+</p>
+
+<p>
+— Non la lodava, o Certa, perchè <i>pars maxima in ea</i>.
+Ne dissi il congegno a Saturnio, il puteolano; ho assistito
+alla sua fattura, e me ne servirò per tenervi calde le salse
+con pochissimo fuoco, chiuso com’è di ogni parte. Ma i tre
+manichi ch’egli vi aggiunse, uno pel coperchio e gli altri per
+trasportar la fornace ove piaccia — quelle statuette di donne
+giacenti — sono proprio una maraviglia.
+</p>
+
+<p>
+— Berrai anche per lui, o Elesiade, eh?
+</p>
+
+<p>
+— E berrò triplo, o Abacino, se tu mi secondi. — E berrò
+decuplo come Anacreonte, se Certa non disdegna il contatto
+delle mie labbra e l’autocrazia sulle vampe del mio cuore.
+</p>
+
+<p>
+— Salve, o imperatrice dei cacabi!
+</p>
+
+<p>
+— Eh! dicesse da senno.... accetterei.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Due ragionavano tra loro in mezzo agli sguaiati parlari.
+<span class="pagenum" id="Page_251">[251]</span>
+E miravano due statue di perfetto lavoro. Quella di bronzo
+posava sur un globo guarnito dalla fascia zodiacale. Era da
+collocarsi nello impluvio, dinanzi lo ingresso della casa. L’altra
+di marmo aveva un occhio di bronzo nelle reni per collocarla
+sospesa in aria tra le tettoie della seconda corte e sopra lo
+xysto. Erano veramente due capi d’opera.
+</p>
+
+<p>
+— Mira, o Aurelio Postumio. Le chiome cadenti sugli
+omeri, il seno ricolmo, il peplo che dal capo va giù in lunghe
+pieghe, la rotondità delle forme la testimonierebbero donna,
+se l’artista l’avesse tutta coperta. La destra rialzata sulla
+spalla per rilevare l’unica veste e il flabello che stringe colla
+sinistra sono pur muliebri atteggiamenti. Quel figliuolo di Mercurio
+e di Venere nel cui corpo la passionata Salmace si compenetrò,
+servì all’allegoria di cui sono scuole perpetue le antiche
+iniziazioni.
+</p>
+
+<p>
+— Come, o Vepinio, l’ermafrodismo non è dunque nella
+natura, e le son favole quelle che troviamo nei papiri?
+</p>
+
+<p>
+— Sono e non sono. Ma la statua che Vibio commise allo
+artista ercolanese dice tutt’altra cosa. Cotesto accozzamento
+delle parti maschili e delle forme femminee che posa i piedi
+sul globo terrestre è il genio della natura che s’immedesima
+nei due sessi.
+</p>
+
+<p>
+— Che ammirate di bello?
+</p>
+
+<p>
+— Ammiravamo, o Giunio Semplice, l’allegoria ch’è in
+quella statua di bronzo e.... Vibio, tu fosti servito a dovere. Il
+Fauno, il Narciso, il Sileno, il Bacco, ed altre poche scolture
+in Pompei possono gareggiare in siffatto confronto. Ti costa
+molto?
+</p>
+
+<p>
+— Aurei nummi!
+</p>
+
+<p>
+— Bene spesi!... E lo stesso artista fe’ pure la statuetta
+di marmo?
+</p>
+
+<p>
+— Mai no. — Una è di Apollonio, figlio di Archias. L’altra
+è di Suliodes, lo ateniese. Rappresenta l’anima umana
+che allargando mollemente le braccia e spingendo lo intero
+corpo vaghissimo nello spazio, cerca, ricerca, urta, cade, si
+risolleva e vola nelle ondulanti spire dell’aria.
+</p>
+
+<p>
+— O maraviglia!
+</p>
+
+<p>
+— E perchè nel destro polso la sottile armilla?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_252">[252]</span>
+</p>
+
+<p>
+Un uomo ch’era stato ad udire colle braccia in croce
+dietro le spalle, e tutt’occhi guardava la statua posta sur un
+tappeto di lana per terra, non potè a meno di dire:
+</p>
+
+<p>
+— È il legame della psiche immortale col suo velo corporeo
+quaggiù.
+</p>
+
+<p>
+— Bravo! è un uom di genio costui!
+</p>
+
+<p>
+— Merita del vino <i>diffusum consule capillato</i>.
+</p>
+
+<p>
+— No. Se ne avessi sarebbe dolciume. Darò a Peloro di
+quello <i>mecum natum consule antiquo</i>.
+</p>
+
+<p>
+— Io rimango estatico, o Giunio, dinanzi quella scultura.
+La rivedrò messa al posto. Come la gioventù diffondesi per
+tutte le membra, e colla gioventù la bellezza!
+</p>
+
+<p>
+— La correzione del disegno, o Vepinio, la grazia dello
+atteggiamento sono un insieme che rapisce ed incanta.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Nell’atto entravano per l’uscio di strada Hermio e Macerio.
+Erano due schiavi dello edile. Uno richiamò la di lui
+attenzione su due briglie che avea per le mani — una semplice — una
+più adorna. — Erano di bronzo.
+</p>
+
+<p>
+— Mira, o padrone. Questa a sinistra non la desidero.
+Nessun ornamento. Lo artefice però ha aggiunto al <i>prostomis</i>
+la bella catena, la <i>psellion</i>, per sedurmi. Sfibbierò l’altra e la
+ficcherò pei due anelletti laterali, ne’ quali va il freno, e la
+passerò sotto il labbro inferiore del tuo nobile africano, perchè
+non apra la bocca. Consenti?
+</p>
+
+<p>
+— Tu hai gusto, vecchio Hermio. La equilia è il tuo regno
+e disponine a modo tuo.
+</p>
+
+<p>
+— È buono il signor nostro. Sappiano tutti gli dei ascoltare
+i miei voti. — Comperai anche un <i>prometopides</i>, da porsi
+sul fronte del cavallo. È di bronzo, intarsiato di argento con
+bella maestria. Mira! In mezzo havvi un dischetto ove appariscono
+in basso rilievo due uomini seminudi che si tengono
+per mano, pigiando le uve sotto una pergola.
+</p>
+
+<p>
+— E tu, Macerio, che rechi?
+</p>
+
+<p>
+— Una lanterna, o padrone. La luce fumosa della fune
+impegolata, nottetempo ti offende. — I due sostegni sono di
+metallo a getto. Per dar passaggio alla luce interna ho preferito
+il corno, sottile più del vetro e più forte. La comperai da
+Tiburzio Cato; nè ho a dir altro.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_253">[253]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Sono contento dell’opera vostra. Andate.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Quei giovani s’intrattennero anche alcun tempo collo
+edile, ragionando di arte, aspirandone per la retina degli occhi
+e traspirandone per ogni poro.
+</p>
+
+<p>
+E chi non era artista in Pompei? Scuole, siccome noi or
+le intendiamo, non esistevano. Ma tutto e tutti ne fornivano
+continuo i modelli, dalla natura animata alla natura palpitante.
+I pesci nel mare, le triremi sul Sarno, i begli alberi carichi
+di frutta sul piano, le case di campagna sul versante del
+Vesvio, i monumenti nella città, i bambini ignudi, le donne
+non molto coperte — di belle linee fornite e di facile consorzio — il
+culto professato largamente alla iddia del cuore dalla
+pubertà sino al possibile, ecco gli educatori allo sguardo per
+la scienza della forma, per la leggiadria delle movenze, per
+la magia dei colori, per l’armonia dei gruppi. Io veggo graffite
+sui muri caricature delineate col sentimento dell’arte.
+Nello ambulatorio addetto alla famiglia degli accoltellanti
+erano immagini di giostre, di uccisioni e di cacce che nessun
+soldato oggi saprebbe segnare colla baionetta. I mosaici presentano
+una varietà di disegni ed uno accoppiamento di marmi
+ammirevole. Non un quadro copia di un altro. Se raffigurante
+lo stesso soggetto, diversa la posizione delle figure.
+E ve ne ha di quella che Raffaello e Michelangelo avrebbero
+testimoniato co’ loro nomi.
+</p>
+
+<p>
+Io credo che ai monelli — dopo aver macinato i colori e
+visto il metodo di adoperarli — prendesse sovente la fantasia
+dello imbratto e riescissero. E incoraggiati e plauditi, continovassero.
+Quell’<i>anch’io son pittore</i> debb’essere di antica
+data. Ed è certo di origine italiota dai secoli lontani.
+</p>
+
+<p>
+Gli amici si salutarono e si strinsero le mani.
+</p>
+
+<p>
+— Quando le nozze?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— Appena, o miei, avrò posto in assetto queste domestiche
+cose.... Nei giorni fausti del quinto mese. — Fra
+poco.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— Augurii lieti, felici.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Tutti partirono. Andarono di concerto sino all’arco a
+trionfo. Quindi ognun prese il suo cammino, quale verso il
+Foro, quale alle sue case. Un d’essi, Marco Porcio, avviossi
+<span class="pagenum" id="Page_254">[254]</span>
+colà d’onde esciva la luce che irraggiava in quei giorni il suo
+cuore. E camminando diceva a sè stesso con quel gesto animato
+dei meridionali.
+</p>
+
+<p>
+— La mia chimera è svelta come Diana cacciatrice. La
+donna breve, più che uno sproposito, è una inavvedutezza
+di Vitunno che dà il soffio della vita ai mortali. L’amo bianca,
+perchè il giglio è bianco. I poeti per velare gli orrori della
+pelle bruna la dicono dorata dai baci del sole. Quell’oro è
+rame brunito; è una epidermide di assi. Ho qualche sospetto
+però sul colore dei suoi capelli. Ma così qual’è, anima e corpo
+sono un invidiabile possesso.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Cennia Augusta — della famiglia Procula — che l’occupava
+sì da veder lei in ogni cosa nella quale imbattevasi, lo
+riamava; ma di quello affetto di donna giovane e svagata che
+vien dopo la idolatria di sè stessa. Quanta giovinezza! Quali
+occhi! Oh! come purissimi i suoi contorni! Tre anni innanzi,
+in aprile, aveva compito dodici anni. E se lo spirito avea
+progredito, anche la natura aveva sviluppato su di lei le sue
+forme svariate. Già nella notte un ribollimento del sangue
+aveva sollevato i suoi sensi nel calore del riposo ed operata
+una gradevole epurazione che avevala agitata e commossa
+tutta. E nel maggio, la natura fiorì in lei d’un tratto e senza
+sforzo, siccome una rosa vivace e fresca che sbocci al bacio
+possente dei raggi di un sole di primavera. Non poteva uom
+vederla senza sentirsene punto dentro. In quell’ora la era
+discesa dal letto di avorio per andare nel domestico bagno.
+Quivi:
+</p>
+
+<div class="poem"><div class="stanza">
+<p class="i01"><i>Effulgent camerae, vario fastigia vitro</i></p>
+<p class="i01"><i>In species animosque nitent:</i></p>
+</div></div>
+
+<p>
+E la giovane etèra baloccavasi nel tino di bronzo, lucido
+e terso come oro, e udiva la cronaca scandolosa del giorno
+che Feda, la sua venerea, le andava narrando, intanto che la
+<i>flabellifera</i> le teneva lontane le mosche dal capo. Dopo un
+lungo cicaleccio su molti svariati propositi, Giulia interruppe:
+</p>
+
+<p>
+— Oh! Tutto concedo ad Horania di M. Alleio Sirico. — Il
+lusso di cui non abbisogno — lo amore che mi circonda — gli
+<span class="pagenum" id="Page_255">[255]</span>
+affetti di Porcio dipendenti dal mio sorriso — le di lei
+ville sontuose in Capreas e sul Vesbio — tutto — tranne
+quella <i>crotocula</i> dal colore di zafferano, tanto ora in moda....
+Ahimè!.... Tamno; il mercante nella via Popidiana che mena
+alla porta di Nola, mi assicura non averne più di tal tinta.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— Eh!... l’avrà. E vorrà fartela pagar nummi d’oro.
+Phrygia — la tua nudrice — udì lo sproloquio che Tamno
+facea con Ebelana e con Lusia al proposito di quella stoffa
+egizia. Certo, par cosa maravigliosa. Sai?... Egli riceve dal
+paese che crea ogni portento tessuti bianchi, ma apparecchiati
+da industri artefici in Tyro. Gli tuffa nella caldaia ove bolle
+un mordente, e le stoffe impregnate escono fuori di colore diverso,
+cui nè l’uso impallidisce, nè l’acqua della fullonica
+lava.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— In verità, di quella tinta io non vidi mai alcuna veste.
+E la voglio. E l’avrò.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Odesi un leggero rumore di passi sul molle tappeto della
+stanza vicina. Una mano solleva la portiera. Ed ecco due giovani
+e belle schiave, vestite di lunghe tuniche bianche, le
+quali penetrano nel misterioso asilo di Venere e delle Grazie.
+</p>
+
+<p>
+— Marco Porcio, o padrona, è venuto e chiede vederti.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— Mercurio, o Feda, a me propizio lo manda. Sacrificherò
+a quel divino nel mio larario.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E sì dicendo si sollevò dal tino. E dal suo bellissimo e
+ignudo corpo discese a goccioloni, come pioggia di perle, l’acqua
+profumata da asiatiche essenze. Le schiave denudaronsi
+anch’esse le braccia e il petto rigonfio per essere più libere
+nei loro movimenti. E carezzarono con minuziosa cura la dermide
+delicata della padrona mercè sottili spugne tinte di porpora.
+E presi gli strigili di avorio, con essi mollemente la
+tersero. E la nettarono colle pomici. E la dipelarono col <i>lutum
+venetum</i> — miscela di terra di Cypras e di aceto. — E
+l’asciugarono a modo colle pelli del petto dei cigni.
+</p>
+
+<p>
+Quando in seguito la Cennia fu innondata di aromi i meglio
+preziosi dell’Assiria e dell’India, chiuse la seducente
+persona in una di quelle tuniche di lana che Varrone chiamava
+stoffe di vetro per la somma loro leggerezza: calzò i
+piedini in eleganti <i>soleæ</i> scarlatte, adorne di ricami d’oro e
+<span class="pagenum" id="Page_256">[256]</span>
+di granati. E appoggiata sulle spalle delle schiave, si trascinò
+in una stanza bene illuminata, dove le donne di quella tempra
+<i>dum comuntur, dum moliuntur</i> spendevano un anno di
+vita.
+</p>
+
+<p>
+Finchè durarono le prime cure nessun occhio indiscreto
+potè penetrare in quello asilo, come se quivi si fossero celebrati
+i misteri della Buona Iddia. Fra lo <i>speculum</i> di argento
+e la persona è sulla tavola tutto un <i>mundus muliebris</i> — spilloni,
+stili, lime per le unghie, spazzolini pei denti, pennelli
+pel liscio, mollette per strappare i peli del mento, vasi di
+avorio, di alabastro, di argento, di vetro, di terra di Nola,
+di murrhina, contenenti i cosmetici i più svariati e le essenze
+preziose. — Vi erano le pomate di Cosmos, e di Marcelliano.
+E i profumi d’Iris di Corinthum. E gli olii estratti dalle rose
+di Pæstum, di Præneste, dallo zafferano di Rhodum, dalla
+maggiorana di Cos. Nè tra gli aromi mancava quello delle
+mandorle amare di Mendes; e del cinnamomo che costava
+venticinque denari la fiala; e il così detto <i>regalis</i>, perchè
+composto pei re dei Parti, il quale odore era il più stimato e
+ricerco per la ragione che gli era il peggio costoso degli altri.
+</p>
+
+<p>
+Dopo avere annerito i sopracigli e le palpebre con uno
+spillo esposto alla fiaccola della lucerna e rosate le gote col
+belletto — sì che gli sguardi doventassero vivaci e lo incarnato
+attraente — una nuova schiava, Hellen, sparse sulle
+chiome di Cennia un’acqua il cui secreto era dovuto ai Germani,
+il popolo suo. Quei capelli, poc’anzi neri come ala di
+corvo, presero presto lo splendore dell’oro, ardente qual
+fuoco. Dappoi che Nerone avea celebrato coi suoi pessimi versi
+il biondo arrischiato della sua consorte Poppæa — cui egli diè
+il nome di saccinum, fossile combustibile, bituminoso di un
+giallo rossiccio come il giacinto — le eleganti avevano sdegnato
+le nere capigliature che ornavano la fronte delle figliuole
+del popolo italiota e, o si adattavano sul capo i capelli tessuti
+delle bianche donne nate sulle rive del Reno, o li tingevano
+del colore dell’ambra per non parere creature volgari.
+</p>
+
+<p>
+Allorchè la <i>coma</i> fu <i>calamistrata et crispata calido ferro</i>,
+e gli aghi crinali la tennero in quell’ordine di anelli che la
+moda imponeva, lo amante poteva entrare ed assistere al
+<span class="pagenum" id="Page_257">[257]</span>
+compimento dell’acconciatura. I veli del mistero non avevano
+altro a coprire dinanzi al suo sguardo.
+</p>
+
+<p>
+— Venere physica e Mercurio abbiano lo altare giuncato
+di fiori. Poi sacrificherò io in secreto alle divinità favorite.
+Intendi, o venerea? Ora, introduci qui il giovane Porcio....
+Prima però dammi la <i>calthula</i>.... eccola là... quella leggera,
+azzurra, che si accorda coi miei capelli ora biondi. Mi avvilupperò
+in essa per quanto occorra.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Marco venne accolto con una di quelle frasi che danno al
+colloquio della prima ora lo incanto e la dolcezza della intimità
+profonda. Cennia gli stese la piccola mano, gemmata in
+ogni falange, che l’altro passionatamente baciò. Non so se i
+pochi lettori, che le cure nazionali e le depauperate fortune
+mi economizzano, abbiano mai riflettuto al rapporto misterioso
+che esiste tra la mano e la bocca di una donna amata. Parmi
+che in quelle dita, su quelle labbra arda una qualche fiamma
+che bruci il sangue. Sono i due punti da cui scaturisce il filtro
+che crea le grandi ubriachezze del mondo.
+</p>
+
+<p>
+Erano soli e senza alcun sospetto. Non io narrerò la conversazione
+del cuore ch’ebbero insieme. Un profumo divino
+era racchiuso in ogni loro pensiero. Un mistico fiore fu colto,
+assaporato, goduto. Quando il dialogo — interrotto talvolta
+da eloquenti silenzi e riattaccato da frasi velate che dicono
+tutte le cose della terrà e del cielo — ebbe fine, la donna dominata
+da una idea cardinale che l’agitava da tempo, discese
+dallo empireo dei sensi e così prese a dire:
+</p>
+
+<p>
+— Io sono ciò che hai voluto.... Mi sento tua. E ne son
+lieta.... Sì, tu mi fai la donna felice quaggiù. Ma....
+</p>
+
+<p>
+— Che manca a Cennia Augusta, l’amica dell’anima
+mia?
+</p>
+
+<p>
+— Ho il bene supremo con te.... Avrei Venere irata se
+mi dolessi. Mi ami e mi dài continove prove di affetto. Ma
+una goccia di pioggia turbinosa mi è caduta sul cuore. E i
+dragoni, le arpie, le chimere, tutti i mostri di Acheronte non
+m’impaurano come il pensiero che da qualche istante mi assedia.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Allora lo amante ansioso si levò dalla <i>cathedra</i>; e abbracciandola,
+cercò consolarla:
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_258">[258]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Se tu mi ami riamata, qual fuoco incendia le ali della
+tua psiche divina?... Tu guardi confusa sulle tue mani?... Sei
+stanca delle gemme incise da Phrygillo, da Tamyro, da Apollonide,
+da Tryphone, da Dioscoride? Preferisci ornar le tue
+dita di smeraldi, di granati, di ametiste, di niccoli lavorati
+da Aquilas, da Quintillo, da Rufo, i migliori tra gli artefici
+del giorno? Dillo ed avrai....
+</p>
+
+<p>
+— No, caro ed amato Porcio.
+</p>
+
+<p>
+— Tu arrossi confusa? Ah! comprendo ciò che da me
+ti divide. Rivedesti nell’Odeon Q. Pompeo Amethysto che un
+giorno sospirava ai tuoi piedi. Ha un fascino il suo sguardo.
+Parecchie donne mi han detto che i suoi occhi dimoiano più
+facilmente le reticenze del cuore, di quello che il sole la
+neve.
+</p>
+
+<p>
+— Tu evochi periglioso ricordo. Che la memoria solletica
+più furiosamente dell’atto. E lo invisibile dà una scossa
+dolorosa e di tutte delizie alla fibra delicata di certi cuori...
+Ma, non temere. Non è l’ombra che viene ad assalirmi....
+Bene, una cosa reale.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E lo chiuse tra le sue braccia e lo baciò colle labbra
+smaniose. E poi, mirandolo fisso per meglio immedesimarselo — era
+sentimento? era artificio? chi comprese mai il vero
+sullo sguardo delle anime innamorate? — proseguì:
+</p>
+
+<p>
+— Se io ti oblio, o Marco, che Venere mi oblii. Il mio
+amore per te è la saviezza del cuore. Io mi voto a te con
+tutta la tenerezza della creatura composta di nervi e di
+sangue.
+</p>
+
+<p>
+— Ma dunque, parla. Che è mai?
+</p>
+
+<p>
+— Perdona. Noi — fragili cose — siamo l’orgoglio, la curiosità,
+il capriccio, lo interesse vanitoso del sesso più forte.
+Una <i>crotocula</i> io vidi del colore ora in moda. Tamno l’ha
+venduta ad Horania, donna del tuo amico Sirico.
+</p>
+
+<p>
+— Ma Tamno altre ne avrà.
+</p>
+
+<p>
+— No. Sol’una ed è quella. Lungo è il tragitto da Tyro.
+Breve dall’Urbe. Toglimi da questa malattia del cuore. Ed
+avrai tra le tue braccia la donna scherzosa come un epigramma
+e passionata come una elegia. Vuoi?
+</p>
+
+<p>
+— Il sole ha mille aspetti commoventi, e tu sei come il
+<span class="pagenum" id="Page_259">[259]</span>
+sole, o mia. Mi facesti tremare pur dianzi. Or mi sollevi dal
+profondo ove la fantasia incerta non trovava la strada per
+tornar su. Sì, o amore, sarai consolata.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Chi descrive il sorriso di Cennia Augusta a quei detti?
+Non io. Sulla sua faccia splendeva qualche cosa di fuggitivo,
+d’indistinto, di misterioso che fornisce nuovi alimenti alle
+vampe che allumano il nostro sangue. Quegli che sa le grazie
+della donna, e che passò la sua gioventù a contemplarla, e che
+apprese a vivere contemplandola, comprenderà e delineerà il
+sorriso di quella bellissima creatura appagata.
+</p>
+
+<p>
+— Lo giuro a Venere sacra, e l’avrai.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Partì. E quel giuramento della volontà fu un di quei pochi
+che il vento mal fido non osò portar via.
+</p>
+
+<p>
+Horania — la giovane donna invidiata pel possesso della
+<i>crotocula</i> — era allora in una sua villa sul versante meridionale
+del Vesbio. La strada che vi conduceva — praticabile
+dai cavalli e non da alcun carro — era abbellita di alberi e di
+fiori, e di utili culture. Le quali venivano qua e là interrotte
+da enormi massi grigiastri che facevano pensare ai combattimenti
+misteriosi tra esseri di una forza sopraumana ed altri
+la cui natura il senso religioso tentava spiegare. Su quei massi
+non una pianta; qualche arido stelo sulle crepacce. Pareva la
+preda offerta agli ardori divoranti del sole. La casa era grande
+e di forme svariate. Torri — porticati a colonne — piscine
+elittiche — atrii con camere da letto, sale, bagni, e fauci che
+il tutto riuniva, esponendo ad un cielo di zaffiro le sue mura
+bianche ed incontaminate.
+</p>
+
+<p>
+Il padrone di quel luogo sontuoso era assente. Sirico — che
+in città possedeva la casa prossima alle Terme, dal
+triclinio il più ricco di pitture che sia in Pompei, dal protiro
+che saluta il lucro quale la divinità del suo cuore, e che sul
+muro di contro aveva fatto pingere ad encausto i serpi simbolici
+contro il mal’occhio colla iscrizione: <span class="smcap lowercase">HOTIOSIS LOCUS HIC
+NON EST PROCEDE MORATOR</span> — era un uomo di speculazioni
+arrischiate che i costumi depravati ammettevano. Provvedeva
+di cinedi e di fanciulle i fastosi del paese e di fuori, e
+faceva mercato di schiavi da lui comperati in Europa e nell’Asia.
+Da due mesi trattenevasi nell’Urbe a cagione del suo
+<span class="pagenum" id="Page_260">[260]</span>
+turpe commercio. Horania era stata a sedici anni da lui acquistata
+in Pale, dell’isola di Cephallenia che con Ithaca prospetta
+il promontorio greco dell’Acarnania. Più che quarantenne,
+avevane fatto la compagna della sua esistenza;
+impadronendosi di una giovane vita — non del suo cuore — e
+sommettendola ai suoi capricci. Il lusso, i vini delicati, i
+ricchi mobili, le più ricche vesti, i monili d’oro, le gemme,
+le perle, il codazzo dei servi, la casa di città e di campagna
+sono lo accessorio della felicità per l’anima giovanile della
+donna; ma non la felicità piena. Laonde la si era incaricata
+un giorno di secondar la fortuna, la quale talvolta tradiva il
+commerciante nei traffici suoi.
+</p>
+
+<p>
+Giovinezza e bellezza non sono di frequente sinonimi. Vi
+ha donne, non giovani, bellissime. Vi ha giovani incompiutamente
+belle. Se il volto è appassito, il corpo è un fiore sul
+gambo. Se il viso è fiorente, la persona non è ancor ritondata.
+La donna dai venticinque ai trenta anni è la vera madre
+della grazia, della bontà per tutti, delizie ch’essa rivela cogli
+occhi ricchi di pietà, di gentilezza e di amore.
+</p>
+
+<p>
+Ed Horania era, quale io la veggo nei miei pensieri, di
+una bellezza antica. Con un elmo greco sulla testa e il torace
+coperto da squame d’oro avrebbe raffigurato Minerva in quei
+tempi della carne glorificata e dei divini ardori. Le sue narici
+mobili e graziose posavano sur una bocca rosea, umida e
+sempre aperta al sorriso. Quando parlava pareva un uccello.
+Quando taceva sembrava un fiore. Due grandi occhi, del colore
+delle viole mammole, si disegnavano sotto una fronte diritta,
+adorna di capelli abbondanti, che in onde oscure le s’inanellavano
+sulle spalle, ritenuti da una rete di fili d’oro. I piedi,
+le braccia, le mani impensierivano i cultori dell’arte imitatrice.
+Da tutta la persona snella e leggiadra venivano allo
+sguardo emanazioni sottili, invisibili di fascino e di voluttà.
+</p>
+
+<p>
+Un giorno Catullo Messalino, tornando da una ispezione
+alla colonia dei veterani, la incontrò colle sue schiave in una
+via solitaria del monte. L’uomo e la donna si guardarono a
+vicenda. Ed ambedue compresero dai battiti del cuore lo arcano
+che la natura compone nel sangue e rivela quando che sia.
+</p>
+
+<p>
+Il giovane centurione era siculo. Aveva l’anima di fuoco.
+<span class="pagenum" id="Page_261">[261]</span>
+E la pelle che coprìa le sue carni era pure bronzata dai raggi
+del sole natìo. Non era bello di quel tipo che Phidias, Gorgias,
+Pithagora di Rhegium, Patroclo di Crotone, Hypatodoro
+e Aristomede di Thebes avevano fissato con linee convenzionali.
+Di statura mediocre. Di forme proporzionate. Un misto
+di tristezza e di grande energia. Se sul campo contrastato
+avesse avuto la fortuna a rovescio e i militi fuggenti, come
+Arrio Secondo avrebbe strappato l’aquila dalle mani del vessillifero
+e, gittatala in mezzo alle falangi nemiche, detto cogli
+occhi:
+</p>
+
+<p>
+— Io corro al pericolo in nome di Roma eterna. Seguitemi
+e riprendete la gloriosa insegna!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Molti uomini, presi dal fulmine di quegli occhi, sarebbero
+tornati i vincitori del campo. Nessuna donna — almeno per
+un istante — avrebbe potuto restarsi muta allo appello.
+</p>
+
+<p>
+Quei due esseri si amarono e ardentemente si amarono.
+Messalino passava alcune ore deliziose della sua giornata con
+lei. Sulle di lei labbra gli sembravano più belle le parole della
+lingua natale. Le frasi si dipingevano di un candor virginale
+e di certe delicatezze che pareano innocenza. Egli coglieva per
+essa le più belle rose e i più bei frutti del luogo. Ed Horania,
+sdraiata ai suoi piedi sur una pelle di tigre, accennando alle
+ridenti piagge di Surrentum, di Capreas e di Pithecusa che
+chiudevano il cratere partenopeo, addolciava la vita di poetici
+pensieri, sollevati dalla immagine estatica ed amante che
+aveva dinanzi. Una subita e terribile fatalità poteva troncare
+il filo di quei sogni dai quali quegli spensierati si faceano cullare.
+</p>
+
+<p>
+La passione è il vino delle grandi ebbrezze, o è l’acqua
+di Lete — vino ed acqua che hanno la potenza di annuvolare
+i cervelli.
+</p>
+
+<p>
+— Amore! tu mi hai ritolto da una vita di noie e di secreti
+lamenti e mi portasti sulle tue braccia in paesi ignorati.
+Ciò che tu m’inspiri lo sapeva io pria di vederti? I tuoi baci
+sono profumati come il mele d’Hymetto. Il tuo amplesso mi
+ha creato il cuore. — Sirico.... Oh! Sirico non era da tanto!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Messalino si rammentò di un uso antico della sicula gente
+che meglio avrebbe risposto allo incantesimo di quelle parole.
+<span class="pagenum" id="Page_262">[262]</span>
+Prese dalla corona di rose che a lei cingeva le tempia un bottone
+rossissimo di Mileto che parea fior di granato. Lo sfogliò
+in una coppa di murrhina ripiena di falerno e la vuotò in onore
+di lei e della sua idoleggiata bellezza.
+</p>
+
+<p>
+Questa era la vita che furtivamente, o per caso infinto, o
+per meditato convenio menavano da due mesi quelle creature
+felici sotto il cielo ardente della Campania e nella invocazione
+di Venere protettrice. Le ore lietissime sono siffattamente fugaci
+da eludere il taglio dello scalpello, il graffito della penna, il
+plagio del colorito. Lo spettro, che è cosa morta, non può riprodurre
+la scena del cuore, che è cosa viva. Non posso però
+ritrarmi dal pingere la sofferenza che straccia e dilania le viscere
+di quegli amanti sorpresi nel grembo di una svagata
+sicurtà.
+</p>
+
+<p>
+Catullo Messalino, attraversato un bosco di lauri, entra
+in uno xysto, penetra nell’æcus e si ferma. Quale inno cantavano
+i begli occhi neri e radianti dello eroico centurione? Era
+un’ode. I ricordi, la speranza, la gioia illuminavano gli
+sguardi ricercatori. Ma Horania non vi è. Esce e nel sollevare
+la cortina che abbuiava la luce di una camera, la donna dell’anima
+sua si leva dal lettuccio e gittandosi nelle sue braccia,
+pallida ed in lacrime, chiude il viso sul collo di lui.
+</p>
+
+<p>
+— Domani.... forse oggi.... egli qui!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Siffatto caso, sì preveduto, e tante volte meditato, parve
+ad ambedue una inattesa sventura. Messalino non rispose e
+più ardentemente la baciò. Quindi:
+</p>
+
+<p>
+— Horania.... egli venga e trovi vuoto il cubicolo tuo....
+Abbandona queste equivoche dovizie, sparse di lacrime e sporche
+di fango.... Vieni meco.... Dovunque sarò e tu sarai....
+Posso omai vivere senza te?... E non morresti tu lontana dal
+leone del cuor tuo?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+La donna era così sprofondata nel suo cupo dolore, che
+lo udiva trasognata e levava gli occhi lucidi al cielo quasi
+per incontrarvi una idea consolatrice. Ma vi sono momenti
+nella vita in cui le illusioni fanno paura a sè stesse e non
+osano entrare nelle menti desolate dalle passioni, poi che la
+innocenza le ha disertate per sempre. E comunque una idea
+di affetto le fosse discesa dal cielo o venuta su dal cuore, la
+<span class="pagenum" id="Page_263">[263]</span>
+bellissima greca l’avrebbe sfatata. Il centurione era lo avvenire
+incerto, l’uomo del gladio, il padrone del braccio, la
+lotta dello indomani, la vita dei continovi pericoli. Sirico era
+il focolare domestico senza dignità, senza stima nè amore, sì.
+Ma il focolare che riscalda, che ha il domani. Era la carezza
+del lusso, l’abbondanza dei profumi. Era la età matura
+sui cuscini di porpora e sul rispetto degli schiavi prostrati.
+Era la prosa della Danae abituata alle visite metalliche
+di Giove che allontanava da sè la poesia dei ricordi i quali si
+facevano ognor più velati. Gittò un sospiro profondo, lo strinse
+forte al suo petto, lo baciò furiosamente e poi parlò.
+</p>
+
+<p>
+— Tu sei il bene supremo. Tu sei la esistenza.... La mia
+sarà omai breve, lo so. Ma.... la mia vita non poteva confondersi
+colla tua. Separiamoci. Il Fato vuole così. Allontanati
+prima ch’ei giunga.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Il siciliano comprese. Ma l’amava. Ed ogni suo nume era
+in lei. La guardò fiso per qualche istanti. La baciò sulla bocca,
+sulla fronte, sugli occhi e sì febbrilmente da dar vita con
+quei baci di fuoco a una morta. E partì.
+</p>
+
+<p>
+Partì. E lo xysto, ed il lago, e la fontana, e gli alberi e
+la foresta di lauri ebbero i suoi sguardi sfiduciati e il vale
+estremo. Se lo imperatore lo avesse chiamato a combattere,
+il suo braccio avrebbe commesso miracoli di virtù in tale
+istante. Desiderava in tanto dolore la morte utile agli altri — refrigerio
+al suo cuore — la morte eroica del centurione romano
+sotto lo sguardo dei Dioscuri protettori.
+</p>
+
+<p>
+Corse al mare e si cacciò nelle onde agitate e spumanti.
+Nuotò per un’ora onde raccattare un po’ di distrazione e qualche
+stanchezza. Ma il sangue bolliva, i nervi erano tesi. — Inforcò
+un cavallo e di corsa verso Neapolis. Ma, non appena
+giuntovi, indietro a slascio, attratto dalla memoria di lei. — Si
+racchiuse nel suo cubicolo e passò la notte in ismanie e
+mordendo le coltri. Oh! i disegni della sua mente delira!
+</p>
+
+<p>
+— I seguaci di Romolo, le Sabine!... Senza quel ratto
+l’Urbe non sarebbe sorta potente.... E qual Sabina la Horania
+mia! Mia?... D’altri.... non mia! Di mio non ho che il dolore
+di averla perduta.... la memoria di un limitato possesso!...
+Ecco, io mi slancio alla testa dei miei veterani, brucio, ruino
+<span class="pagenum" id="Page_264">[264]</span>
+la casa del mio rivale e rubo la donna, la sola nata agli occhi
+del mio cuor travagliato.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Cotesto vano trionfo di un istante inebbriava per poco
+il suo cervello che ardeva. Ma le leggi del dovere cui era abituato
+lo tranquillavano ben presto e gli facevano disprezzare
+le stravaganti avventure che pur dianzi lo avevano solleticato.
+</p>
+
+<p>
+Barcollante tra pensieri diversi, uno alla perfino seppe
+accettarne. E corso al tribuno dei militi, che aveva il comando
+delle tre coorti di stazione nell’agro pompeiano, chiese ed
+ottenne il permesso di andare nell’Urbe col pretesto di faccende
+a lui care.
+</p>
+
+<p>
+Io scrivo sulle agitazioni di un povero spirito, immerso
+in un pelago d’idee tumultuose quali esse sono, non quali la
+convenzione adottata sui tempi eroici a noi le trasmise nelle
+pagine istoriche e nei monumenti. L’uomo nato di donna è
+sempre uomo. La vita pubblica e il campo di battaglia possono
+trasumanarlo; e in questo istante solenne il cuore si divinizza,
+la frase diviene sublime e l’atto non è più cosa mortale.
+</p>
+
+<p>
+Or uno schiavo entra nell’atrio e chiede di M. Catullo
+Messaline. Questi esce, svolge una pergamena che gli vien
+pôrta: e,
+</p>
+
+<p>
+— «Sono ancor sola e libera. E brucio di amore.
+Vieni.»&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Corse allo invito e rientrò nella felicità come se riprendesse
+il filo di un sogno beato dopo breve vegliare.
+</p>
+
+<p>
+Ore piene! Ore deliziose! Ore che qualche lettore ricorderà.
+</p>
+
+<p>
+A notte tarda riprese la via del ritorno. Era più consolato.
+Sentiva ancor sulle labbra il fremito delle labbra non
+sue. Sentiva quasi sul petto il contatto di lei. Quando, giunto
+presso un burrone profondo, vide nella oscurità escire un’ombra
+da un masso di lava e venirgli incontro in atto di minaccia.
+Dai battiti del cuore di quel fantasma comprese chi
+fosse.
+</p>
+
+<p>
+Sirico avea tutto saputo da uno schiavo fedele. Volea
+vendicarsi. E aveva in mano il coltello da ciò. La sfida mortale.
+Il luogo scelto era adatto.
+</p>
+
+<p>
+La lama aguzza aduna il poco chiarore dell’aria e scintilla
+<span class="pagenum" id="Page_265">[265]</span>
+in alto nelle tenebre. Messalino dà indietro, sguaina il
+brando e ferisce con impeto. Un urlo disperato e il tonfo di
+un corpo pesante che precipita a sbalzi in fondo al burrone
+compirono la tragedia.
+</p>
+
+<p>
+Tornò sui suoi passi e destò la giovane addormentata.
+</p>
+
+<p>
+— L’ho ucciso. — Or mi appartieni.
+</p>
+
+<p>
+— Ma è sangue oltraggiato quello che hai sparso!
+</p>
+
+<p>
+— Egli uccideva me. Vieni. Mi salvo e ti salvo.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Ricoverarono nell’Urbe un delitto di più.
+</p>
+
+<p>
+Delitto?... Eh! baie!... Gli era il prodotto di un funesto
+amore dell’anima umana, fiore sanguigno sbocciato in tempi
+assai diversi dai nostri, cresciuto nella esaltazione, anaffiato
+dalla gelosia, colto dalla minaccia e che sentiva lo aroma di una
+natura aspra e gagliarda.... Uomini di tal tempra non permettevano
+a piedi stranieri di calpestare con insulto la sacra
+terra dov’erano nati! Coteste parole servano a Messalino di
+scusa presso coloro che coi <i>se</i> e coi <i>ma</i> si addormentano placidamente
+ogni sera sulla coltrice delle nazionali vergogne!
+</p>
+
+<p>
+Siccome gli sguardi, esistono nei lessici di tutte le lingue
+parole di doppia vitalità — quella del cuore d’onde escono — quella
+del cuore che le riceve. — E spesso in una di esse si
+annicchia la genesi di una battaglia, la trasformazione di una
+esistenza, il rifugio di una grande speranza, una resurrezione
+piena di dolcezza.
+</p>
+
+<p>
+Herculanilla era la rarissima tra quelle creature che i
+poeti covano nella mente come la più intima, la più cara, la
+più completa espressione della grazia, del candore, della intelligenza,
+della beltà. Il suo merito supremo consisteva nell’esser
+lei, non altra che lei. Nè i pennelli, nè la penna possono
+fare il suo ritratto. La donna immensamente amata non
+si tratteggia, non ha chi le somigli, è quella! Così Herculanilla
+era incisa e scolpita nel cuore di Lucio Vitelio Hycca,
+colla sua capigliatura ardente e impregnata di amorosa elettricità,
+colla sua voce fine, carezzevole, colorata, col suo pudico
+sorriso che diceva promesse e la unione del cuore. Egli
+aveva combattuto in Giudea; e, nella ostinata e rabbiosa difesa
+del tempio in Jerusalem, aveva avuto la fronte solcata
+dal gladio e il petto scalfitto da un colpo di lancia. Il primo
+<span class="pagenum" id="Page_266">[266]</span>
+allo assalto. Il primo a penetrare colà dentro. Avrebbe dovuto
+ricevere la <i>corona aurea vallaris</i>, o <i>castrensis</i>, perchè quello
+era un baluardo del campo nemico. Gli fu data invece la <i>corona
+muralis</i>, perchè si volle considerare il muro del tempio
+come il muro di una città. E Flavio Vespasiano imperatore
+la offeriva a lui ferito e disteso in faccia alle legioni vittoriose.
+E quando egli andava a’ teatri, nel Pecile, nella Basilica, nelle
+Curie, in ogni pubblico spettacolo, il suo posto era dopo
+quello dei magistrati; e i decurioni in segno di rispetto si
+levavano in piedi.
+</p>
+
+<p>
+Aveva in quei giorni arringato a pro di Septumio Clycone,
+giovane amante, il quale — non gradito qual genero da
+T. Uliteo Satanio, prefetto dei vigili, ed insultato pubblicamente
+da un di lui liberto — erasi obbliato sino a batterlo con
+grave <i>injuria</i> sulla persona. La rottura di un braccio indicava
+l’ammenda di trecento assi o libre di rame. Lo eroe del dramma
+era un giovane ben noto. La eroina era Vereia — nome che
+in Osco volea dire repubblica, forma di reggimento sempre
+cara ai Pompeiani — che parea volesse morirne di dolore,
+mentr’egli minacciava di uccidersi sul di lei cadavere. La cronachetta
+era corsa nella bocca di ognuno. Il bisticcio colpevole. — Lo
+amore infelice. — La potenza della parola che
+aveva tutti commosso nella Basilica, sino ad ottenere dal padre
+irritato che l’accusa cessasse pel <i>dijudicium intra parietes</i>. — Gli
+sponsali accaduti. — Era siffatto trionfo da annuvolare
+la mente del debolissimo sesso, il quale per sopraciò
+non sa reggere e s’intenerisce alla vista di un uomo generoso,
+crismato dal valore e coronato dalla vittoria.
+</p>
+
+<p>
+Vitelio narrava di cotesto suo recente trionfo nella casa
+di Alphinio Secondo. Herculanilla, la sua figliuola, parlando,
+lo interrogava cogli occhi inspirati da segrete intenzioni. E il
+valente soldato fu ferito anche una volta nel cuore. Impigliato
+nel glutine dello entusiasmo ideale, comprese; ed ambedue
+si amarono sin da quel giorno. E se la fanciulla dopo pochi
+mesi pensava che la vita spesa senza vederlo, nè udirlo, non
+era vita vissuta per lei, egli non sapeva comprendere a che
+servissero le ore non irradiate dallo sguardo adorato di quella
+Venere terrena, cugina alla Iddia.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_267">[267]</span>
+</p>
+
+<p>
+Quanti sutterfugi! Quali lotte! Quanti andirivieni! Quali
+scuse per un ritrovo; per una visita; per allontanare un importuno;
+per celare ad un indiscreto un prezioso istante della
+vita; ed esser soli; e goder soli di quello scoppio di felicità
+che invade due cuori amanti; e dirsi l’un l’altro quella parola
+che non invecchia mai col consumo dei secoli e sarà ripetuta
+sino allo istante supremo in cui per lo esaurimento del
+calorico terrestre il mondo cesserà dal germogliare e morrà.
+</p>
+
+<p>
+Un giorno che il piacere spensierato, la innocenza sorridente,
+la bellezza di bianco vestita irruppe nella camera ove Vitelio
+attendevela per secreto messaggio, egli gravemente le disse:
+</p>
+
+<p>
+— Herculanilla! Amore! Soavità della mia vita! Noi
+siamo dannati a separarci.
+</p>
+
+<p>
+— Come!.... E da chi?
+</p>
+
+<p>
+— Dal dovere. La mia legione, l’<i>antiqua</i> ritorna in Galilea.
+<i>Evocatus sum.</i> Non son sacerdote. Non son magistrato.
+<i>Beneficium non habeo</i> dai decurioni e dal popolo, quella dispensa
+che mi darebbe legittima esenzione dallo esercito.
+</p>
+
+<p>
+— <i>Heu, me misera!</i> Amore degli occhi miei, mi abbandoni
+così?
+</p>
+
+<p>
+— Non piangere! <i>Vexilla sublata sunt in Capitolium</i>,
+il rosso per la evocazione dei fanti, lo azzurro pei cavalli.
+Tito gli chiede ed io ho già detto il mio sacramento.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Herculanilla gitta un piccolo grido, si copre il viso e
+piange a dirotto. Vi sono dolori di privilegio che abbelliscono.
+E quelle lacrime amare, che tremano come gioielli sulle ciglia,
+divinizzano la donna idolatrata.
+</p>
+
+<p>
+— Lascia ch’io beva quelle stille di pianto. Consolati.
+Tornerò. E sarai mia... E allora, teco per sempre!
+</p>
+
+<p>
+— Rispetta il mio dolore. Sarà compagno della mia corsa
+felicità. Sarà il mio custode nella tua assenza.... E se tu morissi?
+</p>
+
+<p>
+— E se io morissi!... Non dilaniare il tuo cuore con
+tristi presagi. Io sono <i>centurio primipilus</i>, e porterò l’aquila
+della legione. Perciò, col consolo e coi tribuni. Roma vincerà
+i suoi ribelli, ed io tornerò al tuo fianco a narrarti il secondo
+trionfo dei nostri sul più testardo e feroce dei popoli domi.
+</p>
+
+<p>
+— Va, nuovo Promoteo. Ubriacato dalla gloria, che tu
+<span class="pagenum" id="Page_268">[268]</span>
+non possa sentire lo strazio del tuo fegato roso dal vulture
+crudele! Oh! la immensa giornata di lacrime e di angoscia
+del mio cuor vedovato!
+</p>
+
+<p>
+— Tra le mie braccia, o soave delizia di questo istante.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E sollevatala di peso, se la premette sul cuore semisvenuta.
+</p>
+
+<p>
+E la baciò a furia, febbrilmente, senza dir verbo. Il dire
+distrae. E l’anima era piena di lei e del suo crudo destino.
+Ma d’un tratto si staccò di forza e bruscamente partì. Una
+voce, dolce come una carezza e lamentosa come un vale
+estremo, piangeva in un angolo della stanza e mormorava:
+</p>
+
+<p>
+— Lucio.... a me anche una volta.... poi alla tua Patria!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Tornò. E le due teste si collarono per un istante come
+fossero una sola. E quel luogo pieno di tanto amore rimase
+pieno di lutto, di singhiozzi e di amare memorie.
+</p>
+
+<p>
+Il grande spettacolo della guerra calma ed acqueta le
+fantasticaggini della mente e a poco a poco il soverchio calore
+del cuore. Chiuso nei nuovi suoi obblighi, Vitelio vi trovò il
+migliore dei rifugi contro tutti i disgusti e le tristezze dell’animo.
+La ferita ben presto marginò. Tratto tratto la divina
+credulità delle grandi passioni lo spingeva dall’Asia in Europa
+per riassaporare le felici ore godute e il ricambio delle
+affettuose cure. E colle preoccupazioni di ciascun giorno i
+viaggi dello spirito si fecero meno frequenti. Quando la morte
+è attiva e militante, e colla falce delle battaglie miete sul
+campo desolato, e distende sotterra l’uomo pria ch’egli abbia
+consunto l’opera sua, quello spettacolo riconcentra l’anima
+svagata e la fissa al suo grave compito. I Giudei che stimavano
+la forza ostile non superabile, fecero il gran giuro e fermarono
+morire prima che sostenere la schiavitù della patria.
+In Tarichea, non più pane per le donne, non più pei figliuoli;
+e già tutti, d’una voglia sola, sacrati alla morte. Un rogo
+s’innalza. Vi ha chi tronca la vita e chi gitta con mano libera
+ancora i cadaveri sulla catasta. E ciascheduno attendendo lo
+istante di ardervi colle persone più caramente dilette, grida:
+</p>
+
+<p>
+— Meglio morire che veder morto il nido natio! La
+morte non è un morire; ma gli è un vivere col Dio di Moises
+e dei profeti.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_269">[269]</span>
+</p>
+
+<p>
+Ed Herculanilla in lacrime attendeva sempre nel suo
+amore immortale il ritorno di Lucio Vitelio Hycca vittorioso
+e fedele.
+</p>
+
+<p>
+<span class="smcap lowercase">XVII EIDIBVS JVNI</span>. Era giorno fasto. Lungo l’anno venivano
+deposte in un vicolo chiuso presso il tempio di Vesta le
+ceneri del fuoco sacro che si ritiravano dallo altare. La porta
+di quel chiassuolo, detto <i>janua stercoraria</i>, si apriva dal pontefice
+Massimo e le ceneri erano gittate nel Sarno. Quel giorno
+rispondeva a’ dì quindici giugno del nostro calendario, fissato
+già per le nozze religiose di Cneo Vibio e di Melissæa.
+</p>
+
+<p>
+Gran folla era nella via Domizia. L’atrio, pieno di amici
+delle due famiglie che univano il loro sangue. Ve n’erano di
+prima e di seconda ammessione. E qua e là i clienti e gli affrancati
+in faccende.
+</p>
+
+<p>
+Ma il grande affare trattavasi nella camera della sposa.
+Le <i>cosmetes</i>, le <i>ciniflones</i>, le <i>calamistæ</i>, le <i>psecæ</i>, le <i>vestificæ</i>,
+cioè le schiave che pettinavano, che acconciavano i capelli
+e vi soffiavano su una polvere che ne faceva risaltare il
+colore; che li arricciavano co’ ferri caldi; che davano l’ultimo
+assetto alla pettinatura; e le sarte che vestivano la giovanetta
+erano tutte attorno di lei. Escita appena dal bagno e asciugata,
+Scaphion gittò sul bellissimo ignudo corpo il <i>supparum</i> di lino
+egizio, ch’era pur detto <i>sindon</i>, o <i>vestis byssina</i>, simile per
+la forma ad una camicia, senza maniche e sparata sul petto;
+e chiusi i piccoli piedi nei <i>calcei purpurei</i>. Sur una tavola
+era la <i>narthekia</i>, il mobile più prezioso allo assetto delle
+donne. Era una scatola di legno odoroso, guarnita di cornici
+e di fasce di avorio in rilievo. Conteneva unguentari di cristallo
+scolpito; fibule d’oro; piccoli arnesi di argento per le
+unghie, per le orecchie e pei denti; fiale di sardonica; e vasettini
+di alabastro, contenenti essenze profumate venute di
+Antiochia e di Alessandria. Fabricio ci ha serbato i nomi di
+venticinque di esse; nomi nuovi e svariati di raffinamenti e
+modificazioni impercettibili, con cui i mercanti spacciavano
+gli stessi odori che avevano tutti per base la radice di un arbusto
+chiamato <i>costum</i>, o le foglie aromatiche dello <i>spicanardus</i>.
+</p>
+
+<p>
+Melissæa è seduta. Delphia tiene a lei dinanzi uno specchio
+<span class="pagenum" id="Page_270">[270]</span>
+di argento lucidissimo, di forma rotonda, chiuso in una
+cornice dorata, di quelli che si fabbricavano in Brundusium.
+Nape la pettina, <i>rutilabat comam</i>, la profumava, <i>crispabat
+calido ferro</i>, adattava i ricci onde la fronte apparisse bassa,
+giusta la esigenza della moda romana, e intrecciava a quei
+suoi capelli d’oro fili di perle, di pietre preziose e le <i>crinales
+vitiæ</i>, cioè fasce e nastri di vario colore. Erotia e Scapha animarono
+una discussione importante. L’una dicea che i capelli
+della sposa conveniva separarli col ferro di una lancia intrisa
+nel sangue di un gladiatore morto nello Anfiteatro. E poi dividerli
+in sei trecce a foggia di quelle delle Vestali. L’altra — e
+Nape era con lei — non volea saperne della lancia. Coraggiosi
+figliuoli sarebbero sempre nati da così nobile seme.
+E piuttosto che separare i capelli in sull’occipite in sei ciocche,
+valea meglio, così arricciati ed ondulosi com’erano, racchiuderli
+nel <i>reticulum auratum</i> e farli cadere copiosi sulle
+spalle. Avrebbero dato maggior risalto alla sua testa divina.
+</p>
+
+<p>
+— La mia padrona non abbisogna che si pettini a tuo
+senno per essere ancor degna di alimentare il sacro fuoco. Tu
+sì che commetteresti sacrilegio se ti facessi foggiare in tal
+guisa.
+</p>
+
+<p>
+— Impudica! Pria di dirmi insolenze, avresti dovuto
+non confidare alcuna cosa ad Eulalia ed alla tua memoria.
+</p>
+
+<p>
+— Sibili come una serpe. Scapha sa — e tu non lo ignori — che
+la lancia che hai costì nelle mani non è gladiatoria nè
+mai fu bagnata di umano sangue. Bando alle ciurmerie.
+</p>
+
+<p>
+— Via. Chetatevi. Perchè Erotia non si affligga in questo
+giorno felice, dividete i capelli col ferro della lancia. Involgi,
+o Nape, le chiome nella leggera vesica. Poni sul capo
+la corona di verbene, che io stessa ho raccolto e tessuto, e
+ricuoprila col <i>luteum flammeum qui debebit me nubere viro
+meo</i>.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Così fu fatto. Le posero nel foro delle orecchie pendenti
+d’oro, simulanti foglie di edera, ed una face accesa la cui
+estremità finiva in una perla. Quei pendenti, l’uno distaccato
+dall’altro, si chiamavano <i>crotalia</i>, perchè risuonavano urtandosi. — E
+la face dinotava le fiamme del cuore. E l’edera lo
+attaccamento della sposa all’uomo suo.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_271">[271]</span>
+</p>
+
+<p>
+Cypassis, la bruna schiava di Memphis — che aveva
+un affetto particolare per la sua gentile padrona — volle incaricarsi
+dello affare il meglio importante; e tanto più che
+facea contrasto colla fosca sua carnagione. Aggiustato il capo,
+affibbiati gli ori e il <i>segmentum</i>, stretta la persona nello <i>strophium</i>,
+essa la vestì della <i>tunica recta</i>, tutta bianca, amplissima,
+ornata di bende. E la cinse col <i>cingulum laneum</i>, sostenuto
+dal <i>nodus Herculeus</i>, che il marito avrebbe poi sciolto.
+Gli è perciò che diceasi <i>zonam solvere</i> per esprimere l’ultimo
+grado di domestichezza tra l’uomo e la donna.
+</p>
+
+<p>
+Melissæa, meglio che ordinare, permise che le affettuose
+sue schiave acconciassero sulla sua persona le vesti nuziali
+che accrescerebbero di tanto la sua naturale avvenenza. La
+mente era presa da una involontaria inquietudine. Sentiva
+dentro la commozione nuova che fa provare la vicinanza di
+un gran cambiamento, per quanto esso si creda felice. Amava
+suo padre. N’era teneramente riamata. Sorgevano altri doveri.
+Passava dal certo allo ignoto. Si distaccava da una sollecitudine
+devota, andava in braccio ad una sollecitudine più
+intima e confidenziale. E quando le sue amiche, Giulia, Emilia
+e Maria, le sorelle del duumviro Pontico, entrarono per avvertirla
+che il Flamine-Diale era già nel sacrarium della
+casa; e lo sposo, e i dieci testimoni, e gli amici, e i parenti
+l’attendevano per la sacra ceremonia, essa si gittò tremante
+al collo di quelle sue fide compagne e pianse. Le lacrime
+sono contagiose. E più, perchè destavano nelle sopravvenute
+un certo tal qual turbamento, di cui sarebbero anch’esse colpite
+fra non molto per la circostanza medesima.
+</p>
+
+<p>
+Melissæa apparisce nell’atrio. Il vestibolo è aperto ai curiosi,
+ed il portico, il peristilio, lo xysto sono gremiti di gente.
+</p>
+
+<p>
+Gli sposi siedono sur una <i>sella jugata</i>, coperta di una
+pelle di pecora. Il sacerdote di Giove prende la mano destra
+della giovanetta e la pone nella mano destra di Vibio e pronuncia:
+</p>
+
+<p>
+— <i>Hanc tibi in manum do.</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Con altre parole sacramentali e solenni dichiara che la
+donna dovrà partecipare ai beni del coniuge suo siccome ad
+ogni altra santa cosa. Liba a Giunone. Compie la <i>confarreatio</i>.
+<span class="pagenum" id="Page_272">[272]</span>
+E fa che la sposa ponga nel dito mignolo dell’uomo il cerchio
+d’oro formato da una verghetta incrociata, terminante in due
+piccoli globi, riuniti da una fune cui era sopraposto un rubino
+dalla immagine di Ercole in rilievo, chiusa in una cornice
+d’oro. Era la antico nodo che prima fu cingolo alla persona,
+poi monile al collo, armilla al polso della sposa ed anello al
+dito degli sposi.
+</p>
+
+<p>
+Vibio, commosso, le prese con ambe le mani la fronte e
+la baciò. E amorosamente guardandola, le disse:
+</p>
+
+<p>
+— Un dio è in te, o Melissæa..... Qual dio? Lo ignoro.
+Ma, vi è un dio!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E cavato dalle pieghe della tunica uno <i>spinther</i>, ossia
+cerchio d’oro, aperto e terminante in due teste di serpe, lo
+adattò sullo avambraccio di lei. Eravi sopra scritto: <span class="smcap lowercase">SPERATA.
+PACTA. SPONSA. NUPTA.</span>
+</p>
+
+<p>
+Nello uscir del sacrario le due famiglie e i testimoni entrarono
+negli <i>æci</i> per occuparsi del primo pagamento della
+dote fissata. La folla andò via lentamente di casa per soffermarsi
+sulla via.
+</p>
+
+<p>
+Demophilo, presa per la mano Melissæa, l’accompagnò
+sino al <i>prothyrum</i>. Quivi alcuni giovani la presero sulle braccia
+come per costringerla ad abbandonare per forza le paterne
+dimore ed incontrar con dolore lo allontanamento delle persone
+legate con lei dallo affetto e dalle abitudini. Cotesta finta
+violenza richiamava alla memoria il ratto delle donne sabine.
+Vibio aveva mandato cinque dei suoi liberti presso la casa
+degli Edili per accendervi le torce nuziali che doveano precedere
+la processione. Essi tornati, il corteo si pose in cammino.
+Tre fanciulli vestiti di pretesta si presentarono. Uno andò
+innanzi, squassando un ramo di albospino acceso per ovviare
+il mal’occhio. Gli altri due condussero la sposa per le mani.
+Dietro era una schiava colla conocchia guarnita di lana ed un
+fuso. E con lei, un giovanetto, detto <i>camillus</i>, che in un
+cesto di vimini portava i <i>crepundia</i>, i giuocherelli, le pupazzole
+con cui Melissæa erasi baloccata. Venivano poi quattro statue
+sorrette sulle stanghe dorate da sedici schiavi. — Iugatino,
+il dio che aggioga; — Domiduco, che presiede alla processione
+nuziale verso la casa dello sposo; — Domicio, che introduce
+<span class="pagenum" id="Page_273">[273]</span>
+la sposa nella nuova dimora; — Manturna, mercè la cui protezione
+essa soggiornerà sino alla morte col marito suo. — Poi
+venivano lo sposo, i testimoni, gli amici e la folla. E questa,
+accompagnando la voce al suono delle <i>sarranæ</i>, cioè alle
+armonie di un doppio flauto lungo e breve, cantava un inno
+a Talassio, uno dei banditi accorso al richiamo di Romolo,
+che rubando la sua sabina, ebbe con essa lunga e fortunata
+unione.
+</p>
+
+<p>
+Giunta la sposa sul margine della via di Mercurio, dinanzi
+la porta principale della casa nuziale — tutta adorna di ghirlande
+di mortella e di rose, e parata di una stoffa di lana bianca — Melissæa
+vi appese alcune bende unte di grasso di lupo,
+onde allontanare i sortilegi, soggetto di terrore per quella
+razza d’uomini che pur di nulla temeva. — E la folla cantava
+l’inno a Talassio.
+</p>
+
+<p>
+Vibio allor si fece sul margine; e fingendo ignorare il
+nome della fanciulla biancovestita, le chiese:
+</p>
+
+<p>
+— <i>Quis es?</i>
+</p>
+
+<p>
+— <i>Ubi tu Caius, ibi ego Caia.</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Cioè a dire: — dove tu sei signore e padre di famiglia, ed
+io sarò signora e madre. — Avvegnachè fosse di suo diritto il
+dichiarargli ch’essa contava vivere secolui con patto di eguaglianza
+e pur compirebbe esattamente i doveri di moglie e di
+massaia, ad esempio della nuora di Tarquinio, Caia Cæcilia
+Tanaquilla che lasciò nome di un’abile lanifica e di una virtuosa
+sposa. Due bambini le fecero toccare la torcia accesa e
+l’acqua, per significarle che quind’innanzi avrebbe comune
+col marito la vita, cioè, l’acqua ed il fuoco.
+</p>
+
+<p>
+L’uscio si aprì. E Giulia, Emilia e Maria la sollevarono
+di terra e la deposero mollemente nell’atrio, senza che i suoi
+piedi toccassero la soglia. Questa era sacra a Vesta; e sarebbe
+stata una profanazione e un funesto presagio, se colei che
+avea rinunciato agli attributi della dea — tutela ai grandi destini
+del mondo romano — l’avesse toccata coi piedi.
+</p>
+
+<p>
+Nell’atrio era distesa una pelle di montone dai lunghi
+velli. Su di essa le amiche la posarono, quasi per ricordarle
+le sue prossime occupazioni. E Vibio le presentò colla sinistra
+le chiavi della casa raccolte in un medesimo anello e
+<span class="pagenum" id="Page_274">[274]</span>
+coll’altra una patera di argento con alcuni nummi d’oro,
+premio alla sua compiacenza. Quindi i due felici gittavano
+l’uno manciate di noci, l’altra i suoi <i>crepundia</i>, per testimoniare
+com’essi da quel momento davano bando alle futilità,
+e non si sarebbero occupati che delle gravi cure della famiglia.
+</p>
+
+<p>
+Per solennizzare la festa Vibio offerse una sontuosa <i>cœna
+nuptialis</i> ai parenti, agli amici ed agli altri invitati. Gli schiavi
+tirarono le cortine del <i>tablinum</i>. La lunga pergola ed il
+giardino erano illuminati. Tutti mossero; e volgendo a diritta,
+entrarono nel triclinio, decorato di marmi africani e orientali,
+rossi, gialli e sanguigni, con bella architettura innestati da fasce
+di alabastro egiziano. Invece dei tre letti, eravene uno solo
+semi-circolare ed oblungo, rispondente alla forma della stanza
+assai vasta. La illuminazione era splendida. Il <i>convivium</i>
+anche più. Giovani schiave riccamente vestite, giovani succinti,
+liberti e curiosi erano sotto le colonne della pergola,
+tutt’occhi allo spettacolo che pel loro divertimento si stava
+apparecchiando.
+</p>
+
+<p>
+Dal <i>posticum</i> — ch’è nella viuzza parallela a quella spaziosa
+dalla fontana di Mercurio — era entrata nello xysto una
+truppa di orchestredi, giocolieri che di Creta mostraronsi in
+Atene, e di Syracosion si propagarono nelle nostre contrade.
+Ippoclide onorò la cibistesi, allorchè per ottenere la figliuola
+di Clistene in isposa, pose in mostra la sua destrezza, imitando
+il giro della ruota della Fortuna, e così rendersi benevola
+la iddia capricciosa. Ed al padre sdegnato che a lui rifiutava
+il possesso della nata di lui, lo ateniese die’ la famosa
+risposta: — Οὐ φροντίς Ἱπποκλεὶδη — È l’unico pensiero d’Ippoclide — che
+passò tra i Greci in proverbio. In Pompei chiamavano
+quelle acrobate coi nomi di <i>cernuatores</i> e <i>petauristæ</i>. Erano
+belle giovanette di Gnathia e di Rubi, condotte da un uomo
+che traeva pro della loro bravura, egli suonando le <i>sarranæ</i>
+ed un fanciullo la cetra. Allorchè fu distesa per terra una
+tavola ov’erano a determinate distanze confitti tre gladii, una
+di esse, cacciata giù la <i>lacerna</i> — specie di largo mantello
+col <i>cucullus</i> col quale erasi coperta — mostrossi nuda, avendo
+soltanto i capelli tenuti in freno da una benda ed i fianchi
+<span class="pagenum" id="Page_275">[275]</span>
+cinti da un grembiule, fascia che i greci chiamavano περὶζωμα
+e i latini <i>subligaculum</i>. Aveva le armille ai polsi e la periscelide
+sul destro malleolo. Colle mani aperte, gittatasi a capo
+rovescio, rimase per poco colle gambe in aria; quindi si capovolse
+sulle spade con mirabile prestezza, senza rimanerne
+offesa. Dopo parecchie prove, l’<i>editor</i> collocò in fine della
+tavola, in alto, un cerchio entro il quale erano pur confitti
+altri pugnali; e la taumatopia colla medesima destrezza capitombolò
+sui gladii, penetrò colle gambe nel cerchio e piegando
+il corpo come un verde fuscello, saltò fuori sui piedi ed illesa.
+</p>
+
+<p>
+— <i>Terror et metus nudis insultant gladiis.</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— Nè il terror, nè il timore saltano con lei, o Grumio.
+La cibistetere si volge con spigliata sicurezza come i pesci
+rossi saettano a capo in giù nel vivaio del mio padrone in
+Puteoli.
+</p>
+
+<p>
+— Maraviglia! Non ha molto, o Syra, vidi delfini guizzare
+sulle onde del nostro cratere e rituffarsi con movimenti
+meno leggiadri e punto pericolosi.
+</p>
+
+<p>
+— Oh! mira quest’altra, Dorippe. L’<i>editor</i> siede, suonando
+i flauti. La scleropecta è in piedi sulle sue ginocchia....
+afferra colle mani la spalliera.... si lancia in aria e volgendosi
+su se medesima, a lui poggia i piedi nudi sul capo.
+</p>
+
+<p>
+— Oh! Curiosa cosa! Mira il cagnolino che ne prese il
+posto. E drizzasi sulle zampe deretane.
+</p>
+
+<p>
+— Apparecchiano una tavola, o Loto. O, cosa è?... Ah!
+Una patera piena di vino e due aranci.... Ecco la più bella che
+salta.
+</p>
+
+<p>
+— Cotesto sì, o Elpinike, io non vidi mai. Come! Nessun
+tremolìo sul deschetto! Nessuna gocciola del liquido fuori
+del vaso! E gli aranci afferrati, lanciati in aria e raccolti
+nelle aperte palme ora che è in piedi sul suolo! In <i>Pæstum</i>,
+per le feste di Nettuno, erano abilissimi taumaturghi. Ma
+Cneo Vibio soltanto sa offerire simiglianti difficili giuochi.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Il giovanetto Loto aveva col braccio sul collo stretto a sè
+la persona della sua interlocutrice. E le baciò la tempia amorosamente.
+</p>
+
+<p>
+Carion ch’era loro da presso, vide l’atto ed aggiunse:
+</p>
+
+<p>
+— Caldi vi avviticchiate come la pianta di Bacco. Bada!
+<span class="pagenum" id="Page_276">[276]</span>
+È una vergogna in Pompei <i>non continere libidinem suam</i>.
+Fratello, sarò costretto a chiamarti, <i>Canis</i>.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Loto era per rispondere alla ingiuria, quantunque detta
+col sorriso sul labbro. Ma un altro spettacolo richiamò la sua
+attenzione. Un’altra fanciulla, coperta dalle anassiridi listate
+di rosso e di nero — come le maglie strette dei nostri giuocolieri — camminando
+sulle mani, ricevette da un bambino
+sulle piante dei piedi un bicchiere di terra detto <i>cyathus</i>, ed
+un’anfora <i>figlina</i> e breve, sulla cui pancia era il <i>pittacium</i> in
+pergamena colla scritta, <i>Setinum annorum decem</i>. Destramente
+dalla diota mescè il vino nella <i>lingula</i> e con un movimento
+rapido delle reni trovossi sulle sue gambe, avendo in
+una mano l’anfora e appressando alle labbra il bicchiere che
+aveva raccolto. E nel vuoto, neanche una gocciola venne rovesciata
+per terra.
+</p>
+
+<p>
+— Per Ercole! — <i>Piper, non fœmina.</i> — Ormai per la
+munificenza di questi sposi ci abitueremo alle cose impossibili.
+E non maraviglierò se un dì o l’altro vedrò grugnirmi
+attorno i porci belli e cotti.
+</p>
+
+<p>
+— Oh! questo sì che è un giuoco, o Curculio. Ben altro
+di quello offertoci nel corso inverno da Pilonino Rufo, coi suoi
+gladiatori pezzenti e decrepiti che cadeano ad un soffio. Meno
+vili quelli esposti alle fiere.
+</p>
+
+<p>
+— E il combattimento a piedi a lume di fiaccole? Per
+Giove tonante, parean pollastrelli. L’uno snello come un
+gatto di marmo. L’altro <i>loripes</i>, coi piedi torti, come te, o
+Camurio. Il terzo, il quarto, il quinto che si finsero feriti per
+cessare dalla fraudolenta commedia.
+</p>
+
+<p>
+— Oh! La bella cibistetere che è quella che viene! E
+ben fece a velare le parti ghiotte che Postverta ad essa compose.
+Che Volupia si accordi con Morfeo ed ambedue me la
+conducano in sogno. Pel Panteon riunito! Mi crederei di più
+che Vespasiano imperatore.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Nell’atto che Phosphoro cacciava al vento così inutili
+esclamazioni, la bellissima ignuda — chè il velo nulla copriva — postasi
+coi piedi in aria e poggiantesi per terra sui
+gomiti e sulle braccia distese, infilzò l’arco con due frecce
+nel grosso dito del piede sinistro, incoccò un giavellotto e
+<span class="pagenum" id="Page_277">[277]</span>
+mirò il bersaglio colla testa rilevata. Il piccolo citarista si era
+posto a dieci passi di distanza e con ambe le mani tenea sul
+suo capo ricciuto una tavoletta imbiancata avente un segno
+rosso nel mezzo. La <i>petaurista</i> strinse la corda colle dita del
+piede destro, la tirò a sè e vibrò il colpo. La saetta erasi conficcata
+nel centro. — Gli applausi, il picchiar delle mani, le
+frenesie furono vivissime. La fanciulla venne baciata, abbracciata,
+brancicata.
+</p>
+
+<p>
+Il rientrare dei convitati nel tablino ruppe il filo alla meridionale
+baldoria. E tutti a gridare colle braccia alte:
+</p>
+
+<p>
+— Vivano gli sposi! Vesta pianga, ma Venere rida!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Caddero le cortine di Tyro d’ambe la fauci della stanza,
+e due donne maritate che aveano sulle chiome una corona di
+bianche rose, profittarono di quello istante di confusione per
+condurre Melissæa al letto nuziale. La camera da ciò era
+a lato del triclinio ed in fondo allo xysto, adorna di maschere
+bacchiche e di un quadro che rappresenta Giove presso la
+vacca Io, e di un altro che mostra Adone affaticato al reddir
+della caccia, attorniato da amorini e da ninfe. Il toro geniale
+splendeva di oro e di porpora. Il Genio — la divinità del coniugio — <i>quia
+genitos tuebatur</i> — sacrando il letto, questo
+venne chiamato <i>talamus genialis</i>. Ghirlande di mirto, disposte
+con vago artifizio, gli danno le apparenze di un trono, degno
+di accogliere la dea eterna del cuore. Le gravi pronube
+spogliano colle loro mani la sposa, la pongono a letto e si ritirano
+dopo averle dato gli avvertimenti che la loro esperienza
+giudicava opportuni.
+</p>
+
+<p>
+Nel tablino si beve. Sotto la pergola si beve. Nello xysto
+si beve. Nell’atrio si beve. Da per tutto si beve. Il falerno,
+il massico, il caleno, il cæcubo, il surrentino, il lesbio, il
+mamertino, il mæonio empie le <i>ampullæ</i>, i <i>cyathi</i>, i <i>calices</i>,
+i <i>pocula</i>, i <i>tortiles</i> e sono bentosto vuotati, dopo aver propinato
+colle parole,
+</p>
+
+<p>
+— <i>Bene illis — Bene mihi — Bene vobis.</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Bacco aveva usurpato di un tratto un incenso che non
+doveva bruciare per lui. Eravi però chi non avea lasciato il
+culto di Venere nell’oblio. E quando i libatori si accorsero che
+lo sposo gli avea disertati, gridarono a coro:
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_278">[278]</span>
+</p>
+
+<p>
+— <i>Talassius! Talassius!</i>
+</p>
+
+<p>
+Allora, un concerto di flauti accompagnò le voci dei giovani
+e delle fanciulle che cantarono nel cavedio l’inno che
+segue.
+</p>
+
+<div class="poem"><div class="stanza">
+<p class="i01">Biondo figliuol di Venere,</p>
+<p class="i02"> Nume dei casti amori,</p>
+<p class="i02"> Tu che di mirto e d’edera</p>
+<p class="i02"> Il crine in ciel t’infiori,</p>
+<p class="i02"> Signor dell’Elicona,</p>
+<p class="i02"> Odi la tua canzona,</p>
+<p class="i02"> E scendi in queste arene,</p>
+<p class="i02"> Scendi, invocato Imene.</p>
+<p class="i01">Di Melissæa e di Vibio</p>
+<p class="i02"> Sorridi ai primi amplessi.</p>
+<p class="i02"> Ricco di lieti auspicii,</p>
+<p class="i02"> Stendi il tuo vel sovr’essi.</p>
+<p class="i02"> Sull’ali del mistero</p>
+<p class="i02"> Siati il pudor foriero</p>
+<p class="i02"> E scendi in queste arene,</p>
+<p class="i02"> Scendi, invocato Imene.</p>
+<p class="i01">Voi, pudibonde vergini,</p>
+<p class="i02"> Cui simil gaudio attende,</p>
+<p class="i02"> Voi ricingete il talamo</p>
+<p class="i02"> Di profumate bende.</p>
+<p class="i02"> Turbar di amor gli arcani</p>
+<p class="i02"> Non osino i profani,</p>
+<p class="i02"> Oggi che in queste arene</p>
+<p class="i02"> Scende invocato Imene.</p>
+<p class="i01">Ed ei già vien! — Già pronuba</p>
+<p class="i02"> Venere a lui si accoppia.</p>
+<p class="i02"> Già la cortina mistica</p>
+<p class="i02"> Cela l’ansante coppia.</p>
+<p class="i02"> Spenta ogni face sia....</p>
+<p class="i02"> Cessi ogni melodia....</p>
+<p class="i02"> Insino al dì che viene</p>
+<p class="i02"> Solo qui regni Imene.</p>
+</div></div>
+
+<p>
+Cotesto Imeneo era stato in tempi remoti un giovane di
+Argos, il quale avea reso alla loro patria le fanciulle di Athenes
+rubate dai pirati. Qual premio al suo valore ottenne a
+sposa una delle captive che amava teneramente riamato. E da
+<span class="pagenum" id="Page_279">[279]</span>
+quell’epoca i Greci e i Latini, da essi inciviliti, deificando
+il giovane zelante e dabbene come celeste progenie, non contrattavano
+matrimonio senza rammentare il suo nome nei
+canti nuziali.
+</p>
+
+<p>
+Al cessare delle note armoniose i parenti e gli amici libarono
+anche una volta. E ripeterono a coro,
+</p>
+
+<p>
+— <i>Talassius! Talassius!</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Era tempo di dare alcuna requie ai congiunti dalle nozze.
+I magistrati e gli amici riaccompagnarono Demophilo alla sua
+dimora. Il quale pria di partirsi dal luogo ove lasciava la metà
+del suo cuore, volgendo gli occhi al cielo disse nella sua lingua:
+</p>
+
+<div class="poem"><div class="stanza">
+<p class="i01">— Θυμαρην βιοτας ολβον εχοιεν αει.</p>
+</div></div>
+
+<p>
+— Godano essi sempre una soddisfacente felicità di vita.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Gli altri, chi di qua, chi di là tornarono alle case loro.
+</p>
+
+<p>
+Ma i convitati della sera erano i convitati dello indomani.
+Nei <i>repotia</i> si beveva di nuovo alla felicità degli sposi. — E
+si bevve e si cantò. E Melissæa, appoggiata familiarmente
+alla spalla di Vibio, ricevette dai parenti, dagli amici doni e
+congratulazioni che nel tumulto inevitabile e nello scivolar
+via dalla folla bene a proposito, non avevano potuto offerire
+la sera innanzi.
+</p>
+
+<p>
+Solitudine e amore!... Una strada aperta, di soavi ombre,
+che mena alla felicità. Oh! Come leggero, vivo, misterioso,
+divino lo affetto che innonda l’anima, quando la graziosa
+persona è da presso, vi consola, vi esalta, vi indìa! La
+non è già della vostra carne. No! — Essa è la parte più delicata,
+più pura della cosa immortale che freme in voi. È il
+pensiero che parla. È lo sguardo che sa. — La primavera ha
+i suoi fiori. Il giorno, la luce. L’aurora, la rugiada. La donna
+ha i profumi che aduna o che spande sullo eletto dal suo poetico
+cuore. — Alcuni lamentano il dialogo dei primi parenti
+sotto l’albero della vita, e la cacciata inesorabile dall’Eden,
+e il frutto amaro della ingordigia — la morte. — Essi s’ingannano!
+La esistenza beata è in questo esiglio eterno — ma
+con lei che sente e porta nel seno i sublimi e ricambiati amori
+della umanità.
+</p>
+
+<div class="chapter">
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_281">[281]</span>
+</p>
+
+<h2 id="cap10">IL CATACLISMA.
+<span class="smaller">SCENE DEL NOVISSIMO GIORNO.</span></h2>
+
+<p class="center">
+<b>Anni di Roma 832 — Anni del Cristo 79.</b>
+</p>
+
+<p class="center pad2">
+AL VECCHIO VESVIUS.
+</p>
+
+<p class="center">
+X.
+</p>
+</div>
+
+<div class="chapter">
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_283">[283]</span>
+</p>
+</div>
+
+<p>
+La vasta pianura che da Cuma e da Capua — le antiche
+e grandi città della Campania — distendendosi verso levante,
+abbraccia e circonda il cratere partenopeo, era il loco ove
+i Greci, venuti dalla Macedonia e dalla Tessaglia, credettero
+che, come nelle loro contrade, anche quivi i giganti avessero
+combattuta la fiera battaglia contro gli Dei. E quei campi dissero
+Flegrei, da φλὲγω — ardo — per le tracce dello zolfo e
+delle lave sparse su quel terreno. Gli è certo che Ercole, visitando
+il bel paese sorriso da tutti i numi celesti e vedendolo
+corso e devastato da uomini di fiero e selvaggio costume, avrà
+voluto purgarnelo per incivilirlo. E l’atto benemerito per le
+genti salve, e la fondazione di una città che tolse il nome da
+lui, e le altre opere verso il mare aperto intorno il lago
+d’Averno, coronarono di una poesia maravigliosa il vincente
+semideo, i mostri vinti da lui ed i campi, teatro delle sue
+gesta. Su di essi elevavasi un monte isolato dai tempi primordiali.
+Era cinto di fertili campagne, e verdeggiava da
+lungi per le erbe e per gli alberi, tranne in sul culmine che
+sembrava coperto di cenere, di sassi fuliginosi ed arsi dal
+fuoco. Malagevole era lo ascendervi. Una e difficile l’angusta
+strada su quelle scorie tra rupi, caverne e punte aguzze
+sporgenti al di fuori. Nel 682 di Roma Spartaco, dopo aver
+fatto un carnaio nello Anfiteatro di Capua, riparava su quelle
+balze con sessantaquattro dei suoi compagni nella rivolta. Ma
+seguito d’appresso e accerchiato da Clodio Glabro alla testa
+di tremila soldati, pensò di tessere corde coi tralci delle viti
+salvatiche di lambrusco, le legò forte alle rocce e se ne servì
+<span class="pagenum" id="Page_284">[284]</span>
+di scala per discendere coi suoi sino alla pianura. Il pretore
+che lo aveva fatto rinculare in uno spazio ristretto, di una
+sola escita, di cui i suoi soldati tenevano la chiave, non credette
+ai suoi occhi quando quell’audacissimo lo assalì con tanto
+vigore da disfare il grosso delle sue ordinanze e porre in
+iscompiglio il campo.
+</p>
+
+<p>
+Tale era il Vesvio nel primo anno del regno di Tito imperatore,
+allorchè — come scrisse Stazio — piacque al sommo
+Giove strappare dal profondo le sue viscere, sollevarle sino
+al cielo e scaraventarle lontano sur alcune sventurate città.
+</p>
+
+<p>
+Era il nono giorno delle calende di decembre — 23 novembre
+dell’anno 79 di nostra êra.
+</p>
+
+<p>
+Il canto dei galli annunciava l’aurora. I molossi abbaiavano
+nello udire lo strèpito de’ passi sui margini delle vie. I
+salutatori, i chiedoni, i saccari, i rivenduglioli ambulanti, i
+mercanti delle botteghe, i viaggiatori che partono, i littori, gli
+schiavi animano il selciato. I gladiatori escono con reti e panieri
+dal loro quartiere e, accompagnati dal lanista C. Aelio Astragalo,
+vanno a far provvista di viveri per la famiglia. Tutti
+gli artigiani sono in moto verso il loro destino. E in breve ora,
+quale mura ed intonaca le pareti già apparecchiate dal cemento
+sparso a striscie come spini di pesce, quale sfilza una per una
+le tavole dallo incavo longitudinale della soglia di pietra della
+bottega e le pone in un canto perchè non lo imbarazzino nelle
+trattazioni degli affari, quale apre il suo <i>thermopolium</i> e
+canta o getta briosi frizzi ed inviti a chi passa. — Il venditore
+di pani e di piccole focacce, dopo avere attelato la sua
+merce a spicchi una sull’altra; e, spiegando i panieri sull’<i>oculiferium</i>,
+mostrando il <i>pollen</i> del suo fior di farina; gli
+<i>speustici</i>, stiacciate cotte sotto le ceneri; gli <i>ortolagani</i> composti
+col vino, col pepe, col latte e coll’olio; gli <i>ostrearii</i>,
+che si mangiavano coll’ostriche, e i pani disegnati a quadrelli,
+conditi di anici, di cacio e di grasso, grida — esagerandoli — i
+meriti dei suoi prodotti. — Il carraio espone sulla porta il
+<i>cisium</i> che costruisce e la <i>traha</i> senza ruote che mena su e
+giù nel selciato dinanzi il villico che la contratta, mentre i
+suoi operai lavorano attorno ad un <i>birotum</i> per ultimarlo. Parecchie
+carriuole — dette <i>unarota</i> — sono ammonticchiate
+<span class="pagenum" id="Page_285">[285]</span>
+nel fondo. — I <i>fullones</i>, cioè, i lavandai e gli smacchiatori,
+spandono le loro umide stoffe sulla via a certi bastoni sostenuti
+da travicelli sporgenti sul muro; e così, nell’atto che
+richiamano l’attenzione di chi passa sulla loro industria,
+usano di uno spazio che pure al pubblico è riserbato. Gli edili
+avevano un bel difendere la libertà delle strade, dei trivi e
+dei portici con piccole e gravi ammende a quel popolo accaparratore
+di ogni spazio che il proprio non fosse. Lo interno
+della bottega o della casa pareva uggioso ad ognuno. Tutti
+erano lieti quando potevano starsene al lavoro sull’uscio, sul
+margine, alla luce. La parola <i>via publica</i> veniva interpretata
+alla lettera. E purchè lo ingombro dei due margini lasciasse
+libero sulla strada l’adito ad un carro, nessuno potea venir
+condannato per offesa alla legge. E ove non fossero cadute
+gocciole di acqua dalle preteste, dalle toghe e dalle vesti
+donnesche, certo quella mostra variopinta abbelliva la doppia
+via di Mercurio e la parallela al di dietro, dove i fulloni
+avevano il loro laboratorio. Era quella la meglio importante
+tra le industrie pompeiane. Nel 354 i due consoli C. Flaminio
+e L. Æmilio, reggendo un popolo che vestiva di lana e dormiva
+ignudo tra coperte di lana, avevano decretato il modo
+di trattare e di tergere quelle stoffe. E prescrissero, si laverebbero
+i panni con terra di Sardinia disciolta; indi si affumigherebbero
+collo zolfo, e poi si purgherebbero con terra
+cimolia di buon colore. Avvegnachè questa ravvivasse le tinte
+sbiadite dallo zolfo. E per le vesti bianche, dopo inzolfate,
+dissero convenevole la terra chiamata sasso, la quale però
+era dannosa alle colorite.
+</p>
+
+<p>
+I magistrati — i quali, creati dal popolo per occuparsi
+dei suoi affari, rientravano in casa al cadere del sole, allorchè
+i pubblici lavori cessavano — preceduti dai littori vanno
+gravemente ai loro uffici. Alcuni uomini — vestiti di una
+tunica stretta senza maniche, di colore oscuro, detta <i>exomis</i>,
+o <i>diphthera</i>, col <i>cucullus</i> per coprire il capo in caso di pioggia
+e continovare il lavoro — procedono dal vico storto in
+una strada a perpendicolo su quella che mena alla porta di
+Stabia. Avevano sulla spalla una lunga e stretta lamina di
+acciaio, senza denti, terminato con due manichi di legno. E
+<span class="pagenum" id="Page_286">[286]</span>
+nella mano un sacchetto di sabbia di Etiopia. Erano segatori
+di marmo che andavano a ridurre in lastre per impiallacciature
+e per pavimenti le tavole di serpentino, di fior di persico,
+di alabastro egizio, e di verde antico che attendevano
+l’opera loro nella prossima casa. Ed altra gente dalle sembianze
+pallide e triste che or si fermano presso i ragionatori,
+or guardano dalla parte opposta ove l’orecchio tendeva, si
+veggono in sui canti, per entro i templi, nel Foro. Erano le
+spie di Roma, adoperate la prima volta da Cicerone ai tempi
+catilinari; mantenute da Cesare; moltiplicate da Tiberio, da
+Nerone e dai pessimi che vennero poi, a tutela delle imperiali
+paure. Razza perversa che disponeva della vita e delle sostanze
+dei cittadini e viveva lautamente a carico degli alti e dei bassi
+timori. Sulle mani, invece dei chiodi portavano anelli da cavaliere;
+e sul collo in luogo del nodo scorsoio splendeva il medaglione
+di onore.
+</p>
+
+<p>
+Il cielo era nuvoloso e fosco. E quantunque albeggiasse
+appena, il calore era eccessivo e l’aria grave e affannosa.
+</p>
+
+<p>
+Una donna viene da un vicolo per attinger acqua alla
+fontana del quatrivio dell’Aquila che ghermisce una lepre.
+Vi trova un suo conoscente che beve al cannello.
+</p>
+
+<p>
+— Abbi lontano dal capo la collera di Bacco, o Venerio.
+I <i>meditrinalia</i> — le feste del vin nuovo come rimedio utile
+alla salute — corrono dal primo allo undecimo delle calende
+di ottobre. Non lo rammenti?... Il bianco di Surrentum è
+confortevole a venticinque anni. Cotesto novellino del Sarno
+ti guasterà lo stomaco.
+</p>
+
+<p>
+— L’ho bello e guasto, o Tataia, dal molto berne e dal
+gran sudare che fo. Mira! Abbiamo il fuoco nell’aria. Mai il
+calore di questo anno. E le fontane gocciolano, non fluiscono.
+Gli <i>ænopoles</i> mi brinerebbero i lucri.
+</p>
+
+<p>
+— Davvero! Eppure da due lune cadono frequenti e
+copiose pioggie. Che il fiume siasi prosciugato alla foce?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Una donna, che avea la <i>taverna vinaria</i> dietro la fontana,
+si approssima a quei due ed aggiunge:
+</p>
+
+<p>
+— Quasi. Cominciò a mancare da tre dì. Ed ora vien giù
+a centellini. E siccome un beone di vin cotto alla mirra mi
+accusò di aver aperto nel mio cuore uno spaccio di bibite
+<span class="pagenum" id="Page_287">[287]</span>
+calde, io mandai alla fontana più in su per averne acqua fresca;
+e dopo lungo attendere n’ebbi. Ma la fu attinta dalla
+pubblica cisterna, colà presso, dove due littori vegliano dì e
+notte per la custodia e la distribuzione di quell’acqua piovana.
+</p>
+
+<p>
+— L’anno del terremoto — se tel rammenti, o Fortunata — avvenne
+pure così. Le acque diminuirono.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Il <i>seplasiarius</i>, che aveva la sua farmacia poco discosto,
+viene anch’egli a verificare il misero stato della fontana. E
+Fortunata a lui:
+</p>
+
+<p>
+— L’arte della Seplasia che dà credito alle erbe amarissime
+e alle pillole disgustose, trae anche Flavio Fimbria alle manchevoli
+linfe. O, che il tuo pozzo è turato?
+</p>
+
+<p>
+— Peggio. Dapprima diminuì la sorgente. E la rimasta ha
+un sensibile grado di calore ed un gusto acidulo e disgustoso
+al palato. — Che! Non ve n’ha più costì?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Tataia gli addita il cannello di ferro che sgocciola a mala
+pena, e s’incammina ver la pubblica cisterna. Quivi era un
+pettegolezzo, un accapigliarsi, un bere a furia, tumulto che i
+littori acquetavano a dura prova. Ognuno il primo a gittare
+giù il secchio. E le donne le peggio ardite e linguacciute.
+</p>
+
+<p>
+— Sii <i>formosa, decens, dives, fecunda</i>, o Pannikide.
+Concedimi il tuo posto. Se tardo — e sono qui da un’ora — la
+mia crudele padrona mi farà dare dieci vergate sulle spalle.
+</p>
+
+<p>
+— <i>Esto beata</i>, Heracla. Ma le busse che ti risparmio, le
+busco per me; Lisistrata di Neptunale è una gorgona.
+</p>
+
+<p>
+— Fuori la intrusa. Io vengo poi. O bel littore, fa rispettare
+la tua autorità e il mio diritto.
+</p>
+
+<p>
+— Vedi chi parla di dritto! Januaria, di padre incerto e
+che ha securo amante nella casa dov’abita.
+</p>
+
+<p>
+— Frena quella linguaccia di serpe. O mi forzerai, Melitta,
+a darti lo aggettivo che i tuoi casti ardori nelle <i>popinæ</i> ti meritarono,
+quello di lurida <i>pellax</i> — .... e anche peggio, di
+<i>porna</i>.
+</p>
+
+<p>
+— Che ho a rispondere ad una donna <i>cujus ne spiritus
+purus est</i>?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Allora Ianuaria più infuria e con voce maggiore e con gesti
+vibrati si slancia verso uno dei littori che per calmare quel
+<span class="pagenum" id="Page_288">[288]</span>
+tafferuglio, distendeva la mano onde separare le due litigiose
+e quelli che già prendevano partito.
+</p>
+
+<p>
+— Ah! Vuoi anche tu ch’io mi muoia di sete, o difensore
+di male femmine? Fai bene a darle compenso, poichè con
+donne di garbo tu pugnar più non puoi.
+</p>
+
+<p>
+— Le tue chiacchiere, o sguaiata, sono più inutili di <i>vitrea
+fracta et somniorum interpretamenta</i>. Inutili discordie!
+Ognuno avrà l’acqua a suo tempo senza motti villani e senza
+che abbiate a comperarvi un <i>galerum</i> e porvelo come un elmo
+di chiome sul capo invece dei capelli che vorreste strapparvi.
+</p>
+
+<p>
+— Ha ragione Nupeo. Si quieti la tentigine di queste
+piche parlanti e la destrezza prevalga.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Così Nilodoro. Il quale, schiavo di un tintore presso la
+fontana dalla testa di Giunone, era venuto alla cisterna per
+compiacere alle voglie della leggiadra padrona che coll’audacia
+dello sguardo spiegava la segreta sua simpatia, eloquente
+però nei soppiatti incontri. Allora uno scoppio di risa ed un battere
+di mani. Anche le trecchiere dissimularono lo sdegno con
+finta ilarità. Ma le voci e gli alterchi ricominciarono ben presto
+a logorar la pazienza ai littori addetti a quel disgustoso ufficio.
+</p>
+
+<p>
+Per quanto ognuno il vedesse, nessuno sapeva spiegarsi
+cotesta deficienza di acqua nel Sarno, cotesto ringoiamento
+delle sorgenti nella terra e quel sapore acidulo e puzzolente
+nelle acque che rimanevano ancora nei pozzi.
+</p>
+
+<p>
+Due uomini passano per quella strada. Sono Solonas, il
+mattonaio ed Elio Gemino, il carradore. Si arrestano, ridono
+ed infilzano molte parole su quelle femmine che qua e là scorrevano,
+arrovellandosi.
+</p>
+
+<p>
+— <i>Picæ pulvinares.</i> Gazze da mercato. Le trovi sempre
+pessime lingue e a gridare di piena notte che è mezzodì. — Manca
+l’acqua? Vi è il vino! Bacco ne spremette molto l’altro
+anno. Ce ne darà copiosamente anche in questo.
+</p>
+
+<p>
+— Ma la baccante non è massaia. Ed io stimo la <i>eupatria
+qui providet omnia</i>. E poi cotesta stranezza non è a prendersi
+a gabbo, o Salonas. È nelle cantine un certo aere maligno che
+uccide gli animali che dentro penetrano. Due gatti del mio
+vicino, là sotto le mura che guardano verso Nuceria, furono
+trovati morti.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_289">[289]</span>
+</p>
+
+<p>
+— E due facchini di Polibio, nel penetrare nel fondachi
+di quel ricco, presso il porto, prima ebbero spente le lampade
+e poi caddero stecchiti. Un altro che andava a soccorrerli,
+nel curvarsi sentì mancare il respiro e le idee vacillare. Escì
+fuori in tempo e potè riaversi sulla scala, alitando l’aria al di
+fuori. I cadaveri furono tratti su cogli uncini e non avevano
+un graffio sulla persona. Dunque la dea Mephite tolse loro il
+respiro.
+</p>
+
+<p>
+— Ben dici, o Epietetos. Strano paese divenne il nostro da
+che Marco Herennio, decurione, venne a sol diffuso, a cielo sereno
+colpito dal fulmine nel Foro. — Dove di presente tu pingi?
+</p>
+
+<p>
+— In una casa, quasi in fondo della strada che ha la fontana
+dal bacino arrotondato, presso il bello Edone, vinaio.
+Sai? Dove talvolta, o Pistosxenos, ti ho visto bere di tarda
+sera con Floro e Frutto, festevoli compagni, allorchè ti eri
+sbarazzato del carico di figulina che avevi portato da Nola.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+I quattro continuano a scendere per la via consolare.
+</p>
+
+<p>
+— Veh! qual processione votiva! Come se fosse il sedicesimo
+delle calende di aprile, all’epoca delle <i>liberalia</i>, per
+le feste di Bacco, nell’assunzione della toga virile. Oh! il calore
+è eccessivo.... Guarda i due batavi di Capito come soffiano in
+sull’uscio! Il nostro clima ad essi deve parere l’alito di un
+forno acceso.
+</p>
+
+<p>
+— E che dici di quel succoso che ti passava vicino? La felicità
+lo die’ a balia presso la Fortuna. E se suda, ha ben molte
+tuniche da cambiare. È Clodio Alypo, liberto di Calvisio; il
+quale, comperati i montoni a Tarentum, dopo il tremuoto e
+la gran morìa delle bestie, e ridottili in mandra, divenne mercante
+di lane e di proprio ha sei tintorie. Dicono possegga i
+suoi ottocento talenti. E in sua casa la borra dei suoi origlieri
+è tinta di porpora e di scarlatto. Sul suo desco <i>apros gautupatos,
+opera pistoria</i> e vini squisiti.
+</p>
+
+<p>
+— Come! Mangia i cinghiali cotti nella loro pelle? Allora
+gli spiriti incubi gli diedero il loro cappello perchè trovasse
+il tesoro.
+</p>
+
+<p>
+— Egli felice che non suda al tornio facendo vasi ed
+orciuoli!
+</p>
+
+<p>
+— Nè cuocendo mattoni al pari di me.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_290">[290]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Oh! parlaste a proposito degli effetti del caldo. Ho la
+gola arsiccia. Entriamo nella <i>taberna vinaria</i>, e beviamo del
+buono aromatizzato che spegne la sete.
+</p>
+
+<p>
+— Savio il consiglio di Gemino. Il vino generoso e melato
+e mirrino, se supplisce ai panni nel verno, ingagliarda e
+sostiene il corpo in estate.
+</p>
+
+<p>
+— Sì, se nol fai salire al cervello ad ondate; imperocchè
+allora vacilli e cadi.
+</p>
+
+<p>
+— Io per me amo più i termopolii che la fullonica. <i>Aqua
+dentes habet, et cor nostrum quotidie liquescit.</i> Ma quando ho
+un <i>pultarium</i>, di quello che ha la <i>schedula</i> sulla pancia e non
+si vergogna come le donne di dire la sua età, le squadro a
+tutti io. E Pistosxenos lo sa, il buon compagnone.
+</p>
+
+<p>
+— Concediam libero il dire al figliuolo di Semele, lo
+allegratore degli uomini.... Ohe! Bubbio. Abbi Venere ritrosa
+se mai facesti galileo il vino che ti chiediamo. Del <i>calenum</i>....
+e di quel <i>dominicum</i>, il vino che bevono i padroni
+di casa; e non sia concinnato con pepe o con erbe aromatiche.
+Non son del gusto di Gemino io.
+</p>
+
+<p>
+— O Epictetos, tu devi andare al lavoro, rammentalo,
+e il pennello delira, se lo stomaco bolle. E la vedova di Alessandro
+Citus....
+</p>
+
+<p>
+— Oh! per Ercole! Valeria Eupraxia non applicherà le
+sue labbra sulle mie per fiutare il <i>cadus Aliphanis</i> che mia
+madre aiutata mi compose nel petto. Erano gli uomini che
+ai tempi dei re baciavano le mogli sulla bocca — e il dilettoso
+costume perdura — per conoscere dal loro alito s’esse
+avevano bevuto del vino. — Attento... Il vinaio mesce. E
+Solonas brinda.
+</p>
+
+<p>
+— <i>Mihi, Tibi.... Vobis!</i> Ah! Gli è pur buono.... Arianna
+tutto obbliava quando trovò un tal conforto dell’animo....
+Ehi! Athicto Sinna, non passar oltre senza bere con noi. O
+che hai con quel viso da funerale?
+</p>
+
+<p>
+— <i>Mulier, mulvinum genus.</i> È un nibbio. Non conviene usar
+bene con alcuna, perchè gli è come gittare il bene in un pozzo.
+Se giovane, è lo abbandono di se stessa, è la noia, la solitudine,
+lo ideale che arde nel suo cuore di una vampa bugiarda.
+Se matura, è un carcere, un imbarazzo.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_291">[291]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Sentenzia come Cicerone da vivo. — È amaro ricordo.
+Addolcialo con questo <i>vetustate edentulum</i>. Tradito a ponente,
+volgiti a levante.
+</p>
+
+<p>
+— Conosci, o Gemino, il nome di quel tristo suo disinganno?
+</p>
+
+<p>
+— Sì, Solonas lo diceva ora all’orecchio di Pistosxenos.
+La giovane Kallisto, figlia di Narcissio Moscho, presso le
+proprietà degli eredi di Giulia Felice.
+</p>
+
+<p>
+— Veramente bella, grassoccia, al punto. La vidi di sera
+nel tempio di Venere; e la sua veste bianca si staccava dalla
+semi-oscurità come raggio di luna.
+</p>
+
+<p>
+— Athicto, non piangere. Bevi piuttosto.
+</p>
+
+<p>
+— Lascia ch’io mi beva le lacrime. L’amava come non
+aveva amato mai. Diceva appartenermi intera, senza riserva.
+<i>Semper et ubique</i>.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+— Ed ecco le parole cui tu non dovevi fare a fidanza. È
+lo stesso che attendersi inerzia da una farfalla. Ma non dubitare.
+Andrà lontano. Troverà la fiaccola che le arderà le ali.
+</p>
+
+<p>
+— E che fa egli costì contro il muro?
+</p>
+
+<p>
+— Poichè l’oro mi si fe’ piombo fra mano, scrivo con
+Ovidio:
+</p>
+
+<div class="poem"><div class="stanza">
+<p class="i01">Quisquis amat veniat. Veneri volo frangere costas</p>
+<p class="i02"> Fustibus et lumbis debilitare bene.</p>
+<p class="i01">Sermo est illa mihi tenerum pertundere pectus,</p>
+<p class="i02 dotted"> . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .</p>
+<p class="i01">Quos ego non possem caput illud frangere fuste.</p>
+</div></div>
+
+<p>
+— La donna, amico, è come la coda del vitello, <i>retroversus
+crescit</i>. Appicca quindinnanzi il voto a ogni immagine, e sarai
+vendicato.
+</p>
+
+<p>
+— Ma io l’amo e non posso. E così passerà la mia vita.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Epictetos si appressa all’orecchio di Pistosxenos e susurra:
+</p>
+
+<p>
+— Dì.... parla da senno Athicto.... e così.... in Pompei?
+</p>
+
+<p>
+— Anch’io vi pensava su..., e comincio a temere che
+Plutone abbia respirato troppo vicino a quel suo delicato cervello.
+</p>
+
+<p>
+— Orsù, fratelli, l’ultima alzata di gomito. E beviamo
+alla tua pace, o Sinna. E perchè ne profitti, ricordati che lo
+amore è la sfinge, la quale divora chiunque la interroga.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_292">[292]</span>
+</p>
+
+<p>
+Quegli amici seguitarono la via e volsero pel vico storto,
+piegarono a sinistra presso la fonte del quatrivio, e discesero
+in giù. Un <i>vale</i> incrociato; ed ognuno pei fatti suoi.
+</p>
+
+<p>
+Il pittore Castresio, cui avevano dato il soprannome di
+κάλος, era già al lavoro. Sulle pareti del <i>cavædium</i>, tinte in
+nero, dipingeva baccanti abbracciate o sostenute da fauni festosi
+e danzanti. Erano i devoti seguaci del giocondo iddio
+che prometteva per non spinoso calle i piaceri di una vita beata.
+A’ suoi piedi era la tavolozza di granito egizio, posta sopra un
+braciere. I suoi rotondi incavi contenevano i colori di cui allora
+servivasi. Cosenzio abbelliva una scala. Vetidio, un <i>œcus</i>. Succidio
+Epitinka, lo xysto. Damisio restaurava un cubicolo. Poche
+altre pennellate, e tutto il lavoro sarebbe compito. Cantavano
+canzoni del loro paese. Lo amico che vide entrare Pistosxenos,
+scherzosamente il garrisce:
+</p>
+
+<p>
+— Ti dai bel tempo, per tutte le muse eh? Hai ragione.
+L’aria è sì grave che spossa i nervi e le facoltà dell’occhio.
+E qui cantiamo come cicale di Rhegium. Ma indovino chi ti
+trattenne. <i>Colubra restem non parit.</i> Di serpi non si fanno
+corde, e tu saresti capace <i>resecare ungues</i> allo avvoltoio che
+vola.
+</p>
+
+<p>
+— A che miri con questo dir da sibilla?
+</p>
+
+<p>
+— Penso che tu, <i>iterum et feliciter</i>, ti trattieni sotto coltri
+non tue e non ti fai sorprendere dal geloso. Bada! Cornelio
+Vitale or’è più di un anno <i>dispensatorem suum ad bestias
+dedit</i>. I duumviri glie lo accordarono ad esempio.
+</p>
+
+<p>
+Vetidio entra a dire:
+</p>
+
+<p>
+— Misero! Qual colpa in lui, se forzato a fare? Qual colpa
+in lei, s’egli bruttissimo?
+</p>
+
+<p>
+— Eh! legge di taglione! Finire straziato dal toro! <i>amasiuncule
+mi</i>, smetti o ci capiti. — Dipingi qui e non in casa. Farai
+fortuna. Valeria Eupraxia ha ammirato il tuo Narcisso e
+la tua Danae col Perseo salvato nelle braccia. E parlò <i>libentissime</i>
+di te e del valor tuo a Memore Istacidio, il sacerdote
+di Mercurio e di Maia. Pare voglia ridipingere il tempio e dare
+a te quel lavoro. Mio padre mel dicea sempre; <i>Literæ thesaurum
+est; et artificium nunquam moritur.</i>
+</p>
+
+<p>
+— Ti so grado, o bel Castresio, del sermone e delle liete
+<span class="pagenum" id="Page_293">[293]</span>
+novelle. Con siffatti stimoli vado a compire il lavoro. Ma non Klimenes
+me rattenne come tu ti piacesti pensare. Ma è disordine
+e sgomento nella città per l’acqua che manca. Ed Ælio Gemino,
+il carraio, con altri buontemponi mi trassero alla taverna.
+</p>
+
+<p>
+Dopo un’ora le pitture erano ultimate per tutto. Nel cavedio
+mancava il <i>podium</i>, cioè lo zoccolo. Ma Castresio lo segnò,
+perchè, i <i>cementarii</i> sapessero il punto dove avrebbero
+incastrato le tavole di marmo di Luna. Ed in punto, ecco
+Edone, il vicino vinaio che così tutti rimbecca:
+</p>
+
+<p>
+— Come! Quando lo scirocco pesa talmente a soffocare
+il respiro e si suda solo pensando, e voi, beoni che mi sapete
+alla distanza della voce, vi state costì ansimanti qual mantice
+e non chiedete soccorso a chi ha tal merce che rinfranca ed
+allieta?
+</p>
+
+<p>
+— Ti sieno propizi gli dei, o bellissimo Edone. Possa tu
+versarmi il vino sul capo se io manco al tuo invito. E non solo
+ceci e lupini; ma un po’ di <i>scriblita frigida</i>, di quella torta
+eccellente di ieri, se pur te ne avanza. Condita col mele caldo,
+berremo come Anacreonte, e tu sarai lieto di noi.
+</p>
+
+<p>
+— Se tu paghi lo scotto, o bel Castresio, permetti al tuo
+Pistosxenos di aggiungere il cacio molle e rape con senape.
+Consenti?
+</p>
+
+<p>
+— Costui mi vuol Trimalcione. E sia! V’ha tra noi Succidio
+e Damisio che nell’atto chiederanno fegato nei bacini,
+busecca di bue ed uova pileate. Non somigliano punto a
+Vetidio, del quale ebbi a scrivere ieri sul muro; <i>Ubi perna
+cocta est, si convivæ apponitur non gustat pernam, ligit ollam
+aut caccabum.</i>
+</p>
+
+<p>
+— No, saremo discreti. Non dubitarne. Ove mai tu imbandissi
+un prosciutto cotto, lo mangeremo tutto, e sii certo che
+non leccheremo l’unto della pignatta.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E Pistosxenos, preso uno spillo, graffì sulla nera parete
+la sentenza che segue:
+</p>
+
+<p>
+— <i>Invicte Castresi, habeas propiteas deas tuas tres. Ite et
+qui leges, calos Edone, valeat qui legerit</i>. Cotesto è il voto pel
+nostro caro anfitrione. Ma più che Giunone e Minerva io so
+che Venere lo prese per gli occhi. E ad essa il pomo.
+</p>
+
+<p>
+— In fede di Edone, gli è un suo devoto e dei più passionati.
+<span class="pagenum" id="Page_294">[294]</span>
+E gli bisogna mangiar caldo e ber freddo. Or permettete
+ch’io pur graffisca qualcosa a mia volta?
+</p>
+
+<p>
+— Eccoti lo spillo e scrivi.
+</p>
+
+<p>
+Il vinaio pensò e poi stese la mano sulla parete.
+</p>
+
+<p>
+— <i>Edone dicit. Assibus hic bibitur dipondium. Si dederis
+meliora, bibes conditus. Si dederis mina I, XL urna bib</i>....
+</p>
+
+<p>
+— Orsù, a me lo spillo e traccerò il mio nome a conferma.
+</p>
+
+<p>
+E graffì,
+</p>
+
+<p>
+— <i>Calos Castresi</i>.
+</p>
+
+<p>
+— Oh! Andiamo. Venere è losca. Perciò più bella. Diverrebbe
+irata se più qui tardassimo. E imbruttirebbe. Allora tutti
+gli dei contro di noi, ed avremmo pane pei nostri denti.
+</p>
+
+<p>
+E gli allegri pittori seguirono Edone nella sua <i>taberna
+vinaria.</i>
+</p>
+
+<p>
+Per le vie sono mercanti di carne che portano sur un
+<i>cesticillus</i> pezzi di trippe e di fegato, ed urlano i meriti della
+loro merce a buon mercato.
+</p>
+
+<p>
+E <i>dendrophores,</i> che tagliano, spaccano, segano e portano
+il legname da ardere a chi vuol comprarlo. E carbonai
+che spingono innanzi i loro asini pazienti e carichi, che a posta
+loro dirigono, ed arrestano per la coda. E venditori di fuscellini
+inzolfati che cercano di ricambiare coi rottami di vetri
+e con tibie di bue già mangiato. E ciechi che suonano nei flauti
+per buscare la vita. E saltimbanchi che imitano i giuochi del
+Circo. E prestigidatori. E robusti uomini che sollevano fanciulli
+sulla testa e sulle braccia, d’onde ricadono in piedi per
+le terre senza farsi alcun male. E uccellatori che si fanno
+ubbidire dai piccioni o dalle passere ad ogni loro cenno. Havvene
+uno finanche che presenta al suo cerchio di curiosi e di
+sfaccendati un bel ciuco, dalla testa maestosa e dalle orecchie
+ancor più, il quale indovina per un <i>triens</i> quale del crocchio
+sia il meglio amato, il peggio infingardo, il più.... mariuolo.
+E le grosse risa quantunque volte la culta plebe e gl’incliti
+gladiatori credono che lo indovino abbia colto nel segno.
+</p>
+
+<p>
+Uno che passava dà una occhiata di spregio alla folla, vi
+scorge un conoscente, lo tocca piacevolmente sulla spalla e
+gli dice:
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_295">[295]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Che fai costì ritto, o C. Vibrio Saturnino! Studi per
+trovare un nuovo Dio in quell’asino addottrinato?
+</p>
+
+<p>
+— La parola dello epicureo è sempre mordace. Credo, o
+mio Caio Nivillio, che tu sedotto da pochi anni dalla falsa
+dottrina, l’abiurerai pel nessuno interesse di sostenerla.
+</p>
+
+<p>
+— Non è cotesto il luogo da tali ragionamenti. Vien meco
+nel Foro triangolare. Sederemo nella <i>exedra</i>, e correggerò le
+tue false idee sulla filosofia del grand’uomo di Gargettium, la
+saggezza e il luminare dell’Attica e quasi l’idolo degli Ateniesi.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Un cielo caliginoso ma con estive temperie; strade piene
+di popolo gaio e incurante; la eterna bellezza di una contrada
+che dalle prime ore del mondo sembra voglia rivelare agli
+uomini un grande secreto, tutto cotesto impressionava i due
+amici sempre pronti, siccome meridionali, ad ogni specie di
+emozioni.
+</p>
+
+<p>
+Nel passare sulla cantonata dinanzi la bottega del musaicista,
+Nivillio salutò Morultronio, intento al lavoro di genio e
+di pazienza. Era la copia di un musaico già fatto in una casa
+dinanzi le Terme del Foro, operato con minute pietre e scelte
+pastiglie di vetro.
+</p>
+
+<p>
+— Bravo! Rinnuovi lo stesso genio bacchico di altra
+volta? Chi lo desidera?
+</p>
+
+<p>
+— C. Calvenzio Quieto. Tu sai che ama il bere. E vuole
+che nel triclinio io collochi Acrato, l’antica personificazione
+del <i>vinum merum</i>.
+</p>
+
+<p>
+— La sua coscienza val meglio di mille testimoni. <i>Vale</i>.
+</p>
+
+<p>
+— <i>Valete</i>.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Giunti presso il tempio di Nettuno e sedutisi, Nivillio cominciò:
+</p>
+
+<p>
+— Mira. Non uso preamboli. Vi hanno cose che emergono
+come le verità dai pozzi, perchè sono gli ospiti invisibili
+delle nostre coscienze. Una voce autorevole, avvezza a
+scrutinare i misteri, vibra; i veli cadono; e le menti si aprono
+alla luce di un nuovo orizzonte. Epicuro meditò e scoprì che
+la natura si compose <i>ab æterno</i> e si completò a seconda della
+necessità in tutte le parti dello universo. La ignoranza degli
+uomini creò gli dei invisibili a tranquillità delle loro visibili
+<span class="pagenum" id="Page_296">[296]</span>
+paure e gl’identificò negli uomini chiari degli evi anteriori,
+quasi per iscusa delle proprie debolezze e passioni. I legislatori
+persuasero le società alla credenza di siffatte menzogne.
+I tiranni le imposero per consacrare le loro inique malvagità.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Così affermava Nivillio ai suoi tempi. Ed io dico nei miei
+come la religione sia una passione della umana natura, che
+assume il colorito dell’epoca, dei costumi, delle leggi, delle
+contrarietà, del clima, della maggiore o minore intelligenza
+degl’individui. I quali, dopo aver nutricato quella passione di
+futilità, di paure, di ferocia, di avarizia, di libidini e di egoismo
+la esprimono fuori del cuore immedesimata delle virtù e
+dei difetti del loro carattere peculiare. Laonde, ai tempi andati
+come nei nostri potevasi e si può essere religiosissimi
+idolatri, israeliti, cristiani, islamiti, bramini, cattolici, anche
+papisti,... e vivere vita lussuriosa, palesarsi usurai, ubbriacarsi,
+macchiarsi di sangue, ordinare macelli d’uomini, parlare
+di pietà, temere Iddio ed offerirsi alla storia sotto il nome
+di David, di Elagabalo, di Filippo II, di Luigi XI, di Cromvello,
+di Borgia, di Calvino e dei Borbonidi. Le temperie dell’aria, il
+calore del sangue, le ragioni di Stato sono elementi acconci a
+sanare di molte rotture ed a lenire qualche rimorso. Nè giovano
+riforme a rimedio di epoche rilasciate. Chè una religione
+troppo assottigliata dallo staccio della ragione cessa di
+essere una fede. Ed una fede imposta senza il consentimento
+della ragione è una cieca stupidezza ed una solenne bestialità.
+</p>
+
+<p>
+Or ecco come C. Vibrio Saturnino rispondeva alle sentenze
+del suo compaesano C. Nivillio, lo epicureo:
+</p>
+
+<p>
+— Ma Epicuro disse si onorassero gli Dei a cagione della
+eccellente loro natura.
+</p>
+
+<p>
+— Lo disse, ma non lo credette. Poichè pur disse com’egli
+non attendesse alcun bene, nè temesse verun male da
+essi. Di fatti, non gridarono pei crocicchi i perversi suoi oppositori
+ch’egli rovesciava colle sue dottrine la osservanza
+agli dei? Nè voleva il culto mercenario? E se dicea si onorasse
+e si rispettasse ciò che è grande e perfetto, non era
+cotesto un temperare le sue arditezze con un giro di frasi che
+<span class="pagenum" id="Page_297">[297]</span>
+lo salvavano dalla morte? La ragione parlava per la sua
+bocca. Ai secoli la sentenza!
+</p>
+
+<p>
+— Ma chi calmerà i rimorsi dell’uomo colpevole? Chi
+darà la forza alle virtù ignorate di continovare quando tutti i
+falli nascosti saranno scusabili ed impuniti? Le vostre dottrine
+limitano la esistenza ai brevi istanti di questa vita. E al di là
+l’uomo decoroso di virtù avrà la stessa sorte dello scellerato
+e dell’empio? Ah! io sarei veramente addolorato se avessi a
+perdere la fiducia in un soggiorno di delizie o di pene dopo
+la morte.
+</p>
+
+<p>
+— Se tu togliessi per te il fastidio di pensare, proveresti
+lo stesso rammarico che senti allorchè ti desti il mattino
+dopo un sogno felice.
+</p>
+
+<p>
+— Ma se tu dissipi cotesto sogno, non togli tu allo infelice
+le soavità che sospendevano i suoi mali?
+</p>
+
+<p>
+— No. Il mio maestro elevò l’anima e fortificò la ragione.
+E insegnò che il vero coraggio sta nello affidarsi alla
+necessità.... In Jerusalem una setta perversa, quella dei Farisei,
+si sbracciò per accusare un filosofo di Galilea appo i Romani.
+E lo calunniarono dinanzi le leggi. E lo resero odioso
+al popolo. E gavazzarono allorchè lo videro sospeso sulla
+croce dei ladri e degli assassini. Pure quel crocefisso — lo
+udii anche dai circoncisi che sono qui — predicava una fede
+che a tutti doveva piacere: «Ogni uomo nato di donna è figliuolo
+di Dio onnipossente — Ognuno per conseguenza è
+eguale all’altro in faccia alla bontà divina.» Ed il pernio
+della sua dottrina era conchiuso in cotesta formola: «Non
+fare altrui quello che non vorresti che a te facessero.» Ebbene!
+Gli stoici, che sono i Farisei del panteismo, dicono di Epicuro
+le abbominazioni delle maladizioni perchè professò che
+la felicità dell’uomo consiste nel piacere....
+</p>
+
+<p>
+— E ti par questa la teoria di una sana morale?
+</p>
+
+<p>
+— Nel piacere che risulta dalla pratica delle virtù. E
+nessuno tra i tuoi brontoloni potette mai accusare nè Epicuro,
+nè i suoi adepti di sensuali pecche. Il popolo invece vede voi
+nè casti, nè temperanti, nè frugali.
+</p>
+
+<p>
+— Ci sa religiosissimi.
+</p>
+
+<p>
+— Ipocriti, frequentate i templi. Crapulosi, aiutate alla
+<span class="pagenum" id="Page_298">[298]</span>
+crapula dei sacerdoti e gli satollate di ricchezze e di prestigio.
+Se magistrati, vendete la giustizia. Se privati, cittadini, ponete
+allo incanto la bilancia di Temi. I legami sociali voi li
+rompete ognidì. I rimorsi nel cuor vostro assumono le sembianze
+di pregiudizi infantili; e gli dissipate coll’offerire una
+melagrana a Venere, un montone a Giunone, un voto a Giove,
+un’anfora di vino antico al dio Bacco. Arricchite colle
+usure?... Che monta! Una parte al flamine di Mercurio, lo
+incenso al comodo nume, il resto per voi. E vi beccate il
+nome di <i>boni viri</i>, di <i>verecundi</i>, di <i>religiosi</i>, di <i>integri</i>, di
+<i>innocui</i>, di <i>frugi</i>, di <i>omni bono meriti</i>, di <i>dignissimi Reipublicæ</i>.
+</p>
+
+<p>
+— Non tutti così.... In ogni modo val meglio aspirare a
+leggi pure, solide, di facile esercizio e consolanti, di quello
+che ad una sterile virtù stabilita dalla opinione mobile degli
+uomini. E ve n’ha già di parecchi sistemi. E ne diviene imbarazzante
+la scelta.
+</p>
+
+<p>
+— Ma quando la morale — che tu riconosci per tale al
+pari di me — non può più accordarsi con una religione malsana
+che corrompe i costumi e che riverisce ed incensa iddii
+ingiusti, dissoluti e crudeli, e non val meglio negare la loro
+esistenza piuttosto che degradarsi dinanzi a quei rivenduglioli
+di antiche frottole che di soppiatto si smascellano dalle risa
+della vostra melonaggine?... Ah! Voi siete gli empi davvero!...
+</p>
+
+<p>
+— Io penso che tu rammenti come nella nostra prima gioventù,
+presi ambedue da una grande simpatia l’uno per l’altro,
+risolvemmo di consultare la iddia Iside sulle sorti che ci
+attendevano. Me la curiostà spingeva, a ver dire. Te una credulità
+superstiziosa. Andammo nel tempio. Affidammo al jerofante
+le due pergamene rotolate che contenevano le nostre
+domande e attendemmo prostrati a’ piè della edicola. Un sacerdote
+triste, pallido, abbattuto, cinto il capo di bende e di
+una corona di alloro, allumò sullo altare un fascetto di erbe
+aromatiche, masticò alcune foglie della corona, gittò questa
+nel fuoco insieme con una pugnata di farina d’orzo e annusò
+a piene narici le crepitanti fiamme. Quell’uomo lo dicono
+stretto al celibato; e le frizioni di cicuta par lo accomodino
+<span class="pagenum" id="Page_299">[299]</span>
+egregiamente ad osservare una strana legge contraria alla
+natura. Assistito da due sacerdoti che aveano nelle mani gli
+attributi del Sole e della Luna, passarono dietro la edicola.
+</p>
+
+<p>
+— Rammento, o Nivillio, che due altri ci purificarono
+coll’acqua santa nell’atto che i vittimari scannavano i due vitelli
+bianchi di Surrentum che noi avevamo offerto alla iddia
+per renderla a noi propizia.
+</p>
+
+<p>
+— Io tutto vidi, o credulo amico. E allorchè chiesi la
+ragione perchè al tuo vitello fecero mangiare la farina che gli
+presentavano; e perchè pittarono acqua fredda sulle aperte
+viscere del mio — il quale d’immobile ch’era divenuto, agitossi — nessuno
+di quegl’impostori rispose. Avvegnachè più le
+cose sieno inesplicabili e dure a ingoiarsi, più inspirano fede
+al volgo bietolone e ignorante. Un soave odore si sparse a noi
+d’intorno. Tu lo credesti prodigio. A me parve grossolano
+abuso della mia ragione. D’un tratto dietro il nume vedemmo
+sorgere una nube di fumo olezzante. E poi una voce cupa gutturale
+pronunciare parole sconnesse, ignote alcune, altre di
+nostra lingua — che non avevano senso veruno. Eh! era giovane
+allora e il mendicare un responso alla Iddia, se mi fece
+oltraggio alla mente, pur mi parlò di pericoli ch’era follia lo
+sfidare. Socrate morì di veleno. Diogene fu salvo della sua
+miscredenza per la nomea di strano filosofo. Tacqui. E siccome
+ambedue, senza dircelo, avevamo chiesto se avremmo patito
+il dolore di sopravvivere allo amico del cuore, il sacerdote
+portò a noi in una sola pergamena il responso deciferato.
+Qual’era che tu morresti colpito dalla folgore, ed io strangolato.
+Baie!
+</p>
+
+<p>
+— Tu stracciasti, o profano, l’oracolo, e mal te ne coglierà.
+</p>
+
+<p>
+— Morrò. Sei immortale tu forse?... Ho meditato lunghi
+anni su quella scempiaggine della mia gioventù; e nel segreto
+sentii gli orrori cagionati ai popoli e agl’individui dalle
+pitonesse, dai misteri di Cerere, dalle soperchierie di Delphi,
+dai responsi degl’ipocriti sacerdoti e dagli oracoli degli egiziani
+che vendono le loro frottole in nome d’Iside, qui. Una
+parola dettata da quei corrotti e mai satolli del proprio egoismo,
+suscitò guerre sanguinose in antico, portò desolazioni in
+<span class="pagenum" id="Page_300">[300]</span>
+una repubblica, ridusse in cattività gli abitanti di un intero
+paese, creò lo eccidio di una famiglia, troncò la vita di una
+creatura innocente. Giacchè mentovai i ciurmadori del tempio
+di Delphi, vo’ ricordarti quello che fecero al popolo di Cyrra,
+nella Phocide, correndo la <span class="smcap lowercase">LXXIII</span> Olimpiade, quattro anni
+dopo che Euripides, il grande tragedo della Grecia, nacque
+in Athenæ. Gli abitanti di Cyrra, nel seno Crissæo, possessori
+della valle che si stende dal monte Cirphis al Parnaso,
+imponevano balzelli sui greci che sbarcavano nel loro porto
+per andare a consultare in Delphi il vantato oracolo. Ma nuocevano
+alla turpe officina. E l’oracolo, richiesto, rispose che
+i colpevoli meritavano il supplizio, cioè, che ogni cittadino di
+Cyrra dovesse esser perseguitato di giorno e di notte come
+cane idrofobo; si saccheggiasse il paese; e le donne stuprate;
+e i bambini ridotti a schiavitù. Parecchie nazioni si levarono
+in armi. La città fu rasa, il porto colmato, gli abitanti morti
+od in ferri, e i ricchi campi sacrati al tempio di Delphi. Una
+colonna fu rizzata sulla vasta pianura a ricordo del fatto. E
+col sangue delle migliaia di vittime eravi scritto: <i>Chiunque
+osi rompere cotesto giuramento sia esecrato agli occhi di
+Apollo e delle altre divinità di Delphi. Che le loro terre non
+portino più frutto. Che le loro donne e i loro greggi producano
+mostri. Che perano nei combattimenti. Che falliscano in ogni
+loro impresa. Che la loro razza si spenga. Che per tutto il
+periodo della loro vita Apollo e le altre deità di Delphi rigettino
+con orrore i loro voti e i loro sacrificii.</i> Questi i tuoi sacerdoti,
+avari, ingordi, mendaci, ladri, impudichi, arpie,
+mai satolle di dominio e di sangue. E l’empia sentenza correrà
+tradotta in ogni lingua nei secoli avvenire.
+</p>
+
+<p>
+— Lo ammetto, ed ammetto altresì i vizi e le passioni
+umane identificate nei Numi. Ma se noi pervenissimo a purificare
+il culto delle superstizioni accumulate dai secoli, saprebbero
+gli Epicurei rendere omaggio alla Divinità rinnovata?
+</p>
+
+<p>
+— Sei pure il dabben’uomo, o Vibrio Saturnino. Tu infradici
+i numi nel brago e poi gli correggi e gli lavi nel ranno
+a posta tua. Dunque, o buoni, o pessimi, sono l’opera delle
+vostre mani. Provami un po’ meglio la loro esistenza. Guarentiscimi
+<span class="pagenum" id="Page_301">[301]</span>
+con testimonianze irrefragabili ch’essi prendono
+cura di noi, ed io mi prosternerò ai loro altari.
+</p>
+
+<p>
+— Sei tu che devi provarmi la loro nullità. Perchè sei
+tu che zappi le fondamenta ad un domma che i popoli osservano
+per lungo periodo di secoli. Ma un monumento che attesti
+la esistenza dei Numi pur vi è, e tu il vedi e il calpesti.
+Il sole, le stelle, la terra, l’organismo dei corpi, la differenza
+degli esseri, il petalo dei fiori, la polvere dorata delle
+farfalle, lo istinto degli animali, la nostra ragione. La natura
+sin dallo aprile è stata in un rapido movimento finqui. Ora si
+acconcia al riposo. Dunque vi è un primo motore. Cotesta
+azione è soggetta ad un ordine costante. Questo ordine esige
+una intelligenza suprema. Qui la mia mente si arresta. Se tu,
+o Nivillio, procedi innanzi, io dubiterò della mia esistenza e
+della tua.
+</p>
+
+<p>
+— Coteste prove non arrestarono mai i filosofi sulla via
+della ragione.
+</p>
+
+<p>
+— Voi siete presumenti.
+</p>
+
+<p>
+— Noi siamo ragionevoli. E pensiamo colla nostra testa
+piuttosto che per quella di Aristotile e di Numa Pompilio.
+Leggi Timeo di Locrum, Anassagora, Platone, Pythagora,
+Antisthene, Epicuro, Socrate; e verrai facilmente alla soluzione
+del misterioso problema: «Molte sono le divinità adorate
+dagli uomini. Ma la natura ne indica una sola. Tutti
+hanno considerato lo universo come uno esercito mosso dal
+genio del suo generale, o come una vasta monarchia, in
+cui la pienezza dello imperio risiede nel principe.» Se Dio
+fosse, lo insetto, la lucertola, il rospo, il lombrico, il coccodrillo,
+la talpa, l’erba che non è albero, la scimmia che non
+è uomo, non dovrebbero lagnarsi delle imperfezioni loro prodigate?
+Ma son essi cogli altri i componenti del tutto e i perpetuatori
+del tutto, e non havvi ragione a lamento.
+</p>
+
+<p>
+— Tu mi persuadi ed io fuggo. Oh! la illusione dei Campi-Elisi!
+<i>Vale.</i>
+</p>
+
+<p>
+— Ho speso fruttuosamente la mia giornata. <i>Faustum,
+felicemque.</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Intanto che i filosofi si avviavano alle loro case ed una
+parte di popolo vagava per le sue faccende o si trastullava,
+<span class="pagenum" id="Page_302">[302]</span>
+le donne e i bigotti muovevano verso i templi alle preci votive
+a cui li invitavano i magistrati. Le stranezze che occorrevano
+erano insolite cose. Il maraviglioso mena al maraviglioso.
+La paura e la impotenza legano la credulità al carro
+dello ignoto cui si chieggono favori, aiuti, riparo e conforti.
+E tutti i superstiziosi e gli sgomentati corsero ai sacerdoti per
+offerir loro <i>ex-voto</i>, monili, pecunia e commestibili onde pregassero
+i numi a far cessare le minacce misteriose o patenti
+che pesavano sulla pubblica coscienza dei Pompeiani. I fani di
+Giove, di Mercurio, di Venere e dell’Augusteum, di Esculapio,
+di Cerere, di Nettuno e di altri iddii si affollarono di
+gente. E più quello d’Iside, deità di non remota instituzione
+e di moda. Grato Arrio, Amphio Serapa, Puccio Chilo, Messio
+Inventus, Merulino, Nimphiodoto Caprasio e gli altri loro
+consorti in ipocrisie accettarono la mèsse che la ignoranza
+impensierita loro forniva; ed ognuno — secondo il rituale del
+proprio culto — sacrificò, libò ed orò il meglio che seppe.
+Perchè, a ver dire, un po’ di spavento aveva pur scosso quei
+pubblici ladri e profittevoli ingannatori. Persino dalla parte
+più ignobile della città, verso il Sarno, accorsero gli ebrei,
+negozianti e schiavi venuti dalla loro distrutta città. Non
+avendo più tempio, nè potendo creare in terra straniera il
+loro <i>sanhedrin</i>, cercavano in tanto pericolo il dio unico dove
+poteva discendere, richiamatovi dagli incensi e dalle preghiere.
+Eliachim Verpa, il ricco mercatante, ne ritenne ben
+pochi e furono quelli tra i quali spandeva la buona novella e
+col loro mezzo faceva proseliti e propugnava di soppiatto negli
+schiavi la notizia della redenzione.
+</p>
+
+<p>
+Sur un’ampia via che dal Foro, traversando quella che
+mena alla porta di Stabia, conduce direttamente allo Anfiteatro,
+è a sinistra una casa, il cui uscio apresi subito dopo un
+terrazzo lungo quanto l’abitazione precedente, guarnito di
+una balaustrata di ferro. Numerosi cittadini, solleciti liberti,
+procuratori officiosi, chiedoni di ogni genere sono sul selciato,
+assaltano l’uscio, empiono l’atrio. La diversità delle vesti, le
+varie persone che parlano di affari che la mobile fisonomia
+traduce a chi finamente le osserva, la magnifica architettura
+dello edificio sono indizi che colà dentro dimori un uomo di
+<span class="pagenum" id="Page_303">[303]</span>
+alta considerazione. Ed una voce ecco che l’indica. Nessuno
+degli annunciatori ha parlato. Laonde, tutti gli occhi si volgono
+sorridenti ad una gabbia di legno dorato sospesa ad una
+verga di ferro che traversa lo impluvio. La voce ripete il suo
+verso e dice:
+</p>
+
+<p>
+— <i>Svedius Clemens, sanctissimus judex.</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Era uno Ψίττακός verde, dal capo giallo e dalla coda
+rossa, cui avevano dato il nome di Catina, ch’erano le sole tre
+sillabe che pronunciasse pria che i servi altre glie ne apprendessero.
+Alle parole di quell’uccello, credutele escite dalla
+bocca del <i>nomenclator</i>, la calca si fece più innanzi nell’atrio.
+</p>
+
+<p>
+— Isocriso Fortunato, qual cura qui ti conduce? Fatti in
+qua ed eviterai di aver pesti i piedi.
+</p>
+
+<p>
+— Sì, o Claudio Espedito, meglio è serbar sane le costole
+e non esser dei primi.... E poi è un’afa che uccide. Qualcuno
+di quei solleciti, là nella schiaccia, perderà il respiro.
+Mira L. Pullio Mactoriano, corso in tanta fretta da non avere
+ancora allacciato le corregge dei calzari.
+</p>
+
+<p>
+— E che dici di M. Epidio Sabino che pur sbadiglia ed
+ha la cispa negli occhi. La vanità gli vieta il sonno. E si fa
+spingere qui grosso e rubicondo per sollecitare dal sommo
+giudice imperiale la ratifica dei suffragi del vicinato per le
+prossime elezioni. <i>Habebimus ædilem trium cannearum!</i>
+</p>
+
+<p>
+— Qual vita! Nei tempi antichi, pria che Silla legasse le
+ruote del nostro carro municipale, eh! amministrare il paese
+era un fatto onorevole ed onorato. Ma ora.... l’ombra e nulla
+più! Il magistrato è servo dei capricci dell’Urbe.... Ne avemmo
+di mostri a patire!... Vespasiano non ebbe nè grandi vizi,
+nè grandi virtù. Era alquanto dozzinale e plebeo, e di parole
+licenziose e brutte. Di lui, vecchio, massiccio, colle membra
+annodate e sode, e colla faccia rappresa che parea che ponzasse,
+innamorò Petronia, poi che fu morta la Cenide sua. La
+fe’ passare nel bagno, e ordinò al dispensatore di darle dugencinquanta
+nummi d’oro. Or, questi domandandogli in
+qual modo quella partita si avesse ad acconciar nei suoi
+conti, rispose: «Metti a uscita Vespasiano, di cui le donne
+invaghiscono.» Il figliuol suo, Tito, lo amore e la delizia dell’uman
+genere, per ora.... Durerà?
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_304">[304]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Eh!... Amministrando lo impero insieme col padre,
+fu poco civile e molto crudele. Rammenta tra gli altri, Aulo
+Cecinna, uom consolare, pria convitato a cena e poi fuor del
+triclinio per suo ordine pugnalato. Si disse di una congiura
+di militi apparecchiatagli contro e che il pericolo lo forzasse.
+Le leggi erano. Poteva por mano ad esse ed evitare
+il biasimo grande.
+</p>
+
+<p>
+— E quel suo mangiare e bere cogli amici e familiari i
+peggio vituperosi e disutili? E la folla di giovanetti sbarbati,
+dotti nella danza ed in libidinose posture? E gli amori colla
+regina Berenice? E il mercato di uffizi? E il riceverne mance
+e premi?... Vero è che, ottenuto il principato, si palesò uomo
+diverso. E non si mostrò al pubblico, ove tutta Roma plaudiva
+i suoi giovani e graziosi istrioni. E mandò fuori dell’Urbe
+l’amata e piangente regina. Nè tolse più cosa alcuna
+ai cittadini. E consacrò lo anfiteatro, e nelle Terme edificate
+colà presso ordinò con bellissimo apparecchio il magnifico spettacolo
+dei gladiatori. Parmi dunque, o Espedito, ch’ei....
+</p>
+
+<p>
+— Farà prospera la repubblica, se non lo guastano colle
+adulazioni e colle abbiettezze.... o non lo uccidono. — Veh! lo
+sguardo sdegnoso e venale dei portinai come trasceglie nella
+folla dei clienti che gli assediano quelli che per pecunia faranno
+passare i primi! La venalità è il pessimo veleno che
+omai filtra per tutto. — Non mi hai ancor detto che ti mena
+da Svedio.
+</p>
+
+<p>
+— Quando ei fu inviato da Cesare nella nostra Colonia,
+io era in Lutezia dei Parisi. Un mio vicino di campagna prese
+per sè la parte di terreno che mi veniva restituita, ed ora
+vo’ chiedergli giustizia senza aver che fare con quei sollecitatori
+che vendono a sì caro prezzo le loro parole.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Cotesto insigne giureconsulto, per nome Tito Svedio Clemente,
+tribuno, era stato nel vero inviato in Pompei da Flavio
+Vespasiano per delimitare i confini del territorio della
+Repubblica Romana, occupato nel Pago Felice-Augusto dalle
+tre coorti dei veterani. Da che Silla gli dispose qui come corpo
+di osservazione, quegli uomini arroganti e spavaldi, perchè
+armati, commisero insolenze contro i cittadini. Avvegnachè,
+sentendosi essi il principale sostegno della politica dittatoriale,
+<span class="pagenum" id="Page_305">[305]</span>
+stimavano che gli altri fossero di un ordine inferiore. Divennero
+i tiranni della città. Commisero violenze e brutalità di
+ogni maniera. Il selciato pompeiano fu insanguinato. Publio,
+loro generale, pretendeva che i suoi soldati venissero riconosciuti
+come i liberi cittadini della Colonia. I magistrati, gelosi
+dei popolani privilegi, fermamente si opposero a quella imperiosa
+volontà; e ricorsero al senato nell’Urbe. Cicerone, pauroso
+di Silla, difese il nipote, quantunque in cuor suo lo accusasse.
+E Publio assoluto. E surrogato da Ninnio Mulo. E i
+veterani ebbero un vasto terreno, in proprio, da coltivarsi e
+da trasmettersi ai figli. Nella distribuzione dei campi furono
+però usurpate le proprietà dei cittadini. Laonde, litigi, ingiurie,
+busse e macelli. Bastava muovere doglianza contro un
+soldato, per veder sorgere la centuria e colle centurie le
+coorti, onde chiedere riparo col gladio al coltello. Svedio compose
+le liti insorte e i decurioni elevarono la sua statua sur
+un piedestallo, proprio sul posto dei diritti acquetati e riconosciuti,
+presso la strada dopo lo emiciclo di Mamia e sull’angolo
+della via che menava alla villa di Cicerone.
+</p>
+
+<p>
+La iscrizione diceva:
+</p>
+
+<p class="center">
+EX AVCTORITATE<br>
+IMP · CAESARIS<br>
+VESPASIANI AVG·<br>
+LOCA PVBLICA A PRIVATIS<br>
+POSSESSA T. SVEDIVS CLEMENS<br>
+TRIBVNVS CAVSIS COGNITIS ET<br>
+MENSVRIS FACTIS REI<br>
+PVBLICAE POMPEIANORVM<br>
+RESTITVIT.
+</p>
+
+<p>
+Un subito moto, come onde di mare che si seguono e si
+accavalcano, dinotò l’apparizione del magistrato imperiale nell’atrio.
+E la turba degli ossequiosi si spinse verso quella
+parte. Erano i <i>salutatores</i> che volevano solo complirlo. E i
+<i>deductores</i> che intendevano accompagnarlo se mai fosse escito.
+E gli <i>assectatores</i> che in pubblico desideravano farsi vedere
+al suo fianco.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_306">[306]</span>
+</p>
+
+<p>
+Di mediana statura, vigoroso, solido, dalle braccia e
+dalle gambe scultorie, sotto quella fronte larga e possente si
+disegnavano due occhi neri e fermi, di cui era difficile sostenere
+lo sguardo. La sua fisonomia aperta e ruvida palesava
+la energia del carattere. Lo aspetto complessivo della persona
+lo testimoniava.
+</p>
+
+<p>
+E quel suo aspetto spirava un’adusta vecchiezza, quella
+beltà non più materiale, che è il canto dell’anima dopo la
+vittoria riportata sui sensi.
+</p>
+
+<p>
+Il tablino, ove si mostrò ai clienti, era ornato di pitture
+bellissime. Sulla parete sinistra, tra’ lavori architettonici, vedesi
+ancora un Ermafrodito itifallico sedente, il quale colla
+manca acciuffa la barba di Sileno che è dietro le sue spalle,
+e colla destra si scuopre la persona. Una baccante ha nelle
+mani una coppa ed un tirso. Tutto il fondo del quadro è turchino,
+sormontato da un cortinaggio rosso con frange, i cui
+lembi d’ambo i lati scendono bellamente sopra lo zoccolo.
+</p>
+
+<p>
+Svedio si presentò portando la mano dritta alla bocca e
+curvando il corpo a sinistra. Offerì quindi la destra ai più vicini
+che il nomenclatore gli presentava. Chiese della salute di
+tutti. Lamentò il caldo insolito, soffogante; ed il tanfo che
+sorgea dalle cantine e dai pozzi a far recere i mulattieri.
+Ascoltò le ragioni d’Isocriso Fortunato e chiese documenti
+per giudicarle. Si assise e terse il sudore della faccia. Rivolse
+la parola alle persone che riconosceva nella folla. Ed accolse
+benignamente le petizioni che gli venivano offerte. Cessato
+quel còmpito, e notando nel fondo dell’atrio la folla compatta
+degli accattoni, che invilivano la cosa immortale per provvedere
+senza fatica e coll’abbiettezza del limosinare ai loro giornalieri
+bisogni, aggrottando le ciglia gridò con voce sonora:
+</p>
+
+<p>
+— Quei famelici clienti, quei chiedoni di <i>sportulæ</i> non
+vo’ vederli io qui. Vadano all’Annona. Cesare mi mandava a
+rendere la giustizia sui piati straordinari e non a provvedere
+i fannulloni e gli stomachi vuoti.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Ed accigliato rientrava nelle interne stanze.
+</p>
+
+<p>
+Svedio aveva ragione. Il cuore umano non era più quello.
+Le contese civili col corredo del livore e della ferocia. La
+guerra servile col legittimo spregio all’autorità. La rivolta
+<span class="pagenum" id="Page_307">[307]</span>
+sociale collo inutile carnaio e col rammarico della ingiusta disfatta.
+La idea riscossa da quegli avvenimenti non pienamente
+acquetata. L’oblio che ferisce e dentro rode. Le perdite patite.
+Le ambizioni in trionfo. Lo intrigo in auge. Le schifose
+brutture imperiali. Il piacere dei sensi abbeverato di sangue
+e di lacrime. L’adorazione della libertà defunta. Ed un idolo
+sconosciuto ancora, ma pur fremente nella coscienza degli
+uomini. Tutte queste cose — cagioni ed effetti di molti mali
+senza rimedio — avevano prodotto un ibridume vergognoso — i
+parassiti, i pedanti, gli epuloni, le sciupate, i poetastri,
+i buffoni, gl’ignavi e i viventi di pubbliche e di private limosine. — Le
+dimore dei ricchi erano ogni mattina in sull’alba
+assiepate da gente stracciata che trascinava seco figliuoli sparuti,
+sudici e seminudi e persino donne languenti e prossime
+al parto. Le sante delicatezze dell’anima erano tutte morte...
+Ma non si erano consumate sulla croce del Golgota. E verrebbe
+il giorno in cui sarebbero risorte per far cangio lo aspetto
+delle generazioni a venire.
+</p>
+
+<p>
+Gl’inquieti escirono dalla casa del giustiziere imperiale
+col ghigno sul labbro, colle maledizioni nel loro pensiero.
+</p>
+
+<p>
+— Kale, ho inteso parlare degl’infortuni di Ulisse ch’errò
+per venti anni lungi dall’isola natale. Ben di lui più infelice,
+io mi smarrii qui dove nacqui e d’onde mai partirò.
+</p>
+
+<p>
+— Non so trovare, o Priscilla, un’acqua abbastanza sporca
+per gittarla sul viso di quell’impuro egoista! Briccone! Egli ha i
+suoi redditi. E non pensa che noi non ne abbiamo. Ogni cosa
+aumenta di prezzo. Ieri, Scapula, con cui lamentava lo accresciuto
+valor del suo lardo, mi mostrò i pesi di piombo, sui
+quali era in rilievo <span class="smcap lowercase">ALVMVR-CAVE</span>. Magistrati cani!
+</p>
+
+<p>
+— Lo udiste, eh! lo uccellaccio di cattivo augurio! Quali
+occhi di gufo. Già, per noi poveretti non vi è che la croce!
+Cotesti ricchi sono tutti pirati e non risparmiano alcuno.
+</p>
+
+<p>
+— Tu poi non puoi lagnarti, o Thessalo. In una casa il
+pesce. In un’altra un po’ di pecunia. E per sopra ciò hai così
+acconci i denti come le mani.
+</p>
+
+<p>
+— Sì, non mi reputo tra i grandi infelici. E prego sempre
+Laverna che mi offra il destro di esercitar le mie dita.
+</p>
+
+<p>
+— Ho udito ragionare da Spetillo, or or tornato dall’Urbe,
+<span class="pagenum" id="Page_308">[308]</span>
+come Cesare sia affettuoso e benefico a non lasciare
+alcuno partirsi da lui senza beneficio, od alcuna speranza. E
+soler dire: mai nessuno debb’essere del principe malcontento.
+E una sera cenando, risovvenendosi non aver fatto servigio
+ad alcuno, dicesse malinconoso agli amici, come quel giorno
+fosse un giorno perduto. Eh! Qual differenza tra lui e questi
+che qui lo adombra!
+</p>
+
+<p>
+— Odo rumor di voci di gente riunita dietro le Terme.
+E suon di flauti con esse. Andiamo, Papyria, e inganneremo
+la fame cibando gli sguardi.
+</p>
+
+<p>
+— Molti pur vanno da quella parte. Corriamo.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Nè si erano ingannati. Al di sopra, al di sotto ed in faccia
+alla caupona di Svezzio, dalla insegna dello Elefante, era
+grande la folla, chiamatavi dal piacere dello spettacolo. Sur
+un triangolo avevano posato un canapo e distesolo sur un altro
+simigliante a dieci passi di distanza; un uomo con un
+grosso chiodo lo assicurava tra le commessure del selciato.
+Altri uomini in figura di Fauni mostravansi coperti di anassiridi
+verdi, rosse, gialle e turchine. Un tirso nella mano,
+una pelle di capro sul braccio, un fiocco di crini in arco sull’osso
+sacro.
+</p>
+
+<p>
+Una voce grida;
+</p>
+
+<p>
+— Abbastanza suonarono le tube, i flauti ed i cembali.
+Che tardate? Il circo è pronto. Gli spettatori sono impazienti.
+</p>
+
+<p>
+— E le spettatrici? Ohe, Phæbo, sei tu che proibisci alle
+tue clienti di mostrarsi sul davanzale del <i>solarium</i>?
+</p>
+
+<p>
+— O che tu dici, Hypsæo. Non son le mie schiave.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Ma un funambulo è già sulla corda. Ha il corpo vestito di
+rosso e le chiome, la coda e la lira gialla. Con una gamba
+piegata ed un’altra distesa suona con ambe le mani la cetra,
+tenendo tutto il peso del corpo poggiato sulla punta del piede
+destro e sulla estremità del tallone sinistro. Guai se spianasse
+il piè sulla corda. I fischi lo assordirebbero. Debbono reggersi
+in equilibrio sulla punta o sul tallone.
+</p>
+
+<p>
+— Sante vestali, al verone. Bene! Vivano i <i>rorarii</i>
+della truppa leggera.
+</p>
+
+<p>
+— Eccoci.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_309">[309]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Fuori gli <i>adcensi</i>. Voi siete i <i>triarii</i> della riserva. Oh!
+Le belle affrancate del piacere! Dite: Salve, o Libertà!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Il terrazzo sporgente sulla doppia via erasi a poco a poco
+guarnito di donne. Erano le Veneri plebee, le degradate che
+pagavano caro le infamie della loro vita. Giudicate indegne di
+protezione, non hanno tutori, e perciò non possono compiere
+verun atto legale. E acciocchè ognuno le riconosca, hanno
+rasi i capelli, coperti da una <i>picta mitra</i> a diversi colori ed
+indossano la toga maschile. Erano o affrancate, o straniere,
+taluna bella di forme, tale altra bella per la vivacità dello
+ingegno, sino a maritare la voce agli accordi della lira, e a
+spiegare le loro grazie nelle danze le più seducenti. Dilettavano
+gli ozi dei marinari, dei poetastri — che sotto infinti
+nomi cantavano i loro vezzi — e dei gladiatori.
+</p>
+
+<p>
+Un altro funambulo è sulla corda tesa. Questi è tutto
+verde. Salta e poi, stendendo ambe le braccia, si curva per
+mostrare ch’ei sa mantener lo equilibrio della persona in
+quella difficile postura. Gli gittano un <i>rhyton</i>, cioè, un bicchiere
+a forma di corno, che tiene sollevato nella destra e
+versa il vino in un cratere a due manichi che ha nella sinistra,
+abbassandola di modo che lo sprillo del liquido con
+arduo giuoco gli faccia arco sopra la testa. Quel bicchiere, detto
+anche <i>fluens</i>, dal rapido scorrere del vino, valeva a ricordare
+come di corna forate fossero i primi bicchieri nei rozzi banchetti
+degli uomini che cominciarono a coltivare le nostre
+contrade.
+</p>
+
+<p>
+— A che più guardi, o Epeo, alla corda, o alle corde
+che ti allacciano i sensi? Quella bruna procace, la terza a
+diritta, che ti guarda e sorride, scrisse un suo vanto sulla
+parete. Vincitore nello Anfiteatro, tu da lei fosti vinto.
+<span class="smcap">Victrix victoris. Conticvere</span>.
+</p>
+
+<p>
+— <i>Ita me bene amet</i>, non era dessa il mio dolce mele, il
+piacer di mia vita. Sticho mi rubò la mia Fimie, quella che
+poggia le belle braccia sulla balaustra. Oh! Per Antippe non
+darei nè anche il <i>ciccum</i>, la pelle bianca che cuopre gli acini
+di questa melagrana.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Altri danzanti si succedono sul canapo. Saltano col tirso.
+Suonano le tibie od eseguono con destrezza giuochi di simil
+<span class="pagenum" id="Page_310">[310]</span>
+fatta. E la gente lo applaudisce e paga piccola moneta allo editore
+di quel popolare sollazzo.
+</p>
+
+<p>
+— <i>Cape hoc flabellum</i>, Eris. Rinfrescati la faccia con
+esso e scaccia le mosche villane.
+</p>
+
+<p>
+— Lo accetto, Annio Lucifero. Ma tu non guardare in
+alto; perchè opereresti follie indegne della tua età e dei capelli
+bianchi.
+</p>
+
+<p>
+— <i>Deos compreco</i> perchè ti tolgano questa pazza gelosia
+dal cuore.... Però, quella fanciulla lassù, che ride e sghignazza
+sguaiatamente, è bella.
+</p>
+
+<p>
+— Non mi chiamare <i>febris querquera, aut tussis</i>. Ma, se
+non stesse in quel posto, anche tu, Kleopatra, <i>salubritas
+mea</i>, siffatta la troveresti.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+La moglie a questi detti si inorcò più che per natura nol
+fosse. Lo trasse a sè per andar via e die’ in questa espressione
+di spregio.
+</p>
+
+<p>
+— <i>Butu batta!</i> Trista razza d’uomo. Valea meglio affogarsi
+che darmiti sposa!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Partirono brontolando e gesticolando. Desiderava la cosa
+impossibile, la fedeltà a tutta prova in Pompei.
+</p>
+
+<p>
+— Dimmi, o bella Armonia, mi lascerai seder sullo
+altare, presso di te, che ammiro ed amo?
+</p>
+
+<p>
+— E chi può negarti, o bel Sosio, quello che tu chiedi
+con tanta modestia? Entra, o alimento del cuore, ed espierò
+i miei torti nelle tue braccia.
+</p>
+
+<p>
+— Sosio ha troppo bevuto, o Lycio. Sieguilo. Noi dobbiamo
+profittare di questo filo di vento propizio e partire per
+Rhegium.
+</p>
+
+<p>
+— Oh! il mio giocondo compagno tornerà presto. Ma,
+poichè il vuoi, entrerò anch’io nel tempio e ne lo trarrò fuori.
+</p>
+
+<p>
+— Come il corvo, voli al fiuto della carogna. Bada! In
+fede di Autolyco, se non vieni presto, farò disegnare sulle
+vostre spalle il nome che le madri vi diedero.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Un altro funambulo, con anassiride turchina, è sulla
+punta dei piedi; e danza e suona ad un tempo le tibie. Il
+popolo plaudisce. Le donne del verone si abbandonano ai loro
+lazzi abituali e parlano a voce alta e chiassona delle solo cose
+che loro son familiari.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_311">[311]</span>
+</p>
+
+<p>
+Quando di un tratto s’ode un rumor sotterraneo, come
+di un carro ruotato il quale strepitosamente corresse tra le
+fondamenta della città. Poi, uno scoppio terribile.
+</p>
+
+<p>
+Era la settima ora; cioè, il tocco dopo il mezzodì.
+</p>
+
+<p>
+Le mura delle case traballano. Alcune crepitano. Altre
+ruinano. Le pietre del selciato si sollevano in più luoghi. Il
+funambulo cade dalla corda, batte la tempia e muore. Tutti
+fuggono, urlano, piangono, incespicano, corrono smarriti senza
+saper dove. I muggiti della natura continuano, e un denso e
+nero fumo, a foggia di pino mostruoso, si leva dal Vesvio che
+gorgoglia, rugge e lancia folgori al cielo. Grossi basalti infuocati
+briccolano sulle strade, sui tetti. I colpiti muoiono. Le
+cose inerti si spezzano, sbalzano, si sfasciano e prorompono
+al piano con ripetuto fracasso. La gente impaurita scappa ove
+può.
+</p>
+
+<p>
+Ecco altro nembo furioso. Una gragnuola di piccole pietre
+porose, leggiere, infuocate oscura l’aria, cade e saltella sur
+uno spazio immenso. Gli usci si chiudono. Le travi che non
+reggono il peso che sui tetti si aduna, crollano e schiacciano
+gli uomini riparati e le cose.
+</p>
+
+<p>
+Oh! i gemiti, la disperazione, le grida, le smanie, lo
+smarrimento del popolo! Ed il turbine continova. E le orride
+detonazioni continovano. Ed i fulmini saettano l’aria. E vivi
+baleni tentano di penetrare la oscurità, la tingono per poco
+di luce corusca, poi la tenebra si addensa e tutto chiude allo
+sguardo.
+</p>
+
+<p>
+Qua e là nelle vie, uomini audaci, rischiarandosi colle
+torce impegolate, procedono come possono sul nuovo suolo
+composto dalle pomici infrante. I passi si ricambiano a stento;
+chè, il piede infossa, si seppellisce tra i lapilli che scalfiscono
+e bruciano la pelle. I cani anch’essi cercano da tanta confusione
+uno scampo. I buoi, le capre, gli asini dei <i>pistores</i> si
+affannano ad escire illesi dal tremendo flagello e col loro correre
+disordinato impediscono la fuga alle genti, le pestano e
+le feriscono.
+</p>
+
+<p>
+Un fulmine solca l’aere tenebrosa ed illumina una scena
+di dolore. Presso le Terme, due framezzano gli ultimi gemiti
+coi baci. Un uomo col capo coperto è seduto sulle pomici che
+<span class="pagenum" id="Page_312">[312]</span>
+innondano il suolo di una bottega. Stringe al petto e tiene sulle
+gambe una giovane donna. Le sue labbra si posano sulla fronte
+pallida della ferita a morte che sanguina per le membra offese.
+I di lei occhi hanno lo sguardo estatico, incurante le sofferenze
+della carne. L’uno, sembrava fare e l’altra ricevere la confidenza
+estrema di quel segreto che è il fomite di tutte le
+grandi tristezze e di tutte le grandi speranze del cuor giovanile.
+Parea che l’uno dicesse:
+</p>
+
+<p>
+— Il mio cuore sul tuo, o adorata. Giammai uniti quaggiù.
+O <i>mors amoris</i>, nel tuo grembo la pace delle mie ossa
+contristate.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E l’altra coll’occhio fisso, quasi invetrato, parea ripetesse:
+</p>
+
+<p>
+— Una sola speme. Fu vana. Muoio almeno fra le tue
+braccia.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E la morente esalò in un bacio l’anima sua e sorrise. Ed
+il giovane si curvò, prosciolse le membra e cadde riverso sul
+corpo di lei. Erano morti, l’una di ferite, l’altro di schianto.
+</p>
+
+<p>
+E le pietre pomici piovevano sempre.
+</p>
+
+<p>
+Una bianca colomba errava alitando per l’aere caliginoso
+e nero. Offesa dalle pomici, grida, si asconde in un’apertura
+fatta dal tremuoto, vola, cade sbattuta sul suolo e, rialzata
+dal disio, sorvola e vola sempre. Alla fine si posa sur un
+antefisso di un impluvio, guarda smaniosa allo intorno, emette
+un grido di piacer passionato e si caccia nella buca di un
+muro. Altri gridi brevi, febbrili rispondono al suo. È coi figli.
+Si accoccola su di essi, gli bacia col becco, li ricuopre colle sue
+ali e dolcemente li garrisce.... Povera madre! Ebbe almeno
+il conforto di morire coi nati dalle sue uova!
+</p>
+
+<p>
+In un luogo remoto, al di là dell’atrio, presso un
+piccolo xysto, sono appoggiati alle pareti di una stanza da
+lavoro trapezoidi finiti, e abbozzati e massi di marmo: e qua
+e là, per le terre, o sui cavalletti, grossi pali di ferro per
+levar pietre e volgerle a talento, varie seghe — una ancor
+conficcata nel solco operato sul sasso — martelli, mazzuole,
+lime e scalpelli con compassi retti e ricurvi. La casa è spaziosa,
+a due piani, che una scala di legno accomuna. Il silenzio
+delle voci è per tutto. Chi vi abitava, chi vi martellava,
+<span class="pagenum" id="Page_313">[313]</span>
+chi vi segava, chi digrossava i ruvidi pezzi di tufo e di marmo,
+al primo tremendo scoppio, seguito dalla commozione del
+suolo, fuggiva esterrefatto per far salva la vita a lui cara.
+Un uomo solo vi era rimasto impassibile e tetragono in tanta
+ruina di pubbliche cose. Suliodes ha il martello in una mano.
+Ha lo scalpello nell’altra. È dinanzi a una statua di marmo,
+nuda, di artistica bellezza, di un ideale ammirevole, coi segni
+impressi della voluttà e dello amore. Breve della persona,
+ha il volto greco cui la grandezza romana aggiugne qualcosa
+di suo. Gli occhi ha neri, grandi, estatici. I capelli crespi e
+ondulati si rizzano sull’ampia fronte. — L’aria si oscura.
+Sul selciato della via battono tonfi le pietre ardenti. Sulla
+terra soffice dello xysto si affondano e si ammonticano. Ed
+egli che sino dalla prima sua gioventù era stato reputato un
+vile, uno schiavo; egli che passava i suoi giorni evocando dal
+paese delle ombre, collo accento della fantasia degna di Orfeo,
+le Veneri, le Baccanti, le Muse, il divo Apollo e Mercurio,
+e le ninfe dei boschi e delle fontane; in quello istante di supremo
+disastro, egli contemplava l’ultima opera sua e non
+sapea distaccarsene. Nobile artista!
+</p>
+
+<p>
+L’ora sublime degli affetti è quella della separazione;
+chè, nello abbandonare l’oggetto amato l’uom parte pregno
+degli effluvi di un eroico amore. E Suliodes, preveggendo il
+danno estremo, gittò le braccia al collo della sua statua e
+proruppe:
+</p>
+
+<p>
+— Tu sei la donna dei miei pensieri. Sei la nata del mio
+cuore d’artista.... Che io muoia! E tu resta! Resta intatto,
+o marmo, a testimoniare ch’io ti diedi i palpiti della vita. — Ah!...&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Fu un grido straziante. Aprì le braccia e cadde stramazzone
+sul suolo, rigandolo di una larga striscia di sangue. Il
+soffitto, spezzato e affondato dai basalti se gli rovesciò addosso,
+spaccandogli il cranio e spezzandogli le membra. E la statua
+cadde sopra il suo osceno cadavere.
+</p>
+
+<p>
+Suliodes era tal’uomo dall’anima semplice, diritta, sensibilissima,
+febbrile, smaniosa, martirizzata, non appagata
+mai, collo istinto di tutti i segreti della vita. Macilento, dalle
+gote infossate, le precoci rughe dicevano com’egli dentro
+<span class="pagenum" id="Page_314">[314]</span>
+soffrisse di quel male logorante che il volgo degli uomini non
+intende, nè scusa, di cui non si muore e che dà la esistenza
+eterna, quella del genio. La statua nello impluvio della casa
+di Cneo Vibio, raffigurante la psiche umana, era sua. I trapezoidi
+in quella di Cornelio Rufo, pur suoi. Da un anno lo
+schiavo aveva ricomprato dallo avaro padrone Aulo Castricio
+Scauro la sua libertà.... Il nobile artista era morto!...
+</p>
+
+<p>
+E le pietre pomici piovevano sempre!
+</p>
+
+<p>
+Sulla via che a diritta declina alla porta di Stabia e seguitandola
+mette alla porta di Nola, i carri tratti dai buoi,
+dai cavalli, dai muli, da man d’uomo s’incrociano con gente
+che fugge per diversioni svariate. Sopra una tavola alcuni
+trasportano una donna scolorata colle braccia pendenti, grondante
+sangue. Un’altra donna più giovane la segue ed è seguita
+da due piccoli figli attaccati colle manine alle vesti di lei e
+piangono ed urlano che è tutto uno strazio. Un uomo arresta
+i portatori di quel corpo esanime, si gitta sul selciato ingombro
+di rottami e di pietre e singhiozza.
+</p>
+
+<p>
+— Mentre ei piange la madre ed obblia sè, la moglie e
+i suoi nati, lasciamolo al suo dolore e fuggiamo.
+</p>
+
+<p>
+— Bene dici, o Volusio. E tanto più che ci pagò la mercede.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E ratti si dileguarono.
+</p>
+
+<p>
+I margini si fanno sempre più ingombri di feriti e di
+morti. I gelosi delle loro robe preziose e più care; quei che
+nel disordine delle idee non fuggirono presto dalle case che
+crollano, colpiti dai sassi e da un muro che, perduto lo equilibrio
+ruina, hanno rotto le membra o franto il cranio sulla
+soglia che pur dianzi era il pensiero della loro salute. E quasi
+non bastasse lo immenso orrore, coi danni irreparabili che
+veniva adunando, schiavi abbrutiti e nefarii — i quali, disonestamente
+trattati, non avevano alcuna nozione di ciò che
+onesto e verecondo fosse — afferravano bestialmente la occasione
+che loro forniva la irritata natura, per derubare, per
+uccidere e per dare ampio sfogo alle loro infami libidini. Uno
+si fa largo col coltello tra i denti, spoglia il vicino, ferisce e
+corre. Quale ruba una gentile ed innocente vergine dalle
+braccia dei propri parenti e, bestemmiando parole di dileggio
+<span class="pagenum" id="Page_315">[315]</span>
+e da trivio, sen fugge. Terrore. Emozioni. Grida di schianto.
+Brevi e disperate zuffe. Dolori che uccidono. Sguardi che imprecano.
+Ansietà impossibili a dirsi. Eroismo di amore. Brutalità
+da dannati. Ecco la multiplice scena offerta sulla lunga
+via che dallo sbocco della consolare, passando a lato del
+tempio della Fortuna-Augusta, menava alla porta. La quale
+gli Oschi costruirono di tufo, scolpendo sulla chiave dell’arco
+la protoma di Venere, l’affettuosa iddia che in quel giorno — al
+pari dei santi patroni, cui le bigotte, irriflessive, superstiziose,
+timorate e bietolone coscienze sogliono rivolgersi nei
+dì del pericolo colle novene e coi voti — non seppe difendere
+la città che in lei avea piena fede.
+</p>
+
+<p>
+Apro Aulio Rufo — quegli i cui pilastri dell’uscio presentano
+i bei capitelli con una baccante e due piccoli putti in
+alto rilievo — aveva tratto per tempo, sui cocchi, nelle lettighe
+ed a piedi Celsa, Heria, Ada; e il giovanetto Cerio, ed
+il piccolo Valente, e la bellissima nelle sue grazie infantili,
+la Cumbennia, natagli da tre anni, l’olezzo del cuor suo, alla
+quale avea dato il nome della tribù antica cui era ascritta la
+sua doviziosa famiglia. Ma il cisiario Diofante invade con una
+ruota il margine e rovescia. Fallox e Nasso che seguono nella
+quasi oscurità il primo carro, pestano i caduti colle zampe
+de’ loro cavalli. I quali, impauriti dalle grida di dolore, sferzati
+da chi gli menava e sospinti dalla gente che fuggiva,
+inalberano rompono i ritegni, spezzano il timone, urtano,
+schiacciano e fuggono a furia sul declivio della via suburbana.
+Ada muore mentovando la madre. Celsa, che ha rotta
+la spina dorsale pel solco che suvvi fece una ruota, si volse
+al suono dell’amata voce, fruga amorosamente cogli occhi la
+tenebre e spira.
+</p>
+
+<p>
+Oh! i funebri pensieri dei rimasti per terra, feriti e
+senza soccorso! Tutti invocano la morte; perchè la morte sola
+ha un sorriso per essi!... E la viene, colorata di sangue ed
+infuocata delle fiamme del Vesbio.
+</p>
+
+<p>
+Il misero Rufo marito e padre, accorre fra quei morti e
+morenti, istupidito dall’ambascia. Un’unica speranza.... la
+salvezza della bambina che aveva stretta al suo petto. Parole
+dissennate escono dalla sua bocca.... Fugge e lascia coi cari
+<span class="pagenum" id="Page_316">[316]</span>
+estinti le collane, i pendenti, le perle, le monete d’oro, le
+patere, le tazze, i vasi di argento, tutto che in fretta aveva
+potuto rammassar nella fuga.... Dove morirono?!...
+</p>
+
+<p>
+Un cisiario, per nome Felicissimo, ed un altro, Erosala,
+sferzano maladettamente i loro cavalli. Vengono dalla via di
+Mercurio ed avanzano malgrado gl’inciampi. Molta gente erasi
+riparata sotto le volte della porta di Stabia. I cavalli e le
+ruote traversano quell’ostacolo vivente e passano oltre. Vibio
+e Melissæa tengono abbracciati in sul carro i due loro bambini,
+di sei anni e di quattro. Nel successivo sono due liberti
+con ciò che di più prezioso si potette adunare nei sacchi. Giungono
+in faccia allo scoglio di Ercole, sulle saline, dove Cassinio
+poco mancò non fosse sorpreso da Spartaco nel bagno.
+Colà gemiti, urli, parole da lacerare il cuore.
+</p>
+
+<p>
+Un padre che, fuggendo, avea smarrita la sua cara figliuola
+ed era tornato indietro due volte per rintracciarla ed
+erasi quivi ridotto per far salva almeno la sua vita, piangeva,
+si stracciava le vesti e parlava,
+</p>
+
+<p>
+— O natura, forza imperiosa del sangue, ridammi viva
+la nata dalle mie vene.
+</p>
+
+<p>
+E cuoprivasi il capo, si cacciava per terra e piangeva.
+</p>
+
+<p>
+Un altro che aveva ritirato la moglie di sotto una parete
+ch’eralesi rovinata addosso e sulle spalle l’aveva trasportata
+fin là — discaricandola ed adagiandola mollemente sul suolo,
+disperato ed in lacrime le diceva,
+</p>
+
+<p>
+— Pannixis, ti sposai da due mesi, sei lo amor mio, svegliati.
+Non mi abbandonare. Senti i miei baci? Vedi le mie carezze?...
+Qua... una face... O iniquo Giove! Scaglia su di me
+le tue folgori! Morta!... Morta!... Povera donna mia!... Qual
+nuovo Sinis, qual novello Procuste, pose in brandelli le tue
+misere carni! <i>Heu me!</i> Che sono divenute le grazie del tuo
+viso e quegli occhi che splendevano come le stelle? <i>Exanimis
+jaces!</i>... Almeno, nume crudele, infame, fa’ ch’io la segua
+sulle onde di Styge e a traverso il torrente infiammato del
+Tartaro!... Che! Neppur le bestemmie ti muovono?... Ti proclamo
+inutile in questa ora estrema!
+</p>
+
+<p>
+— Cessa dal tuo dir forsennato, o Salvio Curzio.
+</p>
+
+<p>
+— Ahi sei qui, <i>machinator fraudis</i>? Disertasti l’ara di
+<span class="pagenum" id="Page_317">[317]</span>
+Mercurio e di Maia, o Memore Istacidio? Non gioirai a lungo
+dei dolori degli uomini. Giù nei gorghi del mare e con me.
+</p>
+
+<p>
+E lo ghermì per le reni, lo sollevò di peso, lo trasse
+nelle onde. Il sacerdote si dimenava, lo mordea sulla spalla,
+gridava lo aiutassero. In tanta confusione un solo si mosse.
+Fu Felice Helvio, il suo collega nelle imposture.
+</p>
+
+<p>
+— Anche tu, scellerato. Riderà Minosse in vedervi.
+</p>
+
+<p>
+Il mare si aperse e si chiuse gorgogliante e spumoso. La
+natura li cancellò ben presto dal numero dei viventi.
+</p>
+
+<p>
+Una face apparisce sulle onde. È una barca che si avvicina.
+Due uomini ne discendono, approdano, chiamano ad alta
+voce e procedono. I due bambini vanno loro incontro; essi li
+portano via. Cneo Vibio prende la cara donna nelle sue braccia,
+entra nelle onde, la consegna nelle mani smaniose, convulse
+di Demophilo e la vede in piedi tra i figli. È per salir
+dentro, quando un rumore immenso s’ode lungo la spiaggia
+da Stabia ad Herculanum. Il mare si ritira furiosamente e ribolle.
+Vibio e la barca sono sbalzati lontano. La barca sbattuta
+dalle onde, galleggia. Vibio... non è più. Il soffio di Dio erasi
+ritirato dalla sua bocca e lo aveva lasciato livido ed inerte
+cadavere.
+</p>
+
+<p>
+Poco di poi, cessato il grandinar delle pietre, ecco un rovescio
+immenso di pioggia sul suolo. Le acque del Sarno e
+delle sorgenti dei pozzi, assorbite nei giorni innanzi dalle materie
+candenti ch’eransi sviluppate nel Vesvio, avevano servito
+di alimento al fuoco e, convertitesi in vapore, datogli la
+forza di scaraventare in aria i basalti, le grosse pietre e le
+pomici addenti. Ora, aspirando dai sotterranei meati le onde
+saline, le rigettava a torrenti sui sottoposti piani, compiva la
+ruina delle case e livellava i lapilli poco innanzi caduti. Al
+cessare della forza aspirante, il mare tornò impetuosamente
+a mordere le sponde. E tanti erano i fuggiaschi nelle
+Saline, tanti abbracciò nelle sue spire spumose e li trasse con
+sè negli abissi.
+</p>
+
+<p>
+Demophilo, coi servi e colle ricchezze scampate, tornò
+indietro, malgrado i grandi pericoli, colà dove tutti speravano
+con ansia trovarvi Vibio, la doppia vita di Melissæa, la vita
+di quel cuore da cui tante dolcezze eransi rovesciate su dì lei
+<span class="pagenum" id="Page_318">[318]</span>
+cuore amoroso. Inutili ricerche! Ogni esistenza era scomparsa
+sul suolo lavato dalle onde furiose. La misera pianse, si
+strappò i capelli e pensò ove mai avrebbe portato le amare
+sue lacrime... Ma, tutto si cancella nel mondo, anche la esistenza
+ideale che è l’ultima requie della speranza! Tutto si
+raffredda, anche il pensiero.... E ciò che or or parea vivo,
+forse è già morto!
+</p>
+
+<p>
+Nella strada che rade il fianco del tempio della Fortuna
+ha lo ingresso principale una casa sontuosa cui tre altre vie
+rendono isolata. La grandine dei basalti ha sfondato il suo
+tetto, crepacciato i suoi muri, crollato le sue pareti. Le lamine
+di piombo conficcate con chiodi di ferro spessissimi su
+di esse — per allontanar dallo intonaco sparsovi sopra
+la umidità della recente costruzione — pendono schiantate
+e rotte. Nei vasti atrii, nello xysto fiorito e pesto, nei
+peristilii corrono creature umane esterrefatte, a tastoni, urlando,
+piangendo e cadendo. La soffitta del tablino poggiante
+su rosse colonne erasi sprofondata sul più prezioso monumento
+dell’arte antica, il mosaico, rappresentante la grande
+battaglia di Arbelle, in cui Alessandro, a capo dei suoi cavalieri,
+si slancia verso il vinto Dario per farlo prigione. La
+terra, scuotendosi e sollevandosi, crepacciava i pavimenti di
+marmo, gonfiava i mosaici e le opere signine che tanta fatica
+avevano costato ai nobili artisti, miseri schiavi. Le pomici tutto
+ricuoprono.... anche una bella fanciulla, la piccola Irimilla,
+che atterrita e dissennata correva spinta dal genio della morte
+a salvarsi tra le fredde sue braccia. Il padre Mevio Apulo che
+la seguia per salvarla, stramazzato a terra da una colonna,
+perdette anch’egli colla vita le molte ricchezze che lo esteso
+commercio dei vini gli avea procurato. Al cominciar dello inesplicabile
+disastro egli avea detto a Caio, il suo figliuol primogenito.
+</p>
+
+<p>
+— Va’ colla tua giovane sposa! Va’, corri e non volgerti
+indietro. I fulmini rischiaran la via. Profitta di quel lume di
+Averno per riconoscere e sfuggire lo estremo pericolo. — Abbracciami!
+O io salvo gli averi e ti raggiungo. O là... negli
+Elisi!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+I due amanti e sposi, convulsivamante stretti l’un l’altro,
+<span class="pagenum" id="Page_319">[319]</span>
+correndo a riprese sul nuovo suolo delle vie formato dai basalti,
+dai lapilli di pomice e dai muri caduti, livellato dalle
+ceneri fangose per l’acqua bollente, molti ne videro dannati
+dal feroce loro destino impaltenarsi, cadere, escire dalle profonde
+pozzanghere e ricadere anche una volta feriti, trafelati
+e presi per non sorgere mai più. Essi potettero giungere sino
+alla spiaggia, sostenuti dalla forza che lo spavento ministra e
+che addoppia lo amore. Nella oscurità si cacciano in una barca
+apprestata per lo edile M. Epidio Sabino dal liberto Hedysio,
+e fatti salvi dallo equivoco, col cuor sollevato si allontanarono
+dalla riva di tutti i dolori e di tante morti svariate. Allo
+scroscio delle folgori, al fulgore delle fiamme, al fracasso dei
+muri cadenti, le urla strazianti di un popolo e il ricordo dei
+cari lasciati non commuove più il loro cuore. La terra diviene
+per quei fuggitivi una visione svanita. Il solo mare ribollente,
+agitato risponde ai loro attoniti sguardi. Gli è che fra il cielo
+ottenebrato dalle ceneri, invisibile come il fato, e i flutti oscuri
+e tumultuosi una potenza unica, lo amor ricambiato ed egoista,
+aveva loro accavigliato l’anima a non permetterle più le
+sensazioni al di fuori.
+</p>
+
+<p>
+Intanto nel gineceo delle donne, Mesionia, la moglie di
+Alleio, adunava gli oggetti preziosi ch’erano nelle camere.
+Braccialetti d’oro, fibbie, anelli, orecchini venivano da lei
+chiusi in fretta in una tunica. Alcune schiave, urtandosi, piangendo,
+gesticolando e pallide dallo spavento, trasportavano
+vasi di bronzo, tazze di argento e pitture di pareti; e incontrandosi
+lasciavano coteste cose per terra, piangevano, si
+abbracciavano, svenivano. Una bambina ed un giovanetto,
+curvi sul pavimento, ponevano in un cesto di vimini i loro
+<i>crepundia</i>, la bambola, un piccolo specchio di argento e una
+statuetta della Speranza. Creature infelici, non commoveste
+la natura col vano augurio! Un vecchio servo, Amiantho,
+togliea sulle braccia un’ara di marmo portatile colla iscrizione
+osca <img class="letter" src="images/ill-osco-319.jpg" alt="lettere osche"> — Flousai, cioè Flora — che doveva essere
+la dea protettrice della sua sventurata padrona, — Tutti
+morirono. E lutto lasciarono!
+</p>
+
+<p>
+Dirimpetto la entrata principale dello anfiteatro era un
+triclinio, dove solea darsi ai gladiatori un pubblico pasto,
+<span class="pagenum" id="Page_320">[320]</span>
+detto libero. Colà presso era un ricinto murato che accoglieva
+gli accoltellanti per vestirsi e per attender lo istante di scendere
+nell’arena. Quivi l’<i>editor</i> portava le vesti, le armi, le
+reti per fornirne ai <i>secutores, retiarii, mirmillones, samnites,
+hoplomachi, dimachæri, essedarii, andabatæ, fiscales, subdilitii,
+catervarii, meridiani, postulatitii, laquearii</i>. Cotesti
+i nomi che distinguevano nella loro fatale professione i miseri
+operai dei trastulli romani. — Nei due luoghi, alcuni ragionavano,
+cioncavano e ridevano allorchè accadde il grande
+scoppio, nunciator del disastro.
+</p>
+
+<p>
+Trulla e Naso erano giovani cui la passione della libertà
+caduta avea ritolto lo amor della vita. Ambedue da qualche
+anni, in epoca diversa, eransi ascritti alla famiglia del lanista
+C. Aellio Astragalo. E giurando <i>uri, vinciri, verberari,
+ferroque necari</i>, ricevevano il salario <i>auctoramentum</i>, perchè
+volontari e non <i>ad gladium</i>, oppure <i>ad ludum damnati</i>.
+Lo esercizio della ferocia parea che lor facesse obliare i gravi
+pensieri del proprio cuore. E gli austeri ardori dello isolamento
+e del pericolo sembrava che tranquillassero la loro
+fantasia ferita. Uno era <i>laquearius</i>. E toccando familiarmente,
+con certa spavalderia, la corda dal nodo scorsoio che gli cingea
+la persona, provava la immorale felicità di dar morte
+allo infelice avversario che il capriccio del lanista avrebbegli
+dato nello steccato. Vestiva una tunica corta di colore scarlatto.
+L’altro apparteneva alla categoria dei cavalieri e vestito
+di maglia — <i>clausis oculis andabatarum more pugnabat</i> — e
+rischiava la vita, o uccideva senza vedere il suo
+bendato competitore.
+</p>
+
+<p>
+I discorsi furono dimezzati, e per la prima volta quegli
+audaci fuggirono dinanzi il pericolo. Vaccula, il dapifero, e
+tre dei suoi schiavi corsero anch’essi smarriti verso lo anfiteatro.
+Uno fu ucciso da un basalto presso lo ingresso sotto la
+statua di C. Cuspio Pansa pontefice. Gli altri si cacciarono alla
+rinfusa nei corridoi; allo infuori di uno che nella furia e nella
+oscurità discese nell’arena e cadde nell’<i>euripo</i> — canale pieno
+di acqua scavato attorno il <i>podium</i>, pur cinto di un <i>ferreus
+clathrus</i> — le due difese che gli spettatori avessero dalle irruzioni
+disperate delle bestie feroci. Sull’orlo di quel parapetto
+<span class="pagenum" id="Page_321">[321]</span>
+si veggono in Pompei i buchi dove erano conficcati i
+graticci di ferro che Plinio chiamò reti per la forma che presentavano.
+</p>
+
+<p>
+Nel catabolo erano due leoni. Uno, ruggendo cupamente
+si accovacciò aspirando l’aria umida nell’angolo della cella.
+L’altro fuggì rompendo le sbarre del carcere; urtò Trulla; lo
+azzannò e lo stracciò colle unghie come un impedimento alla
+fuga ed uscì fuori per morir soffocato dalla mefite non molto
+lontano.
+</p>
+
+<p>
+Vaccula accese una lampada e con essa schiarò alquanto
+le tenebre. Gli altri si raccolsero attorno di lui. Pareano fantasime
+o quei malati che vedi errare nel paese delle febbri.
+Alcuni piangevano. Alcuni bestemmiavano il nome degli dei.
+Naso intravide la sua sorte con segreta rassegnazione. A quei
+cui il sangue rivela alcuna delle grandezze della vita, il pericolo
+delle battaglie, le sofferenze del dolore, le tristezze del
+carcere, lo aspetto della morte offrono splendidi e misteriosi
+orizzonti che le nature volgari non veggono. Afferrò animoso
+la nuova situazione quale gli dei glie la componevano. Si assise
+per terra lungi dagli altri; chiuse il capo nel <i>sagum</i>; gittò
+ai piedi un pezzo di catena d’oro, un anello ed alcune monete;
+si appoggiò colle spalle al muro del <i>vomitorium</i>; ed attese
+nella pienezza delle sue facoltà la visita dell’amica che
+aveva sempre creduto la venisse a lui armata di gladio.... La
+non tardò molto a venire. E le giovanili ambizioni, e le vanità
+della forza muscolare, e le irrequietezze del cuore, e i
+giorni di piena felicità, e le gioie grossolane dei sensi, e le
+aspirazioni di una gloria migliore, ed i palpiti della libertà,
+tutto fu consumato in un istante in quell’oscuro calvario di
+ben altri e più cuocenti dolori.
+</p>
+
+<p>
+Nella via Domizia, sulla linea dirimpetto alla casa di C.
+Giulio Polybio, era la dimora dèi chirurgo Hemos, allievo di
+Bucchio di Tanagre, interprete in Cos della dottrina del grande
+Hippocrate. Il quale quivi era nato nel primo anno della quarta
+Olimpiade, e quivi fondò la sua celebre scuola. Questo nobile
+rampollo degli Asclepiadi — famiglia conservatrice per secoli
+delle teorie del sommo Esculapio — profittando delle discussioni
+dei filosofi che si occupavano del sistema generale della
+<span class="pagenum" id="Page_322">[322]</span>
+natura e della esperienza dei suoi — e più di quella del suo
+padre Heraclide — sulle vicissitudini patite dal corpo umano,
+concepì la splendida idea che fissa un’epoca alla istoria del
+genio — rischiarare la esperienza col ragionamento — rettificare
+la teoria eolia pratica — considerare i diversi fenomeni
+presentali dall’organismo animale nei suoi rapporti di malattia
+e di salute — L’arte siffattamente elevata alla dignità di
+scienza, camminò di piè fermo sulla nuova via che un alto
+ingegno le aveva dischiuso. E tre scuole si aprirono ben presto,
+in Rhodum, in Cnidum, in Cos. Lo spasimo venne curato
+secondo le regole confermate dalle numerose guarigioni e le
+tre scuole si allietarono di molte eccellenti scoperte.
+</p>
+
+<p>
+Non lo amor del guadagno, nè il desio di celebrità avevano
+condotto Hemos dalla Grecia in Pompei. Demophilo ve
+lo invitava. Il sollievo dei malati ve lo facea rimanere. Creatore
+di una nuova scuola conservatrice, registrava i risultati
+della esperienza propria e degli altri, dettava i doveri di un
+medico e notava con pari franchezza le guarigioni e le morti.
+Una volta accadde che a lui portassero sur una scala un <i>tignarius</i>
+che, caduto nel restauro delle mura presso la porta
+di Herculanum, aveva ricevuto parecchi sassi sulla persona.
+Il sofferente era tramortito. I <i>lecticarii</i> non seppero rispondere
+alle sue domande. Ed egli non si avvide che gli era mestieri
+ricorrere al trapano. Funesti segni lo avvertirono dell’oblio.
+Dopo quindici dì fece la operazione. Ma il muratore
+morì lo indomani. Ed egli, il sommo maestro, confessò pubblicamente
+il suo fallo. Imperocchè, superiore ad un fallace
+amor proprio, volle che anche gli errori servissero di lezione.
+Sono corsi parecchi secoli e cotesta sincerità in luogo di accrescersi,
+è di troppo diminuita nei curatori delle malattie
+umane.
+</p>
+
+<p>
+La casa aprivasi sullo impluvio ed in fondo era lo xysto.
+Ai lati, lunghe camere abbellite di graziose pitture, ed una di
+straordinaria grandezza e schiarata da parecchie finestre. Era
+la sala anatomica e la scuola.
+</p>
+
+<p>
+Un letto di quercia in pendìo è nel mezzo. Sopra il letto
+è un cadavere. Ai piedi del cadavere sul pavimento è un vaso
+di terra per accogliere i liquidi che potrebbero scolare dal
+<span class="pagenum" id="Page_323">[323]</span>
+letto che finisce come una gronda. A lato del cadavere sta in
+piedi Hemos parlante ai discepoli, tutt’occhi ed orecchi in
+udirlo.
+</p>
+
+<p>
+Quel saggio ha le linee regolari di una statua, illuminate
+da uno sguardo che un misterioso splendore anima ed avviva.
+La fronte è calva e i capelli imbiancano. È piccolo di
+persona, un po’ stanca, quasi emaciata. Di sobrie parole, ha
+il gesto concitato e di slancio, perchè ricco di sensibilità meravigliosa.
+Quelli che lo veggono grave allo esterno malamente
+lo giudicano. Le sensazioni delicate e profonde del cuor
+suo sono come quelle piante energiche e sottili che si veggono
+sospese agli scogli, a picco sul mare, nell’isola ove nacque.
+I venti impetuosi che spirano dal golfo Ceramicus le agitano
+in tutti i sensi nelle tempeste di autunno, e d’inverno; ma
+non valgono a sradicarle dove germogliano.
+</p>
+
+<p>
+— La vita è breve e l’arte che noi esercitammo domanda
+lunghi studi e vocazione decisa. — Giudizio sano.
+Pronto discernimento. Carattere pien di fermezza e di dolcezza
+insieme. Amore alle cose oneste e al lavoro. E se l’anima
+s’intenerisce sui mali della umanità, certo che chiunque
+fra voi n’è dotato si passionerà per un’arte che insegna a
+guarirli.... Operate — e non vi stancate mai di operare — col
+taglio sul cadavere. Percorrete il cerchio delle scienze. La fisica
+dice la influenza dei climi su questa bene ordinata matassa
+di muscoli, di nervi, di vene, di fibre. E fatti dotti,
+viaggiate, osservate la situazione dei luoghi, le variazioni dell’aria,
+le acque che si bevono. Gli alimenti di cui il popolo si
+nudre, tutte le cause che guastano lo assetto della economia
+animale.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E toccando colla mano il cadavere, seguitò:
+</p>
+
+<p>
+— Le brevi e ricise massime scolpite nella nostra memoria
+guidano ma non illuminano abbastanza. Conviene applicare
+i principii generali ai casi particolari e interrogare la
+natura per non ingannarsi. E — ciò che è più difficile — attendere
+la sua risposta. Di celato io feci portare qui da un
+vespillone il cadavere di uno schiavo. Il pregiudizio non vorrebbe
+che quale è coperto dalle ombre della morte giovi al
+soccorso della vita in pericolo. Le leggi si oppongono. Ma le
+<span class="pagenum" id="Page_324">[324]</span>
+leggi permettono il macello dei sani nelle battaglie. E il pregiudizio
+applaude al carnaio nello anfiteatro.... La scienza è
+sovrana. E se ha doveri, ha pure i suoi diritti.
+</p>
+
+<p>
+E preso il coltello di rame temprato — lo <i>scalpellum</i> dei
+latini, lo σμιλιον dei greci — lo appuntò con tutta sicurezza
+sul disteso cadavere nella parte destra laterale del torace, là
+ove le costole ossee si articolano colle cartilaginee. Ma, infisso
+lo strumento, fermossi di un tratto come per arrestare una
+idea ch’eraglisi affacciata alla mente. E levando in alto il coltello
+con un gesto atto ad imprimere con maggior forza i suoi
+detti negli ascoltanti continovò:
+</p>
+
+<p>
+— L’uomo di cui qui vedete i laceri avanzi era nato in
+Coronea nella Boeotia, condotto schiavo in Pompei e venduto
+a C. Pumidio Dipilo. Ora che con ribrezzo ne mirate le spoglie,
+mi avveggo com’egli differisca da noi, uomini vivi e
+liberi. Ma, allorchè quegli occhi opachi fulgevano, e quelle
+smorte labbra articolavano parole di vita, e quelle mani assottigliate
+e nodose erano validi strumenti per effettuare le
+idee, io non vedeva lo schiavo in quell’uomo. No!... Elette
+le forme. Vivace ed acuto lo intelletto. Impetuoso lo ardir
+giovanile. Nobile l’anima. E di squisito e commovente sentire
+il cuor suo!... Ben più libero ei mi sembrava di Sirico
+che lo aveva venduto e di C. Pumidio Dipilo, ricco di pecunia
+e d’immagini avite, che lo aveva comprato. Crixsos era il
+nome dello infelice. Io, famigliare di Caio, ebbi campo di studiare
+le fasi corporee e morali di questo estinto. Col <i>liber</i> di
+quella pianta palustre di Syracosion, il quale rotolato si chiama
+<i>volumen</i> — invenzione dovuta ad Eumenes di Pergamus — egli
+scriveva i βύβλος dei miei trattati sulla salute, i διφθερα
+che voi meditate. L’arte del pennello era pure la sua. E varie
+case in Pompei sono abbellite dai suoi colori. Amò perdutamente
+Sfinge, la schiava di Calepio Secario, di cui si fece
+il <i>contubernalis</i>, e ne fu amato con eguale ardore. Dopo poco
+però i favori di Venere assottigliarono lo stame delle due esistenze.
+La giovanotta morì di arsione. Egli, consunto e accasciato
+dal dolore di tanta perdita. Eccolo qui disteso dalla
+Phtysi o Phtoe, che fa pallido, debole, tossicoloso, emaciato.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_325">[325]</span>
+</p>
+
+<p>
+E volti gli occhi ai discepoli, dopo aver rimirato il cadavere:
+</p>
+
+<p>
+— Ora, uditemi attentamente.... I mali spiriti del mondo
+esterno sovente investono il nostro corpo, e suscitano una
+lotta coi loro poteri distruttori, cui la medicatrice natura si
+oppone coi suoi conati salutari. Allora l’uomo che sente in sè
+cotesto certame si fa tristo; e il terapeuta chiamalo egroto.
+Se la natura medicatrice ha tanta forza da affrontare la maligna
+natura e la respinge, lo egroto risana e si rassecura. Ma
+se l’impeto distruttore prevalse, la materia del corpo nostro
+più o meno lentamente si guasta, i pori si allargano, la contestura
+delle viscere si corrode e sopraggiunge la morte a dar
+l’ultimo crollo alla ruinosa economia. Allorchè siffatti guasti
+si stanno operando, il paziente è assalito da un calore urente
+che lo divora dentro e gli produce l’ambascia, lo anelito, che
+io chiamo <i>dispnea</i>, la prostrazione e la colliquazione. Or mirate
+come a tal penosissimo sentire corrisponda la spaventosa
+trasformazione del corpo.
+</p>
+
+<p>
+Ciò detto, si approssimava al letto e accennava col tatto
+le parti del cadavere di cui faceva menzione.
+</p>
+
+<p>
+— Mirate! — I muscoli impiccioliti e tabidi. Le unghie
+adunche. Rugoso il polpaccio. Le narici acuminate e gracili.
+Incavati gli occhi dentro le scatole ossee. Le labbra sottili che
+stringonsi ai denti. Prominente la mandibola. Sul petto voi
+potete contare le costole. Nello addome scorgete una cavità
+che va sino alla spina. Qui, sulle spalle, le scapole elevate e
+nude che paiono ali di uccello. Le nocche articolari delle ginocchia
+tanto prominenti da sembrare la estremità di una
+mazza.... Voi inorridite, o miei? Ma voi dovete pugnare contro
+la morte e conoscere la fisonomia della orribile Iddia in
+tutti i particolari suoi atteggiamenti. Altrimenti, come combatterla
+e vincerla?... Appressati, Albucio.... Che?... Turi il
+naso colle dita?... E sputi sul terreno come un profano?...
+Così non faceva Hippocrate, il padre nostro. Ed io vidi Buccino,
+da giovanetto, in Cos, rivoltolare colle mani gl’intestini
+di un morto che tale un sito fastidioso tramandavano da
+far recere parecchi tironi.... Ma tu sei bianco come un cadavere....
+Ebbene! Vien qua, Menomaco. Tu sei più provetto
+cultor di Esculapio ch’egli non sia. Sostieni il braccio destro
+<span class="pagenum" id="Page_326">[326]</span>
+di questa materia inerte, perchè io possa col coltello aprire
+la cassa delle nobili viscere.
+</p>
+
+<p>
+Il discepolo senza ripugnanza ubbidisce. Ed Hemos con
+due tagli regolari nel torace ed uno per traverso alla estremità
+delle costole ove ha principio lo addome, lo apre, ne
+squarcia le pleure e, rovesciandone il coperchio sopra la faccia,
+riprese:
+</p>
+
+<p>
+— Ah! Il prevedea. I polmoni disuguali, rattratti, maculati
+qua di rosso, là di nero, su di olivastro.... Ecco la phtoe
+polmonare. Ecco il guasto di una lotta per quanto lunga,
+altrettanto straziante. Voi, Parato, Aquano, Faventino, Marcello,
+Paquio, Callisto e.... tu pure o Albucio,... vedete lo
+interno dei bronchi e della trachea che ho aperto. La empiema,
+o la purulenza, ha quasi ostruito questi condotti che portano
+ai polmoni e dai polmoni al cuore l’aria vitale refrigerante.
+Quindi, il cuore che qui è rosso e più grosso del mio
+pugno non essendo temprato da bastevole frigorico, tanto calore
+emanava nei visceri nobili e specialmente nei polmoni,
+da distruggerli quasi e ridurli alla forma che in voi desta
+ribrezzo....
+</p>
+
+<p>
+Marcello interrompe:
+</p>
+
+<p>
+— Ma il cuore, o maestro, come sviluppa il vitale calore
+sì necessario alla esistenza? Gli è l’organo da cui hanno scaturigine
+i nostri affetti, le nostre passioni. Dunque gli affetti
+e le passioni avrebbero una qualche simiglianza al calore che ci
+anima?
+</p>
+
+<p>
+— Ben parli, o giovane sacerdote della umanità. Gli
+amori, le ardenze passionate commuovono le fibre di quest’organo
+che sta fra i polmoni. Quindi è che tu lo senti battere
+entro te stesso. E più tu desideri, più vibrati sono i colpi
+di questo martello. Le vibrazioni producono calore siccome il
+ferro percosso sulla incudine del fabbro. E il calore quindi
+regola la vita.... Questo schiavo amò potentemente. Il suo povero
+cuore picchiò forte e generò grande calore. I polmoni ne
+rimasero offesi. L’aria non valse a temperarne l’arsione ed
+il misero....
+</p>
+
+<p>
+La parola della scienza fu tronca da uno scoppio terribile
+che mandò in minuzzoli i vetri della finestra e fece vacillare
+<span class="pagenum" id="Page_327">[327]</span>
+le pareti ed il suolo. Gli occhi dei discepoli fissarono esterrefatti
+quelli del terapeuta, e quai prigionieri dietro le sbarre
+facevano segni passionati e di grande sgomento. Il tonfo dei
+sassi sullo impluvio persuase alcuni ad escire da quella specie
+di letargo pauroso e correre allo aperto. Al traballare successivo
+e continovato della terra gli altri più provetti, che
+pure avevano le abitudini dei dolori e delle sciagure umane,
+a due, a tre volsero i talloni alla camera ov’era lo spettacolo
+della morte distesa, senza riflettere che anche fuori Libitina
+mieteva in vario modo le esistenze, come il villico colla falce
+l’erba dei prati.
+</p>
+
+<p>
+Ed Hemos?... Hemos sentì qualcosa di strano infiltrarsi
+e correre per tutta la sua persona. Le gocciole di sudore cadevano
+dalla sua fronte, la quale aveva preso la pallidezza
+del marmo. Nella mente incerta volava uno sciame di figure
+alate che, urtandosi a furia, gli scendevano dal cervello nel
+cuore. Un supremo sforzo... e la psiche immortale aveva atterrato
+nella lotta la carne peritura che geme, e piange, e si
+agita convulsa nella strettoia delle avversità e del dolore.
+</p>
+
+<p>
+— È l’ultimo giorno! E il novissimo istante! Da parecchi
+dì gli strani fenomeni che occorrevano e lo affannoso mutismo
+degli animali bruti mi facevano prevedere il danno di
+questa contrada.
+</p>
+
+<p>
+Sale una scala di legno, traversa le <i>cœnacula</i>, si fa sul
+terrazzo sfondato in un angolo da un basalto e vede il Vesvio
+ardente ed eruttante in mezzo a turbini di fumo sassi e
+cose che di travi accesi aveano sembianza. Chiude il capo
+tra le mani e pacatamente discende. Ridottosi di nuovo nella
+sala anatomica, rimane alquanto pensieroso. E poi mormora:
+</p>
+
+<p>
+— Urli disperati al di fuori. Il silenzio qui. I servi disertarono
+là casa. Ed io resto come un milite a guardia di una
+pubblica ruina. Rassegnato alla volontà degli Dei, attenderò
+con calma l’ora del mio passaggio. Abbellii l’anima di ornamenti
+suoi propri, la giustizia, la temperanza, la carità, la
+famiglia intera della virtù. Non feci male ad alcuno. Sento la
+loro voce che mi chiama e mi avvio.
+</p>
+
+<p>
+L’aria erasi fatta soffocante ed oscura. La mefite serpeggiava
+<span class="pagenum" id="Page_328">[328]</span>
+sol suolo. Hemos chiuse il capo nella toga e si adagiò
+sul mosaico.
+</p>
+
+<p>
+— <i>Fata vocant, conditque natantia lumina somnus</i>....
+Qui, sul letto drizzato nelle tenebre. Esculapio, Hippocrate,
+Galeno.... io vi raggiungo.....
+</p>
+
+<p>
+Per qualche istanti parea che due cadaveri fossero in
+quella sala, l’uno ignudo, l’altro coperto. Ma un piccolo moto
+convulso, succeduto da un lungo sospiro, pareggiò ambedue
+all’occhio dello invisibile. Hemos era morto!
+</p>
+
+<p>
+Allorchè nel 1771 si sgomberarono i lapilli e le ceneri
+ammonticchiate in quella camera, vi si rinvenne sparso sul
+pavimento quanto l’arte chirurgica aveva inventato a sollievo
+della misera umanità. Vi erano le <i>cocurbitulæ</i>, ventose di
+metallo a foggia di ampolle con quattro buchi che si turavano
+colla creta e poi si sturavano perchè lo strumento si staccasse
+della epidermide. E l’ordigno per saldare le vene del
+capo. E gli scalpelli escisori a guisa di piccole punte di lancia
+e nell’altra estremità il <i>malleum</i> per rompere le ossa. E
+le <i>spatulæ</i> di varie forme. E gli specilli concavi da un lato e
+dall’altro come un’oliva. E un catetero forato colla sua mobile
+guaina. Ed un <i>unco</i> per estrarre il feto già morto. Ed infiniti
+ami ed aghi chirurgici. E le <i>forfices dentariæ</i>, come le
+nostre tanaglie. E i <i>circines</i>, le <i>volsellæ</i> e le tente urinarie
+ricurve. E le lancette di rame temprato assai duro. E le siringhe
+auricolarie, le seghe, i coltelli da taglio. Altri strumenti
+pur v’erano di uso e di nomi ignoti, racchiusi entro astucci
+di bronzo, di bosso e di avorio. E lo <i>speculum</i>, e le <i>ligulæ</i> e
+il <i>pareuniterium</i> pur troppo noti.
+</p>
+
+<p>
+Nel vicolo poco discosto s’odono molte voci rauche, confuse
+e concitate in una volta. È Tito Atullio, il fabbricante
+dei <i>camini portatiles</i>, dei <i>foculi</i>, degl’<i>ignitabula</i>, delle <i>escharæ</i>
+di bronzo — tanto in uso nelle Terme e nelle case degli
+agiati in Pompei — il quale riunito alla madre, alla sorella,
+al figliuolo Istacinio ed ai servi, nello escire ha perduto la
+moglie. I parenti ristanno nella oscurità e nella pioggia dei lapilli,
+curando le cose di pregio salvate — quattro orecchini
+d’oro, una collana, dei braccialetti, molte monete. — Il bambino
+ha una lucerna di bronzo che la bufera subito spense.
+<span class="pagenum" id="Page_329">[329]</span>
+Dopo molto errare presso le mura, eccolo ei torna, avendo
+tra le braccia Cœsia Prima, la cui bellezza era il sogno di un
+artista. Una capigliatura aerea e dorata si distaccava in anelli
+sul suo collo di cigno. Le rose delle ardenti voluttà eransi
+schiacciate sulle sue labbra. Ora sono pallide come i gigli e si
+fa trascinar dal marito come cosa morta. Procedono innanzi
+a stento... si arrestano.... piangono.... cadono.... e, tutti stretti,
+abbracciati, muoiono.
+</p>
+
+<p>
+E le pietre pomici piovevano sempre!
+</p>
+
+<p>
+Morto Popidio Celsino, la eredità di Plilia fu venduta, ed
+essa colla sorella tornossene in Grecia, dove da lento morbo
+consunta morì. La casa venne compera da Flavio Ceppysiodoro,
+liberto di Flavio Licinio Romano, arricchito dal commercio
+dei marmi. Avendo vissuto a contatto di tre diverse
+civiltà — molto in Egitto, un po’ nell’Urbe ed in Sycion
+ov’era nato, e per sopra ciò schiavo — aveva elevato a religione
+la teoria del tornaconto; e il re del suo Olimpo per lui
+era Mercurio che per sua propria devozione aveva mandato
+a nozze colla Malafede e faceva adultero coll’Astuzia, colla
+Menzogna e colla Viltà. A cotesti soli iddei egli dava incensi
+ed onori. Gli altri numi ei li lasciava tutti alla gente sciocca
+e gocciolona che non s’intendeva di affari. Per gli uomini arricchiti,
+di tal conio, la virtù in quei tempi era la virtù in questi
+che corrono — vano nome. — I nummi rappresentavano
+molte cose manchevoli, necessarie e richieste. Come oggi!...
+</p>
+
+<p>
+Aveva sposato da alcuni anni Perennia, la figliuola di
+un’altro liberto ricchissimo, suo coetaneo, il quale era morto
+per un’apoplessia che lo colse nelle braccia di una donna. Un
+terapeuta corse in suo aiuto. Ma il brav’uomo era già nel
+Tartaro, attendendo che i <i>pollinctores</i> gli lavassero e gli profumassero
+il cadavere e facendo voti che i <i>vespillones</i> non gli
+togliessero di bocca la moneta per pagare il navicellaio Caronte.
+Come sempre, senza mercede non si passava in quel mondo
+che anche oggi si spera e si dice migliore.
+</p>
+
+<p>
+Perennia era giovane e bella. Nè amava. Nè stimava il
+marito. Ma, molle e licenziosa, lo conduceva a suo modo. La
+sua faccia agl’indifferenti non diceva verbo e pareva una
+Sfinge. I giovani a modo però e che a lei piacessero vi leggevano
+<span class="pagenum" id="Page_330">[330]</span>
+quello che nel verno, appoggiati i piedi sugli alari di
+un camino, noi vediamo sui capricciosi disegni delle fiamme
+e del fumo. Val quanto dire ciò ch’essi volevano e desideravano.
+</p>
+
+<p>
+Nel secondo atrio adorno di bel pavimento a musaico e
+che ha un recipiente rettangolare nel mezzo per raccorvi
+l’acqua piovana del tetto, sono molte donne che tessono e
+filano con quella rilasciatezza con cui lavorano le genti comprate,
+cui i rimproveri e lo staffile sono incitamento alle
+opere. Ed il caldo soverchio sin dalle prime ore del giorno — quell’afa
+sì straordinaria, in tal mese autunnale — avrebbe
+loro fornito le proprietà sonnifere del papavero, se non avessero
+dato alcun riposo alle mani e molta libertà alle ali del
+pensiero. Una sola aveva un viso misterioso. E, poggiati i
+gomiti sulle ginocchia, lo sosteneva sulle palme aperte delle
+mani. Clysma, nata in un paese dell’Asia, era poco loquace
+per abito, e parea che, prestando l’orecchio alle armonie della
+sua mente, si confortasse della schiavitù e della durezza di
+quello stato con consolanti e fatidiche apparizioni.
+</p>
+
+<p>
+Perennia che dormiva in una stanza vicina ruppe con un
+grande urlo il cicaleccio delle sue schiave. Alcune accorrono
+nel cubicolo. Poco stante essa giunge pallida in volto, si asside
+e si terge il sudor della fronte. E tutte ansiose a domandarle
+che fosse.
+</p>
+
+<p>
+— Ah! Io feci un sogno tremendo. E mi destai affannosa
+e fradicia tutta.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E Scaura, e Maronia, e Giulia, ed Angipta, ed Auga, e
+Tanablea le ripetevano la domanda.
+</p>
+
+<p>
+— Pareami di essere in un paese pieno di strepito e di
+lamenti. Era in Pompei? Non so dirlo. Ma nessuno io scorgeva
+intorno di me. Volti gli occhi in aria vidi Nemesi irata lanciar
+sulla terra gruppi di serpi lividi e schifosi. Tento uscir dallo
+xysto e riparare in casa, quando odo un urlo straziante.... e
+inorridita veggo il piccolo Cæsariano coi capelli irti sulla fronte
+correre a me e precipitarmisi nel grembo. Un di quegli aspidi
+lo mordea sulla nuca e le sue spire strette al collo glielo serravano
+a soffocarlo. Pallida, tremante, fuori di me dallo
+spavento, mi provo a discioglierlo da quel laccio. Ma.... le
+<span class="pagenum" id="Page_331">[331]</span>
+forze mi mancano, le dita s’irrigidiscono, grido.... alfine mi
+desto.
+</p>
+
+<p>
+— Terribile sogno! Clysma? Esci dai tuoi abituali silenzi....
+Soccorri alla nostra padrona colla tua prescienza e la
+calma.
+</p>
+
+<p>
+— Maronia.... E che dirò? Voci giulive non mi esciranno
+dal labbro. È il sogno men chiuso che Perennia abbia mai
+fatto.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E Scaura;
+</p>
+
+<p>
+— Orsù. Toglici dall’ambascia. Apri gli arcani del
+sogno.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+La Egiziana allora guardò tutte in viso una per una, e
+si levò dalla postura in cui erasi per ore tenuta. E per quella
+facoltà dello spirito la quale nelle sofferenze morali, fa che la
+creatura dai nervi sensibilissimi presagisca gli avvenimenti o,
+nella esaltazione del cervello, li vegga svolgere in luoghi
+discosti, Clysma continovò:
+</p>
+
+<p>
+— Osiris, lo sposo della sorella Isis.... Typhon, suo fratello,
+lo è di Nephtis. Questi ha trovato la corona fraterna sul
+letto nuziale presso la moglie addormentata e stanca... Mirate
+lo scoppio della gelosia!... Le acque invece di fecondare distruggeranno.
+Le terre aride colmeranno le terre piene di vita
+e di germinazione. La nimphæa nelumbo impallidisce e muore
+su suo verde stelo.... La felicità morta! Le dovizie morte!
+Lo amor morto!... Tutto morrà in questa contrada che ha dilaniato
+a lento morso i miei verdi anni e il mio misero cuore!...
+Amset, Hapi, Satmouf, Mamses — i geni di Amenthi — non
+accoglieranno col natrum le nostre viscere nel loro grembo.
+L’orecchio di Retiset è già chiuso ai vostri lamenti.... Apparecchiatevi.
+Apparecchiamoci tutti.
+</p>
+
+<p>
+— Io ti farò battere <i>usque ad necem</i>, o nera maliarda. È
+l’acre vendetta della vile anima tua che a te suggerisce....
+</p>
+
+<p>
+— Nè padroni. Nè schiavi. Tutti eguali innanzi all’ira di
+Typhon. Le sue collere tu le hai vedute. Esse si spanderanno
+su te.... Era l’agonia che ti troncava i polsi e ti vietava di
+salvar Cæsariano.... Dì! Non vedesti il monte nel sogno?...
+No?.... E pure dal monte Typhon verrà.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Ciò detto, Clysma tornò a sedere per terra, appoggiando
+<span class="pagenum" id="Page_332">[332]</span>
+le guancie sulle sue mani. E le altre più impaurite che mai. E
+Perennia divenne livida come se l’alito della morte le avesse
+sfiorato la fronte. Ma, cambiata idea, replicò:
+</p>
+
+<p>
+— Io ti ho comprato <i>gypsatis pedibus et auribus perforatis</i>;
+ed eri una <i>vernacula</i> nata in casa di un cittadino
+romano in Babylon. Ti feci istruire <i>in artibus ingenuis</i> e fosti
+<i>pædagoga</i> del mio Cæsariano. Eri considerata la Perennipora
+qui. Così tu ricambi la bontà del mio cuore?
+</p>
+
+<p>
+— Accorciando lo stame della mia vita tu non allunghi
+il tuo. Io tel ripeto... Typhon si agita per febbre ardente nel
+monte. Credi tu che le tue verghe solcanti il mio corpo possano
+fare ch’egli non ne esca fuori? E pensi che se tu dicessi
+al pretore:
+</p>
+
+<div class="poem"><div class="stanza">
+<p class="i01">— <i>Hanc fœminam liberam esse volo jure Quiritum.</i>&nbsp;—</p>
+</div></div>
+
+<p>
+cotesta affrancazione salverebbe la città dall’ultimo esterminio?
+</p>
+
+<p>
+— Oh! Questa schiava coi suoi delirii m’insulta. Chiudetela
+nello ergastolo, e questa sera deciderò della sua sorte.
+</p>
+
+<p>
+— Presumente!.... Non sarai in tempo fra un’ora.
+Un’ora?... Ecco. Trema la terra... Ah!... Lo scoppio!
+</p>
+
+<p>
+Tutte balzarono qua e là, tenendosi alle vacillanti pareti.
+L’orribile scroscio rintronò nei cuori già preparati dalla paura.
+La gragnuola delle pietre incomincia. Un tetto è sfondato.
+Cæsariano ferito nel collo corre barcollante e piangendo in
+cerca della madre e la giunge. Auga, Maronia entrano nelle
+stanze e raccolgono anelli, armille e monili d’oro, utensili di
+argento e una copia grande di monete. Riedono presso la padrona
+e la persuadono alla fuga.
+</p>
+
+<p>
+Ma dove e come? La pioggia delle pomici ha oscurato
+l’aria e ricuopre il suolo. Tentano a tastoni, a lato del tablino,
+di penetrare pel piccolo uscio nel sotterraneo e salvarsi dal
+triclinio a terreno per la pianura. Scambiati pochi passi un’aria
+pestilenziale e non respirabile ne le caccia indietro.
+</p>
+
+<p>
+— Salvaci, o tu, che lo puoi. Le dovizie di mio marito
+per te!... Affida alle braccia del tuo Dio questo frutto almeno
+delle mie viscere.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E stringeva al petto il bambino e lo baciava coll’amor
+<span class="pagenum" id="Page_333">[333]</span>
+passionato di una madre. E stendendolo a Clysma, cadde stramazzoni,
+sui lapilli, affogata dalla mefite. E tutte caddero
+morte nell’atto stesso.
+</p>
+
+<p>
+E le pietre pomici piovevano sempre!
+</p>
+
+<p>
+Sino dal giorno innanzi Tito Plasilio Aliano, figliuolo
+dello affrancato Timagène era tornato dal <i>Pontus Euxinus</i>,
+sur una delle navi paterne. Disceso e abbracciata la famiglia e
+tutti gli amici che ben presto gli furono d’intorno, die’ ordine
+di scaricare la <i>caudicaria</i> che aveva guidato nel porto.
+Il dì poi chi passava trovavalo laggiù e gli stringeva la mano
+e festosamente lo baciava. Era un bravo uomo, tutto inteso
+all’ora presente e felice nei ghirigori della vita. L’anima sua
+e le cose esterne nel vagabondar che faceva mai trovavano il
+chiodo fastidioso della fermata. Nomade nel deserto dei mari,
+le sue corse erano come i raggi del sole i quali splendono
+per tutti; e non sentiva gli accessi melanconici della poesia solitaria,
+figliuola allo egoismo. Giunto laddove gli affari del
+traffico paterno il menavano, vendeva, cambiava, comperava.
+Ed intanto provvedevasi di uno alloggio e di un’anima
+che non fosse tirannica, permettentesi senza donarsi. Talvolta
+erano doni di Numi. Tale altra merci lucrose. Sempre passeggere
+felicità, incarnate e colorite da un vivido sangue; il
+quale, al pari del liquore dei grappoli d’uva, forniva ebbrezze
+subitanee ed accessibili a tutti.
+</p>
+
+<p>
+Giovanetto e col padre erasi dato al mestiere del nauta.
+Aveva visto molte contrade, e il suo intelletto erasi sviluppato
+al contatto dei diversi popoli che avea bazzicato. Sapeva
+la storia dei Greci, suoi compatrioti di origine. Conosceva i
+loro usi, i loro spettacoli. Erasi maravigliato dei monumenti
+del vecchio Egitto e delle pitture di vivi colori — mezzo decorativo,
+recondita storia. — Tende — Armenti — Deserti — Vaste
+solitudini — Città incivilite. E il lago immenso detto
+il <i>Palus Maeotis</i>. E Panticapea, dalla cui altezza scorgevasi la
+imboccatura dello stretto del Bosforo Cimmerio che congiunge
+il lago al <i>Pontus Euxinus</i>.
+</p>
+
+<p>
+Begli anni vaganti e bene spesi, perchè proficui al suo
+commercio e allo addottrinamento del cuore. Tornato in paese,
+gli pareva ringiovanire. Emozioni, sorrisi, riposo. E quelle
+<span class="pagenum" id="Page_334">[334]</span>
+maghe graziose dello spirito, che aleggiano attorno e dicono
+il dolce incanto a chi ritorna dopo una non breve assenza
+nel loco natio.
+</p>
+
+<p>
+— Sii il ben giunto, o Plasilio, nella nostra città. Che io
+ti abbracci e mi gratuli teco della fiorente sanità che gli Dei
+ti conservano.
+</p>
+
+<p>
+— Sei sempre il mio amico, o Porcinio Rodio, fin da
+quando Verna ci forzava ad apprendere a furia di nerbate.
+Sia pace ai suoi Mani. Ma aveva il braccio assai grave. Che
+fai costì nel porto?
+</p>
+
+<p>
+— Seppi il tuo arrivo ieri nell’Odeon dagli amici Umbricio
+Bifurco e Karminio Hyccario. E venni a vederti,
+poichè immaginai come nelle tue case fosse vano il trovarti.
+D’onde vieni?...
+</p>
+
+<p>
+— Dalla costa orientale del Chersoneso Taurico.
+</p>
+
+<p>
+— Quali le merci trasportate qui?
+</p>
+
+<p>
+— Molta parte del carico è il frumento che gli schiavi
+e i saccari ammonticano dinanzi il magazzino, là in fondo.
+Or che la Sardinia e la Sicilia ne fanno desiderare, stimai
+affare migliore comperarne nella Tauride che ne produce in
+abbondanza. La terra, solcata appena dallo aratro, ne dà
+trenta per uno. E l’affluenza da qualche anno è siffatta che
+hanno aperto di recente in Theodosia un porto capace di almen
+cento navi. Giunio Sequestro, il pompeiano, e lo ateniese
+Hyphidamas sono andati a Panticapea. Il grano quivi è più
+caro. Ma lo caricano subito senza attendere il turno, e per una
+nuova legge non vi si paga diritto nè di entrata nè di escita.
+</p>
+
+<p>
+— Anche di quel porto dicono maraviglie.
+</p>
+
+<p>
+— E a ragione. E l’arsenale? E il castro? E la città? E
+le case dei particolari? E le taberne? E le fabbriche? Tutto
+grande quello che qui è piccino. Al ricordo le mie sensazioni
+si ravvivano e....
+</p>
+
+<p>
+— E più se rammenti le creature che furono parte animata
+delle tue felicità, eh?
+</p>
+
+<p>
+— Eh!... Gli è pur così.... E molte volte io chieggo a
+me stesso se il lago Maeotis non sia il più vasto dei mari e
+Panticapea la più bella e vaga ed ospitaliera città dello universo.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_335">[335]</span>
+</p>
+
+<p>
+— A trent’anni... e sempre eguale come a diciotto
+quando lo spettacolo del mare t’inteneriva sino alle lacrime.
+</p>
+
+<p>
+— T’inganni, o Porcinio. Così fosse?... Il molto vedere ha
+strozzato la sorpresa innanzi i miei occhi e di tal guisa svanirono
+i molti piaceri di cui essa è la madre. La esperienza a
+poco a poco si è rivestita delle spoglie che appartennero alle
+sensazioni defunte e rimango quasi insensibile a ciò che una
+volta m’illuminava tutto.
+</p>
+
+<p>
+— Il solo Ponto opera però il miracolo!
+</p>
+
+<p>
+— Vorrei veder te in faccia a quello immenso bacino,
+circondato quasi per ogni dove da montagne che più o meno
+si sollevano dalle sue rive ed in cui quaranta fiumi versano
+le loro acque, provenienti dall’Asia e dalla Europa. La sua
+lunghezza è di undici mila stadi. La sua maggiore ampiezza,
+di tremila e trecento. Differenti nazioni sono disseminate sui
+margini suoi, di diversa lingua, di varia origine, di più svariati
+costumi. Vi siedono città fondate da quei di Mileto, di
+Megara, di Athenes. A levante è la Colchide, celebre pel viaggio
+degli Argonauti.
+</p>
+
+<p>
+— Dicono che nel verno Eolo vi abbia il suo trono.
+</p>
+
+<p>
+— Grande verità! Gli è perciò che prevedendo le nebbie
+le quali oscurano la sua superficie, io drizzai la prora al
+ritorno. Hannovi nel verno terribili tempeste e naufragi numerosi.
+Ma quai pesci eccellenti! E quanta abbondanza! Il
+fango e le sostanze vegetali che i fiumi vi scaricano gl’ingrossano
+e gl’ingrassano. Si vive sulle sue coste a ruba. Immagina!
+Un bue di prima qualità pel nutrimento dei rematori
+te lo danno per ottanta dramme. Un montone per sedici. Un
+agnello per due. Un manovale costa per giorno tre oboli. Vi
+ho comperato mantelli di lana per venti dramme e delle
+scarpe per sei.
+</p>
+
+<p>
+— Verrò da te ad approvigionarmi al bisogno. Per ora
+la temperatura non lo richiede, e cotesta è una grande stranezza
+del nostro clima in questo anno.
+</p>
+
+<p>
+— E sì, che anch’io ieri nello imboccar nel cratere me
+ne avvidi e ne stupii forte. Ænonao, il protosaccario di mio
+padre, ha chiesto doppia razione di <i>posca</i> per ognuno dei facchini
+da scarico.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_336">[336]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Nè basta, o padrone. Ci pare di aver lo stomaco di
+ferro rovente. Più se ne beve e maggiore è la sete.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Era Cantrio che ripassava dopo aver gittato il suo sacco
+sul cumulo.
+</p>
+
+<p>
+— Lavorate animosi e ne avrete.... Ehi! Santapila, tu
+che vai carico verso il fondaco, di’ ad Ænoao che addoppi il
+buono che con tanta facilità traspirate. Ma in tre dì voglio
+sgombera la nave per caricarla d’olio in Capreas.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Presumente! Parlava di avvenire in una città condannata
+e sopra un selciato, mobile e vacillante quanto la tolda
+della sua nave!
+</p>
+
+<p>
+I due amici si trassero di là e per la porta della Marina
+si avviarono verso Pompei. Dinanzi la nicchia di Minerva
+sotto l’arco, incontrarono Hera Nevia, Appia Callista e Terzia
+Turpedia, giovanette in preda a febbri d’artificio che lo
+amore condanna e le cui fiamme sono incerte ed effimere.
+Erano seguite da Abiginio Albulato, da Sesto Eppio, da Afrenio
+Helvino, giovani sfaccendati che uccidevano la noia logorante
+delle dodici ore luminose nella tonstrina, nei termopoli,
+nelle Terme e le altre dodici nelle orgie. Un ricambio di sorrisi.
+Strette di mano cordiali, ed innanzi. Giunti presso la
+Basilica, il suolo traballa, le mura crepitano, le colonne piegano
+in volta. E poi un rumor sotterraneo. Quindi lo scoppio
+sul Vesbio. Corrono barcollanti nel Foro. Una colonna di fumo.
+Una grandine di sassi. Si cacciano a precipizio sotto il
+portico e fuggono.... Fuggono. E lo spavento cammina loro
+dinanzi colla testa imprecante agli Dei. E sono abbracciati
+dalla morte che gli attendeva come certa sua preda.
+</p>
+
+<p>
+Agato Vaio — il quale reggeva una <i>Caupona</i> nella via
+Domizia, che Giulio Polybio, il mercante di grani e duumviro,
+fattosi suo collega, avevalo aiutato ad edificare — escì di
+casa difendendo il capo dalle pomici con un cesto di vimini,
+corse forsennatamente verso il <i>Ponderarium</i> — officina del
+pubblico peso, che ora direbbesi Dogana — urtò in un
+ciuco che la stranezza degli avvenimenti lasciava indeciso
+nella fuga e che le voci interne del capriccio e..... dell’asineria — spesso
+ascoltate dalle sue lunghe orecchie — lasciavano
+allora impensierito ed immoto, lo gittò disperato da un
+<span class="pagenum" id="Page_337">[337]</span>
+canto e per una porta di contro discese a saltelloni nel porto.
+Colà può afferrare una barca, vi si caccia dentro e voga in
+salvo. — Era stato meglio <i>Cauponius</i> che <i>Caupo</i> in altri
+tempi; cioè, arnese di osteria piuttosto che reggitore e padrone.
+Allora faceva versi. E quelli <i>exodia</i>, specie di farse
+oscene, atte a dissipare in teatro le impressioni tristi della
+tragedia, cui succedevano. Erane adunque <i>actor et auctor</i>.
+E conservava i diritti di cittadino. E potea servire nello esercito, — due
+prerogative che non godevano gli attori seri i
+quali recitavano le commedie di Nevio, di Plauto, di Cœcilio,
+di Afranio, di Terenzio. Ma tanto le <i>fabellæ atellanæ</i> come il
+<i>carmen togatum</i> — od incontrassero plausi o fischiate — non
+gli facevano afferrare le chiome della Fortuna. Laonde Agato
+erasi dato a più profittevole esercizio..... Eh! La più bella
+Musa dell’Olympo non sa nudrire il suo povero amante. Conviene
+far propria — secondo il gusto — una di quelle nove
+fanciulle e risguardarla come una ganza. Esso non possono dare
+altro che ore di compiacenza, fumi di gloria, nebbie di vanità,
+pecunia mai..... almeno in Italia, dove la supina ignoranza
+delle plebi non le conosce, nè stima.
+</p>
+
+<p>
+Il sole è alla metà del suo corso. Una brigata di uomini
+in gran parte canuti seggono in una sala decorata di bei dipinti,
+tra i quali rifulge la splendida pagina murale che presenta
+lo episodio poetico di Virgilio, il <i>pio</i> Ænea che parte di
+Cartagine a furia di remi e lascia sulla riva Didone costernata
+ed in lacrime fra i suoi attoniti cortigiani. Intorno sono
+raffigurati il crotalo, il sisifo, la tromba, i flauti, le tibie pari
+e lo scabillo, quello istrumento pneumatico, come i nostri organi,
+che i tibicini suonavano coi pedali di legno o di ferro
+per accordare i tuoni dello strumento da fato. Sono per la
+stanza supellettili di bronzo e di vetro elegantissime con un
+vaso di alabastro di graziosa forma. E nel mezzo è una tavola
+di porfido con suvvi una piccola statua, simulante un giovane
+appoggiato sul dio Termine. Il più provetto, Nicia di
+Mileto, continova la discussione che animava gli occhi ed il
+gesto dei convenuti:
+</p>
+
+<p>
+— No! Non ammetto con Hedilo che il divino poeta,
+dalla fantasia facile e la meglio feconda, siasi servito per costruire
+<span class="pagenum" id="Page_338">[338]</span>
+i suoi versi di una lingua strana e bizzarra. Mi sembra
+più naturale il pensiero ch’egli abbia voluto fare suo pro
+della lingua volgare dei tempi suoi. E nel vero. Dugento anni
+pria che nascesse, i Jonii condotti da Neleo vennero a stabilirsi
+sulle coste dell’Asia-Minore. Ma con essi erano i Tebani,
+quei della Focide e di altri paesi della Grecia. I loro idiomi
+misti a quelli degli Eolii dovettero formare la lingua nuova,
+parlata, di cui Homero si servì. I dialetti, limitati ad alcune
+città, presero un carattere distinto in progresso. Ma la stessa
+varietà testimoniava l’antica confusione. Le medesime lettere
+anche ai dì nostri non hanno forse in più luoghi pronuncia diversa?
+E quante le parole che in Athenes indicano un significato
+ed un altro presso un popolo che variamente le termina?
+Homero, aiutato dallo strano suo genio, spigolò il buono di
+tutti i dialetti e creò la lingua monumentale che noi parliamo.
+</p>
+
+<p>
+— E gli è cotesto ch’io non ammetto. La poesia era assai
+coltivata dai lirici dei tempi suoi. La lingua era già abbondante
+e piena d’immagini. Due grandi avvenimenti, la guerra
+di Thebes e quella di Troas esercitavano gl’ingegni. E di ogni
+parte i rapsodi colla lira annunciavano al popolo le gesta dei
+loro antichi guerrieri.
+</p>
+
+<p>
+Rhiano anch’egli divideva tale opinione e aggiungeva:
+</p>
+
+<p>
+— Ed Orpheo? E Lino e Museo? Ed altri, le cui opere
+andarono smarrite? Ed Hesiodo, il suo contemporaneo, che
+in uno stile pieno di soavità e di armonia descrisse la genealogia
+degli Dei, i lavori campestri ed altri interessanti argomenti?
+Homero trovò dunque la lingua e l’arte già adulte.
+Trovò un emulo altresì. Ma s’ei primeggiò, non posso per
+questo consentire che Nicia lo proclami genio creatore.
+</p>
+
+<p>
+— Parlerete ambedue sino alla restituzione della libertà
+popolare in Grecia ed in Italia, vantando Orpheo, Lino ed
+Hesiodo, ed io crederò che la Iliade e la Odissea sieno la disperazione
+dei poeti che furono, che sono e che saranno. Cosa
+fece il divino Homero? Nello assedio decennale scelse uno
+episodio — Achille si crede insultato da Agamennone per la
+ritolta amante e si ritira nei suoi accampamenti. I Troiani,
+incuorati, escono dalle mura; e più volte vittoriosi, appiccano
+<span class="pagenum" id="Page_339">[339]</span>
+lo incendio alle navi nemiche. Patroclo, lo amasio di Achille,
+si veste delle sue armi, combatte e muore per le mani di
+Hettore. L’offeso ritorna colle armi nel campo, vendica lo
+amato cadavere e cede, per riscatto, a Priamo le spoglie del
+prode figliuolo che ha trascinato più volte dietro il suo carro
+intorno alle mura nemiche a ludibrio. — Era una storia. Per
+abbellirla finse che l’Olympo parteggiasse pei due popoli duellanti.
+E perchè il racconto poetico assumesse interesse maggiore,
+usò artificio non usato dianzi, e i suoi eroi parlarono ed
+agirono. — Nel decennale viaggio di Ulisse adoperò gli stessi
+spedienti per ottenere un eguale successo. — Il figliuolo Telemaco
+dopo un lungo attendere, si parte da Ithaca per interrogare
+Nestore e Menelao sulle sorti del padre. Gente ingorda
+dissipa i suoi beni. I Proci aspiravano alle nozze della
+madre desolata. Nel punto Ulisse partiva dall’isola di Calipso
+e approdava naufrago in un’isola presso alla sua. Chi ve lo
+accolse ospitale volle udir di sua bocca i maravigliosi eventi,
+i mali sofferti. Ed in premio, avendo ottenuto soccorsi, parte
+per Ithaca, arripa, si fa riconoscere e si vendica dei propri
+nemici. — Cotesto poema pare opera senile. Il vegliardo ripete
+il già detto su Troas arsa e distrutta; fa mostra di maggiori
+cognizioni geografiche; dà caratteri più miti ai suoi personaggi;
+ed in tutto il dramma circola un tiepido calore pari
+a quello del sole al tramonto.
+</p>
+
+<p>
+Tutti avevano udito la dotta e pur semplice analisi che
+Leonida di Tarentum, avea fatto dei due poemi. Alexis, di
+Thurium, plaudendolo aggiunse:
+</p>
+
+<p>
+— Tacesti sulle nobili sentenze che chiare risultano dai
+due poemi, e che Homero lasciò alle meditazioni del suo secolo
+che pure ad altro tendeva. — I popoli sono sempre la vittima
+delle contese di chi gli guida. — La prudenza e il coraggio
+trionfano tosto o tardi dei maggiori ostacoli. — Uomo sublime!
+</p>
+
+<p>
+Un vecchio presso la tavola, il quale appoggiava il bianco
+capo sulla palma della mano diritta, il poeta Xenocrate, di
+Locrum, pieno di entusiasmo prese a dire:
+</p>
+
+<p>
+— E il genio dell’uomo sublime parlò al genio del grande
+legislatore! Lycurgo copiò i due poemi e persuase gl’istrioni
+<span class="pagenum" id="Page_340">[340]</span>
+a declamarne i frammenti nei teatri. Solone ordinò a quei
+rapsodi di non distaccarne i brani a talento; ma riuniti, che
+l’uno seguisse il racconto dove l’altro aveva finito. Ma siccome
+la purezza del testo venivasi alterando sulle bocche ignoranti
+dei ripetitori, Pisistrato ed Hipparco — padre e figliuolo
+tiranni in Athenes — aiutati da abili grammatici, ripurgarono
+dalle errata i due quadri istorici della Grecia e li fecero cantare
+alla festa delle Panathenee, processione votiva a Minerva,
+e poi alla memoria di Harmodio e di Aristogitone, regicidi.
+Io proclamo con Nicia, di Mileto, Homero non solo creatore
+della lingua, ma eziandio della greca nazionalità. Noi tutto
+dobbiamo a quell’uomo divino. Leggi — Gloria — Costumi.
+L’ammirazione è in ogni cuore. Il suo nome in ogni mente.
+La sua immagine da per tutto. Se vi furono città contendentisi
+l’onore di avergli dato la culla, quante le città che gli
+sacrarono un tempio? Eschilo, Sophocle, Archiloco, Herodoto,
+Demosthene, Platone seminarono i loro scritti dei fiori
+raccolti nello inesauribile giardino del balio a noi tutti. E da
+quelle cantiche sublimi Phidias e il pittore Euphranor attinsero
+il tipo che degnamente rappresentasse le fattezze maestose
+di Giove Olympico. Homero era cieco. E doveva esserlo!
+il suo sguardo assorbito dalla luce divina della poesia, che
+splendevagli nella mente e nel cuore, disdegnava il lume del
+sole, luce più debole, gran cosa per gli altri.
+</p>
+
+<p>
+— Xenocrate col mentovare il primo fra tutti gli Dei, mi
+fa col volo della mente percorrere i cieli, avendo a guida il
+grande poeta. Mirate Venere col cinto da cui scaturiscono
+gl’impazienti desiri, i fuochi dello amore, le seducenti grazie
+e lo incantesimo degli occhi e della parola. E Pallade alla cui
+egida sono sospesi i terrori, la discordia, la violenza e la spaventosa
+testa della Gorgona. Nettuno è tra gli onnipossenti;
+ma gli occorre un tridente per iscuotere la terra. E se dopo
+la corsa fantastica del cielo, torno a ricalpestarla, chi vi trovo?
+Achille, Aiace e Diomede; i peggio temibili tra i Greci eroi.
+Ma l’ultimo si ritira, rincula dinanzi l’oste troiana. Aiace
+non cede che dopo averla fatta indietreggiare più volte. Achille
+si mostra e il nemico dispare.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Così Sosicles, il poeta siracusano. Ora ad Hedilo parve di
+<span class="pagenum" id="Page_341">[341]</span>
+dovere interloquire per cancellare le tracce dei suoi paradossi.
+</p>
+
+<p>
+— Platone disse non essere dignitoso il dolore di Achille,
+nè quello di Priamo, allorchè il primo si rotola sulla polvere
+per la morte di Patroclo e l’altro si umilia per ottenere il cadavere
+del figlio. Ma, quale dignità può mai spegnere il sentimento?...
+Io lodo Homero di aver imitato la natura che colloca
+la debolezza presso la forza, e lo abisso a lato della
+sublimità. Lo lodo altresì per avermi palesato il migliore dei
+padri nel più possente dei re e lo amico tenerissimo nello audacissimo
+fra gli eroi.... Cotesti ed altri pregi però non scusano
+il poeta se spesso riposa e talvolta sonnecchia. È vero
+che quando si desta scaglia i fulmini al pari di Giove.... Ma
+<i>quandoque dormitat</i>....
+</p>
+
+<p>
+— E gli Dei non dormono essi?
+</p>
+
+<p>
+— Gli Dei furono uomini. Pindaro il disse. E non possono
+dominare la nostra illuminata coscienza. Un ente supremo
+esiste, e a lui inchiniamo in secreto. Quelli a cui si volgono i
+voli della plebe umana....
+</p>
+
+<p>
+Un rumor sordo, cupo, terribile chiuse la parola autorevole
+sulla bocca del vecchio Nicia, di Mileto. Tutti si levarono
+in piedi, e le scosse del suolo li balzarono in terra insieme coi
+mobili della stanza. Si rizzarono sbalorditi e contusi ed escirono.
+Una grandine di sassi. Poi cenere e lapilli da oscurare
+ogni luce.... Quindi.... la morte....
+</p>
+
+<p>
+Alle prime ore del mattino Acilio Heliodoro, incontrando
+i suoi amici nella <i>tonstrina</i> di Glaphyro, gli aveva invitati al
+<i>prandium</i> in casa sua ch’era sulla via ampia e prolungata
+dell’Abbondanza, le quale, solcando parecchi crocicchi, finiva
+presso lo Anfiteatro. Era un giovane di origine greca e di
+nascita pompeiana. Suo padre, arricchitosi nel commercio
+colle pie frodi che il traffico allor permettea, dopo aver maritata
+la figlia con Anniceris, suo amico, il rinomato vasaio in
+Rubi, aveva creduto lasciarlo libero dispensiero delle accumulate
+dovizie alla età di trent’anni, affogandosi nel mare
+un dì che vi prendeva i suoi bagni. Menava la vita paesana
+in tutta la sua purezza; la quale, pari a quella dei destrieri
+nei prati, consisteva nel mangiare, dormire, riprodursi, aspirar
+<span class="pagenum" id="Page_342">[342]</span>
+l’aria, sbadigliare e volgere gli occhi dolcemente qua e
+là in busca di cavalle e di erba migliore. La sua casa era
+doppia — per sè e per gli ospiti di fuori — e quella abitata
+da lui, sontuosa. Belle pitture sulle pareti — Ulisse che presenta
+in Scyros allo infemminito Achille le armi e lo ravvisa
+pel celato figliuol di Peleo. — La frode di Giove che mutato
+in cigno stringe nella spatula la lingua di Leda e la pone sul
+nudo e bellissimo seno. E Amore, che è il faccendiero del luogo,
+il quale sostenendo in una cassetta diversi attrezzi muliebri,
+ride sottecchi ed accenna con aria furba al Nume trasformato
+in uccello. — La più ricca stanza era quella del triclinio che
+prendeva luce dalla porta e da un finestrino aperto nello xysto.
+Da un lato alberi e fiori. Dall’altro il soave rumore di una
+fontana zampillante.
+</p>
+
+<p>
+— Oggi non sarai sola, o Nossis. Verranno i miei amici
+a distrarti, Acrio Heleno, Lucio Modiano e Narceo Flacco. — Acilio — come
+tu vedi — tutto che pieno di tenerezze terrestri,
+ama le distrazioni del tuo nobile cuore per poterti esprimere
+tratto tratto e senza annoiarti le novelle dello amor suo.
+</p>
+
+<p>
+La persona cui erano dirette quelle parole, sedicenne,
+snella e spigliata, parea nata fatta per seguire i moti ardenti
+e graziosi di un poledro africano. Era un’amazzone tranne
+nei voti. Sulla sua faccia leggevi fierezza, intelligenza, risoluzione,
+generosità mista ad un piglio che nulla avea del virile.
+Una malattia aveva punito leggermente il suo volto
+bucherellandolo di minuto vaiuolo. Ma i suoi grandi occhi neri
+e i sorrisi che da essi balenavano faceano dimenticare il
+fuorviamento della natura, che un giorno colla febbre del
+sangue le avea maculato la faccia. Era di Locrum ed apparteneva
+alla tribù delle etère che offeriva un amabile contingente
+alla libera e grande tribù dei celibatari.
+</p>
+
+<p>
+— La donna ha un fiero istinto che le fa respingere la
+innocenza. Lo so. Meglio il serpe che ammalia e stringe nelle
+sue potenti spire di quello che il bianco giglio odoroso. Ma
+vi è una razza d’uomini, ricercatori di voluttà, idoli impuri,
+i quali credono in ogni donna il loro trastullo, sognano avventure,
+le realizzano e di ciò fanno tardo argomento di risa
+e di sprezzo. Oh! Venere gli punisce! Essi terminano la vita
+<span class="pagenum" id="Page_343">[343]</span>
+col confessare la onesta fede al coniugio, e gli Egisti maliziosi
+ridono di quel riso che fa cadere le stelle sulla terra.
+</p>
+
+<p>
+— Eccoli che vengono. Sono e non sono quali tu gli
+dipingi....... Qui, amici.... nel tablino. Malgrado il caldo oppressivo
+della giornata, un po’ d’aria vi circola e aiuta al
+respiro.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Una tavola è nel mezzo della stanza sopra un musaico di
+scelti e variopinti marmi. Sul deschetto è un vaso di murrhina
+con entrovi un fascio di ordinati fiori. Ed altri fiori sono nei
+vasi nolani attelati alle pareti, che coi loro vivi colori e il
+soave olezzo cantano l’inno misterioso della natura. La luce
+è abilmente disposta. Le cortine di Tyro sono abbassate dal
+lato del mezzodì. Quella clemente e dolce che viene dall’altra
+parte, accorda all’ombra una ospitalità generosa, di cui la
+donna, per giovanetta che sia, non sa mai dolersi.
+</p>
+
+<p>
+Ricambiati i mattinali saluti, ognuno aggiunse a quel
+tema le variazioni che la originalità dei caratteri sapeva fornire.
+Narceo Flacco primeggiava nei paradossi; ma gli escivano
+così naturalmente di bocca, che volontieri erano uditi e
+sovente ricerchi. Di uno in un altro discorso, siccome suole
+accadere, Aerio Heleno aveva mentovato il loro amico comune
+Agathemaro Vezzio, di recente morto nelle strette di
+Bovianum Vetus in un conflitto coi banditi, ribelli alle leggi.
+</p>
+
+<p>
+— Sì, morto inosservato e lungi da noi. Eh! il sangue
+umano presto dissecca. E gli estinti rimangono vivi nel cuor
+delle madri e degli amici. Una donna avrebbe dovuto piangerlo
+però.... La sposava!
+</p>
+
+<p>
+— Chi?
+</p>
+
+<p>
+— Nympha, della famiglia Nomentana. Io le recai un
+suo anello ed ebbi anche il mandato di dirle quelle parole
+sacre che lasciano — od almeno si spera che lascino — qualcosa
+di proprio nei cuori in cui era chiusa tutta la propria
+terrestre felicità.
+</p>
+
+<p>
+— Ed essa?
+</p>
+
+<p>
+— Eh! Pianse un poco... e poi gli occhi rossi li lasciò
+agli schiavi che attizzano il fuoco nel <i>laconicum</i> delle Terme.
+</p>
+
+<p>
+— Penso che non a tutte le donne tu accordi una tanta
+indifferenza di cuore. La unità non è numero.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_344">[344]</span>
+</p>
+
+<p>
+Nossis disse quelle parole con un certo cipiglio che valeva
+un rimprovero. Ed era per levarsi dalla sedia, quando
+l’altro riprese:
+</p>
+
+<p>
+— Rimanti, ten prego e non ti offenda la mia sentenza.
+Tu hai nei begli occhi fantasime che non ingannano e tenerezze
+caparbie che sfidano le tenzoni di amore. Ma comunemente
+io non vidi negli amanti che un’ora sola sublime,
+quella in cui i cuori prendono congedo tra loro. Gli affetti
+eroici non li ho mai incontrati. Venere un me ne accordi,
+ed io mi vi dedicherò intero. Non feci mai saggio della mia
+costanza. E pure vi ho fede come se fossi nato ai tempi del
+misero P. Ametistio, il crocefisso, mentre ebbi vita sedente
+Nerone imperatore, dopo l’abolizione dei ludi gladiatorii nello
+Anfiteatro.
+</p>
+
+<p>
+— Siffatta fede ti onora. Merita ed avrai la tua ricompensa.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E voltasi ad Acilio lo guardò con tanto entusiasmo e
+fiducia che questi sentì i propri affetti rinfrescati da un sentimento
+novello. E gli disse:
+</p>
+
+<p>
+— L’ora del pranzo è accennata dalla clessidra. Andiamo.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E tutti mossero verso il triclinio.
+</p>
+
+<p>
+Questo era splendido di pitture, di tappeti, di mobili e
+di vasi di argento. In mezzo era la <i>mensa delphica</i> colle imbandigioni.
+Si coronarono di rose. Ma non si coricarono sui
+letti, e sedettero secondo il costume dei Greci. Ad ognuno, dopo
+che si ebbe lavate le mani, venne offerta la <i>mappa</i>, orlata
+come una laticlava di una frangia di porpora.
+</p>
+
+<p>
+Qual differenza dalla parca e sobria mensa degli antichi
+senatori di Roma! Curio faceva cuocere i suoi <i>oluscula</i> — i
+legumi dell’orto — coltivati da lui, sul suo umile focolare. Altravolta
+si conservava preziosamente il lombo salato del porco
+per celebrare un dì natalizio; e si offeriva ai parenti una
+fetta di lardo con un po’ di carne fresca, se mai fosse stata
+immolata una vittima. E a siffatto festino vedevasi arrivare,
+colla zappa sulla spalla, un parente illustre per tre volte console,
+o imperatore di accampamenti, o dittatore, il quale in
+quel giorno abbandonava più presto del solito il rude lavoro
+sul monte. Nell’epoca dei Fabi, del severo Catone, degli
+Scauri, dell’onesto Fabricio, allorquando lo austero Salinatore
+<span class="pagenum" id="Page_345">[345]</span>
+facea tremare il suo collega censore sulla sedia curule,
+nessuno aveva pensato ove nuotassero le tartarughe, il cui
+dorso gaio e levigato avrebbe fatto più splendidi i letti dei discendenti
+di Enea. Tale la casa. Tali i mobili. Tali gli alimenti.
+Da bastare alla vita, e non al lusso ed alle morbidezze.
+E quando quei ruvidi eroi — stranieri ancora alle arti della
+Grecia — dopo il sacco di una città, si trovavano per le mani
+una coppa cesellata di argento, la rompevano per fondere
+una <i>phalera</i> da bardarne il cavallo delle battaglie, od una
+lupa a ricordo della mansuefatta dal Destino, che allattò i gemini
+quirini sotto la rupe. Lo argento splendeva allora soltanto
+sulle armi dominatrici. Le fave, i ceci, il farro, la
+carne e i pesci arrosto, i frutti freschi o quelli che nel verno
+avevano perduto la crudezza del loro succo componevano il
+desinare, scodellato ed offerto su piatti di terra bituminosa.
+E vivevano lunghi anni, e non mentivano alle leggi della dignità
+umana. E col pilo e col gladio assoggettavano il mondo
+noto. E gli ospiti erano accolti francamente, con abbandono,
+di pieno cuore, come Evandro accolse Hercole, lo eroe di
+Tiryntho, seme divino, <i>contingens sanguine cœlum</i>.
+</p>
+
+<p>
+Compiuto lo asciolvere fatto coi cibi i meglio squisiti, e
+mangiate le <i>mustacea</i>, paste condite di aromi che servivano
+a correggere dopo il pasto le crudezze dello stomaco, Acrio
+Heleno propose il giuoco dei <i>griphi</i>, cioè, problemi soliti a
+sciogliersi a tavola. Chi non riesciva a deciferarli, pagava
+un’ammenda.
+</p>
+
+<p>
+E Nossis disse:
+</p>
+
+<p>
+— Indovina, o Narceo, la rete ch’io t’offero. <i>Io sono
+grandissima nascendo. Sono pur grande invecchiando. Sono
+però piccolissima nel vigor della età.</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+L’altro pensò, chiuse gli occhi, apri la bocca per dire...
+quindi risolutamente rispose:
+</p>
+
+<p>
+— L’ombra.
+</p>
+
+<p>
+— Indovinasti. A te, Modiano. <i>Qual nome dài tu alle
+due sorelle che non cessano di generarsi a vicenda?</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Anch’egli pensò, masticò parole non articolate, si diè
+per vinto e pagò.
+</p>
+
+<p>
+— Nulla di più facile per chi lo sa: la giornata e la notte.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_346">[346]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Ora te, o Nossis. Mi auguro che tu lo sciolga. <i>Vi sono tre
+animali in terra, nel mare, nel cielo.</i> Puoi dirne i nomi?
+</p>
+
+<p>
+— Più presto di quel che non pensi, o Heliodero. — Il
+cane. Il serpe. L’orsa. — Sei pago?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Lucio Modiano, ch’era stato perdente, voleva porre gli
+altri nella stessa condizione e disegnò fare il giuoco delle lettere,
+delle sillabe, delle parole. Erano detti <i>logogriphi</i> perchè
+reti formate coi versi che si dovevano recitare al nuncio della
+prima lettera, o di un motto che racchiudevano, o terminanti
+con una sillaba che veniva indicata. Astrusaggini venute
+di Grecia nelle nostre contrade.
+</p>
+
+<p>
+Tutti vi si provarono. Nessuno riescì. E l’afa essendo
+omai grave, escirono allo aperto nello xysto. Erano pure
+radiosi come la speranza. E l’ora presente inesorabile, pareva
+la dovesse esser madre di ore innumeri, liete, felici.... E
+quegli istanti erano gli ultimi! Passioni, dovizie, ingegno,
+bellezza, schiacciate e sepolte come le vanità della vita. E le
+convulsioni della natura affogarono e coprirono la casa di
+Acilio, racchiudendovi brevi ma disperate agonie.
+</p>
+
+<p>
+I sacerdoti d’Iside banchettavano nell’ora in cui il disastro
+aveva principio. Si radunarono tutti nella sala dalle
+cinque arcate che è dietro la edicola della Iddia, dove si celebravano
+i misteri, e i soli iniziati penetravano: Nymphiodoto
+Caprasio persuase gli altri a non fuggire e a rinfrancare i
+cuori. Egli si prostrò dinanzi il delubro ed orò come se i
+devoti fossero nel tempio e il vedessero.
+</p>
+
+<p>
+E le pietre pomici piovevano sempre.
+</p>
+
+<p>
+Allorchè quel furbo si avvide che i lapilli si livellavano
+cogli ultimi gradini e le esalazioni di zolfo gli eccitavano la
+gola, indignato proruppe:
+</p>
+
+<p>
+— Tu vedi lo scompiglio, tu senti le preghiere dei tuoi, e le
+tue labbra rimangono immobili? La tua bocca di marmo parli,
+e questo nembo micidiale di Averno rientrerà negli abissi. E
+i pietosi incensi bruciati sul tuo altare. E le vittime sacrificate.
+E le offerte dei devoti tuoi. E il sacrificio della nostra
+castità..... sino alla rivolta della natura..... Dunque tra
+la tua statua e la faccia di Bathyllo, il pantomimo, non vi ha
+differenza?.... <i>Non movent divos preces?</i> Tutto è mendacio,
+<span class="pagenum" id="Page_347">[347]</span>
+fuor che l’antro tenebroso da cui sorgono infuocate le pietre
+del Vesvio? Io incisi le mie scelleratezze sul falso e per tua
+colpa, o iddia.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Due orecchie umane, fatte di stucco, erano sui lati della
+nicchia, per dare ad intendere plasticamente alle turbe ignoranti
+e bietolone come le loro preci, mediante ricche offerte,
+fossero intese dai numi.
+</p>
+
+<p>
+Il prete ipocrita, levando gli occhi, vide quei simboli
+della credulità meridionale e di subito sdegno inalberò. Dato
+di piglio ad un sistro di bronzo, pose in bricioli un orecchio.
+Un fulmine solcò la spessa atmosfera e fece sgomento quel
+profanatore delle stesse cose di cui sino allora avea tratto
+profitto. I ricoverati nella sala postica corsero a salti in cucina;
+e siccome le soffitte delle stanze soprane erano cadute,
+si accoccolarono sulla scala che ad esse saliva. La mefite quivi
+gli colse e gli uccise di disperata agonia. Nymphiodoto riparò
+ansimante nella camera vicina al refettorio. Ma siccome dal
+tempio veniva un veemente ed insoffribile calore — con un
+fumo vibrato ed invisibile con tenue odore di zolfo, ma più
+di ammoniaca, di nitro e di vitriolo che affannava istantaneamente
+il respiro — egli cercò di chiuder l’uscio come meglio;
+e, presa una barra di ferro, si die’ a rompere la parete ch’era
+di mattoni e di spume vulcaniche. Quel disperato non avea
+scampo. Pria di porre il termine alla rottura, la mefite lo
+prese alla gola e lo stese cadavere come i compagni.
+</p>
+
+<p>
+Nel tempio di Giove pativa una quasi eguale offesa il flamine
+diale. Ultimo ad escire, perchè carico degli <i>ex-voto</i> di oro e
+di argento, una delle colonne corintie del vestibolo scardinata
+dal tremuoto cadde e lo schiacciò sotto il suo peso. Quella
+incarnazione dell’orgoglio e della soperchieria veniva affranta
+a cagione del solo interesse avaro ed egoista che avealo inspirato
+nella vita.
+</p>
+
+<p>
+Sur uno dei piedistalli, a livello del <i>pulpitum</i>, dal lato
+opposto, la statua erasi spezzata e caduta al suolo. Una creatura
+vivente vi sedeva in suo luogo. Aveva le gambe penzoloni,
+il capo coperto dal <i>sagum</i>, per guarentirlo dalle pomici cadenti;
+e le braccia al petto. Al rumore della colonna, all’urlo soffocato
+del flamine, l’uomo innalzò il panno dagli occhi e si volse.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_348">[348]</span>
+</p>
+
+<p>
+— <i>Dehisce tellus. Recipe illum, dirum chaos!</i> È giorno
+di grande giustizia cotesto. Tutti morti!... E chi meritava
+vita qui?... Quando nello Anfiteatro fui ferito sulla spalla da
+un colpo di gladio, quattro donne soltanto porsero la mano
+aperta e gridarono: <i>Non habet</i>. I miei occhi le fissarono e le
+loro soavi immagini mi si dipinsero nel cuore. Wodan le farà
+salve. Le Ondine sosterranno la nave che porterà lontano le
+loro lacrime per la terra dei ricordi perduta...... Lo abbietto
+gladiatore non vedrà più i nativi suoi boschi e la bionda razza
+che li abita..... Povero popolo di Herman!... Giù, Vesbius...
+inghiotti, straripa, incendia, ruina. Racchiuderai fango in un
+ampio sepolcro! Pesi la terra sull’empia stirpe latina che,
+mai sazia, ha assorbito le libertà del mondo. Oerda, Werdandi,
+Schott, Neva, le sorelle del Fato, stanno sul monte....
+Io le sento... E mi vendicano. Ora, posso anch’io morire....
+O foreste di pini! O Astara, che vi spiri dentro l’alito della
+primavera! O Freya, dea dello amore! O Wali ed Oller,
+miei buoni compagni nella infanzia! O Scada, mia madre!
+O Norna e Rinda, sorelle mie! Gefion prende commiato da
+voi e per sempre.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Questo Gefion era un germano della famiglia gladiatoria
+in Pompei. Preso da fanciullo tra i prigionieri di guerra, lo
+chiamarono Libero i suoi piacevoli consorti. Era stato otto
+volte vincitore nei ludi. Forte ed impavido, addestrato alla
+professione degli <i>artifices decollandi</i>, aveva risguardata la vita
+come cosa fuggevole, misteriosa ed incerta. Or le grazie della
+morte le conosce soltanto colui che passa i suoi giorni a contemplarla.
+Ed era divenuta l’amica dalle cui mani attendeva
+la sua libertà. In quell’ora di rivelazione inattesa, in cui tutti
+fuggivano il bacio delle sue labbra gelate, egli scelse invece
+il luogo dei suoi accoppiamenti con lei. Non avea più dinanzi
+Itatago Vale, od Anarto Viridea, od Apsoto Jutto, od Amonio
+Scava, o Sceunio Sitio, o Aptoneto Macula, od Epeo, o Sticho
+che gli avessero detto, <i>gladium gladio copulemus</i>. No. L’apparizione
+divina eragli venuta incontro nel Foro e gli aveva
+parlato al cuore le dolci parole:
+</p>
+
+<p>
+— Eccomi. Apparecchiati. Quello che cercavi e che ti
+adora, tra poco ti abbraccerà.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_349">[349]</span>
+</p>
+
+<p>
+Il bisogno fatale di quell’anima assetata fu compiuto. Lo
+architrave dei tempio cadde, e il suo corpo divenne osceno
+cadavere.
+</p>
+
+<p>
+Il Vesbio continova le sue collere. E nel mezzo del fumo
+e nei lati dello stelo del pino serpeggiano saette che s’incrociano
+e scoppiano con orribile strepito. Quindi dallo infiammato
+monte sboccano fiamme in forma di travi e di grosse onde
+tempestose. E poi, guizzi come di artifiziati fuochi rapidamente
+scorrenti e senza scoppio. Ed altri che si allungano e pria di
+dileguarsi rintronano l’aere. Ed altri ancora che scendono al
+basso e radono il suolo e bruciano gli alberi e le case ed uccidono
+uomini ed animali che coi loro passi ricercano la vita
+omai minacciata per ogni dove.
+</p>
+
+<p>
+Cotesto avvenne alla misera Eutichia presso il postico
+della casa di Sallustio. Scorgendo come la infernale bufera non
+si arresti, per escir di quella agonia, dice ai tre schiavi — cui
+il timore riflessivo aveva impedito di seguire i compagni postisi
+in salvo insieme col padrone — di aiutarla a discendere
+dal muro e a scampare. Aveva chiuso nella sua <i>palla</i>, colla
+quale cuoprivasi il capo, e le spalle, uno <i>speculum</i> di argento,
+tre anelli, alcune paia di orecchini, una collana di catene
+d’oro e cinque braccialetti dello stesso metallo. E serbava in
+una borsa trentadue monete e un suggello col nome suo. Scambiati
+pochi passi, mancava ai quattro infelici il respiro e cadevano
+morti.
+</p>
+
+<p>
+Contemporaneamente nella casa di Agatocles, ricco negoziante
+greco, abitante nel pago Augusto-Felice, un liberto
+ed una schiava erano nell’<i>æcus cyzicenes</i>, che interrompeva
+l’ambulatorio sotto il portico che circondava il grande xysto
+quadrato ed aveva lo sguardo sul maraviglioso cratere partenopeo.
+L’uno cacciava in fretta in una borsa di pelle ventitre
+monete di bronzo alla effigie di Galba. L’altra gittava in un
+paniere di vimini una moneta d’oro di Nerone, quarantatre
+denari di argento, quattro orecchini a spigo d’aglio ed una
+cornalina incisa. Nel correre fuori si sentirono opprimere il
+respiro, si appoggiarono alla parete e caddero. Nè diversa
+sorte aveva avuto l’altra schiava, corsa dispesatamente in
+fondo del portico a diritta ed entrata nel gabinetto di riposo
+<span class="pagenum" id="Page_350">[350]</span>
+che fa fronte al larario sulla opposta parte. Aveva un braccialetto
+di bronzo ed al dito lo anello d’argento del suo <i>contubernalis</i>.
+Misera! Non ebbe il tempo che di baciare quel caro
+pegno di fede e spirare. Ulissia — la moglie del padrone di
+quella casa — avea sperato salvarsi dal tremendo flagello,
+ricoverandosi nel crypto-portico, ch’era la <i>cella vinaria</i>, la
+quale contornava sotterraneamente lo xysto per la lunghezza
+dei tre portici soprani. Fra ciascun pilastro, a fior di terra,
+aprivansi spiragli dalla forma d’imbuti. Larghe provvisioni
+erano adunate in un canto ed atte a sicurare la esistenza per
+qualche giorni. Di anfore piene di vino ve ne aveva dovizia.
+Stimando il disastro passeggero come l’altro di sedici anni
+innanzi, Ulissia conducea seco giù per la scala la sua figlia
+Domna, gli altri bambini minori con dodici liberte. Giunte verso
+la metà della crypta, un vapore ardente e soffogante entra
+per gli spiragli da dentro. Un grido solo escì da quei petti
+affannosi. E tutti a precipitarsi verso la porta per la quale
+erano entrati. Troppo tardi. Un alito pestifero veniva pur
+dalla scala. Si fermano. Si aggruppano. Si stringono convulsivamente
+insieme, quasi chiedendosi l’un l’altro soccorso. E
+d’istinto, avendo compreso essere quello lo istante estremo
+della vita, ognuno si velò il capo colla veste in atto rassegnato
+e decente. Così furono rinvenuti quegli infelici diecisette
+secoli più tardi, allorchè si cominciò a strappare il
+funebre lenzuolo dal cadavere pompeiano. Sulle persone e
+per le terre erano gemme, monete, uno stupendo candelabro,
+i resti di un <i>mundus muliebris</i>, un pettine di legno, braccialetti
+d’oro, spilli ed anelli. La cenere fine del Vesbio,
+penetrando per gli spiragli, copriva quei morti addossatisi al
+muro. L’acqua impregnò di umidità e di sali quella cenere.
+La quale indurì cogli anni e conservò le parti molli fino a che
+i secoli queste ridussero in polvere. Lo ammasso delle ceneri,
+fattosi tufo e attaccatosi al muro, era divenuto nel 1763 la
+forma di tutte le cose vive che aveva racchiuso Ma i poco
+zelanti scavatori — uomini di stipendio, non di scienza — accoppiarono
+il cataclisma della ignoranza al cataclisma della
+natura. E ruppero bestialmente le ceneri indurate. E le posero
+in frantumi per estrarre di quel fango le gemme e i monili
+<span class="pagenum" id="Page_351">[351]</span>
+preziosi. E trasportarono nel Museo trionfalmente una collana
+di filograna d’oro, avente nel mezzo una piastra d’onde pendono
+catenelle terminate da foglie di vigna, un bel braccialetto
+formato da due corni di abbondanza, riuniti da una testa
+di leone, e due orecchini. Cotesti oggetti d’arte avevano più
+e più abbellito la bella persona di Domna, di cui la cenere
+conservò per secoli l’ovale del viso, la forma del seno, delle
+spalle e delle braccia; non che la stoffa leggera — di <i>ventus
+textilis</i> o di <i>nebula</i>, come Petronio e Tibullo chiamarono quel
+tessuto dell’isola di Cos. — Collocarono infine entro una cassa
+di cristallo la forma di una mammella, il cranio e qualche
+osso e qualche pezzo di tessuto nella cenere tufacea.
+</p>
+
+<p>
+Agatocles dovette aver l’anima vendereccia in un cuor
+duro ed egoista. Non pensò alla famiglia quel mercante greco.
+Egli non cura che la sua vita e le proprie ricchezze. Laonde,
+seguendo la schiava che andò a morire nel gabinetto di riposo,
+volse a sinistra e si fermò dinanzi all’uscio del portico
+occidentale che aprivasi verso i campi ed il mare. Ma quivi
+lo attendeva Venere-Libitina, dalle dita affilate e forti. Le
+due chiavi dell’uscio gli caddero dalla mano, dove splendeva
+un anello formato da un serpe a due teste, un <i>amphisbene</i>.
+Provò uno stringimento alle fauci, la vista si oscurò, le gambe
+vacillarono e ruinò per le terre. Il liberto che avealo seguito,
+carico di vasi d’argento e di una grande quantità di monete
+imperiali e consolari chiuse in un sacco di tela, prosciolse
+anch’egli le membra e si distese sul pavimento. Una bella
+lanterna di bronzo rischiarò la breve loro agonia.
+</p>
+
+<p>
+Nove altri scheletri furono rinvenuti fuori della casa nella
+direzione del mare. Ed altri sopra un’aia non molto lungi dalla
+fine del subborgo. Forse erano anche i servi della famiglia
+di Agatocles.
+</p>
+
+<p>
+Perennio Nimpherois, il padrone del <i>thermopolium</i> dinanzi
+la locanda di Albino — al quale Augusto avea conceduto
+quel luogo come <i>mansio</i>, cioè stazione di posta per aver
+subito le novelle di ciò che avveniva nelle provincie ed
+Albino medesimo con tre soldati, coi forestieri che aveva in
+casa, corsero affannosamente verso la porta vicina ad
+Herculanum, malgrado la pioggia di acqua bollente. Lo
+<span class="pagenum" id="Page_352">[352]</span>
+astato è nell’edicola, appoggiato al pilo e respirando a mala
+pena. Col gladio ha rotto il muro nel fondo per aver aria
+più pura. Uno dei soldati gli dice correndo:
+</p>
+
+<p>
+— Bithinico, salvati. Il mondo finisce.
+</p>
+
+<p>
+— Eh! Il mondo finisce. Ma l’Urbe rimane.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Passa una donna che ha un bambino lattante nelle braccia
+ed uno per la mano. Corre dissennata, urlando, fuori di sè.
+Si ferma, asciuga colle mani convulse il volto al figliuolo e
+lo bacia, lo ribacia e lo bacia ancora. Oh! le parole di conforto,
+dette cogli occhi, ma non espresse dal labbro! La sua
+vita è concentrata, è tutta là. — Il soldato s’impietosisce
+e dice:
+</p>
+
+<p>
+— Donna, ripara qui dentro, al sicuro. Riposata, partirai
+quando cesserà questa pioggia di Averno.
+</p>
+
+<p>
+— La mia vita non curo. — I figli! I figli! Oh! non
+me li uccidete, o dei spietati!... Tulliolo, non lamentare i
+tuoi piedini piagati. Altri pochi passi e sarem giunti.
+</p>
+
+<p>
+— <i>Miserere, mater.</i> — La gola mi si stringe. — Soccorrimi.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+La infelice donna lo imbraccia in furia e corre, cogli
+occhi ch’escono dall’orbita. Corre a sbalzi. Corre. Giunta
+presso l’<i>ustrinum</i>, non può più ire innanzi. La mefite invadeva
+la strada. Aveva ucciso i fuggenti che la precedevano.
+Si assise sui lapilli. Appressò la bocca alle bocche dei suoi
+bambini..... Avevano vissuto! Bithinico non tardò molto a
+raggiungerli sulle rive di Lete.
+</p>
+
+<p>
+Nella casa di Vibio i servi partirono a precipizio dopo la
+fuga dei padroni, ognuno portando seco ciò che potette. Morirono
+qua e là nelle vie suburbane. Una donna greca, che la
+chiamavano Milphidippa per le sue lunghe ciglia, va presso il
+forziere di legno, guarnito di fasce di rame e di maschere
+di bronzo, lo apre e vede dentro quarantacinque nummi d’oro,
+cinque denari, un piccolo busto della Fortuna.... ma il respiro
+le manca.... sente sulle tempia lo stringimento di una tenaglia,
+corre nel vicino cubicolo, cade supina sul letto e muore. Danista
+è già sulla soglia del <i>posticum</i>. Avara per istinto, non
+ha perduto il suo tempo. Un aruspice le aveva predetto pochi
+dì innanzi che una grande fortuna attendevala.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_353">[353]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Egli mi disse: «Escirai grave da una piccola porta ed
+entrerai in una maestosa con seguito di molta gente.» Convien
+prepararsi.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E girando per le stanze vuote di abitatori, cacciò in un
+sacco di tela ciò che trovava, cinque anelli d’oro, cinque
+pietre incise, molte monete di argento e di bronzo, la <i>bombilia</i>
+di cristallo di roccia che Melissæa avea dato allo sposo il giorno
+in cui egli le die’ la sua fede, e due orecchini in forma di bilancia.
+Va per escire col piede diritto, il sinistro essendo di
+cattivo augurio. E la Parca si rammenta in quello istante di
+lei ed appressa le forbice allo stame della sua vita. Si appoggia
+illanguidita alla spalletta dell’usciolo. Le gambe flettono.
+Il lume degli occhi si oscura e sviene. Nel 1829 gli scavatori
+trovarono dispersi attorno al suo scheletro gli oggetti della
+ghiotta vanità che occuparono gli ultimi istanti di quella misera
+schiava.
+</p>
+
+<p>
+E la pioggia continova sempre ruinosa e scottante.
+</p>
+
+<p>
+Nella estremità della viuzza dei <i>Dii majorum gentium</i>
+che il poeta Ennio racchiuse, nominandoli, in due versi,
+</p>
+
+<div class="poem"><div class="stanza">
+<p class="i01"><i>Iuno, Vesta, Ceres, Diana, Minerva, Venus, Mars,</i></p>
+<p class="i01"><i>Mercurius, Jovi, Neptunus, Volcanus, Apollo,</i></p>
+</div></div>
+
+<p>
+colà, dove presso la fontana del Vitello si andava allo <i>Ecatonstylon</i>
+e ai teatri, odonsi gridi, singhiozzi e parole imperiose.
+Nella casa è un correre, un disordine, una confusione
+grande. Alcune donne coi bambini sono in fondo al vastissimo
+giardino e s’inginocchiano, piangono sotto la volta del <i>lararium</i>,
+sostenuta da due colonne di stucco. Un’altra donna bellissima
+si è riparata in una stanzuccia presso il tablino, illuminata da
+una lampada posta in una nicchia di marmo bianco. Il suolo
+traballa. Sembra si sollevi e ricada. — Jucunda corre ad una
+larga finestra che dava nel giardino. Ma lo sportello è chiuso
+e nell’orgasmo da cui è presa non le riesce di aprirla. Allora
+si volge affannosa ad un occhio di marmo bianco che è a lato
+sull’angolo. Con un pugno ne rompe disperatamente il vetro
+e grida con quanta voce lo spavento pur le risparmia:
+</p>
+
+<p>
+— Suilimea! Hilaria! Mima! Sema! E tu, Thalamo!... Qua
+i miei bambini! A me! A me!... Ah! gli dei son pure spietati!
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_354">[354]</span>
+</p>
+
+<p>
+L’atrio corintio, sostenuto da pilastri adorni da elegante
+meandri, e posante sur un <i>pluteus</i> di appoggio, è crollato a
+metà sulle pomici piovute. Nel pericolo della vita, essa esce
+coi capelli disciolti e colla <i>palla</i> trascinata. Muove verso il
+giardino. Tra la fitta oscurità urta, cade sui lapilli, si solleva
+furiosa, chiama i figli per nome, gli afferra convulsa, prende
+nelle braccia il piccolo Licinio e per la mano Animula. — Iphygenia
+e Nymphio, coperti da Calepio e da Euporo, la seguono. — L.
+Saginio Valga ha in fretta adunato nella toga una
+quantità di nummi di oro, di anelli, di orecchini, di perle,
+di cucchiai d’argento con altri oggetti preziosi. Vien loro incontro
+e grida che è tempo di salvarsi.
+</p>
+
+<p>
+Salgono nella casa addetta ai forestieri — ogni ricco pompeiano
+ne aveva una attigua, comunicante, da ciò. — Saginio
+fa sforzi rabbiosi per aprir l’uscio dal quale si scende nella
+strada che mena colla rivolta al Foro, presso il fonte della
+Gorgone. Urta, spinge e l’apre. Ma nell’atto, un pezzo di
+muro crolla e ruina sopra Euporo e Calepio, i quali vengono
+schiacciati sul <i>sigma</i>, triclinio semicircolare di estate, ch’era
+nel mezzo dell’atrio. La madre si volge, gitta un urlo straziante,
+mira i nati dalle sue viscere sepolti sotto le macerie
+e sviene. — Sema e Thalamo fuggono verso il Foro, spinti
+dal desio della vita. — Il marito raccoglie di peso la moglie
+fuori dei sensi e collo aiuto di Mima, di Hilaria e di Suilimea
+trae i dolci pegni dello amor suo verso l’abitazione deserta di
+povera gente ch’era di contro. Sotto la cucina aprivasi un
+sotterraneo con un pozzo profondo. Un largo <i>clathrus</i> abbarrato
+da steli incrociati di ferro, all’altezza del petto dava luce
+all’antrone dal margine soprastante. Colà riposarono gl’infelici. — Si
+abbracciavano. Si chiamavano a nome disperatamente.
+E baciavano piangendo i due bambini ancor vivi,
+pallidi, esterrefatti. Miseri!...... Anche pochi istanti.... e raggiunsero
+Nymphio ed Iphygenia sulla via dolorosa che quelli
+prima avevano percorso.
+</p>
+
+<p>
+Intanto da una casa presso le mura scendono correndo
+per la via dalla fontana di Mercurio cinque persone. Thylliano
+Januario sorregge nei passi incerti Sogellia Fausta che, dentro
+impietrita, non piange, non grida, e si fa guidare come inerte
+<span class="pagenum" id="Page_355">[355]</span>
+cosa. Gallione e Stallio camminano innanzi colle faci accese. Gli
+segue Philonio Casto, il fratello di lei. Giunti in faccia alla
+<i>popina</i>, quelli che precedono sono arrestati da due cavalli e
+da un mulo, esciti alla impazzata dai <i>carceres</i>, forse poco
+lungi di là. Gli animali attratti dal lume s’imbrogliano con
+essi. Ad evitarli, entrano in una piccola abitazione contigua
+alla taverna. Si rannicchiano in una camera vuota ed attendono
+che il flagello mai sospettato finisca. Ma le soffitte delle
+stanze, sopracariche di basalti e di pomici, si piegano e cadono.
+Thylliano si curva in arco sulla moglie diletta per salvarla
+dalle offese dei sassi. Nella fuga aveva raccolto braccialetti,
+anelli d’oro e monete di diversi metalli. E gl’infelici
+tutto perdettero insiem colla vita.
+</p>
+
+<p>
+Poco discosto, nella via che in quei giorni selciavasi sotto
+le mura, un uomo e un cavallo avevano trovato rifugio in un
+largo stanzone. L’uomo erasi provveduto di pane. La terra si
+scuote. I muri si fendono. Un pezzo perde lo equilibrio e si
+rovescia sopra quell’infelice. Cavallo e cavaliere, sepolti dalle
+macerie.
+</p>
+
+<p>
+In una casa presso il Foro — poco lungi dalla scuola ove
+il successore di Verna pubblicamente istruiva i fanciulli di
+ambedue i sessi — si ode un fracasso di tetti e di mura che
+cadono. Le macerie impediscono la via della uscita. Il fuoco
+si è appigliato alle travi nella cucina e i turbini del fumo rotondeggiano
+nell’aria. Le case allo intorno ruinano del pari. — Una
+donna, scampata già, corre verso le Curie disperatamente
+ed accenna coi passi al porto vicino. — Dentro è rimasto un
+uomo più che quarantenne. I suoi pensieri erano elevati. I suoi
+sentimenti generosi. Dentro il suo cranio volgevasi uno strano
+dramma che lo faceva serio, grave, pensoso. Il mistero ei
+lo vedeva per tutto, sugli occhi della donna, sui rami fronzuti
+degli alberi, sui riflessi delle acque, sulle stelle scintillanti,
+sulle molecole che formano i macigni. E giammai aveva
+potuto assidersi lungo la sponda del mare senza sentir nel
+profondo uno incanto che lo attirava e lo riteneva forzatamente
+a contemplare il succedersi dei marosi che spumavano
+all’urto e si spandevano in laminette e in meandri bianchi,
+ricamati sullo azzurro. Non fu mai lo sperato, nè il marito
+<span class="pagenum" id="Page_356">[356]</span>
+di una donna. Non aveva parenti. Non liberti nè schiavi.
+Una sola donna — quella cui lo spavento avea posto ai piedi
+le ali — gli forniva i sobri alimenti che Pythagora, lo illustre
+filosofo di Croton, aveva prescritto coi saggi consigli e coll’uso.
+</p>
+
+<p>
+Crasso Frugi era in piedi presso un trapezoide nel <i>cavædium</i>
+e con una mano si velava la fronte. L’altra la posava
+sul marmo ov’erano sparsi venzette nummi d’oro, cinquantuno
+denari e due maniglie d’oro di femminile ornamento.
+Ai suoi piedi è una giovanetta vestita di bianco. Era quella
+la sola creatura che con lui vivesse in una certa dimestichezza
+e con ricambio di affetti. Avevala un dì raccattata
+fanciulla e piangente sulla soglia di una stanza isolata, nella
+via di Dafne — lurido albergo di prezzolati amori — entro
+cui era distesa sur un letto di muro una povera donna
+morta.... Era la figliuola di quella estinta? Lo aveva supposto;
+ma non mai domandato.
+</p>
+
+<p>
+Vasto lo edificio ch’egli abitava, di fresco ricostruito e
+con bei musaici signini. Solo in tanto fastigio? Gli è che sin
+dalla prima età erasi palesemente ammogliato con una divina
+che chiede grande spazio a chi l’ama e con lei si congiunge.
+I poeti la chiamano fantasia. I filosofi, idea. Gl’imbecilli,
+follia. Ed io, la saviezza della mente e del cuore. Era la
+scienza della giustizia, della verità, della luce.
+</p>
+
+<p>
+La fanciulla raccolta erasi fatta col prendere persona
+l’armonia della sua vita e irradiava sopra di lui uno splendore
+particolare. I di lei occhi neri, aprendo sotto fini ed
+eleganti sopracigli le loro arcane profondità, erano pieni
+di quello incanto che sgorga dallo sguardo umido della
+donna. L’avevano chiamata Sapho nascendo.... Eh!... Pari
+alla donna illustre così nomata aveva nel cuore tracce di
+amaritudini e di dolori in germe che la sua mente scrutatrice
+non sapeva deciferare. La sua origine scrupolosamente
+celata era rimasta un’enimma.
+</p>
+
+<p>
+— Cosa è lo universo?... L’ordine. Cosa la morte?...
+La eguaglianza. Uniti nel mondo da un sentimento purissimo,
+punto egoista, quello dell’amicizia, come un solo essere ci
+presenteremo alla Divinità... Sapho... creatura innocente offertami
+<span class="pagenum" id="Page_357">[357]</span>
+dal cuore sui miei passi vaganti, noi dormiremo insieme
+in questo sepolcro che il Vesbio ricolma colle sue pomici.
+</p>
+
+<p>
+La giovanetta sollevò gli sguardi paurosi e pur soavi
+sull’uomo tutto di bianco vestito, che a lei parlava come in
+un’estasi; gli afferrò la mano che allor pendeva lungo la
+tunica e febbrilmente la baciò. E la desolata a lui:
+</p>
+
+<p>
+— Oh! Gli Dei!... Pietosi, perchè non mi lasciano morir
+sola!... Ma il nostro avello non sarà guarnito di foglie di
+mirto, di ulivo e di pioppo, come Pythagora, il taumaturgo,
+il divino, prescrive.
+</p>
+
+<p>
+— Rari gli uomini! il loro numero appena eguale a quello
+delle porte di Thebes, o delle bocche del fiume che feconda
+l’Egitto. Qui crescevano uomini non più utili al mondo, e gli
+Dei affogano gli animali dai quali ricevevano offesa. In verità,
+i giorni furono contati e l’ora fatale appressa. Apparecchiamoci
+da forti all’ultimo istante.
+</p>
+
+<p>
+— Sei tu che lo dici, o padre. Son pronta.
+</p>
+
+<p>
+— Lo dico e lo sento. Rientriamo in noi stessi e rimproveriamoci
+i falli di commessione e di ommessione. E cantiamo
+tacitamente un inno in onor degli Dei..... Nè lacrime,
+nè singhiozzi nella sventura!
+</p>
+
+<p>
+— Sì, nè tema, nè debolezza nel supremo pericolo.
+Come i discepoli di lui perirono in Croton, noi pure saremo
+divorati dalle fiamme medesime.... Ma... la mia gioventù è
+grande, o padre!
+</p>
+
+<p>
+— Sorgi, diletta figliuola del cuore. Prendi forza a ben
+morire dal calor del mio sangue.... Le leggi della vita sono
+violate... Il bacio estremo.... e il segno che ci distingue e ci
+unisce...
+</p>
+
+<p>
+E l’una nelle braccia dell’altro, tenendosi per la mano,
+entrarono nel sonno eterno. Ed il Vesbio coi suoi candidi
+lapilli compose il sudario sui loro cadaveri.
+</p>
+
+<p>
+Pythagora avea concepito un grande disegno — quello
+di una vasta congrega di uomini, esistente sempre, e sempre
+depositaria di scienze e di costumi, la quale sarebbe l’organo
+di verità e di virtù, quando la umanità fosse in istato di
+sentir l’una e di comprendere l’altra.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_358">[358]</span>
+</p>
+
+<p>
+Gli urli disperati avvicendano il mugghio ripetuto della natura
+che freme. Quelli che ripararono nei primi piani e non
+furono macellati dalle pietre, dalle travi e dalle tegole cadute,
+nè arsi dal fuoco, nè schiacciati dalle soffitte, nè asfissiati
+dalle mefite, corrono nella oscurità per ogni verso. Una
+fanciulla piange, si dispera, scambia i passi, si arresta, non
+sa dove dirigersi. Viene dalla via di Stabia. Quivi perdette di
+vista la sua fuggente famiglia. Entra nell’atrio di Cornelio
+Rufo. La casa arde. Il ferro si torceva masticato dalle fiamme.
+Sprofonda il tetto. Essa si salva. La Palestra nelle Terme
+è chiusa. Le botteghe più in su sono chiuse. Urta nella fontana
+dalla testa di Pallade. Avanza ancora e trova un uscio
+aperto.
+</p>
+
+<p>
+La casa era in riparazione. Mura squallide e non dipinte.
+In fondo i lampi frequenti le mostrano uno xysto. A manca è
+un <i>aecus</i> che i <i>tignarii</i> avevano poche ore fa disertato. Solida
+è la volta. La misera fanciulla si asside sur un mucchio di sabbia
+e piange lacrime dirotte.
+</p>
+
+<p>
+— I fulmini di Giove si spengono nel nostro sangue. <i>Heu
+me!</i> La città in fiamme. Il popolo che spira sotto i rottami e
+nel fuoco. E i miei cari?... Morti!... Ed io sola qui! Che sarà
+di me! Venere aiutami. Oh! La iddia a me soccorre.... Polla
+ti raggiunge, o Siliginio, se pure anche tu sei tra gli estinti.
+Ah!...&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+La misera era caduta distesa sulla sabbia col capo penzolone,
+riverso. Aveva le mani incrociate e parea che dormisse.
+Forse la morte le fu propizia. Che avrebbe fatto nel
+mondo, povera e sola? Nata da gente <i>lare incerto</i>; la quale,
+obbligata a prendere in fitto le camerucce che abitava, tenuta
+nella categoria — che, pur numerosa era e dispregiata — degl’<i>inquilini</i>
+e vivente giorno per giorno e di pensieri vagabondi
+e mal fidi, unico sollievo per Polla era la vita del
+cuore. Grazie alle illusioni dei primi affetti, Siliginio, fullone,
+era per lei, tredicenne, quella tenerezza senza limite con cui
+essa desiderava essere amata. Sotto un albero di ulivo ei le
+rivelò il suo pensiero. Ed essa sentì come un filtro soave le
+addolcisse il sangue e le invadesse la ragione. Uniti, popolavano
+una solitudine, ove i loro occhi vedevano sorgere di
+<span class="pagenum" id="Page_359">[359]</span>
+terra fiori incantevoli e profumati.... Povere anime, pure,
+tranquille, serene, divine nelle loro speranze! Povere anime,
+dove ne andaste?...
+</p>
+
+<p>
+E la pioggia cadeva ruinosa e bollente.
+</p>
+
+<p>
+Un uomo pareva non la curasse. Discesi dalle <i>hibernacula</i>,
+camere poste al di sopra del forno, dove il misero
+aveva per sette mesi lavorato <i>præferratus ad molas</i>, esciva
+dal <i>pistrinum</i> della via che menava alla porta di Nola, nudo,
+trascinante una catena col piede sinistro e coi capelli rasi da
+un solo lato. Nè grande, nè piccolo; quantunque la mobilità della
+persona impedisse di definirlo. I suoi pensieri ondulavano.
+E così egli ondulava. Brandiva colla destra un tridente
+insanguinato e tratto tratto lo piegava per terra e lo pigiava,
+lo pigiava ancora cogli occhi stralunati e feroci. Quindi, ridendo
+sgangheratamente, procedeva innanzi. Incurante le
+scottature della dermide, si fermò, si drizzò sulla punta dei
+piedi come per seguire il volo della sua povera mente e poi
+pianse a dirotto.
+</p>
+
+<p>
+— Gylo! Misero. Sei vendicato! Ma Nea è morta.... Lo
+infame Numisio mi schiantò il cuore dal petto rubandola ai
+miei amplessi. O mio sospiro! Avevi un termopolio nel cuore....
+Ma l’ho cacciato ben io nel <i>pistrinum usque ad necem</i> e l’ho
+strigliato d’importanza con questa <i>scutica de pene taurino</i>....
+La sua donna, Eitixia, voleva difenderlo. Dovetti persuadere
+anche lei. E se mai li libererò dal penoso lavoro, <i>ego pro eis
+molam</i>!... O Nea! Ora ch’essi girano le macine, tu sei libera
+e infiorerai la mia vita di polline. Eccola...: Viene.... Ha i capelli
+annodati in spessi ricci che le coronano il capo leggiadro.
+Oh! i grandi occhi neri.... quasi dardi spuntati dalla mansuetudine
+dell’anima sua!... La terra balla. Ballano le case. — Il
+Vesbio fa boati ed illumina con faci la mia festa nuziale.
+Gli amici — quelli che soffrirono finqui — verranno a posare
+il gomito nel mio triclinio. Ah! Sono innanzi la mia magione.
+...... Entriamo!&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Ed il misero penetrò in una bottega della via Jovia e
+cadde rifinito sulle pomici che la ingombravano. Era rosso,
+tumefatto, scottato dal capo ai piedi. — Nel respiro affannoso
+borbottava male articolate parole e tra esse spesso mentovava
+<span class="pagenum" id="Page_360">[360]</span>
+Nea, il farnetico della sua mente smarrita, l’unico lume
+di quel povero cuore.... Ecco, ei ride, dà in un tremito convulso,
+si rotola sulla china che avevano formato i lapilli, e le
+ondate di pioggia lo spingono, lo affogano, lo stracciano e lo
+cuoprono. Gli uomini erano stati crudeli con Gylo. La natura
+pietosa spense il tarlo della memoria che a lento morso rodeva
+la sua ragione fuorviata e malsana.
+</p>
+
+<p>
+La famiglia gladiatoria non fugge. Nel momento del flagello
+inatteso molti erano nel vasto parallelogrammo, specie
+di chiostro circondato da portici, sostenuti da ventidue colonne
+in un senso e da diecisette nell’altro. Facevano gli esercizi
+nell’area. Il lanista nel mezzo. Gli allievi, dirozzati dai più
+provetti, <i>doctores tyronum</i>, armati di una spada di legno, si
+schermivano vivamente contro piuoli profondati sul terreno.
+La <i>gladiatoria sagina</i> bolliva nel vasto caldaio per rendere
+con quel cibo sostanzioso più forti e più sanguigni quei poveri
+giovani. Le armi sono chiuse nel piano superiore e le chiavi
+le tengono i magistrati. I littori sono di guardia per tenere
+nell’obbedienza quella gente degradata che spende il suo coraggio
+avvilito al trastullo del popolo, e — passata la fuggevole
+ebbrezza — a molto mal loro grado. Seneca narra come
+un condannato a quel brutto mestiere, privo ancor d’armi e
+pur bramando meglio morire che discendere nell’arena, si
+cacciasse un bastone nella gola sino ad esserne soffocato. Così
+salvava l’onore.
+</p>
+
+<p>
+Sessantatrè ripararono dalla grandine infuocata nelle camere
+soprane. E quivi morirono. Quattro erano nella prigione
+a terreno, cui nessuno pensò ad aiutare. I loro piedi, chiusi
+nei ceppi di ferro, gli obbligava di stare assisi sulla nuda
+terra, o supini. Destino terribile e ben più triste che la morte
+dello anfiteatro.
+</p>
+
+<p>
+Nella parte commerciale della casa di Pansa — il cittadino
+illustre incaricato da Vespasiano a presiedere ai pubblici
+ludi ed a far rispettata la legge Petronia, impedire cioè ai cavalieri
+ed ai senatori di degradarsi nell’arena, o di farvi discendere
+di arbitrio schiavi non condannati da un formale
+giudizio — infamia posta in uso da Giulio Cesare nel 708 di
+Roma, epoca del suo quadruplo trionfo e continuata più tardi
+<span class="pagenum" id="Page_361">[361]</span>
+nei funerali della sua figliuola — in quella parte che aprivasi
+sulla via Domizia e nel chiassuolo dinanzi la osteria di Fortunata,
+era un <i>pistrinum</i> colla bottega di spaccio e colle camere
+addette all’abitazione del <i>siliginarius</i>. Quivi un liberto
+facea macinare il grano del padrone, impastare la <i>siligo</i> e
+cuocere il pane. Egli, il <i>pistor</i>, ne dava conto al <i>dispensator</i>,
+specie di tesoriere contabile che registrava in alcuni libri,
+detti <i>ephemerides</i> le entrate e le spese, minorando la cifra delle
+prime ed accrescendo quella delle seconde; rispettando però la
+<i>merces insularis</i>, perchè quel prodotto degli affitti delle case
+potea agevolmente rivelare il larcinio. Cuspio Tubero, liberto
+di Pansa, aveva sulla parete della bottega, ove vendeva le
+varietà del pane e della farina, una pittura che rappresentava
+il serpente simbolico — la divinità custode contro il mal occhio — e
+sotto, un mattone sul quale ardeva sempre la lampada.
+Di contro al serpe sporgeva dallo intonaco una croce
+nera, il segno riverito dai nuovi affrancatori dello spirito
+umano, perchè su quella forca dei ladri e degli schiavi era
+stato inchiodato il Galileo, apostolo della redenzione, rivelatore
+del grande secreto, di quella parola che è suprema e definitiva
+iniziazione umana e consolatrice delle anime oppresse.
+Nel forno, i miseri schiavi incensavano ad altro simbolo dei
+materiali godimenti. Era una immagine phallica, in rilievo,
+colorata in rosso e sotto vi avevano scritto la leggenda — <i>Hic
+habitat felicitas</i> — Stranezze dei tempi!
+</p>
+
+<p>
+Gl’idolatri erano fuggiti. La superstizione — cioè, il
+vuoto — avea messo le ali ai piedi di tutti. Nello istante del
+pericolo il culto religioso diveniva dannosa ipocrisia, di cui
+ognun si affrancava. Grato Arrio, Messio Inventus, Menophilo
+Ancario, L. Celio Doripo, Hyalisso Eppio Primo, Amphio
+Serapa, Agatho, Perennio Merulino, N. Paccio Chilo,
+Quinto Pompeo, sacerdoti di Giove, di Venere, di Mercurio,
+di Esculapio, di Cerere, di Quirino, di Giunone, erano fuggiti
+dalle botteghe oscene dei loro mendacii profanatori. Il
+monte ardeva. La terra traballava commossa. Il mare ritiravasi
+dalle sponde. Il sole non luceva più. E i mercanti di una
+fede ipocrita e ladra, i quali avevano la impudenza per
+principio, il sangue e le lacrime per mezzo, i godimenti e
+<span class="pagenum" id="Page_362">[362]</span>
+l’alterigia per fine, disertarono gli altari pericolosi, portando
+con sè i preziosi redditi che le coscienze sedotte avevano cumulato
+nei templi. Ma, non uno potè riparare in loco sicuro.
+Quale per via fu derubato ed ucciso; quale ebbe il cranio infranto;
+quale fu sepolto per metà dai lapilli che lo scottavano,
+e nessuno volle arrestarsi per aiutarlo ad escir dalle pomici
+che il propaginavano. Quale fu garrito con disumano dileggio:
+</p>
+
+<p>
+— Chiama i tuoi numi, o <i>scelerum artifex</i>, che vengano
+ad aiutarti. O che? Sono muti o sordi per te?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Ed un altro:
+</p>
+
+<p>
+— Chiama la donna che tu mi hai profanata, non me.
+Ora soffri la sete di Tantalo, gli sforzi rabbiosi di Sisipho, e
+la ruota d’Issione.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Ed un altro,
+</p>
+
+<p>
+— Ti baciai una volta la mano sanguinosa, o impudico.
+Espia ora i tuoi falli, o furfante, ministro di Giove, parricida
+ed infame.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E la pioggia cadeva ruinosa e bollente.
+</p>
+
+<p>
+Così morirono tutti nel penoso viaggio che lo istinto della
+conservazione loro imponeva
+</p>
+
+<p>
+Ma Tubero non si mosse per escire. Chiuse colle tavole
+sovrapposte la bottega, accese la lampada e si prostrò dinanzi
+la croce. Potea farlo senza pericolo, senza sospetto, senza
+taccia di ridicolo in quell’ora estrema. Quel segno, conforto
+segreto del suo cuore, non diceva alla mente misteriosi ed
+impossibili natali, spropositi aritmetici, resurrezioni favolose,
+abbrutimento della umanità, signoria di arbitrio sulle cose
+del mondo. Quel simbolo della croce parlava una grande parola
+alle anime offese viventi e nasciture nei secoli.
+</p>
+
+<p>
+— Bevvi il sangue rappreso di un giusto. Sentii le scosse
+convulse dei suoi tendini lacerati. Udii l’ultimo grido del suo
+gran cuore: <i>Eli, Eli, lamma sabacthani!</i> Maledissi alle
+zolle che alimentarono le mie radici.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Non era adunque un pugno di cemento allineato sulla parete.
+Era il ricordo delle torture patite dall’uomo che in
+nome del Dio unico aveva annunciato ai popoli la Libertà,
+l’aveva professata colla voce e cogli atti, e colle gocciole escite
+dalle sue vene avea scritto:
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_363">[363]</span>
+</p>
+
+<p>
+«Io muoio per tutti. E questo sangue sia lavacro alle
+umane stirpi sino alla consumazione del tempo.»
+</p>
+
+<p>
+Tubero levò il capo raumiliato e pieno di lacrime. Aveva
+recitato un inno senza dir verbo. Aveva adorato Dio senza
+idolatria. Aveva intraveduto lo infinito, la potenza arcana da
+cui dipendiamo. E quel fiore della fede esciva odoroso dalle
+ruine di una città, siccome più tardi avrebbe germogliato
+sulle ruine di un mondo panteista, che anche una volta deve
+morire e — giovi sperarlo — per sempre.
+</p>
+
+<p>
+Pochi istanti dipoi, e la mefite penetrò colà dentro. Uno
+sguardo d’ineffabile melanconia. Un sorriso di trionfante fiducia...
+Tubero era morto....
+</p>
+
+<p>
+E al di fuori la pioggia cadeva ruinosa e bollente.
+</p>
+
+<p>
+Alla fine ristette. Dopo alcune ore di tremenda agonia e
+d’indicibili strazi il funesto fenomeno si tranquillò, si tacque.
+La terra non oscillava. Il Vesvio più non fremeva. Calma, silenzio
+e tenebre. Allora i riparati nelle parti più alte delle
+case escirono dalle crepacciate mura e dai tetti infranti ed
+aperti. E gittatisi sullo strato dei lapilli che alzavasi per parecchie
+braccia sul selciato, cominciarono a correre a precipizio
+verso le porte colla speranza di salvarsi a Nuceria od a
+Stabia, o verso la piaggia marina. Ma, molti infelici rimasero
+per via fracassati dalle pietre fuor di equilibrio che cadevano
+loro addosso, od asfissiati dalla mefite che sprigionavasi dal
+suolo fumante.
+</p>
+
+<p>
+Nella via di Dafne, un uomo alto della persona è già in
+piedi. Stende le braccia e vi accoglie la sua figliuola undicenne.
+La depone sulle pomici inzuppate e livellate dalle
+acque e leva di nuovo le mani per aiutare la moglie a discendere.
+Si cuoprono il capo, si avvolgono il manto attorno il
+braccio sinistro ed il corpo per essere più liberi nella corsa.
+L’uomo raccoglie una borsa di pelle ove avea chiuso un po’
+di danaro, un anello e gli orecchini d’oro, dà un bacio sulla
+fronte scolorata della figliuola, chiamandola,
+</p>
+
+<p>
+— <i>Salve, o dulce pignus.</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+e s’incammina. Era in su i cinquant’anni. Grossi baffi ombreggiavano
+il suo labbro superiore. I <i>femoralia</i> cuoprivangli
+le cosce e le gambe. Aveva nel mignolo della destra lo anello di
+<span class="pagenum" id="Page_364">[364]</span>
+ferro delle sue nozze. Sotto i sandali allacciati erano chiodi
+per fare la <i>solea</i> più forte. Quel suo piglio risoluto e marziale
+lo fa supporre uno dei veterani coloni, venuto dal Pago Felice
+al mercato colla sua famigliuola. Anche la moglie ha un
+anello di ferro. Scambiano pochi passi. Avanzano sulla crocevia
+e cadono. L’uomo, supino. Le donne, a quattro braccia
+di distanza, incrociando le gambe insieme e a traverso della
+strada. La madre solleva una mano increspata dall’agonia e
+si sdraia sul fianco destro. La figliuola cade a sinistra ed appoggia
+mollemente il capo sulle due mani ed alza la gamba
+ed il piede nell’ultimo moto dei tendini.
+</p>
+
+<p>
+Più in giù, verso le Terme una matrona cammina arditamente.
+Anch’essa forse si gittò da un tetto sulla via. Aveva
+chiuso in un manto due vasi di argento, alcune chiavi, novantuno
+monete, orecchini, fibule ed altre minute cose. La
+mefite a lei tolse il respiro e cadde sul gomito sinistro col
+capo appoggiato a diritta e colle gambe e le braccia contratte
+dall’agonia. Orribili sofferenze le sue!
+</p>
+
+<p>
+Siccome un liquido che bolle entro un caldaio pel soverchio
+del calore sollevasi rigoglioso verso gli orli, e gl’invade,
+e gl’innonda, e gli supera; così una infuocata materia cominciò
+a rifluire da tutte le parti del Vesvio e rovesciò ruinosamente
+sulle sue spalle, pari a larga fiumana. Frequenti baleni con
+terribili detonazioni squarciavano le fitte tenebre. Ed un nembo
+di cenere cominciò a cader sullo spazio. E sopra il golfo correva
+verso Capreas un nuvolo denso per entro il quale vedeasi
+tratto tratto una gran fiamma in tutta la sua lunghezza.
+La quale, ora chiarissima, ora rossa di sangue, lanciava fuori
+fiammelle in varie lingue e figure, ondeggiando, balenando,
+tuonando, e vibrando fulmini al cielo. Succede una terribile
+scossa. La terra si fende. E da quello squarcio escono fiamme
+e fumo. E l’orlo si allarga, s’innalza, si colma e prorompe. In
+alcune parti putrido fango esce dal suolo aperto.
+</p>
+
+<p>
+E le ceneri piovono fitte, oscure, impalpabili e continove.
+</p>
+
+<p>
+Nella notte, in due tremendi scrosci parve che il globo
+crollasse dalle sue basi. Era il Vesvio che scompariva tra i
+fulmini e il grandinar dei macigni; e alle falde del vecchio
+monte spaccato ed inghiottito sorgeva in poco tempo una
+<span class="pagenum" id="Page_365">[365]</span>
+nuova fucina di sassi, di pomici e di lava che ricostruivano il
+Vesuvio ardente dove ora si trova. E il gorgoglio cupo, continovo,
+profondo commoveva in tempesta le acque del cratere
+partenopeo.
+</p>
+
+<p>
+Allorchè scoppiò la grande eruzione ed il fumo assunse
+la forma di un pino colossale sull’orizzonte, Plinio, che comandava
+la flotta romana in Miseno, giaceva nel letto e studiava.
+Avvertitone dalla sorella e dal nipote, si levò e salì
+sur un terrazzo elevato per osservar meglio il prodigio. Dotto
+uomo, curò esaminar da vicino la strana catastrofe. Una nave
+leggera è già pronta. Esce di casa colle tavolette nelle mani,
+s’imbarca, quando i <i>classiarii</i>, cioè i soldati della flotta che
+erano in Retina, vengono a pregarlo gli salvi dal grande pericolo.
+Ciò che prima era in lui curiosità di scienziato, divenne
+dovere di capitano. Fa che le quadriremi si apprestino e parte
+verso tutti i borghi della costa onde dar loro soccorso. Nello
+accostarsi a Pompei — ove il pericolo gli parve maggiore — le
+ceneri calde erano più spesse. Il mare rifluiva dalle sponde
+le quali erano inaccessibili pei pezzi interi di montagna di cui
+erano coperte. Il piloto il consigliava di tornare indietro. Cui
+Plinio rispose,
+</p>
+
+<p>
+— <i>Fortes fortuna juvat. Pomponianum pete.</i>&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Or questo Pomponiano era il comandante delle triremi
+che stanziavano in Stabia. E forte impaurito del cataclisma,
+avea fatto trasportare i suoi mobili sulle navi ed attendeva
+un vento meno contrario per levare le ancore. Plinio lo accosta,
+lo abbracciagli fa cuore. E per me’ riescire allo scopo,
+ordina gli apparecchino un bagno. E presolo, cena colle apparenze
+della gaiezza abituale. I fuochi del monte illuminavano
+il triclinio. Gli astanti tremavano, credendo al finimondo.
+</p>
+
+<p>
+— Rassicuratevi, amici. Quelle grandi fiamme vengono
+dalle amene ville che disertate dagli abitatori bruciano, perchè
+senza soccorso.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Quindi si sdraia sul letto e dorme un sonno profondo. Ma,
+finalmente la corte che dava accesso alla sua camera si empie
+sì fattamente di cenere e di pomici che gli avrebbero vietato
+la uscita se più avesse tardato. Lo destano. Esce. E raggiunge
+Pomponiano e gli altri che aveano vegliato. Tengono consiglio.
+<span class="pagenum" id="Page_366">[366]</span>
+Le frequenti scosse del suolo scardinavano la casa dalle
+fondamenta. Fuori, la pioggia dei sassi, quantunque leggeri e
+disseccati dal fuoco, era a temersi. Bilanciati i due pericoli,
+fu deciso di rimanere nella rasa campagna.
+</p>
+
+<p>
+Tutti escono dalla casa. Cuoprono il capo di guanciali,
+tenuti fermi sul mento con legami. Albeggiava. Ma, nel posto
+ov’erano continuava la notte profonda e la più scura di tutte
+le notti, schiarata solo da un gran numero di fiaccole e da
+altri lumi. Si stimò prudente lo accostarsi alla riva per esaminare
+da presso il mare. Le onde erano furiose ed agitate dal
+vento contrario.
+</p>
+
+<p>
+Plinio chiese dell’acqua e bevve due volte. Fece distendere
+un tappeto per terra e vi si assise. Le fiamme si accrebbero.
+E l’odore di zolfo, annunciando il loro avvicinarsi,
+fece che tutti se la dessero a gambe. L’uomo dotto avrebbe
+voluto studiare quello sconvolgimento della natura. Non lo
+potè fare. Ordinò a due servi il sollevassero; chè, obeso era
+di corpo ed asmatico. Ricambia qualche passi. Ma, non può
+correre. Gli esorta dunque a partire e salvarsi. Egli si curva
+e muore. Una nube di zolfo circondandolo, lo avea soffocato.
+</p>
+
+<p>
+E la cenere copiosa, sottile ed oscura cadeva sempre.
+</p>
+
+<p>
+Molti pompeiani si erano salvati dirigendo i passi in sul
+primo scoppiar del flagello verso il porto e le sue adiacenze.
+Quando le acque assorbite dalla forza dell’igne che saliva dal
+centro della terra prosciugarono le sponde, ed il mare rifluì
+impetuosamente lontano, le triremi e le piccole barche si curvarono
+sui fianchi nell’arena. Ognuno incoraggiato dall’altro
+corse sul canale a piede asciutto e come meglio potè, si cacciò
+sulle navi. Oh! la confusione di quello istante! L’uomo
+nei grandi pericoli è egoista. Vi furono padri che disputarono
+ai figli la corda per salir su! Vi furono madri coi lattanti sul
+braccio che niegarono aiuto ai più adulti per salvare l’ultimo
+nato dalle loro viscere! E vecchi cadenti rifiutati! E amanti
+sbracciarsi per far salva la idoleggiata dal loro cuore colla
+perdita dei propri parenti! E donne stendere un remo e tirar
+su con forza non pria creduta lo eroe dei cari entusiasmi, il
+sorriso delle gioie più intime! A ciascuno pareva di avere innanzi
+<span class="pagenum" id="Page_367">[367]</span>
+a sè alcuni secoli a vivere e ne accaparrava le delizie
+ed i redditi. Eh!... Dei secoli avevano sulla persona e sulle
+vesti la polvere che in forma di sottilissima cenere pioveva,
+pioveva sempre!
+</p>
+
+<p>
+Ecco il mare respinto che torna impetuosamente nei suoi
+dominii. I marosi urtano, spingono tutto che trovano sulla
+loro via, uomini e cose. La folla ancor sul canale annega e
+si straccia sotto le carene irrompenti. Alcune barche si sfasciano.
+E le onde feroci nel loro riflusso trascinano confusamente
+la facile preda. — La ferocia del mare è una verità!
+È la passione alle prese colle sue vittime. Vedi montagne
+mobili e colline di acqua che si urtano insieme e si spezzano
+con alto fracasso. Ora i cavalloni spumosi e fosforeggianti levavano
+i triremi, i rottami e i cadaveri sull’erta di un’Alpe.
+Ora scaraventavano tutto per la china nella valle profonda.
+Ora nello ascendere accadeva uno scontro; e tra gli spruzzi
+e le ondate sonore, il misero schifo affondava nello abisso e
+la più grossa nave trovava la via dello scampo. E dentro?...
+Oh! Dentro poi, musica e agrume di vomiti, membra infrante
+ed uomini balzati nelle onde, grida di marinai e pianti
+miaulati di donne, sordi urli del vento, muggiti, fischi, spettacolo
+di morte!
+</p>
+
+<p>
+Alcuni che si avviavano al porto, alla vista di quello esterminio
+rischiarato dalle grandi fiamme del monte, se ne ritrassero
+impauriti e corsero a salvarsi sulla collina ove si
+costruiva un tempio dedicato ad Augusto.
+</p>
+
+<p>
+Il vecchio Svedio era nel numero. I servi, i clienti, gli
+adulatori nello istante del supremo pericolo lo avevano lasciato
+solo. Adiposo e grave, aiutato da qualche passante superò gli
+ostacoli sulla larga via delle fontane di Pallade e dell’Abbondanza.
+Riprese fiato sotto la volta della porta della Marina.
+E poi, in su cogli altri. Pensava fra sè che i suoi giorni erano
+contati e che ben presto il suo cuore cesserebbe di tormentarlo.
+Si assise dietro un muro sul capitello di una colonna
+ed attese i decreti del Fato. Corsi alcuni momenti, gli accenti
+desolati di una fanciulla lo volsero alla parte d’onde
+venivano. La chiamò e la invitò a sedergli accanto.
+</p>
+
+<p>
+— O chiunque tu sia, ho paura.... Tieni, dammi la promessa
+<span class="pagenum" id="Page_368">[368]</span>
+di non farmi morir sola. I miei, morti, o salvati. Era
+con essi.... e disparvero.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+E piangeva e singhiozzava disperatamente.
+</p>
+
+<p>
+— Infelice! Non morrai. Dove io andrò, e tu verrai, o
+misera.
+</p>
+
+<p>
+— Ma nell’Erebo no, sai? I miei genitori dicevano che colà
+vi è qualche cosa migliore della vita. Ma... in questo istante
+supremo in cui lo spirito trionfa, il sangue mi dice di non
+andare, la gioventù mi ritiene.... la partenza dal mondo mi
+sembra sinistra.... E poi colà abitano i numi.... crudeli... spietati.
+</p>
+
+<p>
+— Gli dei ti ascoltano ed avranno pietà di una innocente.
+Io ebbi aspirazioni diverse da quelle che or provo. Ora io desidero
+semplicemente, sinceramente di vivere per aiutarti.
+Cessa dal piangere i tuoi. Tu diverrai la mia figliuola, la consolazione
+del vecchio Svedio nell’Urbe, se....
+</p>
+
+<p>
+Uno scroscio immenso gli troncò le affettuose parole sul
+labbro. La bambina si chiuse nelle sue braccia e mormorò
+sull’ampio suo petto:
+</p>
+
+<p>
+— Ecco, ecco la morte.... colla sua falce assetata!.... O
+madre mia!
+</p>
+
+<p>
+— Quei che t’amano.... o che ti amarono ti raggiungeranno....
+o ci accoglieranno negli Elisi.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+Un’onda di cenere li circondò, li coprì, li tolse dallo
+sguardo dei fulmini che solcavano l’aria. E il dialogo di due
+cuori, l’uno sconosciuto e l’altro illustre, fu rotto per sempre.
+</p>
+
+<p>
+Poco discosto dal gran giustiziero avea trovato mezz’ora
+innanzi rifugio Quinto Lepta, lo antico amante di Byrrhia, la
+vedova consolata del duumviro Aulo Vezio. Appoggialo al
+muro laterale della Basilica, teneva stretta sul petto una donna
+cui baciava convulsivamente la fronte e i capelli. Tra i dolci
+nomi ch’ei proferiva nel suo dolore udivasi mormorare Amaredia....
+E Byrrhia? La soave creatura aveva vissuto la stagion
+delle rose, ed un giorno partì per riabbracciare nel Tartaro
+l’ombra tradita del coniuge suo. — Le tristezze dell’animo
+non duravano a lungo in Pompei. Lepta era in su i quarant’anni.
+E contemplando con una tal quale curiosità in uno
+<i>speculum</i> di argento brunito quel personaggio misterioso ed
+<span class="pagenum" id="Page_369">[369]</span>
+ignoto per ciascuno di noi che addimandasi sè stesso, vide
+alcune rughe ed alcuni fili d’argento che facevano ingiuria
+alle nere sue chiome. Lo amore è la fede. Conveniva legar
+l’uno e l’altra e non perderli. Diede ai suoi occhi quella serie
+di espressioni animate, desiose, attente cui la psiche risponde.
+E Amaredia, della famiglia Rufa, ignara della scienza
+della vita, si avviluppò di quella passione ch’era una <i>stola</i>
+per lei, e lo sposò. Erano allora illuminati dal languido chiarore
+della prima luna.... Quella luce serena doveva ben presto
+offuscarsi! Dopo alcune ore passate in trepidanti smanie,
+in imminenti pericoli, in cui i dolci ricordi si arruffavano
+colle incertezze dello avvenire, Lepta potè trarre in salvo la
+donna, per cui sentiva cara la vita. Ma da una varietà di
+sciagura era caduto in un’altra. Ambedue coi piedi sepolti nei
+lapilli e coperti a metà dalle ceneri che cadevano loro sul
+capo, attendevano in un estremo bacio la morte.
+</p>
+
+<p>
+— <i>Tecum vivere amen. Tecum obeam libens.</i>
+</p>
+
+<p>
+E la bella dai capelli non lucidi e dalle pallide gote accorse
+allo invito. Ed il raggio dello amore immortale gl’irradiò
+coll’aureola dei martiri.
+</p>
+
+<p>
+Il ridestarsi del vulcano dal sopore dei lunghi secoli,
+compiendo l’ultima rovina della mia gentile Pompei, accomunò
+le istesse sorti agli oppidi, ai borghi e alla grande artistica
+città di Herculanum che componevano una graziosa
+ghirlanda ai piedi del Vesvio. Da per tutto il suolo traballò
+come baccante briaco. I sopravvissuti si salvarono per mare
+verso Surrentum, Capreas, Neapolis e Misenum. Il maggior
+numero che prese le vie di terra, le trovò aperte ed eruttanti
+putrido fango; od interrotte in tutte le direzioni dai torrenti
+di acqua assorbita e vomitata dal monte e da alti incendii e
+da vastissime fiamme che in molti punti del vulcano splendevano.
+E tutti morirono. Herculanum restò sepolto sino al tetto
+dei secondi piani dei suoi nobili edifizi da un cumulo di acqua
+e di ceneri, or divenuto tufo assai duro, e poi, per una assai
+maggiore altezza dalla pioggia ulteriore delle ceneri, dei sassi
+e delle pomici sciolte.
+</p>
+
+<p>
+Plinio il giovane, nipote dello ammiraglio, ch’era rimasto
+colla madre in Misenum per ordine dello zio, descrisse a
+<span class="pagenum" id="Page_370">[370]</span>
+Cornelio Tacito ciò che avveniva nel luogo ov’era, il dì poi
+della catastrofe. Cotesto frammento di lettera s’innesta di
+per sè sulle pagine precedenti.
+</p>
+
+<p>
+«.... Era la prima ora del giorno, e ancor non appariva
+che un debole chiarore, pari al crepuscolo. Allora le
+case furono disordinate da sì forti scosse che non fu più sicuro
+lo stare in un luogo per verità scoperto, ma molto
+stretto. Risolvemmo di lasciar l’oppido; il popolo spaventato
+ci siegue in folla, ci attornia, ci spinge. E scambiando
+la paura in prudenza, ciascuno modella la propria sicurezza
+su quella degli altri. Esciti dallo abitato, ci fermiamo. E là,
+nuovi prodigi, nuovi sgomenti. I veicoli che avevamo con
+noi erano ad ogni istante agitati, quantunque in rasa campagna;
+e non si poteva neppure collo aiuto di grosse pietre
+fermarli nel posto. Il mare, parea, si rovesciasse sopra sè
+stesso, come fosse cacciato via dalla sponda dal moto della
+terra. E nel vero, la riva erasi fatta più larga, e sulle sabbie
+erano diversi pesci rimasti a secco. D’altro lato, una
+nugola nera ed orribile, squarciata da fuochi che si slanciavano
+serpeggiando, mettea fuori lunghi razzi simili a lampi,
+ma di questi più grandi. Nell’atto un amico di mio zio, venuto
+allora allora di Spagna, tornò per la seconda volta ad insistere:
+</p>
+
+<p>
+» — Se il fratel vostro, se il vostro zio è ancor vivo, si
+augura al certo che voi vi salviate. Se gli è morto, volle
+che a lui sopravviviate. Che più attendete? Perchè non
+scampate?&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+»Noi gli rispondemmo;
+</p>
+
+<p>
+» — Non possiamo pensare alla nostra salute finchè saremo
+mal certi della sorte di Plinio.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+» Lo Spagnuolo senza ritardo cercò lo scampo in una
+fuga precipitata. Quasi subito la nube cade a terra e cuopre
+il mare. Ci nasconde l’isola di Capreas che avviluppava
+e ci fa perdere di vista il promontorio di Misenum. Mia madre
+mi prega, mi scongiura, mi ordina di salvarmi come
+che sia. Io il posso alla mia età. Non essa, carica d’anni
+com’è e grave di forme. La morrebbe contenta se non mi
+fosse cagione di morte. Or io le dichiaro che non v’ha
+<span class="pagenum" id="Page_371">[371]</span>
+salute per me senza lei. Le prendo la mano e la forzo ad accompagnarmi.
+Lo fa con pena e si rimprovera di ritardare
+i miei passi. La cenere ci cadeva addosso quantunque in
+piccola quantità. Volgo il capo e veggo dietro di noi uno
+spesso fumo che ci segue e si spande sulla terra come un
+torrente. Dico a mia madre:
+</p>
+
+<p>
+» — Finchè luce, lasciamo la grande strada per tema che
+la folla inseguente non ci soffoghi nelle tenebre.&nbsp;—
+</p>
+
+<p>
+»A mala pena eravamci scostati, la oscurità divenne sì
+fitta, come non già in una notte fosca e senza luna, ma in una
+camera ove tutte le lampade fossero spente. Non avresti udito
+che lamenti di donne, gemiti di fanciulli, grida di uomini.
+L’uno chiamava il padre. L’altro il figliuolo. L’altro, la donna
+sua. E non si riconoscevano che dalle voci. Quale deplorava
+la sua disgrazia. Quale, la sorte dei suoi parenti. Ve n’erano
+persino a cui il timor della morte faceva invocare la morte.
+Molti imploravano il soccorso degli dei. E molti credevano
+non ve ne avesse più. E quella l’ultima ed eterna notte in
+cui il mondo sarebbe sepolto. Eranvene altresì di quelli che
+aumentavano il timore ragionevole e giusto con paure immaginarie
+e chimeriche. E dicevano che in Misenum questo
+è caduto e quello arde. E lo sgomento dava peso alle loro
+menzogne.
+</p>
+
+<p>
+» Apparve alla fine un bagliore che annunciava — non il
+giorno — ma lo approssimarsi del fuoco che ci minacciava;
+si arrestò pertanto lungi da noi. Reddiva la oscurità e la
+pioggia di cenere ricomincia più forte e più spessa. Eravamo
+ridotti a levarci di tempo in tempo e scuotere le vesti;
+senza ciò ci avrebbe coperti e inghiottiti. Posso menar
+vanto che in mezzo a tali pericoli, non dissi verbo, non
+mostrai debolezza. Era sostenuto da quella consolazione
+poco ragionevole — quantunque abituale nell’uomo — il
+credere che tutto lo universo perisse con me. Finalmente
+lo spesso e nero vapore si dissipò, e a poco a poco si perdette
+come fumo o come nuvola. E poi apparve il giorno ed anche
+il sole, giallognolo però come in una ecclissi.
+</p>
+
+<p>
+» Tutto ci parve cangio. E nulla era se non coperto sotto
+monti di cenere come di verno sotto la neve. Torniamo a
+<span class="pagenum" id="Page_372">[372]</span>
+Misenum. Ciascuno vi si aggiusta come può. E noi vi passiamo
+una notte tra il timore e la speranza — lo spavento
+però usurpando la parte maggiore. — Imperocchè il tremuoto
+continovava sempre. Non si vedevano che genti impaurite
+coltivare il proprio sgomento e quello degli altri,
+con sinistri presagi. Non ci venne mai però il pensiero di
+ritirarci finchè non avessimo avuto le novelle dello zio,
+malgrado che fossimo ancora in attenzione di un pericolo
+così tremendo, visto sì da vicino.»
+</p>
+
+<p>
+La catastrofe durò tre giorni. La cenere corse largo spazio.
+Si legge fosse volata in Africa. Certo, i Romani l’ebbero
+sui sette colli e temettero il disordine nei pianeti; cioè, che il
+sole cadesse sulla terra per spegnersi; e la terra salisse nel
+vuoto per incendiarsi. Quando la natura si acquetò, ed il
+mare si fece più calmo, e il disco raggiante potè mostrare il
+suo eterno sorriso a queste desolate contrade, Pomponiano
+tornò su quel posto ove il suo capitano era morto. Plinio era
+disteso sul tappeto in attitudine d’uom che dormisse.
+</p>
+
+<p>
+Gli scampati da Pompei tornarono sul suolo della terra
+natia. Ma, come diversa da quella che era! Una grave mora
+di lapilli e di cenere! Una collina grigiastra d’onde tratto
+tratto sorgeva una colonna infranta, un capitello, un muro
+sporgente e senza forma.... i segni di un cimitero immenso!...
+Morte! Morte parziale però, e meglio una nascita che una
+morte. Il passaggio di larva a crisalide, un seguito di metamorfosi
+al servizio della vita generale. Rapidità. Fissità. Eternità.
+Il fil verde sotto le nevi cadute. — Oh! le lacrime! Oh!
+gli omei di quei miseri! Indarno cercavano su quel piano le
+dimore ov’erano nati, ove giacevano sepolti i cari congiunti,
+ov’erano celati gli oggetti più preziosi e più cari. Alcuni disperati
+grattavano le pomici colle unghie, sperando calmare
+lo schianto dell’anima nel riveder le sembianze morte, quale
+dei figli, qual dell’amante. E nella impotenza si carpivano i
+capelli, si dilaniavano il volto, si stracciavano le vesti. Miseri!
+ahi, miseri!
+</p>
+
+<p>
+I più ricchi, calmata la prima passione, vennero con
+schiavi compri a praticare alcuni pozzi, sostenuti da tavole
+puntellate, per riavere i loro marmi, le loro statue, le loro
+<span class="pagenum" id="Page_373">[373]</span>
+gemme, i loro denari. Cotesto fatto creò una industria di disseppellitori,
+i quali rubarono quanto trovarono. Ed in una
+casa in riparazione nell’atto del cataclisma, piena di marmi
+pregevoli da collocarsi, aggiunsero persin lo epigramma,
+scrivendo colla punta ΔΟΥΜΜΟC ΠΕΡΤΟΥCΑ presso l’uscio,
+dopo averla forata per ogni verso. Quel mestiero da talpe
+fu proficuo a parecchi; chè, ogni casa fu visitata; e particolarmente
+quelle delle agiate famiglie e le botteghe, ove supponevasi
+fosse rimasto il peculio. E fu ad altri letale. I ladri
+isolati, chiusi dalle facili frane dei lapilli, perdettero il respiro
+e la vita ed il sepolcro servì loro di carcere.
+</p>
+
+<p>
+Tito Vespasiano trasse per sorte dal numero dei cittadini
+consolari i procuratori per dar ordine agli inconvenienti occorsi
+e con molta pecunia soccorrere le popolazioni del littorale,
+prive delle loro case e dei loro campi. Nella mente di
+Cesare era il pensiero di sgomberare lo abitato e di ricostruirlo
+come in antico; ed i beni di quelli ch’erano stati oppressi
+dallo straordinario incendio e dal più straordinario seppellimento — dei
+quali non si ritrovassero gli eredi legittimi — fossero
+assegnati al rifacimento delle cose guaste e delle genti
+afflitte. Ma, i dignitarii, esaminati i luoghi sotto il vulcano
+che potea un dì o l’altro ricominciar la catastrofe, stimarono
+che la ingente spesa la sarebbe perduta. Lo imperatore non
+vi pensò su più che tanto. Le erbe ben presto germinarono
+sulla collina che copriva Pompei. Le vigne e gli alberi ne
+usurparono il posto a contrasto. Sursero sopra le case dei villici.
+Ai secoli successero i secoli. E le generazioni perdettero
+per sino il ricordo che il suolo dal loro aratro solcato era il
+coperchio di una nobile tomba.
+</p>
+
+<p>
+L’uomo è fatto così. Facilmente è distratto ed oblia.
+</p>
+
+<p>
+Aveva dieciotto anni quando venni la prima volta a visitare
+la dissepolta città. Vi tornai più tardi per Garibaldi e con
+Garibaldi. Il suo aspetto ebbe sempre per me qualche cosa di
+attraente, di fuggevole, di misterioso che attizza potentemente
+le fiamme del cuore. A furia di contemplare con riverente
+affetto le dirute cose io finii per disvelare secreti che i molti
+non vedono. E qui provo rivelazioni inattese e faccio conoscenze
+gradite che tanto piacciono all’anima mia.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_374">[374]</span>
+</p>
+
+<p>
+Dopo il discoprimento di Pompei molte parole furono dette
+sopra il suo funebre lenzuolo e sulle rotte e vaghe sue membra.
+La fredda temperie del sepolcro le ha tutte diacciate.
+Le pagine che ho scritto conserveranno forse un po’ di calore
+nello amato cadavere. Io raccolsi il sangue delle ferite ond’essa
+morì. Feci tesoro dei suoi aneliti estremi. Afferrai la
+parte taciuta della sua vita, e l’ho rivelata ai pietosi che gitteranno
+lo sguardo su queste povere carte.
+</p>
+
+<p class="pad2 center large">
+FINE.
+</p>
+
+<hr class="silver">
+
+<div class="somm">
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_375">[375]</span>
+</p>
+
+<h2><a id="indice" href="#indfront">
+INDICE DEL VOLUME.</a></h2>
+
+<table class="indice">
+ <tr>
+ <td colspan="2"><span class="smcap">Due parole su questa seconda edizione</span></td> <td class="pag"><a href="#prefazione">Pag. 1</a></td>
+ </tr>
+ <tr>
+ <td colspan="3">&#160;</td>
+ </tr>
+ <tr>
+ <td class="cap">I.</td> <td><span class="smcap">I Templi.</span> Scene religiose in Pompei. — (Anni di Roma 673. — Anni avanti il Cristo 84)</td> <td class="pag"><a href="#cap1">3</a></td>
+ </tr>
+ <tr>
+ <td class="cap">II.</td> <td><span class="smcap">La Campagna.</span> Scene della vita rustica. (Anni di Roma 695. — Anni avanti il Cristo 59)</td> <td class="pag"><a href="#cap2">25</a></td>
+ </tr>
+ <tr>
+ <td class="cap">III.</td> <td><span class="smcap">Il Foro.</span> La elezione dei Magistrati in Pompei. — (Anni di Roma 705. — Anni avanti il Cristo 49)</td> <td class="pag"><a href="#cap3">47</a></td>
+ </tr>
+ <tr>
+ <td class="cap">IV.</td> <td><span class="smcap">La Strada.</span> Scene diurne in Pompei. — (Anni di Roma 767. — Anni del Cristo 44)</td> <td class="pag"><a href="#cap4">75</a></td>
+ </tr>
+ <tr>
+ <td class="cap">V.</td> <td><span class="smcap">La Basilica.</span> Una condanna a morte. — (Anni di Roma 770. — Anni del Cristo 17)</td> <td class="pag"><a href="#cap5">99</a></td>
+ </tr>
+ <tr>
+ <td class="cap">VI.</td> <td><span class="smcap">La Necropoli.</span> Scene di funerali. — (Anni di Roma 779. — Anni del Cristo 26)</td> <td class="pag"><a href="#cap6">125</a></td>
+ </tr>
+ <tr>
+ <td class="cap">VII.</td> <td><span class="smcap">I Teatri.</span> Scene di distrazione. — (Anni di Roma 812. — Anni del Cristo 59)</td> <td class="pag"><a href="#cap7">147</a></td>
+ </tr>
+ <tr>
+ <td class="cap">VIII.</td> <td><span class="smcap">La Strada.</span> Scene notturne in Pompei. — (Anni di Roma 825. — Anni del Cristo 72)</td> <td class="pag"><a href="#cap8">177</a></td>
+ </tr>
+ <tr>
+ <td class="cap">IX.</td> <td><span class="smcap">Venvs Physica.</span> Scene del cuore. — (Anni di Roma 826. — Anni del Cristo 73)</td> <td class="pag"><a href="#cap9">201</a></td>
+ </tr>
+ <tr>
+ <td class="cap">X.</td> <td><span class="smcap">Il Cataclisma.</span> Scene del novissimo giorno. — (Anni di Roma 832. — Anni del Cristo 79)</td> <td class="pag"><a href="#cap10">281</a></td>
+ </tr>
+</table>
+
+<hr>
+</div>
+
+<div class="tnote">
+<p class="tntitle">
+Nota del Trascrittore
+</p>
+
+<p>
+Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione
+minimi errori tipografici.
+</p>
+
+<p>
+Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.
+</p>
+</div>
+
+<div style='text-align:center'>*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK 76652 ***</div>
+</body>
+</html>
+
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