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Nè ancor paga, cotesta fata benefica raccoglie nel vasto +carnaio una infinità di oggetti svariati e belli, coperti dalla polvere +dell’obblio, e gli restituisce a quelli che un giorno li maneggiarono. +Quindi, sorretta dal suo fine criterio e dai consigli di una illustre +sorella, rifà vivi uomini e cose dinanzi alla riscossa e curiosa +fantasia. + +Le due parenti — l’Archeologia e la Storia — a me soccorsero nell’arduo +tentativo di questo nuovo genere di letteratura italiana che per la +seconda volta offro ai lettori. Le iscrizioni graffite e i ruderi +eloquenti operarono il resto. + +Le varie epoche dei racconti sono istoriche. Istorici i nomi di quei +che parlano e agiscono, possibilmente e quasi sempre collocati sulla +scena che loro fu propria. Molte frasi ch’escono da quelle bocche le +deciferai sulle pareti, mute per dieciotto secoli. + +Ho abitato, dì e notte, per cinque mesi continovi la città dei morti. +Ed i morti risposero alle mie premurose e studiate evocazioni. + +Al pari degli antichi artisti di sangue pelasgo-italiota non lavorai +pei ricchi o per piacere ai potenti, sì, pel Dio unico, per la Libertà, +per la Patria. + + _Di Pompei, ai 25 marzo 1865_ + + C. AUG. VECCHJ. + + + + +I TEMPLI. + +SCENE RELIGIOSE IN POMPEI. + +=Anni di Roma 673 — Anni avanti il Cristo 81.= + + + AL MINISTRO DEI CULTI IN ITALIA + + GIUSEPPE PISANELLI. + + I. + + +La notte volge alla metà del suo corso. Erano gli ultimi giorni di +febbraio. Soffiava lo scirocco, uno di quei venti caldi ed umidi che +sopraccaricano il corpo di fatica e l’anima di eccitazione. — Sul +firmamento non una stella. — Al basso udivasi il fragore monotono e +cupo che fa il mare agitato rompendosi con impeto sugli scogli e sui +ciottoli rotondati. Anche la terra sembrava sprofondata nella tristezza +temporanea di quelle regioni scosse e rimbalzanti sovente dai gassi +sotterranei dell’igne eterno. — Genti meno preoccupate di quelle cui +si parava dinanzi un simile quadro non avrebbero potuto non esserne +impensierite. + +Due uomini camminavano l’uno accanto dell’altro. Non parlavano. Esciti +dalla porta occidentale che menava ad Herculanum, costeggiarono le +mura a dritta sulla via per cui si andava a Sarnus, senza traversare +Pompei. E non le lasciarono che nello avviarsi per una strada male +incassata che menava sulla collina. In una rivolta, uno di essi battè +il ferro sur un pezzo di silice, bruciò un poco di amianto inzolfato +sull’esca ed accese una lanterna di bronzo senza coperchio. Egli era +vestito di una trabea di porpora con fasce di scarlatto. — I capelli +già grigi lasciavano scoperta la sua energica fronte, illuminata da un +occhio solo. Ma quell’unico, e le labbra sottili, e il naso aquilino, +e la fredda impassibilità del viso accentuato, facevano chiara, in un +destro osservatore, la furberia della mente e la impudenza del cuore. +— L’altro era un uomo in sui cinquant’anni: di quegli esseri dalle +gote infossate e di colore olivastro, dallo sguardo ora spento, ora +eccitato, a seconda della passione unica che or desta consolazioni, +ora dubbi, ora timori. Aveva sul capo un piccolo berretto di lana +bianca, ed uno scuro mantello coprivagli la persona. Poco sensibile +al disonore e alla infamia, tutti i mezzi gli erano sembrati onesti +per formarsi un peculio e riscattare la sua libertà: prostituzione, +ladronecci, complicità alle abbominazioni del padrone, usure. Egli +chiamavasi Pothus. — Ma siccome era stato schiavo di M. Plazio, +rimase pur schiavo dell’uso, che voleva il nome dello antico padrone +precedesse il suo proprio. Laonde nel sigillo con cui marcava ogni sua +cosa era scritto: PLATIUS POTHVS. — Esercitava la mercatura. Vendeva +stoffe che faceva venire di Taranto e dall’Oriente. Egli riceveva merci +dalle città commercianti della Campania, e specialmente da Nola, da +Acerra e da Nocera, e le spediva lontano. — Ora a lui premeva, pria di +spedire un grosso carico in Egitto, saperne la fortuna, interrogandone +un aruspice. Erasi pertanto indirizzato a Taranis, e questi gli aveva +indicato l’ora ed il luogo nel _pomærium_, sopra un posto elevato, per +cercare gli auspicii. + +Cotesta geldra d’impostori non apparteneva a nessun collegio dei +sacerdoti latini, nè ad alcuna gerarchia religiosa. La impudenza gli +aveva cacciati innanzi. La stupidezza gli aveva accolti. Lo interesse +pauroso li carezzava. — Essi avevano doppie funzioni: predicevano +lo avvenire studiando gli avvenimenti anteriori od i fenomeni, o ne +chiedevano la rivelazione alle viscere delle vittime. Oltre a ciò +spandevano nel volgo le novelle più strane ed incredibili... e forse +per ciò credute. Furono gli aruspici che inventarono i sacrifizi +umani — e la frottola delle pioggie di latte, di sangue e di mattoni +cotti — e le statue degli Dei che sudavano — e le lagrime sgorgate +dagli occhi di Vesta — e le case cangianti di posto — e un lupo che +sguaina una daga — e un bue che parla — e i galli divenuti galline +e le galline galli — e il cielo macchiato di sangue — e la luna +triplice nel firmamento — e il sole apparso di notte — e le torce +ardenti traversanti lo spazio — ed altre fandonie da mercato a queste +simiglianti. — Essi venivano dall’Etruria ed erano ricerchi come quelli +che sapevano l’arte della osservazione, della interpretazione e della +congiurazione. + +E il popolo li pagava e li teneva grassi e gaudenti. — Ma quando +incontravansi e si narravano a vicenda le cose occorse e la bestialità +del popolo che credeva alle loro menzogne, e la doppiezza dei +magistrati che fingevano di prestar fede alle loro predizioni, e la +ipocrisia dei generali che facevan loro sparare i polli per sapere pria +di rompere sull’inimico le sorti della battaglia, e’ si sbellicavano +dalle risa e scherzavano sull’Olimpo che essi ed i sacerdoti di ogni +culto avevano popolato colle incarnazioni di tutti i bisogni della +terra, e propiziavano alla umana paura che non si stancherebbe mai di +offerire il grosso contingente alla malizia degl’impostori — cangino +pur essi il nome col succedersi dei secoli. + +I due erano giunti là dove volevano. Sotto i loro piedi posava il +sobborgo Felice colla doppia fila di sepolcreti. — Taranis fece sedere +lo affrancato sopra una pietra colla faccia rivolta al mare — cioè +a mezzodì — ed egli rimase in piedi a sinistra colla testa coperta. +L’impostore diresse una preghiera agli dei che insultava cogli atti, si +girò verso l’Oriente e col _lituus_ — piccolo bastone senza nodi, dalla +punta ricurva — divise il cielo in diverse regioni — che addimandavansi +_templa_ nel gergo di quei ghiottoni — e fissò un punto lontano dove +l’occhio giungeva. — Quindi, passato il bastone augurale nella mano +manca, posò la destra sul capo del liberto di Plazio, sempre velato. — +E, + +— _Jupiter pater, si est fas_, se il destino permette che cotesto +Plazio Pothus, di cui tocco la testa, abbia fortuna nel commercio che +imprende, invia a noi segni certi della tua volontà _inter eos fines +quos feci_, nei templi che ho tracciato nell’orizzonte. — + +Nel firmamento alcun segno. — Lo scirocco aveva annuvolato il cielo, e +perciò nessuna stella brillava per poter dire a quel gianfrullone nello +scoprirgli gli occhi: + +— Guarda! In quell’astro sta il lieto destino che il padre della natura +ti annuncia per mezzo del suo umile servo. — + +Ambidue stettero alcun tempo nella più completa immobilità. Quindi +l’aruspice brontolò, crollando il capo: + +— Nulla!... Almeno avessimo portato gli _oscines_ od i _præpetes_, gli +uccelli che dicono col volo, col becco o col canto. A domani..... o, se +vuoi, ora, in tua casa. + +— Andiamo — + +ripetè l’altro, levandosi e gittando un grosso sospiro: + +— E sapremo dai polli quello che il sommo Giove non volle +annunciarci. — + +Discesero. — Passarono a fianco di una tomba isolata; e, + +— Sono Taranis, di Volaterra, in Etruria. — + +E mostrò il lituo al soldato che, escito dalla _ædicula_ a diritta +presso la porta della città, veniva loro incontro per sapere chi +fossero. + +Entrati nella via Domizia, si fermarono in faccia alla cisterna +pubblica, destinata a supplire alle fontane quando per soverchio di +siccità l’acqua mancasse. + +E salito l’opposto margine, entrarono nella casa, costruita sulle +antiche mura e declinantesi per via di terrazzi sino al mare. +Traversarono l’atrio, discesero una scala, ed eccoli in una stanza +inferiore illuminata da due lampade di bronzo. Uno schiavo vegliante +aveva ricevuto un ordine. — La voce stridente dei polli, sorpresi nel +sonno, chiarì quale ei si fosse. — La gabbia fu posata sul mosaico. Il +prete etrusco le pose dinanzi l’_offa pultis_, sminuzzando la pasta +nella mangiatoia. Da principio i gallinacei parea rifiutassero la +offerta. — Erano impauriti, agitati e guardavano i lumi. Ma quando si +avvidero del perchè erano stati svegliati, si gettarono furiosi su quei +pezzi di carne, di farina e di cacio, facendo tripudio. + +— _Pascuntur_. — Lieto augurio. — _Tripudium solistimum_. Le ali si +aprono con giubilo. Tu ottenesti lieto presagio..... Ma se tu vuoi +l’_animalis hostia_, io son pronto a leggere la predizione sulla +vittima immolata. — Consenti a pagare la offerta agli Dei? — + +L’altro estrasse dal seno una borsa di pelle e l’aperse. E l’aruspice +— che dalla fisonomia, dalle parole e dagli atti potrebbe facilmente +parere un nostro contemporaneo — gittatovi sopra l’avido sguardo e la +mano, contò. + +— Cinquanta.... centoventi e cinque — cento venticinque danari +— _Medium sestertium_. — Sta bene. — Gli è quel che ci vuole per +allontanare il _prodigium_, cioè lo avvenimento sinistro. — + +E tratto un coltello vittimario, tolse la vita ad un pollo e lo sparò. +Strappò dal corpo il cuor palpitante, il fegato, il polmone ed il +fiele; e postili sulla tavola, disse: + +— Ecco dinanzi ai tuoi occhi _pars inimici et pars familiaris_ — +quella che concerne coloro che possono contrariare i tuoi commerci e +quella che te risguarda.... — Oh! il fegato ha due lobi. — È eccellente +presagio. — Anzi, vedi, si ripiega in dentro a partire dal basso della +fibra. Ciò vuol dinotare grandezza e felicità. — Il cuore spande sangue +vermiglio. Il grasso è sulla punta dei visceri — Le vene, nè livide, nè +tese. — Fa partire le navi; chè i venti lor saranno propizi. — + +Pothus a quei nunci rideva convulsivamente e stringeva i pugni quasi vi +avesse afferrato i grossi lucri predetti da quell’impostore. Il quale, +tracannato d’un fiato un grosso calice di _merum vetus_ che il mercante +volle mescergli da una piccola anfora, strinse la mano al gaglioffo, e, +salito al piano superiore, partì. + +I sacerdoti non mai satolli, collo esagerare il sentimento religioso +— che è uno istinto della umanità — o collo intenderlo malamente, +spinsero i timorati a passar la giornata in preghiere ed in sacrifici +per ottenere che i loro figliuoli loro sopravvivessero — _superstites +essent_. — Onde questi furono chiamati superstiziosi; e quelli +decaddero prima dalla stima dei filosofi e poi dalla credulità del +popolo che leggeva nei loro vizi la inutile loro missione, nelle +loro parole la mala fede, nei loro atti il mendacio. Da principio +la vittima offerta era intera bruciata sull’ara del nume; ed il +mele ed i vini squisiti crepitavano sulle brage. — Ma i ghiottoni e +gli avari cominciarono a farsi casuisti. E pensarono che — gl’Iddii +respirando solamente l’odore delle vittime — bastava farne rosolar +dalle fiamme la testa ed i piedi — _pars Deorum_ — e serbare le parti +delicate e carnose al festino dei loro triclini, le quali chiamarono +_polluctum_ dal verbo _pollucere_ che significa consacrare. Più tardi +— incoraggiati dalla stupidezza degli uomini che guardavano e non +vedevano — propagarono la novella, aver ottenuto da Giove che la parte +degli Dei sarebbero le ossa. E le carni devolute ai sacerdoti. — E +quando erano esuberanti, le mandarono ai questori del tesoro che le +facevano vendere a profitto dello erario. Fattisi ricchi e delicati, +non vollero più insudiciarsi nel sangue come beccai, e tolsero a loro +servigio i _popes_, vittimari che compirono la loro bisogna. E una +parte del _polluctum_ la dispensarono alle amiche devote — che ai +nostri tempi vestono da monache o in abito pinzochero — e l’altra più +grossolana ai loro sacrestani che la vendevano ai tavernai. + +Avanti di uccidere l’animale, il sacerdote gli gittava sul capo un +pizzico di farina mescolata col sale. — Se la bestia non si ritraeva +impaurita, dichiaravasi acconcia al sacrificio. — Comprendesi +facilmente che la spaventavano se la fosse magra e non di loro gusto. +— La ceremonia dicevasi _immolatio_ da _mola_, la pietra conforme +con cui macinavasi il grano, il più stimabile dei beni. Ed il sale +impiegavasi nel rito come simbolo della purezza dell’anima. Le +libazioni le facevano col vino di una vigna potata. — E pur domandavano +all’offerente se il fulmine fosse mai caduto nella cantina od un uomo +appiccatosi sul ramo di un albero vicino. + +Il primo omaggio di vino o d’incenso era propiziato a Giano, il +portiere del cielo, affinchè facesse giungere la preghiera a quello +fra gli Dei che volevasi invocare. Il vino si versava con un simpulo +a goccia a goccia sul fuoco; e l’olio ad onde perchè ardesse senza far +puzzo. + +Gl’Iddii maggiori erano dodici. — Giove, il re dell’Olimpo, cui +sacrificavasi il bue bianco o maculato. — Giunone, sorella e moglie +sua, cui s’immolava una vacca. — A Minerva lo stesso animale. E a +queste sole vittime si doravano le corna. — Vesta, la Deessa del fuoco +eterno, dovevasi contentare del sacrificio bene involontario che sei +donne le facevano della loro verginità; sterile come la natura del +fuoco che alimentavano continuo sull’ara; il quale era emanazione +celeste, perchè ogni anno alle calende di marzo lo si faceva accendere +dal sole col mezzo di un vaso metallico concavo, di forma conica +rettangola. Quelle misere erano le guardiane degli Dei particolari del +popolo romano e sopratutto del Palladio, da cui dipendevano le sorti +liete della grande Repubblica. — A Cerere, Dea delle biade, si uccideva +una scrofa, perchè distruggitrice delle mietiture. — Nettuno, Dio del +mare — Apollo, della musica, della poesia e della medicina — e Marte, +della guerra, erano i soli cui potesse offerirsi un toro bianco. — +A Venere, la Iddia dell’amore e della bellezza, si davano colombe. — +Mercurio, Dio della eloquenza e del commercio, prendeva tutto. — Diana, +Dea della caccia e delle Foreste, facevasi contenta col dono di una +cerva. — Plutone, lo affummicato rettore del Tartaro, chiedeva capri, +becchi e tori neri. — Queste dodici divinità erano chiamate consentes, +perchè formavano il consiglio supremo del Fato, potenza costituzionale +dai poteri limitati e corretti dalle varie passioni umane che +s’indiavano attorno al suo trono temuto. + +Lo appetito viene mangiando. — Laonde gli uomini antichi non si +tennero beati e soddisfatti di un re e del suo ministero. Vollero +altresì il corpo legislativo, composto dapprima dagli Dei scelti, +come Saturno, che rappresentò il tempo; — Giano, l’annata; Rea, la +Deessa della terra; — Bacco, il Dio del vino; — Vulcano, del fuoco; — +Febo, dell’astro vivificatore; — la Luna, la patrona degli amanti; — +e il Genio, che presiedeva alle opere degli umani. — Quindi spedirono +al parlamento i piccoli Dii, cioè: i semones, gli uomini deificati — +Ercole; Castore e Polluce; Enea; Romolo; Pane; Fauno; Silvano; Palete, +Iddia del gregge; Vertunno, delle stagioni; Pomona, dei giardini e dei +prati; Flora, dei fiori; Termine, dei termini; Robigo, della ruggine; +Fascino, dei sortilegi; Averrunco, che allontana le calamità; Vacuna, +patrona degl’infingardi e del riposo; Laverna, dei ladri; Mefite, del +puzzo; Cloacina, dei luoghi immondi; Imene, del matrimonio. — Tutte +le ninfe dei boschi, delle fontane, delle montagne, dei fiumi, del +mare partirono anch’esse. Nè i giudici dello inferno le lasciarono +andar sole; e tanto più che le videro accompagnate dalla Pietà, dal +Pudore, dalla Fede, e.... dalla Speranza. La Febbre corse lor dietro. +— E le madri impaurite pei cari figliuoli, elessero, senza bisogno +di ballottaggio, Vitunno che ministra ad essi il soffio della vita; +— Sentino, che dà il sentimento; — Presa e Postverta, che gli mette +in buona postura nell’utero; — Ops li soccorre; — Vaticano loro apre +la bocca e li fa vagire; — Rumina che gl’inspira a suggere il latte +dal seno materno; — Potina gli consiglia a bere; — Educa, a mangiare; +— Cunina veglia presso la culla; — Ageronia è attenta a tutti i loro +movimenti. — Nè questi bastando al genio affettuoso delle madri, esse +ne nominarono altri per acclamazione. E furono Juventas che accompagna +il figliuolo già grande; — Barbato, che gli adorna il mento di peli; +— Stimula, che il punzecchia di desiderii; — Volupia, necessaria +alla generazione; — Numeria, gli dà la scienza dei numeri; — Camena, +gl’insegna il canto; — Strenua, lo rende un eroe; — Consus, gl’inspira +nobili consigli; — e Jugatinus presiede al suo matrimonio. + +Quando i sacerdoti si avvidero che il Fato — inviolabile — non parlava; +— e il gran consiglio — responsabile — non facea motto; — e i _semones_ +in nome dei loro uffici parea che convalidassero senza opposizione la +scelta delle deità, fatta nei collegi elettorali degli uomini, senza +votarsi il capo nei riguardi legali, ne crearono essi, di proprio moto, +per alzata e seduta; e non fu cosa sulla terra di cui non mandassero +il rappresentante negli stalli del parlamento celeste. — I gloriosi +avi nostri carezzarono quelle sacre fandonie, perchè necessarie ad +infrenare il popolo ignorante, riottoso e spavaldo, ch’essi volevano +condurre al dominio del mondo. E quando i numi fur troppi, gli divisero +in _ordo et populus_, cioè in _Dii majorum gentium_ ed in _Dii minorum +gentium_. — Ma venne un giorno in cui si stancarono di quella docilità +dimostrata e parlarono e scrissero del Dio unico e lo confessarono +morendo. — D’allora in poi, a poco a poco, i deputati delle umane +sciocchezze disertarono l’olimpico Parlamento, che fu riempiuto +dall’occhio incommensurabile della ragione. Le loro statue le abbiam +nei Musei, nei giardini, nelle pubbliche piazze. — Un altro Olimpo pur +sorse — sul calco di quello antico — meno poetico, molto ridicolo e +troppo triviale. Fu popoloso in secoli d’ignoranza, in tempi di fine +ipocrisia, e nei giorni lunghi della tirannia dello spirito. — Di lassù +venivano i fulmini per punire i peccati degli uomini. E l’uomo afferrò +quel fulmine, lo chiuse in una macchina e lo fece il fattorino dei suoi +pensieri. — Di lassù venivano le febbri, il vaiuolo, gli stravasi di +sangue e tutti i guasti della fragile natura umana. E l’uomo studiò +la medecina e la farmacopea, inventò strumenti chirurgici, ed i morbi +furono domati. — Di lassù venivano i venti furiosi che inabissavano +le navi o le mandavano erranti a genio dei loro soffi. E l’uomo +inventò la bussola ed un meccanismo che rende inutile lo sforzo dei +venti contrari. — Gl’idoli sono tutti già esciti, anche una volta, +dall’Olimpo della ragione. Alcuni vennero nei Musei a far compagnia +ai predecessori. Altri rimangono ancora sugli altari, vergognosi e +raumiliati nel vedere il riso intelligente che destano e la nessuna +pietà di chi gli coltiva. Ei sanno pur troppo che omai seggono sulle +ruine. + +Ora la descrizione di una cerimonia solenne in Pompei. + +Il Flamine-Diale è sul peristilio del tempio di Giove. Ha la testa +coperta di un elmo bianco, sormontato da un breve cono allungato e +cinto da un fiocco di lana, che simboleggia il fulmine nel nume. Veste +la toga pretesta e va di pari coi grandi magistrati. — Non vi ha un +nodo sulle sue vesti che la sacerdotessa sua moglie filò di lana, tessè +e cucì. La calzatura fu tagliata dalla pelle di un animale ucciso. Sul +dito gli splende un anello a giorno ed unito. La consorte gli è presso +e lo assiste. Sacerdoti minori lo attorniano. + +I duumviri, gli edili, i decurioni, i cavalieri salgono la gradinata +del tempio. Nel Foro è il popolo; e, separate dagli uomini — perchè +nulla si opponga alla decenza ed alla gravità della pia cerimonia — +sono le donne adorne delle loro vesti bianche e sfarzose. + +Non canti di allegrezza, ma accenti di sdegno. — Non rendimenti di +grazie, ma suppliche levate al cielo perchè venga allontanato dalla +città di Pompei un crudele disastro, una tremenda sciagura. Un coro di +fanciulli e di vergini cantano in note lamentevoli l’inno del dolore. +— Alcuni soldati e centurioni sono appoggiati ai piedistalli; e, senza +parola, rimangono impassibili spettatori di quella scena. + +Gli è che da tempo Pompædio Silo aveva inalberato lo stendardo della +rivolta nella Marsica; e — tranne Aiserninum e Lucera — tutte le città +adriache e tirrene avevano fatto eco a quel grido di guerra. Roma +invero stancava la Italia. Per estendere la sua potenza, ne esauriva +le ricchezze, ne toglieva i soldati e gli dava compagni d’armi ai +cittadini romani, accordando loro l’unica eguaglianza in faccia alla +morte. Corfinium, piccola terra tra il monte Corno e la Maiella, fu +decretata città capitale degl’Italioti. Capua in un versante degli +Appennini, Asculum Picenum nell’altro, tenevano acceso il fuoco +sacro della libertà e dello affrancamento dall’Urbe. Si combatteva da +parecchi mesi e vincevasi. — Ma Silla aveva preso Stabia per assalto, +ne trucidava i difensori e metteva in fiamme le case e i monumenti. +I Pompeiani vedevano quello strazio dalle loro mura; lo reputarono +presagio della sorte che gli attendeva; decisero animosamente di +difendersi, ed intanto di placare l’ira celeste con una espiazione +solenne, offerendo sacrifizi a Giove, agli Dei maggiori e alle divinità +inferiori e recitando preghiere, dette _obsecrationes_. + +Sotto la gradinata del tempio sono due buoi di manto bianchissimo; +sette vacche ed un toro, grassi tanto che stentano a muoversi. Hanno +le corna dorate, la fronte incoronata di fiori, ed il corpo cinto da +una stola terminante con una frangia. — Un vittimario, nudo sino alla +cintura, e coperti i fianchi da una stoffa di porpora, era presso +ogni bestia, tenendola con una corda che le stringeva il muso e colla +sinistra sosteneva un martello rotondo e a lungo manico che appoggiava +sulla spalla. Taluno impugnava la scure invece del martello. + +Dietro di essi erano i _cultrarii_ ed i _popes_, aventi appeso alla +cintura un grosso astuccio guarnito di parecchi coltelli. Alcuni +fanciulli tenevano un vaso di bronzo con acqua lustrale e nell’altra +mano un aspersorio come una coda di cavallo con manico ornato. Altri, +una cassetta quadrata, piena di farina e di sale, per la consacrazione +delle vittime. Vi erano anche i suonatori di flauto. + +Il Flamine si avanza e discende. — I vicini lo seguono. Dopo i +magistrati vengono i collegi sacerdotali. — Essi erano coronati di rami +di quercia. + +La processione — cui prende parte il popolo tutto — percorre le grandi +vie della città e va verso le XII torri per sempre più animare i +soldati che sono sopra le mura. Quindi il numeroso corteo — compiuto +il giro — si approssima al tempio dalla diritta via della fontana di +Mercurio. — I buoi erano già sul peristilio. — Vi ascesero i sacerdoti +ed i magistrati. Gli altri taciti e pensierosi ristanno. + +Sotto quel portico elevasi lo altare dei sacrifizi: chè non immolavasi +mai nello interno dei templi. Ghirlande di verbena cingono l’ara. Il +Flamine si avanza. — Prende lo incenso dall’_acerra_ ov’era chiuso; +lo spande sul _præfericulum_ e ne volge il fumo alla statua del re +dell’Olimpo. — Quindi liba il vino in onore di Giano. + +Seguìto dai sacerdoti, entra nel tempio e saluta Giove portando la mano +destra alla bocca. Voltosi a manca, fa lo stesso saluto alla porta. +Quando gli altri lo ebbero imitato tutti si assisero nella cella e — +racchiuso il capo nel lembo della toga per evitare distrazioni — ognuno +prega a voce bassa o mentalmente. — Dopo alcuni momenti, il Flamine si +leva, esce dalla edicola e grida alla folla adunata. + +— _Favete linguis._ — + +Raccomandato così il silenzio all’assemblea, si appressa allo altare, +si purifica le mani coll’acqua contenuta in un vaso senza piede, detto +_futilis_, e le asciuga con un tessuto di bianco lino. Allora i popi si +accostarono colle vittime. — Ei le asperse di quell’acqua; gittò sulle +loro teste farina e sale; e disse loro: + +— Sia addoppiato il valor vostro, perchè possiate, o buoi, essere +accetti ai sommi iddii. — + +Impolverò lo altare di farina e di sale; così, i coltelli +sacrificatori. — Spinse quindi leggermente la lama di uno di essi dalla +fronte alla coda. Tagliò un ciuffo dei più lunghi peli tra le corna di +un bue, lo gittò sulle fiamme, e disse, libando altro vino: + +— Sii aumentato per questo vino nuovo. — _Macte hoc vino inferio +esto._ — + +E a ciascuna consacrazione di animale pronunciava il nome di Dio o +della Deessa a cui faceva la oblazione. Così, offerì due buoi a Giove; +due vacche a Giunone; due a Minerva, due alla Iddia della Salute +pubblica; una alla Felicità; ed un toro all’esercito che difendeva il +paese. — Quindi, voltosi al simulacro: + +— O sommo Giove, magnanimo e grande, se tu difendi questo tuo popolo +devoto, se tu ispiri coraggio nei suoi difensori, se tu disperdi il +pericolo che noi tutti circonda, in nome dei collegi sacerdotali qui +uniti, noi ti votiamo due buoi dalle corna dorate. — + +Ed alla celeste sorella e consorte. + +— O Giunone, regina, accetta anche tu la preghiera rivolta al signor +dell’Olimpo. Allora ti offriremo due vacche dalle corna dorate. — + +Così alle altre Iddie. + +Compiuto il rituale, un vittimario a lui si accosta e dice: + +— Posso? — + +E avendone ricevuto l’ordine, scaglia violentemente un colpo di +martello sulla fronte del bue. Questo vacilla sui piedi e cade. — Gli +accoltellatori lo ghermiscono per le corna e gli cacciano l’acuta lama +nel cuore. Il sangue sgorga nella patere di bronzo, gorgoglia e fuma. +Il Flamine ne raccoglie con una patella e lo gitta sullo altare dei +sacrifizi. — I _jecurarii_ aprono il ventre della vittima, e poi che +gli auguri hanno trovato in perfetto stato le viscere, la scuoiano, +la spezzano, e mettono in un solo paniere le gambe ed il cuore che, +impolverati di farina d’orzo, presentano al Flamine. Le fiamme sacre +accolgono la parte del Dio e la consumano. + +Come quel bue, così vengono uccisi, sparati e divisi il toro e +le vacche. — E nell’atto i suonatori di flauto non cessano di far +echeggiar l’aere dei loro fischi acuti e discordanti. + +Il Flamine-Diale terminò la cerimonia con una invocazione a Vesta e +disse agli assistenti: + +— _I licet._ — Voi potete ritirarvi. — + +Allora un sacerdote di Venere se gli accostò e lo richiese: + +— Noi versiamo in grave periglio. La escita dalle mura è impossibile. +E dove ritirarsi? Se Silla entra qui..... e vita e tesori. Tu i cui +capelli e le cui unghie son sacre, non avrai la persona rispettata da +quei crudeli. Tu che hai la porta della casa ornata di lauri; e se un +uom di delitti vi penetra, si è obbligati scioglierlo dalle catene e +gittarle dallo impluvio nella strada. Tu che impedisci uno schiavo +sia fustigato, se giunge ad abbracciare le tue ginocchia,.... di’, +credi tu alla influenza di Giove nello allontanamento dei mali che ci +minacciano? + +Il Flamine guardò fiso il compagno, e veramente non sapea che +rispondere. Era la prima volta che una simile interrogazione veniva +innanzi alla sua mente, in faccia al grave e certo pericolo. Egli era +tal uomo, cui un misterioso sentimento di adorazione fa vedere in un +paesaggio, ove avanza con passo distratto, un tempio che lo ritiene; +il cui orecchio risuona d’ignoti rumori; sorta di musica spirituale +che innonda l’anima di gioia segreta e l’apparecchia a consolanti +apparizioni. Il suo cuore appetiva la pace: ma sentiva il morso del +dubbio nella liturgia che amministrava. Il mondo futuro lo intravedeva +in una nube caliginosa ed oscura; ed avrebbe assai volentieri fatto +sommessione a colui che lo avesse posto sur una via semplice e certa +che nel fondo ha la statua della fede trionfante. + +— Ma se non Giove, e chi? — + +Un sorriso ironico e doloroso sfiorò sulle labbra di Anchario, il +vecchio ministro nel tempio di Venere. Da molti anni e lunghi egli +seguiva i sogni di una fede impossibile con pratiche misteriose. Le +bizzarre confidenze tra la Iddia seduttrice e la carne sedotta erano +le invenzioni furbe della sua mente. Finchè la gioventù e la forza +lo tennero, lo interesse, il lieto vivere e le grossolane delizie +arrestarono la coscienza del vero sulle sue labbra impudiche. Quando +le cose vive partirono da lui sulle ali larghe e fugaci, ei si vide +sprofondato nel vuoto e deposto sur una landa arida e nuda. Siccome +Vulcano, era caduto dall’empireo nella pozzanghera di una fede zoppa e +sciancata. + +— Lo arcano ch’è nei cieli consola la mia tristezza e si fa mio custode +da che mi vidi spostato dal mio antico sostegno. — Giove, Giunone, +Venere, Marte sono i sacri luoghi comuni della vita, e gli sfato. — Un +Dio solo è lassù che la realtà non offende. — + +— Ma credi tu che a noi pensi e provvegga alla nostra salvezza? + +Il canuto pose la mano sul petto e rispose: + +— Io comincio a credere che in noi esista e ci faccia arbitri delle +nostre sorti. — Quando il popolo romano volle, vinse; e non gli Dei +combatterono per lui. — Quando tu, schiavo delle abitudini sociali +di questi tempi, vuoi escire dall’audace immoralità che ne circonda, +sprigiona lo accento eroico del cuore e vincerai ogni disperata +ventura. — Fida in me. — La morte mi fa già i suoi segni e può rendermi +libero da un istante all’altro. Allorchè i nostri soldati e la gioventù +popolana combatteranno sulle mura..... e i Sanniti ci aiutino..... +saremo salvi dalla sventura che ci soprasta. — + +— E gli Dei? — + +— Gli Dei — sgombere le tenebre del nembo ruinoso — gli rivedrai +impassibili sui loro stalli di marmo, innanzi le lampade votive e tra i +vortici del fumo delle pelli bruciate. — + +I due Flamini si divisero. Il più vecchio pareva avesse sedato le +agitazioni del cuore. — Il più giovane si avviò verso la sua casa +costernato e dolente. — Incontrò il popolo che raumiliato dallo +infortunio correva dall’un tempio nell’altro per offerir voti e preci +agli Iddii salvatori. E lo salutavano riverenti, ponendo la mano destra +alla bocca e baciandogli il lembo della toga. Un solo sentimento tutti +occupava — la processione espiatrice. — Drappelli di giovanetti di +ambedue i sessi — _patrimi e matrimi_, perchè nati di sangue equestre +con padri e madri viventi — di forme bellissime, schierati in ordine e +coronati di fiori, cantavano inni sacri. E i magistrati gli seguivano +come lui avevano pur dianzi seguito. — Ma quella turba la vedeva come +fantasmi. Le realtà della vita — preoccupato com’era — pareano lontane +lontane dal suo corpo angosciato. + +Egli abitava in una delle ultime case della via che ha la fontana dalla +testa di Mercurio nel mezzo. Quando udì dalle mura una voce cui molte +rispondono: + +— Soldati, all’armi!.... Ecco Silla colle legioni..... sangue sannita e +greco vi scorre nelle vene. Venere Fisica vi protegga! — Difendete gli +altari, le vostre donne, i vostri figli..... l’onore del nome. — + +Ma le legioni romane non attaccavano la città. — La cavalleria +foraggiava nelle campagne vicine allo Anfiteatro e sollevava un nembo +di polvere sotto le zampe dei cavalli. — E un altro grido ben presto +scoppia dai petti agitati: + +— È Cluvenzio, il generale dei Sanniti che giunge. — Marte gli arrida. +— Viva Vitelia, madre alla patria e ai suoi difensori! — + +Silla si sentì insultato dallo ardir di Cluvenzio. E rapidamente move +innanzi al nemico. Questo riceve l’urto poderoso e lo respinge con +perdita. I Pompeiani escono dalla porta occidentale e da quella di +Sarnus. Il generale romano che aveva rinculato verso il padule — ove +tempo innanzi Cassinio rischiò di essere sconfitto da Spartaco, — +raccoglie i suoi e li caccia alla riscossa. Il combattimento fu lungo +e ostinato. Cluvenzio dovette piegare e ritirarsi. E lo indomani, +avendo ricevuto un soccorso di Galli, profittava della lezione di +audacia offertagli da Silla e ritornava sul campo ove aveva lasciato i +suoi morti. Ma il suo competitore era tetragono in faccia al destino. +Lo accoglie, lo preme nei fianchi, lo mira vacillante, lo siegue, lo +raggiunge presso Nola, sfascia le sue ordinanze e lo uccide. + +Felicemente per Pompei, Silla volea il consolato nell’Urbe. Nè ebbe +l’agio di soffermarsi per castigare i Pompeiani e i loro torpidi numi. +Lo ardente pensiero lo spingeva a Roma per reprimervi la rivolta che +vi aveva eccitato il tribuno P. Sulpicio, alla istigazione di Mario, +suo emulo. Laonde condusse le sue legioni nel paese degli Irpini e nel +Sannio, devastò Capua e non vi lasciò gente viva che la necessaria per +la cultura delle terre. Spedì Publio Silla, suo nipote, a Pompei e lo +pose a capo delle tre coorti di veterani, come corpo di osservazione. +Ordinò che il municipio si convertisse in colonia militare — il che +impediva che la magistratura potesse trattare alleanze politiche e +private senza il permesso di Roma — ed impose un tributo in uomini ed +in pecunia. La colonia s’ebbe due nomi: quello di _Veneria_, desunto +dalla divinità protettrice della città; e l’altro di _Cornelia_, +ritolto dalla illustre famiglia, cui egli apparteneva. I Pompeiani +accettarono. — Non vollero però concedere i diritti di cittadinanza ai +soldati a piedi e a cavallo che formavano le tre coorti. — Il nipote +inalberò. — Accaddero risse, turbolenze, disordini. — Publio venne +richiamato; fu difeso da Cicerone. Quindi assoluto. — Ma i coloni +militari dovettero abitare fuori della città nella parte occidentale. +Si costruì per essi un sobborgo che ebbe nome di _Pagus Felix_ e li +comandò il valoroso generale Ninnio Mulo, di cui Silla aveva stima ben +meritata. + +Cotesti avvenimenti erano giunti in buon punto per una classe di +sacerdoti, i meglio austeri nelle forme, i più destri nel maneggio +della cosa religiosa. Erano i ministri di un culto — e più che di un +culto — di una setta misteriosa sorta sulle sponde del Nilo, da Orfeo +trasportata in Eleusis e dai Greci introdotta in Pompei. Esercitavano +le cerimonie comuni e vi aggiungevano pie frodi ed oracoli meditati +dalla dottrina e dalla prudenza, e maniere gravi e gentili che +incutevano soggezione e rispetto. + +Nel tempio — uno dei più completi e dei più ricchi che fossero +in Pompei — era una edicola isolata — non lungi dallo altare dei +sacrifizi — coperta al di fuori di eleganti bassirilievi di stucco, +rappresentanti Marte e Venere, Mercurio e una ninfa, delfini, genii +ed amori con sacerdotesse e donne che pregano. Al di dentro era la +scala per cui si scendeva in una cripta, ove gl’iniziati ai misteri +— pria di subire le loro prove fisiche e morali — toglievano il bagno +di purificazione. Dietro il santuario stava la grande sala alla quale +cinque porte ad arco concedeano lo accesso. Colà penetravano i soli +iniziati che accomunavano le loro preci, le loro esortazioni, i loro +canti e le loro processioni solenni. Pitture squisite ne decoravano le +pareti. E tutte eran simboli di cose strane ed ignote. + +Sopra il santuario — sollevato dal suolo e disposto nel fondo del +peribolo, circuito da un portico di colonne doriche — posava la statua +della iddia, di bianco marmo, dagli occhi, dalle ciglia e dai capelli +rossi, dal peplo indorato; il cui corpo ignudo era coperto da un +velo finissimo — collantesi sulle membra — e di una leggera tinta di +porpora. Nella mano dritta stringeva un sistro di bronzo, e coll’altra, +distesa lungo la coscia, tenea la chiave regolatrice delle inondazioni +del Nilo, simbolo dell’abbondanza e della fertilità. + +Quella Iddia avea nome Iside — cioè — chi fu, chi è, chi sarà. Nessun +mortale osò levare il velo che copria le sue forme. — Il solo Apuleio +nè parlò a modo di enimma quando scrisse: — «Mi accostai ai limiti +della morte. Calpestando co’ piedi la soglia di Proserpina, ritornai +a traverso ogni elemento. Nel mezzo della notte parvemi che il sole +splendesse di viva luce. E mi trovai in presenza degli Dei supremi ed +infimi e gli adorai da presso.» — Sembra che i misteri isiaci fossero +di tre gradi — la purificazione allo ingresso della tomba — il giudizio +dei morti e la dottrina di una vita futura — la contemplazione del +lume eterno nell’essenziale e nell’universale. — Gl’iniziati subivano +quattro piccole prove e tre grandi. Il sublime segreto doveva essere la +virtù e la saggezza che colla ipocrisia seduceva i profani, col volgo +ingannato domava la forza brutale e tendeva al dominio della terra +colla redenzione dello spirito umano. + +L’oracolo della Iddia aveva tardato a rispondere. Finalmente aveva +detto: + +— «Il popolo compirà la sua missione di giustizia e di carità. E la +città sarà salva. Si presti fede alle mie parole.» — + +Lo aspetto dei sacerdoti non avea nulla di timido e d’incerto. I +loro occhi neri, brillanti sopra i candidi lini che li coprivano +maestosamente, ispiravano una tranquillità profonda che afferrava la +coscienza degli accorsi in folla nel tempio. E quando giunse il nuncio +che il paese era salvo e le bocche entusiaste lo ripeterono in ogni +canto, i doni alla egizia deità furono ricchi e copiosi. E il credito +dei suoi sacerdoti crebbe a cento doppi. + +Dissipate le paure, il popolo — semi-osco, semi-etrusco, semi-greco, +semi-latino, tutto meridionale — si diè alla più grande allegrezza. E +i Luperchi — i Flamini del dio Pane — una gliene prestarono delle più +bizzarre e delle più originali. + +Sui clivi del Vesvius erano caverne grigiastre, di cui le antiche +eruzioni di lava — che non eran più nella memoria degli uomini — +avevano formato le volte ruvide e spugnose. Quivi essi abitavano. +Erano sozzi, selvaggi, brutali, inintelligenti, e vivevano ignudi in +ogni stagione, ed erano in venerazione presso i campagnuoli, perchè +nunciavano i cangiamenti della temperatura, guarivano gli animali e +predicevano i buoni ricolti e i rovesci di pioggia. I villici — omai +salvi dalle scorrerie degli amici e degli inimici — corsero ad essi +e li trovarono russanti nei loro spechi sul fieno. Entrarono in un +rustico tempio formato da quattro alberi forcuti e coperto da una +tettoia di radiche nere di lupini. Il loro dio Pane era una mostruosità +fatta di legno coll’accetta. Gl’immolarono una capra ed un cane. Si +tinsero del loro sangue caldo la fronte. Si unsero il sudicio corpo +col grasso delle due bestie. Ne cucinarono sui tizzoni le carni e +ne mangiarono a furia con feroci smorfie di gioia. — Terminato il +sacrificio espiatorio, tagliarono le pelli ancor sanguinose e di alcuni +pezzi si cinsero i fianchi e di alcuni brandelli fecero fruste per +allontanare i curiosi sul loro passaggio. Così corsero a slascio pei +campi e nelle vicinanze di Pompei. Urlavano inni in una lingua ignota +e frustavano, correndo, quanti incontravano. Le donne particolarmente +si facevano loro innanzi per aver parte di quella flagellazione; +avvegnachè in quei tempi credessero come la staffilata di un Luperco +avesse la virtù di cangiare in prolifica una donna sterile. Siccome ai +nostri tempi pur credono la stessa virtù nel cordone che cinge i lombi +non casti di un frataccio da zoccoli e da cappuccio. — Più d’uno però +che si permise una brutta distrazione, vacillante e vagellante, se ne +andò anzi tempo _ad canes_. — I devoti ch’esercitarono quella pratica +liturgica sui crani e sulle costole di quei bipedi senza ragione, +scavarono una fossa sotto un albero da frutto e gli fecero utili mal +loro grado. + +In quel giorno di abbandonata gioia non si guardava sottilmente alle +cose. Ognuno occupavasi a suo modo delle proprie devozioni. — E nel +vero, eravi di che. I preti — oltre i parecchi fani, fatti erigere +sontuosamente dai decurioni col denaro del popolo — oltre i _Dii +patellarii_, ch’erano i Lari delle case, adorati alle calende, agl’idi, +alle none, nei dì di festa ed anche ogni giorno — avevano ispirato le +genti bietolone — che formano la maggioranza nell’umanità — ad erigere +altari agli Dei pubblici, agli Dei ignoti — pel comodo della plebe, +pei bisogni degli stranieri — sulle crocivie. — Gli è perciò che furono +chiamati Lari Compitali da _compita_, crocicchi. — Cosa fatta capo ha. +— Napoli, Palermo, e le città minori dell’ostro avevano pure in questi +giorni i loro Compitali sur ogni strada, sotto la forma di donne o di +uomini lividi e sanguinosi. I loro padri abbatterono furiosamente la +idolatria e fecero calce delle statue di Giove e di Marte; e con quelle +di Venere e di Mercurio fusero campane. I loro figli ristabilirono +l’antica fede. Ma, avendo perduto la nozione del bello, adorarono +le mostruosità, e, non ha molto, accendevano i lumi ed appendevano +gingilli d’oro e di argento su quanto di più brutto ed osceno veniva +fuori dallo scalpello di un Lupercale. + +Consultato il divo Apollo sui sacrifizi da offerirsi ai Lari Compitali, +il feroce prete — che trovossi alla instituzione di quel culto — +rispose per lui — _caput pro capite_. — Allora Tarquinio pose sui +piccoli altari capi mozzi di miseri bambini. Giunio Bruto, dopo la +cacciata di quel tiranno, tradusse meglio l’oracolo ed offerì teste di +aglio e di papaveri. Più tardi gli fecero lieti dei primi fiori delle +stagioni. — In Pompei eravene uno presso la fontana del Lupo, più in su +della bottega del lattaio, che ha per insegna una capra di terra cotta. +Era dedicato al padre dell’Olimpo. Gli altri Lari — protettori dei +quatrivi e delle strade — si dicevano figliuoli a Mercurio e prodotti +dalla ninfa Lara. E i loro altari — oltre allo aver banchi di riposo +pei viandanti — servivano altresì di asilo ai rei perseguitati. Laonde +Plauto narra nella Mostellaria come Tranione temendo di ricevere da +Teuropide i colpi che aveva sì ben meritati, si assise sul Compitale +dinanzi la casa di lui. E Properzio canta _Triviae lumina ferre Deae_, +di Cinzia che correva a portar lampade sugli altari di Diana Trivia. + +Il selciato aveva perduto le sue tristezze. — Nell’odissea di quel +giorno faceva le parti dell’Oceano. — Salti, gridi, rumori per +tutto. Ogni _impedimenta_ diveniva tribuna. Ogni Compitale, teatro. E +gridavano: + +— Trionfo, trionfo! Marte e Venere Fisica ci salvarono! Giano aprì +la porta dell’Olimpo e fece escirne gli Dei soccorritori. O Lari, +accordateci pace e protezione. Onore ad Iside e ai suoi sacerdoti. +Trionfo e gloria agli Dei immortali! — + +E lungo le vie, e nelle _pistrinae_, e nelle _popinae_ — dovunque +era scolpito, od in terra cotta, il simbolo del Dio degli orti — le +facili e proterve fanciulle intessevano corone di rose e di frutti e le +inchiodavano come cornice intorno a quel segno della forza muscolare, +dell’abbondanza, della ricchezza della natura. Ed un uomo opulento, +— M. Epidio Prisco, poco più innanzi della fontana di Venere, gli +sacrificò un asinello, le cui carni servirono la sera al banchettare +gioioso degli schiavi in una taverna. + +Intanto l’angiolo delle ore estreme, raccolte le sue ali sanguigne, +correva con passi frettolosi sul campo della offesa e della difesa. +Alle grida della battaglia erano succeduti flebili lamenti — appello +lontano ai loro cari di quei feriti che la Morte pietosa baciava sulla +bocca per soffocarvi il dolore. — La terra era spogliata di ogni suo +riso. Il sole cadeva. L’ombra uniforme spargevasi su tutto. — Membra +mozze — carni stracciate — sangue aggrumito e nero. — E sopra la +faccia della penisola, il pensiero degli Italioti — oltraggiato, ma non +defunto — attendendo per secoli l’ora della grande vittoria. + +Epidio Rufo Italico — il figliuolo di Prisco — fu trasportato nella +casa paterna — quella dal lungo podio sporgente, sormontato da una +ringhiera di ferro che dalle estremità menava alla porta mercè le +due gradinate a rivolta. Acte gittò un grido e semispenta lo strinse +al suo cuore. Egli premè convulso gli occhi e le pallide guance di +quell’afflitta, girò lo sguardo intorno alla camera piena di memorie, +di tenerezze e di singhiozzi, ov’erano il padre, la sposa, la felicità +dei suoi giovani anni. E stringendo colla mano il petto piagato, +prosciolse le membra. — Aveva dato lo eterno vale al padre in lagrime, +alla sposa svenuta, alla felicità morta! + + + + +LA CAMPAGNA. + +SCENE DELLA VITA RUSTICA. + +=Anni di Roma 695 — Anni avanti il Cristo 59.= + + + A GIUSEPPE GARIBALDI. + + II. + + +Re Gige reputavasi lo avventurato tra i mortali — Per meglio assicurare +la sua fede, interrogò l’oracolo di Delfo. Nè dubitava di una lieta +risposta. + +— Di’ il nome del più felice fra gli uomini. — + +— Due nomi; non uno — Fedio ed Aglao. — + +Piccato nel vivo, mandò attorno i suoi consiglieri. Spedì messaggi per +ogni dove, affine di rintracciare quegli ignoti individui che nel paese +nessuno conoscea nè di persona, nè di nomèa. Dopo molte ricerche il re +venne a sapere, che Fedio era morto, difendendo dai prepotenti il sacro +suolo della sua patria; e che Aglao ancor viveva in Arcadia, coltivando +colle sue mani un povero campicello, lasciatogli dai suoi padri. + +L’oracolo volle significare a quel re, la felicità non essere chiusa +nei forzieri d’oro, nella corona gemmata, nelle braccia di una donna +amica e nel numero grande degli adulatori alla fortuna, — sibbene, +nello esercizio dei doveri di un cittadino, quali sono precipuamente, +servire il proprio paese e coltivare il suo campo. + +Se in Roma fosse il culto del vero Iddio, e si compiacesse rispondere +oracoli, ed un re gli chiedesse il nome del più felice tra tutti gli +umani, risponderebbe: + +— Giuseppe Garibaldi! — + +Ebbene! — I nostri avi gloriosi vivevano la sua vita in Caprera. +Compiuto lo ufficio di consolo, di senatore, di duumviro, di decurione, +di pretore, di edile, di questore, di tribuno di soldati, correvano +ai piaceri della vita campestre; circondati da uomini laboriosi e +contenti, vedeano coronate le modeste fatiche da una ricompensa sicura; +godevano la tranquillità e la pace in seno di una famiglia felice; +sfatavano le brighe che traggono seco notti affannose; studiavano ad un +tempo la natura e le arti; e terminavano la loro carriera, o nel bacio +degli affettuosi figliuoli, o cogli occhi irradiati dalla vittoria sul +campo di battaglia della repubblica. + +Due uomini montarono a cavallo — salendo sur un sasso elevato sull’orlo +della via, come di aiuto — allo escire della porta di Herculanum, in +Pompei. L’uno era giovane e l’altro nella piena maturità. — E siccome +il cielo annuvolato minacciava la pioggia, eransi avvolti in una veste +di pelle detta _scortea_ e sul capo avevano il _petasus_, berretto a +larghe ali. — Di qua e di là della via erano vigne, olivi, pioppi, +ciliegi, mandorli e fichi. Lo aspetto di una ricca cultura e del +fertilissimo territorio offeriva uno spettacolo maraviglioso. + +— Sì. — Ho deciso. — Quei coloni non mi vanno. Gli è vero che tutto è +a loro rischio e pericolo. Ma per fornirmi delle legna convenute, mi +tagliano il bosco che io stesso piantai. I primi frutti raramente li +portano in casa. E i denari del fitto a centellini. — Il lustro scade. +Siamo presso alle calende di marzo. E ritoglierò la terra per conto +proprio. + +— Credo, anche lo agente che tu mandavi sul luogo per raccogliere le +parti di frutti convenute, ti fosse mal fido. — Gli è che ognun tira +l’acqua al suo prato. — + +Ben dici. — Ma gli schiavi — razza incurante e onerosa — che colà +impiegherò, converrà sorvegliarli. Al mio vicino lasciarono deperire +il gregge; e i buoi e le vacche ed i muli li affittavano a chi loro li +chiedeva. Per abito, quei pigri coltivano male, lasciano rubare le uve, +o le rubano per sè. E sul registro segnano minori quantità di grano +raccolto e più semenza di quella impiegata. — Come regolare la cosa? +Di uso se ne seminano da quattro a cinque _modii_ per jugero, secondo +la bontà del terreno. E il ricolto è diverso se si semina in autunno +o all’appressare del verno; se in un tempo umido, od in tempo secco; e +secondo la pioggia abbondante o la neve. + +— Le visite le faremo frequenti — _Frons occipitio prior est_. — +È proverbio trito. L’occhio dello schiavo non può valer quello del +padrone. — E perciò leggeva l’altro dì nel trattato di Agricoltura di +Magone, il cartaginese: _Qui agrum parabit domum vendat_. — + +— _Est modus in rebus._ — Senza abbandonare la città, e i propri uffici +pur doverosi, e la educazione dei figliuoli, si può allontanare il +grappolo guasto dal sano e non permettere che la incuria — a conti +fatti — costi più della debita oculatezza. Imperocchè, siavi un adagio +non meno vero dello accennato poc’anzi, il quale dice: _Laboriosior est +negligentia quam diligentia_. — + +I cavalli si posero al trotto. — Un aquazzone irruento per pochi +istanti calmò ben presto la nuvola di polvere che le zampe ferrate +agitavano. Rimessisi al passo, il più anziano proseguì: + +— Dio Pluvio, invece di offenderci, ci giovò. Ed è tutto un beneficio +di lui su queste terre, composte di pomici infrante e di ceneri, +vomitate in tempi remotissimi dal vecchio Vesvius. — In continovo +accordo col dio di Delo, noi abbiamo fertili e prosperosi i campi di +ogni bene e di ogni delizia....... Non credere già, o mio Lucio, ch’io +voglia condannarmi, o condannarti a viaggi troppo frequenti ai raggi +della canicola. Farò la scelta di un onesto _villicus_ che il buon +vecchio Coecilio Casella mi proporrà; e cotesto schiavo dirigerà in +capo, sotto i miei consigli ed i tuoi, i rustici lavori. Mi ha pur +promesso un valente _promus_ per la fattura dei vini. Quelli avuti +sinora sono dolciumi che guastano lo stomaco. — Voglio del buon falerno +che a dieci e a quindici anni consoli. — E del surrentino, adatto ai +convalescenti. — E di quello di Cales, leggero e profumato. — Ed il +cecubo secco, generoso e confortante. E quello eccellente di Setin, il +quale possiede le più notevoli qualità digestive. + +— Ve’, padre, la bella casa che sorge ridente sul pendìo del colle — +Non parmi vi sieno colonne, nè portici. — Oh! Una sola statua. + +— Sì, figliuolo mio. Una sola — quella della Libertà, dallo sguardo +aperto, dalle braccia robuste, dalla prestanza di tutte le forme. — La +situazione che tu ammirasti attira l’attenzione; e la vastità dei campi +allo intorno annuncia la ricchezza di chi li possiede; e l’un delubro +rivela i nobili pensieri del cittadino che presso dimora. — È Casella +il suo nome, il vecchio amico che tu non conosci, perchè non abita più +la città. Egli fu _Meddixtutticus_, il primo dei magistrati municipali +quand’io era pur giovanetto. Era stato _suffectus_, succedaneo al +comandante gli eserciti ai tempi che furono. Quindi egli stesso ordinò +le battaglie a difesa ed a gloria del nome sannita. Ha l’animo austero +che conservò la impronta dei tempi. + +— Comprendo io bene un vecchio generale che si toglie dallo sguardo +del popolo di altra età e che pure è costretto a rispettare; che si +sottrae dalla folla dei clienti importuni; e coltivi nel suo pacifico +ritiro; e si circondi di una numerosa famiglia di schiavi — ricordo +vivo del potere già esercitato. — Ma il repubblicano del mattino sarà +il Tarquinio della sera su quanti lo attorniano. + +— Poichè siamo presso il viale che ver lui mena, andiamo. Voglio, senza +risponderti, che tu lo conosca e lo giudichi. — + +Una strada ascendente, attelata da pioppi italici e da una siepe di +albospino, aprivasi da un cancello di legno, presso il quale da un +lato era una camera per l’_ostiarius_ e dall’altro un simile fabbricato +in _opus recticulatum_ — ossia muratura a scacchi di tufo, riquadrata +negli angoli da mattoni sopraposti — che aveva la iscrizione a grossi +caratteri rossi + + CAVE CANEM + +e sotto, la stia, dove abitava lo incatenato ed abbaiante molosso. + +Per essa i due si avviarono al galoppo. — Giunti presso il simulacro +della Iddia colà venerata, smontarono ed il maturo diè ordine allo +schiavo accorso di menare i cavalli nella stalla, mentr’essi sarebbero +iti a sorprendere il suo padrone. + +Nelle diverse aiuole piene dei fiori della stagione erano viole, +mandorli a fior doppio, rose di Preneste e giacinti. Più oltre era un +largo bacino, circondato da zolle erbose e pieno di acque limpidissime, +incanalate da una sorgente lontana. Dai verzieri coronati di bosso +si andava verso il bosco e si scendea nell’orto. — Colaggiù, curvato +dagli anni e dalla specie di lavoro che allor lo occupava, era Coecilio +Casella, presso il quale i due sopraggiunti movevano. Al rumore dei +passi sulle sabbie crepitanti, il vecchio levossi; e riconosciuto lo +amico, corsegli incontro e abbracciollo. + +— O mio Vestorio Tucca, salve — _Si tu vales, et ego valeo._ — +Raccoglieva baccelli pel mio desinare. + +— _Gratulor tibi prius. Deinde ad me convertar._ — Questi che mi +accompagna è Lucio, il figliuol mio, il quale arde del desio di +conoscerti. — + +Quel canuto baciò sulla gota il giovanetto; e, presolo per la mano, lo +invitò col padre a sedere sur un banco di pietra. + +— Voi camminaste. — Io fatigai. — Ognuno acquistò il diritto di +riposarsi..... quantunque per la mia età quel diritto io il tema +invece di bramarlo. — Questi alberi che ci adombrano colle foglie +nascenti, io gli piantai e gl’innestai di mia mano. — Vedi giù, +davanti la _fructuaria_, dov’è quella fabbrica disposta intorno ad +una corte? I miei giovani schiavi fanno buche presso gli alberi di +olivo per seppellirvi ritagli di pelli, piedi e corna di animali — +possente concime che si forma e mette tre anni a consumarsi. Ebbene! +Essi raddoppiano di zelo allo aspetto di me vecchio, che divido i loro +sudori e le loro cure. — Qui, nè tiranno, nè schiavi. Laonde lo stato +di quei miseri più sopportabile. + +— Ah! tu sei sempre degno d’impero, perchè sapesti servire! + +— Il tuo figliuolo osserva, con vagante e smanioso sguardo, le varie +culture della mia villa. — Giacchè il sole ci volge i suoi tepidi +raggi, permetti che a lui — non indifferente — mostri le occupazioni +mie e dei miei servi, ed i risultati che ne otteniamo. + +— Grazie, o mio, della somma bontà che ti muove. — Ho molto caro che +Lucio apprenda da tanto esempio — non la cultura dei campi soltanto — +sibbene la virtù del tuo carattere antico. + +— Qui sopra, o amici, è un colle, bene esposto all’oriente, ove cresce +un vigneto delle specie migliori. — Non tutte erano nostrane. — Ora sì, +mercè le mie cure. — Andiamo a vederle. — Sbottonano già. — + +E lo adusto vecchio, appoggiandosi al braccio di Lucio, seguitò: + +— La vite annosa si piace appoggiarsi su giovane olmo. — E anch’io +così. — Però, ti prego, non affrettare i tuoi passi, com’io non +allenterò i miei. Cercheremo riescirci gradevoli, quantunque Lucina +non assistesse lo stesso giorno al parto delle nostre madri. — +Faremo bugiardo il proverbio che dice: _Pares cum paribus facillime +congregantur_. + +Mira! Cotesta strada larga che noi ascendiamo appellasi _cardinal_ con +parola etrusca, perchè taglia il terreno dall’ostro al settentrione, +verso i poli del mondo. Le vie traversali si chiamano _decumanus_. — E +sono sì larghe, perchè i carri non abbiano difficile il passo in tempo +della vendemmia. — Laonde, lo aspetto intero di una vigna si presenta +distribuito in regolari quadrati, detti _hortus_, cioè giardino. — +Ciascun gode di una divisione siffatta — il padrone che sa le piante +egualmente esposte al sole ed al vento e con facilità può sorvegliarle +— ed i servi, che veggono ad ogni colpo di vanga accelerarsi il termine +del proprio còmpito. — Ogni _hortus_ contiene cento cinquanta viti ed è +largo un mezzo jugero quadrato. Le propagini si attelano in _quincunx_ +e traversalmente alla ascensione del terreno, a fine di mantenere le +terre ed impedire alle pioggie ruinose di cacciarle tutte nel piano. +Alcuni fanno crescere la vigna sui pioppi come nella Campania; altri +sulle canne come in Arpinum; altri su pali tenuti insieme da corde di +crine, come in Brundusium; altri sugli olmi come nella Emilia; altri su +brevi pali, come presso i Maruccini e i Peligni; altri aggioga i tralci +tra un albero e un altro, come presso i Piceni e i Galli-Cisalpini; +altri la lascia sdraiata per terra, come nell’isola Pandataria, ma di +tal modo mangiano il suo frutto le volpi, i ratti e i coltivatori assai +più che il padrone. — Io, come vedi, uso la forca, che è quel palo +fisso nella terra perpendicolarmente, su cui posano in traverso altre +pertiche che la vite abbraccia coi suoi viticchi. Così godo di due +vantaggi in una volta — il terreno caldo e secco è riparato dai raggi +ardenti del sole — ed i grappoli maturano meglio e fruiscono di una +ventilazione salubre. + +Gli Etruschi tagliavano la vigna nel marzo. E gli Osci, padri nostri, +l’appresero a fare nel dominio dei primi. I Latini la lasciavano libera +e ne ottenevano un liquor fermentato che inacidiva ben presto. Re Numa, +per costringere il suo popolo a praticare il buon sistema, dichiarò +in una legge come ogni libazione fatta con vino prodotto da vite +non potata fosse orribile sacrilegio. — Agl’idi di maggio io faccio +spampinare poco innanzi la fioritura. E rinnovo la operazione — qui +che fa caldo — quando il grappolo è formato. E i miei servi vangano e +concimano il vigneto due volte l’anno al levarsi delle Pleiadi — quando +tolgono i primi pampini e rimboccano il ceppo con letame paglioso e un +po’ di sale — e allora che i racemi imbiondano e anneriscono. + +— Una volta, o Casella, due curiose specie di uva, che la industria ti +aveva additato, qui mi mostrasti. — Ne mangiai e ne ho lieto ricordo. +— Sii cortese nel farne motto al mio Lucio, che è tutt’orecchi per +ascoltarti. + +— Tutto l’_hortus_ superiore, ch’è di prospetto, è composto di tali +viti che danno il buon da mangiare. — Ecco come io mi vi adoperai. +Presi quattro ramicelli di diverse specie, delle qualità migliori. Li +ligai forte e li cacciai in un tubo di terra cotta, lasciando due soli +bottoni fuori. Quindi, in una fossa, ricoperta di letame. — Corsi due +o tre anni, quando mi avvidi che i ramicelli eransi collimati insieme +e formavano un solo stelo, ruppi il tubo in cui era chiuso, lo piantai +nella terra ed i grappoli che ne colsi a suo tempo offerirono chicchi +di sapore e di colore svariato. + +Operai anche nel modo seguente. — Spaccai una margotta nel mezzo +in tutta la sua lunghezza. Ne trassi il midollo. — Collimate le due +parti, le legai strette senza offenderne i getti. La piantai nella +terra letaminata e l’annaffiai spesso. Ed il frutto che ne mangiai non +produsse mai acini. + +Coteste operazioni sono divertimenti, o Lucio, e non entrano +nell’ordine della cultura. La specie buona s’innesta — ecco il modo +di propagarla, e trarne pro. Ora ti nominerò le migliori qualità ch’io +posseggo. + +L’_amminea_, i cui grani sono coperti di fine lanugine. È della +stessa specie la _gemina_, perchè i grappoli fioriscono a due a due. +— La vite di Nomentum è molto feconda. Ve n’ha di due sorta. Una +la chiamano _rubelliana_, perchè il suo legno è rossastro dentro. +E l’altra _feciniana_, perchè il suo vino dà sedimento copioso. Ho +una moscatella; che pur dicono uva _apia_, perchè ricerca con amore +da quegl’insetti che ce la rendono nel verno col loro mele odoroso. +Un’altra uva dicesi _uncialis_ dal peso dei suoi grossi chicchi. Nel +recinto che qui vedete ne coltivo più di ottanta specie svariate, +che riunite nel tino danno squisitissime qualità di vino. — Che più? +Nominartene una per una fa lungo il discorso ed inutile. Sarebbe lo +stesso dirti il nome di ciascun granello di sabbia agiti Favonio. Ti +basti che ne ho di Chio, di Thasos, di Spagna, della Rhezia, di Sicilia +e del paese degli Allobrogi. — Ora, ridammi il braccio e scendiamo a +vedere l’oliveto. — + +Lucio era incantato della semplicità di quel vecchio illustre e della +bonarietà che spiravano le sue parole. — Si sentiva superbo di essergli +al fianco e pensava quanti in Pompei gl’invidierebbero una tanta +fortuna. + +— Tu, o Vestorio, avrai detto al tuo figlio come quegli alberi cui +ci avviciniamo ed ai quali i Greci attribuirono una origine celeste, +fossero stati qui da essi portati. — In Italia non v’erano. Anzi, +nell’anno di Roma 505, una libra di olio valeva dodici assi. Ed oggi +ce ne danno dieci per un asse. — V’è chi ha scritto, vi è pur chi dice +che quelli che piantano ulivi non ne veggano il frutto. — Errore! — +Ecco, siam giunti. — Vedete i grossi alberi! E tutti da me piantati. +— Antestio, gli ulivi che piantammo gli ultimi, da quanti anni messi +sotterra? — + +— Mio buon padrone, nell’anno del tremuoto........ ed in cui partorì +la mia figliuola. Giunti al quarto mese della germinazione, sono cinque +anni. — + +— Vedete, amici, sono cinque anni, e già compensano le nostre +sollecitudini! — Antestio, togli un ramicello delle tre qualità +migliori commestibili. — Vo’ che le osserviate da presso..... Questa +dalla foglia larga ed argentea al di sotto viene di Spagna e perciò +ai suoi grossi frutti diamo il nome di _orchites_. — Dapprima li +ponghiamo in un bagno caustico, composto di acqua stillata dalla calce +e dalla cenere. Tratto tratto si esaminano tagliandone la polpa col +coltello. Appena si scorge il punto che il ranno è arrivato a mordere, +le olive si tolgono e si lavano con acqua pura. Indi si tornano a +maturare nella salamoia, formando sopra uno strato di steli e di fiori +spezzati di finocchio salvatico. — Queste dalle bacche più larghe le +chiamiamo _pausiane_; esse pure formano la delizia della nostra tavola +nello inverno. L’ultimo ramicello appartiene ad Emerita, terra della +Lusitania. I suoi frutti sono grossi e polputi. — Non abbisognano +di salamoia. Basta esporli durante le fredde notti del decembre e +del gennaio all’aquilone e divengono dopo una decade dolci come uve +passe. — + +Poi, voltosi al monte, riprese: + +— Vesvius — creatore di questa deliziosa contrada e che talvolta, +quasi schiacciasse col suo peso i Titani, freme e traballa — oltre le +pomici, la pozzolana e quelle spugne rossastre di cui ci serviamo per +fabbricare muri leggieri e soffitte, pare ci abbia pur dato una pietra +dura quanto il granito. Me ne servii per molti lavori qui. — Or, sopra +i crepacci della roccia eransi piantati di per sè alcuni caprifichi +salvatichi, i quali portavano le loro frutta con maturità anticipata. +Allora io piantai dinanzi fichi di qualità migliori. + +Perdona, o giovanetto, la parlantina di un vecchio che la vanità ha +sorpreso sul declinare della vita. I miei coetanei sono lodatori di +antiche cose. — Nè io son libero di quel difetto, se difetto è. — Ma +lodo pure le nuove, perchè sono presso la natura che si rinnuova pur +sempre. — Là a diritta ho una piantagione di peri. Mi danno frutta +squisite. Ho la _decimia_ — la _dolabella_, che ha lungo il picciuolo +— la _laurina_, il cui aroma somiglia a quello della corona degli +eroi — la _nardina_, che ha l’odore del nardo — la _superba_, che +chiamasi così per antifrasi, essendo la più piccina della specie — la +_libralia_, che vien colta dopo i primi geli — la _veneria_, dedicata +alla Iddia che a me sorrise e a te sorride benevola, detta così per la +forma elegante e pei suoi vivaci colori. — I cotogni che miri in fondo, +dai rami ricurvi dal peso che l’anno scorso patirono per la quantità +dei suoi frutti pesanti, gli ho piantati per adornare gli altari dei +domestici Iddii e per la loro fragranza. — Là, a sinistra, su quel +terreno più fresco e più pingue, sono alberi di mele che sbocciano +già le loro tenere foglie. Ve’ la primaticcia, che apre la fila. Poi +la _sceptia_, che devesi ad un mio liberto. — Le più ricercate sono +le _appiolae_ — le _claudiae_ — le _manliae_ — le _gestiae_ — tutte +coi nomi di quei che le fecero primi conoscere. — Furono uomini egregi +del vecchio Lazio e del Sannio; i quali, dopo avere condotto i soldati +della repubblica sul sentiero della gloria immortale, tornarono come +me alla onesta quiete dei campi d’ond’erano partiti. — Nessun piange +o muore per queste loro conquiste. — Esse sono tutte ed a tutti +benefiche. — E la pubblica riconoscenza gli nomina e gli nominerà +quantunque volte gli uomini ricorderanno i loro frutti squisiti, +fintanto che i padri trasmetteranno ai figli le due nobili lingue della +libertà e della civiltà. — + +Il vecchio Casella, di curvo che era, sollevò baldo il suo capo +canuto, e due cicatrici mostrò sulla fronte e sul collo. — Il giovane +fu commosso da quello aspetto dopo quelle parole e strinse la mano al +padre suo. Tre diverse fasi di sole erano in presenza — l’alba — il +mezzodì — ed il tramonto. Ma tutte si coloravano di una tinta splendida +ed ardente. — Lucio, dominato dalla fiera inspirazione dell’onore e +della gloria, era grande, magro e un po’ stretto di spalle. Bruno e +dai capelli naturalmente arricciati, aveva un fuoco negli occhi che +rivelava gli entusiasmi del cuore. — Vestorio; di media statura e +tarchiato e forte, aveva seguito la carriera delle armi ed era poeta +come un valente uomo dev’essere; imperocchè il medesimo slancio solleva +di terra — per trasportarle con ala possente verso un nume misterioso +ed ignoto — la mente coraggiosa e la mente inspirata. Nei tempi di +pace adempiva alla pubblica funzione di questore, che la elezione del +popolo gli aveva dato. — Coecilio era un uomo di una forte razza, di +cui non abbiamo che un solo modello ai dì nostri. Nè grande, nè piccolo +di persona. Grave negli atti e nelle parole. Pari sempre alle varie +venture della vita. E tutto lo aspetto raggiante di un velato e mesto +sorriso che nessun pericolo, per tremendo che fosse, avrebbe avuto la +forza di spogliarne il suo labbro. — La emozione di quei tre era come +lo ardore profondo di un sentimento che appena facevasi sospettare +al di fuori — Il vecchio fu il primo a parlare e disse, rivolto agli +amici: + +— Visitammo abbastanza i piedi degli alberi, i miei sono stanchi. +— Forse i vostri, no. — Pure, per tutti stimo conveniente il +riposo. — + +Gli altri assentirono con un cenno del capo. Ed avviandosi verso +l’abitazione, traversarono la parte ove si coltivavano i legumi. + +— Qui sono le piante nominali di famiglie illustri e che sempre più ci +richiamano alla memoria la origine d’onde venimmo. I Pisoni derivarono +da un coltivatore di piselli. — I Lentuli, di lenticchie. — I Fabi, +di fave. — La cura dell’orto fu cura di uomini sommi che le istorie +ricordano. — Qui, di fuori, non sono che gli asparagi che riportai di +Ravenna. — Ah! pur vo’ mostrarti il luogo d’onde io traggo gli aromi. +— Costì sono seminati il _libisticus_, che tien luogo della mirra — +il _cominus_, la cui semente fragrante piace tanto ai colombi — la +_nepitella_, il cui sapore mordente condisce le vivande. — Ma, andiamo +a rifocillare lo stomaco, che ne ha bisogno. — + +Il triclinio di quell’uomo virtuoso era semplice come la sua persona. +— La camera bianca di calce. Tre larghe finestre vi facevano penetrare +il dolce tepore della stagione. Il sole era raggiante. La natura tutta +chiusa in un suo pensiero di amore. — Dopo aversi lavato le mani e +propinato agli Dei domestici della patria, si assisero attorno al +desco, su cui fumava un pezzo di montone arrosto. Pane saporito, latte, +mele, frutta ed erbaggi. — Il vino era mesciuto in coppe di terra di +Nola, ornate di belle pitture. — Gli uccelli cantavano i loro inni +sugli alberi vicini. + +Dopo una seconda abluzione si levarono dal desco. Ed andarono verso una +stanza, ove trovarono il _librarius_, lo schiavo che tenea conto dei +papiri e trascriveva quelli che Casella facea venir di Herculanum e di +Cuma a prestito dai suoi amici. La camera era sopra un terrazzo elevato +e la luce veniva dentro da spiragli praticati sul tetto e coperti da +vetri. Tutto allo intorno era un armadio. E dentro, distesi su lunghe +tavole, posavano le leggi, i plebisciti, i decreti dei magistrati e gli +editti meglio importanti. Venivano quindi gl’istorici, i filosofi, gli +agronomi. + +— Ieri piovve e ben tardi rasserenò. Laonde qui venni, cacciato dai +campi. Pamphilo — questo giovane greco, che ora copia le opere di +Catone — mi fece lettura per più ore del libro. — Io non saprò mai +imitare quel saggio. — + +Vestorio si fe’ tosto a richiedergli: + +— Stupisco della tua severità. — Dinne a noi le cagioni. — + +— Catone studiò forte la economia e la volse all’eccesso. — In +verità, i risparmi oculati dei cittadini fanno fiorente uno Stato. +Ma non bisogna spingerli allo estremo. — Nè avaro — nè dissipatore. +— Rammentati, o Lucio, che anche gli eroi sono soggetti a fallire. +E i grandi uomini debbono continuo studiarsi, onde evitare che i +loro errori non mangino la grossa parte dei benefici effetti delle +immense loro virtù. — Immagina, Vestorio. Egli prescrive di menomare +il cibo agli schiavi quando i fichi maturano e di niegare ad essi la +distribuzione del frumento, quando pei campi e sulle siepi sono bacche +che sappiano in alcun modo surrogarlo. — E raccomanda d’inviarli, +quando sonosi fatti vecchi, al mercato, per non avere a dare alimento +ad uomini inutili. — Ora comprendi ch’io non posso imitarlo. — Io ne +ho alcuni, pieni di giorni al pari di me e sono tutti affrancati. — +E, di abito, soglio ritardare di pochi anni — a seconda della loro +laboriosità — la tonsura dei capelli e il dono del berretto frigio. — +Ed oggi tu, magistrato, procederai legalmente allo affrancamento dei +meritevoli. — Pamphilo, tu sai quali sono. Invitali a radersi le chiome +e ad attenderci sotto il delubro della Dea. + +— Nobile amico! + +— Ecco le mie gioie e i miei teatri; lontano dal fracasso del +mondo. — + +Lo attendere fu corto. Le grida di gioia ed un inno greco, cantato da +giovani donne, annunciò ch’essi potevano discendere. + +Il primo ad essere fatto liberto fu Pamphilo. Coecilio gl’impose la +destra sul capo e pronunciò: + +— Io voglio che questo uomo sia libero e goda dei diritti di +cittadino. — + +Vestorio, poichè l’altro tolse la mano, gli toccò tre volte la testa +con una baccetta. Allora, il padrone lo prese pel braccio, lo fece +girar sui talloni e gli diè un piccolo schiaffo. + +— Ora sei libero. E possa giovarti la libertà che ti rendo per quanto +ti fu grave la condizione in cui io ti conobbi. — + +Il giovane piangendo abbracciò il suo generoso signore. E questi a +lui sussurrò brevi parole all’orecchio. — Quindi la stessa funzione fu +praticata a favore di Sica, di Castricio, di Precilio, di Egypta, di +Mustella, di Thalna e di Cerellia. + +La _vindicta_ era compiuta, allorchè Vestorio ebbe scritto i loro nomi +sur una tavola incerata. Chiamavasi così, perchè Vindicio fu il primo +schiavo cui in Roma venne conceduta la libertà per aver con generosa +denuncia salvato le sorti della repubblica. — Ed allo schiavo si facea +fare un giro sopra se stesso, per indicargli che quindi innanzi poteva +andare dove meglio gli talentasse. Però tutti aggiungevano al loro +nome quello dello antico signore e rimanevano aggregati in certo tal +modo alla famiglia, divenendone clienti. Non potevano sposare nè la +sorella, nè la figlia, nè la vedova di quegli che li aveva affrancati +e si distinguevano dai cittadini nati liberi col coprire la testa del +frigio berretto. Nelle pubbliche magistrature essi e i loro discendenti +potevano aspirare soltanto al grado di maestri dei quatrivi e dei +paghi, o di edili del popolo. + +Coecili Pamphilo, liberto di Casella, aveva portato un papiro. Ed il +vecchio, svoltolo, disse a Vestorio: + +— Ecco il testamento nel quale ho instituito il mio erede universale. — +Privo di famiglia, non voglio che i miei beni sieno venduti alle grida. +— Alconte, mio schiavo, tu che per tanti anni mi accompagnasti nella +vita fortunosa che insieme menammo, sii tu il mio _hæres necessarius_ +e, per cotesto atto, libero. — + +Una gioia singolare circolò nelle vene degli adunati. Tutti baciavano +il lembo della veste del vecchio. Ed egli, con dolce sorriso, +assaporava la loro felicità nuova, come quel padre non ricco il quale +coi suoi risparmi ha raccolto danaro bastante per mandare al ballo le +proprie figliuole, vestite di seta. + +— Ora, ognuno torni alle proprie occupazioni. — + +I tre amici rimasero soli. — Ma dire le soavi emozioni sentite da Lucio +durante la festa della Libertà, è impossibile. — Ed era ancora assopito +in quei dolci pensieri, quando la mano di Coecilio lo scosse. + +— Ti ho mostrato il giardino e il pomario. Debbo ora condurti +nel podere che dà il buono da nutricare questa mia numerosa +famiglia. — + +Si avviarono a sinistra. + +— Per amministrare un campo a dovere occorrono tre cose — acqua — +pascoli — e bosco. — Del bosco ho quanto basti. — Dell’acqua poco. +— Dei pascoli a sufficienza pel mio bestiame. — Per vivere felice +in campagna ne occorrono tre altre — purezza di aria — fertilità di +terreno — e buon vicinato. — L’aria è balsamica — Il suolo è fecondo — +I miei vicini siete voi, o Vestorio; e Lucio Tucca. — + +I due amici lo abbracciarono con affetto. + +— Io vergogno della vastità di questo podere. — Sono quattrocento +iugeri di terreno. — Cincinnato possedeva un orto, e vi piantava +cipolle quando vennero a nunciargli il popolo averlo nominato a suo +dittatore. — Caio Fabrizio era padrone di sei iugeri di terra. — Curio +Dentato, di sette — ... In verità l’onta mia rimanesi inosservata, +quando molti altri posseggono assai di più. — + +Camminavano per campi pieni di graminacee e di rape salvatiche in fiore. + +— Noi calpestiamo ora il terreno che fruttò l’anno scorso. Lo farò +arare a suo tempo, poi che abbia posato. Il terreno che colaggiù +verdeggia mi darà nel mese di Cerere quel prezioso ricolto per cui si +fa lieta la razza umana. — Andiamo là, ove Strobilo lavora coi buoi.... +mirate i suoi solchi diritti!.... Bene... veramente bene! — .... Ehi! +Strobilo, ti felicito.... Eguali tutti! Oh! non può dirsi che il bravo +boaro _delira_! — Tu non esci dalla linea. — + +Lo aratore fu coi buoi presso il padrone. Gli volse e poi li fece +posare per prender fiato; e colla destra teneva le redini e colla +sinistra appoggiossi sullo stimolo di cui si serviva per eccitare gli +animali al lavoro. + +— Io son lieto di poter appagare coll’opera mia l’ottimo dei padroni. — +Hai altro a dirmi? — + +— Vanne, o Strobilo... e che Saturno ti aiuti! — + +Proseguendo oltre, si trovarono nell’aia e poi in faccia alla dimora +dei coltivatori. Il _villicus_ fu primo a presentarsi. Gli altri erano +tutti in movimento al nuncio che Coecilio era venuto da quella parte. +I bambini, che ignorano le teorie dei riguardi e che amano chi li +ama, usi alla di lui naturale bontà, gli corsero incontro gioiosi e +gareggiarono per afferrargli le mani. — Egli li carezzò dolcemente; e +poi: + +— Ebbene? Caro Cilindro, come va la bisogna? + +— Va! — Gli Dei ci concedono pioggia e sole. — Ho fatto seminare i +fagioli e prospereranno. + +— Accompagnaci, se ti piace, nelle dipendenze della casa. — Vedi, +Lucio, nella _equilia_ di contro erano molti cavalli una volta. Come +belli i miei compagni nelle battaglie! Erano delle migliori razze +d’Italia. E ricordo con piacere Signifer, Deceratus, Murrhinus e +Pontifex, i due ultimi feriti insieme con me. — Ora non risponderebbero +allo scopo. Preferisco i buoi e le vacche ai cavalli. — Andiamo a +vederli. — + +Entrarono nella _bubilia_. + +— Ho molta cura del bestiame io. Mira che grandezza e che forza! + +— Ma così belli davvero! + +— Vestorio, ho corso il mondo cogli eserciti e in nessun luogo gli +trovai belli ed adatti per la loro forza al lavoro come nel Lazio. E +gli feci venire dal paese dei Volsci. — Che nobili corna! + +— Di simili buoi dovette far uso Annibale per impaurire di notte i +Romani e scompigliarli nel loro campo. Nelle piccole corna dei buoi +nostrani non avrebbe potuto legar grossi fasci di frasche. + +— Bene rifletti, o Lucio. — Non potetti per difetto di posto costruir +qui la stalla d’inverno e quella di estate. — Ma questa è in tali +condizioni da farne a meno. — Io non li lego. Una specie di giogo li +frena e non vieta loro verun comodo movimento. Tra l’uno e l’altro v’è +spazio bastevole perchè il bovaro possa girare loro intorno, allorchè, +sdraiati, ruminano. — Cilindro, fa aprire l’_ovilia et caprilia_. +— Tengo cotesti animali pur esposti al mezzodì come i buoi, per +allontanare il loro puzzo dalla casa dei coltivatori — che è in faccia +— e perchè sieno alla loro portata. — L’uomo non libero è pigro. Eh! +Bisogna venire a patti colla loro pigrizia! — + +La soffitta di quel locale era più bassa, acciò il calore meglio vi +si concentri. L’ovile aveva un pavimento di mattoni. — E fra il parco +delle pecore e delle capre era uno spazio, coperto di una lettiera +abbondante di ramicelli di felce, su cui posavano le già pronte a +partorire. + +— Vedete pecore di buona razza. — L’ho migliorata, incrociandola +con quella di Taranto. — E ne ho lana copiosa e più bella. — Nelle +_harae_ dei maiali non vi farò entrare. — Sì, nel _gallinarium_. — +Mirate i bei galli! Vi faccio per mezzo di un tubo penetrare un po’ di +fumo; avvegnachè pei polli sia gradevole e salutare. — Colà in fondo +è il _teporarium_ pei conigli che i miei coltivatori mangiano. E il +_chenoboscium_, ove le anitre e le oche mangiano e prendono bagni. +Quel muro alto che vedete lo feci rizzare per due usi — a riparo del +favonio — ed alla moltiplicazione delle lumache. — È il _cocleare_. — +Sul ruvido intonaco è il muschio che le attira ed io ne faccio delizia +della mia mensa. — Costì, sotto al _gallinarium_, è lo _ergastolum_. +Allorchè io compero gli schiavi non li trovo quali io gli vorrei. E +Cilindro deve piegarli. Or quando i miei modi ed i suoi non bastano +allo intento, conviene cacciarli in quel sotterraneo che riceve aria +e luce dalle alte e strette finestre che vedete. — Non li visiteremo +perchè sono bricconi. Ma.... diverranno buoni come gli altri che +abbiamo insieme affrancato. — + +Una donna in sui trent’anni, tarchiata e di buon aspetto, si fa innanzi +a Coecilio, lo saluta e gli stringe la mano. Era la _villica_, la +moglie di Cilindro, ambedue liberti, agli ordini e al servizio del +marito suo, sobria, casta, non superstiziosa, ed avente cura alle none +ed agli idi di ciascun mese — siccome pure alle feste prescritte — di +appendere corone ad Epona, la Dea protettrice del bestiame e di volgere +preghiere per tutti al Lare domestico. + +— Abbi gli Dei propizi, o buona Gymnasia. — Vi è da fare, eh? + +— Il lavoro nudre, o padrone. E col tuo esempio l’uom si migliora. — +Che la Parca perda la forbice il giorno in cui si rammenta che Coecilio +Casella nacque e vive. + +— Accetto lo augurio buono. — Abbi cura delle vesti dei miei schiavi. +E che i bambini sieno puliti. — Ve’, quello dai grandi occhi e il +paffutello che mi ha preso la mano. Ambidue hanno il viso sudicio. + +— Sono la disperazione delle loro madri. Sempre nel fango, che sembran +oche. + +— Ho notato molti crani di asino confitti nei pali qua e là. — È per +congiurarne la mortalità, forse? + +— No, o mio Lucio. — Preservano i campi da influenze maligne. Ma, son +troppe; hai ragione! + +— Che tu fossi divenuta superstiziosa, o Gymnasia?..... Amo la moralità +negli schiavi. Ma non voglio che luperchi schifosi, che aruspici ladri, +che indovini bugiardi, che maghe vagabonde vengano qui a mettere ubbie +nelle vostre teste. — La credulità istupidisce. La ignoranza mangia +i risparmi. Il bisogno del denaro mena al delitto. — .... Ed io non +voglio punire al possibile! — Intendi? — + +Cilindro diè una occhiataccia alla moglie. La quale, confusa dal +rimprovero, si fece rossa e curvò la testa. + +— _Peream male si_..... + +— Basta, o Cilindro. Non vedi? La divenne taciturna come una statua. + +— Sai il mio costume, o padrone — _sequere potius quam ducere funem_. +— Ma Gymnasia farà ch’io mi cangi e la fune la tirerò. — Qui mai più +ribaldi, intendi? Gl’inghiotta Cocito questi ladri delle campagne. + +— Via! O buona, drizza su il capo e menaci alla cucina. — È la sede +della tua magistratura e non vi sarà a ridire colà. — + +Era una vasta camera, a soffitto alto e bene imbiancata. Il focolare +aprivasi largo e con un banco circolare di muro per riscaldarvi +gli schiavi nelle giornate fredde del verno e per asciugarvi negli +acquazzoni estivi. Sulle pareti erano pentoli e tegami e tripodi di +ferro e vassoi di bronzo. — Sopra il pavimento di lapilli impastati +con calce e battuti lungo la parete sollevavansi spessi appoggi di +mattoni murati, sui quali sedevano grossi caldai nettissimi e _calati_ +di piombo per conservare acqua da bere e al servizio della cucina. +Una porta laterale menava ai bagni degli agricoltori, i quali solevano +farvisi netti nei dì festivi e più spesso le loro donne e i bambini. +Sopra i bagni era l’_apotheca_, ove chiudevasi il vino nuovo, perchè +esposto al fumo maturava più agevolmente. + +— Bene, Gymnasia. Sono contento di te. Perdona il rimprovero che ti +feci. _Oculus in agro fertilissimus._ + +— Or dove dormono i tuoi schiavi, Coecilio? + +— Amo, o Vestorio, nel tuo Lucio la curiosità che addottrina. — +Qui, sopra la cucina e le stalle. — I bovari e i pastori, nelle +_bubiliæ_, perchè sieno vigili custodi del mio bestiame. — Credeva di +averti mostrate le loro cellule coi loro numeri sopra, per eccitare +la emulazione e fare ognuno testimonio della incuria dell’altro. +— La corte, colla fontana nel mezzo e, sotto, la cisterna per la +conservazione delle acque piovane, è chiusa dall’_horreum_, magazzino +ove sono in serbo gli aratri, gl’istrumenti di ferro ed i _tympana_, +carri a ruote piene senza raggi, destinati al trasporto dei pesanti +prodotti dell’agro. — Qui, tutto vedemmo che meglio importava. — +Torciamo ora i passi verso la mia dimora, e di là alla _fructuaria_, +dove convengono tutti i ricolti. — Addio, amici. Gli Dei vi concedano +tanti beni, quanti occorrono al vostro vantaggio. — + +Alcune lepri correvano lungo i campi, e si rinselvavano nel bosco. +Le pernici squittivano accenti di amore. In un recinto di reti gli +agnelli spoppati apprendevano a nudrirsi dell’erbe tenerelle che il +tepore primaverile in quelle felici contrade facea germogliare. E +mentre le talpe minavano sordamente la terra, i passeri, le allodole, +i pettirossi e le cingallegre modulavano gentili armonie. La strada, +dov’essi passavano, seguiti da Cilindro, offeriva ai loro sguardi uno +spettacolo visto e rivisto e pur sempre nuovo. Il terreno discendeva +in anfiteatro sino alla riva, abbellito da gruppi di alberi, da +fichi spinosi e da case variopinte, che colle loro terrazze e coi +loro portici parea sorridessero a quel cielo olimpico. L’occhio +abbracciava in una volta il mare senza limite, il golfo di Stabia, +le coste abrupte di Sorrento, l’isola di Capreas, la lunga sponda di +Posilipo, la vaghissima Neapolis, lo artistico e nobile Herculanum e il +vecchio Vesvius, fucina degli spessi tremuoti e più tardi operatore di +distruzione e di morte. — Quei luoghi d’incanto avevano una espressione +di tutta dolcezza; e, come la musica, spandevano pei nervi un fluido, +padre d’idee passionate e triste. Coecilio arrestossi e levando la +mano. + +— O Campania, giardino d’Italia! E tu, fiore del mondo, Pompei! — + +Parlando su cotesto argomento giunsero dove erano diretti i loro passi. +— Il fabbricato aveva in mezzo una corte. — Ciascuna parte era addetta +al suo uso particolare. A diritta era il _torcular_, il molino delle +olive e il pressoio per estrarne l’olio. A lato era la _cella olearia_. +A sinistra aprivasi la _cella vinaria_, il cui pavimento di marmo +inclinavasi verso un bacino che riceveva il mosto dei tini scoppiati +per la forza della fermentazione. — Una grande vasca — _calcatorium_ +— serviva alla pestatura delle uve. Era sollevato sur uno zoccolo di +quattro gradini e due bacini profondi ricevevano il mosto che poi si +versava nei _dolia_ — tini panciuti di terra cotta — posati lungo i +muri. Presso i torchi, in fondo, levavasi la caldaia, dove il mosto +convertivasi in vino cotto. — Poi, nelle anfore conservavasi nella +cantina, luogo chiuso e quasi oscuro, munito di qualche spiraglio verso +il settentrione. + +Sopra era il _penus_ — il luogo ove si conservavano i commestibili +— e l’_oporotheca_, dove si serbavano le frutte in particolare. Nel +primo, le fave raccolte, i piselli, le olive edule, le zucche, le uova +fresche, i meloni ed altre cose simiglianti. — Nell’altro, i fichi, +le mele, le pere, e via dicendo. Quivi il suolo, le pareti e la volta +erano di marmo per intrattenervi vie meglio la frescura. + +Il granaio chiudeva la corte coi suoi magazzini a volta e sollevati +dal suolo. Il pavimento era formato di lapillo, di calce e di sabbia +impastati col sedimento dai vasi da olio novello e non salato. Quando +era battuto ed asciugato, vi si spalmava anche dell’olio buono ed +il fondaco diveniva eccellente, e mai i sorci, i calabroni od altri +animali nocivi vi penetravano. + +— Tu mi chiedesti un _promus_, o Vestorio. — E ti darò Mustella che ama +una tua liberta chiamata Pyrgo; talchè sarà felicissimo nel tuo podere. +E pur mi chiedesti un _villicus_ valente. — E ti darò Castriccio che il +mio Cilindro istruì. È per sposarsi con Cerellia, una delle schiave che +tu stamane legalizzasti liberta. — Noi, mio Lucio, correggiamo un uso +dei repubblicani di Roma. Quando quel gran popolo conquistò la Italia +e la Grecia, si appropriò il territorio dei vinti. — Se era coltivato, +i triumviri addetti all’amministrazione della nuova colonia o lo +vendevano o lo affittavano. Se il popolo aveva seriamente resistito, la +terra si dava agl’incanti; e quegli cui rimaneva pagava alla repubblica +il decimo del prodotto che ne ritirava. La quale tendeva a moltiplicare +ovunque la popolazione agricola che le forniva i più bravi soldati, i +più duri alle fatiche e non pensavano al male. Ma moltiplicandosi le +guerre — e gli uomini liberi, tutti a difesa delle aquile, — la cultura +dei vasti dominii fu giuocoforza affidarla agli schiavi, ch’erano le +popolazioni soggette. Tu hai osservato con quanta carità io li tratti. +— Non tutti così!.... E gl’italici si solleveranno i primi. I Romani +forse li domeranno col ferro o scenderanno a patti.... Verrà giorno +però in cui il lusso, la mollezza e i vizi disegneranno la curva della +caducità di un gran popolo. I campi popolati tutti di schiavi oppressi +saranno teatro a macelli e ad incendii. I crocefissi inchioderanno i +loro crocefissori... Oh! non permettano gli Dei tanta ruina. — + +Il sole illuminava dei suoi ultimi fuochi le cose. Pei due Pompeiani +era tempo di ritirarsi. Ringraziato l’ospite illustre del cortese +accoglimento e della cessione dei propri coltivatori, Vestorio Tucca e +Lucio tolsero da lui commiato e lo baciarono sulla gota. + +Poi che li vide a cavallo, Coecilio Casella fece loro un atto benevolo +colla mano e disse: + +— Il tragitto alla tua casa è breve, o amico. — Ma in viaggio un +giovane allegro e caro, come il tuo figliuolo, vale un _cisium_ leggero +per un pedestre stanco e trafelato. — + + + + +IL FORO. + +LA ELEZIONE DEI MAGISTRATI IN POMPEI. + +=Anni di Roma 705 — Anni avanti il Cristo 49.= + + + A GIUSEPPE FIORELLI. + + III. + + +Il cielo era azzurro e radiante — come spesso — sull’ampio e vaghissimo +cratere partenopeo; una tinta che non è altrove; che infiamma e fa +pensare; che soffia sull’anima gli slanci passionati e le eroiche +rassegnazioni. — Il golfo era circondato da colline verdeggianti sino +al promontorio di Minerva e da un antico vulcano, detto Vesvius, le cui +lave vedevansi lungo la strada che da Pompei sulla riva del mare menava +in Oplonte, Retina ed Herculanum, o sulla via Popilia che guidava a +Nola, o sulla terza che, traversando il copioso Sarno e dividendosi in +due, metteva a Nocera ed a Stabia. — Bella per le sue rive incantate su +cui i poeti favoleggiavano le sirene, ricca pel suo fiume navigabile, +avente l’occhio sur una fertile pianura, e l’altro sulla collina +gremita di case variopinte, la città-emporio — detta perciò dai Greci +ΠΟΜΠΕΙΟΝ — era posizione militare, posto commerciale e luogo di delizie +in una volta. I pittori venivano a cercarvi le loro inspirazioni — i +poeti, i segni sensibili delle armonie della natura — i filosofi, le +felicità profonde nello stracciare un per uno i troppi veli parati +dinanzi al genio dell’uomo — i timidi, gli stanchi, gli uomini di +pecunia, il luogo riposato e tranquillo ove appena giungeva l’eco degli +avvenimenti fragorosi del mondo — i ricchi giovani, le più splendide +illusioni, i sorrisi delle labbra divine, gli sguardi vellutati che +vi passano il cuore e le parole dorate dalla intelligenza o profumate +dal candore che quella sola regione poteva ancora offerire, patronata +siccom’ell’era da Venere Fisica e da Iside misteriosa. + +Correva l’anno di Roma 705. + +Erano le calende di maggio. + +Il quadrante solare e la clessidra di acqua — questa surrogante +l’altro nei tempi oscuri o nebulosi — deposti nei pubblici luoghi, +designavano già la quarta ora, corsa dopo il _diluculum_, parola +colla quale indicavasi la punta del giorno. — Malgrado però quelle +acconce invenzioni di cui Roma seppe godere sol cinque secoli dopo la +sua fondazione, lo _accensus_ — ufficiale subalterno dei _duumviri_ — +urlava a piena gola sui canti delle vie la misura del tempo che il sole +e l’acqua notavano, per meglio aiutare alla intelligenza dei forestieri +e della gente minuta della città e della campagna. + +Sino dal mattino — aperti i cancelli di legno sullo sbocco delle otto +strade che mettevano nel Foro — il vasto recinto era un va e vieni +di fitto popolo di tutte le classi e di varie favelle. Oltre che i +meridionali hanno la tradizionale abitudine di viver meglio fuori +che dentro le proprie dimore — oltre che quel vasto edifizio solevasi +costruire di preferenza presso il porto nelle città marittime o nel +luogo più elevato e centrale in quelle dentro terra — siccome il sito +favorito dei ritrovi, dei commerci e delle riunioni di tutti i pubblici +affari — in quel giorno la Colonia Veneria Cornelia di Pompei era +chiamata alla elezione diretta dei suoi magistrati. + +Sur ogni muro esterno delle case e specialmente sugli angoli dei +quatrivi, erano inscrizioni a grandi lettere di color rosso, mercè +le quali i devoti, i riconoscenti per ricevuti favori, i clienti, +i parassiti e i liberti sollecitavano il pubblico voto a pro dei +loro propri candidati. Per cui leggevansi elogi tributati a nomi +di cittadini e biasimo ai più sconosciuti od immeritevoli dell’alto +ufficio. + +La politica dei padroni del mondo divise i paesi conquistati in città +latine, in città federate, in prefetture ed in colonie. — Erano libere, +ma nella dipendenza di Roma. Laonde non potevano stringere alleanza +tra esse, nè politica, nè privata, senza prima ottenerne il permesso. +— La Italia si divideva in dodici provincie indipendenti con leggi, +con usi più o meno simili a quelli che reggevano la grande metropoli; +e dal golfo di Taranto distendevasi sino al Rubicone, piccolo fiume che +sbocca nell’Adriatico. — E nel Mediterraneo giungeva sino a Luna, città +che gli Etruschi avevano fondato là dove il fiume Magra si gitta nel +mare. — La potente repubblica privava della libertà i popoli manchevoli +alla fede dei suoi trattati. — Se recidivi, gli deportavano tutti +fuori del loro paese. — O ne distruggevano la città. — O confiscavano +una parte del loro territorio. — Tutte le dodici provincie erano più o +meno colonie militari, cioè deposito di un corpo di fanti e di cavalli +in permanente osservazione; e dovevano pagare un tributo in uomini +ed in danaro. — E come puniva le aperte rivolte, così ricompensava le +tacite fedeltà. — E la colonia di Pompei era pur _municipium_. Aveva, +cioè, ricevuto il _munus_, il donativo tutto speciale dei diritti di +cittadinanza romana. — Onde la sua costituzione era pari a quella +dell’Urbe, che divideva i suoi abitanti in tre ordini — senato — +cavalieri — e popolo. La magistratura municipale di Pompei rassegnavasi +in un edile — nei duumviri che rendevano altresì la giustizia — nel +pretore — nel censore — nel questore, gerente del reddito pubblico — +nel patrono della città — nei maestri dei subborghi e dei trivi — ed in +cento decurioni — quelli che in Roma chiamavansi senatori — i quali — +decimando i coloni — formavano il pubblico Consiglio. + +La forma del Foro — che fu l’_agora_ già costruita dai Greci — era +un parallelogrammo molto allungato. Un pavimento regolare di bianco +travertino, su cui sorgevano tutto all’intorno colonne d’ordine dorico +di svelte ed eleganti proporzioni, che sostenevano un porticato di +due piani. — Lungo l’area erano piedistalli rivestiti di marmo pario o +colorato, che presentavano in piedi le statue — votate in vita o dopo +morte — dei cittadini illustri per le loro virtù o per lo esercizio +di gradi eminenti. — Sur altri quattro erano statue equestri ed una +quadriga. — Sull’una estremità — quella che prospetta il mare — si +elevava un arco di trionfo. — E più su, due altri piedistalli con +statue. — Statue di marmo coronavano altresì il tetto del porticato +del Foro. — E nel fondo stava il maestoso edificio — alla cui sommità +giungevasi per una gradinata interna di marmo — il quale era in un +tempo l’_ærarium_ ed il tempio sacro a Giove ed al figlio Esculapio. +Siccome la costruzione di parecchi metri sollevavasi dal suolo, il +piano superiore lo avevano dedicato al principe dell’Olimpo, ed il +sottano a deposito della pubblica pecunia. + +Otto strade diverse menavano al Foro. — Quelle dei due lati del tempio. +— L’altra che veniva dal crocicchio del Lupo. — Una dal canto del +Pecile — luogo riparato dal vento e dal sole, sacro al passeggio, dalle +pareti adorne di pitture sui fasti gloriosi della Colonia — metteva +nell’Araiostylo, l’ambulatorio sotto il portico a lato del tempio di +Venere. — Una veniva dalla marina ed immettevasi nel parallelogrammo +tra il suddetto fano, sacro alla Iddia della plastica bellezza, patrona +della città, e la _Basilica_. — Un’altra questa isolava dalle case +particolari. — Una imboccava nel porticato costeggiando a diritta +la scuola pubblica — ed un’altra ascendeva verso quel punto rilevato +sulla via detta dell’Abbondanza, per la immagine di cotesta divinità +spicciante acqua nel fonte di quel quatrivio. — Passavano per là quei +che entravano in Pompei dalla porta di Stabia. — Ogni sbocco di quelle +vie aveva gradini e pilastri in piedi — _impedimenta_ — e pietre ovali +massiccie rilevate dal selciato — in uso pur queste in tutte le altre +strade della città, a comodo degli abitanti, onde traversassero a piede +asciutto nei casi di grandi acquazzoni — per impedire il passo alle +vetture e ai cavalli e non aggiungere lo strepito delle cose al rumor +delle voci. + +E nel vero, molta gente togata alla romana era colà e parlava a bocca +sfrenata, aggiungendo energicamente il gesto ad ogni detto. — Sotto +il portico gironzavano, arrestandosi tratto tratto i _fæneratores_ — +lepra dei tempi che tante leggi non potettero mai sanar per intero — +i quali usavano i loro brevi capitali, o ne improntavano da altri per +poi prestarli al grosso agio del cinque per cento al mese. La famosa +ritirata della plebe al Monte-Sacro, quindi sul Gianicolo, ebbe origine +dal rifiuto dell’abolizione dei debiti enormi, creati dall’avarizia +dei prestatori. — Una legge recente aveva ordinato che i cambiatori di +moneta — riconosciuti per tali — fossero nel Foro e dessero a prestito +il denaro con usura semissuale — cioè, del sei per cento all’anno. +Non mancavano però gli usurai di accalappiare qualche ignorante e i +forestieri, in un giorno di tanta folla. Erano rizzate sotto i portici +le _tabulæ auctionariæ_, coll’enumerazione scritta dei beni mobili +ed immobili da vendersi in tale ora alla pubblica licitazione. E i +_præcones_ gridavano i meriti di una casa, di un terreno, o dei mobili +di legno, di bronzo o di più fine metallo. — Altrove erano botteghe +posticce, ove si vedevano intorno ai venditori rotoli di cordami e +pacchi di vele. — O tuniche e mantelli di grosso saio con cappuccio, +per gente di campagna e per marinai. — O vasi di terra, fabbricati +nella vicina Nola, di ogni dimensione, di ogni ornato, di ogni prezzo. +— O lucerne, licnoferi, nassiterni, bombille e vasi unguentari. — +O calzari di ogni stoffa e di ogni foggia. — O Dei penati, e voti +di terra cotta o di bronzo. — O astragoli e pallottole di piombo ed +altri giocattoli per bambini. — E tutti gridavano — e tutti urlavano, +vantando la bontà delle loro merci e la mitezza dei prezzi. — V’erano +persino i ristoratori ambulanti, offrenti vini caldi ed acque melate. — +E fra i venditori di cialde, di nastri, di calzari, di stoffe di Tyro e +di Tarentum, di pelli conciate, si aggirava il misero Verna, maestro di +scuola, che con voce supplichevole e monotona, raccomandava a colui che +sarebbe stato eletto edile sè ed i propri discepoli. + +Sotto il portico laterale al tempio di Venere Fisica, in una icona +quadrata, erano costrutte di tufo le pubbliche misure di capacità +di varie grandezze, affidate, per decreto dei decurioni, ai duumviri +Clodio Flacco e Arelliano Caledo. + +Procedendo più oltre, penetravasi nella _Basilica_ — uno degli edifizi +meglio notevoli del Foro — ove i duumviri rendevano la giustizia. + +Di prospetto al tempio di Giove Tonante erano le tre _Curiæ_, luoghi +sacri, ov’erano depositate le scritture dei pubblici archivi. + +Sull’altro lato del Foro, Eumachia, figlia di Lucio, sacerdotessa +pubblica, in nome suo e di Numistro Frontone, suo figliuolo, aveva +costruito di proprio il magnifico monumento del _Chalcidicum_, della +cripta e del portico interno della _Concordia_, ch’era in un tempo +un tribunale per gli affari di commercio ed un luogo riparato dalle +intemperie e dallo strepito della vita pubblica per la trattazione di +essi. — I _fullones_ — che avevano altrove il loro opificio — grati +alla munifica sacerdotessa, le votarono una statua di marmo nell’abside +interno. — Il muro laterale esterno della cripta, riccamente ornato di +cornici, di frontoni e suddiviso in tutta la sua lunghezza di pilastri, +simulanti porte, era l’_album_, ove si pingevano a grandi caratteri +rossi o neri le inscrizioni di pubblico interesse, che risguardavano +le vendite, gli affitti, le feste, gli spettacoli. — Difatti vi si +leggeva lo annuncio che una compagnia di gladiatori avrebbe pugnato +in Pompei l’ultimo giorno di maggio. — E con un altro tutti gli +orefici invocavano Gaio Cuspio Pansa, edile. — E il maestro di scuola, +Valentino, coi suoi discepoli, raccomandava con uno sproposito di +lingua — che non procacciava meriti al saper suo — Sabinio o Rufo, +come edili, degnissimi della repubblica. — Ed un Osco dava nella sua +lingua — ch’era pure una delle favelle del paese, sendo stati i Sanniti +i suoi primi abitanti — lo indirizzo della sua locanda pubblica ai +viaggiatori, colle enumerazioni delle comodità che offeriva. + +Andando anche più in su, si trovava il fano dedicato a Mercurio. — +Quindi il _senaculum_, luogo destinato alle assemblee dei decurioni. +— Ed in fondo erano le _tabernæ argentariæ_, fondachi dove operavano +i loro commerci i cambiatori di moneta, gli orefici e gli scultori nel +bronzo. + +Ai lati del tempio di Giove si elevavano due eleganti archi a trionfo, +eretti ad incliti cittadini per le loro virtù. + +Ascendevasi al sacrario massimo per una doppia gradinata, presso +due larghi piedestalli ornati di statue equestri. Dal _pulpitum_ — +piattaforma spaziosa d’onde i magistrati e gli arringatori concionavano +al popolo — si saliva su più larghi gradini al porticato del tempio, +sostenuto da dodici colonne di ordine corintio, rivestite di bianco +stucco. E sedici colonne eguali, di ordine ionico composito — aventi +le sue volute sulla diagonale, sopportate elegantemente da foglie +di acanto — sostenevano nello interno un altro colonnato corintio +su cui chiudevasi il tetto. La statua gigantesca del nume drizzavasi +dinanzi le tre camere a volta, nel fondo della cella, belle di pittura +architettonica, nelle quali tenevansi gli archivisti degli atti di +deposito erariale. E su tutta la superficie del bianco mosaico — in +mezzo e nello intercolunnio — si aprivano larghi spiragli per dar +aria ed alcuna poca luce allo edificio sottano, ove era custodita la +pubblica pecunia. + +La folla erasi fatta vie più spessa. — Le matrone — cioè le donne +sposate colla _confarreatio_ e non colla semplice _cœmptio_, per cui +queste divenivano soggette dello sposo ed in una continua tutela, e +dalla cui razza non si sceglievano flamini nè vestali — ripeto — le +matrone, a cui tutti avevano ceduto il passo lunghesso le vie, salivano +prime sul terrazzo coperto sopra il portico del Foro per le due scale +disposte alle estremità delle _Curiæ_. Esse vestivano la _stola_, +cioè la lunga vesta di lana bianca che cuopre la metà dei piedi. E si +avviluppavano in un ampio mantello detto _palla_, che non permetteva lo +aspetto della persona. Una truppa di liberte e di schiave lor faceva +corona e largo al tempo stesso. Esse, in grazia del gesto animato con +cui accompagnavano la breve parola, si permettevano tutto al più lo +innocente civettismo di mostrare la bella mano dalle dita affilate e +piene di gemme. — Le altre donne più giovani — e perciò più eleganti +e più libere — che dopo esse salivano, portavano sopra l’acconciatura +del capo finissimi veli, coi quali artificiosamente e per metà celavano +ai desiosi sguardi degli ammiratori il loro viso ovale dal tipo greco. +Ricchi i tessuti delle vesti e di ogni tinta. Ma la porpora primeggiava +tra tutte. — Mutabili nelle loro idee, erano pure svariate le fogge +del loro vestire. Alcune si coprivano colla _regilla_, la quale era una +grande tunica dritta. O colla _impluviata_, una specie di toga femminea +di forma quadrata come l’impluvio di una casa. O col _basilicus_ o +coll’_exoticus_, manti reali o stranieri, colle frange o coi meandri +d’oro. O colla tunica _intusiata, calthula, patagiata, crocotula, +plumatile_, questa sparsa di ricami d’oro leggerissimi al pari delle +piume. — Una di esse, nel porre il breve piede sulla scala, ebbe cura +con tal movimento di disegnare i rotondi contorni della leggiadra +persona. Una bionda, per mostrare il suo petto bianco come la neve, si +volse dalla parte d’onde spirava il vento, perchè zeffiro soffiando sul +suo _linteolum cæsicium_, le scoprisse la spalla sinistra ed una parte +del braccio, tornito dagli amori. — E una bruna vanerella, vestita di +una _mendicula_ molto scollata, lasciava ammirare un suo neo sull’omero +di alabastro. Tutte avevano collato sul loro volto pieno di grazie +piccoli pezzi di pellicola nerastra, di forma rotonda o di mezza luna +— nei di artificio coi quali pretendevano dare maggiore rilievo alle +loro naturali attrattive. E presso che tutte — di bruni capelli — si +ostinavano per moda di averli cangiati in biondi ardenti, in dorati +od in tinta cinerea. E cotesto ottenevanlo col farsi ungere le chiome +dalle loro _ciniflones_ — addette a siffatto mestiere — con una pomata +composta di ragia, di aceto e di olio di lentisco, che imbiondiva +i capelli in una sola notte. — Non eravene una che non avesse sulle +orecchie due e sino tre pendenti d’oro, di pietre preziose e di perle. +— Cotesti gingilli così combinati erano detti _crotales_; perocchè +nello urtarsi formavano un suono, atto a destar l’attenzione e a far +doppio il loro civettismo. — Alcuna passava dall’una mano nell’altra +alcune piccole palle di cristallo di monte e di ambra gialla — le prime +per tener fresca la palma, e le altre per profumarle soavemente. Altre +stringevano i polsi per entro braccialetti d’oro a forma di serpi, che +pesavano da due a tre chilogrammi. + +Giovani — e ben più ridicoli per la loro raffinata ricercatezza — +avevano molte di quelle leggere donne accompagnate dalle loro case o +dai bagni fin là. Anch’essi avevano profumati od arricciati con arte +i capelli. — Ed il mento rasato. — E mani, e braccia, e gambe monde +di pelo dalla pietra pomice. — E chiusi entro le ricche pieghe di +una larga tunica di porpora. Od avvolti in un bruno _lacerna_, veste +militare che l’abitudine delle guerre civili aveva messo in uso ed +in moda. Di alcuno tra essi poteasi dir con Orazio, _ad unguem factus +homo_, cioè, azzimato sino alla perfezione. + +Ai quattro canti del Foro alcuni _viatores_ — che già avevano per +tutte le strade avvisato come l’assemblea popolare fosse per aprirsi +— suonarono le loro trombe. E poi, l’un dopo l’altro gridarono che i +decurioni andassero al loro posto, e quelli i quali avevano diritto di +dare il suffragio apparecchiassero le loro tessere. + +Allora, uomini dalle larghe toghe preteste, orlate da una striscia +di porpora, dalle laticlave e dai bianchi stivaletti, ascesero i +gradini del tempio e si assisero sulle sedie curuli. Altri — al cui +passaggio ognuno deferente faceva inchino col capo — nel traversare il +parallelogrammo salutava con benigno ed orgoglioso sorriso quelli che +tra i suoi conoscenti distingueva tra i gruppi. — A quanti egli e i +suoi somiglianti avevano in quel giorno pagato un piccolo debito, ed il +desinare nelle _popinæ_, e la tessera del teatro! + +Intanto, un giovane accorso rapidamente dalla via della fontana del +Lupo, sparse una novella, la quale venne da molte bocche bentosto +riprodotta, ed offerì nuovo soggetto all’animato disordine, alla +febbrile parola, al gesto impetuoso di quel popolo meridionale. Di +fatti, i curiosi — che si erano spinti fin sotto l’acquedotto dalle +due fontane che simulava il secondo arco trionfale dopo quello a +sinistra a lato del tempio — videro un vecchio circondato da gran +numero di clienti, portare la mano destra alla bocca e contornare +un po’ il suo corpo da diritta a manca dinanzi il grazioso tempio +della Fortuna, edificato dai suoi sur un’area di loro pertinenza. +— Avendo riconosciuto nella folla due militari, strinse gli occhi +affettuosamente e chiamogli: + +— _Læti victores._ — + +I suoi bianchi capelli erano lucidi e ben pettinati. — La toga gli +scendeva sino a terra. — La pretesta era bruna ed il corpo ed il capo +copriva colla _penula_, mantello di viaggio e dei tempi di lutto. — +Era una grande semplicità nella sua persona. Il volto, sovente gaio e +sfiorante in epigrammi nel facile consorzio, si aprì a mesto sorriso +alla vista dei _salutatores_ che in frotta se gli fecero intorno. — +E taluno il chiese del suo mal d’occhi. — Ed altri su ciò che stava +scrivendo. — Ed un terzo, da quando era giunto di Roma. — Ed uno più +intrinseco gli domandò le novelle di Tulliola amata e di Quinto, suo +fratello. — E molti delle importanti notizie dell’Urbe. + +Egli prese il mento colla sua mano sinistra — suo gesto di abitudine — +e mostrando Dolabella, suo genero, e sè stesso in _toga atrata_: + +— L’anima fuggitiva di quella soave creatura ci disse lo eterno vale +dopo averci fatto dono di un suo figliuolo. Anch’esso disertò la +trista dimora degli uomini, ov’era inconsolato il pianto. Ma il lugubre +annoso cipresso starà, quantunque più non senta i profumi della giovane +rosa. — + +E ad un più vicino: + +— Ti è grato l’animo mio. — Attico mi ha diretto Asclepiades, un famoso +_oftalmicus_ della Grecia, che riprova ogni medicina e mi guarisce con +lozioni di acqua fredda. — + +E ad un altro: + +— Scrivo sur un argomento che il dolor mi ha fornito — _De +consolatione._ — Ieri, a notte tarda, giunsi nella mia suburbana, +accompagnatovi dalle lettere consolatrici di M. Bruto, di Servio +Sulpicio, di Lucio Lucceio e di Caio Cesare. — + +E a molti in atto di aver pubbliche novelle: + +— Alcuni deputati di Laodicea vennero ad implorare la libertà della +loro patria. — E noi, per la nostra?... Il dittatore mi colma di +gentilezze e par che tema che io qualcosa desideri. — Arte dei nuovi! +— E più di colui, che intende cancellare dai nostri ricordi il valico +recente e audacissimo sul Rubicone. — + +Cui Numidio Canca — uno dei vecchi militari da lui pur dianzi salutato: + +— E perchè ti confini tu nel tuo Tusculum ed or qui, sì che nell’Urbe +s’ignora se sii ancor tra i viventi? — + +— E vuoi tu, nobile avanzo dei ferri catilinari, che io non rinunci +alla pubblica cosa quando questa più non esiste? Quando la libertà +la dicono pacificata e le nostre vecchie instituzioni le chiamano +moderande, da sorreggersi e persin migliorate?.... La gloria è in +interdetto. — La eloquenza — voi il sapete — è una fiamma che abbisogna +di alimento per ardere di moto per eccitarsi. — + +E Dolabella: + +— E la Repubblica tranquilla, la Repubblica dell’ordine dice che noi +gittavamo tutti gli errori nel cuor fecondo delle masse per quella +maledetta ambizione di popolarità. — Laonde fazioni e lotte continue +tra il patriziato e il popolo minuto. — + +La voce di un giovane allor sorse a dire: + +— Lo editto dittatorio che ha rilegato nel tempio di Marte-Vendicatore +il dibattimento delle cause pubbliche, ha tolto il fermento, la +licenza, la dissennatezza omai generale. — La eloquenza, no, non è +morta. Essa vive e scintilla per fare il bene, procede pel sostegno dei +sani principii e trionferà dei pessimi cittadini. — Che! Son fatte mute +le labbra sublimi che inabissarono Catilina, Verre ed Antonio, surti +per rovesciare a talento le sorti della Patria e del Mondo? — + +Lo elogio espresso dal giovine retore Consinio Mestrio, quantunque +meritato, sommamente piacque a colui si quale era diretto. — Onde +rispose: + +— La mia età mi condanna al triste privilegio di dire: — Ho vissuto. — +Ma... o tirone, quello che tu chiami licenza, io la chiamo libertà.... + +— E pur dai Rostri tu l’accusasti compagna delle sedizioni, ribelle, +arrogante, parricida. — E noi giovani comprendemmo come le pietre +sieno fatte per selciare le vie e non per abbarrarle, e le daghe per +difendere il Campidoglio e non per abbatterlo. — + +Allora dal crocchio emerse la testa di un canuto, sulla cui fronte ogni +dolore lasciato avea la sua ruga, e + +— Parmi non la santa libertà tu rimpianga, ben la rivalità di un uomo +possente, cui tu apristi la strada al salire. — + +— Basta, o amici. Ragioni non mancano. Pur mangerebbero il tempo alle +pubbliche elezioni della Colonia. — M. Clodio Pulcro venga a suo libito +nella mia Pompeiana, ove mi piaccio ed è il solo luogo oramai ove io +sia pienamente contento. — Là parleremo. — + +E sì dicendo ruppe il cerchio dinnanzi coll’atto benevolo della mano. E +fattosi nel Foro, ascese anch’egli la gradinata del tempio. + +Un suo liberto che pur era venuto con lui di Roma, un tal Suculo — che +negli spazi smisurati aveva veduto abbassare il volo alle chimere della +lunga sua vita — accostossi ad un affrancato di sua conoscenza e gli +disse colla palma tesa verso l’orecchio: + +— Oh! Un po’ di umiltà sposata a tanto ingegno! Se un raggio di sole +gli avesse almeno scaldato il cuore! — Terenzia — la buona padrona +che mi diede la libertà — fu da lui reietta e presto dimenticata. — +Tulliola — che aveva i suoi tratti e le sue nobili frasi congiunte ad +una grande anima, ch’egli diceva adorare — morta appena ed obliata. — +Ora, a 58 anni, ha sposato Publilia, giovane, bella e ricca, colla cui +dote ha pagato i molti suoi debiti. + +— Tu mi conoscesti schiavo di Hortensio, nella villa di quel gran +ciarlone, in Bauli. Preso di matta passione pei suoi _piscinarii_, +ammalò quando lesse il decreto del dittatore che vietava si gittassero +più oltre gli schiavi ad ingrassar le murene. Ei soleva parlar con +dispregio di M. Lucullo — il fratello del vincitore di Mithridate — +perchè non aveva nei suoi vivai il quartiere di estate per i suoi pesci +favoriti. — Per cotal gente noi valghiamo meno di un’ostrica di Lucrino +o di Brundusium. E Crasso, l’uomo censoriale, lo illustre, il grave +uomo di Stato, quegli che ama tanto la Repubblica, e nol vid’io porre +una collana di perle e gli orecchini d’oro ad una murena? + +— Udii ben io Domizio, il suo collega nella Censura, rimproverargli +tale sciocchezza in pieno Senato, ed egli testimoniarla senza rossore, +vantandosene come di nobile atto di pietà di cuore. + +— Per Castore e Polluce! V’ha dei giorni in cui, vedendo girare le +verghe e cadere sul corpo dei miei poveri compagni in casa di Aricio +Scauro — quegli che mi comperò dallo antico padrone — la rivolta +mi sembra quasi un dovere. — E quando io mi chiudo nel mio povero +giaciglio la sera, io m’inginocchio dinanzi una Iddia che mi sta nel +fondo del cuore e le canto un inno tacitamente, siccome Spartaco lo +urlò coi coltello da beccaio nello anfiteatro Campano. — Ah! — + +— Tu vai tropp’oltre, fratello. Rammenta che se è vietato gittar gli +uomini ai pesci, non la è così per le fauci dei leoni, delle tigri, +degli orsi. — Sommessione e pazienza. — + +E si separarono. + +Rincarirò sul già detto da quelli schiavi. Era in Roma un Figellio, +poeta assai caro a Cesare e ad Augusto. Ei cantava d’improvviso una +serie lunga di versi su qualunque argomento. E siccome, non sole +parole, ma concetti, ognuno ne maravigliava; e dalla maraviglia il +favore. Nasceva di gente Iliese, rintanata sulle più aspre montagne +della Sardinia. Ribelle ai Romani, nobilmente testarda, combattuta +d’ordine del Senato, carpita dai suoi nidi di aquila e venduta ne’ +pubblici mercati. Solo Nerone, a sedici anni, sposata Ottavia, difese +gl’Iliesi, origine della casa Giulia, perchè di seme troiano, da Ænea +colà trasportato. Figellio era un liberto. Aveva il padre, i congiunti, +i nati nei suoi monti combattuti, morti, martoriati, venduti, dispersi. +O perchè Cicerone l’odiava?... Schiccherava versi d’incanto e tutti ne +lo lodavano. Ed egli, poetastro stentato, non di vena, n’era geloso e +non sapeva frenarsi. + +Uno Scauro, iniquo pretore, ito in Sardinia colle sacca vuote, le +riportava nell’Urbe gravi di argento e di pietre preziose. Cicerone orò +per lui. Aveva bene accusato Verre per missione avutane dai Siculi. +Cangiato il nome, il soggetto era lo stesso. Ma egli spese la sua +splendida eloquenza contro i Sardi derubati e immiseriti, perchè Scauro +fu il primo a complirlo e fecegli udire il sonito dei nummi d’oro, di +cui lo sciupone aveva tanto bisogno. E ritorse il dritto. E raddrizzò +lo storto. + +Erasi allora allora partito dall’Urbe, e i suoi rancori, i suoi +desiderii, le sue speranze attribuiva alla società pur dianzi lasciata. +Pensava che il suo malcontento avrebbe prodotto la rivoluzione. In ogni +baruffa vedea la rivolta. Credeva pianto della patria il pianto del suo +cuore. E i suoi vecchi colleghi, tutti tormentati dalle sue smanie. E +s’ingannava. + +L’uomo politico, cacciato in bando da una fazione avversa, guarda il +presente e lo avvenire a traverso un prisma fallace. Il tempo accresce +le vanità della mente e aduna fiamma nel cuore. L’esule esagera i +meriti suoi. La impazienza gli fa accettare qualunque consorzio. I +riuniti per la medesima causa ragionano intorno a ciò ch’essi erano, +intorno a ciò ch’essi sarebbero; e s’incitano contro il comune nemico; +e si pascono di vittorie e di vendette; e maturano imprese di passione, +non di criterio, che i non tormentati dai medesimi sentimenti — tutto +che amici loro — giudicano disperate, insane e di successo infelice. + +Silla avea detto che in Cesare erano molti Marii. Nelle sue imprese +era cauto, di sguardo lungo ed audace. Trionfava a miracolo. Acquetava +con spettacoli, con desinari fastosi, con giuochi, con larghezze. +Abbelliva la città. Ampliava lo impero. I soldati erano suoi. Deponeva +agevolmente odii e nimicizie. I ricchi, le donne, il popolo, tutti +per lui. Il dado era gettato. Cesare aveva vinto. Or l’Arpinate +farneticava; ed eccitatore di animi, sentiva bene nel profondo la +vanità dei propositi suoi. + +Infrattanto il vecchio M. Tullio Cicerone, riconosciuto od atteso, ebbe +le mani strette con grande espansione da tutti ch’erano pel peristilio +del tempio. Parecchi lo baciarono sulle due gote, segno di affetto +che i Romani prodigavano ai loro amici. — Fattasi un po’ di calma, +Alleio Lucio Libella, col suo collega nel duumvirato Munazio Fausto, si +presentò alla faccia del popolo adunato per ritogliere gli auspicii; +osservò il volo di un aquila a cui gli aruspici diedero la libertà; +una vittima venne immolata sullo altare interno del nume, e i sacerdoti +dichiararono che i padri potevano deliberare. I duumviri, il pretore, +il questore, i magistri dei sobborghi e dei trivii, e i decurioni +andarono l’un dopo l’altro ad offrir al Dio vino ed incenso, e la +seduta fu aperta. + +I primi sedettero sulle sedie curuli del centro. Lo edile ed il +questore più al basso ai lati del _pulpitum_. — Gli altri sedevano alla +rinfusa sotto il colonnato. — E nelle parti laterali, sotto le statue +equestri, erano gli _actuarii_, scribi e schiavi pubblici, incaricati +di raccogliere i discorsi mercè alcune note od abbreviazioni che con +brevi tratti di stilo rappresentavano molte parole. + +— Salute ai tre ordini della Colonia. Gli Dei le siano propizi. — + +Quindi i duumviri indicarono allo edile e al questore che potevano dar +còmpito della loro amministrazione. + +Aufidio Mamusa cominciò dal leggere un disegno di senato-consulto, +ordinando preci nei templi per cinque giorni e la immolazione di cento +vittime sugli altari, per calmare la collera celeste che tratto tratto +manifestavasi nel territorio della Colonia con dannosi tremuoti. — +La legge passava _per discessionem_, cioè, senza discutersi e per +acclamazione. — Quindi parlò delle nuove terme costruite nel fondo +della via dell’Abbondanza, cui erasi aggiunto anche la palestra dei +giuochi ginnastici della gioventù, una biblioteca, una sala da giuoco +ed una di profumeria. — E lo edile seguiva: + +— Il mio collega Cascellio Testa, questore, prese gran cura nella +fattura di cotesto edificio — non solo bisogno — ma lustro della nostra +Colonia. Come Catone e Fabio Massimo egli ha regolato la temperatura +dei getti di acqua calda. I condotti portano pure le onde dai larghi +depositi del Sarno e le si rinnovellano continuo. Una imposta più grave +converrà votare per.... + +Una voce potente tuonò dai portici ed interruppe lo edile. + +— I ricchi hanno i loro _balinea_ domestici, corredati di ogni femminea +ricercatezza. Al popolo bastano le terme dove toglieva i suoi bagni +Scipione l’Africano. Quel terrore dei Cartaginesi bagnava in povero +luogo il suo corpo affaticato dai lavori dell’agricoltura; che il +grand’uomo piacevasi coltivar _more antiquo_ il piccolo predio colle +sue mani gloriose. — Ora, pavimenti istoriati per poco venerabili +piedi! Soffitte dorate e a rilievi sopra capi senza cervello! — Stanze +da giuoco e da unguenti! — Mascherate ridicole! — Ai bei tempi che non +son più, i nostri padri sitivano di guerra e di gloria. — Poveri eroi +del vecchio Sannio! Ora passa un nipote degenere sul margine della via, +e vi sembra che là sia piantato un giardino. + +— Ingiusta è la tua rampogna, Appio Crispo. Altri e diversi i tempi +da te mentovati. Una volta il popolo lavava le braccia e le gambe +allorchè i lavori, cui era addetto, quelle membra particolarmente +gl’insudiciavano. L’abluzione della intera persona non avea luogo che +ogni novenio, nell’epoca dei mercati. — Ora trovi tu male ch’ei si lavi +ogni dì? Che prenda il bagno caldo? Che preferisca le pure linfe alle +torbide? Che le sale ove l’occhio ei riposa siano adorne dalle arti del +bello e i pavimenti abbiano musaici invece di pallidi mattoni? + +— Anche i ricchi si contentavano di una giornaliera abluzione. Ora +passano la loro vita nel bagno. Per Ercole! E la sera, dopo averne +presi otto a vapore, fanno pietà a vederli. Hanno a mala pena la forza +di star ritti e di risponder col gesto se sono salutati. — Vuoi che +anche la plebe si mummifichi al pari di essi? Vuoi ch’essa apprenda a +tergere collo strigilo i suoi profumi invece che i suoi sudori? — + +Un mormorio di grida indistinte udissi in ogni parte del Foro. +Allora il questore levossi in piedi e cominciò a ragionare. Ma le +interpellazioni violente, partendo da vari gruppi sotto i portici, +coprirono il timbro della sua voce. Aveva un bello affannarsi nel dire: + +— Pace, pace! — + +Nessuno gli dava retta, e tutti ad una volta, con gran lusso di gesti, +dicevano: + +— È contro la plebe. + +— No. È per lei che ha fabbricato le Terme. + +— Plutone lo inforchi! — Come? Forzarci a prendere i bagni ogni dì? +Converrebbe essere censuari, o non aver famiglia da nudrire! + +— Sappiate almeno, prima di bociar tanto, contro qual cosa facciate il +vostro richiamo. — Le Terme, come il Tempio, come la Basilica, come il +Teatro, sono lustro e vanto di una città. + +— Io trovo che nel _baptisterium_, dove andai a prendere il bagno +freddo in comune, tutte le delicature enumerate non vi erano. + +— Bestia! — Se fossi entrato nell’_apodyterium_, nella sala a dritta, +ove si depongono le vesti, avresti notato il fastigio degli ornati che +non sono nel tempio. + +— E bene sta. — La plebe è sovrana, finchè i vizi di Rema non l’avranno +venduta — o finchè i suoi propri non dicano il suo prezzo all’uomo che +ha l’occhio dell’aquila. Abbia anch’essa il suo _frigidarium_, il suo +_tepidarium_, il suo _sudatorium_ e il suo _eleotesium_ per spargersi +di profumi sul corpo estenuato dalle fatiche. — + +E con una voce stentorea, addensandola nelle palme chiuse in arco, +proseguiva: + +— Parli lo illustre Cascellio. — I duumviri ristabiliscano il +silenzio. — + +Gli araldi dopo vari tentativi potettero ottenere un po’ di calma. +Allora il questore: + +— Appio Crispo mi permetterà ciò che mai non seppi rifiutare ad alcuno +nella mia non breve vita di magistrato. Potrei dirgli com’egli mal +collochi la sua demofilìa. — Chè, val meglio far gustare ai diseredati +dalla fortuna i comodi della vita domestica, onde averli discreti, +costumati, tranquilli, di quello che averli selvaggi e brutali. — A +mente posata tutti mi daranno ragione e plaudiranno a questo prodotto +della nostra amministrazione. — Or noi prendiamo a nostro carico +la eccedenza della spesa sulla somma che ci venne allogata. — Ed io +pagherò di proprio il mantenimento delle pubbliche nuove Terme, acciò +non dia ragione ad elevare le tasse sulle colonne e sulle terre, o di +lasciarlo a carico del pubblico tesoro. — + +Secondato da un mormorio favorevole dell’assemblea, il questore +tornò alla sua sedia curale. Ma tutti i decurioni lasciarono le loro +e si fecero a stringerlo, a lodarlo, e taluni anche a baciarlo. La +discussione venne continuata pro o contro lo assunto, ognuno terminando +il suo discorso colle parole: + +— _De ea re ita censeo._ — Oppure — _Assentior._ — Oppure — _Assentior +et hoc amplius censeo._ — + +Non levandosi alcuna voce sulle altre questioni dell’amministrazione +municipale, furono tacitamente adottati per buoni i temperamenti +ritolti dall’autorità. — Non così quando Mamusa venne a trattare +della costruzione delle vie interne e delle pretorie, nonchè delle +vicinali, che menavano a piccole borgate e ad oppidi o li traversavano. +Un decurione, breve della persona, dagli occhi piccini ma divoranti +come quelli del tigre, valoroso soldato sotto Silla, il gran +capitano, chiese se gli desse facoltà di parlare. Dotato di una grande +originalità di carattere e d’immenso coraggio — perciò amico fedele al +vero e a tutta la sua parentela — di cuore elevato, mia soffrente gli +entusiasmi del momento, credeva che la parola fosse per correggere gli +errori, per togliere le cose dalle mani incapaci, e per far sorgere di +terra bisogni acquetati, universalmente riconosciuti. Tale era Ninnio +Mulo, il quale discesa la gradinata si apprestava ad arringare sul +pulpito. + +— Tu vuoi, o popolo, ch’io dica la verità, non è vero?... Ho la mano +memore di colpi di daga, ma la lingua non seppe dir mai fiori retorici. +— Fui marinaio — Sono soldato — Do quel che ho — Ebbene! quegli egregi +che seggono dietro di me non fanno il loro dovere. — Sarebbe stato bene +tu non li avessi mai eletti. Ma farai meglio di non li eleggere più. O +popolo! Cotesto ingombro di schiavi di ogni terra del mondo ti degrada, +ti dà i suoi vizi. E omai domandi di esser nudrito e distratto coi +giuochi dello anfiteatro. — Scorgendo qual sia il mezzo di piacerti, +erigono bagni di lusso, rizzano per sè e pei liberti sepolcreti +maestosi che giammai ebbe un salvatore della Repubblica in campo, e con +ingenti spese fanno venire dalle scuole di Capua e di Ravenna compagnie +gladiatorie e di Roma bestie feroci. I tuoi padri sarebbero stati loro +grati per le opere di utilità pubblica, compiute a gloria di tutti. I +porti, le vie interne, le strade consolari; ecco i lavori degni della +tua maestà, o popolo. Giulio Cesare non ha speso pei bagni, egli — ma +per la riparazione della via Appia. + +Guarda or le tue strade urbane — osservane i _margines_ sbocconcellati, +mancanti, alti, bassi, irregolari. — Per iddio Marte! Non sono molte +sere ebbi a snoccolarmi un piede sulla via ove sono le fontane del Toro +e di Sileno — Par greto di fiume. — + +E volgendosi indietro rosso come bragia: + +— Ti fa vergogna, o Mamusa! — + +Poi continuando: + +— Presso la fontana della testa di Venere, sulla via che mena alla +porta di Stabia, ebbi a raccogliere un povero vecchio che aveva perduto +lo equilibrio su quei solchi di pietra — e tutto sanguinoso nel capo, +votava i magistrati alle furie di Averno. — Onta e danno! Ho detto +abbastanza.... Pure aggiungo che la strada per Oplonte ad Herculanum +è impraticabile, e le carra vi s’impaltenano nel verno a non poterne +uscir fuori che a stento. — Strade e... scuole... Anche queste fanno +pietà! Una plebe più istruita e meno profumata fa gli affari della +Repubblica. — + +Quando Ninnio — terminato il discorso che il nobile cuor gli dettava — +si volse alla sua sedia curule, trovò Cicerone che colle aperte braccia +lo accolse e gli disse: + +— Salve, amico. Bene dicesti! — + +Nel Foro molte le voci plaudenti. Scarse sul peristilio del tempio. + +Aufidio Mamusa che avrebbe voluto essere rieletto, non volle rimanere +sotto il peso di tanta censura. — E rispose: + +— L’onorato cittadino che tutti amiamo e stimiamo, equo sempre nei +suoi giudizi, volle esser ingiusto oggi con noi. La via suburbana +dei sepolcri, che appellasi _Domitia_ e che mena a Neapolis, fu +rifatta dai magistrati che ci precedettero nell’arduo incarico. Il +suo stato è eccellente. Solo negli acquazzoni estivi le terre di +alluvione la ingombrano, ed abbiam cura di farla netta dal fango in +ogni circostanza. — Dal tempio della Fortuna sino al crocicchio della +fontana del Toro facemmo selciar di bel nuovo la via colle pietre +del monte Vesvio, e la superficie dei margini fu composta di ciottoli +spianati e murati a livello. Computata la spesa di quel tratto, avremmo +a poco a poco restaurato il resto sino al quatrivio e subito messo mano +a riparare la strada veramente ruinosa che dalle mura sbocca fuor della +porta di Stabia _ad cisiarios_. Se il suffragio popolare continuerà a +farci onore, le mie parole diverranno fatti. + +Allor sorse un uomo dal corpo tarchiato e breve, dallo aspetto +infantile, dalla parola facile e petulante. Volea parer grave — e +non lo era. — Volea essere austero — e non gli era possibile. — Volea +sembrare decente — e tutto glielo vietava! — Egli apparteneva a quella +falange di ambiziosi — leviti dei culti riconosciuti — predella agli +audaci che salgono — difesa a compenso di chi teme e spera — uomini che +impongono ordine e non danno sicurezza al partito che a sè lo chiama. — +Ei cominciò: + +— Ninnio per fermo vince battaglie — e sè stesso non vince. — Regge +a meraviglia le sue coorti ed è la spada di Marte quando a capo dei +veterani si scaglia in mezzo ai nemici. — Ma conosce egli le difficoltà +di una amministrazione civile? — Oh quanto il dire è diverso dal fare! +— Io fui già _curator viarum_, o meglio appartenni al quatuorvirato +dei _viocures_, come il popolo gli appella. Mi si permetta pertanto +di dire col sublime oratore che oggi onora la nostra assemblea: +_cedant arma togae_. — Per istabilire una strada si comincia dallo +aprire un fossato sino al terreno solido. — Livellato il fondo lo si +cuopre di uno strato spesso di fina sabbia. — Allora la costruzione ha +principio collo _statumen_, che è il fondamento, composto di larghe +pietre e piatte, riunite da un cemento durissimo — col _rudus_, che +è una zavorra di sassi, di mattoni, di tegole rotte e di calce — col +_nucleus_ che è uno strato di sabbia e di calce e che ben livellato +forma il nocciolo della strada — colla _summa crusta_, o il _summum +dorsum_, formati da grandi poligoni irregolari di silice o di pietra +vulcanica; quasi dura quanto il ferro. Cotesti lavori chieggono tempo e +danaro. Date denaro e tempo agli egregi magistrati, che ora è un anno +voi nominaste; e le strade e le scuole e tutte le nobili instituzioni +della Colonia risorgeranno. Le ultime guerre civili nocquero ad esse. +Allorchè i partiti si disputavano lo imperio, e il Governo era nei +campi di battaglia, e la pecunia pubblica veniva assorbita dai soldati, +tutte le civili magistrature decaddero. — Una nuova êra è risorta. Già +in Roma alcuni senatori hanno preso il còmpito di dar riparo alle vie +abbandonate da quindici anni. E il dittatore medesimo ha assunto la +ricostruzione della strada Flaminia, che mena dall’Urbe ad Ariminum. +— Gli attuali magistrati io li dichiaro degni della Repubblica, ed al +popolo raccomando la loro rielezione. — + +A quei detti Ninnio sorge con impeto, e tutto rosso per la collera, +grida dal pulpito ov’è corso: + +— No, cittadini — _Oro ut non faciatis._ — + +Una certa agitazione in senso diverso occupò allor l’assemblea. I +clienti si slanciavano nei gruppi per patronare i suffragi pei loro +candidati, dicevano il loro elogio, parlavano della loro condotta +passata e della malleveria per lo avvenire, citavano testimoni e +garanti, o il personaggio sotto i cui ordini avevano portato le +armi, o quegli presso il quale erano stati questori. E taluna volta +aggiungevano verità o calunnie sulla nascita e sui costumi del +competitore che osava presentarsi candidato della magistratura a fronte +del proprio degnissimo. + +In fra tanto i duumviri interrogarono i decurioni un per uno colla +formola: + +— _Dic quid censes_ — + +per sapere se la discussione dovesse esser finita, o passare +immediatamente ai voti. — Venne accettata la seconda proposta. — Allora +furono fatte suonar le trombe per intimare il silenzio e un duumviro +gridò dal pulpito, invitando il popolo a ritirarsi: + +— _Si vobis videtur, discedite_ — + +e lesse ad alta voce il senato-consulto ordinario, il quale ratifica +anticipatamente la scelta dei magistrati futuri del popolo. Ed aggiunse +la nota di quelli le cui funzioni scadevano in tal giorno ed i nomi +degli altri, raccolti dalle rogazioni inscritte in rossi caratteri sui +canti delle vie. Quindi: + +— _Quod bonum, faustum, felixque sit_ — + +cioè, che tutto questo avvenga per il bene, la felicità e la prosperità +pubblica. E si ritirò col collega e cogli altri magistrati da quel +posto sino allora occupato, e cogli altri magistrati discese la +gradinata del tempio, quasi per confondersi colla folla. — Gli era +un mostrare di bel nuovo le loro persone ai cittadini riuniti ed un +testimoniare che si ritiravano in un canto per lasciare una maggiore +libertà di voto alla coscienza del popolo. + +Nell’atto dodici littori coi loro fasci armati di scuri escirono dal +_Senaculum_ e vennero a porsi in mezzo all’area del Foro insieme cogli +araldi, i quali deposero sopra una predella un alto paniere cilindrico, +detto _cista_, dove i cittadini avrebbero gittato i loro voti. I +littori abbassarono rispettosamente i fasci dinanzi l’assemblea in +segno di omaggio alla sovranità del popolo. + +In un luogo designato si distribuivano ai cittadini tre tessere di +bussolo. Una portava incise le due lettere V. R., cioè _uti rogas_, +che indicava l’accettazione delle leggi come erano state richieste. +L’altra portava la sola lettera A. cioè _antiquo_, che voleva dire, +il rifiuto delle leggi proposte. La terza era bianca di cera e su di +essa si scrivevano i nomi dei magistrati cui ognuno dava il suffragio. +— E colà più vive erano le passioni dei partiti. Gli amici andavano, +venivano, correvano dalle centurie dei cavalieri a quelle del popolo — +e sugli occhi dei votanti leggevano la indifferenza, la incertezza od +il partito preso — e seminavano la calunnia — e reiteravano le promesse +— e proclamavano il loro candidato _bonum virum_ — o _verecundissimum_ +— o _dignum reipublicæ_ — o _ædilem optimum_. — E i giovani — sempre i +più bollenti — mettevano in siffatte sollicitazioni lo ardore, lo zelo, +il fuoco, della loro età e correvano a riferire ai loro favoriti tutto +che poteva interessarli. + +Le guerre civili avevano spezzato le nobili tradizioni dei popolani +diritti. — La confusione e la inerzia — i bisogni sureccitati e il +desiderio dei facili guadagni — le immoralità che avevano scoperto il +debole della corazza e sapevano dove spingere la loro punta — tutto +questo aveva fatto del popolo una mandra di pecore, le quali vanno dove +veggono andare gli animali della loro specie. + +Quando una centuria ebbe scritto i suoi nomi, essa aprì il varco tra le +colonne del portico e gittò ostensibilmente le tessere di legno nella +_cista_. Gli addetti alla ricognizione dei suffragi — i _rogatores_ +— colle braccia nude sino alle ascelle, ritiravano le tavole e, dopo +averne volto la superficie bianca verso il popolo, le leggevano a +chiara voce. — Altri, preposti _ad dirimenda suffragia_, le separavano, +le contavano e marcavano sur una loro grande tessera un punto per +ciascuna legge o per ciascun nome di candidato. — Conosciuto il voto +di ogni centuria, un suo araldo — il _praeco_ — ne proclamava il +risultato. — E si udivano battute di mano, o segni di disapprovazione, +a seconda delle opinioni degli uomini. Le donne dall’alto del terrazzo +agitavano anch’esse le braccia bellissime nello udire il trionfo dei +prediletti dal loro cuore. + +Mentre quel fatto importante occupava il popolo nella piazza, Ninnio +traeva M. Tullio Cicerone in un angolo interno del tempio e dicevagli: + +— Ascoltami, o grande cittadino. — Il rovescio della pubblica cosa mi +morde potentemente il cuore. — Talvolta il dolore pieno di maturità +è sì forte, ch’io sento l’arma del suicidio corrermi per le mani, +quasi io mi fossi un uomo senza energia e senza fede. — Tale altra una +disperazione piena di gioventù mi offre il rifugio migliore contro i +disgusti e le tristezze dei miei pensieri. — Io soffro una di quelle +febbri che logorano la cosa immortale — quando esse vengono per +accenderla o per consumarla. — + +E stringendogli forte le mani, riprese: + +— Ho due nobili parenti — la Patria e la Libertà che a vicenda e +simultaneamente io sento madri delle sole virtù che i disinganni +non uccidono mai. — E come te vidi trionfanti quando aveva i piedi +nel sangue e la testa avvolta nella polvere riscossa del campo di +battaglia, così ora mi appaiono avvilite, prostrate e presto uccise +nella visione del mio dolore. — Vuoi tu salvarle dalle mani parricide +di colui che ha assorbito il dominio del mondo e che spossa lo aiuto +delle leggi, travolgendole con pratiche da moneta? — + +— _De illo quem penes est omnis potestas?_ Comprendo il tuo dolore e lo +sento. Con lui la giustizia e i diritti sono violati. Spesso lo udii +ripetere i versi di Euripide. — «Se si ha a violar la giustizia, ciò +si debbe fare per cagione di dominio. Nelle altre cose si debbe aver +rispetto alla pietà inverso la patria.» — La legge è il suo Capriccio. +Gli è perciò ch’io mi son ritirato di Roma. La Curia ed il Foro, vani +nomi. Mi duole esser nato troppo tardi e sorpreso — pria di compiere +il viaggio della mia vita — dalla notte profonda in cui brancola la +pubblica cosa. Ammiro Catone. Ma dipenderà sempre da me lo imitarlo +quando vorrò. Solo mio studio è procacciare che una tal fine non mi si +faccia come a lui necessaria. — + +— Che parli di morte? — Diamola a chi la merita. — Qui sono tre +coorti di veterani — uomini provati sui campi decorosi di nobili +cicatrici, tenuti in conto dalle altre milizie e non ancora corrosi +dall’oro del tiranno. — Me, le coorti e questo paese io ti consegno. — +Accetti? — + +Cicerone si strofinava il mento colla mano sinistra. Dopo una breve +pausa rispondeva: + +— Rifletti, o egregio. Tre coorti che sono? Ed anche fossero dieci, +e più, che sarebbero? E quali le preparazioni per un sì grave +avvenimento? Quell’uomo è potente di genio e di prestigio. Non è +albero che crolli. E se giungi a tagliarlo, ripullula. — Tali i segni +del tempo! — Ho lettere colle quali uomini ignoti mi ringraziano per +aver ottenuto col mio suffragio — così credono! — il titolo di re. +La tirannia si corona di falsi senati-consulti. — E i padri coscritti +hanno tutto obliato. — Son fango! — + +— E Bruto e Cassio.... + +— Vieni domani a trovarmi. — Intanto penserò. — Voglia Iddio non fare +sterile la lotta contro le leggi implacabili che qui distrussero la +Libertà. — + +Ma il grande ingegno presumente e vano di Cicerone non era adatto alla +rigenerazione di un popolo. La calda immaginazione che lampeggiava +sui Rostri e nel Senato gl’impediva di ben conoscere gli uomini e le +cose. — Era anche onesto e il suo animo rifuggiva da quei patti che +le rivoluzioni impongono per aggiungere il trionfo. Tornato in villa, +prese il bagno, si chiuse nella biblioteca e riflettè lunga pezza sulle +cose dettegli da Ninnio. — Lo esempio dei saggi di Atene e di Siracusa +il consigliò a liberamente vivere senza urtare nell’orgoglio dei +prepotenti e senza punto umiliare il proprio carattere. Pianse la sua +patria amaramente — come si piange la morte di un unigenito — e decise +di consolarsene, dandosi allo studio e ai lavori letterari che stimava +non poter essere affatto inutili ai suoi concittadini. — Pria di +coricarsi, scrisse ad Attico sulle proposte ardite fattegli da Ninnio +e gli rivelò la risoluzione presa di andarsene _ante lucem_ a Cuma, +per evitare inutili e perigliosi accordi. — Grande ingegno! Non grande +uomo! + +Lo scrutinio dei voti era terminato. — Si suonarono le trombe per +richiamare l’attenzione pubblica. Uno dei _rogatores_ salì sur un piano +centrale elevato e proclamò quello che gli scribi avrebbero poi notato +nelle _tabulæ publicæ_ insieme colle particolarità e col risultato +della elezione. Per la qual cosa, nel 705 della fondazione di Roma, +vennero eletti a magistrati in Pompei, sedenti Consoli nell’Urbe C. +Claudio Marcello e L. Cornelio Lentulo: + + M · BLATTIVS · M · FILIVS + M · CERRINIVS · M · FILIVS + M · SEPVLLIVS + C · CORNELIVS · RVFVS + M · SALVIVS · EPAPHRA + P · ROGIVS · VARVS · P · FILIVS + M · TITIVS · PLVTVS · LIBERTVS + M · STRONNIVS · LIBERTVS + +La clessidra notava la settima ora. — La folla si disperse per tutte le +direzioni della città e di fuori. Gli eletti, riunitisi, procedettero +verso il tempio; e di là, uno in nome dei colleghi ringraziò il popolo +dei suoi suffragi e promise quello che ogni magistrato promette e non +tiene. Quindi si ritrassero nello interno per sacrificare agli Dei. + +Intanto la novella della elezione era corsa rapidamente. — Le case dei +nuovi brulicavano di clienti, di parassiti e di supplicanti. — Festoni +di lauro inghirlandavano le porte. — Corone di fiori circondavano le +immagini dei maggiori o dei patroni della famiglia. — Innanzi la casa +di Cerrinio v’era distribuzione di pane e di vino. + +— Vedi plebaglia che si nudre della propria venalità! — + +— E il corruttore là dentro, nell’oro e nella porpora! — + +Coteste parole si ricambiavano Crispo e Ninnio, soffermandosi un poco +sul margine opposto, nella via dell’Abbondanza. + + + + +LA STRADA. + +SCENE DIURNE IN POMPEI. + +=Anni di Roma 767 — Anni del Cristo 14.= + + + A GIULIA, EMILIA E MARIA DINO + + A MARIA HACKE. + + IV. + + +— Ho udito un gran caribo stamane. — Suonano il campanello a rompere i +timpani! — Di’. — Sono molti i _visitatores_? + +— Come al solito, padrone. — Troppi. — _Ingentem undam!_ + +— Temerario! — Tu non devi giudicarli. — Solo dirmi se sono _primæ aut +secundæ admissionis_. + +— Di ambedue. — L’_ostiarius_ ne ha picchiato qualcuno colla sua +verga. — Un ortolano tra gli altri con un mazzo di bei carciofi voleva +introdursi _a prima luce_, per forza in cucina. — + +— Non una parola. — Tu saresti com’egli è, se non qui. — Portami +un’acqua melata e aromatica. — Apparecchia il tutto per le abluzioni. — +Disponi la _vestis domestica_... — È buona la temperatura? + +— Il sole indora coi suoi primi raggi i monti Lettuari e il nostro +Vesvius, sacro al padre dei Numi. + +— Vanne. — + +Poi che il liberto escì facendo ricadere sull’apertura del _cubiculum_ +una spessa stoffa di Tyro, il padrone si tolse ignudo dalle coperte di +lana e di pelli di talpa — colle quali era avvolto nel suo letticciuolo +a rilievi di avorio su piedi di bronzo. — Ed asperse di acqua le +membra partitamente. Chiuso in un’ampia veste di lana bianca che gli +scendea sopra i piedi, pose nell’anulare il cerchio di ferro — antica +ricompensa della virtù guerriera — e adattò alle braccia i _calbeos_ di +bronzo, pari a quelli che portavano i militi distinti pel loro valore. +— Il servo rientrò e gli offerse fin una tazza di cristallo la bevanda +richiesta. Ei la sorbì a piccoli sorsi, facendo scoppiettare le labbra. +E rivoltosi al liberto: + +— Ecco la vera essenza della gioia umana, o Crisanto. — Ciò non aveva +nei campi ove ho lasciato il mio sangue. Se può gustarsi qualche cosa +di migliore, io voglio che me lo dicano. — + +Marco Olconio Rufo, figlio di Marco — duumviro incaricato per la +quinta volta di rendere la giustizia, tribuno dei soldati nominato dal +popolo, uomo a cui i pompeiani avevano eretto una statua nel Foro, +a compenso delle molte liberalità sue e specialmente per aver fatto +costruire dal suo liberto, lo architetto Martorio Primo, un tribunale +presso l’_Ecatonstylon_, il gran teatro, una cripta e il muro laterale +del tempio di Venere Fisica per formare lo ambulatorio nel portico +dell’Agora antica — era un generale ritiratosi dall’azione per riposare +la sua vigorosa vecchiezza negli agi della casa avita e presso il +patrimonio della famiglia. L’alta statura, il grave incesso, la memoria +dei fatti compiuti incutevano rispetto. Il suo profilo largamente +delineato accusava una certa durezza procacciatagli dall’abito del +comando che non vuol repliche. Il viso aveva bronzato dalle intemperie +dell’aria. E quando i neri e copiosi sopraccigli si aggrinzavano sui +suoi occhi aggrottati, ai suoi servi parea vedere quel cumulo di nubi +oscure da cui scoppia la folgore. + +L’affluenza dei clienti era grande. — Ve n’erano sulla strada. E +nel vestibolo e nell’atrio secondo la loro condizione. — Nessuno +mormorava. Tutti facevano prova di pazienza la più intrepida, malgrado +lo sguardo sdegnoso e venale dell’ostiario e i titoli di cani e di +piaggiatori ch’egli distribuiva ai miseri che pur faceano di tutto +per ingrazionirselo e renderselo benevolo. Alcuni eransi levati di +notte per attendere presso la porta di Olconio i primi fuochi del +giorno. Nè avevano avuto il tempo di farsi radere. Erano appena coperti +sull’epidermide della toga di rigore, per far presto ad onorare il +patrono in faccia al pubblico e per darsi l’aria di essere cittadini +di un certo ordine agli occhi del cerbero brontolone. Il popolano +indossava il _plebeius amictus_, la così detta _pullata_, ch’era una +tunica corta, di color bruno, senza maniche e discendente poco più +oltre della metà delle coscie. + +— Il patrono è egli desto? — È egli di gaio umore? — Fugli propizio +Morfeo? + +— Via canaglia! Ho anche a rendervi conto di quello che fa il mio +signore? Indietro. O vi sguinzaglio il molosso! + +— Sii più umano. — Prendi questo denaro. — Calmati. — Vedi, non sono +indiscreto io come il _pomarius_ che poc’anzi scacciasti per la sua +audacia. — + +Ma egli era anche più audace. Perchè, entrato dopo aver unto le dure +ferramenta dell’uscio, nel dispetto de’ suoi compagni rimasti al di +fuori, faceva già cenni col capo al cubiculario che vide passar nel +_cavaedium_, il quale non gli diè retta, e poi al _nomenclator_, +servo non meno insolente, che aveva il còmpito di prender nota dei +nomi e delle qualità delle persone venute a complire il padrone e +di soffiargliele all’orecchio a misura che a lui si presentavano. Ma +questi, nell’atto che moveva verso lui, fu richiamato indietro da un +liberto, il quale lo avvertiva come il generale fosse per passare +nel tablino. Di fatto, ecco gli amici che gli vanno incontro e gli +stringono la destra, e gli chieggono della salute e gli augurano +un giorno felice. Egli li chiama a nome; loro dimostra una certa +familiarità; s’informa delle cagioni che a lui li guidarono; dice che +farà per essi ciò che si fa pei propri figliuoli; promette colla sua +influenza di raddrizzare i torti che loro vennero fatti; di assumerne +le difese contro i loro accusatori o di procurare ad essi quella +tranquillità di cui avevano bisogno negli affari pubblici o privati. — +I clienti da parte loro a lui rivelano le proprie cose. — E lo pregano +d’influire al matrimonio d’una figliuola con un ricco suo amico. — Ed +aggiungere un regalo al suo corredo. — E ad aiutarlo di pecunia per +rizzare su la casa screpolata e guasta dal terremoto. — E a proteggerlo +per aggiungere la magistratura cui aspira. — Ed a farlo nominar augure +pei servizi prestati da molti anni nel decurionato. — Ed a procurargli +l’area gratuita nella necropoli sulla Via Popilia che menava a Nola, +ove voleva erigere un sepolcro per sè e pei suoi. + +La Clientela fu una nobile instituzione creata da Romolo per unire in +istretto legame i patrizi ai plebei. Questi dovevano scegliere i loro +_patres_ perchè gli proteggessero. Essi avevano il debito di soccorrere +ai _colentes_ che gli onoravano. Nè potevano mutuamente accusarsi +dinanzi i tribunali. Nè testimoniar contro l’altro. Nè farsi inimici +mai. Ed ove cotesto accadesse e ne fosse constatata la infrazione, +il reo avea il capo mozzo come vittima sacra a Plutone. Una legge +siffatta e tenuta in rispetto per parecchi secoli strinse in vincoli +di famiglia il popolo quirite. Le famiglie patrizie si onorarono di un +gran numero di clienti e li perpetuavano nella loro discendenza come +una tradizione. Ognuno si faceva superbo nell’aumentarlo. E i ricchi e +potenti erano fieri nel rendere buoni uffici. E i bisognevoli temevano +di abusarne chiedendoli. E tutti fecero consistere la felicità nel +buono, nell’onesto, nella parte produttrice della virtù. + +Ma l’ampiezza soverchia di Roma logorò a poco a poco i legami della +vecchia famiglia e non si sentì più l’obbligo rispettivo dei doveri +tra i protettori e i protetti. Per riallacciare i rallentati ricambi, +i necessitosi di aiuto ricorsero all’adulazione, alle viltà, alle +bassezze. E i superbi e i vogliosi di cortigianerie, alle _sportulae_ +ed al _panariolum_, viveri di mediocre qualità che il patrono facea +pubblicamente distribuire sul vestibolo della sua casa alla folla +affamata che vi si stipava. Alcuni invece di vettovaglie davano danaro; +tanto da procurare a quella geldra raumiliata i sandali, una tunica +usata, un poco di fuoco per riscaldarsi, un po’ d’olio per rischiarare +il tugurio e una coperta per avvolgervisi nell’inverno. E quelli, di +rimando, lor davano i titoli i più esagerati, fin quello di _rex_, +quantunque proscritto insiem coi Tarquini. — Era la _Eccellenza_ e la +_Uscenza_ che i popoli meridiani d’Italia appresero nei tristi tempi +dei Vicerè e dei Borboni, con cui per vecchia consuetudine ancor si +salutano — ridendone dentro — malgrado lo espresso decreto del più +accetto tra i dittatori e del più nobile tra gli uomini — il generale +Garibaldi. + +Così in Pompei, ove gli usi di Roma erano penetrati colla conquista. +— Olconio e i suoi eguali in dovizie, in virtù ed in potenza, volendo +ricevere i propri amici e beneficarli, doveva pur ricevere la vile +plebaglia dei chiedoni, dei sopraccarichi di famiglia, dei postulatori +d’impieghi — senza voglia di lavorare — e degli accattoni, pronti +alla menzogna e al mal fare. — Erano cittadini — avevano diritto +al suffragio nelle elezioni alle magistrature annuali. Dunque era +necessario aprir la porta e far entrare quelli che pur dianzi _ibi +fucum faciebant_ — cioè — che colà imitavano il ronzìo delle vespe. + +Il diritto di clientela non era ristretto alle sole persone. — Le +colonie, le città conquistate, le alleate nazioni e i re barbari +imitarono gl’individui e scelsero i loro patroni nell’Urbe, il +_caput mundi_. Così Cicerone patronava i Campani. — Fabio Sanga, gli +Allobrogi. — Catone, l’isola di Cipro ed il reame di Cappadocia. — +Marcello, la Sicilia. — Un patronato siffatto era bello, onorevole, +lusinghiero — il più nobile, il più caro privilegio — quello di fare +il bene, di acquetare i dolori dei popoli, di riparare ai lor danni. — +Anche i deputati al Parlamento italiano potrebbero talvolta suffragare +ai più cari interessi di qualche provincia, o far cange le sorti di +sventurate famiglie, se i ministri — od i loro subordinati — non si +opponessero troppo spesso ai giusti loro richiami. + +Olconio avea già spacciato gli affari col suo piccolo cerchio di amici +o di clienti che facevan parte della _prima admissio_. La educazione +dei tempi chiedeva che quelli della _secunda_ aspettassero il suo +comodo. Rientrò quando a lui parve nella camera e dopo qualche tempo +ne esciva vestito col suo abito da Foro. Preceduto dai primi, riceveva +i saluti e i piati e i desiderii dei secondi. E poi, da essi seguìto e +aiutato dal nomenclatore, parlò affabilmente ai miseri ed abbietti che +gli venivano presentati, dava il buongiorno a tutti; qualcheduno, che +sapeva influente nei trivi, baciava; qualche altro accoglieva con una +stretta di mano; ed il resto salutava gravemente.... duramente quasi. — +Dinanzi la porta era una lettiga, portata sulle spalle da sei schiavi. +Vi si chiude. I più fedeli clienti, di un certo ordine, lo accompagnano +intorno. — Gli altri lo seguitano formando una coorte. — Hanno lasciato +però i loro nomi al nomenclatore, per ricevere più tardi le beneficenze +del munifico _rex_. + +Il corteggio va verso il Foro. — Parecchi se ne incontrano sul posto. +— Quivi discende. — Ed entra nelle Curie. — E si apre l’adito nella +Basilica. — E penetra nel Calcidico. — E va sino al Senacolo. — E per +ogni dove la sua parola è ascoltata, i duumviri acconsentono, gli edili +promettono, il questore non niega. Persino i sacerdoti — gente per +abito arrogante ed egoista — palesano una deferenza ai suoi desiderii. + +Siccom’egli, gli altri. — Dalla terza alla sesta ora del giorno — +cioè dalle otto del mattino a mezzodì — tutta Pompei è in faccende. +— I tribunali rendono la giustizia. — I banchieri lavorano nei loro +fondachi argentari. — I magistrati sono in funzioni. — Gli artigiani +martellano, scolpiscono, dipingono, cuciono, gridano il nome delle cose +che vendono. — I preti inventano frottole e le danno come oracoli in +nome degli Dei, cui dicono di essere ministri. — I fannulloni vanno +nel pubblico bagno. — I villici trasportano le derrate dei campi +per venderle ai tavernai, ai _cauponatores_, ai cittadini che ne +abbisognano, ai fornai; o pur le consegnano ai fattori del padroni che +le fanno vendere nelle due botteghe che si aprono ai lati della porta +della casa. — I naviganti e i mercatori si occupano dei loro commerci +nel porto, nel deposito delle merci venute dal mare e nel portico del +tempio della Concordia. — Gli agenti del pubblico tesoro riscuotono dai +rivenduglioli il centesimo del prezzo delle cose vendute, le esaminano, +verificano il peso del pane e rifiutano dal mercato tutto ciò che +lor paia di pessima qualità. — Gli scribi li seguono per far processo +verbale all’occorrenza sulla pubblica via. + +Poco più in su della taverna di Fortunato, sulla via Domizia, un +cittadino arrestavasi presso l’angolo della bottega del farmacista e +si appresta a compiere un atto nè decente, nè pulito. Uno che passa, lo +picchia sulla spalla e gli dice: + +— Ehi! _Quid agis, dulcissime?... Non est hic locus._ Non hai occhi per +vedere la pittura sul muro? — + +Quegli si ricompose e si disse straniero. Allora l’altro gli aggiunse +in greco che i due serpenti a lato di un modio ripieno di frutti e i +geni domestici dipinti sul muro, significavano — oltre molte cose — che +quel posto chiedeva rispetto. V’erano barili segati. V’erano anfore +rotte in ogni quatrivio per lo affar suo. E gli additava quei mobili +poco discosto col dito. Il forestiero si arrese al monito e ringraziò. +— Gli è che in Pompei, per impedire a chiunque lo sbarazzarsi in ogni +loco della soprabbondanza del fluido che dentro lo tormentava — oltre +aver instituito latrine pubbliche nei posti i più frequentati — ed +una amplissima ve n’ha a lato della prigione nel Foro — collocavano in +ogni crocicchio anfore o barili per accostarvi le immonde aspersioni. E +per guarentirne i luoghi sacri e le passeggiate faceano dipingere quei +serpenti ch’erano pur simbolo di Esculapio e d’Igea. Furono i tavernai +ed i rivenduglioli che inventarono cotesto rimedio per ispaventare i +fanciulli che insudiciavano gli angoli esterni delle loro botteghe. +Alcuni aggiungevano al simbolico spauracchio una inscrizione apposita. +— E i sacerdoti con esse invocavano sul capo dei rei la collera dei +dodici grandi Iddii e particolarmente di Giove e di Diana, i quali +non avrebbero risparmiato la gente grossolana che obliasse ai piedi +di un tempio com’essa non avesse un’anfora od una botte dinanzi. — Il +serpe che divora una pigna era adunque come la croce nera sui canti di +Napoli. — Laonde Persio dice nella Satira prima: + + _Pinge duos angues; pueri, sacer est locus; extra_ + _Mejite._ + +Per tutto è frastuono di voci. — I rivenditori di cose crude o cotte +non si contentano dell’_oculiferium_, cioè della merce che spacciano +posta in mostra. Nè di un quadro di terra cotta in rilievo incastrato +sul muro esterno della bottega. Nè di un dipinto allo encausto, +rappresentante il nume a cui è devoto, o una giostra di gladiatori, +od un combattimento di cui egli abbia o no fatto parte, o lo aspetto +di qualche strana figura che richiami l’attenzione di chi passa. — Nè +li suffraga lo spander legumi, prosciutti, meloni, cataste di cipolle, +di cavoli e di altre cose sul margine e fin sulla via ad abbarrarla. +— No. — Essi debbono urlare i pregi della loro merce e il nome della +regione d’onde provengono e la mitezza dei prezzi. — E i venditori di +vino dispongono anche al di fuori botticelli ed anfore, legati per +tema dei ladruncoli, ed urlano presso la porta, agitando un ramo di +edera. — I beccai infilzano le carni a vista di tutti; a lato di quelle +di capra sospendono rami di mirto per indicare che le provengono da +una prateria di montagna, dove cresce quello arbusto; e gridano alla +loro volta. — Nè stanno cheti i venditori ambulanti di pesci di mare e +dei delicatissimi del Sarno. — Nè quelli stazionari che vendono carni +cotte, bodini, salsicce, lardo, formaggi. — Tutti parlano a voce alta. +— Tutti gesticolano furiosamente. — Tutti hanno argomenti sempre pronti +per arrestare la curiosità dei passanti sulla loro via. + +E chi non dee far le spese per la sua casa, pure è forzato di far +sosta, perchè un monello vuol vendergli per forza una ricotta entro +un piccolo imbuto di vimini; — od una bambina, un cestino di ginestre +ripieno di more o di frutti del gelso nero; — od una graziosa +fanciulla, dagli occhi neri e procaccianti, mazzolini di giacinti, di +rose di Poestum o di pervinche azzurre. + +A tanto baccano onesto, conviene aggiungerne uno nè bello, nè decoroso. +— I marinai erano abituati a bever la _posca_ delle milizie lungo il +viaggio di mare; cioè, una miscela di acqua e di aceto per acquetare la +sete. — Una volta a terra, popolano le taverne — e ne escono cantori +discordanti di canzoni bacchiche ed erotiche. — I villici che hanno +intascato danaro nel _sinus_ della loro tunica, fanno stazioni lungo +le vie là dove veggono agitarsi il ramo dell’edera, e ne vengono +fuori bisticciandosi o cantando, a saltelloni correndo da un margine +all’altro; e inforcato l’asino od il cavallo, con male articolate +ingiurie trebbiano di vergate la misera bestia che deve pur trasportare +un animalaccio più bruto di loro ai domestici lari. + +Un’altra immondezza delle vie era la mendicità di mestiere. Presso +i bagni, sulle gradinate dei templi, ai piedi delle tombe, presso +la porta delle _popinæ_ vedevi questi ladri del sentimento e della +commiserazione tendere la mano, qual lamentando un naufragio che di +ricco che era lo aveva reso povero. + +— Un asse, per carità, nobile patrizio. — Io ne diedi degli assi ai +tempi lieti. — Eolo e Nettuno mi hanno ruinato. — Onore agli Dei, +quantunque avversi. — + +Qual si ferisce o pur fascia la gamba in maniera da parerlo, e +piagnucola e si dice morente per febbre e per fame: + +— Abbi pietà di un infelice, o tu che passi. — Era un _saccarius_. +Mi cadde un peso addosso e mi ha ruinato. Per lo affetto dei tuoi +figliuoli, pei mani dei tuoi nobili avi, un asse al povero facchino da +grano che non può più lavorare e che presto morrà. — + +V’erano altresì alcuni speculatori, i quali datisi al culto di quella +sirena, che si chiama la infingardaggine, e pur vogliosi di viver bene, +offerivano alla lenta e sudicia Iddia lo incenso delle immoralità. +Assoldavano alcuni storpi di Neapolis, di Herculanum, di Capua, di +Poestum, e gli sguinzagliavano il mattino come cani famelici per le +vie della città. Chi recitava la parte di soldato mutilato per la +gloria e la salute della Repubblica. — Quale era stato prigioniero di +Silla nella distruzione di Stabia; e riparatosi sotto i vessilli di +Cluvenzio, generale Sannita, fu ferito gravemente alla battaglia di +Nola; e mostrava una profonda cicatrice sull’occipite e ne accusava +una più larga sul petto coperto. — Chi diceva sommesso essere un gallo +schiavo, fuggito da uno spietato padrone nell’Urbe e chiedeva uno +_stips_ — la più piccola moneta di rame che esistesse. — E la sera lo +speculatore lor dava convenio fuor delle mura in luogo appartato, e si +facea render conto da quei vagabondi delle somme raccolte. + +— E perchè così poco, o malandrino? + +— E tu, brigante, non avrai pianto abbastanza. — To’, una pedata. — +Domani sera, se non porti di più, ti apprenderò io a piangere la tua +sventura davvero. + +— Vile storpiato; ti farò passar per le verghe; così saprai meglio +modulare al pianto la voce. + +— E tutti studiate i modi ingegnosi di questo gobbo di Baiae che ha +saputo ingannare anche me, stamane presso il tempio di Romolo, non +riconoscendolo. — Tieni, o camello. — Oltre ciò che ti spetta, anche +un denaro di buon peso per te. — Vanne a scialare in una _popina_ per +conto mio. — + +Sono passati diciotto secoli e la tradizione rimane ancor verde. Vi ha +tal gente in Napoli che lautamente vive di una siffatta speculazione +ladra ed infame. Il cattolicesimo vi presta la sua mano sacrilega. — +Sozzi frati colla bisaccia sul collo; sozzi preti con un bussolo che +scuotono nelle botteghe nel nome santo di Dio; sozza bordaglia, coperta +di un sacco, cinto da una corda sui lombi, chiede danaro e l’ottiene +a pro di turpi speculatori e per cause non vere. — E quel buon popolo +— il migliore d’Italia per pronta intelligenza, per docilità di +carattere, per esuberanza di cuore — su ricchissimo suolo, vegeta +sudicio, lacero ed infingardo. — Demoralizzato dai preti, commette +opere inique e crudeli. — Abbuiato dalla paura, dimentica il domani +della vita e sciupa il sopravanzo dei suoi guadagni nello inutile +tentativo di spegnere il sacro incendio del purgatorio cattolico, +apostolico, romano. + +Lo _accensus_ grida per le vie popolose il segno del quadrante solare. +— È l’ora sesta. — L’astro maggiore indica il mezzodì. — L’uso, e — più +che l’uso — il clima, impongono la cessazione di ogni fatica. Le porte +delle botteghe si chiudono. I patroni congedano i loro clienti. Qualche +usuraio ancor cerca per le strade una qualche vittima. La plebaglia +torna nelle sue case col beneficio che i _nomenclatores_ hanno a +lei distribuito. — Ognuno desina, e mangia che può. — I ricchi e gli +sfaccendati si gittano quindi sul letto per dormirvi qualche ore. Alle +otto i più diligenti si levano per riprendere il filo degli affari. Ma +alle nove — cioè, tre ore dopo il mezzodì — nessun pensa ad altro che a +ricrearsi o a far panciolle. + +Lungo il canale del Sarno era uno spianato, convenio di tutti i monelli +della città. Le bambine, assise al rezzo dei pioppi, giuocano cogli +astragoli che gittano in aria col dosso della mano e, addoppiandoli, +li riprendono nella palma. — I ragazzi si lanciano a vicenda il +pallone, detto _follis_, lo raccattano e lo ripercuotono. — Altri, su +terreno più duro, fanno girare una trottola, che chiamasi _turbo_, e +a furia di sferzate le imprimono rigiri irregolari; quindi impalatala +sulla mano destra, ve la tengono sin che si fermi. — I più piccini +corrono a cavallo sur una canna. — O col fango costruiscono casucce; +— o formandone un orciuolo, producono un rumore, scaraventandolo con +impeto per terra; — o giuocano a pari e caffo; o lanciano in aria +un asse, scommettendo se nel cadere presenterà la testa di Giano o +la prua del trireme — _capita aut navis_. — I perdenti offerivano il +polpaccio della gamba; e gli altri che avevan vinto, vi applicavano +un colpo a mano spianata; e perchè nessuno ne desse uno di più per +frode, il punito minacciava di una labbrata chiunque si presentasse. +— I più grandi tentavano di far cadere una noce dentro il collo di +un’anfora, conficcata in determinata distanza; o colpivano con una +noce un cumulo di altre tre sormontate di una quarta, e la guadagnava +chi faceva cadere il castello. — Fra gli adulti, ve n’era chi lanciava +colla fionda una pietra a seicento passi entro un fagotto di paglia +sospeso ad un albero; oppur unti di olio si esercitavano alla lotta +come gli atleti; o infintisi soldati, marciavano com’essi, armati di +corti bastoni; o simulando un tribunale e un delitto, si accusava un +incriminato, lo si difendeva, si udivano i testimoni, o si assolveva +o si condannava colla gravità dei magistrati. — Correvano, sudavano, +urlavano. E stanchi, si gittavano nel canale per nettarsi dalla polvere +o per nuotare. — I giovani di venti anni andavano fuori della porta +di Nola e là giuocavano al disco, ch’era di bronzo o di marmo. Lo +afferravano colla palma stringendolo con quattro dita, e lo cingevano +con una correggia allacciata con nodo scorsoio nel polso. Dopo averlo +fatto girare attorno al capo, facevano piccoli passi frettolosi sin +presso un segno solcato per terra; e tenendo il braccio sinistro sul +destro ginocchio e inclinando la persona in avanti, lanciavano il +disco; questo, fischiando, fendeva l’aria e arrestavasi quando la forza +dello slancio lo abbandonava. Il rivale discobolo tentava di superarlo, +e vinceva la scommessa colui che lo spingea più lontano. + +Siffatti divertimenti erano a tutti comuni, al figliuoli dei parenti +agiati siccome a quelli che esercitavano un’arte quale si fosse. E +Ottaviano Augusto, quando, al cessare delle guerre civili, cessò dallo +esercitarsi romanamente nel Campo Marzio a cavallo ed in armi, si +diè per suo esercizio al giuoco della palla piccola e grossa. O per +prendere un poco di esalamento, or pescava coll’amo, or giuocava ai +dadi, or trastullavasi coi bimbi nei giuocolini adatti alla loro età, +purchè fossero aggraziati, vivaci, linguacciuti, chiassoni. Talvolta, +per esercizio ginnastico, inforcava il cavallo e lo faceva andare +di trotto e a saltelloni, o lo spingeva a slascio lungo lo spazio. +E allora vestiva alla leggera, avvolgendosi in un gabbano, detto +_sestertium_, od in mantelletto di cavalleria, nominato _lodicola_. +— Nei tempi anteriori erasi visto Mario, già vecchio e vincitore +dei Cimbri, discendere nel campo di Marte dell’Urbe e gareggiare coi +giovani negli esercizi della milizia. E Pompeo saltare coi più agili e +correre coi più destri. E Catone giuocare alle bocce cogli amici suoi, +come il generale Garibaldi in Caprera coi propri compagni d’arme. + +Poichè ho parlato delle varie età dei giuocatori, i pazienti che +leggono questi miei studi sull’antico mi permettino una breve +digressione dal racconto. Non sarà inutile. + +I nostri avi indicavano la età degli individui della forma delle +vesti. I fanciulli indossavano la toga pretesta e la lasciavano +nell’adolescenza, cioè a dire, alla età di quindici anni. La vita di +un uomo, divisa in cinque periodi, distinguevasi in _pueritia_, in +_adolescentia_, in _juventute_, in _maturitate_, e in _senectute_. +Gli adolescenti nello acquistare i diritti di cittadino, indossavano +la toga virile, di lana bianca e non più orlata dalla striscia di +porpora, come la consolare che essi avevano portato fin da bambini. +I quali — era mente di quei savi — dovevano essere rispettati quanto +i primi magistrati della Repubblica. — Toccava al padre o al parente +più prossimo il rivestire il fanciullo di quella veste. La funzione +era solenne e facevasi in pubblico, sia nella città, sia in paese +straniero. Vi erano invitati tutti i parenti. — In sull’alba, il +giovanetto che aveva dormito vestito colla regilla, in segno di buon +presagio, lasciava la sua _bulta_, e l’appendeva al collo dei Lari +domestici. Quindi tutti accompagnavano lo affrancato dalla infanzia +nel tempio, ove si facean sacrifizi ed offerta agli Dei nell’atto che +gittavasi sulle sue spalle la toga pura. Lo stesso corteggio lo seguiva +nel Foro, come per presentarlo al popolo che da quel dì dovea contarlo +per uno dei suoi membri. + +Cotesta solennità compivasi una volta l’anno il XVI delle calende +di aprile — a’ 17 di marzo — giorno in cui si celebravano le feste +liberali, o di Bacco. Pompei — siccome tutte le città nel dominio +della Repubblica romana — era in tal giorno gremita di gente. In +ogni crocicchio erano assise vecchie donne, coronate di edera, aventi +sulle loro gambe un paniere di paste coperte di bianco mele ch’esse +offerivano, lodandone la dolcezza e il buon gusto, a chi passava. Ad +ogni scambiare di strada vedevansi giovanetti sorridenti, da tenere +occhiate all’abito nuovo, da tempo ambito e sognato; e i genitori e +gli amici, anche lietissimi di quella fanciullesca ambizione. — E vi +era di che. — Il quindicenne diveniva cittadino libero, e sceglieva la +propria carriera. Se l’avvocheria, il padre lo presentava il dì poi al +migliore oratore, perchè glielo addottrinasse. — Se la disciplina delle +armi, lo affidava ad un amico, governatore di una provincia, perchè +gl’insegnasse a difendere la patria, non come soldato — non avendo +ancor prestato giuramento — ma come _contubernalis_, cioè aggregato. +— O lo raccomandava ad un Senatore in Roma, o ad un decurione +nelle colonie e nelle provincie, acciò assistesse alle assemblee ed +acquistasse la scienza governativa. + +L’adolescenza finiva all’età di trent’anni. — La gioventù a quella di +quarantacinque. — La maturità a sessanta. — Oltre quel periodo era la +vecchiezza grave ed assennata. — E qui chiudo la parentesi. + +Infrattanto che i giovani e i minori fanciulli si divertivano presso il +porto e sulla via Popilia, altri erano nelle scuole ad apprendervi a +leggere, a scrivere, a contare. — Quanti scappellotti! Quante nerbate +sulle palme delle mani! Quanti colpi di staffile sulle parti carnose! +Quante stiracchiature di orecchie! — E tutto ciò per inspirare alla +tenera età lo amore al lavoro e l’applicazione allo studio! Anche per +tale riguardo in tempi diversi simiglianti procedimenti. — I preti +ch’educarono la mia generazione fecero di tutto perchè abborrissimo lo +studio. — Iddio perdoni ai morti, come già mortifica i vivi! + +In Pompei si parlavano le tre lingue — la sannita — la greca — la +latina. — Le prime erano di uso domestico. L’ultima s’insegnava. E +per la differenza dei caratteri, conveniva chiarirne la forma ed i +suoni. Sur una tavola erano essi incavati; per modo che il bambino, +passando su quei segni alfabetici il dito e lo stile, cominciava per +distinguerne la immagine, la indicava colla voce e la tracciava poi +colla mano. Collo accoppiamento delle lettere finivano per leggere. Col +pigiare una punta su tavolette di cera, si perfezionavano nel copiare i +_præscripta_, ch’erano esemplari di bella forma di lettere. + +I meglio avanzati in età studiavano la grammatica. Quindi leggevano +Omero e i migliori poeti latini e le arringhe di Ortensio e di +Cicerone. — Talvolta avevano il còmpito d’impararne squarci a memoria e +di scriverne. — Tale altra di esercitarsi in una specie di parafrasi, +che addimandavasi _chria_, la qual cosa consisteva nello ampliare +e commentare una parola sentenziosa od un fatto memorabile. Questi +esercizi i discenti li portavano in casa, per mostrarli ai parenti. + +L’acqua aveva appena marcato l’ora nella clessidra, che un grido di +gioia rintronò nella scuola del Foro. I monelli si levarono in piedi +e corsero all’uscio. Il peggio ardito, in quel momento di disordine, +scagliò la tavola incerata che aveva per mano sulla testa del maestro. +— Tutti fuori e a slascio, facendo un grande baccano. Il misero +vecchio, _minumi pretii_, perchè col suo salario aveva appena di che +sostentare la vita, seguì lo indisciplinato, gridando. Si avvenne col +padre che saliva per la via dell’Abbondanza. + +— Mira la cattiveria del tuo figliuolo tristissimo. Mi ruppe la cute, +qui, nell’orecchio. + +— Forse, o Verna, tu l’hai picchiato ed egli si vendicò. — Riconosco il +mio sangue. — Son certo che, presa persona, nessuno saprà impunemente +ingiuriarlo. + +— E tu così parli?.... Ah! meglio maneggiare il remo che consumare i +miei poveri giorni per gente sì ingrata. — + +Tornò nella scuola brontolando e si fasciò il capo e l’orecchio pesto +con una benda di tela oliata, che parea una lanterna. + +Era la decima ora, cioè le quattro dopo il mezzodì. E i rintocchi +fragorosi di un martello su largo cerchio di bronzo sospeso ad un +chiodo nel muro, si facevano udir di lontano presso il tempio della +Fortuna e nel fondo della via dell’Abbondanza. — _Discus crepuebat._ +— Ciò indicava che i bagni pubblici erano aperti. — E le botteghe +di consumo chiudevansi. — E i cittadini laboriosi e quelli di medio +censo ed i ricchi s’incamminavano verso le Terme. Gli è che, nel +mentre i raggi del sole perdevano un po’ della loro forza, e diveniva +piacevol cosa il riposarsi dalle fatiche o dalle noie della giornata, +i nettatori delle strade entravano dai subburbi coi carri per togliere +le immondezze, il fango, la polvere i rottami dinanzi le case in +costruzione, i concimi delle stalle e gli erbaggi che i rivenduglioli +avevano gittato fuori della soglia. Un decreto degli edili avea pur +fissato quell’ora per introdurre sui muli le legna, i mattoni, la calce +e i pezzi di marmo, affinchè potessero circolare senza incomodo per la +maggior parte dei cittadini. + +Sì le prime Terme come le più grandi ov’era la _palestra_ — vasto +paralellogrammo dedicato alla ginnastica per lo spigliamento delle +membra nei giovani — erano già piene di gente. — Mosaici sui pavimenti. +Stucchi coloriti sulle volte. Mobili di bronzo e bacini di marmo. +Inservienti al bisogno. — In faccia al porticato di colonne scannellate +era il _baptisterium_, ove ognun che voleva si gittava ignudo e sudato +nel bagno freddo in comune. — Quello dei bagni poco lungi del Foro era +rotondo, ristretto e sotto una cupola, d’onde veniva la luce. Nella +prima stanza sotto il colonnato lasciavansi le vesti e di là entravasi +in una sala spaziosa, riccamente ornata, ove pur potevasi togliere il +bagno freddo dalla gente che preferiva prenderlo al coperto. Lungo le +pareti sono sedili per agio di quelli che accompagnano i bagnanti e +conversano con essi od attendono il loro turno. — Nella sala che apresi +a manca è il _tepidarium_, il cui pavimento e le cui pareti tramandano +un dolce calorico, proveniente dal _laconinum_, il fornello dei bagni. +— Quivi erano larghi bacini di marmo e sedili di bronzo per asciugarsi +o riposarsi allorchè si usciva estenuati dal _sudatorium_, sala delle +bagnature a vapore. Il quale, escendo a nuvoli che si spandano da per +tutto nell’apposita sala, va verso la volta di forma emisferica, a +lavori di stucco scannellato, e discende pei regoli successivi lungo +le pareti. L’apertura praticata sul sommo della soffitta era chiusa da +uno scudo di bronzo, e col mezzo di una catena potevasi aprire come +una valvola, nel caso che il calore del caldario divenisse troppo +eccessivo. Quelli che si facevano colà dentro, ansimavano, davano in +singhiozzi, respiravano appena. L’aria infuocata e la grande umidità +non danno requie ad alcuna parte del corpo. — Scuote, opprime, stanca, +accascia, prostra le forze. — Val quanto trovarsi nel focolare di un +incendio. — E non so come i Romani non abbiano scritto nelle dodici +tavole l’applicazione della condanna ad esser bagnato vivo su quei +tristi che intendevano correggere invece di uccidere. + +L’_eleotesium_ era il luogo ove si tengono i profumi e gli unguenti +campani. — In altre piccole stanze posavano bagni di marmo per le +donne di età grave o per uomini difettosi della persona che non amavano +mostrarsi avvizziti e deformi al pubblico sguardo. Ma dal povero plebeo +coperto della sua _pullata_ ai magistrati che indossavano la pretesta, +dagli illustri cittadini agli uomini di piccole fortune, nessuno +sdegnava i pubblici bagni. Unica distinzione era che il ricco veniva +preceduto dai suoi schiavi e seguito dai clienti. Ed il plebeo entrava +solo. + +Le genti agiate frequentavano le Terme per moda, per accidia, per +curiosità e per trovarvi conoscenti ed amici, onde invitarli a cena, +al giuoco dei dadi e ad un’orgia. — I derelitti dalla fortuna, per +raccapezzarvi — chiedendolo — un qualche asse. — E le donne per +stare in esercizio di pettegolezzi, per narrare ed udire la cronaca +scandalosa della città, per osservare da vicino le forme decantate di +una bella e trovarvi alcun che da ridire, e..... per filare un intrigo +amoroso su quel terreno neutrale, ove la folla sapeva celarlo nei +ripieghi dell’uso e della prescrizione medicale. Nelle due Terme le +donne avevano un bagno a parte ed entravano per uscio diverso da quello +degli uomini. — Sur una delle porte della Palestra, nel vicolo, era +scritto: _Mulieres_. + +Non molti gl’inservienti. — Un guardiano del bagno — un _fornicator_, +cioè, quegli che poneva il combustibile nella fornace — e parecchi +schiavi, condannati ai lavori pubblici per delitti. — Questi hanno +nome secondo lo ufficio. Addimandavansi _capsarii_ quelli che serbavano +chiuse in una cassetta le vesti di un bagnante e ne traevano mercede. +— _Aliptae_ o _unctores_, i profumatori cogli unguenti. — _Alipili_, +gli spelatori col mezzo di una pomata, o colla pietra pomice. — +_Tractatores_, i frizionanti nel bagno a vapore. — Per siffatti servigi +le donne conducevano con sè le loro schiave. + +— Ahimè! Come sono stanco. Spero nel tepidario riprendere un po’ di +forza per poi goder meglio i piaceri della mensa. + +— O, non si direbbe che Publio Ametistio abbia fatto oggi sforzi +prodigiosi per passar la giornata? + +— Tu hai, o Statilio, del toro, e le forme ed il nome. Nè sai compatire +ad un gracilino par mio che desinò tre volte e vomitò due. La bella +Iddia vi mette anche del suo. E se la dura a lungo, è miracolo. + +— Taglia la corda e resterai libero. — + +Ed un altro aggiunse, cacciandosi nel bacino pieno d’acqua fumante: + +— Facile a dirsi. _Quisquis amat venit_, dice il poeta. E a sedurre +Ametistio ci vuol meno che far cadere un pettorosso nella pania. + +— O tu, Atimeto. Guazza un po’ meno..... e pensa che hai misurato +l’amico colla tua spanna. — Se potessi dir qui una novella..... Ma nol +debbo, _quia lupus est in fabula_. + +— Hilaro Sulla, or narrala e ci piacerà. — + +Atimeto versò sul curioso Statilio acqua a manciate e profittò del +rumore per dire usassero prudenza; — avvegnachè non il lupo fosse +presente al racconto di una sua debolezza di cuore; ma un altro animale +che aveva di che allontanare ogni fascino. E coll’occhio lo designò. +— Era un uomo adiposo che soffiava nel bacino di contro come un +ippopotamo. Orafo, arricchito dal mestiere, aveva comperato dal padrone +la sua libertà. E più erasi fatto danaroso colle usure a carico dei +giovani spensierati. — Zozzo, liberto di Popidio Ampliato, verso la +cinquantina, aveva domandato ad una bella giovane se voleva essere la +donna sua. La non rispose nè si nè no. Ma il terrore d’istinto — che, +bruttissimo era e guasto dal vaiuolo — egli lo interpretò come eccesso +di gioia. — La vittima venne trascinata sullo altare, coperta di bei +monili e di collane di perle. — Pare che anch’essa lo ricambiasse di +una bella corona. E non era di rose..... Almeno così diceva la mala +lingua di Sulla nel bagno. + +Quei giovani passarono nel sudatorio e si distesero sopra lettucci +di riposo, dove alcuni giovanetti, appena vestiti, cominciarono a +strofinarli con spugne finissime. — Quindi a mani piene pigiavano le +loro carni, li ravvoltolarono per ogni verso e fecero che tutte le +articolazioni scricchiolassero. — Da prima ridevano e scherzavano. +Poi caddero in una prostrazione come per grande stanchezza. — Quel +_malaxare articulos_ era per fermo una operazione dolorosa, quando +i frizionatori non fossero dotati di una certa abilità e destrezza. +Allora questi diedero di mano agli strigili — ch’erano di avorio o +di argento, adorni di bei graffiti, la cui forma somiglia a quella di +una falce concava che possa applicarsi alla rotondità delle membra — +e staccarono dalla dermide tutte le ineguaglianze e le impurità che la +traspirazione vi aveva adunato. + +Trasportati di nuovo dond’erano venuti, gli epilatori li spelarono +con un unguento fatto con semi di salcio nero e con egual dose di +litargirio. — E i profumieri li unsero di distrutto di porco con +elleboro bianco. — Aspersi poi di olio di nardo e di megalio, furono +asciugati con stoffe di lana finissima. — Vennero in ultimo avviluppati +in una _coccina gausapa_ — specie di grande toga scarlatta, vellosa al +di dentro — e deposto ognun di que’ giovani entro una lettiga coperta, +furono ricondotti in casa loro. — Nel congedarsi, Publio Ametistio ebbe +a dura prova la forza di dire, sbadigliando: + +— O, chi verrà alla _comissatio_ meco?..... Prometto _mirabilia!_ + +— Verremo! — + +Statilio Tauro, nel porre il piede nella sua sedia chiusa, voltosi agli +amici, lor disse: + +— Parlare consigli di saviezza a quel caro epicureo è lo stesso che +raccontare una storia ad un asino sordo. — Valete. — + +Intanto che quei giovani infemminiti prendevano il loro bagno +caldissimo che gli slombava, i popolani si procacciavano un sudore +abbondante e senza spesa nella palestra. Gli uni — ignudi nati — +si esercitavano nella lotta; e ciascuno procacciava con sgambetti +di cacciare il compagno per le terre. — Altri bilanciavano le loro +braccia, avendo nei pugni pezzi di piombo. — Altri, giuocavano alla +palla. — Ed altri ancora, colle mani legate sul dorso, prendevano +colla bocca anelli per terra e si rialzavano. E fra i più destri, uno +inginocchiato, rovesciavasi indietro sino a mordersi il tallone dei +piedi. Quindi si tuffavan tutti nell’acqua gioiosamente, con grandi +risa e con più alto baccano. + +Il bagno addetto alle donne è più quieto. Ma il bisbiglio dei vari +tuoni delle voci è anche più discordante. — In una epoca ed in +un paese, ove le vesti dinotavano la condizione di quelle che le +indossano, la nudità assoluta delle persone stabiliva una eguaglianza, +una democrazia, di cui ognuna traeva suo pro per la libertà propria. + +— O che hai, Rufilla, che sei costì tanto cheta. Da che siamo nel +bacino non sferrasti pur anco una parola. + +— Mia cara Aglaia, sto ammirando le carni flosce della mia padrona, +sulle quali sarebbero così bene applicati i colpi di verghe che mi +fece dar non ha molto. — Ne ho ancor le lividure alle reni. — Mira che +pelle. — Toccherà a me domani il renderla bianca di carnagione, nelle +parti visibili, colla cerussa di Rodi. — Buon per lei che un’altra +l’asciuga. — Io la pizzicherei di dispetto. + +— E non hai tu altra sorgente di collera contro di lei?..... Il mio +padrone, ch’è il maggiordomo nella casa di Bleso, disse alla moglie +aver inteso come il marito della tua signora volesse affrancarti +perchè..... sei bruna e piacente. — + +Rufilla sorrise e replicò a bassa voce: + +— Ho rotto pace con molte illusioni, io. — Pur sono ancora in +civettismo colla speranza. Chi sa? Finora alla Iddia bendata non vidi +mai il viso. — Ed in vero non saprei dirti ciò che meglio io desideri. + +— Tu parli come gli aruspici. Pure ti ho inteso. — Venere ti +sorrida! — + +Quando le due schiave si levarono di là per asciugarsi, altre due +parlavano greco nell’atto che le donne loro affibbiavano addosso le +vesti. Sembra che quella lingua esse ignorassero. + +— Dì! — È egli vero, o Lelia, che tu ti mariti? Piacerebbemi. — +È un dabbene quel tuo promesso. — Sia la dolce Iddia propizia ed +entrambi! — + +La giovanetta cui fu volta la domanda era diciottenne, dalla persona +delicata, dal viso pallido, dalle linee rotonde, soavi e fine. Una +leggera lanugine le adombrava l’orlo superiore della bocca. — Sorrise. +— E da quelle fila di perle escì cotesta risposta: + +— Minucia, grazie ai tuoi voti. — Presto. — Altrimenti la vita mi +parrebbe insopportabile. — Quinto Muzio io l’amo e spesso lo sogno con +ardente follia. — Una sera mi ha baciato. — E, fatta sola nella mia +stanza, io ne ho pianto e tremava tutta. — Chè, il bacio di un uomo +non è come il tuo, sai?..... Oh! qual bacio! — Era qualche cosa di +bruciante e di leggero che mi penetrò come il soffio di una carezza nel +cuore. — + +E stringendosi forte mutualmente le mani, partirono. + +Una donna, già completamente vestita, fe’ cenno colla mano ad un’altra +di appressarsi. + +— Esce ora colla sua figlia. — La vedesti nel bagno? Brutta e +manchevole..... E che sa trovarvi egli di bello?..... Io lui desidero e +voglio. Intendi? — Gli diè forse a bere un filtro amoroso, colei? + +— Mia nobile padrona, una sola droga ne apparecchia uno infallibile: +— Amate e sarete amati. — Cotesto è lo avviso della esperienza. — La +umiliazione t’irrita. — Cancellane le tracce. — Lo visiterò domani e — +credimi — ti porterò domani il suo cuore. + +— Torna a vedermi.... nel tempio. — Farò offerte alla Dea protettrice. +— Intanto questa borsa a te per testimoniarti che Giulia sa essere +riconoscente e generosa. — + +Quando la _lena_ escì dalla sala, rimasta sola nel corridoio, la ricca +donna pensò: + +— Io prendo una ben dura lezione, e i miei Giunoni sanno a quali prove +io vo incontro. — In un momento di disgusto lasciai l’uomo al quale +io mi era donata. — M’invaghii perdutamente di Gneo Melissa. S’egli +compenserà il mio grande e miracoloso amore, apparterrò ad un padrone +le cui esigenze aumenteranno sempre. — Accetto la condizione in cui lo +alato Dio mi gittò. Sono doviziosa tanto da pagare i suoi capricci e da +allacciare con catene d’oro il suo cuore. — Ben lungi dal chiedere per +la mia passione quello che follemente desidero, un eterno obblio per +Numanzia, una parola affettuosa per me. — O Venere potente! O Venere +santa! O delizia dell’Olimpo e della terra, fa’ che quell’uomo mi paghi +di amore e dissipi le miserie di questo mio cuor lacerato! — + +Povera donna, a trentacinque anni! Quel piccino fra tutti gl’Iddii, +passando un giorno dinanzi la sua ricca dimora, usò un tratto della sua +eterna malizia e sorridendo le scoccò lo strale. + +Lo indomani fu essa contenta? Lo ignoro! So questo solo. — Era nata +in Pompei col nome di Giulia Felice, figlia di Spurio. — La sua casa +conteneva grandi ricchezze in oggetti d’arte di marmo, d’oro e di +argento. Eravi un sacrario con divinità egizie ed un magnifico tripode +di bronzo cogli attributi del dio di Lampsaco. + + + + +LA BASILICA. + +UNA CONDANNA A MORTE. + +=Anni di Roma 770 — Anni del Cristo 17.= + + + A LEOPOLDO TARANTINI. + + V. + + +In Pompei la gente per bene ristoravasi quattro volte per giorno. Il +_jentaculum_, nel saltar giù dal letticciuolo, consisteva in una fetta +di pane bagnata nel vino — od in pane e cacio — o nel solo vino ove era +stato infuso per tutta notte un bastone di finocchio aromatico detto +_silum_, per cui questi addimandavano _silatum_ il loro asciolvere +— od in una bevanda dolce e profumata da sciacquare la bocca e +toglierle il tanfo della digestione. — Verso la sesta ora — mezzodì — +cominciava il _prandium_, cibo di sostegno sino alla sera. Chiamavasi +ancora _merenda_, da _meridies_; oppure _prandiculum_, tanto la gente +costumata contentavasi di poco. — Un po’ di pane — qualche pasta calda +di forno — o del _liquamen_ di vino stracotto, detto _sapa_, o di +emulsioni di ciliege, di mele apie o di cotogne, addolciate col favo. +— La _cœna_ sì, che era copiosa. Prendevasi _supremo sole_, cioè al +declinare del giorno, quando le faccende pubbliche o le particolari +erano terminate, verso la decima ora, cioè alle nostre quattro di +sera. — Solo i giovani scioperati mangiavano in sull’ora ottava, cioè +alle due dopo il mezzodì. E lo facevano più volte col recere e col +rimangiare; e poi toglievano il bagno caldissimo per debilitarsi ad +aver fame per la _comissatio_, specie di orgia cui Bacco e Venere +presiedevano e che si prolungava lungo la notte. + +A lato dei Lari compitali sulla via non lungi dal Foro, ov’è la +fontana dalla testa del Leone, parecchi giovani si fermano e picchiano +ad una porta. L’ostiario apre, chiede i nomi e lor dà passaggio sul +_prothyrum_ di bianco mosaico su cui sono rappresentati con neri dadi +due lottatori afferratisi. — Erano attesi. — Dal peristilio entrano nel +triclinio, ove altri gli accoglie e gli bacia. — Il padrone del luogo +gli computa e dice: + +— _Septem convivium. Novem convicium._ — + +Una gaia risata festeggiò quel motto spiritoso. Avvegnachè, avesse +detto come sette a desco avrebbero composto un’allegra brigata. Ma +trovandosi in nove, la riunione la sarebbe stata chiassona. — Ed era +ciò che chiedeva. Per le disposizioni e pei mobili di quelle stanze, +i convitati non dovevano essere numerosi. E il buon genere dei tempi +imponeva che non eccedessero le Muse e non fossero da meno delle +Grazie. + + +-------------------------------------------------+ + | | | | | | + | III | VI | V | IV | VII | + | | | | | | + |---------|-----------------------------|---------| + | | | | + | II | | VIII | + | | | | + |---------| |---------| + | | | | + | I | | IX | + | | | | + +---------+ +---------+ + +Compite le abluzioni e le altre formalità di uso, il padre del festino +— _cœnae pater_ — indirizzò una breve prece agli Dei e a suon di flauto +fece le debite libazioni di vino. Quindi distribuì i convitati sul +triclinio nell’ordine seguente. — Sul posto V del _summus lectus_ ei si +sdraiò appoggiandosi al gomito sinistro. Indicò a Psiche di allungarsi +sui cuscini del IV, ed invitava P. Ametistio ad assidersi sul luogo +consolare VI. Sul letto di sinistra si disposero Calliopa, Suavis +ed Issa su III, II e I. E sul _lectus imus_ si adagiarono M. Porcio, +Scapido e Metrodoro nel VII, VIII e IX; questi ultimi erano _umbrae_, +cioè non da lui invitati. + +Il vuoto era riempito da una larga tavola di marmo, ove si disponevano +i _riton_ e le tazze e le scodelle per le vivande. Dietro ognuno era un +servo, _succintus puer_, la cui attenzione era desta dalla scoppiettio +delle dita. + +Gli uomini e le donne ricevettero sul capo corone di edera, di rose, +di viole e di fiori di zafferano. Altre più larghe erano poste ad +armacollo. Sui capelli furono sparse essenze di nardo, di balano e +di altre sostanze odorose. Credevasi che quel verde, quei fiori, quei +profumi, aprendo i pori, facessero facilmente evaporare i fumi del vino +greco ed indigeno. + +Le vivande erano apportate sopra un _ferculum_, grande vassoio di +argento che copriva tutta la tavola. Allorchè il padrone volea che +fosse servita la _mensa secunda_, facea scoppiettare il pollice +coll’indice, e i servi ubbidivano. Così pure per empire i _riton_ coi +ciati, specie di misura con cui si prendeva il liquido e si versava nel +calice che lo invitato stendeva. Cucchiai erano sul desco e piccini +di fine argento. Vi erano coltelli. E pur cannelli di penna d’oca o +fuscellini aguzzi di lentisco per iscalzarsi i denti. Ma gli alimenti +solidi, di pesce e di carne li prendevano colle dita, salvo a lavarle +nel _trullum_, catino che lo schiavo sopportava, ed asciugarle colla +_mappa_ che ognuno recava da sè. — Avevano inventate tante raffinatezze +di lusso, meglio che di uso, e non avevano pensato a distendere una +tovaglia sul desco, a fornire gl’invitati di tovagliuoli e a fabbricar +le forchette con cui infilzare le vivande. + +Dopo aver mangiato e bevuto, ribevvero ancora. Era l’uso di non levarsi +dai soffici cuscini senza prima salutare le donne che sedevano accanto. +Quei begli umori erano discreti. I più perdevano la ragione. Ma nessuno +poteva esimersi dalla regola, abbandonatamente accettata, la quale +prescriveva, _Omnis amica numeratur ab adfuso Falerno_. + +Laonde il _pater cœnae_, volto alla Psiche sua colla tazza ricolma: + +— _Cor cordium, nomen tuum bibo._ — + +E tranne lei, tutti appressarono sei volte le labbra al bicchiere, +ingoiandone i sorsi. Quindi Ametistio: + +— Alla cugina di Venere.... Al fascino dei tuoi sguardi, o Calliopa.... +Io bevo ogni lettera del tuo nome armonioso. — + +Metrodoro aveva Suavis sul corno opposto del triclinio. E lei +guardandolo amorosamente, + +— _Sex cyathos_ per te, o maga del cuore. — + +Scapido, appena sdraiatosi, aveva notato le copiose trecce della +fanciulla che il re del convito, od il caso, gli aveva disposto di +fronte. A forza di vederla, si prese ad amarla. E siccome egli non era +fatto per dispiacere ad alcuna, anch’egli a lei piacque. Veramente +Porcio era il suo amante. Ma quando lo amore s’infiltrava nel cuore +greco-latino, ogni cosa doveva cedere — e ancor cede! — pregiudizi, +interesse, doveri. Scapido bevve quattro sorsi al suo nome. E Porcio, +pur morsicato dalla vanità nel vedere gli sguardi e i sorrisi di lei, +acuti come un dardo, leggeri come il soffio e fragili come la virtù, +rivolti spesso alla persona a lui daccanto, bevve e intero il nome +della passionata pompeiana. Però, brontolando, non si ristette dal +dire: + +— _Alii adnutat, alii adnietat, alium amat et me tenet._ + +Aveva torto. Le donne di tal conio usarono sempre ad uno far segni, con +altri occhieggiare. E se taluno amano, tengono altri per le unghie. + +I servi partirono. + +Rimasti soli, parlarono su quel tema, inesauribile come la musica — +perchè anch’esso è la musica delle anime — che addimandasi amore. Ed +una felicità di una nuova specie ed ignota gl’innondò tutti. Pareva +temessero che qualcuno sarebbe venuto a rapir loro quella serie di ore +beate che nessun certo lor disputava. La rapidità piena del piacere +svanisce come un minuto e stanca. Ma poi torna secolo, carico di +ricordi festosi e delle delizie di un istante — e tanto più nei momenti +in cui si è colpiti dal dardo di un grande dolore. + +Calliopa, dopo aver guardato per qualche tempo Ametistio, tornò a lui; +e, sedutasi sulle sue ginocchia gli mormorò: + +— Mi ami, Publio? + +— Sì, cara; come il mare la sponda. + +— Infido! — + +E appoggiando il gomito sulla sua spalla, velò la faccia. La misera! +— Sulla veste sottile di Laïs essa avea ricamato coi fili d’oro la +ingenua serenità dell’anima e quella freschezza e quella limpidità di +sguardo che ammalia e seduce. Quando la donna si sente così penetrata +dai raggi di un celeste amore, acquista immediatamente un non so che +di dignitoso e di augusto, che spinge gli umani a ringraziarne gli Dei. +Essa intravide d’un tratto dove i suoi nobili sentimenti la spingevano +e pur discerse come la mano amica le mancasse nello avviarsi verso la +landa ignota dei suoi destini. Fidanzata della miseria, o fidanzata +del dolore, sapeva il paese d’ond’era venuta e giurò dentro di non vi +tornare mai più. — E mentre essa pensava, ed anche Ametistio pensava. +— Ma l’una pianse e l’altro rise. — E si ricambiarono un bacio ov’era +chiusa un’antitesi dolorosa. + +— Chi giuoca alle tessere?... Su, poltroni! O crederò che Bacco vi +abbia fuorviato... E tu, Publio, scostati da Calliopa, che da qualche +tempo medita disegni sinistri sulla tua pace. — + +Quegli si svincolò ridendo dalle sue braccia, e: + +— Giammai fui felice coi dadi. — Immagina ora che mi strappi con +violenza di Pafo. — La bella Iddia si vendicherà! — + +Il giuoco delle tessere consisteva in cotesto. — Tre piccoli cubi di +avorio si mettevano entro un cornetto, detto _phimus_; si agitavano +colla mano e si versavano sur una tavola scavata che chiamavasi +_alveolus_. Ogni cubo portava sulle sei facce una serie di punti, +cominciando da • e aumentandosi successivamente su ciascuna superficie, +per unità sino a [Illustrazione: sei puntini] — Le tre facce, che +i dadi mostravano, decidevano del punto. — Allorchè i tre cubi +presentavano ••• il giuocatore perdeva; avvegnachè, egli avesse fatto +il colpo del cane. Quando invece le superficie tutte offerivano il +[Illustrazione: sei puntini], egli vinceva la scommessa, avendo fatto +il colpo di Venere. + +Lo amico giuocò per il primo, e i cubi dissero due, cinque, sei. — +Giuocò Ametistio e presentò i tre assi. — Aveva perduto. + +— Lo vedi?... Il colpo del cane! — Giù cinquanta denari. + +— Accetto. + +Si scuotono i dadi e si mostra il colpo di Venere. — Si scuotono anche +una volta e tornano i tre assi. + +— Hai perduto. — Altri cinquanta? + +— Altri cento. + +— Ah! sei proprio infelice! Ho vinto. + +— Vedremo. — Non potrebbe Venere aiutarmi? — + +Ametistio agita forte il _phimus_ e ne escono uno, uno e tre. + +— È una vera fatalità! — Séguiti il giuoco? + +— Sì; e scommetto un _nummus aureus_. — + +Intanto Porcio e Scapido, assisi presso una tavola, divisa in quadrati +alternativamente bianchi e neri giuocavano ai _lutrunculi_, una +specie dei nostri scacchi. Palamede aveva inventato quel divertimento +nel campo dei Greci per distrarre nobilmente sotto la tenda i re +confederati che assediavano Troia. — Ognuno attelava dinanzi a sè +alcuni pezzi di vetro bianchi per l’uno, neri per l’altro. E col dito, +spingevali innanzi come soldati di un esercito, a piedi e a cavallo, +muniti di torri e guidati dai capi, entusiasmati dalla regina e retti +dal re. La buona tattica consisteva nel sorprendere tra due pezzi il +pezzo di vetro dello avversario e così acquistare il diritto di farlo +prigione e toglierlo dal campo di battaglia. + +Suavis e Psiche si divertivano coi _tali_, ch’erano ossi di astragolo +di montone. Quelli avevamo la loro forma ma erano di argento. + +— Tu hai una destrezza rara, o Psiche. — Quantunque volte io mi provi +a raccattarli tutti e quattro, si sparpagliano in aria, e perdo. +Se il vuoi, io ti darò un tessuto di nodi complicati e te li darò a +sbrogliare. + +— Apparecchialo. — So già la tua perizia nello allacciare i cuori. Non +pensi ad Æliano che si muore di amore per te? Non ha molto il vidi in +teatro ed ei si strugge nel labirinto ove tu lo chiudesti. + +— Gli gioverà lo starvi. — Venere mi diè la missione di vendicarla. + +— Cattiva!... Non la Iddia... te, per la tua leggerezza. + +— O se l’è una mosca!... Lascialo pur nella ragna!.... Provati ora a +disciogliere questo nodo di Gordio. — + +Metrodoro, che aveva assistito alle evoluzioni che Porcio e Scapido +aveano eseguito col loro esercito di vetro, si fermò dietro la sedia +della bionda Suavis. Psiche si provava a sciogliere lo intricato +gomitolo e non riesciva. — Levati gli occhi, disse: + +— Il conterraneo di Alessandro potrà sbrogliarlo, non io. — Che pensi? + +— Io penso che Metrodoro non s’abbia a provarvi. Non dev’egli +apprenderne il segreto. Giammai costruirò un labirinto per lui. Ei +venne a me ed io lo tengo. + +— Il Tartaro m’ingoi, s’io mai lo caccio dal cuore ove egli scrisse il +suo nome. — + +E spingendo il capo indietro, levò la faccia sorridente di amore. — Il +greco curvò la sua e le loro labbra s’incontrarono. + +— Undici volte perdente! — Sei volte il colpo del cane! — Che è questo +mai? — Calliopa, togliti di qui, se ti piace. — Hai la faccia sì seria, +e gli occhi sì lucidi, che temo mi affascini. — + +La bella fanciulla posò la mano sulla spalla di Ametistio, si fece +rossa e poi pallida, e lo guardò di quello sguardo con cui la madre +fissa il figliuolo. — Uno sterile sdegno; lo imbarazzo dell’anima; +la tenerezza profonda; una incantevole illusione ben tosto fugata dal +fantasma della brutta regione in cui per parecchi mesi aveva vissuto; +ecco le parole che dissero quello sguardo innamorato. — Ametistio non +lo notò. — Aveva altre cure che lo occupavano. — E la misera andò a +celar le sue lacrime in un canto della camera — pioggia impetuosa che +distruggeva i fiori ed il verde di una forte passione. + +Scapido e Porcio s’erano tolti dal giuoco e, stirandosi le braccia, si +appressarono alla tavola dove la sorte capricciosa imponeva ai dadi le +sue fantasie. Le donne anch’esse composero il cerchio. + +— Togliti, Metrodoro, di costì. — L’amico dirà che gli nuoci. + +— Danno e sventura! — Una ruina sull’altra! — Uno, sei, due. Ah! +Venere! Ti frangerei volentieri le costole con una mazza. — In verità, +io rinuncio alle tessere e mi ritiro. + +— Quanto perdi, o Ametistio! + +— Chiedine, o Psiche, a quel fortunato. — + +Issa prese sul deschetto il breve bussolo incerato e, fatta l’addizione +delle cifre, pronunciò: + +— Sei mila dugento cinquanta denari. — Psiche, si può dir del tuo +amico, come di Fabio, il temporeggiante, _romanus sedendo vincit_. E +viva lui! — + +Publio Ametistio — giovane, orfano, già ricco, scialacquatore — +apparteneva a quella categoria di uomini amati e maladetti dal fato — +stelle filanti nell’atmosfera della vita, che splendono di vivo lume +per poco; che impallidiscono al passar di una nube; e scompaiono nella +pace della natura, quando tutto irraggia, canta ed ama intorno ad essi. +— I piccoli e i grandi avvenimenti della esistenza gli aveva assaporati +tutti. Pur questa volta l’urto che la ruota della Fortuna gli aveva +dato passando, gli cagionava un fremito dentro che gli rendeva malato +il cuore. — Non ostante, scosse lo altero capo per coronare di un falso +sorriso la necessità, e disse: + +— L’ora è tarda. — Valete, amici. — A domani. + +— A domani, Publio; e quando vorrai. — Ricordati che l’amicizia è la +catena più forte delle nostre affezioni. — + +Allora si fece innanzi Calliopa e prendendogli la mano distratta con un +guardo che dicea molte cose, gli aggiunse: + +— No... Vi è una catena anche più forte e tenace... l’amore! + +— A tutti sia propizio Morfeo. — + +Così mutuamente tutti si salutarono. — E, accompagnati o soli, +reddirono alle loro dimore. + +Ametistio aveva molto giuocato, e perduto, e pagato. Aveva pur molto +speso per giovanili follie e poco omai più gli restava del censo avito. +Avrebbe dovuto arrestarsi e dar ordine alle sue cose. Lo amor proprio, +la vanità lo spinsero oltre. — E in quella sera ei si vide giunto +sull’orlo dello abisso, e la via del regresso era scomparsa. Quando +pose il piede sulla gradinata della strada dell’Abbondanza, un sudor +freddo gl’imperlava la fronte, le gambe gli vacillarono e si appoggiò +ad uno degli _impedimenta_ di sasso. Ma si rimise ben tosto e continuò. +— Continuò con passo regolare e sicuro, col corpo diritto, colla testa +immobile, cogli occhi fissi, come una statua che avesse l’uso delle +sue gambe. — Entrò in casa sua, si fece nel suo cubiculo e si gittò sul +letticciuolo vestito com’era. + +L’anima, ripiegata violentemente sopra sè stessa e compressa per ore +dallo sforzo della volontà, riprendendo i suoi diritti e distendendosi +disordinatamente per tutta la persona, si rifece padrona dei suoi +dolorosi pensieri. E alla luce della lampada vide tremolare sulle +pareti ombre leggere e fugaci e ripresentantisi. Erano i suoi ricordi +or lieti, or tristi. — Era la idea dolorosa del domani. — Ma un’altra +immagine passò a traverso la sua mente febbrile che limò l’acuta +preoccupazione colla speranza; e, tranquillato a metà, chiuse gli occhi +e distese le membra spossate. + +La impotenza generale dei sensi rabbonacciò lo spirito agitato. Le sue +idee navigavano pur sempre nel caos. Ma gli sembrava, nelle tenebre, in +fondo, lontano, di vedere un porto consolatore ove avrebbero trovato +un approdo. Immobile, nè dormente, nè desto, quel crepuscolo della +propria intelligenza leniva in certo tal modo la prostrazione fisica e +morale nelle cui braccia lo aveva gittato il pensiero della vergogna +e la idea di mancare — malgrado suo — allo impegno che il giuoco gli +avea fatto contrarre. A poco a poco aggiornò nella sua mente. — Il +passato aveva preso il di sopra. — Festini — bagni — viaggi — ed amori. +— Adorati fantasimi tornarono ad impadronirsi dei suoi pensieri. — +Cuma, Neapolis, Capua, Tarentum, Brundusium, Roma le vide popolate +di creature graziose, di desiderii appagati, di spettacoli goduti. +Sentì voci gentili ripetergli frasi già udite. Un braccio appoggiarsi +delicatamente sul suo e stringerla con un tremito soave. Ripensò ad +un mazzo di fiori ricambiato da un bacio. Ad una ciocca di capelli +bruni che aveva sfiorato la sua gota. Ad una immagine divina, fremente +di piacere sotto le sue carezze. Ad un banco, in uno xisto, su cui, +lungi di ogni sguardo, erasi assiso presso una idoleggiata, sotto un +odoroso cespo di caprifolio. Ad una brigata di amici che pur dianzi +accoglievalo e gli facea festa. A Calliopa, di cui avea letto nel cuore +lo affetto secreto, folle, insensato. + +— E domani? — + +Cotesta parola, come tarlo rodente, lo svegliava dai sogni e lo +trascinava ai piedi di una triste realtà. + +— Oh! Si allontani la idea! Troverò danaro. — Pagherò. — Indi, +vita nuova. — Un buon matrimonio... la pace e.... l’onore sino alla +morte. — + +E chiuse gli occhi colle dita, per forza, e cacciò lontano ogni +pensiero. Volse la testa sul cuscino, chiamò il sonno... Ma l’anima +vegliava e lo facea dimenare sul letto quasi fosse un fascio di spini. + +— Oh! la crudele espiazione! L’Erebo ha minori tormenti! — E che feci +io che gli altri non fanno? — Essi dormono! — Ed io mi torturo! Sì mi +torturo... e soffro senza speranza... Forse troverò un _fœnerator_... +Che! Tutti ladri! — Gli subisco da un pezzo! Mi fecero il loro +schiavo... mi composero questo crudele destino!... Ma, non ne fui +l’autore io medesimo? La vita mi è a carico... E se io la troncassi, +aiutando la parca insonnita?... — + +Si levò di letto. — Aveva lo aspetto livido, sconvolto. — Si appressò +ad una cassetta di ebano e ne trasse uno stile. Lo esamina con cura, +ne prova la punta acuta e sottile sull’unghia del pollice, lo adatta +tra le due costole sul cuore..... è per pigiarlo dentro colle due mani +e..... si arresta. + +— E l’onore?... E il mio nome?... E merito io la fine di Socrate e di +Catone?... E che direbbero di me morto i miei creditori... e l’ultimo, +se io usassi la prerogativa di un uomo libero che si sottrae dalle +angosce dell’animo?... Giù il ferro di cui non son degno! — + +E lo cacciò sul mosaico della stanza. — Levò la mano in alto e, voltosi +verso lo _impluvium_, ov’erano sotto il portico le statue di stucco dei +suoi maggiori, seguiva: + +— Date venia all’ultimo della vostra stirpe, o miei. — Voi serviste +leggi che io non debbo, nè voglio, mai offendere. — A meno che Giove +non mi dissenni, nè morti, nè viventi eleveranno contro me la loro voce +di spregio. Bocche severe mi dissero leggero, depravato, sciupone. +— Meritai la sentenza! Cercherò danaro. — Me ne daranno quei tristi +ch’io contribuii ad arricchire! — Quindi darò piena ospitalità alla +saggezza. — + +Siffatte idee lo racconsolarono. — Di chiaro giorno escì. — Corse nel +Foro. — Callicles, l’usuraio, disse non aver sesterzi disponibili. — +Toctucio, il liberto ladro che facea commercio di giovanetti greci di +ambo i sessi, rispose avere in casa un capitale morto che pur mangiava +e non poter disporre di un solo quadrante. — Cancer, il sudicio ed +insaziabile affrancato, lamentò il terremoto che gli aveva screpolato +le molte botteghe che affittava e maladì ai _tignarii_ e _cœmentarii_ +di Teanum che nelle travature e nelle ricostruzioni gli assorbivano il +peculio deposto nell’_horreum_ — il magazzino pubblico, ove i cittadini +deponevano la moneta e gli oggetti preziosi sotto la salvaguardia dello +Stato. — Il solo Gurges — la cui avidità gli avea dato quel meritato +soprannome — consentì a trattare, chiese la cifra e promise una +risposta fra tre giorni. — Ma, richiamato quel contentissimo indietro, +gli aggiunse: + +— Il _fœnus_ però sarà centesimale, cioè, mi darai due assi per cento +ogni mese. — Va? + +— Accetto. — + +E a quai patti non avrebbe consentito Publio Ametistio per escire +onorato dalla voragine ov’era caduto? — Stanco, ma rinfrescato dalla +speranza, attese. — Dormì. — Riparò le forze perdute. — Per distrazione +— non per amore — ricercò la compagnia di Calliopa. — Povero, cuore +riannobilitato dal raggio nuovo di una sensazione profonda! + +Intanto Gurges aveva parlato con Alfio, degno collega suo. E questi: + +— Mercurio ti aiuti! Il suo patrimonio lo fuse in bagordi, in vini +squisiti, in bagni, in profumi.... e in usure. Chiedine a Scapzio e a +Matinio, cui Cicerone tagliò le unghie a Salamina. Gli è proprio un +_hilarus nepos_. — Se gli aurei nummi ti vennero a noia, danne.... +Allora torneremo a chiamarti col nome di tuo padre! — + +— Basta. — Quand’anche lo segassi — secondo il prescritto delle XII +Tavole, — di quel corpicino estenuato dai vizi non mi verrebbe gran +parte. — + +Corsi i tre giorni, alla decima ora di sera Ametistio cercò di Gurges +nel Foro. — In casa non era. — Visitò parecchi luoghi. — Domandò ad +alcuno di quella geldra ove fosse. — Frugò inutilmente ogni canto. — +Alla fine trovollo nel porto. — E tra il timore e la speranza: + +— Ebbene? + +— Per Ercole! Non si dirà mai che i miei denari, con tanto sudore +acquistati, passino come un papavero in un formicaio. — Tu credesti il +tuo censo immortale. — _Magister improbus!_ — Lo dasti alle sciupate? +Fa’ che le sciupate tel rendano! — + +A quelle parole Ametistio sentì mancarsi il cuore. — Crollava intero lo +edificio delle sue speranze. Un sudor freddo gli diacciò la fronte. E, +voltosi all’usuraio che con passo frettoloso si allontanava, lo salutò +con tale rampogna: + +— Ti colga la peste, _furcifer_. — + +Era annientato. — Il crepuscolo copriva colle prime ombre le cose. Si +avviò sbalordito verso la città. — Passò sotto l’arco della porta della +Marina. Si assise sui gradini del magazzino della Dogana e appoggiò +la fronte bruciante sulla parete. Le idee tornarono nella sua mente +con tutta la loro chiarezza. D’un tratto si leva e cammina frettoloso. +Si arresta sul piano e poi va innanzi, agitando le braccia come un +insensato e parlando inarticolate parole. Si ferma di nuovo dinanzi il +tempio di Venere Fisica. L’uscio è aperto ed egli entra. — Qual disegno +lo spinge? — Nessuno. — S’inoltra e poggia il capo sull’ara. Per tutto +è silenzio. Nessun rumore. Nessun mormorìo attorno di lui. Alza gli +occhi e mira la statua di marmo della bellissima Iddia, cui tanto +danaro le sue scioperatezze aveano sacrificato. Una lampada votiva +illumina la edicola. Ametistio ripensò alle parole di Gurges — che le +sciupate aveano a rendergli quello che alle sciupate egli avea dato. +Si guardò attorno, ascese la scala di marmo a grandi passi, afferra la +lampada d’oro e fugge. + +Ma il coperchio — rotta la cerniera dall’urto — si stacca e ruzzola +per la gradinata. Un sacerdote, che andava a chiudere la porta del +tempio, ode il rumore, vede un’ombra che passa, il lume spento innanzi +il delubro, immagina la profanazione, corre e grida al ladro, al +sacrilego, all’empio. + +Lo ingresso nel Foro era chiuso. Laonde il misero corre per la via +d’ond’era venuto. — Alcuni che bevevano in un _thermopolium_ si +affacciano sulla strada. — Due marinai ed un soldato vengono dalla +porta della Marina. — Non vi è scampo per lui. Una idea lo prende e la +esegue. — Lancia con quanta forza gli ministra la disperazione il ricco +oggetto che avea fra le mani al di là di un alto muro, il quale serviva +di sostegno al terrapieno per la edificazione di un tempio ad Augusto. + +Il sacerdote lo arresta e al primo cittadino che vede, dice: + +— _Licet te antestari?_ — + +Avendogli risposto affermativamente, ei gli toccò il basso della +orecchia, supponendosi allora che quella fosse la sede della memoria. + +Gli accorsi si accrescono. — Il misero è svenuto nelle loro braccia. — +Altri sacerdoti giungono colle torce. Ed una luce livida rischiara la +persona di quel caduto. — Uno lo riconosce e dice: + +— Publio! il ricco giovane che abita nella via dov’è la fontana di +Medusa!... Oh! non è possibile! + +— Dov’è l’oggetto involato cui i sacerdoti accennano? + +Tutti si scostano. — Quei dalle torce accese le volgono per ogni verso +e nulla trovano. — Allora il soldato si accosta all’orecchio di un +marinaio suo amico, e gli susurra: + +— O che il flamine abbia preso la lampada, e poi voglia averne una di +ferro col sangue delle vene di quello sventurato? + +Altri soldati ed altri curiosi vennero su quel posto. — Ametistio aprì +gli occhi tutto smarrito. — Vide la gente. — Si rimise sui piedi e +toccandosi la fronte riarsa, balbettò: + +— Ove sono?... Oh! il terribile sogno! + +— Dove hai celato la lampada tu? + +— Quale lampada? + +— Quella che tu involasti a Venere sacra. + +— Ah! Gurges lo ha detto. — Pietà di me. — Uccidetemi e sarete +pietosi.... La lampada.... + +— Ebbene?... La lampada? + +— _Venus diobolaris_ l’ha presa. — La venderà a Gurges, o a Cancer.... +E quelle mignatte vomiteranno il mio sangue nella tua bocca, o flamine +impudico.... mignatta del popolo. + +— Bestemmia lo infame. — Trascinatelo al pretore. — + +Un centurione aprì la folla, la interrogò, vide il giovane di nuovo +svenuto e ordinò si chiamassero due schiavi pubblici con una lettiga +per condurlo presso il magistrato. + +— Rendi la lampada, o sacrilego. — La vendetta della Iddia piomberà sul +tuo capo.... — + +L’uomo coperto di ferro distese con autorità la mano sullo incolpato e +disse. + +— Pace, o sacerdoti. — Comprendo il delitto e ne sento l’orrore. — Ma +il giovane parlò poc’anzi in delirio. — Ora è svenuto od è morto. I +magistrati sentenzieranno. — + +Giunta la lettiga, vi fu adagiato Ametistio, venne aperto il passaggio +nel Foro e il trasportarono per quella via. — I sacerdoti, i curiosi, +gli sfaccendati, i perditempo, le bigotte rimasero su quel posto per +lunga ora ad esclamare, a non credere, ad accusare e colle lanterne a +scoprire dove il reo avesse nascosto la lampada rubata. Ma la lampada +non si trovò. + +Il pretore cui presentarono lo incolpato, appena potè riconoscerlo agli +occhi sbarrati, alla faccia livida, alla persona affranta. — Udito il +reato di cui Ametistio era accusato, siccome questo implicava la pena +della _maxima capitis diminutio_, cioè la sottrazione di una testa al +consorzio dei cittadini e alla libertà, dovette ordinare fosse menato +nella pubblica prigione. + +A dritta dello ingresso del Foro dalla viuzza dietro le Terme e dal +trivio della fontana del Lupo, era il posto dedicato alla carcerazione +preventiva. Una piccola e stretta porta di quercia vi dava accesso. Un +pernio di ferro nel centro la faceva aprire a metà. Grosse spranghe +confitte nelle spallette di pietra la facevano immobile al di fuori. +Due scalini mettono in una stanza umida e oscura, non ricevendo +aria e luce che da un piccolo tubo superiore alla porta; e due altri +fanno ascendere ad una seconda, stretta e lunga come la prima. — Le +pareti sono lisce e composte di larghe pietre di taglio, aggiunte +senza cemento. — Così le soffitte. E la costruzione è sì solida da +non offerire ad un rinchiuso veruna speranza di fuga. Nulla di peggio +orribile di quelle due fosse.... + +Colà sur un po’ di paglia venne gittato Ametistio. Il quale, fuori di +senno e quasi immemore delle cose avvenute, potette dormire sino al +dimani. + +La novella corse ben presto per le bocche di tutti in Pompei. — I suoi +amici ne rimasero sprofondati. — Calliopa cadde come corpo esanime; +chè, il dolore che non ha refrigerio di lacrime uccide o quasi. — Il +vincitore alle tessere e quanti furono del numero della sua ultima +festa, credettero o falso il delitto o nato di subita follia. Laonde +deliberarono di farsene essi gli accusatori pubblici — _auctores causæ_ +— per impedire che altri si presentasse e non col loro cuore. Ma il +giudice della questione, il quale senza essere magistrato aveva pure +tutte le attribuzioni di un _quæsitor_, cioè presidente — non volle +che lo incriminato ottenesse dai suoi fidi una persecuzione fiacca, +incompleta per calcolo onde sicurargli la impunità. Accettò meglio +l’atto di accusa prodotto da Stazio Rufo e dai suoi _custodes_, Vatinio +Svezzio e Caio Pedio — sorta di accusatori in secondo, sia chiamati dal +primo come aiuto ai suoi ordini; sia, suo malgrado, per chiarire la di +lui condotta, per sorvegliarlo e costringerlo ad una franca accusa. — +L’atto diceva così: + +«Vivente Tiberio imperatore, e sedenti consoli C. Cecilio Rufo e L. +Pomponio Flacco Grecino, agli VIII degli idi di aprile — dinanzi i +questori Velario Grato e Vibrio Saturnino — Stazio Rufo coi suoi +custodi, dichiaro Publio Ametistio reo di furto di oggetto sacro +e dimanda che secondo le leggi venga condannato alla interdizione +dell’acqua e del fuoco.» + +Il quesitore mandò il libello all’accusato, perchè apparecchiasse la +sua difesa pel giorno di poi. + +Lo indomani un araldo, salito sul pulpito della Basilica — dopo aver +suonato la tromba, ripetè l’atto di accusa, scritto precedentemente +dagli autori della causa. — Quindi colla stessa formalità lo chiarì dal +pulpito del tempio di Giove e dinanzi la porta dello accusato. + +I giudizi sui reati pei quali era prescritta la condanna nel capo +erano dapprima riserbati ai comizi. Occorsi alcuni casi, creduti al +disopra della intelligenza del popolo, o della sua istruzione, si +cominciò a consultare i decurioni, ch’erano una emanazione popolare. +Quindi si pensò di creare un corpo giudiziario permanente, scelto tra +i cittadini i quali pel loro grado sociale o pel loro censo fossero +nella condizione di occuparsi dei pubblici negozi senza alcun danno. +Il popolo — approvando siffatto accordo — serbò per sè i giudizi sulle +cause di alto tradimento e la revisione delle sentenze sui condannati +che a lui si appellassero come a sovrano. + +La Basilica è aperta. — Una folla numerosa occupa il portico e l’atrio. +— Le donne e i curiosi sono sul terrazzo del Foro e dei tempio di +Venere. I più vicini odono. — I più lontani veggono. Ma il vedere vale +quanto lo udire; avvegnachè gli oratori, accompagnando le loro parole +con gesti espressivi e giusti, traducessero a maraviglia il detto +coll’atto. + +I duumviri sono sulle sedie curuli. — Gli accusatori sul pulpito. +— Indietro, a dritta ed a sinistra seggono ottanta uno giudici. — +Sotto la ringhiera, lo araldo e gli scribi. — Una barriera mobile di +legno chiude il tribunale. — E dentro è l’accusato in mezzo ai suoi +difensori, fra i quali uno è il _patronus_, cioè l’oratore e gli altri +sono _advocati_, cioè i chiamati per la loro scienza nel diritto e per +la loro perizia nelle cose giudiziarie. + +Quando gli scribi ebbero dispensate parecchie copie della lista +dei giudici agli assistenti per chiarire come veruno che non fosse +registrato nell’Albo giudiziario usurpava illegalmente siffatto +ufficio, i duumviri fecero prestare giuramento agli ottanta uno +cittadini che avrebbero giudicato secondo le leggi. — E tutti, chiamati +per nome, risposero: + +— _Juro ex mei animi sententia._ — + +I magistrati non giurarono perchè essi in tale circostanza si +limitavano a dirigere i dibattimenti, a proclamare il risultato dei +voti ed a pronunciare l’applicazione della legge. + +Si cominciò dalla audizione dei testimoni. Ognuno di questi giurò pel +sommo Giove — _cujus nomine_ — dice Cicerone nell’arringa a difesa di +Milone — _majores nostri vinctam testimoniorum fidem esse voluerunt_ +— di dire la verità. Il primo chiamato fu Venerio Epafrodite — il +sacerdote del tempio che vide il fuggente e il raggiunse. — Disse della +lampada involata dalla edicola e del solo coperchio trovato ai piedi +dello altare, dei lucignoli unti raccattati lo indomani uno sulla via +corsa dallo accusato e l’altro tra le pieghe della sua toga. — Ymnus +— il venditore d’idromele e di acque aromatiche nel _thermopolium_, +dinanzi il quale quel che correva venne arrestato — narrò le grida del +sacerdote e il passo concitato del giovane, che da uno che prendeva +ristori nella sua bottega udì chiamarsi Publio e aver casa nella +via della fontana di Medusa. — Pupo — il marinaio che venne su dalla +porta della città, ripetè le stesse cose ed aggiunse aver veduto lo +incriminato svenuto e poi udito dalla sua bocca parole sconnesse, o da +ubriaco o da pazzo. — Il centurione Eleno Missilus chiarì quello che +avea visto, cioè, il misero giovane ch’ei stimò morto tra le braccia di +chi il sosteneva. Aver udito parlare di una lampada rubata. Pur quella +lampada non essersi rinvenuta, nè sul posto, nè sui luoghi vicini. + +Stazio Rufo cominciò allora l’accusa. — Dipinse la depravazione dello +incolpato. Le ricche imbandigioni e gli apparecchi della gola aver +sciupato e guasto il suo censo avito. Altri scialacqui, di cui è onesto +il tacere; e l’amplissima villa, non più sua; e i tanti schiavi di +tante lingue; e i bronzi e le pitture di miracolo; e il vestir di seta +come le donne, averlo gittato nelle braccia degli usurai, divoratori +anch’essi del suo patrimonio. — Coteste le cagioni dell’ultima colpa. E +potrebb’egli sconfessarla? + +— No! — + +Il patrono difensore nello udire il monosillabo accusatore del suo +cliente: + +— Rufo, tu obblii il saggio costume degli avi, i quali si espressero +sempre dubbiosamente in giustizia. — Come puoi tu asserire le cose +intime che narri? — Vedesti tu — coi propri occhi tuoi — il furto sacro +commesso? — E dimentichi tu per ventura come le tue arrischiate parole +sappiano strappare un amico da braccia amiche, privare lo Stato di un +cittadino ed egli stesso diminuire? + +— Pace, o Caio Calvenzio. Qui non si trattano piacevolezze. Tu non +vorrai scendere a giuochi retorici. — Fatti. Non altro che fatti. — A +tutti è chiara la vita del tuo cliente. — Egli avea debiti. — Chiese +danaro. — Nessun usurario volle dargliene. — Entra nel tempio di Venere +e ruba. Ruba accecato dalla disperazione. + +— E la lampada ov’è? + +— Non sii formalista, Calvenzio. — La sua tunica e la toga sono unte. +Un lucignolo sulla persona.... Egli stesso non smentisce il reato. — +Ecco quello che io credo..... e i nostri avi anch’essi in simile caso +si sarebbero espressi così. — Ho detto. — Rispondi, se il puoi, sulla +innocenza di lui. + +— Cotesti fatti — se sono fatti, ed io gli nego — non avrebbero +potuta rifar la fortuna di Publio. Poteva vendere la sua casa, e i +suoi bronzi, e le ricche suppellettili, e gli ori e gli argenti, e le +gemme, e gli schiavi; ed avrebbe pagato i suoi debiti cui tu accenni +ed io ignoro. In verità una lampada del peso di III libre e once II e +del valore di 40,800 sesterzi, non può solleticare la cupidigia di un +giovane agiato e spendente come tu dici. — + +Adora sorse l’amico presso cui Ametistio passò l’ultima sera gioiosa +giuocando — il quale, dimentico del danaro scommesso e vinto, erasi +fatto insieme con Metrodoro uno degli _advocati_, non avendo potuto +essere gli _auctores causæ_ — e col viso acceso dalla indignazione, +proferì: + +— E la lampada, per Polluce! E dov’è cotesta lampada? — Abbiamo un +sacerdote interessato che accusa. — Abbiamo un incriminato che non si +difende. — E l’oggetto del reato scomparso! — O Venere lo ha nascosto +agli occhi dei suoi.... sacerdoti, o volò di per sè, come il divo +Romolo, nell’empireo presso la Iddia! — + +Metrodoro era afflittissimo. Teneva la mano dell’amico chiusa nelle +sue. E spesso a voce bassa parlavagli nell’orecchio. — Ma non ne aveva +nessuna confortante risposta. + +— Ebbene! siccome s’intesero i testimoni, si ascolti ora il supposto +reo. S’egli ripeterà ciò che disse agli astanti e poi al pretore, +l’accusa non avrà altra cosa da aggiungere. — + +Un movimento di attenzione si produsse allora nell’assemblea. — I più +lontani si sollevarono sulla punta dei piedi. Uno dei duumviri disse: + +— Parli or l’accusato e si scolpi. — + +— La lampada disparve dal tempio.... Vili ed ipocriti i sacerdoti.... A +Venere non importa che l’olio bruci. Ha il sole che illumina il cielo, +la terra e i pianeti.... + +— Ei bestemmia! + +— Epafrodite impostore!... Nel vostro collegio, quando siete satolli +e il vino v’inebria, ridete fra voi degli Dei e degli uomini. — +Una donna che fu vostra, ed anche mia, lo udiva e mel disse.... — I +colombi di argento e i melagrani d’oro — che anche la mia stupidezza +vi ha confidato, come voti alla Iddia — e non gli vendete voi fuori di +qui?... La lampada.... valea pur essa i miei danari.... e partì. + +— E dov’è ora quel prezioso tra i sacri arredi? + +— Non la trovaste?... Bene sta!... Lo inferno v’inghiotta, o pubblici +ladri!... Quella lampada non rischiarerà più le vostre soppiatte +libidini sacerdotali.... + +— A me, che ti accuso, rispondi semplice e sincero. I giuochi di +parole, di mente smarrita non ti gioveranno. E se lo interrogatorio non +valse a strapparti dal labbro la verità, potrebbe ben la tortura.... + +— Come! insolente; osi tu proporre la prova dei servi ai duumviri sul +mio misero cliente? Il dolore e lo spasimo depongono il falso sempre. + +— Ma la tortura è permessa sur ogni cittadino per causa di congiure +e di sacrilegio. — E qui sacrilegio è negli atti e nelle avventate +parole. — + +Metrodoro si stacca vivamente dalle braccia di Publio, e parla: + +— Uno accusa. — L’altro non dice. — La tortura? Sia! La subisca prima +Epafrodite e quindi il cliente. — Così, se il vero sta nei tendini +distesi e nelle carni lacerate, vedremo. — E se il mio amico risulta +innocente, avrò il libito di chiedere ai magistrati di far marcare +sulla fronte del prete calunniatore K, la stimmate che avrà meritato. + +I membri di tutti i collegi sacerdotali muggirono di rabbia a quelle +parole oltraggiose. — Parecchi giudici ne furono inorriditi. — La +plebaglia ruppe in alti clamori. La tempesta fu sì violenta che lo +araldo ebbe ordine di suonare la tromba e di annunciare che i testimoni +avevano detto, e la udienza era levata. + +Lo indomani del giorno d’intervallo tra un’accusa e l’altra, gli +autori della causa ripetettero l’_anquisitio_, cioè la pena richiesta +al delitto. Corsi anche due giorni, gli accusatori fecero affiggere +nel Foro l’_irrogatio_, cioè uno scritto in cui palesavano la pena +che il crimine sembrava meritasse, ed accusarono per l’ultima volta +lo incriminato, invitando i giudici a pronunciare la sentenza. — +Nelle due comparizioni si procedè alle accuse e alle difese, come +nella prima. — Ametistio non volle difendersi. — I sacerdoti — non +solo nei loro covacci di empietà e di frode — ma nelle taverne e nei +trivi cercarono di persuadere il popolo ad impedire che lo scellerato +sacrilego sfuggisse alla giusta vendetta dei numi. — Sempre gli stessi, +assetati d’oro e di sangue! — Sempre tributari agli Dei delle atroci +loro passioni, chiamandoli vendicativi ed autori dei pubblici disastri. +— Coi giudici usarono altri mezzi — danari a iosa, e per sopra ciò +_noctes mulierum atque adolescentulorum nobilium introductiones +nonnullis judicibus pro mercedis cumulo fuerunt_. Non traduco tali +immondezze. + +In quel giorno tutte le taverne, le botteghe, persino le terme furono +chiuse. — Qualche scriba aveva venduto il suo posto e rimaneva in +piedi. — Lo araldo intimò il silenzio, si fece lo appello dei giudici e +gli autori della causa parlarono per due ore, tempo che la legge loro +accordava. Caio Calvenzio replicò solo e apparecchiò lo uditorio ad +intenderlo col tossire, collo scricchiolare delle dita, con sospiri e +con tristi sguardi or volti al cliente, ora ai giudici, ora al popolo +riunito. Parve agitato da una violenta emozione e la voce tremavagli +nella gola. — Quando ebbe pronunciato: _dixi_, lo araldo gridò +dall’alto: _dixerunt_, e i duumviri offerirono allo accusato ed agli +accusatori il diritto che la legge Pompea loro accordava, di rifiutare +per giudici quelli che loro non andassero a verso. Di ottanta uno ne +rimasero cinquanta uno. — A cotesti vennero distribuite tavolette +di bossolo coperte di uno strato di cera e ciascuno sopra scrisse +la iniziale del voto che la propria coscienza o il turpe maneggio +sacerdotale dettavagli. A voleva dire _Absolvo_ — C _Condemno_ — N L +_Non liquet_ — ciò non è chiaro nella mia mente, se lo incriminato sia +innocente, o colpevole. Ognuno gittò la propria tavoletta in un’urna, +levando la toga per scoprire il braccio e serbando l’iniziale scritta +dalla parte della palma della mano. — Il misero Ametistio venne +condotto per una scala nella prigione ch’era al disotto della tribuna. +— Fatto lo scrutinio dei voti, gli scribi ne diedero il risultato ai +duumviri. Tre giudici opinarono per una più ampia informazione. Dieci +negarono il crimine. Trentotto lo accertarono. + +Allora i duumviri spogliaronsi della toga pretesta in segno di lutto; +ed uno di essi, con aspetto triste e solenne, disse nel silenzio +dell’assemblea: + +— Sembra che Publio Ametistio meriti di essere punito. E a noi piace +interdirgli l’acqua, l’aria ed il fuoco. — E sia crocefisso. — + +E nell’atto che uno degli scribi leggeva la stessa sentenza dallo +spiraglio superiore del carcere a quei che doveva farsi _inanimatus_, +nella sua qualità di _servus pœnæ_, l’altro dei duumviri dicea alla +gente stipata: + +— _I licet._ — + +Così tutti, a poco a poco, vociferando, gesticolando, alcuni gioiosi, +altri addolorati, escirono dalla Basilica e si disseminarono pel +Foro. — Metrodoro, innanzi la prima Curia, arrestò due dei giudici, +mettendosi con violenza nel mezzo di essi. + +— Sapete voi perchè tanto apparato di milizia nei tre accessi del +tribunale e fuori?... Non per evitar turbolenze, no. — Per arrestare +i _manticularii_ che vi sbarazzassero destramente della moneta che +questa notte guadagnaste con tanto onore: — Uomini da conio.... e +insanguinati! — + +Ed un altro, nella via della fontana del Leone, mirando camminare a lui +dinanzi un sacerdote d’Iside, tolse di peso un’anfora spezzata piena di +calce e la cacciò quasi elmetto di flamine sul capo di lui. + +— Tizzone d’Averno, imbiancati se puoi! — + +Finchè quel briccone potè levarsi la mala cuffia di testa e nettar gli +occhi e la barba, il poco riverente cittadino era scomparso. + +Intanto Publio Ametistio aveva ascoltato la sua sentenza con un +coraggio e quasi direi con un orgoglio di razza che dava una smentita +alla poco gagliarda persona sua. — La morte sulla croce! — La sua +vita, tutta di piaceri, non ve lo aveva preparato. — E lo sguardo della +folla! — E lo scherno della plebaglia! — Le idee ed i nomi amici gli si +arruffavano nella mente e lo racconsolavano dello spasimo morale che +allora pativa e della morte crudele cui andava incontro. — Nell’atto +entrano due feroci uomini nella prigione. Uno gli lega le mani dietro +con una corda. L’altro gli appende al petto una tavola che chiarisce +il suo nome e il delitto. Fuori sono soldati che lo attendono. Molta +gente pur v’è — e in ispecie donne con bambini sul braccio o lattanti, +curiose di vederlo una volta e di assistere alla sua crocefissione. — +Una giovane lo guarda, gli lancia un bacio e dice: + +— Oh! se gli è bello, e piacente! Lo avrei amato! Se fossi una +Vestale.... — gli è impossibile lo sperarlo, perchè non si torna +indietro mai.... colla mia presenza avrei potuto dirgli — _sii +libero_.... — e poi più alle fiamme del cuore che a quello dello +altare. + +— Quando ti farai cheta, sguaiata? + +— Quando mi darai a bere del vino. — + +E cavato uno spillone dalle nerissime trecce, scrisse sulla parete: + +— _Suavis, vinaria, valde sitit. Rogo vos valde sitiat._ — + +Traversando il Foro, gli amici che la sventura gli avea risparmiato e +i suoi poveri schiavi, i primi gli baciarono convulsivamente gli occhi +e la bocca, gli altri i piedi, e disperati li lasciarono. — Ametistio +sentì dentro tutto, uno strazio e camminò innanzi. + +Lungo la via dell’Abbondanza e quella della fontana di Venere, fissava +le genti che il riguardavano, smemorato. Vedea doppio e triplo. — Fuori +della porta di Stabia la comitiva si fermò _ad cisiarios_, colà dove si +affittavano i veicoli; e venne consegnato al carnefice, a cui le leggi +censoriali niegavano la luce e l’aria che si respirava in Pompei. + +Spogliato delle sue vesti, fu gittato sur una croce di pioppo. Due gli +tennero le mani distese con una corda. — E il carnefice le inchiodò. — +Poi gli distesero i due piedi riuniti. — E il carnefice li inchiodò. +— Il poveretto soffriva acuti dolori. Ma non dicea verbo. — Quindi i +tre giustizieri levarono di peso la croce e la conficcarono, per la +estremità dove penzolava la testa, in una buca di sasso, assestandola +con due cunei. + +La plebaglia — avida di quegli spettacoli — rimase sul posto sino a +sera. Alle prime ombre partì. — I littori di guardia rimasero seduti +presso un fuoco di frasche ed un’anfora di vino. + +Dopo un’ora, una donna si trascinò colà barcollando. Al chiarore +rossastro vide lo inchiodato a capo in giù e corse a lui. + +— Ametistio! Mi ascolti? — Mi vedi? + +— Calliopa... un bacio... ecco la morte.... Io ti.... atten... + +— Espio tutto sulla tua bocca e muoio! — + +Fu l’ultimo accento di una doppia agonia. — La mattina i soldati si +provarono a rialzare la donna prostrata che colle braccia stringeva +la croce. — Era morta! — Fecero una buca e la seppellirono. E poi +ch’ebbero pigiata la terra sul cadavere: + +— La credi moglie del crocefisso colei? + +— No! — La donna dallo anello non muore di amor disperato! — + + + + +LA NECROPOLI. + +SCENE DI FUNERALI. + +=Anni di Roma 779 — Anni del Cristo 26.= + + + A J. C. HACKE VAN MYNDEN. + + VI. + + +— La tua tragedia, o Sirio Crixsio, non posso accettarla. L’ho letta +— piacerebbe in Herculanum... lo credo — qui, ne dubito forte. — Le +lettere non vi sono in molto onore come nella tua grande città. — La +tua commedia, o Delio, non è adatta alla circostanza. — Se si trattasse +di festeggiare un duumvirato, eh!... Ma noi piangiamo la perdita di un +dabbene, i cui pari non nascono ogni dì. — Andate. — Ci rivedremo in +altra occasione. — + +E voltosi ad un uom vecchio e tarchiato: + +— Salve, _operarum theatralium dux_. Tu puoi acconciar tutto a dovere. +Mi occorrono tre _taurocentas_ e tre _succursores pontarios_. — Le +coppie dei tori le ho già provviste. La giostra nel Foro. — Oltre la +venazione vorrei dare lo spettacolo dei _pugiles catervarios_ insieme +coi _pyctas_, secondo il costume greco. Vi sia musica e pantomima. — Tu +penserai a provveder le macchine, il vestiario, i giostratori e tutto. +— Quanto alla spesa — tu mi conosci — non vi sarà a ridire. — Agisci +con zelo. — La famiglia è ricca e generosa. E vuol fare obliare «lo +assedio di Troia» che tu preparasti nel gran teatro pei funerali di +Munazio Fausto — lo arricchito dal mare — cui Nevoleja Tyche diè quella +testimonianza di amor coniugale. + +— Compresi, Eumenes. La famiglia di Flacco non avrà a dolersi di me. +Ma ier l’altro io vidi il brav’uomo passeggiar nel Pecile. — Vi entrai +per parlar collo edile — ed egli mi strinse la mano e mi chiese del +figliuol mio che — come sai — vive nell’Urbe. — + +Eumenes nello udir lo elogio del suo padrone, valido e sano due +giorni innanzi, sentì tremolare negli occhi le lacrime. Le asciugò +col _sudarium_ che aveva chiuso nelle pieghe della tunica, e con voce +velata rispose: + +— Tornò in casa pieno di salute. Dopo la cena si dolse del mal +di capo e andò a coricarsi. Il _clinicus_ Stertinio lo visitò lo +indomani, prescrisse i suoi _placita_ che io feci comprare dal vicino +_seplasiarius_; e malgrado il medico il consigliasse a rimanersi nel +letto, od almeno in camera, volle uscire e andar nella Curia. — Colà +svenne e fu qui riportato in lettiga. Non parlava. Aveva storta la +bocca, gli occhi sbarrati e la faccia accesa. — Vengono due medici e +gli tastano i polsi, uno di qua, l’altro di là. — Quei mercanti della +salute furono in questo solo di accordo — che il sangue fosse ito con +impeto a cacciarglisi nel cervello. — Ma per rimediare a quel guasto +Stertinio indicava il bagno freddo e Archagathas un bagno caldissimo +ai piedi con farina di senape. Allora si bisticciarono, chiamandosi +_vespillones_, spoglia-cadaveri, e peggio. I figliuoli — per non aver +rimorsi più tardi — usarono interpolatamente i due rimedi. Il bagno +ai piedi parve lo rianimasse un poco. — Coi segni prima e poi collo +stilo sulla cera quel degnissimo di vita affrancò dodici schiavi, si +tolse gli anelli e dandoli a Lelio lo designò suo erede. Il misero +ebbe appena il tempo di collar le sue labbra sulla bocca del vecchio e +riceverne il suo ultimo sospiro. Lydia era svenuta nelle braccia delle +liberte. — Aterio Flacco era vissuto. + +— Consolati, Eumenes. — Il figlio somiglierà a suo padre. + +— Sì, o Filone. È il suo ritratto e dentro e fuori. E il vedrem presto +degno della pubblica cosa. — Ma giacchè tanto spendemmo per quei +due becchini — chiesero ed ottennero dugento denari! — vorrei che il +padrone facesse incidere nella epigrafe: _ignorantia medicorum periit_. + +— Postuma è la sentenza, o fedele. — Non si fischia quando s’inghiotte. +— Sta’ sano. — + +Eumenes era un uomo della seconda gioventù. — Tratti regolari e belli, +velati da una espressione di dolce melanconia. — Neri e ricciuti +capelli gli adombravano il viso. — Spessi sopraccigli celavano i suoi +occhi lucenti, e vi si leggeva l’audacia che inspira la forza fisica, +la contentezza del proprio stato e una certa tinta di arroganza +insolente mista a bontà di carattere che acquistano tutti i servi +i quali invecchiano nella casa del loro padrone. — Era Messenio, +e fu comprato fanciullo da Flacco. Passò per tutti i gradi della +domesticità. — Dapprima _succinctus puer_ nel triclinio. Quindi +_structor_, quegli che apparecchiava il desco e acconciava le vivande +in un ordine simmetrico e studiato; e poi _scissor_ e così abile, +ch’egli sapeva scalzare un’oca pulitamente e sì presto da vederla +intera e tagliata in un attimo. La sua fedeltà e continenza lo fece +salire in fiducia e divenne _promuscondus_, lo ispettore della cantina. +— Allorchè venne assunto allo ufficio di _tricliniarcha_ Flacco lo +affrancò, e qual maggiordomo fu il primo fra tutti i familiari della +casa. + +Per lo addolorato liberto era giorno di grandi faccende quel giorno. +Allorchè Lelio chiuse gli occhi a suo padre e andò a piangere nella +sua camera nelle braccia della sorella, egli dovette correre per +dichiarare la morte del suo padrone e prevenire i _libitinarii_ per +lo apparecchio delle esequie. Cotesti ministri della Dea luttuosa, +avevano nel tempio quanto era necessario per la triste cerimonia — +portatori — guardie — piagnenti — vasi di vetro, di alabastro, di +bronzo, di terra per chiuder le ceneri — legni resinosi — unguenti — +tutto — a seconda del grado della persona morta e della magnificenza +della famiglia. Per questo pagavasi una somma convenuta — _arbitrium_ +— e si gettava in un’urna la moneta che serviva di registro dei +morti nell’anno. — Combinata la spesa, Eumenes tornò in casa coi +_pollinctores_ che dovevano lavare con acqua calda il cadavere, +aromatizzarlo di cinnamomo, di mirra e di nardo, acconciare la faccia +del morto, infarinarla col _pollen_ e colorirla come da vivo. Fecero +però prima la _conclamatio_ per quattro volte, chiamandolo a nome +presso le orecchie, e suonarono le buccine due volte, onde accertarsi +se quell’apparente tranquillità fosse riposo, o sonno eterno. Compiuta +l’opera libitinaria, il cadavere venne esposto sur un letto solenne, +colla faccia scoperta, vestito di bianca toga, nell’atrio, coi piedi +volti verso la strada. — Siccome aveva in gioventù raccattato nel +porto un fanciullo che annegava, fu messa sulla sua testa una corona di +quercia _ob civem servatum_. — Sul _prothyrum_ era un’ara, ove ardevano +profumi. — Dinanzi all’uscio, un grosso ramo di cipresso. — E attorno +alla bara i custodi con altri rami per discacciare le mosche. + +Sette giorni durò la esposizione. — I profumi e gl’incensi bastavano +a dura prova ad attutire il puzzo della materia corrotta. — L’ottavo +in sull’alba, un araldo percorse le vie, i crocicchi ed il Foro. E +gridava: + +— _Aterius Flaccus ollus leto datus est._ — Queglino cui convenisse di +assistere ai funerali, _jam tempus est_. — Si celebreranno giuochi; e +il ministro della dea Libitina avrà un apparitore e dei littori. — + +Qualche ora dopo, la strada e la casa si empivano di gente. — Tutti +vestivano la _penula_ invece della toga che non indossavasi nei +funerali. + +Una _præfica_, armonizzò colla lira una _nenia_, cioè un poemetto +funebre in lode del morto. Quando la cantilena ebbe fine, Lelio e tre +dei suoi parenti più prossimi, vestiti di bruna pretesta, caricarono +il letto funebre sulle loro spalle. E benchè il sole splendesse +sull’orizzonte, il convoglio s’incamminò fra torchi accesi di cera +e di stoppa impegolata. Un _designator_, andava innanzi coi littori +dalla nera tunica. E dietro sfilavano suonatori di _tubæ_, cori di +satiri danzanti un comico ballo chiamato _sicinna_, e la truppa degli +schiavi affrancati con Eumenes alla loro testa, tutti col capo coperto +dal berretto frigio della libertà. Immediatamente seguiva il corpo +del defunto cogli amici, coi parenti, in tunica nera e senza anelli. +Dietro di essi, a distanza di parecchi passi, era Lydia colle vesti +in disordine, coi capelli sparsi, in lacrime e gittando tratto tratto +gridi di dolore. L’accompagnavano alcune amiche devote che nel settenio +non l’avevano lasciata mai sola. Tutte — come la grande afflitta — +erano coperte dal _ricinium_, piccolo mantello bruno. Quindi camminava +una prefica che colla pantomima dell’angoscia che non sentiva dava il +tuono dei gemiti alle serve della famiglia ed alle loro figliuole. — +Chiudevano il corteggio altre prefiche divise in due drappelli, di cui +le prime piangevano percuotendosi il seno e strappandosi i capelli e le +altre cantavano inni ed omei. E ad istanti cangiavano ufficio, cantando +le prime e piangendo le ultime. + +Salito il cadavere sul pulpito del tempio di Giove, il letto fu +innalzato di dietro talmente perchè il popolo riunito il vedesse. +E Lelio pronunciò un discorso, in cui unì agli elogi del padre le +principali azioni della sua vita. Talvolta il misero giovane si +arrestava per piangere. Allora una musica flebile rimpiazzava le +sue parole. E si udì per la piazza ai singhiozzi della figliuola ed +al pianto degli affrancati unirsi qualche voce lamentosa di persone +riconoscenti. + +Nello escire dal Foro la pompa funebre voltò dinanzi al tempio della +Fortuna e più in su prese la via Domizia per escir fuori della porta +di Herculanum. Avvegnachè nel sobborgo Felice fosse la tomba della +famiglia. + +Nell’_Ustrinum_ sorgeva il rogo composto, a modo di un’ara, di legna +secche di elce, di frassino e di pino, decorato di ghirlande di +fiori. Negl’interstizi erano pezzi di pece, perchè aiutassero alla +combustione. Distesovi sopra un lenzuolo di amianto, i libitinari +vi collocarono il cadavere, cui erano stati prima aperti gli occhi +dal figliuolo onde vedessero il cielo, e introdotto tra i denti un +triente — circa due centesimi di lira — per pagare il tragitto al nauta +infernale. — Quindi Lelio e Lydia, baciandolo sulla bocca per l’ultima +volta, avevano gridato con una voce piena di lagrime: + +— _Salve aeternum, aeternumque vale_. — Noi ti seguiremo, o padre, +nell’ordine che la natura ci assegnerà. — + +Allora tutti fecero il giro del rogo, gittandovi sopra ogni maniera di +ultime offerte — oli profumati — balsami — incenso — mirra — cinnamomo +— nardo — e la figliuola una ciocca de’ suoi biondi capelli. — Chiuso +il lenzuolo, l’_ustor_ presentò le due torce accese a Lelio ed a Lydia. +Essi le presero. E, copertisi gli occhi col lembo della veste e volte +le spalle — per provare il ribrezzo sentito nel distruggere quelle +amate reliquie — appiccarono il fuoco al rogo. — Ben presto un turbine +di fumo elevasi in aria. — E pianti, e gemiti, e singhiozzi, e canti +funebri, e suono di trombe con essi. — Colui che aveva presentato le +torcie vegliava sulle fiamme e le attizzava. — Appena la catasta di +legna la divenne cenere e bragia, l’_ustor_ inforcò il lenzuolo pei +nodi e lo depose in terra. Lo aperse. E i parenti, inginocchiatisi, +cercarono con cura le ossa che il fuoco non avea calcinato e lavatele +con vino vecchio e latte e poi asciugatele con veli di lino, le +chiusero in un’urna di alabastro orientale insieme a foglie di rose e +ad aromati. Ivi pure scossero la cenere chiusa nel lapideo lenzuolo. +Allora il _designator_, che avea già cambiato il ramo di cipresso con +un ramo di lauro, fece tre volte il giro intorno ai ragunati per la +trista cerimonia, li purificò con una aspersione di acqua pura; quindi +gli congedò colla parola, + +— _I licet_. — + +Il nono giorno le ceneri vennero deposte nella tomba della famiglia, la +quale trovavasi dietro l’ustrino. Lelio aprì colla chiave la porta di +marmo che girò fischiando sui suoi cardini di bronzo. Si curvò, discese +tre scalini e depose nella nicchia in faccia a sè la ricca urna che +aveva nelle mani. — Levato il coperchio, gittò dentro un anello d’oro +con una pietra su cui era incisa una cerva — il _symbolus_ del padre +morto. — Volse mestamente gli occhi allo intorno e sulla predella vide +l’urna di marmo colle ceneri di sua madre; di vetro, con quelle di una +sorella; e di terra rossa, adorna di bei rilievi, che racchiudea le +reliquie di un fratello morto anzi tempo. Sospirò ed escì. L’ultimo +atto dei funerali era compiuto. E lo fu a suono di trombe, dette +_sitinae_, dal timbro grave e melanconico. + +Tornato in casa, trovò i parenti e gli amici riuniti a banchetto. +Nessuna bocca potè sfiorare gai propositi. Le menti erano afflitte e +preoccupate e tutte miravano un solo spettro. + +Già da due mesi — sendo morti Germanico in Syria e Druso in Roma — +Tiberio imperatore erasi chiuso in Capreas, stanza recondita e di molto +comodo alle sue paure e alle sue crudeli sporcizie. Dodici anni prima, +accompagnando nella Campania Cesare Augusto — marito di sua madre +Livia Drusilla e suo padre adottivo — aveva visto l’isola assai bella +e dilettevole, cinta di rupi scoscese ed altissime ed accessibile sul +mare profondo da una sola banda e ristretta. Era vecchio, dal corpo +brutto, sottile, lungo, chinato e calvo. Aveva il viso chiazzato di +margini e di spesse stianze e piastrelli. Era stomacato dello abbietto +Senato ch’egli spesso svillaneggiava in greco — «o gente nata a +servire» — plaudendo lui distruggitore delle pubbliche libertà. Odiava +sua madre che non volea socia al dominio, e discacciare non la potea +perchè per le sue moine Augusto lo aveva preferito a Germanico, nipote +della sorella Ottavia. Checchè ne fosse, era partito dall’Urbe con +poca corte, per lo più di greci, amando ragionare in tale idioma. Il +pretesto fu il sacrare il Campidoglio di Capua e il tempio di Augusto +in Nola. Lo infinito restitutore di antichi ordini colà guadagnossi +i sopranomi di Biberio Caldio Merone e di Caprineo. I suoi desinari +duravano non ore, ma giorni interi e serviti da fanciulle di corpo +vago ed ignudo. Premiati i maestri di disonesti sollazzi. Ai più alti +uffizi i beoni, i corrotti, gli autori di libri lascivi e di pitture +libidinose. Chiamava suoi piscicoli i bambini coi quali bagnavasi, +sendo incitamento la loro innocente modestia. In più nefande camere, +rizzate qua e là nell’isola erano i ministri di quanto in esse si può. +Ed altri ministri lettigavano per la contrada in cerca di vittime alla +sua sporca e focosa lussuria. + +Ma avaro nello spendere, moderò negli altri lo sciupo nei giuochi e +nelle feste, e scemò le provisioni agli istrioni ed agli accoltellanti. +Pur, se illimitato il castigo ai prevaricatori, illimitate le vie +per deludere la pena ed ovviare il castigo. E tratto tratto vedeva +e puniva. E spegneva i riottosi e ne ghermiva gli averi. E la plebe +diceva nel vedere i ricchi puniti: + +— Cesare coi suoi occhi raccolti vede di notte all’oscuro. Gli altri, +di giorno, per lui. — + +Intanto il Foro rumoreggiava dei giuochi che il fasto della famiglia +in corruccio faceva eseguire, perchè la memoria del padre fosse più +durevole nel cuore del popolo. L’uso era rischioso, irreflessivo ed +audace, nè poteva esser vinto sì di leggieri. + +Tori furiosi corrono a capo ricurvo nella lizza. — I bestiari, scalzi +e vestiti appena di una corta ed ampia tunica senza maniche, gli +attendono, evitano con destrezza l’urto delle loro corna, li feriscono +colla punta di un giavellotto; e quando li veggono arrestarsi confusi, +e sbalorditi raschiare colla zampa il selciato, si presentano loro +dinanzi squassando una stoffa di color chermisino. I soccorritori, +agili anch’essi e quasi nudi, corrono dietro i tori frementi e con alte +grida gli aizzano contro i loro avversari e gli pungono con una lunga +asta, armata nella sua estremità di un ferro acuminato. La bestia nel +parossismo del suo furore si slancia, crede di sbuzzare il nemico e non +trova infilzato alle corna che un cencio che gli annuvola la vista. +Allora altre punzecchiature di dietro; altre sfide dinanzi. E urli +dalla galleria ed oltre lo steccato di legno che circonda l’arena. — +Però che il popolo in quelle venazioni non vedea più la idea pietosa +che la faceva offerire, ma solo lo amor del piacere e lo spirito di +turbolenza che il mena. Per poco che un taurocenta, nel salvarsi da +una cornata, faccia un passo falso e cada, escono tali fischi da quelle +gole, sino a ghiacciare di spavento e di confusione le bestie. Se poi +queste ristanno malgrado i colpi di lancia dei succursori puntari, le +grida, le imprecazioni, le minaccie scoppiano contro di esse. + +Il pugilato succedette alla corsa dei tori. — Frigidus e Vitulus — +rotti agli esercizi violenti e al regime austero della loro professione +di atleti — discendono nel parallelogrammo. — Hulvio e Tetrix — non +meno rinomati dei primi — si mostrano anch’essi. E siccome erano stati +altra volta in Pompei, sono applauditi calorosamente. — Una coppia +verso il tempio. — Un’altra verso le curie, perchè tutti veggano. — +Gli atleti gettano via dalle spalle un ampio mantello e fanno mostra +di larghe membra, di braccia nervose, di ossa gigantesche. Hanno rasi i +capelli, tranne sulla sommità della testa, adorna di un grosso ciuffo, +quasi a garanzia dei colpi che possono ricevere sur una parte così +sensibile e delicata. — Alcuni schiavi allacciano dalla prima falange +della dita sino all’avambraccio un paio di cèsti perfettamente eguali, +formati di sette striscie di cuoio di toro ancor velloso e guarniti di +piastre di ferro o di piombo. + +Appena armati, si assicurano sui loro piedi e levano le braccia in +aria per saggiare se i cèsti sono bene aggiustati. — Dato il segno, +le due coppie gettano la testa indietro e presentano i cèsti allo +avversario. Le mani s’incrociano e il combattimento incomincia. +Frigidus è più leggero; meglio agile; lo soccorre la gioventù. Vitulus +è più provetto e più forte; ma le sue ginocchia non sono ferme ed +ha grosso il respiro. — Hulvio è membruto e saldo sui suoi larghi +fianchi. — E Tetrix non è da meno di lui. — I colpi d’ambi i lati dello +steccato si avvicendano; e, o rompono l’aria, o rimbombano sui petti. +Si guardano, si studiano, si minacciano, si evitano, si stancano. — Il +sudore copioso prima imperla e poi riga la epidermide di quei giganti. +— Frigidus vuol porre un termine alle lotta e impetuoso si getta in +avanti colle braccia levate e scaglia due colpi simultanei. Vitulus +— che cercava un accesso or a dritta, or a sinistra per colpire con +profitto l’emulo suo — rincula con prestezza; e l’altro, non sostenuto +dalla resistenza, trascinato dal proprio peso, cade boccone sul +lastricato. + +Urli e fischi scoppiano di ogni lato. — Altri plaudisce alla destrezza +di Vitulus. — Ma il caduto si solleva con impeto e rinnova gli +attacchi. + +Hulvio anch’esso vuol compiere rapidamente il proprio trionfo; e +digrignando i denti, si precipita sullo avversario e gli assesta colpi +spessi e di lieve portata. Tetrix nota quella furia e la trae a suo +vantaggio. — Para la minaccia, o la evita col gittarsi di fianco, o +fugge. L’altro prende allor più coraggio e irrompe più furioso che mai. +Tetrix si volge, finge un colpo di lato e gliene squadra uno terribile +sulla faccia che lo atterra sbalordito e fuori di sè. Il sangue spicca +a rivi dal viso lacerato e pesto. + +Frigidus e Vitulus grondano di sudore ed ansimano come due mantici. +— Di comune accordo si fermano e vanno ad aiutare il compagno che +trascinano via col capo penzoloni sulle spalle. + +— Per Castore e Polluce, sono valenti atleti! Come lo chiamano il +ferito? + +— Lo ignoro, Comio. Mi pare di averlo visto a Capua, un anno fa, nello +anfiteatro. E anche là — se ben lo rammento — buscò una scellerata +botta sul fianco. + +— Eh! Se naufragò anche altra volta, or accusa a torto Nettuno. — Io +preferisco il mio mestiere al suo. — Che ne pensi, o Mola? + +— Certo val meglio far bollire le carni che far pestare le proprie. — +_Archimagiri_ di buone case come noi non hanno ad invidiare un Flamine, +— Eppure!... + +— Già ti penti della tua sorte? + +— Mai no. — Talvolta però che veggo gladiatori ed atleti balzare +nel Circo e applauditi.... Tal’altra che miro le donne correre loro +appresso come le mosche al mele.... Che la dea Fornax mi perdoni!... Ma +di siffatte delizie a noi cuochi non arrivano mai! + +— A ognuno la sua. Consolati! Lo stomaco e la borsa — se consultati — +ti darebbero torto. — Ma cosa accade là in faccia a noi? — + +Un gran baccano difatti accadeva di contro. Alcuni uomini gesticolavano +furiosi. — Che è. — Che non è. — Le donne supplicavano, ma non +riuscivano a calmarli. Alla fine si vide un soldato dibattersi tra +quella stiaccia, tolto di peso e cacciato fuori con pochissimo garbo. +Un triario — giunto tardi — non aveva trovato posto tra gli assegnati +ai suoi pari. Ed allora per godere dello spettacolo, erasi fatto strada +là dov’era il popolo. Un ardire siffatto aveva eccitato il sentimento +plebeo della dignità sovrana, e lo intruso venne scacciato dal posto +che avea tentato usurpare. + +— Orestilla, vedi com’è tronfio e pettoruto quel bruno che si fa largo +là, tra la gente. — Pavone antipatico! + +— Colui dalla tunica di porpora?... È uggioso anche a me, Pothusa. — +Nol vidi mai prima d’ora. + +— Debb’essere straniero. — Che farà egli in Pompei? + +— Eh! Continuerà il suo mestiere! — Maraviglio del magistrato che fa +entrar simil gente nella nostra città. — + +Callityche — ch’era presso alle due giovinette, l’una _calamistra_, +arricciatrice di chiome donnesche, l’altra _vestifica_, che tagliava le +vesti e le cuciva — voll’essere del pettegolezzo ed aggiunse: + +— Mi pare sia del mio sangue. — Ho la casa da affittare... Io gliela +cederei. — + +Uno ch’era servo in una _diversoria_ fuori la porta della Marina, +felice di poter offerire informazioni esatte, entra a dire: + +— Tre giorni fa approdava nel porto. — Dormì e mangiò nello albergo. +Lo indomani il padrone, ch’è meticoloso, gli chiese il pagamento della +cena e del letto; ed egli aprì la borsa — e cen’eran dentro dei bianchi +e dei gialli! — pagò e — forse stizzito dalla scortesia — partì. Spese +due denari e tre quadranti, e a me diede due assi. Un altro avrebbe +pagato un solo denaro.... e avrebbe detto le sue. + +— Nummi e denari? + +— Dev’essere molto ricco allora! + +— Me n’ha l’aria. — E quegli che portò via la sua cassa, mi disse +ch’era ben grave. — + +Orestilla guardò la sua amica, e: + +— La verità entra in casa, parlando — Eh! per la gioconda Iddia! Ha un +bello aspetto quel forestiero! — Guardato meglio, guadagna. + +— Poichè spende grosso, sia il bene arrivato. + +— Scommetto che quando lo incontrerete per via — oh! gli è un greco di +certo! — gli lancerete tenere occhiate per farvelo amico! — Attenti. +— Ecco i lottatori ch’entrano in scena. — Bei giovani! Paiono fatti al +torno. — + +Erano quattro. — Sono ignudi dalla testa ai piedi. — Ma si potrebbero +dire vestiti di grigio, perchè unti di olio e di cera e coperti da +una cenere fine che trovavasi in Puteoli. Quella specie di pomata +dava scioltezza alle membra, turava i pori, e facendo aspra la pelle, +rendeva più facile il ghermirsi. + +La lotta è per cominciare. I giovani si apparecchiano col corpo proteso +dinanzi, col capo insaccato nelle spalle, colle braccia a cerchio. + +— Artoces è un pompeiano. Io scommetto per lui dieci denari. — Che ne +dici, Rutilio, accetti? + +— Sì, Cocceo. Io quindici per Dama. Mi pare sia meglio piantato sulle +sue gambe. + +— Sai tu, Munazio, come si chiami quel lottatore che ha le forme di +Ercole, costaggiù? Io tengo per lui quaranta sesterzi. + +— Povero Sandiliano, li perderai e sono troppi. — Lo dicono Aphrocides. +Tu sbuchi un pozzo nel momento che ho sete. — Mira, farò il colpo di +Venere come alle tessere — Triplo sei. — Lydo mi darà vittoria. + +— Basta! — È convenuto tra noi. — Oh! Eccoli alle prese. — + +Durante quel dialogo i lottatori si erano osservati, si accostavano +e miravano al modo come si attaccherebbero. Parvero decisi. Si +ghermiscono mutuamente per le braccia, si danno delle scosse, +si spingono, e si tirano con tanta violenza che — nel silenzio +degli spettatori — si odono le ossa delle spalle e delle reni che +scricchiolano. Lo scopo finale della lotta è il gittar per le terre +lo avversario. Non colpi. — Non pugni. — Sono proibiti. — Convien +dunque fare degli sforzi di tendini e di muscoli, prendendo piede +contro piede, fronte contro fronte, quasi fossero due capri o tori, +per ottenere lo intento. I conati eguali. Pari le forze dei quattro +campioni. L’ansia degli scommettitori è estrema. — E se le donne non +fanno mercato delle loro aspirazioni, dentro però scelgono il loro +campione, e a lui augurano la vittoria e trepidano per lui. + +— Decimilla, che bel giovane quel biondo dai capelli inanellati, eh? +Non mi par convenevole mostrare in pubblico quegli uomini ignudi!... +Pure che petti! che gambe!... Quel mio pare un Apollo. — Vorrei così +formato il marito che Jugatinus — il dolce Iddio — vorrà destinarmi. + +— Io sono per quel bruno, Cœsia. — I biondi non mi piacciono punto. +Quantunque volte io oda novelle d’infedeltà, sempre nel fondo vi è +l’uomo dagli occhi azzurri — la tinta del cielo, del mare, dell’aria — +le cose più mal fide ch’io mi conosca.... E poi è bruno il mio Anteros. +— Sai? Il mio promesso che ha bottega di stoffe per vesti, dinanzi la +fontana del Toro. + +— Avrai un bel prospetto per fuorviare l’occhio maligno. + +— Ed Anteros un soggetto di meditazione non molto piacevole. — Ma +guarda il tuo biondo, Cœsia. — Per Ercole! Cangia lo attacco. — + +Queste parole dicevale Alleia alle compagne, a voce bassa e ridendo.... +Difatti Lydo avea preso risolutamente pel collo Aphrocides e lo +stringeva come un nodo scorsoio. L’altro non piega di una linea e lo +abbranca alla sua volta. — Quindi si stringono e son petto a petto. +Le loro gambe si allacciano e l’un cerca di far piegare all’altro +il ginocchio perchè cada. Ma Aphrocides diè una scossa violenta e si +staccò, scivolando come una murena dalle strette di Lydo. + +— Che dici, Munazio, di quella prova? È un Anteo che ritocca la terra +coi piedi. + +— Per Giove tonante! Ne convengo. Si tirò da un cattivo passo. — Il tuo +Dama suda, o Rutilio, ed ansima come un cavallo bolzo. — Aggiungo sei +denari alla sua caduta. + +— Gli tengo, impavido Cocceo. Il tuo patriotismo ti onora. Non so se +il destino sarà pel nostro pompeiano. — Vedi! Si sono separati. Vanno +a tuffarsi nelle casse piene di polvere. — Per Cocito! Gocciolano come +usciti da un _calidarium_. — + +Rieccoli tutti grigi. — E la lotta si rinnovava. — Dama, rifatto dalla +piccola tregua, si slancia primo e accaviglia la sua gamba sotto il +ginocchio destro dello avversario. Questi piega, non regge e cade. +L’altro, posandogli il piede sul petto, gli dice di arrendersi vinto. +Ma Artoces gli distende per tutta risposta una solenne pedata sotto il +mento e si rialza come spinto da una molla nell’atto che il primo va a +gambe in aria. + +Un fremito di gioia prendeva il cuore del popolo. Il pompeiano avea +vinto. E tutti accalcandosi spingevano fuori le braccia e gridavano: + +— Bravo Artoces! Bel colpo! Viva l’onore di Pompei! + +— Che ne dici Rutilio? + +— Aspetto che il mio cada due volte per dar la palma al tuo. — + +Intanto Lydo, che gli applausi per altri han renduto spavaldo, si gitta +sull’emulo come un leone e lo afferra per le gambe. L’altro, vista le +mala parata, si abbassa e lo preme di tutto il suo peso, perchè quegli +non lo sollevi di terra. Aphrocides valeva quanto un bue, e rizzarlo +era impossibile. Allora lo lascia e ambedue corrono. In una rivolta il +giovane biondo lo sorprende di dietro, gli cinge il collo, gli caccia +un ginocchio sui reni e lo distende sul selciato. E prima che sappia +sollevarsi, lo avvinghia colle braccia, dà un urlo, lo innalza con +supremo sforzo fin sopra il capo e lo gitta ai suoi piedi. + +Gli scommettitori e le donne sono in grande agitazione. Sono gridi +che non si odono che nei paesi meridionali, dove si nasce, si vive, +si muore per entusiasmo e per gloria. Scuotevano in aria le toghe e +spargevano fiori e corone di alloro. Pareva che la patria in pericolo +fosse salva e che Lydo l’avesse salvata. + +Anche Artoces avea vinto. Caddero ambedue abbracciati per terra. Ma +Dama sendo di sotto non potette sciogliersi e l’altro si sollevò +puntandogli il piede sulla pancia e salutando col braccio teso il +popolo sovrano. — Uno schiavo vestito di tunica azzurra entrò nella +lizza ed offerse ai due vincitori una palma e una corona di foglie di +lauro indorate. + +— Cœsia, sognerai di quel biondo tu questa notte. + +— Rutilio, non avesti fortuna e men duole. Giuoca alle tessere e +prenderai la rivincita. + +— Non schernirmi, Cocceo. — Ecco io ti pago. Ma possono accader molte +cose tra la bocca ed il pezzo di pane. — Ad un’altra volta. + +— Scherza pur, Decimilla. — Lydo è bello e grazioso. + +Intanto alcuni bambini gironzavano sotto il portico del Foro e sul +piano superiore, offerendo a chi volesse comprarne mandorle verdi, +castagne e fichi secchi, lupini e ceci abbrustolati. Avevano pure +idromele e vino dolce per chi ne chiedesse. + +Lo spettacolo offerto al popolo da Lelio Flacco non era finito. Partiti +i lottatori, entrarono i musicisti i quali si attelarono ai due lati +dei portici. Dopo di essi comparvero gl’istrioni, di quelli noti sotto +il nome di Pantomimi, che significava — imitatori di tutto. — E nel +vero, essi senza dir verbo e aiutandosi con gesti e posture plastiche +e sostenuti dal suono di un flauto particolare, detto _dactylica_, +faceano comprendere agli occhi quello che difficilmente si può narrare +colla parola. + +Le loro mani parlavano, le loro dita avevano una lingua ed erano +eloquenti senza aprire la bocca. Nè si aiutavano col soccorso della +fisonomia; chè le loro maschere erano colla bocca naturale — non +come i comici e i tragici, che le avevano sbarrate, larghe e con un +orlo sporgente semicircolare, per servire di portavoce agli attori +nei circhi e nei teatri immensi in pien’aria. — Avevano bisogno di +usarne una per ogni carattere che rappresentavano, siccome gli odierni +le vesti, in _saltatio_, cioè, il gesto, accompagnato dal flauto e +talvolta dalla fistola, e dal cembalo, bastava per rappresentare drammi +completi, tragici e comici. Le principali situazioni venivano indicate +dai monologhi che i cantanti recitavano nell’atto che i pantomimi +esprimevano. + +In quel giorno venne rappresentato l’Eunuco di Terenzio. Il soggetto +era questo: + +Un soldato per nome Thrason aveva con sè una giovanetta che credevasi +sorella di Thaïs; ma ei lo ignorava; e, ito in Atene, ne fece dono a +lei. — Nell’atto, Phedria, amante di Thaïs, avendo comperato un eunuco, +le ne fa dono e parte per la campagna, perchè le ha promesso di cedere +il suo posto al soldato durante due giorni. Un giovanetto, fratello di +Phedria, che si è innamorato perdutamente della fanciulla avuta in dono +da Thaïs, siegue il consiglio del suo schiavo Parmenon, si veste da +eunuco, penetra nella stanza della fanciulla senza sospetto e l’ha. Un +fratello di lei costringe il giovane a sposarla. E Thrason ottiene da +Phedria ch’ei sia secondo presso Thaïs. + +Erano le delizie sceniche degli avi nostri. — I retrogradi ed i preti +che piagnucolano sulle immoralità del nostro teatro — se sapessero — +potrebbero consolarsi. + +Tutte le circostanze della favola furono espresse. — E le grida della +serva di Thaïs contro il vero eunuco, creduto lo autore del danno. +— E i mali trattamenti che gli fa patir Phedria. E l’ultimo patto, +fra questi e il soldato. — Il popolo provò gran piacere a codesto +spettacolo. In modo che quando l’istrione, il quale faceva la parte di +Phedria, espresse coi gesti la fine obbligata di tutti i drammi: + +— E voi applaudite! — + +i picchi delle mani, le grida, gli urli fecero echeggiare tutti i canti +del Foro e dei luoghi vicini. — E la riconoscenza ricordò a molti il +nome di Aterio Flacco, defunto, e di Lelio, il suo generoso figliuolo. +— Nè mancarono vivi plausi a Filone; l’ordinatore di quei magnifici +giuochi. + +Lo indomani dovevano farsi i _denicales_, cioè le purificazioni dei +parenti e degli schiavi, sì nella casa del morto, come nelle case di +quelli che avevano tolta la loro parte nei funerali del loro amico e +del loro patrono. — Lelio la fece nella sua dimora. Così gli altri +nella loro. — Spazzò il pavimento con una granata di verbena. Pose +un braciere nell’atrio, gittò un po’ di zolfo sui carboni ardenti, e +prendendo per la mano la sorella e seguìto da tutta la famiglia, fece +parecchi giri intorno a quella fumigazione. — Quel giorno diviene +feriale per essa e nessuno lavora. E tal’era il rispetto degli antichi +ai doveri verso i vissuti, che nessuno della parentela poteva essere +citato dinanzi i tribunali dal dì della morte sino a quello della +purificazione. + +Il nono giorno dicevasi _novendiale_, e si andava a banchettare +sopra la pietra, per cui _silicernium_. La qual cena fu poi chiamata +_ferale_, o _parentale_ del _silicernium_. In Pompei, questo triclinio +dove asciolvevasi dopo il periodo del dolore il più intenso, è un +ricinto quadrato, circondato di pareti dipinte con poca eleganza, +presentanti in mezzo a cornici ippogrifi, cervi, pavoni e cigni. In +fondo e ai lati sono finti usci con piante di felce a colori. Letti +inclinati verso l’esterno, come tutti i triclini estivi, cuoprono +l’area. Nel mezzo è un parallelogrammo, destinato a servire di desco. E +dinanzi una piccola ara circolare sulla quale facevansi le libazioni ai +Numi e agli Dei d’Averno, o posavasi l’urna colle ceneri lacrimate cui +si propiziava. + +Gli amici quivi condussero Lelio Flacco e i parenti e i clienti. Neri +cuscini cuoprivano i letti di muro. Mangiarono ostriche e patelle +e brindarono all’ombra dello amico perduto dinanzi agli occhi della +carne, ma non disertato dalla mente di chi lo aveva conosciuto. + +Nello escire dal _silicernium_ al tramontare del sole, la comitiva +racconsolata imbattevasi nel mortorio di una donna di mediocre +condizione ed in quello dei poveri. — Gli uomini sanno di essere eguali +in faccia alla morte. Ma il fasto e la vanità gli fa smemorati. + +La famiglia di colei, che in quell’ora passava cadavere nel sobborgo +Felice, non aveva invitato il popolo; perchè nè giuochi da offrire, nè +festini a dare. — I parenti sì. — Fu eretto un letto funebre modesto. +— Dieci musicisti precedevano il corteggio. — Ma non si fermò nel +Foro. — Avi da lodare non erano. Le virtù da raccomandare, cotanto +oscure e fuori delle abitudini, che valea meglio tacerle. — E poi le +si narravano presto. — _Domum mansit — lanam fecit._ — I resti della +defunta erano però attorniati da fiaccole accese. Il che indicava lo +antico costume di far simili funzioni di notte, affinchè i magistrati +e i sacerdoti non ne fossero stati profanati dallo aspetto. Laonde, il +nome di funerali da _funale_, torcia di stoppa incatramata. — I ricchi +passarono oltre alla vecchia consuetudine per potere in pieno giorno +testimoniare il loro fasto e le loro ricchezze. + +Il rogo, apparecchiato in pieno selciato in faccia all’_ustrinum_, +era basso, piccino e bastevole appena alla combustione del corpo. +Vedevasi pure una modesta urna di terra cotta, preparata allo scopo. +— Non profumi. Non libazioni. Non offerte. — Quindi, nè combattimenti +sanguinosi per piacere ai Mani. Nè spettacoli di lotte, di pugni, di +calci, di gesti. — Le Ombre degli antenati — poichè questi gli hanno +tutti — dovevano esser discrete e contentarsi di una coperta sanguigna, +del colore della porpora e non veder altro. + +I sacerdoti antichi dicevano — «Spendete; e le Ombre amate godranno +nei Campi-Elisi delle ricchezze che avrete profuso nel loro +mortorio!» — + +E i sacerdoti moderni pur dicono — «Spendete; e allor suoneremo +campane, canteremo, borbotteremo in latino e tratteremo con Dio +come fosse un giudice borbonico; e a furia di danari dati a noi, noi +costringeremo lui a riconoscere in un’anima ribalda una onesta.» — + +Tutti così. — E sempre così! + +Arso il cadavere, la pietà del marito raccolse le ossa che avevano +resistito all’azione del fuoco. E chiusele nell’urna la seppellì in una +fossa. E sopra pose una _columella_, rotondata a guisa di una testa con +due trecce dietro. — E sul dinanzi, ch’era liscio, leggevasi: + + MARONILLAE + L. ATIMETI + ANNIS. LVI. + +I cadaveri dei poveri erano stati fermati più in su, quasi rimpetto +la ricca casa dalle colonne di mosaico nella interna fontana. Cotesti +_fricti ciceris et nucis emptores_, siccome vivevano in incognito, +così pure incogniti partivano dal mondo. Nessun ramo di cipresso sulla +porta della casa ov’erano morti. Là dove spiravano rimanevano distesi +tre giorni. E poi il becchino li adagiava in una _sandapila_, dopo aver +infilzato con mal garbo nelle loro braccia una toga di apparenza che +ad uno ad uno finiva per coprir tutti. — E tre dei suoi compagni, detti +_vespillones_, li barellavano al posto dopo il tramonto. Colà presso è +il forno, dove li cacciavano per forza, ripiegandoli. Un po’ di pece +surrogava i profumi e le essenze Campane. E quando la mortalità era +grande, allora componevano una catasta di legna in un luogo appartato +e sopra ponevano i cadaveri in fila — quelli delle donne sotto, perchè +credevano racchiudessero maggior calorico e s’infiammassero meglio. +— Avevano anche un’altra ubbia. Pretendevano sapere, nel Tartaro +non esservi _popinæ_. — Per conseguenza Caronte non aver bisogno di +oboli. Allora, gli toglievano il fastidio di chiederne qual mercede al +tragitto. Ed avevano cura di aprir la bocca ai morti e di ritirarne la +moneta. + +I soli cadaveri a non esser arsi erano quelli dei condannati a morte, +o delle persone uccise dalla folgore, o dei bambini spenti avanti la +dentizione. I primi erano abbandonati ai corvi. Gli altri venivano +sepolti. + +Il lutto era un obbligo morale. L’uso però costringeva le donne a +prenderlo; gli uomini no. In ogni caso non durava oltre l’anno. E +siccome si pretendeva che le morti premature profanassero una casa, +così le esequie funeste si compivano a notte tarda, senza invito, senza +esposizione e senza pompa. + +Ogni cittadino morendo perdeva la proprietà sulle sue cose. Una sola +le leggi gliene lasciavano — il possesso della sua tomba. — E per me’ +ricordare quel diritto che non ha altro difensore che la fede pubblica, +alcuni volevano che il sasso che li copriva il testificasse. E le +lettere iniziali sur alcuni sepolcri H. M. H. N. S. — _Hoc Monumentum +Hæredem Non Sequitur_, volea dire: Cotesto monumento non appartiene +allo erede. + +I Mani avevano-dimora nelle tornile; per cui tutte erano loro dedicate. +— _Diis Manibus sacrum._ — Il loro culto era generale, siccome +incalcolabile il loro numero che la morte annualmente accresceva. +— Due feste tendevano a placarli. Una agl’idi di febbraio, detta +_feralis_. — L’altra a’ III degl’idi di maggio. — Gli Dei dello Stige +non aveano sacerdoti, e perciò erano ben lungi dall’avidità degli altri +e si faceano lieti di semplici corone di fiori, di qualche frutto, +di un pizzico di sale, di una fetta di pane inzuppata nel vino, e di +un mazzolino di viole. Quelle dette _lemurales_ erano più curiose. +A mezzanotte, quando tutto tace allo intorno, i devoti levavansi di +letto e a piedi nudi — facendo schioppare col pollice il medio di +ciascuna mano, per allontanar l’ombra leggera che loro venisse incontro +— andavano silenziosi ad una fontana per purificarsi le mani tre +volte. Voltisi quindi e prese dalla bocca alcune fave nere, gittavanle +indietro, e dicevano: + +— T’invio queste fave e con esse riscatto me ed i miei. — + +Allora l’ombra invisibile ai loro occhi credevano raccogliesse le loro +fave e partisse. — Si rilavavano le mani, battevano dei tonfi su vasi +di bronzo, scongiuravano l’ombra perchè se ne andasse, dicendo per nove +volte: + +— Mani paterni, escite! — + +Sembra che Romolo instituisse quella festa di espiazione per +rabbonacciare i Mani di Remo ch’ei supponeva errassero irosi sulle rive +dello Stige. E i Latini credevano che le anime di quelli i quali erano +morti di morte violenta non fossero ammesse nei regni bui che dopo il +periodo di anni che avrebbero abitato nei loro corpi sulla terra. + +Lasciai libero Eumenes perchè facesse i suoi conti. — Egli ebbe a +bisticciarsi coi libitinari per le spese dei funerali. — Pretendevano +— offendendo lo _arbitrium_ già fatto — esser pagati in ragione della +fortuna del morto. Quei preti ne udirono di dure verità. — Ma che +importava ad essi? Avrebbero presi anche i ceffoni e.... parata l’altra +guancia, purchè i denari venissero. — I conti coll’onesto ed abile +Filone furono presto fatti. — Costarono un orrore quelle feste nel +Foro! — Ma come splendide e bene ordinate! Se ne parlò per più mesi +in Pompei e nei paesi vicini. — Vi fu un po’ di litigio coi beccai per +la valutazione della _visceratio_ — la distribuzione delle carni crude +alla plebe. — Eumenes non sapea dire quali le Arpie più rapaci, quelle +che avean ricevuto o quelle che aveano venduto. + +Ritiratosi nella sua camera, posò la lucerna sul candelabro, chiuse la +testa tra le mani e stette così qualche tempo. + +— Non vederlo.... non udirlo più! — Nel suo sguardo soave, e dolce come +il mattino è pieno di misteri come la notte, trovava un sorriso, ch’io +salutava con tutte le voci del cuore.... Ah! mio buon padrone, la tua +morte — che non avea sospettato mai potesse arrivare — sarà un’ombra, +una oscurità; una desolazione profonda sulla regione terrestre della +mia vita.... + +.... Salve, ombra diletta, che per questa casa ti aggiri. — I tuoi cari +figli ch’io vidi nascere — come tu mi conoscesti bambino — i tuoi figli +io gli amerò a doppio nel nome tuo! — + +Queste parole erano il vale eterno che il cuore di Eumenes espresse +alla memoria di Aterio Flacco. + + + + +I TEATRI. + +SCENE DI DISTRAZIONE. + +=Anni di Roma 812 — Anni del Cristo 59.= + + + A MIEI FIGLI, VITTORIO + E LIONELLO. + + VII. + + + _M. Herennius Epidianus Sextilio suo._ + + _Romæ._ + +_Apud me est ut volo. — Male, mehercle, de Popidio nostro._ — Sì! +— Un grande cambiamento si è operato nelle sue lettere e nella sua +maniera di essere. — Vengono rare e sconnesse. — Che è egli mai? — +Tu sai come teneramente ami ambedue. — E più penso e meno comprendo +lo scritto sibillino. Qual cosa potette cagionare in Popidio una tale +rivoluzione?... Qui, notai, sullo scorcio del mese in cui ci separammo, +il suo spirito malato, un po’ guasto. Sperai guarisse nel riposo della +provincia. Egli ha carattere sì dolce; sì collegantesi; sì pronto al +ritorno! — Dimmi se il male è profondo. — E, se hai bisogno di aiuto, +io verrò. _Multum vos amo. Valete._ + + _C. Sextilius Ampliatus Herennio suo._ + + _Pompeis._ + +_Si vales, bene est._ Tu mi chiedi con premura le novelle di Popidio +nostro. Ei trascina miseramente la vita. Empie i modii colle sue +sciocchezze. Sono giovane anch’io, e qualcuna ne permetto anche a lui. +— Ma tu vuoi te ne citi?... Per Ercole! Sono nello imbarazzo, perchè +poche quelle che a lui gracile e delicato non nocciano. + +Le gite lunghe e a cavallo ed a slascio lo uccidono. — Ed egli corre. +— Le cene prolungate lo sfibrano. — Ed egli crapula. — E fosse pur +lieto dello amore di Plilia!. Mai no! — È farfalla che si agita e +fa i suoi giri intorno alle faci, sinchè — bruciate le ali — cada... +Bello, elegante, culto, dovizioso, nobile cuore, ei distrugge la vita, +sospinto al Tartaro dalla noia che mai lo lascia, non in mezzo ai +divertimenti che meglio desiderava, non nelle braccia di Venere, il cui +cinto non lo sa ritenere. + +Tu ambedue conosci. — Crescemmo insieme. — C’istruimmo insieme in +Athenas. — Fummo insieme nell’Urbe. — Ah! Non vi avesse mai posto +il piede! Costì fu colto dal male che lo divora. In cotesta fogna, +splendida di marmi, di porpora e di oro, apprese ad adorare la +Luna e a detestare il Sole.... E qui, quando si leva spossato dalle +tremule coltrici, sbadiglia, ad imitar Cerbero che latra, e chiede +chi lo distragga e lo faccia ridere. — Nè gli adulatori mancano. Sono +nell’Atrio i parassiti e gl’istrioni che lo elogiano e lo ammirano. +— Talvolta egli piacesi delle loro arti, dei loro salti, delle loro +pantomime, delle loro viltà — Talaltra, la noia lo riguadagna e — o gli +caccia brutalmente — o li manda al _tricliniarcha_ perchè sfami il loro +_ventrem iratum_. — Tu la conosci cotesta plebe — razza infame di cui +l’Urbe abbonda e che qui scese a praticare il turpe mestiere. — _Capti +sunt nidore culinæ._ Quell’odore gli attira. — E si credono pari ai +Numi quando possono _gallina tergere palatum_. — Questi i suoi clienti, +i suoi _salutatores_, i quali lo accompagnano di portico in portico, +dalle Terme in via della Fortuna alle Terme sulla via alla porta di +Stabia. — E si bagna e si ribagna. E dalla Palestra va all’Apoditerio; +dal Tepidario al Calidario; dal Sudatorio all’Eleotesio. — Ne esce +slombato. — Misero! Ha appena la forza di dire, fatti — in — là, ad uno +schiavo briaco. + +Mi chiama uom da sermoni. Ed io lo prego per me; per te e per lo +affetto di Plilia che ora è in Neapolis. _Vale._ + + _Plilia Sextilio suo._ + + _Bays._ + +_Apud Pliliam recte est._ Una lettera giuntami or ora mi ha +impaurito.... — Popidio non pare già un uomo; _sed litus et aer et +solitudo mera_. Ne sono afflittissima. — Ho qui i miei cari parenti che +mi ritengono. — Altrimenti fosse, sarei volata a Pompei. — Il suo male +è la noia. Ad essa sacrifica e liba come a una Iddia. + +I miei greci mai furono così! Eppure, i vostri latini ne dicono tante +ad ingiuria! + +Parlai con Acutilio tuo, cui mi raccomandasti in Neapolis. _Ex omnibus +molestiis et laboribus uno illo conquiesco._ — Ma Popidio mi sta fitto +dentro. Attendo la mia sorella Myrrhina con ansia. — Intanto _mater mea +magnos articulorum dolores habet_. — Siegue le prescrizioni di Charmis, +_stagna refusa_, e guarirà presto. Ma io sono sulle spine per amore di +quel caro che soffre. — _Cura, amabo te, Popidium nostrum. — Ei nos_ +συννοσεῖν _videmur._ + + +Erano consoli in Roma C. Vipsanio Aproniano e L. Fonteio Capitone. +Reggeva a suo modo le cose del mondo Nerone imperatore! + +Giulio Cesare per usurpare il dominio aveva con ogni mala arte corrotto +l’anime dei Romani. Ma già il terreno era preparato dalle grandi +vittorie le quali avevano infiltrato nelle vene del popolo quirite il +lento veleno del lusso colla smania dei capolavori nelle arti e della +opulenza. Sembrava che ognuno dicesse: + +— Arricchiamoci e poi ci rammenteremo della prisca virtù. — + +Nel mentovarsi un uomo dabbene, incontanente chiedevasi: + +— È ricco? — Quanti schiavi possiede? Quante le migliaia di iugeri di +terra? La sua mensa è delicata? Ha piscine e vivai? — + +Quando sapevasi ch’era ricco, il prender conto dei suoi costumi pareva +inutile pleonasmo. L’oro — la tariffa della probità! — E più l’uom +possedeva, e più degnissimo era di stima e di onori. + +C. Crispo Sallustio, uomo di coscienza assai elastica, che belle +cose scriveva e brutte cose faceva — laonde venne cacciato da Cesare +dal governo della Numidia per le concussioni e le ruberie operatevi +— scrisse al pacificatore delle romane libertà nobili parole contro +la invalsa passione delle ricchezze, seria e tremenda minaccia alla +società ed allo imperio. — E sì, ch’ei predicava di esempio! Ed a chi! + +«Il maggior beneficio tu possa fare alla patria, ai cittadini, a te +stesso, ai nostri figli — a tutto il mondo — è lo spegnere la sete +dell’oro o diminuirla almeno per quanto lo permettino le circostanze. +Altrimenti, in pace od in guerra, gli è impossibile ordinare gli +affari pubblici e privati; avvegnachè, là ove la sete delle dovizie è +penetrata non sieno più instituzioni, non arti utili, noto più genio +che sappia resistere. — L’anima — tosto o tardi — debbe anch’essa +soccombere. Ovunque le ricchezze sono in auge, tutti i veri beni +avviliti, la buona fede, la probità, il pudore, il casto vivere. Però +che un solo cammino meni alla virtù, ed è stretto, aspro e difficile. +Mentre ciascun corre allo accaparramento della pecunia per la strada +che vuole. — E molte ve n’ha di buone e di triste.» + +Presa Siracusa, i capolavori di quella ricca città andarono nell’Urbe. +— Conquistata l’Asia, i triremi caricarono tutto il lusso dell’Oriente, +e gli diedero diritto di cittadinanza in Italia. — Vinta l’Acaia, si +rivoltò ogni cosa, e il buon costume antico smarrì la sua via. La +caduta di Cartagine diè l’ultimo crollo, e le larghe e molteplici +braccia strinsero quanto potettero e vollero. Tutti, abbassati, +aspettavano che il principe comandasse senza darsi pensiero. Tutti, +avviliti — e i più illustri per nome — correvano con calca al servire, +al piaggiare il despota e chi per lui. Lo amor si comprava. Il successo +nelle battaglie, la magistratura, il senato, si comperavano. Ogni cosa +si otteneva coi nummi d’oro. E il furore febrile di averne giunse al +segno per la servitù inghiottita, che qualche dura cosetta fu fatta per +forza; le altre quiete e ricerche. + +Cicerone — autore anch’egli del danno e sua vittima — sciupatore +per vanità in ville sontuose ed in viaggi continovi e di fasto, pur +contrario ai prodighi de’ suoi tempi — scriveva: + +«Gli scialacquii irriflettuti si tirano dietro le rapine. Uomini +impoveriti dallo spendere — _alienis bonis manus afferre coguntur_ — si +veggono forzati di allungare la mano ladra sui beni altrui.» + +Quel _coguntur_ pinge l’epoca perversa. — Il rapinare erasi fatto +necessità. — Bisognava esser ricchi a qualunque costo. Lo impero voleva +così. E i già liberi, fatti schiavi, rimossa ogni infinta virtù, non +curanti tema o vergogna, aprirono il varco alle nascose lussurie, +s’infradiciarono in scelleraggini ed in sporcizie. Chi volea fuggire i +mali soprastanti o i presenti, svenavasi. Chi inghiottiva il partito +pessimo, gloriava; e coi maggiori brutto adulatore facevasi; coi +minori, arrogante; e fastidioso coi pari. La gioventù si tuffava nelle +libidini e perdeva i polsi. — Le cetere, le belle e facili donne, +il vino, in onore. — I patrizi, istrioni. — Lo imperatore, di voce +chioccia, cantante in casa nei giuochi giovenali, quando primavolta fu +raso. — E nelle feste, matrone sui gradi come ai trionfi, usate alle +allegrezze, in faccia a sciupate ignude con gesti e dimenari impudichi. +— Cotesta la Roma e la Italia dei tempi!!! + +Popidio Celsino era un giovane di venticinque anni. Di statura mezzana, +sottile e ben fatto della persona, pallido, magro, di uno aspetto quasi +femmineo illuminato da grandi occhi neri, aveva la voce di un suono +dolce e penetrante che andava dritto al cuor delle donne e le rendeva +pensose. Cantava greche canzoni come non altri. Agilissimo, educato al +maneggio delle armi, a lanciare il giavellotto con vigore e con garbo, +a manovrare la fionda con abilità e giustezza di tiro, a cacciare +una freccia in un bersaglio indicato, a domare corsieri e a saltarvi +sopra a diritta o a sinistra di slancio, danzava come un ginnasta, ed +era difficile che la danzante con lui, teneramente guardata, sapesse +fuggire dalle sue maglie. E quando, tornato di Roma, nei ludi del Foro, +per le feste augurali degli eletti duumviri, aveva voluto provarsi +a discendere quasi nudo allo attacco dei tori; la sua perizia nello +evitare con un movimento di fianco le corna dello animale furioso e nel +ferirlo mentre quello irrompeva nel vuoto, era sì bella e graziosa che +gli spettatori frenetici gli gittavano dal terrazzo corone di alloro, +e le fanciulle sentivano menomare il loro pudore e maledicevano alla +resistenza usata a qualche suo ladro sguardo. + +Così, sulle prime. Poi anneghittì; e la noia lo punse del suo spino +velenoso. + +I vecchi che ricordavano i tempi di Augusto, avevano trovato nelle +ricchezze un mezzo qualunque che dava sfogo alla loro ambizione. Il +popolo di allora riceveva il pane cotidiano delle sue vergogne e nulla +poteva più dare. Laonde, i ricchi giovani, che pur dentro sentivano +una energia da spiegare, si stancavano di una opulenza che si esauriva +nelle labili gioie e nelle sfrenatezze del cubicolo e del triclinio +e, sbadiglianti, senza desiderii, lodavano la sera, perchè corsa e si +auguravano un domani diverso. Ma quello sorgeva il medesimo, _idem +et semper idem_. E cercavano, cercavano qualcosa di nuovo pei loro +appetiti guasti. E ne arricchivano lo inventore o chi lo forniva. E +ogni snaturalezza, pagata, coperta di porpora e di oro. — Lo amore +di donna? — Trita cosa! — Il matrimonio? — Anticaglia! — Nefandi +accoppiamenti sì, perchè la nefandigia era illecita e nuova. + +Il misero Popidio viaggiò; e quantunque volte arrestavasi, nel trar +fuori del sacco le vesti di ricambio, smucciava la noia con esse. +Esciva di casa — ne abitava una magnifica dietro la Basilica, quella +che ha nel pavimento dell’atrio pezzi irregolari, di tutte forme e +di marmi diversi chiusi nell’_opus signinum_ — per sfuggire la sua +persecutrice. Ed appena giunto nel Foro o sulla soglia della casa di C. +Sestilio Ampliato, tornavasene indietro ed entrava nella magione vicina +— che pur era la sua — augurandovisi una distrazione. Talvolta faceva +porre il freno ad uno dei suoi cavalli e appariva come freccia scoccata +sulla via della porta di Sarnus, ov’erano i suoi poderi e la sua villa +maestosa. Parea corresse a spegnere uno incendio, o i piedi del suo +destriero portassero la salute di una famiglia, di una città. Giunge +trafelato e in sudore. I servi gli sono intorno. Tutto ansimante va +nello xisto, si gitta sur un triclinio campestre coperto da una pergola +in faccia alla bella piscina, e là mangia assiso, su vasi di argilla, +un pasto semplice e frugale frettolosamente apparecchiato. Caduto nel +sonno, gli schiavi lo adagiano sul letto. Quivi oblia la noia e la +disperazione che la vuota opulenza cagiona. Ma, una volta desto, i +due sproni gli si conficcano ai fianchi. Inforca di nuovo il cavallo e +rieccolo in Pompei coi capelli sparsi, col sudore sulle guance, colle +narici aperte come quelle del suo corsiero. — E in sull’uscio?... +Sull’uscio è la statua immobile che lo aveva seguito, che lo seguiva +per tutto e che pur lo attendeva.... la Noia.... che il Governo +imperiale vi aveva rizzato e... inchiodato, dopo aver messo in pezzi il +santo simulacro della Libertà. + +Misero Popidio! Malato di languore nell’anima, impotente a dissipar +la tristezza ed obblioso che dovunque egli andasse, sempre seco la +trasportava. + +Il suo cuore era passato per la trafila di molti amori. Ma nessuno lo +aveva fermato. — Nessuno aveva saputo congiungerlo. — Venuta Plilia +di Grecia, questa lo avvinghiò meglio delle altre... Era straniera... +Parlava altra lingua... Prestavasi meglio alla curiosità... Possedeva +artificii d’amore... E poi... era una bella mostra del tipo ateniese. + +Plilia contava i venti anni. Era piccina e ben fatta. L’ovale della sua +faccia, senza menda, aveva una tinta piacevolmente bruna. I sopraccigli +formavano un solo arco sulla fronte ampia ed altera. L’orlo del labbro +soprano era adombrato da una leggera lanugine che imprimeva sulla bocca +un sorriso voluttuoso e aggradevole. Gli occhi grandi e neri, a forma +di mandorle, brillavano malgrado che la lunghezza delle ciglia ricurve +ne temperasse il fuoco. Un neo sulla gota sinistra, la bianchezza +canina dei denti, il gaio conversare sur ogni proposito, la risposta +pronta ed ardita su piacevolezze scabrose la facevano amata e ricerca +da tutti. + +Essa era una etera. — Cioè, una fanciulla libera; filosofante coi +chiari filosofi; artista cogli scultori e coi pittori in grido; +letterata cogli oratori i meglio famosi; sempre nella luna di mele +dello amore; permettentesi, ma non donantesi; in balìa di quella +passione accettata dagli Dei e non dagli uomini tutti — quantunque così +deliziosa, così bruciante; — un giorno spettro sinistro agli occhi di +donne gelose; e l’altro ospite gentile e grazioso di un peristilio. + +Dopo la risposta di Sestilio, essa non tardò molto a venire in Pompei. +Un servo si fece all’uscio della camera di Popidio e ne tirava la +spessa cortina di Tyro. — Un raggio di sole penetrò nel cubiculo. + +— Per lo inferno! Che luce! Abbi Venere irata, o Milphio. — Come? Mi +desti ora appunto che avea preso sonno? + +— Padrone! È Plilia che è giunta e chiede vederti. + +— Ma, di’.... nel tuo paese..... e non dormono la notte? + +— La notte sì. — Ora è alto il sole. Da un’ora già varcò la metà del +suo corso. + +— E pur qual silenzio! Pompei zittisce adunque come l’anima mia?.... +Ah!.... Va. Chiedi a Plilia il favore di attendermi.... E apparecchia, +se vuoi, il bagno. — + +Un altro più lungo sbadiglio. — Trasse le braccia in alto, stirandole. +Discese lentamente dal letto di cedro, intarsiato di tartaruga; posò i +piedi su ricco tappeto; li pose nei sandali; si gittò sulle spalle una +_gausapa_ cremisina, vellosa al di dentro, e cominciò a camminare per +la stanza, ora celeremente, ora a passi misurati. + +— E Plilia che vuole? Aveva un po’ di tregua da che è in Neapolis. +— Torna qui ad agitarmi. — Vuol sempre sia desto.... Non ha mai posa +costei!.... Ma che, l’amo io?... Io?... E non posso amar più. Oh! Il +potessi!... Plilia è proprio un serpentello che mi avvolge nelle sue +spire. Ed è serpentello che piace... e che io riscaldo sul mio povero +cuore, che batte i battiti di una vita incresciosa... + +— Ah! Popidio!... Caro!... Siimi indulgente! Ma io ardeva di +rivederti... e non attesi... + +— Fanciulla amata... _dulcissima rer_... — + +Ma i baci ch’essa gli diede sulla bocca niegarono il varco alla +compiuta parola. + +— M’impaurì la lettera che mi raggiunse a Baiæ. Ma.... la mia madre +era soffrente.... la mia sorella Myrrhina doveva arrivare e la lasciai +là.... E qui corsi per riabbracciarti. — + +E curvò la sua bella testa sul petto di lui, pur cogli occhi +guardandolo amorosamente. + +La donna è per sè stessa un animaluccio seducente, grazioso e benigno. +— Plilia poi era per sopra ciò un fiore vivace e profumato, sorto nella +solitudine dell’anima sua. Onde, preso da quell’olezzo di gioventù e +di bellezza, la baciò e ribaciò sulla fronte e sugli occhi. Gli pareva +di sentire un nuovo moto nelle sue vene. Una novella energia picchiava +tonfi sul suo cuore sfibrato, quasi dicesse: + +— Aprimi, ed io resto. — + +Il fatto è che Popidio in tal momento pensava e diceva alto: + +— Infine, sono come gli altri, io. — Sestilio mi sgrida, mi +rimprovera.... Ma, ha torto. — Mi annoio. — Ecco tutto. — Provo e +riprovo e non riesco.... Pure, io saprei difenderti, o mia. Saprei +morire per difenderti. — Ho l’anima fiacca spesso... è vero. — Destala, +o Plilia.... E l’avrai amante, ingenua..... Non feci mai male ad +alcuno, io. + +— Lo so. — Tu sei buono, o soave amore. E puoi guarire della malattia +dolorosa quando che vuoi.... E per sanare bisogna che tu colmi il vuoto +che hai dentro.... E una donna.... se saprà fare, lo riempirà.... e +se tu la lascerai fare. — Ora gli è al poeta ch’io parlo. — L’uomo +non è felice e sano se il poetico entusiasmo nol rende contento di sè +medesimo.... Oh! Ecco Sestilio!..... Vieni, o amico. — Seguita tu i +miei ragionari. — Dobbiamo persuadere questo caro ad essere felice. + +— Ora lo sono. — Durerò? No, se voi mi lasciate. — Voi due mi siete ben +necessari. Senza te, o Plilia, le tenebre mi attorniano e la psiche +va errando e cade. Talvolta anche Sestilio sa togliermi di dosso +la _impluviata_ di piombo — la noia — la quale, come la camicia del +centauro, mi brucia. — Con voi rimarrò giulivo; nella villa, studierò +i papiri greci di Phylodemo. — Come te, _deliciola mea_, filosoferò +sulla ricchezza, dichiarandola una povertà regolata sui bisogni della +natura. E non stimando necessario il superfluo, ci contenteremo di +ciò che basta. — Con te, o Sestilio, l’anima diverrà lo strumento +della mia gloria. Non dubiterò più.... Io mi sentiva nato per qualche +ragione al mondo.... e non per la usura dei miei nervi e per una +inutile morte..... No.... V’ha una parola nella tua lingua, o Plilia, +che m’inspira una tenerezza feroce. V’ha una parola nella mia, al cui +sacro mistero io dedicherei volentieri tutte le grandi gioie dei sensi, +tutti i grandi dolori della vita. — Eλευθερία — _Patria_ sono un teatro +su cui il misero amico vostro avrebbe recitato con nobili emozioni la +parte sua! + +— Ma tu appartieni a te medesimo. + +— No, o Sestilio.... La fresca alba della libertà ov’è mai? — La luce +che vivifica, che depura, che sorride all’anima di un romano e di un +greco è scomparsa dalle nostre contrade! — Le tenebre sono spesse e +fredde.... E quando la mia cosa immortale s’interroga, ode un rumor +di catene, vede il ghigno dello imbestiato signore del mondo e cerca +smaniosa uno asilo e nol trova. — Questo pauroso ha fatto della +terra una carcere. — È omai delitto il mentovare le parole della mia +mente!... Talvolta, un tuo sorriso, o Plilia, dorato dalla intelligenza +e profumato dalla bontà, mi solleva dal peso insopportabile del mio +sogno penoso. — E il tuo affetto sincero, o amico, mi strappa dalla +battaglia senza tregua di questa mia misera vita, dove.... — l’ho a +dire?... — mi sento in catene e non domo, come Spartaco, di Tessaglia. +— Ma, voi partite.... E la dolorosa noia ritorna e.... lentamente mi +caccia nel cuore la punta uncinata che dentro rode. — Tu dicesti.... +una donna! — Ah! passò quello istante in cui la nozza per me sarebbe +stata una cosa sensata ed onesta. — Quando io vidi la gelosia strozzata +ai piedi dei miei pensieri; quando la mia ragione non trovò più parole +di lamento e di richieste indiscrete per torturare la donna amata, +compresi ch’essa può avere un passato legittimo nel pellegrinaggio +della vita e lo rispettai. — Allora tu, etera, fosti la sorgente +di qualche mia gioia. — Ma, associarti ai miei destini?.... Mai! — +Popidio non commette atti iniqui! — I despoti della mia patria non +tormenteranno il mio seme. — Viviamo in tempi in cui i figli feriscono +nel ventre le madri e dicono ad Aniceto, liberto: + +— «Oggi, da te lo impero. Corri con arditissimi e fa’ lo effetto.» + +— Ieri una lira accordata valeva più della spada di Scipione. Domani +lo applaudire alla voce fessa del despota darà lucrosi incarichi. Ogni +dì, i poetuzzi che rabberciano gli stentati suoi versi sono onorati di +bisellii e di corone, come già il divino Virgilio... Il popolo ha fatto +il callo sur ogni obbrobrio.... Ecco le ragioni dei miei disordini, del +mio correre a slascio, dei miei lunghi e crudeli riposi. + +— Condizione crudele! — _Prorsus, ut dicis, ita sentio._ — Ma tu troppo +presto appressasti al cuore la vampa per incenerirlo. Ingrossasti +la testa per atrofiare il corpo. — Chiamasti lo avvoltoio perchè si +cibasse del tuo fegato! + +— Discaccia le cure che ti tormentano. Vivi e consolati dello amor +nostro. — + +Popidio si assise sul letto. I due lo imitarono. Le belle guance di +Plilia furono lentamente rigate da due grosse lacrime. — Ed egli prese +le mani degli amici suoi, e, tutto commosso: + +— Miseri! Soffrite per me! — E mi compiangete! — Era così infelice +a non dirvelo per lo addietro. — Gli Dei!... Oh!... Io ne venero un +solo! — Le donne!.... Io non amo che te! — Gli amici!.... Disprezzo +i viventi e mi stringo a Sestilio.... Ho il turbine qui! V’ha sorrisi +che paiono da vino. — V’ha tormenti eziandio da dannato. — Pietà di me! +— _Utinam illum diem videam, quum vobis agam gratias, quod me vivere +coegistis!_ — + +Su questo, Milphio entra nella stanza e dice: + +— Padrone, il bagno è apparecchiato. + +— Verrò. — Voi andate nello xisto, nella biblioteca, ove meglio. +Voi siete altri me, qui. — Plilia, un bacio. — Oh! io mi sento +innovato! — + +Si cacciò nel bacino di porfido e vi si distese. — Chiuse gli occhi. — +E in quella specie di veglia gli parve di esser libero di una catena +con cui il suo spirito era stato sino allora legato. Ciò che dentro +pria lo affliggeva, sparito. Sentivasi pronto ad una felicità — non +la intesa e praticata dalla saggezza convenzionale — quella che dà +godimenti veri, meritati, segreti e di un ordine proprio. — Da una +piega della cortina, che abbarrava l’uscio, sino al bacino scendeva +diritto un filo di raggio solare — solco luminoso composto di quanto +v’ha nell’acqua, nell’aria, nella terra e che pur trovasi in date +proporzioni negli animali, nelle piante, nei sassi. — I suoi pensieri +ascesero per quella via sino a Dio, e ritornarono gioiosi a lui su +quella dorata atmosfera. — Mai, come quel giorno! — Si levò, si vestì +della _synthesis_, aiutato da Milphio, ed escì azzimato incontro agli +amici. + +— Plilia e Sestilio, andate nelle vostre camere. — Vi troverete +la _vestis cœnatoria_. — Vi attendo nel triclinio. — È l’ora +decima. — + +Nel sommo letto si pose Popidio, nello inferiore l’amico, nell’altro la +etera. — Dopo la libazione, i giovanetti schiavi li coronarono di fiori +e giuncarono di rose il musaico. La ricchezza del _pater cœnæ_ esigeva +che la _comissatio_ fosse _recta_, cioè composta di tre imbandigioni. +Laonde nel primo vassoio di argento furono portate uova, lattughe, +olive, fichi e mangiari delicati e leggeri per aguzzar lo appetito. Nel +secondo, stufati di varie sorti ed un arrosto di vitello. Nel terzo, +confetture, mele d’Hymetto con semi di papavero bianco tostati, paste, +e poi altri frutti entro cestelli di giunchi intrecciati, di argento. +— In ultimo, dopo la lavatura delle mani e della bocca, vennero +distribuiti i profumi per togliere di dosso l’odore delle vivande. + +La gaiezza dei commensali erasi irradiata sui _pueri_ che servivano +e sul bravo e fedele Hegio, il _tricliniarcha_. E tutti cogli occhi e +coll’assiduità del servizio ne ringraziavano Plilia, la bella ateniese, +operatrice del miracolo. + +Anche la luna illuminò quella regione vivente e dianzi sì desolata. +— Andarono a godere del suo pallido raggio sull’orlo dello xisto che +prospettava sul mare. — Gli amanti avevano le mani congiunte. Il misero +dallo abisso, aiutato dalle ali dello amore, era risalito sugli spazi +i più luminosi delle regioni felici. Gli è che Plilia, strettasi al +suo cuore, gli susurrava tratto tratto all’orecchio parole che gli +uomini tutti non sanno ricambiarsi tra loro. — Sestilio abbracciò i due +avventurati e partì. + +Essi restarono. Per qualche istante nessuno parlò. Quindi: + +— Io ti appartengo, o Plilia. Un legame mi unisce a te, potente, +indistruttibile, eterno. — Quali le nostre labbra, così le anime negli +Elisi. Dammi la tua mano. — Come bella! — Questo anello d’oro serbalo +nel dito finchè tu non perda la memoria di chi molto ti amò. — + +Si fidanzarono. — E fu spontaneo e gradito quell’atto, perchè +compiuto tra essi, senza sospetti, siccome gli atti abituali della +loro tenerezza. La donna gli coronò il collo delle sue braccia e così +rientrarono nella casa; e di là, nella prossima, messa a disposizione +di Plilia. — Ore di felicità! — Silenzio gradito! — Solitudine sacra! +— In quel sepolcro era chiuso il supremo contento di due cuori degni +di batter l’un presso all’altro i segni della vita e delle sue brevi +delizie. + +— Così per tempo, Halisca, che vuoi? + +— La mia padrona è levata, o Sanga. — Il tuo si leva. — Ambi chieggono +si appresti il bagno. + +— Ma, se appena la clessidra marca l’ora ottava del mattino! + +— Vita nuova! + +— E qual genere di bagno? + +— Tiepido. — Rammenta che gli unguenti per Plilia debbono sitire di +nardo. — _Hoc age._ + +— Corro. — + +Intanto Popidio sentivasi felice. E nello augurare alla maga che lo +aveva innovato un giorno lieto, dicevale: + +— Dalle tue grazie infantili io prendo una forza di carattere che mi +stupisce. — Debbo a te un sentimento di cui non mi credea più capace. +— Ecco, tu cammini.... tu mi guardi.... ed io comprendo il mistero +ch’è tra il figliuolo e la madre. — E se parli e sorridi, io provo una +emozione soave che non so ridire. + +— Allora le mie labbra sorrideranno sempre per te. — + +E nel vero, Plilia meritava un tanto affetto. — Essa non aveva diviso +continuo le sensazioni che or facea nascere. Ma la simpatia, uno +accordo nervoso tra i due, la omogeneità dei pensieri, la reciproca +bellezza della mente e della persona, facevano sì ch’uno nell’altro +riguardasse il suo cielo. + +Preso il bagno, asciolsero. — Quindi deliberarono di andarsene in +villa. Allorchè tutto fu pronto, escirono; e, traversato il Foro e la +via Domizia, trovarono presso la porta di Herculanum un carro a quattro +ruote. Plilia si distese sur un cuscino di seta colmo di soffici piume +di cigno, appoggiando il corpo sul braccio sinistro. Halisca — la +_pedissequa_ — aprì tele distese su sottili bastoni alla estremità di +una canna delle Indie, e con questa _umbella_ la riparava dal sole. +Essa avea nelle mani una specie di palma, fatta di penne di pavone, per +discacciare le mosche importune. Popidio, in piedi, prese le redini e +diresse i quattro rapidi corsieri africani sulla via costeggiante le +mura che menava a Sarnus. + +La villa era grande e maestosa. — Aprivasi per una specie di arco +trionfale che serviva di porta e continuava per un viale ascendente, +limitato da alberi di platano e da muri. Una larga serie di gradini +di marmo menava all’uscio della casa, la quale — di due piani, +senza finestre al di fuori, e coronata da un’alta torre rotonda — si +componeva di un atrio spazioso, di un portico sostenuto da colonne di +stucco, ed in mezzo, sopra lo impluvio, un tritone di marmo mandava un +getto d’acqua da una conchiglia che aveva nella bocca. Intorno erano +camere da letto dipinte da greci pennelli. Oltre il peristilio vedevasi +uno xisto assai grande con quattro palme nel fondo per dar ombra agli +alveari e riposo alle api dopo il loro gironzare sui fiori. Presso +quegli alberi erano il timo dell’Attica, la melissa, l’asfodelo, il +citiso, la maggiorana, i giacinti, l’iride, lo zafferano, il narciso. E +poi rose di Preneste, viole di Tusculum, papaveri, rosmarino, basilico, +lentisco, bocche di leone, gigli dal calice di vario colore, altre +rose di Mileto rossissime, di Eraclea, e quelle bianche di Alabanda. +— Da un lato dello xisto era il triclinio. — E al di là per una via +serpeggiante a traverso alberi da frutto e vigneti, dinanzi vasta +piscina, era sotto la pergola un triclinio in piena aria, rispondente +alle fantasie dei villeggianti. + +Plilia — al rezzo di quegli alberi, e presso i cespi dei gigli — +splendida di freschezza — pareva un rosaio che alla rivolta d’un +viale solitario sorprende quasi fosse un’apparizione di fate. — +Oh! i felici!.... Popidio nel dolce asilo dimenticava le sozzure di +Roma — le infami mostruosità imperiali — il vergognoso zittire di +Seneca — le piaggerie adulatrici di Peto Trasea, corrette poi colla +morte — gl’imbratti del patriziato — le basse vigliaccherie dei suoi +conterranei. — Spesso entravano nel bosco fitto, ov’era uno stretto +spazio scemo di alberi, e sotto una quercia annosa uno scoglio. +Come la grotta marina di Caprea nei dì sereni e di sole è azzurra; +così quel posto era verde del velo magico della speranza. — Colà o +Plilia o Popidio leggeva Omero, Virgilio e cominciavano nei riposi +le discussioni erudite sulle bellezze del poema di quei cantori +sovrani. O recitavano a memoria le odi di Orazio e di Anacreonte. — +E si baciavano, e ridevano di quelle licenze puerili che i due poeti +bacchici si permettevano. Laonde Plilia diceva: + +— _Pipere qui abundat, oleribus miscet piper._ + +— E qual pepe! ve n’ha a condire tutti i cavoli di Sicilia, o mia. + +— Per lo iddio Fidio! Gli era un vecchio di assai scarso pudore — servo +di Cupido, figlio della Notte e dell’Erebo — non di Amore, nato di +Venere pompeiana. + +— Io poi credo _amabat linea extrema_: e più per gli altri che per +sè. — + +Talvolta rivangavano con orgoglio un passato glorioso alle due patrie +e ragionavano degli antichi legnaggi, della potenza di carattere, +della saggezza mai sorpassata e delle nobili arti. E la sapienza la +individualizzavano sui remoti e sui contemporanei, o la criticavano. + +— Grande e poderoso ingegno quello di Cesare. Ma i meriti pel +laminatoio. I vizi pieni e di corsa. + +— Augusto potè gareggiare con lui che fu tra i maggiori eloquenti del +suo tempo. Pur, se chiaro e corrente nel dire e magnifico nel fare, ben +corrotto e corruttore, come dei principi è l’uso. + +— Malvagi tutti! Tiberio sovrano nell’arte del pesar le parole. Vivi +concetti e soavi apposta. Occhio e dimora dolorosa sul vero. Fretta +crudele nella ferocia. Disonesto poi.... + +— Oh! l’ostica sua disonestà non inghiotto nè sputo. + +— E Caligola? Quali nobili parenti! E quanto vario il figliuolo! +Calzarino d’infamie ove il mondo doveva mettere il piè. Matto.... e +peggiore per non attendere; di quelli che per non aspettare il dolce +fico colla gocciola, lo schiantano dal ramo col lattificio. Malgrado la +grande spensieratezza, attivo molto al bel dire. Ma la bestialità glie +ne tolse la forza. + +— Claudio poi, se diceva pensato, era eloquente. Ed emulo di Cadmo +fenicio, di Cecrope ateniese, di Palamede argivo, di Damarato corintio +e di Evandro arcadio, Cesare si piacque aggiungere tre lettere — +tentativo di grafico perfezionamento. — Ma il duo digamma eolico a +rovescio, e l’antisigma, e l’iota modificato durarono quanto il suo +dominio e li vedi ancor nei decreti suoi per le corti e pei templi. + +— Sciagurato! Lo pagò bene Aloto, un degli eunuchi, che facea la +credenza per sicurar le vivande dal tossico, omai masserizia di Stato. +La trista Agrippina strappò il testamento ed antepose il suo figlio al +figliastro Britannico — forse correttivo a doppio disastro. + +— E cotesto istrione — suo dono — sviato ad arte da Seneca verso il +dipignere, lo intaglio ed il canto, parla imboccato le dicerie già +composte dal falso e lezioso ingegno del suo maestro. E omai rotto +a tutto, uccisa la madre incestuosa e randagia, a Seneca promette e +terrà. Schifosi mostri! + +— Omai, i buoni e i tristi spacciati sono. Lo ammazzatore è per via. +I più acuti porgano pure il collo, offrano le vene al cerusico ed +apprestino il rogo. + +— Quel che tu dici or mi rammenta Petronio, maestro in morbidezza e +dei più intimi nelle delizie industriose di Cesare. Tigellino ne provò +invidia e per calunnia lo fe’ reo di maestà. Tutto risi e piaceri, non +seppe tôrsi la vita, poi che ritenuto in Cuma. Fattesi segare le vene, +le tappò, poi le sciolse e le ritappò a sua posta per sentir leggere +versi piacevoli. Non potendo battere Tigellino — causa del danno — +fe’ trebbiare gli schiavi. E pria di quietarsi nel sonno estremo cui +si sentiva dannato, mandò a Nerone scritte a mo’ di testamento le sue +ribalderie con tutte le disoneste fogge. E sigillò la pergamena e ruppe +lo anello. Cesare vi trovò le sue notturne invenzioni con Silia, da lei +ripetute a Petronio e, indignato, la confinò. + +— Tutto è omai spiantato e guasto. + +— Per qual via escirem noi? + +— Ecco le mie braccia a siepe del buio sentiero, o Popidio. Ti sia +patria il mio cuore. Il tuo è uno altare per me! — + +E que’ miei avevano ragione nella diversa sentenza. Consolante invero +lo affetto. Ma l’atroce agonia d’ogni dì? E le crudeltà in altrui? +E le beffe dei barbari? Ogni santità, profanata. Gli scogli marini +d’Italia, asilo, e luogo di morte per fame. La nobiltà e le dovizie, +peccati gravi. La virtù, certa ruina. Anche il silenzio riguardoso, +delitto. La vita sicura, quella delle spie e dei ladri. Anzi alle spie, +quasi spoglie opimi, consolati e sacerdozi. Ma, per contrapposto a +tanti adulteri dell’anima, eroiche morti come in antico; mogli seguaci +dei mariti scacciati, schiavi e liberti fedeli ai tormenti, amici +difenditori — comodo _sellisternium_, non più per gl’iddii incuranti +gli atroci mali del popolo, sì per posarvi la immagine serena del +crocefisso da Ponzio Pilato, procuratore. + +Alcune volte cavalcavano per la villa e fuori. — Od in una biga, essa +menava i cavalli. — O, postisi in una barca sul lago, aiutati dalla +vela e dal timone, si faceano condurre a genio del vento. — Era una +vita d’incanto! — Le vere visioni quaggiù sono gli aspetti di varietà +e di luce che appaiono sulle fronti delle persone amate. E Popidio e +Plilia non videro che i raggi dello amore, i fiori della felicità e il +verde della speranza. + +Un giorno venne una lettera alla giovane ateniese. — Aveva talmente +dimenticato la esistenza al di fuori della villa vastissima e dei +poderi, che fu stupita come qualcuno potesse scriverle. — L’aprì — e si +fece pensosa e turbata. — Mirrhyna l’avvisava che la madre peggiorava, +e volea rivederla. — La novella diè doppia ferita al suo cuore. Si levò +pallida, e in uno slancio di tenerezza e di angoscia offerse la lettera +allo amico suo e lo abbracciò. + +Popidio per qualche istante non potè leggere. Prevedeva un disastro. — +Quando chiarì la cosa, si levò, e abbracciando la donna amata, disse: + +— _Suavis_, ho avuto così stretto il cuore testè, che or non sembrami +amaro ciò che ti dico. — Parti... Va presso la madre... E se il +credi... se non ti costerà sacrificio, ritorna a chi ti ama assai più +che la vita. + +— Sempre desolanti cose fra noi: — Separazione crudele! — Che diverrai +tu nell’assenza? — + +E sì dicendo pose le sue dita delicate come un velo sulla faccia e +singhiozzò, innalzando spesso convulsivamente il capo e le spalle. +— Egli le assettò sulla testa il _ricam_ — velo lungo e quadrato con +frange, di porpora — che coprì colle pieghe ample il _cincticulum_ — +la corta tunica bianca senza maniche — la strinse al petto più volte, +l’aiutò a salire sul carro e la vide partire per Neapolis in compagnia +di Halisca. Ed egli, saltando sur un cisio elegante, corse verso +Pompei. + +La luce era partita. — Le tenebre erano tornate. — Desolato nel giorno. +Vegliante la notte. — Inspirazione — slancio — volontà — desiderii — +tutto con lei. + +— Idolo caro della mia fantasia! Creatura amata! Quasi sangue delle mie +vene! O favilla di quel fuoco misterioso che Dio dà e ritoglie. Vieni a +me presto, o io mi muoio. — + +Sestilio venne a consolarlo, e lo aiutò a dar pieno corso al suo +dolore, parlando di lei e del suo pronto ritorno. Intanto per offerire +distrazione propose di andare al teatro. — La speranza di ricrearsi +rese accetto il partito. + +L’_Odeum_ era un teatro coperto — a lato del tragico — che Quinzio +Valgo e Marco Porcio, duumviri, avevano fatto edificare e collaudato. +Serviva agli spettacoli musicali, alle rappresentazioni drammatiche +e ai concorsi poetici. Potea contenere mille cinquecento spettatori. +Circoscritto in uno spazio rettangolare, la metà infima soltanto +prende la forma di un completo emiciclo. La superiore, tra i gradini +circolari interrotti su ciascuna estremità. I posti riservati — i +quattro primi gradini, cui dava accesso la orchestra — erano l’_ima +cavea_. Poi veniva il _balteus_ che serviva di spalliera ai magistrati, +ai cavalieri, a quelli assisi sul quarto gradino. La seconda _cavea_ +divisa da sei scale e composta di diecisette ordini di sedili di +pietra, era riservata al popolo che vi penetrava dai vomitori. + +Sulle tessere di avorio, contornate da un serpe che morde la coda, era +scritto CAV · I · GRAD · IV · ANDRIA · TERENTII · Ne presero due ed +andarono al loro posto. Si erano già nunciati i nomi degli attori e le +parti loro affidate. Si era detto il prologo, in cui lo autore confessa +il suo plagio a Menandro e lo scusa, dichiarando valer meglio una buona +imitazione che una mediocre creazione. Il subbietto era cotesto: + +— Pamphilo ha sedotto Glycera, creduta sorella di una sciupata di +Andria. — I segni divengono patenti. Ma il seduttore la consola col +prometterle nozze, quantunque il padre lo abbia fidanzato alla figlia +di Chremes. Ma questi, sapendo gli amori del figliuol suo, simula +apparecchi di nozze per iscandagliare i pensieri di lui. Pamphilo ode +i consigli di Davo e non fa resistenza. Ma Chremes, veduto il neonato, +non vuol aver più per genero quel seduttore. — Un incidente stranissimo +disvela come Glycera sia figliuola di Chremes. — Allora dà questa a +Pamphilo, e l’altra che eragli fidanzata, la sposa a Charino. + +Facili i versi — ben condotto lo intreccio — lo scioglimento felice. +— Di due commedie di Menandro — l’_Andria_ e la _Perinzia_ — lo +affrancato di Scipione fece questa una, spigolandone tutto il buono. — +Pur quando Davo disse agli spettatori. + +« — Non attendete che gli attori escano..... Gli accordi, il +contratto, tutto che rimane a farsi, si compirà là dentro..... Voi +applaudite.» — + +Popidio non ne poteva più. — Sestilio, nello escire — perchè lo amico +così voleva — facendo lo elogio delle commedie di Terenzio; sempre vere +e delicate e senza ciniche licenze, gli chiese la sua opinione. L’altro +— che aveva l’anima vagante — rispose, egli preferir Plauto per la +somma vivacità del dialogo. — Lo africano averlo fatto dormire. + +— Preferendo l’azione, sarai più lieto nel grande teatro. — + +— Sia, — Tu, mio Mentore e senno, da che Plilia è lontana! + +Nello escire dal piccolo entrarono nel grande. Le tessere privilegiate +diedero loro lo ingresso in un corridoio a volta che li menò ai posti +sopra la orchestra. — Erano di avorio e portavano da una parte lo +incavo di un edificio teatrale e dall’altro le cifre che seguono +VI. ΑΙΣΧΥΛΟΥ · IB · Avevano posto sul sesto gradino della _cavea_ +riservata. Altri corridoi, pure a vôlta, passando sotto la gradinata, +guidavano al primo claustro e alla _media cavea_; una scala poi al di +fuori del teatro faceva giungere direttamente alla _summa cavea_ ed +al culmine dello edificio pel servizio del _velarium_. — Sulla parte +opposta elevavasi una torre quadrata e rotonda al didentro, serbatoio +di acqua piovana, la quale, profumata da essenze, era sparsa come una +nebbia per tubi capillari di piombo sugli spettatori nei calori estivi. +— Nel centro della orchestra elevavasi la _thymele_, o piccolo altare +su cui sacrificavasi a Bacco al cominciare dello spettacolo. + +La scena fissa presentava tre porte, le _hospitales_ e l’_aula regia_. +— Fra queste porte nelle due nicchie posavano le statue di Nerone e di +Agrippina. + +Si recitava la tragedia _I sette contro Tebe_, la quale veniva chiamata +il parto di Marte. Ma se il Dio della guerra aveva sovente inspirato +lo autore dei _Persi_ di _Agamennone_, dei _Coefori_, del _Prometeo_, +delle _Supplichevoli_ e delle _Eumenidi_, certo ei non ebbe minori +obblighi a quello del vino. + +Gli attori sono sulla scena. — Gli adunati, tutt’orecchi in udirli. +— Popidio, noiato, trovava i flauti fuor di tuono, le maschere degli +attori logore, le voci non abbastanza forti per essere intese. + +— Che l’architetto Martorio Primo non avesse nozione nel costruire il +teatro di quei grandi vasi di bronzo, i quali portano la voce dall’una +all’altra estremità della sala? Tu rammenti che li vedemmo in Athenas, +in Milo, in Argo e in Sicyone. + +— Rammento. Qui costumasi il flauto perchè sostiene la voce, la chiama +se travia, e serve a dare la intuonazione al nuovo attore che entra. + +— Qui si costuma quanto vi ha di più odioso per me. Mira Volumnio, il +decurione, che fa! Oh! io non reggo a siffatte scempiaggini! — + +Si levò e andò via. — Quel suo vicino aveva tratto un colombo dal +seno e dopo avergli legato una tavoletta scritta nel piede, lo faceva +volare. Altri lo imitarono. — Erano corrieri domestici che i mariti +e gli amanti inviavano alle donne loro. — Sestilio raggiunse l’amico +sulla via di Stabia. + +— Tu che da per tutto ti aduggi, oh! certo non ti annoierai nello +Anfiteatro. — La folla che corre da quella parte mi rammenta il grande +spettacolo offerto da Livineio Regolo. — + +— Io tornerei volentieri alle mie case..... + +— No. Vieni, Popidio, e la maschia scena ti distrarrà. — + +L. Livineio Regolo, di famiglia plebea — nato di Lucio prefetto di +Roma — era stato quatuorviro monetale ai tempi di Cesare. Ferito dalla +stessa scure che aveva decapitata la repubblica, amico di Cicerone e di +Bruto, amareggiato dall’ozio febbrile che legano le rivoluzioni morte, +cospirò per la causa a lui sacra. Senatore, Augusto tiranno volle che +venisse raso dal senato. — Invano stracciò le vesti per mostrare le +onorate cicatrici. — Invano parlò de’ suoi meriti. Fu raso. — Cacciato +in esilio in Pompei, per ingraziarsi il popolo si fece editore di ludi +gladiatori e belluari, cioè, di orsi e di cinghiali. + +Lo edificio destinato ai sanguinosi combattimenti degli uomini e delle +belve era la riunione di due teatri, siccome il greco nome Αμφιθέατρον, +che i Romani gl’imposero, il dice. Le due orchestre ne formavano la +elittica arena. La quale in Pompei era scavata di man d’uomo tanto al +disotto del livello del suolo per quanto le mura si elevavano al di +sopra. Costruito nella parte meridionale della città presso le mura +che guardavano Stabia, l’architettura esterna di pietra vesuviana +non presenta verun ornamento. Nello ingresso del grande vomitorio +settentrionale su due nicchie posavano le statue di Cuspio Pansa +duumviro, padre e figliuolo; ed a sinistra sul selciato di lava che +discende, sono pietre bucate entro le quali era fissa una barriera di +legno, perchè gli addetti al servizio e al mantenimento dell’ordine +non fossero schiacciati dalla folla irrompente. Di là si andava ad un +cripto-portico circolare interno, che per via di scalinate metteva +ai gradini. Questi erano divisi in tre piani — _summa — media — ima +cavea_. — Sopra le vôlte delle due ultime è una serie di arcate che +metteva in una galleria che dava accesso alle scale per escir fuori. Il +primo _deambulacrum_ era coperto. L’altro no. — L’arena era circondata +da un _podium_, alto quasi due metri, difeso da un cancello di ferro +a protezione degli spettatori. Esso è ornato di pitture che presentano +combattimenti di tigri contro orsi, di un cervio contro una leonessa, +di un orso contro un toro. V’ha pure una scena gladiatoria, e si vede +un _lanista_ dar consigli a quelli che debbono accoltellarsi, nell’atto +che altri due assisi aspettano la stessa lezione e che un musicista +saggia le note della sua tromba ricurva, atta a dar lena ai gladiatori. + +La prima _cavea_ ha cinque gradini. Ma nelle due grandi parti dello +Anfiteatro è un vasto spazio, chiuso da un breve muro di appoggio che +scende perpendicolare al _podium_, e non ha che quattro comodi scalini. +Gli era il posto riservato alle vestali, ai magistrati ed a quelli +che avevano l’onore del bisellio. — Nel centro del podio occidentale +apresi una piccola porta di quercia, il _catabolus_, per cui escivano +le bestie feroci, chiuse nei covacci sotto la gradinata. — Il sole +d’Italia, volgendo all’occaso, illumina vivamente la scena. E il monte +Vesvius sta muto testimonio della gioia crudele del popolo e della +coraggiosa rassegnazione degli accoltellanti, pronti alla morte per dar +piacere agli schiavi di Nerone che omai dei gloriosi padri non avevano +più che le vesti ed il nome. + +Quando i due amici arrivarono allo Anfiteatro, questo era pieno per +modo che sarebbe stato impossibile il trovarvi luogo, se un littore +— riconoscendo in Sestilio il figliuolo del duumviro non gli avesse +condotti — attraversando le file con autorità — in due posti rimasti +ancor vuoti. Già compivano il giro dell’arena cinque coppie di giovani +di alta statura e di membra robuste. Alcuni erano schiavi e costretti +al carnaio. — Altri volontari, e si votavano alla trista professione +per cupidigia, per sete di fama, per disperazione accagionata dai +politici rovesci. Un uomo attempato che li avea sotto la sua disciplina +— il _lanista_ Cneo Mezio Felice — gli chiamò a nome ed in ragione +della forza e della destrezza a lui note, gli accoppiò, armandoli +di gladi taglienti ed aguzzi. Il loro contegno, di giulivo che era, +d’improvviso fu cangio. Ed Harpax guardò con occhio minaccioso l’emulo +suo Philoxeno. — Ed Antioco, il dace Proculo. — E Thytridi, il gallo +Lycon. — Ed Hanthrax, il bruno Polinice. — E Dromon, Poenulo il +cartaginese. — Ora inoltravansi. Or ritraevansi, evitando con arte le +percosse ed i tagli. — Thytridi fu il primo a ferir gravemente sul +braccio lo avversario. Invano egli diede uno sguardo pietoso allo +intorno. Chè, il popolo con urlo di belva, levando il pollice, gridava: + +— _Habet._ — Lo ha preso!... Lo ha preso! — + +Allora il misero porse il collo al compagno che glielo segò. — +Nell’atto, Proculo, facendo un salto di fianco per isfuggire il colpo +che Antioco gli aveva assestato, mirando come fosse col corpo piegato +innanzi e scoperto, gl’immerge il gladio nel cuore. — Gli schiavi +cogli uncini trassero i cadaveri in una specie di fossa destinata a +ricevere le spoglie degli uccisi. Harpax e Philoxeno, destri e vigorosi +entrambi, si sforzavano indarno in falsi attacchi e in sorprese; si +avventavano, indietreggiavano, si ferivano, ma senza farsi gran male. +Ed il popolo plaudiva alle percosse che credea decisive e pur plaudiva +all’altro che aveva saputo schivarle. Alla fine Harpax afferra la +spada a due mani e si precipita sullo avversario. — Lo scudo ne rimane +spezzato e il colosso cade disteso per le terre. Philoxeno, che ha +ferito il braccio sinistro dal fiero colpo, gli è sopra e gli punge +col coltello la gola. — Le donne s’impietosiscono di quel caduto che la +sventura colpiva ed alzano la palma, gridando: + +— _Non habet!_ — Sia salvo! — + +Allora quegli ch’era già presto a far da carnefice al compagno — il +quale era forse suo amico — gitta la spada, si curva, solleva di terra +lo sciagurato e lo consegna fuor dell’arena ai destinati a medicar le +ferite, per conservarlo ad altri cimenti. + +Dromon e Poenulo si corrono dietro per l’arena. Grondano sangue e +sudore. Si arrestano. — Si guardano con occhi di tigre e si avventano. +— E l’un l’altro ferisce, aprendosi nel fianco e nella coscia due +piaghe profonde. — Sono anch’essi perdonati e vanno via. + +Entrano sulla scena Curzio, Charino, Ballion, Prisciano e Curculio. +Sono ignudi, o quasi, e armati di coltello e di lancia. Dal _Catabolus_ +escono orsi e cinghiali. — Da una porta, due tori. — Ad una correggia +di cuoio che gli cinge nei fianchi è legata una corda che stringe il +collare di due molossi. Due pigri bufali erano siffattamente allacciati +a due lupi. Gli urli delle bestie feroci e le grida dei bestiari +intronano l’aere. + +— La dea Libitina oggi sarà satolla, o Popidio. + +— Stragi e omicidi, ecco i trastulli dei tempi! + +— Per cotal gente l’arena è il patibolo. — Vita di delitti. — Morte +spregevole. + +— Ecco perchè non destano nel cuore alcuna pietà. — E lo sanno. — E ne +fanno soggetto di beffe. — _Sanguis venalis!_ + +— Ora, colui — di cui la statua equestre è sull’arco a trionfo — si +è fatto lanista, ed ha i suoi accoltellanti _postulatitii_, sempre +pronti a combattere e a morire pei suoi gusti e alla richiesta della +plebaglia. E gli nudre della _gladiatoria sagina_, perchè quella forte +razione di carne gli faccia meglio vigorosi ed abbiano maggior sangue +da spandere. + +— Ma tu vedesti nell’Urbe i figli di razze illustri scendere nella +lizza per guadagnarvi il plauso — che omai è serbato alle sole vergogne +— e il frusto di quattromila denari per anno. + +— Gli udii pur anche prestar giuramento _uri, vinciri, verberari, +ferroque necari_. — E, gl’infilzi Plutone col suo tridente! meritano +bene il fuoco, le catene, le verghe. — La morte di spada è troppo +nobile per essi. + +— Pur mira quel Thytridi che incurante è appoggiato al muro del podio. +L’ho veduto in parecchi ludi e credo sia già scampato da sessanta +vittorie. — Ha il cuoio ben duro, o Sestilio, eh? + +— Parmi! — E in Capua ve n’ha pur molti che, ricevuta dallo edile +la palma della vittoria e appesa al loro fianco la spada di legno, +passeggiano sciolti dai doveri della loro professione. Ed uno ne vidi +che in una solennità avea sul capo la _lemnisca_, la corona di fiori +intrecciata da bende. È l’onore più grande cui possano aspirare. — + +Intanto che i due amici parlavano, ed altri parlavano. Quale +battaglia! Il rumore di chi combatteva, il cozzo delle armi, le grida +degli sbuzzati e dei moribondi, il mugghiar delle bestie morsicate +e morsicanti, il sangue che spargevasi nell’arena, producevano nel +pubblico una quasi ebbrezza che non si può descrivere. Pareva che gli +spettatori ardessero di combattere; perchè si spenzolavano dai loro +posti, ed urlavano come belve, e gesticolavano come briachi. + +D’un tratto altri attori entrano nella scena — due leoni di Africa — +un tigre delle Indie — una pantera pomellata. — Guardano allo intorno +coi loro occhi di fiamma, strisciano lungo il podio, si fermano, +si ripiegano, battono il suolo colla loro coda nervosa, passano +e ripassano la lingua irsuta e assetata sui loro denti aguzzi. Il +tigre si slancia sopra un cinghiale. Il leone azzanna un bufalo sulla +giogaia. La pantera in meno che non si dice ha sbranato un molosso +ed un lupo. L’altro leone — quantunque ferito di lancia nel ventre — +strazia colle unghie e colle zanne Charino. — Gemiti soffocanti. Grida +di dolore. Ruggiti di belve. Scricchiolio di ossa sotto i denti. Il +tigre e uno dei leoni escono dalla mischia ringhiando e satolli. Ed +errano per l’arena, portando nella bocca sanguinosa informi brandelli +di carne. + +Sotto il gradino dove sedevano Popidio e Sestilio era uno in sui +venti anni che avea a sè vicino una giovane della stessa età. La +vide animarsi degli entusiasmi della giornata. Gli piacque il suo +naso sottile sur una bocca di corallo. Gli piacquero quei suoi occhi +estatici, selvaggi ed azzurri adombrati dalle chiome bionde, increspate +e copiose. A furia di guardarla sottecchi, s’innamorò delle belle linee +piene, svelte e proporzionate di quella leggiadra persona. La vide +parlare sovente con un uomo che sedevale a lato, e dentro ne ingelosì. +Non sapea dire s’ei le fosse fratello, marito, amante. Più volte volle +rivolgerle la parola per appurarlo. Borbottò qualche frase. — Ma, o +ch’essa avesse l’attenzione altrove, o il fracasso di sotto e di sopra +impedisse lo intendere, gli parve non aver raggiunto lo scopo. Ecco +ch’ella si leva in piedi e col suo corpo rotondo si appressa troppo a +lui. La sentì callipiga e vi posò su la mano convulsa, con una ansietà +voluttuosa. — La pompeiana gittò un grido e si ritrasse volgendo allo +sconosciuto lo sguardo irritato. Il vicino le domandò cosa avesse. E +saputolo, colla faccia che assume un geloso che non ama la divisione +nei beni da lui goduti, apostrofò il giovane: + +— Chi fa ciò che non deve, vuole più che non dovrebbe! Insolente! + +— Chi ti fa or censore dei fatti miei? + +— Giù le mani e la lingua, o le mozzo! — Intendi? È la mia donna costei. + +— Ah! la tua donna?... Sta bene! — Nessun uomo in Pompei te l’avrebbe +tocca, finchè tu lo avessi permesso. + +— Oh! Sì?... + +— Credimi, per Ercole! Sei un uomo ingegnoso. Ora la tua custodia muove +tutti alle prese. — + +Il pompeiano non seppe patire il villano insulto. Brandì uno stile che +avea sotto la tunica, ritrasse colla sinistra la moglie, e vibrò un +colpo sul petto del giovane a nascondergli la lama nel cuore sino al +pugno. Il ferito gittò un grido gorgogliante, prosciolse le membra e +cadde morto sulle gambe di Popidio. + +Uno a poca distanza, ch’erasi rivolto alle parole della contesa, disse, +levando le braccia: + +— È Anicato che han morto! A me, voi da Nocera! — + +Erano molti gli accorsi di quel paese alla festa. — Ognuno dal seggio +su cui si trovava, accorreva furioso, e pestando confusamente gli +assisi e i tranquilli, iva bociando: + +— Morte ai pompeiani! Gli Dei ci aiutino. — + +Ed anche questi infellonirono alla lor volta. — E i più forti che non +avevano armi alle mani, ghermivano i Nocerini e gli scaraventavano alle +fiere. E gli altri alle coltella. — Sangue nell’arena. — Sangue sui +gradini. — La confusione era immensa. + +Intanto un uomo insatanassato vien barcollando tra i caduti e i +fuggiaschi. + +S’imbatte con Popidio, lo teme avverso, lo ferisce, e va innanzi. +Questi cade nelle braccia dello amico. Trattolo a stento tra quella +calca, di peso, nel _deambulacrum_, lo posa per le terre e se +gl’inginocchia vicino. La ferita ricevuta nel petto era mortale. + +— Plilia!... o mia Plilia!... mai più... — + +E prese la mano di Sestilio e l’appose sulla piaga per arrestare la +emorragia che gli toglieva le forze. + +— A Plilia tutto che mi appartiene. Una delle mie case... a te... in +memoria mia... O Plilia, ultimo amore e forte amore! — Prendi questo +_symbolus_ che racchiude la gemma... la testa di Bruto... guarentisca +le mie volontà estreme. — Affranca i due servi ancor schiavi... + +— Iniquo il coltello che ti uccide, o amato Popidio! + +— No!... Mi aiuta ad escire da questa immonda cloaca dello impero, ove +io era in ritardo. Veggo già i vasti orizzonti della vita nuova.... Vi +rimaneva — credilo — per lei... per te... Sento che le estremità si +raffreddano... La vista s’indebolisce... non veggo più... Un bacio e +l’ultimo... O Libertà... Italia!... + +Era morto! + +Dei Nocerini fu fatto empio macello. — Armi — sassi — unghie — tutto +usato per la vendetta dalle due genti. Ma vinse la plebe pompeiana che +aveva la festa in casa. Rari quelli che potessero fuggire o appiattarsi +finchè il furore scemasse. E i feriti, e gli storpiati, e il pianto dei +padri e dei figliuoli corsero nell’Urbe per chiedere vendetta a Cesare. +Il principe rimise la causa al Senato. — E il Senato ai consoli. — +E Vipsanio e Fonteio la ritornarono ai padri. — I quali vietarono +ai pompeiani lo aprir ludi gladiatori nello Anfiteatro per dieci +anni. Disfecero le compagnie degli accoltellanti fatte fuori legge e +sbandirono Livineio Regolo e i primi rissanti dalle terre d’Italia. + + _C. Sextilius Ampliatus Acutilio suo._ + + _Pompeis._ + +_Maximis et miserrimis rebus perturbatus sum._ — Popidio nostro non +è più. — Il coltello di un Nocerino lo uccise nello Anfiteatro. — +Non so dirti quanto ho sofferto e soffro. — Il suo a Plilia, unica +consolazione della sua vita. — Or, conviene ella sappia la tremenda +novella. A me manca il cuore di scriverle. Agisci a modo, ed evita a me +il doppio danno. _Quid futurum sit, nescio. — Vale._ + + _Plilia Sextilio suo._ + + _Neapolis._ + +_Ego tamdiu requiesco, quamdiu ad te scribo._ Oh! il grande, lo +invincibile dolore per la morte di un essere amato!..... O Popidio...., +Popidio del cuor mio!... Misero! Sentisti tutte le sofferenze del fuoco +che non si spegne... tutte le morsicature del verme che non muore!... +Sono stata per tre dì senza vita esterna, ma pensando... e a lui che +non vedrò più. — Vieni, qui, o Sestilio, e piangeremo insieme. Vieni, e +potrò sopravvivere allo amico mio morto. — + + + + +LA STRADA. + +SCENE NOTTURNE IN POMPEI. + +=Anni di Roma 825 — Anni del Cristo 72.= + + + A GIUSEPPE LAVRIA. + + VIII. + + +Il giorno finiva — e il quadro che offrivasi agli occhi dei riguardanti +potea dirsi il più splendido che la fantasia di un poeta sappia mai +immaginare. Il sole dechinando celavasi dietro nuvole grandiose e +bizzarre, tinte di sangue. I suoi ultimi raggi infuocati baciavano le +onde quete del golfo ed indoravano le isole — formanti lo asserraglio +del Cratere — dall’Atheneum — il promontorio di Minerva — al capo +Miseno. Il mare immenso, confuso il suo limite coll’orizzonte e +scintillante ai riflessi di quella viva luce, sembrava la fornace +in cui i Titani facessero la fusione e la miscela dei loro metalli. +Vedeansi da lungi bianche vele prendere il colore di quella zona +candente ed accennare al porto, formato dal fiume Sarno là dove +sboccava nel mare, tra i paduli pompeiani e le saline di Ercole, +dinanzi lo scoglio da cui toglievano il nome. + +Le vie della città cominciano per poco a farsi solitarie e chete. +Una fanciulla esce canterellando da una casa di gente doviziosa e +s’incammina verso la porta che mena all’oppido di Sarnus. Oltre il +_pomærium_ è un bosco ove una sorgente di acqua limpidissima aveva +riputazione di contenere proprietà salutari. Alla padrona era venuto il +capriccio di berne e la schiava obbediva. Un sentieruolo guidava tra +due verdi prati alla fontana, che gli alberi cuoprivano d’ombra e le +coppie amorose degli uccelli inneggiavano. — I sogni compongono le idee +di una mente giovanile, siccome le violette e le margherite sorridono +tra il fil verde delle erbe e danno tenere occhiate a chi passa. +Corista le ricambiava a quei fiori e deposta l’anfora, ricominciò il +suo canto distratta, ne colse un mazzolino e lo pose tra i capelli +e l’orecchio. Levatasi ed alzati gli occhi, vide presso il fonte, +appoggiato al tronco di un pioppo, un giovane vestito di una tunica +di colore oscuro, dagli occhi azzurri, dalla barba nascente e dalla +copiosa capigliatura bionda, i cui riflessi così bene si maritavano a +quelli dei verdi rami che si curvavano sulle acque. Altre volte aveva +veduto quel giovine nel tempio di Venere e nello Anfiteatro, ed aveva +dovuto chinar le sue luci dinanzi allo infiammato sguardo di lui. Molti +pensieri arruffati le fecero tremante il cuore e arrestossi. Ma il +giovane, indovinandola, con voce soave le disse: + +— I miei presentimenti non mi avevano ingannato. — Iside m’inspirava +che in questo luogo sì bello avrei trovato felicità. — Ed io sono +grandemente lieto di qui vederti, o fanciulla, e di poterti parlare. + +— E quale interesse ti spinge verso una povera figliuola di Corinto che +i propri parenti hanno venduto? + +— Quello che il piccolo Iddio alato mette nel sangue degli uomini +dell’arte mia allo aspetto del bello. Quando primavolta ti vidi, mi +sembrasti apparizione di cielo. — Ed ebbi sempre da quel giorno la +mente piena di te. — E nella casa di Scauro ho dipinto una Venere che +tutto ritrae dalla soave immagine tua. + +— Lusinghieri i tuoi detti. — Dallo accento non sembri di queste +contrade. Quale il tuo nome? Ove nascesti? + +— Olympio. — Di Athenas. — Di poveri parenti. — Qui venni chiamato +dalla fama per le pitture decorative. E pingo sulle pareti xysti, +foreste, colline, case di piacere ove si giunge a traverso un lago, +piscine, gente che va in battello, che caccia, che vendemmia, e +paesaggi fantastici con animali e con alberi. Pingo pur torri colle +cime verdeggianti di edere e di lauri; pergole sotto le quali gironzano +fagiani, pavoni e pernici; viali di bosso e gruppi di mirto tarentino; +e tra le aiuole di fiori, fontane dalle forme capricciose e bizzarre, +adorne di conchiglie e di maschere di marmo; portici con ricchi mosaici +e con cortine azzurre per guarentire dai raggi del sole; tempietti +ascosi tra gli oleandri della Laconia e le rose di Preneste; sedili +sormontati da un orologio solare sulla punta di un dirupo; statue di +filosofi, delle muse, delle iddie e di Priapo — interprete, stimolo, +dolcezza, delizia di questa razza orgogliosa arricchitasi colle spoglie +del nostro misero paese. — + +Qui Olympio si strinse colla mano la fronte, quasi volesse premervi un +pensiero affannoso; quindi, rasserenatosi alquanto, continovò: + +— Vedi, o Corista. Un quadro non finito ha per me un indescrivibile +incanto. Lo artefice gode nella inquietezza a nelle pennellate che +creano la composizione.... Ed io or mi pasco di una gioia secreta nel +dirti che ti amo, nel mirare questo abbozzato dipinto, che io non già, +ma tu puoi terminare. — E godo..... E temo..... — + +La fanciulla si fece rossa di bragia e, tendendogli la mano: + +— Sii il benvenuto nel mio cuore, o Olympio. — Tu non vorrai farne il +tuo trastullo, spero. — Vivo in umile stato presso la moglie di Pacuvio +Bleso. La mia padrona Aquilia mi ama. — Serba questi fiori del bosco +per memoria mia. + +— Grazie, o amore. — Sempre qui, sul mio petto. — + +E nell’atto che Corista appressò l’anfora al fonte per empierla, +il giovane artefice le baciò amorosamente la tempia. Ed insieme +s’incamminarono verso la vicina porta della città. + +Un soldato colle gambe in croce si appoggiava al pilo. Altri quattro +stavano ritti o seduti presso la stanza di guardia sotto l’arco. Poi +che i due giovani furono passati, la sentinella fece un gesto col mento +teso ai compagni. + +— Rata ne accenna che è una vestale. + +— Per Ercole! — La non farebbe spegnere il foco sacro per la faccia +tagliuzzata del povero Sammanara. + +— Lieto compenso e cinquanta colpi di verghe, o Kinnamo. Il suo +incesso, i suoi lineamenti mi ricordano una mia ventura nelle Gallie. +Grazie, o Mnemosine, del dono tuo! — + +Incontro ai due amanti veniva barcollando un avvinazzato. Era scalzo ed +aveva la tunica lacerata. — Appena li discerse, cominciò ad urlare con +voci smozzicate: + +— Là! Donde venite? — Hai fave o lupini cotti? Ah! Rapisti la mia +Sabina tu! Ridalla al misero Bibulo che la piange perduta. — Ti darò +in cambio un’olla con porri e testa di montone. — Ah! non intendi? +_Damnese bibimus, puer?_ Ti apprenderò il latino io! — + +E brandendo un nodoso bastone sul quale appoggiavasi, si piantò +loro dinanzi. — Corista, impaurita, si strinse alla persona del suo +protettore. — Il quale, afferrata la mazza nella punta, la scosse sì +forte che il beone andò per le terre lungo disteso. + +— Ah! tu Vuoi ch’io riscaldi la punta del gladio nella tua +iugulare?.... I piedi!... Chi mi tiene pei piedi! Aiuto! Feci le prime +armi con Cesare.... Rispetto al cittadino romano..... — + +Gli amanti, affrettato il passo, furono ben presto sul margine presso +la porta della casa di Bleso. + +— Salve, o divina creatura. — E il tuo nome? + +— Non tel dissi? — Corista. — Quando ti rivedrò? + +— Presto. — E un bacio sui tuoi begli occhi. — Vale. — + +E l’una entrò nel vestibolo. — E l’altro seguì la sua strada. — +Sulla rivolta, ecco che s’imbatte con cinque o sei giovanastri, quali +coperto il capo di un pileo, quali di un galero di lana, che ridevano, +parlavano alto e parevano esciti anch’essi da una cena inaffiata oltre +misura. Sghignazzando entrarono in una taverna vinaria, ove per solito +vendevasi vino annacquato. E per tale oltraggio fatto al figliuolo di +Giove e di Semele, ruppero i calici e le anfore del povero _ænopolus_ +e tirarono innanzi. — E vista mal ferma la porta di una bottega +di _salsamentarius_, la ruppero e sparsero per le terre i pezzi di +maiale affumicato e cotto. Così pure dispersero i budini di un povero +_botularius_, che corse dal piano superiore, ma troppo tardi, per +salvar le sue robe dal mal governo di quei beoni. + +Dinanzi il tempio di Romolo s’imbatteva con alcuni, seguiti da schiavi +e da liberti, schiaranti la via con torce o con lanterne di bronzo, +rotonde e chiuse coi vetri. — Gli è che al tramonto, detto vesper, +erano succedute le prime ombre, che addimandavansi _crepusculus_; +quindi era giunta l’ora dell’accensione delle lampade, _prima fax_; +una delle otto suddivisioni delle quattro veglie che costituivano la +notte romana. — Lungo tutte le vie vedevansi luccicare tizzoni ardenti, +lanterne di sottili foglie di corno, di tela oliata e di pelle di +vescica. + +Era raccolta una eletta brigata di amici nella casa di Pacuvio Bleso. — +Arricchito dal traffico colla Grecia e coll’Asia, aveva speso migliaia +di sesterzi per abbellire il suo nido. La porta di quercia, ornata +nelle fasciature di _bullæ_ — grossi chiodi di bronzo — aprendosi, +mostrava nel _prothyrum_ — un magnifico mosaico di piccoli cubi di +marmo bianco su cui campeggiava in nero un timone da triremi incrociato +con un caduceo. — A dritta e a manca erano la cella del molosso, +custode rabbioso colle zanne e colla voce; — e quella dell’_ostiarius_ +— il portiere — che, armato di lunga verga, chiedeva il nome dei +visitatori. Ascendendo pel piccolo corridoio, un uscio interno apriva +l’adito sur una bella corte quadrata, adorna di colonne doriche di +stucco bianco e tinte in rosso verso la base; le quali formavano un +elegante portico, comodo per l’ombra e per le comunicazioni interne. — +Chiamavasi _atrium_, perchè cotesta disposizione architettonica la fu +inventata in Hatria, repubblica primigenia della nostra nobile Italia, +sedente sul mare, tra gl’Interamni e i Picenti. — Davasi il nome di +_impluvium_ al bacino di marmo di Luni nel cui centro zampillava la +fontana, e a tutta la corte quello di _cavædium_. — Nell’angolo era il +_puteal_, margella di marmo, depositario dei fulmini di Giove, luogo di +devote espiazioni nei tempi etruschi, e più tardi margine del pozzo da +cui si traeva l’acqua pluviatile dalla cisterna. + +Dall’atrio si entrava nel _tablinum_, ov’erano gli archivi della +famiglia. E nel _triclinium_, stanza due volte più lunga che larga, +ricca di pitture; di colonne variopinte; di mosaici litostrati; di +statue dorate sopportanti lampade per la notte; di letti triclinari +di bronzo, a meandri di argento incrostato nel metallo, e coperti di +soffici cuscini di piume, chiusi in una stoffa di lana a ricami d’oro. +Eravi pure l’_abacus_, mobile di bronzo, situato presso la parete +centrale, in faccia ai triclini, sui quali i Pompeiani si sdraiavano +a metà nel banchettare, appoggiando il corpo sul gomito sinistro. +L’abaco, nei giorni di festino, sopportava vasi preziosi di vetro e di +argento, adorni di rilievi col nome del padrone e colla cifra del peso; +non che patere e coppe di cristallo, di vari colori. Il ricco mobile +abbellivasi di fasciature e di placche di bronzo cesellato, aventi nel +centro maschere sceniche rilievate di argento; e sopra, statuette di +rinomati artefici greci. + +I corridoi laterali, chiamati _fauces_, menavano alla cucina, agli +alloggiamenti degli schiavi e dei liberti, ed al piano superiore, ove +abitava la famiglia. + +In fondo dell’atrio aprivasi un portico più lungo che largo, detto +_peristylium_, che uno spesso cortinaggio di porpora riparava dai +raggi del sole e dalle intemperie. Quivi maggiore la magnificenza e la +raffinatezza del lusso. Fra ciascheduna colonna è una statua di marmo. +— Le pareti sono rivestite su tutta la loro altezza di tavole di rosso +o di giallo antico. Le colonne del portico sono di stucco, simulanti +l’oltremare, con leggerissime venature di piriti di ferro. Il pavimento +rappresenta un labirinto in mosaico, fasciato da un meandro greco. +La soffitta è divisa in compartimenti di legno col corniciame dorato. +Nel centro del porticato le cortine sollevate aprono gli sguardi sullo +xysto, giardino pieno di verzura e di fiori, che ha pur lauri e rose +dipinti sulle sue mura, con uccelli svolazzanti o fenicopteri posati +sulle loro gambe altissime. + +Sul lato occidentale del peristilio, un corridoio — avente sulla parete +di prospetto una icone pei Dei Penati — metteva a diritta nelle due +camere del bagno, ed a sinistra nello appartamento delle donne, ove +queste abitualmente si tengono durante il giorno per lavorare o per +ricevere le loro amiche. Coteste sale si addimandavano _æci_, e sono +dipinte a bizzarra architettura, con quadri rappresentanti Lucrezia +che fila, e Penelope che tesse, ed Achille con Deidamia, e Venere +nascente dalle spume marine, e Diana cacciatrice, tra uno zoccolo di +fondo nero con busti di donne a coda di delfini, o di uomini terminanti +con ornati capricciosi; ed un fregio di fondo pur nero, su cui sono +fogliami sviluppati in volute con fiori, dal cui calice esce tutta +la parte anteriore di un leone, di un orso, di un elefante. Mediante +una scala di legno si saliva ad un piano superiore, ove solevasi +intrattenere i bambini colle loro nudrici. Sul lato della casa era una +stanzuccia con armadi contenenti i papiri. — Su quello della strada, +il muro sopportava un terrazzo pensile, detto _solarium_, lungo quanto +l’_æcus_, con larghe finestre guernite di vetri, per garanzia del +freddo invernale, e di tele trasparenti per velare il sole di estate. + +Sul piano terreno dell’atrio, come su quello soprano, aprivansi le +_cubicula_, stanze da dormire, più o meno adorne, secondo le persone +cui erano destinate; e sull’angolo, nello incavo praticato nella parete +dalla parte del capo, posava il piccolo letto di _citrum_, specie +di cipresso salvatico di Mauritania, di soave odor resinoso, o di +terebinto, o di ebano, o di noce, o di quercia, i più ricchi sostenuti +da piedi di bronzo e gli altri di ferro. I cuscini erano di piume di +cigno, o di lana, ed avevano superiormente coperte di grosso panno o di +pelli di talpa ricucite. + +Dimore simili a questa di Bleso per vastità, per eleganza, per +magnificenza erano molte nella città di Pompei. Quella di Olconio +Prisco. Quella di Pansa. Quella di Sallustio. Quella di Cornelio +Rufo. Quella di Aulo Allazio. Quella suburbana di Tullio Cicerone, e +del ricco negoziante greco Agatocles. Quella di Mevio Apulo, ov’era +il fauno danzante in mezzo allo impluvio ed il celebre mosaico +rappresentante la battaglia di Alessandro il Macedone contro Dario +persiano. — Ognuna di esse è spaziosa quanto il podere solcato dallo +aratro di Cincinnato. E la casa del console Valerio Poplicola — il +quale s’ebbe tal soprannome dal popolo, perchè dopo la cacciata dei +re tolse le scuri dai fasci dei littori, ed i medesimi fasci di verghe +faceva deporre ai piedi della plebe allorchè si aprivano le assemblee +— poteva comodamente essere edificata entro lo impluvio pur dianzi +descritto. E la dimora di quel Catone — che non meno illustrò Utica +colla sua morte, che Roma per la sua nascita — era esigua quanto i +bisogni che quel savio si permetteva. — Cotesti esempi risplendevano +in antico. L’aquila romana non aveva spinto ancora il suo volo +glorioso su tutte le contrade dell’universo. Il Senato non accolto +i re supplichevoli sulla porta del Campidoglio. Nè i generali della +Repubblica distribuito i regni ai loro clienti. — Nei remoti tempi la +riputazione della virtù imponeva un sacro rispetto alla piccola dimora +di un grande cittadino. Nei tempi di cui discorro, il lusso della casa +dava fama al padrone, e si era riveriti per la fastosa ospitalità, per +la magnificenza degli arredi, pei sontuosi triclini, per le colonne dei +cortili, per le pitture delle camere, e pei marmi preziosi e rari che +coprivano le pareti ed i pavimenti. + +Pacuvio Bleso era un uomo in sui quarant’anni. Un giorno, preso dalla +malinconia, decise di ammogliarsi. — Diede allora un vale alle gioiose +e procaccevoli avventure, e si sacrò intero ad Aquilia, donna dallo +spirito fecondo e svariato. Era della famiglia Rufa, e nel vederla +ciascuno diceva: «Io la preferisco ad ogni bella.» La sua persona era +il velo trasparente di un’anima pura e soave. Buona cogl’inferiori, +benevola cogli eguali, le sue amiche non l’avevano mai disertata, +come colei che non sapeva urtare nelle individuali vanità, causa di +veri dolori nelle donnesche coscienze. Se nelle intimità avvenivano +involontari disgusti, un suo sorriso, un suo sguardo, una parola +gentile toglieva il peso da ogni cuore e diradava ogni nube. + +In quella sera una dolce armonia, un cinguettìo di voci, una splendida +illuminazione escivano dal peristilio, le cui cortine erano aperte dal +lato del giardino giuncato di fiori. L’allegra brigata erasi aggruppata +e disposta con leggi intelligenti. Numilla, figliuola di Osculo, aveva +nel disegno e nella espressione dei suoi lineamenti, quel tipo di greca +bellezza, che le statue a noi tramandarono. Il naso formante una linea +colla sua fronte; gli occhi che aprivano sotto i lunghi cigli neri le +loro profondità di colore azzurro; il collo svelto, l’aitante persona, +le tornite proporzioni palesate dalle graziose muovenze delle membra, +facevano di lei la più avvenente fanciulla che fosse nella Colonia. +Il padre suo, facoltoso, augure e da poco assunto al sacerdozio, +l’amava quanto le sue pupille ed intendeva maritarla ad un cavaliere +romano nell’Urbe. Domna, la figliuola di Agatocles e di Ulissia, +abitanti nel sobborgo Felice, era del festoso ritrovo. La giovanetta, +bruna di carnagione, un po’ paffutella, e soltanto leggiadra per la +sua freschezza. Eravi Arrunzia, moglie del questore Vinicio Oveo. +Sedeva a lei da presso Charmis, il famigerato medico di Massilia dei +Focesi, il quale le parlava in greco, non dovendo un distinto della +sua professione parlare altra lingua, quantunque sapesse che la sua +interlocutrice fosse romana ed ignara. Stranezza della moda, la quale +costringeva ad aver fede in uomini ed in cose — costosi ambedue — e +per sopra ciò inintelligibili! Nè vi mancava una delle migliori amiche +di Aquilia, la innocente, la buona Lollia Valeria, un flore profumato +dalla virtù. Non era bella, ma aggradevole. La bocca grande, le +labbra grosse. I denti regolari, bianchissimi. Lo sguardo attraente, +inesprimibile a traverso la frangia dei suoi lunghi cigli. Avea sedici +anni quando la doventò sposa ad Anneo Nella Ceriale, uom grave, duro +e romanamente marito. Laonde s’ella sentiva il sole nella testa, negli +occhi, nel cuore, egli il freddo calcolo, le ambizioni municipali e i +momentanei capricci. — Erano corse dicerie su cotesta disparata unione. +Gli è che un giorno la giovanetta si avvide che la sua grazia, l’olezzo +dell’anima sua, i cantici affettuosi della sua mente erano accolti con +svagato sorriso e non assaporati. La povera delusa pianse, si nascose +e disperata chiedeva la morte. Ma una situazione nuova venne d’un +tratto a sorreggere la idealità del primo istante delle sue nozze. Un +pegno doloroso, gradito potea consolarla e riallacciare i legami che +la sua dignità di donna offesa le aveva fatto rompere e che stimava +rotti per sempre. Già Pollutia, di L. Cornelio Orfito, era passata col +vagabondo suo cuore ad altre ebbrezze. Nella solitudine di una valle +presso Sorrentum erale nata Flavilla, lo anello di unione tra lei e il +divagato Ceriale. La emozione nuova e nervosa aveva vinto lo egoista. +Lollia, augurandosi una trasformazione duratura per lo avvenire, +consentì a riedere in Pompei. E mostrandosi pubblicamente lieta, i +pettegolezzi stanchi si erano acquetati per lo alimento esaurito. + +La giovane Corista suonava per intanto l’arpa nello xysto, sposando +la vibrazione delle corde all’armonia della voce. Essa cantava un +inno all’Amore, nello idioma natìo; e la musica, e il dolce accento, +e la inflessione vocale, tradendo lo ardore secreto dell’anima sua, +innondava di delizio quel luogo, sino a rapire il pensiero e a deporlo +incantevolmente nelle valli amene della Tessaglia, e nei sacri boschi +di mirti e di aranci in Pafo. Pochi, e ad intervalli, badavano alla +bella schiava. La quale parea cantasse per proprio diletto, e lasciava +correre agili dita sulle corde, come avrebbe fatto correre i piedi +sur un prato verdeggiante. Più degli altri Numilla — allorchè nessuno +la interrogava — sembrava viaggiasse cogli occhi nelle regioni ideali +dell’armonia. Essa piacevasi di quest’arte che già s’insegnava come +complemento di accurata educazione, da che Silla avevala nobilitata in +Roma collo esercizio del canto. + +La immaginazione, prigioniera delle altrui volontà — appena sente +chiasso e tumulto — rivoluzionaria d’istinto — riprende la sua +indipendenza e il suo isolamento, si seppellisce nei propri capricci, +vola sulle ali dorate di un sogno, o si raccoglie in un pensiero +delizioso; e i suoi accenti ricordano i luoghi secreti e cari ove si +è vissuto la vita di un affetto, ed aprono allo sguardo dell’anima le +raggianti dimore che la lusinghiera speranza apparecchia dopo il sonno +della materia. — La bellissima pompeiana era in mezzo a fantasmi tristi +e graziosi evocati dal proprio cuore, e il suo sguardo fisso e profondo +or volgevasi alla schiava gentile, or alla padrona del luogo. La quale, +leggendo nel pensiero quello che le labbra non ancora dicevano, si +curvò verso di lei, le prese amorosamente la mano e le disse: + +— Numilla, la sorte della misera schiava è un errore del fato. Hai +ragione. Convien ripararlo. La delicatezza dei tuoi sentimenti +l’ha fatta libera. — Corista, fletti il ginocchio dinanzi alla +tua liberatrice ed amala come sempre mi amasti, o povera figlia di +Corinto. — + +La nobile giovanetta — nello udire così delicatamente tradotto il suo +secreto pensiero — sentì più profondo il fuoco di quel sentimento in +cui bruciano le anime martirizzate dalla sventura, e pianse. E più fu +commossa nel sentir lacrime e baci bagnar le sue mani. Era la bella +greca ch’erasi gittata alle sue ginocchia e spandeva a riprese le +sue carezze or sulla padrona or sulla sua amica, ripetendo nelle due +lingue: + +— _Libertas!_ Ἐλευθερία! _Libertas!_ Ἐλευθερία! — + +Quindi, levandosi e volgendo la testa indietro, incrociava le mani sul +petto ansimante e diceva: + +— O Dei della mia patria! Quante felicità in un sol giorno! — + +Gli astanti furono più o meno scossi di quella scena a seconda dei loro +caratteri. Charmis però più di tutti, malgrado le abitudini austere +della sua educazione, che gl’imponevano le reticenze del cuore. Laonde, +appressatosi alla signora del luogo, aggiunse alle parole degli altri — +ch’erano meglio frasi che sentimenti: + +— Grazie per lei, per tutti, per me alla grande generosità del tuo +nobile atto. — + +In fra tanto che tali emozioni accadevano nello interno, eranvene e +di più vive anche al di fuori. Olympio, in preda a quei pensieri che +indìano un’anima — ed in particolar modo quella di un artista — era +appoggiato colle spalle ad un muro rimpetto ed avea fra le dita una +rosa, la immagine apparente della persona amata. Si tolse dal capo una +corona contesta di erbe odorose e di fiori di granato, l’appese con un +chiodo presso la porta della casa di Pacuvio e tratto uno stile, graffì +queste parole sullo intonaco: + +— Corista. — _Vale, mea sava. — Fac me ames._ — + +Indi si allontanò. — E sentì nel suo petto quelle cose viventi, sublimi +e sacre ai cuori che le racchiudono — e troppo spesso vacue, ridicole +e misere alle menti profane, verso le quali sono trasportate dal giuoco +indiscreto del fato. + +Aveva scambiato pochi passi, quando sentì dietro di sè un confuso +rumore di voci. — Si volse e vide una luce rossastra sul tetto della +casa pur dianzi lasciata. E l’_ostiarius_ suonare una campana ed +urlare: + +— Il fuoco! Il fuoco! Chi passa ne avverta la coorte! Sia prevenuto il +prefetto dei vigili! È la casa di Bleso che brucia! — + +Olympio corse anch’egli gridando a tutta gola come un forsennato. — +Quanti incontrava erano presi dalla stessa smania. — Ed ecco accorrere +dal posto vicino alle Terme una frotta di affrancati, condotti dai +loro tribuni. — Avevano nelle mani i _pubblici siphi_; le scale; le +secchie; le spugne e gli stracci legati sulla estremità di lunghe +aste; le accette e i graffi di ferro annodati sulle punte di grosse +corde. Cotesta gente penetrò nella casa alla rinfusa con Olympio. — +Lo incendio, sorto nella cucina, lambiva colle sue lingue di fiamma +la soffitta dell’_œcus_. — Le donne e i fanciulli piangevano. — Gli +schiavi domestici — invece di occuparsi di quel sinistro — usavano le +scuri per abbattere gli usci che racchiudevano le provviste. — Olmasio +— il _tricliniarcha_ fedele già affrancato dal suo padrone per la sua +virtù — armato di un nerbo di bue, faceva piovere una grandine di colpi +sulle braccia e sulle teste di quei ribaldi e di altri ancora venuti +di fuori per profittare di quel disordine ed esercitare impunemente le +loro rapine. Le grida di dolore, le cose cadute, lo agitarsi confuso +di chi fuggiva impicciavano potentemente i soccorsi e gl’intelligenti +lavori comandati dai tribuni. — Ma il prefetto dei vigili, Martorio +Primo, architetto della città, e lo edile Q. Postumio Proco, accorsi +cogli operai, coi _saccarii_ — i facchini da grano — e coi propri +liberti, spensero ben presto il focolare dello incendio, senza aver +bisogno di abbattere il terrazzo pensile ed una casuccia vicina — come +altri già proponeva — a fine d’impedire che il flagello si distendesse +più oltre nella città. + +Olympio, penetrando cogli altri nella casa minacciata, corse per +le stanze come un limiero per togliere dal pericolo la fanciulla +che amava. E la trova tra le braccia di Cillica — la figliuola del +tricliniarca — ambedue impaurite e bianche, quasi statue di marmo. — Il +riflesso della fiamma parea coronasse di un’aureola raggiante le loro +capigliature. + +— Vieni! Salvati, Corista. — + +E la prese per mano. — E la condusse verso la strada. — E sì dolce era +la scambievole loro emozione, che camminarono, egli senza dir altro, +essa senza rendersi conto di quel che faceva. — Colà giunti: + +— Vedi, o amore, quello che avea graffito per te. — + +Al lume delle vampe essa lesse, si strinse al petto dell’amico del cuor +suo e mormorò nella vertigine dei sentimenti diversi: + +— Io sono liberta... La buona padrona,... ed una giovane, bella come +Venere pudica,.... cancellarono con atto generoso i destini della mia +vita. + +— Oh! I Giunoni sieno ad esse propizi. E i Geni allontanino ogni +disastro dalla casa di Bleso. — Correndo in cerca di te, vidi il danno +non grave. Il fuoco sarà presto spento. Non così quello che mi brucia +il sangue di un amore impetuoso, esclusivo, che ha preso possesso di +tutto me stesso. — + +Anch’ella ardeva di quella fiamma. Ma non lasciò fuggire una sola +gocciola della lava che bolliva nel suo cervello. — Era stata molto +infelice. — La emozione nel sentirsi restituita d’un tratto la vita +dell’anima e la vita del cuore, che la crudeltà dei parenti le aveva +niegato, la soffocava. Grosse lacrime le sgorgavano dagli occhi e le +bagnavano il viso. — E l’altro: + +— Celeste creatura! — Musa dell’arte mia! — Nati di uno stesso sangue, +l’altrui pietà fece eguali le nostre condizioni. — Come te io sentiva +il vuoto nei luoghi profondi. Come te or li sento colmati da un +sentimento che nega il patto allo spazio. — Consenti tu a chiamarmi... +fratello? — + +La giovanetta lo guardò fiso, gli fe’ cerchio colle sue braccia e, +soffusa di subito rossore, balbettò con voce lenta e indistinta: + +— Sposo mio!... — + +Lo amante, coll’anima innondata di gioia, prese colle due mani il +capo, ch’essa aveva nascosto sul petto di lui, e lo cuoprì di un bacio +di fuoco. Le vere nozze — quelle dell’anima, cui Dio assiste — erano +compiute. Il rituale della legge al domani. + +Olympio e Corista si separarono. + +La signora della casa e le persone ch’erano venute la sera per +visitarla, accompagnarono questa presso una famiglia amica. Lungo la +via, lamentando lo accaduto ed offrendo consolazioni, ognuno stringeva +sotto la tunica un arnese di argento o di avorio, atto ad allontanare +il fascino ed a distruggerlo. + +Intanto Pacuvio, oltre i pensieri che lo tenevano inquieto, e gli +ordini che dava ai suoi servi per lo sgombero delle suppellettili +dalle camere minacciate, aveva il sopracapo di vedersi attorniato +dai proprietari delle case vicine, i quali erano corsi a computarne +il prezzo con lui nel caso che le fossero incendiate. E due vecchi +liberti, arricchiti dalle usure — Cancer e Toctucio — ne addoppiavano +lo esagerato valore, per poi trarne il loro pro, comperando di proprio, +o dividendo coi padroni il grande lucro che avevan saputo ritrarne, +mercè loro, dall’altrui sventura. — Cotesta iniqua speculazione era +stata inventata di corto da Crasso, il censore, lo amico di Bruto +e di Cicerone, che pur dicevasi amico alla libertà e alle antiche +instituzioni della gloriosa Repubblica Romana. + +Erasi fatta l’ora del _conticinium_. Laonde, ai tanti rumori confusi +e a quel grido disordinato che aveva empito l’aere sino a quel +punto, avrebbe dovuto succedere un po’ di silenzio. Ma in una città +meridionale lo strepito notturno affievolisce; si tace in qualche +strada; pure onninamente non cessa. — In una storta viuzza, le cui case +avevano sull’uscio lanterne di terra cotta di forme bizzarre, erano +donne assise, o sghignazzanti in piedi e bisticciandosi a proposito +di nulla, poco vestite da un leggero velo di Coa, e qualcuna anche +sdegnosa di quello incomodo velo. — Erano le sentinelle avanzate della +Venere Pompeiana. — Continuando più in giù, traversata la strada +della fontana, il cui bacino è arrotondato, presso una _cauponula_ +— locanda di poca importanza — era un soldato allor allor arrivato +dall’Urbe, il quale cercava di metter pace fra tre male femmine che +coi capelli discinti, e gli occhi sbarrati, e le voci alte e roche +se lo disputavano a vicenda con graffi e villane ingiurie. — Vibio +Restituto, che aveva fatto lungo cammino e intendeva riposarsi e — +dalla iscrizione lasciata sulla parete della camera dove dormì, — +pareva preso di fedeltà per la urbana sua, perduta la pazienza, disse a +Clodio — commilite e compagno di viaggio che erasi tratto in disparte — +una breve parola. Lo effetto fu prodigioso. Una secchia d’acqua versata +su quelle furie le rese chete d’un tratto e lontane. + +Nelle vie vicine erano ubbriachi che misuravano il selciato coi loro +piedi vacillanti, e si appoggiavano sur un bastone resinoso già spento, +o colle mani aperte, sui muri. — Uno diceva: + +— _Ego monere te possum, Miccio. Corrigere non possum._ — Quante volte +dissi allo stomaco: — Per Ercole! Finirai per bruciarmelo il povero +cervello!... E come ho a reggere io che sono _tractator_ nelle Terme +al calore del _sudatorium_, massando e frizionando i bagnanti? Ahimè di +me! — + +— Ohe! Miccio. — E di che gracidi? Veramente non è cotesta la tua +strada... _Nemo flammis ustus amare potest._ — + +Un altro, urtando in una di quelle pietre ovali — ponti di passaggio +nei grandi rovesci di pioggia — diè una capata solenne sul sasso. — +Alcuni mossero ad aiutarlo; chè il vino fa caritatevole e pietoso il +cuore. — Ma più si provavano a rialzar quel tapino, grondante sangue +dalla fronte rotta e dal naso pesto, e più il ricacciavano per le +terre, cadendovi tutti insieme. + +— Ah! _Venus scratia!_ Credeva di aver afferrato il tuo crine biondo... +Ed urtai nel martello della porta del tempio. — Indietro, o beoni... +Lasciatemi tranquillo con lei. — + +Non lungi di quella strada cessava il frastuono delle voci lamentevoli +ed irose. Due, sommessi parlavano. — Una vecchia ed un giovane. + +— Di’, sei tu quello che ha graffito sul muro il monito della Iddia +pompeiana? + +— Fui. + +— _Odisti tu nigras puellas?_ + +— Mai no. Io le amerò sempre. + +— Tiche ebbe pietà dei tuoi ardori. — Va sotto il _solarium_. — +Chiama a nome la mia padrona ed essa ti scenderà con un filo la chiave +dell’uscio. — Gli Dei ti sieno propizi! — + +Il giovane accorse desioso. — Guardò in alto sul terrazzo sporgente. Un +lume pallido e poi più acceso illuminò i vetri. — Egli mormorò il nome +della donna bruna e salace che da parecchi giorni seguiva per tutto. — +La finestra si aprì. — La chiave discese. Aiutandosi col dito, trovò la +toppa. — Diè due giri e una spinta... + +Un molosso senza abbaiare lo addenta e, agitando la testa, gli straccia +la tunica, l’afferra e la straccia ancora e lo tiene. Un vecchio aizza +il cane colla voce e con un bastone trebbia il mal capitato. Il quale +grida, e prega e fa sforzi violenti per fuggire. Ma il cane lo azzanna +per un piede. — Il marito geloso picchia come sopra un sacco di lana. — +E Tiche di sopra sorride. Perciocchè, egli avesse graffito sul muro le +seguenti parole: + + _Candida me docuit nigras odisse puellas._ + _Oderis, sed iteras. Ego non invitus amabo._ + _Scripsit Venus physica pompeiana._ + +Quando quei crudeli lo abbandonarono, lo scalzo di un piede e +zoppicante, corse verso la crocevia dalla fontana colla testa +di Giunone. Più in giù, alcuni ch’erano fermi dinanzi una casa +dell’angolo, udendolo lamentarsi, gliene chiesero la cagione. +— Il misero giovane — che aveva nome Virgula ed era padrone del +_mycopolium_, nella via di Mercurio, ove vendeva gli aromi in uso pei +sacrifici e pei funerali — stava per rispondere forse una menzogna, +quando vide escire dal prossimo usciolino alcune donne curiose dei +fatti suoi, imbellettate, vestite di toga maschile ed aventi sul capo +tosato una _picta mitra_. — Ebbe orrore del luogo e della compagnia +che il duro fato gli avea procacciato. Quantunque fosse pesto e ferito +in più parti della persona, rifiutò le offerte d’idromele e di vino +caldo da Svezzio, — quegli che aveva restituito lo albergo dello +Elefante. — E partì, appoggiandosi al braccio di Phœbo, unguentario di +sua conoscenza e cliente assiduo di quei luoghi, il quale lo avrebbe +accompagnato a casa, non lungi dalla propria. + +L’ora del _concubitum_ — che i nostri padri chiamavano anche +_intempestum_, per indicare che il sonno fa intempestiva ogni +occupazione — era l’ora di veglia involontaria per alcuni uomini +destinati a fabbricare il pane ed a cuocerlo per la comodità dei +cittadini. Cotesti infelici obbligati al lavoro durante la notte, non +avevano intero il giorno feriale mai. Abbrutiti dallo eccesso del loro +còmpito, e dalla miseria; — coperti di cenci e lividi di frustate; — +colle pupille sanguigne dalla veglia e dal fumo del forno; — piccoli, +magri e rasi nel capo perchè i capelli non cadessero nelle impastate +farine; — pallidi e fatti anche più pallidi dalla farina di cui erano +coperti, parevano meglio spettri che uomini vivi. — E siccome per lo +più erano schiavi fuggitivi — e ne avevano il marchio di fuoco sulla +fronte — il padrone gli facea lavorare coi piedi chiusi da anelli di +ferro riuniti da breve catena. + +Nelle _pistrinæ_ — così chiamate perchè sino all’anno 580 di Roma ogni +famiglia pestava il grano nei mortai in casa, e le donne fabbricavano +il pane — v’erano le _molæ jumentariæ_ e le _molæ manuariæ_ — cioè +— molini girati dalle bestie o dagli uomini. Nell’isola di Sardegna +sono in uso anche oggidì come ai tempi di cui queste carte. — Nel +centro di un atrio tetrastile, a giusta distanza, erano grosse pietre +cilindriche, simili a coni tronchi, riunite nella parte più stretta. +— Le pietre, porose e di colore grigio-nerastro, riposavano su una +breve base circolare. — La parte del cono fissa addimandavasi _meta +molendaria_ ed era congiunta alla base. La parte mobile del cono +superiore, detta _catillus_, aveva un’armatura di legno fissa presso +lo addentellato libero nella pietra; ed era congegnata in modo, da +sostenere il catillo e da farlo girare, dando al grano il passaggio +graduato per macinarlo, e far cadere la farina nel bacino circolare. +La quale era divisa nelle sue qualità da stacci di crine di cavallo di +varia finezza. — In una camera erano tavole orlate di pietra, ove si +amalgamava la pasta col lievito salato, che aveva il peso di ettogrammi +2.17 per ogni _modius_ di farina. + +A diritta delle macine trovavasi il forno. Sotto, il cinerario. — +A lato, un’anfora spezzata, contenente il buono da impolverare la +pala, perchè infornando, il pane non vi si attaccasse. — Sopra l’arco +della bocca, fatto di mattoni, solevasene porre uno come chiave, +rappresentante un _phallus_; e spesso vi ponevano la iscrizione, _Hic +habitat felicitas_. — Presso una parete laterale dell’atrio aprivasi +un pozzo. — E siccome l’uomo fu, è, e sarà sempre un ente pieno +di stupidezze, di pregiudizi e di strane paure, consigliato dagli +interessati sacerdoti, il panettiere riconobbe nella deessa _Fornax_ la +patrona del suo mestiere. E le fece un altarino sul muro e le offerì +pane di fior fiore, acquatico, partico e picentino col mezzo dei suoi +ministri impostori e scrocconi, i quali lo mangiavamo per lei. + +Quei miseri operai, cospersi di sudore, noiati dalle mosche, resi quasi +ciechi dal fumo, estenuati dalla fatica, emunti dai sacerdoti, erano di +notte assediati dal rifiuto dei trivi che lor vendeva lo amore per un +pugno di grano. — Gli è perciò che quelle donne erano distinte col nome +dispregevole di _alicariæ_. — Eppure! Quanti miseri schiavi saranno +stati debitori a quelle derelitte creature di un obblìo ben fuggevole! +Il quale, spegnendo per poco il tarlo della disperazione, dava loro la +forza di traversare gli spazi immensi sulle ali che il solo amore — o +ciò che a lui più somiglia — sa aggiungere! + +Molte strade eransi fatte deserte. Non tutte. — Tratto tratto udivasi +sul selciato il rumore dei sandali col tallone ferrato di qualcuno +che passava. — Erano i _popes_, i sacrificatori vittimari, — altra +emanazione del sacerdozio — i quali andavano di celato a vendere ai +tavernai la parte dei buoi e dei montoni, offerti dai credenti agli +altari dei Numi, ch’erano di troppo pel triclinio del tempio. — Onde +quei luoghi si chiamavano _popinæ_ ed erano le botteghe di ristoro dei +villici e degli artigiani ordinari durante il giorno; e dei gladiatori, +dei soldati e degli schiavi lungo la notte. — Oltre le carni cotte vi +si vendevano lupini ravvivati nell’acqua salata; fave con cipolle e +lardo; ceci fritti; cavoli crudi a fette, conditi coll’aceto; polenta; +salcicce con aglio. — Tutte cose masticabili con pane di farina d’orzo +e di frumento detto _panis plebeius_. Un pranzo od una cena costava due +assi — dodici centesimi della nostra moneta. — Gli alimenti cuocevan +sempre ed in pubblico. — I banchi che sostenevano i fornelli — sui +quali erano incastrate tre pignatte di terra — vedonsi anche oggi +rivestiti di marmi di varia specie e colore. Sulla loro estremità è +un piccolo gradino che serviva ad esporre i commestibili e a tenervi i +vasi e le coppe. Una tavola di pietra, sulla quale si spezzavano o si +dividevano le porzioni, aveva i pesi ed una bilancia. Il padrone del +luogo era spesso un _lanista_ invecchiato o imbozzito, e perciò non più +adatto ai giuochi gladiatorii. Laonde selvaggio, brutale, vestito di +un _subligaculum_ — mutande di tela — o di una tunica lacera e sporca. +Una donna — detta _focaria_ — facea la cucina. Ed un’altra serviva gli +ospiti, sovente ladri, assassini, beccamorti e schiavi fuggiti dai loro +padroni. + +Quella che forma l’angolo sulla via e sul vicolo di Mercurio era la +più frequentata, perchè essendo presso il Foro e la dimora dei ricchi, +chiamava a sè facilmente i servi che li trasportavano in lettiga e li +accompagnavano con lanterne alle loro orgie e li andavano a riprendere +all’alba ubriachi. Nel fondo della taverna sono due porte che danno +accesso alle stanze di ristoro. Grossolane pitture bruttano le pareti. +Alcune presentano oscenità. Un quadro accenna a due uomini che traggono +il vino da un grande otre di pelle che è sopra un carro a quattro +ruote, da cui sono stati sciolti i due muli. Uno mesce a un soldato; e +sotto è graffita la iscrizione seguente: _Da fridam pusillum_ — cioè +— dammi un po’ d’acqua fredda. — Altri giuocano ai dadi e cioncano. +— Altri ancora mangiano presso un desco con due sciupate, il capo +coperto dal _cucullus_, cappuccio soprapposto alla loro mitra. Festoni +di salcicce e di frutti sono sospesi al soffitto di quel dipinto +triclinio. + +Tali le decorazioni del luogo. Tale la immonda brigata. — Un beccaio +provavasi a rilevare un sacerdote di Cibele caduto sopra i suoi +cembali produttivi. — Per poco in piedi. Poi per le terre ambedue. +— Un gladiatore mostra le nervose sue membra e brinda a Bacco che il +rese forte e invincibile nei ludi; e promette, nei prossimi, di ferire +Tigris, il numida, e mozzargli il capo, quantunque sia un buon compagno +e l’arteria del suo cuore. — La serva del luogo depone un _crater_ +sulla tavola e col _cyathus_ misura il vino che mesce nei _majores +calices_. — Il feroce l’afferra per la vita, e con un ruggito gioviale +la bacia sulla gota. La vipera si volge e gli dà un potente ceffone che +fece ridere gli avvinazzati. + +— Brava, Saïs. — Giù, un altro! — Tu puoi sbarbarmi, strapparmi i +capelli e mi piacerà per lo amore dei tuoi begli occhi. — Tò; un altro +bacio! + +— E a te un’altra labbrata, Scilex. + +— Ah! così?... Ebbene! All’ammenda! Ti coricherai bruco e ti leverai +crisalide. — Miracolo di Marte! — + +E il membruto la tolse di peso, quantunque la si dimenasse, e la portò +in un’altra stanza. — Nessuno badò alle sue grida. — Sopraggiungono +due donne. — Una suona una specie di flauto a due canne, detto +_sarranae_. — L’altra accompagna colle naccare i passi di una danza +lasciva. La truppa servile si leva, e salta e canta una turpe canzone. +Il prete di Cibele — pestato in un piede — si alza sonnacchioso, +raccatta i cembali, si contorce e sgambetta cogli altri. Al rumore, +tre che passavano per la via, entrano. Sono Tigris, Cappadox e Syro, +accoltellanti. — Escono dalla stanza Saïs e Scilex. — La femmina offesa +giammai perdona. — Ond’essa, a vendetta, rivela allo amante numida le +millanterie del compagno. Un subito rossore infiamma la fronte dello +insultato. Era un gigante, bruno di carnagione e dagli occhi di iena. +Si morse il labbro inferiore, e col pugno teso: + +— Cane rognoso! Mi rubi lo amore e vuoi anche la vita? O Romano, prendi +or cotesto dal figliuol del deserto! — + +Il pugno distesogli sul petto fece traballare il gladiatore avvinato. +Dalla parete che lo avea sostenuto, si cacciò innanzi a capo ricurvo. — +Ma tutti gli furono addosso e il ritennero. + +— Ha insultato un libero cittadino. — Lasciatemi. — Gli anni pesano al +barbaro. — Lo manderò a Caronte, senza l’asse pel suo tragitto. + +— Qui, di piè fermo. — E non vedete che la riflessione il consiglia a +morir di vecchiaia? — + +Tulnes — il padrone della tavernaccia — scorgendo che la cosa prendeva +il mal verso, avvertì che i galli già salutavano i primi albori. — +Riscosse il prezzo del ristoro da ognuno, salvo dal sacerdote che +russava, poi che il fecero smettere dal ballo, sotto la tavola. E +mise tutti fuor dell’uscio. — Chi per una via. Chi per un’altra. — I +_lecticarii_ s’incamminarono a coppie verso le dimore, dove la sera +avevano trasportato i padroni. + +Le ore notturne di questi somigliavano a capello a quelle dei loro +schiavi. Avevano crapulato — e oscenamente cantato — e portato sulle +spalle le loro amanti — e cioncato con esse — e caduti erano privi +di forza, in poco decenti posture, sui cuscini dei triclini. — Era +un’onta della natura umana il vedere come una grande prosperità avesse +degradato quel gentil seme latino e trascinatolo allo studio raffinato +delle male e vergognose opere! + +Nell’_aphrodisium_ di C. Sallustio non udivasi che il monotono +russare dei nove briachi di vino e di vizi. — Lo schiavo incaricato di +vegliarli, tirò le cortine del triclinio e vi fe’ penetrare i chiarori +dell’alba. — Alcune lampade sui loro alti candelabri erano spente o +fumigavano. — Altre ancor mandavano una fioca luce. Il pavimento di +marmo e di mosaico era sparso di veli cincignati, di corone di rose, +di rottami di cristallo e di anfore e di larghe macchie di cecubo. La +_comissatio_ era stata copiosa. + +Herma spinse col labbro inferiore il soprano in atto di chi dispregia. +— Crollò il capo e poi disse: + +— Oh!.... Ecco i padroni del mondo.... Povera patria mia!.... _Dî vos +eradicent!_ — + + + + +VENVS PHYSICA. + +SCENE DEL CUORE. + +=Anni di Roma 826 — Anni del Cristo 73.= + + + A ME. + + IX. + + +Sulla via Domizia, in faccia alla dimora del _chirurgus_ Hemos, +reputato per le sue operazioni conservatrici, sedeva una casa +fabbricata sulle antiche mura della città, le quali per decreto dei +decurioni erano state concedute ai mercatanti greci e di altre nazioni +per rizzarvi fondachi a terrazzo in faccia al grande canale del +Sarno, e su di essi le dimore per le loro famiglie. — Il popolo del +vecchio Latium, ed in progresso i popoli che, confederati o domati, +combatterono e conquistarono per lui, consumavano, non producevano. Il +bronzo, l’argento e l’oro carpiti ai vinti, mercè il formidabile pilo, +servivano al ricambio dell’avorio, dell’ambra, delle tazze di vetro, +della porpora, delle pietre incise, delle perle, delle vesti di lana +finissima e di seta, delle belle schiave, dei vaghi e procaccevoli +cinedi, dei piaceri offerti dai cuochi, dai mimi, dai gladiatori, dai +citaristi e dei conforti prestati dagli astrologi, dai sacerdoti e +da altri consimili ciurmatori. Il Quirite si fece aggressore per non +essere conquistato. Educato ed educante alla forza del corpo ed alla +vigoria dell’animo, dichiarò sino dai primi tempi il lavoro essere +faccenda da prigionieri e da schiavi; e sola, unica professione degna +dell’uomo libero macinare il grano e maciullare gli uomini. Fido alla +origine, elevò templi a Giove ladro — _Jovi prædatori_. — In Etruria +fecero spade e lance cogli assi di bronzo, fecero calce colle statue di +marmo. In Capua, in Cuma, in Poseidonia arsero gli artistici monumenti. +In Tarentum, in Syracosion, in Corinthum quei ruvidi soldati giuocavano +ai dadi sui dipinti dei grandi maestri. E quando i signori dell’Urbe +cominciarono a riflettere che le statue e le opere di pennello della +Magna-Grecia valevano ben qualche cosa, Lucio Mummio, uno dei loro +tribuni di militi, disse al nauta incaricato di trasportare per mare +quei capi d’opera a Roma. + +— Bada. Se tu gli affondi, e tu gli rimpiazzi. — + +I Romani di quei tempi avevano per calendario un chiodo che +martellavano ogni anno con pompa religiosa sul muro del tempio di +Giove nei primordi del settembre. Il giorno avea tre periodi. Una +libra di bronzo fusa in una forma grossolana bastava ai bisogni della +loro civiltà. La industria era affidata agli schiavi, e persino i +poeti escivano da quella classe disprezzata e reietta. — Tetragoni +sui campi di battaglia, sentivano un orrore istintivo pel mare e +l’arsione delle navi era la prima condizione di pace coi vinti. Anche +Ottaviano-Augusto, quantunque avesse vinto in Actium, confessava di +avere uno spavento invincibile dell’acqua. Un editto contemporaneo alle +prime lotte colla rivale Cartagine diceva quel popolo di mercatanti +pria vinti e poi schiavi. I Romani non si sarebbero mai abbassati al +mestiere dei vili e dei menzogneri. + +Or il commercio così disonorato dai vincitori e le inutilità dei +forti cuori divenute primo bisogno della vita civile, trassero la navi +cariche dalle sponde lontane, e su di esse i trafficanti e gli artisti. +I quali, ricomprata coi risparmi e colle usure la propria libertà, e +arricchitisi ben presto, dall’Urbe si sparsero, dovunque le opportunità +ed i facili guadagni gli richiamassero. Ne vennero anche presso la +nostra gente in Pompei, dove i Sanniti e i Romani, per uno spirito +di ripugnanza alle idee d’ordine e di pacifiche imprese, fattisi i +pensionari del mondo, mai supponevano che l’oro sì facile a spendersi +finirebbe per non più riprodursi. + +La casa sulla via Domizia era spaziosa e dall’alto si godeva lo aspetto +di un magnifico orizzonte — il largo canale colle circolanti triremi — +e sulla pianura, lungo la bella costiera, Oplonti, Retina, Herculanum, +Tegianum, Taurania, Cosa — e sul mare Capreas, la _sellaria_ gigantesca +destinata da Tiberio alle proprie turpitudini; Prochyta, detta da +Giovenale la porta di Baiæ; Pitecusa, cui soprasta l’Epomeo, monte di +forma bizzarra, tremulo ed ignivomo un tempo, in voce di schiacciare +col suo peso il titano Tifeo. + +L’atrio, coperto da una larga tettoia rettangola, circondava il +_compluvium_, a lato del quale era un _puteal_, scannellato, di pietra +calcarea. Le pareti allo intorno si abbellivano di pitture — una +cicogna passeggiante tra le ninfee di uno stagno — una nave di cui i +nauti ammainavano le vele — un prato con lepri saltellanti — un poeta +che legge versi ad una fanciulla, con un _locumentum_ ai piedi, ove +erano chiusi i papiri. — Cotesti dipinti erano separati da quadrucci +di maniera, grotteschi, di caricatura, detti _grylli_, eseguiti da +Peireico, messi in uso quasi generale da lui, e gli erano pagati più +cari che non le opere dei migliori artisti. + +Il pavimento era in _opus signinum_, incrostato di piccoli cubi neri +che tratto tratto, senza simetria rinserravano pezzi di marmo di tutte +forme e colori. Sur un angolo a sinistra posava inchiodata da un pernio +una cassa di legno, foderata di rame, cerchiata di ferro, guarnita di +due serrature e di numerosi ornamenti di bronzo. Nel fondo aprivasi +un _tablinum_ dal bianco musaico, dalle ricche pitture e dai due +lettucci laterali di cedro di Mauritania, coperti da cuscini di piume. +Gl’Italo-greci pingevano sulle pareti coi colori cementati coll’olio +e colla cera punica per difendere le tinte delicate dall’azione +dell’aria e della umidità. Lo encausto si usava di tre modi — al +cestro sull’avorio — colla cera colorita — colla cera liquefatta al +fuoco. — Quest’ultima maniera faceva il dipinto più durevole. I freschi +meglio pregiati si pingevano sur un intonaco chiuso entro una cornice +di legno che fissavasi sulla parete e poteva ritogliervisi quando si +voleva. I Pompeiani a cagione dei frequenti tremuoti solevano prendere +siffatta precauzione. Collocavano altrove le predilette loro dipinture +e al cessare del disastro le ricollocavano al posto. Quivi erano — +Meleagro, figliuolo del re dei Caledonii, che si accinge a dar la +caccia al cinghiale; ed Atalanta, vergine bella e fortissima, della +cui gagliardia l’altro s’innamorò, — e le nozze di Zefiro che scende +voluttuoso e si appressa alla vaghissima ed addormentata Clori, il +simbolo di tutta la vegetazione. — Dalla parte dell’atrio una spessa +stoffa di Tyro divisa in due _cortinæ_ ne chiudeva lo aspetto. Sul lato +opposto le innalzate tende davano accesso ad uno xysto quadrato con +ambulatorio allo intorno, posante sur un cripto-portico, rischiarato +al di sotto da quattro spiragli a cono che sollevavansi sull’arca tra i +pelargoni e le rose di Præneste. I giardini di tal fatta erano chiamati +_horti pensiles_. + +Cotesta casa, rispondente nelle sue varie partizioni a tutti i comodi +di un’agiata famiglia, apparteneva a Demophilo, di Rhodum, che da +dodici anni aveva fissato la sua stanza in Pompei. Numerosi erano i +suoi schiavi e spesso approdavano nel porto le sue navi cariche di +merci. Traeva dall’Africa le lane e i profumi; dalla Spagna, la cera, +il mele, i metalli; dalla Gallia, gli olii ed i vini; dalla Grecia, gli +oggetti di arte e di gusto; dalle rive del Ponto i cuoi e le pelli; +dalla Sardegna e dalla Sicilia, i grani. E tutte queste cose spediva +nelle città interne per suffragare alle abitudini dei ricchi, alle +ricerche degli effeminati, alle distribuzioni pubbliche dei magistrati +e del governo centrale del mondo, obbligato a soccorrere le miriadi dei +venturieri, dei vagabondi e delle popolazioni infingarde, abbrutite dal +dispotismo, affamate di viveri ed assetate di profumi e di spettacoli. +E quantunque Sallustio avesse detto che i Romani _pecuniam omnibus +modis vexant_, cioè, che tormentavano l’oro di ogni maniera; e Cicerone +nel suo libro dei Doveri; _Ne quidquam ingenuum potest habere officina? +Mercatura, si tenuis est, sordida putanda est; sin autem magna et +copiosa, multa undique apportans, non est admodum vituperanda. Nihil +enim proficiunt mercatores, nisi admodum mentiantur._ — cioè: — Che +può uscir di onesto da una bottega? Il commercio è sordida cosa se +tenue; è un mestiere tutto al più tollerabile se coltivato in grande, +e per approvigionare il paese. I mercatori non profittano senza molto +mentire. — Pure il nostro rodiano verecondo, caritatevole ed onesto, +coi suoi modi franchi e leali aveva inspirato la devozione nei clienti +e negl’infimi, la stima negli eguali, ed ogni maniera di onoranza nelle +genti d’imperio e nei ricchi del paese. + +E tutto questo Demophilo sapea meritare. Nato in un’isola, il suo +istinto viaggiatore e avventuroso lo aveva sospinto a slanciarsi nello +spazio schiuso dinanzi i suoi sguardi. Apparteneva a quella razza +ardita che scoprì e popolò i nuovi continenti; che disputò alle altre +nazioni i marosi del mare, come i Romani disputavano le montagne, +le pianure e le valli ai popoli che le coltivavano e non sapeano +difenderle. Da giovanetto avea navigato. E la contemplazione del vasto +orizzonte, e l’abitudine della immensità, e il perpetuo movimento +delle onde lo avevano fatto religioso, libero, intrepido, ospitaliero, +silenzioso come la solitudine, poetico come le notti, affabile come le +stelle che guidano i naviganti al porto desiderato. + +Alto della persona, di lineamenti regolari e piacenti, un poco curvo +dai pensieri e dai pericoli che aveva bravato, il suo portamento, il +breve sorriso, lo sguardo dicevano la tenerezza del cuore, la fantasia +inquieta della mente e le rassegnazioni della nobile anima sua. +Trattava colla vita come in molti casi aveva già trattato colla morte, +con una inalterabile dolcezza. Le gravi cure delle dovizie, i semplici +doveri della famiglia, lo esercizio delle severe virtù, il contatto +colla miseria che il circondava, la pratica gli avevano mangiato +a lento morso un po’ di poesia, un po’ di corriva bontà, un po’ di +grazia. Ma quello ch’era rimasto non erasi fatto lo egoismo che spesso +va a nozze colla superbia. Era meglio un sentimento melanconico, che +talvolta la gaiezza di un fanciullo derugava e la fede sanava. + +Passeggiando sotto il portico dello impluvio, chiuso nei suoi pensieri, +un uomo entra, stende la destra sulle labbra, _a facie_ — ciò che die’ +origine al verbo _adorare_ — e dice: + +— _Ave._ — + +Demophilo pone la mano sul cuore e poi offerendola al sopravenuto, +risponde: + +— Anche tu abbi il giorno lieto, C. Helvio Babinio. Quale novella a me +ti mena? Hai mercati a propormi? + +— No, amico. — Una cessione piuttosto. — Melissæa, quando tu qui +prendesti fissa dimora, aveva sette anni. Alle none di aprile ne contò +diecinove. I nostri Digesti indicano la età acconcia al matrimonio +allo uscire dalla infanzia — XIV anni pei giovani — XII anni per +le donzelle. — So che tu l’ami come la pupilla degli occhi tuoi. +So che a lei duole staccarsi dalle tue braccia, escire dalla casa +paterna. Finora, cotesta la cagione dei rifiuti. — Avranno a durar +sempre? — + +Demophilo sentì la idea sicura e rapida prendergli il cuore. Pur +dominandosi, forzò lo increscioso spettro a rientrare nell’ombra, ed +aggiunse con ansia affannosa: + +— Non io. La mia figliuola deciderà.... Quale il nome di colui che +aspira a coteste nozze? — + +— Cneo Vibio, lo edile... — Oh! non temere. I tuoi abiatici non gli +vedrai _ambigena animalia_. Nè saran detti _musimones, umbri, canes +ex venatico et gregario_, quasi fossero bastardi, o figliuoli di un +cavallo e di un’asina, o nati di un cane da caccia e di una cagna di +pecoraio. — No. — Quel magistrato ne ha scritto allo Imperatore, e gli +è giunto il permesso speciale _ne turpis maritus vixisset cum coniuge +barbara_. E a te procacciava il decreto che ti accorda il diritto di +cittadino romano. + +— Un dono con una mano! Un rapimento coll’altra! Sia! — Melissæa, o +Babinio, è una di quelle creature che di umano hanno solo lo inviluppo, +ancor tutto pieno di celesti profumi, tutto raggiante di lume divino. È +il mio consiglio, il mio tesoro... la vita.... — + +E qui premette colla mano il petto quasi frenasse i moti dentro. E +seguiva: + +— Le grazie coronarono la sua ragione. Ama le arti, i lavori donneschi +ed i giuochi del pensiero. Se Vibio è accettato — ed io ciò terrei a +grande onore — di gran cuore _despondebo filiam meam_. La interrogherò +per sapere se il suo cuor parli a favore di lui. + +— Oh! Non dubitarne. Io credo che le mela e i fiori di granato — +messaggeri della bella e gioconda iddia — abbiano dato giuliva risposta +a qualche vaso di Nola. — + +O Babinio indovinava, o il sapeva. Vibio aveva notato la gentile +persona nella necropoli, nei teatri, nei templi. A poco a poco erasene +perdutamente invaghito. E tanto più che la nudrice di lei un giorno gli +disse i rari pregi che più e più l’abbellivano. E saputo da essa come +la fosse nata alle none del quarto mese — ch’ebbe nome da _aperire_, +avvegnachè allora la terra apra il seme alla generazione — le aveva +mandato un vaso fittile dipinto degno dell’artefice e del donatore. +— Un genio alato, avente sul capo una corona di fiori, versa una +libazione sulla fiamma che brucia sur un piccolo altare. Sotto era +un’ape, e accanto si leggeva graffito καλή. + +La destinazione era chiaramente espressa dalla libazione che indicava +il dì natalizio e dagli aggettivi di _bella_ e di _soave_ dati alla +pecchia che in greco diceasi _melissa_. Essa aveva risposto con mandare +una corona di modeste viole avvizzite e portata da lei nella vigilia — +mele morsicate, perchè in ogni tempo e presso tutti i popoli il pomo fu +accetto messaggero di amore — e _rosæ vexatæ_, ch’erano il vero incanto +dello amor ricambiato. Marziale in un distico diretto al calore del +cuor suo, si esprime così: + + _Intactas quare mittis mihi, Polla, coronas?_ + _A te vexatas malo tenere rosas._ + +«Perchè mandarmi, o Polla, fresche corone? Preferisco le rose appassite +sul corpo tuo.» + +— Se così, meglio — χαίρε — Vado a far scaricare una grossa nave +caudicaria in cui ho vino, lardo, fave, schiavi ed acque distillate +dell’Asia. Gli affari sono il lievito del mio peculio. + +— _Quidquid tu tangis crescit tanquam favus._ Nettuno ti affidò il suo +tridente, e tu comandi ad Eolo di soffiare a tuo senno sulle vele delle +tue triremi. + +— Credi a me. _Assem habeas, asse valeas._ Ne hai? Ne avrai. — +Giammai però io vidi effigiata sul conio della moneta d’oro la faccia +sorridente della gioia intima e di una vita senza rimorsi. + +— _Vale._ — + +E si separarono. + +Intanto che coteste cose si erano pensate e dette tra i due +interlocutori, gli edili C. Vibio e Q. Poppæo, nominati dal popolo a +procacciargli i voti, l’annona e le feste solenni, erano in un vasto +locale presso il porto ad assistere alla distribuzione dei grani fatta +da una corporazione di misuratori. I littori, poggiando le mani sui +fasci, pendevano dal cenno dei magistrati. Una guardia di liberti +custodiva le porte dello edificio, facevano entrare i soli che avessero +una tavoluccia di ligustro, chiamata _tessera frumenti_, e picchiavano +gl’intrusi che non vi avessero diritto. + +Nei tempi primordiali della potenza di Roma l’ense e lo aratro +provvidero alla sussistenza del popolo. Quando il gladio rimase +solo nelle mani dei forti, le provincie italiche, sottomesse al suo +impero alimentarono le braccia di quei superbi che ormai sentivano +il dovere unico della conquista del mondo. E la Sardegna fu chiamata +_nutrium plebis romanæ_. E la Sicilia _cellam penariam reipublicæ_, e +_fidissimum Annonæ subsidium_. Ma venne un’epoca in cui le frumentarie +di Roma che esportarono i loro grani nei più lontani paesi, dovettero +chiedere anch’esse un alimento vergognoso al loro fertilissimo +suolo. Il Governo ne procacciò dalla Gallia, dal Chersoneso-Taurico, +dall’isola di Cipro, dalla Beozia, dalle Baleari, dalla Spagna, +dall’Egitto e dall’Africa. Il Mediterraneo divenne il vero lago +romano, facile via dai paesi frugiferi lontani. Si creò il Prefetto +dell’Annona, magistrato importante che veniva subito dopo i Consoli. +Era suo còmpito mantener l’abbondanza nell’Urbe. Pompeo ne fu investito +per cinque anni; ebbe quindici luogotenenti scelti tra i senatori; +ed al còmpito immenso aggiunse un potere immenso che gli permetteva +disporre a libito del pubblico tesoro, di muovere eserciti, di armare +navigli, e di essere nelle provincie il sopra ciò dei governatori +medesimi. I grani si prendevano per contribuzioni o per compra. Si +tenevano in serbo nei paesi frumentari e a seconda del bisogno una +flotta speciale, detta _sacra_, li trasportava pel Tevere inferiore +alle falde del monte Aventino, ov’era un porto che addimandavasi +_Navalia_. + +Una magistratura così potente non poteva piacere all’ombrosa monarchia +repubblicana dei Cesari. E questi istituirono gli Edili nelle Colonie +e i Pretori Cereali nell’Urbe. Nelle prime erano gli eletti del popolo. +In Roma lo imperatore gli sceglieva tra i patrizi a lui più devoti. + +Allorchè Caio Sempronio Gracco salì al tribunato propose una legge, +mercè la quale il grano sarebbe stato distribuito al popolo in ricambio +di un _triens_ — circa quattro centesimi di lira — per ogni modio, +mentre al Governo costava un denaro, cioè settantotto centesimi. +Cotesta legge, basata sulla eguaglianza, era iniqua nell’applicazione, +perchè demoralizzava le masse e ruinava il Tesoro. Ho letto su +parecchie pietre funebri del tempo, PERCEPIT FRUMENTUM, volendo gli +eredi del quivi sepolto attestare con orgoglio com’egli avesse fruito +della più bella prerogativa del cittadino romano, l’essere stato +nudrito a spese dello erario pubblico. Un altro tribuno, Marco Ottavio, +l’abolì e vi sostituiva la nuova che ammetteva alle distribuzioni +dell’Annona i soli necessitosi. Al cominciar della guerra sociale, +Livio Druso ravvivò la legge Sempronia che fu in seguito modificata +dalla legge Terenzia-Cassia. Clodio Pulcro limitò con una nuova legge +le liberalità frumentarie ai soli plebei proletari, e tolse un’arma +affilata dalle mani degli ambiziosi che in un popolo affamato avevano +sempre una milizia pronta allo insorgere e ai delitti. Gli è perciò che +dopo una grande carestia, Augusto ridusse a dugentomila il numero degli +ammessi all’Annona e donò dodici _frumentationes_ — una distribuzione +per mese — di proprio. + +Così in Pompei. — Sotto il portico del Foro i gratificati andavano a +far constatare il loro diritto e ricevevano l’ordine di distribuzione +in una _tesserula_, su cui era notato il giorno da presentarsi. Gli +Edili facevano misurare a quel portatore cinque modii di grano. I quali +pesavano in media centocinque libbre e per conseguenza ne producevano +almeno ben centotrenta di pane. Il pane cotidiano era adunque del peso +di quattro libbre e quattro once, ossia diecisette once per bocca, +supponendo una famiglia composta di tre individui. Cui aggiunti i +lupini, i ceci, i legumi che si avevano per poco; e le sportule e il +_panariolum_ che i patroni facevano dare pieni di carni e di pesci di +mediocre qualità, sul vestibolo delle loro case, alla folla affamata, +questa sì che poteva vivere; ma l’abbiettezza cresceva e la corruzione +ancor peggio. + +Cneo Vibio è avvertito che una donna al di fuori chiede parlargli. Esce +e vede Eulamia, la nudrice nella casa di Demophilo, che lo avvisa come +la sua padrona lo attenda nel tempio di Venere. La buona ed affettuosa +vecchia era contenta; non capiva in sè dalla gioia. E nello andar via +per raggiungere la sua figliuola di latte, parlava tra i denti frasi +inarticolate, accompagnandole con sorrisi e gesti che significavano +forse lo avvenire festoso cui essa credeva. + +Anche Vibio corse all’aperto. E risaliva dal porto alla città scuotendo +dall’anima la melanconia sospettosa che invischia i pensieri di chi ama +potentemente e teme. Lungo il tragitto, tutti lo salutavano. Egli però +alcuno non vide. Nè anche il selciato pareagli più quello che con passi +indifferenti tante volte aveva calcato. Tutto prendeva un’anima. Tutto +si trasformava al suo sguardo. Perchè dietro quelle mura che cingevano +il tempio e fra quelle colonne di stucco era la donna che sola a lui +donna sembrava, eravi il cuore per cui notte e dì il suo pur palpitava. + +Nel varcare la soglia, ei la vide seduta sur un banco sotto il portico +a sinistra. Nell’atto che vèr lei corse, essa levossi. E in tutta la +sua gentile persona era una gaiezza serena, luminosa, infantile come la +speranza, rischiarata dal suo sguardo azzurro e profondo. + +— Ebbene, ζωη και ψυκη, dolcissimo amore, qual nuova?... Che rispose +tuo padre a Babinio?.... E tu, richiesta, che a lui?... Ei, cittadino +romano,... tu mia eguale.... sai?... — + +La bellissima fanciulla distese la piccola mano affilata e bianca che +risplendette come una perla sulla mano bruna di Vibio. Quindi: + +— Tutto so, o mio... Il padre lieto, e io lieta.... Ciò venni a +dirti.... Oh! I nostri cuori sono le due ali che sollevano un’anima +sola sino al trono di Venere Urania che a noi arride propizia. — + +Quella soave creatura era tale da avvinghiare immediatamente un cuore, +e più e più quello che allor batteva dinanzi a lei i segni della vita +e della felicità piena. Ella era in una età in cui le impressioni sono +vertigini. Aveva biondi i capelli — non di quel colore rossastro od +ardente che venne alla moda dopo il conquisto delle rive del Reno e +che procurò ricco mercato a chi portò in Roma, in Capua, in Herculanum, +in Pompei le capigliature dorate delle donne dei Catti, dei Sicambri e +dei Germani. — Le sue chiome erano un’aureola che rivelava inquietanti +delizie alle bocche che vi si sarebbero posate. I suoi occhi cilestri, +da cui veniva un così dolce lume e tanta soavità di sguardo, erano +carichi di carezze, di amplessi, di baci. Il naso piccolo e un po’ +sollevato aveva un sorriso come l’hanno le labbra; ed anche queste, +spiranti nella breve curva la innocenza e il candore; ed il collo +svelto ed alabastrino; e la persona spigliata; e le proporzioni delle +statue di Fidia; e la grazia decente dello incesso trasportavano +l’anima nelle regioni armoniose dove si obliano tutte le amarezze della +vita. + +Pompei era invero la città del mondo in cui la grande divinità pagana +— che ogni culto posteriore non seppe mai disertare — era adorata con +entusiasmo maggiore. Vibio anch’esso nella età prima aveva sacrificato +alla onnipotente iddia. Ma la sua sviluppata intelligenza e il suo +fine criterio avevano calmato le irrequiete smanie e dettogli che pur +erano nella vita migliori problemi da sciogliere. La religione antica +l’ebbe tra i suoi miscredenti. Le sensazioni del cuore gli aprirono un +più largo orizzonte. Studiò i principii della fede novella. Sfatò ciò +che gli parve vaporosa illusione e fanatismo di neofiti. Pur l’uomo per +lui rimase uomo, e di tutti gli dei compose un solo dio — dio clemente, +misericordioso, benefattore. + +Or, un giorno lo amore — il quale non ha poi nel turcasso quei dardi +avvelenati che i poeti melanconici vi hanno immaginato — usò una delle +sue solite ribalderie, e fece passare dinanzi i suoi sguardi la bella +ed innocente Melissæa. Stimava molto Demophilo. Ed ei carezzò quel suo +fiore bellamente sbocciato nella solitudine della sua mente. A poco a +poco una passione profonda germogliò in quel cuore meridionale. Essa +divenne il suo dio. Essa, la sua Venere celeste. — Giovanezza — beltà +— grazia infantile. — Tutto il fascino di un amore che non costava +nulla alla virtù. — E poi egli amava la donna per intuizione, e il +matrimonio per istinto. Melissæa era bionda, ed il bruno eragli odioso. +— E nel vero cosa è il bruno? È l’ombra. È la negazione della luce. +È una tinta, e nessun colore. Venere era bionda. È biondo l’oro. La +fanciullezza e ciò che scintilla e che allegra son biondi. — La rivide +tra i fiori dello xysto. La seguì una sera nel Pago Felice come si +segue febbrilmente il filo di un sogno dorato. E assaporando un dolce +avvenire; ebbe orrore della tenebra che il circondava. Un violento +slancio dell’anima interrompeva l’ordine del tempo e gli mostrava +le ore ancora velate della sua esistenza. Un giorno nell’Odeon cadde +dalle mani di Melissæa una rosa di Pœstum, bella ed odorosa come il suo +cuore. Ei la raccolse e la chiuse nelle pieghe della sua veste. L’atto +non isfuggì alla fanciulla, e i loro occhi dissero a vicenda come in +tal momento il nodo della vita allacciasse due disparati destini. + +Cneo Vibio, alto della persona, di piacevole aspetto, non pativa +tristezza di cuore. Quelle del cervello non le aveva conosciute mai. +E nei suoi occhi scintillava una dolce magia, un certo lume sorridente +— dono del fato, o dono degli atti, che attira le anime piacevolmente +e trasforma i casi che occorrono in nuvole leggere. — E per dir tutto, +era nella età felice per gli uomini pubblici e per gli artisti, in cui +il sole della vita rischiara il sommo dell’uomo — la fronte — siccome +in quella ora del giorno illumina di luce più concentrata ed attraente +l’alta cima dei monti. + +— Tu sei la mia iddia, o soave amore. Felice il mio tetto che ti avrà +padrona e signora. Vedi! Non è gocciola del mio sangue che non mi parli +di te. Non una idea delle mia mente che non irraggi della passione che +mi arde.... Dicono che un dio nascesse — imperante Ottaviano Augusto — +in un povero presepe in Galilea. E che le stelle il sapessero. E che le +foreste il salutassero. Ebbene! Quanto or mi circonda è ai piedi dello +amor ch’io ti giuro. + +— Le parole che tu mi dici, e che dentro io bacio e ribacio +segretamente, sono le perle della corona che il tuo cuore pose sulla +mia testa, e che mi rende fiera e felice. Io guardo gli altri con +un’aria di regina... il titolo che la tua mente mi diede. + +— E lo avrai sempre, o amante e presto sposa. Quest’ora beata non +dovrebbe volare. Afferriamone le ali, che sono i ricordi. Più tardi li +premeremo sui nostri cuori come la mano purissima che a me porgi, patto +di felicità durevole oltre la tomba. + +— _Vale_, o mio. Gli dei della patria ti sieno propizi. — + +Ed ambedue, colla espressione della gioia sul volto, ripresero la via +delle loro case. + +C. Helvio Babinio trovò lo amico consapevole e nella gioia maggiore. +Combinarono che la domanda si farebbe per lettera, e che un’assemblea +di parenti e di fedeli andrebbe ad offerirla a Demophilo e fisserebbe +gli articoli del contratto sopra le _tabellæ legitimæ_, quelle +tavolette che essi avrebbero poi suggellato coi loro _symboli_, come +marchio di guarentigia. + +I Digesti riconoscevano _justum matrimonium_ la unione legale composta +in tre diverse maniere. La prima dicevasi _usus_ — per abitudine o +per prescrizione — allorchè una donna col consenso dei suoi parenti +conviveva con un uomo per un anno intero _matrimonii causa_. E se +questi non fosse assente per tre notti da lei, essa diveniva la sposa +legittima e dicevasi _usu capta fuit_. Ma se avveniva il _trinoctium_, +la prescrizione era interrotta, la donna era dichiarata libera perchè +_usurpatio est usucapionis interruptio_. — L’altra addimandavasi +_confarreatio_, cioè consacrazione, allorchè il diale di Giove +benediceva al matrimonio, in presenza almeno di dieci testimoni, +prendendo il frumento dalle mani della sposa — _far_ — impastandolo +coll’acqua piovana e formandone una focaccia, cotta sotto le ceneri +dello altare. Quel _panis farreus_ o _farreum libum_ era assaggiato +dal sacerdote, lo divideva tra gli sposi, esprimendo con questo sacro e +comun cibo come omai tutto dovesse essere mutuo fra essi, amaritudini e +gioie. Le libazioni si facevano di vino melato e di latte. S’immolava +quindi un montone, avendo cura di gittar via il fiele della vittima, +a significare che ogni agrezza dovesse essere bandita nel coniugio. +Siffatta specie di unioni era però principalmente in uso fra i ministri +degli dei, sì perchè gl’ipocriti non ammettevano innovazioni nei +costumi antichi — rotta una maglia, ei dicevano e dicono in tutte le +lingue, addio rete per accalappiare i gianfrulli — sì perchè era la +sola unione che sapesse dare alle mogli loro il diritto di esser socii +al loro ministerio e di partecipare ai profittevoli riti. Dicevasi +_defarreatio_ il divorzio. Se il marito moriva senza figliuoli e +senza far testamento, la donna ereditava i suoi beni quasi propria +figlia. Altrimenti coi nati suoi prendeva parte in eguale divisione. +Nel caso di mancanze, il marito la giudicava in presenza dei parenti +di lei. Se condannata dalle leggi, veniva pubblicamente abbandonata +al castigo della famiglia. I nati da siffatta unione potevano essere +scelti flamini di Giove e vestali. Ed erano detti _patrimi_ i bambini +che avessero vivente il solo padre, e _matrimi_ quelli che la madre +soltanto. Ed assumeva il nome di _pater patrimus_ quel cittadino che +avesse contentamento di figli durante la vita del proprio genitore. — +La _coemptio_ era una maniera di unirsi per reciproco contratto. L’uomo +e la donna si presentavano al magistrato insieme con cinque testimoni, +cittadini romani e puberi e il pesatore delle monete che assisteva a +tutte le vendite — il _libripens_. — Essi ricambiavano un asse — sei +centesimi di lira — e lo _speratus_ diceva alla sua _sperata_: + +— _An mihi mater familias esse velis?_ + +— _Me velle._ — + +La donna faceva all’uomo una simile domanda; la _venditio_ era compita. +La _sponsa_ acquistava sul suo sposo i diritti di figlia, e quegli +tenevale luogo di padre. Laonde cominciava a chiamarsi per esempio +HERENNIA EPIDIANI — SABINA BIBULI — DELPHIA AGATHEMERI. E riconoscendo +il marito per padrone, chiamavalo _dominus_. Se aveva un patrimonio +oltre la dote, quei _bona paraphernalia_ li rimetteva al suo signore. +Ma questi erano poca cosa nei primi tempi; poichè il senato all’orfana +di Scipione Africano diede per dote undici mila assi di rame, pari a L. +852.50 di nostra moneta. + +La sposa talvolta _in usum suum reservabat_ una porzione della dote +ed uno schiavo — _servus receptitius_, sul quale lo sposo perdeva la +potestà. + +Oltre questo matrimonio plebeo — _pro emptione_ — che poi divenne +la unione generalmente in uso — un padrone coniugato poteva avere la +_concubina_, cioè la donna da lui amata, la donna di mezzo matrimonio +che le leggi riconoscevano. Però, a mal suo grado, essa aveva il +libito di sposare un altro, ove cotesto le convenisse. — Gli schiavi +si univano per promessa reciproca, detta _contubernium_. I liberti +chiamavano _pellam_ la donna che con essi viveva. E le congiunte +per _confarreatio_ erano dette _matronæ_. Quelle per _coemptio_ si +gloriavano di essere _matres familias_. + +È festa nella casa di Demophilo. Cneo Vibio e gli amici vi sono +convenuti alla prima ora del giorno che rende gli sponsali migliori e +più favorevoli. Il duumviro _jure dicundo_ L. Giulio Pontico presiede +all’atto solenne. Uno scriba redige il contratto. Il padre concede alla +sua cara figliuola la dote di _decies centena_, cioè, un milione di +_sestertia_ — pari a L. 193,749 — da pagarsi in tre periodi, il primo +dei quali avrebbe luogo il giorno del matrimonio. Demophilo aveva fatto +inoltre un ricco presente a Melissæa di vesti, di pietre incise e di +monili d’oro. + +Già da lungo tempo gli auguri avevano cessato di combattere la volontà +degli uomini in nome della divinità. Quegli impostori non erano più +curati da alcuno. Ma, sfacciati e impudichi, non mancavano di far +gli auspicii per conoscere la volontà suprema, allorchè trattavasi di +ricchi sponsali. E Thelestis si presentò, facendo smorfie ed inchini +e dicendo avere il giorno innanzi sacrificato al cielo e alla terra +— come ai primi sposi; — ed a Minerva, la iddia della verginità; ed a +Giunone propizia ai casti connubi. Egli aveva veduto nel cielo i segni +favorevoli. E poichè nessuno ne lo consultava, stimavasi fortunato nel +poterli nunciare. Gli era un di quei luridi frati dei tempi nostri +che la melonaggine dei ricchi peccatori e delle vecchie adultere +ingrassa insieme col popolo ignorante e supino. Quale la differenza +tra gli antichi e i moderni? Questi borbottano finanche le stesse frasi +latine. — Demophilo in tanta domestica gioia, voleva dargli il buon da +scialare. Vibio non lo permise, e il fe’ cacciar via dai littori. + +Allora Giulio Pontico chiese all’herus della casa se consentiva +_despondere filiam suam_. L’altro, annuendo ai voti per quelle nozze, +aggiunse: + +— _Quæ dii bene vertant._ — + +E il primo gravemente riprese: + +— _Sponsalia et nuptiæ_ non si contraggono che col libero assentimento +delle due parti. Ed una fanciulla può resistere alla paterna volontà +nel caso che il padre le offra a suo sperato, e sposo un uomo notato +d’infamia o che meni una riprovevole vita.... Hai tu, o Melissæa, a +muover lamento di tal fatta?... Poichè non rispondi, e non ti rifiuti +alle nozze, è segno che tu consenti. — + +E richiese partitamente ad ambedue: + +— _An spondes?_ — + +E quei felici replicarono colla favella del cuore: + +— _Spondeo_. — + +Era la formula della stipulazione che tutti fissavano sulla pergamena +col loro suggello. Vibio trasse dalla sua veste un anello d’oro +massiccio, ottangolare, traforato a giorno con sottile artificio che +nel mezzo di una linea ovale aveva cotesta leggenda in greco: + + ΑΦΡΟΔ + ΓΕΝΕΤ + ΔΟΣ + +Melissæa accettò quella garanzia del suo amore, quel segno che +moralmente li faceva un essere solo; e subito lo pose nel dito +mignolo della mano destra, perchè credevasi che vi fosse un nervo +corrispondente da quel dito al cuore. Quel semplice dono dovea sempre +precedere il matrimonio. + +Convenne fissare il giorno delle nozze. Il calendario romano aveva +segnato col nero i dì infausti — le calende — le none — gl’idi — +quelli che immediatamente li seguivano — i parentali che ricordavano +i funerali paterni — e in generale tutto il mese di maggio. Bisognava +adunque far correre tutto quel mese e la metà del seguente, ch’era +dichiarata l’epoca più felice. — Nello intervallo gli _sponsi_ potevano +_infirmare sponsalia_, cioè rompere i fatti accordi collo scrivere +coteste parole: _Conditione tua non utor_. Era il _repudium_ che +annullava ogni promessa. Ma Vibio e Melissæa non sarebbero stati capaci +di dir quella frase. Il loro sguardo ed il loro sorriso favellavano +le promesse immortali; avvegnachè il vecchio monarca di questo mondo, +ricciuto, rosso per belletto e azzimato, padre alla menzogna ed allo +egoismo, non li avesse mai ammaliati e sedotti. La sposa trasse dal +seno una piccola _bombilia_ di cristallo di roccia, piena di essenza +odorosa e la offerse al re del suo cuore. Ei l’annusò e fe’ un cenno +cogli occhi. Erano uno. Poteva ringraziare sè stesso? Aveva sentito su +pel cervello le carezze senza rimorsi delle ninfe espansive racchiuse +nel prezioso dono della sua gentile regina. Tutti escirono con lui. + +— Mio caro collega, se ogni fanciulla somigliasse a quella alla quale +tu desti la fede, lo imperatore non avrebbe bisogno di promulgar leggi +per costringere la gente togata a menar moglie. + +— Giulio Pontico, ben dici. Ma tu hai tre sorelle che rassembrano le +cugine di Venere e di Minerva. Nè occorrono editti per toglierle dallo +stato smanioso della nubilità. E so che non passeranno lunghi mesi +e saranno le spose. Hanno parenti raccomandati dalla virtù. E la tua +famiglia è tale a fornir ricche doti. + +— Lo penso. E ciò mi toccava il cuore quando pronunciava le parole +formali. Vedi! lo amor di famiglia nel cuore delle fanciulle è come una +gocciola. Scuotila e cade.... Dev’essere così!! — + +Manio Acilio, soffermandosi alquanto dinanzi la bottega del farmacista +— occupante uno degli angoli della insula triangolare della via Domizia +— disse con voce bassa a Quinto Lepta — suo socio nella testimonianza +degli sponsali — in modo che chi camminava non lo sentisse: + +— Parlano a maraviglia, l’uno perchè non ha sorelle, e l’altro perchè +il padre riccamente le dota. Certo, grossi partiti non mancheranno. +Or si negozia nel menar moglie come per la compera di una casa, di un +podere, o di due cavalli africani. I _sestertia_ sono le principali, +anzi le sole virtù che si cercano in una donna. + +— Guai.... oh! guai per colui che le sposa ricche. _Dotata regit +virum._ Il loro orgoglio, le loro esigenze sono una catena pesante +a tirare. Vespasiano come dà il grano alle famiglie, dovrebbe pur +dar le doti. Allora l’amore matrimoniale riprenderebbe il disopra, +e la cospirazione della saviezza celibataria cesserebbe, e tutti +tornerebbero egualmente a pagare cotesta patriotica gabella. Ma gli +è avaro ed ingordo. Compera e rivende. Nè si vergogna di far pagare i +magistrati a chi li chiede e le assoluzioni ai ricchi colpevoli. De’ +rapaci proconsoli fa uso di spugna; risecchi gli manda ai migliori +uffizi perchè si bagnino bene e — quando ripieni — gli strizza a suo +pro. + +— Che! Tu a torto lo ingiuri. Dovette angariare i popoli per necessità. +Dovette punire i ladri per dovere. Fatto imperatore e trovato il fisco +e lo erario povero e vòto, volle ridurre la repubblica nello stato +di prima e fare che la rimanesse in piedi. E dei denari ingiustamente +presi fece ottimo uso. Non sostentò i bisognosi cittadini consolari, +dando loro un annua provvigione? Non rifece le mura e gli edifizi +di molte città, guaste dal tremuoto e dalle arsioni? E qui ne hai la +prova. + +— Sia che vuolsi. Eh! non basta. Saria d’uopo che il pontefice massimo +— sì buono e pio come tu pensi — ottenesse almeno da Venere fisica il +favore speciale e perpetuo per le genti latine che tutte le giovanette +fossero belle. Allora sì che lo Stato avrebbe ragione di confiscare le +successioni devolute ai celibi ostinati. + +— Bando agli scherzi. Nel disordine generale dei costumi e delle +abitudini il carico di una moglie può patirlo un cavaliere che abbia +spogliato una provincia come Verre, o tratto un re vinto dietro il +suo carro trionfale, od empito la sua casa e le sue ville di schiavi. +Le donne si contentavano un giorno dei profumi campani. Ora se non +vengono dalle Indie, li gittano schifate alle loro liberte, e conviene +surrogarli con quelli che — a parola di chi gli spaccia — furono +trasportati in Italia malgrado la collera di Nettuno, gli artigli dei +dragoni alati e le zanne delle bestie feroci. + +— E i diamanti? E le perle? E le gemme incise? E gli anelli che cingono +tutte le articolazioni delle mani, e che si cambiano in ogni giorno +della settimana? + +— E sì! Tiberio se n’ebbe a scandalizzare, e di Capreas ne scrisse al +Senato. Ora la seta tessuta nell’India, sfilata e ritessuta col lino +e colla lana nell’isola di Cos, _ventus textilis, nebula_, e così +trasparente, che se non stretta al corpo con mille pieghe, mostrerebbe +la dermide a traverso, la sfatano. Vogliono _vestis holoserica +bombycina_, tutta filata dal verme. + +— Oh! in quanto a me son lieto di facili e poco spendiosi amori. La +bella iddia gli sostenga, ed Iside gli aiuti. Sai? Sulle corna dei buoi +cattivi sogliono legare fascetti di paglia per avvertire chi passa a +non accostarsi.... + +— Intendo. Nelle fanciulle inquiete e vogliose del nodo erculeo vedi +il fieno sui corni.... O, lascia ch’io saluti Pontico e Vibio che sulla +rivolta tendono al Foro. Io vado da Quinto Poppæo pei suffragi. — + +Ai passi frettolosi, gli altri si fermarono, i magistrati si volsero, +e tutti si strinsero amicalmente le mani e si salutarono. Quale per una +via, quale per un’altra. + +Ma Lepta, camminando sul margine laterale del tempio alla Fortuna +Augusta, e ripensando ai lieti amori di Acilio, inaccessibili alle cure +ed al carico della famiglia, considerò valer meglio per lui il visitare +la donna del cuor suo che mendicare i voti dallo edile per le prossime +elezioni. Alla vanità il domani. Discese la lunga strada, voltò in +quella Deciale che mena alla porta di Stabia, torse i passi a sinistra +e si volse a diritta verso la porta di Nola. Quella parte della +città era un laberinto di sentieruoli stretti, colle mura delle case +puntellate; e sotto, tegole rotte e marmi spezzati, sparsi sulle corti +e persino sui tetti degl’impluvii. Le dimore dei ricchi erano intatte +od ancora nelle mani degli artefici. Tratto tratto parecchie case +colle aderenti botteghe escivano bianche e ristorate dalle concomitanti +ruine. Qua e là, alcune donne, dagli occhi neri, espressivi, e dalle +bocche fine e graziose, frenando i loro vivaci bambini seminudi, +si facevano sugli usci e sorridendo mestamente a lui che passava, +dicevano: + +— Sii il benvenuto in questi luoghi desolati. La tua gravità, la +tua eccellenza abbia pietà delle nostre disgrazie. Se sei uomo di +pubblico affare — le tue sembianze dicono che tu il sia — ripara a +tanta miseria. Le volte crollarono. Le mura hanno lesioni. Se piove, +l’acqua c’infradicia. Gli è come dormir sulla via. Fa’ che non +s’invidino i morti sotto le macerie. Venere ti sia propizia, o nobile +pompeiano. — + +Per un cuore innamorato le parole delle donne colpite dalla sventura +sono come le lacrime voluttuose che caddero dalle chiome della iddia di +Pafo al subito uscire dal mare. Le prime inteneriscono. Le altre fecero +sbocciare le rose sotto i piedi divini. I suoi pensieri inebriati +dal profumo di una donna lo trassero ad atti di carità che in altra +circostanza avrebbe negato. Sciolse i nodi della _manticula_ e tanti +assi e tanti denari vi trovò, tanti ne diede. Disse non esser egli +magistrato. — Sperarlo. — Ma amico degli amministratori della Colonia. +Sapere che dall’Urbe sarebbero venuti soccorsi e provvidenze. Le povere +famiglie si racconsolarono. + +Gli Oschi — i primi abitatori di questa contrada — sapeano per +tradizione come il monte soprastante al golfo avesse bruciato da tempi +immemorabili. E perciò lo chiamarono _Vesbius_, che valea quanto dire +_fuoco estinto_. L’ultimo suo incendio però era ignoto ad ogni poesia. +Solo supponevasi che in tale circostanza fosse stato colmato il vasto +e lungo golfo che per lo stretto dell’antica Marcina si congiungeva +al mare di Salernum, dando così origine alla immensa pianura di Nola, +di Nuceria e di Sarnus. Corsero secoli, e il monte si cinse per ogni +lato di fertili campi, di verdi pampini, il cui frutto generoso empiva +del suo succo le anfore. Sui pianori, sul pendìo delle sue amene +colline erano sontuose ville coi terrazzi, colle torri per godere +lontane vedute, coi giardini creati dagli schiavi _topiarii_, adorni +di statue, cinti da piante fronzute e verdeggianti ed intersecati da +ruscelli e da laghi. Un giorno, ai tempi della congiura di Catilina, +Marco Herennio, decurione di Pompei, cadde morto nel Foro, colpito dal +fulmine. Il cielo era sereno. Il sole, raggiante. Cicerone compose su +quel fatto strano due pessimi versi ridicoleggiati da Crispo Sallustio. +E nessuno seppe indagare la causa di quel fatale avvenimento. In vero, +la folgore dovette provenire dal soverchio elettricismo adunatosi +nel monte. Nell’anno 803 di Roma — pari al 50 dell’êra nostra — i +tremuoti cominciarono ad affliggere la Campania. E nel 63 — due lustri +prima dei casi che narro in coteste pagine — la scossa del suolo fu +terribile, continovata e fatale. Nerone imperatore trovavasi nel teatro +di Neapolis, canterellando colla chioccia voce un’aria sua favorita. +In lui potè più l’arte mal coltivata che la vigliaccheria d’istinto. E +quantunque il _visorium_ pieno zeppo di spettatori ed il _proscenium_ +traballassero, non volle imitare quelli che escivano a furia, finchè +non ebbe terminato il suo trillo. Erano le none di febbraio, cioè il +dì cinque di quel mese, quando le città e gli oppidi sedenti sulle +rive, che formano col loro incurvamento il ridente cratere partenopeo, +furono maltrattati dal violento flagello. Una parte di Herculanum venne +distrutta; un’altra screpolata e guasta. La colonia di Nuceria, se +non rovinata, malconcia. Neapolis soffrì perdite piuttosto particolari +che pubbliche. Molte case di campagna risentirono scosse senza gravi +effetti. Stabia ed Oplonti ruinarono. Pompei fu devastata. Le statue +del Foro caddero dai loro piedistalli. La morìa degli abitanti sommò a +parecchie migliaia. Un gregge di seicento pecore fu schiacciato sotto +le macìe. E i campi vicini si videro funestati da gente errante priva +di conoscenza e di sensi. La misera città rimase per qualche giorni +deserta. Quindi risorse a poco a poco più bella dalle rovine. Alcune +case si ampliarono; giunsero decoratori di ogni parte; il commercio +straniero rifiorì più che mai. La pietà dei congiunti surrogò le +cornici e le tavole di marmo agli ornamenti di tufo, o di stucco dei +sepolcreti. Il bigottismo di Nonnio Popidio Celsino fece ricostruire +di proprio il tempio d’Iside. I devoti ripararono il portico del Fano +di Venere protettrice, cangiandone l’ordine in un corintio di fantasia; +il fregio dorico fu ricoperto di stucco; una statua nuova rimpiazzò la +spezzata; e nuove pitture dai vivi colori, rappresentanti paesaggi, +ville sontuose — come l’Isola Bella sul Lago Verbano — interni con +figure alle quali l’artista die’ teste d’uomini a corpi di fanciulli — +riabbellirono le pareti del porticato. I duumviri Sepunio Sandiliano ed +Herennio Epidiano sul lato della gradinata che mena alla edicola fecero +collocare a loro spese una colonna ionica di cipollino sormontata da +un quadrante solare. Il tempio greco nel Foro _Hecatonstylon_, il più +puro degli edifici pubblici in Pompei, venne completamente restaurato +dai commercianti e dedicato a Nettuno, il dio che favoriva i loro +grossi guadagni. Le Terme furono riparate per le prime dai munifici +cittadini. Ed il tremuoto avendo assai danneggiato il tempio di Giove e +il colonnato del Foro, i duumviri ordinarono che le colonne doriche del +portico ch’erano di tufo si ricostruissero di pietra calcarea, e pur +di travertino si selciasse il parallelogrammo dell’area. Le statue che +decoravano i piedestalli furono provvisoriamente serbate in un vasto +pubblico edificio. + +Nel periodo di quasi tre lustri molte erano state le novità incresciose +e consolanti nel mondo romano. Laodicea, grossa città dell’Asia, erasi +rovinata per tremuoti, al pari di Pompei e di Herculanum, e di proprio +rifatta. Puteoli, terra antica, rinomata da Nerone, poi che colonia. In +Tarentum ed in Anctium, posti a guardia vecchi soldati per ripopolarle +coi lor maritaggi, furono diserte da quei raccogliticci, insofferenti +di famigliari cure. Nerone, stanco di Ottavia, aveva sposato la +concubina Poppæa, sposa ad Ottone, che amandola, mal suo grado glie la +concesse. Ma l’ira del popolo lo incitò ad un ripiego. E chiamato a sè +Aniceto: + +— Tu mi campasti dalla madre insidiatrice. Fammi minore servigio. +Levami dinnanzi la odiata moglie. Nè mani. Nè ferro. Testimonia +averlati goduta. — + +Il dirotto in mal fare confessò il vitupero. N’ebbe a premio dovizie +e confino in Sardinia. E la casta donna, lacrimosa più che per mille +morti, partì per la Pandataria. Aveva venti anni. E colà i soldati +le segarono le vene. Nell’816 nacque dalle nuove nozze una figlia in +Anctium, e questa dopo quattro mesi morì. Furono chiamate Auguste +ambedue. E le pazzie pei natali e pel lutto, sì di Cesare che del +senato, furono fatali ai dignitosi ed onesti. Egli, per consolarsi, +cantava vestito da Apollo, o da femmina. E forzava gli applausi. E +cominciò i mangiari in pubblico. Fra due colli era il lago di Agrippa; +e sulle acque fe’ costruire un tavolato, mobile, ove pose il convito, +tirato da triremi, commesso d’oro e di avorio. Remavano cinedi, maestri +in libidine. Erano tende rizzate sulle rive con matrone e sciupate +ignude. Cessata la imbandigione e venuta la notte, i boschetti e le +case dei colli risuonarono di canti; e i falò illuminarono la scena. +Aocchiato uno stallone in quella mandra vituperata, lo volle marito. E +Pitagora fu lo sposo di Cesare per le ceremonie di uso. E lo imperatore +del mondo coprì il capo di velo giallo. Udì gli augurii. Si decretò +la dote. E i torchi scacciarono le tenebre attorno il letto geniale. +Per frode del principe Roma bruciò. Fra il monte Palatino ed il Celio +le botteghe piene di merci furono esca alle case. La vecchia viuzza, +i torti quatrivi, preda alle fiamme sui colli e sul piano. Grande la +morìa. Ma gli scampati ricoverò nei palagi e nei templi. Fece venir +masserizie da Ostia e rinvilì il prezzo del grano. Rifece il palazzo +imperiale, di miracolo, per opera degli architetti Severo e Celere, +con selve allo intorno, laghi e bellezze sopra natura. E surse l’Urbe +nuova. E non più a vanvera come era dapprima. Ma larghe strade con +traverse fatte a misura, con più larghe piazze. E per distrarre le +ire popolari contro lo autor dello incendio — ignoto a veruno — furono +stranamente puniti quali rei del delitto i palesi credenti alle parole +del Cristo; i quali ne’ tormenti altri molti ne nominarono; — i preti +avranno santificato anche questi? — e tutti furono uccisi in modo vario +e spietato, quali nemici al genere umano. + +Una vasta congiura minacciò i giorni del mostro imperiale. Spillata +la cosa e fatta certa, Caio Pisone, e i suoi amici, e gli affidati, +e gl’insofferenti l’onta del nome romano empirono l’Urbe di mortori +e il Campidoglio di vittime. — Una sera, tornato dal teatro, ove +aveva cantato i suoi versi e chiesto in ginocchio, a mani giunte, +le battute ed i plausi dal popolo, Nerone, crucciatosi con Poppæa, +le die’ un calcio nel ventre pregno e la uccise. Ne fu dolente a suo +modo. E salito in ringhiera, ne lodò alla folla le belle membra, non +la virtù. — Tempeste e pestilenza desolarono Italia. Ma il signore +del mondo era più grave di ogni malanno. E un bel dì i pretoriani +stanchi lo abbandonarono solo nel palagio. Ond’egli impaurito fuggiva; +e sentendosi inseguito, si appiatta dietro il muro di un orto, cerca +trafiggersi, ma al grande omicida delle migliaia manca il cuore di +spingere il ferro nelle viscere. Epafrodito, scrittor di memoriali, lo +aiuta a morire. E il citaredo non lamenta lo impero, sì l’arte che in +lui perde il migliore tra i suoi cultori. + +L’allegrezza nell’universale fu grande. La plebe coi cappelli in testa +andò a zonzo per la città quasi di schiava fatta libera. + +Livio Ocellare, di Fondi, che poi si chiamò Sergio Sulpizio Galba, +settuagenario e gottoso, proclamato imperatore da Vindice e dai suoi +legionari, venne d’Iberia in Roma non molto gradito dal popolo, +perchè vecchio, rigido, modesto, schiavo dei liberti, stretto di +mano e brutto; nè accetto ai pretoriani, alle neroniane largizioni +avvezzi, i quali più amavano i vizi che le virtù dei principi. Adottò +a figliuolo e nominò Cesare Pisone Frugi Liciniano, giovane nobile +e valoroso. E presentandolo alla folla e alle milizie, disse secco +secco: — _Vir virum legit_ — cioè, con alquanta boria, espresse come +un prode eleggesse un prode. E non parlò di donativo, nè di feste, nè +di spettacoli, nè di baldorie. Quelle sue grinze accompagnate da tanto +rigore antico non erano più di stagione. + +Ma Silvio Othone — compagno negli stravizi al morto principe, marito di +Poppæa Sabina ceduta ed amata, sì che Nerone geloso l’ebbe a sbandire +dall’Urbe e un distico famoso sentenziò Othone adultero della propria +consorte — comperò l’animo dei soldati colla promessa di riserbare per +sè quella pecunia che da essi fossegli conceduta. E tre dì poi dalla +proclamazione di Pisone, questi e Galba morirono scannati nel Foro +presso la voragine, ove M. Curzio erasi gittato in antico col cavallo +ed in armi. + +La plebe corrotta, non capendo in sè dalla gioia, il salutò col nome +di Nerone. E le prime epistole ai governatori delle provincie le +sottoscrisse con siffatto cognome aggiunto al proprio. Ma già Aulo +Vitellio — l’uom dalle prodighe cure — era proclamato imperatore +dallo esercito di Germania. Othone se gli offre compagno e genero. +Nemico egli era alle guerre civili e punto sanguinario. Pure dovette +ire incontro coi suoi alle genti che Vitellio mandava innanzi. Fabio +Valente coll’aquila della quinta legione per le Alpi Cozie; Cecina +colla ventunesima pei monti pennini. Le due osti si azzuffarono. +Scaramucciano in Cremona, in Brescello; ma la giornata fu grande +presso Bebriaco in favore di Vitellio. Othone poteva ritentare la prova +atroce, lacrimevole, dubbia coll’arrischiata virtù dei suoi. Non volle. +Giudicassero di lui i secoli. Bevve acqua fresca. Tenne aperto l’uscio +della casa. Dormì placidamente tutta notte. E in sull’alba ridesto, +tastò la punta di due pugnali, ne scelse uno e se lo infilzò sul cuore. +Fu arso e sotterrato incontanente dalla pietà dei soldati presso a +Veliternum. Dopo 95 giorni d’impero morì a 37 anni, con fama di virtù, +di molti vizi, e di aver promosso la morte di Galba, non per sete di +signoria, ma per restituire la libertà perduta ai Romani. + +Il nuovo era uomo di ventre. Fu a vitupero chiamato lo Spintria, +quando cogli altri giovani s’intrattenne nella corte di Tiberio in +Capreas. E ligio a Caligola, a Claudio e a Nerone, ottenne magistrature +e consolati, e da Galba il comando della Germania inferiore. Era +sua gloria la gozzoviglia, e compartiva i suoi pasti in asciolvere, +desinare, cenare e pusignare. E imponeva ai grandi di convitarlo. Ed +ogni apparecchio non costava meno di cinquanta mila denari. È famosa +la cena imbanditagli, dal fratello il dì del suo ingresso nell’Urbe. +Vi consacrò un piatto, — il quale per la smisurata ampiezza ei chiamò +lo scudo di Minerva — ov’erano mescolati fegati di scaro, cervella di +fagiano, lingue di psittaci, latte di murene. E vi furono consumati +duemila pesci elettissimi e settemila uccelli. Nè men fu crudele che +ghiotto. I possibilmente rivali, avvelenati, ed alcun di sua mano. +I creditori e gli usurai suoi, uccisi alla sua presenza per pascer +l’occhio — ei diceva — ed esser certo di averli saldati. + +Dopo otto mesi di tale imperio gli eserciti della Mesia, della +Schiavonia, quel di Giudea e di Sorìa si ribellarono, obbligando la +fede a Flavio Vespasiano. Vitellio ne impaurì. Tentò un’abdicazione +a pro di ogni scelta, e comperò la salute da Flavio Sabino e dai suoi +Reatini. A tradimento condottili al Campidoglio, gli arse nel tempio +di Giove, nell’atto ch’ei banchettava nel prossimo palazzo di Tiberio. +Approssimantisi le coorti, mandò loro innanzi le vestali per chiamar +pace. Intanto fuggì per la campagna in compagnia del cuoco e del +suo pistore. E tornato in casa sulla voce della vita consentitagli, +abbandonato da tutti, rubacchiò in furia un po’ di oro, lo chiuse +in una cintola e si fortificò nella stanza dell’ostiario. Colà lo +trovò l’antiguardo e, lui piagnucolante trascinarono con una cavezza +alla gola e, mezzo ignudo, giù per la Via Sacra, tra i dileggi della +plebaglia che gli gittava sulla persona sterco e fango e lo chiamava +incendiario e lecca-piatti. Finalmente, lancettato, pizzicato, urtato, +ferito di lancia e di gladio, cadde morto a piè delle scale Gemonie. +E trascinatala con un uncino, quella cosa sozza la scaraventarono nel +Tevere. + +Come le materie da incendio accrescono le arsioni, così il nuncio +della sua morte infellonì vie peggio la plebe. Le vie piene di +cadaveri. I templi, di sangue. Per la scusa di trar fuori i nascosti, +rovistati i palagi, frugati i ripostigli. E chi si opponeva ai soldati, +ucciso. E la canaglia morta di fame, sfondava, bruciava, e gavazzava +nell’insolente disordine, nello spietato carnaio. + +Il senato decretò a Vespasiano gli onori usati ai principi, e chiamò +il nuovo imperatore Consolo insieme con Tito. L’altro figliuolo, +Domiziano, fece pretore con podestà consolare. Flavio scrisse con +modestia di sè, con magnificenza della repubblica. + +L’Urbe per le frequenti arsioni e rovine — ristorata un po’ da Nerone — +era sformata, e guasta. Laonde, Flavio ordinò che i padroni dell’area +vuota non edificando, chi volesse la riempisse di casamenti. Egli +restituì il Campidoglio, e fu il primo a portar via sulle spalle +corbellate di calcinacci, di cui ingombro era il luogo. E vi rifece +tremila tavole di rame — già logore e quasi fuse dal fuoco — sui +modelli e sulle scritture antiche di quelle. Non che uno inventario +delle cose pubbliche dai tempi remoti, nel quale si contenevano le +deliberazioni del senato, i plebisciti, le confederazioni pattovite, e +i privilegi conceduti a chiunque, dall’evo romuleo sino allora. Rizzò +il tempio della Pace sulla piazza; lo anfiteatro, secondo il modello +ideato da Augusto; e il monumento al divo Claudio, incominciato da +Agrippina e disfatto dal suo figliuolo parricida. Ridusse l’ordine dei +cavalieri e dei senatori allo splendore antico e gli portò al solito +numero, radendone le persone vili ed ignobili, e posti ne’ loro stalli +uomini dabbene d’Italia e di fuori. Ed, occorse aspre parole tra un +senatore ed un cavaliere, sentenziò, brutta cosa fare atto d’ingiuria +ad uom del senato; ma rispondere ingiuriosamente a quelle ingiurie +essere cosa lecita e civile. + +Mai dissimulò la bassezza dei suoi natali. Permise a tutti la libertà +del dire, e fu tollerante verso chi malediceva di lui. Obliò di gran +cuore le offese; nè temette le inimicizie o tolse via la usanza di far +cercare coloro che venivano a salutarlo, se essi avesser armi nascoste, +costume durato fin dai tempi della guerra civile. + +Si palesò però avaro ed ingordo. Addoppiò i tributi e si die’ a +negozi da vergogna, quando anche fosse stato uomo privato. E’ pare +che cotal difetto lo avesse di natura come quelli che arricchiscono +dopo umiliante povertà e lunga. Laonde un vecchio bifolco — che a lui +chiedeva lo affrancamento ed egli rifiutoglielo senza denari — rampognò +lo imperatore col dirgli: + +— «La volpe muta il pelo e non il costume.» — + +Malgrado ciò, largamente pagò i maestri di retorica greci e latini, +formò la sua corte di uomini dotti ed eccellenti nelle lettere e +nelle arti, restituì i giuochi e le recitazioni antiche, premiò poeti, +tragedi e citaristi. + +E in Falacrine, suo luogo natale, lasciò la casa che prima vi era, per +soddisfare ai suoi occhi e ricordarsi con modesto orgoglio dell’antica +dimora. + +Quinto Lepta, ancora commosso dalle miserie del popolo, entrò in +una casa piena di melodia. Dal fondo, presso lo xysto, uscivano da +una cetra i sospiri di un’anima stanca dalle ricerche delle gioie +terrestri, gli accordi di una tristezza passionata, gli accenti di un +amor combattuto, tempesta che ancor tramanda i profumi delle rose e +delle viole sbattute ed infrante. A lato dell’uscio chiuso, ad altezza +d’uomo era un foro rotondo coperto da un vetro. Da quel buco vedevasi +per di dietro una donna assisa, in su i trent’anni, evocando il coro +de’ suoi pensieri colle sue dita di sibilla. + +— O divina creatura! La donna appartiene allo amore come l’erba dei +prati allo armento. Byrrhia con quei capelli accesi dai sensuali +ardori, con quello aspetto di grappolo indorato dal sole, mi brucia +l’anima e il corpo. — + +E senz’altro, rotto il filo ai pensieri che gli si arruffavano, spinse +la porta ed entrò. La donna, nel volgersi, emise un raggio luminoso dai +suoi occhi vivaci e neri, velati da una nube di tenerezza e da un mesto +sorriso. Le loro bocche s’incontrarono. + +— _Suavia et iterum suavia._ Io sono lieta che tu mi desideri con +ardore. + +— Sì, altri baci ancora, o dolcissima tra le cose. Io te desidero ed +amo.... La celeste armonia mi penetrò nel profondo. + +— Era un’ode di Sapho di una singolare potenza, disordinata come la +passione, lamentosa come il dolore. Misera! Quanto soffrì. La sola +Morte colle sue dita affilate può medicare una ferita pari alla sua... +Ma tu non mi spingerai allo scoglio d’Ercole per chiedere l’oblio ai +gorghi del mare. + +— _Unum habeo solatium in te_, o Byrrhia. Arrida ad entrambi la bella +dea Pompeiana. + +— E arriderà! Ha spesso i miei doni e le mie preci ferventi. Oh! +Abbracciami, Quinto. Il tuo affetto è la pietra che ricuopre il mio +cuore. Ebbene! sii custode di questo sepolcro ove riposa la innamorata +anima mia, e nessuno saprà penetrarvi. — + +La stanzuccia, ove i due felici si trovavano soli, aveva sulle pareti +gioconde pitture, per terra un tappeto discreto, una _cathedra_ — +specie di lettuccio di legno dorato e coperto di un materasso purpureo +di piume — un tavolino leggero con sopra due vasi di _mourrhina_, +e dallo xysto vi entrava il profumo dei fiori che riscuote come la +musica, ed ammalia come lo sguardo. Le più fredde virtù si sarebbero +fuse sotto quei raggi d’oro della eleganza e dello amore. + +La indolenza è una felicità. E la felicità è orizzontale. + +Lachesis poteva rompere lo stame di quelle due vite. Esse avrebbero +veduto nel Tartaro con occhio eterno le prospettive magiche di quei +novissimi istanti! + +O Amore! giocondissimo iddio, tu non puoi rendere la creatura +continuamente felice col medesimo oggetto, a dispetto di ogni promessa +e malgrado le più seducenti speranze. Bambino, non prendi persona, nè +invecchi. Muori e rinasci. Da secoli infiniti le tue vampe si allumano +e si spengono nel cuore istesso. E se vi hanno anime le quali bruciano +senza farsi mai cange, esse usurpano il tuo nome, o Amore, e calunniano +la tua nobile ed infedele esistenza. Sono caparbi — indifferenti — rosi +dalla noia — impigriti dalle abitudini — dimezzati dal disgusto. — Sono +ipocriti od imbecilli, che natura diseredava.... ed io li so, ed ognun +che mi legge li nomina della sua mente. + +Nella _fauces_ presso l’atrio di quella casa erano seduti per le +terre Chresto e Methe Cominiæs, due schiavi, l’uno di dieciotto, +l’altra di sedici anni. Giuocavano cogli astragoli. Gli gittavano in +aria sul dorso della mano a uno, a due, a tre, a quattro, a cinque +e li raccoglievano sulla palma. Bisognava esser destri e prestarvi +attenzione. La fanciulla vinceva. — Chresto badava più ai di lei occhi +che ai _tari_. + +— Tu fai sempre il colpo del carro, o il colpo dello avvoltoio. Di’, a +che pensi così distratto? + +— Penso.... penso al nostro padrone Aulo Vezio, il quale mangiava le +sue allegre cene sui piatti della bilancia di Temi ed ora Byrrhia le +digerisce per lui. + +— Vuoi che intisichisca per dolore? + +— Mai no. La sua disonestà non la inghiotto nè sputo. Ma cacciare il +chiodo sì presto nel muro! + +— Per ribadir l’altro.... Gli è perciò che tu.... + +Il giovinetto drizzò lo sguardo nuovamente sul viso pallido, sulle +linee delicate e fine, su tutta la persona appetitosa che avea dinanzi, +e quello sguardo acuto impedì che la frase si terminasse. Ma ei la +compì, pronunciando per sè medesimo: + +— Perchè non mi promette una serie di giorni felici!... La donna qui +è tra la terra ed il cielo. La poesia la esalta lassù nelle nubi. Chi +passa la ghermisce e l’ha.... _Res fragilis!_ O spettro di Vezio, quali +corone tu aduni in questi giorni nell’urna delle tue ceneri! + +— Chi deve.... prometterti felicità, o Chresto? + +— Chi?... Una fanciulla che da parecchie notti mi vieta il sonno e +che forse si destina ad uomo che val meno di me. Apparterrà ad un +imbecille, all’_atriensis_, allo _structor_, che apparecchia il desco, +od al _coquus_, quello animalaccio venuto di Sicilia, il quale ruba la +riputazione che gli danno.... Ed io l’amo e la merito, per Ercole! + +— Nel mentre, o Chresto, tu ristai melanconico e dubbioso dinanzi +all’_ostium_, non ti avvedi che la desiderata ritira i _pessuli_ +dall’uscio ed attende che tu lo spinga!... Io sono nella luna di mele +del tuo e mio primo amore e provo in ascoltarti e in vederti delizie +ineffabili. + +— È egli vero? Vuoi tu essere la mia _contubernalis_? + +— Ma che chieggo io a Venere sacra dal dì in cui venisti sul mio +sentiero? + +— Vieni tra le mie braccia, _lux mea_. Non essa oggi la sola felice. +Anche noi! — + +Salirono al piano superiore ed assaporarono l’ora presente coll’audacia +di chi non teme i tradimenti dello avvenire ed obliarono le tristezze +cuocenti del giorno svanito. — La felicità è di gaio umore; non può +star chiusa; è meridionale; esce di casa e va via ciarlando. Gli è +perciò che dieciotto secoli più tardi, interrogando i muri della mia +offesa Pompei, vi lessi cotesto graffito indiscreto. + +_Methe Cominiæs, Atellana, amat Chrestum corde. Sit utreisque Venus +Pompeiana propitia. Et semper concordes veivant._ + +Presso queste anime piacevolmente innamorate — che dedicavano il +loro tempo alla iddia sorridente e gioconda — altre erano in Pompei +allegre e chiassone, il cui punto di riunione, pria delle Terme, +erano le _tonstrinæ_, luoghi di perdi-giorni, di novellieri e di +ricchi fannulloni. Siccome i Greci avevano il costume di tagliarsi i +capelli e di farsi radere, di Sicilia cotesta moda risalì il littorale +peninsulare e nel 454 di Roma l’uso divenne quasi comune nel mondo +all’Urbe soggetto. Nella età di quarant’anni Scipione Africano si +fe’ radere tutti i giorni, e non fu persona distinta in Italia che +in seguito non lo imitasse. In Pompei la industria dei tonsores fu +dapprima in pien’aria finchè contarono tra i loro clienti i marinai +e la plebe. Allorchè la comoda usanza venne adottata dalla grande +maggioranza dei Quiriti, tornando indietro nobilitata, richiese +eleganti botteghe e stanzucce appartate nei migliori quartieri della +città; graziosi musaici e grandi specchi; _camini portatiles, foculi, +ignitabula, escharæ_, cioè bracieri di varie forme per riscaldarvi +i _calamistri_; piccoli rasoi, adatti allo scopo, detti _novacula_; +larghe e brevi cesoie che addimandavansi _axiciæ_; e sottili mollette, +nominate _volsellæ_. Avvegnachè, in quelle botteghe uno potesse _barbam +ponere_, se volea farsi radere, o _tondere forfice_, se preferiva +corti i capelli; o _pillos vellere_, se piacevasi di quella effeminata +abitudine di farsi carpire i peli colle pinzette sul mento, sotto le +ascelle e in altre parti della persona. Alcune schiave — _ustriculæ_ +— erano addette a cotesto ufficio. Altre dette — _tonstrices_ — +spargevano sul mento una specie di pomata che avea nome _psilothrum_ +o _dropax_; oppure lo imbrattavano con certa pasta veneta, o resina +calda; che Giovenale chiama _calidi fascia visci_ e quindi coi +_novacula_, estratti dalla _theca_ ricurva, mondavano la epidermide. I +più delicati e schizzignosi si nettavano il corpo dai peli col farli +bruciare dalla fiamma di un guscio di noce, e poi vi facean passar +sopra la pietra pomice. + +La _tonstrina_ dinanzi la Palestra delle Terme, dipendente dalla casa +di Olconio Prisco, aveva due botteghe sul margine della via dalle +fontane di Pallade e dell’Abbondanza, e una stanza di retro. Era +affollata. Vi erano giovani che avevano fatto arricciare i loro capelli +coi ferri caldi e si miravano nello specchio per osservare se gli +anelli fossero tutti eguali. Altri erano _inter pectinem speculumque +occupati_. Altri _uno digito caput scalpebant_. + +Un giovane che veniva dal Foro, si appressa al primo uscio e s’imbatte +con un cinquantenne che ne esciva ringiovanito per la patina esterna. E +scherzando gli dice: + +— _Dispeream!_ Philomuso, se potea riconoscerti. Ti aveva incontrato +cigno stamane nella _salutatio_ presso Pansa ed or ti ravviso corvo. +Ah! Ah!... Credi tu d’ingannare Proserpina? La fuligginosa iddia ti +strapperà la maschera. _Cave!_ + +— Seguo la moda che in Roma trionfa. Sembra che la canizie debba essere +abolita. Ed io l’abolisco. — Ma, avviso per avviso, o Mathone. E tu non +giuocare con Glaucia presso il gladio di suo marito tribuno. — _Cave!_ + +— E che ho io a temere? + +— La pena degli adolescenti. + +— Oh! Il taglio è vietato or dalle leggi. + +— È forse permesso quel che tu fai? + +— E anch’io un avviso, se lo consenti. Non appressare la face d’amore +alla lucerna fumosa di Clancia, la vedova di dugento mariti. — Buschi +nomèa di avaro e nol sei. — + +— Rientro nella vita comune e seguo il tuo esempio. _Vale._ — + +Philomuso andò via, e Mathone entrò nella _tonstrina_. Uno che si era +fatto radere ed allora si faceva arricciare i capelli, ricurvo sotto +l’azione del calamistro, dice: + +— Salve, o amico. Che diceati la sciupata di quel buontempone? + +— Vuoi parlare della sua amante, o Tongilio? + +— No, della sua lingua che taglia e fende. + +— _Nugæ._ Astonio lo ha ringiovanito che sembra un risorto. Mio padre +il conobbe biondo. O perchè il festi nero, o Astonio miracoloso? + +— È la tinta in favore per gli uomini. Per le donne il rosso ardente. +Vedesti Levina di Bleso, per la festa delle _Palilies_, alle none +di aprile? Per lo anniversario della fondazione di Roma essa adottò +il nuovo colore. Durante il giuoco troiano — che il giovane Ascanio +creò in Alba a ricordo della patria distrutta — i cavalieri che si +avanzavano nel Foro in ordine di battaglia non miravano che a lei +bellissima e, pel color dei capelli, innovata. Le donne ne ingelosirono +e la imitarono. Nei teatri e nei templi omai non vedi che chiome +ardenti. — Torneranno brune al cader della moda. + +Vacerra — un ch’era nella bottega — già sbarbato e terso, si leva dal +seggio ed aggiunge: + +— Levina è una Venere mendace, e senza aiuti commette adulterio. — + +Lucio Adirano sorge anch’egli e dice: + +— Cotesto forse quando frequentava i bagni di Stabia e i paesani. Ma, +Penelope a Baiæ nell’anno decorso, ti accerto che Elena ne esciva. + +— E qual nume operava il prodigio? Per Ercole! Non parea pompeiana e +civile. + +— Il divo Apollo si piacque discendere nella tunica di Mario Venicio, e +Cupido addoppiò lo splendore delle sue faci. Lo amico nostro passò lo +inverno con lei in Neapolis. Ora sono qui, ed essa brucia alle vampe +del suo cuore. + +— _Ita me bene ament numina excripta_ che ho dipinti nell’atrio della +mia casa e che veggono le buone e le villane mie azioni! Davvero che +men compiaccio e correggo il mio errore. — E il marito? + +— Cosconio Classico _strabo est, pætus et ocella_. Con siffatti malanni +negli occhi si veggono le paglie nelle altrui case e non le travi nella +propria. E poi in gioventù ne die’ ad usura. Or glie ne rendono. + +— Mathone, ecco Cneo Apro ch’esce dalla stanza. Se vuoi farti azzimare, +entra. — + +Il giovane seguì il consiglio del _tonsor_. La cameruccia era piccina, +ma elegantissima. Sopra una tavola di legno nero e dorato nelle cornici +erano capsule di vetro, bombyli, bilbini, paropsidi, unguentari, ambici +e tazze piene di quelle paste, di quelle resine, di quelle pomate, di +quelle polveri, atte a sbarbarsi, a tingersi il pelo, a far liscia la +pelle e ad imbellettarla. + +Una fanciulla ventenne — coperta da una tunica senza maniche che +giungeva sino ai ginocchi e avente sul capo ricciuto un berretto +frigio le cui alette scendeano bellamente sulle spalle e sul petto — lo +attendeva sorridente e graziosa. Era una delle _tonstrices_. + +Pria di sedersi il giovane — dopo averla attentamente mirata — le disse: + +— Non di qui. — Giunta di fresco? — Quale il tuo nome? + +— _Mica vocor._ — Siracusana. — Da due anni. + +— Ben ti chiamarono pagliucola d’oro. Splendi come raggio di sole. Or +fammi degno di colei per cui arde il mio sangue. + +— Eccomi. — Ambidue sembrate.... la unione preziosa del cinnamo e del +nardo. La felice miscela del massico col melo d’Egitto. Venere dispensa +a te i suoi favori. Il tempo passi e.... e non si accorga di lei. + +— La conosci? + +— Mi è nota. Tutto si sa qui. — Poni i piedi sul _suppedaneum_. — La +_novacula_ ti par bene affilata? + +— Risuona. Ma scorre sulla dermide a maraviglia. + +— Ti vidi entrare un dì nella _tonstrina_ di Glaphyro. E ne provai +fugace dolore. E la notte successiva la passai vegliando. + +— Perchè? + +— Val meglio patire una operazione dal chirurgo Hemos che farsi +radere da Glaphyro e dai suoi Poserio, Spicolo e Chœria. Pei cinici +e per gli stoici, eh! sono adatti. Le facce stimmatizzate del paese +non appartengono già a vecchi atleti, nè a mariti di donne gelose. +No. Ma subirono sfregi dalla mano scellerata di Chœria. E Prometeo +ridomanderebbe a Giove il becco dello avvoltoio se Glaphyro accennasse +di carezzarlo coi suoi rasoi di bronzo. + +— Veh! che or mi dirai che le capre serbano il fiocco di peli per tema +di lui... o di lei! — Gelosia di mestiere! + +— Ti accerto che Baccara — or mia compagna — lasciò la bottega, sulla +via di Mercurio, per l’orrore del sangue. — Io temeva per te una +soppiatta vendetta! + +— Di lui? + +— Di lui.... e di Nata. Ti ripeto, noi sappiam tutto qui. — + +Il giovane si volse e la guardò fiso. La fanciulla siracusana sostenne +lo sguardo. + +— Parli tu cogli aruspici? Nata, di Cornelio Rufo, è bella sì, di +vivaci occhi, di portamento leggiadro, di lusinghiero accento: ma +è donna di marmo. A contatto, la crederesti assente. Io l’amai da +forsennato.... E l’amo ancora.... Non essa me. + +— Ti amo di vertigine per mesi. Alcune teorie del dovere le calmarono +il cuore. Ti ama pur di memoria e di gelosia per sè, non per te. +Capricciosa donna!... Tortura, non tortore!... + +— Ma come tu sai sì recondite cose? + +— I miei, di Egitto in Corinto e di là a Syracosion. Leggo nelle stelle +e negli occhi — altre stelle che rifrangono il lume dentro e dicono +alla nostra gente ascosi arcani. Ne vuoi esempio?... A Glaucia piace +il tuo nome e il trionfo sulla tua fresca età. È leggiadra, nol nego. +Ma.... piacevolmente si vendica in te del brutto tribuno, il quale è +sì magro che par minacci rientrare un dì o l’altro per sempre d’onde la +prima volta escì fuori. — + +La mano di Mica era tremante. La voce tremava. Lucio Mathone respirò +nel vederla posar la _novacula_. Si asciugò la faccia, sedette di nuovo +per farsi ungere i ricciuti capelli e soggiunse: + +— Calmati, o soave. Non temerò vendette di ferro, poichè a te mi +affido. Tu sarai la mia tonstrice per sempre. + +— Sì.... Ma abbandona Glaucia, che non ti merita, al suo diafano +marito. Lascia pure a Cornelio Rufo, _ancilloriolus_, le vendette tue +sulla fredda e calcolatrice Nata. Un altro cuore si appoggi su quello +di Lucio, e la dea pompeiana gli sarà propizia. — + +Mathone si levò, prese colle due mani la testa della fanciulla +siracusana e le baciò gli occhi ripetutamente. Erano umidi e +luccicavano come pianeti. Mica lo abbracciò con ardore e dentro +era convulsa. Si separarono colla promessa di rivedersi la sera. E, +ribaciandosi anche una volta, dissero in coro quella parola spensierata +ch’è sulle labbra di tutti, sì breve, sì fuggevole, sì mal fida: + +— Sempre. — + +Allorchè Lucio rientrò nelle sale verdi, dove poc’anzi avea lasciato +i suoi amici, questi non v’erano più. Altri gli avevano surrogati. +Quinzio Volcano e Postumio Afra lo salutarono tra l’onda fumosa che +i caldi _calamistri_ sprigionavano dai loro capelli. Ateio Capito a +lui mestamente sorrise. Misizio Cotilo e Claudio Pudente narravano +aneddoti di famiglie che eccitavano le risa della briosa brigata. +Antonio Saturnino diceva i pregi di due bei cavalli africani che avea +comperato, i quali anteponeva alla coppia di schiavi sicambri, di +recente acquistati da Capito nel mercato di Herculanum nella occasione +del _Regifugium_, alle none di febbraio, per cui si solennizzavano +nei grandi centri del vasto impero la cacciata dei Tarquini e lo +affrancamento del popolo romano. Fabullo Nucerio vantava la bellezza +e le grazie di Phlogis e di Chione, tonstrici della bottega della +via Jovia di Antioco. Astonio con molto rispetto celebrò le sue Mica, +Marmerion e Nicidion, abilissime nel mestiere e di gentile aspetto. +Nell’atto si udì uno strepito nella via che troncò ogni discorso. Nella +Palestra di contro _discus crepuebat_. Era il segno che le botteghe +dovevano chiudersi, e le terme si aprivano al popolo. I lavori della +giornata erano finiti. + +I giovani pagarono Astonio delle sue eleganti fatiche e partirono. +Alcuni entrarono nel pubblico edificio, ove la folla già conveniva. +Ateio Capito, accompagnato dal bellissimo Lucio, andò per la via delle +fontane di Pallade e dell’Abbondanza verso il Foro, dove si separarono. +E Mathone piegò a manca e l’altro a diritta per reddire nelle loro +case. L’ultimo avea la morte nel cuore. E appena solo, mormorò +dolorosamente: + +— Il più giovane dei miei giovani affetti, la fresca alba del mio +mattino, il lume che schiarava la mia fantasia è partito.... ritorna +nell’Urbe. Essa qui resta amaro e pur delizioso ricordo — un idilio che +ancor commuove il cuore. Ne cerco macchinalmente la mano colla mia e +la ritraggo a me vuota. Fui lo schiavo di molte maghe. Ma l’ultima.... +Aveva fatto di questo asilo un Eliso.... Oh! le splendide illusioni! +fugate come le foglie secche del bosco! — + +Queste parole, a se stesso, in una stanza buia e riccamente addobbata +della casa ch’è di contro alle Terme presso il Foro e proprio innanzi +allo ingresso praticato dalle donne. + +Era disteso sur un lettuccio, prostrato, avvilito. Sentiva nel profondo +il fremito dei pensieri alati che corrono ardenti, che volano verso +quelli che si amano e che poi tornano monchi, desolati e soli. Era +passato a traverso di tutte le gioie, di tutti i disgusti, di tutti i +disinganni, di tutte le tristezze, di tutti i peccati del mondo. Il +mistero aveva gittato ogni velo alla sua presenza. L’anima era giù +nello abisso. Molti nel suo caso in Roma si segavano le vene, o si +facevano uccidere da un liberto. Levossi, scoppiettò colle dita, uscì +dal cubicolo, e s’avviò verso il triclinio, ove bene spesso aveva fatto +gioiosi mangiari. Due giovanetti biondi e cincinnati, i più belli che +fossero in Pompei, Belder e Hado, vestiti succintamente di un tessuto +di lino egizio, apportarono entro ricco paniere frutti gustosi — pane +e idromele — un’anfora di vino di Chio ed un vaso di argento d’onde +esciva il vapore della acqua bollente. Due piccole tazze dorate erano +sul desco. In una mescevasi il _merum vetus_ e nell’altra più larga e +profonda l’acqua che riscaldasse il vino. Archigenes, giovane medico +in voga, prescriveva — giusta il dettato di Heraclide di Tarentum — e +raccomandava l’uso del vino caldo mangiando i fichi. + +Ateio Capito si trovò solo su quei cuscini, premuti altra volta da +figure animate e graziose. Un raggio di sole pallido e tristo guizzando +tra le foglie degli aranci e tra i cespi di rose dello xysto, entrava +sul limitare della stanza e rischiarava pareti abbellite da squisite +pitture. — Leda che presenta a Tindaro i suoi figli Castore, Polluce +ed Elena in un nido — Amore che si lagna colla madre del disprezzo di +Diana — Teseo che abbandona Arianna. — Mangiò e bevve sbadatamente. +Ombre invisibili lo circondavano e seguivano i suoi movimenti distratti +coi loro lunghi sguardi. + +Si ritolse di quivi smanioso. Offerse frutti ai penati nella edicola in +fondo al giardino e andò a ricacciarsi sul letto. Avea le vertigini. +Nulla amava in tal momento...... neppure la donna — malgrado che +sì seducente fosse e che avesse voluto di proprio moto partire — +Nikopolis, la bella greca, aveva trastullato la sua mente — vi aveva +lasciato un vuoto — ma non si era impadronita del suo cuore. + +Hado leva la tenda spessa di panno e con accento gutturale sicambro +pronuncia: + +— Padrone, una giovane donna manda a te questa epistola. — + +Ateio ruppe il filo che legava il rotolato papiro, staccò il nodo col +suggello di cera; e lesse: + +«_Chrysis A. Capito suo._ + +«So le tue cure. Verrò. _Deos obsecro ut te conservent._» + +Nella corsa state erasi imbattuto in Baiæ con una etera sedicenne, di +una rara bellezza. — Bruna. — I capelli come ala di corvo coi riflessi +turchini. — Ciglia nere e lunghe. — Naso profilato e formante una linea +retta dalla fronte alla base — Ovale divino. — Sorrideva come altre +mai. — E parlava coi suoi labruzzi di corallo con una volubilità, con +una grazia da incanto. — Nè grande, nè piccola. — Un bello ideale di +donna, di quell’essere incompreso ed incomprensibile; Angiolo decaduto, +sulla cui fronte sembra che Iddio lasciasse piovere un raggio della sua +divinità, e il cui sangue conserva sempre i ricordi dell’Eden perduto +insieme col fomite dell’antica smania curiosa. Nata ai piedi di un +vulcano, ne aveva le furie, il calore, la bellezza e il mistero. Da +essa potevasi attendere tutto. Gioie di paradiso, annegazione completa, +disperazione da dannato. + +— Venere me la manda, e pare la faccia prendere dal malizioso suo +figlio. Chrysis è _oro che si vende per oro_. E Nikopolis cosa era? Lo +ardore dei sensi velato da un ingenuo civettismo che pur valea aurei +nummi. La _bastarna_ che la porta nell’Urbe non soffra nè la pioggia +nè il vento; e le mule che la trascinano non la ribaltino per via. +Rifabbricando sui ruderi i ricordi estivi, ricompongo i miei giorni +felici. — Sì, _suavissima mea_, vieni e ti amerò. — + +Levossi di letto, stirò le braccia, sbadigliò e riprese; + +— Sciocco che io era. Stava soffiando una burrasca in un simpulo. +Tutte eguali! Diverse soltanto dalla voce e dello incarnato! Essa +verrà, e colle dita di rosa raggiusterà il mio rotto cuore e lo renderà +sensitivo e profumato. Stravaganza insensata l’ostinarsi negli affetti +sentiti e di altri tempi! I miei padri colla virtù della mente e delle +braccia conquistarono il mondo. Quirino lo disse, e noi cel godiamo. +È il diritto degli eredi. L’uomo antico è spogliato. La pellicola +vetere cadde; e chi la conserva, la infradicia nella carcere Mamertina +o soffre la grande o la piccola diminuzione del capo — la morte — +o l’esilio. — Venga Chrysis e sdimenticherò la noia e quel ridicolo +rammarico per l’assenza dell’Ateniese, pessima cicuta che già scorreva +col sangue nelle mie vene. Farei vergogna al mio nome e al gentil seme +latino che regge l’orbe a capo della nostra possente repubblica. — + +Gli attenti lettori di questi miei studi di risurrezione non taccino +di anacronismo le ultime parole di Ateio Capito. Quel degradato +Quirite visse e morì credendosi repubblicano. Non dobbiamo attribuire +agli antichi le distinzioni delle nostre parti politiche. È lo stesso +sproposito dello scultore che pose la _lorica_, il _sagum_ militare, +la _solea_ coi _vincula_ che legavano i sandali sulle gambe di +Scipione l’Africano alle statue equestri dei due Ferdinandi della casa +Borbone, e la _toga pura_ colla _tunica_ a quella in piedi di Leopoldo +di Lorena. Nel mondo romano non potevasi fare una distinzione tra +repubblica e monarchia, perchè l’una era la forma dell’altra. Quando +Giulio Cesare ammodernò il reggimento, dicendo che era necessario +tranquillizzare i cittadini col moderare la pubblica cosa e porre un +freno alla licenza e alla dissennatezza omai generale, le istituzioni +rimasero, e nulla fu cangio. Il potere era stato spesso nelle mani di +un solo. E i troppi avevano plaudito alla dittatura. Sì, che sursero +sentenze a suo pro. — _Nulla regni societas. — Insociabile est regnum. +— Nulla fides regni sociis._ — E allorchè succedaneamente un solo +governò lo impero della repubblica, nessuno si die’ a lamentarlo perchè +pareva acconcio che un sì vasto dominio avesse ad essere retto da un +solo capo. Tacito — il giustissimo e severo giudice delle peccata dei +suoi tempi — apre il libro quarto dei suoi annali con queste parole: +_Caio Asinio, Caio Antistio Coss. nonus Tiberio annus erat compositæ +Reipublicæ florentis domus_ — cioè — Sendo Consoli Caio Asinio e Caio +Antistio, volgea per Tiberio il nono anno di racchetata repubblica e di +fiorente famiglia. — + +Al tempo di cui narro gli avvenimenti in Pompei nessuno pensava a +rovesciare la forma del governo. Ma tutti avrebbero amato di non +trepidare sulla cara vita e sulle acquisite fortune. Trasea, Tacito, +Persio, i fieri patrizi, i filosofi malcontenti aveano lamentato i +vecchi costumi di Roma e gli antichi usi politici non incompatibili +collo impero. Chiedevano che il principe non nominasse i senatori, nè +li radesse a capriccio od a seconda della mala sua voglia. Nè salisse i +liberti ai primi gradi del governo. Laonde i virtuosi e i pochi onesti +non alla Repubblica erano devoti, ma alla cosa pubblica. + +— Odo rumore di voce. È dessa. Viene. — + +Ed Ateio non s’ingannava. Trasse a sè la cortina e Chrysis gli apparve +dinanzi come una visione mattinale. + +— Eccomi a te, _dulcissime animæ meæ_. — + +E gli cadde tra le braccia. L’altro la baciò sul viso e colle due mani +quasi la cinse. Era un’ape; e infantile, sorridente e appassionata +nell’atto stesso. L’uomo ebbe baci di ricambio e sentì un filtro soave +penetrare lentamente per tutte le parti del suo essere. Era così noiato +poc’anzi. Allora, qual cambiamento! + +— Sono venuta a guarirti. Ti porto un miracoloso amore sul quale, +o ingrato, non sapevi contare. Eppure io so che soffiavi nei lunghi +flauti, affannandoti per una donna il cui cuore paga i devoti alle +calende della sua patria. Credilo. Ti ostinavi a porre il basto sulla +schiena di un bove. + +— E chi è colui che vestì la _toga prætexta_ per le funzioni di edile +senza aver bisogno dei miei suffragi? + +— Epidico Rufo, il tuo amico _a teneris annis_. + +— Può crepar gli occhi alla cornacchia, poichè ha lo sguardo che va sì +lontano. Ciò che v’ha di vero è cotesto. Io ti amo, o Chrysis. E ti +dovrò le grazie maggiori se per qualche giorni — per quanto tempo ti +parrà — mi farai qui menare la vita che vivevamo in Baiæ, quella vita +che lascia corredo di sogni per la età a venire. Prometti? + +— Lo giuro per la gentile patrona della nostra Colonia. + +— Mira! Tu se’ giunta in tempo. Il sole cade. Farò venire Epidico e +Cæsonio. Con essi le amanti loro. Va nello xysto ad intesserti la +corona di rose. Poi ceneremo lietamente e lungamente. Thespio, il +tricliniarcha, ti aprirà i cubicoli qui, o sopra e sceglierai. Se temi +i tremuoti, meglio stare a terreno. Comunque tu opini, io sarò presso +di te. E morire tra le tue braccia, o Chrysis, è un desiarsi in grembo +a Venere celeste. — + +La fanciulla di Neapolis non era una vestale. Nè per quella vita +claustrata avea vocazioni. Le frasi di amore l’erano ben familiari. Ma +dette così — e da lui — le fecero uno strano effetto. Grosse lacrime +le velarono le pupille. Impallidì. Masticò per qualche istanti il +proprio silenzio. Gli prese la testa fra le mani. Vi pigiò su le labbra +convulse e andò via. Quelle lacrime, quel pallore, quel bacio valevano +bene un lungo discorso. + +Ateio si lavò; si profumò; vestì la _synthesis_ che Nerone fece +adottare col proprio esempio; la strinse ai fianchi col _cingulum_ di +seta, le cui estremità pendenti servivano di _crumena_ da riporvi il +danaro; vi appese il _sudarium_; pose ai piedi le _phæcasiæ_, specie +di calzatura posta in moda recente dai Greci; adattò al collo una +_catenula_ composta di anelli d’oro; ed aperta la _dactylotheca_, +trasse da quello astuccio alcuni cerchi di diamanti, di rubino e di +sardonica che aggiunse al _symbolus_ che serviva di sicurtà ai suoi +contratti. E così andò incontro agli amici nel peristilio e di là al +luogo della festevole _comissatio_. + +Cotesto scioperato era assai giovane. Ventitrè anni. E velava di +esagerato scetticismo l’albospino fiorito della età sua per dinotare +come le illusioni le avesse cacciate lontano. Schiavo del piacere, +credeva in esso il solo sovrano possibile, mai esautorato, della umana +stirpe. Talvolta, in mezzo alle orgie — donde nascea la follia, lo +epigramma, il cozzo dei bicchieri e il tumultuar delle voci — s’isolava +in un capriccio, si racchiudeva in un sogno, volava ad un pensiero che +lo togliea dalla crapula ove gli altri si degradavano. E ciò lo rendea +caro alla fanciulla napolitana la quale lo avrebbe voluto sempre così. +Allora si sentivano di una carne, di uno spirito solo; e le delicatezze +più sacre erano quelle che si ricambiavano. In quella sera egli le +prese furtivamente la mano e la baciò con un rispetto che lo rendeva +felice. + +Tra i fumi del vino che invadevano i cervelli e gli scabrosi parlari, +Ateio si curvò verso l’orecchio di Chrysis e le disse sommessamente: + +— Sai comprendermi tu? Io ti amo di tutta l’anima mia.... come se non +avessi amato giammai.... come non pensai fin qui che avrei amato alcuna +donna nella vita. + +— Oh! non parlarmi così, luce di sole...... Da qualche tempo ti guardo +e non mi sembri più umano. + +— E che rispondi a questo grido del cuore? + +— Mi abbia Venere irata se la passione m’inganna... Ma io perdutamente +ti riamo. + +— Che io viva, o ch’io muoia, io rivaleggio coi numi. — + +La bella fanciulla aveva avuto il suo amante improvvisato in Baiæ, +offertole dal capriccio dei passi. E pur d’improvviso la era apparsa +ad Ateio quando men l’attendeva. Abitavano ambidue la contrada poco +acconcia al viver casto e pudico. Avevano appartenuto al capriccio, +di cui il nome ed il viso potevano cambiarsi, ma le esigenze sì +per lei, come per lui non cambiavano mai. Amarezze sdegnose, inique +collere, sterili gelosie i miei padri non le conobbero. Rispettavano il +passato come sacro mistero. Ora lo affetto bollente erasi fatto sangue +impetuoso e carne trionfante. — I beoni vedevano triplo. Le donne +avevano il volto acceso e stralunato. — E nessuno di essi notò quando +il _pater convivii_ e la sua amante si levarono dal _textile stragulum_ +per andar via. Essi corsero a celarsi nello Eliso della voluttà e dello +amore. + +La luna risplende in Pompei come non vidi mai altrove. Sembra ch’essa +corra amorosa per ogni via in cerca del bello Endimione, di cui tanti +i dipinti sulle pareti degli atrii e dei cubicoli. In quella sera +navigava per l’aere azzurro nella sua pienezza. + +Belder era appoggiato al muro sul margine della strada. Pensava alle +sue verdi lande popolate di buoi. Alla indipendenza della sua razza +indomabile. Alla obbrobriosa sua schiavitù. Egli, libero già come +l’usignuolo delle sue native foreste, ora abbandonato dai suoi rapitori +poichè il vendettero, disperava di più rivedere i ruvidi altari, +le funebri collinette di sabbia sotto le quali posavano calcinate +dal fuoco le ossa dei padri e i ripari di terra dietro cui si erano +trincerati i Kanine-faten per difendere dalla ingorda prepotenza dei +Romani i nati del proprio sangue e le pelli — letto, veste, coperta, +difesa, lusso della loro esordiente civiltà.... E sospirava! + +Alto e ben fatto della persona, ventenne, biondi capelli inanellati +gli cadeano sulle spalle — poichè era _acersecomes_, cioè, intonso — e +una leggera lanuggine gli adombrava il labbro ed il mento. Aveva uno +di quegli ingenui sorrisi che sembrano tutto comprendere; e tale era +lo sguardo racchiuso nella sua glauca pupilla, a ricordare i disegni +capricciosi delle torbe accese nella capanna ov’era nato, in cui da +bambino pareagli notare i gigli dei laghi, i cespi fioriti delle eriche +e i gruppi dei pini agitati dal vento e guizzanti come onde oscure di +fumo nella spessa ed umida atmosfera. + +Un gruppo di giovanette escì parlando e gesticolando e ridendo dalla +porta delle Terme. Erano le liberte e le schiave di C. Cuspio Pansa +che rientravano dopo il bagno dirimpetto, nella casa vicina. Una delle +fanciulle vide più in giù a diritta il sicambro. La luna lo illuminava +tutto. E con una grazia quasi infantile, che le parole non sanno +dipingere, corse a lui ed aperto gli disse: + +— Da che ti vidi mi sembrasti Adone. E quando ricordo il bacio che in +Milo la madre mi dava al destarmi, desidero ardentemente che tu mel dia +in questa terra straniera. Vuoi tu riscaldarmi l’anima con tanto bene? +Senti tu gli affetti siccome noi li sentiamo? — + +Il giovane distese la sinistra sul capo di lei, le volse la faccia +verso la luna ed aggiunse: + +— Sei bella, quantunque le Nornen — le sorelle del Fato — ti abbiano +abbronzato la pelle ed acceso il fuoco negli occhi. Wodan — il +terribile iddio — bacia le stelle negli spazi del cielo. Io bacerò la +tua bocca. Ma io non amo mettere da parte l’anima mia nelle felicità +dei miei sensi. — + +Phanisco gli fissò gli occhi addosso con una espressione di soave +languore. Lo sguardo fiero e più la parola austera del selvaggio +figliuolo dei boschi la penetrarono. + +— Qui, nei nostri cuori una comunione eterna di gioie, di pensieri, di +pene. Vuoi tu amarmi? Puoi tu cementare la unione divina di due cose +immortali che si confondono? — + +— Dammi la mano — Freya ti spinse ver me per alleviar le mie pene... +Quando avrai bisogno di un uomo che si faccia uccidere per salvarti, +non correre lungi, io sarò qui. — + +La donna, nervosa e passionata, debole e pure dominatrice, si slanciò +nelle sue braccia senza rispondere. Trionfava dell’uomo che da parecchi +mesi spesso incontrava e subito amò. Era il papiro su cui voleva +scrivere la pagina gentile della sua vita. L’avarizia non potette mai +appressare le labbra livide sulla sua fronte. Nè i doni, nè i rigori di +Pansa valsero a vincere l’ostinato rifiuto. Le sensazioni deliziose che +ora provava erano la sua ricompensa. + +Fra i due giovani nati in sì diverse contrade — l’una bagnata dalle +nebbie, l’altra calcinata dal sole — che forse incontrandosi per la +prima volta si erano ritrovati — seguì per qualche tempo un dialogo che +chi legge ricorderà senza che io il dica. Nel separarsi si promisero +un più discreto ritrovo. Diana è patrona agli amanti circospetti e +pudichi. Ma, se inverecondi, gli svela. + +— Oh! l’oro fluttuante sul capo tuo! Quante volte sognai di carezzarlo +colle mie mani! + +— _Geif my een zun. Faruel._ — + +Phanisco gli accordò di gran cuore il bacio che l’atto delle labbra +protese — e non la frase sicambra — le parve volesse significare e andò +via. Ambedue, rientrati nelle dimore dei loro padroni, si coricarono +sui velli di montone che servivano loro di letto. Non una parola, non +un sospiro, per tema che l’ospite divino, penetrato nel cuore, offeso +da distrazioni, fuggisse. + +Cneo Vibio aveva voluto disporre e rinnovare lo aspetto interno della +casa pel ricevimento della sua sperata. I migliori pittori vennero a +decorarla coi loro pennelli. Ordinò vasi fittili in Nola. I bronzi, nel +paese. I trapezoidi e le statue di marmo, in Herculanum. + +Si lavorava. Gli artisti davano l’ultima mano alle pitture. Gli schiavi +avevano lustrato col piombo i pavimenti. I fonditori consegnavano i +candelabri; il letto nuziale e le _sellæ jugatæ_, con quel meandro che +noi chiamiamo _greco_ e i Romani dicevano _lacunar_ ed i Greci φάτνωμα, +da φάτνη, alveolo, specie d’intarsia di argento sopra una fascia di +rame sul bronzo; le lampade; gli arnesi molteplici al servizio delle +imbandigioni e dei delicati mangiari. Nel tablino — il cui piano era +di mosaico bianco inquadrato da un filetto nero; e le pareti, dipinte +da Alectryon, rappresentavano le muse Talia, Euterpe e Melpomene, +gruppi di baccanti e di fauni, Ganimede rapito dall’aquila di Giove, la +collera di Achille, Ulisse che con una gherminella gli rivela i maschi +istinti, e il mendicante re d’Ithaca che chiede soccorso ad Eumeo — +erano stati deposti sui banchi e sul mosaico i vasi, le tazze di vetro +egizio scolpito, una statua di bronzo ed una di marmo. + +L’uscio di strada era aperto. Uomini eleganti, o svagati che occupavano +il loro tempo nel girandolare, nel domandare e nel ricambiarsi le +novellucce del giorno, nel ber fresco o condito in ogni termopolio, nel +rilevare i vizi e le ridicolaggini dei particolari — tutte cose nate +dalla attività dello spirito e dalla oziosaggine della vita — scorgono +colà dentro il padrone della casa ed entrano, siccom’erano già entrati +in ogni bottega di profumiere e di orificeria per far compre per sè o +per le loro amanti. + +Alleio Nigidio fu il primo a salutare e a stringer la mano allo edile +ch’era loro venuto incontro nel _prothyrum_. + +— I tuoi dioscuri sono bellissimi, o Vibio. Chi gli ha dipinti? + +— Poseidonio.... — Ehi!... vien qua per udir la critica sul tuo lavoro. +— Mi pare però ch’egli abbia reso questo ingresso uno dei più splendidi +di Pompei. — + +Il pittore che stava dando gli ultimi tocchi nell’atrio ad una Venere +celeste coronata, vestita di azzurro con stelle d’oro e appoggiantesi +sur un timone di nave, presso il quale Amore è in piedi sur un +piedistallo, si fece innanzi sorridente e sicuro. Aveva un berretto +frigio sul capo. Una tunica rossa sulla persona. La fronte alta. La +barba grigia. Il naso breve e ammassato. Gli occhi rotondi, scrutatori, +memori, pieni d’immagini e di scoperte ingegnose. Quella sua figura +parlante affascinò i curiosi in sull’uscio. + +— Ho seguito la tradizione di Apollodoro. Polluce, immortale, figliuolo +di Giove. Castore, generato la notte di poi da Pindaro, mortale. Il +consorzio di un novilunio, pria di vedere la luce, teneramente gli +affratellò. E quando il geloso Ida rese vedova la rapita Ilaira, e quei +solenni domatori di cavalli divennero costellazioni.... + +— Tu credesti acconcia cosa il ritrarre i due nati di Leda allo +ingresso della casa del nostro edile, come curatori e patroni delle +sue prossime felicità. Bene facesti nel presentarli in atto di camminar +lentamente, reggendo ciascuno pel freno il cavallo. — Nobile e divina +movenza! — + +Così Giunio Semplice. Ma a Milio Maio non piaceva che i due +affettuosissimi procedessero sulle opposte pareti a rovescio. +Simiglianti di volto, di persona, di arnesi, d’intendimenti, avrebber +dovuto, secondo lui, camminar di concerto. Laonde, il pittore a lui +replicò: + +— Siccome Giove permise che l’un rinascesse ogni semestre per consolare +il gemello immortale, così l’una stella sorge e l’altra tramonta; ed io +diedi all’uno la direzione opposta dell’altro. + +— E quel pileo costellato il ponesti sui ricciuti loro capi per +dinotarli nati di un uovo? + +— Plozio Svellio potrebbe non ingannarsi. Luciano pur dice così. Ma io +credo con Festo Pompeo che il pileo fosse dato a Castore e a Polluce +perchè spartani, i quali avevano il costume di combattere pileati. E +la clamide la posi sugli omeri _insidentem_, come Aliano il decise. Ed +_ambo hastile gerunt_, siccome Stazio ha notato. Non trascurai veruna +particolarità. — + +Il capannello erasi accresciuto. E tra gli altri, fattasi innanzi +Laconies, una schiava addetta alla tessitura delle tele, volle +anch’essa dire il suo verbo. + +— E al ver ti apponi. Orazio dice nelle satire, + + _Castor gaudet equis, ovo prognatus eodem_ + _Pugnis_.... + +Dunque se Castore fu detto _equorum domitor_ e distinto nei giuochi +delle corse, Polluce si palesò valente pugillatore e patrono agli +atleti: + +— Al duro accento ti riconosco spartana. E mal comprendo come tu abbia +sì presto obbliato i tuoi conterranei, i quali mai si dipartono dai +loro cavalli, doppia forza al guerriero. E ti aggiungerò qualmente la +voce della tradizione faccia Giunone donatrice ai Dioscuri di generosi +destrieri; laonde sempre, o sopra, od a lato di essi, ritraggonsi sui +bassorilievi, sulle medaglie, sulle gemme, sui vasi e sul marmo. Se +non vuoi ammettermi queste ragioni, concedi ad un pittore il seguir la +legge della euritmìa, e torna al tuo mestiere di Aracne. — + +Risero gli amici alla confusione di Laconies che andò via borbottando. +Ma prese a difenderla Vibio. + +— In una città qual’è la nostra, a poche miglia di Herculanum, presso +Neapolis e Nola, non lungi da Baiæ e da Cuma, ove ad ogni piè sospinto +si rizzano dal suolo edifici eleganti; ove di statue son prodighi il +Foro, i teatri ed i templi; ove l’occhio di tutti viene educato al +vero ed al bello ideale; ove i portici delle case private si animano e +parlano agli occhi di chi attento riguarda; ove la vita, dopo il breve +lavoro manovale, si passa in letture, o in racconti, od in poetiche +rapsodie, non è maraviglia che anche la mia povera schiava abbia potuto +emettere il suo giudizio e non aver torto. Nell’Urbe il Campidoglio +si abbella di Dioscuri colossali a lato dei loro cavalli. E ricordo i +versi del poeta che pur dice: + + _Puerosque Ledæ,_ + _Hunc equis, illum superare pugnis_ + _Nobilem_.... + +Ma, udite il tafferuglio delle mie genti nel tablino! Mirano e +sentenziano. Andiamo a vedere il Meleagro, la Baccante, la Venere +celeste ed un Marte, or or condotti dal nostro valente Poseidonio. +Quindi esamineremo i dipinti di Atheneo, di Charicles e di +Astynoos. — + +E di fatto, non eran chete le gazze. Rhodope e Primigenia avevano per +le mani due specchi; il disco del primo, di argento, era sostenuto da +una figura ignuda che ha elevato le mani e poggia i piedi sopra una +tartaruga; il secondo aveva un capriccioso manico ricurvo, terminante +con una testa d’oca, quasi per appenderlo; ed il disco era afferrato +dalla bocca di un ariete che colle prolungate corna pur lo fermava. + +— Mercurio, nipote di Atlante, sostiene convenevolmente la immagine di +una donna, ch’è il pernio del mondo. La testuggine, simbolo del facondo +dio, indica il voto che la bellezza sia lenta a sparire. Ma le serpi, +le ali, la borsa perchè qui obliati? + +— Chiedi stranezze, o Rhodope. Le corna sì, in questo che ho nelle +mani, sono di troppo.... Oh! Mira il bel vaso che fa Lochiades +opponente da Batracho. Quel giovane che ha l’asfodelo nel pugno è in +vero manchevole nella persona. + +— Sì, quel torso non fa onore al pennello di Echeclos. Potea +risparmiarsi di graffiarvi καλος. La giovanetta nuda è meglio +trattata. Le linee s’intrecciano armoniose, con grazia e con eleganza +d’invenzione. + +— Di’ sino a domani. Ma il Nolano sa quello che fa. E chiudi la bocca +dinanzi l’altro fittile che presenta la leggiadra donna che ha nella +destra lo scettro della bellezza, e porge colla manca una coppa piena +di gioielli a quel giovane che accetta il dono e ne toglie di sorpresa +una grossa perla. Gli è il simbolo delle nozze di Vibio. La perla del +dolore. Il premio alla virtù.... Oh! lui beato! + +— Veh! Epogato il bel vase di bronzo dal solo manico che finisce con +due colli d’oca e dalle foglie di acanto che accompagnano i tre piedi +con gentili incisioni. + +— Ricorda, o Polydemo, i bei versi di Virgilio: + + _Et nobis idem Alcimedon duo pocula fecit,_ + _Et molli circum est ansas amplexus acantho;_ + _Orpheaque in medio posuit_...... + +— E vedi nel manico la testina di Orfeo che da Alcimedonte fu posta nel +mezzo del vaso cennato dal Mantovano. Meglio interessante questa diota +col gruppo formato dal puttino alato e dal tigre sui due manichi. + +— _Butu Batta!_ Cotesti κακαβοι, o come qui gli chiamano, _akena_, +faranno brontolare il _coquus_ Elesiade di Messana. Più eleganti le +_sartagines_ da friggere, le _pelves_ da cuocervi dentro le carni e +le _patellæ_, quelle tegghie da pesce. Eccolo che viene, o Lucidea. +Scommetto approverà lo _ahenum_, di forma elegante, che ha il manico +del coperchio simulante un delfino. + +— V’ingannate, o Abacino, o Issa, o Hagyo e Certa. I cacabi da +appendere o da poggiare sui tripodi gli amo meglio semplici e senza +ornamenti. La dea Fornax nè sa qualcosa quando gli schiavi gli +nettano. Le casseruole le avrei volute fornite di bei manichi — una +testa di lepre — un capo d’aglio — un ariete. — V’è solo il buco per +appenderli. La patella per cuocer le uova a riverbero nei loro gusci +onora l’artefice. Cotesta sì, è una sorpresa, e debb’essere Mutraio +Quirinale, il fabbro che ha bottega sulla via Domizia. Liberò alla sua +salute stasera dal vinaio Spiritus. E poi, come tutto è bene stagnato +nello interno, secondo il recente sistema dei Galli Biturigi, sì che +pare inargentato come pria si faceva. + +— E che dici, o sapiente manipolatore, di quella fornacella di ferro, +contenente il vaso per le opere tue? + +— Non la lodava, o Certa, perchè _pars maxima in ea_. Ne dissi il +congegno a Saturnio, il puteolano; ho assistito alla sua fattura, e +me ne servirò per tenervi calde le salse con pochissimo fuoco, chiuso +com’è di ogni parte. Ma i tre manichi ch’egli vi aggiunse, uno pel +coperchio e gli altri per trasportar la fornace ove piaccia — quelle +statuette di donne giacenti — sono proprio una maraviglia. + +— Berrai anche per lui, o Elesiade, eh? + +— E berrò triplo, o Abacino, se tu mi secondi. — E berrò decuplo +come Anacreonte, se Certa non disdegna il contatto delle mie labbra e +l’autocrazia sulle vampe del mio cuore. + +— Salve, o imperatrice dei cacabi! + +— Eh! dicesse da senno.... accetterei. — + +Due ragionavano tra loro in mezzo agli sguaiati parlari. E miravano +due statue di perfetto lavoro. Quella di bronzo posava sur un globo +guarnito dalla fascia zodiacale. Era da collocarsi nello impluvio, +dinanzi lo ingresso della casa. L’altra di marmo aveva un occhio di +bronzo nelle reni per collocarla sospesa in aria tra le tettoie della +seconda corte e sopra lo xysto. Erano veramente due capi d’opera. + +— Mira, o Aurelio Postumio. Le chiome cadenti sugli omeri, il seno +ricolmo, il peplo che dal capo va giù in lunghe pieghe, la rotondità +delle forme la testimonierebbero donna, se l’artista l’avesse tutta +coperta. La destra rialzata sulla spalla per rilevare l’unica veste e +il flabello che stringe colla sinistra sono pur muliebri atteggiamenti. +Quel figliuolo di Mercurio e di Venere nel cui corpo la passionata +Salmace si compenetrò, servì all’allegoria di cui sono scuole perpetue +le antiche iniziazioni. + +— Come, o Vepinio, l’ermafrodismo non è dunque nella natura, e le son +favole quelle che troviamo nei papiri? + +— Sono e non sono. Ma la statua che Vibio commise allo artista +ercolanese dice tutt’altra cosa. Cotesto accozzamento delle parti +maschili e delle forme femminee che posa i piedi sul globo terrestre è +il genio della natura che s’immedesima nei due sessi. + +— Che ammirate di bello? + +— Ammiravamo, o Giunio Semplice, l’allegoria ch’è in quella statua di +bronzo e.... Vibio, tu fosti servito a dovere. Il Fauno, il Narciso, il +Sileno, il Bacco, ed altre poche scolture in Pompei possono gareggiare +in siffatto confronto. Ti costa molto? + +— Aurei nummi! + +— Bene spesi!... E lo stesso artista fe’ pure la statuetta di marmo? + +— Mai no. — Una è di Apollonio, figlio di Archias. L’altra è di +Suliodes, lo ateniese. Rappresenta l’anima umana che allargando +mollemente le braccia e spingendo lo intero corpo vaghissimo nello +spazio, cerca, ricerca, urta, cade, si risolleva e vola nelle ondulanti +spire dell’aria. + +— O maraviglia! + +— E perchè nel destro polso la sottile armilla? — + +Un uomo ch’era stato ad udire colle braccia in croce dietro le spalle, +e tutt’occhi guardava la statua posta sur un tappeto di lana per terra, +non potè a meno di dire: + +— È il legame della psiche immortale col suo velo corporeo quaggiù. + +— Bravo! è un uom di genio costui! + +— Merita del vino _diffusum consule capillato_. + +— No. Se ne avessi sarebbe dolciume. Darò a Peloro di quello _mecum +natum consule antiquo_. + +— Io rimango estatico, o Giunio, dinanzi quella scultura. La rivedrò +messa al posto. Come la gioventù diffondesi per tutte le membra, e +colla gioventù la bellezza! + +— La correzione del disegno, o Vepinio, la grazia dello atteggiamento +sono un insieme che rapisce ed incanta. — + +Nell’atto entravano per l’uscio di strada Hermio e Macerio. Erano due +schiavi dello edile. Uno richiamò la di lui attenzione su due briglie +che avea per le mani — una semplice — una più adorna. — Erano di +bronzo. + +— Mira, o padrone. Questa a sinistra non la desidero. Nessun ornamento. +Lo artefice però ha aggiunto al _prostomis_ la bella catena, la +_psellion_, per sedurmi. Sfibbierò l’altra e la ficcherò pei due +anelletti laterali, ne’ quali va il freno, e la passerò sotto il labbro +inferiore del tuo nobile africano, perchè non apra la bocca. Consenti? + +— Tu hai gusto, vecchio Hermio. La equilia è il tuo regno e disponine a +modo tuo. + +— È buono il signor nostro. Sappiano tutti gli dei ascoltare i miei +voti. — Comperai anche un _prometopides_, da porsi sul fronte del +cavallo. È di bronzo, intarsiato di argento con bella maestria. Mira! +In mezzo havvi un dischetto ove appariscono in basso rilievo due uomini +seminudi che si tengono per mano, pigiando le uve sotto una pergola. + +— E tu, Macerio, che rechi? + +— Una lanterna, o padrone. La luce fumosa della fune impegolata, +nottetempo ti offende. — I due sostegni sono di metallo a getto. Per +dar passaggio alla luce interna ho preferito il corno, sottile più del +vetro e più forte. La comperai da Tiburzio Cato; nè ho a dir altro. + +— Sono contento dell’opera vostra. Andate. — + +Quei giovani s’intrattennero anche alcun tempo collo edile, ragionando +di arte, aspirandone per la retina degli occhi e traspirandone per ogni +poro. + +E chi non era artista in Pompei? Scuole, siccome noi or le intendiamo, +non esistevano. Ma tutto e tutti ne fornivano continuo i modelli, dalla +natura animata alla natura palpitante. I pesci nel mare, le triremi +sul Sarno, i begli alberi carichi di frutta sul piano, le case di +campagna sul versante del Vesvio, i monumenti nella città, i bambini +ignudi, le donne non molto coperte — di belle linee fornite e di facile +consorzio — il culto professato largamente alla iddia del cuore dalla +pubertà sino al possibile, ecco gli educatori allo sguardo per la +scienza della forma, per la leggiadria delle movenze, per la magia dei +colori, per l’armonia dei gruppi. Io veggo graffite sui muri caricature +delineate col sentimento dell’arte. Nello ambulatorio addetto alla +famiglia degli accoltellanti erano immagini di giostre, di uccisioni +e di cacce che nessun soldato oggi saprebbe segnare colla baionetta. I +mosaici presentano una varietà di disegni ed uno accoppiamento di marmi +ammirevole. Non un quadro copia di un altro. Se raffigurante lo stesso +soggetto, diversa la posizione delle figure. E ve ne ha di quella che +Raffaello e Michelangelo avrebbero testimoniato co’ loro nomi. + +Io credo che ai monelli — dopo aver macinato i colori e visto il +metodo di adoperarli — prendesse sovente la fantasia dello imbratto e +riescissero. E incoraggiati e plauditi, continovassero. Quell’_anch’io +son pittore_ debb’essere di antica data. Ed è certo di origine italiota +dai secoli lontani. + +Gli amici si salutarono e si strinsero le mani. + +— Quando le nozze? — + +— Appena, o miei, avrò posto in assetto queste domestiche cose.... Nei +giorni fausti del quinto mese. — Fra poco. — + +— Augurii lieti, felici. — + +Tutti partirono. Andarono di concerto sino all’arco a trionfo. Quindi +ognun prese il suo cammino, quale verso il Foro, quale alle sue case. +Un d’essi, Marco Porcio, avviossi colà d’onde esciva la luce che +irraggiava in quei giorni il suo cuore. E camminando diceva a sè stesso +con quel gesto animato dei meridionali. + +— La mia chimera è svelta come Diana cacciatrice. La donna breve, più +che uno sproposito, è una inavvedutezza di Vitunno che dà il soffio +della vita ai mortali. L’amo bianca, perchè il giglio è bianco. I poeti +per velare gli orrori della pelle bruna la dicono dorata dai baci del +sole. Quell’oro è rame brunito; è una epidermide di assi. Ho qualche +sospetto però sul colore dei suoi capelli. Ma così qual’è, anima e +corpo sono un invidiabile possesso. — + +Cennia Augusta — della famiglia Procula — che l’occupava sì da veder +lei in ogni cosa nella quale imbattevasi, lo riamava; ma di quello +affetto di donna giovane e svagata che vien dopo la idolatria di sè +stessa. Quanta giovinezza! Quali occhi! Oh! come purissimi i suoi +contorni! Tre anni innanzi, in aprile, aveva compito dodici anni. E +se lo spirito avea progredito, anche la natura aveva sviluppato su +di lei le sue forme svariate. Già nella notte un ribollimento del +sangue aveva sollevato i suoi sensi nel calore del riposo ed operata +una gradevole epurazione che avevala agitata e commossa tutta. E nel +maggio, la natura fiorì in lei d’un tratto e senza sforzo, siccome una +rosa vivace e fresca che sbocci al bacio possente dei raggi di un sole +di primavera. Non poteva uom vederla senza sentirsene punto dentro. In +quell’ora la era discesa dal letto di avorio per andare nel domestico +bagno. Quivi: + + _Effulgent camerae, vario fastigia vitro_ + _In species animosque nitent:_ + +E la giovane etèra baloccavasi nel tino di bronzo, lucido e terso come +oro, e udiva la cronaca scandolosa del giorno che Feda, la sua venerea, +le andava narrando, intanto che la _flabellifera_ le teneva lontane le +mosche dal capo. Dopo un lungo cicaleccio su molti svariati propositi, +Giulia interruppe: + +— Oh! Tutto concedo ad Horania di M. Alleio Sirico. — Il lusso di +cui non abbisogno — lo amore che mi circonda — gli affetti di Porcio +dipendenti dal mio sorriso — le di lei ville sontuose in Capreas e sul +Vesbio — tutto — tranne quella _crotocula_ dal colore di zafferano, +tanto ora in moda.... Ahimè!.... Tamno; il mercante nella via Popidiana +che mena alla porta di Nola, mi assicura non averne più di tal +tinta. — + +— Eh!... l’avrà. E vorrà fartela pagar nummi d’oro. Phrygia — la tua +nudrice — udì lo sproloquio che Tamno facea con Ebelana e con Lusia +al proposito di quella stoffa egizia. Certo, par cosa maravigliosa. +Sai?... Egli riceve dal paese che crea ogni portento tessuti bianchi, +ma apparecchiati da industri artefici in Tyro. Gli tuffa nella +caldaia ove bolle un mordente, e le stoffe impregnate escono fuori di +colore diverso, cui nè l’uso impallidisce, nè l’acqua della fullonica +lava. — + +— In verità, di quella tinta io non vidi mai alcuna veste. E la voglio. +E l’avrò. — + +Odesi un leggero rumore di passi sul molle tappeto della stanza vicina. +Una mano solleva la portiera. Ed ecco due giovani e belle schiave, +vestite di lunghe tuniche bianche, le quali penetrano nel misterioso +asilo di Venere e delle Grazie. + +— Marco Porcio, o padrona, è venuto e chiede vederti. — + +— Mercurio, o Feda, a me propizio lo manda. Sacrificherò a quel divino +nel mio larario. — + +E sì dicendo si sollevò dal tino. E dal suo bellissimo e ignudo corpo +discese a goccioloni, come pioggia di perle, l’acqua profumata da +asiatiche essenze. Le schiave denudaronsi anch’esse le braccia e il +petto rigonfio per essere più libere nei loro movimenti. E carezzarono +con minuziosa cura la dermide delicata della padrona mercè sottili +spugne tinte di porpora. E presi gli strigili di avorio, con essi +mollemente la tersero. E la nettarono colle pomici. E la dipelarono +col _lutum venetum_ — miscela di terra di Cypras e di aceto. — E +l’asciugarono a modo colle pelli del petto dei cigni. + +Quando in seguito la Cennia fu innondata di aromi i meglio preziosi +dell’Assiria e dell’India, chiuse la seducente persona in una di quelle +tuniche di lana che Varrone chiamava stoffe di vetro per la somma loro +leggerezza: calzò i piedini in eleganti _soleæ_ scarlatte, adorne di +ricami d’oro e di granati. E appoggiata sulle spalle delle schiave, si +trascinò in una stanza bene illuminata, dove le donne di quella tempra +_dum comuntur, dum moliuntur_ spendevano un anno di vita. + +Finchè durarono le prime cure nessun occhio indiscreto potè penetrare +in quello asilo, come se quivi si fossero celebrati i misteri della +Buona Iddia. Fra lo _speculum_ di argento e la persona è sulla tavola +tutto un _mundus muliebris_ — spilloni, stili, lime per le unghie, +spazzolini pei denti, pennelli pel liscio, mollette per strappare i +peli del mento, vasi di avorio, di alabastro, di argento, di vetro, di +terra di Nola, di murrhina, contenenti i cosmetici i più svariati e le +essenze preziose. — Vi erano le pomate di Cosmos, e di Marcelliano. +E i profumi d’Iris di Corinthum. E gli olii estratti dalle rose di +Pæstum, di Præneste, dallo zafferano di Rhodum, dalla maggiorana di +Cos. Nè tra gli aromi mancava quello delle mandorle amare di Mendes; e +del cinnamomo che costava venticinque denari la fiala; e il così detto +_regalis_, perchè composto pei re dei Parti, il quale odore era il più +stimato e ricerco per la ragione che gli era il peggio costoso degli +altri. + +Dopo avere annerito i sopracigli e le palpebre con uno spillo esposto +alla fiaccola della lucerna e rosate le gote col belletto — sì che +gli sguardi doventassero vivaci e lo incarnato attraente — una nuova +schiava, Hellen, sparse sulle chiome di Cennia un’acqua il cui secreto +era dovuto ai Germani, il popolo suo. Quei capelli, poc’anzi neri +come ala di corvo, presero presto lo splendore dell’oro, ardente qual +fuoco. Dappoi che Nerone avea celebrato coi suoi pessimi versi il +biondo arrischiato della sua consorte Poppæa — cui egli diè il nome +di saccinum, fossile combustibile, bituminoso di un giallo rossiccio +come il giacinto — le eleganti avevano sdegnato le nere capigliature +che ornavano la fronte delle figliuole del popolo italiota e, o si +adattavano sul capo i capelli tessuti delle bianche donne nate sulle +rive del Reno, o li tingevano del colore dell’ambra per non parere +creature volgari. + +Allorchè la _coma_ fu _calamistrata et crispata calido ferro_, e gli +aghi crinali la tennero in quell’ordine di anelli che la moda imponeva, +lo amante poteva entrare ed assistere al compimento dell’acconciatura. +I veli del mistero non avevano altro a coprire dinanzi al suo sguardo. + +— Venere physica e Mercurio abbiano lo altare giuncato di fiori. +Poi sacrificherò io in secreto alle divinità favorite. Intendi, o +venerea? Ora, introduci qui il giovane Porcio.... Prima però dammi la +_calthula_.... eccola là... quella leggera, azzurra, che si accorda +coi miei capelli ora biondi. Mi avvilupperò in essa per quanto +occorra. — + +Marco venne accolto con una di quelle frasi che danno al colloquio +della prima ora lo incanto e la dolcezza della intimità profonda. +Cennia gli stese la piccola mano, gemmata in ogni falange, che l’altro +passionatamente baciò. Non so se i pochi lettori, che le cure nazionali +e le depauperate fortune mi economizzano, abbiano mai riflettuto al +rapporto misterioso che esiste tra la mano e la bocca di una donna +amata. Parmi che in quelle dita, su quelle labbra arda una qualche +fiamma che bruci il sangue. Sono i due punti da cui scaturisce il +filtro che crea le grandi ubriachezze del mondo. + +Erano soli e senza alcun sospetto. Non io narrerò la conversazione +del cuore ch’ebbero insieme. Un profumo divino era racchiuso in ogni +loro pensiero. Un mistico fiore fu colto, assaporato, goduto. Quando +il dialogo — interrotto talvolta da eloquenti silenzi e riattaccato da +frasi velate che dicono tutte le cose della terrà e del cielo — ebbe +fine, la donna dominata da una idea cardinale che l’agitava da tempo, +discese dallo empireo dei sensi e così prese a dire: + +— Io sono ciò che hai voluto.... Mi sento tua. E ne son lieta.... Sì, +tu mi fai la donna felice quaggiù. Ma.... + +— Che manca a Cennia Augusta, l’amica dell’anima mia? + +— Ho il bene supremo con te.... Avrei Venere irata se mi dolessi. +Mi ami e mi dài continove prove di affetto. Ma una goccia di pioggia +turbinosa mi è caduta sul cuore. E i dragoni, le arpie, le chimere, +tutti i mostri di Acheronte non m’impaurano come il pensiero che da +qualche istante mi assedia. — + +Allora lo amante ansioso si levò dalla _cathedra_; e abbracciandola, +cercò consolarla: + +— Se tu mi ami riamata, qual fuoco incendia le ali della tua psiche +divina?... Tu guardi confusa sulle tue mani?... Sei stanca delle +gemme incise da Phrygillo, da Tamyro, da Apollonide, da Tryphone, da +Dioscoride? Preferisci ornar le tue dita di smeraldi, di granati, di +ametiste, di niccoli lavorati da Aquilas, da Quintillo, da Rufo, i +migliori tra gli artefici del giorno? Dillo ed avrai.... + +— No, caro ed amato Porcio. + +— Tu arrossi confusa? Ah! comprendo ciò che da me ti divide. Rivedesti +nell’Odeon Q. Pompeo Amethysto che un giorno sospirava ai tuoi piedi. +Ha un fascino il suo sguardo. Parecchie donne mi han detto che i suoi +occhi dimoiano più facilmente le reticenze del cuore, di quello che il +sole la neve. + +— Tu evochi periglioso ricordo. Che la memoria solletica più +furiosamente dell’atto. E lo invisibile dà una scossa dolorosa e di +tutte delizie alla fibra delicata di certi cuori... Ma, non temere. Non +è l’ombra che viene ad assalirmi.... Bene, una cosa reale. — + +E lo chiuse tra le sue braccia e lo baciò colle labbra smaniose. E +poi, mirandolo fisso per meglio immedesimarselo — era sentimento? +era artificio? chi comprese mai il vero sullo sguardo delle anime +innamorate? — proseguì: + +— Se io ti oblio, o Marco, che Venere mi oblii. Il mio amore per te +è la saviezza del cuore. Io mi voto a te con tutta la tenerezza della +creatura composta di nervi e di sangue. + +— Ma dunque, parla. Che è mai? + +— Perdona. Noi — fragili cose — siamo l’orgoglio, la curiosità, il +capriccio, lo interesse vanitoso del sesso più forte. Una _crotocula_ +io vidi del colore ora in moda. Tamno l’ha venduta ad Horania, donna +del tuo amico Sirico. + +— Ma Tamno altre ne avrà. + +— No. Sol’una ed è quella. Lungo è il tragitto da Tyro. Breve +dall’Urbe. Toglimi da questa malattia del cuore. Ed avrai tra le tue +braccia la donna scherzosa come un epigramma e passionata come una +elegia. Vuoi? + +— Il sole ha mille aspetti commoventi, e tu sei come il sole, o mia. Mi +facesti tremare pur dianzi. Or mi sollevi dal profondo ove la fantasia +incerta non trovava la strada per tornar su. Sì, o amore, sarai +consolata. — + +Chi descrive il sorriso di Cennia Augusta a quei detti? Non io. +Sulla sua faccia splendeva qualche cosa di fuggitivo, d’indistinto, +di misterioso che fornisce nuovi alimenti alle vampe che allumano il +nostro sangue. Quegli che sa le grazie della donna, e che passò la +sua gioventù a contemplarla, e che apprese a vivere contemplandola, +comprenderà e delineerà il sorriso di quella bellissima creatura +appagata. + +— Lo giuro a Venere sacra, e l’avrai. — + +Partì. E quel giuramento della volontà fu un di quei pochi che il vento +mal fido non osò portar via. + +Horania — la giovane donna invidiata pel possesso della _crotocula_ +— era allora in una sua villa sul versante meridionale del Vesbio. La +strada che vi conduceva — praticabile dai cavalli e non da alcun carro +— era abbellita di alberi e di fiori, e di utili culture. Le quali +venivano qua e là interrotte da enormi massi grigiastri che facevano +pensare ai combattimenti misteriosi tra esseri di una forza sopraumana +ed altri la cui natura il senso religioso tentava spiegare. Su quei +massi non una pianta; qualche arido stelo sulle crepacce. Pareva la +preda offerta agli ardori divoranti del sole. La casa era grande e +di forme svariate. Torri — porticati a colonne — piscine elittiche — +atrii con camere da letto, sale, bagni, e fauci che il tutto riuniva, +esponendo ad un cielo di zaffiro le sue mura bianche ed incontaminate. + +Il padrone di quel luogo sontuoso era assente. Sirico — che in città +possedeva la casa prossima alle Terme, dal triclinio il più ricco +di pitture che sia in Pompei, dal protiro che saluta il lucro quale +la divinità del suo cuore, e che sul muro di contro aveva fatto +pingere ad encausto i serpi simbolici contro il mal’occhio colla +iscrizione: HOTIOSIS LOCUS HIC NON EST PROCEDE MORATOR — era un uomo +di speculazioni arrischiate che i costumi depravati ammettevano. +Provvedeva di cinedi e di fanciulle i fastosi del paese e di fuori, +e faceva mercato di schiavi da lui comperati in Europa e nell’Asia. +Da due mesi trattenevasi nell’Urbe a cagione del suo turpe commercio. +Horania era stata a sedici anni da lui acquistata in Pale, dell’isola +di Cephallenia che con Ithaca prospetta il promontorio greco +dell’Acarnania. Più che quarantenne, avevane fatto la compagna della +sua esistenza; impadronendosi di una giovane vita — non del suo cuore — +e sommettendola ai suoi capricci. Il lusso, i vini delicati, i ricchi +mobili, le più ricche vesti, i monili d’oro, le gemme, le perle, il +codazzo dei servi, la casa di città e di campagna sono lo accessorio +della felicità per l’anima giovanile della donna; ma non la felicità +piena. Laonde la si era incaricata un giorno di secondar la fortuna, la +quale talvolta tradiva il commerciante nei traffici suoi. + +Giovinezza e bellezza non sono di frequente sinonimi. Vi ha donne, non +giovani, bellissime. Vi ha giovani incompiutamente belle. Se il volto +è appassito, il corpo è un fiore sul gambo. Se il viso è fiorente, la +persona non è ancor ritondata. La donna dai venticinque ai trenta anni +è la vera madre della grazia, della bontà per tutti, delizie ch’essa +rivela cogli occhi ricchi di pietà, di gentilezza e di amore. + +Ed Horania era, quale io la veggo nei miei pensieri, di una bellezza +antica. Con un elmo greco sulla testa e il torace coperto da squame +d’oro avrebbe raffigurato Minerva in quei tempi della carne glorificata +e dei divini ardori. Le sue narici mobili e graziose posavano sur una +bocca rosea, umida e sempre aperta al sorriso. Quando parlava pareva un +uccello. Quando taceva sembrava un fiore. Due grandi occhi, del colore +delle viole mammole, si disegnavano sotto una fronte diritta, adorna +di capelli abbondanti, che in onde oscure le s’inanellavano sulle +spalle, ritenuti da una rete di fili d’oro. I piedi, le braccia, le +mani impensierivano i cultori dell’arte imitatrice. Da tutta la persona +snella e leggiadra venivano allo sguardo emanazioni sottili, invisibili +di fascino e di voluttà. + +Un giorno Catullo Messalino, tornando da una ispezione alla colonia dei +veterani, la incontrò colle sue schiave in una via solitaria del monte. +L’uomo e la donna si guardarono a vicenda. Ed ambedue compresero dai +battiti del cuore lo arcano che la natura compone nel sangue e rivela +quando che sia. + +Il giovane centurione era siculo. Aveva l’anima di fuoco. E la pelle +che coprìa le sue carni era pure bronzata dai raggi del sole natìo. +Non era bello di quel tipo che Phidias, Gorgias, Pithagora di Rhegium, +Patroclo di Crotone, Hypatodoro e Aristomede di Thebes avevano fissato +con linee convenzionali. Di statura mediocre. Di forme proporzionate. +Un misto di tristezza e di grande energia. Se sul campo contrastato +avesse avuto la fortuna a rovescio e i militi fuggenti, come Arrio +Secondo avrebbe strappato l’aquila dalle mani del vessillifero e, +gittatala in mezzo alle falangi nemiche, detto cogli occhi: + +— Io corro al pericolo in nome di Roma eterna. Seguitemi e riprendete +la gloriosa insegna! — + +Molti uomini, presi dal fulmine di quegli occhi, sarebbero tornati i +vincitori del campo. Nessuna donna — almeno per un istante — avrebbe +potuto restarsi muta allo appello. + +Quei due esseri si amarono e ardentemente si amarono. Messalino passava +alcune ore deliziose della sua giornata con lei. Sulle di lei labbra +gli sembravano più belle le parole della lingua natale. Le frasi si +dipingevano di un candor virginale e di certe delicatezze che pareano +innocenza. Egli coglieva per essa le più belle rose e i più bei frutti +del luogo. Ed Horania, sdraiata ai suoi piedi sur una pelle di tigre, +accennando alle ridenti piagge di Surrentum, di Capreas e di Pithecusa +che chiudevano il cratere partenopeo, addolciava la vita di poetici +pensieri, sollevati dalla immagine estatica ed amante che aveva +dinanzi. Una subita e terribile fatalità poteva troncare il filo di +quei sogni dai quali quegli spensierati si faceano cullare. + +La passione è il vino delle grandi ebbrezze, o è l’acqua di Lete — vino +ed acqua che hanno la potenza di annuvolare i cervelli. + +— Amore! tu mi hai ritolto da una vita di noie e di secreti lamenti e +mi portasti sulle tue braccia in paesi ignorati. Ciò che tu m’inspiri +lo sapeva io pria di vederti? I tuoi baci sono profumati come il mele +d’Hymetto. Il tuo amplesso mi ha creato il cuore. — Sirico.... Oh! +Sirico non era da tanto! — + +Messalino si rammentò di un uso antico della sicula gente che meglio +avrebbe risposto allo incantesimo di quelle parole. Prese dalla corona +di rose che a lei cingeva le tempia un bottone rossissimo di Mileto che +parea fior di granato. Lo sfogliò in una coppa di murrhina ripiena di +falerno e la vuotò in onore di lei e della sua idoleggiata bellezza. + +Questa era la vita che furtivamente, o per caso infinto, o per meditato +convenio menavano da due mesi quelle creature felici sotto il cielo +ardente della Campania e nella invocazione di Venere protettrice. Le +ore lietissime sono siffattamente fugaci da eludere il taglio dello +scalpello, il graffito della penna, il plagio del colorito. Lo spettro, +che è cosa morta, non può riprodurre la scena del cuore, che è cosa +viva. Non posso però ritrarmi dal pingere la sofferenza che straccia e +dilania le viscere di quegli amanti sorpresi nel grembo di una svagata +sicurtà. + +Catullo Messalino, attraversato un bosco di lauri, entra in uno xysto, +penetra nell’æcus e si ferma. Quale inno cantavano i begli occhi neri e +radianti dello eroico centurione? Era un’ode. I ricordi, la speranza, +la gioia illuminavano gli sguardi ricercatori. Ma Horania non vi è. +Esce e nel sollevare la cortina che abbuiava la luce di una camera, +la donna dell’anima sua si leva dal lettuccio e gittandosi nelle sue +braccia, pallida ed in lacrime, chiude il viso sul collo di lui. + +— Domani.... forse oggi.... egli qui! — + +Siffatto caso, sì preveduto, e tante volte meditato, parve ad ambedue +una inattesa sventura. Messalino non rispose e più ardentemente la +baciò. Quindi: + +— Horania.... egli venga e trovi vuoto il cubicolo tuo.... Abbandona +queste equivoche dovizie, sparse di lacrime e sporche di fango.... +Vieni meco.... Dovunque sarò e tu sarai.... Posso omai vivere senza +te?... E non morresti tu lontana dal leone del cuor tuo? — + +La donna era così sprofondata nel suo cupo dolore, che lo udiva +trasognata e levava gli occhi lucidi al cielo quasi per incontrarvi una +idea consolatrice. Ma vi sono momenti nella vita in cui le illusioni +fanno paura a sè stesse e non osano entrare nelle menti desolate dalle +passioni, poi che la innocenza le ha disertate per sempre. E comunque +una idea di affetto le fosse discesa dal cielo o venuta su dal cuore, +la bellissima greca l’avrebbe sfatata. Il centurione era lo avvenire +incerto, l’uomo del gladio, il padrone del braccio, la lotta dello +indomani, la vita dei continovi pericoli. Sirico era il focolare +domestico senza dignità, senza stima nè amore, sì. Ma il focolare che +riscalda, che ha il domani. Era la carezza del lusso, l’abbondanza +dei profumi. Era la età matura sui cuscini di porpora e sul rispetto +degli schiavi prostrati. Era la prosa della Danae abituata alle visite +metalliche di Giove che allontanava da sè la poesia dei ricordi i quali +si facevano ognor più velati. Gittò un sospiro profondo, lo strinse +forte al suo petto, lo baciò furiosamente e poi parlò. + +— Tu sei il bene supremo. Tu sei la esistenza.... La mia sarà omai +breve, lo so. Ma.... la mia vita non poteva confondersi colla tua. +Separiamoci. Il Fato vuole così. Allontanati prima ch’ei giunga. — + +Il siciliano comprese. Ma l’amava. Ed ogni suo nume era in lei. La +guardò fiso per qualche istanti. La baciò sulla bocca, sulla fronte, +sugli occhi e sì febbrilmente da dar vita con quei baci di fuoco a una +morta. E partì. + +Partì. E lo xysto, ed il lago, e la fontana, e gli alberi e la foresta +di lauri ebbero i suoi sguardi sfiduciati e il vale estremo. Se lo +imperatore lo avesse chiamato a combattere, il suo braccio avrebbe +commesso miracoli di virtù in tale istante. Desiderava in tanto dolore +la morte utile agli altri — refrigerio al suo cuore — la morte eroica +del centurione romano sotto lo sguardo dei Dioscuri protettori. + +Corse al mare e si cacciò nelle onde agitate e spumanti. Nuotò per +un’ora onde raccattare un po’ di distrazione e qualche stanchezza. Ma +il sangue bolliva, i nervi erano tesi. — Inforcò un cavallo e di corsa +verso Neapolis. Ma, non appena giuntovi, indietro a slascio, attratto +dalla memoria di lei. — Si racchiuse nel suo cubicolo e passò la notte +in ismanie e mordendo le coltri. Oh! i disegni della sua mente delira! + +— I seguaci di Romolo, le Sabine!... Senza quel ratto l’Urbe non +sarebbe sorta potente.... E qual Sabina la Horania mia! Mia?... +D’altri.... non mia! Di mio non ho che il dolore di averla perduta.... +la memoria di un limitato possesso!... Ecco, io mi slancio alla testa +dei miei veterani, brucio, ruino la casa del mio rivale e rubo la +donna, la sola nata agli occhi del mio cuor travagliato. — + +Cotesto vano trionfo di un istante inebbriava per poco il suo cervello +che ardeva. Ma le leggi del dovere cui era abituato lo tranquillavano +ben presto e gli facevano disprezzare le stravaganti avventure che pur +dianzi lo avevano solleticato. + +Barcollante tra pensieri diversi, uno alla perfino seppe accettarne. E +corso al tribuno dei militi, che aveva il comando delle tre coorti di +stazione nell’agro pompeiano, chiese ed ottenne il permesso di andare +nell’Urbe col pretesto di faccende a lui care. + +Io scrivo sulle agitazioni di un povero spirito, immerso in un pelago +d’idee tumultuose quali esse sono, non quali la convenzione adottata +sui tempi eroici a noi le trasmise nelle pagine istoriche e nei +monumenti. L’uomo nato di donna è sempre uomo. La vita pubblica e il +campo di battaglia possono trasumanarlo; e in questo istante solenne +il cuore si divinizza, la frase diviene sublime e l’atto non è più cosa +mortale. + +Or uno schiavo entra nell’atrio e chiede di M. Catullo Messaline. +Questi esce, svolge una pergamena che gli vien pôrta: e, + +— «Sono ancor sola e libera. E brucio di amore. Vieni.» — + +Corse allo invito e rientrò nella felicità come se riprendesse il filo +di un sogno beato dopo breve vegliare. + +Ore piene! Ore deliziose! Ore che qualche lettore ricorderà. + +A notte tarda riprese la via del ritorno. Era più consolato. Sentiva +ancor sulle labbra il fremito delle labbra non sue. Sentiva quasi sul +petto il contatto di lei. Quando, giunto presso un burrone profondo, +vide nella oscurità escire un’ombra da un masso di lava e venirgli +incontro in atto di minaccia. Dai battiti del cuore di quel fantasma +comprese chi fosse. + +Sirico avea tutto saputo da uno schiavo fedele. Volea vendicarsi. E +aveva in mano il coltello da ciò. La sfida mortale. Il luogo scelto era +adatto. + +La lama aguzza aduna il poco chiarore dell’aria e scintilla in alto +nelle tenebre. Messalino dà indietro, sguaina il brando e ferisce con +impeto. Un urlo disperato e il tonfo di un corpo pesante che precipita +a sbalzi in fondo al burrone compirono la tragedia. + +Tornò sui suoi passi e destò la giovane addormentata. + +— L’ho ucciso. — Or mi appartieni. + +— Ma è sangue oltraggiato quello che hai sparso! + +— Egli uccideva me. Vieni. Mi salvo e ti salvo. — + +Ricoverarono nell’Urbe un delitto di più. + +Delitto?... Eh! baie!... Gli era il prodotto di un funesto amore +dell’anima umana, fiore sanguigno sbocciato in tempi assai diversi +dai nostri, cresciuto nella esaltazione, anaffiato dalla gelosia, +colto dalla minaccia e che sentiva lo aroma di una natura aspra e +gagliarda.... Uomini di tal tempra non permettevano a piedi stranieri +di calpestare con insulto la sacra terra dov’erano nati! Coteste parole +servano a Messalino di scusa presso coloro che coi _se_ e coi _ma_ +si addormentano placidamente ogni sera sulla coltrice delle nazionali +vergogne! + +Siccome gli sguardi, esistono nei lessici di tutte le lingue parole +di doppia vitalità — quella del cuore d’onde escono — quella del cuore +che le riceve. — E spesso in una di esse si annicchia la genesi di una +battaglia, la trasformazione di una esistenza, il rifugio di una grande +speranza, una resurrezione piena di dolcezza. + +Herculanilla era la rarissima tra quelle creature che i poeti +covano nella mente come la più intima, la più cara, la più completa +espressione della grazia, del candore, della intelligenza, della +beltà. Il suo merito supremo consisteva nell’esser lei, non altra +che lei. Nè i pennelli, nè la penna possono fare il suo ritratto. La +donna immensamente amata non si tratteggia, non ha chi le somigli, +è quella! Così Herculanilla era incisa e scolpita nel cuore di +Lucio Vitelio Hycca, colla sua capigliatura ardente e impregnata di +amorosa elettricità, colla sua voce fine, carezzevole, colorata, col +suo pudico sorriso che diceva promesse e la unione del cuore. Egli +aveva combattuto in Giudea; e, nella ostinata e rabbiosa difesa del +tempio in Jerusalem, aveva avuto la fronte solcata dal gladio e il +petto scalfitto da un colpo di lancia. Il primo allo assalto. Il +primo a penetrare colà dentro. Avrebbe dovuto ricevere la _corona +aurea vallaris_, o _castrensis_, perchè quello era un baluardo del +campo nemico. Gli fu data invece la _corona muralis_, perchè si volle +considerare il muro del tempio come il muro di una città. E Flavio +Vespasiano imperatore la offeriva a lui ferito e disteso in faccia +alle legioni vittoriose. E quando egli andava a’ teatri, nel Pecile, +nella Basilica, nelle Curie, in ogni pubblico spettacolo, il suo posto +era dopo quello dei magistrati; e i decurioni in segno di rispetto si +levavano in piedi. + +Aveva in quei giorni arringato a pro di Septumio Clycone, giovane +amante, il quale — non gradito qual genero da T. Uliteo Satanio, +prefetto dei vigili, ed insultato pubblicamente da un di lui liberto — +erasi obbliato sino a batterlo con grave _injuria_ sulla persona. La +rottura di un braccio indicava l’ammenda di trecento assi o libre di +rame. Lo eroe del dramma era un giovane ben noto. La eroina era Vereia +— nome che in Osco volea dire repubblica, forma di reggimento sempre +cara ai Pompeiani — che parea volesse morirne di dolore, mentr’egli +minacciava di uccidersi sul di lei cadavere. La cronachetta era corsa +nella bocca di ognuno. Il bisticcio colpevole. — Lo amore infelice. — +La potenza della parola che aveva tutti commosso nella Basilica, sino +ad ottenere dal padre irritato che l’accusa cessasse pel _dijudicium +intra parietes_. — Gli sponsali accaduti. — Era siffatto trionfo da +annuvolare la mente del debolissimo sesso, il quale per sopraciò non +sa reggere e s’intenerisce alla vista di un uomo generoso, crismato dal +valore e coronato dalla vittoria. + +Vitelio narrava di cotesto suo recente trionfo nella casa di Alphinio +Secondo. Herculanilla, la sua figliuola, parlando, lo interrogava cogli +occhi inspirati da segrete intenzioni. E il valente soldato fu ferito +anche una volta nel cuore. Impigliato nel glutine dello entusiasmo +ideale, comprese; ed ambedue si amarono sin da quel giorno. E se la +fanciulla dopo pochi mesi pensava che la vita spesa senza vederlo, nè +udirlo, non era vita vissuta per lei, egli non sapeva comprendere a che +servissero le ore non irradiate dallo sguardo adorato di quella Venere +terrena, cugina alla Iddia. + +Quanti sutterfugi! Quali lotte! Quanti andirivieni! Quali scuse per un +ritrovo; per una visita; per allontanare un importuno; per celare ad un +indiscreto un prezioso istante della vita; ed esser soli; e goder soli +di quello scoppio di felicità che invade due cuori amanti; e dirsi l’un +l’altro quella parola che non invecchia mai col consumo dei secoli e +sarà ripetuta sino allo istante supremo in cui per lo esaurimento del +calorico terrestre il mondo cesserà dal germogliare e morrà. + +Un giorno che il piacere spensierato, la innocenza sorridente, la +bellezza di bianco vestita irruppe nella camera ove Vitelio attendevela +per secreto messaggio, egli gravemente le disse: + +— Herculanilla! Amore! Soavità della mia vita! Noi siamo dannati a +separarci. + +— Come!.... E da chi? + +— Dal dovere. La mia legione, l’_antiqua_ ritorna in Galilea. _Evocatus +sum._ Non son sacerdote. Non son magistrato. _Beneficium non habeo_ +dai decurioni e dal popolo, quella dispensa che mi darebbe legittima +esenzione dallo esercito. + +— _Heu, me misera!_ Amore degli occhi miei, mi abbandoni così? + +— Non piangere! _Vexilla sublata sunt in Capitolium_, il rosso per la +evocazione dei fanti, lo azzurro pei cavalli. Tito gli chiede ed io ho +già detto il mio sacramento. — + +Herculanilla gitta un piccolo grido, si copre il viso e piange a +dirotto. Vi sono dolori di privilegio che abbelliscono. E quelle +lacrime amare, che tremano come gioielli sulle ciglia, divinizzano la +donna idolatrata. + +— Lascia ch’io beva quelle stille di pianto. Consolati. Tornerò. E +sarai mia... E allora, teco per sempre! + +— Rispetta il mio dolore. Sarà compagno della mia corsa felicità. Sarà +il mio custode nella tua assenza.... E se tu morissi? + +— E se io morissi!... Non dilaniare il tuo cuore con tristi presagi. Io +sono _centurio primipilus_, e porterò l’aquila della legione. Perciò, +col consolo e coi tribuni. Roma vincerà i suoi ribelli, ed io tornerò +al tuo fianco a narrarti il secondo trionfo dei nostri sul più testardo +e feroce dei popoli domi. + +— Va, nuovo Promoteo. Ubriacato dalla gloria, che tu non possa sentire +lo strazio del tuo fegato roso dal vulture crudele! Oh! la immensa +giornata di lacrime e di angoscia del mio cuor vedovato! + +— Tra le mie braccia, o soave delizia di questo istante. — + +E sollevatala di peso, se la premette sul cuore semisvenuta. + +E la baciò a furia, febbrilmente, senza dir verbo. Il dire distrae. +E l’anima era piena di lei e del suo crudo destino. Ma d’un tratto si +staccò di forza e bruscamente partì. Una voce, dolce come una carezza +e lamentosa come un vale estremo, piangeva in un angolo della stanza e +mormorava: + +— Lucio.... a me anche una volta.... poi alla tua Patria! — + +Tornò. E le due teste si collarono per un istante come fossero una +sola. E quel luogo pieno di tanto amore rimase pieno di lutto, di +singhiozzi e di amare memorie. + +Il grande spettacolo della guerra calma ed acqueta le fantasticaggini +della mente e a poco a poco il soverchio calore del cuore. Chiuso nei +nuovi suoi obblighi, Vitelio vi trovò il migliore dei rifugi contro +tutti i disgusti e le tristezze dell’animo. La ferita ben presto +marginò. Tratto tratto la divina credulità delle grandi passioni lo +spingeva dall’Asia in Europa per riassaporare le felici ore godute e +il ricambio delle affettuose cure. E colle preoccupazioni di ciascun +giorno i viaggi dello spirito si fecero meno frequenti. Quando la +morte è attiva e militante, e colla falce delle battaglie miete sul +campo desolato, e distende sotterra l’uomo pria ch’egli abbia consunto +l’opera sua, quello spettacolo riconcentra l’anima svagata e la fissa +al suo grave compito. I Giudei che stimavano la forza ostile non +superabile, fecero il gran giuro e fermarono morire prima che sostenere +la schiavitù della patria. In Tarichea, non più pane per le donne, non +più pei figliuoli; e già tutti, d’una voglia sola, sacrati alla morte. +Un rogo s’innalza. Vi ha chi tronca la vita e chi gitta con mano libera +ancora i cadaveri sulla catasta. E ciascheduno attendendo lo istante di +ardervi colle persone più caramente dilette, grida: + +— Meglio morire che veder morto il nido natio! La morte non è un +morire; ma gli è un vivere col Dio di Moises e dei profeti. — + +Ed Herculanilla in lacrime attendeva sempre nel suo amore immortale il +ritorno di Lucio Vitelio Hycca vittorioso e fedele. + +XVII EIDIBVS JVNI. Era giorno fasto. Lungo l’anno venivano deposte in +un vicolo chiuso presso il tempio di Vesta le ceneri del fuoco sacro +che si ritiravano dallo altare. La porta di quel chiassuolo, detto +_janua stercoraria_, si apriva dal pontefice Massimo e le ceneri erano +gittate nel Sarno. Quel giorno rispondeva a’ dì quindici giugno del +nostro calendario, fissato già per le nozze religiose di Cneo Vibio e +di Melissæa. + +Gran folla era nella via Domizia. L’atrio, pieno di amici delle due +famiglie che univano il loro sangue. Ve n’erano di prima e di seconda +ammessione. E qua e là i clienti e gli affrancati in faccende. + +Ma il grande affare trattavasi nella camera della sposa. Le _cosmetes_, +le _ciniflones_, le _calamistæ_, le _psecæ_, le _vestificæ_, cioè le +schiave che pettinavano, che acconciavano i capelli e vi soffiavano +su una polvere che ne faceva risaltare il colore; che li arricciavano +co’ ferri caldi; che davano l’ultimo assetto alla pettinatura; e le +sarte che vestivano la giovanetta erano tutte attorno di lei. Escita +appena dal bagno e asciugata, Scaphion gittò sul bellissimo ignudo +corpo il _supparum_ di lino egizio, ch’era pur detto _sindon_, o +_vestis byssina_, simile per la forma ad una camicia, senza maniche +e sparata sul petto; e chiusi i piccoli piedi nei _calcei purpurei_. +Sur una tavola era la _narthekia_, il mobile più prezioso allo assetto +delle donne. Era una scatola di legno odoroso, guarnita di cornici e di +fasce di avorio in rilievo. Conteneva unguentari di cristallo scolpito; +fibule d’oro; piccoli arnesi di argento per le unghie, per le orecchie +e pei denti; fiale di sardonica; e vasettini di alabastro, contenenti +essenze profumate venute di Antiochia e di Alessandria. Fabricio +ci ha serbato i nomi di venticinque di esse; nomi nuovi e svariati +di raffinamenti e modificazioni impercettibili, con cui i mercanti +spacciavano gli stessi odori che avevano tutti per base la radice di un +arbusto chiamato _costum_, o le foglie aromatiche dello _spicanardus_. + +Melissæa è seduta. Delphia tiene a lei dinanzi uno specchio di argento +lucidissimo, di forma rotonda, chiuso in una cornice dorata, di +quelli che si fabbricavano in Brundusium. Nape la pettina, _rutilabat +comam_, la profumava, _crispabat calido ferro_, adattava i ricci onde +la fronte apparisse bassa, giusta la esigenza della moda romana, e +intrecciava a quei suoi capelli d’oro fili di perle, di pietre preziose +e le _crinales vitiæ_, cioè fasce e nastri di vario colore. Erotia e +Scapha animarono una discussione importante. L’una dicea che i capelli +della sposa conveniva separarli col ferro di una lancia intrisa nel +sangue di un gladiatore morto nello Anfiteatro. E poi dividerli in +sei trecce a foggia di quelle delle Vestali. L’altra — e Nape era con +lei — non volea saperne della lancia. Coraggiosi figliuoli sarebbero +sempre nati da così nobile seme. E piuttosto che separare i capelli in +sull’occipite in sei ciocche, valea meglio, così arricciati ed ondulosi +com’erano, racchiuderli nel _reticulum auratum_ e farli cadere copiosi +sulle spalle. Avrebbero dato maggior risalto alla sua testa divina. + +— La mia padrona non abbisogna che si pettini a tuo senno per essere +ancor degna di alimentare il sacro fuoco. Tu sì che commetteresti +sacrilegio se ti facessi foggiare in tal guisa. + +— Impudica! Pria di dirmi insolenze, avresti dovuto non confidare +alcuna cosa ad Eulalia ed alla tua memoria. + +— Sibili come una serpe. Scapha sa — e tu non lo ignori — che la lancia +che hai costì nelle mani non è gladiatoria nè mai fu bagnata di umano +sangue. Bando alle ciurmerie. + +— Via. Chetatevi. Perchè Erotia non si affligga in questo giorno +felice, dividete i capelli col ferro della lancia. Involgi, o Nape, le +chiome nella leggera vesica. Poni sul capo la corona di verbene, che +io stessa ho raccolto e tessuto, e ricuoprila col _luteum flammeum qui +debebit me nubere viro meo_. — + +Così fu fatto. Le posero nel foro delle orecchie pendenti d’oro, +simulanti foglie di edera, ed una face accesa la cui estremità finiva +in una perla. Quei pendenti, l’uno distaccato dall’altro, si chiamavano +_crotalia_, perchè risuonavano urtandosi. — E la face dinotava le +fiamme del cuore. E l’edera lo attaccamento della sposa all’uomo suo. + +Cypassis, la bruna schiava di Memphis — che aveva un affetto +particolare per la sua gentile padrona — volle incaricarsi dello +affare il meglio importante; e tanto più che facea contrasto colla +fosca sua carnagione. Aggiustato il capo, affibbiati gli ori e il +_segmentum_, stretta la persona nello _strophium_, essa la vestì della +_tunica recta_, tutta bianca, amplissima, ornata di bende. E la cinse +col _cingulum laneum_, sostenuto dal _nodus Herculeus_, che il marito +avrebbe poi sciolto. Gli è perciò che diceasi _zonam solvere_ per +esprimere l’ultimo grado di domestichezza tra l’uomo e la donna. + +Melissæa, meglio che ordinare, permise che le affettuose sue schiave +acconciassero sulla sua persona le vesti nuziali che accrescerebbero +di tanto la sua naturale avvenenza. La mente era presa da una +involontaria inquietudine. Sentiva dentro la commozione nuova che +fa provare la vicinanza di un gran cambiamento, per quanto esso si +creda felice. Amava suo padre. N’era teneramente riamata. Sorgevano +altri doveri. Passava dal certo allo ignoto. Si distaccava da una +sollecitudine devota, andava in braccio ad una sollecitudine più +intima e confidenziale. E quando le sue amiche, Giulia, Emilia e +Maria, le sorelle del duumviro Pontico, entrarono per avvertirla che +il Flamine-Diale era già nel sacrarium della casa; e lo sposo, e i +dieci testimoni, e gli amici, e i parenti l’attendevano per la sacra +ceremonia, essa si gittò tremante al collo di quelle sue fide compagne +e pianse. Le lacrime sono contagiose. E più, perchè destavano nelle +sopravvenute un certo tal qual turbamento, di cui sarebbero anch’esse +colpite fra non molto per la circostanza medesima. + +Melissæa apparisce nell’atrio. Il vestibolo è aperto ai curiosi, ed il +portico, il peristilio, lo xysto sono gremiti di gente. + +Gli sposi siedono sur una _sella jugata_, coperta di una pelle di +pecora. Il sacerdote di Giove prende la mano destra della giovanetta e +la pone nella mano destra di Vibio e pronuncia: + +— _Hanc tibi in manum do._ — + +Con altre parole sacramentali e solenni dichiara che la donna dovrà +partecipare ai beni del coniuge suo siccome ad ogni altra santa cosa. +Liba a Giunone. Compie la _confarreatio_. E fa che la sposa ponga +nel dito mignolo dell’uomo il cerchio d’oro formato da una verghetta +incrociata, terminante in due piccoli globi, riuniti da una fune cui +era sopraposto un rubino dalla immagine di Ercole in rilievo, chiusa +in una cornice d’oro. Era la antico nodo che prima fu cingolo alla +persona, poi monile al collo, armilla al polso della sposa ed anello al +dito degli sposi. + +Vibio, commosso, le prese con ambe le mani la fronte e la baciò. E +amorosamente guardandola, le disse: + +— Un dio è in te, o Melissæa..... Qual dio? Lo ignoro. Ma, vi è un +dio! — + +E cavato dalle pieghe della tunica uno _spinther_, ossia cerchio d’oro, +aperto e terminante in due teste di serpe, lo adattò sullo avambraccio +di lei. Eravi sopra scritto: SPERATA. PACTA. SPONSA. NUPTA. + +Nello uscir del sacrario le due famiglie e i testimoni entrarono negli +_æci_ per occuparsi del primo pagamento della dote fissata. La folla +andò via lentamente di casa per soffermarsi sulla via. + +Demophilo, presa per la mano Melissæa, l’accompagnò sino al +_prothyrum_. Quivi alcuni giovani la presero sulle braccia come per +costringerla ad abbandonare per forza le paterne dimore ed incontrar +con dolore lo allontanamento delle persone legate con lei dallo affetto +e dalle abitudini. Cotesta finta violenza richiamava alla memoria il +ratto delle donne sabine. Vibio aveva mandato cinque dei suoi liberti +presso la casa degli Edili per accendervi le torce nuziali che doveano +precedere la processione. Essi tornati, il corteo si pose in cammino. +Tre fanciulli vestiti di pretesta si presentarono. Uno andò innanzi, +squassando un ramo di albospino acceso per ovviare il mal’occhio. +Gli altri due condussero la sposa per le mani. Dietro era una schiava +colla conocchia guarnita di lana ed un fuso. E con lei, un giovanetto, +detto _camillus_, che in un cesto di vimini portava i _crepundia_, i +giuocherelli, le pupazzole con cui Melissæa erasi baloccata. Venivano +poi quattro statue sorrette sulle stanghe dorate da sedici schiavi. — +Iugatino, il dio che aggioga; — Domiduco, che presiede alla processione +nuziale verso la casa dello sposo; — Domicio, che introduce la +sposa nella nuova dimora; — Manturna, mercè la cui protezione essa +soggiornerà sino alla morte col marito suo. — Poi venivano lo sposo, +i testimoni, gli amici e la folla. E questa, accompagnando la voce al +suono delle _sarranæ_, cioè alle armonie di un doppio flauto lungo e +breve, cantava un inno a Talassio, uno dei banditi accorso al richiamo +di Romolo, che rubando la sua sabina, ebbe con essa lunga e fortunata +unione. + +Giunta la sposa sul margine della via di Mercurio, dinanzi la porta +principale della casa nuziale — tutta adorna di ghirlande di mortella +e di rose, e parata di una stoffa di lana bianca — Melissæa vi appese +alcune bende unte di grasso di lupo, onde allontanare i sortilegi, +soggetto di terrore per quella razza d’uomini che pur di nulla temeva. +— E la folla cantava l’inno a Talassio. + +Vibio allor si fece sul margine; e fingendo ignorare il nome della +fanciulla biancovestita, le chiese: + +— _Quis es?_ + +— _Ubi tu Caius, ibi ego Caia._ — + +Cioè a dire: — dove tu sei signore e padre di famiglia, ed io sarò +signora e madre. — Avvegnachè fosse di suo diritto il dichiarargli +ch’essa contava vivere secolui con patto di eguaglianza e pur +compirebbe esattamente i doveri di moglie e di massaia, ad esempio +della nuora di Tarquinio, Caia Cæcilia Tanaquilla che lasciò nome +di un’abile lanifica e di una virtuosa sposa. Due bambini le fecero +toccare la torcia accesa e l’acqua, per significarle che quind’innanzi +avrebbe comune col marito la vita, cioè, l’acqua ed il fuoco. + +L’uscio si aprì. E Giulia, Emilia e Maria la sollevarono di terra e la +deposero mollemente nell’atrio, senza che i suoi piedi toccassero la +soglia. Questa era sacra a Vesta; e sarebbe stata una profanazione e +un funesto presagio, se colei che avea rinunciato agli attributi della +dea — tutela ai grandi destini del mondo romano — l’avesse toccata coi +piedi. + +Nell’atrio era distesa una pelle di montone dai lunghi velli. Su +di essa le amiche la posarono, quasi per ricordarle le sue prossime +occupazioni. E Vibio le presentò colla sinistra le chiavi della casa +raccolte in un medesimo anello e coll’altra una patera di argento con +alcuni nummi d’oro, premio alla sua compiacenza. Quindi i due felici +gittavano l’uno manciate di noci, l’altra i suoi _crepundia_, per +testimoniare com’essi da quel momento davano bando alle futilità, e non +si sarebbero occupati che delle gravi cure della famiglia. + +Per solennizzare la festa Vibio offerse una sontuosa _cœna nuptialis_ +ai parenti, agli amici ed agli altri invitati. Gli schiavi tirarono +le cortine del _tablinum_. La lunga pergola ed il giardino erano +illuminati. Tutti mossero; e volgendo a diritta, entrarono nel +triclinio, decorato di marmi africani e orientali, rossi, gialli e +sanguigni, con bella architettura innestati da fasce di alabastro +egiziano. Invece dei tre letti, eravene uno solo semi-circolare +ed oblungo, rispondente alla forma della stanza assai vasta. La +illuminazione era splendida. Il _convivium_ anche più. Giovani schiave +riccamente vestite, giovani succinti, liberti e curiosi erano sotto +le colonne della pergola, tutt’occhi allo spettacolo che pel loro +divertimento si stava apparecchiando. + +Dal _posticum_ — ch’è nella viuzza parallela a quella spaziosa +dalla fontana di Mercurio — era entrata nello xysto una truppa di +orchestredi, giocolieri che di Creta mostraronsi in Atene, e di +Syracosion si propagarono nelle nostre contrade. Ippoclide onorò la +cibistesi, allorchè per ottenere la figliuola di Clistene in isposa, +pose in mostra la sua destrezza, imitando il giro della ruota della +Fortuna, e così rendersi benevola la iddia capricciosa. Ed al padre +sdegnato che a lui rifiutava il possesso della nata di lui, lo ateniese +die’ la famosa risposta: — Οὐ φροντίς Ἱπποκλεὶδη — È l’unico pensiero +d’Ippoclide — che passò tra i Greci in proverbio. In Pompei chiamavano +quelle acrobate coi nomi di _cernuatores_ e _petauristæ_. Erano belle +giovanette di Gnathia e di Rubi, condotte da un uomo che traeva pro +della loro bravura, egli suonando le _sarranæ_ ed un fanciullo la +cetra. Allorchè fu distesa per terra una tavola ov’erano a determinate +distanze confitti tre gladii, una di esse, cacciata giù la _lacerna_ +— specie di largo mantello col _cucullus_ col quale erasi coperta — +mostrossi nuda, avendo soltanto i capelli tenuti in freno da una benda +ed i fianchi cinti da un grembiule, fascia che i greci chiamavano +περὶζωμα e i latini _subligaculum_. Aveva le armille ai polsi e la +periscelide sul destro malleolo. Colle mani aperte, gittatasi a capo +rovescio, rimase per poco colle gambe in aria; quindi si capovolse +sulle spade con mirabile prestezza, senza rimanerne offesa. Dopo +parecchie prove, l’_editor_ collocò in fine della tavola, in alto, +un cerchio entro il quale erano pur confitti altri pugnali; e la +taumatopia colla medesima destrezza capitombolò sui gladii, penetrò +colle gambe nel cerchio e piegando il corpo come un verde fuscello, +saltò fuori sui piedi ed illesa. + +— _Terror et metus nudis insultant gladiis._ — + +— Nè il terror, nè il timore saltano con lei, o Grumio. La cibistetere +si volge con spigliata sicurezza come i pesci rossi saettano a capo in +giù nel vivaio del mio padrone in Puteoli. + +— Maraviglia! Non ha molto, o Syra, vidi delfini guizzare sulle onde +del nostro cratere e rituffarsi con movimenti meno leggiadri e punto +pericolosi. + +— Oh! mira quest’altra, Dorippe. L’_editor_ siede, suonando i flauti. +La scleropecta è in piedi sulle sue ginocchia.... afferra colle mani +la spalliera.... si lancia in aria e volgendosi su se medesima, a lui +poggia i piedi nudi sul capo. + +— Oh! Curiosa cosa! Mira il cagnolino che ne prese il posto. E drizzasi +sulle zampe deretane. + +— Apparecchiano una tavola, o Loto. O, cosa è?... Ah! Una patera piena +di vino e due aranci.... Ecco la più bella che salta. + +— Cotesto sì, o Elpinike, io non vidi mai. Come! Nessun tremolìo sul +deschetto! Nessuna gocciola del liquido fuori del vaso! E gli aranci +afferrati, lanciati in aria e raccolti nelle aperte palme ora che è in +piedi sul suolo! In _Pæstum_, per le feste di Nettuno, erano abilissimi +taumaturghi. Ma Cneo Vibio soltanto sa offerire simiglianti difficili +giuochi. — + +Il giovanetto Loto aveva col braccio sul collo stretto a sè la persona +della sua interlocutrice. E le baciò la tempia amorosamente. + +Carion ch’era loro da presso, vide l’atto ed aggiunse: + +— Caldi vi avviticchiate come la pianta di Bacco. Bada! È una vergogna +in Pompei _non continere libidinem suam_. Fratello, sarò costretto a +chiamarti, _Canis_. — + +Loto era per rispondere alla ingiuria, quantunque detta col sorriso +sul labbro. Ma un altro spettacolo richiamò la sua attenzione. Un’altra +fanciulla, coperta dalle anassiridi listate di rosso e di nero — come +le maglie strette dei nostri giuocolieri — camminando sulle mani, +ricevette da un bambino sulle piante dei piedi un bicchiere di terra +detto _cyathus_, ed un’anfora _figlina_ e breve, sulla cui pancia +era il _pittacium_ in pergamena colla scritta, _Setinum annorum +decem_. Destramente dalla diota mescè il vino nella _lingula_ e con +un movimento rapido delle reni trovossi sulle sue gambe, avendo in +una mano l’anfora e appressando alle labbra il bicchiere che aveva +raccolto. E nel vuoto, neanche una gocciola venne rovesciata per terra. + +— Per Ercole! — _Piper, non fœmina._ — Ormai per la munificenza di +questi sposi ci abitueremo alle cose impossibili. E non maraviglierò se +un dì o l’altro vedrò grugnirmi attorno i porci belli e cotti. + +— Oh! questo sì che è un giuoco, o Curculio. Ben altro di quello +offertoci nel corso inverno da Pilonino Rufo, coi suoi gladiatori +pezzenti e decrepiti che cadeano ad un soffio. Meno vili quelli esposti +alle fiere. + +— E il combattimento a piedi a lume di fiaccole? Per Giove tonante, +parean pollastrelli. L’uno snello come un gatto di marmo. L’altro +_loripes_, coi piedi torti, come te, o Camurio. Il terzo, il quarto, il +quinto che si finsero feriti per cessare dalla fraudolenta commedia. + +— Oh! La bella cibistetere che è quella che viene! E ben fece a velare +le parti ghiotte che Postverta ad essa compose. Che Volupia si accordi +con Morfeo ed ambedue me la conducano in sogno. Pel Panteon riunito! Mi +crederei di più che Vespasiano imperatore. — + +Nell’atto che Phosphoro cacciava al vento così inutili esclamazioni, +la bellissima ignuda — chè il velo nulla copriva — postasi coi piedi +in aria e poggiantesi per terra sui gomiti e sulle braccia distese, +infilzò l’arco con due frecce nel grosso dito del piede sinistro, +incoccò un giavellotto e mirò il bersaglio colla testa rilevata. Il +piccolo citarista si era posto a dieci passi di distanza e con ambe +le mani tenea sul suo capo ricciuto una tavoletta imbiancata avente un +segno rosso nel mezzo. La _petaurista_ strinse la corda colle dita del +piede destro, la tirò a sè e vibrò il colpo. La saetta erasi conficcata +nel centro. — Gli applausi, il picchiar delle mani, le frenesie furono +vivissime. La fanciulla venne baciata, abbracciata, brancicata. + +Il rientrare dei convitati nel tablino ruppe il filo alla meridionale +baldoria. E tutti a gridare colle braccia alte: + +— Vivano gli sposi! Vesta pianga, ma Venere rida! — + +Caddero le cortine di Tyro d’ambe la fauci della stanza, e due +donne maritate che aveano sulle chiome una corona di bianche rose, +profittarono di quello istante di confusione per condurre Melissæa al +letto nuziale. La camera da ciò era a lato del triclinio ed in fondo +allo xysto, adorna di maschere bacchiche e di un quadro che rappresenta +Giove presso la vacca Io, e di un altro che mostra Adone affaticato al +reddir della caccia, attorniato da amorini e da ninfe. Il toro geniale +splendeva di oro e di porpora. Il Genio — la divinità del coniugio +— _quia genitos tuebatur_ — sacrando il letto, questo venne chiamato +_talamus genialis_. Ghirlande di mirto, disposte con vago artifizio, +gli danno le apparenze di un trono, degno di accogliere la dea eterna +del cuore. Le gravi pronube spogliano colle loro mani la sposa, la +pongono a letto e si ritirano dopo averle dato gli avvertimenti che la +loro esperienza giudicava opportuni. + +Nel tablino si beve. Sotto la pergola si beve. Nello xysto si beve. +Nell’atrio si beve. Da per tutto si beve. Il falerno, il massico, il +caleno, il cæcubo, il surrentino, il lesbio, il mamertino, il mæonio +empie le _ampullæ_, i _cyathi_, i _calices_, i _pocula_, i _tortiles_ e +sono bentosto vuotati, dopo aver propinato colle parole, + +— _Bene illis — Bene mihi — Bene vobis._ — + +Bacco aveva usurpato di un tratto un incenso che non doveva bruciare +per lui. Eravi però chi non avea lasciato il culto di Venere +nell’oblio. E quando i libatori si accorsero che lo sposo gli avea +disertati, gridarono a coro: + +— _Talassius! Talassius!_ + +Allora, un concerto di flauti accompagnò le voci dei giovani e delle +fanciulle che cantarono nel cavedio l’inno che segue. + + Biondo figliuol di Venere, + Nume dei casti amori, + Tu che di mirto e d’edera + Il crine in ciel t’infiori, + Signor dell’Elicona, + Odi la tua canzona, + E scendi in queste arene, + Scendi, invocato Imene. + Di Melissæa e di Vibio + Sorridi ai primi amplessi. + Ricco di lieti auspicii, + Stendi il tuo vel sovr’essi. + Sull’ali del mistero + Siati il pudor foriero + E scendi in queste arene, + Scendi, invocato Imene. + Voi, pudibonde vergini, + Cui simil gaudio attende, + Voi ricingete il talamo + Di profumate bende. + Turbar di amor gli arcani + Non osino i profani, + Oggi che in queste arene + Scende invocato Imene. + Ed ei già vien! — Già pronuba + Venere a lui si accoppia. + Già la cortina mistica + Cela l’ansante coppia. + Spenta ogni face sia.... + Cessi ogni melodia.... + Insino al dì che viene + Solo qui regni Imene. + +Cotesto Imeneo era stato in tempi remoti un giovane di Argos, il +quale avea reso alla loro patria le fanciulle di Athenes rubate dai +pirati. Qual premio al suo valore ottenne a sposa una delle captive +che amava teneramente riamato. E da quell’epoca i Greci e i Latini, da +essi inciviliti, deificando il giovane zelante e dabbene come celeste +progenie, non contrattavano matrimonio senza rammentare il suo nome nei +canti nuziali. + +Al cessare delle note armoniose i parenti e gli amici libarono anche +una volta. E ripeterono a coro, + +— _Talassius! Talassius!_ — + +Era tempo di dare alcuna requie ai congiunti dalle nozze. I magistrati +e gli amici riaccompagnarono Demophilo alla sua dimora. Il quale pria +di partirsi dal luogo ove lasciava la metà del suo cuore, volgendo gli +occhi al cielo disse nella sua lingua: + + — Θυμαρην βιοτας ολβον εχοιεν αει. + +— Godano essi sempre una soddisfacente felicità di vita. — + +Gli altri, chi di qua, chi di là tornarono alle case loro. + +Ma i convitati della sera erano i convitati dello indomani. Nei +_repotia_ si beveva di nuovo alla felicità degli sposi. — E si bevve e +si cantò. E Melissæa, appoggiata familiarmente alla spalla di Vibio, +ricevette dai parenti, dagli amici doni e congratulazioni che nel +tumulto inevitabile e nello scivolar via dalla folla bene a proposito, +non avevano potuto offerire la sera innanzi. + +Solitudine e amore!... Una strada aperta, di soavi ombre, che mena alla +felicità. Oh! Come leggero, vivo, misterioso, divino lo affetto che +innonda l’anima, quando la graziosa persona è da presso, vi consola, +vi esalta, vi indìa! La non è già della vostra carne. No! — Essa è la +parte più delicata, più pura della cosa immortale che freme in voi. È +il pensiero che parla. È lo sguardo che sa. — La primavera ha i suoi +fiori. Il giorno, la luce. L’aurora, la rugiada. La donna ha i profumi +che aduna o che spande sullo eletto dal suo poetico cuore. — Alcuni +lamentano il dialogo dei primi parenti sotto l’albero della vita, e la +cacciata inesorabile dall’Eden, e il frutto amaro della ingordigia — +la morte. — Essi s’ingannano! La esistenza beata è in questo esiglio +eterno — ma con lei che sente e porta nel seno i sublimi e ricambiati +amori della umanità. + + + + +IL CATACLISMA. + +SCENE DEL NOVISSIMO GIORNO. + +=Anni di Roma 832 — Anni del Cristo 79.= + + + AL VECCHIO VESVIUS. + + X. + + +La vasta pianura che da Cuma e da Capua — le antiche e grandi città +della Campania — distendendosi verso levante, abbraccia e circonda il +cratere partenopeo, era il loco ove i Greci, venuti dalla Macedonia e +dalla Tessaglia, credettero che, come nelle loro contrade, anche quivi +i giganti avessero combattuta la fiera battaglia contro gli Dei. E quei +campi dissero Flegrei, da φλὲγω — ardo — per le tracce dello zolfo e +delle lave sparse su quel terreno. Gli è certo che Ercole, visitando il +bel paese sorriso da tutti i numi celesti e vedendolo corso e devastato +da uomini di fiero e selvaggio costume, avrà voluto purgarnelo per +incivilirlo. E l’atto benemerito per le genti salve, e la fondazione +di una città che tolse il nome da lui, e le altre opere verso il mare +aperto intorno il lago d’Averno, coronarono di una poesia maravigliosa +il vincente semideo, i mostri vinti da lui ed i campi, teatro delle sue +gesta. Su di essi elevavasi un monte isolato dai tempi primordiali. Era +cinto di fertili campagne, e verdeggiava da lungi per le erbe e per +gli alberi, tranne in sul culmine che sembrava coperto di cenere, di +sassi fuliginosi ed arsi dal fuoco. Malagevole era lo ascendervi. Una +e difficile l’angusta strada su quelle scorie tra rupi, caverne e punte +aguzze sporgenti al di fuori. Nel 682 di Roma Spartaco, dopo aver fatto +un carnaio nello Anfiteatro di Capua, riparava su quelle balze con +sessantaquattro dei suoi compagni nella rivolta. Ma seguito d’appresso +e accerchiato da Clodio Glabro alla testa di tremila soldati, pensò di +tessere corde coi tralci delle viti salvatiche di lambrusco, le legò +forte alle rocce e se ne servì di scala per discendere coi suoi sino +alla pianura. Il pretore che lo aveva fatto rinculare in uno spazio +ristretto, di una sola escita, di cui i suoi soldati tenevano la +chiave, non credette ai suoi occhi quando quell’audacissimo lo assalì +con tanto vigore da disfare il grosso delle sue ordinanze e porre in +iscompiglio il campo. + +Tale era il Vesvio nel primo anno del regno di Tito imperatore, +allorchè — come scrisse Stazio — piacque al sommo Giove strappare +dal profondo le sue viscere, sollevarle sino al cielo e scaraventarle +lontano sur alcune sventurate città. + +Era il nono giorno delle calende di decembre — 23 novembre dell’anno 79 +di nostra êra. + +Il canto dei galli annunciava l’aurora. I molossi abbaiavano nello +udire lo strèpito de’ passi sui margini delle vie. I salutatori, +i chiedoni, i saccari, i rivenduglioli ambulanti, i mercanti delle +botteghe, i viaggiatori che partono, i littori, gli schiavi animano +il selciato. I gladiatori escono con reti e panieri dal loro quartiere +e, accompagnati dal lanista C. Aelio Astragalo, vanno a far provvista +di viveri per la famiglia. Tutti gli artigiani sono in moto verso il +loro destino. E in breve ora, quale mura ed intonaca le pareti già +apparecchiate dal cemento sparso a striscie come spini di pesce, quale +sfilza una per una le tavole dallo incavo longitudinale della soglia di +pietra della bottega e le pone in un canto perchè non lo imbarazzino +nelle trattazioni degli affari, quale apre il suo _thermopolium_ e +canta o getta briosi frizzi ed inviti a chi passa. — Il venditore di +pani e di piccole focacce, dopo avere attelato la sua merce a spicchi +una sull’altra; e, spiegando i panieri sull’_oculiferium_, mostrando +il _pollen_ del suo fior di farina; gli _speustici_, stiacciate cotte +sotto le ceneri; gli _ortolagani_ composti col vino, col pepe, col +latte e coll’olio; gli _ostrearii_, che si mangiavano coll’ostriche, e +i pani disegnati a quadrelli, conditi di anici, di cacio e di grasso, +grida — esagerandoli — i meriti dei suoi prodotti. — Il carraio espone +sulla porta il _cisium_ che costruisce e la _traha_ senza ruote che +mena su e giù nel selciato dinanzi il villico che la contratta, mentre +i suoi operai lavorano attorno ad un _birotum_ per ultimarlo. Parecchie +carriuole — dette _unarota_ — sono ammonticchiate nel fondo. — I +_fullones_, cioè, i lavandai e gli smacchiatori, spandono le loro umide +stoffe sulla via a certi bastoni sostenuti da travicelli sporgenti sul +muro; e così, nell’atto che richiamano l’attenzione di chi passa sulla +loro industria, usano di uno spazio che pure al pubblico è riserbato. +Gli edili avevano un bel difendere la libertà delle strade, dei trivi +e dei portici con piccole e gravi ammende a quel popolo accaparratore +di ogni spazio che il proprio non fosse. Lo interno della bottega o +della casa pareva uggioso ad ognuno. Tutti erano lieti quando potevano +starsene al lavoro sull’uscio, sul margine, alla luce. La parola _via +publica_ veniva interpretata alla lettera. E purchè lo ingombro dei +due margini lasciasse libero sulla strada l’adito ad un carro, nessuno +potea venir condannato per offesa alla legge. E ove non fossero cadute +gocciole di acqua dalle preteste, dalle toghe e dalle vesti donnesche, +certo quella mostra variopinta abbelliva la doppia via di Mercurio e +la parallela al di dietro, dove i fulloni avevano il loro laboratorio. +Era quella la meglio importante tra le industrie pompeiane. Nel 354 i +due consoli C. Flaminio e L. Æmilio, reggendo un popolo che vestiva di +lana e dormiva ignudo tra coperte di lana, avevano decretato il modo +di trattare e di tergere quelle stoffe. E prescrissero, si laverebbero +i panni con terra di Sardinia disciolta; indi si affumigherebbero +collo zolfo, e poi si purgherebbero con terra cimolia di buon colore. +Avvegnachè questa ravvivasse le tinte sbiadite dallo zolfo. E per le +vesti bianche, dopo inzolfate, dissero convenevole la terra chiamata +sasso, la quale però era dannosa alle colorite. + +I magistrati — i quali, creati dal popolo per occuparsi dei suoi +affari, rientravano in casa al cadere del sole, allorchè i pubblici +lavori cessavano — preceduti dai littori vanno gravemente ai loro +uffici. Alcuni uomini — vestiti di una tunica stretta senza maniche, +di colore oscuro, detta _exomis_, o _diphthera_, col _cucullus_ per +coprire il capo in caso di pioggia e continovare il lavoro — procedono +dal vico storto in una strada a perpendicolo su quella che mena alla +porta di Stabia. Avevano sulla spalla una lunga e stretta lamina di +acciaio, senza denti, terminato con due manichi di legno. E nella mano +un sacchetto di sabbia di Etiopia. Erano segatori di marmo che andavano +a ridurre in lastre per impiallacciature e per pavimenti le tavole di +serpentino, di fior di persico, di alabastro egizio, e di verde antico +che attendevano l’opera loro nella prossima casa. Ed altra gente dalle +sembianze pallide e triste che or si fermano presso i ragionatori, or +guardano dalla parte opposta ove l’orecchio tendeva, si veggono in sui +canti, per entro i templi, nel Foro. Erano le spie di Roma, adoperate +la prima volta da Cicerone ai tempi catilinari; mantenute da Cesare; +moltiplicate da Tiberio, da Nerone e dai pessimi che vennero poi, a +tutela delle imperiali paure. Razza perversa che disponeva della vita +e delle sostanze dei cittadini e viveva lautamente a carico degli alti +e dei bassi timori. Sulle mani, invece dei chiodi portavano anelli +da cavaliere; e sul collo in luogo del nodo scorsoio splendeva il +medaglione di onore. + +Il cielo era nuvoloso e fosco. E quantunque albeggiasse appena, il +calore era eccessivo e l’aria grave e affannosa. + +Una donna viene da un vicolo per attinger acqua alla fontana del +quatrivio dell’Aquila che ghermisce una lepre. Vi trova un suo +conoscente che beve al cannello. + +— Abbi lontano dal capo la collera di Bacco, o Venerio. I +_meditrinalia_ — le feste del vin nuovo come rimedio utile alla salute +— corrono dal primo allo undecimo delle calende di ottobre. Non lo +rammenti?... Il bianco di Surrentum è confortevole a venticinque anni. +Cotesto novellino del Sarno ti guasterà lo stomaco. + +— L’ho bello e guasto, o Tataia, dal molto berne e dal gran sudare che +fo. Mira! Abbiamo il fuoco nell’aria. Mai il calore di questo anno. E +le fontane gocciolano, non fluiscono. Gli _ænopoles_ mi brinerebbero i +lucri. + +— Davvero! Eppure da due lune cadono frequenti e copiose pioggie. Che +il fiume siasi prosciugato alla foce? — + +Una donna, che avea la _taverna vinaria_ dietro la fontana, si +approssima a quei due ed aggiunge: + +— Quasi. Cominciò a mancare da tre dì. Ed ora vien giù a centellini. +E siccome un beone di vin cotto alla mirra mi accusò di aver aperto +nel mio cuore uno spaccio di bibite calde, io mandai alla fontana più +in su per averne acqua fresca; e dopo lungo attendere n’ebbi. Ma la fu +attinta dalla pubblica cisterna, colà presso, dove due littori vegliano +dì e notte per la custodia e la distribuzione di quell’acqua piovana. + +— L’anno del terremoto — se tel rammenti, o Fortunata — avvenne pure +così. Le acque diminuirono. — + +Il _seplasiarius_, che aveva la sua farmacia poco discosto, viene +anch’egli a verificare il misero stato della fontana. E Fortunata a +lui: + +— L’arte della Seplasia che dà credito alle erbe amarissime e alle +pillole disgustose, trae anche Flavio Fimbria alle manchevoli linfe. O, +che il tuo pozzo è turato? + +— Peggio. Dapprima diminuì la sorgente. E la rimasta ha un sensibile +grado di calore ed un gusto acidulo e disgustoso al palato. — Che! Non +ve n’ha più costì? — + +Tataia gli addita il cannello di ferro che sgocciola a mala pena, e +s’incammina ver la pubblica cisterna. Quivi era un pettegolezzo, un +accapigliarsi, un bere a furia, tumulto che i littori acquetavano a +dura prova. Ognuno il primo a gittare giù il secchio. E le donne le +peggio ardite e linguacciute. + +— Sii _formosa, decens, dives, fecunda_, o Pannikide. Concedimi il tuo +posto. Se tardo — e sono qui da un’ora — la mia crudele padrona mi farà +dare dieci vergate sulle spalle. + +— _Esto beata_, Heracla. Ma le busse che ti risparmio, le busco per me; +Lisistrata di Neptunale è una gorgona. + +— Fuori la intrusa. Io vengo poi. O bel littore, fa rispettare la tua +autorità e il mio diritto. + +— Vedi chi parla di dritto! Januaria, di padre incerto e che ha securo +amante nella casa dov’abita. + +— Frena quella linguaccia di serpe. O mi forzerai, Melitta, a darti lo +aggettivo che i tuoi casti ardori nelle _popinæ_ ti meritarono, quello +di lurida _pellax_ — .... e anche peggio, di _porna_. + +— Che ho a rispondere ad una donna _cujus ne spiritus purus est_? — + +Allora Ianuaria più infuria e con voce maggiore e con gesti vibrati +si slancia verso uno dei littori che per calmare quel tafferuglio, +distendeva la mano onde separare le due litigiose e quelli che già +prendevano partito. + +— Ah! Vuoi anche tu ch’io mi muoia di sete, o difensore di male +femmine? Fai bene a darle compenso, poichè con donne di garbo tu pugnar +più non puoi. + +— Le tue chiacchiere, o sguaiata, sono più inutili di _vitrea fracta +et somniorum interpretamenta_. Inutili discordie! Ognuno avrà l’acqua +a suo tempo senza motti villani e senza che abbiate a comperarvi un +_galerum_ e porvelo come un elmo di chiome sul capo invece dei capelli +che vorreste strapparvi. + +— Ha ragione Nupeo. Si quieti la tentigine di queste piche parlanti e +la destrezza prevalga. — + +Così Nilodoro. Il quale, schiavo di un tintore presso la fontana dalla +testa di Giunone, era venuto alla cisterna per compiacere alle voglie +della leggiadra padrona che coll’audacia dello sguardo spiegava la +segreta sua simpatia, eloquente però nei soppiatti incontri. Allora +uno scoppio di risa ed un battere di mani. Anche le trecchiere +dissimularono lo sdegno con finta ilarità. Ma le voci e gli alterchi +ricominciarono ben presto a logorar la pazienza ai littori addetti a +quel disgustoso ufficio. + +Per quanto ognuno il vedesse, nessuno sapeva spiegarsi cotesta +deficienza di acqua nel Sarno, cotesto ringoiamento delle sorgenti +nella terra e quel sapore acidulo e puzzolente nelle acque che +rimanevano ancora nei pozzi. + +Due uomini passano per quella strada. Sono Solonas, il mattonaio ed +Elio Gemino, il carradore. Si arrestano, ridono ed infilzano molte +parole su quelle femmine che qua e là scorrevano, arrovellandosi. + +— _Picæ pulvinares._ Gazze da mercato. Le trovi sempre pessime lingue e +a gridare di piena notte che è mezzodì. — Manca l’acqua? Vi è il vino! +Bacco ne spremette molto l’altro anno. Ce ne darà copiosamente anche in +questo. + +— Ma la baccante non è massaia. Ed io stimo la _eupatria qui providet +omnia_. E poi cotesta stranezza non è a prendersi a gabbo, o Salonas. È +nelle cantine un certo aere maligno che uccide gli animali che dentro +penetrano. Due gatti del mio vicino, là sotto le mura che guardano +verso Nuceria, furono trovati morti. + +— E due facchini di Polibio, nel penetrare nel fondachi di quel +ricco, presso il porto, prima ebbero spente le lampade e poi caddero +stecchiti. Un altro che andava a soccorrerli, nel curvarsi sentì +mancare il respiro e le idee vacillare. Escì fuori in tempo e potè +riaversi sulla scala, alitando l’aria al di fuori. I cadaveri furono +tratti su cogli uncini e non avevano un graffio sulla persona. Dunque +la dea Mephite tolse loro il respiro. + +— Ben dici, o Epietetos. Strano paese divenne il nostro da che Marco +Herennio, decurione, venne a sol diffuso, a cielo sereno colpito dal +fulmine nel Foro. — Dove di presente tu pingi? + +— In una casa, quasi in fondo della strada che ha la fontana dal +bacino arrotondato, presso il bello Edone, vinaio. Sai? Dove talvolta, +o Pistosxenos, ti ho visto bere di tarda sera con Floro e Frutto, +festevoli compagni, allorchè ti eri sbarazzato del carico di figulina +che avevi portato da Nola. — + +I quattro continuano a scendere per la via consolare. + +— Veh! qual processione votiva! Come se fosse il sedicesimo delle +calende di aprile, all’epoca delle _liberalia_, per le feste di Bacco, +nell’assunzione della toga virile. Oh! il calore è eccessivo.... Guarda +i due batavi di Capito come soffiano in sull’uscio! Il nostro clima ad +essi deve parere l’alito di un forno acceso. + +— E che dici di quel succoso che ti passava vicino? La felicità lo die’ +a balia presso la Fortuna. E se suda, ha ben molte tuniche da cambiare. +È Clodio Alypo, liberto di Calvisio; il quale, comperati i montoni a +Tarentum, dopo il tremuoto e la gran morìa delle bestie, e ridottili +in mandra, divenne mercante di lane e di proprio ha sei tintorie. +Dicono possegga i suoi ottocento talenti. E in sua casa la borra dei +suoi origlieri è tinta di porpora e di scarlatto. Sul suo desco _apros +gautupatos, opera pistoria_ e vini squisiti. + +— Come! Mangia i cinghiali cotti nella loro pelle? Allora gli spiriti +incubi gli diedero il loro cappello perchè trovasse il tesoro. + +— Egli felice che non suda al tornio facendo vasi ed orciuoli! + +— Nè cuocendo mattoni al pari di me. + +— Oh! parlaste a proposito degli effetti del caldo. Ho la gola +arsiccia. Entriamo nella _taberna vinaria_, e beviamo del buono +aromatizzato che spegne la sete. + +— Savio il consiglio di Gemino. Il vino generoso e melato e mirrino, +se supplisce ai panni nel verno, ingagliarda e sostiene il corpo in +estate. + +— Sì, se nol fai salire al cervello ad ondate; imperocchè allora +vacilli e cadi. + +— Io per me amo più i termopolii che la fullonica. _Aqua dentes habet, +et cor nostrum quotidie liquescit._ Ma quando ho un _pultarium_, di +quello che ha la _schedula_ sulla pancia e non si vergogna come le +donne di dire la sua età, le squadro a tutti io. E Pistosxenos lo sa, +il buon compagnone. + +— Concediam libero il dire al figliuolo di Semele, lo allegratore degli +uomini.... Ohe! Bubbio. Abbi Venere ritrosa se mai facesti galileo il +vino che ti chiediamo. Del _calenum_.... e di quel _dominicum_, il vino +che bevono i padroni di casa; e non sia concinnato con pepe o con erbe +aromatiche. Non son del gusto di Gemino io. + +— O Epictetos, tu devi andare al lavoro, rammentalo, e il pennello +delira, se lo stomaco bolle. E la vedova di Alessandro Citus.... + +— Oh! per Ercole! Valeria Eupraxia non applicherà le sue labbra sulle +mie per fiutare il _cadus Aliphanis_ che mia madre aiutata mi compose +nel petto. Erano gli uomini che ai tempi dei re baciavano le mogli +sulla bocca — e il dilettoso costume perdura — per conoscere dal loro +alito s’esse avevano bevuto del vino. — Attento... Il vinaio mesce. E +Solonas brinda. + +— _Mihi, Tibi.... Vobis!_ Ah! Gli è pur buono.... Arianna tutto +obbliava quando trovò un tal conforto dell’animo.... Ehi! Athicto +Sinna, non passar oltre senza bere con noi. O che hai con quel viso da +funerale? + +— _Mulier, mulvinum genus._ È un nibbio. Non conviene usar bene con +alcuna, perchè gli è come gittare il bene in un pozzo. Se giovane, +è lo abbandono di se stessa, è la noia, la solitudine, lo ideale che +arde nel suo cuore di una vampa bugiarda. Se matura, è un carcere, un +imbarazzo. + +— Sentenzia come Cicerone da vivo. — È amaro ricordo. Addolcialo con +questo _vetustate edentulum_. Tradito a ponente, volgiti a levante. + +— Conosci, o Gemino, il nome di quel tristo suo disinganno? + +— Sì, Solonas lo diceva ora all’orecchio di Pistosxenos. La giovane +Kallisto, figlia di Narcissio Moscho, presso le proprietà degli eredi +di Giulia Felice. + +— Veramente bella, grassoccia, al punto. La vidi di sera nel tempio +di Venere; e la sua veste bianca si staccava dalla semi-oscurità come +raggio di luna. + +— Athicto, non piangere. Bevi piuttosto. + +— Lascia ch’io mi beva le lacrime. L’amava come non aveva amato mai. +Diceva appartenermi intera, senza riserva. _Semper et ubique_. — + +— Ed ecco le parole cui tu non dovevi fare a fidanza. È lo stesso che +attendersi inerzia da una farfalla. Ma non dubitare. Andrà lontano. +Troverà la fiaccola che le arderà le ali. + +— E che fa egli costì contro il muro? + +— Poichè l’oro mi si fe’ piombo fra mano, scrivo con Ovidio: + + Quisquis amat veniat. Veneri volo frangere costas + Fustibus et lumbis debilitare bene. + Sermo est illa mihi tenerum pertundere pectus, + . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . + Quos ego non possem caput illud frangere fuste. + +— La donna, amico, è come la coda del vitello, _retroversus crescit_. +Appicca quindinnanzi il voto a ogni immagine, e sarai vendicato. + +— Ma io l’amo e non posso. E così passerà la mia vita. — + +Epictetos si appressa all’orecchio di Pistosxenos e susurra: + +— Dì.... parla da senno Athicto.... e così.... in Pompei? + +— Anch’io vi pensava su..., e comincio a temere che Plutone abbia +respirato troppo vicino a quel suo delicato cervello. + +— Orsù, fratelli, l’ultima alzata di gomito. E beviamo alla tua pace, +o Sinna. E perchè ne profitti, ricordati che lo amore è la sfinge, la +quale divora chiunque la interroga. + +Quegli amici seguitarono la via e volsero pel vico storto, piegarono a +sinistra presso la fonte del quatrivio, e discesero in giù. Un _vale_ +incrociato; ed ognuno pei fatti suoi. + +Il pittore Castresio, cui avevano dato il soprannome di κάλος, era +già al lavoro. Sulle pareti del _cavædium_, tinte in nero, dipingeva +baccanti abbracciate o sostenute da fauni festosi e danzanti. Erano i +devoti seguaci del giocondo iddio che prometteva per non spinoso calle +i piaceri di una vita beata. A’ suoi piedi era la tavolozza di granito +egizio, posta sopra un braciere. I suoi rotondi incavi contenevano i +colori di cui allora servivasi. Cosenzio abbelliva una scala. Vetidio, +un _œcus_. Succidio Epitinka, lo xysto. Damisio restaurava un cubicolo. +Poche altre pennellate, e tutto il lavoro sarebbe compito. Cantavano +canzoni del loro paese. Lo amico che vide entrare Pistosxenos, +scherzosamente il garrisce: + +— Ti dai bel tempo, per tutte le muse eh? Hai ragione. L’aria è sì +grave che spossa i nervi e le facoltà dell’occhio. E qui cantiamo come +cicale di Rhegium. Ma indovino chi ti trattenne. _Colubra restem non +parit._ Di serpi non si fanno corde, e tu saresti capace _resecare +ungues_ allo avvoltoio che vola. + +— A che miri con questo dir da sibilla? + +— Penso che tu, _iterum et feliciter_, ti trattieni sotto coltri non +tue e non ti fai sorprendere dal geloso. Bada! Cornelio Vitale or’è più +di un anno _dispensatorem suum ad bestias dedit_. I duumviri glie lo +accordarono ad esempio. + +Vetidio entra a dire: + +— Misero! Qual colpa in lui, se forzato a fare? Qual colpa in lei, +s’egli bruttissimo? + +— Eh! legge di taglione! Finire straziato dal toro! _amasiuncule mi_, +smetti o ci capiti. — Dipingi qui e non in casa. Farai fortuna. Valeria +Eupraxia ha ammirato il tuo Narcisso e la tua Danae col Perseo salvato +nelle braccia. E parlò _libentissime_ di te e del valor tuo a Memore +Istacidio, il sacerdote di Mercurio e di Maia. Pare voglia ridipingere +il tempio e dare a te quel lavoro. Mio padre mel dicea sempre; _Literæ +thesaurum est; et artificium nunquam moritur._ + +— Ti so grado, o bel Castresio, del sermone e delle liete novelle. Con +siffatti stimoli vado a compire il lavoro. Ma non Klimenes me rattenne +come tu ti piacesti pensare. Ma è disordine e sgomento nella città per +l’acqua che manca. Ed Ælio Gemino, il carraio, con altri buontemponi mi +trassero alla taverna. + +Dopo un’ora le pitture erano ultimate per tutto. Nel cavedio mancava +il _podium_, cioè lo zoccolo. Ma Castresio lo segnò, perchè, i +_cementarii_ sapessero il punto dove avrebbero incastrato le tavole di +marmo di Luna. Ed in punto, ecco Edone, il vicino vinaio che così tutti +rimbecca: + +— Come! Quando lo scirocco pesa talmente a soffocare il respiro e si +suda solo pensando, e voi, beoni che mi sapete alla distanza della +voce, vi state costì ansimanti qual mantice e non chiedete soccorso a +chi ha tal merce che rinfranca ed allieta? + +— Ti sieno propizi gli dei, o bellissimo Edone. Possa tu versarmi il +vino sul capo se io manco al tuo invito. E non solo ceci e lupini; ma +un po’ di _scriblita frigida_, di quella torta eccellente di ieri, se +pur te ne avanza. Condita col mele caldo, berremo come Anacreonte, e tu +sarai lieto di noi. + +— Se tu paghi lo scotto, o bel Castresio, permetti al tuo Pistosxenos +di aggiungere il cacio molle e rape con senape. Consenti? + +— Costui mi vuol Trimalcione. E sia! V’ha tra noi Succidio e Damisio +che nell’atto chiederanno fegato nei bacini, busecca di bue ed uova +pileate. Non somigliano punto a Vetidio, del quale ebbi a scrivere ieri +sul muro; _Ubi perna cocta est, si convivæ apponitur non gustat pernam, +ligit ollam aut caccabum._ + +— No, saremo discreti. Non dubitarne. Ove mai tu imbandissi un +prosciutto cotto, lo mangeremo tutto, e sii certo che non leccheremo +l’unto della pignatta. — + +E Pistosxenos, preso uno spillo, graffì sulla nera parete la sentenza +che segue: + +— _Invicte Castresi, habeas propiteas deas tuas tres. Ite et qui leges, +calos Edone, valeat qui legerit_. Cotesto è il voto pel nostro caro +anfitrione. Ma più che Giunone e Minerva io so che Venere lo prese per +gli occhi. E ad essa il pomo. + +— In fede di Edone, gli è un suo devoto e dei più passionati. E gli +bisogna mangiar caldo e ber freddo. Or permettete ch’io pur graffisca +qualcosa a mia volta? + +— Eccoti lo spillo e scrivi. + +Il vinaio pensò e poi stese la mano sulla parete. + +— _Edone dicit. Assibus hic bibitur dipondium. Si dederis meliora, +bibes conditus. Si dederis mina I, XL urna bib_.... + +— Orsù, a me lo spillo e traccerò il mio nome a conferma. + +E graffì, + +— _Calos Castresi_. + +— Oh! Andiamo. Venere è losca. Perciò più bella. Diverrebbe irata se +più qui tardassimo. E imbruttirebbe. Allora tutti gli dei contro di +noi, ed avremmo pane pei nostri denti. + +E gli allegri pittori seguirono Edone nella sua _taberna vinaria._ + +Per le vie sono mercanti di carne che portano sur un _cesticillus_ +pezzi di trippe e di fegato, ed urlano i meriti della loro merce a buon +mercato. + +E _dendrophores,_ che tagliano, spaccano, segano e portano il legname +da ardere a chi vuol comprarlo. E carbonai che spingono innanzi i loro +asini pazienti e carichi, che a posta loro dirigono, ed arrestano per +la coda. E venditori di fuscellini inzolfati che cercano di ricambiare +coi rottami di vetri e con tibie di bue già mangiato. E ciechi che +suonano nei flauti per buscare la vita. E saltimbanchi che imitano i +giuochi del Circo. E prestigidatori. E robusti uomini che sollevano +fanciulli sulla testa e sulle braccia, d’onde ricadono in piedi per le +terre senza farsi alcun male. E uccellatori che si fanno ubbidire dai +piccioni o dalle passere ad ogni loro cenno. Havvene uno finanche che +presenta al suo cerchio di curiosi e di sfaccendati un bel ciuco, dalla +testa maestosa e dalle orecchie ancor più, il quale indovina per un +_triens_ quale del crocchio sia il meglio amato, il peggio infingardo, +il più.... mariuolo. E le grosse risa quantunque volte la culta plebe e +gl’incliti gladiatori credono che lo indovino abbia colto nel segno. + +Uno che passava dà una occhiata di spregio alla folla, vi scorge un +conoscente, lo tocca piacevolmente sulla spalla e gli dice: + +— Che fai costì ritto, o C. Vibrio Saturnino! Studi per trovare un +nuovo Dio in quell’asino addottrinato? + +— La parola dello epicureo è sempre mordace. Credo, o mio Caio +Nivillio, che tu sedotto da pochi anni dalla falsa dottrina, +l’abiurerai pel nessuno interesse di sostenerla. + +— Non è cotesto il luogo da tali ragionamenti. Vien meco nel Foro +triangolare. Sederemo nella _exedra_, e correggerò le tue false idee +sulla filosofia del grand’uomo di Gargettium, la saggezza e il luminare +dell’Attica e quasi l’idolo degli Ateniesi. — + +Un cielo caliginoso ma con estive temperie; strade piene di popolo gaio +e incurante; la eterna bellezza di una contrada che dalle prime ore +del mondo sembra voglia rivelare agli uomini un grande secreto, tutto +cotesto impressionava i due amici sempre pronti, siccome meridionali, +ad ogni specie di emozioni. + +Nel passare sulla cantonata dinanzi la bottega del musaicista, Nivillio +salutò Morultronio, intento al lavoro di genio e di pazienza. Era la +copia di un musaico già fatto in una casa dinanzi le Terme del Foro, +operato con minute pietre e scelte pastiglie di vetro. + +— Bravo! Rinnuovi lo stesso genio bacchico di altra volta? Chi lo +desidera? + +— C. Calvenzio Quieto. Tu sai che ama il bere. E vuole che nel +triclinio io collochi Acrato, l’antica personificazione del _vinum +merum_. + +— La sua coscienza val meglio di mille testimoni. _Vale_. + +— _Valete_. — + +Giunti presso il tempio di Nettuno e sedutisi, Nivillio cominciò: + +— Mira. Non uso preamboli. Vi hanno cose che emergono come le verità +dai pozzi, perchè sono gli ospiti invisibili delle nostre coscienze. +Una voce autorevole, avvezza a scrutinare i misteri, vibra; i veli +cadono; e le menti si aprono alla luce di un nuovo orizzonte. Epicuro +meditò e scoprì che la natura si compose _ab æterno_ e si completò a +seconda della necessità in tutte le parti dello universo. La ignoranza +degli uomini creò gli dei invisibili a tranquillità delle loro visibili +paure e gl’identificò negli uomini chiari degli evi anteriori, quasi +per iscusa delle proprie debolezze e passioni. I legislatori persuasero +le società alla credenza di siffatte menzogne. I tiranni le imposero +per consacrare le loro inique malvagità. — + +Così affermava Nivillio ai suoi tempi. Ed io dico nei miei come la +religione sia una passione della umana natura, che assume il colorito +dell’epoca, dei costumi, delle leggi, delle contrarietà, del clima, +della maggiore o minore intelligenza degl’individui. I quali, dopo +aver nutricato quella passione di futilità, di paure, di ferocia, +di avarizia, di libidini e di egoismo la esprimono fuori del cuore +immedesimata delle virtù e dei difetti del loro carattere peculiare. +Laonde, ai tempi andati come nei nostri potevasi e si può essere +religiosissimi idolatri, israeliti, cristiani, islamiti, bramini, +cattolici, anche papisti,... e vivere vita lussuriosa, palesarsi +usurai, ubbriacarsi, macchiarsi di sangue, ordinare macelli d’uomini, +parlare di pietà, temere Iddio ed offerirsi alla storia sotto il nome +di David, di Elagabalo, di Filippo II, di Luigi XI, di Cromvello, di +Borgia, di Calvino e dei Borbonidi. Le temperie dell’aria, il calore +del sangue, le ragioni di Stato sono elementi acconci a sanare di molte +rotture ed a lenire qualche rimorso. Nè giovano riforme a rimedio di +epoche rilasciate. Chè una religione troppo assottigliata dallo staccio +della ragione cessa di essere una fede. Ed una fede imposta senza +il consentimento della ragione è una cieca stupidezza ed una solenne +bestialità. + +Or ecco come C. Vibrio Saturnino rispondeva alle sentenze del suo +compaesano C. Nivillio, lo epicureo: + +— Ma Epicuro disse si onorassero gli Dei a cagione della eccellente +loro natura. + +— Lo disse, ma non lo credette. Poichè pur disse com’egli non +attendesse alcun bene, nè temesse verun male da essi. Di fatti, non +gridarono pei crocicchi i perversi suoi oppositori ch’egli rovesciava +colle sue dottrine la osservanza agli dei? Nè voleva il culto +mercenario? E se dicea si onorasse e si rispettasse ciò che è grande +e perfetto, non era cotesto un temperare le sue arditezze con un giro +di frasi che lo salvavano dalla morte? La ragione parlava per la sua +bocca. Ai secoli la sentenza! + +— Ma chi calmerà i rimorsi dell’uomo colpevole? Chi darà la forza alle +virtù ignorate di continovare quando tutti i falli nascosti saranno +scusabili ed impuniti? Le vostre dottrine limitano la esistenza ai +brevi istanti di questa vita. E al di là l’uomo decoroso di virtù avrà +la stessa sorte dello scellerato e dell’empio? Ah! io sarei veramente +addolorato se avessi a perdere la fiducia in un soggiorno di delizie o +di pene dopo la morte. + +— Se tu togliessi per te il fastidio di pensare, proveresti lo stesso +rammarico che senti allorchè ti desti il mattino dopo un sogno felice. + +— Ma se tu dissipi cotesto sogno, non togli tu allo infelice le soavità +che sospendevano i suoi mali? + +— No. Il mio maestro elevò l’anima e fortificò la ragione. E insegnò +che il vero coraggio sta nello affidarsi alla necessità.... In +Jerusalem una setta perversa, quella dei Farisei, si sbracciò per +accusare un filosofo di Galilea appo i Romani. E lo calunniarono +dinanzi le leggi. E lo resero odioso al popolo. E gavazzarono allorchè +lo videro sospeso sulla croce dei ladri e degli assassini. Pure quel +crocefisso — lo udii anche dai circoncisi che sono qui — predicava una +fede che a tutti doveva piacere: «Ogni uomo nato di donna è figliuolo +di Dio onnipossente — Ognuno per conseguenza è eguale all’altro +in faccia alla bontà divina.» Ed il pernio della sua dottrina era +conchiuso in cotesta formola: «Non fare altrui quello che non vorresti +che a te facessero.» Ebbene! Gli stoici, che sono i Farisei del +panteismo, dicono di Epicuro le abbominazioni delle maladizioni perchè +professò che la felicità dell’uomo consiste nel piacere.... + +— E ti par questa la teoria di una sana morale? + +— Nel piacere che risulta dalla pratica delle virtù. E nessuno tra i +tuoi brontoloni potette mai accusare nè Epicuro, nè i suoi adepti di +sensuali pecche. Il popolo invece vede voi nè casti, nè temperanti, nè +frugali. + +— Ci sa religiosissimi. + +— Ipocriti, frequentate i templi. Crapulosi, aiutate alla crapula dei +sacerdoti e gli satollate di ricchezze e di prestigio. Se magistrati, +vendete la giustizia. Se privati, cittadini, ponete allo incanto la +bilancia di Temi. I legami sociali voi li rompete ognidì. I rimorsi +nel cuor vostro assumono le sembianze di pregiudizi infantili; e gli +dissipate coll’offerire una melagrana a Venere, un montone a Giunone, +un voto a Giove, un’anfora di vino antico al dio Bacco. Arricchite +colle usure?... Che monta! Una parte al flamine di Mercurio, lo incenso +al comodo nume, il resto per voi. E vi beccate il nome di _boni viri_, +di _verecundi_, di _religiosi_, di _integri_, di _innocui_, di _frugi_, +di _omni bono meriti_, di _dignissimi Reipublicæ_. + +— Non tutti così.... In ogni modo val meglio aspirare a leggi pure, +solide, di facile esercizio e consolanti, di quello che ad una sterile +virtù stabilita dalla opinione mobile degli uomini. E ve n’ha già di +parecchi sistemi. E ne diviene imbarazzante la scelta. + +— Ma quando la morale — che tu riconosci per tale al pari di me — non +può più accordarsi con una religione malsana che corrompe i costumi e +che riverisce ed incensa iddii ingiusti, dissoluti e crudeli, e non val +meglio negare la loro esistenza piuttosto che degradarsi dinanzi a quei +rivenduglioli di antiche frottole che di soppiatto si smascellano dalle +risa della vostra melonaggine?... Ah! Voi siete gli empi davvero!... + +— Io penso che tu rammenti come nella nostra prima gioventù, presi +ambedue da una grande simpatia l’uno per l’altro, risolvemmo di +consultare la iddia Iside sulle sorti che ci attendevano. Me la +curiostà spingeva, a ver dire. Te una credulità superstiziosa. Andammo +nel tempio. Affidammo al jerofante le due pergamene rotolate che +contenevano le nostre domande e attendemmo prostrati a’ piè della +edicola. Un sacerdote triste, pallido, abbattuto, cinto il capo di +bende e di una corona di alloro, allumò sullo altare un fascetto di +erbe aromatiche, masticò alcune foglie della corona, gittò questa nel +fuoco insieme con una pugnata di farina d’orzo e annusò a piene narici +le crepitanti fiamme. Quell’uomo lo dicono stretto al celibato; e le +frizioni di cicuta par lo accomodino egregiamente ad osservare una +strana legge contraria alla natura. Assistito da due sacerdoti che +aveano nelle mani gli attributi del Sole e della Luna, passarono dietro +la edicola. + +— Rammento, o Nivillio, che due altri ci purificarono coll’acqua santa +nell’atto che i vittimari scannavano i due vitelli bianchi di Surrentum +che noi avevamo offerto alla iddia per renderla a noi propizia. + +— Io tutto vidi, o credulo amico. E allorchè chiesi la ragione perchè +al tuo vitello fecero mangiare la farina che gli presentavano; e +perchè pittarono acqua fredda sulle aperte viscere del mio — il quale +d’immobile ch’era divenuto, agitossi — nessuno di quegl’impostori +rispose. Avvegnachè più le cose sieno inesplicabili e dure a ingoiarsi, +più inspirano fede al volgo bietolone e ignorante. Un soave odore si +sparse a noi d’intorno. Tu lo credesti prodigio. A me parve grossolano +abuso della mia ragione. D’un tratto dietro il nume vedemmo sorgere +una nube di fumo olezzante. E poi una voce cupa gutturale pronunciare +parole sconnesse, ignote alcune, altre di nostra lingua — che non +avevano senso veruno. Eh! era giovane allora e il mendicare un responso +alla Iddia, se mi fece oltraggio alla mente, pur mi parlò di pericoli +ch’era follia lo sfidare. Socrate morì di veleno. Diogene fu salvo +della sua miscredenza per la nomea di strano filosofo. Tacqui. E +siccome ambedue, senza dircelo, avevamo chiesto se avremmo patito il +dolore di sopravvivere allo amico del cuore, il sacerdote portò a noi +in una sola pergamena il responso deciferato. Qual’era che tu morresti +colpito dalla folgore, ed io strangolato. Baie! + +— Tu stracciasti, o profano, l’oracolo, e mal te ne coglierà. + +— Morrò. Sei immortale tu forse?... Ho meditato lunghi anni su quella +scempiaggine della mia gioventù; e nel segreto sentii gli orrori +cagionati ai popoli e agl’individui dalle pitonesse, dai misteri +di Cerere, dalle soperchierie di Delphi, dai responsi degl’ipocriti +sacerdoti e dagli oracoli degli egiziani che vendono le loro frottole +in nome d’Iside, qui. Una parola dettata da quei corrotti e mai +satolli del proprio egoismo, suscitò guerre sanguinose in antico, +portò desolazioni in una repubblica, ridusse in cattività gli abitanti +di un intero paese, creò lo eccidio di una famiglia, troncò la vita +di una creatura innocente. Giacchè mentovai i ciurmadori del tempio +di Delphi, vo’ ricordarti quello che fecero al popolo di Cyrra, nella +Phocide, correndo la LXXIII Olimpiade, quattro anni dopo che Euripides, +il grande tragedo della Grecia, nacque in Athenæ. Gli abitanti di +Cyrra, nel seno Crissæo, possessori della valle che si stende dal monte +Cirphis al Parnaso, imponevano balzelli sui greci che sbarcavano nel +loro porto per andare a consultare in Delphi il vantato oracolo. Ma +nuocevano alla turpe officina. E l’oracolo, richiesto, rispose che i +colpevoli meritavano il supplizio, cioè, che ogni cittadino di Cyrra +dovesse esser perseguitato di giorno e di notte come cane idrofobo; +si saccheggiasse il paese; e le donne stuprate; e i bambini ridotti a +schiavitù. Parecchie nazioni si levarono in armi. La città fu rasa, +il porto colmato, gli abitanti morti od in ferri, e i ricchi campi +sacrati al tempio di Delphi. Una colonna fu rizzata sulla vasta pianura +a ricordo del fatto. E col sangue delle migliaia di vittime eravi +scritto: _Chiunque osi rompere cotesto giuramento sia esecrato agli +occhi di Apollo e delle altre divinità di Delphi. Che le loro terre non +portino più frutto. Che le loro donne e i loro greggi producano mostri. +Che perano nei combattimenti. Che falliscano in ogni loro impresa. +Che la loro razza si spenga. Che per tutto il periodo della loro vita +Apollo e le altre deità di Delphi rigettino con orrore i loro voti e +i loro sacrificii._ Questi i tuoi sacerdoti, avari, ingordi, mendaci, +ladri, impudichi, arpie, mai satolle di dominio e di sangue. E l’empia +sentenza correrà tradotta in ogni lingua nei secoli avvenire. + +— Lo ammetto, ed ammetto altresì i vizi e le passioni umane +identificate nei Numi. Ma se noi pervenissimo a purificare il culto +delle superstizioni accumulate dai secoli, saprebbero gli Epicurei +rendere omaggio alla Divinità rinnovata? + +— Sei pure il dabben’uomo, o Vibrio Saturnino. Tu infradici i numi nel +brago e poi gli correggi e gli lavi nel ranno a posta tua. Dunque, +o buoni, o pessimi, sono l’opera delle vostre mani. Provami un po’ +meglio la loro esistenza. Guarentiscimi con testimonianze irrefragabili +ch’essi prendono cura di noi, ed io mi prosternerò ai loro altari. + +— Sei tu che devi provarmi la loro nullità. Perchè sei tu che zappi +le fondamenta ad un domma che i popoli osservano per lungo periodo di +secoli. Ma un monumento che attesti la esistenza dei Numi pur vi è, +e tu il vedi e il calpesti. Il sole, le stelle, la terra, l’organismo +dei corpi, la differenza degli esseri, il petalo dei fiori, la polvere +dorata delle farfalle, lo istinto degli animali, la nostra ragione. +La natura sin dallo aprile è stata in un rapido movimento finqui. Ora +si acconcia al riposo. Dunque vi è un primo motore. Cotesta azione è +soggetta ad un ordine costante. Questo ordine esige una intelligenza +suprema. Qui la mia mente si arresta. Se tu, o Nivillio, procedi +innanzi, io dubiterò della mia esistenza e della tua. + +— Coteste prove non arrestarono mai i filosofi sulla via della ragione. + +— Voi siete presumenti. + +— Noi siamo ragionevoli. E pensiamo colla nostra testa piuttosto che +per quella di Aristotile e di Numa Pompilio. Leggi Timeo di Locrum, +Anassagora, Platone, Pythagora, Antisthene, Epicuro, Socrate; e verrai +facilmente alla soluzione del misterioso problema: «Molte sono le +divinità adorate dagli uomini. Ma la natura ne indica una sola. Tutti +hanno considerato lo universo come uno esercito mosso dal genio del suo +generale, o come una vasta monarchia, in cui la pienezza dello imperio +risiede nel principe.» Se Dio fosse, lo insetto, la lucertola, il +rospo, il lombrico, il coccodrillo, la talpa, l’erba che non è albero, +la scimmia che non è uomo, non dovrebbero lagnarsi delle imperfezioni +loro prodigate? Ma son essi cogli altri i componenti del tutto e i +perpetuatori del tutto, e non havvi ragione a lamento. + +— Tu mi persuadi ed io fuggo. Oh! la illusione dei Campi-Elisi! _Vale._ + +— Ho speso fruttuosamente la mia giornata. _Faustum, felicemque._ — + +Intanto che i filosofi si avviavano alle loro case ed una parte di +popolo vagava per le sue faccende o si trastullava, le donne e i +bigotti muovevano verso i templi alle preci votive a cui li invitavano +i magistrati. Le stranezze che occorrevano erano insolite cose. Il +maraviglioso mena al maraviglioso. La paura e la impotenza legano +la credulità al carro dello ignoto cui si chieggono favori, aiuti, +riparo e conforti. E tutti i superstiziosi e gli sgomentati corsero ai +sacerdoti per offerir loro _ex-voto_, monili, pecunia e commestibili +onde pregassero i numi a far cessare le minacce misteriose o patenti +che pesavano sulla pubblica coscienza dei Pompeiani. I fani di Giove, +di Mercurio, di Venere e dell’Augusteum, di Esculapio, di Cerere, di +Nettuno e di altri iddii si affollarono di gente. E più quello d’Iside, +deità di non remota instituzione e di moda. Grato Arrio, Amphio Serapa, +Puccio Chilo, Messio Inventus, Merulino, Nimphiodoto Caprasio e gli +altri loro consorti in ipocrisie accettarono la mèsse che la ignoranza +impensierita loro forniva; ed ognuno — secondo il rituale del proprio +culto — sacrificò, libò ed orò il meglio che seppe. Perchè, a ver dire, +un po’ di spavento aveva pur scosso quei pubblici ladri e profittevoli +ingannatori. Persino dalla parte più ignobile della città, verso il +Sarno, accorsero gli ebrei, negozianti e schiavi venuti dalla loro +distrutta città. Non avendo più tempio, nè potendo creare in terra +straniera il loro _sanhedrin_, cercavano in tanto pericolo il dio unico +dove poteva discendere, richiamatovi dagli incensi e dalle preghiere. +Eliachim Verpa, il ricco mercatante, ne ritenne ben pochi e furono +quelli tra i quali spandeva la buona novella e col loro mezzo faceva +proseliti e propugnava di soppiatto negli schiavi la notizia della +redenzione. + +Sur un’ampia via che dal Foro, traversando quella che mena alla +porta di Stabia, conduce direttamente allo Anfiteatro, è a sinistra +una casa, il cui uscio apresi subito dopo un terrazzo lungo quanto +l’abitazione precedente, guarnito di una balaustrata di ferro. Numerosi +cittadini, solleciti liberti, procuratori officiosi, chiedoni di +ogni genere sono sul selciato, assaltano l’uscio, empiono l’atrio. +La diversità delle vesti, le varie persone che parlano di affari che +la mobile fisonomia traduce a chi finamente le osserva, la magnifica +architettura dello edificio sono indizi che colà dentro dimori un uomo +di alta considerazione. Ed una voce ecco che l’indica. Nessuno degli +annunciatori ha parlato. Laonde, tutti gli occhi si volgono sorridenti +ad una gabbia di legno dorato sospesa ad una verga di ferro che +traversa lo impluvio. La voce ripete il suo verso e dice: + +— _Svedius Clemens, sanctissimus judex._ — + +Era uno Ψίττακός verde, dal capo giallo e dalla coda rossa, cui avevano +dato il nome di Catina, ch’erano le sole tre sillabe che pronunciasse +pria che i servi altre glie ne apprendessero. Alle parole di +quell’uccello, credutele escite dalla bocca del _nomenclator_, la calca +si fece più innanzi nell’atrio. + +— Isocriso Fortunato, qual cura qui ti conduce? Fatti in qua ed +eviterai di aver pesti i piedi. + +— Sì, o Claudio Espedito, meglio è serbar sane le costole e non esser +dei primi.... E poi è un’afa che uccide. Qualcuno di quei solleciti, là +nella schiaccia, perderà il respiro. Mira L. Pullio Mactoriano, corso +in tanta fretta da non avere ancora allacciato le corregge dei calzari. + +— E che dici di M. Epidio Sabino che pur sbadiglia ed ha la cispa negli +occhi. La vanità gli vieta il sonno. E si fa spingere qui grosso e +rubicondo per sollecitare dal sommo giudice imperiale la ratifica dei +suffragi del vicinato per le prossime elezioni. _Habebimus ædilem trium +cannearum!_ + +— Qual vita! Nei tempi antichi, pria che Silla legasse le ruote +del nostro carro municipale, eh! amministrare il paese era un fatto +onorevole ed onorato. Ma ora.... l’ombra e nulla più! Il magistrato +è servo dei capricci dell’Urbe.... Ne avemmo di mostri a patire!... +Vespasiano non ebbe nè grandi vizi, nè grandi virtù. Era alquanto +dozzinale e plebeo, e di parole licenziose e brutte. Di lui, vecchio, +massiccio, colle membra annodate e sode, e colla faccia rappresa che +parea che ponzasse, innamorò Petronia, poi che fu morta la Cenide +sua. La fe’ passare nel bagno, e ordinò al dispensatore di darle +dugencinquanta nummi d’oro. Or, questi domandandogli in qual modo +quella partita si avesse ad acconciar nei suoi conti, rispose: «Metti +a uscita Vespasiano, di cui le donne invaghiscono.» Il figliuol suo, +Tito, lo amore e la delizia dell’uman genere, per ora.... Durerà? + +— Eh!... Amministrando lo impero insieme col padre, fu poco civile e +molto crudele. Rammenta tra gli altri, Aulo Cecinna, uom consolare, +pria convitato a cena e poi fuor del triclinio per suo ordine +pugnalato. Si disse di una congiura di militi apparecchiatagli contro e +che il pericolo lo forzasse. Le leggi erano. Poteva por mano ad esse ed +evitare il biasimo grande. + +— E quel suo mangiare e bere cogli amici e familiari i peggio +vituperosi e disutili? E la folla di giovanetti sbarbati, dotti nella +danza ed in libidinose posture? E gli amori colla regina Berenice? E +il mercato di uffizi? E il riceverne mance e premi?... Vero è che, +ottenuto il principato, si palesò uomo diverso. E non si mostrò al +pubblico, ove tutta Roma plaudiva i suoi giovani e graziosi istrioni. +E mandò fuori dell’Urbe l’amata e piangente regina. Nè tolse più cosa +alcuna ai cittadini. E consacrò lo anfiteatro, e nelle Terme edificate +colà presso ordinò con bellissimo apparecchio il magnifico spettacolo +dei gladiatori. Parmi dunque, o Espedito, ch’ei.... + +— Farà prospera la repubblica, se non lo guastano colle adulazioni e +colle abbiettezze.... o non lo uccidono. — Veh! lo sguardo sdegnoso +e venale dei portinai come trasceglie nella folla dei clienti che gli +assediano quelli che per pecunia faranno passare i primi! La venalità +è il pessimo veleno che omai filtra per tutto. — Non mi hai ancor detto +che ti mena da Svedio. + +— Quando ei fu inviato da Cesare nella nostra Colonia, io era in +Lutezia dei Parisi. Un mio vicino di campagna prese per sè la parte di +terreno che mi veniva restituita, ed ora vo’ chiedergli giustizia senza +aver che fare con quei sollecitatori che vendono a sì caro prezzo le +loro parole. — + +Cotesto insigne giureconsulto, per nome Tito Svedio Clemente, +tribuno, era stato nel vero inviato in Pompei da Flavio Vespasiano per +delimitare i confini del territorio della Repubblica Romana, occupato +nel Pago Felice-Augusto dalle tre coorti dei veterani. Da che Silla +gli dispose qui come corpo di osservazione, quegli uomini arroganti +e spavaldi, perchè armati, commisero insolenze contro i cittadini. +Avvegnachè, sentendosi essi il principale sostegno della politica +dittatoriale, stimavano che gli altri fossero di un ordine inferiore. +Divennero i tiranni della città. Commisero violenze e brutalità di ogni +maniera. Il selciato pompeiano fu insanguinato. Publio, loro generale, +pretendeva che i suoi soldati venissero riconosciuti come i liberi +cittadini della Colonia. I magistrati, gelosi dei popolani privilegi, +fermamente si opposero a quella imperiosa volontà; e ricorsero al +senato nell’Urbe. Cicerone, pauroso di Silla, difese il nipote, +quantunque in cuor suo lo accusasse. E Publio assoluto. E surrogato +da Ninnio Mulo. E i veterani ebbero un vasto terreno, in proprio, da +coltivarsi e da trasmettersi ai figli. Nella distribuzione dei campi +furono però usurpate le proprietà dei cittadini. Laonde, litigi, +ingiurie, busse e macelli. Bastava muovere doglianza contro un soldato, +per veder sorgere la centuria e colle centurie le coorti, onde chiedere +riparo col gladio al coltello. Svedio compose le liti insorte e i +decurioni elevarono la sua statua sur un piedestallo, proprio sul posto +dei diritti acquetati e riconosciuti, presso la strada dopo lo emiciclo +di Mamia e sull’angolo della via che menava alla villa di Cicerone. + +La iscrizione diceva: + + EX AVCTORITATE + IMP · CAESARIS + VESPASIANI AVG· + LOCA PVBLICA A PRIVATIS + POSSESSA T. SVEDIVS CLEMENS + TRIBVNVS CAVSIS COGNITIS ET + MENSVRIS FACTIS REI + PVBLICAE POMPEIANORVM + RESTITVIT. + +Un subito moto, come onde di mare che si seguono e si accavalcano, +dinotò l’apparizione del magistrato imperiale nell’atrio. E la turba +degli ossequiosi si spinse verso quella parte. Erano i _salutatores_ +che volevano solo complirlo. E i _deductores_ che intendevano +accompagnarlo se mai fosse escito. E gli _assectatores_ che in pubblico +desideravano farsi vedere al suo fianco. + +Di mediana statura, vigoroso, solido, dalle braccia e dalle gambe +scultorie, sotto quella fronte larga e possente si disegnavano due +occhi neri e fermi, di cui era difficile sostenere lo sguardo. La sua +fisonomia aperta e ruvida palesava la energia del carattere. Lo aspetto +complessivo della persona lo testimoniava. + +E quel suo aspetto spirava un’adusta vecchiezza, quella beltà non più +materiale, che è il canto dell’anima dopo la vittoria riportata sui +sensi. + +Il tablino, ove si mostrò ai clienti, era ornato di pitture bellissime. +Sulla parete sinistra, tra’ lavori architettonici, vedesi ancora un +Ermafrodito itifallico sedente, il quale colla manca acciuffa la barba +di Sileno che è dietro le sue spalle, e colla destra si scuopre la +persona. Una baccante ha nelle mani una coppa ed un tirso. Tutto il +fondo del quadro è turchino, sormontato da un cortinaggio rosso con +frange, i cui lembi d’ambo i lati scendono bellamente sopra lo zoccolo. + +Svedio si presentò portando la mano dritta alla bocca e curvando +il corpo a sinistra. Offerì quindi la destra ai più vicini che il +nomenclatore gli presentava. Chiese della salute di tutti. Lamentò +il caldo insolito, soffogante; ed il tanfo che sorgea dalle cantine +e dai pozzi a far recere i mulattieri. Ascoltò le ragioni d’Isocriso +Fortunato e chiese documenti per giudicarle. Si assise e terse il +sudore della faccia. Rivolse la parola alle persone che riconosceva +nella folla. Ed accolse benignamente le petizioni che gli venivano +offerte. Cessato quel còmpito, e notando nel fondo dell’atrio la +folla compatta degli accattoni, che invilivano la cosa immortale per +provvedere senza fatica e coll’abbiettezza del limosinare ai loro +giornalieri bisogni, aggrottando le ciglia gridò con voce sonora: + +— Quei famelici clienti, quei chiedoni di _sportulæ_ non vo’ vederli +io qui. Vadano all’Annona. Cesare mi mandava a rendere la giustizia +sui piati straordinari e non a provvedere i fannulloni e gli stomachi +vuoti. — + +Ed accigliato rientrava nelle interne stanze. + +Svedio aveva ragione. Il cuore umano non era più quello. Le contese +civili col corredo del livore e della ferocia. La guerra servile +col legittimo spregio all’autorità. La rivolta sociale collo inutile +carnaio e col rammarico della ingiusta disfatta. La idea riscossa da +quegli avvenimenti non pienamente acquetata. L’oblio che ferisce e +dentro rode. Le perdite patite. Le ambizioni in trionfo. Lo intrigo in +auge. Le schifose brutture imperiali. Il piacere dei sensi abbeverato +di sangue e di lacrime. L’adorazione della libertà defunta. Ed un idolo +sconosciuto ancora, ma pur fremente nella coscienza degli uomini. Tutte +queste cose — cagioni ed effetti di molti mali senza rimedio — avevano +prodotto un ibridume vergognoso — i parassiti, i pedanti, gli epuloni, +le sciupate, i poetastri, i buffoni, gl’ignavi e i viventi di pubbliche +e di private limosine. — Le dimore dei ricchi erano ogni mattina in +sull’alba assiepate da gente stracciata che trascinava seco figliuoli +sparuti, sudici e seminudi e persino donne languenti e prossime al +parto. Le sante delicatezze dell’anima erano tutte morte... Ma non si +erano consumate sulla croce del Golgota. E verrebbe il giorno in cui +sarebbero risorte per far cangio lo aspetto delle generazioni a venire. + +Gl’inquieti escirono dalla casa del giustiziere imperiale col ghigno +sul labbro, colle maledizioni nel loro pensiero. + +— Kale, ho inteso parlare degl’infortuni di Ulisse ch’errò per venti +anni lungi dall’isola natale. Ben di lui più infelice, io mi smarrii +qui dove nacqui e d’onde mai partirò. + +— Non so trovare, o Priscilla, un’acqua abbastanza sporca per gittarla +sul viso di quell’impuro egoista! Briccone! Egli ha i suoi redditi. +E non pensa che noi non ne abbiamo. Ogni cosa aumenta di prezzo. +Ieri, Scapula, con cui lamentava lo accresciuto valor del suo lardo, +mi mostrò i pesi di piombo, sui quali era in rilievo ALVMVR-CAVE. +Magistrati cani! + +— Lo udiste, eh! lo uccellaccio di cattivo augurio! Quali occhi di +gufo. Già, per noi poveretti non vi è che la croce! Cotesti ricchi sono +tutti pirati e non risparmiano alcuno. + +— Tu poi non puoi lagnarti, o Thessalo. In una casa il pesce. In +un’altra un po’ di pecunia. E per sopra ciò hai così acconci i denti +come le mani. + +— Sì, non mi reputo tra i grandi infelici. E prego sempre Laverna che +mi offra il destro di esercitar le mie dita. + +— Ho udito ragionare da Spetillo, or or tornato dall’Urbe, come Cesare +sia affettuoso e benefico a non lasciare alcuno partirsi da lui senza +beneficio, od alcuna speranza. E soler dire: mai nessuno debb’essere +del principe malcontento. E una sera cenando, risovvenendosi non aver +fatto servigio ad alcuno, dicesse malinconoso agli amici, come quel +giorno fosse un giorno perduto. Eh! Qual differenza tra lui e questi +che qui lo adombra! + +— Odo rumor di voci di gente riunita dietro le Terme. E suon di flauti +con esse. Andiamo, Papyria, e inganneremo la fame cibando gli sguardi. + +— Molti pur vanno da quella parte. Corriamo. — + +Nè si erano ingannati. Al di sopra, al di sotto ed in faccia alla +caupona di Svezzio, dalla insegna dello Elefante, era grande la folla, +chiamatavi dal piacere dello spettacolo. Sur un triangolo avevano +posato un canapo e distesolo sur un altro simigliante a dieci passi di +distanza; un uomo con un grosso chiodo lo assicurava tra le commessure +del selciato. Altri uomini in figura di Fauni mostravansi coperti di +anassiridi verdi, rosse, gialle e turchine. Un tirso nella mano, una +pelle di capro sul braccio, un fiocco di crini in arco sull’osso sacro. + +Una voce grida; + +— Abbastanza suonarono le tube, i flauti ed i cembali. Che tardate? Il +circo è pronto. Gli spettatori sono impazienti. + +— E le spettatrici? Ohe, Phæbo, sei tu che proibisci alle tue clienti +di mostrarsi sul davanzale del _solarium_? + +— O che tu dici, Hypsæo. Non son le mie schiave. — + +Ma un funambulo è già sulla corda. Ha il corpo vestito di rosso e le +chiome, la coda e la lira gialla. Con una gamba piegata ed un’altra +distesa suona con ambe le mani la cetra, tenendo tutto il peso del +corpo poggiato sulla punta del piede destro e sulla estremità del +tallone sinistro. Guai se spianasse il piè sulla corda. I fischi +lo assordirebbero. Debbono reggersi in equilibrio sulla punta o sul +tallone. + +— Sante vestali, al verone. Bene! Vivano i _rorarii_ della truppa +leggera. + +— Eccoci. + +— Fuori gli _adcensi_. Voi siete i _triarii_ della riserva. Oh! Le +belle affrancate del piacere! Dite: Salve, o Libertà! — + +Il terrazzo sporgente sulla doppia via erasi a poco a poco guarnito +di donne. Erano le Veneri plebee, le degradate che pagavano caro le +infamie della loro vita. Giudicate indegne di protezione, non hanno +tutori, e perciò non possono compiere verun atto legale. E acciocchè +ognuno le riconosca, hanno rasi i capelli, coperti da una _picta mitra_ +a diversi colori ed indossano la toga maschile. Erano o affrancate, +o straniere, taluna bella di forme, tale altra bella per la vivacità +dello ingegno, sino a maritare la voce agli accordi della lira, e a +spiegare le loro grazie nelle danze le più seducenti. Dilettavano gli +ozi dei marinari, dei poetastri — che sotto infinti nomi cantavano i +loro vezzi — e dei gladiatori. + +Un altro funambulo è sulla corda tesa. Questi è tutto verde. Salta e +poi, stendendo ambe le braccia, si curva per mostrare ch’ei sa mantener +lo equilibrio della persona in quella difficile postura. Gli gittano +un _rhyton_, cioè, un bicchiere a forma di corno, che tiene sollevato +nella destra e versa il vino in un cratere a due manichi che ha nella +sinistra, abbassandola di modo che lo sprillo del liquido con arduo +giuoco gli faccia arco sopra la testa. Quel bicchiere, detto anche +_fluens_, dal rapido scorrere del vino, valeva a ricordare come di +corna forate fossero i primi bicchieri nei rozzi banchetti degli uomini +che cominciarono a coltivare le nostre contrade. + +— A che più guardi, o Epeo, alla corda, o alle corde che ti allacciano +i sensi? Quella bruna procace, la terza a diritta, che ti guarda e +sorride, scrisse un suo vanto sulla parete. Vincitore nello Anfiteatro, +tu da lei fosti vinto. VICTRIX VICTORIS. CONTICVERE. + +— _Ita me bene amet_, non era dessa il mio dolce mele, il piacer di mia +vita. Sticho mi rubò la mia Fimie, quella che poggia le belle braccia +sulla balaustra. Oh! Per Antippe non darei nè anche il _ciccum_, la +pelle bianca che cuopre gli acini di questa melagrana. — + +Altri danzanti si succedono sul canapo. Saltano col tirso. Suonano le +tibie od eseguono con destrezza giuochi di simil fatta. E la gente +lo applaudisce e paga piccola moneta allo editore di quel popolare +sollazzo. + +— _Cape hoc flabellum_, Eris. Rinfrescati la faccia con esso e scaccia +le mosche villane. + +— Lo accetto, Annio Lucifero. Ma tu non guardare in alto; perchè +opereresti follie indegne della tua età e dei capelli bianchi. + +— _Deos compreco_ perchè ti tolgano questa pazza gelosia dal cuore.... +Però, quella fanciulla lassù, che ride e sghignazza sguaiatamente, è +bella. + +— Non mi chiamare _febris querquera, aut tussis_. Ma, se non stesse +in quel posto, anche tu, Kleopatra, _salubritas mea_, siffatta la +troveresti. — + +La moglie a questi detti si inorcò più che per natura nol fosse. Lo +trasse a sè per andar via e die’ in questa espressione di spregio. + +— _Butu batta!_ Trista razza d’uomo. Valea meglio affogarsi che darmiti +sposa! — + +Partirono brontolando e gesticolando. Desiderava la cosa impossibile, +la fedeltà a tutta prova in Pompei. + +— Dimmi, o bella Armonia, mi lascerai seder sullo altare, presso di te, +che ammiro ed amo? + +— E chi può negarti, o bel Sosio, quello che tu chiedi con tanta +modestia? Entra, o alimento del cuore, ed espierò i miei torti nelle +tue braccia. + +— Sosio ha troppo bevuto, o Lycio. Sieguilo. Noi dobbiamo profittare di +questo filo di vento propizio e partire per Rhegium. + +— Oh! il mio giocondo compagno tornerà presto. Ma, poichè il vuoi, +entrerò anch’io nel tempio e ne lo trarrò fuori. + +— Come il corvo, voli al fiuto della carogna. Bada! In fede di +Autolyco, se non vieni presto, farò disegnare sulle vostre spalle il +nome che le madri vi diedero. — + +Un altro funambulo, con anassiride turchina, è sulla punta dei piedi; e +danza e suona ad un tempo le tibie. Il popolo plaudisce. Le donne del +verone si abbandonano ai loro lazzi abituali e parlano a voce alta e +chiassona delle solo cose che loro son familiari. + +Quando di un tratto s’ode un rumor sotterraneo, come di un carro +ruotato il quale strepitosamente corresse tra le fondamenta della +città. Poi, uno scoppio terribile. + +Era la settima ora; cioè, il tocco dopo il mezzodì. + +Le mura delle case traballano. Alcune crepitano. Altre ruinano. +Le pietre del selciato si sollevano in più luoghi. Il funambulo +cade dalla corda, batte la tempia e muore. Tutti fuggono, urlano, +piangono, incespicano, corrono smarriti senza saper dove. I muggiti +della natura continuano, e un denso e nero fumo, a foggia di pino +mostruoso, si leva dal Vesvio che gorgoglia, rugge e lancia folgori al +cielo. Grossi basalti infuocati briccolano sulle strade, sui tetti. I +colpiti muoiono. Le cose inerti si spezzano, sbalzano, si sfasciano e +prorompono al piano con ripetuto fracasso. La gente impaurita scappa +ove può. + +Ecco altro nembo furioso. Una gragnuola di piccole pietre porose, +leggiere, infuocate oscura l’aria, cade e saltella sur uno spazio +immenso. Gli usci si chiudono. Le travi che non reggono il peso che sui +tetti si aduna, crollano e schiacciano gli uomini riparati e le cose. + +Oh! i gemiti, la disperazione, le grida, le smanie, lo smarrimento del +popolo! Ed il turbine continova. E le orride detonazioni continovano. +Ed i fulmini saettano l’aria. E vivi baleni tentano di penetrare +la oscurità, la tingono per poco di luce corusca, poi la tenebra si +addensa e tutto chiude allo sguardo. + +Qua e là nelle vie, uomini audaci, rischiarandosi colle torce +impegolate, procedono come possono sul nuovo suolo composto dalle +pomici infrante. I passi si ricambiano a stento; chè, il piede infossa, +si seppellisce tra i lapilli che scalfiscono e bruciano la pelle. I +cani anch’essi cercano da tanta confusione uno scampo. I buoi, le +capre, gli asini dei _pistores_ si affannano ad escire illesi dal +tremendo flagello e col loro correre disordinato impediscono la fuga +alle genti, le pestano e le feriscono. + +Un fulmine solca l’aere tenebrosa ed illumina una scena di dolore. +Presso le Terme, due framezzano gli ultimi gemiti coi baci. Un uomo +col capo coperto è seduto sulle pomici che innondano il suolo di una +bottega. Stringe al petto e tiene sulle gambe una giovane donna. Le sue +labbra si posano sulla fronte pallida della ferita a morte che sanguina +per le membra offese. I di lei occhi hanno lo sguardo estatico, +incurante le sofferenze della carne. L’uno, sembrava fare e l’altra +ricevere la confidenza estrema di quel segreto che è il fomite di tutte +le grandi tristezze e di tutte le grandi speranze del cuor giovanile. +Parea che l’uno dicesse: + +— Il mio cuore sul tuo, o adorata. Giammai uniti quaggiù. O _mors +amoris_, nel tuo grembo la pace delle mie ossa contristate. — + +E l’altra coll’occhio fisso, quasi invetrato, parea ripetesse: + +— Una sola speme. Fu vana. Muoio almeno fra le tue braccia. — + +E la morente esalò in un bacio l’anima sua e sorrise. Ed il giovane +si curvò, prosciolse le membra e cadde riverso sul corpo di lei. Erano +morti, l’una di ferite, l’altro di schianto. + +E le pietre pomici piovevano sempre. + +Una bianca colomba errava alitando per l’aere caliginoso e nero. Offesa +dalle pomici, grida, si asconde in un’apertura fatta dal tremuoto, +vola, cade sbattuta sul suolo e, rialzata dal disio, sorvola e vola +sempre. Alla fine si posa sur un antefisso di un impluvio, guarda +smaniosa allo intorno, emette un grido di piacer passionato e si caccia +nella buca di un muro. Altri gridi brevi, febbrili rispondono al suo. +È coi figli. Si accoccola su di essi, gli bacia col becco, li ricuopre +colle sue ali e dolcemente li garrisce.... Povera madre! Ebbe almeno il +conforto di morire coi nati dalle sue uova! + +In un luogo remoto, al di là dell’atrio, presso un piccolo xysto, +sono appoggiati alle pareti di una stanza da lavoro trapezoidi +finiti, e abbozzati e massi di marmo: e qua e là, per le terre, o +sui cavalletti, grossi pali di ferro per levar pietre e volgerle a +talento, varie seghe — una ancor conficcata nel solco operato sul sasso +— martelli, mazzuole, lime e scalpelli con compassi retti e ricurvi. +La casa è spaziosa, a due piani, che una scala di legno accomuna. Il +silenzio delle voci è per tutto. Chi vi abitava, chi vi martellava, +chi vi segava, chi digrossava i ruvidi pezzi di tufo e di marmo, al +primo tremendo scoppio, seguito dalla commozione del suolo, fuggiva +esterrefatto per far salva la vita a lui cara. Un uomo solo vi era +rimasto impassibile e tetragono in tanta ruina di pubbliche cose. +Suliodes ha il martello in una mano. Ha lo scalpello nell’altra. È +dinanzi a una statua di marmo, nuda, di artistica bellezza, di un +ideale ammirevole, coi segni impressi della voluttà e dello amore. +Breve della persona, ha il volto greco cui la grandezza romana aggiugne +qualcosa di suo. Gli occhi ha neri, grandi, estatici. I capelli crespi +e ondulati si rizzano sull’ampia fronte. — L’aria si oscura. Sul +selciato della via battono tonfi le pietre ardenti. Sulla terra soffice +dello xysto si affondano e si ammonticano. Ed egli che sino dalla +prima sua gioventù era stato reputato un vile, uno schiavo; egli che +passava i suoi giorni evocando dal paese delle ombre, collo accento +della fantasia degna di Orfeo, le Veneri, le Baccanti, le Muse, il divo +Apollo e Mercurio, e le ninfe dei boschi e delle fontane; in quello +istante di supremo disastro, egli contemplava l’ultima opera sua e non +sapea distaccarsene. Nobile artista! + +L’ora sublime degli affetti è quella della separazione; chè, nello +abbandonare l’oggetto amato l’uom parte pregno degli effluvi di un +eroico amore. E Suliodes, preveggendo il danno estremo, gittò le +braccia al collo della sua statua e proruppe: + +— Tu sei la donna dei miei pensieri. Sei la nata del mio cuore +d’artista.... Che io muoia! E tu resta! Resta intatto, o marmo, a +testimoniare ch’io ti diedi i palpiti della vita. — Ah!... — + +Fu un grido straziante. Aprì le braccia e cadde stramazzone sul suolo, +rigandolo di una larga striscia di sangue. Il soffitto, spezzato e +affondato dai basalti se gli rovesciò addosso, spaccandogli il cranio e +spezzandogli le membra. E la statua cadde sopra il suo osceno cadavere. + +Suliodes era tal’uomo dall’anima semplice, diritta, sensibilissima, +febbrile, smaniosa, martirizzata, non appagata mai, collo istinto di +tutti i segreti della vita. Macilento, dalle gote infossate, le precoci +rughe dicevano com’egli dentro soffrisse di quel male logorante che il +volgo degli uomini non intende, nè scusa, di cui non si muore e che dà +la esistenza eterna, quella del genio. La statua nello impluvio della +casa di Cneo Vibio, raffigurante la psiche umana, era sua. I trapezoidi +in quella di Cornelio Rufo, pur suoi. Da un anno lo schiavo aveva +ricomprato dallo avaro padrone Aulo Castricio Scauro la sua libertà.... +Il nobile artista era morto!... + +E le pietre pomici piovevano sempre! + +Sulla via che a diritta declina alla porta di Stabia e seguitandola +mette alla porta di Nola, i carri tratti dai buoi, dai cavalli, dai +muli, da man d’uomo s’incrociano con gente che fugge per diversioni +svariate. Sopra una tavola alcuni trasportano una donna scolorata colle +braccia pendenti, grondante sangue. Un’altra donna più giovane la segue +ed è seguita da due piccoli figli attaccati colle manine alle vesti +di lei e piangono ed urlano che è tutto uno strazio. Un uomo arresta +i portatori di quel corpo esanime, si gitta sul selciato ingombro di +rottami e di pietre e singhiozza. + +— Mentre ei piange la madre ed obblia sè, la moglie e i suoi nati, +lasciamolo al suo dolore e fuggiamo. + +— Bene dici, o Volusio. E tanto più che ci pagò la mercede. — + +E ratti si dileguarono. + +I margini si fanno sempre più ingombri di feriti e di morti. I +gelosi delle loro robe preziose e più care; quei che nel disordine +delle idee non fuggirono presto dalle case che crollano, colpiti dai +sassi e da un muro che, perduto lo equilibrio ruina, hanno rotto le +membra o franto il cranio sulla soglia che pur dianzi era il pensiero +della loro salute. E quasi non bastasse lo immenso orrore, coi danni +irreparabili che veniva adunando, schiavi abbrutiti e nefarii — i +quali, disonestamente trattati, non avevano alcuna nozione di ciò che +onesto e verecondo fosse — afferravano bestialmente la occasione che +loro forniva la irritata natura, per derubare, per uccidere e per dare +ampio sfogo alle loro infami libidini. Uno si fa largo col coltello +tra i denti, spoglia il vicino, ferisce e corre. Quale ruba una gentile +ed innocente vergine dalle braccia dei propri parenti e, bestemmiando +parole di dileggio e da trivio, sen fugge. Terrore. Emozioni. Grida di +schianto. Brevi e disperate zuffe. Dolori che uccidono. Sguardi che +imprecano. Ansietà impossibili a dirsi. Eroismo di amore. Brutalità +da dannati. Ecco la multiplice scena offerta sulla lunga via che +dallo sbocco della consolare, passando a lato del tempio della +Fortuna-Augusta, menava alla porta. La quale gli Oschi costruirono +di tufo, scolpendo sulla chiave dell’arco la protoma di Venere, +l’affettuosa iddia che in quel giorno — al pari dei santi patroni, cui +le bigotte, irriflessive, superstiziose, timorate e bietolone coscienze +sogliono rivolgersi nei dì del pericolo colle novene e coi voti — non +seppe difendere la città che in lei avea piena fede. + +Apro Aulio Rufo — quegli i cui pilastri dell’uscio presentano i bei +capitelli con una baccante e due piccoli putti in alto rilievo — aveva +tratto per tempo, sui cocchi, nelle lettighe ed a piedi Celsa, Heria, +Ada; e il giovanetto Cerio, ed il piccolo Valente, e la bellissima +nelle sue grazie infantili, la Cumbennia, natagli da tre anni, l’olezzo +del cuor suo, alla quale avea dato il nome della tribù antica cui era +ascritta la sua doviziosa famiglia. Ma il cisiario Diofante invade con +una ruota il margine e rovescia. Fallox e Nasso che seguono nella quasi +oscurità il primo carro, pestano i caduti colle zampe de’ loro cavalli. +I quali, impauriti dalle grida di dolore, sferzati da chi gli menava +e sospinti dalla gente che fuggiva, inalberano rompono i ritegni, +spezzano il timone, urtano, schiacciano e fuggono a furia sul declivio +della via suburbana. Ada muore mentovando la madre. Celsa, che ha rotta +la spina dorsale pel solco che suvvi fece una ruota, si volse al suono +dell’amata voce, fruga amorosamente cogli occhi la tenebre e spira. + +Oh! i funebri pensieri dei rimasti per terra, feriti e senza soccorso! +Tutti invocano la morte; perchè la morte sola ha un sorriso per +essi!... E la viene, colorata di sangue ed infuocata delle fiamme del +Vesbio. + +Il misero Rufo marito e padre, accorre fra quei morti e morenti, +istupidito dall’ambascia. Un’unica speranza.... la salvezza della +bambina che aveva stretta al suo petto. Parole dissennate escono +dalla sua bocca.... Fugge e lascia coi cari estinti le collane, i +pendenti, le perle, le monete d’oro, le patere, le tazze, i vasi di +argento, tutto che in fretta aveva potuto rammassar nella fuga.... Dove +morirono?!... + +Un cisiario, per nome Felicissimo, ed un altro, Erosala, sferzano +maladettamente i loro cavalli. Vengono dalla via di Mercurio ed +avanzano malgrado gl’inciampi. Molta gente erasi riparata sotto +le volte della porta di Stabia. I cavalli e le ruote traversano +quell’ostacolo vivente e passano oltre. Vibio e Melissæa tengono +abbracciati in sul carro i due loro bambini, di sei anni e di quattro. +Nel successivo sono due liberti con ciò che di più prezioso si potette +adunare nei sacchi. Giungono in faccia allo scoglio di Ercole, sulle +saline, dove Cassinio poco mancò non fosse sorpreso da Spartaco nel +bagno. Colà gemiti, urli, parole da lacerare il cuore. + +Un padre che, fuggendo, avea smarrita la sua cara figliuola ed era +tornato indietro due volte per rintracciarla ed erasi quivi ridotto +per far salva almeno la sua vita, piangeva, si stracciava le vesti e +parlava, + +— O natura, forza imperiosa del sangue, ridammi viva la nata dalle mie +vene. + +E cuoprivasi il capo, si cacciava per terra e piangeva. + +Un altro che aveva ritirato la moglie di sotto una parete ch’eralesi +rovinata addosso e sulle spalle l’aveva trasportata fin là — +discaricandola ed adagiandola mollemente sul suolo, disperato ed in +lacrime le diceva, + +— Pannixis, ti sposai da due mesi, sei lo amor mio, svegliati. Non mi +abbandonare. Senti i miei baci? Vedi le mie carezze?... Qua... una +face... O iniquo Giove! Scaglia su di me le tue folgori! Morta!... +Morta!... Povera donna mia!... Qual nuovo Sinis, qual novello Procuste, +pose in brandelli le tue misere carni! _Heu me!_ Che sono divenute +le grazie del tuo viso e quegli occhi che splendevano come le stelle? +_Exanimis jaces!_... Almeno, nume crudele, infame, fa’ ch’io la segua +sulle onde di Styge e a traverso il torrente infiammato del Tartaro!... +Che! Neppur le bestemmie ti muovono?... Ti proclamo inutile in questa +ora estrema! + +— Cessa dal tuo dir forsennato, o Salvio Curzio. + +— Ahi sei qui, _machinator fraudis_? Disertasti l’ara di Mercurio e di +Maia, o Memore Istacidio? Non gioirai a lungo dei dolori degli uomini. +Giù nei gorghi del mare e con me. + +E lo ghermì per le reni, lo sollevò di peso, lo trasse nelle onde. Il +sacerdote si dimenava, lo mordea sulla spalla, gridava lo aiutassero. +In tanta confusione un solo si mosse. Fu Felice Helvio, il suo collega +nelle imposture. + +— Anche tu, scellerato. Riderà Minosse in vedervi. + +Il mare si aperse e si chiuse gorgogliante e spumoso. La natura li +cancellò ben presto dal numero dei viventi. + +Una face apparisce sulle onde. È una barca che si avvicina. Due uomini +ne discendono, approdano, chiamano ad alta voce e procedono. I due +bambini vanno loro incontro; essi li portano via. Cneo Vibio prende +la cara donna nelle sue braccia, entra nelle onde, la consegna nelle +mani smaniose, convulse di Demophilo e la vede in piedi tra i figli. +È per salir dentro, quando un rumore immenso s’ode lungo la spiaggia +da Stabia ad Herculanum. Il mare si ritira furiosamente e ribolle. +Vibio e la barca sono sbalzati lontano. La barca sbattuta dalle onde, +galleggia. Vibio... non è più. Il soffio di Dio erasi ritirato dalla +sua bocca e lo aveva lasciato livido ed inerte cadavere. + +Poco di poi, cessato il grandinar delle pietre, ecco un rovescio +immenso di pioggia sul suolo. Le acque del Sarno e delle sorgenti +dei pozzi, assorbite nei giorni innanzi dalle materie candenti +ch’eransi sviluppate nel Vesvio, avevano servito di alimento al +fuoco e, convertitesi in vapore, datogli la forza di scaraventare in +aria i basalti, le grosse pietre e le pomici addenti. Ora, aspirando +dai sotterranei meati le onde saline, le rigettava a torrenti sui +sottoposti piani, compiva la ruina delle case e livellava i lapilli +poco innanzi caduti. Al cessare della forza aspirante, il mare tornò +impetuosamente a mordere le sponde. E tanti erano i fuggiaschi nelle +Saline, tanti abbracciò nelle sue spire spumose e li trasse con sè +negli abissi. + +Demophilo, coi servi e colle ricchezze scampate, tornò indietro, +malgrado i grandi pericoli, colà dove tutti speravano con ansia +trovarvi Vibio, la doppia vita di Melissæa, la vita di quel cuore da +cui tante dolcezze eransi rovesciate su dì lei cuore amoroso. Inutili +ricerche! Ogni esistenza era scomparsa sul suolo lavato dalle onde +furiose. La misera pianse, si strappò i capelli e pensò ove mai avrebbe +portato le amare sue lacrime... Ma, tutto si cancella nel mondo, anche +la esistenza ideale che è l’ultima requie della speranza! Tutto si +raffredda, anche il pensiero.... E ciò che or or parea vivo, forse è +già morto! + +Nella strada che rade il fianco del tempio della Fortuna ha lo ingresso +principale una casa sontuosa cui tre altre vie rendono isolata. La +grandine dei basalti ha sfondato il suo tetto, crepacciato i suoi muri, +crollato le sue pareti. Le lamine di piombo conficcate con chiodi di +ferro spessissimi su di esse — per allontanar dallo intonaco sparsovi +sopra la umidità della recente costruzione — pendono schiantate e +rotte. Nei vasti atrii, nello xysto fiorito e pesto, nei peristilii +corrono creature umane esterrefatte, a tastoni, urlando, piangendo +e cadendo. La soffitta del tablino poggiante su rosse colonne erasi +sprofondata sul più prezioso monumento dell’arte antica, il mosaico, +rappresentante la grande battaglia di Arbelle, in cui Alessandro, a +capo dei suoi cavalieri, si slancia verso il vinto Dario per farlo +prigione. La terra, scuotendosi e sollevandosi, crepacciava i pavimenti +di marmo, gonfiava i mosaici e le opere signine che tanta fatica +avevano costato ai nobili artisti, miseri schiavi. Le pomici tutto +ricuoprono.... anche una bella fanciulla, la piccola Irimilla, che +atterrita e dissennata correva spinta dal genio della morte a salvarsi +tra le fredde sue braccia. Il padre Mevio Apulo che la seguia per +salvarla, stramazzato a terra da una colonna, perdette anch’egli colla +vita le molte ricchezze che lo esteso commercio dei vini gli avea +procurato. Al cominciar dello inesplicabile disastro egli avea detto a +Caio, il suo figliuol primogenito. + +— Va’ colla tua giovane sposa! Va’, corri e non volgerti indietro. +I fulmini rischiaran la via. Profitta di quel lume di Averno per +riconoscere e sfuggire lo estremo pericolo. — Abbracciami! O io salvo +gli averi e ti raggiungo. O là... negli Elisi! — + +I due amanti e sposi, convulsivamante stretti l’un l’altro, correndo a +riprese sul nuovo suolo delle vie formato dai basalti, dai lapilli di +pomice e dai muri caduti, livellato dalle ceneri fangose per l’acqua +bollente, molti ne videro dannati dal feroce loro destino impaltenarsi, +cadere, escire dalle profonde pozzanghere e ricadere anche una volta +feriti, trafelati e presi per non sorgere mai più. Essi potettero +giungere sino alla spiaggia, sostenuti dalla forza che lo spavento +ministra e che addoppia lo amore. Nella oscurità si cacciano in una +barca apprestata per lo edile M. Epidio Sabino dal liberto Hedysio, e +fatti salvi dallo equivoco, col cuor sollevato si allontanarono dalla +riva di tutti i dolori e di tante morti svariate. Allo scroscio delle +folgori, al fulgore delle fiamme, al fracasso dei muri cadenti, le urla +strazianti di un popolo e il ricordo dei cari lasciati non commuove più +il loro cuore. La terra diviene per quei fuggitivi una visione svanita. +Il solo mare ribollente, agitato risponde ai loro attoniti sguardi. Gli +è che fra il cielo ottenebrato dalle ceneri, invisibile come il fato, +e i flutti oscuri e tumultuosi una potenza unica, lo amor ricambiato +ed egoista, aveva loro accavigliato l’anima a non permetterle più le +sensazioni al di fuori. + +Intanto nel gineceo delle donne, Mesionia, la moglie di Alleio, +adunava gli oggetti preziosi ch’erano nelle camere. Braccialetti +d’oro, fibbie, anelli, orecchini venivano da lei chiusi in fretta +in una tunica. Alcune schiave, urtandosi, piangendo, gesticolando +e pallide dallo spavento, trasportavano vasi di bronzo, tazze di +argento e pitture di pareti; e incontrandosi lasciavano coteste cose +per terra, piangevano, si abbracciavano, svenivano. Una bambina ed un +giovanetto, curvi sul pavimento, ponevano in un cesto di vimini i loro +_crepundia_, la bambola, un piccolo specchio di argento e una statuetta +della Speranza. Creature infelici, non commoveste la natura col vano +augurio! Un vecchio servo, Amiantho, togliea sulle braccia un’ara di +marmo portatile colla iscrizione osca [Illustrazione: lettere osche] +— Flousai, cioè Flora — che doveva essere la dea protettrice della sua +sventurata padrona, — Tutti morirono. E lutto lasciarono! + +Dirimpetto la entrata principale dello anfiteatro era un triclinio, +dove solea darsi ai gladiatori un pubblico pasto, detto libero. +Colà presso era un ricinto murato che accoglieva gli accoltellanti +per vestirsi e per attender lo istante di scendere nell’arena. +Quivi l’_editor_ portava le vesti, le armi, le reti per fornirne ai +_secutores, retiarii, mirmillones, samnites, hoplomachi, dimachæri, +essedarii, andabatæ, fiscales, subdilitii, catervarii, meridiani, +postulatitii, laquearii_. Cotesti i nomi che distinguevano nella loro +fatale professione i miseri operai dei trastulli romani. — Nei due +luoghi, alcuni ragionavano, cioncavano e ridevano allorchè accadde il +grande scoppio, nunciator del disastro. + +Trulla e Naso erano giovani cui la passione della libertà caduta avea +ritolto lo amor della vita. Ambedue da qualche anni, in epoca diversa, +eransi ascritti alla famiglia del lanista C. Aellio Astragalo. E +giurando _uri, vinciri, verberari, ferroque necari_, ricevevano il +salario _auctoramentum_, perchè volontari e non _ad gladium_, oppure +_ad ludum damnati_. Lo esercizio della ferocia parea che lor facesse +obliare i gravi pensieri del proprio cuore. E gli austeri ardori dello +isolamento e del pericolo sembrava che tranquillassero la loro fantasia +ferita. Uno era _laquearius_. E toccando familiarmente, con certa +spavalderia, la corda dal nodo scorsoio che gli cingea la persona, +provava la immorale felicità di dar morte allo infelice avversario che +il capriccio del lanista avrebbegli dato nello steccato. Vestiva una +tunica corta di colore scarlatto. L’altro apparteneva alla categoria +dei cavalieri e vestito di maglia — _clausis oculis andabatarum more +pugnabat_ — e rischiava la vita, o uccideva senza vedere il suo bendato +competitore. + +I discorsi furono dimezzati, e per la prima volta quegli audaci +fuggirono dinanzi il pericolo. Vaccula, il dapifero, e tre dei suoi +schiavi corsero anch’essi smarriti verso lo anfiteatro. Uno fu ucciso +da un basalto presso lo ingresso sotto la statua di C. Cuspio Pansa +pontefice. Gli altri si cacciarono alla rinfusa nei corridoi; allo +infuori di uno che nella furia e nella oscurità discese nell’arena +e cadde nell’_euripo_ — canale pieno di acqua scavato attorno il +_podium_, pur cinto di un _ferreus clathrus_ — le due difese che gli +spettatori avessero dalle irruzioni disperate delle bestie feroci. +Sull’orlo di quel parapetto si veggono in Pompei i buchi dove erano +conficcati i graticci di ferro che Plinio chiamò reti per la forma che +presentavano. + +Nel catabolo erano due leoni. Uno, ruggendo cupamente si accovacciò +aspirando l’aria umida nell’angolo della cella. L’altro fuggì rompendo +le sbarre del carcere; urtò Trulla; lo azzannò e lo stracciò colle +unghie come un impedimento alla fuga ed uscì fuori per morir soffocato +dalla mefite non molto lontano. + +Vaccula accese una lampada e con essa schiarò alquanto le tenebre. +Gli altri si raccolsero attorno di lui. Pareano fantasime o quei +malati che vedi errare nel paese delle febbri. Alcuni piangevano. +Alcuni bestemmiavano il nome degli dei. Naso intravide la sua sorte +con segreta rassegnazione. A quei cui il sangue rivela alcuna delle +grandezze della vita, il pericolo delle battaglie, le sofferenze +del dolore, le tristezze del carcere, lo aspetto della morte offrono +splendidi e misteriosi orizzonti che le nature volgari non veggono. +Afferrò animoso la nuova situazione quale gli dei glie la componevano. +Si assise per terra lungi dagli altri; chiuse il capo nel _sagum_; +gittò ai piedi un pezzo di catena d’oro, un anello ed alcune monete; +si appoggiò colle spalle al muro del _vomitorium_; ed attese nella +pienezza delle sue facoltà la visita dell’amica che aveva sempre +creduto la venisse a lui armata di gladio.... La non tardò molto a +venire. E le giovanili ambizioni, e le vanità della forza muscolare, e +le irrequietezze del cuore, e i giorni di piena felicità, e le gioie +grossolane dei sensi, e le aspirazioni di una gloria migliore, ed i +palpiti della libertà, tutto fu consumato in un istante in quell’oscuro +calvario di ben altri e più cuocenti dolori. + +Nella via Domizia, sulla linea dirimpetto alla casa di C. Giulio +Polybio, era la dimora dèi chirurgo Hemos, allievo di Bucchio di +Tanagre, interprete in Cos della dottrina del grande Hippocrate. Il +quale quivi era nato nel primo anno della quarta Olimpiade, e quivi +fondò la sua celebre scuola. Questo nobile rampollo degli Asclepiadi +— famiglia conservatrice per secoli delle teorie del sommo Esculapio +— profittando delle discussioni dei filosofi che si occupavano del +sistema generale della natura e della esperienza dei suoi — e più +di quella del suo padre Heraclide — sulle vicissitudini patite dal +corpo umano, concepì la splendida idea che fissa un’epoca alla istoria +del genio — rischiarare la esperienza col ragionamento — rettificare +la teoria eolia pratica — considerare i diversi fenomeni presentali +dall’organismo animale nei suoi rapporti di malattia e di salute — +L’arte siffattamente elevata alla dignità di scienza, camminò di piè +fermo sulla nuova via che un alto ingegno le aveva dischiuso. E tre +scuole si aprirono ben presto, in Rhodum, in Cnidum, in Cos. Lo spasimo +venne curato secondo le regole confermate dalle numerose guarigioni e +le tre scuole si allietarono di molte eccellenti scoperte. + +Non lo amor del guadagno, nè il desio di celebrità avevano condotto +Hemos dalla Grecia in Pompei. Demophilo ve lo invitava. Il sollievo +dei malati ve lo facea rimanere. Creatore di una nuova scuola +conservatrice, registrava i risultati della esperienza propria e degli +altri, dettava i doveri di un medico e notava con pari franchezza le +guarigioni e le morti. Una volta accadde che a lui portassero sur una +scala un _tignarius_ che, caduto nel restauro delle mura presso la +porta di Herculanum, aveva ricevuto parecchi sassi sulla persona. Il +sofferente era tramortito. I _lecticarii_ non seppero rispondere alle +sue domande. Ed egli non si avvide che gli era mestieri ricorrere al +trapano. Funesti segni lo avvertirono dell’oblio. Dopo quindici dì +fece la operazione. Ma il muratore morì lo indomani. Ed egli, il sommo +maestro, confessò pubblicamente il suo fallo. Imperocchè, superiore +ad un fallace amor proprio, volle che anche gli errori servissero di +lezione. Sono corsi parecchi secoli e cotesta sincerità in luogo di +accrescersi, è di troppo diminuita nei curatori delle malattie umane. + +La casa aprivasi sullo impluvio ed in fondo era lo xysto. Ai lati, +lunghe camere abbellite di graziose pitture, ed una di straordinaria +grandezza e schiarata da parecchie finestre. Era la sala anatomica e la +scuola. + +Un letto di quercia in pendìo è nel mezzo. Sopra il letto è un +cadavere. Ai piedi del cadavere sul pavimento è un vaso di terra per +accogliere i liquidi che potrebbero scolare dal letto che finisce +come una gronda. A lato del cadavere sta in piedi Hemos parlante ai +discepoli, tutt’occhi ed orecchi in udirlo. + +Quel saggio ha le linee regolari di una statua, illuminate da uno +sguardo che un misterioso splendore anima ed avviva. La fronte è calva +e i capelli imbiancano. È piccolo di persona, un po’ stanca, quasi +emaciata. Di sobrie parole, ha il gesto concitato e di slancio, perchè +ricco di sensibilità meravigliosa. Quelli che lo veggono grave allo +esterno malamente lo giudicano. Le sensazioni delicate e profonde del +cuor suo sono come quelle piante energiche e sottili che si veggono +sospese agli scogli, a picco sul mare, nell’isola ove nacque. I venti +impetuosi che spirano dal golfo Ceramicus le agitano in tutti i sensi +nelle tempeste di autunno, e d’inverno; ma non valgono a sradicarle +dove germogliano. + +— La vita è breve e l’arte che noi esercitammo domanda lunghi studi e +vocazione decisa. — Giudizio sano. Pronto discernimento. Carattere pien +di fermezza e di dolcezza insieme. Amore alle cose oneste e al lavoro. +E se l’anima s’intenerisce sui mali della umanità, certo che chiunque +fra voi n’è dotato si passionerà per un’arte che insegna a guarirli.... +Operate — e non vi stancate mai di operare — col taglio sul cadavere. +Percorrete il cerchio delle scienze. La fisica dice la influenza dei +climi su questa bene ordinata matassa di muscoli, di nervi, di vene, +di fibre. E fatti dotti, viaggiate, osservate la situazione dei luoghi, +le variazioni dell’aria, le acque che si bevono. Gli alimenti di cui il +popolo si nudre, tutte le cause che guastano lo assetto della economia +animale. — + +E toccando colla mano il cadavere, seguitò: + +— Le brevi e ricise massime scolpite nella nostra memoria guidano ma +non illuminano abbastanza. Conviene applicare i principii generali +ai casi particolari e interrogare la natura per non ingannarsi. E +— ciò che è più difficile — attendere la sua risposta. Di celato +io feci portare qui da un vespillone il cadavere di uno schiavo. Il +pregiudizio non vorrebbe che quale è coperto dalle ombre della morte +giovi al soccorso della vita in pericolo. Le leggi si oppongono. Ma le +leggi permettono il macello dei sani nelle battaglie. E il pregiudizio +applaude al carnaio nello anfiteatro.... La scienza è sovrana. E se ha +doveri, ha pure i suoi diritti. + +E preso il coltello di rame temprato — lo _scalpellum_ dei latini, lo +σμιλιον dei greci — lo appuntò con tutta sicurezza sul disteso cadavere +nella parte destra laterale del torace, là ove le costole ossee si +articolano colle cartilaginee. Ma, infisso lo strumento, fermossi di un +tratto come per arrestare una idea ch’eraglisi affacciata alla mente. E +levando in alto il coltello con un gesto atto ad imprimere con maggior +forza i suoi detti negli ascoltanti continovò: + +— L’uomo di cui qui vedete i laceri avanzi era nato in Coronea nella +Boeotia, condotto schiavo in Pompei e venduto a C. Pumidio Dipilo. Ora +che con ribrezzo ne mirate le spoglie, mi avveggo com’egli differisca +da noi, uomini vivi e liberi. Ma, allorchè quegli occhi opachi +fulgevano, e quelle smorte labbra articolavano parole di vita, e quelle +mani assottigliate e nodose erano validi strumenti per effettuare le +idee, io non vedeva lo schiavo in quell’uomo. No!... Elette le forme. +Vivace ed acuto lo intelletto. Impetuoso lo ardir giovanile. Nobile +l’anima. E di squisito e commovente sentire il cuor suo!... Ben più +libero ei mi sembrava di Sirico che lo aveva venduto e di C. Pumidio +Dipilo, ricco di pecunia e d’immagini avite, che lo aveva comprato. +Crixsos era il nome dello infelice. Io, famigliare di Caio, ebbi +campo di studiare le fasi corporee e morali di questo estinto. Col +_liber_ di quella pianta palustre di Syracosion, il quale rotolato si +chiama _volumen_ — invenzione dovuta ad Eumenes di Pergamus — egli +scriveva i βύβλος dei miei trattati sulla salute, i διφθερα che voi +meditate. L’arte del pennello era pure la sua. E varie case in Pompei +sono abbellite dai suoi colori. Amò perdutamente Sfinge, la schiava +di Calepio Secario, di cui si fece il _contubernalis_, e ne fu amato +con eguale ardore. Dopo poco però i favori di Venere assottigliarono +lo stame delle due esistenze. La giovanotta morì di arsione. Egli, +consunto e accasciato dal dolore di tanta perdita. Eccolo qui disteso +dalla Phtysi o Phtoe, che fa pallido, debole, tossicoloso, emaciato. + +E volti gli occhi ai discepoli, dopo aver rimirato il cadavere: + +— Ora, uditemi attentamente.... I mali spiriti del mondo esterno +sovente investono il nostro corpo, e suscitano una lotta coi loro +poteri distruttori, cui la medicatrice natura si oppone coi suoi +conati salutari. Allora l’uomo che sente in sè cotesto certame si fa +tristo; e il terapeuta chiamalo egroto. Se la natura medicatrice ha +tanta forza da affrontare la maligna natura e la respinge, lo egroto +risana e si rassecura. Ma se l’impeto distruttore prevalse, la materia +del corpo nostro più o meno lentamente si guasta, i pori si allargano, +la contestura delle viscere si corrode e sopraggiunge la morte a dar +l’ultimo crollo alla ruinosa economia. Allorchè siffatti guasti si +stanno operando, il paziente è assalito da un calore urente che lo +divora dentro e gli produce l’ambascia, lo anelito, che io chiamo +_dispnea_, la prostrazione e la colliquazione. Or mirate come a tal +penosissimo sentire corrisponda la spaventosa trasformazione del corpo. + +Ciò detto, si approssimava al letto e accennava col tatto le parti del +cadavere di cui faceva menzione. + +— Mirate! — I muscoli impiccioliti e tabidi. Le unghie adunche. Rugoso +il polpaccio. Le narici acuminate e gracili. Incavati gli occhi dentro +le scatole ossee. Le labbra sottili che stringonsi ai denti. Prominente +la mandibola. Sul petto voi potete contare le costole. Nello addome +scorgete una cavità che va sino alla spina. Qui, sulle spalle, le +scapole elevate e nude che paiono ali di uccello. Le nocche articolari +delle ginocchia tanto prominenti da sembrare la estremità di una +mazza.... Voi inorridite, o miei? Ma voi dovete pugnare contro la morte +e conoscere la fisonomia della orribile Iddia in tutti i particolari +suoi atteggiamenti. Altrimenti, come combatterla e vincerla?... +Appressati, Albucio.... Che?... Turi il naso colle dita?... E sputi +sul terreno come un profano?... Così non faceva Hippocrate, il padre +nostro. Ed io vidi Buccino, da giovanetto, in Cos, rivoltolare colle +mani gl’intestini di un morto che tale un sito fastidioso tramandavano +da far recere parecchi tironi.... Ma tu sei bianco come un cadavere.... +Ebbene! Vien qua, Menomaco. Tu sei più provetto cultor di Esculapio +ch’egli non sia. Sostieni il braccio destro di questa materia inerte, +perchè io possa col coltello aprire la cassa delle nobili viscere. + +Il discepolo senza ripugnanza ubbidisce. Ed Hemos con due tagli +regolari nel torace ed uno per traverso alla estremità delle costole +ove ha principio lo addome, lo apre, ne squarcia le pleure e, +rovesciandone il coperchio sopra la faccia, riprese: + +— Ah! Il prevedea. I polmoni disuguali, rattratti, maculati qua di +rosso, là di nero, su di olivastro.... Ecco la phtoe polmonare. Ecco +il guasto di una lotta per quanto lunga, altrettanto straziante. +Voi, Parato, Aquano, Faventino, Marcello, Paquio, Callisto e.... +tu pure o Albucio,... vedete lo interno dei bronchi e della trachea +che ho aperto. La empiema, o la purulenza, ha quasi ostruito questi +condotti che portano ai polmoni e dai polmoni al cuore l’aria vitale +refrigerante. Quindi, il cuore che qui è rosso e più grosso del mio +pugno non essendo temprato da bastevole frigorico, tanto calore emanava +nei visceri nobili e specialmente nei polmoni, da distruggerli quasi e +ridurli alla forma che in voi desta ribrezzo.... + +Marcello interrompe: + +— Ma il cuore, o maestro, come sviluppa il vitale calore sì necessario +alla esistenza? Gli è l’organo da cui hanno scaturigine i nostri +affetti, le nostre passioni. Dunque gli affetti e le passioni avrebbero +una qualche simiglianza al calore che ci anima? + +— Ben parli, o giovane sacerdote della umanità. Gli amori, le ardenze +passionate commuovono le fibre di quest’organo che sta fra i polmoni. +Quindi è che tu lo senti battere entro te stesso. E più tu desideri, +più vibrati sono i colpi di questo martello. Le vibrazioni producono +calore siccome il ferro percosso sulla incudine del fabbro. E il +calore quindi regola la vita.... Questo schiavo amò potentemente. +Il suo povero cuore picchiò forte e generò grande calore. I polmoni +ne rimasero offesi. L’aria non valse a temperarne l’arsione ed il +misero.... + +La parola della scienza fu tronca da uno scoppio terribile che mandò +in minuzzoli i vetri della finestra e fece vacillare le pareti ed +il suolo. Gli occhi dei discepoli fissarono esterrefatti quelli +del terapeuta, e quai prigionieri dietro le sbarre facevano segni +passionati e di grande sgomento. Il tonfo dei sassi sullo impluvio +persuase alcuni ad escire da quella specie di letargo pauroso e correre +allo aperto. Al traballare successivo e continovato della terra gli +altri più provetti, che pure avevano le abitudini dei dolori e delle +sciagure umane, a due, a tre volsero i talloni alla camera ov’era +lo spettacolo della morte distesa, senza riflettere che anche fuori +Libitina mieteva in vario modo le esistenze, come il villico colla +falce l’erba dei prati. + +Ed Hemos?... Hemos sentì qualcosa di strano infiltrarsi e correre +per tutta la sua persona. Le gocciole di sudore cadevano dalla sua +fronte, la quale aveva preso la pallidezza del marmo. Nella mente +incerta volava uno sciame di figure alate che, urtandosi a furia, gli +scendevano dal cervello nel cuore. Un supremo sforzo... e la psiche +immortale aveva atterrato nella lotta la carne peritura che geme, +e piange, e si agita convulsa nella strettoia delle avversità e del +dolore. + +— È l’ultimo giorno! E il novissimo istante! Da parecchi dì gli strani +fenomeni che occorrevano e lo affannoso mutismo degli animali bruti mi +facevano prevedere il danno di questa contrada. + +Sale una scala di legno, traversa le _cœnacula_, si fa sul terrazzo +sfondato in un angolo da un basalto e vede il Vesvio ardente ed +eruttante in mezzo a turbini di fumo sassi e cose che di travi accesi +aveano sembianza. Chiude il capo tra le mani e pacatamente discende. +Ridottosi di nuovo nella sala anatomica, rimane alquanto pensieroso. E +poi mormora: + +— Urli disperati al di fuori. Il silenzio qui. I servi disertarono +là casa. Ed io resto come un milite a guardia di una pubblica ruina. +Rassegnato alla volontà degli Dei, attenderò con calma l’ora del mio +passaggio. Abbellii l’anima di ornamenti suoi propri, la giustizia, la +temperanza, la carità, la famiglia intera della virtù. Non feci male ad +alcuno. Sento la loro voce che mi chiama e mi avvio. + +L’aria erasi fatta soffocante ed oscura. La mefite serpeggiava sol +suolo. Hemos chiuse il capo nella toga e si adagiò sul mosaico. + +— _Fata vocant, conditque natantia lumina somnus_.... Qui, sul letto +drizzato nelle tenebre. Esculapio, Hippocrate, Galeno.... io vi +raggiungo..... + +Per qualche istanti parea che due cadaveri fossero in quella sala, +l’uno ignudo, l’altro coperto. Ma un piccolo moto convulso, succeduto +da un lungo sospiro, pareggiò ambedue all’occhio dello invisibile. +Hemos era morto! + +Allorchè nel 1771 si sgomberarono i lapilli e le ceneri ammonticchiate +in quella camera, vi si rinvenne sparso sul pavimento quanto l’arte +chirurgica aveva inventato a sollievo della misera umanità. Vi erano le +_cocurbitulæ_, ventose di metallo a foggia di ampolle con quattro buchi +che si turavano colla creta e poi si sturavano perchè lo strumento si +staccasse della epidermide. E l’ordigno per saldare le vene del capo. E +gli scalpelli escisori a guisa di piccole punte di lancia e nell’altra +estremità il _malleum_ per rompere le ossa. E le _spatulæ_ di varie +forme. E gli specilli concavi da un lato e dall’altro come un’oliva. E +un catetero forato colla sua mobile guaina. Ed un _unco_ per estrarre +il feto già morto. Ed infiniti ami ed aghi chirurgici. E le _forfices +dentariæ_, come le nostre tanaglie. E i _circines_, le _volsellæ_ e +le tente urinarie ricurve. E le lancette di rame temprato assai duro. +E le siringhe auricolarie, le seghe, i coltelli da taglio. Altri +strumenti pur v’erano di uso e di nomi ignoti, racchiusi entro astucci +di bronzo, di bosso e di avorio. E lo _speculum_, e le _ligulæ_ e il +_pareuniterium_ pur troppo noti. + +Nel vicolo poco discosto s’odono molte voci rauche, confuse e concitate +in una volta. È Tito Atullio, il fabbricante dei _camini portatiles_, +dei _foculi_, degl’_ignitabula_, delle _escharæ_ di bronzo — tanto +in uso nelle Terme e nelle case degli agiati in Pompei — il quale +riunito alla madre, alla sorella, al figliuolo Istacinio ed ai servi, +nello escire ha perduto la moglie. I parenti ristanno nella oscurità +e nella pioggia dei lapilli, curando le cose di pregio salvate — +quattro orecchini d’oro, una collana, dei braccialetti, molte monete. +— Il bambino ha una lucerna di bronzo che la bufera subito spense. +Dopo molto errare presso le mura, eccolo ei torna, avendo tra le +braccia Cœsia Prima, la cui bellezza era il sogno di un artista. Una +capigliatura aerea e dorata si distaccava in anelli sul suo collo +di cigno. Le rose delle ardenti voluttà eransi schiacciate sulle sue +labbra. Ora sono pallide come i gigli e si fa trascinar dal marito come +cosa morta. Procedono innanzi a stento... si arrestano.... piangono.... +cadono.... e, tutti stretti, abbracciati, muoiono. + +E le pietre pomici piovevano sempre! + +Morto Popidio Celsino, la eredità di Plilia fu venduta, ed essa colla +sorella tornossene in Grecia, dove da lento morbo consunta morì. La +casa venne compera da Flavio Ceppysiodoro, liberto di Flavio Licinio +Romano, arricchito dal commercio dei marmi. Avendo vissuto a contatto +di tre diverse civiltà — molto in Egitto, un po’ nell’Urbe ed in Sycion +ov’era nato, e per sopra ciò schiavo — aveva elevato a religione la +teoria del tornaconto; e il re del suo Olimpo per lui era Mercurio che +per sua propria devozione aveva mandato a nozze colla Malafede e faceva +adultero coll’Astuzia, colla Menzogna e colla Viltà. A cotesti soli +iddei egli dava incensi ed onori. Gli altri numi ei li lasciava tutti +alla gente sciocca e gocciolona che non s’intendeva di affari. Per gli +uomini arricchiti, di tal conio, la virtù in quei tempi era la virtù +in questi che corrono — vano nome. — I nummi rappresentavano molte cose +manchevoli, necessarie e richieste. Come oggi!... + +Aveva sposato da alcuni anni Perennia, la figliuola di un’altro liberto +ricchissimo, suo coetaneo, il quale era morto per un’apoplessia che +lo colse nelle braccia di una donna. Un terapeuta corse in suo aiuto. +Ma il brav’uomo era già nel Tartaro, attendendo che i _pollinctores_ +gli lavassero e gli profumassero il cadavere e facendo voti che i +_vespillones_ non gli togliessero di bocca la moneta per pagare il +navicellaio Caronte. Come sempre, senza mercede non si passava in quel +mondo che anche oggi si spera e si dice migliore. + +Perennia era giovane e bella. Nè amava. Nè stimava il marito. Ma, molle +e licenziosa, lo conduceva a suo modo. La sua faccia agl’indifferenti +non diceva verbo e pareva una Sfinge. I giovani a modo però e che a lei +piacessero vi leggevano quello che nel verno, appoggiati i piedi sugli +alari di un camino, noi vediamo sui capricciosi disegni delle fiamme e +del fumo. Val quanto dire ciò ch’essi volevano e desideravano. + +Nel secondo atrio adorno di bel pavimento a musaico e che ha un +recipiente rettangolare nel mezzo per raccorvi l’acqua piovana del +tetto, sono molte donne che tessono e filano con quella rilasciatezza +con cui lavorano le genti comprate, cui i rimproveri e lo staffile +sono incitamento alle opere. Ed il caldo soverchio sin dalle prime +ore del giorno — quell’afa sì straordinaria, in tal mese autunnale +— avrebbe loro fornito le proprietà sonnifere del papavero, se non +avessero dato alcun riposo alle mani e molta libertà alle ali del +pensiero. Una sola aveva un viso misterioso. E, poggiati i gomiti sulle +ginocchia, lo sosteneva sulle palme aperte delle mani. Clysma, nata in +un paese dell’Asia, era poco loquace per abito, e parea che, prestando +l’orecchio alle armonie della sua mente, si confortasse della schiavitù +e della durezza di quello stato con consolanti e fatidiche apparizioni. + +Perennia che dormiva in una stanza vicina ruppe con un grande urlo +il cicaleccio delle sue schiave. Alcune accorrono nel cubicolo. Poco +stante essa giunge pallida in volto, si asside e si terge il sudor +della fronte. E tutte ansiose a domandarle che fosse. + +— Ah! Io feci un sogno tremendo. E mi destai affannosa e fradicia +tutta. — + +E Scaura, e Maronia, e Giulia, ed Angipta, ed Auga, e Tanablea le +ripetevano la domanda. + +— Pareami di essere in un paese pieno di strepito e di lamenti. Era in +Pompei? Non so dirlo. Ma nessuno io scorgeva intorno di me. Volti gli +occhi in aria vidi Nemesi irata lanciar sulla terra gruppi di serpi +lividi e schifosi. Tento uscir dallo xysto e riparare in casa, quando +odo un urlo straziante.... e inorridita veggo il piccolo Cæsariano coi +capelli irti sulla fronte correre a me e precipitarmisi nel grembo. Un +di quegli aspidi lo mordea sulla nuca e le sue spire strette al collo +glielo serravano a soffocarlo. Pallida, tremante, fuori di me dallo +spavento, mi provo a discioglierlo da quel laccio. Ma.... le forze mi +mancano, le dita s’irrigidiscono, grido.... alfine mi desto. + +— Terribile sogno! Clysma? Esci dai tuoi abituali silenzi.... Soccorri +alla nostra padrona colla tua prescienza e la calma. + +— Maronia.... E che dirò? Voci giulive non mi esciranno dal labbro. È +il sogno men chiuso che Perennia abbia mai fatto. — + +E Scaura; + +— Orsù. Toglici dall’ambascia. Apri gli arcani del sogno. — + +La Egiziana allora guardò tutte in viso una per una, e si levò dalla +postura in cui erasi per ore tenuta. E per quella facoltà dello +spirito la quale nelle sofferenze morali, fa che la creatura dai nervi +sensibilissimi presagisca gli avvenimenti o, nella esaltazione del +cervello, li vegga svolgere in luoghi discosti, Clysma continovò: + +— Osiris, lo sposo della sorella Isis.... Typhon, suo fratello, lo è +di Nephtis. Questi ha trovato la corona fraterna sul letto nuziale +presso la moglie addormentata e stanca... Mirate lo scoppio della +gelosia!... Le acque invece di fecondare distruggeranno. Le terre +aride colmeranno le terre piene di vita e di germinazione. La nimphæa +nelumbo impallidisce e muore su suo verde stelo.... La felicità morta! +Le dovizie morte! Lo amor morto!... Tutto morrà in questa contrada che +ha dilaniato a lento morso i miei verdi anni e il mio misero cuore!... +Amset, Hapi, Satmouf, Mamses — i geni di Amenthi — non accoglieranno +col natrum le nostre viscere nel loro grembo. L’orecchio di Retiset +è già chiuso ai vostri lamenti.... Apparecchiatevi. Apparecchiamoci +tutti. + +— Io ti farò battere _usque ad necem_, o nera maliarda. È l’acre +vendetta della vile anima tua che a te suggerisce.... + +— Nè padroni. Nè schiavi. Tutti eguali innanzi all’ira di Typhon. +Le sue collere tu le hai vedute. Esse si spanderanno su te.... Era +l’agonia che ti troncava i polsi e ti vietava di salvar Cæsariano.... +Dì! Non vedesti il monte nel sogno?... No?.... E pure dal monte Typhon +verrà. — + +Ciò detto, Clysma tornò a sedere per terra, appoggiando le guancie +sulle sue mani. E le altre più impaurite che mai. E Perennia divenne +livida come se l’alito della morte le avesse sfiorato la fronte. Ma, +cambiata idea, replicò: + +— Io ti ho comprato _gypsatis pedibus et auribus perforatis_; ed eri +una _vernacula_ nata in casa di un cittadino romano in Babylon. Ti feci +istruire _in artibus ingenuis_ e fosti _pædagoga_ del mio Cæsariano. +Eri considerata la Perennipora qui. Così tu ricambi la bontà del mio +cuore? + +— Accorciando lo stame della mia vita tu non allunghi il tuo. Io tel +ripeto... Typhon si agita per febbre ardente nel monte. Credi tu che +le tue verghe solcanti il mio corpo possano fare ch’egli non ne esca +fuori? E pensi che se tu dicessi al pretore: + + — _Hanc fœminam liberam esse volo jure Quiritum._ — + +cotesta affrancazione salverebbe la città dall’ultimo esterminio? + +— Oh! Questa schiava coi suoi delirii m’insulta. Chiudetela nello +ergastolo, e questa sera deciderò della sua sorte. + +— Presumente!.... Non sarai in tempo fra un’ora. Un’ora?... Ecco. Trema +la terra... Ah!... Lo scoppio! + +Tutte balzarono qua e là, tenendosi alle vacillanti pareti. L’orribile +scroscio rintronò nei cuori già preparati dalla paura. La gragnuola +delle pietre incomincia. Un tetto è sfondato. Cæsariano ferito nel +collo corre barcollante e piangendo in cerca della madre e la giunge. +Auga, Maronia entrano nelle stanze e raccolgono anelli, armille e +monili d’oro, utensili di argento e una copia grande di monete. Riedono +presso la padrona e la persuadono alla fuga. + +Ma dove e come? La pioggia delle pomici ha oscurato l’aria e ricuopre +il suolo. Tentano a tastoni, a lato del tablino, di penetrare pel +piccolo uscio nel sotterraneo e salvarsi dal triclinio a terreno per la +pianura. Scambiati pochi passi un’aria pestilenziale e non respirabile +ne le caccia indietro. + +— Salvaci, o tu, che lo puoi. Le dovizie di mio marito per te!... +Affida alle braccia del tuo Dio questo frutto almeno delle mie +viscere. — + +E stringeva al petto il bambino e lo baciava coll’amor passionato di +una madre. E stendendolo a Clysma, cadde stramazzoni, sui lapilli, +affogata dalla mefite. E tutte caddero morte nell’atto stesso. + +E le pietre pomici piovevano sempre! + +Sino dal giorno innanzi Tito Plasilio Aliano, figliuolo dello +affrancato Timagène era tornato dal _Pontus Euxinus_, sur una delle +navi paterne. Disceso e abbracciata la famiglia e tutti gli amici +che ben presto gli furono d’intorno, die’ ordine di scaricare la +_caudicaria_ che aveva guidato nel porto. Il dì poi chi passava +trovavalo laggiù e gli stringeva la mano e festosamente lo baciava. +Era un bravo uomo, tutto inteso all’ora presente e felice nei ghirigori +della vita. L’anima sua e le cose esterne nel vagabondar che faceva mai +trovavano il chiodo fastidioso della fermata. Nomade nel deserto dei +mari, le sue corse erano come i raggi del sole i quali splendono per +tutti; e non sentiva gli accessi melanconici della poesia solitaria, +figliuola allo egoismo. Giunto laddove gli affari del traffico paterno +il menavano, vendeva, cambiava, comperava. Ed intanto provvedevasi +di uno alloggio e di un’anima che non fosse tirannica, permettentesi +senza donarsi. Talvolta erano doni di Numi. Tale altra merci lucrose. +Sempre passeggere felicità, incarnate e colorite da un vivido sangue; +il quale, al pari del liquore dei grappoli d’uva, forniva ebbrezze +subitanee ed accessibili a tutti. + +Giovanetto e col padre erasi dato al mestiere del nauta. Aveva visto +molte contrade, e il suo intelletto erasi sviluppato al contatto dei +diversi popoli che avea bazzicato. Sapeva la storia dei Greci, suoi +compatrioti di origine. Conosceva i loro usi, i loro spettacoli. +Erasi maravigliato dei monumenti del vecchio Egitto e delle pitture di +vivi colori — mezzo decorativo, recondita storia. — Tende — Armenti +— Deserti — Vaste solitudini — Città incivilite. E il lago immenso +detto il _Palus Maeotis_. E Panticapea, dalla cui altezza scorgevasi la +imboccatura dello stretto del Bosforo Cimmerio che congiunge il lago al +_Pontus Euxinus_. + +Begli anni vaganti e bene spesi, perchè proficui al suo commercio +e allo addottrinamento del cuore. Tornato in paese, gli pareva +ringiovanire. Emozioni, sorrisi, riposo. E quelle maghe graziose dello +spirito, che aleggiano attorno e dicono il dolce incanto a chi ritorna +dopo una non breve assenza nel loco natio. + +— Sii il ben giunto, o Plasilio, nella nostra città. Che io ti abbracci +e mi gratuli teco della fiorente sanità che gli Dei ti conservano. + +— Sei sempre il mio amico, o Porcinio Rodio, fin da quando Verna ci +forzava ad apprendere a furia di nerbate. Sia pace ai suoi Mani. Ma +aveva il braccio assai grave. Che fai costì nel porto? + +— Seppi il tuo arrivo ieri nell’Odeon dagli amici Umbricio Bifurco e +Karminio Hyccario. E venni a vederti, poichè immaginai come nelle tue +case fosse vano il trovarti. D’onde vieni?... + +— Dalla costa orientale del Chersoneso Taurico. + +— Quali le merci trasportate qui? + +— Molta parte del carico è il frumento che gli schiavi e i saccari +ammonticano dinanzi il magazzino, là in fondo. Or che la Sardinia e la +Sicilia ne fanno desiderare, stimai affare migliore comperarne nella +Tauride che ne produce in abbondanza. La terra, solcata appena dallo +aratro, ne dà trenta per uno. E l’affluenza da qualche anno è siffatta +che hanno aperto di recente in Theodosia un porto capace di almen cento +navi. Giunio Sequestro, il pompeiano, e lo ateniese Hyphidamas sono +andati a Panticapea. Il grano quivi è più caro. Ma lo caricano subito +senza attendere il turno, e per una nuova legge non vi si paga diritto +nè di entrata nè di escita. + +— Anche di quel porto dicono maraviglie. + +— E a ragione. E l’arsenale? E il castro? E la città? E le case dei +particolari? E le taberne? E le fabbriche? Tutto grande quello che qui +è piccino. Al ricordo le mie sensazioni si ravvivano e.... + +— E più se rammenti le creature che furono parte animata delle tue +felicità, eh? + +— Eh!... Gli è pur così.... E molte volte io chieggo a me stesso se il +lago Maeotis non sia il più vasto dei mari e Panticapea la più bella e +vaga ed ospitaliera città dello universo. + +— A trent’anni... e sempre eguale come a diciotto quando lo spettacolo +del mare t’inteneriva sino alle lacrime. + +— T’inganni, o Porcinio. Così fosse?... Il molto vedere ha strozzato la +sorpresa innanzi i miei occhi e di tal guisa svanirono i molti piaceri +di cui essa è la madre. La esperienza a poco a poco si è rivestita +delle spoglie che appartennero alle sensazioni defunte e rimango quasi +insensibile a ciò che una volta m’illuminava tutto. + +— Il solo Ponto opera però il miracolo! + +— Vorrei veder te in faccia a quello immenso bacino, circondato quasi +per ogni dove da montagne che più o meno si sollevano dalle sue rive +ed in cui quaranta fiumi versano le loro acque, provenienti dall’Asia e +dalla Europa. La sua lunghezza è di undici mila stadi. La sua maggiore +ampiezza, di tremila e trecento. Differenti nazioni sono disseminate +sui margini suoi, di diversa lingua, di varia origine, di più svariati +costumi. Vi siedono città fondate da quei di Mileto, di Megara, di +Athenes. A levante è la Colchide, celebre pel viaggio degli Argonauti. + +— Dicono che nel verno Eolo vi abbia il suo trono. + +— Grande verità! Gli è perciò che prevedendo le nebbie le quali +oscurano la sua superficie, io drizzai la prora al ritorno. Hannovi nel +verno terribili tempeste e naufragi numerosi. Ma quai pesci eccellenti! +E quanta abbondanza! Il fango e le sostanze vegetali che i fiumi vi +scaricano gl’ingrossano e gl’ingrassano. Si vive sulle sue coste a +ruba. Immagina! Un bue di prima qualità pel nutrimento dei rematori te +lo danno per ottanta dramme. Un montone per sedici. Un agnello per due. +Un manovale costa per giorno tre oboli. Vi ho comperato mantelli di +lana per venti dramme e delle scarpe per sei. + +— Verrò da te ad approvigionarmi al bisogno. Per ora la temperatura +non lo richiede, e cotesta è una grande stranezza del nostro clima in +questo anno. + +— E sì, che anch’io ieri nello imboccar nel cratere me ne avvidi e ne +stupii forte. Ænonao, il protosaccario di mio padre, ha chiesto doppia +razione di _posca_ per ognuno dei facchini da scarico. + +— Nè basta, o padrone. Ci pare di aver lo stomaco di ferro rovente. Più +se ne beve e maggiore è la sete. — + +Era Cantrio che ripassava dopo aver gittato il suo sacco sul cumulo. + +— Lavorate animosi e ne avrete.... Ehi! Santapila, tu che vai carico +verso il fondaco, di’ ad Ænoao che addoppi il buono che con tanta +facilità traspirate. Ma in tre dì voglio sgombera la nave per caricarla +d’olio in Capreas. — + +Presumente! Parlava di avvenire in una città condannata e sopra un +selciato, mobile e vacillante quanto la tolda della sua nave! + +I due amici si trassero di là e per la porta della Marina si avviarono +verso Pompei. Dinanzi la nicchia di Minerva sotto l’arco, incontrarono +Hera Nevia, Appia Callista e Terzia Turpedia, giovanette in preda +a febbri d’artificio che lo amore condanna e le cui fiamme sono +incerte ed effimere. Erano seguite da Abiginio Albulato, da Sesto +Eppio, da Afrenio Helvino, giovani sfaccendati che uccidevano la noia +logorante delle dodici ore luminose nella tonstrina, nei termopoli, +nelle Terme e le altre dodici nelle orgie. Un ricambio di sorrisi. +Strette di mano cordiali, ed innanzi. Giunti presso la Basilica, +il suolo traballa, le mura crepitano, le colonne piegano in volta. +E poi un rumor sotterraneo. Quindi lo scoppio sul Vesbio. Corrono +barcollanti nel Foro. Una colonna di fumo. Una grandine di sassi. Si +cacciano a precipizio sotto il portico e fuggono.... Fuggono. E lo +spavento cammina loro dinanzi colla testa imprecante agli Dei. E sono +abbracciati dalla morte che gli attendeva come certa sua preda. + +Agato Vaio — il quale reggeva una _Caupona_ nella via Domizia, che +Giulio Polybio, il mercante di grani e duumviro, fattosi suo collega, +avevalo aiutato ad edificare — escì di casa difendendo il capo +dalle pomici con un cesto di vimini, corse forsennatamente verso il +_Ponderarium_ — officina del pubblico peso, che ora direbbesi Dogana — +urtò in un ciuco che la stranezza degli avvenimenti lasciava indeciso +nella fuga e che le voci interne del capriccio e..... dell’asineria +— spesso ascoltate dalle sue lunghe orecchie — lasciavano allora +impensierito ed immoto, lo gittò disperato da un canto e per una porta +di contro discese a saltelloni nel porto. Colà può afferrare una barca, +vi si caccia dentro e voga in salvo. — Era stato meglio _Cauponius_ +che _Caupo_ in altri tempi; cioè, arnese di osteria piuttosto che +reggitore e padrone. Allora faceva versi. E quelli _exodia_, specie +di farse oscene, atte a dissipare in teatro le impressioni tristi +della tragedia, cui succedevano. Erane adunque _actor et auctor_. E +conservava i diritti di cittadino. E potea servire nello esercito, — +due prerogative che non godevano gli attori seri i quali recitavano le +commedie di Nevio, di Plauto, di Cœcilio, di Afranio, di Terenzio. Ma +tanto le _fabellæ atellanæ_ come il _carmen togatum_ — od incontrassero +plausi o fischiate — non gli facevano afferrare le chiome della +Fortuna. Laonde Agato erasi dato a più profittevole esercizio..... +Eh! La più bella Musa dell’Olympo non sa nudrire il suo povero amante. +Conviene far propria — secondo il gusto — una di quelle nove fanciulle +e risguardarla come una ganza. Esso non possono dare altro che ore di +compiacenza, fumi di gloria, nebbie di vanità, pecunia mai..... almeno +in Italia, dove la supina ignoranza delle plebi non le conosce, nè +stima. + +Il sole è alla metà del suo corso. Una brigata di uomini in gran +parte canuti seggono in una sala decorata di bei dipinti, tra i quali +rifulge la splendida pagina murale che presenta lo episodio poetico +di Virgilio, il _pio_ Ænea che parte di Cartagine a furia di remi e +lascia sulla riva Didone costernata ed in lacrime fra i suoi attoniti +cortigiani. Intorno sono raffigurati il crotalo, il sisifo, la tromba, +i flauti, le tibie pari e lo scabillo, quello istrumento pneumatico, +come i nostri organi, che i tibicini suonavano coi pedali di legno o +di ferro per accordare i tuoni dello strumento da fato. Sono per la +stanza supellettili di bronzo e di vetro elegantissime con un vaso +di alabastro di graziosa forma. E nel mezzo è una tavola di porfido +con suvvi una piccola statua, simulante un giovane appoggiato sul dio +Termine. Il più provetto, Nicia di Mileto, continova la discussione che +animava gli occhi ed il gesto dei convenuti: + +— No! Non ammetto con Hedilo che il divino poeta, dalla fantasia facile +e la meglio feconda, siasi servito per costruire i suoi versi di una +lingua strana e bizzarra. Mi sembra più naturale il pensiero ch’egli +abbia voluto fare suo pro della lingua volgare dei tempi suoi. E nel +vero. Dugento anni pria che nascesse, i Jonii condotti da Neleo vennero +a stabilirsi sulle coste dell’Asia-Minore. Ma con essi erano i Tebani, +quei della Focide e di altri paesi della Grecia. I loro idiomi misti +a quelli degli Eolii dovettero formare la lingua nuova, parlata, di +cui Homero si servì. I dialetti, limitati ad alcune città, presero un +carattere distinto in progresso. Ma la stessa varietà testimoniava +l’antica confusione. Le medesime lettere anche ai dì nostri non +hanno forse in più luoghi pronuncia diversa? E quante le parole che +in Athenes indicano un significato ed un altro presso un popolo che +variamente le termina? Homero, aiutato dallo strano suo genio, spigolò +il buono di tutti i dialetti e creò la lingua monumentale che noi +parliamo. + +— E gli è cotesto ch’io non ammetto. La poesia era assai coltivata +dai lirici dei tempi suoi. La lingua era già abbondante e piena +d’immagini. Due grandi avvenimenti, la guerra di Thebes e quella di +Troas esercitavano gl’ingegni. E di ogni parte i rapsodi colla lira +annunciavano al popolo le gesta dei loro antichi guerrieri. + +Rhiano anch’egli divideva tale opinione e aggiungeva: + +— Ed Orpheo? E Lino e Museo? Ed altri, le cui opere andarono smarrite? +Ed Hesiodo, il suo contemporaneo, che in uno stile pieno di soavità +e di armonia descrisse la genealogia degli Dei, i lavori campestri ed +altri interessanti argomenti? Homero trovò dunque la lingua e l’arte +già adulte. Trovò un emulo altresì. Ma s’ei primeggiò, non posso per +questo consentire che Nicia lo proclami genio creatore. + +— Parlerete ambedue sino alla restituzione della libertà popolare +in Grecia ed in Italia, vantando Orpheo, Lino ed Hesiodo, ed io +crederò che la Iliade e la Odissea sieno la disperazione dei poeti +che furono, che sono e che saranno. Cosa fece il divino Homero? Nello +assedio decennale scelse uno episodio — Achille si crede insultato da +Agamennone per la ritolta amante e si ritira nei suoi accampamenti. +I Troiani, incuorati, escono dalle mura; e più volte vittoriosi, +appiccano lo incendio alle navi nemiche. Patroclo, lo amasio di +Achille, si veste delle sue armi, combatte e muore per le mani di +Hettore. L’offeso ritorna colle armi nel campo, vendica lo amato +cadavere e cede, per riscatto, a Priamo le spoglie del prode figliuolo +che ha trascinato più volte dietro il suo carro intorno alle mura +nemiche a ludibrio. — Era una storia. Per abbellirla finse che l’Olympo +parteggiasse pei due popoli duellanti. E perchè il racconto poetico +assumesse interesse maggiore, usò artificio non usato dianzi, e i suoi +eroi parlarono ed agirono. — Nel decennale viaggio di Ulisse adoperò +gli stessi spedienti per ottenere un eguale successo. — Il figliuolo +Telemaco dopo un lungo attendere, si parte da Ithaca per interrogare +Nestore e Menelao sulle sorti del padre. Gente ingorda dissipa i suoi +beni. I Proci aspiravano alle nozze della madre desolata. Nel punto +Ulisse partiva dall’isola di Calipso e approdava naufrago in un’isola +presso alla sua. Chi ve lo accolse ospitale volle udir di sua bocca i +maravigliosi eventi, i mali sofferti. Ed in premio, avendo ottenuto +soccorsi, parte per Ithaca, arripa, si fa riconoscere e si vendica +dei propri nemici. — Cotesto poema pare opera senile. Il vegliardo +ripete il già detto su Troas arsa e distrutta; fa mostra di maggiori +cognizioni geografiche; dà caratteri più miti ai suoi personaggi; ed +in tutto il dramma circola un tiepido calore pari a quello del sole al +tramonto. + +Tutti avevano udito la dotta e pur semplice analisi che Leonida di +Tarentum, avea fatto dei due poemi. Alexis, di Thurium, plaudendolo +aggiunse: + +— Tacesti sulle nobili sentenze che chiare risultano dai due poemi, e +che Homero lasciò alle meditazioni del suo secolo che pure ad altro +tendeva. — I popoli sono sempre la vittima delle contese di chi gli +guida. — La prudenza e il coraggio trionfano tosto o tardi dei maggiori +ostacoli. — Uomo sublime! + +Un vecchio presso la tavola, il quale appoggiava il bianco capo sulla +palma della mano diritta, il poeta Xenocrate, di Locrum, pieno di +entusiasmo prese a dire: + +— E il genio dell’uomo sublime parlò al genio del grande legislatore! +Lycurgo copiò i due poemi e persuase gl’istrioni a declamarne i +frammenti nei teatri. Solone ordinò a quei rapsodi di non distaccarne +i brani a talento; ma riuniti, che l’uno seguisse il racconto dove +l’altro aveva finito. Ma siccome la purezza del testo venivasi +alterando sulle bocche ignoranti dei ripetitori, Pisistrato ed Hipparco +— padre e figliuolo tiranni in Athenes — aiutati da abili grammatici, +ripurgarono dalle errata i due quadri istorici della Grecia e li +fecero cantare alla festa delle Panathenee, processione votiva a +Minerva, e poi alla memoria di Harmodio e di Aristogitone, regicidi. Io +proclamo con Nicia, di Mileto, Homero non solo creatore della lingua, +ma eziandio della greca nazionalità. Noi tutto dobbiamo a quell’uomo +divino. Leggi — Gloria — Costumi. L’ammirazione è in ogni cuore. Il +suo nome in ogni mente. La sua immagine da per tutto. Se vi furono +città contendentisi l’onore di avergli dato la culla, quante le città +che gli sacrarono un tempio? Eschilo, Sophocle, Archiloco, Herodoto, +Demosthene, Platone seminarono i loro scritti dei fiori raccolti nello +inesauribile giardino del balio a noi tutti. E da quelle cantiche +sublimi Phidias e il pittore Euphranor attinsero il tipo che degnamente +rappresentasse le fattezze maestose di Giove Olympico. Homero era +cieco. E doveva esserlo! il suo sguardo assorbito dalla luce divina +della poesia, che splendevagli nella mente e nel cuore, disdegnava il +lume del sole, luce più debole, gran cosa per gli altri. + +— Xenocrate col mentovare il primo fra tutti gli Dei, mi fa col volo +della mente percorrere i cieli, avendo a guida il grande poeta. Mirate +Venere col cinto da cui scaturiscono gl’impazienti desiri, i fuochi +dello amore, le seducenti grazie e lo incantesimo degli occhi e della +parola. E Pallade alla cui egida sono sospesi i terrori, la discordia, +la violenza e la spaventosa testa della Gorgona. Nettuno è tra gli +onnipossenti; ma gli occorre un tridente per iscuotere la terra. E +se dopo la corsa fantastica del cielo, torno a ricalpestarla, chi vi +trovo? Achille, Aiace e Diomede; i peggio temibili tra i Greci eroi. +Ma l’ultimo si ritira, rincula dinanzi l’oste troiana. Aiace non cede +che dopo averla fatta indietreggiare più volte. Achille si mostra e il +nemico dispare. — + +Così Sosicles, il poeta siracusano. Ora ad Hedilo parve di dovere +interloquire per cancellare le tracce dei suoi paradossi. + +— Platone disse non essere dignitoso il dolore di Achille, nè quello +di Priamo, allorchè il primo si rotola sulla polvere per la morte di +Patroclo e l’altro si umilia per ottenere il cadavere del figlio. Ma, +quale dignità può mai spegnere il sentimento?... Io lodo Homero di +aver imitato la natura che colloca la debolezza presso la forza, e +lo abisso a lato della sublimità. Lo lodo altresì per avermi palesato +il migliore dei padri nel più possente dei re e lo amico tenerissimo +nello audacissimo fra gli eroi.... Cotesti ed altri pregi però non +scusano il poeta se spesso riposa e talvolta sonnecchia. È vero che +quando si desta scaglia i fulmini al pari di Giove.... Ma _quandoque +dormitat_.... + +— E gli Dei non dormono essi? + +— Gli Dei furono uomini. Pindaro il disse. E non possono dominare la +nostra illuminata coscienza. Un ente supremo esiste, e a lui inchiniamo +in secreto. Quelli a cui si volgono i voli della plebe umana.... + +Un rumor sordo, cupo, terribile chiuse la parola autorevole sulla bocca +del vecchio Nicia, di Mileto. Tutti si levarono in piedi, e le scosse +del suolo li balzarono in terra insieme coi mobili della stanza. Si +rizzarono sbalorditi e contusi ed escirono. Una grandine di sassi. Poi +cenere e lapilli da oscurare ogni luce.... Quindi.... la morte.... + +Alle prime ore del mattino Acilio Heliodoro, incontrando i suoi amici +nella _tonstrina_ di Glaphyro, gli aveva invitati al _prandium_ in +casa sua ch’era sulla via ampia e prolungata dell’Abbondanza, le +quale, solcando parecchi crocicchi, finiva presso lo Anfiteatro. +Era un giovane di origine greca e di nascita pompeiana. Suo padre, +arricchitosi nel commercio colle pie frodi che il traffico allor +permettea, dopo aver maritata la figlia con Anniceris, suo amico, il +rinomato vasaio in Rubi, aveva creduto lasciarlo libero dispensiero +delle accumulate dovizie alla età di trent’anni, affogandosi nel +mare un dì che vi prendeva i suoi bagni. Menava la vita paesana +in tutta la sua purezza; la quale, pari a quella dei destrieri nei +prati, consisteva nel mangiare, dormire, riprodursi, aspirar l’aria, +sbadigliare e volgere gli occhi dolcemente qua e là in busca di cavalle +e di erba migliore. La sua casa era doppia — per sè e per gli ospiti di +fuori — e quella abitata da lui, sontuosa. Belle pitture sulle pareti +— Ulisse che presenta in Scyros allo infemminito Achille le armi e lo +ravvisa pel celato figliuol di Peleo. — La frode di Giove che mutato +in cigno stringe nella spatula la lingua di Leda e la pone sul nudo +e bellissimo seno. E Amore, che è il faccendiero del luogo, il quale +sostenendo in una cassetta diversi attrezzi muliebri, ride sottecchi ed +accenna con aria furba al Nume trasformato in uccello. — La più ricca +stanza era quella del triclinio che prendeva luce dalla porta e da un +finestrino aperto nello xysto. Da un lato alberi e fiori. Dall’altro il +soave rumore di una fontana zampillante. + +— Oggi non sarai sola, o Nossis. Verranno i miei amici a distrarti, +Acrio Heleno, Lucio Modiano e Narceo Flacco. — Acilio — come tu vedi +— tutto che pieno di tenerezze terrestri, ama le distrazioni del tuo +nobile cuore per poterti esprimere tratto tratto e senza annoiarti le +novelle dello amor suo. + +La persona cui erano dirette quelle parole, sedicenne, snella e +spigliata, parea nata fatta per seguire i moti ardenti e graziosi di +un poledro africano. Era un’amazzone tranne nei voti. Sulla sua faccia +leggevi fierezza, intelligenza, risoluzione, generosità mista ad un +piglio che nulla avea del virile. Una malattia aveva punito leggermente +il suo volto bucherellandolo di minuto vaiuolo. Ma i suoi grandi +occhi neri e i sorrisi che da essi balenavano faceano dimenticare il +fuorviamento della natura, che un giorno colla febbre del sangue le +avea maculato la faccia. Era di Locrum ed apparteneva alla tribù delle +etère che offeriva un amabile contingente alla libera e grande tribù +dei celibatari. + +— La donna ha un fiero istinto che le fa respingere la innocenza. +Lo so. Meglio il serpe che ammalia e stringe nelle sue potenti spire +di quello che il bianco giglio odoroso. Ma vi è una razza d’uomini, +ricercatori di voluttà, idoli impuri, i quali credono in ogni donna il +loro trastullo, sognano avventure, le realizzano e di ciò fanno tardo +argomento di risa e di sprezzo. Oh! Venere gli punisce! Essi terminano +la vita col confessare la onesta fede al coniugio, e gli Egisti +maliziosi ridono di quel riso che fa cadere le stelle sulla terra. + +— Eccoli che vengono. Sono e non sono quali tu gli dipingi....... Qui, +amici.... nel tablino. Malgrado il caldo oppressivo della giornata, un +po’ d’aria vi circola e aiuta al respiro. — + +Una tavola è nel mezzo della stanza sopra un musaico di scelti e +variopinti marmi. Sul deschetto è un vaso di murrhina con entrovi un +fascio di ordinati fiori. Ed altri fiori sono nei vasi nolani attelati +alle pareti, che coi loro vivi colori e il soave olezzo cantano l’inno +misterioso della natura. La luce è abilmente disposta. Le cortine di +Tyro sono abbassate dal lato del mezzodì. Quella clemente e dolce che +viene dall’altra parte, accorda all’ombra una ospitalità generosa, di +cui la donna, per giovanetta che sia, non sa mai dolersi. + +Ricambiati i mattinali saluti, ognuno aggiunse a quel tema le +variazioni che la originalità dei caratteri sapeva fornire. Narceo +Flacco primeggiava nei paradossi; ma gli escivano così naturalmente +di bocca, che volontieri erano uditi e sovente ricerchi. Di uno in un +altro discorso, siccome suole accadere, Aerio Heleno aveva mentovato il +loro amico comune Agathemaro Vezzio, di recente morto nelle strette di +Bovianum Vetus in un conflitto coi banditi, ribelli alle leggi. + +— Sì, morto inosservato e lungi da noi. Eh! il sangue umano presto +dissecca. E gli estinti rimangono vivi nel cuor delle madri e degli +amici. Una donna avrebbe dovuto piangerlo però.... La sposava! + +— Chi? + +— Nympha, della famiglia Nomentana. Io le recai un suo anello ed ebbi +anche il mandato di dirle quelle parole sacre che lasciano — od almeno +si spera che lascino — qualcosa di proprio nei cuori in cui era chiusa +tutta la propria terrestre felicità. + +— Ed essa? + +— Eh! Pianse un poco... e poi gli occhi rossi li lasciò agli schiavi +che attizzano il fuoco nel _laconicum_ delle Terme. + +— Penso che non a tutte le donne tu accordi una tanta indifferenza di +cuore. La unità non è numero. — + +Nossis disse quelle parole con un certo cipiglio che valeva un +rimprovero. Ed era per levarsi dalla sedia, quando l’altro riprese: + +— Rimanti, ten prego e non ti offenda la mia sentenza. Tu hai nei begli +occhi fantasime che non ingannano e tenerezze caparbie che sfidano le +tenzoni di amore. Ma comunemente io non vidi negli amanti che un’ora +sola sublime, quella in cui i cuori prendono congedo tra loro. Gli +affetti eroici non li ho mai incontrati. Venere un me ne accordi, ed +io mi vi dedicherò intero. Non feci mai saggio della mia costanza. E +pure vi ho fede come se fossi nato ai tempi del misero P. Ametistio, +il crocefisso, mentre ebbi vita sedente Nerone imperatore, dopo +l’abolizione dei ludi gladiatorii nello Anfiteatro. + +— Siffatta fede ti onora. Merita ed avrai la tua ricompensa. — + +E voltasi ad Acilio lo guardò con tanto entusiasmo e fiducia che questi +sentì i propri affetti rinfrescati da un sentimento novello. E gli +disse: + +— L’ora del pranzo è accennata dalla clessidra. Andiamo. — + +E tutti mossero verso il triclinio. + +Questo era splendido di pitture, di tappeti, di mobili e di vasi +di argento. In mezzo era la _mensa delphica_ colle imbandigioni. Si +coronarono di rose. Ma non si coricarono sui letti, e sedettero secondo +il costume dei Greci. Ad ognuno, dopo che si ebbe lavate le mani, +venne offerta la _mappa_, orlata come una laticlava di una frangia di +porpora. + +Qual differenza dalla parca e sobria mensa degli antichi senatori di +Roma! Curio faceva cuocere i suoi _oluscula_ — i legumi dell’orto — +coltivati da lui, sul suo umile focolare. Altravolta si conservava +preziosamente il lombo salato del porco per celebrare un dì natalizio; +e si offeriva ai parenti una fetta di lardo con un po’ di carne +fresca, se mai fosse stata immolata una vittima. E a siffatto festino +vedevasi arrivare, colla zappa sulla spalla, un parente illustre +per tre volte console, o imperatore di accampamenti, o dittatore, il +quale in quel giorno abbandonava più presto del solito il rude lavoro +sul monte. Nell’epoca dei Fabi, del severo Catone, degli Scauri, +dell’onesto Fabricio, allorquando lo austero Salinatore facea tremare +il suo collega censore sulla sedia curule, nessuno aveva pensato ove +nuotassero le tartarughe, il cui dorso gaio e levigato avrebbe fatto +più splendidi i letti dei discendenti di Enea. Tale la casa. Tali i +mobili. Tali gli alimenti. Da bastare alla vita, e non al lusso ed alle +morbidezze. E quando quei ruvidi eroi — stranieri ancora alle arti +della Grecia — dopo il sacco di una città, si trovavano per le mani +una coppa cesellata di argento, la rompevano per fondere una _phalera_ +da bardarne il cavallo delle battaglie, od una lupa a ricordo della +mansuefatta dal Destino, che allattò i gemini quirini sotto la rupe. Lo +argento splendeva allora soltanto sulle armi dominatrici. Le fave, i +ceci, il farro, la carne e i pesci arrosto, i frutti freschi o quelli +che nel verno avevano perduto la crudezza del loro succo componevano +il desinare, scodellato ed offerto su piatti di terra bituminosa. E +vivevano lunghi anni, e non mentivano alle leggi della dignità umana. +E col pilo e col gladio assoggettavano il mondo noto. E gli ospiti +erano accolti francamente, con abbandono, di pieno cuore, come Evandro +accolse Hercole, lo eroe di Tiryntho, seme divino, _contingens sanguine +cœlum_. + +Compiuto lo asciolvere fatto coi cibi i meglio squisiti, e mangiate +le _mustacea_, paste condite di aromi che servivano a correggere dopo +il pasto le crudezze dello stomaco, Acrio Heleno propose il giuoco +dei _griphi_, cioè, problemi soliti a sciogliersi a tavola. Chi non +riesciva a deciferarli, pagava un’ammenda. + +E Nossis disse: + +— Indovina, o Narceo, la rete ch’io t’offero. _Io sono grandissima +nascendo. Sono pur grande invecchiando. Sono però piccolissima nel +vigor della età._ — + +L’altro pensò, chiuse gli occhi, apri la bocca per dire... quindi +risolutamente rispose: + +— L’ombra. + +— Indovinasti. A te, Modiano. _Qual nome dài tu alle due sorelle che +non cessano di generarsi a vicenda?_ — + +Anch’egli pensò, masticò parole non articolate, si diè per vinto e pagò. + +— Nulla di più facile per chi lo sa: la giornata e la notte. + +— Ora te, o Nossis. Mi auguro che tu lo sciolga. _Vi sono tre animali +in terra, nel mare, nel cielo._ Puoi dirne i nomi? + +— Più presto di quel che non pensi, o Heliodero. — Il cane. Il serpe. +L’orsa. — Sei pago? — + +Lucio Modiano, ch’era stato perdente, voleva porre gli altri nella +stessa condizione e disegnò fare il giuoco delle lettere, delle +sillabe, delle parole. Erano detti _logogriphi_ perchè reti formate +coi versi che si dovevano recitare al nuncio della prima lettera, o +di un motto che racchiudevano, o terminanti con una sillaba che veniva +indicata. Astrusaggini venute di Grecia nelle nostre contrade. + +Tutti vi si provarono. Nessuno riescì. E l’afa essendo omai grave, +escirono allo aperto nello xysto. Erano pure radiosi come la speranza. +E l’ora presente inesorabile, pareva la dovesse esser madre di +ore innumeri, liete, felici.... E quegli istanti erano gli ultimi! +Passioni, dovizie, ingegno, bellezza, schiacciate e sepolte come le +vanità della vita. E le convulsioni della natura affogarono e coprirono +la casa di Acilio, racchiudendovi brevi ma disperate agonie. + +I sacerdoti d’Iside banchettavano nell’ora in cui il disastro aveva +principio. Si radunarono tutti nella sala dalle cinque arcate che è +dietro la edicola della Iddia, dove si celebravano i misteri, e i soli +iniziati penetravano: Nymphiodoto Caprasio persuase gli altri a non +fuggire e a rinfrancare i cuori. Egli si prostrò dinanzi il delubro ed +orò come se i devoti fossero nel tempio e il vedessero. + +E le pietre pomici piovevano sempre. + +Allorchè quel furbo si avvide che i lapilli si livellavano cogli ultimi +gradini e le esalazioni di zolfo gli eccitavano la gola, indignato +proruppe: + +— Tu vedi lo scompiglio, tu senti le preghiere dei tuoi, e le tue +labbra rimangono immobili? La tua bocca di marmo parli, e questo +nembo micidiale di Averno rientrerà negli abissi. E i pietosi incensi +bruciati sul tuo altare. E le vittime sacrificate. E le offerte dei +devoti tuoi. E il sacrificio della nostra castità..... sino alla +rivolta della natura..... Dunque tra la tua statua e la faccia di +Bathyllo, il pantomimo, non vi ha differenza?.... _Non movent divos +preces?_ Tutto è mendacio, fuor che l’antro tenebroso da cui sorgono +infuocate le pietre del Vesvio? Io incisi le mie scelleratezze sul +falso e per tua colpa, o iddia. — + +Due orecchie umane, fatte di stucco, erano sui lati della nicchia, per +dare ad intendere plasticamente alle turbe ignoranti e bietolone come +le loro preci, mediante ricche offerte, fossero intese dai numi. + +Il prete ipocrita, levando gli occhi, vide quei simboli della credulità +meridionale e di subito sdegno inalberò. Dato di piglio ad un sistro +di bronzo, pose in bricioli un orecchio. Un fulmine solcò la spessa +atmosfera e fece sgomento quel profanatore delle stesse cose di cui +sino allora avea tratto profitto. I ricoverati nella sala postica +corsero a salti in cucina; e siccome le soffitte delle stanze soprane +erano cadute, si accoccolarono sulla scala che ad esse saliva. La +mefite quivi gli colse e gli uccise di disperata agonia. Nymphiodoto +riparò ansimante nella camera vicina al refettorio. Ma siccome dal +tempio veniva un veemente ed insoffribile calore — con un fumo vibrato +ed invisibile con tenue odore di zolfo, ma più di ammoniaca, di nitro +e di vitriolo che affannava istantaneamente il respiro — egli cercò +di chiuder l’uscio come meglio; e, presa una barra di ferro, si die’ +a rompere la parete ch’era di mattoni e di spume vulcaniche. Quel +disperato non avea scampo. Pria di porre il termine alla rottura, la +mefite lo prese alla gola e lo stese cadavere come i compagni. + +Nel tempio di Giove pativa una quasi eguale offesa il flamine diale. +Ultimo ad escire, perchè carico degli _ex-voto_ di oro e di argento, +una delle colonne corintie del vestibolo scardinata dal tremuoto cadde +e lo schiacciò sotto il suo peso. Quella incarnazione dell’orgoglio e +della soperchieria veniva affranta a cagione del solo interesse avaro +ed egoista che avealo inspirato nella vita. + +Sur uno dei piedistalli, a livello del _pulpitum_, dal lato opposto, la +statua erasi spezzata e caduta al suolo. Una creatura vivente vi sedeva +in suo luogo. Aveva le gambe penzoloni, il capo coperto dal _sagum_, +per guarentirlo dalle pomici cadenti; e le braccia al petto. Al rumore +della colonna, all’urlo soffocato del flamine, l’uomo innalzò il panno +dagli occhi e si volse. + +— _Dehisce tellus. Recipe illum, dirum chaos!_ È giorno di grande +giustizia cotesto. Tutti morti!... E chi meritava vita qui?... Quando +nello Anfiteatro fui ferito sulla spalla da un colpo di gladio, quattro +donne soltanto porsero la mano aperta e gridarono: _Non habet_. I miei +occhi le fissarono e le loro soavi immagini mi si dipinsero nel cuore. +Wodan le farà salve. Le Ondine sosterranno la nave che porterà lontano +le loro lacrime per la terra dei ricordi perduta...... Lo abbietto +gladiatore non vedrà più i nativi suoi boschi e la bionda razza che +li abita..... Povero popolo di Herman!... Giù, Vesbius... inghiotti, +straripa, incendia, ruina. Racchiuderai fango in un ampio sepolcro! +Pesi la terra sull’empia stirpe latina che, mai sazia, ha assorbito le +libertà del mondo. Oerda, Werdandi, Schott, Neva, le sorelle del Fato, +stanno sul monte.... Io le sento... E mi vendicano. Ora, posso anch’io +morire.... O foreste di pini! O Astara, che vi spiri dentro l’alito +della primavera! O Freya, dea dello amore! O Wali ed Oller, miei buoni +compagni nella infanzia! O Scada, mia madre! O Norna e Rinda, sorelle +mie! Gefion prende commiato da voi e per sempre. — + +Questo Gefion era un germano della famiglia gladiatoria in Pompei. +Preso da fanciullo tra i prigionieri di guerra, lo chiamarono Libero i +suoi piacevoli consorti. Era stato otto volte vincitore nei ludi. Forte +ed impavido, addestrato alla professione degli _artifices decollandi_, +aveva risguardata la vita come cosa fuggevole, misteriosa ed incerta. +Or le grazie della morte le conosce soltanto colui che passa i suoi +giorni a contemplarla. Ed era divenuta l’amica dalle cui mani attendeva +la sua libertà. In quell’ora di rivelazione inattesa, in cui tutti +fuggivano il bacio delle sue labbra gelate, egli scelse invece il luogo +dei suoi accoppiamenti con lei. Non avea più dinanzi Itatago Vale, od +Anarto Viridea, od Apsoto Jutto, od Amonio Scava, o Sceunio Sitio, o +Aptoneto Macula, od Epeo, o Sticho che gli avessero detto, _gladium +gladio copulemus_. No. L’apparizione divina eragli venuta incontro nel +Foro e gli aveva parlato al cuore le dolci parole: + +— Eccomi. Apparecchiati. Quello che cercavi e che ti adora, tra poco ti +abbraccerà. — + +Il bisogno fatale di quell’anima assetata fu compiuto. Lo architrave +dei tempio cadde, e il suo corpo divenne osceno cadavere. + +Il Vesbio continova le sue collere. E nel mezzo del fumo e nei lati +dello stelo del pino serpeggiano saette che s’incrociano e scoppiano +con orribile strepito. Quindi dallo infiammato monte sboccano fiamme +in forma di travi e di grosse onde tempestose. E poi, guizzi come di +artifiziati fuochi rapidamente scorrenti e senza scoppio. Ed altri che +si allungano e pria di dileguarsi rintronano l’aere. Ed altri ancora +che scendono al basso e radono il suolo e bruciano gli alberi e le case +ed uccidono uomini ed animali che coi loro passi ricercano la vita omai +minacciata per ogni dove. + +Cotesto avvenne alla misera Eutichia presso il postico della casa di +Sallustio. Scorgendo come la infernale bufera non si arresti, per escir +di quella agonia, dice ai tre schiavi — cui il timore riflessivo aveva +impedito di seguire i compagni postisi in salvo insieme col padrone — +di aiutarla a discendere dal muro e a scampare. Aveva chiuso nella sua +_palla_, colla quale cuoprivasi il capo, e le spalle, uno _speculum_ di +argento, tre anelli, alcune paia di orecchini, una collana di catene +d’oro e cinque braccialetti dello stesso metallo. E serbava in una +borsa trentadue monete e un suggello col nome suo. Scambiati pochi +passi, mancava ai quattro infelici il respiro e cadevano morti. + +Contemporaneamente nella casa di Agatocles, ricco negoziante greco, +abitante nel pago Augusto-Felice, un liberto ed una schiava erano +nell’_æcus cyzicenes_, che interrompeva l’ambulatorio sotto il +portico che circondava il grande xysto quadrato ed aveva lo sguardo +sul maraviglioso cratere partenopeo. L’uno cacciava in fretta in +una borsa di pelle ventitre monete di bronzo alla effigie di Galba. +L’altra gittava in un paniere di vimini una moneta d’oro di Nerone, +quarantatre denari di argento, quattro orecchini a spigo d’aglio ed una +cornalina incisa. Nel correre fuori si sentirono opprimere il respiro, +si appoggiarono alla parete e caddero. Nè diversa sorte aveva avuto +l’altra schiava, corsa dispesatamente in fondo del portico a diritta +ed entrata nel gabinetto di riposo che fa fronte al larario sulla +opposta parte. Aveva un braccialetto di bronzo ed al dito lo anello +d’argento del suo _contubernalis_. Misera! Non ebbe il tempo che di +baciare quel caro pegno di fede e spirare. Ulissia — la moglie del +padrone di quella casa — avea sperato salvarsi dal tremendo flagello, +ricoverandosi nel crypto-portico, ch’era la _cella vinaria_, la quale +contornava sotterraneamente lo xysto per la lunghezza dei tre portici +soprani. Fra ciascun pilastro, a fior di terra, aprivansi spiragli +dalla forma d’imbuti. Larghe provvisioni erano adunate in un canto ed +atte a sicurare la esistenza per qualche giorni. Di anfore piene di +vino ve ne aveva dovizia. Stimando il disastro passeggero come l’altro +di sedici anni innanzi, Ulissia conducea seco giù per la scala la +sua figlia Domna, gli altri bambini minori con dodici liberte. Giunte +verso la metà della crypta, un vapore ardente e soffogante entra per +gli spiragli da dentro. Un grido solo escì da quei petti affannosi. +E tutti a precipitarsi verso la porta per la quale erano entrati. +Troppo tardi. Un alito pestifero veniva pur dalla scala. Si fermano. +Si aggruppano. Si stringono convulsivamente insieme, quasi chiedendosi +l’un l’altro soccorso. E d’istinto, avendo compreso essere quello lo +istante estremo della vita, ognuno si velò il capo colla veste in atto +rassegnato e decente. Così furono rinvenuti quegli infelici diecisette +secoli più tardi, allorchè si cominciò a strappare il funebre lenzuolo +dal cadavere pompeiano. Sulle persone e per le terre erano gemme, +monete, uno stupendo candelabro, i resti di un _mundus muliebris_, un +pettine di legno, braccialetti d’oro, spilli ed anelli. La cenere fine +del Vesbio, penetrando per gli spiragli, copriva quei morti addossatisi +al muro. L’acqua impregnò di umidità e di sali quella cenere. La +quale indurì cogli anni e conservò le parti molli fino a che i secoli +queste ridussero in polvere. Lo ammasso delle ceneri, fattosi tufo +e attaccatosi al muro, era divenuto nel 1763 la forma di tutte le +cose vive che aveva racchiuso Ma i poco zelanti scavatori — uomini di +stipendio, non di scienza — accoppiarono il cataclisma della ignoranza +al cataclisma della natura. E ruppero bestialmente le ceneri indurate. +E le posero in frantumi per estrarre di quel fango le gemme e i monili +preziosi. E trasportarono nel Museo trionfalmente una collana di +filograna d’oro, avente nel mezzo una piastra d’onde pendono catenelle +terminate da foglie di vigna, un bel braccialetto formato da due corni +di abbondanza, riuniti da una testa di leone, e due orecchini. Cotesti +oggetti d’arte avevano più e più abbellito la bella persona di Domna, +di cui la cenere conservò per secoli l’ovale del viso, la forma del +seno, delle spalle e delle braccia; non che la stoffa leggera — di +_ventus textilis_ o di _nebula_, come Petronio e Tibullo chiamarono +quel tessuto dell’isola di Cos. — Collocarono infine entro una cassa di +cristallo la forma di una mammella, il cranio e qualche osso e qualche +pezzo di tessuto nella cenere tufacea. + +Agatocles dovette aver l’anima vendereccia in un cuor duro ed egoista. +Non pensò alla famiglia quel mercante greco. Egli non cura che la sua +vita e le proprie ricchezze. Laonde, seguendo la schiava che andò a +morire nel gabinetto di riposo, volse a sinistra e si fermò dinanzi +all’uscio del portico occidentale che aprivasi verso i campi ed il +mare. Ma quivi lo attendeva Venere-Libitina, dalle dita affilate e +forti. Le due chiavi dell’uscio gli caddero dalla mano, dove splendeva +un anello formato da un serpe a due teste, un _amphisbene_. Provò +uno stringimento alle fauci, la vista si oscurò, le gambe vacillarono +e ruinò per le terre. Il liberto che avealo seguito, carico di vasi +d’argento e di una grande quantità di monete imperiali e consolari +chiuse in un sacco di tela, prosciolse anch’egli le membra e si distese +sul pavimento. Una bella lanterna di bronzo rischiarò la breve loro +agonia. + +Nove altri scheletri furono rinvenuti fuori della casa nella direzione +del mare. Ed altri sopra un’aia non molto lungi dalla fine del +subborgo. Forse erano anche i servi della famiglia di Agatocles. + +Perennio Nimpherois, il padrone del _thermopolium_ dinanzi la locanda +di Albino — al quale Augusto avea conceduto quel luogo come _mansio_, +cioè stazione di posta per aver subito le novelle di ciò che avveniva +nelle provincie ed Albino medesimo con tre soldati, coi forestieri +che aveva in casa, corsero affannosamente verso la porta vicina +ad Herculanum, malgrado la pioggia di acqua bollente. Lo astato è +nell’edicola, appoggiato al pilo e respirando a mala pena. Col gladio +ha rotto il muro nel fondo per aver aria più pura. Uno dei soldati gli +dice correndo: + +— Bithinico, salvati. Il mondo finisce. + +— Eh! Il mondo finisce. Ma l’Urbe rimane. — + +Passa una donna che ha un bambino lattante nelle braccia ed uno per la +mano. Corre dissennata, urlando, fuori di sè. Si ferma, asciuga colle +mani convulse il volto al figliuolo e lo bacia, lo ribacia e lo bacia +ancora. Oh! le parole di conforto, dette cogli occhi, ma non espresse +dal labbro! La sua vita è concentrata, è tutta là. — Il soldato +s’impietosisce e dice: + +— Donna, ripara qui dentro, al sicuro. Riposata, partirai quando +cesserà questa pioggia di Averno. + +— La mia vita non curo. — I figli! I figli! Oh! non me li uccidete, o +dei spietati!... Tulliolo, non lamentare i tuoi piedini piagati. Altri +pochi passi e sarem giunti. + +— _Miserere, mater._ — La gola mi si stringe. — Soccorrimi. — + +La infelice donna lo imbraccia in furia e corre, cogli occhi ch’escono +dall’orbita. Corre a sbalzi. Corre. Giunta presso l’_ustrinum_, non può +più ire innanzi. La mefite invadeva la strada. Aveva ucciso i fuggenti +che la precedevano. Si assise sui lapilli. Appressò la bocca alle +bocche dei suoi bambini..... Avevano vissuto! Bithinico non tardò molto +a raggiungerli sulle rive di Lete. + +Nella casa di Vibio i servi partirono a precipizio dopo la fuga dei +padroni, ognuno portando seco ciò che potette. Morirono qua e là nelle +vie suburbane. Una donna greca, che la chiamavano Milphidippa per le +sue lunghe ciglia, va presso il forziere di legno, guarnito di fasce +di rame e di maschere di bronzo, lo apre e vede dentro quarantacinque +nummi d’oro, cinque denari, un piccolo busto della Fortuna.... ma +il respiro le manca.... sente sulle tempia lo stringimento di una +tenaglia, corre nel vicino cubicolo, cade supina sul letto e muore. +Danista è già sulla soglia del _posticum_. Avara per istinto, non ha +perduto il suo tempo. Un aruspice le aveva predetto pochi dì innanzi +che una grande fortuna attendevala. + +— Egli mi disse: «Escirai grave da una piccola porta ed entrerai in una +maestosa con seguito di molta gente.» Convien prepararsi. — + +E girando per le stanze vuote di abitatori, cacciò in un sacco di tela +ciò che trovava, cinque anelli d’oro, cinque pietre incise, molte +monete di argento e di bronzo, la _bombilia_ di cristallo di roccia +che Melissæa avea dato allo sposo il giorno in cui egli le die’ la +sua fede, e due orecchini in forma di bilancia. Va per escire col +piede diritto, il sinistro essendo di cattivo augurio. E la Parca si +rammenta in quello istante di lei ed appressa le forbice allo stame +della sua vita. Si appoggia illanguidita alla spalletta dell’usciolo. +Le gambe flettono. Il lume degli occhi si oscura e sviene. Nel 1829 +gli scavatori trovarono dispersi attorno al suo scheletro gli oggetti +della ghiotta vanità che occuparono gli ultimi istanti di quella misera +schiava. + +E la pioggia continova sempre ruinosa e scottante. + +Nella estremità della viuzza dei _Dii majorum gentium_ che il poeta +Ennio racchiuse, nominandoli, in due versi, + + _Iuno, Vesta, Ceres, Diana, Minerva, Venus, Mars,_ + _Mercurius, Jovi, Neptunus, Volcanus, Apollo,_ + +colà, dove presso la fontana del Vitello si andava allo _Ecatonstylon_ +e ai teatri, odonsi gridi, singhiozzi e parole imperiose. Nella +casa è un correre, un disordine, una confusione grande. Alcune donne +coi bambini sono in fondo al vastissimo giardino e s’inginocchiano, +piangono sotto la volta del _lararium_, sostenuta da due colonne di +stucco. Un’altra donna bellissima si è riparata in una stanzuccia +presso il tablino, illuminata da una lampada posta in una nicchia di +marmo bianco. Il suolo traballa. Sembra si sollevi e ricada. — Jucunda +corre ad una larga finestra che dava nel giardino. Ma lo sportello +è chiuso e nell’orgasmo da cui è presa non le riesce di aprirla. +Allora si volge affannosa ad un occhio di marmo bianco che è a lato +sull’angolo. Con un pugno ne rompe disperatamente il vetro e grida con +quanta voce lo spavento pur le risparmia: + +— Suilimea! Hilaria! Mima! Sema! E tu, Thalamo!... Qua i miei bambini! +A me! A me!... Ah! gli dei son pure spietati! + +L’atrio corintio, sostenuto da pilastri adorni da elegante meandri, e +posante sur un _pluteus_ di appoggio, è crollato a metà sulle pomici +piovute. Nel pericolo della vita, essa esce coi capelli disciolti +e colla _palla_ trascinata. Muove verso il giardino. Tra la fitta +oscurità urta, cade sui lapilli, si solleva furiosa, chiama i figli +per nome, gli afferra convulsa, prende nelle braccia il piccolo Licinio +e per la mano Animula. — Iphygenia e Nymphio, coperti da Calepio e da +Euporo, la seguono. — L. Saginio Valga ha in fretta adunato nella toga +una quantità di nummi di oro, di anelli, di orecchini, di perle, di +cucchiai d’argento con altri oggetti preziosi. Vien loro incontro e +grida che è tempo di salvarsi. + +Salgono nella casa addetta ai forestieri — ogni ricco pompeiano ne +aveva una attigua, comunicante, da ciò. — Saginio fa sforzi rabbiosi +per aprir l’uscio dal quale si scende nella strada che mena colla +rivolta al Foro, presso il fonte della Gorgone. Urta, spinge e l’apre. +Ma nell’atto, un pezzo di muro crolla e ruina sopra Euporo e Calepio, +i quali vengono schiacciati sul _sigma_, triclinio semicircolare di +estate, ch’era nel mezzo dell’atrio. La madre si volge, gitta un urlo +straziante, mira i nati dalle sue viscere sepolti sotto le macerie e +sviene. — Sema e Thalamo fuggono verso il Foro, spinti dal desio della +vita. — Il marito raccoglie di peso la moglie fuori dei sensi e collo +aiuto di Mima, di Hilaria e di Suilimea trae i dolci pegni dello amor +suo verso l’abitazione deserta di povera gente ch’era di contro. Sotto +la cucina aprivasi un sotterraneo con un pozzo profondo. Un largo +_clathrus_ abbarrato da steli incrociati di ferro, all’altezza del +petto dava luce all’antrone dal margine soprastante. Colà riposarono +gl’infelici. — Si abbracciavano. Si chiamavano a nome disperatamente. +E baciavano piangendo i due bambini ancor vivi, pallidi, esterrefatti. +Miseri!...... Anche pochi istanti.... e raggiunsero Nymphio ed +Iphygenia sulla via dolorosa che quelli prima avevano percorso. + +Intanto da una casa presso le mura scendono correndo per la via dalla +fontana di Mercurio cinque persone. Thylliano Januario sorregge nei +passi incerti Sogellia Fausta che, dentro impietrita, non piange, non +grida, e si fa guidare come inerte cosa. Gallione e Stallio camminano +innanzi colle faci accese. Gli segue Philonio Casto, il fratello +di lei. Giunti in faccia alla _popina_, quelli che precedono sono +arrestati da due cavalli e da un mulo, esciti alla impazzata dai +_carceres_, forse poco lungi di là. Gli animali attratti dal lume +s’imbrogliano con essi. Ad evitarli, entrano in una piccola abitazione +contigua alla taverna. Si rannicchiano in una camera vuota ed attendono +che il flagello mai sospettato finisca. Ma le soffitte delle stanze, +sopracariche di basalti e di pomici, si piegano e cadono. Thylliano +si curva in arco sulla moglie diletta per salvarla dalle offese dei +sassi. Nella fuga aveva raccolto braccialetti, anelli d’oro e monete di +diversi metalli. E gl’infelici tutto perdettero insiem colla vita. + +Poco discosto, nella via che in quei giorni selciavasi sotto le mura, +un uomo e un cavallo avevano trovato rifugio in un largo stanzone. +L’uomo erasi provveduto di pane. La terra si scuote. I muri si fendono. +Un pezzo perde lo equilibrio e si rovescia sopra quell’infelice. +Cavallo e cavaliere, sepolti dalle macerie. + +In una casa presso il Foro — poco lungi dalla scuola ove il successore +di Verna pubblicamente istruiva i fanciulli di ambedue i sessi — si +ode un fracasso di tetti e di mura che cadono. Le macerie impediscono +la via della uscita. Il fuoco si è appigliato alle travi nella cucina +e i turbini del fumo rotondeggiano nell’aria. Le case allo intorno +ruinano del pari. — Una donna, scampata già, corre verso le Curie +disperatamente ed accenna coi passi al porto vicino. — Dentro è rimasto +un uomo più che quarantenne. I suoi pensieri erano elevati. I suoi +sentimenti generosi. Dentro il suo cranio volgevasi uno strano dramma +che lo faceva serio, grave, pensoso. Il mistero ei lo vedeva per tutto, +sugli occhi della donna, sui rami fronzuti degli alberi, sui riflessi +delle acque, sulle stelle scintillanti, sulle molecole che formano +i macigni. E giammai aveva potuto assidersi lungo la sponda del mare +senza sentir nel profondo uno incanto che lo attirava e lo riteneva +forzatamente a contemplare il succedersi dei marosi che spumavano +all’urto e si spandevano in laminette e in meandri bianchi, ricamati +sullo azzurro. Non fu mai lo sperato, nè il marito di una donna. Non +aveva parenti. Non liberti nè schiavi. Una sola donna — quella cui lo +spavento avea posto ai piedi le ali — gli forniva i sobri alimenti che +Pythagora, lo illustre filosofo di Croton, aveva prescritto coi saggi +consigli e coll’uso. + +Crasso Frugi era in piedi presso un trapezoide nel _cavædium_ e con +una mano si velava la fronte. L’altra la posava sul marmo ov’erano +sparsi venzette nummi d’oro, cinquantuno denari e due maniglie d’oro +di femminile ornamento. Ai suoi piedi è una giovanetta vestita di +bianco. Era quella la sola creatura che con lui vivesse in una certa +dimestichezza e con ricambio di affetti. Avevala un dì raccattata +fanciulla e piangente sulla soglia di una stanza isolata, nella via di +Dafne — lurido albergo di prezzolati amori — entro cui era distesa sur +un letto di muro una povera donna morta.... Era la figliuola di quella +estinta? Lo aveva supposto; ma non mai domandato. + +Vasto lo edificio ch’egli abitava, di fresco ricostruito e con bei +musaici signini. Solo in tanto fastigio? Gli è che sin dalla prima età +erasi palesemente ammogliato con una divina che chiede grande spazio +a chi l’ama e con lei si congiunge. I poeti la chiamano fantasia. I +filosofi, idea. Gl’imbecilli, follia. Ed io, la saviezza della mente e +del cuore. Era la scienza della giustizia, della verità, della luce. + +La fanciulla raccolta erasi fatta col prendere persona l’armonia della +sua vita e irradiava sopra di lui uno splendore particolare. I di lei +occhi neri, aprendo sotto fini ed eleganti sopracigli le loro arcane +profondità, erano pieni di quello incanto che sgorga dallo sguardo +umido della donna. L’avevano chiamata Sapho nascendo.... Eh!... Pari +alla donna illustre così nomata aveva nel cuore tracce di amaritudini e +di dolori in germe che la sua mente scrutatrice non sapeva deciferare. +La sua origine scrupolosamente celata era rimasta un’enimma. + +— Cosa è lo universo?... L’ordine. Cosa la morte?... La eguaglianza. +Uniti nel mondo da un sentimento purissimo, punto egoista, quello +dell’amicizia, come un solo essere ci presenteremo alla Divinità... +Sapho... creatura innocente offertami dal cuore sui miei passi vaganti, +noi dormiremo insieme in questo sepolcro che il Vesbio ricolma colle +sue pomici. + +La giovanetta sollevò gli sguardi paurosi e pur soavi sull’uomo tutto +di bianco vestito, che a lei parlava come in un’estasi; gli afferrò la +mano che allor pendeva lungo la tunica e febbrilmente la baciò. E la +desolata a lui: + +— Oh! Gli Dei!... Pietosi, perchè non mi lasciano morir sola!... Ma +il nostro avello non sarà guarnito di foglie di mirto, di ulivo e di +pioppo, come Pythagora, il taumaturgo, il divino, prescrive. + +— Rari gli uomini! il loro numero appena eguale a quello delle porte di +Thebes, o delle bocche del fiume che feconda l’Egitto. Qui crescevano +uomini non più utili al mondo, e gli Dei affogano gli animali dai quali +ricevevano offesa. In verità, i giorni furono contati e l’ora fatale +appressa. Apparecchiamoci da forti all’ultimo istante. + +— Sei tu che lo dici, o padre. Son pronta. + +— Lo dico e lo sento. Rientriamo in noi stessi e rimproveriamoci i +falli di commessione e di ommessione. E cantiamo tacitamente un inno in +onor degli Dei..... Nè lacrime, nè singhiozzi nella sventura! + +— Sì, nè tema, nè debolezza nel supremo pericolo. Come i discepoli +di lui perirono in Croton, noi pure saremo divorati dalle fiamme +medesime.... Ma... la mia gioventù è grande, o padre! + +— Sorgi, diletta figliuola del cuore. Prendi forza a ben morire dal +calor del mio sangue.... Le leggi della vita sono violate... Il bacio +estremo.... e il segno che ci distingue e ci unisce... + +E l’una nelle braccia dell’altro, tenendosi per la mano, entrarono nel +sonno eterno. Ed il Vesbio coi suoi candidi lapilli compose il sudario +sui loro cadaveri. + +Pythagora avea concepito un grande disegno — quello di una vasta +congrega di uomini, esistente sempre, e sempre depositaria di scienze +e di costumi, la quale sarebbe l’organo di verità e di virtù, quando la +umanità fosse in istato di sentir l’una e di comprendere l’altra. + +Gli urli disperati avvicendano il mugghio ripetuto della natura che +freme. Quelli che ripararono nei primi piani e non furono macellati +dalle pietre, dalle travi e dalle tegole cadute, nè arsi dal fuoco, nè +schiacciati dalle soffitte, nè asfissiati dalle mefite, corrono nella +oscurità per ogni verso. Una fanciulla piange, si dispera, scambia i +passi, si arresta, non sa dove dirigersi. Viene dalla via di Stabia. +Quivi perdette di vista la sua fuggente famiglia. Entra nell’atrio +di Cornelio Rufo. La casa arde. Il ferro si torceva masticato dalle +fiamme. Sprofonda il tetto. Essa si salva. La Palestra nelle Terme è +chiusa. Le botteghe più in su sono chiuse. Urta nella fontana dalla +testa di Pallade. Avanza ancora e trova un uscio aperto. + +La casa era in riparazione. Mura squallide e non dipinte. In fondo +i lampi frequenti le mostrano uno xysto. A manca è un _aecus_ che i +_tignarii_ avevano poche ore fa disertato. Solida è la volta. La misera +fanciulla si asside sur un mucchio di sabbia e piange lacrime dirotte. + +— I fulmini di Giove si spengono nel nostro sangue. _Heu me!_ La città +in fiamme. Il popolo che spira sotto i rottami e nel fuoco. E i miei +cari?... Morti!... Ed io sola qui! Che sarà di me! Venere aiutami. Oh! +La iddia a me soccorre.... Polla ti raggiunge, o Siliginio, se pure +anche tu sei tra gli estinti. Ah!... — + +La misera era caduta distesa sulla sabbia col capo penzolone, riverso. +Aveva le mani incrociate e parea che dormisse. Forse la morte le +fu propizia. Che avrebbe fatto nel mondo, povera e sola? Nata da +gente _lare incerto_; la quale, obbligata a prendere in fitto le +camerucce che abitava, tenuta nella categoria — che, pur numerosa +era e dispregiata — degl’_inquilini_ e vivente giorno per giorno e di +pensieri vagabondi e mal fidi, unico sollievo per Polla era la vita del +cuore. Grazie alle illusioni dei primi affetti, Siliginio, fullone, +era per lei, tredicenne, quella tenerezza senza limite con cui essa +desiderava essere amata. Sotto un albero di ulivo ei le rivelò il suo +pensiero. Ed essa sentì come un filtro soave le addolcisse il sangue +e le invadesse la ragione. Uniti, popolavano una solitudine, ove i +loro occhi vedevano sorgere di terra fiori incantevoli e profumati.... +Povere anime, pure, tranquille, serene, divine nelle loro speranze! +Povere anime, dove ne andaste?... + +E la pioggia cadeva ruinosa e bollente. + +Un uomo pareva non la curasse. Discesi dalle _hibernacula_, camere +poste al di sopra del forno, dove il misero aveva per sette mesi +lavorato _præferratus ad molas_, esciva dal _pistrinum_ della via +che menava alla porta di Nola, nudo, trascinante una catena col piede +sinistro e coi capelli rasi da un solo lato. Nè grande, nè piccolo; +quantunque la mobilità della persona impedisse di definirlo. I suoi +pensieri ondulavano. E così egli ondulava. Brandiva colla destra +un tridente insanguinato e tratto tratto lo piegava per terra e lo +pigiava, lo pigiava ancora cogli occhi stralunati e feroci. Quindi, +ridendo sgangheratamente, procedeva innanzi. Incurante le scottature +della dermide, si fermò, si drizzò sulla punta dei piedi come per +seguire il volo della sua povera mente e poi pianse a dirotto. + +— Gylo! Misero. Sei vendicato! Ma Nea è morta.... Lo infame Numisio +mi schiantò il cuore dal petto rubandola ai miei amplessi. O mio +sospiro! Avevi un termopolio nel cuore.... Ma l’ho cacciato ben io nel +_pistrinum usque ad necem_ e l’ho strigliato d’importanza con questa +_scutica de pene taurino_.... La sua donna, Eitixia, voleva difenderlo. +Dovetti persuadere anche lei. E se mai li libererò dal penoso lavoro, +_ego pro eis molam_!... O Nea! Ora ch’essi girano le macine, tu sei +libera e infiorerai la mia vita di polline. Eccola...: Viene.... Ha i +capelli annodati in spessi ricci che le coronano il capo leggiadro. +Oh! i grandi occhi neri.... quasi dardi spuntati dalla mansuetudine +dell’anima sua!... La terra balla. Ballano le case. — Il Vesbio fa +boati ed illumina con faci la mia festa nuziale. Gli amici — quelli che +soffrirono finqui — verranno a posare il gomito nel mio triclinio. Ah! +Sono innanzi la mia magione. ...... Entriamo! — + +Ed il misero penetrò in una bottega della via Jovia e cadde rifinito +sulle pomici che la ingombravano. Era rosso, tumefatto, scottato dal +capo ai piedi. — Nel respiro affannoso borbottava male articolate +parole e tra esse spesso mentovava Nea, il farnetico della sua mente +smarrita, l’unico lume di quel povero cuore.... Ecco, ei ride, dà in un +tremito convulso, si rotola sulla china che avevano formato i lapilli, +e le ondate di pioggia lo spingono, lo affogano, lo stracciano e lo +cuoprono. Gli uomini erano stati crudeli con Gylo. La natura pietosa +spense il tarlo della memoria che a lento morso rodeva la sua ragione +fuorviata e malsana. + +La famiglia gladiatoria non fugge. Nel momento del flagello inatteso +molti erano nel vasto parallelogrammo, specie di chiostro circondato +da portici, sostenuti da ventidue colonne in un senso e da diecisette +nell’altro. Facevano gli esercizi nell’area. Il lanista nel mezzo. +Gli allievi, dirozzati dai più provetti, _doctores tyronum_, armati di +una spada di legno, si schermivano vivamente contro piuoli profondati +sul terreno. La _gladiatoria sagina_ bolliva nel vasto caldaio per +rendere con quel cibo sostanzioso più forti e più sanguigni quei poveri +giovani. Le armi sono chiuse nel piano superiore e le chiavi le tengono +i magistrati. I littori sono di guardia per tenere nell’obbedienza +quella gente degradata che spende il suo coraggio avvilito al trastullo +del popolo, e — passata la fuggevole ebbrezza — a molto mal loro grado. +Seneca narra come un condannato a quel brutto mestiere, privo ancor +d’armi e pur bramando meglio morire che discendere nell’arena, si +cacciasse un bastone nella gola sino ad esserne soffocato. Così salvava +l’onore. + +Sessantatrè ripararono dalla grandine infuocata nelle camere soprane. +E quivi morirono. Quattro erano nella prigione a terreno, cui nessuno +pensò ad aiutare. I loro piedi, chiusi nei ceppi di ferro, gli +obbligava di stare assisi sulla nuda terra, o supini. Destino terribile +e ben più triste che la morte dello anfiteatro. + +Nella parte commerciale della casa di Pansa — il cittadino illustre +incaricato da Vespasiano a presiedere ai pubblici ludi ed a far +rispettata la legge Petronia, impedire cioè ai cavalieri ed ai senatori +di degradarsi nell’arena, o di farvi discendere di arbitrio schiavi +non condannati da un formale giudizio — infamia posta in uso da Giulio +Cesare nel 708 di Roma, epoca del suo quadruplo trionfo e continuata +più tardi nei funerali della sua figliuola — in quella parte che +aprivasi sulla via Domizia e nel chiassuolo dinanzi la osteria di +Fortunata, era un _pistrinum_ colla bottega di spaccio e colle camere +addette all’abitazione del _siliginarius_. Quivi un liberto facea +macinare il grano del padrone, impastare la _siligo_ e cuocere il +pane. Egli, il _pistor_, ne dava conto al _dispensator_, specie di +tesoriere contabile che registrava in alcuni libri, detti _ephemerides_ +le entrate e le spese, minorando la cifra delle prime ed accrescendo +quella delle seconde; rispettando però la _merces insularis_, perchè +quel prodotto degli affitti delle case potea agevolmente rivelare il +larcinio. Cuspio Tubero, liberto di Pansa, aveva sulla parete della +bottega, ove vendeva le varietà del pane e della farina, una pittura +che rappresentava il serpente simbolico — la divinità custode contro il +mal occhio — e sotto, un mattone sul quale ardeva sempre la lampada. +Di contro al serpe sporgeva dallo intonaco una croce nera, il segno +riverito dai nuovi affrancatori dello spirito umano, perchè su quella +forca dei ladri e degli schiavi era stato inchiodato il Galileo, +apostolo della redenzione, rivelatore del grande secreto, di quella +parola che è suprema e definitiva iniziazione umana e consolatrice +delle anime oppresse. Nel forno, i miseri schiavi incensavano ad altro +simbolo dei materiali godimenti. Era una immagine phallica, in rilievo, +colorata in rosso e sotto vi avevano scritto la leggenda — _Hic habitat +felicitas_ — Stranezze dei tempi! + +Gl’idolatri erano fuggiti. La superstizione — cioè, il vuoto — avea +messo le ali ai piedi di tutti. Nello istante del pericolo il culto +religioso diveniva dannosa ipocrisia, di cui ognun si affrancava. Grato +Arrio, Messio Inventus, Menophilo Ancario, L. Celio Doripo, Hyalisso +Eppio Primo, Amphio Serapa, Agatho, Perennio Merulino, N. Paccio +Chilo, Quinto Pompeo, sacerdoti di Giove, di Venere, di Mercurio, di +Esculapio, di Cerere, di Quirino, di Giunone, erano fuggiti dalle +botteghe oscene dei loro mendacii profanatori. Il monte ardeva. La +terra traballava commossa. Il mare ritiravasi dalle sponde. Il sole +non luceva più. E i mercanti di una fede ipocrita e ladra, i quali +avevano la impudenza per principio, il sangue e le lacrime per mezzo, +i godimenti e l’alterigia per fine, disertarono gli altari pericolosi, +portando con sè i preziosi redditi che le coscienze sedotte avevano +cumulato nei templi. Ma, non uno potè riparare in loco sicuro. Quale +per via fu derubato ed ucciso; quale ebbe il cranio infranto; quale +fu sepolto per metà dai lapilli che lo scottavano, e nessuno volle +arrestarsi per aiutarlo ad escir dalle pomici che il propaginavano. +Quale fu garrito con disumano dileggio: + +— Chiama i tuoi numi, o _scelerum artifex_, che vengano ad aiutarti. O +che? Sono muti o sordi per te? — + +Ed un altro: + +— Chiama la donna che tu mi hai profanata, non me. Ora soffri +la sete di Tantalo, gli sforzi rabbiosi di Sisipho, e la ruota +d’Issione. — + +Ed un altro, + +— Ti baciai una volta la mano sanguinosa, o impudico. Espia ora i tuoi +falli, o furfante, ministro di Giove, parricida ed infame. — + +E la pioggia cadeva ruinosa e bollente. + +Così morirono tutti nel penoso viaggio che lo istinto della +conservazione loro imponeva + +Ma Tubero non si mosse per escire. Chiuse colle tavole sovrapposte la +bottega, accese la lampada e si prostrò dinanzi la croce. Potea farlo +senza pericolo, senza sospetto, senza taccia di ridicolo in quell’ora +estrema. Quel segno, conforto segreto del suo cuore, non diceva +alla mente misteriosi ed impossibili natali, spropositi aritmetici, +resurrezioni favolose, abbrutimento della umanità, signoria di arbitrio +sulle cose del mondo. Quel simbolo della croce parlava una grande +parola alle anime offese viventi e nasciture nei secoli. + +— Bevvi il sangue rappreso di un giusto. Sentii le scosse convulse dei +suoi tendini lacerati. Udii l’ultimo grido del suo gran cuore: _Eli, +Eli, lamma sabacthani!_ Maledissi alle zolle che alimentarono le mie +radici. — + +Non era adunque un pugno di cemento allineato sulla parete. Era il +ricordo delle torture patite dall’uomo che in nome del Dio unico aveva +annunciato ai popoli la Libertà, l’aveva professata colla voce e cogli +atti, e colle gocciole escite dalle sue vene avea scritto: + +«Io muoio per tutti. E questo sangue sia lavacro alle umane stirpi sino +alla consumazione del tempo.» + +Tubero levò il capo raumiliato e pieno di lacrime. Aveva recitato +un inno senza dir verbo. Aveva adorato Dio senza idolatria. Aveva +intraveduto lo infinito, la potenza arcana da cui dipendiamo. E quel +fiore della fede esciva odoroso dalle ruine di una città, siccome più +tardi avrebbe germogliato sulle ruine di un mondo panteista, che anche +una volta deve morire e — giovi sperarlo — per sempre. + +Pochi istanti dipoi, e la mefite penetrò colà dentro. Uno sguardo +d’ineffabile melanconia. Un sorriso di trionfante fiducia... Tubero era +morto.... + +E al di fuori la pioggia cadeva ruinosa e bollente. + +Alla fine ristette. Dopo alcune ore di tremenda agonia e d’indicibili +strazi il funesto fenomeno si tranquillò, si tacque. La terra non +oscillava. Il Vesvio più non fremeva. Calma, silenzio e tenebre. Allora +i riparati nelle parti più alte delle case escirono dalle crepacciate +mura e dai tetti infranti ed aperti. E gittatisi sullo strato dei +lapilli che alzavasi per parecchie braccia sul selciato, cominciarono +a correre a precipizio verso le porte colla speranza di salvarsi a +Nuceria od a Stabia, o verso la piaggia marina. Ma, molti infelici +rimasero per via fracassati dalle pietre fuor di equilibrio che +cadevano loro addosso, od asfissiati dalla mefite che sprigionavasi dal +suolo fumante. + +Nella via di Dafne, un uomo alto della persona è già in piedi. Stende +le braccia e vi accoglie la sua figliuola undicenne. La depone sulle +pomici inzuppate e livellate dalle acque e leva di nuovo le mani per +aiutare la moglie a discendere. Si cuoprono il capo, si avvolgono il +manto attorno il braccio sinistro ed il corpo per essere più liberi +nella corsa. L’uomo raccoglie una borsa di pelle ove avea chiuso un po’ +di danaro, un anello e gli orecchini d’oro, dà un bacio sulla fronte +scolorata della figliuola, chiamandola, + +— _Salve, o dulce pignus._ — + +e s’incammina. Era in su i cinquant’anni. Grossi baffi ombreggiavano il +suo labbro superiore. I _femoralia_ cuoprivangli le cosce e le gambe. +Aveva nel mignolo della destra lo anello di ferro delle sue nozze. +Sotto i sandali allacciati erano chiodi per fare la _solea_ più forte. +Quel suo piglio risoluto e marziale lo fa supporre uno dei veterani +coloni, venuto dal Pago Felice al mercato colla sua famigliuola. Anche +la moglie ha un anello di ferro. Scambiano pochi passi. Avanzano sulla +crocevia e cadono. L’uomo, supino. Le donne, a quattro braccia di +distanza, incrociando le gambe insieme e a traverso della strada. La +madre solleva una mano increspata dall’agonia e si sdraia sul fianco +destro. La figliuola cade a sinistra ed appoggia mollemente il capo +sulle due mani ed alza la gamba ed il piede nell’ultimo moto dei +tendini. + +Più in giù, verso le Terme una matrona cammina arditamente. Anch’essa +forse si gittò da un tetto sulla via. Aveva chiuso in un manto due +vasi di argento, alcune chiavi, novantuno monete, orecchini, fibule ed +altre minute cose. La mefite a lei tolse il respiro e cadde sul gomito +sinistro col capo appoggiato a diritta e colle gambe e le braccia +contratte dall’agonia. Orribili sofferenze le sue! + +Siccome un liquido che bolle entro un caldaio pel soverchio del calore +sollevasi rigoglioso verso gli orli, e gl’invade, e gl’innonda, e gli +supera; così una infuocata materia cominciò a rifluire da tutte le +parti del Vesvio e rovesciò ruinosamente sulle sue spalle, pari a larga +fiumana. Frequenti baleni con terribili detonazioni squarciavano le +fitte tenebre. Ed un nembo di cenere cominciò a cader sullo spazio. E +sopra il golfo correva verso Capreas un nuvolo denso per entro il quale +vedeasi tratto tratto una gran fiamma in tutta la sua lunghezza. La +quale, ora chiarissima, ora rossa di sangue, lanciava fuori fiammelle +in varie lingue e figure, ondeggiando, balenando, tuonando, e vibrando +fulmini al cielo. Succede una terribile scossa. La terra si fende. E da +quello squarcio escono fiamme e fumo. E l’orlo si allarga, s’innalza, +si colma e prorompe. In alcune parti putrido fango esce dal suolo +aperto. + +E le ceneri piovono fitte, oscure, impalpabili e continove. + +Nella notte, in due tremendi scrosci parve che il globo crollasse dalle +sue basi. Era il Vesvio che scompariva tra i fulmini e il grandinar +dei macigni; e alle falde del vecchio monte spaccato ed inghiottito +sorgeva in poco tempo una nuova fucina di sassi, di pomici e di lava +che ricostruivano il Vesuvio ardente dove ora si trova. E il gorgoglio +cupo, continovo, profondo commoveva in tempesta le acque del cratere +partenopeo. + +Allorchè scoppiò la grande eruzione ed il fumo assunse la forma di un +pino colossale sull’orizzonte, Plinio, che comandava la flotta romana +in Miseno, giaceva nel letto e studiava. Avvertitone dalla sorella e +dal nipote, si levò e salì sur un terrazzo elevato per osservar meglio +il prodigio. Dotto uomo, curò esaminar da vicino la strana catastrofe. +Una nave leggera è già pronta. Esce di casa colle tavolette nelle mani, +s’imbarca, quando i _classiarii_, cioè i soldati della flotta che erano +in Retina, vengono a pregarlo gli salvi dal grande pericolo. Ciò che +prima era in lui curiosità di scienziato, divenne dovere di capitano. +Fa che le quadriremi si apprestino e parte verso tutti i borghi della +costa onde dar loro soccorso. Nello accostarsi a Pompei — ove il +pericolo gli parve maggiore — le ceneri calde erano più spesse. Il mare +rifluiva dalle sponde le quali erano inaccessibili pei pezzi interi +di montagna di cui erano coperte. Il piloto il consigliava di tornare +indietro. Cui Plinio rispose, + +— _Fortes fortuna juvat. Pomponianum pete._ — + +Or questo Pomponiano era il comandante delle triremi che stanziavano in +Stabia. E forte impaurito del cataclisma, avea fatto trasportare i suoi +mobili sulle navi ed attendeva un vento meno contrario per levare le +ancore. Plinio lo accosta, lo abbracciagli fa cuore. E per me’ riescire +allo scopo, ordina gli apparecchino un bagno. E presolo, cena colle +apparenze della gaiezza abituale. I fuochi del monte illuminavano il +triclinio. Gli astanti tremavano, credendo al finimondo. + +— Rassicuratevi, amici. Quelle grandi fiamme vengono dalle amene ville +che disertate dagli abitatori bruciano, perchè senza soccorso. — + +Quindi si sdraia sul letto e dorme un sonno profondo. Ma, finalmente +la corte che dava accesso alla sua camera si empie sì fattamente di +cenere e di pomici che gli avrebbero vietato la uscita se più avesse +tardato. Lo destano. Esce. E raggiunge Pomponiano e gli altri che +aveano vegliato. Tengono consiglio. Le frequenti scosse del suolo +scardinavano la casa dalle fondamenta. Fuori, la pioggia dei sassi, +quantunque leggeri e disseccati dal fuoco, era a temersi. Bilanciati i +due pericoli, fu deciso di rimanere nella rasa campagna. + +Tutti escono dalla casa. Cuoprono il capo di guanciali, tenuti fermi +sul mento con legami. Albeggiava. Ma, nel posto ov’erano continuava +la notte profonda e la più scura di tutte le notti, schiarata solo +da un gran numero di fiaccole e da altri lumi. Si stimò prudente lo +accostarsi alla riva per esaminare da presso il mare. Le onde erano +furiose ed agitate dal vento contrario. + +Plinio chiese dell’acqua e bevve due volte. Fece distendere un tappeto +per terra e vi si assise. Le fiamme si accrebbero. E l’odore di zolfo, +annunciando il loro avvicinarsi, fece che tutti se la dessero a gambe. +L’uomo dotto avrebbe voluto studiare quello sconvolgimento della +natura. Non lo potè fare. Ordinò a due servi il sollevassero; chè, +obeso era di corpo ed asmatico. Ricambia qualche passi. Ma, non può +correre. Gli esorta dunque a partire e salvarsi. Egli si curva e muore. +Una nube di zolfo circondandolo, lo avea soffocato. + +E la cenere copiosa, sottile ed oscura cadeva sempre. + +Molti pompeiani si erano salvati dirigendo i passi in sul primo +scoppiar del flagello verso il porto e le sue adiacenze. Quando le +acque assorbite dalla forza dell’igne che saliva dal centro della terra +prosciugarono le sponde, ed il mare rifluì impetuosamente lontano, le +triremi e le piccole barche si curvarono sui fianchi nell’arena. Ognuno +incoraggiato dall’altro corse sul canale a piede asciutto e come meglio +potè, si cacciò sulle navi. Oh! la confusione di quello istante! L’uomo +nei grandi pericoli è egoista. Vi furono padri che disputarono ai +figli la corda per salir su! Vi furono madri coi lattanti sul braccio +che niegarono aiuto ai più adulti per salvare l’ultimo nato dalle loro +viscere! E vecchi cadenti rifiutati! E amanti sbracciarsi per far salva +la idoleggiata dal loro cuore colla perdita dei propri parenti! E donne +stendere un remo e tirar su con forza non pria creduta lo eroe dei cari +entusiasmi, il sorriso delle gioie più intime! A ciascuno pareva di +avere innanzi a sè alcuni secoli a vivere e ne accaparrava le delizie +ed i redditi. Eh!... Dei secoli avevano sulla persona e sulle vesti la +polvere che in forma di sottilissima cenere pioveva, pioveva sempre! + +Ecco il mare respinto che torna impetuosamente nei suoi dominii. I +marosi urtano, spingono tutto che trovano sulla loro via, uomini e +cose. La folla ancor sul canale annega e si straccia sotto le carene +irrompenti. Alcune barche si sfasciano. E le onde feroci nel loro +riflusso trascinano confusamente la facile preda. — La ferocia del mare +è una verità! È la passione alle prese colle sue vittime. Vedi montagne +mobili e colline di acqua che si urtano insieme e si spezzano con alto +fracasso. Ora i cavalloni spumosi e fosforeggianti levavano i triremi, +i rottami e i cadaveri sull’erta di un’Alpe. Ora scaraventavano tutto +per la china nella valle profonda. Ora nello ascendere accadeva uno +scontro; e tra gli spruzzi e le ondate sonore, il misero schifo +affondava nello abisso e la più grossa nave trovava la via dello +scampo. E dentro?... Oh! Dentro poi, musica e agrume di vomiti, membra +infrante ed uomini balzati nelle onde, grida di marinai e pianti +miaulati di donne, sordi urli del vento, muggiti, fischi, spettacolo di +morte! + +Alcuni che si avviavano al porto, alla vista di quello esterminio +rischiarato dalle grandi fiamme del monte, se ne ritrassero impauriti e +corsero a salvarsi sulla collina ove si costruiva un tempio dedicato ad +Augusto. + +Il vecchio Svedio era nel numero. I servi, i clienti, gli adulatori +nello istante del supremo pericolo lo avevano lasciato solo. Adiposo +e grave, aiutato da qualche passante superò gli ostacoli sulla larga +via delle fontane di Pallade e dell’Abbondanza. Riprese fiato sotto +la volta della porta della Marina. E poi, in su cogli altri. Pensava +fra sè che i suoi giorni erano contati e che ben presto il suo cuore +cesserebbe di tormentarlo. Si assise dietro un muro sul capitello +di una colonna ed attese i decreti del Fato. Corsi alcuni momenti, +gli accenti desolati di una fanciulla lo volsero alla parte d’onde +venivano. La chiamò e la invitò a sedergli accanto. + +— O chiunque tu sia, ho paura.... Tieni, dammi la promessa di non +farmi morir sola. I miei, morti, o salvati. Era con essi.... e +disparvero. — + +E piangeva e singhiozzava disperatamente. + +— Infelice! Non morrai. Dove io andrò, e tu verrai, o misera. + +— Ma nell’Erebo no, sai? I miei genitori dicevano che colà vi è qualche +cosa migliore della vita. Ma... in questo istante supremo in cui +lo spirito trionfa, il sangue mi dice di non andare, la gioventù mi +ritiene.... la partenza dal mondo mi sembra sinistra.... E poi colà +abitano i numi.... crudeli... spietati. + +— Gli dei ti ascoltano ed avranno pietà di una innocente. Io +ebbi aspirazioni diverse da quelle che or provo. Ora io desidero +semplicemente, sinceramente di vivere per aiutarti. Cessa dal piangere +i tuoi. Tu diverrai la mia figliuola, la consolazione del vecchio +Svedio nell’Urbe, se.... + +Uno scroscio immenso gli troncò le affettuose parole sul labbro. La +bambina si chiuse nelle sue braccia e mormorò sull’ampio suo petto: + +— Ecco, ecco la morte.... colla sua falce assetata!.... O madre mia! + +— Quei che t’amano.... o che ti amarono ti raggiungeranno.... o ci +accoglieranno negli Elisi. — + +Un’onda di cenere li circondò, li coprì, li tolse dallo sguardo +dei fulmini che solcavano l’aria. E il dialogo di due cuori, l’uno +sconosciuto e l’altro illustre, fu rotto per sempre. + +Poco discosto dal gran giustiziero avea trovato mezz’ora innanzi +rifugio Quinto Lepta, lo antico amante di Byrrhia, la vedova consolata +del duumviro Aulo Vezio. Appoggialo al muro laterale della Basilica, +teneva stretta sul petto una donna cui baciava convulsivamente la +fronte e i capelli. Tra i dolci nomi ch’ei proferiva nel suo dolore +udivasi mormorare Amaredia.... E Byrrhia? La soave creatura aveva +vissuto la stagion delle rose, ed un giorno partì per riabbracciare +nel Tartaro l’ombra tradita del coniuge suo. — Le tristezze dell’animo +non duravano a lungo in Pompei. Lepta era in su i quarant’anni. E +contemplando con una tal quale curiosità in uno _speculum_ di argento +brunito quel personaggio misterioso ed ignoto per ciascuno di noi che +addimandasi sè stesso, vide alcune rughe ed alcuni fili d’argento che +facevano ingiuria alle nere sue chiome. Lo amore è la fede. Conveniva +legar l’uno e l’altra e non perderli. Diede ai suoi occhi quella serie +di espressioni animate, desiose, attente cui la psiche risponde. E +Amaredia, della famiglia Rufa, ignara della scienza della vita, si +avviluppò di quella passione ch’era una _stola_ per lei, e lo sposò. +Erano allora illuminati dal languido chiarore della prima luna.... +Quella luce serena doveva ben presto offuscarsi! Dopo alcune ore +passate in trepidanti smanie, in imminenti pericoli, in cui i dolci +ricordi si arruffavano colle incertezze dello avvenire, Lepta potè +trarre in salvo la donna, per cui sentiva cara la vita. Ma da una +varietà di sciagura era caduto in un’altra. Ambedue coi piedi sepolti +nei lapilli e coperti a metà dalle ceneri che cadevano loro sul capo, +attendevano in un estremo bacio la morte. + +— _Tecum vivere amen. Tecum obeam libens._ + +E la bella dai capelli non lucidi e dalle pallide gote accorse allo +invito. Ed il raggio dello amore immortale gl’irradiò coll’aureola dei +martiri. + +Il ridestarsi del vulcano dal sopore dei lunghi secoli, compiendo +l’ultima rovina della mia gentile Pompei, accomunò le istesse sorti +agli oppidi, ai borghi e alla grande artistica città di Herculanum che +componevano una graziosa ghirlanda ai piedi del Vesvio. Da per tutto il +suolo traballò come baccante briaco. I sopravvissuti si salvarono per +mare verso Surrentum, Capreas, Neapolis e Misenum. Il maggior numero +che prese le vie di terra, le trovò aperte ed eruttanti putrido fango; +od interrotte in tutte le direzioni dai torrenti di acqua assorbita +e vomitata dal monte e da alti incendii e da vastissime fiamme che in +molti punti del vulcano splendevano. E tutti morirono. Herculanum restò +sepolto sino al tetto dei secondi piani dei suoi nobili edifizi da un +cumulo di acqua e di ceneri, or divenuto tufo assai duro, e poi, per +una assai maggiore altezza dalla pioggia ulteriore delle ceneri, dei +sassi e delle pomici sciolte. + +Plinio il giovane, nipote dello ammiraglio, ch’era rimasto colla +madre in Misenum per ordine dello zio, descrisse a Cornelio Tacito +ciò che avveniva nel luogo ov’era, il dì poi della catastrofe. Cotesto +frammento di lettera s’innesta di per sè sulle pagine precedenti. + +«.... Era la prima ora del giorno, e ancor non appariva che un debole +chiarore, pari al crepuscolo. Allora le case furono disordinate +da sì forti scosse che non fu più sicuro lo stare in un luogo per +verità scoperto, ma molto stretto. Risolvemmo di lasciar l’oppido; +il popolo spaventato ci siegue in folla, ci attornia, ci spinge. E +scambiando la paura in prudenza, ciascuno modella la propria sicurezza +su quella degli altri. Esciti dallo abitato, ci fermiamo. E là, nuovi +prodigi, nuovi sgomenti. I veicoli che avevamo con noi erano ad ogni +istante agitati, quantunque in rasa campagna; e non si poteva neppure +collo aiuto di grosse pietre fermarli nel posto. Il mare, parea, si +rovesciasse sopra sè stesso, come fosse cacciato via dalla sponda dal +moto della terra. E nel vero, la riva erasi fatta più larga, e sulle +sabbie erano diversi pesci rimasti a secco. D’altro lato, una nugola +nera ed orribile, squarciata da fuochi che si slanciavano serpeggiando, +mettea fuori lunghi razzi simili a lampi, ma di questi più grandi. +Nell’atto un amico di mio zio, venuto allora allora di Spagna, tornò +per la seconda volta ad insistere: + +» — Se il fratel vostro, se il vostro zio è ancor vivo, si augura +al certo che voi vi salviate. Se gli è morto, volle che a lui +sopravviviate. Che più attendete? Perchè non scampate? — + +»Noi gli rispondemmo; + +» — Non possiamo pensare alla nostra salute finchè saremo mal certi +della sorte di Plinio. — + +» Lo Spagnuolo senza ritardo cercò lo scampo in una fuga precipitata. +Quasi subito la nube cade a terra e cuopre il mare. Ci nasconde l’isola +di Capreas che avviluppava e ci fa perdere di vista il promontorio di +Misenum. Mia madre mi prega, mi scongiura, mi ordina di salvarmi come +che sia. Io il posso alla mia età. Non essa, carica d’anni com’è e +grave di forme. La morrebbe contenta se non mi fosse cagione di morte. +Or io le dichiaro che non v’ha salute per me senza lei. Le prendo +la mano e la forzo ad accompagnarmi. Lo fa con pena e si rimprovera +di ritardare i miei passi. La cenere ci cadeva addosso quantunque in +piccola quantità. Volgo il capo e veggo dietro di noi uno spesso fumo +che ci segue e si spande sulla terra come un torrente. Dico a mia +madre: + +» — Finchè luce, lasciamo la grande strada per tema che la folla +inseguente non ci soffoghi nelle tenebre. — + +»A mala pena eravamci scostati, la oscurità divenne sì fitta, come +non già in una notte fosca e senza luna, ma in una camera ove tutte +le lampade fossero spente. Non avresti udito che lamenti di donne, +gemiti di fanciulli, grida di uomini. L’uno chiamava il padre. L’altro +il figliuolo. L’altro, la donna sua. E non si riconoscevano che dalle +voci. Quale deplorava la sua disgrazia. Quale, la sorte dei suoi +parenti. Ve n’erano persino a cui il timor della morte faceva invocare +la morte. Molti imploravano il soccorso degli dei. E molti credevano +non ve ne avesse più. E quella l’ultima ed eterna notte in cui il mondo +sarebbe sepolto. Eranvene altresì di quelli che aumentavano il timore +ragionevole e giusto con paure immaginarie e chimeriche. E dicevano che +in Misenum questo è caduto e quello arde. E lo sgomento dava peso alle +loro menzogne. + +» Apparve alla fine un bagliore che annunciava — non il giorno — ma lo +approssimarsi del fuoco che ci minacciava; si arrestò pertanto lungi da +noi. Reddiva la oscurità e la pioggia di cenere ricomincia più forte e +più spessa. Eravamo ridotti a levarci di tempo in tempo e scuotere le +vesti; senza ciò ci avrebbe coperti e inghiottiti. Posso menar vanto +che in mezzo a tali pericoli, non dissi verbo, non mostrai debolezza. +Era sostenuto da quella consolazione poco ragionevole — quantunque +abituale nell’uomo — il credere che tutto lo universo perisse con +me. Finalmente lo spesso e nero vapore si dissipò, e a poco a poco si +perdette come fumo o come nuvola. E poi apparve il giorno ed anche il +sole, giallognolo però come in una ecclissi. + +» Tutto ci parve cangio. E nulla era se non coperto sotto monti di +cenere come di verno sotto la neve. Torniamo a Misenum. Ciascuno vi +si aggiusta come può. E noi vi passiamo una notte tra il timore e la +speranza — lo spavento però usurpando la parte maggiore. — Imperocchè +il tremuoto continovava sempre. Non si vedevano che genti impaurite +coltivare il proprio sgomento e quello degli altri, con sinistri +presagi. Non ci venne mai però il pensiero di ritirarci finchè non +avessimo avuto le novelle dello zio, malgrado che fossimo ancora in +attenzione di un pericolo così tremendo, visto sì da vicino.» + +La catastrofe durò tre giorni. La cenere corse largo spazio. Si legge +fosse volata in Africa. Certo, i Romani l’ebbero sui sette colli e +temettero il disordine nei pianeti; cioè, che il sole cadesse sulla +terra per spegnersi; e la terra salisse nel vuoto per incendiarsi. +Quando la natura si acquetò, ed il mare si fece più calmo, e il +disco raggiante potè mostrare il suo eterno sorriso a queste desolate +contrade, Pomponiano tornò su quel posto ove il suo capitano era morto. +Plinio era disteso sul tappeto in attitudine d’uom che dormisse. + +Gli scampati da Pompei tornarono sul suolo della terra natia. Ma, come +diversa da quella che era! Una grave mora di lapilli e di cenere! +Una collina grigiastra d’onde tratto tratto sorgeva una colonna +infranta, un capitello, un muro sporgente e senza forma.... i segni +di un cimitero immenso!... Morte! Morte parziale però, e meglio una +nascita che una morte. Il passaggio di larva a crisalide, un seguito +di metamorfosi al servizio della vita generale. Rapidità. Fissità. +Eternità. Il fil verde sotto le nevi cadute. — Oh! le lacrime! Oh! gli +omei di quei miseri! Indarno cercavano su quel piano le dimore ov’erano +nati, ove giacevano sepolti i cari congiunti, ov’erano celati gli +oggetti più preziosi e più cari. Alcuni disperati grattavano le pomici +colle unghie, sperando calmare lo schianto dell’anima nel riveder le +sembianze morte, quale dei figli, qual dell’amante. E nella impotenza +si carpivano i capelli, si dilaniavano il volto, si stracciavano le +vesti. Miseri! ahi, miseri! + +I più ricchi, calmata la prima passione, vennero con schiavi compri a +praticare alcuni pozzi, sostenuti da tavole puntellate, per riavere +i loro marmi, le loro statue, le loro gemme, i loro denari. Cotesto +fatto creò una industria di disseppellitori, i quali rubarono quanto +trovarono. Ed in una casa in riparazione nell’atto del cataclisma, +piena di marmi pregevoli da collocarsi, aggiunsero persin lo epigramma, +scrivendo colla punta ΔΟΥΜΜΟC ΠΕΡΤΟΥCΑ presso l’uscio, dopo averla +forata per ogni verso. Quel mestiero da talpe fu proficuo a parecchi; +chè, ogni casa fu visitata; e particolarmente quelle delle agiate +famiglie e le botteghe, ove supponevasi fosse rimasto il peculio. E +fu ad altri letale. I ladri isolati, chiusi dalle facili frane dei +lapilli, perdettero il respiro e la vita ed il sepolcro servì loro di +carcere. + +Tito Vespasiano trasse per sorte dal numero dei cittadini consolari +i procuratori per dar ordine agli inconvenienti occorsi e con molta +pecunia soccorrere le popolazioni del littorale, prive delle loro +case e dei loro campi. Nella mente di Cesare era il pensiero di +sgomberare lo abitato e di ricostruirlo come in antico; ed i beni di +quelli ch’erano stati oppressi dallo straordinario incendio e dal più +straordinario seppellimento — dei quali non si ritrovassero gli eredi +legittimi — fossero assegnati al rifacimento delle cose guaste e delle +genti afflitte. Ma, i dignitarii, esaminati i luoghi sotto il vulcano +che potea un dì o l’altro ricominciar la catastrofe, stimarono che la +ingente spesa la sarebbe perduta. Lo imperatore non vi pensò su più che +tanto. Le erbe ben presto germinarono sulla collina che copriva Pompei. +Le vigne e gli alberi ne usurparono il posto a contrasto. Sursero sopra +le case dei villici. Ai secoli successero i secoli. E le generazioni +perdettero per sino il ricordo che il suolo dal loro aratro solcato era +il coperchio di una nobile tomba. + +L’uomo è fatto così. Facilmente è distratto ed oblia. + +Aveva dieciotto anni quando venni la prima volta a visitare la +dissepolta città. Vi tornai più tardi per Garibaldi e con Garibaldi. Il +suo aspetto ebbe sempre per me qualche cosa di attraente, di fuggevole, +di misterioso che attizza potentemente le fiamme del cuore. A furia di +contemplare con riverente affetto le dirute cose io finii per disvelare +secreti che i molti non vedono. E qui provo rivelazioni inattese e +faccio conoscenze gradite che tanto piacciono all’anima mia. + +Dopo il discoprimento di Pompei molte parole furono dette sopra il +suo funebre lenzuolo e sulle rotte e vaghe sue membra. La fredda +temperie del sepolcro le ha tutte diacciate. Le pagine che ho scritto +conserveranno forse un po’ di calore nello amato cadavere. Io raccolsi +il sangue delle ferite ond’essa morì. Feci tesoro dei suoi aneliti +estremi. Afferrai la parte taciuta della sua vita, e l’ho rivelata ai +pietosi che gitteranno lo sguardo su queste povere carte. + + + FINE. + + + + +INDICE DEL VOLUME. + + + DUE PAROLE SU QUESTA SECONDA EDIZIONE Pag. 1 + + I. I TEMPLI. Scene religiose in Pompei. — (Anni di Roma + 673. — Anni avanti il Cristo 84) 3 + II. LA CAMPAGNA. Scene della vita rustica. (Anni di Roma + 695. — Anni avanti il Cristo 59) 25 + III. IL FORO. La elezione dei Magistrati in Pompei. — (Anni + di Roma 705. — Anni avanti il Cristo 49) 47 + IV. LA STRADA. Scene diurne in Pompei. — (Anni di Roma + 767. — Anni del Cristo 44) 75 + V. LA BASILICA. Una condanna a morte. — (Anni di Roma + 770. — Anni del Cristo 17) 99 + VI. LA NECROPOLI. Scene di funerali. — (Anni di Roma 779. + — Anni del Cristo 26) 125 + VII. I TEATRI. Scene di distrazione. — (Anni di Roma 812. + — Anni del Cristo 59) 147 + VIII. LA STRADA. Scene notturne in Pompei. — (Anni di Roma + 825. — Anni del Cristo 72) 177 + IX. VENVS PHYSICA. Scene del cuore. — (Anni di Roma 826. + — Anni del Cristo 73) 201 + X. IL CATACLISMA. Scene del novissimo giorno. — (Anni di + Roma 832. — Anni del Cristo 79) 281 + + + + + +Nota del Trascrittore + +Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo +senza annotazione minimi errori tipografici. + + + +*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK 76652 *** diff --git a/76652-h/76652-h.htm b/76652-h/76652-h.htm new file mode 100644 index 0000000..ec95864 --- /dev/null +++ b/76652-h/76652-h.htm @@ -0,0 +1,19894 @@ +<!DOCTYPE html> +<html lang="it"> +<head> + <meta charset="UTF-8"> + <title>Pompei | Project Gutenberg</title> + <link rel="icon" href="images/cover.jpg" type="image/x-cover"> + <style> +body {margin-left: 10%; margin-right: 10%;} + +p {margin-top: .5em; margin-bottom: 0em; line-height: 1.2; text-align: justify;} +p.indl {text-align: left; margin-left: 5%;} +p.indr {text-align: right; margin-right: 5%;} +.center {text-align: center; text-indent: 0;} + +div.booktitle {page-break-before: always; padding: 3em;} +div.titlepage {text-align: center; margin: 0 5%; padding: 2em 0; page-break-before: always; page-break-after: always;} +div.titlepage p {text-align: inherit;} +div.verso {text-align: center; padding-top: 2em; font-size: 95%; margin: 0 10%;} +div.verso p {text-align: inherit;} +div.somm {page-break-before: always; padding-top: 3em;} +div.chapter {page-break-before: always; padding-top: 3em;} +div.chapter h2 {page-break-before: avoid;} + +h1,h2 {text-align: center; font-style: normal; +font-weight: normal; line-height: 1.5;} +h1 {font-size: 150%;} +h2 {font-size: 140%; margin-top: 1em; margin-bottom: 1em; page-break-before: avoid;} + +span.smaller {display: block; font-size: 80%; margin: .5em 5%; line-height: 1.2em;} + +hr {width: 70%; margin-top: 1em; margin-bottom: 1em; margin-left: 15%; margin-right: 15%; clear: both;} +hr.mid {width: 50%; margin-left: 25%; margin-right: 25%;} +hr.tbs {width: 20%; margin: 1.5em 40%; visibility: hidden;} +hr.silver {width: 90%; margin-left: 5%; margin-right: 5%; border-top: none; border-right: none; border-bottom: thin solid silver; border-left: none;} +.x-ebookmaker hr.silver {display: none;} + +.pagenum {position: absolute; right: 2%; font-style: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; font-size: 65%; text-align: right; color: #999999; background-color: #ffffff; clear: left;} + +.pad4 {margin-top: 4em;} +.pad2 {margin-top: 2em;} + +.small {font-size: 85%;} +.large {font-size: 115%;} +.x-large {font-size: 130%;} +.main-t {font-size: 200%;} +.g {letter-spacing: .2em;} +.smcap {font-variant: small-caps;} +.lowercase {text-transform: lowercase;} + +ul {list-style-type: none; line-height: 1.2em;} + +table {margin: auto; border-collapse: collapse;} +.indice {width: 80%; line-height: 1em; margin-top: 2em; font-size: 95%;} +.indice td {vertical-align: top; padding-left: 1.5em; text-indent: -1em;} +.indice td.cap {text-align: right; vertical-align: top; white-space: nowrap;} +.indice td.pag {text-align: right; vertical-align: bottom; white-space: nowrap;} + +figure {margin: 1em auto; max-width: 100%;} + +img {max-width: 100%; height:auto; border: 0;} +.letter {width: auto; height: 1.1em; vertical-align: text-top;} + +.figcenter {text-align: center; margin: 1em auto; clear: both; max-width: 100%;} +.figini {margin: 3em auto; text-align: center; clear: both; max-width: 100%; page-break-before: always;} + +.tnote {background-color: #f7f1e3; color: #000; padding: 1em 1em 2em 1em; + margin: 3em 10%; font-family: sans-serif; font-size: 90%; page-break-before: always;} +.tntitle {text-align: center; text-indent: 0; padding: 1em; font-size: 120%; margin-bottom: 1em;} +.tnote p {padding: 0 1em;} + +.poem {text-align: left; font-size: 95%; margin: 1em 10%;} +.stanza {margin: 1em auto;} +.poem p.i01 {margin: 0; padding-left: 3em; text-indent: -3em;} +.poem p.i02 {margin: 0; padding-left: 3em; text-indent: -2em;} +.poem p.i08 {margin: 0; padding-left: 3em; text-indent: 4em;} +.dotted {letter-spacing: .2em;} +</style> +</head> +<body> +<div style='text-align:center'>*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK 76652 ***</div> + +<div class="booktitle"> +<h1> +POMPEI. +</h1> +</div> + +<hr class="silver"> + +<div class="titlepage"> +<p class="x-large"> +C. AUGUSTO VECCHJ. +</p> + +<p class="pad2 main-t"> +POMPEI. +</p> + +<p class="pad2 large"> +SECONDA EDIZIONE,<br> +<span class="small">RIVEDUTA E AMPLIATA DALL’AUTORE.</span> +</p> + +<p class="pad4"> +<span class="large g">FIRENZE.</span><br> +SUCCESSORI LE MONNIER.<br> +<span class="small">1868.</span> +</p> +</div> + +<div class="verso"> +<hr class="mid"> +<p> +Proprietà letteraria. +</p> +<hr class="mid"> +</div> + +<div class="somm"> +<hr> +<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p> +<hr> +</div> + +<figure class="figini"><a id="fill-0-005"></a> + <img src="images/ill-0-005.jpg" alt="DIS MANIBUS POMPEIANORUM"> +</figure> + +<div class="chapter"> +<p> +<span class="pagenum" id="Page_1">[1]</span> +</p> + +<h2 id="prefazione">DUE PAROLE SU QUESTA SECONDA EDIZIONE.</h2> +</div> + +<p> +È nel mondo una nobile e poetica scienza, la quale +risveglia i morti — strappa dalle loro ossa i secolari lenzuoli — gli +aiuta ad escir dai sepolcri — e, rimpolpati +e rifatti, gli veste graziosamente dei loro pepli, delle +loro tuniche, delle loro stole, delle loro clamidi leggere. +Nè ancor paga, cotesta fata benefica raccoglie nel vasto +carnaio una infinità di oggetti svariati e belli, coperti +dalla polvere dell’obblio, e gli restituisce a quelli che +un giorno li maneggiarono. Quindi, sorretta dal suo +fine criterio e dai consigli di una illustre sorella, rifà +vivi uomini e cose dinanzi alla riscossa e curiosa fantasia. +</p> + +<p> +Le due parenti — l’Archeologia e la Storia — a +me soccorsero nell’arduo tentativo di questo nuovo genere +di letteratura italiana che per la seconda volta offro +ai lettori. Le iscrizioni graffite e i ruderi eloquenti +operarono il resto. +</p> + +<p> +Le varie epoche dei racconti sono istoriche. Istorici +i nomi di quei che parlano e agiscono, possibilmente +e quasi sempre collocati sulla scena che loro fu +<span class="pagenum" id="Page_2">[2]</span> +propria. Molte frasi ch’escono da quelle bocche le deciferai +sulle pareti, mute per dieciotto secoli. +</p> + +<p> +Ho abitato, dì e notte, per cinque mesi continovi la +città dei morti. Ed i morti risposero alle mie premurose +e studiate evocazioni. +</p> + +<p> +Al pari degli antichi artisti di sangue pelasgo-italiota +non lavorai pei ricchi o per piacere ai potenti, sì, pel +Dio unico, per la Libertà, per la Patria. +</p> + +<p class="indl"> +<i>Di Pompei, ai 25 marzo 1865</i> +</p> + +<p class="indr"> +<span class="smcap">C. Aug. Vecchj.</span> +</p> + +<hr class="silver"> + +<div class="chapter"> +<p> +<span class="pagenum" id="Page_3">[3]</span> +</p> + +<h2 id="cap1">I TEMPLI. +<span class="smaller">SCENE RELIGIOSE IN POMPEI.</span></h2> + +<p class="center"><b>Anni di Roma 673 — Anni avanti il Cristo 81.</b></p> + +<p class="center pad2"> +AL MINISTRO DEI CULTI IN ITALIA +</p> + +<p class="center"> +GIUSEPPE PISANELLI. +</p> + +<p class="center"> +I. +</p> +</div> + +<div class="chapter"> +<p> +<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span> +</p> +</div> + +<p> +La notte volge alla metà del suo corso. Erano gli ultimi +giorni di febbraio. Soffiava lo scirocco, uno di quei venti caldi +ed umidi che sopraccaricano il corpo di fatica e l’anima di +eccitazione. — Sul firmamento non una stella. — Al basso +udivasi il fragore monotono e cupo che fa il mare agitato rompendosi +con impeto sugli scogli e sui ciottoli rotondati. Anche +la terra sembrava sprofondata nella tristezza temporanea di +quelle regioni scosse e rimbalzanti sovente dai gassi sotterranei +dell’igne eterno. — Genti meno preoccupate di quelle +cui si parava dinanzi un simile quadro non avrebbero potuto +non esserne impensierite. +</p> + +<p> +Due uomini camminavano l’uno accanto dell’altro. Non +parlavano. Esciti dalla porta occidentale che menava ad Herculanum, +costeggiarono le mura a dritta sulla via per cui si +andava a Sarnus, senza traversare Pompei. E non le lasciarono +che nello avviarsi per una strada male incassata che +menava sulla collina. In una rivolta, uno di essi battè il ferro +sur un pezzo di silice, bruciò un poco di amianto inzolfato +sull’esca ed accese una lanterna di bronzo senza coperchio. +Egli era vestito di una trabea di porpora con fasce di scarlatto. — I +capelli già grigi lasciavano scoperta la sua energica +fronte, illuminata da un occhio solo. Ma quell’unico, e le labbra +sottili, e il naso aquilino, e la fredda impassibilità del +viso accentuato, facevano chiara, in un destro osservatore, +la furberia della mente e la impudenza del cuore. — L’altro +era un uomo in sui cinquant’anni: di quegli esseri dalle gote +<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span> +infossate e di colore olivastro, dallo sguardo ora spento, ora +eccitato, a seconda della passione unica che or desta consolazioni, +ora dubbi, ora timori. Aveva sul capo un piccolo berretto +di lana bianca, ed uno scuro mantello coprivagli la persona. +Poco sensibile al disonore e alla infamia, tutti i mezzi +gli erano sembrati onesti per formarsi un peculio e riscattare +la sua libertà: prostituzione, ladronecci, complicità alle abbominazioni +del padrone, usure. Egli chiamavasi Pothus. — Ma +siccome era stato schiavo di M. Plazio, rimase pur schiavo +dell’uso, che voleva il nome dello antico padrone precedesse +il suo proprio. Laonde nel sigillo con cui marcava ogni sua +cosa era scritto: PLATIUS POTHVS. — Esercitava la mercatura. +Vendeva stoffe che faceva venire di Taranto e dall’Oriente. +Egli riceveva merci dalle città commercianti della +Campania, e specialmente da Nola, da Acerra e da Nocera, e +le spediva lontano. — Ora a lui premeva, pria di spedire un +grosso carico in Egitto, saperne la fortuna, interrogandone +un aruspice. Erasi pertanto indirizzato a Taranis, e questi gli +aveva indicato l’ora ed il luogo nel <i>pomærium</i>, sopra un posto +elevato, per cercare gli auspicii. +</p> + +<p> +Cotesta geldra d’impostori non apparteneva a nessun collegio +dei sacerdoti latini, nè ad alcuna gerarchia religiosa. La +impudenza gli aveva cacciati innanzi. La stupidezza gli aveva +accolti. Lo interesse pauroso li carezzava. — Essi avevano doppie +funzioni: predicevano lo avvenire studiando gli avvenimenti +anteriori od i fenomeni, o ne chiedevano la rivelazione +alle viscere delle vittime. Oltre a ciò spandevano nel volgo le +novelle più strane ed incredibili... e forse per ciò credute. +Furono gli aruspici che inventarono i sacrifizi umani — e la +frottola delle pioggie di latte, di sangue e di mattoni cotti — e +le statue degli Dei che sudavano — e le lagrime sgorgate +dagli occhi di Vesta — e le case cangianti di posto — e un +lupo che sguaina una daga — e un bue che parla — e i galli +divenuti galline e le galline galli — e il cielo macchiato di +sangue — e la luna triplice nel firmamento — e il sole apparso +di notte — e le torce ardenti traversanti lo spazio — ed +altre fandonie da mercato a queste simiglianti. — Essi venivano +dall’Etruria ed erano ricerchi come quelli che sapevano +<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span> +l’arte della osservazione, della interpretazione e della +congiurazione. +</p> + +<p> +E il popolo li pagava e li teneva grassi e gaudenti. — Ma +quando incontravansi e si narravano a vicenda le cose occorse +e la bestialità del popolo che credeva alle loro menzogne, e la +doppiezza dei magistrati che fingevano di prestar fede alle +loro predizioni, e la ipocrisia dei generali che facevan loro +sparare i polli per sapere pria di rompere sull’inimico le +sorti della battaglia, e’ si sbellicavano dalle risa e scherzavano +sull’Olimpo che essi ed i sacerdoti di ogni culto avevano popolato +colle incarnazioni di tutti i bisogni della terra, e propiziavano +alla umana paura che non si stancherebbe mai di offerire +il grosso contingente alla malizia degl’impostori — cangino +pur essi il nome col succedersi dei secoli. +</p> + +<p> +I due erano giunti là dove volevano. Sotto i loro piedi +posava il sobborgo Felice colla doppia fila di sepolcreti. — Taranis +fece sedere lo affrancato sopra una pietra colla faccia +rivolta al mare — cioè a mezzodì — ed egli rimase in piedi a +sinistra colla testa coperta. L’impostore diresse una preghiera +agli dei che insultava cogli atti, si girò verso l’Oriente e col +<i>lituus</i> — piccolo bastone senza nodi, dalla punta ricurva — divise +il cielo in diverse regioni — che addimandavansi <i>templa</i> +nel gergo di quei ghiottoni — e fissò un punto lontano +dove l’occhio giungeva. — Quindi, passato il bastone augurale +nella mano manca, posò la destra sul capo del liberto di Plazio, +sempre velato. — E, +</p> + +<p> +— <i>Jupiter pater, si est fas</i>, se il destino permette che cotesto +Plazio Pothus, di cui tocco la testa, abbia fortuna nel +commercio che imprende, invia a noi segni certi della tua +volontà <i>inter eos fines quos feci</i>, nei templi che ho tracciato +nell’orizzonte. — +</p> + +<p> +Nel firmamento alcun segno. — Lo scirocco aveva annuvolato +il cielo, e perciò nessuna stella brillava per poter dire +a quel gianfrullone nello scoprirgli gli occhi: +</p> + +<p> +— Guarda! In quell’astro sta il lieto destino che il padre +della natura ti annuncia per mezzo del suo umile servo. — +</p> + +<p> +Ambidue stettero alcun tempo nella più completa immobilità. +Quindi l’aruspice brontolò, crollando il capo: +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span> +</p> + +<p> +— Nulla!... Almeno avessimo portato gli <i>oscines</i> od i <i>præpetes</i>, +gli uccelli che dicono col volo, col becco o col canto. +A domani..... o, se vuoi, ora, in tua casa. +</p> + +<p> +— Andiamo — +</p> + +<p> +ripetè l’altro, levandosi e gittando un grosso sospiro: +</p> + +<p> +— E sapremo dai polli quello che il sommo Giove non +volle annunciarci. — +</p> + +<p> +Discesero. — Passarono a fianco di una tomba isolata; e, +</p> + +<p> +— Sono Taranis, di Volaterra, in Etruria. — +</p> + +<p> +E mostrò il lituo al soldato che, escito dalla <i>ædicula</i> a +diritta presso la porta della città, veniva loro incontro per sapere +chi fossero. +</p> + +<p> +Entrati nella via Domizia, si fermarono in faccia alla cisterna +pubblica, destinata a supplire alle fontane quando per +soverchio di siccità l’acqua mancasse. +</p> + +<p> +E salito l’opposto margine, entrarono nella casa, costruita +sulle antiche mura e declinantesi per via di terrazzi sino al +mare. Traversarono l’atrio, discesero una scala, ed eccoli in +una stanza inferiore illuminata da due lampade di bronzo. +Uno schiavo vegliante aveva ricevuto un ordine. — La voce +stridente dei polli, sorpresi nel sonno, chiarì quale ei si fosse. — La +gabbia fu posata sul mosaico. Il prete etrusco le +pose dinanzi l’<i>offa pultis</i>, sminuzzando la pasta nella mangiatoia. +Da principio i gallinacei parea rifiutassero la offerta. — Erano +impauriti, agitati e guardavano i lumi. Ma quando si +avvidero del perchè erano stati svegliati, si gettarono furiosi +su quei pezzi di carne, di farina e di cacio, facendo tripudio. +</p> + +<p> +— <i>Pascuntur</i>. — Lieto augurio. — <i>Tripudium solistimum</i>. +Le ali si aprono con giubilo. Tu ottenesti lieto presagio..... +Ma se tu vuoi l’<i>animalis hostia</i>, io son pronto a leggere +la predizione sulla vittima immolata. — Consenti a pagare +la offerta agli Dei? — +</p> + +<p> +L’altro estrasse dal seno una borsa di pelle e l’aperse. +E l’aruspice — che dalla fisonomia, dalle parole e dagli atti +potrebbe facilmente parere un nostro contemporaneo — gittatovi +sopra l’avido sguardo e la mano, contò. +</p> + +<p> +— Cinquanta.... centoventi e cinque — cento venticinque +danari — <i>Medium sestertium</i>. — Sta bene. — Gli è quel che +<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span> +ci vuole per allontanare il <i>prodigium</i>, cioè lo avvenimento +sinistro. — +</p> + +<p> +E tratto un coltello vittimario, tolse la vita ad un pollo +e lo sparò. Strappò dal corpo il cuor palpitante, il fegato, il +polmone ed il fiele; e postili sulla tavola, disse: +</p> + +<p> +— Ecco dinanzi ai tuoi occhi <i>pars inimici et pars familiaris</i> — quella +che concerne coloro che possono contrariare +i tuoi commerci e quella che te risguarda.... — Oh! il fegato +ha due lobi. — È eccellente presagio. — Anzi, vedi, si ripiega +in dentro a partire dal basso della fibra. Ciò vuol dinotare +grandezza e felicità. — Il cuore spande sangue vermiglio. Il +grasso è sulla punta dei visceri — Le vene, nè livide, nè +tese. — Fa partire le navi; chè i venti lor saranno propizi. — +</p> + +<p> +Pothus a quei nunci rideva convulsivamente e stringeva +i pugni quasi vi avesse afferrato i grossi lucri predetti da +quell’impostore. Il quale, tracannato d’un fiato un grosso +calice di <i>merum vetus</i> che il mercante volle mescergli da una +piccola anfora, strinse la mano al gaglioffo, e, salito al piano +superiore, partì. +</p> + +<p> +I sacerdoti non mai satolli, collo esagerare il sentimento +religioso — che è uno istinto della umanità — o collo intenderlo +malamente, spinsero i timorati a passar la giornata in +preghiere ed in sacrifici per ottenere che i loro figliuoli loro +sopravvivessero — <i>superstites essent</i>. — Onde questi furono +chiamati superstiziosi; e quelli decaddero prima dalla stima +dei filosofi e poi dalla credulità del popolo che leggeva nei +loro vizi la inutile loro missione, nelle loro parole la mala +fede, nei loro atti il mendacio. Da principio la vittima offerta +era intera bruciata sull’ara del nume; ed il mele ed i vini +squisiti crepitavano sulle brage. — Ma i ghiottoni e gli avari +cominciarono a farsi casuisti. E pensarono che — gl’Iddii respirando +solamente l’odore delle vittime — bastava farne rosolar +dalle fiamme la testa ed i piedi — <i>pars Deorum</i> — e +serbare le parti delicate e carnose al festino dei loro triclini, +le quali chiamarono <i>polluctum</i> dal verbo <i>pollucere</i> che significa +consacrare. Più tardi — incoraggiati dalla stupidezza degli +uomini che guardavano e non vedevano — propagarono +la novella, aver ottenuto da Giove che la parte degli Dei sarebbero +<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span> +le ossa. E le carni devolute ai sacerdoti. — E quando +erano esuberanti, le mandarono ai questori del tesoro che le +facevano vendere a profitto dello erario. Fattisi ricchi e delicati, +non vollero più insudiciarsi nel sangue come beccai, e +tolsero a loro servigio i <i>popes</i>, vittimari che compirono la loro +bisogna. E una parte del <i>polluctum</i> la dispensarono alle amiche +devote — che ai nostri tempi vestono da monache o in +abito pinzochero — e l’altra più grossolana ai loro sacrestani +che la vendevano ai tavernai. +</p> + +<p> +Avanti di uccidere l’animale, il sacerdote gli gittava sul +capo un pizzico di farina mescolata col sale. — Se la bestia +non si ritraeva impaurita, dichiaravasi acconcia al sacrificio. — Comprendesi +facilmente che la spaventavano se la fosse magra +e non di loro gusto. — La ceremonia dicevasi <i>immolatio</i> +da <i>mola</i>, la pietra conforme con cui macinavasi il grano, il +più stimabile dei beni. Ed il sale impiegavasi nel rito come +simbolo della purezza dell’anima. Le libazioni le facevano col +vino di una vigna potata. — E pur domandavano all’offerente +se il fulmine fosse mai caduto nella cantina od un uomo appiccatosi +sul ramo di un albero vicino. +</p> + +<p> +Il primo omaggio di vino o d’incenso era propiziato a +Giano, il portiere del cielo, affinchè facesse giungere la preghiera +a quello fra gli Dei che volevasi invocare. Il vino si +versava con un simpulo a goccia a goccia sul fuoco; e l’olio +ad onde perchè ardesse senza far puzzo. +</p> + +<p> +Gl’Iddii maggiori erano dodici. — Giove, il re dell’Olimpo, +cui sacrificavasi il bue bianco o maculato. — Giunone, sorella +e moglie sua, cui s’immolava una vacca. — A Minerva +lo stesso animale. E a queste sole vittime si doravano le corna. — Vesta, +la Deessa del fuoco eterno, dovevasi contentare +del sacrificio bene involontario che sei donne le facevano della +loro verginità; sterile come la natura del fuoco che alimentavano +continuo sull’ara; il quale era emanazione celeste, +perchè ogni anno alle calende di marzo lo si faceva accendere +dal sole col mezzo di un vaso metallico concavo, di forma +conica rettangola. Quelle misere erano le guardiane degli Dei +particolari del popolo romano e sopratutto del Palladio, da +cui dipendevano le sorti liete della grande Repubblica. — A +<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span> +Cerere, Dea delle biade, si uccideva una scrofa, perchè distruggitrice +delle mietiture. — Nettuno, Dio del mare — Apollo, +della musica, della poesia e della medicina — e Marte, +della guerra, erano i soli cui potesse offerirsi un toro bianco. — A +Venere, la Iddia dell’amore e della bellezza, si davano colombe. — Mercurio, +Dio della eloquenza e del commercio, +prendeva tutto. — Diana, Dea della caccia e delle Foreste, +facevasi contenta col dono di una cerva. — Plutone, lo affummicato +rettore del Tartaro, chiedeva capri, becchi e tori neri. — Queste +dodici divinità erano chiamate consentes, perchè +formavano il consiglio supremo del Fato, potenza costituzionale +dai poteri limitati e corretti dalle varie passioni umane +che s’indiavano attorno al suo trono temuto. +</p> + +<p> +Lo appetito viene mangiando. — Laonde gli uomini antichi +non si tennero beati e soddisfatti di un re e del suo +ministero. Vollero altresì il corpo legislativo, composto dapprima +dagli Dei scelti, come Saturno, che rappresentò il +tempo; — Giano, l’annata; Rea, la Deessa della terra; — Bacco, +il Dio del vino; — Vulcano, del fuoco; — Febo, dell’astro +vivificatore; — la Luna, la patrona degli amanti; — e +il Genio, che presiedeva alle opere degli umani. — Quindi +spedirono al parlamento i piccoli Dii, cioè: i semones, gli uomini +deificati — Ercole; Castore e Polluce; Enea; Romolo; +Pane; Fauno; Silvano; Palete, Iddia del gregge; Vertunno, +delle stagioni; Pomona, dei giardini e dei prati; Flora, dei +fiori; Termine, dei termini; Robigo, della ruggine; Fascino, +dei sortilegi; Averrunco, che allontana le calamità; Vacuna, +patrona degl’infingardi e del riposo; Laverna, dei ladri; Mefite, +del puzzo; Cloacina, dei luoghi immondi; Imene, del matrimonio. — Tutte +le ninfe dei boschi, delle fontane, delle +montagne, dei fiumi, del mare partirono anch’esse. Nè i giudici +dello inferno le lasciarono andar sole; e tanto più che le +videro accompagnate dalla Pietà, dal Pudore, dalla Fede, e.... +dalla Speranza. La Febbre corse lor dietro. — E le madri +impaurite pei cari figliuoli, elessero, senza bisogno di ballottaggio, +Vitunno che ministra ad essi il soffio della vita; — Sentino, +che dà il sentimento; — Presa e Postverta, che gli +mette in buona postura nell’utero; — Ops li soccorre; — Vaticano +<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span> +loro apre la bocca e li fa vagire; — Rumina che +gl’inspira a suggere il latte dal seno materno; — Potina gli +consiglia a bere; — Educa, a mangiare; — Cunina veglia +presso la culla; — Ageronia è attenta a tutti i loro movimenti. — Nè +questi bastando al genio affettuoso delle madri, +esse ne nominarono altri per acclamazione. E furono Juventas +che accompagna il figliuolo già grande; — Barbato, che +gli adorna il mento di peli; — Stimula, che il punzecchia di +desiderii; — Volupia, necessaria alla generazione; — Numeria, +gli dà la scienza dei numeri; — Camena, gl’insegna il +canto; — Strenua, lo rende un eroe; — Consus, gl’inspira +nobili consigli; — e Jugatinus presiede al suo matrimonio. +</p> + +<p> +Quando i sacerdoti si avvidero che il Fato — inviolabile — non +parlava; — e il gran consiglio — responsabile — non +facea motto; — e i <i>semones</i> in nome dei loro uffici parea che +convalidassero senza opposizione la scelta delle deità, fatta nei +collegi elettorali degli uomini, senza votarsi il capo nei riguardi +legali, ne crearono essi, di proprio moto, per alzata e +seduta; e non fu cosa sulla terra di cui non mandassero il +rappresentante negli stalli del parlamento celeste. — I gloriosi +avi nostri carezzarono quelle sacre fandonie, perchè necessarie +ad infrenare il popolo ignorante, riottoso e spavaldo, +ch’essi volevano condurre al dominio del mondo. E quando +i numi fur troppi, gli divisero in <i>ordo et populus</i>, cioè in <i>Dii +majorum gentium</i> ed in <i>Dii minorum gentium</i>. — Ma venne +un giorno in cui si stancarono di quella docilità dimostrata e +parlarono e scrissero del Dio unico e lo confessarono morendo. — D’allora +in poi, a poco a poco, i deputati delle umane +sciocchezze disertarono l’olimpico Parlamento, che fu riempiuto +dall’occhio incommensurabile della ragione. Le loro statue +le abbiam nei Musei, nei giardini, nelle pubbliche piazze. — Un +altro Olimpo pur sorse — sul calco di quello antico — meno +poetico, molto ridicolo e troppo triviale. Fu popoloso in +secoli d’ignoranza, in tempi di fine ipocrisia, e nei giorni lunghi +della tirannia dello spirito. — Di lassù venivano i fulmini +per punire i peccati degli uomini. E l’uomo afferrò quel fulmine, +lo chiuse in una macchina e lo fece il fattorino dei suoi +pensieri. — Di lassù venivano le febbri, il vaiuolo, gli stravasi +<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span> +di sangue e tutti i guasti della fragile natura umana. E +l’uomo studiò la medecina e la farmacopea, inventò strumenti +chirurgici, ed i morbi furono domati. — Di lassù venivano i +venti furiosi che inabissavano le navi o le mandavano erranti +a genio dei loro soffi. E l’uomo inventò la bussola ed un meccanismo +che rende inutile lo sforzo dei venti contrari. — Gl’idoli +sono tutti già esciti, anche una volta, dall’Olimpo +della ragione. Alcuni vennero nei Musei a far compagnia ai +predecessori. Altri rimangono ancora sugli altari, vergognosi +e raumiliati nel vedere il riso intelligente che destano e la +nessuna pietà di chi gli coltiva. Ei sanno pur troppo che omai +seggono sulle ruine. +</p> + +<p> +Ora la descrizione di una cerimonia solenne in Pompei. +</p> + +<p> +Il Flamine-Diale è sul peristilio del tempio di Giove. Ha +la testa coperta di un elmo bianco, sormontato da un breve +cono allungato e cinto da un fiocco di lana, che simboleggia +il fulmine nel nume. Veste la toga pretesta e va di pari coi +grandi magistrati. — Non vi ha un nodo sulle sue vesti che +la sacerdotessa sua moglie filò di lana, tessè e cucì. La calzatura +fu tagliata dalla pelle di un animale ucciso. Sul dito gli +splende un anello a giorno ed unito. La consorte gli è presso +e lo assiste. Sacerdoti minori lo attorniano. +</p> + +<p> +I duumviri, gli edili, i decurioni, i cavalieri salgono la +gradinata del tempio. Nel Foro è il popolo; e, separate dagli +uomini — perchè nulla si opponga alla decenza ed alla gravità +della pia cerimonia — sono le donne adorne delle loro +vesti bianche e sfarzose. +</p> + +<p> +Non canti di allegrezza, ma accenti di sdegno. — Non +rendimenti di grazie, ma suppliche levate al cielo perchè +venga allontanato dalla città di Pompei un crudele disastro, +una tremenda sciagura. Un coro di fanciulli e di vergini cantano +in note lamentevoli l’inno del dolore. — Alcuni soldati +e centurioni sono appoggiati ai piedistalli; e, senza parola, +rimangono impassibili spettatori di quella scena. +</p> + +<p> +Gli è che da tempo Pompædio Silo aveva inalberato lo +stendardo della rivolta nella Marsica; e — tranne Aiserninum +e Lucera — tutte le città adriache e tirrene avevano fatto eco +a quel grido di guerra. Roma invero stancava la Italia. Per +<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span> +estendere la sua potenza, ne esauriva le ricchezze, ne toglieva +i soldati e gli dava compagni d’armi ai cittadini romani, accordando +loro l’unica eguaglianza in faccia alla morte. Corfinium, +piccola terra tra il monte Corno e la Maiella, fu decretata +città capitale degl’Italioti. Capua in un versante degli +Appennini, Asculum Picenum nell’altro, tenevano acceso il +fuoco sacro della libertà e dello affrancamento dall’Urbe. Si +combatteva da parecchi mesi e vincevasi. — Ma Silla aveva +preso Stabia per assalto, ne trucidava i difensori e metteva +in fiamme le case e i monumenti. I Pompeiani vedevano quello +strazio dalle loro mura; lo reputarono presagio della sorte +che gli attendeva; decisero animosamente di difendersi, ed +intanto di placare l’ira celeste con una espiazione solenne, +offerendo sacrifizi a Giove, agli Dei maggiori e alle divinità +inferiori e recitando preghiere, dette <i>obsecrationes</i>. +</p> + +<p> +Sotto la gradinata del tempio sono due buoi di manto +bianchissimo; sette vacche ed un toro, grassi tanto che stentano +a muoversi. Hanno le corna dorate, la fronte incoronata +di fiori, ed il corpo cinto da una stola terminante con una +frangia. — Un vittimario, nudo sino alla cintura, e coperti i +fianchi da una stoffa di porpora, era presso ogni bestia, tenendola +con una corda che le stringeva il muso e colla sinistra +sosteneva un martello rotondo e a lungo manico che appoggiava +sulla spalla. Taluno impugnava la scure invece del +martello. +</p> + +<p> +Dietro di essi erano i <i>cultrarii</i> ed i <i>popes</i>, aventi appeso +alla cintura un grosso astuccio guarnito di parecchi coltelli. +Alcuni fanciulli tenevano un vaso di bronzo con acqua lustrale +e nell’altra mano un aspersorio come una coda di cavallo +con manico ornato. Altri, una cassetta quadrata, piena di farina +e di sale, per la consacrazione delle vittime. Vi erano +anche i suonatori di flauto. +</p> + +<p> +Il Flamine si avanza e discende. — I vicini lo seguono. +Dopo i magistrati vengono i collegi sacerdotali. — Essi erano +coronati di rami di quercia. +</p> + +<p> +La processione — cui prende parte il popolo tutto — percorre +le grandi vie della città e va verso le <span class="smcap lowercase">XII</span> torri per +sempre più animare i soldati che sono sopra le mura. Quindi il +<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span> +numeroso corteo — compiuto il giro — si approssima al tempio +dalla diritta via della fontana di Mercurio. — I buoi erano +già sul peristilio. — Vi ascesero i sacerdoti ed i magistrati. +Gli altri taciti e pensierosi ristanno. +</p> + +<p> +Sotto quel portico elevasi lo altare dei sacrifizi: chè non +immolavasi mai nello interno dei templi. Ghirlande di verbena +cingono l’ara. Il Flamine si avanza. — Prende lo incenso dall’<i>acerra</i> +ov’era chiuso; lo spande sul <i>præfericulum</i> e ne +volge il fumo alla statua del re dell’Olimpo. — Quindi liba il +vino in onore di Giano. +</p> + +<p> +Seguìto dai sacerdoti, entra nel tempio e saluta Giove +portando la mano destra alla bocca. Voltosi a manca, fa lo +stesso saluto alla porta. Quando gli altri lo ebbero imitato +tutti si assisero nella cella e — racchiuso il capo nel lembo +della toga per evitare distrazioni — ognuno prega a voce +bassa o mentalmente. — Dopo alcuni momenti, il Flamine si +leva, esce dalla edicola e grida alla folla adunata. +</p> + +<p> +— <i>Favete linguis.</i> — +</p> + +<p> +Raccomandato così il silenzio all’assemblea, si appressa +allo altare, si purifica le mani coll’acqua contenuta in un vaso +senza piede, detto <i>futilis</i>, e le asciuga con un tessuto di bianco +lino. Allora i popi si accostarono colle vittime. — Ei le asperse +di quell’acqua; gittò sulle loro teste farina e sale; e disse loro: +</p> + +<p> +— Sia addoppiato il valor vostro, perchè possiate, o buoi, +essere accetti ai sommi iddii. — +</p> + +<p> +Impolverò lo altare di farina e di sale; così, i coltelli sacrificatori. — Spinse +quindi leggermente la lama di uno di +essi dalla fronte alla coda. Tagliò un ciuffo dei più lunghi peli +tra le corna di un bue, lo gittò sulle fiamme, e disse, libando +altro vino: +</p> + +<p> +— Sii aumentato per questo vino nuovo. — <i>Macte hoc +vino inferio esto.</i> — +</p> + +<p> +E a ciascuna consacrazione di animale pronunciava il +nome di Dio o della Deessa a cui faceva la oblazione. Così, offerì +due buoi a Giove; due vacche a Giunone; due a Minerva, +due alla Iddia della Salute pubblica; una alla Felicità; ed un +toro all’esercito che difendeva il paese. — Quindi, voltosi al +simulacro: +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span> +</p> + +<p> +— O sommo Giove, magnanimo e grande, se tu difendi +questo tuo popolo devoto, se tu ispiri coraggio nei suoi difensori, +se tu disperdi il pericolo che noi tutti circonda, in nome +dei collegi sacerdotali qui uniti, noi ti votiamo due buoi dalle +corna dorate. — +</p> + +<p> +Ed alla celeste sorella e consorte. +</p> + +<p> +— O Giunone, regina, accetta anche tu la preghiera rivolta +al signor dell’Olimpo. Allora ti offriremo due vacche +dalle corna dorate. — +</p> + +<p> +Così alle altre Iddie. +</p> + +<p> +Compiuto il rituale, un vittimario a lui si accosta e dice: +</p> + +<p> +— Posso? — +</p> + +<p> +E avendone ricevuto l’ordine, scaglia violentemente un +colpo di martello sulla fronte del bue. Questo vacilla sui piedi +e cade. — Gli accoltellatori lo ghermiscono per le corna e gli +cacciano l’acuta lama nel cuore. Il sangue sgorga nella patere +di bronzo, gorgoglia e fuma. Il Flamine ne raccoglie con una +patella e lo gitta sullo altare dei sacrifizi. — I <i>jecurarii</i> +aprono il ventre della vittima, e poi che gli auguri hanno trovato +in perfetto stato le viscere, la scuoiano, la spezzano, e +mettono in un solo paniere le gambe ed il cuore che, impolverati +di farina d’orzo, presentano al Flamine. Le fiamme +sacre accolgono la parte del Dio e la consumano. +</p> + +<p> +Come quel bue, così vengono uccisi, sparati e divisi il +toro e le vacche. — E nell’atto i suonatori di flauto non cessano +di far echeggiar l’aere dei loro fischi acuti e discordanti. +</p> + +<p> +Il Flamine-Diale terminò la cerimonia con una invocazione +a Vesta e disse agli assistenti: +</p> + +<p> +— <i>I licet.</i> — Voi potete ritirarvi. — +</p> + +<p> +Allora un sacerdote di Venere se gli accostò e lo richiese: +</p> + +<p> +— Noi versiamo in grave periglio. La escita dalle mura +è impossibile. E dove ritirarsi? Se Silla entra qui..... e vita e +tesori. Tu i cui capelli e le cui unghie son sacre, non avrai la +persona rispettata da quei crudeli. Tu che hai la porta della +casa ornata di lauri; e se un uom di delitti vi penetra, si è +obbligati scioglierlo dalle catene e gittarle dallo impluvio nella +strada. Tu che impedisci uno schiavo sia fustigato, se giunge +<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span> +ad abbracciare le tue ginocchia,.... di’, credi tu alla influenza +di Giove nello allontanamento dei mali che ci minacciano? +</p> + +<p> +Il Flamine guardò fiso il compagno, e veramente non +sapea che rispondere. Era la prima volta che una simile interrogazione +veniva innanzi alla sua mente, in faccia al grave +e certo pericolo. Egli era tal uomo, cui un misterioso sentimento +di adorazione fa vedere in un paesaggio, ove avanza +con passo distratto, un tempio che lo ritiene; il cui orecchio +risuona d’ignoti rumori; sorta di musica spirituale che innonda +l’anima di gioia segreta e l’apparecchia a consolanti +apparizioni. Il suo cuore appetiva la pace: ma sentiva il morso +del dubbio nella liturgia che amministrava. Il mondo futuro +lo intravedeva in una nube caliginosa ed oscura; ed avrebbe +assai volentieri fatto sommessione a colui che lo avesse posto +sur una via semplice e certa che nel fondo ha la statua della +fede trionfante. +</p> + +<p> +— Ma se non Giove, e chi? — +</p> + +<p> +Un sorriso ironico e doloroso sfiorò sulle labbra di Anchario, +il vecchio ministro nel tempio di Venere. Da molti +anni e lunghi egli seguiva i sogni di una fede impossibile con +pratiche misteriose. Le bizzarre confidenze tra la Iddia seduttrice +e la carne sedotta erano le invenzioni furbe della sua +mente. Finchè la gioventù e la forza lo tennero, lo interesse, +il lieto vivere e le grossolane delizie arrestarono la coscienza +del vero sulle sue labbra impudiche. Quando le cose vive partirono +da lui sulle ali larghe e fugaci, ei si vide sprofondato +nel vuoto e deposto sur una landa arida e nuda. Siccome Vulcano, +era caduto dall’empireo nella pozzanghera di una fede +zoppa e sciancata. +</p> + +<p> +— Lo arcano ch’è nei cieli consola la mia tristezza e si +fa mio custode da che mi vidi spostato dal mio antico sostegno. — Giove, +Giunone, Venere, Marte sono i sacri luoghi comuni +della vita, e gli sfato. — Un Dio solo è lassù che la +realtà non offende. — +</p> + +<p> +— Ma credi tu che a noi pensi e provvegga alla nostra +salvezza? +</p> + +<p> +Il canuto pose la mano sul petto e rispose: +</p> + +<p> +— Io comincio a credere che in noi esista e ci faccia arbitri +<span class="pagenum" id="Page_18">[18]</span> +delle nostre sorti. — Quando il popolo romano volle, vinse; +e non gli Dei combatterono per lui. — Quando tu, schiavo +delle abitudini sociali di questi tempi, vuoi escire dall’audace +immoralità che ne circonda, sprigiona lo accento eroico del +cuore e vincerai ogni disperata ventura. — Fida in me. — La +morte mi fa già i suoi segni e può rendermi libero da un +istante all’altro. Allorchè i nostri soldati e la gioventù popolana +combatteranno sulle mura..... e i Sanniti ci aiutino..... +saremo salvi dalla sventura che ci soprasta. — +</p> + +<p> +— E gli Dei? — +</p> + +<p> +— Gli Dei — sgombere le tenebre del nembo ruinoso — gli +rivedrai impassibili sui loro stalli di marmo, innanzi le +lampade votive e tra i vortici del fumo delle pelli bruciate. — +</p> + +<p> +I due Flamini si divisero. Il più vecchio pareva avesse +sedato le agitazioni del cuore. — Il più giovane si avviò verso +la sua casa costernato e dolente. — Incontrò il popolo che +raumiliato dallo infortunio correva dall’un tempio nell’altro +per offerir voti e preci agli Iddii salvatori. E lo salutavano riverenti, +ponendo la mano destra alla bocca e baciandogli il +lembo della toga. Un solo sentimento tutti occupava — la processione +espiatrice. — Drappelli di giovanetti di ambedue i +sessi — <i>patrimi e matrimi</i>, perchè nati di sangue equestre +con padri e madri viventi — di forme bellissime, schierati in +ordine e coronati di fiori, cantavano inni sacri. E i magistrati +gli seguivano come lui avevano pur dianzi seguito. — Ma quella +turba la vedeva come fantasmi. Le realtà della vita — preoccupato +com’era — pareano lontane lontane dal suo corpo +angosciato. +</p> + +<p> +Egli abitava in una delle ultime case della via che ha la +fontana dalla testa di Mercurio nel mezzo. Quando udì dalle +mura una voce cui molte rispondono: +</p> + +<p> +— Soldati, all’armi!.... Ecco Silla colle legioni..... sangue +sannita e greco vi scorre nelle vene. Venere Fisica vi +protegga! — Difendete gli altari, le vostre donne, i vostri +figli..... l’onore del nome. — +</p> + +<p> +Ma le legioni romane non attaccavano la città. — La cavalleria +foraggiava nelle campagne vicine allo Anfiteatro e +<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span> +sollevava un nembo di polvere sotto le zampe dei cavalli. — E +un altro grido ben presto scoppia dai petti agitati: +</p> + +<p> +— È Cluvenzio, il generale dei Sanniti che giunge. — Marte +gli arrida. — Viva Vitelia, madre alla patria e ai suoi +difensori! — +</p> + +<p> +Silla si sentì insultato dallo ardir di Cluvenzio. E rapidamente +move innanzi al nemico. Questo riceve l’urto poderoso +e lo respinge con perdita. I Pompeiani escono dalla porta occidentale +e da quella di Sarnus. Il generale romano che aveva +rinculato verso il padule — ove tempo innanzi Cassinio rischiò +di essere sconfitto da Spartaco, — raccoglie i suoi e li +caccia alla riscossa. Il combattimento fu lungo e ostinato. Cluvenzio +dovette piegare e ritirarsi. E lo indomani, avendo ricevuto +un soccorso di Galli, profittava della lezione di audacia +offertagli da Silla e ritornava sul campo ove aveva lasciato i +suoi morti. Ma il suo competitore era tetragono in faccia al +destino. Lo accoglie, lo preme nei fianchi, lo mira vacillante, +lo siegue, lo raggiunge presso Nola, sfascia le sue ordinanze e +lo uccide. +</p> + +<p> +Felicemente per Pompei, Silla volea il consolato nell’Urbe. +Nè ebbe l’agio di soffermarsi per castigare i Pompeiani e +i loro torpidi numi. Lo ardente pensiero lo spingeva a Roma +per reprimervi la rivolta che vi aveva eccitato il tribuno P. +Sulpicio, alla istigazione di Mario, suo emulo. Laonde condusse +le sue legioni nel paese degli Irpini e nel Sannio, devastò Capua +e non vi lasciò gente viva che la necessaria per la cultura +delle terre. Spedì Publio Silla, suo nipote, a Pompei e lo +pose a capo delle tre coorti di veterani, come corpo di osservazione. +Ordinò che il municipio si convertisse in colonia militare — il +che impediva che la magistratura potesse trattare +alleanze politiche e private senza il permesso di Roma — ed +impose un tributo in uomini ed in pecunia. La colonia s’ebbe +due nomi: quello di <i>Veneria</i>, desunto dalla divinità protettrice +della città; e l’altro di <i>Cornelia</i>, ritolto dalla illustre +famiglia, cui egli apparteneva. I Pompeiani accettarono. — Non +vollero però concedere i diritti di cittadinanza ai soldati +a piedi e a cavallo che formavano le tre coorti. — Il nipote +inalberò. — Accaddero risse, turbolenze, disordini. — Publio +<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span> +venne richiamato; fu difeso da Cicerone. Quindi assoluto. — Ma +i coloni militari dovettero abitare fuori della città nella +parte occidentale. Si costruì per essi un sobborgo che ebbe nome +di <i>Pagus Felix</i> e li comandò il valoroso generale Ninnio +Mulo, di cui Silla aveva stima ben meritata. +</p> + +<p> +Cotesti avvenimenti erano giunti in buon punto per una +classe di sacerdoti, i meglio austeri nelle forme, i più destri +nel maneggio della cosa religiosa. Erano i ministri di un culto — e +più che di un culto — di una setta misteriosa sorta sulle +sponde del Nilo, da Orfeo trasportata in Eleusis e dai Greci +introdotta in Pompei. Esercitavano le cerimonie comuni e vi +aggiungevano pie frodi ed oracoli meditati dalla dottrina e +dalla prudenza, e maniere gravi e gentili che incutevano soggezione +e rispetto. +</p> + +<p> +Nel tempio — uno dei più completi e dei più ricchi che +fossero in Pompei — era una edicola isolata — non lungi dallo +altare dei sacrifizi — coperta al di fuori di eleganti bassirilievi +di stucco, rappresentanti Marte e Venere, Mercurio e una +ninfa, delfini, genii ed amori con sacerdotesse e donne che +pregano. Al di dentro era la scala per cui si scendeva in una +cripta, ove gl’iniziati ai misteri — pria di subire le loro prove +fisiche e morali — toglievano il bagno di purificazione. Dietro +il santuario stava la grande sala alla quale cinque porte ad +arco concedeano lo accesso. Colà penetravano i soli iniziati +che accomunavano le loro preci, le loro esortazioni, i loro canti +e le loro processioni solenni. Pitture squisite ne decoravano +le pareti. E tutte eran simboli di cose strane ed ignote. +</p> + +<p> +Sopra il santuario — sollevato dal suolo e disposto nel +fondo del peribolo, circuito da un portico di colonne doriche — posava +la statua della iddia, di bianco marmo, dagli occhi, +dalle ciglia e dai capelli rossi, dal peplo indorato; il cui +corpo ignudo era coperto da un velo finissimo — collantesi +sulle membra — e di una leggera tinta di porpora. Nella mano +dritta stringeva un sistro di bronzo, e coll’altra, distesa lungo +la coscia, tenea la chiave regolatrice delle inondazioni del Nilo, +simbolo dell’abbondanza e della fertilità. +</p> + +<p> +Quella Iddia avea nome Iside — cioè — chi fu, chi è, chi +sarà. Nessun mortale osò levare il velo che copria le sue forme. — Il +<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span> +solo Apuleio nè parlò a modo di enimma quando +scrisse: — «Mi accostai ai limiti della morte. Calpestando +co’ piedi la soglia di Proserpina, ritornai a traverso ogni +elemento. Nel mezzo della notte parvemi che il sole splendesse +di viva luce. E mi trovai in presenza degli Dei supremi +ed infimi e gli adorai da presso.» — Sembra che i misteri +isiaci fossero di tre gradi — la purificazione allo ingresso della +tomba — il giudizio dei morti e la dottrina di una vita futura — la +contemplazione del lume eterno nell’essenziale e +nell’universale. — Gl’iniziati subivano quattro piccole prove +e tre grandi. Il sublime segreto doveva essere la virtù e la +saggezza che colla ipocrisia seduceva i profani, col volgo ingannato +domava la forza brutale e tendeva al dominio della +terra colla redenzione dello spirito umano. +</p> + +<p> +L’oracolo della Iddia aveva tardato a rispondere. Finalmente +aveva detto: +</p> + +<p> +— «Il popolo compirà la sua missione di giustizia e di +carità. E la città sarà salva. Si presti fede alle mie parole.» — +</p> + +<p> +Lo aspetto dei sacerdoti non avea nulla di timido e d’incerto. +I loro occhi neri, brillanti sopra i candidi lini che li coprivano +maestosamente, ispiravano una tranquillità profonda +che afferrava la coscienza degli accorsi in folla nel tempio. E +quando giunse il nuncio che il paese era salvo e le bocche entusiaste +lo ripeterono in ogni canto, i doni alla egizia deità +furono ricchi e copiosi. E il credito dei suoi sacerdoti crebbe +a cento doppi. +</p> + +<p> +Dissipate le paure, il popolo — semi-osco, semi-etrusco, +semi-greco, semi-latino, tutto meridionale — si diè alla più +grande allegrezza. E i Luperchi — i Flamini del dio Pane — una +gliene prestarono delle più bizzarre e delle più originali. +</p> + +<p> +Sui clivi del Vesvius erano caverne grigiastre, di cui le +antiche eruzioni di lava — che non eran più nella memoria +degli uomini — avevano formato le volte ruvide e spugnose. +Quivi essi abitavano. Erano sozzi, selvaggi, brutali, inintelligenti, +e vivevano ignudi in ogni stagione, ed erano in venerazione +presso i campagnuoli, perchè nunciavano i cangiamenti +della temperatura, guarivano gli animali e predicevano +<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span> +i buoni ricolti e i rovesci di pioggia. I villici — omai salvi +dalle scorrerie degli amici e degli inimici — corsero ad +essi e li trovarono russanti nei loro spechi sul fieno. Entrarono +in un rustico tempio formato da quattro alberi forcuti e +coperto da una tettoia di radiche nere di lupini. Il loro dio +Pane era una mostruosità fatta di legno coll’accetta. Gl’immolarono +una capra ed un cane. Si tinsero del loro sangue caldo +la fronte. Si unsero il sudicio corpo col grasso delle due bestie. +Ne cucinarono sui tizzoni le carni e ne mangiarono a +furia con feroci smorfie di gioia. — Terminato il sacrificio +espiatorio, tagliarono le pelli ancor sanguinose e di alcuni +pezzi si cinsero i fianchi e di alcuni brandelli fecero fruste per +allontanare i curiosi sul loro passaggio. Così corsero a slascio +pei campi e nelle vicinanze di Pompei. Urlavano inni in una +lingua ignota e frustavano, correndo, quanti incontravano. Le +donne particolarmente si facevano loro innanzi per aver parte +di quella flagellazione; avvegnachè in quei tempi credessero +come la staffilata di un Luperco avesse la virtù di cangiare +in prolifica una donna sterile. Siccome ai nostri tempi pur +credono la stessa virtù nel cordone che cinge i lombi non casti +di un frataccio da zoccoli e da cappuccio. — Più d’uno +però che si permise una brutta distrazione, vacillante e vagellante, +se ne andò anzi tempo <i>ad canes</i>. — I devoti ch’esercitarono +quella pratica liturgica sui crani e sulle costole di +quei bipedi senza ragione, scavarono una fossa sotto un albero +da frutto e gli fecero utili mal loro grado. +</p> + +<p> +In quel giorno di abbandonata gioia non si guardava sottilmente +alle cose. Ognuno occupavasi a suo modo delle proprie +devozioni. — E nel vero, eravi di che. I preti — oltre i parecchi +fani, fatti erigere sontuosamente dai decurioni col denaro del +popolo — oltre i <i>Dii patellarii</i>, ch’erano i Lari delle case, adorati +alle calende, agl’idi, alle none, nei dì di festa ed anche ogni +giorno — avevano ispirato le genti bietolone — che formano la +maggioranza nell’umanità — ad erigere altari agli Dei pubblici, +agli Dei ignoti — pel comodo della plebe, pei bisogni degli +stranieri — sulle crocivie. — Gli è perciò che furono chiamati +Lari Compitali da <i>compita</i>, crocicchi. — Cosa fatta capo +ha. — Napoli, Palermo, e le città minori dell’ostro avevano +<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span> +pure in questi giorni i loro Compitali sur ogni strada, sotto +la forma di donne o di uomini lividi e sanguinosi. I loro padri +abbatterono furiosamente la idolatria e fecero calce delle +statue di Giove e di Marte; e con quelle di Venere e di Mercurio +fusero campane. I loro figli ristabilirono l’antica fede. +Ma, avendo perduto la nozione del bello, adorarono le mostruosità, +e, non ha molto, accendevano i lumi ed appendevano +gingilli d’oro e di argento su quanto di più brutto ed +osceno veniva fuori dallo scalpello di un Lupercale. +</p> + +<p> +Consultato il divo Apollo sui sacrifizi da offerirsi ai Lari +Compitali, il feroce prete — che trovossi alla instituzione di +quel culto — rispose per lui — <i>caput pro capite</i>. — Allora +Tarquinio pose sui piccoli altari capi mozzi di miseri bambini. +Giunio Bruto, dopo la cacciata di quel tiranno, tradusse meglio +l’oracolo ed offerì teste di aglio e di papaveri. Più tardi +gli fecero lieti dei primi fiori delle stagioni. — In Pompei eravene +uno presso la fontana del Lupo, più in su della bottega +del lattaio, che ha per insegna una capra di terra cotta. Era +dedicato al padre dell’Olimpo. Gli altri Lari — protettori +dei quatrivi e delle strade — si dicevano figliuoli a Mercurio +e prodotti dalla ninfa Lara. E i loro altari — oltre allo aver +banchi di riposo pei viandanti — servivano altresì di asilo ai +rei perseguitati. Laonde Plauto narra nella Mostellaria come +Tranione temendo di ricevere da Teuropide i colpi che aveva +sì ben meritati, si assise sul Compitale dinanzi la casa di lui. +E Properzio canta <i>Triviae lumina ferre Deae</i>, di Cinzia che +correva a portar lampade sugli altari di Diana Trivia. +</p> + +<p> +Il selciato aveva perduto le sue tristezze. — Nell’odissea +di quel giorno faceva le parti dell’Oceano. — Salti, gridi, rumori +per tutto. Ogni <i>impedimenta</i> diveniva tribuna. Ogni +Compitale, teatro. E gridavano: +</p> + +<p> +— Trionfo, trionfo! Marte e Venere Fisica ci salvarono! +Giano aprì la porta dell’Olimpo e fece escirne gli Dei soccorritori. +O Lari, accordateci pace e protezione. Onore ad Iside +e ai suoi sacerdoti. Trionfo e gloria agli Dei immortali! — +</p> + +<p> +E lungo le vie, e nelle <i>pistrinae</i>, e nelle <i>popinae</i> — dovunque +era scolpito, od in terra cotta, il simbolo del Dio degli +orti — le facili e proterve fanciulle intessevano corone di +<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span> +rose e di frutti e le inchiodavano come cornice intorno a quel +segno della forza muscolare, dell’abbondanza, della ricchezza +della natura. Ed un uomo opulento, — M. Epidio Prisco, poco +più innanzi della fontana di Venere, gli sacrificò un asinello, +le cui carni servirono la sera al banchettare gioioso degli +schiavi in una taverna. +</p> + +<p> +Intanto l’angiolo delle ore estreme, raccolte le sue ali +sanguigne, correva con passi frettolosi sul campo della offesa +e della difesa. Alle grida della battaglia erano succeduti flebili +lamenti — appello lontano ai loro cari di quei feriti che la +Morte pietosa baciava sulla bocca per soffocarvi il dolore. — La +terra era spogliata di ogni suo riso. Il sole cadeva. L’ombra +uniforme spargevasi su tutto. — Membra mozze — carni +stracciate — sangue aggrumito e nero. — E sopra la faccia +della penisola, il pensiero degli Italioti — oltraggiato, ma non +defunto — attendendo per secoli l’ora della grande vittoria. +</p> + +<p> +Epidio Rufo Italico — il figliuolo di Prisco — fu trasportato +nella casa paterna — quella dal lungo podio sporgente, +sormontato da una ringhiera di ferro che dalle estremità menava +alla porta mercè le due gradinate a rivolta. Acte gittò +un grido e semispenta lo strinse al suo cuore. Egli premè convulso +gli occhi e le pallide guance di quell’afflitta, girò lo +sguardo intorno alla camera piena di memorie, di tenerezze e +di singhiozzi, ov’erano il padre, la sposa, la felicità dei suoi +giovani anni. E stringendo colla mano il petto piagato, prosciolse +le membra. — Aveva dato lo eterno vale al padre in +lagrime, alla sposa svenuta, alla felicità morta! +</p> + +<div class="chapter"> +<p> +<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span> +</p> + +<h2 id="cap2">LA CAMPAGNA. +<span class="smaller">SCENE DELLA VITA RUSTICA.</span></h2> + +<p class="center"> +<b>Anni di Roma 695 — Anni avanti il Cristo 59.</b> +</p> + +<p class="center pad2"> +A GIUSEPPE GARIBALDI. +</p> + +<p class="center"> +II. +</p> +</div> + +<div class="chapter"> +<p> +<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span> +</p> +</div> + +<p> +Re Gige reputavasi lo avventurato tra i mortali — Per +meglio assicurare la sua fede, interrogò l’oracolo di Delfo. Nè +dubitava di una lieta risposta. +</p> + +<p> +— Di’ il nome del più felice fra gli uomini. — +</p> + +<p> +— Due nomi; non uno — Fedio ed Aglao. — +</p> + +<p> +Piccato nel vivo, mandò attorno i suoi consiglieri. Spedì +messaggi per ogni dove, affine di rintracciare quegli ignoti individui +che nel paese nessuno conoscea nè di persona, nè di +nomèa. Dopo molte ricerche il re venne a sapere, che Fedio +era morto, difendendo dai prepotenti il sacro suolo della sua +patria; e che Aglao ancor viveva in Arcadia, coltivando colle +sue mani un povero campicello, lasciatogli dai suoi padri. +</p> + +<p> +L’oracolo volle significare a quel re, la felicità non essere +chiusa nei forzieri d’oro, nella corona gemmata, nelle +braccia di una donna amica e nel numero grande degli adulatori +alla fortuna, — sibbene, nello esercizio dei doveri di un +cittadino, quali sono precipuamente, servire il proprio paese +e coltivare il suo campo. +</p> + +<p> +Se in Roma fosse il culto del vero Iddio, e si compiacesse +rispondere oracoli, ed un re gli chiedesse il nome del più felice +tra tutti gli umani, risponderebbe: +</p> + +<p> +— Giuseppe Garibaldi! — +</p> + +<p> +Ebbene! — I nostri avi gloriosi vivevano la sua vita in +Caprera. Compiuto lo ufficio di consolo, di senatore, di duumviro, +di decurione, di pretore, di edile, di questore, di tribuno +di soldati, correvano ai piaceri della vita campestre; circondati +<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span> +da uomini laboriosi e contenti, vedeano coronate le +modeste fatiche da una ricompensa sicura; godevano la tranquillità +e la pace in seno di una famiglia felice; sfatavano le +brighe che traggono seco notti affannose; studiavano ad un +tempo la natura e le arti; e terminavano la loro carriera, o +nel bacio degli affettuosi figliuoli, o cogli occhi irradiati dalla +vittoria sul campo di battaglia della repubblica. +</p> + +<p> +Due uomini montarono a cavallo — salendo sur un sasso +elevato sull’orlo della via, come di aiuto — allo escire della +porta di Herculanum, in Pompei. L’uno era giovane e +l’altro nella piena maturità. — E siccome il cielo annuvolato +minacciava la pioggia, eransi avvolti in una veste di pelle +detta <i>scortea</i> e sul capo avevano il <i>petasus</i>, berretto a larghe +ali. — Di qua e di là della via erano vigne, olivi, pioppi, ciliegi, +mandorli e fichi. Lo aspetto di una ricca cultura e del +fertilissimo territorio offeriva uno spettacolo maraviglioso. +</p> + +<p> +— Sì. — Ho deciso. — Quei coloni non mi vanno. Gli è +vero che tutto è a loro rischio e pericolo. Ma per fornirmi delle +legna convenute, mi tagliano il bosco che io stesso piantai. I +primi frutti raramente li portano in casa. E i denari del fitto +a centellini. — Il lustro scade. Siamo presso alle calende di +marzo. E ritoglierò la terra per conto proprio. +</p> + +<p> +— Credo, anche lo agente che tu mandavi sul luogo per +raccogliere le parti di frutti convenute, ti fosse mal fido. — Gli +è che ognun tira l’acqua al suo prato. — +</p> + +<p> +Ben dici. — Ma gli schiavi — razza incurante e onerosa — che +colà impiegherò, converrà sorvegliarli. Al mio vicino +lasciarono deperire il gregge; e i buoi e le vacche ed i muli +li affittavano a chi loro li chiedeva. Per abito, quei pigri coltivano +male, lasciano rubare le uve, o le rubano per sè. +E sul registro segnano minori quantità di grano raccolto e più +semenza di quella impiegata. — Come regolare la cosa? Di +uso se ne seminano da quattro a cinque <i>modii</i> per jugero, +secondo la bontà del terreno. E il ricolto è diverso se si semina +in autunno o all’appressare del verno; se in un tempo +umido, od in tempo secco; e secondo la pioggia abbondante o +la neve. +</p> + +<p> +— Le visite le faremo frequenti — <i>Frons occipitio prior +<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span> +est</i>. — È proverbio trito. L’occhio dello schiavo non può valer +quello del padrone. — E perciò leggeva l’altro dì nel trattato +di Agricoltura di Magone, il cartaginese: <i>Qui agrum parabit +domum vendat</i>. — +</p> + +<p> +— <i>Est modus in rebus.</i> — Senza abbandonare la città, +e i propri uffici pur doverosi, e la educazione dei figliuoli, si +può allontanare il grappolo guasto dal sano e non permettere +che la incuria — a conti fatti — costi più della debita oculatezza. +Imperocchè, siavi un adagio non meno vero dello accennato +poc’anzi, il quale dice: <i>Laboriosior est negligentia +quam diligentia</i>. — +</p> + +<p> +I cavalli si posero al trotto. — Un aquazzone irruento +per pochi istanti calmò ben presto la nuvola di polvere che le +zampe ferrate agitavano. Rimessisi al passo, il più anziano +proseguì: +</p> + +<p> +— Dio Pluvio, invece di offenderci, ci giovò. Ed è tutto +un beneficio di lui su queste terre, composte di pomici infrante +e di ceneri, vomitate in tempi remotissimi dal vecchio +Vesvius. — In continovo accordo col dio di Delo, noi abbiamo +fertili e prosperosi i campi di ogni bene e di ogni delizia....... +Non credere già, o mio Lucio, ch’io voglia condannarmi, o +condannarti a viaggi troppo frequenti ai raggi della canicola. +Farò la scelta di un onesto <i>villicus</i> che il buon vecchio Coecilio +Casella mi proporrà; e cotesto schiavo dirigerà in capo, +sotto i miei consigli ed i tuoi, i rustici lavori. Mi ha pur promesso +un valente <i>promus</i> per la fattura dei vini. Quelli avuti +sinora sono dolciumi che guastano lo stomaco. — Voglio del +buon falerno che a dieci e a quindici anni consoli. — E del +surrentino, adatto ai convalescenti. — E di quello di Cales, +leggero e profumato. — Ed il cecubo secco, generoso e confortante. +E quello eccellente di Setin, il quale possiede le più +notevoli qualità digestive. +</p> + +<p> +— Ve’, padre, la bella casa che sorge ridente sul pendìo +del colle — Non parmi vi sieno colonne, nè portici. — Oh! +Una sola statua. +</p> + +<p> +— Sì, figliuolo mio. Una sola — quella della Libertà, +dallo sguardo aperto, dalle braccia robuste, dalla prestanza +di tutte le forme. — La situazione che tu ammirasti attira +<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span> +l’attenzione; e la vastità dei campi allo intorno annuncia la +ricchezza di chi li possiede; e l’un delubro rivela i nobili pensieri +del cittadino che presso dimora. — È Casella il suo nome, +il vecchio amico che tu non conosci, perchè non abita più la +città. Egli fu <i>Meddixtutticus</i>, il primo dei magistrati municipali +quand’io era pur giovanetto. Era stato <i>suffectus</i>, succedaneo +al comandante gli eserciti ai tempi che furono. Quindi +egli stesso ordinò le battaglie a difesa ed a gloria del nome +sannita. Ha l’animo austero che conservò la impronta dei +tempi. +</p> + +<p> +— Comprendo io bene un vecchio generale che si toglie +dallo sguardo del popolo di altra età e che pure è costretto a +rispettare; che si sottrae dalla folla dei clienti importuni; e +coltivi nel suo pacifico ritiro; e si circondi di una numerosa +famiglia di schiavi — ricordo vivo del potere già esercitato. — Ma +il repubblicano del mattino sarà il Tarquinio della sera +su quanti lo attorniano. +</p> + +<p> +— Poichè siamo presso il viale che ver lui mena, andiamo. +Voglio, senza risponderti, che tu lo conosca e lo giudichi. — +</p> + +<p> +Una strada ascendente, attelata da pioppi italici e da una +siepe di albospino, aprivasi da un cancello di legno, presso il +quale da un lato era una camera per l’<i>ostiarius</i> e dall’altro +un simile fabbricato in <i>opus recticulatum</i> — ossia muratura +a scacchi di tufo, riquadrata negli angoli da mattoni sopraposti — che +aveva la iscrizione a grossi caratteri rossi +</p> + +<p class="center"> +CAVE CANEM +</p> + +<p> +e sotto, la stia, dove abitava lo incatenato ed abbaiante molosso. +</p> + +<p> +Per essa i due si avviarono al galoppo. — Giunti presso +il simulacro della Iddia colà venerata, smontarono ed il maturo +diè ordine allo schiavo accorso di menare i cavalli nella +stalla, mentr’essi sarebbero iti a sorprendere il suo padrone. +</p> + +<p> +Nelle diverse aiuole piene dei fiori della stagione erano +viole, mandorli a fior doppio, rose di Preneste e giacinti. Più +oltre era un largo bacino, circondato da zolle erbose e pieno +di acque limpidissime, incanalate da una sorgente lontana. +Dai verzieri coronati di bosso si andava verso il bosco e si +scendea nell’orto. — Colaggiù, curvato dagli anni e dalla specie +<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span> +di lavoro che allor lo occupava, era Coecilio Casella, presso +il quale i due sopraggiunti movevano. Al rumore dei passi +sulle sabbie crepitanti, il vecchio levossi; e riconosciuto lo +amico, corsegli incontro e abbracciollo. +</p> + +<p> +— O mio Vestorio Tucca, salve — <i>Si tu vales, et ego valeo.</i> — Raccoglieva +baccelli pel mio desinare. +</p> + +<p> +— <i>Gratulor tibi prius. Deinde ad me convertar.</i> — Questi +che mi accompagna è Lucio, il figliuol mio, il quale arde +del desio di conoscerti. — +</p> + +<p> +Quel canuto baciò sulla gota il giovanetto; e, presolo per +la mano, lo invitò col padre a sedere sur un banco di pietra. +</p> + +<p> +— Voi camminaste. — Io fatigai. — Ognuno acquistò il +diritto di riposarsi..... quantunque per la mia età quel diritto +io il tema invece di bramarlo. — Questi alberi che ci adombrano +colle foglie nascenti, io gli piantai e gl’innestai di mia +mano. — Vedi giù, davanti la <i>fructuaria</i>, dov’è quella fabbrica +disposta intorno ad una corte? I miei giovani schiavi +fanno buche presso gli alberi di olivo per seppellirvi ritagli +di pelli, piedi e corna di animali — possente concime che si +forma e mette tre anni a consumarsi. Ebbene! Essi raddoppiano +di zelo allo aspetto di me vecchio, che divido i loro sudori +e le loro cure. — Qui, nè tiranno, nè schiavi. Laonde +lo stato di quei miseri più sopportabile. +</p> + +<p> +— Ah! tu sei sempre degno d’impero, perchè sapesti +servire! +</p> + +<p> +— Il tuo figliuolo osserva, con vagante e smanioso sguardo, +le varie culture della mia villa. — Giacchè il sole ci volge +i suoi tepidi raggi, permetti che a lui — non indifferente — mostri +le occupazioni mie e dei miei servi, ed i risultati che +ne otteniamo. +</p> + +<p> +— Grazie, o mio, della somma bontà che ti muove. — Ho +molto caro che Lucio apprenda da tanto esempio — non +la cultura dei campi soltanto — sibbene la virtù del tuo carattere +antico. +</p> + +<p> +— Qui sopra, o amici, è un colle, bene esposto all’oriente, +ove cresce un vigneto delle specie migliori. — Non tutte erano +nostrane. — Ora sì, mercè le mie cure. — Andiamo a vederle. — Sbottonano +già. — +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span> +</p> + +<p> +E lo adusto vecchio, appoggiandosi al braccio di Lucio, +seguitò: +</p> + +<p> +— La vite annosa si piace appoggiarsi su giovane olmo. — E +anch’io così. — Però, ti prego, non affrettare i tuoi +passi, com’io non allenterò i miei. Cercheremo riescirci gradevoli, +quantunque Lucina non assistesse lo stesso giorno al +parto delle nostre madri. — Faremo bugiardo il proverbio che +dice: <i>Pares cum paribus facillime congregantur</i>. +</p> + +<p> +Mira! Cotesta strada larga che noi ascendiamo appellasi +<i>cardinal</i> con parola etrusca, perchè taglia il terreno dall’ostro +al settentrione, verso i poli del mondo. Le vie traversali si +chiamano <i>decumanus</i>. — E sono sì larghe, perchè i carri non +abbiano difficile il passo in tempo della vendemmia. — Laonde, +lo aspetto intero di una vigna si presenta distribuito in regolari +quadrati, detti <i>hortus</i>, cioè giardino. — Ciascun gode di +una divisione siffatta — il padrone che sa le piante egualmente +esposte al sole ed al vento e con facilità può sorvegliarle — ed +i servi, che veggono ad ogni colpo di vanga accelerarsi +il termine del proprio còmpito. — Ogni <i>hortus</i> contiene +cento cinquanta viti ed è largo un mezzo jugero quadrato. +Le propagini si attelano in <i>quincunx</i> e traversalmente alla +ascensione del terreno, a fine di mantenere le terre ed impedire +alle pioggie ruinose di cacciarle tutte nel piano. Alcuni +fanno crescere la vigna sui pioppi come nella Campania; altri +sulle canne come in Arpinum; altri su pali tenuti insieme +da corde di crine, come in Brundusium; altri sugli olmi +come nella Emilia; altri su brevi pali, come presso i Maruccini +e i Peligni; altri aggioga i tralci tra un albero e +un altro, come presso i Piceni e i Galli-Cisalpini; altri la +lascia sdraiata per terra, come nell’isola Pandataria, ma di +tal modo mangiano il suo frutto le volpi, i ratti e i coltivatori +assai più che il padrone. — Io, come vedi, uso la +forca, che è quel palo fisso nella terra perpendicolarmente, +su cui posano in traverso altre pertiche che la vite abbraccia +coi suoi viticchi. Così godo di due vantaggi in una volta — il +terreno caldo e secco è riparato dai raggi ardenti del +sole — ed i grappoli maturano meglio e fruiscono di una +ventilazione salubre. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span> +</p> + +<p> +Gli Etruschi tagliavano la vigna nel marzo. E gli Osci, +padri nostri, l’appresero a fare nel dominio dei primi. I Latini +la lasciavano libera e ne ottenevano un liquor fermentato +che inacidiva ben presto. Re Numa, per costringere il suo popolo +a praticare il buon sistema, dichiarò in una legge come +ogni libazione fatta con vino prodotto da vite non potata +fosse orribile sacrilegio. — Agl’idi di maggio io faccio spampinare +poco innanzi la fioritura. E rinnovo la operazione — qui +che fa caldo — quando il grappolo è formato. E i miei +servi vangano e concimano il vigneto due volte l’anno al levarsi +delle Pleiadi — quando tolgono i primi pampini e rimboccano +il ceppo con letame paglioso e un po’ di sale — e allora +che i racemi imbiondano e anneriscono. +</p> + +<p> +— Una volta, o Casella, due curiose specie di uva, che +la industria ti aveva additato, qui mi mostrasti. — Ne mangiai +e ne ho lieto ricordo. — Sii cortese nel farne motto al mio +Lucio, che è tutt’orecchi per ascoltarti. +</p> + +<p> +— Tutto l’<i>hortus</i> superiore, ch’è di prospetto, è composto +di tali viti che danno il buon da mangiare. — Ecco come +io mi vi adoperai. Presi quattro ramicelli di diverse specie, +delle qualità migliori. Li ligai forte e li cacciai in un tubo di +terra cotta, lasciando due soli bottoni fuori. Quindi, in una +fossa, ricoperta di letame. — Corsi due o tre anni, quando +mi avvidi che i ramicelli eransi collimati insieme e formavano +un solo stelo, ruppi il tubo in cui era chiuso, lo piantai nella +terra ed i grappoli che ne colsi a suo tempo offerirono chicchi +di sapore e di colore svariato. +</p> + +<p> +Operai anche nel modo seguente. — Spaccai una margotta +nel mezzo in tutta la sua lunghezza. Ne trassi il midollo. — Collimate +le due parti, le legai strette senza offenderne i getti. +La piantai nella terra letaminata e l’annaffiai spesso. Ed il +frutto che ne mangiai non produsse mai acini. +</p> + +<p> +Coteste operazioni sono divertimenti, o Lucio, e non entrano +nell’ordine della cultura. La specie buona s’innesta — ecco +il modo di propagarla, e trarne pro. Ora ti nominerò le +migliori qualità ch’io posseggo. +</p> + +<p> +L’<i>amminea</i>, i cui grani sono coperti di fine lanugine. È +della stessa specie la <i>gemina</i>, perchè i grappoli fioriscono a +<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span> +due a due. — La vite di Nomentum è molto feconda. Ve n’ha +di due sorta. Una la chiamano <i>rubelliana</i>, perchè il suo legno +è rossastro dentro. E l’altra <i>feciniana</i>, perchè il suo vino +dà sedimento copioso. Ho una moscatella; che pur dicono uva +<i>apia</i>, perchè ricerca con amore da quegl’insetti che ce la rendono +nel verno col loro mele odoroso. Un’altra uva dicesi +<i>uncialis</i> dal peso dei suoi grossi chicchi. Nel recinto che qui +vedete ne coltivo più di ottanta specie svariate, che riunite +nel tino danno squisitissime qualità di vino. — Che più? Nominartene +una per una fa lungo il discorso ed inutile. Sarebbe +lo stesso dirti il nome di ciascun granello di sabbia agiti Favonio. +Ti basti che ne ho di Chio, di Thasos, di Spagna, della +Rhezia, di Sicilia e del paese degli Allobrogi. — Ora, ridammi +il braccio e scendiamo a vedere l’oliveto. — +</p> + +<p> +Lucio era incantato della semplicità di quel vecchio illustre +e della bonarietà che spiravano le sue parole. — Si sentiva +superbo di essergli al fianco e pensava quanti in Pompei +gl’invidierebbero una tanta fortuna. +</p> + +<p> +— Tu, o Vestorio, avrai detto al tuo figlio come quegli +alberi cui ci avviciniamo ed ai quali i Greci attribuirono una +origine celeste, fossero stati qui da essi portati. — In Italia +non v’erano. Anzi, nell’anno di Roma 505, una libra di olio +valeva dodici assi. Ed oggi ce ne danno dieci per un asse. — V’è +chi ha scritto, vi è pur chi dice che quelli che piantano +ulivi non ne veggano il frutto. — Errore! — Ecco, siam +giunti. — Vedete i grossi alberi! E tutti da me piantati. — Antestio, +gli ulivi che piantammo gli ultimi, da quanti anni +messi sotterra? — +</p> + +<p> +— Mio buon padrone, nell’anno del tremuoto........ ed in +cui partorì la mia figliuola. Giunti al quarto mese della germinazione, +sono cinque anni. — +</p> + +<p> +— Vedete, amici, sono cinque anni, e già compensano +le nostre sollecitudini! — Antestio, togli un ramicello delle +tre qualità migliori commestibili. — Vo’ che le osserviate da +presso..... Questa dalla foglia larga ed argentea al di sotto +viene di Spagna e perciò ai suoi grossi frutti diamo il nome +di <i>orchites</i>. — Dapprima li ponghiamo in un bagno caustico, +composto di acqua stillata dalla calce e dalla cenere. Tratto +<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span> +tratto si esaminano tagliandone la polpa col coltello. Appena +si scorge il punto che il ranno è arrivato a mordere, le olive +si tolgono e si lavano con acqua pura. Indi si tornano a maturare +nella salamoia, formando sopra uno strato di steli e di +fiori spezzati di finocchio salvatico. — Queste dalle bacche più +larghe le chiamiamo <i>pausiane</i>; esse pure formano la delizia +della nostra tavola nello inverno. L’ultimo ramicello appartiene +ad Emerita, terra della Lusitania. I suoi frutti sono +grossi e polputi. — Non abbisognano di salamoia. Basta esporli +durante le fredde notti del decembre e del gennaio all’aquilone +e divengono dopo una decade dolci come uve passe. — +</p> + +<p> +Poi, voltosi al monte, riprese: +</p> + +<p> +— Vesvius — creatore di questa deliziosa contrada e che +talvolta, quasi schiacciasse col suo peso i Titani, freme e traballa — oltre +le pomici, la pozzolana e quelle spugne rossastre +di cui ci serviamo per fabbricare muri leggieri e soffitte, +pare ci abbia pur dato una pietra dura quanto il granito. Me +ne servii per molti lavori qui. — Or, sopra i crepacci della +roccia eransi piantati di per sè alcuni caprifichi salvatichi, i +quali portavano le loro frutta con maturità anticipata. Allora +io piantai dinanzi fichi di qualità migliori. +</p> + +<p> +Perdona, o giovanetto, la parlantina di un vecchio che +la vanità ha sorpreso sul declinare della vita. I miei coetanei +sono lodatori di antiche cose. — Nè io son libero di quel difetto, +se difetto è. — Ma lodo pure le nuove, perchè sono presso +la natura che si rinnuova pur sempre. — Là a diritta ho una +piantagione di peri. Mi danno frutta squisite. Ho la <i>decimia</i> — la +<i>dolabella</i>, che ha lungo il picciuolo — la <i>laurina</i>, il cui +aroma somiglia a quello della corona degli eroi — la <i>nardina</i>, +che ha l’odore del nardo — la <i>superba</i>, che chiamasi così +per antifrasi, essendo la più piccina della specie — la <i>libralia</i>, +che vien colta dopo i primi geli — la <i>veneria</i>, dedicata alla +Iddia che a me sorrise e a te sorride benevola, detta così per +la forma elegante e pei suoi vivaci colori. — I cotogni che +miri in fondo, dai rami ricurvi dal peso che l’anno scorso +patirono per la quantità dei suoi frutti pesanti, gli ho piantati +per adornare gli altari dei domestici Iddii e per la loro fragranza. — Là, +a sinistra, su quel terreno più fresco e più pingue, +<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span> +sono alberi di mele che sbocciano già le loro tenere foglie. +Ve’ la primaticcia, che apre la fila. Poi la <i>sceptia</i>, che +devesi ad un mio liberto. — Le più ricercate sono le <i>appiolae</i> — le +<i>claudiae</i> — le <i>manliae</i> — le <i>gestiae</i> — tutte coi nomi +di quei che le fecero primi conoscere. — Furono uomini egregi +del vecchio Lazio e del Sannio; i quali, dopo avere condotto +i soldati della repubblica sul sentiero della gloria immortale, +tornarono come me alla onesta quiete dei campi d’ond’erano +partiti. — Nessun piange o muore per queste loro conquiste. — Esse +sono tutte ed a tutti benefiche. — E la pubblica riconoscenza +gli nomina e gli nominerà quantunque volte gli uomini +ricorderanno i loro frutti squisiti, fintanto che i padri +trasmetteranno ai figli le due nobili lingue della libertà e della +civiltà. — +</p> + +<p> +Il vecchio Casella, di curvo che era, sollevò baldo il suo +capo canuto, e due cicatrici mostrò sulla fronte e sul collo. — Il +giovane fu commosso da quello aspetto dopo quelle parole +e strinse la mano al padre suo. Tre diverse fasi di sole erano +in presenza — l’alba — il mezzodì — ed il tramonto. Ma +tutte si coloravano di una tinta splendida ed ardente. — Lucio, +dominato dalla fiera inspirazione dell’onore e della gloria, +era grande, magro e un po’ stretto di spalle. Bruno e dai +capelli naturalmente arricciati, aveva un fuoco negli occhi +che rivelava gli entusiasmi del cuore. — Vestorio; di media +statura e tarchiato e forte, aveva seguito la carriera delle +armi ed era poeta come un valente uomo dev’essere; imperocchè +il medesimo slancio solleva di terra — per trasportarle +con ala possente verso un nume misterioso ed ignoto — la +mente coraggiosa e la mente inspirata. Nei tempi di pace +adempiva alla pubblica funzione di questore, che la elezione +del popolo gli aveva dato. — Coecilio era un uomo di una +forte razza, di cui non abbiamo che un solo modello ai dì nostri. +Nè grande, nè piccolo di persona. Grave negli atti e +nelle parole. Pari sempre alle varie venture della vita. E tutto +lo aspetto raggiante di un velato e mesto sorriso che nessun +pericolo, per tremendo che fosse, avrebbe avuto la forza di +spogliarne il suo labbro. — La emozione di quei tre era come +lo ardore profondo di un sentimento che appena facevasi sospettare +<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span> +al di fuori — Il vecchio fu il primo a parlare e disse, +rivolto agli amici: +</p> + +<p> +— Visitammo abbastanza i piedi degli alberi, i miei sono +stanchi. — Forse i vostri, no. — Pure, per tutti stimo conveniente +il riposo. — +</p> + +<p> +Gli altri assentirono con un cenno del capo. Ed avviandosi +verso l’abitazione, traversarono la parte ove si coltivavano +i legumi. +</p> + +<p> +— Qui sono le piante nominali di famiglie illustri e che +sempre più ci richiamano alla memoria la origine d’onde venimmo. +I Pisoni derivarono da un coltivatore di piselli. — I +Lentuli, di lenticchie. — I Fabi, di fave. — La cura dell’orto +fu cura di uomini sommi che le istorie ricordano. — Qui, di +fuori, non sono che gli asparagi che riportai di Ravenna. — Ah! +pur vo’ mostrarti il luogo d’onde io traggo gli aromi. — Costì +sono seminati il <i>libisticus</i>, che tien luogo della mirra — il +<i>cominus</i>, la cui semente fragrante piace tanto ai colombi — la +<i>nepitella</i>, il cui sapore mordente condisce le vivande. — Ma, +andiamo a rifocillare lo stomaco, che ne ha bisogno. — +</p> + +<p> +Il triclinio di quell’uomo virtuoso era semplice come la +sua persona. — La camera bianca di calce. Tre larghe finestre +vi facevano penetrare il dolce tepore della stagione. Il sole +era raggiante. La natura tutta chiusa in un suo pensiero di +amore. — Dopo aversi lavato le mani e propinato agli Dei domestici +della patria, si assisero attorno al desco, su cui fumava +un pezzo di montone arrosto. Pane saporito, latte, mele, frutta +ed erbaggi. — Il vino era mesciuto in coppe di terra di Nola, +ornate di belle pitture. — Gli uccelli cantavano i loro inni sugli +alberi vicini. +</p> + +<p> +Dopo una seconda abluzione si levarono dal desco. Ed andarono +verso una stanza, ove trovarono il <i>librarius</i>, lo schiavo +che tenea conto dei papiri e trascriveva quelli che Casella facea +venir di Herculanum e di Cuma a prestito dai suoi amici. +La camera era sopra un terrazzo elevato e la luce veniva +dentro da spiragli praticati sul tetto e coperti da vetri. Tutto +allo intorno era un armadio. E dentro, distesi su lunghe tavole, +posavano le leggi, i plebisciti, i decreti dei magistrati e +<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span> +gli editti meglio importanti. Venivano quindi gl’istorici, i filosofi, +gli agronomi. +</p> + +<p> +— Ieri piovve e ben tardi rasserenò. Laonde qui venni, +cacciato dai campi. Pamphilo — questo giovane greco, che +ora copia le opere di Catone — mi fece lettura per più ore del +libro. — Io non saprò mai imitare quel saggio. — +</p> + +<p> +Vestorio si fe’ tosto a richiedergli: +</p> + +<p> +— Stupisco della tua severità. — Dinne a noi le cagioni. — +</p> + +<p> +— Catone studiò forte la economia e la volse all’eccesso. — In +verità, i risparmi oculati dei cittadini fanno fiorente +uno Stato. Ma non bisogna spingerli allo estremo. — Nè avaro — nè +dissipatore. — Rammentati, o Lucio, che anche gli eroi +sono soggetti a fallire. E i grandi uomini debbono continuo +studiarsi, onde evitare che i loro errori non mangino la grossa +parte dei benefici effetti delle immense loro virtù. — Immagina, +Vestorio. Egli prescrive di menomare il cibo agli schiavi +quando i fichi maturano e di niegare ad essi la distribuzione +del frumento, quando pei campi e sulle siepi sono bacche che +sappiano in alcun modo surrogarlo. — E raccomanda d’inviarli, +quando sonosi fatti vecchi, al mercato, per non avere +a dare alimento ad uomini inutili. — Ora comprendi ch’io +non posso imitarlo. — Io ne ho alcuni, pieni di giorni al pari +di me e sono tutti affrancati. — E, di abito, soglio ritardare +di pochi anni — a seconda della loro laboriosità — la tonsura +dei capelli e il dono del berretto frigio. — Ed oggi tu, magistrato, +procederai legalmente allo affrancamento dei meritevoli. — Pamphilo, +tu sai quali sono. Invitali a radersi le +chiome e ad attenderci sotto il delubro della Dea. +</p> + +<p> +— Nobile amico! +</p> + +<p> +— Ecco le mie gioie e i miei teatri; lontano dal fracasso +del mondo. — +</p> + +<p> +Lo attendere fu corto. Le grida di gioia ed un inno greco, +cantato da giovani donne, annunciò ch’essi potevano discendere. +</p> + +<p> +Il primo ad essere fatto liberto fu Pamphilo. Coecilio +gl’impose la destra sul capo e pronunciò: +</p> + +<p> +— Io voglio che questo uomo sia libero e goda dei diritti +di cittadino. — +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span> +</p> + +<p> +Vestorio, poichè l’altro tolse la mano, gli toccò tre volte +la testa con una baccetta. Allora, il padrone lo prese pel braccio, +lo fece girar sui talloni e gli diè un piccolo schiaffo. +</p> + +<p> +— Ora sei libero. E possa giovarti la libertà che ti rendo +per quanto ti fu grave la condizione in cui io ti conobbi. — +</p> + +<p> +Il giovane piangendo abbracciò il suo generoso signore. +E questi a lui sussurrò brevi parole all’orecchio. — Quindi +la stessa funzione fu praticata a favore di Sica, di Castricio, di +Precilio, di Egypta, di Mustella, di Thalna e di Cerellia. +</p> + +<p> +La <i>vindicta</i> era compiuta, allorchè Vestorio ebbe scritto +i loro nomi sur una tavola incerata. Chiamavasi così, perchè +Vindicio fu il primo schiavo cui in Roma venne conceduta la +libertà per aver con generosa denuncia salvato le sorti della +repubblica. — Ed allo schiavo si facea fare un giro sopra se +stesso, per indicargli che quindi innanzi poteva andare dove +meglio gli talentasse. Però tutti aggiungevano al loro nome +quello dello antico signore e rimanevano aggregati in certo +tal modo alla famiglia, divenendone clienti. Non potevano +sposare nè la sorella, nè la figlia, nè la vedova di quegli che +li aveva affrancati e si distinguevano dai cittadini nati liberi +col coprire la testa del frigio berretto. Nelle pubbliche magistrature +essi e i loro discendenti potevano aspirare soltanto +al grado di maestri dei quatrivi e dei paghi, o di edili del +popolo. +</p> + +<p> +Coecili Pamphilo, liberto di Casella, aveva portato un papiro. +Ed il vecchio, svoltolo, disse a Vestorio: +</p> + +<p> +— Ecco il testamento nel quale ho instituito il mio erede +universale. — Privo di famiglia, non voglio che i miei beni +sieno venduti alle grida. — Alconte, mio schiavo, tu che per +tanti anni mi accompagnasti nella vita fortunosa che insieme +menammo, sii tu il mio <i>hæres necessarius</i> e, per cotesto atto, +libero. — +</p> + +<p> +Una gioia singolare circolò nelle vene degli adunati. Tutti +baciavano il lembo della veste del vecchio. Ed egli, con dolce +sorriso, assaporava la loro felicità nuova, come quel padre +non ricco il quale coi suoi risparmi ha raccolto danaro bastante +per mandare al ballo le proprie figliuole, vestite di +seta. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span> +</p> + +<p> +— Ora, ognuno torni alle proprie occupazioni. — +</p> + +<p> +I tre amici rimasero soli. — Ma dire le soavi emozioni +sentite da Lucio durante la festa della Libertà, è impossibile. — Ed +era ancora assopito in quei dolci pensieri, quando la +mano di Coecilio lo scosse. +</p> + +<p> +— Ti ho mostrato il giardino e il pomario. Debbo ora +condurti nel podere che dà il buono da nutricare questa mia +numerosa famiglia. — +</p> + +<p> +Si avviarono a sinistra. +</p> + +<p> +— Per amministrare un campo a dovere occorrono tre +cose — acqua — pascoli — e bosco. — Del bosco ho quanto +basti. — Dell’acqua poco. — Dei pascoli a sufficienza pel mio +bestiame. — Per vivere felice in campagna ne occorrono tre +altre — purezza di aria — fertilità di terreno — e buon vicinato. — L’aria +è balsamica — Il suolo è fecondo — I miei +vicini siete voi, o Vestorio; e Lucio Tucca. — +</p> + +<p> +I due amici lo abbracciarono con affetto. +</p> + +<p> +— Io vergogno della vastità di questo podere. — Sono +quattrocento iugeri di terreno. — Cincinnato possedeva un +orto, e vi piantava cipolle quando vennero a nunciargli il popolo +averlo nominato a suo dittatore. — Caio Fabrizio era padrone +di sei iugeri di terra. — Curio Dentato, di sette — ... In +verità l’onta mia rimanesi inosservata, quando molti altri +posseggono assai di più. — +</p> + +<p> +Camminavano per campi pieni di graminacee e di rape +salvatiche in fiore. +</p> + +<p> +— Noi calpestiamo ora il terreno che fruttò l’anno scorso. +Lo farò arare a suo tempo, poi che abbia posato. Il terreno +che colaggiù verdeggia mi darà nel mese di Cerere quel prezioso +ricolto per cui si fa lieta la razza umana. — Andiamo là, +ove Strobilo lavora coi buoi.... mirate i suoi solchi diritti!.... +Bene... veramente bene! — .... Ehi! Strobilo, ti felicito.... +Eguali tutti! Oh! non può dirsi che il bravo boaro <i>delira</i>! — Tu +non esci dalla linea. — +</p> + +<p> +Lo aratore fu coi buoi presso il padrone. Gli volse e poi +li fece posare per prender fiato; e colla destra teneva le redini +e colla sinistra appoggiossi sullo stimolo di cui si serviva +per eccitare gli animali al lavoro. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span> +</p> + +<p> +— Io son lieto di poter appagare coll’opera mia l’ottimo +dei padroni. — Hai altro a dirmi? — +</p> + +<p> +— Vanne, o Strobilo... e che Saturno ti aiuti! — +</p> + +<p> +Proseguendo oltre, si trovarono nell’aia e poi in faccia +alla dimora dei coltivatori. Il <i>villicus</i> fu primo a presentarsi. +Gli altri erano tutti in movimento al nuncio che Coecilio era +venuto da quella parte. I bambini, che ignorano le teorie dei +riguardi e che amano chi li ama, usi alla di lui naturale bontà, +gli corsero incontro gioiosi e gareggiarono per afferrargli le +mani. — Egli li carezzò dolcemente; e poi: +</p> + +<p> +— Ebbene? Caro Cilindro, come va la bisogna? +</p> + +<p> +— Va! — Gli Dei ci concedono pioggia e sole. — Ho +fatto seminare i fagioli e prospereranno. +</p> + +<p> +— Accompagnaci, se ti piace, nelle dipendenze della +casa. — Vedi, Lucio, nella <i>equilia</i> di contro erano molti cavalli +una volta. Come belli i miei compagni nelle battaglie! +Erano delle migliori razze d’Italia. E ricordo con piacere Signifer, +Deceratus, Murrhinus e Pontifex, i due ultimi feriti +insieme con me. — Ora non risponderebbero allo scopo. Preferisco +i buoi e le vacche ai cavalli. — Andiamo a vederli. — +</p> + +<p> +Entrarono nella <i>bubilia</i>. +</p> + +<p> +— Ho molta cura del bestiame io. Mira che grandezza e +che forza! +</p> + +<p> +— Ma così belli davvero! +</p> + +<p> +— Vestorio, ho corso il mondo cogli eserciti e in nessun +luogo gli trovai belli ed adatti per la loro forza al lavoro +come nel Lazio. E gli feci venire dal paese dei Volsci. — Che +nobili corna! +</p> + +<p> +— Di simili buoi dovette far uso Annibale per impaurire +di notte i Romani e scompigliarli nel loro campo. Nelle piccole +corna dei buoi nostrani non avrebbe potuto legar grossi fasci +di frasche. +</p> + +<p> +— Bene rifletti, o Lucio. — Non potetti per difetto di +posto costruir qui la stalla d’inverno e quella di estate. — Ma +questa è in tali condizioni da farne a meno. — Io non li lego. +Una specie di giogo li frena e non vieta loro verun comodo +movimento. Tra l’uno e l’altro v’è spazio bastevole perchè +il bovaro possa girare loro intorno, allorchè, sdraiati, ruminano. — Cilindro, +<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span> +fa aprire l’<i>ovilia et caprilia</i>. — Tengo +cotesti animali pur esposti al mezzodì come i buoi, per +allontanare il loro puzzo dalla casa dei coltivatori — che è +in faccia — e perchè sieno alla loro portata. — L’uomo non +libero è pigro. Eh! Bisogna venire a patti colla loro pigrizia! — +</p> + +<p> +La soffitta di quel locale era più bassa, acciò il calore meglio +vi si concentri. L’ovile aveva un pavimento di mattoni. — E +fra il parco delle pecore e delle capre era uno spazio, +coperto di una lettiera abbondante di ramicelli di felce, su +cui posavano le già pronte a partorire. +</p> + +<p> +— Vedete pecore di buona razza. — L’ho migliorata, incrociandola +con quella di Taranto. — E ne ho lana copiosa e +più bella. — Nelle <i>harae</i> dei maiali non vi farò entrare. — Sì, +nel <i>gallinarium</i>. — Mirate i bei galli! Vi faccio per mezzo +di un tubo penetrare un po’ di fumo; avvegnachè pei polli +sia gradevole e salutare. — Colà in fondo è il <i>teporarium</i> pei +conigli che i miei coltivatori mangiano. E il <i>chenoboscium</i>, ove +le anitre e le oche mangiano e prendono bagni. Quel muro +alto che vedete lo feci rizzare per due usi — a riparo del favonio — ed +alla moltiplicazione delle lumache. — È il <i>cocleare</i>. — Sul +ruvido intonaco è il muschio che le attira ed io ne +faccio delizia della mia mensa. — Costì, sotto al <i>gallinarium</i>, +è lo <i>ergastolum</i>. Allorchè io compero gli schiavi non li trovo +quali io gli vorrei. E Cilindro deve piegarli. Or quando i miei +modi ed i suoi non bastano allo intento, conviene cacciarli in +quel sotterraneo che riceve aria e luce dalle alte e strette +finestre che vedete. — Non li visiteremo perchè sono bricconi. +Ma.... diverranno buoni come gli altri che abbiamo insieme +affrancato. — +</p> + +<p> +Una donna in sui trent’anni, tarchiata e di buon aspetto, +si fa innanzi a Coecilio, lo saluta e gli stringe la mano. Era la +<i>villica</i>, la moglie di Cilindro, ambedue liberti, agli ordini e +al servizio del marito suo, sobria, casta, non superstiziosa, +ed avente cura alle none ed agli idi di ciascun mese — siccome +pure alle feste prescritte — di appendere corone ad +Epona, la Dea protettrice del bestiame e di volgere preghiere +per tutti al Lare domestico. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span> +</p> + +<p> +— Abbi gli Dei propizi, o buona Gymnasia. — Vi è da +fare, eh? +</p> + +<p> +— Il lavoro nudre, o padrone. E col tuo esempio l’uom +si migliora. — Che la Parca perda la forbice il giorno in cui +si rammenta che Coecilio Casella nacque e vive. +</p> + +<p> +— Accetto lo augurio buono. — Abbi cura delle vesti dei +miei schiavi. E che i bambini sieno puliti. — Ve’, quello dai +grandi occhi e il paffutello che mi ha preso la mano. Ambidue +hanno il viso sudicio. +</p> + +<p> +— Sono la disperazione delle loro madri. Sempre nel +fango, che sembran oche. +</p> + +<p> +— Ho notato molti crani di asino confitti nei pali qua e +là. — È per congiurarne la mortalità, forse? +</p> + +<p> +— No, o mio Lucio. — Preservano i campi da influenze +maligne. Ma, son troppe; hai ragione! +</p> + +<p> +— Che tu fossi divenuta superstiziosa, o Gymnasia?..... +Amo la moralità negli schiavi. Ma non voglio che luperchi +schifosi, che aruspici ladri, che indovini bugiardi, che maghe +vagabonde vengano qui a mettere ubbie nelle vostre teste. — La +credulità istupidisce. La ignoranza mangia i risparmi. Il +bisogno del denaro mena al delitto. — .... Ed io non voglio +punire al possibile! — Intendi? — +</p> + +<p> +Cilindro diè una occhiataccia alla moglie. La quale, confusa +dal rimprovero, si fece rossa e curvò la testa. +</p> + +<p> +— <i>Peream male si</i>..... +</p> + +<p> +— Basta, o Cilindro. Non vedi? La divenne taciturna +come una statua. +</p> + +<p> +— Sai il mio costume, o padrone — <i>sequere potius quam +ducere funem</i>. — Ma Gymnasia farà ch’io mi cangi e la fune +la tirerò. — Qui mai più ribaldi, intendi? Gl’inghiotta Cocito +questi ladri delle campagne. +</p> + +<p> +— Via! O buona, drizza su il capo e menaci alla cucina. — È +la sede della tua magistratura e non vi sarà a ridire +colà. — +</p> + +<p> +Era una vasta camera, a soffitto alto e bene imbiancata. +Il focolare aprivasi largo e con un banco circolare di muro +per riscaldarvi gli schiavi nelle giornate fredde del verno e +per asciugarvi negli acquazzoni estivi. Sulle pareti erano +<span class="pagenum" id="Page_44">[44]</span> +pentoli e tegami e tripodi di ferro e vassoi di bronzo. — Sopra +il pavimento di lapilli impastati con calce e battuti lungo +la parete sollevavansi spessi appoggi di mattoni murati, sui +quali sedevano grossi caldai nettissimi e <i>calati</i> di piombo per +conservare acqua da bere e al servizio della cucina. Una porta +laterale menava ai bagni degli agricoltori, i quali solevano +farvisi netti nei dì festivi e più spesso le loro donne e i bambini. +Sopra i bagni era l’<i>apotheca</i>, ove chiudevasi il vino +nuovo, perchè esposto al fumo maturava più agevolmente. +</p> + +<p> +— Bene, Gymnasia. Sono contento di te. Perdona il rimprovero +che ti feci. <i>Oculus in agro fertilissimus.</i> +</p> + +<p> +— Or dove dormono i tuoi schiavi, Coecilio? +</p> + +<p> +— Amo, o Vestorio, nel tuo Lucio la curiosità che addottrina. — Qui, +sopra la cucina e le stalle. — I bovari e i +pastori, nelle <i>bubiliæ</i>, perchè sieno vigili custodi del mio bestiame. — Credeva +di averti mostrate le loro cellule coi loro +numeri sopra, per eccitare la emulazione e fare ognuno testimonio +della incuria dell’altro. — La corte, colla fontana nel +mezzo e, sotto, la cisterna per la conservazione delle acque +piovane, è chiusa dall’<i>horreum</i>, magazzino ove sono in serbo +gli aratri, gl’istrumenti di ferro ed i <i>tympana</i>, carri a ruote +piene senza raggi, destinati al trasporto dei pesanti prodotti +dell’agro. — Qui, tutto vedemmo che meglio importava. — Torciamo +ora i passi verso la mia dimora, e di là alla <i>fructuaria</i>, +dove convengono tutti i ricolti. — Addio, amici. Gli +Dei vi concedano tanti beni, quanti occorrono al vostro vantaggio. — +</p> + +<p> +Alcune lepri correvano lungo i campi, e si rinselvavano +nel bosco. Le pernici squittivano accenti di amore. In un recinto +di reti gli agnelli spoppati apprendevano a nudrirsi dell’erbe +tenerelle che il tepore primaverile in quelle felici contrade +facea germogliare. E mentre le talpe minavano sordamente +la terra, i passeri, le allodole, i pettirossi e le cingallegre +modulavano gentili armonie. La strada, dov’essi passavano, +seguiti da Cilindro, offeriva ai loro sguardi uno spettacolo visto +e rivisto e pur sempre nuovo. Il terreno discendeva in +anfiteatro sino alla riva, abbellito da gruppi di alberi, da fichi +spinosi e da case variopinte, che colle loro terrazze e coi loro +<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span> +portici parea sorridessero a quel cielo olimpico. L’occhio abbracciava +in una volta il mare senza limite, il golfo di Stabia, +le coste abrupte di Sorrento, l’isola di Capreas, la lunga +sponda di Posilipo, la vaghissima Neapolis, lo artistico e nobile +Herculanum e il vecchio Vesvius, fucina degli spessi tremuoti +e più tardi operatore di distruzione e di morte. — Quei +luoghi d’incanto avevano una espressione di tutta dolcezza; +e, come la musica, spandevano pei nervi un fluido, padre +d’idee passionate e triste. Coecilio arrestossi e levando la mano. +</p> + +<p> +— O Campania, giardino d’Italia! E tu, fiore del mondo, +Pompei! — +</p> + +<p> +Parlando su cotesto argomento giunsero dove erano diretti +i loro passi. — Il fabbricato aveva in mezzo una corte. — Ciascuna +parte era addetta al suo uso particolare. A diritta +era il <i>torcular</i>, il molino delle olive e il pressoio per estrarne +l’olio. A lato era la <i>cella olearia</i>. A sinistra aprivasi la <i>cella +vinaria</i>, il cui pavimento di marmo inclinavasi verso un bacino +che riceveva il mosto dei tini scoppiati per la forza della +fermentazione. — Una grande vasca — <i>calcatorium</i> — serviva +alla pestatura delle uve. Era sollevato sur uno zoccolo +di quattro gradini e due bacini profondi ricevevano il mosto +che poi si versava nei <i>dolia</i> — tini panciuti di terra cotta — posati +lungo i muri. Presso i torchi, in fondo, levavasi la caldaia, +dove il mosto convertivasi in vino cotto. — Poi, nelle +anfore conservavasi nella cantina, luogo chiuso e quasi oscuro, +munito di qualche spiraglio verso il settentrione. +</p> + +<p> +Sopra era il <i>penus</i> — il luogo ove si conservavano i commestibili — e +l’<i>oporotheca</i>, dove si serbavano le frutte in particolare. +Nel primo, le fave raccolte, i piselli, le olive edule, +le zucche, le uova fresche, i meloni ed altre cose simiglianti. — Nell’altro, +i fichi, le mele, le pere, e via dicendo. Quivi +il suolo, le pareti e la volta erano di marmo per intrattenervi +vie meglio la frescura. +</p> + +<p> +Il granaio chiudeva la corte coi suoi magazzini a volta +e sollevati dal suolo. Il pavimento era formato di lapillo, +di calce e di sabbia impastati col sedimento dai vasi da olio +novello e non salato. Quando era battuto ed asciugato, vi si +spalmava anche dell’olio buono ed il fondaco diveniva eccellente, +<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span> +e mai i sorci, i calabroni od altri animali nocivi vi penetravano. +</p> + +<p> +— Tu mi chiedesti un <i>promus</i>, o Vestorio. — E ti darò +Mustella che ama una tua liberta chiamata Pyrgo; talchè sarà +felicissimo nel tuo podere. E pur mi chiedesti un <i>villicus</i> valente. — E +ti darò Castriccio che il mio Cilindro istruì. È per +sposarsi con Cerellia, una delle schiave che tu stamane legalizzasti +liberta. — Noi, mio Lucio, correggiamo un uso dei +repubblicani di Roma. Quando quel gran popolo conquistò la +Italia e la Grecia, si appropriò il territorio dei vinti. — Se era +coltivato, i triumviri addetti all’amministrazione della nuova +colonia o lo vendevano o lo affittavano. Se il popolo aveva +seriamente resistito, la terra si dava agl’incanti; e quegli cui +rimaneva pagava alla repubblica il decimo del prodotto che +ne ritirava. La quale tendeva a moltiplicare ovunque la popolazione +agricola che le forniva i più bravi soldati, i più duri +alle fatiche e non pensavano al male. Ma moltiplicandosi le +guerre — e gli uomini liberi, tutti a difesa delle aquile, — la +cultura dei vasti dominii fu giuocoforza affidarla agli schiavi, +ch’erano le popolazioni soggette. Tu hai osservato con quanta +carità io li tratti. — Non tutti così!.... E gl’italici si solleveranno +i primi. I Romani forse li domeranno col ferro o scenderanno +a patti.... Verrà giorno però in cui il lusso, la mollezza +e i vizi disegneranno la curva della caducità di un gran +popolo. I campi popolati tutti di schiavi oppressi saranno teatro +a macelli e ad incendii. I crocefissi inchioderanno i loro +crocefissori... Oh! non permettano gli Dei tanta ruina. — +</p> + +<p> +Il sole illuminava dei suoi ultimi fuochi le cose. Pei due +Pompeiani era tempo di ritirarsi. Ringraziato l’ospite illustre +del cortese accoglimento e della cessione dei propri coltivatori, +Vestorio Tucca e Lucio tolsero da lui commiato e lo baciarono +sulla gota. +</p> + +<p> +Poi che li vide a cavallo, Coecilio Casella fece loro un +atto benevolo colla mano e disse: +</p> + +<p> +— Il tragitto alla tua casa è breve, o amico. — Ma in +viaggio un giovane allegro e caro, come il tuo figliuolo, vale +un <i>cisium</i> leggero per un pedestre stanco e trafelato. — +</p> + +<div class="chapter"> +<p> +<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span> +</p> + +<h2 id="cap3">IL FORO. +<span class="smaller">LA ELEZIONE DEI MAGISTRATI IN POMPEI.</span></h2> + +<p class="center"> +<b>Anni di Roma 705 — Anni avanti il Cristo 49.</b> +</p> + +<p class="center pad2"> +A GIUSEPPE FIORELLI. +</p> + +<p class="center"> +III. +</p> +</div> + +<div class="chapter"> +<p> +<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span> +</p> +</div> + +<p> +Il cielo era azzurro e radiante — come spesso — sull’ampio +e vaghissimo cratere partenopeo; una tinta che non è altrove; +che infiamma e fa pensare; che soffia sull’anima gli +slanci passionati e le eroiche rassegnazioni. — Il golfo era circondato +da colline verdeggianti sino al promontorio di Minerva +e da un antico vulcano, detto Vesvius, le cui lave vedevansi +lungo la strada che da Pompei sulla riva del mare menava in +Oplonte, Retina ed Herculanum, o sulla via Popilia che guidava +a Nola, o sulla terza che, traversando il copioso Sarno e +dividendosi in due, metteva a Nocera ed a Stabia. — Bella +per le sue rive incantate su cui i poeti favoleggiavano le sirene, +ricca pel suo fiume navigabile, avente l’occhio sur una +fertile pianura, e l’altro sulla collina gremita di case variopinte, +la città-emporio — detta perciò dai Greci ΠΟΜΠΕΙΟΝ — era +posizione militare, posto commerciale e luogo di delizie +in una volta. I pittori venivano a cercarvi le loro inspirazioni — i +poeti, i segni sensibili delle armonie della natura — i +filosofi, le felicità profonde nello stracciare un per uno i +troppi veli parati dinanzi al genio dell’uomo — i timidi, gli +stanchi, gli uomini di pecunia, il luogo riposato e tranquillo +ove appena giungeva l’eco degli avvenimenti fragorosi del +mondo — i ricchi giovani, le più splendide illusioni, i sorrisi +delle labbra divine, gli sguardi vellutati che vi passano il +cuore e le parole dorate dalla intelligenza o profumate dal +<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span> +candore che quella sola regione poteva ancora offerire, patronata +siccom’ell’era da Venere Fisica e da Iside misteriosa. +</p> + +<p> +Correva l’anno di Roma 705. +</p> + +<p> +Erano le calende di maggio. +</p> + +<p> +Il quadrante solare e la clessidra di acqua — questa surrogante +l’altro nei tempi oscuri o nebulosi — deposti nei pubblici +luoghi, designavano già la quarta ora, corsa dopo il <i>diluculum</i>, +parola colla quale indicavasi la punta del giorno. — Malgrado +però quelle acconce invenzioni di cui Roma seppe +godere sol cinque secoli dopo la sua fondazione, lo <i>accensus</i> — ufficiale +subalterno dei <i>duumviri</i> — urlava a piena gola +sui canti delle vie la misura del tempo che il sole e l’acqua +notavano, per meglio aiutare alla intelligenza dei forestieri e +della gente minuta della città e della campagna. +</p> + +<p> +Sino dal mattino — aperti i cancelli di legno sullo sbocco +delle otto strade che mettevano nel Foro — il vasto recinto +era un va e vieni di fitto popolo di tutte le classi e di varie +favelle. Oltre che i meridionali hanno la tradizionale abitudine +di viver meglio fuori che dentro le proprie dimore — oltre +che quel vasto edifizio solevasi costruire di preferenza presso +il porto nelle città marittime o nel luogo più elevato e centrale +in quelle dentro terra — siccome il sito favorito dei ritrovi, +dei commerci e delle riunioni di tutti i pubblici affari — in +quel giorno la Colonia Veneria Cornelia di Pompei era chiamata +alla elezione diretta dei suoi magistrati. +</p> + +<p> +Sur ogni muro esterno delle case e specialmente sugli +angoli dei quatrivi, erano inscrizioni a grandi lettere di color +rosso, mercè le quali i devoti, i riconoscenti per ricevuti favori, +i clienti, i parassiti e i liberti sollecitavano il pubblico +voto a pro dei loro propri candidati. Per cui leggevansi elogi +tributati a nomi di cittadini e biasimo ai più sconosciuti od +immeritevoli dell’alto ufficio. +</p> + +<p> +La politica dei padroni del mondo divise i paesi conquistati +in città latine, in città federate, in prefetture ed in colonie. — Erano +libere, ma nella dipendenza di Roma. Laonde +non potevano stringere alleanza tra esse, nè politica, nè privata, +senza prima ottenerne il permesso. — La Italia si divideva +in dodici provincie indipendenti con leggi, con usi più +<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span> +o meno simili a quelli che reggevano la grande metropoli; e +dal golfo di Taranto distendevasi sino al Rubicone, piccolo +fiume che sbocca nell’Adriatico. — E nel Mediterraneo giungeva +sino a Luna, città che gli Etruschi avevano fondato là +dove il fiume Magra si gitta nel mare. — La potente repubblica +privava della libertà i popoli manchevoli alla fede dei +suoi trattati. — Se recidivi, gli deportavano tutti fuori del +loro paese. — O ne distruggevano la città. — O confiscavano +una parte del loro territorio. — Tutte le dodici provincie +erano più o meno colonie militari, cioè deposito di un corpo +di fanti e di cavalli in permanente osservazione; e dovevano +pagare un tributo in uomini ed in danaro. — E come puniva +le aperte rivolte, così ricompensava le tacite fedeltà. — E la +colonia di Pompei era pur <i>municipium</i>. Aveva, cioè, ricevuto +il <i>munus</i>, il donativo tutto speciale dei diritti di cittadinanza +romana. — Onde la sua costituzione era pari a quella dell’Urbe, +che divideva i suoi abitanti in tre ordini — senato — cavalieri — e +popolo. La magistratura municipale di Pompei +rassegnavasi in un edile — nei duumviri che rendevano altresì +la giustizia — nel pretore — nel censore — nel questore, +gerente del reddito pubblico — nel patrono della città — nei +maestri dei subborghi e dei trivi — ed in cento decurioni — quelli +che in Roma chiamavansi senatori — i quali — decimando +i coloni — formavano il pubblico Consiglio. +</p> + +<p> +La forma del Foro — che fu l’<i>agora</i> già costruita dai +Greci — era un parallelogrammo molto allungato. Un pavimento +regolare di bianco travertino, su cui sorgevano tutto +all’intorno colonne d’ordine dorico di svelte ed eleganti proporzioni, +che sostenevano un porticato di due piani. — Lungo +l’area erano piedistalli rivestiti di marmo pario o colorato, +che presentavano in piedi le statue — votate in vita o dopo +morte — dei cittadini illustri per le loro virtù o per lo esercizio +di gradi eminenti. — Sur altri quattro erano statue equestri +ed una quadriga. — Sull’una estremità — quella che +prospetta il mare — si elevava un arco di trionfo. — E più +su, due altri piedistalli con statue. — Statue di marmo coronavano +altresì il tetto del porticato del Foro. — E nel fondo +stava il maestoso edificio — alla cui sommità giungevasi per +<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span> +una gradinata interna di marmo — il quale era in un tempo +l’<i>ærarium</i> ed il tempio sacro a Giove ed al figlio Esculapio. +Siccome la costruzione di parecchi metri sollevavasi dal suolo, +il piano superiore lo avevano dedicato al principe dell’Olimpo, +ed il sottano a deposito della pubblica pecunia. +</p> + +<p> +Otto strade diverse menavano al Foro. — Quelle dei due +lati del tempio. — L’altra che veniva dal crocicchio del Lupo. — Una +dal canto del Pecile — luogo riparato dal vento e dal +sole, sacro al passeggio, dalle pareti adorne di pitture sui fasti +gloriosi della Colonia — metteva nell’Araiostylo, l’ambulatorio +sotto il portico a lato del tempio di Venere. — Una veniva +dalla marina ed immettevasi nel parallelogrammo tra il +suddetto fano, sacro alla Iddia della plastica bellezza, patrona +della città, e la <i>Basilica</i>. — Un’altra questa isolava dalle case +particolari. — Una imboccava nel porticato costeggiando a +diritta la scuola pubblica — ed un’altra ascendeva verso quel +punto rilevato sulla via detta dell’Abbondanza, per la immagine +di cotesta divinità spicciante acqua nel fonte di quel quatrivio. — Passavano +per là quei che entravano in Pompei +dalla porta di Stabia. — Ogni sbocco di quelle vie aveva gradini +e pilastri in piedi — <i>impedimenta</i> — e pietre ovali massiccie +rilevate dal selciato — in uso pur queste in tutte le altre +strade della città, a comodo degli abitanti, onde traversassero +a piede asciutto nei casi di grandi acquazzoni — per +impedire il passo alle vetture e ai cavalli e non aggiungere lo +strepito delle cose al rumor delle voci. +</p> + +<p> +E nel vero, molta gente togata alla romana era colà e +parlava a bocca sfrenata, aggiungendo energicamente il gesto +ad ogni detto. — Sotto il portico gironzavano, arrestandosi +tratto tratto i <i>fæneratores</i> — lepra dei tempi che tante leggi +non potettero mai sanar per intero — i quali usavano i loro +brevi capitali, o ne improntavano da altri per poi prestarli al +grosso agio del cinque per cento al mese. La famosa ritirata +della plebe al Monte-Sacro, quindi sul Gianicolo, ebbe origine +dal rifiuto dell’abolizione dei debiti enormi, creati dall’avarizia +dei prestatori. — Una legge recente aveva ordinato che i +cambiatori di moneta — riconosciuti per tali — fossero nel +Foro e dessero a prestito il denaro con usura semissuale — cioè, +<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span> +del sei per cento all’anno. Non mancavano però gli usurai +di accalappiare qualche ignorante e i forestieri, in un +giorno di tanta folla. Erano rizzate sotto i portici le <i>tabulæ +auctionariæ</i>, coll’enumerazione scritta dei beni mobili ed immobili +da vendersi in tale ora alla pubblica licitazione. E i +<i>præcones</i> gridavano i meriti di una casa, di un terreno, o dei +mobili di legno, di bronzo o di più fine metallo. — Altrove +erano botteghe posticce, ove si vedevano intorno ai venditori +rotoli di cordami e pacchi di vele. — O tuniche e mantelli di +grosso saio con cappuccio, per gente di campagna e per marinai. — O +vasi di terra, fabbricati nella vicina Nola, di ogni +dimensione, di ogni ornato, di ogni prezzo. — O lucerne, +licnoferi, nassiterni, bombille e vasi unguentari. — O calzari +di ogni stoffa e di ogni foggia. — O Dei penati, e voti di terra +cotta o di bronzo. — O astragoli e pallottole di piombo ed altri +giocattoli per bambini. — E tutti gridavano — e tutti urlavano, +vantando la bontà delle loro merci e la mitezza dei +prezzi. — V’erano persino i ristoratori ambulanti, offrenti +vini caldi ed acque melate. — E fra i venditori di cialde, di +nastri, di calzari, di stoffe di Tyro e di Tarentum, di pelli +conciate, si aggirava il misero Verna, maestro di scuola, che +con voce supplichevole e monotona, raccomandava a colui che +sarebbe stato eletto edile sè ed i propri discepoli. +</p> + +<p> +Sotto il portico laterale al tempio di Venere Fisica, in +una icona quadrata, erano costrutte di tufo le pubbliche misure +di capacità di varie grandezze, affidate, per decreto dei +decurioni, ai duumviri Clodio Flacco e Arelliano Caledo. +</p> + +<p> +Procedendo più oltre, penetravasi nella <i>Basilica</i> — uno +degli edifizi meglio notevoli del Foro — ove i duumviri rendevano +la giustizia. +</p> + +<p> +Di prospetto al tempio di Giove Tonante erano le tre <i>Curiæ</i>, +luoghi sacri, ov’erano depositate le scritture dei pubblici +archivi. +</p> + +<p> +Sull’altro lato del Foro, Eumachia, figlia di Lucio, sacerdotessa +pubblica, in nome suo e di Numistro Frontone, suo +figliuolo, aveva costruito di proprio il magnifico monumento del +<i>Chalcidicum</i>, della cripta e del portico interno della <i>Concordia</i>, +ch’era in un tempo un tribunale per gli affari di commercio +<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span> +ed un luogo riparato dalle intemperie e dallo strepito della +vita pubblica per la trattazione di essi. — I <i>fullones</i> — che +avevano altrove il loro opificio — grati alla munifica sacerdotessa, +le votarono una statua di marmo nell’abside interno. — Il +muro laterale esterno della cripta, riccamente ornato di +cornici, di frontoni e suddiviso in tutta la sua lunghezza di +pilastri, simulanti porte, era l’<i>album</i>, ove si pingevano a +grandi caratteri rossi o neri le inscrizioni di pubblico interesse, +che risguardavano le vendite, gli affitti, le feste, gli +spettacoli. — Difatti vi si leggeva lo annuncio che una compagnia +di gladiatori avrebbe pugnato in Pompei l’ultimo +giorno di maggio. — E con un altro tutti gli orefici invocavano +Gaio Cuspio Pansa, edile. — E il maestro di scuola, Valentino, +coi suoi discepoli, raccomandava con uno sproposito +di lingua — che non procacciava meriti al saper suo — Sabinio +o Rufo, come edili, degnissimi della repubblica. — Ed +un Osco dava nella sua lingua — ch’era pure una delle favelle +del paese, sendo stati i Sanniti i suoi primi abitanti — lo +indirizzo della sua locanda pubblica ai viaggiatori, colle enumerazioni +delle comodità che offeriva. +</p> + +<p> +Andando anche più in su, si trovava il fano dedicato a +Mercurio. — Quindi il <i>senaculum</i>, luogo destinato alle assemblee +dei decurioni. — Ed in fondo erano le <i>tabernæ argentariæ</i>, +fondachi dove operavano i loro commerci i cambiatori di +moneta, gli orefici e gli scultori nel bronzo. +</p> + +<p> +Ai lati del tempio di Giove si elevavano due eleganti archi +a trionfo, eretti ad incliti cittadini per le loro virtù. +</p> + +<p> +Ascendevasi al sacrario massimo per una doppia gradinata, +presso due larghi piedestalli ornati di statue equestri. +Dal <i>pulpitum</i> — piattaforma spaziosa d’onde i magistrati e +gli arringatori concionavano al popolo — si saliva su più +larghi gradini al porticato del tempio, sostenuto da dodici colonne +di ordine corintio, rivestite di bianco stucco. E sedici +colonne eguali, di ordine ionico composito — aventi le sue +volute sulla diagonale, sopportate elegantemente da foglie di +acanto — sostenevano nello interno un altro colonnato corintio +su cui chiudevasi il tetto. La statua gigantesca del nume +drizzavasi dinanzi le tre camere a volta, nel fondo della cella, +<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span> +belle di pittura architettonica, nelle quali tenevansi gli archivisti +degli atti di deposito erariale. E su tutta la superficie del +bianco mosaico — in mezzo e nello intercolunnio — si aprivano +larghi spiragli per dar aria ed alcuna poca luce allo edificio +sottano, ove era custodita la pubblica pecunia. +</p> + +<p> +La folla erasi fatta vie più spessa. — Le matrone — cioè +le donne sposate colla <i>confarreatio</i> e non colla semplice <i>cœmptio</i>, +per cui queste divenivano soggette dello sposo ed in una +continua tutela, e dalla cui razza non si sceglievano flamini +nè vestali — ripeto — le matrone, a cui tutti avevano ceduto +il passo lunghesso le vie, salivano prime sul terrazzo coperto +sopra il portico del Foro per le due scale disposte alle estremità +delle <i>Curiæ</i>. Esse vestivano la <i>stola</i>, cioè la lunga vesta +di lana bianca che cuopre la metà dei piedi. E si avviluppavano +in un ampio mantello detto <i>palla</i>, che non permetteva +lo aspetto della persona. Una truppa di liberte e di schiave +lor faceva corona e largo al tempo stesso. Esse, in grazia del +gesto animato con cui accompagnavano la breve parola, si +permettevano tutto al più lo innocente civettismo di mostrare la +bella mano dalle dita affilate e piene di gemme. — Le altre +donne più giovani — e perciò più eleganti e più libere — che +dopo esse salivano, portavano sopra l’acconciatura del capo +finissimi veli, coi quali artificiosamente e per metà celavano +ai desiosi sguardi degli ammiratori il loro viso ovale dal tipo +greco. Ricchi i tessuti delle vesti e di ogni tinta. Ma la porpora +primeggiava tra tutte. — Mutabili nelle loro idee, erano +pure svariate le fogge del loro vestire. Alcune si coprivano +colla <i>regilla</i>, la quale era una grande tunica dritta. O colla +<i>impluviata</i>, una specie di toga femminea di forma quadrata +come l’impluvio di una casa. O col <i>basilicus</i> o coll’<i>exoticus</i>, +manti reali o stranieri, colle frange o coi meandri d’oro. O +colla tunica <i>intusiata, calthula, patagiata, crocotula, plumatile</i>, +questa sparsa di ricami d’oro leggerissimi al pari +delle piume. — Una di esse, nel porre il breve piede sulla +scala, ebbe cura con tal movimento di disegnare i rotondi +contorni della leggiadra persona. Una bionda, per mostrare +il suo petto bianco come la neve, si volse dalla parte d’onde +spirava il vento, perchè zeffiro soffiando sul suo <i>linteolum +<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span> +cæsicium</i>, le scoprisse la spalla sinistra ed una parte del braccio, +tornito dagli amori. — E una bruna vanerella, vestita +di una <i>mendicula</i> molto scollata, lasciava ammirare un suo +neo sull’omero di alabastro. Tutte avevano collato sul loro +volto pieno di grazie piccoli pezzi di pellicola nerastra, di +forma rotonda o di mezza luna — nei di artificio coi quali +pretendevano dare maggiore rilievo alle loro naturali attrattive. +E presso che tutte — di bruni capelli — si ostinavano +per moda di averli cangiati in biondi ardenti, in dorati od in +tinta cinerea. E cotesto ottenevanlo col farsi ungere le chiome +dalle loro <i>ciniflones</i> — addette a siffatto mestiere — con una +pomata composta di ragia, di aceto e di olio di lentisco, che +imbiondiva i capelli in una sola notte. — Non eravene una +che non avesse sulle orecchie due e sino tre pendenti d’oro, +di pietre preziose e di perle. — Cotesti gingilli così combinati +erano detti <i>crotales</i>; perocchè nello urtarsi formavano un +suono, atto a destar l’attenzione e a far doppio il loro civettismo. — Alcuna +passava dall’una mano nell’altra alcune piccole +palle di cristallo di monte e di ambra gialla — le prime +per tener fresca la palma, e le altre per profumarle soavemente. +Altre stringevano i polsi per entro braccialetti d’oro +a forma di serpi, che pesavano da due a tre chilogrammi. +</p> + +<p> +Giovani — e ben più ridicoli per la loro raffinata ricercatezza — avevano +molte di quelle leggere donne accompagnate +dalle loro case o dai bagni fin là. Anch’essi avevano profumati +od arricciati con arte i capelli. — Ed il mento rasato. — E +mani, e braccia, e gambe monde di pelo dalla pietra pomice. — E +chiusi entro le ricche pieghe di una larga tunica +di porpora. Od avvolti in un bruno <i>lacerna</i>, veste militare +che l’abitudine delle guerre civili aveva messo in uso ed in +moda. Di alcuno tra essi poteasi dir con Orazio, <i>ad unguem +factus homo</i>, cioè, azzimato sino alla perfezione. +</p> + +<p> +Ai quattro canti del Foro alcuni <i>viatores</i> — che già avevano +per tutte le strade avvisato come l’assemblea popolare +fosse per aprirsi — suonarono le loro trombe. E poi, l’un +dopo l’altro gridarono che i decurioni andassero al loro posto, +e quelli i quali avevano diritto di dare il suffragio apparecchiassero +le loro tessere. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span> +</p> + +<p> +Allora, uomini dalle larghe toghe preteste, orlate da una +striscia di porpora, dalle laticlave e dai bianchi stivaletti, +ascesero i gradini del tempio e si assisero sulle sedie curuli. +Altri — al cui passaggio ognuno deferente faceva inchino col +capo — nel traversare il parallelogrammo salutava con benigno +ed orgoglioso sorriso quelli che tra i suoi conoscenti distingueva +tra i gruppi. — A quanti egli e i suoi somiglianti +avevano in quel giorno pagato un piccolo debito, ed il desinare +nelle <i>popinæ</i>, e la tessera del teatro! +</p> + +<p> +Intanto, un giovane accorso rapidamente dalla via della +fontana del Lupo, sparse una novella, la quale venne da +molte bocche bentosto riprodotta, ed offerì nuovo soggetto +all’animato disordine, alla febbrile parola, al gesto impetuoso +di quel popolo meridionale. Di fatti, i curiosi — che si erano +spinti fin sotto l’acquedotto dalle due fontane che simulava +il secondo arco trionfale dopo quello a sinistra a lato del tempio — videro +un vecchio circondato da gran numero di clienti, +portare la mano destra alla bocca e contornare un po’ il suo +corpo da diritta a manca dinanzi il grazioso tempio della Fortuna, +edificato dai suoi sur un’area di loro pertinenza. — Avendo +riconosciuto nella folla due militari, strinse gli occhi +affettuosamente e chiamogli: +</p> + +<p> +— <i>Læti victores.</i> — +</p> + +<p> +I suoi bianchi capelli erano lucidi e ben pettinati. — La +toga gli scendeva sino a terra. — La pretesta era bruna ed +il corpo ed il capo copriva colla <i>penula</i>, mantello di viaggio +e dei tempi di lutto. — Era una grande semplicità nella sua +persona. Il volto, sovente gaio e sfiorante in epigrammi nel +facile consorzio, si aprì a mesto sorriso alla vista dei <i>salutatores</i> +che in frotta se gli fecero intorno. — E taluno il chiese +del suo mal d’occhi. — Ed altri su ciò che stava scrivendo. — Ed +un terzo, da quando era giunto di Roma. — Ed uno +più intrinseco gli domandò le novelle di Tulliola amata e di +Quinto, suo fratello. — E molti delle importanti notizie dell’Urbe. +</p> + +<p> +Egli prese il mento colla sua mano sinistra — suo gesto +di abitudine — e mostrando Dolabella, suo genero, e sè stesso +in <i>toga atrata</i>: +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span> +</p> + +<p> +— L’anima fuggitiva di quella soave creatura ci disse lo +eterno vale dopo averci fatto dono di un suo figliuolo. Anch’esso +disertò la trista dimora degli uomini, ov’era inconsolato +il pianto. Ma il lugubre annoso cipresso starà, quantunque +più non senta i profumi della giovane rosa. — +</p> + +<p> +E ad un più vicino: +</p> + +<p> +— Ti è grato l’animo mio. — Attico mi ha diretto Asclepiades, +un famoso <i>oftalmicus</i> della Grecia, che riprova ogni +medicina e mi guarisce con lozioni di acqua fredda. — +</p> + +<p> +E ad un altro: +</p> + +<p> +— Scrivo sur un argomento che il dolor mi ha fornito — <i>De +consolatione.</i> — Ieri, a notte tarda, giunsi nella mia suburbana, +accompagnatovi dalle lettere consolatrici di M. Bruto, +di Servio Sulpicio, di Lucio Lucceio e di Caio Cesare. — +</p> + +<p> +E a molti in atto di aver pubbliche novelle: +</p> + +<p> +— Alcuni deputati di Laodicea vennero ad implorare la +libertà della loro patria. — E noi, per la nostra?... Il dittatore +mi colma di gentilezze e par che tema che io qualcosa +desideri. — Arte dei nuovi! — E più di colui, che intende +cancellare dai nostri ricordi il valico recente e audacissimo +sul Rubicone. — +</p> + +<p> +Cui Numidio Canca — uno dei vecchi militari da lui pur +dianzi salutato: +</p> + +<p> +— E perchè ti confini tu nel tuo Tusculum ed or qui, sì +che nell’Urbe s’ignora se sii ancor tra i viventi? — +</p> + +<p> +— E vuoi tu, nobile avanzo dei ferri catilinari, che io +non rinunci alla pubblica cosa quando questa più non esiste? +Quando la libertà la dicono pacificata e le nostre vecchie instituzioni +le chiamano moderande, da sorreggersi e persin migliorate?.... +La gloria è in interdetto. — La eloquenza — voi +il sapete — è una fiamma che abbisogna di alimento per ardere +di moto per eccitarsi. — +</p> + +<p> +E Dolabella: +</p> + +<p> +— E la Repubblica tranquilla, la Repubblica dell’ordine +dice che noi gittavamo tutti gli errori nel cuor fecondo delle +masse per quella maledetta ambizione di popolarità. — Laonde +fazioni e lotte continue tra il patriziato e il popolo +minuto. — +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span> +</p> + +<p> +La voce di un giovane allor sorse a dire: +</p> + +<p> +— Lo editto dittatorio che ha rilegato nel tempio di Marte-Vendicatore +il dibattimento delle cause pubbliche, ha tolto il +fermento, la licenza, la dissennatezza omai generale. — La +eloquenza, no, non è morta. Essa vive e scintilla per fare il +bene, procede pel sostegno dei sani principii e trionferà dei +pessimi cittadini. — Che! Son fatte mute le labbra sublimi +che inabissarono Catilina, Verre ed Antonio, surti per rovesciare +a talento le sorti della Patria e del Mondo? — +</p> + +<p> +Lo elogio espresso dal giovine retore Consinio Mestrio, +quantunque meritato, sommamente piacque a colui si quale +era diretto. — Onde rispose: +</p> + +<p> +— La mia età mi condanna al triste privilegio di dire: — Ho +vissuto. — Ma... o tirone, quello che tu chiami licenza, +io la chiamo libertà.... +</p> + +<p> +— E pur dai Rostri tu l’accusasti compagna delle sedizioni, +ribelle, arrogante, parricida. — E noi giovani comprendemmo +come le pietre sieno fatte per selciare le vie e non +per abbarrarle, e le daghe per difendere il Campidoglio e non +per abbatterlo. — +</p> + +<p> +Allora dal crocchio emerse la testa di un canuto, sulla +cui fronte ogni dolore lasciato avea la sua ruga, e +</p> + +<p> +— Parmi non la santa libertà tu rimpianga, ben la rivalità +di un uomo possente, cui tu apristi la strada al salire. — +</p> + +<p> +— Basta, o amici. Ragioni non mancano. Pur mangerebbero +il tempo alle pubbliche elezioni della Colonia. — M. Clodio +Pulcro venga a suo libito nella mia Pompeiana, ove mi +piaccio ed è il solo luogo oramai ove io sia pienamente contento. — Là +parleremo. — +</p> + +<p> +E sì dicendo ruppe il cerchio dinnanzi coll’atto benevolo +della mano. E fattosi nel Foro, ascese anch’egli la gradinata +del tempio. +</p> + +<p> +Un suo liberto che pur era venuto con lui di Roma, un +tal Suculo — che negli spazi smisurati aveva veduto abbassare +il volo alle chimere della lunga sua vita — accostossi ad +un affrancato di sua conoscenza e gli disse colla palma tesa +verso l’orecchio: +</p> + +<p> +— Oh! Un po’ di umiltà sposata a tanto ingegno! Se un +<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span> +raggio di sole gli avesse almeno scaldato il cuore! — Terenzia — la +buona padrona che mi diede la libertà — fu da lui +reietta e presto dimenticata. — Tulliola — che aveva i suoi +tratti e le sue nobili frasi congiunte ad una grande anima, +ch’egli diceva adorare — morta appena ed obliata. — Ora, +a 58 anni, ha sposato Publilia, giovane, bella e ricca, colla +cui dote ha pagato i molti suoi debiti. +</p> + +<p> +— Tu mi conoscesti schiavo di Hortensio, nella villa di +quel gran ciarlone, in Bauli. Preso di matta passione pei suoi +<i>piscinarii</i>, ammalò quando lesse il decreto del dittatore che +vietava si gittassero più oltre gli schiavi ad ingrassar le murene. +Ei soleva parlar con dispregio di M. Lucullo — il fratello +del vincitore di Mithridate — perchè non aveva nei suoi +vivai il quartiere di estate per i suoi pesci favoriti. — Per +cotal gente noi valghiamo meno di un’ostrica di Lucrino o di +Brundusium. E Crasso, l’uomo censoriale, lo illustre, il grave +uomo di Stato, quegli che ama tanto la Repubblica, e nol +vid’io porre una collana di perle e gli orecchini d’oro ad una +murena? +</p> + +<p> +— Udii ben io Domizio, il suo collega nella Censura, rimproverargli +tale sciocchezza in pieno Senato, ed egli testimoniarla +senza rossore, vantandosene come di nobile atto di pietà +di cuore. +</p> + +<p> +— Per Castore e Polluce! V’ha dei giorni in cui, vedendo +girare le verghe e cadere sul corpo dei miei poveri +compagni in casa di Aricio Scauro — quegli che mi comperò +dallo antico padrone — la rivolta mi sembra quasi un dovere. — E +quando io mi chiudo nel mio povero giaciglio la sera, +io m’inginocchio dinanzi una Iddia che mi sta nel fondo del +cuore e le canto un inno tacitamente, siccome Spartaco lo urlò +coi coltello da beccaio nello anfiteatro Campano. — Ah! — +</p> + +<p> +— Tu vai tropp’oltre, fratello. Rammenta che se è vietato +gittar gli uomini ai pesci, non la è così per le fauci dei +leoni, delle tigri, degli orsi. — Sommessione e pazienza. — +</p> + +<p> +E si separarono. +</p> + +<p> +Rincarirò sul già detto da quelli schiavi. Era in Roma +un Figellio, poeta assai caro a Cesare e ad Augusto. Ei cantava +d’improvviso una serie lunga di versi su qualunque argomento. +<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span> +E siccome, non sole parole, ma concetti, ognuno ne +maravigliava; e dalla maraviglia il favore. Nasceva di gente +Iliese, rintanata sulle più aspre montagne della Sardinia. Ribelle +ai Romani, nobilmente testarda, combattuta d’ordine +del Senato, carpita dai suoi nidi di aquila e venduta ne’ pubblici +mercati. Solo Nerone, a sedici anni, sposata Ottavia, difese +gl’Iliesi, origine della casa Giulia, perchè di seme troiano, +da Ænea colà trasportato. Figellio era un liberto. Aveva il +padre, i congiunti, i nati nei suoi monti combattuti, morti, +martoriati, venduti, dispersi. O perchè Cicerone l’odiava?... +Schiccherava versi d’incanto e tutti ne lo lodavano. Ed egli, +poetastro stentato, non di vena, n’era geloso e non sapeva +frenarsi. +</p> + +<p> +Uno Scauro, iniquo pretore, ito in Sardinia colle sacca +vuote, le riportava nell’Urbe gravi di argento e di pietre preziose. +Cicerone orò per lui. Aveva bene accusato Verre per +missione avutane dai Siculi. Cangiato il nome, il soggetto era +lo stesso. Ma egli spese la sua splendida eloquenza contro i +Sardi derubati e immiseriti, perchè Scauro fu il primo a complirlo +e fecegli udire il sonito dei nummi d’oro, di cui lo sciupone +aveva tanto bisogno. E ritorse il dritto. E raddrizzò lo storto. +</p> + +<p> +Erasi allora allora partito dall’Urbe, e i suoi rancori, i +suoi desiderii, le sue speranze attribuiva alla società pur +dianzi lasciata. Pensava che il suo malcontento avrebbe prodotto +la rivoluzione. In ogni baruffa vedea la rivolta. Credeva +pianto della patria il pianto del suo cuore. E i suoi vecchi +colleghi, tutti tormentati dalle sue smanie. E s’ingannava. +</p> + +<p> +L’uomo politico, cacciato in bando da una fazione avversa, +guarda il presente e lo avvenire a traverso un prisma +fallace. Il tempo accresce le vanità della mente e aduna +fiamma nel cuore. L’esule esagera i meriti suoi. La impazienza +gli fa accettare qualunque consorzio. I riuniti per la +medesima causa ragionano intorno a ciò ch’essi erano, intorno +a ciò ch’essi sarebbero; e s’incitano contro il comune nemico; +e si pascono di vittorie e di vendette; e maturano imprese di +passione, non di criterio, che i non tormentati dai medesimi +sentimenti — tutto che amici loro — giudicano disperate, insane +e di successo infelice. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span> +</p> + +<p> +Silla avea detto che in Cesare erano molti Marii. Nelle +sue imprese era cauto, di sguardo lungo ed audace. Trionfava +a miracolo. Acquetava con spettacoli, con desinari fastosi, con +giuochi, con larghezze. Abbelliva la città. Ampliava lo impero. +I soldati erano suoi. Deponeva agevolmente odii e nimicizie. I +ricchi, le donne, il popolo, tutti per lui. Il dado era gettato. +Cesare aveva vinto. Or l’Arpinate farneticava; ed eccitatore +di animi, sentiva bene nel profondo la vanità dei propositi +suoi. +</p> + +<p> +Infrattanto il vecchio M. Tullio Cicerone, riconosciuto od +atteso, ebbe le mani strette con grande espansione da tutti +ch’erano pel peristilio del tempio. Parecchi lo baciarono sulle +due gote, segno di affetto che i Romani prodigavano ai loro +amici. — Fattasi un po’ di calma, Alleio Lucio Libella, col +suo collega nel duumvirato Munazio Fausto, si presentò alla +faccia del popolo adunato per ritogliere gli auspicii; osservò +il volo di un aquila a cui gli aruspici diedero la libertà; una +vittima venne immolata sullo altare interno del nume, e i +sacerdoti dichiararono che i padri potevano deliberare. I +duumviri, il pretore, il questore, i magistri dei sobborghi e +dei trivii, e i decurioni andarono l’un dopo l’altro ad offrir +al Dio vino ed incenso, e la seduta fu aperta. +</p> + +<p> +I primi sedettero sulle sedie curuli del centro. Lo edile +ed il questore più al basso ai lati del <i>pulpitum</i>. — Gli altri +sedevano alla rinfusa sotto il colonnato. — E nelle parti laterali, +sotto le statue equestri, erano gli <i>actuarii</i>, scribi e schiavi +pubblici, incaricati di raccogliere i discorsi mercè alcune note +od abbreviazioni che con brevi tratti di stilo rappresentavano +molte parole. +</p> + +<p> +— Salute ai tre ordini della Colonia. Gli Dei le siano propizi. — +</p> + +<p> +Quindi i duumviri indicarono allo edile e al questore che +potevano dar còmpito della loro amministrazione. +</p> + +<p> +Aufidio Mamusa cominciò dal leggere un disegno di senato-consulto, +ordinando preci nei templi per cinque giorni e +la immolazione di cento vittime sugli altari, per calmare la +collera celeste che tratto tratto manifestavasi nel territorio +della Colonia con dannosi tremuoti. — La legge passava <i>per +<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span> +discessionem</i>, cioè, senza discutersi e per acclamazione. — Quindi +parlò delle nuove terme costruite nel fondo della via +dell’Abbondanza, cui erasi aggiunto anche la palestra dei +giuochi ginnastici della gioventù, una biblioteca, una sala da +giuoco ed una di profumeria. — E lo edile seguiva: +</p> + +<p> +— Il mio collega Cascellio Testa, questore, prese gran +cura nella fattura di cotesto edificio — non solo bisogno — ma +lustro della nostra Colonia. Come Catone e Fabio Massimo +egli ha regolato la temperatura dei getti di acqua calda. I condotti +portano pure le onde dai larghi depositi del Sarno e le +si rinnovellano continuo. Una imposta più grave converrà votare +per.... +</p> + +<p> +Una voce potente tuonò dai portici ed interruppe lo +edile. +</p> + +<p> +— I ricchi hanno i loro <i>balinea</i> domestici, corredati di +ogni femminea ricercatezza. Al popolo bastano le terme dove +toglieva i suoi bagni Scipione l’Africano. Quel terrore dei +Cartaginesi bagnava in povero luogo il suo corpo affaticato dai +lavori dell’agricoltura; che il grand’uomo piacevasi coltivar +<i>more antiquo</i> il piccolo predio colle sue mani gloriose. — Ora, +pavimenti istoriati per poco venerabili piedi! Soffitte dorate +e a rilievi sopra capi senza cervello! — Stanze da giuoco e +da unguenti! — Mascherate ridicole! — Ai bei tempi che non +son più, i nostri padri sitivano di guerra e di gloria. — Poveri +eroi del vecchio Sannio! Ora passa un nipote degenere sul +margine della via, e vi sembra che là sia piantato un giardino. +</p> + +<p> +— Ingiusta è la tua rampogna, Appio Crispo. Altri e diversi +i tempi da te mentovati. Una volta il popolo lavava le +braccia e le gambe allorchè i lavori, cui era addetto, quelle +membra particolarmente gl’insudiciavano. L’abluzione della +intera persona non avea luogo che ogni novenio, nell’epoca +dei mercati. — Ora trovi tu male ch’ei si lavi ogni dì? Che +prenda il bagno caldo? Che preferisca le pure linfe alle torbide? +Che le sale ove l’occhio ei riposa siano adorne dalle +arti del bello e i pavimenti abbiano musaici invece di pallidi +mattoni? +</p> + +<p> +— Anche i ricchi si contentavano di una giornaliera abluzione. +<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span> +Ora passano la loro vita nel bagno. Per Ercole! E la +sera, dopo averne presi otto a vapore, fanno pietà a vederli. +Hanno a mala pena la forza di star ritti e di risponder col gesto +se sono salutati. — Vuoi che anche la plebe si mummifichi +al pari di essi? Vuoi ch’essa apprenda a tergere collo strigilo +i suoi profumi invece che i suoi sudori? — +</p> + +<p> +Un mormorio di grida indistinte udissi in ogni parte del +Foro. Allora il questore levossi in piedi e cominciò a ragionare. +Ma le interpellazioni violente, partendo da vari gruppi +sotto i portici, coprirono il timbro della sua voce. Aveva un +bello affannarsi nel dire: +</p> + +<p> +— Pace, pace! — +</p> + +<p> +Nessuno gli dava retta, e tutti ad una volta, con gran +lusso di gesti, dicevano: +</p> + +<p> +— È contro la plebe. +</p> + +<p> +— No. È per lei che ha fabbricato le Terme. +</p> + +<p> +— Plutone lo inforchi! — Come? Forzarci a prendere i +bagni ogni dì? Converrebbe essere censuari, o non aver famiglia +da nudrire! +</p> + +<p> +— Sappiate almeno, prima di bociar tanto, contro qual +cosa facciate il vostro richiamo. — Le Terme, come il Tempio, +come la Basilica, come il Teatro, sono lustro e vanto di una città. +</p> + +<p> +— Io trovo che nel <i>baptisterium</i>, dove andai a prendere +il bagno freddo in comune, tutte le delicature enumerate non +vi erano. +</p> + +<p> +— Bestia! — Se fossi entrato nell’<i>apodyterium</i>, nella +sala a dritta, ove si depongono le vesti, avresti notato il fastigio +degli ornati che non sono nel tempio. +</p> + +<p> +— E bene sta. — La plebe è sovrana, finchè i vizi di +Rema non l’avranno venduta — o finchè i suoi propri non +dicano il suo prezzo all’uomo che ha l’occhio dell’aquila. Abbia +anch’essa il suo <i>frigidarium</i>, il suo <i>tepidarium</i>, il suo +<i>sudatorium</i> e il suo <i>eleotesium</i> per spargersi di profumi sul +corpo estenuato dalle fatiche. — +</p> + +<p> +E con una voce stentorea, addensandola nelle palme +chiuse in arco, proseguiva: +</p> + +<p> +— Parli lo illustre Cascellio. — I duumviri ristabiliscano +il silenzio. — +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span> +</p> + +<p> +Gli araldi dopo vari tentativi potettero ottenere un po’ di +calma. Allora il questore: +</p> + +<p> +— Appio Crispo mi permetterà ciò che mai non seppi rifiutare +ad alcuno nella mia non breve vita di magistrato. Potrei +dirgli com’egli mal collochi la sua demofilìa. — Chè, val +meglio far gustare ai diseredati dalla fortuna i comodi della +vita domestica, onde averli discreti, costumati, tranquilli, di +quello che averli selvaggi e brutali. — A mente posata tutti +mi daranno ragione e plaudiranno a questo prodotto della nostra +amministrazione. — Or noi prendiamo a nostro carico la +eccedenza della spesa sulla somma che ci venne allogata. — Ed +io pagherò di proprio il mantenimento delle pubbliche +nuove Terme, acciò non dia ragione ad elevare le tasse sulle +colonne e sulle terre, o di lasciarlo a carico del pubblico tesoro. — +</p> + +<p> +Secondato da un mormorio favorevole dell’assemblea, il +questore tornò alla sua sedia curale. Ma tutti i decurioni lasciarono +le loro e si fecero a stringerlo, a lodarlo, e taluni +anche a baciarlo. La discussione venne continuata pro o contro +lo assunto, ognuno terminando il suo discorso colle parole: +</p> + +<p> +— <i>De ea re ita censeo.</i> — Oppure — <i>Assentior.</i> — Oppure — <i>Assentior +et hoc amplius censeo.</i> — +</p> + +<p> +Non levandosi alcuna voce sulle altre questioni dell’amministrazione +municipale, furono tacitamente adottati per +buoni i temperamenti ritolti dall’autorità. — Non così quando +Mamusa venne a trattare della costruzione delle vie interne e +delle pretorie, nonchè delle vicinali, che menavano a piccole +borgate e ad oppidi o li traversavano. Un decurione, +breve della persona, dagli occhi piccini ma divoranti come +quelli del tigre, valoroso soldato sotto Silla, il gran capitano, +chiese se gli desse facoltà di parlare. Dotato di una grande +originalità di carattere e d’immenso coraggio — perciò amico +fedele al vero e a tutta la sua parentela — di cuore elevato, +mia soffrente gli entusiasmi del momento, credeva che la parola +fosse per correggere gli errori, per togliere le cose dalle +mani incapaci, e per far sorgere di terra bisogni acquetati, +universalmente riconosciuti. Tale era Ninnio Mulo, il quale +discesa la gradinata si apprestava ad arringare sul pulpito. +</p> + +<p> +— Tu vuoi, o popolo, ch’io dica la verità, non è vero?... +<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span> +Ho la mano memore di colpi di daga, ma la lingua non seppe +dir mai fiori retorici. — Fui marinaio — Sono soldato — Do +quel che ho — Ebbene! quegli egregi che seggono dietro di +me non fanno il loro dovere. — Sarebbe stato bene tu non li +avessi mai eletti. Ma farai meglio di non li eleggere più. O popolo! +Cotesto ingombro di schiavi di ogni terra del mondo ti degrada, +ti dà i suoi vizi. E omai domandi di esser nudrito e distratto +coi giuochi dello anfiteatro. — Scorgendo qual sia il +mezzo di piacerti, erigono bagni di lusso, rizzano per sè e pei +liberti sepolcreti maestosi che giammai ebbe un salvatore della +Repubblica in campo, e con ingenti spese fanno venire dalle +scuole di Capua e di Ravenna compagnie gladiatorie e di +Roma bestie feroci. I tuoi padri sarebbero stati loro grati per +le opere di utilità pubblica, compiute a gloria di tutti. I porti, +le vie interne, le strade consolari; ecco i lavori degni della +tua maestà, o popolo. Giulio Cesare non ha speso pei bagni, +egli — ma per la riparazione della via Appia. +</p> + +<p> +Guarda or le tue strade urbane — osservane i <i>margines</i> +sbocconcellati, mancanti, alti, bassi, irregolari. — Per iddio +Marte! Non sono molte sere ebbi a snoccolarmi un piede sulla +via ove sono le fontane del Toro e di Sileno — Par greto di +fiume. — +</p> + +<p> +E volgendosi indietro rosso come bragia: +</p> + +<p> +— Ti fa vergogna, o Mamusa! — +</p> + +<p> +Poi continuando: +</p> + +<p> +— Presso la fontana della testa di Venere, sulla via che +mena alla porta di Stabia, ebbi a raccogliere un povero vecchio +che aveva perduto lo equilibrio su quei solchi di pietra — e +tutto sanguinoso nel capo, votava i magistrati alle furie +di Averno. — Onta e danno! Ho detto abbastanza.... Pure +aggiungo che la strada per Oplonte ad Herculanum è impraticabile, +e le carra vi s’impaltenano nel verno a non poterne +uscir fuori che a stento. — Strade e... scuole... Anche queste +fanno pietà! Una plebe più istruita e meno profumata fa gli +affari della Repubblica. — +</p> + +<p> +Quando Ninnio — terminato il discorso che il nobile cuor +gli dettava — si volse alla sua sedia curule, trovò Cicerone +che colle aperte braccia lo accolse e gli disse: +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span> +</p> + +<p> +— Salve, amico. Bene dicesti! — +</p> + +<p> +Nel Foro molte le voci plaudenti. Scarse sul peristilio del +tempio. +</p> + +<p> +Aufidio Mamusa che avrebbe voluto essere rieletto, non +volle rimanere sotto il peso di tanta censura. — E rispose: +</p> + +<p> +— L’onorato cittadino che tutti amiamo e stimiamo, equo +sempre nei suoi giudizi, volle esser ingiusto oggi con noi. La +via suburbana dei sepolcri, che appellasi <i>Domitia</i> e che mena +a Neapolis, fu rifatta dai magistrati che ci precedettero nell’arduo +incarico. Il suo stato è eccellente. Solo negli acquazzoni +estivi le terre di alluvione la ingombrano, ed abbiam cura +di farla netta dal fango in ogni circostanza. — Dal tempio +della Fortuna sino al crocicchio della fontana del Toro facemmo +selciar di bel nuovo la via colle pietre del monte Vesvio, +e la superficie dei margini fu composta di ciottoli spianati +e murati a livello. Computata la spesa di quel tratto, +avremmo a poco a poco restaurato il resto sino al quatrivio +e subito messo mano a riparare la strada veramente ruinosa +che dalle mura sbocca fuor della porta di Stabia <i>ad cisiarios</i>. +Se il suffragio popolare continuerà a farci onore, le mie parole +diverranno fatti. +</p> + +<p> +Allor sorse un uomo dal corpo tarchiato e breve, dallo +aspetto infantile, dalla parola facile e petulante. Volea parer +grave — e non lo era. — Volea essere austero — e non gli +era possibile. — Volea sembrare decente — e tutto glielo vietava! — Egli +apparteneva a quella falange di ambiziosi — leviti +dei culti riconosciuti — predella agli audaci che salgono — difesa +a compenso di chi teme e spera — uomini che impongono +ordine e non danno sicurezza al partito che a sè lo +chiama. — Ei cominciò: +</p> + +<p> +— Ninnio per fermo vince battaglie — e sè stesso non +vince. — Regge a meraviglia le sue coorti ed è la spada di +Marte quando a capo dei veterani si scaglia in mezzo ai nemici. — Ma +conosce egli le difficoltà di una amministrazione +civile? — Oh quanto il dire è diverso dal fare! — Io fui già +<i>curator viarum</i>, o meglio appartenni al quatuorvirato dei +<i>viocures</i>, come il popolo gli appella. Mi si permetta pertanto +di dire col sublime oratore che oggi onora la nostra assemblea: +<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span> +<i>cedant arma togae</i>. — Per istabilire una strada si comincia +dallo aprire un fossato sino al terreno solido. — Livellato il +fondo lo si cuopre di uno strato spesso di fina sabbia. — Allora +la costruzione ha principio collo <i>statumen</i>, che è il fondamento, +composto di larghe pietre e piatte, riunite da un +cemento durissimo — col <i>rudus</i>, che è una zavorra di sassi, +di mattoni, di tegole rotte e di calce — col <i>nucleus</i> che è uno +strato di sabbia e di calce e che ben livellato forma il nocciolo +della strada — colla <i>summa crusta</i>, o il <i>summum dorsum</i>, +formati da grandi poligoni irregolari di silice o di pietra +vulcanica; quasi dura quanto il ferro. Cotesti lavori chieggono +tempo e danaro. Date denaro e tempo agli egregi magistrati, +che ora è un anno voi nominaste; e le strade e le scuole e +tutte le nobili instituzioni della Colonia risorgeranno. Le ultime +guerre civili nocquero ad esse. Allorchè i partiti si disputavano +lo imperio, e il Governo era nei campi di battaglia, e +la pecunia pubblica veniva assorbita dai soldati, tutte le civili +magistrature decaddero. — Una nuova êra è risorta. Già in +Roma alcuni senatori hanno preso il còmpito di dar riparo +alle vie abbandonate da quindici anni. E il dittatore medesimo +ha assunto la ricostruzione della strada Flaminia, che mena +dall’Urbe ad Ariminum. — Gli attuali magistrati io li dichiaro +degni della Repubblica, ed al popolo raccomando la loro +rielezione. — +</p> + +<p> +A quei detti Ninnio sorge con impeto, e tutto rosso per la +collera, grida dal pulpito ov’è corso: +</p> + +<p> +— No, cittadini — <i>Oro ut non faciatis.</i> — +</p> + +<p> +Una certa agitazione in senso diverso occupò allor l’assemblea. +I clienti si slanciavano nei gruppi per patronare i +suffragi pei loro candidati, dicevano il loro elogio, parlavano +della loro condotta passata e della malleveria per lo avvenire, +citavano testimoni e garanti, o il personaggio sotto i cui ordini +avevano portato le armi, o quegli presso il quale erano +stati questori. E taluna volta aggiungevano verità o calunnie +sulla nascita e sui costumi del competitore che osava presentarsi +candidato della magistratura a fronte del proprio degnissimo. +</p> + +<p> +In fra tanto i duumviri interrogarono i decurioni un per +uno colla formola: +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span> +</p> + +<p> +— <i>Dic quid censes</i> — +</p> + +<p> +per sapere se la discussione dovesse esser finita, o passare +immediatamente ai voti. — Venne accettata la seconda proposta. — Allora +furono fatte suonar le trombe per intimare +il silenzio e un duumviro gridò dal pulpito, invitando il popolo +a ritirarsi: +</p> + +<p> +— <i>Si vobis videtur, discedite</i> — +</p> + +<p> +e lesse ad alta voce il senato-consulto ordinario, il quale ratifica +anticipatamente la scelta dei magistrati futuri del popolo. +Ed aggiunse la nota di quelli le cui funzioni scadevano +in tal giorno ed i nomi degli altri, raccolti dalle rogazioni inscritte +in rossi caratteri sui canti delle vie. Quindi: +</p> + +<p> +— <i>Quod bonum, faustum, felixque sit</i> — +</p> + +<p> +cioè, che tutto questo avvenga per il bene, la felicità e la +prosperità pubblica. E si ritirò col collega e cogli altri magistrati +da quel posto sino allora occupato, e cogli altri magistrati +discese la gradinata del tempio, quasi per confondersi colla +folla. — Gli era un mostrare di bel nuovo le loro persone ai cittadini +riuniti ed un testimoniare che si ritiravano in un canto per +lasciare una maggiore libertà di voto alla coscienza del popolo. +</p> + +<p> +Nell’atto dodici littori coi loro fasci armati di scuri escirono +dal <i>Senaculum</i> e vennero a porsi in mezzo all’area del +Foro insieme cogli araldi, i quali deposero sopra una predella +un alto paniere cilindrico, detto <i>cista</i>, dove i cittadini avrebbero +gittato i loro voti. I littori abbassarono rispettosamente i fasci dinanzi +l’assemblea in segno di omaggio alla sovranità del popolo. +</p> + +<p> +In un luogo designato si distribuivano ai cittadini tre +tessere di bussolo. Una portava incise le due lettere V. R., +cioè <i>uti rogas</i>, che indicava l’accettazione delle leggi come +erano state richieste. L’altra portava la sola lettera A. cioè <i>antiquo</i>, +che voleva dire, il rifiuto delle leggi proposte. La terza +era bianca di cera e su di essa si scrivevano i nomi dei magistrati +cui ognuno dava il suffragio. — E colà più vive erano +le passioni dei partiti. Gli amici andavano, venivano, correvano +dalle centurie dei cavalieri a quelle del popolo — e sugli +occhi dei votanti leggevano la indifferenza, la incertezza od +il partito preso — e seminavano la calunnia — e reiteravano +le promesse — e proclamavano il loro candidato <i>bonum virum</i> — o +<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span> +<i>verecundissimum</i> — o <i>dignum reipublicæ</i> — o <i>ædilem +optimum</i>. — E i giovani — sempre i più bollenti — mettevano +in siffatte sollicitazioni lo ardore, lo zelo, il fuoco, della +loro età e correvano a riferire ai loro favoriti tutto che poteva +interessarli. +</p> + +<p> +Le guerre civili avevano spezzato le nobili tradizioni dei +popolani diritti. — La confusione e la inerzia — i bisogni +sureccitati e il desiderio dei facili guadagni — le immoralità +che avevano scoperto il debole della corazza e sapevano dove +spingere la loro punta — tutto questo aveva fatto del popolo +una mandra di pecore, le quali vanno dove veggono +andare gli animali della loro specie. +</p> + +<p> +Quando una centuria ebbe scritto i suoi nomi, essa aprì +il varco tra le colonne del portico e gittò ostensibilmente le +tessere di legno nella <i>cista</i>. Gli addetti alla ricognizione dei +suffragi — i <i>rogatores</i> — colle braccia nude sino alle ascelle, +ritiravano le tavole e, dopo averne volto la superficie bianca +verso il popolo, le leggevano a chiara voce. — Altri, preposti +<i>ad dirimenda suffragia</i>, le separavano, le contavano e marcavano +sur una loro grande tessera un punto per ciascuna +legge o per ciascun nome di candidato. — Conosciuto il voto +di ogni centuria, un suo araldo — il <i>praeco</i> — ne proclamava +il risultato. — E si udivano battute di mano, o segni di disapprovazione, +a seconda delle opinioni degli uomini. Le donne +dall’alto del terrazzo agitavano anch’esse le braccia bellissime +nello udire il trionfo dei prediletti dal loro cuore. +</p> + +<p> +Mentre quel fatto importante occupava il popolo nella +piazza, Ninnio traeva M. Tullio Cicerone in un angolo interno +del tempio e dicevagli: +</p> + +<p> +— Ascoltami, o grande cittadino. — Il rovescio della pubblica +cosa mi morde potentemente il cuore. — Talvolta il +dolore pieno di maturità è sì forte, ch’io sento l’arma del +suicidio corrermi per le mani, quasi io mi fossi un uomo senza +energia e senza fede. — Tale altra una disperazione piena di +gioventù mi offre il rifugio migliore contro i disgusti e le tristezze +dei miei pensieri. — Io soffro una di quelle febbri che +logorano la cosa immortale — quando esse vengono per accenderla +o per consumarla. — +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span> +</p> + +<p> +E stringendogli forte le mani, riprese: +</p> + +<p> +— Ho due nobili parenti — la Patria e la Libertà che a +vicenda e simultaneamente io sento madri delle sole virtù che i +disinganni non uccidono mai. — E come te vidi trionfanti quando +aveva i piedi nel sangue e la testa avvolta nella polvere riscossa +del campo di battaglia, così ora mi appaiono avvilite, prostrate +e presto uccise nella visione del mio dolore. — Vuoi tu +salvarle dalle mani parricide di colui che ha assorbito il dominio +del mondo e che spossa lo aiuto delle leggi, travolgendole +con pratiche da moneta? — +</p> + +<p> +— <i>De illo quem penes est omnis potestas?</i> Comprendo il +tuo dolore e lo sento. Con lui la giustizia e i diritti sono +violati. Spesso lo udii ripetere i versi di Euripide. — «Se si +ha a violar la giustizia, ciò si debbe fare per cagione di +dominio. Nelle altre cose si debbe aver rispetto alla pietà +inverso la patria.» — La legge è il suo Capriccio. Gli è perciò +ch’io mi son ritirato di Roma. La Curia ed il Foro, vani +nomi. Mi duole esser nato troppo tardi e sorpreso — pria di +compiere il viaggio della mia vita — dalla notte profonda in +cui brancola la pubblica cosa. Ammiro Catone. Ma dipenderà +sempre da me lo imitarlo quando vorrò. Solo mio studio è procacciare +che una tal fine non mi si faccia come a lui necessaria. — +</p> + +<p> +— Che parli di morte? — Diamola a chi la merita. — Qui +sono tre coorti di veterani — uomini provati sui campi +decorosi di nobili cicatrici, tenuti in conto dalle altre milizie +e non ancora corrosi dall’oro del tiranno. — Me, le coorti e +questo paese io ti consegno. — Accetti? — +</p> + +<p> +Cicerone si strofinava il mento colla mano sinistra. Dopo +una breve pausa rispondeva: +</p> + +<p> +— Rifletti, o egregio. Tre coorti che sono? Ed anche +fossero dieci, e più, che sarebbero? E quali le preparazioni +per un sì grave avvenimento? Quell’uomo è potente di genio +e di prestigio. Non è albero che crolli. E se giungi a tagliarlo, +ripullula. — Tali i segni del tempo! — Ho lettere colle quali +uomini ignoti mi ringraziano per aver ottenuto col mio suffragio — così +credono! — il titolo di re. La tirannia si corona +di falsi senati-consulti. — E i padri coscritti hanno tutto +obliato. — Son fango! — +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span> +</p> + +<p> +— E Bruto e Cassio.... +</p> + +<p> +— Vieni domani a trovarmi. — Intanto penserò. — Voglia +Iddio non fare sterile la lotta contro le leggi implacabili che +qui distrussero la Libertà. — +</p> + +<p> +Ma il grande ingegno presumente e vano di Cicerone +non era adatto alla rigenerazione di un popolo. La calda immaginazione +che lampeggiava sui Rostri e nel Senato gl’impediva +di ben conoscere gli uomini e le cose. — Era anche +onesto e il suo animo rifuggiva da quei patti che le rivoluzioni +impongono per aggiungere il trionfo. Tornato in villa, prese +il bagno, si chiuse nella biblioteca e riflettè lunga pezza sulle +cose dettegli da Ninnio. — Lo esempio dei saggi di Atene e +di Siracusa il consigliò a liberamente vivere senza urtare nell’orgoglio +dei prepotenti e senza punto umiliare il proprio +carattere. Pianse la sua patria amaramente — come si piange +la morte di un unigenito — e decise di consolarsene, dandosi +allo studio e ai lavori letterari che stimava non poter essere +affatto inutili ai suoi concittadini. — Pria di coricarsi, scrisse +ad Attico sulle proposte ardite fattegli da Ninnio e gli rivelò +la risoluzione presa di andarsene <i>ante lucem</i> a Cuma, per +evitare inutili e perigliosi accordi. — Grande ingegno! Non +grande uomo! +</p> + +<p> +Lo scrutinio dei voti era terminato. — Si suonarono le +trombe per richiamare l’attenzione pubblica. Uno dei <i>rogatores</i> +salì sur un piano centrale elevato e proclamò quello +che gli scribi avrebbero poi notato nelle <i>tabulæ publicæ</i> insieme +colle particolarità e col risultato della elezione. Per la +qual cosa, nel 705 della fondazione di Roma, vennero eletti a +magistrati in Pompei, sedenti Consoli nell’Urbe C. Claudio +Marcello e L. Cornelio Lentulo: +</p> + +<ul> +<li>M · BLATTIVS · M · FILIVS</li> +<li>M · CERRINIVS · M · FILIVS</li> +<li>M · SEPVLLIVS</li> +<li>C · CORNELIVS · RVFVS</li> +<li>M · SALVIVS · EPAPHRA</li> +<li>P · ROGIVS · VARVS · P · FILIVS</li> +<li>M · TITIVS · PLVTVS · LIBERTVS</li> +<li>M · STRONNIVS · LIBERTVS</li> +</ul> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span> +</p> + +<p> +La clessidra notava la settima ora. — La folla si disperse +per tutte le direzioni della città e di fuori. Gli eletti, riunitisi, +procedettero verso il tempio; e di là, uno in nome dei colleghi +ringraziò il popolo dei suoi suffragi e promise quello che +ogni magistrato promette e non tiene. Quindi si ritrassero +nello interno per sacrificare agli Dei. +</p> + +<p> +Intanto la novella della elezione era corsa rapidamente. — Le +case dei nuovi brulicavano di clienti, di parassiti e di +supplicanti. — Festoni di lauro inghirlandavano le porte. — Corone +di fiori circondavano le immagini dei maggiori o dei +patroni della famiglia. — Innanzi la casa di Cerrinio v’era distribuzione +di pane e di vino. +</p> + +<p> +— Vedi plebaglia che si nudre della propria venalità! — +</p> + +<p> +— E il corruttore là dentro, nell’oro e nella porpora! — +</p> + +<p> +Coteste parole si ricambiavano Crispo e Ninnio, soffermandosi +un poco sul margine opposto, nella via dell’Abbondanza. +</p> + +<div class="chapter"> +<p> +<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span> +</p> + +<h2 id="cap4">LA STRADA. +<span class="smaller">SCENE DIURNE IN POMPEI.</span></h2> + +<p class="center"> +<b>Anni di Roma 767 — Anni del Cristo 14.</b> +</p> + +<p class="center pad2"> +A GIULIA, EMILIA E MARIA DINO +</p> + +<p class="center"> +A MARIA HACKE. +</p> + +<p class="center"> +IV. +</p> +</div> + +<div class="chapter"> +<p> +<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span> +</p> +</div> + +<p> +— Ho udito un gran caribo stamane. — Suonano il campanello +a rompere i timpani! — Di’. — Sono molti i <i>visitatores</i>? +</p> + +<p> +— Come al solito, padrone. — Troppi. — <i>Ingentem undam!</i> +</p> + +<p> +— Temerario! — Tu non devi giudicarli. — Solo dirmi +se sono <i>primæ aut secundæ admissionis</i>. +</p> + +<p> +— Di ambedue. — L’<i>ostiarius</i> ne ha picchiato qualcuno +colla sua verga. — Un ortolano tra gli altri con un mazzo di bei +carciofi voleva introdursi <i>a prima luce</i>, per forza in cucina. — +</p> + +<p> +— Non una parola. — Tu saresti com’egli è, se non qui. — Portami +un’acqua melata e aromatica. — Apparecchia il tutto +per le abluzioni. — Disponi la <i>vestis domestica</i>... — È buona la +temperatura? +</p> + +<p> +— Il sole indora coi suoi primi raggi i monti Lettuari e +il nostro Vesvius, sacro al padre dei Numi. +</p> + +<p> +— Vanne. — +</p> + +<p> +Poi che il liberto escì facendo ricadere sull’apertura del +<i>cubiculum</i> una spessa stoffa di Tyro, il padrone si tolse +ignudo dalle coperte di lana e di pelli di talpa — colle quali +era avvolto nel suo letticciuolo a rilievi di avorio su piedi di +bronzo. — Ed asperse di acqua le membra partitamente. Chiuso +in un’ampia veste di lana bianca che gli scendea sopra i piedi, +pose nell’anulare il cerchio di ferro — antica ricompensa della +virtù guerriera — e adattò alle braccia i <i>calbeos</i> di bronzo, +pari a quelli che portavano i militi distinti pel loro valore. — Il +servo rientrò e gli offerse fin una tazza di cristallo la bevanda +<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span> +richiesta. Ei la sorbì a piccoli sorsi, facendo scoppiettare +le labbra. E rivoltosi al liberto: +</p> + +<p> +— Ecco la vera essenza della gioia umana, o Crisanto. — Ciò +non aveva nei campi ove ho lasciato il mio sangue. Se può +gustarsi qualche cosa di migliore, io voglio che me lo dicano. — +</p> + +<p> +Marco Olconio Rufo, figlio di Marco — duumviro incaricato +per la quinta volta di rendere la giustizia, tribuno dei +soldati nominato dal popolo, uomo a cui i pompeiani avevano +eretto una statua nel Foro, a compenso delle molte liberalità +sue e specialmente per aver fatto costruire dal suo liberto, +lo architetto Martorio Primo, un tribunale presso l’<i>Ecatonstylon</i>, +il gran teatro, una cripta e il muro laterale del tempio +di Venere Fisica per formare lo ambulatorio nel portico +dell’Agora antica — era un generale ritiratosi dall’azione per +riposare la sua vigorosa vecchiezza negli agi della casa avita +e presso il patrimonio della famiglia. L’alta statura, il grave +incesso, la memoria dei fatti compiuti incutevano rispetto. Il +suo profilo largamente delineato accusava una certa durezza +procacciatagli dall’abito del comando che non vuol repliche. +Il viso aveva bronzato dalle intemperie dell’aria. E quando i +neri e copiosi sopraccigli si aggrinzavano sui suoi occhi aggrottati, +ai suoi servi parea vedere quel cumulo di nubi oscure +da cui scoppia la folgore. +</p> + +<p> +L’affluenza dei clienti era grande. — Ve n’erano sulla +strada. E nel vestibolo e nell’atrio secondo la loro condizione. — Nessuno +mormorava. Tutti facevano prova di pazienza +la più intrepida, malgrado lo sguardo sdegnoso e venale +dell’ostiario e i titoli di cani e di piaggiatori ch’egli distribuiva +ai miseri che pur faceano di tutto per ingrazionirselo e renderselo +benevolo. Alcuni eransi levati di notte per attendere +presso la porta di Olconio i primi fuochi del giorno. Nè avevano +avuto il tempo di farsi radere. Erano appena coperti +sull’epidermide della toga di rigore, per far presto ad onorare +il patrono in faccia al pubblico e per darsi l’aria di essere +cittadini di un certo ordine agli occhi del cerbero brontolone. +Il popolano indossava il <i>plebeius amictus</i>, la così detta <i>pullata</i>, +ch’era una tunica corta, di color bruno, senza maniche e discendente +poco più oltre della metà delle coscie. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span> +</p> + +<p> +— Il patrono è egli desto? — È egli di gaio umore? — Fugli +propizio Morfeo? +</p> + +<p> +— Via canaglia! Ho anche a rendervi conto di quello che +fa il mio signore? Indietro. O vi sguinzaglio il molosso! +</p> + +<p> +— Sii più umano. — Prendi questo denaro. — Calmati. — Vedi, +non sono indiscreto io come il <i>pomarius</i> che poc’anzi +scacciasti per la sua audacia. — +</p> + +<p> +Ma egli era anche più audace. Perchè, entrato dopo aver +unto le dure ferramenta dell’uscio, nel dispetto de’ suoi compagni +rimasti al di fuori, faceva già cenni col capo al cubiculario +che vide passar nel <i>cavaedium</i>, il quale non gli diè retta, +e poi al <i>nomenclator</i>, servo non meno insolente, che aveva il +còmpito di prender nota dei nomi e delle qualità delle persone +venute a complire il padrone e di soffiargliele all’orecchio a +misura che a lui si presentavano. Ma questi, nell’atto che +moveva verso lui, fu richiamato indietro da un liberto, il +quale lo avvertiva come il generale fosse per passare nel +tablino. Di fatto, ecco gli amici che gli vanno incontro e gli +stringono la destra, e gli chieggono della salute e gli augurano +un giorno felice. Egli li chiama a nome; loro dimostra una +certa familiarità; s’informa delle cagioni che a lui li guidarono; +dice che farà per essi ciò che si fa pei propri figliuoli; +promette colla sua influenza di raddrizzare i torti che loro +vennero fatti; di assumerne le difese contro i loro accusatori +o di procurare ad essi quella tranquillità di cui avevano bisogno +negli affari pubblici o privati. — I clienti da parte loro a +lui rivelano le proprie cose. — E lo pregano d’influire al +matrimonio d’una figliuola con un ricco suo amico. — Ed +aggiungere un regalo al suo corredo. — E ad aiutarlo di pecunia +per rizzare su la casa screpolata e guasta dal terremoto. — E +a proteggerlo per aggiungere la magistratura cui aspira. — Ed +a farlo nominar augure pei servizi prestati da molti anni +nel decurionato. — Ed a procurargli l’area gratuita nella necropoli +sulla Via Popilia che menava a Nola, ove voleva +erigere un sepolcro per sè e pei suoi. +</p> + +<p> +La Clientela fu una nobile instituzione creata da Romolo +per unire in istretto legame i patrizi ai plebei. Questi dovevano +scegliere i loro <i>patres</i> perchè gli proteggessero. Essi +<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span> +avevano il debito di soccorrere ai <i>colentes</i> che gli onoravano. +Nè potevano mutuamente accusarsi dinanzi i tribunali. Nè testimoniar +contro l’altro. Nè farsi inimici mai. Ed ove cotesto +accadesse e ne fosse constatata la infrazione, il reo avea il capo +mozzo come vittima sacra a Plutone. Una legge siffatta e tenuta +in rispetto per parecchi secoli strinse in vincoli di famiglia +il popolo quirite. Le famiglie patrizie si onorarono di un +gran numero di clienti e li perpetuavano nella loro discendenza +come una tradizione. Ognuno si faceva superbo nell’aumentarlo. +E i ricchi e potenti erano fieri nel rendere buoni +uffici. E i bisognevoli temevano di abusarne chiedendoli. E tutti +fecero consistere la felicità nel buono, nell’onesto, nella parte +produttrice della virtù. +</p> + +<p> +Ma l’ampiezza soverchia di Roma logorò a poco a poco i +legami della vecchia famiglia e non si sentì più l’obbligo rispettivo +dei doveri tra i protettori e i protetti. Per riallacciare +i rallentati ricambi, i necessitosi di aiuto ricorsero all’adulazione, +alle viltà, alle bassezze. E i superbi e i vogliosi di cortigianerie, +alle <i>sportulae</i> ed al <i>panariolum</i>, viveri di mediocre +qualità che il patrono facea pubblicamente distribuire sul vestibolo +della sua casa alla folla affamata che vi si stipava. Alcuni +invece di vettovaglie davano danaro; tanto da procurare +a quella geldra raumiliata i sandali, una tunica usata, un poco +di fuoco per riscaldarsi, un po’ d’olio per rischiarare il tugurio +e una coperta per avvolgervisi nell’inverno. E quelli, di +rimando, lor davano i titoli i più esagerati, fin quello di <i>rex</i>, +quantunque proscritto insiem coi Tarquini. — Era la <i>Eccellenza</i> +e la <i>Uscenza</i> che i popoli meridiani d’Italia appresero +nei tristi tempi dei Vicerè e dei Borboni, con cui per vecchia +consuetudine ancor si salutano — ridendone dentro — malgrado +lo espresso decreto del più accetto tra i dittatori e del +più nobile tra gli uomini — il generale Garibaldi. +</p> + +<p> +Così in Pompei, ove gli usi di Roma erano penetrati colla +conquista. — Olconio e i suoi eguali in dovizie, in virtù ed +in potenza, volendo ricevere i propri amici e beneficarli, doveva +pur ricevere la vile plebaglia dei chiedoni, dei sopraccarichi +di famiglia, dei postulatori d’impieghi — senza voglia +di lavorare — e degli accattoni, pronti alla menzogna e al +<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span> +mal fare. — Erano cittadini — avevano diritto al suffragio +nelle elezioni alle magistrature annuali. Dunque era necessario +aprir la porta e far entrare quelli che pur dianzi <i>ibi fucum +faciebant</i> — cioè — che colà imitavano il ronzìo delle +vespe. +</p> + +<p> +Il diritto di clientela non era ristretto alle sole persone. — Le +colonie, le città conquistate, le alleate nazioni e i re +barbari imitarono gl’individui e scelsero i loro patroni nell’Urbe, +il <i>caput mundi</i>. Così Cicerone patronava i Campani. — Fabio +Sanga, gli Allobrogi. — Catone, l’isola di Cipro ed +il reame di Cappadocia. — Marcello, la Sicilia. — Un patronato +siffatto era bello, onorevole, lusinghiero — il più nobile, +il più caro privilegio — quello di fare il bene, di acquetare i +dolori dei popoli, di riparare ai lor danni. — Anche i deputati +al Parlamento italiano potrebbero talvolta suffragare ai più +cari interessi di qualche provincia, o far cange le sorti di +sventurate famiglie, se i ministri — od i loro subordinati — non +si opponessero troppo spesso ai giusti loro richiami. +</p> + +<p> +Olconio avea già spacciato gli affari col suo piccolo cerchio +di amici o di clienti che facevan parte della <i>prima admissio</i>. +La educazione dei tempi chiedeva che quelli della <i>secunda</i> +aspettassero il suo comodo. Rientrò quando a lui parve +nella camera e dopo qualche tempo ne esciva vestito col suo +abito da Foro. Preceduto dai primi, riceveva i saluti e i piati +e i desiderii dei secondi. E poi, da essi seguìto e aiutato dal +nomenclatore, parlò affabilmente ai miseri ed abbietti che gli +venivano presentati, dava il buongiorno a tutti; qualcheduno, +che sapeva influente nei trivi, baciava; qualche altro accoglieva +con una stretta di mano; ed il resto salutava gravemente.... +duramente quasi. — Dinanzi la porta era una lettiga, +portata sulle spalle da sei schiavi. Vi si chiude. I più fedeli +clienti, di un certo ordine, lo accompagnano intorno. — Gli +altri lo seguitano formando una coorte. — Hanno lasciato +però i loro nomi al nomenclatore, per ricevere più tardi le +beneficenze del munifico <i>rex</i>. +</p> + +<p> +Il corteggio va verso il Foro. — Parecchi se ne incontrano +sul posto. — Quivi discende. — Ed entra nelle Curie. — E +si apre l’adito nella Basilica. — E penetra nel Calcidico. — E +<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span> +va sino al Senacolo. — E per ogni dove la sua parola è +ascoltata, i duumviri acconsentono, gli edili promettono, il +questore non niega. Persino i sacerdoti — gente per abito arrogante +ed egoista — palesano una deferenza ai suoi desiderii. +</p> + +<p> +Siccom’egli, gli altri. — Dalla terza alla sesta ora del +giorno — cioè dalle otto del mattino a mezzodì — tutta Pompei +è in faccende. — I tribunali rendono la giustizia. — I banchieri +lavorano nei loro fondachi argentari. — I magistrati +sono in funzioni. — Gli artigiani martellano, scolpiscono, dipingono, +cuciono, gridano il nome delle cose che vendono. — I +preti inventano frottole e le danno come oracoli in nome +degli Dei, cui dicono di essere ministri. — I fannulloni vanno +nel pubblico bagno. — I villici trasportano le derrate dei +campi per venderle ai tavernai, ai <i>cauponatores</i>, ai cittadini +che ne abbisognano, ai fornai; o pur le consegnano ai fattori +del padroni che le fanno vendere nelle due botteghe che si +aprono ai lati della porta della casa. — I naviganti e i mercatori +si occupano dei loro commerci nel porto, nel deposito +delle merci venute dal mare e nel portico del tempio della +Concordia. — Gli agenti del pubblico tesoro riscuotono dai rivenduglioli +il centesimo del prezzo delle cose vendute, le esaminano, +verificano il peso del pane e rifiutano dal mercato +tutto ciò che lor paia di pessima qualità. — Gli scribi li seguono +per far processo verbale all’occorrenza sulla pubblica +via. +</p> + +<p> +Poco più in su della taverna di Fortunato, sulla via Domizia, +un cittadino arrestavasi presso l’angolo della bottega +del farmacista e si appresta a compiere un atto nè decente, nè +pulito. Uno che passa, lo picchia sulla spalla e gli dice: +</p> + +<p> +— Ehi! <i>Quid agis, dulcissime?... Non est hic locus.</i> Non +hai occhi per vedere la pittura sul muro? — +</p> + +<p> +Quegli si ricompose e si disse straniero. Allora l’altro gli +aggiunse in greco che i due serpenti a lato di un modio ripieno +di frutti e i geni domestici dipinti sul muro, significavano — oltre +molte cose — che quel posto chiedeva rispetto. V’erano +barili segati. V’erano anfore rotte in ogni quatrivio per lo +affar suo. E gli additava quei mobili poco discosto col dito. Il +forestiero si arrese al monito e ringraziò. — Gli è che in Pompei, +<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span> +per impedire a chiunque lo sbarazzarsi in ogni loco della +soprabbondanza del fluido che dentro lo tormentava — oltre +aver instituito latrine pubbliche nei posti i più frequentati — ed +una amplissima ve n’ha a lato della prigione nel Foro — collocavano +in ogni crocicchio anfore o barili per accostarvi +le immonde aspersioni. E per guarentirne i luoghi sacri e le +passeggiate faceano dipingere quei serpenti ch’erano pur +simbolo di Esculapio e d’Igea. Furono i tavernai ed i rivenduglioli +che inventarono cotesto rimedio per ispaventare i +fanciulli che insudiciavano gli angoli esterni delle loro botteghe. +Alcuni aggiungevano al simbolico spauracchio una inscrizione +apposita. — E i sacerdoti con esse invocavano sul capo +dei rei la collera dei dodici grandi Iddii e particolarmente di +Giove e di Diana, i quali non avrebbero risparmiato la gente +grossolana che obliasse ai piedi di un tempio com’essa non +avesse un’anfora od una botte dinanzi. — Il serpe che divora +una pigna era adunque come la croce nera sui canti di Napoli. — Laonde +Persio dice nella Satira prima: +</p> + +<div class="poem"><div class="stanza"> +<p class="i01"><i>Pinge duos angues; pueri, sacer est locus; extra</i></p> +<p class="i01"><i>Mejite.</i></p> +</div></div> + +<p> +Per tutto è frastuono di voci. — I rivenditori di cose +crude o cotte non si contentano dell’<i>oculiferium</i>, cioè della +merce che spacciano posta in mostra. Nè di un quadro di +terra cotta in rilievo incastrato sul muro esterno della bottega. +Nè di un dipinto allo encausto, rappresentante il nume a cui +è devoto, o una giostra di gladiatori, od un combattimento +di cui egli abbia o no fatto parte, o lo aspetto di qualche strana +figura che richiami l’attenzione di chi passa. — Nè li suffraga +lo spander legumi, prosciutti, meloni, cataste di cipolle, di +cavoli e di altre cose sul margine e fin sulla via ad abbarrarla. — No. — Essi +debbono urlare i pregi della loro merce +e il nome della regione d’onde provengono e la mitezza dei +prezzi. — E i venditori di vino dispongono anche al di fuori +botticelli ed anfore, legati per tema dei ladruncoli, ed urlano +presso la porta, agitando un ramo di edera. — I beccai infilzano +le carni a vista di tutti; a lato di quelle di capra sospendono +rami di mirto per indicare che le provengono da una +<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span> +prateria di montagna, dove cresce quello arbusto; e gridano +alla loro volta. — Nè stanno cheti i venditori ambulanti di +pesci di mare e dei delicatissimi del Sarno. — Nè quelli stazionari +che vendono carni cotte, bodini, salsicce, lardo, formaggi. — Tutti +parlano a voce alta. — Tutti gesticolano furiosamente. — Tutti +hanno argomenti sempre pronti per arrestare +la curiosità dei passanti sulla loro via. +</p> + +<p> +E chi non dee far le spese per la sua casa, pure è forzato +di far sosta, perchè un monello vuol vendergli per forza +una ricotta entro un piccolo imbuto di vimini; — od una +bambina, un cestino di ginestre ripieno di more o di frutti +del gelso nero; — od una graziosa fanciulla, dagli occhi neri +e procaccianti, mazzolini di giacinti, di rose di Poestum o di +pervinche azzurre. +</p> + +<p> +A tanto baccano onesto, conviene aggiungerne uno nè +bello, nè decoroso. — I marinai erano abituati a bever la <i>posca</i> +delle milizie lungo il viaggio di mare; cioè, una miscela di +acqua e di aceto per acquetare la sete. — Una volta a terra, +popolano le taverne — e ne escono cantori discordanti di canzoni +bacchiche ed erotiche. — I villici che hanno intascato +danaro nel <i>sinus</i> della loro tunica, fanno stazioni lungo le vie +là dove veggono agitarsi il ramo dell’edera, e ne vengono +fuori bisticciandosi o cantando, a saltelloni correndo da un +margine all’altro; e inforcato l’asino od il cavallo, con male +articolate ingiurie trebbiano di vergate la misera bestia che +deve pur trasportare un animalaccio più bruto di loro ai domestici +lari. +</p> + +<p> +Un’altra immondezza delle vie era la mendicità di mestiere. +Presso i bagni, sulle gradinate dei templi, ai piedi +delle tombe, presso la porta delle <i>popinæ</i> vedevi questi ladri +del sentimento e della commiserazione tendere la mano, qual +lamentando un naufragio che di ricco che era lo aveva reso +povero. +</p> + +<p> +— Un asse, per carità, nobile patrizio. — Io ne diedi +degli assi ai tempi lieti. — Eolo e Nettuno mi hanno ruinato. — Onore +agli Dei, quantunque avversi. — +</p> + +<p> +Qual si ferisce o pur fascia la gamba in maniera da parerlo, +e piagnucola e si dice morente per febbre e per fame: +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span> +</p> + +<p> +— Abbi pietà di un infelice, o tu che passi. — Era un +<i>saccarius</i>. Mi cadde un peso addosso e mi ha ruinato. Per lo +affetto dei tuoi figliuoli, pei mani dei tuoi nobili avi, un asse +al povero facchino da grano che non può più lavorare e che +presto morrà. — +</p> + +<p> +V’erano altresì alcuni speculatori, i quali datisi al culto +di quella sirena, che si chiama la infingardaggine, e pur vogliosi +di viver bene, offerivano alla lenta e sudicia Iddia lo +incenso delle immoralità. Assoldavano alcuni storpi di Neapolis, +di Herculanum, di Capua, di Poestum, e gli sguinzagliavano +il mattino come cani famelici per le vie della città. Chi +recitava la parte di soldato mutilato per la gloria e la salute +della Repubblica. — Quale era stato prigioniero di Silla nella +distruzione di Stabia; e riparatosi sotto i vessilli di Cluvenzio, +generale Sannita, fu ferito gravemente alla battaglia di +Nola; e mostrava una profonda cicatrice sull’occipite e ne +accusava una più larga sul petto coperto. — Chi diceva sommesso +essere un gallo schiavo, fuggito da uno spietato padrone +nell’Urbe e chiedeva uno <i>stips</i> — la più piccola moneta +di rame che esistesse. — E la sera lo speculatore lor dava convenio +fuor delle mura in luogo appartato, e si facea render +conto da quei vagabondi delle somme raccolte. +</p> + +<p> +— E perchè così poco, o malandrino? +</p> + +<p> +— E tu, brigante, non avrai pianto abbastanza. — To’, +una pedata. — Domani sera, se non porti di più, ti apprenderò +io a piangere la tua sventura davvero. +</p> + +<p> +— Vile storpiato; ti farò passar per le verghe; così saprai +meglio modulare al pianto la voce. +</p> + +<p> +— E tutti studiate i modi ingegnosi di questo gobbo di +Baiae che ha saputo ingannare anche me, stamane presso il +tempio di Romolo, non riconoscendolo. — Tieni, o camello. — Oltre +ciò che ti spetta, anche un denaro di buon peso per te. — Vanne +a scialare in una <i>popina</i> per conto mio. — +</p> + +<p> +Sono passati diciotto secoli e la tradizione rimane ancor +verde. Vi ha tal gente in Napoli che lautamente vive di una +siffatta speculazione ladra ed infame. Il cattolicesimo vi presta +la sua mano sacrilega. — Sozzi frati colla bisaccia sul collo; +sozzi preti con un bussolo che scuotono nelle botteghe nel +<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span> +nome santo di Dio; sozza bordaglia, coperta di un sacco, +cinto da una corda sui lombi, chiede danaro e l’ottiene a pro +di turpi speculatori e per cause non vere. — E quel buon +popolo — il migliore d’Italia per pronta intelligenza, per docilità +di carattere, per esuberanza di cuore — su ricchissimo +suolo, vegeta sudicio, lacero ed infingardo. — Demoralizzato +dai preti, commette opere inique e crudeli. — Abbuiato dalla +paura, dimentica il domani della vita e sciupa il sopravanzo +dei suoi guadagni nello inutile tentativo di spegnere il sacro +incendio del purgatorio cattolico, apostolico, romano. +</p> + +<p> +Lo <i>accensus</i> grida per le vie popolose il segno del quadrante +solare. — È l’ora sesta. — L’astro maggiore indica il +mezzodì. — L’uso, e — più che l’uso — il clima, impongono +la cessazione di ogni fatica. Le porte delle botteghe si chiudono. +I patroni congedano i loro clienti. Qualche usuraio ancor +cerca per le strade una qualche vittima. La plebaglia torna +nelle sue case col beneficio che i <i>nomenclatores</i> hanno a lei +distribuito. — Ognuno desina, e mangia che può. — I ricchi +e gli sfaccendati si gittano quindi sul letto per dormirvi qualche +ore. Alle otto i più diligenti si levano per riprendere il filo +degli affari. Ma alle nove — cioè, tre ore dopo il mezzodì — nessun +pensa ad altro che a ricrearsi o a far panciolle. +</p> + +<p> +Lungo il canale del Sarno era uno spianato, convenio di +tutti i monelli della città. Le bambine, assise al rezzo dei +pioppi, giuocano cogli astragoli che gittano in aria col dosso +della mano e, addoppiandoli, li riprendono nella palma. — I +ragazzi si lanciano a vicenda il pallone, detto <i>follis</i>, lo raccattano +e lo ripercuotono. — Altri, su terreno più duro, fanno +girare una trottola, che chiamasi <i>turbo</i>, e a furia di sferzate +le imprimono rigiri irregolari; quindi impalatala sulla mano +destra, ve la tengono sin che si fermi. — I più piccini corrono +a cavallo sur una canna. — O col fango costruiscono +casucce; — o formandone un orciuolo, producono un rumore, +scaraventandolo con impeto per terra; — o giuocano a pari +e caffo; o lanciano in aria un asse, scommettendo se nel cadere +presenterà la testa di Giano o la prua del trireme — <i>capita +aut navis</i>. — I perdenti offerivano il polpaccio della +gamba; e gli altri che avevan vinto, vi applicavano un colpo +<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span> +a mano spianata; e perchè nessuno ne desse uno di più per +frode, il punito minacciava di una labbrata chiunque si presentasse. — I +più grandi tentavano di far cadere una noce +dentro il collo di un’anfora, conficcata in determinata distanza; +o colpivano con una noce un cumulo di altre tre sormontate +di una quarta, e la guadagnava chi faceva cadere il castello. — Fra +gli adulti, ve n’era chi lanciava colla fionda una pietra +a seicento passi entro un fagotto di paglia sospeso ad un +albero; oppur unti di olio si esercitavano alla lotta come gli +atleti; o infintisi soldati, marciavano com’essi, armati di +corti bastoni; o simulando un tribunale e un delitto, si accusava +un incriminato, lo si difendeva, si udivano i testimoni, +o si assolveva o si condannava colla gravità dei magistrati. — Correvano, +sudavano, urlavano. E stanchi, si gittavano +nel canale per nettarsi dalla polvere o per nuotare. — I giovani +di venti anni andavano fuori della porta di Nola e là +giuocavano al disco, ch’era di bronzo o di marmo. Lo afferravano +colla palma stringendolo con quattro dita, e lo cingevano +con una correggia allacciata con nodo scorsoio nel polso. +Dopo averlo fatto girare attorno al capo, facevano piccoli +passi frettolosi sin presso un segno solcato per terra; e tenendo +il braccio sinistro sul destro ginocchio e inclinando la +persona in avanti, lanciavano il disco; questo, fischiando, fendeva +l’aria e arrestavasi quando la forza dello slancio lo abbandonava. +Il rivale discobolo tentava di superarlo, e vinceva +la scommessa colui che lo spingea più lontano. +</p> + +<p> +Siffatti divertimenti erano a tutti comuni, al figliuoli dei +parenti agiati siccome a quelli che esercitavano un’arte quale si +fosse. E Ottaviano Augusto, quando, al cessare delle guerre civili, +cessò dallo esercitarsi romanamente nel Campo Marzio a +cavallo ed in armi, si diè per suo esercizio al giuoco della +palla piccola e grossa. O per prendere un poco di esalamento, +or pescava coll’amo, or giuocava ai dadi, or trastullavasi coi +bimbi nei giuocolini adatti alla loro età, purchè fossero aggraziati, +vivaci, linguacciuti, chiassoni. Talvolta, per esercizio +ginnastico, inforcava il cavallo e lo faceva andare di trotto +e a saltelloni, o lo spingeva a slascio lungo lo spazio. E allora +vestiva alla leggera, avvolgendosi in un gabbano, detto <i>sestertium</i>, +<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span> +od in mantelletto di cavalleria, nominato <i>lodicola</i>. — Nei +tempi anteriori erasi visto Mario, già vecchio e vincitore +dei Cimbri, discendere nel campo di Marte dell’Urbe e gareggiare +coi giovani negli esercizi della milizia. E Pompeo saltare +coi più agili e correre coi più destri. E Catone giuocare alle +bocce cogli amici suoi, come il generale Garibaldi in Caprera +coi propri compagni d’arme. +</p> + +<p> +Poichè ho parlato delle varie età dei giuocatori, i pazienti +che leggono questi miei studi sull’antico mi permettino una +breve digressione dal racconto. Non sarà inutile. +</p> + +<p> +I nostri avi indicavano la età degli individui della forma +delle vesti. I fanciulli indossavano la toga pretesta e la lasciavano +nell’adolescenza, cioè a dire, alla età di quindici anni. +La vita di un uomo, divisa in cinque periodi, distinguevasi +in <i>pueritia</i>, in <i>adolescentia</i>, in <i>juventute</i>, in <i>maturitate</i>, e in +<i>senectute</i>. Gli adolescenti nello acquistare i diritti di cittadino, +indossavano la toga virile, di lana bianca e non più orlata +dalla striscia di porpora, come la consolare che essi avevano +portato fin da bambini. I quali — era mente di quei savi — dovevano +essere rispettati quanto i primi magistrati della Repubblica. — Toccava +al padre o al parente più prossimo il rivestire +il fanciullo di quella veste. La funzione era solenne e +facevasi in pubblico, sia nella città, sia in paese straniero. Vi +erano invitati tutti i parenti. — In sull’alba, il giovanetto +che aveva dormito vestito colla regilla, in segno di buon presagio, +lasciava la sua <i>bulta</i>, e l’appendeva al collo dei Lari +domestici. Quindi tutti accompagnavano lo affrancato dalla infanzia +nel tempio, ove si facean sacrifizi ed offerta agli Dei +nell’atto che gittavasi sulle sue spalle la toga pura. Lo stesso +corteggio lo seguiva nel Foro, come per presentarlo al popolo +che da quel dì dovea contarlo per uno dei suoi membri. +</p> + +<p> +Cotesta solennità compivasi una volta l’anno il <span class="smcap lowercase">XVI</span> delle +calende di aprile — a’ 17 di marzo — giorno in cui si celebravano +le feste liberali, o di Bacco. Pompei — siccome tutte +le città nel dominio della Repubblica romana — era in tal +giorno gremita di gente. In ogni crocicchio erano assise vecchie +donne, coronate di edera, aventi sulle loro gambe un paniere +di paste coperte di bianco mele ch’esse offerivano, lodandone +<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span> +la dolcezza e il buon gusto, a chi passava. Ad ogni +scambiare di strada vedevansi giovanetti sorridenti, da tenere +occhiate all’abito nuovo, da tempo ambito e sognato; e +i genitori e gli amici, anche lietissimi di quella fanciullesca +ambizione. — E vi era di che. — Il quindicenne diveniva cittadino +libero, e sceglieva la propria carriera. Se l’avvocheria, +il padre lo presentava il dì poi al migliore oratore, perchè +glielo addottrinasse. — Se la disciplina delle armi, lo affidava +ad un amico, governatore di una provincia, perchè +gl’insegnasse a difendere la patria, non come soldato — non +avendo ancor prestato giuramento — ma come <i>contubernalis</i>, +cioè aggregato. — O lo raccomandava ad un Senatore in Roma, +o ad un decurione nelle colonie e nelle provincie, acciò +assistesse alle assemblee ed acquistasse la scienza governativa. +</p> + +<p> +L’adolescenza finiva all’età di trent’anni. — La gioventù +a quella di quarantacinque. — La maturità a sessanta. — Oltre +quel periodo era la vecchiezza grave ed assennata. — E +qui chiudo la parentesi. +</p> + +<p> +Infrattanto che i giovani e i minori fanciulli si divertivano +presso il porto e sulla via Popilia, altri erano nelle +scuole ad apprendervi a leggere, a scrivere, a contare. — Quanti +scappellotti! Quante nerbate sulle palme delle mani! +Quanti colpi di staffile sulle parti carnose! Quante stiracchiature +di orecchie! — E tutto ciò per inspirare alla tenera età +lo amore al lavoro e l’applicazione allo studio! Anche per +tale riguardo in tempi diversi simiglianti procedimenti. — I +preti ch’educarono la mia generazione fecero di tutto perchè +abborrissimo lo studio. — Iddio perdoni ai morti, come già +mortifica i vivi! +</p> + +<p> +In Pompei si parlavano le tre lingue — la sannita — la +greca — la latina. — Le prime erano di uso domestico. L’ultima +s’insegnava. E per la differenza dei caratteri, conveniva +chiarirne la forma ed i suoni. Sur una tavola erano essi incavati; +per modo che il bambino, passando su quei segni alfabetici +il dito e lo stile, cominciava per distinguerne la immagine, +la indicava colla voce e la tracciava poi colla mano. +Collo accoppiamento delle lettere finivano per leggere. Col +pigiare una punta su tavolette di cera, si perfezionavano nel +<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span> +copiare i <i>præscripta</i>, ch’erano esemplari di bella forma di +lettere. +</p> + +<p> +I meglio avanzati in età studiavano la grammatica. Quindi +leggevano Omero e i migliori poeti latini e le arringhe di Ortensio +e di Cicerone. — Talvolta avevano il còmpito d’impararne +squarci a memoria e di scriverne. — Tale altra di esercitarsi +in una specie di parafrasi, che addimandavasi <i>chria</i>, +la qual cosa consisteva nello ampliare e commentare una parola +sentenziosa od un fatto memorabile. Questi esercizi i discenti +li portavano in casa, per mostrarli ai parenti. +</p> + +<p> +L’acqua aveva appena marcato l’ora nella clessidra, che +un grido di gioia rintronò nella scuola del Foro. I monelli si +levarono in piedi e corsero all’uscio. Il peggio ardito, in quel +momento di disordine, scagliò la tavola incerata che aveva +per mano sulla testa del maestro. — Tutti fuori e a slascio, +facendo un grande baccano. Il misero vecchio, <i>minumi pretii</i>, +perchè col suo salario aveva appena di che sostentare la +vita, seguì lo indisciplinato, gridando. Si avvenne col padre +che saliva per la via dell’Abbondanza. +</p> + +<p> +— Mira la cattiveria del tuo figliuolo tristissimo. Mi +ruppe la cute, qui, nell’orecchio. +</p> + +<p> +— Forse, o Verna, tu l’hai picchiato ed egli si vendicò. — Riconosco +il mio sangue. — Son certo che, presa persona, +nessuno saprà impunemente ingiuriarlo. +</p> + +<p> +— E tu così parli?.... Ah! meglio maneggiare il remo che +consumare i miei poveri giorni per gente sì ingrata. — +</p> + +<p> +Tornò nella scuola brontolando e si fasciò il capo e l’orecchio +pesto con una benda di tela oliata, che parea una lanterna. +</p> + +<p> +Era la decima ora, cioè le quattro dopo il mezzodì. E i +rintocchi fragorosi di un martello su largo cerchio di bronzo +sospeso ad un chiodo nel muro, si facevano udir di lontano +presso il tempio della Fortuna e nel fondo della via dell’Abbondanza. — <i>Discus +crepuebat.</i> — Ciò indicava che i bagni +pubblici erano aperti. — E le botteghe di consumo chiudevansi. — E +i cittadini laboriosi e quelli di medio censo ed i ricchi +s’incamminavano verso le Terme. Gli è che, nel mentre i +raggi del sole perdevano un po’ della loro forza, e diveniva +piacevol cosa il riposarsi dalle fatiche o dalle noie della giornata, +<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span> +i nettatori delle strade entravano dai subburbi coi carri +per togliere le immondezze, il fango, la polvere i rottami dinanzi +le case in costruzione, i concimi delle stalle e gli erbaggi +che i rivenduglioli avevano gittato fuori della soglia. Un +decreto degli edili avea pur fissato quell’ora per introdurre +sui muli le legna, i mattoni, la calce e i pezzi di marmo, affinchè +potessero circolare senza incomodo per la maggior +parte dei cittadini. +</p> + +<p> +Sì le prime Terme come le più grandi ov’era la <i>palestra</i> — vasto +paralellogrammo dedicato alla ginnastica per lo spigliamento +delle membra nei giovani — erano già piene di +gente. — Mosaici sui pavimenti. Stucchi coloriti sulle volte. +Mobili di bronzo e bacini di marmo. Inservienti al bisogno. — In +faccia al porticato di colonne scannellate era il <i>baptisterium</i>, +ove ognun che voleva si gittava ignudo e sudato nel bagno +freddo in comune. — Quello dei bagni poco lungi del Foro era +rotondo, ristretto e sotto una cupola, d’onde veniva la luce. +Nella prima stanza sotto il colonnato lasciavansi le vesti e di +là entravasi in una sala spaziosa, riccamente ornata, ove pur +potevasi togliere il bagno freddo dalla gente che preferiva +prenderlo al coperto. Lungo le pareti sono sedili per agio di +quelli che accompagnano i bagnanti e conversano con essi od +attendono il loro turno. — Nella sala che apresi a manca è il +<i>tepidarium</i>, il cui pavimento e le cui pareti tramandano un +dolce calorico, proveniente dal <i>laconinum</i>, il fornello dei bagni. — Quivi +erano larghi bacini di marmo e sedili di bronzo +per asciugarsi o riposarsi allorchè si usciva estenuati dal <i>sudatorium</i>, +sala delle bagnature a vapore. Il quale, escendo a +nuvoli che si spandano da per tutto nell’apposita sala, va verso +la volta di forma emisferica, a lavori di stucco scannellato, e +discende pei regoli successivi lungo le pareti. L’apertura praticata +sul sommo della soffitta era chiusa da uno scudo di +bronzo, e col mezzo di una catena potevasi aprire come una +valvola, nel caso che il calore del caldario divenisse troppo +eccessivo. Quelli che si facevano colà dentro, ansimavano, +davano in singhiozzi, respiravano appena. L’aria infuocata e +la grande umidità non danno requie ad alcuna parte del corpo. — Scuote, +opprime, stanca, accascia, prostra le forze. — Val +<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span> +quanto trovarsi nel focolare di un incendio. — E non so come +i Romani non abbiano scritto nelle dodici tavole l’applicazione +della condanna ad esser bagnato vivo su quei tristi che intendevano +correggere invece di uccidere. +</p> + +<p> +L’<i>eleotesium</i> era il luogo ove si tengono i profumi e gli +unguenti campani. — In altre piccole stanze posavano bagni di +marmo per le donne di età grave o per uomini difettosi della +persona che non amavano mostrarsi avvizziti e deformi al +pubblico sguardo. Ma dal povero plebeo coperto della sua +<i>pullata</i> ai magistrati che indossavano la pretesta, dagli illustri +cittadini agli uomini di piccole fortune, nessuno sdegnava i +pubblici bagni. Unica distinzione era che il ricco veniva preceduto +dai suoi schiavi e seguito dai clienti. Ed il plebeo entrava +solo. +</p> + +<p> +Le genti agiate frequentavano le Terme per moda, per +accidia, per curiosità e per trovarvi conoscenti ed amici, onde +invitarli a cena, al giuoco dei dadi e ad un’orgia. — I derelitti +dalla fortuna, per raccapezzarvi — chiedendolo — un +qualche asse. — E le donne per stare in esercizio di pettegolezzi, +per narrare ed udire la cronaca scandalosa della città, +per osservare da vicino le forme decantate di una bella e trovarvi +alcun che da ridire, e..... per filare un intrigo amoroso +su quel terreno neutrale, ove la folla sapeva celarlo nei ripieghi +dell’uso e della prescrizione medicale. Nelle due Terme +le donne avevano un bagno a parte ed entravano per uscio +diverso da quello degli uomini. — Sur una delle porte della +Palestra, nel vicolo, era scritto: <i>Mulieres</i>. +</p> + +<p> +Non molti gl’inservienti. — Un guardiano del bagno — un +<i>fornicator</i>, cioè, quegli che poneva il combustibile nella +fornace — e parecchi schiavi, condannati ai lavori pubblici +per delitti. — Questi hanno nome secondo lo ufficio. Addimandavansi +<i>capsarii</i> quelli che serbavano chiuse in una cassetta +le vesti di un bagnante e ne traevano mercede. — <i>Aliptae</i> o +<i>unctores</i>, i profumatori cogli unguenti. — <i>Alipili</i>, gli spelatori +col mezzo di una pomata, o colla pietra pomice. — <i>Tractatores</i>, +i frizionanti nel bagno a vapore. — Per siffatti servigi le +donne conducevano con sè le loro schiave. +</p> + +<p> +— Ahimè! Come sono stanco. Spero nel tepidario riprendere +<span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span> +un po’ di forza per poi goder meglio i piaceri della +mensa. +</p> + +<p> +— O, non si direbbe che Publio Ametistio abbia fatto +oggi sforzi prodigiosi per passar la giornata? +</p> + +<p> +— Tu hai, o Statilio, del toro, e le forme ed il nome. Nè +sai compatire ad un gracilino par mio che desinò tre volte +e vomitò due. La bella Iddia vi mette anche del suo. E se la +dura a lungo, è miracolo. +</p> + +<p> +— Taglia la corda e resterai libero. — +</p> + +<p> +Ed un altro aggiunse, cacciandosi nel bacino pieno +d’acqua fumante: +</p> + +<p> +— Facile a dirsi. <i>Quisquis amat venit</i>, dice il poeta. E a +sedurre Ametistio ci vuol meno che far cadere un pettorosso +nella pania. +</p> + +<p> +— O tu, Atimeto. Guazza un po’ meno..... e pensa che +hai misurato l’amico colla tua spanna. — Se potessi dir qui +una novella..... Ma nol debbo, <i>quia lupus est in fabula</i>. +</p> + +<p> +— Hilaro Sulla, or narrala e ci piacerà. — +</p> + +<p> +Atimeto versò sul curioso Statilio acqua a manciate e profittò +del rumore per dire usassero prudenza; — avvegnachè +non il lupo fosse presente al racconto di una sua debolezza di +cuore; ma un altro animale che aveva di che allontanare ogni +fascino. E coll’occhio lo designò. — Era un uomo adiposo che +soffiava nel bacino di contro come un ippopotamo. Orafo, arricchito +dal mestiere, aveva comperato dal padrone la sua +libertà. E più erasi fatto danaroso colle usure a carico dei giovani +spensierati. — Zozzo, liberto di Popidio Ampliato, verso +la cinquantina, aveva domandato ad una bella giovane se voleva +essere la donna sua. La non rispose nè si nè no. Ma il +terrore d’istinto — che, bruttissimo era e guasto dal vaiuolo — egli +lo interpretò come eccesso di gioia. — La vittima venne +trascinata sullo altare, coperta di bei monili e di collane di +perle. — Pare che anch’essa lo ricambiasse di una bella corona. +E non era di rose..... Almeno così diceva la mala lingua +di Sulla nel bagno. +</p> + +<p> +Quei giovani passarono nel sudatorio e si distesero sopra +lettucci di riposo, dove alcuni giovanetti, appena vestiti, cominciarono +a strofinarli con spugne finissime. — Quindi a mani +<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span> +piene pigiavano le loro carni, li ravvoltolarono per ogni verso +e fecero che tutte le articolazioni scricchiolassero. — Da prima +ridevano e scherzavano. Poi caddero in una prostrazione +come per grande stanchezza. — Quel <i>malaxare articulos</i> era +per fermo una operazione dolorosa, quando i frizionatori non +fossero dotati di una certa abilità e destrezza. Allora questi +diedero di mano agli strigili — ch’erano di avorio o di argento, +adorni di bei graffiti, la cui forma somiglia a quella di una +falce concava che possa applicarsi alla rotondità delle membra — e +staccarono dalla dermide tutte le ineguaglianze e le +impurità che la traspirazione vi aveva adunato. +</p> + +<p> +Trasportati di nuovo dond’erano venuti, gli epilatori li +spelarono con un unguento fatto con semi di salcio nero e con +egual dose di litargirio. — E i profumieri li unsero di distrutto +di porco con elleboro bianco. — Aspersi poi di olio di nardo +e di megalio, furono asciugati con stoffe di lana finissima. — Vennero +in ultimo avviluppati in una <i>coccina gausapa</i> — specie +di grande toga scarlatta, vellosa al di dentro — e deposto +ognun di que’ giovani entro una lettiga coperta, furono ricondotti +in casa loro. — Nel congedarsi, Publio Ametistio ebbe a +dura prova la forza di dire, sbadigliando: +</p> + +<p> +— O, chi verrà alla <i>comissatio</i> meco?..... Prometto +<i>mirabilia!</i> +</p> + +<p> +— Verremo! — +</p> + +<p> +Statilio Tauro, nel porre il piede nella sua sedia chiusa, +voltosi agli amici, lor disse: +</p> + +<p> +— Parlare consigli di saviezza a quel caro epicureo è lo +stesso che raccontare una storia ad un asino sordo. — Valete. — +</p> + +<p> +Intanto che quei giovani infemminiti prendevano il loro +bagno caldissimo che gli slombava, i popolani si procacciavano +un sudore abbondante e senza spesa nella palestra. Gli uni — ignudi +nati — si esercitavano nella lotta; e ciascuno procacciava +con sgambetti di cacciare il compagno per le terre. — Altri +bilanciavano le loro braccia, avendo nei pugni pezzi di +piombo. — Altri, giuocavano alla palla. — Ed altri ancora, +colle mani legate sul dorso, prendevano colla bocca anelli per +terra e si rialzavano. E fra i più destri, uno inginocchiato, +<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span> +rovesciavasi indietro sino a mordersi il tallone dei piedi. Quindi +si tuffavan tutti nell’acqua gioiosamente, con grandi risa e +con più alto baccano. +</p> + +<p> +Il bagno addetto alle donne è più quieto. Ma il bisbiglio +dei vari tuoni delle voci è anche più discordante. — In una +epoca ed in un paese, ove le vesti dinotavano la condizione di +quelle che le indossano, la nudità assoluta delle persone stabiliva +una eguaglianza, una democrazia, di cui ognuna traeva +suo pro per la libertà propria. +</p> + +<p> +— O che hai, Rufilla, che sei costì tanto cheta. Da che +siamo nel bacino non sferrasti pur anco una parola. +</p> + +<p> +— Mia cara Aglaia, sto ammirando le carni flosce della +mia padrona, sulle quali sarebbero così bene applicati i colpi +di verghe che mi fece dar non ha molto. — Ne ho ancor le lividure +alle reni. — Mira che pelle. — Toccherà a me domani il +renderla bianca di carnagione, nelle parti visibili, colla cerussa +di Rodi. — Buon per lei che un’altra l’asciuga. — Io +la pizzicherei di dispetto. +</p> + +<p> +— E non hai tu altra sorgente di collera contro di lei?..... +Il mio padrone, ch’è il maggiordomo nella casa di Bleso, disse +alla moglie aver inteso come il marito della tua signora volesse +affrancarti perchè..... sei bruna e piacente. — +</p> + +<p> +Rufilla sorrise e replicò a bassa voce: +</p> + +<p> +— Ho rotto pace con molte illusioni, io. — Pur sono +ancora in civettismo colla speranza. Chi sa? Finora alla Iddia +bendata non vidi mai il viso. — Ed in vero non saprei dirti +ciò che meglio io desideri. +</p> + +<p> +— Tu parli come gli aruspici. Pure ti ho inteso. — Venere +ti sorrida! — +</p> + +<p> +Quando le due schiave si levarono di là per asciugarsi, +altre due parlavano greco nell’atto che le donne loro affibbiavano +addosso le vesti. Sembra che quella lingua esse ignorassero. +</p> + +<p> +— Dì! — È egli vero, o Lelia, che tu ti mariti? Piacerebbemi. — È +un dabbene quel tuo promesso. — Sia la dolce +Iddia propizia ed entrambi! — +</p> + +<p> +La giovanetta cui fu volta la domanda era diciottenne, +dalla persona delicata, dal viso pallido, dalle linee rotonde, +<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span> +soavi e fine. Una leggera lanugine le adombrava l’orlo superiore +della bocca. — Sorrise. — E da quelle fila di perle escì +cotesta risposta: +</p> + +<p> +— Minucia, grazie ai tuoi voti. — Presto. — Altrimenti +la vita mi parrebbe insopportabile. — Quinto Muzio io l’amo +e spesso lo sogno con ardente follia. — Una sera mi ha baciato. — E, +fatta sola nella mia stanza, io ne ho pianto e tremava +tutta. — Chè, il bacio di un uomo non è come il tuo, sai?..... +Oh! qual bacio! — Era qualche cosa di bruciante e di leggero +che mi penetrò come il soffio di una carezza nel cuore. — +</p> + +<p> +E stringendosi forte mutualmente le mani, partirono. +</p> + +<p> +Una donna, già completamente vestita, fe’ cenno colla +mano ad un’altra di appressarsi. +</p> + +<p> +— Esce ora colla sua figlia. — La vedesti nel bagno? +Brutta e manchevole..... E che sa trovarvi egli di bello?..... +Io lui desidero e voglio. Intendi? — Gli diè forse a bere un +filtro amoroso, colei? +</p> + +<p> +— Mia nobile padrona, una sola droga ne apparecchia uno +infallibile: — Amate e sarete amati. — Cotesto è lo avviso +della esperienza. — La umiliazione t’irrita. — Cancellane le +tracce. — Lo visiterò domani e — credimi — ti porterò domani +il suo cuore. +</p> + +<p> +— Torna a vedermi.... nel tempio. — Farò offerte alla Dea +protettrice. — Intanto questa borsa a te per testimoniarti che +Giulia sa essere riconoscente e generosa. — +</p> + +<p> +Quando la <i>lena</i> escì dalla sala, rimasta sola nel corridoio, +la ricca donna pensò: +</p> + +<p> +— Io prendo una ben dura lezione, e i miei Giunoni sanno +a quali prove io vo incontro. — In un momento di disgusto +lasciai l’uomo al quale io mi era donata. — M’invaghii perdutamente +di Gneo Melissa. S’egli compenserà il mio grande +e miracoloso amore, apparterrò ad un padrone le cui esigenze +aumenteranno sempre. — Accetto la condizione in cui lo alato +Dio mi gittò. Sono doviziosa tanto da pagare i suoi capricci e +da allacciare con catene d’oro il suo cuore. — Ben lungi dal +chiedere per la mia passione quello che follemente desidero, +un eterno obblio per Numanzia, una parola affettuosa per +me. — O Venere potente! O Venere santa! O delizia dell’Olimpo +<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span> +e della terra, fa’ che quell’uomo mi paghi di amore e dissipi +le miserie di questo mio cuor lacerato! — +</p> + +<p> +Povera donna, a trentacinque anni! Quel piccino fra tutti +gl’Iddii, passando un giorno dinanzi la sua ricca dimora, usò +un tratto della sua eterna malizia e sorridendo le scoccò lo +strale. +</p> + +<p> +Lo indomani fu essa contenta? Lo ignoro! So questo solo. — Era +nata in Pompei col nome di Giulia Felice, figlia di +Spurio. — La sua casa conteneva grandi ricchezze in oggetti +d’arte di marmo, d’oro e di argento. Eravi un sacrario con +divinità egizie ed un magnifico tripode di bronzo cogli attributi +del dio di Lampsaco. +</p> + +<div class="chapter"> +<p> +<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span> +</p> + +<h2 id="cap5">LA BASILICA. +<span class="smaller">UNA CONDANNA A MORTE.</span></h2> + +<p class="center"> +<b>Anni di Roma 770 — Anni del Cristo 17.</b> +</p> + +<p class="center pad2"> +A LEOPOLDO TARANTINI. +</p> + +<p class="center"> +V. +</p> +</div> + +<div class="chapter"> +<p> +<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span> +</p> +</div> + +<p> +In Pompei la gente per bene ristoravasi quattro volte +per giorno. Il <i>jentaculum</i>, nel saltar giù dal letticciuolo, consisteva +in una fetta di pane bagnata nel vino — od in pane e +cacio — o nel solo vino ove era stato infuso per tutta notte +un bastone di finocchio aromatico detto <i>silum</i>, per cui questi +addimandavano <i>silatum</i> il loro asciolvere — od in una bevanda +dolce e profumata da sciacquare la bocca e toglierle il tanfo +della digestione. — Verso la sesta ora — mezzodì — cominciava +il <i>prandium</i>, cibo di sostegno sino alla sera. Chiamavasi +ancora <i>merenda</i>, da <i>meridies</i>; oppure <i>prandiculum</i>, tanto la +gente costumata contentavasi di poco. — Un po’ di pane — qualche +pasta calda di forno — o del <i>liquamen</i> di vino stracotto, +detto <i>sapa</i>, o di emulsioni di ciliege, di mele apie o di cotogne, +addolciate col favo. — La <i>cœna</i> sì, che era copiosa. +Prendevasi <i>supremo sole</i>, cioè al declinare del giorno, quando +le faccende pubbliche o le particolari erano terminate, verso +la decima ora, cioè alle nostre quattro di sera. — Solo i giovani +scioperati mangiavano in sull’ora ottava, cioè alle due +dopo il mezzodì. E lo facevano più volte col recere e col rimangiare; +e poi toglievano il bagno caldissimo per debilitarsi +ad aver fame per la <i>comissatio</i>, specie di orgia cui Bacco e +Venere presiedevano e che si prolungava lungo la notte. +</p> + +<p> +A lato dei Lari compitali sulla via non lungi dal Foro, +ov’è la fontana dalla testa del Leone, parecchi giovani si fermano +e picchiano ad una porta. L’ostiario apre, chiede i nomi +e lor dà passaggio sul <i>prothyrum</i> di bianco mosaico su cui +<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span> +sono rappresentati con neri dadi due lottatori afferratisi. — Erano +attesi. — Dal peristilio entrano nel triclinio, ove altri +gli accoglie e gli bacia. — Il padrone del luogo gli computa +e dice: +</p> + +<p> +— <i>Septem convivium. Novem convicium.</i> — +</p> + +<p> +Una gaia risata festeggiò quel motto spiritoso. Avvegnachè, +avesse detto come sette a desco avrebbero composto +un’allegra brigata. Ma trovandosi in nove, la riunione la sarebbe +stata chiassona. — Ed era ciò che chiedeva. Per le disposizioni +e pei mobili di quelle stanze, i convitati non dovevano +essere numerosi. E il buon genere dei tempi imponeva +che non eccedessero le Muse e non fossero da meno delle +Grazie. +</p> + +<figure class="figcenter"><a id="fill-102"></a> + <img src="images/ill-102.jpg" alt=" "> +</figure> + +<p> +Compite le abluzioni e le altre formalità di uso, il padre +del festino — <i>cœnae pater</i> — indirizzò una breve prece agli +Dei e a suon di flauto fece le debite libazioni di vino. Quindi +distribuì i convitati sul triclinio nell’ordine seguente. — Sul +posto V del <i>summus lectus</i> ei si sdraiò appoggiandosi al gomito +sinistro. Indicò a Psiche di allungarsi sui cuscini del IV, ed +invitava P. Ametistio ad assidersi sul luogo consolare VI. Sul +letto di sinistra si disposero Calliopa, Suavis ed Issa su III, II +<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span> +e I. E sul <i>lectus imus</i> si adagiarono M. Porcio, Scapido e Metrodoro +nel VII, VIII e IX; questi ultimi erano <i>umbrae</i>, cioè +non da lui invitati. +</p> + +<p> +Il vuoto era riempito da una larga tavola di marmo, ove +si disponevano i <i>riton</i> e le tazze e le scodelle per le vivande. +Dietro ognuno era un servo, <i>succintus puer</i>, la cui attenzione +era desta dalla scoppiettio delle dita. +</p> + +<p> +Gli uomini e le donne ricevettero sul capo corone di edera, +di rose, di viole e di fiori di zafferano. Altre più larghe erano +poste ad armacollo. Sui capelli furono sparse essenze di nardo, +di balano e di altre sostanze odorose. Credevasi che quel +verde, quei fiori, quei profumi, aprendo i pori, facessero facilmente +evaporare i fumi del vino greco ed indigeno. +</p> + +<p> +Le vivande erano apportate sopra un <i>ferculum</i>, grande +vassoio di argento che copriva tutta la tavola. Allorchè il padrone +volea che fosse servita la <i>mensa secunda</i>, facea scoppiettare +il pollice coll’indice, e i servi ubbidivano. Così pure +per empire i <i>riton</i> coi ciati, specie di misura con cui si prendeva +il liquido e si versava nel calice che lo invitato stendeva. +Cucchiai erano sul desco e piccini di fine argento. Vi erano +coltelli. E pur cannelli di penna d’oca o fuscellini aguzzi di +lentisco per iscalzarsi i denti. Ma gli alimenti solidi, di pesce +e di carne li prendevano colle dita, salvo a lavarle nel <i>trullum</i>, +catino che lo schiavo sopportava, ed asciugarle colla +<i>mappa</i> che ognuno recava da sè. — Avevano inventate tante +raffinatezze di lusso, meglio che di uso, e non avevano pensato +a distendere una tovaglia sul desco, a fornire gl’invitati +di tovagliuoli e a fabbricar le forchette con cui infilzare le vivande. +</p> + +<p> +Dopo aver mangiato e bevuto, ribevvero ancora. Era +l’uso di non levarsi dai soffici cuscini senza prima salutare le +donne che sedevano accanto. Quei begli umori erano discreti. +I più perdevano la ragione. Ma nessuno poteva esimersi dalla +regola, abbandonatamente accettata, la quale prescriveva, +<i>Omnis amica numeratur ab adfuso Falerno</i>. +</p> + +<p> +Laonde il <i>pater cœnae</i>, volto alla Psiche sua colla tazza +ricolma: +</p> + +<p> +— <i>Cor cordium, nomen tuum bibo.</i> — +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span> +</p> + +<p> +E tranne lei, tutti appressarono sei volte le labbra al bicchiere, +ingoiandone i sorsi. Quindi Ametistio: +</p> + +<p> +— Alla cugina di Venere.... Al fascino dei tuoi sguardi, +o Calliopa.... Io bevo ogni lettera del tuo nome armonioso. — +</p> + +<p> +Metrodoro aveva Suavis sul corno opposto del triclinio. E +lei guardandolo amorosamente, +</p> + +<p> +— <i>Sex cyathos</i> per te, o maga del cuore. — +</p> + +<p> +Scapido, appena sdraiatosi, aveva notato le copiose trecce +della fanciulla che il re del convito, od il caso, gli aveva disposto +di fronte. A forza di vederla, si prese ad amarla. E siccome +egli non era fatto per dispiacere ad alcuna, anch’egli a +lei piacque. Veramente Porcio era il suo amante. Ma quando +lo amore s’infiltrava nel cuore greco-latino, ogni cosa doveva +cedere — e ancor cede! — pregiudizi, interesse, doveri. +Scapido bevve quattro sorsi al suo nome. E Porcio, pur morsicato +dalla vanità nel vedere gli sguardi e i sorrisi di lei, +acuti come un dardo, leggeri come il soffio e fragili come la +virtù, rivolti spesso alla persona a lui daccanto, bevve e intero +il nome della passionata pompeiana. Però, brontolando, non +si ristette dal dire: +</p> + +<p> +— <i>Alii adnutat, alii adnietat, alium amat et me tenet.</i> +</p> + +<p> +Aveva torto. Le donne di tal conio usarono sempre ad +uno far segni, con altri occhieggiare. E se taluno amano, tengono +altri per le unghie. +</p> + +<p> +I servi partirono. +</p> + +<p> +Rimasti soli, parlarono su quel tema, inesauribile come +la musica — perchè anch’esso è la musica delle anime — che +addimandasi amore. Ed una felicità di una nuova specie ed +ignota gl’innondò tutti. Pareva temessero che qualcuno sarebbe +venuto a rapir loro quella serie di ore beate che nessun certo +lor disputava. La rapidità piena del piacere svanisce come un +minuto e stanca. Ma poi torna secolo, carico di ricordi festosi +e delle delizie di un istante — e tanto più nei momenti in cui +si è colpiti dal dardo di un grande dolore. +</p> + +<p> +Calliopa, dopo aver guardato per qualche tempo Ametistio, +tornò a lui; e, sedutasi sulle sue ginocchia gli mormorò: +</p> + +<p> +— Mi ami, Publio? +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span> +</p> + +<p> +— Sì, cara; come il mare la sponda. +</p> + +<p> +— Infido! — +</p> + +<p> +E appoggiando il gomito sulla sua spalla, velò la faccia. +La misera! — Sulla veste sottile di Laïs essa avea ricamato +coi fili d’oro la ingenua serenità dell’anima e quella freschezza +e quella limpidità di sguardo che ammalia e seduce. +Quando la donna si sente così penetrata dai raggi di un celeste +amore, acquista immediatamente un non so che di dignitoso +e di augusto, che spinge gli umani a ringraziarne gli Dei. +Essa intravide d’un tratto dove i suoi nobili sentimenti la +spingevano e pur discerse come la mano amica le mancasse +nello avviarsi verso la landa ignota dei suoi destini. Fidanzata +della miseria, o fidanzata del dolore, sapeva il paese d’ond’era +venuta e giurò dentro di non vi tornare mai più. — E mentre +essa pensava, ed anche Ametistio pensava. — Ma l’una pianse +e l’altro rise. — E si ricambiarono un bacio ov’era chiusa +un’antitesi dolorosa. +</p> + +<p> +— Chi giuoca alle tessere?... Su, poltroni! O crederò +che Bacco vi abbia fuorviato... E tu, Publio, scostati da Calliopa, +che da qualche tempo medita disegni sinistri sulla tua +pace. — +</p> + +<p> +Quegli si svincolò ridendo dalle sue braccia, e: +</p> + +<p> +— Giammai fui felice coi dadi. — Immagina ora che mi +strappi con violenza di Pafo. — La bella Iddia si vendicherà! — +</p> + +<p> +Il giuoco delle tessere consisteva in cotesto. — Tre piccoli +cubi di avorio si mettevano entro un cornetto, detto <i>phimus</i>; +si agitavano colla mano e si versavano sur una tavola scavata +che chiamavasi <i>alveolus</i>. Ogni cubo portava sulle sei facce +una serie di punti, cominciando da • e aumentandosi successivamente +su ciascuna superficie, per unità sino a <img class="letter" src="images/ill-dadi-105.jpg" alt="sei puntini"> — Le tre +facce, che i dadi mostravano, decidevano del punto. — Allorchè +i tre cubi presentavano • • • il giuocatore perdeva; avvegnachè, +egli avesse fatto il colpo del cane. Quando invece le +superficie tutte offerivano il <img class="letter" src="images/ill-dadi-105.jpg" alt="sei puntini">, egli vinceva la scommessa, +avendo fatto il colpo di Venere. +</p> + +<p> +Lo amico giuocò per il primo, e i cubi dissero due, cinque, +sei. — Giuocò Ametistio e presentò i tre assi. — Aveva perduto. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span> +</p> + +<p> +— Lo vedi?... Il colpo del cane! — Giù cinquanta denari. +</p> + +<p> +— Accetto. +</p> + +<p> +Si scuotono i dadi e si mostra il colpo di Venere. — Si +scuotono anche una volta e tornano i tre assi. +</p> + +<p> +— Hai perduto. — Altri cinquanta? +</p> + +<p> +— Altri cento. +</p> + +<p> +— Ah! sei proprio infelice! Ho vinto. +</p> + +<p> +— Vedremo. — Non potrebbe Venere aiutarmi? — +</p> + +<p> +Ametistio agita forte il <i>phimus</i> e ne escono uno, uno +e tre. +</p> + +<p> +— È una vera fatalità! — Séguiti il giuoco? +</p> + +<p> +— Sì; e scommetto un <i>nummus aureus</i>. — +</p> + +<p> +Intanto Porcio e Scapido, assisi presso una tavola, divisa +in quadrati alternativamente bianchi e neri giuocavano ai +<i>lutrunculi</i>, una specie dei nostri scacchi. Palamede aveva +inventato quel divertimento nel campo dei Greci per distrarre +nobilmente sotto la tenda i re confederati che assediavano +Troia. — Ognuno attelava dinanzi a sè alcuni pezzi di vetro +bianchi per l’uno, neri per l’altro. E col dito, spingevali innanzi +come soldati di un esercito, a piedi e a cavallo, muniti +di torri e guidati dai capi, entusiasmati dalla regina e retti dal +re. La buona tattica consisteva nel sorprendere tra due pezzi +il pezzo di vetro dello avversario e così acquistare il diritto +di farlo prigione e toglierlo dal campo di battaglia. +</p> + +<p> +Suavis e Psiche si divertivano coi <i>tali</i>, ch’erano ossi di +astragolo di montone. Quelli avevamo la loro forma ma erano +di argento. +</p> + +<p> +— Tu hai una destrezza rara, o Psiche. — Quantunque +volte io mi provi a raccattarli tutti e quattro, si sparpagliano +in aria, e perdo. Se il vuoi, io ti darò un tessuto di nodi +complicati e te li darò a sbrogliare. +</p> + +<p> +— Apparecchialo. — So già la tua perizia nello allacciare +i cuori. Non pensi ad Æliano che si muore di amore per te? +Non ha molto il vidi in teatro ed ei si strugge nel labirinto +ove tu lo chiudesti. +</p> + +<p> +— Gli gioverà lo starvi. — Venere mi diè la missione di +vendicarla. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span> +</p> + +<p> +— Cattiva!... Non la Iddia... te, per la tua leggerezza. +</p> + +<p> +— O se l’è una mosca!... Lascialo pur nella ragna!.... +Provati ora a disciogliere questo nodo di Gordio. — +</p> + +<p> +Metrodoro, che aveva assistito alle evoluzioni che Porcio +e Scapido aveano eseguito col loro esercito di vetro, si fermò +dietro la sedia della bionda Suavis. Psiche si provava a sciogliere +lo intricato gomitolo e non riesciva. — Levati gli occhi, +disse: +</p> + +<p> +— Il conterraneo di Alessandro potrà sbrogliarlo, non +io. — Che pensi? +</p> + +<p> +— Io penso che Metrodoro non s’abbia a provarvi. Non +dev’egli apprenderne il segreto. Giammai costruirò un labirinto +per lui. Ei venne a me ed io lo tengo. +</p> + +<p> +— Il Tartaro m’ingoi, s’io mai lo caccio dal cuore ove +egli scrisse il suo nome. — +</p> + +<p> +E spingendo il capo indietro, levò la faccia sorridente di +amore. — Il greco curvò la sua e le loro labbra s’incontrarono. +</p> + +<p> +— Undici volte perdente! — Sei volte il colpo del cane! — Che +è questo mai? — Calliopa, togliti di qui, se ti piace. — Hai +la faccia sì seria, e gli occhi sì lucidi, che temo mi +affascini. — +</p> + +<p> +La bella fanciulla posò la mano sulla spalla di Ametistio, +si fece rossa e poi pallida, e lo guardò di quello sguardo con +cui la madre fissa il figliuolo. — Uno sterile sdegno; lo imbarazzo +dell’anima; la tenerezza profonda; una incantevole illusione +ben tosto fugata dal fantasma della brutta regione in +cui per parecchi mesi aveva vissuto; ecco le parole che dissero +quello sguardo innamorato. — Ametistio non lo notò. — Aveva +altre cure che lo occupavano. — E la misera andò a celar le +sue lacrime in un canto della camera — pioggia impetuosa che +distruggeva i fiori ed il verde di una forte passione. +</p> + +<p> +Scapido e Porcio s’erano tolti dal giuoco e, stirandosi le +braccia, si appressarono alla tavola dove la sorte capricciosa +imponeva ai dadi le sue fantasie. Le donne anch’esse composero +il cerchio. +</p> + +<p> +— Togliti, Metrodoro, di costì. — L’amico dirà che gli +nuoci. +</p> + +<p> +— Danno e sventura! — Una ruina sull’altra! — Uno, +<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span> +sei, due. Ah! Venere! Ti frangerei volentieri le costole con +una mazza. — In verità, io rinuncio alle tessere e mi ritiro. +</p> + +<p> +— Quanto perdi, o Ametistio! +</p> + +<p> +— Chiedine, o Psiche, a quel fortunato. — +</p> + +<p> +Issa prese sul deschetto il breve bussolo incerato e, fatta +l’addizione delle cifre, pronunciò: +</p> + +<p> +— Sei mila dugento cinquanta denari. — Psiche, si può dir +del tuo amico, come di Fabio, il temporeggiante, <i>romanus +sedendo vincit</i>. E viva lui! — +</p> + +<p> +Publio Ametistio — giovane, orfano, già ricco, scialacquatore — apparteneva +a quella categoria di uomini amati e maladetti +dal fato — stelle filanti nell’atmosfera della vita, che +splendono di vivo lume per poco; che impallidiscono al passar +di una nube; e scompaiono nella pace della natura, quando +tutto irraggia, canta ed ama intorno ad essi. — I piccoli e i +grandi avvenimenti della esistenza gli aveva assaporati tutti. +Pur questa volta l’urto che la ruota della Fortuna gli aveva +dato passando, gli cagionava un fremito dentro che gli rendeva +malato il cuore. — Non ostante, scosse lo altero capo +per coronare di un falso sorriso la necessità, e disse: +</p> + +<p> +— L’ora è tarda. — Valete, amici. — A domani. +</p> + +<p> +— A domani, Publio; e quando vorrai. — Ricordati che +l’amicizia è la catena più forte delle nostre affezioni. — +</p> + +<p> +Allora si fece innanzi Calliopa e prendendogli la mano +distratta con un guardo che dicea molte cose, gli aggiunse: +</p> + +<p> +— No... Vi è una catena anche più forte e tenace... l’amore! +</p> + +<p> +— A tutti sia propizio Morfeo. — +</p> + +<p> +Così mutuamente tutti si salutarono. — E, accompagnati +o soli, reddirono alle loro dimore. +</p> + +<p> +Ametistio aveva molto giuocato, e perduto, e pagato. +Aveva pur molto speso per giovanili follie e poco omai più +gli restava del censo avito. Avrebbe dovuto arrestarsi e dar +ordine alle sue cose. Lo amor proprio, la vanità lo spinsero +oltre. — E in quella sera ei si vide giunto sull’orlo dello abisso, +e la via del regresso era scomparsa. Quando pose il piede +sulla gradinata della strada dell’Abbondanza, un sudor freddo +gl’imperlava la fronte, le gambe gli vacillarono e si appoggiò +ad uno degli <i>impedimenta</i> di sasso. Ma si rimise ben tosto e +<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span> +continuò. — Continuò con passo regolare e sicuro, col corpo +diritto, colla testa immobile, cogli occhi fissi, come una statua +che avesse l’uso delle sue gambe. — Entrò in casa sua, si fece +nel suo cubiculo e si gittò sul letticciuolo vestito com’era. +</p> + +<p> +L’anima, ripiegata violentemente sopra sè stessa e compressa +per ore dallo sforzo della volontà, riprendendo i suoi +diritti e distendendosi disordinatamente per tutta la persona, +si rifece padrona dei suoi dolorosi pensieri. E alla luce della +lampada vide tremolare sulle pareti ombre leggere e fugaci e +ripresentantisi. Erano i suoi ricordi or lieti, or tristi. — Era +la idea dolorosa del domani. — Ma un’altra immagine passò a +traverso la sua mente febbrile che limò l’acuta preoccupazione +colla speranza; e, tranquillato a metà, chiuse gli occhi e distese +le membra spossate. +</p> + +<p> +La impotenza generale dei sensi rabbonacciò lo spirito +agitato. Le sue idee navigavano pur sempre nel caos. Ma gli +sembrava, nelle tenebre, in fondo, lontano, di vedere un +porto consolatore ove avrebbero trovato un approdo. Immobile, +nè dormente, nè desto, quel crepuscolo della propria +intelligenza leniva in certo tal modo la prostrazione fisica e +morale nelle cui braccia lo aveva gittato il pensiero della vergogna +e la idea di mancare — malgrado suo — allo impegno +che il giuoco gli avea fatto contrarre. A poco a poco aggiornò +nella sua mente. — Il passato aveva preso il di sopra. — Festini — bagni — viaggi — ed +amori. — Adorati fantasimi tornarono +ad impadronirsi dei suoi pensieri. — Cuma, Neapolis, Capua, +Tarentum, Brundusium, Roma le vide popolate di creature +graziose, di desiderii appagati, di spettacoli goduti. Sentì voci +gentili ripetergli frasi già udite. Un braccio appoggiarsi delicatamente +sul suo e stringerla con un tremito soave. Ripensò +ad un mazzo di fiori ricambiato da un bacio. Ad una ciocca di +capelli bruni che aveva sfiorato la sua gota. Ad una immagine +divina, fremente di piacere sotto le sue carezze. Ad un banco, +in uno xisto, su cui, lungi di ogni sguardo, erasi assiso presso +una idoleggiata, sotto un odoroso cespo di caprifolio. Ad una +brigata di amici che pur dianzi accoglievalo e gli facea festa. +A Calliopa, di cui avea letto nel cuore lo affetto secreto, folle, +insensato. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span> +</p> + +<p> +— E domani? — +</p> + +<p> +Cotesta parola, come tarlo rodente, lo svegliava dai sogni +e lo trascinava ai piedi di una triste realtà. +</p> + +<p> +— Oh! Si allontani la idea! Troverò danaro. — Pagherò. — Indi, +vita nuova. — Un buon matrimonio... la pace e.... +l’onore sino alla morte. — +</p> + +<p> +E chiuse gli occhi colle dita, per forza, e cacciò lontano +ogni pensiero. Volse la testa sul cuscino, chiamò il sonno... +Ma l’anima vegliava e lo facea dimenare sul letto quasi fosse +un fascio di spini. +</p> + +<p> +— Oh! la crudele espiazione! L’Erebo ha minori tormenti! — E +che feci io che gli altri non fanno? — Essi dormono! — Ed +io mi torturo! Sì mi torturo... e soffro senza +speranza... Forse troverò un <i>fœnerator</i>... Che! Tutti ladri! — Gli +subisco da un pezzo! Mi fecero il loro schiavo... mi composero +questo crudele destino!... Ma, non ne fui l’autore io +medesimo? La vita mi è a carico... E se io la troncassi, aiutando +la parca insonnita?... — +</p> + +<p> +Si levò di letto. — Aveva lo aspetto livido, sconvolto. — Si +appressò ad una cassetta di ebano e ne trasse uno stile. Lo +esamina con cura, ne prova la punta acuta e sottile sull’unghia +del pollice, lo adatta tra le due costole sul cuore..... è per pigiarlo +dentro colle due mani e..... si arresta. +</p> + +<p> +— E l’onore?... E il mio nome?... E merito io la fine di +Socrate e di Catone?... E che direbbero di me morto i miei +creditori... e l’ultimo, se io usassi la prerogativa di un uomo +libero che si sottrae dalle angosce dell’animo?... Giù il ferro +di cui non son degno! — +</p> + +<p> +E lo cacciò sul mosaico della stanza. — Levò la mano in +alto e, voltosi verso lo <i>impluvium</i>, ov’erano sotto il portico +le statue di stucco dei suoi maggiori, seguiva: +</p> + +<p> +— Date venia all’ultimo della vostra stirpe, o miei. — Voi +serviste leggi che io non debbo, nè voglio, mai offendere. — A +meno che Giove non mi dissenni, nè morti, nè viventi +eleveranno contro me la loro voce di spregio. Bocche severe +mi dissero leggero, depravato, sciupone. — Meritai la sentenza! +Cercherò danaro. — Me ne daranno quei tristi ch’io contribuii +ad arricchire! — Quindi darò piena ospitalità alla saggezza. — +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span> +</p> + +<p> +Siffatte idee lo racconsolarono. — Di chiaro giorno escì. — Corse +nel Foro. — Callicles, l’usuraio, disse non aver +sesterzi disponibili. — Toctucio, il liberto ladro che facea commercio +di giovanetti greci di ambo i sessi, rispose avere in +casa un capitale morto che pur mangiava e non poter disporre +di un solo quadrante. — Cancer, il sudicio ed insaziabile affrancato, +lamentò il terremoto che gli aveva screpolato le +molte botteghe che affittava e maladì ai <i>tignarii</i> e <i>cœmentarii</i> +di Teanum che nelle travature e nelle ricostruzioni gli assorbivano +il peculio deposto nell’<i>horreum</i> — il magazzino pubblico, +ove i cittadini deponevano la moneta e gli oggetti preziosi +sotto la salvaguardia dello Stato. — Il solo Gurges — la cui +avidità gli avea dato quel meritato soprannome — consentì +a trattare, chiese la cifra e promise una risposta fra tre giorni. — Ma, +richiamato quel contentissimo indietro, gli aggiunse: +</p> + +<p> +— Il <i>fœnus</i> però sarà centesimale, cioè, mi darai due +assi per cento ogni mese. — Va? +</p> + +<p> +— Accetto. — +</p> + +<p> +E a quai patti non avrebbe consentito Publio Ametistio +per escire onorato dalla voragine ov’era caduto? — Stanco, +ma rinfrescato dalla speranza, attese. — Dormì. — Riparò le +forze perdute. — Per distrazione — non per amore — ricercò +la compagnia di Calliopa. — Povero, cuore riannobilitato dal +raggio nuovo di una sensazione profonda! +</p> + +<p> +Intanto Gurges aveva parlato con Alfio, degno collega suo. +E questi: +</p> + +<p> +— Mercurio ti aiuti! Il suo patrimonio lo fuse in bagordi, +in vini squisiti, in bagni, in profumi.... e in usure. Chiedine a +Scapzio e a Matinio, cui Cicerone tagliò le unghie a Salamina. +Gli è proprio un <i>hilarus nepos</i>. — Se gli aurei nummi ti vennero +a noia, danne.... Allora torneremo a chiamarti col nome +di tuo padre! — +</p> + +<p> +— Basta. — Quand’anche lo segassi — secondo il prescritto +delle <span class="smcap lowercase">XII</span> Tavole, — di quel corpicino estenuato dai vizi +non mi verrebbe gran parte. — +</p> + +<p> +Corsi i tre giorni, alla decima ora di sera Ametistio cercò +di Gurges nel Foro. — In casa non era. — Visitò parecchi +<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span> +luoghi. — Domandò ad alcuno di quella geldra ove fosse. — Frugò +inutilmente ogni canto. — Alla fine trovollo nel porto. — E +tra il timore e la speranza: +</p> + +<p> +— Ebbene? +</p> + +<p> +— Per Ercole! Non si dirà mai che i miei denari, con +tanto sudore acquistati, passino come un papavero in un formicaio. — Tu +credesti il tuo censo immortale. — <i>Magister +improbus!</i> — Lo dasti alle sciupate? Fa’ che le sciupate tel +rendano! — +</p> + +<p> +A quelle parole Ametistio sentì mancarsi il cuore. — Crollava +intero lo edificio delle sue speranze. Un sudor freddo gli +diacciò la fronte. E, voltosi all’usuraio che con passo frettoloso +si allontanava, lo salutò con tale rampogna: +</p> + +<p> +— Ti colga la peste, <i>furcifer</i>. — +</p> + +<p> +Era annientato. — Il crepuscolo copriva colle prime ombre +le cose. Si avviò sbalordito verso la città. — Passò sotto +l’arco della porta della Marina. Si assise sui gradini del magazzino +della Dogana e appoggiò la fronte bruciante sulla parete. +Le idee tornarono nella sua mente con tutta la loro chiarezza. +D’un tratto si leva e cammina frettoloso. Si arresta sul +piano e poi va innanzi, agitando le braccia come un insensato +e parlando inarticolate parole. Si ferma di nuovo dinanzi il +tempio di Venere Fisica. L’uscio è aperto ed egli entra. — Qual +disegno lo spinge? — Nessuno. — S’inoltra e poggia il +capo sull’ara. Per tutto è silenzio. Nessun rumore. Nessun +mormorìo attorno di lui. Alza gli occhi e mira la statua di +marmo della bellissima Iddia, cui tanto danaro le sue scioperatezze +aveano sacrificato. Una lampada votiva illumina la edicola. +Ametistio ripensò alle parole di Gurges — che le sciupate +aveano a rendergli quello che alle sciupate egli avea dato. Si +guardò attorno, ascese la scala di marmo a grandi passi, afferra +la lampada d’oro e fugge. +</p> + +<p> +Ma il coperchio — rotta la cerniera dall’urto — si stacca +e ruzzola per la gradinata. Un sacerdote, che andava a chiudere +la porta del tempio, ode il rumore, vede un’ombra che +passa, il lume spento innanzi il delubro, immagina la profanazione, +corre e grida al ladro, al sacrilego, all’empio. +</p> + +<p> +Lo ingresso nel Foro era chiuso. Laonde il misero corre +<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span> +per la via d’ond’era venuto. — Alcuni che bevevano in un +<i>thermopolium</i> si affacciano sulla strada. — Due marinai ed un +soldato vengono dalla porta della Marina. — Non vi è scampo +per lui. Una idea lo prende e la esegue. — Lancia con quanta +forza gli ministra la disperazione il ricco oggetto che avea fra +le mani al di là di un alto muro, il quale serviva di sostegno +al terrapieno per la edificazione di un tempio ad Augusto. +</p> + +<p> +Il sacerdote lo arresta e al primo cittadino che vede, dice: +</p> + +<p> +— <i>Licet te antestari?</i> — +</p> + +<p> +Avendogli risposto affermativamente, ei gli toccò il basso +della orecchia, supponendosi allora che quella fosse la sede +della memoria. +</p> + +<p> +Gli accorsi si accrescono. — Il misero è svenuto nelle +loro braccia. — Altri sacerdoti giungono colle torce. Ed una +luce livida rischiara la persona di quel caduto. — Uno lo riconosce +e dice: +</p> + +<p> +— Publio! il ricco giovane che abita nella via dov’è la +fontana di Medusa!... Oh! non è possibile! +</p> + +<p> +— Dov’è l’oggetto involato cui i sacerdoti accennano? +</p> + +<p> +Tutti si scostano. — Quei dalle torce accese le volgono +per ogni verso e nulla trovano. — Allora il soldato si accosta +all’orecchio di un marinaio suo amico, e gli susurra: +</p> + +<p> +— O che il flamine abbia preso la lampada, e poi voglia +averne una di ferro col sangue delle vene di quello sventurato? +</p> + +<p> +Altri soldati ed altri curiosi vennero su quel posto. — Ametistio +aprì gli occhi tutto smarrito. — Vide la gente. — Si +rimise sui piedi e toccandosi la fronte riarsa, balbettò: +</p> + +<p> +— Ove sono?... Oh! il terribile sogno! +</p> + +<p> +— Dove hai celato la lampada tu? +</p> + +<p> +— Quale lampada? +</p> + +<p> +— Quella che tu involasti a Venere sacra. +</p> + +<p> +— Ah! Gurges lo ha detto. — Pietà di me. — Uccidetemi +e sarete pietosi.... La lampada.... +</p> + +<p> +— Ebbene?... La lampada? +</p> + +<p> +— <i>Venus diobolaris</i> l’ha presa. — La venderà a Gurges, +o a Cancer.... E quelle mignatte vomiteranno il mio sangue +nella tua bocca, o flamine impudico.... mignatta del popolo. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span> +</p> + +<p> +— Bestemmia lo infame. — Trascinatelo al pretore. — +</p> + +<p> +Un centurione aprì la folla, la interrogò, vide il giovane +di nuovo svenuto e ordinò si chiamassero due schiavi pubblici +con una lettiga per condurlo presso il magistrato. +</p> + +<p> +— Rendi la lampada, o sacrilego. — La vendetta della +Iddia piomberà sul tuo capo.... — +</p> + +<p> +L’uomo coperto di ferro distese con autorità la mano sullo +incolpato e disse. +</p> + +<p> +— Pace, o sacerdoti. — Comprendo il delitto e ne sento +l’orrore. — Ma il giovane parlò poc’anzi in delirio. — Ora è +svenuto od è morto. I magistrati sentenzieranno. — +</p> + +<p> +Giunta la lettiga, vi fu adagiato Ametistio, venne aperto +il passaggio nel Foro e il trasportarono per quella via. — I +sacerdoti, i curiosi, gli sfaccendati, i perditempo, le bigotte +rimasero su quel posto per lunga ora ad esclamare, a non credere, +ad accusare e colle lanterne a scoprire dove il reo avesse +nascosto la lampada rubata. Ma la lampada non si trovò. +</p> + +<p> +Il pretore cui presentarono lo incolpato, appena potè riconoscerlo +agli occhi sbarrati, alla faccia livida, alla persona +affranta. — Udito il reato di cui Ametistio era accusato, siccome +questo implicava la pena della <i>maxima capitis diminutio</i>, +cioè la sottrazione di una testa al consorzio dei cittadini +e alla libertà, dovette ordinare fosse menato nella pubblica +prigione. +</p> + +<p> +A dritta dello ingresso del Foro dalla viuzza dietro le +Terme e dal trivio della fontana del Lupo, era il posto dedicato +alla carcerazione preventiva. Una piccola e stretta porta +di quercia vi dava accesso. Un pernio di ferro nel centro la +faceva aprire a metà. Grosse spranghe confitte nelle spallette +di pietra la facevano immobile al di fuori. Due scalini mettono +in una stanza umida e oscura, non ricevendo aria e luce che +da un piccolo tubo superiore alla porta; e due altri fanno +ascendere ad una seconda, stretta e lunga come la prima. — Le +pareti sono lisce e composte di larghe pietre di taglio, aggiunte +senza cemento. — Così le soffitte. E la costruzione è sì +solida da non offerire ad un rinchiuso veruna speranza di fuga. +Nulla di peggio orribile di quelle due fosse.... +</p> + +<p> +Colà sur un po’ di paglia venne gittato Ametistio. Il quale, +<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span> +fuori di senno e quasi immemore delle cose avvenute, potette +dormire sino al dimani. +</p> + +<p> +La novella corse ben presto per le bocche di tutti in Pompei. — I +suoi amici ne rimasero sprofondati. — Calliopa cadde +come corpo esanime; chè, il dolore che non ha refrigerio di +lacrime uccide o quasi. — Il vincitore alle tessere e quanti furono +del numero della sua ultima festa, credettero o falso il +delitto o nato di subita follia. Laonde deliberarono di farsene +essi gli accusatori pubblici — <i>auctores causæ</i> — per impedire +che altri si presentasse e non col loro cuore. Ma il giudice +della questione, il quale senza essere magistrato aveva pure +tutte le attribuzioni di un <i>quæsitor</i>, cioè presidente — non volle +che lo incriminato ottenesse dai suoi fidi una persecuzione +fiacca, incompleta per calcolo onde sicurargli la impunità. Accettò +meglio l’atto di accusa prodotto da Stazio Rufo e dai +suoi <i>custodes</i>, Vatinio Svezzio e Caio Pedio — sorta di accusatori +in secondo, sia chiamati dal primo come aiuto ai suoi +ordini; sia, suo malgrado, per chiarire la di lui condotta, per +sorvegliarlo e costringerlo ad una franca accusa. — L’atto diceva +così: +</p> + +<p> +«Vivente Tiberio imperatore, e sedenti consoli C. Cecilio +Rufo e L. Pomponio Flacco Grecino, agli VIII degli idi +di aprile — dinanzi i questori Velario Grato e Vibrio Saturnino — Stazio +Rufo coi suoi custodi, dichiaro Publio Ametistio +reo di furto di oggetto sacro e dimanda che secondo +le leggi venga condannato alla interdizione dell’acqua e del +fuoco.» +</p> + +<p> +Il quesitore mandò il libello all’accusato, perchè apparecchiasse +la sua difesa pel giorno di poi. +</p> + +<p> +Lo indomani un araldo, salito sul pulpito della Basilica — dopo +aver suonato la tromba, ripetè l’atto di accusa, +scritto precedentemente dagli autori della causa. — Quindi +colla stessa formalità lo chiarì dal pulpito del tempio di Giove +e dinanzi la porta dello accusato. +</p> + +<p> +I giudizi sui reati pei quali era prescritta la condanna nel +capo erano dapprima riserbati ai comizi. Occorsi alcuni casi, +creduti al disopra della intelligenza del popolo, o della sua +istruzione, si cominciò a consultare i decurioni, ch’erano una +<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span> +emanazione popolare. Quindi si pensò di creare un corpo giudiziario +permanente, scelto tra i cittadini i quali pel loro grado +sociale o pel loro censo fossero nella condizione di occuparsi +dei pubblici negozi senza alcun danno. Il popolo — approvando +siffatto accordo — serbò per sè i giudizi sulle cause di alto +tradimento e la revisione delle sentenze sui condannati che a +lui si appellassero come a sovrano. +</p> + +<p> +La Basilica è aperta. — Una folla numerosa occupa il +portico e l’atrio. — Le donne e i curiosi sono sul terrazzo del +Foro e dei tempio di Venere. I più vicini odono. — I più lontani +veggono. Ma il vedere vale quanto lo udire; avvegnachè +gli oratori, accompagnando le loro parole con gesti espressivi +e giusti, traducessero a maraviglia il detto coll’atto. +</p> + +<p> +I duumviri sono sulle sedie curuli. — Gli accusatori sul +pulpito. — Indietro, a dritta ed a sinistra seggono ottanta uno +giudici. — Sotto la ringhiera, lo araldo e gli scribi. — Una +barriera mobile di legno chiude il tribunale. — E dentro è +l’accusato in mezzo ai suoi difensori, fra i quali uno è il <i>patronus</i>, +cioè l’oratore e gli altri sono <i>advocati</i>, cioè i chiamati +per la loro scienza nel diritto e per la loro perizia nelle cose +giudiziarie. +</p> + +<p> +Quando gli scribi ebbero dispensate parecchie copie della +lista dei giudici agli assistenti per chiarire come veruno che +non fosse registrato nell’Albo giudiziario usurpava illegalmente +siffatto ufficio, i duumviri fecero prestare giuramento +agli ottanta uno cittadini che avrebbero giudicato secondo le +leggi. — E tutti, chiamati per nome, risposero: +</p> + +<p> +— <i>Juro ex mei animi sententia.</i> — +</p> + +<p> +I magistrati non giurarono perchè essi in tale circostanza +si limitavano a dirigere i dibattimenti, a proclamare il risultato +dei voti ed a pronunciare l’applicazione della legge. +</p> + +<p> +Si cominciò dalla audizione dei testimoni. Ognuno di questi +giurò pel sommo Giove — <i>cujus nomine</i> — dice Cicerone +nell’arringa a difesa di Milone — <i>majores nostri vinctam testimoniorum +fidem esse voluerunt</i> — di dire la verità. Il primo +chiamato fu Venerio Epafrodite — il sacerdote del tempio che +vide il fuggente e il raggiunse. — Disse della lampada involata +dalla edicola e del solo coperchio trovato ai piedi dello +<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span> +altare, dei lucignoli unti raccattati lo indomani uno sulla via +corsa dallo accusato e l’altro tra le pieghe della sua toga. — Ymnus — il +venditore d’idromele e di acque aromatiche nel +<i>thermopolium</i>, dinanzi il quale quel che correva venne arrestato — narrò +le grida del sacerdote e il passo concitato del +giovane, che da uno che prendeva ristori nella sua bottega +udì chiamarsi Publio e aver casa nella via della fontana di +Medusa. — Pupo — il marinaio che venne su dalla porta +della città, ripetè le stesse cose ed aggiunse aver veduto lo +incriminato svenuto e poi udito dalla sua bocca parole sconnesse, +o da ubriaco o da pazzo. — Il centurione Eleno Missilus +chiarì quello che avea visto, cioè, il misero giovane ch’ei +stimò morto tra le braccia di chi il sosteneva. Aver udito parlare +di una lampada rubata. Pur quella lampada non essersi +rinvenuta, nè sul posto, nè sui luoghi vicini. +</p> + +<p> +Stazio Rufo cominciò allora l’accusa. — Dipinse la depravazione +dello incolpato. Le ricche imbandigioni e gli apparecchi +della gola aver sciupato e guasto il suo censo avito. Altri +scialacqui, di cui è onesto il tacere; e l’amplissima villa, non +più sua; e i tanti schiavi di tante lingue; e i bronzi e le pitture +di miracolo; e il vestir di seta come le donne, averlo +gittato nelle braccia degli usurai, divoratori anch’essi del suo +patrimonio. — Coteste le cagioni dell’ultima colpa. E potrebb’egli +sconfessarla? +</p> + +<p> +— No! — +</p> + +<p> +Il patrono difensore nello udire il monosillabo accusatore +del suo cliente: +</p> + +<p> +— Rufo, tu obblii il saggio costume degli avi, i quali si +espressero sempre dubbiosamente in giustizia. — Come puoi +tu asserire le cose intime che narri? — Vedesti tu — coi propri +occhi tuoi — il furto sacro commesso? — E dimentichi tu +per ventura come le tue arrischiate parole sappiano strappare +un amico da braccia amiche, privare lo Stato di un cittadino +ed egli stesso diminuire? +</p> + +<p> +— Pace, o Caio Calvenzio. Qui non si trattano piacevolezze. +Tu non vorrai scendere a giuochi retorici. — Fatti. Non +altro che fatti. — A tutti è chiara la vita del tuo cliente. — Egli +avea debiti. — Chiese danaro. — Nessun usurario volle +<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span> +dargliene. — Entra nel tempio di Venere e ruba. Ruba accecato +dalla disperazione. +</p> + +<p> +— E la lampada ov’è? +</p> + +<p> +— Non sii formalista, Calvenzio. — La sua tunica e la +toga sono unte. Un lucignolo sulla persona.... Egli stesso non +smentisce il reato. — Ecco quello che io credo..... e i nostri +avi anch’essi in simile caso si sarebbero espressi così. — Ho +detto. — Rispondi, se il puoi, sulla innocenza di lui. +</p> + +<p> +— Cotesti fatti — se sono fatti, ed io gli nego — non +avrebbero potuta rifar la fortuna di Publio. Poteva vendere +la sua casa, e i suoi bronzi, e le ricche suppellettili, e gli ori +e gli argenti, e le gemme, e gli schiavi; ed avrebbe pagato i +suoi debiti cui tu accenni ed io ignoro. In verità una lampada +del peso di III libre e once II e del valore di 40,800 sesterzi, +non può solleticare la cupidigia di un giovane agiato e spendente +come tu dici. — +</p> + +<p> +Adora sorse l’amico presso cui Ametistio passò l’ultima +sera gioiosa giuocando — il quale, dimentico del danaro scommesso +e vinto, erasi fatto insieme con Metrodoro uno degli +<i>advocati</i>, non avendo potuto essere gli <i>auctores causæ</i> — e +col viso acceso dalla indignazione, proferì: +</p> + +<p> +— E la lampada, per Polluce! E dov’è cotesta lampada? — Abbiamo +un sacerdote interessato che accusa. — Abbiamo +un incriminato che non si difende. — E l’oggetto del reato +scomparso! — O Venere lo ha nascosto agli occhi dei suoi.... +sacerdoti, o volò di per sè, come il divo Romolo, nell’empireo +presso la Iddia! — +</p> + +<p> +Metrodoro era afflittissimo. Teneva la mano dell’amico +chiusa nelle sue. E spesso a voce bassa parlavagli nell’orecchio. — Ma +non ne aveva nessuna confortante risposta. +</p> + +<p> +— Ebbene! siccome s’intesero i testimoni, si ascolti ora +il supposto reo. S’egli ripeterà ciò che disse agli astanti e poi +al pretore, l’accusa non avrà altra cosa da aggiungere. — +</p> + +<p> +Un movimento di attenzione si produsse allora nell’assemblea. — I +più lontani si sollevarono sulla punta dei piedi. +Uno dei duumviri disse: +</p> + +<p> +— Parli or l’accusato e si scolpi. — +</p> + +<p> +— La lampada disparve dal tempio.... Vili ed ipocriti i +<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span> +sacerdoti.... A Venere non importa che l’olio bruci. Ha il sole +che illumina il cielo, la terra e i pianeti.... +</p> + +<p> +— Ei bestemmia! +</p> + +<p> +— Epafrodite impostore!... Nel vostro collegio, quando +siete satolli e il vino v’inebria, ridete fra voi degli Dei e degli +uomini. — Una donna che fu vostra, ed anche mia, lo +udiva e mel disse.... — I colombi di argento e i melagrani +d’oro — che anche la mia stupidezza vi ha confidato, come +voti alla Iddia — e non gli vendete voi fuori di qui?... La +lampada.... valea pur essa i miei danari.... e partì. +</p> + +<p> +— E dov’è ora quel prezioso tra i sacri arredi? +</p> + +<p> +— Non la trovaste?... Bene sta!... Lo inferno v’inghiotta, +o pubblici ladri!... Quella lampada non rischiarerà più le vostre +soppiatte libidini sacerdotali.... +</p> + +<p> +— A me, che ti accuso, rispondi semplice e sincero. I +giuochi di parole, di mente smarrita non ti gioveranno. E se +lo interrogatorio non valse a strapparti dal labbro la verità, +potrebbe ben la tortura.... +</p> + +<p> +— Come! insolente; osi tu proporre la prova dei servi +ai duumviri sul mio misero cliente? Il dolore e lo spasimo depongono +il falso sempre. +</p> + +<p> +— Ma la tortura è permessa sur ogni cittadino per causa +di congiure e di sacrilegio. — E qui sacrilegio è negli atti e +nelle avventate parole. — +</p> + +<p> +Metrodoro si stacca vivamente dalle braccia di Publio, e +parla: +</p> + +<p> +— Uno accusa. — L’altro non dice. — La tortura? Sia! +La subisca prima Epafrodite e quindi il cliente. — Così, se il +vero sta nei tendini distesi e nelle carni lacerate, vedremo. — E +se il mio amico risulta innocente, avrò il libito di chiedere +ai magistrati di far marcare sulla fronte del prete calunniatore +K, la stimmate che avrà meritato. +</p> + +<p> +I membri di tutti i collegi sacerdotali muggirono di rabbia +a quelle parole oltraggiose. — Parecchi giudici ne furono +inorriditi. — La plebaglia ruppe in alti clamori. La tempesta +fu sì violenta che lo araldo ebbe ordine di suonare la tromba +e di annunciare che i testimoni avevano detto, e la udienza era +levata. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span> +</p> + +<p> +Lo indomani del giorno d’intervallo tra un’accusa e l’altra, +gli autori della causa ripetettero l’<i>anquisitio</i>, cioè la pena +richiesta al delitto. Corsi anche due giorni, gli accusatori fecero +affiggere nel Foro l’<i>irrogatio</i>, cioè uno scritto in cui palesavano +la pena che il crimine sembrava meritasse, ed accusarono +per l’ultima volta lo incriminato, invitando i giudici +a pronunciare la sentenza. — Nelle due comparizioni si procedè +alle accuse e alle difese, come nella prima. — Ametistio +non volle difendersi. — I sacerdoti — non solo nei loro covacci +di empietà e di frode — ma nelle taverne e nei trivi +cercarono di persuadere il popolo ad impedire che lo scellerato +sacrilego sfuggisse alla giusta vendetta dei numi. — Sempre +gli stessi, assetati d’oro e di sangue! — Sempre tributari +agli Dei delle atroci loro passioni, chiamandoli vendicativi ed +autori dei pubblici disastri. — Coi giudici usarono altri mezzi — danari +a iosa, e per sopra ciò <i>noctes mulierum atque adolescentulorum +nobilium introductiones nonnullis judicibus pro +mercedis cumulo fuerunt</i>. Non traduco tali immondezze. +</p> + +<p> +In quel giorno tutte le taverne, le botteghe, persino le +terme furono chiuse. — Qualche scriba aveva venduto il suo +posto e rimaneva in piedi. — Lo araldo intimò il silenzio, si +fece lo appello dei giudici e gli autori della causa parlarono +per due ore, tempo che la legge loro accordava. Caio Calvenzio +replicò solo e apparecchiò lo uditorio ad intenderlo col +tossire, collo scricchiolare delle dita, con sospiri e con tristi +sguardi or volti al cliente, ora ai giudici, ora al popolo riunito. +Parve agitato da una violenta emozione e la voce tremavagli +nella gola. — Quando ebbe pronunciato: <i>dixi</i>, lo +araldo gridò dall’alto: <i>dixerunt</i>, e i duumviri offerirono allo +accusato ed agli accusatori il diritto che la legge Pompea loro +accordava, di rifiutare per giudici quelli che loro non andassero +a verso. Di ottanta uno ne rimasero cinquanta uno. — A +cotesti vennero distribuite tavolette di bossolo coperte di uno +strato di cera e ciascuno sopra scrisse la iniziale del voto che +la propria coscienza o il turpe maneggio sacerdotale dettavagli. +A voleva dire <i>Absolvo</i> — C <i>Condemno</i> — N L <i>Non +liquet</i> — ciò non è chiaro nella mia mente, se lo incriminato +sia innocente, o colpevole. Ognuno gittò la propria tavoletta +<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span> +in un’urna, levando la toga per scoprire il braccio e serbando +l’iniziale scritta dalla parte della palma della mano. — Il misero +Ametistio venne condotto per una scala nella prigione +ch’era al disotto della tribuna. — Fatto lo scrutinio dei voti, +gli scribi ne diedero il risultato ai duumviri. Tre giudici opinarono +per una più ampia informazione. Dieci negarono il +crimine. Trentotto lo accertarono. +</p> + +<p> +Allora i duumviri spogliaronsi della toga pretesta in segno +di lutto; ed uno di essi, con aspetto triste e solenne, +disse nel silenzio dell’assemblea: +</p> + +<p> +— Sembra che Publio Ametistio meriti di essere punito. +E a noi piace interdirgli l’acqua, l’aria ed il fuoco. — E sia +crocefisso. — +</p> + +<p> +E nell’atto che uno degli scribi leggeva la stessa sentenza +dallo spiraglio superiore del carcere a quei che doveva farsi +<i>inanimatus</i>, nella sua qualità di <i>servus pœnæ</i>, l’altro dei +duumviri dicea alla gente stipata: +</p> + +<p> +— <i>I licet.</i> — +</p> + +<p> +Così tutti, a poco a poco, vociferando, gesticolando, alcuni +gioiosi, altri addolorati, escirono dalla Basilica e si disseminarono +pel Foro. — Metrodoro, innanzi la prima Curia, +arrestò due dei giudici, mettendosi con violenza nel mezzo di +essi. +</p> + +<p> +— Sapete voi perchè tanto apparato di milizia nei tre accessi +del tribunale e fuori?... Non per evitar turbolenze, no. — Per +arrestare i <i>manticularii</i> che vi sbarazzassero destramente +della moneta che questa notte guadagnaste con tanto onore: — Uomini +da conio.... e insanguinati! — +</p> + +<p> +Ed un altro, nella via della fontana del Leone, mirando +camminare a lui dinanzi un sacerdote d’Iside, tolse di peso +un’anfora spezzata piena di calce e la cacciò quasi elmetto di +flamine sul capo di lui. +</p> + +<p> +— Tizzone d’Averno, imbiancati se puoi! — +</p> + +<p> +Finchè quel briccone potè levarsi la mala cuffia di testa +e nettar gli occhi e la barba, il poco riverente cittadino era +scomparso. +</p> + +<p> +Intanto Publio Ametistio aveva ascoltato la sua sentenza +con un coraggio e quasi direi con un orgoglio di razza che +<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span> +dava una smentita alla poco gagliarda persona sua. — La +morte sulla croce! — La sua vita, tutta di piaceri, non ve lo +aveva preparato. — E lo sguardo della folla! — E lo scherno +della plebaglia! — Le idee ed i nomi amici gli si arruffavano +nella mente e lo racconsolavano dello spasimo morale che allora +pativa e della morte crudele cui andava incontro. — Nell’atto +entrano due feroci uomini nella prigione. Uno gli lega +le mani dietro con una corda. L’altro gli appende al petto +una tavola che chiarisce il suo nome e il delitto. Fuori sono +soldati che lo attendono. Molta gente pur v’è — e in ispecie +donne con bambini sul braccio o lattanti, curiose di vederlo +una volta e di assistere alla sua crocefissione. — Una giovane +lo guarda, gli lancia un bacio e dice: +</p> + +<p> +— Oh! se gli è bello, e piacente! Lo avrei amato! Se +fossi una Vestale.... — gli è impossibile lo sperarlo, perchè non +si torna indietro mai.... colla mia presenza avrei potuto +dirgli — <i>sii libero</i>.... — e poi più alle fiamme del cuore che +a quello dello altare. +</p> + +<p> +— Quando ti farai cheta, sguaiata? +</p> + +<p> +— Quando mi darai a bere del vino. — +</p> + +<p> +E cavato uno spillone dalle nerissime trecce, scrisse sulla +parete: +</p> + +<p> +— <i>Suavis, vinaria, valde sitit. Rogo vos valde sitiat.</i> — +</p> + +<p> +Traversando il Foro, gli amici che la sventura gli avea +risparmiato e i suoi poveri schiavi, i primi gli baciarono convulsivamente +gli occhi e la bocca, gli altri i piedi, e disperati +li lasciarono. — Ametistio sentì dentro tutto, uno strazio e +camminò innanzi. +</p> + +<p> +Lungo la via dell’Abbondanza e quella della fontana di +Venere, fissava le genti che il riguardavano, smemorato. Vedea +doppio e triplo. — Fuori della porta di Stabia la comitiva +si fermò <i>ad cisiarios</i>, colà dove si affittavano i veicoli; e venne +consegnato al carnefice, a cui le leggi censoriali niegavano la +luce e l’aria che si respirava in Pompei. +</p> + +<p> +Spogliato delle sue vesti, fu gittato sur una croce di +pioppo. Due gli tennero le mani distese con una corda. — E +il carnefice le inchiodò. — Poi gli distesero i due piedi riuniti. — E +il carnefice li inchiodò. — Il poveretto soffriva acuti +<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span> +dolori. Ma non dicea verbo. — Quindi i tre giustizieri levarono +di peso la croce e la conficcarono, per la estremità dove +penzolava la testa, in una buca di sasso, assestandola con due +cunei. +</p> + +<p> +La plebaglia — avida di quegli spettacoli — rimase sul +posto sino a sera. Alle prime ombre partì. — I littori di guardia +rimasero seduti presso un fuoco di frasche ed un’anfora +di vino. +</p> + +<p> +Dopo un’ora, una donna si trascinò colà barcollando. Al +chiarore rossastro vide lo inchiodato a capo in giù e corse +a lui. +</p> + +<p> +— Ametistio! Mi ascolti? — Mi vedi? +</p> + +<p> +— Calliopa... un bacio... ecco la morte.... Io ti.... atten... +</p> + +<p> +— Espio tutto sulla tua bocca e muoio! — +</p> + +<p> +Fu l’ultimo accento di una doppia agonia. — La mattina +i soldati si provarono a rialzare la donna prostrata che colle +braccia stringeva la croce. — Era morta! — Fecero una +buca e la seppellirono. E poi ch’ebbero pigiata la terra sul +cadavere: +</p> + +<p> +— La credi moglie del crocefisso colei? +</p> + +<p> +— No! — La donna dallo anello non muore di amor disperato! — +</p> + +<div class="chapter"> +<p> +<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span> +</p> + +<h2 id="cap6">LA NECROPOLI. +<span class="smaller">SCENE DI FUNERALI.</span></h2> + +<p class="center"> +<b>Anni di Roma 779 — Anni del Cristo 26.</b> +</p> + +<p class="center pad2"> +A J. C. HACKE VAN MYNDEN. +</p> + +<p class="center"> +VI. +</p> +</div> + +<div class="chapter"> +<p> +<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span> +</p> +</div> + +<p> +— La tua tragedia, o Sirio Crixsio, non posso accettarla. +L’ho letta — piacerebbe in Herculanum... lo credo — qui, +ne dubito forte. — Le lettere non vi sono in molto onore +come nella tua grande città. — La tua commedia, o Delio, +non è adatta alla circostanza. — Se si trattasse di festeggiare +un duumvirato, eh!... Ma noi piangiamo la perdita di un dabbene, +i cui pari non nascono ogni dì. — Andate. — Ci rivedremo +in altra occasione. — +</p> + +<p> +E voltosi ad un uom vecchio e tarchiato: +</p> + +<p> +— Salve, <i>operarum theatralium dux</i>. Tu puoi acconciar +tutto a dovere. Mi occorrono tre <i>taurocentas</i> e tre <i>succursores +pontarios</i>. — Le coppie dei tori le ho già provviste. La +giostra nel Foro. — Oltre la venazione vorrei dare lo spettacolo +dei <i>pugiles catervarios</i> insieme coi <i>pyctas</i>, secondo il costume +greco. Vi sia musica e pantomima. — Tu penserai a +provveder le macchine, il vestiario, i giostratori e tutto. — Quanto +alla spesa — tu mi conosci — non vi sarà a ridire. — Agisci +con zelo. — La famiglia è ricca e generosa. E vuol +fare obliare «lo assedio di Troia» che tu preparasti nel gran +teatro pei funerali di Munazio Fausto — lo arricchito dal +mare — cui Nevoleja Tyche diè quella testimonianza di amor +coniugale. +</p> + +<p> +— Compresi, Eumenes. La famiglia di Flacco non avrà +a dolersi di me. Ma ier l’altro io vidi il brav’uomo passeggiar +nel Pecile. — Vi entrai per parlar collo edile — ed egli mi +strinse la mano e mi chiese del figliuol mio che — come sai — vive +nell’Urbe. — +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span> +</p> + +<p> +Eumenes nello udir lo elogio del suo padrone, valido e +sano due giorni innanzi, sentì tremolare negli occhi le lacrime. +Le asciugò col <i>sudarium</i> che aveva chiuso nelle pieghe +della tunica, e con voce velata rispose: +</p> + +<p> +— Tornò in casa pieno di salute. Dopo la cena si dolse +del mal di capo e andò a coricarsi. Il <i>clinicus</i> Stertinio lo visitò +lo indomani, prescrisse i suoi <i>placita</i> che io feci comprare +dal vicino <i>seplasiarius</i>; e malgrado il medico il consigliasse a +rimanersi nel letto, od almeno in camera, volle uscire e andar +nella Curia. — Colà svenne e fu qui riportato in lettiga. +Non parlava. Aveva storta la bocca, gli occhi sbarrati e la +faccia accesa. — Vengono due medici e gli tastano i polsi, +uno di qua, l’altro di là. — Quei mercanti della salute furono +in questo solo di accordo — che il sangue fosse ito con +impeto a cacciarglisi nel cervello. — Ma per rimediare a quel +guasto Stertinio indicava il bagno freddo e Archagathas +un bagno caldissimo ai piedi con farina di senape. Allora si +bisticciarono, chiamandosi <i>vespillones</i>, spoglia-cadaveri, e +peggio. I figliuoli — per non aver rimorsi più tardi — usarono +interpolatamente i due rimedi. Il bagno ai piedi parve +lo rianimasse un poco. — Coi segni prima e poi collo stilo +sulla cera quel degnissimo di vita affrancò dodici schiavi, +si tolse gli anelli e dandoli a Lelio lo designò suo erede. +Il misero ebbe appena il tempo di collar le sue labbra sulla +bocca del vecchio e riceverne il suo ultimo sospiro. Lydia +era svenuta nelle braccia delle liberte. — Aterio Flacco era +vissuto. +</p> + +<p> +— Consolati, Eumenes. — Il figlio somiglierà a suo +padre. +</p> + +<p> +— Sì, o Filone. È il suo ritratto e dentro e fuori. E il +vedrem presto degno della pubblica cosa. — Ma giacchè tanto +spendemmo per quei due becchini — chiesero ed ottennero +dugento denari! — vorrei che il padrone facesse incidere +nella epigrafe: <i>ignorantia medicorum periit</i>. +</p> + +<p> +— Postuma è la sentenza, o fedele. — Non si fischia +quando s’inghiotte. — Sta’ sano. — +</p> + +<p> +Eumenes era un uomo della seconda gioventù. — Tratti +regolari e belli, velati da una espressione di dolce melanconia. — Neri +<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span> +e ricciuti capelli gli adombravano il viso. — Spessi +sopraccigli celavano i suoi occhi lucenti, e vi si leggeva l’audacia +che inspira la forza fisica, la contentezza del proprio +stato e una certa tinta di arroganza insolente mista a bontà di +carattere che acquistano tutti i servi i quali invecchiano nella +casa del loro padrone. — Era Messenio, e fu comprato fanciullo +da Flacco. Passò per tutti i gradi della domesticità. — Dapprima +<i>succinctus puer</i> nel triclinio. Quindi <i>structor</i>, quegli +che apparecchiava il desco e acconciava le vivande in un +ordine simmetrico e studiato; e poi <i>scissor</i> e così abile, ch’egli +sapeva scalzare un’oca pulitamente e sì presto da vederla intera +e tagliata in un attimo. La sua fedeltà e continenza lo +fece salire in fiducia e divenne <i>promuscondus</i>, lo ispettore +della cantina. — Allorchè venne assunto allo ufficio di <i>tricliniarcha</i> +Flacco lo affrancò, e qual maggiordomo fu il primo +fra tutti i familiari della casa. +</p> + +<p> +Per lo addolorato liberto era giorno di grandi faccende +quel giorno. Allorchè Lelio chiuse gli occhi a suo padre e andò +a piangere nella sua camera nelle braccia della sorella, egli +dovette correre per dichiarare la morte del suo padrone e +prevenire i <i>libitinarii</i> per lo apparecchio delle esequie. Cotesti +ministri della Dea luttuosa, avevano nel tempio quanto +era necessario per la triste cerimonia — portatori — guardie — piagnenti — vasi +di vetro, di alabastro, di bronzo, di terra +per chiuder le ceneri — legni resinosi — unguenti — tutto — a +seconda del grado della persona morta e della magnificenza +della famiglia. Per questo pagavasi una somma convenuta — <i>arbitrium</i> — e +si gettava in un’urna la moneta che serviva +di registro dei morti nell’anno. — Combinata la spesa, Eumenes +tornò in casa coi <i>pollinctores</i> che dovevano lavare con acqua +calda il cadavere, aromatizzarlo di cinnamomo, di mirra +e di nardo, acconciare la faccia del morto, infarinarla col +<i>pollen</i> e colorirla come da vivo. Fecero però prima la <i>conclamatio</i> +per quattro volte, chiamandolo a nome presso le orecchie, +e suonarono le buccine due volte, onde accertarsi se +quell’apparente tranquillità fosse riposo, o sonno eterno. Compiuta +l’opera libitinaria, il cadavere venne esposto sur un +letto solenne, colla faccia scoperta, vestito di bianca toga, nell’atrio, +<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span> +coi piedi volti verso la strada. — Siccome aveva in +gioventù raccattato nel porto un fanciullo che annegava, fu +messa sulla sua testa una corona di quercia <i>ob civem servatum</i>. — Sul +<i>prothyrum</i> era un’ara, ove ardevano profumi. — Dinanzi +all’uscio, un grosso ramo di cipresso. — E attorno +alla bara i custodi con altri rami per discacciare le mosche. +</p> + +<p> +Sette giorni durò la esposizione. — I profumi e gl’incensi +bastavano a dura prova ad attutire il puzzo della materia corrotta. — L’ottavo +in sull’alba, un araldo percorse le vie, i +crocicchi ed il Foro. E gridava: +</p> + +<p> +— <i>Aterius Flaccus ollus leto datus est.</i> — Queglino cui +convenisse di assistere ai funerali, <i>jam tempus est</i>. — Si celebreranno +giuochi; e il ministro della dea Libitina avrà un +apparitore e dei littori. — +</p> + +<p> +Qualche ora dopo, la strada e la casa si empivano di +gente. — Tutti vestivano la <i>penula</i> invece della toga che non +indossavasi nei funerali. +</p> + +<p> +Una <i>præfica</i>, armonizzò colla lira una <i>nenia</i>, cioè un +poemetto funebre in lode del morto. Quando la cantilena ebbe +fine, Lelio e tre dei suoi parenti più prossimi, vestiti di bruna +pretesta, caricarono il letto funebre sulle loro spalle. E benchè +il sole splendesse sull’orizzonte, il convoglio s’incamminò +fra torchi accesi di cera e di stoppa impegolata. Un <i>designator</i>, +andava innanzi coi littori dalla nera tunica. E dietro +sfilavano suonatori di <i>tubæ</i>, cori di satiri danzanti un comico +ballo chiamato <i>sicinna</i>, e la truppa degli schiavi affrancati con +Eumenes alla loro testa, tutti col capo coperto dal berretto +frigio della libertà. Immediatamente seguiva il corpo del defunto +cogli amici, coi parenti, in tunica nera e senza anelli. +Dietro di essi, a distanza di parecchi passi, era Lydia colle +vesti in disordine, coi capelli sparsi, in lacrime e gittando +tratto tratto gridi di dolore. L’accompagnavano alcune amiche +devote che nel settenio non l’avevano lasciata mai sola. +Tutte — come la grande afflitta — erano coperte dal <i>ricinium</i>, +piccolo mantello bruno. Quindi camminava una prefica che +colla pantomima dell’angoscia che non sentiva dava il tuono +dei gemiti alle serve della famiglia ed alle loro figliuole. — Chiudevano +il corteggio altre prefiche divise in due drappelli, +<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span> +di cui le prime piangevano percuotendosi il seno e strappandosi +i capelli e le altre cantavano inni ed omei. E ad istanti +cangiavano ufficio, cantando le prime e piangendo le ultime. +</p> + +<p> +Salito il cadavere sul pulpito del tempio di Giove, il letto +fu innalzato di dietro talmente perchè il popolo riunito il vedesse. +E Lelio pronunciò un discorso, in cui unì agli elogi +del padre le principali azioni della sua vita. Talvolta il misero +giovane si arrestava per piangere. Allora una musica +flebile rimpiazzava le sue parole. E si udì per la piazza ai +singhiozzi della figliuola ed al pianto degli affrancati unirsi +qualche voce lamentosa di persone riconoscenti. +</p> + +<p> +Nello escire dal Foro la pompa funebre voltò dinanzi al +tempio della Fortuna e più in su prese la via Domizia per +escir fuori della porta di Herculanum. Avvegnachè nel sobborgo +Felice fosse la tomba della famiglia. +</p> + +<p> +Nell’<i>Ustrinum</i> sorgeva il rogo composto, a modo di +un’ara, di legna secche di elce, di frassino e di pino, decorato +di ghirlande di fiori. Negl’interstizi erano pezzi di pece, +perchè aiutassero alla combustione. Distesovi sopra un lenzuolo +di amianto, i libitinari vi collocarono il cadavere, cui +erano stati prima aperti gli occhi dal figliuolo onde vedessero +il cielo, e introdotto tra i denti un triente — circa due +centesimi di lira — per pagare il tragitto al nauta infernale. — Quindi +Lelio e Lydia, baciandolo sulla bocca per l’ultima +volta, avevano gridato con una voce piena di lagrime: +</p> + +<p> +— <i>Salve aeternum, aeternumque vale</i>. — Noi ti seguiremo, +o padre, nell’ordine che la natura ci assegnerà. — +</p> + +<p> +Allora tutti fecero il giro del rogo, gittandovi sopra ogni +maniera di ultime offerte — oli profumati — balsami — incenso — mirra — cinnamomo — nardo — e +la figliuola una +ciocca de’ suoi biondi capelli. — Chiuso il lenzuolo, l’<i>ustor</i> +presentò le due torce accese a Lelio ed a Lydia. Essi le presero. +E, copertisi gli occhi col lembo della veste e volte le +spalle — per provare il ribrezzo sentito nel distruggere quelle +amate reliquie — appiccarono il fuoco al rogo. — Ben presto +un turbine di fumo elevasi in aria. — E pianti, e gemiti, +e singhiozzi, e canti funebri, e suono di trombe con +essi. — Colui che aveva presentato le torcie vegliava sulle +<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span> +fiamme e le attizzava. — Appena la catasta di legna la divenne +cenere e bragia, l’<i>ustor</i> inforcò il lenzuolo pei nodi e +lo depose in terra. Lo aperse. E i parenti, inginocchiatisi, +cercarono con cura le ossa che il fuoco non avea calcinato e +lavatele con vino vecchio e latte e poi asciugatele con veli +di lino, le chiusero in un’urna di alabastro orientale insieme +a foglie di rose e ad aromati. Ivi pure scossero la cenere +chiusa nel lapideo lenzuolo. Allora il <i>designator</i>, che avea già +cambiato il ramo di cipresso con un ramo di lauro, fece tre +volte il giro intorno ai ragunati per la trista cerimonia, li +purificò con una aspersione di acqua pura; quindi gli congedò +colla parola, +</p> + +<p> +— <i>I licet</i>. — +</p> + +<p> +Il nono giorno le ceneri vennero deposte nella tomba +della famiglia, la quale trovavasi dietro l’ustrino. Lelio aprì +colla chiave la porta di marmo che girò fischiando sui suoi +cardini di bronzo. Si curvò, discese tre scalini e depose nella +nicchia in faccia a sè la ricca urna che aveva nelle mani. — Levato +il coperchio, gittò dentro un anello d’oro con una +pietra su cui era incisa una cerva — il <i>symbolus</i> del padre +morto. — Volse mestamente gli occhi allo intorno e sulla predella +vide l’urna di marmo colle ceneri di sua madre; di vetro, +con quelle di una sorella; e di terra rossa, adorna di bei +rilievi, che racchiudea le reliquie di un fratello morto anzi +tempo. Sospirò ed escì. L’ultimo atto dei funerali era compiuto. +E lo fu a suono di trombe, dette <i>sitinae</i>, dal timbro +grave e melanconico. +</p> + +<p> +Tornato in casa, trovò i parenti e gli amici riuniti a banchetto. +Nessuna bocca potè sfiorare gai propositi. Le menti +erano afflitte e preoccupate e tutte miravano un solo spettro. +</p> + +<p> +Già da due mesi — sendo morti Germanico in Syria e +Druso in Roma — Tiberio imperatore erasi chiuso in Capreas, +stanza recondita e di molto comodo alle sue paure e alle sue +crudeli sporcizie. Dodici anni prima, accompagnando nella +Campania Cesare Augusto — marito di sua madre Livia Drusilla +e suo padre adottivo — aveva visto l’isola assai bella e +dilettevole, cinta di rupi scoscese ed altissime ed accessibile +sul mare profondo da una sola banda e ristretta. Era vecchio, +<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span> +dal corpo brutto, sottile, lungo, chinato e calvo. Aveva il +viso chiazzato di margini e di spesse stianze e piastrelli. Era +stomacato dello abbietto Senato ch’egli spesso svillaneggiava in +greco — «o gente nata a servire» — plaudendo lui distruggitore +delle pubbliche libertà. Odiava sua madre che non volea +socia al dominio, e discacciare non la potea perchè per le +sue moine Augusto lo aveva preferito a Germanico, nipote +della sorella Ottavia. Checchè ne fosse, era partito dall’Urbe +con poca corte, per lo più di greci, amando ragionare in tale +idioma. Il pretesto fu il sacrare il Campidoglio di Capua e il +tempio di Augusto in Nola. Lo infinito restitutore di antichi +ordini colà guadagnossi i sopranomi di Biberio Caldio Merone +e di Caprineo. I suoi desinari duravano non ore, ma giorni +interi e serviti da fanciulle di corpo vago ed ignudo. Premiati +i maestri di disonesti sollazzi. Ai più alti uffizi i beoni, i corrotti, +gli autori di libri lascivi e di pitture libidinose. Chiamava +suoi piscicoli i bambini coi quali bagnavasi, sendo incitamento +la loro innocente modestia. In più nefande camere, +rizzate qua e là nell’isola erano i ministri di quanto in esse +si può. Ed altri ministri lettigavano per la contrada in cerca +di vittime alla sua sporca e focosa lussuria. +</p> + +<p> +Ma avaro nello spendere, moderò negli altri lo sciupo nei +giuochi e nelle feste, e scemò le provisioni agli istrioni ed agli +accoltellanti. Pur, se illimitato il castigo ai prevaricatori, illimitate +le vie per deludere la pena ed ovviare il castigo. E +tratto tratto vedeva e puniva. E spegneva i riottosi e ne ghermiva +gli averi. E la plebe diceva nel vedere i ricchi puniti: +</p> + +<p> +— Cesare coi suoi occhi raccolti vede di notte all’oscuro. +Gli altri, di giorno, per lui. — +</p> + +<p> +Intanto il Foro rumoreggiava dei giuochi che il fasto della +famiglia in corruccio faceva eseguire, perchè la memoria del padre +fosse più durevole nel cuore del popolo. L’uso era rischioso, +irreflessivo ed audace, nè poteva esser vinto sì di leggieri. +</p> + +<p> +Tori furiosi corrono a capo ricurvo nella lizza. — I bestiari, +scalzi e vestiti appena di una corta ed ampia tunica +senza maniche, gli attendono, evitano con destrezza l’urto +delle loro corna, li feriscono colla punta di un giavellotto; e +quando li veggono arrestarsi confusi, e sbalorditi raschiare +<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span> +colla zampa il selciato, si presentano loro dinanzi squassando +una stoffa di color chermisino. I soccorritori, agili anch’essi +e quasi nudi, corrono dietro i tori frementi e con alte grida +gli aizzano contro i loro avversari e gli pungono con una lunga +asta, armata nella sua estremità di un ferro acuminato. La +bestia nel parossismo del suo furore si slancia, crede di sbuzzare +il nemico e non trova infilzato alle corna che un cencio +che gli annuvola la vista. Allora altre punzecchiature di dietro; +altre sfide dinanzi. E urli dalla galleria ed oltre lo steccato +di legno che circonda l’arena. — Però che il popolo in +quelle venazioni non vedea più la idea pietosa che la faceva +offerire, ma solo lo amor del piacere e lo spirito di turbolenza +che il mena. Per poco che un taurocenta, nel salvarsi da una +cornata, faccia un passo falso e cada, escono tali fischi da +quelle gole, sino a ghiacciare di spavento e di confusione le +bestie. Se poi queste ristanno malgrado i colpi di lancia dei +succursori puntari, le grida, le imprecazioni, le minaccie scoppiano +contro di esse. +</p> + +<p> +Il pugilato succedette alla corsa dei tori. — Frigidus e +Vitulus — rotti agli esercizi violenti e al regime austero della +loro professione di atleti — discendono nel parallelogrammo. — Hulvio +e Tetrix — non meno rinomati dei primi — si mostrano +anch’essi. E siccome erano stati altra volta in Pompei, +sono applauditi calorosamente. — Una coppia verso il tempio. — Un’altra +verso le curie, perchè tutti veggano. — Gli +atleti gettano via dalle spalle un ampio mantello e fanno mostra +di larghe membra, di braccia nervose, di ossa gigantesche. +Hanno rasi i capelli, tranne sulla sommità della testa, +adorna di un grosso ciuffo, quasi a garanzia dei colpi che +possono ricevere sur una parte così sensibile e delicata. — Alcuni +schiavi allacciano dalla prima falange della dita sino +all’avambraccio un paio di cèsti perfettamente eguali, formati +di sette striscie di cuoio di toro ancor velloso e guarniti di +piastre di ferro o di piombo. +</p> + +<p> +Appena armati, si assicurano sui loro piedi e levano le +braccia in aria per saggiare se i cèsti sono bene aggiustati. — Dato +il segno, le due coppie gettano la testa indietro e presentano +i cèsti allo avversario. Le mani s’incrociano e il combattimento +<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span> +incomincia. Frigidus è più leggero; meglio agile; +lo soccorre la gioventù. Vitulus è più provetto e più forte; ma +le sue ginocchia non sono ferme ed ha grosso il respiro. — Hulvio +è membruto e saldo sui suoi larghi fianchi. — E Tetrix +non è da meno di lui. — I colpi d’ambi i lati dello steccato +si avvicendano; e, o rompono l’aria, o rimbombano sui petti. +Si guardano, si studiano, si minacciano, si evitano, si stancano. — Il +sudore copioso prima imperla e poi riga la epidermide +di quei giganti. — Frigidus vuol porre un termine alle +lotta e impetuoso si getta in avanti colle braccia levate e scaglia +due colpi simultanei. Vitulus — che cercava un accesso or +a dritta, or a sinistra per colpire con profitto l’emulo suo — rincula +con prestezza; e l’altro, non sostenuto dalla resistenza, +trascinato dal proprio peso, cade boccone sul lastricato. +</p> + +<p> +Urli e fischi scoppiano di ogni lato. — Altri plaudisce alla +destrezza di Vitulus. — Ma il caduto si solleva con impeto e +rinnova gli attacchi. +</p> + +<p> +Hulvio anch’esso vuol compiere rapidamente il proprio +trionfo; e digrignando i denti, si precipita sullo avversario e +gli assesta colpi spessi e di lieve portata. Tetrix nota quella +furia e la trae a suo vantaggio. — Para la minaccia, o la evita +col gittarsi di fianco, o fugge. L’altro prende allor più coraggio +e irrompe più furioso che mai. Tetrix si volge, finge un +colpo di lato e gliene squadra uno terribile sulla faccia che lo +atterra sbalordito e fuori di sè. Il sangue spicca a rivi dal +viso lacerato e pesto. +</p> + +<p> +Frigidus e Vitulus grondano di sudore ed ansimano come +due mantici. — Di comune accordo si fermano e vanno ad +aiutare il compagno che trascinano via col capo penzoloni sulle +spalle. +</p> + +<p> +— Per Castore e Polluce, sono valenti atleti! Come lo +chiamano il ferito? +</p> + +<p> +— Lo ignoro, Comio. Mi pare di averlo visto a Capua, un +anno fa, nello anfiteatro. E anche là — se ben lo rammento — buscò +una scellerata botta sul fianco. +</p> + +<p> +— Eh! Se naufragò anche altra volta, or accusa a torto +Nettuno. — Io preferisco il mio mestiere al suo. — Che ne +pensi, o Mola? +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span> +</p> + +<p> +— Certo val meglio far bollire le carni che far pestare le +proprie. — <i>Archimagiri</i> di buone case come noi non hanno ad +invidiare un Flamine, — Eppure!... +</p> + +<p> +— Già ti penti della tua sorte? +</p> + +<p> +— Mai no. — Talvolta però che veggo gladiatori ed atleti +balzare nel Circo e applauditi.... Tal’altra che miro le donne +correre loro appresso come le mosche al mele.... Che la dea +Fornax mi perdoni!... Ma di siffatte delizie a noi cuochi non +arrivano mai! +</p> + +<p> +— A ognuno la sua. Consolati! Lo stomaco e la borsa — se +consultati — ti darebbero torto. — Ma cosa accade là +in faccia a noi? — +</p> + +<p> +Un gran baccano difatti accadeva di contro. Alcuni uomini +gesticolavano furiosi. — Che è. — Che non è. — Le +donne supplicavano, ma non riuscivano a calmarli. Alla fine +si vide un soldato dibattersi tra quella stiaccia, tolto di peso +e cacciato fuori con pochissimo garbo. Un triario — giunto +tardi — non aveva trovato posto tra gli assegnati ai suoi pari. +Ed allora per godere dello spettacolo, erasi fatto strada là +dov’era il popolo. Un ardire siffatto aveva eccitato il sentimento +plebeo della dignità sovrana, e lo intruso venne scacciato +dal posto che avea tentato usurpare. +</p> + +<p> +— Orestilla, vedi com’è tronfio e pettoruto quel bruno +che si fa largo là, tra la gente. — Pavone antipatico! +</p> + +<p> +— Colui dalla tunica di porpora?... È uggioso anche a +me, Pothusa. — Nol vidi mai prima d’ora. +</p> + +<p> +— Debb’essere straniero. — Che farà egli in Pompei? +</p> + +<p> +— Eh! Continuerà il suo mestiere! — Maraviglio del +magistrato che fa entrar simil gente nella nostra città. — +</p> + +<p> +Callityche — ch’era presso alle due giovinette, l’una <i>calamistra</i>, +arricciatrice di chiome donnesche, l’altra <i>vestifica</i>, +che tagliava le vesti e le cuciva — voll’essere del pettegolezzo +ed aggiunse: +</p> + +<p> +— Mi pare sia del mio sangue. — Ho la casa da affittare... +Io gliela cederei. — +</p> + +<p> +Uno ch’era servo in una <i>diversoria</i> fuori la porta della Marina, +felice di poter offerire informazioni esatte, entra a dire: +</p> + +<p> +— Tre giorni fa approdava nel porto. — Dormì e mangiò +<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span> +nello albergo. Lo indomani il padrone, ch’è meticoloso, +gli chiese il pagamento della cena e del letto; ed egli aprì la +borsa — e cen’eran dentro dei bianchi e dei gialli! — pagò +e — forse stizzito dalla scortesia — partì. Spese due denari e +tre quadranti, e a me diede due assi. Un altro avrebbe pagato +un solo denaro.... e avrebbe detto le sue. +</p> + +<p> +— Nummi e denari? +</p> + +<p> +— Dev’essere molto ricco allora! +</p> + +<p> +— Me n’ha l’aria. — E quegli che portò via la sua cassa, +mi disse ch’era ben grave. — +</p> + +<p> +Orestilla guardò la sua amica, e: +</p> + +<p> +— La verità entra in casa, parlando — Eh! per la gioconda +Iddia! Ha un bello aspetto quel forestiero! — Guardato +meglio, guadagna. +</p> + +<p> +— Poichè spende grosso, sia il bene arrivato. +</p> + +<p> +— Scommetto che quando lo incontrerete per via — oh! +gli è un greco di certo! — gli lancerete tenere occhiate per +farvelo amico! — Attenti. — Ecco i lottatori ch’entrano in +scena. — Bei giovani! Paiono fatti al torno. — +</p> + +<p> +Erano quattro. — Sono ignudi dalla testa ai piedi. — Ma +si potrebbero dire vestiti di grigio, perchè unti di olio e di +cera e coperti da una cenere fine che trovavasi in Puteoli. +Quella specie di pomata dava scioltezza alle membra, turava i +pori, e facendo aspra la pelle, rendeva più facile il ghermirsi. +</p> + +<p> +La lotta è per cominciare. I giovani si apparecchiano col +corpo proteso dinanzi, col capo insaccato nelle spalle, colle +braccia a cerchio. +</p> + +<p> +— Artoces è un pompeiano. Io scommetto per lui dieci +denari. — Che ne dici, Rutilio, accetti? +</p> + +<p> +— Sì, Cocceo. Io quindici per Dama. Mi pare sia meglio +piantato sulle sue gambe. +</p> + +<p> +— Sai tu, Munazio, come si chiami quel lottatore che +ha le forme di Ercole, costaggiù? Io tengo per lui quaranta +sesterzi. +</p> + +<p> +— Povero Sandiliano, li perderai e sono troppi. — Lo dicono +Aphrocides. Tu sbuchi un pozzo nel momento che ho +sete. — Mira, farò il colpo di Venere come alle tessere — Triplo +sei. — Lydo mi darà vittoria. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span> +</p> + +<p> +— Basta! — È convenuto tra noi. — Oh! Eccoli alle +prese. — +</p> + +<p> +Durante quel dialogo i lottatori si erano osservati, si accostavano +e miravano al modo come si attaccherebbero. Parvero +decisi. Si ghermiscono mutuamente per le braccia, si +danno delle scosse, si spingono, e si tirano con tanta violenza +che — nel silenzio degli spettatori — si odono le ossa +delle spalle e delle reni che scricchiolano. Lo scopo finale +della lotta è il gittar per le terre lo avversario. Non colpi. — Non +pugni. — Sono proibiti. — Convien dunque fare degli +sforzi di tendini e di muscoli, prendendo piede contro piede, +fronte contro fronte, quasi fossero due capri o tori, per ottenere +lo intento. I conati eguali. Pari le forze dei quattro +campioni. L’ansia degli scommettitori è estrema. — E se le +donne non fanno mercato delle loro aspirazioni, dentro però +scelgono il loro campione, e a lui augurano la vittoria e trepidano +per lui. +</p> + +<p> +— Decimilla, che bel giovane quel biondo dai capelli +inanellati, eh? Non mi par convenevole mostrare in pubblico +quegli uomini ignudi!... Pure che petti! che gambe!... Quel +mio pare un Apollo. — Vorrei così formato il marito che Jugatinus — il +dolce Iddio — vorrà destinarmi. +</p> + +<p> +— Io sono per quel bruno, Cœsia. — I biondi non mi +piacciono punto. Quantunque volte io oda novelle d’infedeltà, +sempre nel fondo vi è l’uomo dagli occhi azzurri — la tinta +del cielo, del mare, dell’aria — le cose più mal fide ch’io +mi conosca.... E poi è bruno il mio Anteros. — Sai? Il mio +promesso che ha bottega di stoffe per vesti, dinanzi la fontana +del Toro. +</p> + +<p> +— Avrai un bel prospetto per fuorviare l’occhio maligno. +</p> + +<p> +— Ed Anteros un soggetto di meditazione non molto piacevole. — Ma +guarda il tuo biondo, Cœsia. — Per Ercole! +Cangia lo attacco. — +</p> + +<p> +Queste parole dicevale Alleia alle compagne, a voce bassa +e ridendo.... Difatti Lydo avea preso risolutamente pel collo +Aphrocides e lo stringeva come un nodo scorsoio. L’altro non +piega di una linea e lo abbranca alla sua volta. — Quindi si +<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span> +stringono e son petto a petto. Le loro gambe si allacciano e +l’un cerca di far piegare all’altro il ginocchio perchè cada. +Ma Aphrocides diè una scossa violenta e si staccò, scivolando +come una murena dalle strette di Lydo. +</p> + +<p> +— Che dici, Munazio, di quella prova? È un Anteo che ritocca +la terra coi piedi. +</p> + +<p> +— Per Giove tonante! Ne convengo. Si tirò da un cattivo +passo. — Il tuo Dama suda, o Rutilio, ed ansima come un cavallo +bolzo. — Aggiungo sei denari alla sua caduta. +</p> + +<p> +— Gli tengo, impavido Cocceo. Il tuo patriotismo ti onora. +Non so se il destino sarà pel nostro pompeiano. — Vedi! Si +sono separati. Vanno a tuffarsi nelle casse piene di polvere. — Per +Cocito! Gocciolano come usciti da un <i>calidarium</i>. — +</p> + +<p> +Rieccoli tutti grigi. — E la lotta si rinnovava. — Dama, +rifatto dalla piccola tregua, si slancia primo e accaviglia la +sua gamba sotto il ginocchio destro dello avversario. Questi +piega, non regge e cade. L’altro, posandogli il piede sul petto, +gli dice di arrendersi vinto. Ma Artoces gli distende per tutta +risposta una solenne pedata sotto il mento e si rialza come +spinto da una molla nell’atto che il primo va a gambe in aria. +</p> + +<p> +Un fremito di gioia prendeva il cuore del popolo. Il pompeiano +avea vinto. E tutti accalcandosi spingevano fuori le +braccia e gridavano: +</p> + +<p> +— Bravo Artoces! Bel colpo! Viva l’onore di Pompei! +</p> + +<p> +— Che ne dici Rutilio? +</p> + +<p> +— Aspetto che il mio cada due volte per dar la palma +al tuo. — +</p> + +<p> +Intanto Lydo, che gli applausi per altri han renduto spavaldo, +si gitta sull’emulo come un leone e lo afferra per le +gambe. L’altro, vista le mala parata, si abbassa e lo preme +di tutto il suo peso, perchè quegli non lo sollevi di terra. +Aphrocides valeva quanto un bue, e rizzarlo era impossibile. +Allora lo lascia e ambedue corrono. In una rivolta il giovane +biondo lo sorprende di dietro, gli cinge il collo, gli caccia +un ginocchio sui reni e lo distende sul selciato. E prima che +sappia sollevarsi, lo avvinghia colle braccia, dà un urlo, lo +innalza con supremo sforzo fin sopra il capo e lo gitta ai suoi +piedi. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span> +</p> + +<p> +Gli scommettitori e le donne sono in grande agitazione. +Sono gridi che non si odono che nei paesi meridionali, dove +si nasce, si vive, si muore per entusiasmo e per gloria. Scuotevano +in aria le toghe e spargevano fiori e corone di alloro. +Pareva che la patria in pericolo fosse salva e che Lydo +l’avesse salvata. +</p> + +<p> +Anche Artoces avea vinto. Caddero ambedue abbracciati +per terra. Ma Dama sendo di sotto non potette sciogliersi e +l’altro si sollevò puntandogli il piede sulla pancia e salutando +col braccio teso il popolo sovrano. — Uno schiavo vestito di +tunica azzurra entrò nella lizza ed offerse ai due vincitori +una palma e una corona di foglie di lauro indorate. +</p> + +<p> +— Cœsia, sognerai di quel biondo tu questa notte. +</p> + +<p> +— Rutilio, non avesti fortuna e men duole. Giuoca alle +tessere e prenderai la rivincita. +</p> + +<p> +— Non schernirmi, Cocceo. — Ecco io ti pago. Ma possono +accader molte cose tra la bocca ed il pezzo di pane. — Ad +un’altra volta. +</p> + +<p> +— Scherza pur, Decimilla. — Lydo è bello e grazioso. +</p> + +<p> +Intanto alcuni bambini gironzavano sotto il portico del +Foro e sul piano superiore, offerendo a chi volesse comprarne +mandorle verdi, castagne e fichi secchi, lupini e ceci abbrustolati. +Avevano pure idromele e vino dolce per chi ne chiedesse. +</p> + +<p> +Lo spettacolo offerto al popolo da Lelio Flacco non era +finito. Partiti i lottatori, entrarono i musicisti i quali si attelarono +ai due lati dei portici. Dopo di essi comparvero +gl’istrioni, di quelli noti sotto il nome di Pantomimi, che significava — imitatori +di tutto. — E nel vero, essi senza dir +verbo e aiutandosi con gesti e posture plastiche e sostenuti +dal suono di un flauto particolare, detto <i>dactylica</i>, faceano +comprendere agli occhi quello che difficilmente si può narrare +colla parola. +</p> + +<p> +Le loro mani parlavano, le loro dita avevano una lingua +ed erano eloquenti senza aprire la bocca. Nè si aiutavano col +soccorso della fisonomia; chè le loro maschere erano colla bocca +naturale — non come i comici e i tragici, che le avevano +sbarrate, larghe e con un orlo sporgente semicircolare, per +<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span> +servire di portavoce agli attori nei circhi e nei teatri immensi +in pien’aria. — Avevano bisogno di usarne una per ogni carattere +che rappresentavano, siccome gli odierni le vesti, in +<i>saltatio</i>, cioè, il gesto, accompagnato dal flauto e talvolta dalla +fistola, e dal cembalo, bastava per rappresentare drammi +completi, tragici e comici. Le principali situazioni venivano +indicate dai monologhi che i cantanti recitavano nell’atto che +i pantomimi esprimevano. +</p> + +<p> +In quel giorno venne rappresentato l’Eunuco di Terenzio. +Il soggetto era questo: +</p> + +<p> +Un soldato per nome Thrason aveva con sè una giovanetta +che credevasi sorella di Thaïs; ma ei lo ignorava; e, +ito in Atene, ne fece dono a lei. — Nell’atto, Phedria, amante +di Thaïs, avendo comperato un eunuco, le ne fa dono e parte +per la campagna, perchè le ha promesso di cedere il suo posto +al soldato durante due giorni. Un giovanetto, fratello di +Phedria, che si è innamorato perdutamente della fanciulla +avuta in dono da Thaïs, siegue il consiglio del suo schiavo +Parmenon, si veste da eunuco, penetra nella stanza della fanciulla +senza sospetto e l’ha. Un fratello di lei costringe il +giovane a sposarla. E Thrason ottiene da Phedria ch’ei sia +secondo presso Thaïs. +</p> + +<p> +Erano le delizie sceniche degli avi nostri. — I retrogradi +ed i preti che piagnucolano sulle immoralità del nostro teatro — se +sapessero — potrebbero consolarsi. +</p> + +<p> +Tutte le circostanze della favola furono espresse. — E le +grida della serva di Thaïs contro il vero eunuco, creduto lo +autore del danno. — E i mali trattamenti che gli fa patir +Phedria. E l’ultimo patto, fra questi e il soldato. — Il popolo +provò gran piacere a codesto spettacolo. In modo che +quando l’istrione, il quale faceva la parte di Phedria, espresse +coi gesti la fine obbligata di tutti i drammi: +</p> + +<p> +— E voi applaudite! — +</p> + +<p> +i picchi delle mani, le grida, gli urli fecero echeggiare tutti i +canti del Foro e dei luoghi vicini. — E la riconoscenza ricordò +a molti il nome di Aterio Flacco, defunto, e di Lelio, il suo +generoso figliuolo. — Nè mancarono vivi plausi a Filone; l’ordinatore +di quei magnifici giuochi. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span> +</p> + +<p> +Lo indomani dovevano farsi i <i>denicales</i>, cioè le purificazioni +dei parenti e degli schiavi, sì nella casa del morto, come +nelle case di quelli che avevano tolta la loro parte nei funerali +del loro amico e del loro patrono. — Lelio la fece nella +sua dimora. Così gli altri nella loro. — Spazzò il pavimento +con una granata di verbena. Pose un braciere nell’atrio, +gittò un po’ di zolfo sui carboni ardenti, e prendendo +per la mano la sorella e seguìto da tutta la famiglia, fece +parecchi giri intorno a quella fumigazione. — Quel giorno diviene +feriale per essa e nessuno lavora. E tal’era il rispetto +degli antichi ai doveri verso i vissuti, che nessuno della parentela +poteva essere citato dinanzi i tribunali dal dì della +morte sino a quello della purificazione. +</p> + +<p> +Il nono giorno dicevasi <i>novendiale</i>, e si andava a banchettare +sopra la pietra, per cui <i>silicernium</i>. La qual cena fu poi +chiamata <i>ferale</i>, o <i>parentale</i> del <i>silicernium</i>. In Pompei, questo +triclinio dove asciolvevasi dopo il periodo del dolore il più intenso, +è un ricinto quadrato, circondato di pareti dipinte con +poca eleganza, presentanti in mezzo a cornici ippogrifi, cervi, +pavoni e cigni. In fondo e ai lati sono finti usci con piante di +felce a colori. Letti inclinati verso l’esterno, come tutti i triclini +estivi, cuoprono l’area. Nel mezzo è un parallelogrammo, +destinato a servire di desco. E dinanzi una piccola ara circolare +sulla quale facevansi le libazioni ai Numi e agli Dei d’Averno, +o posavasi l’urna colle ceneri lacrimate cui si propiziava. +</p> + +<p> +Gli amici quivi condussero Lelio Flacco e i parenti e i +clienti. Neri cuscini cuoprivano i letti di muro. Mangiarono +ostriche e patelle e brindarono all’ombra dello amico perduto +dinanzi agli occhi della carne, ma non disertato dalla mente +di chi lo aveva conosciuto. +</p> + +<p> +Nello escire dal <i>silicernium</i> al tramontare del sole, la +comitiva racconsolata imbattevasi nel mortorio di una donna +di mediocre condizione ed in quello dei poveri. — Gli uomini +sanno di essere eguali in faccia alla morte. Ma il fasto e la +vanità gli fa smemorati. +</p> + +<p> +La famiglia di colei, che in quell’ora passava cadavere +nel sobborgo Felice, non aveva invitato il popolo; perchè nè +giuochi da offrire, nè festini a dare. — I parenti sì. — Fu +<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span> +eretto un letto funebre modesto. — Dieci musicisti precedevano +il corteggio. — Ma non si fermò nel Foro. — Avi da lodare +non erano. Le virtù da raccomandare, cotanto oscure e fuori +delle abitudini, che valea meglio tacerle. — E poi le si narravano +presto. — <i>Domum mansit — lanam fecit.</i> — I resti +della defunta erano però attorniati da fiaccole accese. Il che +indicava lo antico costume di far simili funzioni di notte, affinchè +i magistrati e i sacerdoti non ne fossero stati profanati +dallo aspetto. Laonde, il nome di funerali da <i>funale</i>, torcia +di stoppa incatramata. — I ricchi passarono oltre alla vecchia +consuetudine per potere in pieno giorno testimoniare il loro +fasto e le loro ricchezze. +</p> + +<p> +Il rogo, apparecchiato in pieno selciato in faccia all’<i>ustrinum</i>, +era basso, piccino e bastevole appena alla combustione +del corpo. Vedevasi pure una modesta urna di terra cotta, +preparata allo scopo. — Non profumi. Non libazioni. Non offerte. — Quindi, +nè combattimenti sanguinosi per piacere ai +Mani. Nè spettacoli di lotte, di pugni, di calci, di gesti. — Le +Ombre degli antenati — poichè questi gli hanno tutti — dovevano +esser discrete e contentarsi di una coperta sanguigna, +del colore della porpora e non veder altro. +</p> + +<p> +I sacerdoti antichi dicevano — «Spendete; e le Ombre +amate godranno nei Campi-Elisi delle ricchezze che avrete +profuso nel loro mortorio!» — +</p> + +<p> +E i sacerdoti moderni pur dicono — «Spendete; e allor +suoneremo campane, canteremo, borbotteremo in latino e +tratteremo con Dio come fosse un giudice borbonico; e a +furia di danari dati a noi, noi costringeremo lui a riconoscere +in un’anima ribalda una onesta.» — +</p> + +<p> +Tutti così. — E sempre così! +</p> + +<p> +Arso il cadavere, la pietà del marito raccolse le ossa che +avevano resistito all’azione del fuoco. E chiusele nell’urna +la seppellì in una fossa. E sopra pose una <i>columella</i>, rotondata +a guisa di una testa con due trecce dietro. — E sul dinanzi, +ch’era liscio, leggevasi: +</p> + +<p class="center"> +MARONILLAE<br> +L. ATIMETI<br> +ANNIS. LVI. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span> +</p> + +<p> +I cadaveri dei poveri erano stati fermati più in su, quasi +rimpetto la ricca casa dalle colonne di mosaico nella interna +fontana. Cotesti <i>fricti ciceris et nucis emptores</i>, siccome vivevano +in incognito, così pure incogniti partivano dal mondo. +Nessun ramo di cipresso sulla porta della casa ov’erano morti. +Là dove spiravano rimanevano distesi tre giorni. E poi il becchino +li adagiava in una <i>sandapila</i>, dopo aver infilzato con +mal garbo nelle loro braccia una toga di apparenza che ad uno +ad uno finiva per coprir tutti. — E tre dei suoi compagni, +detti <i>vespillones</i>, li barellavano al posto dopo il tramonto. Colà +presso è il forno, dove li cacciavano per forza, ripiegandoli. +Un po’ di pece surrogava i profumi e le essenze Campane. E +quando la mortalità era grande, allora componevano una catasta +di legna in un luogo appartato e sopra ponevano i cadaveri +in fila — quelli delle donne sotto, perchè credevano +racchiudessero maggior calorico e s’infiammassero meglio. — Avevano +anche un’altra ubbia. Pretendevano sapere, nel Tartaro +non esservi <i>popinæ</i>. — Per conseguenza Caronte non +aver bisogno di oboli. Allora, gli toglievano il fastidio di chiederne +qual mercede al tragitto. Ed avevano cura di aprir la +bocca ai morti e di ritirarne la moneta. +</p> + +<p> +I soli cadaveri a non esser arsi erano quelli dei condannati +a morte, o delle persone uccise dalla folgore, o dei bambini +spenti avanti la dentizione. I primi erano abbandonati ai +corvi. Gli altri venivano sepolti. +</p> + +<p> +Il lutto era un obbligo morale. L’uso però costringeva +le donne a prenderlo; gli uomini no. In ogni caso non durava +oltre l’anno. E siccome si pretendeva che le morti premature +profanassero una casa, così le esequie funeste si compivano a +notte tarda, senza invito, senza esposizione e senza pompa. +</p> + +<p> +Ogni cittadino morendo perdeva la proprietà sulle sue +cose. Una sola le leggi gliene lasciavano — il possesso della +sua tomba. — E per me’ ricordare quel diritto che non ha +altro difensore che la fede pubblica, alcuni volevano che il +sasso che li copriva il testificasse. E le lettere iniziali sur alcuni +sepolcri H. M. H. N. S. — <i>Hoc Monumentum Hæredem +Non Sequitur</i>, volea dire: Cotesto monumento non appartiene +allo erede. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span> +</p> + +<p> +I Mani avevano-dimora nelle tornile; per cui tutte erano +loro dedicate. — <i>Diis Manibus sacrum.</i> — Il loro culto era +generale, siccome incalcolabile il loro numero che la morte +annualmente accresceva. — Due feste tendevano a placarli. +Una agl’idi di febbraio, detta <i>feralis</i>. — L’altra a’ III degl’idi +di maggio. — Gli Dei dello Stige non aveano sacerdoti, e perciò +erano ben lungi dall’avidità degli altri e si faceano lieti di +semplici corone di fiori, di qualche frutto, di un pizzico di +sale, di una fetta di pane inzuppata nel vino, e di un mazzolino +di viole. Quelle dette <i>lemurales</i> erano più curiose. A +mezzanotte, quando tutto tace allo intorno, i devoti levavansi +di letto e a piedi nudi — facendo schioppare col pollice il medio +di ciascuna mano, per allontanar l’ombra leggera che loro +venisse incontro — andavano silenziosi ad una fontana per +purificarsi le mani tre volte. Voltisi quindi e prese dalla bocca +alcune fave nere, gittavanle indietro, e dicevano: +</p> + +<p> +— T’invio queste fave e con esse riscatto me ed i miei. — +</p> + +<p> +Allora l’ombra invisibile ai loro occhi credevano raccogliesse +le loro fave e partisse. — Si rilavavano le mani, +battevano dei tonfi su vasi di bronzo, scongiuravano l’ombra +perchè se ne andasse, dicendo per nove volte: +</p> + +<p> +— Mani paterni, escite! — +</p> + +<p> +Sembra che Romolo instituisse quella festa di espiazione +per rabbonacciare i Mani di Remo ch’ei supponeva errassero +irosi sulle rive dello Stige. E i Latini credevano che le anime +di quelli i quali erano morti di morte violenta non fossero +ammesse nei regni bui che dopo il periodo di anni che avrebbero +abitato nei loro corpi sulla terra. +</p> + +<p> +Lasciai libero Eumenes perchè facesse i suoi conti. — Egli +ebbe a bisticciarsi coi libitinari per le spese dei funerali. — Pretendevano — offendendo +lo <i>arbitrium</i> già fatto — esser +pagati in ragione della fortuna del morto. Quei preti ne udirono +di dure verità. — Ma che importava ad essi? Avrebbero +presi anche i ceffoni e.... parata l’altra guancia, purchè i denari +venissero. — I conti coll’onesto ed abile Filone furono +presto fatti. — Costarono un orrore quelle feste nel Foro! — Ma +come splendide e bene ordinate! Se ne parlò per più mesi +in Pompei e nei paesi vicini. — Vi fu un po’ di litigio coi +<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span> +beccai per la valutazione della <i>visceratio</i> — la distribuzione +delle carni crude alla plebe. — Eumenes non sapea dire quali +le Arpie più rapaci, quelle che avean ricevuto o quelle che +aveano venduto. +</p> + +<p> +Ritiratosi nella sua camera, posò la lucerna sul candelabro, +chiuse la testa tra le mani e stette così qualche tempo. +</p> + +<p> +— Non vederlo.... non udirlo più! — Nel suo sguardo +soave, e dolce come il mattino è pieno di misteri come la notte, +trovava un sorriso, ch’io salutava con tutte le voci del cuore.... +Ah! mio buon padrone, la tua morte — che non avea sospettato +mai potesse arrivare — sarà un’ombra, una oscurità; una +desolazione profonda sulla regione terrestre della mia vita.... +</p> + +<p> +.... Salve, ombra diletta, che per questa casa ti aggiri. — I +tuoi cari figli ch’io vidi nascere — come tu mi conoscesti +bambino — i tuoi figli io gli amerò a doppio nel nome tuo! — +</p> + +<p> +Queste parole erano il vale eterno che il cuore di Eumenes +espresse alla memoria di Aterio Flacco. +</p> + +<div class="chapter"> +<p> +<span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span> +</p> + +<h2 id="cap7">I TEATRI. +<span class="smaller">SCENE DI DISTRAZIONE.</span></h2> + +<p class="center"> +<b>Anni di Roma 812 — Anni del Cristo 59.</b> +</p> + +<p class="center pad2"> +A MIEI FIGLI, VITTORIO<br> +E LIONELLO. +</p> + +<p class="center"> +VII. +</p> +</div> + +<div class="chapter"> +<p> +<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span> +</p> +</div> + +<p class="indl"> +<i>M. Herennius Epidianus Sextilio suo.</i> +</p> + +<p class="indr"> +<i>Romæ.</i> +</p> + +<p> +<i>Apud me est ut volo. — Male, mehercle, de Popidio nostro.</i> — Sì! — Un +grande cambiamento si è operato nelle sue +lettere e nella sua maniera di essere. — Vengono rare e sconnesse. — Che +è egli mai? — Tu sai come teneramente ami +ambedue. — E più penso e meno comprendo lo scritto sibillino. +Qual cosa potette cagionare in Popidio una tale rivoluzione?... +Qui, notai, sullo scorcio del mese in cui ci separammo, +il suo spirito malato, un po’ guasto. Sperai guarisse nel +riposo della provincia. Egli ha carattere sì dolce; sì collegantesi; +sì pronto al ritorno! — Dimmi se il male è profondo. — E, +se hai bisogno di aiuto, io verrò. <i>Multum vos amo. Valete.</i> +</p> + +<p class="indl"> +<i>C. Sextilius Ampliatus Herennio suo.</i> +</p> + +<p class="indr"> +<i>Pompeis.</i> +</p> + +<p> +<i>Si vales, bene est.</i> Tu mi chiedi con premura le novelle +di Popidio nostro. Ei trascina miseramente la vita. Empie i +modii colle sue sciocchezze. Sono giovane anch’io, e qualcuna +ne permetto anche a lui. — Ma tu vuoi te ne citi?... Per Ercole! +Sono nello imbarazzo, perchè poche quelle che a lui +gracile e delicato non nocciano. +</p> + +<p> +Le gite lunghe e a cavallo ed a slascio lo uccidono. — Ed +egli corre. — Le cene prolungate lo sfibrano. — Ed egli crapula. — E +fosse pur lieto dello amore di Plilia!. Mai no! — È +farfalla che si agita e fa i suoi giri intorno alle faci, sinchè — bruciate +le ali — cada... Bello, elegante, culto, dovizioso, +<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span> +nobile cuore, ei distrugge la vita, sospinto al Tartaro dalla +noia che mai lo lascia, non in mezzo ai divertimenti che meglio +desiderava, non nelle braccia di Venere, il cui cinto non +lo sa ritenere. +</p> + +<p> +Tu ambedue conosci. — Crescemmo insieme. — C’istruimmo +insieme in Athenas. — Fummo insieme nell’Urbe. — Ah! +Non vi avesse mai posto il piede! Costì fu colto dal male che +lo divora. In cotesta fogna, splendida di marmi, di porpora e +di oro, apprese ad adorare la Luna e a detestare il Sole.... E +qui, quando si leva spossato dalle tremule coltrici, sbadiglia, +ad imitar Cerbero che latra, e chiede chi lo distragga e lo faccia +ridere. — Nè gli adulatori mancano. Sono nell’Atrio i parassiti +e gl’istrioni che lo elogiano e lo ammirano. — Talvolta +egli piacesi delle loro arti, dei loro salti, delle loro pantomime, +delle loro viltà — Talaltra, la noia lo riguadagna e — o +gli caccia brutalmente — o li manda al <i>tricliniarcha</i> perchè +sfami il loro <i>ventrem iratum</i>. — Tu la conosci cotesta plebe — razza +infame di cui l’Urbe abbonda e che qui scese a praticare +il turpe mestiere. — <i>Capti sunt nidore culinæ.</i> Quell’odore +gli attira. — E si credono pari ai Numi quando possono <i>gallina +tergere palatum</i>. — Questi i suoi clienti, i suoi <i>salutatores</i>, +i quali lo accompagnano di portico in portico, dalle Terme +in via della Fortuna alle Terme sulla via alla porta di Stabia. — E +si bagna e si ribagna. E dalla Palestra va all’Apoditerio; +dal Tepidario al Calidario; dal Sudatorio all’Eleotesio. — Ne +esce slombato. — Misero! Ha appena la forza di dire, fatti — in — là, +ad uno schiavo briaco. +</p> + +<p> +Mi chiama uom da sermoni. Ed io lo prego per me; per +te e per lo affetto di Plilia che ora è in Neapolis. <i>Vale.</i> +</p> + +<p class="indl"> +<i>Plilia Sextilio suo.</i> +</p> + +<p class="indr"> +<i>Bays.</i> +</p> + +<p> +<i>Apud Pliliam recte est.</i> Una lettera giuntami or ora mi ha +impaurito.... — Popidio non pare già un uomo; <i>sed litus et +aer et solitudo mera</i>. Ne sono afflittissima. — Ho qui i miei +cari parenti che mi ritengono. — Altrimenti fosse, sarei volata +a Pompei. — Il suo male è la noia. Ad essa sacrifica e +liba come a una Iddia. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span> +</p> + +<p> +I miei greci mai furono così! Eppure, i vostri latini ne +dicono tante ad ingiuria! +</p> + +<p> +Parlai con Acutilio tuo, cui mi raccomandasti in Neapolis. +<i>Ex omnibus molestiis et laboribus uno illo conquiesco.</i> — Ma +Popidio mi sta fitto dentro. Attendo la mia sorella Myrrhina +con ansia. — Intanto <i>mater mea magnos articulorum dolores +habet</i>. — Siegue le prescrizioni di Charmis, <i>stagna refusa</i>, e +guarirà presto. Ma io sono sulle spine per amore di quel caro +che soffre. — <i>Cura, amabo te, Popidium nostrum. — Ei nos</i> +συννοσεῖν <i>videmur.</i> +</p> + +<hr class="tbs"> + +<p> +Erano consoli in Roma C. Vipsanio Aproniano e L. Fonteio +Capitone. Reggeva a suo modo le cose del mondo Nerone +imperatore! +</p> + +<p> +Giulio Cesare per usurpare il dominio aveva con ogni mala +arte corrotto l’anime dei Romani. Ma già il terreno era preparato +dalle grandi vittorie le quali avevano infiltrato nelle +vene del popolo quirite il lento veleno del lusso colla smania +dei capolavori nelle arti e della opulenza. Sembrava che +ognuno dicesse: +</p> + +<p> +— Arricchiamoci e poi ci rammenteremo della prisca +virtù. — +</p> + +<p> +Nel mentovarsi un uomo dabbene, incontanente chiedevasi: +</p> + +<p> +— È ricco? — Quanti schiavi possiede? Quante le migliaia +di iugeri di terra? La sua mensa è delicata? Ha piscine +e vivai? — +</p> + +<p> +Quando sapevasi ch’era ricco, il prender conto dei suoi +costumi pareva inutile pleonasmo. L’oro — la tariffa della +probità! — E più l’uom possedeva, e più degnissimo era di +stima e di onori. +</p> + +<p> +C. Crispo Sallustio, uomo di coscienza assai elastica, che +belle cose scriveva e brutte cose faceva — laonde venne cacciato +da Cesare dal governo della Numidia per le concussioni +e le ruberie operatevi — scrisse al pacificatore delle romane +libertà nobili parole contro la invalsa passione delle ricchezze, +seria e tremenda minaccia alla società ed allo imperio. — E +sì, ch’ei predicava di esempio! Ed a chi! +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span> +</p> + +<p> +«Il maggior beneficio tu possa fare alla patria, ai cittadini, +a te stesso, ai nostri figli — a tutto il mondo — è lo +spegnere la sete dell’oro o diminuirla almeno per quanto +lo permettino le circostanze. Altrimenti, in pace od in +guerra, gli è impossibile ordinare gli affari pubblici e privati; +avvegnachè, là ove la sete delle dovizie è penetrata +non sieno più instituzioni, non arti utili, noto più genio che +sappia resistere. — L’anima — tosto o tardi — debbe anch’essa +soccombere. Ovunque le ricchezze sono in auge, +tutti i veri beni avviliti, la buona fede, la probità, il pudore, +il casto vivere. Però che un solo cammino meni alla +virtù, ed è stretto, aspro e difficile. Mentre ciascun corre +allo accaparramento della pecunia per la strada che vuole. — E +molte ve n’ha di buone e di triste.» +</p> + +<p> +Presa Siracusa, i capolavori di quella ricca città andarono +nell’Urbe. — Conquistata l’Asia, i triremi caricarono tutto il +lusso dell’Oriente, e gli diedero diritto di cittadinanza in Italia. — Vinta +l’Acaia, si rivoltò ogni cosa, e il buon costume +antico smarrì la sua via. La caduta di Cartagine diè l’ultimo +crollo, e le larghe e molteplici braccia strinsero quanto potettero +e vollero. Tutti, abbassati, aspettavano che il principe comandasse +senza darsi pensiero. Tutti, avviliti — e i più illustri +per nome — correvano con calca al servire, al piaggiare il +despota e chi per lui. Lo amor si comprava. Il successo nelle +battaglie, la magistratura, il senato, si comperavano. Ogni cosa +si otteneva coi nummi d’oro. E il furore febrile di averne +giunse al segno per la servitù inghiottita, che qualche dura +cosetta fu fatta per forza; le altre quiete e ricerche. +</p> + +<p> +Cicerone — autore anch’egli del danno e sua vittima — sciupatore +per vanità in ville sontuose ed in viaggi continovi +e di fasto, pur contrario ai prodighi de’ suoi tempi — scriveva: +</p> + +<p> +«Gli scialacquii irriflettuti si tirano dietro le rapine. Uomini +impoveriti dallo spendere — <i>alienis bonis manus afferre +coguntur</i> — si veggono forzati di allungare la mano +ladra sui beni altrui.» +</p> + +<p> +Quel <i>coguntur</i> pinge l’epoca perversa. — Il rapinare +erasi fatto necessità. — Bisognava esser ricchi a qualunque +<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span> +costo. Lo impero voleva così. E i già liberi, fatti schiavi, rimossa +ogni infinta virtù, non curanti tema o vergogna, aprirono +il varco alle nascose lussurie, s’infradiciarono in scelleraggini +ed in sporcizie. Chi volea fuggire i mali soprastanti o +i presenti, svenavasi. Chi inghiottiva il partito pessimo, gloriava; +e coi maggiori brutto adulatore facevasi; coi minori, +arrogante; e fastidioso coi pari. La gioventù si tuffava nelle +libidini e perdeva i polsi. — Le cetere, le belle e facili donne, +il vino, in onore. — I patrizi, istrioni. — Lo imperatore, di +voce chioccia, cantante in casa nei giuochi giovenali, quando +primavolta fu raso. — E nelle feste, matrone sui gradi come +ai trionfi, usate alle allegrezze, in faccia a sciupate ignude +con gesti e dimenari impudichi. — Cotesta la Roma e la Italia +dei tempi!!! +</p> + +<p> +Popidio Celsino era un giovane di venticinque anni. Di +statura mezzana, sottile e ben fatto della persona, pallido, +magro, di uno aspetto quasi femmineo illuminato da grandi +occhi neri, aveva la voce di un suono dolce e penetrante che +andava dritto al cuor delle donne e le rendeva pensose. Cantava +greche canzoni come non altri. Agilissimo, educato al maneggio +delle armi, a lanciare il giavellotto con vigore e con +garbo, a manovrare la fionda con abilità e giustezza di tiro, a +cacciare una freccia in un bersaglio indicato, a domare corsieri +e a saltarvi sopra a diritta o a sinistra di slancio, danzava +come un ginnasta, ed era difficile che la danzante con +lui, teneramente guardata, sapesse fuggire dalle sue maglie. +E quando, tornato di Roma, nei ludi del Foro, per le feste +augurali degli eletti duumviri, aveva voluto provarsi a discendere +quasi nudo allo attacco dei tori; la sua perizia nello evitare +con un movimento di fianco le corna dello animale furioso +e nel ferirlo mentre quello irrompeva nel vuoto, era sì bella +e graziosa che gli spettatori frenetici gli gittavano dal terrazzo +corone di alloro, e le fanciulle sentivano menomare il loro pudore +e maledicevano alla resistenza usata a qualche suo ladro +sguardo. +</p> + +<p> +Così, sulle prime. Poi anneghittì; e la noia lo punse del +suo spino velenoso. +</p> + +<p> +I vecchi che ricordavano i tempi di Augusto, avevano +<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span> +trovato nelle ricchezze un mezzo qualunque che dava sfogo +alla loro ambizione. Il popolo di allora riceveva il pane cotidiano +delle sue vergogne e nulla poteva più dare. Laonde, i +ricchi giovani, che pur dentro sentivano una energia da spiegare, +si stancavano di una opulenza che si esauriva nelle labili +gioie e nelle sfrenatezze del cubicolo e del triclinio e, sbadiglianti, +senza desiderii, lodavano la sera, perchè corsa e si +auguravano un domani diverso. Ma quello sorgeva il medesimo, +<i>idem et semper idem</i>. E cercavano, cercavano qualcosa +di nuovo pei loro appetiti guasti. E ne arricchivano lo inventore +o chi lo forniva. E ogni snaturalezza, pagata, coperta di +porpora e di oro. — Lo amore di donna? — Trita cosa! — Il +matrimonio? — Anticaglia! — Nefandi accoppiamenti sì, +perchè la nefandigia era illecita e nuova. +</p> + +<p> +Il misero Popidio viaggiò; e quantunque volte arrestavasi, +nel trar fuori del sacco le vesti di ricambio, smucciava la noia +con esse. Esciva di casa — ne abitava una magnifica dietro la +Basilica, quella che ha nel pavimento dell’atrio pezzi irregolari, +di tutte forme e di marmi diversi chiusi nell’<i>opus signinum</i> — per +sfuggire la sua persecutrice. Ed appena giunto +nel Foro o sulla soglia della casa di C. Sestilio Ampliato, tornavasene +indietro ed entrava nella magione vicina — che pur +era la sua — augurandovisi una distrazione. Talvolta faceva +porre il freno ad uno dei suoi cavalli e appariva come freccia +scoccata sulla via della porta di Sarnus, ov’erano i suoi poderi +e la sua villa maestosa. Parea corresse a spegnere uno incendio, +o i piedi del suo destriero portassero la salute di una famiglia, +di una città. Giunge trafelato e in sudore. I servi gli sono intorno. +Tutto ansimante va nello xisto, si gitta sur un triclinio campestre +coperto da una pergola in faccia alla bella piscina, e là +mangia assiso, su vasi di argilla, un pasto semplice e frugale +frettolosamente apparecchiato. Caduto nel sonno, gli schiavi +lo adagiano sul letto. Quivi oblia la noia e la disperazione che +la vuota opulenza cagiona. Ma, una volta desto, i due sproni +gli si conficcano ai fianchi. Inforca di nuovo il cavallo e rieccolo +in Pompei coi capelli sparsi, col sudore sulle guance, +colle narici aperte come quelle del suo corsiero. — E in sull’uscio?... +Sull’uscio è la statua immobile che lo aveva seguito, +<span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span> +che lo seguiva per tutto e che pur lo attendeva.... la +Noia.... che il Governo imperiale vi aveva rizzato e... inchiodato, +dopo aver messo in pezzi il santo simulacro della Libertà. +</p> + +<p> +Misero Popidio! Malato di languore nell’anima, impotente +a dissipar la tristezza ed obblioso che dovunque egli andasse, +sempre seco la trasportava. +</p> + +<p> +Il suo cuore era passato per la trafila di molti amori. +Ma nessuno lo aveva fermato. — Nessuno aveva saputo congiungerlo. — Venuta +Plilia di Grecia, questa lo avvinghiò meglio +delle altre... Era straniera... Parlava altra lingua... Prestavasi +meglio alla curiosità... Possedeva artificii d’amore... E +poi... era una bella mostra del tipo ateniese. +</p> + +<p> +Plilia contava i venti anni. Era piccina e ben fatta. L’ovale +della sua faccia, senza menda, aveva una tinta piacevolmente +bruna. I sopraccigli formavano un solo arco sulla fronte ampia +ed altera. L’orlo del labbro soprano era adombrato da una +leggera lanugine che imprimeva sulla bocca un sorriso voluttuoso +e aggradevole. Gli occhi grandi e neri, a forma di +mandorle, brillavano malgrado che la lunghezza delle ciglia +ricurve ne temperasse il fuoco. Un neo sulla gota sinistra, la +bianchezza canina dei denti, il gaio conversare sur ogni proposito, +la risposta pronta ed ardita su piacevolezze scabrose la +facevano amata e ricerca da tutti. +</p> + +<p> +Essa era una etera. — Cioè, una fanciulla libera; filosofante +coi chiari filosofi; artista cogli scultori e coi pittori in +grido; letterata cogli oratori i meglio famosi; sempre nella +luna di mele dello amore; permettentesi, ma non donantesi; +in balìa di quella passione accettata dagli Dei e non dagli uomini +tutti — quantunque così deliziosa, così bruciante; — un +giorno spettro sinistro agli occhi di donne gelose; e l’altro +ospite gentile e grazioso di un peristilio. +</p> + +<p> +Dopo la risposta di Sestilio, essa non tardò molto a venire +in Pompei. Un servo si fece all’uscio della camera di Popidio +e ne tirava la spessa cortina di Tyro. — Un raggio di sole penetrò +nel cubiculo. +</p> + +<p> +— Per lo inferno! Che luce! Abbi Venere irata, o Milphio. — Come? +Mi desti ora appunto che avea preso sonno? +</p> + +<p> +— Padrone! È Plilia che è giunta e chiede vederti. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span> +</p> + +<p> +— Ma, di’.... nel tuo paese..... e non dormono la notte? +</p> + +<p> +— La notte sì. — Ora è alto il sole. Da un’ora già varcò +la metà del suo corso. +</p> + +<p> +— E pur qual silenzio! Pompei zittisce adunque come +l’anima mia?.... Ah!.... Va. Chiedi a Plilia il favore di attendermi.... +E apparecchia, se vuoi, il bagno. — +</p> + +<p> +Un altro più lungo sbadiglio. — Trasse le braccia in alto, +stirandole. Discese lentamente dal letto di cedro, intarsiato +di tartaruga; posò i piedi su ricco tappeto; li pose nei sandali; +si gittò sulle spalle una <i>gausapa</i> cremisina, vellosa al +di dentro, e cominciò a camminare per la stanza, ora celeremente, +ora a passi misurati. +</p> + +<p> +— E Plilia che vuole? Aveva un po’ di tregua da che è +in Neapolis. — Torna qui ad agitarmi. — Vuol sempre sia desto.... +Non ha mai posa costei!.... Ma che, l’amo io?... Io?... +E non posso amar più. Oh! Il potessi!... Plilia è proprio un +serpentello che mi avvolge nelle sue spire. Ed è serpentello +che piace... e che io riscaldo sul mio povero cuore, che batte +i battiti di una vita incresciosa... +</p> + +<p> +— Ah! Popidio!... Caro!... Siimi indulgente! Ma io ardeva +di rivederti... e non attesi... +</p> + +<p> +— Fanciulla amata... <i>dulcissima rer</i>... — +</p> + +<p> +Ma i baci ch’essa gli diede sulla bocca niegarono il varco +alla compiuta parola. +</p> + +<p> +— M’impaurì la lettera che mi raggiunse a Baiæ. Ma.... +la mia madre era soffrente.... la mia sorella Myrrhina doveva +arrivare e la lasciai là.... E qui corsi per riabbracciarti. — +</p> + +<p> +E curvò la sua bella testa sul petto di lui, pur cogli occhi +guardandolo amorosamente. +</p> + +<p> +La donna è per sè stessa un animaluccio seducente, grazioso +e benigno. — Plilia poi era per sopra ciò un fiore vivace +e profumato, sorto nella solitudine dell’anima sua. Onde, +preso da quell’olezzo di gioventù e di bellezza, la baciò e +ribaciò sulla fronte e sugli occhi. Gli pareva di sentire un +nuovo moto nelle sue vene. Una novella energia picchiava +tonfi sul suo cuore sfibrato, quasi dicesse: +</p> + +<p> +— Aprimi, ed io resto. — +</p> + +<p> +Il fatto è che Popidio in tal momento pensava e diceva alto: +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span> +</p> + +<p> +— Infine, sono come gli altri, io. — Sestilio mi sgrida, mi +rimprovera.... Ma, ha torto. — Mi annoio. — Ecco tutto. — Provo +e riprovo e non riesco.... Pure, io saprei difenderti, o +mia. Saprei morire per difenderti. — Ho l’anima fiacca spesso... +è vero. — Destala, o Plilia.... E l’avrai amante, ingenua..... +Non feci mai male ad alcuno, io. +</p> + +<p> +— Lo so. — Tu sei buono, o soave amore. E puoi guarire +della malattia dolorosa quando che vuoi.... E per sanare bisogna +che tu colmi il vuoto che hai dentro.... E una donna.... se saprà +fare, lo riempirà.... e se tu la lascerai fare. — Ora gli è al +poeta ch’io parlo. — L’uomo non è felice e sano se il poetico +entusiasmo nol rende contento di sè medesimo.... Oh! Ecco +Sestilio!..... Vieni, o amico. — Seguita tu i miei ragionari. — Dobbiamo +persuadere questo caro ad essere felice. +</p> + +<p> +— Ora lo sono. — Durerò? No, se voi mi lasciate. — Voi +due mi siete ben necessari. Senza te, o Plilia, le tenebre mi +attorniano e la psiche va errando e cade. Talvolta anche Sestilio +sa togliermi di dosso la <i>impluviata</i> di piombo — la noia — la +quale, come la camicia del centauro, mi brucia. — Con +voi rimarrò giulivo; nella villa, studierò i papiri greci di +Phylodemo. — Come te, <i>deliciola mea</i>, filosoferò sulla ricchezza, +dichiarandola una povertà regolata sui bisogni della +natura. E non stimando necessario il superfluo, ci contenteremo +di ciò che basta. — Con te, o Sestilio, l’anima diverrà +lo strumento della mia gloria. Non dubiterò più.... Io mi sentiva +nato per qualche ragione al mondo.... e non per la usura +dei miei nervi e per una inutile morte..... No.... V’ha una +parola nella tua lingua, o Plilia, che m’inspira una tenerezza +feroce. V’ha una parola nella mia, al cui sacro mistero io dedicherei +volentieri tutte le grandi gioie dei sensi, tutti i grandi +dolori della vita. — Eλευθερία — <i>Patria</i> sono un teatro su +cui il misero amico vostro avrebbe recitato con nobili emozioni +la parte sua! +</p> + +<p> +— Ma tu appartieni a te medesimo. +</p> + +<p> +— No, o Sestilio.... La fresca alba della libertà ov’è mai? — La +luce che vivifica, che depura, che sorride all’anima di un +romano e di un greco è scomparsa dalle nostre contrade! — Le +tenebre sono spesse e fredde.... E quando la mia cosa immortale +<span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span> +s’interroga, ode un rumor di catene, vede il ghigno +dello imbestiato signore del mondo e cerca smaniosa uno asilo +e nol trova. — Questo pauroso ha fatto della terra una carcere. — È +omai delitto il mentovare le parole della mia mente!... +Talvolta, un tuo sorriso, o Plilia, dorato dalla intelligenza e +profumato dalla bontà, mi solleva dal peso insopportabile del +mio sogno penoso. — E il tuo affetto sincero, o amico, mi +strappa dalla battaglia senza tregua di questa mia misera vita, +dove.... — l’ho a dire?... — mi sento in catene e non domo, +come Spartaco, di Tessaglia. — Ma, voi partite.... E la dolorosa +noia ritorna e.... lentamente mi caccia nel cuore la punta +uncinata che dentro rode. — Tu dicesti.... una donna! — Ah! +passò quello istante in cui la nozza per me sarebbe stata una +cosa sensata ed onesta. — Quando io vidi la gelosia strozzata +ai piedi dei miei pensieri; quando la mia ragione non trovò +più parole di lamento e di richieste indiscrete per torturare +la donna amata, compresi ch’essa può avere un passato legittimo +nel pellegrinaggio della vita e lo rispettai. — Allora tu, +etera, fosti la sorgente di qualche mia gioia. — Ma, associarti +ai miei destini?.... Mai! — Popidio non commette atti iniqui! — I +despoti della mia patria non tormenteranno il mio +seme. — Viviamo in tempi in cui i figli feriscono nel ventre +le madri e dicono ad Aniceto, liberto: +</p> + +<p> +— «Oggi, da te lo impero. Corri con arditissimi e fa’ lo +effetto.» +</p> + +<p> +— Ieri una lira accordata valeva più della spada di Scipione. +Domani lo applaudire alla voce fessa del despota darà lucrosi +incarichi. Ogni dì, i poetuzzi che rabberciano gli stentati suoi +versi sono onorati di bisellii e di corone, come già il divino +Virgilio... Il popolo ha fatto il callo sur ogni obbrobrio.... Ecco +le ragioni dei miei disordini, del mio correre a slascio, dei miei +lunghi e crudeli riposi. +</p> + +<p> +— Condizione crudele! — <i>Prorsus, ut dicis, ita sentio.</i> — Ma +tu troppo presto appressasti al cuore la vampa per incenerirlo. +Ingrossasti la testa per atrofiare il corpo. — Chiamasti +lo avvoltoio perchè si cibasse del tuo fegato! +</p> + +<p> +— Discaccia le cure che ti tormentano. Vivi e consolati +dello amor nostro. — +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span> +</p> + +<p> +Popidio si assise sul letto. I due lo imitarono. Le belle +guance di Plilia furono lentamente rigate da due grosse lacrime. — Ed +egli prese le mani degli amici suoi, e, tutto commosso: +</p> + +<p> +— Miseri! Soffrite per me! — E mi compiangete! — Era +così infelice a non dirvelo per lo addietro. — Gli Dei!... Oh!... +Io ne venero un solo! — Le donne!.... Io non amo che te! — Gli +amici!.... Disprezzo i viventi e mi stringo a Sestilio.... Ho +il turbine qui! V’ha sorrisi che paiono da vino. — V’ha tormenti +eziandio da dannato. — Pietà di me! — <i>Utinam illum +diem videam, quum vobis agam gratias, quod me vivere +coegistis!</i> — +</p> + +<p> +Su questo, Milphio entra nella stanza e dice: +</p> + +<p> +— Padrone, il bagno è apparecchiato. +</p> + +<p> +— Verrò. — Voi andate nello xisto, nella biblioteca, ove +meglio. Voi siete altri me, qui. — Plilia, un bacio. — Oh! io +mi sento innovato! — +</p> + +<p> +Si cacciò nel bacino di porfido e vi si distese. — Chiuse +gli occhi. — E in quella specie di veglia gli parve di esser libero +di una catena con cui il suo spirito era stato sino allora +legato. Ciò che dentro pria lo affliggeva, sparito. Sentivasi +pronto ad una felicità — non la intesa e praticata dalla saggezza +convenzionale — quella che dà godimenti veri, meritati, +segreti e di un ordine proprio. — Da una piega della cortina, +che abbarrava l’uscio, sino al bacino scendeva diritto un filo +di raggio solare — solco luminoso composto di quanto v’ha +nell’acqua, nell’aria, nella terra e che pur trovasi in date +proporzioni negli animali, nelle piante, nei sassi. — I suoi +pensieri ascesero per quella via sino a Dio, e ritornarono +gioiosi a lui su quella dorata atmosfera. — Mai, come quel +giorno! — Si levò, si vestì della <i>synthesis</i>, aiutato da Milphio, +ed escì azzimato incontro agli amici. +</p> + +<p> +— Plilia e Sestilio, andate nelle vostre camere. — Vi troverete +la <i>vestis cœnatoria</i>. — Vi attendo nel triclinio. — È l’ora +decima. — +</p> + +<p> +Nel sommo letto si pose Popidio, nello inferiore l’amico, +nell’altro la etera. — Dopo la libazione, i giovanetti schiavi li +coronarono di fiori e giuncarono di rose il musaico. La ricchezza +<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span> +del <i>pater cœnæ</i> esigeva che la <i>comissatio</i> fosse <i>recta</i>, +cioè composta di tre imbandigioni. Laonde nel primo vassoio +di argento furono portate uova, lattughe, olive, fichi e mangiari +delicati e leggeri per aguzzar lo appetito. Nel secondo, +stufati di varie sorti ed un arrosto di vitello. Nel terzo, confetture, +mele d’Hymetto con semi di papavero bianco tostati, +paste, e poi altri frutti entro cestelli di giunchi intrecciati, di +argento. — In ultimo, dopo la lavatura delle mani e della +bocca, vennero distribuiti i profumi per togliere di dosso +l’odore delle vivande. +</p> + +<p> +La gaiezza dei commensali erasi irradiata sui <i>pueri</i> che +servivano e sul bravo e fedele Hegio, il <i>tricliniarcha</i>. E tutti +cogli occhi e coll’assiduità del servizio ne ringraziavano Plilia, +la bella ateniese, operatrice del miracolo. +</p> + +<p> +Anche la luna illuminò quella regione vivente e dianzi +sì desolata. — Andarono a godere del suo pallido raggio sull’orlo +dello xisto che prospettava sul mare. — Gli amanti +avevano le mani congiunte. Il misero dallo abisso, aiutato dalle +ali dello amore, era risalito sugli spazi i più luminosi delle +regioni felici. Gli è che Plilia, strettasi al suo cuore, gli susurrava +tratto tratto all’orecchio parole che gli uomini tutti +non sanno ricambiarsi tra loro. — Sestilio abbracciò i due avventurati +e partì. +</p> + +<p> +Essi restarono. Per qualche istante nessuno parlò. +Quindi: +</p> + +<p> +— Io ti appartengo, o Plilia. Un legame mi unisce a te, potente, +indistruttibile, eterno. — Quali le nostre labbra, così +le anime negli Elisi. Dammi la tua mano. — Come bella! — Questo +anello d’oro serbalo nel dito finchè tu non perda la +memoria di chi molto ti amò. — +</p> + +<p> +Si fidanzarono. — E fu spontaneo e gradito quell’atto, +perchè compiuto tra essi, senza sospetti, siccome gli atti abituali +della loro tenerezza. La donna gli coronò il collo delle +sue braccia e così rientrarono nella casa; e di là, nella prossima, +messa a disposizione di Plilia. — Ore di felicità! — Silenzio +gradito! — Solitudine sacra! — In quel sepolcro +era chiuso il supremo contento di due cuori degni di batter +l’un presso all’altro i segni della vita e delle sue brevi delizie. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span> +</p> + +<p> +— Così per tempo, Halisca, che vuoi? +</p> + +<p> +— La mia padrona è levata, o Sanga. — Il tuo si leva. — Ambi +chieggono si appresti il bagno. +</p> + +<p> +— Ma, se appena la clessidra marca l’ora ottava del +mattino! +</p> + +<p> +— Vita nuova! +</p> + +<p> +— E qual genere di bagno? +</p> + +<p> +— Tiepido. — Rammenta che gli unguenti per Plilia debbono +sitire di nardo. — <i>Hoc age.</i> +</p> + +<p> +— Corro. — +</p> + +<p> +Intanto Popidio sentivasi felice. E nello augurare alla +maga che lo aveva innovato un giorno lieto, dicevale: +</p> + +<p> +— Dalle tue grazie infantili io prendo una forza di carattere +che mi stupisce. — Debbo a te un sentimento di cui non mi +credea più capace. — Ecco, tu cammini.... tu mi guardi.... ed +io comprendo il mistero ch’è tra il figliuolo e la madre. — E +se parli e sorridi, io provo una emozione soave che non so +ridire. +</p> + +<p> +— Allora le mie labbra sorrideranno sempre per te. — +</p> + +<p> +E nel vero, Plilia meritava un tanto affetto. — Essa non +aveva diviso continuo le sensazioni che or facea nascere. Ma +la simpatia, uno accordo nervoso tra i due, la omogeneità dei +pensieri, la reciproca bellezza della mente e della persona, +facevano sì ch’uno nell’altro riguardasse il suo cielo. +</p> + +<p> +Preso il bagno, asciolsero. — Quindi deliberarono di andarsene +in villa. Allorchè tutto fu pronto, escirono; e, traversato +il Foro e la via Domizia, trovarono presso la porta di +Herculanum un carro a quattro ruote. Plilia si distese sur un +cuscino di seta colmo di soffici piume di cigno, appoggiando il +corpo sul braccio sinistro. Halisca — la <i>pedissequa</i> — aprì +tele distese su sottili bastoni alla estremità di una canna delle +Indie, e con questa <i>umbella</i> la riparava dal sole. Essa avea +nelle mani una specie di palma, fatta di penne di pavone, per +discacciare le mosche importune. Popidio, in piedi, prese le +redini e diresse i quattro rapidi corsieri africani sulla via costeggiante +le mura che menava a Sarnus. +</p> + +<p> +La villa era grande e maestosa. — Aprivasi per una specie +di arco trionfale che serviva di porta e continuava per un +<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span> +viale ascendente, limitato da alberi di platano e da muri. Una +larga serie di gradini di marmo menava all’uscio della casa, +la quale — di due piani, senza finestre al di fuori, e coronata +da un’alta torre rotonda — si componeva di un atrio spazioso, +di un portico sostenuto da colonne di stucco, ed in mezzo, +sopra lo impluvio, un tritone di marmo mandava un getto +d’acqua da una conchiglia che aveva nella bocca. Intorno +erano camere da letto dipinte da greci pennelli. Oltre il peristilio +vedevasi uno xisto assai grande con quattro palme nel +fondo per dar ombra agli alveari e riposo alle api dopo il loro +gironzare sui fiori. Presso quegli alberi erano il timo dell’Attica, +la melissa, l’asfodelo, il citiso, la maggiorana, i giacinti, +l’iride, lo zafferano, il narciso. E poi rose di Preneste, viole +di Tusculum, papaveri, rosmarino, basilico, lentisco, bocche di +leone, gigli dal calice di vario colore, altre rose di Mileto rossissime, +di Eraclea, e quelle bianche di Alabanda. — Da un +lato dello xisto era il triclinio. — E al di là per una via serpeggiante +a traverso alberi da frutto e vigneti, dinanzi vasta +piscina, era sotto la pergola un triclinio in piena aria, rispondente +alle fantasie dei villeggianti. +</p> + +<p> +Plilia — al rezzo di quegli alberi, e presso i cespi dei +gigli — splendida di freschezza — pareva un rosaio che alla +rivolta d’un viale solitario sorprende quasi fosse un’apparizione +di fate. — Oh! i felici!.... Popidio nel dolce asilo dimenticava +le sozzure di Roma — le infami mostruosità imperiali — il +vergognoso zittire di Seneca — le piaggerie adulatrici +di Peto Trasea, corrette poi colla morte — gl’imbratti del +patriziato — le basse vigliaccherie dei suoi conterranei. — Spesso +entravano nel bosco fitto, ov’era uno stretto spazio scemo di +alberi, e sotto una quercia annosa uno scoglio. Come la grotta +marina di Caprea nei dì sereni e di sole è azzurra; così quel +posto era verde del velo magico della speranza. — Colà o +Plilia o Popidio leggeva Omero, Virgilio e cominciavano nei +riposi le discussioni erudite sulle bellezze del poema di quei +cantori sovrani. O recitavano a memoria le odi di Orazio e di +Anacreonte. — E si baciavano, e ridevano di quelle licenze +puerili che i due poeti bacchici si permettevano. Laonde Plilia +diceva: +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span> +</p> + +<p> +— <i>Pipere qui abundat, oleribus miscet piper.</i> +</p> + +<p> +— E qual pepe! ve n’ha a condire tutti i cavoli di Sicilia, +o mia. +</p> + +<p> +— Per lo iddio Fidio! Gli era un vecchio di assai scarso +pudore — servo di Cupido, figlio della Notte e dell’Erebo — non +di Amore, nato di Venere pompeiana. +</p> + +<p> +— Io poi credo <i>amabat linea extrema</i>: e più per gli altri +che per sè. — +</p> + +<p> +Talvolta rivangavano con orgoglio un passato glorioso +alle due patrie e ragionavano degli antichi legnaggi, della +potenza di carattere, della saggezza mai sorpassata e delle +nobili arti. E la sapienza la individualizzavano sui remoti e +sui contemporanei, o la criticavano. +</p> + +<p> +— Grande e poderoso ingegno quello di Cesare. Ma i +meriti pel laminatoio. I vizi pieni e di corsa. +</p> + +<p> +— Augusto potè gareggiare con lui che fu tra i maggiori +eloquenti del suo tempo. Pur, se chiaro e corrente nel dire e +magnifico nel fare, ben corrotto e corruttore, come dei principi +è l’uso. +</p> + +<p> +— Malvagi tutti! Tiberio sovrano nell’arte del pesar le +parole. Vivi concetti e soavi apposta. Occhio e dimora dolorosa +sul vero. Fretta crudele nella ferocia. Disonesto poi.... +</p> + +<p> +— Oh! l’ostica sua disonestà non inghiotto nè sputo. +</p> + +<p> +— E Caligola? Quali nobili parenti! E quanto vario il +figliuolo! Calzarino d’infamie ove il mondo doveva mettere +il piè. Matto.... e peggiore per non attendere; di quelli che +per non aspettare il dolce fico colla gocciola, lo schiantano +dal ramo col lattificio. Malgrado la grande spensieratezza, +attivo molto al bel dire. Ma la bestialità glie ne tolse la +forza. +</p> + +<p> +— Claudio poi, se diceva pensato, era eloquente. Ed +emulo di Cadmo fenicio, di Cecrope ateniese, di Palamede +argivo, di Damarato corintio e di Evandro arcadio, Cesare +si piacque aggiungere tre lettere — tentativo di grafico perfezionamento. — Ma +il duo digamma eolico a rovescio, e l’antisigma, +e l’iota modificato durarono quanto il suo dominio e +li vedi ancor nei decreti suoi per le corti e pei templi. +</p> + +<p> +— Sciagurato! Lo pagò bene Aloto, un degli eunuchi, +<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span> +che facea la credenza per sicurar le vivande dal tossico, omai +masserizia di Stato. La trista Agrippina strappò il testamento +ed antepose il suo figlio al figliastro Britannico — forse correttivo +a doppio disastro. +</p> + +<p> +— E cotesto istrione — suo dono — sviato ad arte da +Seneca verso il dipignere, lo intaglio ed il canto, parla imboccato +le dicerie già composte dal falso e lezioso ingegno del +suo maestro. E omai rotto a tutto, uccisa la madre incestuosa +e randagia, a Seneca promette e terrà. Schifosi mostri! +</p> + +<p> +— Omai, i buoni e i tristi spacciati sono. Lo ammazzatore +è per via. I più acuti porgano pure il collo, offrano le vene al +cerusico ed apprestino il rogo. +</p> + +<p> +— Quel che tu dici or mi rammenta Petronio, maestro +in morbidezza e dei più intimi nelle delizie industriose di Cesare. +Tigellino ne provò invidia e per calunnia lo fe’ reo di +maestà. Tutto risi e piaceri, non seppe tôrsi la vita, poi che +ritenuto in Cuma. Fattesi segare le vene, le tappò, poi le +sciolse e le ritappò a sua posta per sentir leggere versi piacevoli. +Non potendo battere Tigellino — causa del danno — fe’ +trebbiare gli schiavi. E pria di quietarsi nel sonno estremo +cui si sentiva dannato, mandò a Nerone scritte a mo’ di testamento +le sue ribalderie con tutte le disoneste fogge. E sigillò +la pergamena e ruppe lo anello. Cesare vi trovò le sue notturne +invenzioni con Silia, da lei ripetute a Petronio e, indignato, +la confinò. +</p> + +<p> +— Tutto è omai spiantato e guasto. +</p> + +<p> +— Per qual via escirem noi? +</p> + +<p> +— Ecco le mie braccia a siepe del buio sentiero, o Popidio. +Ti sia patria il mio cuore. Il tuo è uno altare per me! — +</p> + +<p> +E que’ miei avevano ragione nella diversa sentenza. +Consolante invero lo affetto. Ma l’atroce agonia d’ogni dì? +E le crudeltà in altrui? E le beffe dei barbari? Ogni santità, +profanata. Gli scogli marini d’Italia, asilo, e luogo di morte +per fame. La nobiltà e le dovizie, peccati gravi. La virtù, +certa ruina. Anche il silenzio riguardoso, delitto. La vita sicura, +quella delle spie e dei ladri. Anzi alle spie, quasi spoglie +opimi, consolati e sacerdozi. Ma, per contrapposto a tanti +adulteri dell’anima, eroiche morti come in antico; mogli seguaci +<span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span> +dei mariti scacciati, schiavi e liberti fedeli ai tormenti, +amici difenditori — comodo <i>sellisternium</i>, non più per gl’iddii +incuranti gli atroci mali del popolo, sì per posarvi la immagine +serena del crocefisso da Ponzio Pilato, procuratore. +</p> + +<p> +Alcune volte cavalcavano per la villa e fuori. — Od in una +biga, essa menava i cavalli. — O, postisi in una barca sul +lago, aiutati dalla vela e dal timone, si faceano condurre a +genio del vento. — Era una vita d’incanto! — Le vere visioni +quaggiù sono gli aspetti di varietà e di luce che appaiono +sulle fronti delle persone amate. E Popidio e Plilia non videro +che i raggi dello amore, i fiori della felicità e il verde della +speranza. +</p> + +<p> +Un giorno venne una lettera alla giovane ateniese. — Aveva +talmente dimenticato la esistenza al di fuori della villa vastissima +e dei poderi, che fu stupita come qualcuno potesse scriverle. — L’aprì — e +si fece pensosa e turbata. — Mirrhyna +l’avvisava che la madre peggiorava, e volea rivederla. — La +novella diè doppia ferita al suo cuore. Si levò pallida, e in +uno slancio di tenerezza e di angoscia offerse la lettera allo +amico suo e lo abbracciò. +</p> + +<p> +Popidio per qualche istante non potè leggere. Prevedeva +un disastro. — Quando chiarì la cosa, si levò, e abbracciando +la donna amata, disse: +</p> + +<p> +— <i>Suavis</i>, ho avuto così stretto il cuore testè, che or +non sembrami amaro ciò che ti dico. — Parti... Va presso la +madre... E se il credi... se non ti costerà sacrificio, ritorna +a chi ti ama assai più che la vita. +</p> + +<p> +— Sempre desolanti cose fra noi: — Separazione crudele! — Che +diverrai tu nell’assenza? — +</p> + +<p> +E sì dicendo pose le sue dita delicate come un velo sulla +faccia e singhiozzò, innalzando spesso convulsivamente il capo +e le spalle. — Egli le assettò sulla testa il <i>ricam</i> — velo +lungo e quadrato con frange, di porpora — che coprì colle pieghe +ample il <i>cincticulum</i> — la corta tunica bianca senza maniche — la +strinse al petto più volte, l’aiutò a salire sul carro +e la vide partire per Neapolis in compagnia di Halisca. Ed +egli, saltando sur un cisio elegante, corse verso Pompei. +</p> + +<p> +La luce era partita. — Le tenebre erano tornate. — Desolato +<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span> +nel giorno. Vegliante la notte. — Inspirazione — slancio — volontà — desiderii — tutto +con lei. +</p> + +<p> +— Idolo caro della mia fantasia! Creatura amata! Quasi +sangue delle mie vene! O favilla di quel fuoco misterioso che +Dio dà e ritoglie. Vieni a me presto, o io mi muoio. — +</p> + +<p> +Sestilio venne a consolarlo, e lo aiutò a dar pieno corso +al suo dolore, parlando di lei e del suo pronto ritorno. Intanto +per offerire distrazione propose di andare al teatro. — La +speranza di ricrearsi rese accetto il partito. +</p> + +<p> +L’<i>Odeum</i> era un teatro coperto — a lato del tragico — che +Quinzio Valgo e Marco Porcio, duumviri, avevano fatto +edificare e collaudato. Serviva agli spettacoli musicali, alle rappresentazioni +drammatiche e ai concorsi poetici. Potea contenere +mille cinquecento spettatori. Circoscritto in uno spazio rettangolare, +la metà infima soltanto prende la forma di un completo +emiciclo. La superiore, tra i gradini circolari interrotti +su ciascuna estremità. I posti riservati — i quattro primi +gradini, cui dava accesso la orchestra — erano l’<i>ima cavea</i>. +Poi veniva il <i>balteus</i> che serviva di spalliera ai magistrati, ai +cavalieri, a quelli assisi sul quarto gradino. La seconda +<i>cavea</i> divisa da sei scale e composta di diecisette ordini di +sedili di pietra, era riservata al popolo che vi penetrava dai +vomitori. +</p> + +<p> +Sulle tessere di avorio, contornate da un serpe che morde +la coda, era scritto CAV · I · GRAD · IV · ANDRIA · TERENTII · +Ne presero due ed andarono al loro posto. Si erano già nunciati +i nomi degli attori e le parti loro affidate. Si era detto +il prologo, in cui lo autore confessa il suo plagio a Menandro +e lo scusa, dichiarando valer meglio una buona imitazione che +una mediocre creazione. Il subbietto era cotesto: +</p> + +<p> +— Pamphilo ha sedotto Glycera, creduta sorella di una +sciupata di Andria. — I segni divengono patenti. Ma il seduttore +la consola col prometterle nozze, quantunque il padre lo +abbia fidanzato alla figlia di Chremes. Ma questi, sapendo gli +amori del figliuol suo, simula apparecchi di nozze per iscandagliare +i pensieri di lui. Pamphilo ode i consigli di Davo e +non fa resistenza. Ma Chremes, veduto il neonato, non vuol +aver più per genero quel seduttore. — Un incidente stranissimo +<span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span> +disvela come Glycera sia figliuola di Chremes. — Allora +dà questa a Pamphilo, e l’altra che eragli fidanzata, la sposa +a Charino. +</p> + +<p> +Facili i versi — ben condotto lo intreccio — lo scioglimento +felice. — Di due commedie di Menandro — l’<i>Andria</i> +e la <i>Perinzia</i> — lo affrancato di Scipione fece questa una, +spigolandone tutto il buono. — Pur quando Davo disse agli +spettatori. +</p> + +<p> +« — Non attendete che gli attori escano..... Gli accordi, +il contratto, tutto che rimane a farsi, si compirà là dentro..... +Voi applaudite.» — +</p> + +<p> +Popidio non ne poteva più. — Sestilio, nello escire — perchè +lo amico così voleva — facendo lo elogio delle commedie +di Terenzio; sempre vere e delicate e senza ciniche licenze, +gli chiese la sua opinione. L’altro — che aveva l’anima +vagante — rispose, egli preferir Plauto per la somma vivacità +del dialogo. — Lo africano averlo fatto dormire. +</p> + +<p> +— Preferendo l’azione, sarai più lieto nel grande teatro. — +</p> + +<p> +— Sia, — Tu, mio Mentore e senno, da che Plilia è lontana! +</p> + +<p> +Nello escire dal piccolo entrarono nel grande. Le tessere +privilegiate diedero loro lo ingresso in un corridoio a volta +che li menò ai posti sopra la orchestra. — Erano di avorio e +portavano da una parte lo incavo di un edificio teatrale e dall’altro +le cifre che seguono VI. ΑΙΣΧΥΛΟΥ · IB · Avevano posto +sul sesto gradino della <i>cavea</i> riservata. Altri corridoi, pure a +vôlta, passando sotto la gradinata, guidavano al primo claustro +e alla <i>media cavea</i>; una scala poi al di fuori del teatro faceva +giungere direttamente alla <i>summa cavea</i> ed al culmine dello +edificio pel servizio del <i>velarium</i>. — Sulla parte opposta elevavasi +una torre quadrata e rotonda al didentro, serbatoio di +acqua piovana, la quale, profumata da essenze, era sparsa +come una nebbia per tubi capillari di piombo sugli spettatori +nei calori estivi. — Nel centro della orchestra elevavasi la +<i>thymele</i>, o piccolo altare su cui sacrificavasi a Bacco al cominciare +dello spettacolo. +</p> + +<p> +La scena fissa presentava tre porte, le <i>hospitales</i> e l’<i>aula +<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span> +regia</i>. — Fra queste porte nelle due nicchie posavano le statue +di Nerone e di Agrippina. +</p> + +<p> +Si recitava la tragedia <i>I sette contro Tebe</i>, la quale veniva +chiamata il parto di Marte. Ma se il Dio della guerra +aveva sovente inspirato lo autore dei <i>Persi</i> di <i>Agamennone</i>, +dei <i>Coefori</i>, del <i>Prometeo</i>, delle <i>Supplichevoli</i> e delle <i>Eumenidi</i>, +certo ei non ebbe minori obblighi a quello del vino. +</p> + +<p> +Gli attori sono sulla scena. — Gli adunati, tutt’orecchi +in udirli. — Popidio, noiato, trovava i flauti fuor di tuono, +le maschere degli attori logore, le voci non abbastanza forti +per essere intese. +</p> + +<p> +— Che l’architetto Martorio Primo non avesse nozione +nel costruire il teatro di quei grandi vasi di bronzo, i quali +portano la voce dall’una all’altra estremità della sala? Tu +rammenti che li vedemmo in Athenas, in Milo, in Argo e in +Sicyone. +</p> + +<p> +— Rammento. Qui costumasi il flauto perchè sostiene la +voce, la chiama se travia, e serve a dare la intuonazione al +nuovo attore che entra. +</p> + +<p> +— Qui si costuma quanto vi ha di più odioso per me. +Mira Volumnio, il decurione, che fa! Oh! io non reggo a +siffatte scempiaggini! — +</p> + +<p> +Si levò e andò via. — Quel suo vicino aveva tratto un +colombo dal seno e dopo avergli legato una tavoletta scritta +nel piede, lo faceva volare. Altri lo imitarono. — Erano corrieri +domestici che i mariti e gli amanti inviavano alle donne +loro. — Sestilio raggiunse l’amico sulla via di Stabia. +</p> + +<p> +— Tu che da per tutto ti aduggi, oh! certo non ti annoierai +nello Anfiteatro. — La folla che corre da quella parte +mi rammenta il grande spettacolo offerto da Livineio Regolo. — +</p> + +<p> +— Io tornerei volentieri alle mie case..... +</p> + +<p> +— No. Vieni, Popidio, e la maschia scena ti distrarrà. — +</p> + +<p> +L. Livineio Regolo, di famiglia plebea — nato di Lucio +prefetto di Roma — era stato quatuorviro monetale ai tempi +di Cesare. Ferito dalla stessa scure che aveva decapitata la +repubblica, amico di Cicerone e di Bruto, amareggiato dall’ozio +febbrile che legano le rivoluzioni morte, cospirò per la +causa a lui sacra. Senatore, Augusto tiranno volle che venisse +<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span> +raso dal senato. — Invano stracciò le vesti per mostrare le +onorate cicatrici. — Invano parlò de’ suoi meriti. Fu raso. — Cacciato +in esilio in Pompei, per ingraziarsi il popolo si fece +editore di ludi gladiatori e belluari, cioè, di orsi e di cinghiali. +</p> + +<p> +Lo edificio destinato ai sanguinosi combattimenti degli +uomini e delle belve era la riunione di due teatri, siccome il +greco nome Αμφιθέατρον, che i Romani gl’imposero, il dice. Le +due orchestre ne formavano la elittica arena. La quale in +Pompei era scavata di man d’uomo tanto al disotto del +livello del suolo per quanto le mura si elevavano al di +sopra. Costruito nella parte meridionale della città presso +le mura che guardavano Stabia, l’architettura esterna +di pietra vesuviana non presenta verun ornamento. Nello ingresso +del grande vomitorio settentrionale su due nicchie posavano +le statue di Cuspio Pansa duumviro, padre e figliuolo; +ed a sinistra sul selciato di lava che discende, sono pietre +bucate entro le quali era fissa una barriera di legno, perchè +gli addetti al servizio e al mantenimento dell’ordine non fossero +schiacciati dalla folla irrompente. Di là si andava ad un +cripto-portico circolare interno, che per via di scalinate metteva +ai gradini. Questi erano divisi in tre piani — <i>summa — media — ima +cavea</i>. — Sopra le vôlte delle due ultime è una +serie di arcate che metteva in una galleria che dava accesso +alle scale per escir fuori. Il primo <i>deambulacrum</i> era coperto. +L’altro no. — L’arena era circondata da un <i>podium</i>, alto +quasi due metri, difeso da un cancello di ferro a protezione +degli spettatori. Esso è ornato di pitture che presentano combattimenti +di tigri contro orsi, di un cervio contro una leonessa, +di un orso contro un toro. V’ha pure una scena gladiatoria, +e si vede un <i>lanista</i> dar consigli a quelli che debbono +accoltellarsi, nell’atto che altri due assisi aspettano la stessa +lezione e che un musicista saggia le note della sua tromba +ricurva, atta a dar lena ai gladiatori. +</p> + +<p> +La prima <i>cavea</i> ha cinque gradini. Ma nelle due grandi +parti dello Anfiteatro è un vasto spazio, chiuso da un breve +muro di appoggio che scende perpendicolare al <i>podium</i>, e non +ha che quattro comodi scalini. Gli era il posto riservato alle +vestali, ai magistrati ed a quelli che avevano l’onore del bisellio. — Nel +<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span> +centro del podio occidentale apresi una piccola +porta di quercia, il <i>catabolus</i>, per cui escivano le bestie feroci, +chiuse nei covacci sotto la gradinata. — Il sole d’Italia, +volgendo all’occaso, illumina vivamente la scena. E il monte +Vesvius sta muto testimonio della gioia crudele del popolo e +della coraggiosa rassegnazione degli accoltellanti, pronti alla +morte per dar piacere agli schiavi di Nerone che omai dei +gloriosi padri non avevano più che le vesti ed il nome. +</p> + +<p> +Quando i due amici arrivarono allo Anfiteatro, questo era +pieno per modo che sarebbe stato impossibile il trovarvi luogo, +se un littore — riconoscendo in Sestilio il figliuolo del duumviro +non gli avesse condotti — attraversando le file con autorità — in +due posti rimasti ancor vuoti. Già compivano il +giro dell’arena cinque coppie di giovani di alta statura e di +membra robuste. Alcuni erano schiavi e costretti al carnaio. — Altri +volontari, e si votavano alla trista professione per cupidigia, +per sete di fama, per disperazione accagionata dai +politici rovesci. Un uomo attempato che li avea sotto la sua +disciplina — il <i>lanista</i> Cneo Mezio Felice — gli chiamò a +nome ed in ragione della forza e della destrezza a lui note, +gli accoppiò, armandoli di gladi taglienti ed aguzzi. Il loro +contegno, di giulivo che era, d’improvviso fu cangio. Ed +Harpax guardò con occhio minaccioso l’emulo suo Philoxeno. — Ed +Antioco, il dace Proculo. — E Thytridi, il gallo Lycon. — Ed +Hanthrax, il bruno Polinice. — E Dromon, Poenulo il +cartaginese. — Ora inoltravansi. Or ritraevansi, evitando con +arte le percosse ed i tagli. — Thytridi fu il primo a ferir gravemente +sul braccio lo avversario. Invano egli diede uno +sguardo pietoso allo intorno. Chè, il popolo con urlo di belva, +levando il pollice, gridava: +</p> + +<p> +— <i>Habet.</i> — Lo ha preso!... Lo ha preso! — +</p> + +<p> +Allora il misero porse il collo al compagno che glielo +segò. — Nell’atto, Proculo, facendo un salto di fianco per +isfuggire il colpo che Antioco gli aveva assestato, mirando +come fosse col corpo piegato innanzi e scoperto, gl’immerge +il gladio nel cuore. — Gli schiavi cogli uncini trassero i cadaveri +in una specie di fossa destinata a ricevere le spoglie degli +uccisi. Harpax e Philoxeno, destri e vigorosi entrambi, si +<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span> +sforzavano indarno in falsi attacchi e in sorprese; si avventavano, +indietreggiavano, si ferivano, ma senza farsi gran male. +Ed il popolo plaudiva alle percosse che credea decisive e pur +plaudiva all’altro che aveva saputo schivarle. Alla fine Harpax +afferra la spada a due mani e si precipita sullo avversario. — Lo +scudo ne rimane spezzato e il colosso cade disteso per le +terre. Philoxeno, che ha ferito il braccio sinistro dal fiero +colpo, gli è sopra e gli punge col coltello la gola. — Le donne +s’impietosiscono di quel caduto che la sventura colpiva ed +alzano la palma, gridando: +</p> + +<p> +— <i>Non habet!</i> — Sia salvo! — +</p> + +<p> +Allora quegli ch’era già presto a far da carnefice al compagno — il +quale era forse suo amico — gitta la spada, si +curva, solleva di terra lo sciagurato e lo consegna fuor dell’arena +ai destinati a medicar le ferite, per conservarlo ad +altri cimenti. +</p> + +<p> +Dromon e Poenulo si corrono dietro per l’arena. Grondano +sangue e sudore. Si arrestano. — Si guardano con +occhi di tigre e si avventano. — E l’un l’altro ferisce, aprendosi +nel fianco e nella coscia due piaghe profonde. — Sono +anch’essi perdonati e vanno via. +</p> + +<p> +Entrano sulla scena Curzio, Charino, Ballion, Prisciano e +Curculio. Sono ignudi, o quasi, e armati di coltello e di lancia. +Dal <i>Catabolus</i> escono orsi e cinghiali. — Da una porta, due +tori. — Ad una correggia di cuoio che gli cinge nei fianchi è +legata una corda che stringe il collare di due molossi. Due +pigri bufali erano siffattamente allacciati a due lupi. Gli urli +delle bestie feroci e le grida dei bestiari intronano l’aere. +</p> + +<p> +— La dea Libitina oggi sarà satolla, o Popidio. +</p> + +<p> +— Stragi e omicidi, ecco i trastulli dei tempi! +</p> + +<p> +— Per cotal gente l’arena è il patibolo. — Vita di delitti. — Morte +spregevole. +</p> + +<p> +— Ecco perchè non destano nel cuore alcuna pietà. — E +lo sanno. — E ne fanno soggetto di beffe. — <i>Sanguis venalis!</i> +</p> + +<p> +— Ora, colui — di cui la statua equestre è sull’arco a +trionfo — si è fatto lanista, ed ha i suoi accoltellanti <i>postulatitii</i>, +sempre pronti a combattere e a morire pei suoi gusti e +alla richiesta della plebaglia. E gli nudre della <i>gladiatoria sagina</i>, +<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span> +perchè quella forte razione di carne gli faccia meglio +vigorosi ed abbiano maggior sangue da spandere. +</p> + +<p> +— Ma tu vedesti nell’Urbe i figli di razze illustri scendere +nella lizza per guadagnarvi il plauso — che omai è serbato +alle sole vergogne — e il frusto di quattromila denari +per anno. +</p> + +<p> +— Gli udii pur anche prestar giuramento <i>uri, vinciri, +verberari, ferroque necari</i>. — E, gl’infilzi Plutone col suo +tridente! meritano bene il fuoco, le catene, le verghe. — La +morte di spada è troppo nobile per essi. +</p> + +<p> +— Pur mira quel Thytridi che incurante è appoggiato al +muro del podio. L’ho veduto in parecchi ludi e credo sia già +scampato da sessanta vittorie. — Ha il cuoio ben duro, o +Sestilio, eh? +</p> + +<p> +— Parmi! — E in Capua ve n’ha pur molti che, ricevuta +dallo edile la palma della vittoria e appesa al loro fianco +la spada di legno, passeggiano sciolti dai doveri della loro +professione. Ed uno ne vidi che in una solennità avea sul +capo la <i>lemnisca</i>, la corona di fiori intrecciata da bende. È +l’onore più grande cui possano aspirare. — +</p> + +<p> +Intanto che i due amici parlavano, ed altri parlavano. +Quale battaglia! Il rumore di chi combatteva, il cozzo delle +armi, le grida degli sbuzzati e dei moribondi, il mugghiar +delle bestie morsicate e morsicanti, il sangue che spargevasi +nell’arena, producevano nel pubblico una quasi ebbrezza che +non si può descrivere. Pareva che gli spettatori ardessero di +combattere; perchè si spenzolavano dai loro posti, ed urlavano +come belve, e gesticolavano come briachi. +</p> + +<p> +D’un tratto altri attori entrano nella scena — due leoni +di Africa — un tigre delle Indie — una pantera pomellata. — Guardano +allo intorno coi loro occhi di fiamma, strisciano +lungo il podio, si fermano, si ripiegano, battono il suolo colla +loro coda nervosa, passano e ripassano la lingua irsuta e assetata +sui loro denti aguzzi. Il tigre si slancia sopra un cinghiale. +Il leone azzanna un bufalo sulla giogaia. La pantera +in meno che non si dice ha sbranato un molosso ed un lupo. +L’altro leone — quantunque ferito di lancia nel ventre — strazia +colle unghie e colle zanne Charino. — Gemiti soffocanti. +<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span> +Grida di dolore. Ruggiti di belve. Scricchiolio di ossa sotto i +denti. Il tigre e uno dei leoni escono dalla mischia ringhiando +e satolli. Ed errano per l’arena, portando nella bocca sanguinosa +informi brandelli di carne. +</p> + +<p> +Sotto il gradino dove sedevano Popidio e Sestilio era +uno in sui venti anni che avea a sè vicino una giovane della +stessa età. La vide animarsi degli entusiasmi della giornata. +Gli piacque il suo naso sottile sur una bocca di corallo. Gli +piacquero quei suoi occhi estatici, selvaggi ed azzurri adombrati +dalle chiome bionde, increspate e copiose. A furia di +guardarla sottecchi, s’innamorò delle belle linee piene, svelte +e proporzionate di quella leggiadra persona. La vide parlare +sovente con un uomo che sedevale a lato, e dentro ne ingelosì. +Non sapea dire s’ei le fosse fratello, marito, amante. Più +volte volle rivolgerle la parola per appurarlo. Borbottò qualche +frase. — Ma, o ch’essa avesse l’attenzione altrove, o il +fracasso di sotto e di sopra impedisse lo intendere, gli parve +non aver raggiunto lo scopo. Ecco ch’ella si leva in piedi e +col suo corpo rotondo si appressa troppo a lui. La sentì callipiga +e vi posò su la mano convulsa, con una ansietà voluttuosa. — La +pompeiana gittò un grido e si ritrasse volgendo +allo sconosciuto lo sguardo irritato. Il vicino le domandò cosa +avesse. E saputolo, colla faccia che assume un geloso che non +ama la divisione nei beni da lui goduti, apostrofò il giovane: +</p> + +<p> +— Chi fa ciò che non deve, vuole più che non dovrebbe! +Insolente! +</p> + +<p> +— Chi ti fa or censore dei fatti miei? +</p> + +<p> +— Giù le mani e la lingua, o le mozzo! — Intendi? È +la mia donna costei. +</p> + +<p> +— Ah! la tua donna?... Sta bene! — Nessun uomo in +Pompei te l’avrebbe tocca, finchè tu lo avessi permesso. +</p> + +<p> +— Oh! Sì?... +</p> + +<p> +— Credimi, per Ercole! Sei un uomo ingegnoso. Ora la +tua custodia muove tutti alle prese. — +</p> + +<p> +Il pompeiano non seppe patire il villano insulto. Brandì +uno stile che avea sotto la tunica, ritrasse colla sinistra la +moglie, e vibrò un colpo sul petto del giovane a nascondergli +la lama nel cuore sino al pugno. Il ferito gittò un grido gorgogliante, +<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span> +prosciolse le membra e cadde morto sulle gambe di +Popidio. +</p> + +<p> +Uno a poca distanza, ch’erasi rivolto alle parole della +contesa, disse, levando le braccia: +</p> + +<p> +— È Anicato che han morto! A me, voi da Nocera! — +</p> + +<p> +Erano molti gli accorsi di quel paese alla festa. — Ognuno +dal seggio su cui si trovava, accorreva furioso, e pestando +confusamente gli assisi e i tranquilli, iva bociando: +</p> + +<p> +— Morte ai pompeiani! Gli Dei ci aiutino. — +</p> + +<p> +Ed anche questi infellonirono alla lor volta. — E i più +forti che non avevano armi alle mani, ghermivano i Nocerini +e gli scaraventavano alle fiere. E gli altri alle coltella. — Sangue +nell’arena. — Sangue sui gradini. — La confusione +era immensa. +</p> + +<p> +Intanto un uomo insatanassato vien barcollando tra i +caduti e i fuggiaschi. +</p> + +<p> +S’imbatte con Popidio, lo teme avverso, lo ferisce, e va +innanzi. Questi cade nelle braccia dello amico. Trattolo a +stento tra quella calca, di peso, nel <i>deambulacrum</i>, lo posa +per le terre e se gl’inginocchia vicino. La ferita ricevuta nel +petto era mortale. +</p> + +<p> +— Plilia!... o mia Plilia!... mai più... — +</p> + +<p> +E prese la mano di Sestilio e l’appose sulla piaga per +arrestare la emorragia che gli toglieva le forze. +</p> + +<p> +— A Plilia tutto che mi appartiene. Una delle mie case... +a te... in memoria mia... O Plilia, ultimo amore e forte +amore! — Prendi questo <i>symbolus</i> che racchiude la gemma... +la testa di Bruto... guarentisca le mie volontà estreme. — Affranca +i due servi ancor schiavi... +</p> + +<p> +— Iniquo il coltello che ti uccide, o amato Popidio! +</p> + +<p> +— No!... Mi aiuta ad escire da questa immonda cloaca +dello impero, ove io era in ritardo. Veggo già i vasti orizzonti +della vita nuova.... Vi rimaneva — credilo — per lei... per +te... Sento che le estremità si raffreddano... La vista s’indebolisce... +non veggo più... Un bacio e l’ultimo... O Libertà... +Italia!... +</p> + +<p> +Era morto! +</p> + +<p> +Dei Nocerini fu fatto empio macello. — Armi — sassi — unghie — tutto +<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span> +usato per la vendetta dalle due genti. Ma vinse +la plebe pompeiana che aveva la festa in casa. Rari quelli che +potessero fuggire o appiattarsi finchè il furore scemasse. E i +feriti, e gli storpiati, e il pianto dei padri e dei figliuoli corsero +nell’Urbe per chiedere vendetta a Cesare. Il principe +rimise la causa al Senato. — E il Senato ai consoli. — E +Vipsanio e Fonteio la ritornarono ai padri. — I quali vietarono +ai pompeiani lo aprir ludi gladiatori nello Anfiteatro per +dieci anni. Disfecero le compagnie degli accoltellanti fatte +fuori legge e sbandirono Livineio Regolo e i primi rissanti +dalle terre d’Italia. +</p> + +<p class="indl"> +<i>C. Sextilius Ampliatus Acutilio suo.</i> +</p> + +<p class="indr"> +<i>Pompeis.</i> +</p> + +<p> +<i>Maximis et miserrimis rebus perturbatus sum.</i> — Popidio +nostro non è più. — Il coltello di un Nocerino lo uccise +nello Anfiteatro. — Non so dirti quanto ho sofferto e soffro. — Il +suo a Plilia, unica consolazione della sua vita. — Or, conviene +ella sappia la tremenda novella. A me manca il cuore +di scriverle. Agisci a modo, ed evita a me il doppio danno. +<i>Quid futurum sit, nescio. — Vale.</i> +</p> + +<p class="indl"> +<i>Plilia Sextilio suo.</i> +</p> + +<p class="indr"> +<i>Neapolis.</i> +</p> + +<p> +<i>Ego tamdiu requiesco, quamdiu ad te scribo.</i> Oh! il +grande, lo invincibile dolore per la morte di un essere +amato!..... O Popidio...., Popidio del cuor mio!... Misero! Sentisti +tutte le sofferenze del fuoco che non si spegne... tutte le +morsicature del verme che non muore!... Sono stata per tre +dì senza vita esterna, ma pensando... e a lui che non vedrò +più. — Vieni, qui, o Sestilio, e piangeremo insieme. Vieni, +e potrò sopravvivere allo amico mio morto. — +</p> + +<div class="chapter"> +<p> +<span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span> +</p> + +<h2 id="cap8">LA STRADA. +<span class="smaller">SCENE NOTTURNE IN POMPEI.</span></h2> + +<p class="center"> +<b>Anni di Roma 825 — Anni del Cristo 72.</b> +</p> + +<p class="center pad2"> +A GIUSEPPE LAVRIA. +</p> + +<p class="center"> +VIII. +</p> +</div> + +<div class="chapter"> +<p> +<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span> +</p> +</div> + +<p> +Il giorno finiva — e il quadro che offrivasi agli occhi dei +riguardanti potea dirsi il più splendido che la fantasia di un +poeta sappia mai immaginare. Il sole dechinando celavasi +dietro nuvole grandiose e bizzarre, tinte di sangue. I suoi +ultimi raggi infuocati baciavano le onde quete del golfo ed +indoravano le isole — formanti lo asserraglio del Cratere — dall’Atheneum — il +promontorio di Minerva — al capo Miseno. +Il mare immenso, confuso il suo limite coll’orizzonte e scintillante +ai riflessi di quella viva luce, sembrava la fornace in +cui i Titani facessero la fusione e la miscela dei loro metalli. +Vedeansi da lungi bianche vele prendere il colore di quella +zona candente ed accennare al porto, formato dal fiume Sarno +là dove sboccava nel mare, tra i paduli pompeiani e le saline +di Ercole, dinanzi lo scoglio da cui toglievano il nome. +</p> + +<p> +Le vie della città cominciano per poco a farsi solitarie e +chete. Una fanciulla esce canterellando da una casa di gente +doviziosa e s’incammina verso la porta che mena all’oppido +di Sarnus. Oltre il <i>pomærium</i> è un bosco ove una sorgente +di acqua limpidissima aveva riputazione di contenere proprietà +salutari. Alla padrona era venuto il capriccio di berne e la +schiava obbediva. Un sentieruolo guidava tra due verdi prati +alla fontana, che gli alberi cuoprivano d’ombra e le coppie +amorose degli uccelli inneggiavano. — I sogni compongono le +idee di una mente giovanile, siccome le violette e le margherite +sorridono tra il fil verde delle erbe e danno tenere occhiate +a chi passa. Corista le ricambiava a quei fiori e deposta +l’anfora, ricominciò il suo canto distratta, ne colse un mazzolino +<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span> +e lo pose tra i capelli e l’orecchio. Levatasi ed alzati +gli occhi, vide presso il fonte, appoggiato al tronco di un +pioppo, un giovane vestito di una tunica di colore oscuro, +dagli occhi azzurri, dalla barba nascente e dalla copiosa capigliatura +bionda, i cui riflessi così bene si maritavano a quelli +dei verdi rami che si curvavano sulle acque. Altre volte +aveva veduto quel giovine nel tempio di Venere e nello Anfiteatro, +ed aveva dovuto chinar le sue luci dinanzi allo infiammato +sguardo di lui. Molti pensieri arruffati le fecero tremante +il cuore e arrestossi. Ma il giovane, indovinandola, con +voce soave le disse: +</p> + +<p> +— I miei presentimenti non mi avevano ingannato. — Iside +m’inspirava che in questo luogo sì bello avrei trovato +felicità. — Ed io sono grandemente lieto di qui vederti, o +fanciulla, e di poterti parlare. +</p> + +<p> +— E quale interesse ti spinge verso una povera figliuola +di Corinto che i propri parenti hanno venduto? +</p> + +<p> +— Quello che il piccolo Iddio alato mette nel sangue degli +uomini dell’arte mia allo aspetto del bello. Quando primavolta +ti vidi, mi sembrasti apparizione di cielo. — Ed ebbi +sempre da quel giorno la mente piena di te. — E nella casa di +Scauro ho dipinto una Venere che tutto ritrae dalla soave immagine +tua. +</p> + +<p> +— Lusinghieri i tuoi detti. — Dallo accento non sembri +di queste contrade. Quale il tuo nome? Ove nascesti? +</p> + +<p> +— Olympio. — Di Athenas. — Di poveri parenti. — Qui +venni chiamato dalla fama per le pitture decorative. E pingo +sulle pareti xysti, foreste, colline, case di piacere ove si giunge +a traverso un lago, piscine, gente che va in battello, che +caccia, che vendemmia, e paesaggi fantastici con animali e +con alberi. Pingo pur torri colle cime verdeggianti di edere e +di lauri; pergole sotto le quali gironzano fagiani, pavoni e +pernici; viali di bosso e gruppi di mirto tarentino; e tra le +aiuole di fiori, fontane dalle forme capricciose e bizzarre, +adorne di conchiglie e di maschere di marmo; portici con +ricchi mosaici e con cortine azzurre per guarentire dai raggi +del sole; tempietti ascosi tra gli oleandri della Laconia e le +rose di Preneste; sedili sormontati da un orologio solare sulla +<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span> +punta di un dirupo; statue di filosofi, delle muse, delle iddie +e di Priapo — interprete, stimolo, dolcezza, delizia di questa +razza orgogliosa arricchitasi colle spoglie del nostro misero +paese. — +</p> + +<p> +Qui Olympio si strinse colla mano la fronte, quasi volesse +premervi un pensiero affannoso; quindi, rasserenatosi alquanto, +continovò: +</p> + +<p> +— Vedi, o Corista. Un quadro non finito ha per me un indescrivibile +incanto. Lo artefice gode nella inquietezza a +nelle pennellate che creano la composizione.... Ed io or mi +pasco di una gioia secreta nel dirti che ti amo, nel mirare +questo abbozzato dipinto, che io non già, ma tu puoi terminare. — E +godo..... E temo..... — +</p> + +<p> +La fanciulla si fece rossa di bragia e, tendendogli la mano: +</p> + +<p> +— Sii il benvenuto nel mio cuore, o Olympio. — Tu non +vorrai farne il tuo trastullo, spero. — Vivo in umile stato +presso la moglie di Pacuvio Bleso. La mia padrona Aquilia mi +ama. — Serba questi fiori del bosco per memoria mia. +</p> + +<p> +— Grazie, o amore. — Sempre qui, sul mio petto. — +</p> + +<p> +E nell’atto che Corista appressò l’anfora al fonte per +empierla, il giovane artefice le baciò amorosamente la tempia. +Ed insieme s’incamminarono verso la vicina porta della città. +</p> + +<p> +Un soldato colle gambe in croce si appoggiava al pilo. +Altri quattro stavano ritti o seduti presso la stanza di guardia +sotto l’arco. Poi che i due giovani furono passati, la sentinella +fece un gesto col mento teso ai compagni. +</p> + +<p> +— Rata ne accenna che è una vestale. +</p> + +<p> +— Per Ercole! — La non farebbe spegnere il foco sacro +per la faccia tagliuzzata del povero Sammanara. +</p> + +<p> +— Lieto compenso e cinquanta colpi di verghe, o Kinnamo. +Il suo incesso, i suoi lineamenti mi ricordano una mia +ventura nelle Gallie. Grazie, o Mnemosine, del dono tuo! — +</p> + +<p> +Incontro ai due amanti veniva barcollando un avvinazzato. +Era scalzo ed aveva la tunica lacerata. — Appena li +discerse, cominciò ad urlare con voci smozzicate: +</p> + +<p> +— Là! Donde venite? — Hai fave o lupini cotti? Ah! +Rapisti la mia Sabina tu! Ridalla al misero Bibulo che la +piange perduta. — Ti darò in cambio un’olla con porri e testa +<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span> +di montone. — Ah! non intendi? <i>Damnese bibimus, puer?</i> Ti +apprenderò il latino io! — +</p> + +<p> +E brandendo un nodoso bastone sul quale appoggiavasi, +si piantò loro dinanzi. — Corista, impaurita, si strinse alla +persona del suo protettore. — Il quale, afferrata la mazza +nella punta, la scosse sì forte che il beone andò per le terre +lungo disteso. +</p> + +<p> +— Ah! tu Vuoi ch’io riscaldi la punta del gladio nella +tua iugulare?.... I piedi!... Chi mi tiene pei piedi! Aiuto! +Feci le prime armi con Cesare.... Rispetto al cittadino romano..... — +</p> + +<p> +Gli amanti, affrettato il passo, furono ben presto sul +margine presso la porta della casa di Bleso. +</p> + +<p> +— Salve, o divina creatura. — E il tuo nome? +</p> + +<p> +— Non tel dissi? — Corista. — Quando ti rivedrò? +</p> + +<p> +— Presto. — E un bacio sui tuoi begli occhi. — Vale. — +</p> + +<p> +E l’una entrò nel vestibolo. — E l’altro seguì la sua +strada. — Sulla rivolta, ecco che s’imbatte con cinque o sei +giovanastri, quali coperto il capo di un pileo, quali di un +galero di lana, che ridevano, parlavano alto e parevano esciti +anch’essi da una cena inaffiata oltre misura. Sghignazzando +entrarono in una taverna vinaria, ove per solito vendevasi +vino annacquato. E per tale oltraggio fatto al figliuolo di Giove +e di Semele, ruppero i calici e le anfore del povero <i>ænopolus</i> +e tirarono innanzi. — E vista mal ferma la porta di una bottega +di <i>salsamentarius</i>, la ruppero e sparsero per le terre i +pezzi di maiale affumicato e cotto. Così pure dispersero i +budini di un povero <i>botularius</i>, che corse dal piano superiore, +ma troppo tardi, per salvar le sue robe dal mal governo di +quei beoni. +</p> + +<p> +Dinanzi il tempio di Romolo s’imbatteva con alcuni, seguiti +da schiavi e da liberti, schiaranti la via con torce o con +lanterne di bronzo, rotonde e chiuse coi vetri. — Gli è che al +tramonto, detto vesper, erano succedute le prime ombre, che +addimandavansi <i>crepusculus</i>; quindi era giunta l’ora dell’accensione +delle lampade, <i>prima fax</i>; una delle otto suddivisioni +delle quattro veglie che costituivano la notte romana. — Lungo +tutte le vie vedevansi luccicare tizzoni ardenti, lanterne +<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span> +di sottili foglie di corno, di tela oliata e di pelle di vescica. +</p> + +<p> +Era raccolta una eletta brigata di amici nella casa di +Pacuvio Bleso. — Arricchito dal traffico colla Grecia e coll’Asia, +aveva speso migliaia di sesterzi per abbellire il suo +nido. La porta di quercia, ornata nelle fasciature di <i>bullæ</i> — grossi +chiodi di bronzo — aprendosi, mostrava nel <i>prothyrum</i> — un +magnifico mosaico di piccoli cubi di marmo bianco su cui +campeggiava in nero un timone da triremi incrociato con un +caduceo. — A dritta e a manca erano la cella del molosso, custode +rabbioso colle zanne e colla voce; — e quella dell’<i>ostiarius</i> — il +portiere — che, armato di lunga verga, chiedeva il nome +dei visitatori. Ascendendo pel piccolo corridoio, un uscio interno +apriva l’adito sur una bella corte quadrata, adorna di +colonne doriche di stucco bianco e tinte in rosso verso la base; +le quali formavano un elegante portico, comodo per l’ombra +e per le comunicazioni interne. — Chiamavasi <i>atrium</i>, perchè +cotesta disposizione architettonica la fu inventata in Hatria, +repubblica primigenia della nostra nobile Italia, sedente sul +mare, tra gl’Interamni e i Picenti. — Davasi il nome di <i>impluvium</i> +al bacino di marmo di Luni nel cui centro zampillava +la fontana, e a tutta la corte quello di <i>cavædium</i>. — Nell’angolo +era il <i>puteal</i>, margella di marmo, depositario dei +fulmini di Giove, luogo di devote espiazioni nei tempi etruschi, +e più tardi margine del pozzo da cui si traeva l’acqua pluviatile +dalla cisterna. +</p> + +<p> +Dall’atrio si entrava nel <i>tablinum</i>, ov’erano gli archivi +della famiglia. E nel <i>triclinium</i>, stanza due volte più lunga +che larga, ricca di pitture; di colonne variopinte; di mosaici +litostrati; di statue dorate sopportanti lampade per la notte; +di letti triclinari di bronzo, a meandri di argento incrostato +nel metallo, e coperti di soffici cuscini di piume, chiusi in una +stoffa di lana a ricami d’oro. Eravi pure l’<i>abacus</i>, mobile di +bronzo, situato presso la parete centrale, in faccia ai triclini, +sui quali i Pompeiani si sdraiavano a metà nel banchettare, +appoggiando il corpo sul gomito sinistro. L’abaco, nei giorni +di festino, sopportava vasi preziosi di vetro e di argento, +adorni di rilievi col nome del padrone e colla cifra del peso; +<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span> +non che patere e coppe di cristallo, di vari colori. Il ricco +mobile abbellivasi di fasciature e di placche di bronzo cesellato, +aventi nel centro maschere sceniche rilievate di argento; e +sopra, statuette di rinomati artefici greci. +</p> + +<p> +I corridoi laterali, chiamati <i>fauces</i>, menavano alla cucina, +agli alloggiamenti degli schiavi e dei liberti, ed al piano superiore, +ove abitava la famiglia. +</p> + +<p> +In fondo dell’atrio aprivasi un portico più lungo che largo, +detto <i>peristylium</i>, che uno spesso cortinaggio di porpora riparava +dai raggi del sole e dalle intemperie. Quivi maggiore +la magnificenza e la raffinatezza del lusso. Fra ciascheduna +colonna è una statua di marmo. — Le pareti sono rivestite su +tutta la loro altezza di tavole di rosso o di giallo antico. Le +colonne del portico sono di stucco, simulanti l’oltremare, con +leggerissime venature di piriti di ferro. Il pavimento rappresenta +un labirinto in mosaico, fasciato da un meandro greco. +La soffitta è divisa in compartimenti di legno col corniciame +dorato. Nel centro del porticato le cortine sollevate aprono +gli sguardi sullo xysto, giardino pieno di verzura e di fiori, +che ha pur lauri e rose dipinti sulle sue mura, con uccelli +svolazzanti o fenicopteri posati sulle loro gambe altissime. +</p> + +<p> +Sul lato occidentale del peristilio, un corridoio — avente +sulla parete di prospetto una icone pei Dei Penati — metteva a +diritta nelle due camere del bagno, ed a sinistra nello appartamento +delle donne, ove queste abitualmente si tengono durante +il giorno per lavorare o per ricevere le loro amiche. +Coteste sale si addimandavano <i>æci</i>, e sono dipinte a bizzarra +architettura, con quadri rappresentanti Lucrezia che fila, e +Penelope che tesse, ed Achille con Deidamia, e Venere nascente +dalle spume marine, e Diana cacciatrice, tra uno zoccolo +di fondo nero con busti di donne a coda di delfini, o di +uomini terminanti con ornati capricciosi; ed un fregio di fondo +pur nero, su cui sono fogliami sviluppati in volute con fiori, +dal cui calice esce tutta la parte anteriore di un leone, di un +orso, di un elefante. Mediante una scala di legno si saliva ad +un piano superiore, ove solevasi intrattenere i bambini colle +loro nudrici. Sul lato della casa era una stanzuccia con armadi +contenenti i papiri. — Su quello della strada, il muro +<span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span> +sopportava un terrazzo pensile, detto <i>solarium</i>, lungo quanto +l’<i>æcus</i>, con larghe finestre guernite di vetri, per garanzia del +freddo invernale, e di tele trasparenti per velare il sole di +estate. +</p> + +<p> +Sul piano terreno dell’atrio, come su quello soprano, +aprivansi le <i>cubicula</i>, stanze da dormire, più o meno adorne, +secondo le persone cui erano destinate; e sull’angolo, nello +incavo praticato nella parete dalla parte del capo, posava il +piccolo letto di <i>citrum</i>, specie di cipresso salvatico di Mauritania, +di soave odor resinoso, o di terebinto, o di ebano, o di +noce, o di quercia, i più ricchi sostenuti da piedi di bronzo e +gli altri di ferro. I cuscini erano di piume di cigno, o di lana, +ed avevano superiormente coperte di grosso panno o di pelli +di talpa ricucite. +</p> + +<p> +Dimore simili a questa di Bleso per vastità, per eleganza, +per magnificenza erano molte nella città di Pompei. Quella di +Olconio Prisco. Quella di Pansa. Quella di Sallustio. Quella di +Cornelio Rufo. Quella di Aulo Allazio. Quella suburbana di Tullio +Cicerone, e del ricco negoziante greco Agatocles. Quella di Mevio +Apulo, ov’era il fauno danzante in mezzo allo impluvio ed il celebre +mosaico rappresentante la battaglia di Alessandro il Macedone +contro Dario persiano. — Ognuna di esse è spaziosa quanto +il podere solcato dallo aratro di Cincinnato. E la casa del console +Valerio Poplicola — il quale s’ebbe tal soprannome dal popolo, +perchè dopo la cacciata dei re tolse le scuri dai fasci dei littori, +ed i medesimi fasci di verghe faceva deporre ai piedi +della plebe allorchè si aprivano le assemblee — poteva comodamente +essere edificata entro lo impluvio pur dianzi descritto. +E la dimora di quel Catone — che non meno illustrò Utica +colla sua morte, che Roma per la sua nascita — era esigua +quanto i bisogni che quel savio si permetteva. — Cotesti esempi +risplendevano in antico. L’aquila romana non aveva spinto +ancora il suo volo glorioso su tutte le contrade dell’universo. +Il Senato non accolto i re supplichevoli sulla porta del Campidoglio. +Nè i generali della Repubblica distribuito i regni ai +loro clienti. — Nei remoti tempi la riputazione della virtù imponeva +un sacro rispetto alla piccola dimora di un grande +cittadino. Nei tempi di cui discorro, il lusso della casa dava +<span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span> +fama al padrone, e si era riveriti per la fastosa ospitalità, per +la magnificenza degli arredi, pei sontuosi triclini, per le colonne +dei cortili, per le pitture delle camere, e pei marmi +preziosi e rari che coprivano le pareti ed i pavimenti. +</p> + +<p> +Pacuvio Bleso era un uomo in sui quarant’anni. Un giorno, +preso dalla malinconia, decise di ammogliarsi. — Diede allora +un vale alle gioiose e procaccevoli avventure, e si sacrò intero +ad Aquilia, donna dallo spirito fecondo e svariato. Era +della famiglia Rufa, e nel vederla ciascuno diceva: «Io la +preferisco ad ogni bella.» La sua persona era il velo trasparente +di un’anima pura e soave. Buona cogl’inferiori, benevola +cogli eguali, le sue amiche non l’avevano mai disertata, +come colei che non sapeva urtare nelle individuali vanità, +causa di veri dolori nelle donnesche coscienze. Se nelle intimità +avvenivano involontari disgusti, un suo sorriso, un suo +sguardo, una parola gentile toglieva il peso da ogni cuore e +diradava ogni nube. +</p> + +<p> +In quella sera una dolce armonia, un cinguettìo di voci, +una splendida illuminazione escivano dal peristilio, le cui cortine +erano aperte dal lato del giardino giuncato di fiori. +L’allegra brigata erasi aggruppata e disposta con leggi intelligenti. +Numilla, figliuola di Osculo, aveva nel disegno e nella +espressione dei suoi lineamenti, quel tipo di greca bellezza, +che le statue a noi tramandarono. Il naso formante una linea +colla sua fronte; gli occhi che aprivano sotto i lunghi cigli +neri le loro profondità di colore azzurro; il collo svelto, l’aitante +persona, le tornite proporzioni palesate dalle graziose +muovenze delle membra, facevano di lei la più avvenente +fanciulla che fosse nella Colonia. Il padre suo, facoltoso, augure +e da poco assunto al sacerdozio, l’amava quanto le sue +pupille ed intendeva maritarla ad un cavaliere romano nell’Urbe. +Domna, la figliuola di Agatocles e di Ulissia, abitanti +nel sobborgo Felice, era del festoso ritrovo. La giovanetta, +bruna di carnagione, un po’ paffutella, e soltanto leggiadra +per la sua freschezza. Eravi Arrunzia, moglie del questore +Vinicio Oveo. Sedeva a lei da presso Charmis, il famigerato +medico di Massilia dei Focesi, il quale le parlava in greco, +non dovendo un distinto della sua professione parlare altra +<span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span> +lingua, quantunque sapesse che la sua interlocutrice fosse +romana ed ignara. Stranezza della moda, la quale costringeva +ad aver fede in uomini ed in cose — costosi ambedue — e per +sopra ciò inintelligibili! Nè vi mancava una delle migliori +amiche di Aquilia, la innocente, la buona Lollia Valeria, un +flore profumato dalla virtù. Non era bella, ma aggradevole. +La bocca grande, le labbra grosse. I denti regolari, bianchissimi. +Lo sguardo attraente, inesprimibile a traverso la frangia +dei suoi lunghi cigli. Avea sedici anni quando la doventò +sposa ad Anneo Nella Ceriale, uom grave, duro e romanamente +marito. Laonde s’ella sentiva il sole nella testa, negli +occhi, nel cuore, egli il freddo calcolo, le ambizioni municipali +e i momentanei capricci. — Erano corse dicerie su cotesta +disparata unione. Gli è che un giorno la giovanetta si avvide +che la sua grazia, l’olezzo dell’anima sua, i cantici affettuosi +della sua mente erano accolti con svagato sorriso e non assaporati. +La povera delusa pianse, si nascose e disperata chiedeva +la morte. Ma una situazione nuova venne d’un tratto a +sorreggere la idealità del primo istante delle sue nozze. Un +pegno doloroso, gradito potea consolarla e riallacciare i legami +che la sua dignità di donna offesa le aveva fatto rompere e +che stimava rotti per sempre. Già Pollutia, di L. Cornelio +Orfito, era passata col vagabondo suo cuore ad altre ebbrezze. +Nella solitudine di una valle presso Sorrentum erale nata +Flavilla, lo anello di unione tra lei e il divagato Ceriale. La +emozione nuova e nervosa aveva vinto lo egoista. Lollia, augurandosi +una trasformazione duratura per lo avvenire, consentì +a riedere in Pompei. E mostrandosi pubblicamente lieta, +i pettegolezzi stanchi si erano acquetati per lo alimento esaurito. +</p> + +<p> +La giovane Corista suonava per intanto l’arpa nello xysto, +sposando la vibrazione delle corde all’armonia della voce. +Essa cantava un inno all’Amore, nello idioma natìo; e la musica, +e il dolce accento, e la inflessione vocale, tradendo lo +ardore secreto dell’anima sua, innondava di delizio quel luogo, +sino a rapire il pensiero e a deporlo incantevolmente nelle +valli amene della Tessaglia, e nei sacri boschi di mirti e di +aranci in Pafo. Pochi, e ad intervalli, badavano alla bella +<span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span> +schiava. La quale parea cantasse per proprio diletto, e lasciava +correre agili dita sulle corde, come avrebbe fatto correre i +piedi sur un prato verdeggiante. Più degli altri Numilla — allorchè +nessuno la interrogava — sembrava viaggiasse cogli +occhi nelle regioni ideali dell’armonia. Essa piacevasi di quest’arte +che già s’insegnava come complemento di accurata +educazione, da che Silla avevala nobilitata in Roma collo esercizio +del canto. +</p> + +<p> +La immaginazione, prigioniera delle altrui volontà — appena +sente chiasso e tumulto — rivoluzionaria d’istinto — riprende +la sua indipendenza e il suo isolamento, si seppellisce +nei propri capricci, vola sulle ali dorate di un sogno, o si raccoglie +in un pensiero delizioso; e i suoi accenti ricordano i +luoghi secreti e cari ove si è vissuto la vita di un affetto, ed +aprono allo sguardo dell’anima le raggianti dimore che la lusinghiera +speranza apparecchia dopo il sonno della materia. — La +bellissima pompeiana era in mezzo a fantasmi tristi e graziosi +evocati dal proprio cuore, e il suo sguardo fisso e profondo +or volgevasi alla schiava gentile, or alla padrona del +luogo. La quale, leggendo nel pensiero quello che le labbra +non ancora dicevano, si curvò verso di lei, le prese amorosamente +la mano e le disse: +</p> + +<p> +— Numilla, la sorte della misera schiava è un errore del +fato. Hai ragione. Convien ripararlo. La delicatezza dei tuoi +sentimenti l’ha fatta libera. — Corista, fletti il ginocchio dinanzi +alla tua liberatrice ed amala come sempre mi amasti, o +povera figlia di Corinto. — +</p> + +<p> +La nobile giovanetta — nello udire così delicatamente +tradotto il suo secreto pensiero — sentì più profondo il fuoco +di quel sentimento in cui bruciano le anime martirizzate dalla +sventura, e pianse. E più fu commossa nel sentir lacrime e +baci bagnar le sue mani. Era la bella greca ch’erasi gittata +alle sue ginocchia e spandeva a riprese le sue carezze or sulla +padrona or sulla sua amica, ripetendo nelle due lingue: +</p> + +<p> +— <i>Libertas!</i> Ἐλευθερία! <i>Libertas!</i> Ἐλευθερία! — +</p> + +<p> +Quindi, levandosi e volgendo la testa indietro, incrociava +le mani sul petto ansimante e diceva: +</p> + +<p> +— O Dei della mia patria! Quante felicità in un sol giorno! — +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span> +</p> + +<p> +Gli astanti furono più o meno scossi di quella scena a seconda +dei loro caratteri. Charmis però più di tutti, malgrado +le abitudini austere della sua educazione, che gl’imponevano +le reticenze del cuore. Laonde, appressatosi alla signora del +luogo, aggiunse alle parole degli altri — ch’erano meglio +frasi che sentimenti: +</p> + +<p> +— Grazie per lei, per tutti, per me alla grande generosità +del tuo nobile atto. — +</p> + +<p> +In fra tanto che tali emozioni accadevano nello interno, +eranvene e di più vive anche al di fuori. Olympio, in preda a +quei pensieri che indìano un’anima — ed in particolar modo +quella di un artista — era appoggiato colle spalle ad un muro +rimpetto ed avea fra le dita una rosa, la immagine apparente +della persona amata. Si tolse dal capo una corona contesta di +erbe odorose e di fiori di granato, l’appese con un chiodo +presso la porta della casa di Pacuvio e tratto uno stile, graffì +queste parole sullo intonaco: +</p> + +<p> +— Corista. — <i>Vale, mea sava. — Fac me ames.</i> — +</p> + +<p> +Indi si allontanò. — E sentì nel suo petto quelle cose viventi, +sublimi e sacre ai cuori che le racchiudono — e troppo +spesso vacue, ridicole e misere alle menti profane, verso le +quali sono trasportate dal giuoco indiscreto del fato. +</p> + +<p> +Aveva scambiato pochi passi, quando sentì dietro di sè +un confuso rumore di voci. — Si volse e vide una luce rossastra +sul tetto della casa pur dianzi lasciata. E l’<i>ostiarius</i> +suonare una campana ed urlare: +</p> + +<p> +— Il fuoco! Il fuoco! Chi passa ne avverta la coorte! Sia +prevenuto il prefetto dei vigili! È la casa di Bleso che brucia! — +</p> + +<p> +Olympio corse anch’egli gridando a tutta gola come un +forsennato. — Quanti incontrava erano presi dalla stessa smania. — Ed +ecco accorrere dal posto vicino alle Terme una +frotta di affrancati, condotti dai loro tribuni. — Avevano nelle +mani i <i>pubblici siphi</i>; le scale; le secchie; le spugne e gli +stracci legati sulla estremità di lunghe aste; le accette e i +graffi di ferro annodati sulle punte di grosse corde. Cotesta +gente penetrò nella casa alla rinfusa con Olympio. — Lo incendio, +sorto nella cucina, lambiva colle sue lingue di fiamma +<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span> +la soffitta dell’<i>œcus</i>. — Le donne e i fanciulli piangevano. — Gli +schiavi domestici — invece di occuparsi di quel sinistro — usavano +le scuri per abbattere gli usci che racchiudevano le +provviste. — Olmasio — il <i>tricliniarcha</i> fedele già affrancato +dal suo padrone per la sua virtù — armato di un nerbo di bue, +faceva piovere una grandine di colpi sulle braccia e sulle teste +di quei ribaldi e di altri ancora venuti di fuori per profittare +di quel disordine ed esercitare impunemente le loro rapine. +Le grida di dolore, le cose cadute, lo agitarsi confuso di chi +fuggiva impicciavano potentemente i soccorsi e gl’intelligenti +lavori comandati dai tribuni. — Ma il prefetto dei vigili, Martorio +Primo, architetto della città, e lo edile Q. Postumio +Proco, accorsi cogli operai, coi <i>saccarii</i> — i facchini da grano — e +coi propri liberti, spensero ben presto il focolare dello incendio, +senza aver bisogno di abbattere il terrazzo pensile ed +una casuccia vicina — come altri già proponeva — a fine +d’impedire che il flagello si distendesse più oltre nella città. +</p> + +<p> +Olympio, penetrando cogli altri nella casa minacciata, +corse per le stanze come un limiero per togliere dal pericolo +la fanciulla che amava. E la trova tra le braccia di Cillica — la +figliuola del tricliniarca — ambedue impaurite e bianche, +quasi statue di marmo. — Il riflesso della fiamma parea coronasse +di un’aureola raggiante le loro capigliature. +</p> + +<p> +— Vieni! Salvati, Corista. — +</p> + +<p> +E la prese per mano. — E la condusse verso la strada. — E +sì dolce era la scambievole loro emozione, che camminarono, +egli senza dir altro, essa senza rendersi conto di quel che +faceva. — Colà giunti: +</p> + +<p> +— Vedi, o amore, quello che avea graffito per te. — +</p> + +<p> +Al lume delle vampe essa lesse, si strinse al petto dell’amico +del cuor suo e mormorò nella vertigine dei sentimenti +diversi: +</p> + +<p> +— Io sono liberta... La buona padrona,... ed una giovane, +bella come Venere pudica,.... cancellarono con atto +generoso i destini della mia vita. +</p> + +<p> +— Oh! I Giunoni sieno ad esse propizi. E i Geni allontanino +ogni disastro dalla casa di Bleso. — Correndo in cerca +di te, vidi il danno non grave. Il fuoco sarà presto spento. +<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span> +Non così quello che mi brucia il sangue di un amore impetuoso, +esclusivo, che ha preso possesso di tutto me stesso. — +</p> + +<p> +Anch’ella ardeva di quella fiamma. Ma non lasciò fuggire +una sola gocciola della lava che bolliva nel suo cervello. — Era +stata molto infelice. — La emozione nel sentirsi restituita +d’un tratto la vita dell’anima e la vita del cuore, che la crudeltà +dei parenti le aveva niegato, la soffocava. Grosse lacrime +le sgorgavano dagli occhi e le bagnavano il viso. — E l’altro: +</p> + +<p> +— Celeste creatura! — Musa dell’arte mia! — Nati di +uno stesso sangue, l’altrui pietà fece eguali le nostre condizioni. — Come +te io sentiva il vuoto nei luoghi profondi. Come +te or li sento colmati da un sentimento che nega il patto allo +spazio. — Consenti tu a chiamarmi... fratello? — +</p> + +<p> +La giovanetta lo guardò fiso, gli fe’ cerchio colle sue +braccia e, soffusa di subito rossore, balbettò con voce lenta e +indistinta: +</p> + +<p> +— Sposo mio!... — +</p> + +<p> +Lo amante, coll’anima innondata di gioia, prese colle +due mani il capo, ch’essa aveva nascosto sul petto di lui, e +lo cuoprì di un bacio di fuoco. Le vere nozze — quelle dell’anima, +cui Dio assiste — erano compiute. Il rituale della +legge al domani. +</p> + +<p> +Olympio e Corista si separarono. +</p> + +<p> +La signora della casa e le persone ch’erano venute la sera +per visitarla, accompagnarono questa presso una famiglia +amica. Lungo la via, lamentando lo accaduto ed offrendo consolazioni, +ognuno stringeva sotto la tunica un arnese di argento +o di avorio, atto ad allontanare il fascino ed a distruggerlo. +</p> + +<p> +Intanto Pacuvio, oltre i pensieri che lo tenevano inquieto, +e gli ordini che dava ai suoi servi per lo sgombero delle +suppellettili dalle camere minacciate, aveva il sopracapo di +vedersi attorniato dai proprietari delle case vicine, i quali +erano corsi a computarne il prezzo con lui nel caso che le +fossero incendiate. E due vecchi liberti, arricchiti dalle usure — Cancer +e Toctucio — ne addoppiavano lo esagerato valore, +per poi trarne il loro pro, comperando di proprio, o dividendo +coi padroni il grande lucro che avevan saputo ritrarne, mercè +<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span> +loro, dall’altrui sventura. — Cotesta iniqua speculazione era +stata inventata di corto da Crasso, il censore, lo amico di +Bruto e di Cicerone, che pur dicevasi amico alla libertà e alle +antiche instituzioni della gloriosa Repubblica Romana. +</p> + +<p> +Erasi fatta l’ora del <i>conticinium</i>. Laonde, ai tanti rumori +confusi e a quel grido disordinato che aveva empito +l’aere sino a quel punto, avrebbe dovuto succedere un po’ di +silenzio. Ma in una città meridionale lo strepito notturno affievolisce; +si tace in qualche strada; pure onninamente non +cessa. — In una storta viuzza, le cui case avevano sull’uscio +lanterne di terra cotta di forme bizzarre, erano donne assise, +o sghignazzanti in piedi e bisticciandosi a proposito di nulla, +poco vestite da un leggero velo di Coa, e qualcuna anche sdegnosa +di quello incomodo velo. — Erano le sentinelle avanzate +della Venere Pompeiana. — Continuando più in giù, traversata +la strada della fontana, il cui bacino è arrotondato, presso +una <i>cauponula</i> — locanda di poca importanza — era un soldato +allor allor arrivato dall’Urbe, il quale cercava di metter +pace fra tre male femmine che coi capelli discinti, e gli occhi +sbarrati, e le voci alte e roche se lo disputavano a vicenda +con graffi e villane ingiurie. — Vibio Restituto, che aveva fatto +lungo cammino e intendeva riposarsi e — dalla iscrizione lasciata +sulla parete della camera dove dormì, — pareva preso +di fedeltà per la urbana sua, perduta la pazienza, disse a +Clodio — commilite e compagno di viaggio che erasi tratto in +disparte — una breve parola. Lo effetto fu prodigioso. Una +secchia d’acqua versata su quelle furie le rese chete d’un +tratto e lontane. +</p> + +<p> +Nelle vie vicine erano ubbriachi che misuravano il selciato +coi loro piedi vacillanti, e si appoggiavano sur un bastone resinoso +già spento, o colle mani aperte, sui muri. — Uno diceva: +</p> + +<p> +— <i>Ego monere te possum, Miccio. Corrigere non possum.</i> — Quante +volte dissi allo stomaco: — Per Ercole! Finirai +per bruciarmelo il povero cervello!... E come ho a reggere +io che sono <i>tractator</i> nelle Terme al calore del <i>sudatorium</i>, +massando e frizionando i bagnanti? Ahimè di me! — +</p> + +<p> +— Ohe! Miccio. — E di che gracidi? Veramente non è +cotesta la tua strada... <i>Nemo flammis ustus amare potest.</i> — +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span> +</p> + +<p> +Un altro, urtando in una di quelle pietre ovali — ponti +di passaggio nei grandi rovesci di pioggia — diè una capata +solenne sul sasso. — Alcuni mossero ad aiutarlo; chè il vino +fa caritatevole e pietoso il cuore. — Ma più si provavano a +rialzar quel tapino, grondante sangue dalla fronte rotta e dal +naso pesto, e più il ricacciavano per le terre, cadendovi tutti +insieme. +</p> + +<p> +— Ah! <i>Venus scratia!</i> Credeva di aver afferrato il tuo +crine biondo... Ed urtai nel martello della porta del tempio. — Indietro, +o beoni... Lasciatemi tranquillo con lei. — +</p> + +<p> +Non lungi di quella strada cessava il frastuono delle voci +lamentevoli ed irose. Due, sommessi parlavano. — Una vecchia +ed un giovane. +</p> + +<p> +— Di’, sei tu quello che ha graffito sul muro il monito +della Iddia pompeiana? +</p> + +<p> +— Fui. +</p> + +<p> +— <i>Odisti tu nigras puellas?</i> +</p> + +<p> +— Mai no. Io le amerò sempre. +</p> + +<p> +— Tiche ebbe pietà dei tuoi ardori. — Va sotto il <i>solarium</i>. — Chiama +a nome la mia padrona ed essa ti scenderà con un +filo la chiave dell’uscio. — Gli Dei ti sieno propizi! — +</p> + +<p> +Il giovane accorse desioso. — Guardò in alto sul terrazzo +sporgente. Un lume pallido e poi più acceso illuminò i vetri. — Egli +mormorò il nome della donna bruna e salace che da +parecchi giorni seguiva per tutto. — La finestra si aprì. — La +chiave discese. Aiutandosi col dito, trovò la toppa. — Diè due +giri e una spinta... +</p> + +<p> +Un molosso senza abbaiare lo addenta e, agitando la testa, +gli straccia la tunica, l’afferra e la straccia ancora e lo +tiene. Un vecchio aizza il cane colla voce e con un bastone +trebbia il mal capitato. Il quale grida, e prega e fa sforzi +violenti per fuggire. Ma il cane lo azzanna per un piede. — Il +marito geloso picchia come sopra un sacco di lana. — E Tiche +di sopra sorride. Perciocchè, egli avesse graffito sul muro le +seguenti parole: +</p> + +<div class="poem"><div class="stanza"> +<p class="i01"><i>Candida me docuit nigras odisse puellas.</i></p> +<p class="i01"><i>Oderis, sed iteras. Ego non invitus amabo.</i></p> +<p class="i01"><i>Scripsit Venus physica pompeiana.</i></p> +</div></div> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span> +</p> + +<p> +Quando quei crudeli lo abbandonarono, lo scalzo di un +piede e zoppicante, corse verso la crocevia dalla fontana colla +testa di Giunone. Più in giù, alcuni ch’erano fermi dinanzi +una casa dell’angolo, udendolo lamentarsi, gliene chiesero la +cagione. — Il misero giovane — che aveva nome Virgula ed +era padrone del <i>mycopolium</i>, nella via di Mercurio, ove vendeva +gli aromi in uso pei sacrifici e pei funerali — stava per +rispondere forse una menzogna, quando vide escire dal prossimo +usciolino alcune donne curiose dei fatti suoi, imbellettate, +vestite di toga maschile ed aventi sul capo tosato una <i>picta +mitra</i>. — Ebbe orrore del luogo e della compagnia che il duro +fato gli avea procacciato. Quantunque fosse pesto e ferito in +più parti della persona, rifiutò le offerte d’idromele e di vino +caldo da Svezzio, — quegli che aveva restituito lo albergo +dello Elefante. — E partì, appoggiandosi al braccio di Phœbo, +unguentario di sua conoscenza e cliente assiduo di quei luoghi, +il quale lo avrebbe accompagnato a casa, non lungi dalla +propria. +</p> + +<p> +L’ora del <i>concubitum</i> — che i nostri padri chiamavano anche +<i>intempestum</i>, per indicare che il sonno fa intempestiva +ogni occupazione — era l’ora di veglia involontaria per alcuni +uomini destinati a fabbricare il pane ed a cuocerlo per la comodità +dei cittadini. Cotesti infelici obbligati al lavoro durante +la notte, non avevano intero il giorno feriale mai. Abbrutiti +dallo eccesso del loro còmpito, e dalla miseria; — coperti di +cenci e lividi di frustate; — colle pupille sanguigne dalla veglia +e dal fumo del forno; — piccoli, magri e rasi nel capo perchè +i capelli non cadessero nelle impastate farine; — pallidi e fatti +anche più pallidi dalla farina di cui erano coperti, parevano +meglio spettri che uomini vivi. — E siccome per lo più erano +schiavi fuggitivi — e ne avevano il marchio di fuoco sulla +fronte — il padrone gli facea lavorare coi piedi chiusi da anelli +di ferro riuniti da breve catena. +</p> + +<p> +Nelle <i>pistrinæ</i> — così chiamate perchè sino all’anno 580 +di Roma ogni famiglia pestava il grano nei mortai in casa, e +le donne fabbricavano il pane — v’erano le <i>molæ jumentariæ</i> +e le <i>molæ manuariæ</i> — cioè — molini girati dalle bestie +o dagli uomini. Nell’isola di Sardegna sono in uso anche oggidì +<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span> +come ai tempi di cui queste carte. — Nel centro di un +atrio tetrastile, a giusta distanza, erano grosse pietre cilindriche, +simili a coni tronchi, riunite nella parte più stretta. — Le +pietre, porose e di colore grigio-nerastro, riposavano su +una breve base circolare. — La parte del cono fissa addimandavasi +<i>meta molendaria</i> ed era congiunta alla base. La parte +mobile del cono superiore, detta <i>catillus</i>, aveva un’armatura +di legno fissa presso lo addentellato libero nella pietra; ed +era congegnata in modo, da sostenere il catillo e da farlo girare, +dando al grano il passaggio graduato per macinarlo, e +far cadere la farina nel bacino circolare. La quale era divisa +nelle sue qualità da stacci di crine di cavallo di varia finezza. — In +una camera erano tavole orlate di pietra, ove si amalgamava +la pasta col lievito salato, che aveva il peso di ettogrammi +2.17 per ogni <i>modius</i> di farina. +</p> + +<p> +A diritta delle macine trovavasi il forno. Sotto, il cinerario. — A +lato, un’anfora spezzata, contenente il buono da +impolverare la pala, perchè infornando, il pane non vi si +attaccasse. — Sopra l’arco della bocca, fatto di mattoni, solevasene +porre uno come chiave, rappresentante un <i>phallus</i>; +e spesso vi ponevano la iscrizione, <i>Hic habitat felicitas</i>. — Presso +una parete laterale dell’atrio aprivasi un pozzo. — E +siccome l’uomo fu, è, e sarà sempre un ente pieno di stupidezze, +di pregiudizi e di strane paure, consigliato dagli interessati +sacerdoti, il panettiere riconobbe nella deessa <i>Fornax</i> +la patrona del suo mestiere. E le fece un altarino sul muro e +le offerì pane di fior fiore, acquatico, partico e picentino col +mezzo dei suoi ministri impostori e scrocconi, i quali lo mangiavamo +per lei. +</p> + +<p> +Quei miseri operai, cospersi di sudore, noiati dalle mosche, +resi quasi ciechi dal fumo, estenuati dalla fatica, emunti +dai sacerdoti, erano di notte assediati dal rifiuto dei trivi che +lor vendeva lo amore per un pugno di grano. — Gli è perciò +che quelle donne erano distinte col nome dispregevole +di <i>alicariæ</i>. — Eppure! Quanti miseri schiavi saranno stati +debitori a quelle derelitte creature di un obblìo ben fuggevole! +Il quale, spegnendo per poco il tarlo della disperazione, +dava loro la forza di traversare gli spazi immensi +<span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span> +sulle ali che il solo amore — o ciò che a lui più somiglia — sa +aggiungere! +</p> + +<p> +Molte strade eransi fatte deserte. Non tutte. — Tratto +tratto udivasi sul selciato il rumore dei sandali col tallone +ferrato di qualcuno che passava. — Erano i <i>popes</i>, i sacrificatori +vittimari, — altra emanazione del sacerdozio — i quali +andavano di celato a vendere ai tavernai la parte dei buoi +e dei montoni, offerti dai credenti agli altari dei Numi, +ch’erano di troppo pel triclinio del tempio. — Onde quei luoghi +si chiamavano <i>popinæ</i> ed erano le botteghe di ristoro dei +villici e degli artigiani ordinari durante il giorno; e dei gladiatori, +dei soldati e degli schiavi lungo la notte. — Oltre le +carni cotte vi si vendevano lupini ravvivati nell’acqua salata; +fave con cipolle e lardo; ceci fritti; cavoli crudi a fette, conditi +coll’aceto; polenta; salcicce con aglio. — Tutte cose masticabili +con pane di farina d’orzo e di frumento detto <i>panis +plebeius</i>. Un pranzo od una cena costava due assi — dodici +centesimi della nostra moneta. — Gli alimenti cuocevan sempre +ed in pubblico. — I banchi che sostenevano i fornelli — sui +quali erano incastrate tre pignatte di terra — vedonsi anche +oggi rivestiti di marmi di varia specie e colore. Sulla loro +estremità è un piccolo gradino che serviva ad esporre i commestibili +e a tenervi i vasi e le coppe. Una tavola di pietra, +sulla quale si spezzavano o si dividevano le porzioni, aveva i +pesi ed una bilancia. Il padrone del luogo era spesso un +<i>lanista</i> invecchiato o imbozzito, e perciò non più adatto ai +giuochi gladiatorii. Laonde selvaggio, brutale, vestito di un +<i>subligaculum</i> — mutande di tela — o di una tunica lacera e +sporca. Una donna — detta <i>focaria</i> — facea la cucina. Ed +un’altra serviva gli ospiti, sovente ladri, assassini, beccamorti +e schiavi fuggiti dai loro padroni. +</p> + +<p> +Quella che forma l’angolo sulla via e sul vicolo di Mercurio +era la più frequentata, perchè essendo presso il Foro e +la dimora dei ricchi, chiamava a sè facilmente i servi che li +trasportavano in lettiga e li accompagnavano con lanterne alle +loro orgie e li andavano a riprendere all’alba ubriachi. Nel +fondo della taverna sono due porte che danno accesso alle +stanze di ristoro. Grossolane pitture bruttano le pareti. Alcune +<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span> +presentano oscenità. Un quadro accenna a due uomini che +traggono il vino da un grande otre di pelle che è sopra un +carro a quattro ruote, da cui sono stati sciolti i due muli. +Uno mesce a un soldato; e sotto è graffita la iscrizione seguente: +<i>Da fridam pusillum</i> — cioè — dammi un po’ d’acqua +fredda. — Altri giuocano ai dadi e cioncano. — Altri ancora +mangiano presso un desco con due sciupate, il capo coperto +dal <i>cucullus</i>, cappuccio soprapposto alla loro mitra. Festoni +di salcicce e di frutti sono sospesi al soffitto di quel dipinto +triclinio. +</p> + +<p> +Tali le decorazioni del luogo. Tale la immonda brigata. — Un +beccaio provavasi a rilevare un sacerdote di Cibele caduto +sopra i suoi cembali produttivi. — Per poco in piedi. Poi +per le terre ambedue. — Un gladiatore mostra le nervose +sue membra e brinda a Bacco che il rese forte e invincibile +nei ludi; e promette, nei prossimi, di ferire Tigris, il numida, +e mozzargli il capo, quantunque sia un buon compagno +e l’arteria del suo cuore. — La serva del luogo depone +un <i>crater</i> sulla tavola e col <i>cyathus</i> misura il vino +che mesce nei <i>majores calices</i>. — Il feroce l’afferra per la +vita, e con un ruggito gioviale la bacia sulla gota. La vipera +si volge e gli dà un potente ceffone che fece ridere gli avvinazzati. +</p> + +<p> +— Brava, Saïs. — Giù, un altro! — Tu puoi sbarbarmi, +strapparmi i capelli e mi piacerà per lo amore dei tuoi begli +occhi. — Tò; un altro bacio! +</p> + +<p> +— E a te un’altra labbrata, Scilex. +</p> + +<p> +— Ah! così?... Ebbene! All’ammenda! Ti coricherai +bruco e ti leverai crisalide. — Miracolo di Marte! — +</p> + +<p> +E il membruto la tolse di peso, quantunque la si dimenasse, +e la portò in un’altra stanza. — Nessuno badò alle sue +grida. — Sopraggiungono due donne. — Una suona una specie +di flauto a due canne, detto <i>sarranae</i>. — L’altra accompagna +colle naccare i passi di una danza lasciva. La truppa servile +si leva, e salta e canta una turpe canzone. Il prete di Cibele — pestato +in un piede — si alza sonnacchioso, raccatta i cembali, +si contorce e sgambetta cogli altri. Al rumore, tre che +passavano per la via, entrano. Sono Tigris, Cappadox e Syro, +<span class="pagenum" id="Page_198">[198]</span> +accoltellanti. — Escono dalla stanza Saïs e Scilex. — La femmina +offesa giammai perdona. — Ond’essa, a vendetta, rivela +allo amante numida le millanterie del compagno. Un subito +rossore infiamma la fronte dello insultato. Era un gigante, +bruno di carnagione e dagli occhi di iena. Si morse il labbro +inferiore, e col pugno teso: +</p> + +<p> +— Cane rognoso! Mi rubi lo amore e vuoi anche la vita? +O Romano, prendi or cotesto dal figliuol del deserto! — +</p> + +<p> +Il pugno distesogli sul petto fece traballare il gladiatore +avvinato. Dalla parete che lo avea sostenuto, si cacciò innanzi +a capo ricurvo. — Ma tutti gli furono addosso e il ritennero. +</p> + +<p> +— Ha insultato un libero cittadino. — Lasciatemi. — Gli +anni pesano al barbaro. — Lo manderò a Caronte, senza l’asse +pel suo tragitto. +</p> + +<p> +— Qui, di piè fermo. — E non vedete che la riflessione +il consiglia a morir di vecchiaia? — +</p> + +<p> +Tulnes — il padrone della tavernaccia — scorgendo che +la cosa prendeva il mal verso, avvertì che i galli già salutavano +i primi albori. — Riscosse il prezzo del ristoro da ognuno, +salvo dal sacerdote che russava, poi che il fecero smettere +dal ballo, sotto la tavola. E mise tutti fuor dell’uscio. — Chi +per una via. Chi per un’altra. — I <i>lecticarii</i> s’incamminarono +a coppie verso le dimore, dove la sera avevano trasportato i +padroni. +</p> + +<p> +Le ore notturne di questi somigliavano a capello a quelle +dei loro schiavi. Avevano crapulato — e oscenamente cantato — e +portato sulle spalle le loro amanti — e cioncato con esse — e +caduti erano privi di forza, in poco decenti posture, sui +cuscini dei triclini. — Era un’onta della natura umana il vedere +come una grande prosperità avesse degradato quel gentil +seme latino e trascinatolo allo studio raffinato delle male +e vergognose opere! +</p> + +<p> +Nell’<i>aphrodisium</i> di C. Sallustio non udivasi che il monotono +russare dei nove briachi di vino e di vizi. — Lo schiavo +incaricato di vegliarli, tirò le cortine del triclinio e vi fe’ penetrare +i chiarori dell’alba. — Alcune lampade sui loro alti +candelabri erano spente o fumigavano. — Altre ancor mandavano +<span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span> +una fioca luce. Il pavimento di marmo e di mosaico era +sparso di veli cincignati, di corone di rose, di rottami di +cristallo e di anfore e di larghe macchie di cecubo. La <i>comissatio</i> +era stata copiosa. +</p> + +<p> +Herma spinse col labbro inferiore il soprano in atto di +chi dispregia. — Crollò il capo e poi disse: +</p> + +<p> +— Oh!.... Ecco i padroni del mondo.... Povera patria +mia!.... <i>Dî vos eradicent!</i> — +</p> + +<div class="chapter"> +<p> +<span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span> +</p> + +<h2 id="cap9">VENVS PHYSICA. +<span class="smaller">SCENE DEL CUORE.</span></h2> + +<p class="center"> +<b>Anni di Roma 826 — Anni del Cristo 73.</b> +</p> + +<p class="center pad2"> +A ME. +</p> + +<p class="center"> +IX. +</p> +</div> + +<div class="chapter"> +<p> +<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span> +</p> +</div> + +<p> +Sulla via Domizia, in faccia alla dimora del <i>chirurgus</i> +Hemos, reputato per le sue operazioni conservatrici, sedeva +una casa fabbricata sulle antiche mura della città, le quali per +decreto dei decurioni erano state concedute ai mercatanti greci +e di altre nazioni per rizzarvi fondachi a terrazzo in faccia al +grande canale del Sarno, e su di essi le dimore per le loro famiglie. — Il +popolo del vecchio Latium, ed in progresso i popoli +che, confederati o domati, combatterono e conquistarono +per lui, consumavano, non producevano. Il bronzo, l’argento +e l’oro carpiti ai vinti, mercè il formidabile pilo, servivano +al ricambio dell’avorio, dell’ambra, delle tazze di vetro, della +porpora, delle pietre incise, delle perle, delle vesti di lana +finissima e di seta, delle belle schiave, dei vaghi e procaccevoli +cinedi, dei piaceri offerti dai cuochi, dai mimi, dai gladiatori, +dai citaristi e dei conforti prestati dagli astrologi, dai +sacerdoti e da altri consimili ciurmatori. Il Quirite si fece aggressore +per non essere conquistato. Educato ed educante +alla forza del corpo ed alla vigoria dell’animo, dichiarò sino +dai primi tempi il lavoro essere faccenda da prigionieri e da +schiavi; e sola, unica professione degna dell’uomo libero macinare +il grano e maciullare gli uomini. Fido alla origine, +elevò templi a Giove ladro — <i>Jovi prædatori</i>. — In Etruria +fecero spade e lance cogli assi di bronzo, fecero calce colle +statue di marmo. In Capua, in Cuma, in Poseidonia arsero +gli artistici monumenti. In Tarentum, in Syracosion, in Corinthum +quei ruvidi soldati giuocavano ai dadi sui dipinti dei +grandi maestri. E quando i signori dell’Urbe cominciarono a +riflettere che le statue e le opere di pennello della Magna-Grecia +<span class="pagenum" id="Page_204">[204]</span> +valevano ben qualche cosa, Lucio Mummio, uno dei +loro tribuni di militi, disse al nauta incaricato di trasportare +per mare quei capi d’opera a Roma. +</p> + +<p> +— Bada. Se tu gli affondi, e tu gli rimpiazzi. — +</p> + +<p> +I Romani di quei tempi avevano per calendario un chiodo +che martellavano ogni anno con pompa religiosa sul muro del +tempio di Giove nei primordi del settembre. Il giorno avea +tre periodi. Una libra di bronzo fusa in una forma grossolana +bastava ai bisogni della loro civiltà. La industria era affidata +agli schiavi, e persino i poeti escivano da quella classe disprezzata +e reietta. — Tetragoni sui campi di battaglia, sentivano +un orrore istintivo pel mare e l’arsione delle navi era la +prima condizione di pace coi vinti. Anche Ottaviano-Augusto, +quantunque avesse vinto in Actium, confessava di avere uno +spavento invincibile dell’acqua. Un editto contemporaneo alle +prime lotte colla rivale Cartagine diceva quel popolo di mercatanti +pria vinti e poi schiavi. I Romani non si sarebbero mai +abbassati al mestiere dei vili e dei menzogneri. +</p> + +<p> +Or il commercio così disonorato dai vincitori e le inutilità +dei forti cuori divenute primo bisogno della vita civile, trassero +la navi cariche dalle sponde lontane, e su di esse i trafficanti +e gli artisti. I quali, ricomprata coi risparmi e colle +usure la propria libertà, e arricchitisi ben presto, dall’Urbe si +sparsero, dovunque le opportunità ed i facili guadagni gli richiamassero. +Ne vennero anche presso la nostra gente in Pompei, +dove i Sanniti e i Romani, per uno spirito di ripugnanza +alle idee d’ordine e di pacifiche imprese, fattisi i pensionari +del mondo, mai supponevano che l’oro sì facile a spendersi +finirebbe per non più riprodursi. +</p> + +<p> +La casa sulla via Domizia era spaziosa e dall’alto si godeva +lo aspetto di un magnifico orizzonte — il largo canale +colle circolanti triremi — e sulla pianura, lungo la bella costiera, +Oplonti, Retina, Herculanum, Tegianum, Taurania, +Cosa — e sul mare Capreas, la <i>sellaria</i> gigantesca destinata +da Tiberio alle proprie turpitudini; Prochyta, detta da Giovenale +la porta di Baiæ; Pitecusa, cui soprasta l’Epomeo, monte +di forma bizzarra, tremulo ed ignivomo un tempo, in voce +di schiacciare col suo peso il titano Tifeo. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_205">[205]</span> +</p> + +<p> +L’atrio, coperto da una larga tettoia rettangola, circondava +il <i>compluvium</i>, a lato del quale era un <i>puteal</i>, scannellato, +di pietra calcarea. Le pareti allo intorno si abbellivano +di pitture — una cicogna passeggiante tra le ninfee di uno +stagno — una nave di cui i nauti ammainavano le vele — un +prato con lepri saltellanti — un poeta che legge versi ad una +fanciulla, con un <i>locumentum</i> ai piedi, ove erano chiusi i +papiri. — Cotesti dipinti erano separati da quadrucci di maniera, +grotteschi, di caricatura, detti <i>grylli</i>, eseguiti da Peireico, +messi in uso quasi generale da lui, e gli erano pagati +più cari che non le opere dei migliori artisti. +</p> + +<p> +Il pavimento era in <i>opus signinum</i>, incrostato di piccoli +cubi neri che tratto tratto, senza simetria rinserravano pezzi +di marmo di tutte forme e colori. Sur un angolo a sinistra +posava inchiodata da un pernio una cassa di legno, foderata +di rame, cerchiata di ferro, guarnita di due serrature e di +numerosi ornamenti di bronzo. Nel fondo aprivasi un <i>tablinum</i> +dal bianco musaico, dalle ricche pitture e dai due lettucci +laterali di cedro di Mauritania, coperti da cuscini di +piume. Gl’Italo-greci pingevano sulle pareti coi colori cementati +coll’olio e colla cera punica per difendere le tinte delicate +dall’azione dell’aria e della umidità. Lo encausto si usava di +tre modi — al cestro sull’avorio — colla cera colorita — colla +cera liquefatta al fuoco. — Quest’ultima maniera faceva il +dipinto più durevole. I freschi meglio pregiati si pingevano +sur un intonaco chiuso entro una cornice di legno che fissavasi +sulla parete e poteva ritogliervisi quando si voleva. I +Pompeiani a cagione dei frequenti tremuoti solevano prendere +siffatta precauzione. Collocavano altrove le predilette loro +dipinture e al cessare del disastro le ricollocavano al posto. +Quivi erano — Meleagro, figliuolo del re dei Caledonii, che si +accinge a dar la caccia al cinghiale; ed Atalanta, vergine +bella e fortissima, della cui gagliardia l’altro s’innamorò, — e +le nozze di Zefiro che scende voluttuoso e si appressa alla +vaghissima ed addormentata Clori, il simbolo di tutta la vegetazione. — Dalla +parte dell’atrio una spessa stoffa di Tyro +divisa in due <i>cortinæ</i> ne chiudeva lo aspetto. Sul lato opposto +le innalzate tende davano accesso ad uno xysto quadrato con +<span class="pagenum" id="Page_206">[206]</span> +ambulatorio allo intorno, posante sur un cripto-portico, rischiarato +al di sotto da quattro spiragli a cono che sollevavansi +sull’arca tra i pelargoni e le rose di Præneste. I giardini +di tal fatta erano chiamati <i>horti pensiles</i>. +</p> + +<p> +Cotesta casa, rispondente nelle sue varie partizioni a tutti +i comodi di un’agiata famiglia, apparteneva a Demophilo, di +Rhodum, che da dodici anni aveva fissato la sua stanza in +Pompei. Numerosi erano i suoi schiavi e spesso approdavano +nel porto le sue navi cariche di merci. Traeva dall’Africa le +lane e i profumi; dalla Spagna, la cera, il mele, i metalli; +dalla Gallia, gli olii ed i vini; dalla Grecia, gli oggetti di arte +e di gusto; dalle rive del Ponto i cuoi e le pelli; dalla Sardegna +e dalla Sicilia, i grani. E tutte queste cose spediva nelle +città interne per suffragare alle abitudini dei ricchi, alle ricerche +degli effeminati, alle distribuzioni pubbliche dei magistrati +e del governo centrale del mondo, obbligato a soccorrere le +miriadi dei venturieri, dei vagabondi e delle popolazioni +infingarde, abbrutite dal dispotismo, affamate di viveri ed assetate +di profumi e di spettacoli. E quantunque Sallustio avesse +detto che i Romani <i>pecuniam omnibus modis vexant</i>, cioè, che +tormentavano l’oro di ogni maniera; e Cicerone nel suo libro +dei Doveri; <i>Ne quidquam ingenuum potest habere officina? +Mercatura, si tenuis est, sordida putanda est; sin autem magna +et copiosa, multa undique apportans, non est admodum +vituperanda. Nihil enim proficiunt mercatores, nisi admodum +mentiantur.</i> — cioè: — Che può uscir di onesto da una bottega? +Il commercio è sordida cosa se tenue; è un mestiere +tutto al più tollerabile se coltivato in grande, e per approvigionare +il paese. I mercatori non profittano senza molto mentire. — Pure +il nostro rodiano verecondo, caritatevole ed onesto, +coi suoi modi franchi e leali aveva inspirato la devozione +nei clienti e negl’infimi, la stima negli eguali, ed ogni maniera +di onoranza nelle genti d’imperio e nei ricchi del paese. +</p> + +<p> +E tutto questo Demophilo sapea meritare. Nato in un’isola, +il suo istinto viaggiatore e avventuroso lo aveva sospinto a +slanciarsi nello spazio schiuso dinanzi i suoi sguardi. Apparteneva +a quella razza ardita che scoprì e popolò i nuovi continenti; +che disputò alle altre nazioni i marosi del mare, come +<span class="pagenum" id="Page_207">[207]</span> +i Romani disputavano le montagne, le pianure e le valli ai +popoli che le coltivavano e non sapeano difenderle. Da giovanetto +avea navigato. E la contemplazione del vasto orizzonte, +e l’abitudine della immensità, e il perpetuo movimento delle +onde lo avevano fatto religioso, libero, intrepido, ospitaliero, +silenzioso come la solitudine, poetico come le notti, affabile +come le stelle che guidano i naviganti al porto desiderato. +</p> + +<p> +Alto della persona, di lineamenti regolari e piacenti, un +poco curvo dai pensieri e dai pericoli che aveva bravato, il +suo portamento, il breve sorriso, lo sguardo dicevano la tenerezza +del cuore, la fantasia inquieta della mente e le rassegnazioni +della nobile anima sua. Trattava colla vita come in +molti casi aveva già trattato colla morte, con una inalterabile +dolcezza. Le gravi cure delle dovizie, i semplici doveri della +famiglia, lo esercizio delle severe virtù, il contatto colla miseria +che il circondava, la pratica gli avevano mangiato a +lento morso un po’ di poesia, un po’ di corriva bontà, un po’ di +grazia. Ma quello ch’era rimasto non erasi fatto lo egoismo +che spesso va a nozze colla superbia. Era meglio un sentimento +melanconico, che talvolta la gaiezza di un fanciullo +derugava e la fede sanava. +</p> + +<p> +Passeggiando sotto il portico dello impluvio, chiuso nei +suoi pensieri, un uomo entra, stende la destra sulle labbra, +<i>a facie</i> — ciò che die’ origine al verbo <i>adorare</i> — e dice: +</p> + +<p> +— <i>Ave.</i> — +</p> + +<p> +Demophilo pone la mano sul cuore e poi offerendola al +sopravenuto, risponde: +</p> + +<p> +— Anche tu abbi il giorno lieto, C. Helvio Babinio. Quale +novella a me ti mena? Hai mercati a propormi? +</p> + +<p> +— No, amico. — Una cessione piuttosto. — Melissæa, +quando tu qui prendesti fissa dimora, aveva sette anni. Alle +none di aprile ne contò diecinove. I nostri Digesti indicano +la età acconcia al matrimonio allo uscire dalla infanzia — XIV +anni pei giovani — XII anni per le donzelle. — So che +tu l’ami come la pupilla degli occhi tuoi. So che a lei duole +staccarsi dalle tue braccia, escire dalla casa paterna. Finora, +cotesta la cagione dei rifiuti. — Avranno a durar sempre? — +</p> + +<p> +Demophilo sentì la idea sicura e rapida prendergli il +<span class="pagenum" id="Page_208">[208]</span> +cuore. Pur dominandosi, forzò lo increscioso spettro a rientrare +nell’ombra, ed aggiunse con ansia affannosa: +</p> + +<p> +— Non io. La mia figliuola deciderà.... Quale il nome di +colui che aspira a coteste nozze? — +</p> + +<p> +— Cneo Vibio, lo edile... — Oh! non temere. I tuoi abiatici +non gli vedrai <i>ambigena animalia</i>. Nè saran detti <i>musimones, +umbri, canes ex venatico et gregario</i>, quasi fossero +bastardi, o figliuoli di un cavallo e di un’asina, o nati di un +cane da caccia e di una cagna di pecoraio. — No. — Quel +magistrato ne ha scritto allo Imperatore, e gli è giunto il permesso +speciale <i>ne turpis maritus vixisset cum coniuge barbara</i>. +E a te procacciava il decreto che ti accorda il diritto di cittadino +romano. +</p> + +<p> +— Un dono con una mano! Un rapimento coll’altra! +Sia! — Melissæa, o Babinio, è una di quelle creature che +di umano hanno solo lo inviluppo, ancor tutto pieno di celesti +profumi, tutto raggiante di lume divino. È il mio consiglio, +il mio tesoro... la vita.... — +</p> + +<p> +E qui premette colla mano il petto quasi frenasse i moti +dentro. E seguiva: +</p> + +<p> +— Le grazie coronarono la sua ragione. Ama le arti, i +lavori donneschi ed i giuochi del pensiero. Se Vibio è accettato — ed +io ciò terrei a grande onore — di gran cuore <i>despondebo +filiam meam</i>. La interrogherò per sapere se il suo +cuor parli a favore di lui. +</p> + +<p> +— Oh! Non dubitarne. Io credo che le mela e i fiori di +granato — messaggeri della bella e gioconda iddia — abbiano +dato giuliva risposta a qualche vaso di Nola. — +</p> + +<p> +O Babinio indovinava, o il sapeva. Vibio aveva notato la +gentile persona nella necropoli, nei teatri, nei templi. A poco +a poco erasene perdutamente invaghito. E tanto più che la +nudrice di lei un giorno gli disse i rari pregi che più e più +l’abbellivano. E saputo da essa come la fosse nata alle none +del quarto mese — ch’ebbe nome da <i>aperire</i>, avvegnachè allora +la terra apra il seme alla generazione — le aveva mandato +un vaso fittile dipinto degno dell’artefice e del donatore. — Un +genio alato, avente sul capo una corona di fiori, +versa una libazione sulla fiamma che brucia sur un piccolo +<span class="pagenum" id="Page_209">[209]</span> +altare. Sotto era un’ape, e accanto si leggeva graffito +καλή. +</p> + +<p> +La destinazione era chiaramente espressa dalla libazione +che indicava il dì natalizio e dagli aggettivi di <i>bella</i> e di <i>soave</i> +dati alla pecchia che in greco diceasi <i>melissa</i>. Essa aveva risposto +con mandare una corona di modeste viole avvizzite e +portata da lei nella vigilia — mele morsicate, perchè in ogni +tempo e presso tutti i popoli il pomo fu accetto messaggero +di amore — e <i>rosæ vexatæ</i>, ch’erano il vero incanto dello +amor ricambiato. Marziale in un distico diretto al calore del +cuor suo, si esprime così: +</p> + +<div class="poem"><div class="stanza"> +<p class="i01"><i>Intactas quare mittis mihi, Polla, coronas?</i></p> +<p class="i01"><i>A te vexatas malo tenere rosas.</i></p> +</div></div> + +<p> +«Perchè mandarmi, o Polla, fresche corone? Preferisco +le rose appassite sul corpo tuo.» +</p> + +<p> +— Se così, meglio — χαίρε — Vado a far scaricare una grossa +nave caudicaria in cui ho vino, lardo, fave, schiavi ed acque +distillate dell’Asia. Gli affari sono il lievito del mio peculio. +</p> + +<p> +— <i>Quidquid tu tangis crescit tanquam favus.</i> Nettuno ti +affidò il suo tridente, e tu comandi ad Eolo di soffiare a tuo +senno sulle vele delle tue triremi. +</p> + +<p> +— Credi a me. <i>Assem habeas, asse valeas.</i> Ne hai? Ne +avrai. — Giammai però io vidi effigiata sul conio della moneta +d’oro la faccia sorridente della gioia intima e di una vita +senza rimorsi. +</p> + +<p> +— <i>Vale.</i> — +</p> + +<p> +E si separarono. +</p> + +<p> +Intanto che coteste cose si erano pensate e dette tra i +due interlocutori, gli edili C. Vibio e Q. Poppæo, nominati +dal popolo a procacciargli i voti, l’annona e le feste solenni, +erano in un vasto locale presso il porto ad assistere alla distribuzione +dei grani fatta da una corporazione di misuratori. +I littori, poggiando le mani sui fasci, pendevano dal cenno +dei magistrati. Una guardia di liberti custodiva le porte dello +edificio, facevano entrare i soli che avessero una tavoluccia +di ligustro, chiamata <i>tessera frumenti</i>, e picchiavano gl’intrusi +che non vi avessero diritto. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_210">[210]</span> +</p> + +<p> +Nei tempi primordiali della potenza di Roma l’ense e lo +aratro provvidero alla sussistenza del popolo. Quando il gladio +rimase solo nelle mani dei forti, le provincie italiche, sottomesse +al suo impero alimentarono le braccia di quei superbi +che ormai sentivano il dovere unico della conquista del +mondo. E la Sardegna fu chiamata <i>nutrium plebis romanæ</i>. +E la Sicilia <i>cellam penariam reipublicæ</i>, e <i>fidissimum Annonæ +subsidium</i>. Ma venne un’epoca in cui le frumentarie di Roma +che esportarono i loro grani nei più lontani paesi, dovettero +chiedere anch’esse un alimento vergognoso al loro fertilissimo +suolo. Il Governo ne procacciò dalla Gallia, dal Chersoneso-Taurico, +dall’isola di Cipro, dalla Beozia, dalle Baleari, dalla +Spagna, dall’Egitto e dall’Africa. Il Mediterraneo divenne il +vero lago romano, facile via dai paesi frugiferi lontani. Si +creò il Prefetto dell’Annona, magistrato importante che veniva +subito dopo i Consoli. Era suo còmpito mantener l’abbondanza +nell’Urbe. Pompeo ne fu investito per cinque anni; +ebbe quindici luogotenenti scelti tra i senatori; ed al còmpito +immenso aggiunse un potere immenso che gli permetteva disporre +a libito del pubblico tesoro, di muovere eserciti, di +armare navigli, e di essere nelle provincie il sopra ciò dei governatori +medesimi. I grani si prendevano per contribuzioni +o per compra. Si tenevano in serbo nei paesi frumentari e a +seconda del bisogno una flotta speciale, detta <i>sacra</i>, li trasportava +pel Tevere inferiore alle falde del monte Aventino, +ov’era un porto che addimandavasi <i>Navalia</i>. +</p> + +<p> +Una magistratura così potente non poteva piacere all’ombrosa +monarchia repubblicana dei Cesari. E questi istituirono +gli Edili nelle Colonie e i Pretori Cereali nell’Urbe. +Nelle prime erano gli eletti del popolo. In Roma lo imperatore +gli sceglieva tra i patrizi a lui più devoti. +</p> + +<p> +Allorchè Caio Sempronio Gracco salì al tribunato propose +una legge, mercè la quale il grano sarebbe stato distribuito +al popolo in ricambio di un <i>triens</i> — circa quattro centesimi +di lira — per ogni modio, mentre al Governo costava un denaro, +cioè settantotto centesimi. Cotesta legge, basata sulla +eguaglianza, era iniqua nell’applicazione, perchè demoralizzava +le masse e ruinava il Tesoro. Ho letto su parecchie pietre +<span class="pagenum" id="Page_211">[211]</span> +funebri del tempo, <span class="smcap lowercase">PERCEPIT FRUMENTUM</span>, volendo gli +eredi del quivi sepolto attestare con orgoglio com’egli avesse +fruito della più bella prerogativa del cittadino romano, l’essere +stato nudrito a spese dello erario pubblico. Un altro tribuno, +Marco Ottavio, l’abolì e vi sostituiva la nuova che +ammetteva alle distribuzioni dell’Annona i soli necessitosi. +Al cominciar della guerra sociale, Livio Druso ravvivò la +legge Sempronia che fu in seguito modificata dalla legge Terenzia-Cassia. +Clodio Pulcro limitò con una nuova legge le +liberalità frumentarie ai soli plebei proletari, e tolse un’arma +affilata dalle mani degli ambiziosi che in un popolo affamato +avevano sempre una milizia pronta allo insorgere e ai delitti. +Gli è perciò che dopo una grande carestia, Augusto ridusse a +dugentomila il numero degli ammessi all’Annona e donò dodici +<i>frumentationes</i> — una distribuzione per mese — di proprio. +</p> + +<p> +Così in Pompei. — Sotto il portico del Foro i gratificati +andavano a far constatare il loro diritto e ricevevano l’ordine +di distribuzione in una <i>tesserula</i>, su cui era notato il +giorno da presentarsi. Gli Edili facevano misurare a quel portatore +cinque modii di grano. I quali pesavano in media centocinque +libbre e per conseguenza ne producevano almeno +ben centotrenta di pane. Il pane cotidiano era adunque del +peso di quattro libbre e quattro once, ossia diecisette once +per bocca, supponendo una famiglia composta di tre individui. +Cui aggiunti i lupini, i ceci, i legumi che si avevano +per poco; e le sportule e il <i>panariolum</i> che i patroni facevano +dare pieni di carni e di pesci di mediocre qualità, sul vestibolo +delle loro case, alla folla affamata, questa sì che poteva +vivere; ma l’abbiettezza cresceva e la corruzione ancor +peggio. +</p> + +<p> +Cneo Vibio è avvertito che una donna al di fuori chiede +parlargli. Esce e vede Eulamia, la nudrice nella casa di Demophilo, +che lo avvisa come la sua padrona lo attenda nel +tempio di Venere. La buona ed affettuosa vecchia era contenta; +non capiva in sè dalla gioia. E nello andar via per +raggiungere la sua figliuola di latte, parlava tra i denti frasi +inarticolate, accompagnandole con sorrisi e gesti che significavano +forse lo avvenire festoso cui essa credeva. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_212">[212]</span> +</p> + +<p> +Anche Vibio corse all’aperto. E risaliva dal porto alla +città scuotendo dall’anima la melanconia sospettosa che invischia +i pensieri di chi ama potentemente e teme. Lungo il +tragitto, tutti lo salutavano. Egli però alcuno non vide. Nè +anche il selciato pareagli più quello che con passi indifferenti +tante volte aveva calcato. Tutto prendeva un’anima. Tutto +si trasformava al suo sguardo. Perchè dietro quelle mura che +cingevano il tempio e fra quelle colonne di stucco era la +donna che sola a lui donna sembrava, eravi il cuore per cui +notte e dì il suo pur palpitava. +</p> + +<p> +Nel varcare la soglia, ei la vide seduta sur un banco +sotto il portico a sinistra. Nell’atto che vèr lei corse, essa levossi. +E in tutta la sua gentile persona era una gaiezza serena, +luminosa, infantile come la speranza, rischiarata dal +suo sguardo azzurro e profondo. +</p> + +<p> +— Ebbene, ζωη και ψυκη, dolcissimo amore, qual nuova?... +Che rispose tuo padre a Babinio?.... E tu, richiesta, che a +lui?... Ei, cittadino romano,... tu mia eguale.... sai?... — +</p> + +<p> +La bellissima fanciulla distese la piccola mano affilata e +bianca che risplendette come una perla sulla mano bruna di +Vibio. Quindi: +</p> + +<p> +— Tutto so, o mio... Il padre lieto, e io lieta.... Ciò venni +a dirti.... Oh! I nostri cuori sono le due ali che sollevano +un’anima sola sino al trono di Venere Urania che a noi arride +propizia. — +</p> + +<p> +Quella soave creatura era tale da avvinghiare immediatamente +un cuore, e più e più quello che allor batteva dinanzi +a lei i segni della vita e della felicità piena. Ella era in una +età in cui le impressioni sono vertigini. Aveva biondi i capelli — non +di quel colore rossastro od ardente che venne +alla moda dopo il conquisto delle rive del Reno e che procurò +ricco mercato a chi portò in Roma, in Capua, in Herculanum, +in Pompei le capigliature dorate delle donne dei Catti, dei Sicambri +e dei Germani. — Le sue chiome erano un’aureola +che rivelava inquietanti delizie alle bocche che vi si sarebbero +posate. I suoi occhi cilestri, da cui veniva un così dolce lume +e tanta soavità di sguardo, erano carichi di carezze, di amplessi, +di baci. Il naso piccolo e un po’ sollevato aveva un +<span class="pagenum" id="Page_213">[213]</span> +sorriso come l’hanno le labbra; ed anche queste, spiranti +nella breve curva la innocenza e il candore; ed il collo svelto +ed alabastrino; e la persona spigliata; e le proporzioni delle +statue di Fidia; e la grazia decente dello incesso trasportavano +l’anima nelle regioni armoniose dove si obliano tutte +le amarezze della vita. +</p> + +<p> +Pompei era invero la città del mondo in cui la grande +divinità pagana — che ogni culto posteriore non seppe mai +disertare — era adorata con entusiasmo maggiore. Vibio anch’esso +nella età prima aveva sacrificato alla onnipotente iddia. +Ma la sua sviluppata intelligenza e il suo fine criterio +avevano calmato le irrequiete smanie e dettogli che pur erano +nella vita migliori problemi da sciogliere. La religione antica +l’ebbe tra i suoi miscredenti. Le sensazioni del cuore gli aprirono +un più largo orizzonte. Studiò i principii della fede novella. +Sfatò ciò che gli parve vaporosa illusione e fanatismo +di neofiti. Pur l’uomo per lui rimase uomo, e di tutti gli dei +compose un solo dio — dio clemente, misericordioso, benefattore. +</p> + +<p> +Or, un giorno lo amore — il quale non ha poi nel turcasso +quei dardi avvelenati che i poeti melanconici vi hanno +immaginato — usò una delle sue solite ribalderie, e fece passare +dinanzi i suoi sguardi la bella ed innocente Melissæa. +Stimava molto Demophilo. Ed ei carezzò quel suo fiore bellamente +sbocciato nella solitudine della sua mente. A poco a +poco una passione profonda germogliò in quel cuore meridionale. +Essa divenne il suo dio. Essa, la sua Venere celeste. — Giovanezza — beltà — grazia +infantile. — Tutto il fascino di +un amore che non costava nulla alla virtù. — E poi egli +amava la donna per intuizione, e il matrimonio per istinto. +Melissæa era bionda, ed il bruno eragli odioso. — E nel vero +cosa è il bruno? È l’ombra. È la negazione della luce. È una +tinta, e nessun colore. Venere era bionda. È biondo l’oro. La +fanciullezza e ciò che scintilla e che allegra son biondi. — La +rivide tra i fiori dello xysto. La seguì una sera nel Pago Felice +come si segue febbrilmente il filo di un sogno dorato. E assaporando +un dolce avvenire; ebbe orrore della tenebra che il +circondava. Un violento slancio dell’anima interrompeva l’ordine +<span class="pagenum" id="Page_214">[214]</span> +del tempo e gli mostrava le ore ancora velate della sua +esistenza. Un giorno nell’Odeon cadde dalle mani di Melissæa +una rosa di Pœstum, bella ed odorosa come il suo cuore. Ei +la raccolse e la chiuse nelle pieghe della sua veste. L’atto non +isfuggì alla fanciulla, e i loro occhi dissero a vicenda come in +tal momento il nodo della vita allacciasse due disparati destini. +</p> + +<p> +Cneo Vibio, alto della persona, di piacevole aspetto, non +pativa tristezza di cuore. Quelle del cervello non le aveva +conosciute mai. E nei suoi occhi scintillava una dolce magia, +un certo lume sorridente — dono del fato, o dono degli atti, +che attira le anime piacevolmente e trasforma i casi che occorrono +in nuvole leggere. — E per dir tutto, era nella età +felice per gli uomini pubblici e per gli artisti, in cui il sole +della vita rischiara il sommo dell’uomo — la fronte — siccome +in quella ora del giorno illumina di luce più concentrata ed +attraente l’alta cima dei monti. +</p> + +<p> +— Tu sei la mia iddia, o soave amore. Felice il mio tetto +che ti avrà padrona e signora. Vedi! Non è gocciola del mio +sangue che non mi parli di te. Non una idea delle mia mente +che non irraggi della passione che mi arde.... Dicono che un +dio nascesse — imperante Ottaviano Augusto — in un povero +presepe in Galilea. E che le stelle il sapessero. E che le foreste +il salutassero. Ebbene! Quanto or mi circonda è ai piedi +dello amor ch’io ti giuro. +</p> + +<p> +— Le parole che tu mi dici, e che dentro io bacio e ribacio +segretamente, sono le perle della corona che il tuo +cuore pose sulla mia testa, e che mi rende fiera e felice. Io +guardo gli altri con un’aria di regina... il titolo che la tua +mente mi diede. +</p> + +<p> +— E lo avrai sempre, o amante e presto sposa. Quest’ora +beata non dovrebbe volare. Afferriamone le ali, che sono i +ricordi. Più tardi li premeremo sui nostri cuori come la mano +purissima che a me porgi, patto di felicità durevole oltre la +tomba. +</p> + +<p> +— <i>Vale</i>, o mio. Gli dei della patria ti sieno propizi. — +</p> + +<p> +Ed ambedue, colla espressione della gioia sul volto, ripresero +la via delle loro case. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_215">[215]</span> +</p> + +<p> +C. Helvio Babinio trovò lo amico consapevole e nella gioia +maggiore. Combinarono che la domanda si farebbe per lettera, +e che un’assemblea di parenti e di fedeli andrebbe ad offerirla +a Demophilo e fisserebbe gli articoli del contratto sopra +le <i>tabellæ legitimæ</i>, quelle tavolette che essi avrebbero poi +suggellato coi loro <i>symboli</i>, come marchio di guarentigia. +</p> + +<p> +I Digesti riconoscevano <i>justum matrimonium</i> la unione +legale composta in tre diverse maniere. La prima dicevasi +<i>usus</i> — per abitudine o per prescrizione — allorchè una donna +col consenso dei suoi parenti conviveva con un uomo per un +anno intero <i>matrimonii causa</i>. E se questi non fosse assente +per tre notti da lei, essa diveniva la sposa legittima e dicevasi +<i>usu capta fuit</i>. Ma se avveniva il <i>trinoctium</i>, la prescrizione +era interrotta, la donna era dichiarata libera perchè +<i>usurpatio est usucapionis interruptio</i>. — L’altra addimandavasi +<i>confarreatio</i>, cioè consacrazione, allorchè il diale di +Giove benediceva al matrimonio, in presenza almeno di dieci +testimoni, prendendo il frumento dalle mani della sposa — <i>far</i> — impastandolo +coll’acqua piovana e formandone una +focaccia, cotta sotto le ceneri dello altare. Quel <i>panis farreus</i> +o <i>farreum libum</i> era assaggiato dal sacerdote, lo divideva tra +gli sposi, esprimendo con questo sacro e comun cibo come +omai tutto dovesse essere mutuo fra essi, amaritudini e gioie. +Le libazioni si facevano di vino melato e di latte. S’immolava +quindi un montone, avendo cura di gittar via il fiele della +vittima, a significare che ogni agrezza dovesse essere bandita +nel coniugio. Siffatta specie di unioni era però principalmente +in uso fra i ministri degli dei, sì perchè gl’ipocriti non ammettevano +innovazioni nei costumi antichi — rotta una maglia, +ei dicevano e dicono in tutte le lingue, addio rete per accalappiare +i gianfrulli — sì perchè era la sola unione che sapesse +dare alle mogli loro il diritto di esser socii al loro ministerio +e di partecipare ai profittevoli riti. Dicevasi <i>defarreatio</i> +il divorzio. Se il marito moriva senza figliuoli e senza far testamento, +la donna ereditava i suoi beni quasi propria figlia. +Altrimenti coi nati suoi prendeva parte in eguale divisione. +Nel caso di mancanze, il marito la giudicava in presenza dei +parenti di lei. Se condannata dalle leggi, veniva pubblicamente +<span class="pagenum" id="Page_216">[216]</span> +abbandonata al castigo della famiglia. I nati da siffatta unione +potevano essere scelti flamini di Giove e vestali. Ed erano +detti <i>patrimi</i> i bambini che avessero vivente il solo padre, +e <i>matrimi</i> quelli che la madre soltanto. Ed assumeva il nome +di <i>pater patrimus</i> quel cittadino che avesse contentamento di +figli durante la vita del proprio genitore. — La <i>coemptio</i> era +una maniera di unirsi per reciproco contratto. L’uomo e la +donna si presentavano al magistrato insieme con cinque testimoni, +cittadini romani e puberi e il pesatore delle monete +che assisteva a tutte le vendite — il <i>libripens</i>. — Essi ricambiavano +un asse — sei centesimi di lira — e lo <i>speratus</i> diceva +alla sua <i>sperata</i>: +</p> + +<p> +— <i>An mihi mater familias esse velis?</i> +</p> + +<p> +— <i>Me velle.</i> — +</p> + +<p> +La donna faceva all’uomo una simile domanda; la <i>venditio</i> +era compita. La <i>sponsa</i> acquistava sul suo sposo i diritti +di figlia, e quegli tenevale luogo di padre. Laonde cominciava +a chiamarsi per esempio <span class="smcap lowercase">HERENNIA EPIDIANI — SABINA +BIBULI — DELPHIA AGATHEMERI</span>. E riconoscendo il marito per +padrone, chiamavalo <i>dominus</i>. Se aveva un patrimonio oltre +la dote, quei <i>bona paraphernalia</i> li rimetteva al suo signore. +Ma questi erano poca cosa nei primi tempi; poichè il senato +all’orfana di Scipione Africano diede per dote undici mila assi +di rame, pari a L. 852.50 di nostra moneta. +</p> + +<p> +La sposa talvolta <i>in usum suum reservabat</i> una porzione +della dote ed uno schiavo — <i>servus receptitius</i>, sul quale lo +sposo perdeva la potestà. +</p> + +<p> +Oltre questo matrimonio plebeo — <i>pro emptione</i> — che +poi divenne la unione generalmente in uso — un padrone coniugato +poteva avere la <i>concubina</i>, cioè la donna da lui amata, +la donna di mezzo matrimonio che le leggi riconoscevano. +Però, a mal suo grado, essa aveva il libito di sposare un altro, +ove cotesto le convenisse. — Gli schiavi si univano per +promessa reciproca, detta <i>contubernium</i>. I liberti chiamavano +<i>pellam</i> la donna che con essi viveva. E le congiunte per <i>confarreatio</i> +erano dette <i>matronæ</i>. Quelle per <i>coemptio</i> si gloriavano +di essere <i>matres familias</i>. +</p> + +<p> +È festa nella casa di Demophilo. Cneo Vibio e gli amici +<span class="pagenum" id="Page_217">[217]</span> +vi sono convenuti alla prima ora del giorno che rende gli +sponsali migliori e più favorevoli. Il duumviro <i>jure dicundo</i> +L. Giulio Pontico presiede all’atto solenne. Uno scriba redige +il contratto. Il padre concede alla sua cara figliuola la +dote di <i>decies centena</i>, cioè, un milione di <i>sestertia</i> — pari +a L. 193,749 — da pagarsi in tre periodi, il primo dei quali +avrebbe luogo il giorno del matrimonio. Demophilo aveva +fatto inoltre un ricco presente a Melissæa di vesti, di pietre +incise e di monili d’oro. +</p> + +<p> +Già da lungo tempo gli auguri avevano cessato di combattere +la volontà degli uomini in nome della divinità. Quegli +impostori non erano più curati da alcuno. Ma, sfacciati e impudichi, +non mancavano di far gli auspicii per conoscere la +volontà suprema, allorchè trattavasi di ricchi sponsali. E Thelestis +si presentò, facendo smorfie ed inchini e dicendo avere +il giorno innanzi sacrificato al cielo e alla terra — come ai +primi sposi; — ed a Minerva, la iddia della verginità; ed a +Giunone propizia ai casti connubi. Egli aveva veduto nel +cielo i segni favorevoli. E poichè nessuno ne lo consultava, +stimavasi fortunato nel poterli nunciare. Gli era un di quei +luridi frati dei tempi nostri che la melonaggine dei ricchi peccatori +e delle vecchie adultere ingrassa insieme col popolo +ignorante e supino. Quale la differenza tra gli antichi e i moderni? +Questi borbottano finanche le stesse frasi latine. — Demophilo +in tanta domestica gioia, voleva dargli il buon da +scialare. Vibio non lo permise, e il fe’ cacciar via dai littori. +</p> + +<p> +Allora Giulio Pontico chiese all’herus della casa se consentiva +<i>despondere filiam suam</i>. L’altro, annuendo ai voti per +quelle nozze, aggiunse: +</p> + +<p> +— <i>Quæ dii bene vertant.</i> — +</p> + +<p> +E il primo gravemente riprese: +</p> + +<p> +— <i>Sponsalia et nuptiæ</i> non si contraggono che col libero +assentimento delle due parti. Ed una fanciulla può resistere +alla paterna volontà nel caso che il padre le offra a suo sperato, +e sposo un uomo notato d’infamia o che meni una riprovevole +vita.... Hai tu, o Melissæa, a muover lamento di +tal fatta?... Poichè non rispondi, e non ti rifiuti alle nozze, è +segno che tu consenti. — +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_218">[218]</span> +</p> + +<p> +E richiese partitamente ad ambedue: +</p> + +<p> +— <i>An spondes?</i> — +</p> + +<p> +E quei felici replicarono colla favella del cuore: +</p> + +<p> +— <i>Spondeo</i>. — +</p> + +<p> +Era la formula della stipulazione che tutti fissavano sulla +pergamena col loro suggello. Vibio trasse dalla sua veste un +anello d’oro massiccio, ottangolare, traforato a giorno con +sottile artificio che nel mezzo di una linea ovale aveva cotesta +leggenda in greco: +</p> + +<p class="center"> +ΑΦΡΟΔ<br> +ΓΕΝΕΤ<br> +ΔΟΣ +</p> + +<p> +Melissæa accettò quella garanzia del suo amore, quel segno +che moralmente li faceva un essere solo; e subito lo pose +nel dito mignolo della mano destra, perchè credevasi che vi +fosse un nervo corrispondente da quel dito al cuore. Quel semplice +dono dovea sempre precedere il matrimonio. +</p> + +<p> +Convenne fissare il giorno delle nozze. Il calendario romano +aveva segnato col nero i dì infausti — le calende — le +none — gl’idi — quelli che immediatamente li seguivano — i +parentali che ricordavano i funerali paterni — e in generale +tutto il mese di maggio. Bisognava adunque far correre tutto +quel mese e la metà del seguente, ch’era dichiarata l’epoca +più felice. — Nello intervallo gli <i>sponsi</i> potevano <i>infirmare +sponsalia</i>, cioè rompere i fatti accordi collo scrivere coteste +parole: <i>Conditione tua non utor</i>. Era il <i>repudium</i> che annullava +ogni promessa. Ma Vibio e Melissæa non sarebbero stati +capaci di dir quella frase. Il loro sguardo ed il loro sorriso +favellavano le promesse immortali; avvegnachè il vecchio +monarca di questo mondo, ricciuto, rosso per belletto e azzimato, +padre alla menzogna ed allo egoismo, non li avesse +mai ammaliati e sedotti. La sposa trasse dal seno una piccola +<i>bombilia</i> di cristallo di roccia, piena di essenza odorosa e la +offerse al re del suo cuore. Ei l’annusò e fe’ un cenno cogli +occhi. Erano uno. Poteva ringraziare sè stesso? Aveva sentito +su pel cervello le carezze senza rimorsi delle ninfe espansive +racchiuse nel prezioso dono della sua gentile regina. Tutti +escirono con lui. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_219">[219]</span> +</p> + +<p> +— Mio caro collega, se ogni fanciulla somigliasse a quella +alla quale tu desti la fede, lo imperatore non avrebbe bisogno +di promulgar leggi per costringere la gente togata a menar +moglie. +</p> + +<p> +— Giulio Pontico, ben dici. Ma tu hai tre sorelle che +rassembrano le cugine di Venere e di Minerva. Nè occorrono +editti per toglierle dallo stato smanioso della nubilità. E so +che non passeranno lunghi mesi e saranno le spose. Hanno +parenti raccomandati dalla virtù. E la tua famiglia è tale a +fornir ricche doti. +</p> + +<p> +— Lo penso. E ciò mi toccava il cuore quando pronunciava +le parole formali. Vedi! lo amor di famiglia nel cuore +delle fanciulle è come una gocciola. Scuotila e cade.... Dev’essere +così!! — +</p> + +<p> +Manio Acilio, soffermandosi alquanto dinanzi la bottega +del farmacista — occupante uno degli angoli della insula triangolare +della via Domizia — disse con voce bassa a Quinto +Lepta — suo socio nella testimonianza degli sponsali — in +modo che chi camminava non lo sentisse: +</p> + +<p> +— Parlano a maraviglia, l’uno perchè non ha sorelle, e +l’altro perchè il padre riccamente le dota. Certo, grossi partiti +non mancheranno. Or si negozia nel menar moglie come +per la compera di una casa, di un podere, o di due cavalli +africani. I <i>sestertia</i> sono le principali, anzi le sole virtù che si +cercano in una donna. +</p> + +<p> +— Guai.... oh! guai per colui che le sposa ricche. <i>Dotata +regit virum.</i> Il loro orgoglio, le loro esigenze sono una catena +pesante a tirare. Vespasiano come dà il grano alle famiglie, +dovrebbe pur dar le doti. Allora l’amore matrimoniale riprenderebbe +il disopra, e la cospirazione della saviezza celibataria +cesserebbe, e tutti tornerebbero egualmente a pagare cotesta +patriotica gabella. Ma gli è avaro ed ingordo. Compera e rivende. +Nè si vergogna di far pagare i magistrati a chi li +chiede e le assoluzioni ai ricchi colpevoli. De’ rapaci proconsoli +fa uso di spugna; risecchi gli manda ai migliori uffizi perchè +si bagnino bene e — quando ripieni — gli strizza a suo pro. +</p> + +<p> +— Che! Tu a torto lo ingiuri. Dovette angariare i popoli +per necessità. Dovette punire i ladri per dovere. Fatto imperatore +<span class="pagenum" id="Page_220">[220]</span> +e trovato il fisco e lo erario povero e vòto, volle ridurre +la repubblica nello stato di prima e fare che la rimanesse +in piedi. E dei denari ingiustamente presi fece ottimo +uso. Non sostentò i bisognosi cittadini consolari, dando loro +un annua provvigione? Non rifece le mura e gli edifizi di +molte città, guaste dal tremuoto e dalle arsioni? E qui ne hai +la prova. +</p> + +<p> +— Sia che vuolsi. Eh! non basta. Saria d’uopo che il +pontefice massimo — sì buono e pio come tu pensi — ottenesse +almeno da Venere fisica il favore speciale e perpetuo per le +genti latine che tutte le giovanette fossero belle. Allora sì che +lo Stato avrebbe ragione di confiscare le successioni devolute +ai celibi ostinati. +</p> + +<p> +— Bando agli scherzi. Nel disordine generale dei costumi +e delle abitudini il carico di una moglie può patirlo un cavaliere +che abbia spogliato una provincia come Verre, o tratto +un re vinto dietro il suo carro trionfale, od empito la sua +casa e le sue ville di schiavi. Le donne si contentavano un +giorno dei profumi campani. Ora se non vengono dalle Indie, +li gittano schifate alle loro liberte, e conviene surrogarli con +quelli che — a parola di chi gli spaccia — furono trasportati +in Italia malgrado la collera di Nettuno, gli artigli dei dragoni +alati e le zanne delle bestie feroci. +</p> + +<p> +— E i diamanti? E le perle? E le gemme incise? E gli +anelli che cingono tutte le articolazioni delle mani, e che si +cambiano in ogni giorno della settimana? +</p> + +<p> +— E sì! Tiberio se n’ebbe a scandalizzare, e di Capreas ne +scrisse al Senato. Ora la seta tessuta nell’India, sfilata e ritessuta +col lino e colla lana nell’isola di Cos, <i>ventus textilis, +nebula</i>, e così trasparente, che se non stretta al corpo con +mille pieghe, mostrerebbe la dermide a traverso, la sfatano. +Vogliono <i>vestis holoserica bombycina</i>, tutta filata dal verme. +</p> + +<p> +— Oh! in quanto a me son lieto di facili e poco spendiosi +amori. La bella iddia gli sostenga, ed Iside gli aiuti. Sai? +Sulle corna dei buoi cattivi sogliono legare fascetti di paglia +per avvertire chi passa a non accostarsi.... +</p> + +<p> +— Intendo. Nelle fanciulle inquiete e vogliose del nodo +erculeo vedi il fieno sui corni.... O, lascia ch’io saluti Pontico +<span class="pagenum" id="Page_221">[221]</span> +e Vibio che sulla rivolta tendono al Foro. Io vado da Quinto +Poppæo pei suffragi. — +</p> + +<p> +Ai passi frettolosi, gli altri si fermarono, i magistrati si +volsero, e tutti si strinsero amicalmente le mani e si salutarono. +Quale per una via, quale per un’altra. +</p> + +<p> +Ma Lepta, camminando sul margine laterale del tempio +alla Fortuna Augusta, e ripensando ai lieti amori di Acilio, +inaccessibili alle cure ed al carico della famiglia, considerò +valer meglio per lui il visitare la donna del cuor suo che mendicare +i voti dallo edile per le prossime elezioni. Alla vanità +il domani. Discese la lunga strada, voltò in quella Deciale che +mena alla porta di Stabia, torse i passi a sinistra e si volse a +diritta verso la porta di Nola. Quella parte della città era un +laberinto di sentieruoli stretti, colle mura delle case puntellate; +e sotto, tegole rotte e marmi spezzati, sparsi sulle corti +e persino sui tetti degl’impluvii. Le dimore dei ricchi erano +intatte od ancora nelle mani degli artefici. Tratto tratto parecchie +case colle aderenti botteghe escivano bianche e ristorate +dalle concomitanti ruine. Qua e là, alcune donne, dagli +occhi neri, espressivi, e dalle bocche fine e graziose, frenando +i loro vivaci bambini seminudi, si facevano sugli usci e sorridendo +mestamente a lui che passava, dicevano: +</p> + +<p> +— Sii il benvenuto in questi luoghi desolati. La tua gravità, +la tua eccellenza abbia pietà delle nostre disgrazie. Se +sei uomo di pubblico affare — le tue sembianze dicono che tu +il sia — ripara a tanta miseria. Le volte crollarono. Le mura +hanno lesioni. Se piove, l’acqua c’infradicia. Gli è come dormir +sulla via. Fa’ che non s’invidino i morti sotto le macerie. +Venere ti sia propizia, o nobile pompeiano. — +</p> + +<p> +Per un cuore innamorato le parole delle donne colpite +dalla sventura sono come le lacrime voluttuose che caddero +dalle chiome della iddia di Pafo al subito uscire dal mare. +Le prime inteneriscono. Le altre fecero sbocciare le rose sotto +i piedi divini. I suoi pensieri inebriati dal profumo di una +donna lo trassero ad atti di carità che in altra circostanza +avrebbe negato. Sciolse i nodi della <i>manticula</i> e tanti assi e +tanti denari vi trovò, tanti ne diede. Disse non esser egli +magistrato. — Sperarlo. — Ma amico degli amministratori +<span class="pagenum" id="Page_222">[222]</span> +della Colonia. Sapere che dall’Urbe sarebbero venuti soccorsi +e provvidenze. Le povere famiglie si racconsolarono. +</p> + +<p> +Gli Oschi — i primi abitatori di questa contrada — sapeano +per tradizione come il monte soprastante al golfo avesse +bruciato da tempi immemorabili. E perciò lo chiamarono <i>Vesbius</i>, +che valea quanto dire <i>fuoco estinto</i>. L’ultimo suo incendio +però era ignoto ad ogni poesia. Solo supponevasi che +in tale circostanza fosse stato colmato il vasto e lungo golfo +che per lo stretto dell’antica Marcina si congiungeva al mare +di Salernum, dando così origine alla immensa pianura di +Nola, di Nuceria e di Sarnus. Corsero secoli, e il monte si +cinse per ogni lato di fertili campi, di verdi pampini, il cui +frutto generoso empiva del suo succo le anfore. Sui pianori, +sul pendìo delle sue amene colline erano sontuose ville coi +terrazzi, colle torri per godere lontane vedute, coi giardini +creati dagli schiavi <i>topiarii</i>, adorni di statue, cinti da piante +fronzute e verdeggianti ed intersecati da ruscelli e da laghi. +Un giorno, ai tempi della congiura di Catilina, Marco Herennio, +decurione di Pompei, cadde morto nel Foro, colpito dal +fulmine. Il cielo era sereno. Il sole, raggiante. Cicerone compose +su quel fatto strano due pessimi versi ridicoleggiati da +Crispo Sallustio. E nessuno seppe indagare la causa di quel +fatale avvenimento. In vero, la folgore dovette provenire dal +soverchio elettricismo adunatosi nel monte. Nell’anno 803 di +Roma — pari al 50 dell’êra nostra — i tremuoti cominciarono +ad affliggere la Campania. E nel 63 — due lustri prima +dei casi che narro in coteste pagine — la scossa del suolo fu +terribile, continovata e fatale. Nerone imperatore trovavasi +nel teatro di Neapolis, canterellando colla chioccia voce un’aria +sua favorita. In lui potè più l’arte mal coltivata che la vigliaccheria +d’istinto. E quantunque il <i>visorium</i> pieno zeppo di spettatori +ed il <i>proscenium</i> traballassero, non volle imitare quelli +che escivano a furia, finchè non ebbe terminato il suo trillo. +Erano le none di febbraio, cioè il dì cinque di quel mese, quando +le città e gli oppidi sedenti sulle rive, che formano col loro +incurvamento il ridente cratere partenopeo, furono maltrattati +dal violento flagello. Una parte di Herculanum venne distrutta; +un’altra screpolata e guasta. La colonia di Nuceria, +<span class="pagenum" id="Page_223">[223]</span> +se non rovinata, malconcia. Neapolis soffrì perdite piuttosto +particolari che pubbliche. Molte case di campagna risentirono +scosse senza gravi effetti. Stabia ed Oplonti ruinarono. Pompei +fu devastata. Le statue del Foro caddero dai loro piedistalli. +La morìa degli abitanti sommò a parecchie migliaia. Un gregge +di seicento pecore fu schiacciato sotto le macìe. E i campi vicini +si videro funestati da gente errante priva di conoscenza +e di sensi. La misera città rimase per qualche giorni deserta. +Quindi risorse a poco a poco più bella dalle rovine. Alcune +case si ampliarono; giunsero decoratori di ogni parte; il commercio +straniero rifiorì più che mai. La pietà dei congiunti +surrogò le cornici e le tavole di marmo agli ornamenti di +tufo, o di stucco dei sepolcreti. Il bigottismo di Nonnio Popidio +Celsino fece ricostruire di proprio il tempio d’Iside. I devoti +ripararono il portico del Fano di Venere protettrice, cangiandone +l’ordine in un corintio di fantasia; il fregio dorico +fu ricoperto di stucco; una statua nuova rimpiazzò la spezzata; +e nuove pitture dai vivi colori, rappresentanti paesaggi, +ville sontuose — come l’Isola Bella sul Lago Verbano — interni +con figure alle quali l’artista die’ teste d’uomini a corpi +di fanciulli — riabbellirono le pareti del porticato. I duumviri +Sepunio Sandiliano ed Herennio Epidiano sul lato della gradinata +che mena alla edicola fecero collocare a loro spese una +colonna ionica di cipollino sormontata da un quadrante solare. +Il tempio greco nel Foro <i>Hecatonstylon</i>, il più puro degli edifici +pubblici in Pompei, venne completamente restaurato dai +commercianti e dedicato a Nettuno, il dio che favoriva i loro +grossi guadagni. Le Terme furono riparate per le prime dai +munifici cittadini. Ed il tremuoto avendo assai danneggiato il +tempio di Giove e il colonnato del Foro, i duumviri ordinarono +che le colonne doriche del portico ch’erano di tufo si ricostruissero +di pietra calcarea, e pur di travertino si selciasse +il parallelogrammo dell’area. Le statue che decoravano i piedestalli +furono provvisoriamente serbate in un vasto pubblico +edificio. +</p> + +<p> +Nel periodo di quasi tre lustri molte erano state le novità +incresciose e consolanti nel mondo romano. Laodicea, +grossa città dell’Asia, erasi rovinata per tremuoti, al pari di +<span class="pagenum" id="Page_224">[224]</span> +Pompei e di Herculanum, e di proprio rifatta. Puteoli, terra +antica, rinomata da Nerone, poi che colonia. In Tarentum ed +in Anctium, posti a guardia vecchi soldati per ripopolarle coi +lor maritaggi, furono diserte da quei raccogliticci, insofferenti +di famigliari cure. Nerone, stanco di Ottavia, aveva sposato +la concubina Poppæa, sposa ad Ottone, che amandola, mal suo +grado glie la concesse. Ma l’ira del popolo lo incitò ad un ripiego. +E chiamato a sè Aniceto: +</p> + +<p> +— Tu mi campasti dalla madre insidiatrice. Fammi minore +servigio. Levami dinnanzi la odiata moglie. Nè mani. +Nè ferro. Testimonia averlati goduta. — +</p> + +<p> +Il dirotto in mal fare confessò il vitupero. N’ebbe a premio +dovizie e confino in Sardinia. E la casta donna, lacrimosa +più che per mille morti, partì per la Pandataria. Aveva venti +anni. E colà i soldati le segarono le vene. Nell’816 nacque +dalle nuove nozze una figlia in Anctium, e questa dopo quattro +mesi morì. Furono chiamate Auguste ambedue. E le pazzie +pei natali e pel lutto, sì di Cesare che del senato, furono +fatali ai dignitosi ed onesti. Egli, per consolarsi, cantava vestito +da Apollo, o da femmina. E forzava gli applausi. E cominciò +i mangiari in pubblico. Fra due colli era il lago di +Agrippa; e sulle acque fe’ costruire un tavolato, mobile, ove +pose il convito, tirato da triremi, commesso d’oro e di avorio. +Remavano cinedi, maestri in libidine. Erano tende rizzate +sulle rive con matrone e sciupate ignude. Cessata la imbandigione +e venuta la notte, i boschetti e le case dei colli risuonarono +di canti; e i falò illuminarono la scena. Aocchiato +uno stallone in quella mandra vituperata, lo volle marito. E +Pitagora fu lo sposo di Cesare per le ceremonie di uso. E lo +imperatore del mondo coprì il capo di velo giallo. Udì gli augurii. +Si decretò la dote. E i torchi scacciarono le tenebre attorno +il letto geniale. Per frode del principe Roma bruciò. +Fra il monte Palatino ed il Celio le botteghe piene di merci +furono esca alle case. La vecchia viuzza, i torti quatrivi, preda +alle fiamme sui colli e sul piano. Grande la morìa. Ma gli +scampati ricoverò nei palagi e nei templi. Fece venir masserizie +da Ostia e rinvilì il prezzo del grano. Rifece il palazzo +imperiale, di miracolo, per opera degli architetti Severo e +<span class="pagenum" id="Page_225">[225]</span> +Celere, con selve allo intorno, laghi e bellezze sopra natura. +E surse l’Urbe nuova. E non più a vanvera come era dapprima. +Ma larghe strade con traverse fatte a misura, con più +larghe piazze. E per distrarre le ire popolari contro lo autor +dello incendio — ignoto a veruno — furono stranamente puniti +quali rei del delitto i palesi credenti alle parole del Cristo; +i quali ne’ tormenti altri molti ne nominarono; — i preti +avranno santificato anche questi? — e tutti furono uccisi in +modo vario e spietato, quali nemici al genere umano. +</p> + +<p> +Una vasta congiura minacciò i giorni del mostro imperiale. +Spillata la cosa e fatta certa, Caio Pisone, e i suoi amici, +e gli affidati, e gl’insofferenti l’onta del nome romano empirono +l’Urbe di mortori e il Campidoglio di vittime. — Una +sera, tornato dal teatro, ove aveva cantato i suoi versi e +chiesto in ginocchio, a mani giunte, le battute ed i plausi dal +popolo, Nerone, crucciatosi con Poppæa, le die’ un calcio nel +ventre pregno e la uccise. Ne fu dolente a suo modo. E salito +in ringhiera, ne lodò alla folla le belle membra, non la virtù. — Tempeste +e pestilenza desolarono Italia. Ma il signore del +mondo era più grave di ogni malanno. E un bel dì i pretoriani +stanchi lo abbandonarono solo nel palagio. Ond’egli impaurito +fuggiva; e sentendosi inseguito, si appiatta dietro il +muro di un orto, cerca trafiggersi, ma al grande omicida +delle migliaia manca il cuore di spingere il ferro nelle viscere. +Epafrodito, scrittor di memoriali, lo aiuta a morire. E +il citaredo non lamenta lo impero, sì l’arte che in lui perde +il migliore tra i suoi cultori. +</p> + +<p> +L’allegrezza nell’universale fu grande. La plebe coi cappelli +in testa andò a zonzo per la città quasi di schiava fatta +libera. +</p> + +<p> +Livio Ocellare, di Fondi, che poi si chiamò Sergio Sulpizio +Galba, settuagenario e gottoso, proclamato imperatore +da Vindice e dai suoi legionari, venne d’Iberia in Roma non +molto gradito dal popolo, perchè vecchio, rigido, modesto, +schiavo dei liberti, stretto di mano e brutto; nè accetto ai +pretoriani, alle neroniane largizioni avvezzi, i quali più amavano +i vizi che le virtù dei principi. Adottò a figliuolo e nominò +Cesare Pisone Frugi Liciniano, giovane nobile e valoroso. +<span class="pagenum" id="Page_226">[226]</span> +E presentandolo alla folla e alle milizie, disse secco +secco: — <i>Vir virum legit</i> — cioè, con alquanta boria, +espresse come un prode eleggesse un prode. E non parlò di +donativo, nè di feste, nè di spettacoli, nè di baldorie. Quelle +sue grinze accompagnate da tanto rigore antico non erano più +di stagione. +</p> + +<p> +Ma Silvio Othone — compagno negli stravizi al morto +principe, marito di Poppæa Sabina ceduta ed amata, sì che +Nerone geloso l’ebbe a sbandire dall’Urbe e un distico famoso +sentenziò Othone adultero della propria consorte — comperò +l’animo dei soldati colla promessa di riserbare per +sè quella pecunia che da essi fossegli conceduta. E tre dì poi +dalla proclamazione di Pisone, questi e Galba morirono scannati +nel Foro presso la voragine, ove M. Curzio erasi gittato +in antico col cavallo ed in armi. +</p> + +<p> +La plebe corrotta, non capendo in sè dalla gioia, il salutò +col nome di Nerone. E le prime epistole ai governatori delle +provincie le sottoscrisse con siffatto cognome aggiunto al proprio. +Ma già Aulo Vitellio — l’uom dalle prodighe cure — era +proclamato imperatore dallo esercito di Germania. Othone +se gli offre compagno e genero. Nemico egli era alle guerre +civili e punto sanguinario. Pure dovette ire incontro coi suoi +alle genti che Vitellio mandava innanzi. Fabio Valente coll’aquila +della quinta legione per le Alpi Cozie; Cecina colla ventunesima +pei monti pennini. Le due osti si azzuffarono. Scaramucciano +in Cremona, in Brescello; ma la giornata fu grande +presso Bebriaco in favore di Vitellio. Othone poteva ritentare +la prova atroce, lacrimevole, dubbia coll’arrischiata virtù +dei suoi. Non volle. Giudicassero di lui i secoli. Bevve acqua +fresca. Tenne aperto l’uscio della casa. Dormì placidamente +tutta notte. E in sull’alba ridesto, tastò la punta di due pugnali, +ne scelse uno e se lo infilzò sul cuore. Fu arso e sotterrato +incontanente dalla pietà dei soldati presso a Veliternum. +Dopo 95 giorni d’impero morì a 37 anni, con fama di virtù, +di molti vizi, e di aver promosso la morte di Galba, non +per sete di signoria, ma per restituire la libertà perduta ai +Romani. +</p> + +<p> +Il nuovo era uomo di ventre. Fu a vitupero chiamato lo +<span class="pagenum" id="Page_227">[227]</span> +Spintria, quando cogli altri giovani s’intrattenne nella corte +di Tiberio in Capreas. E ligio a Caligola, a Claudio e a Nerone, +ottenne magistrature e consolati, e da Galba il comando della +Germania inferiore. Era sua gloria la gozzoviglia, e compartiva +i suoi pasti in asciolvere, desinare, cenare e pusignare. E imponeva +ai grandi di convitarlo. Ed ogni apparecchio non costava +meno di cinquanta mila denari. È famosa la cena imbanditagli, +dal fratello il dì del suo ingresso nell’Urbe. Vi consacrò un +piatto, — il quale per la smisurata ampiezza ei chiamò lo scudo +di Minerva — ov’erano mescolati fegati di scaro, cervella di +fagiano, lingue di psittaci, latte di murene. E vi furono consumati +duemila pesci elettissimi e settemila uccelli. Nè men +fu crudele che ghiotto. I possibilmente rivali, avvelenati, ed +alcun di sua mano. I creditori e gli usurai suoi, uccisi alla +sua presenza per pascer l’occhio — ei diceva — ed esser +certo di averli saldati. +</p> + +<p> +Dopo otto mesi di tale imperio gli eserciti della Mesia, +della Schiavonia, quel di Giudea e di Sorìa si ribellarono, obbligando +la fede a Flavio Vespasiano. Vitellio ne impaurì. +Tentò un’abdicazione a pro di ogni scelta, e comperò la salute +da Flavio Sabino e dai suoi Reatini. A tradimento condottili +al Campidoglio, gli arse nel tempio di Giove, nell’atto +ch’ei banchettava nel prossimo palazzo di Tiberio. Approssimantisi +le coorti, mandò loro innanzi le vestali per chiamar +pace. Intanto fuggì per la campagna in compagnia del cuoco +e del suo pistore. E tornato in casa sulla voce della vita consentitagli, +abbandonato da tutti, rubacchiò in furia un po’ di +oro, lo chiuse in una cintola e si fortificò nella stanza dell’ostiario. +Colà lo trovò l’antiguardo e, lui piagnucolante trascinarono +con una cavezza alla gola e, mezzo ignudo, giù per +la Via Sacra, tra i dileggi della plebaglia che gli gittava sulla +persona sterco e fango e lo chiamava incendiario e lecca-piatti. +Finalmente, lancettato, pizzicato, urtato, ferito di lancia +e di gladio, cadde morto a piè delle scale Gemonie. E trascinatala +con un uncino, quella cosa sozza la scaraventarono nel +Tevere. +</p> + +<p> +Come le materie da incendio accrescono le arsioni, così +il nuncio della sua morte infellonì vie peggio la plebe. Le vie +<span class="pagenum" id="Page_228">[228]</span> +piene di cadaveri. I templi, di sangue. Per la scusa di trar +fuori i nascosti, rovistati i palagi, frugati i ripostigli. E chi si +opponeva ai soldati, ucciso. E la canaglia morta di fame, sfondava, +bruciava, e gavazzava nell’insolente disordine, nello spietato +carnaio. +</p> + +<p> +Il senato decretò a Vespasiano gli onori usati ai principi, +e chiamò il nuovo imperatore Consolo insieme con Tito. L’altro +figliuolo, Domiziano, fece pretore con podestà consolare. +Flavio scrisse con modestia di sè, con magnificenza della repubblica. +</p> + +<p> +L’Urbe per le frequenti arsioni e rovine — ristorata un +po’ da Nerone — era sformata, e guasta. Laonde, Flavio ordinò +che i padroni dell’area vuota non edificando, chi volesse +la riempisse di casamenti. Egli restituì il Campidoglio, e fu il +primo a portar via sulle spalle corbellate di calcinacci, di cui +ingombro era il luogo. E vi rifece tremila tavole di rame — già +logore e quasi fuse dal fuoco — sui modelli e sulle scritture +antiche di quelle. Non che uno inventario delle cose pubbliche +dai tempi remoti, nel quale si contenevano le deliberazioni +del senato, i plebisciti, le confederazioni pattovite, e i +privilegi conceduti a chiunque, dall’evo romuleo sino allora. +Rizzò il tempio della Pace sulla piazza; lo anfiteatro, secondo +il modello ideato da Augusto; e il monumento al divo Claudio, +incominciato da Agrippina e disfatto dal suo figliuolo parricida. +Ridusse l’ordine dei cavalieri e dei senatori allo splendore +antico e gli portò al solito numero, radendone le persone +vili ed ignobili, e posti ne’ loro stalli uomini dabbene d’Italia +e di fuori. Ed, occorse aspre parole tra un senatore ed un +cavaliere, sentenziò, brutta cosa fare atto d’ingiuria ad uom +del senato; ma rispondere ingiuriosamente a quelle ingiurie +essere cosa lecita e civile. +</p> + +<p> +Mai dissimulò la bassezza dei suoi natali. Permise a tutti +la libertà del dire, e fu tollerante verso chi malediceva di lui. +Obliò di gran cuore le offese; nè temette le inimicizie o tolse +via la usanza di far cercare coloro che venivano a salutarlo, +se essi avesser armi nascoste, costume durato fin dai tempi +della guerra civile. +</p> + +<p> +Si palesò però avaro ed ingordo. Addoppiò i tributi e si +<span class="pagenum" id="Page_229">[229]</span> +die’ a negozi da vergogna, quando anche fosse stato uomo +privato. E’ pare che cotal difetto lo avesse di natura come +quelli che arricchiscono dopo umiliante povertà e lunga. +Laonde un vecchio bifolco — che a lui chiedeva lo affrancamento +ed egli rifiutoglielo senza denari — rampognò lo imperatore +col dirgli: +</p> + +<p> +— «La volpe muta il pelo e non il costume.» — +</p> + +<p> +Malgrado ciò, largamente pagò i maestri di retorica greci +e latini, formò la sua corte di uomini dotti ed eccellenti nelle +lettere e nelle arti, restituì i giuochi e le recitazioni antiche, +premiò poeti, tragedi e citaristi. +</p> + +<p> +E in Falacrine, suo luogo natale, lasciò la casa che prima +vi era, per soddisfare ai suoi occhi e ricordarsi con modesto +orgoglio dell’antica dimora. +</p> + +<p> +Quinto Lepta, ancora commosso dalle miserie del popolo, +entrò in una casa piena di melodia. Dal fondo, presso lo xysto, +uscivano da una cetra i sospiri di un’anima stanca dalle ricerche +delle gioie terrestri, gli accordi di una tristezza passionata, +gli accenti di un amor combattuto, tempesta che ancor +tramanda i profumi delle rose e delle viole sbattute ed infrante. +A lato dell’uscio chiuso, ad altezza d’uomo era un +foro rotondo coperto da un vetro. Da quel buco vedevasi per +di dietro una donna assisa, in su i trent’anni, evocando il +coro de’ suoi pensieri colle sue dita di sibilla. +</p> + +<p> +— O divina creatura! La donna appartiene allo amore +come l’erba dei prati allo armento. Byrrhia con quei capelli +accesi dai sensuali ardori, con quello aspetto di grappolo indorato +dal sole, mi brucia l’anima e il corpo. — +</p> + +<p> +E senz’altro, rotto il filo ai pensieri che gli si arruffavano, +spinse la porta ed entrò. La donna, nel volgersi, emise +un raggio luminoso dai suoi occhi vivaci e neri, velati da +una nube di tenerezza e da un mesto sorriso. Le loro bocche +s’incontrarono. +</p> + +<p> +— <i>Suavia et iterum suavia.</i> Io sono lieta che tu mi desideri +con ardore. +</p> + +<p> +— Sì, altri baci ancora, o dolcissima tra le cose. Io te +desidero ed amo.... La celeste armonia mi penetrò nel profondo. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_230">[230]</span> +</p> + +<p> +— Era un’ode di Sapho di una singolare potenza, disordinata +come la passione, lamentosa come il dolore. Misera! +Quanto soffrì. La sola Morte colle sue dita affilate può medicare +una ferita pari alla sua... Ma tu non mi spingerai allo +scoglio d’Ercole per chiedere l’oblio ai gorghi del mare. +</p> + +<p> +— <i>Unum habeo solatium in te</i>, o Byrrhia. Arrida ad entrambi +la bella dea Pompeiana. +</p> + +<p> +— E arriderà! Ha spesso i miei doni e le mie preci ferventi. +Oh! Abbracciami, Quinto. Il tuo affetto è la pietra che +ricuopre il mio cuore. Ebbene! sii custode di questo sepolcro +ove riposa la innamorata anima mia, e nessuno saprà penetrarvi. — +</p> + +<p> +La stanzuccia, ove i due felici si trovavano soli, aveva +sulle pareti gioconde pitture, per terra un tappeto discreto, +una <i>cathedra</i> — specie di lettuccio di legno dorato e coperto +di un materasso purpureo di piume — un tavolino leggero +con sopra due vasi di <i>mourrhina</i>, e dallo xysto vi entrava il +profumo dei fiori che riscuote come la musica, ed ammalia +come lo sguardo. Le più fredde virtù si sarebbero fuse sotto +quei raggi d’oro della eleganza e dello amore. +</p> + +<p> +La indolenza è una felicità. E la felicità è orizzontale. +</p> + +<p> +Lachesis poteva rompere lo stame di quelle due vite. Esse +avrebbero veduto nel Tartaro con occhio eterno le prospettive +magiche di quei novissimi istanti! +</p> + +<p> +O Amore! giocondissimo iddio, tu non puoi rendere la +creatura continuamente felice col medesimo oggetto, a dispetto +di ogni promessa e malgrado le più seducenti speranze. Bambino, +non prendi persona, nè invecchi. Muori e rinasci. Da secoli +infiniti le tue vampe si allumano e si spengono nel cuore +istesso. E se vi hanno anime le quali bruciano senza farsi mai +cange, esse usurpano il tuo nome, o Amore, e calunniano la +tua nobile ed infedele esistenza. Sono caparbi — indifferenti — rosi +dalla noia — impigriti dalle abitudini — dimezzati dal disgusto. — Sono +ipocriti od imbecilli, che natura diseredava.... +ed io li so, ed ognun che mi legge li nomina della sua mente. +</p> + +<p> +Nella <i>fauces</i> presso l’atrio di quella casa erano seduti per +le terre Chresto e Methe Cominiæs, due schiavi, l’uno di dieciotto, +l’altra di sedici anni. Giuocavano cogli astragoli. Gli +<span class="pagenum" id="Page_231">[231]</span> +gittavano in aria sul dorso della mano a uno, a due, a tre, a +quattro, a cinque e li raccoglievano sulla palma. Bisognava +esser destri e prestarvi attenzione. La fanciulla vinceva. — Chresto +badava più ai di lei occhi che ai <i>tari</i>. +</p> + +<p> +— Tu fai sempre il colpo del carro, o il colpo dello avvoltoio. +Di’, a che pensi così distratto? +</p> + +<p> +— Penso.... penso al nostro padrone Aulo Vezio, il quale +mangiava le sue allegre cene sui piatti della bilancia di Temi +ed ora Byrrhia le digerisce per lui. +</p> + +<p> +— Vuoi che intisichisca per dolore? +</p> + +<p> +— Mai no. La sua disonestà non la inghiotto nè sputo. +Ma cacciare il chiodo sì presto nel muro! +</p> + +<p> +— Per ribadir l’altro.... Gli è perciò che tu.... +</p> + +<p> +Il giovinetto drizzò lo sguardo nuovamente sul viso pallido, +sulle linee delicate e fine, su tutta la persona appetitosa +che avea dinanzi, e quello sguardo acuto impedì che la frase +si terminasse. Ma ei la compì, pronunciando per sè medesimo: +</p> + +<p> +— Perchè non mi promette una serie di giorni felici!... +La donna qui è tra la terra ed il cielo. La poesia la esalta +lassù nelle nubi. Chi passa la ghermisce e l’ha.... <i>Res fragilis!</i> +O spettro di Vezio, quali corone tu aduni in questi giorni nell’urna +delle tue ceneri! +</p> + +<p> +— Chi deve.... prometterti felicità, o Chresto? +</p> + +<p> +— Chi?... Una fanciulla che da parecchie notti mi vieta +il sonno e che forse si destina ad uomo che val meno di me. +Apparterrà ad un imbecille, all’<i>atriensis</i>, allo <i>structor</i>, che +apparecchia il desco, od al <i>coquus</i>, quello animalaccio venuto +di Sicilia, il quale ruba la riputazione che gli danno.... Ed io +l’amo e la merito, per Ercole! +</p> + +<p> +— Nel mentre, o Chresto, tu ristai melanconico e dubbioso +dinanzi all’<i>ostium</i>, non ti avvedi che la desiderata ritira +i <i>pessuli</i> dall’uscio ed attende che tu lo spinga!... Io sono nella +luna di mele del tuo e mio primo amore e provo in ascoltarti +e in vederti delizie ineffabili. +</p> + +<p> +— È egli vero? Vuoi tu essere la mia <i>contubernalis</i>? +</p> + +<p> +— Ma che chieggo io a Venere sacra dal dì in cui venisti +sul mio sentiero? +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_232">[232]</span> +</p> + +<p> +— Vieni tra le mie braccia, <i>lux mea</i>. Non essa oggi la +sola felice. Anche noi! — +</p> + +<p> +Salirono al piano superiore ed assaporarono l’ora presente +coll’audacia di chi non teme i tradimenti dello avvenire +ed obliarono le tristezze cuocenti del giorno svanito. — La felicità +è di gaio umore; non può star chiusa; è meridionale; +esce di casa e va via ciarlando. Gli è perciò che dieciotto secoli +più tardi, interrogando i muri della mia offesa Pompei, +vi lessi cotesto graffito indiscreto. +</p> + +<p> +<i>Methe Cominiæs, Atellana, amat Chrestum corde. Sit +utreisque Venus Pompeiana propitia. Et semper concordes +veivant.</i> +</p> + +<p> +Presso queste anime piacevolmente innamorate — che +dedicavano il loro tempo alla iddia sorridente e gioconda — altre +erano in Pompei allegre e chiassone, il cui punto di +riunione, pria delle Terme, erano le <i>tonstrinæ</i>, luoghi di +perdi-giorni, di novellieri e di ricchi fannulloni. Siccome i +Greci avevano il costume di tagliarsi i capelli e di farsi radere, +di Sicilia cotesta moda risalì il littorale peninsulare e +nel 454 di Roma l’uso divenne quasi comune nel mondo all’Urbe +soggetto. Nella età di quarant’anni Scipione Africano +si fe’ radere tutti i giorni, e non fu persona distinta in Italia +che in seguito non lo imitasse. In Pompei la industria dei tonsores +fu dapprima in pien’aria finchè contarono tra i loro +clienti i marinai e la plebe. Allorchè la comoda usanza venne +adottata dalla grande maggioranza dei Quiriti, tornando indietro +nobilitata, richiese eleganti botteghe e stanzucce appartate +nei migliori quartieri della città; graziosi musaici e +grandi specchi; <i>camini portatiles, foculi, ignitabula, escharæ</i>, +cioè bracieri di varie forme per riscaldarvi i <i>calamistri</i>; piccoli +rasoi, adatti allo scopo, detti <i>novacula</i>; larghe e brevi +cesoie che addimandavansi <i>axiciæ</i>; e sottili mollette, nominate +<i>volsellæ</i>. Avvegnachè, in quelle botteghe uno potesse +<i>barbam ponere</i>, se volea farsi radere, o <i>tondere forfice</i>, se +preferiva corti i capelli; o <i>pillos vellere</i>, se piacevasi di quella +effeminata abitudine di farsi carpire i peli colle pinzette sul +mento, sotto le ascelle e in altre parti della persona. Alcune +schiave — <i>ustriculæ</i> — erano addette a cotesto ufficio. Altre +<span class="pagenum" id="Page_233">[233]</span> +dette — <i>tonstrices</i> — spargevano sul mento una specie di pomata +che avea nome <i>psilothrum</i> o <i>dropax</i>; oppure lo imbrattavano +con certa pasta veneta, o resina calda; che Giovenale +chiama <i>calidi fascia visci</i> e quindi coi <i>novacula</i>, estratti dalla +<i>theca</i> ricurva, mondavano la epidermide. I più delicati e +schizzignosi si nettavano il corpo dai peli col farli bruciare +dalla fiamma di un guscio di noce, e poi vi facean passar sopra +la pietra pomice. +</p> + +<p> +La <i>tonstrina</i> dinanzi la Palestra delle Terme, dipendente +dalla casa di Olconio Prisco, aveva due botteghe sul margine +della via dalle fontane di Pallade e dell’Abbondanza, e una +stanza di retro. Era affollata. Vi erano giovani che avevano +fatto arricciare i loro capelli coi ferri caldi e si miravano nello +specchio per osservare se gli anelli fossero tutti eguali. Altri +erano <i>inter pectinem speculumque occupati</i>. Altri <i>uno digito +caput scalpebant</i>. +</p> + +<p> +Un giovane che veniva dal Foro, si appressa al primo +uscio e s’imbatte con un cinquantenne che ne esciva ringiovanito +per la patina esterna. E scherzando gli dice: +</p> + +<p> +— <i>Dispeream!</i> Philomuso, se potea riconoscerti. Ti +aveva incontrato cigno stamane nella <i>salutatio</i> presso Pansa +ed or ti ravviso corvo. Ah! Ah!... Credi tu d’ingannare +Proserpina? La fuligginosa iddia ti strapperà la maschera. +<i>Cave!</i> +</p> + +<p> +— Seguo la moda che in Roma trionfa. Sembra che la +canizie debba essere abolita. Ed io l’abolisco. — Ma, avviso +per avviso, o Mathone. E tu non giuocare con Glaucia presso +il gladio di suo marito tribuno. — <i>Cave!</i> +</p> + +<p> +— E che ho io a temere? +</p> + +<p> +— La pena degli adolescenti. +</p> + +<p> +— Oh! Il taglio è vietato or dalle leggi. +</p> + +<p> +— È forse permesso quel che tu fai? +</p> + +<p> +— E anch’io un avviso, se lo consenti. Non appressare +la face d’amore alla lucerna fumosa di Clancia, la vedova di +dugento mariti. — Buschi nomèa di avaro e nol sei. — +</p> + +<p> +— Rientro nella vita comune e seguo il tuo esempio. +<i>Vale.</i> — +</p> + +<p> +Philomuso andò via, e Mathone entrò nella <i>tonstrina</i>. Uno +<span class="pagenum" id="Page_234">[234]</span> +che si era fatto radere ed allora si faceva arricciare i capelli, +ricurvo sotto l’azione del calamistro, dice: +</p> + +<p> +— Salve, o amico. Che diceati la sciupata di quel buontempone? +</p> + +<p> +— Vuoi parlare della sua amante, o Tongilio? +</p> + +<p> +— No, della sua lingua che taglia e fende. +</p> + +<p> +— <i>Nugæ.</i> Astonio lo ha ringiovanito che sembra un risorto. +Mio padre il conobbe biondo. O perchè il festi nero, +o Astonio miracoloso? +</p> + +<p> +— È la tinta in favore per gli uomini. Per le donne il +rosso ardente. Vedesti Levina di Bleso, per la festa delle <i>Palilies</i>, +alle none di aprile? Per lo anniversario della fondazione +di Roma essa adottò il nuovo colore. Durante il giuoco +troiano — che il giovane Ascanio creò in Alba a ricordo della +patria distrutta — i cavalieri che si avanzavano nel Foro in +ordine di battaglia non miravano che a lei bellissima e, pel +color dei capelli, innovata. Le donne ne ingelosirono e la +imitarono. Nei teatri e nei templi omai non vedi che chiome +ardenti. — Torneranno brune al cader della moda. +</p> + +<p> +Vacerra — un ch’era nella bottega — già sbarbato e +terso, si leva dal seggio ed aggiunge: +</p> + +<p> +— Levina è una Venere mendace, e senza aiuti commette +adulterio. — +</p> + +<p> +Lucio Adirano sorge anch’egli e dice: +</p> + +<p> +— Cotesto forse quando frequentava i bagni di Stabia e i +paesani. Ma, Penelope a Baiæ nell’anno decorso, ti accerto +che Elena ne esciva. +</p> + +<p> +— E qual nume operava il prodigio? Per Ercole! Non +parea pompeiana e civile. +</p> + +<p> +— Il divo Apollo si piacque discendere nella tunica di +Mario Venicio, e Cupido addoppiò lo splendore delle sue faci. +Lo amico nostro passò lo inverno con lei in Neapolis. Ora sono +qui, ed essa brucia alle vampe del suo cuore. +</p> + +<p> +— <i>Ita me bene ament numina excripta</i> che ho dipinti +nell’atrio della mia casa e che veggono le buone e le villane +mie azioni! Davvero che men compiaccio e correggo il mio +errore. — E il marito? +</p> + +<p> +— Cosconio Classico <i>strabo est, pætus et ocella</i>. Con siffatti +<span class="pagenum" id="Page_235">[235]</span> +malanni negli occhi si veggono le paglie nelle altrui case +e non le travi nella propria. E poi in gioventù ne die’ ad +usura. Or glie ne rendono. +</p> + +<p> +— Mathone, ecco Cneo Apro ch’esce dalla stanza. Se +vuoi farti azzimare, entra. — +</p> + +<p> +Il giovane seguì il consiglio del <i>tonsor</i>. La cameruccia era +piccina, ma elegantissima. Sopra una tavola di legno nero e +dorato nelle cornici erano capsule di vetro, bombyli, bilbini, +paropsidi, unguentari, ambici e tazze piene di quelle paste, di +quelle resine, di quelle pomate, di quelle polveri, atte a sbarbarsi, +a tingersi il pelo, a far liscia la pelle e ad imbellettarla. +</p> + +<p> +Una fanciulla ventenne — coperta da una tunica senza +maniche che giungeva sino ai ginocchi e avente sul capo ricciuto +un berretto frigio le cui alette scendeano bellamente +sulle spalle e sul petto — lo attendeva sorridente e graziosa. +Era una delle <i>tonstrices</i>. +</p> + +<p> +Pria di sedersi il giovane — dopo averla attentamente +mirata — le disse: +</p> + +<p> +— Non di qui. — Giunta di fresco? — Quale il tuo nome? +</p> + +<p> +— <i>Mica vocor.</i> — Siracusana. — Da due anni. +</p> + +<p> +— Ben ti chiamarono pagliucola d’oro. Splendi come raggio +di sole. Or fammi degno di colei per cui arde il mio sangue. +</p> + +<p> +— Eccomi. — Ambidue sembrate.... la unione preziosa +del cinnamo e del nardo. La felice miscela del massico col +melo d’Egitto. Venere dispensa a te i suoi favori. Il tempo +passi e.... e non si accorga di lei. +</p> + +<p> +— La conosci? +</p> + +<p> +— Mi è nota. Tutto si sa qui. — Poni i piedi sul <i>suppedaneum</i>. — La +<i>novacula</i> ti par bene affilata? +</p> + +<p> +— Risuona. Ma scorre sulla dermide a maraviglia. +</p> + +<p> +— Ti vidi entrare un dì nella <i>tonstrina</i> di Glaphyro. E ne +provai fugace dolore. E la notte successiva la passai vegliando. +</p> + +<p> +— Perchè? +</p> + +<p> +— Val meglio patire una operazione dal chirurgo Hemos +che farsi radere da Glaphyro e dai suoi Poserio, Spicolo e +Chœria. Pei cinici e per gli stoici, eh! sono adatti. Le facce +stimmatizzate del paese non appartengono già a vecchi atleti, +nè a mariti di donne gelose. No. Ma subirono sfregi dalla +<span class="pagenum" id="Page_236">[236]</span> +mano scellerata di Chœria. E Prometeo ridomanderebbe a +Giove il becco dello avvoltoio se Glaphyro accennasse di carezzarlo +coi suoi rasoi di bronzo. +</p> + +<p> +— Veh! che or mi dirai che le capre serbano il fiocco di +peli per tema di lui... o di lei! — Gelosia di mestiere! +</p> + +<p> +— Ti accerto che Baccara — or mia compagna — lasciò +la bottega, sulla via di Mercurio, per l’orrore del sangue. — Io +temeva per te una soppiatta vendetta! +</p> + +<p> +— Di lui? +</p> + +<p> +— Di lui.... e di Nata. Ti ripeto, noi sappiam tutto +qui. — +</p> + +<p> +Il giovane si volse e la guardò fiso. La fanciulla siracusana +sostenne lo sguardo. +</p> + +<p> +— Parli tu cogli aruspici? Nata, di Cornelio Rufo, è +bella sì, di vivaci occhi, di portamento leggiadro, di lusinghiero +accento: ma è donna di marmo. A contatto, la crederesti +assente. Io l’amai da forsennato.... E l’amo ancora.... Non +essa me. +</p> + +<p> +— Ti amo di vertigine per mesi. Alcune teorie del dovere +le calmarono il cuore. Ti ama pur di memoria e di gelosia +per sè, non per te. Capricciosa donna!... Tortura, non +tortore!... +</p> + +<p> +— Ma come tu sai sì recondite cose? +</p> + +<p> +— I miei, di Egitto in Corinto e di là a Syracosion. Leggo +nelle stelle e negli occhi — altre stelle che rifrangono il lume +dentro e dicono alla nostra gente ascosi arcani. Ne vuoi esempio?... +A Glaucia piace il tuo nome e il trionfo sulla tua fresca +età. È leggiadra, nol nego. Ma.... piacevolmente si vendica in +te del brutto tribuno, il quale è sì magro che par minacci +rientrare un dì o l’altro per sempre d’onde la prima volta +escì fuori. — +</p> + +<p> +La mano di Mica era tremante. La voce tremava. Lucio +Mathone respirò nel vederla posar la <i>novacula</i>. Si asciugò la +faccia, sedette di nuovo per farsi ungere i ricciuti capelli e +soggiunse: +</p> + +<p> +— Calmati, o soave. Non temerò vendette di ferro, poichè +a te mi affido. Tu sarai la mia tonstrice per sempre. +</p> + +<p> +— Sì.... Ma abbandona Glaucia, che non ti merita, al +<span class="pagenum" id="Page_237">[237]</span> +suo diafano marito. Lascia pure a Cornelio Rufo, <i>ancilloriolus</i>, +le vendette tue sulla fredda e calcolatrice Nata. Un altro +cuore si appoggi su quello di Lucio, e la dea pompeiana gli +sarà propizia. — +</p> + +<p> +Mathone si levò, prese colle due mani la testa della fanciulla +siracusana e le baciò gli occhi ripetutamente. Erano +umidi e luccicavano come pianeti. Mica lo abbracciò con ardore +e dentro era convulsa. Si separarono colla promessa di +rivedersi la sera. E, ribaciandosi anche una volta, dissero in +coro quella parola spensierata ch’è sulle labbra di tutti, sì +breve, sì fuggevole, sì mal fida: +</p> + +<p> +— Sempre. — +</p> + +<p> +Allorchè Lucio rientrò nelle sale verdi, dove poc’anzi +avea lasciato i suoi amici, questi non v’erano più. Altri gli +avevano surrogati. Quinzio Volcano e Postumio Afra lo salutarono +tra l’onda fumosa che i caldi <i>calamistri</i> sprigionavano +dai loro capelli. Ateio Capito a lui mestamente sorrise. Misizio +Cotilo e Claudio Pudente narravano aneddoti di famiglie che +eccitavano le risa della briosa brigata. Antonio Saturnino diceva +i pregi di due bei cavalli africani che avea comperato, i +quali anteponeva alla coppia di schiavi sicambri, di recente +acquistati da Capito nel mercato di Herculanum nella occasione +del <i>Regifugium</i>, alle none di febbraio, per cui si solennizzavano +nei grandi centri del vasto impero la cacciata dei +Tarquini e lo affrancamento del popolo romano. Fabullo Nucerio +vantava la bellezza e le grazie di Phlogis e di Chione, +tonstrici della bottega della via Jovia di Antioco. Astonio con +molto rispetto celebrò le sue Mica, Marmerion e Nicidion, abilissime +nel mestiere e di gentile aspetto. Nell’atto si udì uno +strepito nella via che troncò ogni discorso. Nella Palestra di +contro <i>discus crepuebat</i>. Era il segno che le botteghe dovevano +chiudersi, e le terme si aprivano al popolo. I lavori della giornata +erano finiti. +</p> + +<p> +I giovani pagarono Astonio delle sue eleganti fatiche e +partirono. Alcuni entrarono nel pubblico edificio, ove la folla +già conveniva. Ateio Capito, accompagnato dal bellissimo Lucio, +andò per la via delle fontane di Pallade e dell’Abbondanza +verso il Foro, dove si separarono. E Mathone piegò a +<span class="pagenum" id="Page_238">[238]</span> +manca e l’altro a diritta per reddire nelle loro case. L’ultimo +avea la morte nel cuore. E appena solo, mormorò dolorosamente: +</p> + +<p> +— Il più giovane dei miei giovani affetti, la fresca alba +del mio mattino, il lume che schiarava la mia fantasia è partito.... +ritorna nell’Urbe. Essa qui resta amaro e pur delizioso +ricordo — un idilio che ancor commuove il cuore. Ne cerco +macchinalmente la mano colla mia e la ritraggo a me vuota. +Fui lo schiavo di molte maghe. Ma l’ultima.... Aveva fatto di +questo asilo un Eliso.... Oh! le splendide illusioni! fugate +come le foglie secche del bosco! — +</p> + +<p> +Queste parole, a se stesso, in una stanza buia e riccamente +addobbata della casa ch’è di contro alle Terme presso +il Foro e proprio innanzi allo ingresso praticato dalle donne. +</p> + +<p> +Era disteso sur un lettuccio, prostrato, avvilito. Sentiva +nel profondo il fremito dei pensieri alati che corrono ardenti, +che volano verso quelli che si amano e che poi tornano monchi, +desolati e soli. Era passato a traverso di tutte le gioie, +di tutti i disgusti, di tutti i disinganni, di tutte le tristezze, +di tutti i peccati del mondo. Il mistero aveva gittato ogni +velo alla sua presenza. L’anima era giù nello abisso. Molti +nel suo caso in Roma si segavano le vene, o si facevano uccidere +da un liberto. Levossi, scoppiettò colle dita, uscì dal +cubicolo, e s’avviò verso il triclinio, ove bene spesso aveva +fatto gioiosi mangiari. Due giovanetti biondi e cincinnati, i più +belli che fossero in Pompei, Belder e Hado, vestiti succintamente +di un tessuto di lino egizio, apportarono entro ricco +paniere frutti gustosi — pane e idromele — un’anfora di vino +di Chio ed un vaso di argento d’onde esciva il vapore della +acqua bollente. Due piccole tazze dorate erano sul desco. In +una mescevasi il <i>merum vetus</i> e nell’altra più larga e profonda +l’acqua che riscaldasse il vino. Archigenes, giovane +medico in voga, prescriveva — giusta il dettato di Heraclide +di Tarentum — e raccomandava l’uso del vino caldo mangiando +i fichi. +</p> + +<p> +Ateio Capito si trovò solo su quei cuscini, premuti altra +volta da figure animate e graziose. Un raggio di sole pallido +e tristo guizzando tra le foglie degli aranci e tra i cespi di +<span class="pagenum" id="Page_239">[239]</span> +rose dello xysto, entrava sul limitare della stanza e rischiarava +pareti abbellite da squisite pitture. — Leda che presenta +a Tindaro i suoi figli Castore, Polluce ed Elena in un nido — Amore +che si lagna colla madre del disprezzo di Diana — Teseo +che abbandona Arianna. — Mangiò e bevve sbadatamente. +Ombre invisibili lo circondavano e seguivano i suoi +movimenti distratti coi loro lunghi sguardi. +</p> + +<p> +Si ritolse di quivi smanioso. Offerse frutti ai penati nella +edicola in fondo al giardino e andò a ricacciarsi sul letto. +Avea le vertigini. Nulla amava in tal momento...... neppure +la donna — malgrado che sì seducente fosse e che avesse +voluto di proprio moto partire — Nikopolis, la bella greca, +aveva trastullato la sua mente — vi aveva lasciato un vuoto — ma +non si era impadronita del suo cuore. +</p> + +<p> +Hado leva la tenda spessa di panno e con accento gutturale +sicambro pronuncia: +</p> + +<p> +— Padrone, una giovane donna manda a te questa epistola. — +</p> + +<p> +Ateio ruppe il filo che legava il rotolato papiro, staccò il +nodo col suggello di cera; e lesse: +</p> + +<p> +«<i>Chrysis A. Capito suo.</i> +</p> + +<p> +«So le tue cure. Verrò. <i>Deos obsecro ut te conservent.</i>» +</p> + +<p> +Nella corsa state erasi imbattuto in Baiæ con una etera +sedicenne, di una rara bellezza. — Bruna. — I capelli come +ala di corvo coi riflessi turchini. — Ciglia nere e lunghe. — Naso +profilato e formante una linea retta dalla fronte alla base — Ovale +divino. — Sorrideva come altre mai. — E parlava +coi suoi labruzzi di corallo con una volubilità, con una grazia +da incanto. — Nè grande, nè piccola. — Un bello ideale di +donna, di quell’essere incompreso ed incomprensibile; Angiolo +decaduto, sulla cui fronte sembra che Iddio lasciasse piovere +un raggio della sua divinità, e il cui sangue conserva sempre +i ricordi dell’Eden perduto insieme col fomite dell’antica +smania curiosa. Nata ai piedi di un vulcano, ne aveva le furie, +il calore, la bellezza e il mistero. Da essa potevasi attendere +tutto. Gioie di paradiso, annegazione completa, disperazione +da dannato. +</p> + +<p> +— Venere me la manda, e pare la faccia prendere dal +<span class="pagenum" id="Page_240">[240]</span> +malizioso suo figlio. Chrysis è <i>oro che si vende per oro</i>. E +Nikopolis cosa era? Lo ardore dei sensi velato da un ingenuo +civettismo che pur valea aurei nummi. La <i>bastarna</i> che la +porta nell’Urbe non soffra nè la pioggia nè il vento; e le mule +che la trascinano non la ribaltino per via. Rifabbricando sui +ruderi i ricordi estivi, ricompongo i miei giorni felici. — Sì, +<i>suavissima mea</i>, vieni e ti amerò. — +</p> + +<p> +Levossi di letto, stirò le braccia, sbadigliò e riprese; +</p> + +<p> +— Sciocco che io era. Stava soffiando una burrasca in +un simpulo. Tutte eguali! Diverse soltanto dalla voce e dello +incarnato! Essa verrà, e colle dita di rosa raggiusterà il mio +rotto cuore e lo renderà sensitivo e profumato. Stravaganza +insensata l’ostinarsi negli affetti sentiti e di altri tempi! I +miei padri colla virtù della mente e delle braccia conquistarono +il mondo. Quirino lo disse, e noi cel godiamo. È il diritto +degli eredi. L’uomo antico è spogliato. La pellicola vetere +cadde; e chi la conserva, la infradicia nella carcere Mamertina +o soffre la grande o la piccola diminuzione del capo — la +morte — o l’esilio. — Venga Chrysis e sdimenticherò la +noia e quel ridicolo rammarico per l’assenza dell’Ateniese, +pessima cicuta che già scorreva col sangue nelle mie vene. Farei +vergogna al mio nome e al gentil seme latino che regge +l’orbe a capo della nostra possente repubblica. — +</p> + +<p> +Gli attenti lettori di questi miei studi di risurrezione non +taccino di anacronismo le ultime parole di Ateio Capito. Quel +degradato Quirite visse e morì credendosi repubblicano. Non +dobbiamo attribuire agli antichi le distinzioni delle nostre parti +politiche. È lo stesso sproposito dello scultore che pose la <i>lorica</i>, +il <i>sagum</i> militare, la <i>solea</i> coi <i>vincula</i> che legavano i +sandali sulle gambe di Scipione l’Africano alle statue equestri +dei due Ferdinandi della casa Borbone, e la <i>toga pura</i> colla +<i>tunica</i> a quella in piedi di Leopoldo di Lorena. Nel mondo +romano non potevasi fare una distinzione tra repubblica e +monarchia, perchè l’una era la forma dell’altra. Quando +Giulio Cesare ammodernò il reggimento, dicendo che era necessario +tranquillizzare i cittadini col moderare la pubblica +cosa e porre un freno alla licenza e alla dissennatezza omai +generale, le istituzioni rimasero, e nulla fu cangio. Il potere +<span class="pagenum" id="Page_241">[241]</span> +era stato spesso nelle mani di un solo. E i troppi avevano +plaudito alla dittatura. Sì, che sursero sentenze a suo pro. — <i>Nulla +regni societas. — Insociabile est regnum. — Nulla fides +regni sociis.</i> — E allorchè succedaneamente un solo governò +lo impero della repubblica, nessuno si die’ a lamentarlo +perchè pareva acconcio che un sì vasto dominio avesse ad essere +retto da un solo capo. Tacito — il giustissimo e severo +giudice delle peccata dei suoi tempi — apre il libro quarto +dei suoi annali con queste parole: <i>Caio Asinio, Caio Antistio +Coss. nonus Tiberio annus erat compositæ Reipublicæ florentis +domus</i> — cioè — Sendo Consoli Caio Asinio e Caio Antistio, +volgea per Tiberio il nono anno di racchetata repubblica +e di fiorente famiglia. — +</p> + +<p> +Al tempo di cui narro gli avvenimenti in Pompei nessuno +pensava a rovesciare la forma del governo. Ma tutti avrebbero +amato di non trepidare sulla cara vita e sulle acquisite fortune. +Trasea, Tacito, Persio, i fieri patrizi, i filosofi malcontenti aveano +lamentato i vecchi costumi di Roma e gli antichi usi politici +non incompatibili collo impero. Chiedevano che il principe non +nominasse i senatori, nè li radesse a capriccio od a seconda +della mala sua voglia. Nè salisse i liberti ai primi gradi del governo. +Laonde i virtuosi e i pochi onesti non alla Repubblica +erano devoti, ma alla cosa pubblica. +</p> + +<p> +— Odo rumore di voce. È dessa. Viene. — +</p> + +<p> +Ed Ateio non s’ingannava. Trasse a sè la cortina e Chrysis +gli apparve dinanzi come una visione mattinale. +</p> + +<p> +— Eccomi a te, <i>dulcissime animæ meæ</i>. — +</p> + +<p> +E gli cadde tra le braccia. L’altro la baciò sul viso e +colle due mani quasi la cinse. Era un’ape; e infantile, sorridente +e appassionata nell’atto stesso. L’uomo ebbe baci di +ricambio e sentì un filtro soave penetrare lentamente per tutte +le parti del suo essere. Era così noiato poc’anzi. Allora, qual +cambiamento! +</p> + +<p> +— Sono venuta a guarirti. Ti porto un miracoloso amore +sul quale, o ingrato, non sapevi contare. Eppure io so che +soffiavi nei lunghi flauti, affannandoti per una donna il cui +cuore paga i devoti alle calende della sua patria. Credilo. Ti +ostinavi a porre il basto sulla schiena di un bove. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_242">[242]</span> +</p> + +<p> +— E chi è colui che vestì la <i>toga prætexta</i> per le funzioni +di edile senza aver bisogno dei miei suffragi? +</p> + +<p> +— Epidico Rufo, il tuo amico <i>a teneris annis</i>. +</p> + +<p> +— Può crepar gli occhi alla cornacchia, poichè ha lo +sguardo che va sì lontano. Ciò che v’ha di vero è cotesto. Io ti +amo, o Chrysis. E ti dovrò le grazie maggiori se per qualche +giorni — per quanto tempo ti parrà — mi farai qui menare +la vita che vivevamo in Baiæ, quella vita che lascia corredo +di sogni per la età a venire. Prometti? +</p> + +<p> +— Lo giuro per la gentile patrona della nostra Colonia. +</p> + +<p> +— Mira! Tu se’ giunta in tempo. Il sole cade. Farò venire +Epidico e Cæsonio. Con essi le amanti loro. Va nello xysto ad +intesserti la corona di rose. Poi ceneremo lietamente e lungamente. +Thespio, il tricliniarcha, ti aprirà i cubicoli qui, o +sopra e sceglierai. Se temi i tremuoti, meglio stare a terreno. +Comunque tu opini, io sarò presso di te. E morire tra le tue +braccia, o Chrysis, è un desiarsi in grembo a Venere celeste. — +</p> + +<p> +La fanciulla di Neapolis non era una vestale. Nè per +quella vita claustrata avea vocazioni. Le frasi di amore l’erano +ben familiari. Ma dette così — e da lui — le fecero uno strano +effetto. Grosse lacrime le velarono le pupille. Impallidì. Masticò +per qualche istanti il proprio silenzio. Gli prese la testa +fra le mani. Vi pigiò su le labbra convulse e andò via. Quelle +lacrime, quel pallore, quel bacio valevano bene un lungo +discorso. +</p> + +<p> +Ateio si lavò; si profumò; vestì la <i>synthesis</i> che Nerone +fece adottare col proprio esempio; la strinse ai fianchi col +<i>cingulum</i> di seta, le cui estremità pendenti servivano di <i>crumena</i> +da riporvi il danaro; vi appese il <i>sudarium</i>; pose ai +piedi le <i>phæcasiæ</i>, specie di calzatura posta in moda recente +dai Greci; adattò al collo una <i>catenula</i> composta di anelli +d’oro; ed aperta la <i>dactylotheca</i>, trasse da quello astuccio +alcuni cerchi di diamanti, di rubino e di sardonica che aggiunse +al <i>symbolus</i> che serviva di sicurtà ai suoi contratti. E +così andò incontro agli amici nel peristilio e di là al luogo +della festevole <i>comissatio</i>. +</p> + +<p> +Cotesto scioperato era assai giovane. Ventitrè anni. E velava +<span class="pagenum" id="Page_243">[243]</span> +di esagerato scetticismo l’albospino fiorito della età sua +per dinotare come le illusioni le avesse cacciate lontano. +Schiavo del piacere, credeva in esso il solo sovrano possibile, +mai esautorato, della umana stirpe. Talvolta, in mezzo alle +orgie — donde nascea la follia, lo epigramma, il cozzo dei +bicchieri e il tumultuar delle voci — s’isolava in un capriccio, +si racchiudeva in un sogno, volava ad un pensiero che lo togliea +dalla crapula ove gli altri si degradavano. E ciò lo rendea +caro alla fanciulla napolitana la quale lo avrebbe voluto sempre +così. Allora si sentivano di una carne, di uno spirito solo; e le +delicatezze più sacre erano quelle che si ricambiavano. In quella +sera egli le prese furtivamente la mano e la baciò con un rispetto +che lo rendeva felice. +</p> + +<p> +Tra i fumi del vino che invadevano i cervelli e gli scabrosi +parlari, Ateio si curvò verso l’orecchio di Chrysis e le +disse sommessamente: +</p> + +<p> +— Sai comprendermi tu? Io ti amo di tutta l’anima +mia.... come se non avessi amato giammai.... come non pensai +fin qui che avrei amato alcuna donna nella vita. +</p> + +<p> +— Oh! non parlarmi così, luce di sole...... Da qualche +tempo ti guardo e non mi sembri più umano. +</p> + +<p> +— E che rispondi a questo grido del cuore? +</p> + +<p> +— Mi abbia Venere irata se la passione m’inganna... Ma +io perdutamente ti riamo. +</p> + +<p> +— Che io viva, o ch’io muoia, io rivaleggio coi numi. — +</p> + +<p> +La bella fanciulla aveva avuto il suo amante improvvisato +in Baiæ, offertole dal capriccio dei passi. E pur d’improvviso +la era apparsa ad Ateio quando men l’attendeva. +Abitavano ambidue la contrada poco acconcia al viver casto e +pudico. Avevano appartenuto al capriccio, di cui il nome ed +il viso potevano cambiarsi, ma le esigenze sì per lei, come +per lui non cambiavano mai. Amarezze sdegnose, inique collere, +sterili gelosie i miei padri non le conobbero. Rispettavano +il passato come sacro mistero. Ora lo affetto bollente +erasi fatto sangue impetuoso e carne trionfante. — I beoni vedevano +triplo. Le donne avevano il volto acceso e stralunato. — E +nessuno di essi notò quando il <i>pater convivii</i> e la sua +amante si levarono dal <i>textile stragulum</i> per andar via. Essi +<span class="pagenum" id="Page_244">[244]</span> +corsero a celarsi nello Eliso della voluttà e dello amore. +</p> + +<p> +La luna risplende in Pompei come non vidi mai altrove. +Sembra ch’essa corra amorosa per ogni via in cerca del bello +Endimione, di cui tanti i dipinti sulle pareti degli atrii e dei +cubicoli. In quella sera navigava per l’aere azzurro nella sua +pienezza. +</p> + +<p> +Belder era appoggiato al muro sul margine della strada. +Pensava alle sue verdi lande popolate di buoi. Alla indipendenza +della sua razza indomabile. Alla obbrobriosa sua schiavitù. +Egli, libero già come l’usignuolo delle sue native foreste, +ora abbandonato dai suoi rapitori poichè il vendettero, +disperava di più rivedere i ruvidi altari, le funebri collinette +di sabbia sotto le quali posavano calcinate dal fuoco le ossa +dei padri e i ripari di terra dietro cui si erano trincerati i +Kanine-faten per difendere dalla ingorda prepotenza dei Romani +i nati del proprio sangue e le pelli — letto, veste, coperta, +difesa, lusso della loro esordiente civiltà.... E sospirava! +</p> + +<p> +Alto e ben fatto della persona, ventenne, biondi capelli +inanellati gli cadeano sulle spalle — poichè era <i>acersecomes</i>, +cioè, intonso — e una leggera lanuggine gli adombrava il +labbro ed il mento. Aveva uno di quegli ingenui sorrisi che +sembrano tutto comprendere; e tale era lo sguardo racchiuso +nella sua glauca pupilla, a ricordare i disegni capricciosi +delle torbe accese nella capanna ov’era nato, in cui da bambino +pareagli notare i gigli dei laghi, i cespi fioriti delle eriche +e i gruppi dei pini agitati dal vento e guizzanti come onde +oscure di fumo nella spessa ed umida atmosfera. +</p> + +<p> +Un gruppo di giovanette escì parlando e gesticolando e +ridendo dalla porta delle Terme. Erano le liberte e le schiave +di C. Cuspio Pansa che rientravano dopo il bagno dirimpetto, +nella casa vicina. Una delle fanciulle vide più in giù a diritta +il sicambro. La luna lo illuminava tutto. E con una grazia +quasi infantile, che le parole non sanno dipingere, corse a lui +ed aperto gli disse: +</p> + +<p> +— Da che ti vidi mi sembrasti Adone. E quando ricordo +il bacio che in Milo la madre mi dava al destarmi, desidero ardentemente +che tu mel dia in questa terra straniera. Vuoi tu +<span class="pagenum" id="Page_245">[245]</span> +riscaldarmi l’anima con tanto bene? Senti tu gli affetti siccome +noi li sentiamo? — +</p> + +<p> +Il giovane distese la sinistra sul capo di lei, le volse la +faccia verso la luna ed aggiunse: +</p> + +<p> +— Sei bella, quantunque le Nornen — le sorelle del Fato — ti +abbiano abbronzato la pelle ed acceso il fuoco negli occhi. +Wodan — il terribile iddio — bacia le stelle negli spazi +del cielo. Io bacerò la tua bocca. Ma io non amo mettere da +parte l’anima mia nelle felicità dei miei sensi. — +</p> + +<p> +Phanisco gli fissò gli occhi addosso con una espressione +di soave languore. Lo sguardo fiero e più la parola austera +del selvaggio figliuolo dei boschi la penetrarono. +</p> + +<p> +— Qui, nei nostri cuori una comunione eterna di gioie, +di pensieri, di pene. Vuoi tu amarmi? Puoi tu cementare la +unione divina di due cose immortali che si confondono? — +</p> + +<p> +— Dammi la mano — Freya ti spinse ver me per alleviar +le mie pene... Quando avrai bisogno di un uomo che si +faccia uccidere per salvarti, non correre lungi, io sarò qui. — +</p> + +<p> +La donna, nervosa e passionata, debole e pure dominatrice, +si slanciò nelle sue braccia senza rispondere. Trionfava +dell’uomo che da parecchi mesi spesso incontrava e subito +amò. Era il papiro su cui voleva scrivere la pagina gentile +della sua vita. L’avarizia non potette mai appressare le labbra +livide sulla sua fronte. Nè i doni, nè i rigori di Pansa +valsero a vincere l’ostinato rifiuto. Le sensazioni deliziose che +ora provava erano la sua ricompensa. +</p> + +<p> +Fra i due giovani nati in sì diverse contrade — l’una +bagnata dalle nebbie, l’altra calcinata dal sole — che forse +incontrandosi per la prima volta si erano ritrovati — seguì +per qualche tempo un dialogo che chi legge ricorderà senza +che io il dica. Nel separarsi si promisero un più discreto ritrovo. +Diana è patrona agli amanti circospetti e pudichi. Ma, +se inverecondi, gli svela. +</p> + +<p> +— Oh! l’oro fluttuante sul capo tuo! Quante volte sognai +di carezzarlo colle mie mani! +</p> + +<p> +— <i>Geif my een zun. Faruel.</i> — +</p> + +<p> +Phanisco gli accordò di gran cuore il bacio che l’atto +delle labbra protese — e non la frase sicambra — le parve +<span class="pagenum" id="Page_246">[246]</span> +volesse significare e andò via. Ambedue, rientrati nelle dimore +dei loro padroni, si coricarono sui velli di montone che +servivano loro di letto. Non una parola, non un sospiro, per +tema che l’ospite divino, penetrato nel cuore, offeso da distrazioni, +fuggisse. +</p> + +<p> +Cneo Vibio aveva voluto disporre e rinnovare lo aspetto +interno della casa pel ricevimento della sua sperata. I migliori +pittori vennero a decorarla coi loro pennelli. Ordinò +vasi fittili in Nola. I bronzi, nel paese. I trapezoidi e le statue +di marmo, in Herculanum. +</p> + +<p> +Si lavorava. Gli artisti davano l’ultima mano alle pitture. +Gli schiavi avevano lustrato col piombo i pavimenti. I fonditori +consegnavano i candelabri; il letto nuziale e le <i>sellæ jugatæ</i>, +con quel meandro che noi chiamiamo <i>greco</i> e i Romani +dicevano <i>lacunar</i> ed i Greci φάτνωμα, da φάτνη, alveolo, specie +d’intarsia di argento sopra una fascia di rame sul bronzo; +le lampade; gli arnesi molteplici al servizio delle imbandigioni +e dei delicati mangiari. Nel tablino — il cui piano era di +mosaico bianco inquadrato da un filetto nero; e le pareti, dipinte +da Alectryon, rappresentavano le muse Talia, Euterpe +e Melpomene, gruppi di baccanti e di fauni, Ganimede rapito +dall’aquila di Giove, la collera di Achille, Ulisse che con una +gherminella gli rivela i maschi istinti, e il mendicante re +d’Ithaca che chiede soccorso ad Eumeo — erano stati deposti +sui banchi e sul mosaico i vasi, le tazze di vetro egizio scolpito, +una statua di bronzo ed una di marmo. +</p> + +<p> +L’uscio di strada era aperto. Uomini eleganti, o svagati +che occupavano il loro tempo nel girandolare, nel domandare +e nel ricambiarsi le novellucce del giorno, nel ber fresco o +condito in ogni termopolio, nel rilevare i vizi e le ridicolaggini +dei particolari — tutte cose nate dalla attività dello spirito +e dalla oziosaggine della vita — scorgono colà dentro +il padrone della casa ed entrano, siccom’erano già entrati in +ogni bottega di profumiere e di orificeria per far compre per +sè o per le loro amanti. +</p> + +<p> +Alleio Nigidio fu il primo a salutare e a stringer la mano +allo edile ch’era loro venuto incontro nel <i>prothyrum</i>. +</p> + +<p> +— I tuoi dioscuri sono bellissimi, o Vibio. Chi gli ha dipinti? +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_247">[247]</span> +</p> + +<p> +— Poseidonio.... — Ehi!... vien qua per udir la critica +sul tuo lavoro. — Mi pare però ch’egli abbia reso questo ingresso +uno dei più splendidi di Pompei. — +</p> + +<p> +Il pittore che stava dando gli ultimi tocchi nell’atrio ad +una Venere celeste coronata, vestita di azzurro con stelle +d’oro e appoggiantesi sur un timone di nave, presso il quale +Amore è in piedi sur un piedistallo, si fece innanzi sorridente +e sicuro. Aveva un berretto frigio sul capo. Una tunica rossa +sulla persona. La fronte alta. La barba grigia. Il naso breve e +ammassato. Gli occhi rotondi, scrutatori, memori, pieni d’immagini +e di scoperte ingegnose. Quella sua figura parlante affascinò +i curiosi in sull’uscio. +</p> + +<p> +— Ho seguito la tradizione di Apollodoro. Polluce, immortale, +figliuolo di Giove. Castore, generato la notte di poi +da Pindaro, mortale. Il consorzio di un novilunio, pria di vedere +la luce, teneramente gli affratellò. E quando il geloso Ida +rese vedova la rapita Ilaira, e quei solenni domatori di cavalli +divennero costellazioni.... +</p> + +<p> +— Tu credesti acconcia cosa il ritrarre i due nati di +Leda allo ingresso della casa del nostro edile, come curatori +e patroni delle sue prossime felicità. Bene facesti nel presentarli +in atto di camminar lentamente, reggendo ciascuno pel +freno il cavallo. — Nobile e divina movenza! — +</p> + +<p> +Così Giunio Semplice. Ma a Milio Maio non piaceva che i +due affettuosissimi procedessero sulle opposte pareti a rovescio. +Simiglianti di volto, di persona, di arnesi, d’intendimenti, +avrebber dovuto, secondo lui, camminar di concerto. +Laonde, il pittore a lui replicò: +</p> + +<p> +— Siccome Giove permise che l’un rinascesse ogni semestre +per consolare il gemello immortale, così l’una stella +sorge e l’altra tramonta; ed io diedi all’uno la direzione opposta +dell’altro. +</p> + +<p> +— E quel pileo costellato il ponesti sui ricciuti loro capi +per dinotarli nati di un uovo? +</p> + +<p> +— Plozio Svellio potrebbe non ingannarsi. Luciano pur +dice così. Ma io credo con Festo Pompeo che il pileo fosse dato +a Castore e a Polluce perchè spartani, i quali avevano il costume +di combattere pileati. E la clamide la posi sugli omeri +<span class="pagenum" id="Page_248">[248]</span> +<i>insidentem</i>, come Aliano il decise. Ed <i>ambo hastile gerunt</i>, +siccome Stazio ha notato. Non trascurai veruna particolarità. — +</p> + +<p> +Il capannello erasi accresciuto. E tra gli altri, fattasi innanzi +Laconies, una schiava addetta alla tessitura delle tele, +volle anch’essa dire il suo verbo. +</p> + +<p> +— E al ver ti apponi. Orazio dice nelle satire, +</p> + +<div class="poem"><div class="stanza"> +<p class="i01"><i>Castor gaudet equis, ovo prognatus eodem</i></p> +<p class="i01"><i>Pugnis</i>....</p> +</div></div> + +<p> +Dunque se Castore fu detto <i>equorum domitor</i> e distinto nei +giuochi delle corse, Polluce si palesò valente pugillatore e +patrono agli atleti: +</p> + +<p> +— Al duro accento ti riconosco spartana. E mal comprendo +come tu abbia sì presto obbliato i tuoi conterranei, i +quali mai si dipartono dai loro cavalli, doppia forza al guerriero. +E ti aggiungerò qualmente la voce della tradizione faccia +Giunone donatrice ai Dioscuri di generosi destrieri; laonde +sempre, o sopra, od a lato di essi, ritraggonsi sui bassorilievi, +sulle medaglie, sulle gemme, sui vasi e sul marmo. Se non +vuoi ammettermi queste ragioni, concedi ad un pittore il seguir +la legge della euritmìa, e torna al tuo mestiere di Aracne. — +</p> + +<p> +Risero gli amici alla confusione di Laconies che andò via +borbottando. Ma prese a difenderla Vibio. +</p> + +<p> +— In una città qual’è la nostra, a poche miglia di Herculanum, +presso Neapolis e Nola, non lungi da Baiæ e da Cuma, +ove ad ogni piè sospinto si rizzano dal suolo edifici eleganti; +ove di statue son prodighi il Foro, i teatri ed i templi; +ove l’occhio di tutti viene educato al vero ed al bello ideale; +ove i portici delle case private si animano e parlano agli occhi +di chi attento riguarda; ove la vita, dopo il breve lavoro +manovale, si passa in letture, o in racconti, od in poetiche +rapsodie, non è maraviglia che anche la mia povera schiava +abbia potuto emettere il suo giudizio e non aver torto. Nell’Urbe +il Campidoglio si abbella di Dioscuri colossali a lato dei +loro cavalli. E ricordo i versi del poeta che pur dice: +</p> + +<div class="poem"><div class="stanza"> +<p class="i08"> <i>Puerosque Ledæ,</i></p> +<p class="i01"><i>Hunc equis, illum superare pugnis</i></p> +<p class="i01"><i>Nobilem</i>....</p> +</div></div> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_249">[249]</span> +</p> + +<p> +Ma, udite il tafferuglio delle mie genti nel tablino! Mirano e +sentenziano. Andiamo a vedere il Meleagro, la Baccante, la +Venere celeste ed un Marte, or or condotti dal nostro valente +Poseidonio. Quindi esamineremo i dipinti di Atheneo, di Charicles +e di Astynoos. — +</p> + +<p> +E di fatto, non eran chete le gazze. Rhodope e Primigenia +avevano per le mani due specchi; il disco del primo, di argento, +era sostenuto da una figura ignuda che ha elevato le +mani e poggia i piedi sopra una tartaruga; il secondo aveva +un capriccioso manico ricurvo, terminante con una testa d’oca, +quasi per appenderlo; ed il disco era afferrato dalla bocca di +un ariete che colle prolungate corna pur lo fermava. +</p> + +<p> +— Mercurio, nipote di Atlante, sostiene convenevolmente +la immagine di una donna, ch’è il pernio del mondo. La testuggine, +simbolo del facondo dio, indica il voto che la bellezza sia +lenta a sparire. Ma le serpi, le ali, la borsa perchè qui obliati? +</p> + +<p> +— Chiedi stranezze, o Rhodope. Le corna sì, in questo +che ho nelle mani, sono di troppo.... Oh! Mira il bel vaso che +fa Lochiades opponente da Batracho. Quel giovane che ha +l’asfodelo nel pugno è in vero manchevole nella persona. +</p> + +<p> +— Sì, quel torso non fa onore al pennello di Echeclos. +Potea risparmiarsi di graffiarvi καλος. La giovanetta nuda è +meglio trattata. Le linee s’intrecciano armoniose, con grazia +e con eleganza d’invenzione. +</p> + +<p> +— Di’ sino a domani. Ma il Nolano sa quello che fa. E +chiudi la bocca dinanzi l’altro fittile che presenta la leggiadra +donna che ha nella destra lo scettro della bellezza, e porge +colla manca una coppa piena di gioielli a quel giovane che accetta +il dono e ne toglie di sorpresa una grossa perla. Gli è il +simbolo delle nozze di Vibio. La perla del dolore. Il premio +alla virtù.... Oh! lui beato! +</p> + +<p> +— Veh! Epogato il bel vase di bronzo dal solo manico +che finisce con due colli d’oca e dalle foglie di acanto che accompagnano +i tre piedi con gentili incisioni. +</p> + +<p> +— Ricorda, o Polydemo, i bei versi di Virgilio: +</p> + +<div class="poem"><div class="stanza"> +<p class="i01"><i>Et nobis idem Alcimedon duo pocula fecit,</i></p> +<p class="i01"><i>Et molli circum est ansas amplexus acantho;</i></p> +<p class="i01"><i>Orpheaque in medio posuit</i>......</p> +</div></div> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_250">[250]</span> +</p> + +<p> +— E vedi nel manico la testina di Orfeo che da Alcimedonte +fu posta nel mezzo del vaso cennato dal Mantovano. Meglio +interessante questa diota col gruppo formato dal puttino +alato e dal tigre sui due manichi. +</p> + +<p> +— <i>Butu Batta!</i> Cotesti κακαβοι, o come qui gli chiamano, +<i>akena</i>, faranno brontolare il <i>coquus</i> Elesiade di Messana. Più +eleganti le <i>sartagines</i> da friggere, le <i>pelves</i> da cuocervi dentro +le carni e le <i>patellæ</i>, quelle tegghie da pesce. Eccolo che +viene, o Lucidea. Scommetto approverà lo <i>ahenum</i>, di forma +elegante, che ha il manico del coperchio simulante un delfino. +</p> + +<p> +— V’ingannate, o Abacino, o Issa, o Hagyo e Certa. I +cacabi da appendere o da poggiare sui tripodi gli amo meglio +semplici e senza ornamenti. La dea Fornax nè sa qualcosa +quando gli schiavi gli nettano. Le casseruole le avrei +volute fornite di bei manichi — una testa di lepre — un capo +d’aglio — un ariete. — V’è solo il buco per appenderli. La +patella per cuocer le uova a riverbero nei loro gusci onora +l’artefice. Cotesta sì, è una sorpresa, e debb’essere Mutraio +Quirinale, il fabbro che ha bottega sulla via Domizia. Liberò +alla sua salute stasera dal vinaio Spiritus. E poi, come tutto +è bene stagnato nello interno, secondo il recente sistema dei +Galli Biturigi, sì che pare inargentato come pria si faceva. +</p> + +<p> +— E che dici, o sapiente manipolatore, di quella fornacella +di ferro, contenente il vaso per le opere tue? +</p> + +<p> +— Non la lodava, o Certa, perchè <i>pars maxima in ea</i>. +Ne dissi il congegno a Saturnio, il puteolano; ho assistito +alla sua fattura, e me ne servirò per tenervi calde le salse +con pochissimo fuoco, chiuso com’è di ogni parte. Ma i tre +manichi ch’egli vi aggiunse, uno pel coperchio e gli altri per +trasportar la fornace ove piaccia — quelle statuette di donne +giacenti — sono proprio una maraviglia. +</p> + +<p> +— Berrai anche per lui, o Elesiade, eh? +</p> + +<p> +— E berrò triplo, o Abacino, se tu mi secondi. — E berrò +decuplo come Anacreonte, se Certa non disdegna il contatto +delle mie labbra e l’autocrazia sulle vampe del mio cuore. +</p> + +<p> +— Salve, o imperatrice dei cacabi! +</p> + +<p> +— Eh! dicesse da senno.... accetterei. — +</p> + +<p> +Due ragionavano tra loro in mezzo agli sguaiati parlari. +<span class="pagenum" id="Page_251">[251]</span> +E miravano due statue di perfetto lavoro. Quella di bronzo +posava sur un globo guarnito dalla fascia zodiacale. Era da +collocarsi nello impluvio, dinanzi lo ingresso della casa. L’altra +di marmo aveva un occhio di bronzo nelle reni per collocarla +sospesa in aria tra le tettoie della seconda corte e sopra lo +xysto. Erano veramente due capi d’opera. +</p> + +<p> +— Mira, o Aurelio Postumio. Le chiome cadenti sugli +omeri, il seno ricolmo, il peplo che dal capo va giù in lunghe +pieghe, la rotondità delle forme la testimonierebbero donna, +se l’artista l’avesse tutta coperta. La destra rialzata sulla +spalla per rilevare l’unica veste e il flabello che stringe colla +sinistra sono pur muliebri atteggiamenti. Quel figliuolo di Mercurio +e di Venere nel cui corpo la passionata Salmace si compenetrò, +servì all’allegoria di cui sono scuole perpetue le antiche +iniziazioni. +</p> + +<p> +— Come, o Vepinio, l’ermafrodismo non è dunque nella +natura, e le son favole quelle che troviamo nei papiri? +</p> + +<p> +— Sono e non sono. Ma la statua che Vibio commise allo +artista ercolanese dice tutt’altra cosa. Cotesto accozzamento +delle parti maschili e delle forme femminee che posa i piedi +sul globo terrestre è il genio della natura che s’immedesima +nei due sessi. +</p> + +<p> +— Che ammirate di bello? +</p> + +<p> +— Ammiravamo, o Giunio Semplice, l’allegoria ch’è in +quella statua di bronzo e.... Vibio, tu fosti servito a dovere. Il +Fauno, il Narciso, il Sileno, il Bacco, ed altre poche scolture +in Pompei possono gareggiare in siffatto confronto. Ti costa +molto? +</p> + +<p> +— Aurei nummi! +</p> + +<p> +— Bene spesi!... E lo stesso artista fe’ pure la statuetta +di marmo? +</p> + +<p> +— Mai no. — Una è di Apollonio, figlio di Archias. L’altra +è di Suliodes, lo ateniese. Rappresenta l’anima umana +che allargando mollemente le braccia e spingendo lo intero +corpo vaghissimo nello spazio, cerca, ricerca, urta, cade, si +risolleva e vola nelle ondulanti spire dell’aria. +</p> + +<p> +— O maraviglia! +</p> + +<p> +— E perchè nel destro polso la sottile armilla? — +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_252">[252]</span> +</p> + +<p> +Un uomo ch’era stato ad udire colle braccia in croce +dietro le spalle, e tutt’occhi guardava la statua posta sur un +tappeto di lana per terra, non potè a meno di dire: +</p> + +<p> +— È il legame della psiche immortale col suo velo corporeo +quaggiù. +</p> + +<p> +— Bravo! è un uom di genio costui! +</p> + +<p> +— Merita del vino <i>diffusum consule capillato</i>. +</p> + +<p> +— No. Se ne avessi sarebbe dolciume. Darò a Peloro di +quello <i>mecum natum consule antiquo</i>. +</p> + +<p> +— Io rimango estatico, o Giunio, dinanzi quella scultura. +La rivedrò messa al posto. Come la gioventù diffondesi per +tutte le membra, e colla gioventù la bellezza! +</p> + +<p> +— La correzione del disegno, o Vepinio, la grazia dello +atteggiamento sono un insieme che rapisce ed incanta. — +</p> + +<p> +Nell’atto entravano per l’uscio di strada Hermio e Macerio. +Erano due schiavi dello edile. Uno richiamò la di lui +attenzione su due briglie che avea per le mani — una semplice — una +più adorna. — Erano di bronzo. +</p> + +<p> +— Mira, o padrone. Questa a sinistra non la desidero. +Nessun ornamento. Lo artefice però ha aggiunto al <i>prostomis</i> +la bella catena, la <i>psellion</i>, per sedurmi. Sfibbierò l’altra e la +ficcherò pei due anelletti laterali, ne’ quali va il freno, e la +passerò sotto il labbro inferiore del tuo nobile africano, perchè +non apra la bocca. Consenti? +</p> + +<p> +— Tu hai gusto, vecchio Hermio. La equilia è il tuo regno +e disponine a modo tuo. +</p> + +<p> +— È buono il signor nostro. Sappiano tutti gli dei ascoltare +i miei voti. — Comperai anche un <i>prometopides</i>, da porsi +sul fronte del cavallo. È di bronzo, intarsiato di argento con +bella maestria. Mira! In mezzo havvi un dischetto ove appariscono +in basso rilievo due uomini seminudi che si tengono +per mano, pigiando le uve sotto una pergola. +</p> + +<p> +— E tu, Macerio, che rechi? +</p> + +<p> +— Una lanterna, o padrone. La luce fumosa della fune +impegolata, nottetempo ti offende. — I due sostegni sono di +metallo a getto. Per dar passaggio alla luce interna ho preferito +il corno, sottile più del vetro e più forte. La comperai da +Tiburzio Cato; nè ho a dir altro. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_253">[253]</span> +</p> + +<p> +— Sono contento dell’opera vostra. Andate. — +</p> + +<p> +Quei giovani s’intrattennero anche alcun tempo collo +edile, ragionando di arte, aspirandone per la retina degli occhi +e traspirandone per ogni poro. +</p> + +<p> +E chi non era artista in Pompei? Scuole, siccome noi or +le intendiamo, non esistevano. Ma tutto e tutti ne fornivano +continuo i modelli, dalla natura animata alla natura palpitante. +I pesci nel mare, le triremi sul Sarno, i begli alberi carichi +di frutta sul piano, le case di campagna sul versante del +Vesvio, i monumenti nella città, i bambini ignudi, le donne +non molto coperte — di belle linee fornite e di facile consorzio — il +culto professato largamente alla iddia del cuore dalla +pubertà sino al possibile, ecco gli educatori allo sguardo per +la scienza della forma, per la leggiadria delle movenze, per +la magia dei colori, per l’armonia dei gruppi. Io veggo graffite +sui muri caricature delineate col sentimento dell’arte. +Nello ambulatorio addetto alla famiglia degli accoltellanti +erano immagini di giostre, di uccisioni e di cacce che nessun +soldato oggi saprebbe segnare colla baionetta. I mosaici presentano +una varietà di disegni ed uno accoppiamento di marmi +ammirevole. Non un quadro copia di un altro. Se raffigurante +lo stesso soggetto, diversa la posizione delle figure. +E ve ne ha di quella che Raffaello e Michelangelo avrebbero +testimoniato co’ loro nomi. +</p> + +<p> +Io credo che ai monelli — dopo aver macinato i colori e +visto il metodo di adoperarli — prendesse sovente la fantasia +dello imbratto e riescissero. E incoraggiati e plauditi, continovassero. +Quell’<i>anch’io son pittore</i> debb’essere di antica +data. Ed è certo di origine italiota dai secoli lontani. +</p> + +<p> +Gli amici si salutarono e si strinsero le mani. +</p> + +<p> +— Quando le nozze? — +</p> + +<p> +— Appena, o miei, avrò posto in assetto queste domestiche +cose.... Nei giorni fausti del quinto mese. — Fra +poco. — +</p> + +<p> +— Augurii lieti, felici. — +</p> + +<p> +Tutti partirono. Andarono di concerto sino all’arco a +trionfo. Quindi ognun prese il suo cammino, quale verso il +Foro, quale alle sue case. Un d’essi, Marco Porcio, avviossi +<span class="pagenum" id="Page_254">[254]</span> +colà d’onde esciva la luce che irraggiava in quei giorni il suo +cuore. E camminando diceva a sè stesso con quel gesto animato +dei meridionali. +</p> + +<p> +— La mia chimera è svelta come Diana cacciatrice. La +donna breve, più che uno sproposito, è una inavvedutezza +di Vitunno che dà il soffio della vita ai mortali. L’amo bianca, +perchè il giglio è bianco. I poeti per velare gli orrori della +pelle bruna la dicono dorata dai baci del sole. Quell’oro è +rame brunito; è una epidermide di assi. Ho qualche sospetto +però sul colore dei suoi capelli. Ma così qual’è, anima e corpo +sono un invidiabile possesso. — +</p> + +<p> +Cennia Augusta — della famiglia Procula — che l’occupava +sì da veder lei in ogni cosa nella quale imbattevasi, lo +riamava; ma di quello affetto di donna giovane e svagata che +vien dopo la idolatria di sè stessa. Quanta giovinezza! Quali +occhi! Oh! come purissimi i suoi contorni! Tre anni innanzi, +in aprile, aveva compito dodici anni. E se lo spirito avea +progredito, anche la natura aveva sviluppato su di lei le sue +forme svariate. Già nella notte un ribollimento del sangue +aveva sollevato i suoi sensi nel calore del riposo ed operata +una gradevole epurazione che avevala agitata e commossa +tutta. E nel maggio, la natura fiorì in lei d’un tratto e senza +sforzo, siccome una rosa vivace e fresca che sbocci al bacio +possente dei raggi di un sole di primavera. Non poteva uom +vederla senza sentirsene punto dentro. In quell’ora la era +discesa dal letto di avorio per andare nel domestico bagno. +Quivi: +</p> + +<div class="poem"><div class="stanza"> +<p class="i01"><i>Effulgent camerae, vario fastigia vitro</i></p> +<p class="i01"><i>In species animosque nitent:</i></p> +</div></div> + +<p> +E la giovane etèra baloccavasi nel tino di bronzo, lucido +e terso come oro, e udiva la cronaca scandolosa del giorno +che Feda, la sua venerea, le andava narrando, intanto che la +<i>flabellifera</i> le teneva lontane le mosche dal capo. Dopo un +lungo cicaleccio su molti svariati propositi, Giulia interruppe: +</p> + +<p> +— Oh! Tutto concedo ad Horania di M. Alleio Sirico. — Il +lusso di cui non abbisogno — lo amore che mi circonda — gli +<span class="pagenum" id="Page_255">[255]</span> +affetti di Porcio dipendenti dal mio sorriso — le di lei +ville sontuose in Capreas e sul Vesbio — tutto — tranne +quella <i>crotocula</i> dal colore di zafferano, tanto ora in moda.... +Ahimè!.... Tamno; il mercante nella via Popidiana che mena +alla porta di Nola, mi assicura non averne più di tal tinta. — +</p> + +<p> +— Eh!... l’avrà. E vorrà fartela pagar nummi d’oro. +Phrygia — la tua nudrice — udì lo sproloquio che Tamno +facea con Ebelana e con Lusia al proposito di quella stoffa +egizia. Certo, par cosa maravigliosa. Sai?... Egli riceve dal +paese che crea ogni portento tessuti bianchi, ma apparecchiati +da industri artefici in Tyro. Gli tuffa nella caldaia ove bolle +un mordente, e le stoffe impregnate escono fuori di colore diverso, +cui nè l’uso impallidisce, nè l’acqua della fullonica +lava. — +</p> + +<p> +— In verità, di quella tinta io non vidi mai alcuna veste. +E la voglio. E l’avrò. — +</p> + +<p> +Odesi un leggero rumore di passi sul molle tappeto della +stanza vicina. Una mano solleva la portiera. Ed ecco due giovani +e belle schiave, vestite di lunghe tuniche bianche, le +quali penetrano nel misterioso asilo di Venere e delle Grazie. +</p> + +<p> +— Marco Porcio, o padrona, è venuto e chiede vederti. — +</p> + +<p> +— Mercurio, o Feda, a me propizio lo manda. Sacrificherò +a quel divino nel mio larario. — +</p> + +<p> +E sì dicendo si sollevò dal tino. E dal suo bellissimo e +ignudo corpo discese a goccioloni, come pioggia di perle, l’acqua +profumata da asiatiche essenze. Le schiave denudaronsi +anch’esse le braccia e il petto rigonfio per essere più libere +nei loro movimenti. E carezzarono con minuziosa cura la dermide +delicata della padrona mercè sottili spugne tinte di porpora. +E presi gli strigili di avorio, con essi mollemente la +tersero. E la nettarono colle pomici. E la dipelarono col <i>lutum +venetum</i> — miscela di terra di Cypras e di aceto. — E +l’asciugarono a modo colle pelli del petto dei cigni. +</p> + +<p> +Quando in seguito la Cennia fu innondata di aromi i meglio +preziosi dell’Assiria e dell’India, chiuse la seducente +persona in una di quelle tuniche di lana che Varrone chiamava +stoffe di vetro per la somma loro leggerezza: calzò i +piedini in eleganti <i>soleæ</i> scarlatte, adorne di ricami d’oro e +<span class="pagenum" id="Page_256">[256]</span> +di granati. E appoggiata sulle spalle delle schiave, si trascinò +in una stanza bene illuminata, dove le donne di quella tempra +<i>dum comuntur, dum moliuntur</i> spendevano un anno di +vita. +</p> + +<p> +Finchè durarono le prime cure nessun occhio indiscreto +potè penetrare in quello asilo, come se quivi si fossero celebrati +i misteri della Buona Iddia. Fra lo <i>speculum</i> di argento +e la persona è sulla tavola tutto un <i>mundus muliebris</i> — spilloni, +stili, lime per le unghie, spazzolini pei denti, pennelli +pel liscio, mollette per strappare i peli del mento, vasi di +avorio, di alabastro, di argento, di vetro, di terra di Nola, +di murrhina, contenenti i cosmetici i più svariati e le essenze +preziose. — Vi erano le pomate di Cosmos, e di Marcelliano. +E i profumi d’Iris di Corinthum. E gli olii estratti dalle rose +di Pæstum, di Præneste, dallo zafferano di Rhodum, dalla +maggiorana di Cos. Nè tra gli aromi mancava quello delle +mandorle amare di Mendes; e del cinnamomo che costava +venticinque denari la fiala; e il così detto <i>regalis</i>, perchè +composto pei re dei Parti, il quale odore era il più stimato e +ricerco per la ragione che gli era il peggio costoso degli altri. +</p> + +<p> +Dopo avere annerito i sopracigli e le palpebre con uno +spillo esposto alla fiaccola della lucerna e rosate le gote col +belletto — sì che gli sguardi doventassero vivaci e lo incarnato +attraente — una nuova schiava, Hellen, sparse sulle +chiome di Cennia un’acqua il cui secreto era dovuto ai Germani, +il popolo suo. Quei capelli, poc’anzi neri come ala di +corvo, presero presto lo splendore dell’oro, ardente qual +fuoco. Dappoi che Nerone avea celebrato coi suoi pessimi versi +il biondo arrischiato della sua consorte Poppæa — cui egli diè +il nome di saccinum, fossile combustibile, bituminoso di un +giallo rossiccio come il giacinto — le eleganti avevano sdegnato +le nere capigliature che ornavano la fronte delle figliuole +del popolo italiota e, o si adattavano sul capo i capelli tessuti +delle bianche donne nate sulle rive del Reno, o li tingevano +del colore dell’ambra per non parere creature volgari. +</p> + +<p> +Allorchè la <i>coma</i> fu <i>calamistrata et crispata calido ferro</i>, +e gli aghi crinali la tennero in quell’ordine di anelli che la +moda imponeva, lo amante poteva entrare ed assistere al +<span class="pagenum" id="Page_257">[257]</span> +compimento dell’acconciatura. I veli del mistero non avevano +altro a coprire dinanzi al suo sguardo. +</p> + +<p> +— Venere physica e Mercurio abbiano lo altare giuncato +di fiori. Poi sacrificherò io in secreto alle divinità favorite. +Intendi, o venerea? Ora, introduci qui il giovane Porcio.... +Prima però dammi la <i>calthula</i>.... eccola là... quella leggera, +azzurra, che si accorda coi miei capelli ora biondi. Mi avvilupperò +in essa per quanto occorra. — +</p> + +<p> +Marco venne accolto con una di quelle frasi che danno al +colloquio della prima ora lo incanto e la dolcezza della intimità +profonda. Cennia gli stese la piccola mano, gemmata in +ogni falange, che l’altro passionatamente baciò. Non so se i +pochi lettori, che le cure nazionali e le depauperate fortune +mi economizzano, abbiano mai riflettuto al rapporto misterioso +che esiste tra la mano e la bocca di una donna amata. Parmi +che in quelle dita, su quelle labbra arda una qualche fiamma +che bruci il sangue. Sono i due punti da cui scaturisce il filtro +che crea le grandi ubriachezze del mondo. +</p> + +<p> +Erano soli e senza alcun sospetto. Non io narrerò la conversazione +del cuore ch’ebbero insieme. Un profumo divino +era racchiuso in ogni loro pensiero. Un mistico fiore fu colto, +assaporato, goduto. Quando il dialogo — interrotto talvolta +da eloquenti silenzi e riattaccato da frasi velate che dicono +tutte le cose della terrà e del cielo — ebbe fine, la donna dominata +da una idea cardinale che l’agitava da tempo, discese +dallo empireo dei sensi e così prese a dire: +</p> + +<p> +— Io sono ciò che hai voluto.... Mi sento tua. E ne son +lieta.... Sì, tu mi fai la donna felice quaggiù. Ma.... +</p> + +<p> +— Che manca a Cennia Augusta, l’amica dell’anima +mia? +</p> + +<p> +— Ho il bene supremo con te.... Avrei Venere irata se +mi dolessi. Mi ami e mi dài continove prove di affetto. Ma +una goccia di pioggia turbinosa mi è caduta sul cuore. E i +dragoni, le arpie, le chimere, tutti i mostri di Acheronte non +m’impaurano come il pensiero che da qualche istante mi assedia. — +</p> + +<p> +Allora lo amante ansioso si levò dalla <i>cathedra</i>; e abbracciandola, +cercò consolarla: +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_258">[258]</span> +</p> + +<p> +— Se tu mi ami riamata, qual fuoco incendia le ali della +tua psiche divina?... Tu guardi confusa sulle tue mani?... Sei +stanca delle gemme incise da Phrygillo, da Tamyro, da Apollonide, +da Tryphone, da Dioscoride? Preferisci ornar le tue +dita di smeraldi, di granati, di ametiste, di niccoli lavorati +da Aquilas, da Quintillo, da Rufo, i migliori tra gli artefici +del giorno? Dillo ed avrai.... +</p> + +<p> +— No, caro ed amato Porcio. +</p> + +<p> +— Tu arrossi confusa? Ah! comprendo ciò che da me +ti divide. Rivedesti nell’Odeon Q. Pompeo Amethysto che un +giorno sospirava ai tuoi piedi. Ha un fascino il suo sguardo. +Parecchie donne mi han detto che i suoi occhi dimoiano più +facilmente le reticenze del cuore, di quello che il sole la +neve. +</p> + +<p> +— Tu evochi periglioso ricordo. Che la memoria solletica +più furiosamente dell’atto. E lo invisibile dà una scossa +dolorosa e di tutte delizie alla fibra delicata di certi cuori... +Ma, non temere. Non è l’ombra che viene ad assalirmi.... +Bene, una cosa reale. — +</p> + +<p> +E lo chiuse tra le sue braccia e lo baciò colle labbra +smaniose. E poi, mirandolo fisso per meglio immedesimarselo — era +sentimento? era artificio? chi comprese mai il vero +sullo sguardo delle anime innamorate? — proseguì: +</p> + +<p> +— Se io ti oblio, o Marco, che Venere mi oblii. Il mio +amore per te è la saviezza del cuore. Io mi voto a te con +tutta la tenerezza della creatura composta di nervi e di +sangue. +</p> + +<p> +— Ma dunque, parla. Che è mai? +</p> + +<p> +— Perdona. Noi — fragili cose — siamo l’orgoglio, la curiosità, +il capriccio, lo interesse vanitoso del sesso più forte. +Una <i>crotocula</i> io vidi del colore ora in moda. Tamno l’ha +venduta ad Horania, donna del tuo amico Sirico. +</p> + +<p> +— Ma Tamno altre ne avrà. +</p> + +<p> +— No. Sol’una ed è quella. Lungo è il tragitto da Tyro. +Breve dall’Urbe. Toglimi da questa malattia del cuore. Ed +avrai tra le tue braccia la donna scherzosa come un epigramma +e passionata come una elegia. Vuoi? +</p> + +<p> +— Il sole ha mille aspetti commoventi, e tu sei come il +<span class="pagenum" id="Page_259">[259]</span> +sole, o mia. Mi facesti tremare pur dianzi. Or mi sollevi dal +profondo ove la fantasia incerta non trovava la strada per +tornar su. Sì, o amore, sarai consolata. — +</p> + +<p> +Chi descrive il sorriso di Cennia Augusta a quei detti? +Non io. Sulla sua faccia splendeva qualche cosa di fuggitivo, +d’indistinto, di misterioso che fornisce nuovi alimenti alle +vampe che allumano il nostro sangue. Quegli che sa le grazie +della donna, e che passò la sua gioventù a contemplarla, e che +apprese a vivere contemplandola, comprenderà e delineerà il +sorriso di quella bellissima creatura appagata. +</p> + +<p> +— Lo giuro a Venere sacra, e l’avrai. — +</p> + +<p> +Partì. E quel giuramento della volontà fu un di quei pochi +che il vento mal fido non osò portar via. +</p> + +<p> +Horania — la giovane donna invidiata pel possesso della +<i>crotocula</i> — era allora in una sua villa sul versante meridionale +del Vesbio. La strada che vi conduceva — praticabile +dai cavalli e non da alcun carro — era abbellita di alberi e di +fiori, e di utili culture. Le quali venivano qua e là interrotte +da enormi massi grigiastri che facevano pensare ai combattimenti +misteriosi tra esseri di una forza sopraumana ed altri +la cui natura il senso religioso tentava spiegare. Su quei massi +non una pianta; qualche arido stelo sulle crepacce. Pareva la +preda offerta agli ardori divoranti del sole. La casa era grande +e di forme svariate. Torri — porticati a colonne — piscine +elittiche — atrii con camere da letto, sale, bagni, e fauci che +il tutto riuniva, esponendo ad un cielo di zaffiro le sue mura +bianche ed incontaminate. +</p> + +<p> +Il padrone di quel luogo sontuoso era assente. Sirico — che +in città possedeva la casa prossima alle Terme, dal +triclinio il più ricco di pitture che sia in Pompei, dal protiro +che saluta il lucro quale la divinità del suo cuore, e che sul +muro di contro aveva fatto pingere ad encausto i serpi simbolici +contro il mal’occhio colla iscrizione: <span class="smcap lowercase">HOTIOSIS LOCUS HIC +NON EST PROCEDE MORATOR</span> — era un uomo di speculazioni +arrischiate che i costumi depravati ammettevano. Provvedeva +di cinedi e di fanciulle i fastosi del paese e di fuori, e +faceva mercato di schiavi da lui comperati in Europa e nell’Asia. +Da due mesi trattenevasi nell’Urbe a cagione del suo +<span class="pagenum" id="Page_260">[260]</span> +turpe commercio. Horania era stata a sedici anni da lui acquistata +in Pale, dell’isola di Cephallenia che con Ithaca prospetta +il promontorio greco dell’Acarnania. Più che quarantenne, +avevane fatto la compagna della sua esistenza; +impadronendosi di una giovane vita — non del suo cuore — e +sommettendola ai suoi capricci. Il lusso, i vini delicati, i +ricchi mobili, le più ricche vesti, i monili d’oro, le gemme, +le perle, il codazzo dei servi, la casa di città e di campagna +sono lo accessorio della felicità per l’anima giovanile della +donna; ma non la felicità piena. Laonde la si era incaricata +un giorno di secondar la fortuna, la quale talvolta tradiva il +commerciante nei traffici suoi. +</p> + +<p> +Giovinezza e bellezza non sono di frequente sinonimi. Vi +ha donne, non giovani, bellissime. Vi ha giovani incompiutamente +belle. Se il volto è appassito, il corpo è un fiore sul +gambo. Se il viso è fiorente, la persona non è ancor ritondata. +La donna dai venticinque ai trenta anni è la vera madre +della grazia, della bontà per tutti, delizie ch’essa rivela cogli +occhi ricchi di pietà, di gentilezza e di amore. +</p> + +<p> +Ed Horania era, quale io la veggo nei miei pensieri, di +una bellezza antica. Con un elmo greco sulla testa e il torace +coperto da squame d’oro avrebbe raffigurato Minerva in quei +tempi della carne glorificata e dei divini ardori. Le sue narici +mobili e graziose posavano sur una bocca rosea, umida e +sempre aperta al sorriso. Quando parlava pareva un uccello. +Quando taceva sembrava un fiore. Due grandi occhi, del colore +delle viole mammole, si disegnavano sotto una fronte diritta, +adorna di capelli abbondanti, che in onde oscure le s’inanellavano +sulle spalle, ritenuti da una rete di fili d’oro. I piedi, +le braccia, le mani impensierivano i cultori dell’arte imitatrice. +Da tutta la persona snella e leggiadra venivano allo +sguardo emanazioni sottili, invisibili di fascino e di voluttà. +</p> + +<p> +Un giorno Catullo Messalino, tornando da una ispezione +alla colonia dei veterani, la incontrò colle sue schiave in una +via solitaria del monte. L’uomo e la donna si guardarono a +vicenda. Ed ambedue compresero dai battiti del cuore lo arcano +che la natura compone nel sangue e rivela quando che sia. +</p> + +<p> +Il giovane centurione era siculo. Aveva l’anima di fuoco. +<span class="pagenum" id="Page_261">[261]</span> +E la pelle che coprìa le sue carni era pure bronzata dai raggi +del sole natìo. Non era bello di quel tipo che Phidias, Gorgias, +Pithagora di Rhegium, Patroclo di Crotone, Hypatodoro +e Aristomede di Thebes avevano fissato con linee convenzionali. +Di statura mediocre. Di forme proporzionate. Un misto +di tristezza e di grande energia. Se sul campo contrastato +avesse avuto la fortuna a rovescio e i militi fuggenti, come +Arrio Secondo avrebbe strappato l’aquila dalle mani del vessillifero +e, gittatala in mezzo alle falangi nemiche, detto cogli +occhi: +</p> + +<p> +— Io corro al pericolo in nome di Roma eterna. Seguitemi +e riprendete la gloriosa insegna! — +</p> + +<p> +Molti uomini, presi dal fulmine di quegli occhi, sarebbero +tornati i vincitori del campo. Nessuna donna — almeno per +un istante — avrebbe potuto restarsi muta allo appello. +</p> + +<p> +Quei due esseri si amarono e ardentemente si amarono. +Messalino passava alcune ore deliziose della sua giornata con +lei. Sulle di lei labbra gli sembravano più belle le parole della +lingua natale. Le frasi si dipingevano di un candor virginale +e di certe delicatezze che pareano innocenza. Egli coglieva per +essa le più belle rose e i più bei frutti del luogo. Ed Horania, +sdraiata ai suoi piedi sur una pelle di tigre, accennando alle +ridenti piagge di Surrentum, di Capreas e di Pithecusa che +chiudevano il cratere partenopeo, addolciava la vita di poetici +pensieri, sollevati dalla immagine estatica ed amante che +aveva dinanzi. Una subita e terribile fatalità poteva troncare +il filo di quei sogni dai quali quegli spensierati si faceano cullare. +</p> + +<p> +La passione è il vino delle grandi ebbrezze, o è l’acqua +di Lete — vino ed acqua che hanno la potenza di annuvolare +i cervelli. +</p> + +<p> +— Amore! tu mi hai ritolto da una vita di noie e di secreti +lamenti e mi portasti sulle tue braccia in paesi ignorati. +Ciò che tu m’inspiri lo sapeva io pria di vederti? I tuoi baci +sono profumati come il mele d’Hymetto. Il tuo amplesso mi +ha creato il cuore. — Sirico.... Oh! Sirico non era da tanto! — +</p> + +<p> +Messalino si rammentò di un uso antico della sicula gente +che meglio avrebbe risposto allo incantesimo di quelle parole. +<span class="pagenum" id="Page_262">[262]</span> +Prese dalla corona di rose che a lei cingeva le tempia un bottone +rossissimo di Mileto che parea fior di granato. Lo sfogliò +in una coppa di murrhina ripiena di falerno e la vuotò in onore +di lei e della sua idoleggiata bellezza. +</p> + +<p> +Questa era la vita che furtivamente, o per caso infinto, o +per meditato convenio menavano da due mesi quelle creature +felici sotto il cielo ardente della Campania e nella invocazione +di Venere protettrice. Le ore lietissime sono siffattamente fugaci +da eludere il taglio dello scalpello, il graffito della penna, il +plagio del colorito. Lo spettro, che è cosa morta, non può riprodurre +la scena del cuore, che è cosa viva. Non posso però +ritrarmi dal pingere la sofferenza che straccia e dilania le viscere +di quegli amanti sorpresi nel grembo di una svagata +sicurtà. +</p> + +<p> +Catullo Messalino, attraversato un bosco di lauri, entra +in uno xysto, penetra nell’æcus e si ferma. Quale inno cantavano +i begli occhi neri e radianti dello eroico centurione? Era +un’ode. I ricordi, la speranza, la gioia illuminavano gli +sguardi ricercatori. Ma Horania non vi è. Esce e nel sollevare +la cortina che abbuiava la luce di una camera, la donna dell’anima +sua si leva dal lettuccio e gittandosi nelle sue braccia, +pallida ed in lacrime, chiude il viso sul collo di lui. +</p> + +<p> +— Domani.... forse oggi.... egli qui! — +</p> + +<p> +Siffatto caso, sì preveduto, e tante volte meditato, parve +ad ambedue una inattesa sventura. Messalino non rispose e +più ardentemente la baciò. Quindi: +</p> + +<p> +— Horania.... egli venga e trovi vuoto il cubicolo tuo.... +Abbandona queste equivoche dovizie, sparse di lacrime e sporche +di fango.... Vieni meco.... Dovunque sarò e tu sarai.... +Posso omai vivere senza te?... E non morresti tu lontana dal +leone del cuor tuo? — +</p> + +<p> +La donna era così sprofondata nel suo cupo dolore, che +lo udiva trasognata e levava gli occhi lucidi al cielo quasi +per incontrarvi una idea consolatrice. Ma vi sono momenti +nella vita in cui le illusioni fanno paura a sè stesse e non +osano entrare nelle menti desolate dalle passioni, poi che la +innocenza le ha disertate per sempre. E comunque una idea +di affetto le fosse discesa dal cielo o venuta su dal cuore, la +<span class="pagenum" id="Page_263">[263]</span> +bellissima greca l’avrebbe sfatata. Il centurione era lo avvenire +incerto, l’uomo del gladio, il padrone del braccio, la +lotta dello indomani, la vita dei continovi pericoli. Sirico era +il focolare domestico senza dignità, senza stima nè amore, sì. +Ma il focolare che riscalda, che ha il domani. Era la carezza +del lusso, l’abbondanza dei profumi. Era la età matura +sui cuscini di porpora e sul rispetto degli schiavi prostrati. +Era la prosa della Danae abituata alle visite metalliche +di Giove che allontanava da sè la poesia dei ricordi i quali si +facevano ognor più velati. Gittò un sospiro profondo, lo strinse +forte al suo petto, lo baciò furiosamente e poi parlò. +</p> + +<p> +— Tu sei il bene supremo. Tu sei la esistenza.... La mia +sarà omai breve, lo so. Ma.... la mia vita non poteva confondersi +colla tua. Separiamoci. Il Fato vuole così. Allontanati +prima ch’ei giunga. — +</p> + +<p> +Il siciliano comprese. Ma l’amava. Ed ogni suo nume era +in lei. La guardò fiso per qualche istanti. La baciò sulla bocca, +sulla fronte, sugli occhi e sì febbrilmente da dar vita con +quei baci di fuoco a una morta. E partì. +</p> + +<p> +Partì. E lo xysto, ed il lago, e la fontana, e gli alberi e +la foresta di lauri ebbero i suoi sguardi sfiduciati e il vale +estremo. Se lo imperatore lo avesse chiamato a combattere, +il suo braccio avrebbe commesso miracoli di virtù in tale +istante. Desiderava in tanto dolore la morte utile agli altri — refrigerio +al suo cuore — la morte eroica del centurione romano +sotto lo sguardo dei Dioscuri protettori. +</p> + +<p> +Corse al mare e si cacciò nelle onde agitate e spumanti. +Nuotò per un’ora onde raccattare un po’ di distrazione e qualche +stanchezza. Ma il sangue bolliva, i nervi erano tesi. — Inforcò +un cavallo e di corsa verso Neapolis. Ma, non appena +giuntovi, indietro a slascio, attratto dalla memoria di lei. — Si +racchiuse nel suo cubicolo e passò la notte in ismanie e +mordendo le coltri. Oh! i disegni della sua mente delira! +</p> + +<p> +— I seguaci di Romolo, le Sabine!... Senza quel ratto +l’Urbe non sarebbe sorta potente.... E qual Sabina la Horania +mia! Mia?... D’altri.... non mia! Di mio non ho che il dolore +di averla perduta.... la memoria di un limitato possesso!... +Ecco, io mi slancio alla testa dei miei veterani, brucio, ruino +<span class="pagenum" id="Page_264">[264]</span> +la casa del mio rivale e rubo la donna, la sola nata agli occhi +del mio cuor travagliato. — +</p> + +<p> +Cotesto vano trionfo di un istante inebbriava per poco +il suo cervello che ardeva. Ma le leggi del dovere cui era abituato +lo tranquillavano ben presto e gli facevano disprezzare +le stravaganti avventure che pur dianzi lo avevano solleticato. +</p> + +<p> +Barcollante tra pensieri diversi, uno alla perfino seppe +accettarne. E corso al tribuno dei militi, che aveva il comando +delle tre coorti di stazione nell’agro pompeiano, chiese ed +ottenne il permesso di andare nell’Urbe col pretesto di faccende +a lui care. +</p> + +<p> +Io scrivo sulle agitazioni di un povero spirito, immerso +in un pelago d’idee tumultuose quali esse sono, non quali la +convenzione adottata sui tempi eroici a noi le trasmise nelle +pagine istoriche e nei monumenti. L’uomo nato di donna è +sempre uomo. La vita pubblica e il campo di battaglia possono +trasumanarlo; e in questo istante solenne il cuore si divinizza, +la frase diviene sublime e l’atto non è più cosa mortale. +</p> + +<p> +Or uno schiavo entra nell’atrio e chiede di M. Catullo +Messaline. Questi esce, svolge una pergamena che gli vien +pôrta: e, +</p> + +<p> +— «Sono ancor sola e libera. E brucio di amore. +Vieni.» — +</p> + +<p> +Corse allo invito e rientrò nella felicità come se riprendesse +il filo di un sogno beato dopo breve vegliare. +</p> + +<p> +Ore piene! Ore deliziose! Ore che qualche lettore ricorderà. +</p> + +<p> +A notte tarda riprese la via del ritorno. Era più consolato. +Sentiva ancor sulle labbra il fremito delle labbra non +sue. Sentiva quasi sul petto il contatto di lei. Quando, giunto +presso un burrone profondo, vide nella oscurità escire un’ombra +da un masso di lava e venirgli incontro in atto di minaccia. +Dai battiti del cuore di quel fantasma comprese chi +fosse. +</p> + +<p> +Sirico avea tutto saputo da uno schiavo fedele. Volea +vendicarsi. E aveva in mano il coltello da ciò. La sfida mortale. +Il luogo scelto era adatto. +</p> + +<p> +La lama aguzza aduna il poco chiarore dell’aria e scintilla +<span class="pagenum" id="Page_265">[265]</span> +in alto nelle tenebre. Messalino dà indietro, sguaina il +brando e ferisce con impeto. Un urlo disperato e il tonfo di +un corpo pesante che precipita a sbalzi in fondo al burrone +compirono la tragedia. +</p> + +<p> +Tornò sui suoi passi e destò la giovane addormentata. +</p> + +<p> +— L’ho ucciso. — Or mi appartieni. +</p> + +<p> +— Ma è sangue oltraggiato quello che hai sparso! +</p> + +<p> +— Egli uccideva me. Vieni. Mi salvo e ti salvo. — +</p> + +<p> +Ricoverarono nell’Urbe un delitto di più. +</p> + +<p> +Delitto?... Eh! baie!... Gli era il prodotto di un funesto +amore dell’anima umana, fiore sanguigno sbocciato in tempi +assai diversi dai nostri, cresciuto nella esaltazione, anaffiato +dalla gelosia, colto dalla minaccia e che sentiva lo aroma di una +natura aspra e gagliarda.... Uomini di tal tempra non permettevano +a piedi stranieri di calpestare con insulto la sacra +terra dov’erano nati! Coteste parole servano a Messalino di +scusa presso coloro che coi <i>se</i> e coi <i>ma</i> si addormentano placidamente +ogni sera sulla coltrice delle nazionali vergogne! +</p> + +<p> +Siccome gli sguardi, esistono nei lessici di tutte le lingue +parole di doppia vitalità — quella del cuore d’onde escono — quella +del cuore che le riceve. — E spesso in una di esse si +annicchia la genesi di una battaglia, la trasformazione di una +esistenza, il rifugio di una grande speranza, una resurrezione +piena di dolcezza. +</p> + +<p> +Herculanilla era la rarissima tra quelle creature che i +poeti covano nella mente come la più intima, la più cara, la +più completa espressione della grazia, del candore, della intelligenza, +della beltà. Il suo merito supremo consisteva nell’esser +lei, non altra che lei. Nè i pennelli, nè la penna possono +fare il suo ritratto. La donna immensamente amata non +si tratteggia, non ha chi le somigli, è quella! Così Herculanilla +era incisa e scolpita nel cuore di Lucio Vitelio Hycca, +colla sua capigliatura ardente e impregnata di amorosa elettricità, +colla sua voce fine, carezzevole, colorata, col suo pudico +sorriso che diceva promesse e la unione del cuore. Egli +aveva combattuto in Giudea; e, nella ostinata e rabbiosa difesa +del tempio in Jerusalem, aveva avuto la fronte solcata +dal gladio e il petto scalfitto da un colpo di lancia. Il primo +<span class="pagenum" id="Page_266">[266]</span> +allo assalto. Il primo a penetrare colà dentro. Avrebbe dovuto +ricevere la <i>corona aurea vallaris</i>, o <i>castrensis</i>, perchè quello +era un baluardo del campo nemico. Gli fu data invece la <i>corona +muralis</i>, perchè si volle considerare il muro del tempio +come il muro di una città. E Flavio Vespasiano imperatore +la offeriva a lui ferito e disteso in faccia alle legioni vittoriose. +E quando egli andava a’ teatri, nel Pecile, nella Basilica, nelle +Curie, in ogni pubblico spettacolo, il suo posto era dopo +quello dei magistrati; e i decurioni in segno di rispetto si +levavano in piedi. +</p> + +<p> +Aveva in quei giorni arringato a pro di Septumio Clycone, +giovane amante, il quale — non gradito qual genero da +T. Uliteo Satanio, prefetto dei vigili, ed insultato pubblicamente +da un di lui liberto — erasi obbliato sino a batterlo con +grave <i>injuria</i> sulla persona. La rottura di un braccio indicava +l’ammenda di trecento assi o libre di rame. Lo eroe del dramma +era un giovane ben noto. La eroina era Vereia — nome che +in Osco volea dire repubblica, forma di reggimento sempre +cara ai Pompeiani — che parea volesse morirne di dolore, +mentr’egli minacciava di uccidersi sul di lei cadavere. La cronachetta +era corsa nella bocca di ognuno. Il bisticcio colpevole. — Lo +amore infelice. — La potenza della parola che +aveva tutti commosso nella Basilica, sino ad ottenere dal padre +irritato che l’accusa cessasse pel <i>dijudicium intra parietes</i>. — Gli +sponsali accaduti. — Era siffatto trionfo da annuvolare +la mente del debolissimo sesso, il quale per sopraciò +non sa reggere e s’intenerisce alla vista di un uomo generoso, +crismato dal valore e coronato dalla vittoria. +</p> + +<p> +Vitelio narrava di cotesto suo recente trionfo nella casa +di Alphinio Secondo. Herculanilla, la sua figliuola, parlando, +lo interrogava cogli occhi inspirati da segrete intenzioni. E il +valente soldato fu ferito anche una volta nel cuore. Impigliato +nel glutine dello entusiasmo ideale, comprese; ed ambedue +si amarono sin da quel giorno. E se la fanciulla dopo pochi +mesi pensava che la vita spesa senza vederlo, nè udirlo, non +era vita vissuta per lei, egli non sapeva comprendere a che +servissero le ore non irradiate dallo sguardo adorato di quella +Venere terrena, cugina alla Iddia. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_267">[267]</span> +</p> + +<p> +Quanti sutterfugi! Quali lotte! Quanti andirivieni! Quali +scuse per un ritrovo; per una visita; per allontanare un importuno; +per celare ad un indiscreto un prezioso istante della +vita; ed esser soli; e goder soli di quello scoppio di felicità +che invade due cuori amanti; e dirsi l’un l’altro quella parola +che non invecchia mai col consumo dei secoli e sarà ripetuta +sino allo istante supremo in cui per lo esaurimento del +calorico terrestre il mondo cesserà dal germogliare e morrà. +</p> + +<p> +Un giorno che il piacere spensierato, la innocenza sorridente, +la bellezza di bianco vestita irruppe nella camera ove Vitelio +attendevela per secreto messaggio, egli gravemente le disse: +</p> + +<p> +— Herculanilla! Amore! Soavità della mia vita! Noi +siamo dannati a separarci. +</p> + +<p> +— Come!.... E da chi? +</p> + +<p> +— Dal dovere. La mia legione, l’<i>antiqua</i> ritorna in Galilea. +<i>Evocatus sum.</i> Non son sacerdote. Non son magistrato. +<i>Beneficium non habeo</i> dai decurioni e dal popolo, quella dispensa +che mi darebbe legittima esenzione dallo esercito. +</p> + +<p> +— <i>Heu, me misera!</i> Amore degli occhi miei, mi abbandoni +così? +</p> + +<p> +— Non piangere! <i>Vexilla sublata sunt in Capitolium</i>, +il rosso per la evocazione dei fanti, lo azzurro pei cavalli. +Tito gli chiede ed io ho già detto il mio sacramento. — +</p> + +<p> +Herculanilla gitta un piccolo grido, si copre il viso e +piange a dirotto. Vi sono dolori di privilegio che abbelliscono. +E quelle lacrime amare, che tremano come gioielli sulle ciglia, +divinizzano la donna idolatrata. +</p> + +<p> +— Lascia ch’io beva quelle stille di pianto. Consolati. +Tornerò. E sarai mia... E allora, teco per sempre! +</p> + +<p> +— Rispetta il mio dolore. Sarà compagno della mia corsa +felicità. Sarà il mio custode nella tua assenza.... E se tu morissi? +</p> + +<p> +— E se io morissi!... Non dilaniare il tuo cuore con +tristi presagi. Io sono <i>centurio primipilus</i>, e porterò l’aquila +della legione. Perciò, col consolo e coi tribuni. Roma vincerà +i suoi ribelli, ed io tornerò al tuo fianco a narrarti il secondo +trionfo dei nostri sul più testardo e feroce dei popoli domi. +</p> + +<p> +— Va, nuovo Promoteo. Ubriacato dalla gloria, che tu +<span class="pagenum" id="Page_268">[268]</span> +non possa sentire lo strazio del tuo fegato roso dal vulture +crudele! Oh! la immensa giornata di lacrime e di angoscia +del mio cuor vedovato! +</p> + +<p> +— Tra le mie braccia, o soave delizia di questo istante. — +</p> + +<p> +E sollevatala di peso, se la premette sul cuore semisvenuta. +</p> + +<p> +E la baciò a furia, febbrilmente, senza dir verbo. Il dire +distrae. E l’anima era piena di lei e del suo crudo destino. +Ma d’un tratto si staccò di forza e bruscamente partì. Una +voce, dolce come una carezza e lamentosa come un vale +estremo, piangeva in un angolo della stanza e mormorava: +</p> + +<p> +— Lucio.... a me anche una volta.... poi alla tua Patria! — +</p> + +<p> +Tornò. E le due teste si collarono per un istante come +fossero una sola. E quel luogo pieno di tanto amore rimase +pieno di lutto, di singhiozzi e di amare memorie. +</p> + +<p> +Il grande spettacolo della guerra calma ed acqueta le +fantasticaggini della mente e a poco a poco il soverchio calore +del cuore. Chiuso nei nuovi suoi obblighi, Vitelio vi trovò il +migliore dei rifugi contro tutti i disgusti e le tristezze dell’animo. +La ferita ben presto marginò. Tratto tratto la divina +credulità delle grandi passioni lo spingeva dall’Asia in Europa +per riassaporare le felici ore godute e il ricambio delle +affettuose cure. E colle preoccupazioni di ciascun giorno i +viaggi dello spirito si fecero meno frequenti. Quando la morte +è attiva e militante, e colla falce delle battaglie miete sul +campo desolato, e distende sotterra l’uomo pria ch’egli abbia +consunto l’opera sua, quello spettacolo riconcentra l’anima +svagata e la fissa al suo grave compito. I Giudei che stimavano +la forza ostile non superabile, fecero il gran giuro e fermarono +morire prima che sostenere la schiavitù della patria. +In Tarichea, non più pane per le donne, non più pei figliuoli; +e già tutti, d’una voglia sola, sacrati alla morte. Un rogo +s’innalza. Vi ha chi tronca la vita e chi gitta con mano libera +ancora i cadaveri sulla catasta. E ciascheduno attendendo lo +istante di ardervi colle persone più caramente dilette, grida: +</p> + +<p> +— Meglio morire che veder morto il nido natio! La +morte non è un morire; ma gli è un vivere col Dio di Moises +e dei profeti. — +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_269">[269]</span> +</p> + +<p> +Ed Herculanilla in lacrime attendeva sempre nel suo +amore immortale il ritorno di Lucio Vitelio Hycca vittorioso +e fedele. +</p> + +<p> +<span class="smcap lowercase">XVII EIDIBVS JVNI</span>. Era giorno fasto. Lungo l’anno venivano +deposte in un vicolo chiuso presso il tempio di Vesta le +ceneri del fuoco sacro che si ritiravano dallo altare. La porta +di quel chiassuolo, detto <i>janua stercoraria</i>, si apriva dal pontefice +Massimo e le ceneri erano gittate nel Sarno. Quel giorno +rispondeva a’ dì quindici giugno del nostro calendario, fissato +già per le nozze religiose di Cneo Vibio e di Melissæa. +</p> + +<p> +Gran folla era nella via Domizia. L’atrio, pieno di amici +delle due famiglie che univano il loro sangue. Ve n’erano di +prima e di seconda ammessione. E qua e là i clienti e gli affrancati +in faccende. +</p> + +<p> +Ma il grande affare trattavasi nella camera della sposa. +Le <i>cosmetes</i>, le <i>ciniflones</i>, le <i>calamistæ</i>, le <i>psecæ</i>, le <i>vestificæ</i>, +cioè le schiave che pettinavano, che acconciavano i capelli +e vi soffiavano su una polvere che ne faceva risaltare il +colore; che li arricciavano co’ ferri caldi; che davano l’ultimo +assetto alla pettinatura; e le sarte che vestivano la giovanetta +erano tutte attorno di lei. Escita appena dal bagno e asciugata, +Scaphion gittò sul bellissimo ignudo corpo il <i>supparum</i> di lino +egizio, ch’era pur detto <i>sindon</i>, o <i>vestis byssina</i>, simile per +la forma ad una camicia, senza maniche e sparata sul petto; +e chiusi i piccoli piedi nei <i>calcei purpurei</i>. Sur una tavola +era la <i>narthekia</i>, il mobile più prezioso allo assetto delle +donne. Era una scatola di legno odoroso, guarnita di cornici +e di fasce di avorio in rilievo. Conteneva unguentari di cristallo +scolpito; fibule d’oro; piccoli arnesi di argento per le +unghie, per le orecchie e pei denti; fiale di sardonica; e vasettini +di alabastro, contenenti essenze profumate venute di +Antiochia e di Alessandria. Fabricio ci ha serbato i nomi di +venticinque di esse; nomi nuovi e svariati di raffinamenti e +modificazioni impercettibili, con cui i mercanti spacciavano +gli stessi odori che avevano tutti per base la radice di un arbusto +chiamato <i>costum</i>, o le foglie aromatiche dello <i>spicanardus</i>. +</p> + +<p> +Melissæa è seduta. Delphia tiene a lei dinanzi uno specchio +<span class="pagenum" id="Page_270">[270]</span> +di argento lucidissimo, di forma rotonda, chiuso in una +cornice dorata, di quelli che si fabbricavano in Brundusium. +Nape la pettina, <i>rutilabat comam</i>, la profumava, <i>crispabat +calido ferro</i>, adattava i ricci onde la fronte apparisse bassa, +giusta la esigenza della moda romana, e intrecciava a quei +suoi capelli d’oro fili di perle, di pietre preziose e le <i>crinales +vitiæ</i>, cioè fasce e nastri di vario colore. Erotia e Scapha animarono +una discussione importante. L’una dicea che i capelli +della sposa conveniva separarli col ferro di una lancia intrisa +nel sangue di un gladiatore morto nello Anfiteatro. E poi dividerli +in sei trecce a foggia di quelle delle Vestali. L’altra — e +Nape era con lei — non volea saperne della lancia. Coraggiosi +figliuoli sarebbero sempre nati da così nobile seme. +E piuttosto che separare i capelli in sull’occipite in sei ciocche, +valea meglio, così arricciati ed ondulosi com’erano, racchiuderli +nel <i>reticulum auratum</i> e farli cadere copiosi sulle +spalle. Avrebbero dato maggior risalto alla sua testa divina. +</p> + +<p> +— La mia padrona non abbisogna che si pettini a tuo +senno per essere ancor degna di alimentare il sacro fuoco. Tu +sì che commetteresti sacrilegio se ti facessi foggiare in tal +guisa. +</p> + +<p> +— Impudica! Pria di dirmi insolenze, avresti dovuto +non confidare alcuna cosa ad Eulalia ed alla tua memoria. +</p> + +<p> +— Sibili come una serpe. Scapha sa — e tu non lo ignori — che +la lancia che hai costì nelle mani non è gladiatoria nè +mai fu bagnata di umano sangue. Bando alle ciurmerie. +</p> + +<p> +— Via. Chetatevi. Perchè Erotia non si affligga in questo +giorno felice, dividete i capelli col ferro della lancia. Involgi, +o Nape, le chiome nella leggera vesica. Poni sul capo +la corona di verbene, che io stessa ho raccolto e tessuto, e +ricuoprila col <i>luteum flammeum qui debebit me nubere viro +meo</i>. — +</p> + +<p> +Così fu fatto. Le posero nel foro delle orecchie pendenti +d’oro, simulanti foglie di edera, ed una face accesa la cui +estremità finiva in una perla. Quei pendenti, l’uno distaccato +dall’altro, si chiamavano <i>crotalia</i>, perchè risuonavano urtandosi. — E +la face dinotava le fiamme del cuore. E l’edera lo +attaccamento della sposa all’uomo suo. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_271">[271]</span> +</p> + +<p> +Cypassis, la bruna schiava di Memphis — che aveva +un affetto particolare per la sua gentile padrona — volle incaricarsi +dello affare il meglio importante; e tanto più che +facea contrasto colla fosca sua carnagione. Aggiustato il capo, +affibbiati gli ori e il <i>segmentum</i>, stretta la persona nello <i>strophium</i>, +essa la vestì della <i>tunica recta</i>, tutta bianca, amplissima, +ornata di bende. E la cinse col <i>cingulum laneum</i>, sostenuto +dal <i>nodus Herculeus</i>, che il marito avrebbe poi sciolto. +Gli è perciò che diceasi <i>zonam solvere</i> per esprimere l’ultimo +grado di domestichezza tra l’uomo e la donna. +</p> + +<p> +Melissæa, meglio che ordinare, permise che le affettuose +sue schiave acconciassero sulla sua persona le vesti nuziali +che accrescerebbero di tanto la sua naturale avvenenza. La +mente era presa da una involontaria inquietudine. Sentiva +dentro la commozione nuova che fa provare la vicinanza di +un gran cambiamento, per quanto esso si creda felice. Amava +suo padre. N’era teneramente riamata. Sorgevano altri doveri. +Passava dal certo allo ignoto. Si distaccava da una sollecitudine +devota, andava in braccio ad una sollecitudine più +intima e confidenziale. E quando le sue amiche, Giulia, Emilia +e Maria, le sorelle del duumviro Pontico, entrarono per avvertirla +che il Flamine-Diale era già nel sacrarium della +casa; e lo sposo, e i dieci testimoni, e gli amici, e i parenti +l’attendevano per la sacra ceremonia, essa si gittò tremante +al collo di quelle sue fide compagne e pianse. Le lacrime +sono contagiose. E più, perchè destavano nelle sopravvenute +un certo tal qual turbamento, di cui sarebbero anch’esse colpite +fra non molto per la circostanza medesima. +</p> + +<p> +Melissæa apparisce nell’atrio. Il vestibolo è aperto ai curiosi, +ed il portico, il peristilio, lo xysto sono gremiti di gente. +</p> + +<p> +Gli sposi siedono sur una <i>sella jugata</i>, coperta di una +pelle di pecora. Il sacerdote di Giove prende la mano destra +della giovanetta e la pone nella mano destra di Vibio e pronuncia: +</p> + +<p> +— <i>Hanc tibi in manum do.</i> — +</p> + +<p> +Con altre parole sacramentali e solenni dichiara che la +donna dovrà partecipare ai beni del coniuge suo siccome ad +ogni altra santa cosa. Liba a Giunone. Compie la <i>confarreatio</i>. +<span class="pagenum" id="Page_272">[272]</span> +E fa che la sposa ponga nel dito mignolo dell’uomo il cerchio +d’oro formato da una verghetta incrociata, terminante in due +piccoli globi, riuniti da una fune cui era sopraposto un rubino +dalla immagine di Ercole in rilievo, chiusa in una cornice +d’oro. Era la antico nodo che prima fu cingolo alla persona, +poi monile al collo, armilla al polso della sposa ed anello al +dito degli sposi. +</p> + +<p> +Vibio, commosso, le prese con ambe le mani la fronte e +la baciò. E amorosamente guardandola, le disse: +</p> + +<p> +— Un dio è in te, o Melissæa..... Qual dio? Lo ignoro. +Ma, vi è un dio! — +</p> + +<p> +E cavato dalle pieghe della tunica uno <i>spinther</i>, ossia +cerchio d’oro, aperto e terminante in due teste di serpe, lo +adattò sullo avambraccio di lei. Eravi sopra scritto: <span class="smcap lowercase">SPERATA. +PACTA. SPONSA. NUPTA.</span> +</p> + +<p> +Nello uscir del sacrario le due famiglie e i testimoni entrarono +negli <i>æci</i> per occuparsi del primo pagamento della +dote fissata. La folla andò via lentamente di casa per soffermarsi +sulla via. +</p> + +<p> +Demophilo, presa per la mano Melissæa, l’accompagnò +sino al <i>prothyrum</i>. Quivi alcuni giovani la presero sulle braccia +come per costringerla ad abbandonare per forza le paterne +dimore ed incontrar con dolore lo allontanamento delle persone +legate con lei dallo affetto e dalle abitudini. Cotesta finta +violenza richiamava alla memoria il ratto delle donne sabine. +Vibio aveva mandato cinque dei suoi liberti presso la casa +degli Edili per accendervi le torce nuziali che doveano precedere +la processione. Essi tornati, il corteo si pose in cammino. +Tre fanciulli vestiti di pretesta si presentarono. Uno andò +innanzi, squassando un ramo di albospino acceso per ovviare +il mal’occhio. Gli altri due condussero la sposa per le mani. +Dietro era una schiava colla conocchia guarnita di lana ed un +fuso. E con lei, un giovanetto, detto <i>camillus</i>, che in un +cesto di vimini portava i <i>crepundia</i>, i giuocherelli, le pupazzole +con cui Melissæa erasi baloccata. Venivano poi quattro statue +sorrette sulle stanghe dorate da sedici schiavi. — Iugatino, +il dio che aggioga; — Domiduco, che presiede alla processione +nuziale verso la casa dello sposo; — Domicio, che introduce +<span class="pagenum" id="Page_273">[273]</span> +la sposa nella nuova dimora; — Manturna, mercè la cui protezione +essa soggiornerà sino alla morte col marito suo. — Poi +venivano lo sposo, i testimoni, gli amici e la folla. E questa, +accompagnando la voce al suono delle <i>sarranæ</i>, cioè alle +armonie di un doppio flauto lungo e breve, cantava un inno +a Talassio, uno dei banditi accorso al richiamo di Romolo, +che rubando la sua sabina, ebbe con essa lunga e fortunata +unione. +</p> + +<p> +Giunta la sposa sul margine della via di Mercurio, dinanzi +la porta principale della casa nuziale — tutta adorna di ghirlande +di mortella e di rose, e parata di una stoffa di lana bianca — Melissæa +vi appese alcune bende unte di grasso di lupo, +onde allontanare i sortilegi, soggetto di terrore per quella +razza d’uomini che pur di nulla temeva. — E la folla cantava +l’inno a Talassio. +</p> + +<p> +Vibio allor si fece sul margine; e fingendo ignorare il +nome della fanciulla biancovestita, le chiese: +</p> + +<p> +— <i>Quis es?</i> +</p> + +<p> +— <i>Ubi tu Caius, ibi ego Caia.</i> — +</p> + +<p> +Cioè a dire: — dove tu sei signore e padre di famiglia, ed +io sarò signora e madre. — Avvegnachè fosse di suo diritto il +dichiarargli ch’essa contava vivere secolui con patto di eguaglianza +e pur compirebbe esattamente i doveri di moglie e di +massaia, ad esempio della nuora di Tarquinio, Caia Cæcilia +Tanaquilla che lasciò nome di un’abile lanifica e di una virtuosa +sposa. Due bambini le fecero toccare la torcia accesa e +l’acqua, per significarle che quind’innanzi avrebbe comune +col marito la vita, cioè, l’acqua ed il fuoco. +</p> + +<p> +L’uscio si aprì. E Giulia, Emilia e Maria la sollevarono +di terra e la deposero mollemente nell’atrio, senza che i suoi +piedi toccassero la soglia. Questa era sacra a Vesta; e sarebbe +stata una profanazione e un funesto presagio, se colei che +avea rinunciato agli attributi della dea — tutela ai grandi destini +del mondo romano — l’avesse toccata coi piedi. +</p> + +<p> +Nell’atrio era distesa una pelle di montone dai lunghi +velli. Su di essa le amiche la posarono, quasi per ricordarle +le sue prossime occupazioni. E Vibio le presentò colla sinistra +le chiavi della casa raccolte in un medesimo anello e +<span class="pagenum" id="Page_274">[274]</span> +coll’altra una patera di argento con alcuni nummi d’oro, +premio alla sua compiacenza. Quindi i due felici gittavano +l’uno manciate di noci, l’altra i suoi <i>crepundia</i>, per testimoniare +com’essi da quel momento davano bando alle futilità, +e non si sarebbero occupati che delle gravi cure della famiglia. +</p> + +<p> +Per solennizzare la festa Vibio offerse una sontuosa <i>cœna +nuptialis</i> ai parenti, agli amici ed agli altri invitati. Gli schiavi +tirarono le cortine del <i>tablinum</i>. La lunga pergola ed il +giardino erano illuminati. Tutti mossero; e volgendo a diritta, +entrarono nel triclinio, decorato di marmi africani e orientali, +rossi, gialli e sanguigni, con bella architettura innestati da fasce +di alabastro egiziano. Invece dei tre letti, eravene uno solo +semi-circolare ed oblungo, rispondente alla forma della stanza +assai vasta. La illuminazione era splendida. Il <i>convivium</i> +anche più. Giovani schiave riccamente vestite, giovani succinti, +liberti e curiosi erano sotto le colonne della pergola, +tutt’occhi allo spettacolo che pel loro divertimento si stava +apparecchiando. +</p> + +<p> +Dal <i>posticum</i> — ch’è nella viuzza parallela a quella spaziosa +dalla fontana di Mercurio — era entrata nello xysto una +truppa di orchestredi, giocolieri che di Creta mostraronsi in +Atene, e di Syracosion si propagarono nelle nostre contrade. +Ippoclide onorò la cibistesi, allorchè per ottenere la figliuola +di Clistene in isposa, pose in mostra la sua destrezza, imitando +il giro della ruota della Fortuna, e così rendersi benevola +la iddia capricciosa. Ed al padre sdegnato che a lui rifiutava +il possesso della nata di lui, lo ateniese die’ la famosa +risposta: — Οὐ φροντίς Ἱπποκλεὶδη — È l’unico pensiero d’Ippoclide — che +passò tra i Greci in proverbio. In Pompei chiamavano +quelle acrobate coi nomi di <i>cernuatores</i> e <i>petauristæ</i>. Erano +belle giovanette di Gnathia e di Rubi, condotte da un uomo +che traeva pro della loro bravura, egli suonando le <i>sarranæ</i> +ed un fanciullo la cetra. Allorchè fu distesa per terra una +tavola ov’erano a determinate distanze confitti tre gladii, una +di esse, cacciata giù la <i>lacerna</i> — specie di largo mantello +col <i>cucullus</i> col quale erasi coperta — mostrossi nuda, avendo +soltanto i capelli tenuti in freno da una benda ed i fianchi +<span class="pagenum" id="Page_275">[275]</span> +cinti da un grembiule, fascia che i greci chiamavano περὶζωμα +e i latini <i>subligaculum</i>. Aveva le armille ai polsi e la periscelide +sul destro malleolo. Colle mani aperte, gittatasi a capo +rovescio, rimase per poco colle gambe in aria; quindi si capovolse +sulle spade con mirabile prestezza, senza rimanerne +offesa. Dopo parecchie prove, l’<i>editor</i> collocò in fine della +tavola, in alto, un cerchio entro il quale erano pur confitti +altri pugnali; e la taumatopia colla medesima destrezza capitombolò +sui gladii, penetrò colle gambe nel cerchio e piegando +il corpo come un verde fuscello, saltò fuori sui piedi ed illesa. +</p> + +<p> +— <i>Terror et metus nudis insultant gladiis.</i> — +</p> + +<p> +— Nè il terror, nè il timore saltano con lei, o Grumio. +La cibistetere si volge con spigliata sicurezza come i pesci +rossi saettano a capo in giù nel vivaio del mio padrone in +Puteoli. +</p> + +<p> +— Maraviglia! Non ha molto, o Syra, vidi delfini guizzare +sulle onde del nostro cratere e rituffarsi con movimenti +meno leggiadri e punto pericolosi. +</p> + +<p> +— Oh! mira quest’altra, Dorippe. L’<i>editor</i> siede, suonando +i flauti. La scleropecta è in piedi sulle sue ginocchia.... +afferra colle mani la spalliera.... si lancia in aria e volgendosi +su se medesima, a lui poggia i piedi nudi sul capo. +</p> + +<p> +— Oh! Curiosa cosa! Mira il cagnolino che ne prese il +posto. E drizzasi sulle zampe deretane. +</p> + +<p> +— Apparecchiano una tavola, o Loto. O, cosa è?... Ah! +Una patera piena di vino e due aranci.... Ecco la più bella che +salta. +</p> + +<p> +— Cotesto sì, o Elpinike, io non vidi mai. Come! Nessun +tremolìo sul deschetto! Nessuna gocciola del liquido fuori +del vaso! E gli aranci afferrati, lanciati in aria e raccolti +nelle aperte palme ora che è in piedi sul suolo! In <i>Pæstum</i>, +per le feste di Nettuno, erano abilissimi taumaturghi. Ma +Cneo Vibio soltanto sa offerire simiglianti difficili giuochi. — +</p> + +<p> +Il giovanetto Loto aveva col braccio sul collo stretto a sè +la persona della sua interlocutrice. E le baciò la tempia amorosamente. +</p> + +<p> +Carion ch’era loro da presso, vide l’atto ed aggiunse: +</p> + +<p> +— Caldi vi avviticchiate come la pianta di Bacco. Bada! +<span class="pagenum" id="Page_276">[276]</span> +È una vergogna in Pompei <i>non continere libidinem suam</i>. +Fratello, sarò costretto a chiamarti, <i>Canis</i>. — +</p> + +<p> +Loto era per rispondere alla ingiuria, quantunque detta +col sorriso sul labbro. Ma un altro spettacolo richiamò la sua +attenzione. Un’altra fanciulla, coperta dalle anassiridi listate +di rosso e di nero — come le maglie strette dei nostri giuocolieri — camminando +sulle mani, ricevette da un bambino +sulle piante dei piedi un bicchiere di terra detto <i>cyathus</i>, ed +un’anfora <i>figlina</i> e breve, sulla cui pancia era il <i>pittacium</i> in +pergamena colla scritta, <i>Setinum annorum decem</i>. Destramente +dalla diota mescè il vino nella <i>lingula</i> e con un movimento +rapido delle reni trovossi sulle sue gambe, avendo in +una mano l’anfora e appressando alle labbra il bicchiere che +aveva raccolto. E nel vuoto, neanche una gocciola venne rovesciata +per terra. +</p> + +<p> +— Per Ercole! — <i>Piper, non fœmina.</i> — Ormai per la +munificenza di questi sposi ci abitueremo alle cose impossibili. +E non maraviglierò se un dì o l’altro vedrò grugnirmi +attorno i porci belli e cotti. +</p> + +<p> +— Oh! questo sì che è un giuoco, o Curculio. Ben altro +di quello offertoci nel corso inverno da Pilonino Rufo, coi suoi +gladiatori pezzenti e decrepiti che cadeano ad un soffio. Meno +vili quelli esposti alle fiere. +</p> + +<p> +— E il combattimento a piedi a lume di fiaccole? Per +Giove tonante, parean pollastrelli. L’uno snello come un +gatto di marmo. L’altro <i>loripes</i>, coi piedi torti, come te, o +Camurio. Il terzo, il quarto, il quinto che si finsero feriti per +cessare dalla fraudolenta commedia. +</p> + +<p> +— Oh! La bella cibistetere che è quella che viene! E +ben fece a velare le parti ghiotte che Postverta ad essa compose. +Che Volupia si accordi con Morfeo ed ambedue me la +conducano in sogno. Pel Panteon riunito! Mi crederei di più +che Vespasiano imperatore. — +</p> + +<p> +Nell’atto che Phosphoro cacciava al vento così inutili +esclamazioni, la bellissima ignuda — chè il velo nulla copriva — postasi +coi piedi in aria e poggiantesi per terra sui +gomiti e sulle braccia distese, infilzò l’arco con due frecce +nel grosso dito del piede sinistro, incoccò un giavellotto e +<span class="pagenum" id="Page_277">[277]</span> +mirò il bersaglio colla testa rilevata. Il piccolo citarista si era +posto a dieci passi di distanza e con ambe le mani tenea sul +suo capo ricciuto una tavoletta imbiancata avente un segno +rosso nel mezzo. La <i>petaurista</i> strinse la corda colle dita del +piede destro, la tirò a sè e vibrò il colpo. La saetta erasi conficcata +nel centro. — Gli applausi, il picchiar delle mani, le +frenesie furono vivissime. La fanciulla venne baciata, abbracciata, +brancicata. +</p> + +<p> +Il rientrare dei convitati nel tablino ruppe il filo alla meridionale +baldoria. E tutti a gridare colle braccia alte: +</p> + +<p> +— Vivano gli sposi! Vesta pianga, ma Venere rida! — +</p> + +<p> +Caddero le cortine di Tyro d’ambe la fauci della stanza, +e due donne maritate che aveano sulle chiome una corona di +bianche rose, profittarono di quello istante di confusione per +condurre Melissæa al letto nuziale. La camera da ciò era +a lato del triclinio ed in fondo allo xysto, adorna di maschere +bacchiche e di un quadro che rappresenta Giove presso la +vacca Io, e di un altro che mostra Adone affaticato al reddir +della caccia, attorniato da amorini e da ninfe. Il toro geniale +splendeva di oro e di porpora. Il Genio — la divinità del coniugio — <i>quia +genitos tuebatur</i> — sacrando il letto, questo +venne chiamato <i>talamus genialis</i>. Ghirlande di mirto, disposte +con vago artifizio, gli danno le apparenze di un trono, degno +di accogliere la dea eterna del cuore. Le gravi pronube +spogliano colle loro mani la sposa, la pongono a letto e si ritirano +dopo averle dato gli avvertimenti che la loro esperienza +giudicava opportuni. +</p> + +<p> +Nel tablino si beve. Sotto la pergola si beve. Nello xysto +si beve. Nell’atrio si beve. Da per tutto si beve. Il falerno, +il massico, il caleno, il cæcubo, il surrentino, il lesbio, il +mamertino, il mæonio empie le <i>ampullæ</i>, i <i>cyathi</i>, i <i>calices</i>, +i <i>pocula</i>, i <i>tortiles</i> e sono bentosto vuotati, dopo aver propinato +colle parole, +</p> + +<p> +— <i>Bene illis — Bene mihi — Bene vobis.</i> — +</p> + +<p> +Bacco aveva usurpato di un tratto un incenso che non +doveva bruciare per lui. Eravi però chi non avea lasciato il +culto di Venere nell’oblio. E quando i libatori si accorsero che +lo sposo gli avea disertati, gridarono a coro: +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_278">[278]</span> +</p> + +<p> +— <i>Talassius! Talassius!</i> +</p> + +<p> +Allora, un concerto di flauti accompagnò le voci dei giovani +e delle fanciulle che cantarono nel cavedio l’inno che +segue. +</p> + +<div class="poem"><div class="stanza"> +<p class="i01">Biondo figliuol di Venere,</p> +<p class="i02"> Nume dei casti amori,</p> +<p class="i02"> Tu che di mirto e d’edera</p> +<p class="i02"> Il crine in ciel t’infiori,</p> +<p class="i02"> Signor dell’Elicona,</p> +<p class="i02"> Odi la tua canzona,</p> +<p class="i02"> E scendi in queste arene,</p> +<p class="i02"> Scendi, invocato Imene.</p> +<p class="i01">Di Melissæa e di Vibio</p> +<p class="i02"> Sorridi ai primi amplessi.</p> +<p class="i02"> Ricco di lieti auspicii,</p> +<p class="i02"> Stendi il tuo vel sovr’essi.</p> +<p class="i02"> Sull’ali del mistero</p> +<p class="i02"> Siati il pudor foriero</p> +<p class="i02"> E scendi in queste arene,</p> +<p class="i02"> Scendi, invocato Imene.</p> +<p class="i01">Voi, pudibonde vergini,</p> +<p class="i02"> Cui simil gaudio attende,</p> +<p class="i02"> Voi ricingete il talamo</p> +<p class="i02"> Di profumate bende.</p> +<p class="i02"> Turbar di amor gli arcani</p> +<p class="i02"> Non osino i profani,</p> +<p class="i02"> Oggi che in queste arene</p> +<p class="i02"> Scende invocato Imene.</p> +<p class="i01">Ed ei già vien! — Già pronuba</p> +<p class="i02"> Venere a lui si accoppia.</p> +<p class="i02"> Già la cortina mistica</p> +<p class="i02"> Cela l’ansante coppia.</p> +<p class="i02"> Spenta ogni face sia....</p> +<p class="i02"> Cessi ogni melodia....</p> +<p class="i02"> Insino al dì che viene</p> +<p class="i02"> Solo qui regni Imene.</p> +</div></div> + +<p> +Cotesto Imeneo era stato in tempi remoti un giovane di +Argos, il quale avea reso alla loro patria le fanciulle di Athenes +rubate dai pirati. Qual premio al suo valore ottenne a +sposa una delle captive che amava teneramente riamato. E da +<span class="pagenum" id="Page_279">[279]</span> +quell’epoca i Greci e i Latini, da essi inciviliti, deificando +il giovane zelante e dabbene come celeste progenie, non contrattavano +matrimonio senza rammentare il suo nome nei +canti nuziali. +</p> + +<p> +Al cessare delle note armoniose i parenti e gli amici libarono +anche una volta. E ripeterono a coro, +</p> + +<p> +— <i>Talassius! Talassius!</i> — +</p> + +<p> +Era tempo di dare alcuna requie ai congiunti dalle nozze. +I magistrati e gli amici riaccompagnarono Demophilo alla sua +dimora. Il quale pria di partirsi dal luogo ove lasciava la metà +del suo cuore, volgendo gli occhi al cielo disse nella sua lingua: +</p> + +<div class="poem"><div class="stanza"> +<p class="i01">— Θυμαρην βιοτας ολβον εχοιεν αει.</p> +</div></div> + +<p> +— Godano essi sempre una soddisfacente felicità di vita. — +</p> + +<p> +Gli altri, chi di qua, chi di là tornarono alle case loro. +</p> + +<p> +Ma i convitati della sera erano i convitati dello indomani. +Nei <i>repotia</i> si beveva di nuovo alla felicità degli sposi. — E +si bevve e si cantò. E Melissæa, appoggiata familiarmente +alla spalla di Vibio, ricevette dai parenti, dagli amici doni e +congratulazioni che nel tumulto inevitabile e nello scivolar +via dalla folla bene a proposito, non avevano potuto offerire +la sera innanzi. +</p> + +<p> +Solitudine e amore!... Una strada aperta, di soavi ombre, +che mena alla felicità. Oh! Come leggero, vivo, misterioso, +divino lo affetto che innonda l’anima, quando la graziosa +persona è da presso, vi consola, vi esalta, vi indìa! La +non è già della vostra carne. No! — Essa è la parte più delicata, +più pura della cosa immortale che freme in voi. È il +pensiero che parla. È lo sguardo che sa. — La primavera ha +i suoi fiori. Il giorno, la luce. L’aurora, la rugiada. La donna +ha i profumi che aduna o che spande sullo eletto dal suo poetico +cuore. — Alcuni lamentano il dialogo dei primi parenti +sotto l’albero della vita, e la cacciata inesorabile dall’Eden, +e il frutto amaro della ingordigia — la morte. — Essi s’ingannano! +La esistenza beata è in questo esiglio eterno — ma +con lei che sente e porta nel seno i sublimi e ricambiati amori +della umanità. +</p> + +<div class="chapter"> +<p> +<span class="pagenum" id="Page_281">[281]</span> +</p> + +<h2 id="cap10">IL CATACLISMA. +<span class="smaller">SCENE DEL NOVISSIMO GIORNO.</span></h2> + +<p class="center"> +<b>Anni di Roma 832 — Anni del Cristo 79.</b> +</p> + +<p class="center pad2"> +AL VECCHIO VESVIUS. +</p> + +<p class="center"> +X. +</p> +</div> + +<div class="chapter"> +<p> +<span class="pagenum" id="Page_283">[283]</span> +</p> +</div> + +<p> +La vasta pianura che da Cuma e da Capua — le antiche +e grandi città della Campania — distendendosi verso levante, +abbraccia e circonda il cratere partenopeo, era il loco ove +i Greci, venuti dalla Macedonia e dalla Tessaglia, credettero +che, come nelle loro contrade, anche quivi i giganti avessero +combattuta la fiera battaglia contro gli Dei. E quei campi dissero +Flegrei, da φλὲγω — ardo — per le tracce dello zolfo e +delle lave sparse su quel terreno. Gli è certo che Ercole, visitando +il bel paese sorriso da tutti i numi celesti e vedendolo +corso e devastato da uomini di fiero e selvaggio costume, avrà +voluto purgarnelo per incivilirlo. E l’atto benemerito per le +genti salve, e la fondazione di una città che tolse il nome da +lui, e le altre opere verso il mare aperto intorno il lago +d’Averno, coronarono di una poesia maravigliosa il vincente +semideo, i mostri vinti da lui ed i campi, teatro delle sue +gesta. Su di essi elevavasi un monte isolato dai tempi primordiali. +Era cinto di fertili campagne, e verdeggiava da +lungi per le erbe e per gli alberi, tranne in sul culmine che +sembrava coperto di cenere, di sassi fuliginosi ed arsi dal +fuoco. Malagevole era lo ascendervi. Una e difficile l’angusta +strada su quelle scorie tra rupi, caverne e punte aguzze +sporgenti al di fuori. Nel 682 di Roma Spartaco, dopo aver +fatto un carnaio nello Anfiteatro di Capua, riparava su quelle +balze con sessantaquattro dei suoi compagni nella rivolta. Ma +seguito d’appresso e accerchiato da Clodio Glabro alla testa +di tremila soldati, pensò di tessere corde coi tralci delle viti +salvatiche di lambrusco, le legò forte alle rocce e se ne servì +<span class="pagenum" id="Page_284">[284]</span> +di scala per discendere coi suoi sino alla pianura. Il pretore +che lo aveva fatto rinculare in uno spazio ristretto, di una +sola escita, di cui i suoi soldati tenevano la chiave, non credette +ai suoi occhi quando quell’audacissimo lo assalì con tanto +vigore da disfare il grosso delle sue ordinanze e porre in +iscompiglio il campo. +</p> + +<p> +Tale era il Vesvio nel primo anno del regno di Tito imperatore, +allorchè — come scrisse Stazio — piacque al sommo +Giove strappare dal profondo le sue viscere, sollevarle sino +al cielo e scaraventarle lontano sur alcune sventurate città. +</p> + +<p> +Era il nono giorno delle calende di decembre — 23 novembre +dell’anno 79 di nostra êra. +</p> + +<p> +Il canto dei galli annunciava l’aurora. I molossi abbaiavano +nello udire lo strèpito de’ passi sui margini delle vie. I +salutatori, i chiedoni, i saccari, i rivenduglioli ambulanti, i +mercanti delle botteghe, i viaggiatori che partono, i littori, gli +schiavi animano il selciato. I gladiatori escono con reti e panieri +dal loro quartiere e, accompagnati dal lanista C. Aelio Astragalo, +vanno a far provvista di viveri per la famiglia. Tutti +gli artigiani sono in moto verso il loro destino. E in breve ora, +quale mura ed intonaca le pareti già apparecchiate dal cemento +sparso a striscie come spini di pesce, quale sfilza una per una +le tavole dallo incavo longitudinale della soglia di pietra della +bottega e le pone in un canto perchè non lo imbarazzino nelle +trattazioni degli affari, quale apre il suo <i>thermopolium</i> e +canta o getta briosi frizzi ed inviti a chi passa. — Il venditore +di pani e di piccole focacce, dopo avere attelato la sua +merce a spicchi una sull’altra; e, spiegando i panieri sull’<i>oculiferium</i>, +mostrando il <i>pollen</i> del suo fior di farina; gli +<i>speustici</i>, stiacciate cotte sotto le ceneri; gli <i>ortolagani</i> composti +col vino, col pepe, col latte e coll’olio; gli <i>ostrearii</i>, +che si mangiavano coll’ostriche, e i pani disegnati a quadrelli, +conditi di anici, di cacio e di grasso, grida — esagerandoli — i +meriti dei suoi prodotti. — Il carraio espone sulla porta il +<i>cisium</i> che costruisce e la <i>traha</i> senza ruote che mena su e +giù nel selciato dinanzi il villico che la contratta, mentre i +suoi operai lavorano attorno ad un <i>birotum</i> per ultimarlo. Parecchie +carriuole — dette <i>unarota</i> — sono ammonticchiate +<span class="pagenum" id="Page_285">[285]</span> +nel fondo. — I <i>fullones</i>, cioè, i lavandai e gli smacchiatori, +spandono le loro umide stoffe sulla via a certi bastoni sostenuti +da travicelli sporgenti sul muro; e così, nell’atto che +richiamano l’attenzione di chi passa sulla loro industria, +usano di uno spazio che pure al pubblico è riserbato. Gli edili +avevano un bel difendere la libertà delle strade, dei trivi e +dei portici con piccole e gravi ammende a quel popolo accaparratore +di ogni spazio che il proprio non fosse. Lo interno +della bottega o della casa pareva uggioso ad ognuno. Tutti +erano lieti quando potevano starsene al lavoro sull’uscio, sul +margine, alla luce. La parola <i>via publica</i> veniva interpretata +alla lettera. E purchè lo ingombro dei due margini lasciasse +libero sulla strada l’adito ad un carro, nessuno potea venir +condannato per offesa alla legge. E ove non fossero cadute +gocciole di acqua dalle preteste, dalle toghe e dalle vesti +donnesche, certo quella mostra variopinta abbelliva la doppia +via di Mercurio e la parallela al di dietro, dove i fulloni +avevano il loro laboratorio. Era quella la meglio importante +tra le industrie pompeiane. Nel 354 i due consoli C. Flaminio +e L. Æmilio, reggendo un popolo che vestiva di lana e dormiva +ignudo tra coperte di lana, avevano decretato il modo +di trattare e di tergere quelle stoffe. E prescrissero, si laverebbero +i panni con terra di Sardinia disciolta; indi si affumigherebbero +collo zolfo, e poi si purgherebbero con terra +cimolia di buon colore. Avvegnachè questa ravvivasse le tinte +sbiadite dallo zolfo. E per le vesti bianche, dopo inzolfate, +dissero convenevole la terra chiamata sasso, la quale però +era dannosa alle colorite. +</p> + +<p> +I magistrati — i quali, creati dal popolo per occuparsi +dei suoi affari, rientravano in casa al cadere del sole, allorchè +i pubblici lavori cessavano — preceduti dai littori vanno +gravemente ai loro uffici. Alcuni uomini — vestiti di una +tunica stretta senza maniche, di colore oscuro, detta <i>exomis</i>, +o <i>diphthera</i>, col <i>cucullus</i> per coprire il capo in caso di pioggia +e continovare il lavoro — procedono dal vico storto in +una strada a perpendicolo su quella che mena alla porta di +Stabia. Avevano sulla spalla una lunga e stretta lamina di +acciaio, senza denti, terminato con due manichi di legno. E +<span class="pagenum" id="Page_286">[286]</span> +nella mano un sacchetto di sabbia di Etiopia. Erano segatori +di marmo che andavano a ridurre in lastre per impiallacciature +e per pavimenti le tavole di serpentino, di fior di persico, +di alabastro egizio, e di verde antico che attendevano +l’opera loro nella prossima casa. Ed altra gente dalle sembianze +pallide e triste che or si fermano presso i ragionatori, +or guardano dalla parte opposta ove l’orecchio tendeva, si +veggono in sui canti, per entro i templi, nel Foro. Erano le +spie di Roma, adoperate la prima volta da Cicerone ai tempi +catilinari; mantenute da Cesare; moltiplicate da Tiberio, da +Nerone e dai pessimi che vennero poi, a tutela delle imperiali +paure. Razza perversa che disponeva della vita e delle sostanze +dei cittadini e viveva lautamente a carico degli alti e dei bassi +timori. Sulle mani, invece dei chiodi portavano anelli da cavaliere; +e sul collo in luogo del nodo scorsoio splendeva il medaglione +di onore. +</p> + +<p> +Il cielo era nuvoloso e fosco. E quantunque albeggiasse +appena, il calore era eccessivo e l’aria grave e affannosa. +</p> + +<p> +Una donna viene da un vicolo per attinger acqua alla +fontana del quatrivio dell’Aquila che ghermisce una lepre. +Vi trova un suo conoscente che beve al cannello. +</p> + +<p> +— Abbi lontano dal capo la collera di Bacco, o Venerio. +I <i>meditrinalia</i> — le feste del vin nuovo come rimedio utile +alla salute — corrono dal primo allo undecimo delle calende +di ottobre. Non lo rammenti?... Il bianco di Surrentum è +confortevole a venticinque anni. Cotesto novellino del Sarno +ti guasterà lo stomaco. +</p> + +<p> +— L’ho bello e guasto, o Tataia, dal molto berne e dal +gran sudare che fo. Mira! Abbiamo il fuoco nell’aria. Mai il +calore di questo anno. E le fontane gocciolano, non fluiscono. +Gli <i>ænopoles</i> mi brinerebbero i lucri. +</p> + +<p> +— Davvero! Eppure da due lune cadono frequenti e +copiose pioggie. Che il fiume siasi prosciugato alla foce? — +</p> + +<p> +Una donna, che avea la <i>taverna vinaria</i> dietro la fontana, +si approssima a quei due ed aggiunge: +</p> + +<p> +— Quasi. Cominciò a mancare da tre dì. Ed ora vien giù +a centellini. E siccome un beone di vin cotto alla mirra mi +accusò di aver aperto nel mio cuore uno spaccio di bibite +<span class="pagenum" id="Page_287">[287]</span> +calde, io mandai alla fontana più in su per averne acqua fresca; +e dopo lungo attendere n’ebbi. Ma la fu attinta dalla +pubblica cisterna, colà presso, dove due littori vegliano dì e +notte per la custodia e la distribuzione di quell’acqua piovana. +</p> + +<p> +— L’anno del terremoto — se tel rammenti, o Fortunata — avvenne +pure così. Le acque diminuirono. — +</p> + +<p> +Il <i>seplasiarius</i>, che aveva la sua farmacia poco discosto, +viene anch’egli a verificare il misero stato della fontana. E +Fortunata a lui: +</p> + +<p> +— L’arte della Seplasia che dà credito alle erbe amarissime +e alle pillole disgustose, trae anche Flavio Fimbria alle manchevoli +linfe. O, che il tuo pozzo è turato? +</p> + +<p> +— Peggio. Dapprima diminuì la sorgente. E la rimasta ha +un sensibile grado di calore ed un gusto acidulo e disgustoso +al palato. — Che! Non ve n’ha più costì? — +</p> + +<p> +Tataia gli addita il cannello di ferro che sgocciola a mala +pena, e s’incammina ver la pubblica cisterna. Quivi era un +pettegolezzo, un accapigliarsi, un bere a furia, tumulto che i +littori acquetavano a dura prova. Ognuno il primo a gittare +giù il secchio. E le donne le peggio ardite e linguacciute. +</p> + +<p> +— Sii <i>formosa, decens, dives, fecunda</i>, o Pannikide. +Concedimi il tuo posto. Se tardo — e sono qui da un’ora — la +mia crudele padrona mi farà dare dieci vergate sulle spalle. +</p> + +<p> +— <i>Esto beata</i>, Heracla. Ma le busse che ti risparmio, le +busco per me; Lisistrata di Neptunale è una gorgona. +</p> + +<p> +— Fuori la intrusa. Io vengo poi. O bel littore, fa rispettare +la tua autorità e il mio diritto. +</p> + +<p> +— Vedi chi parla di dritto! Januaria, di padre incerto e +che ha securo amante nella casa dov’abita. +</p> + +<p> +— Frena quella linguaccia di serpe. O mi forzerai, Melitta, +a darti lo aggettivo che i tuoi casti ardori nelle <i>popinæ</i> ti meritarono, +quello di lurida <i>pellax</i> — .... e anche peggio, di +<i>porna</i>. +</p> + +<p> +— Che ho a rispondere ad una donna <i>cujus ne spiritus +purus est</i>? — +</p> + +<p> +Allora Ianuaria più infuria e con voce maggiore e con gesti +vibrati si slancia verso uno dei littori che per calmare quel +<span class="pagenum" id="Page_288">[288]</span> +tafferuglio, distendeva la mano onde separare le due litigiose +e quelli che già prendevano partito. +</p> + +<p> +— Ah! Vuoi anche tu ch’io mi muoia di sete, o difensore +di male femmine? Fai bene a darle compenso, poichè con +donne di garbo tu pugnar più non puoi. +</p> + +<p> +— Le tue chiacchiere, o sguaiata, sono più inutili di <i>vitrea +fracta et somniorum interpretamenta</i>. Inutili discordie! +Ognuno avrà l’acqua a suo tempo senza motti villani e senza +che abbiate a comperarvi un <i>galerum</i> e porvelo come un elmo +di chiome sul capo invece dei capelli che vorreste strapparvi. +</p> + +<p> +— Ha ragione Nupeo. Si quieti la tentigine di queste +piche parlanti e la destrezza prevalga. — +</p> + +<p> +Così Nilodoro. Il quale, schiavo di un tintore presso la +fontana dalla testa di Giunone, era venuto alla cisterna per +compiacere alle voglie della leggiadra padrona che coll’audacia +dello sguardo spiegava la segreta sua simpatia, eloquente +però nei soppiatti incontri. Allora uno scoppio di risa ed un battere +di mani. Anche le trecchiere dissimularono lo sdegno con +finta ilarità. Ma le voci e gli alterchi ricominciarono ben presto +a logorar la pazienza ai littori addetti a quel disgustoso ufficio. +</p> + +<p> +Per quanto ognuno il vedesse, nessuno sapeva spiegarsi +cotesta deficienza di acqua nel Sarno, cotesto ringoiamento +delle sorgenti nella terra e quel sapore acidulo e puzzolente +nelle acque che rimanevano ancora nei pozzi. +</p> + +<p> +Due uomini passano per quella strada. Sono Solonas, il +mattonaio ed Elio Gemino, il carradore. Si arrestano, ridono +ed infilzano molte parole su quelle femmine che qua e là scorrevano, +arrovellandosi. +</p> + +<p> +— <i>Picæ pulvinares.</i> Gazze da mercato. Le trovi sempre +pessime lingue e a gridare di piena notte che è mezzodì. — Manca +l’acqua? Vi è il vino! Bacco ne spremette molto l’altro +anno. Ce ne darà copiosamente anche in questo. +</p> + +<p> +— Ma la baccante non è massaia. Ed io stimo la <i>eupatria +qui providet omnia</i>. E poi cotesta stranezza non è a prendersi +a gabbo, o Salonas. È nelle cantine un certo aere maligno che +uccide gli animali che dentro penetrano. Due gatti del mio +vicino, là sotto le mura che guardano verso Nuceria, furono +trovati morti. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_289">[289]</span> +</p> + +<p> +— E due facchini di Polibio, nel penetrare nel fondachi +di quel ricco, presso il porto, prima ebbero spente le lampade +e poi caddero stecchiti. Un altro che andava a soccorrerli, +nel curvarsi sentì mancare il respiro e le idee vacillare. Escì +fuori in tempo e potè riaversi sulla scala, alitando l’aria al di +fuori. I cadaveri furono tratti su cogli uncini e non avevano +un graffio sulla persona. Dunque la dea Mephite tolse loro il +respiro. +</p> + +<p> +— Ben dici, o Epietetos. Strano paese divenne il nostro da +che Marco Herennio, decurione, venne a sol diffuso, a cielo sereno +colpito dal fulmine nel Foro. — Dove di presente tu pingi? +</p> + +<p> +— In una casa, quasi in fondo della strada che ha la fontana +dal bacino arrotondato, presso il bello Edone, vinaio. +Sai? Dove talvolta, o Pistosxenos, ti ho visto bere di tarda +sera con Floro e Frutto, festevoli compagni, allorchè ti eri +sbarazzato del carico di figulina che avevi portato da Nola. — +</p> + +<p> +I quattro continuano a scendere per la via consolare. +</p> + +<p> +— Veh! qual processione votiva! Come se fosse il sedicesimo +delle calende di aprile, all’epoca delle <i>liberalia</i>, per +le feste di Bacco, nell’assunzione della toga virile. Oh! il calore +è eccessivo.... Guarda i due batavi di Capito come soffiano in +sull’uscio! Il nostro clima ad essi deve parere l’alito di un +forno acceso. +</p> + +<p> +— E che dici di quel succoso che ti passava vicino? La felicità +lo die’ a balia presso la Fortuna. E se suda, ha ben molte +tuniche da cambiare. È Clodio Alypo, liberto di Calvisio; il +quale, comperati i montoni a Tarentum, dopo il tremuoto e +la gran morìa delle bestie, e ridottili in mandra, divenne mercante +di lane e di proprio ha sei tintorie. Dicono possegga i +suoi ottocento talenti. E in sua casa la borra dei suoi origlieri +è tinta di porpora e di scarlatto. Sul suo desco <i>apros gautupatos, +opera pistoria</i> e vini squisiti. +</p> + +<p> +— Come! Mangia i cinghiali cotti nella loro pelle? Allora +gli spiriti incubi gli diedero il loro cappello perchè trovasse +il tesoro. +</p> + +<p> +— Egli felice che non suda al tornio facendo vasi ed +orciuoli! +</p> + +<p> +— Nè cuocendo mattoni al pari di me. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_290">[290]</span> +</p> + +<p> +— Oh! parlaste a proposito degli effetti del caldo. Ho la +gola arsiccia. Entriamo nella <i>taberna vinaria</i>, e beviamo del +buono aromatizzato che spegne la sete. +</p> + +<p> +— Savio il consiglio di Gemino. Il vino generoso e melato +e mirrino, se supplisce ai panni nel verno, ingagliarda e +sostiene il corpo in estate. +</p> + +<p> +— Sì, se nol fai salire al cervello ad ondate; imperocchè +allora vacilli e cadi. +</p> + +<p> +— Io per me amo più i termopolii che la fullonica. <i>Aqua +dentes habet, et cor nostrum quotidie liquescit.</i> Ma quando ho +un <i>pultarium</i>, di quello che ha la <i>schedula</i> sulla pancia e non +si vergogna come le donne di dire la sua età, le squadro a +tutti io. E Pistosxenos lo sa, il buon compagnone. +</p> + +<p> +— Concediam libero il dire al figliuolo di Semele, lo +allegratore degli uomini.... Ohe! Bubbio. Abbi Venere ritrosa +se mai facesti galileo il vino che ti chiediamo. Del <i>calenum</i>.... +e di quel <i>dominicum</i>, il vino che bevono i padroni +di casa; e non sia concinnato con pepe o con erbe aromatiche. +Non son del gusto di Gemino io. +</p> + +<p> +— O Epictetos, tu devi andare al lavoro, rammentalo, +e il pennello delira, se lo stomaco bolle. E la vedova di Alessandro +Citus.... +</p> + +<p> +— Oh! per Ercole! Valeria Eupraxia non applicherà le +sue labbra sulle mie per fiutare il <i>cadus Aliphanis</i> che mia +madre aiutata mi compose nel petto. Erano gli uomini che +ai tempi dei re baciavano le mogli sulla bocca — e il dilettoso +costume perdura — per conoscere dal loro alito s’esse +avevano bevuto del vino. — Attento... Il vinaio mesce. E +Solonas brinda. +</p> + +<p> +— <i>Mihi, Tibi.... Vobis!</i> Ah! Gli è pur buono.... Arianna +tutto obbliava quando trovò un tal conforto dell’animo.... +Ehi! Athicto Sinna, non passar oltre senza bere con noi. O +che hai con quel viso da funerale? +</p> + +<p> +— <i>Mulier, mulvinum genus.</i> È un nibbio. Non conviene usar +bene con alcuna, perchè gli è come gittare il bene in un pozzo. +Se giovane, è lo abbandono di se stessa, è la noia, la solitudine, +lo ideale che arde nel suo cuore di una vampa bugiarda. +Se matura, è un carcere, un imbarazzo. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_291">[291]</span> +</p> + +<p> +— Sentenzia come Cicerone da vivo. — È amaro ricordo. +Addolcialo con questo <i>vetustate edentulum</i>. Tradito a ponente, +volgiti a levante. +</p> + +<p> +— Conosci, o Gemino, il nome di quel tristo suo disinganno? +</p> + +<p> +— Sì, Solonas lo diceva ora all’orecchio di Pistosxenos. +La giovane Kallisto, figlia di Narcissio Moscho, presso le +proprietà degli eredi di Giulia Felice. +</p> + +<p> +— Veramente bella, grassoccia, al punto. La vidi di sera +nel tempio di Venere; e la sua veste bianca si staccava dalla +semi-oscurità come raggio di luna. +</p> + +<p> +— Athicto, non piangere. Bevi piuttosto. +</p> + +<p> +— Lascia ch’io mi beva le lacrime. L’amava come non +aveva amato mai. Diceva appartenermi intera, senza riserva. +<i>Semper et ubique</i>. — +</p> + +<p> +— Ed ecco le parole cui tu non dovevi fare a fidanza. È +lo stesso che attendersi inerzia da una farfalla. Ma non dubitare. +Andrà lontano. Troverà la fiaccola che le arderà le ali. +</p> + +<p> +— E che fa egli costì contro il muro? +</p> + +<p> +— Poichè l’oro mi si fe’ piombo fra mano, scrivo con +Ovidio: +</p> + +<div class="poem"><div class="stanza"> +<p class="i01">Quisquis amat veniat. Veneri volo frangere costas</p> +<p class="i02"> Fustibus et lumbis debilitare bene.</p> +<p class="i01">Sermo est illa mihi tenerum pertundere pectus,</p> +<p class="i02 dotted"> . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .</p> +<p class="i01">Quos ego non possem caput illud frangere fuste.</p> +</div></div> + +<p> +— La donna, amico, è come la coda del vitello, <i>retroversus +crescit</i>. Appicca quindinnanzi il voto a ogni immagine, e sarai +vendicato. +</p> + +<p> +— Ma io l’amo e non posso. E così passerà la mia vita. — +</p> + +<p> +Epictetos si appressa all’orecchio di Pistosxenos e susurra: +</p> + +<p> +— Dì.... parla da senno Athicto.... e così.... in Pompei? +</p> + +<p> +— Anch’io vi pensava su..., e comincio a temere che +Plutone abbia respirato troppo vicino a quel suo delicato cervello. +</p> + +<p> +— Orsù, fratelli, l’ultima alzata di gomito. E beviamo +alla tua pace, o Sinna. E perchè ne profitti, ricordati che lo +amore è la sfinge, la quale divora chiunque la interroga. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_292">[292]</span> +</p> + +<p> +Quegli amici seguitarono la via e volsero pel vico storto, +piegarono a sinistra presso la fonte del quatrivio, e discesero +in giù. Un <i>vale</i> incrociato; ed ognuno pei fatti suoi. +</p> + +<p> +Il pittore Castresio, cui avevano dato il soprannome di +κάλος, era già al lavoro. Sulle pareti del <i>cavædium</i>, tinte in +nero, dipingeva baccanti abbracciate o sostenute da fauni festosi +e danzanti. Erano i devoti seguaci del giocondo iddio +che prometteva per non spinoso calle i piaceri di una vita beata. +A’ suoi piedi era la tavolozza di granito egizio, posta sopra un +braciere. I suoi rotondi incavi contenevano i colori di cui allora +servivasi. Cosenzio abbelliva una scala. Vetidio, un <i>œcus</i>. Succidio +Epitinka, lo xysto. Damisio restaurava un cubicolo. Poche +altre pennellate, e tutto il lavoro sarebbe compito. Cantavano +canzoni del loro paese. Lo amico che vide entrare Pistosxenos, +scherzosamente il garrisce: +</p> + +<p> +— Ti dai bel tempo, per tutte le muse eh? Hai ragione. +L’aria è sì grave che spossa i nervi e le facoltà dell’occhio. +E qui cantiamo come cicale di Rhegium. Ma indovino chi ti +trattenne. <i>Colubra restem non parit.</i> Di serpi non si fanno +corde, e tu saresti capace <i>resecare ungues</i> allo avvoltoio che +vola. +</p> + +<p> +— A che miri con questo dir da sibilla? +</p> + +<p> +— Penso che tu, <i>iterum et feliciter</i>, ti trattieni sotto coltri +non tue e non ti fai sorprendere dal geloso. Bada! Cornelio +Vitale or’è più di un anno <i>dispensatorem suum ad bestias +dedit</i>. I duumviri glie lo accordarono ad esempio. +</p> + +<p> +Vetidio entra a dire: +</p> + +<p> +— Misero! Qual colpa in lui, se forzato a fare? Qual colpa +in lei, s’egli bruttissimo? +</p> + +<p> +— Eh! legge di taglione! Finire straziato dal toro! <i>amasiuncule +mi</i>, smetti o ci capiti. — Dipingi qui e non in casa. Farai +fortuna. Valeria Eupraxia ha ammirato il tuo Narcisso e +la tua Danae col Perseo salvato nelle braccia. E parlò <i>libentissime</i> +di te e del valor tuo a Memore Istacidio, il sacerdote +di Mercurio e di Maia. Pare voglia ridipingere il tempio e dare +a te quel lavoro. Mio padre mel dicea sempre; <i>Literæ thesaurum +est; et artificium nunquam moritur.</i> +</p> + +<p> +— Ti so grado, o bel Castresio, del sermone e delle liete +<span class="pagenum" id="Page_293">[293]</span> +novelle. Con siffatti stimoli vado a compire il lavoro. Ma non Klimenes +me rattenne come tu ti piacesti pensare. Ma è disordine +e sgomento nella città per l’acqua che manca. Ed Ælio Gemino, +il carraio, con altri buontemponi mi trassero alla taverna. +</p> + +<p> +Dopo un’ora le pitture erano ultimate per tutto. Nel cavedio +mancava il <i>podium</i>, cioè lo zoccolo. Ma Castresio lo segnò, +perchè, i <i>cementarii</i> sapessero il punto dove avrebbero +incastrato le tavole di marmo di Luna. Ed in punto, ecco +Edone, il vicino vinaio che così tutti rimbecca: +</p> + +<p> +— Come! Quando lo scirocco pesa talmente a soffocare +il respiro e si suda solo pensando, e voi, beoni che mi sapete +alla distanza della voce, vi state costì ansimanti qual mantice +e non chiedete soccorso a chi ha tal merce che rinfranca ed +allieta? +</p> + +<p> +— Ti sieno propizi gli dei, o bellissimo Edone. Possa tu +versarmi il vino sul capo se io manco al tuo invito. E non solo +ceci e lupini; ma un po’ di <i>scriblita frigida</i>, di quella torta +eccellente di ieri, se pur te ne avanza. Condita col mele caldo, +berremo come Anacreonte, e tu sarai lieto di noi. +</p> + +<p> +— Se tu paghi lo scotto, o bel Castresio, permetti al tuo +Pistosxenos di aggiungere il cacio molle e rape con senape. +Consenti? +</p> + +<p> +— Costui mi vuol Trimalcione. E sia! V’ha tra noi Succidio +e Damisio che nell’atto chiederanno fegato nei bacini, +busecca di bue ed uova pileate. Non somigliano punto a +Vetidio, del quale ebbi a scrivere ieri sul muro; <i>Ubi perna +cocta est, si convivæ apponitur non gustat pernam, ligit ollam +aut caccabum.</i> +</p> + +<p> +— No, saremo discreti. Non dubitarne. Ove mai tu imbandissi +un prosciutto cotto, lo mangeremo tutto, e sii certo che +non leccheremo l’unto della pignatta. — +</p> + +<p> +E Pistosxenos, preso uno spillo, graffì sulla nera parete +la sentenza che segue: +</p> + +<p> +— <i>Invicte Castresi, habeas propiteas deas tuas tres. Ite et +qui leges, calos Edone, valeat qui legerit</i>. Cotesto è il voto pel +nostro caro anfitrione. Ma più che Giunone e Minerva io so +che Venere lo prese per gli occhi. E ad essa il pomo. +</p> + +<p> +— In fede di Edone, gli è un suo devoto e dei più passionati. +<span class="pagenum" id="Page_294">[294]</span> +E gli bisogna mangiar caldo e ber freddo. Or permettete +ch’io pur graffisca qualcosa a mia volta? +</p> + +<p> +— Eccoti lo spillo e scrivi. +</p> + +<p> +Il vinaio pensò e poi stese la mano sulla parete. +</p> + +<p> +— <i>Edone dicit. Assibus hic bibitur dipondium. Si dederis +meliora, bibes conditus. Si dederis mina I, XL urna bib</i>.... +</p> + +<p> +— Orsù, a me lo spillo e traccerò il mio nome a conferma. +</p> + +<p> +E graffì, +</p> + +<p> +— <i>Calos Castresi</i>. +</p> + +<p> +— Oh! Andiamo. Venere è losca. Perciò più bella. Diverrebbe +irata se più qui tardassimo. E imbruttirebbe. Allora tutti +gli dei contro di noi, ed avremmo pane pei nostri denti. +</p> + +<p> +E gli allegri pittori seguirono Edone nella sua <i>taberna +vinaria.</i> +</p> + +<p> +Per le vie sono mercanti di carne che portano sur un +<i>cesticillus</i> pezzi di trippe e di fegato, ed urlano i meriti della +loro merce a buon mercato. +</p> + +<p> +E <i>dendrophores,</i> che tagliano, spaccano, segano e portano +il legname da ardere a chi vuol comprarlo. E carbonai +che spingono innanzi i loro asini pazienti e carichi, che a posta +loro dirigono, ed arrestano per la coda. E venditori di fuscellini +inzolfati che cercano di ricambiare coi rottami di vetri +e con tibie di bue già mangiato. E ciechi che suonano nei flauti +per buscare la vita. E saltimbanchi che imitano i giuochi del +Circo. E prestigidatori. E robusti uomini che sollevano fanciulli +sulla testa e sulle braccia, d’onde ricadono in piedi per +le terre senza farsi alcun male. E uccellatori che si fanno +ubbidire dai piccioni o dalle passere ad ogni loro cenno. Havvene +uno finanche che presenta al suo cerchio di curiosi e di +sfaccendati un bel ciuco, dalla testa maestosa e dalle orecchie +ancor più, il quale indovina per un <i>triens</i> quale del crocchio +sia il meglio amato, il peggio infingardo, il più.... mariuolo. +E le grosse risa quantunque volte la culta plebe e gl’incliti +gladiatori credono che lo indovino abbia colto nel segno. +</p> + +<p> +Uno che passava dà una occhiata di spregio alla folla, vi +scorge un conoscente, lo tocca piacevolmente sulla spalla e +gli dice: +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_295">[295]</span> +</p> + +<p> +— Che fai costì ritto, o C. Vibrio Saturnino! Studi per +trovare un nuovo Dio in quell’asino addottrinato? +</p> + +<p> +— La parola dello epicureo è sempre mordace. Credo, o +mio Caio Nivillio, che tu sedotto da pochi anni dalla falsa +dottrina, l’abiurerai pel nessuno interesse di sostenerla. +</p> + +<p> +— Non è cotesto il luogo da tali ragionamenti. Vien meco +nel Foro triangolare. Sederemo nella <i>exedra</i>, e correggerò le +tue false idee sulla filosofia del grand’uomo di Gargettium, la +saggezza e il luminare dell’Attica e quasi l’idolo degli Ateniesi. — +</p> + +<p> +Un cielo caliginoso ma con estive temperie; strade piene +di popolo gaio e incurante; la eterna bellezza di una contrada +che dalle prime ore del mondo sembra voglia rivelare agli +uomini un grande secreto, tutto cotesto impressionava i due +amici sempre pronti, siccome meridionali, ad ogni specie di +emozioni. +</p> + +<p> +Nel passare sulla cantonata dinanzi la bottega del musaicista, +Nivillio salutò Morultronio, intento al lavoro di genio e +di pazienza. Era la copia di un musaico già fatto in una casa +dinanzi le Terme del Foro, operato con minute pietre e scelte +pastiglie di vetro. +</p> + +<p> +— Bravo! Rinnuovi lo stesso genio bacchico di altra +volta? Chi lo desidera? +</p> + +<p> +— C. Calvenzio Quieto. Tu sai che ama il bere. E vuole +che nel triclinio io collochi Acrato, l’antica personificazione +del <i>vinum merum</i>. +</p> + +<p> +— La sua coscienza val meglio di mille testimoni. <i>Vale</i>. +</p> + +<p> +— <i>Valete</i>. — +</p> + +<p> +Giunti presso il tempio di Nettuno e sedutisi, Nivillio cominciò: +</p> + +<p> +— Mira. Non uso preamboli. Vi hanno cose che emergono +come le verità dai pozzi, perchè sono gli ospiti invisibili +delle nostre coscienze. Una voce autorevole, avvezza a +scrutinare i misteri, vibra; i veli cadono; e le menti si aprono +alla luce di un nuovo orizzonte. Epicuro meditò e scoprì che +la natura si compose <i>ab æterno</i> e si completò a seconda della +necessità in tutte le parti dello universo. La ignoranza degli +uomini creò gli dei invisibili a tranquillità delle loro visibili +<span class="pagenum" id="Page_296">[296]</span> +paure e gl’identificò negli uomini chiari degli evi anteriori, +quasi per iscusa delle proprie debolezze e passioni. I legislatori +persuasero le società alla credenza di siffatte menzogne. +I tiranni le imposero per consacrare le loro inique malvagità. — +</p> + +<p> +Così affermava Nivillio ai suoi tempi. Ed io dico nei miei +come la religione sia una passione della umana natura, che +assume il colorito dell’epoca, dei costumi, delle leggi, delle +contrarietà, del clima, della maggiore o minore intelligenza +degl’individui. I quali, dopo aver nutricato quella passione di +futilità, di paure, di ferocia, di avarizia, di libidini e di egoismo +la esprimono fuori del cuore immedesimata delle virtù e +dei difetti del loro carattere peculiare. Laonde, ai tempi andati +come nei nostri potevasi e si può essere religiosissimi +idolatri, israeliti, cristiani, islamiti, bramini, cattolici, anche +papisti,... e vivere vita lussuriosa, palesarsi usurai, ubbriacarsi, +macchiarsi di sangue, ordinare macelli d’uomini, parlare +di pietà, temere Iddio ed offerirsi alla storia sotto il nome +di David, di Elagabalo, di Filippo II, di Luigi XI, di Cromvello, +di Borgia, di Calvino e dei Borbonidi. Le temperie dell’aria, il +calore del sangue, le ragioni di Stato sono elementi acconci a +sanare di molte rotture ed a lenire qualche rimorso. Nè giovano +riforme a rimedio di epoche rilasciate. Chè una religione +troppo assottigliata dallo staccio della ragione cessa di +essere una fede. Ed una fede imposta senza il consentimento +della ragione è una cieca stupidezza ed una solenne bestialità. +</p> + +<p> +Or ecco come C. Vibrio Saturnino rispondeva alle sentenze +del suo compaesano C. Nivillio, lo epicureo: +</p> + +<p> +— Ma Epicuro disse si onorassero gli Dei a cagione della +eccellente loro natura. +</p> + +<p> +— Lo disse, ma non lo credette. Poichè pur disse com’egli +non attendesse alcun bene, nè temesse verun male da +essi. Di fatti, non gridarono pei crocicchi i perversi suoi oppositori +ch’egli rovesciava colle sue dottrine la osservanza +agli dei? Nè voleva il culto mercenario? E se dicea si onorasse +e si rispettasse ciò che è grande e perfetto, non era +cotesto un temperare le sue arditezze con un giro di frasi che +<span class="pagenum" id="Page_297">[297]</span> +lo salvavano dalla morte? La ragione parlava per la sua +bocca. Ai secoli la sentenza! +</p> + +<p> +— Ma chi calmerà i rimorsi dell’uomo colpevole? Chi +darà la forza alle virtù ignorate di continovare quando tutti i +falli nascosti saranno scusabili ed impuniti? Le vostre dottrine +limitano la esistenza ai brevi istanti di questa vita. E al di là +l’uomo decoroso di virtù avrà la stessa sorte dello scellerato +e dell’empio? Ah! io sarei veramente addolorato se avessi a +perdere la fiducia in un soggiorno di delizie o di pene dopo +la morte. +</p> + +<p> +— Se tu togliessi per te il fastidio di pensare, proveresti +lo stesso rammarico che senti allorchè ti desti il mattino +dopo un sogno felice. +</p> + +<p> +— Ma se tu dissipi cotesto sogno, non togli tu allo infelice +le soavità che sospendevano i suoi mali? +</p> + +<p> +— No. Il mio maestro elevò l’anima e fortificò la ragione. +E insegnò che il vero coraggio sta nello affidarsi alla +necessità.... In Jerusalem una setta perversa, quella dei Farisei, +si sbracciò per accusare un filosofo di Galilea appo i Romani. +E lo calunniarono dinanzi le leggi. E lo resero odioso +al popolo. E gavazzarono allorchè lo videro sospeso sulla +croce dei ladri e degli assassini. Pure quel crocefisso — lo +udii anche dai circoncisi che sono qui — predicava una fede +che a tutti doveva piacere: «Ogni uomo nato di donna è figliuolo +di Dio onnipossente — Ognuno per conseguenza è +eguale all’altro in faccia alla bontà divina.» Ed il pernio +della sua dottrina era conchiuso in cotesta formola: «Non +fare altrui quello che non vorresti che a te facessero.» Ebbene! +Gli stoici, che sono i Farisei del panteismo, dicono di Epicuro +le abbominazioni delle maladizioni perchè professò che +la felicità dell’uomo consiste nel piacere.... +</p> + +<p> +— E ti par questa la teoria di una sana morale? +</p> + +<p> +— Nel piacere che risulta dalla pratica delle virtù. E +nessuno tra i tuoi brontoloni potette mai accusare nè Epicuro, +nè i suoi adepti di sensuali pecche. Il popolo invece vede voi +nè casti, nè temperanti, nè frugali. +</p> + +<p> +— Ci sa religiosissimi. +</p> + +<p> +— Ipocriti, frequentate i templi. Crapulosi, aiutate alla +<span class="pagenum" id="Page_298">[298]</span> +crapula dei sacerdoti e gli satollate di ricchezze e di prestigio. +Se magistrati, vendete la giustizia. Se privati, cittadini, ponete +allo incanto la bilancia di Temi. I legami sociali voi li +rompete ognidì. I rimorsi nel cuor vostro assumono le sembianze +di pregiudizi infantili; e gli dissipate coll’offerire una +melagrana a Venere, un montone a Giunone, un voto a Giove, +un’anfora di vino antico al dio Bacco. Arricchite colle +usure?... Che monta! Una parte al flamine di Mercurio, lo +incenso al comodo nume, il resto per voi. E vi beccate il +nome di <i>boni viri</i>, di <i>verecundi</i>, di <i>religiosi</i>, di <i>integri</i>, di +<i>innocui</i>, di <i>frugi</i>, di <i>omni bono meriti</i>, di <i>dignissimi Reipublicæ</i>. +</p> + +<p> +— Non tutti così.... In ogni modo val meglio aspirare a +leggi pure, solide, di facile esercizio e consolanti, di quello +che ad una sterile virtù stabilita dalla opinione mobile degli +uomini. E ve n’ha già di parecchi sistemi. E ne diviene imbarazzante +la scelta. +</p> + +<p> +— Ma quando la morale — che tu riconosci per tale al +pari di me — non può più accordarsi con una religione malsana +che corrompe i costumi e che riverisce ed incensa iddii +ingiusti, dissoluti e crudeli, e non val meglio negare la loro +esistenza piuttosto che degradarsi dinanzi a quei rivenduglioli +di antiche frottole che di soppiatto si smascellano dalle risa +della vostra melonaggine?... Ah! Voi siete gli empi davvero!... +</p> + +<p> +— Io penso che tu rammenti come nella nostra prima gioventù, +presi ambedue da una grande simpatia l’uno per l’altro, +risolvemmo di consultare la iddia Iside sulle sorti che ci +attendevano. Me la curiostà spingeva, a ver dire. Te una credulità +superstiziosa. Andammo nel tempio. Affidammo al jerofante +le due pergamene rotolate che contenevano le nostre +domande e attendemmo prostrati a’ piè della edicola. Un sacerdote +triste, pallido, abbattuto, cinto il capo di bende e di +una corona di alloro, allumò sullo altare un fascetto di erbe +aromatiche, masticò alcune foglie della corona, gittò questa +nel fuoco insieme con una pugnata di farina d’orzo e annusò +a piene narici le crepitanti fiamme. Quell’uomo lo dicono +stretto al celibato; e le frizioni di cicuta par lo accomodino +<span class="pagenum" id="Page_299">[299]</span> +egregiamente ad osservare una strana legge contraria alla +natura. Assistito da due sacerdoti che aveano nelle mani gli +attributi del Sole e della Luna, passarono dietro la edicola. +</p> + +<p> +— Rammento, o Nivillio, che due altri ci purificarono +coll’acqua santa nell’atto che i vittimari scannavano i due vitelli +bianchi di Surrentum che noi avevamo offerto alla iddia +per renderla a noi propizia. +</p> + +<p> +— Io tutto vidi, o credulo amico. E allorchè chiesi la +ragione perchè al tuo vitello fecero mangiare la farina che gli +presentavano; e perchè pittarono acqua fredda sulle aperte +viscere del mio — il quale d’immobile ch’era divenuto, agitossi — nessuno +di quegl’impostori rispose. Avvegnachè più le +cose sieno inesplicabili e dure a ingoiarsi, più inspirano fede +al volgo bietolone e ignorante. Un soave odore si sparse a noi +d’intorno. Tu lo credesti prodigio. A me parve grossolano +abuso della mia ragione. D’un tratto dietro il nume vedemmo +sorgere una nube di fumo olezzante. E poi una voce cupa gutturale +pronunciare parole sconnesse, ignote alcune, altre di +nostra lingua — che non avevano senso veruno. Eh! era giovane +allora e il mendicare un responso alla Iddia, se mi fece +oltraggio alla mente, pur mi parlò di pericoli ch’era follia lo +sfidare. Socrate morì di veleno. Diogene fu salvo della sua +miscredenza per la nomea di strano filosofo. Tacqui. E siccome +ambedue, senza dircelo, avevamo chiesto se avremmo patito +il dolore di sopravvivere allo amico del cuore, il sacerdote +portò a noi in una sola pergamena il responso deciferato. +Qual’era che tu morresti colpito dalla folgore, ed io strangolato. +Baie! +</p> + +<p> +— Tu stracciasti, o profano, l’oracolo, e mal te ne coglierà. +</p> + +<p> +— Morrò. Sei immortale tu forse?... Ho meditato lunghi +anni su quella scempiaggine della mia gioventù; e nel segreto +sentii gli orrori cagionati ai popoli e agl’individui dalle +pitonesse, dai misteri di Cerere, dalle soperchierie di Delphi, +dai responsi degl’ipocriti sacerdoti e dagli oracoli degli egiziani +che vendono le loro frottole in nome d’Iside, qui. Una +parola dettata da quei corrotti e mai satolli del proprio egoismo, +suscitò guerre sanguinose in antico, portò desolazioni in +<span class="pagenum" id="Page_300">[300]</span> +una repubblica, ridusse in cattività gli abitanti di un intero +paese, creò lo eccidio di una famiglia, troncò la vita di una +creatura innocente. Giacchè mentovai i ciurmadori del tempio +di Delphi, vo’ ricordarti quello che fecero al popolo di Cyrra, +nella Phocide, correndo la <span class="smcap lowercase">LXXIII</span> Olimpiade, quattro anni +dopo che Euripides, il grande tragedo della Grecia, nacque +in Athenæ. Gli abitanti di Cyrra, nel seno Crissæo, possessori +della valle che si stende dal monte Cirphis al Parnaso, +imponevano balzelli sui greci che sbarcavano nel loro porto +per andare a consultare in Delphi il vantato oracolo. Ma nuocevano +alla turpe officina. E l’oracolo, richiesto, rispose che +i colpevoli meritavano il supplizio, cioè, che ogni cittadino di +Cyrra dovesse esser perseguitato di giorno e di notte come +cane idrofobo; si saccheggiasse il paese; e le donne stuprate; +e i bambini ridotti a schiavitù. Parecchie nazioni si levarono +in armi. La città fu rasa, il porto colmato, gli abitanti morti +od in ferri, e i ricchi campi sacrati al tempio di Delphi. Una +colonna fu rizzata sulla vasta pianura a ricordo del fatto. E +col sangue delle migliaia di vittime eravi scritto: <i>Chiunque +osi rompere cotesto giuramento sia esecrato agli occhi di +Apollo e delle altre divinità di Delphi. Che le loro terre non +portino più frutto. Che le loro donne e i loro greggi producano +mostri. Che perano nei combattimenti. Che falliscano in ogni +loro impresa. Che la loro razza si spenga. Che per tutto il +periodo della loro vita Apollo e le altre deità di Delphi rigettino +con orrore i loro voti e i loro sacrificii.</i> Questi i tuoi sacerdoti, +avari, ingordi, mendaci, ladri, impudichi, arpie, +mai satolle di dominio e di sangue. E l’empia sentenza correrà +tradotta in ogni lingua nei secoli avvenire. +</p> + +<p> +— Lo ammetto, ed ammetto altresì i vizi e le passioni +umane identificate nei Numi. Ma se noi pervenissimo a purificare +il culto delle superstizioni accumulate dai secoli, saprebbero +gli Epicurei rendere omaggio alla Divinità rinnovata? +</p> + +<p> +— Sei pure il dabben’uomo, o Vibrio Saturnino. Tu infradici +i numi nel brago e poi gli correggi e gli lavi nel ranno +a posta tua. Dunque, o buoni, o pessimi, sono l’opera delle +vostre mani. Provami un po’ meglio la loro esistenza. Guarentiscimi +<span class="pagenum" id="Page_301">[301]</span> +con testimonianze irrefragabili ch’essi prendono +cura di noi, ed io mi prosternerò ai loro altari. +</p> + +<p> +— Sei tu che devi provarmi la loro nullità. Perchè sei +tu che zappi le fondamenta ad un domma che i popoli osservano +per lungo periodo di secoli. Ma un monumento che attesti +la esistenza dei Numi pur vi è, e tu il vedi e il calpesti. +Il sole, le stelle, la terra, l’organismo dei corpi, la differenza +degli esseri, il petalo dei fiori, la polvere dorata delle +farfalle, lo istinto degli animali, la nostra ragione. La natura +sin dallo aprile è stata in un rapido movimento finqui. Ora si +acconcia al riposo. Dunque vi è un primo motore. Cotesta +azione è soggetta ad un ordine costante. Questo ordine esige +una intelligenza suprema. Qui la mia mente si arresta. Se tu, +o Nivillio, procedi innanzi, io dubiterò della mia esistenza e +della tua. +</p> + +<p> +— Coteste prove non arrestarono mai i filosofi sulla via +della ragione. +</p> + +<p> +— Voi siete presumenti. +</p> + +<p> +— Noi siamo ragionevoli. E pensiamo colla nostra testa +piuttosto che per quella di Aristotile e di Numa Pompilio. +Leggi Timeo di Locrum, Anassagora, Platone, Pythagora, +Antisthene, Epicuro, Socrate; e verrai facilmente alla soluzione +del misterioso problema: «Molte sono le divinità adorate +dagli uomini. Ma la natura ne indica una sola. Tutti +hanno considerato lo universo come uno esercito mosso dal +genio del suo generale, o come una vasta monarchia, in +cui la pienezza dello imperio risiede nel principe.» Se Dio +fosse, lo insetto, la lucertola, il rospo, il lombrico, il coccodrillo, +la talpa, l’erba che non è albero, la scimmia che non +è uomo, non dovrebbero lagnarsi delle imperfezioni loro prodigate? +Ma son essi cogli altri i componenti del tutto e i perpetuatori +del tutto, e non havvi ragione a lamento. +</p> + +<p> +— Tu mi persuadi ed io fuggo. Oh! la illusione dei Campi-Elisi! +<i>Vale.</i> +</p> + +<p> +— Ho speso fruttuosamente la mia giornata. <i>Faustum, +felicemque.</i> — +</p> + +<p> +Intanto che i filosofi si avviavano alle loro case ed una +parte di popolo vagava per le sue faccende o si trastullava, +<span class="pagenum" id="Page_302">[302]</span> +le donne e i bigotti muovevano verso i templi alle preci votive +a cui li invitavano i magistrati. Le stranezze che occorrevano +erano insolite cose. Il maraviglioso mena al maraviglioso. +La paura e la impotenza legano la credulità al carro +dello ignoto cui si chieggono favori, aiuti, riparo e conforti. +E tutti i superstiziosi e gli sgomentati corsero ai sacerdoti per +offerir loro <i>ex-voto</i>, monili, pecunia e commestibili onde pregassero +i numi a far cessare le minacce misteriose o patenti +che pesavano sulla pubblica coscienza dei Pompeiani. I fani di +Giove, di Mercurio, di Venere e dell’Augusteum, di Esculapio, +di Cerere, di Nettuno e di altri iddii si affollarono di +gente. E più quello d’Iside, deità di non remota instituzione +e di moda. Grato Arrio, Amphio Serapa, Puccio Chilo, Messio +Inventus, Merulino, Nimphiodoto Caprasio e gli altri loro +consorti in ipocrisie accettarono la mèsse che la ignoranza +impensierita loro forniva; ed ognuno — secondo il rituale del +proprio culto — sacrificò, libò ed orò il meglio che seppe. +Perchè, a ver dire, un po’ di spavento aveva pur scosso quei +pubblici ladri e profittevoli ingannatori. Persino dalla parte +più ignobile della città, verso il Sarno, accorsero gli ebrei, +negozianti e schiavi venuti dalla loro distrutta città. Non +avendo più tempio, nè potendo creare in terra straniera il +loro <i>sanhedrin</i>, cercavano in tanto pericolo il dio unico dove +poteva discendere, richiamatovi dagli incensi e dalle preghiere. +Eliachim Verpa, il ricco mercatante, ne ritenne ben +pochi e furono quelli tra i quali spandeva la buona novella e +col loro mezzo faceva proseliti e propugnava di soppiatto negli +schiavi la notizia della redenzione. +</p> + +<p> +Sur un’ampia via che dal Foro, traversando quella che +mena alla porta di Stabia, conduce direttamente allo Anfiteatro, +è a sinistra una casa, il cui uscio apresi subito dopo un +terrazzo lungo quanto l’abitazione precedente, guarnito di +una balaustrata di ferro. Numerosi cittadini, solleciti liberti, +procuratori officiosi, chiedoni di ogni genere sono sul selciato, +assaltano l’uscio, empiono l’atrio. La diversità delle vesti, le +varie persone che parlano di affari che la mobile fisonomia +traduce a chi finamente le osserva, la magnifica architettura +dello edificio sono indizi che colà dentro dimori un uomo di +<span class="pagenum" id="Page_303">[303]</span> +alta considerazione. Ed una voce ecco che l’indica. Nessuno +degli annunciatori ha parlato. Laonde, tutti gli occhi si volgono +sorridenti ad una gabbia di legno dorato sospesa ad una +verga di ferro che traversa lo impluvio. La voce ripete il suo +verso e dice: +</p> + +<p> +— <i>Svedius Clemens, sanctissimus judex.</i> — +</p> + +<p> +Era uno Ψίττακός verde, dal capo giallo e dalla coda +rossa, cui avevano dato il nome di Catina, ch’erano le sole tre +sillabe che pronunciasse pria che i servi altre glie ne apprendessero. +Alle parole di quell’uccello, credutele escite dalla +bocca del <i>nomenclator</i>, la calca si fece più innanzi nell’atrio. +</p> + +<p> +— Isocriso Fortunato, qual cura qui ti conduce? Fatti in +qua ed eviterai di aver pesti i piedi. +</p> + +<p> +— Sì, o Claudio Espedito, meglio è serbar sane le costole +e non esser dei primi.... E poi è un’afa che uccide. Qualcuno +di quei solleciti, là nella schiaccia, perderà il respiro. +Mira L. Pullio Mactoriano, corso in tanta fretta da non avere +ancora allacciato le corregge dei calzari. +</p> + +<p> +— E che dici di M. Epidio Sabino che pur sbadiglia ed +ha la cispa negli occhi. La vanità gli vieta il sonno. E si fa +spingere qui grosso e rubicondo per sollecitare dal sommo +giudice imperiale la ratifica dei suffragi del vicinato per le +prossime elezioni. <i>Habebimus ædilem trium cannearum!</i> +</p> + +<p> +— Qual vita! Nei tempi antichi, pria che Silla legasse le +ruote del nostro carro municipale, eh! amministrare il paese +era un fatto onorevole ed onorato. Ma ora.... l’ombra e nulla +più! Il magistrato è servo dei capricci dell’Urbe.... Ne avemmo +di mostri a patire!... Vespasiano non ebbe nè grandi vizi, +nè grandi virtù. Era alquanto dozzinale e plebeo, e di parole +licenziose e brutte. Di lui, vecchio, massiccio, colle membra +annodate e sode, e colla faccia rappresa che parea che ponzasse, +innamorò Petronia, poi che fu morta la Cenide sua. La +fe’ passare nel bagno, e ordinò al dispensatore di darle dugencinquanta +nummi d’oro. Or, questi domandandogli in +qual modo quella partita si avesse ad acconciar nei suoi +conti, rispose: «Metti a uscita Vespasiano, di cui le donne +invaghiscono.» Il figliuol suo, Tito, lo amore e la delizia dell’uman +genere, per ora.... Durerà? +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_304">[304]</span> +</p> + +<p> +— Eh!... Amministrando lo impero insieme col padre, +fu poco civile e molto crudele. Rammenta tra gli altri, Aulo +Cecinna, uom consolare, pria convitato a cena e poi fuor del +triclinio per suo ordine pugnalato. Si disse di una congiura +di militi apparecchiatagli contro e che il pericolo lo forzasse. +Le leggi erano. Poteva por mano ad esse ed evitare +il biasimo grande. +</p> + +<p> +— E quel suo mangiare e bere cogli amici e familiari i +peggio vituperosi e disutili? E la folla di giovanetti sbarbati, +dotti nella danza ed in libidinose posture? E gli amori colla +regina Berenice? E il mercato di uffizi? E il riceverne mance +e premi?... Vero è che, ottenuto il principato, si palesò uomo +diverso. E non si mostrò al pubblico, ove tutta Roma plaudiva +i suoi giovani e graziosi istrioni. E mandò fuori dell’Urbe +l’amata e piangente regina. Nè tolse più cosa alcuna +ai cittadini. E consacrò lo anfiteatro, e nelle Terme edificate +colà presso ordinò con bellissimo apparecchio il magnifico spettacolo +dei gladiatori. Parmi dunque, o Espedito, ch’ei.... +</p> + +<p> +— Farà prospera la repubblica, se non lo guastano colle +adulazioni e colle abbiettezze.... o non lo uccidono. — Veh! lo +sguardo sdegnoso e venale dei portinai come trasceglie nella +folla dei clienti che gli assediano quelli che per pecunia faranno +passare i primi! La venalità è il pessimo veleno che +omai filtra per tutto. — Non mi hai ancor detto che ti mena +da Svedio. +</p> + +<p> +— Quando ei fu inviato da Cesare nella nostra Colonia, +io era in Lutezia dei Parisi. Un mio vicino di campagna prese +per sè la parte di terreno che mi veniva restituita, ed ora +vo’ chiedergli giustizia senza aver che fare con quei sollecitatori +che vendono a sì caro prezzo le loro parole. — +</p> + +<p> +Cotesto insigne giureconsulto, per nome Tito Svedio Clemente, +tribuno, era stato nel vero inviato in Pompei da Flavio +Vespasiano per delimitare i confini del territorio della +Repubblica Romana, occupato nel Pago Felice-Augusto dalle +tre coorti dei veterani. Da che Silla gli dispose qui come corpo +di osservazione, quegli uomini arroganti e spavaldi, perchè +armati, commisero insolenze contro i cittadini. Avvegnachè, +sentendosi essi il principale sostegno della politica dittatoriale, +<span class="pagenum" id="Page_305">[305]</span> +stimavano che gli altri fossero di un ordine inferiore. Divennero +i tiranni della città. Commisero violenze e brutalità di +ogni maniera. Il selciato pompeiano fu insanguinato. Publio, +loro generale, pretendeva che i suoi soldati venissero riconosciuti +come i liberi cittadini della Colonia. I magistrati, gelosi +dei popolani privilegi, fermamente si opposero a quella imperiosa +volontà; e ricorsero al senato nell’Urbe. Cicerone, pauroso +di Silla, difese il nipote, quantunque in cuor suo lo accusasse. +E Publio assoluto. E surrogato da Ninnio Mulo. E i +veterani ebbero un vasto terreno, in proprio, da coltivarsi e +da trasmettersi ai figli. Nella distribuzione dei campi furono +però usurpate le proprietà dei cittadini. Laonde, litigi, ingiurie, +busse e macelli. Bastava muovere doglianza contro un +soldato, per veder sorgere la centuria e colle centurie le +coorti, onde chiedere riparo col gladio al coltello. Svedio compose +le liti insorte e i decurioni elevarono la sua statua sur +un piedestallo, proprio sul posto dei diritti acquetati e riconosciuti, +presso la strada dopo lo emiciclo di Mamia e sull’angolo +della via che menava alla villa di Cicerone. +</p> + +<p> +La iscrizione diceva: +</p> + +<p class="center"> +EX AVCTORITATE<br> +IMP · CAESARIS<br> +VESPASIANI AVG·<br> +LOCA PVBLICA A PRIVATIS<br> +POSSESSA T. SVEDIVS CLEMENS<br> +TRIBVNVS CAVSIS COGNITIS ET<br> +MENSVRIS FACTIS REI<br> +PVBLICAE POMPEIANORVM<br> +RESTITVIT. +</p> + +<p> +Un subito moto, come onde di mare che si seguono e si +accavalcano, dinotò l’apparizione del magistrato imperiale nell’atrio. +E la turba degli ossequiosi si spinse verso quella +parte. Erano i <i>salutatores</i> che volevano solo complirlo. E i +<i>deductores</i> che intendevano accompagnarlo se mai fosse escito. +E gli <i>assectatores</i> che in pubblico desideravano farsi vedere +al suo fianco. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_306">[306]</span> +</p> + +<p> +Di mediana statura, vigoroso, solido, dalle braccia e +dalle gambe scultorie, sotto quella fronte larga e possente si +disegnavano due occhi neri e fermi, di cui era difficile sostenere +lo sguardo. La sua fisonomia aperta e ruvida palesava +la energia del carattere. Lo aspetto complessivo della persona +lo testimoniava. +</p> + +<p> +E quel suo aspetto spirava un’adusta vecchiezza, quella +beltà non più materiale, che è il canto dell’anima dopo la +vittoria riportata sui sensi. +</p> + +<p> +Il tablino, ove si mostrò ai clienti, era ornato di pitture +bellissime. Sulla parete sinistra, tra’ lavori architettonici, vedesi +ancora un Ermafrodito itifallico sedente, il quale colla +manca acciuffa la barba di Sileno che è dietro le sue spalle, +e colla destra si scuopre la persona. Una baccante ha nelle +mani una coppa ed un tirso. Tutto il fondo del quadro è turchino, +sormontato da un cortinaggio rosso con frange, i cui +lembi d’ambo i lati scendono bellamente sopra lo zoccolo. +</p> + +<p> +Svedio si presentò portando la mano dritta alla bocca e +curvando il corpo a sinistra. Offerì quindi la destra ai più vicini +che il nomenclatore gli presentava. Chiese della salute di +tutti. Lamentò il caldo insolito, soffogante; ed il tanfo che +sorgea dalle cantine e dai pozzi a far recere i mulattieri. +Ascoltò le ragioni d’Isocriso Fortunato e chiese documenti +per giudicarle. Si assise e terse il sudore della faccia. Rivolse +la parola alle persone che riconosceva nella folla. Ed accolse +benignamente le petizioni che gli venivano offerte. Cessato +quel còmpito, e notando nel fondo dell’atrio la folla compatta +degli accattoni, che invilivano la cosa immortale per provvedere +senza fatica e coll’abbiettezza del limosinare ai loro giornalieri +bisogni, aggrottando le ciglia gridò con voce sonora: +</p> + +<p> +— Quei famelici clienti, quei chiedoni di <i>sportulæ</i> non +vo’ vederli io qui. Vadano all’Annona. Cesare mi mandava a +rendere la giustizia sui piati straordinari e non a provvedere +i fannulloni e gli stomachi vuoti. — +</p> + +<p> +Ed accigliato rientrava nelle interne stanze. +</p> + +<p> +Svedio aveva ragione. Il cuore umano non era più quello. +Le contese civili col corredo del livore e della ferocia. La +guerra servile col legittimo spregio all’autorità. La rivolta +<span class="pagenum" id="Page_307">[307]</span> +sociale collo inutile carnaio e col rammarico della ingiusta disfatta. +La idea riscossa da quegli avvenimenti non pienamente +acquetata. L’oblio che ferisce e dentro rode. Le perdite patite. +Le ambizioni in trionfo. Lo intrigo in auge. Le schifose +brutture imperiali. Il piacere dei sensi abbeverato di sangue +e di lacrime. L’adorazione della libertà defunta. Ed un idolo +sconosciuto ancora, ma pur fremente nella coscienza degli +uomini. Tutte queste cose — cagioni ed effetti di molti mali +senza rimedio — avevano prodotto un ibridume vergognoso — i +parassiti, i pedanti, gli epuloni, le sciupate, i poetastri, +i buffoni, gl’ignavi e i viventi di pubbliche e di private limosine. — Le +dimore dei ricchi erano ogni mattina in sull’alba +assiepate da gente stracciata che trascinava seco figliuoli sparuti, +sudici e seminudi e persino donne languenti e prossime +al parto. Le sante delicatezze dell’anima erano tutte morte... +Ma non si erano consumate sulla croce del Golgota. E verrebbe +il giorno in cui sarebbero risorte per far cangio lo aspetto +delle generazioni a venire. +</p> + +<p> +Gl’inquieti escirono dalla casa del giustiziere imperiale +col ghigno sul labbro, colle maledizioni nel loro pensiero. +</p> + +<p> +— Kale, ho inteso parlare degl’infortuni di Ulisse ch’errò +per venti anni lungi dall’isola natale. Ben di lui più infelice, +io mi smarrii qui dove nacqui e d’onde mai partirò. +</p> + +<p> +— Non so trovare, o Priscilla, un’acqua abbastanza sporca +per gittarla sul viso di quell’impuro egoista! Briccone! Egli ha i +suoi redditi. E non pensa che noi non ne abbiamo. Ogni cosa +aumenta di prezzo. Ieri, Scapula, con cui lamentava lo accresciuto +valor del suo lardo, mi mostrò i pesi di piombo, sui +quali era in rilievo <span class="smcap lowercase">ALVMVR-CAVE</span>. Magistrati cani! +</p> + +<p> +— Lo udiste, eh! lo uccellaccio di cattivo augurio! Quali +occhi di gufo. Già, per noi poveretti non vi è che la croce! +Cotesti ricchi sono tutti pirati e non risparmiano alcuno. +</p> + +<p> +— Tu poi non puoi lagnarti, o Thessalo. In una casa il +pesce. In un’altra un po’ di pecunia. E per sopra ciò hai così +acconci i denti come le mani. +</p> + +<p> +— Sì, non mi reputo tra i grandi infelici. E prego sempre +Laverna che mi offra il destro di esercitar le mie dita. +</p> + +<p> +— Ho udito ragionare da Spetillo, or or tornato dall’Urbe, +<span class="pagenum" id="Page_308">[308]</span> +come Cesare sia affettuoso e benefico a non lasciare +alcuno partirsi da lui senza beneficio, od alcuna speranza. E +soler dire: mai nessuno debb’essere del principe malcontento. +E una sera cenando, risovvenendosi non aver fatto servigio +ad alcuno, dicesse malinconoso agli amici, come quel giorno +fosse un giorno perduto. Eh! Qual differenza tra lui e questi +che qui lo adombra! +</p> + +<p> +— Odo rumor di voci di gente riunita dietro le Terme. +E suon di flauti con esse. Andiamo, Papyria, e inganneremo +la fame cibando gli sguardi. +</p> + +<p> +— Molti pur vanno da quella parte. Corriamo. — +</p> + +<p> +Nè si erano ingannati. Al di sopra, al di sotto ed in faccia +alla caupona di Svezzio, dalla insegna dello Elefante, era +grande la folla, chiamatavi dal piacere dello spettacolo. Sur +un triangolo avevano posato un canapo e distesolo sur un altro +simigliante a dieci passi di distanza; un uomo con un +grosso chiodo lo assicurava tra le commessure del selciato. +Altri uomini in figura di Fauni mostravansi coperti di anassiridi +verdi, rosse, gialle e turchine. Un tirso nella mano, +una pelle di capro sul braccio, un fiocco di crini in arco sull’osso +sacro. +</p> + +<p> +Una voce grida; +</p> + +<p> +— Abbastanza suonarono le tube, i flauti ed i cembali. +Che tardate? Il circo è pronto. Gli spettatori sono impazienti. +</p> + +<p> +— E le spettatrici? Ohe, Phæbo, sei tu che proibisci alle +tue clienti di mostrarsi sul davanzale del <i>solarium</i>? +</p> + +<p> +— O che tu dici, Hypsæo. Non son le mie schiave. — +</p> + +<p> +Ma un funambulo è già sulla corda. Ha il corpo vestito di +rosso e le chiome, la coda e la lira gialla. Con una gamba +piegata ed un’altra distesa suona con ambe le mani la cetra, +tenendo tutto il peso del corpo poggiato sulla punta del piede +destro e sulla estremità del tallone sinistro. Guai se spianasse +il piè sulla corda. I fischi lo assordirebbero. Debbono reggersi +in equilibrio sulla punta o sul tallone. +</p> + +<p> +— Sante vestali, al verone. Bene! Vivano i <i>rorarii</i> +della truppa leggera. +</p> + +<p> +— Eccoci. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_309">[309]</span> +</p> + +<p> +— Fuori gli <i>adcensi</i>. Voi siete i <i>triarii</i> della riserva. Oh! +Le belle affrancate del piacere! Dite: Salve, o Libertà! — +</p> + +<p> +Il terrazzo sporgente sulla doppia via erasi a poco a poco +guarnito di donne. Erano le Veneri plebee, le degradate che +pagavano caro le infamie della loro vita. Giudicate indegne di +protezione, non hanno tutori, e perciò non possono compiere +verun atto legale. E acciocchè ognuno le riconosca, hanno +rasi i capelli, coperti da una <i>picta mitra</i> a diversi colori ed +indossano la toga maschile. Erano o affrancate, o straniere, +taluna bella di forme, tale altra bella per la vivacità dello +ingegno, sino a maritare la voce agli accordi della lira, e a +spiegare le loro grazie nelle danze le più seducenti. Dilettavano +gli ozi dei marinari, dei poetastri — che sotto infinti +nomi cantavano i loro vezzi — e dei gladiatori. +</p> + +<p> +Un altro funambulo è sulla corda tesa. Questi è tutto +verde. Salta e poi, stendendo ambe le braccia, si curva per +mostrare ch’ei sa mantener lo equilibrio della persona in +quella difficile postura. Gli gittano un <i>rhyton</i>, cioè, un bicchiere +a forma di corno, che tiene sollevato nella destra e +versa il vino in un cratere a due manichi che ha nella sinistra, +abbassandola di modo che lo sprillo del liquido con +arduo giuoco gli faccia arco sopra la testa. Quel bicchiere, detto +anche <i>fluens</i>, dal rapido scorrere del vino, valeva a ricordare +come di corna forate fossero i primi bicchieri nei rozzi banchetti +degli uomini che cominciarono a coltivare le nostre +contrade. +</p> + +<p> +— A che più guardi, o Epeo, alla corda, o alle corde +che ti allacciano i sensi? Quella bruna procace, la terza a +diritta, che ti guarda e sorride, scrisse un suo vanto sulla +parete. Vincitore nello Anfiteatro, tu da lei fosti vinto. +<span class="smcap">Victrix victoris. Conticvere</span>. +</p> + +<p> +— <i>Ita me bene amet</i>, non era dessa il mio dolce mele, il +piacer di mia vita. Sticho mi rubò la mia Fimie, quella che +poggia le belle braccia sulla balaustra. Oh! Per Antippe non +darei nè anche il <i>ciccum</i>, la pelle bianca che cuopre gli acini +di questa melagrana. — +</p> + +<p> +Altri danzanti si succedono sul canapo. Saltano col tirso. +Suonano le tibie od eseguono con destrezza giuochi di simil +<span class="pagenum" id="Page_310">[310]</span> +fatta. E la gente lo applaudisce e paga piccola moneta allo editore +di quel popolare sollazzo. +</p> + +<p> +— <i>Cape hoc flabellum</i>, Eris. Rinfrescati la faccia con +esso e scaccia le mosche villane. +</p> + +<p> +— Lo accetto, Annio Lucifero. Ma tu non guardare in +alto; perchè opereresti follie indegne della tua età e dei capelli +bianchi. +</p> + +<p> +— <i>Deos compreco</i> perchè ti tolgano questa pazza gelosia +dal cuore.... Però, quella fanciulla lassù, che ride e sghignazza +sguaiatamente, è bella. +</p> + +<p> +— Non mi chiamare <i>febris querquera, aut tussis</i>. Ma, se +non stesse in quel posto, anche tu, Kleopatra, <i>salubritas +mea</i>, siffatta la troveresti. — +</p> + +<p> +La moglie a questi detti si inorcò più che per natura nol +fosse. Lo trasse a sè per andar via e die’ in questa espressione +di spregio. +</p> + +<p> +— <i>Butu batta!</i> Trista razza d’uomo. Valea meglio affogarsi +che darmiti sposa! — +</p> + +<p> +Partirono brontolando e gesticolando. Desiderava la cosa +impossibile, la fedeltà a tutta prova in Pompei. +</p> + +<p> +— Dimmi, o bella Armonia, mi lascerai seder sullo +altare, presso di te, che ammiro ed amo? +</p> + +<p> +— E chi può negarti, o bel Sosio, quello che tu chiedi +con tanta modestia? Entra, o alimento del cuore, ed espierò +i miei torti nelle tue braccia. +</p> + +<p> +— Sosio ha troppo bevuto, o Lycio. Sieguilo. Noi dobbiamo +profittare di questo filo di vento propizio e partire per +Rhegium. +</p> + +<p> +— Oh! il mio giocondo compagno tornerà presto. Ma, +poichè il vuoi, entrerò anch’io nel tempio e ne lo trarrò fuori. +</p> + +<p> +— Come il corvo, voli al fiuto della carogna. Bada! In +fede di Autolyco, se non vieni presto, farò disegnare sulle +vostre spalle il nome che le madri vi diedero. — +</p> + +<p> +Un altro funambulo, con anassiride turchina, è sulla +punta dei piedi; e danza e suona ad un tempo le tibie. Il +popolo plaudisce. Le donne del verone si abbandonano ai loro +lazzi abituali e parlano a voce alta e chiassona delle solo cose +che loro son familiari. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_311">[311]</span> +</p> + +<p> +Quando di un tratto s’ode un rumor sotterraneo, come +di un carro ruotato il quale strepitosamente corresse tra le +fondamenta della città. Poi, uno scoppio terribile. +</p> + +<p> +Era la settima ora; cioè, il tocco dopo il mezzodì. +</p> + +<p> +Le mura delle case traballano. Alcune crepitano. Altre +ruinano. Le pietre del selciato si sollevano in più luoghi. Il +funambulo cade dalla corda, batte la tempia e muore. Tutti +fuggono, urlano, piangono, incespicano, corrono smarriti senza +saper dove. I muggiti della natura continuano, e un denso e +nero fumo, a foggia di pino mostruoso, si leva dal Vesvio che +gorgoglia, rugge e lancia folgori al cielo. Grossi basalti infuocati +briccolano sulle strade, sui tetti. I colpiti muoiono. Le +cose inerti si spezzano, sbalzano, si sfasciano e prorompono +al piano con ripetuto fracasso. La gente impaurita scappa ove +può. +</p> + +<p> +Ecco altro nembo furioso. Una gragnuola di piccole pietre +porose, leggiere, infuocate oscura l’aria, cade e saltella sur +uno spazio immenso. Gli usci si chiudono. Le travi che non +reggono il peso che sui tetti si aduna, crollano e schiacciano +gli uomini riparati e le cose. +</p> + +<p> +Oh! i gemiti, la disperazione, le grida, le smanie, lo +smarrimento del popolo! Ed il turbine continova. E le orride +detonazioni continovano. Ed i fulmini saettano l’aria. E vivi +baleni tentano di penetrare la oscurità, la tingono per poco +di luce corusca, poi la tenebra si addensa e tutto chiude allo +sguardo. +</p> + +<p> +Qua e là nelle vie, uomini audaci, rischiarandosi colle +torce impegolate, procedono come possono sul nuovo suolo +composto dalle pomici infrante. I passi si ricambiano a stento; +chè, il piede infossa, si seppellisce tra i lapilli che scalfiscono +e bruciano la pelle. I cani anch’essi cercano da tanta confusione +uno scampo. I buoi, le capre, gli asini dei <i>pistores</i> si +affannano ad escire illesi dal tremendo flagello e col loro correre +disordinato impediscono la fuga alle genti, le pestano e +le feriscono. +</p> + +<p> +Un fulmine solca l’aere tenebrosa ed illumina una scena +di dolore. Presso le Terme, due framezzano gli ultimi gemiti +coi baci. Un uomo col capo coperto è seduto sulle pomici che +<span class="pagenum" id="Page_312">[312]</span> +innondano il suolo di una bottega. Stringe al petto e tiene sulle +gambe una giovane donna. Le sue labbra si posano sulla fronte +pallida della ferita a morte che sanguina per le membra offese. +I di lei occhi hanno lo sguardo estatico, incurante le sofferenze +della carne. L’uno, sembrava fare e l’altra ricevere la confidenza +estrema di quel segreto che è il fomite di tutte le +grandi tristezze e di tutte le grandi speranze del cuor giovanile. +Parea che l’uno dicesse: +</p> + +<p> +— Il mio cuore sul tuo, o adorata. Giammai uniti quaggiù. +O <i>mors amoris</i>, nel tuo grembo la pace delle mie ossa +contristate. — +</p> + +<p> +E l’altra coll’occhio fisso, quasi invetrato, parea ripetesse: +</p> + +<p> +— Una sola speme. Fu vana. Muoio almeno fra le tue +braccia. — +</p> + +<p> +E la morente esalò in un bacio l’anima sua e sorrise. Ed +il giovane si curvò, prosciolse le membra e cadde riverso sul +corpo di lei. Erano morti, l’una di ferite, l’altro di schianto. +</p> + +<p> +E le pietre pomici piovevano sempre. +</p> + +<p> +Una bianca colomba errava alitando per l’aere caliginoso +e nero. Offesa dalle pomici, grida, si asconde in un’apertura +fatta dal tremuoto, vola, cade sbattuta sul suolo e, rialzata +dal disio, sorvola e vola sempre. Alla fine si posa sur un +antefisso di un impluvio, guarda smaniosa allo intorno, emette +un grido di piacer passionato e si caccia nella buca di un +muro. Altri gridi brevi, febbrili rispondono al suo. È coi figli. +Si accoccola su di essi, gli bacia col becco, li ricuopre colle sue +ali e dolcemente li garrisce.... Povera madre! Ebbe almeno +il conforto di morire coi nati dalle sue uova! +</p> + +<p> +In un luogo remoto, al di là dell’atrio, presso un +piccolo xysto, sono appoggiati alle pareti di una stanza da +lavoro trapezoidi finiti, e abbozzati e massi di marmo: e qua +e là, per le terre, o sui cavalletti, grossi pali di ferro per +levar pietre e volgerle a talento, varie seghe — una ancor +conficcata nel solco operato sul sasso — martelli, mazzuole, +lime e scalpelli con compassi retti e ricurvi. La casa è spaziosa, +a due piani, che una scala di legno accomuna. Il silenzio +delle voci è per tutto. Chi vi abitava, chi vi martellava, +<span class="pagenum" id="Page_313">[313]</span> +chi vi segava, chi digrossava i ruvidi pezzi di tufo e di marmo, +al primo tremendo scoppio, seguito dalla commozione del +suolo, fuggiva esterrefatto per far salva la vita a lui cara. +Un uomo solo vi era rimasto impassibile e tetragono in tanta +ruina di pubbliche cose. Suliodes ha il martello in una mano. +Ha lo scalpello nell’altra. È dinanzi a una statua di marmo, +nuda, di artistica bellezza, di un ideale ammirevole, coi segni +impressi della voluttà e dello amore. Breve della persona, +ha il volto greco cui la grandezza romana aggiugne qualcosa +di suo. Gli occhi ha neri, grandi, estatici. I capelli crespi e +ondulati si rizzano sull’ampia fronte. — L’aria si oscura. +Sul selciato della via battono tonfi le pietre ardenti. Sulla +terra soffice dello xysto si affondano e si ammonticano. Ed +egli che sino dalla prima sua gioventù era stato reputato un +vile, uno schiavo; egli che passava i suoi giorni evocando dal +paese delle ombre, collo accento della fantasia degna di Orfeo, +le Veneri, le Baccanti, le Muse, il divo Apollo e Mercurio, +e le ninfe dei boschi e delle fontane; in quello istante di supremo +disastro, egli contemplava l’ultima opera sua e non +sapea distaccarsene. Nobile artista! +</p> + +<p> +L’ora sublime degli affetti è quella della separazione; +chè, nello abbandonare l’oggetto amato l’uom parte pregno +degli effluvi di un eroico amore. E Suliodes, preveggendo il +danno estremo, gittò le braccia al collo della sua statua e +proruppe: +</p> + +<p> +— Tu sei la donna dei miei pensieri. Sei la nata del mio +cuore d’artista.... Che io muoia! E tu resta! Resta intatto, +o marmo, a testimoniare ch’io ti diedi i palpiti della vita. — Ah!... — +</p> + +<p> +Fu un grido straziante. Aprì le braccia e cadde stramazzone +sul suolo, rigandolo di una larga striscia di sangue. Il +soffitto, spezzato e affondato dai basalti se gli rovesciò addosso, +spaccandogli il cranio e spezzandogli le membra. E la statua +cadde sopra il suo osceno cadavere. +</p> + +<p> +Suliodes era tal’uomo dall’anima semplice, diritta, sensibilissima, +febbrile, smaniosa, martirizzata, non appagata +mai, collo istinto di tutti i segreti della vita. Macilento, dalle +gote infossate, le precoci rughe dicevano com’egli dentro +<span class="pagenum" id="Page_314">[314]</span> +soffrisse di quel male logorante che il volgo degli uomini non +intende, nè scusa, di cui non si muore e che dà la esistenza +eterna, quella del genio. La statua nello impluvio della casa +di Cneo Vibio, raffigurante la psiche umana, era sua. I trapezoidi +in quella di Cornelio Rufo, pur suoi. Da un anno lo +schiavo aveva ricomprato dallo avaro padrone Aulo Castricio +Scauro la sua libertà.... Il nobile artista era morto!... +</p> + +<p> +E le pietre pomici piovevano sempre! +</p> + +<p> +Sulla via che a diritta declina alla porta di Stabia e seguitandola +mette alla porta di Nola, i carri tratti dai buoi, +dai cavalli, dai muli, da man d’uomo s’incrociano con gente +che fugge per diversioni svariate. Sopra una tavola alcuni +trasportano una donna scolorata colle braccia pendenti, grondante +sangue. Un’altra donna più giovane la segue ed è seguita +da due piccoli figli attaccati colle manine alle vesti di lei e +piangono ed urlano che è tutto uno strazio. Un uomo arresta +i portatori di quel corpo esanime, si gitta sul selciato ingombro +di rottami e di pietre e singhiozza. +</p> + +<p> +— Mentre ei piange la madre ed obblia sè, la moglie e +i suoi nati, lasciamolo al suo dolore e fuggiamo. +</p> + +<p> +— Bene dici, o Volusio. E tanto più che ci pagò la mercede. — +</p> + +<p> +E ratti si dileguarono. +</p> + +<p> +I margini si fanno sempre più ingombri di feriti e di +morti. I gelosi delle loro robe preziose e più care; quei che +nel disordine delle idee non fuggirono presto dalle case che +crollano, colpiti dai sassi e da un muro che, perduto lo equilibrio +ruina, hanno rotto le membra o franto il cranio sulla +soglia che pur dianzi era il pensiero della loro salute. E quasi +non bastasse lo immenso orrore, coi danni irreparabili che +veniva adunando, schiavi abbrutiti e nefarii — i quali, disonestamente +trattati, non avevano alcuna nozione di ciò che +onesto e verecondo fosse — afferravano bestialmente la occasione +che loro forniva la irritata natura, per derubare, per +uccidere e per dare ampio sfogo alle loro infami libidini. Uno +si fa largo col coltello tra i denti, spoglia il vicino, ferisce e +corre. Quale ruba una gentile ed innocente vergine dalle +braccia dei propri parenti e, bestemmiando parole di dileggio +<span class="pagenum" id="Page_315">[315]</span> +e da trivio, sen fugge. Terrore. Emozioni. Grida di schianto. +Brevi e disperate zuffe. Dolori che uccidono. Sguardi che imprecano. +Ansietà impossibili a dirsi. Eroismo di amore. Brutalità +da dannati. Ecco la multiplice scena offerta sulla lunga +via che dallo sbocco della consolare, passando a lato del +tempio della Fortuna-Augusta, menava alla porta. La quale +gli Oschi costruirono di tufo, scolpendo sulla chiave dell’arco +la protoma di Venere, l’affettuosa iddia che in quel giorno — al +pari dei santi patroni, cui le bigotte, irriflessive, superstiziose, +timorate e bietolone coscienze sogliono rivolgersi nei +dì del pericolo colle novene e coi voti — non seppe difendere +la città che in lei avea piena fede. +</p> + +<p> +Apro Aulio Rufo — quegli i cui pilastri dell’uscio presentano +i bei capitelli con una baccante e due piccoli putti in +alto rilievo — aveva tratto per tempo, sui cocchi, nelle lettighe +ed a piedi Celsa, Heria, Ada; e il giovanetto Cerio, ed +il piccolo Valente, e la bellissima nelle sue grazie infantili, +la Cumbennia, natagli da tre anni, l’olezzo del cuor suo, alla +quale avea dato il nome della tribù antica cui era ascritta la +sua doviziosa famiglia. Ma il cisiario Diofante invade con una +ruota il margine e rovescia. Fallox e Nasso che seguono nella +quasi oscurità il primo carro, pestano i caduti colle zampe +de’ loro cavalli. I quali, impauriti dalle grida di dolore, sferzati +da chi gli menava e sospinti dalla gente che fuggiva, +inalberano rompono i ritegni, spezzano il timone, urtano, +schiacciano e fuggono a furia sul declivio della via suburbana. +Ada muore mentovando la madre. Celsa, che ha rotta +la spina dorsale pel solco che suvvi fece una ruota, si volse +al suono dell’amata voce, fruga amorosamente cogli occhi la +tenebre e spira. +</p> + +<p> +Oh! i funebri pensieri dei rimasti per terra, feriti e +senza soccorso! Tutti invocano la morte; perchè la morte sola +ha un sorriso per essi!... E la viene, colorata di sangue ed +infuocata delle fiamme del Vesbio. +</p> + +<p> +Il misero Rufo marito e padre, accorre fra quei morti e +morenti, istupidito dall’ambascia. Un’unica speranza.... la +salvezza della bambina che aveva stretta al suo petto. Parole +dissennate escono dalla sua bocca.... Fugge e lascia coi cari +<span class="pagenum" id="Page_316">[316]</span> +estinti le collane, i pendenti, le perle, le monete d’oro, le +patere, le tazze, i vasi di argento, tutto che in fretta aveva +potuto rammassar nella fuga.... Dove morirono?!... +</p> + +<p> +Un cisiario, per nome Felicissimo, ed un altro, Erosala, +sferzano maladettamente i loro cavalli. Vengono dalla via di +Mercurio ed avanzano malgrado gl’inciampi. Molta gente erasi +riparata sotto le volte della porta di Stabia. I cavalli e le +ruote traversano quell’ostacolo vivente e passano oltre. Vibio +e Melissæa tengono abbracciati in sul carro i due loro bambini, +di sei anni e di quattro. Nel successivo sono due liberti +con ciò che di più prezioso si potette adunare nei sacchi. Giungono +in faccia allo scoglio di Ercole, sulle saline, dove Cassinio +poco mancò non fosse sorpreso da Spartaco nel bagno. +Colà gemiti, urli, parole da lacerare il cuore. +</p> + +<p> +Un padre che, fuggendo, avea smarrita la sua cara figliuola +ed era tornato indietro due volte per rintracciarla ed +erasi quivi ridotto per far salva almeno la sua vita, piangeva, +si stracciava le vesti e parlava, +</p> + +<p> +— O natura, forza imperiosa del sangue, ridammi viva +la nata dalle mie vene. +</p> + +<p> +E cuoprivasi il capo, si cacciava per terra e piangeva. +</p> + +<p> +Un altro che aveva ritirato la moglie di sotto una parete +ch’eralesi rovinata addosso e sulle spalle l’aveva trasportata +fin là — discaricandola ed adagiandola mollemente sul suolo, +disperato ed in lacrime le diceva, +</p> + +<p> +— Pannixis, ti sposai da due mesi, sei lo amor mio, svegliati. +Non mi abbandonare. Senti i miei baci? Vedi le mie carezze?... +Qua... una face... O iniquo Giove! Scaglia su di me +le tue folgori! Morta!... Morta!... Povera donna mia!... Qual +nuovo Sinis, qual novello Procuste, pose in brandelli le tue +misere carni! <i>Heu me!</i> Che sono divenute le grazie del tuo +viso e quegli occhi che splendevano come le stelle? <i>Exanimis +jaces!</i>... Almeno, nume crudele, infame, fa’ ch’io la segua +sulle onde di Styge e a traverso il torrente infiammato del +Tartaro!... Che! Neppur le bestemmie ti muovono?... Ti proclamo +inutile in questa ora estrema! +</p> + +<p> +— Cessa dal tuo dir forsennato, o Salvio Curzio. +</p> + +<p> +— Ahi sei qui, <i>machinator fraudis</i>? Disertasti l’ara di +<span class="pagenum" id="Page_317">[317]</span> +Mercurio e di Maia, o Memore Istacidio? Non gioirai a lungo +dei dolori degli uomini. Giù nei gorghi del mare e con me. +</p> + +<p> +E lo ghermì per le reni, lo sollevò di peso, lo trasse +nelle onde. Il sacerdote si dimenava, lo mordea sulla spalla, +gridava lo aiutassero. In tanta confusione un solo si mosse. +Fu Felice Helvio, il suo collega nelle imposture. +</p> + +<p> +— Anche tu, scellerato. Riderà Minosse in vedervi. +</p> + +<p> +Il mare si aperse e si chiuse gorgogliante e spumoso. La +natura li cancellò ben presto dal numero dei viventi. +</p> + +<p> +Una face apparisce sulle onde. È una barca che si avvicina. +Due uomini ne discendono, approdano, chiamano ad alta +voce e procedono. I due bambini vanno loro incontro; essi li +portano via. Cneo Vibio prende la cara donna nelle sue braccia, +entra nelle onde, la consegna nelle mani smaniose, convulse +di Demophilo e la vede in piedi tra i figli. È per salir +dentro, quando un rumore immenso s’ode lungo la spiaggia +da Stabia ad Herculanum. Il mare si ritira furiosamente e ribolle. +Vibio e la barca sono sbalzati lontano. La barca sbattuta +dalle onde, galleggia. Vibio... non è più. Il soffio di Dio erasi +ritirato dalla sua bocca e lo aveva lasciato livido ed inerte +cadavere. +</p> + +<p> +Poco di poi, cessato il grandinar delle pietre, ecco un rovescio +immenso di pioggia sul suolo. Le acque del Sarno e +delle sorgenti dei pozzi, assorbite nei giorni innanzi dalle materie +candenti ch’eransi sviluppate nel Vesvio, avevano servito +di alimento al fuoco e, convertitesi in vapore, datogli la +forza di scaraventare in aria i basalti, le grosse pietre e le +pomici addenti. Ora, aspirando dai sotterranei meati le onde +saline, le rigettava a torrenti sui sottoposti piani, compiva la +ruina delle case e livellava i lapilli poco innanzi caduti. Al +cessare della forza aspirante, il mare tornò impetuosamente +a mordere le sponde. E tanti erano i fuggiaschi nelle +Saline, tanti abbracciò nelle sue spire spumose e li trasse con +sè negli abissi. +</p> + +<p> +Demophilo, coi servi e colle ricchezze scampate, tornò +indietro, malgrado i grandi pericoli, colà dove tutti speravano +con ansia trovarvi Vibio, la doppia vita di Melissæa, la vita +di quel cuore da cui tante dolcezze eransi rovesciate su dì lei +<span class="pagenum" id="Page_318">[318]</span> +cuore amoroso. Inutili ricerche! Ogni esistenza era scomparsa +sul suolo lavato dalle onde furiose. La misera pianse, si +strappò i capelli e pensò ove mai avrebbe portato le amare +sue lacrime... Ma, tutto si cancella nel mondo, anche la esistenza +ideale che è l’ultima requie della speranza! Tutto si +raffredda, anche il pensiero.... E ciò che or or parea vivo, +forse è già morto! +</p> + +<p> +Nella strada che rade il fianco del tempio della Fortuna +ha lo ingresso principale una casa sontuosa cui tre altre vie +rendono isolata. La grandine dei basalti ha sfondato il suo +tetto, crepacciato i suoi muri, crollato le sue pareti. Le lamine +di piombo conficcate con chiodi di ferro spessissimi su +di esse — per allontanar dallo intonaco sparsovi sopra +la umidità della recente costruzione — pendono schiantate +e rotte. Nei vasti atrii, nello xysto fiorito e pesto, nei +peristilii corrono creature umane esterrefatte, a tastoni, urlando, +piangendo e cadendo. La soffitta del tablino poggiante +su rosse colonne erasi sprofondata sul più prezioso monumento +dell’arte antica, il mosaico, rappresentante la grande +battaglia di Arbelle, in cui Alessandro, a capo dei suoi cavalieri, +si slancia verso il vinto Dario per farlo prigione. La +terra, scuotendosi e sollevandosi, crepacciava i pavimenti di +marmo, gonfiava i mosaici e le opere signine che tanta fatica +avevano costato ai nobili artisti, miseri schiavi. Le pomici tutto +ricuoprono.... anche una bella fanciulla, la piccola Irimilla, +che atterrita e dissennata correva spinta dal genio della morte +a salvarsi tra le fredde sue braccia. Il padre Mevio Apulo che +la seguia per salvarla, stramazzato a terra da una colonna, +perdette anch’egli colla vita le molte ricchezze che lo esteso +commercio dei vini gli avea procurato. Al cominciar dello inesplicabile +disastro egli avea detto a Caio, il suo figliuol primogenito. +</p> + +<p> +— Va’ colla tua giovane sposa! Va’, corri e non volgerti +indietro. I fulmini rischiaran la via. Profitta di quel lume di +Averno per riconoscere e sfuggire lo estremo pericolo. — Abbracciami! +O io salvo gli averi e ti raggiungo. O là... negli +Elisi! — +</p> + +<p> +I due amanti e sposi, convulsivamante stretti l’un l’altro, +<span class="pagenum" id="Page_319">[319]</span> +correndo a riprese sul nuovo suolo delle vie formato dai basalti, +dai lapilli di pomice e dai muri caduti, livellato dalle +ceneri fangose per l’acqua bollente, molti ne videro dannati +dal feroce loro destino impaltenarsi, cadere, escire dalle profonde +pozzanghere e ricadere anche una volta feriti, trafelati +e presi per non sorgere mai più. Essi potettero giungere sino +alla spiaggia, sostenuti dalla forza che lo spavento ministra e +che addoppia lo amore. Nella oscurità si cacciano in una barca +apprestata per lo edile M. Epidio Sabino dal liberto Hedysio, +e fatti salvi dallo equivoco, col cuor sollevato si allontanarono +dalla riva di tutti i dolori e di tante morti svariate. Allo +scroscio delle folgori, al fulgore delle fiamme, al fracasso dei +muri cadenti, le urla strazianti di un popolo e il ricordo dei +cari lasciati non commuove più il loro cuore. La terra diviene +per quei fuggitivi una visione svanita. Il solo mare ribollente, +agitato risponde ai loro attoniti sguardi. Gli è che fra il cielo +ottenebrato dalle ceneri, invisibile come il fato, e i flutti oscuri +e tumultuosi una potenza unica, lo amor ricambiato ed egoista, +aveva loro accavigliato l’anima a non permetterle più le +sensazioni al di fuori. +</p> + +<p> +Intanto nel gineceo delle donne, Mesionia, la moglie di +Alleio, adunava gli oggetti preziosi ch’erano nelle camere. +Braccialetti d’oro, fibbie, anelli, orecchini venivano da lei +chiusi in fretta in una tunica. Alcune schiave, urtandosi, piangendo, +gesticolando e pallide dallo spavento, trasportavano +vasi di bronzo, tazze di argento e pitture di pareti; e incontrandosi +lasciavano coteste cose per terra, piangevano, si +abbracciavano, svenivano. Una bambina ed un giovanetto, +curvi sul pavimento, ponevano in un cesto di vimini i loro +<i>crepundia</i>, la bambola, un piccolo specchio di argento e una +statuetta della Speranza. Creature infelici, non commoveste +la natura col vano augurio! Un vecchio servo, Amiantho, +togliea sulle braccia un’ara di marmo portatile colla iscrizione +osca <img class="letter" src="images/ill-osco-319.jpg" alt="lettere osche"> — Flousai, cioè Flora — che doveva essere +la dea protettrice della sua sventurata padrona, — Tutti +morirono. E lutto lasciarono! +</p> + +<p> +Dirimpetto la entrata principale dello anfiteatro era un +triclinio, dove solea darsi ai gladiatori un pubblico pasto, +<span class="pagenum" id="Page_320">[320]</span> +detto libero. Colà presso era un ricinto murato che accoglieva +gli accoltellanti per vestirsi e per attender lo istante di scendere +nell’arena. Quivi l’<i>editor</i> portava le vesti, le armi, le +reti per fornirne ai <i>secutores, retiarii, mirmillones, samnites, +hoplomachi, dimachæri, essedarii, andabatæ, fiscales, subdilitii, +catervarii, meridiani, postulatitii, laquearii</i>. Cotesti +i nomi che distinguevano nella loro fatale professione i miseri +operai dei trastulli romani. — Nei due luoghi, alcuni ragionavano, +cioncavano e ridevano allorchè accadde il grande +scoppio, nunciator del disastro. +</p> + +<p> +Trulla e Naso erano giovani cui la passione della libertà +caduta avea ritolto lo amor della vita. Ambedue da qualche +anni, in epoca diversa, eransi ascritti alla famiglia del lanista +C. Aellio Astragalo. E giurando <i>uri, vinciri, verberari, +ferroque necari</i>, ricevevano il salario <i>auctoramentum</i>, perchè +volontari e non <i>ad gladium</i>, oppure <i>ad ludum damnati</i>. +Lo esercizio della ferocia parea che lor facesse obliare i gravi +pensieri del proprio cuore. E gli austeri ardori dello isolamento +e del pericolo sembrava che tranquillassero la loro +fantasia ferita. Uno era <i>laquearius</i>. E toccando familiarmente, +con certa spavalderia, la corda dal nodo scorsoio che gli cingea +la persona, provava la immorale felicità di dar morte +allo infelice avversario che il capriccio del lanista avrebbegli +dato nello steccato. Vestiva una tunica corta di colore scarlatto. +L’altro apparteneva alla categoria dei cavalieri e vestito +di maglia — <i>clausis oculis andabatarum more pugnabat</i> — e +rischiava la vita, o uccideva senza vedere il suo +bendato competitore. +</p> + +<p> +I discorsi furono dimezzati, e per la prima volta quegli +audaci fuggirono dinanzi il pericolo. Vaccula, il dapifero, e +tre dei suoi schiavi corsero anch’essi smarriti verso lo anfiteatro. +Uno fu ucciso da un basalto presso lo ingresso sotto la +statua di C. Cuspio Pansa pontefice. Gli altri si cacciarono alla +rinfusa nei corridoi; allo infuori di uno che nella furia e nella +oscurità discese nell’arena e cadde nell’<i>euripo</i> — canale pieno +di acqua scavato attorno il <i>podium</i>, pur cinto di un <i>ferreus +clathrus</i> — le due difese che gli spettatori avessero dalle irruzioni +disperate delle bestie feroci. Sull’orlo di quel parapetto +<span class="pagenum" id="Page_321">[321]</span> +si veggono in Pompei i buchi dove erano conficcati i +graticci di ferro che Plinio chiamò reti per la forma che presentavano. +</p> + +<p> +Nel catabolo erano due leoni. Uno, ruggendo cupamente +si accovacciò aspirando l’aria umida nell’angolo della cella. +L’altro fuggì rompendo le sbarre del carcere; urtò Trulla; lo +azzannò e lo stracciò colle unghie come un impedimento alla +fuga ed uscì fuori per morir soffocato dalla mefite non molto +lontano. +</p> + +<p> +Vaccula accese una lampada e con essa schiarò alquanto +le tenebre. Gli altri si raccolsero attorno di lui. Pareano fantasime +o quei malati che vedi errare nel paese delle febbri. +Alcuni piangevano. Alcuni bestemmiavano il nome degli dei. +Naso intravide la sua sorte con segreta rassegnazione. A quei +cui il sangue rivela alcuna delle grandezze della vita, il pericolo +delle battaglie, le sofferenze del dolore, le tristezze del +carcere, lo aspetto della morte offrono splendidi e misteriosi +orizzonti che le nature volgari non veggono. Afferrò animoso +la nuova situazione quale gli dei glie la componevano. Si assise +per terra lungi dagli altri; chiuse il capo nel <i>sagum</i>; gittò +ai piedi un pezzo di catena d’oro, un anello ed alcune monete; +si appoggiò colle spalle al muro del <i>vomitorium</i>; ed attese +nella pienezza delle sue facoltà la visita dell’amica che +aveva sempre creduto la venisse a lui armata di gladio.... La +non tardò molto a venire. E le giovanili ambizioni, e le vanità +della forza muscolare, e le irrequietezze del cuore, e i +giorni di piena felicità, e le gioie grossolane dei sensi, e le +aspirazioni di una gloria migliore, ed i palpiti della libertà, +tutto fu consumato in un istante in quell’oscuro calvario di +ben altri e più cuocenti dolori. +</p> + +<p> +Nella via Domizia, sulla linea dirimpetto alla casa di C. +Giulio Polybio, era la dimora dèi chirurgo Hemos, allievo di +Bucchio di Tanagre, interprete in Cos della dottrina del grande +Hippocrate. Il quale quivi era nato nel primo anno della quarta +Olimpiade, e quivi fondò la sua celebre scuola. Questo nobile +rampollo degli Asclepiadi — famiglia conservatrice per secoli +delle teorie del sommo Esculapio — profittando delle discussioni +dei filosofi che si occupavano del sistema generale della +<span class="pagenum" id="Page_322">[322]</span> +natura e della esperienza dei suoi — e più di quella del suo +padre Heraclide — sulle vicissitudini patite dal corpo umano, +concepì la splendida idea che fissa un’epoca alla istoria del +genio — rischiarare la esperienza col ragionamento — rettificare +la teoria eolia pratica — considerare i diversi fenomeni +presentali dall’organismo animale nei suoi rapporti di malattia +e di salute — L’arte siffattamente elevata alla dignità di +scienza, camminò di piè fermo sulla nuova via che un alto +ingegno le aveva dischiuso. E tre scuole si aprirono ben presto, +in Rhodum, in Cnidum, in Cos. Lo spasimo venne curato +secondo le regole confermate dalle numerose guarigioni e le +tre scuole si allietarono di molte eccellenti scoperte. +</p> + +<p> +Non lo amor del guadagno, nè il desio di celebrità avevano +condotto Hemos dalla Grecia in Pompei. Demophilo ve +lo invitava. Il sollievo dei malati ve lo facea rimanere. Creatore +di una nuova scuola conservatrice, registrava i risultati +della esperienza propria e degli altri, dettava i doveri di un +medico e notava con pari franchezza le guarigioni e le morti. +Una volta accadde che a lui portassero sur una scala un <i>tignarius</i> +che, caduto nel restauro delle mura presso la porta +di Herculanum, aveva ricevuto parecchi sassi sulla persona. +Il sofferente era tramortito. I <i>lecticarii</i> non seppero rispondere +alle sue domande. Ed egli non si avvide che gli era mestieri +ricorrere al trapano. Funesti segni lo avvertirono dell’oblio. +Dopo quindici dì fece la operazione. Ma il muratore +morì lo indomani. Ed egli, il sommo maestro, confessò pubblicamente +il suo fallo. Imperocchè, superiore ad un fallace +amor proprio, volle che anche gli errori servissero di lezione. +Sono corsi parecchi secoli e cotesta sincerità in luogo di accrescersi, +è di troppo diminuita nei curatori delle malattie +umane. +</p> + +<p> +La casa aprivasi sullo impluvio ed in fondo era lo xysto. +Ai lati, lunghe camere abbellite di graziose pitture, ed una di +straordinaria grandezza e schiarata da parecchie finestre. Era +la sala anatomica e la scuola. +</p> + +<p> +Un letto di quercia in pendìo è nel mezzo. Sopra il letto +è un cadavere. Ai piedi del cadavere sul pavimento è un vaso +di terra per accogliere i liquidi che potrebbero scolare dal +<span class="pagenum" id="Page_323">[323]</span> +letto che finisce come una gronda. A lato del cadavere sta in +piedi Hemos parlante ai discepoli, tutt’occhi ed orecchi in +udirlo. +</p> + +<p> +Quel saggio ha le linee regolari di una statua, illuminate +da uno sguardo che un misterioso splendore anima ed avviva. +La fronte è calva e i capelli imbiancano. È piccolo di +persona, un po’ stanca, quasi emaciata. Di sobrie parole, ha +il gesto concitato e di slancio, perchè ricco di sensibilità meravigliosa. +Quelli che lo veggono grave allo esterno malamente +lo giudicano. Le sensazioni delicate e profonde del cuor +suo sono come quelle piante energiche e sottili che si veggono +sospese agli scogli, a picco sul mare, nell’isola ove nacque. +I venti impetuosi che spirano dal golfo Ceramicus le agitano +in tutti i sensi nelle tempeste di autunno, e d’inverno; ma +non valgono a sradicarle dove germogliano. +</p> + +<p> +— La vita è breve e l’arte che noi esercitammo domanda +lunghi studi e vocazione decisa. — Giudizio sano. +Pronto discernimento. Carattere pien di fermezza e di dolcezza +insieme. Amore alle cose oneste e al lavoro. E se l’anima +s’intenerisce sui mali della umanità, certo che chiunque +fra voi n’è dotato si passionerà per un’arte che insegna a +guarirli.... Operate — e non vi stancate mai di operare — col +taglio sul cadavere. Percorrete il cerchio delle scienze. La fisica +dice la influenza dei climi su questa bene ordinata matassa +di muscoli, di nervi, di vene, di fibre. E fatti dotti, +viaggiate, osservate la situazione dei luoghi, le variazioni dell’aria, +le acque che si bevono. Gli alimenti di cui il popolo si +nudre, tutte le cause che guastano lo assetto della economia +animale. — +</p> + +<p> +E toccando colla mano il cadavere, seguitò: +</p> + +<p> +— Le brevi e ricise massime scolpite nella nostra memoria +guidano ma non illuminano abbastanza. Conviene applicare +i principii generali ai casi particolari e interrogare la +natura per non ingannarsi. E — ciò che è più difficile — attendere +la sua risposta. Di celato io feci portare qui da un +vespillone il cadavere di uno schiavo. Il pregiudizio non vorrebbe +che quale è coperto dalle ombre della morte giovi al +soccorso della vita in pericolo. Le leggi si oppongono. Ma le +<span class="pagenum" id="Page_324">[324]</span> +leggi permettono il macello dei sani nelle battaglie. E il pregiudizio +applaude al carnaio nello anfiteatro.... La scienza è +sovrana. E se ha doveri, ha pure i suoi diritti. +</p> + +<p> +E preso il coltello di rame temprato — lo <i>scalpellum</i> dei +latini, lo σμιλιον dei greci — lo appuntò con tutta sicurezza +sul disteso cadavere nella parte destra laterale del torace, là +ove le costole ossee si articolano colle cartilaginee. Ma, infisso +lo strumento, fermossi di un tratto come per arrestare una +idea ch’eraglisi affacciata alla mente. E levando in alto il coltello +con un gesto atto ad imprimere con maggior forza i suoi +detti negli ascoltanti continovò: +</p> + +<p> +— L’uomo di cui qui vedete i laceri avanzi era nato in +Coronea nella Boeotia, condotto schiavo in Pompei e venduto +a C. Pumidio Dipilo. Ora che con ribrezzo ne mirate le spoglie, +mi avveggo com’egli differisca da noi, uomini vivi e +liberi. Ma, allorchè quegli occhi opachi fulgevano, e quelle +smorte labbra articolavano parole di vita, e quelle mani assottigliate +e nodose erano validi strumenti per effettuare le +idee, io non vedeva lo schiavo in quell’uomo. No!... Elette +le forme. Vivace ed acuto lo intelletto. Impetuoso lo ardir +giovanile. Nobile l’anima. E di squisito e commovente sentire +il cuor suo!... Ben più libero ei mi sembrava di Sirico +che lo aveva venduto e di C. Pumidio Dipilo, ricco di pecunia +e d’immagini avite, che lo aveva comprato. Crixsos era il +nome dello infelice. Io, famigliare di Caio, ebbi campo di studiare +le fasi corporee e morali di questo estinto. Col <i>liber</i> di +quella pianta palustre di Syracosion, il quale rotolato si chiama +<i>volumen</i> — invenzione dovuta ad Eumenes di Pergamus — egli +scriveva i βύβλος dei miei trattati sulla salute, i διφθερα +che voi meditate. L’arte del pennello era pure la sua. E varie +case in Pompei sono abbellite dai suoi colori. Amò perdutamente +Sfinge, la schiava di Calepio Secario, di cui si fece +il <i>contubernalis</i>, e ne fu amato con eguale ardore. Dopo poco +però i favori di Venere assottigliarono lo stame delle due esistenze. +La giovanotta morì di arsione. Egli, consunto e accasciato +dal dolore di tanta perdita. Eccolo qui disteso dalla +Phtysi o Phtoe, che fa pallido, debole, tossicoloso, emaciato. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_325">[325]</span> +</p> + +<p> +E volti gli occhi ai discepoli, dopo aver rimirato il cadavere: +</p> + +<p> +— Ora, uditemi attentamente.... I mali spiriti del mondo +esterno sovente investono il nostro corpo, e suscitano una +lotta coi loro poteri distruttori, cui la medicatrice natura si +oppone coi suoi conati salutari. Allora l’uomo che sente in sè +cotesto certame si fa tristo; e il terapeuta chiamalo egroto. +Se la natura medicatrice ha tanta forza da affrontare la maligna +natura e la respinge, lo egroto risana e si rassecura. Ma +se l’impeto distruttore prevalse, la materia del corpo nostro +più o meno lentamente si guasta, i pori si allargano, la contestura +delle viscere si corrode e sopraggiunge la morte a dar +l’ultimo crollo alla ruinosa economia. Allorchè siffatti guasti +si stanno operando, il paziente è assalito da un calore urente +che lo divora dentro e gli produce l’ambascia, lo anelito, che +io chiamo <i>dispnea</i>, la prostrazione e la colliquazione. Or mirate +come a tal penosissimo sentire corrisponda la spaventosa +trasformazione del corpo. +</p> + +<p> +Ciò detto, si approssimava al letto e accennava col tatto +le parti del cadavere di cui faceva menzione. +</p> + +<p> +— Mirate! — I muscoli impiccioliti e tabidi. Le unghie +adunche. Rugoso il polpaccio. Le narici acuminate e gracili. +Incavati gli occhi dentro le scatole ossee. Le labbra sottili che +stringonsi ai denti. Prominente la mandibola. Sul petto voi +potete contare le costole. Nello addome scorgete una cavità +che va sino alla spina. Qui, sulle spalle, le scapole elevate e +nude che paiono ali di uccello. Le nocche articolari delle ginocchia +tanto prominenti da sembrare la estremità di una +mazza.... Voi inorridite, o miei? Ma voi dovete pugnare contro +la morte e conoscere la fisonomia della orribile Iddia in +tutti i particolari suoi atteggiamenti. Altrimenti, come combatterla +e vincerla?... Appressati, Albucio.... Che?... Turi il +naso colle dita?... E sputi sul terreno come un profano?... +Così non faceva Hippocrate, il padre nostro. Ed io vidi Buccino, +da giovanetto, in Cos, rivoltolare colle mani gl’intestini +di un morto che tale un sito fastidioso tramandavano da +far recere parecchi tironi.... Ma tu sei bianco come un cadavere.... +Ebbene! Vien qua, Menomaco. Tu sei più provetto +cultor di Esculapio ch’egli non sia. Sostieni il braccio destro +<span class="pagenum" id="Page_326">[326]</span> +di questa materia inerte, perchè io possa col coltello aprire +la cassa delle nobili viscere. +</p> + +<p> +Il discepolo senza ripugnanza ubbidisce. Ed Hemos con +due tagli regolari nel torace ed uno per traverso alla estremità +delle costole ove ha principio lo addome, lo apre, ne +squarcia le pleure e, rovesciandone il coperchio sopra la faccia, +riprese: +</p> + +<p> +— Ah! Il prevedea. I polmoni disuguali, rattratti, maculati +qua di rosso, là di nero, su di olivastro.... Ecco la phtoe +polmonare. Ecco il guasto di una lotta per quanto lunga, +altrettanto straziante. Voi, Parato, Aquano, Faventino, Marcello, +Paquio, Callisto e.... tu pure o Albucio,... vedete lo +interno dei bronchi e della trachea che ho aperto. La empiema, +o la purulenza, ha quasi ostruito questi condotti che portano +ai polmoni e dai polmoni al cuore l’aria vitale refrigerante. +Quindi, il cuore che qui è rosso e più grosso del mio +pugno non essendo temprato da bastevole frigorico, tanto calore +emanava nei visceri nobili e specialmente nei polmoni, +da distruggerli quasi e ridurli alla forma che in voi desta +ribrezzo.... +</p> + +<p> +Marcello interrompe: +</p> + +<p> +— Ma il cuore, o maestro, come sviluppa il vitale calore +sì necessario alla esistenza? Gli è l’organo da cui hanno scaturigine +i nostri affetti, le nostre passioni. Dunque gli affetti +e le passioni avrebbero una qualche simiglianza al calore che ci +anima? +</p> + +<p> +— Ben parli, o giovane sacerdote della umanità. Gli +amori, le ardenze passionate commuovono le fibre di quest’organo +che sta fra i polmoni. Quindi è che tu lo senti battere +entro te stesso. E più tu desideri, più vibrati sono i colpi +di questo martello. Le vibrazioni producono calore siccome il +ferro percosso sulla incudine del fabbro. E il calore quindi +regola la vita.... Questo schiavo amò potentemente. Il suo povero +cuore picchiò forte e generò grande calore. I polmoni ne +rimasero offesi. L’aria non valse a temperarne l’arsione ed +il misero.... +</p> + +<p> +La parola della scienza fu tronca da uno scoppio terribile +che mandò in minuzzoli i vetri della finestra e fece vacillare +<span class="pagenum" id="Page_327">[327]</span> +le pareti ed il suolo. Gli occhi dei discepoli fissarono esterrefatti +quelli del terapeuta, e quai prigionieri dietro le sbarre +facevano segni passionati e di grande sgomento. Il tonfo dei +sassi sullo impluvio persuase alcuni ad escire da quella specie +di letargo pauroso e correre allo aperto. Al traballare successivo +e continovato della terra gli altri più provetti, che +pure avevano le abitudini dei dolori e delle sciagure umane, +a due, a tre volsero i talloni alla camera ov’era lo spettacolo +della morte distesa, senza riflettere che anche fuori Libitina +mieteva in vario modo le esistenze, come il villico colla falce +l’erba dei prati. +</p> + +<p> +Ed Hemos?... Hemos sentì qualcosa di strano infiltrarsi +e correre per tutta la sua persona. Le gocciole di sudore cadevano +dalla sua fronte, la quale aveva preso la pallidezza +del marmo. Nella mente incerta volava uno sciame di figure +alate che, urtandosi a furia, gli scendevano dal cervello nel +cuore. Un supremo sforzo... e la psiche immortale aveva atterrato +nella lotta la carne peritura che geme, e piange, e si +agita convulsa nella strettoia delle avversità e del dolore. +</p> + +<p> +— È l’ultimo giorno! E il novissimo istante! Da parecchi +dì gli strani fenomeni che occorrevano e lo affannoso mutismo +degli animali bruti mi facevano prevedere il danno di +questa contrada. +</p> + +<p> +Sale una scala di legno, traversa le <i>cœnacula</i>, si fa sul +terrazzo sfondato in un angolo da un basalto e vede il Vesvio +ardente ed eruttante in mezzo a turbini di fumo sassi e +cose che di travi accesi aveano sembianza. Chiude il capo +tra le mani e pacatamente discende. Ridottosi di nuovo nella +sala anatomica, rimane alquanto pensieroso. E poi mormora: +</p> + +<p> +— Urli disperati al di fuori. Il silenzio qui. I servi disertarono +là casa. Ed io resto come un milite a guardia di una +pubblica ruina. Rassegnato alla volontà degli Dei, attenderò +con calma l’ora del mio passaggio. Abbellii l’anima di ornamenti +suoi propri, la giustizia, la temperanza, la carità, la +famiglia intera della virtù. Non feci male ad alcuno. Sento la +loro voce che mi chiama e mi avvio. +</p> + +<p> +L’aria erasi fatta soffocante ed oscura. La mefite serpeggiava +<span class="pagenum" id="Page_328">[328]</span> +sol suolo. Hemos chiuse il capo nella toga e si adagiò +sul mosaico. +</p> + +<p> +— <i>Fata vocant, conditque natantia lumina somnus</i>.... +Qui, sul letto drizzato nelle tenebre. Esculapio, Hippocrate, +Galeno.... io vi raggiungo..... +</p> + +<p> +Per qualche istanti parea che due cadaveri fossero in +quella sala, l’uno ignudo, l’altro coperto. Ma un piccolo moto +convulso, succeduto da un lungo sospiro, pareggiò ambedue +all’occhio dello invisibile. Hemos era morto! +</p> + +<p> +Allorchè nel 1771 si sgomberarono i lapilli e le ceneri +ammonticchiate in quella camera, vi si rinvenne sparso sul +pavimento quanto l’arte chirurgica aveva inventato a sollievo +della misera umanità. Vi erano le <i>cocurbitulæ</i>, ventose di +metallo a foggia di ampolle con quattro buchi che si turavano +colla creta e poi si sturavano perchè lo strumento si staccasse +della epidermide. E l’ordigno per saldare le vene del +capo. E gli scalpelli escisori a guisa di piccole punte di lancia +e nell’altra estremità il <i>malleum</i> per rompere le ossa. E +le <i>spatulæ</i> di varie forme. E gli specilli concavi da un lato e +dall’altro come un’oliva. E un catetero forato colla sua mobile +guaina. Ed un <i>unco</i> per estrarre il feto già morto. Ed infiniti +ami ed aghi chirurgici. E le <i>forfices dentariæ</i>, come le +nostre tanaglie. E i <i>circines</i>, le <i>volsellæ</i> e le tente urinarie +ricurve. E le lancette di rame temprato assai duro. E le siringhe +auricolarie, le seghe, i coltelli da taglio. Altri strumenti +pur v’erano di uso e di nomi ignoti, racchiusi entro astucci +di bronzo, di bosso e di avorio. E lo <i>speculum</i>, e le <i>ligulæ</i> e +il <i>pareuniterium</i> pur troppo noti. +</p> + +<p> +Nel vicolo poco discosto s’odono molte voci rauche, confuse +e concitate in una volta. È Tito Atullio, il fabbricante +dei <i>camini portatiles</i>, dei <i>foculi</i>, degl’<i>ignitabula</i>, delle <i>escharæ</i> +di bronzo — tanto in uso nelle Terme e nelle case degli +agiati in Pompei — il quale riunito alla madre, alla sorella, +al figliuolo Istacinio ed ai servi, nello escire ha perduto la +moglie. I parenti ristanno nella oscurità e nella pioggia dei lapilli, +curando le cose di pregio salvate — quattro orecchini +d’oro, una collana, dei braccialetti, molte monete. — Il bambino +ha una lucerna di bronzo che la bufera subito spense. +<span class="pagenum" id="Page_329">[329]</span> +Dopo molto errare presso le mura, eccolo ei torna, avendo +tra le braccia Cœsia Prima, la cui bellezza era il sogno di un +artista. Una capigliatura aerea e dorata si distaccava in anelli +sul suo collo di cigno. Le rose delle ardenti voluttà eransi +schiacciate sulle sue labbra. Ora sono pallide come i gigli e si +fa trascinar dal marito come cosa morta. Procedono innanzi +a stento... si arrestano.... piangono.... cadono.... e, tutti stretti, +abbracciati, muoiono. +</p> + +<p> +E le pietre pomici piovevano sempre! +</p> + +<p> +Morto Popidio Celsino, la eredità di Plilia fu venduta, ed +essa colla sorella tornossene in Grecia, dove da lento morbo +consunta morì. La casa venne compera da Flavio Ceppysiodoro, +liberto di Flavio Licinio Romano, arricchito dal commercio +dei marmi. Avendo vissuto a contatto di tre diverse +civiltà — molto in Egitto, un po’ nell’Urbe ed in Sycion +ov’era nato, e per sopra ciò schiavo — aveva elevato a religione +la teoria del tornaconto; e il re del suo Olimpo per lui +era Mercurio che per sua propria devozione aveva mandato +a nozze colla Malafede e faceva adultero coll’Astuzia, colla +Menzogna e colla Viltà. A cotesti soli iddei egli dava incensi +ed onori. Gli altri numi ei li lasciava tutti alla gente sciocca +e gocciolona che non s’intendeva di affari. Per gli uomini arricchiti, +di tal conio, la virtù in quei tempi era la virtù in questi +che corrono — vano nome. — I nummi rappresentavano +molte cose manchevoli, necessarie e richieste. Come oggi!... +</p> + +<p> +Aveva sposato da alcuni anni Perennia, la figliuola di +un’altro liberto ricchissimo, suo coetaneo, il quale era morto +per un’apoplessia che lo colse nelle braccia di una donna. Un +terapeuta corse in suo aiuto. Ma il brav’uomo era già nel +Tartaro, attendendo che i <i>pollinctores</i> gli lavassero e gli profumassero +il cadavere e facendo voti che i <i>vespillones</i> non gli +togliessero di bocca la moneta per pagare il navicellaio Caronte. +Come sempre, senza mercede non si passava in quel mondo +che anche oggi si spera e si dice migliore. +</p> + +<p> +Perennia era giovane e bella. Nè amava. Nè stimava il +marito. Ma, molle e licenziosa, lo conduceva a suo modo. La +sua faccia agl’indifferenti non diceva verbo e pareva una +Sfinge. I giovani a modo però e che a lei piacessero vi leggevano +<span class="pagenum" id="Page_330">[330]</span> +quello che nel verno, appoggiati i piedi sugli alari di +un camino, noi vediamo sui capricciosi disegni delle fiamme +e del fumo. Val quanto dire ciò ch’essi volevano e desideravano. +</p> + +<p> +Nel secondo atrio adorno di bel pavimento a musaico e +che ha un recipiente rettangolare nel mezzo per raccorvi +l’acqua piovana del tetto, sono molte donne che tessono e +filano con quella rilasciatezza con cui lavorano le genti comprate, +cui i rimproveri e lo staffile sono incitamento alle +opere. Ed il caldo soverchio sin dalle prime ore del giorno — quell’afa +sì straordinaria, in tal mese autunnale — avrebbe +loro fornito le proprietà sonnifere del papavero, se non avessero +dato alcun riposo alle mani e molta libertà alle ali del +pensiero. Una sola aveva un viso misterioso. E, poggiati i +gomiti sulle ginocchia, lo sosteneva sulle palme aperte delle +mani. Clysma, nata in un paese dell’Asia, era poco loquace +per abito, e parea che, prestando l’orecchio alle armonie della +sua mente, si confortasse della schiavitù e della durezza di +quello stato con consolanti e fatidiche apparizioni. +</p> + +<p> +Perennia che dormiva in una stanza vicina ruppe con un +grande urlo il cicaleccio delle sue schiave. Alcune accorrono +nel cubicolo. Poco stante essa giunge pallida in volto, si asside +e si terge il sudor della fronte. E tutte ansiose a domandarle +che fosse. +</p> + +<p> +— Ah! Io feci un sogno tremendo. E mi destai affannosa +e fradicia tutta. — +</p> + +<p> +E Scaura, e Maronia, e Giulia, ed Angipta, ed Auga, e +Tanablea le ripetevano la domanda. +</p> + +<p> +— Pareami di essere in un paese pieno di strepito e di +lamenti. Era in Pompei? Non so dirlo. Ma nessuno io scorgeva +intorno di me. Volti gli occhi in aria vidi Nemesi irata lanciar +sulla terra gruppi di serpi lividi e schifosi. Tento uscir dallo +xysto e riparare in casa, quando odo un urlo straziante.... e +inorridita veggo il piccolo Cæsariano coi capelli irti sulla fronte +correre a me e precipitarmisi nel grembo. Un di quegli aspidi +lo mordea sulla nuca e le sue spire strette al collo glielo serravano +a soffocarlo. Pallida, tremante, fuori di me dallo +spavento, mi provo a discioglierlo da quel laccio. Ma.... le +<span class="pagenum" id="Page_331">[331]</span> +forze mi mancano, le dita s’irrigidiscono, grido.... alfine mi +desto. +</p> + +<p> +— Terribile sogno! Clysma? Esci dai tuoi abituali silenzi.... +Soccorri alla nostra padrona colla tua prescienza e la +calma. +</p> + +<p> +— Maronia.... E che dirò? Voci giulive non mi esciranno +dal labbro. È il sogno men chiuso che Perennia abbia mai +fatto. — +</p> + +<p> +E Scaura; +</p> + +<p> +— Orsù. Toglici dall’ambascia. Apri gli arcani del +sogno. — +</p> + +<p> +La Egiziana allora guardò tutte in viso una per una, e +si levò dalla postura in cui erasi per ore tenuta. E per quella +facoltà dello spirito la quale nelle sofferenze morali, fa che la +creatura dai nervi sensibilissimi presagisca gli avvenimenti o, +nella esaltazione del cervello, li vegga svolgere in luoghi +discosti, Clysma continovò: +</p> + +<p> +— Osiris, lo sposo della sorella Isis.... Typhon, suo fratello, +lo è di Nephtis. Questi ha trovato la corona fraterna sul +letto nuziale presso la moglie addormentata e stanca... Mirate +lo scoppio della gelosia!... Le acque invece di fecondare distruggeranno. +Le terre aride colmeranno le terre piene di vita +e di germinazione. La nimphæa nelumbo impallidisce e muore +su suo verde stelo.... La felicità morta! Le dovizie morte! +Lo amor morto!... Tutto morrà in questa contrada che ha dilaniato +a lento morso i miei verdi anni e il mio misero cuore!... +Amset, Hapi, Satmouf, Mamses — i geni di Amenthi — non +accoglieranno col natrum le nostre viscere nel loro grembo. +L’orecchio di Retiset è già chiuso ai vostri lamenti.... Apparecchiatevi. +Apparecchiamoci tutti. +</p> + +<p> +— Io ti farò battere <i>usque ad necem</i>, o nera maliarda. È +l’acre vendetta della vile anima tua che a te suggerisce.... +</p> + +<p> +— Nè padroni. Nè schiavi. Tutti eguali innanzi all’ira di +Typhon. Le sue collere tu le hai vedute. Esse si spanderanno +su te.... Era l’agonia che ti troncava i polsi e ti vietava di +salvar Cæsariano.... Dì! Non vedesti il monte nel sogno?... +No?.... E pure dal monte Typhon verrà. — +</p> + +<p> +Ciò detto, Clysma tornò a sedere per terra, appoggiando +<span class="pagenum" id="Page_332">[332]</span> +le guancie sulle sue mani. E le altre più impaurite che mai. E +Perennia divenne livida come se l’alito della morte le avesse +sfiorato la fronte. Ma, cambiata idea, replicò: +</p> + +<p> +— Io ti ho comprato <i>gypsatis pedibus et auribus perforatis</i>; +ed eri una <i>vernacula</i> nata in casa di un cittadino +romano in Babylon. Ti feci istruire <i>in artibus ingenuis</i> e fosti +<i>pædagoga</i> del mio Cæsariano. Eri considerata la Perennipora +qui. Così tu ricambi la bontà del mio cuore? +</p> + +<p> +— Accorciando lo stame della mia vita tu non allunghi +il tuo. Io tel ripeto... Typhon si agita per febbre ardente nel +monte. Credi tu che le tue verghe solcanti il mio corpo possano +fare ch’egli non ne esca fuori? E pensi che se tu dicessi +al pretore: +</p> + +<div class="poem"><div class="stanza"> +<p class="i01">— <i>Hanc fœminam liberam esse volo jure Quiritum.</i> —</p> +</div></div> + +<p> +cotesta affrancazione salverebbe la città dall’ultimo esterminio? +</p> + +<p> +— Oh! Questa schiava coi suoi delirii m’insulta. Chiudetela +nello ergastolo, e questa sera deciderò della sua sorte. +</p> + +<p> +— Presumente!.... Non sarai in tempo fra un’ora. +Un’ora?... Ecco. Trema la terra... Ah!... Lo scoppio! +</p> + +<p> +Tutte balzarono qua e là, tenendosi alle vacillanti pareti. +L’orribile scroscio rintronò nei cuori già preparati dalla paura. +La gragnuola delle pietre incomincia. Un tetto è sfondato. +Cæsariano ferito nel collo corre barcollante e piangendo in +cerca della madre e la giunge. Auga, Maronia entrano nelle +stanze e raccolgono anelli, armille e monili d’oro, utensili di +argento e una copia grande di monete. Riedono presso la padrona +e la persuadono alla fuga. +</p> + +<p> +Ma dove e come? La pioggia delle pomici ha oscurato +l’aria e ricuopre il suolo. Tentano a tastoni, a lato del tablino, +di penetrare pel piccolo uscio nel sotterraneo e salvarsi dal +triclinio a terreno per la pianura. Scambiati pochi passi un’aria +pestilenziale e non respirabile ne le caccia indietro. +</p> + +<p> +— Salvaci, o tu, che lo puoi. Le dovizie di mio marito +per te!... Affida alle braccia del tuo Dio questo frutto almeno +delle mie viscere. — +</p> + +<p> +E stringeva al petto il bambino e lo baciava coll’amor +<span class="pagenum" id="Page_333">[333]</span> +passionato di una madre. E stendendolo a Clysma, cadde stramazzoni, +sui lapilli, affogata dalla mefite. E tutte caddero +morte nell’atto stesso. +</p> + +<p> +E le pietre pomici piovevano sempre! +</p> + +<p> +Sino dal giorno innanzi Tito Plasilio Aliano, figliuolo +dello affrancato Timagène era tornato dal <i>Pontus Euxinus</i>, +sur una delle navi paterne. Disceso e abbracciata la famiglia e +tutti gli amici che ben presto gli furono d’intorno, die’ ordine +di scaricare la <i>caudicaria</i> che aveva guidato nel porto. +Il dì poi chi passava trovavalo laggiù e gli stringeva la mano +e festosamente lo baciava. Era un bravo uomo, tutto inteso +all’ora presente e felice nei ghirigori della vita. L’anima sua +e le cose esterne nel vagabondar che faceva mai trovavano il +chiodo fastidioso della fermata. Nomade nel deserto dei mari, +le sue corse erano come i raggi del sole i quali splendono +per tutti; e non sentiva gli accessi melanconici della poesia solitaria, +figliuola allo egoismo. Giunto laddove gli affari del +traffico paterno il menavano, vendeva, cambiava, comperava. +Ed intanto provvedevasi di uno alloggio e di un’anima +che non fosse tirannica, permettentesi senza donarsi. Talvolta +erano doni di Numi. Tale altra merci lucrose. Sempre passeggere +felicità, incarnate e colorite da un vivido sangue; il +quale, al pari del liquore dei grappoli d’uva, forniva ebbrezze +subitanee ed accessibili a tutti. +</p> + +<p> +Giovanetto e col padre erasi dato al mestiere del nauta. +Aveva visto molte contrade, e il suo intelletto erasi sviluppato +al contatto dei diversi popoli che avea bazzicato. Sapeva +la storia dei Greci, suoi compatrioti di origine. Conosceva i +loro usi, i loro spettacoli. Erasi maravigliato dei monumenti +del vecchio Egitto e delle pitture di vivi colori — mezzo decorativo, +recondita storia. — Tende — Armenti — Deserti — Vaste +solitudini — Città incivilite. E il lago immenso detto +il <i>Palus Maeotis</i>. E Panticapea, dalla cui altezza scorgevasi la +imboccatura dello stretto del Bosforo Cimmerio che congiunge +il lago al <i>Pontus Euxinus</i>. +</p> + +<p> +Begli anni vaganti e bene spesi, perchè proficui al suo +commercio e allo addottrinamento del cuore. Tornato in paese, +gli pareva ringiovanire. Emozioni, sorrisi, riposo. E quelle +<span class="pagenum" id="Page_334">[334]</span> +maghe graziose dello spirito, che aleggiano attorno e dicono +il dolce incanto a chi ritorna dopo una non breve assenza +nel loco natio. +</p> + +<p> +— Sii il ben giunto, o Plasilio, nella nostra città. Che io +ti abbracci e mi gratuli teco della fiorente sanità che gli Dei +ti conservano. +</p> + +<p> +— Sei sempre il mio amico, o Porcinio Rodio, fin da +quando Verna ci forzava ad apprendere a furia di nerbate. +Sia pace ai suoi Mani. Ma aveva il braccio assai grave. Che +fai costì nel porto? +</p> + +<p> +— Seppi il tuo arrivo ieri nell’Odeon dagli amici Umbricio +Bifurco e Karminio Hyccario. E venni a vederti, +poichè immaginai come nelle tue case fosse vano il trovarti. +D’onde vieni?... +</p> + +<p> +— Dalla costa orientale del Chersoneso Taurico. +</p> + +<p> +— Quali le merci trasportate qui? +</p> + +<p> +— Molta parte del carico è il frumento che gli schiavi +e i saccari ammonticano dinanzi il magazzino, là in fondo. +Or che la Sardinia e la Sicilia ne fanno desiderare, stimai +affare migliore comperarne nella Tauride che ne produce in +abbondanza. La terra, solcata appena dallo aratro, ne dà +trenta per uno. E l’affluenza da qualche anno è siffatta che +hanno aperto di recente in Theodosia un porto capace di almen +cento navi. Giunio Sequestro, il pompeiano, e lo ateniese +Hyphidamas sono andati a Panticapea. Il grano quivi è più +caro. Ma lo caricano subito senza attendere il turno, e per una +nuova legge non vi si paga diritto nè di entrata nè di escita. +</p> + +<p> +— Anche di quel porto dicono maraviglie. +</p> + +<p> +— E a ragione. E l’arsenale? E il castro? E la città? E +le case dei particolari? E le taberne? E le fabbriche? Tutto +grande quello che qui è piccino. Al ricordo le mie sensazioni +si ravvivano e.... +</p> + +<p> +— E più se rammenti le creature che furono parte animata +delle tue felicità, eh? +</p> + +<p> +— Eh!... Gli è pur così.... E molte volte io chieggo a +me stesso se il lago Maeotis non sia il più vasto dei mari e +Panticapea la più bella e vaga ed ospitaliera città dello universo. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_335">[335]</span> +</p> + +<p> +— A trent’anni... e sempre eguale come a diciotto +quando lo spettacolo del mare t’inteneriva sino alle lacrime. +</p> + +<p> +— T’inganni, o Porcinio. Così fosse?... Il molto vedere ha +strozzato la sorpresa innanzi i miei occhi e di tal guisa svanirono +i molti piaceri di cui essa è la madre. La esperienza a +poco a poco si è rivestita delle spoglie che appartennero alle +sensazioni defunte e rimango quasi insensibile a ciò che una +volta m’illuminava tutto. +</p> + +<p> +— Il solo Ponto opera però il miracolo! +</p> + +<p> +— Vorrei veder te in faccia a quello immenso bacino, +circondato quasi per ogni dove da montagne che più o meno +si sollevano dalle sue rive ed in cui quaranta fiumi versano +le loro acque, provenienti dall’Asia e dalla Europa. La sua +lunghezza è di undici mila stadi. La sua maggiore ampiezza, +di tremila e trecento. Differenti nazioni sono disseminate sui +margini suoi, di diversa lingua, di varia origine, di più svariati +costumi. Vi siedono città fondate da quei di Mileto, di +Megara, di Athenes. A levante è la Colchide, celebre pel viaggio +degli Argonauti. +</p> + +<p> +— Dicono che nel verno Eolo vi abbia il suo trono. +</p> + +<p> +— Grande verità! Gli è perciò che prevedendo le nebbie +le quali oscurano la sua superficie, io drizzai la prora al +ritorno. Hannovi nel verno terribili tempeste e naufragi numerosi. +Ma quai pesci eccellenti! E quanta abbondanza! Il +fango e le sostanze vegetali che i fiumi vi scaricano gl’ingrossano +e gl’ingrassano. Si vive sulle sue coste a ruba. Immagina! +Un bue di prima qualità pel nutrimento dei rematori +te lo danno per ottanta dramme. Un montone per sedici. Un +agnello per due. Un manovale costa per giorno tre oboli. Vi +ho comperato mantelli di lana per venti dramme e delle +scarpe per sei. +</p> + +<p> +— Verrò da te ad approvigionarmi al bisogno. Per ora +la temperatura non lo richiede, e cotesta è una grande stranezza +del nostro clima in questo anno. +</p> + +<p> +— E sì, che anch’io ieri nello imboccar nel cratere me +ne avvidi e ne stupii forte. Ænonao, il protosaccario di mio +padre, ha chiesto doppia razione di <i>posca</i> per ognuno dei facchini +da scarico. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_336">[336]</span> +</p> + +<p> +— Nè basta, o padrone. Ci pare di aver lo stomaco di +ferro rovente. Più se ne beve e maggiore è la sete. — +</p> + +<p> +Era Cantrio che ripassava dopo aver gittato il suo sacco +sul cumulo. +</p> + +<p> +— Lavorate animosi e ne avrete.... Ehi! Santapila, tu +che vai carico verso il fondaco, di’ ad Ænoao che addoppi il +buono che con tanta facilità traspirate. Ma in tre dì voglio +sgombera la nave per caricarla d’olio in Capreas. — +</p> + +<p> +Presumente! Parlava di avvenire in una città condannata +e sopra un selciato, mobile e vacillante quanto la tolda +della sua nave! +</p> + +<p> +I due amici si trassero di là e per la porta della Marina +si avviarono verso Pompei. Dinanzi la nicchia di Minerva +sotto l’arco, incontrarono Hera Nevia, Appia Callista e Terzia +Turpedia, giovanette in preda a febbri d’artificio che lo +amore condanna e le cui fiamme sono incerte ed effimere. +Erano seguite da Abiginio Albulato, da Sesto Eppio, da Afrenio +Helvino, giovani sfaccendati che uccidevano la noia logorante +delle dodici ore luminose nella tonstrina, nei termopoli, +nelle Terme e le altre dodici nelle orgie. Un ricambio di sorrisi. +Strette di mano cordiali, ed innanzi. Giunti presso la +Basilica, il suolo traballa, le mura crepitano, le colonne piegano +in volta. E poi un rumor sotterraneo. Quindi lo scoppio +sul Vesbio. Corrono barcollanti nel Foro. Una colonna di fumo. +Una grandine di sassi. Si cacciano a precipizio sotto il +portico e fuggono.... Fuggono. E lo spavento cammina loro +dinanzi colla testa imprecante agli Dei. E sono abbracciati +dalla morte che gli attendeva come certa sua preda. +</p> + +<p> +Agato Vaio — il quale reggeva una <i>Caupona</i> nella via +Domizia, che Giulio Polybio, il mercante di grani e duumviro, +fattosi suo collega, avevalo aiutato ad edificare — escì di +casa difendendo il capo dalle pomici con un cesto di vimini, +corse forsennatamente verso il <i>Ponderarium</i> — officina del +pubblico peso, che ora direbbesi Dogana — urtò in un +ciuco che la stranezza degli avvenimenti lasciava indeciso +nella fuga e che le voci interne del capriccio e..... dell’asineria — spesso +ascoltate dalle sue lunghe orecchie — lasciavano +allora impensierito ed immoto, lo gittò disperato da un +<span class="pagenum" id="Page_337">[337]</span> +canto e per una porta di contro discese a saltelloni nel porto. +Colà può afferrare una barca, vi si caccia dentro e voga in +salvo. — Era stato meglio <i>Cauponius</i> che <i>Caupo</i> in altri +tempi; cioè, arnese di osteria piuttosto che reggitore e padrone. +Allora faceva versi. E quelli <i>exodia</i>, specie di farse +oscene, atte a dissipare in teatro le impressioni tristi della +tragedia, cui succedevano. Erane adunque <i>actor et auctor</i>. +E conservava i diritti di cittadino. E potea servire nello esercito, — due +prerogative che non godevano gli attori seri i +quali recitavano le commedie di Nevio, di Plauto, di Cœcilio, +di Afranio, di Terenzio. Ma tanto le <i>fabellæ atellanæ</i> come il +<i>carmen togatum</i> — od incontrassero plausi o fischiate — non +gli facevano afferrare le chiome della Fortuna. Laonde Agato +erasi dato a più profittevole esercizio..... Eh! La più bella +Musa dell’Olympo non sa nudrire il suo povero amante. Conviene +far propria — secondo il gusto — una di quelle nove +fanciulle e risguardarla come una ganza. Esso non possono dare +altro che ore di compiacenza, fumi di gloria, nebbie di vanità, +pecunia mai..... almeno in Italia, dove la supina ignoranza +delle plebi non le conosce, nè stima. +</p> + +<p> +Il sole è alla metà del suo corso. Una brigata di uomini +in gran parte canuti seggono in una sala decorata di bei dipinti, +tra i quali rifulge la splendida pagina murale che presenta +lo episodio poetico di Virgilio, il <i>pio</i> Ænea che parte di +Cartagine a furia di remi e lascia sulla riva Didone costernata +ed in lacrime fra i suoi attoniti cortigiani. Intorno sono +raffigurati il crotalo, il sisifo, la tromba, i flauti, le tibie pari +e lo scabillo, quello istrumento pneumatico, come i nostri organi, +che i tibicini suonavano coi pedali di legno o di ferro +per accordare i tuoni dello strumento da fato. Sono per la +stanza supellettili di bronzo e di vetro elegantissime con un +vaso di alabastro di graziosa forma. E nel mezzo è una tavola +di porfido con suvvi una piccola statua, simulante un giovane +appoggiato sul dio Termine. Il più provetto, Nicia di +Mileto, continova la discussione che animava gli occhi ed il +gesto dei convenuti: +</p> + +<p> +— No! Non ammetto con Hedilo che il divino poeta, +dalla fantasia facile e la meglio feconda, siasi servito per costruire +<span class="pagenum" id="Page_338">[338]</span> +i suoi versi di una lingua strana e bizzarra. Mi sembra +più naturale il pensiero ch’egli abbia voluto fare suo pro +della lingua volgare dei tempi suoi. E nel vero. Dugento anni +pria che nascesse, i Jonii condotti da Neleo vennero a stabilirsi +sulle coste dell’Asia-Minore. Ma con essi erano i Tebani, +quei della Focide e di altri paesi della Grecia. I loro idiomi +misti a quelli degli Eolii dovettero formare la lingua nuova, +parlata, di cui Homero si servì. I dialetti, limitati ad alcune +città, presero un carattere distinto in progresso. Ma la stessa +varietà testimoniava l’antica confusione. Le medesime lettere +anche ai dì nostri non hanno forse in più luoghi pronuncia diversa? +E quante le parole che in Athenes indicano un significato +ed un altro presso un popolo che variamente le termina? +Homero, aiutato dallo strano suo genio, spigolò il buono di +tutti i dialetti e creò la lingua monumentale che noi parliamo. +</p> + +<p> +— E gli è cotesto ch’io non ammetto. La poesia era assai +coltivata dai lirici dei tempi suoi. La lingua era già abbondante +e piena d’immagini. Due grandi avvenimenti, la guerra +di Thebes e quella di Troas esercitavano gl’ingegni. E di ogni +parte i rapsodi colla lira annunciavano al popolo le gesta dei +loro antichi guerrieri. +</p> + +<p> +Rhiano anch’egli divideva tale opinione e aggiungeva: +</p> + +<p> +— Ed Orpheo? E Lino e Museo? Ed altri, le cui opere +andarono smarrite? Ed Hesiodo, il suo contemporaneo, che +in uno stile pieno di soavità e di armonia descrisse la genealogia +degli Dei, i lavori campestri ed altri interessanti argomenti? +Homero trovò dunque la lingua e l’arte già adulte. +Trovò un emulo altresì. Ma s’ei primeggiò, non posso per +questo consentire che Nicia lo proclami genio creatore. +</p> + +<p> +— Parlerete ambedue sino alla restituzione della libertà +popolare in Grecia ed in Italia, vantando Orpheo, Lino ed +Hesiodo, ed io crederò che la Iliade e la Odissea sieno la disperazione +dei poeti che furono, che sono e che saranno. Cosa +fece il divino Homero? Nello assedio decennale scelse uno +episodio — Achille si crede insultato da Agamennone per la +ritolta amante e si ritira nei suoi accampamenti. I Troiani, +incuorati, escono dalle mura; e più volte vittoriosi, appiccano +<span class="pagenum" id="Page_339">[339]</span> +lo incendio alle navi nemiche. Patroclo, lo amasio di Achille, +si veste delle sue armi, combatte e muore per le mani di +Hettore. L’offeso ritorna colle armi nel campo, vendica lo +amato cadavere e cede, per riscatto, a Priamo le spoglie del +prode figliuolo che ha trascinato più volte dietro il suo carro +intorno alle mura nemiche a ludibrio. — Era una storia. Per +abbellirla finse che l’Olympo parteggiasse pei due popoli duellanti. +E perchè il racconto poetico assumesse interesse maggiore, +usò artificio non usato dianzi, e i suoi eroi parlarono ed +agirono. — Nel decennale viaggio di Ulisse adoperò gli stessi +spedienti per ottenere un eguale successo. — Il figliuolo Telemaco +dopo un lungo attendere, si parte da Ithaca per interrogare +Nestore e Menelao sulle sorti del padre. Gente ingorda +dissipa i suoi beni. I Proci aspiravano alle nozze della +madre desolata. Nel punto Ulisse partiva dall’isola di Calipso +e approdava naufrago in un’isola presso alla sua. Chi ve lo +accolse ospitale volle udir di sua bocca i maravigliosi eventi, +i mali sofferti. Ed in premio, avendo ottenuto soccorsi, parte +per Ithaca, arripa, si fa riconoscere e si vendica dei propri +nemici. — Cotesto poema pare opera senile. Il vegliardo ripete +il già detto su Troas arsa e distrutta; fa mostra di maggiori +cognizioni geografiche; dà caratteri più miti ai suoi personaggi; +ed in tutto il dramma circola un tiepido calore pari +a quello del sole al tramonto. +</p> + +<p> +Tutti avevano udito la dotta e pur semplice analisi che +Leonida di Tarentum, avea fatto dei due poemi. Alexis, di +Thurium, plaudendolo aggiunse: +</p> + +<p> +— Tacesti sulle nobili sentenze che chiare risultano dai +due poemi, e che Homero lasciò alle meditazioni del suo secolo +che pure ad altro tendeva. — I popoli sono sempre la vittima +delle contese di chi gli guida. — La prudenza e il coraggio +trionfano tosto o tardi dei maggiori ostacoli. — Uomo sublime! +</p> + +<p> +Un vecchio presso la tavola, il quale appoggiava il bianco +capo sulla palma della mano diritta, il poeta Xenocrate, di +Locrum, pieno di entusiasmo prese a dire: +</p> + +<p> +— E il genio dell’uomo sublime parlò al genio del grande +legislatore! Lycurgo copiò i due poemi e persuase gl’istrioni +<span class="pagenum" id="Page_340">[340]</span> +a declamarne i frammenti nei teatri. Solone ordinò a quei +rapsodi di non distaccarne i brani a talento; ma riuniti, che +l’uno seguisse il racconto dove l’altro aveva finito. Ma siccome +la purezza del testo venivasi alterando sulle bocche ignoranti +dei ripetitori, Pisistrato ed Hipparco — padre e figliuolo +tiranni in Athenes — aiutati da abili grammatici, ripurgarono +dalle errata i due quadri istorici della Grecia e li fecero cantare +alla festa delle Panathenee, processione votiva a Minerva, +e poi alla memoria di Harmodio e di Aristogitone, regicidi. +Io proclamo con Nicia, di Mileto, Homero non solo creatore +della lingua, ma eziandio della greca nazionalità. Noi tutto +dobbiamo a quell’uomo divino. Leggi — Gloria — Costumi. +L’ammirazione è in ogni cuore. Il suo nome in ogni mente. +La sua immagine da per tutto. Se vi furono città contendentisi +l’onore di avergli dato la culla, quante le città che gli +sacrarono un tempio? Eschilo, Sophocle, Archiloco, Herodoto, +Demosthene, Platone seminarono i loro scritti dei fiori +raccolti nello inesauribile giardino del balio a noi tutti. E da +quelle cantiche sublimi Phidias e il pittore Euphranor attinsero +il tipo che degnamente rappresentasse le fattezze maestose +di Giove Olympico. Homero era cieco. E doveva esserlo! +il suo sguardo assorbito dalla luce divina della poesia, che +splendevagli nella mente e nel cuore, disdegnava il lume del +sole, luce più debole, gran cosa per gli altri. +</p> + +<p> +— Xenocrate col mentovare il primo fra tutti gli Dei, mi +fa col volo della mente percorrere i cieli, avendo a guida il +grande poeta. Mirate Venere col cinto da cui scaturiscono +gl’impazienti desiri, i fuochi dello amore, le seducenti grazie +e lo incantesimo degli occhi e della parola. E Pallade alla cui +egida sono sospesi i terrori, la discordia, la violenza e la spaventosa +testa della Gorgona. Nettuno è tra gli onnipossenti; +ma gli occorre un tridente per iscuotere la terra. E se dopo +la corsa fantastica del cielo, torno a ricalpestarla, chi vi trovo? +Achille, Aiace e Diomede; i peggio temibili tra i Greci eroi. +Ma l’ultimo si ritira, rincula dinanzi l’oste troiana. Aiace +non cede che dopo averla fatta indietreggiare più volte. Achille +si mostra e il nemico dispare. — +</p> + +<p> +Così Sosicles, il poeta siracusano. Ora ad Hedilo parve di +<span class="pagenum" id="Page_341">[341]</span> +dovere interloquire per cancellare le tracce dei suoi paradossi. +</p> + +<p> +— Platone disse non essere dignitoso il dolore di Achille, +nè quello di Priamo, allorchè il primo si rotola sulla polvere +per la morte di Patroclo e l’altro si umilia per ottenere il cadavere +del figlio. Ma, quale dignità può mai spegnere il sentimento?... +Io lodo Homero di aver imitato la natura che colloca +la debolezza presso la forza, e lo abisso a lato della +sublimità. Lo lodo altresì per avermi palesato il migliore dei +padri nel più possente dei re e lo amico tenerissimo nello audacissimo +fra gli eroi.... Cotesti ed altri pregi però non scusano +il poeta se spesso riposa e talvolta sonnecchia. È vero +che quando si desta scaglia i fulmini al pari di Giove.... Ma +<i>quandoque dormitat</i>.... +</p> + +<p> +— E gli Dei non dormono essi? +</p> + +<p> +— Gli Dei furono uomini. Pindaro il disse. E non possono +dominare la nostra illuminata coscienza. Un ente supremo +esiste, e a lui inchiniamo in secreto. Quelli a cui si volgono i +voli della plebe umana.... +</p> + +<p> +Un rumor sordo, cupo, terribile chiuse la parola autorevole +sulla bocca del vecchio Nicia, di Mileto. Tutti si levarono +in piedi, e le scosse del suolo li balzarono in terra insieme coi +mobili della stanza. Si rizzarono sbalorditi e contusi ed escirono. +Una grandine di sassi. Poi cenere e lapilli da oscurare +ogni luce.... Quindi.... la morte.... +</p> + +<p> +Alle prime ore del mattino Acilio Heliodoro, incontrando +i suoi amici nella <i>tonstrina</i> di Glaphyro, gli aveva invitati al +<i>prandium</i> in casa sua ch’era sulla via ampia e prolungata +dell’Abbondanza, le quale, solcando parecchi crocicchi, finiva +presso lo Anfiteatro. Era un giovane di origine greca e di +nascita pompeiana. Suo padre, arricchitosi nel commercio +colle pie frodi che il traffico allor permettea, dopo aver maritata +la figlia con Anniceris, suo amico, il rinomato vasaio in +Rubi, aveva creduto lasciarlo libero dispensiero delle accumulate +dovizie alla età di trent’anni, affogandosi nel mare +un dì che vi prendeva i suoi bagni. Menava la vita paesana +in tutta la sua purezza; la quale, pari a quella dei destrieri +nei prati, consisteva nel mangiare, dormire, riprodursi, aspirar +<span class="pagenum" id="Page_342">[342]</span> +l’aria, sbadigliare e volgere gli occhi dolcemente qua e +là in busca di cavalle e di erba migliore. La sua casa era +doppia — per sè e per gli ospiti di fuori — e quella abitata +da lui, sontuosa. Belle pitture sulle pareti — Ulisse che presenta +in Scyros allo infemminito Achille le armi e lo ravvisa +pel celato figliuol di Peleo. — La frode di Giove che mutato +in cigno stringe nella spatula la lingua di Leda e la pone sul +nudo e bellissimo seno. E Amore, che è il faccendiero del luogo, +il quale sostenendo in una cassetta diversi attrezzi muliebri, +ride sottecchi ed accenna con aria furba al Nume trasformato +in uccello. — La più ricca stanza era quella del triclinio che +prendeva luce dalla porta e da un finestrino aperto nello xysto. +Da un lato alberi e fiori. Dall’altro il soave rumore di una +fontana zampillante. +</p> + +<p> +— Oggi non sarai sola, o Nossis. Verranno i miei amici +a distrarti, Acrio Heleno, Lucio Modiano e Narceo Flacco. — Acilio — come +tu vedi — tutto che pieno di tenerezze terrestri, +ama le distrazioni del tuo nobile cuore per poterti esprimere +tratto tratto e senza annoiarti le novelle dello amor suo. +</p> + +<p> +La persona cui erano dirette quelle parole, sedicenne, +snella e spigliata, parea nata fatta per seguire i moti ardenti +e graziosi di un poledro africano. Era un’amazzone tranne +nei voti. Sulla sua faccia leggevi fierezza, intelligenza, risoluzione, +generosità mista ad un piglio che nulla avea del virile. +Una malattia aveva punito leggermente il suo volto +bucherellandolo di minuto vaiuolo. Ma i suoi grandi occhi neri +e i sorrisi che da essi balenavano faceano dimenticare il +fuorviamento della natura, che un giorno colla febbre del +sangue le avea maculato la faccia. Era di Locrum ed apparteneva +alla tribù delle etère che offeriva un amabile contingente +alla libera e grande tribù dei celibatari. +</p> + +<p> +— La donna ha un fiero istinto che le fa respingere la +innocenza. Lo so. Meglio il serpe che ammalia e stringe nelle +sue potenti spire di quello che il bianco giglio odoroso. Ma +vi è una razza d’uomini, ricercatori di voluttà, idoli impuri, +i quali credono in ogni donna il loro trastullo, sognano avventure, +le realizzano e di ciò fanno tardo argomento di risa +e di sprezzo. Oh! Venere gli punisce! Essi terminano la vita +<span class="pagenum" id="Page_343">[343]</span> +col confessare la onesta fede al coniugio, e gli Egisti maliziosi +ridono di quel riso che fa cadere le stelle sulla terra. +</p> + +<p> +— Eccoli che vengono. Sono e non sono quali tu gli +dipingi....... Qui, amici.... nel tablino. Malgrado il caldo oppressivo +della giornata, un po’ d’aria vi circola e aiuta al +respiro. — +</p> + +<p> +Una tavola è nel mezzo della stanza sopra un musaico di +scelti e variopinti marmi. Sul deschetto è un vaso di murrhina +con entrovi un fascio di ordinati fiori. Ed altri fiori sono nei +vasi nolani attelati alle pareti, che coi loro vivi colori e il +soave olezzo cantano l’inno misterioso della natura. La luce +è abilmente disposta. Le cortine di Tyro sono abbassate dal +lato del mezzodì. Quella clemente e dolce che viene dall’altra +parte, accorda all’ombra una ospitalità generosa, di cui la +donna, per giovanetta che sia, non sa mai dolersi. +</p> + +<p> +Ricambiati i mattinali saluti, ognuno aggiunse a quel +tema le variazioni che la originalità dei caratteri sapeva fornire. +Narceo Flacco primeggiava nei paradossi; ma gli escivano +così naturalmente di bocca, che volontieri erano uditi e +sovente ricerchi. Di uno in un altro discorso, siccome suole +accadere, Aerio Heleno aveva mentovato il loro amico comune +Agathemaro Vezzio, di recente morto nelle strette di +Bovianum Vetus in un conflitto coi banditi, ribelli alle leggi. +</p> + +<p> +— Sì, morto inosservato e lungi da noi. Eh! il sangue +umano presto dissecca. E gli estinti rimangono vivi nel cuor +delle madri e degli amici. Una donna avrebbe dovuto piangerlo +però.... La sposava! +</p> + +<p> +— Chi? +</p> + +<p> +— Nympha, della famiglia Nomentana. Io le recai un +suo anello ed ebbi anche il mandato di dirle quelle parole +sacre che lasciano — od almeno si spera che lascino — qualcosa +di proprio nei cuori in cui era chiusa tutta la propria +terrestre felicità. +</p> + +<p> +— Ed essa? +</p> + +<p> +— Eh! Pianse un poco... e poi gli occhi rossi li lasciò +agli schiavi che attizzano il fuoco nel <i>laconicum</i> delle Terme. +</p> + +<p> +— Penso che non a tutte le donne tu accordi una tanta +indifferenza di cuore. La unità non è numero. — +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_344">[344]</span> +</p> + +<p> +Nossis disse quelle parole con un certo cipiglio che valeva +un rimprovero. Ed era per levarsi dalla sedia, quando +l’altro riprese: +</p> + +<p> +— Rimanti, ten prego e non ti offenda la mia sentenza. +Tu hai nei begli occhi fantasime che non ingannano e tenerezze +caparbie che sfidano le tenzoni di amore. Ma comunemente +io non vidi negli amanti che un’ora sola sublime, +quella in cui i cuori prendono congedo tra loro. Gli affetti +eroici non li ho mai incontrati. Venere un me ne accordi, +ed io mi vi dedicherò intero. Non feci mai saggio della mia +costanza. E pure vi ho fede come se fossi nato ai tempi del +misero P. Ametistio, il crocefisso, mentre ebbi vita sedente +Nerone imperatore, dopo l’abolizione dei ludi gladiatorii nello +Anfiteatro. +</p> + +<p> +— Siffatta fede ti onora. Merita ed avrai la tua ricompensa. — +</p> + +<p> +E voltasi ad Acilio lo guardò con tanto entusiasmo e +fiducia che questi sentì i propri affetti rinfrescati da un sentimento +novello. E gli disse: +</p> + +<p> +— L’ora del pranzo è accennata dalla clessidra. Andiamo. — +</p> + +<p> +E tutti mossero verso il triclinio. +</p> + +<p> +Questo era splendido di pitture, di tappeti, di mobili e +di vasi di argento. In mezzo era la <i>mensa delphica</i> colle imbandigioni. +Si coronarono di rose. Ma non si coricarono sui +letti, e sedettero secondo il costume dei Greci. Ad ognuno, dopo +che si ebbe lavate le mani, venne offerta la <i>mappa</i>, orlata +come una laticlava di una frangia di porpora. +</p> + +<p> +Qual differenza dalla parca e sobria mensa degli antichi +senatori di Roma! Curio faceva cuocere i suoi <i>oluscula</i> — i +legumi dell’orto — coltivati da lui, sul suo umile focolare. Altravolta +si conservava preziosamente il lombo salato del porco +per celebrare un dì natalizio; e si offeriva ai parenti una +fetta di lardo con un po’ di carne fresca, se mai fosse stata +immolata una vittima. E a siffatto festino vedevasi arrivare, +colla zappa sulla spalla, un parente illustre per tre volte console, +o imperatore di accampamenti, o dittatore, il quale in +quel giorno abbandonava più presto del solito il rude lavoro +sul monte. Nell’epoca dei Fabi, del severo Catone, degli +Scauri, dell’onesto Fabricio, allorquando lo austero Salinatore +<span class="pagenum" id="Page_345">[345]</span> +facea tremare il suo collega censore sulla sedia curule, +nessuno aveva pensato ove nuotassero le tartarughe, il cui +dorso gaio e levigato avrebbe fatto più splendidi i letti dei discendenti +di Enea. Tale la casa. Tali i mobili. Tali gli alimenti. +Da bastare alla vita, e non al lusso ed alle morbidezze. +E quando quei ruvidi eroi — stranieri ancora alle arti della +Grecia — dopo il sacco di una città, si trovavano per le mani +una coppa cesellata di argento, la rompevano per fondere +una <i>phalera</i> da bardarne il cavallo delle battaglie, od una +lupa a ricordo della mansuefatta dal Destino, che allattò i gemini +quirini sotto la rupe. Lo argento splendeva allora soltanto +sulle armi dominatrici. Le fave, i ceci, il farro, la +carne e i pesci arrosto, i frutti freschi o quelli che nel verno +avevano perduto la crudezza del loro succo componevano il +desinare, scodellato ed offerto su piatti di terra bituminosa. +E vivevano lunghi anni, e non mentivano alle leggi della dignità +umana. E col pilo e col gladio assoggettavano il mondo +noto. E gli ospiti erano accolti francamente, con abbandono, +di pieno cuore, come Evandro accolse Hercole, lo eroe di +Tiryntho, seme divino, <i>contingens sanguine cœlum</i>. +</p> + +<p> +Compiuto lo asciolvere fatto coi cibi i meglio squisiti, e +mangiate le <i>mustacea</i>, paste condite di aromi che servivano +a correggere dopo il pasto le crudezze dello stomaco, Acrio +Heleno propose il giuoco dei <i>griphi</i>, cioè, problemi soliti a +sciogliersi a tavola. Chi non riesciva a deciferarli, pagava +un’ammenda. +</p> + +<p> +E Nossis disse: +</p> + +<p> +— Indovina, o Narceo, la rete ch’io t’offero. <i>Io sono +grandissima nascendo. Sono pur grande invecchiando. Sono +però piccolissima nel vigor della età.</i> — +</p> + +<p> +L’altro pensò, chiuse gli occhi, apri la bocca per dire... +quindi risolutamente rispose: +</p> + +<p> +— L’ombra. +</p> + +<p> +— Indovinasti. A te, Modiano. <i>Qual nome dài tu alle +due sorelle che non cessano di generarsi a vicenda?</i> — +</p> + +<p> +Anch’egli pensò, masticò parole non articolate, si diè +per vinto e pagò. +</p> + +<p> +— Nulla di più facile per chi lo sa: la giornata e la notte. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_346">[346]</span> +</p> + +<p> +— Ora te, o Nossis. Mi auguro che tu lo sciolga. <i>Vi sono tre +animali in terra, nel mare, nel cielo.</i> Puoi dirne i nomi? +</p> + +<p> +— Più presto di quel che non pensi, o Heliodero. — Il +cane. Il serpe. L’orsa. — Sei pago? — +</p> + +<p> +Lucio Modiano, ch’era stato perdente, voleva porre gli +altri nella stessa condizione e disegnò fare il giuoco delle lettere, +delle sillabe, delle parole. Erano detti <i>logogriphi</i> perchè +reti formate coi versi che si dovevano recitare al nuncio della +prima lettera, o di un motto che racchiudevano, o terminanti +con una sillaba che veniva indicata. Astrusaggini venute +di Grecia nelle nostre contrade. +</p> + +<p> +Tutti vi si provarono. Nessuno riescì. E l’afa essendo +omai grave, escirono allo aperto nello xysto. Erano pure +radiosi come la speranza. E l’ora presente inesorabile, pareva +la dovesse esser madre di ore innumeri, liete, felici.... E +quegli istanti erano gli ultimi! Passioni, dovizie, ingegno, +bellezza, schiacciate e sepolte come le vanità della vita. E le +convulsioni della natura affogarono e coprirono la casa di +Acilio, racchiudendovi brevi ma disperate agonie. +</p> + +<p> +I sacerdoti d’Iside banchettavano nell’ora in cui il disastro +aveva principio. Si radunarono tutti nella sala dalle +cinque arcate che è dietro la edicola della Iddia, dove si celebravano +i misteri, e i soli iniziati penetravano: Nymphiodoto +Caprasio persuase gli altri a non fuggire e a rinfrancare i +cuori. Egli si prostrò dinanzi il delubro ed orò come se i +devoti fossero nel tempio e il vedessero. +</p> + +<p> +E le pietre pomici piovevano sempre. +</p> + +<p> +Allorchè quel furbo si avvide che i lapilli si livellavano +cogli ultimi gradini e le esalazioni di zolfo gli eccitavano la +gola, indignato proruppe: +</p> + +<p> +— Tu vedi lo scompiglio, tu senti le preghiere dei tuoi, e le +tue labbra rimangono immobili? La tua bocca di marmo parli, +e questo nembo micidiale di Averno rientrerà negli abissi. E +i pietosi incensi bruciati sul tuo altare. E le vittime sacrificate. +E le offerte dei devoti tuoi. E il sacrificio della nostra +castità..... sino alla rivolta della natura..... Dunque tra +la tua statua e la faccia di Bathyllo, il pantomimo, non vi ha +differenza?.... <i>Non movent divos preces?</i> Tutto è mendacio, +<span class="pagenum" id="Page_347">[347]</span> +fuor che l’antro tenebroso da cui sorgono infuocate le pietre +del Vesvio? Io incisi le mie scelleratezze sul falso e per tua +colpa, o iddia. — +</p> + +<p> +Due orecchie umane, fatte di stucco, erano sui lati della +nicchia, per dare ad intendere plasticamente alle turbe ignoranti +e bietolone come le loro preci, mediante ricche offerte, +fossero intese dai numi. +</p> + +<p> +Il prete ipocrita, levando gli occhi, vide quei simboli +della credulità meridionale e di subito sdegno inalberò. Dato +di piglio ad un sistro di bronzo, pose in bricioli un orecchio. +Un fulmine solcò la spessa atmosfera e fece sgomento quel +profanatore delle stesse cose di cui sino allora avea tratto +profitto. I ricoverati nella sala postica corsero a salti in cucina; +e siccome le soffitte delle stanze soprane erano cadute, +si accoccolarono sulla scala che ad esse saliva. La mefite quivi +gli colse e gli uccise di disperata agonia. Nymphiodoto riparò +ansimante nella camera vicina al refettorio. Ma siccome dal +tempio veniva un veemente ed insoffribile calore — con un +fumo vibrato ed invisibile con tenue odore di zolfo, ma più +di ammoniaca, di nitro e di vitriolo che affannava istantaneamente +il respiro — egli cercò di chiuder l’uscio come meglio; +e, presa una barra di ferro, si die’ a rompere la parete ch’era +di mattoni e di spume vulcaniche. Quel disperato non avea +scampo. Pria di porre il termine alla rottura, la mefite lo +prese alla gola e lo stese cadavere come i compagni. +</p> + +<p> +Nel tempio di Giove pativa una quasi eguale offesa il flamine +diale. Ultimo ad escire, perchè carico degli <i>ex-voto</i> di oro e +di argento, una delle colonne corintie del vestibolo scardinata +dal tremuoto cadde e lo schiacciò sotto il suo peso. Quella +incarnazione dell’orgoglio e della soperchieria veniva affranta +a cagione del solo interesse avaro ed egoista che avealo inspirato +nella vita. +</p> + +<p> +Sur uno dei piedistalli, a livello del <i>pulpitum</i>, dal lato +opposto, la statua erasi spezzata e caduta al suolo. Una creatura +vivente vi sedeva in suo luogo. Aveva le gambe penzoloni, +il capo coperto dal <i>sagum</i>, per guarentirlo dalle pomici cadenti; +e le braccia al petto. Al rumore della colonna, all’urlo soffocato +del flamine, l’uomo innalzò il panno dagli occhi e si volse. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_348">[348]</span> +</p> + +<p> +— <i>Dehisce tellus. Recipe illum, dirum chaos!</i> È giorno +di grande giustizia cotesto. Tutti morti!... E chi meritava +vita qui?... Quando nello Anfiteatro fui ferito sulla spalla da +un colpo di gladio, quattro donne soltanto porsero la mano +aperta e gridarono: <i>Non habet</i>. I miei occhi le fissarono e le +loro soavi immagini mi si dipinsero nel cuore. Wodan le farà +salve. Le Ondine sosterranno la nave che porterà lontano le +loro lacrime per la terra dei ricordi perduta...... Lo abbietto +gladiatore non vedrà più i nativi suoi boschi e la bionda razza +che li abita..... Povero popolo di Herman!... Giù, Vesbius... +inghiotti, straripa, incendia, ruina. Racchiuderai fango in un +ampio sepolcro! Pesi la terra sull’empia stirpe latina che, +mai sazia, ha assorbito le libertà del mondo. Oerda, Werdandi, +Schott, Neva, le sorelle del Fato, stanno sul monte.... +Io le sento... E mi vendicano. Ora, posso anch’io morire.... +O foreste di pini! O Astara, che vi spiri dentro l’alito della +primavera! O Freya, dea dello amore! O Wali ed Oller, +miei buoni compagni nella infanzia! O Scada, mia madre! +O Norna e Rinda, sorelle mie! Gefion prende commiato da +voi e per sempre. — +</p> + +<p> +Questo Gefion era un germano della famiglia gladiatoria +in Pompei. Preso da fanciullo tra i prigionieri di guerra, lo +chiamarono Libero i suoi piacevoli consorti. Era stato otto +volte vincitore nei ludi. Forte ed impavido, addestrato alla +professione degli <i>artifices decollandi</i>, aveva risguardata la vita +come cosa fuggevole, misteriosa ed incerta. Or le grazie della +morte le conosce soltanto colui che passa i suoi giorni a contemplarla. +Ed era divenuta l’amica dalle cui mani attendeva +la sua libertà. In quell’ora di rivelazione inattesa, in cui tutti +fuggivano il bacio delle sue labbra gelate, egli scelse invece +il luogo dei suoi accoppiamenti con lei. Non avea più dinanzi +Itatago Vale, od Anarto Viridea, od Apsoto Jutto, od Amonio +Scava, o Sceunio Sitio, o Aptoneto Macula, od Epeo, o Sticho +che gli avessero detto, <i>gladium gladio copulemus</i>. No. L’apparizione +divina eragli venuta incontro nel Foro e gli aveva +parlato al cuore le dolci parole: +</p> + +<p> +— Eccomi. Apparecchiati. Quello che cercavi e che ti +adora, tra poco ti abbraccerà. — +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_349">[349]</span> +</p> + +<p> +Il bisogno fatale di quell’anima assetata fu compiuto. Lo +architrave dei tempio cadde, e il suo corpo divenne osceno +cadavere. +</p> + +<p> +Il Vesbio continova le sue collere. E nel mezzo del fumo +e nei lati dello stelo del pino serpeggiano saette che s’incrociano +e scoppiano con orribile strepito. Quindi dallo infiammato +monte sboccano fiamme in forma di travi e di grosse onde +tempestose. E poi, guizzi come di artifiziati fuochi rapidamente +scorrenti e senza scoppio. Ed altri che si allungano e pria di +dileguarsi rintronano l’aere. Ed altri ancora che scendono al +basso e radono il suolo e bruciano gli alberi e le case ed uccidono +uomini ed animali che coi loro passi ricercano la vita +omai minacciata per ogni dove. +</p> + +<p> +Cotesto avvenne alla misera Eutichia presso il postico +della casa di Sallustio. Scorgendo come la infernale bufera non +si arresti, per escir di quella agonia, dice ai tre schiavi — cui +il timore riflessivo aveva impedito di seguire i compagni postisi +in salvo insieme col padrone — di aiutarla a discendere +dal muro e a scampare. Aveva chiuso nella sua <i>palla</i>, colla +quale cuoprivasi il capo, e le spalle, uno <i>speculum</i> di argento, +tre anelli, alcune paia di orecchini, una collana di catene +d’oro e cinque braccialetti dello stesso metallo. E serbava in +una borsa trentadue monete e un suggello col nome suo. Scambiati +pochi passi, mancava ai quattro infelici il respiro e cadevano +morti. +</p> + +<p> +Contemporaneamente nella casa di Agatocles, ricco negoziante +greco, abitante nel pago Augusto-Felice, un liberto +ed una schiava erano nell’<i>æcus cyzicenes</i>, che interrompeva +l’ambulatorio sotto il portico che circondava il grande xysto +quadrato ed aveva lo sguardo sul maraviglioso cratere partenopeo. +L’uno cacciava in fretta in una borsa di pelle ventitre +monete di bronzo alla effigie di Galba. L’altra gittava in un +paniere di vimini una moneta d’oro di Nerone, quarantatre +denari di argento, quattro orecchini a spigo d’aglio ed una +cornalina incisa. Nel correre fuori si sentirono opprimere il +respiro, si appoggiarono alla parete e caddero. Nè diversa +sorte aveva avuto l’altra schiava, corsa dispesatamente in +fondo del portico a diritta ed entrata nel gabinetto di riposo +<span class="pagenum" id="Page_350">[350]</span> +che fa fronte al larario sulla opposta parte. Aveva un braccialetto +di bronzo ed al dito lo anello d’argento del suo <i>contubernalis</i>. +Misera! Non ebbe il tempo che di baciare quel caro +pegno di fede e spirare. Ulissia — la moglie del padrone di +quella casa — avea sperato salvarsi dal tremendo flagello, +ricoverandosi nel crypto-portico, ch’era la <i>cella vinaria</i>, la +quale contornava sotterraneamente lo xysto per la lunghezza +dei tre portici soprani. Fra ciascun pilastro, a fior di terra, +aprivansi spiragli dalla forma d’imbuti. Larghe provvisioni +erano adunate in un canto ed atte a sicurare la esistenza per +qualche giorni. Di anfore piene di vino ve ne aveva dovizia. +Stimando il disastro passeggero come l’altro di sedici anni +innanzi, Ulissia conducea seco giù per la scala la sua figlia +Domna, gli altri bambini minori con dodici liberte. Giunte verso +la metà della crypta, un vapore ardente e soffogante entra +per gli spiragli da dentro. Un grido solo escì da quei petti +affannosi. E tutti a precipitarsi verso la porta per la quale +erano entrati. Troppo tardi. Un alito pestifero veniva pur +dalla scala. Si fermano. Si aggruppano. Si stringono convulsivamente +insieme, quasi chiedendosi l’un l’altro soccorso. E +d’istinto, avendo compreso essere quello lo istante estremo +della vita, ognuno si velò il capo colla veste in atto rassegnato +e decente. Così furono rinvenuti quegli infelici diecisette +secoli più tardi, allorchè si cominciò a strappare il +funebre lenzuolo dal cadavere pompeiano. Sulle persone e +per le terre erano gemme, monete, uno stupendo candelabro, +i resti di un <i>mundus muliebris</i>, un pettine di legno, braccialetti +d’oro, spilli ed anelli. La cenere fine del Vesbio, +penetrando per gli spiragli, copriva quei morti addossatisi al +muro. L’acqua impregnò di umidità e di sali quella cenere. +La quale indurì cogli anni e conservò le parti molli fino a che +i secoli queste ridussero in polvere. Lo ammasso delle ceneri, +fattosi tufo e attaccatosi al muro, era divenuto nel 1763 la +forma di tutte le cose vive che aveva racchiuso Ma i poco +zelanti scavatori — uomini di stipendio, non di scienza — accoppiarono +il cataclisma della ignoranza al cataclisma della +natura. E ruppero bestialmente le ceneri indurate. E le posero +in frantumi per estrarre di quel fango le gemme e i monili +<span class="pagenum" id="Page_351">[351]</span> +preziosi. E trasportarono nel Museo trionfalmente una collana +di filograna d’oro, avente nel mezzo una piastra d’onde pendono +catenelle terminate da foglie di vigna, un bel braccialetto +formato da due corni di abbondanza, riuniti da una testa +di leone, e due orecchini. Cotesti oggetti d’arte avevano più +e più abbellito la bella persona di Domna, di cui la cenere +conservò per secoli l’ovale del viso, la forma del seno, delle +spalle e delle braccia; non che la stoffa leggera — di <i>ventus +textilis</i> o di <i>nebula</i>, come Petronio e Tibullo chiamarono quel +tessuto dell’isola di Cos. — Collocarono infine entro una cassa +di cristallo la forma di una mammella, il cranio e qualche +osso e qualche pezzo di tessuto nella cenere tufacea. +</p> + +<p> +Agatocles dovette aver l’anima vendereccia in un cuor +duro ed egoista. Non pensò alla famiglia quel mercante greco. +Egli non cura che la sua vita e le proprie ricchezze. Laonde, +seguendo la schiava che andò a morire nel gabinetto di riposo, +volse a sinistra e si fermò dinanzi all’uscio del portico +occidentale che aprivasi verso i campi ed il mare. Ma quivi +lo attendeva Venere-Libitina, dalle dita affilate e forti. Le +due chiavi dell’uscio gli caddero dalla mano, dove splendeva +un anello formato da un serpe a due teste, un <i>amphisbene</i>. +Provò uno stringimento alle fauci, la vista si oscurò, le gambe +vacillarono e ruinò per le terre. Il liberto che avealo seguito, +carico di vasi d’argento e di una grande quantità di monete +imperiali e consolari chiuse in un sacco di tela, prosciolse +anch’egli le membra e si distese sul pavimento. Una bella +lanterna di bronzo rischiarò la breve loro agonia. +</p> + +<p> +Nove altri scheletri furono rinvenuti fuori della casa nella +direzione del mare. Ed altri sopra un’aia non molto lungi dalla +fine del subborgo. Forse erano anche i servi della famiglia +di Agatocles. +</p> + +<p> +Perennio Nimpherois, il padrone del <i>thermopolium</i> dinanzi +la locanda di Albino — al quale Augusto avea conceduto +quel luogo come <i>mansio</i>, cioè stazione di posta per aver +subito le novelle di ciò che avveniva nelle provincie ed +Albino medesimo con tre soldati, coi forestieri che aveva in +casa, corsero affannosamente verso la porta vicina ad +Herculanum, malgrado la pioggia di acqua bollente. Lo +<span class="pagenum" id="Page_352">[352]</span> +astato è nell’edicola, appoggiato al pilo e respirando a mala +pena. Col gladio ha rotto il muro nel fondo per aver aria +più pura. Uno dei soldati gli dice correndo: +</p> + +<p> +— Bithinico, salvati. Il mondo finisce. +</p> + +<p> +— Eh! Il mondo finisce. Ma l’Urbe rimane. — +</p> + +<p> +Passa una donna che ha un bambino lattante nelle braccia +ed uno per la mano. Corre dissennata, urlando, fuori di sè. +Si ferma, asciuga colle mani convulse il volto al figliuolo e +lo bacia, lo ribacia e lo bacia ancora. Oh! le parole di conforto, +dette cogli occhi, ma non espresse dal labbro! La sua +vita è concentrata, è tutta là. — Il soldato s’impietosisce +e dice: +</p> + +<p> +— Donna, ripara qui dentro, al sicuro. Riposata, partirai +quando cesserà questa pioggia di Averno. +</p> + +<p> +— La mia vita non curo. — I figli! I figli! Oh! non +me li uccidete, o dei spietati!... Tulliolo, non lamentare i +tuoi piedini piagati. Altri pochi passi e sarem giunti. +</p> + +<p> +— <i>Miserere, mater.</i> — La gola mi si stringe. — Soccorrimi. — +</p> + +<p> +La infelice donna lo imbraccia in furia e corre, cogli +occhi ch’escono dall’orbita. Corre a sbalzi. Corre. Giunta +presso l’<i>ustrinum</i>, non può più ire innanzi. La mefite invadeva +la strada. Aveva ucciso i fuggenti che la precedevano. +Si assise sui lapilli. Appressò la bocca alle bocche dei suoi +bambini..... Avevano vissuto! Bithinico non tardò molto a +raggiungerli sulle rive di Lete. +</p> + +<p> +Nella casa di Vibio i servi partirono a precipizio dopo la +fuga dei padroni, ognuno portando seco ciò che potette. Morirono +qua e là nelle vie suburbane. Una donna greca, che la +chiamavano Milphidippa per le sue lunghe ciglia, va presso il +forziere di legno, guarnito di fasce di rame e di maschere +di bronzo, lo apre e vede dentro quarantacinque nummi d’oro, +cinque denari, un piccolo busto della Fortuna.... ma il respiro +le manca.... sente sulle tempia lo stringimento di una tenaglia, +corre nel vicino cubicolo, cade supina sul letto e muore. Danista +è già sulla soglia del <i>posticum</i>. Avara per istinto, non +ha perduto il suo tempo. Un aruspice le aveva predetto pochi +dì innanzi che una grande fortuna attendevala. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_353">[353]</span> +</p> + +<p> +— Egli mi disse: «Escirai grave da una piccola porta ed +entrerai in una maestosa con seguito di molta gente.» Convien +prepararsi. — +</p> + +<p> +E girando per le stanze vuote di abitatori, cacciò in un +sacco di tela ciò che trovava, cinque anelli d’oro, cinque +pietre incise, molte monete di argento e di bronzo, la <i>bombilia</i> +di cristallo di roccia che Melissæa avea dato allo sposo il giorno +in cui egli le die’ la sua fede, e due orecchini in forma di bilancia. +Va per escire col piede diritto, il sinistro essendo di +cattivo augurio. E la Parca si rammenta in quello istante di +lei ed appressa le forbice allo stame della sua vita. Si appoggia +illanguidita alla spalletta dell’usciolo. Le gambe flettono. +Il lume degli occhi si oscura e sviene. Nel 1829 gli scavatori +trovarono dispersi attorno al suo scheletro gli oggetti della +ghiotta vanità che occuparono gli ultimi istanti di quella misera +schiava. +</p> + +<p> +E la pioggia continova sempre ruinosa e scottante. +</p> + +<p> +Nella estremità della viuzza dei <i>Dii majorum gentium</i> +che il poeta Ennio racchiuse, nominandoli, in due versi, +</p> + +<div class="poem"><div class="stanza"> +<p class="i01"><i>Iuno, Vesta, Ceres, Diana, Minerva, Venus, Mars,</i></p> +<p class="i01"><i>Mercurius, Jovi, Neptunus, Volcanus, Apollo,</i></p> +</div></div> + +<p> +colà, dove presso la fontana del Vitello si andava allo <i>Ecatonstylon</i> +e ai teatri, odonsi gridi, singhiozzi e parole imperiose. +Nella casa è un correre, un disordine, una confusione +grande. Alcune donne coi bambini sono in fondo al vastissimo +giardino e s’inginocchiano, piangono sotto la volta del <i>lararium</i>, +sostenuta da due colonne di stucco. Un’altra donna bellissima +si è riparata in una stanzuccia presso il tablino, illuminata da +una lampada posta in una nicchia di marmo bianco. Il suolo +traballa. Sembra si sollevi e ricada. — Jucunda corre ad una +larga finestra che dava nel giardino. Ma lo sportello è chiuso +e nell’orgasmo da cui è presa non le riesce di aprirla. Allora +si volge affannosa ad un occhio di marmo bianco che è a lato +sull’angolo. Con un pugno ne rompe disperatamente il vetro +e grida con quanta voce lo spavento pur le risparmia: +</p> + +<p> +— Suilimea! Hilaria! Mima! Sema! E tu, Thalamo!... Qua +i miei bambini! A me! A me!... Ah! gli dei son pure spietati! +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_354">[354]</span> +</p> + +<p> +L’atrio corintio, sostenuto da pilastri adorni da elegante +meandri, e posante sur un <i>pluteus</i> di appoggio, è crollato a +metà sulle pomici piovute. Nel pericolo della vita, essa esce +coi capelli disciolti e colla <i>palla</i> trascinata. Muove verso il +giardino. Tra la fitta oscurità urta, cade sui lapilli, si solleva +furiosa, chiama i figli per nome, gli afferra convulsa, prende +nelle braccia il piccolo Licinio e per la mano Animula. — Iphygenia +e Nymphio, coperti da Calepio e da Euporo, la seguono. — L. +Saginio Valga ha in fretta adunato nella toga una +quantità di nummi di oro, di anelli, di orecchini, di perle, +di cucchiai d’argento con altri oggetti preziosi. Vien loro incontro +e grida che è tempo di salvarsi. +</p> + +<p> +Salgono nella casa addetta ai forestieri — ogni ricco pompeiano +ne aveva una attigua, comunicante, da ciò. — Saginio +fa sforzi rabbiosi per aprir l’uscio dal quale si scende nella +strada che mena colla rivolta al Foro, presso il fonte della +Gorgone. Urta, spinge e l’apre. Ma nell’atto, un pezzo di +muro crolla e ruina sopra Euporo e Calepio, i quali vengono +schiacciati sul <i>sigma</i>, triclinio semicircolare di estate, ch’era +nel mezzo dell’atrio. La madre si volge, gitta un urlo straziante, +mira i nati dalle sue viscere sepolti sotto le macerie +e sviene. — Sema e Thalamo fuggono verso il Foro, spinti +dal desio della vita. — Il marito raccoglie di peso la moglie +fuori dei sensi e collo aiuto di Mima, di Hilaria e di Suilimea +trae i dolci pegni dello amor suo verso l’abitazione deserta di +povera gente ch’era di contro. Sotto la cucina aprivasi un +sotterraneo con un pozzo profondo. Un largo <i>clathrus</i> abbarrato +da steli incrociati di ferro, all’altezza del petto dava luce +all’antrone dal margine soprastante. Colà riposarono gl’infelici. — Si +abbracciavano. Si chiamavano a nome disperatamente. +E baciavano piangendo i due bambini ancor vivi, +pallidi, esterrefatti. Miseri!...... Anche pochi istanti.... e raggiunsero +Nymphio ed Iphygenia sulla via dolorosa che quelli +prima avevano percorso. +</p> + +<p> +Intanto da una casa presso le mura scendono correndo +per la via dalla fontana di Mercurio cinque persone. Thylliano +Januario sorregge nei passi incerti Sogellia Fausta che, dentro +impietrita, non piange, non grida, e si fa guidare come inerte +<span class="pagenum" id="Page_355">[355]</span> +cosa. Gallione e Stallio camminano innanzi colle faci accese. Gli +segue Philonio Casto, il fratello di lei. Giunti in faccia alla +<i>popina</i>, quelli che precedono sono arrestati da due cavalli e +da un mulo, esciti alla impazzata dai <i>carceres</i>, forse poco +lungi di là. Gli animali attratti dal lume s’imbrogliano con +essi. Ad evitarli, entrano in una piccola abitazione contigua +alla taverna. Si rannicchiano in una camera vuota ed attendono +che il flagello mai sospettato finisca. Ma le soffitte delle +stanze, sopracariche di basalti e di pomici, si piegano e cadono. +Thylliano si curva in arco sulla moglie diletta per salvarla +dalle offese dei sassi. Nella fuga aveva raccolto braccialetti, +anelli d’oro e monete di diversi metalli. E gl’infelici +tutto perdettero insiem colla vita. +</p> + +<p> +Poco discosto, nella via che in quei giorni selciavasi sotto +le mura, un uomo e un cavallo avevano trovato rifugio in un +largo stanzone. L’uomo erasi provveduto di pane. La terra si +scuote. I muri si fendono. Un pezzo perde lo equilibrio e si +rovescia sopra quell’infelice. Cavallo e cavaliere, sepolti dalle +macerie. +</p> + +<p> +In una casa presso il Foro — poco lungi dalla scuola ove +il successore di Verna pubblicamente istruiva i fanciulli di +ambedue i sessi — si ode un fracasso di tetti e di mura che +cadono. Le macerie impediscono la via della uscita. Il fuoco +si è appigliato alle travi nella cucina e i turbini del fumo rotondeggiano +nell’aria. Le case allo intorno ruinano del pari. — Una +donna, scampata già, corre verso le Curie disperatamente +ed accenna coi passi al porto vicino. — Dentro è rimasto un +uomo più che quarantenne. I suoi pensieri erano elevati. I suoi +sentimenti generosi. Dentro il suo cranio volgevasi uno strano +dramma che lo faceva serio, grave, pensoso. Il mistero ei +lo vedeva per tutto, sugli occhi della donna, sui rami fronzuti +degli alberi, sui riflessi delle acque, sulle stelle scintillanti, +sulle molecole che formano i macigni. E giammai aveva +potuto assidersi lungo la sponda del mare senza sentir nel +profondo uno incanto che lo attirava e lo riteneva forzatamente +a contemplare il succedersi dei marosi che spumavano +all’urto e si spandevano in laminette e in meandri bianchi, +ricamati sullo azzurro. Non fu mai lo sperato, nè il marito +<span class="pagenum" id="Page_356">[356]</span> +di una donna. Non aveva parenti. Non liberti nè schiavi. +Una sola donna — quella cui lo spavento avea posto ai piedi +le ali — gli forniva i sobri alimenti che Pythagora, lo illustre +filosofo di Croton, aveva prescritto coi saggi consigli e coll’uso. +</p> + +<p> +Crasso Frugi era in piedi presso un trapezoide nel <i>cavædium</i> +e con una mano si velava la fronte. L’altra la posava +sul marmo ov’erano sparsi venzette nummi d’oro, cinquantuno +denari e due maniglie d’oro di femminile ornamento. +Ai suoi piedi è una giovanetta vestita di bianco. Era quella +la sola creatura che con lui vivesse in una certa dimestichezza +e con ricambio di affetti. Avevala un dì raccattata +fanciulla e piangente sulla soglia di una stanza isolata, nella +via di Dafne — lurido albergo di prezzolati amori — entro +cui era distesa sur un letto di muro una povera donna +morta.... Era la figliuola di quella estinta? Lo aveva supposto; +ma non mai domandato. +</p> + +<p> +Vasto lo edificio ch’egli abitava, di fresco ricostruito e +con bei musaici signini. Solo in tanto fastigio? Gli è che sin +dalla prima età erasi palesemente ammogliato con una divina +che chiede grande spazio a chi l’ama e con lei si congiunge. +I poeti la chiamano fantasia. I filosofi, idea. Gl’imbecilli, +follia. Ed io, la saviezza della mente e del cuore. Era la +scienza della giustizia, della verità, della luce. +</p> + +<p> +La fanciulla raccolta erasi fatta col prendere persona +l’armonia della sua vita e irradiava sopra di lui uno splendore +particolare. I di lei occhi neri, aprendo sotto fini ed +eleganti sopracigli le loro arcane profondità, erano pieni +di quello incanto che sgorga dallo sguardo umido della +donna. L’avevano chiamata Sapho nascendo.... Eh!... Pari +alla donna illustre così nomata aveva nel cuore tracce di +amaritudini e di dolori in germe che la sua mente scrutatrice +non sapeva deciferare. La sua origine scrupolosamente +celata era rimasta un’enimma. +</p> + +<p> +— Cosa è lo universo?... L’ordine. Cosa la morte?... +La eguaglianza. Uniti nel mondo da un sentimento purissimo, +punto egoista, quello dell’amicizia, come un solo essere ci +presenteremo alla Divinità... Sapho... creatura innocente offertami +<span class="pagenum" id="Page_357">[357]</span> +dal cuore sui miei passi vaganti, noi dormiremo insieme +in questo sepolcro che il Vesbio ricolma colle sue pomici. +</p> + +<p> +La giovanetta sollevò gli sguardi paurosi e pur soavi +sull’uomo tutto di bianco vestito, che a lei parlava come in +un’estasi; gli afferrò la mano che allor pendeva lungo la +tunica e febbrilmente la baciò. E la desolata a lui: +</p> + +<p> +— Oh! Gli Dei!... Pietosi, perchè non mi lasciano morir +sola!... Ma il nostro avello non sarà guarnito di foglie di +mirto, di ulivo e di pioppo, come Pythagora, il taumaturgo, +il divino, prescrive. +</p> + +<p> +— Rari gli uomini! il loro numero appena eguale a quello +delle porte di Thebes, o delle bocche del fiume che feconda +l’Egitto. Qui crescevano uomini non più utili al mondo, e gli +Dei affogano gli animali dai quali ricevevano offesa. In verità, +i giorni furono contati e l’ora fatale appressa. Apparecchiamoci +da forti all’ultimo istante. +</p> + +<p> +— Sei tu che lo dici, o padre. Son pronta. +</p> + +<p> +— Lo dico e lo sento. Rientriamo in noi stessi e rimproveriamoci +i falli di commessione e di ommessione. E cantiamo +tacitamente un inno in onor degli Dei..... Nè lacrime, +nè singhiozzi nella sventura! +</p> + +<p> +— Sì, nè tema, nè debolezza nel supremo pericolo. +Come i discepoli di lui perirono in Croton, noi pure saremo +divorati dalle fiamme medesime.... Ma... la mia gioventù è +grande, o padre! +</p> + +<p> +— Sorgi, diletta figliuola del cuore. Prendi forza a ben +morire dal calor del mio sangue.... Le leggi della vita sono +violate... Il bacio estremo.... e il segno che ci distingue e ci +unisce... +</p> + +<p> +E l’una nelle braccia dell’altro, tenendosi per la mano, +entrarono nel sonno eterno. Ed il Vesbio coi suoi candidi +lapilli compose il sudario sui loro cadaveri. +</p> + +<p> +Pythagora avea concepito un grande disegno — quello +di una vasta congrega di uomini, esistente sempre, e sempre +depositaria di scienze e di costumi, la quale sarebbe l’organo +di verità e di virtù, quando la umanità fosse in istato di +sentir l’una e di comprendere l’altra. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_358">[358]</span> +</p> + +<p> +Gli urli disperati avvicendano il mugghio ripetuto della natura +che freme. Quelli che ripararono nei primi piani e non +furono macellati dalle pietre, dalle travi e dalle tegole cadute, +nè arsi dal fuoco, nè schiacciati dalle soffitte, nè asfissiati +dalle mefite, corrono nella oscurità per ogni verso. Una +fanciulla piange, si dispera, scambia i passi, si arresta, non +sa dove dirigersi. Viene dalla via di Stabia. Quivi perdette di +vista la sua fuggente famiglia. Entra nell’atrio di Cornelio +Rufo. La casa arde. Il ferro si torceva masticato dalle fiamme. +Sprofonda il tetto. Essa si salva. La Palestra nelle Terme +è chiusa. Le botteghe più in su sono chiuse. Urta nella fontana +dalla testa di Pallade. Avanza ancora e trova un uscio +aperto. +</p> + +<p> +La casa era in riparazione. Mura squallide e non dipinte. +In fondo i lampi frequenti le mostrano uno xysto. A manca è +un <i>aecus</i> che i <i>tignarii</i> avevano poche ore fa disertato. Solida +è la volta. La misera fanciulla si asside sur un mucchio di sabbia +e piange lacrime dirotte. +</p> + +<p> +— I fulmini di Giove si spengono nel nostro sangue. <i>Heu +me!</i> La città in fiamme. Il popolo che spira sotto i rottami e +nel fuoco. E i miei cari?... Morti!... Ed io sola qui! Che sarà +di me! Venere aiutami. Oh! La iddia a me soccorre.... Polla +ti raggiunge, o Siliginio, se pure anche tu sei tra gli estinti. +Ah!... — +</p> + +<p> +La misera era caduta distesa sulla sabbia col capo penzolone, +riverso. Aveva le mani incrociate e parea che dormisse. +Forse la morte le fu propizia. Che avrebbe fatto nel +mondo, povera e sola? Nata da gente <i>lare incerto</i>; la quale, +obbligata a prendere in fitto le camerucce che abitava, tenuta +nella categoria — che, pur numerosa era e dispregiata — degl’<i>inquilini</i> +e vivente giorno per giorno e di pensieri vagabondi +e mal fidi, unico sollievo per Polla era la vita del +cuore. Grazie alle illusioni dei primi affetti, Siliginio, fullone, +era per lei, tredicenne, quella tenerezza senza limite con cui +essa desiderava essere amata. Sotto un albero di ulivo ei le +rivelò il suo pensiero. Ed essa sentì come un filtro soave le +addolcisse il sangue e le invadesse la ragione. Uniti, popolavano +una solitudine, ove i loro occhi vedevano sorgere di +<span class="pagenum" id="Page_359">[359]</span> +terra fiori incantevoli e profumati.... Povere anime, pure, +tranquille, serene, divine nelle loro speranze! Povere anime, +dove ne andaste?... +</p> + +<p> +E la pioggia cadeva ruinosa e bollente. +</p> + +<p> +Un uomo pareva non la curasse. Discesi dalle <i>hibernacula</i>, +camere poste al di sopra del forno, dove il misero +aveva per sette mesi lavorato <i>præferratus ad molas</i>, esciva +dal <i>pistrinum</i> della via che menava alla porta di Nola, nudo, +trascinante una catena col piede sinistro e coi capelli rasi da +un solo lato. Nè grande, nè piccolo; quantunque la mobilità della +persona impedisse di definirlo. I suoi pensieri ondulavano. +E così egli ondulava. Brandiva colla destra un tridente +insanguinato e tratto tratto lo piegava per terra e lo pigiava, +lo pigiava ancora cogli occhi stralunati e feroci. Quindi, ridendo +sgangheratamente, procedeva innanzi. Incurante le +scottature della dermide, si fermò, si drizzò sulla punta dei +piedi come per seguire il volo della sua povera mente e poi +pianse a dirotto. +</p> + +<p> +— Gylo! Misero. Sei vendicato! Ma Nea è morta.... Lo +infame Numisio mi schiantò il cuore dal petto rubandola ai +miei amplessi. O mio sospiro! Avevi un termopolio nel cuore.... +Ma l’ho cacciato ben io nel <i>pistrinum usque ad necem</i> e l’ho +strigliato d’importanza con questa <i>scutica de pene taurino</i>.... +La sua donna, Eitixia, voleva difenderlo. Dovetti persuadere +anche lei. E se mai li libererò dal penoso lavoro, <i>ego pro eis +molam</i>!... O Nea! Ora ch’essi girano le macine, tu sei libera +e infiorerai la mia vita di polline. Eccola...: Viene.... Ha i capelli +annodati in spessi ricci che le coronano il capo leggiadro. +Oh! i grandi occhi neri.... quasi dardi spuntati dalla mansuetudine +dell’anima sua!... La terra balla. Ballano le case. — Il +Vesbio fa boati ed illumina con faci la mia festa nuziale. +Gli amici — quelli che soffrirono finqui — verranno a posare +il gomito nel mio triclinio. Ah! Sono innanzi la mia magione. +...... Entriamo! — +</p> + +<p> +Ed il misero penetrò in una bottega della via Jovia e +cadde rifinito sulle pomici che la ingombravano. Era rosso, +tumefatto, scottato dal capo ai piedi. — Nel respiro affannoso +borbottava male articolate parole e tra esse spesso mentovava +<span class="pagenum" id="Page_360">[360]</span> +Nea, il farnetico della sua mente smarrita, l’unico lume +di quel povero cuore.... Ecco, ei ride, dà in un tremito convulso, +si rotola sulla china che avevano formato i lapilli, e le +ondate di pioggia lo spingono, lo affogano, lo stracciano e lo +cuoprono. Gli uomini erano stati crudeli con Gylo. La natura +pietosa spense il tarlo della memoria che a lento morso rodeva +la sua ragione fuorviata e malsana. +</p> + +<p> +La famiglia gladiatoria non fugge. Nel momento del flagello +inatteso molti erano nel vasto parallelogrammo, specie +di chiostro circondato da portici, sostenuti da ventidue colonne +in un senso e da diecisette nell’altro. Facevano gli esercizi +nell’area. Il lanista nel mezzo. Gli allievi, dirozzati dai più +provetti, <i>doctores tyronum</i>, armati di una spada di legno, si +schermivano vivamente contro piuoli profondati sul terreno. +La <i>gladiatoria sagina</i> bolliva nel vasto caldaio per rendere +con quel cibo sostanzioso più forti e più sanguigni quei poveri +giovani. Le armi sono chiuse nel piano superiore e le chiavi +le tengono i magistrati. I littori sono di guardia per tenere +nell’obbedienza quella gente degradata che spende il suo coraggio +avvilito al trastullo del popolo, e — passata la fuggevole +ebbrezza — a molto mal loro grado. Seneca narra come +un condannato a quel brutto mestiere, privo ancor d’armi e +pur bramando meglio morire che discendere nell’arena, si +cacciasse un bastone nella gola sino ad esserne soffocato. Così +salvava l’onore. +</p> + +<p> +Sessantatrè ripararono dalla grandine infuocata nelle camere +soprane. E quivi morirono. Quattro erano nella prigione +a terreno, cui nessuno pensò ad aiutare. I loro piedi, chiusi +nei ceppi di ferro, gli obbligava di stare assisi sulla nuda +terra, o supini. Destino terribile e ben più triste che la morte +dello anfiteatro. +</p> + +<p> +Nella parte commerciale della casa di Pansa — il cittadino +illustre incaricato da Vespasiano a presiedere ai pubblici +ludi ed a far rispettata la legge Petronia, impedire cioè ai cavalieri +ed ai senatori di degradarsi nell’arena, o di farvi discendere +di arbitrio schiavi non condannati da un formale +giudizio — infamia posta in uso da Giulio Cesare nel 708 di +Roma, epoca del suo quadruplo trionfo e continuata più tardi +<span class="pagenum" id="Page_361">[361]</span> +nei funerali della sua figliuola — in quella parte che aprivasi +sulla via Domizia e nel chiassuolo dinanzi la osteria di Fortunata, +era un <i>pistrinum</i> colla bottega di spaccio e colle camere +addette all’abitazione del <i>siliginarius</i>. Quivi un liberto +facea macinare il grano del padrone, impastare la <i>siligo</i> e +cuocere il pane. Egli, il <i>pistor</i>, ne dava conto al <i>dispensator</i>, +specie di tesoriere contabile che registrava in alcuni libri, +detti <i>ephemerides</i> le entrate e le spese, minorando la cifra delle +prime ed accrescendo quella delle seconde; rispettando però la +<i>merces insularis</i>, perchè quel prodotto degli affitti delle case +potea agevolmente rivelare il larcinio. Cuspio Tubero, liberto +di Pansa, aveva sulla parete della bottega, ove vendeva le +varietà del pane e della farina, una pittura che rappresentava +il serpente simbolico — la divinità custode contro il mal occhio — e +sotto, un mattone sul quale ardeva sempre la lampada. +Di contro al serpe sporgeva dallo intonaco una croce +nera, il segno riverito dai nuovi affrancatori dello spirito +umano, perchè su quella forca dei ladri e degli schiavi era +stato inchiodato il Galileo, apostolo della redenzione, rivelatore +del grande secreto, di quella parola che è suprema e definitiva +iniziazione umana e consolatrice delle anime oppresse. +Nel forno, i miseri schiavi incensavano ad altro simbolo dei +materiali godimenti. Era una immagine phallica, in rilievo, +colorata in rosso e sotto vi avevano scritto la leggenda — <i>Hic +habitat felicitas</i> — Stranezze dei tempi! +</p> + +<p> +Gl’idolatri erano fuggiti. La superstizione — cioè, il +vuoto — avea messo le ali ai piedi di tutti. Nello istante del +pericolo il culto religioso diveniva dannosa ipocrisia, di cui +ognun si affrancava. Grato Arrio, Messio Inventus, Menophilo +Ancario, L. Celio Doripo, Hyalisso Eppio Primo, Amphio +Serapa, Agatho, Perennio Merulino, N. Paccio Chilo, +Quinto Pompeo, sacerdoti di Giove, di Venere, di Mercurio, +di Esculapio, di Cerere, di Quirino, di Giunone, erano fuggiti +dalle botteghe oscene dei loro mendacii profanatori. Il +monte ardeva. La terra traballava commossa. Il mare ritiravasi +dalle sponde. Il sole non luceva più. E i mercanti di una +fede ipocrita e ladra, i quali avevano la impudenza per +principio, il sangue e le lacrime per mezzo, i godimenti e +<span class="pagenum" id="Page_362">[362]</span> +l’alterigia per fine, disertarono gli altari pericolosi, portando +con sè i preziosi redditi che le coscienze sedotte avevano cumulato +nei templi. Ma, non uno potè riparare in loco sicuro. +Quale per via fu derubato ed ucciso; quale ebbe il cranio infranto; +quale fu sepolto per metà dai lapilli che lo scottavano, +e nessuno volle arrestarsi per aiutarlo ad escir dalle pomici +che il propaginavano. Quale fu garrito con disumano dileggio: +</p> + +<p> +— Chiama i tuoi numi, o <i>scelerum artifex</i>, che vengano +ad aiutarti. O che? Sono muti o sordi per te? — +</p> + +<p> +Ed un altro: +</p> + +<p> +— Chiama la donna che tu mi hai profanata, non me. +Ora soffri la sete di Tantalo, gli sforzi rabbiosi di Sisipho, e +la ruota d’Issione. — +</p> + +<p> +Ed un altro, +</p> + +<p> +— Ti baciai una volta la mano sanguinosa, o impudico. +Espia ora i tuoi falli, o furfante, ministro di Giove, parricida +ed infame. — +</p> + +<p> +E la pioggia cadeva ruinosa e bollente. +</p> + +<p> +Così morirono tutti nel penoso viaggio che lo istinto della +conservazione loro imponeva +</p> + +<p> +Ma Tubero non si mosse per escire. Chiuse colle tavole +sovrapposte la bottega, accese la lampada e si prostrò dinanzi +la croce. Potea farlo senza pericolo, senza sospetto, senza +taccia di ridicolo in quell’ora estrema. Quel segno, conforto +segreto del suo cuore, non diceva alla mente misteriosi ed +impossibili natali, spropositi aritmetici, resurrezioni favolose, +abbrutimento della umanità, signoria di arbitrio sulle cose +del mondo. Quel simbolo della croce parlava una grande parola +alle anime offese viventi e nasciture nei secoli. +</p> + +<p> +— Bevvi il sangue rappreso di un giusto. Sentii le scosse +convulse dei suoi tendini lacerati. Udii l’ultimo grido del suo +gran cuore: <i>Eli, Eli, lamma sabacthani!</i> Maledissi alle +zolle che alimentarono le mie radici. — +</p> + +<p> +Non era adunque un pugno di cemento allineato sulla parete. +Era il ricordo delle torture patite dall’uomo che in +nome del Dio unico aveva annunciato ai popoli la Libertà, +l’aveva professata colla voce e cogli atti, e colle gocciole escite +dalle sue vene avea scritto: +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_363">[363]</span> +</p> + +<p> +«Io muoio per tutti. E questo sangue sia lavacro alle +umane stirpi sino alla consumazione del tempo.» +</p> + +<p> +Tubero levò il capo raumiliato e pieno di lacrime. Aveva +recitato un inno senza dir verbo. Aveva adorato Dio senza +idolatria. Aveva intraveduto lo infinito, la potenza arcana da +cui dipendiamo. E quel fiore della fede esciva odoroso dalle +ruine di una città, siccome più tardi avrebbe germogliato +sulle ruine di un mondo panteista, che anche una volta deve +morire e — giovi sperarlo — per sempre. +</p> + +<p> +Pochi istanti dipoi, e la mefite penetrò colà dentro. Uno +sguardo d’ineffabile melanconia. Un sorriso di trionfante fiducia... +Tubero era morto.... +</p> + +<p> +E al di fuori la pioggia cadeva ruinosa e bollente. +</p> + +<p> +Alla fine ristette. Dopo alcune ore di tremenda agonia e +d’indicibili strazi il funesto fenomeno si tranquillò, si tacque. +La terra non oscillava. Il Vesvio più non fremeva. Calma, silenzio +e tenebre. Allora i riparati nelle parti più alte delle +case escirono dalle crepacciate mura e dai tetti infranti ed +aperti. E gittatisi sullo strato dei lapilli che alzavasi per parecchie +braccia sul selciato, cominciarono a correre a precipizio +verso le porte colla speranza di salvarsi a Nuceria od a +Stabia, o verso la piaggia marina. Ma, molti infelici rimasero +per via fracassati dalle pietre fuor di equilibrio che cadevano +loro addosso, od asfissiati dalla mefite che sprigionavasi dal +suolo fumante. +</p> + +<p> +Nella via di Dafne, un uomo alto della persona è già in +piedi. Stende le braccia e vi accoglie la sua figliuola undicenne. +La depone sulle pomici inzuppate e livellate dalle +acque e leva di nuovo le mani per aiutare la moglie a discendere. +Si cuoprono il capo, si avvolgono il manto attorno il +braccio sinistro ed il corpo per essere più liberi nella corsa. +L’uomo raccoglie una borsa di pelle ove avea chiuso un po’ +di danaro, un anello e gli orecchini d’oro, dà un bacio sulla +fronte scolorata della figliuola, chiamandola, +</p> + +<p> +— <i>Salve, o dulce pignus.</i> — +</p> + +<p> +e s’incammina. Era in su i cinquant’anni. Grossi baffi ombreggiavano +il suo labbro superiore. I <i>femoralia</i> cuoprivangli +le cosce e le gambe. Aveva nel mignolo della destra lo anello di +<span class="pagenum" id="Page_364">[364]</span> +ferro delle sue nozze. Sotto i sandali allacciati erano chiodi +per fare la <i>solea</i> più forte. Quel suo piglio risoluto e marziale +lo fa supporre uno dei veterani coloni, venuto dal Pago Felice +al mercato colla sua famigliuola. Anche la moglie ha un +anello di ferro. Scambiano pochi passi. Avanzano sulla crocevia +e cadono. L’uomo, supino. Le donne, a quattro braccia +di distanza, incrociando le gambe insieme e a traverso della +strada. La madre solleva una mano increspata dall’agonia e +si sdraia sul fianco destro. La figliuola cade a sinistra ed appoggia +mollemente il capo sulle due mani ed alza la gamba +ed il piede nell’ultimo moto dei tendini. +</p> + +<p> +Più in giù, verso le Terme una matrona cammina arditamente. +Anch’essa forse si gittò da un tetto sulla via. Aveva +chiuso in un manto due vasi di argento, alcune chiavi, novantuno +monete, orecchini, fibule ed altre minute cose. La +mefite a lei tolse il respiro e cadde sul gomito sinistro col +capo appoggiato a diritta e colle gambe e le braccia contratte +dall’agonia. Orribili sofferenze le sue! +</p> + +<p> +Siccome un liquido che bolle entro un caldaio pel soverchio +del calore sollevasi rigoglioso verso gli orli, e gl’invade, +e gl’innonda, e gli supera; così una infuocata materia cominciò +a rifluire da tutte le parti del Vesvio e rovesciò ruinosamente +sulle sue spalle, pari a larga fiumana. Frequenti baleni con +terribili detonazioni squarciavano le fitte tenebre. Ed un nembo +di cenere cominciò a cader sullo spazio. E sopra il golfo correva +verso Capreas un nuvolo denso per entro il quale vedeasi +tratto tratto una gran fiamma in tutta la sua lunghezza. +La quale, ora chiarissima, ora rossa di sangue, lanciava fuori +fiammelle in varie lingue e figure, ondeggiando, balenando, +tuonando, e vibrando fulmini al cielo. Succede una terribile +scossa. La terra si fende. E da quello squarcio escono fiamme +e fumo. E l’orlo si allarga, s’innalza, si colma e prorompe. In +alcune parti putrido fango esce dal suolo aperto. +</p> + +<p> +E le ceneri piovono fitte, oscure, impalpabili e continove. +</p> + +<p> +Nella notte, in due tremendi scrosci parve che il globo +crollasse dalle sue basi. Era il Vesvio che scompariva tra i +fulmini e il grandinar dei macigni; e alle falde del vecchio +monte spaccato ed inghiottito sorgeva in poco tempo una +<span class="pagenum" id="Page_365">[365]</span> +nuova fucina di sassi, di pomici e di lava che ricostruivano il +Vesuvio ardente dove ora si trova. E il gorgoglio cupo, continovo, +profondo commoveva in tempesta le acque del cratere +partenopeo. +</p> + +<p> +Allorchè scoppiò la grande eruzione ed il fumo assunse +la forma di un pino colossale sull’orizzonte, Plinio, che comandava +la flotta romana in Miseno, giaceva nel letto e studiava. +Avvertitone dalla sorella e dal nipote, si levò e salì +sur un terrazzo elevato per osservar meglio il prodigio. Dotto +uomo, curò esaminar da vicino la strana catastrofe. Una nave +leggera è già pronta. Esce di casa colle tavolette nelle mani, +s’imbarca, quando i <i>classiarii</i>, cioè i soldati della flotta che +erano in Retina, vengono a pregarlo gli salvi dal grande pericolo. +Ciò che prima era in lui curiosità di scienziato, divenne +dovere di capitano. Fa che le quadriremi si apprestino e parte +verso tutti i borghi della costa onde dar loro soccorso. Nello +accostarsi a Pompei — ove il pericolo gli parve maggiore — le +ceneri calde erano più spesse. Il mare rifluiva dalle sponde +le quali erano inaccessibili pei pezzi interi di montagna di cui +erano coperte. Il piloto il consigliava di tornare indietro. Cui +Plinio rispose, +</p> + +<p> +— <i>Fortes fortuna juvat. Pomponianum pete.</i> — +</p> + +<p> +Or questo Pomponiano era il comandante delle triremi +che stanziavano in Stabia. E forte impaurito del cataclisma, +avea fatto trasportare i suoi mobili sulle navi ed attendeva +un vento meno contrario per levare le ancore. Plinio lo accosta, +lo abbracciagli fa cuore. E per me’ riescire allo scopo, +ordina gli apparecchino un bagno. E presolo, cena colle apparenze +della gaiezza abituale. I fuochi del monte illuminavano +il triclinio. Gli astanti tremavano, credendo al finimondo. +</p> + +<p> +— Rassicuratevi, amici. Quelle grandi fiamme vengono +dalle amene ville che disertate dagli abitatori bruciano, perchè +senza soccorso. — +</p> + +<p> +Quindi si sdraia sul letto e dorme un sonno profondo. Ma, +finalmente la corte che dava accesso alla sua camera si empie +sì fattamente di cenere e di pomici che gli avrebbero vietato +la uscita se più avesse tardato. Lo destano. Esce. E raggiunge +Pomponiano e gli altri che aveano vegliato. Tengono consiglio. +<span class="pagenum" id="Page_366">[366]</span> +Le frequenti scosse del suolo scardinavano la casa dalle +fondamenta. Fuori, la pioggia dei sassi, quantunque leggeri e +disseccati dal fuoco, era a temersi. Bilanciati i due pericoli, +fu deciso di rimanere nella rasa campagna. +</p> + +<p> +Tutti escono dalla casa. Cuoprono il capo di guanciali, +tenuti fermi sul mento con legami. Albeggiava. Ma, nel posto +ov’erano continuava la notte profonda e la più scura di tutte +le notti, schiarata solo da un gran numero di fiaccole e da +altri lumi. Si stimò prudente lo accostarsi alla riva per esaminare +da presso il mare. Le onde erano furiose ed agitate dal +vento contrario. +</p> + +<p> +Plinio chiese dell’acqua e bevve due volte. Fece distendere +un tappeto per terra e vi si assise. Le fiamme si accrebbero. +E l’odore di zolfo, annunciando il loro avvicinarsi, +fece che tutti se la dessero a gambe. L’uomo dotto avrebbe +voluto studiare quello sconvolgimento della natura. Non lo +potè fare. Ordinò a due servi il sollevassero; chè, obeso era +di corpo ed asmatico. Ricambia qualche passi. Ma, non può +correre. Gli esorta dunque a partire e salvarsi. Egli si curva +e muore. Una nube di zolfo circondandolo, lo avea soffocato. +</p> + +<p> +E la cenere copiosa, sottile ed oscura cadeva sempre. +</p> + +<p> +Molti pompeiani si erano salvati dirigendo i passi in sul +primo scoppiar del flagello verso il porto e le sue adiacenze. +Quando le acque assorbite dalla forza dell’igne che saliva dal +centro della terra prosciugarono le sponde, ed il mare rifluì +impetuosamente lontano, le triremi e le piccole barche si curvarono +sui fianchi nell’arena. Ognuno incoraggiato dall’altro +corse sul canale a piede asciutto e come meglio potè, si cacciò +sulle navi. Oh! la confusione di quello istante! L’uomo +nei grandi pericoli è egoista. Vi furono padri che disputarono +ai figli la corda per salir su! Vi furono madri coi lattanti sul +braccio che niegarono aiuto ai più adulti per salvare l’ultimo +nato dalle loro viscere! E vecchi cadenti rifiutati! E amanti +sbracciarsi per far salva la idoleggiata dal loro cuore colla +perdita dei propri parenti! E donne stendere un remo e tirar +su con forza non pria creduta lo eroe dei cari entusiasmi, il +sorriso delle gioie più intime! A ciascuno pareva di avere innanzi +<span class="pagenum" id="Page_367">[367]</span> +a sè alcuni secoli a vivere e ne accaparrava le delizie +ed i redditi. Eh!... Dei secoli avevano sulla persona e sulle +vesti la polvere che in forma di sottilissima cenere pioveva, +pioveva sempre! +</p> + +<p> +Ecco il mare respinto che torna impetuosamente nei suoi +dominii. I marosi urtano, spingono tutto che trovano sulla +loro via, uomini e cose. La folla ancor sul canale annega e +si straccia sotto le carene irrompenti. Alcune barche si sfasciano. +E le onde feroci nel loro riflusso trascinano confusamente +la facile preda. — La ferocia del mare è una verità! +È la passione alle prese colle sue vittime. Vedi montagne +mobili e colline di acqua che si urtano insieme e si spezzano +con alto fracasso. Ora i cavalloni spumosi e fosforeggianti levavano +i triremi, i rottami e i cadaveri sull’erta di un’Alpe. +Ora scaraventavano tutto per la china nella valle profonda. +Ora nello ascendere accadeva uno scontro; e tra gli spruzzi +e le ondate sonore, il misero schifo affondava nello abisso e +la più grossa nave trovava la via dello scampo. E dentro?... +Oh! Dentro poi, musica e agrume di vomiti, membra infrante +ed uomini balzati nelle onde, grida di marinai e pianti +miaulati di donne, sordi urli del vento, muggiti, fischi, spettacolo +di morte! +</p> + +<p> +Alcuni che si avviavano al porto, alla vista di quello esterminio +rischiarato dalle grandi fiamme del monte, se ne ritrassero +impauriti e corsero a salvarsi sulla collina ove si +costruiva un tempio dedicato ad Augusto. +</p> + +<p> +Il vecchio Svedio era nel numero. I servi, i clienti, gli +adulatori nello istante del supremo pericolo lo avevano lasciato +solo. Adiposo e grave, aiutato da qualche passante superò gli +ostacoli sulla larga via delle fontane di Pallade e dell’Abbondanza. +Riprese fiato sotto la volta della porta della Marina. +E poi, in su cogli altri. Pensava fra sè che i suoi giorni erano +contati e che ben presto il suo cuore cesserebbe di tormentarlo. +Si assise dietro un muro sul capitello di una colonna +ed attese i decreti del Fato. Corsi alcuni momenti, gli accenti +desolati di una fanciulla lo volsero alla parte d’onde +venivano. La chiamò e la invitò a sedergli accanto. +</p> + +<p> +— O chiunque tu sia, ho paura.... Tieni, dammi la promessa +<span class="pagenum" id="Page_368">[368]</span> +di non farmi morir sola. I miei, morti, o salvati. Era +con essi.... e disparvero. — +</p> + +<p> +E piangeva e singhiozzava disperatamente. +</p> + +<p> +— Infelice! Non morrai. Dove io andrò, e tu verrai, o +misera. +</p> + +<p> +— Ma nell’Erebo no, sai? I miei genitori dicevano che colà +vi è qualche cosa migliore della vita. Ma... in questo istante +supremo in cui lo spirito trionfa, il sangue mi dice di non +andare, la gioventù mi ritiene.... la partenza dal mondo mi +sembra sinistra.... E poi colà abitano i numi.... crudeli... spietati. +</p> + +<p> +— Gli dei ti ascoltano ed avranno pietà di una innocente. +Io ebbi aspirazioni diverse da quelle che or provo. Ora io desidero +semplicemente, sinceramente di vivere per aiutarti. +Cessa dal piangere i tuoi. Tu diverrai la mia figliuola, la consolazione +del vecchio Svedio nell’Urbe, se.... +</p> + +<p> +Uno scroscio immenso gli troncò le affettuose parole sul +labbro. La bambina si chiuse nelle sue braccia e mormorò +sull’ampio suo petto: +</p> + +<p> +— Ecco, ecco la morte.... colla sua falce assetata!.... O +madre mia! +</p> + +<p> +— Quei che t’amano.... o che ti amarono ti raggiungeranno.... +o ci accoglieranno negli Elisi. — +</p> + +<p> +Un’onda di cenere li circondò, li coprì, li tolse dallo +sguardo dei fulmini che solcavano l’aria. E il dialogo di due +cuori, l’uno sconosciuto e l’altro illustre, fu rotto per sempre. +</p> + +<p> +Poco discosto dal gran giustiziero avea trovato mezz’ora +innanzi rifugio Quinto Lepta, lo antico amante di Byrrhia, la +vedova consolata del duumviro Aulo Vezio. Appoggialo al +muro laterale della Basilica, teneva stretta sul petto una donna +cui baciava convulsivamente la fronte e i capelli. Tra i dolci +nomi ch’ei proferiva nel suo dolore udivasi mormorare Amaredia.... +E Byrrhia? La soave creatura aveva vissuto la stagion +delle rose, ed un giorno partì per riabbracciare nel Tartaro +l’ombra tradita del coniuge suo. — Le tristezze dell’animo +non duravano a lungo in Pompei. Lepta era in su i quarant’anni. +E contemplando con una tal quale curiosità in uno +<i>speculum</i> di argento brunito quel personaggio misterioso ed +<span class="pagenum" id="Page_369">[369]</span> +ignoto per ciascuno di noi che addimandasi sè stesso, vide +alcune rughe ed alcuni fili d’argento che facevano ingiuria +alle nere sue chiome. Lo amore è la fede. Conveniva legar +l’uno e l’altra e non perderli. Diede ai suoi occhi quella serie +di espressioni animate, desiose, attente cui la psiche risponde. +E Amaredia, della famiglia Rufa, ignara della scienza +della vita, si avviluppò di quella passione ch’era una <i>stola</i> +per lei, e lo sposò. Erano allora illuminati dal languido chiarore +della prima luna.... Quella luce serena doveva ben presto +offuscarsi! Dopo alcune ore passate in trepidanti smanie, +in imminenti pericoli, in cui i dolci ricordi si arruffavano +colle incertezze dello avvenire, Lepta potè trarre in salvo la +donna, per cui sentiva cara la vita. Ma da una varietà di +sciagura era caduto in un’altra. Ambedue coi piedi sepolti nei +lapilli e coperti a metà dalle ceneri che cadevano loro sul +capo, attendevano in un estremo bacio la morte. +</p> + +<p> +— <i>Tecum vivere amen. Tecum obeam libens.</i> +</p> + +<p> +E la bella dai capelli non lucidi e dalle pallide gote accorse +allo invito. Ed il raggio dello amore immortale gl’irradiò +coll’aureola dei martiri. +</p> + +<p> +Il ridestarsi del vulcano dal sopore dei lunghi secoli, +compiendo l’ultima rovina della mia gentile Pompei, accomunò +le istesse sorti agli oppidi, ai borghi e alla grande artistica +città di Herculanum che componevano una graziosa +ghirlanda ai piedi del Vesvio. Da per tutto il suolo traballò +come baccante briaco. I sopravvissuti si salvarono per mare +verso Surrentum, Capreas, Neapolis e Misenum. Il maggior +numero che prese le vie di terra, le trovò aperte ed eruttanti +putrido fango; od interrotte in tutte le direzioni dai torrenti +di acqua assorbita e vomitata dal monte e da alti incendii e +da vastissime fiamme che in molti punti del vulcano splendevano. +E tutti morirono. Herculanum restò sepolto sino al tetto +dei secondi piani dei suoi nobili edifizi da un cumulo di acqua +e di ceneri, or divenuto tufo assai duro, e poi, per una assai +maggiore altezza dalla pioggia ulteriore delle ceneri, dei sassi +e delle pomici sciolte. +</p> + +<p> +Plinio il giovane, nipote dello ammiraglio, ch’era rimasto +colla madre in Misenum per ordine dello zio, descrisse a +<span class="pagenum" id="Page_370">[370]</span> +Cornelio Tacito ciò che avveniva nel luogo ov’era, il dì poi +della catastrofe. Cotesto frammento di lettera s’innesta di +per sè sulle pagine precedenti. +</p> + +<p> +«.... Era la prima ora del giorno, e ancor non appariva +che un debole chiarore, pari al crepuscolo. Allora le +case furono disordinate da sì forti scosse che non fu più sicuro +lo stare in un luogo per verità scoperto, ma molto +stretto. Risolvemmo di lasciar l’oppido; il popolo spaventato +ci siegue in folla, ci attornia, ci spinge. E scambiando +la paura in prudenza, ciascuno modella la propria sicurezza +su quella degli altri. Esciti dallo abitato, ci fermiamo. E là, +nuovi prodigi, nuovi sgomenti. I veicoli che avevamo con +noi erano ad ogni istante agitati, quantunque in rasa campagna; +e non si poteva neppure collo aiuto di grosse pietre +fermarli nel posto. Il mare, parea, si rovesciasse sopra sè +stesso, come fosse cacciato via dalla sponda dal moto della +terra. E nel vero, la riva erasi fatta più larga, e sulle sabbie +erano diversi pesci rimasti a secco. D’altro lato, una +nugola nera ed orribile, squarciata da fuochi che si slanciavano +serpeggiando, mettea fuori lunghi razzi simili a lampi, +ma di questi più grandi. Nell’atto un amico di mio zio, venuto +allora allora di Spagna, tornò per la seconda volta ad insistere: +</p> + +<p> +» — Se il fratel vostro, se il vostro zio è ancor vivo, si +augura al certo che voi vi salviate. Se gli è morto, volle +che a lui sopravviviate. Che più attendete? Perchè non +scampate? — +</p> + +<p> +»Noi gli rispondemmo; +</p> + +<p> +» — Non possiamo pensare alla nostra salute finchè saremo +mal certi della sorte di Plinio. — +</p> + +<p> +» Lo Spagnuolo senza ritardo cercò lo scampo in una +fuga precipitata. Quasi subito la nube cade a terra e cuopre +il mare. Ci nasconde l’isola di Capreas che avviluppava +e ci fa perdere di vista il promontorio di Misenum. Mia madre +mi prega, mi scongiura, mi ordina di salvarmi come +che sia. Io il posso alla mia età. Non essa, carica d’anni +com’è e grave di forme. La morrebbe contenta se non mi +fosse cagione di morte. Or io le dichiaro che non v’ha +<span class="pagenum" id="Page_371">[371]</span> +salute per me senza lei. Le prendo la mano e la forzo ad accompagnarmi. +Lo fa con pena e si rimprovera di ritardare +i miei passi. La cenere ci cadeva addosso quantunque in +piccola quantità. Volgo il capo e veggo dietro di noi uno +spesso fumo che ci segue e si spande sulla terra come un +torrente. Dico a mia madre: +</p> + +<p> +» — Finchè luce, lasciamo la grande strada per tema che +la folla inseguente non ci soffoghi nelle tenebre. — +</p> + +<p> +»A mala pena eravamci scostati, la oscurità divenne sì +fitta, come non già in una notte fosca e senza luna, ma in una +camera ove tutte le lampade fossero spente. Non avresti udito +che lamenti di donne, gemiti di fanciulli, grida di uomini. +L’uno chiamava il padre. L’altro il figliuolo. L’altro, la donna +sua. E non si riconoscevano che dalle voci. Quale deplorava +la sua disgrazia. Quale, la sorte dei suoi parenti. Ve n’erano +persino a cui il timor della morte faceva invocare la morte. +Molti imploravano il soccorso degli dei. E molti credevano +non ve ne avesse più. E quella l’ultima ed eterna notte in +cui il mondo sarebbe sepolto. Eranvene altresì di quelli che +aumentavano il timore ragionevole e giusto con paure immaginarie +e chimeriche. E dicevano che in Misenum questo +è caduto e quello arde. E lo sgomento dava peso alle loro +menzogne. +</p> + +<p> +» Apparve alla fine un bagliore che annunciava — non il +giorno — ma lo approssimarsi del fuoco che ci minacciava; +si arrestò pertanto lungi da noi. Reddiva la oscurità e la +pioggia di cenere ricomincia più forte e più spessa. Eravamo +ridotti a levarci di tempo in tempo e scuotere le vesti; +senza ciò ci avrebbe coperti e inghiottiti. Posso menar +vanto che in mezzo a tali pericoli, non dissi verbo, non +mostrai debolezza. Era sostenuto da quella consolazione +poco ragionevole — quantunque abituale nell’uomo — il +credere che tutto lo universo perisse con me. Finalmente +lo spesso e nero vapore si dissipò, e a poco a poco si perdette +come fumo o come nuvola. E poi apparve il giorno ed anche +il sole, giallognolo però come in una ecclissi. +</p> + +<p> +» Tutto ci parve cangio. E nulla era se non coperto sotto +monti di cenere come di verno sotto la neve. Torniamo a +<span class="pagenum" id="Page_372">[372]</span> +Misenum. Ciascuno vi si aggiusta come può. E noi vi passiamo +una notte tra il timore e la speranza — lo spavento +però usurpando la parte maggiore. — Imperocchè il tremuoto +continovava sempre. Non si vedevano che genti impaurite +coltivare il proprio sgomento e quello degli altri, +con sinistri presagi. Non ci venne mai però il pensiero di +ritirarci finchè non avessimo avuto le novelle dello zio, +malgrado che fossimo ancora in attenzione di un pericolo +così tremendo, visto sì da vicino.» +</p> + +<p> +La catastrofe durò tre giorni. La cenere corse largo spazio. +Si legge fosse volata in Africa. Certo, i Romani l’ebbero +sui sette colli e temettero il disordine nei pianeti; cioè, che il +sole cadesse sulla terra per spegnersi; e la terra salisse nel +vuoto per incendiarsi. Quando la natura si acquetò, ed il +mare si fece più calmo, e il disco raggiante potè mostrare il +suo eterno sorriso a queste desolate contrade, Pomponiano +tornò su quel posto ove il suo capitano era morto. Plinio era +disteso sul tappeto in attitudine d’uom che dormisse. +</p> + +<p> +Gli scampati da Pompei tornarono sul suolo della terra +natia. Ma, come diversa da quella che era! Una grave mora +di lapilli e di cenere! Una collina grigiastra d’onde tratto +tratto sorgeva una colonna infranta, un capitello, un muro +sporgente e senza forma.... i segni di un cimitero immenso!... +Morte! Morte parziale però, e meglio una nascita che una +morte. Il passaggio di larva a crisalide, un seguito di metamorfosi +al servizio della vita generale. Rapidità. Fissità. Eternità. +Il fil verde sotto le nevi cadute. — Oh! le lacrime! Oh! +gli omei di quei miseri! Indarno cercavano su quel piano le +dimore ov’erano nati, ove giacevano sepolti i cari congiunti, +ov’erano celati gli oggetti più preziosi e più cari. Alcuni disperati +grattavano le pomici colle unghie, sperando calmare +lo schianto dell’anima nel riveder le sembianze morte, quale +dei figli, qual dell’amante. E nella impotenza si carpivano i +capelli, si dilaniavano il volto, si stracciavano le vesti. Miseri! +ahi, miseri! +</p> + +<p> +I più ricchi, calmata la prima passione, vennero con +schiavi compri a praticare alcuni pozzi, sostenuti da tavole +puntellate, per riavere i loro marmi, le loro statue, le loro +<span class="pagenum" id="Page_373">[373]</span> +gemme, i loro denari. Cotesto fatto creò una industria di disseppellitori, +i quali rubarono quanto trovarono. Ed in una +casa in riparazione nell’atto del cataclisma, piena di marmi +pregevoli da collocarsi, aggiunsero persin lo epigramma, +scrivendo colla punta ΔΟΥΜΜΟC ΠΕΡΤΟΥCΑ presso l’uscio, +dopo averla forata per ogni verso. Quel mestiero da talpe +fu proficuo a parecchi; chè, ogni casa fu visitata; e particolarmente +quelle delle agiate famiglie e le botteghe, ove supponevasi +fosse rimasto il peculio. E fu ad altri letale. I ladri +isolati, chiusi dalle facili frane dei lapilli, perdettero il respiro +e la vita ed il sepolcro servì loro di carcere. +</p> + +<p> +Tito Vespasiano trasse per sorte dal numero dei cittadini +consolari i procuratori per dar ordine agli inconvenienti occorsi +e con molta pecunia soccorrere le popolazioni del littorale, +prive delle loro case e dei loro campi. Nella mente di +Cesare era il pensiero di sgomberare lo abitato e di ricostruirlo +come in antico; ed i beni di quelli ch’erano stati oppressi +dallo straordinario incendio e dal più straordinario seppellimento — dei +quali non si ritrovassero gli eredi legittimi — fossero +assegnati al rifacimento delle cose guaste e delle genti +afflitte. Ma, i dignitarii, esaminati i luoghi sotto il vulcano +che potea un dì o l’altro ricominciar la catastrofe, stimarono +che la ingente spesa la sarebbe perduta. Lo imperatore non +vi pensò su più che tanto. Le erbe ben presto germinarono +sulla collina che copriva Pompei. Le vigne e gli alberi ne +usurparono il posto a contrasto. Sursero sopra le case dei villici. +Ai secoli successero i secoli. E le generazioni perdettero +per sino il ricordo che il suolo dal loro aratro solcato era il +coperchio di una nobile tomba. +</p> + +<p> +L’uomo è fatto così. Facilmente è distratto ed oblia. +</p> + +<p> +Aveva dieciotto anni quando venni la prima volta a visitare +la dissepolta città. Vi tornai più tardi per Garibaldi e con +Garibaldi. Il suo aspetto ebbe sempre per me qualche cosa di +attraente, di fuggevole, di misterioso che attizza potentemente +le fiamme del cuore. A furia di contemplare con riverente +affetto le dirute cose io finii per disvelare secreti che i molti +non vedono. E qui provo rivelazioni inattese e faccio conoscenze +gradite che tanto piacciono all’anima mia. +</p> + +<p> +<span class="pagenum" id="Page_374">[374]</span> +</p> + +<p> +Dopo il discoprimento di Pompei molte parole furono dette +sopra il suo funebre lenzuolo e sulle rotte e vaghe sue membra. +La fredda temperie del sepolcro le ha tutte diacciate. +Le pagine che ho scritto conserveranno forse un po’ di calore +nello amato cadavere. Io raccolsi il sangue delle ferite ond’essa +morì. Feci tesoro dei suoi aneliti estremi. Afferrai la +parte taciuta della sua vita, e l’ho rivelata ai pietosi che gitteranno +lo sguardo su queste povere carte. +</p> + +<p class="pad2 center large"> +FINE. +</p> + +<hr class="silver"> + +<div class="somm"> +<p> +<span class="pagenum" id="Page_375">[375]</span> +</p> + +<h2><a id="indice" href="#indfront"> +INDICE DEL VOLUME.</a></h2> + +<table class="indice"> + <tr> + <td colspan="2"><span class="smcap">Due parole su questa seconda edizione</span></td> <td class="pag"><a href="#prefazione">Pag. 1</a></td> + </tr> + <tr> + <td colspan="3"> </td> + </tr> + <tr> + <td class="cap">I.</td> <td><span class="smcap">I Templi.</span> Scene religiose in Pompei. — (Anni di Roma 673. — Anni avanti il Cristo 84)</td> <td class="pag"><a href="#cap1">3</a></td> + </tr> + <tr> + <td class="cap">II.</td> <td><span class="smcap">La Campagna.</span> Scene della vita rustica. (Anni di Roma 695. — Anni avanti il Cristo 59)</td> <td class="pag"><a href="#cap2">25</a></td> + </tr> + <tr> + <td class="cap">III.</td> <td><span class="smcap">Il Foro.</span> La elezione dei Magistrati in Pompei. — (Anni di Roma 705. — Anni avanti il Cristo 49)</td> <td class="pag"><a href="#cap3">47</a></td> + </tr> + <tr> + <td class="cap">IV.</td> <td><span class="smcap">La Strada.</span> Scene diurne in Pompei. — (Anni di Roma 767. — Anni del Cristo 44)</td> <td class="pag"><a href="#cap4">75</a></td> + </tr> + <tr> + <td class="cap">V.</td> <td><span class="smcap">La Basilica.</span> Una condanna a morte. — (Anni di Roma 770. — Anni del Cristo 17)</td> <td class="pag"><a href="#cap5">99</a></td> + </tr> + <tr> + <td class="cap">VI.</td> <td><span class="smcap">La Necropoli.</span> Scene di funerali. — (Anni di Roma 779. — Anni del Cristo 26)</td> <td class="pag"><a href="#cap6">125</a></td> + </tr> + <tr> + <td class="cap">VII.</td> <td><span class="smcap">I Teatri.</span> Scene di distrazione. — (Anni di Roma 812. — Anni del Cristo 59)</td> <td class="pag"><a href="#cap7">147</a></td> + </tr> + <tr> + <td class="cap">VIII.</td> <td><span class="smcap">La Strada.</span> Scene notturne in Pompei. — (Anni di Roma 825. — Anni del Cristo 72)</td> <td class="pag"><a href="#cap8">177</a></td> + </tr> + <tr> + <td class="cap">IX.</td> <td><span class="smcap">Venvs Physica.</span> Scene del cuore. — (Anni di Roma 826. — Anni del Cristo 73)</td> <td class="pag"><a href="#cap9">201</a></td> + </tr> + <tr> + <td class="cap">X.</td> <td><span class="smcap">Il Cataclisma.</span> Scene del novissimo giorno. — (Anni di Roma 832. — Anni del Cristo 79)</td> <td class="pag"><a href="#cap10">281</a></td> + </tr> +</table> + +<hr> +</div> + +<div class="tnote"> +<p class="tntitle"> +Nota del Trascrittore +</p> + +<p> +Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione +minimi errori tipografici. +</p> + +<p> +Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio. +</p> +</div> + +<div style='text-align:center'>*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK 76652 ***</div> +</body> +</html> + diff --git a/76652-h/images/cover.jpg b/76652-h/images/cover.jpg Binary files differnew file mode 100644 index 0000000..284f2cf --- /dev/null +++ b/76652-h/images/cover.jpg diff --git a/76652-h/images/ill-0-005.jpg b/76652-h/images/ill-0-005.jpg Binary files differnew file mode 100644 index 0000000..83e6a6e --- /dev/null +++ b/76652-h/images/ill-0-005.jpg diff --git a/76652-h/images/ill-102.jpg b/76652-h/images/ill-102.jpg Binary files differnew file mode 100644 index 0000000..3610c5a --- /dev/null +++ b/76652-h/images/ill-102.jpg diff --git a/76652-h/images/ill-dadi-105.jpg b/76652-h/images/ill-dadi-105.jpg Binary files differnew file mode 100644 index 0000000..28356da --- /dev/null +++ b/76652-h/images/ill-dadi-105.jpg diff --git a/76652-h/images/ill-osco-319.jpg b/76652-h/images/ill-osco-319.jpg Binary files differnew file mode 100644 index 0000000..18c0946 --- /dev/null +++ b/76652-h/images/ill-osco-319.jpg diff --git a/LICENSE.txt b/LICENSE.txt new file mode 100644 index 0000000..6312041 --- /dev/null +++ b/LICENSE.txt @@ -0,0 +1,11 @@ +This eBook, including all associated images, markup, improvements, +metadata, and any other content or labor, has been confirmed to be +in the PUBLIC DOMAIN IN THE UNITED STATES. + +Procedures for determining public domain status are described in +the "Copyright How-To" at https://www.gutenberg.org. + +No investigation has been made concerning possible copyrights in +jurisdictions other than the United States. 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