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-The Project Gutenberg eBook of Cronica di Matteo Villani, vol. V, by
-Matteo Villani
-
-This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and
-most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions
-whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms
-of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at
-www.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you
-will have to check the laws of the country where you are located before
-using this eBook.
-
-Title: Cronica di Matteo Villani, vol. V
- A miglior lezione ridotta coll'aiuto de' testi a penna
-
-Author: Matteo Villani
-
-Editor: Ignazio Moutier
-
-Release Date: January 29, 2023 [eBook #69902]
-
-Language: Italian
-
-Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team
- at http://www.pgdp.net (This file was produced from images
- made available by the Bayerische Staatsbibliothek)
-
-*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK CRONICA DI MATTEO VILLANI,
-VOL. V ***
-
-
- CRONICA
-
- DI
-
- MATTEO
- VILLANI
-
-
- A MIGLIOR LEZIONE RIDOTTA
- COLL’AIUTO
- DE’ TESTI A PENNA
-
- TOMO V.
-
-
-
- FIRENZE
- PER IL MAGHERI
- 1826.
-
-
-
-
-LIBRO DECIMO
-
-
-CAPITOLO PRIMO.
-
-_Il Prologo._
-
-La superbia, la quale prima nel cielo mostrò la sua malizia, se nelle
-menti terrene si trova non è da maravigliare, considerato che l’umana
-natura indebilita per lo peccato del primo uomo è ne’ vizii inchinevole
-e pronta. Questo peccato quanto sia grave, e quanto sia in ira di
-Dio, per lo suo fine l’ha sovente mostrato; porne alcuno esempio in
-nostri ricordi forse non fia da biasimare, se non da coloro che per
-morbidezza d’animo sono amatori delle brevi leggende, o da coloro che
-per tema di spesa veggendo la moltitudine de’ fogli non osano fare
-scrivere. Serse re d’Asia, avendo avuto più tempo nelle guerre prospera
-e felice fortuna, insuperbito, lo mare coperse di navi, e intra Sesto
-e Abido, due isolette di mare, per pomposa memoria di suo innumerabile
-esercito sopra le navi fè ponte, e a riceverlo tutta la Grecia non
-parea sofficiente, nè a ricevere nè a pascere la sua brigata; e infine
-da poca gente vituperato e sconfitto, e in uno piccolo legno tornò in
-suo paese morta tutta sua gente. Sennacherib maravigliosamente esaltato
-per beneficio della ridente fortuna, con l’animo altero montò sopra
-le stelle spregiando gli Dii, e massimamente quello degli Ebrei, come
-se fossono minori e meno possenti di lui; costui veggendo l’esercito
-suo tagliato, vilmente fuggì, e nel tempio degl’Idoli suoi da’ suoi
-proprii figliuoli vilmente fu tolto di vita. Dario re potentissimo, più
-volte sconfitto dalla poca gente d’Alessandro re di Macedonia, infine
-da’ suoi propri congiurenti vilmente fu morto. Ciro re di Persia e di
-Media, eccellentissimo di potenza....
-
-_Il codice Ricci è mancante in questo luogo di una pagina, che dovrebbe
-contenere il rimanente del Proemio, il capitolo secondo, e il principio
-del terzo, e con mio sommo rincrescimento non son riescito a riempire
-questa laguna col soccorso di un altro codice, poichè non m’è stato
-possibile trovarne copia. La Biblioteca Riccardiana possiede tre
-codici di Matteo Villani, e uno la Laurenziana, ma non oltrepassano
-il nono libro. Per supplire in qualche modo a questa laguna mi
-son servito d’un’Epitome fatta da Domenico Boninsegni delle storie
-fiorentine di Giovanni, Matteo e Filippo Villani, che si conserva nella
-Biblioteca Laurenziana, e che un giorno faceva parte della Biblioteca
-Mediceo-Palatina, segnato di num. 160._
-
-
-CAP. II.
-
-_Dell’atto e rilevato stato della casa de’ Visconti di Milano._
-
-«Più era infocato che mai messer Bernabò nell’impresa di Bologna,
-e impuose e trasse da’ cherici del suo tenitorio in tre mesi più di
-trecento migliaia di fiorini d’oro, e da’ secolari per nuova imposta
-circa trecentosessanta migliaia di fiorini d’oro; e venne in tanta
-superbia, forse per lo parentado fatto in Francia, che nessuno accordo
-si potè trovare tra lui e ’l legato, nè per il gran siniscalco nè
-altri, usando di dire, che non temeva potenza di signore terreno
-che gli potesse trarre Bologna di mano, e molto sparlando contra il
-legato. Ma per lo contrario il legato ricorse all’aiuto di Dio, e per
-comandamento del papa a ogni prete d’Italia fece fare in ogni messa
-dietro al _Pater noster_ speziale orazione de’ fatti di Bologna, e
-mandò al re d’Ungheria per gente, ed ebbe da lui duemila Ungari bene
-capitanati, e poi tremila di loro volontà, e subito furono in Lombardia
-e in Romagna al servigio del legato.»
-
-
-CAP. III.
-
-_Del pauroso e vile partimento dell’oste di messer Bernabò da Bologna._
-
-«Per la venuta di questi Ungari, e per l’operazione d’Anichino di
-Bongardo, entrò paura alle genti di messer Bernabò per modo che non
-ubbidivano al capitano, e tutto dì si fuggivano; per la qual cosa al
-capitano» montata la paura, vedendo partire l’un l’altro, e non sapendo
-il perchè, chè per la forza e autorità che ’l capitano avesse non gli
-potea ritenere; onde vedendosi il capitano a questo pericolo richiese
-Anichino che lo accompagnasse infino valicato Bologna verso Modena, e
-avuta la compagnia, volendo da sè fare buona condotta, fu costretto da’
-vili d’andarsene di notte sconciamente abbandonato il campo con assai
-fornimento e arnesi, e campati per lo beneficio della notte valicarono
-Castelfranco, ove s’arrestarono per non parere rotti, e ivi la mattina
-fermarono il campo; e stativi pochi dì, il primo d’ottobre valicarono
-a Modena, e tornarsi con gli orecchi bassi al loro signore, il quale
-quasi arrabbiato più dì stette rodendo in sè medesimo il suo orgoglioso
-furore, acciocchè riposatamente ai forestieri dimostrasse, ch’alla
-festa si ragunavano, per magnanimità questa cosa avere per niente,
-ed essere intervenuto per lo peggiore del legato, come di sua bocca a
-molti pronunziò.
-
-
-CAP. IV.
-
-_Come i Bolognesi assalirono e presono tre bastite._
-
-Sentito in Bologna la vile partita dell’oste di messer Bernabò, tutto
-che ancora del tutto non fosse del Bolognese partito, il popolo prese
-cuore, e per lo essere tenuto affamato, furioso, giusta la sentenza
-di Lucano che dice, che il popolo digiuno non sa che sia il temere,
-straboccatamente e senza aspettare condotta o regola uscì di Bologna,
-e con grand’ardire assalì la bastita che guardava verso Romagna, e
-quella aspramente combattendo e con grida ch’andavano al cielo ebbono
-per forza, e tagliati e fediti molti di quelli ch’erano alla difesa
-la rubarono e arsono, e con quell’empito e gloria corsono ad altre
-due, e per simile modo l’ebbono, rubarono e arsono. Quando giunsono
-a quella di Casalecchio in sul Reno trovarono il becco più duro a
-mugnere, perocchè era ben guernita di gente da piè e da cavallo, e dato
-di cozzo in essa con loro dammaggio si ritornarono a Bologna, nullo
-assedio lasciato alla bastita: onde que’ d’entro scorreano fino alle
-porti di Bologna facendo danni, nondimanco aperti i cammini di Romagna
-cominciarono a venire della roba a Bologna; e dagli Ungheri i quali
-alloggiati erano fuori della città tenuti erano a freno quelli della
-bastita da Casalecchio, e in Romagna s’apparecchiava grande carreggio e
-salmeria di vittuaglia per conducere in Bologna alla venuta del legato.
-
-
-CAP. V.
-
-_Certo trattato fatto a corte tra il papa e gli ambasciadori del re
-d’Ungheria._
-
-In questo mese di settembre furono in Firenze tornati di corte di
-Roma gli ambasciadori del re d’Ungheria, e andaronne al re, avendo
-impromesso al papa, in quanto il bisogno occorresse, che la persona del
-re d’Ungheria verrebbe incontro al signore di Milano con patto, che
-ciò che egli acquistasse delle terre de’ detti signori, fossero sue
-ed egli avea fatto dire al papa che con meno di diecimila cavalieri
-non potrebbe venire, ed era in accordo d’avere ogni mese fiorini
-quarantamila d’oro, de’ quali dovea avere dalla lega de’ Lombardi sotto
-il titolo di Genovesi fiorini sedicimila, e fiorini quattordicimila
-dovea pagare il legato traendoli della Marca e del Ducato, del
-Patrimonio e di Romagna, e diecimila ne dovea mettere la camera del
-papa. La cosa fu divolgata per tutto, ma i signori di Milano poco se ne
-curavano, s’altra fortuna non avesse barattata loro intenzione.
-
-
-CAP. VI.
-
-_Dell’avvenimento del legato a Bologna._
-
-Partita l’oste di messer Bernabò dall’assedio di Bologna, il legato
-fatto conducere di Romagna in Bologna molta vittuaglia, e fatta
-la condotta degli Ungheri, col grande siniscalco del Regno, e con
-messer Malatesta e altri valenti uomini della Romagna e della Marca,
-all’entrata d’ottobre del detto anno entrò in Bologna, dove da’
-Bolognesi fu ricevuto a gran festa e onore, e prestamente intese a
-ordinare e riformare e la guardia e il reggimento della città, e i
-fatti della guerra contro a’ nemici suoi, non come prelato, ma come
-esperto e ammaestrato capitano di guerra cominciò a trattare, come
-conseguendo l’opere sue ne dimostreranno.
-
-
-CAP. VII.
-
-_Cominciamento della nuova compagnia d’Anichino di Bongardo Tedesco._
-
-Levatasi la gente di messer Bernabò del distretto di Bologna, Anichino
-di Bongardo Tedesco, non senza infamia d’avere maculata sua fede,
-all’entrata d’ottobre s’accolse a Salaruolo presso di Faenza a tre
-miglia con ottocento barbute e trecento Ungheri, ricettato dal legato,
-e datoli vittuaglia; e sì avea il legato circa a milledugento barbute
-e quattromila Ungheri da poterlo prendere o cacciarlo di suo paese,
-per la qual cosa assai fu manifesto che il legato per nuovo servigio
-gli fosse obbligato: e avvegnachè assai fosse segreto, egli stette
-tanto a Salaruolo, che pagati gli furono quattordicimila fiorini,
-ovvero genovini d’oro; il perchè egli tantosto crebbe sua compagnia
-e di Tedeschi e masnadieri, e di volontà del legato a mezzo ottobre
-cavalcò il contado de’ conti d’Urbino; appresso entrò nella Ravignana,
-e di là valicò ad Ascoli del Tronto in servigio della Chiesa per certa
-rivoltura fatta in quella città contro al legato, e stettono alquanti
-dì nel paese, e poi di novembre valicarono il Tronto, e arrestaronsi
-nel paese verso Lanciano, ove soffersono lungamente gran disagio,
-come al suo tempo diremo. Stando in questa compagnia nel numero di
-duemila cinquecento tra Ungheri e Tedeschi, e molti fanti a piè nella
-Ravignana, e dando boce di valicare da Firenze, i Fiorentini ne tennono
-consiglio, e infine deliberaro di provvedersi alle difese, e imposono
-per legge personale a chi consigliasse, trattasse o parlasse occulto
-o palese del prender accordo alcuno con la detta compagnia: e ciò fu
-assai utile cagione e materia a tutti i Toscani, perocchè le compagnie
-vanno cercando chi fugga e fannone preda, e fuggono le resistenze,
-perocchè dove e’ le trovano non possono durare, nè trarne furtivo
-guadagno.
-
-
-CAP. VIII.
-
-_La rivoltura d’Ascoli della Marca_
-
-Ascoli della Marca era all’ubbidienza del legato, e Leggieri
-d’Andreotto di Perugia v’era alla guardia per la Chiesa, e di fuori
-n’erano ribelli l’arcidiacono e messer Filippo.... con altri molti di
-loro animo e volere; costoro del mese di settembre detto anno accolta
-gente in loro aiuto rientrarono nella città, e trovando il seguito
-d’assai cittadini corsono alle case de’ loro nemici, e uccisonne
-ventidue; gli altri che poterono campare s’uscirono della terra, e
-Leggieri d’Andreotto fu preso, e tanto ritenuto, che quivi fece dare
-la fortezza che v’era per la Chiesa, dicendo che teneano la città
-all’ubbidienza di santa Chiesa, ma che voleano potere stare sicuri
-in casa loro. La novella forte dispiacque al legato, e pensossi con
-la compagnia d’Anichino farla tornare al suo volere, ma i tornati in
-Ascoli di quella poca cura pigliavano; il legato come savio e astuto
-s’infinse di non se n’avvedere, perchè mostrando cruccio non si
-mettessono a più grave ribellione.
-
-
-CAP. IX.
-
-_Come a petizione del legato fu preso messer Ridolfo da Camerino._
-
-All’uscita d’ottobre detto anno, messer Ridolfo da Camerino essendo
-stato principio col suo consiglio e con le savie e sollecite operazioni
-di sua persona di vincere e riducere i Malatesti all’ubbidienza del
-legato, ed appresso continovato intorno a’ fatti di santa Chiesa
-operazioni leali e degne di merito, tanto seppe operare messer
-Malatesta, ch’era divenuto il più segreto consiglio ch’avesse il
-legato, che ritornandosi messer Ridolfo da Bologna a Camerino, e
-capitato nella città di Fermo, invitato da messer Giovanni da Oleggio
-marchese della Marca, e fattali allegra accoglienza, come ebbe
-mangiato, prendendo da lui messer Ridolfo congio, fugli detto ch’era
-prigione, dicendoli messer Giovanni, che ciò gli convenia fare contra
-suo grado per mandato del legato, e mostrò le lettere che mandate gli
-avea. Il valoroso cavaliere messer Ridolfo niente per tale presura
-sbigottito, il fece di presente sapere a’ suoi, dicendo, ciò essere
-senza niuna sua colpa, e confortando che di lui nessuna minima cura
-prendessono, e che nè per minacce nè per tormenti, nè per morte che
-a lui data fosse, nè di loro terre nè di loro giurisdizione dovessono
-dare per ricomperare la vita sua, e ciò, come cara avessono la grazia
-sua. I fratelli teneri di tanto uomo, e ubbidienti a lui, con i sudditi
-loro feciono consiglio, i quali loro offersono quarantamila fiorini
-i quali di presente impuosono tra loro, e fornirsi di gente d’arme, e
-intesono a buona guardia, e al legato mandarono ambasciadori per sapere
-che ciò volea dire. Di tale presura il legato forte fu biasimato da
-tutta maniera di gente, e quale che si fosse il suo movimento, altro
-non se ne manifestò che detto sia, ma valicato il mese di sua presura
-il legato il fè diliberare: messer Ridolfo senza tornare al legato
-sdegnoso e pieno d’ira e di mal talento si tornò a Camerino.
-
-
-CAP. X.
-
-_Del maestrevole processo del legato co’ suoi Ungari in questo tempo._
-
-Era, come addietro è detto, capitano degli Ungari il maestro Simone
-conte, e il legato avea condotto con tremila Ungari, e gli altri
-Ungari con alcuna provvisione nutricava: il maestro Simone in segreto
-con gli Ungari ch’erano di fuori s’intendea e con quelli ch’erano
-seco, e come era con loro fuori di Bologna gli mantenea quasi in
-discordia col legato rubando i Bolognesi come nemici, e facea alla sua
-gente usare parole, nelle quali lodavano messer Bernabò, e dicevano
-sè essere al servigio suo, biasimando il legato: per tale astuzia
-si divolgò per tuttochè gli Ungari erano rivolti dal servigio della
-Chiesa. E continovando la cosa in questa contumacia, e messer Bernabò
-veggendosi avere fatte disordinate spese nella guerra, e vedendosi al
-cominciamento del verno, cominciò a cassare de’ suoi cavalieri, i quali
-nel suo paese s’accoglieano col grido di fare compagnia; e maestro
-Simone con i suoi Ungari scorreano in preda in guisa di compagnia,
-senza gravare i paesani come nemici: e nondimeno il legato mantenea
-l’oste alla bastita di Casalecchio, e mostrava di volere rivocare gli
-Ungheri a sè per la fede avea avuta dal re d’Ungheria, e mostrava
-di mandare lettere perchè il re rinfrenasse gli Ungheri, che non
-trasandassono contro a santa Chiesa.
-
-
-CAP. XI.
-
-_Come s’ebbe per i Bolognesi la bastita di Casalecchio sopra il Reno. _
-
-Essendo la bastita fatta per l’oste di messer Bernabò sopra il Reno
-luogo detto Casalecchio lungamente tenuta in grande confusione de’
-Bolognesi, avendo per quella tolta l’acqua delle mulina di Bologna, ed
-essendo presso alla terra luogo forte e ben fornito, facea continua
-e tediosa guerra infino alle porti. Partita l’oste del Biscione,
-non potendola i Bolognesi avere per battaglia, l’assediarono, e
-sopravvenendo i difetti dentro, e non essendo soccorsi da messer
-Bernabò, furono costretti d’arrendersi, e fatto il patto salvo le
-persone, a dì 11 di novembre detto anno s’arrendè, e gli Ungari pronti
-e con più forza la presono, e mostrarono di volerla tenere per loro
-contro la volontà del legato; e mostrandosi la riotta grande tra il
-legato e gli Ungari per la bastita, il legato fece venire lettere dal
-re a maestro Simone comandandoli che rendesse la bastita al legato,
-e che non si partisse dal suo volere. E fatto questo comandamento la
-bastita fu renduta a’ Bolognesi, e maestro Simone di nuovo condotto
-con mille Ungari, e gli altri furono licenziati; e partitisi di là per
-fare compagnia, arrestandosi tra Bologna e Imola, avendo la vittuaglia
-dal legato: e fatta questa dissensione, messer Bernabò prese fidanza,
-e cassò più di sua gente, sicchè al bisogno non potè riparare agli
-Ungari, come seguendo nostro trattato diviseremo.
-
-
-CAP. XII.
-
-_ La venuta a Giadra del re d’Ungheria e della moglie._
-
-In questi tempi lo re d’Ungheria non potendo avere figliuoli della
-reina sua moglie, alla quale portava grande amore, avvegnachè figliuola
-fosse d’un suo suddito barone, a lui e a tutto il regno ne parea male,
-che trascorresse il tempo senza speranza d’avere successore e di lui
-erede nel regno. E la moglie medesima per l’amore che portava al re
-n’era in afflizione, e ben disposta di fare ciò che piacesse di sè e
-ch’ella potesse perchè al suo signore non mancasse rede, sentendosi in
-istato da non potere portare figliuoli, e per questa cagione si disse
-palese che il re e la reina erano venuti a Giadra, e là dimorarono
-parecchi mesi facendo edificare un grande e nobile munistero a onore
-di santo..... nel quale si dicea che dovea con la dispensazione di
-santa Chiesa entrare la reina in abito e stato monachile, e lo re dovea
-potere torre altra donna. Se ciò fu vero, l’amore della donna lo vinse,
-e solo la fama della volontà rimase.
-
-
-CAP. XIII.
-
-_La presa di Gello fatta per quelli di Bibbiena, e la compera ne fece
-poi il comune._
-
-Gello è un bello castelletto presso a Bibbiena a due miglia, e possiede
-buoni terreni. Messer Luzzi figliuolo bastardo di messer Piero Tarlati
-l’avea lungo tempo occupato all’abate di Magalona, e rispondevali
-certa cosa per anno. I fedeli occupati vedendo loro tempo per uscire
-di servaggio, diedono il castello a coloro ch’erano in Bibbiena per
-i Fiorentini all’entrata del mese di novembre, e accomandaronsi al
-comune. Messer Luzzi in questo dì era accomandato de’ Sanesi, i quali
-mandarono ambasciadori a Firenze, e tanto operarono, che ’l comune
-a dì 15 di gennaio detto anno per riformagione di consigli diedono a
-messer Luzzi per compera del castello di Gello fiorini milledugento, ed
-egli fece consentire all’abate; e le carte fece ser Piero di ser Grifo
-notaio delle riformagioni del comune di Firenze.
-
-
-CAP. XIV.
-
-_Come il comune di Firenze mandò ambasciadori al legato e a messer
-Bernabò per trattare accordo._
-
-Essendo l’impresa di Bologna barattata nelle mani di messer Bernabò
-per altro modo che non istimava, e ripiena d’Ungheri la Lombardia,
-il comune di Firenze avvisando che tempo fosse atto a trovare via
-d’accordo, mandò di novembre di detto anno a smuovere il legato a
-lasciare trovare modo alla concordia, lo quale trovarono in vista e
-nelle parole bene disposto, e però andarono a Milano a messer Bernabò,
-e cercato più volte di poterli parlare, non poterono da lui in Milano
-avere udienza, perocchè la notte innanzi mattutino messer Bernabò era
-a cavallo e andava alla caccia, e la sera tornava tardi, e non dava
-udienza, perchè convenne che la notte il seguitassono sponendo loro
-ambasciata, e cavalcando forte il signore senza arrestarsi, e non
-di meno parea desse speranza al trovare de’ modi; e così seguì più
-dì senza avere udienza altro che cavalcando, sopravenne quello, che
-il legato trattò co’ suoi Ungheri, come appresso diviseremo; per la
-qual cosa sdegnato messer Bernabò non volle più udire da quella volta
-innanzi gli ambasciadori di Firenze, e senza onore si ritornarono al
-loro comune.
-
-
-CAP. XV.
-
-_Come il legato mandò gli Ungari sopra la città di Parma._
-
-Il valente legato conoscendo l’animo di messer Bernabò niuna fede
-prendea di lui, e avendo lungamente dimostrato discordia con gli
-Ungheri come narrato avemo, e sentendo inverso Reggio mille barbute
-casse da messer Bernabò, con l’aiuto di messer Feltrino da Gonzaga
-per certa provvisione le condusse, e improvviso a tutti in una notte
-fece pagare per certo tempo gli Ungari ch’avea cassi e quelli ch’avea
-condotti, e mostrando d’andarsene gli Ungari di verso Ferrara, avendo
-avuta la licenza del passo, si rivolsono, e valicarono Modena e Reggio,
-e furono prima in sul Parmigiano, ch’alcuna novella n’avessono avuta
-i paesani, e per questo improvviso corso feciono di bestiame grosso e
-minuto preda senza misura. E appresso agli Ungari vi mandò il legato
-messer Galeotto con mille barbute, e a lui feciono capo l’altre mille
-condotte a Reggio per modo di compagnia, valicarono la Fossata, e poi
-il fiume della Parma, e stettono in larga preda più di venticinque dì,
-perocchè per comandamenti di messer Bernabò il paese non era lasciato
-sgombrare. La stanza e la ritornata fu senza contasto, e a Bologna
-si ritornarono a dì 11 di dicembre, con fama d’avere avuti danari da
-messer Bernabò; per la qual cosa il capitano degli Ungari tornato poi
-in Ungheria dal suo signore fu messo in prigione.
-
-
-CAP. XVI.
-
-_Della presura del conte da Riano._
-
-Il re Luigi avendo sentito come Anichino di Bongardo con la sua
-compagnia s’avviava nel Regno, o che ’l conte da Riano gli fosse di
-ciò infamato, o ch’egli avesse sospetto di lui, lo fece mettere in
-prigione, con minacce di farli torre la persona. Il conte si sentia
-senza colpa, e non temea, confidandosi nella verità, e nel grande
-parentado che avea con i maggiori baroni del Regno, i quali riprendeano
-il re di quella presura, per la quale non piccola dissensione era nel
-reame, e per l’aspetto della compagnia, e ancora perchè il duca di
-Durazzo non si fidava del re; e il gran siniscalco si stava a Bologna,
-e mostrava non curarsi di ritornare nel Regno, accortosi che ’l re
-avea troppa fede data ai baroni ch’erano a lui in contradio. Lo re non
-era sano, e il prenze perduto per le donne e per lo vino dalla cintura
-in su, e per queste cagioni il re sollecitava con lettere il gran
-siniscalco che tornasse a lui, ed egli sostenea per soccorrere al tempo
-del gran bisogno, e per fare ricredenti gli avversari suoi, come poscia
-addivenne.
-
-
-CAP. XVII.
-
-_Come la compagnia d’Anichino sostenne fame all’entrata del Regno._
-
-Anichino di Bongardo con la sua compagnia essendo valicato nel
-Regno, tentato l’andare all’Aquila, e trovato i passi forniti alla
-difesa, fu costretto arrestarsi del mese di novembre, essendo i passi
-stretti e male agiati di vittuaglia, verso Lanciano, per la qual cosa
-soffersono gran fame e assalto a’ passi da’ paesani, onde in quel
-luogo perderono circa a ottocento tra cavalieri ungari e masnadieri;
-e non potendo in quel paese acquistare se non fame, presono la via di
-verso la Puglia, e all’entrata di dicembre furono in Giulianese: le
-terre trovarono afforzate e sgombro il paese, sicchè poco di preda vi
-poterono avanzare, nondimeno gli Ungari e i soldati cassi nel paese di
-là seguivano la compagnia sentendosi entrare nel Regno, e accrescevanle
-forza.
-
-
-CAP. XVIII.
-
-_Come messer Cane Signore rimandò la moglie che fu di messer Cane
-Grande al marchese di Brandisborgo._
-
-Morto messer Gran Cane dal fratello, e tornato messer Cane Signore
-in Verona, presa la signoria dopo il lamento fatto della morte del
-marito, la donna che fu di messer Gran Cane sirocchia del marchese
-di Brandisborgo con disonesta fama di messer Cane Signore lungamente
-contro suo volere fu ritenuta in Verona. E in quei giorni addivenne,
-ch’a un parlamento fatto dai principi d’Alamagna con l’imperadore, il
-marchese di Brandisborgo si dolse dell’oltraggio fatto alla sirocchia
-per messer Cane Signore; onde dall’imperadore e dagli altri principi
-d’Alamagna fu confortato ch’attendesse a vendicare sua ingiuria,
-promessogli fu in ciò loro aiuto. Come ciò pervenne agli orecchi
-di messer Cane Signore cagione gli fu di rendere la donna, la quale
-rimandò del mese di novembre detto anno con quello onore e con quella
-compagnia ch’a lui piacque infino fuori de’ suoi confini, e quivi
-trovato di sua gente che gli si faceano incontro la lasciarono, udendo
-minacce grandi contro al signore loro. Il detto duca fece partire di
-suo paese tutti i sudditi del signore di Verona, e a tutti vietare le
-fiumane e’ passi come a suoi nimici.
-
-
-CAP. XIX.
-
-_Come la compagnia d’Anichino di Bongardo prese Castello san Martino._
-
-Essendo di Giulianese entrata la compagnia nel distretto del duca
-di Durazzo, avendo difetto di pane, e mostrandolo maggiore, quelli
-di Castello san Martino essendo molto forniti di vittuaglia, per
-ingordigia del prezzo i villani di quello cominciarono a vendere
-il pane un gigliato. La gente d’arme maliziosa e cauta, veggendo i
-villani allargarsi all’esca del danaio, mandavano a uno e a due nel
-castello insieme con le mani piene di gigliati a comperare del pane, ed
-eglino si stanziavano di fuori senza fare alcuna guerra al paese; onde
-avvenne, che dimesticata la gente matta e avara, per potere vendere più
-del pane lasciarono entrare nel castello degli uomini della compagnia,
-i quali dato segno a quelli di fuori furono di subito alla porta, e
-con quelli d’entro cominciarono la mischia, e cacciarono le guardie
-dalla porta, e misono dentro la compagnia, facendo per ciò sussidio
-grande al loro stremo bisogno, ch’erano nel dicembre, e per loro non
-trovavano pane nè strame per i cavalli, e nel castello abbondantemente
-ne trovarono, e pertanto gran parte del verno vi dimorarono sovente
-cavalcando il paese, e riducendosi all’ostellagione senza costo loro
-con le prede faceano nel paese.
-
-
-CAP. XX.
-
-_Come il re d’Araona diè per moglie la figliuola a don Federigo di
-Cicilia._
-
-Del mese di novembre detto anno, lo re d’Araona diliberò di dare per
-moglie a don Federigo figliuolo di don Piero di Cicilia la figliuola,
-e a dì 27 di dicembre seguente giunse nell’isola di Cicilia con
-quattordici galee ben armate, e fatto porto a Cattania, dove il giovane
-re facea suo dimoro, ricevuta la donna con quella festa che far le potè
-secondo il suo povero stato la disposò; e pensandosi che le galee de’
-Catalani facessono guerra a Messina e all’altre terre del re Luigi,
-senza arresto alcuno fornita la festa delle nozze se ne ritornarono in
-Catalogna.
-
-
-CAP. XXI.
-
-_Come messer Bernabò si provvedde per avere gente, nuova per
-guerreggiare Bologna._
-
-Messer Bernabò mostrò di non curarsi dell’avvenimento degli Ungheri
-e de’ Tedeschi che alquanto del verno stettono sopra le terre sue,
-anzi scrisse al legato parole di scherno, volendo mostrare, che quello
-che fatto avea tornerebbe tosto in sua confusione. E a certi suoi
-confidenti mostrò un grandissimo tesoro accolto di nuovo senza toccare
-quello della camera sua, il quale passava il numero di secento migliaia
-di fiorini, i quali affermava sè avere diputati per vincere la gara di
-Bologna. E per ciò cominciare e con danari e con doni mandò il conte
-di Lando in Alamagna a sommuovere baroni e cavalieri a sua provvisione
-per averli al primo tempo; il quale trovando che per l’imperadore e per
-lo doge d’Osteric, e per lo marchese di Brandisborgo, e per gli altri
-principi d’Alamagna fatto era comandamento, che niuno arme prendesse
-contro a santa Chiesa, del mese d’aprile seguente tornò con dieci
-bandiere di ribaldi, i quali per non avere che perdere non curarono i
-comandamenti de’ loro signori, golando il soldo di messer Bernabò. Ora
-nel processo nostro per lo verno dando sosta all’altre fortune ci si
-apparecchia a narrare cosa spiacevole alla nostra città di Firenze, e
-all’altre città a lei vicine.
-
-
-CAP. XXII.
-
-_Come messer Niccola Acciaiuoli gran siniscalco del Regno venne in
-Firenze, e della novità che per sua venuta ne seguio._
-
-Messer Niccola Acciaiuoli fatto per lo legato conte di Romagna e del
-suo segreto consiglio, sollicitato dal re Luigi co’ comandamenti, e da’
-Fiorentini e dagli altri comuni di Toscana procacciava aiuto contro
-alla compagnia d’Anichino; onde egli fatto vececonte in Romagna, e
-provveduto d’uficiali alle terre commesse al suo governo per santa
-Chiesa, a dì 9 di dicembre venne a Firenze, dove da’ parenti e dagli
-amici, e dagli altri cittadini discreti e da bene a grande onore
-fu ricevuto. Lo suo dimoro e portamento nella città era onesto e di
-bella maniera, mettendo ogni dì tavola cortesemente, e senza alcuna
-burbanza, chiamando i cittadini, e i grandi, e i popolari alla mensa,
-onorandoli successivamente: e così stando in Firenze, con ogni onesta
-sollecitudine che potea procacciava di fornire il comandamento del
-suo signore, e richiedeva sovente con riverenza i suoi signori priori
-e collegi d’aiuto, e simile in spezialità gli altri cittadini che
-in ciò gli prestassono favore. E in questo stante novità occorsono
-nella nostra città, che tutta la terra puosono in confusione, come nel
-seguente capitolo diremo.
-
-
-CAP. XXIII.
-
-_Come per sospetto nato nella città di Firenze di messer Niccola
-indegnamente egli ne ricevette vergogna._
-
-Anichino di Bongardo, com’è di sopra scritto, e con sua compagnia
-era passato nel regno di Puglia, con animo d’offendere il re Luigi a
-suo podere, il quale sollecitamente si dava a’ ripari, il perchè il
-gran siniscalco n’era venuto a Firenze per avere aiuto, e promessa
-avea avuta d’avere trecento cavalieri; or come piacque alla fortuna
-occorse, ch’al nuovo priorato, che trar si dovea per legge di comune,
-far si dovea lo squittino nuovo de’ priori e collegi, e fallare non
-potea che stando messer Niccola a Firenze o vicino non fosse priore,
-perocchè nelle borse vecchie niuno v’era rimaso se non egli, e delle
-nuove trarre non si potea se non si votasse le vecchie, ed egli a
-ogni nuovo priorato era tratto, e rimesso per assenza: il caso che
-parea appensato, e l’uomo per la grandezza sua nella città per tema di
-tirannia verisimilmente sospetto, con assai colorata credenza facendo
-i governatori della città fortemente sospettare, e mormorio n’era tra
-loro, il quale per lo procaccio si stendea nel volgo, e se ne parlava
-e in piazza e a’ ridotti, ma per quello che veramente sentimmo l’animo
-del nobile cavaliere della detta intenzione era tutto rimoto, e per
-tanto per quetare il mormorio sollecitava d’avere la gente dell’arme
-che il comune gli avea promessa, e proposto s’era al tutto nell’animo
-che se necessario caso l’avesse ritenuto di renunziare l’uficio.
-Occorse in quei giorni, che licenziandosi i nostri ambasciadori dal
-legato di Spagna, il quale come di sopra è scritto presa avea la
-signoria di Bologna, ed egli avendo l’uno di loro conosciuto per uomo
-grave e intendente e d’autorità, e a cui molta fede era data nel suo
-comune, avanti che a loro desse il congio, quel tale segretamente
-chiamò nella camera sua, e datali la credenza, prima gli rivelò come
-certamente sentia che in Firenze era trattato e congiura per sovvertere
-lo stato loro. Il discreto e accorto ambasciadore gli rispuose,
-che tale credenza tenendola a lui era pericoloso, e simile al suo
-comune, e che per tanto a lui piacesse che a’ suoi signori il potesse
-manifestare, non domandando come savio più oltre, per non avere materia
-d’abominare i suoi cittadini, senza i quali non pensava ragionevolmente
-potere essere trattato. Lo cardinale non glie n’aperse più, ma
-gli concedette licenza che di quello che detto gli avea ne facesse
-fede a’ signori suoi come gli avea domandato. Per la rivelazione di
-costui generale e oscura il sospetto preso di messer Niccola crebbe a
-maraviglia, e in tanto, che senza niuno intervallo di tempo provvisione
-si fè, la quale in effetto contenne, che niuno ch’avesse giurisdizione
-di sangue, o sotto sè città o castella non potesse essere all’uficio
-del priorato: ma per non fare più vergogna al valente cavaliere
-trovandosi egli alla tratta de’ nuovi priori, affrettarono di dare
-la gente promessa perchè avesse onesta cagione di partirsi, il quale
-avendo ricevuto la gente, al modo del buono Scipione Affricano per
-liberare dal sospetto la patria e sè da vergogna, con la gente datagli
-di presente prese viaggio, e giunto a Siena, e appresso a Perugia,
-loro in nome del re Luigi richiese d’aiuto, e altro che belle parole
-non ne potè riportare. In questo fortunoso ravviluppamento assai per
-li savi non odiosi si comprese della magnanimità del gran siniscalco,
-perocchè nè in atto nè in parole in lui veruno turbamento si vide o
-sentì, ma piuttosto tranquillità d’animo, quasi come se ciò s’avesse
-recato a onore che in tanta città fosse preso che tanto animo avesse: e
-tutto che per lo trattato che poco appresso si scoperse si manifestasse
-l’innocenza sua e purità d’animo, non di meno la legge rimase, e fu
-riputata utile e buona, perchè si dirizzava a conservamento di libertà,
-la quale in questo mondo certano è riputata la più cara cosa che sia.
-
-
-CAP. XXIV.
-
-_Come si scoperse congiura di certi cittadini di Firenze, e trattato
-per sovvertere lo stato che reggea._
-
-Vedendosi manifesto per ogni qualunque intendente, che la legge fatta
-in favore della parte, tutto ch’ad altro fine fosse principiata, era
-in sè utile e buona ma male praticata, e che coloro che ne doveano
-secondo il proponimento di coloro che l’aveano creata essere disfatti
-n’erano sormontati e aggranditi, e che la città n’era in molte parti
-stracciata e divisa, e di male talento piena ne stava in tremore e
-sospesa, e’ rimedi sufficienti al male non si vedeano, e se si vedeano
-erano posti a silenzio, il perchè quasi per una boce comune forte si
-dubitava di cittadinesca commozione. Ed era per certo da dubitare,
-come l’esperienza poco appresso ne fè manifesto, perocchè tale mala
-disposizione conosciuta da certi cittadini mal sofferenti e d’animo
-grande, e che mal contenti viveano, massimamente veggendo alzare
-troppo i loro avversari, e da certi che per ammunizione erano a loro
-parere contra ragione offesi, ed eranne poco pazienti, loro diede
-audacia e materia di cercare novità, e gli mosse a congiura, e in una a
-cercare de’ modi e delle vie da levare dello stato coloro i quali per
-loro nemici teneano. Costoro loro capo feciono Bartolommeo di messer
-Alamanno de’ Medici, uomo animoso troppo, e che si sarebbe messo a
-ogni gran pericolo per abbattere gli avversari suoi; al quale parendo
-che il tempo abile a ciò fare fosse venuto, riscaldato e sollecitato
-da Niccolò di Bartolo del Buono, e da Domenico di Donato Bandini, i
-quali erano stati ammuniti e levati dagli ufici e onori del comune come
-sospetti della parte, non perchè fossono, ma per operazione di chi gli
-avea con quel bastone voluti fare ricomperare, ristrettosi con loro,
-cominciarono segretamente a cercare de’ modi e delle vie da pervenire
-all’intento loro: e così cercando, trovarono che Uberto d’Ubaldino
-di messer Uguccione Infangati, uomo cupido e vago di novitadi, e atto
-assai a dovere e potere cercare, e avendo rispetto al male disposto e
-intrigato stato della città, come per quella scritta avemo di sopra
-comprendere si può, per suo proprio movimento, e senza averne con
-alcuno conferito, sotto la speranza d’avere il seguito de’ malcontenti,
-de’ quali allora il numero era grandissimo ogni ora che gli avesse
-richiesti, avea tenuto trattato con uno Bernarduolo Rozzo Milanese,
-il quale era cameriero di messer Giovanni da Oleggio de’ Visconti per
-allora signore di Bologna, e stato era suo tesoriere, uomo sagace,
-astuto e d’animo grande, il quale entrato n’era in ragionamento col
-detto messer Giovanni, mostrandoli per assai belle e apparenti ragioni
-come se volea il potea fare signore di Firenze. Il tiranno giusta
-il costume de’ tiranni vi prestò l’orecchie, ma infra il tempo per
-necessario caso occorse ch’esso tiranno per lo migliore suo s’accordò
-con la Chiesa, e rendè Bologna a messer Egidio d’Albonazio di Spagna
-cardinale e legato di santa Chiesa nelle parti d’Italia, il perchè il
-trattato cominciato per messer Bernarduolo Rozzo si rimase. I predetti
-Bartolommeo, Niccolò, e Domenico avendo segretamente odorato che per
-Uberto si cercava rivoltura di stato, e che per tanto verificando
-il titolo e nome della famiglia sua s’era Infangato, tutto che il
-modo e le persone con cui trattava non sapessono, conoscendolo uomo
-sufficiente e atto a fornire delle intenzioni loro, e di quello che
-loro andava per l’animo, e stimando che per l’errore già commesso per
-lui loro dovesse essere fedele, lo tirarono ne’ loro segreti consigli,
-e intorno a loro impresa gli dierono faccenda e pensiero, con dirli
-cercasse consiglio e aiuto pronto col quale loro intenzione potessono
-fornire. Parendo a Uberto che i suoi vecchi pensieri fossono di nuovo
-appoggiati e di consiglio e di forza, senza ai suddetti niuna coscienza
-farne col detto Bernarduolo Rozzo ricominciò il vecchio trattato,
-parendoli avere migliorato condizione, offerendoli al servigio
-sufficiente seguito a fornire il cominciato trattato con lui, e diedeli
-certe scritture di sua testa compilate, dove soscritto apparea non
-piccolo numero di cittadini e grandi e popolani, e de’ maggiori e de’
-mezzani e de’ minori, tutti persone e da nome e da fatti. Il detto
-Bernarduolo, parendoli avere in mano la detta cosa per fornita, di
-tanta audacia e presunzione fu, che avendo cercato questa faccenda
-con messer Giovanni da Oleggio, e veggendo che sua intenzione gli era
-faltata per lo dare che fatto avea di Bologna a santa Chiesa, fu di
-tanta audacia e presunzione, che sentendo il cardinale di Spagna uomo
-d’alto animo, fattivo e cupido di fama mondana, e desideroso oltre a
-modo di temporali signorie, e per tanto quasi senza considerazione,
-e per tanto di grandi imprese lo richiese, mostrandoli, che senza
-niuno dubbio con poca spesa e fatica potea essere signore di Firenze.
-Il legato, tutto fosse cupido e animoso, era savio e temperato, e
-conoscea che fallandoli l’impresa potea essere il suo disfacimento,
-e promessa credenza di tutto, il trasse fuori di pensiero de’ fatti
-suoi; poi come detto è di sopra a uno degli ambasciadori fiorentini il
-detto cardinale in genere revelò che trattato era in Firenze. Nè però
-ristette Bernarduolo di cercare, e seguendo la via cominciata, portò il
-trattato a messer Bernabò, il quale mostrò d’averlo caro e accetto, ma
-come signore di grande sentimento e pratico delle baratte del mondo,
-non parendoli che la cosa dovesse avere effetto, secondo l’offerte
-che gli erano fatte dava e toglieva parole e tenea in tranquillo,
-mettendo per lunga via la mena, e per simile il detto Uberto dicea
-ai detti Bartolommeo e i compagni che cercava cose ch’anderebbono
-a loro intenzione, ma che per ancora non avea tanto che loro niente
-effettualmente ne potesse dire.
-
-
-CAP. XXV.
-
-_Come si scoperse il trattato che era in Firenze, e certi ne furono
-puniti._
-
-Mentre le dette cose si cercavano per Bernarduolo, parendo ai detti
-tre Bartolommeo, Niccolò e Domenico, che ogni piccolo indugio loro
-fosse pericoloso, poichè incominciato aveano, e temendo che lunghezza
-di tempo non impedisse, e scoprisse quello che intendeano di fare,
-sollecitavano continovamente, e un’ora non si lasciavano fuggire di
-mano, pensando dì e notte de’ modi come loro proponimento potessono
-fornire, intra i quali uno loro ne cadde nell’animo, il quale poi si
-conobbe sufficiente a muovere scandalo grande e pericoloso, ma non
-a terminare secondo il concetto dell’animo loro; e per mandarlo ad
-esecuzione. I detti caporali con inventivi modi e argomenti sottili
-e sagaci trassono in loro congiura e trattato messer Pino di messer
-Giovanni de’ Rossi, Niccolò di Guido da Sanmontana de’ Frescobaldi,
-Pelliccia di Bindo Sassi de’ Gherardini, Beltramo di Bartolommeo
-de’ Pazzi, Pazzino di messer Apardo Donati, Andrea di Pacchio degli
-Adimari, Luca Fei, Andrea di Tello dell’Ischia (questi ultimi due
-per molti si tenne che senza colpa fossono messi nel ballo) e frate
-Cristofano di Nuccio de’ monaci di Settimo, il quale era stato
-lungo tempo alla guardia della camera dell’arme, e quindi per alcuno
-procaccio d’altrui era stato rimosso: di molti altri si disse, ma non
-si trovò esser vero, e se fu, si tacque, e ammorzò per lo migliore, e
-per fuggire disordinato fascio, ma agl’intendenti parve, non essendo
-matti i detti nominati di sopra, sì grande tentamento dovesse avere
-maggiore appoggio e sequela e nel numero. La motiva loro fu più per
-odio e nimistà speziale che vogliosamente portavano a certa famiglia
-di popolari grandi e in comune, e per levarli di stato e cacciarli,
-che per zelo che avessono alla repubblica o ad altri loro cittadini.
-L’ordine per i detti dato a fornire loro impresa fu di questa maniera,
-che l’ultimo dì di dicembre frate Cristofano, che per le reliquie
-del vecchio uficio che gli era stato levato ancora liberamente usava
-l’entrata e l’uscita del palagio de’ priori, ed era signore delle
-chiavi, dovea segretamente mettere quattro fanti in sulla torre del
-palagio de’ signori, e rinchiuderli in una camera che v’è, e non
-s’usava, e poi di notte dovea aprire lo sportello della porta del
-palagio di verso tramontana, che non s’usava, e mettere quetamente
-per quella ottanta fanti, e riporli ivi di presso nella camera dove si
-riducono gli uficiali delle castella, ch’allora non vi stava persona,
-e la seguente mattina, quando escono i signori vecchi ed entrano i
-nuovi, rimanendo dentro un fante solo che serra la porta, mentre che
-le dicerie e solennità a tali atti usati si fanno, i detti ottanta
-fanti doveano uscire della detta camera, e uccidere o prendere il detto
-portiere, e serrare la porta, e salire sul corridoio del palagio, e
-con le pietre percuotere chiunque fosse sulla ringhiera, e i fanti
-della torre doveano sonare le campane a stormo, e in quell’ora si
-doveano muovere i detti congiurati col seguito loro, stimando che molti
-cittadini offesi e malcontenti, e quelli che stavano indubbio dello
-stato loro traessono a loro, e gli dovessono seguire; con volere che
-per altro ordine si governasse la terra, della quale s’immaginavano
-essere principali e maestri, com’erano principali della matta impresa,
-con mostrare di volere che a neuno fosse fatto oltraggio o torto. Il
-pensiere loro fu riputato da molti folle, perchè non avendo altro
-braccio, rimaneano in podestà del furore del popolo, se non avesse
-consentito al loro movimento. Altri stimavano, che essendo il popolo
-confastidiato come detto avemo, e per natura mobile e vago di novità,
-e che scorrere si lascia quando è scommosso là dove non possono i savi
-stimare, che loro pensiero potesse avere effetto: ma Dio che è guardia
-de’ semplici e innocenti, e che talora per rispetto loro tempera
-l’ira sua contra i rei, perchè il caso parea come suole fare, o per
-fortuna o per privati odii contra loro straboccare, volle si scoprisse
-il trattato, e fu in questo modo. Detto avemo come il legato sotto
-parole generali avea fatto sentire come nella città era trattato, ma
-d’esso non avea dato indizio veruno; e stando per questo i governatori
-e i cittadini di Firenze nel tenebroso sospetto, Bernarduolo Rozzo,
-che vedea suo ragionamento tornato in fummo, pensò di fare civanza,
-e trarre vantaggio delle fatiche che avea ordinato in male operare,
-e venuto a Santa Gonda, mandò per uno suo amico della casa degli
-Antellesi, e a lui disse, che quando il comune di Firenze gli volesse
-dare venticinque migliaia di fiorini, ch’egli manifesterebbe il
-trattato, e chi lo conducea. Ciò sentito per i signori, e tenuto
-segreto consiglio, per trarre il popolo di periglio, e di sospezione
-e paura, diliberarono gli fosse dati danari, e alla promessa d’essi
-s’obbligarono i signori, e’ collegi, e’ richiesti, e se ne fè scrittura
-obbligatoria con saramento, e il pagamento se ne dovea fare in Siena,
-manifestato ch’avesse in forma bastevole la verità del fatto. Anzi che
-fosse il detto ragionamento fornito, o fattone esecuzione, fu noto
-a Bartolommeo che ’l fatto si venia a scoprire, non perchè il detto
-Bernarduolo il sopraddetto processo e ordine sapesse, ma che per quello
-che tenuto avea con Uberto Infangati sapea i nomi di coloro che sapea
-che teneano al suo, si manifestò e aprì a Salvestro suo fratello, e
-quello che occultato avea, e a lui e a’ suoi consorti palesò. Salvestro
-udito il voglioso e poco savio movimento del fratello, per ricoverare
-l’onore suo e della casa sua, che per la detta impresa potea cadere
-in sospicione, e per trarre il fratello di pericolo e d’abominio, con
-certi dello stato discreti e fidati, e alla famiglia sua, di presente
-ne fu a’ signori, e da loro prese sicurtà per Bartolommeo, dicendo,
-che da lui avrebbono tanto, che potrebbono trarre di sospetto e di
-paura il comune, il quale quasi per lusinghe tirato nel trattato, con
-infingere di non sapere se non la corteccia, dissono a’ signori, che
-se avessono Niccolò e Domenico di Donato Bandini che ne saprebbono
-il tutto, come da’ caporali e guide del trattato; di che i signori di
-subito mandarono per loro in forma e in modo, che se si fossono voluti
-cessare non aveano il podere, e quelli per loro prima esaminati li
-dierono al podestà. Gli altri congiurati sentito questo si cessarono
-subitamente; e i detti presi confessato il loro eccesso furono
-dicapitati: gli altri nomati, eccetto il detto Bartolommeo, furono
-per lo potestà senza vituperevole titolo condannati nella persona. Il
-detto Bernarduolo Rozzo, avendo per la detta sua operazione certificato
-il comune che ’l suo palesare il trattato era per vendere la vita di
-molti cittadini, e non per palesare il suddetto trattato, del quale
-niente sapea, fu di tanta presunzione e ardire, che sotto la promessa
-di dare al comune scritta di mano propria de’ congiurati, alla quale
-erano sottoscritti molti cittadini di loro propria mano, e suggellato
-di loro proprio suggello, domandò ed ebbe fidanza di venire a Firenze,
-e a’ signori la detta scritta diede, la quale si trovò essere di mano
-d’Uberto Infangati, fittamente e coloratamente composta, secondo che
-fuori n’uscì la boce, se vera fu, o no. Ragunato il consiglio, _coram
-omnibus_ la scritta fu arsa senza altrimenti farne dimostrazione. A
-Bernarduolo Rozzo furono donati cinquecento fiorini d’oro, e tratto
-del nostro contado dato gli fu il congio. La legge, ch’era stata in
-gran parte cagione e materia di tanto male, e peggio per l’avvenire
-promettea, per tutto ciò ammendata non fu, nè regolata nè aggiustata in
-niuna sua parte.
-
-
-CAP. XXVI.
-
-_Come si comperò Montecolloreto, e la giurisdizione di Montegemmoli
-dell’Alpe per lo comune di Firenze._
-
-Ottaviano e Giovacchino figliuoli di Maghinardo e Albizzo degli
-Ubaldini, essendo male in accordo co’ figliuoli di Vanni di Susinana,
-e con gli altri Ubaldini teneano Montecolloreto, e possedeano l’Alpi
-con millecinquecento fedeli e’ fitti perpetui, e costoro cercavano
-di volere vendere Montecolloreto e l’Alpe, e le ragioni ch’aveano in
-Montegemmoli, e in Cornacchiaia e nell’altre villette dell’Alpe al
-comune di Firenze per loro vantaggio, e dispetto de’ loro consorti.
-Il comune intendea alla compera. Gli altri Ubaldini che si teneano
-avere ragione nell’edificio di Montecolloreto mandarono a Firenze a
-contradire la vendita. La cosa stette lungamente in dibattito, infine
-il comune comperò la proprietà da coloro che teneano Montecolloreto, e
-tutta l’Alpe, e la giurisdizione ch’aveano i figliuoli di Maghinardo,
-e comperò tutti i fitti perpetui ch’aveano nell’Alpe, sicchè il paese e
-gli uomini rimasono liberi del comune di Firenze, e i detti Ottaviano,
-Giovacchino, e Albizzo, e tutti i loro congiunti e loro famiglie furono
-fatti per riformagione del comune, a dì 30 di dicembre del detto anno,
-cittadini e popolari di Firenze, e fatte le carte della detta vendita
-per ser Piero di ser Grifo delle riformagioni, ed ebbono contanti
-fiorini seimila d’oro, com’elli furono in concordia e in patto d’avere
-dal comune di Firenze. L’Alpe fu recata a contado, e gli uomini liberi
-da’ fitti perpetui.
-
-
-CAP. XXVII.
-
-_Come una compagnia creata novellamente prese Santo Spirito._
-
-Finite le guerre, e fatta la pace fra i due re d’Inghilterra e di
-Francia, tornato il re Giovanni in Francia, e intendendo dolcemente a
-rassettare il reame, fece gridare per tutto suo reame che tutta mala
-gente si dovesse partire, e sgombrare il suo reame sotto gravi pene;
-e per tale cagione diverse compagnie s’adunarono, le quali l’una dopo
-l’altra poi trassono ad Avignone. Sicchè dove speranza era che il
-re liberasse la Chiesa seguitò il contrario, e più si credette per
-tutti che i paesi si posassono, e s’intendesse a’ mestieri e alle
-mercatanzie, ma incontanente seguitò in Parigi e nel paese di Francia
-grandissima carestia e mortalità, e coloro ch’erano usi in guerra,
-e più atti alle prede e alle rapine ch’alle mercatanzie e mestiere,
-udito il grido e il comandamento del re in diverse parti s’accolsono
-insieme per modo di compagnia, e feciono diversi capitani, e chi vernò
-in un paese e chi in un altro alle spese de’ paesani, conturbando le
-provincie; e un’accolta si fece verso Lione sopra Rodano, in grasso e
-abbondante paese, e ivi stettono senza contasto, e dimorati alquanto
-nel paese, si misono verso Lione per valicare in Provenza: il vicario
-di Lione coll’aiuto de paesani occuparono i passi, che sono stretti e
-forti, e non gli lasciarono passare; e vedendosi la compagnia impedire,
-un’altra volta maliziosamente si strinsono sopra Lione, ove tutta la
-forza della città e delle vicinanze trassono alle difese, e i capitani
-della compagnia aveano fatto eletta di mille barbute, e ordinato quando
-la gente traesse a loro che prendessono un altro cammino per l’alpe
-della Ricodana, e così fatto fu senza trovare chi loro contradicesse,
-e tra il giorno e la notte appresso l’alpe passarono, che di mala via
-furono oltre a miglia quaranta, e alla dimane si trovarono nel piano
-presso a Santo Spirito in sul Rodano, e quivi per lo freddo sostenuto
-la notte con fuochi si ristorarono, e a’ loro cavalli provvidono e a
-loro di vivanda per riprendere forza della gran fatica che la notte
-per lo gran cammino aveano sostenuta; e ciò fatto, montati a cavallo
-si dirizzarono a Santo Spirito, dove trovarono la gente sprovveduta,
-e nullo resistente s’entrarono nel borgo. La rocca si tenea per uno
-castellano lucchese, e quella col castellano presono: e perchè il fatto
-fu incredibile per la fortezza del luogo, molti pensarono che fatto
-fosse per ordinamento del Delfino, e perchè il castellano fu lasciato
-e poi ripreso ad Avignone, stimossi che il papa il sentisse, e per
-lo meno male lo si tacesse. I terrazzani da bene uomini e donne si
-ridussono nella chiesa ch’è forte, e aspettando il soccorso de’ vicari
-circostanti e dal re di Francia per spazio di sei dì, si patteggiarono
-di dare fiorini seimila d’oro, salvo l’avere e le persone: i danari
-furono pagati, ma i patti non furono attesi, che tutti furono rubati,
-e molte femmine giovani ritenute al servigio della compagnia. Santo
-Spirito è vicino ad Avignone a otto leghe di piano. E il nobile ponte
-sopra il Rodano di presente occupato fu per quelli della compagnia,
-d’onde aveano libera l’entrata nel Venisì, e poteano a loro piacere
-cavalcare fino ad Avignone: per tale cagione il papa e i cardinali
-ebbono gran paura, e la città tutta prese l’arme serrate le botteghe,
-e solo s’intendea a fare steccati e bertesche sì alla città e sì al
-gran palagio del papa, e a provvedersi di vittuaglia, e con soldati
-s’attendea a buona guardia, e di dì e di notte. E oltre a questa
-provvisione il papa bandì la croce sopra la compagnia, credendo subito
-avere gran concorso di gente d’arme e da piè e da cavallo, e nullo
-si trovò che la prendesse, onde lentamente cominciò a fare gente di
-soldo, e fè capitani il cardinale d’Ostia con certi altri prelati, e li
-mandò nel Venisì a fornire le castella della frontiera contro i nemici
-perchè non potessono stendere nè verso Avignone nè verso la Provenza,
-massimamente perchè sentiva che la compagnia era per avere maggior
-forza in corto tempo da quelli che rimasi erano di là da Lione. Al
-modo delle guerre de’ prelati la boce fu grande, e la difesa fu piccola
-quando alla compagnia parve il tempo da valicare, ma per allora essendo
-pochi, ed avendo roba assai, gran tempo stettono senza fare cavalcate,
-e il ponte afforzarono in forma, che le navi che veniano di Borgogna
-ad Avignone con vittuaglia non poteano passare, onde la corte sostenne
-grave carestia. Lasceremo per ora questa materia la quale ebbe lungo
-processo, e seguiteremo le cose d’Italia, che nel tempo richieggiono il
-luogo debito loro.
-
-
-CAP. XXVIII.
-
-_Come tornati gli Ungari e messer Galeotto da Parma si misono a Lugo._
-
-Tornati gli Ungari del Parmigiano, il legato, perchè non gravassono
-dentro i Bolognesi, gli mandò sopra Lugo, dando boce di volere
-rivolgere un fiumicello che corre verso Castello san Piero sopra
-Lugo; e per fare la mostra apparente ragunò maestri paesani a ciò
-fare, e niuno effetto ne seguì. Stando gli Ungari a campo a Lugo
-messer Galeotto cavalcò sopra Castelfranco, e mancandogli i soldi
-pagati per lo legato agli Ungari e ai soldati, si partirono del detto
-mese di gennaio e da Lugo e da Castelfranco, e di loro una parte
-dal Biscione prese soldo, ed entrò in Lugo a fare guerra contro al
-legato, e alquanti il legato se ne ritenne. Mille o più a piano passo
-si dirizzarono in Romagna, e quindi nella Marca vivendo a legge di
-compagnia, e parte di loro s’aggiunse alla compagnia del Regno. Poco
-appresso il legato s’accordò con quelli ch’erano passati nella Marca, e
-di febbraio gli fece tornare sopra Lugo, per rattenere quelli ch’erano
-in Lugo dal conturbare la Romagna, ma poco tempo là durarono per la
-povertà del legato, ch’avea l’animo grande e la fonda vota.
-
-
-CAP. XXIX.
-
-_D’alquanti trattati tenuti in diverse parti che tutti si scopersono._
-
-In questi giorni, certi d’una casa di Forlì che si nomava di Capo
-di Ferro, i quali il legato avea rimessi in Forlì, con altri loro
-amici e congiurati cercarono di mettere una notte in Forlì la gente
-di messer Bernabò ch’era in Lugo. Il trattato si scoperse, e furono
-presi venticinque cittadini, e trovati colpevoli, due di quelli di
-Capo di Ferro ed altri due del mese di gennaio furono decapitati, e
-dodici di loro seguito mandati a’ confini. La terra si rassicurò con
-sollecita guardia. Seguendo simili cose e’ pare, che quando il verno
-non lascia campeggiare la sfrenata rabbia degl’Italiani, non resti
-di procurare scandali e commuzioni. I Perugini in questi dì trovarono
-certi loro grandi che voleano rompere il popolo, e mutare il reggimento
-di quella città, e furono tanto e sì potenti, che scoperto il fatto non
-s’ardì a fare punizione. In Siena fu sospetto di mutamento di stato,
-e lungamente se ne stette in gelosia e in guardia. In Volterra fu il
-simigliante, e con gli ambasciadori del comune di Firenze si quetò la
-materia dello scandalo. In Bologna in questo verno si scoperse un altro
-trattato, che alcuni cercavano con messer Bernabò, de’ quali erano
-due de’ Bianchi caporali, non sapendo l’uno dell’altro. Ed avendo il
-podestà condannati Giovanni e Federigo de’ Bianchi nella persona per
-questo tradimento, e mandandoli alla giustizia con due altri, il legato
-fece liberare Giovanni ch’era meno colpevole, e Federigo e’ compagni
-furono decapitati. I Perugini, con trattato ch’aveano con certi loro
-sbanditi ch’erano al soldo del signore di Cortona, il doveano fare
-uccidere: il fatto scoperto, i traditori furono presi, e fattone quello
-che meritavano.
-
-
-CAP. XXX.
-
-_Come il grande siniscalco fu ricevuto nel Regno, e quello ne seguì._
-
-Per inzigamento di messer Giannotto dello Stendardo, e di messer
-Ramondo dal Balzo e de’ seguaci loro, allora governatore del re, messer
-Niccola Acciaiuoli gran siniscalco al giudicio de’ cortigiani parea in
-poca grazia del re, e giunto in Napoli, e scavalcato al castello del
-re, convenne che quel giorno col seguente solo a solo col re dimorasse,
-e con lui a quelle cose che nel Regno erano a fare diede il modo, e lo
-re lo fè suo luogotenente, e per suo decreto e a’ baroni e a’ popolani
-comandamento fece, che ubbidito fosse come la persona sua. Quindi a
-pochi dì fatto suo apparecchiamento, colla gente del comune di Firenze
-e quella potè avere del paese cavalcò in Puglia verso la compagnia, e
-misesi nelle terre vicine alla frontiera loro, e li comimciò forte a
-ristrignere di loro gualdane.
-
-
-CAP. XXXI.
-
-_D’un segno nuovo ch’apparse in cielo sopra la città di Firenze._
-
-A dì 9 di febbraio detto anno, alle quattro ore di notte, in aire
-apparve sopra la città di Firenze un vapore grosso infocato di tale
-aspetto, che a molti parve che fosse fuoco appresso nella città vicino
-a loro vista, e per tanto cominciarono a gridare al fuoco, e le campane
-della chiesa di santo Romeo sonarono a stormo, e lungamente, come è
-usanza di sonare per lo fuoco; per lo quale romore molti cittadini si
-levaro da dormire, e vedendo ch’erano vapori incesi nell’arie uscirono
-delle case, e andarono a’ luoghi aperti, e vidono il tempo sereno, e il
-lume della luna, e di qua e di là dal vapore sua larghezza rosseggiante
-a guisa di fuoco per spazio di miglio, e sua lunghezza di quattro, e
-il suo montare alto del basso tanto era, che le stelle si mostravano
-in esso come faville di fuoco; e levatosi in distanza alcuna di sopra
-a Firenze valicò Fiesole, tenendo forma di ponte da Montemorello a
-Fiesole, e poi con assai lento andamento trapassò nel Mugello, e in
-un’ora e mezzo consumato si mostrò a coloro che di Firenze n’aveano
-aspetto. Di tal segno niuna altra influenza si vide da farne menzione,
-se altra per più lunghezza di giorni non dimostrasse, se non alcuno
-secco, che danno fè assai alle terre sottili di nostre montagne per
-tutto nostro paese.
-
-
-CAP. XXXII.
-
-_Dimostramento di smisurato amore di padre a figliuolo._
-
-E’ ne parrebbe degno di riprensione lasciando in dimenticanza un caso
-occorso in questo tempo, perchè ci pare esempio di mirabile carità
-intra padre e figliuolo, ed e’ converso, tutto che apparito sia in
-uomini di bassa condizione. Nel contado di Firenze e comune della
-Scarperia, villa di santa Agata, uno garzoncello nome Iacopo di Piero,
-sprovvedutamente uccise un suo compagno, e ciò fatto, lo manifestò
-al padre, il qual turbato gli disse, che subito si partisse, e si
-riducesse in luogo salvo, e così fece. Il malifizio fu portato alla
-signoria, e incolpato e preso ne fu il padre del garzone, il quale
-tormentato, per non accusare il figliuolo confessò sè avere commesso il
-peccato all’uficiale della Scarperia, e mandato a Firenze al podestà,
-confessando questo medesimo e raffermando, fu condannato nel capo. Il
-figliuolo, che segretamente era venuto a Firenze per vedere che fine
-avesse, vedendo il padre innocente andare a morire per lo difetto suo,
-mosso da smisurato amore da figliuolo a padre, diliberato di morire
-perchè il padre campasse, il quale liberamente vedea andare alla
-morte per campare lui, con molte lagrime si rappresentò alla signoria,
-dicendo: Io sono veramente colui che commessi il peccato; io sono colui
-che ne debbo portare la pena, e non per me questo mio padre innocente,
-che è tanto acceso di carità verso di me perchè io campi, che soffera
-di morire per me. L’uficiale udito il garzone, quasi stupefatto ritenne
-e sostenne l’esecuzione che si facea del padre, e trovato la verità
-del fatto, il padre fu liberato, e il figliuolo, per la necessità
-della corte, a dì 6 di marzo con pietose lagrime a chiunque l’udirono
-o vidono fu decapitato. E certo se stato fosse commesso il malificio
-senza malizia e casualmente, tanto atto di pietà a un benigno signore
-credere si dee ch’arebbe meritato perdono almeno della vita.
-
-
-CAP. XXXIII.
-
-_Contrario esempio d’incredibile crudeltà di madre._
-
-Avvegnachè quello che segue appresso alla narrata pietà di padre e
-figliuolo dopo i sei mesi occorresse, per collazione del bene col male,
-volendo operare la sfrenata lussuria operatrice d’incredibile crudeltà
-di madre contra figliuolo, contra la forma di nostro ordine giugneremo
-i tempi lontani. All’entrata d’agosto detto anno, nella città di
-Perugia, una donna di legnaggio non basso avendo avuto d’un onorevole
-popolano suo marito un figliuolo di buono aspetto, morto il padre, dopo
-certo tempo la donna giovane si rimaritò a un altro cittadino dabbene,
-il quale amava il figliastro quanto che figliuolo, sì per l’ubbidienza,
-sì per l’industria, sì per li buoni costumi vedea in lui, il quale era
-d’età di dieci anni. La madre per disordinata concupiscenza fu presa
-dell’amore d’un altro giovane perugino assai accorto e dabbene, e lui
-pensò d’avere per marito, e godersi con lui e sua dote, ch’era grande,
-e l’eredità del figliuolo, ch’era maggiore, e altro successore non
-avea che lei. E con l’adultero tenuto trattato diedono certo ordine
-alla morte del figliuolo, che lo dovea la notte strangolare, ed ella
-dovea avvelenare il marito; e dato l’ordine, la madre empia mandò il
-figliuolo a casa l’amico con certe cose, e gli comandò non si partisse
-da lui se non lo spacciasse; giunto il fanciullo al buono uomo, e
-datogli quello che gli mandava la madre, con molta purità con istanza
-gli domandava d’essere spacciato: vedendo l’uomo la semplicità del
-fanciullo, glie ne venne pietà e cordoglio, e gli disse: Vattene a tua
-madre, che tempo non è a quello ch’ella vuole. Vedendo la madre tornato
-il fanciullo si turbò forte, e lo domandò perchè non l’avea spacciato,
-e il fanciullo le fè la risposta. La sfacciata meretrice rimandò il
-figliuolo, e gli comandò, che non tornasse a lei, ma tanto stesse,
-ch’egli fosse spacciato di ciò che ragionato avea con lui.
-
-Il fanciullo ubbidiente alla madre tornò all’amico di lei, e con
-molte preghiere lo richiedea, che fare dovesse quello che la madre
-gli avea imposto; ed egli molto più intenerito, quasi lacrimando gli
-disse: Di’ a tua madre, che non istia a mia fidanza, ch’io nol voglio
-fare: e il figliuolo tornato alla crudelissima madre le disse quello
-che gli era stato detto. La bestiale scellerata ciò udito, in esso
-stante comandò al figliuolo ch’andasse nella cella, ed ella gli tenne
-dietro, dicendo: Quello che non ha voluto fare egli farò io; e con le
-diaboliche mani segò la gola al figliuolo, e quivi lo lasciò morto.
-Poco il marito tornò in casa, e domandò la madre del figliuolo: la
-donna presa l’astuzia del serpente con fronte audace gli rispose:
-Ben lo sai tu, va’ nella cella e vedrailo. Il marito ignorante e puro
-scese al luogo, e trovò il fanciullo morto, il perchè e’ venne meno, e
-forte sbaì, e perdè la favella: la moglie lo serrò dentro, e levato il
-pianto, traendo guai incominciò a gridare, e dire, che il traditore del
-marito le avea morto il figliuolo per godere la sua eredità; e tratta
-la vicinanza a romore, ella squarciandosi il viso e’ capelli mai non
-lasciò aprire l’uscio della cella infino che la famiglia della signoria
-non venne, la quale apersono l’uscio, e trovarono il malificio, e a
-furore ne menarono il marito, il quale tormentato confessò sè aver
-fatto il malificio, e la cagione per godere l’eredità del figliastro. E
-apparecchiandosi la signoria a farne aspra giustizia, all’amico della
-pessima donna venne compassione di tanto male, e del sangue innocente
-sparto e che spargere si dovea, e del fallo suo presa sicurtà da’
-signori manifestò la verità del fatto, e la donna venuta in giudicio,
-senza alcuno tormento confessò la sua iniquitade, e condannata alla
-tanaglia, e più a esserle levate le carni a pezzo con i rasoi, fece
-terribile esempio all’altre. Questo peccato tanto enorme forse meritava
-silenzio di penna, per l’orrore d’udire tra’ cristiani sì alto e sì
-sfacciato male, conchiudendolo con un verso di Giovenale poeta, che
-dice: Fortem animum praestant rebus quas turpiter audent, parlando
-delle femmine che da sè hanno scacciata la pudicizia e la vergogna, il
-quale in volgare suona: Forte animo prestano alle cose che sozzamente
-ardiscono di fare.
-
-
-CAP. XXXIV.
-
-_Delle compagnie ch’entrarono in Provenza per conturbare i paesani e la
-corte di Roma._
-
-Avvegnachè grave cosa fosse alla corte di Roma la presura che una
-compagnia avea fatto di Santo Spirito sul Rodano di sopra a Avignone
-otto leghe, nondimeno altre compagnie sommosse di Guascogna del reame
-di Francia del mese di gennaio, febbraio e marzo, fuggendo la pace,
-la carestia e la mortalità, in poco tempo l’una appresso l’altra
-vennono in Provenza; e l’una che si nomava la Compagnia bianca, venne
-appresso a Avignone a trenta miglia, e teneva mercato d’avere danari
-dal papa, e di levare quella di Santo Spirito, che per cagione ch’avea
-il Rodano di sopra in sua signoria gravava la corte, non lasciando
-uscire la vittuaglia di Borgogna; e appresso un’altra di Guascogna e
-di Spagna partita dalla guerra di quello di Focì e d’Armignacca, che
-lungamente aveano accolta gente per guerreggiare insieme. Per questa
-tempesta che conturbava i paesi d’intorno e il papa e i cardinali
-erano in grave travaglio, e la corte il dì e la notte sotto l’arme,
-e con molte gravezze di fortificare la città di muri, di fossi, e di
-steccati, e di cittadinesca guardia, e lo re di Francia non avea podere
-di liberare le sue terre dalle loro mani non che d’aiutare la Chiesa:
-e in queste tribolazioni stette Avignone come assediata lungamente, e
-non vi si potea entrare nè uscire con sicurtà, e l’arti, e’ mestieri,
-e le mercatanzie tutte v’erano perdute, e la carestia d’ogni bene vi
-montò in sommo grado. Il papa richiese Franceschi, Provenzali, Guasconi
-e Catalani che lo atassono dalle compagnie; catuno chiedeva danari
-per fare l’impresa, e la Chiesa non si fidava d’accogliervi più gente
-d’arme che v’avesse: e così in tribolazione grande stette lungamente,
-infino che per operazione del marchese di Monferrato col danaio della
-Chiesa, come al tempo innanzi diviseremo, vi si mise rimedio. Daremo
-ora sosta a queste compagnie e a’ fatti della corte, per ritornare
-all’altre novità che in questo tempo occorsono alla nostra città di
-Firenze.
-
-
-CAP. XXXV.
-
-_Come per comperare gli onori del comune alquanti che li venderono ne
-furono condannati_
-
-Rade volte occorse che i cittadini sieno condannati per baratteria,
-non perchè sovente non caggino in tale errore, ma per la negligenza
-de’ rettori, che passano il vizio a chiusi occhi: e perchè l’eccesso
-che scrivemo fu tanto palese a tutti i cittadini, il rettore a cui la
-cognizione s’appartenea di ciò non potè senza sua evidente vergogna
-passare non ne conoscesse. Dalla morte di Carlo duca di Calavria in
-qua, per ordinazione e costume di nostro comune osservata, e che è
-di tre anni in tre anni, del mese di gennaio e di febbraio si fa lo
-squittino solenne de’ cittadini degni dell’onore del comune, sì del
-priorato come de’ dodici, e gonfalonieri ed altri ufici. Avvenne nel
-1360, che certi de’ collegi per danari trassono a essere del numero
-degli squittinatori certi pochi degni per loro antichità o virtù, il
-perchè finito lo squittino, e scoperta la cattività, tali de’ collegi
-trovarono colpevoli dall’esecutore degli ordinamenti della giustizia
-furono condannati per baratteria, chi in libbre duemila, e chi in
-mille, e pur tale pena puose freno al disonesto peccato.
-
-
-CAP. XXXVI.
-
-_Come i fatti di Francia verso il primo tempo procedeano._
-
-Tornato il re di Francia, trovò il reame assai rotto e mal disposto, e
-poco era ubbidito, e da sè nullo vigore avea di potere riducere le cose
-al consueto e primo loro corso, e gastigare non potea chi fallasse,
-e per questo gli uomini d’arme s’accostarono insieme a contristare le
-provincie del reame: e intra l’altre tribolazioni, nel pieno del verno,
-la contessa la quale fu moglie del sire di Ricorti, a cui lo re di
-Francia avea fatto tagliare la testa quando tornò per ricomperarsi dal
-re d’Inghilterra, ch’era suo prigione, preso cuore e animo virile fece
-raccolta di Spagnuoli, di Guasconi, e di Normandi, e dicea di volere
-dal re ammenda; e certo assai di male e dammaggio avrebbono fatto al
-reame, se la fame che strignea il paese non l’avesse vietato: questa
-poi con grossa compagnia trascorse in Proenza, la quale compagnia poi
-passò in Lombardia. Il conte d’Armignacca e quello di Focì manteneano
-guerra in Tolosana e nelle loro terre, l’uno contro all’altro, il
-perchè troppo ne conturbavano il reame; il re reprimere non potea i
-falli de’ suoi baroni, nè porre ordine in suo reame.
-
-
-CAP. XXXVII.
-
-_Come fu guasta la bastita che ’l cardinale di Spagna facea fare in sul
-canale della Pegola._
-
-Nell’entrata di marzo del detto anno, il legato per tenere sicuro il
-cammino e ’l canale dalla Pegola a Bologna facea fare con grande studio
-una bastita in sul canale, ed era quasi che compiuta. I cavalieri di
-messer Bernabò ch’erano in Lugo, intorno di ottocento barbute, una
-notte si mossono, e vennono alla bastita, e sì improvviso a coloro
-che la guardavano che vi entrarono dentro, e mortine assai il resto
-presono, e rubato quella parte stimarono di portarne il resto arsono
-con la bastita, e senza contasto alcuno della preda, e’ prigioni ne
-menarono a Lugo. Della qual cosa a’ Bolognesi parve rimanere in male
-stato, per tema che quel cammino non fosse loro tolto, e per tal tema
-costretti rimisono mano a rifare la detta bastita, e a custodirla
-con più cauta e sollecita guardia, e poco appresso l’ebbono fatta e
-afforzata per modo non ne temeano. Lasceremo alquanto le tempeste de’
-cristiani, per dar luogo un poco a quelle degl’infedeli che apparirono
-in questi tempi.
-
-
-CAP. XXXVIII.
-
-_Della grande pestilenza che percosse i saracini._
-
-In questo anno pestilenza di febbri fu in Damasco e al Cairo tanto
-fuori di modo, che senza niuno riparo quasi generalmente ogni gente
-uccidea; il perchè si credette, che le provincie di là rimanessono
-disolate e senza abitatore, e se guari tempo fosse durata avvenia.
-I morti furono tanti, che stimare numero certo o vicino non si potè.
-La cagione onde mosse, a Dio solo, o cui lo rivela, è manifesta. La
-naturale necessità, la quale surge dall’influenza de’ cieli e delle
-stelle, dà luogo alla necessità soluta, che procede dalla sua volontà.
-
-
-CAP. XXXIX.
-
-_Come fu morto il soldano di Babilonia, e rifattone un altro, il quale
-uccise molti de’ suoi baroni._
-
-Avvenne innanzi poco a questa mortalità, ch’essendo il soldano di
-Babilonia uscito a campo contro a quelli che rubellati gli s’erano, i
-baroni che con lui erano, qual cosa si fosse la cagione, s’intesono
-insieme alla morte sua, ed egli non prendendosi guardia di loro nel
-campo l’uccisono, e tornarsene al Cairo, e quivi un suo fratello
-feciono soldano; il quale presa la signoria, e confermato nel regno,
-non seguendo la volontà de’ suoi ammiragli, sentì che contro a lui
-s’erano congiurati per farlo morire, onde esso si provvedea di buona
-guardia, e niente mostrava di sentire contro a loro, ma l’un dì trovava
-cagione contra l’uno, e facealo morire, e l’altro dì contra l’altro
-facea il simile, e per questa via in pochi mesi la maggior parte fece
-morire, e nella fine la volta toccò a lui, e morto fu per le mani de’
-suoi ammiragli del mese di febbraio detto anno, e feciono soldano un
-suo fratello piccolo, e rimaso di dodici l’ultimo, perchè non si potea
-traslatare il regno in altri senza gran confusione di tutti i sudditi
-suoi.
-
-
-CAP. XL.
-
-_Come un signore de’ Turchi trattò di fare uccidere l’imperadore di
-Costantinopoli._
-
-Lo signore di Boccadave possente tra i Turchi, ed ai Greci vicino,
-avendo molte volte tentato con palese guerra di vincere Costantinopoli,
-e non ne possendo avere suo intendimento, cercò con doni larghi e
-con impromesse grandi fatte a certi Greci costantinopoletani, i quali
-erano della setta di Mega Domestico cacciati dall’imperadore, a modo
-tirannesco di farlo uccidere, pensando che morto lui per la inimicizia
-ch’avea nella provincia, e per molte terre ch’avea acquistate sopra
-l’imperio, d’essere del tutto signore; ma come piacque a Dio si
-scoperse il trattato, e quale de’ traditori fuggì, e quale rimase o
-preso o morto, ma non di manco la città ne rimase in mala disposizione.
-Il Turco nondimeno tenendo Gallipoli e altre terre vicine, con suoi
-legni in mare e con i suoi Turchi per terra tribolava e consumava
-il paese, senza trovarsi per i Greci alcun riparo fuori che delle
-mura. E in questi medesimi giorni il signore d’Altoluogo in Turchia
-si guerreggiava con un suo zio, e l’altro signore della Palata si
-guerreggiava col fratello; e portante guerre e divisioni de’ Turchi i
-paesi loro erano rotti e in grande tribolazione, e per questa cagione i
-Greci aveano minore persecuzione da loro; e più ciò fu materia al re di
-Cipro di fare l’impresa sopra loro con onore e vittoria grande, come a
-suo tempo racconteremo.
-
-
-CAP. XLI.
-
-_Come il legato si partì di Bologna per andare al re d’Ungheria._
-
-Tornando alle italiane fortune, il legato di Spagna, uomo savissimo
-e pratico delle mondane volture, vedendosi per allora e a tempo senza
-potenza da resistere a messer Bernabò, e povero di danari, e veggendo
-la poca gente d’arme ch’avea alla difesa, conoscendo che il tiranno
-suo avversario era di sue entrate abbondante, e di quello che gravava
-i sudditi suoi, il perchè non si curava di mantenere la guerra, e per
-continovare la guerra gli parea essere certo di vincere Bologna, e
-perciò mantenea a Castelfranco e a Priemilcuore, a Pimaccio, e a Lugo
-tanta gente a cavallo e a piè, che con le loro cavalcate teneano sì
-assediata Bologna di verso la Lombardia e la Romagna, che poca roba vi
-potea dentro entrare, e di verso l’Alpe facea agli Ubaldini rompere le
-strade, perchè al legato ne parea essere a mal partito, e a’ cittadini
-a peggiore: e vedendo ch’a petizione di santa Chiesa niuno tiranno,
-comune o signore italiano si volea scoprire ad atare Bologna contro a
-messer Bernabò, avendo la Chiesa lungamente trattato col re d’Ungheria,
-il quale s’affermava che farebbe l’impresa con la persona, al primo
-tempo parve al legato d’uscire di Bologna sotto scusa d’andare a lui,
-e nel vero e’ non si fidava potervi stare con suo onore, nè senza grave
-pericolo. E però contro la volontà de’ cittadini prese d’andare al re,
-promettendo di tornarvi del mese di maggio prossimo, e a dì 17 di marzo
-se ne partì facendo la via d’Ancona, e là soggiornato alquanto mandò
-al re d’Ungheria, come seguendo nostro trattato diviseremo. In Bologna
-lasciò messer Malatesta e messer Galeotto suo figliuolo capitani de’
-soldati e de’ cittadini alla guardia.
-
-
-CAP. XLII.
-
-_Della ribellione fatta per messer Giovanni di messer Riccardo Manfredi
-al legato._
-
-Isidoro nelle sue etimologie afferma, che per la differenza e natura
-varia de’ climati i Greci per natura sono lievi, i Romani gravi, gli
-Affricani astuti e maliziosi, e gl’Italiani feroci e d’agro consiglio.
-Questo vedemo nella piccola provincia di Toscana, dove sono i Sanesi
-reputati lievi per natura, i Pisani astuti e maliziosi, i Perugini
-feroci e d’agro consiglio, i Fiorentini gravi, tardi, e concitati,
-e così per natura i Romagnuoli hanno corta la fede: e pertanto per
-antico proverbio si dice, che il Romagnuolo porta la fede in grembo:
-e però non è da maravigliare quando i tiranni di Romagna mancano di
-fede, conciosiachè sieno tiranni e Romagnuoli: i tiranni per paura
-di loro stato, e cupidi ancora di più signoria, usano e fanno arte di
-tradimenti. Messer Giovanni figliuolo naturale di messer Manfredi di
-Faenza avendo pace col legato, vide suo vantaggio per le promesse di
-messer Bernabò, e rubellossi alla Chiesa, e cominciò a fare guerra
-e da Bagnacavallo, e da Salervolo, e da altre sue tenute a Faenza e
-ad altre terre della Chiesa di Romagna, e avuta cavalieri da messer
-Bernabò ch’erano a Lugo, cavalcò a Porto Cesenatico, dove trovò molta
-mercatanzia, le case arse e ’l porto, e la mercatanzia e grossa e
-sottile e’ prigioni ne menarono in preda, e in quel porto peggiorò
-i cittadini di Firenze oltre a dodicimila fiorini d’oro di loro
-mercatanzie, e senza impedimento alcuno si tornò a Bagnacavallo. Per
-questa rebellione i suoi palagi di Faenza furono disfatti.
-
-
-CAP. XLIII.
-
-_Come il marchese di Monferrato trasse delle compagnie da Avignone per
-conducere in Piemonte._
-
-Essendo lungamente la Provenza di là dal Rodano, e ’l Venisì, e la
-Provenza di qua dal Rodano, e la corte di Roma stata in grandissime
-persecuzioni delle compagnie addietro narrate, e tenuto il papa con
-loro per le mani di più baroni trattati di trarli del paese senza avere
-effetto, in fine il valente marchese di Monferrato, per la guerra
-ch’avea co’ signori di Milano, essendo molto amato dai buoni uomini
-d’arme, e favoreggiato co’ danari della Chiesa, in prima s’accordò con
-la compagnia ch’era a’ Mongiulieri, Inghilesi, Guasconi e Normandi,
-con la donna del siri di Ricorti: ed avendo fatto questo accordo del
-mese di marzo, non tennono il patto, ma sotto la sicurtà del trattato
-passarono il Rodano, e mutarono pastura; e un’altra maggiore compagnia
-valicò nel Venisì, e consumando il paese infino al maggio. Cominciata
-la fame e la mortalità in quelle provincie, la compagnia di Santo
-Spirito, avuto dal papa trentamila fiorini con patto di seguire il
-marchese lasciata la terra, e l’altra che ’l marchese con danari
-della Chiesa avea prima patteggiata s’accozzarono a volere passare
-in Piemonte, e non meno per fuggire la pestilenza e ’l paese, che per
-servire la Chiesa e il marchese, con tutto che più di centomila fiorini
-costasse al papa la spesa di levarlisi d’intorno. E spandendosi di
-ciò la boce per la Provenza, una gran parte se n’avviò a Marsilia,
-e credendosi entrare nella terra e non potendo, e non avendo da’
-Marsiliesi il mercato, arsono i borghi della città, e feciono assai
-danno nel paese, e poi s’addirizzarono verso Nizza, e a parte a parte
-valicarono seguendo il marchese nel Piemonte, non senza grave danno de’
-Provenzali. E nondimeno essendo di Provenza partiti da seimila cavalli,
-ne rimasono due altre compagnie, una di quà una di là dal Rodano,
-lungamente a vivere di preda e di rapina sopra i paesani, e teneano la
-corte in paura e in travaglio. Lasceremo delle compagnie, e torneremo
-ad altre più degne cose di nostra memoria.
-
-
-CAP. XLIV.
-
-_Della morte del duca di Lancastro cugino del re d’Inghilterra._
-
-Egli è strano al nostro trattato fare memoria della naturale morte
-d’uomo, ma considerando l’altezza della superbia umana con la fragilità
-di quella recata alla mente degli uomini, non può passare senza alcuno
-frutto. Il conte d’Aui duca di Lancastro, cugino carnale del valente
-re Adoardo d’Inghilterra, avendo lungo tempo fatte grandi e notevoli
-cose d’arme, essendo sopra i Franceschi stato venticinque anni grave
-flagello, e riposata la guerra in pace con grande sua fama e onore, a
-dì 22 del mese di marzo gli anni Domini 1360 lasciò l’arroganze delle
-guerre, e le fallaci fatiche del mondo con la sua morte, lasciando
-senza ereda maschio due figliuole femmine ne’ suoi baronaggi.
-
-
-CAP. XLV.
-
-_Come riuscì l’impresa del re d’Ungheria, dove la speranza del legato
-di Spagna si riposava._
-
-La Chiesa avea richiesto il re d’Ungheria al soccorso di Bologna,
-ed il re avea dato speranza alla Chiesa di fare l’impresa con la sua
-persona, e mandati però suoi ambasciadori a corte per fermare i patti,
-de’ quali per diversi modi si sparse la fama in Italia, in prima che
-dovea avere titolo dalla Chiesa e dall’imperio, e danari assai dal
-papa, che le terre ch’acquistasse fossono sue: l’altra boce era, che
-’l papa il dovesse assolvere del saramento si dicea ch’avea fatto di
-fare il passaggio d’oltremare, e che dovea dispensare che la moglie, la
-quale apparve per infino a qui sterile, si rinchiudesse in un munistero
-di sua volontà, ch’egli potesse avere anche un’altra moglie, acciocchè
-’l reame non rimanesse senza successione di sua generazione, e che di
-questo il legato avea dal papa piena legazione: verisimile e non senza
-grande cagione il legato andò a lui in Sagravia del mese di maggio del
-detto anno. Il re in quei giorni avea fatto bandire generale oste per
-tutto suo reame, per titolo di porre confini al suo regno, per lo quale
-tutti i baroni e popoli lo debbono servire, e credettesi che ciò fosse
-per intendere al servigio della Chiesa; ma come che la cosa s’andasse
-gli ambasciadori di messer Bernabò erano a lui, e ricevuti avea doni
-da parte di messer Bernabò. E però, o perchè non avesse dalla Chiesa
-quello che volesse, o avesse promesso al tiranno di non venire contro a
-lui, la vista fu ch’egli intendea d’andare con la sua gente per l’oste
-già bandita in altra parte; e quello che rispondesse al legato non si
-potè per parole comprendere, ma l’effetto si dimostrò per opere, che
-senza alcuno aiuto il legato del detto mese di maggio si ritornò ad
-Ancona, perduta la speranza del soccorso di Bologna, in grave pericolo
-di quella città, cresciuta la baldanza e l’oste dei suoi avversari.
-
-
-CAP. XLVI.
-
-_Della pestilenza dell’anguinaia ricominciata in diversi paesi del
-mondo, e di sua operazione._
-
-In Inghilterra d’aprile e di maggio si cominciò, e seguitò di giugno e
-più innanzi, la pestilenza dell’anguinaia usata, e fuvvi tale e tanta,
-che nella città di Londra il dì di san Giovanni e il seguente morirono
-più di milledugento cristiani, e in prima e poi per tutta l’isola.
-Gran fracasso fece per simile nel reame di Francia; nella Provenza
-trafisse ogni maniera di gente. Avignone corruppe in forma che non vi
-campava persona: morironvi nove cardinali, e più di settanta prelati
-e gran cherici, e popolo innumerabile. E di maggio e giugno si stese e
-percosse la Lombardia, e prima Como e Pavia, con tanta roina, che quasi
-le recò in desolazione. In Milano mise il capo, dove altra volta non
-era stata, e tirò a terra il popolo quasi affatto, con grande orrore e
-spavento di chi rimanea. Vinegia toccò in più riprese, e tolsele oltre
-a ventimila viventi. La Romagna oppressò forte e assai quasi per tutte
-sue terre, ma più l’una che l’altra, e nell’entrata del verno cominciò
-a restare in Lombardia, e a gravare la Marca, e la città d’Agobbio
-forte premette. L’isola della Maiolica perdè oltre alle tre parti
-degli abitanti. Nè lasciò l’Alpi degli Ubaldini senza macolo per molti
-de’ luoghi suoi. E molti paesi del mondo in uno tempo erano di questa
-pestilenza corrotti, nè già quelli a cui parea che Dio perdonasse
-non ritornavano a lui per contrizione, partendosi dalle iniquitadi
-e dalle prave operazioni ostinate, e come le bestie del macello,
-veggendo l’altre nelle mani del beccaio col coltello svenare, saltavano
-liete nella pastura, quasi come a loro non dovesse toccare, ma più
-dimenticando gli uomini il giudicio divino si davano sfacciatamente
-alle rapine, alle guerre, e al mantenere compagnie contra ogni uomo,
-alle ingiurie de’ prossimi, e alla dissoluta vita, e a’ mali guadagni
-assai più che negli altri tempi, corrompendo la speranza della
-misericordia di Dio per lo male ingegno delle perverse menti; e ciò per
-manifesta sperienza si vide in tutte le parti del mondo dove la detta
-pestilenza mostrò il giudicio di Dio.
-
-
-CAP. XLVII.
-
-_Come per la fama delle compagnie che scendevano in Piemonte i signori
-di Milano si provvidono alla difesa._
-
-Messer Galeazzo Visconti sentendo che il marchese di Monferrato venia
-in Piemonte con le compagnie tratte di Provenza del mese d’aprile
-del detto anno, e sapendo ch’ell’erano per poco tempo provvedute di
-soldi, e che già la mortalità era tra loro, e cominciata nel Piemonte,
-provvide di gente d’arme tutte le sue terre e le loro frontiere per
-fare buona guardia, e sostenere l’impeto de’ nemici, senza mettersi
-a partito di battaglia; e però messer Bernabò ritrasse della gente
-ch’avea a Lugo e a Castelfranco sopra Bologna la maggiore parte per
-dare favore al fratello, pensando straccare quella gente, come in parte
-venne loro fatto, con piccolo danno di loro distretto, come appresso si
-potrà nel suo tempo vedere. Nondimeno tra per lo riparo del Piemonte,
-e del fare la guerra a Bologna, continovo si fornivano di gente d’arme,
-non curandosi della grande spesa, perocchè bene la poteano comportare a
-quella stagione.
-
-
-CAP. XLVIII.
-
-_Come messer Bernabò venne sopra Bologna, e assediò e prese Pimaccio._
-
-All’uscita del mese d’aprile del detto anno, messer Bernabò accolse
-gente, li più cittadini di sue terre, e con duemila cavalieri in
-persona venne da Milano a Castelfranco dov’era il forte di sua gente,
-e di nuovo fece combattere il castello di Pimaccio per due riprese,
-e appresso il fece assediare intorno, e a dì 9 di maggio per patto
-ebbe la terra, e la rocca si tenne. Di là poi si partì lasciando
-fornita la terra, e la rocca assediata, e con la gente sua cavalcò a
-Panicale presso di Bologna facendo danno assai; e del detto mese di
-maggio ebbe la rocca di Pimaccio, e andossene a Lugo, e l’accomandò
-a messer Francesco degli Ordelaffi, e diegli gente d’arme, con che
-egli guerreggiasse Bologna da quella parte e la Romagna; e fornite
-l’altre terre, e confortati gli amici suoi a fare guerra, e lasciato
-il marchese Francesco al ponte del Reno a campo, con milledugento
-cavalieri si tornò a Milano, e la sua gente ebbe fatta forte e ben
-guernita di tutto all’entrata di giugno la bastita dal ponte del Reno.
-
-
-CAP. XLIX.
-
-_Come il legato procurava aiuto contro messer Bernabò._
-
-Il legato del papa, tornato senza niuna speranza d’aiuto dal re
-d’Ungheria, pur tanto s’aoperò, che ’l detto re scrisse e fece
-comandamento agli Ungheri ch’erano al servigio di messer Bernabò, che
-se ne partissono, e assai furono quelli che l’ubbidirono. Anche tanto
-operò con l’imperadore, che egli mandò comandando a messer Bernabò
-che si dovesse rimanere di fare guerra contro la Chiesa a Bologna,
-e quegli che fè il detto comandamento fu messer Giovanni da.... ed
-assegnogli termine infra i venti dì seguenti, com’era determinato per
-l’imperadore, e se questo non facesse fra il termine gli significò,
-com’egli il privava d’ogni onore, e dignità e privilegio che avesse
-dall’imperio; ma per tutto questo messer Bernabò non si rimanea
-dell’impresa, ma a suo potere continuo fortificava la guerra, dicendo:
-Io voglio Bologna mi. E questo fu del mese di maggio a’ 12 dì del detto
-anno. E in questo medesimo tempo per apostolica sentenza messer Bernabò
-fu condannato per eretico e contumace a santa Chiesa, e per tutta
-Italia in dì solenni fu da’ prelati scomunicato in presenza de’ popoli,
-ma di questo poco si curò, sollecitando per ogni modo pure di volere
-Bologna.
-
-
-CAP. L.
-
-_Come la compagnia d’Anichino di Bongardo ch’era nel Regno si
-rassottigliò e venne al niente._
-
-Del mese d’aprile erano nella compagnia d’Anichino di Bongardo in
-Puglia gli Ungari tanto moltiplicati, che passavano il numero di
-tremila. Il re loro avendo di questo sentore loro mandò comandando, che
-non fossono contro i suoi consorti, per la qual cosa s’accordarono col
-re Luigi una gran parte, e partironsi dalla compagnia de’ Tedeschi, e
-promisono di dare vinta o cacciata la compagnia del Regno per trentasei
-migliaia di fiorini d’oro, de’ quali si convennono col re: e seguitando
-il gran siniscalco ridussono Anichino co’ suoi Tedeschi in Basilicata,
-e ridussonli in Atella terra tolta per loro al duca di Durazzo, e ivi
-li assediarono, stando d’intorno alle frontiere; e durando il giuoco
-lungamente, molti se ne tornarono nella Marca e nella Romagna, e
-gli altri rimasono al servigio del re, e senza cacciare o vincere la
-compagnia catuno consumava i paesani.
-
-
-CAP. LI.
-
-_Come i Sanesi ebbono Santafiore._
-
-In questi dì, del mese di maggio del detto anno, i Sanesi avendo molto
-assottigliati e annullati i conti di Santafiore, in fine di questo mese
-medesimo ebbono Santafiore a patti.
-
-
-CAP. LII.
-
-_Come i Fiorentini comperarono il castello di Cerbaia._
-
-Il comune di Firenze avea dato bando a Niccolò d’Aghinolfo de’ conti
-Alberti conte di Cerbaia perchè avea morto un popolare di Firenze;
-e vedendo che la Cerbaia era una chiave forte alla guardia del suo
-contado da quella parte, gli venne voglia d’avere quel castello, e
-fece trattato di comperarlo; il conte per uscire di bando, ed essere
-cittadino popolano di Firenze, e considerando che a tenere quella
-fortezza gli era non meno di spesa che d’entrata, e sempre ne vivea in
-gelosia, ne domandò per prezzo fiorini settemila d’oro, e ’l comune si
-fermò a sei, e ’l conte non vi si volle arrecare, e però si mise alla
-difesa, ed il comune, come contro a suo sbandito, a dì 21 di maggio
-vi pose l’assedio. Il conte vedendosi ribellato il fratello carnale,
-e collegato co’ Fiorentini e fattosi loro accomandato, vedendosi
-mal parato, l’ultimo dì di maggio diede il castello liberamente
-a’ Fiorentini, e rimisesi alla misericordia del comune: il comune
-lo ribandì, e fecelo suo popolare, e per via di diritta compera
-solennemente fattone le carte per ser Piero di ser Grifo notaio delle
-riformagioni, glie ne diè contanti fiorini seimiladugento d’oro, e fu
-descritto il castello di Cerbaia in possessione e contado del comune
-di Firenze, e tutti i fedeli dalla fedeltà furono liberati, e fatti
-contadini di Firenze.
-
-
-CAP. LIII.
-
-_Come il capitano già di Forlì, e messer Giovanni Manfredi si puosono
-tra Imola e Faenza._
-
-Come messer Francesco Ordelaffi fu fatto capitano di messer Bernabò,
-e messer Giovanni di messer Ricciardo Manfredi collegato con lui
-s’intesono insieme, e puosonsi a campo tra Imola e Faenza per attendere
-l’avvenimento di quello ch’aveano trattato con uno più stretto e
-confidente famiglio ch’avesse messer Ramberto signore d’Imola, il quale
-per grandi promesse ricevute avea promesso d’uccidere il suo signore,
-ma come a Dio piacque il trattato si scoperse, e il famiglio fu preso,
-e negli occhi de’ nemici impiccato a’ merli delle mura della città; e
-incontanente l’oste ch’attendea l’omicidio si partì e tornò a Lugo:
-e poco appresso del detto mese di maggio cavalcarono sopra Forlì, e
-guastarono e predarono intorno e nel paese quello che poterono senza
-trovare contasto.
-
-
-CAP. LIV.
-
-_D’un gran fuoco che s’apprese nella città di Bruggia._
-
-In questo mese di maggio del detto anno, nella città di Bruggia in
-Fiandra s’apprese il fuoco in alcuna casa, il quale cominciò ad ardere
-quelle ch’erano vicine, e a forte a montare con l’aiuto del vento, e
-delle case di legname ch’erano atte e disposte a riceverlo, e avvalorò
-per sì fatto modo, che niuno rimedio mettere vi si potea per operazione
-o ingegno d’uomini, che nella città non consumasse oltre a quattromila
-case, con grandissimo danno de’ cittadini: e in questi giorni medesimi
-il fuoco gran danno fece nella villa di Ganto e di Melina in Brabante.
-
-
-CAP. LV.
-
-_Delle compagnie d’oltramonti._
-
-Appare che la penna non si possa passare senza fare memoria delle
-compagnie, che maravigliosa cosa è il vederne e udirne tante creare
-l’una appresso dell’altra in flagello de’ cristiani, poco osservatori
-di loro legge o fede. La moglie che fu del siri di Ricorti accolse
-da millecinquecento cavalieri di diverse lingue per volere fare
-guerra in suo paese, poi fu tirata dalla compagnia, e in persona
-con la sua gente venne in servigio della Chiesa e del marchese di
-Monferrato in Piemonte, e quivi lasciò con gli altri la sua compagnia
-a guerreggiare. E appresso a questa scese in Provenza un’altra gran
-compagnia d’Inghilesi, Guasconi e Normandi, e un’altra se n’adunò in
-questi tempi medesimi presso Avignone di Spagnuoli, Navarresi e altra
-gente, e questa venne sopra la città d’Arli, e corse voce che venia
-a petizione del Delfino, che si dicea che volea essere re d’Arli, ma
-non fu vero, per loro procaccio venne la compagnia, e una seguiva il
-Petetto Meschino Alvernazzo, che poi crebbe, e fece grave danno al re
-di Francia. Il paese di Provenza di là da Rodano e di qua, e ’l Venisì
-e la corte di Roma ne stava in continova tribolazione.
-
-
-CAP. LVI.
-
-_Come Francesco Ordelaffi si levò da Forlì, e andonne a oste a Rimini._
-
-Essendo Francesco Ordelaffi stato d’intorno a Forlì, e fatto il guasto
-come a lui piacque, del mese di giugno del detto anno si levò da Forlì,
-e con duemila barbute e cinquecento Ungari si puose presso alle porti
-di Rimini, e fermò il campo a Santa Giustina, ardendo e guastando le
-ville d’intorno, e facendo gran preda, e poi si rivolse dall’altra
-parte e valicò il fiume, e cavalcò infino agli antiporti di Rimini,
-e tutto menò a fiamma il paese, facendo oltraggio e onta a’ Malatesti
-volontariamente, senza trovare chi gli facesse resistenza alcuna.
-
-
-CAP. LVII.
-
-_Come i Fiorentini manteneano Bologna per la strada dell’Alpe._
-
-I Fiorentini erano stati molto sollecitati dal legato, poichè perdè la
-speranza del re d’Ungheria, che prendessono la difesa di Bologna, e
-non pure il legato, ma i signori di Lombardia, e i guelfi di Romagna
-e della Marca continovamente per loro segreti ambasciadori glie ne
-sollecitavano, mostrando che Bologna non potea più durare, che convenia
-che venisse alle mani di messer Bernabò, perocchè ’l suo contado era
-tutto consumato, e in podere de’ nemici infino alle porte d’ogni lato.
-E mostravano, come che venuta ella fosse a messer Bernabò, che Firenze
-sarebbe in pericolo, e male da potersi difendere da lui, allegando
-il verso di Orazio, il quale dice: Nam tua res agitur, paries cum
-proximus ardet: in volgare suona: Quando il pariete prossimo a te
-arde il fatto tuo si fa: soggiugnendo, che la pace e la guerra stanno
-nella volontà del potente tiranno, che ben sa a tempo con trovare le
-cagioni; per la qual cosa molte volte ne fu grande controversia intra
-i nostri cittadini ne’ segreti consigli, ma al tutto si sostenne che
-si mantenesse la pace promessa fedelmente, non ostante il pericolo che
-se ne stimava, e ancora l’autorità di santa Chiesa, che d’ogni cosa
-liberava con giustizia il nostro comune. È vero che per i discreti
-cittadini si stimava, che fatta l’impresa tutto il carico sarebbe
-lasciato a’ Fiorentini, e non potendola i Fiorentini liberare, cadevano
-in maggiore pericolo, consumato l’avere alla loro difesa: non dimeno
-per savio e diritto consiglio, non facendo contro a’ capitoli e ordine
-della pace, il comune intese con sollecitudine a sostenere la vita
-a’ cittadini di Bologna aprendo la strada dell’Alpe, e levando ogni
-divieto, per la qual cosa tanto grano, biada, olio e carne andavano
-di continovo in Bologna, ch’ella se ne reggea, e mantenea assai
-convenevolemente senza grande carestia. E gli Ubaldini non aveano
-ardire d’impedire i Fiorentini, e i Bolognesi per loro distretto
-facevano campo a Caburaccio; e per questo modo avendo Bologna perdute
-tutte le strade e canali, per questa strada si nutricò lungamente.
-E tanto era l’abbondanza a quel tempo ch’avea il contado di Firenze
-che poco rincarò ogni cosa, e se questo spaccio non fosse occorso, a
-niente sarebbe stato il grano e ’l biado e l’olio in quell’anno. Se
-non fossono nati quattro leoni, due maschi e due femmine, il dì di san
-Barnaba, passato mi sarei del non iscriverlo.
-
-
-CAP. LVIII.
-
-_Come l’oste di messer Bernabò volle rompere la strada da Firenze, e
-ricevette danno._
-
-Messer Giovanni da Bileggio, valoroso e savio cavaliere milanese, e
-molto amato da messer Bernabò, era in quel tempo capitano generale
-della gente del Biscione sopra Bologna e di quella di Romagna, il quale
-avendo alla città tolte tutte le strade, e vedendo che rimaso non gli
-era altro sostegno che la strada dell’Alpe che venia a Firenze, si
-pensò di romperla, e ordinò una cavalcata a Pianoro. Il capitano di
-Bologna, che era Malatesta Ungaro, sentì il fatto, e mise la notte
-gente fuori, i quali si misono in aguato, e venendo i nemici uscirono
-loro addosso, ed ebbono vittoria di quella gente, ch’erano dugento
-barbute, che pochi ne camparono che non fossono o morti o presi, per la
-qual cosa il capitano dell’oste prese sdegno, e ordinò di strignersi
-più alla terra, e di fare correre fino alle porte d’ogni parte, e
-a mezzo il mese di giugno lasciate fornite l’altre bastite si mise
-innanzi con l’oste, e puosesi al Ponte maiore in sulla strada tra
-Bologna e Imola, e ivi fermò il campo presso alla città un miglio.
-
-
-CAP. LIX.
-
-_Come fu sconfitto l’oste di messer Bernabò al Ponte a san Ruffello._
-
-Vedendo il capitano messer Giovanni da Bileggio avere recata la città
-di Bologna a grandi stremi, che rimasa non l’era via d’aiuto altro
-che la strada da Firenze, avendo animo di trarre quella guerra al suo
-desiderato fine, sentendo che nella città non avea oltre a trecento
-uomini d’arme a cavallo, e che ’l capitano che fu di Forlì era sopra
-d’Arimini, e correa senza contasto con millecinquecento cavalieri
-tutto il paese, pensò di porre una grossa e forte bastita al Ponte a
-San Ruffello presso a Bologna in sulla strada da Pianoro, acciocchè
-al tutto si levasse alla città ogni soccorso, e questo mise in opera,
-e mossesi con tutta la sua oste, ch’erano più di millecinquecento
-cavalieri, e duemila masnadieri, e molti altri fedeli degli Ubaldini,
-e con lui nel vero era tutto il fiore della gente di messer Bernabò,
-avendo mandati trecento altri cavalieri per scorta alla vittuaglia
-che venia di verso Ferrara, con grande apparecchio di vittuaglia e
-d’altro arnese, e a dì 16 di luglio del detto anno si misono per lo
-fiume della Savena, e senza trovare contasto furono al Ponte a san
-Ruffello, e quivi fermarono il campo per edificare la bastita, e con
-grande sollecitudine attendeano a fare i fossi, e conducere il legname
-d’ogni parte. In questo stante, come fu volontà di Dio, messer Galeotto
-de’ Malatesti da Rimini, cavaliere di grande ardire e maestro di
-guerra, avea ricolti in Faenza cinquecento barbute e trecento Ungari
-per danneggiare la gente di messer Francesco degli Ordelaffi, ch’era
-sopra Arimini, come detto è, il quale sentendo l’oste da Bologna messa
-in mal passo, di presente cavalcò a Imola, e da Imola la sera a dì 19
-di luglio improvviso a’ nemici cavalcò per modo, ch’alle cinque ore
-di notte fu a Bologna, non sapendo i Bolognesi alcuna cosa. Messer
-Malatesta Unghero suo nipote capitano in Bologna il ricevette la notte
-sì contamente, che i nemici non lo sentirono, nè eziandio i Bolognesi
-che erano a dormire, pensando fossono gente di guardia, e in quel resto
-della notte agiarono le persone e’ cavalli come poterono il meglio:
-la mattina per tempo serrate le porte della città fece assentire a’
-cittadini, come volea assalire i nemici, i quali inanimati e confortati
-dalla grazia la quale Dio mandava loro, tutti di volontà, con piena
-speranza di vittoria presono l’arme, e gran parte i falcioni in mano,
-e dato il segno d’uscire fuori al suono della campana della giustizia,
-la domenica mattina a dì 20 di luglio, ordinate le battaglie, e dato
-il nome, messer Galeotto col potestà di Bologna, ch’era pro’ e valente
-cavaliere, e messer Malatesta Ungaro con settecento barbute, e con
-trecento Ungari, e con quattromila Bolognesi i più bene armati, feciono
-aprire le porti, e uscirono della terra, e non tennono per la diritta
-strada, anzi si misono maestrevolmente per lo piano del fiume della
-Savena onde erano entrati i nemici, acciocchè quindi non potessono
-tornare, e alcuna parte del popolo misono per le ripe a traverso sopra
-dove erano i nemici. Il cammino fu corto, sicchè si veddono prima
-quelli del campo la gente addosso da due parti, che sapessono che gente
-d’arme fosse venuta in Bologna, nondimeno come uomini esperti in arme
-e di gran cuore, benché ’l subito caso gli smarrisse, presono ardire
-e feciono testa, ordinandosi alla battaglia in fretta come poterono
-il meglio, e di presente misono gente in su un colle sopra il ponte
-per riparare a quelli che scendevano per la valle; ma vedendo venire
-quelli della città baldanzosi e con gran cuore, abbandonarono il colle,
-e tornarsi all’altra oste. Messer Galeotto e i suoi gli assalirono
-molto arditamente innanzi alla venuta del popolo co’ falcioni, e i
-nemici francamente gli ricevettono, combattendo con loro aspramente;
-ma sopraggiugnendo il popolo, e cominciandosi a mescolare tra’ nemici
-con loro falcioni, dopo lunga difesa gl’invilirono e ruppono, e molti
-n’uccisono, e perchè erano in parte da non potere fuggire, quasi
-tutti s’arrenderono a prigioni, che pochi ne camparono. Il podestà
-di Bologna fu fedito a morte in quella battaglia, e poco appresso
-morì in Bologna. Trovarsi morti in picciolo spazio di campo dove
-porre si dovea la bastita quattrocentocinquantasei uomini, i quali
-tutti furono sotterrati nel fosso che fatto aveano, e per l’altro
-campo qua e là più d’altrettanti; in tutto numerati furono i morti
-novecentosettanta, e quattrocento cavalli. I presi furono oltre a
-milletrecento: a’ forestieri tolte furono l’armi e’ cavalli e lasciati
-alla fede, che furono più d’ottocento; gl’Italiani furono ritenuti, sì
-per lo scambiare, sì per porre loro la taglia. De’ caporali fu preso
-messer Giovanni da Bileggio capitano generale dell’oste, e Guasparre
-e Giovanni di Nanni da Susinana, e Andrea delle Piaggiuole tutti
-degli Ubaldini, e più altri; costoro furono rassegnati al legato, e
-imprigionati in Ancona. La vittuaglia che nell’oste trovarono fu grande
-quantità, e gli arnesi che presono furono di gran valuta, perocchè
-molto adorna era la cavalleria e i masnadieri d’arnesi d’argento,
-d’armadure e robe, e aveano danari assai, e venticinque migliaia di
-fiorini d’oro ch’erano giunti nel campo per fare la paga a’ soldati.
-La vittoria fu grande e singolare, che essendo Bologna abbandonata
-dall’aiuto della Chiesa, dall’imperadore, da’ signori di Lombardia
-e da’ comuni di Toscana, e posta negli estremi, per occulta via fu
-liberata, perocchè molti affermarono, e per intendimenti si tenne
-essere il vero, che veggendo il legato di Spagna, il quale era in
-Ancona tornato dal re d’Ungheria senza aiuto e senza consiglio, che
-Bologna era in termine che senza riparo dovea venire nelle mani di
-messer Bernabò, e per tanto temendo, e non osando di tornare a Bologna
-per non venire nel cruccio del popolo, o nelle mani del tiranno,
-che per le sue virtù e grande animo forte l’odiava, stando in forti
-pensieri, mandò per il vecchio messer Malatesta da Rimini, col quale
-più giorni stato in segreto sopra i fatti di Bologna, e per loro
-tirato in considerazione, che la forza del tiranno era tale, alla
-quale unita resistenza non era, e che messer Giovanni da Bileggio era
-voglioso al terminare dell’impresa per riportarne l’onore, e gli parea
-che il suo desiderio ritardasse la strada ch’era aperta a’ Bolognesi
-di verso Firenze; da questi luoghi il savio messer Malatesta prese il
-sottile avviso, che fatto gli venne, e con coscienza del legato mandò
-suo segreto ambasciadore nel campo a messer Giovanni da Bileggio con
-verisimili argomenti avvisandolo, che nel segreto amico non era del
-legato per le terre che tolte gli avea, e che di lui fidare non si
-potea, che venendo nel colmo di quello che appetia non gli togliesse
-il resto, e che però volentieri attenderebbe ad abbassare il legato e
-il suo orgoglio; ma perchè il legato gli avea sopra capo il castello
-di sant’Arcangiolo, non osava levare il dito, nel quale fermava avere
-trattato per torlo al legato se avesse spalle e forza di gente d’arme,
-la quale dicea non potere essere meno di millecinquecento barbute:
-giugnendo al fatto, che come messer Galeotto, ch’era in Bologna con
-messer Malatesta vicario, fosse da lui avvisato, sotto colore di
-soccorrere a Rimini, come verso là sentisse cavalcato la gente del
-signore di Milano, trarrebbe di Bologna tutta la buona gente d’arme,
-lasciando la trista sott’ombra di guardia della terra, e il simile
-farebbe dell’altre terre della Chiesa, e che venendo il pensiere ad
-effetto, come ragionevolmente dovea, esso messer Giovanni liberamente
-e senza contasto veruno potea porre bastite e rompere la strada
-fiorentina. A messer Giovanni piacque il trattato, e diede piena fede
-all’ambasciadore, lettera, suggelli, e carte a lui presentate da parte
-di messer Malatesta, e di presente elesse capitano di millecinquecento
-barbute, come detto è di sopra, messer Francesco degli Ordelaffi, e
-lo fè cavalcare sopra Rimini, come avvisò del tutto messer Galeotto
-avvisato della baratta di messer Malatesta, onde fè gli atti e le
-mostre dette di sopra, il perchè ne seguì la sconfitta al ponte a
-san Ruffello. Non so se più sagace e malizioso trattato s’avesse
-saputo ordinare Ulisse o il conte Guido da Montefeltro. Cesare non
-lasciava ragunare la gente di Pompeo, temendo il numero e la bontà de’
-cavalieri; costui con astuzia la raunata divise, e indusse il savio
-capitano in folle impresa, della quale seguì la più notabile sconfitta
-di morte d’uomini pregiati d’arme che fosse in Italia di nostro ricordo
-di cento anni addietro.
-
-
-CAP. LX.
-
-_Come seguì appresso alla sconfitta di san Ruffello._
-
-I trecento cavalieri che conduceano per loro scorta la vittuaglia nel
-campo, essendo in sul Bolognese, sentendo la novella della sconfitta
-abbandonaro la roba, e camparono le persone. Quelli delle bastite
-le lasciarono prima fossono assaliti, e salvaronsi in Pimaccio, e’
-Bolognesi l’arsono, e la roba recarono alla città. Per questa vittoria
-i Bolognesi alquanto ne stettono in festa e in riposamento: il legato
-ne prese cuore di potere la città aiutare e sostenere: mostra ne fè,
-ma poca operazione ne fè in que’ tempi, perocchè sopra modo era la
-possanza del suo avversario e la volontà pertinace. Messer Bernabò
-quando questa novella sentì ne mostrò dolore singolare rodendosi dentro
-a guisa di cane arrabbiato, e vestissene a nero, e molti giorni stette
-che niuno gli potè parlare. Sentissi che di ciò contro a’ Fiorentini
-prese grave sdegno, affermando ch’erano cagione del suo danno e
-vergogna per lo mantenere della strada, ma non se ne scoperse, perocchè
-tutto che irato fosse ben conosceva che a’ Fiorentini era lecito di
-così fare senza corruzione di pace. Messer Francesco Ordelaffi come
-seppe la novella scorse la Marca, e di notte con sua brigata prese
-il congio per la via della marina, e in ventiquattro ore cavalcò
-cinquantasei miglia, e con la gente a lui accomandata si ricolse in
-Lugo.
-
-
-CAP. LXI.
-
-_Come messer Bernabò si credette prendere Correggio per trattato, e sua
-gente vi rimase presa._
-
-L’animo che è insaziabile del tiranno, che sempre è con desiderio
-di sottomettere i popoli liberi, e gli altri tirannelli che sono
-minori, tenea messer Bernabò oltre alla presa di Bologna trattato di
-torre Correggio, nè la gastigatura di san Ruffello l’avea rimosso dal
-seguirlo; onde all’uscita di giugno detto anno, credendosi avere il
-castello di Correggio, messer Ghiberto che n’era signore, e da esso
-aveano il titolo di loro casa e famiglia, sentito il fatto, senza farne
-mostra procurò aiuto da’ signori di Mantova, i quali segretamente gli
-mandarono quindici bandiere di cavalieri, i quali di notte entrarono
-in Correggio: venuta la cavalleria di messer Bernabò nel fare del
-giorno, come era dato l’ordine, che furono diciassette bandiere, furono
-lasciati entrare nelle barre che erano davanti al castello, e fatto
-vista di volerli mettere nella terra, secondo l’ordine dato apersono
-le porti della terra, e calarono i ponti, e la gente da cavallo
-ch’era nel castello con molta fanteria si strinsono loro addosso con
-grandi grida, e rinchiusi tra le barre, e storditi per lo subito e
-non pensato assalto perderono il cuore alla difesa, e però gli ebbono
-tutti a prigioni, e guadagnate l’arme e’ cavalli liberaro il castello
-dall’aguato del tiranno.
-
-
-CAP. LXII.
-
-_Dell’armata del re di Cipro, e il conquisto di Setalia e del
-Candeloro._
-
-Dando alcuna parte agli avvenimenti d’oltremare, lo re di Cipro avendo
-fatta sua armata, e non sapendo dove si dovesse andare, a dì 24 di
-luglio 1361 con ventiquattro galee armate, con l’aiuto di tre galee
-dello Spedale armate di franchi e valorosi frieri, e con altri legni
-e armati e di carico in numero di cento vele si partì di Cipro, e del
-mese seguente d’agosto percosse sopra la città di Setalia, la quale
-era d’un signore di Turchi di gran possanza, e avendo sua gente posta
-in terra, e combattendo la terra, che avea tre procinti di mura, de’
-quali nel primo stavano mercatanti e Giudei, nel secondo i saracini, e
-nel terzo i Turchi ch’erano signori della terra, ed essendo tutta gente
-sprovveduta e poco atta alla difesa, il perchè i cristiani entrarono
-dentro per forza, onde il signore che v’era con poca gente se n’uscì,
-e la terra fu presa. Ma poco stante il Turco tornò con più di tremila
-Turchi tra a cavallo e a piè, e senza dubbio arebbe ripresa la terra,
-se non fosse la provveduta guardia che feciono li frieri, i quali
-sapendo loro costumi del continovo stavano apparecchiati: e ciò venne a
-gran bisogno, perocchè ritennono l’empito e subito assalto de’ Turchi,
-tanto che l’altra gente s’armò, e venne alla difesa. I Turchi veggendo
-che loro impresa venia stolta, con loro vergogna e dannaggio si
-partirono. Lo re di Cipro avuta questa vittoria montò in galea, e con
-sua armata se n’andò al Candeloro, il quale era al governo e signoria
-d’un altro Turco, il quale senza volere fare difesa s’acconciò con il
-re, e riconobbe la terra da lui, e li promise certo censo e tributo
-d’anno in anno: e il re lasciata fornita Setalia si tornò nell’isola di
-Cipro.
-
-
-CAP. LXIII.
-
-_Come i Turchi di Sinopoli assalirono Caffa, e furono vinti da’
-Genovesi._
-
-In questa state i Turchi di Sinopoli armarono quattordici galee nel
-Mare maggiore, e assalirono il Caffa terra e porto di Genovesi, e
-fecionvi danno assai e per mare e per terra, perchè i Genovesi di ciò
-non si guardavano; ma tantosto in Caffa e in Pera armarono quattordici
-galee come in fretta il meglio poterono per seguitare i Turchi nel
-ritorno che fare doveano a Sinopoli, e trovatili, li seguirono,
-fuggendo i Turchi, tanto che per forza li feciono dare a terra colle
-balestra loro, avendone molti e morti e fediti, onde i Turchi per
-forza costretti furono a disarmare, e disarmati i Turchi, i Genovesi
-lasciarono in que’ mari due galee armate, e l’altre disarmarono. I
-Turchi veggendo queste due galee rimase tra loro, di subito cinque
-n’armarono, e vennono contro quelle de’ Genovesi, le quali cominciarono
-a fuggire, e’ Turchi a seguitare, tanto che essi si trovarono insieme
-in alto mare. Come i Genovesi si vidono dilungati da terra, girarono
-le loro galee contro le cinque de’ Turchi, e misonsi tra loro, essendo
-bene ordinati, e colle loro balestra non gettavano verrettone in vano,
-ma fedivano soprassaglienti e galeotti senza rimedio, onde i Turchi si
-misono alla fuga, e i Genovesi li seguitarono tanto che si diedono a
-terra, e salvarono i corpi delle loro galee, mortine assai di loro, e
-fediti e magagnati.
-
-
-CAP. LXIV.
-
-_Come le compagnie condotte in Piemonte cominciarono a guerreggiare._
-
-Le compagnie tratte per lo marchese e per la Chiesa di Provenza,
-condotte in Piemonte in questi tempi della moria cominciata in
-Milano del mese d’agosto, cominciarono a guerreggiare nel Piemonte,
-dove acquistarono al marchese sette castella le più loro arrendute.
-Messer Galeazzo si ridusse a Moncia fuggendo di Milano la morìa che
-asprissimamente li perseguitava, avendo le sue terre fornite di buona
-guardia, e in campo non mise persona: ben tentò di trarne al suo soldo
-di quelli della compagnia, e d’alcuna parte li venne fatto per la forza
-del fiorino d’oro, non dimanco il resto rimase sì grande, che corse
-insino al Tesino senza contasto. Messer Bernabò veggendo la pestilenza
-sformata in Milano, che per giorno fu che levò ottocento, e mille e
-milledugento, e tal fu dì de’ millequattrocento, e ben parea volesse
-ristorare i Milanesi, cui per l’altre moríe non avea assaggiati,
-si partì di Milano con tutta sua famiglia, e andonne al suo nobile
-castello di Marignano, il quale è verso Lodi, il luogo foresto e di
-sana aria, facendo gran guardia che nessuno non gli andasse a parlare,
-avendo ordinato col campanaro della torre, che per ogni uomo che
-venisse a cavallo desse un tocco. Occorse che certi gentili e ricchi
-uomini di Milano andarono a Marignano, ed entrarono dentro; il signore
-li ricevette bene, ma turbato contro il campanaro mandò su la torre
-suoi sergenti, e comandò lo gettassono della torre; i quali andati su,
-trovarono il campanaio morto appiè della campana: per la qual cagione
-messer Bernabò terribilmente spaventato di presente senza arresto
-abbandonò il castello, e si mise nel più salvatico e foresto luogo, ove
-più di due miglia da lunga fece rizzare pilastri con forche ne’ quali
-era scritto, che chi li passasse su vi sarebbe appeso. Per allora in
-avanti sua vita fu tanto remota e solitaria, che voce corse, e durò
-lungamente, ch’egli era morto, ed egli n’era contento per farne a tempo
-suo vantaggio. Giugneremo a questo, per non fare nuovo capitolo, che in
-questi tempi della moria, che anche requistava in Vinegia, morì il doge
-loro, e funne fatto un giovane di quarantasei anni, il quale non era di
-gran famiglia, nomato Lorenzo Celso: costui per la maturità de’ suoi
-costumi e virtù montò a questo onore, e innanzi ai più antichi e più
-nobili cittadini oltre a loro consuetudine: e pertanto notato l’avemo,
-e per la sequela del fatto.
-
-
-CAP. LXV.
-
-_Di grandi terremoti che furono in Puglia, e assai guastarono della
-città d’Ascoli._
-
-A dì 27 di luglio del detto anno, in su l’ora del vespero, furono in
-Puglia grandissimi terremuoti, e apersono la città d’Ascoli di Puglia,
-e quasi tutta la subissarono con morte d’oltre a quattromila cristiani.
-A Canossa caddono parte delle mura della terra, e molti dificii puose
-in ruina; in altre parti fece poco danno. Furono ancora in questo anno
-grandine molte e sfoggiate, le quali ai grani e agli ulivi feciono
-danno assai più che nell’altre stati.
-
-
-CAP. LXVI.
-
-_Delle rivolture del paese di Fiandra in questa state._
-
-Del mese di luglio del detto anno, nella città di Bruggia fu grande
-battaglia tra’ tesserandoli e folloni dall’una parte, e da’ borgesi
-dall’altra per assai lieve e subita cagione, e non senza molti morti
-e magagnati da catuna delle parti: e poco appresso seguitò ch’e’
-tesserandoli e folloni della città depuosono il balio del conte senza
-colpa apponendoli tradigione. E in que’ giorni il conte Audinarda facea
-la festa della figliuola, la quale avea data per moglie al duca di
-Borgogna, il quale ciò sentendo mandò pregando li Schiavini e gli altri
-ch’elli attendessono tanto che egli avesse sua festa fornita, dicendo,
-che poi terrebbe giudizio del balio suo, e che se lo trovasse colpevole
-si rendessono certi che ne farebbe a loro sodisfazione rilevata
-giustizia e vendetta. I bestiali e arroganti di quei mestieri recando
-a vile la preghiera del conte, in vergogna e dispetto suo appendere
-lo feciono alle finestre del suo palagio: onde il conte con tutto suo
-seguito forte ne furono turbati, ma assisesi al mostrare di non calere,
-nè mostrare di sua onta.
-
-
-CAP. LXVII.
-
-_Come fu decapitato messer Bocchino de’ Belfredotti signore di
-Volterra, e come la città venne alla guardia de’ Fiorentini._
-
-E’ ne pare di necessità per più brevità della nostra opera, e per
-meglio dare ad intendere il fatto di che dire intendiamo, raccogliere
-alquante cose, le quali in piccolo trapassamento di tempo hanno fine
-straboccato. Messer Francesco de’ Belfredotti da Volterra sopra il
-ciglio di Volterra tenea la forte rocca di Montefeltrano, e messer
-Bocchino di messer Ottaviano suo consorto era signore della terra, il
-quale cupido d’aumentare sua tirannia, con solleciti aguati cercava
-di torre a messer Francesco detta fortezza, e dopo la morte di
-messer Francesco, messer Bocchino non lasciava stare i figliuoli in
-Volterra. Il perchè il comune di Firenze sentendo la detta dissensione,
-perchè non terminasse a peggio, s’interpose tra loro, e li ridusse
-a concordia, e obbligaronsi insieme a pena, la quale per l’uno e per
-l’altro promise il comune di Firenze per osservanza di pace; per la
-quale i figliuoli di messer Francesco tornarono in Volterra sotto
-l’ubbidienza di messer Bocchino. E stando senza alcuno sospetto,
-all’uscita d’agosto del detto anno, il tiranno a un Volterrano,
-a cui nella guerra era stato morto un suo congiunto da un altro
-Volterrano amico e servidore de’ figliuoli di messer Francesco, con
-segreta licenza di messer Bocchino, trovando il suo nemico a dormire
-lo fece uccidere, e colui che morto l’avea con suoi parenti e amici
-fece testa, perchè la terra si commosse a cittadinesca battaglia,
-e alquanti degli amici de’ figliuoli di messer Francesco vi furono
-morti traendo al romore, e i detti figliuoli di messer Francesco, come
-era per lo tiranno ordinato, furono presi contro le convenenze per
-le quali il comune di Firenze era mallevadore; il perchè il comune
-per suoi ambasciadori mandò ricordando al tiranno li dovesse piacere
-non farli questa vergogna, dicendo, come a richiesta e preghiera di
-lui avea promessa sua fede. Il tiranno con simulate parole tenea gli
-ambasciadori a parole, e dal malvagio proponimento non si toglieva.
-I Fiorentini veggendo che le parole non ammollavano le parole finte
-e mal disposte del tiranno, e sentendo che ciò che fatto avea era
-contro alla comune volontà de’ Volterrani, e temendo che la cosa
-non avesse mal fine e pericoloso per lo comune, non furono lenti, ma
-prestamente mandarono gente d’arme, e fornirono la rocca de’ figliuoli
-di messer Francesco, minacciando di guerra se non si facesse ammenda.
-Il tiranno veggendo l’animo de’ Fiorentini contro a lui giustamente
-irato si forniva di gente di sua amistà, e spezialmente de’ Pisani,
-per riparare alla forza e mantenere sua fellonia, perseverando nel
-detto malvagio proponimento. Certi cittadini di Firenze per trattato
-che dentro aveano d’avere il torrione del monte, che è fuori delle
-mura, domenica mattina a dì 24 d’agosto vi cavalcarono, e dalla gente
-de’ Pisani vi furono scoperti, e ributtati con vergogna senza altro
-danno, il perchè il comune v’ingrossò gente, e pose oste a Volterra.
-La quale essendo in sul Volterrano, messer Bocchino per dispetto de’
-Fiorentini trattò di dare la signoria a’ Pisani per trentadue migliaia
-di fiorini d’oro. Il popolo di Volterra sentendo ch’e’ si trattava
-di venderlo, e farli schiavi de’ Pisani, tutti d’uno volere presono
-l’arme, e corsono all’ostiere dove erano i cavalieri de’ Pisani, a’
-quali incauti e sprovveduti tolsono le selle e’ freni de’ cavalli,
-e ciò fatto, senza far loro altra villania li misono fuori della
-terra, e loro renderono freni, selle, cavalli e armadure, e i fanti
-forestieri accomiatarono, e si partirono. Ciò fatto, appresso furono
-al palagio del tiranno, il quale con lunga e composta diceria volendo
-tiranneggiare li animava a mantenere loro libertà e franchigia, e
-quinci li credette dal loro proponimento levare, ma i terrazzani
-trafitti dalle sue crudeli operazioni a suo dire non prestarono
-orecchie, ma sdegnosamente rispuosono, che bene saprebbono usare loro
-libertà, e che per ciò fare voleano in guardia lui, e sua famiglia, e
-certi suoi congiunti, e a Firenze mandarono per capitano di guardia, e
-a Siena per podestà. Il capitano prestamente vi fu mandato un popolano,
-e dietro ad esso mandati furono quattro ambasciadori, e simile feciono
-i Sanesi. I Fiorentini temendo i movimenti de’ popoli vari, e vani e
-instabili, al continovo vi facevano cavalcare gente d’arme, e a cavallo
-e a piè, ancora perchè a loro parea che i Volterrani volessono col
-braccio de’ Sanesi raffrenare il nostro comune: il perchè alla gente
-de’ Fiorentini segretamente fu comandato, che procacciassono delle
-castella de’ Volterrani, i quali cavalcarono a Montegemmoli, ed ebbonlo
-per forza, ed a il loro Montecatino, e anche l’ebbono, e così più altre
-castellette. I Volterrani mandarono a Firenze loro ambasciadori per i
-quali domandavano libertà con l’ammenda de’ loro dannaggi, eleggendo
-capitano di guardia di Firenze: la cosa per più giorni stette in
-controversia e in dibattimento. I Fiorentini che in Volterra aveano i
-loro ambasciadori, e il capitano, e gran parte de’ nove, e di buoni
-popolani la maggior parte a loro segno feciono strignere la gente
-dell’arme vicino alle mura di Volterra, avendo presentito che la setta
-che voleva i Sanesi la notte vi doveano mettere gente d’arme, e così
-di vero seguiva, che la notte cinquanta cavalieri e centocinquanta
-fanti alla condotta d’alcuno de’ Malavolti, giugnendo con la gente alla
-fonte presso alla terra, cadde nell’aguato de’ Fiorentini, e fu preso
-con tutta la gente, e facendo vista di non conoscerli, loro fu tolta
-l’arme e’ cavalli, ma poichè per lingua e nome si furono palesati,
-ripresi da’ capitani dell’impresa facevano contro al comune di Firenze,
-assai cortesemente fu loro renduta l’arme e’ cavalli, e rivolti per
-la via ond’erano venuti, con assai vergogna di loro matta arroganza e
-presunzione. Il popolo di Volterra di suo errore ravveduto la guardia
-del cassero della città diedono a’ Fiorentini. I Sanesi ch’erano in
-Volterra senza aspettare comiato si partirono, e’ Fiorentini del tutto
-rimasono signori, con certe convegne, che i Volterrani promisono in
-perpetuo d’avere gli amici del comune di Firenze per amici, e i nemici
-per nemici, e che la rocca dieci anni si guardasse per i Fiorentini,
-e del continovo debbino prendere capitano di popolo di Firenze; e per
-loro ordine hanno fatto, che da Pisa, nè nella città nè nel contado
-loro non possa venire uficiali nè alcuno altro d’alcuna città o terra
-presso a Volterra a trenta miglia; e passato il tempo di quelli nove
-uficiali ne furono altri. E il popolo di Volterra al tutto volle che
-’l capitano di Firenze che v’era facesse tagliare la testa a messer
-Bocchino, e così fece una domenica mattina a dì 10 d’ottobre del detto
-anno, messo prima nella terra la cavalleria de’ Fiorentini con volontà
-del popolo, il quale la ricevette a grande onore.
-
-
-CAP. LXVIII.
-
-_Come il patriarca d’Aquilea fu a tradimento preso dal doge d’Osteric._
-
-Fama era per tutta Italia per lungo tempo, la quale si trovò in
-fine non vera, che ’l doge d’Osteric era dall’imperadore fatto re di
-Lombardia, ma quale la cagione si fosse, mosse di suo paese con grande
-compagnia di gente d’arme, e passò nel patriarcato d’Aquilea del mese
-detto, dove confidentemente fu ricevuto. Il patriarca avea ripresi
-di sue ragioni certi paesi d’entrata di fiorini cinquemila per anno o
-più al patriarcato, i quali dal duca vecchio erano stati occupati al
-tempo della vacazione del patriarcato. Questo duca movendo questione
-al patriarca di queste terre, vennono a concordia di stare di ciò alla
-sentenza dell’imperadore suocero del detto duca: e per trarre la cosa
-a pacifico fine di concordia si mossono di là, e in compagnia andavano
-all’imperadore, ed entrati nelle terre del duca nella città di Vienna,
-sotto colore di fare onore al patriarca il duca li fece apparecchiare
-un grande ostiere, e credendo il patriarca l’altro dì con lui seguire
-il suo viaggio, vi si trovò arrestato e preso; e domandandoli delle
-terre del patriarcato, il valente patriarca, messo sua persona a
-non calere, fece per suo segreto e fidato messo, e con sua lettera e
-suggello comandamento a tutti i sudditi suoi, che per niuno caso che
-gli avvenisse niuna glie ne dessono. Il patriarca era messer.... della
-Torre di Milano, prelato antico e di buona fama. Questa fu la riuscita
-della grande fama del detto duca per lo reame d’Arli, la quale per
-più riprese fece ristrignere a parlamento i signori di Lombardia per
-provvedere a loro difesa.
-
-
-CAP. LXIX.
-
-_Di fuoco che senza rimedio arse in Roma san Giovanni Laterano._
-
-Egli è da dolere a tutti i cristiani quello che ora sono per narrare
-della nobile e venerabile chiesa di san Giovanni Laterano di Roma, e
-ciò pare piuttosto ammirabile che degno di fede. Uno maestro ricopriva
-il tetto della nave maggiore della detta chiesa, la quale essendo
-coperta di piombo conveniva che con ferri roventi le congiunture delle
-piastre si congiugnessero per ammendare i difetti, ed avendo il maestro
-il fuoco acceso di carboni sopra il tetto, per sinistro avvenimento
-un poco di carbone cadde, e come che si entrasse, senza avvedersene il
-maestro si posò sopra una trave, e quella incese, e appresso con quella
-tutto l’altro edifizio senza potere essere atato a spegnere, non che
-grande popolo non vi traesse con ogni argomento, ma quasi come fosse
-volontà di Dio tutta la nave della chiesa, e tutte l’altre parti di
-quella, e tutte le cappelle con quella di Sancta Sanctorum arse, che
-nulla vi restò fuori che le mura, con danno inestimabile del costo di
-tale e tanto edificio: è vero che le reliquie di Sancta Sanctorum si
-camparono; e ciò avvenne del mese d’agosto del detto anno. Giugnendo
-fuoco a fuoco, in questo medesimo tempo nelle contrade di Bossina fuoco
-cadde da cielo, e arse gran paese senza riparo nessuno.
-
-
-CAP. LXX.
-
-_Del maritaggio del duca di Guales primogenito del re d’Inghilterra._
-
-Contato avemo addietro le prodezze e grandi valentrie del duca di
-Guales primogenito del famoso re Adoardo d’Inghilterra, a cui vivendo
-la corona succedè. Costui in questi giorni si tolse per moglie una sua
-consobrina contessa di Chienne, la quale era di tempo, e vedova di due
-mariti di piccoli baronaggi, e aveva fatti più figliuoli. La maraviglia
-che di ciò prese chiunque sapea suo alto stato, vita e condizione, ce
-n’ha fatto qui fare nota, forse con iscusa alcuna.
-
-
-CAP. LXXI.
-
-_Come papa Innocenzio riformò santa Chiesa de’ cardinali morti per la
-morìa._
-
-Erano morti in pochi dì nella corte di Roma il vicecancelliere di
-Preneste, il cardinale Bianco, quello d’Ostia e di Velletri, quello
-di Calamagna, messer Andrea da Todi detto il cardinale di Firenze,
-il cardinale della Torre, e quello che fu generale de’ frati minori,
-e un altro. Il papa volendo riformare santa Chiesa di cardinali, nel
-tempo delle digiune del mese di settembre dello anno ne fece altri
-otto: il cancelliere di Francia, l’arcivescovo di Ravenna assente, che
-poi morì in cammino, ed era Caorsino, l’abate di Clugnì Borgognone,
-il vescovo di Nemorsi Francesco, l’arcivescovo di Carcassone nipote
-del papa, messer Guglielmo suo referendario ch’era di Limosi, il
-figliuolo di messer Pietro da san Marcello, e l’arcivescovo d’Aques in
-Guascogna, tutti oltramontani, e niuno ne fece Italiano, dimostrando
-che di visitare la cattedra di san Piero a Roma era strano al tutto del
-desiderio e appetito degl’Italiani.
-
-
-CAP. LXXII.
-
-_Come il re Buscialim della Bellamarina fu morto, e delle rivolture di
-Granata._
-
-Regnando Buscialim in Fessa, ed essendo tornato al regno con l’aiuto
-del re di Castella, certi caporali cristiani e mori del detto re si
-levarono senza cagione debita contro al re, e uccisonlo, dicendo,
-che loro non dava loro soldi, ma il vero fu, che morire lo feciono
-perchè egli era troppo amico del re di Castella, e la cagione si
-prese, perocchè avendo il re di Castella guerra col re di Granata,
-mosse Maomet cacciato dal detto re di Granata, che dovea essere re
-egli, a ritornare nel paese, e il re Buscialim a petizione di quello
-di Castella avea scritto a tutti i rettori delle sue terre ch’avea in
-Ispagna, che ubbidissono il detto Maomet come la sua persona, della
-qual cosa turbati i Mori uccisono il loro re Buscialim; e morto costui,
-feciono re un Busciente, ch’era in prigione fratello del detto re,
-ma non era di sana mente, e però altri governava il reame, e costoro
-incontanente contramandarono a’ balii delle terre di Spagna, che non
-lasciassono entrare Maomet in loro terre. E poco appresso, del mese
-di novembre del detto anno, quelli di Fessa, vedendosi avere il re
-smemoriato, mandarono ambasciadori a Sibilia a un giovane della casa
-reale di Bellamarina, il quale si stava a Sibilia con un altro suo
-fratello minore assai poveramente: gli ambasciadori lo addomandarono,
-il re di Castella li fece armare una galea e menarlo a Setta, e di là
-per terra il condussono a Fessa, e in ogni parte fu ricevuto per loro
-re, e l’altro ch’era mentecatto fu rimesso in prigione: e allora il re
-di Castella fece pace co’ Mori, e con il loro novello re ritenne grande
-amistà, e da lui ricevette ricchi doni.
-
-
-CAP. LXXIII.
-
-_Come la compagnia spagnuola ch’era nel vescovado d’Arli prese Vascona,
-e poi ne furono cacciati._
-
-In questi dì la compagnia degli Spagnuoli ch’era in Provenza per una
-notte feciono una lunga cavalcata ed entrarono in Venisì, e improvviso
-a quelli di Vascona entrarono nella città, e uomini e femmine con
-arnesi con grandissimo danno e di cittadini e di forestieri recarono in
-preda; e intendendo così fornito a volersi partire, ma i paesani d’ogni
-parte sopravvennono prestamente loro addosso, e furono tanti, che per
-forza vinsono la compagnia, e con gran danno d’essa racquistarono la
-preda, e cacciaronli del paese.
-
-
-CAP. LXXIV.
-
-_Come si scoperse che messer Bernabò era vivo, e ’l trattato tenea del
-castello di Bologna._
-
-Essendo tanto stata la fama di non sapere novelle di messer Bernabò,
-che li più affermavano che morto fosse per molti indizi e congetture
-che ciò parevano mostrare, esso in questi giorni lavorava alla coperta
-colla lima sorda, nulla dimostranza dando di sè, ma piuttosto ampiando
-la fama della morte sua, e cercava trattato, lo quale ordinato avea
-con uno Spagnuolo e due suoi famigli, a’ quali in grande confidanza
-il legato di Spagna avea accomandato la guardia del castello della
-porta che va verso Modena di Bologna: costui per ingordo boccone di
-danari per tornarsi ricco a casa l’avea promesso a messer Bernabò, e di
-ciò era stato il motore a messer Bernabò messer Giovanni da Bileggio
-mentre che là era in prigione, anzi che mandato fosse ad Ancona, e
-dovea averlo la notte di san Bartolommeo d’agosto: e scopersesi questo
-trattato per un ragazzino che venne al castellano di notte, e fu preso.
-Per questa cagione messer Bernabò venne in persona a Parma con duemila
-barbute non sapendosi la cagione nè il perchè, se non che scoperto il
-tradimento si tornò alla caccia, e il castellano con gli altri che gli
-erano consenzienti in Bologna furono attanagliati e impiccati.
-
-
-CAP. LXXV.
-
-_Come si scoperse in Perugia una gran congiura di notabili cittadini
-per mutare stato e reggimento._
-
-Erano nella città di Perugia in questi tempi molti e molti cittadini,
-e gentili uomini e popolari di buone e antiche famiglie d’animo
-guelfo, le quali quasi del tutto erano schiusi dagli ufici e governo
-della città, reggendosi la terra per popolani mezzani e minuti, sotto
-la guida e consiglio della famiglia de’ Michelotti e di Leggieri
-d’Andreotto, il quale a quel tempo era il da più, e il maggiore
-cittadino di Perugia, e il più creduto dal popolo, e molte altre
-famiglie di buoni popolari e uomini singolari da molto che teneano con
-loro sotto il nome e titolo di Raspanti. Quelli ch’allora s’appellavano
-i mali contenti, e mossi e sollecitati con ammirabile astuzia da uno
-Tribaldino di Manfredino spirito malizioso, sagacissimo e inquieto, le
-cui operazioni dipoi scoperte li feciono dai suoi cittadini meritare il
-nome del secondo Catilina; e forse non indegnamente, perocchè facendo
-comparazione da città a città, non era minore quella di Tribaldino
-verso di sè, che quella di Catilina verso di sè. La congiura fu per
-lui lungamente guidata tanto copertamente e cautamente, che niuno
-segno se ne potè vedere nè scorgere per i reggenti, e infra l’altre
-sagaci cautele, che ne usò molte, fu questa, che per li parenti e
-amici ch’avea intra i reggenti sovente facea falsamente muovere che
-trattato v’era nella terra, il quale criato era, e trovato non vero,
-il perchè spesseggiando ai priori e a’ camarlinghi di Perugia in cui
-stava il tutto del reggimento, era venuto a rincrescimento e a niente
-che si ragionasse di trattato, nè prestavano orecchi nè davano fede: e
-ciò fece il malvagio traditore, perchè quando il vero trattato venisse
-in campo senza prendere avviso il governo della città, più certamente
-e più liberamente avesse l’effetto suo. Quelli cui ’l malvagio
-uomo trasse in congiura furono questi: messer Averardo di...... da
-Montesperello, messer Guido dalla Cornia, messer Alessandro.......
-messer Giovanni di....... da Montemellino, messer Niccolò di......
-delle Mecche, messer Tivieri di...... da Montemellino, tutti cavalieri,
-Colaccio di Cucco de’ Baglioni, Francesco di messer Rinuccio da......
-detto il Zeppa, Francesco di messer Andrea e Iacopo di messer Guido da
-Montemellino, Piero di Neri delle Mecche, Erculano di........ Mattiolo
-di....... e....... detto lo Squatrano, con altri simili in numero di
-più di quarantacinque gentili uomini e popolani, con seguito d’altri
-novantaquattro che ne furono condannati, ed oltre a quattrocento altri
-cittadini, i quali per non fare troppo gran fascio furono lasciati
-addietro. Costoro aveano fatto loro capitani Colaccio di Cucco de’
-Baglioni, il Zeppa di messer Rinuccio e Mattiolo di...... e nelle loro
-mani aveano giurato. Costoro a un giorno preso doveano correre la
-piazza, e pigliare il palagio de’ priori e delle signorie, perocchè
-come detto è pensavano per le beffe de’ trattati non veri trovare i
-priori addormentati: per la città a’ loro seguaci dispersi in vari
-luoghi deveano fare infocare case per tenere alla bada de’ fuochi
-i cittadini, doveano uccidere i priori e’ camarlinghi, e qualunque
-innanzi loro si parasse senza riguardo d’amico o di parente. Messer
-Averardo dovea stare di fuori a sollecitare i loro lavoratori, e amici
-del contado e le loro amistà, e a ribellare delle castella. E per
-certo il sollecito reo uomo seguendo lo stile di Catilina avea dato
-ordine, che se Dio non avesse posto il rimedio a tanto pericolo, per
-certo la città ne venia in desolazione e tirannia. Esso Signore che
-tutto vede puose nel cuore a messer Tivieri da Montemellino, uno de’
-principali congiurati, che lo revelasse, acciocchè tanto pericolo e
-male non fosse; il quale essendo quasi vicino a Leggieri d’Andreotto,
-sotto sicurtà della sua persona senza domandare altro merito gli
-rivelò il fatto, il quale di presente n’andò in palagio de’ signori,
-e quivi con loro, e co’ camarlinghi, e con gli altri dello stato si
-mise a’ ripari. Fu preso messer Niccolò delle Mecche, e Ceccherello
-de’ Boccoli con quattro loro masnadieri di nome, e con sette altri
-mascalzoni, gli altri congiurati tutti si dierono alla fuga. Seguette,
-che il dì di santo Michel Agnolo si fece l’adunanza generale, che noi
-diciamo parlamento, nella quale si determinò, che i detti cavalieri,
-gentili uomini e popolani, insino nel numero di quarantacinque,
-fossono condannati per traditori e rubelli del comune di Perugia
-infino...... e che altri novanta secondo loro gravezze di loro colpe
-fossono condannati di danari, e alcuni a stare a’ confini; gli altri
-per meno male passati furono sotto silenzio. Più vi si provvide, che
-Tribaldino guidatore e ordinatore del male, con messer Averardo, e con
-alquanti degli altri più focosi principali fossono dipinti _ad eternam
-rei memoriam_ colle mitere in capo in piè della piazza nella faccia
-del casamento del maggior sindaco: e così seguitò, che messer Niccola
-delle Mecche, e Ceccherello de’ Boccoli con i quattro masnadieri furono
-decapitati, e i sette mascalzoni furono appesi; gli altri tutti ebbono
-bando come nell’adunanza era ordinato, e così furono dipinti quelli che
-doveano esser dipinti. Bollendo e ribollendo ragionevolmente la città
-in questo stato dubbioso e sospetto, come il male venne agli orecchi
-del nostro comune tantosto vi mandò ambasciadori con cento uomini di
-cavallo. I Pisani domandato licenza di mandarvi cento cavalieri per
-lo nostro contado, e liberamente ottenuto, anche vi mandarono loro
-ambasciadori con la detta gente, i quali co’ nostri insieme assai
-temperarono l’animo voglioso e crucciato debitamente de’ Perugini.
-
-
-CAP. LXXVI.
-
-_Come in questi giorni in Pisa ebbe gelosia di loro stato, e della
-difensione che saviamente ne presono._
-
-In questi medesimi dì all’entrata d’ottobre, essendo Piero Gambacorti
-in Firenze, rotti i confini i quali avea a Vinegia, alquanti artefici
-e certi mercatanti pisani, che per lo partimento che i Fiorentini
-aveano fatto di Pisa e per loro cagioni, anzi quasi tutti i mercatanti
-forestieri che trafficavano co’ Fiorentini, e i reggenti che n’erano
-stati cagione udivano e sentivano costoro e molti altri di ciò
-rammaricare, dicendo, come al tempo de’ Gambacorti godeano la pace co’
-Fiorentini, e’ guadagni del porto, e delle mercatanzie e dell’arti,
-e che loro era faltato e il procaccio e ’l guadagno; o che questa
-fosse la cagione, o che di loro sentissono alcuno trattato con Piero
-Gambacorti, ventidue ne presono, e a quattro de’ mercatanti feciono
-tagliare la testa; li altri si riserbarono in prigione, e a molti
-diedono i confini.
-
-
-CAP. LXXVII.
-
-_Come i Sanesi sotto la rotta fede ebbono la signoria di Montalcino._
-
-In questo mese d’ottobre del detto anno, Giovanni d’Agnolino Bottoni
-con centocinquanta cavalieri e ottocento pedoni cavalcò improvviso
-sopra Montalcino per rimettervi gli usciti ch’erano suoi amici, e
-questo fece con ordine d’alcuno trattato ch’avea nella terra, ma i
-terrazzani presti alla difesa tolsono ardire di muoversi dentro a chi
-n’avea sentimento. Vedendo Giovanni che ’l trattato ordinato non gli
-venia fatto, per ricoprire sua intenzione si stava loro intorno. I
-terrazzani, che erano ubbidienti e in pace co’ Sanesi, maravigliandosi
-di questa novità mandarono a Giovanni di fuori a sapere perchè facea
-questo, e quello volea da loro: il savio e accorto disse, che volea
-che fossono in accordo col comune di Siena: i semplici terrazzani,
-sentendosi amici e ubbidienti al comune di Siena, elessono ventiquattro
-della loro terra i maggiori e più potenti che v’erano, e mandaronli
-per ambasciadori a Siena. Giovanni avvisò l’uficio de’ signori, come
-era tempo d’avere libera la signoria di quella terra, avendo appo
-loro li ventiquattro ambasciadori ch’erano il tutto della terra, ed
-egli essendo là con forza d’arme, la quale si fè accrescere, diceva
-di strignerli e tenerli in paura. Gli ambasciadori giunti a Siena, e
-fatta la riverenza, e sposta la loro ambasciata, ebbono per risposta,
-che non si partirebbono da Siena, che Montalcino sarebbe libero alla
-guardia de’ Sanesi; la cosa non potè avere contradizione, e però
-convenne ch’avessono libero Montalcino, e avuto, rimandarono indietro
-i ventiquattro ambasciadori sani e salvi, e smisurata festa in Siena se
-ne fece.
-
-
-CAP. LXXVIII.
-
-_Come i Turchi presono la città di Dometico ch’era dell’imperadore di
-Costantinopoli._
-
-Del mese di novembre del detto anno, un grande signore de’ Turchi
-di Boccadave, sentendo l’imperadore di Costantinopoli giovane, e in
-discordia co’ suoi per la ragione già detta di Mega Domestico cui egli
-perseguitava, e altre volte essendo suo balio avea occupato l’imperio,
-accolse di suoi Turchi grande esercito, e vennesene ad assedio alla
-nobile e antica città oggi chiamata Dometico, la quale siede tra
-Costantinopoli e Salonicco, presso a quattro giornate a Costantinopoli,
-la quale appresso Costantinopoli solea essere sedia imperiale. I
-cittadini sentendo che Orcam con grande quantità di Turchi venia loro
-addosso, e non vedendo onde potesse a loro venire soccorso, inviliti
-(come è la volontà di Dio per la loro contumacia contro a santa
-Chiesa) abbandonarono la città forte e difendevole per lungo tempo, e
-abbondevole a sostenere sua vita. Orcam trovandola abbandonata v’entrò
-dentro co’ suoi Turchi, e misevi gente ad abitare e alla guardia con
-vittoria senza fatica, e si ritornò in suo paese con gran vergogna e
-vitupero e abbassamento dell’imperio di Romania.
-
-
-CAP. LXXIX.
-
-_Come il re di Castella mosse guerra a’ Mori di Granata, e al loro re
-Vermiglio._
-
-Fermata la pace dal re di Castella a quello d’Araona del mese di
-settembre del detto anno, e tornato il re di Spagna in Sibilia con
-sua cavalleria, Maometto già stato re di Granata e cacciato dal re
-Vermiglio, come di sopra dicemmo, esso re di Spagna col detto Maometto
-cavalcò in Granata, e nel paese fece danno assai e d’arsione e di
-preda, e lasciato Maometto alle frontiere con sue genti e co’ cavalieri
-castellani a sufficienza a poter far guerra, del mese d’ottobre si
-tornò a Sibilia. Di poi a tempo ritornò a oste sopra il re di Granata,
-e stato sopra lui lungamente, in fine non avendo soccorso da’ suoi
-saracini del Garbo e di Bellamarina, perchè erano collegati col re di
-Spagna, disperato s’arrendè a quello di Spagna, il quale avuto e lui
-e suo reame ne fè che al re Vermiglio fece tagliare la testa, e fece
-re uno de’ reali della Bellamarina suo confidente, il quale da lui
-riconobbe il reame, e gli promesse suo aiuto e di suoi saracini in
-tutte sue guerre, e appresso li promesse ogni anno certo tributo.
-
-
-CAP. LXXX.
-
-_Come gli usciti Perugini presono per furto Civitella de’ Benazzoni, e
-poi l’abbandonarono._
-
-I nuovi usciti di Perugia avendo per viltà abbandonate le loro
-forti tenute al comune di Perugia, in una cavalcata di due bandiere
-di cavalieri per furto entrarono poco appresso in Civitella de’
-Benazzoni, assai forte castello e ben guernito. I Perugini di presente
-vi mandarono quaranta bandiere di cavalieri e con popolo grande, e
-puosonvisi ad oste. Gli usciti veggendosi male ordinati da potere
-attendere soccorso, per lo mene reo, come per furto l’aveano preso,
-così per furto se n’uscirono, avendo il nome la notte di quelli del
-campo, e ridussonsi a un castello ivi presso ch’era degli Spuletini,
-e quindi se ne vennono ad abitare ad Arezzo, cercando rimedii a loro
-fortuna.
-
-
-CAP. LXXXI.
-
-_Come i Bolognesi cominciarono a cavalcare sopra gli Ubaldini._
-
-Essendo in Bologna speranza della pace, la quale parea ferma dal
-legato a messer Bernabò, e per tanto avendo alcuna speranza di potere
-sollevare le fatiche, sentendo che gli Ubaldini per tutta la boce della
-pace non si rimaneano di far danno e noia alla strada, cavalcarono
-sopra di loro, e raccolsono preda, e feciono danno nel paese. Gli
-Ubaldini gli lasciarono cavalcare, e ridussonsi a’ passi, e alla
-ritratta assalirono i Bolognesi, e rupponli, e racquistarono la preda,
-e vendicarono loro ingiuria. I Bolognesi all’uscita di novembre detto
-anno ricavalcarono con più ordine e forza sopra loro, e arsono e
-guastarono più e più villate, e senza contasto si tornarono a casa.
-
-
-CAP. LXXXII.
-
-_Del trattato delle compagnie che doveano entrare in Avignone._
-
-La compagnia spagnuola accozzata con un’altra in Provenza aveano
-trattato con certi forestieri di più lingue ch’erano in Avignone come
-di furto potessono entrare nella città, dove speravano fare il sacco,
-ma non fuori di misura, con l’aiuto di quelli d’entro, che prometteano
-dare l’entrata, e per questa cagione di subito cavalcarono, e vennono
-infino presso alla città. La cosa si scoperse perchè era vogliosa,
-e con poco ordine e meno forza: dentro furono presi circa a trenta;
-alcuni ne furono decapitati, e alcuni impiccati, e la compagnia si
-tornò addietro senza fare altro danno, e per l’innanzi in Avignone si
-fè più sollecita guardia, e ciò fu all’uscita del mese di novembre del
-detto anno.
-
-
-CAP. LXXXIII.
-
-_Come i Pisani perderono Pietrabuona e vi puosono l’assedio, dove
-stando vollono torre Sommacolonna per incitare i Fiorentini a guerra._
-
-Fu di sopra a suo luogo narrato, come i Pisani per soperchio d’astuzia
-aveano costretto i Fiorentini levare il porto da Pisa e recarlo
-a Talamone, e tutto ch’a’ Fiorentini sconcio e spesa fosse, tutto
-lietamente si comportava, mostrando a’ Pisani che poteano fare senza
-loro. E del fatto a littera ne seguiva quello che Piero Gambacorti
-detto n’avea a quelli mercatanti che al detto tempo si trovarono su il
-Rialto in Vinegia, dove il detto Piero era confinato quando la novella
-vi venne, che fu in questa maniera: Fiorentini, Fiorentini, se state
-fermi in vostro proponimento, Pisa in piccolo tempo diventerà un bosco:
-e veramente così ne seguia, perocchè essendo partiti i Fiorentini da
-Pisa, tutti coloro che con loro mercatavano e trafficavano, con quelli
-ch’a’ loro servigi rispondeano aveano fatto il simigliante, il perchè
-le case, i fondachi, e la terra tutti rimaneano oltre a mezza vota, e
-i mestieri degli artefici in gran dannaggio, onde il soprassenno de’
-Pisani raccortosi di suo errore cercò per molte vie oneste e piacevoli,
-e a’ Fiorentini vantaggiose e onorate, di ritornarli a Pisa, e ciò non
-potendo ottenere, e seguendo del fatto, che quelli che teneano lo stato
-e governo della città n’erano caduti nell’odio e mal volere del popolo
-e de’ mercatanti, e stavano in paura del perderlo, avendo del continovo
-alla coda gli aderenti, seguaci e amici de’ Gambacorti, i quali erano
-di fuori e li sollecitavano; onde essi sottilmente pensarono di fare
-disfare due chiovi a uno caldo col fuoco della guerra, l’uno, di
-unire il popolo consueto nemico de’ Fiorentini e sopra modo parziale
-con la guerra, l’altro, che seguendo pace della guerra, come suole,
-patteggiare nella pace la tornata del porto: e per dette cagioni con le
-loro vie coperte e sagaci, per non parere d’essere i motori al rompere
-della pace, presono questa cautela, che una volta e più fittizziamente
-e simulatamente bandeggiarono di loro cittadini, contadini e
-distrettuali, uomini atti a cercare mutazioni e riotte, nominati e di
-seguito, disposti a fare piuttosto il male che ’l bene, e questi in
-diversi luoghi e tempi tolsono certe tenutelle del distretto del comune
-di Firenze di poca importanza; onde il comune secondo i tempi più volte
-ne mandò ambasciadori a’ Pisani, e quello ne rapportavano era: E’ ce
-ne pesa, sono nostri forbannuti, e loro appresso di voi semo acconci a
-perseguitare infino a morte e desolazione. Il comune di Firenze per non
-essere abominato di corrompere la pace se la portava pazientemente, e
-con infignere di non se n’avvedere; nè pertanto si rimaneano i Pisani
-di seguire la mala regola presa, cercando al continovo per questa via
-di torre delle terre a’ Fiorentini, e non delle peggiori, il perchè
-a’ Fiorentini fu forza a prendere loro costume, e con un Giovanni da
-Sasso famoso caporale e atto all’arme feciono tentare segreto trattato,
-che togliesse a’ Pisani il castello di Pietrabuona, il quale è vicino
-a Pescia, e così seguì, avendo prima per colorati misfatti ricevuto
-bando a Firenze della persona. A’ Pisani parendo loro avere ottenuto
-loro talento subitamente con grande ordine e sforzo assediarono il
-castello per forma, che niuna forza d’arme glie ne arebbe potuti
-levare, nè tor loro non lo racquistassono. Stando al detto assedio,
-veggendo non bastavano l’occulte a incitare e muovere i Fiorentini alla
-guerra, vennero alle aperte, e del mese di gennaio preso loro tempo si
-credettono furare Sommacolonna, e cavalcaronvi sforzatamente, ma non
-venne loro fatto. E per arrogere all’ingiuria, avendo i Fiorentini loro
-gente alla guardia di Pescia e dell’altre terre della Valdinievole,
-certi conestabili de’ loro a loro diletto usavano d’andare il dì
-sul poggio della Romita sopra a Pietrabuona, il quale era terreno
-de’ Fiorentini, e ivi si stavano a vedere badaluccare e gittare i
-trabocchi; i Pisani posto loro aguati li assalirono e uccisonne sette,
-e gli altri ne menarono a prigioni, e diedono palese e aperto principio
-della guerra.
-
-
-CAP. LXXXIV.
-
-_Come fu sorpreso il conte di Savoia dalla compagnia bianca co’ suoi
-baroni, e ricomperaronsi con gran quantità di moneta._
-
-In questo medesimo tempo, essendo venuto il conte di Savoia di qua
-da’ monti a una sua terra che si chiama...... con molti baroni e
-cavalieri di sua contea, non prendendosi guardia, la compagnia bianca,
-la quale era vicina a quelli paesi, si mosse una notte facendo molto
-lungo e disordinato cammino, e sorprese il conte e’ baroni alla terra
-senza alcuna resistenza, salvo che ’l conte con pochi si rifuggì nel
-castello, gli altri tutti furono prigioni: e il conte assediato e
-sprovveduto, veggendosi a mal partito, trasse accordo, e tra di sè e di
-suoi baroni, e de’ cittadini della terra e delle cose loro, che tutto
-era in preda, venne a composizione di dare alla compagnia in diversi
-termini fiorini centottantamila d’oro, parte allora, e del resto
-fermezza, sicchè tutto lasciarono, e tornarsi in Piemonte.
-
-
-CAP. LXXXV.
-
-_La cavalcata che Piero Gambacorti fè sopra i Pisani._
-
-Essendo Piero Gambacorti in Firenze, e avendo da’ suoi amici di Pisa
-sollecito conforto, che procacciasse d’appressarsi alla terra con
-alcuna forza, dicendo, che dove i cittadini il sentissono farebbono
-novità contro i reggenti, ch’erano comunemente mal voluti. Avvenendoli
-per caso che all’uscita di gennaio a Firenze erano col conte Niccola
-Unghero settecento Ungari usciti del Regno, i quali doveano andare in
-Piemonte in servigio del re Luigi, ma non avendo loro paga ordinata
-per lo re cercavano condotta, e i Fiorentini non li voleano, perchè non
-n’aveano bisogno, e non voleano un capo con tanta gente d’una lingua;
-in questo a Piero Gambacorti crebbe l’animo per lo conforto de’ suoi
-amici, e condusse questo conte co’ suoi Ungari, ed ebbe alcuno aiuto
-da certi usciti di Lucca, e seguito di più di dodici centinaia di
-fanti, niente essendoli contradetto dal comune di Firenze, e a dì 27
-di gennaio uscirono di Firenze, e a dì 28 furono in Valdera, e certe
-terricciuole l’ubbidirono, e non volea far guasto nè lasciare fare
-preda, di che gli Ungari e i briganti n’erano assai malcontenti. I
-Pisani di presente mandarono a Firenze per sapere se il comune movea
-questo, e fu risposto di no; e per abbondante mandarono bando l’avere
-e la persona che niuno Fiorentino contadino o distrettuale non dovesse
-andare contra i Pisani, e chi andato vi fosse, sotto la detta pena se
-ne dovesse partire. I briganti non potendo guadagnare se ne partirono
-per lo disagio più che per lo bando, e rimase Piero con gli Ungari e
-con gli altri forestieri. Gli astuti e maliziosi Pisani vedendo che
-altri che Piero non era a guidare questa gente, costrinsono per forza i
-più intimi amici ch’avesse in Pisa, e fecionli scrivere da più parti a
-un modo, che si dovesse guardare la persona, perocchè gli Ungari aveano
-trattato di darlo preso a’ Pisani, e d’averne fiorini ventimila d’oro.
-Egli era a Peccioli quando le lettere di più parti li vennono, cominciò
-a dubitare, e a stare a riguardo, e vedendo l’adunanze degli Ungari
-parlare insieme, e non intendendoli, pensò che eglino il dovessono
-pigliare, e vedendosi presso a Volterra, senza congio con sua gente diè
-degli sproni al cavallo, e partissi dagli Ungari. Fu detto che alcuni
-il seguitarono, ma il vero fu poi certo che tutto fu fatto a mano per
-l’astuzia de’ Pisani. Gli Ungari il primo dì di febbraio senza far
-danno in alcuna parte si ritornarono a santa Gonda, e poi a Firenze.
-
-
-CAP. LXXXVI.
-
-_Come il re Luigi prese le terre di messer Luigi di Durazzo e lui mise
-in prigione, e trasse del Regno la compagnia._
-
-Era Anichino di Bongardo stato lungamente stretto dagli Ungari in certe
-terre che teneano di messer Luigi di Durazzo, e non avendo potuto
-guadagnare erano in male stato, e cominciando a perdere delle terre
-vennono a patti d’avere sicurtà dal re, e uscirsi del Regno sotto la
-sua guardia e sotto la sua bandiera, e così fu promesso, e fatto a
-ciò fine. A messer Luigi dopo questo si rubellò sant’Angiolo, ed egli
-vedendosi povero e mal parato si rendè al re Luigi suo cugino, e venuto
-a Napoli, rendute tutte sue terre, fu messo in prigione nel castello
-dell’Uovo, sperandosi per molti che il re li dovesse perdonare, ma
-la sua fortuna dopo la morte del detto lo fece morire in prigione.
-Anichino con la sua compagnia assai male in arnese, alla condotta di
-certi baroni del re, com’era promesso, del mese di gennaio del detto
-anno uscì del Regno.
-
-
-CAP. LXXXVII.
-
-_Come le compagnie si partirono di Provenza._
-
-In questo medesimo mese di gennaio, le due compagnie ch’erano in
-Provenza presono accordo co’ paesani per certa quantità di danari, e
-l’una se n’andò verso la Francia, e l’altra tenne in Borgogna, chiamata
-da certi baroni di Borgogna, perocchè era morto il loro duca, e temeano
-del re di Francia.
-
-
-CAP. LXXXVIII.
-
-_Come fu sconfitta la gente del re di Castella dal re di Granata._
-
-Avendo lasciato il re di Castella in Granata lo re Maometto che n’era
-stato cacciato, e con lui il maestro di Ialatrenu, il detto maestro
-avendo quattromila cavalieri spagnuoli e gran popolo seco, badaluccando
-con la gente del re Vermiglio di Granata, con mala provvisione
-ringrossò il badalucco: il re mise loro addosso subitamente molta
-gente a cavallo e a piè, e combattendo insieme lungamente, in fine i
-Mori sconfissono quelli di Castella, e presono il capitano e più altri
-caporali, e de’ Castellani vi rimasono morti in sul campo tra cavalieri
-e pedoni più di tremila, li milleottocento cavalieri; e avuto il re
-Vermiglio questa vittoria, del mese di gennaio 1361, prese baldanza,
-e corse colle sue genti in sulle terre del reame di Castella, facendo
-spesso danno e vergogna al re di Spagna.
-
-
-CAP. LXXXIX.
-
-_Come per vendicare sua onta il re di Spagna andò sopra il re di
-Granata._
-
-Del mese di febbraio del detto anno, il re di Castella sdegnato e
-infellonito contro al re Vermiglio, e contro ai suoi Mori, in furore
-dell’animo suo uscì di Sibilia a dì 20 del mese, avendo prima fatto
-comandamento di cuore e d’avere che catuno che potesse portare arme
-il dovesse seguire in sul terreno di Granata, e subito vi si trovò
-con diecimila cavalieri e trentamila pedoni in arme da combattere, e
-oltre a duemila carrette con vittuaglia e dificii da combattere le
-terre: e combattendo le castella, per infino a dì 22 d’aprile 1362
-prese dieci forti castella piene e ubertuose, e molte altre ville di
-minore fortezza, e gli uomini tutti fece servi e schiavi, e quelli
-si difendevano erano morti, e quelli si rendevano salvi: per questo
-avvedendosi i Mori di Malica e di Saletta che lo re di Castella era
-per divenire loro signore, per non essere sottoposti a’ cristiani
-deliberarono di rimettere Maometto, ch’era con il re di Castella, in
-re di Granata, e incontanente lo misono in Malica, e poco appresso in
-Granata, e lo re di Spagna contento di questo, avendo fornite le terre
-prese, e ritenendole in sua guardia, si partì di Granata, e tornossi in
-Sibilia.
-
-
-CAP. XC.
-
-_Come messer Bernabò si credette avere Reggio per trattato._
-
-Messer Bernabò mostrandosi poco contento della pace promessa a santa
-Chiesa, e usando parole contro il fratello messer Galeazzo, dicendo,
-che egli avea fatto più che da lui non avea avuto in mandato intorno
-alla pace, dando intendimento di volere fare maggior guerra a Bologna,
-accolse molta cavalleria di sua gente, e in persona con essa ne venne
-a Parma del mese di febbraio del detto anno, avvisandosi per tutto che
-dovesse andare sopra Bologna, ed egli avea trattato d’avere Reggio,
-ed entrarono dentro nella città circa a cinquemila masnadieri. Messer
-Feltrino avvedendosi della baratta, avendo grande ardire e gente poca,
-si fedì francamente fra loro; i masnadieri inviliti per tema di maggior
-forza vedendo l’ardire pensarono a campare, e molti ve ne furono morti
-e presi: sentitosi la novella, messer Bernabò si ritornò addietro.
-Appreso messer Bernabò che ’l verno era già passato, e che il tempo
-atto alla guerra ne venia, e che la mortalità era a lui riuscita con
-grande acquisto per quelli che morti erano senza eredi, i beni de’
-quali erano incorporati alla camera del comune la quale era sua, e
-sentendo che la Chiesa era in poco podere di gente d’arme, e Bologna
-mal fornita, cominciò a domandare cose che mai non erano state, non
-che addomandate, ma nè pensate, e perciò mandò a corte di Roma suoi
-ambasciadori per terminare le dette domande; e infra l’altre arroganti
-domande fece chiedere che voleva il figliuolo arcivescovo di Milano, e
-volea che per decreto e rescritto papale l’elezione dell’arcivescovo
-fosse di elezione della casa de’ Visconti di Milano, e voleva il
-vicariato dell’imperadore, ed essere da lui restituito in tutte le
-sue dignitadi, e che lecito li fosse potere guerreggiare ogni terra
-e signore, fuori le terre della Chiesa, con patto che la Chiesa non
-se ne travagliasse, e non desse a quelle le quali egli guerreggiasse
-nè favore nè aiuto in alcuno modo, mettendo per sospetti i signori e
-comuni nominati per la guardia di Bologna, tanto ch’egli fosse pagato,
-e volea che la città di Bologna si guardasse per i Pisani; e domandando
-queste, e altre cose sconce e villane, al continovo non cessava
-di crescere la gente dell’arme sopra la città, e di guerreggiarla
-scorrendo tutto giorno fino alle porte. La Chiesa i patti che domandava
-con suo onore accettare non potea, e non si potea difendere dalla forza
-del tiranno nè dalla superbia sua, ricorse a Dio con singolare orazione
-comandata per tutta la cristianità, e la misericordia sua tosto vi
-provvedè di salutevole consiglio, come seguendo nostra leggenda trovare
-si potrà.
-
-
-CAP. XCI.
-
-_Come i Pisani feciono cosa da incitare i Fiorentini._
-
-All’entrata del mese di marzo 1361, i Pisani feciono cavalcare lor
-gente a piè e a cavallo nella Cerbaia distretto de’ Fiorentini, e
-levarono preda di bestiame minuto, e condussonlo al Cerruglio. I
-Fiorentini di ciò sdegnati feciono della lor gente di Valdinievole
-cavalcare infino alle porti di Montecarlo, e la notte misono gente in
-aguato in Pietrabuona, ma i Pisani se n’accorsono, e ritennonsi dentro
-al battifolle, onde la gente de’ Fiorentini si ritornò in Pescia.
-Queste furono assai picciole cose, e poco degne di memoria, ma per
-quello che per questi inzigamenti dipoi ne seguì, che furono grandi
-cose, l’animo nostro ha patito di porre questi lievi principii.
-
-
-CAP. XCII.
-
-_Dell’operazioni delle compagnie in questi tempi._
-
-Tornando a’ tormenti delle compagnie, in questi giorni del verno
-avanti alla primavera, la Compagnia bianca col marchese di Monferrato
-acquistate più castella le quali si teneano per messer Galeazzo
-nel Piemonte, e più feciono loro cavalcate infino a Pavia passando
-il Tesino, e quivi stati più giorni si ritornarono in Piemonte. La
-compagnia la quale era in Borgogna capitanata dal Pitetto Meschino,
-uomo alvernazzo e di niente, e per sua prodezza e maestria di guerra
-montato in grande stato e pregio d’arme, prese in Borgogna più terre,
-dove s’adagiò con la sua brigata, conturbando forte tutta la parte
-del re di Francia, riguardando sempre tutti quelli che al re erano
-contrari, il perchè il re condusse la compagnia delli Spagnuoli per
-cacciare il Pitetto Meschino di Borgogna, i quali Spagnuoli ne’ detti
-giorni erano in Berrì, e condotti, così faceano di male ad amici come
-a nemici, dove stendere potessono le mani senza guastare il paese
-o uccidere. La compagnia d’Anichino di Bongardo uscita del Regno, e
-condotta da messer Bernabò, in questi giorni se ne venne in Toscana per
-andare sopra Bologna. Così e molto più era intrigata e avviluppata la
-cristianità dalle maladette compagnie in questi tempi.
-
-
-CAP. XCIII.
-
-_D’una cometa ch’apparve di marzo nel segno del Pesce._
-
-Del mese di marzo del detto anno, apparve tra ’l levante e ’l mezzodì
-sul mattutino una cometa nel segno del Pesce Con la coda lunga di
-colore cenerognolo, la quale alcuni astrolaghi dissono ch’era chiamata
-Ascone. Quello che di sua influenza si vidde fu, che il verno, fu
-bellissimo e asciutto, e non troppo freddo, atto molto alla sementa e
-coltivamento della terra; la primavera fu fresca e umida, e la state
-temperata d’acque, onde ne seguì grande abbondanza. E a dì 8 d’aprile
-l’anno 1362, alle due ore del dì, essendo l’aria serena e chiara uno
-grande tuono si sentì in aire, lo quale molto fece maravigliare la
-gente, e innanzi li venne un baleno con vapori incesi, che caddono
-in Firenze sopra il fiume d’Arno e da santa Maria in Campo senza fare
-alcuno danno, e l’aria rimase serena e chiara che era.
-
-
-CAP. XCIV.
-
-_Come la Compagnia bianca prese Castelnuovo Tortonese._
-
-Del mese di marzo la Compagnia bianca essendo di lungi al contado
-di Tortona per tanto di spazio, che i paesani non aveano riguardo,
-partendosi di giorno, e cavalcando verso la notte, feciono a gente
-d’arme smisurato viaggio, e in sul dì seppono sì fare, che la mattina
-entrarono anzi dì di furto in Castelnuovo Tortonese, e come furono
-dentro, chi si volle difendere uccisono, il perchè i morti si trovarono
-sopra a trecento: il castello era bene di milledugento uomini.
-Sentito ciò messer Galeazzo v’andò con più di tremila cavalieri e bene
-quindicimila pedoni, e tutto che li paresse essere bene in apparecchio
-da combattere co’ nemici non s’attentò di mettersi a partito, ma fornì
-le castella d’attorno, e tornossi a Milano.
-
-
-CAP. XCV.
-
-_Come la compagnia del Pitetto Meschino sconfisse l’oste del re di
-Francia a Brignai._
-
-Lo re di Francia infiammato d’onta contro la compagnia del Pitetto
-Meschino d’Alvernia suo picciolo servo fuggito, nonostante che avesse
-condotta la Compagnia spagnuola contro a loro, la quale ancora non era
-giunta in Borgogna, radunò prestamente del mese di marzo un’oste di
-bene seimila cavalieri franceschi, e tedeschi e di altre lingue che
-erano in Francia, e fattone capitano messer Giacche di Borbona della
-casa di Francia con quattromila sergenti gli mandò in Borgogna. E in
-que’ giorni la compagnia del Pitetto Meschino avea preso un castello
-del re che si chiama Brignai, e lasciatovi alla guardia trecento
-di sua compagnia, ed egli con tremila barbute e duemila masnadieri
-i più Italiani ch’erano in sua compagnia era cavalcato nel contado
-di Forese, facendo loro procaccio: in questo il duca di Borbona con
-l’oste sua giunse e puosesi a campo a Brignai, credendolosi in pochi
-giorni racquistare: e così standosi all’assedio baldanzosamente, e
-senza debita provvisione e con poco ordine, avendo con l’animo grande
-a vile il loro avversario, il Pitetto Meschino maestro e pratico di
-arme con la brigata sua vogliosa di zuffa, e ardita e bene in punto,
-essendo lontano da Brignai giornata e mezzo, avendo lingua come i
-Franceschi con molto disordine si reggevano a campo, confortata sua
-brigata, e animata della gran preda, con sollecito studio di cavalcare
-raccorciando i cammini, avanti al giorno di più ore giunse al campo
-sopra gli sprovveduti Franceschi, e senza alcuno arresto gli assalì
-con grande tempesta e romore; onde tra per le terribili grida, e per
-lo subito e sprovveduto assalto i Franceschi bairono, e mancarono di
-cuore, e non di manco ciascuno come meglio poteo ricorreva all’armi
-per difendersi, ma quelli della compagnia gli percoteano, e gli
-sollecitavano sì con l’arme, che non gli lasciavano far testa; e così
-quell’oste ove avea tanti baroni e valenti cavalieri sventuratamente
-fu rotta e sbarattata, con molti di loro morti e magagnati: quelli
-che camparono con loro cavalli e arnesi quasi tutti vennono in preda
-del vassallo del re di Francia Pitetto Meschino. Messer Giacche duca
-di Borbona fu a morte fedito di più fedite, ed essendo preso, vedendo
-che era per morire fu lasciato alla fede, e portato a Lione sopra a
-Rodano in pochi giorni passò di questa vita. Preso rimase il conte di
-Trinciaville, il conte di Forese, il maliscalco di Dunan, l’arciprete
-di Guascogna altra volta stato capo di compagnia, messer Broccardo
-di Finistagion Tedesco capitano di millequattrocento barbute, messer
-Amelio del Balzo, e il conte di Clugnì, tutti signori e gran baroni,
-e assai d’altri signori e cavalieri banderesi de’ quali uscì grande
-tesoro a riscatto. I soldati furono lasciati alla fede, e quelli che
-in sul campo furono morti o fediti lasciarono portar via. La valuta
-della preda fu tanta, che la compagnia se ne fè ricca: e per questa
-vittoria presono tanto d’audacia e d’ardire, che in grande tremore
-stette la corte di Roma, usa di essere pettinata dalle compagnie, che
-non corressono sopra Avignone, ma tanto dimorò la compagnia in Borgogna
-ch’ebbono i danari che si riscattarono i baroni e’ cavalieri. Lo re
-di Francia sentita questa novella sopra modo si turbò di cuore, e osò
-dire, che mai non ristarebbe, ed eziandio con porre la sua persona al
-pari d’un soldato, che dell’onta ricevuta si vendicherebbe. E per non
-avere più a tornare sopra la presente materia per infino che altra
-gran cosa non seguisse, il Pitetto Meschino e quelli di sua compagnia
-udite le minacce del re, per accrescere il dispetto e l’onta, mostrando
-d’avere il re e le sue parole a vile, del mese di giugno appresso
-se n’andarono vicini a Parigi, facendo gran preda e danni a’ paesani
-d’intorno alla città. Io non mi posso tenere, che io non dica qui per
-gl’intendenti ragionatori si misuri la gloria vana e fallace degli
-stati mondani; ma nella presente materia quelli massimamente che hanno
-avuto notizia della eccellenza del reale sangue di Francia, per cui al
-presente è tanto vilmente calcata: e certo il Pitetto Meschino è di sì
-oscuro luogo nato, che fuori del sapere che egli è Alvernazzo, non si
-sa chi fosse nè madre nè padre: e questo basti.
-
-
-CAP. XCVI.
-
-_Come fu fermo lega dalla Chiesa e i signori di Lombardia contro a
-messer Bernabò._
-
-Veggendo gli altri signori della Lombardia la pertinacia di messer
-Bernabò intorno al racquisto di Bologna, e che per averla di sua fede e
-promessa mancava a santa Chiesa, nelle loro menti presono concetto, che
-se vincesse Bologna a loro non perdonerebbe, stimando che con cagioni
-controvate contro a loro volgesse la guerra con assai più vicino e
-possente braccio. Il perchè entrati in sospetto e paura, con loro
-segreti ambasciadori cercarono di far lega e tra loro insieme con la
-Chiesa di Roma; e nel trattato occorse che il signore di Verona diede
-la sorella per moglie al marchese di Ferrara; e fornito il parentado
-per modo che non potea tornare addietro, il signore di Verona come a
-stretto parente il fè con festa a sentire a messer Bernabò, il quale
-udito il fatto a maraviglia se ne turbò, dicendo: Io son fatto cognato
-di uno sterpone. Il marchese con tutto che di ciò avesse obria era
-d’animo nobile e valente uomo, magnanimo e di grande cuore, e compare
-di messer Bernabò, e molto l’avea servito contro alla Chiesa nella
-guerra di Bologna, dando libero il passo a sua gente d’arme, el a suo
-piacere vittuaglia e per acqua e per terra. Fermato il parentado intra
-i detti due signori, del seguente mese d’aprile lega e compagnia si
-fermò tra il legato di Spagna in nome di santa Chiesa e il signore
-della Scala, e il signore di Padova, e il marchese di Ferrara; e la
-taglia della gente della lega fu in nome di tremila cavalieri, de’
-quali la Chiesa dovea pagare i millecinquecento cavalieri, e ciascuno
-degli altri cinquecento per uno: e oltre a ciò ne’ patti della lega
-promesse ciascuno a loro difesa, e della città di Bologna, e all’offesa
-di messer Bernabò, e d’ogni qualunque che contro alla lega facesse.
-E stando le cose in questi termini, messer Bernabò mandò al Finale
-navilio grande con molta vittuaglia per fornire le castella ch’avea sul
-Bolognese, e il marchese la fece volgere indietro. E appresso i detti
-signori di concordia per loro ambasciadori mandarono a dire a messer
-Bernabò, ch’a lui piacesse non volere fare più guerra alle terre di
-santa Chiesa, con ciò fosse cosa che d’allora innanzi con tutto loro
-sforzo si porrebbono alla difesa di questa lega: il superbo tiranno
-ebbe singolare e altero sdegno, e nelle sue rilevate parole molto gli
-avvilì, usando queste parole: Essi sono matti fantisini: e seguendo col
-fatto l’altero parlare, a catuno di loro per derisione mandò dono di
-vasellamento d’argento, de’ quali nello smalto di quelli da Verona era
-una scala appesa a un paio di forche, in quelli del signore di Padova
-erano colombi volanti, in quelli del signore di Ferrara una ferza,
-giusta la considerazione della sua vana e superbia fantasia; ma in
-picciolo tempo le cose seguirono in forma, che per opera vedere si potè
-che non avea a fare con fantisini, ma con valenti e savi signori, come
-seguendo nostro trattato racconteremo.
-
-
-CAP. XCVII.
-
-_Come fu morto il re Vermiglio di Granata._
-
-E’ ne pare venire a scrivere cosa assai disusata e sconvenevole non
-che a re cristiano, ma a qualunque barbaro, ma quale è scriver la ci
-conviene. Sentendo il re Vermiglio di Granata come i Mori aveano sopra
-sè per loro re esaltato Maometto, cui egli avea altra volta del reame
-cacciato, conobbe che non potea resistere a Maometto avendo seco il re
-di Castella, e però mandò al re di Castella in Sibilia, e gli domandò
-sua sicurtà e fidanza, con dire di volere venire a sua ubbidienza.
-La sicurtà data gli fu libera e piena; ma chi il re volle scusare del
-gran tradimento disse, non seppe che per parte del re domandato fosse
-il salvocondotto, nè che per lui dato non gli fu. Costui, quanto che
-fosse Saracino, lasciato il reame a Maometto, con quattrocento tra di
-suo sangue, e amici e di suo seguito, con molta ricchezza, sotto la
-fidanza del salvocondotto, se ne venne a Sibilia là dove era Pietro di
-Castella re, e a dì 20 del mese d’aprile, gli anni Domini 1362, venne
-davanti al re, e gli si gittò a’ piedi con grande reverenza e umiltà.
-Il re con buono viso il vide e ricevette, e nella Giudecca, che è luogo
-di grandi abituri e d’intorno murato, lo mise, e quello luogo assegnò
-a lui e sua compagnia, e in quel giorno gli mandò e doni e presenti
-amichevolmente: dipoi venuta la notte lo detto re Pietro fece prendere
-lo re Vermiglio e sua compagnia, e rubare tutto loro tesoro, e arme,
-e cavalli e arnese, e loro tutti mettere in buone prigioni con buone
-catene: loro tesoro recò tutto a sè, che passò la stima di ottocento
-migliaia di fiorini d’oro. E il sabato appresso a dì 24 d’aprile, il
-re Pietro fece menare davanti da sè il detto re Vermiglio in Tavolata,
-che è un campo fuori della città di Sibilla forse una balestrata, in su
-un asino, e con lui appresso tre de’ suoi maggiori baroni, gli altri,
-ch’erano quarantuno, tutti grandi Saracini, tutti legati a una fune;
-lo re Pietro a cavallo con molti suoi baroni e cavalieri con lance in
-mano, e colle spade a lato, avendo i Saracini al campo legati, lo re in
-prima lanciò e fedì in prima lo re Vermiglio, e gli altri appresso gli
-altri, e in poco d’ora tutti furono tagliati a pezzi in sul campo, e
-le teste loro fece a Maometto presentare; tutti gli altri ch’erano con
-lui fè servi. Questo re Vermiglio fu colui che cacciò e volle uccidere
-il re Maometto, e fatto re un giovane fratello del detto re Maometto il
-fè morire. È fama che tutti quelli che morti furono in Tavolata erano
-stati al re Vermiglio aiutatori, consigliatori e favoreggiatori.
-
-
-CAP. XCVIII.
-
-_Come il re Maometto di Granata si fece uomo del re di Castella._
-
-Avendo il re Maometto ricevuto il ricco e famoso presente della testa
-del re Vermiglio suo nemico, e de’ quarantaquattro suoi seguaci i quali
-aveano morto il fratello, riconoscendo come per operazione del re Piero
-di Spagna egli era ritornato nel suo reame di Granata, di presente
-mandò suoi ambasciadori con pieno mandato al re Piero, i quali li
-sommisono il reame di Granata, e da lui in vece e nome del re Maometto
-come da superiore lo riconobbono, e lo re Maometto ne feciono suo uomo,
-e omaggio glie ne fece, e in segno della sommissione del reame a loro
-usanza li mandò pennoni di tutte le sue buone città e terre; e oltre a
-questo li presentò ricchi doni, e con essi tutti i cristiani ch’erano
-in suo reame fu donato loro libertà per amore del detto re.
-
-
-CAP. XCIX.
-
-_Principio di guerra dai collegati a messer Bernabò._
-
-Fermata la lega tra santa Chiesa e’ signori di Lombardia, come scritto
-è di sopra, anzi che altro movimento per i collegati si facesse, messer
-Bernabò mandò sue genti sopra il signore di Verona verso il Lago di
-Garda, il perchè i collegati in questo tempo del mese di maggio con
-duemila cinquecento cavalieri della lega, e con assai gente da piè,
-mossono da Modena per occupare il passo a messer Bernabò, sicchè non
-potesse mandare a fornire le castella che tenea sul Bolognese; e stando
-questa gente a campo, quella di messer Bernabò venne sul terreno di
-Modena, e puosesi dove già fu un castello che si chiamò Solaro, il
-quale era sopra il canale di Modena, e perchè era nelle valli in luogo
-infermo era abbandonato, e in su quello castellare fè porre una forte
-bastita, e quindi avea balía da potere ire alle castella del Bolognese.
-La cavalleria della lega si pinse innanzi verso Reggio, e puosonsi a
-un altro castello abbandonato similmente detto la Massa, che anche
-è sul passo, essendovi ancora gli antichi fossi pieni d’acqua gli
-afforzarono; onde Anichino di Bongardo, ch’era a Solaro con l’oste
-di messer Bernabò, avendo vittuaglia per fornire Castelfranco, e
-l’altre castella del Bolognese, la si ritenne per l’oste sua, non
-sperando poterne avere stando ferma la bastita della lega. Vedendo
-messer Bernabò che la lega era contro a lui ben fornita, e potente
-di gente e di danari, si pentè d’avere sconcia la pace colla Chiesa,
-e di presente mandò lettere a’ suoi amici e protettori in corte, e
-appresso ambasciata con cercare si fermasse la pace, levando via tutti
-gli articoli ed eccezioni che posti avea, e l’altre disoneste dimande,
-rimettendo Bologna nelle mani de’ Fiorentini, o di cui il papa volesse.
-Il papa era contento, non avendo ancora che fosse ferma la lega, ma in
-quello stante le lettere del legato vennero al papa, come la lega era
-ferma e possente a resistere al tiranno, e avute queste novelle, il
-papa e’ cardinali al tutto rinunziarono di fare la volontà di messer
-Bernabò, e seguirono loro processo, e feciono lui e chi gli desse aiuto
-o favore scomunicato, e nominatamente gli Ubaldini, i quali tennono
-con lui contro alla città di Bologna. Avendo messer Bernabò mandato a
-corte, anche scrisse al comune di Firenze scusandosi, che per lui non
-rimanea il seguire della pace, e che la guerra non venia da lui.
-
-
-CAP. C.
-
-_Come e quando morì Luigi re di Cicilia e di Gerusalemme._
-
-Luigi re di Cicilia e di Gerusalemme, signore d’assai sconcia e
-dissoluta vita secondo che richiede la reale maestà, tocco da divina
-spirazione, quasi consapevole di sua morte vicina, lasciando l’usate
-vanitadi, punto dal giudicio di sua coscienza, per penitenza e ammenda
-de’ suoi misfatti e difetti si mise umilmente in pellegrinaggio, e andò
-a visitare i corpi de’ gloriosi apostoli, di messer san Bartolommeo il
-quale è a Benevento, quello di san Matteo lo quale giace a Salerno,
-e quello di sant’Andrea il quale sta ad Amalfi, secondo che nel
-paese certamente si tiene per antica e indubitata credenza: e di tale
-viaggio tornato a Napoli cadde in malattia, e come piacque a Dio, senza
-disporre altrimenti de’ suoi fatti, dicendo che niente avea di suo da
-testare, ma che tutto era della reina Giovanna, anzi il principio del
-dì a dì 26 di maggio, il giorno della santa Ascensione, rendè l’anima
-a Dio, e in quel dì fu sepolto con reali esequi a....... avendo tenuto
-il regno dieci anni forniti dal giorno di sua coronazione. Signore
-fu di poca gravezza e meno d’autorità, e in aspetto e fatto senza
-scienza alcuna, e in fatti d’arme poi fu re poco si travagliò. Poco
-amore portò al suo sangue; il fratello aggrandì più per paura che
-per carità, i cugini trattò male, e per forza li si fece rubelli. Fu
-di sue promesse mendace e di ciò come di virtù si vantava sovente.
-Coloro ch’erano più scellerati peccatori de’ suoi baroni appresso di
-lui erano del più segreto consiglio e di maggior potenza, e con loro
-non avea onorevole conversazione di vita. Mobile fu, timido e pauroso
-ne’ casi dell’avversa fortuna, perocchè appresso di sè non volea
-uomini virtudiosi nè d’autorità. Molto era cupido di fare moneta, e la
-giustizia mollemente mantenea, e poco si facea temere a’ suoi baroni.
-Con il suo balio messer Niccola Acciaiuoli gran siniscalco, e da cui
-a’ suoi bisogni avea aiuto e consiglio alle grandi cose, molte volte
-per punzellamenti e malvagi conforti de’ suddetti suoi baroni venne in
-sospetto, e quando la virtù di colui s’allungava dalla corte i fatti
-del re andavano male. Alla reina facea poco onore, e o per suo difetto,
-ch’assai n’avea, o per fallo della reina, molte volte come una vil
-femmina in grande vituperio della corona la battea, e di quello ch’era
-suo non le lasciava fare nè a sè nè ad altrui il debito onore. Delle
-magnifiche cose che a lui parea aver fatto a tempo di guerra e di pace
-tanto si lodava e vantava, che ogni uomo che l’udia tediando facea
-maravigliare; e di tali frasche fece comporre scritture d’alto dittato,
-compiacendosi nelle proprie lusinghe.
-
-
-CAP. CI.
-
-_Come i Fiorentini vollono difendere Pietrabuona, e non poterono._
-
-Nel 1362 a dì 18 di maggio, i priori di Firenze raccolsono un
-parlamento d’oltre a seicento cittadini, nel quale spuosono i termini
-in che stava Pietrabuona, e come quelli che la teneano data l’aveano al
-comune di Firenze, e come i signori l’aveano presa a parole, pensando
-se si difendesse dalla forza de’ Pisani per quella riavere o Sovrana
-o Coriglia, terre da’ Pisani nel vero copertamente e maliziosamente
-tolte al comune di Firenze; non ostante che poco dinanzi per i detti
-signori fosse stato risposto agli ambasciadori pisani, che ’l comune
-non se ne travagliava, e più come ne’ prossimi giorni i Pisani aveano
-cavalcato sopra il terreno di Barga terra accomandata al comune di
-Firenze, e dandovi il guasto arando i seminati con più di cento paia di
-buoi, e tagliando loro gli alberi dimestichi, e le vigne e’ castagni,
-e come a undici soldati del comune di Firenze in sul distretto del
-comune di Firenze, i più conestabili, stando senza arme a vedere
-gittare i trabocchi in Pietrabuona, rabbiosamente ai più aveano tolta
-la vita e gli altri fatti prigioni; e recando alla mente le altre più
-gravi ingiurie per lo comune pazientemente passate con infignersi
-di non vederle, nonostante che poco dinanzi al detto parlamento
-per i signori di Firenze risposto fosse agli ambasciadori di Pisa,
-che de’ fatti di Pietrabuona il comune di Firenze non s’intendea di
-travagliare, si diliberò di concordia di tutto il detto consiglio che
-Pietrabuona e sua difesa si prendesse. In questi giorni avvedendosi i
-Pisani che i masnadieri di Pietrabuona erano caldeggiati dalla gente
-de’ Fiorentini, con molta più sollecitudine e studio procurarono di
-racquistarla, e combattendo con dodici trabocchi per dì e per notte
-tutta la macinavano. Dopo il partito preso della difesa, secondo il
-giudicio di molti intendenti, la difesa era presta dove il comune
-avesse fatto afforzare il poggio della Remita, che soprastava i
-battifolli de’ Pisani, ed era del distretto del comune di Firenze, ma
-nel tardare preso fu e guardato per i Pisani; e i Fiorentini in sul
-loro terreno dirimpetto a Pietrabuona, la Pescia in mezzo, puosono
-un battifolle che dava l’entrata e l’uscita libera agli assediati, il
-perchè molto se ne renderono sicuri quelli d’entro, ma dalli dificii
-i quali continovo il dì e la notte gettavano non poteano essere atati,
-e all’uscita di maggio vi cominciarono a gittare fuoco temperato, che
-eziandio offendeva alle pietre, e tanto spesso l’una pietra su l’altra
-venia disfacendo il castello, e offendeano alle persone, che ai pochi
-difenditori che stare vi poteano toglieva il vigore alla difesa. Oltre
-a queste continove battaglie i Pisani levarono un castello di legname
-sotto la guardia di loro battifolli, un’arcata vicino alla torre della
-rocca, contro al quale i Fiorentini feciono dirizzare un trabocco che
-l’avrebbe spezzato, se ’l maestro che ’l conducea fosse ito con fede
-a’ Fiorentini, ma era Aretino, e d’animo ghibellino, e però non adoperò
-quello ch’avrebbe potuto; i maestri dal lato pisano avendo alli quattro
-dificii giuntone uno più grosso, quello de’ Fiorentini sconciarono. In
-questi dì messer Bonifazio Lupo da Parma, chiamato da’ Fiorentini per
-tenere luogo di capitano, giunse a Firenze, e di presente andò a vedere
-il sito di Pietrabuona, e il modo e forma di suo assedio, e veduto
-ed esaminato tutto, scrisse a’ signori di Firenze che impossibile gli
-parea la difesa, e ciò fu a dì 4 di giugno; e a dì 5 del mese, il dì
-della Pentecoste, i Pisani, ch’erano presso al trarre delle balestra,
-con loro battifolli, con tutta loro forza di gente d’arme, e d’assai
-buoni balestrieri, movendo loro castello il condussono fino alla rocca.
-Quivi secondo il suo essere fu l’aspra battaglia a petto a petto, e non
-di manco li dificii de’ Pisani traevano sì temperati che loro genti non
-offendeano, e quelli del castello non lasciavano scoprire alla difesa;
-vollono gittare il ponte del castello del legname in su la torre di
-là, ch’era più bassa che il castello, e il ponte fu corto, e la difesa
-grande per l’operazione de’ buoni balestrieri d’entro, e durata questa
-pugna per spazio di parecchie ore, i Pisani si ritrassono addietro col
-castello del legname; quelli di Pietrabuona affannatisi ritrassono
-a rinfrescare, e non pensando per quello rimanente del giorno avere
-più battaglia, non di meno al soccorso loro erano tratti i cavalieri
-e’ masnadieri, quelli che stare vi poteano coperti da’ trabocchi.
-I Pisani in questo riposamento rallungarono il ponte al castello, e
-con più asprezza ritornarono alla battaglia, e condotto il castello
-lungo la rocca, gettarono il ponte in su la torre, ma per questo non
-si curavano quelli d’entro, che ben poteano tre a tre combattere;
-ma quale che si fosse la cagione quelli d’entro invilirono, e quelli
-ch’erano venuti al soccorso incominciarono a abbandonare il castello, e
-quelli ch’erano di que’ d’entro i caporali pensarono a volere salvare
-danari e altre cose sottili ch’aveano nella rocca, e però affocarono
-la torre e abbandonarono la difesa, onde i Pisani francamente presono
-la terra, e cui giugnere vi poterono misono al taglio delle spade,
-intra i quali fu Nieri da Montegarulli antico e pregiato masnadiere,
-il quale essendo arrenduto alla fede vi fu morto, e altri presi e
-feriti: coloro che l’altro dì v’andarono pe’ morti, e per ricogliere i
-prigioni, sopra i corpi de’ morti prendendoli furono morti, e simile
-i ricomperatori. La gente de’ Fiorentini abbandonato il battifolle e
-arso con non poca vergogna si tornarono a Pescia. Di questa vittoria
-la gloria e la burbanza de’ Pisani troppo fu sopra modo, e la befferia
-smisurata, e la festa tanto grande, che dove avessono acquistato
-una provincia non l’avrebbono potuta fare maggiore, dispettando e
-avvilendo i Fiorentini, e per loro lettere, e oltre a ciò aprendo
-quelle de’ mercatanti fiorentini di loro mano v’aggiugneano villane e
-ontose parole del nostro comune. I loro anziani e governatori posto il
-senno dall’uno lato osarono dire, che se i Fiorentini avessono cuore
-a muovere guerra, che i loro soldati ne legherebbe tre uno di loro, e
-se v’andassono i cittadini, li vincerebbono e legherebbono le femmine
-loro, e molte altre altere e brutte parole con la testa levata usarono
-contro il comune di Firenze per muoverli a cruccio e impresa di guerra,
-ignoranti delle rivoluzioni della fortuna, la quale per guerra assai
-loro apparecchiò di male.
-
-
-CAP. CII.
-
-_Come quelli della valle di Caprese furono traditi dagli Aretini._
-
-Del mese di maggio, quelli della valle di Caprese con l’aiuto di
-loro vicini e amici tanto seppeno adoperare, che presono la Rocca
-cinghiata la quale era de’ Tarlati, e teneano questa e la rocca del
-Caprese, e con gli Aretini s’erano accordati di torre da loro potestà,
-e di dare loro ogn’anno certo censo riconoscendoli per maggiori,
-e doveano i nemici degli Aretini avere per nemici, e gli amici per
-amici, e li Aretini li doveano in loro stato conservare e difendere.
-Stando così gli Aretini infintamente feciono l’oste bandire sopra un
-castello di quelli da Pietramala, e richiesono quelli della valle
-di Caprese d’aiuto, i quali liberamente di buona voglia elessono
-di loro fanti dugento più eletti e pregiati, e uscito il podestà
-d’Arezzo coll’oste quelli della valle Caprese s’aggiunsono con lui,
-ed egli vedendosi costoro tra le mani ne presono centoventi, gli
-altri fuggendo camparono. Presi gli amici gli amici per questa via,
-e mandati ad Arezzo, la gente degli Aretini col podestà entrò nella
-valle di Caprese, e menarono a tondo guastando e consumando ciò ch’era
-in quella; rifuggiti i paesani alla rocca, la quale era da guatarla e
-lasciarla stare. Gli Aretini avendo i prigioni domandavano la rocca;
-i Caprigiani con franchi animi si dispuosono di volere innanzi morire,
-e di vedere i loro prigioni morire, che volessono le rocche dare agli
-Aretini, e di presente mandarono sindaco con pieno mandato per darsi
-al comune di Firenze, il quale stette sopra quindici dì in Firenze per
-ciò fare: gli Aretini con loro ambasciadori storpiarono che il comune
-non fece l’impresa, dicendo che le rocche erano in punto che contra
-loro non si poteano tenere, e che il loro comune era amico e fedele del
-comune di Firenze, e che avendo essi le rocche l’aveano i Fiorentini, e
-in breve tanto seppono dire e operare con gli amici loro, che ’l comune
-non li tolse, il perchè di poi si dierono a’ Perugini, e da loro si
-trovarono ingannati, come appresso a suo tempo diviseremo.
-
-
-CAP. CIII.
-
-_Della mortalità dell’anguinaia._
-
-In questi tempi, del mese di giugno e luglio, l’usata pestilenza
-dell’anguinaia con danno grandissimo percosse la città di Bologna, e
-tutto il Casentino occupò, salvo che certe ville alle quali perdonò,
-procedendo quasi in similitudine di grandine, la quale e questo e quel
-campo pericola, e quello del mezzo quasi perdonando trapassa; e se
-similitudine di suo effetto dare si può, se ciò procede dal cielo per
-mezzo dell’aria corrotta, simile pare alle nuvole rade e spesse, per
-le quali passa il raggio del sole, e dove fa splendore e dove no. Or
-come che il fatto si vada, nel Casentino infino a Dicomano nelle terre
-del conte Ruberto fè grande dannaggio d’ogni maniera di gente: toccò
-Modona e Verona assai, e la città di Pisa e di Lucca, e in certe parti
-del contado di Firenze vicine all’Alpi, e nell’Alpi degli Ubaldini:
-a’ Pisani tolse molti cittadini, ma più soldati. Nell’Isola di Rodi in
-questi tempi ha fatti danni incredibili: e nel 1362 del mese di luglio
-e d’agosto assalì l’oste de’ collegati di Lombardia sopra la città di
-Brescia per modo convenne se ne partisse, e nella città fece danno
-assai. Nella città di Napoli e in molte terre dei Regno, ove assai,
-e dove poco facea, ove niente. Nelle case vicine a Figghine cominciò
-d’ottobre in una ruga, e l’altre vie non toccò. In Firenze ove in una
-casa ove in un’altra di rado e poco per infino a calen di dicembre.
-
-
-
-
-LIBRO UNDECIMO
-
-
-CAPITOLO PRIMO.
-
-_Il Prologo._
-
-Sogliono naturalmente le cose opposte e contrarie insieme avvicinate
-più le loro contrarietà dimostrare. Questo pertanto al presente
-diciamo, perocchè la pace rotta al nostro comune per i Pisani, e la
-guerra per loro e mossa e cercata con molta astuzia sollecitamente
-per riavere il porto, ne presta materia di proemio all’undecimo libro
-di nostro trattato, prendendo principio dalla natura e condizione
-della pace fedelmente osservata, la quale è certo fermo e indubitato
-fondamento e grado delle mondane ricchezze, e della mondana felicità
-secondo il mondo. Ella è madre di unità e cittadinesca concordia;
-ella non solo alle piccole, ma eziandio alle menome cose partorisce
-accrescimento e esaltazione. I re del mondo loro reami in pace
-mansuetamente governano; i popoli liberi intenti a loro arti e
-mercatanzie moltiplicano in ricchezze, magnificando la faccia di
-loro cittadi con ricchi e nobili edificii, e per li sicuri matrimoni
-cresce e moltiplica il numero de’ cittadini con aspetto lieto e pieno
-di festa. E non solo i popoli che vivono in libertà, ma quelli che
-sottoposti sono al crudelissimo giogo della tirannia, la quale per sua
-malvagia natura e corrotta d’usanza a’ buoni e valorosi cittadini è del
-tutto e sempre nemica, e in palese e in occulto avversa, per la paura
-fitta nelle menti loro di perdere loro stato, maculati dalla coscienza
-delle loro crudeli e sanguinose operazioni; d’onde surge, che senza
-niuna pietà o discrezione ti disfanno e scacciano senza misericordia
-alcuna, affermando meglio essere terra guasta che terra perduta. Nè
-contenta loro perversa iniquità alle occupazioni delle loro cittadi,
-per cupidigia d’ampliare signoria le nazioni vicine tormentano, e
-massimamente i popoli che vivono in libertà, con continove guerre
-gradimenti e trattati. E per potere fornire loro empio proponimento,
-e mandare a esecuzione loro volontadi, i sudditi loro disfanno,
-moltiplicando gabelle e collette, ma con gravi imposte. Costoro spento
-il seme de’ buoni danno alquanto di respitto e triegua alle servili
-fatiche, un poco in pace patiscono ai loro sudditi respirare. Male
-dunque conosce e molto poco pregia la dolcezza della libertà chi per
-cupidigia di mortale vita la perde, se vita dirittamente ponderando
-appellare si può il servaggio. È dunque la pace bene considerata
-madre di letizia e d’ubertà, corona e nobiltà di potentissimi re e
-signori, protezione e scudo de’ liberi popoli, del tutto e per tutto
-avversa e nimica alla spaventosa, sterile e sanguinosa guerra, per la
-quale l’altissime cose caggiono e vengono meno. Quanti famosissimi
-re e signori nelle passate etadi ha ella straboccato in estrema
-miseria, con vilissimo e vituperabile uscimento di vita! Quante
-nobili famose e gloriose cittadi ha ella dai fondamenti sovverse,
-lo cui specchio è ai mortali manifestissimo argomento d’incredibili
-mali! Quante provincie ha ella lasciate disolate e povere d’abitatori
-in pauroso e spaventevole aspetto! Quanti e innumerabili popoli ha
-tagliati con ferro, e sommersi nel domestico e nel pellegrino sangue,
-i quali hanno lasciato di loro calamità, miseria, e avversa fortuna
-agl’ignobili luoghi famosi titoli! Chi potrebbe in piccolo numero di
-carte comprendere le incredibili e maravigliose cose che ne’ passati
-secoli il furore e la rabbia della guerra ha prodotte? Essa è occulto
-e malvagio seme, e ricettacolo della tirannia, la quale nel letume
-suo a guisa del fungo s’ingenera e surge, e nella sua pertinacia si
-nutrica e allieva. Dunque bene è d’abominare, e da recare dai buoni in
-persecuzione colui lo quale per ambizione, ovvero per propria malizia
-o disdegno, o per utilità privata, o per vendetta o per vanagloria la
-sua patria sospigne in guerra; e se noi amiamo il vero, io non conosco
-qual grazia trovare si possa nel cospetto di Dio per suo pentere, tutto
-che quasi stimi che impossibile sia il pentere tale uomo. Come può egli
-restituire le morti degl’innocenti e semplici? come gli omicidi? come
-gl’incendii? come le prede? come le violenze fatte alle oneste donne
-e alle pure vergini? come gli scacciamenti? come le povertadi? come le
-necessarie peregrinazioni? come il perdimento della libertà che tutte
-cose sormonta? Di quello che poco dire non si può è meglio il tacere: e
-qui far fine si dee, e dar luogo a chi molto può, e poco sa, e a molti
-offende. Anime tribolate, se potete, datevi in viaggio pace e buon
-piacere.
-
-
-CAP. II.
-
-_Degli apparecchi fatti da’ Fiorentini per la guerra contro a’ Pisani._
-
-Il comune di Firenze per natura nell’imprese grave è e tardo, ma
-nel seguirle avveduto e sollecito, poichè deliberato avea di seguire
-l’inviluppata impresa incominciata contro a’ Pisani per Pietrabuona,
-e venia in aperta e palese guerra per vendicare sua onta, essendo i
-suoi governatori svegliati come da grave sonno, e infiammati per la
-vergogna prossimamente ricevuta, animosamente seguendo il consiglio
-di messer Bonifazio Lupo da Parma loro capitano, uomo quasi solitario
-e di poche parole, ma di gran cuore, e di buono e savio consiglio, e
-maestro di guerra, all’entrare del mese di giugno 1362 cominciarono
-a provvedersi intorno alle bisogne della guerra. E per coprire la
-tostana e sperata vendetta cominciarono a fabbricare a un’otta sedici
-trabocchi, nel lavorio de’ quali pigramente si procedea, per mostrare
-che l’assalimento avesse lungo tratto, e continovo sollecitamente si
-provvedeano di gente d’arme, e da cavallo e da piè. E per non mandare
-in arme la viltà delle vicherie, le quali senza lunghezza di tempo e
-lunga dimoranza, la quale è sempre nemica e nociva alla guerra, non si
-possono raccogliere, e perchè l’amistà e grazia de’ possenti sottrae
-dal comune servigio i buoni e’ valenti, e lascia i cattivi, mandarono
-i signori per tutti quelli gentili uomini e popolari di città e del
-contado, i quali sentirono abili e sofficienti a fare prestamente
-brigate di fanti e gente sperta in arme, e loro imposono e comandarono
-quanto più tosto potessono facessono il più gente potessono, i quali
-il comandamento senza dilazione mandarono ad esecuzione; sicchè il
-dì 15 di giugno il comune, che di gente di soldo e che di gente col
-detto ordine ricolta, si trovò millecinquecento uomini di cavallo,
-e quattromila pedoni, fra’ quali furono millecinquecento e più
-balestrieri. Ancora infra i detti giorni richiesono loro amistà, e
-infra gli altri richiesti furono i Perugini e’ Sanesi: i Perugini
-risposono, che per le novità aveano di loro usciti non aveano destro di
-potere sovvenire, e che bene sapeano che ’l comune di Firenze era tale
-e tanto, e di tanta forza e podere, che non che si potesse atare dal
-comune di Pisa, ma che agevolmente il dovea potere sormontare: i Sanesi
-senza altra scusa risposono, che non aveano gente da poterne loro
-servire: le quali risposte non sono da porre in oblio dalla liberalità
-del nostro comune, lo quale ne’ loro bisogni richiesto, di ciò che
-potuto ha non ha detto di no. Pistoiesi, Aretini, il conte Ruberto, e
-altri vicini vennono a servire il comune con quella gente da cavallo e
-da piè che fare poterono, onde il comune infra li 20 di giugno si trovò
-d’avere tra di soldo e d’amistà milleseicento cavalieri e cinquemila
-pedoni. I Pisani sentendo il fabbricare degl’ingegni, e la raunata di
-gente d’arme che si facea in Firenze, tutto ch’avessono certa la guerra
-per le cagioni dette di sopra, non di manco cominciarono a dubitare e
-temere, e cominciarono a fare sgombrare loro contado, e specialmente
-la Valdera, e afforzare e guarnire loro tenute verso le frontiere il
-meglio e il più pronto poterono, conducendo gente di soldo e da cavallo
-e da piè quanto poterono il più, con dare ordine a’ loro contadini e
-alle difese e a guardie di loro tenute.
-
-
-CAP. III.
-
-_Come seguendo gli antichi Romani gentili i Fiorentini nel dare
-dell’insegne al capitano presono punto per astrologia._
-
-I nostri padri Romani prima che venissono al segno dell’imperio,
-in loro imprese di nuove guerre niente mai avrebbono incominciato,
-che prima felici augurii non avessono cerchi e veduti: pertanto ne’
-sacrificii che facevano agl’idoli loro nelle interiora degli animali
-vittimati cercavano la sorte e l’avvenimento della fortuna; questo
-accecamento diabolico ed è ed esser dee in abominazione come avverso
-alla fede cristiana. Vicino e quasi consorte alla stoltezza degli
-augurii è quella parte dell’astrologia la quale predice i futuri
-avvenimenti delle cose nominate e singolari, e’ loro propri casi,
-e massimamente di riuscimenti di guerre, i quali sono nelle mani
-del signore Dio Sabaoth, che interpretato è Dio degli eserciti. I
-Fiorentini stratti del sangue romano, per vizio ereditario seguono i
-giudicii delle stelle, e altre ombre d’augurii sovente, e al presente
-avendo accolto l’esercito, di che avemo detto nel precedente capitolo,
-e volendo dare l’insegne, vollono il punto felice dall’astrologo, il
-quale fu lunedì mattina a dì 20 di giugno sonato terza, alla duodecima
-ora del dì; e ricevute l’insegne, avacciando il viaggio come cacciati,
-giunsono errore ad errore, perocchè sempre che insegne si dierono per
-guerra contro a’ Pisani, date volgeano al canto di Porta santa Maria, e
-poi per Borgo santo Apostolo; i governatori del fatto avendo sospetta
-la via di Borgo santo Apostolo, come al nostro comune male augurata
-contro a’ Pisani, le feciono volgere per Mercato nuovo, e per Porta
-rossa, e come poco avvisati non feciono prima levare i castagnuoli
-delle tende de’ fondachi, onde convenne s’abbassassono l’insegne.
-Il corso fu ratto, perchè non passasse l’ora data per l’astrologo al
-posarle fuori della terra a santa Maria a Verzaia, secondo l’antica
-usanza del nostro comune. Avemo arato il foglio con lungo sermone
-di lieve materia, ma fatto l’avemo per ricordo di quelli che dietro
-verranno, che non voglino sapere le cose future, nè porre speranza
-negl’indovinatori, perocchè solo Iddio è il giudicatore delle giuste
-e inique battaglie. Per alloggiare ne’ tempi loro le forestiere
-cose, lasceremo il processo della guerra di Pisa, e a suo tempo lo
-ripiglieremo.
-
-
-CAP. IV.
-
-_Della prospera fortuna de’ collegati lombardi._
-
-E’ ne piace di fare un fascio di molte avvolture di santa Chiesa co’
-suoi collegati lombardi, mescolando i tempi passati con quei di dietro,
-per non occupare troppi fogli con cose che non sieno rilevate. Del
-passato mese di maggio quelli della lega dopo la presura di Castelnuovo
-hanno tolto a’ nemici la terra di Salaro sita sopra il Po di Pavia,
-e la terra di Ligaria di qua dal Po, la quale è posta a otto miglia
-presso a Tortona, e più altre castella e ville del tenitorio di Pavia,
-e di giugno il castello d’Erbitra, il quale era del Saliratuo de’
-Buiardi d’Elbiera, il quale per piacere a messer Bernabò, ritenendo il
-cassero a sè, gli avea prestata la terra per i bisogni di sua guerra:
-e il tiranno non osservata sua fede v’avea per sè fatta fare altra
-fortezza. Elbiera è vicina a Modena a otto miglia, ond’era camera a
-messer Bernabò d’onde forniva tutte le sue bisogne nella guerra co’
-Bolognesi; il Saliratuo come fidato al tiranno praticava nel cassero
-ch’egli avea fatto, onde preso suo tempo, morte le guardie prese il
-cassero, e di presente con modi diede la terra al marchese di Ferrara.
-Appresso quelli della lega puosono l’oste a Brescia, e messer Bernabò
-che dentro v’era se ne fuggì. Qui lecito mi sia gridare e dire, che Dio
-confonde e avvilisce le arroganti parole che detto avea il tiranno che
-gastigherebbe i Lombardi venuti in lega come putti, ed eglino hanno
-gastigato lui. Giugnamo alle predette fortune, che essendo grande
-quantità d’Inghilesi infino a Basignano avvenne, che la gente di messer
-Galeazzo ch’era alla guardia del castello volendo fare del gagliardo si
-fè loro incontro, e di presente fu rotta, e alquanti ne furono morti,
-tutti gli altri rimasono prigioni. Sopra le dette baratte di guerra i
-collegati presono Gheda in sul Bresciano a dì 20 di luglio, terra che
-fa oltre a ottomila uomini: e quelli che teneano Basignano in sul Po
-per messer Bernabò, e per guardarla aveano spesi molti danari, e da lui
-altro che minacce non poteano ritrarre, la ribellarono, e la dierono
-a’ collegati, ricevuti da loro circa a diecimila fiorini d’oro, che
-aveano spesi in guardarla. Oltre alle predette cose i collegati hanno
-corso il Novarese e assediata Novara. Volgendo un poco il mantello a
-uso di guerra, avendo i collegati preso il castello del ponte a Vico
-in su l’Oglio, quelli della rocca si patteggiarono d’arrendersi se
-fra certi giorni non fossono soccorsi; i collegati aveano nel castello
-messe ventotto bandiere di cavalieri e soldati a piè assai, i quali non
-pensando che soccorso potesse venire stavano sciolti e con poco ordine;
-il castellano intendente compreso loro cattivo reggimento lo significò
-a messer Bernabò, il quale di notte con gran quantità di gente, e la
-mattina davanti il fare del giorno messo in ordine, per gli alberghi
-e per le case tutta la detta gente prese; e così va di guerra. Più
-la pestilenza dell’anguinaia avendo aspramente assalito la città di
-Brescia, e l’oste de’ collegati ch’era di fuori, li strinse a partire,
-e si tornarono a Verona, e quindi ciascuno alla terra sua.
-
-
-CAP. V.
-
-_Della morte di Leggieri d’Andreotto di Perugia._
-
-Leggieri di Andreotto popolare di Perugia fu uomo di grande animo, e
-al suo tempo Tullio, perocchè fu il più bello dicitore si trovasse,
-e senza appello il maggiore cittadino ch’avesse città d’Italia che
-si reggesse a popolo e libertà, e il più amato e il più careggiato e
-dal popolo e da’ Raspanti, ma a’ gentili uomini li cui trattati avea
-scoperti forte era in crepore e malavoglienza. Avvenne che una domenica
-a dì 19 di giugno, essendo egli quasi all’incontro delle case sue
-nella via, e leggea una lettera, un figliuolo bastardo di Ceccherello
-de’ Boccoli, cui il detto Leggieri avea per lo trattato di Tribaldino
-di Manfredino fatto decapitare, il quale il tenea in continovo aguato
-cautamente per offenderlo, si trovò in una casa del Monte di Porta
-soli, la cui finestra a piombo venia sopra il capo di Leggieri; costui
-non trovando altro più presto prese una macinetta da savori la quale
-trovò vicina alla finestra, e presola a due mani l’assestò sopra il
-capo di Leggieri, e l’abbattè in terra morto, che mai non fè parola.
-Della sua morte non fu piccolo danno a’ Perugini, e per così lo
-riputarono, perocchè fare lo feciono cavaliere, e li feciono l’esequie
-regali e pompose col danaio del comune, per allettare gli altri che
-venissono poi a bene operare per la repubblica sua.
-
-
-CAP. VI.
-
-_Come i Fiorentini cavalcarono in Valdera e presono Ghiazzano._
-
-Tornando alle fatiche nostre, manifestato ha sovente l’esperienza, che
-la disordinata e sfacciata baldanza de’ presuntuosi e alteri cittadini
-i quali sono suti per loro procacci dati, non dirò consiglieri, ma
-piuttosto balii e tutori a’ capitani nelle guerre del nostro comune, e
-a’ capitani e al comune hanno fatti vituperii assai, e notabili e gravi
-danni, e inrimediabili vergogne, talvolta per non conoscere e volere
-mostrare di sapere, talora con malizioso procaccio di loro private
-utilitadi e onori. Così essendo dati al capitano messer Bonifazio
-consiglieri assai vie più presuntuosi che savi, e coloro ritrovandosi
-in Pescia con l’oste de’ Fiorentini, avendo a cavalcare i nemici, non
-solo lo consigliavano, ma eziandio con parole e arroganti segni lo
-sforzavano, sotto la baldanza dello stato cittadinesco che usurpato
-aveano, che cavalcassono in quello di Lucca, dove fortuna quasi sempre
-al nostro comune era stata avversa; ma il valente capitano certificato
-già de’ vecchi errori in simili atti commessi, poco pregiando nel
-segreto suo e loro voglie e consigli, e non avendo loro autorità nè
-grandigia in dottanza, di fuori mostrava volere seguire loro talento, e
-nel petto tenea raccolto il suo; e contro all’opinione d’ogni qualunque
-il giovedì mattina a dì 23 di giugno partì da Pescia con tutta l’oste,
-e tenne verso Fucecchio e Castelfranco, e il seguente dì, il giorno
-di san Giovanni, si mise per lo stretto di Valdera a piè di Marti,
-certo dell’impotenza de’ nemici, e corse infino a Peccioli, e la sera
-combattè il castello di Ghiazzano, e per la moltitudine delle buone
-balestra tanto impaurirono quelli d’entro, che a dì 26 del mese dierono
-il castello salve le persone, il quale fu per camera del nostro comune
-infino alla presa di Peccioli, che poco appresso seguì.
-
-
-CAP. VII.
-
-_Come i Fiorentini soldarono galee contra i Pisani._
-
-Non contenti i Fiorentini co’ Pisani alla guerra di terra con loro,
-vollono tentare la fortuna del mare, e del mese di giugno condussono
-a soldo Perino Grimaldi con due galee e un legno, e uno Bartolommeo
-di...... con altre due galee, i quali promisono con detti legni bene
-armati essere per tutto il mese d’agosto nella riviera di Pisa, e fare
-guerra a’ Pisani a loro possanza.
-
-
-CAP. VIII.
-
-_Come i Perugini presono la Rocca cinghiata e quella del Caprese._
-
-Essendo gli ambasciadori e’ sindachi degli uomini e comunità di Val
-di Caprese stati a Firenze a sollecitare il comune che per suoi li
-prendesse, e con loro quelli della Rocca cinghiata, per la molta forza
-d’amici che si trovarono gli Aretini tra le fave, si sostenne che
-accettati non fossono, in danno e disonore del nostro comune: ond’essi
-dileggiati presa disperazione s’avventarono e dieronsi a’ Perugini, i
-quali li ricevettono graziosamente; e di presente del mese di luglio
-vi mandarono quattrocento fanti e centocinquanta uomini da cavallo, e
-presonsi le tenute di quelle due notabili rocche.
-
-
-CAP. IX.
-
-_Come novecento cavalieri di quelli di messer Bernabò furono sconfitti
-da seicento di quelli di messer Cane Signore._
-
-Era la gente di messer Cane Signore e di Polo Albuino in numero di
-seicento cavalieri del mese di luglio 1362, essendo messer Bernabò
-in Brescia con gente molta più assai di cavallo, la detta gente di
-messer Cane in passaggio albergò dinanzi delle porte della città,
-e una domenica mattina partendosi di quindi per ridursi a Pescara
-e coll’altra gente della lega, lasciato fornite Ganardo e Pandegoli
-castella di nuovo per loro acquistate in sul Bresciano, ed essendo
-già intra ’l detto Pandegoli e Smaccano, la gente di messer Bernabò
-in numero di novecento barbute e oltra, che in que’ giorni s’era
-ricolta nel castello di Lenado, parendo loro avere mercato della gente
-di messer Cane, s’apparecchiarono ad assalirla. La gente di messer
-Cane sapendo che i nemici avanzavano il terzo e più, e che nel luogo
-dov’erano aveano il disavvantaggio del terreno, e che si metteano in
-punto per assalirli, non aspettarono, e il detto giorno nell’ora del
-vespro nella disperazione presono cuore, e assalirono francamente i
-nemici in su l’ordinarsi, e col favore di Dio li misono in rotta, e
-assai ne furono morti e magagnati e assai presi, intra’ quali di nome
-furono messer Mascetto Rasa da Como loro capitano, con venticinque
-conestabili assai pregiati in arme, e altri assai che non si nominano;
-e quindi a non molti giorni trecento barbute della gente di messer
-Bernabò in sul Bresciano dalla gente della lega furono sconfitti.
-
-
-CAP. X.
-
-_Disordine nato tra’ Genovesi per la guerra de’ Fiorentini e’ Pisani._
-
-Messer Simone Boccanera primo doge di Genova, quando privato fu di
-sua dignità e cacciato di Genova si ridusse a Pisa, e da’ Pisani
-cortesemente fu ricevuto, e secondo il suo grado assai onorato; onde
-per la detta cagione essendo ritornato in Genova, e nello stato suo
-con la forza di suoi amici e seguaci, a tutto suo podere cercò che il
-comune di Genova desse il suo favore a’ Pisani, e già essendo entrati
-in lega con loro, quando il traffico de’ Fiorentini fu levato da Pisa,
-contro a qualunque navilio con mercatanzia ch’entrasse o uscisse dal
-porto di Talamone, e da quella a istanza de’ Fiorentini per lo suo
-consiglio e comune levato, quando vidde il fuoco della guerra appreso,
-con ogni sua forza e sottigliezza cercava che i Genovesi dessono loro
-favore a’ Pisani, ma i mercatanti ed altri cittadini a tutti suoi
-avvisi e sforzamenti s’oppuosono, pure tanto fè, che per deliberazione
-del comune s’ottenne e statuì che il comune di Genova si stesse di
-mezzo, e nullo aiuto o favore si desse nè all’uno nè all’altro. Occorse
-in istanza di tempo, che i signori priori di Firenze e gli otto della
-guerra scrissono a Francesco di Buonaccorso Alderotti mercatante stato
-lungamente in Genova, pratico con tutti i cittadini e da loro ben
-veduto, che conducesse quattrocento de’ migliori balestrieri i più
-pratichi in guerra che avere potesse a soldo, con un buono capitano
-o due. Ciò venne agli orecchi del doge, e sotto il protesto della
-deliberazione fatta per lo comune, che a’ Fiorentini nè a’ Pisani si
-desse favore, come è detto di sopra, prestamente fè fare personale
-bando, che niuno potesse conducere nè in Genova nè nella Riviera alcuno
-balestriere, e simile pena puose al balestriere se si conducesse. Il
-valente mercatante alle sue spese, sponendosi ad ogni pericolo per
-zelo di suo comune, se n’andò a Nizza ch’è della contea di Provenza,
-e qui s’accozzò con messer Riccieri Grimaldi, uomo valoroso e stato
-in più battaglie campali, e lui solo condusse capitano di quattrocento
-balestrieri a fiorini sette per balestro il mese, i quali furono tutti
-uomini scelti e usi in guerra. E per mostrare messer Riccieri che con
-amore e affezione venia a servire il comune di Firenze, volle che intra
-il numero de’ balestrieri fossono due suoi figliuoli, e due di Perino
-Grimaldi, i quali venuti a Firenze, e non trovando verrettoni a loro
-modo, anche fu scritto per gli otto al detto Francesco, che da Genova
-ne mandasse dugento casse. Ed essendo per lo detto doge posto grave
-pena a chi ne traesse del Genovese, il detto Francesco compostosi co’
-doganieri, ne mandò subito centosettanta, le quali legate a quattro
-casse per balla con paglia, e invogliate a guisa di zucchero, e per
-zucchero si spacciarono alla dogana. Emmi giovato di così scrivere,
-perchè se onorato fosse chi bene fa per lo suo comune, gli animi degli
-altri s’accenderebbono a fare il simigliante.
-
-
-CAP. XI.
-
-_Come il re di Castella con quello di Navarra ruppono pace a quello
-d’Aragona, e lo cavalcaro._
-
-Essendo legati insieme, come addietro è detto, lo re di Spagna, con
-quello di Navarra, con quello di Portogallo, e con quello di Granata, e
-col conte di Foscì, e con quello d’Armignacca contro il re d’Aragona,
-del mese di giugno il re di Castella con quello di Navarra, amendue
-in persona, con cinquemila cavalieri si misono sopra le terre di
-quello d’Aragona, la quale è lontana a Sibilia per otto giornate,
-e con sedici galee l’assalirono per mare, avendosi la pace lasciata
-dopo spalle, facendo grandi e disonesti danni. E avendo il re Piero di
-Spagna lungo tempo tenuta assediata la città di Calatau, e quelli della
-città difendendosi coraggiosamente, e non volendosi arrendere loro,
-lo re con giuramento promise, che se non si arrendessono, ed egli li
-prendesse per forza, che tutti li farebbe morire: quelli poco pregiando
-le sue minacce sollecitamente attendeano a loro difesa; infine del mese
-d’agosto il re per battaglia prese la città e non ricordandosi che
-i vinti fossono cristiani, incrudelito contro loro a guisa di fiera
-salvaggia, oltre a seimila cittadini disarmati e vinti fè mettere al
-taglio delle spade senza misericordia alcuna.
-
-
-CAP. XII.
-
-_Come per sospetto in Siena a due dell’ordine de’ nove fu tagliata la
-testa._
-
-In questo tempo e mese di giugno, Giovanni d’Angiolino Bottoni della
-casa de’ Salimbeni con altri gentili uomini di Siena, e con certi
-dell’ordine de’ nove, il quale era posto a sedere, tennono trattato
-di dovere rimettere l’ordine de’ nove nello stato. Il popolo avendo di
-ciò odore, e pertanto in sospetto, corse all’arme, e nel furore furono
-presi un Tavernozzo d’Ugo de’ Cirighi, e uno Niccolò di Mignanello,
-ch’erano stati dell’ordine de’ nove, e furono decapitati. Il capitano
-della guardia, ch’era de’ Pigli di Modena, fece tagliare il capo a un
-frate e a certi altri: e furono posti in bando per traditori Giovanni
-d’Agnolino Bottoni, e messer Giovanni di messer Francesco Malavolti,
-e Andrea di Pietro di messer Spinello Piccoluomini, e Cinque di messer
-Arrigo Saracini, e Francesco di messer Branca Accherigi dell’ordine de’
-nove. Poi a dì 3 di novembre il detto Giovanni co’ sopraddetti furono
-ribanditi, e riposti nel primo stato e onore.
-
-
-CAP. XIII.
-
-_Cavalcate fatte per messer Bonifazio Lupo in su quello di Pisa._
-
-Avendo messer Bonifazio Lupo preso Ghiazzano, e predata e arsa la
-Valdera tutta fuori delle fortezze, volendo più in avanti cavalcare
-per suo onore e del comune di Firenze, vietato gli fu da’ consiglieri
-che dati gli erano per lo comune senza mostrarli il perchè. Il valente
-capitano pregiando più suo onore che la grazia e amore de’ privati
-cittadini, e non curando i volti turbati, si mise in viaggio con l’oste
-ordinata per fornire sua intenzione. L’uno de’ consiglieri ito più là
-nello stato che non portava il dovere scrisse al fratello, ch’era degli
-otto della guerra, come il capitano nullo loro consiglio volea seguire,
-e che era uomo di sua volontà, e di mettere il comune in pericolosi
-luoghi, con dire procurasse fosse onorato com’egli onorava loro.
-Il che ne seguì, che per operazione del detto degli otto fu eletto
-per capitano messer Ridolfo da Camerino, e mandato per lui, e che
-prestamente venisse, mostrando che per le stranezze di messer Bonifazio
-il comune n’avesse gran bisogno: e tutto che di ciò ne sdegnasse messer
-Bonifazio nol dimostrò, ma come magnanimo ne fece di meglio. Tornando
-a nostro processo, messer Bonifazio spregiato il voglioso e poco savio
-consiglio, e forse malizioso e venduto de’ suoi consiglieri, lasciato
-Ghiazzano ben fornito e guarnito alla difesa, l’ultimo dì di giugno,
-arsa e predata la Valdera, con molto ordine cavalcò a Padule, villa
-ricca e fornita di belli abituri, e predata e arsa la villa prese
-Castello san Piero, e il mercato a Forcole, e per tre dì soggiornò in
-quei paesi correndo vicino a Pisa: e in quel tempo presono, arsono e
-guastarono trentadue tra castella, e fortezze e villate, nelle quali
-arsono oltre a seicento case, che fu danno quasi inestimabile; e intra
-l’altre fortezze presono Contro, e dieronlo in guardia a’ Volterrani.
-Ed essendo la gente grossa de’ Pisani a Castello del Fosso, i nostri
-vi mandarono e richiesonli a battaglia, ed eglino non s’attentarono
-d’uscirli a vedere: fu in animo del capitano di combatterlo, ma
-fallandoli gli ingegni di combattere castella, e vittuaglia, si partì
-quindi, e puosesi nel borgo di Petriolo, quivi aspettando il nuovo
-capitano; dove stando, per non tenere la sua gente oziosa, e per
-non dare respitto a’ nemici, quattrocento tra barbute e Ungari con
-cinquecento masnadieri, sotto la guardia e condotta di Leoncino de’
-Pannocchieschi de’ conti da Trivalle di Maremma soldato del comune
-di Firenze, fece cavalcare nella Maremma, lunga dal luogo dov’era
-cinquanta miglia, verso Montescudaio e per que’ paesi, dove trovarono
-gran preda di bestiame e grosso e minuto, che per l’asprezza del luogo
-ivi s’era ridotto. I nostri non trovando contasto, fatto gran danno e
-arsione nel paese, a dì 9 di luglio menarono al campo dodici centinaia
-di bufole e novecento vacche, vitelle assai, e oltre a mille porci,
-e altro bestiame minuto assai, il quale sortito tra i predatori, solo
-messer Bonifazio per sua cortesia fu senza parte di preda, lasciandola
-a chi l’avea faticata.
-
-
-CAP. XIV.
-
-_Del processo della guerra da’ collegati a messer Bernabò._
-
-Di questo mese di giugno, quelli della lega ripuosono il castello di
-Massa presso alla Mirandola, e lasciatolo ben fornito di vittuaglia
-e di gente alla guardia contendeano a guerreggiare sollecitamente.
-Dall’altra parte Anichino di Bongardo con la gente di messer Bernabò
-ha riposto il castello di Solaro in sul canaletto, che esce del canale
-di Modena, e fornitolo s’è accampato ivi presso nel bosco facendovisi
-forte. Il conte di Lando con messer Ambrogiuolo figliuolo naturale di
-messer Bernabò corsono infino alla Mirandola ingaggiati di battaglia
-con la gente della lega, ma in que’ tempi che combattere doveano grave
-malattia prese messer Galeazzo, e, o che così fosse, o che fosse
-simulata per non si mettere alla fortuna della battaglia, il conte
-di Lando e messer Ambrogiuolo si tornarono addietro. Il marchese di
-Ferrara di questo mese tolse Voghera, terra d’oltre a dugento uomini,
-e Guarlasco e più altre terre. Cane Signore tolse la valle di Sale
-in sul lago di Garda, e più altre terre e fortezze. Alquanti vollono
-dire questa essere la cagione perchè il conte di Lando e Ambrogiuolo
-si tornarono addietro. In queste baratte e volture per operazione del
-conte di Lando certi conestabili tedeschi ch’erano al soldo della
-lega, loro caporale messer..... del Pellegrino, in numero tutti di
-undici, fatta congiura doveano tradire la lega, i quali furono presi, e
-trovando che ciò era vero furono decapitati.
-
-
-CAP. XV.
-
-_Come messer Ridolfo prese il bastone da messer Bonifazio._
-
-Giunse a dì 6 di luglio messer Ridolfo al campo, che era fra Peccioli
-e Ghiazzano, dove dalla gente dell’arme ch’aveano posto amore alla
-cortesia e valore di messer Bonifazio con niuno rallegramento fu
-ricevuto; e dal vecchio capitano prese l’insegne, onorandolo in questa
-forma di parole, che la bacchetta e il reggimento dell’oste bene stava
-nelle sue mani, ma per ubbidire il comune di Firenze di chi era soldato
-la prendea: e presa, di presente lo fè maliscalco, ed egli ogni sdegno
-deposto in servigio del comune di Firenze l’accettò come era ordinato.
-
-
-CAP. XVI.
-
-_Della crudeltà che i Pisani usarono contra i Lucchesi per gelosia._
-
-Mentre che l’oste del comune di Firenze pigra e malcontenta sotto
-il nuovo capitano dimorava tra Peccioli, e Ghiazzano in Valdera,
-aspettando il gran fornimento che ’l capitano avea domandato, i
-Pisani per non dimenticare la loro usata crudeltà, tutti i forestieri
-che al loro soldo erano in Lucca feciono ritrarre nell’Agosta, e
-segretamente avvisarono da cento cittadini ghibellini e loro confidati
-che per grida che elli udissono andare non si partissono, ma facessono
-vista di volere partire, acciocchè gli altri veggendo apparecchiare
-loro prendessono viaggio; e ciò fatto, feciono bandire che sotto
-pena dell’avere e della persona, che uomini e femmine, cittadini e
-forestieri, dovessono sgombrare la città e ’l contado presso alla
-città a mille canne, afin che compiesse d’ardere una candela che
-posta era alle porte. Fu miserabile e cordoglioso riguardo e aspetto
-di gran crudeltà vedere i vecchi pieni d’anni, le donne, le fanciulle
-lagrimose con sospiri e guai, e i piccoli fanciulli con strida lasciare
-loro case, loro masserizie e loro città, e ire e non sapere dove: i
-gentili e antichi cittadini, e nobili mercatanti e artefici in fretta
-e sprovveduti fuggire, come avessono spietati nemici alle spalle loro,
-e la terra loro lasciassono in preda. L’orribile bando fu al tempo dato
-ubbidito, e la terra lasciata fu vuota, e in sommo silenzio: di questo
-prestamente seguì, che i Pisani ch’erano alla guardia di Lucca co’ loro
-soldati e a piè e a cavallo furiosamente uscirono dell’Agosta colle
-spade nude in mano, e corsono l’abbandonata terra senza essere veduti
-da’ Lucchesi, gridando; Muoiano i guelfi; a Firenze, a Firenze: e non
-aveano potestà di cacciare la gente de’ Fiorentini ch’erano loro in su
-le ciglia.
-
-
-CAP. XVII.
-
-_Delle cavalcate fatte per messer Ridolfo sopra i Pisani, e del gran
-danno che ricevettono._
-
-Continovando nostro trattato della guerra tra i Fiorentini e’ Pisani,
-con poca intramessa di cose di forestieri, perchè delle occorse in
-questi giorni, se occorse ne sono degne di memoria, poche ne avemo, e
-raccresciuta la forza del comune di Firenze, perchè il conte Niccola
-degli Orsini prima offertosi, e accettato, era venuto con cento uomini
-di cavallo, e così più altri gentili uomini, il perchè il capitano
-si trovò con duemila barbute e con cinquemila pedoni nel campo tra
-Peccioli e Ghiazzano, dove pigramente con molta sua infamia dimorava;
-il perchè messer Bonifazio Lupo infignendosi poco sano se ne venne a
-Firenze. Alla fine empiuto il gran fornimento che domandava, sotto il
-cui adempimento si scusava di sua pigrizia, più non potendo fuggire
-sue scuse, a dì 16 del mese di luglio con l’oste si partì da Peccioli,
-e la notte albergò a Ponte di Sacco, e ’l dì seguente passarono il
-fosso a malgrado della forza de’ Pisani che v’era alla guardia, con
-loro danno e vergogna, ed entrarono nel borgo di Cascina, dove preda e
-vittuaglia trovarono assai. La cagione fu, ch’essendo alla guardia del
-fosso un quartiere di Pisa con soldati e contadini assai, non pensarono
-che i Fiorentini vi potessono passare, e per tanto poco o niente v’era
-sgombrato. Gli Ungari de’ Fiorentini, come per natura sono desiderosi
-di guadagnare, e atti a scorrere, passarono insino alla Badia a
-Sansavino, e presono intorno di cinquanta prigioni. Il capitano tutto
-il giorno e ’l seguente stette col campo fermo a Cascina, dove intorno
-correndo le gualdane per spazio di più miglia, e di prede e d’arsioni
-danni inestimabili furono fatti. Il martedì mattina a dì 19 di luglio
-partiti da Cascina s’accamparono a Sansavino, e ’l fiore della gente da
-cavallo e da piè cavalcarono infino alla volta dell’Arno presso a Pisa
-a cinquecento passi, ed ivi alla Bessa con l’usate muccerie, ad eterna
-rinoma del comune di Firenze, e infamia de’ Pisani, feciono correre un
-ricco palio di veluto in grana foderato di vaio, il quale ebbe il conte
-Niccola degli Orsini, e lo mandò a Roma per onore della sua cavalleria.
-I corridori con assai di buona gente sotto il bastone di messer Niccola
-Orsini passarono Pisa facendo assai di male e vergogna a’ nemici. Fatte
-le dette cose si tornarono al campo: e quel giorno medesimo passata
-nona, ritornati al detto luogo, con assai meno gente per dirisione
-feciono correre palii l’uno ad asini, l’altro a barattieri, e ’l terzo
-alle puttane; onde i Pisani di tanta ingiuria aontati, seicento a piè
-con dugento cavalieri con molti balestrieri, con la imperiale levata,
-uscirono di Pisa per vendicare o in tutto o in parte loro oltraggio.
-La gente de’ Fiorentini, ch’era a fare correre detti palii, ed era in
-punto e vogliosa aspettando il detto caso, francamente s’addirizzò
-a loro, e li ruppono e li rimisono infino nelle porte con tanto
-ardire, che alquanti con loro mescolati entrarono in Pisa, e alquanti
-balestrieri saettarono nella terra, e ciò fatto si tornarono al campo:
-e quivi stando, il mercoledì arsono tutto ciò che poterono intorno a
-Pisa infino al borgo di san Marco a san Casciano, e Valdicaprona e
-molte altre ville, con molte belle e ricche possessioni nobilmente
-accasate. Il danno come incredibile piuttosto è da tacere che da
-scrivere: e per giunta a’ detti mali, i villani de’ piani ch’erano
-rifugiati in Pisa, e stavansi sotto loro carra lungo le mura, furono
-assaliti dalla pestilenza dell’anguinaia, e assai ne perirono. E ciò
-somigliava agl’intendenti giudicio di Dio, che dentro e di fuori così
-gastigasse i corrompitori della pace e della fede data per soperchio
-d’astuta malizia.
-
-
-CAP. XVIII.
-
-_Come messer Ridolfo assediò Peccioli, e prese stadichi se non fosse
-soccorso._
-
-Poichè a messer Ridolfo parve avere fornito il dovere di suo onore,
-potendo molto più fare, mercoledì a dì 20 di luglio ripassò il fosso,
-e ritornossi a Ponte di Sacco; dove stando, casualmente fu preso un
-fante che portava una lettera per parte del castellano di Peccioli
-al capitano del fosso, la quale in sostanza diceva, che i soldati da
-cavallo e da piè con molti terrazzani, sentendo che ’l capitano de’
-Fiorentini era a Sansavino occupato in molte faccende, erano usciti di
-Peccioli, e cavalcati in su quello di Volterra per guadagnare, e che
-tornati non erano, e la cagione non sapea, e che la terra non era in
-stato di potersi difendere se fossono combattuti o stretti per assedio,
-e che a ciò riparasse, e gli mandasse presto soccorso; ed era vero, che
-essendo la detta gente de’ Pisani cavalcata in su quello di Volterra,
-certa gente da piè e da cavallo del comune di Firenze, la quale era
-in Volterra, avendo boce della detta gente de’ Pisani loro si feciono
-incontro, e colla forza de’ contadini volterrani gli incalciarono e
-strinsono in forma, che non possendo fuggire nè ritornare per la via
-ond’erano venuti, lasciata la preda che fatta aveano, in sul fare della
-sera per loro scampo si ridussono in su un colle, e la notte si misono
-per la Maremma. Il capitano vista la detta lettera mandò prestamente
-gli Ungari e’ cavalieri innanzi per impedire la tornata della detta
-gente in Peccioli, e senza dimoro con tutto l’oste seguì, e quella
-medesima sera con l’oste attorneò tutta la terra, e il seguente dì la
-cominciò a cignere di steccato facendo sollecita guardia, e la sera
-in sul tramontare del sole, per conoscere se la lettera che egli avea
-trovata gli dicea vero, fece dare alla terra una battaglia per scorgere
-la gente che v’era alla difesa, e per quello comprendere si potè forse
-sessanta uomini con femmine assai si vidono, che diedono a intendere
-che vi mancava difesa; il procinto della terra era grande, ma forte
-e di muro e di ripe. Il capitano scorto il fatto pigramente procedea
-nell’assedio, dormendo la mattina insino a terza col letto fornito di
-disonesta compagnia, e menando vita di corte quieta; il perchè messer
-Bonifazio, uomo d’onesta vita e di vergogna pauroso, veggendo la
-sciolta vita del capitano e suo mal reggimento, infignendosi d’essere
-malato se ne venne a Firenze, e mostrando a’ signori che poco era loro
-onore e necessario, chiese licenza di tornarsi in Lombardia; i signori
-con loro consiglio considerando quanto era di bisogno al comune,
-lo pregarono e lo gravarono, che a tanto bisogno non abbandonasse
-il servigio per lui fedelmente cominciato, e che tornasse al campo
-a perseguire le buone opere sue, le quali bene erano conosciute e
-gradite da’ savi e buoni cittadini, e così conosciute quelle del suo
-successore; il perchè vinto per servire il comune tornò al campo. Il
-capitano corse in voce di poco leale per i suoi molti falli, e per non
-volere seguire la volontà del comune, e di ciò mostrò segni, perocchè
-la cavalcata che fatta avea sopra i Pisani non era stata volontaria
-ma sforzata, riprendendo sua tardezza, e potendo con suo onore stare
-dodici dì col fornimento che menò in su le porte di Pisa, e guastare
-gran parte di loro contado, il terzo dì se ne partì, e potendo per
-battaglia avere Peccioli, tanto soprastette, che le femmine armate
-le mura presono cuore alla difesa veggendo la viltà del capitano:
-ma infamato dalla partita di messer Bonifazio Lupo e da’ Fiorentini
-ch’erano nel campo, tutto che i suoi protettori lo difendessono, ed
-esso sè medesimo mostrando a molti le lettere ch’avea da Firenze, che
-si portasse cortesemente, pur mosso dal grido strinse la terra prima
-con battaglia tiepida e con poco ordine, e tanto debilmente si portò
-in detto e in fatto, che con vergogna da pochi di quelli d’entro, che
-pochi ve n’erano, vituperosamente fu ributtato, i quali intendendo loro
-fortuna aveano smisurata paura, e mostravano gran cuore per invilire
-quelli di fuori. Ritratto il capitano dalla poca favorata battaglia,
-ne’ fossi rimasono scale e grilli che infino alle mura erano condotti,
-di gran dispiacimento dei nostri cittadini che erano a vedere. Tra i
-rettori del comune, tutto ch’e’ conoscano il difetto, per la forza di
-medici radissime volte vi pongono rimedio obliando l’onore del comune.
-La fama della viltà e disonesta vita del capitano, o calunniosa o
-vera che fosse o falsa, pure lo stimolò alquanto; onde veggendo egli
-che i Pecciolesi erano spigottiti, cominciò a cignere la terra di
-steccato senza contasto, perocchè stracchi erano sotto le battaglie
-e sotto la continova guardia quelli che rimasi erano nella terra per
-più vili, perocchè tutti i gagliardi s’erano messi nella cavalcata
-sopra Volterra. Alla fine quelli d’entro veggendosi stretti, e senza
-speranza di soccorso, a dì 30 di luglio il vicario di Peccioli con
-più compagni senza niuna arme a sicurtà dal capitano vennono a lui,
-e patteggiarsi, che se per infino a dì 10 d’agosto non avessono da
-Pisa soccorso li renderebbe la terra salve le persone e l’avere, e per
-la fermezza di ciò dierono otto stadichi de’ più sufficienti uomini
-della terra, e due Pisani, i quali il capitano ricevette, e li mandò
-a Firenze. I Fiorentini ricevuti li stadichi, quasi certi d’avere
-la terra, perchè loro speranza non cadesse in fallo rafforzarono
-l’assedio, e mandaronvi mille balestrieri e dugento uomini da cavallo,
-e fornimento assai necessario alla bisogna; e come l’intento de’
-Pisani tutto si dirizzò ad avere Pietrabuona, così lasciando stare
-ogni altra cosa, tutto quello de’ Fiorentini s’addirizzò ad avere
-Peccioli. Come per gli ambasciadori del comune di Peccioli si sentì il
-fatto in Pisa, subitamente nel Duomo radunarono il parlamento, dove per
-molti apertamente fu detto, che per loro governatori erano traditi, i
-quali affermavano che tanta gente avrebbono di Lombardia, che non che
-fossono cavalcati, ma che si cavalcherebbono i Fiorentini, di che gran
-borboglio si sparse per lo parlamento, e tale, che fè concitamento a
-civile romore. Essendo in Pisa questo tremore e sospetto, e dovendo
-succedere l’altro quartiere di Pisa a quello ch’era alla guardia
-del fosso, non vi volle andare, onde quelli che v’erano lo arsono e
-abbandonarono.
-
-
-CAP. XIX.
-
-_Come non essendo il castellano contento del patto messer Ridolfo fè
-gittare una delle torri di Peccioli in terra._
-
-Perseverando a Peccioli l’assedio, il castellano che tenea le due
-forti torri che Castruccio v’avea fatte fare quando era signore di
-Pisa, non contento al patto che fatto era co’ terrazzani, combattea i
-nostri, e li villaneggiava di parole, stimando perduta la terra potere
-tenere la fortezza lungamente. Il capitano veggendo suo proponimento
-fece dirizzare alle torri, intra le quali era un ponte, una cava, e
-l’una d’esse fè mettere in puntelli, e il decimo dì d’agosto, il dì
-di san Lorenzo, ch’era l’ultimo del termine dato a’ Pecciolesi, il
-capitano fè dire al castellano il suo pericolo pregandolo s’arrendesse,
-e non volesse perire per soverchia baldanza. Il castellano e i fanti
-che con lui erano se ne feciono beffe, moltiplicandole villanie, e
-rimproverando al comune di Firenze la Ghiaia, il perchè il capitano fè
-affocare i puntelli, onde il fumo e il crepare della torre fè segno al
-castellano e a’ compagni che per lo ponte si rifuggissono nell’altra, e
-così feciono, e appena aveano tratti i piè del ponte, che la torre e ’l
-ponte cadde, onde cominciò a frenare la lingua: la torre cadde in sulle
-mura della terra, e di quelle abbattè bene quaranta braccia. I briganti
-dell’oste cupidi e vogliosi di preda ciò veduto s’apparecchiarono
-quindi a entrare nella terra per rubare; i terrazzani uomini e
-femmine senza arme corsono alla rottura, e gridarono, viva il comune
-di Firenze, ricordando la fede loro data, e la promessa fatta per lo
-comune; e il leale e buono cavaliere messer Bonifazio Lupo sotto la sua
-insegna con la sua gente si mise alla guardia del luogo, e non lasciò
-nè il dì nè la notte, che tutta era del termine, alcuno entrare dentro,
-affermando che ’l comune di Firenze era e sempre era stato leale
-osservatore di sue promesse. Il seguente dì, giovedì mattina a dì 11
-d’agosto 1362, in su l’ora della terza, secondo i patti e le convenenze
-che fatte erano, il conte Aldobrandino degli Orsini con la brigata sua,
-appresso tre cittadini di Firenze con parte di gente fidata, presono
-la tenuta della terra pacificamente senza offesa niuna o di fatti o di
-parole, e nella terra con li stadichi insieme, che gli avea rimandati
-il comune, furono ricevuti allegramente e a grande onore. Dell’acquisto
-del detto castello e di giorno e di notte si fece gran festa, perocchè
-tenendolo pensavano essere i sovrani della guerra, perocchè dal detto
-castello ha sedici miglia di piano, rimiriglio alla città di Pisa. Il
-castellano vedendo che la terra era venuta nelle mani de’ Fiorentini,
-e considerando che la torre che gli era rimasa agevolmente si potea
-mettere in puntelli, si rendè, ma per i suoi dispetti non fu ricevuto
-se non alla misericordia del comune di Firenze, dove mandato fu per
-lo capitano con i suoi compagni. Venuto, fu tenuto consiglio di farli
-morire, che fu disonesta e abominevole cosa, e di malo esempio di
-volere fare morire coloro che per lo comune francamente e fedelmente
-s’erano portati: il parlarne, non che tenerne consiglio per i savi
-e buoni cittadini, fu ripreso; assai loro fu la prigione. In questi
-medesimi giorni i gentili uomini e signori del castello di Pava, il
-quale è situato e posto in sul passo da ire di Valdera in Maremma, ed
-è forte e bella tenuta, la dierono al comune di Firenze in prestanza
-mentre la guerra durasse, e il comune di Firenze con la grazia de’
-detti gentili uomini lo faceva guardare.
-
-
-CAP. XX.
-
-_Come il capitano de’ Fiorentini prese Montecchio, Laiatico e Toiano._
-
-Tolta la terra di Peccioli, come di sopra è detto, il seguente dì 12
-d’agosto il capitano pose assedio al castello di Montecchio, dove
-erano ridotti dugento masnadieri per tenere a freno e guerreggiare
-la gente del comune di Firenze, i quali assai danno aveano fatto
-loro nell’assedio di Peccioli, e il detto castello di Montecchio
-circondarono intorno intorno strettamente, dove stati più giorni,
-alquante volte con battaglie gli tentarono; il perchè quelli d’entro
-inviliti intorno di sessanta di loro di notte si gittarono per uno
-dirupato d’altezza paurosa a vedere, e di loro ne morirono alquanti, e’
-loro compagni al campare ebbono affanni assai. Quelli ch’aveano avuto
-paura di rovinare per quelle coste renderono il castello e le persone
-alla misericordia del comune di Firenze, e di loro centoquarantaquattro
-ne vennono a Firenze, i quali messi in prigione, dagli uomini e
-pietose donne fiorentine e di vivanda e di ciò che a loro bisognava
-abbondantemente furono provveduti. Il seguente dì, tornando al processo
-del capitano, cavalcò a Laiatico, e quello ebbe per battaglia; e il
-dì medesimo si posono a Toiano, e da’ terrazzani ebbono il castello,
-e pochi dì appresso la rocca, d’onde venne a Firenze la campana che è
-posta in sul ballatoio del palagio de’ priori, la quale ai mercatanti
-dà l’ora del mangiare. Dipoi il capitano cavalcò a Montefoscoli e
-a Marti per porvi assedio: ciò vietò il non trovarvi acqua, onde si
-tornò a Fabbrica; dove stando, il capitano cupido del guadagno mandò
-quattrocento cavalieri e masnadieri assai nella Maremma dove sentì
-esser fuggito molto bestiame. I mandati in pochi giorni, tornarono con
-gran preda di bestiame, preso il vicario di Piombino, grande popolare
-di Pisa il quale novellamente andava all’uficio, e per sua mala ventura
-si scontrò co’ suddetti, e con tutta sua famiglia rimase preso. La
-preda messer Ridolfo divise, non come fatto avea messer Bonifazio, ma
-capo soldo, e più che parte ne volle, di che forte ne fu biasimato, e
-dell’amore cadde di tutta gente d’arme ch’erano a sua ubbidienza.
-
-
-CAP. XXI.
-
-_Dell’aiuto che i Perugini in questi dì mandarono a’ Fiorentini._
-
-Sentendo i Perugini che i Fiorentini aveano avuto la terra di Peccioli,
-e che loro fortuna sormontava, volendo ammendare il vecchio errore,
-commisono il nuovo maggiore, e mandarono a’ Fiorentini sessanta barbute
-e venticinque stambecchini, i quali come meritavano con torto viso e
-rimbrotti del popolo furono ricevuti.
-
-
-CAP. XXII.
-
-_Come il conte Aldobrandino degli Orsini si partì onorato da Firenze._
-
-Il conte Aldobrandino degli Orsini, il quale era venuto al servigio
-del comune di Firenze, preso Peccioli si tornò a Firenze per tornarsi
-in suo paese. Il comune di Firenze avendo a grato il servigio per lui
-liberamente fatto, e ciò riputandosi a onore, lo provvidde largamente,
-e a dì 29 del mese d’agosto con rilevato onore lo feciono fare
-cavaliere del popolo di Firenze, e messer Bonifazio Lupo procuratore a
-ciò del comune: ed esso conte Aldobrandino fece il suo fratello minore
-cavaliere. E amendue d’arme e cavalli e d’altri doni cavallereschi
-riccamente furono provveduti e onorati; e per loro fece il comune
-un nobile e ricco corredo: e fornita la festa si partì di Firenze,
-accompagnato da tutti i cittadini ch’aveano cavalcature.
-
-
-CAP. XXIII.
-
-_Come e perchè si creò la compagnia del Cappelletto._
-
-La Presura di Peccioli fu materia di scandolo tra ’l comune di Firenze
-e’ soldati, perocchè certi di loro, ciò fu il conte Niccolò da Urbino,
-Ugolino de’ Sabatini di Bologna, e Marcolfo de’ Rossi da Rimini,
-uomini di grande animo e seguito, con la maggior parte de’ conestabili
-tedeschi, a instigamento de’ procuratori di loro paghe, a dì 30
-d’agosto detto anno 1362 mossono lite al comune, dicendo, che per la
-presura di Peccioli doveano avere paga doppia e mese compiuto, e che
-avendola in mano contro a loro volere il capitano prese li stadichi,
-dicendo, che se non avessono il debito loro non cavalcherebbono; e
-sopra ciò stando pertinaci mandarono loro ambasciadore a Firenze, e ciò
-feciono noto a’ priori il perchè avuto per i priori sopra ciò consiglio
-da chi di ciò s’intendea, determinarono che loro domanda non era
-ragionevole; onde tornato al campo l’ambasciadore con questa risposta,
-furiosamente il detto conte Niccolò, Ugolino, e Marcolfo puosono un
-cappello in su una lancia, dicendo, che chi voleva paga doppia e mese
-compiuto si mettesse sotto il detto segno fatto, i quali in poca d’ora
-si ricolsono il detto conte Niccolò, Ugolino, e Marcolfo con loro
-brigate, e molti caporali tedeschi e borgognoni, tanto che passarono
-il numero di mille uomini da cavallo, di che il capitano dubitò di
-tradimento, non possendoli con parole rattemperare, richieggendoli
-per loro saramento, e per la fede promessa al comune di Firenze, che
-loro indebito proponimento dovessono lasciare, e tutto era niente,
-che quanto più li pregava e richiedea più levavano il capo, e più
-li trovava duri e pertinaci. Onde per più sano consiglio essendo con
-tutta l’oste intra Marti e Castello del Bosco all’entrata del mese di
-settembre, levò il campo, e tornossi a san Miniato lasciando le tenute
-che prese avea fornite e di vittuaglia e di gente. Come ciò fu noto a
-Firenze, il detto conte Niccolò, Ugolino, e Marcolfo, e’ conistabili
-tedeschi di presente furono cassi, ed essi si radunarono all’Orsaia in
-quello d’Arezzo, e crearono compagnia, la quale per lo caso detto di
-sopra del cappello posto in sulla lancia titolarono la compagnia del
-Cappelletto, e quivi fatto il capo a’ ladroni, in piccolo tempo molto
-ingrossarono. I Pisani sentendo la dissensione della gente del comune
-di Firenze, rassicurati non poco, con l’arte loro ritolsono Laiatico,
-dove senza volere alcuno a prigione, uccisono venticinque fanti che
-v’erano dentro alla guardia, intra i quali furono cinque di nome;
-per la qual cagione i Fiorentini sdegnati trassono di Peccioli quasi
-tutti i migliori terrazzani, de’ quali parte ne vennero a Firenze,
-e per loro vita dal comune ebbono provvisione: gli altri terrazzani
-veggendo la gelosia presa per i Fiorentini, tutti quelli ch’avessono
-forma d’uomo se n’uscirono, onde la terra rimase a’ soldati. Il simile
-feciono quelli di Ghiazzano, e di Toiano, e dell’altre tenute prese pe’
-Fiorentini. Nei detti dì essendo il capitano venuto a Firenze, i Pisani
-con seicento cavalieri e molti pedoni corsono in su quello di Volterra,
-e levarono preda di trecento bestie grosse, e uccisono alquanti uomini,
-e alquanti ne presono. La gente del comune ch’era in Peccioli non stava
-oziosa, ma sovente cavalcavano, sino sulle porte di Pisa, mettendo
-aguati, e prendendo prigioni, e facendo aspra e sollecita guerra, tanto
-feciono che ’l contado di Pisa verso le parti dove poteano cavalcare
-non s’abitava, nè si poneva a seme.
-
-
-CAP. XXIV.
-
-_Comincia la guerra che i Fiorentini feciono in mare a’ Pisani._
-
-Del mese d’agosto le galee di Perino e quelle di Bartolommeo condotte
-al soldo dal comune di Firenze furono nella riviera di Pisa verso
-Piombino, facendo in quelle riviere gran danni, e in quelli giorni
-messer Niccola Acciaiuoli gran siniscalco del regno di Puglia, alle
-sue spese mandò due galee a servire il nostro comune per tempo di due
-mesi, le quali detto tempo assai affannarono i Pisani, non lasciando
-nel porto di Pisa legno che non pigliassono, rubassono e ardessono: e
-all’isola della Capraia scesono in terra, e levarono preda di mille
-capi di bestie, e il simile feciono al Giglio e a Vada per tutta
-quella marina dove danni di preda o d’arsioni poterono fare, a grande
-onore del comune di Firenze. Perino Grimaldi all’entrata di settembre
-per simile modo correva la detta marina facendo gran guerra, e per
-battaglia prese la Rocchetta, la quale è posta in su la marina intra
-Castiglione della Pescaia e Piombino in forte luogo; li terrazzani
-rifuggirono nella rocca, e’ Genovesi presono la terra, e forniti di
-vittuaglia la rubarono e arsono. Fu riputato per Italia in grande
-onore al nostro comune, e non senza ammirazione di chi l’intese, che
-i Fiorentini potessono in mare più che i Pisani, e che per acqua li
-tenessono assediati.
-
-
-CAP. XXV.
-
-_Come e perchè i Romani si dierono al papa._
-
-In quel tempo lo stato di Roma e reggimento era tornato nelle mani
-del popolo minuto, del quale si facea capo, ed era il maggiore e
-quasi signore un Lello Pocadota, ovvero Bonadota calzolaio, il quale
-col favore del detto popolo avea cacciati di Roma i principi, e’
-gentili uomini, e’ cavallerotti, ed essi di fuori accoglieano gente,
-e misono in grida che aveano al loro soldo condotta la compagnia del
-Cappelletto, la quale allora era in Campagna, di che per questa tema
-i governatori di Roma feciono seicento uomini a cavallo di soldo tra
-Tedeschi e Ungheri, e altrettanti de’ loro cittadini, e numerato il
-popolo romano a piè si trovarono essere ventidue migliaia d’uomini
-armati, e per temenza la notte faceano guardare le porte. Occorse
-in questi giorni, o per sagacità che fosse, o per errore de’ gentili
-uomini, che avendo i Romani mandato loro potestà a Velletri, fama uscì
-fuori che quelli di Velletri l’aveano morto, onde i rettori di Roma
-diffidati di loro stato accolsono consiglio, e coll’autorità d’esso
-dierono al papa il governo della città liberamente come a signore: ben
-vollono per patto che messer Guido cardinale di Spagna non vi potesse
-avere alcuno ufizio o giurisdizione. Tu che leggi ed hai letto le alte
-maravigliose cose che feciono i buoni Romani antichi, e tocchi queste
-in comparazione, non ti fia senza stupore d’animo.
-
-
-CAP. XXVI.
-
-_Come Dio chiamò a sè papa Innocenzio, e fu fatto papa Urbano quinto._
-
-Fu papa Innocenzio sesto uomo di semplice ed onesta vita, e di buona
-fama, colla quale passò di questa vita a migliore a dì 11 di settembre
-1362, e a’ tredici dì fu seppellito alla chiesa di nostra Dama
-d’Avignone. Sedette papa anni nove, mesi otto e dì sedici: vacò la
-Chiesa di Roma dì quarantotto. I cardinali essendo chiusi in conclavi
-in numero ventuno a dì 28 di settembre, si trovò che dato aveano
-quindici voci al cardinale...... che fu vescovo di...... monaco nero,
-e di nazione Limogino, uomo per età antico, e per vita di penitenza,
-e del tutto dato allo spirito, a cui essendo revelato lo squittino,
-avanti che pubblicato fosse papa con molto fervore d’amore e umiltà
-rinunziò. I cardinali, perchè per avventura non era chi arebbono
-voluto, accettarono la rifiutagione. Appresso il cardinale di Tolosa
-nipote del cardinale d’Aubruno ebbe undici voci delle ventuno, un
-altro dieci, un altro nove, onde a’ trenta di settembre gara entrò tra’
-cardinali, ed erano in grande discordia, ch’una parte d’essi il volea
-Limogino, e l’altra no. In fine come piacque a Dio, da cui viene ogni
-bene e ogni grazia, il dì ultimo d’ottobre elessono in papa messer
-Guglielmo Grimonardi, nato della Siniscalchia di Belcari, il quale
-era abate di san Vittore di Marsilia, dell’ordine di san Benedetto,
-uomo d’età di sessanta anni, onesto e di religiosa vita, pratico e
-intendente assai. Costui di settembre era venuto con danari che la
-Chiesa mandò al legato ambasciadore alla reina Giovanna, passò per
-Firenze, e di convito de’ signori fu riccamente onorato; sentita per
-lui la morte d’Innocenzio si partì di Firenze, ed osò dire, che se per
-grazia di Dio vedesse papa che avesse in cura di venire in Italia, e
-alla vera sedia papale, e abbattesse i tiranni, e l’altro dì morisse,
-sarebbe contento. I cardinali perchè non era in Avignone, come scritto
-avemo, quando fu eletto, lo tennono celato, e mandarono per lui
-fingendo per certe cagioni averne prestamente bisogno, e segretamente
-a dì 30 d’ottobre entrò in Avignone, e a dì 31 fu pubblicato papa, e
-nomato Urbano quinto: prese il manto e la corona a dì 6 di novembre.
-
-
-CAP. XXVII.
-
-_Come al re Pietro di Castella morì un figliuolo che avea._
-
-La novità del fatto ne dà materia di mettere in nota quello che passare
-con silenzio, essendo stato il caso in altrui, non era da ripigliare.
-Del mese d’aprile passato, Pietro re di Castella avendo un figliuolo
-di dama Maria sua femmina d’età di tre anni e mezzo, volle dare a
-intendere, e fare credere al suo reame, che fosse legittimo e naturale,
-e pubblicamente osò dire, che la detta dama Maria era sua legittima
-sposa; e per affermare a’ sudditi suoi quello dicea, volle e ordinò
-che tutti quelli che aveano a fare omaggio alla corona a certo giorno
-dato giurassono fedeltà nelle mani del fanciullo, e così feciono tutti
-i suoi baroni, chi per amore e chi per paura, e per reverenza d’omaggio
-tutti li baciarono la mano, e il simile feciono i sindachi di tutte le
-comunanze del suo reame. Nel detto anno del mese d’ottobre il fanciullo
-morì, di che il re duolo ne prese a dismisura, e vestissene a nero con
-tutti i suoi baroni. Dimostrò che a Dio sovente non piace quello che
-piace all’uomo, massimamente le burbanze.
-
-
-CAP. XXVIII.
-
-_Come Perino Grimaldi prese l’isoletta e castello del Giglio._
-
-All’entrante del detto mese d’ottobre, Perino Grimaldi da Genova al
-soldo del comune di Firenze con due galee e un legno, giunte a lui
-l’altre due galee condotte per lo comune, si dirizzò all’isola del
-Giglio, e scesi in terra con molto ordine assalirono la terra con aspra
-battaglia. I terrazzani tutto che sprovveduti francamente si difesono,
-e per lo giorno la battaglia durò dalla terza al vespero, nella quale
-di quelli d’entro molti ne furono morti, molti magagnati dalle buone
-balestra de’ Genovesi. Partita la battaglia i Genovesi si tornarono a
-loro galee, e medicarono i loro fediti, e presono la notte riposo. Il
-seguente dì la mattina tornarono alla battaglia con molto più cuore
-e ordine, avendo scorta la paura e il male reggimento di quelli della
-terra: così disposti andando, si feciono loro incontro tre di quelli
-della terra senza arme gridando, pace pace, e giunti al capitano,
-lui ricevente per lo comune di Firenze dierono la terra salvo loro
-avere e le persone, e così per Perino furono graziosamente ricevuti, e
-nella terra i Genovesi entrarono, non come nemici, ma come terrazzani
-pacificamente, e’ terrazzani si trassono con loro a combattere la
-rocca, con minacciare il castellano, il quale, cominciata la battaglia,
-vile e impaurito, temendo non tagliassono la rocca da piè con le scuri,
-disse si volea arrendere salvo l’avere e le persone, e avendo dal
-comune di Firenze le paghe ch’avea servite, e così fu ricevuto. Perino
-avendo fatto tanto nobile acquisto al nostro comune, fornita la rocca
-di vittuaglia e di sufficienti guardie, e seguendo la felice fortuna
-prese viaggio verso l’Elba. Il comune di Firenze mandò castellano al
-Giglio; e perchè avea soperchiati i Pisani in mare fè disordinata festa
-e letizia e di dì e di notte. Questa ventura fu tenuta mirabile, e
-operazione di Dio piuttosto che umana, considerato che la terra e la
-rocca sono da guardarle e lasciarle stare, e nè la forza del comune di
-Genova, che più volte avea tentato la ventura dell’acquisto del Giglio,
-nè quella de’ Catalani, nè quella de’ Pugliesi, che più e più volte
-aveano cercato il simile, e con aspre e continove battaglie aveano
-combattuta la terra, e non potuto acquistarvi una pietra, facevano la
-cosa più ammirabile. Come a Pisa fu la novella sentita duri lamenti
-vi furono, parendo loro vilia di mala festa, poichè i Fiorentini li
-sormontavano in mare: e di certo loro intervenne il detto del savio,
-il quale dice: Extrema gaudii luctus occupat; che suona in volgare:
-Gli estremi della letizia sono occupati dal pianto; così occorse a’
-Pisani, per la disonesta e pomposa festa e allegrezza che feciono per
-Pietrabuona, avvilendo in parole e in fatti a dismisura i Fiorentini,
-la quale in sì breve tempo fu soppresa da tante avversitadi. E ciò è
-chiaro esempio al nostro comune d’usare la vittoria onestamente, e non
-straboccare nelle vane e pompose feste per loro vittorie.
-
-
-CAP. XXIX.
-
-_Come messer Piero Gambacorti per trattato si credette tornare in Pisa._
-
-Piero Gambacorti uscito di Pisa, il quale molto tempo innanzi che la
-guerra si cominciasse, avendo rotto i confini che per lo suo comune
-gli erano stati assegnati a Vinegia, si conducea in Firenze per essere
-più vicino di Pisa, se la fortuna gli avesse apparecchiato via da
-ricoverare suo stato. E stando in Firenze, del mese d’ottobre tenne
-segreto trattato co’ suoi fidati amici, che molti ancora n’avea, di
-ritornare in Pisa con la forza de’ Fiorentini, che di qui gli era
-promessa e doveali essere data la porta di san Marco; proseguendo suo
-trattato, ed essendo dato il giorno, a dì 10 d’ottobre, col capitano
-de’ Fiorentini, e con settecento cavalieri e trecento Ungari si partì
-di Peccioli, e giunsono a Pisa nella mezza notte, ed entrarono nel
-borgo di san Marco; ed essendo all’antiporto della terra, e non essendo
-loro risposto, cominciarono a volere rompere quella: dentro desto
-il fatto di subito furono all’arme, e la terra tutta impaurita e in
-tremore: due conestabili de’ nostri, ch’erano già in su l’antiporto
-vi furono morti: e non sapendo quelli d’entro se quelli di fuori erano
-assai o pochi, mandarono fuori tre bandiere d’uomini a cavallo, i quali
-per i nostri furono tutti tra presi e morti; onde i Pisani veggendo
-che il fatto era maggiore che non si stimavano, giugnendo paura a
-paura per la notte, si dierono a guardia delle mura sollecitamente.
-Veggendo il capitano e Piero che ’l fatto era scoperto, e la sollecita
-guardia, e non sentendo dentro dissensione di romore cittadinesco,
-arsono il borgo, e co’ prigioni e preda si tornarono a Peccioli. La
-cagione perchè non ebbe effetto il trattato fu, che la sera innanzi
-che i nostri cavalcassono presentendo i Pisani che trattato era nella
-terra, tutto non sapessono che, in caccia feciono tornare tutti i
-loro soldati a cavallo e a piè in Pisa; veggendo gli amici di Piero
-ciò non s’ardirono a scoprire per paura: se ciò non fosse stato, Pisa
-per quella volta venia alle mani del comune di Firenze. Credo nol
-volle Iddio per meno male, che tanto erano infiammati i Fiorentini,
-che rischio era della desolazione di quella città. Tornati i nostri a
-Peccioli, il seguente giorno cavalcarono al Bagno ad Acqua e arsonlo, e
-molte altre ville d’attorno.
-
-
-CAP. XXX.
-
-_Come Perino Grimaldi soldato del comune di Firenze prese Portopisano,
-e le catene del detto porto mandò a Firenze._
-
-Nel detto anno del mese d’ottobre, Perino Grimaldi a soldo del comune
-di Firenze, con quattro galee e un legno bene armati e di buona
-gente, avendo fatto dannaggio assai per la riviera di Pisa, si mise
-in Portopisano, e giunti alle piagge, e con barche misono a terra
-una parte de’ loro balestrieri, i quali colle balestra francamente
-assalirono cinquanta cavalieri e molti fanti che per i Pisani erano
-posti alla guardia del porto, temendo che l’armata de’ Fiorentini
-non li danneggiasse nel seno del porto loro. La gente de’ Pisani
-non potendo sostenere l’oppressione della balestra abbandonarono il
-porto, onde i Genovesi presono il molo, e senza arresto giunti al
-palagio del ponte v’incominciarono colle balestra aspra battaglia: nel
-palagio erano venti masnadieri, i quali ben guerniti alla difesa non
-lasciavano i Genovesi appressare alla porta. Durando la detta battaglia
-per lungo spazio, il capitano delle galee saputo guerriere fece a due
-galee levare alto gli alberi, e miservi l’antenne, e nella vetta di
-ciascuna antenna mise una gabbia, e allogò due de’ migliori balestrieri
-ch’egli avesse nell’armata, e le galee condussono vicine al palagio,
-e l’antenne levavano alte a bassavano come domandavano i balestrieri
-ch’erano nelle gabbie, e talora erano al pari del palagio, e talora
-più alti, e ferendo i fanti ch’erano alla guardia sopra la porta non
-li lasciavano scoprire alla difesa, onde quelli ch’erano a piè del
-palagio sentendo allentata la difesa spezzarono le porte, e presono
-il palagio con quelli che dentro v’erano; poi si dirizzarono all’una
-delle mastre torri, e quella per simile modo ebbono e abbatterono, e
-nel cadere che fece uccise alcuni Genovesi che la tagliarono, l’altra
-torre ebbono a patti; e ciò fatto, prestamente rifeciono il ponte in su
-l’Arno, ch’era tagliato, e addirizzaronsi al palagio della mercatanzia
-e al borgo, e quelli per lungo spazio combatterono, ma per i cavalieri
-e masnadieri che quivi erano rifuggiti niente vi poterono acquistare,
-tutto che gran danno colle balestra facessono. Tornati al porto
-baldanzosi per la vittoria arsonvi una cocca che v’era carica di sale,
-e più altri legni che vi trovarono; e per dispetto de’ Pisani, e per
-rispetto della nuova vittoria de’ Fiorentini, velsono le grosse catene
-che serravano il porto, e quelle, carichi d’esse due carri, mandarono
-a Firenze, strascinandole per tutto per derisione, delle quali furono
-fatte più parti, e in tra l’altre quattro pezzi ne furono appesi sopra
-le colonne del profferito dinanzi alla porta di san Giovanni. E fu per
-chi il fè avuto rispetto alla perfidia de’ Pisani, i quali per i nobili
-servigi ricevuti loro donarono quelle colonne abbacinate, e coperte di
-scarlatto, e perchè l’uno esempio chiamasse l’altro.
-
-
-CAP. XXXI.
-
-_Come messer Bernabò mandò a papa Urbano a proseguire la pace._
-
-Come messer Bernabò sentì la coronazione di papa Urbano quinto creò
-solenne e onorevole ambasciata, e mandogliele, i quali fatto la
-debita reverenza, e rallegratisi in persona di loro signore di sua
-coronazione, appresso gli esposono come messer Bernabò con reverenza
-domandava di volere seguire l’accordo già cercato tra la santa Chiesa
-e lui; il papa con grave aspetto avendo ricevuti gli ambasciadori, con
-quello medesimo rispose, che quando il signore loro avesse renduto
-a santa Chiesa le terre sue, le quali contra ogni giustizia tiene
-occupate, e volesse delle sue perverse operazioni tornare a penitenza
-e a obbedienza della Chiesa di Dio, come fedele cristiano che lo
-riceverebbe. Allora gli ambasciadori ricorsono al re di Francia che del
-detto mese di novembre era in Avignone, perchè si facesse trattatore
-e mezzano, il quale dal papa ebbe simigliante risposta, e di corte si
-partì mal contento; e per questo e per altre cagioni gli ambasciadori
-di messer Bernabò lo seguirono, pregandolo ritornasse in corte, e
-niente ne volle fare. Partito il re, indi a picciolo tempo il santo
-padre fermò gravissimi processi contro a messer Bernabò d’eresia e
-scisma, i quali si pubblicarono in Firenze domenica a dì 29 di gennaio
-1362, ne’ quali erano molti articoli d’eresia, e intra gli altri, che
-egli tenea d’essere Iddio in terra, massimamente nel distretto suo,
-e assegnolli termine a irsi ad escusare per tutto il mese di febbraio
-1362.
-
-
-CAP. XXXII.
-
-_Domande fatte per lo re di Francia al papa._
-
-Quattro cose dopo la visitazione e rallegramento di sua coronazione
-domandò il re di Francia al santo padre; in prima, quattro cardinali
-de’ primi facesse: appresso sei anni le rendite di santa Chiesa in
-suo reame domandando di poterle in tre anni ricoglierle per aiuto a
-pagare il re d’Inghilterra, di quello che per i patti della pace fare
-li dovea: la terza domanda fu, che gli piacesse per mezzanità sua
-seguire il trattato della pace con messer Bernabò, promettendoli di
-fare stare contento messer Bernabò a quattrocento migliaia di fiorini,
-i quali dovesse pagare la Chiesa al re in otto anni, cinquantamila per
-anno, mostrando che ciò gli era in grande acconcio alle faccende che a
-fare avea con il re d’Inghilterra, affermando che messer Bernabò glie
-ne facea sovvenenza quel tempo che a lui piacesse: la quarta domanda
-fu, che piacesse a sua santità dare opera che la reina Giovanna fosse
-sposa del figliuolo. A questa ultima il papa prima rispose, che quanto
-per sè esso n’era molto contento, e gli piacea, quando il figliuolo
-dimorasse nel Regno, e prestasse il saramento e il debito censo a
-santa Chiesa, e dove fosse in piacere della reina cui ne conforterebbe.
-All’altre domande disse al re che n’arebbe suo consiglio, e che perciò
-non bisognava ch’egli stesse, che a tempo li risponderebbe; e per non
-avere materia di fare in dispiacenza del re, che avea chiesti quattro
-cardinali, per le digiune nullo ne volle fare. Il re passò il Rodano
-visitando le terre della Provenza, mal contento alle risposte del papa.
-
-
-CAP. XXXIII.
-
-_Di grande acquazzone che in Italia fè danno._
-
-All’entrata di novembre per tutta Italia furono grandissime e continove
-piove; in Lombardia ruppono gli argini del Po in più luoghi, e tutto il
-paese allagarono con danno grandissimo de’ paesani; in Firenze ruppono
-la pescaia della Porta alla giustizia, e il muro fatto per lo comune
-per riparo della Piagentina, e stesonsi l’acque in essa profondandosi
-forte, e vennono insin presso alle mura sopra la Porta alla giustizia,
-a quelle tosto arebbono con la porta e colla torre del canto gittate in
-terra, se non fosse stato il presto argomento di buoni maestri, i quali
-con pali a castello e con altri ripari sollecitamente e di dì e di
-notte puosono riparo.
-
-
-CAP. XXXIV.
-
-_Come il re di Cipro andò ad Avignone con tre galee._
-
-Il dì tre di dicembre 1362, lo re di Cipro con tre galee apportato
-andò ad Avignone al santo padre, per ordinare e dar modo con lui al
-passaggio oltremare non ancora maturo; il perchè i saracini sentendo
-suo cercamento, in Egitto, e in Damasco e in Soria presono molti
-cristiani, e forte gli afflissono: e per tanto questi accennamenti sono
-ai cristiani che di là praticano forte dannosi.
-
-
-CAP. XXXV.
-
-_Come morì Giovacchino degli Ubaldini e lasciò reda il comune di
-Firenze._
-
-Del mese di dicembre di detto anno, per uno fedele di Giovacchino di
-Maghinardo degli Ubaldini rivelato gli fu, che Ottaviano suo fratello
-l’avea richiesto, e tenea trattato di torli Castelpagano; Giovacchino
-volle che il fedele seguisse il trattato, e procedendo a tanto venne
-al fatto, che Giovacchino essendosi dentro fornito in modo che non
-potea essere forzato, ordinò che il fedele al giorno dato mise i fedeli
-e’ fanti di Ottaviano; Giovacchino fece serrare le porte, e mettere
-al taglio delle spade quelli che dentro v’erano racchiusi. Occorse
-ch’uno fedele di Ottaviano veggendosi in luogo da non potere campare,
-disperando, come un verro accanato si dirizzò a Giovacchino, e lo
-fedì nella gamba, della quale fedita di spasimo indi a pochi giorni
-morì. Conoscendo Giovacchino il poco amore del fratello verso lui, e
-ch’era cagione di sua morte, fè testamento, e lasciò erede il comune di
-Firenze; il quale poi del mese di febbraio per suo sindaco, come giusto
-e legittimo erede prese la tenuta di Castelpagano, e d’altre terre e
-beni che s’apparteneano al detto Giovacchino.
-
-
-CAP. XXXVI.
-
-_Come il conte di Focì sconfisse e prese quello d’Armignacca._
-
-Erano gare e questioni spiacevoli e gravi intra il conte di Focì e il
-conte d’Armignacca, il perchè in fine ciascuno fece suo sforzo sì di
-sua gente e sì d’amistà, e a dì 5 di dicembre ingaggiati di battaglia
-si trovarono in sul campo all’Isola presso di Tolosa, e commisono
-insieme aspra battaglia, la quale per la pertinacia della buona gente
-che temeva vergogna sì dall’una parte come dall’altra durò per lungo
-spazio di tempo, dove si trovò morti in sul campo tra dall’una e
-dall’altra parte oltre a tremila uomini da cavallo, che ve n’ebbe mille
-cavalieri e gentili uomini di rinomea, e a quello di Focì rimase il
-campo, e quello d’Armignacca fedito rimase prigione, e con lui il conte
-di Giagne, e il conte di Montelesori, e ’l signore di Libret con due
-suoi fratelli, e il conte di Cominga, e più altri signori e gentili
-uomini di nomea.
-
-
-CAP. XXXVII.
-
-_Come i Pisani vollono torre il campanile d’Altopascio._
-
-I Pisani, come uso di guerra richiede, solleciti ad offendere loro
-avversari, tutto che ’l verno soglia prestare triegua alle guerre
-campali, a dì 8 di gennaio di detto anno con seicento cavalli e
-duemila buoni pedoni si strinsono al campanile d’Altopascio, che
-l’altro per loro era stato arso, come di sopra narrammo, e quello
-assediarono, ma assediati dalla durezza del verno finiti i cinque
-giorni lasciarono l’impresa, il perchè i Fiorentini a’ 17 dì del
-mese, il dì di santo Antonio, veggendo che i Pisani s’erano partiti
-dall’assedio, considerando che la fortezza era stecco nell’occhio al
-Pisano, vi mandarono il conte Francesco da Palagio con venticinque
-uomini a cavallo e dugento fanti, e con molti maestri per riporre
-il castello sotto la sicurtà del campanile: i Pisani, che vicini
-erano al luogo, sentendo il fatto, con seicento cavalieri e duemila
-masnadieri assalirono i nostri, i quali trovarono sospesi e attenti al
-lavorio, i quali per lungo spazio di tempo francamente si difesono come
-prod’uomini, ma il proverbio è pur vero che i più vincono, i Pisani
-per le rotture del muro si misono dentro, onde i nostri non potendo
-sofferire pensarono a ritrarsi a salvamento, de’ quali cento e più si
-fuggirono nel campanile, gli altri alle terre del comune di Firenze
-vicine ad Altopascio; e in tanta zuffa non vi furono morti che sei,
-uno dalla parte fiorentina e cinque dalla parte de’ Pisani, magagnati
-e fediti d’ogni parte ne furono assai. La nostra gente da cavallo che
-già sentito avea il romore traeva al soccorso, e traendo caddono ne’
-guati che per i Pisani erano messi, e rimasonne otto presi, i quali
-agli altri scopersono i guati. I Pisani ciò fatto a dì 27 del mese si
-partirono e arsono quello che rimaso era da ardere fuori del campanile,
-e partiti di là si puosono a oste a Castelvecchio, e i Fiorentini
-armati, e ciascuno in distanza di piccolo tempo se ne partì senza fare
-frutto niuno.
-
-
-CAP. XXXVIII.
-
-_Come in Firenze s’ordinò tavola per lo comune per servire i soldati._
-
-Gl’ingordi e disonesti usurieri, che sotto colore di prestanza
-sovvenieno i soldati di loro comune, portavansene i loro soldi, l’arme
-e’ cavalli, il perchè il comune ai suoi bisogni non li potea avere
-cavalcati; mosse il comune a fare banco, il quale con danari del
-comune potesse sovvenire a’ soldati, e del mese di febbraio 1362 fu
-ordinato co’ suoi ufiziali, i quali, nel detto anno in calen di marzo
-cominciarono l’ufizio, ed ebbono al cominciamento del banco dal comune
-quindicimila fiorini.
-
-
-CAP. XXXIX.
-
-_Come i Pisani vollono torre santa Maria a Monte._
-
-A dì 26 del mese di gennaio, il capitano de’ Pisani Rinieri del Bussa
-da Baschi con ottocento cavalieri e tremila pedoni cavalcò a santa
-Maria a Monte, e considerando che per due ponti ch’erano sulla Gusciana
-i Fiorentini poteano soccorrere il castello, quelli prestamente
-tagliarono, e nel pieno della notte assalirono il castello da due
-parti, e con aspra battaglia e gran romore per molto spazio di tempo
-il combatterono, e per i soldati del comune e per i terrazzani furono
-villanamente ributtati, avendo già poste le scale alle mura del borgo,
-e assai ne furono morti e magagnati colle pietre e co’ balestri; e
-sopravvegnendo il giorno, veggendosi perduta la speranza della terra,
-cominciarono ad ardere e fare preda per lo paese: avendo di ciò boce
-messer Ridolfo da Camerino allora capitano de’ Fiorentini trasse al
-soccorso; i Pisani non lo attesono.
-
-
-CAP. XL.
-
-_Come i Pisani vollono torre Pescia per trattato._
-
-La sagacità de’ Pisani non trovava posa, ma con solleciti modi e
-occulti trattati per torre delle terre de’ Fiorentini, e avendo del
-mese di febbraio 1362 per danari corrotte certe guardie diputate a
-certa parte delle mura di Pescia, nella mezza notte con scale assai,
-e con cinquecento uomini di cavallo e con duemila fanti eletti, con
-molto ordine s’accostarono alle mura della terra che guardavano i
-traditori tacitamente, che quelli d’entro niente ne sentirono. I
-traditori come li sentirono, che stavano a orecchi levati, uccisono le
-guardie ch’erano con loro alle poste ignoranti del tradimento; onde i
-Pisani avendo poste le scale sicuramente salivano, e già assai n’erano
-in sulle mura. Occorse per fortuna, che quegli che andava rassegnando
-le guardie in quello stante vi sopraggiunse, e scoperta la baratta in
-istante levò il romore, e svegliata la terra, quelli ch’aveano prese
-le mura impauriti se ne fuggirono, e le guardie del trattato con loro
-insieme, e la gente de’ Pisani si ridusse a salvamento alle terre loro.
-
-
-CAP. XLI.
-
-_Come papa Urbano pubblicò in Avignone i processi fatti contro a messer
-Bernabò._
-
-All’entrata del mese di marzo 1362, papa Urbano quinto in Avignone
-pubblicò il processo che fatto avea contro a messer Bernabò, e avanti
-che pronunziasse, gli ambasciadori di messer Bernabò e i suoi avvocati
-comparirono e dierono boce che v’era messer Bernabò, onde il papa
-prolungò il termine per infino a di 4 di marzo, e di nuovo lo fece
-citare, facendo cercare per suoi mazzieri tutta la corte, e il venerdì
-4 di marzo mandò due cardinali in persona a fare cercare il palagio e
-l’udienza, e tutto per lo detto messer Bernabò; in fine fatto armare
-tutta sua famiglia e i Lombardi cortigiani a guardia della corte,
-fece consistoro e sermone sopra i fatti di messer Bernabò con alto e
-nobile parlare, dolendosi delle sue eresie e delle sue infedeltà, e
-appresso fè pubblicare il processo suo, nel quale il condannò come
-eretico e infedele in molti articoli, e lo pronunziò scismatico e
-maladetto di santa Chiesa, privandolo di tutti onori, dignitadi,
-titoli, e privilegi, e giurisdizioni, e assolvendo dal giuramento tutti
-i sudditi suoi, annullando tutti i privilegi imperiali che avesse
-per successione, e che gli fossono conceduti in persona, e ogni e
-qualunque avesse per altro modo, e privollo del matrimonio liberando la
-moglie come cristiana dal marito eretico e infedele: e nella sentenza
-involse chiunque li desse consiglio, aiuto e favore, e i sudditi se
-l’ubbidissono, e chi lo servisse in arme per soldo o in niuno altro
-modo, o contro alla Chiesa di Dio s’operasse; e concedette indulgenza
-di colpa e di pena a quelli che fossono confessi e pentuti a chi contra
-lui prendesse la croce quando fosse predicata, e in essa sentenza
-orribile involse i descendenti, come nati di sangue eretico e infedele.
-Pronunziata la sentenza il santo padre si levò ritto, e misesi in
-ginocchione colle mani giunte e levate al cielo, e come vicario di
-Gesù Cristo invocò l’aiuto suo, e di M. S. Piero e di M. S. Paolo, e di
-tutta la celestiale corte, pregando che come avea il tiranno infedele
-e crudele legato in terra con sua sentenza come vicario di Cristo e
-successore di san Pietro, così essi lo legassono in cielo. Lo re di
-Francia, ch’era in corte a procurare per lo tiranno, e ’l procurò in
-sua utilità si tornava, forte se ne scandalizzò, e molti cardinali
-i quali erano suoi protettori in corte e provvisionati nel segreto
-assai malcontenti ne furono, avendo più caro loro occulta prefenda che
-l’onore di santa Chiesa.
-
-
-CAP. XLII.
-
-_Come morì messer Simone Boccanera primo doge di Genova._
-
-A dì 13 di marzo di detto anno, essendo gravemente malato messer Simone
-Boccanera doge di Genova, e correndo la boce ch’egli stava male, il
-popolo prese l’arme, e chiamò venti popolani, i quali domandarono in
-guardia il palagio del doge, e a dì 14 del mese v’entrarono e trassonne
-circa a trecento tra parenti, e famigli e amici del doge, e nel palagio
-lasciarono lui, e la moglie e’ figliuoli, e questi venti che teneano il
-palagio elessono altri sessanta popolani al consiglio loro, e con loro
-consiglio e favore crearono nuovo doge, lo quale fu messer Gabbriello
-Adorno mercatante di buona condizione e fama, il quale vollono, che
-campasse o morisse messer Simone Boccanera, fosse doge; e ciò fatto
-riposò il popolo, e puose giù l’arme, e i gentili uomini e gran case
-di tutto niente si travagliarono. Durando nella infermità il Boccanera,
-furono creati sei sindachi ch’avessono a ricercare le ragioni de’ suoi
-ufici, e infine tra per l’oppressione de’ sindachi, e chi disse, e
-forse non mentì, aiutato, assai miseramente passò di questa vita, e il
-corpo suo con due bastagi e un famiglio fu portato alla chiesa. E tale
-fu il fine del valente e famoso uomo della primizia de’ dogi di Genova.
-
-
-CAP. XLIII.
-
-_Come fu morto il conte di Lando._
-
-Avendo del mese di marzo la Compagnia bianca tolto un castello a
-messer Galeazzo, ed egli vi mandò in soccorso il conte di Lando con
-quattrocento barbute; per scontrazzo s’abboccò con gl’Inghilesi e fu
-sconfitto, e morto d’una lancia di posto nel petto. E tale fine trovò
-colui che capo di compagnia famoso, più volte avea liberamente corsa
-gran parte dell’Italia con fare ogni uomo ricomperare.
-
-
-CAP. XLIV.
-
-_Come Bernabò Visconti fu dalla gente della lega sconfitto alla bastita
-a Modena, e come la perdè._
-
-A dì 16 d’aprile 1363, Bernabò eretico per sentenza del santo padre,
-con duemilacinquecento cavalieri di sua gente eletta venne per
-fornire la bastita che tenea sul Modanese, la quale era assediata
-e forte stretta dalla gente della lega de’ Lombardi, e giugnendo la
-mattina, preso in prima agio, rinfrescamento e ordine, colle schiere
-fatte, anzi si strignesse alla bastita, ne fece subitamente rizzare
-un’altra non molto di lungi dalla Negra; la bastita era dificata in
-forma che non s’avea se non a conficcare: la gente de’ collegati bene
-capitanata e in punto, con due forti campi intorno alla bastita con
-due lati e profondi fossi, l’uno lungo il campo, e l’altro di fuori
-alla tratta del balestro, sicchè bene si potea la gente della lega
-tra’ due fossi schierare. Il tiranno colla forza di sue schiere passò
-il primo fosso, onde convenne a quelli ch’erano tra le barre per
-paura rifuggire ne’ due campi, e lasciarono fornire la bastita, dove
-mise il tiranno trentasei carra di fornimento; e ciò fatto Bernabò
-se n’andò a Crevalcuore per sollecitare il resto del fornimento,
-e a’ suoi impose che attendessono la notte prima si partissono, ma
-Anichino di Bongardo partito Bernabò disse, che poichè fatto avea il
-servigio per che era venuto quivi non intendea albergare, e si mosse
-con ottocento barbute. I capitani della lega imbaldanziti, veggendo i
-modi che teneano i nemici in sconcio e male ordinati, essendo in punto
-colle schiere fatte e bene capitanati, le brigate coraggiosamente
-percossono a loro. La battaglia per la eletta gente di Bernabò fu
-aspra, la quale durò infino all’ora di vespero, e allora, come fu il
-piacere di Dio, la gente de’ collegati vinse; assai furono i morti, e
-non de’ minori. Presivi furono messer Ambrogiuolo figliuolo naturale di
-Bernabò, messer Lodovico dall’Occa da Pisa, messer Guglielmo de’ Pigli
-da Modena, messer Sinibaldo degli Ordelaffi da Forlì, messer Guglielmo
-Cavalcabò, messer Giovanni Penzoni da Cremona, messer Guido Savina,
-messer Ghiberto da Correggio, Antonio da Santovito figliuolo di messer
-Ghiberto da Fogliano, Beltramo de’ Rossi da Parma, Guglielmo Aldighieri
-da Parma, messer Andrea de’ Peppoli, messer Niccolò Pallavicini,
-messer Giovanni dalla Mirandola, messer Giovanni Bolzoni di Milano
-ricco di quattrocentomila fiorini, Antonio d’Ungheria, Luchino de
-Asalis da Milano, Piero da Correggio, Guido da Foiano, Mocolo dalli
-Pelagri, Alessandro da Verona, Giovanni Scipioni, Paolo Zuppa da Parma,
-Maffiuolo da Labro di Milano, Damulo Dusmago di Milano, Baroncio del
-maestro Manno, e altri nomati infino nel numero di trentotto: a bottino
-mille cavalli e molti prigioni. Quinci seguì, che quelli della bastita
-non essendo forniti, Bernabò non avendo possanza di soccorrerli,
-s’arrenderono salve le persone.
-
-
-CAP. XLV.
-
-_Come i Pisani vollono torre Barga._
-
-Partito all’entrante di marzo 1362 messer Ridolfo da Camerino, venne
-in Firenze per capitano di guerra in suo luogo messer Piero da Farnese
-senza pompa, se non quanto a uso militare si richiede, e veduto e
-ricevuto fu con buono volto. I Pisani con sollecitudine seguendo
-giusta loro possa ogni atto di guerra, sentendo che messer Ridolfo
-avea fornito per tutto il mese di febbraio suo capitanato, e tutto che
-avesse francamente e come valente uomo lealmente esercitato suo uficio,
-con poco onore s’era partito, e mal contento, e con fama di poco leale
-cavaliere, e che messer Piero da Farnese uomo coraggioso e per lunga
-esperienza grande maestro di guerra era giunto in Firenze, immaginando
-che innanzi che messer Piero fosse informato della intenzione del
-comune, e innanzi che fosse in atto da poterli offendere che poteano
-usare il tempo della guerra a loro vantaggio. E pertanto domenica
-d’ulivo, dì 27 di marzo 1363, fatto tutto il loro sforzo con mille
-cavalieri e quattromila pedoni nel pieno della notte con molto ordine,
-con scale e altri ingegni s’accostarono a Barga senza niuno sentore de’
-terrazzani, tanto fu netto e presto l’assalto, e presono gran parte
-delle mura, e lo spedale che è accostato ad esse, e già aveano rotte
-parte delle mura allato allo spedale per mettere dentro i cavalieri. I
-terrazzani svegliati al rompere del muro, non inviliti per l’improvviso
-assalto, presono l’arme, e per lo naturale odio tra loro e’ Pisani, per
-non venire alle loro mani, e gli uomini e le femmine raddoppiarono le
-forze, e francamente cominciarono la battaglia; ma tanti erano i nemici
-ch’erano montati sullo spedale e in sulle mura vicine allo spedale,
-che cacciare non li ne poteano, ma come uomini per lunga esperienza di
-guerra dotti, con presto e buono avviso affocarono di sotto lo spedale,
-onde fu necessità a’ nemici, tra per lo gran fumo, e per la vampa della
-paglia de’ letti dello spedale la quale subito aspettavano, abbandonare
-il muro, per il quale aveano la salita dello spedale, e lo spedale
-ancora. Di loro alquanti ne rimasono morti, molti ne furono fediti. I
-Pisani levati dal pensiero d’avere la terra per quella via si misono a
-porvi l’assedio, e puosonvi tre battifolli forti e bene apparecchiati
-a offesa e a difesa, pensando d’averla per lunghezza d’assedio, perchè
-molto era lontana dal soccorso de’ Fiorentini, il quale convenia che
-passasse per lo distretto loro. Sentissi che con tanta sollecitudine
-presa aveano questa per cambiarla con Peccioli, la quale teneano i
-Fiorentini in sulle ciglia di Pisa.
-
-
-CAP. XLVI.
-
-_Come messer Piero da Farnese credette torre Lucca a’ Pisani._
-
-Poichè messer Piero da Farnese capitano de’ Fiorentini ebbe
-l’informazione dell’intenzione del comune, e dello stato della guerra,
-si partì di Firenze, e andò in Valdinievole dov’era il forte della
-gente dell’arme de’ Fiorentini, e da essa ricevuto fu a grande onore
-per le sue virtù conforme a gente d’arme, e di presente si dispose
-all’asercizio dell’arme: e avendo rispetto alla natura de’ Pisani
-sottratta e vaghi di trattati, per contrappesare a’ loro ingegni,
-e tenerli in paura, cercò trattato in Lucca, e quello menando
-sollecitamente, e con sollecitudine avendo la ferma la notte de’
-12 d’aprile, con duemila barbute e con cinquemila fanti si mosse da
-Fucecchio, e cavalcò sotto il Ceruglio dal Colle delle donne, e all’ora
-data giunse alle porte di Lucca. I Pisani, o che avessono presentito
-il fatto, o che per la buona guardia sentissono il romore della gente
-e de’ cavalli, erano pronti alla difesa, e aveano corsa la terra, e
-presi quarantadue cittadini e certi forestieri. Messer Piero sentendo
-scoperto il trattato, e la terra ben guarnita alla difesa, senza fare
-arsione o preda in sul Lucchese, che liberamente far lo potea, il
-giorno medesimo per la diritta via si tornò a Pescia. I Pisani assai
-de’ presi decapitarono, e assai degli altri mandarono a’ confini,
-stando con più sollecitudine alla guardia di quella, e dell’altre loro
-terre, e non di manco aveano l’assedio a Barga, alla terra di Gello, e
-a Castelvecchio, dove il capitano cavalcò, e fornillo per quattro mesi.
-
-
-CAP. XLVII.
-
-_Come i Pisani presono per forza il castello di Gello sul Volterrano._
-
-Rinieri d’Ugolinuccio, detto Rinieri del Bussa da Baschi capitano
-de’ Pisani, uomo d’alto cuore e sollecito guerriere, a dì 12 del mese
-d’aprile si mosse da Pisa con cinquecento cavalieri e duemila pedoni
-eletti, intra i quali furono molti balestrieri di Gera, e si mosse
-per la Maremma, e con molto ordine assalì il castello di Gello non
-provveduto, e dibattuto assai per lo assedio. Il castello è di cento
-famiglie assai forte, e per luogo ben situato a difesa, e quello per
-lungo spazio di tempo combatterono, e quello per forza vinsono con
-assai morti e magagnati, e di quelli d’entro e di quelli di fuori.
-Vinta la terra si dirizzarono alla rocca, che era forte e ben guernita
-alla difesa, e la combatterono per lungo spazio, tanto che quasi non
-era fante nella rocca che dalle buone balestra non fosse fedito, i
-quali disperati di soccorso, il quale colla sollecitudine di messer
-Piero giugnea, s’arrenderono salve le persone. Rinieri fornito il
-castello di gente atti a tenerlo se ne tornò a Pisa.
-
-
-CAP. XLVIII.
-
-_Come i Pisani condussono la Compagnia bianca degl’Inghilesi._
-
-Come narrato avemo nell’addietro, la Compagnia bianca degl’Inghilesi
-sotto il capitanato di messer Alberto Tedesco, in numero di
-tremilacinquecento uomini da cavallo e duemila a piè, erano al servigio
-del marchese di Monferrato contro a messer Galeazzo Visconti, il quale
-più tenere non li potea, e messer Galeazzo volentieri la si levava da
-dosso, e i Pisani che si vedeano nel fondo, e venire al disotto della
-guerra, loro ambasciadore aveano a messer Galeazzo, come a singolare
-amico e protettore, e per aiuto e soccorso contro alla forza de’
-Fiorentini, e risposto avea che fare non potea servando sua fede contro
-i Fiorentini, ma che se voleano conducere la compagnia degl’Inghilesi,
-la quale di corto finia sua ferma, ed era per prendere viaggio, che
-loro ne sarebbe buono, e li dicea il cuore di poterlo fare: a questo
-gli ambasciadori ch’aveano il mandato larghissimo assentirono. I
-Fiorentini essendo di ciò avvisati, lentamente cercarono per uno
-Giovanni Buglietti Fiorentino, lungo tempo stato in Inghilterra, e
-guida della detta compagnia in Italia, la condotta di detti Inghilesi,
-e per l’amistà e usanza de’ Fiorentini che stavano e praticavano
-nell’isola d’Inghilterra, gl’Inghilesi si vollono alloggiare co’
-Fiorentini per diecimila fiorini meno che non feciono co’ Pisani, e più
-tempo tennono sospesa la condotta de’ Pisani, aspettando conducersi co’
-Fiorentini; nella quale sospensione, essendo messer Piero da Farnese in
-Firenze, per i governatori de nostro comune li fu sopra questa materia
-chiesto consiglio, il quale rispose: Io non credo che per altrettanta
-di gente Cesare la vedesse migliore, nata e allevata in guerra,
-argomentosa in maestria di guerra, e senza niuna paura; affermando
-senza dubbio, che chi li avesse e li potesse sostenere non lungo tempo
-senza fallo sarebbe il superiore della guerra. Ciò udito nel processo
-della condotta, quanto l’animo de’ collegi e degli altri governatori
-della città inclinassono a prenderli, il gonfaloniere della giustizia
-s’oppose, con dire, e chi pagherà? e fu l’autorità sua tanta, e di chi
-lo seguì dell’ordine suo, che sturbò la condotta. I Pisani savi e non
-lenti di presente la condussono in forma di compagnia per quattro mesi,
-a ragione di fiorini diecimila il mese di soldo.
-
-
-CAP. XLIX.
-
-_Come Rinieri da Baschi ruppe gente che messer Piero da Farnese avea
-mandati in Garfagnana._
-
-Parendo a messer Piero da Farnese ragionevolmente non potere avere
-battaglia di campo co’ Pisani, la quale sommamente desiderava per
-mostrare sua virtù e provare sua ventura, avanti che la Compagnia
-bianca condotta per i Pisani giugnesse, contra i quali non sperava
-potere tenere campo, tenne trattato con certi di Garfagnana e fece loro
-rubellare Castiglione e certe altre castella, e avendo di ciò il certo,
-per fornirle di gente e di vittuaglia vi fece cavalcare Spinelloccio
-de’ Tolomei da Siena per capitano, e Currado di messer Stefano da
-Iesi, con certi altri conestabili, e con trecento uomini di cavallo,
-e dugento masnadieri di soldo. I Pisani sentendo della ribellione
-delle castella, e immaginando che per i Fiorentini si dovessono
-soccorrere per lo loro capitano, prestamente e con tutta loro forza
-misono uno aguato, dove vedeano che i nostri accampare si doveano.
-Passò in Garfagnana Spinelloccio con la detta gente senza contasto, e
-accamparonsi dove doveano, e come Rinieri s’era pensato per fornire le
-dette castella; Rinieri come li vidde infaccendati e occupati intorno
-all’accamparsi, e in atto di poterne avere il migliore, coll’aguato
-grosso e ordinato uscì loro addosso, e dopo lunga e fiera battaglia gli
-ruppe. La gente era buona, e veggendosi per lo soperchio de’ nemici in
-rotta, si ridussono in su un poggio vicino dove era stata la zuffa,
-e d’onde potea loro essere il passo sicuro per tornarsi a’ suoi: i
-Pisani francamente seguendoli si sforzavano a tor loro il passo, e
-fatto lo arebbono, ma i detti Spinelloccio e Currado seguitando l’orme
-degli antichi e buoni Romani, come franchi, leali e buoni uomini di
-subito si gittarono a piè, e si misono alla difesa del passo, e facendo
-maraviglie di loro persone, e tanto lo tennono, che per lo stretto la
-gente de’ Fiorentini si ricolse, in modo che pochi impediti ne furono.
-Spinelloccio e Currado, poi che vidono la brigata a loro commessa in
-luogo che non poteano ricevere offensione, s’arrenderono a prigioni.
-
-
-CAP. L.
-
-_Come Rinieri da Baschi colla gente de’ Pisani fu sconfitto e preso da
-messer Piero da Farnese._
-
-Parendo a messer Piero da Farnese avere doppia vergogna, sì per le
-castella perdute, sì per la gente sbaragliata in Garfagnana, in forte
-pensiere, e come potesse sua onta vendicare, onde domenica mattina a
-dì 7 di maggio 1363, essendo cavalcati in verso il Bagno a Vena con
-ottocento tra Ungari e altra buona gente di cavallo, e con ottocento
-fanti eletti, il capitano de’ Pisani sentendo la cavalcata, non meno
-coraggioso e voglioso che messer Piero, i quali amendue si studiavano
-di fare innanzi la venuta degl’Inghilesi, raunò della gente da cavallo
-de’ Pisani circa a seicento, e pedoni assai, e continovamente da Pisa
-li cresceva forza, per torre alla detta gente de’ Fiorentini il passo
-a san Piero, e colle schiere fatte si pararono innanzi a messer Piero,
-perchè non potesse tornare, e di dietro e da lato da Pisa traeva
-gente senza numero alle spalle a messer Piero per combatterlo dinanzi
-e di dietro. Vedendo messer Piero davanti da sè i nemici schierati
-in sul campo, veggendo che quello che desiderato avea gli venia
-fornito, di presente ordinò le schiere sue, e perchè il luogo dove
-combattere doveano era pieno di solchi, impedì il ferire delle lance,
-onde confortati i suoi a ben fare colle spade in mano fieramente si
-percosse sopra i nemici, i quali non con meno cuore gli ricevettono.
-La battaglia fu dura e aspra, e la prima schiera de’ Fiorentini fu
-ributtata per difetto degli Ungari due volte, ma rannodati ruppono
-la prima schiera de’ Pisani, ma i rotti si ridussono alle spalle
-dell’altre loro schiere, e con la forza di molti pedoni tratti loro in
-aiuto percossono francamente sopra i Fiorentini. Messer Piero sgridati
-e confortati i suoi a ben fare con la sua schiera si mise sopra i
-nemici, lasciando l’insegne nel mezzo, ed egli dinanzi con i più eletti
-cavalieri. Indurando la battaglia, messer Piero fè a dugento cavalieri
-fedire i nemici per costa, i quali non avendo resistenza, ne vennono
-alle insegne de’ Pisani, e le presono e abbatterono; e ciò veggendo
-messer Piero urtò forte sopra i nemici, e li strinse a fuggire.
-Rinieri come ardito e pro’, fu preso colla spada in mano, e molti altri
-valenti uomini. E per certo e messer Piero e Rinieri si portarono come
-valenti capitani, e come arditi e pro’ cavalieri, perocchè per spazio
-di due ore e mezzo si combatterono pertinacemente sotto l’incerto
-della vittoria. Rotte le schiere de’ Pisani, gli Ungari con degli
-altri contesono a prendere de’ prigioni, massimamente di quelli che a
-piè v’erano venuti da Pisa. Molta gente da piè e da cavallo vi morì,
-tanto odio lor menti occupava, e molti cavalli vi furono guasti per
-i pedoni fiorentini che con le lance in mano fedirono di costa: il
-capitano messer Piero co’ prigioni si tornò alla gente sua, e in quel
-dì medesimo ne fu novelle in Firenze, di che si fè grande allegrezza e
-festa.
-
-
-CAP. LI.
-
-_Come messer Piero da Farnese entrò in Firenze, e il capitano de’
-Pisani colle insegne e’ prigioni rassegnarono a’ priori._
-
-A dì 11 di maggio, messer Piero da Farnese col capitano, bandiere e
-prigioni de’ nemici entrò in Firenze, dove ricevuto con grande letizia
-e allegrezza di popolo, e consegnati furono per lui a’ priori col
-capitano e bandiere de’ Pisani centocinquanta prigioni, essendoli
-per lo comune offerto una ghirlanda d’alloro umilemente la ricusò,
-e non la volle prendere, dicendo, che tale ghirlanda si convenia
-con altro trionfo e maggiore vittoria, siccome per il senato di
-Roma era diputato; furonli donati quattro destrieri nobili coverti
-dell’arme sua. Con lui venne messer Simone da Camerino fatto cavaliere
-nella battaglia, il quale fu lietamente veduto, e onorato di doni
-cavallereschi; e di poi a dì quattordici di maggio colle solennità
-usate furono al capitano date per messer Niccolaio degli Alberti
-gonfaloniere di giustizia l’insegne, e per lo capitano accomandate
-furono a’ Tedeschi a guardia, dando la reale a un messer Amerigone
-soldato del nostro comune, il quale la ricevette in nome di messer
-Giovanni di..... Tedesco, il quale era al campo. Non vi mancò augurio,
-perocchè subitamente come messer Piero l’ebbe in mano surse una lieve
-aura che le dirizzò verso Pisa, di che il capitano prese baldanza.
-
-
-CAP. LII.
-
-_Come i Pisani tolsono a’ Fiorentini Altopascio._
-
-Sabato a dì 20 di maggio, Guelfo di messer Dante degli Scali, il quale
-era castellano d’Altopascio, diede il detto castello a’ Pisani per
-fiorini tremila d’oro che ne ricevette, il perchè domenica mattina il
-dì di Pasqua rugiada i priori mossono l’esecutore colla famiglia sua
-per andare a guastare le case sue; il popolo il quale era raunato in
-sulla piazza de’ priori seguì l’esecutore, ed entrò nelle case degli
-Scali e rubolle, e appresso vi mise il fuoco e arsonle, non potendo a
-ciò riparare quelli che mosso l’aveano: dopo nona detto dì mandarono il
-cavaliere dell’eseguitore a guastare i beni di contado.
-
-
-CAP. LIII.
-
-_Come i Pisani elessono per loro capitano Ghisello degli Ubaldini._
-
-I Pisani elessono loro capitano di guerra Ghisello degli Ubaldini in
-lungo di Rinieri d’Ugolinuccio da Baschi, il quale era preso nelle
-carcere del comune di Firenze. Il detto Ghisello era coraggioso e di
-grande animo, dotto di guerra, e corale nemico del comune di Firenze,
-il quale di presente fu in Pisa, e prese la bacchetta del capitanato; e
-ciò fu del detto mese di maggio.
-
-
-CAP. LIV.
-
-_Come messer Piero cavalcò sino sulle porte di Pisa battendovi moneta
-d’oro e d’argento._
-
-A dì 17 del mese di maggio, messer Piero da Farnese capitano de’
-Fiorentini con duemilacinquecento cavalieri, e molti balestrieri e
-altra fanteria si partì dal castello d’Empoli, e dirizzossi verso
-Pisa, e il detto dì s’alloggiò sopra la Cecina intra Marti e Castel
-del Bosco, il seguente passarono il fosso, a malgrado di trecento
-uomini da cavallo che erano nel detto Castello del Bosco, e per la sera
-s’accamparono a Ponte di Sacco, e valicarono di loro in Valdicalci e a
-Caprone, facendo gran danni d’arsioni di ville e manieri. Proseguendo
-il capitano sue giornate verso Pisa arse il resto del borgo di Cascina,
-e tutto insin presso a Rignone e Borgo delle Campane ardendo tutto,
-e quivi fermato mandò a’ Pisani il guanto della battaglia, di poi
-lo giorno di Pasqua novella il capitano colle schiere fatte si mosse
-verso le porte di Pisa. Messer Amerigone Tedesco con sessanta barbute
-si mise innanzi a tutti gli altri, e cavalcò verso le porte di Pisa,
-e trovò cento barbute de’ nemici con assai gente da piè, e loro fedì
-addosso arditamente e li ruppe, in soccorso de’ quali uscirono di Pisa
-dugento uomini da cavallo, i quali volsono indietro messer Amerigone,
-al cui soccorso si mise messer Otto Tedesco con cento barbute e
-rivolse messer Amerigone, e fatta aspra zuffa i Pisani furono rotti;
-allora uscì di Pisa il potestà con seicento barbute e molto popolo,
-e ruppono i nostri, e presono i detti due conestabili con alquanta
-loro brigata. Messer Piero ciò veggendo come di soperchio ardito,
-con trecento barbute di gente eletta, lasciandosi al soccorso la sua
-gente grossa presso colle bandiere, con tanto animo si mise sopra i
-Pisani che li ruppe e fè volgere, i quali per la gran calca non potendo
-entrare per la porta molti se ne misono per l’Arno, de’ quali assai
-n’annegarono. Molti presi ne furono, e tanti e tali che i soldati più
-tosto vollono i prigioni, che paga doppia e mese compiuto, e assai ve
-ne furono morti di quelli del baldanzoso e scondito popolo. Ciò fatto
-il capitano a Rignone e allo Spedaluzzo fè battere moneta dell’oro,
-e d’argento, e di quattrini: in quella d’argento sotto i piè di san
-Giovanni sta una volpe a rovescio. E in quell’ora per i Pisani alla
-richiesta della battaglia fatta per messer Piero risposto fu, che alla
-battaglia verrebbono a tempo e a luogo; onde fatti per lo capitano
-due cavalieri, messer Guglielmo di Bolsi, e messer Giovanni di......
-sonate le trombe si fè dipartenza; e mentre che la gente che rimasa
-era alla retroguardia, mandati dinanzi a sè gl’impedimenti da Rignone
-e dal Borgo delle Campane si partia, gente da piè e da cavallo de’
-Pisani vi sopraggiunse, e perchè quivi erano cavalieri novellamente
-fatti non vollono fuggire. Nello strettissimo luogo della via, il quale
-quivi la natura del luogo leva in alto, quindi l’Arno colle sue ripe
-fortifica, furono i nemici da’ nostri aspettati, e subito con gran
-grida s’abboccarono insieme con fiera e ontosa battaglia. I nostri
-nel principio dubitarono, e crollaronsi: messer Guglielmo cavaliere
-novello con la lancia uno levò da cavallo, onde premendo lui co’ nostri
-sopra i nemici, quelli che in qua e in là scorreano ripresi furono, e
-da capo facendo resistenza lungo tempo si combatterono con dubbiosa
-vittoria. Alla fine la virtù de’ nostri crebbe, e soprastette, de’
-quali l’Arno molti ne prese, e inghiottì molti pedoni nello stretto
-da piè, di cavalli guasti e magagnati: molti ne furono presi, molti
-morti, nè prima fu fine alla fuga, che giunsono sulla porta di Pisa.
-Quivi fu il grande scalpitamento, ed ivi li scorridori mescolati con i
-nemici quasi si metteano nella porta, intra i quali era un trombettino
-del nostro comune, il quale sonando, fu di saetta che venne dalle
-mura ferito, e cadde da cavallo, allora i nostri per studio d’avere
-il giglio del trombettino, perchè il segno non venisse alle mani de’
-Pisani, agrissimamente si combatterono, ove oltre a venti dei nemici
-furono morti e molti fediti, e la tromba col segno del trombettino
-fu ricoverato: de’ nostri ne furono morti..... e otto presi, intra i
-quali furono i detti due cavalieri novelli. Alla fine divisa la zuffa i
-nostri a salvamento si ritornarono al campo, il quale era fermo a san
-Sevino dalla parte sinistra sopra la riva dell’Arno, che san Sevino
-era bene guardato; ed essendo molto del dì nelle dette cose consumato,
-levate le schiere i nostri s’alloggiarono la sera nella villa di
-Peccioli, e per la fatica del giorno stettono senza guardia, solo che
-delle spie: il dì seguente il capitano rimandò della gente a cavallo e
-a piè verso Pisa a fare quel danno poterono.
-
-
-CAP. LV.
-
-_Sagacità usata per i Pisani per non perdere Montecalvoli._
-
-I Pisani ch’aspettavano la Compagnia bianca degl’Inghilesi, temendo
-di Montecalvoli, il quale pochi giorni si potea tenere, usarono questa
-malizia, che di notte segretamente facevano uscire di Pisa loro gente
-d’arme, e la mattina polverosi li faceano ritornare, e li riceveano
-a gran festa, sotto nome di gente della Compagnia bianca, stimando ne
-seguisse quello ne seguì: e loro venne fatto, che i priori di Firenze
-avendo la falsa novella per vera, subito con poco onore e del comune e
-del capitano li feciono partire dall’assedio di Montecalvoli, il perchè
-i Pisani il poterono liberamente fornire e rinfrescare: e ciò fu del
-mese di giugno.
-
-
-CAP. LVI.
-
-_Come il re di Francia per paura della compagnia non osò per terra
-tornare nel reame, ma tornò per acqua._
-
-In questi giorni i pessimi uomini detti latronculi, noi in volgare
-diciamo ladroncelli, nel reame di Francia tanto erano multiplicati
-all’appoggio delle compagnie dell’arciprete di Pelagorga e del
-Pitetto Meschino, che il re di Francia essendo ad Avignone non si
-assicurò tornare per terra a Parigi, per loro danno si mise ad entrare
-in Borgogna. Puossi assai aperto comprendere i vestigi del santo
-Evangelio, ove dice: Saranno pestilenzie e fame per luoghi, e leverassi
-gente contro a gente: e soggiugne: E gli uomini saranno amatori di sè
-medesimi: e certo ogni radice di carità pare dispenta.
-
-
-CAP. LVII.
-
-_Della mortalità dell’anguinaia._
-
-Nel presente mese di giugno, per vere lettere de’ mercatanti fu in
-Firenze come in Egitto, e in Soria, e nell’altre parti di Levante la
-pestilenza dell’anguinaia; gravissimamente offendea e in Vinegia, e in
-Padova, e nell’Istria, e in Ischiavonia, non ostante che i detti luoghi
-altra volta toccasse. Anche gravemente ritoccò nelle terre di Toscana,
-e quasi tutte comprese, e in Firenze, già stata generale tre mesi per
-tutto giugno con fracasso d’ogni maniera di gente.
-
-
-CAP. LVIII.
-
-_Come i Barghigiani colla forza de’ Fiorentini presono i battifolli._
-
-Nel detto mese di giugno, essendo stata assediata Barga da’ Pisani
-lungamente con tre battifolli, e Sommacolonna con due, e assai strette,
-il capitano de’ Fiorentini essendo a oste a Montecalvoli trasse
-dal campo cinquecento barbute con alquanti masnadieri, e diè boce
-ch’andassono in Maremma per preda, e feceli conducere a Volterra, onde
-i Pisani mandarono la loro gente in Maremma alla difesa, e costoro
-furono condotti a Barga improvviso a’ Pisani; e sentendolisi presso
-quelli di Barga, che n’aveano l’avviso, uscirono fuori a combattere
-l’uno de’ battifolli. Avvenne che quelli degli altri due battifolli,
-lasciando pochi di loro alla guardia de’ battifolli, trassono al
-soccorso di quello ch’era combattuto. Aspra battaglia era tra loro
-quando sopraggiunse la gente de’ Fiorentini; e trovò i due battifolli
-sforniti, e presonlisi, e appresso percossono alle reni de’ nemici,
-e con loro entrati nell’altro battifolle lo presono, e perseguitando
-i nemici, pochi ne camparono, che non fossono morti o presi. Quello
-che trovarono ne’ battifolli sì di vittuaglia come d’armadura misono
-in Barga, e arsono le bastite, e il simile feciono di quelli di
-Sommacolonna, e ciò fatto, la gente de’ Fiorentini si tornarono al
-campo senza niuno impaccio.
-
-
-CAP. LIX.
-
-_Come morì messer Piero da Farnese._
-
-Essendo entratala furia della pestilenza dell’anguinaia nell’oste de’
-Fiorentini, molti n’uccise, molti ne indebolì, molti ne avvilì. Il
-perchè essendo levato l’assedio da Montecalvoli, per comandamento de’
-signori di Firenze, il capitano era in Castello Fiorentino, e quivi lo
-prese il male dell’anguinaia a dì 19 di giugno, e il detto dì n’andò a
-san Miniato del Tedesco, e quivi in sulla mezza notte passò di questa
-vita, e il corpo suo in una cassa alle spese del comune fu recato in
-Firenze, e posato a Verzaia, aspettando Ranuccio suo fratello per cui
-era mandato; poi a dì venticinque del mese il corpo suo fu recato in
-Firenze alle spese del comune con mirabile pompe d’esequie, le quali
-furono di questa maniera
-
- _Qui manca._
-
-Poi seppellito fu nella chiesa di santa Reparata con intenzione di
-farli ricca sepoltura di marmo. Valente uomo fu in arme, e saputo
-e accorto con grande ardire, e leale cavaliere, e in fatti d’arme
-avventuroso, e per certo ogni onore che fatto li fosse e per lo innanzi
-gli si facesse lo merita.
-
-
-CAP. LX.
-
-_Dell’ammirabile passaggio de’ grilli._
-
-Il dì primo di luglio, un vento schiavo temperato per dieci ore
-continove del dì nelle parti di Pesaro, Fano e Ancona condusse
-incredibile moltitudine di grilli, quasi come in passaggio per l’aire,
-tanto stretti che ’l sole non rendea la luce se non come per una nuvola
-non troppo serrata, e trovossi per quelli che la notte sopraggiunse che
-molti l’uno portava l’altro. Dove presono albergo, cavoli, lattughe,
-bietole, lappoloni, e ogni erba da camangiare la mattina si trovarono
-tutte colle costole e’ nerbolini tutti bianchi, che a vedere era
-cosa nuova. Perchè per lo freddo della notte non si poteano levare,
-i fanciulli ne portavano le cannuccie coperte dal capo a piè, tanto
-stretto l’uno sotto l’altro che non vi si sarebbe messo la punta
-dell’ago. I grilli erano di lunghezza d’un dito colle gambe lunghe e
-rosse, e l’alie grandi, col dosso ombreggiava in verde chiaro. Molti o
-la maggior parte annegarono in mare, che ’l fiotto gittò alla marina,
-i quali ammassati gittarono orribile puzzo, e trovossi che i pesci non
-presono cibo di loro, e gli uccelli e gli altri animali insino alle
-galline se ne guardarono.
-
-
-
-
-PROEMIO DELLA CRONICA di FILIPPO VILLANI
-
-_Nel quale racconta la morte di Matteo suo padre, e la cagione che lo
-mosse a seguitare di scrivere._
-
-
-In questi giorni la pestilenza dell’anguinaia prese il componitore di
-quest’opera Matteo, e trovandolo di sobria e temperata natura e vita
-il dibattè cinque giorni, in fine il duodecimo dì del mese di luglio
-divotamente rendè l’anima a Dio. Il quale in tanto possiamo dire
-meritevolmente essere da laudare, in quanto esso con lo stile che a lui
-fu possibile non sofferse, che perissono le cose occorse nel mondo per
-lo tempo che scrive degne di memoria, quindi apparecchiando materia a’
-più delicati e alti ingegni di riducere sue ricordanze in più felice e
-rilevato stile, qui a me Filippo suo figliuolo lasciando il pensiere di
-seguitare su per infino alla pace fatta con i Pisani, per non lasciare
-la materia intracisa, e così m’ingegnerò di fare la storia di tempo in
-tempo, con l’altre cose occorse nell’altre parti del mondo le quali a
-mia notizia perverranno.
-
-
-CAP. LXI.
-
-_Come i Fiorentini feciono Ranuccio da Farnese loro capitano di guerra._
-
-Seguendo quanto mi sarà possibile lo scrivere di Matteo Villani mio
-padre, per principio di mia perseguitazione ne tocca a scrivere, che
-per lo grande amore che ’l comune di Firenze ebbe a messer Piero da
-Farnese, senza rispetto de’ grandi pericoli che vedeano sopraggiugnere,
-senza lunghezza di tempo puosono Ranuccio suo fratello, non perchè
-’l conoscessono sufficiente e atto a tanto peso, ma per donarli quel
-titolo per grazia dell’anima di messer Piero. Uomo era pro’ della
-persona, e ardito e leale, ma poco sperto in guidare gente d’arme, e
-nelli pronti avvisi che la guerra richiede.
-
-
-CAP. LXII.
-
-_Come gl’Inghilesi giunsono in Pisa._
-
-Gl’Inghilesi ch’erano in Monferrato al soldo del marchese, col
-procaccio di messer Galeazzo Visconti ebbono il passo per lo Genovese,
-e col loro capitano messer Alberto Tedesco giunsono in Pisa il dì 18
-di luglio. Honne fatta menzione, perchè dal non averli condotti come
-messer Piero da Farnese consigliava molto di danno e di vergogna si
-ricevette per lo nostro comune, come per l’innanzi leggendo apparirà.
-
-
-CAP. LXIII.
-
-_Come i Pisani cavalcarono i Fiorentini in sulle porte._
-
-Nel detto anno a dì 25 di luglio, Ghisello degli Ubaldini capitano di
-guerra de’ Pisani, con ottocento cavalieri di soldo, e con quattromila
-pedoni tra di soldo e di volontà, e con molti gentili uomini e popolani
-a cavallo che vogliosamente il seguirono, e messer Alberto Tedesco
-capitano degl’Inghilesi, con duemila cinquecento uomini a cavallo e
-duemila a piè si partirono di Pisa, e andarono a Lucca, e a dì 26 di
-detto mese passarono per le montagne di Montaquilano, e scesono nel
-piano di Pistoia nel dì di santo Iacopo; e a’ Pistoiesi non lasciarono
-correre loro palio. Ben furono di tanto animo i Pistoiesi, che dissono,
-in modo fu inteso dal capitano de’ Pisani, che mai il detto palio non
-si correrebbe se non si corresse sulle porte di Pisa, e così addivenne,
-come si troverà nella scrittura che per i tempi segue. Temettesi forte
-non si strignessono alla terra, che senza dubbio a gran pericolo era,
-sì per lo subito assalto, al quale niuna provvisione o riparo era
-fatto, sì per la pestilenza dell’anguinaia, che assai cittadini tolti
-avea, molti ne tenea in sul letto, e quelli ch’avea tocchi in vita
-erano fieboli: la troppa voglia ch’ebbono d’impiccare gli asinini, e
-fare le beffe muccerie, loro tolse il consiglio. Il seguente dì senza
-prendere arresto se ne vennono a Campi e a Peretola, e quivi fermarono
-il campo, poi colle schiere ordinate vennono insino al ponte a Rifredi;
-e sentendo sonare le campane dal comune a stormo, gl’Inghilesi,
-che secondo l’uso di loro paese pensarono che ’l popolo uscisse a
-battaglia, temettono un poco, e rincularono, il perchè i Pisani feciono
-correre il palio per traverso a Rifredi e tra le schiere. Più feciono
-battere moneta, e al ponte a Rifredi impiccarono tre asini, e per
-derisione loro puosono al collo il nome di tre cittadini, a ciascuno il
-suo. Ecco in che i savi comuni di Firenze e di Pisa spendono i milioni
-di fiorini, rinnovellando spesso queste villanie. Adunque impiccati
-gli asini volsono le schiere, e tornaronsi a Campi e a Peretola. Ben
-fece innanzi messer Alberto cavaliere Ghisello degli Ubaldini, messer
-Giovanni de’ Guazzoni da Pescia con più altri, con grande gavazza di
-gridare di stromenti, in parole altamente villaneggiando e dispettando
-il comune di Firenze. Arsioni i Pisani che v’erano feciono assai,
-ma non fuori di strada, lasciando le possessioni d’alcuno notabile
-uomo popolare per far dire male di lui. Il seguente giorno, arso ciò
-ch’aveano potuto fuori di Firenze e di Prato, passarono Arno, e arsono
-il borgo alla Lastra, e per i monti di verso Valdipesa di notte si
-partirono, e arrivarono nel piano d’Empoli, scorrendolo tutto con fare
-quel male poterono, quindi per lo Valdarno con grande preda e copia di
-prigioni senza essere loro a niente risposto si tornarono a Pisa. Da
-indi a pochi giorni messer Ghisello passò di questa vita, e onorato fu
-di sepoltura assai per i Pisani.
-
-
-CAP. LXIV.
-
-_Come si fermò pace dalla Chiesa a messer Bernabò._
-
-Del detto anno del mese d’aprile si fermò la pace tra papa Urbano
-quinto (che tanto vogliosamente, e tanto aspramente e vituperosamente
-avea fulminate le sentenze contro a messer Bernabò) e il detto
-messer Bernabò, per la Chiesa di Roma assai vituperevole, e onesta:
-vituperevole, perchè si ricomperò dal tiranno ancora scomunicato, e
-perchè a petizione del tiranno divise la legazione, dando Bologna e
-Romagna in sua legazione all’abate di Clugnì, e togliendo a colui che
-con tanto onore di santa Chiesa l’avea acquistata: onesta, perchè egli
-come padre spirituale dee amare la pace e riconciliazione, e aprire
-le braccia a chi vuole tornare alla misericordia, verificando in buona
-parte il detto del poeta che dice: O tu che sol per cancellare scrivi:
-nè per essa pace si ruppe a’ collegati promessa, e in loro potestà
-rimase l’accettare. Poi appresso messer Bernabò rendè a santa Chiesa
-Castelfranco, Pimaccio e Crevalcuore che tenea in sul Bolognese, e
-ciò fatto i collegati con santa Chiesa accettarono la pace. L’abate
-passò per Milano, e più giorni vi stette, dove fu alla reale in tutto
-onorato, quindi ne venne a Bologna, ove col caroccio con molto onore e
-festa fu ricevuto.
-
-
-CAP. LXV.
-
-_Dello stato della città di Firenze in que’ giorni._
-
-E’ ne pare necessario dire in questo luogo, per quello che seguirà di
-messer Pandolfo de’ Malatesti, il reggimento e governo della città di
-Firenze in que’ tempi, il quale era venuto in parte e non piccola in
-uomini novellamente venuti del contado e distretto di Firenze, poco
-pratichi delle bisogne civili, e di gente venuta assai più da lunga, i
-quali nella città s’erano alloggiati, e colle ricchezze fatte d’arti,
-e di mercatanzie e usure in dilazione di tempo trovandosi grassi di
-danari, ogni parentado faceano che a loro fosse di piacere, e con
-doni, mangiari e preghiere occulte e palesi tanto si metteano innanzi,
-ch’erano tirati agli ufici e messi allo squittino. Le grandi case
-de’ popolari aveano i divieti; molti antichi e cari cittadini saggi
-e intendenti erano schiusi dagli ufici, e quello che ne risultava
-di peggio di loro governo era, che temendo di non essere ingannati e
-consigliati per lo contradio da’ savi e pratichi cittadini che con loro
-si trovavano agli ufici, essendo bene e utilmente consigliati, e con
-amore e fede alla repubblica, sovente prendeano il contrario in danno
-e vituperio del comune. Molti gioventù che non passava l’adolescenza,
-si trovarono negli ufici per procuro de’ padri loro ch’erano nel
-reggimento; e occorse, che facendosi lo squittino in que’ tempi si
-trovò che de’ quattro i tre non passavano i venti anni, e per tali
-furono portati allo squittino che giaceano nelle fascie. Le ammonizioni
-sboglientavano, e gli odii pertanto e occulti e pregni teneano l’animo
-de’ cittadini. Più, l’avarizia tanto tenea occupato l’animo di molti,
-che con novi modi e ufici non necessari, e per altre coperte vie,
-faceano al comune spendere i suoi danari. Le sette non quietavano, e
-l’una all’altra per paura tenea l’occhio addosso: e così la repubblica
-si trovava nelle mani del giovanile consiglio, negli occulti odii,
-e ne’ desiderii delle private ricchezze. Se queste controversie e
-confusioni non avessono allettato e sollevato l’animo del tiranno a
-speranza di signoria assai sarebbe più da maravigliare, che tenendolo
-in ciò occupato. Quelli che conduceano la guerra cassarono i soldati,
-pensando a primo tempo riconducere a sofficienza, e cercavano d’avere
-la Compagnia della stella, che di numero si ragionava passasse le
-seimila barbute. Della Magna speravano trarre duemila barbute, delle
-quali non n’ebbono che cinquecento, sotto il capitanato del conte
-Arrigo di Monforte, e del conte Giovanni, e del conte Ridolfo suo
-fratello, il quale era sfoggiato di grandezza, e menno, e però era
-chiamato il conte Menno, e questi due si diceano stratti della casa
-di Soavia. Non pensando trarre dalla Magna più gente, nè avere la
-Compagnia della stella, e correndovi giorni, condussono messer Ugo
-Tedesco valente uomo con mille uomini di cavallo, i quali, erano
-giovani e prod’uomini, ma male armati e peggio a cavallo; fu a ciascuno
-quando entrarono per lo comune donato una lancia nuova, perchè non
-entrassono così brulli. Appresso condussono il conte Artimanno con
-mille ragazzi, verificando il proverbio, a tempo di guerra ogni cavallo
-ha soldo: vennono a mezzo il mese di febbraio in Firenze a rifarsi.
-
-
-CAP. LXVI.
-
-_Come i Perugini, per tema che la compagnia degl’Inghilesi non
-soccorressono i loro rubelli assediati in Montecontigiano, condussono
-la Compagnia del cappelletto._
-
-Nel detto anno del mese di novembre, i Perugini, i quali aveano
-condotta la Compagnia del cappelletto per venti dì, temendo che
-gl’Inghilesi non soccorressono i loro usciti i quali erano assediati
-in Montecontigiano, rafforzarono l’assedio, e in pochi giorni appresso
-ebbono il castello. Il modo fu nuovo, che i detti usciti con i fanti
-masnadieri che aveano seco feciono vista d’essere fuggiti, e tutti si
-nascosono per le case, di che quelli dell’oste maravigliandosi, non
-veggendo alle poste le guardie, mandarono alquanti infino alle porti,
-e guatando per gli spiragli non viddono per la terra persona, di che
-tornati al campo e detto il fatto, il campo a romore si mosse colle
-scale a ire a prendere la terra: li usciti ch’erano pro’ come leoni,
-insieme co’ loro fanti masnadieri lasciarono salire i loro nemici
-in sulle mura, e quando li vidono in sulle mura uscirono delle case
-francamente, e con raffi a ciò ordinati tirarono delle mura a terra
-assai conestabili e valenti uomini che v’erano montati, e montarono in
-sulle mura essi, e per forza ne levarono coloro che su v’erano saliti
-con aspra e fiera battaglia, di che i Perugini si tornarono al campo.
-Infra quelli che rimasono presi fu un cavaliere tedesco, che lungo
-tempo era stato al soldo de’ Perugini, e fatto gli era grande onore;
-costui andando un dì a sollazzo per lo castello con certi caporali
-masnadieri, e’ fu da loro dimandato, che aveano di loro diliberato
-i Perugini; il sagace cavaliere rispose, di mai non partirsi finchè
-arebbono il castello, e d’impiccarli tutti; ma che s’elli voleano
-campare, che poteano, dando loro gli usciti a’ Perugini, di che i fanti
-per paura a ciò s’accordarono; e il seguente dì cominciarono questioni
-con gli usciti, domandandoli se di niuno luogo aspettavano soccorso,
-i quali risposono di niuno, onde i masnadieri loro dissono che
-piglierebbono partito per sè, ed ebbono tra loro oltraggiose parole;
-veggendo ciò messer Alessandro de’ Vocioli con sette de’ migliori
-ch’erano con lui deliberarono di ricorrere alla misericordia, e con li
-capestri in gola uscirono del castello e andarono al campo gridando
-misericordia, e’ furono ricevuti: i signori di Perugia per fuggire
-le preghiere mandarono quattro camarlinghi a Montecontigiano, i quali
-il detto messer Alessandro con altri sedici cittadini di Perugia suoi
-compagni e di buone famiglie quivi feciono decapitare.
-
-
-CAP. LXVII.
-
-_Come messer Pandolfo Malatesti venne con cento uomini di cavallo e con
-cento fanti a servire il comune di Firenze per due mesi._
-
-Conoscendosi per i Fiorentini che nell’impresa della guerra il comune
-era senza capo e senza consiglio, e con gente d’arme di poco valore,
-forte si cominciò a dubitare, e massimamente per coloro a cui potea
-meritamente la perdita tornare nella testa; costoro co’ loro seguaci
-furono a’ signori, pregandoli che provvedessono di capitano di guerra,
-e loro puosono innanzi messer Pandolfo de’ Malatesti, il quale per
-le sue savie e franche operazioni, contra il conte di Lando e sua
-compagnia, come Matteo mio padre scrive di sopra, in Firenze avea
-buona fama, e la grazia di tutti i cittadini, il quale di presente fu
-eletto senza sospezione alcuna, e fatti gli ambasciadori ch’andassono a
-portare l’elezione, e patteggiarsi con lui, e scritto gli fu in segreto
-dagl’intimi suoi che venisse, che ciò che domandasse al comune arebbe,
-ed esso ben sapeva la condizione della città, e l’infermità di essa
-gli era negli occhi; onde ricevuti gli ambasciadori colla elezione li
-lasciò a Pesero, ed egli n’andò dove era messer Malatesta, vecchio
-e messer Malatesta giovane, e con loro più giorni stette in segreto
-consiglio. Quali fossero i ragionamenti, l’opere di messer Pandolfo il
-manifestarono. Tornato agli ambasciadori a Pesero, per meglio coprire
-suo segreto mostrava per molte vie poca voglia di volere venire, e con
-cautela disse non potea senza la licenza di messer di Spagna legato
-di papa, ed esso medesimo per suo segreto messo infra pochi giorni
-l’ottenne; e ciò fatto, venne alla pratica con gli ambasciadori di
-quello volea, e le sue domande erano in gran parte sì spiacevoli e
-disoneste, che gli ambasciadori del tutto si partirono da lui; ed
-essendo per mettere i piè nella staffa, parendo a messer Pandolfo
-avere mal fatto, li fè richiamare, e loro disse non intendea di venire
-come capitano, ma come amico del comune volea venire a servirlo due
-mesi, e così per gli ambasciadori fu accettato, e così venne ed entrò
-in Firenze a dì 15 del mese d’agosto con cento uomini di cavallo e
-cento fanti a piè, e con grande allegrezza fu da tutti universalmente
-ricevuto, parendo a ciascuno essere in viaggio d’onorato fine alla
-guerra. Il seguente dì furono creati otto cittadini, due per quartiere,
-e per termine d’un anno e con balìa assai, in uficiali del comune
-sopra la guerra, i quali di presente preso l’uficio incominciarono
-ad intendersi con messer Pandolfo sopra i modi che intorno a’ fatti
-della guerra s’avessono a tenere; nelle lunghezze delle parlanze messer
-Pandolfo non mostrò cruccio di perdere tempo.
-
-
-CAP. LXVIII.
-
-_Come i Pisani co’ loro Inghilesi presono Figghine._
-
-Messer Manetto di messer Lomodaiesi capitano generale della gente
-d’arme de’ Pisani, e messer Alberto Tedesco capitano degl’Inghilesi,
-con tutte loro brigate continuando loro viaggio senza contradizione
-per li stretti passi del Chianti valicarono nel Valdarno di sopra,
-e nella loro prima giunta presono il borgo di Figghine a dì 16 di
-settembre di detto anno, dove trovarono molta roba e prigioni assai
-d’ogni maniera: è vero che la maggior parte degli uomini e donne da
-bene si fuggirono nel castello, ch’era assai forte: e perchè quelli
-del castello non prendessono consiglio, il seguente dì gl’Inghilesi
-si strinsono ad esso, onde quelli d’entro spaventati si rendeano; e
-mentre che i patti si compilavano, la cattività di quelli d’entro fu
-tanta che si lasciarono torre la fortezza agl’Inghilesi; il perchè
-ebbono assai prigioni da bene uomini e donne, i quali Dio sa come
-furono ricevuti nelle mani degl’Inghilesi uomini crudeli e bestiali,
-i quali con la miseria de’ nostri arricchirono. Preso il castello il
-guastarono e afforzaronsi ne’ borghi, dove stettono per alquanto di
-tempo. La presura di Figghine assai diè di pensiero e di maninconia
-a’ governatori del nostro comune, tutto che i cittadini ch’aveano
-i palagi e abituro d’intorno e appresso la città paressono contenti
-che la guerra si facesse da lungo, ma poco loro valse, come appresso
-diviseremo.
-
-
-CAP. LXIX.
-
-_Come messer Pandolfo puose il campo all’Ancisa, e come il detto campo
-fu preso dagl’Inghilesi con messer Rinuccio capitano, e appresso il
-borgo all’Ancisa, e come messer Pandolfo fu fatto capitano di guerra._
-
-Preso Figghine per i Pisani, col consiglio di messer Pandolfo tutta
-la gente dell’arme de’ Fiorenti con molti pedoni che ’l comune avea
-n’andò all’Ancisa, e di presente messer Pandolfo andò dietro loro, e
-come giunse all’Ancisa ordinò di porre campo dirimpetto all’Ancisa, il
-quale ad arte il prese di sfoggiata grandezza, prendendo dal poggio
-infino all’Arno, contra il volere e consiglio di messer Rinuccio
-capitano, e di messer Amerigone Tedesco e di tutti gli altri buoni
-uomini d’arme che v’erano, eccetto il conte Artimanno, il quale si
-scoperse traditore, i quali tutti diceano essere abbastanza e più
-utile fare una bastita intorno alla torre Bandinelli, la quale diceano
-potersi difendere insieme col borgo dell’Ancisa, e che tanta larghezza
-di campo, traendo lui cinquecento cavalieri della migliore gente, nè
-eziandio se vi fossono alla difesa, non era possibile da difendere
-dalla forza de’ nemici, e che stolta cosa era commettersi a quella
-fortuna. Messer Pandolfo fè orecchie di mercatante a lasciare dire chi
-volle, e fè pure a suo senno, avendo dato a intendere prima a quelli
-della guerra e al comune che la Compagnia del cappelletto la quale
-era in Maremma condotta per i Fiorentini, e con cinquecento barbute
-di quelli erano all’Ancisa cavalcherebbono i Pisani, i quali arebbono
-necessità rivocare loro gente al soccorso, e sotto questo colore trasse
-del campo messer Amerigone e altri caporali con cinquecento uomini di
-cavallo della miglior gente fosse nel campo, lasciando al capitano il
-forte ragazzaglia e vile gente, eccetto alquanti Italiani, e ciò fatto
-se ne venne a Firenze. Gl’Inghilesi sentendolo partito, e che messer
-Rinuccio era semplice, feciono ingaggiare di battaglia uno di loro
-con uno di quelli d’entro, e molti saggi Inghilesi vennono nel campo
-senza arme, dove si combatterono, e considerando il campo e chi v’era
-alla difesa, il seguente dì 3 d’ottobre colle schiere fatte assalirono
-il campo da molte parti, acciocchè la poca gente che v’era e debole
-si spargesse in più parti alla difesa. Il capitano confortando i suoi
-a ben fare, e della sua persona, con quelli pochi uomini che v’erano
-buoni fè maraviglie, e per lungo spazio di tempo sostenne l’assalto con
-danno assai de’ nemici; in fine non potendo resistere a tanta gente, nè
-a tanti luoghi quant’erano combattuti, il capitano insieme col campo
-fu preso, con assai degli altri che mostrarono il volto. Il conte
-Artimanno traditore, possendo atare e soccorrere il campo, lasciando
-parte della sua gente a guardia del borgo dell’Ancisa co’ terrazzani,
-si stette a vedere. Molti de’ nostri ch’erano usciti di fuori, tale
-per badaluccare tale per vedere, furono presi, più di disarmati
-vogliosi troppo ch’erano corsi a vedere. Quelli valenti uomini che
-erano usciti fuori virilmente a battaglia furono presi colle spade in
-mano, intra’ quali fu messer Giovanni degli Obizzi e messer Giovanni
-Mangiadori, alquanti se ne gittarono per l’Arno che vi annegarono,
-intra i quali fu messer Bartolommeo de’ Portigiani da san Miniato.
-La preda de’ cavalli, fornimenti da campo e armadura fu grande. Avuta
-la vittoria gl’Inghilesi, con la preda e co’ prigioni si tornarono a
-Figghine. Ricerchi i nostri, tra presi e morti si trovarono passati
-i quattrocento. Conosciuto per gl’Inghilesi il male e viziato ordine
-dato per messer Pandolfo, e la viltà di nostra gente, e il corrotto
-animo del conte Artimanno, il dì seguente dì 4 d’ottobre ne vennono
-all’Ancisa colle schiere fatte per combattere il borgo; il traditore
-del conte Artimanno come li vidde venire, colla sua brigata se n’uscì
-per la porta che viene verso Firenze e misesi a cammino, che se avesse
-avute altrettante femmine come avea uomini d’arme arebbe difeso quel
-luogo; i nemici senza contesa entrarono nel borgo e presonlo, rubaronlo
-e arsonlo, per avere la via spedita volendo venire verso Firenze.
-Messer Pandolfo sentendo la rotta del campo, con cinquecento uomini
-ch’avea scelti e altra gente d’arme, in vista mostrava gran fretta
-d’andare a soccorrere l’Ancisa, e già avea passato san Donato in
-Collina, veggendo venire il conte Artimanno in fuga, possendosi allo
-stretto di san Donato sostenere per non mostrare tanta viltà, subito si
-volse e diessi alla fuga come uomo rotto. I nostri veggendo fuggire il
-capitano seguitarono, il quale come spaventato, come giunse in Firenze
-fè segno come fosse di necessità provvedere alla guardia della città
-trista e lagrimosa, e che mal volentieri lo vedea, ma la necessità la
-quale fa vecchia trottare strinse il nostro comune ad eleggerlo per
-capitano di guerra in luogo di messer Rinuccio preso colla spada in
-mano. Il quale essendo eletto nella forma che sogliono capitani di
-guerra, volle ai governatori del nostro comune con belle e artificiose
-parole e con sottili argomenti mostrare, che a perfezione del capitano,
-pace e bene della città, necessario era che nella città e di fuori
-avesse giurisdizione di sangue con pieno arbitrio, e fu sì sfacciato,
-che la domandò agli uficiali della guerra, quasi dando intesa altamente
-non accettare il capitanato, e più domandò, che i soldati da cavallo
-e da piè giurassono nelle sue mani. Udendo i governatori della città
-le sconce e le mal colorate domande vollono un grande consiglio di
-richiesti, dove si proposono le domande di messer Pandolfo, e tanto
-era il bisogno che aveano di lui, che niuno osava contradire, e il
-concedere parea pericoloso, il perchè stavano sospesi e muti. Simone
-di Rinieri Peruzzi si levò in consiglio, e disse francamente che
-nulla di ciò gli si concedesse, che questo era un domandare d’essere
-fatto signore, e che ciascuno si recasse alla mente il tempo del
-duca d’Atene, e come da lui erano stati trattati, e che conoscessono
-la dolcezza della libertà, e che volessono vivere e morire in essa.
-Piacque a tutti il consiglio, e così s’ottenne; e i signori priori
-mandarono di presente per tutti i soldati, e in loro mani feciono
-giurare, e un Baldo dalla Città di Castello elessono per difensore del
-popolo con larga e piena balía nella città. Messer Pandolfo veggendo
-ciò s’infinse di non lo intendere, e accettò il capitanato al modo
-usato a capitano di guerra, senza lasciare il pensiere di venire per
-altra via al suo intento, come per effetto si vide. Presa la bacchetta
-del capitanato fè cassare il conte Artimanno con ottocento uomini di
-cavallo, perchè non rimase il comune se non con altri ottocento, e ciò
-fatto, mostrando smisurata paura, fece sopra certa parte delle mura
-della città levare bertesche e merlate armate di ventiere, armando la
-nostra città d’eterna vergogna, più, che per le vie mastre non molto di
-lungo alle porte fè fare serragli e antiserragli infino a Ricorboli.
-
-
-CAP. LXX.
-
-_Come certa parte degl’Inghilesi da Figghine cavalcarono a Ricorboli._
-
-Gl’Inghilesi e gente de’ Pisani imbaldanzita sopra modo della rotta
-del campo e della presa del borgo all’Ancisa, posati alcuni dì a
-Figghine, avendo le spie dello spavento ch’era in Firenze, e de’ modi
-del capitano, feciono sentire al comune con minaccevole superbia e
-altre parlanze, come a dì 22 d’ottobre verrebbono in sulle porte,
-e arderebbono il borgo di san Niccolò, e che a questo il comune
-mettesse ogni suo sforzo a riparo, il perchè i governatori della
-città perduto il cuore e il senno, e poco di concordia e rimprocciosi
-gettando il carico l’uno all’altro con mormorio, parendo a loro
-essere certi che quello che gl’Inghilesi prometteano l’atterrebbono,
-feciono afforzare san Miniato a monte, e misonvi quattrocento fanti
-pistoiesi e gli sbanditi, a’ quali promisono di ribandirli, poichè
-certo tempo ivi e altrove avessono servito il comune, de’ quali fu
-capitano messer Niccolò Buondelmonti, e Sinibaldo di messer Amerigo
-Donati, i quali allora erano in bando della persona: il numero loro
-passava i cinquecento. La città stava e quelli che di fuori erano
-alle poste in tanta sollecitudine e tremore, che alcuna volta sentendo
-pur un uomo dall’Apparita sonavano le campane del comune a martello,
-e invano la guardia si faceva la notte co’ pennoni. Essendo per più
-giorni stati grandi acquazzoni, a dì 22 del mese d’ottobre la detta
-brigata degl’Inghilesi in numero di millecinquecento a cavallo e
-cinquecento pedoni prima fu nel Piano di Ripoli, che per lo capitano
-o per i governatori del comune niente se ne sentisse, e se niente
-se ne sentì per lo capitano, che verisimile parea del sì, fece vista
-di non saperne: molti cittadini in sulle letta furono presi, perchè
-vennono di notte, e ucciso fu chi si contese. La preda che feciono fu
-di quattrocento prigioni, e di più di mille tra asini e buoi: molti
-fuggendo annegarono in Arno. La notte si stettono nel Piano di Ripoli
-e nelle coste d’intorno: il loro segno levarono alla pieve a Ripoli
-facendo gran trombata; la mattina, ardendo molti palagi, alberghi, e
-case da lavoratori vicino alla strada circa d’un miglio, si partirono
-senza trovare chi li andasse a vedere, e con la preda e’ prigioni
-si tornarono a Figghine. Messer Pandolfo sapendo che erano partiti,
-per vedere la tratta de’ Fiorentini, ch’era vogliosa e senza ordine
-niuno, con ottocento uomini a cavallo ch’erano rimasi al comune
-e con gran popolo si stette alle sbarre a Ricorboli; esso vedea i
-nemici sparti, e girsene per le coste, e ne’ suoi occhi ardere molti
-palagi di cittadini, e senza dubbio avendo le spalle del popolo e de’
-contadini, ch’erano oltre a diecimila bene armati, e che volentieri
-l’arebbono seguitato, per lo danno e vergogna che fare si vedeano, li
-potea offendere, e nol volle fare, ma si ritenne al primo serraglio
-lasciandosene tre innanzi, a’ quali era il popolo e la gente da piè.
-Dissesi, e vero fu, che non sapendo l’aspro cammino gl’Inghilesi si
-mossono, e non giunsono in Pian di Ripoli che a pochi loro cavalli non
-crocchiassono i ferri, e se fossono stati assaggiati erano perduti,
-come essi poi confessarono aperto, ma la viltà affettata del nostro
-capitano, che traeva al fine che è detto di sopra, e de’ nostri
-cittadini e contadini, che gl’Inghilesi fossono leoni fu la salvezza
-loro. Speranza fu di messer Pandolfo, che rimaso messer Lomodaiesi
-co’ soldati de’ Pisani alla guardia di Figghine, gl’Inghilesi fossono
-tutti, e che s’alloggiassono nelle belle e ricche possessioni presso
-alla terra, le quali erano piene d’ogni bene, e che ’l comune per
-allora vario d’animo e povero di consiglio inclinasse a volerlo per suo
-governatore e maestro; questa speranza li faltò per la subita partita
-degl’Inghilesi, e fecelo entrare in altro pensiere.
-
-
-CAP. LXXI.
-
-_Come i Sanesi sconfissono la Compagnia del cappelletto, la quale era
-condotta al soldo de’ Fiorentini._
-
-Non ci pare da lasciare in silenzio, che essendo la gente de’ Pisani
-con gl’Inghilesi afforzati in Figghine, ed essendo condotta per i
-Fiorentini la Compagnia del cappelletto, la quale era in Maremma, e
-co’ Sanesi avea presa convegna, e veniano al servigio del comune di
-Firenze, e senza riguardo d’offesa e come fidati da’ Sanesi, per la
-via da Torrita furono da loro assaliti con ottocento uomini da cavallo,
-fra i quali ve ne furono quattrocento e più de’ Pisani, e loro ordine
-e trattato fu per rompere le provvisioni di messer Pandolfo, le quali
-aveano sentite. La zuffa dopo l’assalto de’ Sanesi non ebbe molto
-contasto, perchè quelli della compagnia venendo senza sospetto come
-per terre d’amici veniano in filo e sparti, il perchè di leggiere
-furono sconfitti e preda de’ nemici. Presi vi furono oltre a trecento
-uomini di cavallo e più di mille pedoni, e intra i presi fu il conte
-Niccolò da Urbino, che era il capitano, il conte da Sarteano, Marcolfo
-da’ Rimini; con altri assai buoni uomini d’arme, e morti ne furono
-assai più di cento. Della quale vittoria, ovvero tradimento fatto in
-dispetto, danno e vergogna del comune di Firenze, i Sanesi ne feciono
-beffa festa, dicendo sè a un’ora avere sconfitto il comune di Firenze
-e la compagnia la quale tanto affannati gli avea; e prosontuosamente
-oltre a modo alzando il capo, per derisione e scherno mandarono due
-messi a Firenze con lettere, l’uno al comune l’altro a’ capitani
-della parte guelfa, contenenti con alte e ornate parole la detta
-vittoria. Il comune dissimulando l’oltraggio, il fante che a lui venne
-vestì di scarlatto fino foderato d’indisia, la parte vestì il suo di
-cardinalesco.
-
-
-CAP. LXXII.
-
-_Di cavalcate e combattimenti di terre feciono gl’Inghilesi mentre
-stettono a Figghine._
-
-Soggiornando gl’Inghilesi a Figghine, come guerrieri senza riposo
-tentarono per più riprese assai delle castella e tenute del nostro
-comune che d’intorno loro erano vicine, e al castello di Tre Vigne in
-due diversi giorni dierono ordinata battaglia, dove rimasono morti
-alquanti di loro, e assai ne furono e dalle balestra e dalle pietre
-magagnati senza acquisto niuno, lasciando le fosse piene di scale
-e la terra di saettamento, e per simile modo combatterono più altre
-tenute indarno. Il castelluccio de’ Benzi e la Foresta si tennono.
-Vero fu che uno Andrea di Belmonte Inghilese, gentile uomo e grande
-caporale nella compagnia, udita la fama della bellezza e gentilezza
-di costumi di Monna Tancia donna di Guido della Foresta, di buono e
-cavalleresco amore fu preso di lei, e la volle vedere, e da Guido come
-da uomo d’animo gentile cortesemente fu ricevuto e onorato; seguinne,
-che per l’amore di costui per tutto il tempo che stettono a Figghine
-niuna novità fu fatta alla Foresta. Combatterono per tutto un giorno il
-castello di Cintoia, e nol poterono avere. La notte quelli di Cintoia
-per la bussa del dì tormentati, e perchè assai di loro n’erano fediti,
-mandarono a Firenze a’ signori pregando per Dio li sovvenissono d’aiuto
-almeno di venti fanti, perocchè attendeano d’essere il seguente dì
-combattuti, e temeano della perdita; la provvisione all’usato modo fu
-fredda, il perchè gl’Inghilesi il seguente dì tornarono alla battaglia.
-Quelli del castello facendo loro possanza lungamente si tennono
-danneggiando forte i nemici, in fine gl’Inghilesi presono il castello,
-e ’l misono a sacco e l’arsono, e con la preda e’ prigioni si tornarono
-a Figghine. Nel detto tempo tremila uomini di cavallo con pedoni assai
-cavalcarono verso Arezzo, e poi volsono nel Casentino, dove levarono
-gran preda sì di persone sì di bestiame, e senza impedimento con essa
-si tornarono a Figghine.
-
-
-CAP. LXXIII.
-
-_Esempio e ammaestramento de’ popoli che vivono a libertà i quali
-si conducono nella fortuna della guerra di non torre capitano uso a
-tirannia._
-
-Tornando al processo di nostra materia, gl’Inghilesi da Ricorboli
-venuti a Figghine essendo ad abbondanza grassi e di prigioni e di
-preda, nel consiglio de’ loro maggiori cominciarono ad entrare in
-pensiero, come l’uno e l’altro potessono conducere in Pisa per li
-stretti passi di Valdipesa: e per ciò potere fare, parendo loro come a
-gente dotti di guerra del Chianti sentire l’intenza di messer Pandolfo,
-e che pertanto era occupato intorno a’ fatti della città, poichè
-alquanti giorni furono riposati feciono sentire al comune di Firenze,
-che a dì undici del mese di novembre intendeano di fare consegrare un
-prete novello nella badia di san Salvi, e che i signori di Firenze e
-gli altri gentiluomini dovessono venire a fare onore al detto prete, e
-a loro in persona di lui. Ciò indubitatamente credette messer Pandolfo,
-e per le sue spie l’ebbe di certo, perocchè vidono il campo armare il
-detto dì 11 la mattina per tempo, e per lo campo sentirono divolgare
-come si dirizzavano verso Firenze; e certo a ciò avvisati cautamente
-presono il viaggio verso Firenze, il perchè le spie non attendendo più
-oltre vennono a Firenze ad informare messer Pandolfo. Stando la terra
-sotto l’arme in gran tremore, scendendo all’Apparita pur un fante a piè
-credeano fossono della brigata degl’Inghilesi, le campane sonavano a
-stormo, il popolo sbalordito correa in qua e in là senza ordine e senza
-capo, lasciando quasi ciascuno il suo gonfalone per ire a vedere, e di
-largo avanti che messer Pandolfo giugnesse alla Porta alla croce usciti
-erano della città ottomila uomini bene armati; quelli ch’erano più
-gagliardi erano nel piano di san Salvi, e ordinatisi il meglio aveano
-saputo, aspettando a ricevere i nemici, gli altri erano per le coste
-sopra san Salvi. Il falso grido sonava per la terra che già parte di
-loro n’era a Rovezzano: la gente da cavallo tutta era nella piazza de’
-signori, e aspettava il capitano, il quale per la malizia soprastette
-al mangiare tanto, ch’era quando se ne levò più vicino alla nona che
-alla terza, e ciò fè perchè il popolo satollo uscisse fuori, e pensando
-che a quell’ora ragionevolmente i nemici dovessono esser giunti a san
-Salvi, e alle mani col popolo voglioso e con poco senno. Uscito il
-capitano fuori coll’insegna di sua arme levata, seguendolo i soldati e
-molti cittadini da bene a cavallo, come giunse alla Porta alla croce la
-fece serrare, e così quella della giustizia, ed esso si stava dentro
-a guardarla, lasciando il popolo di Firenze senza rifugio al taglio
-delle spade e in preda de’ nemici, che bene conoscea chi era il popolo,
-e chi gl’Inghilesi. Di fuori della porta era il tumulto grande delle
-strida delle femmine che fuggivano co’ figliuoli in collo e a mano,
-e voleano entrare dentro e non poteano, e quelle grida confermavano
-nella testa a messer Pandolfo che i nemici fossono giunti, e a zuffa,
-e ripreso da molti buoni cittadini che non lasciava entrare le femmine
-e’ fanciulli, fatto per alquanto di tempo orecchie di mercatante, quasi
-come temesse che per lo sportello entrassono i nemici e corressono la
-terra, alla fine udendo il mormorio del popolo e de’ buoni uomini fece
-aprire lo sportello: e io scrittore che era in quel luogo vidi molti
-cittadini grandi e da bene, e a cui era cara la libertà della città,
-piagnere e lagrimare vedendo il caso pericoloso, e ricordando il tempo
-del duca d’Atene, e come si fece signore, e alquanti di loro n’andarono
-a’ signori, e li consigliarono che provvedessono di vittuaglia il
-palagio, e facessono mettere le balestra grosse e le bombarde in punto
-sicchè il palagio avesse difesa, e tale, che di fatto, come al tempo
-del duca d’Atene, occupato non fosse. E stando nel tumulto del fornire
-e armare il palagio alla difesa, un messo giunse loro da Figghine,
-e disse come i nemici aveano arso il campo e il borgo di Figghine, e
-come s’erano partiti co’ prigioni e colla preda, e fatta la via per
-lo Chianti; onde i signori mandarono a dire a messer Pandolfo che
-facesse aprire le porte, e tornassesi allo stallo suo, il quale ciò
-udito, caduto della speranza, con gli occhi bassi e mal volto di tutti
-si tornò a casa sua. Quetato il popolo, e lasciata l’arme, i signori
-ebbono gran consiglio di richiesti, e veduto il pessimo animo di messer
-Pandolfo, e come pure intendea a volere essere signore di Firenze a
-dispetto del popolo, determinarono li fosse tenuto mente alle mani
-sicchè non li venisse fatto, e da quell’ora innanzi cominciò a essere
-in dispetto di tutti: e perchè il popolo non traesse più mattamente,
-feciono che ciascuno dovesse trarre al suo gonfalone alla pena di
-lire sei, la quale pensando si dovesse risquotere ciascuno sarebbe
-sollecito a seguire il suo gonfalone. Per messer Pandolfo mandarono, e
-lo ripresono forte de’ modi tenuti per lui, e dicendoli che stesse dove
-li paresse alle frontiere a guerreggiare i nemici, che il popolo di
-Firenze ben saprebbe guardare la città. Se non fosse stato della casa
-de’ Malatesti, per lo nome e titolo di parte guelfa amata e onorata dal
-comune di Firenze, per certo si tenne n’arebbono preso altra via. Avemo
-tritamente narrato questo caso per esempio, se potesse profittare,
-a quelli che verranno, di non tor mai a capitano di guerra tiranno
-di terra notabile, perocchè l’avvenimento della guerra è vario, e la
-fortuna or quinci or quindi presta il favore suo, e sovente il tiranno
-la fa essere ria per usurpare la sua libertà. E nullo ammiri perchè
-io dissi se potesse profittare, perocché ’l governo allora del nostro
-comune, avendo novellamente sì aspra ed evidente battitura ricevuta
-da messer Pandolfo, e lui partito con disonore e vergogna, sotto
-titolo e colore di ricoverare l’onore della casa de’ Malatesti, con la
-forza degli amici loro fu chiamato capitano di guerra messer Galeotto
-Malatesti; quello ne seguì nel seguente trattato a suo luogo e tempo si
-potrà trovare.
-
-
-CAP. LXXIV.
-
-_I modi teneano gl’Inghilesi tornati in Pisa._
-
-Con grande festa e trionfo gl’Inghilesi tornati da Figghine per i
-Pisani furono ricevuti, e loro quasi come a cittadini fu consegnata
-certa parte della terra, e dell’altre furono abbarrate le vie perchè
-non noiassono a’ cittadini; ciò veggendo gl’Inghilesi lor parve che i
-Pisani li avessono accettati per loro cittadini participando la terra
-con loro, e modi teneano che pareano che intendessono così; i Pisani
-veggendo per segni e parole l’intento loro più volte cercarono per
-ingegno e astuzia di trarlisi di casa, infignendo d’essere cavalcati
-da’ nemici, e facendo venire molte lettere di diverse parti che loro
-annunziavano soprastare a gran pericoli, ma per allora fu nulla, che
-gl’Inghilesi che s’erano molto affannati, e bisogno aveano di riposo,
-ed erano caldi di danari di prigioni e di preda, se ne feciono beffe,
-il perchè i Pisani vernano in gran gelosia.
-
-
-CAP. LXXV.
-
-_Come i Pisani furono sconfitti a Barga._
-
-Avendo i Pisani la lor gente dell’arme e gl’Inghilesi nella città,
-non potendo, come detto è di sopra, nè in parte nè in tutto trarre
-gl’Inghilesi di Pisa, per non perdere il tempo gran parte di loro
-soldati con grande ordine e apparecchio mandarono a Barga all’entrare
-di dicembre, per porre sopra gli altri battifolli che vi aveano un
-altro battifolle dalla parte del monte. In Barga era capitano per i
-Fiorentini Benghi del Tegghia Bondelmonti, a cui i Fiorentini, poichè
-gl’lnghilesi aveano abbandonato Figghine, aveano mandati centocinquanta
-degli sbanditi ch’erano stati in san Miniato a monte, i quali doveane
-certo tempo servire il comune nella guerra alle loro spese, e poi
-essere ribanditi; la gente de’ Pisani portando fornimenti assai, sì
-per porre detto battifolle, e sì per fornire e quello e gli altri
-ad abbondanza, non parea che desse cuore di fare quello ch’era stato
-loro commesso senza altro aiuto, forte temendo la brigata di Barga,
-il perchè quelli ch’erano negli altri battifolli lasciandoli male a
-difesa forniti si dirizzarono con loro in viaggio. Benghi, sentendo
-che i battifolli erano sforniti e quasi come abbandonati, con i
-Barghigiani, che v’andarono uomini e femmine vogliosamente, e co’ detti
-centocinquanta sbanditi assalì i detti battifolli, e tantosto li vinse.
-Quelli de’ battifolli ch’erano iti coll’altra gente a porre la bastita
-sentendo le grida e lo stormire di quelli che combatteano le bastite,
-subito colla detta gente de’ Pisani si volsono indietro per soccorrere
-a’ battifolli. Benghi capitano co’ Barghigiani e sbanditi suddetti li
-ricevettono francamente, e dopo lunga battaglia e aspra li sconfissono,
-dove de’ nemici furono morti oltre a centocinquanta, e assai fediti
-e magagnati, e molti ne furono presi; lo stendardo del comune di Pisa
-con altre tredici bandiere rimasono prese, le quali i Barghigiani ne
-mandarono a Firenze, e’ battifolli furono arsi, e quello che dentro
-v’era con quello che recato v’aveano per porre l’altro sì di vittuaglia
-come d’arnesi fu messo in Barga, e loro a gran bisogno sovvenne. Benghi
-perchè s’era fedelmente e francamente portato fu fatto di popolo, e
-rifermo in capitano di Barga per diciotto mesi.
-
-
-CAP. LXXVI.
-
-_Come il re Giovanni di Francia passò in Inghilterra e là morì._
-
-Uscendo un poco del bosco delle nostre speziali riotte, facendo
-intramessa di cose forestiere, torneremo alquanto addietro a quello
-che scritto fu per Matteo nostro padre della pace intra i due re di
-Francia e d’Inghilterra, dove il re di Francia s’obbligò a pagare al
-re d’Inghilterra gran quantità di moneta per la sua diliveranza; e per
-osservare sua promessa lasciò per stadico il fratello duca d’Orliens, e
-messer Giovanni duca di Berrì suo figliuolo, e più altri duchi, conti e
-banderesi; onde in quest’anno 1363 a dì 3 di gennaio, il detto messer
-Giovanni figliuolo del re che stadico era a Calese, villanamente,
-essendo largheggiato d’andare a cacciare e uccellare a sua volontà, si
-fuggì da Calese senza tornarvi con gran sua vergogna, e fè rubellare
-agl’Inghilesi più terre teneano in Normandia per gaggi della pace. Onde
-il re Giovanni, come franco e nobile signore, per lo detto misfatto
-del figliuolo e rompimento della pace, e per trattare patto e grazia di
-sua redenzione, di sua volontà a dì 3 di gennaio 1363 entrò in mare a
-Bologna sul mare per ire e si rassegnare prigione in Inghilterra, e il
-giovedì appresso giunse a Dovero, e dipoi a dì 24 di gennaio giunse a
-Londra, e incontro gli andarono oltre a mille a cavallo gente nobile,
-e tutti vestiti di variate assise, e dismontò a una casa detta Saona
-per lui riccamente e alla reale apparecchiata. Della quale andata il
-detto re da tutti i cristiani fu molto lodato, ed eziandio gl’Inghilesi
-l’ebbono molto a bene e feciongliene ogni grazia. Nel raccozzamento de’
-due re, e nella pratica, il perchè v’era ito, il detto re di Francia
-era passato nell’isola. Potrei far fine qui e riserbare al mese suo la
-morte del re di Francia, ma per non interrompere la materia la porremo
-qui. Seguì, che poco appresso poi all’entrata di marzo prese al re di
-Francia una malattia, e dipoi a dì 8 del mese d’aprile 1364 la notte
-passò di questa vita. Onorato fu di sepoltura largamente alla reale,
-riservando in una cassa il corpo suo per recarlo a tempo a Parigi. Il
-reame succedette a Carlo primogenito del detto re Giovanni, duca di
-Normandia e delfino di Vienna.
-
-
-CAP. LXXVII.
-
-_Come messer Niccolò del Pecora fu cacciato di Montepulciano._
-
-In questi giorni per trattato fatto per i Sanesi colla forza de’ fanti
-d’Agnolino Bottoni, contra i patti della pace fatta tra’ Perugini
-e’ Sanesi, messer Niccolò del Pecora per i conforti suoi fu cacciato
-di Montepulciano, e ridussesi a Perugia in assai debole stato, e da’
-Perugini mal provveduto, i quali per non ricominciare guerra passarono
-la vergogna a chiusi occhi.
-
-
-CAP. LXXVIII.
-
-_Della morte del giovane marchese di Brandisborgo, conte di Tirolo, e
-quello ch’appresso ne seguì._
-
-Ancora ne piace un poco passare per le pellegrine storie; e per
-fondarne una che in questi tempi occorse assai abominevole, alquanto
-ne conviene addietro tirare per dare meglio a intendere il gran male:
-e venendo al proposito, la contea di Tirolo situata è negli estremi
-di terra tedesca sopra il Lago di Garda, e nel paese di Trento, e
-possente, nobile e famosa, la quale, morta tutta la progenia masculina,
-per successione era caduta in una fanciulla nome contessa......., la
-quale per la nobiltà della dota da tutti i signori e baroni della
-Magna era in matrimonio sollecitata, per avere in dota il gioiello
-della detta contea di Tirolo; in fine la contessa prese in isposo....
-figliuolo del re Giovanni di Boemia, e fratello di Carlo che poi fu
-imperadore de’ Romani; e chiamatolo al matrimonio, e alla contea di
-Tirolo, dopo alquanto tempo la contessa cortesemente lo ne rimandò
-in suo paese, affermando che all’uso del matrimonio era impotente,
-e che la contea desiderava erede. Carlo fratello del detto.....
-recandosi in dispetto i modi della contessa, prestamente fè grande
-esercito, ed entrò nel contado di Tirolo, il quale è aspro e per sito
-fortissimo, e fece gran danni d’arsioni e di preda, e infra d’altre
-terre arse Buzzano, e ciò fatto si tornò in suo paese minacciando
-di fare peggio a tempo. Il perchè la contessa impaurita e spaventata
-cercò sollecitamente possente in Alamagna a cui si potesse appoggiare,
-e in quei tempi v’era grande Lodovico duca di Baviera della progenia
-del duca Namo, l’uno de’ dodici conti Paladini che seguitarono Carlo
-Magno a cacciare i saracini della Spagna, e pertanto poi quelli di
-sua schiatta hanno una boce de’ dodici peri alla boce dell’imperio;
-il quale Lodovico essendo creato imperadore de’ Romani contro volontà
-di santa Chiesa passò in Italia, e gran cose fece, come scrive
-Giovanni Villani nostro zio, e senza acquistare si tornò in Alamagna
-col titolo del Bavaro. Costui in questi dì avea quattro figliuoli,
-Lodovico, Stefano, Otto, e Romeo: Lodovico primogenito era marchese di
-Brandisborgo. Costui la contessa al padre segretamente fè domandare in
-marito, e il Bavaro vi diè l’orecchie, e volendo che ’l figliuolo la
-prendesse, egli con orrore d’animo la ricusava, dicendo al padre che
-ella avea altro marito, come noto era a tutta la Magna, e che secondo
-i decreti di santa Chiesa ella non potea avere altro marito: il padre
-lo sgridò, e gli osò dire ch’egli era un ribaldo, e che ’l contado di
-Tirolo non era boccone da rifiutare, il perchè per riverenza del padre
-Lodovico la prese per donna, velando il matrimonio con colore che
-il primo era impotente a generare. Della detta contessa assai tosto
-Lodovico ebbe un figliuolo maschio; ma perseverando il matrimonio,
-la contessa per soverchia lussuria trascorse in errore di disonesta
-vita, e in singolarità con un messer...... di Fraunberghe, che in
-latino suona, dal Colle delle donne, ed era sì venuto il giuoco in
-palese, che ogni uomo si maravigliava come il marchese la comportasse,
-stimando molti che per forza di malia lo facesse. Occorse, che partendo
-il marchese con lei e con tutta sua corte da Monaco di Baviera per
-andare a Tirolo, esso marchese sotto boce osò dire: Se noi torniamo a
-Monaco mai, noi ci vendicheremo di chi ne fa vergogna; ciò venne agli
-orrecchi alla contessa, e al cavaliere che usava con lei, il quale era
-de’ maggiori della corte, e conoscendo amendue che il marchese era di
-grande animo e vendicativo, e che già fatto aveva aspre e rilevate
-vendette a chi l’avesse fallato, strettosi al consiglio la donna e
-’l cavaliere, temendo che il marchese non attenesse loro la promessa,
-nel cammino l’avvelenarono in una terra che si dice Rotimberga. Morto
-il marchese, rimase al figliuolo il paese ch’a lui s’appartenea in
-grande confusione, perchè molti voleano il governo del fanciullo,
-e così stette il paese rotto per spazio di mesi diciotto. Alla fine
-Stefano e Otto zii del garzone si recarono il governo alle mani, e
-dirizzati i paesi, e passati cinque anni, il giovane era cresciuto
-di bello aspetto, e facevasi valente, e per sua dibonarità e dolcezza
-avea la grazia di tutti i sudditi suoi, ed essendo a Tirolo si volea
-reggere e governare a suo piacere; e dispiacendoli assai i pochi onesti
-costumi della madre, e un giorno venendo con lei in contesa, per sua
-sciagura nell’irate parole uscì al giovane di bocca: Noi sapemo bene
-quello che voi faceste a nostro padre. La crudel donna crudelmente
-raccolse le semplici parlanze del giovane, e cominciò a pensare della
-morte sua: il perchè un giorno il giovane avendo con gentili giovani
-di sua età molto danzato, e per sè e per i compagni domandò da bere,
-e fugliene dato, ma con veleno, del quale con quattro valenti giovani
-suoi compagni si morì; gli altri che meno aveano bevuto si pelarono
-tutti, e rimasono infermi. Il giovane marchese poco avventurato di
-madre fu seppellito in Tirolo nel 1363 del mese di febbraio. Ciò si
-dice che fè la dispietata madre per potere più liberamente lussuriare e
-perseguire sua scellerata vita. Stefano e Otto figliuoli di Lodovico,
-e zii del giovinetto morto, udito l’orribile malificio, e compreso
-l’imperversato e fiero animo della femmina, la quale per uccidere il
-figliuolo non guardò all’innocenza de’ giovinetti che ballavano con
-lui (il quale recato con lei in comparazione a Medea, che fu gentile,
-e questa cristiana, non è da porre in dubbio che questa non fosse assai
-più spietata e crudele, verificandosi in lei il verso di Giovenale, il
-quale delle femmine dice: Fortem animum praestant rebus quas turpiter
-audent, che in volgare suona; Forte animo danno alle cose le quali
-sozzamente ardiscono, cioè presumono di fare) richiesono tutti i loro
-vassalli e feudatari, e accolsono d’amistà quanta gente poterono fare,
-e grande oste apparecchiarono contro alla contessa per vendicare la
-morte del fratello e del nipote, la quale spaventata e impaurita,
-perseguitandola la coscienza degli orribili peccati, stava in gran
-tremore, e non sapeva che si fare. In questa confusione Ridolfo duca
-d’Osterich, uomo sagace e astuto, e cupido di nuovo acquisto, inteso
-della morte del giovane, e dell’apparecchio che facevano Stefano e
-Otto di Baviera, sconosciuto di presente se n’andò a Tirolo, e fu
-colla contessa, e le disse dell’apparecchio di quelli di Baviera,
-e li mostrò ch’erano atti e sofficienti a disfarla, e s’ella avea
-concetta paura nell’animo la raddoppiò. Appresso le disse, ch’avea
-ritrovate scritture antiche che conteneano, come gli antichi duchi
-d’Osterich s’erano patteggiati e convenzionati con gli antichi conti di
-Tirolo, che quale casa o famiglia di loro faltasse d’ereda legittimo
-l’altra dovesse succedere, con offerirsi alla difesa della donna; e
-da lei posta in tanta confusione, e credula, ottenne ch’ella il fè
-capitano del contado di Tirolo, e nelle sue mani fè giurare tutto il
-paese. Proseguendo il proposito loro quelli di Baviera cominciarono
-la guerra, e corsono il contado di Tirolo, e presono e rubarono una
-terra che si chiama Sterburgh, e più in avanti non poterono passare
-per l’asprezza de’ luoghi e de’ forti passi provveduti alla difesa.
-Ciò non ostante il duca d’Osterich cominciò a mettere nel capo alla
-femmina che nel paese non stava sicura, e ch’era il suo migliore se
-n’andasse in Osterich, tanto che le cose pigliassono assetto, e tanto
-le seppe dire ch’ella v’andò. Dopo non molto tempo il duca la mise in
-un munistero, dove miseramente morì. Alcuni dissono fu fatta morire,
-e questo comunemente s’accettò per vero. Morta la contessa, il duca
-Ridolfo con gran quantità di gente d’arme corse per lo contado di
-Tirolo, e prese quattro nobili e gentili uomini, i quali come baroni
-aveano giurisdizione di per sè, i quali non erano stati pronti ad
-ubbidire, perch’aveano giurato alla casa di Baviera, e come tiranno,
-e contro alla natura e la costuma degli Alamanni, di presente li fè
-decapitare, onde in infamia e odio ne venne di tutta lingua tedesca.
-Per tema di questa impresa del duca d’Osterich non lasciò la casa di
-Baviera di non volere riscattare sua giurisdizione, e di loro forza
-e amistà ragunarono oltre a quattromila barbute di gente eletta, e
-con molto ordine si mossono contro il duca d’Osterich, come contro
-usurpatore delle loro ragioni. Il duca d’Osterich d’altra parte fè
-adunata non di meno gente nè valorosa meno che quella degli avversari,
-e amendue i detti eserciti assai vicini s’assembrarono insieme: e
-per caso un giorno avvenne, che sopra il numero di duemila barbute
-di quelle del duca d’Osterich dilungandosi dal campo casualmente si
-scontrarono in altrettante o circa della gente del duca di Baviera, e
-vennono alla battaglia, la quale fu fiera e pertinace, la quale durò
-per spazio di più di sei ore, e nella fine quelli d’Osterich furono
-sconfitti. I morti dall’una parte e d’altra in sul campo s’annumerarono
-si trovarono più di cinquecento, e i feriti e magagnati furono assai,
-e molti di quelli d’Osterich rimasono prigioni, e ciò avvenne nel 1364
-d’ottobre, e qui l’ho posto per non rompere la storia. Il verno in
-quelle parti duro e incorportabile a campeggiere l’una parte e l’altra
-costrinse a tornarsi a sua magione, ma tutto che quietassono l’armi
-non quitarono gli animi, perocchè l’una parte e l’altra eziandio con
-spendio faceva sollecitamente ogni sforzo suo, e scritto e comandato
-aveano a tutti i sudditi loro ch’erano in Italia al soldo che a loro
-aiuto dovessono tornare, e tutti s’apparecchiarono a ubbidire, e così
-grande apparecchio faceano per trovarsi in campo come prima potessero.
-Carlo imperadore e Lodovico re d’Ungheria veggendo che ciò era di
-grandissimo pericolo e guasto di tutta Alamagna s’intesono insieme, e
-interposonsi per mezzani, e colla persona del savio e venerabile messer
-Piero Corsini vescovo di Firenze, il quale per gravi faccende di santa
-Chiesa allora era legato in Alamagna, il quale ricevendo sopra di sè il
-peso di tanta faccenda, come ambasciadore di detti imperadore e re, e
-mezzano e trattatore tra i detti signori cercò la concordia loro; e sì
-saviamente seppe la cosa guidare, che di detto anno e mese di gennaio
-pace si concluse tra loro, e per patto al duca d’Osterich rimase libera
-la contea di Tirolo, e in compensarne di ciò il duca di Baviera ebbe
-un’altra contea del duca d’Osterich, tutto che non a valore eguale
-assai a quella di Tirolo. E così ebbe fine la diabolica vita e processo
-dell’empia e spietata contessa di Tirolo, e la guerra che per le sue
-prave operazioni era suta tra la nobiltà de’ baroni e signori della
-Magna.
-
-
-CAP. LXXIX.
-
-_Come i Pisani ricondussono gl’Inghilesi._
-
-Lasciando le forestiere storie, e tornando alle scaramucce e badalucchi
-della tediosa guerra intra i Fiorentini e’ Pisani ci occorre, che
-essendo gl’Inghilesi per fornire loro condotta, per due rispetti, l’una
-perchè i Fiorentini non li conducessono, l’altra per trarlisi di casa,
-e per li tempi che richiedesse la guerra, i Pisani del mese di gennaio
-li ricondussono per sei mesi con soldo di centocinquanta migliaia di
-fiorini, con patti che potessono fare cavalcate dove a loro piacesse,
-salvo che alle terre loro sottoposte, raccomandate e collegate, tutti
-gli altri loro soldati cassarono, e feciono loro capitano di guerra
-Vanni Aguto Inghilese gran maestro di guerra, di natura a loro modo
-volpigna e astuta, il suo soprannome in lingua inghilese era Hawkwood,
-che in latino dice, Falcone di bosco, ovvero in bosco, perocchè essendo
-la madre a un suo maniere per partorire, e non possendo, si fè portare
-in uno suo boschetto, e quivi lui di presente partorì, e tutto che
-non fosse di schiatta di nobili con dignità, il padre era gentiluomo
-mercatante e antico borgese, e così i suoi antenati, e come Giovanni
-venne in età di potere arme, essendo d’aspetto e di stificanza di farsi
-in essa valente uomo, fu dato a un suo zio gran maestro di guerra,
-il quale nelle guerre di Francia e d’Inghilterra avea fatto in arme e
-pratiche di guerra belle e rilevate cose. I detti Inghilesi vernarono
-in Pisa con gran danno e disagio de’ cittadini i quali a loro faceano
-oltraggio, e intra gli altri delle donne loro, il perchè molti di loro
-le ne mandarono a Genova e altrove in luoghi dove potessono onestamente
-dormire.
-
-
-CAP. LXXX.
-
-_D’una saetta che cadde sul campanile di santa Maria Novella._
-
-Nel detto anno a dì primo di febbraio, essendo il tempo sereno e bello,
-e senza avere o da lunga o da presso alcuno segno di nuvole, tonò
-smisurato più volte, e caddono in Firenze più saette, fra le quali una
-ne percosse nel campanile de’ frati predicatori, e quello in più parti
-sdrucì, e più segni fè per la cappella maggiore d’inarsicciati. Di ciò
-è fatta menzione per la disgrazia del detto campanile spesso tocco
-dalle saette, appresso per la novità del tonare sì spossatamente al
-sereno nel pieno del verno.
-
-
-CAP. LXXXI.
-
-_Cavalcate fatte per gl’Inghilesi nel pieno del verno._
-
-Poichè gl’Inghilesi si viddono ricondotti, come uomini vaghi di preda e
-vogliosi di zuffa, a dì 2 di febbraio in numero di mille lance, i quali
-si facevano tre per lancia di gente a cavallo (ed eglino furono i primi
-che recarono in Italia il conducere la gente di cavallo sotto nome di
-lance, che in prima si conduceano sotto nome di barbute e a bandiere) e
-in numero di duemila a piè, essendo il freddo fuori di misura, e venute
-più nevi sopra nevi, si partirono dalle frontiere dove pochi dì dinanzi
-s’erano ridotti, e passando la notte per Valdinievole se ne vennono
-a Vinci e Lampolecchio, luoghi fertili e abbondevoli di vittuaglia
-per gli uomini e per i cavalli, e trovarono il paese non sgombro per
-la pertinacia de’ nostri contadini, che non vogliono per bando o per
-minacce a’ loro signori ubbidire. Giugnendo nel pieno della notte molti
-paesani presono nelle letta, e posono il campo fermo nelle villate di
-Vinci stendendosi in più di mille case, e il seguente dì cavalcarono
-infino a Signa e Carmignano. Il tempo disusato e sconcio a cavalcare
-gente d’arme, e massimamente di notte, ne presta materia di scrivere
-de’ modi e reggimenti de’ detti Inghilesi nel presente capitolo senza
-farne altra distinzione: e in prima, essi aveano in consuetudine di
-guerreggiare così il verno come di state, che a’ Romani, di cui è
-scritto, Fortia agere, et pati, Romanum, che in volgare suona, forti
-cose fare, e patire, romana cosa è, non fu in uso, e sempre il verno
-faceano feria dando alla guerra riposo, se per forza non fussono
-tratti a battaglia. E come si trova ne’ veraci storiografi, Annibale
-uomo di ferro nel mezzo del verno passò gli altissimi gioghi delle
-montagne che surgono per lo mezzo d’Italia, e passano da monte Veso
-infino sopra il faro di Messina, le quali alpi poi per la detta cagione
-sempre nominate furono le Alpi pennine, perocchè gli Affricani sono
-chiamati Penni, e sceso il verno si combattè a Pavia con Scipione e
-lo vinse, poi dirizzandosi verso Roma con un solo elefante che rimaso
-gli era, per lo freddo perdè un occhio, e procedendo sopra il Lago di
-Perugia tra Montegeti e Passignano si combattè con Flaminio consolo
-e lo vinse, usando astuzia, perocchè essendo per lo gran freddo le
-membra de’ cavalieri arrudate e spossate, avanti che venisse alla
-battaglia Annibale fè fare gran fuochi, e scaldare i suoi cavalieri,
-e ugnere con olio. Tornando a nostra materia, per antico ricordo non
-era che fosse stato il freddo sì aspro e pungente, che quasi per tutto
-dicembre fino al marzo non erano cessate le nevi, e il ghiaccio per i
-venti freddi fu grosso, e a passare per i cavalli quasi impossibile,
-e massimamente in certi pendenti di vie che non si poteano schifare.
-Costoro tutti giovani, e per la maggior parte nati e accresciuti
-nelle lunghe guerre tra’ Franceschi e Inghilesi, caldi e vogliosi,
-usi agli omicidii e alle rapine, erano correnti al ferro, poco avendo
-loro persone in calere, ma nell’ordine della guerra erano presti, e
-ubbidienti ai loro maestri, tutto che nell’alloggiarsi a campo per
-la disordinata baldanza e ardire poco cauti si ponessono sparti e
-male ordinati, e in forma da lievemente ricevere da gente coraggiosa
-dannaggio e vergogna. Loro armadura quasi di tutti erano panzeroni,
-e davanti al petto un’anima d’acciaio, bracciali di ferro, cosciali
-e gamberuoli, daghe e spade sode, tutti con lance da posta, le quali
-scesi a piè volentieri usavano, e ciascuno di loro avea uno o due
-paggetti, e tali più secondo ch’era possente, e come s’aveano cavate
-l’armi di dosso i detti paggetti di presente intendeano a tenerle
-pulite, sicchè quando compariano a zuffe loro armi pareano specchi, e
-per tanto erano più spaventevoli. Altri di loro erano arcieri, e loro
-archi erano di nasso, e lunghi, e con essi erano presti e ubbidienti, e
-faceano buona prova. Il modo del loro combattere in campo quasi sempre
-era a piede, assegnando i cavalli a’ paggi loro, legandosi in schiera
-quasi tonda, e i due prendeano una lancia, a quello modo che con li
-spiedi s’aspetta il cinghiaro, e così legati e stretti, colle lance
-basse a lenti passi si faceano contro a’ nemici con terribili strida: a
-duro era il poterli snodare, e per quello se ne vidde per la sperienza,
-gente più atta a cavalcare di notte e furare terre ch’a tenere campo
-felici, più per la codardia della nostra gente che per loro virtù.
-Scale aveano artificiose, che il maggiore pezzo era di tre scaglioni,
-e l’uno pezzo prendea l’altro a modo della tromba, e con esse sarebbono
-montati in su ogni alta torre. I detti Inghilesi, tornando alla nostra
-materia, combatterono il castello di Vinci, fidandosi ne’ tardi e lenti
-provvedimenti di quelli ch’allora guardavano la nostra repubblica,
-e pensando che fossono poco atti alla difesa, ma furono con franco
-animo e fronte senza paura ricevuti, e assai di loro di soperchio
-baldanzosi furono morti e assai fediti, senza altro acquistare che onta
-e vergogna; e per simile modo per due volte tornarono a Carmignano,
-dove con più sicuro volto e loro dannaggio furono veduti, il perchè
-si partirono di quindi, e andarsene al Montale sopra Montemurlo, con
-intenzione di passare per lo stretto di Valdimarina nel Mugello, ma
-sentendo che per quella volta da mille cinquecento pedoni de’ paesani e
-del Mugello s’erano a passi recati, e loro con allegrezza aspettavano,
-pensando con loro più tosto guadagnare che perdere, perchè tutto era
-sgombro e ridotto alle fortezze si tornarono per lo passo di Seravalle
-verso Pistoia nel contado di Pisa con loro gran danno, perocchè di
-loro tra morti e presi nella detta cavalcata si trovarono assai più di
-trecento, che da’ nostri contadini che da soldati che li tramezzarono
-a Seravalle, e sì da’ Pistoiesi che vi trassono al grido. I prigioni
-ch’aveano avuti a Vinci su le letta non passarono i quindici, nè i
-morti i cinque: la preda che feciono a pena gli potè nutricare: ne’
-giorni che stettono non arsono case, molti de’ loro cavalli perderono
-per lo gran disagio e freddo soffersono, nevicando loro addosso il dì e
-la notte; il perchè tornati a loro stallo molti uomini se ne morirono;
-e così a poco a poco si logoravano gl’Inghilesi.
-
-
-CAP. LXXXII.
-
-_Come Anichino di Bongardo con tremila barbute venne al servigio de’
-Pisani, e come sagacemente cercarono avvantaggiosa pace._
-
-Nel detto anno 1363, a dì 15 del mese di marzo, Anichino di Bongardo
-Tedesco, il quale era stato in Lombardia al soldo di messer Galeazzo
-Visconti nella guerra del marchese di Monferrato, con tremila barbute
-venne in favore de’ Pisani mandato per lo detto messer Galeazzo sotto
-colore e titolo di soldo, sicchè in quel tempo i Pisani si trovarono
-avere più di seimilacinquecento buoni uomini di cavallo, il perchè loro
-parendo, e così era il vero, loro avere il migliore, ed essere di loro
-onta vendicati, con segreto e cauto modo cercarono d’avere pace onorata
-e vantaggiosa per le mani di santa Chiesa, e ordinarono che papa Urbano
-quinto mandò per suo legato in Toscana per cercare detta pace un frate
-Marco da Viterbo generale de’ frati minori, il quale essendo stato in
-Pisa venne a Firenze, e onoratamente fu ricevuto, e in fine dicendo,
-che al santo padre era in calere che della guerra da’ Fiorentini
-a’ Pisani la quale era il guasto di Toscana si venisse alla pace, e
-che tanto era fatto quinci e quindi che bene vi cadea, ebbe questa
-risposta: che i Fiorentini erano stati tirati a loro malgrado nella
-guerra dalla soperchia astuzia de’ Pisani, e che avanti li facessono
-risposta di pace e volessono udire domande de’ Pisani, considerato che
-il fatto non era pur loro, ma dell’università, sopra ciò ne voleano
-tenere consiglio; e licenziato il generale, il seguente dì feciono
-un consiglio di richiesti dove furono oltre a mille cittadini; e ciò
-fu fatto per richiudere la bocca a’ mormoratori della pace, e per
-schifare la pace che parea vituperosa, presentendosi segretamente
-le disoneste e sconce cose domandavano i Pisani. Adunque si tenne
-quest’ordine, che anzi che volessono i signori e’ collegi udire le
-domande, vollono che ’l detto generale le sponesse nel detto consiglio;
-e prima che mandassono per lui, uno de’ signori si levò nel consiglio
-e assai oscuramente disse, che ciò che nel consiglio venia non era
-loro movimento, ma che i priori passati n’aveano di corte avuto alcuno
-odore, e che gli otto della guerra di ciò niente sapeano, e che gli
-otto gli avviserebbono degli ordini presi per loro nella prosecuzione
-della guerra e di loro possanza, e appresso Spinello della Camera, il
-quale era pienamente informato dell’entrata e uscita del comune e del
-debito suo, loro farebbe chiaro di quanto il comune fosse possente a
-danari. Posato quello de’ signori si levò uno di quelli della guerra,
-e distesamente e apertamente disse, che l’ordine dato per loro era
-questo, cioè, che per settantamila fiorini aveano condotto per sei mesi
-quattromila barbute di quelli della Compagnia della stella, la quale
-era in Provenza, intra i quali erano più di cinquecento gentili uomini,
-e più nella Magna duemila barbute intra i quali era il conte Giovanni,
-il conte Guido, il conte Ridolfo stratti della casa di Soavia, e che
-al presente n’aveano scritte al soldo tremila, e che le dette brigate
-si doveano rassegnare in Firenze innanzi l’uscita del mese, e altre
-molte cose disse le quali poteano sollevare gli animi degli uditori
-alla guerra, soggiugnendo, che tale spesa per la pace schifare non si
-potea. Appresso si levò Spinello della Camera mostrando l’entrata e
-l’uscita del comune, e che pagate le dette brigate per tutto il mese
-d’ottobre il comune rimanea in debito di centossessantasei migliaia
-di fiorini, di che udite le sopraddette cose gli animi degli uditori
-accesi e sollevati inclinarono alla guerra; e ciò fatto, i signori
-feciono chiamare il generale, e sporre le domande de’ Pisani, le quali
-erano superbe troppo e fastidiose, e tali, che se avessono avuto il
-comune di Firenze in prigione sarebbono state sconvenevoli, sconce e
-disoneste, sopra le quali levati molti dicitori in fine di concordia
-di tutti si prese, che dove pace avere si potesse ragionevole, e quale
-comportare si potesse, col nome di Dio si prendesse, quanto che no, che
-francamente si seguitasse la guerra, e avvenisse ciò che avvenire ne
-potesse; vero che non si facesse pace s’avessono fatto lega con messer
-Galeazzo, per la quale si dicea essere ito per ambasciadore de’ Pisani
-in Lombardia Giovanni dell’Agnello.
-
-
-CAP. LXXXIII.
-
-_Come messer Beltramo Craiche tolse Nantes per lo re di Francia a
-quello di Navarra._
-
-Nel detto anno 1364 a dì 8 d’aprile, messer Beltramo di Craiche
-cavaliere Brettone Galese, il quale era nelle parti di Normandia,
-capitano per parte del duca di Normandia prese la villa di Nantes
-che si tenea per lo re di Navarra, e poco appresso prese la villa di
-Mellavit, e tutte le fortezze per la gente del detto duca, e furono
-prese più gente di Pag, e tali che teneano la parte del re di Navarra
-contro al re di Francia, e fu d’alcuni fatta giustizia.
-
-
-CAP. LXXXIV.
-
-_Come rotto il trattato della pace i Pisani cavalcarono i Fiorentini._
-
-Mentre che il venerabile frate Marco per commissione di papa Urbano
-quinto cercava la pace tra’ Fiorentini e’ Pisani, i Genovesi, Perugini
-e Sanesi mandarono loro ambasciadori per cercare la detta pace insieme
-col detto frate Marco, il quale ricevuta la risposta dal comune di
-Firenze, che voleva pace dove fosse sopportabile e onesta, si tornò
-a Pisa, e trovando i Pisani per lo caldo della molta buona gente
-d’arme ch’aveano montati in più altere domande con minacce, tutto
-che la speranza della pace avessono gittata indietro alle spalle, non
-di manco i detti ambasciadori seguiano la cerca innanzi che le cose
-inzotichissino più, minacciando i Pisani che se la pace prestamente
-non si prendesse nella forma che l’aveano domandata, che farebbono
-la lor gente cavalcare a desolazione e distruzione del contado di
-Firenze. A’ Fiorentini parea al di dietro avere ricevuto soperchio
-oltraggio, e aspettavano in corti giorni l’avvenimento della Compagnia
-della stella, la quale per sagacità e sollecitudine di messer Galeazzo
-corrotta per danari ritardava sua venuta, dipoi levata ne fu, e le
-duemila barbute soldate nella Magna, fidandosi in questa speranza, e
-ne’ valenti uomini ch’aveano a provvisione, ch’erano messer Bonifazio
-Lupo da Parma, messer Tommaso da Spuleto, messer Manno Donati, messer
-Ricciardo Cancellieri, e Giovanni Malatacca da Reggio, i quali erano
-pregiati maestri di guerra, e stato ciascuno di per sè capitano di
-grande esercito e avutone onore, e già in Firenze era venuto il conte
-Arrigo di Monforte, e in sua compagnia il conte Giovanni e il conte
-Ridolfo stratti della casa di Soavia con cinquecento uomini di cavallo
-tutti giovani, e per la maggior parte gentili uomini, grandi e belli
-del corpo, e quanto per un fiotto di tanta gente a giudizio di tutti
-non era ricordo che entrasse in Firenze più bella nè meglio in punto
-d’arme e di cavalli, ed esso conte era di bello e gentile aspetto.
-Per le dette cagioni i Fiorentini con più cuore rifiutarono la pace,
-e le minacce misono a non calere; onde i Pisani posta giù la speranza
-della pace, avendo seimilacinquecento uomini di cavallo tra Tedeschi
-e Inghilesi capitanati da Anichino di Bongardo e Giovanni Aguto in
-forma di compagnie, e giunti loro oltre a mille cittadini e contadini
-i più guastatori, licenziarono che intendessono a fare aspra guerra,
-il perchè a dì 13 del mese d’aprile si mossono e passarono per la
-Valdinievole, e posarsi nel piano di Pistoia, e in due luoghi puosono
-campo, e il seguente dì gl’Inghilesi a schiere fatte si dirizzarono
-a Prato, e in su la porta di Prato combatterono i Pratesi, e con mano
-presono il ponte levatoio con maravigliosa sicurtà vietando che non si
-levasse, la quale audacia a’ nostri fu in grande terrore, e a dì 15
-d’aprile circa a mille uomini a cavallo della brigata degl’Inghilesi
-nel mezzo della notte si partirono del campo, e vennono infino alla
-Porta al prato, onde la terra si scommosse tutta ad arme, e di loro
-quattro gagliardi toccarono la porta, de’ quali l’uno ne rimase, e
-senza arrestare si partirono con parecchi che trovarono nelle letta, e
-con alquanti buoi, e tornarono al campo. E il seguente dì gl’Inghilesi
-per lo stretto di Valdimarina passarono nel Mugello, non senza vergogna
-de’ provveditori del nostro comune, a cui parea che per le civili
-dissensioni Iddio avesse tolto il cuore e ’l senno; l’intenzione
-degl’Inghilesi fu di passare per lo Mugello, e venirsene nel piano di
-san Salvi, e ivi porre campo, e attenere a’ Fiorentini la promessa di
-fare il prete novello: Anichino dovea tenere campo a Peretola. Passati
-adunque la notte gl’Inghilesi la Valdimarina in sul fare del giorno
-giunsono a Latera e a Barberino, e trovarono i villani non avvisati e
-male provveduti, onde ebbono da cento prigioni, e da cento paia di buoi
-e assai bestiame minuto, e trovarono pieno di biada e di vino e d’altra
-roba da vivere, e la cagione fu per allora, che dove i governatori
-della città doveano levare le gabelle acciocchè la roba venisse alla
-terra, le raddoppiarono, il perchè niuno volea recare, volendo innanzi
-stare a rischio del perderla: e ciò fu riputato a’ signori in singulare
-fallo, levando l’abbondanza alla città e lasciando a’ nemici pastura.
-
-
-CAP. LXXXV.
-
-_Come messer Pandolfo passò nel Mugello colla gente da cavallo per
-tenere stretti gl’Inghilesi._
-
-Essendo gl’Inghilesi passati nel Mugello per mala provvedenza di
-chi potea riparare, messer Pandolfo fu fermo nell’usato pensiero di
-farsi signore, e disse di volere cavalcare nel Mugello con la gente
-dell’arme che era nella città, ch’era nel torno di dodici centinaia
-di barbute; gli otto della guerra gliele interdiceano facendogliene
-espressa proibizione, e non senza cagione, avendo rispetto a’ modi per
-lui altra volta tenuti, e veggendo la città in grave pericolo: egli per
-pertinacia seguendo sua intenzione disse, o che cavalcherebbe, o che
-rifiuterebbe l’uficio del capitanato. Gli otto stando pur fermi, per
-la città ne surse mormorio e sollevamento di scandalo; onde stando il
-popolo insollito sotto ombra di cittadinesca riotta, gli otto temendo
-gli concedettono l’andata, e cavalcò con circa a mille barbute, e
-in compagnia del conte Arrigo di Monforte, a cui imposto fu per gli
-otto che cura all’operazioni di messer Pandolfo poco fidato al comune
-avesse; giunti nel Mugello, il conte s’alloggiò nella Scarperia, e
-messer Pandolfo nel borgo a san Lorenzo. Occorse in quei giorni, che
-circa a trenta della brigata del conte per avventura si scontrarono in
-cento o più Inghilesi, e per spazio di due ore insieme si combatterono:
-un gentiluomo della brigata del conte nome Arrigo veggendo il soperchio
-degl’Inghilesi discese a piede, e con una lancia in mano di sua persona
-fè maraviglie, perocchè, secondo che avemmo da persona degna di fede
-che si trovò al fatto, con la detta lancia spuose da cavallo da dieci
-Inghilesi de’ quali due morirono, e per lo detto atto e per li compagni
-che francamente lo seguirono gl’Inghilesi inviliti dierono le reni, e
-di loro, massimamente di quelli ch’erano rimasi a piede, alquanti ne
-furono presi, alquanti ne rimasono morti nella battaglia. Avemo con
-piacere per tanto di ciò fatto ricordo, perchè ne’ nostri dì tanta
-prodezza di rado è stata veduta, e per mostrare quanto di valore e di
-cuore a un esercito presta non solo il valente capitano, ma eziandio
-il valente cavaliere, e così il vile viltà. L’opere d’arme per tenere
-gl’Inghilesi stretti erano del conte Arrigo e del conte Ridolfo, ch’era
-chiamato il conte Menno, e di loro brigate, ch’altri poco se ne dava
-travaglio.
-
-
-CAP. LXXXVI.
-
-_Come gl’Inghilesi si partirono del Mugello e tornarsi nel piano di
-Pistoia._
-
-Gl’Inghilesi essendosi assaggiati co’ Tedeschi e co’ paesani che aveano
-cominciato a mostrare loro il volto e a volere de’ loro cavalli,
-sentendo che il passare per lo Mugello a san Salvi per i molti
-stretti passi era loro pericoloso, e quasi impossibile, e veggendo
-il luogo dove s’erano condotti, incominciarono forte a dubitare, ed
-era loro di mestiere, se avessono avuto chi avesse voluto attendere
-a provvedere contro a loro, come dovea e potea, e tale ne portò mala
-fama, massimamente perchè loro faltava la vita e per le bestie e per
-le persone, onde loro convenne fuggire alle usate malizie, onde con
-sollecitudine mostrarono di volersi alloggiare a san Michele del bosco,
-afforzandosi di sbarre e palancati, con mettere pure in loro boce
-che riposati alquanto farebbono il cammino di che aveano minacciato a
-malgrado di chi non volesse, e ciò faceano per levare le poste alle vie
-ond’erano venuti quelli che v’erano tratti a guardare, mostrando d’ire
-innanzi non di tornare addietro, e così avvenne, che essendo quelle vie
-non guardate, la notte di san Giorgio presono loro via per la valle di
-Bisenzio e tornarsi nel piano di Pistoia.
-
-
-CAP. LXXXVII.
-
-_Come messer Pandolfo Malatesti si partì dal servigio del comune di
-Firenze._
-
-Stando messer Pandolfo al Borgo involto in su gli usati pensieri
-favorati dal male stato de’ Fiorentini, li cadde nell’animo, ch’essendo
-Firenze nel dubbioso e forte partito dove per allora parea che fosse
-lo dovesse gareggiare e tenerlo per idolo; onde volendo tentare se il
-suo pensiere rispondea col fatto, e per sua parte fè dire a’ signori
-di Firenze e agli otto della guerra, che casi gravissimi e poderosi gli
-erano occorsi nel suo paese pericolosi allo stato suo, e che a riparare
-necessario era che sua persona vi fosse, e li fece pregare che loro
-piacesse in tanto bisogno non doverli mancare per dodici o quindici dì
-licenziarlo: i signori con gli otto ne tennono consiglio di richiesti,
-nel quale muto di dicitori, Bindo di Bonaccio Guasconi disse, che
-pensava che ’l gentiluomo, amico egli e sua casa del nostro comune,
-dicesse il vero, e che essendo le cose gravi come ponea, non gli andava
-per animo che in così breve spazio di tempo come domandava le potesse
-spacciare, e che non solo per dodici o quindici dì si licenziasse, ma
-per tutto il tempo che sua condotta durava, e che in suo luogo fosse
-posto il conte Arrigo di Monforte, e così nel consiglio s’ottenne, e fu
-eletto il detto Bindo a ire a messer Pandolfo con piacevole commiato.
-Bindo v’andò, e da sè a lui aperto li mostrò tutti i suoi errori, i
-quali dal popolo erano stati bene conosciuti, e che agevolmente potea
-avvenire, che perseverando in cotali pensieri con opera, forse che un
-giorno il popolo li farebbe un sozzo scherzo, al quale non potrebbono
-porre riparo nè i signori nè gli otto. Veggendo messer Pandolfo che
-questo avviso come gli altri gli era venuto fallito, e tornato in
-vergogna, se ne venne a Firenze, e fu a’ signori, e loro disse, che non
-ostante che ’l suo bisogno fosse grande, per lo presente vedea quello
-del comune di Firenze era maggiore e pertanto e sè e la sua brigata
-alle sue spese offeria al comune: di ciò fu ringraziato, e dettoli, che
-’l comune non avea nè di lui nè di sua brigata bisogno, onde si partì a
-sua posta senza onore di comune, o di privati cittadini.
-
-
-CAP. LXXXVIII.
-
-_Come gl’Inghilesi e’ Tedeschi co’ guastatori de’ Pisani s’accamparono
-a Sesto, e Colonnata, e santo Stefano in pane._
-
-Gl’Inghilesi usciti del Mugello a salvamento insieme co’ Tedeschi
-e guastatori s’accamparono a Sesto e Colonnata, e per le coste di
-Montemorello, prendendo santo Stefano in pane, e tutte le pianure
-d’intorno, dove soprastettono per alquanti giorni, sicchè i guastatori
-de’ Pisani ebbono destro a fare male, e arsono palagi e ricchi abituri
-e altri casamenti per lo piano, e per le coste di Montemorello per
-lo spazio di tre miglia o circa intorno al campo, e riservando a
-levare del campo i luoghi che per loro necessità aveano riserbati, e
-stando quivi gualdane di loro passarono l’Uccellatoio e Starniano, ed
-entrarono in Pescia luogo aspro e riposto, ove trovarono molta roba
-rifuggita, oltre n’andarono infino a Calicarza, Montile, e Curliano,
-paesi malagevoli assai a cavalcare, senza trovare alcuna contesa.
-Ancora infra questo tempo combatterono la Petraia, ch’era loro sopra
-capo, e aveanla armata e fornita alla difesa i figliuoli di Boccaccio
-Brunelleschi: e nel vero fortemente sdegnavano che sopra tante migliaia
-di gente d’arme pregiata e famosa signoreggiasse quella piccola
-fortezza in dispregio loro, il perchè si deliberarono di vincerla,
-e la prima battaglia colle schiere ordinate fu degl’Inghilesi, dove
-con acquisto di vergogna alquanti ne furono morti e molti magagnati,
-la seconda de’ Tedeschi in simile acquisto; ultimamente essendo
-cresciuta l’onta e ’l dispetto, anzi il levare del campo Tedeschi e
-Inghilesi insieme con aspro assalto la combatterono, e niente poterono
-acquistare, se non al modo usato danno e vergogna. Di questo avemo
-fatta memoria per mostrare, che i privati cittadini in que’ tempi più
-erano accorti e valorosi a difendere loro fortezze, che i governatori
-del comune quelle della città, e massimamente perchè confortati, che
-nel rispetto ch’aveano da’ nemici, e poteanlo fare assai leggermente
-nol vollono fare, onde ne risultò gran vergogna al comune. L’invidia e
-’l mal talento col poco senno che allora occupava il governamento ogni
-virtuoso operare impedia. In sul levare del campo i guastatori pisani
-arsono tutti i casamenti che per loro ostellaggi aveano riserbati.
-
-
-CAP. LXXXIX.
-
-_Come gl’Inghilesi e’ Tedeschi coi guastatori pisani presono il colle
-di Montughi e di Fiesole, e combatterono i Fiorentini alla porta a san
-Gallo, e fessi Anichino di Bongardo cavaliere._
-
-L’ultimo dì d’aprile i nemici mutando campo presono il colle di
-Montughi e di Fiesole, spargendosi per tutte le circostanze infino
-a Rovezzano, e il primo dì di maggio per giorno nomato colle schiere
-fatte se ne vennono sopra la costa della via di san Gallo di sotto al
-podere d’Altopascio, dove erano fatti tre serragli, il primo sopra la
-via che va a santo Antonio, l’altro sopra la via che va a san Gallo,
-il terzo sopra le case poste sopra via che ne va lungo le mura, e
-questo era di carri, dove era il conte Arrigo di Monforte con tutta
-la gente da cavallo; a’ primi due serragli erano molti Fiorentini
-usciti di volontà, i quali impedivano la buona gente dell’arme ch’erano
-alla difesa, e ammoniti da messer Manno Donati, e da messer Bonifazio
-Lupo, e da messer Giovanni Malatacca, e dagli altri valenti uomini,
-che si tirassono addietro, e lasciassono fare la gente dell’arme, nol
-vollono fare, il perchè furono cagione della perdita de’ serragli con
-morte e presura di molti di loro. Nello scendere delle schiere un poco
-davanti due notabili uomini e pregiati in arme, Averardo Tedesco e
-Cocco Inghilese, a lento passo l’uno dall’un lato della via l’altro
-dall’altra si calarono giù a’ serragli facendo rilevate prodezze;
-seguendo appresso le schiere vinsono e gettarono in terra i detti
-due serragli, con danni assai e di morti e di prigioni de’ vogliosi e
-disordinati Fiorentini, che s’erano voluti mettere alla difesa contro
-a’ buoni uomini d’arme, e contra loro volontà. Averardo passò in sulla
-piazza di san Gallo, e con molti che appresso il seguivano infino al
-piè delle case a fronte si fè al conte di Monforte, il quale stando
-come una massa di ferro mai da’ nemici non fu tentato, tutto che le
-frecce degli arcieri inghilesi che scendeano sopra l’altra brigata
-sembrassono gragnuola. Dalla porta e antiporta e mura scoccavano le
-balestra, e a tornio e a staffa, che il tuono del romore piuttosto
-cresceano che facessono danno. Scese le schiere, fuoco fu messo in
-sant’Antonio del vescovo, e per simile in molti altri casamenti. In
-quel fuoco, in quel tumulto, in quelle grida Anichino di Bongardo
-si fè cavaliere in sulla costa della via che vede la porta, con
-tanti suoni, con tante grida, che parea che ’l cielo tonasse, ed
-egli fè cavaliere messer Averardo e più altri, come se fatti fossero
-in battaglia campale: e ciò fatto, fu sonato a ricolta, e tutti,
-accortamente senza impaccio si ritrassono addietro chi a Montughi e
-chi a Fiesole, e la notte con l’ordine dato tra loro feciono la festa
-de’ cavalieri novelli, la quale fu in questa forma: che le brigate
-a cento i più a venticinque i meno con fiaccole in mano si vedeano
-danzare, e l’una brigata si scontrava con l’altra gittando talora le
-fiaccole, e ricevendole in mano, e talora mettendole a giro, e a modo
-d’armeggiatori seguendo l’un l’altro ordinatamente, e queste fiaccole
-passavano le duemila, con gran gavazze di grida e stromenti; e per
-quello che s’intese dalle brigate ch’erano nel piano vicino alle mura
-dispettose parole usavano contra il comune di Firenze, e intra l’altre,
-Guardia studia i collegi, manda pe’ richiesti, e simili parole usate
-nel palagio de’ priori, le quali erano intese e da quelli che erano
-in sulle mura e da quelli ch’erano da piè. E per dileggiare il popolo
-di Firenze in sulle tre ore di notte quetamente mandarono un loro
-trombettino e un tamburino in sul fosso delle mura della Porta alla
-croce, i quali sonando come a stormo, il popolo di Firenze tutto si
-commosse a romore, correndo boci per la terra che i nemici aveano prese
-le mura dove le bertesche erano fatte, e che parte di loro n’erano
-dentro discesi. La paura fu sopra modo, e i cittadini come smemoriati
-correvano qua e là per la terra, e le femmine poneano le lucerne alle
-finestre, e con lamenti l’armavano di pietre. La cosa nel suo aspetto
-a vedere orribile era, ma saputo il vero, subitamente si racchetò il
-bollore fatto in danno e vergogna come detto è. Il seguente dì 2 di
-maggio schierati tutti passarono Arno di sotto alla Sardigna assai
-presso alla città, e puosono campo a Verzaia stendendosi infino a
-Giogoli e Pozzolatico e per Arcetri, ardendo tutto infino presso alle
-mura; e sopra questo con le schiere fatte, e con le loro barbare strida
-e suoni di stromenti da battaglia vennono verso la porta di san Friano
-per combattere nella forma che fatto aveano a quella di san Gallo. I
-nostri che ne’ giorni passati s’erano assaggiati con loro, e trovato
-aveano ch’erano uomini e non leoni, aveano armato il casamento delle
-monache da Verzaia, e quivi fatte le sbarre ricevettono francamente
-il baldanzoso assalto, rispondendo loro co’ ferri in mano in modo e
-forma che li ributtarono indietro con molti fediti e alcuni morti, il
-perchè niente avanzando se non danno e vergogna si ritrassono al campo:
-bene arsono allora sopra il ciglio della città Bellosguardo e molte
-altre belle e ricche possessioni e palagi, e soprastati per alquanti
-giorni, per dare agio ai fediti loro i quali passavano il numero di
-duemila, veggendo che i Fiorentini s’ausavano all’arme, e andavano
-a riguardo, sicchè poco con loro poteano avanzare, e che le brigate
-che uscivano di notte sì de’ cittadini come de’ contadini, che erano
-trafitti e aveano bisogno di ristorarsi, stando essi sparti baldanzosi,
-e per dispetto quasi senza guardia veruna, e di prigioni e di cavalli
-e d’uccisioni li danneggiavano forte, si partirono. Il lor viaggio fu
-sopra san Miniato a monte, e sopra l’Ancisa passando per lo Valdarno,
-e loro albergheria fu al Tartagliese, e il seguente dì feciono vista
-di combattere la Terranuova, dove trovato la risposta, con alquanti
-di loro morti e magagnati si partirono, e così mollemente tentarono
-dell’altre terre del Valdarno, il perchè aperto s’intese che per
-quella via gli avea volti il danaio: che usciti del contado di Firenze
-in su quello d’Arezzo, e trovandolo sgombro, passarono su quello di
-Cortona, e quindi in su quello di Siena facendo danno assai d’arsioni
-prigioni e prede, infine voltisi per la Valdelsa e per la Valdinievole
-si fermarono in su quello di Pisa a san Piero in campo. Quivi vollono
-vedere la rassegna delle loro brigate, dal tempo ch’entrati erano in
-sul Fiorentino, e trovarono che più di seicento buoni uomini d’arme
-aveano perduti, e oltre a duemila n’erano fediti, de’ quali assai
-poscia perirono.
-
-
-CAP. XC.
-
-_Come il conte Arrigo di Monforte capitano de’ Fiorentini prese e arse
-Livorno._
-
-Nel paesare e nel raggiramento che messer Anichino di Bongardo faceano
-in su quello d’Arezzo insieme con gl’Inghilesi, come abbiamo detto,
-il conte Arrigo di Monforte capitano de’ Fiorentini, e con lui il
-conte Giovanni e il conte Ridolfo colle brigate loro de’ Tedeschi,
-ch’erano con quelli del conte Arrigo millecinquecento barbute, e
-con l’altra gente di cavallo de’ Fiorentini ch’erano per le castella
-alle frontiere, la quale fè adunare in san Miniato del Tedesco, e con
-cinquecento balestrieri scelti, e più con assai Fiorentini a cavallo
-e a piè che di volontà l’aveano voluto seguire, e col consiglio di
-messer Manno Donati, e di certi degli altri provvisionati, de’ quali
-di sopra facemmo menzione, fatto fornimento da vivere per quindici
-giorni, venerdì mattina a dì 21 di Maggio 1364 si partì di san Miniato
-del Tedesco, e la sera prese albergo su l’Era vicino al castello di
-Gello, e il sabato mattina passando vicino di Pisa, e facendo quel
-danno che fare si potea s’accampò a san Piero in Grado. E in quel
-giorno vennono a Pisa di Lombardia millequattrocento uomini di cavallo
-sotto nome di compagnia, i quali veniano per pigliare inviamento di
-loro mestiere in Toscana. I Pisani vedendosi improvviso giugnere questa
-ventura loro donarono duemila fiorini d’oro, ed elli coll’altra gente
-loro che rimasa era in Pisa, come soperchio a’ Tedeschi e Inghilesi che
-cavalcati erano in sul Fiorentino, e con parte del popolo andassono
-a combattere co’ Fiorentini ch’erano accampati a san Piero in Grado,
-e così promisono di fare, e preso rinfrescamento, con la gente e col
-popolo uscirono di Pisa schierati, e a pian passo contro i nemici. Il
-conte di Monforte sollecitato era molto da messer Manno che passasse
-il ponte allo Stagno contro Livorno, ed egli dubitando forte stava
-sospeso, e per conforto che fatto gli fosse non si attentava a passare
-quello lagume, e non sapere dove, se non quando vidde il gran polverio
-della gente ch’usciva di Pisa, quindi mosse passo, e di presente
-messer Manno chiamò Filippone di Giachinotto Tanaglia, che quivi
-appresso di lui era, e prese due scuri in mano tagliarono due pali in
-su che si posava il ponte, e lo feciono nello stagno cadere, e a pena
-aveano fornito il servigio che i Pisani sopraggiunsono e per acqua e
-per terra. Messer Manno conoscea tutti i soldati che praticavano in
-Lombardia, e pertanto domandò di volere parlare con alcuno di loro
-caporali, e tantosto vennono parecchi, e con lieta accoglienza lo
-viddono, rallegrandosi ch’aveano cessato materia di zuffa, e a lui
-dissono, che aveano ricevuto duemila fiorini d’oro perchè commettessono
-battaglia con loro, e che credeano che i Pisani attenderebbono a loro
-persecuzione, ma che essi per suo amore lentamente procederebbono, e
-da lui preso congio, a passi scarsi si tornarono verso Pisa. E in ciò
-cadde perdimento di tempo a’ Pisani, utile e necessario alla gente de’
-Fiorentini, come può qualunque intendente udendo il fatto comprendere,
-perocchè deliberarono i Pisani che la detta gente cavalcasse a
-Montescudaio, e togliesse il passo a’ Fiorentini, e se ciò fosse per
-mala fortuna avvenuto, senza dubbio tutta la gente ch’era in quella
-cavalcata era perduta. La detta gente la sera soprastette in Pisa,
-e la mattina seguente persono tempo tra nell’armarsi e mettersi in
-ordine. I Fiorentini in quel giorno che passarono il ponte allo Stagno
-presono Porto pisano e Livorno, e trovaronlo sgombro, perocchè quelli
-che dentro v’erano diffidandosi di poterlo tenere da tanto sforzo,
-prestamente si diedono allo sgombrare fuggendo loro famiglie e cose,
-e così le mercatanzie in mare in su le navi, che solo una balla di
-panni e una ricca cortina nel fondaco trovato non fu, or non di manco
-messo in preda quello che trovato vi fu, il conte fece ardere la terra.
-Messer Manno udito il generale avviso della gente dell’arme che s’era
-data a servire a’ Pisani, come uomo avvisato e pratico de’ casi che
-sogliono ne’ fatti dell’arme avvenire, subito gli corse in pensiero,
-che i Pisani non rivolgessono quella gente in Maremma a tor loro il
-passo di Montescudaio, e cominciò forte a dubitare, e avvisonne il
-capitano, e vennono presto a’ rimedi, perocchè messasi innanzi la gente
-da piè, perchè del camminare avessono più agio, e rinfrescato alquanto
-i loro cavalli, alle tre ore di notte presono viaggio, e dirizzaronsi
-verso Montescudaio per vie montuose e aspre e malagevoli, e tutta
-quella notte senza arresto cavalcarono, e il seguente dì con dare poco
-d’agio alle bestie e a loro misono in cavalcare come fossono in fuga, e
-alle tre ore di notte uscirono del passo di Montescudaio, e ridussonsi
-in su quello di Volterra in luogo sicuro, trovandosi avere camminato in
-ventiquattro ore miglia trentotto di pessima via. E in quella medesima
-notte circa alle sette ore la gente de’ Pisani giunse a Montescudaio
-per torre il passo, e trovando che i Fiorentini erano passati, dello
-scorno che loro parea avere ricevuto presono cordoglio. Emmi stato
-piacere particolarmente narrare questa particella di storia per
-dimostrare quello che può e fa la fortuna nelle maledette confusioni
-delle guerre. Ben furono di quelli che vollono dire, che la cavalcata
-era stata di coscienza de’ Pisani, perchè pace si potesse cercare, e
-se vero fu, alla Pisanesca bel tratto faceano, avendo il caso fortuito
-loro prestato la gente dell’arme, colla quale stimarono poterlo fare, e
-assai presso vi furono.
-
-
-CAP. XCI.
-
-_Come il corpo del re Giovanni di Francia fu trasportato di Londra a
-Parigi, e come onorato._
-
-Per tramezzare alquanto la continuanza delle scritture nella guerra
-tra’ Fiorentini e’ Pisani ne occorre di scrivere, che ’l dì primo di
-maggio il corpo del re Giovanni di Francia di Londra ne fu portato a
-santo Antonio presso a Parigi la sera, e quivi per onorarlo e farne
-l’esequie reale stette quattro giorni, e a dì 5 detto mese ne fu
-portato a nostra Donna di Parigi accompagnato da tutte le processioni
-delle chiese e regole di Parigi, e da tre suoi figliuoli, ciò furono,
-Carlo primogenito delfino di Vienna e duca di Normandia, Luigi duca
-d’Angiò, Filippo duca di Torenna lo più giovane di tutti, e fuvvi lo
-re di Cipri, Giovanni duca di Berrì era in Inghilterra: e portarono il
-corpo del detto re quelli di parlamento secondo loro uso; e ciò è di
-ragione, perchè elli rappresentano la giustizia in luogo del re: e a dì
-6 si disse la messa, e subito il corpo ne fu portato a santo Dionigi,
-seguendo appresso d’esso i suoi tre figliuoli Carlo Luigi e Filippo, e
-il re di Cipro, e sopra i franchi della villa, poi montati a cavallo
-infino a santo Dionigi, e a dì 7 si fè l’esequio a santo Dionigi. E
-seppellito il detto corpo con grande onore, tantosto appresso Carlo suo
-primogenito se n’andò in un pratello, e appoggiato ad un fico ricevette
-più omaggi da’ peri di Francia e da’ grandi baroni, e a dì 9 si partì
-per andare a Rems a prendere la corona.
-
-
-CAP. XCII.
-
-_Come messer Beltramo de Cloachin sconfisse il luogotenente del re di
-Navarra in Normandia._
-
-Nel detto anno a dì 16 dì Maggio, messer Beltramo de Cloachin si
-combattè davanti Choncel presso alla Croce di san Leffon contra al
-Captal del Comuff luogotenente del re di Navarra in Normandia, e fu il
-detto Captal sconfitto e preso, e la maggior parte di sua gente morta
-e presa; e per avere il detto Captal lo re di Francia diede al detto
-messer Beltramo tutta la Longavilla e la Giusfort ch’erano state del re
-di Navarra. E lo re di Francia ec.
-
-_Qui manca il fine di questo capitolo con tre altri capitoli delle
-rubriche che erano così intitolati._
-
-
-CAP. XCIII.
-
-_Come Carlo primogenito del re di Francia fu consegrato a Rems a re di
-Francia._
-
-
-CAP. XCIV.
-
-_Come si combatterono messer Carlo di Bos duca di Brettagna, e messer
-Gianni di Monforte._
-
-
-CAP. XCV.
-
-_Come i Fiorentini con la forza del danaio ruppono la compagnia de’
-Tedeschi e Inghilesi, e levaronla da provvisione de’ Pisani._
-
-_Per supplire in parte a ciò che manca in questo luogo nel codice
-Ricci, ecco ciò che ne fornisce l’Epitome dell’Istorie dei tre Villani
-di Domenico Boninsegni, che poco addietro ho citato._
-
-«Essendo le genti de’ Pisani a san Piero in campo, e i Fiorentini
-vedendosi mancare la speranza della Compagnia della Stella, per
-operazione di messer Galeazzo, e della gente della Magna, cercarono
-accordo con gl’Inghilesi e’ Tedeschi ch’erano presso alla fine di loro
-condotta, e i Pisani cercavano di riconducerli, pure vinsero l’opere
-de’ Fiorentini, che già segretamente avevano dato ad Anichino novemila
-fiorini quando erano in sul contado di Firenze, e alla sua brigata
-ne donarono trentacinque migliaia, e agl’Inghilesi settantamila, e
-tutti si partirono dal servigio de’ Pisani, eccetto Giovanni Aguto con
-milledugento Inghilesi: e anche in segreto feciono patto con messer Ugo
-della Zucca e altri Inghilesi. I patti con queste compagnie in sostanza
-furono, che per cinque mesi non sarebbono contro il nostro comune, o
-suoi sudditi o accomandati in alcun modo; anzi tutti n’andarono in su
-quello di Siena a predare e ardere, per merito di quello feciono alla
-Compagnia del cappelletto soldati nostri.»
-
-
-CAP. XCVI.
-
-_Come i Fiorentini presono in capitano di guerra messer Galeotto
-Malatesti._
-
-«Fatto l’accordo che di sopra è detto, parve a’ governatori di Firenze
-necessario d’avere un capitano italiano, e procacciando messer Galeotto
-Malatesti, secondo si disse, per cancellare la disgrazia con la quale
-s’era partito il suo nipote, infine l’ottenne, e fu eletto nostro
-capitano, con assai ammirazione di molti agli scherni ricevuti dal
-nipote, e venne in Firenze a dì 17 di luglio a ore ventuna per i
-consigli d’astrolagi. E innanzi che scendesse da cavallo appiè della
-porta del palagio de’ priori con le usate solennità prese il bastone e
-l’insegne, e lui diè quella de’ feditori al conte Arrigo di Monforte,
-e fecelo vece capitano; la reale diè a messer Andrea de’ Bardi, e
-altre ad altri cittadini, e senza arresto uscì di Firenze, e posate
-l’insegne in Verzaia tornò in Firenze, e per intendersi co’ signori
-e altri uficiali dell’informazione della guerra, e soprastette alcuni
-dì, perchè voleva piena balìa di potere dare a sua volontà a’ soldati
-paga doppia e mese compiuto.» Alla fine essendo fuori le insegne, ed
-egli stando pertinace, per lo meno male e meno vergogna di comune
-la sua domanda fu messa a esecuzione, la quale i sottili venditori
-non ebbono per meno che domandare giurisdizione di sangue. Avuto suo
-intendimento, mosse a dì 23 del mese di giugno, accompagnato infra gli
-altri da trecento cittadini ben montati e riccamente armati, i quali
-spontaneamente vi cavalcavano per vendicare l’ingiurie de’ Pisani
-novellamente fatte al loro comune.
-
-
-CAP. XCVII.
-
-_Battaglia tra’ Fiorentini e’ Pisani fatta nel borgo di Cascina, nella
-quale i Fiorentini furono vincitori._
-
-Domenica, a dì 29 di luglio anni 1364, rivolto l’anno che nel
-medesimo giorno i Pisani aveano corso il palio al ponte a Rifredi,
-fatti cavalieri, battuta moneta, impiccati asini, e fatte molte altre
-derisioni e scherne a’ Fiorentini, messer Galeotto Malatesti capitano
-de’ Fiorentini, movendo la notte dinanzi campo da Peccioli, la mattina
-s’accampò ne’ borghi di Cascina presso di Pisa a sei grosse miglia,
-ma di via piana e spedita, e infra il giorno per lo smisurato caldo
-le tre parti e più dell’oste, che erano oltre di quattromila uomini
-di cavallo che di soldo, che d’amistà, e che de’ Fiorentini, che per
-onorare loro patria di volontà erano cavalcati, e di undicimila pedoni,
-s’era disarmata, e quale si bagnava in Arno, quale si sciorinava al
-meriggio, e chi disarmandosi in altro modo prendea rinfrescamento.
-E il capitano, sì perchè molto era attempato, sì perchè del tutto
-ancora libero non era della terzana, se n’era ito nel letto a riposare
-senza avere considerazione quanto fosse vicino all’astuta volpe, e
-al volpone vecchio Giovanni dell’Aguto, e tutto che al campo fossono
-fatti serragli, deboli erano, e cura sufficiente non era data a chi
-li guardasse; il perchè avvenne, che il valente cavaliere messer
-Manno Donati, come colui a cui toccava la faccenda nell’onore, andando
-provveggendo il campo e i modi che la gente dell’arme tenea, conosciuto
-il gran pericolo in che il campo stava, e temendo che nel fatto non
-giocasse malizia, e dove no, quello che ragionevolmente secondo uso
-e costume di guerra ne dovea e potea avvenire, e tantosto n’avvenne,
-mosso da fervente zelo incominciò a destare il campo, e dire, noi
-siamo perduti, e con queste parole se n’andò al capitano, e lo mosse
-a commettere in messer Bonifazio Lupo e in altri tre e in lui la cura
-del campo; ciò fatto messer Manno di subito corse al più pericoloso
-luogo, e donde l’offesa più grave e più pronta potea venire, cioè alla
-bocca della strada che si dirizzava a san Savino e quindi a Pisa, e
-il serraglio il quale era debole fece fortificare, e alloggiovvi alla
-guardia i fanti aretini con alquanti pregiati Fiorentini, e con loro i
-fanti de’ Conti di Casentino; e perchè nel capo li bolliva per diversi
-e ragionevoli rispetti quello che di presente ne seguì, aggiunse
-alla guardia messer Riccieri Grimaldi con quattrocento balestrieri
-genovesi. I Pisani avendo per loro spie e dai luoghi vicini al campo,
-e massimamente da san Savino, dello sciolto e traccurato reggimento
-del campo, ma non della provvisione fatta per messer Manno, perchè al
-fatto fu troppo vicino, conferito con Giovanni dell’Aguto sopra la
-materia, infine in lui commisono il tutto dell’impresa, e il popolo
-animoso e voglioso a furore presa l’arme nelle braccia sue si pose
-con lieta speranza di vittoria, quasi siccome non dovesse potere
-perdere. Giovanni Aguto preso il carico senza perdere punto di tempo
-diede ordine a quanto fu di mestiere, e uscì col popolo di Pisa, e fè
-capo a san Savino, e come mastro di guerra fè il campo de’ Fiorentini
-per tre riprese assalire da gente che prima era fuggita che giunta,
-affinchè i nemici attediati non conoscessono il vero assalto quando
-venisse, e venneli fatto, che ’l campo fu tre volte mosso ad arme dal
-campanaro indarno, e il capitano turbato di suo riposo fè comandare
-al campanaro alla pena del piè, che che che si vedesse non sonasse
-senza licenza sua. Appresso il detto Giovanni aspettò la volta del
-sole, perchè i raggi fedissono nel volto de’ nemici, e a’ suoi nelle
-spalle. Ancora per la pratica ch’avea del paese conobbe, che a tale
-ora surgea un’aura che la polvere venia a portare negli occhi de’
-nemici. Solo in uno per gl’intendenti giudicato fu che egli errasse,
-che non misurando le miglia da san Savino a Cascina, che sono quattro
-di polveroso e rincrescevole piano, nè avendo rispetto alla fiamma del
-sole che divampava il mondo, nè al grave peso dell’arme, fidandosi
-nella gioventù e prodezza de’ suoi Inghilesi nati e cresciuti nelle
-guerre di Francia, a’ quali per animarli e soperchiare ogni fatica
-e ogni paura avea messo che nel campo erano quattrocento Fiorentini,
-tal buono prigione per mille, tale per duemila fiorini, e del tutto
-ignoranti dell’arme, esso fè tutta gente scendere a piè, il perchè
-lassi e mezzi stanchi giunsono al campo. Mosselo a ciò fare due
-ragioni, l’una perchè la gente a piè più chetamente cavalca, l’altra
-perchè leva meno polverio, immaginando, come avvenne, che prima fossono
-al campo che sentiti, e così prendere il campo di furto prima che
-si potesse ordinare: e tutte le dette cose fatte furono per Giovanni
-Aguto, che niente ne sentì messer Galeotto, o per difetto di spie, o
-perchè poco curasse ciò che potessono fare i nemici, e questo è più da
-credere. Adunque messi nella prima fronte delle schiere quelli aspri
-e duri Inghilesi cui tirava la voglia della preda, tutto l’esercito
-fè muovere quando gli parve, e prima i suoi Inghilesi furono vicini
-alle sbarre che da’ nostri fossono sentiti. Il romore e le strida del
-subito assalto a’ nostri furono le spie. I fanti che posti erano alla
-guardia del luogo, i quali per lo giorno furono assai più che uomini,
-francamente presono l’arme non curando le spaventevoli strida, ma
-ordinati di subito alla resistenza non si lasciarono torre una spanna
-di terra. E il valente messer Riccieri Grimaldi compartiti i suoi
-balestrieri dove necessario gli parve, e allogatine gran parte nelle
-ruine delle case, le quali erano di mattoni, e pertugiate e di costa a’
-nemici, confortandoli a ben fare, e sollecitandoli dolcemente e qui e
-quivi a rinterzare colla forza de’ verrettoni rintuzzò la fiera rabbia
-de’ baldanzosi nemici. Mentre che la battaglia era e quinci e quindi
-animosamente attizzata alle sbarre, il vero grido del fatto come era
-senza suono di campana o altro sollecitamento di capitano corse per lo
-campo e lo strinse ad armare, e il primo che giunse al soccorso alle
-sbarre, come quelli che temendo sempre stava in punto, fu messer Manno
-Donati, il quale veggendo quivi soprabbondare gente da cavallo, per
-non stare indarno uscì con tutta sua brigata del campo, e percosse i
-nemici ne’ fianchi, conturbando gli ordini loro, e facendo loro danno
-assai; e in poca d’ora vennono alle sbarre il conte Arrigo di Monforte
-colla insegna de’ feditori, e con lui il conte Giovanni e il conte
-Ridolfo chiamato dal volgo il conte Menno, e costui come giunse alle
-sbarre le fè gettare in terra, e si avventò sopra i nemici facendo
-colla spada cose da tacerle, perchè hanno faccia di menzogna. Per
-simile il conte Arrigo co’ suoi Tedeschi sollecitando i cavalli colli
-sproni senza averne riguardo contro a’ nemici gli ruppono, passando
-tutte loro schiere infino alle carra che da Pisa recavano e veniano
-con vino per rinfrescare loro brigata. Il sagace messer Giovanni
-dell’Aguto, il quale era nell’ultima schiera co’ suoi caporali e altri
-pregiati Inghilesi, avendo compreso che la testa delle sue schiere non
-era di fatto entrata nel campo come si credette, e che la resistenza
-era dura, si giudicò vinto, e senza aspettare colpo di spada di buon
-passo co’ detti caporali si ricolse a san Savino, dove aveano lasciati
-i loro cavalli, lasciando nelle peste il popolo de’ Pisani faticato, e
-poco uso e accorto negli atti dell’arme. I Genovesi Aretini e’ fanti
-dell’Alpe come vidono rotte le schiere de’ Pisani, e mettersi in
-fuga, seguitando la caccia ne presono assai. Essendo adunque per gli
-Aretini Fiorentini e’ fanti del Casentino alle sbarre ben sostenuta
-la puntaglia de’ nemici, e mezza vinta loro pugna, per i balestrieri
-genovesi e per i Tedeschi in poco tempo recati a fine, il capitano fè
-muovere l’insegna reale, la quale per spazio d’un miglio o poco più si
-dilungò dal campo, sotto il cui riguardo assai d’ogni maniera si misono
-a perseguitare i nemici, e trovandoli sparti in qua e in là, lassi e
-spaventati, ne presono assai. Stando la cosa in estrema confusione
-per i Pisani, per alcuni valenti e pratichi d’arme, parendo loro
-conoscere il vantaggio, consigliato fu messer Galeotto che seguitasse
-la buona fortuna, la quale li promettea la città di Pisa: rispose,
-che non intendea il giuoco vinto mettere a partito, e più fè, che
-tantosto fè sonare alla ricolta, sotto il dire che temea degli aguati
-de’ sottrattori e sagaci nemici; onde molti che sarebbono stati presi
-ebbono la via libera a fuggirsi, e massimamente gl’Inghilesi ch’erano
-fediti e rifuggiti in san Savino, nè osavano sferrarsi de’ verrettoni
-che giunti in Pisa, dov’ebbono solenni medici, e in pochi giorni gran
-numero ne perì. Tornato il capitano al campo, e cercato il luogo dove
-fu la battaglia, assai vi si trovarono morti, ma molti più il seguente
-dì per le fosse e per le vigne, quale per stracco, quale di ferite, e
-molti colla sete in Arno mettendovisi dentro vi annegarono. Stimossi
-che i morti per detta cagione passassono i mille: i presi furono
-vicini a duemila, de’ quali tutti i forestieri furono lasciati, e i
-Pisani presi da quelli ch’erano venuti al servigio del comune si furono
-loro. Tutta gente di soldo fu per messer Galeotto in segreto istigata
-e sollecitata a domandare a lui paga doppia e mese compiuto, ed egli
-per la balìa presa dal comune la promesse loro, che montò a dannaggio
-del comune circa a centosettantamila fiorini e più, perchè presa la
-speranza della detta promessa gran quantità di ricchi e buoni prigioni
-i soldati trabaldarono, e feciono con poca di cortesia riscuotere.
-Forte e molto diè che pensare a quelli savi e valenti cittadini, che in
-que’ giorni si trovarono nel numero de’ reggenti, messer Galeotto, il
-più famoso uomo allora d’Italia in cose militari e in podere d’arme,
-meritasse d’essere in tal forma assalito nel campo da uomo non meno
-famoso nè meno saggio in simili atti di lui, e che esso fosse l’autore,
-che i soldati per difendere il campo contro buono uso di gente d’arme
-pertinacemente volessono eziandio e con minacce e atti disonesti paga
-doppia e mese compiuto, le quali cose diligentemente ponderate furono
-cagione d’affrettare il trattato della pace, dando di ciò pensiere ad
-alquanti discreti e intendenti cittadini. Ma noi tornando al processo
-della guerra, il dì seguente, che fu l’ultimo di luglio, messer
-Galeotto, con tutto l’esercito e con i prigioni, girandosi pure vicino
-a Pisa per tornarsene a san Miniato del Tedesco assai bene in ordine e
-colle schiere fatte, in quello cavalcare fè cavaliere Lotto di Vanni da
-Castello Altafronte, giovane di gentile aspetto, e degli accomandati al
-comune di Firenze, Piero de’ Ciaccioni di san Miniato, e Bostolino de’
-Bostoli d’Arezzo.
-
-
-CAP. XCVIII.
-
-_Come furono assegnati i prigioni al comune da’ soldati, ed entrarono
-in Firenze in sulle carra._
-
-Essendo condotti i prigioni pisani in Monticelli fuori della porta
-a san Frediano di Firenze, alquanta di resistenza in parole feciono
-i soldati di non darli se certi non fossono di paga doppia e mese
-compiuto, e conobbesi essere moto altrui e a mal fine; il perchè
-ricevuta speranza d’averla da quelli savi cittadini che con loro
-ne parlarono, diedono liberamente i prigioni, i quali ricevuti con
-dispettoso e vile spettacolo, col capitano, con l’insegne, e con la
-gente dell’arme furono messi in città, perocchè i popolani di basso
-stato con alquanti d’un poco meno che mezzano furono allogati in sulle
-carra, e furono quarantaquattro carrate; a’ nobili e gente da bene fu
-conceduto il venire a cavallo. E innanzi che questa pompa entrasse
-nella città, tutte le campane del comune cominciarono a sonare alla
-distesa acciocchè tutto il popolo traesse a vedere, e dinanzi alle
-carra tutti gli stromenti e suoni del comune, e così quelli della
-parte guelfa, vista certamente esemplare di diversa e varia fortuna,
-verificante quello disse David, che disse: Vario è l’avvenimento della
-guerra, e quinci e quindi consuma il coltello. I prigioni furono
-allogati nelle prigioni del comune il più abilmente che si potè, e
-dalle buone e pietose donne fiorentine a gara furono abbondantemente
-provveduti di tutto ciò che loro bisognava.
-
-
-CAP. XCIX.
-
-_Come la parte guelfa di Firenze prese a far festa di san Vittore, e
-perchè._
-
-In questa vittoria universale che s’ebbe del popolo di Pisa, la quale
-non pensata nè cercata fu, ma piuttosto recata, perchè singulare, e fu
-nel giorno che la santa Chiesa fa festa di san Vittore papa e martire
-glorioso, la parte guelfa di Firenze ad eterna memoria di tanto fatto
-prese di fare festa in Firenze ogni anno di san Vittore divotamente,
-come a patrone de’ guelfi, a similitudine come san Barnaba: e feciono
-in santa Reparata fare una cappella in reverenza del detto santo, con
-intenzione di migliorarla, perchè venendo la chiesa a sua perfezione
-stare non può quivi dov’è, e ogni anno vi fanno solennemente celebrare
-la sua festa con bella offerta della parte, e poi nel giorno fanno
-correre un ricco palio di drappo a figure foderato di drappo vergato:
-e vollono e tennono che l’arti guardassono il giorno, e così l’altro
-popolo.
-
-
-CAP. C.
-
-_Come la gente dell’arme del comune di Firenze prese tira di non
-cavalcare, e quello ne seguì._
-
-Fatta la festa de’ prigioni, per contentamento del popolo, che non
-si potea vedere sazio di vendetta dell’ingiuria in ultimo fatta per i
-Pisani con la forza d’Anichino di Bongardo e degl’Inghilesi, tutta la
-gente del comune col capitano uscì fuori per cavalcare in su quello
-di Lucca, ma imbizzarrita sopra volere paga doppia e mese compiuto,
-come da altrui erano nel segreto inzigati, si fermò fra Montetopoli
-e Marti, e quivi stettono infino a dì 18 d’agosto assai in atti e
-in parole turbata contro al nostro comune: in fine vinta la gara e
-conseguito loro intento per meno male, cavalcarono i nemici afflitti
-e tribolati oltre a modo, e a dì 28 del mese messer Galeotto fermò
-l’oste a san Piero in campo. Bene avvenne infra il tempo, che essendo
-condotti gl’Inghilesi dal comune di Firenze, andarono per ubbidire il
-capitano, e puosono di per sè campo, e, o che i Tedeschi sollevati da
-sagace ingegno per vedere peggio, o pur perchè la gloria dell’arme
-non potessono patire di vedere gl’Inghilesi, il seguente dì vennono
-a riotta con loro, e ordinati e provveduti gli assalirono al campo
-di ciò niente pensati. La zuffa fu aspra e pericolosa assai, e quinci
-e quindi ne morirono, e molti ne furono magagnati. Gl’Inghilesi loro
-campo francamente difesono, tutto che predati e soperchiati fossono
-da’ Tedeschi, come sprovveduti: e quel giorno il capitano con gli altri
-caporali del campo loro feciono fare triegua per tre dì, e il seguente
-dì poi per quindici. E in quello inviluppamento il capitano con tutta
-la gente dell’arme, eccetto gl’Inghilesi che si rimasono al campo
-loro, cavalcarono in su quello di Lucca, e feciono campo nel borgo
-di Moriano, facendo danni e prede assai. I Fiorentini per dilungare
-gl’Inghilesi da’ Tedeschi glie ne mandarono nel Valdarno di sopra. In
-queste tenebre e confusioni i governatori del comune di Firenze per
-fuggire la grande e incomportabile spesa dell’arme, e’ loro dangieri
-e pericoli, come fu tocco in parte di sopra, e ne’ segreti e pubblici
-consigli determinarono che a pace si venisse, e cura ne dierono a dieci
-buoni e discreti cittadini; e infra il tempo l’ambasciadore del santo
-padre col favore degli ambasciadori de’ comuni di Toscana duplicando
-essa sollecitudine, perchè vedeano le cose de’ Pisani per ire in
-fascio, e in mala parte e tosto, tanto sollecitarono, che i Pisani
-mandarono loro solenni ambasciadori alla terra di Pescia con mandato
-pieno a conchiudere la pace. Il comune di Firenze appresso vi mandò
-messer Amerigo Cavalcanti, messer Pazzino degli Strozzi, messer Filippo
-Corsini, messer Luigi Gianfigliazzi, e Gucciozzo de’ Ricci per simil
-modo col mandato larghissimo, nè però tanto, che li quinci e li quindi
-disposti alla pace tanto seppono e poterono onestamente avacciare, che
-Giovanni dell’Agnello, tutto sollevato e disposto dal consiglio e caldo
-di messer Bernabò a farsi signore di Pisa, più non avacciasse a farsi
-signore, prevenendo la pace la quale gli tagliava ogni suo pensiero e
-rendevalo vano.
-
-
-CAP. CI.
-
-_Come Giovanni dell’Agnello si fece signore di Pisa sotto titolo di
-doge._
-
-Giovanni dell’Agnello cittadino di Pisa di gesta popolare, per
-antichità di sangue non chiaro e per ordine mercatante, piuttosto
-scaltrito e astuto che saggio, presuntuoso a maraviglia e vago di cose
-nuove, e sopra tutto sollecito, questi era in questi giorni tornato
-da messer Bernabò dove ito era per ambasciadore del suo comune, e col
-tiranno avea tenuto trattato che i Pisani fossono suoi accomandati,
-ed egli gli atasse con darli delle terre loro, e per detta cagione da
-lui ebbe in prestanza trentamila fiorini. Di questo trattato nacque il
-baldanzoso parlare e pensiero di Giovanni dell’Agnello di farsi signore
-di Pisa, immaginando che venendo Pisa e le membra sue a tiranno, i
-Fiorentini fossono più contenti di lui che di messer Bernabò. Essendo
-adunque Pisa sospesa, in tremore e spavento, e più volte abbandonati
-dalla speranza della pace, feciono un gran consiglio di più gravi e
-notabili cittadini della terra, nel quale fu messer Piero di messer
-Albizzo da Vico, avanti che andasse per ambasciadore di Pisa alla terra
-di Pescia per conchiudere la pace, e il consiglio fu di provvedere a
-loro stato: e intra gli altri vi fu il detto Giovanni dell’Agnello, il
-quale era reputato buono mercatante e fedele cittadino; costui levato
-in consiglio osò dire, che necessario li parea che si venisse a signore
-per un anno, dirizzando il suo parere che quel fosse messer Piero di
-messer Albizzo da Vico dottore di legge, il quale con ogni istanza che
-seppe quel carico rifiutò, e fulli cagione di affrettare sua gita a
-Pescia ad accozzarsi con gli ambasciadori fiorentini. Veggendo Giovanni
-contradire a messer Piero, come stimò, si rimise a consigliare che
-pure convenia a uno degli altri pigliare quella sollecitudine, cura
-e gravezza: e allora ser Vanni Botticella, anticamente per genia di
-beccaio, s’offerse di prendere quel carico. Giovanni dell’Agnello
-disse, che buono e sufficiente era, ma che gli bisognava d’avere
-trentamila fiorini al presente per pagare la gente dell’arme: a
-questo rispose ser Vanni non si sentire sofficiente, e per quel giorno
-rimasono, che ogni uno si pensasse d’uno che a ciò fosse sofficiente,
-e altra volta tornasse il consiglio. Di questo strano ragionamento
-e spaventevole consiglio surse, che uno de’ seguenti dì in sul fare
-della sera molti buoni e cari cittadini, avendo presa sospezione e
-gelosia del dire del detto Giovanni così affettatamente in consiglio e
-con fronte pertinace, e perchè nel mormorio del popolo voce correa che
-esso facea ragunata di fanti, s’andarono ad armare, e armati insieme se
-n’andarono al palagio degli anziani, e questo tantosto venne a notizia
-di Giovanni dell’Agnello, che continovo stava in sentore, ed egli
-pensando che farebbono quello che feciono, sagacemente e prestamente si
-mise a’ ripari, e i fanti che egli avea stribuì per le case di certi
-suoi fidati e singolarissimi amici, e alla moglie e alla famiglia
-di casa ordinò tutto ciò che dovessono fare, ed egli con l’arme
-celata ond’era vestito con una fonda cappellina in capo se n’andò nel
-letto, e la moglie fece ire allato appresso di lui. Come fu venuta
-la notte, i cittadini con la volontà degli anziani e con la famiglia
-loro se n’andarono a casa Giovanni dell’Agnello, e come ordinato era
-per lui, di presente fu aperta la porta, ed essi di subito presono
-viaggio alla camera d’esso Giovanni, e l’udirono russare e sembrare
-veramente dormire, come uomo che gran bisogno n’avesse. La donna,
-come ammaestrata era, con tutto il petto nudo si levò in sul letto a
-sedere, dicendo a’ cittadini che bisogno avea di posare, ma se voleano
-lo svegliasse che lo farebbe; i cittadini preso vergogna della veduta
-della donna, e fede della libera dimostrazione della camera e della
-casa, togliendo il parlare della donna, per semplice, si partirono
-della camera e della casa, e si tornarono agli anziani, e riferirono
-loro tutto ciò che aveano trovato, onde posto giù il sospetto, ciascuno
-si tornò a casa sua, e posta giù l’arme diede suo pensiere a dormire.
-Giovanni dell’Agnello, che con Giovanni dell’Aguto avea temperato la
-cetera, temendo che la dilazione del tempo nel quale il fatto si potea
-palesare non li fosse nociva, pieno di sollecitudine, quella notte
-medesima la quale avea assicurati e gli anziani e’ cittadini, con
-Giovanni dell’Aguto e con gli amici e’ fanti che avea ragunati se ne
-venne in piazza, e senza niuno romore ebbe l’entrata del palagio degli
-anziani con quella brigata che a lui era abbastanza, l’altra lasciò a
-guardia della piazza, ed entrato nel luogo dove sedeano gli anziani si
-mise a sedere nel seggio del proposto, e ad uno ad uno fece destare gli
-anziani, e venire dinanzi da sè, e per dire a che fine, così dicesse
-in forma come disse egli, che è semplice detto, se non fosse congiunto
-alla forza di Giovanni dell’Aguto, che la Vergine Maria gli avea
-revelato, che per bene e riposo della città di Pisa dovesse prendere
-sotto titolo e nome di doge la signoria e ’l governo della città di
-Pisa per un anno, e così avea preso, e avea de’ trentamila fiorini
-contenta la gente dell’arme che seco erano in palagio e in piazza, e
-così si fè confermare agli anziani, e sotto lo splendore delle spade li
-fece in sua mano giurare; e senza intervallo di tempo e per parte degli
-anziani mandò per quelli cittadini pensò li potessono essere avversi,
-e come ciascuno giugnea li significava come e perchè avea presa la
-signoria, e accomandati cortesemente in forma non si sarebbono potuti
-partire all’uno promettea il vicariato di Lucca, all’altro di Piombino,
-e così agli altri secondo i gradi loro, o per amore o per paura tutti
-l’indusse a giurare nelle sue mani, e in questo servigio consumò tutta
-la notte. Alla dimane con gli anziani, con costoro e con la gente
-dell’arme titolatosi doge, cavalcò per la terra, e a grido di popolo
-fu fatto signore, nè vi fu chi ricevesse un buffetto, prese il palagio
-in possessione, e tutta la gente dell’arme fè giurare nelle sue mani. E
-per mostrare che mansuetamente veniva al governo, e preso avea il nome
-e quello che il nome importava non come tiranno, quel medesimo giorno
-elesse sedici famiglie di popolari di comune stato, e gli si fece a
-consorti, e prese con tutti arme novella d’un leopardo d’oro rampante
-nel campo rosso, con dare a intendere che d’anno in anno uno di loro,
-qual più boce avesse, fosse fatto doge: e in fine, seguitando il
-consiglio del conte Guido da Montefeltro a papa Bonifazio, le promesse
-fur larghe e lunghe, ma lo attendere stretto e corto, che di cosa che
-promettesse niente osservò, ma pigliando la signoria a giornate come
-tiranno, lasciato il titolo del doge, si facea chiamare signore. E se
-mai fu signoria fastidiosa piena di burbanza quella fu dessa, e negli
-ornamenti e nel cavalcare con verga d’oro in mano; e quando tornato era
-al palagio si mettea alle finestre a mostrarsi al popolo come fanno le
-reliquie, con drappo a oro pendente tenendo le gomita sopra guanciali
-di drappo ad oro, e patìa e volea che come al papa o all’imperadore
-le cose che gli s’avessono a esporre innanzi gli si esponessono
-ginocchione, e altre simili cose molto più vane.
-
-
-CAP. CII.
-
-_Come si fece pace tra’ Fiorentini e’ Pisani._
-
-Parendo a messer Piero di messer Albizzo ambasciadore de’ Pisani,
-in cui giacea il tutto della pace per la parte loro, che lo stato
-di Pisa intorno alle condizioni di sua libertà vacillasse, forte
-sollecitava la conclusione della pace, e per Carlo degli Strozzi, uno
-dell’uficio de’ signori priori di Firenze, a cui per lo volgo ignorante
-del segreto posto era carico di volere che la pace si facesse al
-tempo dell’uficio suo, e per i suoi compagni, sentendosi il segreto
-del trattato che Giovanni dell’Agnello tenea con messer Bernabò
-Visconti, il quale in effetto era che i Pisani fossono accomandati del
-tiranno, e ch’egli avesse di loro terre, e ch’egli li difendesse, e
-prendesse la guerra contro a’ Fiorentini, ed era già tanto innanzi,
-che avendo messer Bernabò addomandato Lucca e Pietrasanta, i Pisani
-già gli aveano consentito Pietrasanta, e per loro disperazione si
-temea non passassono più oltre; per la libertà di Toscana in segreto
-consiglio fu preso, che si venisse alla pace per lo migliore modo
-e più onorevole che si potesse, e scritto fu agli ambasciadori del
-comune ch’erano a Pescia, che il più tosto che potessono onestamente
-ne venissono al fine. Onde seguì, che a dì 28 del mese d’agosto, non
-sapendo l’una parte dell’altra che ciascuna voglia n’avesse, si fermò
-la pace con pubblichi e solenni stromenti, la quale in Firenze si
-pubblicò e bandì il primo dì di settembre, nell’ora ch’entrarono i
-nuovi priori, la quale dall’ignorante popolo de’ segreti del comune mal
-conosciuta forte fu biasimata, pensando che Carlo per troppa baldanza
-e della famiglia e dello stato fosse stato l’autore. Onde il popolo
-vittorioso, a cui parea essere al di sopra della guerra, incominciò in
-piazza non solamente a mormorare, ma con altere parole e atti forte a
-sparlare contro a Carlo. Onde i priori e i vecchi e i novi temettono
-di commozione, e che Carlo nel tornare a casa o alla casa in su quel
-furore non ricevesse villania, e pertanto dai loro mazzieri e da’
-fanti lo feciono accompagnare, e tanto stare loro famiglia con lui
-che l’ira fosse passata. La pace fu onorevole, e da’ savi e buoni
-cittadini assai commendata, e nelle parlanze per la città sostenuta
-per le sue condizioni e circostanze laudabili, che furono di questa
-maniera: la prima, perchè fatta fu essendo messer Galeotto capitano de’
-Fiorentini con loro gente sopra il terreno de’ nemici: la seconda, che
-tanto si dichinarono i nemici che la vennono a conchiudere nelle terre
-del comune di Firenze: la terza, perchè Pietrabuona, la quale era del
-contado di Pisa, origine in grido e cagione della guerra, in premio
-di vittoria per patto rimase al comune di Firenze, confessando per
-questo essere ricreduti e vinti: la quarta, perchè Castel del Bosco,
-e certe altre loro tenute e fortezze per patto si vennono a disfare:
-la quinta, perchè confermarono tutte le franchigie che il comune di
-Firenze o suoi mercatanti mai avessono avuto in Pisa: la sesta, perchè
-per dieci anni si feciono tributari del comune di Firenze, dando ogni
-anno nella vigilia di san Giovanni Battista pubblicamente diecimila
-fiorini d’oro. Gli stromenti della pace in sustanza contennono prima la
-remissione delle offese, e promettere di non offendere per l’avvenire,
-come è di costume in somiglianti atti e contratti; appresso confermate
-e di nuovo per patto concesse furono tutte le franchigie che avesse
-per l’addietro avute il comune di Firenze o suoi mercatanti in Pisa o
-nelle terre loro. Obbligossi il comune di Pisa per ammenda di danni
-a dare ai comune di Firenze centomila fiorini d’oro in dieci anni
-seguenti, diecimila ogni anno in Firenze nella vigilia della natività
-di san Giovanni Battista: e più a dare al comune Pietrabuona, che era
-stata cagione della guerra, e tutte altre terre del comune di Firenze,
-o a esso comune accomandate, che ’l comune di Pisa o nella guerra o
-innanzi la guerra per eccitarla, o direttamente o per indiretto avesse
-prese, ed e converso facesse così il comune di Firenze, e così si fè.
-Spianare Castel del Bosco, e certe altre tenute de’ Pisani, che per i
-patti si disfeciono. La detta pace fu confermata in nome di papa Urbano
-quinto, colle solennità della Chiesa e colle pene ecclesiastiche,
-per messer Piero Cini arcivescovo di Ravenna, e per frate Marco di
-Viterbo generale de’ frati minori, il quale poco appresso fu fatto
-cardinale. Il popolo di Firenze a giornate conoscendo il frutto e il
-bene della pace riconobbe suo errore, e rimase per contento, e il
-comune dolcemente si levò da dosso la spesa di messer Anichino di
-Bongardo e degl’Inghilesi. Messer Anichino co’ suoi Tedeschi e con
-molti mascalzoni che non sapeano nè poteano vivere se non di rapina,
-nel mese di novembre in forma di compagnia cavalcò in terra di Roma,
-e presono prima Sabina e poi Sutri, e quivi vernarono. La compagnia
-degl’Inghilesi arso e predato in parte il contado di Siena se n’andò
-all’Aquila, e quindi passò in Puglia a vernare. E per non avere più a
-capitolare giugnerò a questa gente famosa la morte di messer Malatesta
-il vecchio, il quale lungo tempo fece gran segno in Italia di savio
-guerriere, di uomo e d’alto consiglio e pratico in tutte cose, il quale
-passò di questa vita del mese d’agosto 1364. E gli Aretini presono e
-disfeciono la Serra.
-
-
- FINE DELLA CRONICA DI MATTEO
- E FILIPPO VILLANI.
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-
-TAVOLA DEI CAPITOLI
-
-
- LIBRO DECIMO
-
- _Qui comincia il decimo libro della Cronica di Matteo
- Villani; e prima il Prologo_ Pag. 5
- _CAP. II. Dell’alto e rilevato stato della casa de’
- Visconti di Milano_ 7
- _CAP. III. Del pauroso e vile partimento dell’oste di
- messer Bernabò da Bologna_ 8
- _CAP. IV. Come i Bolognesi assalirono e presono tre bastite_ 9
- _CAP. V. Certo trattato fatto a corte tra il papa e gli
- ambasciadori del re d’Ungheria_ 10
- _CAP. VI. Dell’avvenimento del legato a Bologna_ 10
- _CAP. VII. Cominciamento della nuova compagnia d’Anichino
- di Bongardo Tedesco_ 11
- _CAP. VIII. La rivoltura d’Ascoli della Marca_ 12
- _CAP. IX. Come a petizione del legato fu preso messer
- Ridolfo da Camerino_ 13
- _CAP. X. Del maestrevole processo del legato co’ suoi
- Ungari in questo tempo_ 14
- _CAP. XI. Come s’ebbe per i Bolognesi la bastita di
- Casalecchio sopra il Reno_ 15
- _CAP. XII. La venuta a Giadra del re d’Ungheria e della
- moglie_ 16
- _CAP. XIII. La presa di Gello fatta per quelli di
- Bibbiena, e la compera ne fece poi il comune_ 17
- _CAP. XIV. Come il comune di Firenze mandò ambasciadori
- al legato e a messer Bernabò per trattare accordo_ 18
- _CAP. XV. Come il legato mandò gli Ungari sopra la
- città di Parma_ 19
- _CAP. XVI. Della presura del conte da Riano_ 20
- _CAP. XVII. Come la compagnia d’Anichino sostenne fame
- all’entrata del Regno_ 21
- _CAP. XVIII. Come messer Cane Signore rimandò la moglie
- che fu di messer Cane Grande al marchese di Brandisborgo_ 21
- _CAP. XIX. Come la compagnia d’Anichino di Bongardo
- prese Castello san Martino_ 22
- _CAP. XX. Come il re d’Araona diè per moglie la figliuola
- a don Federigo di Cicilia_ 23
- _CAP. XXI. Come messer Bernabò si provvedde per avere
- gente nuova per guerreggiare Bologna_ 24
- _CAP. XXII. Come messer Niccola Acciaiuoli gran siniscalco
- del Regno venne in Firenze, e della novità che per sua
- venuta ne seguio_ 25
- _CAP. XXIII. Come per sospetto nato nella città di Firenze
- di messer Niccola indegnamente egli ne ricevette
- vergogna_ 26
- _CAP. XXIV. Come si scoperse congiura di certi cittadini
- di Firenze e trattato per sovvertere lo stato che reggea_ 28
- _CAP. XXV. Come si scoperse il trattato che era in Firenze,
- e certi ne furono puniti_ 32
- _CAP. XXVI. Come si comperò Montecolloreto, e la
- giurisdizione di Montegemmoli dell’Alpe per lo comune
- di Firenze_ 37
- _CAP. XXVII. Come una compagnia creata novellamente prese
- Santo Spirito_ 38
- _CAP. XXVIII. Come tornati gli Ungari e messer Galeotto
- da Parma si misono a Lugo_ 41
- _CAP. XXIX. D’alquanti trattati tenuti in diverse parti
- che tutti si scopersono_ 42
- _CAP. XXX. Come il grande siniscalco fu ricevuto nel Regno,
- e quello ne seguì_ 43
- _CAP. XXXI. D’un segno nuovo ch’apparse in cielo sopra la
- città di Firenze_ 44
- _CAP. XXXII. Dimostramento di smisurato amore di padre a
- figliuolo_ 45
- _CAP. XXXIII. Contrario esempio d’incredibile crudeltà
- di madre_ 46
- _CAP. XXXIV. Delle compagnie ch’entrarono in Provenza per
- conturbare i paesani e la corte di Roma_ 49
- _CAP. XXXV. Come per comperare gli onori del comune
- alquanti che li venderono ne furono condannati_ 51
- _CAP. XXXVI. Come i fatti di Francia verso il primo tempo
- procedeano_ 52
- _CAP. XXXVII. Come fu guasta la bastita che il cardinale
- di Spagna facea fare in sul canale della Pegola_ 53
- _CAP. XXXVIII. Della grande pestilenza che percosse
- i saracini_ 54
- _CAP. XXXIX. Come fu morto il soldano di Babilonia, e
- rifattone un altro, il quale uccise molti de’ suoi
- baroni_ 54
- _CAP. XL. Come un signore de’ Turchi trattò di fare
- uccidere l’imperadore di Costantinopoli_ 55
- _CAP. XLI. Come il legato si partì di Bologna per andare
- al re d’Ungheria_ 56
- _CAP. XLII. Della ribellione fatta per messer Giovanni
- di messer Riccardo Manfredi al legato_ 57
- _CAP. XLIII. Come il marchese di Monferrato trasse delle
- compagnie da Avignone per conducere in Piemonte_ 59
- _CAP. XLIV. Della morte del duca di Lancastro cugino del
- re d’Inghilterra_ 60
- _CAP. XLV. Come riuscì l’impresa del re d’Ungheria dove
- la speranza del legato di Spagna si riposava_ 61
- _CAP. XLVI. Della pestilenza dell’anguinaia ricominciata
- in diversi paesi del mondo, e di sua operazione_ 62
- _CAP. XLVII. Come per la fama delle compagnie che
- scendevano in Piemonte i signori di Milano si provvidono
- alla difesa_ 64
- _CAP. XLVIII. Come messer Bernabò venne sopra Bologna, e
- assediò e prese Pimaccio_ 65
- _CAP. XLIX. Come il legato procurava aiuto contro
- messer Bernabò_ 66
- _CAP. L. Come la compagnia d’Anichino di Bongardo ch’era
- nel Regno si rassottigliò e venne al niente_ 67
- _CAP. LI. Come i Sanesi ebbono Santafiore_ 67
- _CAP. LII. Come i Fiorentini comperarono il castello di
- Cerbaia_ 68
- _CAP. LIII. Come il capitano già di Forlì e messer
- Giovanni Manfredi si puosono tra Imola e Faenza_ 69
- _CAP. LIV. D’un gran fuoco che s’apprese nella città
- di Bruggia_ 70
- _CAP. LV. Delle compagnie d’oltramonti_ 70
- _CAP. LVI. Come Francesco Ordelaffi si levò da Forlì, e
- andonne a oste a Rimini_ 71
- _CAP. LVII. Come i Fiorentini manteneano Bologna per la
- strada dell’Alpe_ 72
- _CAP. LVIII. Come l’oste di messer Bernabò volle rompere
- la strada da Firenze, e ricevette danno_ 73
- _CAP. LIX. Come fu sconfitto l’oste di messer Bernabò al
- Ponte a san Ruffello_ 74
- _CAP. LX. Come seguì appresso alla sconfitta di
- san Ruffello_ 80
- _CAP. LXI. Come messer Bernabò si credette prendere
- Correggio per trattato, e sua gente vi rimase presa_ 81
- _CAP. LXII. Dell’armata del re di Cipro, e il conquisto
- di Setalia e del Candeloro_ 82
- _CAP. LXIII. Come i Turchi di Sinopoli assalirono Coffa, e
- furono vinti da’ Genovesi_ 83
- _CAP. LXIV. Come le compagnie condotte in Piemonte
- cominciarono a guerreggiare_ 84
- _CAP. LXV. Di grandi terremuoti che furono in Puglia, e
- assai guastarono della città d’Ascoli_ 86
- _CAP. LXVI. Delle rivolture del paese di Fiandra in
- questa state_ 86
- _CAP. LXVII. Come fu decapitato messer Bocchino de’
- Belfredotti signore di Volterra, e come la città venne
- alla guardia de’ Fiorentini_ 87
- _CAP. LXVIII. Come il patriarca d’Aquilea fu a tradimento
- preso dal doge d’Osteric_ 92
- _CAP. LXIX. Di fuoco che senza rimedio arse in Roma san
- Giovanni Laterano_ 93
- _CAP. LXX. Del maritaggio del duca di Guales primogenito
- del re d’Inghilterra_ 94
- _CAP. LXXI. Come papa Innocenzio riformò santa Chiesa de’
- cardinali morti per la morìa_ 94
- _CAP. LXXII. Come il re Buscialim della Bellamarina fu
- morto, e delle rivolture di Granata_ 95
- _CAP. LXXIII. Come la compagnia spagnuola ch’era nel
- vescovado d’Arli prese Vascona, e poi ne furono cacciati_ 96
- _CAP. LXXIV. Come si scoperse che messer Bernabò era vivo,
- e ’l trattato tenea del castello di Bologna_ 97
- _CAP. LXXV. Come si scoperse in Perugia una gran congiura
- di notabili cittadini per mutare stato e reggimento_ 98
- _CAP. LXXVI. Come in questi giorni in Pisa ebbe gelosia di
- loro stato, e della difensione che saviamente ne presono_ 102
- _CAP. LXXVII. Come i Sanesi sotto la rotta fede ebbono
- la signoria di Montalcino_ 102
- _CAP. LXXVIII. Come i Turchi presono la città di Dometico
- ch’era dell’imperadore di Costantinopoli_ 104
- _CAP. LXXIX. Come il re di Castella mosse guerra a’ Mori
- di Granata, e al loro re Vermiglio_ 105
- _CAP. LXXX. Come gli usciti Perugini presono per furto
- Civitella de’ Benazzoni, e poi l’abbandonarono_ 106
- _CAP. LXXXI. Come i Bolognesi cominciarono a cavalcare
- sopra gli Ubaldini_ 106
- _CAP. LXXXII. Del trattato delle compagnie che doveano
- entrare in Avignone_ 107
- _CAP. LXXXIII. Come i Pisani perderono Pietrabuona e vi
- puosono l’assedio dove stando vollono torre Sommacolonna
- per incitare i Fiorentini a guerra_ 108
- _CAP. LXXXIV. Come fu sorpreso il conte di Savoia dalla
- compagnia bianca co’ suoi baroni, e ricomperaronsi con
- gran quantità di moneta_ 111
- _CAP. LXXXV. La cavalcata che Piero Gambacorti fè sopra
- i Pisani_ 111
- _CAP. LXXXVI. Come il re Luigi prese le terre di messer
- Luigi di Durazzo e lui mise in prigione, e trasse del
- Regno la compagnia_ 113
- _CAP. LXXXVII. Come le compagnie si partirono di Provenza_ 114
- _CAP. LXXXVIII. Come fu sconfitta la gente del re di
- Castella dal re di Granata_ 114
- _CAP. LXXXIX. Come per vendicare sua onta il re di Spagna
- andò sopra il re di Granata_ 115
- _CAP. XC. Come messer Bernabò si credette avere Reggio
- per trattato_ 116
- _CAP. XCI. Come i Pisani feciono cosa da incitare
- i Fiorentini_ 118
- _CAP. XCII. Dell’operazioni delle compagnie in questi
- tempi_ 118
- _CAP. XCIII. D’una cometa ch’apparve di marzo nel segno
- del Pesce_ 119
- _CAP. XCIV. Come la Compagnia bianca prese Castelnuovo
- Tortonese_ 120
- _CAP. XCV. Come la compagnia del Pitetto Meschino sconfisse
- l’oste del re di Francia a Brignai_ 121
- _CAP. XCVI. Come fu fermo lega dalla Chiesa e i signori
- di Lombardia contro a messer Bernabò_ 124
- _CAP. XCVII. Come fu morto il re Vermiglio di Granata_ 126
- _CAP. XCVIII. Come il re Maometto di Granata si fece uomo
- del re di Castella_ 127
- _CAP. XCIX. Principio di guerra dai collegati a messer
- Bernabò_ 128
- _CAP. C. Come e quando morì Luigi re di Cicilia e di
- Gerusalemme_ 130
- _CAP. CI. Come i Fiorentini vollono difendere Pietrabuona,
- e non poterono_ 132
- _CAP. CII. Come quelli della valle di Caprese furono
- traditi dagli Aretini_ 136
- _CAP. CIII. Della mortalità dell’anguinaia_ 137
-
- LIBRO UNDECIMO
-
- _CAP. I. Il Prologo_ 139
- _CAP. II. Degli apparecchi fatti da’ Fiorentini per la
- guerra contro a’ Pisani_ 142
- _CAP. III. Come seguendo gli antichi Romani gentili i
- Fiorentini nel dare dell’insegne al capitano presono
- punto per astrologia_ 144
- _CAP. IV. Della prospera fortuna de’ collegati lombardi_ 146
- _CAP. V. Della morte di Leggieri d’Andreotto di Perugia_ 148
- _CAP. VI. Come i Fiorentini cavalcarono in Valdera e
- presono Ghiazzano_ 149
- _CAP. VII. Come i Fiorentini soldarono galee contra
- i Pisani_ 150
- _CAP. VIII. Come i Perugini presono la Rocca Cinghiata
- e quella del Caprese_ 151
- _CAP. IX. Come novecento cavalieri di quelli di messer
- Bernabò furono sconfitti da seicento di quelli di messer
- Cane Signore_ 151
- _CAP. X. Disordine nato tra’ Genovesi per la guerra de’
- Fiorentini e’ Pisani_ 152
- _CAP. XI. Come il re di Castella con quello di Navarra
- ruppono pace a quello d’Aragona, e lo cavalcaro_ 155
- _CAP. XII. Come per sospetto in Siena a due dell’ordine
- de’ nove fu tagliata la testa_ 156
- _CAP. XIII. Cavalcate fatte per messer Bonifazio Lupo
- in su quello di Pisa_ 157
- _CAP. XIV. Del processo della guerra da’ collegati a
- messer Bernabò_ 159
- _CAP. XV. Come messer Ridolfo prese il bastone da messer
- Bonifazio_ 160
- _CAP. XVI. Della crudeltà che i Pisani usarono contra i
- Lucchesi per gelosia_ 160
- _CAP. XVII. Delle cavalcate fatte per messer Ridolfo sopra
- i Pisani, e del gran danno che ricevettono_ 162
- _CAP. XVIII. Come messer Ridolfo assediò Peccioli, e prese
- stadichi se non fosse soccorso_ 164
- _CAP. XIX. Come non essendo il castellano contento del
- patto messer Ridolfo fè gittare una delle torri di
- Peccioli in terra_ 168
- _CAP. XX. Come il capitano de’ Fiorentini prese
- Montecchio, Laiatico e Toiano_ 171
- _CAP. XXI. Dell’aiuto che i Perugini in questi dì
- mandarono a’ Fiorentini_ 172
- _CAP. XXII. Come il conte Aldobrandino degli Orsini si
- partì onorato da Firenze_ 173
- _CAP. XXIII. Come e perché si creò la compagnia del
- Cappelletto_ 173
- _CAP. XXIV. Comincia la guerra che i Fiorentini feciono
- in mare a’ Pisani_ 176
- _CAP. XXV. Come e perchè i Romani si dierono al papa_ 177
- _CAP. XXVI. Come Dio chiamò a sè papa Innocenzio, e fu
- fatto papa Urbano quinto_ 178
- _CAP. XXVII. Come al re Pietro di Castella morì un
- figliuolo che avea_ 179
- _CAP. XXVIII. Come Perino Grimaldi prese l’isoletta e
- castello del Giglio_ 180
- _CAP. XXIX. Come messer Piero Gambacorti per trattato si
- credette tornare in Pisa_ 182
- _CAP. XXX. Come Perino Grimaldi soldato del comune di
- Firenze prese Porto pisano, e le catene del detto porto
- mandò a Firenze_ 184
- _CAP. XXXI. Come messer Bernabò mandò a papa Urbano a
- proseguire la pace_ 186
- _CAP. XXXII. Domande fatte per lo re di Francia al papa_ 187
- _CAP. XXXIII. Di grande acquazzone che in Italia fè danno_ 188
- _CAP. XXXIV. Come il re di Cipro andò ad Avignone con
- tre galee_ 189
- _CAP. XXXV. Come morì Giovacchino degli Ubaldini e lasciò
- reda il comune di Firenze_ 189
- _CAP. XXXVI. Come il conte di Focì sconfisse e prese
- quello d’Armignacca_ 190
- _CAP. XXXVII. Come i Pisani vollono torre il campanile
- d’Altopascio_ 191
- _CAP. XXXVIII. Come in Firenze s’ordinò tavola per lo
- comune per servire i soldati_ 192
- _CAP. XXXIX. Come i Pisani vollono torre santa Maria
- a Monte_ 193
- _CAP. XL. Come i Pisani vollono torre Pescia per trattato_ 193
- _CAP. XLI. Come papa Urbano pubblicò in Avignone i
- processi fatti contro a messer Bernabò_ 194
- _CAP. XLII. Come morì messer Simone Boccanera primo doge
- di Genova_ 196
- _CAP. XLIII. Come fu morto il conte di Lando_ 197
- _CAP. XLIV. Come Bernabò Visconti fu dalla gente della
- lega sconfitto alla bastita di Modena, e come la perdè_ 197
- _CAP. XLV. Come i Pisani vollono torre Barga_ 199
- _CAP. XLVI. Come messer Piero da Farnese credette torre
- Lucca a’ Pisani_ 201
- _CAP. XLVII. Come i Pisani presono per forza il castello
- di Gello sul Volterrano_ 202
- _CAP. XLVIII. Come i Pisani condussono la Compagnia bianca
- degl’Inghilesi_ 203
- _CAP. XLIX. Come Rinieri da Baschi ruppe gente che messer
- Piero da Farnese avea mandati in Garfagnana_ 205
- _CAP. L. Come Rinieri da Baschi colla gente de’ Pisani
- fu sconfitto e preso da messer Piero da Farnese_ 206
- _CAP. LI. Come messer Piero da Farnese entrò in Firenze, e
- il capitano de’ Pisani colle insegne e’ prigioni
- rassegnarono a’ priori_ 208
- _CAP. LII. Come i Pisani tolsono a’ Fiorentini Altopascio_ 209
- _CAP. LIII. Come i Pisani elessono per loro capitano
- Ghisello degli Ubaldini_ 210
- _CAP. LIV. Come messer Piero cavalcò sino sulle porte
- di Pisa battendovi moneta d’oro e d’argento_ 210
- _CAP. LV. Sagacità usata per i Pisani per non perdere
- Montecalvoli_ 213
- _CAP. LVI. Come il re di Francia per paura della
- compagnia non osò per terra tornare nel reame, ma
- tornò per acqua_ 214
- _CAP. LVII. Della mortalità dell’anguinaia_ 215
- _CAP. LVIII. Come i Barghigiani colla forza de’
- Fiorentini presono i battifolli_ 215
- _CAP. LIX. Come morì messer Piero da Farnese_ 216
- _CAP. LX. Dell’ammirabile passaggio de’ grilli_ 217
- _Proemio della Cronica di Filippo Villani_ 219
- _CAP. LXI. Come i Fiorentini feciono Ranuccio da Farnese
- loro capitano di guerra_ 220
- _CAP. LXII. Come gl’Inghilesi giunsono in Pisa_ 220
- _CAP. LXIII. Come i Pisani cavalcarono i Fiorentini in
- sulle porte_ 221
- _CAP. LXIV. Come si fermò pace dalla Chiesa a messer
- Bernabò_ 223
- _CAP. LXV. Dello stato della città di Firenze in que’
- giorni_ 224
- _CAP. LXVI. Come i Perugini, per tema che la compagnia
- degl’Inghilesi non soccorressono i loro rubelli
- assediati in Montecontigiano, condussono la Compagnia
- del cappelletto_ 226
- _CAP. LXVII. Come messer Pandolfo Malatesti venne con
- cento uomini di cavallo e con cento fanti a servire
- il comune di Firenze per due mesi_ 228
- _CAP. LXVIII. Come i Pisani co’ loro Inghilesi presono
- Figghine_ 230
- _CAP. LXIX. Come messer Pandolfo puose il campo all’Ancisa,
- e come il detto campo fu preso dagl’Inghilesi con messer
- Rinuccio capitano, e appresso il borgo all’Ancisa, e
- come messer Pandolfo fu fatto capitano di guerra_ 231
- _CAP. LXX. Come certa parte degl’Inghilesi da Figghine
- cavalcarono a Ricorboli_ 235
- _CAP. LXXI. Come i Sanesi sconfissono la Compagnia del
- cappelletto, la quale era condotta al soldo de’
- Fiorentini_ 238
- _CAP. LXXII. Di cavalcate e combattimenti di terre
- feciono gl’Inghilesi mentre stettono a Figghine_ 239
- _CAP. LXXIII. Esempio e ammaestramento de’ popoli che
- vivono a libertà i quali si conducono nella fortuna
- della guerra di non torre capitano uso a tirannia_ 241
- _CAP. LXXIV. I modi teneano gl’Inghilesi tornati in Pisa_ 245
- _CAP. LXXV. Come i Pisani furono sconfiti a Barga_ 245
- _CAP. LXXVI. Come il re Giovanni di Francia passò in
- Inghilterra e là morì_ 247
- _CAP. LXXVII. Come messer Niccolò del Pecora fu cacciato
- di Montepulciano_ 249
- _CAP. LXXVIII. Della morte del giovane marchese di
- Brandisborgo, conte di Tirolo, e quello ch’appresso
- ne seguì_ 249
- _CAP. LXXIX. Come i Pisani ricondussono gl’Inghilesi_ 256
- _CAP. LXXX. D’una saetta che cadde sul campanile di santa
- Maria Novella_ 257
- _CAP. LXXXI. Cavalcate fatte per gl’Inghilesi nel pieno
- verno_ 258
- _CAP. LXXXII. Come Anichino di Bongardo con tremila
- barbute venne al servigio de’ Pisani, e come sagacemente
- cercarono avvantaggiosa pace_ 262
- _CAP. LXXXIII. Come messer Beltramo Craiche tolse Nantes
- per lo re di Francia a quello di Navarra_ 265
- _CAP. LXXXIV. Come rotto il trattato della pace i Pisani
- cavalcarono i Fiorentini_ 265
- _CAP. LXXXV. Come messer Pandolfo passò nel Mugello colla
- gente da cavallo per tenere stretti gl’Inghilesi_ 268
- _CAP. LXXXVI. Come gl’Inghilesi si partirono del Mugello
- e tornarsi nel piano di Pistoia_ 270
- _CAP. LXXXVII. Come messer Pandolfo Malatesti si partì dal
- servigio del comune di Firenze_ 271
- _CAP. LXXXVIII. Come gl’Inghilesi e’ Tedeschi co’
- guastatori de’ Pisani s’accamparono a Sesto, e
- Colonnata, e santo Stefano in pane_ 272
- _CAP. LXXXIX. Come gl’Inghilesi e’ Tedeschi coi guastatori
- pisani presono il colle di Montughi e di Fiesole, e
- combatterono i Fiorentini alla porta a san Gallo, e
- fessi Anichino di Bongardo cavaliere_ 274
- _CAP. XC. Come il conte Arrigo di Monforte capitano de’
- Fiorentini prese e arse Livorno_ 278
- _CAP. XCI. Come il corpo del re Giovanni di Francia fu
- trasportato di Londra a Parigi, e come onorato_ 282
- _CAP. XCII. Come messer Beltramo di Cloachin sconfisse il
- luogotenente del re di Navarra in Normandia_ 283
- _CAP. XCIII. Come Carlo primogenito del re di Francia fu
- consegrato a Rems a re di Francia_ 283
- _CAP. XCIV. Come si combatterono messer Carlo di Bos
- duca di Brettagna, e messer Gianni di Monforte_ 283
- _CAP. XCV. Come i Fiorentini con la forza del danaio
- ruppono la compagnia de’ Tedeschi e Inghilesi, e
- levaronla da provvisione de’ Pisani_ 284
- _CAP. XCVI. Come i Fiorentini presono in capitano di
- guerra messer Galeotto Malatesti_ 285
- _CAP. XCVII. Battaglia tra’ Fiorentini e’ Pisani fatta
- nel borgo di Cascina, nella quale i Fiorentini furono
- vincitori_ 286
- _CAP. XCVIII. Come furono assegnati i prigioni al comune
- da’ soldati, ed entrarono in Firenze in sulle carra._ 293
- _CAP. XCIX. Come la parte guelfa di Firenze prese a far
- festa di san Vittore, e perchè_ 294
- _CAP. C. Come la gente dell’arme del comune di Firenze
- prese tira di non cavalcare, e quello ne seguì_ 295
- _CAP. CI. Come Giovanni dell’Agnello si fece signore di
- Pisa sotto titolo di doge_ 297
- _CAP. CII. Come si fece pace tra’ Fiorentini e’ Pisani_ 301
-
-
-
-
- ERRORI CORREZIONI
-
- TOMO V.
-
- — 19 — 1 tratto trattò
- — 34 — 14 Sumiera ringhiera
-
-
-
-
-
-Nota del Trascrittore
-
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
-senza annotazione minimi errori tipografici. Le correzioni indicate in
-fine libro sono state riportate nel testo.
-
-*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK CRONICA DI MATTEO VILLANI, VOL.
-V ***
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-<div lang='en' xml:lang='en'>
-<p style='text-align:center; font-size:1.2em; font-weight:bold'>The Project Gutenberg eBook of <span lang='it' xml:lang='it'>Cronica di Matteo Villani, vol. V</span>, by Matteo Villani</p>
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and
-most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions
-whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms
-of the Project Gutenberg License included with this eBook or online
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-</div>
-</div>
-
-<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Title: <span lang='it' xml:lang='it'>Cronica di Matteo Villani, vol. V</span></p>
-<p style='display:block; margin-left:2em; text-indent:0; margin-top:0; margin-bottom:1em;'><span lang='it' xml:lang='it'>A miglior lezione ridotta coll&#039;aiuto de&#039; testi a penna</span></p>
-<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Author: Matteo Villani</p>
-<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Editor: Ignazio Moutier</p>
-<p style='display:block; text-indent:0; margin:1em 0'>Release Date: January 29, 2023 [eBook #69902]</p>
-<p style='display:block; text-indent:0; margin:1em 0'>Language: Italian</p>
- <p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em; text-align:left'>Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images made available by the Bayerische Staatsbibliothek)</p>
-<div style='margin-top:2em; margin-bottom:4em'>*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK <span lang='it' xml:lang='it'>CRONICA DI MATTEO VILLANI, VOL. V</span> ***</div>
-
-<div class="booktitle">
-<h1>
-CRONICA<br>
-DI<br>
-MATTEO VILLANI<br><br>
-TOMO V.
-</h1>
-</div>
-
-<hr class="silver">
-
-<div class="titlepage">
-<p class="main-t">
-CRONICA
-</p>
-
-<p class="pad2 small">DI</p>
-
-<p class="pad1 x-large">
-MATTEO<br>
-<span class="g">VILLANI</span>
-</p>
-
-<p class="pad2">
-A MIGLIOR LEZIONE RIDOTTA<br>
-coll’aiuto<br>
-DE’ TESTI A PENNA
-</p>
-
-<p class="pad1 large">
-TOMO V.
-</p>
-
-<p class="pad4">
-FIRENZE<br>
-PER IL MAGHERI<br>
-1826
-</p>
-</div>
-
-<div class="somm">
-<hr>
-<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p>
-<hr>
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span>
-</p>
-
-<h2 id="libro10">LIBRO DECIMO</h2>
-
-<h3 id="capI-10">CAPITOLO PRIMO.
-<span class="smaller"><i>Il Prologo.</i></span></h3>
-</div>
-
-<p>
-La superbia, la quale prima nel cielo mostrò la
-sua malizia, se nelle menti terrene si trova non
-è da maravigliare, considerato che l’umana natura
-indebilita per lo peccato del primo uomo
-è ne’ vizii inchinevole e pronta. Questo peccato
-quanto sia grave, e quanto sia in ira di Dio, per
-lo suo fine l’ha sovente mostrato; porne alcuno
-esempio in nostri ricordi forse non fia da biasimare,
-se non da coloro che per morbidezza
-d’animo sono amatori delle brevi leggende, o da
-coloro che per tema di spesa veggendo la moltitudine
-de’ fogli non osano fare scrivere. Serse re d’Asia,
-avendo avuto più tempo nelle guerre prospera
-e felice fortuna, insuperbito, lo mare coperse di
-navi, e intra Sesto e Abido, due isolette di mare,
-per pomposa memoria di suo innumerabile esercito
-sopra le navi fè ponte, e a riceverlo tutta la
-Grecia non parea sofficiente, nè a ricevere nè a
-pascere la sua brigata; e infine da poca gente
-vituperato e sconfitto, e in uno piccolo legno tornò
-<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span>
-in suo paese morta tutta sua gente. Sennacherib
-maravigliosamente esaltato per beneficio della
-ridente fortuna, con l’animo altero montò sopra
-le stelle spregiando gli Dii, e massimamente
-quello degli Ebrei, come se fossono minori e meno
-possenti di lui; costui veggendo l’esercito suo
-tagliato, vilmente fuggì, e nel tempio degl’Idoli
-suoi da’ suoi proprii figliuoli vilmente fu tolto di
-vita. Dario re potentissimo, più volte sconfitto
-dalla poca gente d’Alessandro re di Macedonia,
-infine da’ suoi propri congiurenti vilmente fu
-morto. Ciro re di Persia e di Media, eccellentissimo
-di potenza....
-</p>
-
-<p>
-<i>Il codice Ricci è mancante in questo luogo
-di una pagina, che dovrebbe contenere il
-rimanente del Proemio, il capitolo secondo,
-e il principio del terzo, e con mio sommo
-rincrescimento non son riescito a riempire
-questa laguna col soccorso di un altro codice,
-poichè non m’è stato possibile trovarne
-copia. La Biblioteca Riccardiana possiede tre
-codici di Matteo Villani, e uno la Laurenziana,
-ma non oltrepassano il nono libro. Per
-supplire in qualche modo a questa laguna mi
-son servito d’un’Epitome fatta da Domenico
-Boninsegni delle storie fiorentine di Giovanni,
-Matteo e Filippo Villani, che si conserva nella
-Biblioteca Laurenziana, e che un giorno faceva
-parte della Biblioteca Mediceo-Palatina, segnato
-di num. 160.</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capII-10">CAP. II.
-<span class="smaller"><i>Dell’atto e rilevato stato della casa
-de’ Visconti di Milano.</i></span></h3>
-
-<p>
-«Più era infocato che mai messer Bernabò
-nell’impresa di Bologna, e impuose e trasse
-da’ cherici del suo tenitorio in tre mesi più di
-trecento migliaia di fiorini d’oro, e da’ secolari
-per nuova imposta circa trecentosessanta
-migliaia di fiorini d’oro; e venne in tanta superbia,
-forse per lo parentado fatto in Francia,
-che nessuno accordo si potè trovare tra lui e ’l
-legato, nè per il gran siniscalco nè altri, usando
-di dire, che non temeva potenza di signore
-terreno che gli potesse trarre Bologna di mano,
-e molto sparlando contra il legato. Ma per lo
-contrario il legato ricorse all’aiuto di Dio, e
-per comandamento del papa a ogni prete d’Italia
-fece fare in ogni messa dietro al <i>Pater noster</i>
-speziale orazione de’ fatti di Bologna, e
-mandò al re d’Ungheria per gente, ed ebbe
-da lui duemila Ungari bene capitanati, e poi
-tremila di loro volontà, e subito furono in
-Lombardia e in Romagna al servigio del legato.»
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capIII-10">CAP. III.
-<span class="smaller"><i>Del pauroso e vile partimento dell’oste di
-messer Bernabò da Bologna.</i></span></h3>
-
-<p>
-«Per la venuta di questi Ungari, e per l’operazione
-d’Anichino di Bongardo, entrò paura
-alle genti di messer Bernabò per modo che
-non ubbidivano al capitano, e tutto dì si fuggivano;
-per la qual cosa al capitano» montata
-la paura, vedendo partire l’un l’altro, e non
-sapendo il perchè, chè per la forza e autorità che
-’l capitano avesse non gli potea ritenere; onde
-vedendosi il capitano a questo pericolo richiese
-Anichino che lo accompagnasse infino valicato
-Bologna verso Modena, e avuta la compagnia, volendo
-da sè fare buona condotta, fu costretto da’ vili
-d’andarsene di notte sconciamente abbandonato
-il campo con assai fornimento e arnesi, e campati
-per lo beneficio della notte valicarono Castelfranco,
-ove s’arrestarono per non parere rotti,
-e ivi la mattina fermarono il campo; e stativi
-pochi dì, il primo d’ottobre valicarono a Modena,
-e tornarsi con gli orecchi bassi al loro signore,
-il quale quasi arrabbiato più dì stette rodendo
-in sè medesimo il suo orgoglioso furore,
-acciocchè riposatamente ai forestieri dimostrasse,
-ch’alla festa si ragunavano, per magnanimità
-questa cosa avere per niente, ed essere intervenuto
-per lo peggiore del legato, come di sua bocca
-a molti pronunziò.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capIV-10">CAP. IV.
-<span class="smaller"><i>Come i Bolognesi assalirono e presono
-tre bastite.</i></span></h3>
-
-<p>
-Sentito in Bologna la vile partita dell’oste di
-messer Bernabò, tutto che ancora del tutto non
-fosse del Bolognese partito, il popolo prese cuore,
-e per lo essere tenuto affamato, furioso, giusta
-la sentenza di Lucano che dice, che il popolo
-digiuno non sa che sia il temere, straboccatamente
-e senza aspettare condotta o regola uscì
-di Bologna, e con grand’ardire assalì la bastita
-che guardava verso Romagna, e quella aspramente
-combattendo e con grida ch’andavano al
-cielo ebbono per forza, e tagliati e fediti molti di
-quelli ch’erano alla difesa la rubarono e arsono,
-e con quell’empito e gloria corsono ad altre due,
-e per simile modo l’ebbono, rubarono e arsono.
-Quando giunsono a quella di Casalecchio in sul
-Reno trovarono il becco più duro a mugnere, perocchè
-era ben guernita di gente da piè e da cavallo,
-e dato di cozzo in essa con loro dammaggio
-si ritornarono a Bologna, nullo assedio lasciato
-alla bastita: onde que’ d’entro scorreano fino
-alle porti di Bologna facendo danni, nondimanco
-aperti i cammini di Romagna cominciarono
-a venire della roba a Bologna; e dagli Ungheri i
-quali alloggiati erano fuori della città tenuti
-erano a freno quelli della bastita da Casalecchio,
-e in Romagna s’apparecchiava grande carreggio
-e salmeria di vittuaglia per conducere in Bologna
-alla venuta del legato.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capV-10">CAP. V.
-<span class="smaller"><i>Certo trattato fatto a corte tra il papa
-e gli ambasciadori del re d’Ungheria.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo mese di settembre furono in Firenze
-tornati di corte di Roma gli ambasciadori del
-re d’Ungheria, e andaronne al re, avendo impromesso
-al papa, in quanto il bisogno occorresse,
-che la persona del re d’Ungheria verrebbe incontro
-al signore di Milano con patto, che ciò che
-egli acquistasse delle terre de’ detti signori, fossero
-sue ed egli avea fatto dire al papa che con
-meno di diecimila cavalieri non potrebbe venire,
-ed era in accordo d’avere ogni mese fiorini quarantamila
-d’oro, de’ quali dovea avere dalla lega
-de’ Lombardi sotto il titolo di Genovesi fiorini
-sedicimila, e fiorini quattordicimila dovea pagare
-il legato traendoli della Marca e del Ducato,
-del Patrimonio e di Romagna, e diecimila ne dovea
-mettere la camera del papa. La cosa fu divolgata
-per tutto, ma i signori di Milano poco se ne
-curavano, s’altra fortuna non avesse barattata
-loro intenzione.
-</p>
-
-<h3 id="capVI-10">CAP. VI.
-<span class="smaller"><i>Dell’avvenimento del legato a Bologna.</i></span></h3>
-
-<p>
-Partita l’oste di messer Bernabò dall’assedio
-di Bologna, il legato fatto conducere di Romagna
-in Bologna molta vittuaglia, e fatta la condotta
-<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span>
-degli Ungheri, col grande siniscalco del Regno, e
-con messer Malatesta e altri valenti uomini della
-Romagna e della Marca, all’entrata d’ottobre
-del detto anno entrò in Bologna, dove da’ Bolognesi
-fu ricevuto a gran festa e onore, e prestamente
-intese a ordinare e riformare e la guardia
-e il reggimento della città, e i fatti della guerra
-contro a’ nemici suoi, non come prelato, ma
-come esperto e ammaestrato capitano di guerra
-cominciò a trattare, come conseguendo l’opere
-sue ne dimostreranno.
-</p>
-
-<h3 id="capVII-10">CAP. VII.
-<span class="smaller"><i>Cominciamento della nuova compagnia
-d’Anichino di Bongardo Tedesco.</i></span></h3>
-
-<p>
-Levatasi la gente di messer Bernabò del distretto
-di Bologna, Anichino di Bongardo Tedesco,
-non senza infamia d’avere maculata sua fede,
-all’entrata d’ottobre s’accolse a Salaruolo presso
-di Faenza a tre miglia con ottocento barbute e
-trecento Ungheri, ricettato dal legato, e datoli
-vittuaglia; e sì avea il legato circa a milledugento
-barbute e quattromila Ungheri da poterlo prendere
-o cacciarlo di suo paese, per la qual cosa
-assai fu manifesto che il legato per nuovo servigio
-gli fosse obbligato: e avvegnachè assai fosse segreto,
-egli stette tanto a Salaruolo, che pagati gli
-furono quattordicimila fiorini, ovvero genovini
-d’oro; il perchè egli tantosto crebbe sua compagnia
-e di Tedeschi e masnadieri, e di volontà del
-legato a mezzo ottobre cavalcò il contado de’ conti
-<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span>
-d’Urbino; appresso entrò nella Ravignana, e
-di là valicò ad Ascoli del Tronto in servigio della
-Chiesa per certa rivoltura fatta in quella città
-contro al legato, e stettono alquanti dì nel paese,
-e poi di novembre valicarono il Tronto, e
-arrestaronsi nel paese verso Lanciano, ove soffersono
-lungamente gran disagio, come al suo tempo
-diremo. Stando in questa compagnia nel numero
-di duemila cinquecento tra Ungheri e Tedeschi,
-e molti fanti a piè nella Ravignana, e
-dando boce di valicare da Firenze, i Fiorentini
-ne tennono consiglio, e infine deliberaro di provvedersi
-alle difese, e imposono per legge personale
-a chi consigliasse, trattasse o parlasse occulto o
-palese del prender accordo alcuno con la detta
-compagnia: e ciò fu assai utile cagione e materia
-a tutti i Toscani, perocchè le compagnie vanno
-cercando chi fugga e fannone preda, e fuggono
-le resistenze, perocchè dove e’ le trovano non
-possono durare, nè trarne furtivo guadagno.
-</p>
-
-<h3 id="capVIII-10">CAP. VIII.
-<span class="smaller"><i>La rivoltura d’Ascoli della Marca</i></span></h3>
-
-<p>
-Ascoli della Marca era all’ubbidienza del legato,
-e Leggieri d’Andreotto di Perugia v’era
-alla guardia per la Chiesa, e di fuori n’erano
-ribelli l’arcidiacono e messer Filippo.... con
-altri molti di loro animo e volere; costoro del
-mese di settembre detto anno accolta gente in
-loro aiuto rientrarono nella città, e trovando il
-seguito d’assai cittadini corsono alle case de’ loro
-<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span>
-nemici, e uccisonne ventidue; gli altri che poterono
-campare s’uscirono della terra, e Leggieri
-d’Andreotto fu preso, e tanto ritenuto, che quivi
-fece dare la fortezza che v’era per la Chiesa,
-dicendo che teneano la città all’ubbidienza di
-santa Chiesa, ma che voleano potere stare sicuri
-in casa loro. La novella forte dispiacque al legato,
-e pensossi con la compagnia d’Anichino farla
-tornare al suo volere, ma i tornati in Ascoli di
-quella poca cura pigliavano; il legato come savio
-e astuto s’infinse di non se n’avvedere, perchè
-mostrando cruccio non si mettessono a più grave
-ribellione.
-</p>
-
-<h3 id="capIX-10">CAP. IX.
-<span class="smaller"><i>Come a petizione del legato fu preso
-messer Ridolfo da Camerino.</i></span></h3>
-
-<p>
-All’uscita d’ottobre detto anno, messer Ridolfo
-da Camerino essendo stato principio col suo
-consiglio e con le savie e sollecite operazioni di
-sua persona di vincere e riducere i Malatesti
-all’ubbidienza del legato, ed appresso continovato
-intorno a’ fatti di santa Chiesa operazioni
-leali e degne di merito, tanto seppe operare
-messer Malatesta, ch’era divenuto il più segreto
-consiglio ch’avesse il legato, che ritornandosi
-messer Ridolfo da Bologna a Camerino, e capitato
-nella città di Fermo, invitato da messer
-Giovanni da Oleggio marchese della Marca, e fattali
-allegra accoglienza, come ebbe mangiato,
-prendendo da lui messer Ridolfo congio, fugli
-detto ch’era prigione, dicendoli messer Giovanni,
-<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span>
-che ciò gli convenia fare contra suo grado per
-mandato del legato, e mostrò le lettere che
-mandate gli avea. Il valoroso cavaliere messer
-Ridolfo niente per tale presura sbigottito, il fece
-di presente sapere a’ suoi, dicendo, ciò essere senza
-niuna sua colpa, e confortando che di lui nessuna
-minima cura prendessono, e che nè per minacce
-nè per tormenti, nè per morte che a lui
-data fosse, nè di loro terre nè di loro giurisdizione
-dovessono dare per ricomperare la vita sua,
-e ciò, come cara avessono la grazia sua. I fratelli
-teneri di tanto uomo, e ubbidienti a lui, con i
-sudditi loro feciono consiglio, i quali loro offersono
-quarantamila fiorini i quali di presente impuosono
-tra loro, e fornirsi di gente d’arme, e
-intesono a buona guardia, e al legato mandarono
-ambasciadori per sapere che ciò volea dire.
-Di tale presura il legato forte fu biasimato da
-tutta maniera di gente, e quale che si fosse il suo
-movimento, altro non se ne manifestò che detto
-sia, ma valicato il mese di sua presura il legato
-il fè diliberare: messer Ridolfo senza tornare al
-legato sdegnoso e pieno d’ira e di mal talento
-si tornò a Camerino.
-</p>
-
-<h3 id="capX-10">CAP. X.
-<span class="smaller"><i>Del maestrevole processo del legato co’ suoi
-Ungari in questo tempo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Era, come addietro è detto, capitano degli Ungari
-il maestro Simone conte, e il legato avea
-condotto con tremila Ungari, e gli altri Ungari
-<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span>
-con alcuna provvisione nutricava: il maestro
-Simone in segreto con gli Ungari ch’erano di fuori
-s’intendea e con quelli ch’erano seco, e come
-era con loro fuori di Bologna gli mantenea
-quasi in discordia col legato rubando i Bolognesi
-come nemici, e facea alla sua gente usare parole,
-nelle quali lodavano messer Bernabò, e dicevano
-sè essere al servigio suo, biasimando il
-legato: per tale astuzia si divolgò per tuttochè
-gli Ungari erano rivolti dal servigio della Chiesa.
-E continovando la cosa in questa contumacia,
-e messer Bernabò veggendosi avere fatte disordinate
-spese nella guerra, e vedendosi al cominciamento
-del verno, cominciò a cassare de’ suoi
-cavalieri, i quali nel suo paese s’accoglieano col
-grido di fare compagnia; e maestro Simone con
-i suoi Ungari scorreano in preda in guisa di
-compagnia, senza gravare i paesani come nemici:
-e nondimeno il legato mantenea l’oste alla
-bastita di Casalecchio, e mostrava di volere rivocare
-gli Ungheri a sè per la fede avea avuta
-dal re d’Ungheria, e mostrava di mandare lettere
-perchè il re rinfrenasse gli Ungheri, che
-non trasandassono contro a santa Chiesa.
-</p>
-
-<h3 id="capXI-10">CAP. XI.
-<span class="smaller"><i>Come s’ebbe per i Bolognesi la bastita di
-Casalecchio sopra il Reno.
-</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo la bastita fatta per l’oste di messer
-Bernabò sopra il Reno luogo detto Casalecchio
-lungamente tenuta in grande confusione de’ Bolognesi,
-<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span>
-avendo per quella tolta l’acqua delle
-mulina di Bologna, ed essendo presso alla terra
-luogo forte e ben fornito, facea continua e tediosa
-guerra infino alle porti. Partita l’oste del
-Biscione, non potendola i Bolognesi avere per
-battaglia, l’assediarono, e sopravvenendo i difetti
-dentro, e non essendo soccorsi da messer Bernabò,
-furono costretti d’arrendersi, e fatto il patto
-salvo le persone, a dì 11 di novembre detto anno
-s’arrendè, e gli Ungari pronti e con più forza
-la presono, e mostrarono di volerla tenere per
-loro contro la volontà del legato; e mostrandosi
-la riotta grande tra il legato e gli Ungari per
-la bastita, il legato fece venire lettere dal re
-a maestro Simone comandandoli che rendesse
-la bastita al legato, e che non si partisse dal suo
-volere. E fatto questo comandamento la bastita
-fu renduta a’ Bolognesi, e maestro Simone di nuovo
-condotto con mille Ungari, e gli altri furono
-licenziati; e partitisi di là per fare compagnia,
-arrestandosi tra Bologna e Imola, avendo la
-vittuaglia dal legato: e fatta questa dissensione,
-messer Bernabò prese fidanza, e cassò più di sua
-gente, sicchè al bisogno non potè riparare agli Ungari,
-come seguendo nostro trattato diviseremo.
-</p>
-
-<h3 id="capXII-10">CAP. XII.
-<span class="smaller"><i>
-La venuta a Giadra del re d’Ungheria e
-della moglie.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questi tempi lo re d’Ungheria non potendo
-avere figliuoli della reina sua moglie, alla quale
-<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span>
-portava grande amore, avvegnachè figliuola fosse
-d’un suo suddito barone, a lui e a tutto il regno
-ne parea male, che trascorresse il tempo senza
-speranza d’avere successore e di lui erede nel
-regno. E la moglie medesima per l’amore che
-portava al re n’era in afflizione, e ben disposta
-di fare ciò che piacesse di sè e ch’ella potesse
-perchè al suo signore non mancasse rede, sentendosi
-in istato da non potere portare figliuoli, e
-per questa cagione si disse palese che il re e la
-reina erano venuti a Giadra, e là dimorarono
-parecchi mesi facendo edificare un grande e nobile
-munistero a onore di santo..... nel quale
-si dicea che dovea con la dispensazione di santa
-Chiesa entrare la reina in abito e stato monachile,
-e lo re dovea potere torre altra donna. Se ciò fu
-vero, l’amore della donna lo vinse, e solo la fama
-della volontà rimase.
-</p>
-
-<h3 id="capXIII-10">CAP. XIII.
-<span class="smaller"><i>La presa di Gello fatta per quelli di Bibbiena,
-e la compera ne fece poi il comune.</i></span></h3>
-
-<p>
-Gello è un bello castelletto presso a Bibbiena
-a due miglia, e possiede buoni terreni. Messer
-Luzzi figliuolo bastardo di messer Piero Tarlati
-l’avea lungo tempo occupato all’abate di Magalona,
-e rispondevali certa cosa per anno. I fedeli
-occupati vedendo loro tempo per uscire di
-servaggio, diedono il castello a coloro ch’erano in
-Bibbiena per i Fiorentini all’entrata del mese
-di novembre, e accomandaronsi al comune. Messer
-<span class="pagenum" id="Page_18">[18]</span>
-Luzzi in questo dì era accomandato de’ Sanesi,
-i quali mandarono ambasciadori a Firenze, e
-tanto operarono, che ’l comune a dì 15 di gennaio
-detto anno per riformagione di consigli diedono
-a messer Luzzi per compera del castello di
-Gello fiorini milledugento, ed egli fece consentire
-all’abate; e le carte fece ser Piero di ser Grifo
-notaio delle riformagioni del comune di Firenze.
-</p>
-
-<h3 id="capXIV-10">CAP. XIV.
-<span class="smaller"><i>Come il comune di Firenze mandò ambasciadori
-al legato e a messer Bernabò per
-trattare accordo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo l’impresa di Bologna barattata nelle
-mani di messer Bernabò per altro modo che
-non istimava, e ripiena d’Ungheri la Lombardia,
-il comune di Firenze avvisando che tempo fosse
-atto a trovare via d’accordo, mandò di novembre
-di detto anno a smuovere il legato a lasciare
-trovare modo alla concordia, lo quale trovarono
-in vista e nelle parole bene disposto, e però andarono
-a Milano a messer Bernabò, e cercato più
-volte di poterli parlare, non poterono da lui in
-Milano avere udienza, perocchè la notte innanzi
-mattutino messer Bernabò era a cavallo e andava
-alla caccia, e la sera tornava tardi, e non dava udienza,
-perchè convenne che la notte il seguitassono
-sponendo loro ambasciata, e cavalcando forte
-il signore senza arrestarsi, e non di meno parea
-desse speranza al trovare de’ modi; e così seguì più
-dì senza avere udienza altro che cavalcando, sopravenne
-<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span>
-quello, che il legato trattò co’ suoi Ungheri,
-come appresso diviseremo; per la qual
-cosa sdegnato messer Bernabò non volle più udire
-da quella volta innanzi gli ambasciadori di
-Firenze, e senza onore si ritornarono al loro comune.
-</p>
-
-<h3 id="capXV-10">CAP. XV.
-<span class="smaller"><i>Come il legato mandò gli Ungari sopra la
-città di Parma.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il valente legato conoscendo l’animo di messer
-Bernabò niuna fede prendea di lui, e avendo
-lungamente dimostrato discordia con gli Ungheri
-come narrato avemo, e sentendo inverso Reggio
-mille barbute casse da messer Bernabò, con l’aiuto
-di messer Feltrino da Gonzaga per certa
-provvisione le condusse, e improvviso a tutti in
-una notte fece pagare per certo tempo gli Ungari
-ch’avea cassi e quelli ch’avea condotti, e
-mostrando d’andarsene gli Ungari di verso Ferrara,
-avendo avuta la licenza del passo, si rivolsono,
-e valicarono Modena e Reggio, e furono
-prima in sul Parmigiano, ch’alcuna novella
-n’avessono avuta i paesani, e per questo improvviso
-corso feciono di bestiame grosso e minuto
-preda senza misura. E appresso agli Ungari vi
-mandò il legato messer Galeotto con mille barbute,
-e a lui feciono capo l’altre mille condotte
-a Reggio per modo di compagnia, valicarono la
-Fossata, e poi il fiume della Parma, e stettono
-in larga preda più di venticinque dì, perocchè
-<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span>
-per comandamenti di messer Bernabò il paese
-non era lasciato sgombrare. La stanza e la ritornata
-fu senza contasto, e a Bologna si ritornarono a
-dì 11 di dicembre, con fama d’avere avuti danari
-da messer Bernabò; per la qual cosa il capitano
-degli Ungari tornato poi in Ungheria dal
-suo signore fu messo in prigione.
-</p>
-
-<h3 id="capXVI-10">CAP. XVI.
-<span class="smaller"><i>Della presura del conte da Riano.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il re Luigi avendo sentito come Anichino di
-Bongardo con la sua compagnia s’avviava nel Regno,
-o che ’l conte da Riano gli fosse di ciò infamato,
-o ch’egli avesse sospetto di lui, lo fece mettere
-in prigione, con minacce di farli torre la
-persona. Il conte si sentia senza colpa, e non temea,
-confidandosi nella verità, e nel grande parentado
-che avea con i maggiori baroni del Regno,
-i quali riprendeano il re di quella presura,
-per la quale non piccola dissensione era nel reame,
-e per l’aspetto della compagnia, e ancora
-perchè il duca di Durazzo non si fidava del re;
-e il gran siniscalco si stava a Bologna, e mostrava
-non curarsi di ritornare nel Regno, accortosi
-che ’l re avea troppa fede data ai baroni ch’erano
-a lui in contradio. Lo re non era sano, e il
-prenze perduto per le donne e per lo vino dalla
-cintura in su, e per queste cagioni il re sollecitava
-con lettere il gran siniscalco che tornasse a lui,
-ed egli sostenea per soccorrere al tempo del gran
-bisogno, e per fare ricredenti gli avversari suoi,
-come poscia addivenne.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capXVII-10">CAP. XVII.
-<span class="smaller"><i>Come la compagnia d’Anichino sostenne fame
-all’entrata del Regno.</i></span></h3>
-
-<p>
-Anichino di Bongardo con la sua compagnia
-essendo valicato nel Regno, tentato l’andare all’Aquila,
-e trovato i passi forniti alla difesa, fu
-costretto arrestarsi del mese di novembre, essendo
-i passi stretti e male agiati di vittuaglia,
-verso Lanciano, per la qual cosa soffersono gran
-fame e assalto a’ passi da’ paesani, onde in quel
-luogo perderono circa a ottocento tra cavalieri
-ungari e masnadieri; e non potendo in quel paese
-acquistare se non fame, presono la via di verso
-la Puglia, e all’entrata di dicembre furono in
-Giulianese: le terre trovarono afforzate e sgombro
-il paese, sicchè poco di preda vi poterono
-avanzare, nondimeno gli Ungari e i soldati cassi
-nel paese di là seguivano la compagnia sentendosi
-entrare nel Regno, e accrescevanle forza.
-</p>
-
-<h3 id="capXVIII-10">CAP. XVIII.
-<span class="smaller"><i>Come messer Cane Signore rimandò la moglie
-che fu di messer Cane Grande al marchese
-di Brandisborgo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Morto messer Gran Cane dal fratello, e tornato
-messer Cane Signore in Verona, presa la signoria
-dopo il lamento fatto della morte del marito,
-la donna che fu di messer Gran Cane sirocchia
-<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span>
-del marchese di Brandisborgo con disonesta fama
-di messer Cane Signore lungamente contro suo
-volere fu ritenuta in Verona. E in quei giorni
-addivenne, ch’a un parlamento fatto dai principi
-d’Alamagna con l’imperadore, il marchese
-di Brandisborgo si dolse dell’oltraggio fatto alla
-sirocchia per messer Cane Signore; onde dall’imperadore
-e dagli altri principi d’Alamagna fu
-confortato ch’attendesse a vendicare sua ingiuria,
-promessogli fu in ciò loro aiuto. Come ciò
-pervenne agli orecchi di messer Cane Signore cagione
-gli fu di rendere la donna, la quale rimandò
-del mese di novembre detto anno con
-quello onore e con quella compagnia ch’a lui
-piacque infino fuori de’ suoi confini, e quivi trovato
-di sua gente che gli si faceano incontro la
-lasciarono, udendo minacce grandi contro al signore
-loro. Il detto duca fece partire di suo paese
-tutti i sudditi del signore di Verona, e a tutti
-vietare le fiumane e’ passi come a suoi nimici.
-</p>
-
-<h3 id="capXIX-10">CAP. XIX.
-<span class="smaller"><i>Come la compagnia d’Anichino di Bongardo
-prese Castello san Martino.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo di Giulianese entrata la compagnia
-nel distretto del duca di Durazzo, avendo difetto
-di pane, e mostrandolo maggiore, quelli di
-Castello san Martino essendo molto forniti di vittuaglia,
-per ingordigia del prezzo i villani di quello
-cominciarono a vendere il pane un gigliato. La
-gente d’arme maliziosa e cauta, veggendo i villani
-<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span>
-allargarsi all’esca del danaio, mandavano
-a uno e a due nel castello insieme con le mani
-piene di gigliati a comperare del pane, ed eglino
-si stanziavano di fuori senza fare alcuna guerra al
-paese; onde avvenne, che dimesticata la gente
-matta e avara, per potere vendere più del pane
-lasciarono entrare nel castello degli uomini della
-compagnia, i quali dato segno a quelli di fuori
-furono di subito alla porta, e con quelli d’entro
-cominciarono la mischia, e cacciarono le guardie
-dalla porta, e misono dentro la compagnia, facendo
-per ciò sussidio grande al loro stremo bisogno,
-ch’erano nel dicembre, e per loro non trovavano
-pane nè strame per i cavalli, e nel castello
-abbondantemente ne trovarono, e pertanto
-gran parte del verno vi dimorarono sovente cavalcando
-il paese, e riducendosi all’ostellagione
-senza costo loro con le prede faceano nel paese.
-</p>
-
-<h3 id="capXX-10">CAP. XX.
-<span class="smaller"><i>Come il re d’Araona diè per moglie la figliuola
-a don Federigo di Cicilia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Del mese di novembre detto anno, lo re d’Araona
-diliberò di dare per moglie a don Federigo
-figliuolo di don Piero di Cicilia la figliuola, e a
-dì 27 di dicembre seguente giunse nell’isola di
-Cicilia con quattordici galee ben armate, e fatto
-porto a Cattania, dove il giovane re facea suo
-dimoro, ricevuta la donna con quella festa che
-far le potè secondo il suo povero stato la disposò;
-e pensandosi che le galee de’ Catalani facessono
-<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span>
-guerra a Messina e all’altre terre del re
-Luigi, senza arresto alcuno fornita la festa delle
-nozze se ne ritornarono in Catalogna.
-</p>
-
-<h3 id="capXXI-10">CAP. XXI.
-<span class="smaller"><i>Come messer Bernabò si provvedde per avere
-gente, nuova per guerreggiare Bologna.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Bernabò mostrò di non curarsi dell’avvenimento
-degli Ungheri e de’ Tedeschi che alquanto
-del verno stettono sopra le terre sue, anzi
-scrisse al legato parole di scherno, volendo mostrare,
-che quello che fatto avea tornerebbe tosto
-in sua confusione. E a certi suoi confidenti
-mostrò un grandissimo tesoro accolto di nuovo
-senza toccare quello della camera sua, il quale
-passava il numero di secento migliaia di fiorini,
-i quali affermava sè avere diputati per vincere la
-gara di Bologna. E per ciò cominciare e con danari
-e con doni mandò il conte di Lando in Alamagna
-a sommuovere baroni e cavalieri a sua provvisione
-per averli al primo tempo; il quale trovando
-che per l’imperadore e per lo doge d’Osteric,
-e per lo marchese di Brandisborgo, e per gli altri
-principi d’Alamagna fatto era comandamento,
-che niuno arme prendesse contro a santa Chiesa,
-del mese d’aprile seguente tornò con dieci bandiere
-di ribaldi, i quali per non avere che perdere
-non curarono i comandamenti de’ loro signori,
-golando il soldo di messer Bernabò. Ora nel
-processo nostro per lo verno dando sosta all’altre
-fortune ci si apparecchia a narrare cosa spiacevole
-<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span>
-alla nostra città di Firenze, e all’altre
-città a lei vicine.
-</p>
-
-<h3 id="capXXII-10">CAP. XXII.
-<span class="smaller"><i>Come messer Niccola Acciaiuoli gran siniscalco
-del Regno venne in Firenze, e della novità
-che per sua venuta ne seguio.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Niccola Acciaiuoli fatto per lo legato
-conte di Romagna e del suo segreto consiglio,
-sollicitato dal re Luigi co’ comandamenti, e da’ Fiorentini
-e dagli altri comuni di Toscana procacciava
-aiuto contro alla compagnia d’Anichino;
-onde egli fatto vececonte in Romagna, e provveduto
-d’uficiali alle terre commesse al suo governo
-per santa Chiesa, a dì 9 di dicembre venne a
-Firenze, dove da’ parenti e dagli amici, e dagli
-altri cittadini discreti e da bene a grande onore
-fu ricevuto. Lo suo dimoro e portamento nella
-città era onesto e di bella maniera, mettendo
-ogni dì tavola cortesemente, e senza alcuna burbanza, chiamando
-i cittadini, e i grandi, e i popolari
-alla mensa, onorandoli successivamente:
-e così stando in Firenze, con ogni onesta sollecitudine
-che potea procacciava di fornire il comandamento
-del suo signore, e richiedeva sovente
-con riverenza i suoi signori priori e collegi d’aiuto,
-e simile in spezialità gli altri cittadini che
-in ciò gli prestassono favore. E in questo stante
-novità occorsono nella nostra città, che tutta la
-terra puosono in confusione, come nel seguente
-capitolo diremo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capXXIII-10">CAP. XXIII.
-<span class="smaller"><i>Come per sospetto nato nella città di Firenze
-di messer Niccola indegnamente egli
-ne ricevette vergogna.</i></span></h3>
-
-<p>
-Anichino di Bongardo, com’è di sopra scritto,
-e con sua compagnia era passato nel regno di
-Puglia, con animo d’offendere il re Luigi a suo
-podere, il quale sollecitamente si dava a’ ripari,
-il perchè il gran siniscalco n’era venuto a Firenze
-per avere aiuto, e promessa avea avuta
-d’avere trecento cavalieri; or come piacque alla
-fortuna occorse, ch’al nuovo priorato, che trar si
-dovea per legge di comune, far si dovea lo squittino
-nuovo de’ priori e collegi, e fallare non potea
-che stando messer Niccola a Firenze o vicino
-non fosse priore, perocchè nelle borse vecchie
-niuno v’era rimaso se non egli, e delle nuove
-trarre non si potea se non si votasse le vecchie,
-ed egli a ogni nuovo priorato era tratto, e rimesso
-per assenza: il caso che parea appensato,
-e l’uomo per la grandezza sua nella città per
-tema di tirannia verisimilmente sospetto, con
-assai colorata credenza facendo i governatori
-della città fortemente sospettare, e mormorio
-n’era tra loro, il quale per lo procaccio si stendea
-nel volgo, e se ne parlava e in piazza e a’ ridotti,
-ma per quello che veramente sentimmo
-l’animo del nobile cavaliere della detta intenzione
-era tutto rimoto, e per tanto per quetare il
-mormorio sollecitava d’avere la gente dell’arme
-<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span>
-che il comune gli avea promessa, e proposto
-s’era al tutto nell’animo che se necessario
-caso l’avesse ritenuto di renunziare l’uficio.
-Occorse in quei giorni, che licenziandosi i nostri
-ambasciadori dal legato di Spagna, il quale come
-di sopra è scritto presa avea la signoria di
-Bologna, ed egli avendo l’uno di loro conosciuto
-per uomo grave e intendente e d’autorità, e a
-cui molta fede era data nel suo comune, avanti
-che a loro desse il congio, quel tale segretamente
-chiamò nella camera sua, e datali la credenza,
-prima gli rivelò come certamente sentia che
-in Firenze era trattato e congiura per sovvertere
-lo stato loro. Il discreto e accorto ambasciadore
-gli rispuose, che tale credenza tenendola a lui
-era pericoloso, e simile al suo comune, e che per
-tanto a lui piacesse che a’ suoi signori il potesse
-manifestare, non domandando come savio più
-oltre, per non avere materia d’abominare i suoi
-cittadini, senza i quali non pensava ragionevolmente
-potere essere trattato. Lo cardinale non
-glie n’aperse più, ma gli concedette licenza che
-di quello che detto gli avea ne facesse fede a’ signori
-suoi come gli avea domandato. Per la rivelazione
-di costui generale e oscura il sospetto preso
-di messer Niccola crebbe a maraviglia, e in
-tanto, che senza niuno intervallo di tempo provvisione
-si fè, la quale in effetto contenne, che
-niuno ch’avesse giurisdizione di sangue, o sotto
-sè città o castella non potesse essere all’uficio del
-priorato: ma per non fare più vergogna al valente
-cavaliere trovandosi egli alla tratta de’ nuovi
-priori, affrettarono di dare la gente promessa
-<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span>
-perchè avesse onesta cagione di partirsi, il quale
-avendo ricevuto la gente, al modo del buono Scipione
-Affricano per liberare dal sospetto la patria
-e sè da vergogna, con la gente datagli di
-presente prese viaggio, e giunto a Siena, e appresso
-a Perugia, loro in nome del re Luigi richiese
-d’aiuto, e altro che belle parole non ne potè riportare.
-In questo fortunoso ravviluppamento
-assai per li savi non odiosi si comprese della magnanimità
-del gran siniscalco, perocchè nè in
-atto nè in parole in lui veruno turbamento si
-vide o sentì, ma piuttosto tranquillità d’animo,
-quasi come se ciò s’avesse recato a onore che
-in tanta città fosse preso che tanto animo avesse:
-e tutto che per lo trattato che poco appresso si
-scoperse si manifestasse l’innocenza sua e purità
-d’animo, non di meno la legge rimase, e fu
-riputata utile e buona, perchè si dirizzava a
-conservamento di libertà, la quale in questo
-mondo certano è riputata la più cara cosa che sia.
-</p>
-
-<h3 id="capXXIV-10">CAP. XXIV.
-<span class="smaller"><i>Come si scoperse congiura di certi cittadini
-di Firenze, e trattato per sovvertere
-lo stato che reggea.</i></span></h3>
-
-<p>
-Vedendosi manifesto per ogni qualunque intendente,
-che la legge fatta in favore della parte,
-tutto ch’ad altro fine fosse principiata, era
-in sè utile e buona ma male praticata, e che coloro
-che ne doveano secondo il proponimento di
-coloro che l’aveano creata essere disfatti n’erano
-<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span>
-sormontati e aggranditi, e che la città n’era
-in molte parti stracciata e divisa, e di male talento
-piena ne stava in tremore e sospesa, e’ rimedi
-sufficienti al male non si vedeano, e se si
-vedeano erano posti a silenzio, il perchè quasi
-per una boce comune forte si dubitava di cittadinesca
-commozione. Ed era per certo da dubitare,
-come l’esperienza poco appresso ne fè manifesto,
-perocchè tale mala disposizione conosciuta
-da certi cittadini mal sofferenti e d’animo
-grande, e che mal contenti viveano, massimamente
-veggendo alzare troppo i loro avversari,
-e da certi che per ammunizione erano a loro
-parere contra ragione offesi, ed eranne poco pazienti,
-loro diede audacia e materia di cercare
-novità, e gli mosse a congiura, e in una a cercare
-de’ modi e delle vie da levare dello stato coloro
-i quali per loro nemici teneano. Costoro loro capo
-feciono Bartolommeo di messer Alamanno
-de’ Medici, uomo animoso troppo, e che si sarebbe
-messo a ogni gran pericolo per abbattere gli
-avversari suoi; al quale parendo che il tempo
-abile a ciò fare fosse venuto, riscaldato e sollecitato
-da Niccolò di Bartolo del Buono, e da Domenico
-di Donato Bandini, i quali erano stati
-ammuniti e levati dagli ufici e onori del comune
-come sospetti della parte, non perchè fossono,
-ma per operazione di chi gli avea con quel bastone
-voluti fare ricomperare, ristrettosi con loro,
-cominciarono segretamente a cercare de’ modi
-e delle vie da pervenire all’intento loro: e
-così cercando, trovarono che Uberto d’Ubaldino
-di messer Uguccione Infangati, uomo cupido e
-<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span>
-vago di novitadi, e atto assai a dovere e potere
-cercare, e avendo rispetto al male disposto e intrigato
-stato della città, come per quella scritta
-avemo di sopra comprendere si può, per suo proprio
-movimento, e senza averne con alcuno conferito,
-sotto la speranza d’avere il seguito de’ malcontenti,
-de’ quali allora il numero era grandissimo
-ogni ora che gli avesse richiesti, avea
-tenuto trattato con uno Bernarduolo Rozzo Milanese,
-il quale era cameriero di messer Giovanni
-da Oleggio de’ Visconti per allora signore di Bologna,
-e stato era suo tesoriere, uomo sagace,
-astuto e d’animo grande, il quale entrato n’era
-in ragionamento col detto messer Giovanni, mostrandoli
-per assai belle e apparenti ragioni come
-se volea il potea fare signore di Firenze.
-Il tiranno giusta il costume de’ tiranni vi prestò
-l’orecchie, ma infra il tempo per necessario caso
-occorse ch’esso tiranno per lo migliore suo s’accordò
-con la Chiesa, e rendè Bologna a messer
-Egidio d’Albonazio di Spagna cardinale e legato
-di santa Chiesa nelle parti d’Italia, il perchè il
-trattato cominciato per messer Bernarduolo Rozzo
-si rimase. I predetti Bartolommeo, Niccolò,
-e Domenico avendo segretamente odorato che
-per Uberto si cercava rivoltura di stato, e che
-per tanto verificando il titolo e nome della famiglia
-sua s’era Infangato, tutto che il modo
-e le persone con cui trattava non sapessono, conoscendolo
-uomo sufficiente e atto a fornire delle
-intenzioni loro, e di quello che loro andava per
-l’animo, e stimando che per l’errore già commesso
-per lui loro dovesse essere fedele, lo tirarono
-<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span>
-ne’ loro segreti consigli, e intorno a loro impresa
-gli dierono faccenda e pensiero, con dirli cercasse
-consiglio e aiuto pronto col quale loro intenzione
-potessono fornire. Parendo a Uberto
-che i suoi vecchi pensieri fossono di nuovo appoggiati
-e di consiglio e di forza, senza ai suddetti
-niuna coscienza farne col detto Bernarduolo
-Rozzo ricominciò il vecchio trattato, parendoli
-avere migliorato condizione, offerendoli
-al servigio sufficiente seguito a fornire il cominciato
-trattato con lui, e diedeli certe scritture
-di sua testa compilate, dove soscritto apparea
-non piccolo numero di cittadini e grandi e popolani,
-e de’ maggiori e de’ mezzani e de’ minori,
-tutti persone e da nome e da fatti. Il detto
-Bernarduolo, parendoli avere in mano la detta
-cosa per fornita, di tanta audacia e presunzione
-fu, che avendo cercato questa faccenda con messer
-Giovanni da Oleggio, e veggendo che sua intenzione
-gli era faltata per lo dare che fatto avea
-di Bologna a santa Chiesa, fu di tanta audacia e
-presunzione, che sentendo il cardinale di Spagna
-uomo d’alto animo, fattivo e cupido di fama mondana,
-e desideroso oltre a modo di temporali signorie,
-e per tanto quasi senza considerazione, e per
-tanto di grandi imprese lo richiese, mostrandoli,
-che senza niuno dubbio con poca spesa e fatica
-potea essere signore di Firenze. Il legato, tutto
-fosse cupido e animoso, era savio e temperato, e
-conoscea che fallandoli l’impresa potea essere
-il suo disfacimento, e promessa credenza di tutto,
-il trasse fuori di pensiero de’ fatti suoi; poi come
-detto è di sopra a uno degli ambasciadori fiorentini
-<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span>
-il detto cardinale in genere revelò che trattato
-era in Firenze. Nè però ristette Bernarduolo
-di cercare, e seguendo la via cominciata, portò
-il trattato a messer Bernabò, il quale mostrò
-d’averlo caro e accetto, ma come signore di
-grande sentimento e pratico delle baratte del
-mondo, non parendoli che la cosa dovesse avere
-effetto, secondo l’offerte che gli erano fatte dava
-e toglieva parole e tenea in tranquillo, mettendo
-per lunga via la mena, e per simile il detto
-Uberto dicea ai detti Bartolommeo e i compagni
-che cercava cose ch’anderebbono a loro intenzione,
-ma che per ancora non avea tanto
-che loro niente effettualmente ne potesse dire.
-</p>
-
-<h3 id="capXXV-10">CAP. XXV.
-<span class="smaller"><i>Come si scoperse il trattato che era in Firenze,
-e certi ne furono puniti.</i></span></h3>
-
-<p>
-Mentre le dette cose si cercavano per Bernarduolo,
-parendo ai detti tre Bartolommeo, Niccolò
-e Domenico, che ogni piccolo indugio loro fosse
-pericoloso, poichè incominciato aveano, e temendo
-che lunghezza di tempo non impedisse, e
-scoprisse quello che intendeano di fare, sollecitavano
-continovamente, e un’ora non si lasciavano
-fuggire di mano, pensando dì e notte de’ modi come
-loro proponimento potessono fornire, intra i
-quali uno loro ne cadde nell’animo, il quale poi
-si conobbe sufficiente a muovere scandalo grande
-e pericoloso, ma non a terminare secondo il concetto
-dell’animo loro; e per mandarlo ad esecuzione.
-<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span>
-I detti caporali con inventivi modi e argomenti
-sottili e sagaci trassono in loro congiura
-e trattato messer Pino di messer Giovanni
-de’ Rossi, Niccolò di Guido da Sanmontana de’
-Frescobaldi, Pelliccia di Bindo Sassi de’ Gherardini,
-Beltramo di Bartolommeo de’ Pazzi, Pazzino
-di messer Apardo Donati, Andrea di Pacchio
-degli Adimari, Luca Fei, Andrea di Tello
-dell’Ischia (questi ultimi due per molti si tenne
-che senza colpa fossono messi nel ballo) e frate
-Cristofano di Nuccio de’ monaci di Settimo, il
-quale era stato lungo tempo alla guardia della
-camera dell’arme, e quindi per alcuno procaccio
-d’altrui era stato rimosso: di molti altri si
-disse, ma non si trovò esser vero, e se fu, si tacque,
-e ammorzò per lo migliore, e per fuggire
-disordinato fascio, ma agl’intendenti parve, non
-essendo matti i detti nominati di sopra, sì grande
-tentamento dovesse avere maggiore appoggio
-e sequela e nel numero. La motiva loro fu più
-per odio e nimistà speziale che vogliosamente
-portavano a certa famiglia di popolari grandi e
-in comune, e per levarli di stato e cacciarli, che
-per zelo che avessono alla repubblica o ad altri
-loro cittadini. L’ordine per i detti dato a fornire
-loro impresa fu di questa maniera, che l’ultimo dì
-di dicembre frate Cristofano, che per le reliquie
-del vecchio uficio che gli era stato levato ancora
-liberamente usava l’entrata e l’uscita del palagio
-de’ priori, ed era signore delle chiavi, dovea
-segretamente mettere quattro fanti in sulla torre
-del palagio de’ signori, e rinchiuderli in una
-camera che v’è, e non s’usava, e poi di notte
-<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span>
-dovea aprire lo sportello della porta del palagio
-di verso tramontana, che non s’usava, e mettere
-quetamente per quella ottanta fanti, e riporli
-ivi di presso nella camera dove si riducono gli
-uficiali delle castella, ch’allora non vi stava persona,
-e la seguente mattina, quando escono i signori
-vecchi ed entrano i nuovi, rimanendo
-dentro un fante solo che serra la porta, mentre
-che le dicerie e solennità a tali atti usati si fanno,
-i detti ottanta fanti doveano uscire della detta
-camera, e uccidere o prendere il detto portiere,
-e serrare la porta, e salire sul corridoio del palagio,
-e con le pietre percuotere chiunque fosse sulla
-ringhiera, e i fanti della torre doveano sonare
-le campane a stormo, e in quell’ora si doveano
-muovere i detti congiurati col seguito loro, stimando
-che molti cittadini offesi e malcontenti,
-e quelli che stavano indubbio dello stato loro
-traessono a loro, e gli dovessono seguire; con
-volere che per altro ordine si governasse la terra,
-della quale s’immaginavano essere principali
-e maestri, com’erano principali della matta
-impresa, con mostrare di volere che a neuno
-fosse fatto oltraggio o torto. Il pensiere loro
-fu riputato da molti folle, perchè non avendo
-altro braccio, rimaneano in podestà del furore
-del popolo, se non avesse consentito al loro
-movimento. Altri stimavano, che essendo il popolo
-confastidiato come detto avemo, e per natura
-mobile e vago di novità, e che scorrere si lascia
-quando è scommosso là dove non possono i
-savi stimare, che loro pensiero potesse avere effetto:
-ma Dio che è guardia de’ semplici e innocenti,
-<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span>
-e che talora per rispetto loro tempera l’ira
-sua contra i rei, perchè il caso parea come suole
-fare, o per fortuna o per privati odii contra loro
-straboccare, volle si scoprisse il trattato, e fu in
-questo modo. Detto avemo come il legato sotto
-parole generali avea fatto sentire come nella
-città era trattato, ma d’esso non avea dato
-indizio veruno; e stando per questo i governatori
-e i cittadini di Firenze nel tenebroso sospetto,
-Bernarduolo Rozzo, che vedea suo ragionamento
-tornato in fummo, pensò di fare civanza, e trarre
-vantaggio delle fatiche che avea ordinato in male
-operare, e venuto a Santa Gonda, mandò per
-uno suo amico della casa degli Antellesi, e a lui
-disse, che quando il comune di Firenze gli volesse
-dare venticinque migliaia di fiorini, ch’egli manifesterebbe
-il trattato, e chi lo conducea. Ciò sentito
-per i signori, e tenuto segreto consiglio, per
-trarre il popolo di periglio, e di sospezione e
-paura, diliberarono gli fosse dati danari, e alla
-promessa d’essi s’obbligarono i signori, e’ collegi,
-e’ richiesti, e se ne fè scrittura obbligatoria con
-saramento, e il pagamento se ne dovea fare in
-Siena, manifestato ch’avesse in forma bastevole
-la verità del fatto. Anzi che fosse il detto ragionamento
-fornito, o fattone esecuzione, fu noto
-a Bartolommeo che ’l fatto si venia a scoprire,
-non perchè il detto Bernarduolo il sopraddetto
-processo e ordine sapesse, ma che per quello che
-tenuto avea con Uberto Infangati sapea i nomi
-di coloro che sapea che teneano al suo, si manifestò
-e aprì a Salvestro suo fratello, e quello che occultato
-avea, e a lui e a’ suoi consorti palesò. Salvestro
-<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span>
-udito il voglioso e poco savio movimento del
-fratello, per ricoverare l’onore suo e della casa
-sua, che per la detta impresa potea cadere in
-sospicione, e per trarre il fratello di pericolo e
-d’abominio, con certi dello stato discreti e fidati,
-e alla famiglia sua, di presente ne fu a’ signori,
-e da loro prese sicurtà per Bartolommeo, dicendo,
-che da lui avrebbono tanto, che potrebbono trarre
-di sospetto e di paura il comune, il quale quasi
-per lusinghe tirato nel trattato, con infingere di
-non sapere se non la corteccia, dissono a’ signori,
-che se avessono Niccolò e Domenico di Donato
-Bandini che ne saprebbono il tutto, come da’ caporali
-e guide del trattato; di che i signori di subito
-mandarono per loro in forma e in modo, che
-se si fossono voluti cessare non aveano il podere, e
-quelli per loro prima esaminati li dierono al podestà.
-Gli altri congiurati sentito questo si cessarono
-subitamente; e i detti presi confessato il
-loro eccesso furono dicapitati: gli altri nomati, eccetto
-il detto Bartolommeo, furono per lo potestà
-senza vituperevole titolo condannati nella persona.
-Il detto Bernarduolo Rozzo, avendo per la
-detta sua operazione certificato il comune che ’l
-suo palesare il trattato era per vendere la vita di
-molti cittadini, e non per palesare il suddetto
-trattato, del quale niente sapea, fu di tanta presunzione
-e ardire, che sotto la promessa di dare
-al comune scritta di mano propria de’ congiurati,
-alla quale erano sottoscritti molti cittadini di loro
-propria mano, e suggellato di loro proprio suggello,
-domandò ed ebbe fidanza di venire a Firenze,
-e a’ signori la detta scritta diede, la
-<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span>
-quale si trovò essere di mano d’Uberto Infangati,
-fittamente e coloratamente composta, secondo
-che fuori n’uscì la boce, se vera fu, o no. Ragunato
-il consiglio, <i>coram omnibus</i> la scritta fu arsa
-senza altrimenti farne dimostrazione. A Bernarduolo
-Rozzo furono donati cinquecento fiorini
-d’oro, e tratto del nostro contado dato gli fu il
-congio. La legge, ch’era stata in gran parte cagione
-e materia di tanto male, e peggio per l’avvenire
-promettea, per tutto ciò ammendata non fu,
-nè regolata nè aggiustata in niuna sua parte.
-</p>
-
-<h3 id="capXXVI-10">CAP. XXVI.
-<span class="smaller"><i>Come si comperò Montecolloreto, e la giurisdizione
-di Montegemmoli dell’Alpe per lo
-comune di Firenze.</i></span></h3>
-
-<p>
-Ottaviano e Giovacchino figliuoli di Maghinardo
-e Albizzo degli Ubaldini, essendo male in accordo
-co’ figliuoli di Vanni di Susinana, e con gli altri
-Ubaldini teneano Montecolloreto, e possedeano
-l’Alpi con millecinquecento fedeli e’ fitti perpetui,
-e costoro cercavano di volere vendere Montecolloreto
-e l’Alpe, e le ragioni ch’aveano in Montegemmoli,
-e in Cornacchiaia e nell’altre villette
-dell’Alpe al comune di Firenze per loro vantaggio,
-e dispetto de’ loro consorti. Il comune intendea
-alla compera. Gli altri Ubaldini che si teneano
-avere ragione nell’edificio di Montecolloreto
-mandarono a Firenze a contradire la vendita. La
-cosa stette lungamente in dibattito, infine il comune
-comperò la proprietà da coloro che teneano
-<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span>
-Montecolloreto, e tutta l’Alpe, e la giurisdizione
-ch’aveano i figliuoli di Maghinardo, e comperò
-tutti i fitti perpetui ch’aveano nell’Alpe, sicchè
-il paese e gli uomini rimasono liberi del comune
-di Firenze, e i detti Ottaviano, Giovacchino, e
-Albizzo, e tutti i loro congiunti e loro famiglie
-furono fatti per riformagione del comune, a dì 30
-di dicembre del detto anno, cittadini e popolari
-di Firenze, e fatte le carte della detta vendita
-per ser Piero di ser Grifo delle riformagioni, ed
-ebbono contanti fiorini seimila d’oro, com’elli furono
-in concordia e in patto d’avere dal comune
-di Firenze. L’Alpe fu recata a contado, e gli
-uomini liberi da’ fitti perpetui.
-</p>
-
-<h3 id="capXXVII-10">CAP. XXVII.
-<span class="smaller"><i>Come una compagnia creata novellamente
-prese Santo Spirito.</i></span></h3>
-
-<p>
-Finite le guerre, e fatta la pace fra i due re
-d’Inghilterra e di Francia, tornato il re Giovanni
-in Francia, e intendendo dolcemente a rassettare
-il reame, fece gridare per tutto suo reame
-che tutta mala gente si dovesse partire, e sgombrare
-il suo reame sotto gravi pene; e per tale cagione
-diverse compagnie s’adunarono, le quali
-l’una dopo l’altra poi trassono ad Avignone. Sicchè
-dove speranza era che il re liberasse la Chiesa
-seguitò il contrario, e più si credette per tutti
-che i paesi si posassono, e s’intendesse a’ mestieri
-e alle mercatanzie, ma incontanente seguitò in
-Parigi e nel paese di Francia grandissima carestia
-<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span>
-e mortalità, e coloro ch’erano usi in guerra,
-e più atti alle prede e alle rapine ch’alle mercatanzie
-e mestiere, udito il grido e il comandamento
-del re in diverse parti s’accolsono insieme
-per modo di compagnia, e feciono diversi
-capitani, e chi vernò in un paese e chi in un altro
-alle spese de’ paesani, conturbando le provincie;
-e un’accolta si fece verso Lione sopra
-Rodano, in grasso e abbondante paese, e ivi
-stettono senza contasto, e dimorati alquanto nel
-paese, si misono verso Lione per valicare in Provenza:
-il vicario di Lione coll’aiuto de paesani
-occuparono i passi, che sono stretti e forti, e
-non gli lasciarono passare; e vedendosi la compagnia
-impedire, un’altra volta maliziosamente
-si strinsono sopra Lione, ove tutta la forza della
-città e delle vicinanze trassono alle difese, e i
-capitani della compagnia aveano fatto eletta di
-mille barbute, e ordinato quando la gente traesse
-a loro che prendessono un altro cammino per
-l’alpe della Ricodana, e così fatto fu senza trovare
-chi loro contradicesse, e tra il giorno e la
-notte appresso l’alpe passarono, che di mala via
-furono oltre a miglia quaranta, e alla dimane si
-trovarono nel piano presso a Santo Spirito in
-sul Rodano, e quivi per lo freddo sostenuto la
-notte con fuochi si ristorarono, e a’ loro cavalli
-provvidono e a loro di vivanda per riprendere
-forza della gran fatica che la notte per lo gran
-cammino aveano sostenuta; e ciò fatto, montati a
-cavallo si dirizzarono a Santo Spirito, dove trovarono
-la gente sprovveduta, e nullo resistente
-s’entrarono nel borgo. La rocca si tenea per uno
-<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span>
-castellano lucchese, e quella col castellano presono:
-e perchè il fatto fu incredibile per la fortezza
-del luogo, molti pensarono che fatto fosse per
-ordinamento del Delfino, e perchè il castellano
-fu lasciato e poi ripreso ad Avignone, stimossi
-che il papa il sentisse, e per lo meno male lo si
-tacesse. I terrazzani da bene uomini e donne si
-ridussono nella chiesa ch’è forte, e aspettando
-il soccorso de’ vicari circostanti e dal re di Francia
-per spazio di sei dì, si patteggiarono di dare
-fiorini seimila d’oro, salvo l’avere e le persone:
-i danari furono pagati, ma i patti non furono attesi,
-che tutti furono rubati, e molte femmine
-giovani ritenute al servigio della compagnia. Santo
-Spirito è vicino ad Avignone a otto leghe di
-piano. E il nobile ponte sopra il Rodano di presente
-occupato fu per quelli della compagnia,
-d’onde aveano libera l’entrata nel Venisì, e poteano
-a loro piacere cavalcare fino ad Avignone:
-per tale cagione il papa e i cardinali ebbono
-gran paura, e la città tutta prese l’arme serrate
-le botteghe, e solo s’intendea a fare steccati e
-bertesche sì alla città e sì al gran palagio del papa,
-e a provvedersi di vittuaglia, e con soldati
-s’attendea a buona guardia, e di dì e di notte. E
-oltre a questa provvisione il papa bandì la croce
-sopra la compagnia, credendo subito avere gran
-concorso di gente d’arme e da piè e da cavallo,
-e nullo si trovò che la prendesse, onde lentamente
-cominciò a fare gente di soldo, e fè capitani
-il cardinale d’Ostia con certi altri prelati, e
-li mandò nel Venisì a fornire le castella della
-frontiera contro i nemici perchè non potessono
-<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span>
-stendere nè verso Avignone nè verso la Provenza,
-massimamente perchè sentiva che la compagnia
-era per avere maggior forza in corto tempo da
-quelli che rimasi erano di là da Lione. Al modo
-delle guerre de’ prelati la boce fu grande, e la
-difesa fu piccola quando alla compagnia parve il
-tempo da valicare, ma per allora essendo pochi,
-ed avendo roba assai, gran tempo stettono senza
-fare cavalcate, e il ponte afforzarono in forma, che
-le navi che veniano di Borgogna ad Avignone con
-vittuaglia non poteano passare, onde la corte sostenne
-grave carestia. Lasceremo per ora questa
-materia la quale ebbe lungo processo, e seguiteremo
-le cose d’Italia, che nel tempo richieggiono
-il luogo debito loro.
-</p>
-
-<h3 id="capXXVIII-10">CAP. XXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come tornati gli Ungari e messer Galeotto da
-Parma si misono a Lugo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornati gli Ungari del Parmigiano, il legato,
-perchè non gravassono dentro i Bolognesi, gli
-mandò sopra Lugo, dando boce di volere rivolgere
-un fiumicello che corre verso Castello san
-Piero sopra Lugo; e per fare la mostra apparente
-ragunò maestri paesani a ciò fare, e niuno effetto
-ne seguì. Stando gli Ungari a campo a Lugo
-messer Galeotto cavalcò sopra Castelfranco, e
-mancandogli i soldi pagati per lo legato agli Ungari
-e ai soldati, si partirono del detto mese di
-gennaio e da Lugo e da Castelfranco, e di loro
-una parte dal Biscione prese soldo, ed entrò in
-<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span>
-Lugo a fare guerra contro al legato, e alquanti il
-legato se ne ritenne. Mille o più a piano passo
-si dirizzarono in Romagna, e quindi nella Marca
-vivendo a legge di compagnia, e parte di loro
-s’aggiunse alla compagnia del Regno. Poco appresso
-il legato s’accordò con quelli ch’erano
-passati nella Marca, e di febbraio gli fece tornare
-sopra Lugo, per rattenere quelli ch’erano in
-Lugo dal conturbare la Romagna, ma poco tempo
-là durarono per la povertà del legato, ch’avea
-l’animo grande e la fonda vota.
-</p>
-
-<h3 id="capXXIX-10">CAP. XXIX.
-<span class="smaller"><i>D’alquanti trattati tenuti in diverse parti
-che tutti si scopersono.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questi giorni, certi d’una casa di Forlì che
-si nomava di Capo di Ferro, i quali il legato avea
-rimessi in Forlì, con altri loro amici e congiurati
-cercarono di mettere una notte in Forlì la
-gente di messer Bernabò ch’era in Lugo. Il trattato
-si scoperse, e furono presi venticinque cittadini,
-e trovati colpevoli, due di quelli di Capo di
-Ferro ed altri due del mese di gennaio furono
-decapitati, e dodici di loro seguito mandati a’
-confini. La terra si rassicurò con sollecita guardia.
-Seguendo simili cose e’ pare, che quando il verno
-non lascia campeggiare la sfrenata rabbia
-degl’Italiani, non resti di procurare scandali e
-commuzioni. I Perugini in questi dì trovarono
-certi loro grandi che voleano rompere il popolo,
-e mutare il reggimento di quella città, e furono
-<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span>
-tanto e sì potenti, che scoperto il fatto non
-s’ardì a fare punizione. In Siena fu sospetto di
-mutamento di stato, e lungamente se ne stette
-in gelosia e in guardia. In Volterra fu il simigliante,
-e con gli ambasciadori del comune di Firenze
-si quetò la materia dello scandalo. In Bologna
-in questo verno si scoperse un altro trattato,
-che alcuni cercavano con messer Bernabò,
-de’ quali erano due de’ Bianchi caporali, non sapendo
-l’uno dell’altro. Ed avendo il podestà
-condannati Giovanni e Federigo de’ Bianchi nella
-persona per questo tradimento, e mandandoli
-alla giustizia con due altri, il legato fece liberare
-Giovanni ch’era meno colpevole, e Federigo
-e’ compagni furono decapitati. I Perugini, con
-trattato ch’aveano con certi loro sbanditi ch’erano
-al soldo del signore di Cortona, il doveano fare
-uccidere: il fatto scoperto, i traditori furono
-presi, e fattone quello che meritavano.
-</p>
-
-<h3 id="capXXX-10">CAP. XXX.
-<span class="smaller"><i>Come il grande siniscalco fu ricevuto
-nel Regno, e quello ne seguì.</i></span></h3>
-
-<p>
-Per inzigamento di messer Giannotto dello
-Stendardo, e di messer Ramondo dal Balzo e
-de’ seguaci loro, allora governatore del re, messer
-Niccola Acciaiuoli gran siniscalco al giudicio
-de’ cortigiani parea in poca grazia del re, e
-giunto in Napoli, e scavalcato al castello del re,
-convenne che quel giorno col seguente solo a solo
-col re dimorasse, e con lui a quelle cose che
-<span class="pagenum" id="Page_44">[44]</span>
-nel Regno erano a fare diede il modo, e lo re lo
-fè suo luogotenente, e per suo decreto e a’ baroni
-e a’ popolani comandamento fece, che ubbidito
-fosse come la persona sua. Quindi a pochi
-dì fatto suo apparecchiamento, colla gente del
-comune di Firenze e quella potè avere del paese
-cavalcò in Puglia verso la compagnia, e misesi
-nelle terre vicine alla frontiera loro, e li comimciò
-forte a ristrignere di loro gualdane.
-</p>
-
-<h3 id="capXXXI-10">CAP. XXXI.
-<span class="smaller"><i>D’un segno nuovo ch’apparse in cielo sopra
-la città di Firenze.</i></span></h3>
-
-<p>
-A dì 9 di febbraio detto anno, alle quattro ore
-di notte, in aire apparve sopra la città di Firenze
-un vapore grosso infocato di tale aspetto, che
-a molti parve che fosse fuoco appresso nella città
-vicino a loro vista, e per tanto cominciarono a
-gridare al fuoco, e le campane della chiesa di
-santo Romeo sonarono a stormo, e lungamente,
-come è usanza di sonare per lo fuoco; per lo
-quale romore molti cittadini si levaro da dormire,
-e vedendo ch’erano vapori incesi nell’arie
-uscirono delle case, e andarono a’ luoghi aperti,
-e vidono il tempo sereno, e il lume della luna,
-e di qua e di là dal vapore sua larghezza rosseggiante
-a guisa di fuoco per spazio di miglio, e sua
-lunghezza di quattro, e il suo montare alto del
-basso tanto era, che le stelle si mostravano in
-esso come faville di fuoco; e levatosi in distanza
-alcuna di sopra a Firenze valicò Fiesole, tenendo
-<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span>
-forma di ponte da Montemorello a Fiesole, e poi
-con assai lento andamento trapassò nel Mugello,
-e in un’ora e mezzo consumato si mostrò a coloro
-che di Firenze n’aveano aspetto. Di tal segno
-niuna altra influenza si vide da farne menzione,
-se altra per più lunghezza di giorni non dimostrasse,
-se non alcuno secco, che danno fè assai
-alle terre sottili di nostre montagne per tutto
-nostro paese.
-</p>
-
-<h3 id="capXXXII-10">CAP. XXXII.
-<span class="smaller"><i>Dimostramento di smisurato amore
-di padre a figliuolo.</i></span></h3>
-
-<p>
-E’ ne parrebbe degno di riprensione lasciando
-in dimenticanza un caso occorso in questo tempo,
-perchè ci pare esempio di mirabile carità
-intra padre e figliuolo, ed e’ converso, tutto che
-apparito sia in uomini di bassa condizione. Nel
-contado di Firenze e comune della Scarperia,
-villa di santa Agata, uno garzoncello nome Iacopo
-di Piero, sprovvedutamente uccise un suo
-compagno, e ciò fatto, lo manifestò al padre, il
-qual turbato gli disse, che subito si partisse, e si
-riducesse in luogo salvo, e così fece. Il malifizio
-fu portato alla signoria, e incolpato e preso ne
-fu il padre del garzone, il quale tormentato, per
-non accusare il figliuolo confessò sè avere commesso
-il peccato all’uficiale della Scarperia, e
-mandato a Firenze al podestà, confessando questo
-medesimo e raffermando, fu condannato nel
-capo. Il figliuolo, che segretamente era venuto a
-<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span>
-Firenze per vedere che fine avesse, vedendo il
-padre innocente andare a morire per lo difetto
-suo, mosso da smisurato amore da figliuolo a
-padre, diliberato di morire perchè il padre campasse,
-il quale liberamente vedea andare alla
-morte per campare lui, con molte lagrime si
-rappresentò alla signoria, dicendo: Io sono veramente
-colui che commessi il peccato; io sono
-colui che ne debbo portare la pena, e non per
-me questo mio padre innocente, che è tanto acceso
-di carità verso di me perchè io campi, che soffera
-di morire per me. L’uficiale udito il garzone,
-quasi stupefatto ritenne e sostenne l’esecuzione
-che si facea del padre, e trovato la verità del
-fatto, il padre fu liberato, e il figliuolo, per la
-necessità della corte, a dì 6 di marzo con pietose
-lagrime a chiunque l’udirono o vidono fu decapitato.
-E certo se stato fosse commesso il malificio
-senza malizia e casualmente, tanto atto di pietà
-a un benigno signore credere si dee ch’arebbe
-meritato perdono almeno della vita.
-</p>
-
-<h3 id="capXXXIII-10">CAP. XXXIII.
-<span class="smaller"><i>Contrario esempio d’incredibile crudeltà
-di madre.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avvegnachè quello che segue appresso alla narrata
-pietà di padre e figliuolo dopo i sei mesi occorresse,
-per collazione del bene col male, volendo
-operare la sfrenata lussuria operatrice
-d’incredibile crudeltà di madre contra figliuolo,
-contra la forma di nostro ordine giugneremo i
-<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span>
-tempi lontani. All’entrata d’agosto detto anno,
-nella città di Perugia, una donna di legnaggio non
-basso avendo avuto d’un onorevole popolano
-suo marito un figliuolo di buono aspetto, morto
-il padre, dopo certo tempo la donna giovane
-si rimaritò a un altro cittadino dabbene, il
-quale amava il figliastro quanto che figliuolo, sì
-per l’ubbidienza, sì per l’industria, sì per li buoni
-costumi vedea in lui, il quale era d’età di dieci
-anni. La madre per disordinata concupiscenza
-fu presa dell’amore d’un altro giovane perugino
-assai accorto e dabbene, e lui pensò d’avere
-per marito, e godersi con lui e sua dote, ch’era
-grande, e l’eredità del figliuolo, ch’era maggiore,
-e altro successore non avea che lei. E con
-l’adultero tenuto trattato diedono certo ordine
-alla morte del figliuolo, che lo dovea la notte
-strangolare, ed ella dovea avvelenare il marito;
-e dato l’ordine, la madre empia mandò il figliuolo
-a casa l’amico con certe cose, e gli comandò
-non si partisse da lui se non lo spacciasse; giunto
-il fanciullo al buono uomo, e datogli quello
-che gli mandava la madre, con molta purità con
-istanza gli domandava d’essere spacciato: vedendo
-l’uomo la semplicità del fanciullo, glie ne
-venne pietà e cordoglio, e gli disse: Vattene a
-tua madre, che tempo non è a quello ch’ella vuole.
-Vedendo la madre tornato il fanciullo si turbò
-forte, e lo domandò perchè non l’avea spacciato,
-e il fanciullo le fè la risposta. La sfacciata
-meretrice rimandò il figliuolo, e gli comandò,
-che non tornasse a lei, ma tanto stesse, ch’egli
-fosse spacciato di ciò che ragionato avea con lui.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span>
-</p>
-
-<p>
-Il fanciullo ubbidiente alla madre tornò all’amico
-di lei, e con molte preghiere lo richiedea, che
-fare dovesse quello che la madre gli avea imposto;
-ed egli molto più intenerito, quasi lacrimando
-gli disse: Di’ a tua madre, che non istia
-a mia fidanza, ch’io nol voglio fare: e il figliuolo
-tornato alla crudelissima madre le disse quello
-che gli era stato detto. La bestiale scellerata ciò
-udito, in esso stante comandò al figliuolo ch’andasse
-nella cella, ed ella gli tenne dietro, dicendo:
-Quello che non ha voluto fare egli farò io; e con
-le diaboliche mani segò la gola al figliuolo, e quivi
-lo lasciò morto. Poco il marito tornò in casa,
-e domandò la madre del figliuolo: la donna
-presa l’astuzia del serpente con fronte audace
-gli rispose: Ben lo sai tu, va’ nella cella e vedrailo.
-Il marito ignorante e puro scese al luogo, e trovò
-il fanciullo morto, il perchè e’ venne meno,
-e forte sbaì, e perdè la favella: la moglie lo serrò
-dentro, e levato il pianto, traendo guai incominciò
-a gridare, e dire, che il traditore del marito
-le avea morto il figliuolo per godere la sua eredità;
-e tratta la vicinanza a romore, ella squarciandosi
-il viso e’ capelli mai non lasciò aprire
-l’uscio della cella infino che la famiglia della
-signoria non venne, la quale apersono l’uscio, e
-trovarono il malificio, e a furore ne menarono
-il marito, il quale tormentato confessò sè aver
-fatto il malificio, e la cagione per godere l’eredità
-del figliastro. E apparecchiandosi la signoria
-a farne aspra giustizia, all’amico della pessima
-donna venne compassione di tanto male, e
-del sangue innocente sparto e che spargere si
-<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span>
-dovea, e del fallo suo presa sicurtà da’ signori
-manifestò la verità del fatto, e la donna venuta
-in giudicio, senza alcuno tormento confessò la
-sua iniquitade, e condannata alla tanaglia, e più
-a esserle levate le carni a pezzo con i rasoi, fece
-terribile esempio all’altre. Questo peccato tanto
-enorme forse meritava silenzio di penna, per
-l’orrore d’udire tra’ cristiani sì alto e sì sfacciato
-male, conchiudendolo con un verso di Giovenale
-poeta, che dice: Fortem animum praestant
-rebus quas turpiter audent, parlando delle femmine
-che da sè hanno scacciata la pudicizia e
-la vergogna, il quale in volgare suona: Forte
-animo prestano alle cose che sozzamente ardiscono
-di fare.
-</p>
-
-<h3 id="capXXXIV-10">CAP. XXXIV.
-<span class="smaller"><i>Delle compagnie ch’entrarono in Provenza
-per conturbare i paesani e la corte
-di Roma.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avvegnachè grave cosa fosse alla corte di Roma
-la presura che una compagnia avea fatto
-di Santo Spirito sul Rodano di sopra a Avignone
-otto leghe, nondimeno altre compagnie sommosse
-di Guascogna del reame di Francia del mese
-di gennaio, febbraio e marzo, fuggendo la pace, la
-carestia e la mortalità, in poco tempo l’una appresso
-l’altra vennono in Provenza; e l’una che
-si nomava la Compagnia bianca, venne appresso
-a Avignone a trenta miglia, e teneva mercato
-d’avere danari dal papa, e di levare quella di
-<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span>
-Santo Spirito, che per cagione ch’avea il Rodano
-di sopra in sua signoria gravava la corte, non
-lasciando uscire la vittuaglia di Borgogna; e appresso
-un’altra di Guascogna e di Spagna partita
-dalla guerra di quello di Focì e d’Armignacca,
-che lungamente aveano accolta gente
-per guerreggiare insieme. Per questa tempesta
-che conturbava i paesi d’intorno e il papa e i
-cardinali erano in grave travaglio, e la corte il
-dì e la notte sotto l’arme, e con molte gravezze
-di fortificare la città di muri, di fossi, e di steccati,
-e di cittadinesca guardia, e lo re di Francia
-non avea podere di liberare le sue terre dalle
-loro mani non che d’aiutare la Chiesa: e in queste
-tribolazioni stette Avignone come assediata
-lungamente, e non vi si potea entrare nè uscire
-con sicurtà, e l’arti, e’ mestieri, e le mercatanzie
-tutte v’erano perdute, e la carestia d’ogni bene
-vi montò in sommo grado. Il papa richiese
-Franceschi, Provenzali, Guasconi e Catalani
-che lo atassono dalle compagnie; catuno chiedeva
-danari per fare l’impresa, e la Chiesa non si
-fidava d’accogliervi più gente d’arme che v’avesse:
-e così in tribolazione grande stette lungamente,
-infino che per operazione del marchese
-di Monferrato col danaio della Chiesa, come al
-tempo innanzi diviseremo, vi si mise rimedio.
-Daremo ora sosta a queste compagnie e a’ fatti
-della corte, per ritornare all’altre novità che in
-questo tempo occorsono alla nostra città di Firenze.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capXXXV-10">CAP. XXXV.
-<span class="smaller"><i>Come per comperare gli onori del comune
-alquanti che li venderono ne furono
-condannati</i></span></h3>
-
-<p>
-Rade volte occorse che i cittadini sieno condannati
-per baratteria, non perchè sovente non
-caggino in tale errore, ma per la negligenza
-de’ rettori, che passano il vizio a chiusi occhi: e
-perchè l’eccesso che scrivemo fu tanto palese
-a tutti i cittadini, il rettore a cui la cognizione
-s’appartenea di ciò non potè senza sua evidente
-vergogna passare non ne conoscesse. Dalla morte
-di Carlo duca di Calavria in qua, per ordinazione
-e costume di nostro comune osservata, e che è di
-tre anni in tre anni, del mese di gennaio e di
-febbraio si fa lo squittino solenne de’ cittadini
-degni dell’onore del comune, sì del priorato come
-de’ dodici, e gonfalonieri ed altri ufici. Avvenne
-nel 1360, che certi de’ collegi per danari
-trassono a essere del numero degli squittinatori
-certi pochi degni per loro antichità o virtù, il
-perchè finito lo squittino, e scoperta la cattività,
-tali de’ collegi trovarono colpevoli dall’esecutore
-degli ordinamenti della giustizia furono condannati
-per baratteria, chi in libbre duemila, e chi
-in mille, e pur tale pena puose freno al disonesto
-peccato.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capXXXVI-10">CAP. XXXVI.
-<span class="smaller"><i>Come i fatti di Francia verso il primo tempo
-procedeano.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornato il re di Francia, trovò il reame assai
-rotto e mal disposto, e poco era ubbidito, e da
-sè nullo vigore avea di potere riducere le cose al
-consueto e primo loro corso, e gastigare non potea
-chi fallasse, e per questo gli uomini d’arme
-s’accostarono insieme a contristare le provincie
-del reame: e intra l’altre tribolazioni, nel pieno
-del verno, la contessa la quale fu moglie del
-sire di Ricorti, a cui lo re di Francia avea fatto
-tagliare la testa quando tornò per ricomperarsi
-dal re d’Inghilterra, ch’era suo prigione, preso
-cuore e animo virile fece raccolta di Spagnuoli,
-di Guasconi, e di Normandi, e dicea di volere
-dal re ammenda; e certo assai di male e dammaggio
-avrebbono fatto al reame, se la fame che strignea
-il paese non l’avesse vietato: questa poi
-con grossa compagnia trascorse in Proenza, la
-quale compagnia poi passò in Lombardia. Il conte
-d’Armignacca e quello di Focì manteneano
-guerra in Tolosana e nelle loro terre, l’uno
-contro all’altro, il perchè troppo ne conturbavano
-il reame; il re reprimere non potea i falli de’
-suoi baroni, nè porre ordine in suo reame.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capXXXVII-10">CAP. XXXVII.
-<span class="smaller"><i>Come fu guasta la bastita che ’l cardinale di
-Spagna facea fare in sul canale della Pegola.</i></span></h3>
-
-<p>
-Nell’entrata di marzo del detto anno, il legato
-per tenere sicuro il cammino e ’l canale dalla
-Pegola a Bologna facea fare con grande studio
-una bastita in sul canale, ed era quasi che compiuta.
-I cavalieri di messer Bernabò ch’erano in
-Lugo, intorno di ottocento barbute, una notte si
-mossono, e vennono alla bastita, e sì improvviso
-a coloro che la guardavano che vi entrarono dentro,
-e mortine assai il resto presono, e rubato
-quella parte stimarono di portarne il resto arsono
-con la bastita, e senza contasto alcuno della
-preda, e’ prigioni ne menarono a Lugo. Della
-qual cosa a’ Bolognesi parve rimanere in male
-stato, per tema che quel cammino non fosse loro
-tolto, e per tal tema costretti rimisono mano a
-rifare la detta bastita, e a custodirla con più cauta
-e sollecita guardia, e poco appresso l’ebbono
-fatta e afforzata per modo non ne temeano. Lasceremo
-alquanto le tempeste de’ cristiani, per
-dar luogo un poco a quelle degl’infedeli che apparirono
-in questi tempi.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capXXXVIII-10">CAP. XXXVIII.
-<span class="smaller"><i>Della grande pestilenza che percosse
-i saracini.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo anno pestilenza di febbri fu in Damasco
-e al Cairo tanto fuori di modo, che senza
-niuno riparo quasi generalmente ogni gente uccidea;
-il perchè si credette, che le provincie
-di là rimanessono disolate e senza abitatore, e
-se guari tempo fosse durata avvenia. I morti furono
-tanti, che stimare numero certo o vicino
-non si potè. La cagione onde mosse, a Dio solo,
-o cui lo rivela, è manifesta. La naturale necessità,
-la quale surge dall’influenza de’ cieli e delle
-stelle, dà luogo alla necessità soluta, che procede
-dalla sua volontà.
-</p>
-
-<h3 id="capXXXIX-10">CAP. XXXIX.
-<span class="smaller"><i>Come fu morto il soldano di Babilonia, e
-rifattone un altro, il quale uccise molti
-de’ suoi baroni.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avvenne innanzi poco a questa mortalità,
-ch’essendo il soldano di Babilonia uscito a campo
-contro a quelli che rubellati gli s’erano,
-i baroni che con lui erano, qual cosa si fosse la
-cagione, s’intesono insieme alla morte sua, ed
-egli non prendendosi guardia di loro nel campo
-l’uccisono, e tornarsene al Cairo, e quivi un
-suo fratello feciono soldano; il quale presa la signoria,
-<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span>
-e confermato nel regno, non seguendo la
-volontà de’ suoi ammiragli, sentì che contro a lui
-s’erano congiurati per farlo morire, onde esso
-si provvedea di buona guardia, e niente mostrava
-di sentire contro a loro, ma l’un dì trovava cagione
-contra l’uno, e facealo morire, e l’altro
-dì contra l’altro facea il simile, e per questa via
-in pochi mesi la maggior parte fece morire, e
-nella fine la volta toccò a lui, e morto fu per le
-mani de’ suoi ammiragli del mese di febbraio
-detto anno, e feciono soldano un suo fratello
-piccolo, e rimaso di dodici l’ultimo, perchè non
-si potea traslatare il regno in altri senza gran
-confusione di tutti i sudditi suoi.
-</p>
-
-<h3 id="capXL-10">CAP. XL.
-<span class="smaller"><i>Come un signore de’ Turchi trattò di fare
-uccidere l’imperadore di Costantinopoli.</i></span></h3>
-
-<p>
-Lo signore di Boccadave possente tra i Turchi,
-ed ai Greci vicino, avendo molte volte
-tentato con palese guerra di vincere Costantinopoli,
-e non ne possendo avere suo intendimento,
-cercò con doni larghi e con impromesse grandi
-fatte a certi Greci costantinopoletani, i quali
-erano della setta di Mega Domestico cacciati dall’imperadore,
-a modo tirannesco di farlo uccidere,
-pensando che morto lui per la inimicizia ch’avea
-nella provincia, e per molte terre ch’avea acquistate
-sopra l’imperio, d’essere del tutto signore;
-ma come piacque a Dio si scoperse il trattato,
-e quale de’ traditori fuggì, e quale rimase o
-<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span>
-preso o morto, ma non di manco la città ne
-rimase in mala disposizione. Il Turco nondimeno
-tenendo Gallipoli e altre terre vicine, con
-suoi legni in mare e con i suoi Turchi per terra
-tribolava e consumava il paese, senza trovarsi
-per i Greci alcun riparo fuori che delle mura. E
-in questi medesimi giorni il signore d’Altoluogo
-in Turchia si guerreggiava con un suo zio, e l’altro
-signore della Palata si guerreggiava col fratello;
-e portante guerre e divisioni de’ Turchi
-i paesi loro erano rotti e in grande tribolazione,
-e per questa cagione i Greci aveano minore persecuzione
-da loro; e più ciò fu materia al re di
-Cipro di fare l’impresa sopra loro con onore e
-vittoria grande, come a suo tempo racconteremo.
-</p>
-
-<h3 id="capXLI-10">CAP. XLI.
-<span class="smaller"><i>Come il legato si partì di Bologna per
-andare al re d’Ungheria.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornando alle italiane fortune, il legato di
-Spagna, uomo savissimo e pratico delle mondane
-volture, vedendosi per allora e a tempo
-senza potenza da resistere a messer Bernabò, e
-povero di danari, e veggendo la poca gente d’arme
-ch’avea alla difesa, conoscendo che il tiranno
-suo avversario era di sue entrate abbondante,
-e di quello che gravava i sudditi suoi, il perchè
-non si curava di mantenere la guerra, e per continovare
-la guerra gli parea essere certo di vincere
-Bologna, e perciò mantenea a Castelfranco
-e a Priemilcuore, a Pimaccio, e a Lugo tanta
-<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span>
-gente a cavallo e a piè, che con le loro cavalcate
-teneano sì assediata Bologna di verso la Lombardia
-e la Romagna, che poca roba vi potea
-dentro entrare, e di verso l’Alpe facea agli Ubaldini
-rompere le strade, perchè al legato ne parea
-essere a mal partito, e a’ cittadini a peggiore:
-e vedendo ch’a petizione di santa Chiesa niuno
-tiranno, comune o signore italiano si volea scoprire
-ad atare Bologna contro a messer Bernabò,
-avendo la Chiesa lungamente trattato col re
-d’Ungheria, il quale s’affermava che farebbe
-l’impresa con la persona, al primo tempo parve
-al legato d’uscire di Bologna sotto scusa d’andare
-a lui, e nel vero e’ non si fidava potervi
-stare con suo onore, nè senza grave pericolo.
-E però contro la volontà de’ cittadini prese d’andare
-al re, promettendo di tornarvi del mese di
-maggio prossimo, e a dì 17 di marzo se ne partì
-facendo la via d’Ancona, e là soggiornato
-alquanto mandò al re d’Ungheria, come seguendo
-nostro trattato diviseremo. In Bologna lasciò
-messer Malatesta e messer Galeotto suo figliuolo
-capitani de’ soldati e de’ cittadini alla guardia.
-</p>
-
-<h3 id="capXLII-10">CAP. XLII.
-<span class="smaller"><i>Della ribellione fatta per messer Giovanni
-di messer Riccardo Manfredi al legato.</i></span></h3>
-
-<p>
-Isidoro nelle sue etimologie afferma, che per
-la differenza e natura varia de’ climati i Greci
-per natura sono lievi, i Romani gravi, gli Affricani
-astuti e maliziosi, e gl’Italiani feroci
-<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span>
-e d’agro consiglio. Questo vedemo nella piccola
-provincia di Toscana, dove sono i Sanesi
-reputati lievi per natura, i Pisani astuti e maliziosi,
-i Perugini feroci e d’agro consiglio, i
-Fiorentini gravi, tardi, e concitati, e così per
-natura i Romagnuoli hanno corta la fede: e pertanto
-per antico proverbio si dice, che il Romagnuolo
-porta la fede in grembo: e però non è
-da maravigliare quando i tiranni di Romagna
-mancano di fede, conciosiachè sieno tiranni e
-Romagnuoli: i tiranni per paura di loro stato, e
-cupidi ancora di più signoria, usano e fanno arte
-di tradimenti. Messer Giovanni figliuolo naturale
-di messer Manfredi di Faenza avendo pace
-col legato, vide suo vantaggio per le promesse
-di messer Bernabò, e rubellossi alla Chiesa, e
-cominciò a fare guerra e da Bagnacavallo, e da
-Salervolo, e da altre sue tenute a Faenza e
-ad altre terre della Chiesa di Romagna, e avuta
-cavalieri da messer Bernabò ch’erano a Lugo,
-cavalcò a Porto Cesenatico, dove trovò molta
-mercatanzia, le case arse e ’l porto, e la mercatanzia
-e grossa e sottile e’ prigioni ne menarono
-in preda, e in quel porto peggiorò i cittadini
-di Firenze oltre a dodicimila fiorini d’oro di loro
-mercatanzie, e senza impedimento alcuno si
-tornò a Bagnacavallo. Per questa rebellione i
-suoi palagi di Faenza furono disfatti.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capXLIII-10">CAP. XLIII.
-<span class="smaller"><i>Come il marchese di Monferrato trasse delle
-compagnie da Avignone per conducere
-in Piemonte.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo lungamente la Provenza di là dal Rodano,
-e ’l Venisì, e la Provenza di qua dal Rodano,
-e la corte di Roma stata in grandissime
-persecuzioni delle compagnie addietro narrate,
-e tenuto il papa con loro per le mani di più baroni
-trattati di trarli del paese senza avere effetto,
-in fine il valente marchese di Monferrato,
-per la guerra ch’avea co’ signori di Milano, essendo
-molto amato dai buoni uomini d’arme, e
-favoreggiato co’ danari della Chiesa, in prima
-s’accordò con la compagnia ch’era a’ Mongiulieri,
-Inghilesi, Guasconi e Normandi, con la
-donna del siri di Ricorti: ed avendo fatto questo
-accordo del mese di marzo, non tennono il
-patto, ma sotto la sicurtà del trattato passarono
-il Rodano, e mutarono pastura; e un’altra maggiore
-compagnia valicò nel Venisì, e consumando
-il paese infino al maggio. Cominciata la fame
-e la mortalità in quelle provincie, la compagnia
-di Santo Spirito, avuto dal papa trentamila fiorini
-con patto di seguire il marchese lasciata la
-terra, e l’altra che ’l marchese con danari della
-Chiesa avea prima patteggiata s’accozzarono
-a volere passare in Piemonte, e non meno per
-fuggire la pestilenza e ’l paese, che per servire
-la Chiesa e il marchese, con tutto che più di
-<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span>
-centomila fiorini costasse al papa la spesa di levarlisi
-d’intorno. E spandendosi di ciò la boce
-per la Provenza, una gran parte se n’avviò a
-Marsilia, e credendosi entrare nella terra e non
-potendo, e non avendo da’ Marsiliesi il mercato,
-arsono i borghi della città, e feciono assai
-danno nel paese, e poi s’addirizzarono verso
-Nizza, e a parte a parte valicarono seguendo il
-marchese nel Piemonte, non senza grave danno
-de’ Provenzali. E nondimeno essendo di Provenza
-partiti da seimila cavalli, ne rimasono
-due altre compagnie, una di quà una di là dal
-Rodano, lungamente a vivere di preda e di
-rapina sopra i paesani, e teneano la corte in
-paura e in travaglio. Lasceremo delle compagnie,
-e torneremo ad altre più degne cose di
-nostra memoria.
-</p>
-
-<h3 id="capXLIV-10">CAP. XLIV.
-<span class="smaller"><i>Della morte del duca di Lancastro cugino del
-re d’Inghilterra.</i></span></h3>
-
-<p>
-Egli è strano al nostro trattato fare memoria
-della naturale morte d’uomo, ma considerando
-l’altezza della superbia umana con la fragilità
-di quella recata alla mente degli uomini, non può
-passare senza alcuno frutto. Il conte d’Aui duca
-di Lancastro, cugino carnale del valente re
-Adoardo d’Inghilterra, avendo lungo tempo
-fatte grandi e notevoli cose d’arme, essendo
-sopra i Franceschi stato venticinque anni grave
-flagello, e riposata la guerra in pace con grande
-<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span>
-sua fama e onore, a dì 22 del mese di marzo
-gli anni Domini 1360 lasciò l’arroganze delle
-guerre, e le fallaci fatiche del mondo con la sua
-morte, lasciando senza ereda maschio due figliuole
-femmine ne’ suoi baronaggi.
-</p>
-
-<h3 id="capXLV-10">CAP. XLV.
-<span class="smaller"><i>Come riuscì l’impresa del re d’Ungheria,
-dove la speranza del legato di Spagna
-si riposava.</i></span></h3>
-
-<p>
-La Chiesa avea richiesto il re d’Ungheria al
-soccorso di Bologna, ed il re avea dato speranza
-alla Chiesa di fare l’impresa con la sua persona,
-e mandati però suoi ambasciadori a corte per fermare
-i patti, de’ quali per diversi modi si sparse
-la fama in Italia, in prima che dovea avere
-titolo dalla Chiesa e dall’imperio, e danari
-assai dal papa, che le terre ch’acquistasse fossono
-sue: l’altra boce era, che ’l papa il dovesse
-assolvere del saramento si dicea ch’avea fatto
-di fare il passaggio d’oltremare, e che dovea
-dispensare che la moglie, la quale apparve per
-infino a qui sterile, si rinchiudesse in un munistero
-di sua volontà, ch’egli potesse avere anche
-un’altra moglie, acciocchè ’l reame non rimanesse
-senza successione di sua generazione, e
-che di questo il legato avea dal papa piena legazione:
-verisimile e non senza grande cagione il legato
-andò a lui in Sagravia del mese di maggio del
-detto anno. Il re in quei giorni avea fatto bandire
-generale oste per tutto suo reame, per titolo di
-<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span>
-porre confini al suo regno, per lo quale tutti i
-baroni e popoli lo debbono servire, e credettesi
-che ciò fosse per intendere al servigio della Chiesa;
-ma come che la cosa s’andasse gli ambasciadori
-di messer Bernabò erano a lui, e ricevuti
-avea doni da parte di messer Bernabò. E però,
-o perchè non avesse dalla Chiesa quello che volesse,
-o avesse promesso al tiranno di non venire
-contro a lui, la vista fu ch’egli intendea d’andare
-con la sua gente per l’oste già bandita
-in altra parte; e quello che rispondesse al legato
-non si potè per parole comprendere, ma
-l’effetto si dimostrò per opere, che senza alcuno
-aiuto il legato del detto mese di maggio si ritornò
-ad Ancona, perduta la speranza del soccorso
-di Bologna, in grave pericolo di quella città,
-cresciuta la baldanza e l’oste dei suoi avversari.
-</p>
-
-<h3 id="capXLVI-10">CAP. XLVI.
-<span class="smaller"><i>Della pestilenza dell’anguinaia ricominciata
-in diversi paesi del mondo, e di sua
-operazione.</i></span></h3>
-
-<p>
-In Inghilterra d’aprile e di maggio si cominciò,
-e seguitò di giugno e più innanzi, la pestilenza
-dell’anguinaia usata, e fuvvi tale e tanta,
-che nella città di Londra il dì di san Giovanni
-e il seguente morirono più di milledugento cristiani,
-e in prima e poi per tutta l’isola. Gran
-fracasso fece per simile nel reame di Francia; nella
-Provenza trafisse ogni maniera di gente. Avignone
-corruppe in forma che non vi campava
-<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span>
-persona: morironvi nove cardinali, e più di settanta
-prelati e gran cherici, e popolo innumerabile.
-E di maggio e giugno si stese e percosse
-la Lombardia, e prima Como e Pavia, con tanta
-roina, che quasi le recò in desolazione. In Milano
-mise il capo, dove altra volta non era stata,
-e tirò a terra il popolo quasi affatto, con
-grande orrore e spavento di chi rimanea. Vinegia
-toccò in più riprese, e tolsele oltre a ventimila
-viventi. La Romagna oppressò forte e assai
-quasi per tutte sue terre, ma più l’una che l’altra,
-e nell’entrata del verno cominciò a restare
-in Lombardia, e a gravare la Marca, e la città
-d’Agobbio forte premette. L’isola della Maiolica
-perdè oltre alle tre parti degli abitanti. Nè
-lasciò l’Alpi degli Ubaldini senza macolo per
-molti de’ luoghi suoi. E molti paesi del mondo
-in uno tempo erano di questa pestilenza corrotti,
-nè già quelli a cui parea che Dio perdonasse
-non ritornavano a lui per contrizione, partendosi
-dalle iniquitadi e dalle prave operazioni ostinate,
-e come le bestie del macello, veggendo
-l’altre nelle mani del beccaio col coltello svenare,
-saltavano liete nella pastura, quasi come a
-loro non dovesse toccare, ma più dimenticando
-gli uomini il giudicio divino si davano sfacciatamente
-alle rapine, alle guerre, e al mantenere
-compagnie contra ogni uomo, alle ingiurie de’
-prossimi, e alla dissoluta vita, e a’ mali guadagni
-assai più che negli altri tempi, corrompendo la
-speranza della misericordia di Dio per lo male
-ingegno delle perverse menti; e ciò per manifesta
-sperienza si vide in tutte le parti del mondo
-<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span>
-dove la detta pestilenza mostrò il giudicio di
-Dio.
-</p>
-
-<h3 id="capXLVII-10">CAP. XLVII.
-<span class="smaller"><i>Come per la fama delle compagnie che
-scendevano in Piemonte i signori di
-Milano si provvidono alla difesa.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Galeazzo Visconti sentendo che il
-marchese di Monferrato venia in Piemonte con
-le compagnie tratte di Provenza del mese d’aprile
-del detto anno, e sapendo ch’ell’erano per poco
-tempo provvedute di soldi, e che già la mortalità
-era tra loro, e cominciata nel Piemonte,
-provvide di gente d’arme tutte le sue terre e le
-loro frontiere per fare buona guardia, e sostenere
-l’impeto de’ nemici, senza mettersi a partito
-di battaglia; e però messer Bernabò ritrasse
-della gente ch’avea a Lugo e a Castelfranco
-sopra Bologna la maggiore parte per dare favore
-al fratello, pensando straccare quella gente,
-come in parte venne loro fatto, con piccolo danno
-di loro distretto, come appresso si potrà nel
-suo tempo vedere. Nondimeno tra per lo riparo
-del Piemonte, e del fare la guerra a Bologna,
-continovo si fornivano di gente d’arme, non curandosi
-della grande spesa, perocchè bene la
-poteano comportare a quella stagione.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capXLVIII-10">CAP. XLVIII.
-<span class="smaller"><i>Come messer Bernabò venne sopra Bologna,
-e assediò e prese Pimaccio.</i></span></h3>
-
-<p>
-All’uscita del mese d’aprile del detto anno,
-messer Bernabò accolse gente, li più cittadini
-di sue terre, e con duemila cavalieri in persona
-venne da Milano a Castelfranco dov’era il forte
-di sua gente, e di nuovo fece combattere il
-castello di Pimaccio per due riprese, e appresso
-il fece assediare intorno, e a dì 9 di maggio per
-patto ebbe la terra, e la rocca si tenne. Di là poi
-si partì lasciando fornita la terra, e la rocca assediata,
-e con la gente sua cavalcò a Panicale
-presso di Bologna facendo danno assai; e del detto
-mese di maggio ebbe la rocca di Pimaccio, e
-andossene a Lugo, e l’accomandò a messer
-Francesco degli Ordelaffi, e diegli gente d’arme,
-con che egli guerreggiasse Bologna da quella
-parte e la Romagna; e fornite l’altre terre, e
-confortati gli amici suoi a fare guerra, e lasciato
-il marchese Francesco al ponte del Reno a campo,
-con milledugento cavalieri si tornò a Milano,
-e la sua gente ebbe fatta forte e ben guernita
-di tutto all’entrata di giugno la bastita dal ponte
-del Reno.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capXLIX-10">CAP. XLIX.
-<span class="smaller"><i>Come il legato procurava aiuto contro
-messer Bernabò.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il legato del papa, tornato senza niuna speranza
-d’aiuto dal re d’Ungheria, pur tanto s’aoperò,
-che ’l detto re scrisse e fece comandamento
-agli Ungheri ch’erano al servigio di messer
-Bernabò, che se ne partissono, e assai furono
-quelli che l’ubbidirono. Anche tanto operò con
-l’imperadore, che egli mandò comandando a
-messer Bernabò che si dovesse rimanere di fare
-guerra contro la Chiesa a Bologna, e quegli
-che fè il detto comandamento fu messer Giovanni
-da.... ed assegnogli termine infra i venti
-dì seguenti, com’era determinato per l’imperadore,
-e se questo non facesse fra il termine gli
-significò, com’egli il privava d’ogni onore, e
-dignità e privilegio che avesse dall’imperio;
-ma per tutto questo messer Bernabò non si rimanea
-dell’impresa, ma a suo potere continuo
-fortificava la guerra, dicendo: Io voglio Bologna
-mi. E questo fu del mese di maggio a’ 12 dì
-del detto anno. E in questo medesimo tempo
-per apostolica sentenza messer Bernabò fu condannato
-per eretico e contumace a santa Chiesa,
-e per tutta Italia in dì solenni fu da’ prelati scomunicato
-in presenza de’ popoli, ma di questo
-poco si curò, sollecitando per ogni modo pure
-di volere Bologna.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capL-10">CAP. L.
-<span class="smaller"><i>Come la compagnia d’Anichino di Bongardo
-ch’era nel Regno si rassottigliò e venne
-al niente.</i></span></h3>
-
-<p>
-Del mese d’aprile erano nella compagnia
-d’Anichino di Bongardo in Puglia gli Ungari
-tanto moltiplicati, che passavano il numero di
-tremila. Il re loro avendo di questo sentore loro
-mandò comandando, che non fossono contro i
-suoi consorti, per la qual cosa s’accordarono col
-re Luigi una gran parte, e partironsi dalla compagnia
-de’ Tedeschi, e promisono di dare vinta
-o cacciata la compagnia del Regno per trentasei
-migliaia di fiorini d’oro, de’ quali si convennono
-col re: e seguitando il gran siniscalco ridussono
-Anichino co’ suoi Tedeschi in Basilicata,
-e ridussonli in Atella terra tolta per loro al duca
-di Durazzo, e ivi li assediarono, stando d’intorno
-alle frontiere; e durando il giuoco lungamente,
-molti se ne tornarono nella Marca e nella Romagna,
-e gli altri rimasono al servigio del re,
-e senza cacciare o vincere la compagnia catuno
-consumava i paesani.
-</p>
-
-<h3 id="capLI-10">CAP. LI.
-<span class="smaller"><i>Come i Sanesi ebbono Santafiore.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questi dì, del mese di maggio del detto anno,
-i Sanesi avendo molto assottigliati e annullati
-<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span>
-i conti di Santafiore, in fine di questo mese medesimo
-ebbono Santafiore a patti.
-</p>
-
-<h3 id="capLII-10">CAP. LII.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini comperarono il castello
-di Cerbaia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il comune di Firenze avea dato bando a Niccolò
-d’Aghinolfo de’ conti Alberti conte di Cerbaia
-perchè avea morto un popolare di Firenze; e vedendo
-che la Cerbaia era una chiave forte alla
-guardia del suo contado da quella parte, gli venne
-voglia d’avere quel castello, e fece trattato
-di comperarlo; il conte per uscire di bando, ed
-essere cittadino popolano di Firenze, e considerando
-che a tenere quella fortezza gli era non
-meno di spesa che d’entrata, e sempre ne vivea
-in gelosia, ne domandò per prezzo fiorini
-settemila d’oro, e ’l comune si fermò a sei, e
-’l conte non vi si volle arrecare, e però si mise
-alla difesa, ed il comune, come contro a suo sbandito,
-a dì 21 di maggio vi pose l’assedio. Il conte
-vedendosi ribellato il fratello carnale, e collegato
-co’ Fiorentini e fattosi loro accomandato,
-vedendosi mal parato, l’ultimo dì di maggio
-diede il castello liberamente a’ Fiorentini, e rimisesi
-alla misericordia del comune: il comune
-lo ribandì, e fecelo suo popolare, e per via di diritta
-compera solennemente fattone le carte per
-ser Piero di ser Grifo notaio delle riformagioni,
-glie ne diè contanti fiorini seimiladugento d’oro,
-e fu descritto il castello di Cerbaia in possessione
-<span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span>
-e contado del comune di Firenze, e tutti i
-fedeli dalla fedeltà furono liberati, e fatti contadini
-di Firenze.
-</p>
-
-<h3 id="capLIII-10">CAP. LIII.
-<span class="smaller"><i>Come il capitano già di Forlì, e messer Giovanni
-Manfredi si puosono tra Imola e
-Faenza.</i></span></h3>
-
-<p>
-Come messer Francesco Ordelaffi fu fatto capitano
-di messer Bernabò, e messer Giovanni di
-messer Ricciardo Manfredi collegato con lui s’intesono
-insieme, e puosonsi a campo tra Imola
-e Faenza per attendere l’avvenimento di quello
-ch’aveano trattato con uno più stretto e confidente
-famiglio ch’avesse messer Ramberto signore
-d’Imola, il quale per grandi promesse ricevute
-avea promesso d’uccidere il suo signore,
-ma come a Dio piacque il trattato si scoperse, e
-il famiglio fu preso, e negli occhi de’ nemici impiccato
-a’ merli delle mura della città; e incontanente
-l’oste ch’attendea l’omicidio si partì
-e tornò a Lugo: e poco appresso del detto mese
-di maggio cavalcarono sopra Forlì, e guastarono e
-predarono intorno e nel paese quello che poterono
-senza trovare contasto.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capLIV-10">CAP. LIV.
-<span class="smaller"><i>D’un gran fuoco che s’apprese nella città di
-Bruggia.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo mese di maggio del detto anno, nella
-città di Bruggia in Fiandra s’apprese il fuoco
-in alcuna casa, il quale cominciò ad ardere quelle
-ch’erano vicine, e a forte a montare con l’aiuto
-del vento, e delle case di legname ch’erano
-atte e disposte a riceverlo, e avvalorò per sì
-fatto modo, che niuno rimedio mettere vi si potea
-per operazione o ingegno d’uomini, che
-nella città non consumasse oltre a quattromila
-case, con grandissimo danno de’ cittadini: e in
-questi giorni medesimi il fuoco gran danno fece
-nella villa di Ganto e di Melina in Brabante.
-</p>
-
-<h3 id="capLV-10">CAP. LV.
-<span class="smaller"><i>Delle compagnie d’oltramonti.</i></span></h3>
-
-<p>
-Appare che la penna non si possa passare senza
-fare memoria delle compagnie, che maravigliosa
-cosa è il vederne e udirne tante creare
-l’una appresso dell’altra in flagello de’ cristiani,
-poco osservatori di loro legge o fede. La moglie
-che fu del siri di Ricorti accolse da millecinquecento
-cavalieri di diverse lingue per volere fare
-guerra in suo paese, poi fu tirata dalla compagnia,
-e in persona con la sua gente venne in servigio
-della Chiesa e del marchese di Monferrato
-<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span>
-in Piemonte, e quivi lasciò con gli altri la sua
-compagnia a guerreggiare. E appresso a questa
-scese in Provenza un’altra gran compagnia d’Inghilesi,
-Guasconi e Normandi, e un’altra se n’adunò
-in questi tempi medesimi presso Avignone
-di Spagnuoli, Navarresi e altra gente, e questa
-venne sopra la città d’Arli, e corse voce che
-venia a petizione del Delfino, che si dicea che
-volea essere re d’Arli, ma non fu vero, per loro
-procaccio venne la compagnia, e una seguiva il
-Petetto Meschino Alvernazzo, che poi crebbe,
-e fece grave danno al re di Francia. Il paese di
-Provenza di là da Rodano e di qua, e ’l Venisì
-e la corte di Roma ne stava in continova tribolazione.
-</p>
-
-<h3 id="capLVI-10">CAP. LVI.
-<span class="smaller"><i>Come Francesco Ordelaffi si levò da Forlì, e
-andonne a oste a Rimini.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo Francesco Ordelaffi stato d’intorno
-a Forlì, e fatto il guasto come a lui piacque, del
-mese di giugno del detto anno si levò da Forlì,
-e con duemila barbute e cinquecento Ungari si
-puose presso alle porti di Rimini, e fermò il
-campo a Santa Giustina, ardendo e guastando le
-ville d’intorno, e facendo gran preda, e poi si
-rivolse dall’altra parte e valicò il fiume, e cavalcò
-infino agli antiporti di Rimini, e tutto
-menò a fiamma il paese, facendo oltraggio e
-onta a’ Malatesti volontariamente, senza trovare
-chi gli facesse resistenza alcuna.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capLVII-10">CAP. LVII.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini manteneano Bologna per
-la strada dell’Alpe.</i></span></h3>
-
-<p>
-I Fiorentini erano stati molto sollecitati dal
-legato, poichè perdè la speranza del re d’Ungheria,
-che prendessono la difesa di Bologna, e non
-pure il legato, ma i signori di Lombardia, e i
-guelfi di Romagna e della Marca continovamente
-per loro segreti ambasciadori glie ne sollecitavano,
-mostrando che Bologna non potea più durare,
-che convenia che venisse alle mani di
-messer Bernabò, perocchè ’l suo contado era tutto
-consumato, e in podere de’ nemici infino alle
-porte d’ogni lato. E mostravano, come che venuta
-ella fosse a messer Bernabò, che Firenze sarebbe
-in pericolo, e male da potersi difendere
-da lui, allegando il verso di Orazio, il quale dice:
-Nam tua res agitur, paries cum proximus ardet:
-in volgare suona: Quando il pariete prossimo a
-te arde il fatto tuo si fa: soggiugnendo, che la pace
-e la guerra stanno nella volontà del potente
-tiranno, che ben sa a tempo con trovare le cagioni;
-per la qual cosa molte volte ne fu grande
-controversia intra i nostri cittadini ne’ segreti
-consigli, ma al tutto si sostenne che si mantenesse
-la pace promessa fedelmente, non ostante
-il pericolo che se ne stimava, e ancora l’autorità
-di santa Chiesa, che d’ogni cosa liberava
-con giustizia il nostro comune. È vero che per
-i discreti cittadini si stimava, che fatta l’impresa
-<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span>
-tutto il carico sarebbe lasciato a’ Fiorentini, e
-non potendola i Fiorentini liberare, cadevano in
-maggiore pericolo, consumato l’avere alla loro difesa:
-non dimeno per savio e diritto consiglio,
-non facendo contro a’ capitoli e ordine della pace,
-il comune intese con sollecitudine a sostenere la
-vita a’ cittadini di Bologna aprendo la strada dell’Alpe,
-e levando ogni divieto, per la qual cosa
-tanto grano, biada, olio e carne andavano di continovo
-in Bologna, ch’ella se ne reggea, e mantenea
-assai convenevolemente senza grande carestia. E
-gli Ubaldini non aveano ardire d’impedire i Fiorentini,
-e i Bolognesi per loro distretto facevano
-campo a Caburaccio; e per questo modo avendo
-Bologna perdute tutte le strade e canali, per questa
-strada si nutricò lungamente. E tanto era l’abbondanza
-a quel tempo ch’avea il contado di Firenze
-che poco rincarò ogni cosa, e se questo spaccio
-non fosse occorso, a niente sarebbe stato il
-grano e ’l biado e l’olio in quell’anno. Se non
-fossono nati quattro leoni, due maschi e due femmine,
-il dì di san Barnaba, passato mi sarei del
-non iscriverlo.
-</p>
-
-<h3 id="capLVIII-10">CAP. LVIII.
-<span class="smaller"><i>Come l’oste di messer Bernabò volle rompere
-la strada da Firenze, e ricevette danno.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Giovanni da Bileggio, valoroso e savio
-cavaliere milanese, e molto amato da messer
-Bernabò, era in quel tempo capitano generale
-della gente del Biscione sopra Bologna e di
-<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span>
-quella di Romagna, il quale avendo alla città
-tolte tutte le strade, e vedendo che rimaso non
-gli era altro sostegno che la strada dell’Alpe
-che venia a Firenze, si pensò di romperla, e
-ordinò una cavalcata a Pianoro. Il capitano di
-Bologna, che era Malatesta Ungaro, sentì il fatto,
-e mise la notte gente fuori, i quali si misono
-in aguato, e venendo i nemici uscirono loro addosso,
-ed ebbono vittoria di quella gente, ch’erano
-dugento barbute, che pochi ne camparono
-che non fossono o morti o presi, per la qual cosa
-il capitano dell’oste prese sdegno, e ordinò di
-strignersi più alla terra, e di fare correre fino
-alle porte d’ogni parte, e a mezzo il mese di
-giugno lasciate fornite l’altre bastite si mise innanzi
-con l’oste, e puosesi al Ponte maiore in
-sulla strada tra Bologna e Imola, e ivi fermò
-il campo presso alla città un miglio.
-</p>
-
-<h3 id="capLIX-10">CAP. LIX.
-<span class="smaller"><i>Come fu sconfitto l’oste di messer Bernabò
-al Ponte a san Ruffello.</i></span></h3>
-
-<p>
-Vedendo il capitano messer Giovanni da Bileggio
-avere recata la città di Bologna a grandi stremi,
-che rimasa non l’era via d’aiuto altro che
-la strada da Firenze, avendo animo di trarre
-quella guerra al suo desiderato fine, sentendo
-che nella città non avea oltre a trecento uomini
-d’arme a cavallo, e che ’l capitano che fu di
-Forlì era sopra d’Arimini, e correa senza contasto
-con millecinquecento cavalieri tutto il paese,
-<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span>
-pensò di porre una grossa e forte bastita al
-Ponte a San Ruffello presso a Bologna in sulla
-strada da Pianoro, acciocchè al tutto si levasse
-alla città ogni soccorso, e questo mise in opera,
-e mossesi con tutta la sua oste, ch’erano più di
-millecinquecento cavalieri, e duemila masnadieri,
-e molti altri fedeli degli Ubaldini, e con
-lui nel vero era tutto il fiore della gente di messer
-Bernabò, avendo mandati trecento altri cavalieri
-per scorta alla vittuaglia che venia di verso
-Ferrara, con grande apparecchio di vittuaglia e
-d’altro arnese, e a dì 16 di luglio del detto anno
-si misono per lo fiume della Savena, e senza trovare
-contasto furono al Ponte a san Ruffello, e
-quivi fermarono il campo per edificare la bastita,
-e con grande sollecitudine attendeano a fare i fossi,
-e conducere il legname d’ogni parte. In questo
-stante, come fu volontà di Dio, messer Galeotto
-de’ Malatesti da Rimini, cavaliere di grande ardire
-e maestro di guerra, avea ricolti in Faenza cinquecento
-barbute e trecento Ungari per danneggiare
-la gente di messer Francesco degli Ordelaffi,
-ch’era sopra Arimini, come detto è, il quale
-sentendo l’oste da Bologna messa in mal passo,
-di presente cavalcò a Imola, e da Imola la sera a
-dì 19 di luglio improvviso a’ nemici cavalcò
-per modo, ch’alle cinque ore di notte fu a Bologna,
-non sapendo i Bolognesi alcuna cosa. Messer
-Malatesta Unghero suo nipote capitano in Bologna
-il ricevette la notte sì contamente, che i nemici
-non lo sentirono, nè eziandio i Bolognesi
-che erano a dormire, pensando fossono gente di
-guardia, e in quel resto della notte agiarono le
-<span class="pagenum" id="Page_76">[76]</span>
-persone e’ cavalli come poterono il meglio: la
-mattina per tempo serrate le porte della città fece
-assentire a’ cittadini, come volea assalire i
-nemici, i quali inanimati e confortati dalla grazia
-la quale Dio mandava loro, tutti di volontà,
-con piena speranza di vittoria presono l’arme,
-e gran parte i falcioni in mano, e dato il segno
-d’uscire fuori al suono della campana della giustizia,
-la domenica mattina a dì 20 di luglio, ordinate
-le battaglie, e dato il nome, messer Galeotto
-col potestà di Bologna, ch’era pro’ e valente
-cavaliere, e messer Malatesta Ungaro con settecento
-barbute, e con trecento Ungari, e con quattromila
-Bolognesi i più bene armati, feciono aprire
-le porti, e uscirono della terra, e non tennono
-per la diritta strada, anzi si misono maestrevolmente
-per lo piano del fiume della Savena onde
-erano entrati i nemici, acciocchè quindi non potessono
-tornare, e alcuna parte del popolo misono
-per le ripe a traverso sopra dove erano i
-nemici. Il cammino fu corto, sicchè si veddono
-prima quelli del campo la gente addosso da due
-parti, che sapessono che gente d’arme fosse
-venuta in Bologna, nondimeno come uomini
-esperti in arme e di gran cuore, benché ’l subito
-caso gli smarrisse, presono ardire e feciono testa,
-ordinandosi alla battaglia in fretta come poterono
-il meglio, e di presente misono gente in
-su un colle sopra il ponte per riparare a quelli
-che scendevano per la valle; ma vedendo venire
-quelli della città baldanzosi e con gran
-cuore, abbandonarono il colle, e tornarsi all’altra
-oste. Messer Galeotto e i suoi gli assalirono
-<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span>
-molto arditamente innanzi alla venuta del popolo
-co’ falcioni, e i nemici francamente gli ricevettono,
-combattendo con loro aspramente;
-ma sopraggiugnendo il popolo, e cominciandosi
-a mescolare tra’ nemici con loro falcioni, dopo
-lunga difesa gl’invilirono e ruppono, e molti
-n’uccisono, e perchè erano in parte da non potere
-fuggire, quasi tutti s’arrenderono a prigioni,
-che pochi ne camparono. Il podestà di Bologna
-fu fedito a morte in quella battaglia, e poco
-appresso morì in Bologna. Trovarsi morti in
-picciolo spazio di campo dove porre si dovea la
-bastita quattrocentocinquantasei uomini, i quali
-tutti furono sotterrati nel fosso che fatto aveano,
-e per l’altro campo qua e là più d’altrettanti;
-in tutto numerati furono i morti novecentosettanta,
-e quattrocento cavalli. I presi furono
-oltre a milletrecento: a’ forestieri tolte furono
-l’armi e’ cavalli e lasciati alla fede, che furono
-più d’ottocento; gl’Italiani furono ritenuti, sì
-per lo scambiare, sì per porre loro la taglia.
-De’ caporali fu preso messer Giovanni da Bileggio
-capitano generale dell’oste, e Guasparre e
-Giovanni di Nanni da Susinana, e Andrea delle
-Piaggiuole tutti degli Ubaldini, e più altri; costoro
-furono rassegnati al legato, e imprigionati
-in Ancona. La vittuaglia che nell’oste trovarono
-fu grande quantità, e gli arnesi che presono
-furono di gran valuta, perocchè molto adorna
-era la cavalleria e i masnadieri d’arnesi d’argento,
-d’armadure e robe, e aveano danari assai,
-e venticinque migliaia di fiorini d’oro ch’erano
-giunti nel campo per fare la paga a’ soldati. La
-<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span>
-vittoria fu grande e singolare, che essendo Bologna
-abbandonata dall’aiuto della Chiesa, dall’imperadore,
-da’ signori di Lombardia e da’ comuni
-di Toscana, e posta negli estremi, per occulta
-via fu liberata, perocchè molti affermarono,
-e per intendimenti si tenne essere il vero, che
-veggendo il legato di Spagna, il quale era in
-Ancona tornato dal re d’Ungheria senza aiuto
-e senza consiglio, che Bologna era in termine
-che senza riparo dovea venire nelle mani di
-messer Bernabò, e per tanto temendo, e non
-osando di tornare a Bologna per non venire nel
-cruccio del popolo, o nelle mani del tiranno,
-che per le sue virtù e grande animo forte l’odiava,
-stando in forti pensieri, mandò per il vecchio
-messer Malatesta da Rimini, col quale più
-giorni stato in segreto sopra i fatti di Bologna,
-e per loro tirato in considerazione, che la forza
-del tiranno era tale, alla quale unita resistenza
-non era, e che messer Giovanni da Bileggio era
-voglioso al terminare dell’impresa per riportarne
-l’onore, e gli parea che il suo desiderio ritardasse
-la strada ch’era aperta a’ Bolognesi di
-verso Firenze; da questi luoghi il savio messer
-Malatesta prese il sottile avviso, che fatto gli
-venne, e con coscienza del legato mandò suo
-segreto ambasciadore nel campo a messer Giovanni
-da Bileggio con verisimili argomenti avvisandolo,
-che nel segreto amico non era del
-legato per le terre che tolte gli avea, e che di lui
-fidare non si potea, che venendo nel colmo di
-quello che appetia non gli togliesse il resto, e
-che però volentieri attenderebbe ad abbassare il
-<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span>
-legato e il suo orgoglio; ma perchè il legato
-gli avea sopra capo il castello di sant’Arcangiolo,
-non osava levare il dito, nel quale fermava
-avere trattato per torlo al legato se avesse spalle
-e forza di gente d’arme, la quale dicea non potere
-essere meno di millecinquecento barbute:
-giugnendo al fatto, che come messer Galeotto,
-ch’era in Bologna con messer Malatesta vicario,
-fosse da lui avvisato, sotto colore di soccorrere
-a Rimini, come verso là sentisse cavalcato la
-gente del signore di Milano, trarrebbe di Bologna
-tutta la buona gente d’arme, lasciando la
-trista sott’ombra di guardia della terra, e il simile
-farebbe dell’altre terre della Chiesa, e che
-venendo il pensiere ad effetto, come ragionevolmente
-dovea, esso messer Giovanni liberamente
-e senza contasto veruno potea porre bastite e
-rompere la strada fiorentina. A messer Giovanni
-piacque il trattato, e diede piena fede all’ambasciadore,
-lettera, suggelli, e carte a lui presentate
-da parte di messer Malatesta, e di presente
-elesse capitano di millecinquecento barbute,
-come detto è di sopra, messer Francesco
-degli Ordelaffi, e lo fè cavalcare sopra Rimini,
-come avvisò del tutto messer Galeotto avvisato
-della baratta di messer Malatesta, onde fè gli
-atti e le mostre dette di sopra, il perchè ne seguì
-la sconfitta al ponte a san Ruffello. Non so
-se più sagace e malizioso trattato s’avesse saputo
-ordinare Ulisse o il conte Guido da Montefeltro.
-Cesare non lasciava ragunare la gente di
-Pompeo, temendo il numero e la bontà de’ cavalieri;
-costui con astuzia la raunata divise, e
-<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span>
-indusse il savio capitano in folle impresa, della
-quale seguì la più notabile sconfitta di morte
-d’uomini pregiati d’arme che fosse in Italia
-di nostro ricordo di cento anni addietro.
-</p>
-
-<h3 id="capLX-10">CAP. LX.
-<span class="smaller"><i>Come seguì appresso alla sconfitta
-di san Ruffello.</i></span></h3>
-
-<p>
-I trecento cavalieri che conduceano per loro
-scorta la vittuaglia nel campo, essendo in sul
-Bolognese, sentendo la novella della sconfitta
-abbandonaro la roba, e camparono le persone.
-Quelli delle bastite le lasciarono prima fossono
-assaliti, e salvaronsi in Pimaccio, e’ Bolognesi
-l’arsono, e la roba recarono alla città. Per questa
-vittoria i Bolognesi alquanto ne stettono in
-festa e in riposamento: il legato ne prese cuore
-di potere la città aiutare e sostenere: mostra ne
-fè, ma poca operazione ne fè in que’ tempi, perocchè
-sopra modo era la possanza del suo avversario
-e la volontà pertinace. Messer Bernabò quando
-questa novella sentì ne mostrò dolore singolare
-rodendosi dentro a guisa di cane arrabbiato,
-e vestissene a nero, e molti giorni stette che
-niuno gli potè parlare. Sentissi che di ciò contro
-a’ Fiorentini prese grave sdegno, affermando
-ch’erano cagione del suo danno e vergogna per lo
-mantenere della strada, ma non se ne scoperse,
-perocchè tutto che irato fosse ben conosceva che
-a’ Fiorentini era lecito di così fare senza corruzione
-di pace. Messer Francesco Ordelaffi come
-<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span>
-seppe la novella scorse la Marca, e di notte con
-sua brigata prese il congio per la via della marina,
-e in ventiquattro ore cavalcò cinquantasei
-miglia, e con la gente a lui accomandata si ricolse
-in Lugo.
-</p>
-
-<h3 id="capLXI-10">CAP. LXI.
-<span class="smaller"><i>Come messer Bernabò si credette prendere
-Correggio per trattato, e sua gente
-vi rimase presa.</i></span></h3>
-
-<p>
-L’animo che è insaziabile del tiranno, che sempre
-è con desiderio di sottomettere i popoli liberi,
-e gli altri tirannelli che sono minori, tenea messer
-Bernabò oltre alla presa di Bologna trattato
-di torre Correggio, nè la gastigatura di san Ruffello
-l’avea rimosso dal seguirlo; onde all’uscita
-di giugno detto anno, credendosi avere il castello
-di Correggio, messer Ghiberto che n’era signore,
-e da esso aveano il titolo di loro casa e famiglia,
-sentito il fatto, senza farne mostra procurò
-aiuto da’ signori di Mantova, i quali segretamente
-gli mandarono quindici bandiere di cavalieri, i
-quali di notte entrarono in Correggio: venuta la
-cavalleria di messer Bernabò nel fare del giorno,
-come era dato l’ordine, che furono diciassette
-bandiere, furono lasciati entrare nelle barre che
-erano davanti al castello, e fatto vista di volerli
-mettere nella terra, secondo l’ordine dato apersono
-le porti della terra, e calarono i ponti, e la
-gente da cavallo ch’era nel castello con molta
-fanteria si strinsono loro addosso con grandi grida,
-<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span>
-e rinchiusi tra le barre, e storditi per lo subito
-e non pensato assalto perderono il cuore
-alla difesa, e però gli ebbono tutti a prigioni, e
-guadagnate l’arme e’ cavalli liberaro il castello
-dall’aguato del tiranno.
-</p>
-
-<h3 id="capLXII-10">CAP. LXII.
-<span class="smaller"><i>Dell’armata del re di Cipro, e il conquisto
-di Setalia e del Candeloro.</i></span></h3>
-
-<p>
-Dando alcuna parte agli avvenimenti d’oltremare,
-lo re di Cipro avendo fatta sua armata, e
-non sapendo dove si dovesse andare, a dì 24 di
-luglio 1361 con ventiquattro galee armate, con l’aiuto
-di tre galee dello Spedale armate di franchi
-e valorosi frieri, e con altri legni e armati e di
-carico in numero di cento vele si partì di Cipro,
-e del mese seguente d’agosto percosse sopra
-la città di Setalia, la quale era d’un signore di
-Turchi di gran possanza, e avendo sua gente
-posta in terra, e combattendo la terra, che avea
-tre procinti di mura, de’ quali nel primo stavano
-mercatanti e Giudei, nel secondo i saracini, e
-nel terzo i Turchi ch’erano signori della terra, ed
-essendo tutta gente sprovveduta e poco atta alla
-difesa, il perchè i cristiani entrarono dentro per
-forza, onde il signore che v’era con poca gente
-se n’uscì, e la terra fu presa. Ma poco stante
-il Turco tornò con più di tremila Turchi tra a
-cavallo e a piè, e senza dubbio arebbe ripresa la
-terra, se non fosse la provveduta guardia che
-feciono li frieri, i quali sapendo loro costumi
-<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span>
-del continovo stavano apparecchiati: e ciò venne
-a gran bisogno, perocchè ritennono l’empito e
-subito assalto de’ Turchi, tanto che l’altra gente
-s’armò, e venne alla difesa. I Turchi veggendo
-che loro impresa venia stolta, con loro vergogna
-e dannaggio si partirono. Lo re di Cipro avuta
-questa vittoria montò in galea, e con sua armata
-se n’andò al Candeloro, il quale era al governo
-e signoria d’un altro Turco, il quale senza volere
-fare difesa s’acconciò con il re, e riconobbe
-la terra da lui, e li promise certo censo e tributo
-d’anno in anno: e il re lasciata fornita Setalia
-si tornò nell’isola di Cipro.
-</p>
-
-<h3 id="capLXIII-10">CAP. LXIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Turchi di Sinopoli assalirono Caffa,
-e furono vinti da’ Genovesi.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questa state i Turchi di Sinopoli armarono
-quattordici galee nel Mare maggiore, e assalirono
-il Caffa terra e porto di Genovesi, e fecionvi
-danno assai e per mare e per terra, perchè i Genovesi
-di ciò non si guardavano; ma tantosto in
-Caffa e in Pera armarono quattordici galee come
-in fretta il meglio poterono per seguitare i
-Turchi nel ritorno che fare doveano a Sinopoli,
-e trovatili, li seguirono, fuggendo i Turchi, tanto
-che per forza li feciono dare a terra colle
-balestra loro, avendone molti e morti e fediti,
-onde i Turchi per forza costretti furono a disarmare,
-e disarmati i Turchi, i Genovesi lasciarono
-in que’ mari due galee armate, e l’altre disarmarono.
-<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span>
-I Turchi veggendo queste due galee rimase
-tra loro, di subito cinque n’armarono, e
-vennono contro quelle de’ Genovesi, le quali cominciarono
-a fuggire, e’ Turchi a seguitare, tanto
-che essi si trovarono insieme in alto mare.
-Come i Genovesi si vidono dilungati da terra, girarono
-le loro galee contro le cinque de’ Turchi,
-e misonsi tra loro, essendo bene ordinati, e colle
-loro balestra non gettavano verrettone in vano,
-ma fedivano soprassaglienti e galeotti senza rimedio,
-onde i Turchi si misono alla fuga, e i
-Genovesi li seguitarono tanto che si diedono a
-terra, e salvarono i corpi delle loro galee, mortine
-assai di loro, e fediti e magagnati.
-</p>
-
-<h3 id="capLXIV-10">CAP. LXIV.
-<span class="smaller"><i>Come le compagnie condotte in Piemonte
-cominciarono a guerreggiare.</i></span></h3>
-
-<p>
-Le compagnie tratte per lo marchese e per la
-Chiesa di Provenza, condotte in Piemonte in questi
-tempi della moria cominciata in Milano del
-mese d’agosto, cominciarono a guerreggiare nel
-Piemonte, dove acquistarono al marchese sette
-castella le più loro arrendute. Messer Galeazzo si
-ridusse a Moncia fuggendo di Milano la morìa
-che asprissimamente li perseguitava, avendo le
-sue terre fornite di buona guardia, e in campo
-non mise persona: ben tentò di trarne al suo soldo
-di quelli della compagnia, e d’alcuna parte
-li venne fatto per la forza del fiorino d’oro, non
-dimanco il resto rimase sì grande, che corse insino
-<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span>
-al Tesino senza contasto. Messer Bernabò
-veggendo la pestilenza sformata in Milano, che
-per giorno fu che levò ottocento, e mille e milledugento,
-e tal fu dì de’ millequattrocento, e ben
-parea volesse ristorare i Milanesi, cui per l’altre
-moríe non avea assaggiati, si partì di Milano con
-tutta sua famiglia, e andonne al suo nobile castello
-di Marignano, il quale è verso Lodi, il
-luogo foresto e di sana aria, facendo gran guardia
-che nessuno non gli andasse a parlare, avendo
-ordinato col campanaro della torre, che per ogni
-uomo che venisse a cavallo desse un tocco. Occorse
-che certi gentili e ricchi uomini di Milano
-andarono a Marignano, ed entrarono dentro; il
-signore li ricevette bene, ma turbato contro il
-campanaro mandò su la torre suoi sergenti, e
-comandò lo gettassono della torre; i quali andati
-su, trovarono il campanaio morto appiè della
-campana: per la qual cagione messer Bernabò
-terribilmente spaventato di presente senza arresto
-abbandonò il castello, e si mise nel più salvatico
-e foresto luogo, ove più di due miglia da
-lunga fece rizzare pilastri con forche ne’ quali
-era scritto, che chi li passasse su vi sarebbe appeso.
-Per allora in avanti sua vita fu tanto remota
-e solitaria, che voce corse, e durò lungamente,
-ch’egli era morto, ed egli n’era contento
-per farne a tempo suo vantaggio. Giugneremo
-a questo, per non fare nuovo capitolo, che in questi
-tempi della moria, che anche requistava in
-Vinegia, morì il doge loro, e funne fatto un giovane
-di quarantasei anni, il quale non era di
-gran famiglia, nomato Lorenzo Celso: costui per
-<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span>
-la maturità de’ suoi costumi e virtù montò a
-questo onore, e innanzi ai più antichi e più nobili
-cittadini oltre a loro consuetudine: e pertanto
-notato l’avemo, e per la sequela del fatto.
-</p>
-
-<h3 id="capLXV-10">CAP. LXV.
-<span class="smaller"><i>Di grandi terremoti che furono in Puglia,
-e assai guastarono della città d’Ascoli.</i></span></h3>
-
-<p>
-A dì 27 di luglio del detto anno, in su l’ora del
-vespero, furono in Puglia grandissimi terremuoti,
-e apersono la città d’Ascoli di Puglia, e quasi
-tutta la subissarono con morte d’oltre a quattromila
-cristiani. A Canossa caddono parte delle
-mura della terra, e molti dificii puose in ruina;
-in altre parti fece poco danno. Furono ancora in
-questo anno grandine molte e sfoggiate, le quali
-ai grani e agli ulivi feciono danno assai più
-che nell’altre stati.
-</p>
-
-<h3 id="capLXVI-10">CAP. LXVI.
-<span class="smaller"><i>Delle rivolture del paese di Fiandra in
-questa state.</i></span></h3>
-
-<p>
-Del mese di luglio del detto anno, nella città
-di Bruggia fu grande battaglia tra’ tesserandoli
-e folloni dall’una parte, e da’ borgesi dall’altra
-per assai lieve e subita cagione, e non senza
-molti morti e magagnati da catuna delle parti:
-e poco appresso seguitò ch’e’ tesserandoli e
-folloni della città depuosono il balio del conte
-<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span>
-senza colpa apponendoli tradigione. E in que’ giorni
-il conte Audinarda facea la festa della figliuola,
-la quale avea data per moglie al duca di Borgogna,
-il quale ciò sentendo mandò pregando li
-Schiavini e gli altri ch’elli attendessono tanto
-che egli avesse sua festa fornita, dicendo, che poi
-terrebbe giudizio del balio suo, e che se lo trovasse
-colpevole si rendessono certi che ne farebbe
-a loro sodisfazione rilevata giustizia e vendetta.
-I bestiali e arroganti di quei mestieri recando a
-vile la preghiera del conte, in vergogna e dispetto
-suo appendere lo feciono alle finestre del suo
-palagio: onde il conte con tutto suo seguito forte
-ne furono turbati, ma assisesi al mostrare di non
-calere, nè mostrare di sua onta.
-</p>
-
-<h3 id="capLXVII-10">CAP. LXVII.
-<span class="smaller"><i>Come fu decapitato messer Bocchino de’ Belfredotti
-signore di Volterra, e come la città
-venne alla guardia de’ Fiorentini.</i></span></h3>
-
-<p>
-E’ ne pare di necessità per più brevità della
-nostra opera, e per meglio dare ad intendere il
-fatto di che dire intendiamo, raccogliere alquante
-cose, le quali in piccolo trapassamento di tempo
-hanno fine straboccato. Messer Francesco de’ Belfredotti
-da Volterra sopra il ciglio di Volterra
-tenea la forte rocca di Montefeltrano, e messer
-Bocchino di messer Ottaviano suo consorto era
-signore della terra, il quale cupido d’aumentare
-sua tirannia, con solleciti aguati cercava di torre
-a messer Francesco detta fortezza, e dopo la morte
-<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span>
-di messer Francesco, messer Bocchino non lasciava
-stare i figliuoli in Volterra. Il perchè il
-comune di Firenze sentendo la detta dissensione,
-perchè non terminasse a peggio, s’interpose tra
-loro, e li ridusse a concordia, e obbligaronsi insieme
-a pena, la quale per l’uno e per l’altro
-promise il comune di Firenze per osservanza di
-pace; per la quale i figliuoli di messer Francesco
-tornarono in Volterra sotto l’ubbidienza di messer
-Bocchino. E stando senza alcuno sospetto, all’uscita
-d’agosto del detto anno, il tiranno a
-un Volterrano, a cui nella guerra era stato morto
-un suo congiunto da un altro Volterrano amico
-e servidore de’ figliuoli di messer Francesco,
-con segreta licenza di messer Bocchino, trovando
-il suo nemico a dormire lo fece uccidere, e colui
-che morto l’avea con suoi parenti e amici fece
-testa, perchè la terra si commosse a cittadinesca
-battaglia, e alquanti degli amici de’ figliuoli di
-messer Francesco vi furono morti traendo al romore,
-e i detti figliuoli di messer Francesco, come
-era per lo tiranno ordinato, furono presi contro
-le convenenze per le quali il comune di Firenze
-era mallevadore; il perchè il comune per
-suoi ambasciadori mandò ricordando al tiranno
-li dovesse piacere non farli questa vergogna, dicendo,
-come a richiesta e preghiera di lui avea
-promessa sua fede. Il tiranno con simulate parole
-tenea gli ambasciadori a parole, e dal malvagio
-proponimento non si toglieva. I Fiorentini
-veggendo che le parole non ammollavano le parole
-finte e mal disposte del tiranno, e sentendo
-che ciò che fatto avea era contro alla comune
-<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span>
-volontà de’ Volterrani, e temendo che la cosa
-non avesse mal fine e pericoloso per lo comune,
-non furono lenti, ma prestamente mandarono
-gente d’arme, e fornirono la rocca de’ figliuoli
-di messer Francesco, minacciando di guerra se
-non si facesse ammenda. Il tiranno veggendo
-l’animo de’ Fiorentini contro a lui giustamente
-irato si forniva di gente di sua amistà, e spezialmente
-de’ Pisani, per riparare alla forza e mantenere
-sua fellonia, perseverando nel detto malvagio
-proponimento. Certi cittadini di Firenze
-per trattato che dentro aveano d’avere il torrione
-del monte, che è fuori delle mura, domenica
-mattina a dì 24 d’agosto vi cavalcarono, e dalla
-gente de’ Pisani vi furono scoperti, e ributtati
-con vergogna senza altro danno, il perchè il comune
-v’ingrossò gente, e pose oste a Volterra.
-La quale essendo in sul Volterrano, messer Bocchino
-per dispetto de’ Fiorentini trattò di dare
-la signoria a’ Pisani per trentadue migliaia di fiorini
-d’oro. Il popolo di Volterra sentendo ch’e’
-si trattava di venderlo, e farli schiavi de’ Pisani,
-tutti d’uno volere presono l’arme, e corsono
-all’ostiere dove erano i cavalieri de’ Pisani,
-a’ quali incauti e sprovveduti tolsono le selle
-e’ freni de’ cavalli, e ciò fatto, senza far loro altra
-villania li misono fuori della terra, e loro renderono
-freni, selle, cavalli e armadure, e i fanti
-forestieri accomiatarono, e si partirono. Ciò
-fatto, appresso furono al palagio del tiranno, il
-quale con lunga e composta diceria volendo tiranneggiare
-li animava a mantenere loro libertà e
-franchigia, e quinci li credette dal loro proponimento
-<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span>
-levare, ma i terrazzani trafitti dalle
-sue crudeli operazioni a suo dire non prestarono
-orecchie, ma sdegnosamente rispuosono, che bene
-saprebbono usare loro libertà, e che per ciò
-fare voleano in guardia lui, e sua famiglia, e certi
-suoi congiunti, e a Firenze mandarono per
-capitano di guardia, e a Siena per podestà. Il capitano
-prestamente vi fu mandato un popolano,
-e dietro ad esso mandati furono quattro ambasciadori,
-e simile feciono i Sanesi. I Fiorentini
-temendo i movimenti de’ popoli vari, e vani e
-instabili, al continovo vi facevano cavalcare gente
-d’arme, e a cavallo e a piè, ancora perchè a
-loro parea che i Volterrani volessono col braccio
-de’ Sanesi raffrenare il nostro comune: il
-perchè alla gente de’ Fiorentini segretamente
-fu comandato, che procacciassono delle castella
-de’ Volterrani, i quali cavalcarono a Montegemmoli,
-ed ebbonlo per forza, ed a il loro
-Montecatino, e anche l’ebbono, e così più altre
-castellette. I Volterrani mandarono a Firenze
-loro ambasciadori per i quali domandavano libertà
-con l’ammenda de’ loro dannaggi, eleggendo
-capitano di guardia di Firenze: la cosa per più
-giorni stette in controversia e in dibattimento. I
-Fiorentini che in Volterra aveano i loro ambasciadori,
-e il capitano, e gran parte de’ nove, e
-di buoni popolani la maggior parte a loro segno
-feciono strignere la gente dell’arme vicino alle
-mura di Volterra, avendo presentito che la
-setta che voleva i Sanesi la notte vi doveano
-mettere gente d’arme, e così di vero seguiva,
-che la notte cinquanta cavalieri e centocinquanta
-<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span>
-fanti alla condotta d’alcuno de’ Malavolti,
-giugnendo con la gente alla fonte presso alla
-terra, cadde nell’aguato de’ Fiorentini, e fu
-preso con tutta la gente, e facendo vista di non
-conoscerli, loro fu tolta l’arme e’ cavalli, ma
-poichè per lingua e nome si furono palesati,
-ripresi da’ capitani dell’impresa facevano contro
-al comune di Firenze, assai cortesemente fu loro
-renduta l’arme e’ cavalli, e rivolti per la via
-ond’erano venuti, con assai vergogna di loro
-matta arroganza e presunzione. Il popolo di Volterra
-di suo errore ravveduto la guardia del cassero
-della città diedono a’ Fiorentini. I Sanesi
-ch’erano in Volterra senza aspettare comiato
-si partirono, e’ Fiorentini del tutto rimasono signori,
-con certe convegne, che i Volterrani promisono
-in perpetuo d’avere gli amici del comune
-di Firenze per amici, e i nemici per nemici,
-e che la rocca dieci anni si guardasse per i Fiorentini,
-e del continovo debbino prendere capitano
-di popolo di Firenze; e per loro ordine hanno
-fatto, che da Pisa, nè nella città nè nel
-contado loro non possa venire uficiali nè alcuno
-altro d’alcuna città o terra presso a Volterra
-a trenta miglia; e passato il tempo di quelli
-nove uficiali ne furono altri. E il popolo di Volterra
-al tutto volle che ’l capitano di Firenze che
-v’era facesse tagliare la testa a messer Bocchino,
-e così fece una domenica mattina a dì 10
-d’ottobre del detto anno, messo prima nella terra
-la cavalleria de’ Fiorentini con volontà del popolo,
-il quale la ricevette a grande onore.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capLXVIII-10">CAP. LXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come il patriarca d’Aquilea fu a tradimento
-preso dal doge d’Osteric.</i></span></h3>
-
-<p>
-Fama era per tutta Italia per lungo tempo, la
-quale si trovò in fine non vera, che ’l doge
-d’Osteric era dall’imperadore fatto re di Lombardia,
-ma quale la cagione si fosse, mosse di
-suo paese con grande compagnia di gente d’arme,
-e passò nel patriarcato d’Aquilea del mese detto,
-dove confidentemente fu ricevuto. Il patriarca
-avea ripresi di sue ragioni certi paesi d’entrata
-di fiorini cinquemila per anno o più al
-patriarcato, i quali dal duca vecchio erano stati
-occupati al tempo della vacazione del patriarcato.
-Questo duca movendo questione al patriarca
-di queste terre, vennono a concordia di stare
-di ciò alla sentenza dell’imperadore suocero
-del detto duca: e per trarre la cosa a pacifico
-fine di concordia si mossono di là, e in compagnia
-andavano all’imperadore, ed entrati nelle
-terre del duca nella città di Vienna, sotto colore
-di fare onore al patriarca il duca li fece apparecchiare
-un grande ostiere, e credendo il patriarca
-l’altro dì con lui seguire il suo viaggio, vi si trovò
-arrestato e preso; e domandandoli delle terre
-del patriarcato, il valente patriarca, messo sua
-persona a non calere, fece per suo segreto e fidato
-messo, e con sua lettera e suggello comandamento
-a tutti i sudditi suoi, che per niuno
-caso che gli avvenisse niuna glie ne dessono. Il
-<span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span>
-patriarca era messer.... della Torre di Milano,
-prelato antico e di buona fama. Questa fu la riuscita
-della grande fama del detto duca per lo
-reame d’Arli, la quale per più riprese fece ristrignere
-a parlamento i signori di Lombardia
-per provvedere a loro difesa.
-</p>
-
-<h3 id="capLXIX-10">CAP. LXIX.
-<span class="smaller"><i>Di fuoco che senza rimedio arse in Roma
-san Giovanni Laterano.</i></span></h3>
-
-<p>
-Egli è da dolere a tutti i cristiani quello che
-ora sono per narrare della nobile e venerabile
-chiesa di san Giovanni Laterano di Roma, e
-ciò pare piuttosto ammirabile che degno di fede.
-Uno maestro ricopriva il tetto della nave maggiore
-della detta chiesa, la quale essendo coperta
-di piombo conveniva che con ferri roventi le
-congiunture delle piastre si congiugnessero per
-ammendare i difetti, ed avendo il maestro il fuoco
-acceso di carboni sopra il tetto, per sinistro
-avvenimento un poco di carbone cadde, e come
-che si entrasse, senza avvedersene il maestro si
-posò sopra una trave, e quella incese, e appresso
-con quella tutto l’altro edifizio senza potere
-essere atato a spegnere, non che grande popolo
-non vi traesse con ogni argomento, ma quasi
-come fosse volontà di Dio tutta la nave della
-chiesa, e tutte l’altre parti di quella, e tutte
-le cappelle con quella di Sancta Sanctorum arse,
-che nulla vi restò fuori che le mura, con danno
-inestimabile del costo di tale e tanto edificio: è
-<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span>
-vero che le reliquie di Sancta Sanctorum si camparono;
-e ciò avvenne del mese d’agosto del detto
-anno. Giugnendo fuoco a fuoco, in questo
-medesimo tempo nelle contrade di Bossina fuoco
-cadde da cielo, e arse gran paese senza riparo
-nessuno.
-</p>
-
-<h3 id="capLXX-10">CAP. LXX.
-<span class="smaller"><i>Del maritaggio del duca di Guales primogenito
-del re d’Inghilterra.</i></span></h3>
-
-<p>
-Contato avemo addietro le prodezze e grandi
-valentrie del duca di Guales primogenito del famoso
-re Adoardo d’Inghilterra, a cui vivendo
-la corona succedè. Costui in questi giorni si tolse
-per moglie una sua consobrina contessa di
-Chienne, la quale era di tempo, e vedova di
-due mariti di piccoli baronaggi, e aveva fatti
-più figliuoli. La maraviglia che di ciò prese
-chiunque sapea suo alto stato, vita e condizione,
-ce n’ha fatto qui fare nota, forse con iscusa alcuna.
-</p>
-
-<h3 id="capLXXI-10">CAP. LXXI.
-<span class="smaller"><i>Come papa Innocenzio riformò santa Chiesa
-de’ cardinali morti per la morìa.</i></span></h3>
-
-<p>
-Erano morti in pochi dì nella corte di Roma
-il vicecancelliere di Preneste, il cardinale Bianco,
-quello d’Ostia e di Velletri, quello di Calamagna,
-messer Andrea da Todi detto il cardinale
-<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span>
-di Firenze, il cardinale della Torre, e quello
-che fu generale de’ frati minori, e un altro. Il papa
-volendo riformare santa Chiesa di cardinali,
-nel tempo delle digiune del mese di settembre
-dello anno ne fece altri otto: il cancelliere di
-Francia, l’arcivescovo di Ravenna assente, che
-poi morì in cammino, ed era Caorsino, l’abate di
-Clugnì Borgognone, il vescovo di Nemorsi Francesco,
-l’arcivescovo di Carcassone nipote del papa,
-messer Guglielmo suo referendario ch’era di Limosi,
-il figliuolo di messer Pietro da san Marcello,
-e l’arcivescovo d’Aques in Guascogna, tutti oltramontani,
-e niuno ne fece Italiano, dimostrando
-che di visitare la cattedra di san Piero a Roma
-era strano al tutto del desiderio e appetito degl’Italiani.
-</p>
-
-<h3 id="capLXXII-10">CAP. LXXII.
-<span class="smaller"><i>Come il re Buscialim della Bellamarina
-fu morto, e delle rivolture di Granata.</i></span></h3>
-
-<p>
-Regnando Buscialim in Fessa, ed essendo tornato
-al regno con l’aiuto del re di Castella, certi
-caporali cristiani e mori del detto re si levarono
-senza cagione debita contro al re, e uccisonlo,
-dicendo, che loro non dava loro soldi, ma
-il vero fu, che morire lo feciono perchè egli era
-troppo amico del re di Castella, e la cagione si
-prese, perocchè avendo il re di Castella guerra
-col re di Granata, mosse Maomet cacciato dal detto
-re di Granata, che dovea essere re egli, a ritornare
-nel paese, e il re Buscialim a petizione
-di quello di Castella avea scritto a tutti i rettori
-<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span>
-delle sue terre ch’avea in Ispagna, che ubbidissono
-il detto Maomet come la sua persona, della
-qual cosa turbati i Mori uccisono il loro re Buscialim;
-e morto costui, feciono re un Busciente,
-ch’era in prigione fratello del detto re, ma non
-era di sana mente, e però altri governava il reame,
-e costoro incontanente contramandarono a’
-balii delle terre di Spagna, che non lasciassono
-entrare Maomet in loro terre. E poco appresso,
-del mese di novembre del detto anno, quelli di
-Fessa, vedendosi avere il re smemoriato, mandarono
-ambasciadori a Sibilia a un giovane della
-casa reale di Bellamarina, il quale si stava a Sibilia
-con un altro suo fratello minore assai poveramente:
-gli ambasciadori lo addomandarono, il
-re di Castella li fece armare una galea e menarlo
-a Setta, e di là per terra il condussono a Fessa,
-e in ogni parte fu ricevuto per loro re, e l’altro
-ch’era mentecatto fu rimesso in prigione: e allora
-il re di Castella fece pace co’ Mori, e con il
-loro novello re ritenne grande amistà, e da lui
-ricevette ricchi doni.
-</p>
-
-<h3 id="capLXXIII-10">CAP. LXXIII.
-<span class="smaller"><i>Come la compagnia spagnuola ch’era nel
-vescovado d’Arli prese Vascona, e poi
-ne furono cacciati.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questi dì la compagnia degli Spagnuoli
-ch’era in Provenza per una notte feciono una
-lunga cavalcata ed entrarono in Venisì, e improvviso
-a quelli di Vascona entrarono nella città,
-<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span>
-e uomini e femmine con arnesi con grandissimo
-danno e di cittadini e di forestieri recarono
-in preda; e intendendo così fornito a volersi
-partire, ma i paesani d’ogni parte sopravvennono
-prestamente loro addosso, e furono tanti,
-che per forza vinsono la compagnia, e con
-gran danno d’essa racquistarono la preda, e cacciaronli
-del paese.
-</p>
-
-<h3 id="capLXXIV-10">CAP. LXXIV.
-<span class="smaller"><i>Come si scoperse che messer Bernabò era vivo,
-e ’l trattato tenea del castello di Bologna.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo tanto stata la fama di non sapere novelle
-di messer Bernabò, che li più affermavano
-che morto fosse per molti indizi e congetture
-che ciò parevano mostrare, esso in questi giorni
-lavorava alla coperta colla lima sorda, nulla dimostranza
-dando di sè, ma piuttosto ampiando
-la fama della morte sua, e cercava trattato, lo
-quale ordinato avea con uno Spagnuolo e due
-suoi famigli, a’ quali in grande confidanza il legato
-di Spagna avea accomandato la guardia del
-castello della porta che va verso Modena di Bologna:
-costui per ingordo boccone di danari per
-tornarsi ricco a casa l’avea promesso a messer Bernabò,
-e di ciò era stato il motore a messer Bernabò
-messer Giovanni da Bileggio mentre che là
-era in prigione, anzi che mandato fosse ad Ancona,
-e dovea averlo la notte di san Bartolommeo
-d’agosto: e scopersesi questo trattato per un
-ragazzino che venne al castellano di notte, e fu
-<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span>
-preso. Per questa cagione messer Bernabò venne
-in persona a Parma con duemila barbute non
-sapendosi la cagione nè il perchè, se non che
-scoperto il tradimento si tornò alla caccia, e il castellano
-con gli altri che gli erano consenzienti
-in Bologna furono attanagliati e impiccati.
-</p>
-
-<h3 id="capLXXV-10">CAP. LXXV.
-<span class="smaller"><i>Come si scoperse in Perugia una gran congiura
-di notabili cittadini per mutare stato e
-reggimento.</i></span></h3>
-
-<p>
-Erano nella città di Perugia in questi tempi
-molti e molti cittadini, e gentili uomini e popolari
-di buone e antiche famiglie d’animo
-guelfo, le quali quasi del tutto erano schiusi dagli
-ufici e governo della città, reggendosi la terra
-per popolani mezzani e minuti, sotto la guida e
-consiglio della famiglia de’ Michelotti e di Leggieri
-d’Andreotto, il quale a quel tempo era il
-da più, e il maggiore cittadino di Perugia, e il
-più creduto dal popolo, e molte altre famiglie
-di buoni popolari e uomini singolari da molto
-che teneano con loro sotto il nome e titolo di
-Raspanti. Quelli ch’allora s’appellavano i mali
-contenti, e mossi e sollecitati con ammirabile
-astuzia da uno Tribaldino di Manfredino spirito
-malizioso, sagacissimo e inquieto, le cui operazioni
-dipoi scoperte li feciono dai suoi cittadini
-meritare il nome del secondo Catilina; e forse non
-indegnamente, perocchè facendo comparazione
-da città a città, non era minore quella di Tribaldino
-<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span>
-verso di sè, che quella di Catilina verso
-di sè. La congiura fu per lui lungamente guidata
-tanto copertamente e cautamente, che niuno segno
-se ne potè vedere nè scorgere per i reggenti,
-e infra l’altre sagaci cautele, che ne usò molte,
-fu questa, che per li parenti e amici ch’avea
-intra i reggenti sovente facea falsamente muovere
-che trattato v’era nella terra, il quale criato era, e
-trovato non vero, il perchè spesseggiando ai priori
-e a’ camarlinghi di Perugia in cui stava il
-tutto del reggimento, era venuto a rincrescimento
-e a niente che si ragionasse di trattato,
-nè prestavano orecchi nè davano fede: e
-ciò fece il malvagio traditore, perchè quando il
-vero trattato venisse in campo senza prendere
-avviso il governo della città, più certamente e
-più liberamente avesse l’effetto suo. Quelli cui
-’l malvagio uomo trasse in congiura furono questi:
-messer Averardo di...... da Montesperello,
-messer Guido dalla Cornia, messer Alessandro.......
-messer Giovanni di....... da
-Montemellino, messer Niccolò di...... delle
-Mecche, messer Tivieri di...... da Montemellino,
-tutti cavalieri, Colaccio di Cucco de’
-Baglioni, Francesco di messer Rinuccio da......
-detto il Zeppa, Francesco di messer Andrea
-e Iacopo di messer Guido da Montemellino, Piero
-di Neri delle Mecche, Erculano di........
-Mattiolo di....... e....... detto lo Squatrano,
-con altri simili in numero di più di quarantacinque
-gentili uomini e popolani, con seguito
-d’altri novantaquattro che ne furono condannati,
-ed oltre a quattrocento altri cittadini, i
-<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span>
-quali per non fare troppo gran fascio furono lasciati
-addietro. Costoro aveano fatto loro capitani
-Colaccio di Cucco de’ Baglioni, il Zeppa di messer
-Rinuccio e Mattiolo di...... e nelle loro
-mani aveano giurato. Costoro a un giorno preso
-doveano correre la piazza, e pigliare il palagio
-de’ priori e delle signorie, perocchè come detto
-è pensavano per le beffe de’ trattati non veri
-trovare i priori addormentati: per la città a’ loro
-seguaci dispersi in vari luoghi deveano fare infocare
-case per tenere alla bada de’ fuochi i cittadini,
-doveano uccidere i priori e’ camarlinghi,
-e qualunque innanzi loro si parasse senza riguardo
-d’amico o di parente. Messer Averardo dovea
-stare di fuori a sollecitare i loro lavoratori, e
-amici del contado e le loro amistà, e a ribellare
-delle castella. E per certo il sollecito reo uomo
-seguendo lo stile di Catilina avea dato ordine, che
-se Dio non avesse posto il rimedio a tanto pericolo,
-per certo la città ne venia in desolazione e
-tirannia. Esso Signore che tutto vede puose nel
-cuore a messer Tivieri da Montemellino, uno
-de’ principali congiurati, che lo revelasse, acciocchè
-tanto pericolo e male non fosse; il quale
-essendo quasi vicino a Leggieri d’Andreotto,
-sotto sicurtà della sua persona senza domandare
-altro merito gli rivelò il fatto, il quale di presente
-n’andò in palagio de’ signori, e quivi con loro,
-e co’ camarlinghi, e con gli altri dello stato si
-mise a’ ripari. Fu preso messer Niccolò delle
-Mecche, e Ceccherello de’ Boccoli con quattro loro
-masnadieri di nome, e con sette altri mascalzoni,
-gli altri congiurati tutti si dierono alla fuga.
-<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span>
-Seguette, che il dì di santo Michel Agnolo si fece
-l’adunanza generale, che noi diciamo parlamento,
-nella quale si determinò, che i detti cavalieri, gentili
-uomini e popolani, insino nel numero di quarantacinque,
-fossono condannati per traditori e
-rubelli del comune di Perugia infino...... e
-che altri novanta secondo loro gravezze di loro
-colpe fossono condannati di danari, e alcuni a
-stare a’ confini; gli altri per meno male passati
-furono sotto silenzio. Più vi si provvide, che Tribaldino
-guidatore e ordinatore del male, con
-messer Averardo, e con alquanti degli altri più
-focosi principali fossono dipinti <i>ad eternam rei
-memoriam</i> colle mitere in capo in piè della piazza
-nella faccia del casamento del maggior sindaco:
-e così seguitò, che messer Niccola delle Mecche,
-e Ceccherello de’ Boccoli con i quattro masnadieri
-furono decapitati, e i sette mascalzoni furono
-appesi; gli altri tutti ebbono bando come
-nell’adunanza era ordinato, e così furono
-dipinti quelli che doveano esser dipinti. Bollendo
-e ribollendo ragionevolmente la città in
-questo stato dubbioso e sospetto, come il male
-venne agli orecchi del nostro comune tantosto
-vi mandò ambasciadori con cento uomini di cavallo.
-I Pisani domandato licenza di mandarvi
-cento cavalieri per lo nostro contado, e liberamente
-ottenuto, anche vi mandarono loro ambasciadori
-con la detta gente, i quali co’ nostri insieme
-assai temperarono l’animo voglioso e crucciato
-debitamente de’ Perugini.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capLXXVI-10">CAP. LXXVI.
-<span class="smaller"><i>Come in questi giorni in Pisa ebbe gelosia
-di loro stato, e della difensione che
-saviamente ne presono.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questi medesimi dì all’entrata d’ottobre,
-essendo Piero Gambacorti in Firenze, rotti i confini
-i quali avea a Vinegia, alquanti artefici e
-certi mercatanti pisani, che per lo partimento
-che i Fiorentini aveano fatto di Pisa e per loro
-cagioni, anzi quasi tutti i mercatanti forestieri
-che trafficavano co’ Fiorentini, e i reggenti che
-n’erano stati cagione udivano e sentivano costoro
-e molti altri di ciò rammaricare, dicendo,
-come al tempo de’ Gambacorti godeano la pace
-co’ Fiorentini, e’ guadagni del porto, e delle
-mercatanzie e dell’arti, e che loro era faltato
-e il procaccio e ’l guadagno; o che questa fosse la
-cagione, o che di loro sentissono alcuno trattato
-con Piero Gambacorti, ventidue ne presono, e
-a quattro de’ mercatanti feciono tagliare la testa;
-li altri si riserbarono in prigione, e a molti diedono
-i confini.
-</p>
-
-<h3 id="capLXXVII-10">CAP. LXXVII.
-<span class="smaller"><i>Come i Sanesi sotto la rotta fede ebbono
-la signoria di Montalcino.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo mese d’ottobre del detto anno, Giovanni
-d’Agnolino Bottoni con centocinquanta
-<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span>
-cavalieri e ottocento pedoni cavalcò improvviso
-sopra Montalcino per rimettervi gli usciti ch’erano
-suoi amici, e questo fece con ordine d’alcuno
-trattato ch’avea nella terra, ma i terrazzani presti
-alla difesa tolsono ardire di muoversi dentro
-a chi n’avea sentimento. Vedendo Giovanni
-che ’l trattato ordinato non gli venia fatto, per ricoprire
-sua intenzione si stava loro intorno. I
-terrazzani, che erano ubbidienti e in pace co’
-Sanesi, maravigliandosi di questa novità mandarono
-a Giovanni di fuori a sapere perchè facea
-questo, e quello volea da loro: il savio e accorto
-disse, che volea che fossono in accordo col comune
-di Siena: i semplici terrazzani, sentendosi
-amici e ubbidienti al comune di Siena, elessono
-ventiquattro della loro terra i maggiori e più potenti
-che v’erano, e mandaronli per ambasciadori
-a Siena. Giovanni avvisò l’uficio de’ signori,
-come era tempo d’avere libera la signoria di
-quella terra, avendo appo loro li ventiquattro
-ambasciadori ch’erano il tutto della terra, ed
-egli essendo là con forza d’arme, la quale si fè
-accrescere, diceva di strignerli e tenerli in paura.
-Gli ambasciadori giunti a Siena, e fatta la
-riverenza, e sposta la loro ambasciata, ebbono per
-risposta, che non si partirebbono da Siena, che
-Montalcino sarebbe libero alla guardia de’ Sanesi;
-la cosa non potè avere contradizione, e però
-convenne ch’avessono libero Montalcino, e
-avuto, rimandarono indietro i ventiquattro ambasciadori
-sani e salvi, e smisurata festa in Siena
-se ne fece.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capLXXVIII-10">CAP. LXXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Turchi presono la città di Dometico
-ch’era dell’imperadore di Costantinopoli.</i></span></h3>
-
-<p>
-Del mese di novembre del detto anno, un grande
-signore de’ Turchi di Boccadave, sentendo
-l’imperadore di Costantinopoli giovane, e in
-discordia co’ suoi per la ragione già detta di Mega
-Domestico cui egli perseguitava, e altre volte
-essendo suo balio avea occupato l’imperio,
-accolse di suoi Turchi grande esercito, e vennesene
-ad assedio alla nobile e antica città oggi chiamata
-Dometico, la quale siede tra Costantinopoli
-e Salonicco, presso a quattro giornate a Costantinopoli,
-la quale appresso Costantinopoli
-solea essere sedia imperiale. I cittadini sentendo
-che Orcam con grande quantità di Turchi venia
-loro addosso, e non vedendo onde potesse a loro
-venire soccorso, inviliti (come è la volontà di
-Dio per la loro contumacia contro a santa Chiesa)
-abbandonarono la città forte e difendevole per
-lungo tempo, e abbondevole a sostenere sua vita.
-Orcam trovandola abbandonata v’entrò dentro
-co’ suoi Turchi, e misevi gente ad abitare e
-alla guardia con vittoria senza fatica, e si ritornò
-in suo paese con gran vergogna e vitupero
-e abbassamento dell’imperio di Romania.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capLXXIX-10">CAP. LXXIX.
-<span class="smaller"><i>Come il re di Castella mosse guerra a’ Mori
-di Granata, e al loro re Vermiglio.</i></span></h3>
-
-<p>
-Fermata la pace dal re di Castella a quello
-d’Araona del mese di settembre del detto anno,
-e tornato il re di Spagna in Sibilia con sua cavalleria,
-Maometto già stato re di Granata e
-cacciato dal re Vermiglio, come di sopra dicemmo,
-esso re di Spagna col detto Maometto cavalcò
-in Granata, e nel paese fece danno assai e
-d’arsione e di preda, e lasciato Maometto alle
-frontiere con sue genti e co’ cavalieri castellani a
-sufficienza a poter far guerra, del mese d’ottobre
-si tornò a Sibilia. Di poi a tempo ritornò a
-oste sopra il re di Granata, e stato sopra lui lungamente,
-in fine non avendo soccorso da’ suoi saracini
-del Garbo e di Bellamarina, perchè erano
-collegati col re di Spagna, disperato s’arrendè a
-quello di Spagna, il quale avuto e lui e suo reame
-ne fè che al re Vermiglio fece tagliare la testa,
-e fece re uno de’ reali della Bellamarina suo
-confidente, il quale da lui riconobbe il reame, e
-gli promesse suo aiuto e di suoi saracini in tutte
-sue guerre, e appresso li promesse ogni anno
-certo tributo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capLXXX-10">CAP. LXXX.
-<span class="smaller"><i>Come gli usciti Perugini presono per furto
-Civitella de’ Benazzoni, e poi
-l’abbandonarono.</i></span></h3>
-
-<p>
-I nuovi usciti di Perugia avendo per viltà abbandonate
-le loro forti tenute al comune di Perugia,
-in una cavalcata di due bandiere di cavalieri
-per furto entrarono poco appresso in Civitella
-de’ Benazzoni, assai forte castello e ben guernito.
-I Perugini di presente vi mandarono quaranta
-bandiere di cavalieri e con popolo grande,
-e puosonvisi ad oste. Gli usciti veggendosi male
-ordinati da potere attendere soccorso, per lo mene
-reo, come per furto l’aveano preso, così per
-furto se n’uscirono, avendo il nome la notte di
-quelli del campo, e ridussonsi a un castello ivi
-presso ch’era degli Spuletini, e quindi se ne
-vennono ad abitare ad Arezzo, cercando rimedii
-a loro fortuna.
-</p>
-
-<h3 id="capLXXXI-10">CAP. LXXXI.
-<span class="smaller"><i>Come i Bolognesi cominciarono a cavalcare
-sopra gli Ubaldini.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo in Bologna speranza della pace, la
-quale parea ferma dal legato a messer Bernabò,
-e per tanto avendo alcuna speranza di potere
-sollevare le fatiche, sentendo che gli Ubaldini
-per tutta la boce della pace non si rimaneano di
-<span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span>
-far danno e noia alla strada, cavalcarono sopra
-di loro, e raccolsono preda, e feciono danno nel
-paese. Gli Ubaldini gli lasciarono cavalcare, e
-ridussonsi a’ passi, e alla ritratta assalirono i Bolognesi,
-e rupponli, e racquistarono la preda, e
-vendicarono loro ingiuria. I Bolognesi all’uscita
-di novembre detto anno ricavalcarono con più
-ordine e forza sopra loro, e arsono e guastarono
-più e più villate, e senza contasto si tornarono a
-casa.
-</p>
-
-<h3 id="capLXXXII-10">CAP. LXXXII.
-<span class="smaller"><i>Del trattato delle compagnie che doveano
-entrare in Avignone.</i></span></h3>
-
-<p>
-La compagnia spagnuola accozzata con un’altra
-in Provenza aveano trattato con certi forestieri
-di più lingue ch’erano in Avignone come di furto
-potessono entrare nella città, dove speravano
-fare il sacco, ma non fuori di misura, con l’aiuto
-di quelli d’entro, che prometteano dare l’entrata,
-e per questa cagione di subito cavalcarono, e vennono
-infino presso alla città. La cosa si scoperse
-perchè era vogliosa, e con poco ordine e meno
-forza: dentro furono presi circa a trenta; alcuni ne
-furono decapitati, e alcuni impiccati, e la compagnia
-si tornò addietro senza fare altro danno,
-e per l’innanzi in Avignone si fè più sollecita
-guardia, e ciò fu all’uscita del mese di novembre
-del detto anno.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capLXXXIII-10">CAP. LXXXIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Pisani perderono Pietrabuona e vi
-puosono l’assedio, dove stando vollono
-torre Sommacolonna per incitare
-i Fiorentini a guerra.</i></span></h3>
-
-<p>
-Fu di sopra a suo luogo narrato, come i Pisani
-per soperchio d’astuzia aveano costretto i
-Fiorentini levare il porto da Pisa e recarlo a
-Talamone, e tutto ch’a’ Fiorentini sconcio e
-spesa fosse, tutto lietamente si comportava, mostrando
-a’ Pisani che poteano fare senza loro. E
-del fatto a littera ne seguiva quello che Piero
-Gambacorti detto n’avea a quelli mercatanti
-che al detto tempo si trovarono su il Rialto in
-Vinegia, dove il detto Piero era confinato quando
-la novella vi venne, che fu in questa maniera:
-Fiorentini, Fiorentini, se state fermi in vostro
-proponimento, Pisa in piccolo tempo diventerà
-un bosco: e veramente così ne seguia, perocchè
-essendo partiti i Fiorentini da Pisa, tutti coloro
-che con loro mercatavano e trafficavano, con
-quelli ch’a’ loro servigi rispondeano aveano fatto
-il simigliante, il perchè le case, i fondachi, e la
-terra tutti rimaneano oltre a mezza vota, e i mestieri
-degli artefici in gran dannaggio, onde il
-soprassenno de’ Pisani raccortosi di suo errore cercò
-per molte vie oneste e piacevoli, e a’ Fiorentini
-vantaggiose e onorate, di ritornarli a Pisa, e
-ciò non potendo ottenere, e seguendo del fatto,
-che quelli che teneano lo stato e governo della
-<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span>
-città n’erano caduti nell’odio e mal volere del
-popolo e de’ mercatanti, e stavano in paura del
-perderlo, avendo del continovo alla coda gli aderenti,
-seguaci e amici de’ Gambacorti, i quali
-erano di fuori e li sollecitavano; onde essi sottilmente
-pensarono di fare disfare due chiovi a uno
-caldo col fuoco della guerra, l’uno, di unire il
-popolo consueto nemico de’ Fiorentini e sopra
-modo parziale con la guerra, l’altro, che seguendo
-pace della guerra, come suole, patteggiare
-nella pace la tornata del porto: e per dette cagioni
-con le loro vie coperte e sagaci, per non parere
-d’essere i motori al rompere della pace, presono
-questa cautela, che una volta e più fittizziamente
-e simulatamente bandeggiarono di loro
-cittadini, contadini e distrettuali, uomini atti
-a cercare mutazioni e riotte, nominati e di seguito,
-disposti a fare piuttosto il male che ’l bene,
-e questi in diversi luoghi e tempi tolsono certe
-tenutelle del distretto del comune di Firenze di
-poca importanza; onde il comune secondo i
-tempi più volte ne mandò ambasciadori a’ Pisani,
-e quello ne rapportavano era: E’ ce ne pesa,
-sono nostri forbannuti, e loro appresso di voi
-semo acconci a perseguitare infino a morte e desolazione.
-Il comune di Firenze per non essere
-abominato di corrompere la pace se la portava
-pazientemente, e con infignere di non se n’avvedere;
-nè pertanto si rimaneano i Pisani di seguire
-la mala regola presa, cercando al continovo
-per questa via di torre delle terre a’ Fiorentini,
-e non delle peggiori, il perchè a’ Fiorentini
-fu forza a prendere loro costume, e con un
-<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span>
-Giovanni da Sasso famoso caporale e atto all’arme
-feciono tentare segreto trattato, che togliesse
-a’ Pisani il castello di Pietrabuona, il quale è
-vicino a Pescia, e così seguì, avendo prima per
-colorati misfatti ricevuto bando a Firenze della
-persona. A’ Pisani parendo loro avere ottenuto
-loro talento subitamente con grande ordine e
-sforzo assediarono il castello per forma, che niuna
-forza d’arme glie ne arebbe potuti levare, nè
-tor loro non lo racquistassono. Stando al detto
-assedio, veggendo non bastavano l’occulte a incitare
-e muovere i Fiorentini alla guerra, vennero
-alle aperte, e del mese di gennaio preso loro
-tempo si credettono furare Sommacolonna, e cavalcaronvi
-sforzatamente, ma non venne loro
-fatto. E per arrogere all’ingiuria, avendo i Fiorentini
-loro gente alla guardia di Pescia e dell’altre
-terre della Valdinievole, certi conestabili
-de’ loro a loro diletto usavano d’andare il
-dì sul poggio della Romita sopra a Pietrabuona,
-il quale era terreno de’ Fiorentini, e ivi si stavano
-a vedere badaluccare e gittare i trabocchi;
-i Pisani posto loro aguati li assalirono e uccisonne
-sette, e gli altri ne menarono a prigioni, e
-diedono palese e aperto principio della guerra.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capLXXXIV-10">CAP. LXXXIV.
-<span class="smaller"><i>Come fu sorpreso il conte di Savoia dalla
-compagnia bianca co’ suoi baroni,
-e ricomperaronsi con gran
-quantità di moneta.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo medesimo tempo, essendo venuto il
-conte di Savoia di qua da’ monti a una sua terra
-che si chiama...... con molti baroni e cavalieri
-di sua contea, non prendendosi guardia, la
-compagnia bianca, la quale era vicina a quelli
-paesi, si mosse una notte facendo molto lungo e
-disordinato cammino, e sorprese il conte e’ baroni
-alla terra senza alcuna resistenza, salvo che ’l conte
-con pochi si rifuggì nel castello, gli altri tutti
-furono prigioni: e il conte assediato e sprovveduto,
-veggendosi a mal partito, trasse accordo, e
-tra di sè e di suoi baroni, e de’ cittadini della
-terra e delle cose loro, che tutto era in preda,
-venne a composizione di dare alla compagnia in
-diversi termini fiorini centottantamila d’oro,
-parte allora, e del resto fermezza, sicchè tutto
-lasciarono, e tornarsi in Piemonte.
-</p>
-
-<h3 id="capLXXXV-10">CAP. LXXXV.
-<span class="smaller"><i>La cavalcata che Piero Gambacorti
-fè sopra i Pisani.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo Piero Gambacorti in Firenze, e avendo
-da’ suoi amici di Pisa sollecito conforto, che
-<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span>
-procacciasse d’appressarsi alla terra con alcuna
-forza, dicendo, che dove i cittadini il sentissono
-farebbono novità contro i reggenti, ch’erano comunemente
-mal voluti. Avvenendoli per caso
-che all’uscita di gennaio a Firenze erano col conte
-Niccola Unghero settecento Ungari usciti del
-Regno, i quali doveano andare in Piemonte in
-servigio del re Luigi, ma non avendo loro paga
-ordinata per lo re cercavano condotta, e i Fiorentini
-non li voleano, perchè non n’aveano bisogno,
-e non voleano un capo con tanta gente
-d’una lingua; in questo a Piero Gambacorti
-crebbe l’animo per lo conforto de’ suoi amici, e
-condusse questo conte co’ suoi Ungari, ed ebbe
-alcuno aiuto da certi usciti di Lucca, e seguito
-di più di dodici centinaia di fanti, niente essendoli
-contradetto dal comune di Firenze, e a dì
-27 di gennaio uscirono di Firenze, e a dì 28
-furono in Valdera, e certe terricciuole l’ubbidirono,
-e non volea far guasto nè lasciare fare
-preda, di che gli Ungari e i briganti n’erano
-assai malcontenti. I Pisani di presente mandarono
-a Firenze per sapere se il comune movea
-questo, e fu risposto di no; e per abbondante
-mandarono bando l’avere e la persona che niuno
-Fiorentino contadino o distrettuale non dovesse
-andare contra i Pisani, e chi andato vi
-fosse, sotto la detta pena se ne dovesse partire. I
-briganti non potendo guadagnare se ne partirono
-per lo disagio più che per lo bando, e rimase Piero
-con gli Ungari e con gli altri forestieri. Gli
-astuti e maliziosi Pisani vedendo che altri che
-Piero non era a guidare questa gente, costrinsono
-<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span>
-per forza i più intimi amici ch’avesse in
-Pisa, e fecionli scrivere da più parti a un modo,
-che si dovesse guardare la persona, perocchè gli
-Ungari aveano trattato di darlo preso a’ Pisani,
-e d’averne fiorini ventimila d’oro. Egli era a
-Peccioli quando le lettere di più parti li vennono,
-cominciò a dubitare, e a stare a riguardo, e
-vedendo l’adunanze degli Ungari parlare insieme,
-e non intendendoli, pensò che eglino il dovessono
-pigliare, e vedendosi presso a Volterra,
-senza congio con sua gente diè degli sproni al
-cavallo, e partissi dagli Ungari. Fu detto che alcuni
-il seguitarono, ma il vero fu poi certo che
-tutto fu fatto a mano per l’astuzia de’ Pisani.
-Gli Ungari il primo dì di febbraio senza far
-danno in alcuna parte si ritornarono a santa
-Gonda, e poi a Firenze.
-</p>
-
-<h3 id="capLXXXVI-10">CAP. LXXXVI.
-<span class="smaller"><i>Come il re Luigi prese le terre di messer
-Luigi di Durazzo e lui mise in prigione,
-e trasse del Regno la compagnia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Era Anichino di Bongardo stato lungamente
-stretto dagli Ungari in certe terre che teneano
-di messer Luigi di Durazzo, e non avendo potuto
-guadagnare erano in male stato, e cominciando
-a perdere delle terre vennono a patti d’avere
-sicurtà dal re, e uscirsi del Regno sotto la sua
-guardia e sotto la sua bandiera, e così fu promesso,
-e fatto a ciò fine. A messer Luigi dopo questo
-si rubellò sant’Angiolo, ed egli vedendosi povero
-<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span>
-e mal parato si rendè al re Luigi suo cugino, e
-venuto a Napoli, rendute tutte sue terre, fu messo
-in prigione nel castello dell’Uovo, sperandosi per
-molti che il re li dovesse perdonare, ma la sua
-fortuna dopo la morte del detto lo fece morire
-in prigione. Anichino con la sua compagnia assai
-male in arnese, alla condotta di certi baroni del
-re, com’era promesso, del mese di gennaio del
-detto anno uscì del Regno.
-</p>
-
-<h3 id="capLXXXVII-10">CAP. LXXXVII.
-<span class="smaller"><i>Come le compagnie si partirono di Provenza.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo medesimo mese di gennaio, le due
-compagnie ch’erano in Provenza presono accordo
-co’ paesani per certa quantità di danari, e
-l’una se n’andò verso la Francia, e l’altra tenne
-in Borgogna, chiamata da certi baroni di
-Borgogna, perocchè era morto il loro duca, e
-temeano del re di Francia.
-</p>
-
-<h3 id="capLXXXVIII-10">CAP. LXXXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come fu sconfitta la gente del re di Castella
-dal re di Granata.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo lasciato il re di Castella in Granata lo
-re Maometto che n’era stato cacciato, e con
-lui il maestro di Ialatrenu, il detto maestro avendo
-quattromila cavalieri spagnuoli e gran popolo
-seco, badaluccando con la gente del re Vermiglio
-di Granata, con mala provvisione ringrossò
-<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span>
-il badalucco: il re mise loro addosso subitamente
-molta gente a cavallo e a piè, e combattendo
-insieme lungamente, in fine i Mori sconfissono
-quelli di Castella, e presono il capitano e più
-altri caporali, e de’ Castellani vi rimasono morti
-in sul campo tra cavalieri e pedoni più di tremila,
-li milleottocento cavalieri; e avuto il re
-Vermiglio questa vittoria, del mese di gennaio
-1361, prese baldanza, e corse colle sue genti in
-sulle terre del reame di Castella, facendo spesso
-danno e vergogna al re di Spagna.
-</p>
-
-<h3 id="capLXXXIX-10">CAP. LXXXIX.
-<span class="smaller"><i>Come per vendicare sua onta il re di Spagna
-andò sopra il re di Granata.</i></span></h3>
-
-<p>
-Del mese di febbraio del detto anno, il re di
-Castella sdegnato e infellonito contro al re Vermiglio,
-e contro ai suoi Mori, in furore dell’animo
-suo uscì di Sibilia a dì 20 del mese, avendo
-prima fatto comandamento di cuore e d’avere
-che catuno che potesse portare arme il dovesse
-seguire in sul terreno di Granata, e subito vi si
-trovò con diecimila cavalieri e trentamila pedoni
-in arme da combattere, e oltre a duemila carrette
-con vittuaglia e dificii da combattere le terre:
-e combattendo le castella, per infino a dì 22 d’aprile
-1362 prese dieci forti castella piene e ubertuose,
-e molte altre ville di minore fortezza, e
-gli uomini tutti fece servi e schiavi, e quelli
-si difendevano erano morti, e quelli si rendevano
-salvi: per questo avvedendosi i Mori di
-<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span>
-Malica e di Saletta che lo re di Castella era
-per divenire loro signore, per non essere sottoposti
-a’ cristiani deliberarono di rimettere Maometto,
-ch’era con il re di Castella, in re di Granata,
-e incontanente lo misono in Malica, e poco
-appresso in Granata, e lo re di Spagna contento
-di questo, avendo fornite le terre prese, e
-ritenendole in sua guardia, si partì di Granata,
-e tornossi in Sibilia.
-</p>
-
-<h3 id="capXC-10">CAP. XC.
-<span class="smaller"><i>Come messer Bernabò si credette avere Reggio
-per trattato.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Bernabò mostrandosi poco contento della
-pace promessa a santa Chiesa, e usando parole
-contro il fratello messer Galeazzo, dicendo, che
-egli avea fatto più che da lui non avea avuto in
-mandato intorno alla pace, dando intendimento
-di volere fare maggior guerra a Bologna, accolse
-molta cavalleria di sua gente, e in persona con
-essa ne venne a Parma del mese di febbraio del
-detto anno, avvisandosi per tutto che dovesse
-andare sopra Bologna, ed egli avea trattato d’avere
-Reggio, ed entrarono dentro nella città circa
-a cinquemila masnadieri. Messer Feltrino avvedendosi
-della baratta, avendo grande ardire e
-gente poca, si fedì francamente fra loro; i masnadieri
-inviliti per tema di maggior forza vedendo
-l’ardire pensarono a campare, e molti ve ne furono
-morti e presi: sentitosi la novella, messer
-Bernabò si ritornò addietro. Appreso messer
-<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span>
-Bernabò che ’l verno era già passato, e che il
-tempo atto alla guerra ne venia, e che la mortalità
-era a lui riuscita con grande acquisto per
-quelli che morti erano senza eredi, i beni de’ quali
-erano incorporati alla camera del comune la quale
-era sua, e sentendo che la Chiesa era in poco
-podere di gente d’arme, e Bologna mal fornita,
-cominciò a domandare cose che mai non erano
-state, non che addomandate, ma nè pensate, e
-perciò mandò a corte di Roma suoi ambasciadori
-per terminare le dette domande; e infra l’altre
-arroganti domande fece chiedere che voleva il
-figliuolo arcivescovo di Milano, e volea che per
-decreto e rescritto papale l’elezione dell’arcivescovo
-fosse di elezione della casa de’ Visconti
-di Milano, e voleva il vicariato dell’imperadore,
-ed essere da lui restituito in tutte le sue dignitadi,
-e che lecito li fosse potere guerreggiare ogni
-terra e signore, fuori le terre della Chiesa, con
-patto che la Chiesa non se ne travagliasse, e non
-desse a quelle le quali egli guerreggiasse nè favore
-nè aiuto in alcuno modo, mettendo per
-sospetti i signori e comuni nominati per la guardia
-di Bologna, tanto ch’egli fosse pagato, e volea
-che la città di Bologna si guardasse per i Pisani;
-e domandando queste, e altre cose sconce
-e villane, al continovo non cessava di crescere la
-gente dell’arme sopra la città, e di guerreggiarla
-scorrendo tutto giorno fino alle porte. La Chiesa
-i patti che domandava con suo onore accettare
-non potea, e non si potea difendere dalla forza
-del tiranno nè dalla superbia sua, ricorse a Dio
-con singolare orazione comandata per tutta la
-<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span>
-cristianità, e la misericordia sua tosto vi provvedè
-di salutevole consiglio, come seguendo nostra leggenda
-trovare si potrà.
-</p>
-
-<h3 id="capXCI-10">CAP. XCI.
-<span class="smaller"><i>Come i Pisani feciono cosa da incitare
-i Fiorentini.</i></span></h3>
-
-<p>
-All’entrata del mese di marzo 1361, i Pisani
-feciono cavalcare lor gente a piè e a cavallo nella
-Cerbaia distretto de’ Fiorentini, e levarono
-preda di bestiame minuto, e condussonlo al Cerruglio.
-I Fiorentini di ciò sdegnati feciono della
-lor gente di Valdinievole cavalcare infino alle
-porti di Montecarlo, e la notte misono gente in
-aguato in Pietrabuona, ma i Pisani se n’accorsono,
-e ritennonsi dentro al battifolle, onde la
-gente de’ Fiorentini si ritornò in Pescia. Queste
-furono assai picciole cose, e poco degne di memoria,
-ma per quello che per questi inzigamenti dipoi
-ne seguì, che furono grandi cose, l’animo
-nostro ha patito di porre questi lievi principii.
-</p>
-
-<h3 id="capXCII-10">CAP. XCII.
-<span class="smaller"><i>Dell’operazioni delle compagnie in questi
-tempi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornando a’ tormenti delle compagnie, in questi
-giorni del verno avanti alla primavera, la Compagnia
-bianca col marchese di Monferrato acquistate
-più castella le quali si teneano per messer
-<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span>
-Galeazzo nel Piemonte, e più feciono loro cavalcate
-infino a Pavia passando il Tesino, e quivi
-stati più giorni si ritornarono in Piemonte. La
-compagnia la quale era in Borgogna capitanata
-dal Pitetto Meschino, uomo alvernazzo e di niente,
-e per sua prodezza e maestria di guerra montato
-in grande stato e pregio d’arme, prese in
-Borgogna più terre, dove s’adagiò con la sua
-brigata, conturbando forte tutta la parte del re
-di Francia, riguardando sempre tutti quelli che
-al re erano contrari, il perchè il re condusse la
-compagnia delli Spagnuoli per cacciare il Pitetto
-Meschino di Borgogna, i quali Spagnuoli ne’ detti
-giorni erano in Berrì, e condotti, così faceano
-di male ad amici come a nemici, dove stendere
-potessono le mani senza guastare il paese o
-uccidere. La compagnia d’Anichino di Bongardo
-uscita del Regno, e condotta da messer Bernabò,
-in questi giorni se ne venne in Toscana per andare
-sopra Bologna. Così e molto più era intrigata
-e avviluppata la cristianità dalle maladette
-compagnie in questi tempi.
-</p>
-
-<h3 id="capXCIII-10">CAP. XCIII.
-<span class="smaller"><i>D’una cometa ch’apparve di marzo nel segno
-del Pesce.</i></span></h3>
-
-<p>
-Del mese di marzo del detto anno, apparve tra
-’l levante e ’l mezzodì sul mattutino una cometa
-nel segno del Pesce Con la coda lunga di colore
-cenerognolo, la quale alcuni astrolaghi dissono
-ch’era chiamata Ascone. Quello che di sua
-<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span>
-influenza si vidde fu, che il verno, fu bellissimo
-e asciutto, e non troppo freddo, atto molto alla sementa
-e coltivamento della terra; la primavera
-fu fresca e umida, e la state temperata d’acque,
-onde ne seguì grande abbondanza. E a dì 8 d’aprile
-l’anno 1362, alle due ore del dì, essendo
-l’aria serena e chiara uno grande tuono si sentì in
-aire, lo quale molto fece maravigliare la gente, e
-innanzi li venne un baleno con vapori incesi,
-che caddono in Firenze sopra il fiume d’Arno e
-da santa Maria in Campo senza fare alcuno danno,
-e l’aria rimase serena e chiara che era.
-</p>
-
-<h3 id="capXCIV-10">CAP. XCIV.
-<span class="smaller"><i>Come la Compagnia bianca prese Castelnuovo Tortonese.</i></span></h3>
-
-<p>
-Del mese di marzo la Compagnia bianca essendo
-di lungi al contado di Tortona per tanto
-di spazio, che i paesani non aveano riguardo,
-partendosi di giorno, e cavalcando verso la notte,
-feciono a gente d’arme smisurato viaggio, e in
-sul dì seppono sì fare, che la mattina entrarono
-anzi dì di furto in Castelnuovo Tortonese, e come
-furono dentro, chi si volle difendere uccisono,
-il perchè i morti si trovarono sopra a trecento:
-il castello era bene di milledugento uomini. Sentito
-ciò messer Galeazzo v’andò con più di tremila
-cavalieri e bene quindicimila pedoni, e
-tutto che li paresse essere bene in apparecchio
-da combattere co’ nemici non s’attentò di mettersi
-a partito, ma fornì le castella d’attorno, e
-tornossi a Milano.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capXCV-10">CAP. XCV.
-<span class="smaller"><i>Come la compagnia del Pitetto Meschino
-sconfisse l’oste del re di Francia
-a Brignai.</i></span></h3>
-
-<p>
-Lo re di Francia infiammato d’onta contro la
-compagnia del Pitetto Meschino d’Alvernia suo
-picciolo servo fuggito, nonostante che avesse condotta
-la Compagnia spagnuola contro a loro, la
-quale ancora non era giunta in Borgogna, radunò
-prestamente del mese di marzo un’oste di bene
-seimila cavalieri franceschi, e tedeschi e di altre
-lingue che erano in Francia, e fattone capitano
-messer Giacche di Borbona della casa di
-Francia con quattromila sergenti gli mandò in
-Borgogna. E in que’ giorni la compagnia del Pitetto
-Meschino avea preso un castello del re che
-si chiama Brignai, e lasciatovi alla guardia trecento
-di sua compagnia, ed egli con tremila barbute
-e duemila masnadieri i più Italiani ch’erano
-in sua compagnia era cavalcato nel contado
-di Forese, facendo loro procaccio: in questo il
-duca di Borbona con l’oste sua giunse e puosesi
-a campo a Brignai, credendolosi in pochi giorni
-racquistare: e così standosi all’assedio baldanzosamente,
-e senza debita provvisione e con poco
-ordine, avendo con l’animo grande a vile il
-loro avversario, il Pitetto Meschino maestro e
-pratico di arme con la brigata sua vogliosa di
-zuffa, e ardita e bene in punto, essendo lontano
-da Brignai giornata e mezzo, avendo lingua come
-<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span>
-i Franceschi con molto disordine si reggevano a
-campo, confortata sua brigata, e animata della
-gran preda, con sollecito studio di cavalcare raccorciando
-i cammini, avanti al giorno di più
-ore giunse al campo sopra gli sprovveduti Franceschi,
-e senza alcuno arresto gli assalì con grande
-tempesta e romore; onde tra per le terribili
-grida, e per lo subito e sprovveduto assalto i
-Franceschi bairono, e mancarono di cuore, e
-non di manco ciascuno come meglio poteo ricorreva
-all’armi per difendersi, ma quelli della
-compagnia gli percoteano, e gli sollecitavano sì
-con l’arme, che non gli lasciavano far testa; e
-così quell’oste ove avea tanti baroni e valenti
-cavalieri sventuratamente fu rotta e sbarattata,
-con molti di loro morti e magagnati: quelli che
-camparono con loro cavalli e arnesi quasi tutti
-vennono in preda del vassallo del re di Francia
-Pitetto Meschino. Messer Giacche duca di Borbona
-fu a morte fedito di più fedite, ed essendo
-preso, vedendo che era per morire fu lasciato
-alla fede, e portato a Lione sopra a Rodano in
-pochi giorni passò di questa vita. Preso rimase il
-conte di Trinciaville, il conte di Forese, il maliscalco
-di Dunan, l’arciprete di Guascogna altra
-volta stato capo di compagnia, messer Broccardo
-di Finistagion Tedesco capitano di millequattrocento
-barbute, messer Amelio del Balzo,
-e il conte di Clugnì, tutti signori e gran baroni,
-e assai d’altri signori e cavalieri banderesi
-de’ quali uscì grande tesoro a riscatto. I soldati
-furono lasciati alla fede, e quelli che in sul campo
-furono morti o fediti lasciarono portar via.
-<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span>
-La valuta della preda fu tanta, che la compagnia
-se ne fè ricca: e per questa vittoria presono
-tanto d’audacia e d’ardire, che in grande tremore
-stette la corte di Roma, usa di essere pettinata
-dalle compagnie, che non corressono sopra
-Avignone, ma tanto dimorò la compagnia in
-Borgogna ch’ebbono i danari che si riscattarono i
-baroni e’ cavalieri. Lo re di Francia sentita questa
-novella sopra modo si turbò di cuore, e osò
-dire, che mai non ristarebbe, ed eziandio con
-porre la sua persona al pari d’un soldato, che
-dell’onta ricevuta si vendicherebbe. E per non
-avere più a tornare sopra la presente materia per
-infino che altra gran cosa non seguisse, il Pitetto
-Meschino e quelli di sua compagnia udite le
-minacce del re, per accrescere il dispetto e
-l’onta, mostrando d’avere il re e le sue parole
-a vile, del mese di giugno appresso se n’andarono
-vicini a Parigi, facendo gran preda e danni
-a’ paesani d’intorno alla città. Io non mi posso
-tenere, che io non dica qui per gl’intendenti
-ragionatori si misuri la gloria vana e fallace
-degli stati mondani; ma nella presente materia
-quelli massimamente che hanno avuto notizia
-della eccellenza del reale sangue di Francia, per
-cui al presente è tanto vilmente calcata: e certo
-il Pitetto Meschino è di sì oscuro luogo nato, che
-fuori del sapere che egli è Alvernazzo, non si
-sa chi fosse nè madre nè padre: e questo basti.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capXCVI-10">CAP. XCVI.
-<span class="smaller"><i>Come fu fermo lega dalla Chiesa e i signori
-di Lombardia contro a messer Bernabò.</i></span></h3>
-
-<p>
-Veggendo gli altri signori della Lombardia la
-pertinacia di messer Bernabò intorno al racquisto
-di Bologna, e che per averla di sua fede e
-promessa mancava a santa Chiesa, nelle loro
-menti presono concetto, che se vincesse Bologna
-a loro non perdonerebbe, stimando che con
-cagioni controvate contro a loro volgesse la guerra
-con assai più vicino e possente braccio. Il perchè
-entrati in sospetto e paura, con loro segreti
-ambasciadori cercarono di far lega e tra loro insieme
-con la Chiesa di Roma; e nel trattato occorse
-che il signore di Verona diede la sorella per moglie
-al marchese di Ferrara; e fornito il parentado
-per modo che non potea tornare addietro,
-il signore di Verona come a stretto parente il
-fè con festa a sentire a messer Bernabò, il quale
-udito il fatto a maraviglia se ne turbò, dicendo:
-Io son fatto cognato di uno sterpone. Il marchese
-con tutto che di ciò avesse obria era d’animo
-nobile e valente uomo, magnanimo e di grande
-cuore, e compare di messer Bernabò, e molto
-l’avea servito contro alla Chiesa nella guerra di
-Bologna, dando libero il passo a sua gente d’arme,
-el a suo piacere vittuaglia e per acqua e per
-terra. Fermato il parentado intra i detti due signori,
-del seguente mese d’aprile lega e compagnia
-si fermò tra il legato di Spagna in nome di
-<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span>
-santa Chiesa e il signore della Scala, e il signore
-di Padova, e il marchese di Ferrara; e la taglia
-della gente della lega fu in nome di tremila cavalieri,
-de’ quali la Chiesa dovea pagare i millecinquecento
-cavalieri, e ciascuno degli altri cinquecento
-per uno: e oltre a ciò ne’ patti della lega
-promesse ciascuno a loro difesa, e della città di
-Bologna, e all’offesa di messer Bernabò, e d’ogni
-qualunque che contro alla lega facesse. E stando
-le cose in questi termini, messer Bernabò mandò
-al Finale navilio grande con molta vittuaglia per
-fornire le castella ch’avea sul Bolognese, e il
-marchese la fece volgere indietro. E appresso i
-detti signori di concordia per loro ambasciadori
-mandarono a dire a messer Bernabò, ch’a lui
-piacesse non volere fare più guerra alle terre
-di santa Chiesa, con ciò fosse cosa che d’allora
-innanzi con tutto loro sforzo si porrebbono
-alla difesa di questa lega: il superbo tiranno ebbe
-singolare e altero sdegno, e nelle sue rilevate
-parole molto gli avvilì, usando queste parole:
-Essi sono matti fantisini: e seguendo col fatto
-l’altero parlare, a catuno di loro per derisione
-mandò dono di vasellamento d’argento, de’ quali
-nello smalto di quelli da Verona era una scala
-appesa a un paio di forche, in quelli del signore
-di Padova erano colombi volanti, in quelli del
-signore di Ferrara una ferza, giusta la considerazione
-della sua vana e superbia fantasia; ma in
-picciolo tempo le cose seguirono in forma, che
-per opera vedere si potè che non avea a fare
-con fantisini, ma con valenti e savi signori,
-come seguendo nostro trattato racconteremo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capXCVII-10">CAP. XCVII.
-<span class="smaller"><i>Come fu morto il re Vermiglio di Granata.</i></span></h3>
-
-<p>
-E’ ne pare venire a scrivere cosa assai disusata
-e sconvenevole non che a re cristiano, ma
-a qualunque barbaro, ma quale è scriver la ci conviene.
-Sentendo il re Vermiglio di Granata come
-i Mori aveano sopra sè per loro re esaltato
-Maometto, cui egli avea altra volta del reame
-cacciato, conobbe che non potea resistere
-a Maometto avendo seco il re di Castella, e
-però mandò al re di Castella in Sibilia, e gli
-domandò sua sicurtà e fidanza, con dire di
-volere venire a sua ubbidienza. La sicurtà data
-gli fu libera e piena; ma chi il re volle scusare
-del gran tradimento disse, non seppe che per
-parte del re domandato fosse il salvocondotto,
-nè che per lui dato non gli fu. Costui, quanto che
-fosse Saracino, lasciato il reame a Maometto, con
-quattrocento tra di suo sangue, e amici e di suo
-seguito, con molta ricchezza, sotto la fidanza del
-salvocondotto, se ne venne a Sibilia là dove era
-Pietro di Castella re, e a dì 20 del mese d’aprile,
-gli anni Domini 1362, venne davanti al re, e gli
-si gittò a’ piedi con grande reverenza e umiltà.
-Il re con buono viso il vide e ricevette, e nella
-Giudecca, che è luogo di grandi abituri e d’intorno
-murato, lo mise, e quello luogo assegnò a
-lui e sua compagnia, e in quel giorno gli mandò
-e doni e presenti amichevolmente: dipoi
-venuta la notte lo detto re Pietro fece prendere
-<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span>
-lo re Vermiglio e sua compagnia, e rubare tutto
-loro tesoro, e arme, e cavalli e arnese, e loro tutti
-mettere in buone prigioni con buone catene: loro
-tesoro recò tutto a sè, che passò la stima di
-ottocento migliaia di fiorini d’oro. E il sabato appresso
-a dì 24 d’aprile, il re Pietro fece menare
-davanti da sè il detto re Vermiglio in Tavolata,
-che è un campo fuori della città di Sibilla forse
-una balestrata, in su un asino, e con lui appresso
-tre de’ suoi maggiori baroni, gli altri, ch’erano
-quarantuno, tutti grandi Saracini, tutti legati a
-una fune; lo re Pietro a cavallo con molti suoi baroni
-e cavalieri con lance in mano, e colle spade
-a lato, avendo i Saracini al campo legati, lo
-re in prima lanciò e fedì in prima lo re Vermiglio,
-e gli altri appresso gli altri, e in poco d’ora
-tutti furono tagliati a pezzi in sul campo, e le
-teste loro fece a Maometto presentare; tutti gli
-altri ch’erano con lui fè servi. Questo re Vermiglio
-fu colui che cacciò e volle uccidere il re
-Maometto, e fatto re un giovane fratello del
-detto re Maometto il fè morire. È fama che tutti
-quelli che morti furono in Tavolata erano stati
-al re Vermiglio aiutatori, consigliatori e favoreggiatori.
-</p>
-
-<h3 id="capXCVIII-10">CAP. XCVIII.
-<span class="smaller"><i>Come il re Maometto di Granata si fece uomo
-del re di Castella.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo il re Maometto ricevuto il ricco e famoso
-presente della testa del re Vermiglio suo nemico,
-e de’ quarantaquattro suoi seguaci i quali aveano
-<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span>
-morto il fratello, riconoscendo come per operazione
-del re Piero di Spagna egli era ritornato
-nel suo reame di Granata, di presente mandò
-suoi ambasciadori con pieno mandato al re Piero,
-i quali li sommisono il reame di Granata, e da
-lui in vece e nome del re Maometto come da
-superiore lo riconobbono, e lo re Maometto ne
-feciono suo uomo, e omaggio glie ne fece, e in segno
-della sommissione del reame a loro usanza
-li mandò pennoni di tutte le sue buone città e
-terre; e oltre a questo li presentò ricchi doni, e
-con essi tutti i cristiani ch’erano in suo reame
-fu donato loro libertà per amore del detto re.
-</p>
-
-<h3 id="capXCIX-10">CAP. XCIX.
-<span class="smaller"><i>Principio di guerra dai collegati a messer
-Bernabò.</i></span></h3>
-
-<p>
-Fermata la lega tra santa Chiesa e’ signori di
-Lombardia, come scritto è di sopra, anzi che altro
-movimento per i collegati si facesse, messer
-Bernabò mandò sue genti sopra il signore di Verona
-verso il Lago di Garda, il perchè i collegati
-in questo tempo del mese di maggio con duemila
-cinquecento cavalieri della lega, e con assai gente
-da piè, mossono da Modena per occupare il passo
-a messer Bernabò, sicchè non potesse mandare a
-fornire le castella che tenea sul Bolognese; e
-stando questa gente a campo, quella di messer
-Bernabò venne sul terreno di Modena, e puosesi
-dove già fu un castello che si chiamò Solaro,
-il quale era sopra il canale di Modena, e perchè
-<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span>
-era nelle valli in luogo infermo era abbandonato,
-e in su quello castellare fè porre una forte bastita,
-e quindi avea balía da potere ire alle castella
-del Bolognese. La cavalleria della lega si pinse
-innanzi verso Reggio, e puosonsi a un altro castello
-abbandonato similmente detto la Massa,
-che anche è sul passo, essendovi ancora gli antichi
-fossi pieni d’acqua gli afforzarono; onde Anichino
-di Bongardo, ch’era a Solaro con l’oste
-di messer Bernabò, avendo vittuaglia per fornire
-Castelfranco, e l’altre castella del Bolognese, la
-si ritenne per l’oste sua, non sperando poterne
-avere stando ferma la bastita della lega. Vedendo
-messer Bernabò che la lega era contro a lui ben
-fornita, e potente di gente e di danari, si pentè
-d’avere sconcia la pace colla Chiesa, e di presente
-mandò lettere a’ suoi amici e protettori in
-corte, e appresso ambasciata con cercare si fermasse
-la pace, levando via tutti gli articoli ed
-eccezioni che posti avea, e l’altre disoneste dimande,
-rimettendo Bologna nelle mani de’ Fiorentini,
-o di cui il papa volesse. Il papa era contento,
-non avendo ancora che fosse ferma la lega,
-ma in quello stante le lettere del legato vennero
-al papa, come la lega era ferma e possente a resistere
-al tiranno, e avute queste novelle, il papa
-e’ cardinali al tutto rinunziarono di fare la volontà
-di messer Bernabò, e seguirono loro processo,
-e feciono lui e chi gli desse aiuto o favore scomunicato,
-e nominatamente gli Ubaldini, i quali
-tennono con lui contro alla città di Bologna.
-Avendo messer Bernabò mandato a corte, anche
-scrisse al comune di Firenze scusandosi, che per
-<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span>
-lui non rimanea il seguire della pace, e che la
-guerra non venia da lui.
-</p>
-
-<h3 id="capC-10">CAP. C.
-<span class="smaller"><i>Come e quando morì Luigi re di Cicilia
-e di Gerusalemme.</i></span></h3>
-
-<p>
-Luigi re di Cicilia e di Gerusalemme, signore
-d’assai sconcia e dissoluta vita secondo che richiede
-la reale maestà, tocco da divina spirazione,
-quasi consapevole di sua morte vicina, lasciando
-l’usate vanitadi, punto dal giudicio di sua
-coscienza, per penitenza e ammenda de’ suoi
-misfatti e difetti si mise umilmente in pellegrinaggio,
-e andò a visitare i corpi de’ gloriosi
-apostoli, di messer san Bartolommeo il quale è a
-Benevento, quello di san Matteo lo quale giace a
-Salerno, e quello di sant’Andrea il quale sta ad
-Amalfi, secondo che nel paese certamente si tiene
-per antica e indubitata credenza: e di tale viaggio
-tornato a Napoli cadde in malattia, e come
-piacque a Dio, senza disporre altrimenti de’ suoi
-fatti, dicendo che niente avea di suo da testare,
-ma che tutto era della reina Giovanna, anzi il
-principio del dì a dì 26 di maggio, il giorno della
-santa Ascensione, rendè l’anima a Dio, e in quel
-dì fu sepolto con reali esequi a....... avendo
-tenuto il regno dieci anni forniti dal giorno
-di sua coronazione. Signore fu di poca gravezza
-e meno d’autorità, e in aspetto e fatto senza
-scienza alcuna, e in fatti d’arme poi fu re poco
-si travagliò. Poco amore portò al suo sangue; il
-<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span>
-fratello aggrandì più per paura che per carità, i
-cugini trattò male, e per forza li si fece rubelli.
-Fu di sue promesse mendace e di ciò come di
-virtù si vantava sovente. Coloro ch’erano più
-scellerati peccatori de’ suoi baroni appresso di
-lui erano del più segreto consiglio e di maggior
-potenza, e con loro non avea onorevole conversazione
-di vita. Mobile fu, timido e pauroso ne’
-casi dell’avversa fortuna, perocchè appresso di
-sè non volea uomini virtudiosi nè d’autorità.
-Molto era cupido di fare moneta, e la giustizia
-mollemente mantenea, e poco si facea temere a’
-suoi baroni. Con il suo balio messer Niccola Acciaiuoli
-gran siniscalco, e da cui a’ suoi bisogni
-avea aiuto e consiglio alle grandi cose, molte
-volte per punzellamenti e malvagi conforti de’
-suddetti suoi baroni venne in sospetto, e quando
-la virtù di colui s’allungava dalla corte i fatti
-del re andavano male. Alla reina facea poco
-onore, e o per suo difetto, ch’assai n’avea, o per
-fallo della reina, molte volte come una vil femmina
-in grande vituperio della corona la battea,
-e di quello ch’era suo non le lasciava fare
-nè a sè nè ad altrui il debito onore. Delle magnifiche
-cose che a lui parea aver fatto a tempo
-di guerra e di pace tanto si lodava e vantava,
-che ogni uomo che l’udia tediando facea maravigliare;
-e di tali frasche fece comporre scritture
-d’alto dittato, compiacendosi nelle proprie lusinghe.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capCI-10">CAP. CI.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini vollono difendere
-Pietrabuona, e non poterono.</i></span></h3>
-
-<p>
-Nel 1362 a dì 18 di maggio, i priori di Firenze
-raccolsono un parlamento d’oltre a seicento
-cittadini, nel quale spuosono i termini in che
-stava Pietrabuona, e come quelli che la teneano
-data l’aveano al comune di Firenze, e come i
-signori l’aveano presa a parole, pensando se si
-difendesse dalla forza de’ Pisani per quella riavere
-o Sovrana o Coriglia, terre da’ Pisani nel
-vero copertamente e maliziosamente tolte al
-comune di Firenze; non ostante che poco dinanzi
-per i detti signori fosse stato risposto agli ambasciadori
-pisani, che ’l comune non se ne travagliava,
-e più come ne’ prossimi giorni i Pisani
-aveano cavalcato sopra il terreno di Barga
-terra accomandata al comune di Firenze, e dandovi
-il guasto arando i seminati con più di cento
-paia di buoi, e tagliando loro gli alberi dimestichi,
-e le vigne e’ castagni, e come a undici
-soldati del comune di Firenze in sul distretto
-del comune di Firenze, i più conestabili, stando
-senza arme a vedere gittare i trabocchi in
-Pietrabuona, rabbiosamente ai più aveano tolta
-la vita e gli altri fatti prigioni; e recando alla
-mente le altre più gravi ingiurie per lo comune
-pazientemente passate con infignersi di non vederle,
-nonostante che poco dinanzi al detto
-parlamento per i signori di Firenze risposto fosse
-<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span>
-agli ambasciadori di Pisa, che de’ fatti di Pietrabuona
-il comune di Firenze non s’intendea
-di travagliare, si diliberò di concordia di tutto
-il detto consiglio che Pietrabuona e sua difesa si
-prendesse. In questi giorni avvedendosi i Pisani
-che i masnadieri di Pietrabuona erano caldeggiati
-dalla gente de’ Fiorentini, con molta più sollecitudine
-e studio procurarono di racquistarla, e combattendo
-con dodici trabocchi per dì e per notte
-tutta la macinavano. Dopo il partito preso della
-difesa, secondo il giudicio di molti intendenti,
-la difesa era presta dove il comune avesse fatto
-afforzare il poggio della Remita, che soprastava
-i battifolli de’ Pisani, ed era del distretto del
-comune di Firenze, ma nel tardare preso fu e
-guardato per i Pisani; e i Fiorentini in sul loro
-terreno dirimpetto a Pietrabuona, la Pescia in
-mezzo, puosono un battifolle che dava l’entrata
-e l’uscita libera agli assediati, il perchè molto se
-ne renderono sicuri quelli d’entro, ma dalli dificii
-i quali continovo il dì e la notte gettavano
-non poteano essere atati, e all’uscita di maggio
-vi cominciarono a gittare fuoco temperato, che
-eziandio offendeva alle pietre, e tanto spesso l’una
-pietra su l’altra venia disfacendo il castello, e
-offendeano alle persone, che ai pochi difenditori
-che stare vi poteano toglieva il vigore alla difesa.
-Oltre a queste continove battaglie i Pisani levarono
-un castello di legname sotto la guardia di
-loro battifolli, un’arcata vicino alla torre della
-rocca, contro al quale i Fiorentini feciono dirizzare
-un trabocco che l’avrebbe spezzato, se ’l
-maestro che ’l conducea fosse ito con fede a’ Fiorentini,
-<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span>
-ma era Aretino, e d’animo ghibellino,
-e però non adoperò quello ch’avrebbe potuto; i
-maestri dal lato pisano avendo alli quattro dificii
-giuntone uno più grosso, quello de’ Fiorentini
-sconciarono. In questi dì messer Bonifazio Lupo
-da Parma, chiamato da’ Fiorentini per tenere luogo
-di capitano, giunse a Firenze, e di presente andò
-a vedere il sito di Pietrabuona, e il modo e
-forma di suo assedio, e veduto ed esaminato
-tutto, scrisse a’ signori di Firenze che impossibile
-gli parea la difesa, e ciò fu a dì 4 di giugno; e a
-dì 5 del mese, il dì della Pentecoste, i Pisani,
-ch’erano presso al trarre delle balestra, con loro
-battifolli, con tutta loro forza di gente d’arme, e
-d’assai buoni balestrieri, movendo loro castello
-il condussono fino alla rocca. Quivi secondo il
-suo essere fu l’aspra battaglia a petto a petto, e
-non di manco li dificii de’ Pisani traevano sì temperati
-che loro genti non offendeano, e quelli del
-castello non lasciavano scoprire alla difesa; vollono
-gittare il ponte del castello del legname in su
-la torre di là, ch’era più bassa che il castello, e il
-ponte fu corto, e la difesa grande per l’operazione
-de’ buoni balestrieri d’entro, e durata questa
-pugna per spazio di parecchie ore, i Pisani si ritrassono
-addietro col castello del legname; quelli
-di Pietrabuona affannatisi ritrassono a rinfrescare,
-e non pensando per quello rimanente del giorno
-avere più battaglia, non di meno al soccorso
-loro erano tratti i cavalieri e’ masnadieri, quelli
-che stare vi poteano coperti da’ trabocchi. I Pisani
-in questo riposamento rallungarono il ponte al
-castello, e con più asprezza ritornarono alla battaglia,
-<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span>
-e condotto il castello lungo la rocca, gettarono
-il ponte in su la torre, ma per questo non
-si curavano quelli d’entro, che ben poteano tre a
-tre combattere; ma quale che si fosse la cagione
-quelli d’entro invilirono, e quelli ch’erano venuti
-al soccorso incominciarono a abbandonare il castello,
-e quelli ch’erano di que’ d’entro i caporali
-pensarono a volere salvare danari e altre cose
-sottili ch’aveano nella rocca, e però affocarono
-la torre e abbandonarono la difesa, onde i Pisani
-francamente presono la terra, e cui giugnere vi
-poterono misono al taglio delle spade, intra i quali
-fu Nieri da Montegarulli antico e pregiato
-masnadiere, il quale essendo arrenduto alla fede
-vi fu morto, e altri presi e feriti: coloro che
-l’altro dì v’andarono pe’ morti, e per ricogliere
-i prigioni, sopra i corpi de’ morti prendendoli furono
-morti, e simile i ricomperatori. La gente
-de’ Fiorentini abbandonato il battifolle e arso
-con non poca vergogna si tornarono a Pescia.
-Di questa vittoria la gloria e la burbanza de’ Pisani
-troppo fu sopra modo, e la befferia smisurata,
-e la festa tanto grande, che dove avessono
-acquistato una provincia non l’avrebbono potuta
-fare maggiore, dispettando e avvilendo i Fiorentini,
-e per loro lettere, e oltre a ciò aprendo
-quelle de’ mercatanti fiorentini di loro mano v’aggiugneano
-villane e ontose parole del nostro
-comune. I loro anziani e governatori posto il senno
-dall’uno lato osarono dire, che se i Fiorentini
-avessono cuore a muovere guerra, che i loro soldati
-ne legherebbe tre uno di loro, e se v’andassono
-i cittadini, li vincerebbono e legherebbono le
-<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span>
-femmine loro, e molte altre altere e brutte parole
-con la testa levata usarono contro il comune
-di Firenze per muoverli a cruccio e impresa
-di guerra, ignoranti delle rivoluzioni della fortuna,
-la quale per guerra assai loro apparecchiò di
-male.
-</p>
-
-<h3 id="capCII-10">CAP. CII.
-<span class="smaller"><i>Come quelli della valle di Caprese furono
-traditi dagli Aretini.</i></span></h3>
-
-<p>
-Del mese di maggio, quelli della valle di Caprese
-con l’aiuto di loro vicini e amici tanto seppeno
-adoperare, che presono la Rocca cinghiata la
-quale era de’ Tarlati, e teneano questa e la rocca
-del Caprese, e con gli Aretini s’erano accordati
-di torre da loro potestà, e di dare loro ogn’anno
-certo censo riconoscendoli per maggiori, e doveano
-i nemici degli Aretini avere per nemici, e gli
-amici per amici, e li Aretini li doveano in loro
-stato conservare e difendere. Stando così gli
-Aretini infintamente feciono l’oste bandire sopra
-un castello di quelli da Pietramala, e richiesono
-quelli della valle di Caprese d’aiuto,
-i quali liberamente di buona voglia elessono di
-loro fanti dugento più eletti e pregiati, e uscito
-il podestà d’Arezzo coll’oste quelli della
-valle Caprese s’aggiunsono con lui, ed egli vedendosi
-costoro tra le mani ne presono centoventi,
-gli altri fuggendo camparono. Presi gli amici gli
-amici per questa via, e mandati ad Arezzo,
-<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span>
-la gente degli Aretini col podestà entrò nella
-valle di Caprese, e menarono a tondo guastando
-e consumando ciò ch’era in quella; rifuggiti
-i paesani alla rocca, la quale era da
-guatarla e lasciarla stare. Gli Aretini avendo i
-prigioni domandavano la rocca; i Caprigiani con
-franchi animi si dispuosono di volere innanzi
-morire, e di vedere i loro prigioni morire, che
-volessono le rocche dare agli Aretini, e di presente
-mandarono sindaco con pieno mandato
-per darsi al comune di Firenze, il quale stette
-sopra quindici dì in Firenze per ciò fare: gli Aretini
-con loro ambasciadori storpiarono che il comune
-non fece l’impresa, dicendo che le rocche
-erano in punto che contra loro non si poteano
-tenere, e che il loro comune era amico e fedele
-del comune di Firenze, e che avendo essi le
-rocche l’aveano i Fiorentini, e in breve tanto
-seppono dire e operare con gli amici loro, che
-’l comune non li tolse, il perchè di poi si dierono
-a’ Perugini, e da loro si trovarono ingannati,
-come appresso a suo tempo diviseremo.
-</p>
-
-<h3 id="capCIII-10">CAP. CIII.
-<span class="smaller"><i>Della mortalità dell’anguinaia.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questi tempi, del mese di giugno e luglio,
-l’usata pestilenza dell’anguinaia con danno grandissimo
-percosse la città di Bologna, e tutto il
-Casentino occupò, salvo che certe ville alle quali
-perdonò, procedendo quasi in similitudine di
-grandine, la quale e questo e quel campo pericola,
-<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span>
-e quello del mezzo quasi perdonando trapassa;
-e se similitudine di suo effetto dare si può,
-se ciò procede dal cielo per mezzo dell’aria corrotta,
-simile pare alle nuvole rade e spesse, per le
-quali passa il raggio del sole, e dove fa splendore
-e dove no. Or come che il fatto si vada, nel Casentino
-infino a Dicomano nelle terre del conte
-Ruberto fè grande dannaggio d’ogni maniera di
-gente: toccò Modona e Verona assai, e la città
-di Pisa e di Lucca, e in certe parti del contado
-di Firenze vicine all’Alpi, e nell’Alpi degli
-Ubaldini: a’ Pisani tolse molti cittadini, ma
-più soldati. Nell’Isola di Rodi in questi tempi
-ha fatti danni incredibili: e nel 1362 del mese
-di luglio e d’agosto assalì l’oste de’ collegati
-di Lombardia sopra la città di Brescia per modo
-convenne se ne partisse, e nella città fece danno
-assai. Nella città di Napoli e in molte terre
-dei Regno, ove assai, e dove poco facea, ove
-niente. Nelle case vicine a Figghine cominciò d’ottobre
-in una ruga, e l’altre vie non toccò. In
-Firenze ove in una casa ove in un’altra di rado
-e poco per infino a calen di dicembre.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span>
-</p>
-
-<h2 id="libro11">LIBRO UNDECIMO</h2>
-
-<h3 id="capI-11">CAPITOLO PRIMO.
-<span class="smaller"><i>Il Prologo.</i></span></h3>
-</div>
-
-<p>
-Sogliono naturalmente le cose opposte e contrarie
-insieme avvicinate più le loro contrarietà
-dimostrare. Questo pertanto al presente diciamo,
-perocchè la pace rotta al nostro comune per i
-Pisani, e la guerra per loro e mossa e cercata
-con molta astuzia sollecitamente per riavere il
-porto, ne presta materia di proemio all’undecimo
-libro di nostro trattato, prendendo principio
-dalla natura e condizione della pace fedelmente
-osservata, la quale è certo fermo e indubitato
-fondamento e grado delle mondane ricchezze,
-e della mondana felicità secondo il mondo.
-Ella è madre di unità e cittadinesca concordia;
-ella non solo alle piccole, ma eziandio
-alle menome cose partorisce accrescimento e esaltazione.
-I re del mondo loro reami in pace mansuetamente
-governano; i popoli liberi intenti a
-loro arti e mercatanzie moltiplicano in ricchezze,
-magnificando la faccia di loro cittadi con
-ricchi e nobili edificii, e per li sicuri matrimoni
-<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span>
-cresce e moltiplica il numero de’ cittadini con
-aspetto lieto e pieno di festa. E non solo i popoli
-che vivono in libertà, ma quelli che sottoposti
-sono al crudelissimo giogo della tirannia,
-la quale per sua malvagia natura e corrotta
-d’usanza a’ buoni e valorosi cittadini è
-del tutto e sempre nemica, e in palese e in occulto
-avversa, per la paura fitta nelle menti loro
-di perdere loro stato, maculati dalla coscienza
-delle loro crudeli e sanguinose operazioni; d’onde
-surge, che senza niuna pietà o discrezione ti
-disfanno e scacciano senza misericordia alcuna,
-affermando meglio essere terra guasta che terra
-perduta. Nè contenta loro perversa iniquità alle
-occupazioni delle loro cittadi, per cupidigia d’ampliare
-signoria le nazioni vicine tormentano, e
-massimamente i popoli che vivono in libertà, con
-continove guerre gradimenti e trattati. E per potere
-fornire loro empio proponimento, e mandare
-a esecuzione loro volontadi, i sudditi loro disfanno,
-moltiplicando gabelle e collette, ma con gravi
-imposte. Costoro spento il seme de’ buoni danno
-alquanto di respitto e triegua alle servili fatiche,
-un poco in pace patiscono ai loro sudditi
-respirare. Male dunque conosce e molto poco pregia
-la dolcezza della libertà chi per cupidigia di
-mortale vita la perde, se vita dirittamente ponderando
-appellare si può il servaggio. È dunque
-la pace bene considerata madre di letizia e d’ubertà,
-corona e nobiltà di potentissimi re e signori,
-protezione e scudo de’ liberi popoli, del tutto
-e per tutto avversa e nimica alla spaventosa,
-sterile e sanguinosa guerra, per la quale l’altissime
-<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span>
-cose caggiono e vengono meno. Quanti
-famosissimi re e signori nelle passate etadi ha
-ella straboccato in estrema miseria, con vilissimo
-e vituperabile uscimento di vita! Quante nobili
-famose e gloriose cittadi ha ella dai fondamenti
-sovverse, lo cui specchio è ai mortali manifestissimo
-argomento d’incredibili mali! Quante
-provincie ha ella lasciate disolate e povere
-d’abitatori in pauroso e spaventevole aspetto!
-Quanti e innumerabili popoli ha tagliati con ferro,
-e sommersi nel domestico e nel pellegrino
-sangue, i quali hanno lasciato di loro calamità,
-miseria, e avversa fortuna agl’ignobili luoghi
-famosi titoli! Chi potrebbe in piccolo numero di
-carte comprendere le incredibili e maravigliose
-cose che ne’ passati secoli il furore e la rabbia
-della guerra ha prodotte? Essa è occulto e
-malvagio seme, e ricettacolo della tirannia, la
-quale nel letume suo a guisa del fungo s’ingenera
-e surge, e nella sua pertinacia si nutrica e
-allieva. Dunque bene è d’abominare, e da recare
-dai buoni in persecuzione colui lo quale
-per ambizione, ovvero per propria malizia o disdegno,
-o per utilità privata, o per vendetta
-o per vanagloria la sua patria sospigne in guerra;
-e se noi amiamo il vero, io non conosco
-qual grazia trovare si possa nel cospetto di Dio
-per suo pentere, tutto che quasi stimi che impossibile
-sia il pentere tale uomo. Come può
-egli restituire le morti degl’innocenti e semplici?
-come gli omicidi? come gl’incendii? come
-le prede? come le violenze fatte alle oneste
-donne e alle pure vergini? come gli scacciamenti?
-<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span>
-come le povertadi? come le necessarie
-peregrinazioni? come il perdimento della libertà
-che tutte cose sormonta? Di quello che poco dire
-non si può è meglio il tacere: e qui far fine
-si dee, e dar luogo a chi molto può, e poco sa,
-e a molti offende. Anime tribolate, se potete, datevi
-in viaggio pace e buon piacere.
-</p>
-
-<h3 id="capII-11">CAP. II.
-<span class="smaller"><i>Degli apparecchi fatti da’ Fiorentini per la
-guerra contro a’ Pisani.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il comune di Firenze per natura nell’imprese
-grave è e tardo, ma nel seguirle avveduto e sollecito,
-poichè deliberato avea di seguire l’inviluppata
-impresa incominciata contro a’ Pisani per
-Pietrabuona, e venia in aperta e palese guerra
-per vendicare sua onta, essendo i suoi governatori
-svegliati come da grave sonno, e infiammati
-per la vergogna prossimamente ricevuta, animosamente
-seguendo il consiglio di messer Bonifazio
-Lupo da Parma loro capitano, uomo quasi solitario
-e di poche parole, ma di gran cuore, e di
-buono e savio consiglio, e maestro di guerra,
-all’entrare del mese di giugno 1362 cominciarono
-a provvedersi intorno alle bisogne della guerra.
-E per coprire la tostana e sperata vendetta
-cominciarono a fabbricare a un’otta sedici trabocchi,
-nel lavorio de’ quali pigramente si procedea,
-per mostrare che l’assalimento avesse lungo
-tratto, e continovo sollecitamente si provvedeano
-di gente d’arme, e da cavallo e da piè.
-<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span>
-E per non mandare in arme la viltà delle vicherie,
-le quali senza lunghezza di tempo e lunga
-dimoranza, la quale è sempre nemica e nociva
-alla guerra, non si possono raccogliere, e perchè
-l’amistà e grazia de’ possenti sottrae dal comune
-servigio i buoni e’ valenti, e lascia i cattivi,
-mandarono i signori per tutti quelli gentili uomini
-e popolari di città e del contado, i quali sentirono
-abili e sofficienti a fare prestamente brigate
-di fanti e gente sperta in arme, e loro imposono
-e comandarono quanto più tosto potessono
-facessono il più gente potessono, i quali il
-comandamento senza dilazione mandarono ad
-esecuzione; sicchè il dì 15 di giugno il comune,
-che di gente di soldo e che di gente col detto
-ordine ricolta, si trovò millecinquecento uomini
-di cavallo, e quattromila pedoni, fra’ quali furono
-millecinquecento e più balestrieri. Ancora infra
-i detti giorni richiesono loro amistà, e infra gli altri
-richiesti furono i Perugini e’ Sanesi: i Perugini
-risposono, che per le novità aveano di loro
-usciti non aveano destro di potere sovvenire, e
-che bene sapeano che ’l comune di Firenze era
-tale e tanto, e di tanta forza e podere, che non
-che si potesse atare dal comune di Pisa, ma che
-agevolmente il dovea potere sormontare: i Sanesi
-senza altra scusa risposono, che non aveano
-gente da poterne loro servire: le quali risposte
-non sono da porre in oblio dalla liberalità del
-nostro comune, lo quale ne’ loro bisogni richiesto,
-di ciò che potuto ha non ha detto di no. Pistoiesi,
-Aretini, il conte Ruberto, e altri vicini
-vennono a servire il comune con quella gente da
-<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span>
-cavallo e da piè che fare poterono, onde il comune
-infra li 20 di giugno si trovò d’avere tra
-di soldo e d’amistà milleseicento cavalieri e
-cinquemila pedoni. I Pisani sentendo il fabbricare
-degl’ingegni, e la raunata di gente d’arme
-che si facea in Firenze, tutto ch’avessono certa
-la guerra per le cagioni dette di sopra, non di
-manco cominciarono a dubitare e temere, e cominciarono
-a fare sgombrare loro contado, e specialmente
-la Valdera, e afforzare e guarnire
-loro tenute verso le frontiere il meglio e il più
-pronto poterono, conducendo gente di soldo e
-da cavallo e da piè quanto poterono il più, con
-dare ordine a’ loro contadini e alle difese e a
-guardie di loro tenute.
-</p>
-
-<h3 id="capIII-11">CAP. III.
-<span class="smaller"><i>Come seguendo gli antichi Romani gentili
-i Fiorentini nel dare dell’insegne al
-capitano presono punto per astrologia.</i></span></h3>
-
-<p>
-I nostri padri Romani prima che venissono al
-segno dell’imperio, in loro imprese di nuove guerre
-niente mai avrebbono incominciato, che prima
-felici augurii non avessono cerchi e veduti:
-pertanto ne’ sacrificii che facevano agl’idoli loro
-nelle interiora degli animali vittimati cercavano
-la sorte e l’avvenimento della fortuna; questo accecamento
-diabolico ed è ed esser dee in abominazione
-come avverso alla fede cristiana. Vicino
-e quasi consorte alla stoltezza degli augurii
-è quella parte dell’astrologia la quale predice i
-<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span>
-futuri avvenimenti delle cose nominate e singolari,
-e’ loro propri casi, e massimamente di riuscimenti
-di guerre, i quali sono nelle mani del
-signore Dio Sabaoth, che interpretato è Dio degli
-eserciti. I Fiorentini stratti del sangue romano,
-per vizio ereditario seguono i giudicii delle stelle,
-e altre ombre d’augurii sovente, e al presente
-avendo accolto l’esercito, di che avemo detto nel
-precedente capitolo, e volendo dare l’insegne,
-vollono il punto felice dall’astrologo, il quale
-fu lunedì mattina a dì 20 di giugno sonato terza,
-alla duodecima ora del dì; e ricevute l’insegne,
-avacciando il viaggio come cacciati, giunsono
-errore ad errore, perocchè sempre che insegne
-si dierono per guerra contro a’ Pisani, date
-volgeano al canto di Porta santa Maria, e poi per
-Borgo santo Apostolo; i governatori del fatto
-avendo sospetta la via di Borgo santo Apostolo,
-come al nostro comune male augurata contro a’ Pisani,
-le feciono volgere per Mercato nuovo, e per
-Porta rossa, e come poco avvisati non feciono
-prima levare i castagnuoli delle tende de’ fondachi,
-onde convenne s’abbassassono l’insegne.
-Il corso fu ratto, perchè non passasse l’ora data
-per l’astrologo al posarle fuori della terra a
-santa Maria a Verzaia, secondo l’antica usanza
-del nostro comune. Avemo arato il foglio con
-lungo sermone di lieve materia, ma fatto l’avemo
-per ricordo di quelli che dietro verranno,
-che non voglino sapere le cose future, nè porre
-speranza negl’indovinatori, perocchè solo Iddio
-è il giudicatore delle giuste e inique battaglie.
-Per alloggiare ne’ tempi loro le forestiere cose,
-<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span>
-lasceremo il processo della guerra di Pisa, e a
-suo tempo lo ripiglieremo.
-</p>
-
-<h3 id="capIV-11">CAP. IV.
-<span class="smaller"><i>Della prospera fortuna de’ collegati
-lombardi.</i></span></h3>
-
-<p>
-E’ ne piace di fare un fascio di molte avvolture
-di santa Chiesa co’ suoi collegati lombardi,
-mescolando i tempi passati con quei di dietro,
-per non occupare troppi fogli con cose che non
-sieno rilevate. Del passato mese di maggio quelli
-della lega dopo la presura di Castelnuovo
-hanno tolto a’ nemici la terra di Salaro sita sopra
-il Po di Pavia, e la terra di Ligaria di qua
-dal Po, la quale è posta a otto miglia presso a
-Tortona, e più altre castella e ville del tenitorio
-di Pavia, e di giugno il castello d’Erbitra, il quale
-era del Saliratuo de’ Buiardi d’Elbiera, il quale
-per piacere a messer Bernabò, ritenendo il cassero
-a sè, gli avea prestata la terra per i bisogni di
-sua guerra: e il tiranno non osservata sua fede
-v’avea per sè fatta fare altra fortezza. Elbiera è
-vicina a Modena a otto miglia, ond’era camera
-a messer Bernabò d’onde forniva tutte le sue bisogne
-nella guerra co’ Bolognesi; il Saliratuo come
-fidato al tiranno praticava nel cassero ch’egli
-avea fatto, onde preso suo tempo, morte le guardie
-prese il cassero, e di presente con modi diede
-la terra al marchese di Ferrara. Appresso
-quelli della lega puosono l’oste a Brescia, e messer
-Bernabò che dentro v’era se ne fuggì. Qui
-<span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span>
-lecito mi sia gridare e dire, che Dio confonde e
-avvilisce le arroganti parole che detto avea il tiranno
-che gastigherebbe i Lombardi venuti in
-lega come putti, ed eglino hanno gastigato lui.
-Giugnamo alle predette fortune, che essendo
-grande quantità d’Inghilesi infino a Basignano
-avvenne, che la gente di messer Galeazzo ch’era
-alla guardia del castello volendo fare del gagliardo
-si fè loro incontro, e di presente fu rotta,
-e alquanti ne furono morti, tutti gli altri rimasono
-prigioni. Sopra le dette baratte di guerra i
-collegati presono Gheda in sul Bresciano a dì
-20 di luglio, terra che fa oltre a ottomila uomini:
-e quelli che teneano Basignano in sul Po per
-messer Bernabò, e per guardarla aveano spesi molti
-danari, e da lui altro che minacce non poteano
-ritrarre, la ribellarono, e la dierono a’ collegati,
-ricevuti da loro circa a diecimila fiorini
-d’oro, che aveano spesi in guardarla. Oltre alle
-predette cose i collegati hanno corso il Novarese
-e assediata Novara. Volgendo un poco il mantello
-a uso di guerra, avendo i collegati preso il
-castello del ponte a Vico in su l’Oglio, quelli
-della rocca si patteggiarono d’arrendersi se fra
-certi giorni non fossono soccorsi; i collegati aveano
-nel castello messe ventotto bandiere di cavalieri
-e soldati a piè assai, i quali non pensando
-che soccorso potesse venire stavano sciolti
-e con poco ordine; il castellano intendente compreso
-loro cattivo reggimento lo significò a messer
-Bernabò, il quale di notte con gran quantità
-di gente, e la mattina davanti il fare del
-<span class="pagenum" id="Page_148">[148]</span>
-giorno messo in ordine, per gli alberghi e per le
-case tutta la detta gente prese; e così va di guerra.
-Più la pestilenza dell’anguinaia avendo aspramente
-assalito la città di Brescia, e l’oste de’ collegati
-ch’era di fuori, li strinse a partire, e si
-tornarono a Verona, e quindi ciascuno alla terra
-sua.
-</p>
-
-<h3 id="capV-11">CAP. V.
-<span class="smaller"><i>Della morte di Leggieri d’Andreotto
-di Perugia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Leggieri di Andreotto popolare di Perugia fu
-uomo di grande animo, e al suo tempo Tullio,
-perocchè fu il più bello dicitore si trovasse, e senza
-appello il maggiore cittadino ch’avesse città
-d’Italia che si reggesse a popolo e libertà, e il più
-amato e il più careggiato e dal popolo e da’ Raspanti,
-ma a’ gentili uomini li cui trattati avea
-scoperti forte era in crepore e malavoglienza.
-Avvenne che una domenica a dì 19 di giugno,
-essendo egli quasi all’incontro delle case sue
-nella via, e leggea una lettera, un figliuolo bastardo
-di Ceccherello de’ Boccoli, cui il detto
-Leggieri avea per lo trattato di Tribaldino di
-Manfredino fatto decapitare, il quale il tenea
-in continovo aguato cautamente per offenderlo,
-si trovò in una casa del Monte di Porta
-soli, la cui finestra a piombo venia sopra il
-capo di Leggieri; costui non trovando altro più
-presto prese una macinetta da savori la quale
-<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span>
-trovò vicina alla finestra, e presola a due mani
-l’assestò sopra il capo di Leggieri, e l’abbattè in
-terra morto, che mai non fè parola. Della sua
-morte non fu piccolo danno a’ Perugini, e per
-così lo riputarono, perocchè fare lo feciono cavaliere,
-e li feciono l’esequie regali e pompose
-col danaio del comune, per allettare gli altri
-che venissono poi a bene operare per la repubblica
-sua.
-</p>
-
-<h3 id="capVI-11">CAP. VI.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini cavalcarono in Valdera
-e presono Ghiazzano.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornando alle fatiche nostre, manifestato ha
-sovente l’esperienza, che la disordinata e sfacciata
-baldanza de’ presuntuosi e alteri cittadini
-i quali sono suti per loro procacci dati, non dirò
-consiglieri, ma piuttosto balii e tutori a’ capitani
-nelle guerre del nostro comune, e a’ capitani
-e al comune hanno fatti vituperii assai, e notabili
-e gravi danni, e inrimediabili vergogne, talvolta
-per non conoscere e volere mostrare di
-sapere, talora con malizioso procaccio di loro
-private utilitadi e onori. Così essendo dati al
-capitano messer Bonifazio consiglieri assai vie
-più presuntuosi che savi, e coloro ritrovandosi in
-Pescia con l’oste de’ Fiorentini, avendo a cavalcare
-i nemici, non solo lo consigliavano, ma eziandio
-con parole e arroganti segni lo sforzavano, sotto
-la baldanza dello stato cittadinesco che usurpato
-aveano, che cavalcassono in quello di Lucca,
-<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span>
-dove fortuna quasi sempre al nostro comune era
-stata avversa; ma il valente capitano certificato
-già de’ vecchi errori in simili atti commessi, poco
-pregiando nel segreto suo e loro voglie e consigli,
-e non avendo loro autorità nè grandigia
-in dottanza, di fuori mostrava volere seguire loro
-talento, e nel petto tenea raccolto il suo; e contro
-all’opinione d’ogni qualunque il giovedì
-mattina a dì 23 di giugno partì da Pescia con
-tutta l’oste, e tenne verso Fucecchio e Castelfranco,
-e il seguente dì, il giorno di san Giovanni,
-si mise per lo stretto di Valdera a piè di
-Marti, certo dell’impotenza de’ nemici, e corse
-infino a Peccioli, e la sera combattè il castello
-di Ghiazzano, e per la moltitudine delle buone
-balestra tanto impaurirono quelli d’entro, che
-a dì 26 del mese dierono il castello salve le persone,
-il quale fu per camera del nostro comune
-infino alla presa di Peccioli, che poco appresso
-seguì.
-</p>
-
-<h3 id="capVII-11">CAP. VII.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini soldarono galee
-contra i Pisani.</i></span></h3>
-
-<p>
-Non contenti i Fiorentini co’ Pisani alla
-guerra di terra con loro, vollono tentare la fortuna
-del mare, e del mese di giugno condussono
-a soldo Perino Grimaldi con due galee e un
-legno, e uno Bartolommeo di...... con altre
-due galee, i quali promisono con detti legni bene
-armati essere per tutto il mese d’agosto nella
-<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span>
-riviera di Pisa, e fare guerra a’ Pisani a loro possanza.
-</p>
-
-<h3 id="capVIII-11">CAP. VIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Perugini presono la Rocca cinghiata
-e quella del Caprese.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo gli ambasciadori e’ sindachi degli uomini
-e comunità di Val di Caprese stati a Firenze
-a sollecitare il comune che per suoi li prendesse,
-e con loro quelli della Rocca cinghiata, per
-la molta forza d’amici che si trovarono gli Aretini
-tra le fave, si sostenne che accettati non
-fossono, in danno e disonore del nostro comune:
-ond’essi dileggiati presa disperazione s’avventarono
-e dieronsi a’ Perugini, i quali li ricevettono
-graziosamente; e di presente del mese di luglio
-vi mandarono quattrocento fanti e centocinquanta
-uomini da cavallo, e presonsi le tenute
-di quelle due notabili rocche.
-</p>
-
-<h3 id="capIX-11">CAP. IX.
-<span class="smaller"><i>Come novecento cavalieri di quelli di messer
-Bernabò furono sconfitti da seicento
-di quelli di messer Cane Signore.</i></span></h3>
-
-<p>
-Era la gente di messer Cane Signore e di Polo
-Albuino in numero di seicento cavalieri del
-mese di luglio 1362, essendo messer Bernabò in
-Brescia con gente molta più assai di cavallo, la
-detta gente di messer Cane in passaggio albergò
-<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span>
-dinanzi delle porte della città, e una domenica
-mattina partendosi di quindi per ridursi a Pescara
-e coll’altra gente della lega, lasciato fornite
-Ganardo e Pandegoli castella di nuovo per loro
-acquistate in sul Bresciano, ed essendo già intra
-’l detto Pandegoli e Smaccano, la gente di
-messer Bernabò in numero di novecento barbute
-e oltra, che in que’ giorni s’era ricolta nel
-castello di Lenado, parendo loro avere mercato
-della gente di messer Cane, s’apparecchiarono ad
-assalirla. La gente di messer Cane sapendo che i
-nemici avanzavano il terzo e più, e che nel luogo
-dov’erano aveano il disavvantaggio del terreno,
-e che si metteano in punto per assalirli, non
-aspettarono, e il detto giorno nell’ora del vespro
-nella disperazione presono cuore, e assalirono
-francamente i nemici in su l’ordinarsi, e col favore
-di Dio li misono in rotta, e assai ne furono
-morti e magagnati e assai presi, intra’ quali di nome
-furono messer Mascetto Rasa da Como loro
-capitano, con venticinque conestabili assai pregiati
-in arme, e altri assai che non si nominano; e quindi
-a non molti giorni trecento barbute della gente
-di messer Bernabò in sul Bresciano dalla gente
-della lega furono sconfitti.
-</p>
-
-<h3 id="capX-11">CAP. X.
-<span class="smaller"><i>Disordine nato tra’ Genovesi per la guerra
-de’ Fiorentini e’ Pisani.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Simone Boccanera primo doge di Genova,
-quando privato fu di sua dignità e cacciato
-<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span>
-di Genova si ridusse a Pisa, e da’ Pisani cortesemente
-fu ricevuto, e secondo il suo grado assai
-onorato; onde per la detta cagione essendo ritornato
-in Genova, e nello stato suo con la forza
-di suoi amici e seguaci, a tutto suo podere cercò
-che il comune di Genova desse il suo favore a’ Pisani,
-e già essendo entrati in lega con loro, quando
-il traffico de’ Fiorentini fu levato da Pisa, contro
-a qualunque navilio con mercatanzia ch’entrasse
-o uscisse dal porto di Talamone, e da
-quella a istanza de’ Fiorentini per lo suo consiglio
-e comune levato, quando vidde il fuoco
-della guerra appreso, con ogni sua forza e sottigliezza
-cercava che i Genovesi dessono loro favore
-a’ Pisani, ma i mercatanti ed altri cittadini
-a tutti suoi avvisi e sforzamenti s’oppuosono,
-pure tanto fè, che per deliberazione del comune
-s’ottenne e statuì che il comune di Genova si
-stesse di mezzo, e nullo aiuto o favore si desse
-nè all’uno nè all’altro. Occorse in istanza di
-tempo, che i signori priori di Firenze e gli otto
-della guerra scrissono a Francesco di Buonaccorso
-Alderotti mercatante stato lungamente in Genova,
-pratico con tutti i cittadini e da loro ben veduto,
-che conducesse quattrocento de’ migliori
-balestrieri i più pratichi in guerra che avere potesse
-a soldo, con un buono capitano o due. Ciò
-venne agli orecchi del doge, e sotto il protesto
-della deliberazione fatta per lo comune, che
-a’ Fiorentini nè a’ Pisani si desse favore, come
-è detto di sopra, prestamente fè fare personale
-bando, che niuno potesse conducere nè in Genova
-nè nella Riviera alcuno balestriere, e simile pena
-<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span>
-puose al balestriere se si conducesse. Il valente
-mercatante alle sue spese, sponendosi ad ogni pericolo
-per zelo di suo comune, se n’andò a Nizza
-ch’è della contea di Provenza, e qui s’accozzò
-con messer Riccieri Grimaldi, uomo valoroso e
-stato in più battaglie campali, e lui solo condusse
-capitano di quattrocento balestrieri a fiorini
-sette per balestro il mese, i quali furono tutti
-uomini scelti e usi in guerra. E per mostrare
-messer Riccieri che con amore e affezione venia
-a servire il comune di Firenze, volle che intra
-il numero de’ balestrieri fossono due suoi figliuoli,
-e due di Perino Grimaldi, i quali venuti a Firenze,
-e non trovando verrettoni a loro modo, anche
-fu scritto per gli otto al detto Francesco, che da
-Genova ne mandasse dugento casse. Ed essendo
-per lo detto doge posto grave pena a chi ne traesse
-del Genovese, il detto Francesco compostosi
-co’ doganieri, ne mandò subito centosettanta, le
-quali legate a quattro casse per balla con paglia,
-e invogliate a guisa di zucchero, e per zucchero
-si spacciarono alla dogana. Emmi giovato di così
-scrivere, perchè se onorato fosse chi bene fa per
-lo suo comune, gli animi degli altri s’accenderebbono
-a fare il simigliante.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capXI-11">CAP. XI.
-<span class="smaller"><i>Come il re di Castella con quello di Navarra
-ruppono pace a quello d’Aragona, e
-lo cavalcaro.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo legati insieme, come addietro è detto,
-lo re di Spagna, con quello di Navarra, con quello
-di Portogallo, e con quello di Granata, e col conte
-di Foscì, e con quello d’Armignacca contro il re
-d’Aragona, del mese di giugno il re di Castella con
-quello di Navarra, amendue in persona, con cinquemila
-cavalieri si misono sopra le terre di quello
-d’Aragona, la quale è lontana a Sibilia per otto
-giornate, e con sedici galee l’assalirono per mare,
-avendosi la pace lasciata dopo spalle, facendo grandi
-e disonesti danni. E avendo il re Piero di Spagna
-lungo tempo tenuta assediata la città di Calatau, e
-quelli della città difendendosi coraggiosamente, e
-non volendosi arrendere loro, lo re con giuramento
-promise, che se non si arrendessono, ed egli li prendesse
-per forza, che tutti li farebbe morire: quelli
-poco pregiando le sue minacce sollecitamente attendeano
-a loro difesa; infine del mese d’agosto
-il re per battaglia prese la città e non ricordandosi
-che i vinti fossono cristiani, incrudelito contro
-loro a guisa di fiera salvaggia, oltre a seimila
-cittadini disarmati e vinti fè mettere al taglio
-delle spade senza misericordia alcuna.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capXII-11">CAP. XII.
-<span class="smaller"><i>Come per sospetto in Siena a due dell’ordine
-de’ nove fu tagliata la testa.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo tempo e mese di giugno, Giovanni
-d’Angiolino Bottoni della casa de’ Salimbeni con
-altri gentili uomini di Siena, e con certi dell’ordine
-de’ nove, il quale era posto a sedere, tennono
-trattato di dovere rimettere l’ordine de’ nove
-nello stato. Il popolo avendo di ciò odore, e pertanto
-in sospetto, corse all’arme, e nel furore furono
-presi un Tavernozzo d’Ugo de’ Cirighi, e uno
-Niccolò di Mignanello, ch’erano stati dell’ordine
-de’ nove, e furono decapitati. Il capitano della
-guardia, ch’era de’ Pigli di Modena, fece tagliare
-il capo a un frate e a certi altri: e furono
-posti in bando per traditori Giovanni d’Agnolino
-Bottoni, e messer Giovanni di messer Francesco
-Malavolti, e Andrea di Pietro di messer
-Spinello Piccoluomini, e Cinque di messer Arrigo
-Saracini, e Francesco di messer Branca Accherigi
-dell’ordine de’ nove. Poi a dì 3 di novembre
-il detto Giovanni co’ sopraddetti furono ribanditi,
-e riposti nel primo stato e onore.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capXIII-11">CAP. XIII.
-<span class="smaller"><i>Cavalcate fatte per messer Bonifazio Lupo
-in su quello di Pisa.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo messer Bonifazio Lupo preso Ghiazzano,
-e predata e arsa la Valdera tutta fuori delle
-fortezze, volendo più in avanti cavalcare per suo
-onore e del comune di Firenze, vietato gli fu
-da’ consiglieri che dati gli erano per lo comune
-senza mostrarli il perchè. Il valente capitano
-pregiando più suo onore che la grazia e amore
-de’ privati cittadini, e non curando i volti turbati,
-si mise in viaggio con l’oste ordinata per fornire
-sua intenzione. L’uno de’ consiglieri ito più
-là nello stato che non portava il dovere scrisse al
-fratello, ch’era degli otto della guerra, come il
-capitano nullo loro consiglio volea seguire, e che
-era uomo di sua volontà, e di mettere il comune
-in pericolosi luoghi, con dire procurasse fosse onorato
-com’egli onorava loro. Il che ne seguì, che
-per operazione del detto degli otto fu eletto per
-capitano messer Ridolfo da Camerino, e mandato
-per lui, e che prestamente venisse, mostrando
-che per le stranezze di messer Bonifazio il comune
-n’avesse gran bisogno: e tutto che di ciò ne
-sdegnasse messer Bonifazio nol dimostrò, ma come
-magnanimo ne fece di meglio. Tornando a
-nostro processo, messer Bonifazio spregiato il voglioso
-e poco savio consiglio, e forse malizioso
-e venduto de’ suoi consiglieri, lasciato Ghiazzano
-ben fornito e guarnito alla difesa, l’ultimo dì
-<span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span>
-di giugno, arsa e predata la Valdera, con molto
-ordine cavalcò a Padule, villa ricca e fornita
-di belli abituri, e predata e arsa la villa prese
-Castello san Piero, e il mercato a Forcole, e per
-tre dì soggiornò in quei paesi correndo vicino a
-Pisa: e in quel tempo presono, arsono e guastarono
-trentadue tra castella, e fortezze e villate,
-nelle quali arsono oltre a seicento case, che fu
-danno quasi inestimabile; e intra l’altre fortezze
-presono Contro, e dieronlo in guardia a’ Volterrani.
-Ed essendo la gente grossa de’ Pisani a Castello
-del Fosso, i nostri vi mandarono e richiesonli
-a battaglia, ed eglino non s’attentarono
-d’uscirli a vedere: fu in animo del capitano di
-combatterlo, ma fallandoli gli ingegni di combattere
-castella, e vittuaglia, si partì quindi, e puosesi
-nel borgo di Petriolo, quivi aspettando il
-nuovo capitano; dove stando, per non tenere la
-sua gente oziosa, e per non dare respitto a’ nemici,
-quattrocento tra barbute e Ungari con cinquecento
-masnadieri, sotto la guardia e condotta
-di Leoncino de’ Pannocchieschi de’ conti da Trivalle
-di Maremma soldato del comune di Firenze,
-fece cavalcare nella Maremma, lunga dal luogo
-dov’era cinquanta miglia, verso Montescudaio
-e per que’ paesi, dove trovarono gran preda
-di bestiame e grosso e minuto, che per l’asprezza
-del luogo ivi s’era ridotto. I nostri non trovando
-contasto, fatto gran danno e arsione nel
-paese, a dì 9 di luglio menarono al campo dodici
-centinaia di bufole e novecento vacche, vitelle
-assai, e oltre a mille porci, e altro bestiame minuto
-assai, il quale sortito tra i predatori, solo
-<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span>
-messer Bonifazio per sua cortesia fu senza parte
-di preda, lasciandola a chi l’avea faticata.
-</p>
-
-<h3 id="capXIV-11">CAP. XIV.
-<span class="smaller"><i>Del processo della guerra da’ collegati
-a messer Bernabò.</i></span></h3>
-
-<p>
-Di questo mese di giugno, quelli della lega ripuosono
-il castello di Massa presso alla Mirandola,
-e lasciatolo ben fornito di vittuaglia e di
-gente alla guardia contendeano a guerreggiare
-sollecitamente. Dall’altra parte Anichino di
-Bongardo con la gente di messer Bernabò ha
-riposto il castello di Solaro in sul canaletto,
-che esce del canale di Modena, e fornitolo s’è accampato
-ivi presso nel bosco facendovisi forte.
-Il conte di Lando con messer Ambrogiuolo figliuolo
-naturale di messer Bernabò corsono infino
-alla Mirandola ingaggiati di battaglia con
-la gente della lega, ma in que’ tempi che combattere
-doveano grave malattia prese messer
-Galeazzo, e, o che così fosse, o che fosse simulata
-per non si mettere alla fortuna della battaglia,
-il conte di Lando e messer Ambrogiuolo si
-tornarono addietro. Il marchese di Ferrara di
-questo mese tolse Voghera, terra d’oltre a dugento
-uomini, e Guarlasco e più altre terre. Cane
-Signore tolse la valle di Sale in sul lago di Garda,
-e più altre terre e fortezze. Alquanti vollono
-dire questa essere la cagione perchè il conte di
-Lando e Ambrogiuolo si tornarono addietro. In
-queste baratte e volture per operazione del conte
-<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span>
-di Lando certi conestabili tedeschi ch’erano
-al soldo della lega, loro caporale messer.....
-del Pellegrino, in numero tutti di undici, fatta
-congiura doveano tradire la lega, i quali furono
-presi, e trovando che ciò era vero furono decapitati.
-</p>
-
-<h3 id="capXV-11">CAP. XV.
-<span class="smaller"><i>Come messer Ridolfo prese il bastone
-da messer Bonifazio.</i></span></h3>
-
-<p>
-Giunse a dì 6 di luglio messer Ridolfo al campo,
-che era fra Peccioli e Ghiazzano, dove dalla
-gente dell’arme ch’aveano posto amore alla cortesia
-e valore di messer Bonifazio con niuno
-rallegramento fu ricevuto; e dal vecchio capitano prese
-l’insegne, onorandolo in questa forma
-di parole, che la bacchetta e il reggimento dell’oste
-bene stava nelle sue mani, ma per ubbidire
-il comune di Firenze di chi era soldato la prendea:
-e presa, di presente lo fè maliscalco, ed egli
-ogni sdegno deposto in servigio del comune di
-Firenze l’accettò come era ordinato.
-</p>
-
-<h3 id="capXVI-11">CAP. XVI.
-<span class="smaller"><i>Della crudeltà che i Pisani usarono contra
-i Lucchesi per gelosia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Mentre che l’oste del comune di Firenze pigra
-e malcontenta sotto il nuovo capitano dimorava
-tra Peccioli, e Ghiazzano in Valdera,
-aspettando il gran fornimento che ’l capitano
-<span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span>
-avea domandato, i Pisani per non dimenticare
-la loro usata crudeltà, tutti i forestieri che al loro
-soldo erano in Lucca feciono ritrarre nell’Agosta,
-e segretamente avvisarono da cento cittadini ghibellini
-e loro confidati che per grida che elli
-udissono andare non si partissono, ma facessono
-vista di volere partire, acciocchè gli altri veggendo
-apparecchiare loro prendessono viaggio; e
-ciò fatto, feciono bandire che sotto pena dell’avere
-e della persona, che uomini e femmine, cittadini
-e forestieri, dovessono sgombrare la città e
-’l contado presso alla città a mille canne, afin
-che compiesse d’ardere una candela che posta
-era alle porte. Fu miserabile e cordoglioso riguardo
-e aspetto di gran crudeltà vedere i vecchi
-pieni d’anni, le donne, le fanciulle lagrimose
-con sospiri e guai, e i piccoli fanciulli con strida
-lasciare loro case, loro masserizie e loro città, e
-ire e non sapere dove: i gentili e antichi cittadini,
-e nobili mercatanti e artefici in fretta
-e sprovveduti fuggire, come avessono spietati
-nemici alle spalle loro, e la terra loro lasciassono
-in preda. L’orribile bando fu al tempo
-dato ubbidito, e la terra lasciata fu vuota, e in
-sommo silenzio: di questo prestamente seguì, che
-i Pisani ch’erano alla guardia di Lucca co’ loro
-soldati e a piè e a cavallo furiosamente uscirono
-dell’Agosta colle spade nude in mano, e corsono
-l’abbandonata terra senza essere veduti da’
-Lucchesi, gridando; Muoiano i guelfi; a Firenze,
-a Firenze: e non aveano potestà di cacciare la gente
-de’ Fiorentini ch’erano loro in su le ciglia.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capXVII-11">CAP. XVII.
-<span class="smaller"><i>Delle cavalcate fatte per messer Ridolfo sopra
-i Pisani, e del gran danno che ricevettono.</i></span></h3>
-
-<p>
-Continovando nostro trattato della guerra tra i
-Fiorentini e’ Pisani, con poca intramessa di cose
-di forestieri, perchè delle occorse in questi giorni,
-se occorse ne sono degne di memoria, poche ne avemo,
-e raccresciuta la forza del comune di Firenze,
-perchè il conte Niccola degli Orsini prima
-offertosi, e accettato, era venuto con cento uomini
-di cavallo, e così più altri gentili uomini, il perchè
-il capitano si trovò con duemila barbute e
-con cinquemila pedoni nel campo tra Peccioli
-e Ghiazzano, dove pigramente con molta sua infamia
-dimorava; il perchè messer Bonifazio Lupo
-infignendosi poco sano se ne venne a Firenze.
-Alla fine empiuto il gran fornimento che domandava,
-sotto il cui adempimento si scusava di
-sua pigrizia, più non potendo fuggire sue scuse, a
-dì 16 del mese di luglio con l’oste si partì da
-Peccioli, e la notte albergò a Ponte di Sacco, e
-’l dì seguente passarono il fosso a malgrado della
-forza de’ Pisani che v’era alla guardia, con loro
-danno e vergogna, ed entrarono nel borgo di
-Cascina, dove preda e vittuaglia trovarono assai. La
-cagione fu, ch’essendo alla guardia del fosso
-un quartiere di Pisa con soldati e contadini assai,
-non pensarono che i Fiorentini vi potessono passare,
-e per tanto poco o niente v’era sgombrato.
-Gli Ungari de’ Fiorentini, come per natura sono
-<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span>
-desiderosi di guadagnare, e atti a scorrere, passarono
-insino alla Badia a Sansavino, e presono intorno
-di cinquanta prigioni. Il capitano tutto il
-giorno e ’l seguente stette col campo fermo a
-Cascina, dove intorno correndo le gualdane per
-spazio di più miglia, e di prede e d’arsioni danni
-inestimabili furono fatti. Il martedì mattina a
-dì 19 di luglio partiti da Cascina s’accamparono
-a Sansavino, e ’l fiore della gente da cavallo e
-da piè cavalcarono infino alla volta dell’Arno
-presso a Pisa a cinquecento passi, ed ivi alla Bessa
-con l’usate muccerie, ad eterna rinoma del comune
-di Firenze, e infamia de’ Pisani, feciono
-correre un ricco palio di veluto in grana foderato
-di vaio, il quale ebbe il conte Niccola degli Orsini,
-e lo mandò a Roma per onore della sua cavalleria.
-I corridori con assai di buona gente sotto
-il bastone di messer Niccola Orsini passarono
-Pisa facendo assai di male e vergogna a’ nemici.
-Fatte le dette cose si tornarono al campo: e quel
-giorno medesimo passata nona, ritornati al detto
-luogo, con assai meno gente per dirisione feciono
-correre palii l’uno ad asini, l’altro a barattieri, e ’l
-terzo alle puttane; onde i Pisani di tanta ingiuria
-aontati, seicento a piè con dugento cavalieri con
-molti balestrieri, con la imperiale levata, uscirono
-di Pisa per vendicare o in tutto o in parte loro oltraggio.
-La gente de’ Fiorentini, ch’era a fare correre
-detti palii, ed era in punto e vogliosa aspettando
-il detto caso, francamente s’addirizzò a loro,
-e li ruppono e li rimisono infino nelle porte con
-tanto ardire, che alquanti con loro mescolati entrarono
-in Pisa, e alquanti balestrieri saettarono nella
-<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span>
-terra, e ciò fatto si tornarono al campo: e quivi
-stando, il mercoledì arsono tutto ciò che poterono
-intorno a Pisa infino al borgo di san Marco a san
-Casciano, e Valdicaprona e molte altre ville, con
-molte belle e ricche possessioni nobilmente accasate.
-Il danno come incredibile piuttosto è da
-tacere che da scrivere: e per giunta a’ detti
-mali, i villani de’ piani ch’erano rifugiati in Pisa,
-e stavansi sotto loro carra lungo le mura, furono
-assaliti dalla pestilenza dell’anguinaia, e assai
-ne perirono. E ciò somigliava agl’intendenti giudicio
-di Dio, che dentro e di fuori così gastigasse
-i corrompitori della pace e della fede data per
-soperchio d’astuta malizia.
-</p>
-
-<h3 id="capXVIII-11">CAP. XVIII.
-<span class="smaller"><i>Come messer Ridolfo assediò Peccioli, e prese
-stadichi se non fosse soccorso.</i></span></h3>
-
-<p>
-Poichè a messer Ridolfo parve avere fornito il
-dovere di suo onore, potendo molto più fare, mercoledì
-a dì 20 di luglio ripassò il fosso, e ritornossi
-a Ponte di Sacco; dove stando, casualmente
-fu preso un fante che portava una lettera per
-parte del castellano di Peccioli al capitano del
-fosso, la quale in sostanza diceva, che i soldati da
-cavallo e da piè con molti terrazzani, sentendo
-che ’l capitano de’ Fiorentini era a Sansavino occupato
-in molte faccende, erano usciti di Peccioli,
-e cavalcati in su quello di Volterra per guadagnare,
-e che tornati non erano, e la cagione non
-sapea, e che la terra non era in stato di potersi
-<span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span>
-difendere se fossono combattuti o stretti per assedio,
-e che a ciò riparasse, e gli mandasse presto
-soccorso; ed era vero, che essendo la detta gente
-de’ Pisani cavalcata in su quello di Volterra, certa
-gente da piè e da cavallo del comune di Firenze,
-la quale era in Volterra, avendo boce della detta
-gente de’ Pisani loro si feciono incontro, e colla
-forza de’ contadini volterrani gli incalciarono e
-strinsono in forma, che non possendo fuggire nè
-ritornare per la via ond’erano venuti, lasciata la
-preda che fatta aveano, in sul fare della sera per
-loro scampo si ridussono in su un colle, e la notte
-si misono per la Maremma. Il capitano vista la
-detta lettera mandò prestamente gli Ungari e’ cavalieri
-innanzi per impedire la tornata della detta
-gente in Peccioli, e senza dimoro con tutto
-l’oste seguì, e quella medesima sera con l’oste
-attorneò tutta la terra, e il seguente dì la cominciò
-a cignere di steccato facendo sollecita guardia,
-e la sera in sul tramontare del sole, per conoscere
-se la lettera che egli avea trovata gli dicea
-vero, fece dare alla terra una battaglia per scorgere
-la gente che v’era alla difesa, e per quello
-comprendere si potè forse sessanta uomini con
-femmine assai si vidono, che diedono a intendere
-che vi mancava difesa; il procinto della
-terra era grande, ma forte e di muro e di ripe.
-Il capitano scorto il fatto pigramente procedea
-nell’assedio, dormendo la mattina insino a terza
-col letto fornito di disonesta compagnia, e
-menando vita di corte quieta; il perchè messer
-Bonifazio, uomo d’onesta vita e di vergogna pauroso,
-veggendo la sciolta vita del capitano e suo
-<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span>
-mal reggimento, infignendosi d’essere malato
-se ne venne a Firenze, e mostrando a’ signori che
-poco era loro onore e necessario, chiese licenza di
-tornarsi in Lombardia; i signori con loro consiglio
-considerando quanto era di bisogno al comune,
-lo pregarono e lo gravarono, che a tanto bisogno
-non abbandonasse il servigio per lui fedelmente
-cominciato, e che tornasse al campo a perseguire
-le buone opere sue, le quali bene erano conosciute
-e gradite da’ savi e buoni cittadini, e così conosciute
-quelle del suo successore; il perchè vinto
-per servire il comune tornò al campo. Il capitano
-corse in voce di poco leale per i suoi molti falli, e
-per non volere seguire la volontà del comune, e
-di ciò mostrò segni, perocchè la cavalcata che
-fatta avea sopra i Pisani non era stata volontaria
-ma sforzata, riprendendo sua tardezza, e potendo
-con suo onore stare dodici dì col fornimento
-che menò in su le porte di Pisa, e guastare gran
-parte di loro contado, il terzo dì se ne partì, e potendo
-per battaglia avere Peccioli, tanto soprastette,
-che le femmine armate le mura presono
-cuore alla difesa veggendo la viltà del capitano:
-ma infamato dalla partita di messer Bonifazio
-Lupo e da’ Fiorentini ch’erano nel campo, tutto
-che i suoi protettori lo difendessono, ed esso sè
-medesimo mostrando a molti le lettere ch’avea da
-Firenze, che si portasse cortesemente, pur mosso
-dal grido strinse la terra prima con battaglia
-tiepida e con poco ordine, e tanto debilmente
-si portò in detto e in fatto, che con vergogna da
-pochi di quelli d’entro, che pochi ve n’erano, vituperosamente
-fu ributtato, i quali intendendo
-<span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span>
-loro fortuna aveano smisurata paura, e mostravano
-gran cuore per invilire quelli di fuori. Ritratto
-il capitano dalla poca favorata battaglia, ne’
-fossi rimasono scale e grilli che infino alle mura
-erano condotti, di gran dispiacimento dei nostri
-cittadini che erano a vedere. Tra i rettori del
-comune, tutto ch’e’ conoscano il difetto, per la
-forza di medici radissime volte vi pongono rimedio
-obliando l’onore del comune. La fama della
-viltà e disonesta vita del capitano, o calunniosa
-o vera che fosse o falsa, pure lo stimolò
-alquanto; onde veggendo egli che i Pecciolesi
-erano spigottiti, cominciò a cignere la terra di
-steccato senza contasto, perocchè stracchi erano
-sotto le battaglie e sotto la continova guardia
-quelli che rimasi erano nella terra per più vili,
-perocchè tutti i gagliardi s’erano messi nella cavalcata
-sopra Volterra. Alla fine quelli d’entro
-veggendosi stretti, e senza speranza di soccorso,
-a dì 30 di luglio il vicario di Peccioli con più
-compagni senza niuna arme a sicurtà dal capitano
-vennono a lui, e patteggiarsi, che se per infino
-a dì 10 d’agosto non avessono da Pisa soccorso
-li renderebbe la terra salve le persone e l’avere,
-e per la fermezza di ciò dierono otto stadichi
-de’ più sufficienti uomini della terra, e due Pisani,
-i quali il capitano ricevette, e li mandò a
-Firenze. I Fiorentini ricevuti li stadichi, quasi
-certi d’avere la terra, perchè loro speranza non
-cadesse in fallo rafforzarono l’assedio, e mandaronvi
-mille balestrieri e dugento uomini da cavallo,
-e fornimento assai necessario alla bisogna;
-e come l’intento de’ Pisani tutto si dirizzò ad
-<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span>
-avere Pietrabuona, così lasciando stare ogni altra
-cosa, tutto quello de’ Fiorentini s’addirizzò ad
-avere Peccioli. Come per gli ambasciadori del comune
-di Peccioli si sentì il fatto in Pisa, subitamente
-nel Duomo radunarono il parlamento,
-dove per molti apertamente fu detto, che per
-loro governatori erano traditi, i quali affermavano
-che tanta gente avrebbono di Lombardia, che
-non che fossono cavalcati, ma che si cavalcherebbono
-i Fiorentini, di che gran borboglio si sparse
-per lo parlamento, e tale, che fè concitamento a
-civile romore. Essendo in Pisa questo tremore e
-sospetto, e dovendo succedere l’altro quartiere di
-Pisa a quello ch’era alla guardia del fosso, non
-vi volle andare, onde quelli che v’erano lo arsono
-e abbandonarono.
-</p>
-
-<h3 id="capXIX-11">CAP. XIX.
-<span class="smaller"><i>Come non essendo il castellano contento
-del patto messer Ridolfo fè gittare
-una delle torri di Peccioli
-in terra.</i></span></h3>
-
-<p>
-Perseverando a Peccioli l’assedio, il castellano
-che tenea le due forti torri che Castruccio
-v’avea fatte fare quando era signore di Pisa,
-non contento al patto che fatto era co’ terrazzani,
-combattea i nostri, e li villaneggiava di parole,
-stimando perduta la terra potere tenere la fortezza
-lungamente. Il capitano veggendo suo proponimento
-fece dirizzare alle torri, intra le quali era
-un ponte, una cava, e l’una d’esse fè mettere in
-<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span>
-puntelli, e il decimo dì d’agosto, il dì di san Lorenzo,
-ch’era l’ultimo del termine dato a’ Pecciolesi,
-il capitano fè dire al castellano il suo pericolo
-pregandolo s’arrendesse, e non volesse perire
-per soverchia baldanza. Il castellano e i fanti
-che con lui erano se ne feciono beffe, moltiplicandole
-villanie, e rimproverando al comune di
-Firenze la Ghiaia, il perchè il capitano fè affocare
-i puntelli, onde il fumo e il crepare della
-torre fè segno al castellano e a’ compagni che per
-lo ponte si rifuggissono nell’altra, e così feciono,
-e appena aveano tratti i piè del ponte, che la
-torre e ’l ponte cadde, onde cominciò a frenare
-la lingua: la torre cadde in sulle mura della terra,
-e di quelle abbattè bene quaranta braccia. I
-briganti dell’oste cupidi e vogliosi di preda ciò
-veduto s’apparecchiarono quindi a entrare nella
-terra per rubare; i terrazzani uomini e femmine
-senza arme corsono alla rottura, e gridarono, viva
-il comune di Firenze, ricordando la fede loro
-data, e la promessa fatta per lo comune; e il
-leale e buono cavaliere messer Bonifazio Lupo
-sotto la sua insegna con la sua gente si mise alla
-guardia del luogo, e non lasciò nè il dì nè la notte,
-che tutta era del termine, alcuno entrare dentro,
-affermando che ’l comune di Firenze era e sempre
-era stato leale osservatore di sue promesse.
-Il seguente dì, giovedì mattina a dì 11 d’agosto
-1362, in su l’ora della terza, secondo i patti e le
-convenenze che fatte erano, il conte Aldobrandino
-degli Orsini con la brigata sua, appresso tre
-cittadini di Firenze con parte di gente fidata,
-presono la tenuta della terra pacificamente senza
-<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span>
-offesa niuna o di fatti o di parole, e nella terra
-con li stadichi insieme, che gli avea rimandati
-il comune, furono ricevuti allegramente e a grande
-onore. Dell’acquisto del detto castello e di
-giorno e di notte si fece gran festa, perocchè tenendolo
-pensavano essere i sovrani della guerra,
-perocchè dal detto castello ha sedici miglia di
-piano, rimiriglio alla città di Pisa. Il castellano
-vedendo che la terra era venuta nelle mani de’
-Fiorentini, e considerando che la torre che gli era
-rimasa agevolmente si potea mettere in puntelli,
-si rendè, ma per i suoi dispetti non fu ricevuto
-se non alla misericordia del comune di Firenze,
-dove mandato fu per lo capitano con i suoi compagni.
-Venuto, fu tenuto consiglio di farli morire,
-che fu disonesta e abominevole cosa, e di malo
-esempio di volere fare morire coloro che per lo
-comune francamente e fedelmente s’erano portati:
-il parlarne, non che tenerne consiglio per i
-savi e buoni cittadini, fu ripreso; assai loro fu la
-prigione. In questi medesimi giorni i gentili uomini
-e signori del castello di Pava, il quale è
-situato e posto in sul passo da ire di Valdera in
-Maremma, ed è forte e bella tenuta, la dierono
-al comune di Firenze in prestanza mentre la
-guerra durasse, e il comune di Firenze con la
-grazia de’ detti gentili uomini lo faceva guardare.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capXX-11">CAP. XX.
-<span class="smaller"><i>Come il capitano de’ Fiorentini prese
-Montecchio, Laiatico e Toiano.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tolta la terra di Peccioli, come di sopra è
-detto, il seguente dì 12 d’agosto il capitano pose
-assedio al castello di Montecchio, dove erano ridotti
-dugento masnadieri per tenere a freno e
-guerreggiare la gente del comune di Firenze, i
-quali assai danno aveano fatto loro nell’assedio
-di Peccioli, e il detto castello di Montecchio circondarono
-intorno intorno strettamente, dove
-stati più giorni, alquante volte con battaglie gli
-tentarono; il perchè quelli d’entro inviliti intorno
-di sessanta di loro di notte si gittarono per
-uno dirupato d’altezza paurosa a vedere, e di loro
-ne morirono alquanti, e’ loro compagni al campare
-ebbono affanni assai. Quelli ch’aveano avuto
-paura di rovinare per quelle coste renderono
-il castello e le persone alla misericordia del comune
-di Firenze, e di loro centoquarantaquattro
-ne vennono a Firenze, i quali messi in prigione,
-dagli uomini e pietose donne fiorentine e di vivanda
-e di ciò che a loro bisognava abbondantemente
-furono provveduti. Il seguente dì, tornando
-al processo del capitano, cavalcò a Laiatico,
-e quello ebbe per battaglia; e il dì medesimo
-si posono a Toiano, e da’ terrazzani ebbono
-il castello, e pochi dì appresso la rocca, d’onde
-venne a Firenze la campana che è posta in sul
-ballatoio del palagio de’ priori, la quale ai mercatanti
-<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span>
-dà l’ora del mangiare. Dipoi il capitano
-cavalcò a Montefoscoli e a Marti per porvi assedio:
-ciò vietò il non trovarvi acqua, onde si tornò
-a Fabbrica; dove stando, il capitano cupido
-del guadagno mandò quattrocento cavalieri e
-masnadieri assai nella Maremma dove sentì esser
-fuggito molto bestiame. I mandati in pochi
-giorni, tornarono con gran preda di bestiame,
-preso il vicario di Piombino, grande popolare di
-Pisa il quale novellamente andava all’uficio, e
-per sua mala ventura si scontrò co’ suddetti, e
-con tutta sua famiglia rimase preso. La preda
-messer Ridolfo divise, non come fatto avea messer
-Bonifazio, ma capo soldo, e più che parte ne
-volle, di che forte ne fu biasimato, e dell’amore
-cadde di tutta gente d’arme ch’erano a sua ubbidienza.
-</p>
-
-<h3 id="capXXI-11">CAP. XXI.
-<span class="smaller"><i>Dell’aiuto che i Perugini in questi dì
-mandarono a’ Fiorentini.</i></span></h3>
-
-<p>
-Sentendo i Perugini che i Fiorentini aveano
-avuto la terra di Peccioli, e che loro fortuna sormontava,
-volendo ammendare il vecchio errore,
-commisono il nuovo maggiore, e mandarono
-a’ Fiorentini sessanta barbute e venticinque stambecchini,
-i quali come meritavano con torto viso
-e rimbrotti del popolo furono ricevuti.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capXXII-11">CAP. XXII.
-<span class="smaller"><i>Come il conte Aldobrandino degli Orsini si
-partì onorato da Firenze.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il conte Aldobrandino degli Orsini, il quale
-era venuto al servigio del comune di Firenze,
-preso Peccioli si tornò a Firenze per tornarsi in
-suo paese. Il comune di Firenze avendo a grato
-il servigio per lui liberamente fatto, e ciò riputandosi
-a onore, lo provvidde largamente, e a dì
-29 del mese d’agosto con rilevato onore lo feciono
-fare cavaliere del popolo di Firenze, e messer
-Bonifazio Lupo procuratore a ciò del comune:
-ed esso conte Aldobrandino fece il suo fratello
-minore cavaliere. E amendue d’arme e cavalli
-e d’altri doni cavallereschi riccamente furono
-provveduti e onorati; e per loro fece il comune
-un nobile e ricco corredo: e fornita la festa si
-partì di Firenze, accompagnato da tutti i cittadini
-ch’aveano cavalcature.
-</p>
-
-<h3 id="capXXIII-11">CAP. XXIII.
-<span class="smaller"><i>Come e perchè si creò la compagnia del
-Cappelletto.</i></span></h3>
-
-<p>
-La Presura di Peccioli fu materia di scandolo
-tra ’l comune di Firenze e’ soldati, perocchè certi
-di loro, ciò fu il conte Niccolò da Urbino, Ugolino
-de’ Sabatini di Bologna, e Marcolfo de’ Rossi
-da Rimini, uomini di grande animo e seguito,
-<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span>
-con la maggior parte de’ conestabili tedeschi,
-a instigamento de’ procuratori di loro paghe, a dì
-30 d’agosto detto anno 1362 mossono lite al comune,
-dicendo, che per la presura di Peccioli doveano
-avere paga doppia e mese compiuto, e
-che avendola in mano contro a loro volere il capitano
-prese li stadichi, dicendo, che se non avessono
-il debito loro non cavalcherebbono; e sopra
-ciò stando pertinaci mandarono loro ambasciadore
-a Firenze, e ciò feciono noto a’ priori il perchè
-avuto per i priori sopra ciò consiglio da chi
-di ciò s’intendea, determinarono che loro domanda
-non era ragionevole; onde tornato al campo
-l’ambasciadore con questa risposta, furiosamente
-il detto conte Niccolò, Ugolino, e Marcolfo
-puosono un cappello in su una lancia, dicendo,
-che chi voleva paga doppia e mese compiuto si
-mettesse sotto il detto segno fatto, i quali in poca
-d’ora si ricolsono il detto conte Niccolò, Ugolino,
-e Marcolfo con loro brigate, e molti caporali
-tedeschi e borgognoni, tanto che passarono
-il numero di mille uomini da cavallo, di che il
-capitano dubitò di tradimento, non possendoli
-con parole rattemperare, richieggendoli per loro
-saramento, e per la fede promessa al comune di
-Firenze, che loro indebito proponimento dovessono
-lasciare, e tutto era niente, che quanto
-più li pregava e richiedea più levavano il capo,
-e più li trovava duri e pertinaci. Onde per più
-sano consiglio essendo con tutta l’oste intra Marti
-e Castello del Bosco all’entrata del mese di settembre,
-levò il campo, e tornossi a san Miniato
-lasciando le tenute che prese avea fornite e di
-<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span>
-vittuaglia e di gente. Come ciò fu noto a Firenze,
-il detto conte Niccolò, Ugolino, e Marcolfo,
-e’ conistabili tedeschi di presente furono cassi,
-ed essi si radunarono all’Orsaia in quello d’Arezzo,
-e crearono compagnia, la quale per lo caso
-detto di sopra del cappello posto in sulla lancia
-titolarono la compagnia del Cappelletto, e quivi
-fatto il capo a’ ladroni, in piccolo tempo molto
-ingrossarono. I Pisani sentendo la dissensione
-della gente del comune di Firenze, rassicurati
-non poco, con l’arte loro ritolsono Laiatico, dove
-senza volere alcuno a prigione, uccisono venticinque
-fanti che v’erano dentro alla guardia,
-intra i quali furono cinque di nome; per la qual
-cagione i Fiorentini sdegnati trassono di Peccioli
-quasi tutti i migliori terrazzani, de’ quali parte
-ne vennero a Firenze, e per loro vita dal comune
-ebbono provvisione: gli altri terrazzani veggendo
-la gelosia presa per i Fiorentini, tutti quelli
-ch’avessono forma d’uomo se n’uscirono, onde
-la terra rimase a’ soldati. Il simile feciono quelli
-di Ghiazzano, e di Toiano, e dell’altre tenute
-prese pe’ Fiorentini. Nei detti dì essendo il
-capitano venuto a Firenze, i Pisani con seicento
-cavalieri e molti pedoni corsono in su quello di
-Volterra, e levarono preda di trecento bestie
-grosse, e uccisono alquanti uomini, e alquanti ne
-presono. La gente del comune ch’era in Peccioli
-non stava oziosa, ma sovente cavalcavano, sino
-sulle porte di Pisa, mettendo aguati, e prendendo
-prigioni, e facendo aspra e sollecita guerra,
-tanto feciono che ’l contado di Pisa verso le
-<span class="pagenum" id="Page_176">[176]</span>
-parti dove poteano cavalcare non s’abitava, nè
-si poneva a seme.
-</p>
-
-<h3 id="capXXIV-11">CAP. XXIV.
-<span class="smaller"><i>Comincia la guerra che i Fiorentini feciono
-in mare a’ Pisani.</i></span></h3>
-
-<p>
-Del mese d’agosto le galee di Perino e quelle
-di Bartolommeo condotte al soldo dal comune
-di Firenze furono nella riviera di Pisa verso Piombino,
-facendo in quelle riviere gran danni, e in
-quelli giorni messer Niccola Acciaiuoli gran siniscalco
-del regno di Puglia, alle sue spese mandò
-due galee a servire il nostro comune per tempo
-di due mesi, le quali detto tempo assai affannarono
-i Pisani, non lasciando nel porto di Pisa legno
-che non pigliassono, rubassono e ardessono: e all’isola
-della Capraia scesono in terra, e levarono preda
-di mille capi di bestie, e il simile feciono al
-Giglio e a Vada per tutta quella marina dove danni
-di preda o d’arsioni poterono fare, a grande
-onore del comune di Firenze. Perino Grimaldi all’entrata
-di settembre per simile modo correva la
-detta marina facendo gran guerra, e per battaglia
-prese la Rocchetta, la quale è posta in su la
-marina intra Castiglione della Pescaia e Piombino
-in forte luogo; li terrazzani rifuggirono
-nella rocca, e’ Genovesi presono la terra, e forniti
-di vittuaglia la rubarono e arsono. Fu riputato
-per Italia in grande onore al nostro comune,
-e non senza ammirazione di chi l’intese, che i
-<span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span>
-Fiorentini potessono in mare più che i Pisani, e
-che per acqua li tenessono assediati.
-</p>
-
-<h3 id="capXXV-11">CAP. XXV.
-<span class="smaller"><i>Come e perchè i Romani si dierono al papa.</i></span></h3>
-
-<p>
-In quel tempo lo stato di Roma e reggimento
-era tornato nelle mani del popolo minuto, del
-quale si facea capo, ed era il maggiore e quasi
-signore un Lello Pocadota, ovvero Bonadota calzolaio,
-il quale col favore del detto popolo avea
-cacciati di Roma i principi, e’ gentili uomini, e’
-cavallerotti, ed essi di fuori accoglieano gente,
-e misono in grida che aveano al loro soldo condotta
-la compagnia del Cappelletto, la quale allora
-era in Campagna, di che per questa tema
-i governatori di Roma feciono seicento uomini
-a cavallo di soldo tra Tedeschi e Ungheri, e
-altrettanti de’ loro cittadini, e numerato il popolo
-romano a piè si trovarono essere ventidue
-migliaia d’uomini armati, e per temenza la notte
-faceano guardare le porte. Occorse in questi
-giorni, o per sagacità che fosse, o per errore
-de’ gentili uomini, che avendo i Romani mandato
-loro potestà a Velletri, fama uscì fuori
-che quelli di Velletri l’aveano morto, onde i
-rettori di Roma diffidati di loro stato accolsono
-consiglio, e coll’autorità d’esso dierono al papa
-il governo della città liberamente come a signore:
-ben vollono per patto che messer Guido cardinale
-di Spagna non vi potesse avere alcuno ufizio
-o giurisdizione. Tu che leggi ed hai letto le alte
-<span class="pagenum" id="Page_178">[178]</span>
-maravigliose cose che feciono i buoni Romani
-antichi, e tocchi queste in comparazione, non ti
-fia senza stupore d’animo.
-</p>
-
-<h3 id="capXXVI-11">CAP. XXVI.
-<span class="smaller"><i>Come Dio chiamò a sè papa Innocenzio, e fu
-fatto papa Urbano quinto.</i></span></h3>
-
-<p>
-Fu papa Innocenzio sesto uomo di semplice
-ed onesta vita, e di buona fama, colla quale passò
-di questa vita a migliore a dì 11 di settembre
-1362, e a’ tredici dì fu seppellito alla chiesa di
-nostra Dama d’Avignone. Sedette papa anni nove,
-mesi otto e dì sedici: vacò la Chiesa di Roma
-dì quarantotto. I cardinali essendo chiusi in conclavi
-in numero ventuno a dì 28 di settembre,
-si trovò che dato aveano quindici voci al cardinale...... che
-fu vescovo di...... monaco
-nero, e di nazione Limogino, uomo per età antico,
-e per vita di penitenza, e del tutto dato
-allo spirito, a cui essendo revelato lo squittino,
-avanti che pubblicato fosse papa con molto fervore
-d’amore e umiltà rinunziò. I cardinali, perchè
-per avventura non era chi arebbono voluto,
-accettarono la rifiutagione. Appresso il cardinale
-di Tolosa nipote del cardinale d’Aubruno
-ebbe undici voci delle ventuno, un altro
-dieci, un altro nove, onde a’ trenta di settembre
-gara entrò tra’ cardinali, ed erano in grande
-discordia, ch’una parte d’essi il volea Limogino,
-e l’altra no. In fine come piacque a
-Dio, da cui viene ogni bene e ogni grazia, il dì
-<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span>
-ultimo d’ottobre elessono in papa messer Guglielmo
-Grimonardi, nato della Siniscalchia di
-Belcari, il quale era abate di san Vittore di
-Marsilia, dell’ordine di san Benedetto, uomo
-d’età di sessanta anni, onesto e di religiosa
-vita, pratico e intendente assai. Costui di settembre
-era venuto con danari che la Chiesa
-mandò al legato ambasciadore alla reina Giovanna,
-passò per Firenze, e di convito de’ signori fu
-riccamente onorato; sentita per lui la morte
-d’Innocenzio si partì di Firenze, ed osò dire,
-che se per grazia di Dio vedesse papa che avesse
-in cura di venire in Italia, e alla vera sedia
-papale, e abbattesse i tiranni, e l’altro dì morisse,
-sarebbe contento. I cardinali perchè non
-era in Avignone, come scritto avemo, quando fu
-eletto, lo tennono celato, e mandarono per lui
-fingendo per certe cagioni averne prestamente
-bisogno, e segretamente a dì 30 d’ottobre entrò
-in Avignone, e a dì 31 fu pubblicato papa, e nomato
-Urbano quinto: prese il manto e la corona
-a dì 6 di novembre.
-</p>
-
-<h3 id="capXXVII-11">CAP. XXVII.
-<span class="smaller"><i>Come al re Pietro di Castella morì un
-figliuolo che avea.</i></span></h3>
-
-<p>
-La novità del fatto ne dà materia di mettere
-in nota quello che passare con silenzio, essendo
-stato il caso in altrui, non era da ripigliare.
-Del mese d’aprile passato, Pietro re di Castella
-avendo un figliuolo di dama Maria sua femmina
-<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span>
-d’età di tre anni e mezzo, volle dare a intendere,
-e fare credere al suo reame, che fosse legittimo
-e naturale, e pubblicamente osò dire, che
-la detta dama Maria era sua legittima sposa; e
-per affermare a’ sudditi suoi quello dicea, volle
-e ordinò che tutti quelli che aveano a fare omaggio
-alla corona a certo giorno dato giurassono fedeltà
-nelle mani del fanciullo, e così feciono tutti
-i suoi baroni, chi per amore e chi per paura,
-e per reverenza d’omaggio tutti li baciarono la
-mano, e il simile feciono i sindachi di tutte le
-comunanze del suo reame. Nel detto anno del
-mese d’ottobre il fanciullo morì, di che il re
-duolo ne prese a dismisura, e vestissene a nero
-con tutti i suoi baroni. Dimostrò che a Dio sovente
-non piace quello che piace all’uomo, massimamente
-le burbanze.
-</p>
-
-<h3 id="capXXVIII-11">CAP. XXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come Perino Grimaldi prese l’isoletta
-e castello del Giglio.</i></span></h3>
-
-<p>
-All’entrante del detto mese d’ottobre, Perino
-Grimaldi da Genova al soldo del comune di Firenze
-con due galee e un legno, giunte a lui
-l’altre due galee condotte per lo comune, si dirizzò
-all’isola del Giglio, e scesi in terra con
-molto ordine assalirono la terra con aspra battaglia.
-I terrazzani tutto che sprovveduti francamente
-si difesono, e per lo giorno la battaglia durò
-dalla terza al vespero, nella quale di quelli
-d’entro molti ne furono morti, molti magagnati
-<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span>
-dalle buone balestra de’ Genovesi. Partita la battaglia
-i Genovesi si tornarono a loro galee, e medicarono
-i loro fediti, e presono la notte riposo.
-Il seguente dì la mattina tornarono alla battaglia
-con molto più cuore e ordine, avendo scorta la
-paura e il male reggimento di quelli della terra:
-così disposti andando, si feciono loro incontro tre
-di quelli della terra senza arme gridando, pace
-pace, e giunti al capitano, lui ricevente per lo
-comune di Firenze dierono la terra salvo loro
-avere e le persone, e così per Perino furono
-graziosamente ricevuti, e nella terra i Genovesi
-entrarono, non come nemici, ma come terrazzani
-pacificamente, e’ terrazzani si trassono con
-loro a combattere la rocca, con minacciare il
-castellano, il quale, cominciata la battaglia, vile
-e impaurito, temendo non tagliassono la rocca da
-piè con le scuri, disse si volea arrendere salvo
-l’avere e le persone, e avendo dal comune di
-Firenze le paghe ch’avea servite, e così fu ricevuto.
-Perino avendo fatto tanto nobile acquisto
-al nostro comune, fornita la rocca di vittuaglia
-e di sufficienti guardie, e seguendo la felice fortuna
-prese viaggio verso l’Elba. Il comune di Firenze
-mandò castellano al Giglio; e perchè avea
-soperchiati i Pisani in mare fè disordinata festa
-e letizia e di dì e di notte. Questa ventura fu
-tenuta mirabile, e operazione di Dio piuttosto che
-umana, considerato che la terra e la rocca sono
-da guardarle e lasciarle stare, e nè la forza del
-comune di Genova, che più volte avea tentato
-la ventura dell’acquisto del Giglio, nè quella
-de’ Catalani, nè quella de’ Pugliesi, che più e
-<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span>
-più volte aveano cercato il simile, e con aspre
-e continove battaglie aveano combattuta la terra,
-e non potuto acquistarvi una pietra, facevano
-la cosa più ammirabile. Come a Pisa fu la
-novella sentita duri lamenti vi furono, parendo
-loro vilia di mala festa, poichè i Fiorentini li
-sormontavano in mare: e di certo loro intervenne
-il detto del savio, il quale dice: Extrema gaudii
-luctus occupat; che suona in volgare: Gli estremi
-della letizia sono occupati dal pianto; così occorse
-a’ Pisani, per la disonesta e pomposa festa e
-allegrezza che feciono per Pietrabuona, avvilendo
-in parole e in fatti a dismisura i Fiorentini,
-la quale in sì breve tempo fu soppresa da tante
-avversitadi. E ciò è chiaro esempio al nostro comune
-d’usare la vittoria onestamente, e non
-straboccare nelle vane e pompose feste per loro
-vittorie.
-</p>
-
-<h3 id="capXXIX-11">CAP. XXIX.
-<span class="smaller"><i>Come messer Piero Gambacorti per trattato
-si credette tornare in Pisa.</i></span></h3>
-
-<p>
-Piero Gambacorti uscito di Pisa, il quale molto
-tempo innanzi che la guerra si cominciasse,
-avendo rotto i confini che per lo suo comune
-gli erano stati assegnati a Vinegia, si conducea
-in Firenze per essere più vicino di Pisa, se la
-fortuna gli avesse apparecchiato via da ricoverare
-suo stato. E stando in Firenze, del mese d’ottobre
-tenne segreto trattato co’ suoi fidati amici,
-che molti ancora n’avea, di ritornare in Pisa
-con la forza de’ Fiorentini, che di qui gli era
-<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span>
-promessa e doveali essere data la porta di san
-Marco; proseguendo suo trattato, ed essendo dato
-il giorno, a dì 10 d’ottobre, col capitano de’ Fiorentini,
-e con settecento cavalieri e trecento
-Ungari si partì di Peccioli, e giunsono a Pisa
-nella mezza notte, ed entrarono nel borgo di
-san Marco; ed essendo all’antiporto della terra,
-e non essendo loro risposto, cominciarono a volere
-rompere quella: dentro desto il fatto di subito
-furono all’arme, e la terra tutta impaurita
-e in tremore: due conestabili de’ nostri,
-ch’erano già in su l’antiporto vi furono morti:
-e non sapendo quelli d’entro se quelli di fuori
-erano assai o pochi, mandarono fuori tre bandiere
-d’uomini a cavallo, i quali per i nostri furono
-tutti tra presi e morti; onde i Pisani veggendo
-che il fatto era maggiore che non si stimavano,
-giugnendo paura a paura per la notte, si
-dierono a guardia delle mura sollecitamente.
-Veggendo il capitano e Piero che ’l fatto era
-scoperto, e la sollecita guardia, e non sentendo
-dentro dissensione di romore cittadinesco, arsono
-il borgo, e co’ prigioni e preda si tornarono a
-Peccioli. La cagione perchè non ebbe effetto il
-trattato fu, che la sera innanzi che i nostri cavalcassono
-presentendo i Pisani che trattato era
-nella terra, tutto non sapessono che, in caccia
-feciono tornare tutti i loro soldati a cavallo e a
-piè in Pisa; veggendo gli amici di Piero ciò non
-s’ardirono a scoprire per paura: se ciò non fosse
-stato, Pisa per quella volta venia alle mani del
-comune di Firenze. Credo nol volle Iddio per meno
-male, che tanto erano infiammati i Fiorentini,
-<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span>
-che rischio era della desolazione di quella
-città. Tornati i nostri a Peccioli, il seguente
-giorno cavalcarono al Bagno ad Acqua e arsonlo,
-e molte altre ville d’attorno.
-</p>
-
-<h3 id="capXXX-11">CAP. XXX.
-<span class="smaller"><i>Come Perino Grimaldi soldato del comune
-di Firenze prese Portopisano, e le catene
-del detto porto mandò a Firenze.</i></span></h3>
-
-<p>
-Nel detto anno del mese d’ottobre, Perino
-Grimaldi a soldo del comune di Firenze, con
-quattro galee e un legno bene armati e di buona
-gente, avendo fatto dannaggio assai per la riviera
-di Pisa, si mise in Portopisano, e giunti
-alle piagge, e con barche misono a terra una
-parte de’ loro balestrieri, i quali colle balestra
-francamente assalirono cinquanta cavalieri e
-molti fanti che per i Pisani erano posti alla
-guardia del porto, temendo che l’armata de’ Fiorentini
-non li danneggiasse nel seno del porto
-loro. La gente de’ Pisani non potendo sostenere
-l’oppressione della balestra abbandonarono il
-porto, onde i Genovesi presono il molo, e senza
-arresto giunti al palagio del ponte v’incominciarono
-colle balestra aspra battaglia: nel palagio
-erano venti masnadieri, i quali ben guerniti
-alla difesa non lasciavano i Genovesi appressare
-alla porta. Durando la detta battaglia per lungo
-spazio, il capitano delle galee saputo guerriere fece
-a due galee levare alto gli alberi, e miservi
-l’antenne, e nella vetta di ciascuna antenna mise
-<span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span>
-una gabbia, e allogò due de’ migliori balestrieri
-ch’egli avesse nell’armata, e le galee condussono
-vicine al palagio, e l’antenne levavano
-alte a bassavano come domandavano i balestrieri
-ch’erano nelle gabbie, e talora erano al pari
-del palagio, e talora più alti, e ferendo i fanti
-ch’erano alla guardia sopra la porta non li lasciavano
-scoprire alla difesa, onde quelli ch’erano
-a piè del palagio sentendo allentata la difesa
-spezzarono le porte, e presono il palagio con
-quelli che dentro v’erano; poi si dirizzarono all’una
-delle mastre torri, e quella per simile modo
-ebbono e abbatterono, e nel cadere che fece
-uccise alcuni Genovesi che la tagliarono, l’altra
-torre ebbono a patti; e ciò fatto, prestamente rifeciono
-il ponte in su l’Arno, ch’era tagliato, e
-addirizzaronsi al palagio della mercatanzia e al
-borgo, e quelli per lungo spazio combatterono, ma
-per i cavalieri e masnadieri che quivi erano rifuggiti
-niente vi poterono acquistare, tutto che
-gran danno colle balestra facessono. Tornati al
-porto baldanzosi per la vittoria arsonvi una cocca
-che v’era carica di sale, e più altri legni
-che vi trovarono; e per dispetto de’ Pisani, e per
-rispetto della nuova vittoria de’ Fiorentini, velsono
-le grosse catene che serravano il porto, e
-quelle, carichi d’esse due carri, mandarono a Firenze,
-strascinandole per tutto per derisione, delle
-quali furono fatte più parti, e in tra l’altre quattro
-pezzi ne furono appesi sopra le colonne del
-profferito dinanzi alla porta di san Giovanni. E fu
-per chi il fè avuto rispetto alla perfidia de’ Pisani,
-i quali per i nobili servigi ricevuti loro
-<span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span>
-donarono quelle colonne abbacinate, e coperte
-di scarlatto, e perchè l’uno esempio chiamasse
-l’altro.
-</p>
-
-<h3 id="capXXXI-11">CAP. XXXI.
-<span class="smaller"><i>Come messer Bernabò mandò a papa Urbano
-a proseguire la pace.</i></span></h3>
-
-<p>
-Come messer Bernabò sentì la coronazione di
-papa Urbano quinto creò solenne e onorevole
-ambasciata, e mandogliele, i quali fatto la debita
-reverenza, e rallegratisi in persona di loro signore
-di sua coronazione, appresso gli esposono
-come messer Bernabò con reverenza domandava
-di volere seguire l’accordo già cercato tra la
-santa Chiesa e lui; il papa con grave aspetto
-avendo ricevuti gli ambasciadori, con quello medesimo
-rispose, che quando il signore loro avesse
-renduto a santa Chiesa le terre sue, le quali contra
-ogni giustizia tiene occupate, e volesse delle
-sue perverse operazioni tornare a penitenza e a
-obbedienza della Chiesa di Dio, come fedele
-cristiano che lo riceverebbe. Allora gli ambasciadori
-ricorsono al re di Francia che del detto
-mese di novembre era in Avignone, perchè si facesse
-trattatore e mezzano, il quale dal papa
-ebbe simigliante risposta, e di corte si partì mal
-contento; e per questo e per altre cagioni gli ambasciadori
-di messer Bernabò lo seguirono, pregandolo
-ritornasse in corte, e niente ne volle fare.
-Partito il re, indi a picciolo tempo il santo
-padre fermò gravissimi processi contro a messer
-<span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span>
-Bernabò d’eresia e scisma, i quali si pubblicarono
-in Firenze domenica a dì 29 di gennaio
-1362, ne’ quali erano molti articoli d’eresia, e
-intra gli altri, che egli tenea d’essere Iddio in
-terra, massimamente nel distretto suo, e assegnolli
-termine a irsi ad escusare per tutto il
-mese di febbraio 1362.
-</p>
-
-<h3 id="capXXXII-11">CAP. XXXII.
-<span class="smaller"><i>Domande fatte per lo re di Francia al papa.</i></span></h3>
-
-<p>
-Quattro cose dopo la visitazione e rallegramento
-di sua coronazione domandò il re di
-Francia al santo padre; in prima, quattro cardinali
-de’ primi facesse: appresso sei anni le rendite
-di santa Chiesa in suo reame domandando
-di poterle in tre anni ricoglierle per aiuto a pagare
-il re d’Inghilterra, di quello che per i patti
-della pace fare li dovea: la terza domanda fu,
-che gli piacesse per mezzanità sua seguire il trattato
-della pace con messer Bernabò, promettendoli
-di fare stare contento messer Bernabò a
-quattrocento migliaia di fiorini, i quali dovesse
-pagare la Chiesa al re in otto anni, cinquantamila
-per anno, mostrando che ciò gli era in
-grande acconcio alle faccende che a fare avea con
-il re d’Inghilterra, affermando che messer Bernabò
-glie ne facea sovvenenza quel tempo che
-a lui piacesse: la quarta domanda fu, che piacesse
-a sua santità dare opera che la reina Giovanna
-fosse sposa del figliuolo. A questa ultima
-il papa prima rispose, che quanto per sè esso
-<span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span>
-n’era molto contento, e gli piacea, quando il figliuolo
-dimorasse nel Regno, e prestasse il saramento
-e il debito censo a santa Chiesa, e dove
-fosse in piacere della reina cui ne conforterebbe. All’altre
-domande disse al re che n’arebbe suo
-consiglio, e che perciò non bisognava ch’egli
-stesse, che a tempo li risponderebbe; e per non
-avere materia di fare in dispiacenza del re, che
-avea chiesti quattro cardinali, per le digiune
-nullo ne volle fare. Il re passò il Rodano visitando
-le terre della Provenza, mal contento alle
-risposte del papa.
-</p>
-
-<h3 id="capXXXIII-11">CAP. XXXIII.
-<span class="smaller"><i>Di grande acquazzone che in Italia fè danno.</i></span></h3>
-
-<p>
-All’entrata di novembre per tutta Italia furono
-grandissime e continove piove; in Lombardia
-ruppono gli argini del Po in più luoghi,
-e tutto il paese allagarono con danno grandissimo
-de’ paesani; in Firenze ruppono la pescaia
-della Porta alla giustizia, e il muro fatto per lo
-comune per riparo della Piagentina, e stesonsi
-l’acque in essa profondandosi forte, e vennono
-insin presso alle mura sopra la Porta alla giustizia,
-a quelle tosto arebbono con la porta e
-colla torre del canto gittate in terra, se non fosse
-stato il presto argomento di buoni maestri, i
-quali con pali a castello e con altri ripari sollecitamente
-e di dì e di notte puosono riparo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capXXXIV-11">CAP. XXXIV.
-<span class="smaller"><i>Come il re di Cipro andò ad Avignone
-con tre galee.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il dì tre di dicembre 1362, lo re di Cipro con
-tre galee apportato andò ad Avignone al santo padre,
-per ordinare e dar modo con lui al passaggio
-oltremare non ancora maturo; il perchè i
-saracini sentendo suo cercamento, in Egitto, e in
-Damasco e in Soria presono molti cristiani, e
-forte gli afflissono: e per tanto questi accennamenti
-sono ai cristiani che di là praticano forte
-dannosi.
-</p>
-
-<h3 id="capXXXV-11">CAP. XXXV.
-<span class="smaller"><i>Come morì Giovacchino degli Ubaldini
-e lasciò reda il comune di Firenze.</i></span></h3>
-
-<p>
-Del mese di dicembre di detto anno, per uno
-fedele di Giovacchino di Maghinardo degli Ubaldini
-rivelato gli fu, che Ottaviano suo fratello
-l’avea richiesto, e tenea trattato di torli Castelpagano;
-Giovacchino volle che il fedele seguisse
-il trattato, e procedendo a tanto venne al
-fatto, che Giovacchino essendosi dentro fornito
-in modo che non potea essere forzato, ordinò
-che il fedele al giorno dato mise i fedeli e’ fanti
-di Ottaviano; Giovacchino fece serrare le porte,
-e mettere al taglio delle spade quelli che dentro
-v’erano racchiusi. Occorse ch’uno fedele di Ottaviano
-<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span>
-veggendosi in luogo da non potere campare,
-disperando, come un verro accanato si dirizzò
-a Giovacchino, e lo fedì nella gamba, della
-quale fedita di spasimo indi a pochi giorni morì.
-Conoscendo Giovacchino il poco amore del fratello
-verso lui, e ch’era cagione di sua morte, fè
-testamento, e lasciò erede il comune di Firenze;
-il quale poi del mese di febbraio per suo sindaco,
-come giusto e legittimo erede prese la tenuta
-di Castelpagano, e d’altre terre e beni che
-s’apparteneano al detto Giovacchino.
-</p>
-
-<h3 id="capXXXVI-11">CAP. XXXVI.
-<span class="smaller"><i>Come il conte di Focì sconfisse e prese
-quello d’Armignacca.</i></span></h3>
-
-<p>
-Erano gare e questioni spiacevoli e gravi intra
-il conte di Focì e il conte d’Armignacca, il
-perchè in fine ciascuno fece suo sforzo sì di sua
-gente e sì d’amistà, e a dì 5 di dicembre ingaggiati
-di battaglia si trovarono in sul campo all’Isola
-presso di Tolosa, e commisono insieme
-aspra battaglia, la quale per la pertinacia della
-buona gente che temeva vergogna sì dall’una parte
-come dall’altra durò per lungo spazio di tempo,
-dove si trovò morti in sul campo tra dall’una
-e dall’altra parte oltre a tremila uomini da cavallo,
-che ve n’ebbe mille cavalieri e gentili uomini
-di rinomea, e a quello di Focì rimase il campo, e
-quello d’Armignacca fedito rimase prigione, e
-con lui il conte di Giagne, e il conte di Montelesori,
-e ’l signore di Libret con due suoi fratelli,
-<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span>
-e il conte di Cominga, e più altri signori e gentili
-uomini di nomea.
-</p>
-
-<h3 id="capXXXVII-11">CAP. XXXVII.
-<span class="smaller"><i>Come i Pisani vollono torre il campanile
-d’Altopascio.</i></span></h3>
-
-<p>
-I Pisani, come uso di guerra richiede, solleciti
-ad offendere loro avversari, tutto che ’l verno
-soglia prestare triegua alle guerre campali, a dì
-8 di gennaio di detto anno con seicento cavalli
-e duemila buoni pedoni si strinsono al campanile
-d’Altopascio, che l’altro per loro era stato
-arso, come di sopra narrammo, e quello assediarono,
-ma assediati dalla durezza del verno
-finiti i cinque giorni lasciarono l’impresa, il perchè
-i Fiorentini a’ 17 dì del mese, il dì di santo
-Antonio, veggendo che i Pisani s’erano partiti
-dall’assedio, considerando che la fortezza era
-stecco nell’occhio al Pisano, vi mandarono il
-conte Francesco da Palagio con venticinque uomini
-a cavallo e dugento fanti, e con molti maestri
-per riporre il castello sotto la sicurtà del
-campanile: i Pisani, che vicini erano al luogo,
-sentendo il fatto, con seicento cavalieri e duemila
-masnadieri assalirono i nostri, i quali trovarono
-sospesi e attenti al lavorio, i quali per lungo
-spazio di tempo francamente si difesono come
-prod’uomini, ma il proverbio è pur vero
-che i più vincono, i Pisani per le rotture del
-muro si misono dentro, onde i nostri non potendo
-sofferire pensarono a ritrarsi a salvamento,
-<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span>
-de’ quali cento e più si fuggirono nel campanile,
-gli altri alle terre del comune di Firenze vicine
-ad Altopascio; e in tanta zuffa non vi furono
-morti che sei, uno dalla parte fiorentina e cinque
-dalla parte de’ Pisani, magagnati e fediti
-d’ogni parte ne furono assai. La nostra gente da
-cavallo che già sentito avea il romore traeva al
-soccorso, e traendo caddono ne’ guati che per i
-Pisani erano messi, e rimasonne otto presi, i quali
-agli altri scopersono i guati. I Pisani ciò fatto a
-dì 27 del mese si partirono e arsono quello che
-rimaso era da ardere fuori del campanile, e
-partiti di là si puosono a oste a Castelvecchio, e i
-Fiorentini armati, e ciascuno in distanza di piccolo
-tempo se ne partì senza fare frutto niuno.
-</p>
-
-<h3 id="capXXXVIII-11">CAP. XXXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come in Firenze s’ordinò tavola per lo comune
-per servire i soldati.</i></span></h3>
-
-<p>
-Gl’ingordi e disonesti usurieri, che sotto colore
-di prestanza sovvenieno i soldati di loro comune,
-portavansene i loro soldi, l’arme e’ cavalli,
-il perchè il comune ai suoi bisogni non li potea
-avere cavalcati; mosse il comune a fare banco,
-il quale con danari del comune potesse sovvenire
-a’ soldati, e del mese di febbraio 1362 fu ordinato
-co’ suoi ufiziali, i quali, nel detto anno in
-calen di marzo cominciarono l’ufizio, ed ebbono
-al cominciamento del banco dal comune quindicimila
-fiorini.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capXXXIX-11">CAP. XXXIX.
-<span class="smaller"><i>Come i Pisani vollono torre santa Maria
-a Monte.</i></span></h3>
-
-<p>
-A dì 26 del mese di gennaio, il capitano de’ Pisani
-Rinieri del Bussa da Baschi con ottocento
-cavalieri e tremila pedoni cavalcò a santa Maria
-a Monte, e considerando che per due ponti
-ch’erano sulla Gusciana i Fiorentini poteano
-soccorrere il castello, quelli prestamente tagliarono,
-e nel pieno della notte assalirono il castello
-da due parti, e con aspra battaglia e gran romore
-per molto spazio di tempo il combatterono,
-e per i soldati del comune e per i terrazzani
-furono villanamente ributtati, avendo già poste
-le scale alle mura del borgo, e assai ne furono
-morti e magagnati colle pietre e co’ balestri; e
-sopravvegnendo il giorno, veggendosi perduta la
-speranza della terra, cominciarono ad ardere e
-fare preda per lo paese: avendo di ciò boce messer
-Ridolfo da Camerino allora capitano de’ Fiorentini
-trasse al soccorso; i Pisani non lo attesono.
-</p>
-
-<h3 id="capXL-11">CAP. XL.
-<span class="smaller"><i>Come i Pisani vollono torre Pescia
-per trattato.</i></span></h3>
-
-<p>
-La sagacità de’ Pisani non trovava posa, ma
-con solleciti modi e occulti trattati per torre
-<span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span>
-delle terre de’ Fiorentini, e avendo del mese di
-febbraio 1362 per danari corrotte certe guardie
-diputate a certa parte delle mura di Pescia, nella
-mezza notte con scale assai, e con cinquecento
-uomini di cavallo e con duemila fanti eletti, con
-molto ordine s’accostarono alle mura della terra
-che guardavano i traditori tacitamente, che quelli
-d’entro niente ne sentirono. I traditori come
-li sentirono, che stavano a orecchi levati, uccisono
-le guardie ch’erano con loro alle poste ignoranti
-del tradimento; onde i Pisani avendo poste
-le scale sicuramente salivano, e già assai
-n’erano in sulle mura. Occorse per fortuna, che
-quegli che andava rassegnando le guardie in
-quello stante vi sopraggiunse, e scoperta la baratta
-in istante levò il romore, e svegliata la terra,
-quelli ch’aveano prese le mura impauriti se
-ne fuggirono, e le guardie del trattato con loro
-insieme, e la gente de’ Pisani si ridusse a salvamento
-alle terre loro.
-</p>
-
-<h3 id="capXLI-11">CAP. XLI.
-<span class="smaller"><i>Come papa Urbano pubblicò in Avignone
-i processi fatti contro a messer Bernabò.</i></span></h3>
-
-<p>
-All’entrata del mese di marzo 1362, papa Urbano
-quinto in Avignone pubblicò il processo
-che fatto avea contro a messer Bernabò, e avanti
-che pronunziasse, gli ambasciadori di messer
-Bernabò e i suoi avvocati comparirono e dierono
-boce che v’era messer Bernabò, onde il papa
-prolungò il termine per infino a di 4 di marzo,
-<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span>
-e di nuovo lo fece citare, facendo cercare per suoi
-mazzieri tutta la corte, e il venerdì 4 di marzo
-mandò due cardinali in persona a fare cercare il
-palagio e l’udienza, e tutto per lo detto messer
-Bernabò; in fine fatto armare tutta sua famiglia
-e i Lombardi cortigiani a guardia della corte,
-fece consistoro e sermone sopra i fatti di messer
-Bernabò con alto e nobile parlare, dolendosi
-delle sue eresie e delle sue infedeltà, e appresso
-fè pubblicare il processo suo, nel quale il condannò
-come eretico e infedele in molti articoli,
-e lo pronunziò scismatico e maladetto di santa
-Chiesa, privandolo di tutti onori, dignitadi, titoli,
-e privilegi, e giurisdizioni, e assolvendo dal
-giuramento tutti i sudditi suoi, annullando tutti
-i privilegi imperiali che avesse per successione,
-e che gli fossono conceduti in persona, e ogni e
-qualunque avesse per altro modo, e privollo del
-matrimonio liberando la moglie come cristiana
-dal marito eretico e infedele: e nella sentenza
-involse chiunque li desse consiglio, aiuto e favore,
-e i sudditi se l’ubbidissono, e chi lo servisse in
-arme per soldo o in niuno altro modo, o contro
-alla Chiesa di Dio s’operasse; e concedette indulgenza
-di colpa e di pena a quelli che fossono
-confessi e pentuti a chi contra lui prendesse
-la croce quando fosse predicata, e in essa sentenza
-orribile involse i descendenti, come nati
-di sangue eretico e infedele. Pronunziata la
-sentenza il santo padre si levò ritto, e misesi in
-ginocchione colle mani giunte e levate al cielo, e
-come vicario di Gesù Cristo invocò l’aiuto suo,
-e di M. S. Piero e di M. S. Paolo, e di tutta la
-<span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span>
-celestiale corte, pregando che come avea il tiranno
-infedele e crudele legato in terra con sua
-sentenza come vicario di Cristo e successore di
-san Pietro, così essi lo legassono in cielo. Lo re
-di Francia, ch’era in corte a procurare per lo
-tiranno, e ’l procurò in sua utilità si tornava, forte
-se ne scandalizzò, e molti cardinali i quali erano
-suoi protettori in corte e provvisionati nel segreto
-assai malcontenti ne furono, avendo più
-caro loro occulta prefenda che l’onore di santa
-Chiesa.
-</p>
-
-<h3 id="capXLII-11">CAP. XLII.
-<span class="smaller"><i>Come morì messer Simone Boccanera
-primo doge di Genova.</i></span></h3>
-
-<p>
-A dì 13 di marzo di detto anno, essendo gravemente
-malato messer Simone Boccanera doge di
-Genova, e correndo la boce ch’egli stava male,
-il popolo prese l’arme, e chiamò venti popolani,
-i quali domandarono in guardia il palagio
-del doge, e a dì 14 del mese v’entrarono e trassonne
-circa a trecento tra parenti, e famigli e
-amici del doge, e nel palagio lasciarono lui, e la
-moglie e’ figliuoli, e questi venti che teneano il
-palagio elessono altri sessanta popolani al consiglio
-loro, e con loro consiglio e favore crearono
-nuovo doge, lo quale fu messer Gabbriello Adorno
-mercatante di buona condizione e fama, il quale
-vollono, che campasse o morisse messer Simone
-Boccanera, fosse doge; e ciò fatto riposò il popolo,
-e puose giù l’arme, e i gentili uomini e
-<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span>
-gran case di tutto niente si travagliarono. Durando
-nella infermità il Boccanera, furono creati
-sei sindachi ch’avessono a ricercare le ragioni
-de’ suoi ufici, e infine tra per l’oppressione de’
-sindachi, e chi disse, e forse non mentì, aiutato,
-assai miseramente passò di questa vita, e il corpo
-suo con due bastagi e un famiglio fu portato alla
-chiesa. E tale fu il fine del valente e famoso uomo
-della primizia de’ dogi di Genova.
-</p>
-
-<h3 id="capXLIII-11">CAP. XLIII.
-<span class="smaller"><i>Come fu morto il conte di Lando.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo del mese di marzo la Compagnia bianca
-tolto un castello a messer Galeazzo, ed egli vi
-mandò in soccorso il conte di Lando con quattrocento
-barbute; per scontrazzo s’abboccò con
-gl’Inghilesi e fu sconfitto, e morto d’una lancia
-di posto nel petto. E tale fine trovò colui che
-capo di compagnia famoso, più volte avea liberamente
-corsa gran parte dell’Italia con fare
-ogni uomo ricomperare.
-</p>
-
-<h3 id="capXLIV-11">CAP. XLIV.
-<span class="smaller"><i>Come Bernabò Visconti fu dalla gente della
-lega sconfitto alla bastita a Modena,
-e come la perdè.</i></span></h3>
-
-<p>
-A dì 16 d’aprile 1363, Bernabò eretico per
-sentenza del santo padre, con duemilacinquecento
-cavalieri di sua gente eletta venne per
-<span class="pagenum" id="Page_198">[198]</span>
-fornire la bastita che tenea sul Modanese, la
-quale era assediata e forte stretta dalla gente
-della lega de’ Lombardi, e giugnendo la mattina,
-preso in prima agio, rinfrescamento e ordine,
-colle schiere fatte, anzi si strignesse alla bastita,
-ne fece subitamente rizzare un’altra non molto
-di lungi dalla Negra; la bastita era dificata in
-forma che non s’avea se non a conficcare: la
-gente de’ collegati bene capitanata e in punto,
-con due forti campi intorno alla bastita con due
-lati e profondi fossi, l’uno lungo il campo, e
-l’altro di fuori alla tratta del balestro, sicchè bene
-si potea la gente della lega tra’ due fossi schierare.
-Il tiranno colla forza di sue schiere passò
-il primo fosso, onde convenne a quelli ch’erano
-tra le barre per paura rifuggire ne’ due campi, e
-lasciarono fornire la bastita, dove mise il tiranno
-trentasei carra di fornimento; e ciò fatto Bernabò
-se n’andò a Crevalcuore per sollecitare il
-resto del fornimento, e a’ suoi impose che attendessono
-la notte prima si partissono, ma Anichino
-di Bongardo partito Bernabò disse, che
-poichè fatto avea il servigio per che era venuto
-quivi non intendea albergare, e si mosse con ottocento
-barbute. I capitani della lega imbaldanziti,
-veggendo i modi che teneano i nemici in sconcio
-e male ordinati, essendo in punto colle schiere
-fatte e bene capitanati, le brigate coraggiosamente
-percossono a loro. La battaglia per la
-eletta gente di Bernabò fu aspra, la quale durò
-infino all’ora di vespero, e allora, come fu il piacere
-di Dio, la gente de’ collegati vinse; assai furono
-i morti, e non de’ minori. Presivi furono messer
-<span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span>
-Ambrogiuolo figliuolo naturale di Bernabò,
-messer Lodovico dall’Occa da Pisa, messer Guglielmo
-de’ Pigli da Modena, messer Sinibaldo
-degli Ordelaffi da Forlì, messer Guglielmo Cavalcabò,
-messer Giovanni Penzoni da Cremona,
-messer Guido Savina, messer Ghiberto da Correggio,
-Antonio da Santovito figliuolo di messer
-Ghiberto da Fogliano, Beltramo de’ Rossi
-da Parma, Guglielmo Aldighieri da Parma,
-messer Andrea de’ Peppoli, messer Niccolò Pallavicini,
-messer Giovanni dalla Mirandola, messer
-Giovanni Bolzoni di Milano ricco di quattrocentomila
-fiorini, Antonio d’Ungheria, Luchino
-de Asalis da Milano, Piero da Correggio,
-Guido da Foiano, Mocolo dalli Pelagri, Alessandro
-da Verona, Giovanni Scipioni, Paolo
-Zuppa da Parma, Maffiuolo da Labro di Milano,
-Damulo Dusmago di Milano, Baroncio
-del maestro Manno, e altri nomati infino nel
-numero di trentotto: a bottino mille cavalli e
-molti prigioni. Quinci seguì, che quelli della
-bastita non essendo forniti, Bernabò non avendo
-possanza di soccorrerli, s’arrenderono salve le
-persone.
-</p>
-
-<h3 id="capXLV-11">CAP. XLV.
-<span class="smaller"><i>Come i Pisani vollono torre Barga.</i></span></h3>
-
-<p>
-Partito all’entrante di marzo 1362 messer
-Ridolfo da Camerino, venne in Firenze per capitano
-di guerra in suo luogo messer Piero da Farnese
-senza pompa, se non quanto a uso militare
-<span class="pagenum" id="Page_200">[200]</span>
-si richiede, e veduto e ricevuto fu con buono
-volto. I Pisani con sollecitudine seguendo giusta
-loro possa ogni atto di guerra, sentendo che messer
-Ridolfo avea fornito per tutto il mese di febbraio
-suo capitanato, e tutto che avesse francamente
-e come valente uomo lealmente esercitato
-suo uficio, con poco onore s’era partito, e
-mal contento, e con fama di poco leale cavaliere,
-e che messer Piero da Farnese uomo coraggioso
-e per lunga esperienza grande maestro di guerra
-era giunto in Firenze, immaginando che innanzi
-che messer Piero fosse informato della intenzione
-del comune, e innanzi che fosse in atto da
-poterli offendere che poteano usare il tempo
-della guerra a loro vantaggio. E pertanto domenica
-d’ulivo, dì 27 di marzo 1363, fatto tutto il
-loro sforzo con mille cavalieri e quattromila pedoni
-nel pieno della notte con molto ordine,
-con scale e altri ingegni s’accostarono a Barga
-senza niuno sentore de’ terrazzani, tanto fu netto
-e presto l’assalto, e presono gran parte delle
-mura, e lo spedale che è accostato ad esse,
-e già aveano rotte parte delle mura allato allo
-spedale per mettere dentro i cavalieri. I terrazzani
-svegliati al rompere del muro, non inviliti
-per l’improvviso assalto, presono l’arme, e per
-lo naturale odio tra loro e’ Pisani, per non venire
-alle loro mani, e gli uomini e le femmine
-raddoppiarono le forze, e francamente cominciarono
-la battaglia; ma tanti erano i nemici ch’erano
-montati sullo spedale e in sulle mura vicine
-allo spedale, che cacciare non li ne poteano,
-ma come uomini per lunga esperienza di guerra
-<span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span>
-dotti, con presto e buono avviso affocarono di
-sotto lo spedale, onde fu necessità a’ nemici, tra
-per lo gran fumo, e per la vampa della paglia
-de’ letti dello spedale la quale subito aspettavano,
-abbandonare il muro, per il quale aveano
-la salita dello spedale, e lo spedale ancora.
-Di loro alquanti ne rimasono morti, molti
-ne furono fediti. I Pisani levati dal pensiero
-d’avere la terra per quella via si misono a
-porvi l’assedio, e puosonvi tre battifolli forti e
-bene apparecchiati a offesa e a difesa, pensando
-d’averla per lunghezza d’assedio, perchè molto
-era lontana dal soccorso de’ Fiorentini, il quale
-convenia che passasse per lo distretto loro. Sentissi
-che con tanta sollecitudine presa aveano
-questa per cambiarla con Peccioli, la quale teneano
-i Fiorentini in sulle ciglia di Pisa.
-</p>
-
-<h3 id="capXLVI-11">CAP. XLVI.
-<span class="smaller"><i>Come messer Piero da Farnese credette
-torre Lucca a’ Pisani.</i></span></h3>
-
-<p>
-Poichè messer Piero da Farnese capitano de’
-Fiorentini ebbe l’informazione dell’intenzione
-del comune, e dello stato della guerra, si partì
-di Firenze, e andò in Valdinievole dov’era il
-forte della gente dell’arme de’ Fiorentini, e da
-essa ricevuto fu a grande onore per le sue virtù
-conforme a gente d’arme, e di presente si dispose
-all’asercizio dell’arme: e avendo rispetto
-alla natura de’ Pisani sottratta e vaghi di trattati,
-per contrappesare a’ loro ingegni, e tenerli in
-<span class="pagenum" id="Page_202">[202]</span>
-paura, cercò trattato in Lucca, e quello menando
-sollecitamente, e con sollecitudine avendo la
-ferma la notte de’ 12 d’aprile, con duemila barbute
-e con cinquemila fanti si mosse da Fucecchio,
-e cavalcò sotto il Ceruglio dal Colle delle
-donne, e all’ora data giunse alle porte di Lucca.
-I Pisani, o che avessono presentito il fatto, o
-che per la buona guardia sentissono il romore
-della gente e de’ cavalli, erano pronti alla difesa,
-e aveano corsa la terra, e presi quarantadue cittadini
-e certi forestieri. Messer Piero sentendo
-scoperto il trattato, e la terra ben guarnita alla
-difesa, senza fare arsione o preda in sul Lucchese,
-che liberamente far lo potea, il giorno medesimo
-per la diritta via si tornò a Pescia. I Pisani
-assai de’ presi decapitarono, e assai degli altri
-mandarono a’ confini, stando con più sollecitudine
-alla guardia di quella, e dell’altre loro terre,
-e non di manco aveano l’assedio a Barga,
-alla terra di Gello, e a Castelvecchio, dove il
-capitano cavalcò, e fornillo per quattro mesi.
-</p>
-
-<h3 id="capXLVII-11">CAP. XLVII.
-<span class="smaller"><i>Come i Pisani presono per forza il castello
-di Gello sul Volterrano.</i></span></h3>
-
-<p>
-Rinieri d’Ugolinuccio, detto Rinieri del Bussa
-da Baschi capitano de’ Pisani, uomo d’alto cuore
-e sollecito guerriere, a dì 12 del mese d’aprile
-si mosse da Pisa con cinquecento cavalieri e
-duemila pedoni eletti, intra i quali furono molti
-balestrieri di Gera, e si mosse per la Maremma,
-<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span>
-e con molto ordine assalì il castello di Gello non
-provveduto, e dibattuto assai per lo assedio. Il
-castello è di cento famiglie assai forte, e per luogo
-ben situato a difesa, e quello per lungo spazio
-di tempo combatterono, e quello per forza vinsono
-con assai morti e magagnati, e di quelli d’entro
-e di quelli di fuori. Vinta la terra si dirizzarono
-alla rocca, che era forte e ben guernita alla
-difesa, e la combatterono per lungo spazio,
-tanto che quasi non era fante nella rocca che
-dalle buone balestra non fosse fedito, i quali disperati
-di soccorso, il quale colla sollecitudine
-di messer Piero giugnea, s’arrenderono salve le
-persone. Rinieri fornito il castello di gente atti
-a tenerlo se ne tornò a Pisa.
-</p>
-
-<h3 id="capXLVIII-11">CAP. XLVIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Pisani condussono la Compagnia bianca
-degl’Inghilesi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Come narrato avemo nell’addietro, la Compagnia
-bianca degl’Inghilesi sotto il capitanato di
-messer Alberto Tedesco, in numero di tremilacinquecento
-uomini da cavallo e duemila a piè,
-erano al servigio del marchese di Monferrato
-contro a messer Galeazzo Visconti, il quale più
-tenere non li potea, e messer Galeazzo volentieri
-la si levava da dosso, e i Pisani che si vedeano
-nel fondo, e venire al disotto della guerra, loro
-ambasciadore aveano a messer Galeazzo, come
-a singolare amico e protettore, e per aiuto e
-soccorso contro alla forza de’ Fiorentini, e risposto
-<span class="pagenum" id="Page_204">[204]</span>
-avea che fare non potea servando sua fede
-contro i Fiorentini, ma che se voleano conducere
-la compagnia degl’Inghilesi, la quale di corto
-finia sua ferma, ed era per prendere viaggio, che
-loro ne sarebbe buono, e li dicea il cuore di poterlo
-fare: a questo gli ambasciadori ch’aveano il
-mandato larghissimo assentirono. I Fiorentini essendo
-di ciò avvisati, lentamente cercarono per uno
-Giovanni Buglietti Fiorentino, lungo tempo stato
-in Inghilterra, e guida della detta compagnia in
-Italia, la condotta di detti Inghilesi, e per l’amistà
-e usanza de’ Fiorentini che stavano e praticavano
-nell’isola d’Inghilterra, gl’Inghilesi si
-vollono alloggiare co’ Fiorentini per diecimila fiorini
-meno che non feciono co’ Pisani, e più tempo
-tennono sospesa la condotta de’ Pisani, aspettando
-conducersi co’ Fiorentini; nella quale sospensione,
-essendo messer Piero da Farnese in
-Firenze, per i governatori de nostro comune li
-fu sopra questa materia chiesto consiglio, il quale
-rispose: Io non credo che per altrettanta di gente
-Cesare la vedesse migliore, nata e allevata in
-guerra, argomentosa in maestria di guerra, e senza
-niuna paura; affermando senza dubbio, che
-chi li avesse e li potesse sostenere non lungo tempo
-senza fallo sarebbe il superiore della guerra.
-Ciò udito nel processo della condotta, quanto l’animo
-de’ collegi e degli altri governatori della città
-inclinassono a prenderli, il gonfaloniere della
-giustizia s’oppose, con dire, e chi pagherà? e fu
-l’autorità sua tanta, e di chi lo seguì dell’ordine
-suo, che sturbò la condotta. I Pisani savi e
-non lenti di presente la condussono in forma di
-<span class="pagenum" id="Page_205">[205]</span>
-compagnia per quattro mesi, a ragione di fiorini
-diecimila il mese di soldo.
-</p>
-
-<h3 id="capXLIX-11">CAP. XLIX.
-<span class="smaller"><i>Come Rinieri da Baschi ruppe gente che
-messer Piero da Farnese avea mandati
-in Garfagnana.</i></span></h3>
-
-<p>
-Parendo a messer Piero da Farnese ragionevolmente
-non potere avere battaglia di campo
-co’ Pisani, la quale sommamente desiderava per
-mostrare sua virtù e provare sua ventura, avanti
-che la Compagnia bianca condotta per i Pisani
-giugnesse, contra i quali non sperava potere tenere
-campo, tenne trattato con certi di Garfagnana
-e fece loro rubellare Castiglione e certe
-altre castella, e avendo di ciò il certo, per fornirle
-di gente e di vittuaglia vi fece cavalcare Spinelloccio
-de’ Tolomei da Siena per capitano, e
-Currado di messer Stefano da Iesi, con certi altri
-conestabili, e con trecento uomini di cavallo,
-e dugento masnadieri di soldo. I Pisani sentendo
-della ribellione delle castella, e immaginando
-che per i Fiorentini si dovessono soccorrere
-per lo loro capitano, prestamente e con tutta loro
-forza misono uno aguato, dove vedeano che i
-nostri accampare si doveano. Passò in Garfagnana
-Spinelloccio con la detta gente senza contasto,
-e accamparonsi dove doveano, e come Rinieri
-s’era pensato per fornire le dette castella; Rinieri
-come li vidde infaccendati e occupati intorno
-all’accamparsi, e in atto di poterne avere
-<span class="pagenum" id="Page_206">[206]</span>
-il migliore, coll’aguato grosso e ordinato uscì loro
-addosso, e dopo lunga e fiera battaglia gli ruppe.
-La gente era buona, e veggendosi per lo soperchio
-de’ nemici in rotta, si ridussono in su un
-poggio vicino dove era stata la zuffa, e d’onde
-potea loro essere il passo sicuro per tornarsi a’
-suoi: i Pisani francamente seguendoli si sforzavano
-a tor loro il passo, e fatto lo arebbono, ma
-i detti Spinelloccio e Currado seguitando l’orme
-degli antichi e buoni Romani, come franchi, leali
-e buoni uomini di subito si gittarono a piè, e
-si misono alla difesa del passo, e facendo maraviglie
-di loro persone, e tanto lo tennono, che
-per lo stretto la gente de’ Fiorentini si ricolse, in
-modo che pochi impediti ne furono. Spinelloccio
-e Currado, poi che vidono la brigata a loro
-commessa in luogo che non poteano ricevere offensione,
-s’arrenderono a prigioni.
-</p>
-
-<h3 id="capL-11">CAP. L.
-<span class="smaller"><i>Come Rinieri da Baschi colla gente de’ Pisani
-fu sconfitto e preso da messer Piero
-da Farnese.</i></span></h3>
-
-<p>
-Parendo a messer Piero da Farnese avere doppia
-vergogna, sì per le castella perdute, sì per
-la gente sbaragliata in Garfagnana, in forte pensiere,
-e come potesse sua onta vendicare, onde
-domenica mattina a dì 7 di maggio 1363, essendo
-cavalcati in verso il Bagno a Vena con ottocento
-tra Ungari e altra buona gente di cavallo,
-e con ottocento fanti eletti, il capitano de’ Pisani
-<span class="pagenum" id="Page_207">[207]</span>
-sentendo la cavalcata, non meno coraggioso e voglioso
-che messer Piero, i quali amendue si
-studiavano di fare innanzi la venuta degl’Inghilesi,
-raunò della gente da cavallo de’ Pisani circa
-a seicento, e pedoni assai, e continovamente da
-Pisa li cresceva forza, per torre alla detta gente
-de’ Fiorentini il passo a san Piero, e colle schiere
-fatte si pararono innanzi a messer Piero, perchè
-non potesse tornare, e di dietro e da lato da Pisa
-traeva gente senza numero alle spalle a messer
-Piero per combatterlo dinanzi e di dietro. Vedendo
-messer Piero davanti da sè i nemici schierati
-in sul campo, veggendo che quello che desiderato
-avea gli venia fornito, di presente ordinò
-le schiere sue, e perchè il luogo dove combattere
-doveano era pieno di solchi, impedì il
-ferire delle lance, onde confortati i suoi a ben
-fare colle spade in mano fieramente si percosse
-sopra i nemici, i quali non con meno cuore gli
-ricevettono. La battaglia fu dura e aspra, e la
-prima schiera de’ Fiorentini fu ributtata per difetto
-degli Ungari due volte, ma rannodati ruppono
-la prima schiera de’ Pisani, ma i rotti si ridussono
-alle spalle dell’altre loro schiere, e con
-la forza di molti pedoni tratti loro in aiuto percossono
-francamente sopra i Fiorentini. Messer
-Piero sgridati e confortati i suoi a ben fare con
-la sua schiera si mise sopra i nemici, lasciando
-l’insegne nel mezzo, ed egli dinanzi con i più
-eletti cavalieri. Indurando la battaglia, messer
-Piero fè a dugento cavalieri fedire i nemici per
-costa, i quali non avendo resistenza, ne vennono
-alle insegne de’ Pisani, e le presono e abbatterono;
-<span class="pagenum" id="Page_208">[208]</span>
-e ciò veggendo messer Piero urtò forte sopra i
-nemici, e li strinse a fuggire. Rinieri come ardito
-e pro’, fu preso colla spada in mano, e molti
-altri valenti uomini. E per certo e messer Piero
-e Rinieri si portarono come valenti capitani, e
-come arditi e pro’ cavalieri, perocchè per spazio
-di due ore e mezzo si combatterono pertinacemente
-sotto l’incerto della vittoria. Rotte le
-schiere de’ Pisani, gli Ungari con degli altri contesono
-a prendere de’ prigioni, massimamente
-di quelli che a piè v’erano venuti da Pisa. Molta
-gente da piè e da cavallo vi morì, tanto odio
-lor menti occupava, e molti cavalli vi furono guasti
-per i pedoni fiorentini che con le lance in
-mano fedirono di costa: il capitano messer Piero
-co’ prigioni si tornò alla gente sua, e in quel
-dì medesimo ne fu novelle in Firenze, di che si
-fè grande allegrezza e festa.
-</p>
-
-<h3 id="capLI-11">CAP. LI.
-<span class="smaller"><i>Come messer Piero da Farnese entrò in Firenze,
-e il capitano de’ Pisani colle insegne
-e’ prigioni rassegnarono a’ priori.</i></span></h3>
-
-<p>
-A dì 11 di maggio, messer Piero da Farnese
-col capitano, bandiere e prigioni de’ nemici
-entrò in Firenze, dove ricevuto con grande letizia
-e allegrezza di popolo, e consegnati furono
-per lui a’ priori col capitano e bandiere de’ Pisani
-centocinquanta prigioni, essendoli per lo comune
-offerto una ghirlanda d’alloro umilemente
-la ricusò, e non la volle prendere, dicendo,
-<span class="pagenum" id="Page_209">[209]</span>
-che tale ghirlanda si convenia con altro
-trionfo e maggiore vittoria, siccome per il senato
-di Roma era diputato; furonli donati quattro
-destrieri nobili coverti dell’arme sua. Con
-lui venne messer Simone da Camerino fatto cavaliere
-nella battaglia, il quale fu lietamente
-veduto, e onorato di doni cavallereschi; e di poi
-a dì quattordici di maggio colle solennità usate
-furono al capitano date per messer Niccolaio degli
-Alberti gonfaloniere di giustizia l’insegne,
-e per lo capitano accomandate furono a’ Tedeschi
-a guardia, dando la reale a un messer Amerigone
-soldato del nostro comune, il quale la
-ricevette in nome di messer Giovanni di.....
-Tedesco, il quale era al campo. Non vi mancò
-augurio, perocchè subitamente come messer Piero
-l’ebbe in mano surse una lieve aura che le
-dirizzò verso Pisa, di che il capitano prese baldanza.
-</p>
-
-<h3 id="capLII-11">CAP. LII.
-<span class="smaller"><i>Come i Pisani tolsono a’ Fiorentini
-Altopascio.</i></span></h3>
-
-<p>
-Sabato a dì 20 di maggio, Guelfo di messer
-Dante degli Scali, il quale era castellano d’Altopascio,
-diede il detto castello a’ Pisani per fiorini
-tremila d’oro che ne ricevette, il perchè
-domenica mattina il dì di Pasqua rugiada i priori
-mossono l’esecutore colla famiglia sua per
-andare a guastare le case sue; il popolo il quale
-era raunato in sulla piazza de’ priori seguì l’esecutore,
-<span class="pagenum" id="Page_210">[210]</span>
-ed entrò nelle case degli Scali e rubolle,
-e appresso vi mise il fuoco e arsonle, non
-potendo a ciò riparare quelli che mosso l’aveano:
-dopo nona detto dì mandarono il cavaliere
-dell’eseguitore a guastare i beni di contado.
-</p>
-
-<h3 id="capLIII-11">CAP. LIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Pisani elessono per loro capitano
-Ghisello degli Ubaldini.</i></span></h3>
-
-<p>
-I Pisani elessono loro capitano di guerra Ghisello
-degli Ubaldini in lungo di Rinieri d’Ugolinuccio
-da Baschi, il quale era preso nelle carcere
-del comune di Firenze. Il detto Ghisello
-era coraggioso e di grande animo, dotto di guerra,
-e corale nemico del comune di Firenze, il
-quale di presente fu in Pisa, e prese la bacchetta
-del capitanato; e ciò fu del detto mese di
-maggio.
-</p>
-
-<h3 id="capLIV-11">CAP. LIV.
-<span class="smaller"><i>Come messer Piero cavalcò sino sulle porte di
-Pisa battendovi moneta d’oro e d’argento.</i></span></h3>
-
-<p>
-A dì 17 del mese di maggio, messer Piero da
-Farnese capitano de’ Fiorentini con duemilacinquecento
-cavalieri, e molti balestrieri e altra
-fanteria si partì dal castello d’Empoli, e dirizzossi
-verso Pisa, e il detto dì s’alloggiò sopra
-la Cecina intra Marti e Castel del Bosco, il seguente
-passarono il fosso, a malgrado di trecento
-<span class="pagenum" id="Page_211">[211]</span>
-uomini da cavallo che erano nel detto Castello
-del Bosco, e per la sera s’accamparono a Ponte
-di Sacco, e valicarono di loro in Valdicalci e a
-Caprone, facendo gran danni d’arsioni di ville
-e manieri. Proseguendo il capitano sue giornate
-verso Pisa arse il resto del borgo di Cascina, e
-tutto insin presso a Rignone e Borgo delle Campane
-ardendo tutto, e quivi fermato mandò a’ Pisani
-il guanto della battaglia, di poi lo giorno di
-Pasqua novella il capitano colle schiere fatte si
-mosse verso le porte di Pisa. Messer Amerigone
-Tedesco con sessanta barbute si mise innanzi a
-tutti gli altri, e cavalcò verso le porte di Pisa,
-e trovò cento barbute de’ nemici con assai gente
-da piè, e loro fedì addosso arditamente e li ruppe,
-in soccorso de’ quali uscirono di Pisa dugento
-uomini da cavallo, i quali volsono indietro
-messer Amerigone, al cui soccorso si mise messer
-Otto Tedesco con cento barbute e rivolse messer
-Amerigone, e fatta aspra zuffa i Pisani furono
-rotti; allora uscì di Pisa il potestà con seicento
-barbute e molto popolo, e ruppono i nostri, e
-presono i detti due conestabili con alquanta loro
-brigata. Messer Piero ciò veggendo come di soperchio
-ardito, con trecento barbute di gente eletta,
-lasciandosi al soccorso la sua gente grossa presso
-colle bandiere, con tanto animo si mise sopra i
-Pisani che li ruppe e fè volgere, i quali per la
-gran calca non potendo entrare per la porta molti
-se ne misono per l’Arno, de’ quali assai n’annegarono.
-Molti presi ne furono, e tanti e tali che i soldati
-più tosto vollono i prigioni, che paga doppia
-e mese compiuto, e assai ve ne furono morti di
-<span class="pagenum" id="Page_212">[212]</span>
-quelli del baldanzoso e scondito popolo. Ciò fatto
-il capitano a Rignone e allo Spedaluzzo fè
-battere moneta dell’oro, e d’argento, e di quattrini:
-in quella d’argento sotto i piè di san Giovanni
-sta una volpe a rovescio. E in quell’ora
-per i Pisani alla richiesta della battaglia fatta
-per messer Piero risposto fu, che alla battaglia
-verrebbono a tempo e a luogo; onde fatti per
-lo capitano due cavalieri, messer Guglielmo di
-Bolsi, e messer Giovanni di...... sonate le
-trombe si fè dipartenza; e mentre che la gente
-che rimasa era alla retroguardia, mandati dinanzi
-a sè gl’impedimenti da Rignone e dal
-Borgo delle Campane si partia, gente da piè e
-da cavallo de’ Pisani vi sopraggiunse, e perchè
-quivi erano cavalieri novellamente fatti non
-vollono fuggire. Nello strettissimo luogo della
-via, il quale quivi la natura del luogo leva in
-alto, quindi l’Arno colle sue ripe fortifica, furono
-i nemici da’ nostri aspettati, e subito con
-gran grida s’abboccarono insieme con fiera e
-ontosa battaglia. I nostri nel principio dubitarono,
-e crollaronsi: messer Guglielmo cavaliere
-novello con la lancia uno levò da cavallo, onde
-premendo lui co’ nostri sopra i nemici, quelli
-che in qua e in là scorreano ripresi furono, e da
-capo facendo resistenza lungo tempo si combatterono
-con dubbiosa vittoria. Alla fine la virtù de’
-nostri crebbe, e soprastette, de’ quali l’Arno molti
-ne prese, e inghiottì molti pedoni nello stretto da
-piè, di cavalli guasti e magagnati: molti ne furono
-presi, molti morti, nè prima fu fine alla fuga,
-che giunsono sulla porta di Pisa. Quivi fu il grande
-<span class="pagenum" id="Page_213">[213]</span>
-scalpitamento, ed ivi li scorridori mescolati con i
-nemici quasi si metteano nella porta, intra i quali
-era un trombettino del nostro comune, il quale
-sonando, fu di saetta che venne dalle mura ferito,
-e cadde da cavallo, allora i nostri per studio
-d’avere il giglio del trombettino, perchè il
-segno non venisse alle mani de’ Pisani, agrissimamente
-si combatterono, ove oltre a venti dei
-nemici furono morti e molti fediti, e la tromba
-col segno del trombettino fu ricoverato: de’ nostri
-ne furono morti..... e otto presi, intra i
-quali furono i detti due cavalieri novelli. Alla fine
-divisa la zuffa i nostri a salvamento si ritornarono
-al campo, il quale era fermo a san Sevino
-dalla parte sinistra sopra la riva dell’Arno,
-che san Sevino era bene guardato; ed essendo
-molto del dì nelle dette cose consumato, levate
-le schiere i nostri s’alloggiarono la sera nella
-villa di Peccioli, e per la fatica del giorno stettono
-senza guardia, solo che delle spie: il dì seguente
-il capitano rimandò della gente a cavallo
-e a piè verso Pisa a fare quel danno poterono.
-</p>
-
-<h3 id="capLV-11">CAP. LV.
-<span class="smaller"><i>Sagacità usata per i Pisani per non perdere
-Montecalvoli.</i></span></h3>
-
-<p>
-I Pisani ch’aspettavano la Compagnia bianca
-degl’Inghilesi, temendo di Montecalvoli, il quale
-pochi giorni si potea tenere, usarono questa
-malizia, che di notte segretamente facevano uscire
-di Pisa loro gente d’arme, e la mattina polverosi
-<span class="pagenum" id="Page_214">[214]</span>
-li faceano ritornare, e li riceveano a gran
-festa, sotto nome di gente della Compagnia bianca,
-stimando ne seguisse quello ne seguì: e loro
-venne fatto, che i priori di Firenze avendo la
-falsa novella per vera, subito con poco onore e
-del comune e del capitano li feciono partire dall’assedio
-di Montecalvoli, il perchè i Pisani il
-poterono liberamente fornire e rinfrescare: e
-ciò fu del mese di giugno.
-</p>
-
-<h3 id="capLVI-11">CAP. LVI.
-<span class="smaller"><i>Come il re di Francia per paura della
-compagnia non osò per terra tornare
-nel reame, ma tornò per acqua.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questi giorni i pessimi uomini detti latronculi,
-noi in volgare diciamo ladroncelli, nel reame
-di Francia tanto erano multiplicati all’appoggio
-delle compagnie dell’arciprete di Pelagorga
-e del Pitetto Meschino, che il re di Francia
-essendo ad Avignone non si assicurò tornare
-per terra a Parigi, per loro danno si mise ad entrare
-in Borgogna. Puossi assai aperto comprendere
-i vestigi del santo Evangelio, ove dice: Saranno
-pestilenzie e fame per luoghi, e leverassi
-gente contro a gente: e soggiugne: E gli uomini
-saranno amatori di sè medesimi: e certo ogni radice
-di carità pare dispenta.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_215">[215]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capLVII-11">CAP. LVII.
-<span class="smaller"><i>Della mortalità dell’anguinaia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Nel presente mese di giugno, per vere lettere
-de’ mercatanti fu in Firenze come in Egitto, e
-in Soria, e nell’altre parti di Levante la pestilenza
-dell’anguinaia; gravissimamente offendea
-e in Vinegia, e in Padova, e nell’Istria, e in
-Ischiavonia, non ostante che i detti luoghi altra
-volta toccasse. Anche gravemente ritoccò nelle
-terre di Toscana, e quasi tutte comprese, e in
-Firenze, già stata generale tre mesi per tutto giugno
-con fracasso d’ogni maniera di gente.
-</p>
-
-<h3 id="capLVIII-11">CAP. LVIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Barghigiani colla forza de’ Fiorentini
-presono i battifolli.</i></span></h3>
-
-<p>
-Nel detto mese di giugno, essendo stata assediata
-Barga da’ Pisani lungamente con tre battifolli,
-e Sommacolonna con due, e assai strette, il capitano
-de’ Fiorentini essendo a oste a Montecalvoli
-trasse dal campo cinquecento barbute con
-alquanti masnadieri, e diè boce ch’andassono
-in Maremma per preda, e feceli conducere a Volterra,
-onde i Pisani mandarono la loro gente in
-Maremma alla difesa, e costoro furono condotti
-a Barga improvviso a’ Pisani; e sentendolisi presso
-quelli di Barga, che n’aveano l’avviso, uscirono
-fuori a combattere l’uno de’ battifolli. Avvenne
-<span class="pagenum" id="Page_216">[216]</span>
-che quelli degli altri due battifolli, lasciando pochi
-di loro alla guardia de’ battifolli, trassono al soccorso
-di quello ch’era combattuto. Aspra battaglia
-era tra loro quando sopraggiunse la gente de’
-Fiorentini; e trovò i due battifolli sforniti, e
-presonlisi, e appresso percossono alle reni de’ nemici,
-e con loro entrati nell’altro battifolle lo
-presono, e perseguitando i nemici, pochi ne camparono,
-che non fossono morti o presi. Quello
-che trovarono ne’ battifolli sì di vittuaglia come
-d’armadura misono in Barga, e arsono le bastite,
-e il simile feciono di quelli di Sommacolonna,
-e ciò fatto, la gente de’ Fiorentini si tornarono
-al campo senza niuno impaccio.
-</p>
-
-<h3 id="capLIX-11">CAP. LIX.
-<span class="smaller"><i>Come morì messer Piero da Farnese.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo entratala furia della pestilenza dell’anguinaia
-nell’oste de’ Fiorentini, molti n’uccise,
-molti ne indebolì, molti ne avvilì. Il perchè essendo
-levato l’assedio da Montecalvoli, per comandamento
-de’ signori di Firenze, il capitano
-era in Castello Fiorentino, e quivi lo prese il male
-dell’anguinaia a dì 19 di giugno, e il detto
-dì n’andò a san Miniato del Tedesco, e quivi in
-sulla mezza notte passò di questa vita, e il corpo
-suo in una cassa alle spese del comune fu recato
-in Firenze, e posato a Verzaia, aspettando Ranuccio
-suo fratello per cui era mandato; poi a
-dì venticinque del mese il corpo suo fu recato in
-Firenze alle spese del comune con mirabile pompe
-d’esequie, le quali furono di questa maniera
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_217">[217]</span>
-</p>
-
-<p class="indl">
-<i>Qui manca.</i>
-</p>
-
-<p>
-Poi seppellito fu nella chiesa di santa Reparata
-con intenzione di farli ricca sepoltura di marmo.
-Valente uomo fu in arme, e saputo e accorto
-con grande ardire, e leale cavaliere, e in fatti
-d’arme avventuroso, e per certo ogni onore che
-fatto li fosse e per lo innanzi gli si facesse lo
-merita.
-</p>
-
-<h3 id="capLX-11">CAP. LX.
-<span class="smaller"><i>Dell’ammirabile passaggio de’ grilli.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il dì primo di luglio, un vento schiavo temperato
-per dieci ore continove del dì nelle parti di
-Pesaro, Fano e Ancona condusse incredibile moltitudine
-di grilli, quasi come in passaggio per
-l’aire, tanto stretti che ’l sole non rendea la
-luce se non come per una nuvola non troppo
-serrata, e trovossi per quelli che la notte sopraggiunse
-che molti l’uno portava l’altro. Dove presono
-albergo, cavoli, lattughe, bietole, lappoloni,
-e ogni erba da camangiare la mattina si
-trovarono tutte colle costole e’ nerbolini tutti
-bianchi, che a vedere era cosa nuova. Perchè
-per lo freddo della notte non si poteano levare, i
-fanciulli ne portavano le cannuccie coperte dal
-capo a piè, tanto stretto l’uno sotto l’altro
-che non vi si sarebbe messo la punta dell’ago.
-I grilli erano di lunghezza d’un dito colle gambe
-lunghe e rosse, e l’alie grandi, col dosso ombreggiava
-<span class="pagenum" id="Page_218">[218]</span>
-in verde chiaro. Molti o la maggior
-parte annegarono in mare, che ’l fiotto gittò
-alla marina, i quali ammassati gittarono orribile
-puzzo, e trovossi che i pesci non presono cibo di
-loro, e gli uccelli e gli altri animali insino alle
-galline se ne guardarono.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_219">[219]</span>
-</p>
-
-<h2 id="filippo">PROEMIO
-DELLA CRONICA
-di
-FILIPPO VILLANI
-<span class="smaller"><i>Nel quale racconta la morte di Matteo suo
-padre, e la cagione che lo mosse
-a seguitare di scrivere.</i></span></h2>
-</div>
-
-<p>
-In questi giorni la pestilenza dell’anguinaia
-prese il componitore di quest’opera Matteo, e
-trovandolo di sobria e temperata natura e vita
-il dibattè cinque giorni, in fine il duodecimo dì
-del mese di luglio divotamente rendè l’anima
-a Dio. Il quale in tanto possiamo dire meritevolmente
-essere da laudare, in quanto esso con lo
-stile che a lui fu possibile non sofferse, che perissono
-le cose occorse nel mondo per lo tempo
-che scrive degne di memoria, quindi apparecchiando
-materia a’ più delicati e alti ingegni di
-riducere sue ricordanze in più felice e rilevato
-stile, qui a me Filippo suo figliuolo lasciando il
-pensiere di seguitare su per infino alla pace fatta
-con i Pisani, per non lasciare la materia intracisa,
-e così m’ingegnerò di fare la storia di tempo
-in tempo, con l’altre cose occorse nell’altre
-parti del mondo le quali a mia notizia perverranno.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_220">[220]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capLXI-11">CAP. LXI.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini feciono Ranuccio da Farnese
-loro capitano di guerra.</i></span></h3>
-
-<p>
-Seguendo quanto mi sarà possibile lo scrivere
-di Matteo Villani mio padre, per principio di
-mia perseguitazione ne tocca a scrivere, che per
-lo grande amore che ’l comune di Firenze ebbe
-a messer Piero da Farnese, senza rispetto de’ grandi
-pericoli che vedeano sopraggiugnere, senza lunghezza
-di tempo puosono Ranuccio suo fratello,
-non perchè ’l conoscessono sufficiente e atto a
-tanto peso, ma per donarli quel titolo per grazia
-dell’anima di messer Piero. Uomo era pro’
-della persona, e ardito e leale, ma poco sperto
-in guidare gente d’arme, e nelli pronti avvisi
-che la guerra richiede.
-</p>
-
-<h3 id="capLXII-11">CAP. LXII.
-<span class="smaller"><i>Come gl’Inghilesi giunsono in Pisa.</i></span></h3>
-
-<p>
-Gl’Inghilesi ch’erano in Monferrato al soldo
-del marchese, col procaccio di messer Galeazzo
-Visconti ebbono il passo per lo Genovese, e col
-loro capitano messer Alberto Tedesco giunsono
-in Pisa il dì 18 di luglio. Honne fatta menzione,
-perchè dal non averli condotti come messer
-Piero da Farnese consigliava molto di danno
-e di vergogna si ricevette per lo nostro comune,
-come per l’innanzi leggendo apparirà.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_221">[221]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capLXIII-11">CAP. LXIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Pisani cavalcarono i Fiorentini in
-sulle porte.</i></span></h3>
-
-<p>
-Nel detto anno a dì 25 di luglio, Ghisello degli
-Ubaldini capitano di guerra de’ Pisani, con ottocento
-cavalieri di soldo, e con quattromila pedoni
-tra di soldo e di volontà, e con molti gentili
-uomini e popolani a cavallo che vogliosamente
-il seguirono, e messer Alberto Tedesco capitano
-degl’Inghilesi, con duemila cinquecento uomini
-a cavallo e duemila a piè si partirono di Pisa,
-e andarono a Lucca, e a dì 26 di detto mese passarono
-per le montagne di Montaquilano, e scesono
-nel piano di Pistoia nel dì di santo Iacopo;
-e a’ Pistoiesi non lasciarono correre loro palio.
-Ben furono di tanto animo i Pistoiesi, che dissono,
-in modo fu inteso dal capitano de’ Pisani,
-che mai il detto palio non si correrebbe se non
-si corresse sulle porte di Pisa, e così addivenne,
-come si troverà nella scrittura che per i tempi
-segue. Temettesi forte non si strignessono alla
-terra, che senza dubbio a gran pericolo era,
-sì per lo subito assalto, al quale niuna provvisione
-o riparo era fatto, sì per la pestilenza
-dell’anguinaia, che assai cittadini tolti avea,
-molti ne tenea in sul letto, e quelli ch’avea
-tocchi in vita erano fieboli: la troppa voglia
-ch’ebbono d’impiccare gli asinini, e fare le
-beffe muccerie, loro tolse il consiglio. Il seguente
-dì senza prendere arresto se ne vennono
-<span class="pagenum" id="Page_222">[222]</span>
-a Campi e a Peretola, e quivi fermarono il
-campo, poi colle schiere ordinate vennono insino
-al ponte a Rifredi; e sentendo sonare le
-campane dal comune a stormo, gl’Inghilesi, che
-secondo l’uso di loro paese pensarono che ’l
-popolo uscisse a battaglia, temettono un poco, e
-rincularono, il perchè i Pisani feciono correre il
-palio per traverso a Rifredi e tra le schiere. Più
-feciono battere moneta, e al ponte a Rifredi impiccarono
-tre asini, e per derisione loro puosono
-al collo il nome di tre cittadini, a ciascuno il suo.
-Ecco in che i savi comuni di Firenze e di Pisa
-spendono i milioni di fiorini, rinnovellando spesso
-queste villanie. Adunque impiccati gli asini
-volsono le schiere, e tornaronsi a Campi e a
-Peretola. Ben fece innanzi messer Alberto cavaliere
-Ghisello degli Ubaldini, messer Giovanni
-de’ Guazzoni da Pescia con più altri, con grande
-gavazza di gridare di stromenti, in parole altamente
-villaneggiando e dispettando il comune
-di Firenze. Arsioni i Pisani che v’erano feciono
-assai, ma non fuori di strada, lasciando le possessioni
-d’alcuno notabile uomo popolare per
-far dire male di lui. Il seguente giorno, arso ciò
-ch’aveano potuto fuori di Firenze e di Prato,
-passarono Arno, e arsono il borgo alla Lastra, e
-per i monti di verso Valdipesa di notte si partirono,
-e arrivarono nel piano d’Empoli, scorrendolo
-tutto con fare quel male poterono, quindi
-per lo Valdarno con grande preda e copia di
-prigioni senza essere loro a niente risposto si tornarono
-a Pisa. Da indi a pochi giorni messer Ghisello
-passò di questa vita, e onorato fu di sepoltura
-assai per i Pisani.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_223">[223]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capLXIV-11">CAP. LXIV.
-<span class="smaller"><i>Come si fermò pace dalla Chiesa a messer Bernabò.</i></span></h3>
-
-<p>
-Del detto anno del mese d’aprile si fermò la
-pace tra papa Urbano quinto (che tanto vogliosamente,
-e tanto aspramente e vituperosamente
-avea fulminate le sentenze contro a messer Bernabò)
-e il detto messer Bernabò, per la Chiesa di
-Roma assai vituperevole, e onesta: vituperevole,
-perchè si ricomperò dal tiranno ancora scomunicato,
-e perchè a petizione del tiranno divise la legazione,
-dando Bologna e Romagna in sua legazione
-all’abate di Clugnì, e togliendo a colui che con
-tanto onore di santa Chiesa l’avea acquistata:
-onesta, perchè egli come padre spirituale dee
-amare la pace e riconciliazione, e aprire le
-braccia a chi vuole tornare alla misericordia, verificando
-in buona parte il detto del poeta che
-dice: O tu che sol per cancellare scrivi: nè per
-essa pace si ruppe a’ collegati promessa, e in loro
-potestà rimase l’accettare. Poi appresso messer
-Bernabò rendè a santa Chiesa Castelfranco,
-Pimaccio e Crevalcuore che tenea in sul Bolognese,
-e ciò fatto i collegati con santa Chiesa accettarono
-la pace. L’abate passò per Milano, e più
-giorni vi stette, dove fu alla reale in tutto onorato,
-quindi ne venne a Bologna, ove col caroccio
-con molto onore e festa fu ricevuto.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_224">[224]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capLXV-11">CAP. LXV.
-<span class="smaller"><i>Dello stato della città di Firenze
-in que’ giorni.</i></span></h3>
-
-<p>
-E’ ne pare necessario dire in questo luogo, per
-quello che seguirà di messer Pandolfo de’ Malatesti,
-il reggimento e governo della città di
-Firenze in que’ tempi, il quale era venuto in
-parte e non piccola in uomini novellamente venuti
-del contado e distretto di Firenze, poco
-pratichi delle bisogne civili, e di gente venuta
-assai più da lunga, i quali nella città s’erano
-alloggiati, e colle ricchezze fatte d’arti, e di
-mercatanzie e usure in dilazione di tempo trovandosi
-grassi di danari, ogni parentado faceano
-che a loro fosse di piacere, e con doni, mangiari
-e preghiere occulte e palesi tanto si metteano
-innanzi, ch’erano tirati agli ufici e messi allo
-squittino. Le grandi case de’ popolari aveano i
-divieti; molti antichi e cari cittadini saggi e intendenti
-erano schiusi dagli ufici, e quello che
-ne risultava di peggio di loro governo era, che
-temendo di non essere ingannati e consigliati
-per lo contradio da’ savi e pratichi cittadini che
-con loro si trovavano agli ufici, essendo bene e
-utilmente consigliati, e con amore e fede alla
-repubblica, sovente prendeano il contrario in
-danno e vituperio del comune. Molti gioventù
-che non passava l’adolescenza, si trovarono negli
-ufici per procuro de’ padri loro ch’erano nel
-reggimento; e occorse, che facendosi lo squittino
-<span class="pagenum" id="Page_225">[225]</span>
-in que’ tempi si trovò che de’ quattro i tre non
-passavano i venti anni, e per tali furono portati
-allo squittino che giaceano nelle fascie. Le ammonizioni
-sboglientavano, e gli odii pertanto e occulti
-e pregni teneano l’animo de’ cittadini. Più,
-l’avarizia tanto tenea occupato l’animo di molti,
-che con novi modi e ufici non necessari, e per
-altre coperte vie, faceano al comune spendere i
-suoi danari. Le sette non quietavano, e l’una all’altra
-per paura tenea l’occhio addosso: e così
-la repubblica si trovava nelle mani del giovanile
-consiglio, negli occulti odii, e ne’ desiderii delle
-private ricchezze. Se queste controversie e confusioni
-non avessono allettato e sollevato l’animo
-del tiranno a speranza di signoria assai sarebbe
-più da maravigliare, che tenendolo in ciò occupato.
-Quelli che conduceano la guerra cassarono
-i soldati, pensando a primo tempo riconducere a
-sofficienza, e cercavano d’avere la Compagnia della
-stella, che di numero si ragionava passasse le
-seimila barbute. Della Magna speravano trarre
-duemila barbute, delle quali non n’ebbono che
-cinquecento, sotto il capitanato del conte Arrigo
-di Monforte, e del conte Giovanni, e del conte
-Ridolfo suo fratello, il quale era sfoggiato di grandezza,
-e menno, e però era chiamato il conte
-Menno, e questi due si diceano stratti della casa
-di Soavia. Non pensando trarre dalla Magna più
-gente, nè avere la Compagnia della stella, e correndovi
-giorni, condussono messer Ugo Tedesco
-valente uomo con mille uomini di cavallo, i quali,
-erano giovani e prod’uomini, ma male armati
-e peggio a cavallo; fu a ciascuno quando entrarono
-<span class="pagenum" id="Page_226">[226]</span>
-per lo comune donato una lancia nuova,
-perchè non entrassono così brulli. Appresso condussono
-il conte Artimanno con mille ragazzi,
-verificando il proverbio, a tempo di guerra ogni
-cavallo ha soldo: vennono a mezzo il mese di
-febbraio in Firenze a rifarsi.
-</p>
-
-<h3 id="capLXVI-11">CAP. LXVI.
-<span class="smaller"><i>Come i Perugini, per tema che la compagnia
-degl’Inghilesi non soccorressono i loro rubelli
-assediati in Montecontigiano, condussono
-la Compagnia del cappelletto.</i></span></h3>
-
-<p>
-Nel detto anno del mese di novembre, i Perugini,
-i quali aveano condotta la Compagnia del
-cappelletto per venti dì, temendo che gl’Inghilesi
-non soccorressono i loro usciti i quali erano
-assediati in Montecontigiano, rafforzarono l’assedio,
-e in pochi giorni appresso ebbono il castello.
-Il modo fu nuovo, che i detti usciti con i
-fanti masnadieri che aveano seco feciono vista
-d’essere fuggiti, e tutti si nascosono per le case,
-di che quelli dell’oste maravigliandosi, non veggendo
-alle poste le guardie, mandarono alquanti
-infino alle porti, e guatando per gli spiragli non
-viddono per la terra persona, di che tornati al
-campo e detto il fatto, il campo a romore si mosse
-colle scale a ire a prendere la terra: li usciti
-ch’erano pro’ come leoni, insieme co’ loro fanti
-masnadieri lasciarono salire i loro nemici in
-sulle mura, e quando li vidono in sulle mura
-uscirono delle case francamente, e con raffi
-<span class="pagenum" id="Page_227">[227]</span>
-a ciò ordinati tirarono delle mura a terra assai
-conestabili e valenti uomini che v’erano
-montati, e montarono in sulle mura essi, e per
-forza ne levarono coloro che su v’erano saliti
-con aspra e fiera battaglia, di che i Perugini si
-tornarono al campo. Infra quelli che rimasono
-presi fu un cavaliere tedesco, che lungo tempo era
-stato al soldo de’ Perugini, e fatto gli era grande
-onore; costui andando un dì a sollazzo per lo castello
-con certi caporali masnadieri, e’ fu da loro
-dimandato, che aveano di loro diliberato i Perugini;
-il sagace cavaliere rispose, di mai non
-partirsi finchè arebbono il castello, e d’impiccarli
-tutti; ma che s’elli voleano campare, che
-poteano, dando loro gli usciti a’ Perugini, di che
-i fanti per paura a ciò s’accordarono; e il seguente
-dì cominciarono questioni con gli usciti, domandandoli
-se di niuno luogo aspettavano soccorso,
-i quali risposono di niuno, onde i masnadieri
-loro dissono che piglierebbono partito per sè, ed
-ebbono tra loro oltraggiose parole; veggendo ciò
-messer Alessandro de’ Vocioli con sette de’ migliori
-ch’erano con lui deliberarono di ricorrere
-alla misericordia, e con li capestri in gola uscirono
-del castello e andarono al campo gridando
-misericordia, e’ furono ricevuti: i signori di Perugia
-per fuggire le preghiere mandarono quattro
-camarlinghi a Montecontigiano, i quali il detto
-messer Alessandro con altri sedici cittadini di
-Perugia suoi compagni e di buone famiglie quivi
-feciono decapitare.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_228">[228]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capLXVII-11">CAP. LXVII.
-<span class="smaller"><i>Come messer Pandolfo Malatesti venne con
-cento uomini di cavallo e con cento
-fanti a servire il comune di
-Firenze per due mesi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Conoscendosi per i Fiorentini che nell’impresa
-della guerra il comune era senza capo e senza
-consiglio, e con gente d’arme di poco valore,
-forte si cominciò a dubitare, e massimamente
-per coloro a cui potea meritamente la perdita
-tornare nella testa; costoro co’ loro seguaci furono
-a’ signori, pregandoli che provvedessono di
-capitano di guerra, e loro puosono innanzi messer
-Pandolfo de’ Malatesti, il quale per le sue
-savie e franche operazioni, contra il conte di
-Lando e sua compagnia, come Matteo mio padre
-scrive di sopra, in Firenze avea buona fama,
-e la grazia di tutti i cittadini, il quale di presente
-fu eletto senza sospezione alcuna, e fatti gli
-ambasciadori ch’andassono a portare l’elezione,
-e patteggiarsi con lui, e scritto gli fu in segreto
-dagl’intimi suoi che venisse, che ciò che domandasse
-al comune arebbe, ed esso ben sapeva
-la condizione della città, e l’infermità di essa
-gli era negli occhi; onde ricevuti gli ambasciadori
-colla elezione li lasciò a Pesero, ed
-egli n’andò dove era messer Malatesta, vecchio
-e messer Malatesta giovane, e con loro
-più giorni stette in segreto consiglio. Quali fossero
-i ragionamenti, l’opere di messer Pandolfo
-<span class="pagenum" id="Page_229">[229]</span>
-il manifestarono. Tornato agli ambasciadori a
-Pesero, per meglio coprire suo segreto mostrava
-per molte vie poca voglia di volere venire, e con
-cautela disse non potea senza la licenza di messer
-di Spagna legato di papa, ed esso medesimo
-per suo segreto messo infra pochi giorni l’ottenne;
-e ciò fatto, venne alla pratica con gli ambasciadori
-di quello volea, e le sue domande erano
-in gran parte sì spiacevoli e disoneste, che gli ambasciadori
-del tutto si partirono da lui; ed essendo
-per mettere i piè nella staffa, parendo a messer
-Pandolfo avere mal fatto, li fè richiamare, e
-loro disse non intendea di venire come capitano,
-ma come amico del comune volea venire a
-servirlo due mesi, e così per gli ambasciadori fu
-accettato, e così venne ed entrò in Firenze a dì
-15 del mese d’agosto con cento uomini di cavallo
-e cento fanti a piè, e con grande allegrezza
-fu da tutti universalmente ricevuto, parendo a
-ciascuno essere in viaggio d’onorato fine alla
-guerra. Il seguente dì furono creati otto cittadini,
-due per quartiere, e per termine d’un anno
-e con balìa assai, in uficiali del comune sopra la
-guerra, i quali di presente preso l’uficio incominciarono
-ad intendersi con messer Pandolfo
-sopra i modi che intorno a’ fatti della guerra
-s’avessono a tenere; nelle lunghezze delle parlanze
-messer Pandolfo non mostrò cruccio di
-perdere tempo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_230">[230]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capLXVIII-11">CAP. LXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Pisani co’ loro Inghilesi presono
-Figghine.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Manetto di messer Lomodaiesi capitano
-generale della gente d’arme de’ Pisani, e messer
-Alberto Tedesco capitano degl’Inghilesi, con
-tutte loro brigate continuando loro viaggio senza
-contradizione per li stretti passi del Chianti valicarono
-nel Valdarno di sopra, e nella loro prima
-giunta presono il borgo di Figghine a dì 16
-di settembre di detto anno, dove trovarono molta
-roba e prigioni assai d’ogni maniera: è vero
-che la maggior parte degli uomini e donne da
-bene si fuggirono nel castello, ch’era assai forte:
-e perchè quelli del castello non prendessono consiglio,
-il seguente dì gl’Inghilesi si strinsono ad
-esso, onde quelli d’entro spaventati si rendeano;
-e mentre che i patti si compilavano, la cattività
-di quelli d’entro fu tanta che si lasciarono torre
-la fortezza agl’Inghilesi; il perchè ebbono assai
-prigioni da bene uomini e donne, i quali Dio sa
-come furono ricevuti nelle mani degl’Inghilesi
-uomini crudeli e bestiali, i quali con la miseria
-de’ nostri arricchirono. Preso il castello il guastarono
-e afforzaronsi ne’ borghi, dove stettono per
-alquanto di tempo. La presura di Figghine assai
-diè di pensiero e di maninconia a’ governatori
-del nostro comune, tutto che i cittadini ch’aveano
-i palagi e abituro d’intorno e appresso la
-città paressono contenti che la guerra si facesse
-<span class="pagenum" id="Page_231">[231]</span>
-da lungo, ma poco loro valse, come appresso diviseremo.
-</p>
-
-<h3 id="capLXIX-11">CAP. LXIX.
-<span class="smaller"><i>Come messer Pandolfo puose il campo all’Ancisa,
-e come il detto campo fu preso dagl’Inghilesi
-con messer Rinuccio capitano,
-e appresso il borgo all’Ancisa, e
-come messer Pandolfo fu fatto
-capitano di guerra.</i></span></h3>
-
-<p>
-Preso Figghine per i Pisani, col consiglio di
-messer Pandolfo tutta la gente dell’arme de’ Fiorenti
-con molti pedoni che ’l comune avea n’andò
-all’Ancisa, e di presente messer Pandolfo andò
-dietro loro, e come giunse all’Ancisa ordinò
-di porre campo dirimpetto all’Ancisa, il quale
-ad arte il prese di sfoggiata grandezza, prendendo
-dal poggio infino all’Arno, contra il volere
-e consiglio di messer Rinuccio capitano, e di
-messer Amerigone Tedesco e di tutti gli altri
-buoni uomini d’arme che v’erano, eccetto il
-conte Artimanno, il quale si scoperse traditore,
-i quali tutti diceano essere abbastanza e più utile
-fare una bastita intorno alla torre Bandinelli,
-la quale diceano potersi difendere insieme col
-borgo dell’Ancisa, e che tanta larghezza di campo,
-traendo lui cinquecento cavalieri della migliore
-gente, nè eziandio se vi fossono alla difesa,
-non era possibile da difendere dalla forza de’ nemici,
-e che stolta cosa era commettersi a quella
-fortuna. Messer Pandolfo fè orecchie di mercatante
-<span class="pagenum" id="Page_232">[232]</span>
-a lasciare dire chi volle, e fè pure a suo senno,
-avendo dato a intendere prima a quelli della
-guerra e al comune che la Compagnia del cappelletto
-la quale era in Maremma condotta per
-i Fiorentini, e con cinquecento barbute di quelli
-erano all’Ancisa cavalcherebbono i Pisani, i
-quali arebbono necessità rivocare loro gente al
-soccorso, e sotto questo colore trasse del campo
-messer Amerigone e altri caporali con cinquecento
-uomini di cavallo della miglior gente fosse nel
-campo, lasciando al capitano il forte ragazzaglia
-e vile gente, eccetto alquanti Italiani, e ciò fatto
-se ne venne a Firenze. Gl’Inghilesi sentendolo
-partito, e che messer Rinuccio era semplice, feciono
-ingaggiare di battaglia uno di loro con uno
-di quelli d’entro, e molti saggi Inghilesi vennono
-nel campo senza arme, dove si combatterono,
-e considerando il campo e chi v’era alla
-difesa, il seguente dì 3 d’ottobre colle schiere
-fatte assalirono il campo da molte parti, acciocchè
-la poca gente che v’era e debole si spargesse
-in più parti alla difesa. Il capitano confortando
-i suoi a ben fare, e della sua persona, con
-quelli pochi uomini che v’erano buoni fè maraviglie,
-e per lungo spazio di tempo sostenne l’assalto
-con danno assai de’ nemici; in fine non potendo
-resistere a tanta gente, nè a tanti luoghi
-quant’erano combattuti, il capitano insieme col
-campo fu preso, con assai degli altri che mostrarono
-il volto. Il conte Artimanno traditore, possendo
-atare e soccorrere il campo, lasciando parte
-della sua gente a guardia del borgo dell’Ancisa
-co’ terrazzani, si stette a vedere. Molti de’
-<span class="pagenum" id="Page_233">[233]</span>
-nostri ch’erano usciti di fuori, tale per badaluccare
-tale per vedere, furono presi, più di disarmati
-vogliosi troppo ch’erano corsi a vedere.
-Quelli valenti uomini che erano usciti fuori virilmente
-a battaglia furono presi colle spade in
-mano, intra’ quali fu messer Giovanni degli
-Obizzi e messer Giovanni Mangiadori, alquanti
-se ne gittarono per l’Arno che vi annegarono,
-intra i quali fu messer Bartolommeo de’ Portigiani
-da san Miniato. La preda de’ cavalli, fornimenti
-da campo e armadura fu grande. Avuta la
-vittoria gl’Inghilesi, con la preda e co’ prigioni
-si tornarono a Figghine. Ricerchi i nostri, tra
-presi e morti si trovarono passati i quattrocento.
-Conosciuto per gl’Inghilesi il male e viziato
-ordine dato per messer Pandolfo, e la viltà
-di nostra gente, e il corrotto animo del
-conte Artimanno, il dì seguente dì 4 d’ottobre
-ne vennono all’Ancisa colle schiere fatte per
-combattere il borgo; il traditore del conte Artimanno
-come li vidde venire, colla sua brigata
-se n’uscì per la porta che viene verso Firenze e
-misesi a cammino, che se avesse avute altrettante
-femmine come avea uomini d’arme arebbe
-difeso quel luogo; i nemici senza contesa entrarono
-nel borgo e presonlo, rubaronlo e arsonlo,
-per avere la via spedita volendo venire verso
-Firenze. Messer Pandolfo sentendo la rotta
-del campo, con cinquecento uomini ch’avea
-scelti e altra gente d’arme, in vista mostrava
-gran fretta d’andare a soccorrere l’Ancisa,
-e già avea passato san Donato in Collina,
-veggendo venire il conte Artimanno in fuga,
-<span class="pagenum" id="Page_234">[234]</span>
-possendosi allo stretto di san Donato sostenere
-per non mostrare tanta viltà, subito si volse
-e diessi alla fuga come uomo rotto. I nostri
-veggendo fuggire il capitano seguitarono, il quale
-come spaventato, come giunse in Firenze fè
-segno come fosse di necessità provvedere alla
-guardia della città trista e lagrimosa, e che mal
-volentieri lo vedea, ma la necessità la quale fa
-vecchia trottare strinse il nostro comune ad eleggerlo
-per capitano di guerra in luogo di messer
-Rinuccio preso colla spada in mano. Il quale essendo
-eletto nella forma che sogliono capitani di
-guerra, volle ai governatori del nostro comune
-con belle e artificiose parole e con sottili argomenti
-mostrare, che a perfezione del capitano,
-pace e bene della città, necessario era che nella
-città e di fuori avesse giurisdizione di sangue con
-pieno arbitrio, e fu sì sfacciato, che la domandò
-agli uficiali della guerra, quasi dando intesa altamente
-non accettare il capitanato, e più domandò,
-che i soldati da cavallo e da piè giurassono
-nelle sue mani. Udendo i governatori della
-città le sconce e le mal colorate domande vollono
-un grande consiglio di richiesti, dove si proposono
-le domande di messer Pandolfo, e tanto era il bisogno
-che aveano di lui, che niuno osava contradire,
-e il concedere parea pericoloso, il perchè
-stavano sospesi e muti. Simone di Rinieri Peruzzi
-si levò in consiglio, e disse francamente che
-nulla di ciò gli si concedesse, che questo era un
-domandare d’essere fatto signore, e che ciascuno
-si recasse alla mente il tempo del duca d’Atene,
-e come da lui erano stati trattati, e che conoscessono
-<span class="pagenum" id="Page_235">[235]</span>
-la dolcezza della libertà, e che volessono
-vivere e morire in essa. Piacque a tutti il
-consiglio, e così s’ottenne; e i signori priori
-mandarono di presente per tutti i soldati, e in
-loro mani feciono giurare, e un Baldo dalla Città
-di Castello elessono per difensore del popolo con
-larga e piena balía nella città. Messer Pandolfo
-veggendo ciò s’infinse di non lo intendere, e accettò
-il capitanato al modo usato a capitano di
-guerra, senza lasciare il pensiere di venire per
-altra via al suo intento, come per effetto si vide.
-Presa la bacchetta del capitanato fè cassare il conte
-Artimanno con ottocento uomini di cavallo,
-perchè non rimase il comune se non con altri
-ottocento, e ciò fatto, mostrando smisurata paura,
-fece sopra certa parte delle mura della città
-levare bertesche e merlate armate di ventiere,
-armando la nostra città d’eterna vergogna, più,
-che per le vie mastre non molto di lungo alle
-porte fè fare serragli e antiserragli infino a Ricorboli.
-</p>
-
-<h3 id="capLXX-11">CAP. LXX.
-<span class="smaller"><i>Come certa parte degl’Inghilesi da Figghine
-cavalcarono a Ricorboli.</i></span></h3>
-
-<p>
-Gl’Inghilesi e gente de’ Pisani imbaldanzita
-sopra modo della rotta del campo e della presa
-del borgo all’Ancisa, posati alcuni dì a Figghine,
-avendo le spie dello spavento ch’era in Firenze,
-e de’ modi del capitano, feciono sentire al comune
-con minaccevole superbia e altre parlanze,
-<span class="pagenum" id="Page_236">[236]</span>
-come a dì 22 d’ottobre verrebbono in sulle porte,
-e arderebbono il borgo di san Niccolò, e che a
-questo il comune mettesse ogni suo sforzo a riparo,
-il perchè i governatori della città perduto il
-cuore e il senno, e poco di concordia e rimprocciosi
-gettando il carico l’uno all’altro con mormorio,
-parendo a loro essere certi che quello che
-gl’Inghilesi prometteano l’atterrebbono, feciono
-afforzare san Miniato a monte, e misonvi quattrocento
-fanti pistoiesi e gli sbanditi, a’ quali
-promisono di ribandirli, poichè certo tempo
-ivi e altrove avessono servito il comune, de’ quali
-fu capitano messer Niccolò Buondelmonti, e Sinibaldo
-di messer Amerigo Donati, i quali allora
-erano in bando della persona: il numero loro
-passava i cinquecento. La città stava e quelli
-che di fuori erano alle poste in tanta sollecitudine
-e tremore, che alcuna volta sentendo pur un uomo
-dall’Apparita sonavano le campane del comune
-a martello, e invano la guardia si faceva
-la notte co’ pennoni. Essendo per più giorni stati
-grandi acquazzoni, a dì 22 del mese d’ottobre la
-detta brigata degl’Inghilesi in numero di millecinquecento
-a cavallo e cinquecento pedoni prima
-fu nel Piano di Ripoli, che per lo capitano o per
-i governatori del comune niente se ne sentisse, e
-se niente se ne sentì per lo capitano, che verisimile
-parea del sì, fece vista di non saperne:
-molti cittadini in sulle letta furono presi, perchè
-vennono di notte, e ucciso fu chi si contese. La
-preda che feciono fu di quattrocento prigioni, e
-di più di mille tra asini e buoi: molti fuggendo
-annegarono in Arno. La notte si stettono nel Piano
-<span class="pagenum" id="Page_237">[237]</span>
-di Ripoli e nelle coste d’intorno: il loro segno
-levarono alla pieve a Ripoli facendo gran
-trombata; la mattina, ardendo molti palagi, alberghi,
-e case da lavoratori vicino alla strada circa
-d’un miglio, si partirono senza trovare chi li andasse
-a vedere, e con la preda e’ prigioni si tornarono
-a Figghine. Messer Pandolfo sapendo che
-erano partiti, per vedere la tratta de’ Fiorentini,
-ch’era vogliosa e senza ordine niuno, con ottocento
-uomini a cavallo ch’erano rimasi al comune
-e con gran popolo si stette alle sbarre a
-Ricorboli; esso vedea i nemici sparti, e girsene
-per le coste, e ne’ suoi occhi ardere molti palagi
-di cittadini, e senza dubbio avendo le spalle del
-popolo e de’ contadini, ch’erano oltre a diecimila
-bene armati, e che volentieri l’arebbono
-seguitato, per lo danno e vergogna che fare si vedeano,
-li potea offendere, e nol volle fare, ma si
-ritenne al primo serraglio lasciandosene tre innanzi,
-a’ quali era il popolo e la gente da piè. Dissesi,
-e vero fu, che non sapendo l’aspro cammino
-gl’Inghilesi si mossono, e non giunsono in Pian di
-Ripoli che a pochi loro cavalli non crocchiassono
-i ferri, e se fossono stati assaggiati erano perduti,
-come essi poi confessarono aperto, ma la
-viltà affettata del nostro capitano, che traeva al
-fine che è detto di sopra, e de’ nostri cittadini
-e contadini, che gl’Inghilesi fossono leoni fu la
-salvezza loro. Speranza fu di messer Pandolfo,
-che rimaso messer Lomodaiesi co’ soldati de’ Pisani
-alla guardia di Figghine, gl’Inghilesi fossono
-tutti, e che s’alloggiassono nelle belle e ricche
-possessioni presso alla terra, le quali erano
-<span class="pagenum" id="Page_238">[238]</span>
-piene d’ogni bene, e che ’l comune per allora
-vario d’animo e povero di consiglio inclinasse a
-volerlo per suo governatore e maestro; questa
-speranza li faltò per la subita partita degl’Inghilesi,
-e fecelo entrare in altro pensiere.
-</p>
-
-<h3 id="capLXXI-11">CAP. LXXI.
-<span class="smaller"><i>Come i Sanesi sconfissono la Compagnia del
-cappelletto, la quale era condotta al
-soldo de’ Fiorentini.</i></span></h3>
-
-<p>
-Non ci pare da lasciare in silenzio, che essendo
-la gente de’ Pisani con gl’Inghilesi afforzati in
-Figghine, ed essendo condotta per i Fiorentini la
-Compagnia del cappelletto, la quale era in Maremma,
-e co’ Sanesi avea presa convegna, e veniano
-al servigio del comune di Firenze, e senza
-riguardo d’offesa e come fidati da’ Sanesi, per
-la via da Torrita furono da loro assaliti con ottocento
-uomini da cavallo, fra i quali ve ne furono
-quattrocento e più de’ Pisani, e loro ordine e
-trattato fu per rompere le provvisioni di messer
-Pandolfo, le quali aveano sentite. La zuffa dopo
-l’assalto de’ Sanesi non ebbe molto contasto,
-perchè quelli della compagnia venendo senza
-sospetto come per terre d’amici veniano in filo
-e sparti, il perchè di leggiere furono sconfitti
-e preda de’ nemici. Presi vi furono oltre a trecento
-uomini di cavallo e più di mille pedoni, e intra
-i presi fu il conte Niccolò da Urbino, che era
-il capitano, il conte da Sarteano, Marcolfo da’ Rimini;
-con altri assai buoni uomini d’arme, e morti
-<span class="pagenum" id="Page_239">[239]</span>
-ne furono assai più di cento. Della quale vittoria,
-ovvero tradimento fatto in dispetto, danno e
-vergogna del comune di Firenze, i Sanesi ne feciono
-beffa festa, dicendo sè a un’ora avere sconfitto
-il comune di Firenze e la compagnia la quale
-tanto affannati gli avea; e prosontuosamente oltre
-a modo alzando il capo, per derisione e scherno
-mandarono due messi a Firenze con lettere, l’uno
-al comune l’altro a’ capitani della parte guelfa,
-contenenti con alte e ornate parole la detta vittoria.
-Il comune dissimulando l’oltraggio, il fante
-che a lui venne vestì di scarlatto fino foderato
-d’indisia, la parte vestì il suo di cardinalesco.
-</p>
-
-<h3 id="capLXXII-11">CAP. LXXII.
-<span class="smaller"><i>Di cavalcate e combattimenti di terre feciono
-gl’Inghilesi mentre stettono a Figghine.</i></span></h3>
-
-<p>
-Soggiornando gl’Inghilesi a Figghine, come
-guerrieri senza riposo tentarono per più riprese
-assai delle castella e tenute del nostro comune
-che d’intorno loro erano vicine, e al castello di
-Tre Vigne in due diversi giorni dierono ordinata
-battaglia, dove rimasono morti alquanti di loro,
-e assai ne furono e dalle balestra e dalle pietre
-magagnati senza acquisto niuno, lasciando le fosse
-piene di scale e la terra di saettamento, e per
-simile modo combatterono più altre tenute indarno.
-Il castelluccio de’ Benzi e la Foresta si
-tennono. Vero fu che uno Andrea di Belmonte
-Inghilese, gentile uomo e grande caporale nella
-compagnia, udita la fama della bellezza e gentilezza
-<span class="pagenum" id="Page_240">[240]</span>
-di costumi di Monna Tancia donna di Guido
-della Foresta, di buono e cavalleresco amore fu
-preso di lei, e la volle vedere, e da Guido come
-da uomo d’animo gentile cortesemente fu ricevuto
-e onorato; seguinne, che per l’amore di costui
-per tutto il tempo che stettono a Figghine
-niuna novità fu fatta alla Foresta. Combatterono
-per tutto un giorno il castello di Cintoia, e nol
-poterono avere. La notte quelli di Cintoia per la
-bussa del dì tormentati, e perchè assai di loro
-n’erano fediti, mandarono a Firenze a’ signori
-pregando per Dio li sovvenissono d’aiuto almeno
-di venti fanti, perocchè attendeano d’essere
-il seguente dì combattuti, e temeano della perdita;
-la provvisione all’usato modo fu fredda, il
-perchè gl’Inghilesi il seguente dì tornarono alla
-battaglia. Quelli del castello facendo loro possanza
-lungamente si tennono danneggiando forte i
-nemici, in fine gl’Inghilesi presono il castello, e
-’l misono a sacco e l’arsono, e con la preda e’ prigioni
-si tornarono a Figghine. Nel detto tempo
-tremila uomini di cavallo con pedoni assai cavalcarono
-verso Arezzo, e poi volsono nel Casentino,
-dove levarono gran preda sì di persone
-sì di bestiame, e senza impedimento con essa si
-tornarono a Figghine.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_241">[241]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capLXXIII-11">CAP. LXXIII.
-<span class="smaller"><i>Esempio e ammaestramento de’ popoli che
-vivono a libertà i quali si conducono
-nella fortuna della guerra di non
-torre capitano uso a tirannia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornando al processo di nostra materia, gl’Inghilesi
-da Ricorboli venuti a Figghine essendo ad
-abbondanza grassi e di prigioni e di preda, nel
-consiglio de’ loro maggiori cominciarono ad entrare
-in pensiero, come l’uno e l’altro potessono
-conducere in Pisa per li stretti passi di Valdipesa:
-e per ciò potere fare, parendo loro come a gente
-dotti di guerra del Chianti sentire l’intenza di
-messer Pandolfo, e che pertanto era occupato intorno
-a’ fatti della città, poichè alquanti giorni furono
-riposati feciono sentire al comune di Firenze,
-che a dì undici del mese di novembre intendeano
-di fare consegrare un prete novello nella badia di
-san Salvi, e che i signori di Firenze e gli altri gentiluomini
-dovessono venire a fare onore al detto
-prete, e a loro in persona di lui. Ciò indubitatamente
-credette messer Pandolfo, e per le sue
-spie l’ebbe di certo, perocchè vidono il campo
-armare il detto dì 11 la mattina per tempo, e
-per lo campo sentirono divolgare come si dirizzavano
-verso Firenze; e certo a ciò avvisati cautamente
-presono il viaggio verso Firenze, il perchè
-le spie non attendendo più oltre vennono a
-Firenze ad informare messer Pandolfo. Stando la
-terra sotto l’arme in gran tremore, scendendo
-<span class="pagenum" id="Page_242">[242]</span>
-all’Apparita pur un fante a piè credeano fossono
-della brigata degl’Inghilesi, le campane sonavano
-a stormo, il popolo sbalordito correa in qua
-e in là senza ordine e senza capo, lasciando
-quasi ciascuno il suo gonfalone per ire a vedere,
-e di largo avanti che messer Pandolfo giugnesse
-alla Porta alla croce usciti erano della città ottomila
-uomini bene armati; quelli ch’erano più
-gagliardi erano nel piano di san Salvi, e ordinatisi
-il meglio aveano saputo, aspettando a ricevere
-i nemici, gli altri erano per le coste sopra
-san Salvi. Il falso grido sonava per la terra che
-già parte di loro n’era a Rovezzano: la gente da
-cavallo tutta era nella piazza de’ signori, e aspettava
-il capitano, il quale per la malizia soprastette
-al mangiare tanto, ch’era quando se ne levò più
-vicino alla nona che alla terza, e ciò fè perchè il
-popolo satollo uscisse fuori, e pensando che a
-quell’ora ragionevolmente i nemici dovessono esser
-giunti a san Salvi, e alle mani col popolo voglioso
-e con poco senno. Uscito il capitano fuori
-coll’insegna di sua arme levata, seguendolo i
-soldati e molti cittadini da bene a cavallo, come
-giunse alla Porta alla croce la fece serrare, e così
-quella della giustizia, ed esso si stava dentro a
-guardarla, lasciando il popolo di Firenze senza
-rifugio al taglio delle spade e in preda de’ nemici,
-che bene conoscea chi era il popolo, e chi
-gl’Inghilesi. Di fuori della porta era il tumulto
-grande delle strida delle femmine che fuggivano
-co’ figliuoli in collo e a mano, e voleano entrare
-dentro e non poteano, e quelle grida confermavano
-nella testa a messer Pandolfo che i nemici
-<span class="pagenum" id="Page_243">[243]</span>
-fossono giunti, e a zuffa, e ripreso da molti buoni
-cittadini che non lasciava entrare le femmine
-e’ fanciulli, fatto per alquanto di tempo orecchie
-di mercatante, quasi come temesse che per lo
-sportello entrassono i nemici e corressono la terra,
-alla fine udendo il mormorio del popolo e
-de’ buoni uomini fece aprire lo sportello: e io
-scrittore che era in quel luogo vidi molti cittadini
-grandi e da bene, e a cui era cara la libertà
-della città, piagnere e lagrimare vedendo il
-caso pericoloso, e ricordando il tempo del duca
-d’Atene, e come si fece signore, e alquanti di
-loro n’andarono a’ signori, e li consigliarono che
-provvedessono di vittuaglia il palagio, e facessono
-mettere le balestra grosse e le bombarde in punto
-sicchè il palagio avesse difesa, e tale, che di
-fatto, come al tempo del duca d’Atene, occupato
-non fosse. E stando nel tumulto del fornire e armare
-il palagio alla difesa, un messo giunse loro
-da Figghine, e disse come i nemici aveano arso
-il campo e il borgo di Figghine, e come s’erano
-partiti co’ prigioni e colla preda, e fatta la via
-per lo Chianti; onde i signori mandarono a dire
-a messer Pandolfo che facesse aprire le porte,
-e tornassesi allo stallo suo, il quale ciò udito,
-caduto della speranza, con gli occhi bassi e mal
-volto di tutti si tornò a casa sua. Quetato il popolo,
-e lasciata l’arme, i signori ebbono gran
-consiglio di richiesti, e veduto il pessimo animo
-di messer Pandolfo, e come pure intendea a volere
-essere signore di Firenze a dispetto del popolo,
-determinarono li fosse tenuto mente alle
-mani sicchè non li venisse fatto, e da quell’ora
-<span class="pagenum" id="Page_244">[244]</span>
-innanzi cominciò a essere in dispetto di tutti:
-e perchè il popolo non traesse più mattamente,
-feciono che ciascuno dovesse trarre al suo gonfalone
-alla pena di lire sei, la quale pensando si
-dovesse risquotere ciascuno sarebbe sollecito a
-seguire il suo gonfalone. Per messer Pandolfo
-mandarono, e lo ripresono forte de’ modi tenuti
-per lui, e dicendoli che stesse dove li paresse
-alle frontiere a guerreggiare i nemici, che il popolo
-di Firenze ben saprebbe guardare la città.
-Se non fosse stato della casa de’ Malatesti, per lo
-nome e titolo di parte guelfa amata e onorata
-dal comune di Firenze, per certo si tenne n’arebbono
-preso altra via. Avemo tritamente narrato
-questo caso per esempio, se potesse profittare, a
-quelli che verranno, di non tor mai a capitano
-di guerra tiranno di terra notabile, perocchè
-l’avvenimento della guerra è vario, e la fortuna
-or quinci or quindi presta il favore suo, e sovente
-il tiranno la fa essere ria per usurpare la sua
-libertà. E nullo ammiri perchè io dissi se potesse
-profittare, perocché ’l governo allora del nostro
-comune, avendo novellamente sì aspra ed evidente
-battitura ricevuta da messer Pandolfo, e lui
-partito con disonore e vergogna, sotto titolo e
-colore di ricoverare l’onore della casa de’ Malatesti,
-con la forza degli amici loro fu chiamato
-capitano di guerra messer Galeotto Malatesti;
-quello ne seguì nel seguente trattato a suo luogo
-e tempo si potrà trovare.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_245">[245]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capLXXIV-11">CAP. LXXIV.
-<span class="smaller"><i>I modi teneano gl’Inghilesi tornati in Pisa.</i></span></h3>
-
-<p>
-Con grande festa e trionfo gl’Inghilesi tornati
-da Figghine per i Pisani furono ricevuti, e loro
-quasi come a cittadini fu consegnata certa parte
-della terra, e dell’altre furono abbarrate le vie
-perchè non noiassono a’ cittadini; ciò veggendo
-gl’Inghilesi lor parve che i Pisani li avessono accettati
-per loro cittadini participando la terra
-con loro, e modi teneano che pareano che intendessono
-così; i Pisani veggendo per segni e
-parole l’intento loro più volte cercarono per
-ingegno e astuzia di trarlisi di casa, infignendo
-d’essere cavalcati da’ nemici, e facendo venire
-molte lettere di diverse parti che loro annunziavano
-soprastare a gran pericoli, ma per allora
-fu nulla, che gl’Inghilesi che s’erano molto
-affannati, e bisogno aveano di riposo, ed erano
-caldi di danari di prigioni e di preda, se ne feciono
-beffe, il perchè i Pisani vernano in gran
-gelosia.
-</p>
-
-<h3 id="capLXXV-11">CAP. LXXV.
-<span class="smaller"><i>Come i Pisani furono sconfitti a Barga.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo i Pisani la lor gente dell’arme e gl’Inghilesi
-nella città, non potendo, come detto è di
-sopra, nè in parte nè in tutto trarre gl’Inghilesi
-di Pisa, per non perdere il tempo gran parte di
-<span class="pagenum" id="Page_246">[246]</span>
-loro soldati con grande ordine e apparecchio
-mandarono a Barga all’entrare di dicembre, per
-porre sopra gli altri battifolli che vi aveano
-un altro battifolle dalla parte del monte. In
-Barga era capitano per i Fiorentini Benghi del
-Tegghia Bondelmonti, a cui i Fiorentini, poichè
-gl’lnghilesi aveano abbandonato Figghine, aveano
-mandati centocinquanta degli sbanditi ch’erano
-stati in san Miniato a monte, i quali doveane
-certo tempo servire il comune nella guerra
-alle loro spese, e poi essere ribanditi; la gente
-de’ Pisani portando fornimenti assai, sì per
-porre detto battifolle, e sì per fornire e quello e
-gli altri ad abbondanza, non parea che desse cuore
-di fare quello ch’era stato loro commesso senza
-altro aiuto, forte temendo la brigata di Barga,
-il perchè quelli ch’erano negli altri battifolli
-lasciandoli male a difesa forniti si dirizzarono
-con loro in viaggio. Benghi, sentendo che i
-battifolli erano sforniti e quasi come abbandonati,
-con i Barghigiani, che v’andarono uomini e
-femmine vogliosamente, e co’ detti centocinquanta
-sbanditi assalì i detti battifolli, e tantosto
-li vinse. Quelli de’ battifolli ch’erano iti coll’altra
-gente a porre la bastita sentendo le grida
-e lo stormire di quelli che combatteano le
-bastite, subito colla detta gente de’ Pisani si volsono
-indietro per soccorrere a’ battifolli. Benghi
-capitano co’ Barghigiani e sbanditi suddetti li
-ricevettono francamente, e dopo lunga battaglia
-e aspra li sconfissono, dove de’ nemici furono morti
-oltre a centocinquanta, e assai fediti e magagnati,
-e molti ne furono presi; lo stendardo del
-<span class="pagenum" id="Page_247">[247]</span>
-comune di Pisa con altre tredici bandiere rimasono
-prese, le quali i Barghigiani ne mandarono a
-Firenze, e’ battifolli furono arsi, e quello che
-dentro v’era con quello che recato v’aveano per
-porre l’altro sì di vittuaglia come d’arnesi fu
-messo in Barga, e loro a gran bisogno sovvenne.
-Benghi perchè s’era fedelmente e francamente
-portato fu fatto di popolo, e rifermo in capitano
-di Barga per diciotto mesi.
-</p>
-
-<h3 id="capLXXVI-11">CAP. LXXVI.
-<span class="smaller"><i>Come il re Giovanni di Francia passò
-in Inghilterra e là morì.</i></span></h3>
-
-<p>
-Uscendo un poco del bosco delle nostre speziali
-riotte, facendo intramessa di cose forestiere,
-torneremo alquanto addietro a quello che scritto
-fu per Matteo nostro padre della pace intra i due
-re di Francia e d’Inghilterra, dove il re di Francia
-s’obbligò a pagare al re d’Inghilterra gran
-quantità di moneta per la sua diliveranza; e per
-osservare sua promessa lasciò per stadico il fratello
-duca d’Orliens, e messer Giovanni duca di
-Berrì suo figliuolo, e più altri duchi, conti e banderesi;
-onde in quest’anno 1363 a dì 3 di gennaio,
-il detto messer Giovanni figliuolo del re che stadico
-era a Calese, villanamente, essendo largheggiato
-d’andare a cacciare e uccellare a sua volontà,
-si fuggì da Calese senza tornarvi con gran sua
-vergogna, e fè rubellare agl’Inghilesi più terre
-teneano in Normandia per gaggi della pace. Onde
-il re Giovanni, come franco e nobile signore,
-<span class="pagenum" id="Page_248">[248]</span>
-per lo detto misfatto del figliuolo e rompimento
-della pace, e per trattare patto e grazia di sua
-redenzione, di sua volontà a dì 3 di gennaio 1363
-entrò in mare a Bologna sul mare per ire e si
-rassegnare prigione in Inghilterra, e il giovedì
-appresso giunse a Dovero, e dipoi a dì 24 di gennaio
-giunse a Londra, e incontro gli andarono
-oltre a mille a cavallo gente nobile, e tutti vestiti
-di variate assise, e dismontò a una casa detta
-Saona per lui riccamente e alla reale apparecchiata.
-Della quale andata il detto re da tutti
-i cristiani fu molto lodato, ed eziandio gl’Inghilesi
-l’ebbono molto a bene e feciongliene ogni
-grazia. Nel raccozzamento de’ due re, e nella
-pratica, il perchè v’era ito, il detto re di
-Francia era passato nell’isola. Potrei far fine
-qui e riserbare al mese suo la morte del re
-di Francia, ma per non interrompere la materia
-la porremo qui. Seguì, che poco appresso
-poi all’entrata di marzo prese al re di Francia
-una malattia, e dipoi a dì 8 del mese d’aprile
-1364 la notte passò di questa vita. Onorato fu
-di sepoltura largamente alla reale, riservando
-in una cassa il corpo suo per recarlo a tempo
-a Parigi. Il reame succedette a Carlo primogenito
-del detto re Giovanni, duca di Normandia e
-delfino di Vienna.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_249">[249]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capLXXVII-11">CAP. LXXVII.
-<span class="smaller"><i>Come messer Niccolò del Pecora fu cacciato
-di Montepulciano.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questi giorni per trattato fatto per i Sanesi
-colla forza de’ fanti d’Agnolino Bottoni, contra i
-patti della pace fatta tra’ Perugini e’ Sanesi, messer
-Niccolò del Pecora per i conforti suoi fu cacciato
-di Montepulciano, e ridussesi a Perugia in
-assai debole stato, e da’ Perugini mal provveduto,
-i quali per non ricominciare guerra passarono la
-vergogna a chiusi occhi.
-</p>
-
-<h3 id="capLXXVIII-11">CAP. LXXVIII.
-<span class="smaller"><i>Della morte del giovane marchese di Brandisborgo,
-conte di Tirolo, e quello ch’appresso
-ne seguì.</i></span></h3>
-
-<p>
-Ancora ne piace un poco passare per le pellegrine
-storie; e per fondarne una che in questi tempi
-occorse assai abominevole, alquanto ne conviene
-addietro tirare per dare meglio a intendere il
-gran male: e venendo al proposito, la contea di
-Tirolo situata è negli estremi di terra tedesca sopra
-il Lago di Garda, e nel paese di Trento, e
-possente, nobile e famosa, la quale, morta tutta
-la progenia masculina, per successione era caduta
-in una fanciulla nome contessa......., la
-quale per la nobiltà della dota da tutti i signori
-e baroni della Magna era in matrimonio sollecitata,
-<span class="pagenum" id="Page_250">[250]</span>
-per avere in dota il gioiello della detta contea
-di Tirolo; in fine la contessa prese in isposo....
-figliuolo del re Giovanni di Boemia, e fratello di
-Carlo che poi fu imperadore de’ Romani; e chiamatolo
-al matrimonio, e alla contea di Tirolo,
-dopo alquanto tempo la contessa cortesemente lo
-ne rimandò in suo paese, affermando che all’uso
-del matrimonio era impotente, e che la contea desiderava
-erede. Carlo fratello del detto..... recandosi
-in dispetto i modi della contessa, prestamente
-fè grande esercito, ed entrò nel contado di
-Tirolo, il quale è aspro e per sito fortissimo, e
-fece gran danni d’arsioni e di preda, e infra
-d’altre terre arse Buzzano, e ciò fatto si tornò in
-suo paese minacciando di fare peggio a tempo. Il
-perchè la contessa impaurita e spaventata cercò
-sollecitamente possente in Alamagna a cui si potesse
-appoggiare, e in quei tempi v’era grande
-Lodovico duca di Baviera della progenia del duca
-Namo, l’uno de’ dodici conti Paladini che seguitarono
-Carlo Magno a cacciare i saracini della Spagna,
-e pertanto poi quelli di sua schiatta hanno
-una boce de’ dodici peri alla boce dell’imperio; il
-quale Lodovico essendo creato imperadore de’ Romani
-contro volontà di santa Chiesa passò in
-Italia, e gran cose fece, come scrive Giovanni
-Villani nostro zio, e senza acquistare si tornò in
-Alamagna col titolo del Bavaro. Costui in questi
-dì avea quattro figliuoli, Lodovico, Stefano, Otto,
-e Romeo: Lodovico primogenito era marchese
-di Brandisborgo. Costui la contessa al padre
-segretamente fè domandare in marito, e il
-Bavaro vi diè l’orecchie, e volendo che ’l figliuolo
-<span class="pagenum" id="Page_251">[251]</span>
-la prendesse, egli con orrore d’animo la ricusava,
-dicendo al padre che ella avea altro marito,
-come noto era a tutta la Magna, e che secondo i
-decreti di santa Chiesa ella non potea avere altro
-marito: il padre lo sgridò, e gli osò dire ch’egli
-era un ribaldo, e che ’l contado di Tirolo non
-era boccone da rifiutare, il perchè per riverenza
-del padre Lodovico la prese per donna, velando
-il matrimonio con colore che il primo era impotente
-a generare. Della detta contessa assai tosto
-Lodovico ebbe un figliuolo maschio; ma perseverando
-il matrimonio, la contessa per soverchia
-lussuria trascorse in errore di disonesta vita, e in
-singolarità con un messer...... di Fraunberghe,
-che in latino suona, dal Colle delle donne,
-ed era sì venuto il giuoco in palese, che ogni uomo
-si maravigliava come il marchese la comportasse,
-stimando molti che per forza di malia lo
-facesse. Occorse, che partendo il marchese con lei
-e con tutta sua corte da Monaco di Baviera per
-andare a Tirolo, esso marchese sotto boce osò
-dire: Se noi torniamo a Monaco mai, noi ci vendicheremo
-di chi ne fa vergogna; ciò venne agli
-orrecchi alla contessa, e al cavaliere che usava
-con lei, il quale era de’ maggiori della corte, e
-conoscendo amendue che il marchese era di
-grande animo e vendicativo, e che già fatto aveva
-aspre e rilevate vendette a chi l’avesse fallato,
-strettosi al consiglio la donna e ’l cavaliere, temendo
-che il marchese non attenesse loro la promessa,
-nel cammino l’avvelenarono in una terra
-che si dice Rotimberga. Morto il marchese, rimase
-al figliuolo il paese ch’a lui s’appartenea in grande
-<span class="pagenum" id="Page_252">[252]</span>
-confusione, perchè molti voleano il governo
-del fanciullo, e così stette il paese rotto per spazio
-di mesi diciotto. Alla fine Stefano e Otto zii del
-garzone si recarono il governo alle mani, e dirizzati
-i paesi, e passati cinque anni, il giovane era
-cresciuto di bello aspetto, e facevasi valente, e
-per sua dibonarità e dolcezza avea la grazia di
-tutti i sudditi suoi, ed essendo a Tirolo si volea
-reggere e governare a suo piacere; e dispiacendoli
-assai i pochi onesti costumi della madre, e
-un giorno venendo con lei in contesa, per sua
-sciagura nell’irate parole uscì al giovane di bocca:
-Noi sapemo bene quello che voi faceste a nostro
-padre. La crudel donna crudelmente raccolse
-le semplici parlanze del giovane, e cominciò
-a pensare della morte sua: il perchè un giorno
-il giovane avendo con gentili giovani di sua età
-molto danzato, e per sè e per i compagni domandò
-da bere, e fugliene dato, ma con veleno,
-del quale con quattro valenti giovani suoi compagni
-si morì; gli altri che meno aveano bevuto
-si pelarono tutti, e rimasono infermi. Il giovane
-marchese poco avventurato di madre fu seppellito
-in Tirolo nel 1363 del mese di febbraio. Ciò si
-dice che fè la dispietata madre per potere più liberamente
-lussuriare e perseguire sua scellerata vita.
-Stefano e Otto figliuoli di Lodovico, e zii del giovinetto
-morto, udito l’orribile malificio, e compreso
-l’imperversato e fiero animo della femmina,
-la quale per uccidere il figliuolo non guardò
-all’innocenza de’ giovinetti che ballavano
-con lui (il quale recato con lei in comparazione
-a Medea, che fu gentile, e questa cristiana, non
-<span class="pagenum" id="Page_253">[253]</span>
-è da porre in dubbio che questa non fosse assai
-più spietata e crudele, verificandosi in lei il verso
-di Giovenale, il quale delle femmine dice: Fortem
-animum praestant rebus quas turpiter audent,
-che in volgare suona; Forte animo danno
-alle cose le quali sozzamente ardiscono, cioè presumono
-di fare) richiesono tutti i loro vassalli
-e feudatari, e accolsono d’amistà quanta gente
-poterono fare, e grande oste apparecchiarono
-contro alla contessa per vendicare la morte del
-fratello e del nipote, la quale spaventata e
-impaurita, perseguitandola la coscienza degli orribili
-peccati, stava in gran tremore, e non sapeva
-che si fare. In questa confusione Ridolfo
-duca d’Osterich, uomo sagace e astuto, e cupido
-di nuovo acquisto, inteso della morte del giovane,
-e dell’apparecchio che facevano Stefano
-e Otto di Baviera, sconosciuto di presente se n’andò
-a Tirolo, e fu colla contessa, e le disse dell’apparecchio
-di quelli di Baviera, e li mostrò ch’erano
-atti e sofficienti a disfarla, e s’ella avea concetta
-paura nell’animo la raddoppiò. Appresso le
-disse, ch’avea ritrovate scritture antiche che
-conteneano, come gli antichi duchi d’Osterich
-s’erano patteggiati e convenzionati con gli antichi
-conti di Tirolo, che quale casa o famiglia di
-loro faltasse d’ereda legittimo l’altra dovesse succedere,
-con offerirsi alla difesa della donna; e da
-lei posta in tanta confusione, e credula, ottenne
-ch’ella il fè capitano del contado di Tirolo, e nelle
-sue mani fè giurare tutto il paese. Proseguendo
-il proposito loro quelli di Baviera cominciarono
-la guerra, e corsono il contado di Tirolo, e
-<span class="pagenum" id="Page_254">[254]</span>
-presono e rubarono una terra che si chiama Sterburgh,
-e più in avanti non poterono passare per
-l’asprezza de’ luoghi e de’ forti passi provveduti
-alla difesa. Ciò non ostante il duca d’Osterich
-cominciò a mettere nel capo alla femmina che
-nel paese non stava sicura, e ch’era il suo migliore
-se n’andasse in Osterich, tanto che le cose
-pigliassono assetto, e tanto le seppe dire ch’ella
-v’andò. Dopo non molto tempo il duca la mise
-in un munistero, dove miseramente morì. Alcuni
-dissono fu fatta morire, e questo comunemente
-s’accettò per vero. Morta la contessa, il duca
-Ridolfo con gran quantità di gente d’arme corse
-per lo contado di Tirolo, e prese quattro nobili
-e gentili uomini, i quali come baroni aveano giurisdizione
-di per sè, i quali non erano stati pronti
-ad ubbidire, perch’aveano giurato alla casa di
-Baviera, e come tiranno, e contro alla natura e la
-costuma degli Alamanni, di presente li fè decapitare,
-onde in infamia e odio ne venne di tutta
-lingua tedesca. Per tema di questa impresa
-del duca d’Osterich non lasciò la casa di Baviera
-di non volere riscattare sua giurisdizione, e
-di loro forza e amistà ragunarono oltre a quattromila
-barbute di gente eletta, e con molto ordine
-si mossono contro il duca d’Osterich, come
-contro usurpatore delle loro ragioni. Il duca d’Osterich
-d’altra parte fè adunata non di meno gente
-nè valorosa meno che quella degli avversari, e amendue
-i detti eserciti assai vicini s’assembrarono
-insieme: e per caso un giorno avvenne, che sopra
-il numero di duemila barbute di quelle del duca
-d’Osterich dilungandosi dal campo casualmente
-<span class="pagenum" id="Page_255">[255]</span>
-si scontrarono in altrettante o circa della gente
-del duca di Baviera, e vennono alla battaglia, la
-quale fu fiera e pertinace, la quale durò per spazio
-di più di sei ore, e nella fine quelli d’Osterich
-furono sconfitti. I morti dall’una parte e d’altra
-in sul campo s’annumerarono si trovarono più
-di cinquecento, e i feriti e magagnati furono assai,
-e molti di quelli d’Osterich rimasono prigioni, e
-ciò avvenne nel 1364 d’ottobre, e qui l’ho posto
-per non rompere la storia. Il verno in quelle parti
-duro e incorportabile a campeggiere l’una parte
-e l’altra costrinse a tornarsi a sua magione, ma
-tutto che quietassono l’armi non quitarono gli animi,
-perocchè l’una parte e l’altra eziandio con
-spendio faceva sollecitamente ogni sforzo suo, e
-scritto e comandato aveano a tutti i sudditi loro ch’erano
-in Italia al soldo che a loro aiuto dovessono
-tornare, e tutti s’apparecchiarono a ubbidire, e
-così grande apparecchio faceano per trovarsi in
-campo come prima potessero. Carlo imperadore
-e Lodovico re d’Ungheria veggendo che ciò era
-di grandissimo pericolo e guasto di tutta Alamagna
-s’intesono insieme, e interposonsi per mezzani,
-e colla persona del savio e venerabile messer
-Piero Corsini vescovo di Firenze, il quale per
-gravi faccende di santa Chiesa allora era legato
-in Alamagna, il quale ricevendo sopra di sè il
-peso di tanta faccenda, come ambasciadore di detti
-imperadore e re, e mezzano e trattatore tra
-i detti signori cercò la concordia loro; e sì saviamente
-seppe la cosa guidare, che di detto anno
-e mese di gennaio pace si concluse tra loro, e
-per patto al duca d’Osterich rimase libera la
-<span class="pagenum" id="Page_256">[256]</span>
-contea di Tirolo, e in compensarne di ciò il duca
-di Baviera ebbe un’altra contea del duca
-d’Osterich, tutto che non a valore eguale assai
-a quella di Tirolo. E così ebbe fine la diabolica
-vita e processo dell’empia e spietata contessa di
-Tirolo, e la guerra che per le sue prave operazioni
-era suta tra la nobiltà de’ baroni e signori
-della Magna.
-</p>
-
-<h3 id="capLXXIX-11">CAP. LXXIX.
-<span class="smaller"><i>Come i Pisani ricondussono gl’Inghilesi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Lasciando le forestiere storie, e tornando alle
-scaramucce e badalucchi della tediosa guerra intra
-i Fiorentini e’ Pisani ci occorre, che essendo gl’Inghilesi
-per fornire loro condotta, per due rispetti,
-l’una perchè i Fiorentini non li conducessono,
-l’altra per trarlisi di casa, e per li tempi
-che richiedesse la guerra, i Pisani del mese di
-gennaio li ricondussono per sei mesi con soldo
-di centocinquanta migliaia di fiorini, con patti
-che potessono fare cavalcate dove a loro piacesse,
-salvo che alle terre loro sottoposte, raccomandate
-e collegate, tutti gli altri loro soldati cassarono,
-e feciono loro capitano di guerra Vanni Aguto
-Inghilese gran maestro di guerra, di natura a
-loro modo volpigna e astuta, il suo soprannome
-in lingua inghilese era Hawkwood, che in latino
-dice, Falcone di bosco, ovvero in bosco, perocchè
-essendo la madre a un suo maniere per
-partorire, e non possendo, si fè portare in uno
-suo boschetto, e quivi lui di presente partorì, e
-<span class="pagenum" id="Page_257">[257]</span>
-tutto che non fosse di schiatta di nobili con
-dignità, il padre era gentiluomo mercatante e
-antico borgese, e così i suoi antenati, e come Giovanni
-venne in età di potere arme, essendo
-d’aspetto e di stificanza di farsi in essa valente
-uomo, fu dato a un suo zio gran maestro di guerra,
-il quale nelle guerre di Francia e d’Inghilterra
-avea fatto in arme e pratiche di guerra
-belle e rilevate cose. I detti Inghilesi vernarono
-in Pisa con gran danno e disagio de’ cittadini
-i quali a loro faceano oltraggio, e intra gli altri
-delle donne loro, il perchè molti di loro le ne
-mandarono a Genova e altrove in luoghi dove
-potessono onestamente dormire.
-</p>
-
-<h3 id="capLXXX-11">CAP. LXXX.
-<span class="smaller"><i>D’una saetta che cadde sul campanile
-di santa Maria Novella.</i></span></h3>
-
-<p>
-Nel detto anno a dì primo di febbraio, essendo
-il tempo sereno e bello, e senza avere o da lunga
-o da presso alcuno segno di nuvole, tonò smisurato
-più volte, e caddono in Firenze più saette,
-fra le quali una ne percosse nel campanile de’ frati
-predicatori, e quello in più parti sdrucì, e più
-segni fè per la cappella maggiore d’inarsicciati.
-Di ciò è fatta menzione per la disgrazia del detto
-campanile spesso tocco dalle saette, appresso per
-la novità del tonare sì spossatamente al sereno
-nel pieno del verno.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_258">[258]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capLXXXI-11">CAP. LXXXI.
-<span class="smaller"><i>Cavalcate fatte per gl’Inghilesi nel pieno
-del verno.</i></span></h3>
-
-<p>
-Poichè gl’Inghilesi si viddono ricondotti, come
-uomini vaghi di preda e vogliosi di zuffa, a dì 2
-di febbraio in numero di mille lance, i quali si
-facevano tre per lancia di gente a cavallo (ed eglino
-furono i primi che recarono in Italia il conducere
-la gente di cavallo sotto nome di lance, che
-in prima si conduceano sotto nome di barbute e
-a bandiere) e in numero di duemila a piè, essendo
-il freddo fuori di misura, e venute più nevi
-sopra nevi, si partirono dalle frontiere dove pochi
-dì dinanzi s’erano ridotti, e passando la notte
-per Valdinievole se ne vennono a Vinci e Lampolecchio,
-luoghi fertili e abbondevoli di vittuaglia
-per gli uomini e per i cavalli, e trovarono
-il paese non sgombro per la pertinacia de’ nostri
-contadini, che non vogliono per bando o per
-minacce a’ loro signori ubbidire. Giugnendo nel
-pieno della notte molti paesani presono nelle letta,
-e posono il campo fermo nelle villate di Vinci
-stendendosi in più di mille case, e il seguente
-dì cavalcarono infino a Signa e Carmignano. Il
-tempo disusato e sconcio a cavalcare gente d’arme,
-e massimamente di notte, ne presta materia
-di scrivere de’ modi e reggimenti de’ detti Inghilesi
-nel presente capitolo senza farne altra distinzione:
-e in prima, essi aveano in consuetudine
-di guerreggiare così il verno come di state, che
-<span class="pagenum" id="Page_259">[259]</span>
-a’ Romani, di cui è scritto, Fortia agere, et pati,
-Romanum, che in volgare suona, forti cose fare,
-e patire, romana cosa è, non fu in uso, e sempre
-il verno faceano feria dando alla guerra riposo,
-se per forza non fussono tratti a battaglia. E come
-si trova ne’ veraci storiografi, Annibale uomo
-di ferro nel mezzo del verno passò gli altissimi
-gioghi delle montagne che surgono per lo mezzo
-d’Italia, e passano da monte Veso infino sopra
-il faro di Messina, le quali alpi poi per la
-detta cagione sempre nominate furono le Alpi
-pennine, perocchè gli Affricani sono chiamati Penni,
-e sceso il verno si combattè a Pavia con Scipione
-e lo vinse, poi dirizzandosi verso Roma
-con un solo elefante che rimaso gli era, per
-lo freddo perdè un occhio, e procedendo sopra
-il Lago di Perugia tra Montegeti e Passignano
-si combattè con Flaminio consolo e lo vinse,
-usando astuzia, perocchè essendo per lo gran
-freddo le membra de’ cavalieri arrudate e spossate,
-avanti che venisse alla battaglia Annibale fè
-fare gran fuochi, e scaldare i suoi cavalieri, e
-ugnere con olio. Tornando a nostra materia, per
-antico ricordo non era che fosse stato il freddo sì
-aspro e pungente, che quasi per tutto dicembre
-fino al marzo non erano cessate le nevi, e il ghiaccio
-per i venti freddi fu grosso, e a passare per i
-cavalli quasi impossibile, e massimamente in
-certi pendenti di vie che non si poteano schifare.
-Costoro tutti giovani, e per la maggior parte nati
-e accresciuti nelle lunghe guerre tra’ Franceschi
-e Inghilesi, caldi e vogliosi, usi agli omicidii
-e alle rapine, erano correnti al ferro, poco avendo
-<span class="pagenum" id="Page_260">[260]</span>
-loro persone in calere, ma nell’ordine della
-guerra erano presti, e ubbidienti ai loro maestri,
-tutto che nell’alloggiarsi a campo per la disordinata
-baldanza e ardire poco cauti si ponessono
-sparti e male ordinati, e in forma da lievemente
-ricevere da gente coraggiosa dannaggio e vergogna.
-Loro armadura quasi di tutti erano panzeroni,
-e davanti al petto un’anima d’acciaio,
-bracciali di ferro, cosciali e gamberuoli, daghe
-e spade sode, tutti con lance da posta, le quali
-scesi a piè volentieri usavano, e ciascuno di loro
-avea uno o due paggetti, e tali più secondo ch’era
-possente, e come s’aveano cavate l’armi di dosso
-i detti paggetti di presente intendeano a tenerle
-pulite, sicchè quando compariano a zuffe loro
-armi pareano specchi, e per tanto erano più spaventevoli.
-Altri di loro erano arcieri, e loro archi
-erano di nasso, e lunghi, e con essi erano
-presti e ubbidienti, e faceano buona prova. Il
-modo del loro combattere in campo quasi sempre
-era a piede, assegnando i cavalli a’ paggi loro, legandosi
-in schiera quasi tonda, e i due prendeano
-una lancia, a quello modo che con li spiedi
-s’aspetta il cinghiaro, e così legati e stretti, colle
-lance basse a lenti passi si faceano contro a’ nemici
-con terribili strida: a duro era il poterli snodare,
-e per quello se ne vidde per la sperienza,
-gente più atta a cavalcare di notte e furare terre
-ch’a tenere campo felici, più per la codardia
-della nostra gente che per loro virtù. Scale aveano
-artificiose, che il maggiore pezzo era di tre
-scaglioni, e l’uno pezzo prendea l’altro a modo
-della tromba, e con esse sarebbono montati in su
-<span class="pagenum" id="Page_261">[261]</span>
-ogni alta torre. I detti Inghilesi, tornando alla
-nostra materia, combatterono il castello di Vinci,
-fidandosi ne’ tardi e lenti provvedimenti di quelli
-ch’allora guardavano la nostra repubblica, e
-pensando che fossono poco atti alla difesa, ma
-furono con franco animo e fronte senza paura
-ricevuti, e assai di loro di soperchio baldanzosi
-furono morti e assai fediti, senza altro acquistare
-che onta e vergogna; e per simile modo
-per due volte tornarono a Carmignano, dove con
-più sicuro volto e loro dannaggio furono veduti,
-il perchè si partirono di quindi, e andarsene al
-Montale sopra Montemurlo, con intenzione di
-passare per lo stretto di Valdimarina nel Mugello,
-ma sentendo che per quella volta da mille cinquecento
-pedoni de’ paesani e del Mugello s’erano
-a passi recati, e loro con allegrezza aspettavano,
-pensando con loro più tosto guadagnare che perdere,
-perchè tutto era sgombro e ridotto alle fortezze
-si tornarono per lo passo di Seravalle verso
-Pistoia nel contado di Pisa con loro gran danno,
-perocchè di loro tra morti e presi nella detta cavalcata
-si trovarono assai più di trecento, che da’
-nostri contadini che da soldati che li tramezzarono
-a Seravalle, e sì da’ Pistoiesi che vi trassono
-al grido. I prigioni ch’aveano avuti a Vinci
-su le letta non passarono i quindici, nè i morti
-i cinque: la preda che feciono a pena gli potè
-nutricare: ne’ giorni che stettono non arsono case,
-molti de’ loro cavalli perderono per lo gran
-disagio e freddo soffersono, nevicando loro addosso
-il dì e la notte; il perchè tornati a loro
-stallo molti uomini se ne morirono; e così a poco
-a poco si logoravano gl’Inghilesi.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_262">[262]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capLXXXII-11">CAP. LXXXII.
-<span class="smaller"><i>Come Anichino di Bongardo con tremila barbute
-venne al servigio de’ Pisani, e come sagacemente
-cercarono avvantaggiosa pace.</i></span></h3>
-
-<p>
-Nel detto anno 1363, a dì 15 del mese di marzo,
-Anichino di Bongardo Tedesco, il quale era
-stato in Lombardia al soldo di messer Galeazzo
-Visconti nella guerra del marchese di Monferrato,
-con tremila barbute venne in favore de’ Pisani
-mandato per lo detto messer Galeazzo sotto
-colore e titolo di soldo, sicchè in quel tempo i
-Pisani si trovarono avere più di seimilacinquecento
-buoni uomini di cavallo, il perchè loro parendo,
-e così era il vero, loro avere il migliore, ed essere
-di loro onta vendicati, con segreto e cauto modo
-cercarono d’avere pace onorata e vantaggiosa per
-le mani di santa Chiesa, e ordinarono che papa
-Urbano quinto mandò per suo legato in Toscana
-per cercare detta pace un frate Marco da Viterbo
-generale de’ frati minori, il quale essendo stato
-in Pisa venne a Firenze, e onoratamente fu ricevuto,
-e in fine dicendo, che al santo padre era
-in calere che della guerra da’ Fiorentini a’ Pisani
-la quale era il guasto di Toscana si venisse
-alla pace, e che tanto era fatto quinci e quindi
-che bene vi cadea, ebbe questa risposta: che i
-Fiorentini erano stati tirati a loro malgrado nella
-guerra dalla soperchia astuzia de’ Pisani, e che
-avanti li facessono risposta di pace e volessono
-udire domande de’ Pisani, considerato che
-<span class="pagenum" id="Page_263">[263]</span>
-il fatto non era pur loro, ma dell’università,
-sopra ciò ne voleano tenere consiglio; e licenziato
-il generale, il seguente dì feciono un consiglio
-di richiesti dove furono oltre a mille cittadini;
-e ciò fu fatto per richiudere la bocca
-a’ mormoratori della pace, e per schifare la pace
-che parea vituperosa, presentendosi segretamente
-le disoneste e sconce cose domandavano i
-Pisani. Adunque si tenne quest’ordine, che anzi
-che volessono i signori e’ collegi udire le domande,
-vollono che ’l detto generale le sponesse nel
-detto consiglio; e prima che mandassono per lui,
-uno de’ signori si levò nel consiglio e assai oscuramente
-disse, che ciò che nel consiglio venia
-non era loro movimento, ma che i priori passati
-n’aveano di corte avuto alcuno odore, e che gli
-otto della guerra di ciò niente sapeano, e che gli
-otto gli avviserebbono degli ordini presi per loro
-nella prosecuzione della guerra e di loro possanza,
-e appresso Spinello della Camera, il quale
-era pienamente informato dell’entrata e uscita
-del comune e del debito suo, loro farebbe chiaro
-di quanto il comune fosse possente a danari.
-Posato quello de’ signori si levò uno di quelli
-della guerra, e distesamente e apertamente disse,
-che l’ordine dato per loro era questo, cioè, che
-per settantamila fiorini aveano condotto per sei
-mesi quattromila barbute di quelli della Compagnia
-della stella, la quale era in Provenza, intra
-i quali erano più di cinquecento gentili uomini,
-e più nella Magna duemila barbute intra i quali
-era il conte Giovanni, il conte Guido, il conte Ridolfo
-stratti della casa di Soavia, e che al presente
-<span class="pagenum" id="Page_264">[264]</span>
-n’aveano scritte al soldo tremila, e che le dette
-brigate si doveano rassegnare in Firenze innanzi
-l’uscita del mese, e altre molte cose disse le quali
-poteano sollevare gli animi degli uditori alla guerra,
-soggiugnendo, che tale spesa per la pace schifare
-non si potea. Appresso si levò Spinello della
-Camera mostrando l’entrata e l’uscita del comune,
-e che pagate le dette brigate per tutto il mese d’ottobre
-il comune rimanea in debito di centossessantasei
-migliaia di fiorini, di che udite le sopraddette
-cose gli animi degli uditori accesi e sollevati
-inclinarono alla guerra; e ciò fatto, i signori
-feciono chiamare il generale, e sporre le domande
-de’ Pisani, le quali erano superbe troppo e
-fastidiose, e tali, che se avessono avuto il comune
-di Firenze in prigione sarebbono state sconvenevoli,
-sconce e disoneste, sopra le quali levati
-molti dicitori in fine di concordia di tutti si prese,
-che dove pace avere si potesse ragionevole, e
-quale comportare si potesse, col nome di Dio si
-prendesse, quanto che no, che francamente si
-seguitasse la guerra, e avvenisse ciò che avvenire
-ne potesse; vero che non si facesse pace s’avessono
-fatto lega con messer Galeazzo, per la quale si
-dicea essere ito per ambasciadore de’ Pisani in
-Lombardia Giovanni dell’Agnello.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_265">[265]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capLXXXIII-11">CAP. LXXXIII.
-<span class="smaller"><i>Come messer Beltramo Craiche tolse Nantes
-per lo re di Francia a quello
-di Navarra.</i></span></h3>
-
-<p>
-Nel detto anno 1364 a dì 8 d’aprile, messer
-Beltramo di Craiche cavaliere Brettone Galese, il
-quale era nelle parti di Normandia, capitano per
-parte del duca di Normandia prese la villa di
-Nantes che si tenea per lo re di Navarra, e poco
-appresso prese la villa di Mellavit, e tutte le
-fortezze per la gente del detto duca, e furono
-prese più gente di Pag, e tali che teneano la parte
-del re di Navarra contro al re di Francia, e fu
-d’alcuni fatta giustizia.
-</p>
-
-<h3 id="capLXXXIV-11">CAP. LXXXIV.
-<span class="smaller"><i>Come rotto il trattato della pace i Pisani
-cavalcarono i Fiorentini.</i></span></h3>
-
-<p>
-Mentre che il venerabile frate Marco per commissione
-di papa Urbano quinto cercava la pace
-tra’ Fiorentini e’ Pisani, i Genovesi, Perugini
-e Sanesi mandarono loro ambasciadori per cercare
-la detta pace insieme col detto frate Marco,
-il quale ricevuta la risposta dal comune di Firenze,
-che voleva pace dove fosse sopportabile
-e onesta, si tornò a Pisa, e trovando i Pisani
-per lo caldo della molta buona gente d’arme
-ch’aveano montati in più altere domande con
-<span class="pagenum" id="Page_266">[266]</span>
-minacce, tutto che la speranza della pace avessono
-gittata indietro alle spalle, non di manco
-i detti ambasciadori seguiano la cerca innanzi
-che le cose inzotichissino più, minacciando i
-Pisani che se la pace prestamente non si prendesse
-nella forma che l’aveano domandata, che
-farebbono la lor gente cavalcare a desolazione e
-distruzione del contado di Firenze. A’ Fiorentini
-parea al di dietro avere ricevuto soperchio oltraggio,
-e aspettavano in corti giorni l’avvenimento
-della Compagnia della stella, la quale per sagacità
-e sollecitudine di messer Galeazzo corrotta
-per danari ritardava sua venuta, dipoi levata
-ne fu, e le duemila barbute soldate nella Magna,
-fidandosi in questa speranza, e ne’ valenti uomini
-ch’aveano a provvisione, ch’erano messer
-Bonifazio Lupo da Parma, messer Tommaso da
-Spuleto, messer Manno Donati, messer Ricciardo
-Cancellieri, e Giovanni Malatacca da
-Reggio, i quali erano pregiati maestri di guerra,
-e stato ciascuno di per sè capitano di grande esercito
-e avutone onore, e già in Firenze era venuto
-il conte Arrigo di Monforte, e in sua compagnia
-il conte Giovanni e il conte Ridolfo stratti
-della casa di Soavia con cinquecento uomini
-di cavallo tutti giovani, e per la maggior parte
-gentili uomini, grandi e belli del corpo, e quanto
-per un fiotto di tanta gente a giudizio di tutti
-non era ricordo che entrasse in Firenze più bella
-nè meglio in punto d’arme e di cavalli, ed esso
-conte era di bello e gentile aspetto. Per le dette
-cagioni i Fiorentini con più cuore rifiutarono la
-pace, e le minacce misono a non calere; onde
-<span class="pagenum" id="Page_267">[267]</span>
-i Pisani posta giù la speranza della pace, avendo
-seimilacinquecento uomini di cavallo tra Tedeschi
-e Inghilesi capitanati da Anichino di
-Bongardo e Giovanni Aguto in forma di compagnie,
-e giunti loro oltre a mille cittadini
-e contadini i più guastatori, licenziarono che
-intendessono a fare aspra guerra, il perchè a dì
-13 del mese d’aprile si mossono e passarono per
-la Valdinievole, e posarsi nel piano di Pistoia,
-e in due luoghi puosono campo, e il seguente dì
-gl’Inghilesi a schiere fatte si dirizzarono a Prato,
-e in su la porta di Prato combatterono i Pratesi, e
-con mano presono il ponte levatoio con maravigliosa
-sicurtà vietando che non si levasse, la quale
-audacia a’ nostri fu in grande terrore, e a dì 15
-d’aprile circa a mille uomini a cavallo della brigata
-degl’Inghilesi nel mezzo della notte si partirono
-del campo, e vennono infino alla Porta
-al prato, onde la terra si scommosse tutta ad
-arme, e di loro quattro gagliardi toccarono la
-porta, de’ quali l’uno ne rimase, e senza arrestare
-si partirono con parecchi che trovarono nelle
-letta, e con alquanti buoi, e tornarono al campo.
-E il seguente dì gl’Inghilesi per lo stretto
-di Valdimarina passarono nel Mugello, non senza
-vergogna de’ provveditori del nostro comune,
-a cui parea che per le civili dissensioni Iddio
-avesse tolto il cuore e ’l senno; l’intenzione
-degl’Inghilesi fu di passare per lo Mugello, e
-venirsene nel piano di san Salvi, e ivi porre
-campo, e attenere a’ Fiorentini la promessa di
-fare il prete novello: Anichino dovea tenere
-campo a Peretola. Passati adunque la notte gl’Inghilesi
-<span class="pagenum" id="Page_268">[268]</span>
-la Valdimarina in sul fare del giorno
-giunsono a Latera e a Barberino, e trovarono i
-villani non avvisati e male provveduti, onde ebbono
-da cento prigioni, e da cento paia di buoi
-e assai bestiame minuto, e trovarono pieno di
-biada e di vino e d’altra roba da vivere, e la
-cagione fu per allora, che dove i governatori
-della città doveano levare le gabelle acciocchè
-la roba venisse alla terra, le raddoppiarono, il
-perchè niuno volea recare, volendo innanzi stare
-a rischio del perderla: e ciò fu riputato a’ signori
-in singulare fallo, levando l’abbondanza alla
-città e lasciando a’ nemici pastura.
-</p>
-
-<h3 id="capLXXXV-11">CAP. LXXXV.
-<span class="smaller"><i>Come messer Pandolfo passò nel Mugello
-colla gente da cavallo per tenere
-stretti gl’Inghilesi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo gl’Inghilesi passati nel Mugello per
-mala provvedenza di chi potea riparare, messer
-Pandolfo fu fermo nell’usato pensiero di farsi
-signore, e disse di volere cavalcare nel Mugello
-con la gente dell’arme che era nella città, ch’era
-nel torno di dodici centinaia di barbute; gli otto
-della guerra gliele interdiceano facendogliene
-espressa proibizione, e non senza cagione, avendo
-rispetto a’ modi per lui altra volta tenuti, e
-veggendo la città in grave pericolo: egli per pertinacia
-seguendo sua intenzione disse, o che cavalcherebbe,
-o che rifiuterebbe l’uficio del capitanato.
-Gli otto stando pur fermi, per la città ne
-<span class="pagenum" id="Page_269">[269]</span>
-surse mormorio e sollevamento di scandalo; onde
-stando il popolo insollito sotto ombra di cittadinesca
-riotta, gli otto temendo gli concedettono
-l’andata, e cavalcò con circa a mille barbute,
-e in compagnia del conte Arrigo di Monforte,
-a cui imposto fu per gli otto che cura
-all’operazioni di messer Pandolfo poco fidato al
-comune avesse; giunti nel Mugello, il conte s’alloggiò
-nella Scarperia, e messer Pandolfo nel borgo
-a san Lorenzo. Occorse in quei giorni, che circa
-a trenta della brigata del conte per avventura si
-scontrarono in cento o più Inghilesi, e per spazio
-di due ore insieme si combatterono: un gentiluomo
-della brigata del conte nome Arrigo veggendo
-il soperchio degl’Inghilesi discese a piede, e con
-una lancia in mano di sua persona fè maraviglie,
-perocchè, secondo che avemmo da persona degna
-di fede che si trovò al fatto, con la detta lancia
-spuose da cavallo da dieci Inghilesi de’ quali due
-morirono, e per lo detto atto e per li compagni
-che francamente lo seguirono gl’Inghilesi inviliti
-dierono le reni, e di loro, massimamente
-di quelli ch’erano rimasi a piede, alquanti ne
-furono presi, alquanti ne rimasono morti nella
-battaglia. Avemo con piacere per tanto di ciò
-fatto ricordo, perchè ne’ nostri dì tanta prodezza
-di rado è stata veduta, e per mostrare
-quanto di valore e di cuore a un esercito presta
-non solo il valente capitano, ma eziandio il valente
-cavaliere, e così il vile viltà. L’opere d’arme
-per tenere gl’Inghilesi stretti erano del conte
-Arrigo e del conte Ridolfo, ch’era chiamato
-il conte Menno, e di loro brigate, ch’altri poco
-se ne dava travaglio.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_270">[270]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capLXXXVI-11">CAP. LXXXVI.
-<span class="smaller"><i>Come gl’Inghilesi si partirono del Mugello
-e tornarsi nel piano di Pistoia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Gl’Inghilesi essendosi assaggiati co’ Tedeschi
-e co’ paesani che aveano cominciato a mostrare
-loro il volto e a volere de’ loro cavalli, sentendo
-che il passare per lo Mugello a san Salvi per i
-molti stretti passi era loro pericoloso, e quasi
-impossibile, e veggendo il luogo dove s’erano
-condotti, incominciarono forte a dubitare, ed era
-loro di mestiere, se avessono avuto chi avesse voluto
-attendere a provvedere contro a loro, come
-dovea e potea, e tale ne portò mala fama, massimamente
-perchè loro faltava la vita e per le bestie
-e per le persone, onde loro convenne fuggire
-alle usate malizie, onde con sollecitudine
-mostrarono di volersi alloggiare a san Michele
-del bosco, afforzandosi di sbarre e palancati, con
-mettere pure in loro boce che riposati alquanto
-farebbono il cammino di che aveano minacciato a
-malgrado di chi non volesse, e ciò faceano per
-levare le poste alle vie ond’erano venuti quelli
-che v’erano tratti a guardare, mostrando d’ire innanzi
-non di tornare addietro, e così avvenne, che
-essendo quelle vie non guardate, la notte di san
-Giorgio presono loro via per la valle di Bisenzio
-e tornarsi nel piano di Pistoia.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_271">[271]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capLXXXVII-11">CAP. LXXXVII.
-<span class="smaller"><i>Come messer Pandolfo Malatesti si partì dal
-servigio del comune di Firenze.</i></span></h3>
-
-<p>
-Stando messer Pandolfo al Borgo involto in
-su gli usati pensieri favorati dal male stato de’ Fiorentini,
-li cadde nell’animo, ch’essendo Firenze
-nel dubbioso e forte partito dove per allora
-parea che fosse lo dovesse gareggiare e tenerlo
-per idolo; onde volendo tentare se il suo pensiere
-rispondea col fatto, e per sua parte fè dire a’ signori
-di Firenze e agli otto della guerra, che
-casi gravissimi e poderosi gli erano occorsi nel
-suo paese pericolosi allo stato suo, e che a riparare
-necessario era che sua persona vi fosse, e li
-fece pregare che loro piacesse in tanto bisogno
-non doverli mancare per dodici o quindici dì
-licenziarlo: i signori con gli otto ne tennono consiglio
-di richiesti, nel quale muto di dicitori,
-Bindo di Bonaccio Guasconi disse, che pensava
-che ’l gentiluomo, amico egli e sua casa del nostro
-comune, dicesse il vero, e che essendo le cose
-gravi come ponea, non gli andava per animo
-che in così breve spazio di tempo come domandava
-le potesse spacciare, e che non solo per dodici
-o quindici dì si licenziasse, ma per tutto
-il tempo che sua condotta durava, e che in suo
-luogo fosse posto il conte Arrigo di Monforte, e
-così nel consiglio s’ottenne, e fu eletto il detto
-Bindo a ire a messer Pandolfo con piacevole commiato.
-Bindo v’andò, e da sè a lui aperto li mostrò
-<span class="pagenum" id="Page_272">[272]</span>
-tutti i suoi errori, i quali dal popolo erano
-stati bene conosciuti, e che agevolmente potea
-avvenire, che perseverando in cotali pensieri con
-opera, forse che un giorno il popolo li farebbe
-un sozzo scherzo, al quale non potrebbono porre
-riparo nè i signori nè gli otto. Veggendo messer
-Pandolfo che questo avviso come gli altri gli era
-venuto fallito, e tornato in vergogna, se ne venne
-a Firenze, e fu a’ signori, e loro disse, che
-non ostante che ’l suo bisogno fosse grande, per
-lo presente vedea quello del comune di Firenze
-era maggiore e pertanto e sè e la sua brigata
-alle sue spese offeria al comune: di ciò fu ringraziato,
-e dettoli, che ’l comune non avea nè di lui
-nè di sua brigata bisogno, onde si partì a sua posta
-senza onore di comune, o di privati cittadini.
-</p>
-
-<h3 id="capLXXXVIII-11">CAP. LXXXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come gl’Inghilesi e’ Tedeschi co’ guastatori
-de’ Pisani s’accamparono a Sesto, e Colonnata,
-e santo Stefano in pane.</i></span></h3>
-
-<p>
-Gl’Inghilesi usciti del Mugello a salvamento insieme
-co’ Tedeschi e guastatori s’accamparono a
-Sesto e Colonnata, e per le coste di Montemorello,
-prendendo santo Stefano in pane, e tutte le pianure
-d’intorno, dove soprastettono per alquanti
-giorni, sicchè i guastatori de’ Pisani ebbono destro
-a fare male, e arsono palagi e ricchi abituri e altri
-casamenti per lo piano, e per le coste di Montemorello
-per lo spazio di tre miglia o circa intorno
-al campo, e riservando a levare del campo i luoghi
-<span class="pagenum" id="Page_273">[273]</span>
-che per loro necessità aveano riserbati, e stando
-quivi gualdane di loro passarono l’Uccellatoio
-e Starniano, ed entrarono in Pescia luogo aspro
-e riposto, ove trovarono molta roba rifuggita, oltre
-n’andarono infino a Calicarza, Montile, e
-Curliano, paesi malagevoli assai a cavalcare, senza
-trovare alcuna contesa. Ancora infra questo tempo
-combatterono la Petraia, ch’era loro sopra capo,
-e aveanla armata e fornita alla difesa i figliuoli
-di Boccaccio Brunelleschi: e nel vero fortemente
-sdegnavano che sopra tante migliaia di
-gente d’arme pregiata e famosa signoreggiasse
-quella piccola fortezza in dispregio loro, il perchè
-si deliberarono di vincerla, e la prima battaglia
-colle schiere ordinate fu degl’Inghilesi, dove con
-acquisto di vergogna alquanti ne furono morti
-e molti magagnati, la seconda de’ Tedeschi in
-simile acquisto; ultimamente essendo cresciuta
-l’onta e ’l dispetto, anzi il levare del campo Tedeschi
-e Inghilesi insieme con aspro assalto la
-combatterono, e niente poterono acquistare, se
-non al modo usato danno e vergogna. Di questo
-avemo fatta memoria per mostrare, che i privati
-cittadini in que’ tempi più erano accorti e valorosi
-a difendere loro fortezze, che i governatori
-del comune quelle della città, e massimamente
-perchè confortati, che nel rispetto ch’aveano da’
-nemici, e poteanlo fare assai leggermente nol
-vollono fare, onde ne risultò gran vergogna al comune.
-L’invidia e ’l mal talento col poco senno
-che allora occupava il governamento ogni virtuoso
-operare impedia. In sul levare del campo i guastatori
-<span class="pagenum" id="Page_274">[274]</span>
-pisani arsono tutti i casamenti che per
-loro ostellaggi aveano riserbati.
-</p>
-
-<h3 id="capLXXXIX-11">CAP. LXXXIX.
-<span class="smaller"><i>Come gl’Inghilesi e’ Tedeschi coi guastatori
-pisani presono il colle di Montughi e
-di Fiesole, e combatterono i Fiorentini
-alla porta a san Gallo, e fessi Anichino
-di Bongardo cavaliere.</i></span></h3>
-
-<p>
-L’ultimo dì d’aprile i nemici mutando campo
-presono il colle di Montughi e di Fiesole, spargendosi
-per tutte le circostanze infino a Rovezzano,
-e il primo dì di maggio per giorno nomato
-colle schiere fatte se ne vennono sopra la costa
-della via di san Gallo di sotto al podere d’Altopascio,
-dove erano fatti tre serragli, il primo sopra
-la via che va a santo Antonio, l’altro sopra la via
-che va a san Gallo, il terzo sopra le case poste
-sopra via che ne va lungo le mura, e questo era di
-carri, dove era il conte Arrigo di Monforte con tutta
-la gente da cavallo; a’ primi due serragli erano
-molti Fiorentini usciti di volontà, i quali impedivano
-la buona gente dell’arme ch’erano alla
-difesa, e ammoniti da messer Manno Donati, e
-da messer Bonifazio Lupo, e da messer Giovanni
-Malatacca, e dagli altri valenti uomini, che si
-tirassono addietro, e lasciassono fare la gente dell’arme,
-nol vollono fare, il perchè furono cagione
-della perdita de’ serragli con morte e presura
-di molti di loro. Nello scendere delle schiere un
-<span class="pagenum" id="Page_275">[275]</span>
-poco davanti due notabili uomini e pregiati in
-arme, Averardo Tedesco e Cocco Inghilese,
-a lento passo l’uno dall’un lato della via l’altro
-dall’altra si calarono giù a’ serragli facendo
-rilevate prodezze; seguendo appresso le
-schiere vinsono e gettarono in terra i detti
-due serragli, con danni assai e di morti e di
-prigioni de’ vogliosi e disordinati Fiorentini,
-che s’erano voluti mettere alla difesa contro
-a’ buoni uomini d’arme, e contra loro volontà.
-Averardo passò in sulla piazza di san Gallo,
-e con molti che appresso il seguivano infino
-al piè delle case a fronte si fè al conte di
-Monforte, il quale stando come una massa di
-ferro mai da’ nemici non fu tentato, tutto che le
-frecce degli arcieri inghilesi che scendeano sopra
-l’altra brigata sembrassono gragnuola. Dalla
-porta e antiporta e mura scoccavano le balestra,
-e a tornio e a staffa, che il tuono del romore piuttosto
-cresceano che facessono danno. Scese le schiere,
-fuoco fu messo in sant’Antonio del vescovo,
-e per simile in molti altri casamenti. In quel fuoco,
-in quel tumulto, in quelle grida Anichino di
-Bongardo si fè cavaliere in sulla costa della via
-che vede la porta, con tanti suoni, con tante grida,
-che parea che ’l cielo tonasse, ed egli fè cavaliere
-messer Averardo e più altri, come se
-fatti fossero in battaglia campale: e ciò fatto, fu
-sonato a ricolta, e tutti, accortamente senza impaccio
-si ritrassono addietro chi a Montughi e
-chi a Fiesole, e la notte con l’ordine dato tra loro
-feciono la festa de’ cavalieri novelli, la quale
-fu in questa forma: che le brigate a cento i più
-<span class="pagenum" id="Page_276">[276]</span>
-a venticinque i meno con fiaccole in mano si vedeano
-danzare, e l’una brigata si scontrava con
-l’altra gittando talora le fiaccole, e ricevendole in
-mano, e talora mettendole a giro, e a modo d’armeggiatori
-seguendo l’un l’altro ordinatamente,
-e queste fiaccole passavano le duemila, con gran
-gavazze di grida e stromenti; e per quello che
-s’intese dalle brigate ch’erano nel piano vicino
-alle mura dispettose parole usavano contra il
-comune di Firenze, e intra l’altre, Guardia studia
-i collegi, manda pe’ richiesti, e simili parole
-usate nel palagio de’ priori, le quali erano intese
-e da quelli che erano in sulle mura e da
-quelli ch’erano da piè. E per dileggiare il popolo
-di Firenze in sulle tre ore di notte quetamente
-mandarono un loro trombettino e un tamburino
-in sul fosso delle mura della Porta alla croce,
-i quali sonando come a stormo, il popolo di
-Firenze tutto si commosse a romore, correndo
-boci per la terra che i nemici aveano prese le
-mura dove le bertesche erano fatte, e che parte
-di loro n’erano dentro discesi. La paura fu sopra
-modo, e i cittadini come smemoriati correvano
-qua e là per la terra, e le femmine poneano
-le lucerne alle finestre, e con lamenti l’armavano
-di pietre. La cosa nel suo aspetto a vedere orribile
-era, ma saputo il vero, subitamente si racchetò
-il bollore fatto in danno e vergogna come
-detto è. Il seguente dì 2 di maggio schierati tutti
-passarono Arno di sotto alla Sardigna assai
-presso alla città, e puosono campo a Verzaia stendendosi
-infino a Giogoli e Pozzolatico e per Arcetri,
-ardendo tutto infino presso alle mura;
-<span class="pagenum" id="Page_277">[277]</span>
-e sopra questo con le schiere fatte, e con le loro
-barbare strida e suoni di stromenti da battaglia
-vennono verso la porta di san Friano per combattere
-nella forma che fatto aveano a quella di
-san Gallo. I nostri che ne’ giorni passati s’erano
-assaggiati con loro, e trovato aveano ch’erano
-uomini e non leoni, aveano armato il casamento
-delle monache da Verzaia, e quivi fatte le sbarre
-ricevettono francamente il baldanzoso assalto,
-rispondendo loro co’ ferri in mano in modo e
-forma che li ributtarono indietro con molti fediti
-e alcuni morti, il perchè niente avanzando
-se non danno e vergogna si ritrassono al campo:
-bene arsono allora sopra il ciglio della città Bellosguardo
-e molte altre belle e ricche possessioni
-e palagi, e soprastati per alquanti giorni, per
-dare agio ai fediti loro i quali passavano il numero
-di duemila, veggendo che i Fiorentini
-s’ausavano all’arme, e andavano a riguardo, sicchè
-poco con loro poteano avanzare, e che le
-brigate che uscivano di notte sì de’ cittadini come
-de’ contadini, che erano trafitti e aveano bisogno
-di ristorarsi, stando essi sparti baldanzosi,
-e per dispetto quasi senza guardia veruna, e di
-prigioni e di cavalli e d’uccisioni li danneggiavano
-forte, si partirono. Il lor viaggio fu sopra
-san Miniato a monte, e sopra l’Ancisa passando
-per lo Valdarno, e loro albergheria fu al Tartagliese,
-e il seguente dì feciono vista di combattere
-la Terranuova, dove trovato la risposta, con
-alquanti di loro morti e magagnati si partirono,
-e così mollemente tentarono dell’altre terre del
-Valdarno, il perchè aperto s’intese che per
-<span class="pagenum" id="Page_278">[278]</span>
-quella via gli avea volti il danaio: che usciti del
-contado di Firenze in su quello d’Arezzo, e trovandolo
-sgombro, passarono su quello di Cortona,
-e quindi in su quello di Siena facendo danno
-assai d’arsioni prigioni e prede, infine voltisi per
-la Valdelsa e per la Valdinievole si fermarono
-in su quello di Pisa a san Piero in campo. Quivi
-vollono vedere la rassegna delle loro brigate, dal
-tempo ch’entrati erano in sul Fiorentino, e trovarono
-che più di seicento buoni uomini d’arme
-aveano perduti, e oltre a duemila n’erano fediti,
-de’ quali assai poscia perirono.
-</p>
-
-<h3 id="capXC-11">CAP. XC.
-<span class="smaller"><i>Come il conte Arrigo di Monforte capitano
-de’ Fiorentini prese e arse Livorno.</i></span></h3>
-
-<p>
-Nel paesare e nel raggiramento che messer
-Anichino di Bongardo faceano in su quello d’Arezzo
-insieme con gl’Inghilesi, come abbiamo
-detto, il conte Arrigo di Monforte capitano de’
-Fiorentini, e con lui il conte Giovanni e il conte
-Ridolfo colle brigate loro de’ Tedeschi, ch’erano
-con quelli del conte Arrigo millecinquecento
-barbute, e con l’altra gente di cavallo de’ Fiorentini
-ch’erano per le castella alle frontiere,
-la quale fè adunare in san Miniato del Tedesco,
-e con cinquecento balestrieri scelti, e più con assai
-Fiorentini a cavallo e a piè che di volontà
-l’aveano voluto seguire, e col consiglio di messer
-Manno Donati, e di certi degli altri provvisionati,
-de’ quali di sopra facemmo menzione, fatto
-<span class="pagenum" id="Page_279">[279]</span>
-fornimento da vivere per quindici giorni,
-venerdì mattina a dì 21 di Maggio 1364 si
-partì di san Miniato del Tedesco, e la sera prese
-albergo su l’Era vicino al castello di Gello, e
-il sabato mattina passando vicino di Pisa, e facendo
-quel danno che fare si potea s’accampò
-a san Piero in Grado. E in quel giorno vennono
-a Pisa di Lombardia millequattrocento uomini
-di cavallo sotto nome di compagnia, i quali veniano
-per pigliare inviamento di loro mestiere in
-Toscana. I Pisani vedendosi improvviso giugnere
-questa ventura loro donarono duemila fiorini
-d’oro, ed elli coll’altra gente loro che rimasa
-era in Pisa, come soperchio a’ Tedeschi e Inghilesi
-che cavalcati erano in sul Fiorentino, e con
-parte del popolo andassono a combattere co’ Fiorentini
-ch’erano accampati a san Piero in Grado,
-e così promisono di fare, e preso rinfrescamento,
-con la gente e col popolo uscirono di Pisa
-schierati, e a pian passo contro i nemici. Il conte
-di Monforte sollecitato era molto da messer
-Manno che passasse il ponte allo Stagno contro
-Livorno, ed egli dubitando forte stava sospeso,
-e per conforto che fatto gli fosse non si attentava
-a passare quello lagume, e non sapere dove, se
-non quando vidde il gran polverio della gente
-ch’usciva di Pisa, quindi mosse passo, e di presente
-messer Manno chiamò Filippone di Giachinotto
-Tanaglia, che quivi appresso di lui era, e
-prese due scuri in mano tagliarono due pali in su
-che si posava il ponte, e lo feciono nello stagno
-cadere, e a pena aveano fornito il servigio che i
-Pisani sopraggiunsono e per acqua e per terra.
-<span class="pagenum" id="Page_280">[280]</span>
-Messer Manno conoscea tutti i soldati che praticavano
-in Lombardia, e pertanto domandò di
-volere parlare con alcuno di loro caporali, e tantosto
-vennono parecchi, e con lieta accoglienza
-lo viddono, rallegrandosi ch’aveano cessato materia
-di zuffa, e a lui dissono, che aveano ricevuto
-duemila fiorini d’oro perchè commettessono
-battaglia con loro, e che credeano che i Pisani
-attenderebbono a loro persecuzione, ma che essi
-per suo amore lentamente procederebbono, e da
-lui preso congio, a passi scarsi si tornarono verso
-Pisa. E in ciò cadde perdimento di tempo a’ Pisani,
-utile e necessario alla gente de’ Fiorentini,
-come può qualunque intendente udendo il fatto
-comprendere, perocchè deliberarono i Pisani
-che la detta gente cavalcasse a Montescudaio, e
-togliesse il passo a’ Fiorentini, e se ciò fosse per
-mala fortuna avvenuto, senza dubbio tutta la
-gente ch’era in quella cavalcata era perduta. La
-detta gente la sera soprastette in Pisa, e la mattina
-seguente persono tempo tra nell’armarsi e
-mettersi in ordine. I Fiorentini in quel giorno
-che passarono il ponte allo Stagno presono Porto
-pisano e Livorno, e trovaronlo sgombro, perocchè
-quelli che dentro v’erano diffidandosi di poterlo
-tenere da tanto sforzo, prestamente si diedono
-allo sgombrare fuggendo loro famiglie e
-cose, e così le mercatanzie in mare in su le navi,
-che solo una balla di panni e una ricca cortina
-nel fondaco trovato non fu, or non di manco
-messo in preda quello che trovato vi fu, il conte
-fece ardere la terra. Messer Manno udito il generale
-avviso della gente dell’arme che s’era
-<span class="pagenum" id="Page_281">[281]</span>
-data a servire a’ Pisani, come uomo avvisato e
-pratico de’ casi che sogliono ne’ fatti dell’arme
-avvenire, subito gli corse in pensiero, che i Pisani
-non rivolgessono quella gente in Maremma a tor
-loro il passo di Montescudaio, e cominciò forte a
-dubitare, e avvisonne il capitano, e vennono
-presto a’ rimedi, perocchè messasi innanzi la
-gente da piè, perchè del camminare avessono più
-agio, e rinfrescato alquanto i loro cavalli, alle
-tre ore di notte presono viaggio, e dirizzaronsi
-verso Montescudaio per vie montuose e aspre e
-malagevoli, e tutta quella notte senza arresto cavalcarono,
-e il seguente dì con dare poco d’agio
-alle bestie e a loro misono in cavalcare come
-fossono in fuga, e alle tre ore di notte uscirono del
-passo di Montescudaio, e ridussonsi in su quello
-di Volterra in luogo sicuro, trovandosi avere camminato
-in ventiquattro ore miglia trentotto di
-pessima via. E in quella medesima notte circa
-alle sette ore la gente de’ Pisani giunse a Montescudaio
-per torre il passo, e trovando che i Fiorentini
-erano passati, dello scorno che loro parea
-avere ricevuto presono cordoglio. Emmi stato
-piacere particolarmente narrare questa particella
-di storia per dimostrare quello che può e fa la
-fortuna nelle maledette confusioni delle guerre.
-Ben furono di quelli che vollono dire, che la cavalcata
-era stata di coscienza de’ Pisani, perchè
-pace si potesse cercare, e se vero fu, alla Pisanesca
-bel tratto faceano, avendo il caso fortuito loro
-prestato la gente dell’arme, colla quale stimarono
-poterlo fare, e assai presso vi furono.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_282">[282]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capXCI-11">CAP. XCI.
-<span class="smaller"><i>Come il corpo del re Giovanni di Francia fu
-trasportato di Londra a Parigi, e come
-onorato.</i></span></h3>
-
-<p>
-Per tramezzare alquanto la continuanza delle
-scritture nella guerra tra’ Fiorentini e’ Pisani ne
-occorre di scrivere, che ’l dì primo di maggio il
-corpo del re Giovanni di Francia di Londra ne
-fu portato a santo Antonio presso a Parigi la sera,
-e quivi per onorarlo e farne l’esequie reale stette
-quattro giorni, e a dì 5 detto mese ne fu portato
-a nostra Donna di Parigi accompagnato da tutte
-le processioni delle chiese e regole di Parigi, e da
-tre suoi figliuoli, ciò furono, Carlo primogenito
-delfino di Vienna e duca di Normandia, Luigi duca
-d’Angiò, Filippo duca di Torenna lo più giovane
-di tutti, e fuvvi lo re di Cipri, Giovanni duca
-di Berrì era in Inghilterra: e portarono il corpo del
-detto re quelli di parlamento secondo loro uso; e
-ciò è di ragione, perchè elli rappresentano la giustizia
-in luogo del re: e a dì 6 si disse la messa, e
-subito il corpo ne fu portato a santo Dionigi, seguendo
-appresso d’esso i suoi tre figliuoli Carlo
-Luigi e Filippo, e il re di Cipro, e sopra i franchi
-della villa, poi montati a cavallo infino a santo
-Dionigi, e a dì 7 si fè l’esequio a santo Dionigi.
-E seppellito il detto corpo con grande onore,
-tantosto appresso Carlo suo primogenito se n’andò
-in un pratello, e appoggiato ad un fico ricevette
-più omaggi da’ peri di Francia e da’ grandi
-<span class="pagenum" id="Page_283">[283]</span>
-baroni, e a dì 9 si partì per andare a Rems a prendere
-la corona.
-</p>
-
-<h3 id="capXCII-11">CAP. XCII.
-<span class="smaller"><i>Come messer Beltramo de Cloachin sconfisse
-il luogotenente del re di Navarra
-in Normandia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Nel detto anno a dì 16 dì Maggio, messer Beltramo
-de Cloachin si combattè davanti Choncel
-presso alla Croce di san Leffon contra al Captal
-del Comuff luogotenente del re di Navarra in
-Normandia, e fu il detto Captal sconfitto e preso,
-e la maggior parte di sua gente morta e presa; e
-per avere il detto Captal lo re di Francia diede
-al detto messer Beltramo tutta la Longavilla e
-la Giusfort ch’erano state del re di Navarra. E
-lo re di Francia ec.
-</p>
-
-<p>
-<i>Qui manca il fine di questo capitolo con tre
-altri capitoli delle rubriche che erano così intitolati.</i>
-</p>
-
-<h3 id="capXCIII-11">CAP. XCIII.
-<span class="smaller"><i>Come Carlo primogenito del re di Francia
-fu consegrato a Rems a re di Francia.</i></span></h3>
-
-<h3 id="capXCIV-11">CAP. XCIV.
-<span class="smaller"><i>Come si combatterono messer Carlo di Bos
-duca di Brettagna, e messer Gianni
-di Monforte.</i></span></h3>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_284">[284]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capXCV-11">CAP. XCV.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini con la forza del danaio
-ruppono la compagnia de’ Tedeschi e Inghilesi,
-e levaronla da provvisione
-de’ Pisani.</i></span></h3>
-
-<p>
-<i>Per supplire in parte a ciò che manca in
-questo luogo nel codice Ricci, ecco ciò che ne
-fornisce l’Epitome dell’Istorie dei tre Villani
-di Domenico Boninsegni, che poco addietro ho
-citato.</i>
-</p>
-
-<p>
-«Essendo le genti de’ Pisani a san Piero in
-campo, e i Fiorentini vedendosi mancare la
-speranza della Compagnia della Stella, per operazione
-di messer Galeazzo, e della gente della
-Magna, cercarono accordo con gl’Inghilesi e’ Tedeschi
-ch’erano presso alla fine di loro condotta,
-e i Pisani cercavano di riconducerli, pure
-vinsero l’opere de’ Fiorentini, che già segretamente
-avevano dato ad Anichino novemila fiorini
-quando erano in sul contado di Firenze,
-e alla sua brigata ne donarono trentacinque
-migliaia, e agl’Inghilesi settantamila, e tutti
-si partirono dal servigio de’ Pisani, eccetto Giovanni
-Aguto con milledugento Inghilesi: e anche
-in segreto feciono patto con messer Ugo della
-Zucca e altri Inghilesi. I patti con queste
-compagnie in sostanza furono, che per cinque
-mesi non sarebbono contro il nostro comune,
-o suoi sudditi o accomandati in alcun modo;
-anzi tutti n’andarono in su quello di Siena a
-<span class="pagenum" id="Page_285">[285]</span>
-predare e ardere, per merito di quello feciono
-alla Compagnia del cappelletto soldati nostri.»
-</p>
-
-<h3 id="capXCVI-11">CAP. XCVI.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini presono in capitano
-di guerra messer Galeotto Malatesti.</i></span></h3>
-
-<p>
-«Fatto l’accordo che di sopra è detto, parve
-a’ governatori di Firenze necessario d’avere un
-capitano italiano, e procacciando messer Galeotto
-Malatesti, secondo si disse, per cancellare
-la disgrazia con la quale s’era partito il suo
-nipote, infine l’ottenne, e fu eletto nostro capitano,
-con assai ammirazione di molti agli
-scherni ricevuti dal nipote, e venne in Firenze
-a dì 17 di luglio a ore ventuna per i consigli
-d’astrolagi. E innanzi che scendesse da cavallo
-appiè della porta del palagio de’ priori con le
-usate solennità prese il bastone e l’insegne, e
-lui diè quella de’ feditori al conte Arrigo di
-Monforte, e fecelo vece capitano; la reale diè
-a messer Andrea de’ Bardi, e altre ad altri cittadini,
-e senza arresto uscì di Firenze, e posate
-l’insegne in Verzaia tornò in Firenze, e per
-intendersi co’ signori e altri uficiali dell’informazione
-della guerra, e soprastette alcuni
-dì, perchè voleva piena balìa di potere dare
-a sua volontà a’ soldati paga doppia e mese
-compiuto.» Alla fine essendo fuori le insegne,
-ed egli stando pertinace, per lo meno male
-e meno vergogna di comune la sua domanda fu
-messa a esecuzione, la quale i sottili venditori
-<span class="pagenum" id="Page_286">[286]</span>
-non ebbono per meno che domandare giurisdizione
-di sangue. Avuto suo intendimento, mosse a
-dì 23 del mese di giugno, accompagnato infra gli
-altri da trecento cittadini ben montati e riccamente
-armati, i quali spontaneamente vi cavalcavano
-per vendicare l’ingiurie de’ Pisani novellamente
-fatte al loro comune.
-</p>
-
-<h3 id="capXCVII-11">CAP. XCVII.
-<span class="smaller"><i>Battaglia tra’ Fiorentini e’ Pisani fatta nel
-borgo di Cascina, nella quale i Fiorentini
-furono vincitori.</i></span></h3>
-
-<p>
-Domenica, a dì 29 di luglio anni 1364, rivolto
-l’anno che nel medesimo giorno i Pisani
-aveano corso il palio al ponte a Rifredi, fatti cavalieri,
-battuta moneta, impiccati asini, e fatte
-molte altre derisioni e scherne a’ Fiorentini, messer
-Galeotto Malatesti capitano de’ Fiorentini,
-movendo la notte dinanzi campo da Peccioli,
-la mattina s’accampò ne’ borghi di Cascina presso
-di Pisa a sei grosse miglia, ma di via piana e
-spedita, e infra il giorno per lo smisurato caldo le
-tre parti e più dell’oste, che erano oltre di quattromila
-uomini di cavallo che di soldo, che d’amistà,
-e che de’ Fiorentini, che per onorare loro
-patria di volontà erano cavalcati, e di undicimila
-pedoni, s’era disarmata, e quale si bagnava in
-Arno, quale si sciorinava al meriggio, e chi disarmandosi
-in altro modo prendea rinfrescamento.
-E il capitano, sì perchè molto era attempato,
-sì perchè del tutto ancora libero non era della
-<span class="pagenum" id="Page_287">[287]</span>
-terzana, se n’era ito nel letto a riposare senza
-avere considerazione quanto fosse vicino all’astuta
-volpe, e al volpone vecchio Giovanni dell’Aguto,
-e tutto che al campo fossono fatti serragli,
-deboli erano, e cura sufficiente non era data a
-chi li guardasse; il perchè avvenne, che il valente
-cavaliere messer Manno Donati, come colui a cui
-toccava la faccenda nell’onore, andando provveggendo
-il campo e i modi che la gente dell’arme
-tenea, conosciuto il gran pericolo in che il campo
-stava, e temendo che nel fatto non giocasse
-malizia, e dove no, quello che ragionevolmente
-secondo uso e costume di guerra ne dovea e potea
-avvenire, e tantosto n’avvenne, mosso da fervente
-zelo incominciò a destare il campo, e dire, noi
-siamo perduti, e con queste parole se n’andò al
-capitano, e lo mosse a commettere in messer Bonifazio
-Lupo e in altri tre e in lui la cura del
-campo; ciò fatto messer Manno di subito corse
-al più pericoloso luogo, e donde l’offesa più grave
-e più pronta potea venire, cioè alla bocca della
-strada che si dirizzava a san Savino e quindi
-a Pisa, e il serraglio il quale era debole fece
-fortificare, e alloggiovvi alla guardia i fanti aretini
-con alquanti pregiati Fiorentini, e con loro i
-fanti de’ Conti di Casentino; e perchè nel capo
-li bolliva per diversi e ragionevoli rispetti quello
-che di presente ne seguì, aggiunse alla guardia
-messer Riccieri Grimaldi con quattrocento balestrieri
-genovesi. I Pisani avendo per loro spie
-e dai luoghi vicini al campo, e massimamente da
-san Savino, dello sciolto e traccurato reggimento
-del campo, ma non della provvisione fatta per
-<span class="pagenum" id="Page_288">[288]</span>
-messer Manno, perchè al fatto fu troppo vicino,
-conferito con Giovanni dell’Aguto sopra la materia,
-infine in lui commisono il tutto dell’impresa,
-e il popolo animoso e voglioso a furore presa
-l’arme nelle braccia sue si pose con lieta speranza
-di vittoria, quasi siccome non dovesse potere
-perdere. Giovanni Aguto preso il carico senza perdere
-punto di tempo diede ordine a quanto fu di
-mestiere, e uscì col popolo di Pisa, e fè capo a
-san Savino, e come mastro di guerra fè il campo
-de’ Fiorentini per tre riprese assalire da gente
-che prima era fuggita che giunta, affinchè i nemici
-attediati non conoscessono il vero assalto
-quando venisse, e venneli fatto, che ’l campo fu
-tre volte mosso ad arme dal campanaro indarno,
-e il capitano turbato di suo riposo fè comandare
-al campanaro alla pena del piè, che che che si
-vedesse non sonasse senza licenza sua. Appresso
-il detto Giovanni aspettò la volta del sole,
-perchè i raggi fedissono nel volto de’ nemici, e
-a’ suoi nelle spalle. Ancora per la pratica ch’avea
-del paese conobbe, che a tale ora surgea un’aura
-che la polvere venia a portare negli occhi de’ nemici.
-Solo in uno per gl’intendenti giudicato fu
-che egli errasse, che non misurando le miglia
-da san Savino a Cascina, che sono quattro di
-polveroso e rincrescevole piano, nè avendo rispetto
-alla fiamma del sole che divampava il
-mondo, nè al grave peso dell’arme, fidandosi
-nella gioventù e prodezza de’ suoi Inghilesi nati
-e cresciuti nelle guerre di Francia, a’ quali per
-animarli e soperchiare ogni fatica e ogni paura
-avea messo che nel campo erano quattrocento
-<span class="pagenum" id="Page_289">[289]</span>
-Fiorentini, tal buono prigione per mille, tale
-per duemila fiorini, e del tutto ignoranti dell’arme,
-esso fè tutta gente scendere a piè, il perchè
-lassi e mezzi stanchi giunsono al campo. Mosselo
-a ciò fare due ragioni, l’una perchè la gente
-a piè più chetamente cavalca, l’altra perchè leva
-meno polverio, immaginando, come avvenne, che
-prima fossono al campo che sentiti, e così prendere
-il campo di furto prima che si potesse ordinare:
-e tutte le dette cose fatte furono per Giovanni
-Aguto, che niente ne sentì messer Galeotto,
-o per difetto di spie, o perchè poco curasse
-ciò che potessono fare i nemici, e questo è più
-da credere. Adunque messi nella prima fronte
-delle schiere quelli aspri e duri Inghilesi cui
-tirava la voglia della preda, tutto l’esercito fè
-muovere quando gli parve, e prima i suoi Inghilesi
-furono vicini alle sbarre che da’ nostri fossono
-sentiti. Il romore e le strida del subito assalto
-a’ nostri furono le spie. I fanti che posti
-erano alla guardia del luogo, i quali per lo giorno
-furono assai più che uomini, francamente
-presono l’arme non curando le spaventevoli strida,
-ma ordinati di subito alla resistenza non si
-lasciarono torre una spanna di terra. E il valente
-messer Riccieri Grimaldi compartiti i suoi balestrieri
-dove necessario gli parve, e allogatine
-gran parte nelle ruine delle case, le quali erano
-di mattoni, e pertugiate e di costa a’ nemici, confortandoli
-a ben fare, e sollecitandoli dolcemente
-e qui e quivi a rinterzare colla forza de’ verrettoni
-rintuzzò la fiera rabbia de’ baldanzosi nemici.
-Mentre che la battaglia era e quinci e
-<span class="pagenum" id="Page_290">[290]</span>
-quindi animosamente attizzata alle sbarre, il vero
-grido del fatto come era senza suono di campana
-o altro sollecitamento di capitano corse
-per lo campo e lo strinse ad armare, e il primo
-che giunse al soccorso alle sbarre, come quelli
-che temendo sempre stava in punto, fu messer
-Manno Donati, il quale veggendo quivi soprabbondare
-gente da cavallo, per non stare indarno
-uscì con tutta sua brigata del campo, e percosse
-i nemici ne’ fianchi, conturbando gli ordini loro,
-e facendo loro danno assai; e in poca d’ora vennono
-alle sbarre il conte Arrigo di Monforte colla
-insegna de’ feditori, e con lui il conte Giovanni
-e il conte Ridolfo chiamato dal volgo il conte
-Menno, e costui come giunse alle sbarre le fè
-gettare in terra, e si avventò sopra i nemici facendo
-colla spada cose da tacerle, perchè hanno
-faccia di menzogna. Per simile il conte Arrigo
-co’ suoi Tedeschi sollecitando i cavalli colli sproni
-senza averne riguardo contro a’ nemici gli ruppono,
-passando tutte loro schiere infino alle carra
-che da Pisa recavano e veniano con vino per rinfrescare
-loro brigata. Il sagace messer Giovanni
-dell’Aguto, il quale era nell’ultima schiera co’ suoi
-caporali e altri pregiati Inghilesi, avendo compreso
-che la testa delle sue schiere non era di
-fatto entrata nel campo come si credette, e che
-la resistenza era dura, si giudicò vinto, e senza
-aspettare colpo di spada di buon passo co’ detti
-caporali si ricolse a san Savino, dove aveano lasciati
-i loro cavalli, lasciando nelle peste il popolo
-de’ Pisani faticato, e poco uso e accorto negli
-atti dell’arme. I Genovesi Aretini e’ fanti dell’Alpe
-<span class="pagenum" id="Page_291">[291]</span>
-come vidono rotte le schiere de’ Pisani, e
-mettersi in fuga, seguitando la caccia ne presono
-assai. Essendo adunque per gli Aretini Fiorentini
-e’ fanti del Casentino alle sbarre ben sostenuta
-la puntaglia de’ nemici, e mezza vinta loro pugna,
-per i balestrieri genovesi e per i Tedeschi
-in poco tempo recati a fine, il capitano fè muovere
-l’insegna reale, la quale per spazio d’un miglio
-o poco più si dilungò dal campo, sotto il
-cui riguardo assai d’ogni maniera si misono a perseguitare
-i nemici, e trovandoli sparti in qua
-e in là, lassi e spaventati, ne presono assai.
-Stando la cosa in estrema confusione per i Pisani,
-per alcuni valenti e pratichi d’arme, parendo
-loro conoscere il vantaggio, consigliato fu messer
-Galeotto che seguitasse la buona fortuna, la quale
-li promettea la città di Pisa: rispose, che non
-intendea il giuoco vinto mettere a partito, e più
-fè, che tantosto fè sonare alla ricolta, sotto il dire
-che temea degli aguati de’ sottrattori e sagaci
-nemici; onde molti che sarebbono stati presi
-ebbono la via libera a fuggirsi, e massimamente
-gl’Inghilesi ch’erano fediti e rifuggiti in san Savino,
-nè osavano sferrarsi de’ verrettoni che giunti
-in Pisa, dov’ebbono solenni medici, e in pochi
-giorni gran numero ne perì. Tornato il capitano
-al campo, e cercato il luogo dove fu la battaglia,
-assai vi si trovarono morti, ma molti più il
-seguente dì per le fosse e per le vigne, quale
-per stracco, quale di ferite, e molti colla sete in
-Arno mettendovisi dentro vi annegarono. Stimossi
-che i morti per detta cagione passassono i mille:
-i presi furono vicini a duemila, de’ quali tutti
-<span class="pagenum" id="Page_292">[292]</span>
-i forestieri furono lasciati, e i Pisani presi da
-quelli ch’erano venuti al servigio del comune si
-furono loro. Tutta gente di soldo fu per messer
-Galeotto in segreto istigata e sollecitata a domandare
-a lui paga doppia e mese compiuto, ed egli
-per la balìa presa dal comune la promesse loro,
-che montò a dannaggio del comune circa a centosettantamila
-fiorini e più, perchè presa la speranza
-della detta promessa gran quantità di ricchi
-e buoni prigioni i soldati trabaldarono, e feciono
-con poca di cortesia riscuotere. Forte e molto diè
-che pensare a quelli savi e valenti cittadini, che
-in que’ giorni si trovarono nel numero de’ reggenti,
-messer Galeotto, il più famoso uomo allora
-d’Italia in cose militari e in podere d’arme,
-meritasse d’essere in tal forma assalito nel campo
-da uomo non meno famoso nè meno saggio
-in simili atti di lui, e che esso fosse l’autore,
-che i soldati per difendere il campo contro buono
-uso di gente d’arme pertinacemente volessono
-eziandio e con minacce e atti disonesti paga
-doppia e mese compiuto, le quali cose diligentemente
-ponderate furono cagione d’affrettare il
-trattato della pace, dando di ciò pensiere ad alquanti
-discreti e intendenti cittadini. Ma noi
-tornando al processo della guerra, il dì seguente,
-che fu l’ultimo di luglio, messer Galeotto, con
-tutto l’esercito e con i prigioni, girandosi pure
-vicino a Pisa per tornarsene a san Miniato del
-Tedesco assai bene in ordine e colle schiere fatte,
-in quello cavalcare fè cavaliere Lotto di Vanni
-da Castello Altafronte, giovane di gentile aspetto,
-e degli accomandati al comune di Firenze,
-<span class="pagenum" id="Page_293">[293]</span>
-Piero de’ Ciaccioni di san Miniato, e Bostolino
-de’ Bostoli d’Arezzo.
-</p>
-
-<h3 id="capXCVIII-11">CAP. XCVIII.
-<span class="smaller"><i>Come furono assegnati i prigioni al comune da’
-soldati, ed entrarono in Firenze
-in sulle carra.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo condotti i prigioni pisani in Monticelli
-fuori della porta a san Frediano di Firenze,
-alquanta di resistenza in parole feciono i soldati
-di non darli se certi non fossono di paga doppia
-e mese compiuto, e conobbesi essere moto altrui
-e a mal fine; il perchè ricevuta speranza d’averla
-da quelli savi cittadini che con loro ne parlarono,
-diedono liberamente i prigioni, i quali ricevuti
-con dispettoso e vile spettacolo, col capitano,
-con l’insegne, e con la gente dell’arme furono
-messi in città, perocchè i popolani di basso stato
-con alquanti d’un poco meno che mezzano furono
-allogati in sulle carra, e furono quarantaquattro
-carrate; a’ nobili e gente da bene fu conceduto
-il venire a cavallo. E innanzi che questa
-pompa entrasse nella città, tutte le campane del
-comune cominciarono a sonare alla distesa acciocchè
-tutto il popolo traesse a vedere, e dinanzi alle
-carra tutti gli stromenti e suoni del comune,
-e così quelli della parte guelfa, vista certamente
-esemplare di diversa e varia fortuna, verificante
-quello disse David, che disse: Vario è l’avvenimento
-della guerra, e quinci e quindi consuma
-il coltello. I prigioni furono allogati nelle prigioni
-<span class="pagenum" id="Page_294">[294]</span>
-del comune il più abilmente che si potè, e
-dalle buone e pietose donne fiorentine a gara
-furono abbondantemente provveduti di tutto ciò
-che loro bisognava.
-</p>
-
-<h3 id="capXCIX-11">CAP. XCIX.
-<span class="smaller"><i>Come la parte guelfa di Firenze prese a far
-festa di san Vittore, e perchè.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questa vittoria universale che s’ebbe del
-popolo di Pisa, la quale non pensata nè cercata
-fu, ma piuttosto recata, perchè singulare, e fu
-nel giorno che la santa Chiesa fa festa di san Vittore
-papa e martire glorioso, la parte guelfa di
-Firenze ad eterna memoria di tanto fatto prese
-di fare festa in Firenze ogni anno di san Vittore
-divotamente, come a patrone de’ guelfi, a similitudine
-come san Barnaba: e feciono in santa
-Reparata fare una cappella in reverenza del detto
-santo, con intenzione di migliorarla, perchè venendo
-la chiesa a sua perfezione stare non può
-quivi dov’è, e ogni anno vi fanno solennemente
-celebrare la sua festa con bella offerta della parte,
-e poi nel giorno fanno correre un ricco palio
-di drappo a figure foderato di drappo vergato: e
-vollono e tennono che l’arti guardassono il giorno,
-e così l’altro popolo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_295">[295]</span>
-</p>
-
-<h3 id="capC-11">CAP. C.
-<span class="smaller"><i>Come la gente dell’arme del comune di Firenze
-prese tira di non cavalcare,
-e quello ne seguì.</i></span></h3>
-
-<p>
-Fatta la festa de’ prigioni, per contentamento
-del popolo, che non si potea vedere sazio di vendetta
-dell’ingiuria in ultimo fatta per i Pisani
-con la forza d’Anichino di Bongardo e degl’Inghilesi,
-tutta la gente del comune col capitano
-uscì fuori per cavalcare in su quello di Lucca,
-ma imbizzarrita sopra volere paga doppia e mese
-compiuto, come da altrui erano nel segreto inzigati,
-si fermò fra Montetopoli e Marti, e quivi
-stettono infino a dì 18 d’agosto assai in atti e in
-parole turbata contro al nostro comune: in fine
-vinta la gara e conseguito loro intento per meno
-male, cavalcarono i nemici afflitti e tribolati oltre
-a modo, e a dì 28 del mese messer Galeotto
-fermò l’oste a san Piero in campo. Bene avvenne
-infra il tempo, che essendo condotti gl’Inghilesi
-dal comune di Firenze, andarono per ubbidire il
-capitano, e puosono di per sè campo, e, o che i
-Tedeschi sollevati da sagace ingegno per vedere
-peggio, o pur perchè la gloria dell’arme non potessono
-patire di vedere gl’Inghilesi, il seguente
-dì vennono a riotta con loro, e ordinati e provveduti
-gli assalirono al campo di ciò niente pensati.
-La zuffa fu aspra e pericolosa assai, e quinci
-e quindi ne morirono, e molti ne furono magagnati.
-Gl’Inghilesi loro campo francamente difesono,
-<span class="pagenum" id="Page_296">[296]</span>
-tutto che predati e soperchiati fossono da’
-Tedeschi, come sprovveduti: e quel giorno il
-capitano con gli altri caporali del campo loro feciono
-fare triegua per tre dì, e il seguente dì poi
-per quindici. E in quello inviluppamento il capitano
-con tutta la gente dell’arme, eccetto gl’Inghilesi
-che si rimasono al campo loro, cavalcarono
-in su quello di Lucca, e feciono campo nel
-borgo di Moriano, facendo danni e prede assai.
-I Fiorentini per dilungare gl’Inghilesi da’ Tedeschi
-glie ne mandarono nel Valdarno di sopra.
-In queste tenebre e confusioni i governatori del
-comune di Firenze per fuggire la grande e incomportabile
-spesa dell’arme, e’ loro dangieri e pericoli,
-come fu tocco in parte di sopra, e ne’ segreti
-e pubblici consigli determinarono che a pace
-si venisse, e cura ne dierono a dieci buoni e discreti
-cittadini; e infra il tempo l’ambasciadore
-del santo padre col favore degli ambasciadori de’
-comuni di Toscana duplicando essa sollecitudine,
-perchè vedeano le cose de’ Pisani per ire in fascio,
-e in mala parte e tosto, tanto sollecitarono,
-che i Pisani mandarono loro solenni ambasciadori
-alla terra di Pescia con mandato pieno a
-conchiudere la pace. Il comune di Firenze appresso
-vi mandò messer Amerigo Cavalcanti,
-messer Pazzino degli Strozzi, messer Filippo Corsini,
-messer Luigi Gianfigliazzi, e Gucciozzo de’
-Ricci per simil modo col mandato larghissimo,
-nè però tanto, che li quinci e li quindi disposti
-alla pace tanto seppono e poterono onestamente
-avacciare, che Giovanni dell’Agnello, tutto
-sollevato e disposto dal consiglio e caldo di messer
-<span class="pagenum" id="Page_297">[297]</span>
-Bernabò a farsi signore di Pisa, più non avacciasse
-a farsi signore, prevenendo la pace la quale
-gli tagliava ogni suo pensiero e rendevalo vano.
-</p>
-
-<h3 id="capCI-11">CAP. CI.
-<span class="smaller"><i>Come Giovanni dell’Agnello si fece signore
-di Pisa sotto titolo di doge.</i></span></h3>
-
-<p>
-Giovanni dell’Agnello cittadino di Pisa di gesta
-popolare, per antichità di sangue non chiaro
-e per ordine mercatante, piuttosto scaltrito e
-astuto che saggio, presuntuoso a maraviglia e vago
-di cose nuove, e sopra tutto sollecito, questi
-era in questi giorni tornato da messer Bernabò
-dove ito era per ambasciadore del suo comune,
-e col tiranno avea tenuto trattato che i Pisani
-fossono suoi accomandati, ed egli gli atasse con
-darli delle terre loro, e per detta cagione da lui
-ebbe in prestanza trentamila fiorini. Di questo
-trattato nacque il baldanzoso parlare e pensiero
-di Giovanni dell’Agnello di farsi signore di Pisa,
-immaginando che venendo Pisa e le membra
-sue a tiranno, i Fiorentini fossono più contenti
-di lui che di messer Bernabò. Essendo adunque
-Pisa sospesa, in tremore e spavento, e più volte
-abbandonati dalla speranza della pace, feciono un
-gran consiglio di più gravi e notabili cittadini
-della terra, nel quale fu messer Piero di messer
-Albizzo da Vico, avanti che andasse per ambasciadore
-di Pisa alla terra di Pescia per conchiudere
-la pace, e il consiglio fu di provvedere a loro
-stato: e intra gli altri vi fu il detto Giovanni
-<span class="pagenum" id="Page_298">[298]</span>
-dell’Agnello, il quale era reputato buono mercatante
-e fedele cittadino; costui levato in consiglio
-osò dire, che necessario li parea che si venisse a
-signore per un anno, dirizzando il suo parere che
-quel fosse messer Piero di messer Albizzo da Vico
-dottore di legge, il quale con ogni istanza che
-seppe quel carico rifiutò, e fulli cagione di affrettare
-sua gita a Pescia ad accozzarsi con gli ambasciadori
-fiorentini. Veggendo Giovanni contradire
-a messer Piero, come stimò, si rimise a
-consigliare che pure convenia a uno degli altri
-pigliare quella sollecitudine, cura e gravezza: e
-allora ser Vanni Botticella, anticamente per genia
-di beccaio, s’offerse di prendere quel carico.
-Giovanni dell’Agnello disse, che buono e sufficiente
-era, ma che gli bisognava d’avere trentamila
-fiorini al presente per pagare la gente dell’arme:
-a questo rispose ser Vanni non si sentire
-sofficiente, e per quel giorno rimasono, che
-ogni uno si pensasse d’uno che a ciò fosse sofficiente,
-e altra volta tornasse il consiglio. Di
-questo strano ragionamento e spaventevole consiglio
-surse, che uno de’ seguenti dì in sul fare
-della sera molti buoni e cari cittadini, avendo
-presa sospezione e gelosia del dire del detto Giovanni
-così affettatamente in consiglio e con fronte
-pertinace, e perchè nel mormorio del popolo
-voce correa che esso facea ragunata di fanti,
-s’andarono ad armare, e armati insieme se n’andarono
-al palagio degli anziani, e questo tantosto
-venne a notizia di Giovanni dell’Agnello,
-che continovo stava in sentore, ed egli pensando
-che farebbono quello che feciono, sagacemente e
-<span class="pagenum" id="Page_299">[299]</span>
-prestamente si mise a’ ripari, e i fanti che egli
-avea stribuì per le case di certi suoi fidati e singolarissimi
-amici, e alla moglie e alla famiglia di
-casa ordinò tutto ciò che dovessono fare, ed egli
-con l’arme celata ond’era vestito con una fonda
-cappellina in capo se n’andò nel letto, e la moglie
-fece ire allato appresso di lui. Come fu venuta
-la notte, i cittadini con la volontà degli anziani
-e con la famiglia loro se n’andarono a casa
-Giovanni dell’Agnello, e come ordinato era per
-lui, di presente fu aperta la porta, ed essi di subito
-presono viaggio alla camera d’esso Giovanni,
-e l’udirono russare e sembrare veramente
-dormire, come uomo che gran bisogno n’avesse.
-La donna, come ammaestrata era, con tutto il
-petto nudo si levò in sul letto a sedere, dicendo
-a’ cittadini che bisogno avea di posare, ma se
-voleano lo svegliasse che lo farebbe; i cittadini
-preso vergogna della veduta della donna, e fede
-della libera dimostrazione della camera e
-della casa, togliendo il parlare della donna, per
-semplice, si partirono della camera e della casa,
-e si tornarono agli anziani, e riferirono loro tutto
-ciò che aveano trovato, onde posto giù il sospetto,
-ciascuno si tornò a casa sua, e posta giù
-l’arme diede suo pensiere a dormire. Giovanni
-dell’Agnello, che con Giovanni dell’Aguto avea
-temperato la cetera, temendo che la dilazione
-del tempo nel quale il fatto si potea palesare
-non li fosse nociva, pieno di sollecitudine, quella
-notte medesima la quale avea assicurati e gli
-anziani e’ cittadini, con Giovanni dell’Aguto e
-con gli amici e’ fanti che avea ragunati se ne
-<span class="pagenum" id="Page_300">[300]</span>
-venne in piazza, e senza niuno romore ebbe l’entrata
-del palagio degli anziani con quella brigata
-che a lui era abbastanza, l’altra lasciò a
-guardia della piazza, ed entrato nel luogo dove
-sedeano gli anziani si mise a sedere nel seggio
-del proposto, e ad uno ad uno fece destare gli anziani,
-e venire dinanzi da sè, e per dire a che fine,
-così dicesse in forma come disse egli, che è semplice
-detto, se non fosse congiunto alla forza di
-Giovanni dell’Aguto, che la Vergine Maria gli
-avea revelato, che per bene e riposo della città
-di Pisa dovesse prendere sotto titolo e nome di
-doge la signoria e ’l governo della città di Pisa
-per un anno, e così avea preso, e avea de’ trentamila
-fiorini contenta la gente dell’arme che
-seco erano in palagio e in piazza, e così si fè confermare
-agli anziani, e sotto lo splendore delle
-spade li fece in sua mano giurare; e senza intervallo
-di tempo e per parte degli anziani mandò
-per quelli cittadini pensò li potessono essere avversi,
-e come ciascuno giugnea li significava come
-e perchè avea presa la signoria, e accomandati
-cortesemente in forma non si sarebbono potuti
-partire all’uno promettea il vicariato di Lucca,
-all’altro di Piombino, e così agli altri secondo
-i gradi loro, o per amore o per paura tutti l’indusse
-a giurare nelle sue mani, e in questo servigio
-consumò tutta la notte. Alla dimane con gli
-anziani, con costoro e con la gente dell’arme
-titolatosi doge, cavalcò per la terra, e a grido di
-popolo fu fatto signore, nè vi fu chi ricevesse un
-buffetto, prese il palagio in possessione, e tutta
-la gente dell’arme fè giurare nelle sue mani. E
-<span class="pagenum" id="Page_301">[301]</span>
-per mostrare che mansuetamente veniva al governo,
-e preso avea il nome e quello che il nome
-importava non come tiranno, quel medesimo
-giorno elesse sedici famiglie di popolari di comune
-stato, e gli si fece a consorti, e prese con
-tutti arme novella d’un leopardo d’oro rampante
-nel campo rosso, con dare a intendere
-che d’anno in anno uno di loro, qual più boce
-avesse, fosse fatto doge: e in fine, seguitando il
-consiglio del conte Guido da Montefeltro a papa
-Bonifazio, le promesse fur larghe e lunghe, ma
-lo attendere stretto e corto, che di cosa che
-promettesse niente osservò, ma pigliando la signoria
-a giornate come tiranno, lasciato il titolo
-del doge, si facea chiamare signore. E se mai fu
-signoria fastidiosa piena di burbanza quella fu
-dessa, e negli ornamenti e nel cavalcare con
-verga d’oro in mano; e quando tornato era al
-palagio si mettea alle finestre a mostrarsi al popolo
-come fanno le reliquie, con drappo a oro
-pendente tenendo le gomita sopra guanciali di
-drappo ad oro, e patìa e volea che come al papa
-o all’imperadore le cose che gli s’avessono a
-esporre innanzi gli si esponessono ginocchione, e
-altre simili cose molto più vane.
-</p>
-
-<h3 id="capCII-11">CAP. CII.
-<span class="smaller"><i>Come si fece pace tra’ Fiorentini e’ Pisani.</i></span></h3>
-
-<p>
-Parendo a messer Piero di messer Albizzo ambasciadore
-de’ Pisani, in cui giacea il tutto della
-pace per la parte loro, che lo stato di Pisa intorno
-<span class="pagenum" id="Page_302">[302]</span>
-alle condizioni di sua libertà vacillasse,
-forte sollecitava la conclusione della pace, e per
-Carlo degli Strozzi, uno dell’uficio de’ signori
-priori di Firenze, a cui per lo volgo ignorante
-del segreto posto era carico di volere che la pace
-si facesse al tempo dell’uficio suo, e per i suoi
-compagni, sentendosi il segreto del trattato che
-Giovanni dell’Agnello tenea con messer Bernabò
-Visconti, il quale in effetto era che i Pisani
-fossono accomandati del tiranno, e ch’egli avesse
-di loro terre, e ch’egli li difendesse, e prendesse
-la guerra contro a’ Fiorentini, ed era già tanto
-innanzi, che avendo messer Bernabò addomandato
-Lucca e Pietrasanta, i Pisani già gli aveano
-consentito Pietrasanta, e per loro disperazione si
-temea non passassono più oltre; per la libertà di
-Toscana in segreto consiglio fu preso, che si venisse
-alla pace per lo migliore modo e più onorevole
-che si potesse, e scritto fu agli ambasciadori
-del comune ch’erano a Pescia, che il più
-tosto che potessono onestamente ne venissono al
-fine. Onde seguì, che a dì 28 del mese d’agosto,
-non sapendo l’una parte dell’altra che ciascuna
-voglia n’avesse, si fermò la pace con pubblichi e
-solenni stromenti, la quale in Firenze si pubblicò
-e bandì il primo dì di settembre, nell’ora ch’entrarono
-i nuovi priori, la quale dall’ignorante popolo
-de’ segreti del comune mal conosciuta forte
-fu biasimata, pensando che Carlo per troppa baldanza
-e della famiglia e dello stato fosse stato
-l’autore. Onde il popolo vittorioso, a cui parea essere
-al di sopra della guerra, incominciò in piazza
-non solamente a mormorare, ma con altere parole
-<span class="pagenum" id="Page_303">[303]</span>
-e atti forte a sparlare contro a Carlo. Onde i
-priori e i vecchi e i novi temettono di commozione,
-e che Carlo nel tornare a casa o alla casa
-in su quel furore non ricevesse villania, e pertanto
-dai loro mazzieri e da’ fanti lo feciono accompagnare,
-e tanto stare loro famiglia con lui che
-l’ira fosse passata. La pace fu onorevole, e da’ savi
-e buoni cittadini assai commendata, e nelle
-parlanze per la città sostenuta per le sue condizioni
-e circostanze laudabili, che furono di questa
-maniera: la prima, perchè fatta fu essendo
-messer Galeotto capitano de’ Fiorentini con loro
-gente sopra il terreno de’ nemici: la seconda, che
-tanto si dichinarono i nemici che la vennono a
-conchiudere nelle terre del comune di Firenze:
-la terza, perchè Pietrabuona, la quale era del
-contado di Pisa, origine in grido e cagione della
-guerra, in premio di vittoria per patto rimase
-al comune di Firenze, confessando per questo
-essere ricreduti e vinti: la quarta, perchè
-Castel del Bosco, e certe altre loro tenute e
-fortezze per patto si vennono a disfare: la quinta,
-perchè confermarono tutte le franchigie che
-il comune di Firenze o suoi mercatanti mai
-avessono avuto in Pisa: la sesta, perchè per
-dieci anni si feciono tributari del comune di Firenze,
-dando ogni anno nella vigilia di san Giovanni
-Battista pubblicamente diecimila fiorini
-d’oro. Gli stromenti della pace in sustanza contennono
-prima la remissione delle offese, e promettere
-di non offendere per l’avvenire, come
-è di costume in somiglianti atti e contratti;
-appresso confermate e di nuovo per patto concesse
-<span class="pagenum" id="Page_304">[304]</span>
-furono tutte le franchigie che avesse per
-l’addietro avute il comune di Firenze o suoi
-mercatanti in Pisa o nelle terre loro. Obbligossi
-il comune di Pisa per ammenda di danni
-a dare ai comune di Firenze centomila fiorini
-d’oro in dieci anni seguenti, diecimila ogni anno
-in Firenze nella vigilia della natività di san Giovanni
-Battista: e più a dare al comune Pietrabuona,
-che era stata cagione della guerra, e tutte
-altre terre del comune di Firenze, o a esso comune
-accomandate, che ’l comune di Pisa o nella
-guerra o innanzi la guerra per eccitarla, o direttamente
-o per indiretto avesse prese, ed e converso
-facesse così il comune di Firenze, e così si fè. Spianare
-Castel del Bosco, e certe altre tenute de’ Pisani,
-che per i patti si disfeciono. La detta pace fu
-confermata in nome di papa Urbano quinto, colle
-solennità della Chiesa e colle pene ecclesiastiche,
-per messer Piero Cini arcivescovo di Ravenna, e
-per frate Marco di Viterbo generale de’ frati minori,
-il quale poco appresso fu fatto cardinale. Il
-popolo di Firenze a giornate conoscendo il frutto
-e il bene della pace riconobbe suo errore, e rimase
-per contento, e il comune dolcemente si levò
-da dosso la spesa di messer Anichino di Bongardo
-e degl’Inghilesi. Messer Anichino co’ suoi
-Tedeschi e con molti mascalzoni che non sapeano
-nè poteano vivere se non di rapina, nel
-mese di novembre in forma di compagnia cavalcò
-in terra di Roma, e presono prima Sabina
-e poi Sutri, e quivi vernarono. La compagnia
-degl’Inghilesi arso e predato in parte il contado
-di Siena se n’andò all’Aquila, e quindi passò
-<span class="pagenum" id="Page_305">[305]</span>
-in Puglia a vernare. E per non avere più a capitolare
-giugnerò a questa gente famosa la morte
-di messer Malatesta il vecchio, il quale lungo
-tempo fece gran segno in Italia di savio guerriere,
-di uomo e d’alto consiglio e pratico in tutte cose,
-il quale passò di questa vita del mese d’agosto
-1364. E gli Aretini presono e disfeciono la Serra.
-</p>
-
-<p class="pad2 center large">
-FINE DELLA CRONICA DI MATTEO<br>
-E FILIPPO VILLANI.
-</p>
-
-<div class="somm">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_307">[307]</span>
-</p>
-
-<h2><a id="indice" href="#indfront">
-TAVOLA</a>
-<span class="smaller">DEI CAPITOLI</span></h2>
-
-<table class="indice">
- <tr>
- <td colspan="2" class="center">LIBRO DECIMO</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i>Qui comincia il decimo libro della Cronica di Matteo Villani; e prima il Prologo</i></td> <td class="pag"><a href="#capI-10">Pag. 5</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> II. Dell’alto e rilevato stato della casa de’ Visconti di Milano</i></td> <td class="pag"><a href="#capII-10">7</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> III. Del pauroso e vile partimento dell’oste di messer Bernabò da Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#capIII-10">8</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> IV. Come i Bolognesi assalirono e presono tre bastite</i></td> <td class="pag"><a href="#capIV-10">9</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> V. Certo trattato fatto a corte tra il papa e gli ambasciadori del re d’Ungheria</i></td> <td class="pag"><a href="#capV-10">10</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VI. Dell’avvenimento del legato a Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#capVI-10">10</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VII. Cominciamento della nuova compagnia d’Anichino di Bongardo Tedesco</i></td> <td class="pag"><a href="#capVII-10">11</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VIII. La rivoltura d’Ascoli della Marca</i></td> <td class="pag"><a href="#capVIII-10">12</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> IX. Come a petizione del legato fu preso messer Ridolfo da Camerino</i></td> <td class="pag"><a href="#capIX-10">13</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> X. Del maestrevole processo del legato co’ suoi Ungari in questo tempo</i></td> <td class="pag"><a href="#capX-10">14</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XI. Come s’ebbe per i Bolognesi la bastita di Casalecchio sopra il Reno</i></td> <td class="pag"><a href="#capXI-10">15</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XII. La venuta a Giadra del re d’Ungheria e della moglie</i></td> <td class="pag"><a href="#capXII-10">16</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIII. La presa di Gello fatta per quelli di Bibbiena, e la compera ne fece poi il comune</i></td> <td class="pag"><a href="#capXIII-10">17</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_308">[308]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIV. Come il comune di Firenze mandò ambasciadori al legato e a messer Bernabò per trattare accordo</i></td> <td class="pag"><a href="#capXIV-10">18</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XV. Come il legato mandò gli Ungari sopra la città di Parma</i></td> <td class="pag"><a href="#capXV-10">19</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVI. Della presura del conte da Riano</i></td> <td class="pag"><a href="#capXVI-10">20</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVII. Come la compagnia d’Anichino sostenne fame all’entrata del Regno</i></td> <td class="pag"><a href="#capXVII-10">21</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVIII. Come messer Cane Signore rimandò la moglie che fu di messer Cane Grande al marchese di Brandisborgo</i></td> <td class="pag"><a href="#capXVIII-10">21</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIX. Come la compagnia d’Anichino di Bongardo prese Castello san Martino</i></td> <td class="pag"><a href="#capXIX-10">22</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XX. Come il re d’Araona diè per moglie la figliuola a don Federigo di Cicilia</i></td> <td class="pag"><a href="#capXX-10">23</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXI. Come messer Bernabò si provvedde per avere gente nuova per guerreggiare Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXI-10">24</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXII. Come messer Niccola Acciaiuoli gran siniscalco del Regno venne in Firenze, e della novità che per sua venuta ne seguio</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXII-10">25</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIII. Come per sospetto nato nella città di Firenze di messer Niccola indegnamente egli ne ricevette vergogna</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXIII-10">26</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIV. Come si scoperse congiura di certi cittadini di Firenze e trattato per sovvertere lo stato che reggea</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXIV-10">28</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXV. Come si scoperse il trattato che era in Firenze, e certi ne furono puniti</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXV-10">32</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVI. Come si comperò Montecolloreto, e la giurisdizione di Montegemmoli dell’Alpe per lo comune di Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXVI-10">37</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVII. Come una compagnia creata novellamente prese Santo Spirito</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXVII-10">38</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVIII. Come tornati gli Ungari e messer Galeotto da Parma si misono a Lugo</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXVIII-10">41</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIX. D’alquanti trattati tenuti in diverse parti che tutti si scopersono</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXIX-10">42</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXX. Come il grande siniscalco fu ricevuto nel Regno, e quello ne seguì</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXX-10">43</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_309">[309]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXI. D’un segno nuovo ch’apparse in cielo sopra la città di Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXI-10">44</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXII. Dimostramento di smisurato amore di padre a figliuolo</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXII-10">45</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIII. Contrario esempio d’incredibile crudeltà di madre</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXIII-10">46</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIV. Delle compagnie ch’entrarono in Provenza per conturbare i paesani e la corte di Roma</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXIV-10">49</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXV. Come per comperare gli onori del comune alquanti che li venderono ne furono condannati</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXV-10">51</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVI. Come i fatti di Francia verso il primo tempo procedeano</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXVI-10">52</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVII. Come fu guasta la bastita che il cardinale di Spagna facea fare in sul canale della Pegola</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXVII-10">53</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVIII. Della grande pestilenza che percosse i saracini</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXVIII-10">54</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIX. Come fu morto il soldano di Babilonia, e rifattone un altro, il quale uccise molti de’ suoi baroni</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXIX-10">54</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XL. Come un signore de’ Turchi trattò di fare uccidere l’imperadore di Costantinopoli</i></td> <td class="pag"><a href="#capXL-10">55</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLI. Come il legato si partì di Bologna per andare al re d’Ungheria</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLI-10">56</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLII. Della ribellione fatta per messer Giovanni di messer Riccardo Manfredi al legato</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLII-10">57</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIII. Come il marchese di Monferrato trasse delle compagnie da Avignone per conducere in Piemonte</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLIII-10">59</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIV. Della morte del duca di Lancastro cugino del re d’Inghilterra</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLIV-10">60</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLV. Come riuscì l’impresa del re d’Ungheria dove la speranza del legato di Spagna si riposava</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLV-10">61</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVI. Della pestilenza dell’anguinaia ricominciata in diversi paesi del mondo, e di sua operazione</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLVI-10">62</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_310">[310]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVII. Come per la fama delle compagnie che scendevano in Piemonte i signori di Milano si provvidono alla difesa</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLVII-10">64</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVIII. Come messer Bernabò venne sopra Bologna, e assediò e prese Pimaccio</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLVIII-10">65</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIX. Come il legato procurava aiuto contro messer Bernabò</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLIX-10">66</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> L. Come la compagnia d’Anichino di Bongardo ch’era nel Regno si rassottigliò e venne al niente</i></td> <td class="pag"><a href="#capL-10">67</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LI. Come i Sanesi ebbono Santafiore</i></td> <td class="pag"><a href="#capLI-10">67</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LII. Come i Fiorentini comperarono il castello di Cerbaia</i></td> <td class="pag"><a href="#capLII-10">68</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIII. Come il capitano già di Forlì e messer Giovanni Manfredi si puosono tra Imola e Faenza</i></td> <td class="pag"><a href="#capLIII-10">69</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIV. D’un gran fuoco che s’apprese nella città di Bruggia</i></td> <td class="pag"><a href="#capLIV-10">70</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LV. Delle compagnie d’oltramonti</i></td> <td class="pag"><a href="#capLV-10">70</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVI. Come Francesco Ordelaffi si levò da Forlì, e andonne a oste a Rimini</i></td> <td class="pag"><a href="#capLVI-10">71</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVII. Come i Fiorentini manteneano Bologna per la strada dell’Alpe</i></td> <td class="pag"><a href="#capLVII-10">72</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVIII. Come l’oste di messer Bernabò volle rompere la strada da Firenze, e ricevette danno</i></td> <td class="pag"><a href="#capLVIII-10">73</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIX. Come fu sconfitto l’oste di messer Bernabò al Ponte a san Ruffello</i></td> <td class="pag"><a href="#capLIX-10">74</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LX. Come seguì appresso alla sconfitta di san Ruffello</i></td> <td class="pag"><a href="#capLX-10">80</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXI. Come messer Bernabò si credette prendere Correggio per trattato, e sua gente vi rimase presa</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXI-10">81</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXII. Dell’armata del re di Cipro, e il conquisto di Setalia e del Candeloro</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXII-10">82</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIII. Come i Turchi di Sinopoli assalirono Coffa, e furono vinti da’ Genovesi</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXIII-10">83</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIV. Come le compagnie condotte in Piemonte cominciarono a guerreggiare</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXIV-10">84</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXV. Di grandi terremuoti che furono in Puglia, e assai guastarono della città d’Ascoli</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXV-10">86</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVI. Delle rivolture del paese di Fiandra in questa state</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXVI-10">86</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_311">[311]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVII. Come fu decapitato messer Bocchino de’ Belfredotti signore di Volterra, e come la città venne alla guardia de’ Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXVII-10">87</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVIII. Come il patriarca d’Aquilea fu a tradimento preso dal doge d’Osteric</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXVIII-10">92</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIX. Di fuoco che senza rimedio arse in Roma san Giovanni Laterano</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXIX-10">93</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXX. Del maritaggio del duca di Guales primogenito del re d’Inghilterra</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXX-10">94</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXI. Come papa Innocenzio riformò santa Chiesa de’ cardinali morti per la morìa</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXI-10">94</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXII. Come il re Buscialim della Bellamarina fu morto, e delle rivolture di Granata</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXII-10">95</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIII. Come la compagnia spagnuola ch’era nel vescovado d’Arli prese Vascona, e poi ne furono cacciati</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXIII-10">96</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIV. Come si scoperse che messer Bernabò era vivo, e ’l trattato tenea del castello di Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXIV-10">97</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXV. Come si scoperse in Perugia una gran congiura di notabili cittadini per mutare stato e reggimento</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXV-10">98</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVI. Come in questi giorni in Pisa ebbe gelosia di loro stato, e della difensione che saviamente ne presono</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXVI-10">102</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVII. Come i Sanesi sotto la rotta fede ebbono la signoria di Montalcino</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXVII-10">102</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVIII. Come i Turchi presono la città di Dometico ch’era dell’imperadore di Costantinopoli</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXVIII-10">104</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIX. Come il re di Castella mosse guerra a’ Mori di Granata, e al loro re Vermiglio</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXIX-10">105</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXX. Come gli usciti Perugini presono per furto Civitella de’ Benazzoni, e poi l’abbandonarono</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXX-10">106</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXI. Come i Bolognesi cominciarono a cavalcare sopra gli Ubaldini</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXI-10">106</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXII. Del trattato delle compagnie che doveano entrare in Avignone</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXII-10">107</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_312">[312]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIII. Come i Pisani perderono Pietrabuona e vi puosono l’assedio dove stando vollono torre Sommacolonna per incitare i Fiorentini a guerra</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXIII-10">108</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIV. Come fu sorpreso il conte di Savoia dalla compagnia bianca co’ suoi baroni, e ricomperaronsi con gran quantità di moneta</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXIV-10">111</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXV. La cavalcata che Piero Gambacorti fè sopra i Pisani</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXV-10">111</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVI. Come il re Luigi prese le terre di messer Luigi di Durazzo e lui mise in prigione, e trasse del Regno la compagnia</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXVI-10">113</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVII. Come le compagnie si partirono di Provenza</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXVII-10">114</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVIII. Come fu sconfitta la gente del re di Castella dal re di Granata</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXVIII-10">114</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIX. Come per vendicare sua onta il re di Spagna andò sopra il re di Granata</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXIX-10">115</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XC. Come messer Bernabò si credette avere Reggio per trattato</i></td> <td class="pag"><a href="#capXC-10">116</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCI. Come i Pisani feciono cosa da incitare i Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCI-10">118</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCII. Dell’operazioni delle compagnie in questi tempi</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCII-10">118</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCIII. D’una cometa ch’apparve di marzo nel segno del Pesce</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCIII-10">119</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCIV. Come la Compagnia bianca prese Castelnuovo Tortonese</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCIV-10">120</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCV. Come la compagnia del Pitetto Meschino sconfisse l’oste del re di Francia a Brignai</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCV-10">121</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCVI. Come fu fermo lega dalla Chiesa e i signori di Lombardia contro a messer Bernabò</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCVI-10">124</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCVII. Come fu morto il re Vermiglio di Granata</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCVII-10">126</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCVIII. Come il re Maometto di Granata si fece uomo del re di Castella</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCVIII-10">127</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCIX. Principio di guerra dai collegati a messer Bernabò</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCIX-10">128</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_313">[313]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> C. Come e quando morì Luigi re di Cicilia e di Gerusalemme</i></td> <td class="pag"><a href="#capC-10">130</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CI. Come i Fiorentini vollono difendere Pietrabuona, e non poterono</i></td> <td class="pag"><a href="#capCI-10">132</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CII. Come quelli della valle di Caprese furono traditi dagli Aretini</i></td> <td class="pag"><a href="#capCII-10">136</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CIII. Della mortalità dell’anguinaia</i></td> <td class="pag"><a href="#capCIII-10">137</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="center">LIBRO UNDECIMO</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> I. Il Prologo</i></td> <td class="pag"><a href="#capI-11">139</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> II. Degli apparecchi fatti da’ Fiorentini per la guerra contro a’ Pisani</i></td> <td class="pag"><a href="#capII-11">142</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> III. Come seguendo gli antichi Romani gentili i Fiorentini nel dare dell’insegne al capitano presono punto per astrologia</i></td> <td class="pag"><a href="#capIII-11">144</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> IV. Della prospera fortuna de’ collegati lombardi</i></td> <td class="pag"><a href="#capIV-11">146</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> V. Della morte di Leggieri d’Andreotto di Perugia</i></td> <td class="pag"><a href="#capV-11">148</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VI. Come i Fiorentini cavalcarono in Valdera e presono Ghiazzano</i></td> <td class="pag"><a href="#capVI-11">149</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VII. Come i Fiorentini soldarono galee contra i Pisani</i></td> <td class="pag"><a href="#capVII-11">150</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VIII. Come i Perugini presono la Rocca Cinghiata e quella del Caprese</i></td> <td class="pag"><a href="#capVIII-11">151</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> IX. Come novecento cavalieri di quelli di messer Bernabò furono sconfitti da seicento di quelli di messer Cane Signore</i></td> <td class="pag"><a href="#capIX-11">151</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> X. Disordine nato tra’ Genovesi per la guerra de’ Fiorentini e’ Pisani</i></td> <td class="pag"><a href="#capX-11">152</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XI. Come il re di Castella con quello di Navarra ruppono pace a quello d’Aragona, e lo cavalcaro</i></td> <td class="pag"><a href="#capXI-11">155</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XII. Come per sospetto in Siena a due dell’ordine de’ nove fu tagliata la testa</i></td> <td class="pag"><a href="#capXII-11">156</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIII. Cavalcate fatte per messer Bonifazio Lupo in su quello di Pisa</i></td> <td class="pag"><a href="#capXIII-11">157</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIV. Del processo della guerra da’ collegati a messer Bernabò</i></td> <td class="pag"><a href="#capXIV-11">159</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_314">[314]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XV. Come messer Ridolfo prese il bastone da messer Bonifazio</i></td> <td class="pag"><a href="#capXV-11">160</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVI. Della crudeltà che i Pisani usarono contra i Lucchesi per gelosia</i></td> <td class="pag"><a href="#capXVI-11">160</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVII. Delle cavalcate fatte per messer Ridolfo sopra i Pisani, e del gran danno che ricevettono</i></td> <td class="pag"><a href="#capXVII-11">162</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVIII. Come messer Ridolfo assediò Peccioli, e prese stadichi se non fosse soccorso</i></td> <td class="pag"><a href="#capXVIII-11">164</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIX. Come non essendo il castellano contento del patto messer Ridolfo fè gittare una delle torri di Peccioli in terra</i></td> <td class="pag"><a href="#capXIX-11">168</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XX. Come il capitano de’ Fiorentini prese Montecchio, Laiatico e Toiano</i></td> <td class="pag"><a href="#capXX-11">171</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXI. Dell’aiuto che i Perugini in questi dì mandarono a’ Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXI-11">172</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXII. Come il conte Aldobrandino degli Orsini si partì onorato da Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXII-11">173</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIII. Come e perché si creò la compagnia del Cappelletto</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXIII-11">173</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIV. Comincia la guerra che i Fiorentini feciono in mare a’ Pisani</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXIV-11">176</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXV. Come e perchè i Romani si dierono al papa</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXV-11">177</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVI. Come Dio chiamò a sè papa Innocenzio, e fu fatto papa Urbano quinto</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXVI-11">178</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVII. Come al re Pietro di Castella morì un figliuolo che avea</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXVII-11">179</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVIII. Come Perino Grimaldi prese l’isoletta e castello del Giglio</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXVIII-11">180</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIX. Come messer Piero Gambacorti per trattato si credette tornare in Pisa</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXIX-11">182</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXX. Come Perino Grimaldi soldato del comune di Firenze prese Porto pisano, e le catene del detto porto mandò a Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXX-11">184</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXI. Come messer Bernabò mandò a papa Urbano a proseguire la pace</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXI-11">186</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXII. Domande fatte per lo re di Francia al papa</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXII-11">187</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_315">[315]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIII. Di grande acquazzone che in Italia fè danno</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXIII-11">188</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIV. Come il re di Cipro andò ad Avignone con tre galee</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXIV-11">189</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXV. Come morì Giovacchino degli Ubaldini e lasciò reda il comune di Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXV-11">189</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVI. Come il conte di Focì sconfisse e prese quello d’Armignacca</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXVI-11">190</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVII. Come i Pisani vollono torre il campanile d’Altopascio</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXVII-11">191</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVIII. Come in Firenze s’ordinò tavola per lo comune per servire i soldati</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXVIII-11">192</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIX. Come i Pisani vollono torre santa Maria a Monte</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXIX-11">193</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XL. Come i Pisani vollono torre Pescia per trattato</i></td> <td class="pag"><a href="#capXL-11">193</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLI. Come papa Urbano pubblicò in Avignone i processi fatti contro a messer Bernabò</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLI-11">194</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLII. Come morì messer Simone Boccanera primo doge di Genova</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLII-11">196</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIII. Come fu morto il conte di Lando</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLIII-11">197</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIV. Come Bernabò Visconti fu dalla gente della lega sconfitto alla bastita di Modena, e come la perdè</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLIV-11">197</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLV. Come i Pisani vollono torre Barga</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLV-11">199</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVI. Come messer Piero da Farnese credette torre Lucca a’ Pisani</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLVI-11">201</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVII. Come i Pisani presono per forza il castello di Gello sul Volterrano</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLVII-11">202</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVIII. Come i Pisani condussono la Compagnia bianca degl’Inghilesi</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLVIII-11">203</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIX. Come Rinieri da Baschi ruppe gente che messer Piero da Farnese avea mandati in Garfagnana</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLIX-11">205</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> L. Come Rinieri da Baschi colla gente de’ Pisani fu sconfitto e preso da messer Piero da Farnese</i></td> <td class="pag"><a href="#capL-11">206</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_316">[316]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LI. Come messer Piero da Farnese entrò in Firenze, e il capitano de’ Pisani colle insegne e’ prigioni rassegnarono a’ priori</i></td> <td class="pag"><a href="#capLI-11">208</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LII. Come i Pisani tolsono a’ Fiorentini Altopascio</i></td> <td class="pag"><a href="#capLII-11">209</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIII. Come i Pisani elessono per loro capitano Ghisello degli Ubaldini</i></td> <td class="pag"><a href="#capLIII-11">210</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIV. Come messer Piero cavalcò sino sulle porte di Pisa battendovi moneta d’oro e d’argento</i></td> <td class="pag"><a href="#capLIV-11">210</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LV. Sagacità usata per i Pisani per non perdere Montecalvoli</i></td> <td class="pag"><a href="#capLV-11">213</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVI. Come il re di Francia per paura della compagnia non osò per terra tornare nel reame, ma tornò per acqua</i></td> <td class="pag"><a href="#capLVI-11">214</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVII. Della mortalità dell’anguinaia</i></td> <td class="pag"><a href="#capLVII-11">215</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVIII. Come i Barghigiani colla forza de’ Fiorentini presono i battifolli</i></td> <td class="pag"><a href="#capLVIII-11">215</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIX. Come morì messer Piero da Farnese</i></td> <td class="pag"><a href="#capLIX-11">216</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LX. Dell’ammirabile passaggio de’ grilli</i></td> <td class="pag"><a href="#capLX-11">217</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><span class="spaced1"><i>Proemio della Cronica di Filippo Villani</i></span></td> <td class="pag"><a href="#filippo">219</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXI. Come i Fiorentini feciono Ranuccio da Farnese loro capitano di guerra</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXI-11">220</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXII. Come gl’Inghilesi giunsono in Pisa</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXII-11">220</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIII. Come i Pisani cavalcarono i Fiorentini in sulle porte</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXIII-11">221</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIV. Come si fermò pace dalla Chiesa a messer Bernabò</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXIV-11">223</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXV. Dello stato della città di Firenze in que’ giorni</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXV-11">224</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVI. Come i Perugini, per tema che la compagnia degl’Inghilesi non soccorressono i loro rubelli assediati in Montecontigiano, condussono la Compagnia del cappelletto</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXVI-11">226</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVII. Come messer Pandolfo Malatesti venne con cento uomini di cavallo e con cento fanti a servire il comune di Firenze per due mesi</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXVII-11">228</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVIII. Come i Pisani co’ loro Inghilesi presono Figghine</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXVIII-11">230</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_317">[317]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIX. Come messer Pandolfo puose il campo all’Ancisa, e come il detto campo fu preso dagl’Inghilesi con messer Rinuccio capitano, e appresso il borgo all’Ancisa, e come messer Pandolfo fu fatto capitano di guerra</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXIX-11">231</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXX. Come certa parte degl’Inghilesi da Figghine cavalcarono a Ricorboli</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXX-11">235</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXI. Come i Sanesi sconfissono la Compagnia del cappelletto, la quale era condotta al soldo de’ Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXI-11">238</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXII. Di cavalcate e combattimenti di terre feciono gl’Inghilesi mentre stettono a Figghine</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXII-11">239</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIII. Esempio e ammaestramento de’ popoli che vivono a libertà i quali si conducono nella fortuna della guerra di non torre capitano uso a tirannia</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXIII-11">241</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIV. I modi teneano gl’Inghilesi tornati in Pisa</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXIV-11">245</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXV. Come i Pisani furono sconfiti a Barga</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXV-11">245</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVI. Come il re Giovanni di Francia passò in Inghilterra e là morì</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXVI-11">247</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVII. Come messer Niccolò del Pecora fu cacciato di Montepulciano</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXVII-11">249</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVIII. Della morte del giovane marchese di Brandisborgo, conte di Tirolo, e quello ch’appresso ne seguì</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXVIII-11">249</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIX. Come i Pisani ricondussono gl’Inghilesi</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXIX-11">256</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXX. D’una saetta che cadde sul campanile di santa Maria Novella</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXX-11">257</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXI. Cavalcate fatte per gl’Inghilesi nel pieno verno</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXI-11">258</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXII. Come Anichino di Bongardo con tremila barbute venne al servigio de’ Pisani, e come sagacemente cercarono avvantaggiosa pace</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXII-11">262</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIII. Come messer Beltramo Craiche tolse Nantes per lo re di Francia a quello di Navarra</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXIII-11">265</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIV. Come rotto il trattato della pace i Pisani cavalcarono i Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXIV-11">265</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_318">[318]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXV. Come messer Pandolfo passò nel Mugello colla gente da cavallo per tenere stretti gl’Inghilesi</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXV-11">268</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVI. Come gl’Inghilesi si partirono del Mugello e tornarsi nel piano di Pistoia</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXVI-11">270</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVII. Come messer Pandolfo Malatesti si partì dal servigio del comune di Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXVII-11">271</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVIII. Come gl’Inghilesi e’ Tedeschi co’ guastatori de’ Pisani s’accamparono a Sesto, e Colonnata, e santo Stefano in pane</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXVIII-11">272</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIX. Come gl’Inghilesi e’ Tedeschi coi guastatori pisani presono il colle di Montughi e di Fiesole, e combatterono i Fiorentini alla porta a san Gallo, e fessi Anichino di Bongardo cavaliere</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXIX-11">274</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XC. Come il conte Arrigo di Monforte capitano de’ Fiorentini prese e arse Livorno</i></td> <td class="pag"><a href="#capXC-11">278</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCI. Come il corpo del re Giovanni di Francia fu trasportato di Londra a Parigi, e come onorato</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCI-11">282</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCII. Come messer Beltramo di Cloachin sconfisse il luogotenente del re di Navarra in Normandia</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCII-11">283</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCIII. Come Carlo primogenito del re di Francia fu consegrato a Rems a re di Francia</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCIII-11">283</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCIV. Come si combatterono messer Carlo di Bos duca di Brettagna, e messer Gianni di Monforte</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCIV-11">283</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCV. Come i Fiorentini con la forza del danaio ruppono la compagnia de’ Tedeschi e Inghilesi, e levaronla da provvisione de’ Pisani</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCV-11">284</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCVI. Come i Fiorentini presono in capitano di guerra messer Galeotto Malatesti</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCVI-11">285</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCVII. Battaglia tra’ Fiorentini e’ Pisani fatta nel borgo di Cascina, nella quale i Fiorentini furono vincitori</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCVII-11">286</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCVIII. Come furono assegnati i prigioni al comune da’ soldati, ed entrarono in Firenze in sulle carra.</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCVIII-11">293</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_319">[319]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCIX. Come la parte guelfa di Firenze prese a far festa di san Vittore, e perchè</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCIX-11">294</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> C. Come la gente dell’arme del comune di Firenze prese tira di non cavalcare, e quello ne seguì</i></td> <td class="pag"><a href="#capC-11">295</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CI. Come Giovanni dell’Agnello si fece signore di Pisa sotto titolo di doge</i></td> <td class="pag"><a href="#capCI-11">297</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CII. Come si fece pace tra’ Fiorentini e’ Pisani</i></td> <td class="pag"><a href="#capCII-11">301</a></td>
- </tr>
-</table>
-<hr>
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_320">[320]</span>
-</p>
-
-<table class="errata">
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>ERRORI</td> <td>CORREZIONI</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="6">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="6" class="center">TOMO V.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="6">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>p.</td> <td class="num">19</td> <td>v.</td> <td class="num">1</td> <td>tratto</td> <td>trattò</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>—</td> <td class="num">34</td> <td>—</td> <td class="num">14</td> <td>Sumiera</td> <td>ringhiera</td>
- </tr>
-</table>
-
-</div>
-
-<div class="tnote">
-<p class="tntitle">
-Nota del Trascrittore
-</p>
-
-<p>
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
-senza annotazione minimi errori tipografici. Le correzioni indicate in
-fine libro sono state riportate nel testo.
-</p>
-
-<p class="covernote">
-Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.
-</p>
-</div>
-
-<div lang='en' xml:lang='en'>
-<div style='display:block; margin-top:4em'>*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK <span lang='it' xml:lang='it'>CRONICA DI MATTEO VILLANI, VOL. V</span> ***</div>
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