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If you are not located in the United States, you -will have to check the laws of the country where you are located before -using this eBook. - -Title: Cronica di Matteo Villani, vol. V - A miglior lezione ridotta coll'aiuto de' testi a penna - -Author: Matteo Villani - -Editor: Ignazio Moutier - -Release Date: January 29, 2023 [eBook #69902] - -Language: Italian - -Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team - at http://www.pgdp.net (This file was produced from images - made available by the Bayerische Staatsbibliothek) - -*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK CRONICA DI MATTEO VILLANI, -VOL. V *** - - - CRONICA - - DI - - MATTEO - VILLANI - - - A MIGLIOR LEZIONE RIDOTTA - COLL’AIUTO - DE’ TESTI A PENNA - - TOMO V. - - - - FIRENZE - PER IL MAGHERI - 1826. - - - - -LIBRO DECIMO - - -CAPITOLO PRIMO. - -_Il Prologo._ - -La superbia, la quale prima nel cielo mostrò la sua malizia, se nelle -menti terrene si trova non è da maravigliare, considerato che l’umana -natura indebilita per lo peccato del primo uomo è ne’ vizii inchinevole -e pronta. Questo peccato quanto sia grave, e quanto sia in ira di -Dio, per lo suo fine l’ha sovente mostrato; porne alcuno esempio in -nostri ricordi forse non fia da biasimare, se non da coloro che per -morbidezza d’animo sono amatori delle brevi leggende, o da coloro che -per tema di spesa veggendo la moltitudine de’ fogli non osano fare -scrivere. Serse re d’Asia, avendo avuto più tempo nelle guerre prospera -e felice fortuna, insuperbito, lo mare coperse di navi, e intra Sesto -e Abido, due isolette di mare, per pomposa memoria di suo innumerabile -esercito sopra le navi fè ponte, e a riceverlo tutta la Grecia non -parea sofficiente, nè a ricevere nè a pascere la sua brigata; e infine -da poca gente vituperato e sconfitto, e in uno piccolo legno tornò in -suo paese morta tutta sua gente. Sennacherib maravigliosamente esaltato -per beneficio della ridente fortuna, con l’animo altero montò sopra -le stelle spregiando gli Dii, e massimamente quello degli Ebrei, come -se fossono minori e meno possenti di lui; costui veggendo l’esercito -suo tagliato, vilmente fuggì, e nel tempio degl’Idoli suoi da’ suoi -proprii figliuoli vilmente fu tolto di vita. Dario re potentissimo, più -volte sconfitto dalla poca gente d’Alessandro re di Macedonia, infine -da’ suoi propri congiurenti vilmente fu morto. Ciro re di Persia e di -Media, eccellentissimo di potenza.... - -_Il codice Ricci è mancante in questo luogo di una pagina, che dovrebbe -contenere il rimanente del Proemio, il capitolo secondo, e il principio -del terzo, e con mio sommo rincrescimento non son riescito a riempire -questa laguna col soccorso di un altro codice, poichè non m’è stato -possibile trovarne copia. La Biblioteca Riccardiana possiede tre -codici di Matteo Villani, e uno la Laurenziana, ma non oltrepassano -il nono libro. Per supplire in qualche modo a questa laguna mi -son servito d’un’Epitome fatta da Domenico Boninsegni delle storie -fiorentine di Giovanni, Matteo e Filippo Villani, che si conserva nella -Biblioteca Laurenziana, e che un giorno faceva parte della Biblioteca -Mediceo-Palatina, segnato di num. 160._ - - -CAP. II. - -_Dell’atto e rilevato stato della casa de’ Visconti di Milano._ - -«Più era infocato che mai messer Bernabò nell’impresa di Bologna, -e impuose e trasse da’ cherici del suo tenitorio in tre mesi più di -trecento migliaia di fiorini d’oro, e da’ secolari per nuova imposta -circa trecentosessanta migliaia di fiorini d’oro; e venne in tanta -superbia, forse per lo parentado fatto in Francia, che nessuno accordo -si potè trovare tra lui e ’l legato, nè per il gran siniscalco nè -altri, usando di dire, che non temeva potenza di signore terreno -che gli potesse trarre Bologna di mano, e molto sparlando contra il -legato. Ma per lo contrario il legato ricorse all’aiuto di Dio, e per -comandamento del papa a ogni prete d’Italia fece fare in ogni messa -dietro al _Pater noster_ speziale orazione de’ fatti di Bologna, e -mandò al re d’Ungheria per gente, ed ebbe da lui duemila Ungari bene -capitanati, e poi tremila di loro volontà, e subito furono in Lombardia -e in Romagna al servigio del legato.» - - -CAP. III. - -_Del pauroso e vile partimento dell’oste di messer Bernabò da Bologna._ - -«Per la venuta di questi Ungari, e per l’operazione d’Anichino di -Bongardo, entrò paura alle genti di messer Bernabò per modo che non -ubbidivano al capitano, e tutto dì si fuggivano; per la qual cosa al -capitano» montata la paura, vedendo partire l’un l’altro, e non sapendo -il perchè, chè per la forza e autorità che ’l capitano avesse non gli -potea ritenere; onde vedendosi il capitano a questo pericolo richiese -Anichino che lo accompagnasse infino valicato Bologna verso Modena, e -avuta la compagnia, volendo da sè fare buona condotta, fu costretto da’ -vili d’andarsene di notte sconciamente abbandonato il campo con assai -fornimento e arnesi, e campati per lo beneficio della notte valicarono -Castelfranco, ove s’arrestarono per non parere rotti, e ivi la mattina -fermarono il campo; e stativi pochi dì, il primo d’ottobre valicarono -a Modena, e tornarsi con gli orecchi bassi al loro signore, il quale -quasi arrabbiato più dì stette rodendo in sè medesimo il suo orgoglioso -furore, acciocchè riposatamente ai forestieri dimostrasse, ch’alla -festa si ragunavano, per magnanimità questa cosa avere per niente, -ed essere intervenuto per lo peggiore del legato, come di sua bocca a -molti pronunziò. - - -CAP. IV. - -_Come i Bolognesi assalirono e presono tre bastite._ - -Sentito in Bologna la vile partita dell’oste di messer Bernabò, tutto -che ancora del tutto non fosse del Bolognese partito, il popolo prese -cuore, e per lo essere tenuto affamato, furioso, giusta la sentenza -di Lucano che dice, che il popolo digiuno non sa che sia il temere, -straboccatamente e senza aspettare condotta o regola uscì di Bologna, -e con grand’ardire assalì la bastita che guardava verso Romagna, e -quella aspramente combattendo e con grida ch’andavano al cielo ebbono -per forza, e tagliati e fediti molti di quelli ch’erano alla difesa -la rubarono e arsono, e con quell’empito e gloria corsono ad altre -due, e per simile modo l’ebbono, rubarono e arsono. Quando giunsono -a quella di Casalecchio in sul Reno trovarono il becco più duro a -mugnere, perocchè era ben guernita di gente da piè e da cavallo, e dato -di cozzo in essa con loro dammaggio si ritornarono a Bologna, nullo -assedio lasciato alla bastita: onde que’ d’entro scorreano fino alle -porti di Bologna facendo danni, nondimanco aperti i cammini di Romagna -cominciarono a venire della roba a Bologna; e dagli Ungheri i quali -alloggiati erano fuori della città tenuti erano a freno quelli della -bastita da Casalecchio, e in Romagna s’apparecchiava grande carreggio e -salmeria di vittuaglia per conducere in Bologna alla venuta del legato. - - -CAP. V. - -_Certo trattato fatto a corte tra il papa e gli ambasciadori del re -d’Ungheria._ - -In questo mese di settembre furono in Firenze tornati di corte di -Roma gli ambasciadori del re d’Ungheria, e andaronne al re, avendo -impromesso al papa, in quanto il bisogno occorresse, che la persona del -re d’Ungheria verrebbe incontro al signore di Milano con patto, che -ciò che egli acquistasse delle terre de’ detti signori, fossero sue -ed egli avea fatto dire al papa che con meno di diecimila cavalieri -non potrebbe venire, ed era in accordo d’avere ogni mese fiorini -quarantamila d’oro, de’ quali dovea avere dalla lega de’ Lombardi sotto -il titolo di Genovesi fiorini sedicimila, e fiorini quattordicimila -dovea pagare il legato traendoli della Marca e del Ducato, del -Patrimonio e di Romagna, e diecimila ne dovea mettere la camera del -papa. La cosa fu divolgata per tutto, ma i signori di Milano poco se ne -curavano, s’altra fortuna non avesse barattata loro intenzione. - - -CAP. VI. - -_Dell’avvenimento del legato a Bologna._ - -Partita l’oste di messer Bernabò dall’assedio di Bologna, il legato -fatto conducere di Romagna in Bologna molta vittuaglia, e fatta -la condotta degli Ungheri, col grande siniscalco del Regno, e con -messer Malatesta e altri valenti uomini della Romagna e della Marca, -all’entrata d’ottobre del detto anno entrò in Bologna, dove da’ -Bolognesi fu ricevuto a gran festa e onore, e prestamente intese a -ordinare e riformare e la guardia e il reggimento della città, e i -fatti della guerra contro a’ nemici suoi, non come prelato, ma come -esperto e ammaestrato capitano di guerra cominciò a trattare, come -conseguendo l’opere sue ne dimostreranno. - - -CAP. VII. - -_Cominciamento della nuova compagnia d’Anichino di Bongardo Tedesco._ - -Levatasi la gente di messer Bernabò del distretto di Bologna, Anichino -di Bongardo Tedesco, non senza infamia d’avere maculata sua fede, -all’entrata d’ottobre s’accolse a Salaruolo presso di Faenza a tre -miglia con ottocento barbute e trecento Ungheri, ricettato dal legato, -e datoli vittuaglia; e sì avea il legato circa a milledugento barbute -e quattromila Ungheri da poterlo prendere o cacciarlo di suo paese, -per la qual cosa assai fu manifesto che il legato per nuovo servigio -gli fosse obbligato: e avvegnachè assai fosse segreto, egli stette -tanto a Salaruolo, che pagati gli furono quattordicimila fiorini, -ovvero genovini d’oro; il perchè egli tantosto crebbe sua compagnia -e di Tedeschi e masnadieri, e di volontà del legato a mezzo ottobre -cavalcò il contado de’ conti d’Urbino; appresso entrò nella Ravignana, -e di là valicò ad Ascoli del Tronto in servigio della Chiesa per certa -rivoltura fatta in quella città contro al legato, e stettono alquanti -dì nel paese, e poi di novembre valicarono il Tronto, e arrestaronsi -nel paese verso Lanciano, ove soffersono lungamente gran disagio, -come al suo tempo diremo. Stando in questa compagnia nel numero di -duemila cinquecento tra Ungheri e Tedeschi, e molti fanti a piè nella -Ravignana, e dando boce di valicare da Firenze, i Fiorentini ne tennono -consiglio, e infine deliberaro di provvedersi alle difese, e imposono -per legge personale a chi consigliasse, trattasse o parlasse occulto -o palese del prender accordo alcuno con la detta compagnia: e ciò fu -assai utile cagione e materia a tutti i Toscani, perocchè le compagnie -vanno cercando chi fugga e fannone preda, e fuggono le resistenze, -perocchè dove e’ le trovano non possono durare, nè trarne furtivo -guadagno. - - -CAP. VIII. - -_La rivoltura d’Ascoli della Marca_ - -Ascoli della Marca era all’ubbidienza del legato, e Leggieri -d’Andreotto di Perugia v’era alla guardia per la Chiesa, e di fuori -n’erano ribelli l’arcidiacono e messer Filippo.... con altri molti di -loro animo e volere; costoro del mese di settembre detto anno accolta -gente in loro aiuto rientrarono nella città, e trovando il seguito -d’assai cittadini corsono alle case de’ loro nemici, e uccisonne -ventidue; gli altri che poterono campare s’uscirono della terra, e -Leggieri d’Andreotto fu preso, e tanto ritenuto, che quivi fece dare -la fortezza che v’era per la Chiesa, dicendo che teneano la città -all’ubbidienza di santa Chiesa, ma che voleano potere stare sicuri -in casa loro. La novella forte dispiacque al legato, e pensossi con -la compagnia d’Anichino farla tornare al suo volere, ma i tornati in -Ascoli di quella poca cura pigliavano; il legato come savio e astuto -s’infinse di non se n’avvedere, perchè mostrando cruccio non si -mettessono a più grave ribellione. - - -CAP. IX. - -_Come a petizione del legato fu preso messer Ridolfo da Camerino._ - -All’uscita d’ottobre detto anno, messer Ridolfo da Camerino essendo -stato principio col suo consiglio e con le savie e sollecite operazioni -di sua persona di vincere e riducere i Malatesti all’ubbidienza del -legato, ed appresso continovato intorno a’ fatti di santa Chiesa -operazioni leali e degne di merito, tanto seppe operare messer -Malatesta, ch’era divenuto il più segreto consiglio ch’avesse il -legato, che ritornandosi messer Ridolfo da Bologna a Camerino, e -capitato nella città di Fermo, invitato da messer Giovanni da Oleggio -marchese della Marca, e fattali allegra accoglienza, come ebbe -mangiato, prendendo da lui messer Ridolfo congio, fugli detto ch’era -prigione, dicendoli messer Giovanni, che ciò gli convenia fare contra -suo grado per mandato del legato, e mostrò le lettere che mandate gli -avea. Il valoroso cavaliere messer Ridolfo niente per tale presura -sbigottito, il fece di presente sapere a’ suoi, dicendo, ciò essere -senza niuna sua colpa, e confortando che di lui nessuna minima cura -prendessono, e che nè per minacce nè per tormenti, nè per morte che -a lui data fosse, nè di loro terre nè di loro giurisdizione dovessono -dare per ricomperare la vita sua, e ciò, come cara avessono la grazia -sua. I fratelli teneri di tanto uomo, e ubbidienti a lui, con i sudditi -loro feciono consiglio, i quali loro offersono quarantamila fiorini -i quali di presente impuosono tra loro, e fornirsi di gente d’arme, e -intesono a buona guardia, e al legato mandarono ambasciadori per sapere -che ciò volea dire. Di tale presura il legato forte fu biasimato da -tutta maniera di gente, e quale che si fosse il suo movimento, altro -non se ne manifestò che detto sia, ma valicato il mese di sua presura -il legato il fè diliberare: messer Ridolfo senza tornare al legato -sdegnoso e pieno d’ira e di mal talento si tornò a Camerino. - - -CAP. X. - -_Del maestrevole processo del legato co’ suoi Ungari in questo tempo._ - -Era, come addietro è detto, capitano degli Ungari il maestro Simone -conte, e il legato avea condotto con tremila Ungari, e gli altri -Ungari con alcuna provvisione nutricava: il maestro Simone in segreto -con gli Ungari ch’erano di fuori s’intendea e con quelli ch’erano -seco, e come era con loro fuori di Bologna gli mantenea quasi in -discordia col legato rubando i Bolognesi come nemici, e facea alla sua -gente usare parole, nelle quali lodavano messer Bernabò, e dicevano -sè essere al servigio suo, biasimando il legato: per tale astuzia -si divolgò per tuttochè gli Ungari erano rivolti dal servigio della -Chiesa. E continovando la cosa in questa contumacia, e messer Bernabò -veggendosi avere fatte disordinate spese nella guerra, e vedendosi al -cominciamento del verno, cominciò a cassare de’ suoi cavalieri, i quali -nel suo paese s’accoglieano col grido di fare compagnia; e maestro -Simone con i suoi Ungari scorreano in preda in guisa di compagnia, -senza gravare i paesani come nemici: e nondimeno il legato mantenea -l’oste alla bastita di Casalecchio, e mostrava di volere rivocare gli -Ungheri a sè per la fede avea avuta dal re d’Ungheria, e mostrava -di mandare lettere perchè il re rinfrenasse gli Ungheri, che non -trasandassono contro a santa Chiesa. - - -CAP. XI. - -_Come s’ebbe per i Bolognesi la bastita di Casalecchio sopra il Reno. _ - -Essendo la bastita fatta per l’oste di messer Bernabò sopra il Reno -luogo detto Casalecchio lungamente tenuta in grande confusione de’ -Bolognesi, avendo per quella tolta l’acqua delle mulina di Bologna, ed -essendo presso alla terra luogo forte e ben fornito, facea continua -e tediosa guerra infino alle porti. Partita l’oste del Biscione, -non potendola i Bolognesi avere per battaglia, l’assediarono, e -sopravvenendo i difetti dentro, e non essendo soccorsi da messer -Bernabò, furono costretti d’arrendersi, e fatto il patto salvo le -persone, a dì 11 di novembre detto anno s’arrendè, e gli Ungari pronti -e con più forza la presono, e mostrarono di volerla tenere per loro -contro la volontà del legato; e mostrandosi la riotta grande tra il -legato e gli Ungari per la bastita, il legato fece venire lettere dal -re a maestro Simone comandandoli che rendesse la bastita al legato, -e che non si partisse dal suo volere. E fatto questo comandamento la -bastita fu renduta a’ Bolognesi, e maestro Simone di nuovo condotto -con mille Ungari, e gli altri furono licenziati; e partitisi di là per -fare compagnia, arrestandosi tra Bologna e Imola, avendo la vittuaglia -dal legato: e fatta questa dissensione, messer Bernabò prese fidanza, -e cassò più di sua gente, sicchè al bisogno non potè riparare agli -Ungari, come seguendo nostro trattato diviseremo. - - -CAP. XII. - -_ La venuta a Giadra del re d’Ungheria e della moglie._ - -In questi tempi lo re d’Ungheria non potendo avere figliuoli della -reina sua moglie, alla quale portava grande amore, avvegnachè figliuola -fosse d’un suo suddito barone, a lui e a tutto il regno ne parea male, -che trascorresse il tempo senza speranza d’avere successore e di lui -erede nel regno. E la moglie medesima per l’amore che portava al re -n’era in afflizione, e ben disposta di fare ciò che piacesse di sè e -ch’ella potesse perchè al suo signore non mancasse rede, sentendosi in -istato da non potere portare figliuoli, e per questa cagione si disse -palese che il re e la reina erano venuti a Giadra, e là dimorarono -parecchi mesi facendo edificare un grande e nobile munistero a onore -di santo..... nel quale si dicea che dovea con la dispensazione di -santa Chiesa entrare la reina in abito e stato monachile, e lo re dovea -potere torre altra donna. Se ciò fu vero, l’amore della donna lo vinse, -e solo la fama della volontà rimase. - - -CAP. XIII. - -_La presa di Gello fatta per quelli di Bibbiena, e la compera ne fece -poi il comune._ - -Gello è un bello castelletto presso a Bibbiena a due miglia, e possiede -buoni terreni. Messer Luzzi figliuolo bastardo di messer Piero Tarlati -l’avea lungo tempo occupato all’abate di Magalona, e rispondevali -certa cosa per anno. I fedeli occupati vedendo loro tempo per uscire -di servaggio, diedono il castello a coloro ch’erano in Bibbiena per -i Fiorentini all’entrata del mese di novembre, e accomandaronsi al -comune. Messer Luzzi in questo dì era accomandato de’ Sanesi, i quali -mandarono ambasciadori a Firenze, e tanto operarono, che ’l comune -a dì 15 di gennaio detto anno per riformagione di consigli diedono a -messer Luzzi per compera del castello di Gello fiorini milledugento, ed -egli fece consentire all’abate; e le carte fece ser Piero di ser Grifo -notaio delle riformagioni del comune di Firenze. - - -CAP. XIV. - -_Come il comune di Firenze mandò ambasciadori al legato e a messer -Bernabò per trattare accordo._ - -Essendo l’impresa di Bologna barattata nelle mani di messer Bernabò -per altro modo che non istimava, e ripiena d’Ungheri la Lombardia, -il comune di Firenze avvisando che tempo fosse atto a trovare via -d’accordo, mandò di novembre di detto anno a smuovere il legato a -lasciare trovare modo alla concordia, lo quale trovarono in vista e -nelle parole bene disposto, e però andarono a Milano a messer Bernabò, -e cercato più volte di poterli parlare, non poterono da lui in Milano -avere udienza, perocchè la notte innanzi mattutino messer Bernabò era -a cavallo e andava alla caccia, e la sera tornava tardi, e non dava -udienza, perchè convenne che la notte il seguitassono sponendo loro -ambasciata, e cavalcando forte il signore senza arrestarsi, e non -di meno parea desse speranza al trovare de’ modi; e così seguì più -dì senza avere udienza altro che cavalcando, sopravenne quello, che -il legato trattò co’ suoi Ungheri, come appresso diviseremo; per la -qual cosa sdegnato messer Bernabò non volle più udire da quella volta -innanzi gli ambasciadori di Firenze, e senza onore si ritornarono al -loro comune. - - -CAP. XV. - -_Come il legato mandò gli Ungari sopra la città di Parma._ - -Il valente legato conoscendo l’animo di messer Bernabò niuna fede -prendea di lui, e avendo lungamente dimostrato discordia con gli -Ungheri come narrato avemo, e sentendo inverso Reggio mille barbute -casse da messer Bernabò, con l’aiuto di messer Feltrino da Gonzaga -per certa provvisione le condusse, e improvviso a tutti in una notte -fece pagare per certo tempo gli Ungari ch’avea cassi e quelli ch’avea -condotti, e mostrando d’andarsene gli Ungari di verso Ferrara, avendo -avuta la licenza del passo, si rivolsono, e valicarono Modena e Reggio, -e furono prima in sul Parmigiano, ch’alcuna novella n’avessono avuta -i paesani, e per questo improvviso corso feciono di bestiame grosso e -minuto preda senza misura. E appresso agli Ungari vi mandò il legato -messer Galeotto con mille barbute, e a lui feciono capo l’altre mille -condotte a Reggio per modo di compagnia, valicarono la Fossata, e poi -il fiume della Parma, e stettono in larga preda più di venticinque dì, -perocchè per comandamenti di messer Bernabò il paese non era lasciato -sgombrare. La stanza e la ritornata fu senza contasto, e a Bologna -si ritornarono a dì 11 di dicembre, con fama d’avere avuti danari da -messer Bernabò; per la qual cosa il capitano degli Ungari tornato poi -in Ungheria dal suo signore fu messo in prigione. - - -CAP. XVI. - -_Della presura del conte da Riano._ - -Il re Luigi avendo sentito come Anichino di Bongardo con la sua -compagnia s’avviava nel Regno, o che ’l conte da Riano gli fosse di -ciò infamato, o ch’egli avesse sospetto di lui, lo fece mettere in -prigione, con minacce di farli torre la persona. Il conte si sentia -senza colpa, e non temea, confidandosi nella verità, e nel grande -parentado che avea con i maggiori baroni del Regno, i quali riprendeano -il re di quella presura, per la quale non piccola dissensione era nel -reame, e per l’aspetto della compagnia, e ancora perchè il duca di -Durazzo non si fidava del re; e il gran siniscalco si stava a Bologna, -e mostrava non curarsi di ritornare nel Regno, accortosi che ’l re -avea troppa fede data ai baroni ch’erano a lui in contradio. Lo re non -era sano, e il prenze perduto per le donne e per lo vino dalla cintura -in su, e per queste cagioni il re sollecitava con lettere il gran -siniscalco che tornasse a lui, ed egli sostenea per soccorrere al tempo -del gran bisogno, e per fare ricredenti gli avversari suoi, come poscia -addivenne. - - -CAP. XVII. - -_Come la compagnia d’Anichino sostenne fame all’entrata del Regno._ - -Anichino di Bongardo con la sua compagnia essendo valicato nel -Regno, tentato l’andare all’Aquila, e trovato i passi forniti alla -difesa, fu costretto arrestarsi del mese di novembre, essendo i passi -stretti e male agiati di vittuaglia, verso Lanciano, per la qual cosa -soffersono gran fame e assalto a’ passi da’ paesani, onde in quel -luogo perderono circa a ottocento tra cavalieri ungari e masnadieri; -e non potendo in quel paese acquistare se non fame, presono la via di -verso la Puglia, e all’entrata di dicembre furono in Giulianese: le -terre trovarono afforzate e sgombro il paese, sicchè poco di preda vi -poterono avanzare, nondimeno gli Ungari e i soldati cassi nel paese di -là seguivano la compagnia sentendosi entrare nel Regno, e accrescevanle -forza. - - -CAP. XVIII. - -_Come messer Cane Signore rimandò la moglie che fu di messer Cane -Grande al marchese di Brandisborgo._ - -Morto messer Gran Cane dal fratello, e tornato messer Cane Signore -in Verona, presa la signoria dopo il lamento fatto della morte del -marito, la donna che fu di messer Gran Cane sirocchia del marchese -di Brandisborgo con disonesta fama di messer Cane Signore lungamente -contro suo volere fu ritenuta in Verona. E in quei giorni addivenne, -ch’a un parlamento fatto dai principi d’Alamagna con l’imperadore, il -marchese di Brandisborgo si dolse dell’oltraggio fatto alla sirocchia -per messer Cane Signore; onde dall’imperadore e dagli altri principi -d’Alamagna fu confortato ch’attendesse a vendicare sua ingiuria, -promessogli fu in ciò loro aiuto. Come ciò pervenne agli orecchi -di messer Cane Signore cagione gli fu di rendere la donna, la quale -rimandò del mese di novembre detto anno con quello onore e con quella -compagnia ch’a lui piacque infino fuori de’ suoi confini, e quivi -trovato di sua gente che gli si faceano incontro la lasciarono, udendo -minacce grandi contro al signore loro. Il detto duca fece partire di -suo paese tutti i sudditi del signore di Verona, e a tutti vietare le -fiumane e’ passi come a suoi nimici. - - -CAP. XIX. - -_Come la compagnia d’Anichino di Bongardo prese Castello san Martino._ - -Essendo di Giulianese entrata la compagnia nel distretto del duca -di Durazzo, avendo difetto di pane, e mostrandolo maggiore, quelli -di Castello san Martino essendo molto forniti di vittuaglia, per -ingordigia del prezzo i villani di quello cominciarono a vendere -il pane un gigliato. La gente d’arme maliziosa e cauta, veggendo i -villani allargarsi all’esca del danaio, mandavano a uno e a due nel -castello insieme con le mani piene di gigliati a comperare del pane, ed -eglino si stanziavano di fuori senza fare alcuna guerra al paese; onde -avvenne, che dimesticata la gente matta e avara, per potere vendere più -del pane lasciarono entrare nel castello degli uomini della compagnia, -i quali dato segno a quelli di fuori furono di subito alla porta, e -con quelli d’entro cominciarono la mischia, e cacciarono le guardie -dalla porta, e misono dentro la compagnia, facendo per ciò sussidio -grande al loro stremo bisogno, ch’erano nel dicembre, e per loro non -trovavano pane nè strame per i cavalli, e nel castello abbondantemente -ne trovarono, e pertanto gran parte del verno vi dimorarono sovente -cavalcando il paese, e riducendosi all’ostellagione senza costo loro -con le prede faceano nel paese. - - -CAP. XX. - -_Come il re d’Araona diè per moglie la figliuola a don Federigo di -Cicilia._ - -Del mese di novembre detto anno, lo re d’Araona diliberò di dare per -moglie a don Federigo figliuolo di don Piero di Cicilia la figliuola, -e a dì 27 di dicembre seguente giunse nell’isola di Cicilia con -quattordici galee ben armate, e fatto porto a Cattania, dove il giovane -re facea suo dimoro, ricevuta la donna con quella festa che far le potè -secondo il suo povero stato la disposò; e pensandosi che le galee de’ -Catalani facessono guerra a Messina e all’altre terre del re Luigi, -senza arresto alcuno fornita la festa delle nozze se ne ritornarono in -Catalogna. - - -CAP. XXI. - -_Come messer Bernabò si provvedde per avere gente, nuova per -guerreggiare Bologna._ - -Messer Bernabò mostrò di non curarsi dell’avvenimento degli Ungheri -e de’ Tedeschi che alquanto del verno stettono sopra le terre sue, -anzi scrisse al legato parole di scherno, volendo mostrare, che quello -che fatto avea tornerebbe tosto in sua confusione. E a certi suoi -confidenti mostrò un grandissimo tesoro accolto di nuovo senza toccare -quello della camera sua, il quale passava il numero di secento migliaia -di fiorini, i quali affermava sè avere diputati per vincere la gara di -Bologna. E per ciò cominciare e con danari e con doni mandò il conte -di Lando in Alamagna a sommuovere baroni e cavalieri a sua provvisione -per averli al primo tempo; il quale trovando che per l’imperadore e per -lo doge d’Osteric, e per lo marchese di Brandisborgo, e per gli altri -principi d’Alamagna fatto era comandamento, che niuno arme prendesse -contro a santa Chiesa, del mese d’aprile seguente tornò con dieci -bandiere di ribaldi, i quali per non avere che perdere non curarono i -comandamenti de’ loro signori, golando il soldo di messer Bernabò. Ora -nel processo nostro per lo verno dando sosta all’altre fortune ci si -apparecchia a narrare cosa spiacevole alla nostra città di Firenze, e -all’altre città a lei vicine. - - -CAP. XXII. - -_Come messer Niccola Acciaiuoli gran siniscalco del Regno venne in -Firenze, e della novità che per sua venuta ne seguio._ - -Messer Niccola Acciaiuoli fatto per lo legato conte di Romagna e del -suo segreto consiglio, sollicitato dal re Luigi co’ comandamenti, e da’ -Fiorentini e dagli altri comuni di Toscana procacciava aiuto contro -alla compagnia d’Anichino; onde egli fatto vececonte in Romagna, e -provveduto d’uficiali alle terre commesse al suo governo per santa -Chiesa, a dì 9 di dicembre venne a Firenze, dove da’ parenti e dagli -amici, e dagli altri cittadini discreti e da bene a grande onore -fu ricevuto. Lo suo dimoro e portamento nella città era onesto e di -bella maniera, mettendo ogni dì tavola cortesemente, e senza alcuna -burbanza, chiamando i cittadini, e i grandi, e i popolari alla mensa, -onorandoli successivamente: e così stando in Firenze, con ogni onesta -sollecitudine che potea procacciava di fornire il comandamento del -suo signore, e richiedeva sovente con riverenza i suoi signori priori -e collegi d’aiuto, e simile in spezialità gli altri cittadini che -in ciò gli prestassono favore. E in questo stante novità occorsono -nella nostra città, che tutta la terra puosono in confusione, come nel -seguente capitolo diremo. - - -CAP. XXIII. - -_Come per sospetto nato nella città di Firenze di messer Niccola -indegnamente egli ne ricevette vergogna._ - -Anichino di Bongardo, com’è di sopra scritto, e con sua compagnia -era passato nel regno di Puglia, con animo d’offendere il re Luigi a -suo podere, il quale sollecitamente si dava a’ ripari, il perchè il -gran siniscalco n’era venuto a Firenze per avere aiuto, e promessa -avea avuta d’avere trecento cavalieri; or come piacque alla fortuna -occorse, ch’al nuovo priorato, che trar si dovea per legge di comune, -far si dovea lo squittino nuovo de’ priori e collegi, e fallare non -potea che stando messer Niccola a Firenze o vicino non fosse priore, -perocchè nelle borse vecchie niuno v’era rimaso se non egli, e delle -nuove trarre non si potea se non si votasse le vecchie, ed egli a -ogni nuovo priorato era tratto, e rimesso per assenza: il caso che -parea appensato, e l’uomo per la grandezza sua nella città per tema di -tirannia verisimilmente sospetto, con assai colorata credenza facendo -i governatori della città fortemente sospettare, e mormorio n’era tra -loro, il quale per lo procaccio si stendea nel volgo, e se ne parlava -e in piazza e a’ ridotti, ma per quello che veramente sentimmo l’animo -del nobile cavaliere della detta intenzione era tutto rimoto, e per -tanto per quetare il mormorio sollecitava d’avere la gente dell’arme -che il comune gli avea promessa, e proposto s’era al tutto nell’animo -che se necessario caso l’avesse ritenuto di renunziare l’uficio. -Occorse in quei giorni, che licenziandosi i nostri ambasciadori dal -legato di Spagna, il quale come di sopra è scritto presa avea la -signoria di Bologna, ed egli avendo l’uno di loro conosciuto per uomo -grave e intendente e d’autorità, e a cui molta fede era data nel suo -comune, avanti che a loro desse il congio, quel tale segretamente -chiamò nella camera sua, e datali la credenza, prima gli rivelò come -certamente sentia che in Firenze era trattato e congiura per sovvertere -lo stato loro. Il discreto e accorto ambasciadore gli rispuose, -che tale credenza tenendola a lui era pericoloso, e simile al suo -comune, e che per tanto a lui piacesse che a’ suoi signori il potesse -manifestare, non domandando come savio più oltre, per non avere materia -d’abominare i suoi cittadini, senza i quali non pensava ragionevolmente -potere essere trattato. Lo cardinale non glie n’aperse più, ma -gli concedette licenza che di quello che detto gli avea ne facesse -fede a’ signori suoi come gli avea domandato. Per la rivelazione di -costui generale e oscura il sospetto preso di messer Niccola crebbe a -maraviglia, e in tanto, che senza niuno intervallo di tempo provvisione -si fè, la quale in effetto contenne, che niuno ch’avesse giurisdizione -di sangue, o sotto sè città o castella non potesse essere all’uficio -del priorato: ma per non fare più vergogna al valente cavaliere -trovandosi egli alla tratta de’ nuovi priori, affrettarono di dare -la gente promessa perchè avesse onesta cagione di partirsi, il quale -avendo ricevuto la gente, al modo del buono Scipione Affricano per -liberare dal sospetto la patria e sè da vergogna, con la gente datagli -di presente prese viaggio, e giunto a Siena, e appresso a Perugia, -loro in nome del re Luigi richiese d’aiuto, e altro che belle parole -non ne potè riportare. In questo fortunoso ravviluppamento assai per -li savi non odiosi si comprese della magnanimità del gran siniscalco, -perocchè nè in atto nè in parole in lui veruno turbamento si vide o -sentì, ma piuttosto tranquillità d’animo, quasi come se ciò s’avesse -recato a onore che in tanta città fosse preso che tanto animo avesse: e -tutto che per lo trattato che poco appresso si scoperse si manifestasse -l’innocenza sua e purità d’animo, non di meno la legge rimase, e fu -riputata utile e buona, perchè si dirizzava a conservamento di libertà, -la quale in questo mondo certano è riputata la più cara cosa che sia. - - -CAP. XXIV. - -_Come si scoperse congiura di certi cittadini di Firenze, e trattato -per sovvertere lo stato che reggea._ - -Vedendosi manifesto per ogni qualunque intendente, che la legge fatta -in favore della parte, tutto ch’ad altro fine fosse principiata, era -in sè utile e buona ma male praticata, e che coloro che ne doveano -secondo il proponimento di coloro che l’aveano creata essere disfatti -n’erano sormontati e aggranditi, e che la città n’era in molte parti -stracciata e divisa, e di male talento piena ne stava in tremore e -sospesa, e’ rimedi sufficienti al male non si vedeano, e se si vedeano -erano posti a silenzio, il perchè quasi per una boce comune forte si -dubitava di cittadinesca commozione. Ed era per certo da dubitare, -come l’esperienza poco appresso ne fè manifesto, perocchè tale mala -disposizione conosciuta da certi cittadini mal sofferenti e d’animo -grande, e che mal contenti viveano, massimamente veggendo alzare -troppo i loro avversari, e da certi che per ammunizione erano a loro -parere contra ragione offesi, ed eranne poco pazienti, loro diede -audacia e materia di cercare novità, e gli mosse a congiura, e in una a -cercare de’ modi e delle vie da levare dello stato coloro i quali per -loro nemici teneano. Costoro loro capo feciono Bartolommeo di messer -Alamanno de’ Medici, uomo animoso troppo, e che si sarebbe messo a -ogni gran pericolo per abbattere gli avversari suoi; al quale parendo -che il tempo abile a ciò fare fosse venuto, riscaldato e sollecitato -da Niccolò di Bartolo del Buono, e da Domenico di Donato Bandini, i -quali erano stati ammuniti e levati dagli ufici e onori del comune come -sospetti della parte, non perchè fossono, ma per operazione di chi gli -avea con quel bastone voluti fare ricomperare, ristrettosi con loro, -cominciarono segretamente a cercare de’ modi e delle vie da pervenire -all’intento loro: e così cercando, trovarono che Uberto d’Ubaldino -di messer Uguccione Infangati, uomo cupido e vago di novitadi, e atto -assai a dovere e potere cercare, e avendo rispetto al male disposto e -intrigato stato della città, come per quella scritta avemo di sopra -comprendere si può, per suo proprio movimento, e senza averne con -alcuno conferito, sotto la speranza d’avere il seguito de’ malcontenti, -de’ quali allora il numero era grandissimo ogni ora che gli avesse -richiesti, avea tenuto trattato con uno Bernarduolo Rozzo Milanese, -il quale era cameriero di messer Giovanni da Oleggio de’ Visconti per -allora signore di Bologna, e stato era suo tesoriere, uomo sagace, -astuto e d’animo grande, il quale entrato n’era in ragionamento col -detto messer Giovanni, mostrandoli per assai belle e apparenti ragioni -come se volea il potea fare signore di Firenze. Il tiranno giusta -il costume de’ tiranni vi prestò l’orecchie, ma infra il tempo per -necessario caso occorse ch’esso tiranno per lo migliore suo s’accordò -con la Chiesa, e rendè Bologna a messer Egidio d’Albonazio di Spagna -cardinale e legato di santa Chiesa nelle parti d’Italia, il perchè il -trattato cominciato per messer Bernarduolo Rozzo si rimase. I predetti -Bartolommeo, Niccolò, e Domenico avendo segretamente odorato che per -Uberto si cercava rivoltura di stato, e che per tanto verificando -il titolo e nome della famiglia sua s’era Infangato, tutto che il -modo e le persone con cui trattava non sapessono, conoscendolo uomo -sufficiente e atto a fornire delle intenzioni loro, e di quello che -loro andava per l’animo, e stimando che per l’errore già commesso per -lui loro dovesse essere fedele, lo tirarono ne’ loro segreti consigli, -e intorno a loro impresa gli dierono faccenda e pensiero, con dirli -cercasse consiglio e aiuto pronto col quale loro intenzione potessono -fornire. Parendo a Uberto che i suoi vecchi pensieri fossono di nuovo -appoggiati e di consiglio e di forza, senza ai suddetti niuna coscienza -farne col detto Bernarduolo Rozzo ricominciò il vecchio trattato, -parendoli avere migliorato condizione, offerendoli al servigio -sufficiente seguito a fornire il cominciato trattato con lui, e diedeli -certe scritture di sua testa compilate, dove soscritto apparea non -piccolo numero di cittadini e grandi e popolani, e de’ maggiori e de’ -mezzani e de’ minori, tutti persone e da nome e da fatti. Il detto -Bernarduolo, parendoli avere in mano la detta cosa per fornita, di -tanta audacia e presunzione fu, che avendo cercato questa faccenda -con messer Giovanni da Oleggio, e veggendo che sua intenzione gli era -faltata per lo dare che fatto avea di Bologna a santa Chiesa, fu di -tanta audacia e presunzione, che sentendo il cardinale di Spagna uomo -d’alto animo, fattivo e cupido di fama mondana, e desideroso oltre a -modo di temporali signorie, e per tanto quasi senza considerazione, -e per tanto di grandi imprese lo richiese, mostrandoli, che senza -niuno dubbio con poca spesa e fatica potea essere signore di Firenze. -Il legato, tutto fosse cupido e animoso, era savio e temperato, e -conoscea che fallandoli l’impresa potea essere il suo disfacimento, -e promessa credenza di tutto, il trasse fuori di pensiero de’ fatti -suoi; poi come detto è di sopra a uno degli ambasciadori fiorentini il -detto cardinale in genere revelò che trattato era in Firenze. Nè però -ristette Bernarduolo di cercare, e seguendo la via cominciata, portò il -trattato a messer Bernabò, il quale mostrò d’averlo caro e accetto, ma -come signore di grande sentimento e pratico delle baratte del mondo, -non parendoli che la cosa dovesse avere effetto, secondo l’offerte -che gli erano fatte dava e toglieva parole e tenea in tranquillo, -mettendo per lunga via la mena, e per simile il detto Uberto dicea -ai detti Bartolommeo e i compagni che cercava cose ch’anderebbono -a loro intenzione, ma che per ancora non avea tanto che loro niente -effettualmente ne potesse dire. - - -CAP. XXV. - -_Come si scoperse il trattato che era in Firenze, e certi ne furono -puniti._ - -Mentre le dette cose si cercavano per Bernarduolo, parendo ai detti -tre Bartolommeo, Niccolò e Domenico, che ogni piccolo indugio loro -fosse pericoloso, poichè incominciato aveano, e temendo che lunghezza -di tempo non impedisse, e scoprisse quello che intendeano di fare, -sollecitavano continovamente, e un’ora non si lasciavano fuggire di -mano, pensando dì e notte de’ modi come loro proponimento potessono -fornire, intra i quali uno loro ne cadde nell’animo, il quale poi si -conobbe sufficiente a muovere scandalo grande e pericoloso, ma non -a terminare secondo il concetto dell’animo loro; e per mandarlo ad -esecuzione. I detti caporali con inventivi modi e argomenti sottili -e sagaci trassono in loro congiura e trattato messer Pino di messer -Giovanni de’ Rossi, Niccolò di Guido da Sanmontana de’ Frescobaldi, -Pelliccia di Bindo Sassi de’ Gherardini, Beltramo di Bartolommeo -de’ Pazzi, Pazzino di messer Apardo Donati, Andrea di Pacchio degli -Adimari, Luca Fei, Andrea di Tello dell’Ischia (questi ultimi due -per molti si tenne che senza colpa fossono messi nel ballo) e frate -Cristofano di Nuccio de’ monaci di Settimo, il quale era stato -lungo tempo alla guardia della camera dell’arme, e quindi per alcuno -procaccio d’altrui era stato rimosso: di molti altri si disse, ma non -si trovò esser vero, e se fu, si tacque, e ammorzò per lo migliore, e -per fuggire disordinato fascio, ma agl’intendenti parve, non essendo -matti i detti nominati di sopra, sì grande tentamento dovesse avere -maggiore appoggio e sequela e nel numero. La motiva loro fu più per -odio e nimistà speziale che vogliosamente portavano a certa famiglia -di popolari grandi e in comune, e per levarli di stato e cacciarli, -che per zelo che avessono alla repubblica o ad altri loro cittadini. -L’ordine per i detti dato a fornire loro impresa fu di questa maniera, -che l’ultimo dì di dicembre frate Cristofano, che per le reliquie -del vecchio uficio che gli era stato levato ancora liberamente usava -l’entrata e l’uscita del palagio de’ priori, ed era signore delle -chiavi, dovea segretamente mettere quattro fanti in sulla torre del -palagio de’ signori, e rinchiuderli in una camera che v’è, e non -s’usava, e poi di notte dovea aprire lo sportello della porta del -palagio di verso tramontana, che non s’usava, e mettere quetamente -per quella ottanta fanti, e riporli ivi di presso nella camera dove si -riducono gli uficiali delle castella, ch’allora non vi stava persona, -e la seguente mattina, quando escono i signori vecchi ed entrano i -nuovi, rimanendo dentro un fante solo che serra la porta, mentre che -le dicerie e solennità a tali atti usati si fanno, i detti ottanta -fanti doveano uscire della detta camera, e uccidere o prendere il detto -portiere, e serrare la porta, e salire sul corridoio del palagio, e -con le pietre percuotere chiunque fosse sulla ringhiera, e i fanti -della torre doveano sonare le campane a stormo, e in quell’ora si -doveano muovere i detti congiurati col seguito loro, stimando che molti -cittadini offesi e malcontenti, e quelli che stavano indubbio dello -stato loro traessono a loro, e gli dovessono seguire; con volere che -per altro ordine si governasse la terra, della quale s’immaginavano -essere principali e maestri, com’erano principali della matta impresa, -con mostrare di volere che a neuno fosse fatto oltraggio o torto. Il -pensiere loro fu riputato da molti folle, perchè non avendo altro -braccio, rimaneano in podestà del furore del popolo, se non avesse -consentito al loro movimento. Altri stimavano, che essendo il popolo -confastidiato come detto avemo, e per natura mobile e vago di novità, -e che scorrere si lascia quando è scommosso là dove non possono i savi -stimare, che loro pensiero potesse avere effetto: ma Dio che è guardia -de’ semplici e innocenti, e che talora per rispetto loro tempera -l’ira sua contra i rei, perchè il caso parea come suole fare, o per -fortuna o per privati odii contra loro straboccare, volle si scoprisse -il trattato, e fu in questo modo. Detto avemo come il legato sotto -parole generali avea fatto sentire come nella città era trattato, ma -d’esso non avea dato indizio veruno; e stando per questo i governatori -e i cittadini di Firenze nel tenebroso sospetto, Bernarduolo Rozzo, -che vedea suo ragionamento tornato in fummo, pensò di fare civanza, -e trarre vantaggio delle fatiche che avea ordinato in male operare, -e venuto a Santa Gonda, mandò per uno suo amico della casa degli -Antellesi, e a lui disse, che quando il comune di Firenze gli volesse -dare venticinque migliaia di fiorini, ch’egli manifesterebbe il -trattato, e chi lo conducea. Ciò sentito per i signori, e tenuto -segreto consiglio, per trarre il popolo di periglio, e di sospezione -e paura, diliberarono gli fosse dati danari, e alla promessa d’essi -s’obbligarono i signori, e’ collegi, e’ richiesti, e se ne fè scrittura -obbligatoria con saramento, e il pagamento se ne dovea fare in Siena, -manifestato ch’avesse in forma bastevole la verità del fatto. Anzi che -fosse il detto ragionamento fornito, o fattone esecuzione, fu noto -a Bartolommeo che ’l fatto si venia a scoprire, non perchè il detto -Bernarduolo il sopraddetto processo e ordine sapesse, ma che per quello -che tenuto avea con Uberto Infangati sapea i nomi di coloro che sapea -che teneano al suo, si manifestò e aprì a Salvestro suo fratello, e -quello che occultato avea, e a lui e a’ suoi consorti palesò. Salvestro -udito il voglioso e poco savio movimento del fratello, per ricoverare -l’onore suo e della casa sua, che per la detta impresa potea cadere -in sospicione, e per trarre il fratello di pericolo e d’abominio, con -certi dello stato discreti e fidati, e alla famiglia sua, di presente -ne fu a’ signori, e da loro prese sicurtà per Bartolommeo, dicendo, -che da lui avrebbono tanto, che potrebbono trarre di sospetto e di -paura il comune, il quale quasi per lusinghe tirato nel trattato, con -infingere di non sapere se non la corteccia, dissono a’ signori, che -se avessono Niccolò e Domenico di Donato Bandini che ne saprebbono -il tutto, come da’ caporali e guide del trattato; di che i signori di -subito mandarono per loro in forma e in modo, che se si fossono voluti -cessare non aveano il podere, e quelli per loro prima esaminati li -dierono al podestà. Gli altri congiurati sentito questo si cessarono -subitamente; e i detti presi confessato il loro eccesso furono -dicapitati: gli altri nomati, eccetto il detto Bartolommeo, furono -per lo potestà senza vituperevole titolo condannati nella persona. Il -detto Bernarduolo Rozzo, avendo per la detta sua operazione certificato -il comune che ’l suo palesare il trattato era per vendere la vita di -molti cittadini, e non per palesare il suddetto trattato, del quale -niente sapea, fu di tanta presunzione e ardire, che sotto la promessa -di dare al comune scritta di mano propria de’ congiurati, alla quale -erano sottoscritti molti cittadini di loro propria mano, e suggellato -di loro proprio suggello, domandò ed ebbe fidanza di venire a Firenze, -e a’ signori la detta scritta diede, la quale si trovò essere di mano -d’Uberto Infangati, fittamente e coloratamente composta, secondo che -fuori n’uscì la boce, se vera fu, o no. Ragunato il consiglio, _coram -omnibus_ la scritta fu arsa senza altrimenti farne dimostrazione. A -Bernarduolo Rozzo furono donati cinquecento fiorini d’oro, e tratto -del nostro contado dato gli fu il congio. La legge, ch’era stata in -gran parte cagione e materia di tanto male, e peggio per l’avvenire -promettea, per tutto ciò ammendata non fu, nè regolata nè aggiustata in -niuna sua parte. - - -CAP. XXVI. - -_Come si comperò Montecolloreto, e la giurisdizione di Montegemmoli -dell’Alpe per lo comune di Firenze._ - -Ottaviano e Giovacchino figliuoli di Maghinardo e Albizzo degli -Ubaldini, essendo male in accordo co’ figliuoli di Vanni di Susinana, -e con gli altri Ubaldini teneano Montecolloreto, e possedeano l’Alpi -con millecinquecento fedeli e’ fitti perpetui, e costoro cercavano -di volere vendere Montecolloreto e l’Alpe, e le ragioni ch’aveano in -Montegemmoli, e in Cornacchiaia e nell’altre villette dell’Alpe al -comune di Firenze per loro vantaggio, e dispetto de’ loro consorti. -Il comune intendea alla compera. Gli altri Ubaldini che si teneano -avere ragione nell’edificio di Montecolloreto mandarono a Firenze a -contradire la vendita. La cosa stette lungamente in dibattito, infine -il comune comperò la proprietà da coloro che teneano Montecolloreto, e -tutta l’Alpe, e la giurisdizione ch’aveano i figliuoli di Maghinardo, -e comperò tutti i fitti perpetui ch’aveano nell’Alpe, sicchè il paese e -gli uomini rimasono liberi del comune di Firenze, e i detti Ottaviano, -Giovacchino, e Albizzo, e tutti i loro congiunti e loro famiglie furono -fatti per riformagione del comune, a dì 30 di dicembre del detto anno, -cittadini e popolari di Firenze, e fatte le carte della detta vendita -per ser Piero di ser Grifo delle riformagioni, ed ebbono contanti -fiorini seimila d’oro, com’elli furono in concordia e in patto d’avere -dal comune di Firenze. L’Alpe fu recata a contado, e gli uomini liberi -da’ fitti perpetui. - - -CAP. XXVII. - -_Come una compagnia creata novellamente prese Santo Spirito._ - -Finite le guerre, e fatta la pace fra i due re d’Inghilterra e di -Francia, tornato il re Giovanni in Francia, e intendendo dolcemente a -rassettare il reame, fece gridare per tutto suo reame che tutta mala -gente si dovesse partire, e sgombrare il suo reame sotto gravi pene; -e per tale cagione diverse compagnie s’adunarono, le quali l’una dopo -l’altra poi trassono ad Avignone. Sicchè dove speranza era che il -re liberasse la Chiesa seguitò il contrario, e più si credette per -tutti che i paesi si posassono, e s’intendesse a’ mestieri e alle -mercatanzie, ma incontanente seguitò in Parigi e nel paese di Francia -grandissima carestia e mortalità, e coloro ch’erano usi in guerra, -e più atti alle prede e alle rapine ch’alle mercatanzie e mestiere, -udito il grido e il comandamento del re in diverse parti s’accolsono -insieme per modo di compagnia, e feciono diversi capitani, e chi vernò -in un paese e chi in un altro alle spese de’ paesani, conturbando le -provincie; e un’accolta si fece verso Lione sopra Rodano, in grasso e -abbondante paese, e ivi stettono senza contasto, e dimorati alquanto -nel paese, si misono verso Lione per valicare in Provenza: il vicario -di Lione coll’aiuto de paesani occuparono i passi, che sono stretti e -forti, e non gli lasciarono passare; e vedendosi la compagnia impedire, -un’altra volta maliziosamente si strinsono sopra Lione, ove tutta la -forza della città e delle vicinanze trassono alle difese, e i capitani -della compagnia aveano fatto eletta di mille barbute, e ordinato quando -la gente traesse a loro che prendessono un altro cammino per l’alpe -della Ricodana, e così fatto fu senza trovare chi loro contradicesse, -e tra il giorno e la notte appresso l’alpe passarono, che di mala via -furono oltre a miglia quaranta, e alla dimane si trovarono nel piano -presso a Santo Spirito in sul Rodano, e quivi per lo freddo sostenuto -la notte con fuochi si ristorarono, e a’ loro cavalli provvidono e a -loro di vivanda per riprendere forza della gran fatica che la notte -per lo gran cammino aveano sostenuta; e ciò fatto, montati a cavallo -si dirizzarono a Santo Spirito, dove trovarono la gente sprovveduta, -e nullo resistente s’entrarono nel borgo. La rocca si tenea per uno -castellano lucchese, e quella col castellano presono: e perchè il fatto -fu incredibile per la fortezza del luogo, molti pensarono che fatto -fosse per ordinamento del Delfino, e perchè il castellano fu lasciato -e poi ripreso ad Avignone, stimossi che il papa il sentisse, e per -lo meno male lo si tacesse. I terrazzani da bene uomini e donne si -ridussono nella chiesa ch’è forte, e aspettando il soccorso de’ vicari -circostanti e dal re di Francia per spazio di sei dì, si patteggiarono -di dare fiorini seimila d’oro, salvo l’avere e le persone: i danari -furono pagati, ma i patti non furono attesi, che tutti furono rubati, -e molte femmine giovani ritenute al servigio della compagnia. Santo -Spirito è vicino ad Avignone a otto leghe di piano. E il nobile ponte -sopra il Rodano di presente occupato fu per quelli della compagnia, -d’onde aveano libera l’entrata nel Venisì, e poteano a loro piacere -cavalcare fino ad Avignone: per tale cagione il papa e i cardinali -ebbono gran paura, e la città tutta prese l’arme serrate le botteghe, -e solo s’intendea a fare steccati e bertesche sì alla città e sì al -gran palagio del papa, e a provvedersi di vittuaglia, e con soldati -s’attendea a buona guardia, e di dì e di notte. E oltre a questa -provvisione il papa bandì la croce sopra la compagnia, credendo subito -avere gran concorso di gente d’arme e da piè e da cavallo, e nullo -si trovò che la prendesse, onde lentamente cominciò a fare gente di -soldo, e fè capitani il cardinale d’Ostia con certi altri prelati, e li -mandò nel Venisì a fornire le castella della frontiera contro i nemici -perchè non potessono stendere nè verso Avignone nè verso la Provenza, -massimamente perchè sentiva che la compagnia era per avere maggior -forza in corto tempo da quelli che rimasi erano di là da Lione. Al -modo delle guerre de’ prelati la boce fu grande, e la difesa fu piccola -quando alla compagnia parve il tempo da valicare, ma per allora essendo -pochi, ed avendo roba assai, gran tempo stettono senza fare cavalcate, -e il ponte afforzarono in forma, che le navi che veniano di Borgogna -ad Avignone con vittuaglia non poteano passare, onde la corte sostenne -grave carestia. Lasceremo per ora questa materia la quale ebbe lungo -processo, e seguiteremo le cose d’Italia, che nel tempo richieggiono il -luogo debito loro. - - -CAP. XXVIII. - -_Come tornati gli Ungari e messer Galeotto da Parma si misono a Lugo._ - -Tornati gli Ungari del Parmigiano, il legato, perchè non gravassono -dentro i Bolognesi, gli mandò sopra Lugo, dando boce di volere -rivolgere un fiumicello che corre verso Castello san Piero sopra -Lugo; e per fare la mostra apparente ragunò maestri paesani a ciò -fare, e niuno effetto ne seguì. Stando gli Ungari a campo a Lugo -messer Galeotto cavalcò sopra Castelfranco, e mancandogli i soldi -pagati per lo legato agli Ungari e ai soldati, si partirono del detto -mese di gennaio e da Lugo e da Castelfranco, e di loro una parte -dal Biscione prese soldo, ed entrò in Lugo a fare guerra contro al -legato, e alquanti il legato se ne ritenne. Mille o più a piano passo -si dirizzarono in Romagna, e quindi nella Marca vivendo a legge di -compagnia, e parte di loro s’aggiunse alla compagnia del Regno. Poco -appresso il legato s’accordò con quelli ch’erano passati nella Marca, e -di febbraio gli fece tornare sopra Lugo, per rattenere quelli ch’erano -in Lugo dal conturbare la Romagna, ma poco tempo là durarono per la -povertà del legato, ch’avea l’animo grande e la fonda vota. - - -CAP. XXIX. - -_D’alquanti trattati tenuti in diverse parti che tutti si scopersono._ - -In questi giorni, certi d’una casa di Forlì che si nomava di Capo -di Ferro, i quali il legato avea rimessi in Forlì, con altri loro -amici e congiurati cercarono di mettere una notte in Forlì la gente -di messer Bernabò ch’era in Lugo. Il trattato si scoperse, e furono -presi venticinque cittadini, e trovati colpevoli, due di quelli di -Capo di Ferro ed altri due del mese di gennaio furono decapitati, e -dodici di loro seguito mandati a’ confini. La terra si rassicurò con -sollecita guardia. Seguendo simili cose e’ pare, che quando il verno -non lascia campeggiare la sfrenata rabbia degl’Italiani, non resti -di procurare scandali e commuzioni. I Perugini in questi dì trovarono -certi loro grandi che voleano rompere il popolo, e mutare il reggimento -di quella città, e furono tanto e sì potenti, che scoperto il fatto non -s’ardì a fare punizione. In Siena fu sospetto di mutamento di stato, -e lungamente se ne stette in gelosia e in guardia. In Volterra fu il -simigliante, e con gli ambasciadori del comune di Firenze si quetò la -materia dello scandalo. In Bologna in questo verno si scoperse un altro -trattato, che alcuni cercavano con messer Bernabò, de’ quali erano -due de’ Bianchi caporali, non sapendo l’uno dell’altro. Ed avendo il -podestà condannati Giovanni e Federigo de’ Bianchi nella persona per -questo tradimento, e mandandoli alla giustizia con due altri, il legato -fece liberare Giovanni ch’era meno colpevole, e Federigo e’ compagni -furono decapitati. I Perugini, con trattato ch’aveano con certi loro -sbanditi ch’erano al soldo del signore di Cortona, il doveano fare -uccidere: il fatto scoperto, i traditori furono presi, e fattone quello -che meritavano. - - -CAP. XXX. - -_Come il grande siniscalco fu ricevuto nel Regno, e quello ne seguì._ - -Per inzigamento di messer Giannotto dello Stendardo, e di messer -Ramondo dal Balzo e de’ seguaci loro, allora governatore del re, messer -Niccola Acciaiuoli gran siniscalco al giudicio de’ cortigiani parea in -poca grazia del re, e giunto in Napoli, e scavalcato al castello del -re, convenne che quel giorno col seguente solo a solo col re dimorasse, -e con lui a quelle cose che nel Regno erano a fare diede il modo, e lo -re lo fè suo luogotenente, e per suo decreto e a’ baroni e a’ popolani -comandamento fece, che ubbidito fosse come la persona sua. Quindi a -pochi dì fatto suo apparecchiamento, colla gente del comune di Firenze -e quella potè avere del paese cavalcò in Puglia verso la compagnia, e -misesi nelle terre vicine alla frontiera loro, e li comimciò forte a -ristrignere di loro gualdane. - - -CAP. XXXI. - -_D’un segno nuovo ch’apparse in cielo sopra la città di Firenze._ - -A dì 9 di febbraio detto anno, alle quattro ore di notte, in aire -apparve sopra la città di Firenze un vapore grosso infocato di tale -aspetto, che a molti parve che fosse fuoco appresso nella città vicino -a loro vista, e per tanto cominciarono a gridare al fuoco, e le campane -della chiesa di santo Romeo sonarono a stormo, e lungamente, come è -usanza di sonare per lo fuoco; per lo quale romore molti cittadini si -levaro da dormire, e vedendo ch’erano vapori incesi nell’arie uscirono -delle case, e andarono a’ luoghi aperti, e vidono il tempo sereno, e il -lume della luna, e di qua e di là dal vapore sua larghezza rosseggiante -a guisa di fuoco per spazio di miglio, e sua lunghezza di quattro, e -il suo montare alto del basso tanto era, che le stelle si mostravano -in esso come faville di fuoco; e levatosi in distanza alcuna di sopra -a Firenze valicò Fiesole, tenendo forma di ponte da Montemorello a -Fiesole, e poi con assai lento andamento trapassò nel Mugello, e in -un’ora e mezzo consumato si mostrò a coloro che di Firenze n’aveano -aspetto. Di tal segno niuna altra influenza si vide da farne menzione, -se altra per più lunghezza di giorni non dimostrasse, se non alcuno -secco, che danno fè assai alle terre sottili di nostre montagne per -tutto nostro paese. - - -CAP. XXXII. - -_Dimostramento di smisurato amore di padre a figliuolo._ - -E’ ne parrebbe degno di riprensione lasciando in dimenticanza un caso -occorso in questo tempo, perchè ci pare esempio di mirabile carità -intra padre e figliuolo, ed e’ converso, tutto che apparito sia in -uomini di bassa condizione. Nel contado di Firenze e comune della -Scarperia, villa di santa Agata, uno garzoncello nome Iacopo di Piero, -sprovvedutamente uccise un suo compagno, e ciò fatto, lo manifestò -al padre, il qual turbato gli disse, che subito si partisse, e si -riducesse in luogo salvo, e così fece. Il malifizio fu portato alla -signoria, e incolpato e preso ne fu il padre del garzone, il quale -tormentato, per non accusare il figliuolo confessò sè avere commesso il -peccato all’uficiale della Scarperia, e mandato a Firenze al podestà, -confessando questo medesimo e raffermando, fu condannato nel capo. Il -figliuolo, che segretamente era venuto a Firenze per vedere che fine -avesse, vedendo il padre innocente andare a morire per lo difetto suo, -mosso da smisurato amore da figliuolo a padre, diliberato di morire -perchè il padre campasse, il quale liberamente vedea andare alla -morte per campare lui, con molte lagrime si rappresentò alla signoria, -dicendo: Io sono veramente colui che commessi il peccato; io sono colui -che ne debbo portare la pena, e non per me questo mio padre innocente, -che è tanto acceso di carità verso di me perchè io campi, che soffera -di morire per me. L’uficiale udito il garzone, quasi stupefatto ritenne -e sostenne l’esecuzione che si facea del padre, e trovato la verità -del fatto, il padre fu liberato, e il figliuolo, per la necessità -della corte, a dì 6 di marzo con pietose lagrime a chiunque l’udirono -o vidono fu decapitato. E certo se stato fosse commesso il malificio -senza malizia e casualmente, tanto atto di pietà a un benigno signore -credere si dee ch’arebbe meritato perdono almeno della vita. - - -CAP. XXXIII. - -_Contrario esempio d’incredibile crudeltà di madre._ - -Avvegnachè quello che segue appresso alla narrata pietà di padre e -figliuolo dopo i sei mesi occorresse, per collazione del bene col male, -volendo operare la sfrenata lussuria operatrice d’incredibile crudeltà -di madre contra figliuolo, contra la forma di nostro ordine giugneremo -i tempi lontani. All’entrata d’agosto detto anno, nella città di -Perugia, una donna di legnaggio non basso avendo avuto d’un onorevole -popolano suo marito un figliuolo di buono aspetto, morto il padre, dopo -certo tempo la donna giovane si rimaritò a un altro cittadino dabbene, -il quale amava il figliastro quanto che figliuolo, sì per l’ubbidienza, -sì per l’industria, sì per li buoni costumi vedea in lui, il quale era -d’età di dieci anni. La madre per disordinata concupiscenza fu presa -dell’amore d’un altro giovane perugino assai accorto e dabbene, e lui -pensò d’avere per marito, e godersi con lui e sua dote, ch’era grande, -e l’eredità del figliuolo, ch’era maggiore, e altro successore non -avea che lei. E con l’adultero tenuto trattato diedono certo ordine -alla morte del figliuolo, che lo dovea la notte strangolare, ed ella -dovea avvelenare il marito; e dato l’ordine, la madre empia mandò il -figliuolo a casa l’amico con certe cose, e gli comandò non si partisse -da lui se non lo spacciasse; giunto il fanciullo al buono uomo, e -datogli quello che gli mandava la madre, con molta purità con istanza -gli domandava d’essere spacciato: vedendo l’uomo la semplicità del -fanciullo, glie ne venne pietà e cordoglio, e gli disse: Vattene a tua -madre, che tempo non è a quello ch’ella vuole. Vedendo la madre tornato -il fanciullo si turbò forte, e lo domandò perchè non l’avea spacciato, -e il fanciullo le fè la risposta. La sfacciata meretrice rimandò il -figliuolo, e gli comandò, che non tornasse a lei, ma tanto stesse, -ch’egli fosse spacciato di ciò che ragionato avea con lui. - -Il fanciullo ubbidiente alla madre tornò all’amico di lei, e con -molte preghiere lo richiedea, che fare dovesse quello che la madre -gli avea imposto; ed egli molto più intenerito, quasi lacrimando gli -disse: Di’ a tua madre, che non istia a mia fidanza, ch’io nol voglio -fare: e il figliuolo tornato alla crudelissima madre le disse quello -che gli era stato detto. La bestiale scellerata ciò udito, in esso -stante comandò al figliuolo ch’andasse nella cella, ed ella gli tenne -dietro, dicendo: Quello che non ha voluto fare egli farò io; e con le -diaboliche mani segò la gola al figliuolo, e quivi lo lasciò morto. -Poco il marito tornò in casa, e domandò la madre del figliuolo: la -donna presa l’astuzia del serpente con fronte audace gli rispose: -Ben lo sai tu, va’ nella cella e vedrailo. Il marito ignorante e puro -scese al luogo, e trovò il fanciullo morto, il perchè e’ venne meno, e -forte sbaì, e perdè la favella: la moglie lo serrò dentro, e levato il -pianto, traendo guai incominciò a gridare, e dire, che il traditore del -marito le avea morto il figliuolo per godere la sua eredità; e tratta -la vicinanza a romore, ella squarciandosi il viso e’ capelli mai non -lasciò aprire l’uscio della cella infino che la famiglia della signoria -non venne, la quale apersono l’uscio, e trovarono il malificio, e a -furore ne menarono il marito, il quale tormentato confessò sè aver -fatto il malificio, e la cagione per godere l’eredità del figliastro. E -apparecchiandosi la signoria a farne aspra giustizia, all’amico della -pessima donna venne compassione di tanto male, e del sangue innocente -sparto e che spargere si dovea, e del fallo suo presa sicurtà da’ -signori manifestò la verità del fatto, e la donna venuta in giudicio, -senza alcuno tormento confessò la sua iniquitade, e condannata alla -tanaglia, e più a esserle levate le carni a pezzo con i rasoi, fece -terribile esempio all’altre. Questo peccato tanto enorme forse meritava -silenzio di penna, per l’orrore d’udire tra’ cristiani sì alto e sì -sfacciato male, conchiudendolo con un verso di Giovenale poeta, che -dice: Fortem animum praestant rebus quas turpiter audent, parlando -delle femmine che da sè hanno scacciata la pudicizia e la vergogna, il -quale in volgare suona: Forte animo prestano alle cose che sozzamente -ardiscono di fare. - - -CAP. XXXIV. - -_Delle compagnie ch’entrarono in Provenza per conturbare i paesani e la -corte di Roma._ - -Avvegnachè grave cosa fosse alla corte di Roma la presura che una -compagnia avea fatto di Santo Spirito sul Rodano di sopra a Avignone -otto leghe, nondimeno altre compagnie sommosse di Guascogna del reame -di Francia del mese di gennaio, febbraio e marzo, fuggendo la pace, -la carestia e la mortalità, in poco tempo l’una appresso l’altra -vennono in Provenza; e l’una che si nomava la Compagnia bianca, venne -appresso a Avignone a trenta miglia, e teneva mercato d’avere danari -dal papa, e di levare quella di Santo Spirito, che per cagione ch’avea -il Rodano di sopra in sua signoria gravava la corte, non lasciando -uscire la vittuaglia di Borgogna; e appresso un’altra di Guascogna e -di Spagna partita dalla guerra di quello di Focì e d’Armignacca, che -lungamente aveano accolta gente per guerreggiare insieme. Per questa -tempesta che conturbava i paesi d’intorno e il papa e i cardinali -erano in grave travaglio, e la corte il dì e la notte sotto l’arme, -e con molte gravezze di fortificare la città di muri, di fossi, e di -steccati, e di cittadinesca guardia, e lo re di Francia non avea podere -di liberare le sue terre dalle loro mani non che d’aiutare la Chiesa: -e in queste tribolazioni stette Avignone come assediata lungamente, e -non vi si potea entrare nè uscire con sicurtà, e l’arti, e’ mestieri, -e le mercatanzie tutte v’erano perdute, e la carestia d’ogni bene vi -montò in sommo grado. Il papa richiese Franceschi, Provenzali, Guasconi -e Catalani che lo atassono dalle compagnie; catuno chiedeva danari -per fare l’impresa, e la Chiesa non si fidava d’accogliervi più gente -d’arme che v’avesse: e così in tribolazione grande stette lungamente, -infino che per operazione del marchese di Monferrato col danaio della -Chiesa, come al tempo innanzi diviseremo, vi si mise rimedio. Daremo -ora sosta a queste compagnie e a’ fatti della corte, per ritornare -all’altre novità che in questo tempo occorsono alla nostra città di -Firenze. - - -CAP. XXXV. - -_Come per comperare gli onori del comune alquanti che li venderono ne -furono condannati_ - -Rade volte occorse che i cittadini sieno condannati per baratteria, -non perchè sovente non caggino in tale errore, ma per la negligenza -de’ rettori, che passano il vizio a chiusi occhi: e perchè l’eccesso -che scrivemo fu tanto palese a tutti i cittadini, il rettore a cui la -cognizione s’appartenea di ciò non potè senza sua evidente vergogna -passare non ne conoscesse. Dalla morte di Carlo duca di Calavria in -qua, per ordinazione e costume di nostro comune osservata, e che è -di tre anni in tre anni, del mese di gennaio e di febbraio si fa lo -squittino solenne de’ cittadini degni dell’onore del comune, sì del -priorato come de’ dodici, e gonfalonieri ed altri ufici. Avvenne nel -1360, che certi de’ collegi per danari trassono a essere del numero -degli squittinatori certi pochi degni per loro antichità o virtù, il -perchè finito lo squittino, e scoperta la cattività, tali de’ collegi -trovarono colpevoli dall’esecutore degli ordinamenti della giustizia -furono condannati per baratteria, chi in libbre duemila, e chi in -mille, e pur tale pena puose freno al disonesto peccato. - - -CAP. XXXVI. - -_Come i fatti di Francia verso il primo tempo procedeano._ - -Tornato il re di Francia, trovò il reame assai rotto e mal disposto, e -poco era ubbidito, e da sè nullo vigore avea di potere riducere le cose -al consueto e primo loro corso, e gastigare non potea chi fallasse, -e per questo gli uomini d’arme s’accostarono insieme a contristare le -provincie del reame: e intra l’altre tribolazioni, nel pieno del verno, -la contessa la quale fu moglie del sire di Ricorti, a cui lo re di -Francia avea fatto tagliare la testa quando tornò per ricomperarsi dal -re d’Inghilterra, ch’era suo prigione, preso cuore e animo virile fece -raccolta di Spagnuoli, di Guasconi, e di Normandi, e dicea di volere -dal re ammenda; e certo assai di male e dammaggio avrebbono fatto al -reame, se la fame che strignea il paese non l’avesse vietato: questa -poi con grossa compagnia trascorse in Proenza, la quale compagnia poi -passò in Lombardia. Il conte d’Armignacca e quello di Focì manteneano -guerra in Tolosana e nelle loro terre, l’uno contro all’altro, il -perchè troppo ne conturbavano il reame; il re reprimere non potea i -falli de’ suoi baroni, nè porre ordine in suo reame. - - -CAP. XXXVII. - -_Come fu guasta la bastita che ’l cardinale di Spagna facea fare in sul -canale della Pegola._ - -Nell’entrata di marzo del detto anno, il legato per tenere sicuro il -cammino e ’l canale dalla Pegola a Bologna facea fare con grande studio -una bastita in sul canale, ed era quasi che compiuta. I cavalieri di -messer Bernabò ch’erano in Lugo, intorno di ottocento barbute, una -notte si mossono, e vennono alla bastita, e sì improvviso a coloro -che la guardavano che vi entrarono dentro, e mortine assai il resto -presono, e rubato quella parte stimarono di portarne il resto arsono -con la bastita, e senza contasto alcuno della preda, e’ prigioni ne -menarono a Lugo. Della qual cosa a’ Bolognesi parve rimanere in male -stato, per tema che quel cammino non fosse loro tolto, e per tal tema -costretti rimisono mano a rifare la detta bastita, e a custodirla -con più cauta e sollecita guardia, e poco appresso l’ebbono fatta e -afforzata per modo non ne temeano. Lasceremo alquanto le tempeste de’ -cristiani, per dar luogo un poco a quelle degl’infedeli che apparirono -in questi tempi. - - -CAP. XXXVIII. - -_Della grande pestilenza che percosse i saracini._ - -In questo anno pestilenza di febbri fu in Damasco e al Cairo tanto -fuori di modo, che senza niuno riparo quasi generalmente ogni gente -uccidea; il perchè si credette, che le provincie di là rimanessono -disolate e senza abitatore, e se guari tempo fosse durata avvenia. -I morti furono tanti, che stimare numero certo o vicino non si potè. -La cagione onde mosse, a Dio solo, o cui lo rivela, è manifesta. La -naturale necessità, la quale surge dall’influenza de’ cieli e delle -stelle, dà luogo alla necessità soluta, che procede dalla sua volontà. - - -CAP. XXXIX. - -_Come fu morto il soldano di Babilonia, e rifattone un altro, il quale -uccise molti de’ suoi baroni._ - -Avvenne innanzi poco a questa mortalità, ch’essendo il soldano di -Babilonia uscito a campo contro a quelli che rubellati gli s’erano, i -baroni che con lui erano, qual cosa si fosse la cagione, s’intesono -insieme alla morte sua, ed egli non prendendosi guardia di loro nel -campo l’uccisono, e tornarsene al Cairo, e quivi un suo fratello -feciono soldano; il quale presa la signoria, e confermato nel regno, -non seguendo la volontà de’ suoi ammiragli, sentì che contro a lui -s’erano congiurati per farlo morire, onde esso si provvedea di buona -guardia, e niente mostrava di sentire contro a loro, ma l’un dì trovava -cagione contra l’uno, e facealo morire, e l’altro dì contra l’altro -facea il simile, e per questa via in pochi mesi la maggior parte fece -morire, e nella fine la volta toccò a lui, e morto fu per le mani de’ -suoi ammiragli del mese di febbraio detto anno, e feciono soldano un -suo fratello piccolo, e rimaso di dodici l’ultimo, perchè non si potea -traslatare il regno in altri senza gran confusione di tutti i sudditi -suoi. - - -CAP. XL. - -_Come un signore de’ Turchi trattò di fare uccidere l’imperadore di -Costantinopoli._ - -Lo signore di Boccadave possente tra i Turchi, ed ai Greci vicino, -avendo molte volte tentato con palese guerra di vincere Costantinopoli, -e non ne possendo avere suo intendimento, cercò con doni larghi e -con impromesse grandi fatte a certi Greci costantinopoletani, i quali -erano della setta di Mega Domestico cacciati dall’imperadore, a modo -tirannesco di farlo uccidere, pensando che morto lui per la inimicizia -ch’avea nella provincia, e per molte terre ch’avea acquistate sopra -l’imperio, d’essere del tutto signore; ma come piacque a Dio si -scoperse il trattato, e quale de’ traditori fuggì, e quale rimase o -preso o morto, ma non di manco la città ne rimase in mala disposizione. -Il Turco nondimeno tenendo Gallipoli e altre terre vicine, con suoi -legni in mare e con i suoi Turchi per terra tribolava e consumava -il paese, senza trovarsi per i Greci alcun riparo fuori che delle -mura. E in questi medesimi giorni il signore d’Altoluogo in Turchia -si guerreggiava con un suo zio, e l’altro signore della Palata si -guerreggiava col fratello; e portante guerre e divisioni de’ Turchi i -paesi loro erano rotti e in grande tribolazione, e per questa cagione i -Greci aveano minore persecuzione da loro; e più ciò fu materia al re di -Cipro di fare l’impresa sopra loro con onore e vittoria grande, come a -suo tempo racconteremo. - - -CAP. XLI. - -_Come il legato si partì di Bologna per andare al re d’Ungheria._ - -Tornando alle italiane fortune, il legato di Spagna, uomo savissimo -e pratico delle mondane volture, vedendosi per allora e a tempo senza -potenza da resistere a messer Bernabò, e povero di danari, e veggendo -la poca gente d’arme ch’avea alla difesa, conoscendo che il tiranno -suo avversario era di sue entrate abbondante, e di quello che gravava -i sudditi suoi, il perchè non si curava di mantenere la guerra, e per -continovare la guerra gli parea essere certo di vincere Bologna, e -perciò mantenea a Castelfranco e a Priemilcuore, a Pimaccio, e a Lugo -tanta gente a cavallo e a piè, che con le loro cavalcate teneano sì -assediata Bologna di verso la Lombardia e la Romagna, che poca roba vi -potea dentro entrare, e di verso l’Alpe facea agli Ubaldini rompere le -strade, perchè al legato ne parea essere a mal partito, e a’ cittadini -a peggiore: e vedendo ch’a petizione di santa Chiesa niuno tiranno, -comune o signore italiano si volea scoprire ad atare Bologna contro a -messer Bernabò, avendo la Chiesa lungamente trattato col re d’Ungheria, -il quale s’affermava che farebbe l’impresa con la persona, al primo -tempo parve al legato d’uscire di Bologna sotto scusa d’andare a lui, -e nel vero e’ non si fidava potervi stare con suo onore, nè senza grave -pericolo. E però contro la volontà de’ cittadini prese d’andare al re, -promettendo di tornarvi del mese di maggio prossimo, e a dì 17 di marzo -se ne partì facendo la via d’Ancona, e là soggiornato alquanto mandò -al re d’Ungheria, come seguendo nostro trattato diviseremo. In Bologna -lasciò messer Malatesta e messer Galeotto suo figliuolo capitani de’ -soldati e de’ cittadini alla guardia. - - -CAP. XLII. - -_Della ribellione fatta per messer Giovanni di messer Riccardo Manfredi -al legato._ - -Isidoro nelle sue etimologie afferma, che per la differenza e natura -varia de’ climati i Greci per natura sono lievi, i Romani gravi, gli -Affricani astuti e maliziosi, e gl’Italiani feroci e d’agro consiglio. -Questo vedemo nella piccola provincia di Toscana, dove sono i Sanesi -reputati lievi per natura, i Pisani astuti e maliziosi, i Perugini -feroci e d’agro consiglio, i Fiorentini gravi, tardi, e concitati, -e così per natura i Romagnuoli hanno corta la fede: e pertanto per -antico proverbio si dice, che il Romagnuolo porta la fede in grembo: -e però non è da maravigliare quando i tiranni di Romagna mancano di -fede, conciosiachè sieno tiranni e Romagnuoli: i tiranni per paura -di loro stato, e cupidi ancora di più signoria, usano e fanno arte di -tradimenti. Messer Giovanni figliuolo naturale di messer Manfredi di -Faenza avendo pace col legato, vide suo vantaggio per le promesse di -messer Bernabò, e rubellossi alla Chiesa, e cominciò a fare guerra -e da Bagnacavallo, e da Salervolo, e da altre sue tenute a Faenza e -ad altre terre della Chiesa di Romagna, e avuta cavalieri da messer -Bernabò ch’erano a Lugo, cavalcò a Porto Cesenatico, dove trovò molta -mercatanzia, le case arse e ’l porto, e la mercatanzia e grossa e -sottile e’ prigioni ne menarono in preda, e in quel porto peggiorò -i cittadini di Firenze oltre a dodicimila fiorini d’oro di loro -mercatanzie, e senza impedimento alcuno si tornò a Bagnacavallo. Per -questa rebellione i suoi palagi di Faenza furono disfatti. - - -CAP. XLIII. - -_Come il marchese di Monferrato trasse delle compagnie da Avignone per -conducere in Piemonte._ - -Essendo lungamente la Provenza di là dal Rodano, e ’l Venisì, e la -Provenza di qua dal Rodano, e la corte di Roma stata in grandissime -persecuzioni delle compagnie addietro narrate, e tenuto il papa con -loro per le mani di più baroni trattati di trarli del paese senza avere -effetto, in fine il valente marchese di Monferrato, per la guerra -ch’avea co’ signori di Milano, essendo molto amato dai buoni uomini -d’arme, e favoreggiato co’ danari della Chiesa, in prima s’accordò con -la compagnia ch’era a’ Mongiulieri, Inghilesi, Guasconi e Normandi, -con la donna del siri di Ricorti: ed avendo fatto questo accordo del -mese di marzo, non tennono il patto, ma sotto la sicurtà del trattato -passarono il Rodano, e mutarono pastura; e un’altra maggiore compagnia -valicò nel Venisì, e consumando il paese infino al maggio. Cominciata -la fame e la mortalità in quelle provincie, la compagnia di Santo -Spirito, avuto dal papa trentamila fiorini con patto di seguire il -marchese lasciata la terra, e l’altra che ’l marchese con danari -della Chiesa avea prima patteggiata s’accozzarono a volere passare -in Piemonte, e non meno per fuggire la pestilenza e ’l paese, che per -servire la Chiesa e il marchese, con tutto che più di centomila fiorini -costasse al papa la spesa di levarlisi d’intorno. E spandendosi di -ciò la boce per la Provenza, una gran parte se n’avviò a Marsilia, -e credendosi entrare nella terra e non potendo, e non avendo da’ -Marsiliesi il mercato, arsono i borghi della città, e feciono assai -danno nel paese, e poi s’addirizzarono verso Nizza, e a parte a parte -valicarono seguendo il marchese nel Piemonte, non senza grave danno de’ -Provenzali. E nondimeno essendo di Provenza partiti da seimila cavalli, -ne rimasono due altre compagnie, una di quà una di là dal Rodano, -lungamente a vivere di preda e di rapina sopra i paesani, e teneano la -corte in paura e in travaglio. Lasceremo delle compagnie, e torneremo -ad altre più degne cose di nostra memoria. - - -CAP. XLIV. - -_Della morte del duca di Lancastro cugino del re d’Inghilterra._ - -Egli è strano al nostro trattato fare memoria della naturale morte -d’uomo, ma considerando l’altezza della superbia umana con la fragilità -di quella recata alla mente degli uomini, non può passare senza alcuno -frutto. Il conte d’Aui duca di Lancastro, cugino carnale del valente -re Adoardo d’Inghilterra, avendo lungo tempo fatte grandi e notevoli -cose d’arme, essendo sopra i Franceschi stato venticinque anni grave -flagello, e riposata la guerra in pace con grande sua fama e onore, a -dì 22 del mese di marzo gli anni Domini 1360 lasciò l’arroganze delle -guerre, e le fallaci fatiche del mondo con la sua morte, lasciando -senza ereda maschio due figliuole femmine ne’ suoi baronaggi. - - -CAP. XLV. - -_Come riuscì l’impresa del re d’Ungheria, dove la speranza del legato -di Spagna si riposava._ - -La Chiesa avea richiesto il re d’Ungheria al soccorso di Bologna, -ed il re avea dato speranza alla Chiesa di fare l’impresa con la sua -persona, e mandati però suoi ambasciadori a corte per fermare i patti, -de’ quali per diversi modi si sparse la fama in Italia, in prima che -dovea avere titolo dalla Chiesa e dall’imperio, e danari assai dal -papa, che le terre ch’acquistasse fossono sue: l’altra boce era, che -’l papa il dovesse assolvere del saramento si dicea ch’avea fatto di -fare il passaggio d’oltremare, e che dovea dispensare che la moglie, la -quale apparve per infino a qui sterile, si rinchiudesse in un munistero -di sua volontà, ch’egli potesse avere anche un’altra moglie, acciocchè -’l reame non rimanesse senza successione di sua generazione, e che di -questo il legato avea dal papa piena legazione: verisimile e non senza -grande cagione il legato andò a lui in Sagravia del mese di maggio del -detto anno. Il re in quei giorni avea fatto bandire generale oste per -tutto suo reame, per titolo di porre confini al suo regno, per lo quale -tutti i baroni e popoli lo debbono servire, e credettesi che ciò fosse -per intendere al servigio della Chiesa; ma come che la cosa s’andasse -gli ambasciadori di messer Bernabò erano a lui, e ricevuti avea doni -da parte di messer Bernabò. E però, o perchè non avesse dalla Chiesa -quello che volesse, o avesse promesso al tiranno di non venire contro a -lui, la vista fu ch’egli intendea d’andare con la sua gente per l’oste -già bandita in altra parte; e quello che rispondesse al legato non si -potè per parole comprendere, ma l’effetto si dimostrò per opere, che -senza alcuno aiuto il legato del detto mese di maggio si ritornò ad -Ancona, perduta la speranza del soccorso di Bologna, in grave pericolo -di quella città, cresciuta la baldanza e l’oste dei suoi avversari. - - -CAP. XLVI. - -_Della pestilenza dell’anguinaia ricominciata in diversi paesi del -mondo, e di sua operazione._ - -In Inghilterra d’aprile e di maggio si cominciò, e seguitò di giugno e -più innanzi, la pestilenza dell’anguinaia usata, e fuvvi tale e tanta, -che nella città di Londra il dì di san Giovanni e il seguente morirono -più di milledugento cristiani, e in prima e poi per tutta l’isola. -Gran fracasso fece per simile nel reame di Francia; nella Provenza -trafisse ogni maniera di gente. Avignone corruppe in forma che non vi -campava persona: morironvi nove cardinali, e più di settanta prelati -e gran cherici, e popolo innumerabile. E di maggio e giugno si stese e -percosse la Lombardia, e prima Como e Pavia, con tanta roina, che quasi -le recò in desolazione. In Milano mise il capo, dove altra volta non -era stata, e tirò a terra il popolo quasi affatto, con grande orrore e -spavento di chi rimanea. Vinegia toccò in più riprese, e tolsele oltre -a ventimila viventi. La Romagna oppressò forte e assai quasi per tutte -sue terre, ma più l’una che l’altra, e nell’entrata del verno cominciò -a restare in Lombardia, e a gravare la Marca, e la città d’Agobbio -forte premette. L’isola della Maiolica perdè oltre alle tre parti -degli abitanti. Nè lasciò l’Alpi degli Ubaldini senza macolo per molti -de’ luoghi suoi. E molti paesi del mondo in uno tempo erano di questa -pestilenza corrotti, nè già quelli a cui parea che Dio perdonasse -non ritornavano a lui per contrizione, partendosi dalle iniquitadi -e dalle prave operazioni ostinate, e come le bestie del macello, -veggendo l’altre nelle mani del beccaio col coltello svenare, saltavano -liete nella pastura, quasi come a loro non dovesse toccare, ma più -dimenticando gli uomini il giudicio divino si davano sfacciatamente -alle rapine, alle guerre, e al mantenere compagnie contra ogni uomo, -alle ingiurie de’ prossimi, e alla dissoluta vita, e a’ mali guadagni -assai più che negli altri tempi, corrompendo la speranza della -misericordia di Dio per lo male ingegno delle perverse menti; e ciò per -manifesta sperienza si vide in tutte le parti del mondo dove la detta -pestilenza mostrò il giudicio di Dio. - - -CAP. XLVII. - -_Come per la fama delle compagnie che scendevano in Piemonte i signori -di Milano si provvidono alla difesa._ - -Messer Galeazzo Visconti sentendo che il marchese di Monferrato venia -in Piemonte con le compagnie tratte di Provenza del mese d’aprile -del detto anno, e sapendo ch’ell’erano per poco tempo provvedute di -soldi, e che già la mortalità era tra loro, e cominciata nel Piemonte, -provvide di gente d’arme tutte le sue terre e le loro frontiere per -fare buona guardia, e sostenere l’impeto de’ nemici, senza mettersi -a partito di battaglia; e però messer Bernabò ritrasse della gente -ch’avea a Lugo e a Castelfranco sopra Bologna la maggiore parte per -dare favore al fratello, pensando straccare quella gente, come in parte -venne loro fatto, con piccolo danno di loro distretto, come appresso si -potrà nel suo tempo vedere. Nondimeno tra per lo riparo del Piemonte, -e del fare la guerra a Bologna, continovo si fornivano di gente d’arme, -non curandosi della grande spesa, perocchè bene la poteano comportare a -quella stagione. - - -CAP. XLVIII. - -_Come messer Bernabò venne sopra Bologna, e assediò e prese Pimaccio._ - -All’uscita del mese d’aprile del detto anno, messer Bernabò accolse -gente, li più cittadini di sue terre, e con duemila cavalieri in -persona venne da Milano a Castelfranco dov’era il forte di sua gente, -e di nuovo fece combattere il castello di Pimaccio per due riprese, -e appresso il fece assediare intorno, e a dì 9 di maggio per patto -ebbe la terra, e la rocca si tenne. Di là poi si partì lasciando -fornita la terra, e la rocca assediata, e con la gente sua cavalcò a -Panicale presso di Bologna facendo danno assai; e del detto mese di -maggio ebbe la rocca di Pimaccio, e andossene a Lugo, e l’accomandò -a messer Francesco degli Ordelaffi, e diegli gente d’arme, con che -egli guerreggiasse Bologna da quella parte e la Romagna; e fornite -l’altre terre, e confortati gli amici suoi a fare guerra, e lasciato -il marchese Francesco al ponte del Reno a campo, con milledugento -cavalieri si tornò a Milano, e la sua gente ebbe fatta forte e ben -guernita di tutto all’entrata di giugno la bastita dal ponte del Reno. - - -CAP. XLIX. - -_Come il legato procurava aiuto contro messer Bernabò._ - -Il legato del papa, tornato senza niuna speranza d’aiuto dal re -d’Ungheria, pur tanto s’aoperò, che ’l detto re scrisse e fece -comandamento agli Ungheri ch’erano al servigio di messer Bernabò, che -se ne partissono, e assai furono quelli che l’ubbidirono. Anche tanto -operò con l’imperadore, che egli mandò comandando a messer Bernabò -che si dovesse rimanere di fare guerra contro la Chiesa a Bologna, -e quegli che fè il detto comandamento fu messer Giovanni da.... ed -assegnogli termine infra i venti dì seguenti, com’era determinato per -l’imperadore, e se questo non facesse fra il termine gli significò, -com’egli il privava d’ogni onore, e dignità e privilegio che avesse -dall’imperio; ma per tutto questo messer Bernabò non si rimanea -dell’impresa, ma a suo potere continuo fortificava la guerra, dicendo: -Io voglio Bologna mi. E questo fu del mese di maggio a’ 12 dì del detto -anno. E in questo medesimo tempo per apostolica sentenza messer Bernabò -fu condannato per eretico e contumace a santa Chiesa, e per tutta -Italia in dì solenni fu da’ prelati scomunicato in presenza de’ popoli, -ma di questo poco si curò, sollecitando per ogni modo pure di volere -Bologna. - - -CAP. L. - -_Come la compagnia d’Anichino di Bongardo ch’era nel Regno si -rassottigliò e venne al niente._ - -Del mese d’aprile erano nella compagnia d’Anichino di Bongardo in -Puglia gli Ungari tanto moltiplicati, che passavano il numero di -tremila. Il re loro avendo di questo sentore loro mandò comandando, che -non fossono contro i suoi consorti, per la qual cosa s’accordarono col -re Luigi una gran parte, e partironsi dalla compagnia de’ Tedeschi, e -promisono di dare vinta o cacciata la compagnia del Regno per trentasei -migliaia di fiorini d’oro, de’ quali si convennono col re: e seguitando -il gran siniscalco ridussono Anichino co’ suoi Tedeschi in Basilicata, -e ridussonli in Atella terra tolta per loro al duca di Durazzo, e ivi -li assediarono, stando d’intorno alle frontiere; e durando il giuoco -lungamente, molti se ne tornarono nella Marca e nella Romagna, e -gli altri rimasono al servigio del re, e senza cacciare o vincere la -compagnia catuno consumava i paesani. - - -CAP. LI. - -_Come i Sanesi ebbono Santafiore._ - -In questi dì, del mese di maggio del detto anno, i Sanesi avendo molto -assottigliati e annullati i conti di Santafiore, in fine di questo mese -medesimo ebbono Santafiore a patti. - - -CAP. LII. - -_Come i Fiorentini comperarono il castello di Cerbaia._ - -Il comune di Firenze avea dato bando a Niccolò d’Aghinolfo de’ conti -Alberti conte di Cerbaia perchè avea morto un popolare di Firenze; -e vedendo che la Cerbaia era una chiave forte alla guardia del suo -contado da quella parte, gli venne voglia d’avere quel castello, e -fece trattato di comperarlo; il conte per uscire di bando, ed essere -cittadino popolano di Firenze, e considerando che a tenere quella -fortezza gli era non meno di spesa che d’entrata, e sempre ne vivea in -gelosia, ne domandò per prezzo fiorini settemila d’oro, e ’l comune si -fermò a sei, e ’l conte non vi si volle arrecare, e però si mise alla -difesa, ed il comune, come contro a suo sbandito, a dì 21 di maggio -vi pose l’assedio. Il conte vedendosi ribellato il fratello carnale, -e collegato co’ Fiorentini e fattosi loro accomandato, vedendosi -mal parato, l’ultimo dì di maggio diede il castello liberamente -a’ Fiorentini, e rimisesi alla misericordia del comune: il comune -lo ribandì, e fecelo suo popolare, e per via di diritta compera -solennemente fattone le carte per ser Piero di ser Grifo notaio delle -riformagioni, glie ne diè contanti fiorini seimiladugento d’oro, e fu -descritto il castello di Cerbaia in possessione e contado del comune -di Firenze, e tutti i fedeli dalla fedeltà furono liberati, e fatti -contadini di Firenze. - - -CAP. LIII. - -_Come il capitano già di Forlì, e messer Giovanni Manfredi si puosono -tra Imola e Faenza._ - -Come messer Francesco Ordelaffi fu fatto capitano di messer Bernabò, -e messer Giovanni di messer Ricciardo Manfredi collegato con lui -s’intesono insieme, e puosonsi a campo tra Imola e Faenza per attendere -l’avvenimento di quello ch’aveano trattato con uno più stretto e -confidente famiglio ch’avesse messer Ramberto signore d’Imola, il quale -per grandi promesse ricevute avea promesso d’uccidere il suo signore, -ma come a Dio piacque il trattato si scoperse, e il famiglio fu preso, -e negli occhi de’ nemici impiccato a’ merli delle mura della città; e -incontanente l’oste ch’attendea l’omicidio si partì e tornò a Lugo: -e poco appresso del detto mese di maggio cavalcarono sopra Forlì, e -guastarono e predarono intorno e nel paese quello che poterono senza -trovare contasto. - - -CAP. LIV. - -_D’un gran fuoco che s’apprese nella città di Bruggia._ - -In questo mese di maggio del detto anno, nella città di Bruggia in -Fiandra s’apprese il fuoco in alcuna casa, il quale cominciò ad ardere -quelle ch’erano vicine, e a forte a montare con l’aiuto del vento, e -delle case di legname ch’erano atte e disposte a riceverlo, e avvalorò -per sì fatto modo, che niuno rimedio mettere vi si potea per operazione -o ingegno d’uomini, che nella città non consumasse oltre a quattromila -case, con grandissimo danno de’ cittadini: e in questi giorni medesimi -il fuoco gran danno fece nella villa di Ganto e di Melina in Brabante. - - -CAP. LV. - -_Delle compagnie d’oltramonti._ - -Appare che la penna non si possa passare senza fare memoria delle -compagnie, che maravigliosa cosa è il vederne e udirne tante creare -l’una appresso dell’altra in flagello de’ cristiani, poco osservatori -di loro legge o fede. La moglie che fu del siri di Ricorti accolse -da millecinquecento cavalieri di diverse lingue per volere fare -guerra in suo paese, poi fu tirata dalla compagnia, e in persona -con la sua gente venne in servigio della Chiesa e del marchese di -Monferrato in Piemonte, e quivi lasciò con gli altri la sua compagnia -a guerreggiare. E appresso a questa scese in Provenza un’altra gran -compagnia d’Inghilesi, Guasconi e Normandi, e un’altra se n’adunò in -questi tempi medesimi presso Avignone di Spagnuoli, Navarresi e altra -gente, e questa venne sopra la città d’Arli, e corse voce che venia -a petizione del Delfino, che si dicea che volea essere re d’Arli, ma -non fu vero, per loro procaccio venne la compagnia, e una seguiva il -Petetto Meschino Alvernazzo, che poi crebbe, e fece grave danno al re -di Francia. Il paese di Provenza di là da Rodano e di qua, e ’l Venisì -e la corte di Roma ne stava in continova tribolazione. - - -CAP. LVI. - -_Come Francesco Ordelaffi si levò da Forlì, e andonne a oste a Rimini._ - -Essendo Francesco Ordelaffi stato d’intorno a Forlì, e fatto il guasto -come a lui piacque, del mese di giugno del detto anno si levò da Forlì, -e con duemila barbute e cinquecento Ungari si puose presso alle porti -di Rimini, e fermò il campo a Santa Giustina, ardendo e guastando le -ville d’intorno, e facendo gran preda, e poi si rivolse dall’altra -parte e valicò il fiume, e cavalcò infino agli antiporti di Rimini, -e tutto menò a fiamma il paese, facendo oltraggio e onta a’ Malatesti -volontariamente, senza trovare chi gli facesse resistenza alcuna. - - -CAP. LVII. - -_Come i Fiorentini manteneano Bologna per la strada dell’Alpe._ - -I Fiorentini erano stati molto sollecitati dal legato, poichè perdè la -speranza del re d’Ungheria, che prendessono la difesa di Bologna, e -non pure il legato, ma i signori di Lombardia, e i guelfi di Romagna -e della Marca continovamente per loro segreti ambasciadori glie ne -sollecitavano, mostrando che Bologna non potea più durare, che convenia -che venisse alle mani di messer Bernabò, perocchè ’l suo contado era -tutto consumato, e in podere de’ nemici infino alle porte d’ogni lato. -E mostravano, come che venuta ella fosse a messer Bernabò, che Firenze -sarebbe in pericolo, e male da potersi difendere da lui, allegando -il verso di Orazio, il quale dice: Nam tua res agitur, paries cum -proximus ardet: in volgare suona: Quando il pariete prossimo a te -arde il fatto tuo si fa: soggiugnendo, che la pace e la guerra stanno -nella volontà del potente tiranno, che ben sa a tempo con trovare le -cagioni; per la qual cosa molte volte ne fu grande controversia intra -i nostri cittadini ne’ segreti consigli, ma al tutto si sostenne che -si mantenesse la pace promessa fedelmente, non ostante il pericolo che -se ne stimava, e ancora l’autorità di santa Chiesa, che d’ogni cosa -liberava con giustizia il nostro comune. È vero che per i discreti -cittadini si stimava, che fatta l’impresa tutto il carico sarebbe -lasciato a’ Fiorentini, e non potendola i Fiorentini liberare, cadevano -in maggiore pericolo, consumato l’avere alla loro difesa: non dimeno -per savio e diritto consiglio, non facendo contro a’ capitoli e ordine -della pace, il comune intese con sollecitudine a sostenere la vita -a’ cittadini di Bologna aprendo la strada dell’Alpe, e levando ogni -divieto, per la qual cosa tanto grano, biada, olio e carne andavano -di continovo in Bologna, ch’ella se ne reggea, e mantenea assai -convenevolemente senza grande carestia. E gli Ubaldini non aveano -ardire d’impedire i Fiorentini, e i Bolognesi per loro distretto -facevano campo a Caburaccio; e per questo modo avendo Bologna perdute -tutte le strade e canali, per questa strada si nutricò lungamente. -E tanto era l’abbondanza a quel tempo ch’avea il contado di Firenze -che poco rincarò ogni cosa, e se questo spaccio non fosse occorso, a -niente sarebbe stato il grano e ’l biado e l’olio in quell’anno. Se -non fossono nati quattro leoni, due maschi e due femmine, il dì di san -Barnaba, passato mi sarei del non iscriverlo. - - -CAP. LVIII. - -_Come l’oste di messer Bernabò volle rompere la strada da Firenze, e -ricevette danno._ - -Messer Giovanni da Bileggio, valoroso e savio cavaliere milanese, e -molto amato da messer Bernabò, era in quel tempo capitano generale -della gente del Biscione sopra Bologna e di quella di Romagna, il quale -avendo alla città tolte tutte le strade, e vedendo che rimaso non gli -era altro sostegno che la strada dell’Alpe che venia a Firenze, si -pensò di romperla, e ordinò una cavalcata a Pianoro. Il capitano di -Bologna, che era Malatesta Ungaro, sentì il fatto, e mise la notte -gente fuori, i quali si misono in aguato, e venendo i nemici uscirono -loro addosso, ed ebbono vittoria di quella gente, ch’erano dugento -barbute, che pochi ne camparono che non fossono o morti o presi, per la -qual cosa il capitano dell’oste prese sdegno, e ordinò di strignersi -più alla terra, e di fare correre fino alle porte d’ogni parte, e -a mezzo il mese di giugno lasciate fornite l’altre bastite si mise -innanzi con l’oste, e puosesi al Ponte maiore in sulla strada tra -Bologna e Imola, e ivi fermò il campo presso alla città un miglio. - - -CAP. LIX. - -_Come fu sconfitto l’oste di messer Bernabò al Ponte a san Ruffello._ - -Vedendo il capitano messer Giovanni da Bileggio avere recata la città -di Bologna a grandi stremi, che rimasa non l’era via d’aiuto altro -che la strada da Firenze, avendo animo di trarre quella guerra al suo -desiderato fine, sentendo che nella città non avea oltre a trecento -uomini d’arme a cavallo, e che ’l capitano che fu di Forlì era sopra -d’Arimini, e correa senza contasto con millecinquecento cavalieri -tutto il paese, pensò di porre una grossa e forte bastita al Ponte a -San Ruffello presso a Bologna in sulla strada da Pianoro, acciocchè -al tutto si levasse alla città ogni soccorso, e questo mise in opera, -e mossesi con tutta la sua oste, ch’erano più di millecinquecento -cavalieri, e duemila masnadieri, e molti altri fedeli degli Ubaldini, -e con lui nel vero era tutto il fiore della gente di messer Bernabò, -avendo mandati trecento altri cavalieri per scorta alla vittuaglia -che venia di verso Ferrara, con grande apparecchio di vittuaglia e -d’altro arnese, e a dì 16 di luglio del detto anno si misono per lo -fiume della Savena, e senza trovare contasto furono al Ponte a san -Ruffello, e quivi fermarono il campo per edificare la bastita, e con -grande sollecitudine attendeano a fare i fossi, e conducere il legname -d’ogni parte. In questo stante, come fu volontà di Dio, messer Galeotto -de’ Malatesti da Rimini, cavaliere di grande ardire e maestro di -guerra, avea ricolti in Faenza cinquecento barbute e trecento Ungari -per danneggiare la gente di messer Francesco degli Ordelaffi, ch’era -sopra Arimini, come detto è, il quale sentendo l’oste da Bologna messa -in mal passo, di presente cavalcò a Imola, e da Imola la sera a dì 19 -di luglio improvviso a’ nemici cavalcò per modo, ch’alle cinque ore -di notte fu a Bologna, non sapendo i Bolognesi alcuna cosa. Messer -Malatesta Unghero suo nipote capitano in Bologna il ricevette la notte -sì contamente, che i nemici non lo sentirono, nè eziandio i Bolognesi -che erano a dormire, pensando fossono gente di guardia, e in quel resto -della notte agiarono le persone e’ cavalli come poterono il meglio: -la mattina per tempo serrate le porte della città fece assentire a’ -cittadini, come volea assalire i nemici, i quali inanimati e confortati -dalla grazia la quale Dio mandava loro, tutti di volontà, con piena -speranza di vittoria presono l’arme, e gran parte i falcioni in mano, -e dato il segno d’uscire fuori al suono della campana della giustizia, -la domenica mattina a dì 20 di luglio, ordinate le battaglie, e dato -il nome, messer Galeotto col potestà di Bologna, ch’era pro’ e valente -cavaliere, e messer Malatesta Ungaro con settecento barbute, e con -trecento Ungari, e con quattromila Bolognesi i più bene armati, feciono -aprire le porti, e uscirono della terra, e non tennono per la diritta -strada, anzi si misono maestrevolmente per lo piano del fiume della -Savena onde erano entrati i nemici, acciocchè quindi non potessono -tornare, e alcuna parte del popolo misono per le ripe a traverso sopra -dove erano i nemici. Il cammino fu corto, sicchè si veddono prima -quelli del campo la gente addosso da due parti, che sapessono che gente -d’arme fosse venuta in Bologna, nondimeno come uomini esperti in arme -e di gran cuore, benché ’l subito caso gli smarrisse, presono ardire -e feciono testa, ordinandosi alla battaglia in fretta come poterono -il meglio, e di presente misono gente in su un colle sopra il ponte -per riparare a quelli che scendevano per la valle; ma vedendo venire -quelli della città baldanzosi e con gran cuore, abbandonarono il colle, -e tornarsi all’altra oste. Messer Galeotto e i suoi gli assalirono -molto arditamente innanzi alla venuta del popolo co’ falcioni, e i -nemici francamente gli ricevettono, combattendo con loro aspramente; -ma sopraggiugnendo il popolo, e cominciandosi a mescolare tra’ nemici -con loro falcioni, dopo lunga difesa gl’invilirono e ruppono, e molti -n’uccisono, e perchè erano in parte da non potere fuggire, quasi -tutti s’arrenderono a prigioni, che pochi ne camparono. Il podestà -di Bologna fu fedito a morte in quella battaglia, e poco appresso -morì in Bologna. Trovarsi morti in picciolo spazio di campo dove -porre si dovea la bastita quattrocentocinquantasei uomini, i quali -tutti furono sotterrati nel fosso che fatto aveano, e per l’altro -campo qua e là più d’altrettanti; in tutto numerati furono i morti -novecentosettanta, e quattrocento cavalli. I presi furono oltre a -milletrecento: a’ forestieri tolte furono l’armi e’ cavalli e lasciati -alla fede, che furono più d’ottocento; gl’Italiani furono ritenuti, sì -per lo scambiare, sì per porre loro la taglia. De’ caporali fu preso -messer Giovanni da Bileggio capitano generale dell’oste, e Guasparre -e Giovanni di Nanni da Susinana, e Andrea delle Piaggiuole tutti -degli Ubaldini, e più altri; costoro furono rassegnati al legato, e -imprigionati in Ancona. La vittuaglia che nell’oste trovarono fu grande -quantità, e gli arnesi che presono furono di gran valuta, perocchè -molto adorna era la cavalleria e i masnadieri d’arnesi d’argento, -d’armadure e robe, e aveano danari assai, e venticinque migliaia di -fiorini d’oro ch’erano giunti nel campo per fare la paga a’ soldati. -La vittoria fu grande e singolare, che essendo Bologna abbandonata -dall’aiuto della Chiesa, dall’imperadore, da’ signori di Lombardia -e da’ comuni di Toscana, e posta negli estremi, per occulta via fu -liberata, perocchè molti affermarono, e per intendimenti si tenne -essere il vero, che veggendo il legato di Spagna, il quale era in -Ancona tornato dal re d’Ungheria senza aiuto e senza consiglio, che -Bologna era in termine che senza riparo dovea venire nelle mani di -messer Bernabò, e per tanto temendo, e non osando di tornare a Bologna -per non venire nel cruccio del popolo, o nelle mani del tiranno, -che per le sue virtù e grande animo forte l’odiava, stando in forti -pensieri, mandò per il vecchio messer Malatesta da Rimini, col quale -più giorni stato in segreto sopra i fatti di Bologna, e per loro -tirato in considerazione, che la forza del tiranno era tale, alla -quale unita resistenza non era, e che messer Giovanni da Bileggio era -voglioso al terminare dell’impresa per riportarne l’onore, e gli parea -che il suo desiderio ritardasse la strada ch’era aperta a’ Bolognesi -di verso Firenze; da questi luoghi il savio messer Malatesta prese il -sottile avviso, che fatto gli venne, e con coscienza del legato mandò -suo segreto ambasciadore nel campo a messer Giovanni da Bileggio con -verisimili argomenti avvisandolo, che nel segreto amico non era del -legato per le terre che tolte gli avea, e che di lui fidare non si -potea, che venendo nel colmo di quello che appetia non gli togliesse -il resto, e che però volentieri attenderebbe ad abbassare il legato e -il suo orgoglio; ma perchè il legato gli avea sopra capo il castello -di sant’Arcangiolo, non osava levare il dito, nel quale fermava avere -trattato per torlo al legato se avesse spalle e forza di gente d’arme, -la quale dicea non potere essere meno di millecinquecento barbute: -giugnendo al fatto, che come messer Galeotto, ch’era in Bologna con -messer Malatesta vicario, fosse da lui avvisato, sotto colore di -soccorrere a Rimini, come verso là sentisse cavalcato la gente del -signore di Milano, trarrebbe di Bologna tutta la buona gente d’arme, -lasciando la trista sott’ombra di guardia della terra, e il simile -farebbe dell’altre terre della Chiesa, e che venendo il pensiere ad -effetto, come ragionevolmente dovea, esso messer Giovanni liberamente -e senza contasto veruno potea porre bastite e rompere la strada -fiorentina. A messer Giovanni piacque il trattato, e diede piena fede -all’ambasciadore, lettera, suggelli, e carte a lui presentate da parte -di messer Malatesta, e di presente elesse capitano di millecinquecento -barbute, come detto è di sopra, messer Francesco degli Ordelaffi, e -lo fè cavalcare sopra Rimini, come avvisò del tutto messer Galeotto -avvisato della baratta di messer Malatesta, onde fè gli atti e le -mostre dette di sopra, il perchè ne seguì la sconfitta al ponte a -san Ruffello. Non so se più sagace e malizioso trattato s’avesse -saputo ordinare Ulisse o il conte Guido da Montefeltro. Cesare non -lasciava ragunare la gente di Pompeo, temendo il numero e la bontà de’ -cavalieri; costui con astuzia la raunata divise, e indusse il savio -capitano in folle impresa, della quale seguì la più notabile sconfitta -di morte d’uomini pregiati d’arme che fosse in Italia di nostro ricordo -di cento anni addietro. - - -CAP. LX. - -_Come seguì appresso alla sconfitta di san Ruffello._ - -I trecento cavalieri che conduceano per loro scorta la vittuaglia nel -campo, essendo in sul Bolognese, sentendo la novella della sconfitta -abbandonaro la roba, e camparono le persone. Quelli delle bastite -le lasciarono prima fossono assaliti, e salvaronsi in Pimaccio, e’ -Bolognesi l’arsono, e la roba recarono alla città. Per questa vittoria -i Bolognesi alquanto ne stettono in festa e in riposamento: il legato -ne prese cuore di potere la città aiutare e sostenere: mostra ne fè, -ma poca operazione ne fè in que’ tempi, perocchè sopra modo era la -possanza del suo avversario e la volontà pertinace. Messer Bernabò -quando questa novella sentì ne mostrò dolore singolare rodendosi dentro -a guisa di cane arrabbiato, e vestissene a nero, e molti giorni stette -che niuno gli potè parlare. Sentissi che di ciò contro a’ Fiorentini -prese grave sdegno, affermando ch’erano cagione del suo danno e -vergogna per lo mantenere della strada, ma non se ne scoperse, perocchè -tutto che irato fosse ben conosceva che a’ Fiorentini era lecito di -così fare senza corruzione di pace. Messer Francesco Ordelaffi come -seppe la novella scorse la Marca, e di notte con sua brigata prese -il congio per la via della marina, e in ventiquattro ore cavalcò -cinquantasei miglia, e con la gente a lui accomandata si ricolse in -Lugo. - - -CAP. LXI. - -_Come messer Bernabò si credette prendere Correggio per trattato, e sua -gente vi rimase presa._ - -L’animo che è insaziabile del tiranno, che sempre è con desiderio -di sottomettere i popoli liberi, e gli altri tirannelli che sono -minori, tenea messer Bernabò oltre alla presa di Bologna trattato di -torre Correggio, nè la gastigatura di san Ruffello l’avea rimosso dal -seguirlo; onde all’uscita di giugno detto anno, credendosi avere il -castello di Correggio, messer Ghiberto che n’era signore, e da esso -aveano il titolo di loro casa e famiglia, sentito il fatto, senza farne -mostra procurò aiuto da’ signori di Mantova, i quali segretamente gli -mandarono quindici bandiere di cavalieri, i quali di notte entrarono -in Correggio: venuta la cavalleria di messer Bernabò nel fare del -giorno, come era dato l’ordine, che furono diciassette bandiere, furono -lasciati entrare nelle barre che erano davanti al castello, e fatto -vista di volerli mettere nella terra, secondo l’ordine dato apersono -le porti della terra, e calarono i ponti, e la gente da cavallo -ch’era nel castello con molta fanteria si strinsono loro addosso con -grandi grida, e rinchiusi tra le barre, e storditi per lo subito e -non pensato assalto perderono il cuore alla difesa, e però gli ebbono -tutti a prigioni, e guadagnate l’arme e’ cavalli liberaro il castello -dall’aguato del tiranno. - - -CAP. LXII. - -_Dell’armata del re di Cipro, e il conquisto di Setalia e del -Candeloro._ - -Dando alcuna parte agli avvenimenti d’oltremare, lo re di Cipro avendo -fatta sua armata, e non sapendo dove si dovesse andare, a dì 24 di -luglio 1361 con ventiquattro galee armate, con l’aiuto di tre galee -dello Spedale armate di franchi e valorosi frieri, e con altri legni -e armati e di carico in numero di cento vele si partì di Cipro, e del -mese seguente d’agosto percosse sopra la città di Setalia, la quale -era d’un signore di Turchi di gran possanza, e avendo sua gente posta -in terra, e combattendo la terra, che avea tre procinti di mura, de’ -quali nel primo stavano mercatanti e Giudei, nel secondo i saracini, e -nel terzo i Turchi ch’erano signori della terra, ed essendo tutta gente -sprovveduta e poco atta alla difesa, il perchè i cristiani entrarono -dentro per forza, onde il signore che v’era con poca gente se n’uscì, -e la terra fu presa. Ma poco stante il Turco tornò con più di tremila -Turchi tra a cavallo e a piè, e senza dubbio arebbe ripresa la terra, -se non fosse la provveduta guardia che feciono li frieri, i quali -sapendo loro costumi del continovo stavano apparecchiati: e ciò venne a -gran bisogno, perocchè ritennono l’empito e subito assalto de’ Turchi, -tanto che l’altra gente s’armò, e venne alla difesa. I Turchi veggendo -che loro impresa venia stolta, con loro vergogna e dannaggio si -partirono. Lo re di Cipro avuta questa vittoria montò in galea, e con -sua armata se n’andò al Candeloro, il quale era al governo e signoria -d’un altro Turco, il quale senza volere fare difesa s’acconciò con il -re, e riconobbe la terra da lui, e li promise certo censo e tributo -d’anno in anno: e il re lasciata fornita Setalia si tornò nell’isola di -Cipro. - - -CAP. LXIII. - -_Come i Turchi di Sinopoli assalirono Caffa, e furono vinti da’ -Genovesi._ - -In questa state i Turchi di Sinopoli armarono quattordici galee nel -Mare maggiore, e assalirono il Caffa terra e porto di Genovesi, e -fecionvi danno assai e per mare e per terra, perchè i Genovesi di ciò -non si guardavano; ma tantosto in Caffa e in Pera armarono quattordici -galee come in fretta il meglio poterono per seguitare i Turchi nel -ritorno che fare doveano a Sinopoli, e trovatili, li seguirono, -fuggendo i Turchi, tanto che per forza li feciono dare a terra colle -balestra loro, avendone molti e morti e fediti, onde i Turchi per -forza costretti furono a disarmare, e disarmati i Turchi, i Genovesi -lasciarono in que’ mari due galee armate, e l’altre disarmarono. I -Turchi veggendo queste due galee rimase tra loro, di subito cinque -n’armarono, e vennono contro quelle de’ Genovesi, le quali cominciarono -a fuggire, e’ Turchi a seguitare, tanto che essi si trovarono insieme -in alto mare. Come i Genovesi si vidono dilungati da terra, girarono -le loro galee contro le cinque de’ Turchi, e misonsi tra loro, essendo -bene ordinati, e colle loro balestra non gettavano verrettone in vano, -ma fedivano soprassaglienti e galeotti senza rimedio, onde i Turchi si -misono alla fuga, e i Genovesi li seguitarono tanto che si diedono a -terra, e salvarono i corpi delle loro galee, mortine assai di loro, e -fediti e magagnati. - - -CAP. LXIV. - -_Come le compagnie condotte in Piemonte cominciarono a guerreggiare._ - -Le compagnie tratte per lo marchese e per la Chiesa di Provenza, -condotte in Piemonte in questi tempi della moria cominciata in -Milano del mese d’agosto, cominciarono a guerreggiare nel Piemonte, -dove acquistarono al marchese sette castella le più loro arrendute. -Messer Galeazzo si ridusse a Moncia fuggendo di Milano la morìa che -asprissimamente li perseguitava, avendo le sue terre fornite di buona -guardia, e in campo non mise persona: ben tentò di trarne al suo soldo -di quelli della compagnia, e d’alcuna parte li venne fatto per la forza -del fiorino d’oro, non dimanco il resto rimase sì grande, che corse -insino al Tesino senza contasto. Messer Bernabò veggendo la pestilenza -sformata in Milano, che per giorno fu che levò ottocento, e mille e -milledugento, e tal fu dì de’ millequattrocento, e ben parea volesse -ristorare i Milanesi, cui per l’altre moríe non avea assaggiati, -si partì di Milano con tutta sua famiglia, e andonne al suo nobile -castello di Marignano, il quale è verso Lodi, il luogo foresto e di -sana aria, facendo gran guardia che nessuno non gli andasse a parlare, -avendo ordinato col campanaro della torre, che per ogni uomo che -venisse a cavallo desse un tocco. Occorse che certi gentili e ricchi -uomini di Milano andarono a Marignano, ed entrarono dentro; il signore -li ricevette bene, ma turbato contro il campanaro mandò su la torre -suoi sergenti, e comandò lo gettassono della torre; i quali andati su, -trovarono il campanaio morto appiè della campana: per la qual cagione -messer Bernabò terribilmente spaventato di presente senza arresto -abbandonò il castello, e si mise nel più salvatico e foresto luogo, ove -più di due miglia da lunga fece rizzare pilastri con forche ne’ quali -era scritto, che chi li passasse su vi sarebbe appeso. Per allora in -avanti sua vita fu tanto remota e solitaria, che voce corse, e durò -lungamente, ch’egli era morto, ed egli n’era contento per farne a tempo -suo vantaggio. Giugneremo a questo, per non fare nuovo capitolo, che in -questi tempi della moria, che anche requistava in Vinegia, morì il doge -loro, e funne fatto un giovane di quarantasei anni, il quale non era di -gran famiglia, nomato Lorenzo Celso: costui per la maturità de’ suoi -costumi e virtù montò a questo onore, e innanzi ai più antichi e più -nobili cittadini oltre a loro consuetudine: e pertanto notato l’avemo, -e per la sequela del fatto. - - -CAP. LXV. - -_Di grandi terremoti che furono in Puglia, e assai guastarono della -città d’Ascoli._ - -A dì 27 di luglio del detto anno, in su l’ora del vespero, furono in -Puglia grandissimi terremuoti, e apersono la città d’Ascoli di Puglia, -e quasi tutta la subissarono con morte d’oltre a quattromila cristiani. -A Canossa caddono parte delle mura della terra, e molti dificii puose -in ruina; in altre parti fece poco danno. Furono ancora in questo anno -grandine molte e sfoggiate, le quali ai grani e agli ulivi feciono -danno assai più che nell’altre stati. - - -CAP. LXVI. - -_Delle rivolture del paese di Fiandra in questa state._ - -Del mese di luglio del detto anno, nella città di Bruggia fu grande -battaglia tra’ tesserandoli e folloni dall’una parte, e da’ borgesi -dall’altra per assai lieve e subita cagione, e non senza molti morti -e magagnati da catuna delle parti: e poco appresso seguitò ch’e’ -tesserandoli e folloni della città depuosono il balio del conte senza -colpa apponendoli tradigione. E in que’ giorni il conte Audinarda facea -la festa della figliuola, la quale avea data per moglie al duca di -Borgogna, il quale ciò sentendo mandò pregando li Schiavini e gli altri -ch’elli attendessono tanto che egli avesse sua festa fornita, dicendo, -che poi terrebbe giudizio del balio suo, e che se lo trovasse colpevole -si rendessono certi che ne farebbe a loro sodisfazione rilevata -giustizia e vendetta. I bestiali e arroganti di quei mestieri recando -a vile la preghiera del conte, in vergogna e dispetto suo appendere -lo feciono alle finestre del suo palagio: onde il conte con tutto suo -seguito forte ne furono turbati, ma assisesi al mostrare di non calere, -nè mostrare di sua onta. - - -CAP. LXVII. - -_Come fu decapitato messer Bocchino de’ Belfredotti signore di -Volterra, e come la città venne alla guardia de’ Fiorentini._ - -E’ ne pare di necessità per più brevità della nostra opera, e per -meglio dare ad intendere il fatto di che dire intendiamo, raccogliere -alquante cose, le quali in piccolo trapassamento di tempo hanno fine -straboccato. Messer Francesco de’ Belfredotti da Volterra sopra il -ciglio di Volterra tenea la forte rocca di Montefeltrano, e messer -Bocchino di messer Ottaviano suo consorto era signore della terra, il -quale cupido d’aumentare sua tirannia, con solleciti aguati cercava -di torre a messer Francesco detta fortezza, e dopo la morte di -messer Francesco, messer Bocchino non lasciava stare i figliuoli in -Volterra. Il perchè il comune di Firenze sentendo la detta dissensione, -perchè non terminasse a peggio, s’interpose tra loro, e li ridusse -a concordia, e obbligaronsi insieme a pena, la quale per l’uno e per -l’altro promise il comune di Firenze per osservanza di pace; per la -quale i figliuoli di messer Francesco tornarono in Volterra sotto -l’ubbidienza di messer Bocchino. E stando senza alcuno sospetto, -all’uscita d’agosto del detto anno, il tiranno a un Volterrano, -a cui nella guerra era stato morto un suo congiunto da un altro -Volterrano amico e servidore de’ figliuoli di messer Francesco, con -segreta licenza di messer Bocchino, trovando il suo nemico a dormire -lo fece uccidere, e colui che morto l’avea con suoi parenti e amici -fece testa, perchè la terra si commosse a cittadinesca battaglia, -e alquanti degli amici de’ figliuoli di messer Francesco vi furono -morti traendo al romore, e i detti figliuoli di messer Francesco, come -era per lo tiranno ordinato, furono presi contro le convenenze per -le quali il comune di Firenze era mallevadore; il perchè il comune -per suoi ambasciadori mandò ricordando al tiranno li dovesse piacere -non farli questa vergogna, dicendo, come a richiesta e preghiera di -lui avea promessa sua fede. Il tiranno con simulate parole tenea gli -ambasciadori a parole, e dal malvagio proponimento non si toglieva. -I Fiorentini veggendo che le parole non ammollavano le parole finte -e mal disposte del tiranno, e sentendo che ciò che fatto avea era -contro alla comune volontà de’ Volterrani, e temendo che la cosa -non avesse mal fine e pericoloso per lo comune, non furono lenti, ma -prestamente mandarono gente d’arme, e fornirono la rocca de’ figliuoli -di messer Francesco, minacciando di guerra se non si facesse ammenda. -Il tiranno veggendo l’animo de’ Fiorentini contro a lui giustamente -irato si forniva di gente di sua amistà, e spezialmente de’ Pisani, -per riparare alla forza e mantenere sua fellonia, perseverando nel -detto malvagio proponimento. Certi cittadini di Firenze per trattato -che dentro aveano d’avere il torrione del monte, che è fuori delle -mura, domenica mattina a dì 24 d’agosto vi cavalcarono, e dalla gente -de’ Pisani vi furono scoperti, e ributtati con vergogna senza altro -danno, il perchè il comune v’ingrossò gente, e pose oste a Volterra. -La quale essendo in sul Volterrano, messer Bocchino per dispetto de’ -Fiorentini trattò di dare la signoria a’ Pisani per trentadue migliaia -di fiorini d’oro. Il popolo di Volterra sentendo ch’e’ si trattava -di venderlo, e farli schiavi de’ Pisani, tutti d’uno volere presono -l’arme, e corsono all’ostiere dove erano i cavalieri de’ Pisani, a’ -quali incauti e sprovveduti tolsono le selle e’ freni de’ cavalli, -e ciò fatto, senza far loro altra villania li misono fuori della -terra, e loro renderono freni, selle, cavalli e armadure, e i fanti -forestieri accomiatarono, e si partirono. Ciò fatto, appresso furono -al palagio del tiranno, il quale con lunga e composta diceria volendo -tiranneggiare li animava a mantenere loro libertà e franchigia, e -quinci li credette dal loro proponimento levare, ma i terrazzani -trafitti dalle sue crudeli operazioni a suo dire non prestarono -orecchie, ma sdegnosamente rispuosono, che bene saprebbono usare loro -libertà, e che per ciò fare voleano in guardia lui, e sua famiglia, e -certi suoi congiunti, e a Firenze mandarono per capitano di guardia, e -a Siena per podestà. Il capitano prestamente vi fu mandato un popolano, -e dietro ad esso mandati furono quattro ambasciadori, e simile feciono -i Sanesi. I Fiorentini temendo i movimenti de’ popoli vari, e vani e -instabili, al continovo vi facevano cavalcare gente d’arme, e a cavallo -e a piè, ancora perchè a loro parea che i Volterrani volessono col -braccio de’ Sanesi raffrenare il nostro comune: il perchè alla gente -de’ Fiorentini segretamente fu comandato, che procacciassono delle -castella de’ Volterrani, i quali cavalcarono a Montegemmoli, ed ebbonlo -per forza, ed a il loro Montecatino, e anche l’ebbono, e così più altre -castellette. I Volterrani mandarono a Firenze loro ambasciadori per i -quali domandavano libertà con l’ammenda de’ loro dannaggi, eleggendo -capitano di guardia di Firenze: la cosa per più giorni stette in -controversia e in dibattimento. I Fiorentini che in Volterra aveano i -loro ambasciadori, e il capitano, e gran parte de’ nove, e di buoni -popolani la maggior parte a loro segno feciono strignere la gente -dell’arme vicino alle mura di Volterra, avendo presentito che la setta -che voleva i Sanesi la notte vi doveano mettere gente d’arme, e così -di vero seguiva, che la notte cinquanta cavalieri e centocinquanta -fanti alla condotta d’alcuno de’ Malavolti, giugnendo con la gente alla -fonte presso alla terra, cadde nell’aguato de’ Fiorentini, e fu preso -con tutta la gente, e facendo vista di non conoscerli, loro fu tolta -l’arme e’ cavalli, ma poichè per lingua e nome si furono palesati, -ripresi da’ capitani dell’impresa facevano contro al comune di Firenze, -assai cortesemente fu loro renduta l’arme e’ cavalli, e rivolti per -la via ond’erano venuti, con assai vergogna di loro matta arroganza e -presunzione. Il popolo di Volterra di suo errore ravveduto la guardia -del cassero della città diedono a’ Fiorentini. I Sanesi ch’erano in -Volterra senza aspettare comiato si partirono, e’ Fiorentini del tutto -rimasono signori, con certe convegne, che i Volterrani promisono in -perpetuo d’avere gli amici del comune di Firenze per amici, e i nemici -per nemici, e che la rocca dieci anni si guardasse per i Fiorentini, -e del continovo debbino prendere capitano di popolo di Firenze; e per -loro ordine hanno fatto, che da Pisa, nè nella città nè nel contado -loro non possa venire uficiali nè alcuno altro d’alcuna città o terra -presso a Volterra a trenta miglia; e passato il tempo di quelli nove -uficiali ne furono altri. E il popolo di Volterra al tutto volle che -’l capitano di Firenze che v’era facesse tagliare la testa a messer -Bocchino, e così fece una domenica mattina a dì 10 d’ottobre del detto -anno, messo prima nella terra la cavalleria de’ Fiorentini con volontà -del popolo, il quale la ricevette a grande onore. - - -CAP. LXVIII. - -_Come il patriarca d’Aquilea fu a tradimento preso dal doge d’Osteric._ - -Fama era per tutta Italia per lungo tempo, la quale si trovò in -fine non vera, che ’l doge d’Osteric era dall’imperadore fatto re di -Lombardia, ma quale la cagione si fosse, mosse di suo paese con grande -compagnia di gente d’arme, e passò nel patriarcato d’Aquilea del mese -detto, dove confidentemente fu ricevuto. Il patriarca avea ripresi -di sue ragioni certi paesi d’entrata di fiorini cinquemila per anno o -più al patriarcato, i quali dal duca vecchio erano stati occupati al -tempo della vacazione del patriarcato. Questo duca movendo questione -al patriarca di queste terre, vennono a concordia di stare di ciò alla -sentenza dell’imperadore suocero del detto duca: e per trarre la cosa -a pacifico fine di concordia si mossono di là, e in compagnia andavano -all’imperadore, ed entrati nelle terre del duca nella città di Vienna, -sotto colore di fare onore al patriarca il duca li fece apparecchiare -un grande ostiere, e credendo il patriarca l’altro dì con lui seguire -il suo viaggio, vi si trovò arrestato e preso; e domandandoli delle -terre del patriarcato, il valente patriarca, messo sua persona a -non calere, fece per suo segreto e fidato messo, e con sua lettera e -suggello comandamento a tutti i sudditi suoi, che per niuno caso che -gli avvenisse niuna glie ne dessono. Il patriarca era messer.... della -Torre di Milano, prelato antico e di buona fama. Questa fu la riuscita -della grande fama del detto duca per lo reame d’Arli, la quale per -più riprese fece ristrignere a parlamento i signori di Lombardia per -provvedere a loro difesa. - - -CAP. LXIX. - -_Di fuoco che senza rimedio arse in Roma san Giovanni Laterano._ - -Egli è da dolere a tutti i cristiani quello che ora sono per narrare -della nobile e venerabile chiesa di san Giovanni Laterano di Roma, e -ciò pare piuttosto ammirabile che degno di fede. Uno maestro ricopriva -il tetto della nave maggiore della detta chiesa, la quale essendo -coperta di piombo conveniva che con ferri roventi le congiunture delle -piastre si congiugnessero per ammendare i difetti, ed avendo il maestro -il fuoco acceso di carboni sopra il tetto, per sinistro avvenimento -un poco di carbone cadde, e come che si entrasse, senza avvedersene il -maestro si posò sopra una trave, e quella incese, e appresso con quella -tutto l’altro edifizio senza potere essere atato a spegnere, non che -grande popolo non vi traesse con ogni argomento, ma quasi come fosse -volontà di Dio tutta la nave della chiesa, e tutte l’altre parti di -quella, e tutte le cappelle con quella di Sancta Sanctorum arse, che -nulla vi restò fuori che le mura, con danno inestimabile del costo di -tale e tanto edificio: è vero che le reliquie di Sancta Sanctorum si -camparono; e ciò avvenne del mese d’agosto del detto anno. Giugnendo -fuoco a fuoco, in questo medesimo tempo nelle contrade di Bossina fuoco -cadde da cielo, e arse gran paese senza riparo nessuno. - - -CAP. LXX. - -_Del maritaggio del duca di Guales primogenito del re d’Inghilterra._ - -Contato avemo addietro le prodezze e grandi valentrie del duca di -Guales primogenito del famoso re Adoardo d’Inghilterra, a cui vivendo -la corona succedè. Costui in questi giorni si tolse per moglie una sua -consobrina contessa di Chienne, la quale era di tempo, e vedova di due -mariti di piccoli baronaggi, e aveva fatti più figliuoli. La maraviglia -che di ciò prese chiunque sapea suo alto stato, vita e condizione, ce -n’ha fatto qui fare nota, forse con iscusa alcuna. - - -CAP. LXXI. - -_Come papa Innocenzio riformò santa Chiesa de’ cardinali morti per la -morìa._ - -Erano morti in pochi dì nella corte di Roma il vicecancelliere di -Preneste, il cardinale Bianco, quello d’Ostia e di Velletri, quello -di Calamagna, messer Andrea da Todi detto il cardinale di Firenze, -il cardinale della Torre, e quello che fu generale de’ frati minori, -e un altro. Il papa volendo riformare santa Chiesa di cardinali, nel -tempo delle digiune del mese di settembre dello anno ne fece altri -otto: il cancelliere di Francia, l’arcivescovo di Ravenna assente, che -poi morì in cammino, ed era Caorsino, l’abate di Clugnì Borgognone, -il vescovo di Nemorsi Francesco, l’arcivescovo di Carcassone nipote -del papa, messer Guglielmo suo referendario ch’era di Limosi, il -figliuolo di messer Pietro da san Marcello, e l’arcivescovo d’Aques in -Guascogna, tutti oltramontani, e niuno ne fece Italiano, dimostrando -che di visitare la cattedra di san Piero a Roma era strano al tutto del -desiderio e appetito degl’Italiani. - - -CAP. LXXII. - -_Come il re Buscialim della Bellamarina fu morto, e delle rivolture di -Granata._ - -Regnando Buscialim in Fessa, ed essendo tornato al regno con l’aiuto -del re di Castella, certi caporali cristiani e mori del detto re si -levarono senza cagione debita contro al re, e uccisonlo, dicendo, -che loro non dava loro soldi, ma il vero fu, che morire lo feciono -perchè egli era troppo amico del re di Castella, e la cagione si -prese, perocchè avendo il re di Castella guerra col re di Granata, -mosse Maomet cacciato dal detto re di Granata, che dovea essere re -egli, a ritornare nel paese, e il re Buscialim a petizione di quello -di Castella avea scritto a tutti i rettori delle sue terre ch’avea in -Ispagna, che ubbidissono il detto Maomet come la sua persona, della -qual cosa turbati i Mori uccisono il loro re Buscialim; e morto costui, -feciono re un Busciente, ch’era in prigione fratello del detto re, -ma non era di sana mente, e però altri governava il reame, e costoro -incontanente contramandarono a’ balii delle terre di Spagna, che non -lasciassono entrare Maomet in loro terre. E poco appresso, del mese -di novembre del detto anno, quelli di Fessa, vedendosi avere il re -smemoriato, mandarono ambasciadori a Sibilia a un giovane della casa -reale di Bellamarina, il quale si stava a Sibilia con un altro suo -fratello minore assai poveramente: gli ambasciadori lo addomandarono, -il re di Castella li fece armare una galea e menarlo a Setta, e di là -per terra il condussono a Fessa, e in ogni parte fu ricevuto per loro -re, e l’altro ch’era mentecatto fu rimesso in prigione: e allora il re -di Castella fece pace co’ Mori, e con il loro novello re ritenne grande -amistà, e da lui ricevette ricchi doni. - - -CAP. LXXIII. - -_Come la compagnia spagnuola ch’era nel vescovado d’Arli prese Vascona, -e poi ne furono cacciati._ - -In questi dì la compagnia degli Spagnuoli ch’era in Provenza per una -notte feciono una lunga cavalcata ed entrarono in Venisì, e improvviso -a quelli di Vascona entrarono nella città, e uomini e femmine con -arnesi con grandissimo danno e di cittadini e di forestieri recarono in -preda; e intendendo così fornito a volersi partire, ma i paesani d’ogni -parte sopravvennono prestamente loro addosso, e furono tanti, che per -forza vinsono la compagnia, e con gran danno d’essa racquistarono la -preda, e cacciaronli del paese. - - -CAP. LXXIV. - -_Come si scoperse che messer Bernabò era vivo, e ’l trattato tenea del -castello di Bologna._ - -Essendo tanto stata la fama di non sapere novelle di messer Bernabò, -che li più affermavano che morto fosse per molti indizi e congetture -che ciò parevano mostrare, esso in questi giorni lavorava alla coperta -colla lima sorda, nulla dimostranza dando di sè, ma piuttosto ampiando -la fama della morte sua, e cercava trattato, lo quale ordinato avea -con uno Spagnuolo e due suoi famigli, a’ quali in grande confidanza -il legato di Spagna avea accomandato la guardia del castello della -porta che va verso Modena di Bologna: costui per ingordo boccone di -danari per tornarsi ricco a casa l’avea promesso a messer Bernabò, e di -ciò era stato il motore a messer Bernabò messer Giovanni da Bileggio -mentre che là era in prigione, anzi che mandato fosse ad Ancona, e -dovea averlo la notte di san Bartolommeo d’agosto: e scopersesi questo -trattato per un ragazzino che venne al castellano di notte, e fu preso. -Per questa cagione messer Bernabò venne in persona a Parma con duemila -barbute non sapendosi la cagione nè il perchè, se non che scoperto il -tradimento si tornò alla caccia, e il castellano con gli altri che gli -erano consenzienti in Bologna furono attanagliati e impiccati. - - -CAP. LXXV. - -_Come si scoperse in Perugia una gran congiura di notabili cittadini -per mutare stato e reggimento._ - -Erano nella città di Perugia in questi tempi molti e molti cittadini, -e gentili uomini e popolari di buone e antiche famiglie d’animo -guelfo, le quali quasi del tutto erano schiusi dagli ufici e governo -della città, reggendosi la terra per popolani mezzani e minuti, sotto -la guida e consiglio della famiglia de’ Michelotti e di Leggieri -d’Andreotto, il quale a quel tempo era il da più, e il maggiore -cittadino di Perugia, e il più creduto dal popolo, e molte altre -famiglie di buoni popolari e uomini singolari da molto che teneano con -loro sotto il nome e titolo di Raspanti. Quelli ch’allora s’appellavano -i mali contenti, e mossi e sollecitati con ammirabile astuzia da uno -Tribaldino di Manfredino spirito malizioso, sagacissimo e inquieto, le -cui operazioni dipoi scoperte li feciono dai suoi cittadini meritare il -nome del secondo Catilina; e forse non indegnamente, perocchè facendo -comparazione da città a città, non era minore quella di Tribaldino -verso di sè, che quella di Catilina verso di sè. La congiura fu per -lui lungamente guidata tanto copertamente e cautamente, che niuno -segno se ne potè vedere nè scorgere per i reggenti, e infra l’altre -sagaci cautele, che ne usò molte, fu questa, che per li parenti e -amici ch’avea intra i reggenti sovente facea falsamente muovere che -trattato v’era nella terra, il quale criato era, e trovato non vero, -il perchè spesseggiando ai priori e a’ camarlinghi di Perugia in cui -stava il tutto del reggimento, era venuto a rincrescimento e a niente -che si ragionasse di trattato, nè prestavano orecchi nè davano fede: e -ciò fece il malvagio traditore, perchè quando il vero trattato venisse -in campo senza prendere avviso il governo della città, più certamente -e più liberamente avesse l’effetto suo. Quelli cui ’l malvagio -uomo trasse in congiura furono questi: messer Averardo di...... da -Montesperello, messer Guido dalla Cornia, messer Alessandro....... -messer Giovanni di....... da Montemellino, messer Niccolò di...... -delle Mecche, messer Tivieri di...... da Montemellino, tutti cavalieri, -Colaccio di Cucco de’ Baglioni, Francesco di messer Rinuccio da...... -detto il Zeppa, Francesco di messer Andrea e Iacopo di messer Guido da -Montemellino, Piero di Neri delle Mecche, Erculano di........ Mattiolo -di....... e....... detto lo Squatrano, con altri simili in numero di -più di quarantacinque gentili uomini e popolani, con seguito d’altri -novantaquattro che ne furono condannati, ed oltre a quattrocento altri -cittadini, i quali per non fare troppo gran fascio furono lasciati -addietro. Costoro aveano fatto loro capitani Colaccio di Cucco de’ -Baglioni, il Zeppa di messer Rinuccio e Mattiolo di...... e nelle loro -mani aveano giurato. Costoro a un giorno preso doveano correre la -piazza, e pigliare il palagio de’ priori e delle signorie, perocchè -come detto è pensavano per le beffe de’ trattati non veri trovare i -priori addormentati: per la città a’ loro seguaci dispersi in vari -luoghi deveano fare infocare case per tenere alla bada de’ fuochi -i cittadini, doveano uccidere i priori e’ camarlinghi, e qualunque -innanzi loro si parasse senza riguardo d’amico o di parente. Messer -Averardo dovea stare di fuori a sollecitare i loro lavoratori, e amici -del contado e le loro amistà, e a ribellare delle castella. E per -certo il sollecito reo uomo seguendo lo stile di Catilina avea dato -ordine, che se Dio non avesse posto il rimedio a tanto pericolo, per -certo la città ne venia in desolazione e tirannia. Esso Signore che -tutto vede puose nel cuore a messer Tivieri da Montemellino, uno de’ -principali congiurati, che lo revelasse, acciocchè tanto pericolo e -male non fosse; il quale essendo quasi vicino a Leggieri d’Andreotto, -sotto sicurtà della sua persona senza domandare altro merito gli -rivelò il fatto, il quale di presente n’andò in palagio de’ signori, -e quivi con loro, e co’ camarlinghi, e con gli altri dello stato si -mise a’ ripari. Fu preso messer Niccolò delle Mecche, e Ceccherello -de’ Boccoli con quattro loro masnadieri di nome, e con sette altri -mascalzoni, gli altri congiurati tutti si dierono alla fuga. Seguette, -che il dì di santo Michel Agnolo si fece l’adunanza generale, che noi -diciamo parlamento, nella quale si determinò, che i detti cavalieri, -gentili uomini e popolani, insino nel numero di quarantacinque, -fossono condannati per traditori e rubelli del comune di Perugia -infino...... e che altri novanta secondo loro gravezze di loro colpe -fossono condannati di danari, e alcuni a stare a’ confini; gli altri -per meno male passati furono sotto silenzio. Più vi si provvide, che -Tribaldino guidatore e ordinatore del male, con messer Averardo, e con -alquanti degli altri più focosi principali fossono dipinti _ad eternam -rei memoriam_ colle mitere in capo in piè della piazza nella faccia -del casamento del maggior sindaco: e così seguitò, che messer Niccola -delle Mecche, e Ceccherello de’ Boccoli con i quattro masnadieri furono -decapitati, e i sette mascalzoni furono appesi; gli altri tutti ebbono -bando come nell’adunanza era ordinato, e così furono dipinti quelli che -doveano esser dipinti. Bollendo e ribollendo ragionevolmente la città -in questo stato dubbioso e sospetto, come il male venne agli orecchi -del nostro comune tantosto vi mandò ambasciadori con cento uomini di -cavallo. I Pisani domandato licenza di mandarvi cento cavalieri per -lo nostro contado, e liberamente ottenuto, anche vi mandarono loro -ambasciadori con la detta gente, i quali co’ nostri insieme assai -temperarono l’animo voglioso e crucciato debitamente de’ Perugini. - - -CAP. LXXVI. - -_Come in questi giorni in Pisa ebbe gelosia di loro stato, e della -difensione che saviamente ne presono._ - -In questi medesimi dì all’entrata d’ottobre, essendo Piero Gambacorti -in Firenze, rotti i confini i quali avea a Vinegia, alquanti artefici -e certi mercatanti pisani, che per lo partimento che i Fiorentini -aveano fatto di Pisa e per loro cagioni, anzi quasi tutti i mercatanti -forestieri che trafficavano co’ Fiorentini, e i reggenti che n’erano -stati cagione udivano e sentivano costoro e molti altri di ciò -rammaricare, dicendo, come al tempo de’ Gambacorti godeano la pace co’ -Fiorentini, e’ guadagni del porto, e delle mercatanzie e dell’arti, -e che loro era faltato e il procaccio e ’l guadagno; o che questa -fosse la cagione, o che di loro sentissono alcuno trattato con Piero -Gambacorti, ventidue ne presono, e a quattro de’ mercatanti feciono -tagliare la testa; li altri si riserbarono in prigione, e a molti -diedono i confini. - - -CAP. LXXVII. - -_Come i Sanesi sotto la rotta fede ebbono la signoria di Montalcino._ - -In questo mese d’ottobre del detto anno, Giovanni d’Agnolino Bottoni -con centocinquanta cavalieri e ottocento pedoni cavalcò improvviso -sopra Montalcino per rimettervi gli usciti ch’erano suoi amici, e -questo fece con ordine d’alcuno trattato ch’avea nella terra, ma i -terrazzani presti alla difesa tolsono ardire di muoversi dentro a chi -n’avea sentimento. Vedendo Giovanni che ’l trattato ordinato non gli -venia fatto, per ricoprire sua intenzione si stava loro intorno. I -terrazzani, che erano ubbidienti e in pace co’ Sanesi, maravigliandosi -di questa novità mandarono a Giovanni di fuori a sapere perchè facea -questo, e quello volea da loro: il savio e accorto disse, che volea -che fossono in accordo col comune di Siena: i semplici terrazzani, -sentendosi amici e ubbidienti al comune di Siena, elessono ventiquattro -della loro terra i maggiori e più potenti che v’erano, e mandaronli -per ambasciadori a Siena. Giovanni avvisò l’uficio de’ signori, come -era tempo d’avere libera la signoria di quella terra, avendo appo -loro li ventiquattro ambasciadori ch’erano il tutto della terra, ed -egli essendo là con forza d’arme, la quale si fè accrescere, diceva -di strignerli e tenerli in paura. Gli ambasciadori giunti a Siena, e -fatta la riverenza, e sposta la loro ambasciata, ebbono per risposta, -che non si partirebbono da Siena, che Montalcino sarebbe libero alla -guardia de’ Sanesi; la cosa non potè avere contradizione, e però -convenne ch’avessono libero Montalcino, e avuto, rimandarono indietro -i ventiquattro ambasciadori sani e salvi, e smisurata festa in Siena se -ne fece. - - -CAP. LXXVIII. - -_Come i Turchi presono la città di Dometico ch’era dell’imperadore di -Costantinopoli._ - -Del mese di novembre del detto anno, un grande signore de’ Turchi -di Boccadave, sentendo l’imperadore di Costantinopoli giovane, e in -discordia co’ suoi per la ragione già detta di Mega Domestico cui egli -perseguitava, e altre volte essendo suo balio avea occupato l’imperio, -accolse di suoi Turchi grande esercito, e vennesene ad assedio alla -nobile e antica città oggi chiamata Dometico, la quale siede tra -Costantinopoli e Salonicco, presso a quattro giornate a Costantinopoli, -la quale appresso Costantinopoli solea essere sedia imperiale. I -cittadini sentendo che Orcam con grande quantità di Turchi venia loro -addosso, e non vedendo onde potesse a loro venire soccorso, inviliti -(come è la volontà di Dio per la loro contumacia contro a santa -Chiesa) abbandonarono la città forte e difendevole per lungo tempo, e -abbondevole a sostenere sua vita. Orcam trovandola abbandonata v’entrò -dentro co’ suoi Turchi, e misevi gente ad abitare e alla guardia con -vittoria senza fatica, e si ritornò in suo paese con gran vergogna e -vitupero e abbassamento dell’imperio di Romania. - - -CAP. LXXIX. - -_Come il re di Castella mosse guerra a’ Mori di Granata, e al loro re -Vermiglio._ - -Fermata la pace dal re di Castella a quello d’Araona del mese di -settembre del detto anno, e tornato il re di Spagna in Sibilia con -sua cavalleria, Maometto già stato re di Granata e cacciato dal re -Vermiglio, come di sopra dicemmo, esso re di Spagna col detto Maometto -cavalcò in Granata, e nel paese fece danno assai e d’arsione e di -preda, e lasciato Maometto alle frontiere con sue genti e co’ cavalieri -castellani a sufficienza a poter far guerra, del mese d’ottobre si -tornò a Sibilia. Di poi a tempo ritornò a oste sopra il re di Granata, -e stato sopra lui lungamente, in fine non avendo soccorso da’ suoi -saracini del Garbo e di Bellamarina, perchè erano collegati col re di -Spagna, disperato s’arrendè a quello di Spagna, il quale avuto e lui -e suo reame ne fè che al re Vermiglio fece tagliare la testa, e fece -re uno de’ reali della Bellamarina suo confidente, il quale da lui -riconobbe il reame, e gli promesse suo aiuto e di suoi saracini in -tutte sue guerre, e appresso li promesse ogni anno certo tributo. - - -CAP. LXXX. - -_Come gli usciti Perugini presono per furto Civitella de’ Benazzoni, e -poi l’abbandonarono._ - -I nuovi usciti di Perugia avendo per viltà abbandonate le loro -forti tenute al comune di Perugia, in una cavalcata di due bandiere -di cavalieri per furto entrarono poco appresso in Civitella de’ -Benazzoni, assai forte castello e ben guernito. I Perugini di presente -vi mandarono quaranta bandiere di cavalieri e con popolo grande, e -puosonvisi ad oste. Gli usciti veggendosi male ordinati da potere -attendere soccorso, per lo mene reo, come per furto l’aveano preso, -così per furto se n’uscirono, avendo il nome la notte di quelli del -campo, e ridussonsi a un castello ivi presso ch’era degli Spuletini, -e quindi se ne vennono ad abitare ad Arezzo, cercando rimedii a loro -fortuna. - - -CAP. LXXXI. - -_Come i Bolognesi cominciarono a cavalcare sopra gli Ubaldini._ - -Essendo in Bologna speranza della pace, la quale parea ferma dal -legato a messer Bernabò, e per tanto avendo alcuna speranza di potere -sollevare le fatiche, sentendo che gli Ubaldini per tutta la boce della -pace non si rimaneano di far danno e noia alla strada, cavalcarono -sopra di loro, e raccolsono preda, e feciono danno nel paese. Gli -Ubaldini gli lasciarono cavalcare, e ridussonsi a’ passi, e alla -ritratta assalirono i Bolognesi, e rupponli, e racquistarono la preda, -e vendicarono loro ingiuria. I Bolognesi all’uscita di novembre detto -anno ricavalcarono con più ordine e forza sopra loro, e arsono e -guastarono più e più villate, e senza contasto si tornarono a casa. - - -CAP. LXXXII. - -_Del trattato delle compagnie che doveano entrare in Avignone._ - -La compagnia spagnuola accozzata con un’altra in Provenza aveano -trattato con certi forestieri di più lingue ch’erano in Avignone come -di furto potessono entrare nella città, dove speravano fare il sacco, -ma non fuori di misura, con l’aiuto di quelli d’entro, che prometteano -dare l’entrata, e per questa cagione di subito cavalcarono, e vennono -infino presso alla città. La cosa si scoperse perchè era vogliosa, -e con poco ordine e meno forza: dentro furono presi circa a trenta; -alcuni ne furono decapitati, e alcuni impiccati, e la compagnia si -tornò addietro senza fare altro danno, e per l’innanzi in Avignone si -fè più sollecita guardia, e ciò fu all’uscita del mese di novembre del -detto anno. - - -CAP. LXXXIII. - -_Come i Pisani perderono Pietrabuona e vi puosono l’assedio, dove -stando vollono torre Sommacolonna per incitare i Fiorentini a guerra._ - -Fu di sopra a suo luogo narrato, come i Pisani per soperchio d’astuzia -aveano costretto i Fiorentini levare il porto da Pisa e recarlo -a Talamone, e tutto ch’a’ Fiorentini sconcio e spesa fosse, tutto -lietamente si comportava, mostrando a’ Pisani che poteano fare senza -loro. E del fatto a littera ne seguiva quello che Piero Gambacorti -detto n’avea a quelli mercatanti che al detto tempo si trovarono su il -Rialto in Vinegia, dove il detto Piero era confinato quando la novella -vi venne, che fu in questa maniera: Fiorentini, Fiorentini, se state -fermi in vostro proponimento, Pisa in piccolo tempo diventerà un bosco: -e veramente così ne seguia, perocchè essendo partiti i Fiorentini da -Pisa, tutti coloro che con loro mercatavano e trafficavano, con quelli -ch’a’ loro servigi rispondeano aveano fatto il simigliante, il perchè -le case, i fondachi, e la terra tutti rimaneano oltre a mezza vota, e -i mestieri degli artefici in gran dannaggio, onde il soprassenno de’ -Pisani raccortosi di suo errore cercò per molte vie oneste e piacevoli, -e a’ Fiorentini vantaggiose e onorate, di ritornarli a Pisa, e ciò non -potendo ottenere, e seguendo del fatto, che quelli che teneano lo stato -e governo della città n’erano caduti nell’odio e mal volere del popolo -e de’ mercatanti, e stavano in paura del perderlo, avendo del continovo -alla coda gli aderenti, seguaci e amici de’ Gambacorti, i quali erano -di fuori e li sollecitavano; onde essi sottilmente pensarono di fare -disfare due chiovi a uno caldo col fuoco della guerra, l’uno, di -unire il popolo consueto nemico de’ Fiorentini e sopra modo parziale -con la guerra, l’altro, che seguendo pace della guerra, come suole, -patteggiare nella pace la tornata del porto: e per dette cagioni con le -loro vie coperte e sagaci, per non parere d’essere i motori al rompere -della pace, presono questa cautela, che una volta e più fittizziamente -e simulatamente bandeggiarono di loro cittadini, contadini e -distrettuali, uomini atti a cercare mutazioni e riotte, nominati e di -seguito, disposti a fare piuttosto il male che ’l bene, e questi in -diversi luoghi e tempi tolsono certe tenutelle del distretto del comune -di Firenze di poca importanza; onde il comune secondo i tempi più volte -ne mandò ambasciadori a’ Pisani, e quello ne rapportavano era: E’ ce -ne pesa, sono nostri forbannuti, e loro appresso di voi semo acconci a -perseguitare infino a morte e desolazione. Il comune di Firenze per non -essere abominato di corrompere la pace se la portava pazientemente, e -con infignere di non se n’avvedere; nè pertanto si rimaneano i Pisani -di seguire la mala regola presa, cercando al continovo per questa via -di torre delle terre a’ Fiorentini, e non delle peggiori, il perchè -a’ Fiorentini fu forza a prendere loro costume, e con un Giovanni da -Sasso famoso caporale e atto all’arme feciono tentare segreto trattato, -che togliesse a’ Pisani il castello di Pietrabuona, il quale è vicino -a Pescia, e così seguì, avendo prima per colorati misfatti ricevuto -bando a Firenze della persona. A’ Pisani parendo loro avere ottenuto -loro talento subitamente con grande ordine e sforzo assediarono il -castello per forma, che niuna forza d’arme glie ne arebbe potuti -levare, nè tor loro non lo racquistassono. Stando al detto assedio, -veggendo non bastavano l’occulte a incitare e muovere i Fiorentini alla -guerra, vennero alle aperte, e del mese di gennaio preso loro tempo si -credettono furare Sommacolonna, e cavalcaronvi sforzatamente, ma non -venne loro fatto. E per arrogere all’ingiuria, avendo i Fiorentini loro -gente alla guardia di Pescia e dell’altre terre della Valdinievole, -certi conestabili de’ loro a loro diletto usavano d’andare il dì -sul poggio della Romita sopra a Pietrabuona, il quale era terreno -de’ Fiorentini, e ivi si stavano a vedere badaluccare e gittare i -trabocchi; i Pisani posto loro aguati li assalirono e uccisonne sette, -e gli altri ne menarono a prigioni, e diedono palese e aperto principio -della guerra. - - -CAP. LXXXIV. - -_Come fu sorpreso il conte di Savoia dalla compagnia bianca co’ suoi -baroni, e ricomperaronsi con gran quantità di moneta._ - -In questo medesimo tempo, essendo venuto il conte di Savoia di qua -da’ monti a una sua terra che si chiama...... con molti baroni e -cavalieri di sua contea, non prendendosi guardia, la compagnia bianca, -la quale era vicina a quelli paesi, si mosse una notte facendo molto -lungo e disordinato cammino, e sorprese il conte e’ baroni alla terra -senza alcuna resistenza, salvo che ’l conte con pochi si rifuggì nel -castello, gli altri tutti furono prigioni: e il conte assediato e -sprovveduto, veggendosi a mal partito, trasse accordo, e tra di sè e di -suoi baroni, e de’ cittadini della terra e delle cose loro, che tutto -era in preda, venne a composizione di dare alla compagnia in diversi -termini fiorini centottantamila d’oro, parte allora, e del resto -fermezza, sicchè tutto lasciarono, e tornarsi in Piemonte. - - -CAP. LXXXV. - -_La cavalcata che Piero Gambacorti fè sopra i Pisani._ - -Essendo Piero Gambacorti in Firenze, e avendo da’ suoi amici di Pisa -sollecito conforto, che procacciasse d’appressarsi alla terra con -alcuna forza, dicendo, che dove i cittadini il sentissono farebbono -novità contro i reggenti, ch’erano comunemente mal voluti. Avvenendoli -per caso che all’uscita di gennaio a Firenze erano col conte Niccola -Unghero settecento Ungari usciti del Regno, i quali doveano andare in -Piemonte in servigio del re Luigi, ma non avendo loro paga ordinata -per lo re cercavano condotta, e i Fiorentini non li voleano, perchè non -n’aveano bisogno, e non voleano un capo con tanta gente d’una lingua; -in questo a Piero Gambacorti crebbe l’animo per lo conforto de’ suoi -amici, e condusse questo conte co’ suoi Ungari, ed ebbe alcuno aiuto -da certi usciti di Lucca, e seguito di più di dodici centinaia di -fanti, niente essendoli contradetto dal comune di Firenze, e a dì 27 -di gennaio uscirono di Firenze, e a dì 28 furono in Valdera, e certe -terricciuole l’ubbidirono, e non volea far guasto nè lasciare fare -preda, di che gli Ungari e i briganti n’erano assai malcontenti. I -Pisani di presente mandarono a Firenze per sapere se il comune movea -questo, e fu risposto di no; e per abbondante mandarono bando l’avere -e la persona che niuno Fiorentino contadino o distrettuale non dovesse -andare contra i Pisani, e chi andato vi fosse, sotto la detta pena se -ne dovesse partire. I briganti non potendo guadagnare se ne partirono -per lo disagio più che per lo bando, e rimase Piero con gli Ungari e -con gli altri forestieri. Gli astuti e maliziosi Pisani vedendo che -altri che Piero non era a guidare questa gente, costrinsono per forza i -più intimi amici ch’avesse in Pisa, e fecionli scrivere da più parti a -un modo, che si dovesse guardare la persona, perocchè gli Ungari aveano -trattato di darlo preso a’ Pisani, e d’averne fiorini ventimila d’oro. -Egli era a Peccioli quando le lettere di più parti li vennono, cominciò -a dubitare, e a stare a riguardo, e vedendo l’adunanze degli Ungari -parlare insieme, e non intendendoli, pensò che eglino il dovessono -pigliare, e vedendosi presso a Volterra, senza congio con sua gente diè -degli sproni al cavallo, e partissi dagli Ungari. Fu detto che alcuni -il seguitarono, ma il vero fu poi certo che tutto fu fatto a mano per -l’astuzia de’ Pisani. Gli Ungari il primo dì di febbraio senza far -danno in alcuna parte si ritornarono a santa Gonda, e poi a Firenze. - - -CAP. LXXXVI. - -_Come il re Luigi prese le terre di messer Luigi di Durazzo e lui mise -in prigione, e trasse del Regno la compagnia._ - -Era Anichino di Bongardo stato lungamente stretto dagli Ungari in certe -terre che teneano di messer Luigi di Durazzo, e non avendo potuto -guadagnare erano in male stato, e cominciando a perdere delle terre -vennono a patti d’avere sicurtà dal re, e uscirsi del Regno sotto la -sua guardia e sotto la sua bandiera, e così fu promesso, e fatto a -ciò fine. A messer Luigi dopo questo si rubellò sant’Angiolo, ed egli -vedendosi povero e mal parato si rendè al re Luigi suo cugino, e venuto -a Napoli, rendute tutte sue terre, fu messo in prigione nel castello -dell’Uovo, sperandosi per molti che il re li dovesse perdonare, ma -la sua fortuna dopo la morte del detto lo fece morire in prigione. -Anichino con la sua compagnia assai male in arnese, alla condotta di -certi baroni del re, com’era promesso, del mese di gennaio del detto -anno uscì del Regno. - - -CAP. LXXXVII. - -_Come le compagnie si partirono di Provenza._ - -In questo medesimo mese di gennaio, le due compagnie ch’erano in -Provenza presono accordo co’ paesani per certa quantità di danari, e -l’una se n’andò verso la Francia, e l’altra tenne in Borgogna, chiamata -da certi baroni di Borgogna, perocchè era morto il loro duca, e temeano -del re di Francia. - - -CAP. LXXXVIII. - -_Come fu sconfitta la gente del re di Castella dal re di Granata._ - -Avendo lasciato il re di Castella in Granata lo re Maometto che n’era -stato cacciato, e con lui il maestro di Ialatrenu, il detto maestro -avendo quattromila cavalieri spagnuoli e gran popolo seco, badaluccando -con la gente del re Vermiglio di Granata, con mala provvisione -ringrossò il badalucco: il re mise loro addosso subitamente molta -gente a cavallo e a piè, e combattendo insieme lungamente, in fine i -Mori sconfissono quelli di Castella, e presono il capitano e più altri -caporali, e de’ Castellani vi rimasono morti in sul campo tra cavalieri -e pedoni più di tremila, li milleottocento cavalieri; e avuto il re -Vermiglio questa vittoria, del mese di gennaio 1361, prese baldanza, -e corse colle sue genti in sulle terre del reame di Castella, facendo -spesso danno e vergogna al re di Spagna. - - -CAP. LXXXIX. - -_Come per vendicare sua onta il re di Spagna andò sopra il re di -Granata._ - -Del mese di febbraio del detto anno, il re di Castella sdegnato e -infellonito contro al re Vermiglio, e contro ai suoi Mori, in furore -dell’animo suo uscì di Sibilia a dì 20 del mese, avendo prima fatto -comandamento di cuore e d’avere che catuno che potesse portare arme -il dovesse seguire in sul terreno di Granata, e subito vi si trovò -con diecimila cavalieri e trentamila pedoni in arme da combattere, e -oltre a duemila carrette con vittuaglia e dificii da combattere le -terre: e combattendo le castella, per infino a dì 22 d’aprile 1362 -prese dieci forti castella piene e ubertuose, e molte altre ville di -minore fortezza, e gli uomini tutti fece servi e schiavi, e quelli -si difendevano erano morti, e quelli si rendevano salvi: per questo -avvedendosi i Mori di Malica e di Saletta che lo re di Castella era -per divenire loro signore, per non essere sottoposti a’ cristiani -deliberarono di rimettere Maometto, ch’era con il re di Castella, in -re di Granata, e incontanente lo misono in Malica, e poco appresso in -Granata, e lo re di Spagna contento di questo, avendo fornite le terre -prese, e ritenendole in sua guardia, si partì di Granata, e tornossi in -Sibilia. - - -CAP. XC. - -_Come messer Bernabò si credette avere Reggio per trattato._ - -Messer Bernabò mostrandosi poco contento della pace promessa a santa -Chiesa, e usando parole contro il fratello messer Galeazzo, dicendo, -che egli avea fatto più che da lui non avea avuto in mandato intorno -alla pace, dando intendimento di volere fare maggior guerra a Bologna, -accolse molta cavalleria di sua gente, e in persona con essa ne venne -a Parma del mese di febbraio del detto anno, avvisandosi per tutto che -dovesse andare sopra Bologna, ed egli avea trattato d’avere Reggio, -ed entrarono dentro nella città circa a cinquemila masnadieri. Messer -Feltrino avvedendosi della baratta, avendo grande ardire e gente poca, -si fedì francamente fra loro; i masnadieri inviliti per tema di maggior -forza vedendo l’ardire pensarono a campare, e molti ve ne furono morti -e presi: sentitosi la novella, messer Bernabò si ritornò addietro. -Appreso messer Bernabò che ’l verno era già passato, e che il tempo -atto alla guerra ne venia, e che la mortalità era a lui riuscita con -grande acquisto per quelli che morti erano senza eredi, i beni de’ -quali erano incorporati alla camera del comune la quale era sua, e -sentendo che la Chiesa era in poco podere di gente d’arme, e Bologna -mal fornita, cominciò a domandare cose che mai non erano state, non -che addomandate, ma nè pensate, e perciò mandò a corte di Roma suoi -ambasciadori per terminare le dette domande; e infra l’altre arroganti -domande fece chiedere che voleva il figliuolo arcivescovo di Milano, e -volea che per decreto e rescritto papale l’elezione dell’arcivescovo -fosse di elezione della casa de’ Visconti di Milano, e voleva il -vicariato dell’imperadore, ed essere da lui restituito in tutte le -sue dignitadi, e che lecito li fosse potere guerreggiare ogni terra -e signore, fuori le terre della Chiesa, con patto che la Chiesa non -se ne travagliasse, e non desse a quelle le quali egli guerreggiasse -nè favore nè aiuto in alcuno modo, mettendo per sospetti i signori e -comuni nominati per la guardia di Bologna, tanto ch’egli fosse pagato, -e volea che la città di Bologna si guardasse per i Pisani; e domandando -queste, e altre cose sconce e villane, al continovo non cessava -di crescere la gente dell’arme sopra la città, e di guerreggiarla -scorrendo tutto giorno fino alle porte. La Chiesa i patti che domandava -con suo onore accettare non potea, e non si potea difendere dalla forza -del tiranno nè dalla superbia sua, ricorse a Dio con singolare orazione -comandata per tutta la cristianità, e la misericordia sua tosto vi -provvedè di salutevole consiglio, come seguendo nostra leggenda trovare -si potrà. - - -CAP. XCI. - -_Come i Pisani feciono cosa da incitare i Fiorentini._ - -All’entrata del mese di marzo 1361, i Pisani feciono cavalcare lor -gente a piè e a cavallo nella Cerbaia distretto de’ Fiorentini, e -levarono preda di bestiame minuto, e condussonlo al Cerruglio. I -Fiorentini di ciò sdegnati feciono della lor gente di Valdinievole -cavalcare infino alle porti di Montecarlo, e la notte misono gente in -aguato in Pietrabuona, ma i Pisani se n’accorsono, e ritennonsi dentro -al battifolle, onde la gente de’ Fiorentini si ritornò in Pescia. -Queste furono assai picciole cose, e poco degne di memoria, ma per -quello che per questi inzigamenti dipoi ne seguì, che furono grandi -cose, l’animo nostro ha patito di porre questi lievi principii. - - -CAP. XCII. - -_Dell’operazioni delle compagnie in questi tempi._ - -Tornando a’ tormenti delle compagnie, in questi giorni del verno -avanti alla primavera, la Compagnia bianca col marchese di Monferrato -acquistate più castella le quali si teneano per messer Galeazzo -nel Piemonte, e più feciono loro cavalcate infino a Pavia passando -il Tesino, e quivi stati più giorni si ritornarono in Piemonte. La -compagnia la quale era in Borgogna capitanata dal Pitetto Meschino, -uomo alvernazzo e di niente, e per sua prodezza e maestria di guerra -montato in grande stato e pregio d’arme, prese in Borgogna più terre, -dove s’adagiò con la sua brigata, conturbando forte tutta la parte -del re di Francia, riguardando sempre tutti quelli che al re erano -contrari, il perchè il re condusse la compagnia delli Spagnuoli per -cacciare il Pitetto Meschino di Borgogna, i quali Spagnuoli ne’ detti -giorni erano in Berrì, e condotti, così faceano di male ad amici come -a nemici, dove stendere potessono le mani senza guastare il paese -o uccidere. La compagnia d’Anichino di Bongardo uscita del Regno, e -condotta da messer Bernabò, in questi giorni se ne venne in Toscana per -andare sopra Bologna. Così e molto più era intrigata e avviluppata la -cristianità dalle maladette compagnie in questi tempi. - - -CAP. XCIII. - -_D’una cometa ch’apparve di marzo nel segno del Pesce._ - -Del mese di marzo del detto anno, apparve tra ’l levante e ’l mezzodì -sul mattutino una cometa nel segno del Pesce Con la coda lunga di -colore cenerognolo, la quale alcuni astrolaghi dissono ch’era chiamata -Ascone. Quello che di sua influenza si vidde fu, che il verno, fu -bellissimo e asciutto, e non troppo freddo, atto molto alla sementa e -coltivamento della terra; la primavera fu fresca e umida, e la state -temperata d’acque, onde ne seguì grande abbondanza. E a dì 8 d’aprile -l’anno 1362, alle due ore del dì, essendo l’aria serena e chiara uno -grande tuono si sentì in aire, lo quale molto fece maravigliare la -gente, e innanzi li venne un baleno con vapori incesi, che caddono -in Firenze sopra il fiume d’Arno e da santa Maria in Campo senza fare -alcuno danno, e l’aria rimase serena e chiara che era. - - -CAP. XCIV. - -_Come la Compagnia bianca prese Castelnuovo Tortonese._ - -Del mese di marzo la Compagnia bianca essendo di lungi al contado -di Tortona per tanto di spazio, che i paesani non aveano riguardo, -partendosi di giorno, e cavalcando verso la notte, feciono a gente -d’arme smisurato viaggio, e in sul dì seppono sì fare, che la mattina -entrarono anzi dì di furto in Castelnuovo Tortonese, e come furono -dentro, chi si volle difendere uccisono, il perchè i morti si trovarono -sopra a trecento: il castello era bene di milledugento uomini. -Sentito ciò messer Galeazzo v’andò con più di tremila cavalieri e bene -quindicimila pedoni, e tutto che li paresse essere bene in apparecchio -da combattere co’ nemici non s’attentò di mettersi a partito, ma fornì -le castella d’attorno, e tornossi a Milano. - - -CAP. XCV. - -_Come la compagnia del Pitetto Meschino sconfisse l’oste del re di -Francia a Brignai._ - -Lo re di Francia infiammato d’onta contro la compagnia del Pitetto -Meschino d’Alvernia suo picciolo servo fuggito, nonostante che avesse -condotta la Compagnia spagnuola contro a loro, la quale ancora non era -giunta in Borgogna, radunò prestamente del mese di marzo un’oste di -bene seimila cavalieri franceschi, e tedeschi e di altre lingue che -erano in Francia, e fattone capitano messer Giacche di Borbona della -casa di Francia con quattromila sergenti gli mandò in Borgogna. E in -que’ giorni la compagnia del Pitetto Meschino avea preso un castello -del re che si chiama Brignai, e lasciatovi alla guardia trecento -di sua compagnia, ed egli con tremila barbute e duemila masnadieri -i più Italiani ch’erano in sua compagnia era cavalcato nel contado -di Forese, facendo loro procaccio: in questo il duca di Borbona con -l’oste sua giunse e puosesi a campo a Brignai, credendolosi in pochi -giorni racquistare: e così standosi all’assedio baldanzosamente, e -senza debita provvisione e con poco ordine, avendo con l’animo grande -a vile il loro avversario, il Pitetto Meschino maestro e pratico di -arme con la brigata sua vogliosa di zuffa, e ardita e bene in punto, -essendo lontano da Brignai giornata e mezzo, avendo lingua come i -Franceschi con molto disordine si reggevano a campo, confortata sua -brigata, e animata della gran preda, con sollecito studio di cavalcare -raccorciando i cammini, avanti al giorno di più ore giunse al campo -sopra gli sprovveduti Franceschi, e senza alcuno arresto gli assalì -con grande tempesta e romore; onde tra per le terribili grida, e per -lo subito e sprovveduto assalto i Franceschi bairono, e mancarono di -cuore, e non di manco ciascuno come meglio poteo ricorreva all’armi -per difendersi, ma quelli della compagnia gli percoteano, e gli -sollecitavano sì con l’arme, che non gli lasciavano far testa; e così -quell’oste ove avea tanti baroni e valenti cavalieri sventuratamente -fu rotta e sbarattata, con molti di loro morti e magagnati: quelli -che camparono con loro cavalli e arnesi quasi tutti vennono in preda -del vassallo del re di Francia Pitetto Meschino. Messer Giacche duca -di Borbona fu a morte fedito di più fedite, ed essendo preso, vedendo -che era per morire fu lasciato alla fede, e portato a Lione sopra a -Rodano in pochi giorni passò di questa vita. Preso rimase il conte di -Trinciaville, il conte di Forese, il maliscalco di Dunan, l’arciprete -di Guascogna altra volta stato capo di compagnia, messer Broccardo -di Finistagion Tedesco capitano di millequattrocento barbute, messer -Amelio del Balzo, e il conte di Clugnì, tutti signori e gran baroni, -e assai d’altri signori e cavalieri banderesi de’ quali uscì grande -tesoro a riscatto. I soldati furono lasciati alla fede, e quelli che -in sul campo furono morti o fediti lasciarono portar via. La valuta -della preda fu tanta, che la compagnia se ne fè ricca: e per questa -vittoria presono tanto d’audacia e d’ardire, che in grande tremore -stette la corte di Roma, usa di essere pettinata dalle compagnie, che -non corressono sopra Avignone, ma tanto dimorò la compagnia in Borgogna -ch’ebbono i danari che si riscattarono i baroni e’ cavalieri. Lo re -di Francia sentita questa novella sopra modo si turbò di cuore, e osò -dire, che mai non ristarebbe, ed eziandio con porre la sua persona al -pari d’un soldato, che dell’onta ricevuta si vendicherebbe. E per non -avere più a tornare sopra la presente materia per infino che altra -gran cosa non seguisse, il Pitetto Meschino e quelli di sua compagnia -udite le minacce del re, per accrescere il dispetto e l’onta, mostrando -d’avere il re e le sue parole a vile, del mese di giugno appresso -se n’andarono vicini a Parigi, facendo gran preda e danni a’ paesani -d’intorno alla città. Io non mi posso tenere, che io non dica qui per -gl’intendenti ragionatori si misuri la gloria vana e fallace degli -stati mondani; ma nella presente materia quelli massimamente che hanno -avuto notizia della eccellenza del reale sangue di Francia, per cui al -presente è tanto vilmente calcata: e certo il Pitetto Meschino è di sì -oscuro luogo nato, che fuori del sapere che egli è Alvernazzo, non si -sa chi fosse nè madre nè padre: e questo basti. - - -CAP. XCVI. - -_Come fu fermo lega dalla Chiesa e i signori di Lombardia contro a -messer Bernabò._ - -Veggendo gli altri signori della Lombardia la pertinacia di messer -Bernabò intorno al racquisto di Bologna, e che per averla di sua fede e -promessa mancava a santa Chiesa, nelle loro menti presono concetto, che -se vincesse Bologna a loro non perdonerebbe, stimando che con cagioni -controvate contro a loro volgesse la guerra con assai più vicino e -possente braccio. Il perchè entrati in sospetto e paura, con loro -segreti ambasciadori cercarono di far lega e tra loro insieme con la -Chiesa di Roma; e nel trattato occorse che il signore di Verona diede -la sorella per moglie al marchese di Ferrara; e fornito il parentado -per modo che non potea tornare addietro, il signore di Verona come a -stretto parente il fè con festa a sentire a messer Bernabò, il quale -udito il fatto a maraviglia se ne turbò, dicendo: Io son fatto cognato -di uno sterpone. Il marchese con tutto che di ciò avesse obria era -d’animo nobile e valente uomo, magnanimo e di grande cuore, e compare -di messer Bernabò, e molto l’avea servito contro alla Chiesa nella -guerra di Bologna, dando libero il passo a sua gente d’arme, el a suo -piacere vittuaglia e per acqua e per terra. Fermato il parentado intra -i detti due signori, del seguente mese d’aprile lega e compagnia si -fermò tra il legato di Spagna in nome di santa Chiesa e il signore -della Scala, e il signore di Padova, e il marchese di Ferrara; e la -taglia della gente della lega fu in nome di tremila cavalieri, de’ -quali la Chiesa dovea pagare i millecinquecento cavalieri, e ciascuno -degli altri cinquecento per uno: e oltre a ciò ne’ patti della lega -promesse ciascuno a loro difesa, e della città di Bologna, e all’offesa -di messer Bernabò, e d’ogni qualunque che contro alla lega facesse. -E stando le cose in questi termini, messer Bernabò mandò al Finale -navilio grande con molta vittuaglia per fornire le castella ch’avea sul -Bolognese, e il marchese la fece volgere indietro. E appresso i detti -signori di concordia per loro ambasciadori mandarono a dire a messer -Bernabò, ch’a lui piacesse non volere fare più guerra alle terre di -santa Chiesa, con ciò fosse cosa che d’allora innanzi con tutto loro -sforzo si porrebbono alla difesa di questa lega: il superbo tiranno -ebbe singolare e altero sdegno, e nelle sue rilevate parole molto gli -avvilì, usando queste parole: Essi sono matti fantisini: e seguendo col -fatto l’altero parlare, a catuno di loro per derisione mandò dono di -vasellamento d’argento, de’ quali nello smalto di quelli da Verona era -una scala appesa a un paio di forche, in quelli del signore di Padova -erano colombi volanti, in quelli del signore di Ferrara una ferza, -giusta la considerazione della sua vana e superbia fantasia; ma in -picciolo tempo le cose seguirono in forma, che per opera vedere si potè -che non avea a fare con fantisini, ma con valenti e savi signori, come -seguendo nostro trattato racconteremo. - - -CAP. XCVII. - -_Come fu morto il re Vermiglio di Granata._ - -E’ ne pare venire a scrivere cosa assai disusata e sconvenevole non -che a re cristiano, ma a qualunque barbaro, ma quale è scriver la ci -conviene. Sentendo il re Vermiglio di Granata come i Mori aveano sopra -sè per loro re esaltato Maometto, cui egli avea altra volta del reame -cacciato, conobbe che non potea resistere a Maometto avendo seco il re -di Castella, e però mandò al re di Castella in Sibilia, e gli domandò -sua sicurtà e fidanza, con dire di volere venire a sua ubbidienza. -La sicurtà data gli fu libera e piena; ma chi il re volle scusare del -gran tradimento disse, non seppe che per parte del re domandato fosse -il salvocondotto, nè che per lui dato non gli fu. Costui, quanto che -fosse Saracino, lasciato il reame a Maometto, con quattrocento tra di -suo sangue, e amici e di suo seguito, con molta ricchezza, sotto la -fidanza del salvocondotto, se ne venne a Sibilia là dove era Pietro di -Castella re, e a dì 20 del mese d’aprile, gli anni Domini 1362, venne -davanti al re, e gli si gittò a’ piedi con grande reverenza e umiltà. -Il re con buono viso il vide e ricevette, e nella Giudecca, che è luogo -di grandi abituri e d’intorno murato, lo mise, e quello luogo assegnò -a lui e sua compagnia, e in quel giorno gli mandò e doni e presenti -amichevolmente: dipoi venuta la notte lo detto re Pietro fece prendere -lo re Vermiglio e sua compagnia, e rubare tutto loro tesoro, e arme, -e cavalli e arnese, e loro tutti mettere in buone prigioni con buone -catene: loro tesoro recò tutto a sè, che passò la stima di ottocento -migliaia di fiorini d’oro. E il sabato appresso a dì 24 d’aprile, il -re Pietro fece menare davanti da sè il detto re Vermiglio in Tavolata, -che è un campo fuori della città di Sibilla forse una balestrata, in su -un asino, e con lui appresso tre de’ suoi maggiori baroni, gli altri, -ch’erano quarantuno, tutti grandi Saracini, tutti legati a una fune; -lo re Pietro a cavallo con molti suoi baroni e cavalieri con lance in -mano, e colle spade a lato, avendo i Saracini al campo legati, lo re in -prima lanciò e fedì in prima lo re Vermiglio, e gli altri appresso gli -altri, e in poco d’ora tutti furono tagliati a pezzi in sul campo, e -le teste loro fece a Maometto presentare; tutti gli altri ch’erano con -lui fè servi. Questo re Vermiglio fu colui che cacciò e volle uccidere -il re Maometto, e fatto re un giovane fratello del detto re Maometto il -fè morire. È fama che tutti quelli che morti furono in Tavolata erano -stati al re Vermiglio aiutatori, consigliatori e favoreggiatori. - - -CAP. XCVIII. - -_Come il re Maometto di Granata si fece uomo del re di Castella._ - -Avendo il re Maometto ricevuto il ricco e famoso presente della testa -del re Vermiglio suo nemico, e de’ quarantaquattro suoi seguaci i quali -aveano morto il fratello, riconoscendo come per operazione del re Piero -di Spagna egli era ritornato nel suo reame di Granata, di presente -mandò suoi ambasciadori con pieno mandato al re Piero, i quali li -sommisono il reame di Granata, e da lui in vece e nome del re Maometto -come da superiore lo riconobbono, e lo re Maometto ne feciono suo uomo, -e omaggio glie ne fece, e in segno della sommissione del reame a loro -usanza li mandò pennoni di tutte le sue buone città e terre; e oltre a -questo li presentò ricchi doni, e con essi tutti i cristiani ch’erano -in suo reame fu donato loro libertà per amore del detto re. - - -CAP. XCIX. - -_Principio di guerra dai collegati a messer Bernabò._ - -Fermata la lega tra santa Chiesa e’ signori di Lombardia, come scritto -è di sopra, anzi che altro movimento per i collegati si facesse, messer -Bernabò mandò sue genti sopra il signore di Verona verso il Lago di -Garda, il perchè i collegati in questo tempo del mese di maggio con -duemila cinquecento cavalieri della lega, e con assai gente da piè, -mossono da Modena per occupare il passo a messer Bernabò, sicchè non -potesse mandare a fornire le castella che tenea sul Bolognese; e stando -questa gente a campo, quella di messer Bernabò venne sul terreno di -Modena, e puosesi dove già fu un castello che si chiamò Solaro, il -quale era sopra il canale di Modena, e perchè era nelle valli in luogo -infermo era abbandonato, e in su quello castellare fè porre una forte -bastita, e quindi avea balía da potere ire alle castella del Bolognese. -La cavalleria della lega si pinse innanzi verso Reggio, e puosonsi a -un altro castello abbandonato similmente detto la Massa, che anche -è sul passo, essendovi ancora gli antichi fossi pieni d’acqua gli -afforzarono; onde Anichino di Bongardo, ch’era a Solaro con l’oste -di messer Bernabò, avendo vittuaglia per fornire Castelfranco, e -l’altre castella del Bolognese, la si ritenne per l’oste sua, non -sperando poterne avere stando ferma la bastita della lega. Vedendo -messer Bernabò che la lega era contro a lui ben fornita, e potente -di gente e di danari, si pentè d’avere sconcia la pace colla Chiesa, -e di presente mandò lettere a’ suoi amici e protettori in corte, e -appresso ambasciata con cercare si fermasse la pace, levando via tutti -gli articoli ed eccezioni che posti avea, e l’altre disoneste dimande, -rimettendo Bologna nelle mani de’ Fiorentini, o di cui il papa volesse. -Il papa era contento, non avendo ancora che fosse ferma la lega, ma in -quello stante le lettere del legato vennero al papa, come la lega era -ferma e possente a resistere al tiranno, e avute queste novelle, il -papa e’ cardinali al tutto rinunziarono di fare la volontà di messer -Bernabò, e seguirono loro processo, e feciono lui e chi gli desse aiuto -o favore scomunicato, e nominatamente gli Ubaldini, i quali tennono -con lui contro alla città di Bologna. Avendo messer Bernabò mandato a -corte, anche scrisse al comune di Firenze scusandosi, che per lui non -rimanea il seguire della pace, e che la guerra non venia da lui. - - -CAP. C. - -_Come e quando morì Luigi re di Cicilia e di Gerusalemme._ - -Luigi re di Cicilia e di Gerusalemme, signore d’assai sconcia e -dissoluta vita secondo che richiede la reale maestà, tocco da divina -spirazione, quasi consapevole di sua morte vicina, lasciando l’usate -vanitadi, punto dal giudicio di sua coscienza, per penitenza e ammenda -de’ suoi misfatti e difetti si mise umilmente in pellegrinaggio, e andò -a visitare i corpi de’ gloriosi apostoli, di messer san Bartolommeo il -quale è a Benevento, quello di san Matteo lo quale giace a Salerno, -e quello di sant’Andrea il quale sta ad Amalfi, secondo che nel -paese certamente si tiene per antica e indubitata credenza: e di tale -viaggio tornato a Napoli cadde in malattia, e come piacque a Dio, senza -disporre altrimenti de’ suoi fatti, dicendo che niente avea di suo da -testare, ma che tutto era della reina Giovanna, anzi il principio del -dì a dì 26 di maggio, il giorno della santa Ascensione, rendè l’anima -a Dio, e in quel dì fu sepolto con reali esequi a....... avendo tenuto -il regno dieci anni forniti dal giorno di sua coronazione. Signore -fu di poca gravezza e meno d’autorità, e in aspetto e fatto senza -scienza alcuna, e in fatti d’arme poi fu re poco si travagliò. Poco -amore portò al suo sangue; il fratello aggrandì più per paura che -per carità, i cugini trattò male, e per forza li si fece rubelli. Fu -di sue promesse mendace e di ciò come di virtù si vantava sovente. -Coloro ch’erano più scellerati peccatori de’ suoi baroni appresso di -lui erano del più segreto consiglio e di maggior potenza, e con loro -non avea onorevole conversazione di vita. Mobile fu, timido e pauroso -ne’ casi dell’avversa fortuna, perocchè appresso di sè non volea -uomini virtudiosi nè d’autorità. Molto era cupido di fare moneta, e la -giustizia mollemente mantenea, e poco si facea temere a’ suoi baroni. -Con il suo balio messer Niccola Acciaiuoli gran siniscalco, e da cui -a’ suoi bisogni avea aiuto e consiglio alle grandi cose, molte volte -per punzellamenti e malvagi conforti de’ suddetti suoi baroni venne in -sospetto, e quando la virtù di colui s’allungava dalla corte i fatti -del re andavano male. Alla reina facea poco onore, e o per suo difetto, -ch’assai n’avea, o per fallo della reina, molte volte come una vil -femmina in grande vituperio della corona la battea, e di quello ch’era -suo non le lasciava fare nè a sè nè ad altrui il debito onore. Delle -magnifiche cose che a lui parea aver fatto a tempo di guerra e di pace -tanto si lodava e vantava, che ogni uomo che l’udia tediando facea -maravigliare; e di tali frasche fece comporre scritture d’alto dittato, -compiacendosi nelle proprie lusinghe. - - -CAP. CI. - -_Come i Fiorentini vollono difendere Pietrabuona, e non poterono._ - -Nel 1362 a dì 18 di maggio, i priori di Firenze raccolsono un -parlamento d’oltre a seicento cittadini, nel quale spuosono i termini -in che stava Pietrabuona, e come quelli che la teneano data l’aveano al -comune di Firenze, e come i signori l’aveano presa a parole, pensando -se si difendesse dalla forza de’ Pisani per quella riavere o Sovrana -o Coriglia, terre da’ Pisani nel vero copertamente e maliziosamente -tolte al comune di Firenze; non ostante che poco dinanzi per i detti -signori fosse stato risposto agli ambasciadori pisani, che ’l comune -non se ne travagliava, e più come ne’ prossimi giorni i Pisani aveano -cavalcato sopra il terreno di Barga terra accomandata al comune di -Firenze, e dandovi il guasto arando i seminati con più di cento paia di -buoi, e tagliando loro gli alberi dimestichi, e le vigne e’ castagni, -e come a undici soldati del comune di Firenze in sul distretto del -comune di Firenze, i più conestabili, stando senza arme a vedere -gittare i trabocchi in Pietrabuona, rabbiosamente ai più aveano tolta -la vita e gli altri fatti prigioni; e recando alla mente le altre più -gravi ingiurie per lo comune pazientemente passate con infignersi -di non vederle, nonostante che poco dinanzi al detto parlamento -per i signori di Firenze risposto fosse agli ambasciadori di Pisa, -che de’ fatti di Pietrabuona il comune di Firenze non s’intendea di -travagliare, si diliberò di concordia di tutto il detto consiglio che -Pietrabuona e sua difesa si prendesse. In questi giorni avvedendosi i -Pisani che i masnadieri di Pietrabuona erano caldeggiati dalla gente -de’ Fiorentini, con molta più sollecitudine e studio procurarono di -racquistarla, e combattendo con dodici trabocchi per dì e per notte -tutta la macinavano. Dopo il partito preso della difesa, secondo il -giudicio di molti intendenti, la difesa era presta dove il comune -avesse fatto afforzare il poggio della Remita, che soprastava i -battifolli de’ Pisani, ed era del distretto del comune di Firenze, ma -nel tardare preso fu e guardato per i Pisani; e i Fiorentini in sul -loro terreno dirimpetto a Pietrabuona, la Pescia in mezzo, puosono -un battifolle che dava l’entrata e l’uscita libera agli assediati, il -perchè molto se ne renderono sicuri quelli d’entro, ma dalli dificii -i quali continovo il dì e la notte gettavano non poteano essere atati, -e all’uscita di maggio vi cominciarono a gittare fuoco temperato, che -eziandio offendeva alle pietre, e tanto spesso l’una pietra su l’altra -venia disfacendo il castello, e offendeano alle persone, che ai pochi -difenditori che stare vi poteano toglieva il vigore alla difesa. Oltre -a queste continove battaglie i Pisani levarono un castello di legname -sotto la guardia di loro battifolli, un’arcata vicino alla torre della -rocca, contro al quale i Fiorentini feciono dirizzare un trabocco che -l’avrebbe spezzato, se ’l maestro che ’l conducea fosse ito con fede -a’ Fiorentini, ma era Aretino, e d’animo ghibellino, e però non adoperò -quello ch’avrebbe potuto; i maestri dal lato pisano avendo alli quattro -dificii giuntone uno più grosso, quello de’ Fiorentini sconciarono. In -questi dì messer Bonifazio Lupo da Parma, chiamato da’ Fiorentini per -tenere luogo di capitano, giunse a Firenze, e di presente andò a vedere -il sito di Pietrabuona, e il modo e forma di suo assedio, e veduto -ed esaminato tutto, scrisse a’ signori di Firenze che impossibile gli -parea la difesa, e ciò fu a dì 4 di giugno; e a dì 5 del mese, il dì -della Pentecoste, i Pisani, ch’erano presso al trarre delle balestra, -con loro battifolli, con tutta loro forza di gente d’arme, e d’assai -buoni balestrieri, movendo loro castello il condussono fino alla rocca. -Quivi secondo il suo essere fu l’aspra battaglia a petto a petto, e non -di manco li dificii de’ Pisani traevano sì temperati che loro genti non -offendeano, e quelli del castello non lasciavano scoprire alla difesa; -vollono gittare il ponte del castello del legname in su la torre di -là, ch’era più bassa che il castello, e il ponte fu corto, e la difesa -grande per l’operazione de’ buoni balestrieri d’entro, e durata questa -pugna per spazio di parecchie ore, i Pisani si ritrassono addietro col -castello del legname; quelli di Pietrabuona affannatisi ritrassono -a rinfrescare, e non pensando per quello rimanente del giorno avere -più battaglia, non di meno al soccorso loro erano tratti i cavalieri -e’ masnadieri, quelli che stare vi poteano coperti da’ trabocchi. -I Pisani in questo riposamento rallungarono il ponte al castello, e -con più asprezza ritornarono alla battaglia, e condotto il castello -lungo la rocca, gettarono il ponte in su la torre, ma per questo non -si curavano quelli d’entro, che ben poteano tre a tre combattere; -ma quale che si fosse la cagione quelli d’entro invilirono, e quelli -ch’erano venuti al soccorso incominciarono a abbandonare il castello, e -quelli ch’erano di que’ d’entro i caporali pensarono a volere salvare -danari e altre cose sottili ch’aveano nella rocca, e però affocarono -la torre e abbandonarono la difesa, onde i Pisani francamente presono -la terra, e cui giugnere vi poterono misono al taglio delle spade, -intra i quali fu Nieri da Montegarulli antico e pregiato masnadiere, -il quale essendo arrenduto alla fede vi fu morto, e altri presi e -feriti: coloro che l’altro dì v’andarono pe’ morti, e per ricogliere i -prigioni, sopra i corpi de’ morti prendendoli furono morti, e simile -i ricomperatori. La gente de’ Fiorentini abbandonato il battifolle e -arso con non poca vergogna si tornarono a Pescia. Di questa vittoria -la gloria e la burbanza de’ Pisani troppo fu sopra modo, e la befferia -smisurata, e la festa tanto grande, che dove avessono acquistato -una provincia non l’avrebbono potuta fare maggiore, dispettando e -avvilendo i Fiorentini, e per loro lettere, e oltre a ciò aprendo -quelle de’ mercatanti fiorentini di loro mano v’aggiugneano villane e -ontose parole del nostro comune. I loro anziani e governatori posto il -senno dall’uno lato osarono dire, che se i Fiorentini avessono cuore -a muovere guerra, che i loro soldati ne legherebbe tre uno di loro, e -se v’andassono i cittadini, li vincerebbono e legherebbono le femmine -loro, e molte altre altere e brutte parole con la testa levata usarono -contro il comune di Firenze per muoverli a cruccio e impresa di guerra, -ignoranti delle rivoluzioni della fortuna, la quale per guerra assai -loro apparecchiò di male. - - -CAP. CII. - -_Come quelli della valle di Caprese furono traditi dagli Aretini._ - -Del mese di maggio, quelli della valle di Caprese con l’aiuto di -loro vicini e amici tanto seppeno adoperare, che presono la Rocca -cinghiata la quale era de’ Tarlati, e teneano questa e la rocca del -Caprese, e con gli Aretini s’erano accordati di torre da loro potestà, -e di dare loro ogn’anno certo censo riconoscendoli per maggiori, -e doveano i nemici degli Aretini avere per nemici, e gli amici per -amici, e li Aretini li doveano in loro stato conservare e difendere. -Stando così gli Aretini infintamente feciono l’oste bandire sopra un -castello di quelli da Pietramala, e richiesono quelli della valle -di Caprese d’aiuto, i quali liberamente di buona voglia elessono -di loro fanti dugento più eletti e pregiati, e uscito il podestà -d’Arezzo coll’oste quelli della valle Caprese s’aggiunsono con lui, -ed egli vedendosi costoro tra le mani ne presono centoventi, gli -altri fuggendo camparono. Presi gli amici gli amici per questa via, -e mandati ad Arezzo, la gente degli Aretini col podestà entrò nella -valle di Caprese, e menarono a tondo guastando e consumando ciò ch’era -in quella; rifuggiti i paesani alla rocca, la quale era da guatarla e -lasciarla stare. Gli Aretini avendo i prigioni domandavano la rocca; -i Caprigiani con franchi animi si dispuosono di volere innanzi morire, -e di vedere i loro prigioni morire, che volessono le rocche dare agli -Aretini, e di presente mandarono sindaco con pieno mandato per darsi -al comune di Firenze, il quale stette sopra quindici dì in Firenze per -ciò fare: gli Aretini con loro ambasciadori storpiarono che il comune -non fece l’impresa, dicendo che le rocche erano in punto che contra -loro non si poteano tenere, e che il loro comune era amico e fedele del -comune di Firenze, e che avendo essi le rocche l’aveano i Fiorentini, e -in breve tanto seppono dire e operare con gli amici loro, che ’l comune -non li tolse, il perchè di poi si dierono a’ Perugini, e da loro si -trovarono ingannati, come appresso a suo tempo diviseremo. - - -CAP. CIII. - -_Della mortalità dell’anguinaia._ - -In questi tempi, del mese di giugno e luglio, l’usata pestilenza -dell’anguinaia con danno grandissimo percosse la città di Bologna, e -tutto il Casentino occupò, salvo che certe ville alle quali perdonò, -procedendo quasi in similitudine di grandine, la quale e questo e quel -campo pericola, e quello del mezzo quasi perdonando trapassa; e se -similitudine di suo effetto dare si può, se ciò procede dal cielo per -mezzo dell’aria corrotta, simile pare alle nuvole rade e spesse, per -le quali passa il raggio del sole, e dove fa splendore e dove no. Or -come che il fatto si vada, nel Casentino infino a Dicomano nelle terre -del conte Ruberto fè grande dannaggio d’ogni maniera di gente: toccò -Modona e Verona assai, e la città di Pisa e di Lucca, e in certe parti -del contado di Firenze vicine all’Alpi, e nell’Alpi degli Ubaldini: -a’ Pisani tolse molti cittadini, ma più soldati. Nell’Isola di Rodi in -questi tempi ha fatti danni incredibili: e nel 1362 del mese di luglio -e d’agosto assalì l’oste de’ collegati di Lombardia sopra la città di -Brescia per modo convenne se ne partisse, e nella città fece danno -assai. Nella città di Napoli e in molte terre dei Regno, ove assai, -e dove poco facea, ove niente. Nelle case vicine a Figghine cominciò -d’ottobre in una ruga, e l’altre vie non toccò. In Firenze ove in una -casa ove in un’altra di rado e poco per infino a calen di dicembre. - - - - -LIBRO UNDECIMO - - -CAPITOLO PRIMO. - -_Il Prologo._ - -Sogliono naturalmente le cose opposte e contrarie insieme avvicinate -più le loro contrarietà dimostrare. Questo pertanto al presente -diciamo, perocchè la pace rotta al nostro comune per i Pisani, e la -guerra per loro e mossa e cercata con molta astuzia sollecitamente -per riavere il porto, ne presta materia di proemio all’undecimo libro -di nostro trattato, prendendo principio dalla natura e condizione -della pace fedelmente osservata, la quale è certo fermo e indubitato -fondamento e grado delle mondane ricchezze, e della mondana felicità -secondo il mondo. Ella è madre di unità e cittadinesca concordia; -ella non solo alle piccole, ma eziandio alle menome cose partorisce -accrescimento e esaltazione. I re del mondo loro reami in pace -mansuetamente governano; i popoli liberi intenti a loro arti e -mercatanzie moltiplicano in ricchezze, magnificando la faccia di -loro cittadi con ricchi e nobili edificii, e per li sicuri matrimoni -cresce e moltiplica il numero de’ cittadini con aspetto lieto e pieno -di festa. E non solo i popoli che vivono in libertà, ma quelli che -sottoposti sono al crudelissimo giogo della tirannia, la quale per sua -malvagia natura e corrotta d’usanza a’ buoni e valorosi cittadini è del -tutto e sempre nemica, e in palese e in occulto avversa, per la paura -fitta nelle menti loro di perdere loro stato, maculati dalla coscienza -delle loro crudeli e sanguinose operazioni; d’onde surge, che senza -niuna pietà o discrezione ti disfanno e scacciano senza misericordia -alcuna, affermando meglio essere terra guasta che terra perduta. Nè -contenta loro perversa iniquità alle occupazioni delle loro cittadi, -per cupidigia d’ampliare signoria le nazioni vicine tormentano, e -massimamente i popoli che vivono in libertà, con continove guerre -gradimenti e trattati. E per potere fornire loro empio proponimento, -e mandare a esecuzione loro volontadi, i sudditi loro disfanno, -moltiplicando gabelle e collette, ma con gravi imposte. Costoro spento -il seme de’ buoni danno alquanto di respitto e triegua alle servili -fatiche, un poco in pace patiscono ai loro sudditi respirare. Male -dunque conosce e molto poco pregia la dolcezza della libertà chi per -cupidigia di mortale vita la perde, se vita dirittamente ponderando -appellare si può il servaggio. È dunque la pace bene considerata -madre di letizia e d’ubertà, corona e nobiltà di potentissimi re e -signori, protezione e scudo de’ liberi popoli, del tutto e per tutto -avversa e nimica alla spaventosa, sterile e sanguinosa guerra, per la -quale l’altissime cose caggiono e vengono meno. Quanti famosissimi -re e signori nelle passate etadi ha ella straboccato in estrema -miseria, con vilissimo e vituperabile uscimento di vita! Quante -nobili famose e gloriose cittadi ha ella dai fondamenti sovverse, -lo cui specchio è ai mortali manifestissimo argomento d’incredibili -mali! Quante provincie ha ella lasciate disolate e povere d’abitatori -in pauroso e spaventevole aspetto! Quanti e innumerabili popoli ha -tagliati con ferro, e sommersi nel domestico e nel pellegrino sangue, -i quali hanno lasciato di loro calamità, miseria, e avversa fortuna -agl’ignobili luoghi famosi titoli! Chi potrebbe in piccolo numero di -carte comprendere le incredibili e maravigliose cose che ne’ passati -secoli il furore e la rabbia della guerra ha prodotte? Essa è occulto -e malvagio seme, e ricettacolo della tirannia, la quale nel letume -suo a guisa del fungo s’ingenera e surge, e nella sua pertinacia si -nutrica e allieva. Dunque bene è d’abominare, e da recare dai buoni in -persecuzione colui lo quale per ambizione, ovvero per propria malizia -o disdegno, o per utilità privata, o per vendetta o per vanagloria la -sua patria sospigne in guerra; e se noi amiamo il vero, io non conosco -qual grazia trovare si possa nel cospetto di Dio per suo pentere, tutto -che quasi stimi che impossibile sia il pentere tale uomo. Come può egli -restituire le morti degl’innocenti e semplici? come gli omicidi? come -gl’incendii? come le prede? come le violenze fatte alle oneste donne -e alle pure vergini? come gli scacciamenti? come le povertadi? come le -necessarie peregrinazioni? come il perdimento della libertà che tutte -cose sormonta? Di quello che poco dire non si può è meglio il tacere: e -qui far fine si dee, e dar luogo a chi molto può, e poco sa, e a molti -offende. Anime tribolate, se potete, datevi in viaggio pace e buon -piacere. - - -CAP. II. - -_Degli apparecchi fatti da’ Fiorentini per la guerra contro a’ Pisani._ - -Il comune di Firenze per natura nell’imprese grave è e tardo, ma -nel seguirle avveduto e sollecito, poichè deliberato avea di seguire -l’inviluppata impresa incominciata contro a’ Pisani per Pietrabuona, -e venia in aperta e palese guerra per vendicare sua onta, essendo i -suoi governatori svegliati come da grave sonno, e infiammati per la -vergogna prossimamente ricevuta, animosamente seguendo il consiglio -di messer Bonifazio Lupo da Parma loro capitano, uomo quasi solitario -e di poche parole, ma di gran cuore, e di buono e savio consiglio, e -maestro di guerra, all’entrare del mese di giugno 1362 cominciarono -a provvedersi intorno alle bisogne della guerra. E per coprire la -tostana e sperata vendetta cominciarono a fabbricare a un’otta sedici -trabocchi, nel lavorio de’ quali pigramente si procedea, per mostrare -che l’assalimento avesse lungo tratto, e continovo sollecitamente si -provvedeano di gente d’arme, e da cavallo e da piè. E per non mandare -in arme la viltà delle vicherie, le quali senza lunghezza di tempo e -lunga dimoranza, la quale è sempre nemica e nociva alla guerra, non si -possono raccogliere, e perchè l’amistà e grazia de’ possenti sottrae -dal comune servigio i buoni e’ valenti, e lascia i cattivi, mandarono -i signori per tutti quelli gentili uomini e popolari di città e del -contado, i quali sentirono abili e sofficienti a fare prestamente -brigate di fanti e gente sperta in arme, e loro imposono e comandarono -quanto più tosto potessono facessono il più gente potessono, i quali -il comandamento senza dilazione mandarono ad esecuzione; sicchè il -dì 15 di giugno il comune, che di gente di soldo e che di gente col -detto ordine ricolta, si trovò millecinquecento uomini di cavallo, -e quattromila pedoni, fra’ quali furono millecinquecento e più -balestrieri. Ancora infra i detti giorni richiesono loro amistà, e -infra gli altri richiesti furono i Perugini e’ Sanesi: i Perugini -risposono, che per le novità aveano di loro usciti non aveano destro di -potere sovvenire, e che bene sapeano che ’l comune di Firenze era tale -e tanto, e di tanta forza e podere, che non che si potesse atare dal -comune di Pisa, ma che agevolmente il dovea potere sormontare: i Sanesi -senza altra scusa risposono, che non aveano gente da poterne loro -servire: le quali risposte non sono da porre in oblio dalla liberalità -del nostro comune, lo quale ne’ loro bisogni richiesto, di ciò che -potuto ha non ha detto di no. Pistoiesi, Aretini, il conte Ruberto, e -altri vicini vennono a servire il comune con quella gente da cavallo e -da piè che fare poterono, onde il comune infra li 20 di giugno si trovò -d’avere tra di soldo e d’amistà milleseicento cavalieri e cinquemila -pedoni. I Pisani sentendo il fabbricare degl’ingegni, e la raunata di -gente d’arme che si facea in Firenze, tutto ch’avessono certa la guerra -per le cagioni dette di sopra, non di manco cominciarono a dubitare e -temere, e cominciarono a fare sgombrare loro contado, e specialmente -la Valdera, e afforzare e guarnire loro tenute verso le frontiere il -meglio e il più pronto poterono, conducendo gente di soldo e da cavallo -e da piè quanto poterono il più, con dare ordine a’ loro contadini e -alle difese e a guardie di loro tenute. - - -CAP. III. - -_Come seguendo gli antichi Romani gentili i Fiorentini nel dare -dell’insegne al capitano presono punto per astrologia._ - -I nostri padri Romani prima che venissono al segno dell’imperio, -in loro imprese di nuove guerre niente mai avrebbono incominciato, -che prima felici augurii non avessono cerchi e veduti: pertanto ne’ -sacrificii che facevano agl’idoli loro nelle interiora degli animali -vittimati cercavano la sorte e l’avvenimento della fortuna; questo -accecamento diabolico ed è ed esser dee in abominazione come avverso -alla fede cristiana. Vicino e quasi consorte alla stoltezza degli -augurii è quella parte dell’astrologia la quale predice i futuri -avvenimenti delle cose nominate e singolari, e’ loro propri casi, -e massimamente di riuscimenti di guerre, i quali sono nelle mani -del signore Dio Sabaoth, che interpretato è Dio degli eserciti. I -Fiorentini stratti del sangue romano, per vizio ereditario seguono i -giudicii delle stelle, e altre ombre d’augurii sovente, e al presente -avendo accolto l’esercito, di che avemo detto nel precedente capitolo, -e volendo dare l’insegne, vollono il punto felice dall’astrologo, il -quale fu lunedì mattina a dì 20 di giugno sonato terza, alla duodecima -ora del dì; e ricevute l’insegne, avacciando il viaggio come cacciati, -giunsono errore ad errore, perocchè sempre che insegne si dierono per -guerra contro a’ Pisani, date volgeano al canto di Porta santa Maria, e -poi per Borgo santo Apostolo; i governatori del fatto avendo sospetta -la via di Borgo santo Apostolo, come al nostro comune male augurata -contro a’ Pisani, le feciono volgere per Mercato nuovo, e per Porta -rossa, e come poco avvisati non feciono prima levare i castagnuoli -delle tende de’ fondachi, onde convenne s’abbassassono l’insegne. -Il corso fu ratto, perchè non passasse l’ora data per l’astrologo al -posarle fuori della terra a santa Maria a Verzaia, secondo l’antica -usanza del nostro comune. Avemo arato il foglio con lungo sermone -di lieve materia, ma fatto l’avemo per ricordo di quelli che dietro -verranno, che non voglino sapere le cose future, nè porre speranza -negl’indovinatori, perocchè solo Iddio è il giudicatore delle giuste -e inique battaglie. Per alloggiare ne’ tempi loro le forestiere -cose, lasceremo il processo della guerra di Pisa, e a suo tempo lo -ripiglieremo. - - -CAP. IV. - -_Della prospera fortuna de’ collegati lombardi._ - -E’ ne piace di fare un fascio di molte avvolture di santa Chiesa co’ -suoi collegati lombardi, mescolando i tempi passati con quei di dietro, -per non occupare troppi fogli con cose che non sieno rilevate. Del -passato mese di maggio quelli della lega dopo la presura di Castelnuovo -hanno tolto a’ nemici la terra di Salaro sita sopra il Po di Pavia, -e la terra di Ligaria di qua dal Po, la quale è posta a otto miglia -presso a Tortona, e più altre castella e ville del tenitorio di Pavia, -e di giugno il castello d’Erbitra, il quale era del Saliratuo de’ -Buiardi d’Elbiera, il quale per piacere a messer Bernabò, ritenendo il -cassero a sè, gli avea prestata la terra per i bisogni di sua guerra: -e il tiranno non osservata sua fede v’avea per sè fatta fare altra -fortezza. Elbiera è vicina a Modena a otto miglia, ond’era camera a -messer Bernabò d’onde forniva tutte le sue bisogne nella guerra co’ -Bolognesi; il Saliratuo come fidato al tiranno praticava nel cassero -ch’egli avea fatto, onde preso suo tempo, morte le guardie prese il -cassero, e di presente con modi diede la terra al marchese di Ferrara. -Appresso quelli della lega puosono l’oste a Brescia, e messer Bernabò -che dentro v’era se ne fuggì. Qui lecito mi sia gridare e dire, che Dio -confonde e avvilisce le arroganti parole che detto avea il tiranno che -gastigherebbe i Lombardi venuti in lega come putti, ed eglino hanno -gastigato lui. Giugnamo alle predette fortune, che essendo grande -quantità d’Inghilesi infino a Basignano avvenne, che la gente di messer -Galeazzo ch’era alla guardia del castello volendo fare del gagliardo si -fè loro incontro, e di presente fu rotta, e alquanti ne furono morti, -tutti gli altri rimasono prigioni. Sopra le dette baratte di guerra i -collegati presono Gheda in sul Bresciano a dì 20 di luglio, terra che -fa oltre a ottomila uomini: e quelli che teneano Basignano in sul Po -per messer Bernabò, e per guardarla aveano spesi molti danari, e da lui -altro che minacce non poteano ritrarre, la ribellarono, e la dierono -a’ collegati, ricevuti da loro circa a diecimila fiorini d’oro, che -aveano spesi in guardarla. Oltre alle predette cose i collegati hanno -corso il Novarese e assediata Novara. Volgendo un poco il mantello a -uso di guerra, avendo i collegati preso il castello del ponte a Vico -in su l’Oglio, quelli della rocca si patteggiarono d’arrendersi se -fra certi giorni non fossono soccorsi; i collegati aveano nel castello -messe ventotto bandiere di cavalieri e soldati a piè assai, i quali non -pensando che soccorso potesse venire stavano sciolti e con poco ordine; -il castellano intendente compreso loro cattivo reggimento lo significò -a messer Bernabò, il quale di notte con gran quantità di gente, e la -mattina davanti il fare del giorno messo in ordine, per gli alberghi -e per le case tutta la detta gente prese; e così va di guerra. Più -la pestilenza dell’anguinaia avendo aspramente assalito la città di -Brescia, e l’oste de’ collegati ch’era di fuori, li strinse a partire, -e si tornarono a Verona, e quindi ciascuno alla terra sua. - - -CAP. V. - -_Della morte di Leggieri d’Andreotto di Perugia._ - -Leggieri di Andreotto popolare di Perugia fu uomo di grande animo, e -al suo tempo Tullio, perocchè fu il più bello dicitore si trovasse, -e senza appello il maggiore cittadino ch’avesse città d’Italia che -si reggesse a popolo e libertà, e il più amato e il più careggiato e -dal popolo e da’ Raspanti, ma a’ gentili uomini li cui trattati avea -scoperti forte era in crepore e malavoglienza. Avvenne che una domenica -a dì 19 di giugno, essendo egli quasi all’incontro delle case sue -nella via, e leggea una lettera, un figliuolo bastardo di Ceccherello -de’ Boccoli, cui il detto Leggieri avea per lo trattato di Tribaldino -di Manfredino fatto decapitare, il quale il tenea in continovo aguato -cautamente per offenderlo, si trovò in una casa del Monte di Porta -soli, la cui finestra a piombo venia sopra il capo di Leggieri; costui -non trovando altro più presto prese una macinetta da savori la quale -trovò vicina alla finestra, e presola a due mani l’assestò sopra il -capo di Leggieri, e l’abbattè in terra morto, che mai non fè parola. -Della sua morte non fu piccolo danno a’ Perugini, e per così lo -riputarono, perocchè fare lo feciono cavaliere, e li feciono l’esequie -regali e pompose col danaio del comune, per allettare gli altri che -venissono poi a bene operare per la repubblica sua. - - -CAP. VI. - -_Come i Fiorentini cavalcarono in Valdera e presono Ghiazzano._ - -Tornando alle fatiche nostre, manifestato ha sovente l’esperienza, che -la disordinata e sfacciata baldanza de’ presuntuosi e alteri cittadini -i quali sono suti per loro procacci dati, non dirò consiglieri, ma -piuttosto balii e tutori a’ capitani nelle guerre del nostro comune, e -a’ capitani e al comune hanno fatti vituperii assai, e notabili e gravi -danni, e inrimediabili vergogne, talvolta per non conoscere e volere -mostrare di sapere, talora con malizioso procaccio di loro private -utilitadi e onori. Così essendo dati al capitano messer Bonifazio -consiglieri assai vie più presuntuosi che savi, e coloro ritrovandosi -in Pescia con l’oste de’ Fiorentini, avendo a cavalcare i nemici, non -solo lo consigliavano, ma eziandio con parole e arroganti segni lo -sforzavano, sotto la baldanza dello stato cittadinesco che usurpato -aveano, che cavalcassono in quello di Lucca, dove fortuna quasi sempre -al nostro comune era stata avversa; ma il valente capitano certificato -già de’ vecchi errori in simili atti commessi, poco pregiando nel -segreto suo e loro voglie e consigli, e non avendo loro autorità nè -grandigia in dottanza, di fuori mostrava volere seguire loro talento, e -nel petto tenea raccolto il suo; e contro all’opinione d’ogni qualunque -il giovedì mattina a dì 23 di giugno partì da Pescia con tutta l’oste, -e tenne verso Fucecchio e Castelfranco, e il seguente dì, il giorno -di san Giovanni, si mise per lo stretto di Valdera a piè di Marti, -certo dell’impotenza de’ nemici, e corse infino a Peccioli, e la sera -combattè il castello di Ghiazzano, e per la moltitudine delle buone -balestra tanto impaurirono quelli d’entro, che a dì 26 del mese dierono -il castello salve le persone, il quale fu per camera del nostro comune -infino alla presa di Peccioli, che poco appresso seguì. - - -CAP. VII. - -_Come i Fiorentini soldarono galee contra i Pisani._ - -Non contenti i Fiorentini co’ Pisani alla guerra di terra con loro, -vollono tentare la fortuna del mare, e del mese di giugno condussono -a soldo Perino Grimaldi con due galee e un legno, e uno Bartolommeo -di...... con altre due galee, i quali promisono con detti legni bene -armati essere per tutto il mese d’agosto nella riviera di Pisa, e fare -guerra a’ Pisani a loro possanza. - - -CAP. VIII. - -_Come i Perugini presono la Rocca cinghiata e quella del Caprese._ - -Essendo gli ambasciadori e’ sindachi degli uomini e comunità di Val -di Caprese stati a Firenze a sollecitare il comune che per suoi li -prendesse, e con loro quelli della Rocca cinghiata, per la molta forza -d’amici che si trovarono gli Aretini tra le fave, si sostenne che -accettati non fossono, in danno e disonore del nostro comune: ond’essi -dileggiati presa disperazione s’avventarono e dieronsi a’ Perugini, i -quali li ricevettono graziosamente; e di presente del mese di luglio -vi mandarono quattrocento fanti e centocinquanta uomini da cavallo, e -presonsi le tenute di quelle due notabili rocche. - - -CAP. IX. - -_Come novecento cavalieri di quelli di messer Bernabò furono sconfitti -da seicento di quelli di messer Cane Signore._ - -Era la gente di messer Cane Signore e di Polo Albuino in numero di -seicento cavalieri del mese di luglio 1362, essendo messer Bernabò -in Brescia con gente molta più assai di cavallo, la detta gente di -messer Cane in passaggio albergò dinanzi delle porte della città, -e una domenica mattina partendosi di quindi per ridursi a Pescara -e coll’altra gente della lega, lasciato fornite Ganardo e Pandegoli -castella di nuovo per loro acquistate in sul Bresciano, ed essendo -già intra ’l detto Pandegoli e Smaccano, la gente di messer Bernabò -in numero di novecento barbute e oltra, che in que’ giorni s’era -ricolta nel castello di Lenado, parendo loro avere mercato della gente -di messer Cane, s’apparecchiarono ad assalirla. La gente di messer -Cane sapendo che i nemici avanzavano il terzo e più, e che nel luogo -dov’erano aveano il disavvantaggio del terreno, e che si metteano in -punto per assalirli, non aspettarono, e il detto giorno nell’ora del -vespro nella disperazione presono cuore, e assalirono francamente i -nemici in su l’ordinarsi, e col favore di Dio li misono in rotta, e -assai ne furono morti e magagnati e assai presi, intra’ quali di nome -furono messer Mascetto Rasa da Como loro capitano, con venticinque -conestabili assai pregiati in arme, e altri assai che non si nominano; -e quindi a non molti giorni trecento barbute della gente di messer -Bernabò in sul Bresciano dalla gente della lega furono sconfitti. - - -CAP. X. - -_Disordine nato tra’ Genovesi per la guerra de’ Fiorentini e’ Pisani._ - -Messer Simone Boccanera primo doge di Genova, quando privato fu di -sua dignità e cacciato di Genova si ridusse a Pisa, e da’ Pisani -cortesemente fu ricevuto, e secondo il suo grado assai onorato; onde -per la detta cagione essendo ritornato in Genova, e nello stato suo -con la forza di suoi amici e seguaci, a tutto suo podere cercò che il -comune di Genova desse il suo favore a’ Pisani, e già essendo entrati -in lega con loro, quando il traffico de’ Fiorentini fu levato da Pisa, -contro a qualunque navilio con mercatanzia ch’entrasse o uscisse dal -porto di Talamone, e da quella a istanza de’ Fiorentini per lo suo -consiglio e comune levato, quando vidde il fuoco della guerra appreso, -con ogni sua forza e sottigliezza cercava che i Genovesi dessono loro -favore a’ Pisani, ma i mercatanti ed altri cittadini a tutti suoi -avvisi e sforzamenti s’oppuosono, pure tanto fè, che per deliberazione -del comune s’ottenne e statuì che il comune di Genova si stesse di -mezzo, e nullo aiuto o favore si desse nè all’uno nè all’altro. Occorse -in istanza di tempo, che i signori priori di Firenze e gli otto della -guerra scrissono a Francesco di Buonaccorso Alderotti mercatante stato -lungamente in Genova, pratico con tutti i cittadini e da loro ben -veduto, che conducesse quattrocento de’ migliori balestrieri i più -pratichi in guerra che avere potesse a soldo, con un buono capitano -o due. Ciò venne agli orecchi del doge, e sotto il protesto della -deliberazione fatta per lo comune, che a’ Fiorentini nè a’ Pisani si -desse favore, come è detto di sopra, prestamente fè fare personale -bando, che niuno potesse conducere nè in Genova nè nella Riviera alcuno -balestriere, e simile pena puose al balestriere se si conducesse. Il -valente mercatante alle sue spese, sponendosi ad ogni pericolo per -zelo di suo comune, se n’andò a Nizza ch’è della contea di Provenza, -e qui s’accozzò con messer Riccieri Grimaldi, uomo valoroso e stato -in più battaglie campali, e lui solo condusse capitano di quattrocento -balestrieri a fiorini sette per balestro il mese, i quali furono tutti -uomini scelti e usi in guerra. E per mostrare messer Riccieri che con -amore e affezione venia a servire il comune di Firenze, volle che intra -il numero de’ balestrieri fossono due suoi figliuoli, e due di Perino -Grimaldi, i quali venuti a Firenze, e non trovando verrettoni a loro -modo, anche fu scritto per gli otto al detto Francesco, che da Genova -ne mandasse dugento casse. Ed essendo per lo detto doge posto grave -pena a chi ne traesse del Genovese, il detto Francesco compostosi co’ -doganieri, ne mandò subito centosettanta, le quali legate a quattro -casse per balla con paglia, e invogliate a guisa di zucchero, e per -zucchero si spacciarono alla dogana. Emmi giovato di così scrivere, -perchè se onorato fosse chi bene fa per lo suo comune, gli animi degli -altri s’accenderebbono a fare il simigliante. - - -CAP. XI. - -_Come il re di Castella con quello di Navarra ruppono pace a quello -d’Aragona, e lo cavalcaro._ - -Essendo legati insieme, come addietro è detto, lo re di Spagna, con -quello di Navarra, con quello di Portogallo, e con quello di Granata, e -col conte di Foscì, e con quello d’Armignacca contro il re d’Aragona, -del mese di giugno il re di Castella con quello di Navarra, amendue -in persona, con cinquemila cavalieri si misono sopra le terre di -quello d’Aragona, la quale è lontana a Sibilia per otto giornate, -e con sedici galee l’assalirono per mare, avendosi la pace lasciata -dopo spalle, facendo grandi e disonesti danni. E avendo il re Piero di -Spagna lungo tempo tenuta assediata la città di Calatau, e quelli della -città difendendosi coraggiosamente, e non volendosi arrendere loro, -lo re con giuramento promise, che se non si arrendessono, ed egli li -prendesse per forza, che tutti li farebbe morire: quelli poco pregiando -le sue minacce sollecitamente attendeano a loro difesa; infine del mese -d’agosto il re per battaglia prese la città e non ricordandosi che -i vinti fossono cristiani, incrudelito contro loro a guisa di fiera -salvaggia, oltre a seimila cittadini disarmati e vinti fè mettere al -taglio delle spade senza misericordia alcuna. - - -CAP. XII. - -_Come per sospetto in Siena a due dell’ordine de’ nove fu tagliata la -testa._ - -In questo tempo e mese di giugno, Giovanni d’Angiolino Bottoni della -casa de’ Salimbeni con altri gentili uomini di Siena, e con certi -dell’ordine de’ nove, il quale era posto a sedere, tennono trattato -di dovere rimettere l’ordine de’ nove nello stato. Il popolo avendo di -ciò odore, e pertanto in sospetto, corse all’arme, e nel furore furono -presi un Tavernozzo d’Ugo de’ Cirighi, e uno Niccolò di Mignanello, -ch’erano stati dell’ordine de’ nove, e furono decapitati. Il capitano -della guardia, ch’era de’ Pigli di Modena, fece tagliare il capo a un -frate e a certi altri: e furono posti in bando per traditori Giovanni -d’Agnolino Bottoni, e messer Giovanni di messer Francesco Malavolti, -e Andrea di Pietro di messer Spinello Piccoluomini, e Cinque di messer -Arrigo Saracini, e Francesco di messer Branca Accherigi dell’ordine de’ -nove. Poi a dì 3 di novembre il detto Giovanni co’ sopraddetti furono -ribanditi, e riposti nel primo stato e onore. - - -CAP. XIII. - -_Cavalcate fatte per messer Bonifazio Lupo in su quello di Pisa._ - -Avendo messer Bonifazio Lupo preso Ghiazzano, e predata e arsa la -Valdera tutta fuori delle fortezze, volendo più in avanti cavalcare -per suo onore e del comune di Firenze, vietato gli fu da’ consiglieri -che dati gli erano per lo comune senza mostrarli il perchè. Il valente -capitano pregiando più suo onore che la grazia e amore de’ privati -cittadini, e non curando i volti turbati, si mise in viaggio con l’oste -ordinata per fornire sua intenzione. L’uno de’ consiglieri ito più là -nello stato che non portava il dovere scrisse al fratello, ch’era degli -otto della guerra, come il capitano nullo loro consiglio volea seguire, -e che era uomo di sua volontà, e di mettere il comune in pericolosi -luoghi, con dire procurasse fosse onorato com’egli onorava loro. -Il che ne seguì, che per operazione del detto degli otto fu eletto -per capitano messer Ridolfo da Camerino, e mandato per lui, e che -prestamente venisse, mostrando che per le stranezze di messer Bonifazio -il comune n’avesse gran bisogno: e tutto che di ciò ne sdegnasse messer -Bonifazio nol dimostrò, ma come magnanimo ne fece di meglio. Tornando -a nostro processo, messer Bonifazio spregiato il voglioso e poco savio -consiglio, e forse malizioso e venduto de’ suoi consiglieri, lasciato -Ghiazzano ben fornito e guarnito alla difesa, l’ultimo dì di giugno, -arsa e predata la Valdera, con molto ordine cavalcò a Padule, villa -ricca e fornita di belli abituri, e predata e arsa la villa prese -Castello san Piero, e il mercato a Forcole, e per tre dì soggiornò in -quei paesi correndo vicino a Pisa: e in quel tempo presono, arsono e -guastarono trentadue tra castella, e fortezze e villate, nelle quali -arsono oltre a seicento case, che fu danno quasi inestimabile; e intra -l’altre fortezze presono Contro, e dieronlo in guardia a’ Volterrani. -Ed essendo la gente grossa de’ Pisani a Castello del Fosso, i nostri -vi mandarono e richiesonli a battaglia, ed eglino non s’attentarono -d’uscirli a vedere: fu in animo del capitano di combatterlo, ma -fallandoli gli ingegni di combattere castella, e vittuaglia, si partì -quindi, e puosesi nel borgo di Petriolo, quivi aspettando il nuovo -capitano; dove stando, per non tenere la sua gente oziosa, e per -non dare respitto a’ nemici, quattrocento tra barbute e Ungari con -cinquecento masnadieri, sotto la guardia e condotta di Leoncino de’ -Pannocchieschi de’ conti da Trivalle di Maremma soldato del comune -di Firenze, fece cavalcare nella Maremma, lunga dal luogo dov’era -cinquanta miglia, verso Montescudaio e per que’ paesi, dove trovarono -gran preda di bestiame e grosso e minuto, che per l’asprezza del luogo -ivi s’era ridotto. I nostri non trovando contasto, fatto gran danno e -arsione nel paese, a dì 9 di luglio menarono al campo dodici centinaia -di bufole e novecento vacche, vitelle assai, e oltre a mille porci, -e altro bestiame minuto assai, il quale sortito tra i predatori, solo -messer Bonifazio per sua cortesia fu senza parte di preda, lasciandola -a chi l’avea faticata. - - -CAP. XIV. - -_Del processo della guerra da’ collegati a messer Bernabò._ - -Di questo mese di giugno, quelli della lega ripuosono il castello di -Massa presso alla Mirandola, e lasciatolo ben fornito di vittuaglia -e di gente alla guardia contendeano a guerreggiare sollecitamente. -Dall’altra parte Anichino di Bongardo con la gente di messer Bernabò -ha riposto il castello di Solaro in sul canaletto, che esce del canale -di Modena, e fornitolo s’è accampato ivi presso nel bosco facendovisi -forte. Il conte di Lando con messer Ambrogiuolo figliuolo naturale di -messer Bernabò corsono infino alla Mirandola ingaggiati di battaglia -con la gente della lega, ma in que’ tempi che combattere doveano grave -malattia prese messer Galeazzo, e, o che così fosse, o che fosse -simulata per non si mettere alla fortuna della battaglia, il conte -di Lando e messer Ambrogiuolo si tornarono addietro. Il marchese di -Ferrara di questo mese tolse Voghera, terra d’oltre a dugento uomini, -e Guarlasco e più altre terre. Cane Signore tolse la valle di Sale -in sul lago di Garda, e più altre terre e fortezze. Alquanti vollono -dire questa essere la cagione perchè il conte di Lando e Ambrogiuolo -si tornarono addietro. In queste baratte e volture per operazione del -conte di Lando certi conestabili tedeschi ch’erano al soldo della -lega, loro caporale messer..... del Pellegrino, in numero tutti di -undici, fatta congiura doveano tradire la lega, i quali furono presi, e -trovando che ciò era vero furono decapitati. - - -CAP. XV. - -_Come messer Ridolfo prese il bastone da messer Bonifazio._ - -Giunse a dì 6 di luglio messer Ridolfo al campo, che era fra Peccioli -e Ghiazzano, dove dalla gente dell’arme ch’aveano posto amore alla -cortesia e valore di messer Bonifazio con niuno rallegramento fu -ricevuto; e dal vecchio capitano prese l’insegne, onorandolo in questa -forma di parole, che la bacchetta e il reggimento dell’oste bene stava -nelle sue mani, ma per ubbidire il comune di Firenze di chi era soldato -la prendea: e presa, di presente lo fè maliscalco, ed egli ogni sdegno -deposto in servigio del comune di Firenze l’accettò come era ordinato. - - -CAP. XVI. - -_Della crudeltà che i Pisani usarono contra i Lucchesi per gelosia._ - -Mentre che l’oste del comune di Firenze pigra e malcontenta sotto -il nuovo capitano dimorava tra Peccioli, e Ghiazzano in Valdera, -aspettando il gran fornimento che ’l capitano avea domandato, i -Pisani per non dimenticare la loro usata crudeltà, tutti i forestieri -che al loro soldo erano in Lucca feciono ritrarre nell’Agosta, e -segretamente avvisarono da cento cittadini ghibellini e loro confidati -che per grida che elli udissono andare non si partissono, ma facessono -vista di volere partire, acciocchè gli altri veggendo apparecchiare -loro prendessono viaggio; e ciò fatto, feciono bandire che sotto -pena dell’avere e della persona, che uomini e femmine, cittadini e -forestieri, dovessono sgombrare la città e ’l contado presso alla -città a mille canne, afin che compiesse d’ardere una candela che -posta era alle porte. Fu miserabile e cordoglioso riguardo e aspetto -di gran crudeltà vedere i vecchi pieni d’anni, le donne, le fanciulle -lagrimose con sospiri e guai, e i piccoli fanciulli con strida lasciare -loro case, loro masserizie e loro città, e ire e non sapere dove: i -gentili e antichi cittadini, e nobili mercatanti e artefici in fretta -e sprovveduti fuggire, come avessono spietati nemici alle spalle loro, -e la terra loro lasciassono in preda. L’orribile bando fu al tempo dato -ubbidito, e la terra lasciata fu vuota, e in sommo silenzio: di questo -prestamente seguì, che i Pisani ch’erano alla guardia di Lucca co’ loro -soldati e a piè e a cavallo furiosamente uscirono dell’Agosta colle -spade nude in mano, e corsono l’abbandonata terra senza essere veduti -da’ Lucchesi, gridando; Muoiano i guelfi; a Firenze, a Firenze: e non -aveano potestà di cacciare la gente de’ Fiorentini ch’erano loro in su -le ciglia. - - -CAP. XVII. - -_Delle cavalcate fatte per messer Ridolfo sopra i Pisani, e del gran -danno che ricevettono._ - -Continovando nostro trattato della guerra tra i Fiorentini e’ Pisani, -con poca intramessa di cose di forestieri, perchè delle occorse in -questi giorni, se occorse ne sono degne di memoria, poche ne avemo, e -raccresciuta la forza del comune di Firenze, perchè il conte Niccola -degli Orsini prima offertosi, e accettato, era venuto con cento uomini -di cavallo, e così più altri gentili uomini, il perchè il capitano -si trovò con duemila barbute e con cinquemila pedoni nel campo tra -Peccioli e Ghiazzano, dove pigramente con molta sua infamia dimorava; -il perchè messer Bonifazio Lupo infignendosi poco sano se ne venne a -Firenze. Alla fine empiuto il gran fornimento che domandava, sotto il -cui adempimento si scusava di sua pigrizia, più non potendo fuggire -sue scuse, a dì 16 del mese di luglio con l’oste si partì da Peccioli, -e la notte albergò a Ponte di Sacco, e ’l dì seguente passarono il -fosso a malgrado della forza de’ Pisani che v’era alla guardia, con -loro danno e vergogna, ed entrarono nel borgo di Cascina, dove preda e -vittuaglia trovarono assai. La cagione fu, ch’essendo alla guardia del -fosso un quartiere di Pisa con soldati e contadini assai, non pensarono -che i Fiorentini vi potessono passare, e per tanto poco o niente v’era -sgombrato. Gli Ungari de’ Fiorentini, come per natura sono desiderosi -di guadagnare, e atti a scorrere, passarono insino alla Badia a -Sansavino, e presono intorno di cinquanta prigioni. Il capitano tutto -il giorno e ’l seguente stette col campo fermo a Cascina, dove intorno -correndo le gualdane per spazio di più miglia, e di prede e d’arsioni -danni inestimabili furono fatti. Il martedì mattina a dì 19 di luglio -partiti da Cascina s’accamparono a Sansavino, e ’l fiore della gente da -cavallo e da piè cavalcarono infino alla volta dell’Arno presso a Pisa -a cinquecento passi, ed ivi alla Bessa con l’usate muccerie, ad eterna -rinoma del comune di Firenze, e infamia de’ Pisani, feciono correre un -ricco palio di veluto in grana foderato di vaio, il quale ebbe il conte -Niccola degli Orsini, e lo mandò a Roma per onore della sua cavalleria. -I corridori con assai di buona gente sotto il bastone di messer Niccola -Orsini passarono Pisa facendo assai di male e vergogna a’ nemici. Fatte -le dette cose si tornarono al campo: e quel giorno medesimo passata -nona, ritornati al detto luogo, con assai meno gente per dirisione -feciono correre palii l’uno ad asini, l’altro a barattieri, e ’l terzo -alle puttane; onde i Pisani di tanta ingiuria aontati, seicento a piè -con dugento cavalieri con molti balestrieri, con la imperiale levata, -uscirono di Pisa per vendicare o in tutto o in parte loro oltraggio. -La gente de’ Fiorentini, ch’era a fare correre detti palii, ed era in -punto e vogliosa aspettando il detto caso, francamente s’addirizzò -a loro, e li ruppono e li rimisono infino nelle porte con tanto -ardire, che alquanti con loro mescolati entrarono in Pisa, e alquanti -balestrieri saettarono nella terra, e ciò fatto si tornarono al campo: -e quivi stando, il mercoledì arsono tutto ciò che poterono intorno a -Pisa infino al borgo di san Marco a san Casciano, e Valdicaprona e -molte altre ville, con molte belle e ricche possessioni nobilmente -accasate. Il danno come incredibile piuttosto è da tacere che da -scrivere: e per giunta a’ detti mali, i villani de’ piani ch’erano -rifugiati in Pisa, e stavansi sotto loro carra lungo le mura, furono -assaliti dalla pestilenza dell’anguinaia, e assai ne perirono. E ciò -somigliava agl’intendenti giudicio di Dio, che dentro e di fuori così -gastigasse i corrompitori della pace e della fede data per soperchio -d’astuta malizia. - - -CAP. XVIII. - -_Come messer Ridolfo assediò Peccioli, e prese stadichi se non fosse -soccorso._ - -Poichè a messer Ridolfo parve avere fornito il dovere di suo onore, -potendo molto più fare, mercoledì a dì 20 di luglio ripassò il fosso, -e ritornossi a Ponte di Sacco; dove stando, casualmente fu preso un -fante che portava una lettera per parte del castellano di Peccioli -al capitano del fosso, la quale in sostanza diceva, che i soldati da -cavallo e da piè con molti terrazzani, sentendo che ’l capitano de’ -Fiorentini era a Sansavino occupato in molte faccende, erano usciti di -Peccioli, e cavalcati in su quello di Volterra per guadagnare, e che -tornati non erano, e la cagione non sapea, e che la terra non era in -stato di potersi difendere se fossono combattuti o stretti per assedio, -e che a ciò riparasse, e gli mandasse presto soccorso; ed era vero, che -essendo la detta gente de’ Pisani cavalcata in su quello di Volterra, -certa gente da piè e da cavallo del comune di Firenze, la quale era -in Volterra, avendo boce della detta gente de’ Pisani loro si feciono -incontro, e colla forza de’ contadini volterrani gli incalciarono e -strinsono in forma, che non possendo fuggire nè ritornare per la via -ond’erano venuti, lasciata la preda che fatta aveano, in sul fare della -sera per loro scampo si ridussono in su un colle, e la notte si misono -per la Maremma. Il capitano vista la detta lettera mandò prestamente -gli Ungari e’ cavalieri innanzi per impedire la tornata della detta -gente in Peccioli, e senza dimoro con tutto l’oste seguì, e quella -medesima sera con l’oste attorneò tutta la terra, e il seguente dì la -cominciò a cignere di steccato facendo sollecita guardia, e la sera -in sul tramontare del sole, per conoscere se la lettera che egli avea -trovata gli dicea vero, fece dare alla terra una battaglia per scorgere -la gente che v’era alla difesa, e per quello comprendere si potè forse -sessanta uomini con femmine assai si vidono, che diedono a intendere -che vi mancava difesa; il procinto della terra era grande, ma forte -e di muro e di ripe. Il capitano scorto il fatto pigramente procedea -nell’assedio, dormendo la mattina insino a terza col letto fornito di -disonesta compagnia, e menando vita di corte quieta; il perchè messer -Bonifazio, uomo d’onesta vita e di vergogna pauroso, veggendo la -sciolta vita del capitano e suo mal reggimento, infignendosi d’essere -malato se ne venne a Firenze, e mostrando a’ signori che poco era loro -onore e necessario, chiese licenza di tornarsi in Lombardia; i signori -con loro consiglio considerando quanto era di bisogno al comune, -lo pregarono e lo gravarono, che a tanto bisogno non abbandonasse -il servigio per lui fedelmente cominciato, e che tornasse al campo -a perseguire le buone opere sue, le quali bene erano conosciute e -gradite da’ savi e buoni cittadini, e così conosciute quelle del suo -successore; il perchè vinto per servire il comune tornò al campo. Il -capitano corse in voce di poco leale per i suoi molti falli, e per non -volere seguire la volontà del comune, e di ciò mostrò segni, perocchè -la cavalcata che fatta avea sopra i Pisani non era stata volontaria -ma sforzata, riprendendo sua tardezza, e potendo con suo onore stare -dodici dì col fornimento che menò in su le porte di Pisa, e guastare -gran parte di loro contado, il terzo dì se ne partì, e potendo per -battaglia avere Peccioli, tanto soprastette, che le femmine armate -le mura presono cuore alla difesa veggendo la viltà del capitano: -ma infamato dalla partita di messer Bonifazio Lupo e da’ Fiorentini -ch’erano nel campo, tutto che i suoi protettori lo difendessono, ed -esso sè medesimo mostrando a molti le lettere ch’avea da Firenze, che -si portasse cortesemente, pur mosso dal grido strinse la terra prima -con battaglia tiepida e con poco ordine, e tanto debilmente si portò -in detto e in fatto, che con vergogna da pochi di quelli d’entro, che -pochi ve n’erano, vituperosamente fu ributtato, i quali intendendo loro -fortuna aveano smisurata paura, e mostravano gran cuore per invilire -quelli di fuori. Ritratto il capitano dalla poca favorata battaglia, -ne’ fossi rimasono scale e grilli che infino alle mura erano condotti, -di gran dispiacimento dei nostri cittadini che erano a vedere. Tra i -rettori del comune, tutto ch’e’ conoscano il difetto, per la forza di -medici radissime volte vi pongono rimedio obliando l’onore del comune. -La fama della viltà e disonesta vita del capitano, o calunniosa o -vera che fosse o falsa, pure lo stimolò alquanto; onde veggendo egli -che i Pecciolesi erano spigottiti, cominciò a cignere la terra di -steccato senza contasto, perocchè stracchi erano sotto le battaglie -e sotto la continova guardia quelli che rimasi erano nella terra per -più vili, perocchè tutti i gagliardi s’erano messi nella cavalcata -sopra Volterra. Alla fine quelli d’entro veggendosi stretti, e senza -speranza di soccorso, a dì 30 di luglio il vicario di Peccioli con -più compagni senza niuna arme a sicurtà dal capitano vennono a lui, -e patteggiarsi, che se per infino a dì 10 d’agosto non avessono da -Pisa soccorso li renderebbe la terra salve le persone e l’avere, e per -la fermezza di ciò dierono otto stadichi de’ più sufficienti uomini -della terra, e due Pisani, i quali il capitano ricevette, e li mandò -a Firenze. I Fiorentini ricevuti li stadichi, quasi certi d’avere -la terra, perchè loro speranza non cadesse in fallo rafforzarono -l’assedio, e mandaronvi mille balestrieri e dugento uomini da cavallo, -e fornimento assai necessario alla bisogna; e come l’intento de’ -Pisani tutto si dirizzò ad avere Pietrabuona, così lasciando stare -ogni altra cosa, tutto quello de’ Fiorentini s’addirizzò ad avere -Peccioli. Come per gli ambasciadori del comune di Peccioli si sentì il -fatto in Pisa, subitamente nel Duomo radunarono il parlamento, dove per -molti apertamente fu detto, che per loro governatori erano traditi, i -quali affermavano che tanta gente avrebbono di Lombardia, che non che -fossono cavalcati, ma che si cavalcherebbono i Fiorentini, di che gran -borboglio si sparse per lo parlamento, e tale, che fè concitamento a -civile romore. Essendo in Pisa questo tremore e sospetto, e dovendo -succedere l’altro quartiere di Pisa a quello ch’era alla guardia -del fosso, non vi volle andare, onde quelli che v’erano lo arsono e -abbandonarono. - - -CAP. XIX. - -_Come non essendo il castellano contento del patto messer Ridolfo fè -gittare una delle torri di Peccioli in terra._ - -Perseverando a Peccioli l’assedio, il castellano che tenea le due -forti torri che Castruccio v’avea fatte fare quando era signore di -Pisa, non contento al patto che fatto era co’ terrazzani, combattea i -nostri, e li villaneggiava di parole, stimando perduta la terra potere -tenere la fortezza lungamente. Il capitano veggendo suo proponimento -fece dirizzare alle torri, intra le quali era un ponte, una cava, e -l’una d’esse fè mettere in puntelli, e il decimo dì d’agosto, il dì -di san Lorenzo, ch’era l’ultimo del termine dato a’ Pecciolesi, il -capitano fè dire al castellano il suo pericolo pregandolo s’arrendesse, -e non volesse perire per soverchia baldanza. Il castellano e i fanti -che con lui erano se ne feciono beffe, moltiplicandole villanie, e -rimproverando al comune di Firenze la Ghiaia, il perchè il capitano fè -affocare i puntelli, onde il fumo e il crepare della torre fè segno al -castellano e a’ compagni che per lo ponte si rifuggissono nell’altra, e -così feciono, e appena aveano tratti i piè del ponte, che la torre e ’l -ponte cadde, onde cominciò a frenare la lingua: la torre cadde in sulle -mura della terra, e di quelle abbattè bene quaranta braccia. I briganti -dell’oste cupidi e vogliosi di preda ciò veduto s’apparecchiarono -quindi a entrare nella terra per rubare; i terrazzani uomini e -femmine senza arme corsono alla rottura, e gridarono, viva il comune -di Firenze, ricordando la fede loro data, e la promessa fatta per lo -comune; e il leale e buono cavaliere messer Bonifazio Lupo sotto la sua -insegna con la sua gente si mise alla guardia del luogo, e non lasciò -nè il dì nè la notte, che tutta era del termine, alcuno entrare dentro, -affermando che ’l comune di Firenze era e sempre era stato leale -osservatore di sue promesse. Il seguente dì, giovedì mattina a dì 11 -d’agosto 1362, in su l’ora della terza, secondo i patti e le convenenze -che fatte erano, il conte Aldobrandino degli Orsini con la brigata sua, -appresso tre cittadini di Firenze con parte di gente fidata, presono -la tenuta della terra pacificamente senza offesa niuna o di fatti o di -parole, e nella terra con li stadichi insieme, che gli avea rimandati -il comune, furono ricevuti allegramente e a grande onore. Dell’acquisto -del detto castello e di giorno e di notte si fece gran festa, perocchè -tenendolo pensavano essere i sovrani della guerra, perocchè dal detto -castello ha sedici miglia di piano, rimiriglio alla città di Pisa. Il -castellano vedendo che la terra era venuta nelle mani de’ Fiorentini, -e considerando che la torre che gli era rimasa agevolmente si potea -mettere in puntelli, si rendè, ma per i suoi dispetti non fu ricevuto -se non alla misericordia del comune di Firenze, dove mandato fu per -lo capitano con i suoi compagni. Venuto, fu tenuto consiglio di farli -morire, che fu disonesta e abominevole cosa, e di malo esempio di -volere fare morire coloro che per lo comune francamente e fedelmente -s’erano portati: il parlarne, non che tenerne consiglio per i savi -e buoni cittadini, fu ripreso; assai loro fu la prigione. In questi -medesimi giorni i gentili uomini e signori del castello di Pava, il -quale è situato e posto in sul passo da ire di Valdera in Maremma, ed -è forte e bella tenuta, la dierono al comune di Firenze in prestanza -mentre la guerra durasse, e il comune di Firenze con la grazia de’ -detti gentili uomini lo faceva guardare. - - -CAP. XX. - -_Come il capitano de’ Fiorentini prese Montecchio, Laiatico e Toiano._ - -Tolta la terra di Peccioli, come di sopra è detto, il seguente dì 12 -d’agosto il capitano pose assedio al castello di Montecchio, dove -erano ridotti dugento masnadieri per tenere a freno e guerreggiare -la gente del comune di Firenze, i quali assai danno aveano fatto -loro nell’assedio di Peccioli, e il detto castello di Montecchio -circondarono intorno intorno strettamente, dove stati più giorni, -alquante volte con battaglie gli tentarono; il perchè quelli d’entro -inviliti intorno di sessanta di loro di notte si gittarono per uno -dirupato d’altezza paurosa a vedere, e di loro ne morirono alquanti, e’ -loro compagni al campare ebbono affanni assai. Quelli ch’aveano avuto -paura di rovinare per quelle coste renderono il castello e le persone -alla misericordia del comune di Firenze, e di loro centoquarantaquattro -ne vennono a Firenze, i quali messi in prigione, dagli uomini e -pietose donne fiorentine e di vivanda e di ciò che a loro bisognava -abbondantemente furono provveduti. Il seguente dì, tornando al processo -del capitano, cavalcò a Laiatico, e quello ebbe per battaglia; e il -dì medesimo si posono a Toiano, e da’ terrazzani ebbono il castello, -e pochi dì appresso la rocca, d’onde venne a Firenze la campana che è -posta in sul ballatoio del palagio de’ priori, la quale ai mercatanti -dà l’ora del mangiare. Dipoi il capitano cavalcò a Montefoscoli e -a Marti per porvi assedio: ciò vietò il non trovarvi acqua, onde si -tornò a Fabbrica; dove stando, il capitano cupido del guadagno mandò -quattrocento cavalieri e masnadieri assai nella Maremma dove sentì -esser fuggito molto bestiame. I mandati in pochi giorni, tornarono con -gran preda di bestiame, preso il vicario di Piombino, grande popolare -di Pisa il quale novellamente andava all’uficio, e per sua mala ventura -si scontrò co’ suddetti, e con tutta sua famiglia rimase preso. La -preda messer Ridolfo divise, non come fatto avea messer Bonifazio, ma -capo soldo, e più che parte ne volle, di che forte ne fu biasimato, e -dell’amore cadde di tutta gente d’arme ch’erano a sua ubbidienza. - - -CAP. XXI. - -_Dell’aiuto che i Perugini in questi dì mandarono a’ Fiorentini._ - -Sentendo i Perugini che i Fiorentini aveano avuto la terra di Peccioli, -e che loro fortuna sormontava, volendo ammendare il vecchio errore, -commisono il nuovo maggiore, e mandarono a’ Fiorentini sessanta barbute -e venticinque stambecchini, i quali come meritavano con torto viso e -rimbrotti del popolo furono ricevuti. - - -CAP. XXII. - -_Come il conte Aldobrandino degli Orsini si partì onorato da Firenze._ - -Il conte Aldobrandino degli Orsini, il quale era venuto al servigio -del comune di Firenze, preso Peccioli si tornò a Firenze per tornarsi -in suo paese. Il comune di Firenze avendo a grato il servigio per lui -liberamente fatto, e ciò riputandosi a onore, lo provvidde largamente, -e a dì 29 del mese d’agosto con rilevato onore lo feciono fare -cavaliere del popolo di Firenze, e messer Bonifazio Lupo procuratore a -ciò del comune: ed esso conte Aldobrandino fece il suo fratello minore -cavaliere. E amendue d’arme e cavalli e d’altri doni cavallereschi -riccamente furono provveduti e onorati; e per loro fece il comune -un nobile e ricco corredo: e fornita la festa si partì di Firenze, -accompagnato da tutti i cittadini ch’aveano cavalcature. - - -CAP. XXIII. - -_Come e perchè si creò la compagnia del Cappelletto._ - -La Presura di Peccioli fu materia di scandolo tra ’l comune di Firenze -e’ soldati, perocchè certi di loro, ciò fu il conte Niccolò da Urbino, -Ugolino de’ Sabatini di Bologna, e Marcolfo de’ Rossi da Rimini, -uomini di grande animo e seguito, con la maggior parte de’ conestabili -tedeschi, a instigamento de’ procuratori di loro paghe, a dì 30 -d’agosto detto anno 1362 mossono lite al comune, dicendo, che per la -presura di Peccioli doveano avere paga doppia e mese compiuto, e che -avendola in mano contro a loro volere il capitano prese li stadichi, -dicendo, che se non avessono il debito loro non cavalcherebbono; e -sopra ciò stando pertinaci mandarono loro ambasciadore a Firenze, e ciò -feciono noto a’ priori il perchè avuto per i priori sopra ciò consiglio -da chi di ciò s’intendea, determinarono che loro domanda non era -ragionevole; onde tornato al campo l’ambasciadore con questa risposta, -furiosamente il detto conte Niccolò, Ugolino, e Marcolfo puosono un -cappello in su una lancia, dicendo, che chi voleva paga doppia e mese -compiuto si mettesse sotto il detto segno fatto, i quali in poca d’ora -si ricolsono il detto conte Niccolò, Ugolino, e Marcolfo con loro -brigate, e molti caporali tedeschi e borgognoni, tanto che passarono -il numero di mille uomini da cavallo, di che il capitano dubitò di -tradimento, non possendoli con parole rattemperare, richieggendoli -per loro saramento, e per la fede promessa al comune di Firenze, che -loro indebito proponimento dovessono lasciare, e tutto era niente, -che quanto più li pregava e richiedea più levavano il capo, e più -li trovava duri e pertinaci. Onde per più sano consiglio essendo con -tutta l’oste intra Marti e Castello del Bosco all’entrata del mese di -settembre, levò il campo, e tornossi a san Miniato lasciando le tenute -che prese avea fornite e di vittuaglia e di gente. Come ciò fu noto a -Firenze, il detto conte Niccolò, Ugolino, e Marcolfo, e’ conistabili -tedeschi di presente furono cassi, ed essi si radunarono all’Orsaia in -quello d’Arezzo, e crearono compagnia, la quale per lo caso detto di -sopra del cappello posto in sulla lancia titolarono la compagnia del -Cappelletto, e quivi fatto il capo a’ ladroni, in piccolo tempo molto -ingrossarono. I Pisani sentendo la dissensione della gente del comune -di Firenze, rassicurati non poco, con l’arte loro ritolsono Laiatico, -dove senza volere alcuno a prigione, uccisono venticinque fanti che -v’erano dentro alla guardia, intra i quali furono cinque di nome; -per la qual cagione i Fiorentini sdegnati trassono di Peccioli quasi -tutti i migliori terrazzani, de’ quali parte ne vennero a Firenze, -e per loro vita dal comune ebbono provvisione: gli altri terrazzani -veggendo la gelosia presa per i Fiorentini, tutti quelli ch’avessono -forma d’uomo se n’uscirono, onde la terra rimase a’ soldati. Il simile -feciono quelli di Ghiazzano, e di Toiano, e dell’altre tenute prese pe’ -Fiorentini. Nei detti dì essendo il capitano venuto a Firenze, i Pisani -con seicento cavalieri e molti pedoni corsono in su quello di Volterra, -e levarono preda di trecento bestie grosse, e uccisono alquanti uomini, -e alquanti ne presono. La gente del comune ch’era in Peccioli non stava -oziosa, ma sovente cavalcavano, sino sulle porte di Pisa, mettendo -aguati, e prendendo prigioni, e facendo aspra e sollecita guerra, tanto -feciono che ’l contado di Pisa verso le parti dove poteano cavalcare -non s’abitava, nè si poneva a seme. - - -CAP. XXIV. - -_Comincia la guerra che i Fiorentini feciono in mare a’ Pisani._ - -Del mese d’agosto le galee di Perino e quelle di Bartolommeo condotte -al soldo dal comune di Firenze furono nella riviera di Pisa verso -Piombino, facendo in quelle riviere gran danni, e in quelli giorni -messer Niccola Acciaiuoli gran siniscalco del regno di Puglia, alle -sue spese mandò due galee a servire il nostro comune per tempo di due -mesi, le quali detto tempo assai affannarono i Pisani, non lasciando -nel porto di Pisa legno che non pigliassono, rubassono e ardessono: e -all’isola della Capraia scesono in terra, e levarono preda di mille -capi di bestie, e il simile feciono al Giglio e a Vada per tutta -quella marina dove danni di preda o d’arsioni poterono fare, a grande -onore del comune di Firenze. Perino Grimaldi all’entrata di settembre -per simile modo correva la detta marina facendo gran guerra, e per -battaglia prese la Rocchetta, la quale è posta in su la marina intra -Castiglione della Pescaia e Piombino in forte luogo; li terrazzani -rifuggirono nella rocca, e’ Genovesi presono la terra, e forniti di -vittuaglia la rubarono e arsono. Fu riputato per Italia in grande -onore al nostro comune, e non senza ammirazione di chi l’intese, che -i Fiorentini potessono in mare più che i Pisani, e che per acqua li -tenessono assediati. - - -CAP. XXV. - -_Come e perchè i Romani si dierono al papa._ - -In quel tempo lo stato di Roma e reggimento era tornato nelle mani -del popolo minuto, del quale si facea capo, ed era il maggiore e -quasi signore un Lello Pocadota, ovvero Bonadota calzolaio, il quale -col favore del detto popolo avea cacciati di Roma i principi, e’ -gentili uomini, e’ cavallerotti, ed essi di fuori accoglieano gente, -e misono in grida che aveano al loro soldo condotta la compagnia del -Cappelletto, la quale allora era in Campagna, di che per questa tema -i governatori di Roma feciono seicento uomini a cavallo di soldo tra -Tedeschi e Ungheri, e altrettanti de’ loro cittadini, e numerato il -popolo romano a piè si trovarono essere ventidue migliaia d’uomini -armati, e per temenza la notte faceano guardare le porte. Occorse -in questi giorni, o per sagacità che fosse, o per errore de’ gentili -uomini, che avendo i Romani mandato loro potestà a Velletri, fama uscì -fuori che quelli di Velletri l’aveano morto, onde i rettori di Roma -diffidati di loro stato accolsono consiglio, e coll’autorità d’esso -dierono al papa il governo della città liberamente come a signore: ben -vollono per patto che messer Guido cardinale di Spagna non vi potesse -avere alcuno ufizio o giurisdizione. Tu che leggi ed hai letto le alte -maravigliose cose che feciono i buoni Romani antichi, e tocchi queste -in comparazione, non ti fia senza stupore d’animo. - - -CAP. XXVI. - -_Come Dio chiamò a sè papa Innocenzio, e fu fatto papa Urbano quinto._ - -Fu papa Innocenzio sesto uomo di semplice ed onesta vita, e di buona -fama, colla quale passò di questa vita a migliore a dì 11 di settembre -1362, e a’ tredici dì fu seppellito alla chiesa di nostra Dama -d’Avignone. Sedette papa anni nove, mesi otto e dì sedici: vacò la -Chiesa di Roma dì quarantotto. I cardinali essendo chiusi in conclavi -in numero ventuno a dì 28 di settembre, si trovò che dato aveano -quindici voci al cardinale...... che fu vescovo di...... monaco nero, -e di nazione Limogino, uomo per età antico, e per vita di penitenza, -e del tutto dato allo spirito, a cui essendo revelato lo squittino, -avanti che pubblicato fosse papa con molto fervore d’amore e umiltà -rinunziò. I cardinali, perchè per avventura non era chi arebbono -voluto, accettarono la rifiutagione. Appresso il cardinale di Tolosa -nipote del cardinale d’Aubruno ebbe undici voci delle ventuno, un -altro dieci, un altro nove, onde a’ trenta di settembre gara entrò tra’ -cardinali, ed erano in grande discordia, ch’una parte d’essi il volea -Limogino, e l’altra no. In fine come piacque a Dio, da cui viene ogni -bene e ogni grazia, il dì ultimo d’ottobre elessono in papa messer -Guglielmo Grimonardi, nato della Siniscalchia di Belcari, il quale -era abate di san Vittore di Marsilia, dell’ordine di san Benedetto, -uomo d’età di sessanta anni, onesto e di religiosa vita, pratico e -intendente assai. Costui di settembre era venuto con danari che la -Chiesa mandò al legato ambasciadore alla reina Giovanna, passò per -Firenze, e di convito de’ signori fu riccamente onorato; sentita per -lui la morte d’Innocenzio si partì di Firenze, ed osò dire, che se per -grazia di Dio vedesse papa che avesse in cura di venire in Italia, e -alla vera sedia papale, e abbattesse i tiranni, e l’altro dì morisse, -sarebbe contento. I cardinali perchè non era in Avignone, come scritto -avemo, quando fu eletto, lo tennono celato, e mandarono per lui -fingendo per certe cagioni averne prestamente bisogno, e segretamente -a dì 30 d’ottobre entrò in Avignone, e a dì 31 fu pubblicato papa, e -nomato Urbano quinto: prese il manto e la corona a dì 6 di novembre. - - -CAP. XXVII. - -_Come al re Pietro di Castella morì un figliuolo che avea._ - -La novità del fatto ne dà materia di mettere in nota quello che passare -con silenzio, essendo stato il caso in altrui, non era da ripigliare. -Del mese d’aprile passato, Pietro re di Castella avendo un figliuolo -di dama Maria sua femmina d’età di tre anni e mezzo, volle dare a -intendere, e fare credere al suo reame, che fosse legittimo e naturale, -e pubblicamente osò dire, che la detta dama Maria era sua legittima -sposa; e per affermare a’ sudditi suoi quello dicea, volle e ordinò -che tutti quelli che aveano a fare omaggio alla corona a certo giorno -dato giurassono fedeltà nelle mani del fanciullo, e così feciono tutti -i suoi baroni, chi per amore e chi per paura, e per reverenza d’omaggio -tutti li baciarono la mano, e il simile feciono i sindachi di tutte le -comunanze del suo reame. Nel detto anno del mese d’ottobre il fanciullo -morì, di che il re duolo ne prese a dismisura, e vestissene a nero con -tutti i suoi baroni. Dimostrò che a Dio sovente non piace quello che -piace all’uomo, massimamente le burbanze. - - -CAP. XXVIII. - -_Come Perino Grimaldi prese l’isoletta e castello del Giglio._ - -All’entrante del detto mese d’ottobre, Perino Grimaldi da Genova al -soldo del comune di Firenze con due galee e un legno, giunte a lui -l’altre due galee condotte per lo comune, si dirizzò all’isola del -Giglio, e scesi in terra con molto ordine assalirono la terra con aspra -battaglia. I terrazzani tutto che sprovveduti francamente si difesono, -e per lo giorno la battaglia durò dalla terza al vespero, nella quale -di quelli d’entro molti ne furono morti, molti magagnati dalle buone -balestra de’ Genovesi. Partita la battaglia i Genovesi si tornarono a -loro galee, e medicarono i loro fediti, e presono la notte riposo. Il -seguente dì la mattina tornarono alla battaglia con molto più cuore -e ordine, avendo scorta la paura e il male reggimento di quelli della -terra: così disposti andando, si feciono loro incontro tre di quelli -della terra senza arme gridando, pace pace, e giunti al capitano, -lui ricevente per lo comune di Firenze dierono la terra salvo loro -avere e le persone, e così per Perino furono graziosamente ricevuti, e -nella terra i Genovesi entrarono, non come nemici, ma come terrazzani -pacificamente, e’ terrazzani si trassono con loro a combattere la -rocca, con minacciare il castellano, il quale, cominciata la battaglia, -vile e impaurito, temendo non tagliassono la rocca da piè con le scuri, -disse si volea arrendere salvo l’avere e le persone, e avendo dal -comune di Firenze le paghe ch’avea servite, e così fu ricevuto. Perino -avendo fatto tanto nobile acquisto al nostro comune, fornita la rocca -di vittuaglia e di sufficienti guardie, e seguendo la felice fortuna -prese viaggio verso l’Elba. Il comune di Firenze mandò castellano al -Giglio; e perchè avea soperchiati i Pisani in mare fè disordinata festa -e letizia e di dì e di notte. Questa ventura fu tenuta mirabile, e -operazione di Dio piuttosto che umana, considerato che la terra e la -rocca sono da guardarle e lasciarle stare, e nè la forza del comune di -Genova, che più volte avea tentato la ventura dell’acquisto del Giglio, -nè quella de’ Catalani, nè quella de’ Pugliesi, che più e più volte -aveano cercato il simile, e con aspre e continove battaglie aveano -combattuta la terra, e non potuto acquistarvi una pietra, facevano la -cosa più ammirabile. Come a Pisa fu la novella sentita duri lamenti -vi furono, parendo loro vilia di mala festa, poichè i Fiorentini li -sormontavano in mare: e di certo loro intervenne il detto del savio, -il quale dice: Extrema gaudii luctus occupat; che suona in volgare: -Gli estremi della letizia sono occupati dal pianto; così occorse a’ -Pisani, per la disonesta e pomposa festa e allegrezza che feciono per -Pietrabuona, avvilendo in parole e in fatti a dismisura i Fiorentini, -la quale in sì breve tempo fu soppresa da tante avversitadi. E ciò è -chiaro esempio al nostro comune d’usare la vittoria onestamente, e non -straboccare nelle vane e pompose feste per loro vittorie. - - -CAP. XXIX. - -_Come messer Piero Gambacorti per trattato si credette tornare in Pisa._ - -Piero Gambacorti uscito di Pisa, il quale molto tempo innanzi che la -guerra si cominciasse, avendo rotto i confini che per lo suo comune -gli erano stati assegnati a Vinegia, si conducea in Firenze per essere -più vicino di Pisa, se la fortuna gli avesse apparecchiato via da -ricoverare suo stato. E stando in Firenze, del mese d’ottobre tenne -segreto trattato co’ suoi fidati amici, che molti ancora n’avea, di -ritornare in Pisa con la forza de’ Fiorentini, che di qui gli era -promessa e doveali essere data la porta di san Marco; proseguendo suo -trattato, ed essendo dato il giorno, a dì 10 d’ottobre, col capitano -de’ Fiorentini, e con settecento cavalieri e trecento Ungari si partì -di Peccioli, e giunsono a Pisa nella mezza notte, ed entrarono nel -borgo di san Marco; ed essendo all’antiporto della terra, e non essendo -loro risposto, cominciarono a volere rompere quella: dentro desto -il fatto di subito furono all’arme, e la terra tutta impaurita e in -tremore: due conestabili de’ nostri, ch’erano già in su l’antiporto -vi furono morti: e non sapendo quelli d’entro se quelli di fuori erano -assai o pochi, mandarono fuori tre bandiere d’uomini a cavallo, i quali -per i nostri furono tutti tra presi e morti; onde i Pisani veggendo -che il fatto era maggiore che non si stimavano, giugnendo paura a -paura per la notte, si dierono a guardia delle mura sollecitamente. -Veggendo il capitano e Piero che ’l fatto era scoperto, e la sollecita -guardia, e non sentendo dentro dissensione di romore cittadinesco, -arsono il borgo, e co’ prigioni e preda si tornarono a Peccioli. La -cagione perchè non ebbe effetto il trattato fu, che la sera innanzi -che i nostri cavalcassono presentendo i Pisani che trattato era nella -terra, tutto non sapessono che, in caccia feciono tornare tutti i -loro soldati a cavallo e a piè in Pisa; veggendo gli amici di Piero -ciò non s’ardirono a scoprire per paura: se ciò non fosse stato, Pisa -per quella volta venia alle mani del comune di Firenze. Credo nol -volle Iddio per meno male, che tanto erano infiammati i Fiorentini, -che rischio era della desolazione di quella città. Tornati i nostri a -Peccioli, il seguente giorno cavalcarono al Bagno ad Acqua e arsonlo, e -molte altre ville d’attorno. - - -CAP. XXX. - -_Come Perino Grimaldi soldato del comune di Firenze prese Portopisano, -e le catene del detto porto mandò a Firenze._ - -Nel detto anno del mese d’ottobre, Perino Grimaldi a soldo del comune -di Firenze, con quattro galee e un legno bene armati e di buona -gente, avendo fatto dannaggio assai per la riviera di Pisa, si mise -in Portopisano, e giunti alle piagge, e con barche misono a terra -una parte de’ loro balestrieri, i quali colle balestra francamente -assalirono cinquanta cavalieri e molti fanti che per i Pisani erano -posti alla guardia del porto, temendo che l’armata de’ Fiorentini -non li danneggiasse nel seno del porto loro. La gente de’ Pisani -non potendo sostenere l’oppressione della balestra abbandonarono il -porto, onde i Genovesi presono il molo, e senza arresto giunti al -palagio del ponte v’incominciarono colle balestra aspra battaglia: nel -palagio erano venti masnadieri, i quali ben guerniti alla difesa non -lasciavano i Genovesi appressare alla porta. Durando la detta battaglia -per lungo spazio, il capitano delle galee saputo guerriere fece a due -galee levare alto gli alberi, e miservi l’antenne, e nella vetta di -ciascuna antenna mise una gabbia, e allogò due de’ migliori balestrieri -ch’egli avesse nell’armata, e le galee condussono vicine al palagio, -e l’antenne levavano alte a bassavano come domandavano i balestrieri -ch’erano nelle gabbie, e talora erano al pari del palagio, e talora -più alti, e ferendo i fanti ch’erano alla guardia sopra la porta non -li lasciavano scoprire alla difesa, onde quelli ch’erano a piè del -palagio sentendo allentata la difesa spezzarono le porte, e presono -il palagio con quelli che dentro v’erano; poi si dirizzarono all’una -delle mastre torri, e quella per simile modo ebbono e abbatterono, e -nel cadere che fece uccise alcuni Genovesi che la tagliarono, l’altra -torre ebbono a patti; e ciò fatto, prestamente rifeciono il ponte in su -l’Arno, ch’era tagliato, e addirizzaronsi al palagio della mercatanzia -e al borgo, e quelli per lungo spazio combatterono, ma per i cavalieri -e masnadieri che quivi erano rifuggiti niente vi poterono acquistare, -tutto che gran danno colle balestra facessono. Tornati al porto -baldanzosi per la vittoria arsonvi una cocca che v’era carica di sale, -e più altri legni che vi trovarono; e per dispetto de’ Pisani, e per -rispetto della nuova vittoria de’ Fiorentini, velsono le grosse catene -che serravano il porto, e quelle, carichi d’esse due carri, mandarono -a Firenze, strascinandole per tutto per derisione, delle quali furono -fatte più parti, e in tra l’altre quattro pezzi ne furono appesi sopra -le colonne del profferito dinanzi alla porta di san Giovanni. E fu per -chi il fè avuto rispetto alla perfidia de’ Pisani, i quali per i nobili -servigi ricevuti loro donarono quelle colonne abbacinate, e coperte di -scarlatto, e perchè l’uno esempio chiamasse l’altro. - - -CAP. XXXI. - -_Come messer Bernabò mandò a papa Urbano a proseguire la pace._ - -Come messer Bernabò sentì la coronazione di papa Urbano quinto creò -solenne e onorevole ambasciata, e mandogliele, i quali fatto la -debita reverenza, e rallegratisi in persona di loro signore di sua -coronazione, appresso gli esposono come messer Bernabò con reverenza -domandava di volere seguire l’accordo già cercato tra la santa Chiesa -e lui; il papa con grave aspetto avendo ricevuti gli ambasciadori, con -quello medesimo rispose, che quando il signore loro avesse renduto -a santa Chiesa le terre sue, le quali contra ogni giustizia tiene -occupate, e volesse delle sue perverse operazioni tornare a penitenza -e a obbedienza della Chiesa di Dio, come fedele cristiano che lo -riceverebbe. Allora gli ambasciadori ricorsono al re di Francia che del -detto mese di novembre era in Avignone, perchè si facesse trattatore -e mezzano, il quale dal papa ebbe simigliante risposta, e di corte si -partì mal contento; e per questo e per altre cagioni gli ambasciadori -di messer Bernabò lo seguirono, pregandolo ritornasse in corte, e -niente ne volle fare. Partito il re, indi a picciolo tempo il santo -padre fermò gravissimi processi contro a messer Bernabò d’eresia e -scisma, i quali si pubblicarono in Firenze domenica a dì 29 di gennaio -1362, ne’ quali erano molti articoli d’eresia, e intra gli altri, che -egli tenea d’essere Iddio in terra, massimamente nel distretto suo, -e assegnolli termine a irsi ad escusare per tutto il mese di febbraio -1362. - - -CAP. XXXII. - -_Domande fatte per lo re di Francia al papa._ - -Quattro cose dopo la visitazione e rallegramento di sua coronazione -domandò il re di Francia al santo padre; in prima, quattro cardinali -de’ primi facesse: appresso sei anni le rendite di santa Chiesa in -suo reame domandando di poterle in tre anni ricoglierle per aiuto a -pagare il re d’Inghilterra, di quello che per i patti della pace fare -li dovea: la terza domanda fu, che gli piacesse per mezzanità sua -seguire il trattato della pace con messer Bernabò, promettendoli di -fare stare contento messer Bernabò a quattrocento migliaia di fiorini, -i quali dovesse pagare la Chiesa al re in otto anni, cinquantamila per -anno, mostrando che ciò gli era in grande acconcio alle faccende che a -fare avea con il re d’Inghilterra, affermando che messer Bernabò glie -ne facea sovvenenza quel tempo che a lui piacesse: la quarta domanda -fu, che piacesse a sua santità dare opera che la reina Giovanna fosse -sposa del figliuolo. A questa ultima il papa prima rispose, che quanto -per sè esso n’era molto contento, e gli piacea, quando il figliuolo -dimorasse nel Regno, e prestasse il saramento e il debito censo a -santa Chiesa, e dove fosse in piacere della reina cui ne conforterebbe. -All’altre domande disse al re che n’arebbe suo consiglio, e che perciò -non bisognava ch’egli stesse, che a tempo li risponderebbe; e per non -avere materia di fare in dispiacenza del re, che avea chiesti quattro -cardinali, per le digiune nullo ne volle fare. Il re passò il Rodano -visitando le terre della Provenza, mal contento alle risposte del papa. - - -CAP. XXXIII. - -_Di grande acquazzone che in Italia fè danno._ - -All’entrata di novembre per tutta Italia furono grandissime e continove -piove; in Lombardia ruppono gli argini del Po in più luoghi, e tutto il -paese allagarono con danno grandissimo de’ paesani; in Firenze ruppono -la pescaia della Porta alla giustizia, e il muro fatto per lo comune -per riparo della Piagentina, e stesonsi l’acque in essa profondandosi -forte, e vennono insin presso alle mura sopra la Porta alla giustizia, -a quelle tosto arebbono con la porta e colla torre del canto gittate in -terra, se non fosse stato il presto argomento di buoni maestri, i quali -con pali a castello e con altri ripari sollecitamente e di dì e di -notte puosono riparo. - - -CAP. XXXIV. - -_Come il re di Cipro andò ad Avignone con tre galee._ - -Il dì tre di dicembre 1362, lo re di Cipro con tre galee apportato -andò ad Avignone al santo padre, per ordinare e dar modo con lui al -passaggio oltremare non ancora maturo; il perchè i saracini sentendo -suo cercamento, in Egitto, e in Damasco e in Soria presono molti -cristiani, e forte gli afflissono: e per tanto questi accennamenti sono -ai cristiani che di là praticano forte dannosi. - - -CAP. XXXV. - -_Come morì Giovacchino degli Ubaldini e lasciò reda il comune di -Firenze._ - -Del mese di dicembre di detto anno, per uno fedele di Giovacchino di -Maghinardo degli Ubaldini rivelato gli fu, che Ottaviano suo fratello -l’avea richiesto, e tenea trattato di torli Castelpagano; Giovacchino -volle che il fedele seguisse il trattato, e procedendo a tanto venne -al fatto, che Giovacchino essendosi dentro fornito in modo che non -potea essere forzato, ordinò che il fedele al giorno dato mise i fedeli -e’ fanti di Ottaviano; Giovacchino fece serrare le porte, e mettere -al taglio delle spade quelli che dentro v’erano racchiusi. Occorse -ch’uno fedele di Ottaviano veggendosi in luogo da non potere campare, -disperando, come un verro accanato si dirizzò a Giovacchino, e lo -fedì nella gamba, della quale fedita di spasimo indi a pochi giorni -morì. Conoscendo Giovacchino il poco amore del fratello verso lui, e -ch’era cagione di sua morte, fè testamento, e lasciò erede il comune di -Firenze; il quale poi del mese di febbraio per suo sindaco, come giusto -e legittimo erede prese la tenuta di Castelpagano, e d’altre terre e -beni che s’apparteneano al detto Giovacchino. - - -CAP. XXXVI. - -_Come il conte di Focì sconfisse e prese quello d’Armignacca._ - -Erano gare e questioni spiacevoli e gravi intra il conte di Focì e il -conte d’Armignacca, il perchè in fine ciascuno fece suo sforzo sì di -sua gente e sì d’amistà, e a dì 5 di dicembre ingaggiati di battaglia -si trovarono in sul campo all’Isola presso di Tolosa, e commisono -insieme aspra battaglia, la quale per la pertinacia della buona gente -che temeva vergogna sì dall’una parte come dall’altra durò per lungo -spazio di tempo, dove si trovò morti in sul campo tra dall’una e -dall’altra parte oltre a tremila uomini da cavallo, che ve n’ebbe mille -cavalieri e gentili uomini di rinomea, e a quello di Focì rimase il -campo, e quello d’Armignacca fedito rimase prigione, e con lui il conte -di Giagne, e il conte di Montelesori, e ’l signore di Libret con due -suoi fratelli, e il conte di Cominga, e più altri signori e gentili -uomini di nomea. - - -CAP. XXXVII. - -_Come i Pisani vollono torre il campanile d’Altopascio._ - -I Pisani, come uso di guerra richiede, solleciti ad offendere loro -avversari, tutto che ’l verno soglia prestare triegua alle guerre -campali, a dì 8 di gennaio di detto anno con seicento cavalli e -duemila buoni pedoni si strinsono al campanile d’Altopascio, che -l’altro per loro era stato arso, come di sopra narrammo, e quello -assediarono, ma assediati dalla durezza del verno finiti i cinque -giorni lasciarono l’impresa, il perchè i Fiorentini a’ 17 dì del -mese, il dì di santo Antonio, veggendo che i Pisani s’erano partiti -dall’assedio, considerando che la fortezza era stecco nell’occhio al -Pisano, vi mandarono il conte Francesco da Palagio con venticinque -uomini a cavallo e dugento fanti, e con molti maestri per riporre -il castello sotto la sicurtà del campanile: i Pisani, che vicini -erano al luogo, sentendo il fatto, con seicento cavalieri e duemila -masnadieri assalirono i nostri, i quali trovarono sospesi e attenti al -lavorio, i quali per lungo spazio di tempo francamente si difesono come -prod’uomini, ma il proverbio è pur vero che i più vincono, i Pisani -per le rotture del muro si misono dentro, onde i nostri non potendo -sofferire pensarono a ritrarsi a salvamento, de’ quali cento e più si -fuggirono nel campanile, gli altri alle terre del comune di Firenze -vicine ad Altopascio; e in tanta zuffa non vi furono morti che sei, -uno dalla parte fiorentina e cinque dalla parte de’ Pisani, magagnati -e fediti d’ogni parte ne furono assai. La nostra gente da cavallo che -già sentito avea il romore traeva al soccorso, e traendo caddono ne’ -guati che per i Pisani erano messi, e rimasonne otto presi, i quali -agli altri scopersono i guati. I Pisani ciò fatto a dì 27 del mese si -partirono e arsono quello che rimaso era da ardere fuori del campanile, -e partiti di là si puosono a oste a Castelvecchio, e i Fiorentini -armati, e ciascuno in distanza di piccolo tempo se ne partì senza fare -frutto niuno. - - -CAP. XXXVIII. - -_Come in Firenze s’ordinò tavola per lo comune per servire i soldati._ - -Gl’ingordi e disonesti usurieri, che sotto colore di prestanza -sovvenieno i soldati di loro comune, portavansene i loro soldi, l’arme -e’ cavalli, il perchè il comune ai suoi bisogni non li potea avere -cavalcati; mosse il comune a fare banco, il quale con danari del -comune potesse sovvenire a’ soldati, e del mese di febbraio 1362 fu -ordinato co’ suoi ufiziali, i quali, nel detto anno in calen di marzo -cominciarono l’ufizio, ed ebbono al cominciamento del banco dal comune -quindicimila fiorini. - - -CAP. XXXIX. - -_Come i Pisani vollono torre santa Maria a Monte._ - -A dì 26 del mese di gennaio, il capitano de’ Pisani Rinieri del Bussa -da Baschi con ottocento cavalieri e tremila pedoni cavalcò a santa -Maria a Monte, e considerando che per due ponti ch’erano sulla Gusciana -i Fiorentini poteano soccorrere il castello, quelli prestamente -tagliarono, e nel pieno della notte assalirono il castello da due -parti, e con aspra battaglia e gran romore per molto spazio di tempo -il combatterono, e per i soldati del comune e per i terrazzani furono -villanamente ributtati, avendo già poste le scale alle mura del borgo, -e assai ne furono morti e magagnati colle pietre e co’ balestri; e -sopravvegnendo il giorno, veggendosi perduta la speranza della terra, -cominciarono ad ardere e fare preda per lo paese: avendo di ciò boce -messer Ridolfo da Camerino allora capitano de’ Fiorentini trasse al -soccorso; i Pisani non lo attesono. - - -CAP. XL. - -_Come i Pisani vollono torre Pescia per trattato._ - -La sagacità de’ Pisani non trovava posa, ma con solleciti modi e -occulti trattati per torre delle terre de’ Fiorentini, e avendo del -mese di febbraio 1362 per danari corrotte certe guardie diputate a -certa parte delle mura di Pescia, nella mezza notte con scale assai, -e con cinquecento uomini di cavallo e con duemila fanti eletti, con -molto ordine s’accostarono alle mura della terra che guardavano i -traditori tacitamente, che quelli d’entro niente ne sentirono. I -traditori come li sentirono, che stavano a orecchi levati, uccisono le -guardie ch’erano con loro alle poste ignoranti del tradimento; onde i -Pisani avendo poste le scale sicuramente salivano, e già assai n’erano -in sulle mura. Occorse per fortuna, che quegli che andava rassegnando -le guardie in quello stante vi sopraggiunse, e scoperta la baratta in -istante levò il romore, e svegliata la terra, quelli ch’aveano prese -le mura impauriti se ne fuggirono, e le guardie del trattato con loro -insieme, e la gente de’ Pisani si ridusse a salvamento alle terre loro. - - -CAP. XLI. - -_Come papa Urbano pubblicò in Avignone i processi fatti contro a messer -Bernabò._ - -All’entrata del mese di marzo 1362, papa Urbano quinto in Avignone -pubblicò il processo che fatto avea contro a messer Bernabò, e avanti -che pronunziasse, gli ambasciadori di messer Bernabò e i suoi avvocati -comparirono e dierono boce che v’era messer Bernabò, onde il papa -prolungò il termine per infino a di 4 di marzo, e di nuovo lo fece -citare, facendo cercare per suoi mazzieri tutta la corte, e il venerdì -4 di marzo mandò due cardinali in persona a fare cercare il palagio e -l’udienza, e tutto per lo detto messer Bernabò; in fine fatto armare -tutta sua famiglia e i Lombardi cortigiani a guardia della corte, -fece consistoro e sermone sopra i fatti di messer Bernabò con alto e -nobile parlare, dolendosi delle sue eresie e delle sue infedeltà, e -appresso fè pubblicare il processo suo, nel quale il condannò come -eretico e infedele in molti articoli, e lo pronunziò scismatico e -maladetto di santa Chiesa, privandolo di tutti onori, dignitadi, -titoli, e privilegi, e giurisdizioni, e assolvendo dal giuramento tutti -i sudditi suoi, annullando tutti i privilegi imperiali che avesse -per successione, e che gli fossono conceduti in persona, e ogni e -qualunque avesse per altro modo, e privollo del matrimonio liberando la -moglie come cristiana dal marito eretico e infedele: e nella sentenza -involse chiunque li desse consiglio, aiuto e favore, e i sudditi se -l’ubbidissono, e chi lo servisse in arme per soldo o in niuno altro -modo, o contro alla Chiesa di Dio s’operasse; e concedette indulgenza -di colpa e di pena a quelli che fossono confessi e pentuti a chi contra -lui prendesse la croce quando fosse predicata, e in essa sentenza -orribile involse i descendenti, come nati di sangue eretico e infedele. -Pronunziata la sentenza il santo padre si levò ritto, e misesi in -ginocchione colle mani giunte e levate al cielo, e come vicario di -Gesù Cristo invocò l’aiuto suo, e di M. S. Piero e di M. S. Paolo, e di -tutta la celestiale corte, pregando che come avea il tiranno infedele -e crudele legato in terra con sua sentenza come vicario di Cristo e -successore di san Pietro, così essi lo legassono in cielo. Lo re di -Francia, ch’era in corte a procurare per lo tiranno, e ’l procurò in -sua utilità si tornava, forte se ne scandalizzò, e molti cardinali -i quali erano suoi protettori in corte e provvisionati nel segreto -assai malcontenti ne furono, avendo più caro loro occulta prefenda che -l’onore di santa Chiesa. - - -CAP. XLII. - -_Come morì messer Simone Boccanera primo doge di Genova._ - -A dì 13 di marzo di detto anno, essendo gravemente malato messer Simone -Boccanera doge di Genova, e correndo la boce ch’egli stava male, il -popolo prese l’arme, e chiamò venti popolani, i quali domandarono in -guardia il palagio del doge, e a dì 14 del mese v’entrarono e trassonne -circa a trecento tra parenti, e famigli e amici del doge, e nel palagio -lasciarono lui, e la moglie e’ figliuoli, e questi venti che teneano il -palagio elessono altri sessanta popolani al consiglio loro, e con loro -consiglio e favore crearono nuovo doge, lo quale fu messer Gabbriello -Adorno mercatante di buona condizione e fama, il quale vollono, che -campasse o morisse messer Simone Boccanera, fosse doge; e ciò fatto -riposò il popolo, e puose giù l’arme, e i gentili uomini e gran case -di tutto niente si travagliarono. Durando nella infermità il Boccanera, -furono creati sei sindachi ch’avessono a ricercare le ragioni de’ suoi -ufici, e infine tra per l’oppressione de’ sindachi, e chi disse, e -forse non mentì, aiutato, assai miseramente passò di questa vita, e il -corpo suo con due bastagi e un famiglio fu portato alla chiesa. E tale -fu il fine del valente e famoso uomo della primizia de’ dogi di Genova. - - -CAP. XLIII. - -_Come fu morto il conte di Lando._ - -Avendo del mese di marzo la Compagnia bianca tolto un castello a -messer Galeazzo, ed egli vi mandò in soccorso il conte di Lando con -quattrocento barbute; per scontrazzo s’abboccò con gl’Inghilesi e fu -sconfitto, e morto d’una lancia di posto nel petto. E tale fine trovò -colui che capo di compagnia famoso, più volte avea liberamente corsa -gran parte dell’Italia con fare ogni uomo ricomperare. - - -CAP. XLIV. - -_Come Bernabò Visconti fu dalla gente della lega sconfitto alla bastita -a Modena, e come la perdè._ - -A dì 16 d’aprile 1363, Bernabò eretico per sentenza del santo padre, -con duemilacinquecento cavalieri di sua gente eletta venne per -fornire la bastita che tenea sul Modanese, la quale era assediata -e forte stretta dalla gente della lega de’ Lombardi, e giugnendo la -mattina, preso in prima agio, rinfrescamento e ordine, colle schiere -fatte, anzi si strignesse alla bastita, ne fece subitamente rizzare -un’altra non molto di lungi dalla Negra; la bastita era dificata in -forma che non s’avea se non a conficcare: la gente de’ collegati bene -capitanata e in punto, con due forti campi intorno alla bastita con -due lati e profondi fossi, l’uno lungo il campo, e l’altro di fuori -alla tratta del balestro, sicchè bene si potea la gente della lega -tra’ due fossi schierare. Il tiranno colla forza di sue schiere passò -il primo fosso, onde convenne a quelli ch’erano tra le barre per -paura rifuggire ne’ due campi, e lasciarono fornire la bastita, dove -mise il tiranno trentasei carra di fornimento; e ciò fatto Bernabò -se n’andò a Crevalcuore per sollecitare il resto del fornimento, -e a’ suoi impose che attendessono la notte prima si partissono, ma -Anichino di Bongardo partito Bernabò disse, che poichè fatto avea il -servigio per che era venuto quivi non intendea albergare, e si mosse -con ottocento barbute. I capitani della lega imbaldanziti, veggendo i -modi che teneano i nemici in sconcio e male ordinati, essendo in punto -colle schiere fatte e bene capitanati, le brigate coraggiosamente -percossono a loro. La battaglia per la eletta gente di Bernabò fu -aspra, la quale durò infino all’ora di vespero, e allora, come fu il -piacere di Dio, la gente de’ collegati vinse; assai furono i morti, e -non de’ minori. Presivi furono messer Ambrogiuolo figliuolo naturale di -Bernabò, messer Lodovico dall’Occa da Pisa, messer Guglielmo de’ Pigli -da Modena, messer Sinibaldo degli Ordelaffi da Forlì, messer Guglielmo -Cavalcabò, messer Giovanni Penzoni da Cremona, messer Guido Savina, -messer Ghiberto da Correggio, Antonio da Santovito figliuolo di messer -Ghiberto da Fogliano, Beltramo de’ Rossi da Parma, Guglielmo Aldighieri -da Parma, messer Andrea de’ Peppoli, messer Niccolò Pallavicini, -messer Giovanni dalla Mirandola, messer Giovanni Bolzoni di Milano -ricco di quattrocentomila fiorini, Antonio d’Ungheria, Luchino de -Asalis da Milano, Piero da Correggio, Guido da Foiano, Mocolo dalli -Pelagri, Alessandro da Verona, Giovanni Scipioni, Paolo Zuppa da Parma, -Maffiuolo da Labro di Milano, Damulo Dusmago di Milano, Baroncio del -maestro Manno, e altri nomati infino nel numero di trentotto: a bottino -mille cavalli e molti prigioni. Quinci seguì, che quelli della bastita -non essendo forniti, Bernabò non avendo possanza di soccorrerli, -s’arrenderono salve le persone. - - -CAP. XLV. - -_Come i Pisani vollono torre Barga._ - -Partito all’entrante di marzo 1362 messer Ridolfo da Camerino, venne -in Firenze per capitano di guerra in suo luogo messer Piero da Farnese -senza pompa, se non quanto a uso militare si richiede, e veduto e -ricevuto fu con buono volto. I Pisani con sollecitudine seguendo -giusta loro possa ogni atto di guerra, sentendo che messer Ridolfo -avea fornito per tutto il mese di febbraio suo capitanato, e tutto che -avesse francamente e come valente uomo lealmente esercitato suo uficio, -con poco onore s’era partito, e mal contento, e con fama di poco leale -cavaliere, e che messer Piero da Farnese uomo coraggioso e per lunga -esperienza grande maestro di guerra era giunto in Firenze, immaginando -che innanzi che messer Piero fosse informato della intenzione del -comune, e innanzi che fosse in atto da poterli offendere che poteano -usare il tempo della guerra a loro vantaggio. E pertanto domenica -d’ulivo, dì 27 di marzo 1363, fatto tutto il loro sforzo con mille -cavalieri e quattromila pedoni nel pieno della notte con molto ordine, -con scale e altri ingegni s’accostarono a Barga senza niuno sentore de’ -terrazzani, tanto fu netto e presto l’assalto, e presono gran parte -delle mura, e lo spedale che è accostato ad esse, e già aveano rotte -parte delle mura allato allo spedale per mettere dentro i cavalieri. I -terrazzani svegliati al rompere del muro, non inviliti per l’improvviso -assalto, presono l’arme, e per lo naturale odio tra loro e’ Pisani, per -non venire alle loro mani, e gli uomini e le femmine raddoppiarono le -forze, e francamente cominciarono la battaglia; ma tanti erano i nemici -ch’erano montati sullo spedale e in sulle mura vicine allo spedale, -che cacciare non li ne poteano, ma come uomini per lunga esperienza di -guerra dotti, con presto e buono avviso affocarono di sotto lo spedale, -onde fu necessità a’ nemici, tra per lo gran fumo, e per la vampa della -paglia de’ letti dello spedale la quale subito aspettavano, abbandonare -il muro, per il quale aveano la salita dello spedale, e lo spedale -ancora. Di loro alquanti ne rimasono morti, molti ne furono fediti. I -Pisani levati dal pensiero d’avere la terra per quella via si misono a -porvi l’assedio, e puosonvi tre battifolli forti e bene apparecchiati -a offesa e a difesa, pensando d’averla per lunghezza d’assedio, perchè -molto era lontana dal soccorso de’ Fiorentini, il quale convenia che -passasse per lo distretto loro. Sentissi che con tanta sollecitudine -presa aveano questa per cambiarla con Peccioli, la quale teneano i -Fiorentini in sulle ciglia di Pisa. - - -CAP. XLVI. - -_Come messer Piero da Farnese credette torre Lucca a’ Pisani._ - -Poichè messer Piero da Farnese capitano de’ Fiorentini ebbe -l’informazione dell’intenzione del comune, e dello stato della guerra, -si partì di Firenze, e andò in Valdinievole dov’era il forte della -gente dell’arme de’ Fiorentini, e da essa ricevuto fu a grande onore -per le sue virtù conforme a gente d’arme, e di presente si dispose -all’asercizio dell’arme: e avendo rispetto alla natura de’ Pisani -sottratta e vaghi di trattati, per contrappesare a’ loro ingegni, -e tenerli in paura, cercò trattato in Lucca, e quello menando -sollecitamente, e con sollecitudine avendo la ferma la notte de’ -12 d’aprile, con duemila barbute e con cinquemila fanti si mosse da -Fucecchio, e cavalcò sotto il Ceruglio dal Colle delle donne, e all’ora -data giunse alle porte di Lucca. I Pisani, o che avessono presentito -il fatto, o che per la buona guardia sentissono il romore della gente -e de’ cavalli, erano pronti alla difesa, e aveano corsa la terra, e -presi quarantadue cittadini e certi forestieri. Messer Piero sentendo -scoperto il trattato, e la terra ben guarnita alla difesa, senza fare -arsione o preda in sul Lucchese, che liberamente far lo potea, il -giorno medesimo per la diritta via si tornò a Pescia. I Pisani assai -de’ presi decapitarono, e assai degli altri mandarono a’ confini, -stando con più sollecitudine alla guardia di quella, e dell’altre loro -terre, e non di manco aveano l’assedio a Barga, alla terra di Gello, e -a Castelvecchio, dove il capitano cavalcò, e fornillo per quattro mesi. - - -CAP. XLVII. - -_Come i Pisani presono per forza il castello di Gello sul Volterrano._ - -Rinieri d’Ugolinuccio, detto Rinieri del Bussa da Baschi capitano -de’ Pisani, uomo d’alto cuore e sollecito guerriere, a dì 12 del mese -d’aprile si mosse da Pisa con cinquecento cavalieri e duemila pedoni -eletti, intra i quali furono molti balestrieri di Gera, e si mosse -per la Maremma, e con molto ordine assalì il castello di Gello non -provveduto, e dibattuto assai per lo assedio. Il castello è di cento -famiglie assai forte, e per luogo ben situato a difesa, e quello per -lungo spazio di tempo combatterono, e quello per forza vinsono con -assai morti e magagnati, e di quelli d’entro e di quelli di fuori. -Vinta la terra si dirizzarono alla rocca, che era forte e ben guernita -alla difesa, e la combatterono per lungo spazio, tanto che quasi non -era fante nella rocca che dalle buone balestra non fosse fedito, i -quali disperati di soccorso, il quale colla sollecitudine di messer -Piero giugnea, s’arrenderono salve le persone. Rinieri fornito il -castello di gente atti a tenerlo se ne tornò a Pisa. - - -CAP. XLVIII. - -_Come i Pisani condussono la Compagnia bianca degl’Inghilesi._ - -Come narrato avemo nell’addietro, la Compagnia bianca degl’Inghilesi -sotto il capitanato di messer Alberto Tedesco, in numero di -tremilacinquecento uomini da cavallo e duemila a piè, erano al servigio -del marchese di Monferrato contro a messer Galeazzo Visconti, il quale -più tenere non li potea, e messer Galeazzo volentieri la si levava da -dosso, e i Pisani che si vedeano nel fondo, e venire al disotto della -guerra, loro ambasciadore aveano a messer Galeazzo, come a singolare -amico e protettore, e per aiuto e soccorso contro alla forza de’ -Fiorentini, e risposto avea che fare non potea servando sua fede contro -i Fiorentini, ma che se voleano conducere la compagnia degl’Inghilesi, -la quale di corto finia sua ferma, ed era per prendere viaggio, che -loro ne sarebbe buono, e li dicea il cuore di poterlo fare: a questo -gli ambasciadori ch’aveano il mandato larghissimo assentirono. I -Fiorentini essendo di ciò avvisati, lentamente cercarono per uno -Giovanni Buglietti Fiorentino, lungo tempo stato in Inghilterra, e -guida della detta compagnia in Italia, la condotta di detti Inghilesi, -e per l’amistà e usanza de’ Fiorentini che stavano e praticavano -nell’isola d’Inghilterra, gl’Inghilesi si vollono alloggiare co’ -Fiorentini per diecimila fiorini meno che non feciono co’ Pisani, e più -tempo tennono sospesa la condotta de’ Pisani, aspettando conducersi co’ -Fiorentini; nella quale sospensione, essendo messer Piero da Farnese in -Firenze, per i governatori de nostro comune li fu sopra questa materia -chiesto consiglio, il quale rispose: Io non credo che per altrettanta -di gente Cesare la vedesse migliore, nata e allevata in guerra, -argomentosa in maestria di guerra, e senza niuna paura; affermando -senza dubbio, che chi li avesse e li potesse sostenere non lungo tempo -senza fallo sarebbe il superiore della guerra. Ciò udito nel processo -della condotta, quanto l’animo de’ collegi e degli altri governatori -della città inclinassono a prenderli, il gonfaloniere della giustizia -s’oppose, con dire, e chi pagherà? e fu l’autorità sua tanta, e di chi -lo seguì dell’ordine suo, che sturbò la condotta. I Pisani savi e non -lenti di presente la condussono in forma di compagnia per quattro mesi, -a ragione di fiorini diecimila il mese di soldo. - - -CAP. XLIX. - -_Come Rinieri da Baschi ruppe gente che messer Piero da Farnese avea -mandati in Garfagnana._ - -Parendo a messer Piero da Farnese ragionevolmente non potere avere -battaglia di campo co’ Pisani, la quale sommamente desiderava per -mostrare sua virtù e provare sua ventura, avanti che la Compagnia -bianca condotta per i Pisani giugnesse, contra i quali non sperava -potere tenere campo, tenne trattato con certi di Garfagnana e fece loro -rubellare Castiglione e certe altre castella, e avendo di ciò il certo, -per fornirle di gente e di vittuaglia vi fece cavalcare Spinelloccio -de’ Tolomei da Siena per capitano, e Currado di messer Stefano da -Iesi, con certi altri conestabili, e con trecento uomini di cavallo, -e dugento masnadieri di soldo. I Pisani sentendo della ribellione -delle castella, e immaginando che per i Fiorentini si dovessono -soccorrere per lo loro capitano, prestamente e con tutta loro forza -misono uno aguato, dove vedeano che i nostri accampare si doveano. -Passò in Garfagnana Spinelloccio con la detta gente senza contasto, e -accamparonsi dove doveano, e come Rinieri s’era pensato per fornire le -dette castella; Rinieri come li vidde infaccendati e occupati intorno -all’accamparsi, e in atto di poterne avere il migliore, coll’aguato -grosso e ordinato uscì loro addosso, e dopo lunga e fiera battaglia gli -ruppe. La gente era buona, e veggendosi per lo soperchio de’ nemici in -rotta, si ridussono in su un poggio vicino dove era stata la zuffa, -e d’onde potea loro essere il passo sicuro per tornarsi a’ suoi: i -Pisani francamente seguendoli si sforzavano a tor loro il passo, e -fatto lo arebbono, ma i detti Spinelloccio e Currado seguitando l’orme -degli antichi e buoni Romani, come franchi, leali e buoni uomini di -subito si gittarono a piè, e si misono alla difesa del passo, e facendo -maraviglie di loro persone, e tanto lo tennono, che per lo stretto la -gente de’ Fiorentini si ricolse, in modo che pochi impediti ne furono. -Spinelloccio e Currado, poi che vidono la brigata a loro commessa in -luogo che non poteano ricevere offensione, s’arrenderono a prigioni. - - -CAP. L. - -_Come Rinieri da Baschi colla gente de’ Pisani fu sconfitto e preso da -messer Piero da Farnese._ - -Parendo a messer Piero da Farnese avere doppia vergogna, sì per le -castella perdute, sì per la gente sbaragliata in Garfagnana, in forte -pensiere, e come potesse sua onta vendicare, onde domenica mattina a -dì 7 di maggio 1363, essendo cavalcati in verso il Bagno a Vena con -ottocento tra Ungari e altra buona gente di cavallo, e con ottocento -fanti eletti, il capitano de’ Pisani sentendo la cavalcata, non meno -coraggioso e voglioso che messer Piero, i quali amendue si studiavano -di fare innanzi la venuta degl’Inghilesi, raunò della gente da cavallo -de’ Pisani circa a seicento, e pedoni assai, e continovamente da Pisa -li cresceva forza, per torre alla detta gente de’ Fiorentini il passo -a san Piero, e colle schiere fatte si pararono innanzi a messer Piero, -perchè non potesse tornare, e di dietro e da lato da Pisa traeva -gente senza numero alle spalle a messer Piero per combatterlo dinanzi -e di dietro. Vedendo messer Piero davanti da sè i nemici schierati -in sul campo, veggendo che quello che desiderato avea gli venia -fornito, di presente ordinò le schiere sue, e perchè il luogo dove -combattere doveano era pieno di solchi, impedì il ferire delle lance, -onde confortati i suoi a ben fare colle spade in mano fieramente si -percosse sopra i nemici, i quali non con meno cuore gli ricevettono. -La battaglia fu dura e aspra, e la prima schiera de’ Fiorentini fu -ributtata per difetto degli Ungari due volte, ma rannodati ruppono -la prima schiera de’ Pisani, ma i rotti si ridussono alle spalle -dell’altre loro schiere, e con la forza di molti pedoni tratti loro in -aiuto percossono francamente sopra i Fiorentini. Messer Piero sgridati -e confortati i suoi a ben fare con la sua schiera si mise sopra i -nemici, lasciando l’insegne nel mezzo, ed egli dinanzi con i più eletti -cavalieri. Indurando la battaglia, messer Piero fè a dugento cavalieri -fedire i nemici per costa, i quali non avendo resistenza, ne vennono -alle insegne de’ Pisani, e le presono e abbatterono; e ciò veggendo -messer Piero urtò forte sopra i nemici, e li strinse a fuggire. -Rinieri come ardito e pro’, fu preso colla spada in mano, e molti altri -valenti uomini. E per certo e messer Piero e Rinieri si portarono come -valenti capitani, e come arditi e pro’ cavalieri, perocchè per spazio -di due ore e mezzo si combatterono pertinacemente sotto l’incerto -della vittoria. Rotte le schiere de’ Pisani, gli Ungari con degli -altri contesono a prendere de’ prigioni, massimamente di quelli che a -piè v’erano venuti da Pisa. Molta gente da piè e da cavallo vi morì, -tanto odio lor menti occupava, e molti cavalli vi furono guasti per -i pedoni fiorentini che con le lance in mano fedirono di costa: il -capitano messer Piero co’ prigioni si tornò alla gente sua, e in quel -dì medesimo ne fu novelle in Firenze, di che si fè grande allegrezza e -festa. - - -CAP. LI. - -_Come messer Piero da Farnese entrò in Firenze, e il capitano de’ -Pisani colle insegne e’ prigioni rassegnarono a’ priori._ - -A dì 11 di maggio, messer Piero da Farnese col capitano, bandiere e -prigioni de’ nemici entrò in Firenze, dove ricevuto con grande letizia -e allegrezza di popolo, e consegnati furono per lui a’ priori col -capitano e bandiere de’ Pisani centocinquanta prigioni, essendoli -per lo comune offerto una ghirlanda d’alloro umilemente la ricusò, -e non la volle prendere, dicendo, che tale ghirlanda si convenia -con altro trionfo e maggiore vittoria, siccome per il senato di -Roma era diputato; furonli donati quattro destrieri nobili coverti -dell’arme sua. Con lui venne messer Simone da Camerino fatto cavaliere -nella battaglia, il quale fu lietamente veduto, e onorato di doni -cavallereschi; e di poi a dì quattordici di maggio colle solennità -usate furono al capitano date per messer Niccolaio degli Alberti -gonfaloniere di giustizia l’insegne, e per lo capitano accomandate -furono a’ Tedeschi a guardia, dando la reale a un messer Amerigone -soldato del nostro comune, il quale la ricevette in nome di messer -Giovanni di..... Tedesco, il quale era al campo. Non vi mancò augurio, -perocchè subitamente come messer Piero l’ebbe in mano surse una lieve -aura che le dirizzò verso Pisa, di che il capitano prese baldanza. - - -CAP. LII. - -_Come i Pisani tolsono a’ Fiorentini Altopascio._ - -Sabato a dì 20 di maggio, Guelfo di messer Dante degli Scali, il quale -era castellano d’Altopascio, diede il detto castello a’ Pisani per -fiorini tremila d’oro che ne ricevette, il perchè domenica mattina il -dì di Pasqua rugiada i priori mossono l’esecutore colla famiglia sua -per andare a guastare le case sue; il popolo il quale era raunato in -sulla piazza de’ priori seguì l’esecutore, ed entrò nelle case degli -Scali e rubolle, e appresso vi mise il fuoco e arsonle, non potendo a -ciò riparare quelli che mosso l’aveano: dopo nona detto dì mandarono il -cavaliere dell’eseguitore a guastare i beni di contado. - - -CAP. LIII. - -_Come i Pisani elessono per loro capitano Ghisello degli Ubaldini._ - -I Pisani elessono loro capitano di guerra Ghisello degli Ubaldini in -lungo di Rinieri d’Ugolinuccio da Baschi, il quale era preso nelle -carcere del comune di Firenze. Il detto Ghisello era coraggioso e di -grande animo, dotto di guerra, e corale nemico del comune di Firenze, -il quale di presente fu in Pisa, e prese la bacchetta del capitanato; e -ciò fu del detto mese di maggio. - - -CAP. LIV. - -_Come messer Piero cavalcò sino sulle porte di Pisa battendovi moneta -d’oro e d’argento._ - -A dì 17 del mese di maggio, messer Piero da Farnese capitano de’ -Fiorentini con duemilacinquecento cavalieri, e molti balestrieri e -altra fanteria si partì dal castello d’Empoli, e dirizzossi verso -Pisa, e il detto dì s’alloggiò sopra la Cecina intra Marti e Castel -del Bosco, il seguente passarono il fosso, a malgrado di trecento -uomini da cavallo che erano nel detto Castello del Bosco, e per la sera -s’accamparono a Ponte di Sacco, e valicarono di loro in Valdicalci e a -Caprone, facendo gran danni d’arsioni di ville e manieri. Proseguendo -il capitano sue giornate verso Pisa arse il resto del borgo di Cascina, -e tutto insin presso a Rignone e Borgo delle Campane ardendo tutto, -e quivi fermato mandò a’ Pisani il guanto della battaglia, di poi -lo giorno di Pasqua novella il capitano colle schiere fatte si mosse -verso le porte di Pisa. Messer Amerigone Tedesco con sessanta barbute -si mise innanzi a tutti gli altri, e cavalcò verso le porte di Pisa, -e trovò cento barbute de’ nemici con assai gente da piè, e loro fedì -addosso arditamente e li ruppe, in soccorso de’ quali uscirono di Pisa -dugento uomini da cavallo, i quali volsono indietro messer Amerigone, -al cui soccorso si mise messer Otto Tedesco con cento barbute e -rivolse messer Amerigone, e fatta aspra zuffa i Pisani furono rotti; -allora uscì di Pisa il potestà con seicento barbute e molto popolo, -e ruppono i nostri, e presono i detti due conestabili con alquanta -loro brigata. Messer Piero ciò veggendo come di soperchio ardito, -con trecento barbute di gente eletta, lasciandosi al soccorso la sua -gente grossa presso colle bandiere, con tanto animo si mise sopra i -Pisani che li ruppe e fè volgere, i quali per la gran calca non potendo -entrare per la porta molti se ne misono per l’Arno, de’ quali assai -n’annegarono. Molti presi ne furono, e tanti e tali che i soldati più -tosto vollono i prigioni, che paga doppia e mese compiuto, e assai ve -ne furono morti di quelli del baldanzoso e scondito popolo. Ciò fatto -il capitano a Rignone e allo Spedaluzzo fè battere moneta dell’oro, -e d’argento, e di quattrini: in quella d’argento sotto i piè di san -Giovanni sta una volpe a rovescio. E in quell’ora per i Pisani alla -richiesta della battaglia fatta per messer Piero risposto fu, che alla -battaglia verrebbono a tempo e a luogo; onde fatti per lo capitano -due cavalieri, messer Guglielmo di Bolsi, e messer Giovanni di...... -sonate le trombe si fè dipartenza; e mentre che la gente che rimasa -era alla retroguardia, mandati dinanzi a sè gl’impedimenti da Rignone -e dal Borgo delle Campane si partia, gente da piè e da cavallo de’ -Pisani vi sopraggiunse, e perchè quivi erano cavalieri novellamente -fatti non vollono fuggire. Nello strettissimo luogo della via, il quale -quivi la natura del luogo leva in alto, quindi l’Arno colle sue ripe -fortifica, furono i nemici da’ nostri aspettati, e subito con gran -grida s’abboccarono insieme con fiera e ontosa battaglia. I nostri -nel principio dubitarono, e crollaronsi: messer Guglielmo cavaliere -novello con la lancia uno levò da cavallo, onde premendo lui co’ nostri -sopra i nemici, quelli che in qua e in là scorreano ripresi furono, e -da capo facendo resistenza lungo tempo si combatterono con dubbiosa -vittoria. Alla fine la virtù de’ nostri crebbe, e soprastette, de’ -quali l’Arno molti ne prese, e inghiottì molti pedoni nello stretto -da piè, di cavalli guasti e magagnati: molti ne furono presi, molti -morti, nè prima fu fine alla fuga, che giunsono sulla porta di Pisa. -Quivi fu il grande scalpitamento, ed ivi li scorridori mescolati con i -nemici quasi si metteano nella porta, intra i quali era un trombettino -del nostro comune, il quale sonando, fu di saetta che venne dalle -mura ferito, e cadde da cavallo, allora i nostri per studio d’avere -il giglio del trombettino, perchè il segno non venisse alle mani de’ -Pisani, agrissimamente si combatterono, ove oltre a venti dei nemici -furono morti e molti fediti, e la tromba col segno del trombettino -fu ricoverato: de’ nostri ne furono morti..... e otto presi, intra i -quali furono i detti due cavalieri novelli. Alla fine divisa la zuffa i -nostri a salvamento si ritornarono al campo, il quale era fermo a san -Sevino dalla parte sinistra sopra la riva dell’Arno, che san Sevino -era bene guardato; ed essendo molto del dì nelle dette cose consumato, -levate le schiere i nostri s’alloggiarono la sera nella villa di -Peccioli, e per la fatica del giorno stettono senza guardia, solo che -delle spie: il dì seguente il capitano rimandò della gente a cavallo e -a piè verso Pisa a fare quel danno poterono. - - -CAP. LV. - -_Sagacità usata per i Pisani per non perdere Montecalvoli._ - -I Pisani ch’aspettavano la Compagnia bianca degl’Inghilesi, temendo -di Montecalvoli, il quale pochi giorni si potea tenere, usarono questa -malizia, che di notte segretamente facevano uscire di Pisa loro gente -d’arme, e la mattina polverosi li faceano ritornare, e li riceveano -a gran festa, sotto nome di gente della Compagnia bianca, stimando ne -seguisse quello ne seguì: e loro venne fatto, che i priori di Firenze -avendo la falsa novella per vera, subito con poco onore e del comune e -del capitano li feciono partire dall’assedio di Montecalvoli, il perchè -i Pisani il poterono liberamente fornire e rinfrescare: e ciò fu del -mese di giugno. - - -CAP. LVI. - -_Come il re di Francia per paura della compagnia non osò per terra -tornare nel reame, ma tornò per acqua._ - -In questi giorni i pessimi uomini detti latronculi, noi in volgare -diciamo ladroncelli, nel reame di Francia tanto erano multiplicati -all’appoggio delle compagnie dell’arciprete di Pelagorga e del -Pitetto Meschino, che il re di Francia essendo ad Avignone non si -assicurò tornare per terra a Parigi, per loro danno si mise ad entrare -in Borgogna. Puossi assai aperto comprendere i vestigi del santo -Evangelio, ove dice: Saranno pestilenzie e fame per luoghi, e leverassi -gente contro a gente: e soggiugne: E gli uomini saranno amatori di sè -medesimi: e certo ogni radice di carità pare dispenta. - - -CAP. LVII. - -_Della mortalità dell’anguinaia._ - -Nel presente mese di giugno, per vere lettere de’ mercatanti fu in -Firenze come in Egitto, e in Soria, e nell’altre parti di Levante la -pestilenza dell’anguinaia; gravissimamente offendea e in Vinegia, e in -Padova, e nell’Istria, e in Ischiavonia, non ostante che i detti luoghi -altra volta toccasse. Anche gravemente ritoccò nelle terre di Toscana, -e quasi tutte comprese, e in Firenze, già stata generale tre mesi per -tutto giugno con fracasso d’ogni maniera di gente. - - -CAP. LVIII. - -_Come i Barghigiani colla forza de’ Fiorentini presono i battifolli._ - -Nel detto mese di giugno, essendo stata assediata Barga da’ Pisani -lungamente con tre battifolli, e Sommacolonna con due, e assai strette, -il capitano de’ Fiorentini essendo a oste a Montecalvoli trasse -dal campo cinquecento barbute con alquanti masnadieri, e diè boce -ch’andassono in Maremma per preda, e feceli conducere a Volterra, onde -i Pisani mandarono la loro gente in Maremma alla difesa, e costoro -furono condotti a Barga improvviso a’ Pisani; e sentendolisi presso -quelli di Barga, che n’aveano l’avviso, uscirono fuori a combattere -l’uno de’ battifolli. Avvenne che quelli degli altri due battifolli, -lasciando pochi di loro alla guardia de’ battifolli, trassono al -soccorso di quello ch’era combattuto. Aspra battaglia era tra loro -quando sopraggiunse la gente de’ Fiorentini; e trovò i due battifolli -sforniti, e presonlisi, e appresso percossono alle reni de’ nemici, -e con loro entrati nell’altro battifolle lo presono, e perseguitando -i nemici, pochi ne camparono, che non fossono morti o presi. Quello -che trovarono ne’ battifolli sì di vittuaglia come d’armadura misono -in Barga, e arsono le bastite, e il simile feciono di quelli di -Sommacolonna, e ciò fatto, la gente de’ Fiorentini si tornarono al -campo senza niuno impaccio. - - -CAP. LIX. - -_Come morì messer Piero da Farnese._ - -Essendo entratala furia della pestilenza dell’anguinaia nell’oste de’ -Fiorentini, molti n’uccise, molti ne indebolì, molti ne avvilì. Il -perchè essendo levato l’assedio da Montecalvoli, per comandamento de’ -signori di Firenze, il capitano era in Castello Fiorentino, e quivi lo -prese il male dell’anguinaia a dì 19 di giugno, e il detto dì n’andò a -san Miniato del Tedesco, e quivi in sulla mezza notte passò di questa -vita, e il corpo suo in una cassa alle spese del comune fu recato in -Firenze, e posato a Verzaia, aspettando Ranuccio suo fratello per cui -era mandato; poi a dì venticinque del mese il corpo suo fu recato in -Firenze alle spese del comune con mirabile pompe d’esequie, le quali -furono di questa maniera - - _Qui manca._ - -Poi seppellito fu nella chiesa di santa Reparata con intenzione di -farli ricca sepoltura di marmo. Valente uomo fu in arme, e saputo -e accorto con grande ardire, e leale cavaliere, e in fatti d’arme -avventuroso, e per certo ogni onore che fatto li fosse e per lo innanzi -gli si facesse lo merita. - - -CAP. LX. - -_Dell’ammirabile passaggio de’ grilli._ - -Il dì primo di luglio, un vento schiavo temperato per dieci ore -continove del dì nelle parti di Pesaro, Fano e Ancona condusse -incredibile moltitudine di grilli, quasi come in passaggio per l’aire, -tanto stretti che ’l sole non rendea la luce se non come per una nuvola -non troppo serrata, e trovossi per quelli che la notte sopraggiunse che -molti l’uno portava l’altro. Dove presono albergo, cavoli, lattughe, -bietole, lappoloni, e ogni erba da camangiare la mattina si trovarono -tutte colle costole e’ nerbolini tutti bianchi, che a vedere era -cosa nuova. Perchè per lo freddo della notte non si poteano levare, -i fanciulli ne portavano le cannuccie coperte dal capo a piè, tanto -stretto l’uno sotto l’altro che non vi si sarebbe messo la punta -dell’ago. I grilli erano di lunghezza d’un dito colle gambe lunghe e -rosse, e l’alie grandi, col dosso ombreggiava in verde chiaro. Molti o -la maggior parte annegarono in mare, che ’l fiotto gittò alla marina, -i quali ammassati gittarono orribile puzzo, e trovossi che i pesci non -presono cibo di loro, e gli uccelli e gli altri animali insino alle -galline se ne guardarono. - - - - -PROEMIO DELLA CRONICA di FILIPPO VILLANI - -_Nel quale racconta la morte di Matteo suo padre, e la cagione che lo -mosse a seguitare di scrivere._ - - -In questi giorni la pestilenza dell’anguinaia prese il componitore di -quest’opera Matteo, e trovandolo di sobria e temperata natura e vita -il dibattè cinque giorni, in fine il duodecimo dì del mese di luglio -divotamente rendè l’anima a Dio. Il quale in tanto possiamo dire -meritevolmente essere da laudare, in quanto esso con lo stile che a lui -fu possibile non sofferse, che perissono le cose occorse nel mondo per -lo tempo che scrive degne di memoria, quindi apparecchiando materia a’ -più delicati e alti ingegni di riducere sue ricordanze in più felice e -rilevato stile, qui a me Filippo suo figliuolo lasciando il pensiere di -seguitare su per infino alla pace fatta con i Pisani, per non lasciare -la materia intracisa, e così m’ingegnerò di fare la storia di tempo in -tempo, con l’altre cose occorse nell’altre parti del mondo le quali a -mia notizia perverranno. - - -CAP. LXI. - -_Come i Fiorentini feciono Ranuccio da Farnese loro capitano di guerra._ - -Seguendo quanto mi sarà possibile lo scrivere di Matteo Villani mio -padre, per principio di mia perseguitazione ne tocca a scrivere, che -per lo grande amore che ’l comune di Firenze ebbe a messer Piero da -Farnese, senza rispetto de’ grandi pericoli che vedeano sopraggiugnere, -senza lunghezza di tempo puosono Ranuccio suo fratello, non perchè -’l conoscessono sufficiente e atto a tanto peso, ma per donarli quel -titolo per grazia dell’anima di messer Piero. Uomo era pro’ della -persona, e ardito e leale, ma poco sperto in guidare gente d’arme, e -nelli pronti avvisi che la guerra richiede. - - -CAP. LXII. - -_Come gl’Inghilesi giunsono in Pisa._ - -Gl’Inghilesi ch’erano in Monferrato al soldo del marchese, col -procaccio di messer Galeazzo Visconti ebbono il passo per lo Genovese, -e col loro capitano messer Alberto Tedesco giunsono in Pisa il dì 18 -di luglio. Honne fatta menzione, perchè dal non averli condotti come -messer Piero da Farnese consigliava molto di danno e di vergogna si -ricevette per lo nostro comune, come per l’innanzi leggendo apparirà. - - -CAP. LXIII. - -_Come i Pisani cavalcarono i Fiorentini in sulle porte._ - -Nel detto anno a dì 25 di luglio, Ghisello degli Ubaldini capitano di -guerra de’ Pisani, con ottocento cavalieri di soldo, e con quattromila -pedoni tra di soldo e di volontà, e con molti gentili uomini e popolani -a cavallo che vogliosamente il seguirono, e messer Alberto Tedesco -capitano degl’Inghilesi, con duemila cinquecento uomini a cavallo e -duemila a piè si partirono di Pisa, e andarono a Lucca, e a dì 26 di -detto mese passarono per le montagne di Montaquilano, e scesono nel -piano di Pistoia nel dì di santo Iacopo; e a’ Pistoiesi non lasciarono -correre loro palio. Ben furono di tanto animo i Pistoiesi, che dissono, -in modo fu inteso dal capitano de’ Pisani, che mai il detto palio non -si correrebbe se non si corresse sulle porte di Pisa, e così addivenne, -come si troverà nella scrittura che per i tempi segue. Temettesi forte -non si strignessono alla terra, che senza dubbio a gran pericolo era, -sì per lo subito assalto, al quale niuna provvisione o riparo era -fatto, sì per la pestilenza dell’anguinaia, che assai cittadini tolti -avea, molti ne tenea in sul letto, e quelli ch’avea tocchi in vita -erano fieboli: la troppa voglia ch’ebbono d’impiccare gli asinini, e -fare le beffe muccerie, loro tolse il consiglio. Il seguente dì senza -prendere arresto se ne vennono a Campi e a Peretola, e quivi fermarono -il campo, poi colle schiere ordinate vennono insino al ponte a Rifredi; -e sentendo sonare le campane dal comune a stormo, gl’Inghilesi, -che secondo l’uso di loro paese pensarono che ’l popolo uscisse a -battaglia, temettono un poco, e rincularono, il perchè i Pisani feciono -correre il palio per traverso a Rifredi e tra le schiere. Più feciono -battere moneta, e al ponte a Rifredi impiccarono tre asini, e per -derisione loro puosono al collo il nome di tre cittadini, a ciascuno il -suo. Ecco in che i savi comuni di Firenze e di Pisa spendono i milioni -di fiorini, rinnovellando spesso queste villanie. Adunque impiccati -gli asini volsono le schiere, e tornaronsi a Campi e a Peretola. Ben -fece innanzi messer Alberto cavaliere Ghisello degli Ubaldini, messer -Giovanni de’ Guazzoni da Pescia con più altri, con grande gavazza di -gridare di stromenti, in parole altamente villaneggiando e dispettando -il comune di Firenze. Arsioni i Pisani che v’erano feciono assai, -ma non fuori di strada, lasciando le possessioni d’alcuno notabile -uomo popolare per far dire male di lui. Il seguente giorno, arso ciò -ch’aveano potuto fuori di Firenze e di Prato, passarono Arno, e arsono -il borgo alla Lastra, e per i monti di verso Valdipesa di notte si -partirono, e arrivarono nel piano d’Empoli, scorrendolo tutto con fare -quel male poterono, quindi per lo Valdarno con grande preda e copia di -prigioni senza essere loro a niente risposto si tornarono a Pisa. Da -indi a pochi giorni messer Ghisello passò di questa vita, e onorato fu -di sepoltura assai per i Pisani. - - -CAP. LXIV. - -_Come si fermò pace dalla Chiesa a messer Bernabò._ - -Del detto anno del mese d’aprile si fermò la pace tra papa Urbano -quinto (che tanto vogliosamente, e tanto aspramente e vituperosamente -avea fulminate le sentenze contro a messer Bernabò) e il detto -messer Bernabò, per la Chiesa di Roma assai vituperevole, e onesta: -vituperevole, perchè si ricomperò dal tiranno ancora scomunicato, e -perchè a petizione del tiranno divise la legazione, dando Bologna e -Romagna in sua legazione all’abate di Clugnì, e togliendo a colui che -con tanto onore di santa Chiesa l’avea acquistata: onesta, perchè egli -come padre spirituale dee amare la pace e riconciliazione, e aprire -le braccia a chi vuole tornare alla misericordia, verificando in buona -parte il detto del poeta che dice: O tu che sol per cancellare scrivi: -nè per essa pace si ruppe a’ collegati promessa, e in loro potestà -rimase l’accettare. Poi appresso messer Bernabò rendè a santa Chiesa -Castelfranco, Pimaccio e Crevalcuore che tenea in sul Bolognese, e -ciò fatto i collegati con santa Chiesa accettarono la pace. L’abate -passò per Milano, e più giorni vi stette, dove fu alla reale in tutto -onorato, quindi ne venne a Bologna, ove col caroccio con molto onore e -festa fu ricevuto. - - -CAP. LXV. - -_Dello stato della città di Firenze in que’ giorni._ - -E’ ne pare necessario dire in questo luogo, per quello che seguirà di -messer Pandolfo de’ Malatesti, il reggimento e governo della città di -Firenze in que’ tempi, il quale era venuto in parte e non piccola in -uomini novellamente venuti del contado e distretto di Firenze, poco -pratichi delle bisogne civili, e di gente venuta assai più da lunga, i -quali nella città s’erano alloggiati, e colle ricchezze fatte d’arti, -e di mercatanzie e usure in dilazione di tempo trovandosi grassi di -danari, ogni parentado faceano che a loro fosse di piacere, e con -doni, mangiari e preghiere occulte e palesi tanto si metteano innanzi, -ch’erano tirati agli ufici e messi allo squittino. Le grandi case -de’ popolari aveano i divieti; molti antichi e cari cittadini saggi -e intendenti erano schiusi dagli ufici, e quello che ne risultava -di peggio di loro governo era, che temendo di non essere ingannati e -consigliati per lo contradio da’ savi e pratichi cittadini che con loro -si trovavano agli ufici, essendo bene e utilmente consigliati, e con -amore e fede alla repubblica, sovente prendeano il contrario in danno -e vituperio del comune. Molti gioventù che non passava l’adolescenza, -si trovarono negli ufici per procuro de’ padri loro ch’erano nel -reggimento; e occorse, che facendosi lo squittino in que’ tempi si -trovò che de’ quattro i tre non passavano i venti anni, e per tali -furono portati allo squittino che giaceano nelle fascie. Le ammonizioni -sboglientavano, e gli odii pertanto e occulti e pregni teneano l’animo -de’ cittadini. Più, l’avarizia tanto tenea occupato l’animo di molti, -che con novi modi e ufici non necessari, e per altre coperte vie, -faceano al comune spendere i suoi danari. Le sette non quietavano, e -l’una all’altra per paura tenea l’occhio addosso: e così la repubblica -si trovava nelle mani del giovanile consiglio, negli occulti odii, -e ne’ desiderii delle private ricchezze. Se queste controversie e -confusioni non avessono allettato e sollevato l’animo del tiranno a -speranza di signoria assai sarebbe più da maravigliare, che tenendolo -in ciò occupato. Quelli che conduceano la guerra cassarono i soldati, -pensando a primo tempo riconducere a sofficienza, e cercavano d’avere -la Compagnia della stella, che di numero si ragionava passasse le -seimila barbute. Della Magna speravano trarre duemila barbute, delle -quali non n’ebbono che cinquecento, sotto il capitanato del conte -Arrigo di Monforte, e del conte Giovanni, e del conte Ridolfo suo -fratello, il quale era sfoggiato di grandezza, e menno, e però era -chiamato il conte Menno, e questi due si diceano stratti della casa -di Soavia. Non pensando trarre dalla Magna più gente, nè avere la -Compagnia della stella, e correndovi giorni, condussono messer Ugo -Tedesco valente uomo con mille uomini di cavallo, i quali, erano -giovani e prod’uomini, ma male armati e peggio a cavallo; fu a ciascuno -quando entrarono per lo comune donato una lancia nuova, perchè non -entrassono così brulli. Appresso condussono il conte Artimanno con -mille ragazzi, verificando il proverbio, a tempo di guerra ogni cavallo -ha soldo: vennono a mezzo il mese di febbraio in Firenze a rifarsi. - - -CAP. LXVI. - -_Come i Perugini, per tema che la compagnia degl’Inghilesi non -soccorressono i loro rubelli assediati in Montecontigiano, condussono -la Compagnia del cappelletto._ - -Nel detto anno del mese di novembre, i Perugini, i quali aveano -condotta la Compagnia del cappelletto per venti dì, temendo che -gl’Inghilesi non soccorressono i loro usciti i quali erano assediati -in Montecontigiano, rafforzarono l’assedio, e in pochi giorni appresso -ebbono il castello. Il modo fu nuovo, che i detti usciti con i fanti -masnadieri che aveano seco feciono vista d’essere fuggiti, e tutti si -nascosono per le case, di che quelli dell’oste maravigliandosi, non -veggendo alle poste le guardie, mandarono alquanti infino alle porti, -e guatando per gli spiragli non viddono per la terra persona, di che -tornati al campo e detto il fatto, il campo a romore si mosse colle -scale a ire a prendere la terra: li usciti ch’erano pro’ come leoni, -insieme co’ loro fanti masnadieri lasciarono salire i loro nemici -in sulle mura, e quando li vidono in sulle mura uscirono delle case -francamente, e con raffi a ciò ordinati tirarono delle mura a terra -assai conestabili e valenti uomini che v’erano montati, e montarono in -sulle mura essi, e per forza ne levarono coloro che su v’erano saliti -con aspra e fiera battaglia, di che i Perugini si tornarono al campo. -Infra quelli che rimasono presi fu un cavaliere tedesco, che lungo -tempo era stato al soldo de’ Perugini, e fatto gli era grande onore; -costui andando un dì a sollazzo per lo castello con certi caporali -masnadieri, e’ fu da loro dimandato, che aveano di loro diliberato -i Perugini; il sagace cavaliere rispose, di mai non partirsi finchè -arebbono il castello, e d’impiccarli tutti; ma che s’elli voleano -campare, che poteano, dando loro gli usciti a’ Perugini, di che i fanti -per paura a ciò s’accordarono; e il seguente dì cominciarono questioni -con gli usciti, domandandoli se di niuno luogo aspettavano soccorso, -i quali risposono di niuno, onde i masnadieri loro dissono che -piglierebbono partito per sè, ed ebbono tra loro oltraggiose parole; -veggendo ciò messer Alessandro de’ Vocioli con sette de’ migliori -ch’erano con lui deliberarono di ricorrere alla misericordia, e con li -capestri in gola uscirono del castello e andarono al campo gridando -misericordia, e’ furono ricevuti: i signori di Perugia per fuggire -le preghiere mandarono quattro camarlinghi a Montecontigiano, i quali -il detto messer Alessandro con altri sedici cittadini di Perugia suoi -compagni e di buone famiglie quivi feciono decapitare. - - -CAP. LXVII. - -_Come messer Pandolfo Malatesti venne con cento uomini di cavallo e con -cento fanti a servire il comune di Firenze per due mesi._ - -Conoscendosi per i Fiorentini che nell’impresa della guerra il comune -era senza capo e senza consiglio, e con gente d’arme di poco valore, -forte si cominciò a dubitare, e massimamente per coloro a cui potea -meritamente la perdita tornare nella testa; costoro co’ loro seguaci -furono a’ signori, pregandoli che provvedessono di capitano di guerra, -e loro puosono innanzi messer Pandolfo de’ Malatesti, il quale per -le sue savie e franche operazioni, contra il conte di Lando e sua -compagnia, come Matteo mio padre scrive di sopra, in Firenze avea -buona fama, e la grazia di tutti i cittadini, il quale di presente fu -eletto senza sospezione alcuna, e fatti gli ambasciadori ch’andassono a -portare l’elezione, e patteggiarsi con lui, e scritto gli fu in segreto -dagl’intimi suoi che venisse, che ciò che domandasse al comune arebbe, -ed esso ben sapeva la condizione della città, e l’infermità di essa -gli era negli occhi; onde ricevuti gli ambasciadori colla elezione li -lasciò a Pesero, ed egli n’andò dove era messer Malatesta, vecchio -e messer Malatesta giovane, e con loro più giorni stette in segreto -consiglio. Quali fossero i ragionamenti, l’opere di messer Pandolfo il -manifestarono. Tornato agli ambasciadori a Pesero, per meglio coprire -suo segreto mostrava per molte vie poca voglia di volere venire, e con -cautela disse non potea senza la licenza di messer di Spagna legato -di papa, ed esso medesimo per suo segreto messo infra pochi giorni -l’ottenne; e ciò fatto, venne alla pratica con gli ambasciadori di -quello volea, e le sue domande erano in gran parte sì spiacevoli e -disoneste, che gli ambasciadori del tutto si partirono da lui; ed -essendo per mettere i piè nella staffa, parendo a messer Pandolfo -avere mal fatto, li fè richiamare, e loro disse non intendea di venire -come capitano, ma come amico del comune volea venire a servirlo due -mesi, e così per gli ambasciadori fu accettato, e così venne ed entrò -in Firenze a dì 15 del mese d’agosto con cento uomini di cavallo e -cento fanti a piè, e con grande allegrezza fu da tutti universalmente -ricevuto, parendo a ciascuno essere in viaggio d’onorato fine alla -guerra. Il seguente dì furono creati otto cittadini, due per quartiere, -e per termine d’un anno e con balìa assai, in uficiali del comune -sopra la guerra, i quali di presente preso l’uficio incominciarono -ad intendersi con messer Pandolfo sopra i modi che intorno a’ fatti -della guerra s’avessono a tenere; nelle lunghezze delle parlanze messer -Pandolfo non mostrò cruccio di perdere tempo. - - -CAP. LXVIII. - -_Come i Pisani co’ loro Inghilesi presono Figghine._ - -Messer Manetto di messer Lomodaiesi capitano generale della gente -d’arme de’ Pisani, e messer Alberto Tedesco capitano degl’Inghilesi, -con tutte loro brigate continuando loro viaggio senza contradizione -per li stretti passi del Chianti valicarono nel Valdarno di sopra, -e nella loro prima giunta presono il borgo di Figghine a dì 16 di -settembre di detto anno, dove trovarono molta roba e prigioni assai -d’ogni maniera: è vero che la maggior parte degli uomini e donne da -bene si fuggirono nel castello, ch’era assai forte: e perchè quelli -del castello non prendessono consiglio, il seguente dì gl’Inghilesi -si strinsono ad esso, onde quelli d’entro spaventati si rendeano; e -mentre che i patti si compilavano, la cattività di quelli d’entro fu -tanta che si lasciarono torre la fortezza agl’Inghilesi; il perchè -ebbono assai prigioni da bene uomini e donne, i quali Dio sa come -furono ricevuti nelle mani degl’Inghilesi uomini crudeli e bestiali, -i quali con la miseria de’ nostri arricchirono. Preso il castello il -guastarono e afforzaronsi ne’ borghi, dove stettono per alquanto di -tempo. La presura di Figghine assai diè di pensiero e di maninconia -a’ governatori del nostro comune, tutto che i cittadini ch’aveano -i palagi e abituro d’intorno e appresso la città paressono contenti -che la guerra si facesse da lungo, ma poco loro valse, come appresso -diviseremo. - - -CAP. LXIX. - -_Come messer Pandolfo puose il campo all’Ancisa, e come il detto campo -fu preso dagl’Inghilesi con messer Rinuccio capitano, e appresso il -borgo all’Ancisa, e come messer Pandolfo fu fatto capitano di guerra._ - -Preso Figghine per i Pisani, col consiglio di messer Pandolfo tutta -la gente dell’arme de’ Fiorenti con molti pedoni che ’l comune avea -n’andò all’Ancisa, e di presente messer Pandolfo andò dietro loro, e -come giunse all’Ancisa ordinò di porre campo dirimpetto all’Ancisa, il -quale ad arte il prese di sfoggiata grandezza, prendendo dal poggio -infino all’Arno, contra il volere e consiglio di messer Rinuccio -capitano, e di messer Amerigone Tedesco e di tutti gli altri buoni -uomini d’arme che v’erano, eccetto il conte Artimanno, il quale si -scoperse traditore, i quali tutti diceano essere abbastanza e più -utile fare una bastita intorno alla torre Bandinelli, la quale diceano -potersi difendere insieme col borgo dell’Ancisa, e che tanta larghezza -di campo, traendo lui cinquecento cavalieri della migliore gente, nè -eziandio se vi fossono alla difesa, non era possibile da difendere -dalla forza de’ nemici, e che stolta cosa era commettersi a quella -fortuna. Messer Pandolfo fè orecchie di mercatante a lasciare dire chi -volle, e fè pure a suo senno, avendo dato a intendere prima a quelli -della guerra e al comune che la Compagnia del cappelletto la quale -era in Maremma condotta per i Fiorentini, e con cinquecento barbute -di quelli erano all’Ancisa cavalcherebbono i Pisani, i quali arebbono -necessità rivocare loro gente al soccorso, e sotto questo colore trasse -del campo messer Amerigone e altri caporali con cinquecento uomini di -cavallo della miglior gente fosse nel campo, lasciando al capitano il -forte ragazzaglia e vile gente, eccetto alquanti Italiani, e ciò fatto -se ne venne a Firenze. Gl’Inghilesi sentendolo partito, e che messer -Rinuccio era semplice, feciono ingaggiare di battaglia uno di loro -con uno di quelli d’entro, e molti saggi Inghilesi vennono nel campo -senza arme, dove si combatterono, e considerando il campo e chi v’era -alla difesa, il seguente dì 3 d’ottobre colle schiere fatte assalirono -il campo da molte parti, acciocchè la poca gente che v’era e debole -si spargesse in più parti alla difesa. Il capitano confortando i suoi -a ben fare, e della sua persona, con quelli pochi uomini che v’erano -buoni fè maraviglie, e per lungo spazio di tempo sostenne l’assalto con -danno assai de’ nemici; in fine non potendo resistere a tanta gente, nè -a tanti luoghi quant’erano combattuti, il capitano insieme col campo -fu preso, con assai degli altri che mostrarono il volto. Il conte -Artimanno traditore, possendo atare e soccorrere il campo, lasciando -parte della sua gente a guardia del borgo dell’Ancisa co’ terrazzani, -si stette a vedere. Molti de’ nostri ch’erano usciti di fuori, tale -per badaluccare tale per vedere, furono presi, più di disarmati -vogliosi troppo ch’erano corsi a vedere. Quelli valenti uomini che -erano usciti fuori virilmente a battaglia furono presi colle spade in -mano, intra’ quali fu messer Giovanni degli Obizzi e messer Giovanni -Mangiadori, alquanti se ne gittarono per l’Arno che vi annegarono, -intra i quali fu messer Bartolommeo de’ Portigiani da san Miniato. -La preda de’ cavalli, fornimenti da campo e armadura fu grande. Avuta -la vittoria gl’Inghilesi, con la preda e co’ prigioni si tornarono a -Figghine. Ricerchi i nostri, tra presi e morti si trovarono passati -i quattrocento. Conosciuto per gl’Inghilesi il male e viziato ordine -dato per messer Pandolfo, e la viltà di nostra gente, e il corrotto -animo del conte Artimanno, il dì seguente dì 4 d’ottobre ne vennono -all’Ancisa colle schiere fatte per combattere il borgo; il traditore -del conte Artimanno come li vidde venire, colla sua brigata se n’uscì -per la porta che viene verso Firenze e misesi a cammino, che se avesse -avute altrettante femmine come avea uomini d’arme arebbe difeso quel -luogo; i nemici senza contesa entrarono nel borgo e presonlo, rubaronlo -e arsonlo, per avere la via spedita volendo venire verso Firenze. -Messer Pandolfo sentendo la rotta del campo, con cinquecento uomini -ch’avea scelti e altra gente d’arme, in vista mostrava gran fretta -d’andare a soccorrere l’Ancisa, e già avea passato san Donato in -Collina, veggendo venire il conte Artimanno in fuga, possendosi allo -stretto di san Donato sostenere per non mostrare tanta viltà, subito si -volse e diessi alla fuga come uomo rotto. I nostri veggendo fuggire il -capitano seguitarono, il quale come spaventato, come giunse in Firenze -fè segno come fosse di necessità provvedere alla guardia della città -trista e lagrimosa, e che mal volentieri lo vedea, ma la necessità la -quale fa vecchia trottare strinse il nostro comune ad eleggerlo per -capitano di guerra in luogo di messer Rinuccio preso colla spada in -mano. Il quale essendo eletto nella forma che sogliono capitani di -guerra, volle ai governatori del nostro comune con belle e artificiose -parole e con sottili argomenti mostrare, che a perfezione del capitano, -pace e bene della città, necessario era che nella città e di fuori -avesse giurisdizione di sangue con pieno arbitrio, e fu sì sfacciato, -che la domandò agli uficiali della guerra, quasi dando intesa altamente -non accettare il capitanato, e più domandò, che i soldati da cavallo -e da piè giurassono nelle sue mani. Udendo i governatori della città -le sconce e le mal colorate domande vollono un grande consiglio di -richiesti, dove si proposono le domande di messer Pandolfo, e tanto -era il bisogno che aveano di lui, che niuno osava contradire, e il -concedere parea pericoloso, il perchè stavano sospesi e muti. Simone -di Rinieri Peruzzi si levò in consiglio, e disse francamente che -nulla di ciò gli si concedesse, che questo era un domandare d’essere -fatto signore, e che ciascuno si recasse alla mente il tempo del -duca d’Atene, e come da lui erano stati trattati, e che conoscessono -la dolcezza della libertà, e che volessono vivere e morire in essa. -Piacque a tutti il consiglio, e così s’ottenne; e i signori priori -mandarono di presente per tutti i soldati, e in loro mani feciono -giurare, e un Baldo dalla Città di Castello elessono per difensore del -popolo con larga e piena balía nella città. Messer Pandolfo veggendo -ciò s’infinse di non lo intendere, e accettò il capitanato al modo -usato a capitano di guerra, senza lasciare il pensiere di venire per -altra via al suo intento, come per effetto si vide. Presa la bacchetta -del capitanato fè cassare il conte Artimanno con ottocento uomini di -cavallo, perchè non rimase il comune se non con altri ottocento, e ciò -fatto, mostrando smisurata paura, fece sopra certa parte delle mura -della città levare bertesche e merlate armate di ventiere, armando la -nostra città d’eterna vergogna, più, che per le vie mastre non molto di -lungo alle porte fè fare serragli e antiserragli infino a Ricorboli. - - -CAP. LXX. - -_Come certa parte degl’Inghilesi da Figghine cavalcarono a Ricorboli._ - -Gl’Inghilesi e gente de’ Pisani imbaldanzita sopra modo della rotta -del campo e della presa del borgo all’Ancisa, posati alcuni dì a -Figghine, avendo le spie dello spavento ch’era in Firenze, e de’ modi -del capitano, feciono sentire al comune con minaccevole superbia e -altre parlanze, come a dì 22 d’ottobre verrebbono in sulle porte, -e arderebbono il borgo di san Niccolò, e che a questo il comune -mettesse ogni suo sforzo a riparo, il perchè i governatori della -città perduto il cuore e il senno, e poco di concordia e rimprocciosi -gettando il carico l’uno all’altro con mormorio, parendo a loro -essere certi che quello che gl’Inghilesi prometteano l’atterrebbono, -feciono afforzare san Miniato a monte, e misonvi quattrocento fanti -pistoiesi e gli sbanditi, a’ quali promisono di ribandirli, poichè -certo tempo ivi e altrove avessono servito il comune, de’ quali fu -capitano messer Niccolò Buondelmonti, e Sinibaldo di messer Amerigo -Donati, i quali allora erano in bando della persona: il numero loro -passava i cinquecento. La città stava e quelli che di fuori erano -alle poste in tanta sollecitudine e tremore, che alcuna volta sentendo -pur un uomo dall’Apparita sonavano le campane del comune a martello, -e invano la guardia si faceva la notte co’ pennoni. Essendo per più -giorni stati grandi acquazzoni, a dì 22 del mese d’ottobre la detta -brigata degl’Inghilesi in numero di millecinquecento a cavallo e -cinquecento pedoni prima fu nel Piano di Ripoli, che per lo capitano -o per i governatori del comune niente se ne sentisse, e se niente -se ne sentì per lo capitano, che verisimile parea del sì, fece vista -di non saperne: molti cittadini in sulle letta furono presi, perchè -vennono di notte, e ucciso fu chi si contese. La preda che feciono fu -di quattrocento prigioni, e di più di mille tra asini e buoi: molti -fuggendo annegarono in Arno. La notte si stettono nel Piano di Ripoli -e nelle coste d’intorno: il loro segno levarono alla pieve a Ripoli -facendo gran trombata; la mattina, ardendo molti palagi, alberghi, e -case da lavoratori vicino alla strada circa d’un miglio, si partirono -senza trovare chi li andasse a vedere, e con la preda e’ prigioni -si tornarono a Figghine. Messer Pandolfo sapendo che erano partiti, -per vedere la tratta de’ Fiorentini, ch’era vogliosa e senza ordine -niuno, con ottocento uomini a cavallo ch’erano rimasi al comune -e con gran popolo si stette alle sbarre a Ricorboli; esso vedea i -nemici sparti, e girsene per le coste, e ne’ suoi occhi ardere molti -palagi di cittadini, e senza dubbio avendo le spalle del popolo e de’ -contadini, ch’erano oltre a diecimila bene armati, e che volentieri -l’arebbono seguitato, per lo danno e vergogna che fare si vedeano, li -potea offendere, e nol volle fare, ma si ritenne al primo serraglio -lasciandosene tre innanzi, a’ quali era il popolo e la gente da piè. -Dissesi, e vero fu, che non sapendo l’aspro cammino gl’Inghilesi si -mossono, e non giunsono in Pian di Ripoli che a pochi loro cavalli non -crocchiassono i ferri, e se fossono stati assaggiati erano perduti, -come essi poi confessarono aperto, ma la viltà affettata del nostro -capitano, che traeva al fine che è detto di sopra, e de’ nostri -cittadini e contadini, che gl’Inghilesi fossono leoni fu la salvezza -loro. Speranza fu di messer Pandolfo, che rimaso messer Lomodaiesi -co’ soldati de’ Pisani alla guardia di Figghine, gl’Inghilesi fossono -tutti, e che s’alloggiassono nelle belle e ricche possessioni presso -alla terra, le quali erano piene d’ogni bene, e che ’l comune per -allora vario d’animo e povero di consiglio inclinasse a volerlo per suo -governatore e maestro; questa speranza li faltò per la subita partita -degl’Inghilesi, e fecelo entrare in altro pensiere. - - -CAP. LXXI. - -_Come i Sanesi sconfissono la Compagnia del cappelletto, la quale era -condotta al soldo de’ Fiorentini._ - -Non ci pare da lasciare in silenzio, che essendo la gente de’ Pisani -con gl’Inghilesi afforzati in Figghine, ed essendo condotta per i -Fiorentini la Compagnia del cappelletto, la quale era in Maremma, e -co’ Sanesi avea presa convegna, e veniano al servigio del comune di -Firenze, e senza riguardo d’offesa e come fidati da’ Sanesi, per la -via da Torrita furono da loro assaliti con ottocento uomini da cavallo, -fra i quali ve ne furono quattrocento e più de’ Pisani, e loro ordine -e trattato fu per rompere le provvisioni di messer Pandolfo, le quali -aveano sentite. La zuffa dopo l’assalto de’ Sanesi non ebbe molto -contasto, perchè quelli della compagnia venendo senza sospetto come -per terre d’amici veniano in filo e sparti, il perchè di leggiere -furono sconfitti e preda de’ nemici. Presi vi furono oltre a trecento -uomini di cavallo e più di mille pedoni, e intra i presi fu il conte -Niccolò da Urbino, che era il capitano, il conte da Sarteano, Marcolfo -da’ Rimini; con altri assai buoni uomini d’arme, e morti ne furono -assai più di cento. Della quale vittoria, ovvero tradimento fatto in -dispetto, danno e vergogna del comune di Firenze, i Sanesi ne feciono -beffa festa, dicendo sè a un’ora avere sconfitto il comune di Firenze -e la compagnia la quale tanto affannati gli avea; e prosontuosamente -oltre a modo alzando il capo, per derisione e scherno mandarono due -messi a Firenze con lettere, l’uno al comune l’altro a’ capitani -della parte guelfa, contenenti con alte e ornate parole la detta -vittoria. Il comune dissimulando l’oltraggio, il fante che a lui venne -vestì di scarlatto fino foderato d’indisia, la parte vestì il suo di -cardinalesco. - - -CAP. LXXII. - -_Di cavalcate e combattimenti di terre feciono gl’Inghilesi mentre -stettono a Figghine._ - -Soggiornando gl’Inghilesi a Figghine, come guerrieri senza riposo -tentarono per più riprese assai delle castella e tenute del nostro -comune che d’intorno loro erano vicine, e al castello di Tre Vigne in -due diversi giorni dierono ordinata battaglia, dove rimasono morti -alquanti di loro, e assai ne furono e dalle balestra e dalle pietre -magagnati senza acquisto niuno, lasciando le fosse piene di scale -e la terra di saettamento, e per simile modo combatterono più altre -tenute indarno. Il castelluccio de’ Benzi e la Foresta si tennono. -Vero fu che uno Andrea di Belmonte Inghilese, gentile uomo e grande -caporale nella compagnia, udita la fama della bellezza e gentilezza -di costumi di Monna Tancia donna di Guido della Foresta, di buono e -cavalleresco amore fu preso di lei, e la volle vedere, e da Guido come -da uomo d’animo gentile cortesemente fu ricevuto e onorato; seguinne, -che per l’amore di costui per tutto il tempo che stettono a Figghine -niuna novità fu fatta alla Foresta. Combatterono per tutto un giorno il -castello di Cintoia, e nol poterono avere. La notte quelli di Cintoia -per la bussa del dì tormentati, e perchè assai di loro n’erano fediti, -mandarono a Firenze a’ signori pregando per Dio li sovvenissono d’aiuto -almeno di venti fanti, perocchè attendeano d’essere il seguente dì -combattuti, e temeano della perdita; la provvisione all’usato modo fu -fredda, il perchè gl’Inghilesi il seguente dì tornarono alla battaglia. -Quelli del castello facendo loro possanza lungamente si tennono -danneggiando forte i nemici, in fine gl’Inghilesi presono il castello, -e ’l misono a sacco e l’arsono, e con la preda e’ prigioni si tornarono -a Figghine. Nel detto tempo tremila uomini di cavallo con pedoni assai -cavalcarono verso Arezzo, e poi volsono nel Casentino, dove levarono -gran preda sì di persone sì di bestiame, e senza impedimento con essa -si tornarono a Figghine. - - -CAP. LXXIII. - -_Esempio e ammaestramento de’ popoli che vivono a libertà i quali -si conducono nella fortuna della guerra di non torre capitano uso a -tirannia._ - -Tornando al processo di nostra materia, gl’Inghilesi da Ricorboli -venuti a Figghine essendo ad abbondanza grassi e di prigioni e di -preda, nel consiglio de’ loro maggiori cominciarono ad entrare in -pensiero, come l’uno e l’altro potessono conducere in Pisa per li -stretti passi di Valdipesa: e per ciò potere fare, parendo loro come a -gente dotti di guerra del Chianti sentire l’intenza di messer Pandolfo, -e che pertanto era occupato intorno a’ fatti della città, poichè -alquanti giorni furono riposati feciono sentire al comune di Firenze, -che a dì undici del mese di novembre intendeano di fare consegrare un -prete novello nella badia di san Salvi, e che i signori di Firenze e -gli altri gentiluomini dovessono venire a fare onore al detto prete, e -a loro in persona di lui. Ciò indubitatamente credette messer Pandolfo, -e per le sue spie l’ebbe di certo, perocchè vidono il campo armare il -detto dì 11 la mattina per tempo, e per lo campo sentirono divolgare -come si dirizzavano verso Firenze; e certo a ciò avvisati cautamente -presono il viaggio verso Firenze, il perchè le spie non attendendo più -oltre vennono a Firenze ad informare messer Pandolfo. Stando la terra -sotto l’arme in gran tremore, scendendo all’Apparita pur un fante a piè -credeano fossono della brigata degl’Inghilesi, le campane sonavano a -stormo, il popolo sbalordito correa in qua e in là senza ordine e senza -capo, lasciando quasi ciascuno il suo gonfalone per ire a vedere, e di -largo avanti che messer Pandolfo giugnesse alla Porta alla croce usciti -erano della città ottomila uomini bene armati; quelli ch’erano più -gagliardi erano nel piano di san Salvi, e ordinatisi il meglio aveano -saputo, aspettando a ricevere i nemici, gli altri erano per le coste -sopra san Salvi. Il falso grido sonava per la terra che già parte di -loro n’era a Rovezzano: la gente da cavallo tutta era nella piazza de’ -signori, e aspettava il capitano, il quale per la malizia soprastette -al mangiare tanto, ch’era quando se ne levò più vicino alla nona che -alla terza, e ciò fè perchè il popolo satollo uscisse fuori, e pensando -che a quell’ora ragionevolmente i nemici dovessono esser giunti a san -Salvi, e alle mani col popolo voglioso e con poco senno. Uscito il -capitano fuori coll’insegna di sua arme levata, seguendolo i soldati e -molti cittadini da bene a cavallo, come giunse alla Porta alla croce la -fece serrare, e così quella della giustizia, ed esso si stava dentro -a guardarla, lasciando il popolo di Firenze senza rifugio al taglio -delle spade e in preda de’ nemici, che bene conoscea chi era il popolo, -e chi gl’Inghilesi. Di fuori della porta era il tumulto grande delle -strida delle femmine che fuggivano co’ figliuoli in collo e a mano, -e voleano entrare dentro e non poteano, e quelle grida confermavano -nella testa a messer Pandolfo che i nemici fossono giunti, e a zuffa, -e ripreso da molti buoni cittadini che non lasciava entrare le femmine -e’ fanciulli, fatto per alquanto di tempo orecchie di mercatante, quasi -come temesse che per lo sportello entrassono i nemici e corressono la -terra, alla fine udendo il mormorio del popolo e de’ buoni uomini fece -aprire lo sportello: e io scrittore che era in quel luogo vidi molti -cittadini grandi e da bene, e a cui era cara la libertà della città, -piagnere e lagrimare vedendo il caso pericoloso, e ricordando il tempo -del duca d’Atene, e come si fece signore, e alquanti di loro n’andarono -a’ signori, e li consigliarono che provvedessono di vittuaglia il -palagio, e facessono mettere le balestra grosse e le bombarde in punto -sicchè il palagio avesse difesa, e tale, che di fatto, come al tempo -del duca d’Atene, occupato non fosse. E stando nel tumulto del fornire -e armare il palagio alla difesa, un messo giunse loro da Figghine, -e disse come i nemici aveano arso il campo e il borgo di Figghine, e -come s’erano partiti co’ prigioni e colla preda, e fatta la via per -lo Chianti; onde i signori mandarono a dire a messer Pandolfo che -facesse aprire le porte, e tornassesi allo stallo suo, il quale ciò -udito, caduto della speranza, con gli occhi bassi e mal volto di tutti -si tornò a casa sua. Quetato il popolo, e lasciata l’arme, i signori -ebbono gran consiglio di richiesti, e veduto il pessimo animo di messer -Pandolfo, e come pure intendea a volere essere signore di Firenze a -dispetto del popolo, determinarono li fosse tenuto mente alle mani -sicchè non li venisse fatto, e da quell’ora innanzi cominciò a essere -in dispetto di tutti: e perchè il popolo non traesse più mattamente, -feciono che ciascuno dovesse trarre al suo gonfalone alla pena di -lire sei, la quale pensando si dovesse risquotere ciascuno sarebbe -sollecito a seguire il suo gonfalone. Per messer Pandolfo mandarono, e -lo ripresono forte de’ modi tenuti per lui, e dicendoli che stesse dove -li paresse alle frontiere a guerreggiare i nemici, che il popolo di -Firenze ben saprebbe guardare la città. Se non fosse stato della casa -de’ Malatesti, per lo nome e titolo di parte guelfa amata e onorata dal -comune di Firenze, per certo si tenne n’arebbono preso altra via. Avemo -tritamente narrato questo caso per esempio, se potesse profittare, -a quelli che verranno, di non tor mai a capitano di guerra tiranno -di terra notabile, perocchè l’avvenimento della guerra è vario, e la -fortuna or quinci or quindi presta il favore suo, e sovente il tiranno -la fa essere ria per usurpare la sua libertà. E nullo ammiri perchè -io dissi se potesse profittare, perocché ’l governo allora del nostro -comune, avendo novellamente sì aspra ed evidente battitura ricevuta -da messer Pandolfo, e lui partito con disonore e vergogna, sotto -titolo e colore di ricoverare l’onore della casa de’ Malatesti, con la -forza degli amici loro fu chiamato capitano di guerra messer Galeotto -Malatesti; quello ne seguì nel seguente trattato a suo luogo e tempo si -potrà trovare. - - -CAP. LXXIV. - -_I modi teneano gl’Inghilesi tornati in Pisa._ - -Con grande festa e trionfo gl’Inghilesi tornati da Figghine per i -Pisani furono ricevuti, e loro quasi come a cittadini fu consegnata -certa parte della terra, e dell’altre furono abbarrate le vie perchè -non noiassono a’ cittadini; ciò veggendo gl’Inghilesi lor parve che i -Pisani li avessono accettati per loro cittadini participando la terra -con loro, e modi teneano che pareano che intendessono così; i Pisani -veggendo per segni e parole l’intento loro più volte cercarono per -ingegno e astuzia di trarlisi di casa, infignendo d’essere cavalcati -da’ nemici, e facendo venire molte lettere di diverse parti che loro -annunziavano soprastare a gran pericoli, ma per allora fu nulla, che -gl’Inghilesi che s’erano molto affannati, e bisogno aveano di riposo, -ed erano caldi di danari di prigioni e di preda, se ne feciono beffe, -il perchè i Pisani vernano in gran gelosia. - - -CAP. LXXV. - -_Come i Pisani furono sconfitti a Barga._ - -Avendo i Pisani la lor gente dell’arme e gl’Inghilesi nella città, -non potendo, come detto è di sopra, nè in parte nè in tutto trarre -gl’Inghilesi di Pisa, per non perdere il tempo gran parte di loro -soldati con grande ordine e apparecchio mandarono a Barga all’entrare -di dicembre, per porre sopra gli altri battifolli che vi aveano un -altro battifolle dalla parte del monte. In Barga era capitano per i -Fiorentini Benghi del Tegghia Bondelmonti, a cui i Fiorentini, poichè -gl’lnghilesi aveano abbandonato Figghine, aveano mandati centocinquanta -degli sbanditi ch’erano stati in san Miniato a monte, i quali doveane -certo tempo servire il comune nella guerra alle loro spese, e poi -essere ribanditi; la gente de’ Pisani portando fornimenti assai, sì -per porre detto battifolle, e sì per fornire e quello e gli altri -ad abbondanza, non parea che desse cuore di fare quello ch’era stato -loro commesso senza altro aiuto, forte temendo la brigata di Barga, -il perchè quelli ch’erano negli altri battifolli lasciandoli male a -difesa forniti si dirizzarono con loro in viaggio. Benghi, sentendo -che i battifolli erano sforniti e quasi come abbandonati, con i -Barghigiani, che v’andarono uomini e femmine vogliosamente, e co’ detti -centocinquanta sbanditi assalì i detti battifolli, e tantosto li vinse. -Quelli de’ battifolli ch’erano iti coll’altra gente a porre la bastita -sentendo le grida e lo stormire di quelli che combatteano le bastite, -subito colla detta gente de’ Pisani si volsono indietro per soccorrere -a’ battifolli. Benghi capitano co’ Barghigiani e sbanditi suddetti li -ricevettono francamente, e dopo lunga battaglia e aspra li sconfissono, -dove de’ nemici furono morti oltre a centocinquanta, e assai fediti -e magagnati, e molti ne furono presi; lo stendardo del comune di Pisa -con altre tredici bandiere rimasono prese, le quali i Barghigiani ne -mandarono a Firenze, e’ battifolli furono arsi, e quello che dentro -v’era con quello che recato v’aveano per porre l’altro sì di vittuaglia -come d’arnesi fu messo in Barga, e loro a gran bisogno sovvenne. Benghi -perchè s’era fedelmente e francamente portato fu fatto di popolo, e -rifermo in capitano di Barga per diciotto mesi. - - -CAP. LXXVI. - -_Come il re Giovanni di Francia passò in Inghilterra e là morì._ - -Uscendo un poco del bosco delle nostre speziali riotte, facendo -intramessa di cose forestiere, torneremo alquanto addietro a quello -che scritto fu per Matteo nostro padre della pace intra i due re di -Francia e d’Inghilterra, dove il re di Francia s’obbligò a pagare al -re d’Inghilterra gran quantità di moneta per la sua diliveranza; e per -osservare sua promessa lasciò per stadico il fratello duca d’Orliens, e -messer Giovanni duca di Berrì suo figliuolo, e più altri duchi, conti e -banderesi; onde in quest’anno 1363 a dì 3 di gennaio, il detto messer -Giovanni figliuolo del re che stadico era a Calese, villanamente, -essendo largheggiato d’andare a cacciare e uccellare a sua volontà, si -fuggì da Calese senza tornarvi con gran sua vergogna, e fè rubellare -agl’Inghilesi più terre teneano in Normandia per gaggi della pace. Onde -il re Giovanni, come franco e nobile signore, per lo detto misfatto -del figliuolo e rompimento della pace, e per trattare patto e grazia di -sua redenzione, di sua volontà a dì 3 di gennaio 1363 entrò in mare a -Bologna sul mare per ire e si rassegnare prigione in Inghilterra, e il -giovedì appresso giunse a Dovero, e dipoi a dì 24 di gennaio giunse a -Londra, e incontro gli andarono oltre a mille a cavallo gente nobile, -e tutti vestiti di variate assise, e dismontò a una casa detta Saona -per lui riccamente e alla reale apparecchiata. Della quale andata il -detto re da tutti i cristiani fu molto lodato, ed eziandio gl’Inghilesi -l’ebbono molto a bene e feciongliene ogni grazia. Nel raccozzamento de’ -due re, e nella pratica, il perchè v’era ito, il detto re di Francia -era passato nell’isola. Potrei far fine qui e riserbare al mese suo la -morte del re di Francia, ma per non interrompere la materia la porremo -qui. Seguì, che poco appresso poi all’entrata di marzo prese al re di -Francia una malattia, e dipoi a dì 8 del mese d’aprile 1364 la notte -passò di questa vita. Onorato fu di sepoltura largamente alla reale, -riservando in una cassa il corpo suo per recarlo a tempo a Parigi. Il -reame succedette a Carlo primogenito del detto re Giovanni, duca di -Normandia e delfino di Vienna. - - -CAP. LXXVII. - -_Come messer Niccolò del Pecora fu cacciato di Montepulciano._ - -In questi giorni per trattato fatto per i Sanesi colla forza de’ fanti -d’Agnolino Bottoni, contra i patti della pace fatta tra’ Perugini -e’ Sanesi, messer Niccolò del Pecora per i conforti suoi fu cacciato -di Montepulciano, e ridussesi a Perugia in assai debole stato, e da’ -Perugini mal provveduto, i quali per non ricominciare guerra passarono -la vergogna a chiusi occhi. - - -CAP. LXXVIII. - -_Della morte del giovane marchese di Brandisborgo, conte di Tirolo, e -quello ch’appresso ne seguì._ - -Ancora ne piace un poco passare per le pellegrine storie; e per -fondarne una che in questi tempi occorse assai abominevole, alquanto -ne conviene addietro tirare per dare meglio a intendere il gran male: -e venendo al proposito, la contea di Tirolo situata è negli estremi -di terra tedesca sopra il Lago di Garda, e nel paese di Trento, e -possente, nobile e famosa, la quale, morta tutta la progenia masculina, -per successione era caduta in una fanciulla nome contessa......., la -quale per la nobiltà della dota da tutti i signori e baroni della -Magna era in matrimonio sollecitata, per avere in dota il gioiello -della detta contea di Tirolo; in fine la contessa prese in isposo.... -figliuolo del re Giovanni di Boemia, e fratello di Carlo che poi fu -imperadore de’ Romani; e chiamatolo al matrimonio, e alla contea di -Tirolo, dopo alquanto tempo la contessa cortesemente lo ne rimandò -in suo paese, affermando che all’uso del matrimonio era impotente, -e che la contea desiderava erede. Carlo fratello del detto..... -recandosi in dispetto i modi della contessa, prestamente fè grande -esercito, ed entrò nel contado di Tirolo, il quale è aspro e per sito -fortissimo, e fece gran danni d’arsioni e di preda, e infra d’altre -terre arse Buzzano, e ciò fatto si tornò in suo paese minacciando -di fare peggio a tempo. Il perchè la contessa impaurita e spaventata -cercò sollecitamente possente in Alamagna a cui si potesse appoggiare, -e in quei tempi v’era grande Lodovico duca di Baviera della progenia -del duca Namo, l’uno de’ dodici conti Paladini che seguitarono Carlo -Magno a cacciare i saracini della Spagna, e pertanto poi quelli di -sua schiatta hanno una boce de’ dodici peri alla boce dell’imperio; -il quale Lodovico essendo creato imperadore de’ Romani contro volontà -di santa Chiesa passò in Italia, e gran cose fece, come scrive -Giovanni Villani nostro zio, e senza acquistare si tornò in Alamagna -col titolo del Bavaro. Costui in questi dì avea quattro figliuoli, -Lodovico, Stefano, Otto, e Romeo: Lodovico primogenito era marchese di -Brandisborgo. Costui la contessa al padre segretamente fè domandare in -marito, e il Bavaro vi diè l’orecchie, e volendo che ’l figliuolo la -prendesse, egli con orrore d’animo la ricusava, dicendo al padre che -ella avea altro marito, come noto era a tutta la Magna, e che secondo -i decreti di santa Chiesa ella non potea avere altro marito: il padre -lo sgridò, e gli osò dire ch’egli era un ribaldo, e che ’l contado di -Tirolo non era boccone da rifiutare, il perchè per riverenza del padre -Lodovico la prese per donna, velando il matrimonio con colore che -il primo era impotente a generare. Della detta contessa assai tosto -Lodovico ebbe un figliuolo maschio; ma perseverando il matrimonio, -la contessa per soverchia lussuria trascorse in errore di disonesta -vita, e in singolarità con un messer...... di Fraunberghe, che in -latino suona, dal Colle delle donne, ed era sì venuto il giuoco in -palese, che ogni uomo si maravigliava come il marchese la comportasse, -stimando molti che per forza di malia lo facesse. Occorse, che partendo -il marchese con lei e con tutta sua corte da Monaco di Baviera per -andare a Tirolo, esso marchese sotto boce osò dire: Se noi torniamo a -Monaco mai, noi ci vendicheremo di chi ne fa vergogna; ciò venne agli -orrecchi alla contessa, e al cavaliere che usava con lei, il quale era -de’ maggiori della corte, e conoscendo amendue che il marchese era di -grande animo e vendicativo, e che già fatto aveva aspre e rilevate -vendette a chi l’avesse fallato, strettosi al consiglio la donna e -’l cavaliere, temendo che il marchese non attenesse loro la promessa, -nel cammino l’avvelenarono in una terra che si dice Rotimberga. Morto -il marchese, rimase al figliuolo il paese ch’a lui s’appartenea in -grande confusione, perchè molti voleano il governo del fanciullo, -e così stette il paese rotto per spazio di mesi diciotto. Alla fine -Stefano e Otto zii del garzone si recarono il governo alle mani, e -dirizzati i paesi, e passati cinque anni, il giovane era cresciuto -di bello aspetto, e facevasi valente, e per sua dibonarità e dolcezza -avea la grazia di tutti i sudditi suoi, ed essendo a Tirolo si volea -reggere e governare a suo piacere; e dispiacendoli assai i pochi onesti -costumi della madre, e un giorno venendo con lei in contesa, per sua -sciagura nell’irate parole uscì al giovane di bocca: Noi sapemo bene -quello che voi faceste a nostro padre. La crudel donna crudelmente -raccolse le semplici parlanze del giovane, e cominciò a pensare della -morte sua: il perchè un giorno il giovane avendo con gentili giovani -di sua età molto danzato, e per sè e per i compagni domandò da bere, -e fugliene dato, ma con veleno, del quale con quattro valenti giovani -suoi compagni si morì; gli altri che meno aveano bevuto si pelarono -tutti, e rimasono infermi. Il giovane marchese poco avventurato di -madre fu seppellito in Tirolo nel 1363 del mese di febbraio. Ciò si -dice che fè la dispietata madre per potere più liberamente lussuriare e -perseguire sua scellerata vita. Stefano e Otto figliuoli di Lodovico, -e zii del giovinetto morto, udito l’orribile malificio, e compreso -l’imperversato e fiero animo della femmina, la quale per uccidere il -figliuolo non guardò all’innocenza de’ giovinetti che ballavano con -lui (il quale recato con lei in comparazione a Medea, che fu gentile, -e questa cristiana, non è da porre in dubbio che questa non fosse assai -più spietata e crudele, verificandosi in lei il verso di Giovenale, il -quale delle femmine dice: Fortem animum praestant rebus quas turpiter -audent, che in volgare suona; Forte animo danno alle cose le quali -sozzamente ardiscono, cioè presumono di fare) richiesono tutti i loro -vassalli e feudatari, e accolsono d’amistà quanta gente poterono fare, -e grande oste apparecchiarono contro alla contessa per vendicare la -morte del fratello e del nipote, la quale spaventata e impaurita, -perseguitandola la coscienza degli orribili peccati, stava in gran -tremore, e non sapeva che si fare. In questa confusione Ridolfo duca -d’Osterich, uomo sagace e astuto, e cupido di nuovo acquisto, inteso -della morte del giovane, e dell’apparecchio che facevano Stefano e -Otto di Baviera, sconosciuto di presente se n’andò a Tirolo, e fu -colla contessa, e le disse dell’apparecchio di quelli di Baviera, -e li mostrò ch’erano atti e sofficienti a disfarla, e s’ella avea -concetta paura nell’animo la raddoppiò. Appresso le disse, ch’avea -ritrovate scritture antiche che conteneano, come gli antichi duchi -d’Osterich s’erano patteggiati e convenzionati con gli antichi conti di -Tirolo, che quale casa o famiglia di loro faltasse d’ereda legittimo -l’altra dovesse succedere, con offerirsi alla difesa della donna; e -da lei posta in tanta confusione, e credula, ottenne ch’ella il fè -capitano del contado di Tirolo, e nelle sue mani fè giurare tutto il -paese. Proseguendo il proposito loro quelli di Baviera cominciarono -la guerra, e corsono il contado di Tirolo, e presono e rubarono una -terra che si chiama Sterburgh, e più in avanti non poterono passare -per l’asprezza de’ luoghi e de’ forti passi provveduti alla difesa. -Ciò non ostante il duca d’Osterich cominciò a mettere nel capo alla -femmina che nel paese non stava sicura, e ch’era il suo migliore se -n’andasse in Osterich, tanto che le cose pigliassono assetto, e tanto -le seppe dire ch’ella v’andò. Dopo non molto tempo il duca la mise in -un munistero, dove miseramente morì. Alcuni dissono fu fatta morire, -e questo comunemente s’accettò per vero. Morta la contessa, il duca -Ridolfo con gran quantità di gente d’arme corse per lo contado di -Tirolo, e prese quattro nobili e gentili uomini, i quali come baroni -aveano giurisdizione di per sè, i quali non erano stati pronti ad -ubbidire, perch’aveano giurato alla casa di Baviera, e come tiranno, -e contro alla natura e la costuma degli Alamanni, di presente li fè -decapitare, onde in infamia e odio ne venne di tutta lingua tedesca. -Per tema di questa impresa del duca d’Osterich non lasciò la casa di -Baviera di non volere riscattare sua giurisdizione, e di loro forza -e amistà ragunarono oltre a quattromila barbute di gente eletta, e -con molto ordine si mossono contro il duca d’Osterich, come contro -usurpatore delle loro ragioni. Il duca d’Osterich d’altra parte fè -adunata non di meno gente nè valorosa meno che quella degli avversari, -e amendue i detti eserciti assai vicini s’assembrarono insieme: e -per caso un giorno avvenne, che sopra il numero di duemila barbute -di quelle del duca d’Osterich dilungandosi dal campo casualmente si -scontrarono in altrettante o circa della gente del duca di Baviera, e -vennono alla battaglia, la quale fu fiera e pertinace, la quale durò -per spazio di più di sei ore, e nella fine quelli d’Osterich furono -sconfitti. I morti dall’una parte e d’altra in sul campo s’annumerarono -si trovarono più di cinquecento, e i feriti e magagnati furono assai, -e molti di quelli d’Osterich rimasono prigioni, e ciò avvenne nel 1364 -d’ottobre, e qui l’ho posto per non rompere la storia. Il verno in -quelle parti duro e incorportabile a campeggiere l’una parte e l’altra -costrinse a tornarsi a sua magione, ma tutto che quietassono l’armi -non quitarono gli animi, perocchè l’una parte e l’altra eziandio con -spendio faceva sollecitamente ogni sforzo suo, e scritto e comandato -aveano a tutti i sudditi loro ch’erano in Italia al soldo che a loro -aiuto dovessono tornare, e tutti s’apparecchiarono a ubbidire, e così -grande apparecchio faceano per trovarsi in campo come prima potessero. -Carlo imperadore e Lodovico re d’Ungheria veggendo che ciò era di -grandissimo pericolo e guasto di tutta Alamagna s’intesono insieme, e -interposonsi per mezzani, e colla persona del savio e venerabile messer -Piero Corsini vescovo di Firenze, il quale per gravi faccende di santa -Chiesa allora era legato in Alamagna, il quale ricevendo sopra di sè il -peso di tanta faccenda, come ambasciadore di detti imperadore e re, e -mezzano e trattatore tra i detti signori cercò la concordia loro; e sì -saviamente seppe la cosa guidare, che di detto anno e mese di gennaio -pace si concluse tra loro, e per patto al duca d’Osterich rimase libera -la contea di Tirolo, e in compensarne di ciò il duca di Baviera ebbe -un’altra contea del duca d’Osterich, tutto che non a valore eguale -assai a quella di Tirolo. E così ebbe fine la diabolica vita e processo -dell’empia e spietata contessa di Tirolo, e la guerra che per le sue -prave operazioni era suta tra la nobiltà de’ baroni e signori della -Magna. - - -CAP. LXXIX. - -_Come i Pisani ricondussono gl’Inghilesi._ - -Lasciando le forestiere storie, e tornando alle scaramucce e badalucchi -della tediosa guerra intra i Fiorentini e’ Pisani ci occorre, che -essendo gl’Inghilesi per fornire loro condotta, per due rispetti, l’una -perchè i Fiorentini non li conducessono, l’altra per trarlisi di casa, -e per li tempi che richiedesse la guerra, i Pisani del mese di gennaio -li ricondussono per sei mesi con soldo di centocinquanta migliaia di -fiorini, con patti che potessono fare cavalcate dove a loro piacesse, -salvo che alle terre loro sottoposte, raccomandate e collegate, tutti -gli altri loro soldati cassarono, e feciono loro capitano di guerra -Vanni Aguto Inghilese gran maestro di guerra, di natura a loro modo -volpigna e astuta, il suo soprannome in lingua inghilese era Hawkwood, -che in latino dice, Falcone di bosco, ovvero in bosco, perocchè essendo -la madre a un suo maniere per partorire, e non possendo, si fè portare -in uno suo boschetto, e quivi lui di presente partorì, e tutto che -non fosse di schiatta di nobili con dignità, il padre era gentiluomo -mercatante e antico borgese, e così i suoi antenati, e come Giovanni -venne in età di potere arme, essendo d’aspetto e di stificanza di farsi -in essa valente uomo, fu dato a un suo zio gran maestro di guerra, -il quale nelle guerre di Francia e d’Inghilterra avea fatto in arme e -pratiche di guerra belle e rilevate cose. I detti Inghilesi vernarono -in Pisa con gran danno e disagio de’ cittadini i quali a loro faceano -oltraggio, e intra gli altri delle donne loro, il perchè molti di loro -le ne mandarono a Genova e altrove in luoghi dove potessono onestamente -dormire. - - -CAP. LXXX. - -_D’una saetta che cadde sul campanile di santa Maria Novella._ - -Nel detto anno a dì primo di febbraio, essendo il tempo sereno e bello, -e senza avere o da lunga o da presso alcuno segno di nuvole, tonò -smisurato più volte, e caddono in Firenze più saette, fra le quali una -ne percosse nel campanile de’ frati predicatori, e quello in più parti -sdrucì, e più segni fè per la cappella maggiore d’inarsicciati. Di ciò -è fatta menzione per la disgrazia del detto campanile spesso tocco -dalle saette, appresso per la novità del tonare sì spossatamente al -sereno nel pieno del verno. - - -CAP. LXXXI. - -_Cavalcate fatte per gl’Inghilesi nel pieno del verno._ - -Poichè gl’Inghilesi si viddono ricondotti, come uomini vaghi di preda e -vogliosi di zuffa, a dì 2 di febbraio in numero di mille lance, i quali -si facevano tre per lancia di gente a cavallo (ed eglino furono i primi -che recarono in Italia il conducere la gente di cavallo sotto nome di -lance, che in prima si conduceano sotto nome di barbute e a bandiere) e -in numero di duemila a piè, essendo il freddo fuori di misura, e venute -più nevi sopra nevi, si partirono dalle frontiere dove pochi dì dinanzi -s’erano ridotti, e passando la notte per Valdinievole se ne vennono -a Vinci e Lampolecchio, luoghi fertili e abbondevoli di vittuaglia -per gli uomini e per i cavalli, e trovarono il paese non sgombro per -la pertinacia de’ nostri contadini, che non vogliono per bando o per -minacce a’ loro signori ubbidire. Giugnendo nel pieno della notte molti -paesani presono nelle letta, e posono il campo fermo nelle villate di -Vinci stendendosi in più di mille case, e il seguente dì cavalcarono -infino a Signa e Carmignano. Il tempo disusato e sconcio a cavalcare -gente d’arme, e massimamente di notte, ne presta materia di scrivere -de’ modi e reggimenti de’ detti Inghilesi nel presente capitolo senza -farne altra distinzione: e in prima, essi aveano in consuetudine di -guerreggiare così il verno come di state, che a’ Romani, di cui è -scritto, Fortia agere, et pati, Romanum, che in volgare suona, forti -cose fare, e patire, romana cosa è, non fu in uso, e sempre il verno -faceano feria dando alla guerra riposo, se per forza non fussono -tratti a battaglia. E come si trova ne’ veraci storiografi, Annibale -uomo di ferro nel mezzo del verno passò gli altissimi gioghi delle -montagne che surgono per lo mezzo d’Italia, e passano da monte Veso -infino sopra il faro di Messina, le quali alpi poi per la detta cagione -sempre nominate furono le Alpi pennine, perocchè gli Affricani sono -chiamati Penni, e sceso il verno si combattè a Pavia con Scipione e -lo vinse, poi dirizzandosi verso Roma con un solo elefante che rimaso -gli era, per lo freddo perdè un occhio, e procedendo sopra il Lago di -Perugia tra Montegeti e Passignano si combattè con Flaminio consolo -e lo vinse, usando astuzia, perocchè essendo per lo gran freddo le -membra de’ cavalieri arrudate e spossate, avanti che venisse alla -battaglia Annibale fè fare gran fuochi, e scaldare i suoi cavalieri, -e ugnere con olio. Tornando a nostra materia, per antico ricordo non -era che fosse stato il freddo sì aspro e pungente, che quasi per tutto -dicembre fino al marzo non erano cessate le nevi, e il ghiaccio per i -venti freddi fu grosso, e a passare per i cavalli quasi impossibile, -e massimamente in certi pendenti di vie che non si poteano schifare. -Costoro tutti giovani, e per la maggior parte nati e accresciuti -nelle lunghe guerre tra’ Franceschi e Inghilesi, caldi e vogliosi, -usi agli omicidii e alle rapine, erano correnti al ferro, poco avendo -loro persone in calere, ma nell’ordine della guerra erano presti, e -ubbidienti ai loro maestri, tutto che nell’alloggiarsi a campo per -la disordinata baldanza e ardire poco cauti si ponessono sparti e -male ordinati, e in forma da lievemente ricevere da gente coraggiosa -dannaggio e vergogna. Loro armadura quasi di tutti erano panzeroni, -e davanti al petto un’anima d’acciaio, bracciali di ferro, cosciali -e gamberuoli, daghe e spade sode, tutti con lance da posta, le quali -scesi a piè volentieri usavano, e ciascuno di loro avea uno o due -paggetti, e tali più secondo ch’era possente, e come s’aveano cavate -l’armi di dosso i detti paggetti di presente intendeano a tenerle -pulite, sicchè quando compariano a zuffe loro armi pareano specchi, e -per tanto erano più spaventevoli. Altri di loro erano arcieri, e loro -archi erano di nasso, e lunghi, e con essi erano presti e ubbidienti, e -faceano buona prova. Il modo del loro combattere in campo quasi sempre -era a piede, assegnando i cavalli a’ paggi loro, legandosi in schiera -quasi tonda, e i due prendeano una lancia, a quello modo che con li -spiedi s’aspetta il cinghiaro, e così legati e stretti, colle lance -basse a lenti passi si faceano contro a’ nemici con terribili strida: a -duro era il poterli snodare, e per quello se ne vidde per la sperienza, -gente più atta a cavalcare di notte e furare terre ch’a tenere campo -felici, più per la codardia della nostra gente che per loro virtù. -Scale aveano artificiose, che il maggiore pezzo era di tre scaglioni, -e l’uno pezzo prendea l’altro a modo della tromba, e con esse sarebbono -montati in su ogni alta torre. I detti Inghilesi, tornando alla nostra -materia, combatterono il castello di Vinci, fidandosi ne’ tardi e lenti -provvedimenti di quelli ch’allora guardavano la nostra repubblica, -e pensando che fossono poco atti alla difesa, ma furono con franco -animo e fronte senza paura ricevuti, e assai di loro di soperchio -baldanzosi furono morti e assai fediti, senza altro acquistare che onta -e vergogna; e per simile modo per due volte tornarono a Carmignano, -dove con più sicuro volto e loro dannaggio furono veduti, il perchè -si partirono di quindi, e andarsene al Montale sopra Montemurlo, con -intenzione di passare per lo stretto di Valdimarina nel Mugello, ma -sentendo che per quella volta da mille cinquecento pedoni de’ paesani e -del Mugello s’erano a passi recati, e loro con allegrezza aspettavano, -pensando con loro più tosto guadagnare che perdere, perchè tutto era -sgombro e ridotto alle fortezze si tornarono per lo passo di Seravalle -verso Pistoia nel contado di Pisa con loro gran danno, perocchè di -loro tra morti e presi nella detta cavalcata si trovarono assai più di -trecento, che da’ nostri contadini che da soldati che li tramezzarono -a Seravalle, e sì da’ Pistoiesi che vi trassono al grido. I prigioni -ch’aveano avuti a Vinci su le letta non passarono i quindici, nè i -morti i cinque: la preda che feciono a pena gli potè nutricare: ne’ -giorni che stettono non arsono case, molti de’ loro cavalli perderono -per lo gran disagio e freddo soffersono, nevicando loro addosso il dì e -la notte; il perchè tornati a loro stallo molti uomini se ne morirono; -e così a poco a poco si logoravano gl’Inghilesi. - - -CAP. LXXXII. - -_Come Anichino di Bongardo con tremila barbute venne al servigio de’ -Pisani, e come sagacemente cercarono avvantaggiosa pace._ - -Nel detto anno 1363, a dì 15 del mese di marzo, Anichino di Bongardo -Tedesco, il quale era stato in Lombardia al soldo di messer Galeazzo -Visconti nella guerra del marchese di Monferrato, con tremila barbute -venne in favore de’ Pisani mandato per lo detto messer Galeazzo sotto -colore e titolo di soldo, sicchè in quel tempo i Pisani si trovarono -avere più di seimilacinquecento buoni uomini di cavallo, il perchè loro -parendo, e così era il vero, loro avere il migliore, ed essere di loro -onta vendicati, con segreto e cauto modo cercarono d’avere pace onorata -e vantaggiosa per le mani di santa Chiesa, e ordinarono che papa Urbano -quinto mandò per suo legato in Toscana per cercare detta pace un frate -Marco da Viterbo generale de’ frati minori, il quale essendo stato in -Pisa venne a Firenze, e onoratamente fu ricevuto, e in fine dicendo, -che al santo padre era in calere che della guerra da’ Fiorentini -a’ Pisani la quale era il guasto di Toscana si venisse alla pace, e -che tanto era fatto quinci e quindi che bene vi cadea, ebbe questa -risposta: che i Fiorentini erano stati tirati a loro malgrado nella -guerra dalla soperchia astuzia de’ Pisani, e che avanti li facessono -risposta di pace e volessono udire domande de’ Pisani, considerato che -il fatto non era pur loro, ma dell’università, sopra ciò ne voleano -tenere consiglio; e licenziato il generale, il seguente dì feciono -un consiglio di richiesti dove furono oltre a mille cittadini; e ciò -fu fatto per richiudere la bocca a’ mormoratori della pace, e per -schifare la pace che parea vituperosa, presentendosi segretamente -le disoneste e sconce cose domandavano i Pisani. Adunque si tenne -quest’ordine, che anzi che volessono i signori e’ collegi udire le -domande, vollono che ’l detto generale le sponesse nel detto consiglio; -e prima che mandassono per lui, uno de’ signori si levò nel consiglio -e assai oscuramente disse, che ciò che nel consiglio venia non era -loro movimento, ma che i priori passati n’aveano di corte avuto alcuno -odore, e che gli otto della guerra di ciò niente sapeano, e che gli -otto gli avviserebbono degli ordini presi per loro nella prosecuzione -della guerra e di loro possanza, e appresso Spinello della Camera, il -quale era pienamente informato dell’entrata e uscita del comune e del -debito suo, loro farebbe chiaro di quanto il comune fosse possente a -danari. Posato quello de’ signori si levò uno di quelli della guerra, -e distesamente e apertamente disse, che l’ordine dato per loro era -questo, cioè, che per settantamila fiorini aveano condotto per sei mesi -quattromila barbute di quelli della Compagnia della stella, la quale -era in Provenza, intra i quali erano più di cinquecento gentili uomini, -e più nella Magna duemila barbute intra i quali era il conte Giovanni, -il conte Guido, il conte Ridolfo stratti della casa di Soavia, e che -al presente n’aveano scritte al soldo tremila, e che le dette brigate -si doveano rassegnare in Firenze innanzi l’uscita del mese, e altre -molte cose disse le quali poteano sollevare gli animi degli uditori -alla guerra, soggiugnendo, che tale spesa per la pace schifare non si -potea. Appresso si levò Spinello della Camera mostrando l’entrata e -l’uscita del comune, e che pagate le dette brigate per tutto il mese -d’ottobre il comune rimanea in debito di centossessantasei migliaia -di fiorini, di che udite le sopraddette cose gli animi degli uditori -accesi e sollevati inclinarono alla guerra; e ciò fatto, i signori -feciono chiamare il generale, e sporre le domande de’ Pisani, le quali -erano superbe troppo e fastidiose, e tali, che se avessono avuto il -comune di Firenze in prigione sarebbono state sconvenevoli, sconce e -disoneste, sopra le quali levati molti dicitori in fine di concordia -di tutti si prese, che dove pace avere si potesse ragionevole, e quale -comportare si potesse, col nome di Dio si prendesse, quanto che no, che -francamente si seguitasse la guerra, e avvenisse ciò che avvenire ne -potesse; vero che non si facesse pace s’avessono fatto lega con messer -Galeazzo, per la quale si dicea essere ito per ambasciadore de’ Pisani -in Lombardia Giovanni dell’Agnello. - - -CAP. LXXXIII. - -_Come messer Beltramo Craiche tolse Nantes per lo re di Francia a -quello di Navarra._ - -Nel detto anno 1364 a dì 8 d’aprile, messer Beltramo di Craiche -cavaliere Brettone Galese, il quale era nelle parti di Normandia, -capitano per parte del duca di Normandia prese la villa di Nantes -che si tenea per lo re di Navarra, e poco appresso prese la villa di -Mellavit, e tutte le fortezze per la gente del detto duca, e furono -prese più gente di Pag, e tali che teneano la parte del re di Navarra -contro al re di Francia, e fu d’alcuni fatta giustizia. - - -CAP. LXXXIV. - -_Come rotto il trattato della pace i Pisani cavalcarono i Fiorentini._ - -Mentre che il venerabile frate Marco per commissione di papa Urbano -quinto cercava la pace tra’ Fiorentini e’ Pisani, i Genovesi, Perugini -e Sanesi mandarono loro ambasciadori per cercare la detta pace insieme -col detto frate Marco, il quale ricevuta la risposta dal comune di -Firenze, che voleva pace dove fosse sopportabile e onesta, si tornò -a Pisa, e trovando i Pisani per lo caldo della molta buona gente -d’arme ch’aveano montati in più altere domande con minacce, tutto -che la speranza della pace avessono gittata indietro alle spalle, non -di manco i detti ambasciadori seguiano la cerca innanzi che le cose -inzotichissino più, minacciando i Pisani che se la pace prestamente -non si prendesse nella forma che l’aveano domandata, che farebbono -la lor gente cavalcare a desolazione e distruzione del contado di -Firenze. A’ Fiorentini parea al di dietro avere ricevuto soperchio -oltraggio, e aspettavano in corti giorni l’avvenimento della Compagnia -della stella, la quale per sagacità e sollecitudine di messer Galeazzo -corrotta per danari ritardava sua venuta, dipoi levata ne fu, e le -duemila barbute soldate nella Magna, fidandosi in questa speranza, e -ne’ valenti uomini ch’aveano a provvisione, ch’erano messer Bonifazio -Lupo da Parma, messer Tommaso da Spuleto, messer Manno Donati, messer -Ricciardo Cancellieri, e Giovanni Malatacca da Reggio, i quali erano -pregiati maestri di guerra, e stato ciascuno di per sè capitano di -grande esercito e avutone onore, e già in Firenze era venuto il conte -Arrigo di Monforte, e in sua compagnia il conte Giovanni e il conte -Ridolfo stratti della casa di Soavia con cinquecento uomini di cavallo -tutti giovani, e per la maggior parte gentili uomini, grandi e belli -del corpo, e quanto per un fiotto di tanta gente a giudizio di tutti -non era ricordo che entrasse in Firenze più bella nè meglio in punto -d’arme e di cavalli, ed esso conte era di bello e gentile aspetto. -Per le dette cagioni i Fiorentini con più cuore rifiutarono la pace, -e le minacce misono a non calere; onde i Pisani posta giù la speranza -della pace, avendo seimilacinquecento uomini di cavallo tra Tedeschi -e Inghilesi capitanati da Anichino di Bongardo e Giovanni Aguto in -forma di compagnie, e giunti loro oltre a mille cittadini e contadini -i più guastatori, licenziarono che intendessono a fare aspra guerra, -il perchè a dì 13 del mese d’aprile si mossono e passarono per la -Valdinievole, e posarsi nel piano di Pistoia, e in due luoghi puosono -campo, e il seguente dì gl’Inghilesi a schiere fatte si dirizzarono -a Prato, e in su la porta di Prato combatterono i Pratesi, e con mano -presono il ponte levatoio con maravigliosa sicurtà vietando che non si -levasse, la quale audacia a’ nostri fu in grande terrore, e a dì 15 -d’aprile circa a mille uomini a cavallo della brigata degl’Inghilesi -nel mezzo della notte si partirono del campo, e vennono infino alla -Porta al prato, onde la terra si scommosse tutta ad arme, e di loro -quattro gagliardi toccarono la porta, de’ quali l’uno ne rimase, e -senza arrestare si partirono con parecchi che trovarono nelle letta, e -con alquanti buoi, e tornarono al campo. E il seguente dì gl’Inghilesi -per lo stretto di Valdimarina passarono nel Mugello, non senza vergogna -de’ provveditori del nostro comune, a cui parea che per le civili -dissensioni Iddio avesse tolto il cuore e ’l senno; l’intenzione -degl’Inghilesi fu di passare per lo Mugello, e venirsene nel piano di -san Salvi, e ivi porre campo, e attenere a’ Fiorentini la promessa di -fare il prete novello: Anichino dovea tenere campo a Peretola. Passati -adunque la notte gl’Inghilesi la Valdimarina in sul fare del giorno -giunsono a Latera e a Barberino, e trovarono i villani non avvisati e -male provveduti, onde ebbono da cento prigioni, e da cento paia di buoi -e assai bestiame minuto, e trovarono pieno di biada e di vino e d’altra -roba da vivere, e la cagione fu per allora, che dove i governatori -della città doveano levare le gabelle acciocchè la roba venisse alla -terra, le raddoppiarono, il perchè niuno volea recare, volendo innanzi -stare a rischio del perderla: e ciò fu riputato a’ signori in singulare -fallo, levando l’abbondanza alla città e lasciando a’ nemici pastura. - - -CAP. LXXXV. - -_Come messer Pandolfo passò nel Mugello colla gente da cavallo per -tenere stretti gl’Inghilesi._ - -Essendo gl’Inghilesi passati nel Mugello per mala provvedenza di -chi potea riparare, messer Pandolfo fu fermo nell’usato pensiero di -farsi signore, e disse di volere cavalcare nel Mugello con la gente -dell’arme che era nella città, ch’era nel torno di dodici centinaia -di barbute; gli otto della guerra gliele interdiceano facendogliene -espressa proibizione, e non senza cagione, avendo rispetto a’ modi per -lui altra volta tenuti, e veggendo la città in grave pericolo: egli per -pertinacia seguendo sua intenzione disse, o che cavalcherebbe, o che -rifiuterebbe l’uficio del capitanato. Gli otto stando pur fermi, per -la città ne surse mormorio e sollevamento di scandalo; onde stando il -popolo insollito sotto ombra di cittadinesca riotta, gli otto temendo -gli concedettono l’andata, e cavalcò con circa a mille barbute, e -in compagnia del conte Arrigo di Monforte, a cui imposto fu per gli -otto che cura all’operazioni di messer Pandolfo poco fidato al comune -avesse; giunti nel Mugello, il conte s’alloggiò nella Scarperia, e -messer Pandolfo nel borgo a san Lorenzo. Occorse in quei giorni, che -circa a trenta della brigata del conte per avventura si scontrarono in -cento o più Inghilesi, e per spazio di due ore insieme si combatterono: -un gentiluomo della brigata del conte nome Arrigo veggendo il soperchio -degl’Inghilesi discese a piede, e con una lancia in mano di sua persona -fè maraviglie, perocchè, secondo che avemmo da persona degna di fede -che si trovò al fatto, con la detta lancia spuose da cavallo da dieci -Inghilesi de’ quali due morirono, e per lo detto atto e per li compagni -che francamente lo seguirono gl’Inghilesi inviliti dierono le reni, e -di loro, massimamente di quelli ch’erano rimasi a piede, alquanti ne -furono presi, alquanti ne rimasono morti nella battaglia. Avemo con -piacere per tanto di ciò fatto ricordo, perchè ne’ nostri dì tanta -prodezza di rado è stata veduta, e per mostrare quanto di valore e di -cuore a un esercito presta non solo il valente capitano, ma eziandio -il valente cavaliere, e così il vile viltà. L’opere d’arme per tenere -gl’Inghilesi stretti erano del conte Arrigo e del conte Ridolfo, ch’era -chiamato il conte Menno, e di loro brigate, ch’altri poco se ne dava -travaglio. - - -CAP. LXXXVI. - -_Come gl’Inghilesi si partirono del Mugello e tornarsi nel piano di -Pistoia._ - -Gl’Inghilesi essendosi assaggiati co’ Tedeschi e co’ paesani che aveano -cominciato a mostrare loro il volto e a volere de’ loro cavalli, -sentendo che il passare per lo Mugello a san Salvi per i molti -stretti passi era loro pericoloso, e quasi impossibile, e veggendo -il luogo dove s’erano condotti, incominciarono forte a dubitare, ed -era loro di mestiere, se avessono avuto chi avesse voluto attendere -a provvedere contro a loro, come dovea e potea, e tale ne portò mala -fama, massimamente perchè loro faltava la vita e per le bestie e per -le persone, onde loro convenne fuggire alle usate malizie, onde con -sollecitudine mostrarono di volersi alloggiare a san Michele del bosco, -afforzandosi di sbarre e palancati, con mettere pure in loro boce -che riposati alquanto farebbono il cammino di che aveano minacciato a -malgrado di chi non volesse, e ciò faceano per levare le poste alle vie -ond’erano venuti quelli che v’erano tratti a guardare, mostrando d’ire -innanzi non di tornare addietro, e così avvenne, che essendo quelle vie -non guardate, la notte di san Giorgio presono loro via per la valle di -Bisenzio e tornarsi nel piano di Pistoia. - - -CAP. LXXXVII. - -_Come messer Pandolfo Malatesti si partì dal servigio del comune di -Firenze._ - -Stando messer Pandolfo al Borgo involto in su gli usati pensieri -favorati dal male stato de’ Fiorentini, li cadde nell’animo, ch’essendo -Firenze nel dubbioso e forte partito dove per allora parea che fosse -lo dovesse gareggiare e tenerlo per idolo; onde volendo tentare se il -suo pensiere rispondea col fatto, e per sua parte fè dire a’ signori -di Firenze e agli otto della guerra, che casi gravissimi e poderosi gli -erano occorsi nel suo paese pericolosi allo stato suo, e che a riparare -necessario era che sua persona vi fosse, e li fece pregare che loro -piacesse in tanto bisogno non doverli mancare per dodici o quindici dì -licenziarlo: i signori con gli otto ne tennono consiglio di richiesti, -nel quale muto di dicitori, Bindo di Bonaccio Guasconi disse, che -pensava che ’l gentiluomo, amico egli e sua casa del nostro comune, -dicesse il vero, e che essendo le cose gravi come ponea, non gli andava -per animo che in così breve spazio di tempo come domandava le potesse -spacciare, e che non solo per dodici o quindici dì si licenziasse, ma -per tutto il tempo che sua condotta durava, e che in suo luogo fosse -posto il conte Arrigo di Monforte, e così nel consiglio s’ottenne, e fu -eletto il detto Bindo a ire a messer Pandolfo con piacevole commiato. -Bindo v’andò, e da sè a lui aperto li mostrò tutti i suoi errori, i -quali dal popolo erano stati bene conosciuti, e che agevolmente potea -avvenire, che perseverando in cotali pensieri con opera, forse che un -giorno il popolo li farebbe un sozzo scherzo, al quale non potrebbono -porre riparo nè i signori nè gli otto. Veggendo messer Pandolfo che -questo avviso come gli altri gli era venuto fallito, e tornato in -vergogna, se ne venne a Firenze, e fu a’ signori, e loro disse, che non -ostante che ’l suo bisogno fosse grande, per lo presente vedea quello -del comune di Firenze era maggiore e pertanto e sè e la sua brigata -alle sue spese offeria al comune: di ciò fu ringraziato, e dettoli, che -’l comune non avea nè di lui nè di sua brigata bisogno, onde si partì a -sua posta senza onore di comune, o di privati cittadini. - - -CAP. LXXXVIII. - -_Come gl’Inghilesi e’ Tedeschi co’ guastatori de’ Pisani s’accamparono -a Sesto, e Colonnata, e santo Stefano in pane._ - -Gl’Inghilesi usciti del Mugello a salvamento insieme co’ Tedeschi -e guastatori s’accamparono a Sesto e Colonnata, e per le coste di -Montemorello, prendendo santo Stefano in pane, e tutte le pianure -d’intorno, dove soprastettono per alquanti giorni, sicchè i guastatori -de’ Pisani ebbono destro a fare male, e arsono palagi e ricchi abituri -e altri casamenti per lo piano, e per le coste di Montemorello per -lo spazio di tre miglia o circa intorno al campo, e riservando a -levare del campo i luoghi che per loro necessità aveano riserbati, e -stando quivi gualdane di loro passarono l’Uccellatoio e Starniano, ed -entrarono in Pescia luogo aspro e riposto, ove trovarono molta roba -rifuggita, oltre n’andarono infino a Calicarza, Montile, e Curliano, -paesi malagevoli assai a cavalcare, senza trovare alcuna contesa. -Ancora infra questo tempo combatterono la Petraia, ch’era loro sopra -capo, e aveanla armata e fornita alla difesa i figliuoli di Boccaccio -Brunelleschi: e nel vero fortemente sdegnavano che sopra tante migliaia -di gente d’arme pregiata e famosa signoreggiasse quella piccola -fortezza in dispregio loro, il perchè si deliberarono di vincerla, -e la prima battaglia colle schiere ordinate fu degl’Inghilesi, dove -con acquisto di vergogna alquanti ne furono morti e molti magagnati, -la seconda de’ Tedeschi in simile acquisto; ultimamente essendo -cresciuta l’onta e ’l dispetto, anzi il levare del campo Tedeschi e -Inghilesi insieme con aspro assalto la combatterono, e niente poterono -acquistare, se non al modo usato danno e vergogna. Di questo avemo -fatta memoria per mostrare, che i privati cittadini in que’ tempi più -erano accorti e valorosi a difendere loro fortezze, che i governatori -del comune quelle della città, e massimamente perchè confortati, che -nel rispetto ch’aveano da’ nemici, e poteanlo fare assai leggermente -nol vollono fare, onde ne risultò gran vergogna al comune. L’invidia e -’l mal talento col poco senno che allora occupava il governamento ogni -virtuoso operare impedia. In sul levare del campo i guastatori pisani -arsono tutti i casamenti che per loro ostellaggi aveano riserbati. - - -CAP. LXXXIX. - -_Come gl’Inghilesi e’ Tedeschi coi guastatori pisani presono il colle -di Montughi e di Fiesole, e combatterono i Fiorentini alla porta a san -Gallo, e fessi Anichino di Bongardo cavaliere._ - -L’ultimo dì d’aprile i nemici mutando campo presono il colle di -Montughi e di Fiesole, spargendosi per tutte le circostanze infino -a Rovezzano, e il primo dì di maggio per giorno nomato colle schiere -fatte se ne vennono sopra la costa della via di san Gallo di sotto al -podere d’Altopascio, dove erano fatti tre serragli, il primo sopra la -via che va a santo Antonio, l’altro sopra la via che va a san Gallo, -il terzo sopra le case poste sopra via che ne va lungo le mura, e -questo era di carri, dove era il conte Arrigo di Monforte con tutta -la gente da cavallo; a’ primi due serragli erano molti Fiorentini -usciti di volontà, i quali impedivano la buona gente dell’arme ch’erano -alla difesa, e ammoniti da messer Manno Donati, e da messer Bonifazio -Lupo, e da messer Giovanni Malatacca, e dagli altri valenti uomini, -che si tirassono addietro, e lasciassono fare la gente dell’arme, nol -vollono fare, il perchè furono cagione della perdita de’ serragli con -morte e presura di molti di loro. Nello scendere delle schiere un poco -davanti due notabili uomini e pregiati in arme, Averardo Tedesco e -Cocco Inghilese, a lento passo l’uno dall’un lato della via l’altro -dall’altra si calarono giù a’ serragli facendo rilevate prodezze; -seguendo appresso le schiere vinsono e gettarono in terra i detti -due serragli, con danni assai e di morti e di prigioni de’ vogliosi e -disordinati Fiorentini, che s’erano voluti mettere alla difesa contro -a’ buoni uomini d’arme, e contra loro volontà. Averardo passò in sulla -piazza di san Gallo, e con molti che appresso il seguivano infino al -piè delle case a fronte si fè al conte di Monforte, il quale stando -come una massa di ferro mai da’ nemici non fu tentato, tutto che le -frecce degli arcieri inghilesi che scendeano sopra l’altra brigata -sembrassono gragnuola. Dalla porta e antiporta e mura scoccavano le -balestra, e a tornio e a staffa, che il tuono del romore piuttosto -cresceano che facessono danno. Scese le schiere, fuoco fu messo in -sant’Antonio del vescovo, e per simile in molti altri casamenti. In -quel fuoco, in quel tumulto, in quelle grida Anichino di Bongardo -si fè cavaliere in sulla costa della via che vede la porta, con -tanti suoni, con tante grida, che parea che ’l cielo tonasse, ed -egli fè cavaliere messer Averardo e più altri, come se fatti fossero -in battaglia campale: e ciò fatto, fu sonato a ricolta, e tutti, -accortamente senza impaccio si ritrassono addietro chi a Montughi e -chi a Fiesole, e la notte con l’ordine dato tra loro feciono la festa -de’ cavalieri novelli, la quale fu in questa forma: che le brigate -a cento i più a venticinque i meno con fiaccole in mano si vedeano -danzare, e l’una brigata si scontrava con l’altra gittando talora le -fiaccole, e ricevendole in mano, e talora mettendole a giro, e a modo -d’armeggiatori seguendo l’un l’altro ordinatamente, e queste fiaccole -passavano le duemila, con gran gavazze di grida e stromenti; e per -quello che s’intese dalle brigate ch’erano nel piano vicino alle mura -dispettose parole usavano contra il comune di Firenze, e intra l’altre, -Guardia studia i collegi, manda pe’ richiesti, e simili parole usate -nel palagio de’ priori, le quali erano intese e da quelli che erano -in sulle mura e da quelli ch’erano da piè. E per dileggiare il popolo -di Firenze in sulle tre ore di notte quetamente mandarono un loro -trombettino e un tamburino in sul fosso delle mura della Porta alla -croce, i quali sonando come a stormo, il popolo di Firenze tutto si -commosse a romore, correndo boci per la terra che i nemici aveano prese -le mura dove le bertesche erano fatte, e che parte di loro n’erano -dentro discesi. La paura fu sopra modo, e i cittadini come smemoriati -correvano qua e là per la terra, e le femmine poneano le lucerne alle -finestre, e con lamenti l’armavano di pietre. La cosa nel suo aspetto -a vedere orribile era, ma saputo il vero, subitamente si racchetò il -bollore fatto in danno e vergogna come detto è. Il seguente dì 2 di -maggio schierati tutti passarono Arno di sotto alla Sardigna assai -presso alla città, e puosono campo a Verzaia stendendosi infino a -Giogoli e Pozzolatico e per Arcetri, ardendo tutto infino presso alle -mura; e sopra questo con le schiere fatte, e con le loro barbare strida -e suoni di stromenti da battaglia vennono verso la porta di san Friano -per combattere nella forma che fatto aveano a quella di san Gallo. I -nostri che ne’ giorni passati s’erano assaggiati con loro, e trovato -aveano ch’erano uomini e non leoni, aveano armato il casamento delle -monache da Verzaia, e quivi fatte le sbarre ricevettono francamente -il baldanzoso assalto, rispondendo loro co’ ferri in mano in modo e -forma che li ributtarono indietro con molti fediti e alcuni morti, il -perchè niente avanzando se non danno e vergogna si ritrassono al campo: -bene arsono allora sopra il ciglio della città Bellosguardo e molte -altre belle e ricche possessioni e palagi, e soprastati per alquanti -giorni, per dare agio ai fediti loro i quali passavano il numero di -duemila, veggendo che i Fiorentini s’ausavano all’arme, e andavano -a riguardo, sicchè poco con loro poteano avanzare, e che le brigate -che uscivano di notte sì de’ cittadini come de’ contadini, che erano -trafitti e aveano bisogno di ristorarsi, stando essi sparti baldanzosi, -e per dispetto quasi senza guardia veruna, e di prigioni e di cavalli -e d’uccisioni li danneggiavano forte, si partirono. Il lor viaggio fu -sopra san Miniato a monte, e sopra l’Ancisa passando per lo Valdarno, -e loro albergheria fu al Tartagliese, e il seguente dì feciono vista -di combattere la Terranuova, dove trovato la risposta, con alquanti -di loro morti e magagnati si partirono, e così mollemente tentarono -dell’altre terre del Valdarno, il perchè aperto s’intese che per -quella via gli avea volti il danaio: che usciti del contado di Firenze -in su quello d’Arezzo, e trovandolo sgombro, passarono su quello di -Cortona, e quindi in su quello di Siena facendo danno assai d’arsioni -prigioni e prede, infine voltisi per la Valdelsa e per la Valdinievole -si fermarono in su quello di Pisa a san Piero in campo. Quivi vollono -vedere la rassegna delle loro brigate, dal tempo ch’entrati erano in -sul Fiorentino, e trovarono che più di seicento buoni uomini d’arme -aveano perduti, e oltre a duemila n’erano fediti, de’ quali assai -poscia perirono. - - -CAP. XC. - -_Come il conte Arrigo di Monforte capitano de’ Fiorentini prese e arse -Livorno._ - -Nel paesare e nel raggiramento che messer Anichino di Bongardo faceano -in su quello d’Arezzo insieme con gl’Inghilesi, come abbiamo detto, -il conte Arrigo di Monforte capitano de’ Fiorentini, e con lui il -conte Giovanni e il conte Ridolfo colle brigate loro de’ Tedeschi, -ch’erano con quelli del conte Arrigo millecinquecento barbute, e -con l’altra gente di cavallo de’ Fiorentini ch’erano per le castella -alle frontiere, la quale fè adunare in san Miniato del Tedesco, e con -cinquecento balestrieri scelti, e più con assai Fiorentini a cavallo -e a piè che di volontà l’aveano voluto seguire, e col consiglio di -messer Manno Donati, e di certi degli altri provvisionati, de’ quali -di sopra facemmo menzione, fatto fornimento da vivere per quindici -giorni, venerdì mattina a dì 21 di Maggio 1364 si partì di san Miniato -del Tedesco, e la sera prese albergo su l’Era vicino al castello di -Gello, e il sabato mattina passando vicino di Pisa, e facendo quel -danno che fare si potea s’accampò a san Piero in Grado. E in quel -giorno vennono a Pisa di Lombardia millequattrocento uomini di cavallo -sotto nome di compagnia, i quali veniano per pigliare inviamento di -loro mestiere in Toscana. I Pisani vedendosi improvviso giugnere questa -ventura loro donarono duemila fiorini d’oro, ed elli coll’altra gente -loro che rimasa era in Pisa, come soperchio a’ Tedeschi e Inghilesi che -cavalcati erano in sul Fiorentino, e con parte del popolo andassono -a combattere co’ Fiorentini ch’erano accampati a san Piero in Grado, -e così promisono di fare, e preso rinfrescamento, con la gente e col -popolo uscirono di Pisa schierati, e a pian passo contro i nemici. Il -conte di Monforte sollecitato era molto da messer Manno che passasse -il ponte allo Stagno contro Livorno, ed egli dubitando forte stava -sospeso, e per conforto che fatto gli fosse non si attentava a passare -quello lagume, e non sapere dove, se non quando vidde il gran polverio -della gente ch’usciva di Pisa, quindi mosse passo, e di presente -messer Manno chiamò Filippone di Giachinotto Tanaglia, che quivi -appresso di lui era, e prese due scuri in mano tagliarono due pali in -su che si posava il ponte, e lo feciono nello stagno cadere, e a pena -aveano fornito il servigio che i Pisani sopraggiunsono e per acqua e -per terra. Messer Manno conoscea tutti i soldati che praticavano in -Lombardia, e pertanto domandò di volere parlare con alcuno di loro -caporali, e tantosto vennono parecchi, e con lieta accoglienza lo -viddono, rallegrandosi ch’aveano cessato materia di zuffa, e a lui -dissono, che aveano ricevuto duemila fiorini d’oro perchè commettessono -battaglia con loro, e che credeano che i Pisani attenderebbono a loro -persecuzione, ma che essi per suo amore lentamente procederebbono, e -da lui preso congio, a passi scarsi si tornarono verso Pisa. E in ciò -cadde perdimento di tempo a’ Pisani, utile e necessario alla gente de’ -Fiorentini, come può qualunque intendente udendo il fatto comprendere, -perocchè deliberarono i Pisani che la detta gente cavalcasse a -Montescudaio, e togliesse il passo a’ Fiorentini, e se ciò fosse per -mala fortuna avvenuto, senza dubbio tutta la gente ch’era in quella -cavalcata era perduta. La detta gente la sera soprastette in Pisa, -e la mattina seguente persono tempo tra nell’armarsi e mettersi in -ordine. I Fiorentini in quel giorno che passarono il ponte allo Stagno -presono Porto pisano e Livorno, e trovaronlo sgombro, perocchè quelli -che dentro v’erano diffidandosi di poterlo tenere da tanto sforzo, -prestamente si diedono allo sgombrare fuggendo loro famiglie e cose, -e così le mercatanzie in mare in su le navi, che solo una balla di -panni e una ricca cortina nel fondaco trovato non fu, or non di manco -messo in preda quello che trovato vi fu, il conte fece ardere la terra. -Messer Manno udito il generale avviso della gente dell’arme che s’era -data a servire a’ Pisani, come uomo avvisato e pratico de’ casi che -sogliono ne’ fatti dell’arme avvenire, subito gli corse in pensiero, -che i Pisani non rivolgessono quella gente in Maremma a tor loro il -passo di Montescudaio, e cominciò forte a dubitare, e avvisonne il -capitano, e vennono presto a’ rimedi, perocchè messasi innanzi la gente -da piè, perchè del camminare avessono più agio, e rinfrescato alquanto -i loro cavalli, alle tre ore di notte presono viaggio, e dirizzaronsi -verso Montescudaio per vie montuose e aspre e malagevoli, e tutta -quella notte senza arresto cavalcarono, e il seguente dì con dare poco -d’agio alle bestie e a loro misono in cavalcare come fossono in fuga, e -alle tre ore di notte uscirono del passo di Montescudaio, e ridussonsi -in su quello di Volterra in luogo sicuro, trovandosi avere camminato in -ventiquattro ore miglia trentotto di pessima via. E in quella medesima -notte circa alle sette ore la gente de’ Pisani giunse a Montescudaio -per torre il passo, e trovando che i Fiorentini erano passati, dello -scorno che loro parea avere ricevuto presono cordoglio. Emmi stato -piacere particolarmente narrare questa particella di storia per -dimostrare quello che può e fa la fortuna nelle maledette confusioni -delle guerre. Ben furono di quelli che vollono dire, che la cavalcata -era stata di coscienza de’ Pisani, perchè pace si potesse cercare, e -se vero fu, alla Pisanesca bel tratto faceano, avendo il caso fortuito -loro prestato la gente dell’arme, colla quale stimarono poterlo fare, e -assai presso vi furono. - - -CAP. XCI. - -_Come il corpo del re Giovanni di Francia fu trasportato di Londra a -Parigi, e come onorato._ - -Per tramezzare alquanto la continuanza delle scritture nella guerra -tra’ Fiorentini e’ Pisani ne occorre di scrivere, che ’l dì primo di -maggio il corpo del re Giovanni di Francia di Londra ne fu portato a -santo Antonio presso a Parigi la sera, e quivi per onorarlo e farne -l’esequie reale stette quattro giorni, e a dì 5 detto mese ne fu -portato a nostra Donna di Parigi accompagnato da tutte le processioni -delle chiese e regole di Parigi, e da tre suoi figliuoli, ciò furono, -Carlo primogenito delfino di Vienna e duca di Normandia, Luigi duca -d’Angiò, Filippo duca di Torenna lo più giovane di tutti, e fuvvi lo -re di Cipri, Giovanni duca di Berrì era in Inghilterra: e portarono il -corpo del detto re quelli di parlamento secondo loro uso; e ciò è di -ragione, perchè elli rappresentano la giustizia in luogo del re: e a dì -6 si disse la messa, e subito il corpo ne fu portato a santo Dionigi, -seguendo appresso d’esso i suoi tre figliuoli Carlo Luigi e Filippo, e -il re di Cipro, e sopra i franchi della villa, poi montati a cavallo -infino a santo Dionigi, e a dì 7 si fè l’esequio a santo Dionigi. E -seppellito il detto corpo con grande onore, tantosto appresso Carlo suo -primogenito se n’andò in un pratello, e appoggiato ad un fico ricevette -più omaggi da’ peri di Francia e da’ grandi baroni, e a dì 9 si partì -per andare a Rems a prendere la corona. - - -CAP. XCII. - -_Come messer Beltramo de Cloachin sconfisse il luogotenente del re di -Navarra in Normandia._ - -Nel detto anno a dì 16 dì Maggio, messer Beltramo de Cloachin si -combattè davanti Choncel presso alla Croce di san Leffon contra al -Captal del Comuff luogotenente del re di Navarra in Normandia, e fu il -detto Captal sconfitto e preso, e la maggior parte di sua gente morta -e presa; e per avere il detto Captal lo re di Francia diede al detto -messer Beltramo tutta la Longavilla e la Giusfort ch’erano state del re -di Navarra. E lo re di Francia ec. - -_Qui manca il fine di questo capitolo con tre altri capitoli delle -rubriche che erano così intitolati._ - - -CAP. XCIII. - -_Come Carlo primogenito del re di Francia fu consegrato a Rems a re di -Francia._ - - -CAP. XCIV. - -_Come si combatterono messer Carlo di Bos duca di Brettagna, e messer -Gianni di Monforte._ - - -CAP. XCV. - -_Come i Fiorentini con la forza del danaio ruppono la compagnia de’ -Tedeschi e Inghilesi, e levaronla da provvisione de’ Pisani._ - -_Per supplire in parte a ciò che manca in questo luogo nel codice -Ricci, ecco ciò che ne fornisce l’Epitome dell’Istorie dei tre Villani -di Domenico Boninsegni, che poco addietro ho citato._ - -«Essendo le genti de’ Pisani a san Piero in campo, e i Fiorentini -vedendosi mancare la speranza della Compagnia della Stella, per -operazione di messer Galeazzo, e della gente della Magna, cercarono -accordo con gl’Inghilesi e’ Tedeschi ch’erano presso alla fine di loro -condotta, e i Pisani cercavano di riconducerli, pure vinsero l’opere -de’ Fiorentini, che già segretamente avevano dato ad Anichino novemila -fiorini quando erano in sul contado di Firenze, e alla sua brigata -ne donarono trentacinque migliaia, e agl’Inghilesi settantamila, e -tutti si partirono dal servigio de’ Pisani, eccetto Giovanni Aguto con -milledugento Inghilesi: e anche in segreto feciono patto con messer Ugo -della Zucca e altri Inghilesi. I patti con queste compagnie in sostanza -furono, che per cinque mesi non sarebbono contro il nostro comune, o -suoi sudditi o accomandati in alcun modo; anzi tutti n’andarono in su -quello di Siena a predare e ardere, per merito di quello feciono alla -Compagnia del cappelletto soldati nostri.» - - -CAP. XCVI. - -_Come i Fiorentini presono in capitano di guerra messer Galeotto -Malatesti._ - -«Fatto l’accordo che di sopra è detto, parve a’ governatori di Firenze -necessario d’avere un capitano italiano, e procacciando messer Galeotto -Malatesti, secondo si disse, per cancellare la disgrazia con la quale -s’era partito il suo nipote, infine l’ottenne, e fu eletto nostro -capitano, con assai ammirazione di molti agli scherni ricevuti dal -nipote, e venne in Firenze a dì 17 di luglio a ore ventuna per i -consigli d’astrolagi. E innanzi che scendesse da cavallo appiè della -porta del palagio de’ priori con le usate solennità prese il bastone e -l’insegne, e lui diè quella de’ feditori al conte Arrigo di Monforte, -e fecelo vece capitano; la reale diè a messer Andrea de’ Bardi, e -altre ad altri cittadini, e senza arresto uscì di Firenze, e posate -l’insegne in Verzaia tornò in Firenze, e per intendersi co’ signori -e altri uficiali dell’informazione della guerra, e soprastette alcuni -dì, perchè voleva piena balìa di potere dare a sua volontà a’ soldati -paga doppia e mese compiuto.» Alla fine essendo fuori le insegne, ed -egli stando pertinace, per lo meno male e meno vergogna di comune -la sua domanda fu messa a esecuzione, la quale i sottili venditori -non ebbono per meno che domandare giurisdizione di sangue. Avuto suo -intendimento, mosse a dì 23 del mese di giugno, accompagnato infra gli -altri da trecento cittadini ben montati e riccamente armati, i quali -spontaneamente vi cavalcavano per vendicare l’ingiurie de’ Pisani -novellamente fatte al loro comune. - - -CAP. XCVII. - -_Battaglia tra’ Fiorentini e’ Pisani fatta nel borgo di Cascina, nella -quale i Fiorentini furono vincitori._ - -Domenica, a dì 29 di luglio anni 1364, rivolto l’anno che nel -medesimo giorno i Pisani aveano corso il palio al ponte a Rifredi, -fatti cavalieri, battuta moneta, impiccati asini, e fatte molte altre -derisioni e scherne a’ Fiorentini, messer Galeotto Malatesti capitano -de’ Fiorentini, movendo la notte dinanzi campo da Peccioli, la mattina -s’accampò ne’ borghi di Cascina presso di Pisa a sei grosse miglia, -ma di via piana e spedita, e infra il giorno per lo smisurato caldo -le tre parti e più dell’oste, che erano oltre di quattromila uomini -di cavallo che di soldo, che d’amistà, e che de’ Fiorentini, che per -onorare loro patria di volontà erano cavalcati, e di undicimila pedoni, -s’era disarmata, e quale si bagnava in Arno, quale si sciorinava al -meriggio, e chi disarmandosi in altro modo prendea rinfrescamento. -E il capitano, sì perchè molto era attempato, sì perchè del tutto -ancora libero non era della terzana, se n’era ito nel letto a riposare -senza avere considerazione quanto fosse vicino all’astuta volpe, e -al volpone vecchio Giovanni dell’Aguto, e tutto che al campo fossono -fatti serragli, deboli erano, e cura sufficiente non era data a chi -li guardasse; il perchè avvenne, che il valente cavaliere messer -Manno Donati, come colui a cui toccava la faccenda nell’onore, andando -provveggendo il campo e i modi che la gente dell’arme tenea, conosciuto -il gran pericolo in che il campo stava, e temendo che nel fatto non -giocasse malizia, e dove no, quello che ragionevolmente secondo uso -e costume di guerra ne dovea e potea avvenire, e tantosto n’avvenne, -mosso da fervente zelo incominciò a destare il campo, e dire, noi -siamo perduti, e con queste parole se n’andò al capitano, e lo mosse -a commettere in messer Bonifazio Lupo e in altri tre e in lui la cura -del campo; ciò fatto messer Manno di subito corse al più pericoloso -luogo, e donde l’offesa più grave e più pronta potea venire, cioè alla -bocca della strada che si dirizzava a san Savino e quindi a Pisa, e -il serraglio il quale era debole fece fortificare, e alloggiovvi alla -guardia i fanti aretini con alquanti pregiati Fiorentini, e con loro i -fanti de’ Conti di Casentino; e perchè nel capo li bolliva per diversi -e ragionevoli rispetti quello che di presente ne seguì, aggiunse -alla guardia messer Riccieri Grimaldi con quattrocento balestrieri -genovesi. I Pisani avendo per loro spie e dai luoghi vicini al campo, -e massimamente da san Savino, dello sciolto e traccurato reggimento -del campo, ma non della provvisione fatta per messer Manno, perchè al -fatto fu troppo vicino, conferito con Giovanni dell’Aguto sopra la -materia, infine in lui commisono il tutto dell’impresa, e il popolo -animoso e voglioso a furore presa l’arme nelle braccia sue si pose -con lieta speranza di vittoria, quasi siccome non dovesse potere -perdere. Giovanni Aguto preso il carico senza perdere punto di tempo -diede ordine a quanto fu di mestiere, e uscì col popolo di Pisa, e fè -capo a san Savino, e come mastro di guerra fè il campo de’ Fiorentini -per tre riprese assalire da gente che prima era fuggita che giunta, -affinchè i nemici attediati non conoscessono il vero assalto quando -venisse, e venneli fatto, che ’l campo fu tre volte mosso ad arme dal -campanaro indarno, e il capitano turbato di suo riposo fè comandare -al campanaro alla pena del piè, che che che si vedesse non sonasse -senza licenza sua. Appresso il detto Giovanni aspettò la volta del -sole, perchè i raggi fedissono nel volto de’ nemici, e a’ suoi nelle -spalle. Ancora per la pratica ch’avea del paese conobbe, che a tale -ora surgea un’aura che la polvere venia a portare negli occhi de’ -nemici. Solo in uno per gl’intendenti giudicato fu che egli errasse, -che non misurando le miglia da san Savino a Cascina, che sono quattro -di polveroso e rincrescevole piano, nè avendo rispetto alla fiamma del -sole che divampava il mondo, nè al grave peso dell’arme, fidandosi -nella gioventù e prodezza de’ suoi Inghilesi nati e cresciuti nelle -guerre di Francia, a’ quali per animarli e soperchiare ogni fatica -e ogni paura avea messo che nel campo erano quattrocento Fiorentini, -tal buono prigione per mille, tale per duemila fiorini, e del tutto -ignoranti dell’arme, esso fè tutta gente scendere a piè, il perchè -lassi e mezzi stanchi giunsono al campo. Mosselo a ciò fare due -ragioni, l’una perchè la gente a piè più chetamente cavalca, l’altra -perchè leva meno polverio, immaginando, come avvenne, che prima fossono -al campo che sentiti, e così prendere il campo di furto prima che -si potesse ordinare: e tutte le dette cose fatte furono per Giovanni -Aguto, che niente ne sentì messer Galeotto, o per difetto di spie, o -perchè poco curasse ciò che potessono fare i nemici, e questo è più da -credere. Adunque messi nella prima fronte delle schiere quelli aspri -e duri Inghilesi cui tirava la voglia della preda, tutto l’esercito -fè muovere quando gli parve, e prima i suoi Inghilesi furono vicini -alle sbarre che da’ nostri fossono sentiti. Il romore e le strida del -subito assalto a’ nostri furono le spie. I fanti che posti erano alla -guardia del luogo, i quali per lo giorno furono assai più che uomini, -francamente presono l’arme non curando le spaventevoli strida, ma -ordinati di subito alla resistenza non si lasciarono torre una spanna -di terra. E il valente messer Riccieri Grimaldi compartiti i suoi -balestrieri dove necessario gli parve, e allogatine gran parte nelle -ruine delle case, le quali erano di mattoni, e pertugiate e di costa a’ -nemici, confortandoli a ben fare, e sollecitandoli dolcemente e qui e -quivi a rinterzare colla forza de’ verrettoni rintuzzò la fiera rabbia -de’ baldanzosi nemici. Mentre che la battaglia era e quinci e quindi -animosamente attizzata alle sbarre, il vero grido del fatto come era -senza suono di campana o altro sollecitamento di capitano corse per lo -campo e lo strinse ad armare, e il primo che giunse al soccorso alle -sbarre, come quelli che temendo sempre stava in punto, fu messer Manno -Donati, il quale veggendo quivi soprabbondare gente da cavallo, per -non stare indarno uscì con tutta sua brigata del campo, e percosse i -nemici ne’ fianchi, conturbando gli ordini loro, e facendo loro danno -assai; e in poca d’ora vennono alle sbarre il conte Arrigo di Monforte -colla insegna de’ feditori, e con lui il conte Giovanni e il conte -Ridolfo chiamato dal volgo il conte Menno, e costui come giunse alle -sbarre le fè gettare in terra, e si avventò sopra i nemici facendo -colla spada cose da tacerle, perchè hanno faccia di menzogna. Per -simile il conte Arrigo co’ suoi Tedeschi sollecitando i cavalli colli -sproni senza averne riguardo contro a’ nemici gli ruppono, passando -tutte loro schiere infino alle carra che da Pisa recavano e veniano -con vino per rinfrescare loro brigata. Il sagace messer Giovanni -dell’Aguto, il quale era nell’ultima schiera co’ suoi caporali e altri -pregiati Inghilesi, avendo compreso che la testa delle sue schiere non -era di fatto entrata nel campo come si credette, e che la resistenza -era dura, si giudicò vinto, e senza aspettare colpo di spada di buon -passo co’ detti caporali si ricolse a san Savino, dove aveano lasciati -i loro cavalli, lasciando nelle peste il popolo de’ Pisani faticato, e -poco uso e accorto negli atti dell’arme. I Genovesi Aretini e’ fanti -dell’Alpe come vidono rotte le schiere de’ Pisani, e mettersi in -fuga, seguitando la caccia ne presono assai. Essendo adunque per gli -Aretini Fiorentini e’ fanti del Casentino alle sbarre ben sostenuta -la puntaglia de’ nemici, e mezza vinta loro pugna, per i balestrieri -genovesi e per i Tedeschi in poco tempo recati a fine, il capitano fè -muovere l’insegna reale, la quale per spazio d’un miglio o poco più si -dilungò dal campo, sotto il cui riguardo assai d’ogni maniera si misono -a perseguitare i nemici, e trovandoli sparti in qua e in là, lassi e -spaventati, ne presono assai. Stando la cosa in estrema confusione -per i Pisani, per alcuni valenti e pratichi d’arme, parendo loro -conoscere il vantaggio, consigliato fu messer Galeotto che seguitasse -la buona fortuna, la quale li promettea la città di Pisa: rispose, -che non intendea il giuoco vinto mettere a partito, e più fè, che -tantosto fè sonare alla ricolta, sotto il dire che temea degli aguati -de’ sottrattori e sagaci nemici; onde molti che sarebbono stati presi -ebbono la via libera a fuggirsi, e massimamente gl’Inghilesi ch’erano -fediti e rifuggiti in san Savino, nè osavano sferrarsi de’ verrettoni -che giunti in Pisa, dov’ebbono solenni medici, e in pochi giorni gran -numero ne perì. Tornato il capitano al campo, e cercato il luogo dove -fu la battaglia, assai vi si trovarono morti, ma molti più il seguente -dì per le fosse e per le vigne, quale per stracco, quale di ferite, e -molti colla sete in Arno mettendovisi dentro vi annegarono. Stimossi -che i morti per detta cagione passassono i mille: i presi furono -vicini a duemila, de’ quali tutti i forestieri furono lasciati, e i -Pisani presi da quelli ch’erano venuti al servigio del comune si furono -loro. Tutta gente di soldo fu per messer Galeotto in segreto istigata -e sollecitata a domandare a lui paga doppia e mese compiuto, ed egli -per la balìa presa dal comune la promesse loro, che montò a dannaggio -del comune circa a centosettantamila fiorini e più, perchè presa la -speranza della detta promessa gran quantità di ricchi e buoni prigioni -i soldati trabaldarono, e feciono con poca di cortesia riscuotere. -Forte e molto diè che pensare a quelli savi e valenti cittadini, che in -que’ giorni si trovarono nel numero de’ reggenti, messer Galeotto, il -più famoso uomo allora d’Italia in cose militari e in podere d’arme, -meritasse d’essere in tal forma assalito nel campo da uomo non meno -famoso nè meno saggio in simili atti di lui, e che esso fosse l’autore, -che i soldati per difendere il campo contro buono uso di gente d’arme -pertinacemente volessono eziandio e con minacce e atti disonesti paga -doppia e mese compiuto, le quali cose diligentemente ponderate furono -cagione d’affrettare il trattato della pace, dando di ciò pensiere ad -alquanti discreti e intendenti cittadini. Ma noi tornando al processo -della guerra, il dì seguente, che fu l’ultimo di luglio, messer -Galeotto, con tutto l’esercito e con i prigioni, girandosi pure vicino -a Pisa per tornarsene a san Miniato del Tedesco assai bene in ordine e -colle schiere fatte, in quello cavalcare fè cavaliere Lotto di Vanni da -Castello Altafronte, giovane di gentile aspetto, e degli accomandati al -comune di Firenze, Piero de’ Ciaccioni di san Miniato, e Bostolino de’ -Bostoli d’Arezzo. - - -CAP. XCVIII. - -_Come furono assegnati i prigioni al comune da’ soldati, ed entrarono -in Firenze in sulle carra._ - -Essendo condotti i prigioni pisani in Monticelli fuori della porta -a san Frediano di Firenze, alquanta di resistenza in parole feciono -i soldati di non darli se certi non fossono di paga doppia e mese -compiuto, e conobbesi essere moto altrui e a mal fine; il perchè -ricevuta speranza d’averla da quelli savi cittadini che con loro -ne parlarono, diedono liberamente i prigioni, i quali ricevuti con -dispettoso e vile spettacolo, col capitano, con l’insegne, e con la -gente dell’arme furono messi in città, perocchè i popolani di basso -stato con alquanti d’un poco meno che mezzano furono allogati in sulle -carra, e furono quarantaquattro carrate; a’ nobili e gente da bene fu -conceduto il venire a cavallo. E innanzi che questa pompa entrasse -nella città, tutte le campane del comune cominciarono a sonare alla -distesa acciocchè tutto il popolo traesse a vedere, e dinanzi alle -carra tutti gli stromenti e suoni del comune, e così quelli della -parte guelfa, vista certamente esemplare di diversa e varia fortuna, -verificante quello disse David, che disse: Vario è l’avvenimento della -guerra, e quinci e quindi consuma il coltello. I prigioni furono -allogati nelle prigioni del comune il più abilmente che si potè, e -dalle buone e pietose donne fiorentine a gara furono abbondantemente -provveduti di tutto ciò che loro bisognava. - - -CAP. XCIX. - -_Come la parte guelfa di Firenze prese a far festa di san Vittore, e -perchè._ - -In questa vittoria universale che s’ebbe del popolo di Pisa, la quale -non pensata nè cercata fu, ma piuttosto recata, perchè singulare, e fu -nel giorno che la santa Chiesa fa festa di san Vittore papa e martire -glorioso, la parte guelfa di Firenze ad eterna memoria di tanto fatto -prese di fare festa in Firenze ogni anno di san Vittore divotamente, -come a patrone de’ guelfi, a similitudine come san Barnaba: e feciono -in santa Reparata fare una cappella in reverenza del detto santo, con -intenzione di migliorarla, perchè venendo la chiesa a sua perfezione -stare non può quivi dov’è, e ogni anno vi fanno solennemente celebrare -la sua festa con bella offerta della parte, e poi nel giorno fanno -correre un ricco palio di drappo a figure foderato di drappo vergato: -e vollono e tennono che l’arti guardassono il giorno, e così l’altro -popolo. - - -CAP. C. - -_Come la gente dell’arme del comune di Firenze prese tira di non -cavalcare, e quello ne seguì._ - -Fatta la festa de’ prigioni, per contentamento del popolo, che non -si potea vedere sazio di vendetta dell’ingiuria in ultimo fatta per i -Pisani con la forza d’Anichino di Bongardo e degl’Inghilesi, tutta la -gente del comune col capitano uscì fuori per cavalcare in su quello -di Lucca, ma imbizzarrita sopra volere paga doppia e mese compiuto, -come da altrui erano nel segreto inzigati, si fermò fra Montetopoli -e Marti, e quivi stettono infino a dì 18 d’agosto assai in atti e -in parole turbata contro al nostro comune: in fine vinta la gara e -conseguito loro intento per meno male, cavalcarono i nemici afflitti -e tribolati oltre a modo, e a dì 28 del mese messer Galeotto fermò -l’oste a san Piero in campo. Bene avvenne infra il tempo, che essendo -condotti gl’Inghilesi dal comune di Firenze, andarono per ubbidire il -capitano, e puosono di per sè campo, e, o che i Tedeschi sollevati da -sagace ingegno per vedere peggio, o pur perchè la gloria dell’arme -non potessono patire di vedere gl’Inghilesi, il seguente dì vennono -a riotta con loro, e ordinati e provveduti gli assalirono al campo -di ciò niente pensati. La zuffa fu aspra e pericolosa assai, e quinci -e quindi ne morirono, e molti ne furono magagnati. Gl’Inghilesi loro -campo francamente difesono, tutto che predati e soperchiati fossono -da’ Tedeschi, come sprovveduti: e quel giorno il capitano con gli altri -caporali del campo loro feciono fare triegua per tre dì, e il seguente -dì poi per quindici. E in quello inviluppamento il capitano con tutta -la gente dell’arme, eccetto gl’Inghilesi che si rimasono al campo -loro, cavalcarono in su quello di Lucca, e feciono campo nel borgo -di Moriano, facendo danni e prede assai. I Fiorentini per dilungare -gl’Inghilesi da’ Tedeschi glie ne mandarono nel Valdarno di sopra. In -queste tenebre e confusioni i governatori del comune di Firenze per -fuggire la grande e incomportabile spesa dell’arme, e’ loro dangieri -e pericoli, come fu tocco in parte di sopra, e ne’ segreti e pubblici -consigli determinarono che a pace si venisse, e cura ne dierono a dieci -buoni e discreti cittadini; e infra il tempo l’ambasciadore del santo -padre col favore degli ambasciadori de’ comuni di Toscana duplicando -essa sollecitudine, perchè vedeano le cose de’ Pisani per ire in -fascio, e in mala parte e tosto, tanto sollecitarono, che i Pisani -mandarono loro solenni ambasciadori alla terra di Pescia con mandato -pieno a conchiudere la pace. Il comune di Firenze appresso vi mandò -messer Amerigo Cavalcanti, messer Pazzino degli Strozzi, messer Filippo -Corsini, messer Luigi Gianfigliazzi, e Gucciozzo de’ Ricci per simil -modo col mandato larghissimo, nè però tanto, che li quinci e li quindi -disposti alla pace tanto seppono e poterono onestamente avacciare, che -Giovanni dell’Agnello, tutto sollevato e disposto dal consiglio e caldo -di messer Bernabò a farsi signore di Pisa, più non avacciasse a farsi -signore, prevenendo la pace la quale gli tagliava ogni suo pensiero e -rendevalo vano. - - -CAP. CI. - -_Come Giovanni dell’Agnello si fece signore di Pisa sotto titolo di -doge._ - -Giovanni dell’Agnello cittadino di Pisa di gesta popolare, per -antichità di sangue non chiaro e per ordine mercatante, piuttosto -scaltrito e astuto che saggio, presuntuoso a maraviglia e vago di cose -nuove, e sopra tutto sollecito, questi era in questi giorni tornato -da messer Bernabò dove ito era per ambasciadore del suo comune, e col -tiranno avea tenuto trattato che i Pisani fossono suoi accomandati, -ed egli gli atasse con darli delle terre loro, e per detta cagione da -lui ebbe in prestanza trentamila fiorini. Di questo trattato nacque il -baldanzoso parlare e pensiero di Giovanni dell’Agnello di farsi signore -di Pisa, immaginando che venendo Pisa e le membra sue a tiranno, i -Fiorentini fossono più contenti di lui che di messer Bernabò. Essendo -adunque Pisa sospesa, in tremore e spavento, e più volte abbandonati -dalla speranza della pace, feciono un gran consiglio di più gravi e -notabili cittadini della terra, nel quale fu messer Piero di messer -Albizzo da Vico, avanti che andasse per ambasciadore di Pisa alla terra -di Pescia per conchiudere la pace, e il consiglio fu di provvedere a -loro stato: e intra gli altri vi fu il detto Giovanni dell’Agnello, il -quale era reputato buono mercatante e fedele cittadino; costui levato -in consiglio osò dire, che necessario li parea che si venisse a signore -per un anno, dirizzando il suo parere che quel fosse messer Piero di -messer Albizzo da Vico dottore di legge, il quale con ogni istanza che -seppe quel carico rifiutò, e fulli cagione di affrettare sua gita a -Pescia ad accozzarsi con gli ambasciadori fiorentini. Veggendo Giovanni -contradire a messer Piero, come stimò, si rimise a consigliare che -pure convenia a uno degli altri pigliare quella sollecitudine, cura -e gravezza: e allora ser Vanni Botticella, anticamente per genia di -beccaio, s’offerse di prendere quel carico. Giovanni dell’Agnello -disse, che buono e sufficiente era, ma che gli bisognava d’avere -trentamila fiorini al presente per pagare la gente dell’arme: a -questo rispose ser Vanni non si sentire sofficiente, e per quel giorno -rimasono, che ogni uno si pensasse d’uno che a ciò fosse sofficiente, -e altra volta tornasse il consiglio. Di questo strano ragionamento -e spaventevole consiglio surse, che uno de’ seguenti dì in sul fare -della sera molti buoni e cari cittadini, avendo presa sospezione e -gelosia del dire del detto Giovanni così affettatamente in consiglio e -con fronte pertinace, e perchè nel mormorio del popolo voce correa che -esso facea ragunata di fanti, s’andarono ad armare, e armati insieme se -n’andarono al palagio degli anziani, e questo tantosto venne a notizia -di Giovanni dell’Agnello, che continovo stava in sentore, ed egli -pensando che farebbono quello che feciono, sagacemente e prestamente si -mise a’ ripari, e i fanti che egli avea stribuì per le case di certi -suoi fidati e singolarissimi amici, e alla moglie e alla famiglia -di casa ordinò tutto ciò che dovessono fare, ed egli con l’arme -celata ond’era vestito con una fonda cappellina in capo se n’andò nel -letto, e la moglie fece ire allato appresso di lui. Come fu venuta -la notte, i cittadini con la volontà degli anziani e con la famiglia -loro se n’andarono a casa Giovanni dell’Agnello, e come ordinato era -per lui, di presente fu aperta la porta, ed essi di subito presono -viaggio alla camera d’esso Giovanni, e l’udirono russare e sembrare -veramente dormire, come uomo che gran bisogno n’avesse. La donna, -come ammaestrata era, con tutto il petto nudo si levò in sul letto a -sedere, dicendo a’ cittadini che bisogno avea di posare, ma se voleano -lo svegliasse che lo farebbe; i cittadini preso vergogna della veduta -della donna, e fede della libera dimostrazione della camera e della -casa, togliendo il parlare della donna, per semplice, si partirono -della camera e della casa, e si tornarono agli anziani, e riferirono -loro tutto ciò che aveano trovato, onde posto giù il sospetto, ciascuno -si tornò a casa sua, e posta giù l’arme diede suo pensiere a dormire. -Giovanni dell’Agnello, che con Giovanni dell’Aguto avea temperato la -cetera, temendo che la dilazione del tempo nel quale il fatto si potea -palesare non li fosse nociva, pieno di sollecitudine, quella notte -medesima la quale avea assicurati e gli anziani e’ cittadini, con -Giovanni dell’Aguto e con gli amici e’ fanti che avea ragunati se ne -venne in piazza, e senza niuno romore ebbe l’entrata del palagio degli -anziani con quella brigata che a lui era abbastanza, l’altra lasciò a -guardia della piazza, ed entrato nel luogo dove sedeano gli anziani si -mise a sedere nel seggio del proposto, e ad uno ad uno fece destare gli -anziani, e venire dinanzi da sè, e per dire a che fine, così dicesse -in forma come disse egli, che è semplice detto, se non fosse congiunto -alla forza di Giovanni dell’Aguto, che la Vergine Maria gli avea -revelato, che per bene e riposo della città di Pisa dovesse prendere -sotto titolo e nome di doge la signoria e ’l governo della città di -Pisa per un anno, e così avea preso, e avea de’ trentamila fiorini -contenta la gente dell’arme che seco erano in palagio e in piazza, e -così si fè confermare agli anziani, e sotto lo splendore delle spade li -fece in sua mano giurare; e senza intervallo di tempo e per parte degli -anziani mandò per quelli cittadini pensò li potessono essere avversi, -e come ciascuno giugnea li significava come e perchè avea presa la -signoria, e accomandati cortesemente in forma non si sarebbono potuti -partire all’uno promettea il vicariato di Lucca, all’altro di Piombino, -e così agli altri secondo i gradi loro, o per amore o per paura tutti -l’indusse a giurare nelle sue mani, e in questo servigio consumò tutta -la notte. Alla dimane con gli anziani, con costoro e con la gente -dell’arme titolatosi doge, cavalcò per la terra, e a grido di popolo -fu fatto signore, nè vi fu chi ricevesse un buffetto, prese il palagio -in possessione, e tutta la gente dell’arme fè giurare nelle sue mani. E -per mostrare che mansuetamente veniva al governo, e preso avea il nome -e quello che il nome importava non come tiranno, quel medesimo giorno -elesse sedici famiglie di popolari di comune stato, e gli si fece a -consorti, e prese con tutti arme novella d’un leopardo d’oro rampante -nel campo rosso, con dare a intendere che d’anno in anno uno di loro, -qual più boce avesse, fosse fatto doge: e in fine, seguitando il -consiglio del conte Guido da Montefeltro a papa Bonifazio, le promesse -fur larghe e lunghe, ma lo attendere stretto e corto, che di cosa che -promettesse niente osservò, ma pigliando la signoria a giornate come -tiranno, lasciato il titolo del doge, si facea chiamare signore. E se -mai fu signoria fastidiosa piena di burbanza quella fu dessa, e negli -ornamenti e nel cavalcare con verga d’oro in mano; e quando tornato era -al palagio si mettea alle finestre a mostrarsi al popolo come fanno le -reliquie, con drappo a oro pendente tenendo le gomita sopra guanciali -di drappo ad oro, e patìa e volea che come al papa o all’imperadore -le cose che gli s’avessono a esporre innanzi gli si esponessono -ginocchione, e altre simili cose molto più vane. - - -CAP. CII. - -_Come si fece pace tra’ Fiorentini e’ Pisani._ - -Parendo a messer Piero di messer Albizzo ambasciadore de’ Pisani, -in cui giacea il tutto della pace per la parte loro, che lo stato -di Pisa intorno alle condizioni di sua libertà vacillasse, forte -sollecitava la conclusione della pace, e per Carlo degli Strozzi, uno -dell’uficio de’ signori priori di Firenze, a cui per lo volgo ignorante -del segreto posto era carico di volere che la pace si facesse al -tempo dell’uficio suo, e per i suoi compagni, sentendosi il segreto -del trattato che Giovanni dell’Agnello tenea con messer Bernabò -Visconti, il quale in effetto era che i Pisani fossono accomandati del -tiranno, e ch’egli avesse di loro terre, e ch’egli li difendesse, e -prendesse la guerra contro a’ Fiorentini, ed era già tanto innanzi, -che avendo messer Bernabò addomandato Lucca e Pietrasanta, i Pisani -già gli aveano consentito Pietrasanta, e per loro disperazione si -temea non passassono più oltre; per la libertà di Toscana in segreto -consiglio fu preso, che si venisse alla pace per lo migliore modo -e più onorevole che si potesse, e scritto fu agli ambasciadori del -comune ch’erano a Pescia, che il più tosto che potessono onestamente -ne venissono al fine. Onde seguì, che a dì 28 del mese d’agosto, non -sapendo l’una parte dell’altra che ciascuna voglia n’avesse, si fermò -la pace con pubblichi e solenni stromenti, la quale in Firenze si -pubblicò e bandì il primo dì di settembre, nell’ora ch’entrarono i -nuovi priori, la quale dall’ignorante popolo de’ segreti del comune mal -conosciuta forte fu biasimata, pensando che Carlo per troppa baldanza -e della famiglia e dello stato fosse stato l’autore. Onde il popolo -vittorioso, a cui parea essere al di sopra della guerra, incominciò in -piazza non solamente a mormorare, ma con altere parole e atti forte a -sparlare contro a Carlo. Onde i priori e i vecchi e i novi temettono -di commozione, e che Carlo nel tornare a casa o alla casa in su quel -furore non ricevesse villania, e pertanto dai loro mazzieri e da’ -fanti lo feciono accompagnare, e tanto stare loro famiglia con lui -che l’ira fosse passata. La pace fu onorevole, e da’ savi e buoni -cittadini assai commendata, e nelle parlanze per la città sostenuta -per le sue condizioni e circostanze laudabili, che furono di questa -maniera: la prima, perchè fatta fu essendo messer Galeotto capitano de’ -Fiorentini con loro gente sopra il terreno de’ nemici: la seconda, che -tanto si dichinarono i nemici che la vennono a conchiudere nelle terre -del comune di Firenze: la terza, perchè Pietrabuona, la quale era del -contado di Pisa, origine in grido e cagione della guerra, in premio -di vittoria per patto rimase al comune di Firenze, confessando per -questo essere ricreduti e vinti: la quarta, perchè Castel del Bosco, -e certe altre loro tenute e fortezze per patto si vennono a disfare: -la quinta, perchè confermarono tutte le franchigie che il comune di -Firenze o suoi mercatanti mai avessono avuto in Pisa: la sesta, perchè -per dieci anni si feciono tributari del comune di Firenze, dando ogni -anno nella vigilia di san Giovanni Battista pubblicamente diecimila -fiorini d’oro. Gli stromenti della pace in sustanza contennono prima la -remissione delle offese, e promettere di non offendere per l’avvenire, -come è di costume in somiglianti atti e contratti; appresso confermate -e di nuovo per patto concesse furono tutte le franchigie che avesse -per l’addietro avute il comune di Firenze o suoi mercatanti in Pisa o -nelle terre loro. Obbligossi il comune di Pisa per ammenda di danni -a dare ai comune di Firenze centomila fiorini d’oro in dieci anni -seguenti, diecimila ogni anno in Firenze nella vigilia della natività -di san Giovanni Battista: e più a dare al comune Pietrabuona, che era -stata cagione della guerra, e tutte altre terre del comune di Firenze, -o a esso comune accomandate, che ’l comune di Pisa o nella guerra o -innanzi la guerra per eccitarla, o direttamente o per indiretto avesse -prese, ed e converso facesse così il comune di Firenze, e così si fè. -Spianare Castel del Bosco, e certe altre tenute de’ Pisani, che per i -patti si disfeciono. La detta pace fu confermata in nome di papa Urbano -quinto, colle solennità della Chiesa e colle pene ecclesiastiche, -per messer Piero Cini arcivescovo di Ravenna, e per frate Marco di -Viterbo generale de’ frati minori, il quale poco appresso fu fatto -cardinale. Il popolo di Firenze a giornate conoscendo il frutto e il -bene della pace riconobbe suo errore, e rimase per contento, e il -comune dolcemente si levò da dosso la spesa di messer Anichino di -Bongardo e degl’Inghilesi. Messer Anichino co’ suoi Tedeschi e con -molti mascalzoni che non sapeano nè poteano vivere se non di rapina, -nel mese di novembre in forma di compagnia cavalcò in terra di Roma, -e presono prima Sabina e poi Sutri, e quivi vernarono. La compagnia -degl’Inghilesi arso e predato in parte il contado di Siena se n’andò -all’Aquila, e quindi passò in Puglia a vernare. E per non avere più a -capitolare giugnerò a questa gente famosa la morte di messer Malatesta -il vecchio, il quale lungo tempo fece gran segno in Italia di savio -guerriere, di uomo e d’alto consiglio e pratico in tutte cose, il quale -passò di questa vita del mese d’agosto 1364. E gli Aretini presono e -disfeciono la Serra. - - - FINE DELLA CRONICA DI MATTEO - E FILIPPO VILLANI. - - - - -TAVOLA DEI CAPITOLI - - - LIBRO DECIMO - - _Qui comincia il decimo libro della Cronica di Matteo - Villani; e prima il Prologo_ Pag. 5 - _CAP. II. Dell’alto e rilevato stato della casa de’ - Visconti di Milano_ 7 - _CAP. III. Del pauroso e vile partimento dell’oste di - messer Bernabò da Bologna_ 8 - _CAP. IV. Come i Bolognesi assalirono e presono tre bastite_ 9 - _CAP. V. Certo trattato fatto a corte tra il papa e gli - ambasciadori del re d’Ungheria_ 10 - _CAP. VI. Dell’avvenimento del legato a Bologna_ 10 - _CAP. VII. Cominciamento della nuova compagnia d’Anichino - di Bongardo Tedesco_ 11 - _CAP. VIII. La rivoltura d’Ascoli della Marca_ 12 - _CAP. IX. Come a petizione del legato fu preso messer - Ridolfo da Camerino_ 13 - _CAP. X. Del maestrevole processo del legato co’ suoi - Ungari in questo tempo_ 14 - _CAP. XI. Come s’ebbe per i Bolognesi la bastita di - Casalecchio sopra il Reno_ 15 - _CAP. XII. La venuta a Giadra del re d’Ungheria e della - moglie_ 16 - _CAP. XIII. La presa di Gello fatta per quelli di - Bibbiena, e la compera ne fece poi il comune_ 17 - _CAP. XIV. Come il comune di Firenze mandò ambasciadori - al legato e a messer Bernabò per trattare accordo_ 18 - _CAP. XV. Come il legato mandò gli Ungari sopra la - città di Parma_ 19 - _CAP. XVI. Della presura del conte da Riano_ 20 - _CAP. XVII. Come la compagnia d’Anichino sostenne fame - all’entrata del Regno_ 21 - _CAP. XVIII. Come messer Cane Signore rimandò la moglie - che fu di messer Cane Grande al marchese di Brandisborgo_ 21 - _CAP. XIX. Come la compagnia d’Anichino di Bongardo - prese Castello san Martino_ 22 - _CAP. XX. Come il re d’Araona diè per moglie la figliuola - a don Federigo di Cicilia_ 23 - _CAP. XXI. Come messer Bernabò si provvedde per avere - gente nuova per guerreggiare Bologna_ 24 - _CAP. XXII. Come messer Niccola Acciaiuoli gran siniscalco - del Regno venne in Firenze, e della novità che per sua - venuta ne seguio_ 25 - _CAP. XXIII. Come per sospetto nato nella città di Firenze - di messer Niccola indegnamente egli ne ricevette - vergogna_ 26 - _CAP. XXIV. Come si scoperse congiura di certi cittadini - di Firenze e trattato per sovvertere lo stato che reggea_ 28 - _CAP. XXV. Come si scoperse il trattato che era in Firenze, - e certi ne furono puniti_ 32 - _CAP. XXVI. Come si comperò Montecolloreto, e la - giurisdizione di Montegemmoli dell’Alpe per lo comune - di Firenze_ 37 - _CAP. XXVII. Come una compagnia creata novellamente prese - Santo Spirito_ 38 - _CAP. XXVIII. Come tornati gli Ungari e messer Galeotto - da Parma si misono a Lugo_ 41 - _CAP. XXIX. D’alquanti trattati tenuti in diverse parti - che tutti si scopersono_ 42 - _CAP. XXX. Come il grande siniscalco fu ricevuto nel Regno, - e quello ne seguì_ 43 - _CAP. XXXI. D’un segno nuovo ch’apparse in cielo sopra la - città di Firenze_ 44 - _CAP. XXXII. Dimostramento di smisurato amore di padre a - figliuolo_ 45 - _CAP. XXXIII. Contrario esempio d’incredibile crudeltà - di madre_ 46 - _CAP. XXXIV. Delle compagnie ch’entrarono in Provenza per - conturbare i paesani e la corte di Roma_ 49 - _CAP. XXXV. Come per comperare gli onori del comune - alquanti che li venderono ne furono condannati_ 51 - _CAP. XXXVI. Come i fatti di Francia verso il primo tempo - procedeano_ 52 - _CAP. XXXVII. Come fu guasta la bastita che il cardinale - di Spagna facea fare in sul canale della Pegola_ 53 - _CAP. XXXVIII. Della grande pestilenza che percosse - i saracini_ 54 - _CAP. XXXIX. Come fu morto il soldano di Babilonia, e - rifattone un altro, il quale uccise molti de’ suoi - baroni_ 54 - _CAP. XL. Come un signore de’ Turchi trattò di fare - uccidere l’imperadore di Costantinopoli_ 55 - _CAP. XLI. Come il legato si partì di Bologna per andare - al re d’Ungheria_ 56 - _CAP. XLII. Della ribellione fatta per messer Giovanni - di messer Riccardo Manfredi al legato_ 57 - _CAP. XLIII. Come il marchese di Monferrato trasse delle - compagnie da Avignone per conducere in Piemonte_ 59 - _CAP. XLIV. Della morte del duca di Lancastro cugino del - re d’Inghilterra_ 60 - _CAP. XLV. Come riuscì l’impresa del re d’Ungheria dove - la speranza del legato di Spagna si riposava_ 61 - _CAP. XLVI. Della pestilenza dell’anguinaia ricominciata - in diversi paesi del mondo, e di sua operazione_ 62 - _CAP. XLVII. Come per la fama delle compagnie che - scendevano in Piemonte i signori di Milano si provvidono - alla difesa_ 64 - _CAP. XLVIII. Come messer Bernabò venne sopra Bologna, e - assediò e prese Pimaccio_ 65 - _CAP. XLIX. Come il legato procurava aiuto contro - messer Bernabò_ 66 - _CAP. L. Come la compagnia d’Anichino di Bongardo ch’era - nel Regno si rassottigliò e venne al niente_ 67 - _CAP. LI. Come i Sanesi ebbono Santafiore_ 67 - _CAP. LII. Come i Fiorentini comperarono il castello di - Cerbaia_ 68 - _CAP. LIII. Come il capitano già di Forlì e messer - Giovanni Manfredi si puosono tra Imola e Faenza_ 69 - _CAP. LIV. D’un gran fuoco che s’apprese nella città - di Bruggia_ 70 - _CAP. LV. Delle compagnie d’oltramonti_ 70 - _CAP. LVI. Come Francesco Ordelaffi si levò da Forlì, e - andonne a oste a Rimini_ 71 - _CAP. LVII. Come i Fiorentini manteneano Bologna per la - strada dell’Alpe_ 72 - _CAP. LVIII. Come l’oste di messer Bernabò volle rompere - la strada da Firenze, e ricevette danno_ 73 - _CAP. LIX. Come fu sconfitto l’oste di messer Bernabò al - Ponte a san Ruffello_ 74 - _CAP. LX. Come seguì appresso alla sconfitta di - san Ruffello_ 80 - _CAP. LXI. Come messer Bernabò si credette prendere - Correggio per trattato, e sua gente vi rimase presa_ 81 - _CAP. LXII. Dell’armata del re di Cipro, e il conquisto - di Setalia e del Candeloro_ 82 - _CAP. LXIII. Come i Turchi di Sinopoli assalirono Coffa, e - furono vinti da’ Genovesi_ 83 - _CAP. LXIV. Come le compagnie condotte in Piemonte - cominciarono a guerreggiare_ 84 - _CAP. LXV. Di grandi terremuoti che furono in Puglia, e - assai guastarono della città d’Ascoli_ 86 - _CAP. LXVI. Delle rivolture del paese di Fiandra in - questa state_ 86 - _CAP. LXVII. Come fu decapitato messer Bocchino de’ - Belfredotti signore di Volterra, e come la città venne - alla guardia de’ Fiorentini_ 87 - _CAP. LXVIII. Come il patriarca d’Aquilea fu a tradimento - preso dal doge d’Osteric_ 92 - _CAP. LXIX. Di fuoco che senza rimedio arse in Roma san - Giovanni Laterano_ 93 - _CAP. LXX. Del maritaggio del duca di Guales primogenito - del re d’Inghilterra_ 94 - _CAP. LXXI. Come papa Innocenzio riformò santa Chiesa de’ - cardinali morti per la morìa_ 94 - _CAP. LXXII. Come il re Buscialim della Bellamarina fu - morto, e delle rivolture di Granata_ 95 - _CAP. LXXIII. Come la compagnia spagnuola ch’era nel - vescovado d’Arli prese Vascona, e poi ne furono cacciati_ 96 - _CAP. LXXIV. Come si scoperse che messer Bernabò era vivo, - e ’l trattato tenea del castello di Bologna_ 97 - _CAP. LXXV. Come si scoperse in Perugia una gran congiura - di notabili cittadini per mutare stato e reggimento_ 98 - _CAP. LXXVI. Come in questi giorni in Pisa ebbe gelosia di - loro stato, e della difensione che saviamente ne presono_ 102 - _CAP. LXXVII. Come i Sanesi sotto la rotta fede ebbono - la signoria di Montalcino_ 102 - _CAP. LXXVIII. Come i Turchi presono la città di Dometico - ch’era dell’imperadore di Costantinopoli_ 104 - _CAP. LXXIX. Come il re di Castella mosse guerra a’ Mori - di Granata, e al loro re Vermiglio_ 105 - _CAP. LXXX. Come gli usciti Perugini presono per furto - Civitella de’ Benazzoni, e poi l’abbandonarono_ 106 - _CAP. LXXXI. Come i Bolognesi cominciarono a cavalcare - sopra gli Ubaldini_ 106 - _CAP. LXXXII. Del trattato delle compagnie che doveano - entrare in Avignone_ 107 - _CAP. LXXXIII. Come i Pisani perderono Pietrabuona e vi - puosono l’assedio dove stando vollono torre Sommacolonna - per incitare i Fiorentini a guerra_ 108 - _CAP. LXXXIV. Come fu sorpreso il conte di Savoia dalla - compagnia bianca co’ suoi baroni, e ricomperaronsi con - gran quantità di moneta_ 111 - _CAP. LXXXV. La cavalcata che Piero Gambacorti fè sopra - i Pisani_ 111 - _CAP. LXXXVI. Come il re Luigi prese le terre di messer - Luigi di Durazzo e lui mise in prigione, e trasse del - Regno la compagnia_ 113 - _CAP. LXXXVII. Come le compagnie si partirono di Provenza_ 114 - _CAP. LXXXVIII. Come fu sconfitta la gente del re di - Castella dal re di Granata_ 114 - _CAP. LXXXIX. Come per vendicare sua onta il re di Spagna - andò sopra il re di Granata_ 115 - _CAP. XC. Come messer Bernabò si credette avere Reggio - per trattato_ 116 - _CAP. XCI. Come i Pisani feciono cosa da incitare - i Fiorentini_ 118 - _CAP. XCII. Dell’operazioni delle compagnie in questi - tempi_ 118 - _CAP. XCIII. D’una cometa ch’apparve di marzo nel segno - del Pesce_ 119 - _CAP. XCIV. Come la Compagnia bianca prese Castelnuovo - Tortonese_ 120 - _CAP. XCV. Come la compagnia del Pitetto Meschino sconfisse - l’oste del re di Francia a Brignai_ 121 - _CAP. XCVI. Come fu fermo lega dalla Chiesa e i signori - di Lombardia contro a messer Bernabò_ 124 - _CAP. XCVII. Come fu morto il re Vermiglio di Granata_ 126 - _CAP. XCVIII. Come il re Maometto di Granata si fece uomo - del re di Castella_ 127 - _CAP. XCIX. Principio di guerra dai collegati a messer - Bernabò_ 128 - _CAP. C. Come e quando morì Luigi re di Cicilia e di - Gerusalemme_ 130 - _CAP. CI. Come i Fiorentini vollono difendere Pietrabuona, - e non poterono_ 132 - _CAP. CII. Come quelli della valle di Caprese furono - traditi dagli Aretini_ 136 - _CAP. CIII. Della mortalità dell’anguinaia_ 137 - - LIBRO UNDECIMO - - _CAP. I. Il Prologo_ 139 - _CAP. II. Degli apparecchi fatti da’ Fiorentini per la - guerra contro a’ Pisani_ 142 - _CAP. III. Come seguendo gli antichi Romani gentili i - Fiorentini nel dare dell’insegne al capitano presono - punto per astrologia_ 144 - _CAP. IV. Della prospera fortuna de’ collegati lombardi_ 146 - _CAP. V. Della morte di Leggieri d’Andreotto di Perugia_ 148 - _CAP. VI. Come i Fiorentini cavalcarono in Valdera e - presono Ghiazzano_ 149 - _CAP. VII. Come i Fiorentini soldarono galee contra - i Pisani_ 150 - _CAP. VIII. Come i Perugini presono la Rocca Cinghiata - e quella del Caprese_ 151 - _CAP. IX. Come novecento cavalieri di quelli di messer - Bernabò furono sconfitti da seicento di quelli di messer - Cane Signore_ 151 - _CAP. X. Disordine nato tra’ Genovesi per la guerra de’ - Fiorentini e’ Pisani_ 152 - _CAP. XI. Come il re di Castella con quello di Navarra - ruppono pace a quello d’Aragona, e lo cavalcaro_ 155 - _CAP. XII. Come per sospetto in Siena a due dell’ordine - de’ nove fu tagliata la testa_ 156 - _CAP. XIII. Cavalcate fatte per messer Bonifazio Lupo - in su quello di Pisa_ 157 - _CAP. XIV. Del processo della guerra da’ collegati a - messer Bernabò_ 159 - _CAP. XV. Come messer Ridolfo prese il bastone da messer - Bonifazio_ 160 - _CAP. XVI. Della crudeltà che i Pisani usarono contra i - Lucchesi per gelosia_ 160 - _CAP. XVII. Delle cavalcate fatte per messer Ridolfo sopra - i Pisani, e del gran danno che ricevettono_ 162 - _CAP. XVIII. Come messer Ridolfo assediò Peccioli, e prese - stadichi se non fosse soccorso_ 164 - _CAP. XIX. Come non essendo il castellano contento del - patto messer Ridolfo fè gittare una delle torri di - Peccioli in terra_ 168 - _CAP. XX. Come il capitano de’ Fiorentini prese - Montecchio, Laiatico e Toiano_ 171 - _CAP. XXI. Dell’aiuto che i Perugini in questi dì - mandarono a’ Fiorentini_ 172 - _CAP. XXII. Come il conte Aldobrandino degli Orsini si - partì onorato da Firenze_ 173 - _CAP. XXIII. Come e perché si creò la compagnia del - Cappelletto_ 173 - _CAP. XXIV. Comincia la guerra che i Fiorentini feciono - in mare a’ Pisani_ 176 - _CAP. XXV. Come e perchè i Romani si dierono al papa_ 177 - _CAP. XXVI. Come Dio chiamò a sè papa Innocenzio, e fu - fatto papa Urbano quinto_ 178 - _CAP. XXVII. Come al re Pietro di Castella morì un - figliuolo che avea_ 179 - _CAP. XXVIII. Come Perino Grimaldi prese l’isoletta e - castello del Giglio_ 180 - _CAP. XXIX. Come messer Piero Gambacorti per trattato si - credette tornare in Pisa_ 182 - _CAP. XXX. Come Perino Grimaldi soldato del comune di - Firenze prese Porto pisano, e le catene del detto porto - mandò a Firenze_ 184 - _CAP. XXXI. Come messer Bernabò mandò a papa Urbano a - proseguire la pace_ 186 - _CAP. XXXII. Domande fatte per lo re di Francia al papa_ 187 - _CAP. XXXIII. Di grande acquazzone che in Italia fè danno_ 188 - _CAP. XXXIV. Come il re di Cipro andò ad Avignone con - tre galee_ 189 - _CAP. XXXV. Come morì Giovacchino degli Ubaldini e lasciò - reda il comune di Firenze_ 189 - _CAP. XXXVI. Come il conte di Focì sconfisse e prese - quello d’Armignacca_ 190 - _CAP. XXXVII. Come i Pisani vollono torre il campanile - d’Altopascio_ 191 - _CAP. XXXVIII. Come in Firenze s’ordinò tavola per lo - comune per servire i soldati_ 192 - _CAP. XXXIX. Come i Pisani vollono torre santa Maria - a Monte_ 193 - _CAP. XL. Come i Pisani vollono torre Pescia per trattato_ 193 - _CAP. XLI. Come papa Urbano pubblicò in Avignone i - processi fatti contro a messer Bernabò_ 194 - _CAP. XLII. Come morì messer Simone Boccanera primo doge - di Genova_ 196 - _CAP. XLIII. Come fu morto il conte di Lando_ 197 - _CAP. XLIV. Come Bernabò Visconti fu dalla gente della - lega sconfitto alla bastita di Modena, e come la perdè_ 197 - _CAP. XLV. Come i Pisani vollono torre Barga_ 199 - _CAP. XLVI. Come messer Piero da Farnese credette torre - Lucca a’ Pisani_ 201 - _CAP. XLVII. Come i Pisani presono per forza il castello - di Gello sul Volterrano_ 202 - _CAP. XLVIII. Come i Pisani condussono la Compagnia bianca - degl’Inghilesi_ 203 - _CAP. XLIX. Come Rinieri da Baschi ruppe gente che messer - Piero da Farnese avea mandati in Garfagnana_ 205 - _CAP. L. Come Rinieri da Baschi colla gente de’ Pisani - fu sconfitto e preso da messer Piero da Farnese_ 206 - _CAP. LI. Come messer Piero da Farnese entrò in Firenze, e - il capitano de’ Pisani colle insegne e’ prigioni - rassegnarono a’ priori_ 208 - _CAP. LII. Come i Pisani tolsono a’ Fiorentini Altopascio_ 209 - _CAP. LIII. Come i Pisani elessono per loro capitano - Ghisello degli Ubaldini_ 210 - _CAP. LIV. Come messer Piero cavalcò sino sulle porte - di Pisa battendovi moneta d’oro e d’argento_ 210 - _CAP. LV. Sagacità usata per i Pisani per non perdere - Montecalvoli_ 213 - _CAP. LVI. Come il re di Francia per paura della - compagnia non osò per terra tornare nel reame, ma - tornò per acqua_ 214 - _CAP. LVII. Della mortalità dell’anguinaia_ 215 - _CAP. LVIII. Come i Barghigiani colla forza de’ - Fiorentini presono i battifolli_ 215 - _CAP. LIX. Come morì messer Piero da Farnese_ 216 - _CAP. LX. Dell’ammirabile passaggio de’ grilli_ 217 - _Proemio della Cronica di Filippo Villani_ 219 - _CAP. LXI. Come i Fiorentini feciono Ranuccio da Farnese - loro capitano di guerra_ 220 - _CAP. LXII. Come gl’Inghilesi giunsono in Pisa_ 220 - _CAP. LXIII. Come i Pisani cavalcarono i Fiorentini in - sulle porte_ 221 - _CAP. LXIV. Come si fermò pace dalla Chiesa a messer - Bernabò_ 223 - _CAP. LXV. Dello stato della città di Firenze in que’ - giorni_ 224 - _CAP. LXVI. Come i Perugini, per tema che la compagnia - degl’Inghilesi non soccorressono i loro rubelli - assediati in Montecontigiano, condussono la Compagnia - del cappelletto_ 226 - _CAP. LXVII. Come messer Pandolfo Malatesti venne con - cento uomini di cavallo e con cento fanti a servire - il comune di Firenze per due mesi_ 228 - _CAP. LXVIII. Come i Pisani co’ loro Inghilesi presono - Figghine_ 230 - _CAP. LXIX. Come messer Pandolfo puose il campo all’Ancisa, - e come il detto campo fu preso dagl’Inghilesi con messer - Rinuccio capitano, e appresso il borgo all’Ancisa, e - come messer Pandolfo fu fatto capitano di guerra_ 231 - _CAP. LXX. Come certa parte degl’Inghilesi da Figghine - cavalcarono a Ricorboli_ 235 - _CAP. LXXI. Come i Sanesi sconfissono la Compagnia del - cappelletto, la quale era condotta al soldo de’ - Fiorentini_ 238 - _CAP. LXXII. Di cavalcate e combattimenti di terre - feciono gl’Inghilesi mentre stettono a Figghine_ 239 - _CAP. LXXIII. Esempio e ammaestramento de’ popoli che - vivono a libertà i quali si conducono nella fortuna - della guerra di non torre capitano uso a tirannia_ 241 - _CAP. LXXIV. I modi teneano gl’Inghilesi tornati in Pisa_ 245 - _CAP. LXXV. Come i Pisani furono sconfiti a Barga_ 245 - _CAP. LXXVI. Come il re Giovanni di Francia passò in - Inghilterra e là morì_ 247 - _CAP. LXXVII. Come messer Niccolò del Pecora fu cacciato - di Montepulciano_ 249 - _CAP. LXXVIII. Della morte del giovane marchese di - Brandisborgo, conte di Tirolo, e quello ch’appresso - ne seguì_ 249 - _CAP. LXXIX. Come i Pisani ricondussono gl’Inghilesi_ 256 - _CAP. LXXX. D’una saetta che cadde sul campanile di santa - Maria Novella_ 257 - _CAP. LXXXI. Cavalcate fatte per gl’Inghilesi nel pieno - verno_ 258 - _CAP. LXXXII. Come Anichino di Bongardo con tremila - barbute venne al servigio de’ Pisani, e come sagacemente - cercarono avvantaggiosa pace_ 262 - _CAP. LXXXIII. Come messer Beltramo Craiche tolse Nantes - per lo re di Francia a quello di Navarra_ 265 - _CAP. LXXXIV. Come rotto il trattato della pace i Pisani - cavalcarono i Fiorentini_ 265 - _CAP. LXXXV. Come messer Pandolfo passò nel Mugello colla - gente da cavallo per tenere stretti gl’Inghilesi_ 268 - _CAP. LXXXVI. Come gl’Inghilesi si partirono del Mugello - e tornarsi nel piano di Pistoia_ 270 - _CAP. LXXXVII. Come messer Pandolfo Malatesti si partì dal - servigio del comune di Firenze_ 271 - _CAP. LXXXVIII. Come gl’Inghilesi e’ Tedeschi co’ - guastatori de’ Pisani s’accamparono a Sesto, e - Colonnata, e santo Stefano in pane_ 272 - _CAP. LXXXIX. Come gl’Inghilesi e’ Tedeschi coi guastatori - pisani presono il colle di Montughi e di Fiesole, e - combatterono i Fiorentini alla porta a san Gallo, e - fessi Anichino di Bongardo cavaliere_ 274 - _CAP. XC. Come il conte Arrigo di Monforte capitano de’ - Fiorentini prese e arse Livorno_ 278 - _CAP. XCI. Come il corpo del re Giovanni di Francia fu - trasportato di Londra a Parigi, e come onorato_ 282 - _CAP. XCII. Come messer Beltramo di Cloachin sconfisse il - luogotenente del re di Navarra in Normandia_ 283 - _CAP. XCIII. Come Carlo primogenito del re di Francia fu - consegrato a Rems a re di Francia_ 283 - _CAP. XCIV. Come si combatterono messer Carlo di Bos - duca di Brettagna, e messer Gianni di Monforte_ 283 - _CAP. XCV. Come i Fiorentini con la forza del danaio - ruppono la compagnia de’ Tedeschi e Inghilesi, e - levaronla da provvisione de’ Pisani_ 284 - _CAP. XCVI. Come i Fiorentini presono in capitano di - guerra messer Galeotto Malatesti_ 285 - _CAP. XCVII. Battaglia tra’ Fiorentini e’ Pisani fatta - nel borgo di Cascina, nella quale i Fiorentini furono - vincitori_ 286 - _CAP. XCVIII. Come furono assegnati i prigioni al comune - da’ soldati, ed entrarono in Firenze in sulle carra._ 293 - _CAP. XCIX. Come la parte guelfa di Firenze prese a far - festa di san Vittore, e perchè_ 294 - _CAP. C. Come la gente dell’arme del comune di Firenze - prese tira di non cavalcare, e quello ne seguì_ 295 - _CAP. CI. Come Giovanni dell’Agnello si fece signore di - Pisa sotto titolo di doge_ 297 - _CAP. CII. Come si fece pace tra’ Fiorentini e’ Pisani_ 301 - - - - - ERRORI CORREZIONI - - TOMO V. - - — 19 — 1 tratto trattò - — 34 — 14 Sumiera ringhiera - - - - - -Nota del Trascrittore - -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo -senza annotazione minimi errori tipografici. Le correzioni indicate in -fine libro sono state riportate nel testo. - -*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK CRONICA DI MATTEO VILLANI, VOL. -V *** - -Updated editions will replace the previous one--the old editions will -be renamed. - -Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright -law means that no one owns a United States copyright in these works, -so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the -United States without permission and without paying copyright -royalties. Special rules, set forth in the General Terms of Use part -of this license, apply to copying and distributing Project -Gutenberg™ electronic works to protect the PROJECT GUTENBERG™ -concept and trademark. Project Gutenberg is a registered trademark, -and may not be used if you charge for an eBook, except by following -the terms of the trademark license, including paying royalties for use -of the Project Gutenberg trademark. 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General Terms of Use and Redistributing Project -Gutenberg™ electronic works - -1.A. By reading or using any part of this Project Gutenberg™ -electronic work, you indicate that you have read, understand, agree to -and accept all the terms of this license and intellectual property -(trademark/copyright) agreement. If you do not agree to abide by all -the terms of this agreement, you must cease using and return or -destroy all copies of Project Gutenberg™ electronic works in your -possession. If you paid a fee for obtaining a copy of or access to a -Project Gutenberg™ electronic work and you do not agree to be bound -by the terms of this agreement, you may obtain a refund from the -person or entity to whom you paid the fee as set forth in paragraph -1.E.8. - -1.B. “Project Gutenberg” is a registered trademark. It may only be -used on or associated in any way with an electronic work by people who -agree to be bound by the terms of this agreement. 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Hart was the originator of the Project -Gutenberg™ concept of a library of electronic works that could be -freely shared with anyone. For forty years, he produced and -distributed Project Gutenberg™ eBooks with only a loose network of -volunteer support. - -Project Gutenberg™ eBooks are often created from several printed -editions, all of which are confirmed as not protected by copyright in -the U.S. unless a copyright notice is included. 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V</span>, by Matteo Villani</p> -<div style='display:block; margin:1em 0'> -This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and -most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions -whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms -of the Project Gutenberg License included with this eBook or online -at <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>. If you -are not located in the United States, you will have to check the laws of the -country where you are located before using this eBook. -</div> -</div> - -<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Title: <span lang='it' xml:lang='it'>Cronica di Matteo Villani, vol. V</span></p> -<p style='display:block; margin-left:2em; text-indent:0; margin-top:0; margin-bottom:1em;'><span lang='it' xml:lang='it'>A miglior lezione ridotta coll'aiuto de' testi a penna</span></p> -<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Author: Matteo Villani</p> -<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Editor: Ignazio Moutier</p> -<p style='display:block; text-indent:0; margin:1em 0'>Release Date: January 29, 2023 [eBook #69902]</p> -<p style='display:block; text-indent:0; margin:1em 0'>Language: Italian</p> - <p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em; text-align:left'>Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images made available by the Bayerische Staatsbibliothek)</p> -<div style='margin-top:2em; margin-bottom:4em'>*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK <span lang='it' xml:lang='it'>CRONICA DI MATTEO VILLANI, VOL. V</span> ***</div> - -<div class="booktitle"> -<h1> -CRONICA<br> -DI<br> -MATTEO VILLANI<br><br> -TOMO V. -</h1> -</div> - -<hr class="silver"> - -<div class="titlepage"> -<p class="main-t"> -CRONICA -</p> - -<p class="pad2 small">DI</p> - -<p class="pad1 x-large"> -MATTEO<br> -<span class="g">VILLANI</span> -</p> - -<p class="pad2"> -A MIGLIOR LEZIONE RIDOTTA<br> -coll’aiuto<br> -DE’ TESTI A PENNA -</p> - -<p class="pad1 large"> -TOMO V. -</p> - -<p class="pad4"> -FIRENZE<br> -PER IL MAGHERI<br> -1826 -</p> -</div> - -<div class="somm"> -<hr> -<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p> -<hr> -</div> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span> -</p> - -<h2 id="libro10">LIBRO DECIMO</h2> - -<h3 id="capI-10">CAPITOLO PRIMO. -<span class="smaller"><i>Il Prologo.</i></span></h3> -</div> - -<p> -La superbia, la quale prima nel cielo mostrò la -sua malizia, se nelle menti terrene si trova non -è da maravigliare, considerato che l’umana natura -indebilita per lo peccato del primo uomo -è ne’ vizii inchinevole e pronta. Questo peccato -quanto sia grave, e quanto sia in ira di Dio, per -lo suo fine l’ha sovente mostrato; porne alcuno -esempio in nostri ricordi forse non fia da biasimare, -se non da coloro che per morbidezza -d’animo sono amatori delle brevi leggende, o da -coloro che per tema di spesa veggendo la moltitudine -de’ fogli non osano fare scrivere. Serse re d’Asia, -avendo avuto più tempo nelle guerre prospera -e felice fortuna, insuperbito, lo mare coperse di -navi, e intra Sesto e Abido, due isolette di mare, -per pomposa memoria di suo innumerabile esercito -sopra le navi fè ponte, e a riceverlo tutta la -Grecia non parea sofficiente, nè a ricevere nè a -pascere la sua brigata; e infine da poca gente -vituperato e sconfitto, e in uno piccolo legno tornò -<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span> -in suo paese morta tutta sua gente. Sennacherib -maravigliosamente esaltato per beneficio della -ridente fortuna, con l’animo altero montò sopra -le stelle spregiando gli Dii, e massimamente -quello degli Ebrei, come se fossono minori e meno -possenti di lui; costui veggendo l’esercito suo -tagliato, vilmente fuggì, e nel tempio degl’Idoli -suoi da’ suoi proprii figliuoli vilmente fu tolto di -vita. Dario re potentissimo, più volte sconfitto -dalla poca gente d’Alessandro re di Macedonia, -infine da’ suoi propri congiurenti vilmente fu -morto. Ciro re di Persia e di Media, eccellentissimo -di potenza.... -</p> - -<p> -<i>Il codice Ricci è mancante in questo luogo -di una pagina, che dovrebbe contenere il -rimanente del Proemio, il capitolo secondo, -e il principio del terzo, e con mio sommo -rincrescimento non son riescito a riempire -questa laguna col soccorso di un altro codice, -poichè non m’è stato possibile trovarne -copia. La Biblioteca Riccardiana possiede tre -codici di Matteo Villani, e uno la Laurenziana, -ma non oltrepassano il nono libro. Per -supplire in qualche modo a questa laguna mi -son servito d’un’Epitome fatta da Domenico -Boninsegni delle storie fiorentine di Giovanni, -Matteo e Filippo Villani, che si conserva nella -Biblioteca Laurenziana, e che un giorno faceva -parte della Biblioteca Mediceo-Palatina, segnato -di num. 160.</i> -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span> -</p> - -<h3 id="capII-10">CAP. II. -<span class="smaller"><i>Dell’atto e rilevato stato della casa -de’ Visconti di Milano.</i></span></h3> - -<p> -«Più era infocato che mai messer Bernabò -nell’impresa di Bologna, e impuose e trasse -da’ cherici del suo tenitorio in tre mesi più di -trecento migliaia di fiorini d’oro, e da’ secolari -per nuova imposta circa trecentosessanta -migliaia di fiorini d’oro; e venne in tanta superbia, -forse per lo parentado fatto in Francia, -che nessuno accordo si potè trovare tra lui e ’l -legato, nè per il gran siniscalco nè altri, usando -di dire, che non temeva potenza di signore -terreno che gli potesse trarre Bologna di mano, -e molto sparlando contra il legato. Ma per lo -contrario il legato ricorse all’aiuto di Dio, e -per comandamento del papa a ogni prete d’Italia -fece fare in ogni messa dietro al <i>Pater noster</i> -speziale orazione de’ fatti di Bologna, e -mandò al re d’Ungheria per gente, ed ebbe -da lui duemila Ungari bene capitanati, e poi -tremila di loro volontà, e subito furono in -Lombardia e in Romagna al servigio del legato.» -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span> -</p> - -<h3 id="capIII-10">CAP. III. -<span class="smaller"><i>Del pauroso e vile partimento dell’oste di -messer Bernabò da Bologna.</i></span></h3> - -<p> -«Per la venuta di questi Ungari, e per l’operazione -d’Anichino di Bongardo, entrò paura -alle genti di messer Bernabò per modo che -non ubbidivano al capitano, e tutto dì si fuggivano; -per la qual cosa al capitano» montata -la paura, vedendo partire l’un l’altro, e non -sapendo il perchè, chè per la forza e autorità che -’l capitano avesse non gli potea ritenere; onde -vedendosi il capitano a questo pericolo richiese -Anichino che lo accompagnasse infino valicato -Bologna verso Modena, e avuta la compagnia, volendo -da sè fare buona condotta, fu costretto da’ vili -d’andarsene di notte sconciamente abbandonato -il campo con assai fornimento e arnesi, e campati -per lo beneficio della notte valicarono Castelfranco, -ove s’arrestarono per non parere rotti, -e ivi la mattina fermarono il campo; e stativi -pochi dì, il primo d’ottobre valicarono a Modena, -e tornarsi con gli orecchi bassi al loro signore, -il quale quasi arrabbiato più dì stette rodendo -in sè medesimo il suo orgoglioso furore, -acciocchè riposatamente ai forestieri dimostrasse, -ch’alla festa si ragunavano, per magnanimità -questa cosa avere per niente, ed essere intervenuto -per lo peggiore del legato, come di sua bocca -a molti pronunziò. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span> -</p> - -<h3 id="capIV-10">CAP. IV. -<span class="smaller"><i>Come i Bolognesi assalirono e presono -tre bastite.</i></span></h3> - -<p> -Sentito in Bologna la vile partita dell’oste di -messer Bernabò, tutto che ancora del tutto non -fosse del Bolognese partito, il popolo prese cuore, -e per lo essere tenuto affamato, furioso, giusta -la sentenza di Lucano che dice, che il popolo -digiuno non sa che sia il temere, straboccatamente -e senza aspettare condotta o regola uscì -di Bologna, e con grand’ardire assalì la bastita -che guardava verso Romagna, e quella aspramente -combattendo e con grida ch’andavano al -cielo ebbono per forza, e tagliati e fediti molti di -quelli ch’erano alla difesa la rubarono e arsono, -e con quell’empito e gloria corsono ad altre due, -e per simile modo l’ebbono, rubarono e arsono. -Quando giunsono a quella di Casalecchio in sul -Reno trovarono il becco più duro a mugnere, perocchè -era ben guernita di gente da piè e da cavallo, -e dato di cozzo in essa con loro dammaggio -si ritornarono a Bologna, nullo assedio lasciato -alla bastita: onde que’ d’entro scorreano fino -alle porti di Bologna facendo danni, nondimanco -aperti i cammini di Romagna cominciarono -a venire della roba a Bologna; e dagli Ungheri i -quali alloggiati erano fuori della città tenuti -erano a freno quelli della bastita da Casalecchio, -e in Romagna s’apparecchiava grande carreggio -e salmeria di vittuaglia per conducere in Bologna -alla venuta del legato. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span> -</p> - -<h3 id="capV-10">CAP. V. -<span class="smaller"><i>Certo trattato fatto a corte tra il papa -e gli ambasciadori del re d’Ungheria.</i></span></h3> - -<p> -In questo mese di settembre furono in Firenze -tornati di corte di Roma gli ambasciadori del -re d’Ungheria, e andaronne al re, avendo impromesso -al papa, in quanto il bisogno occorresse, -che la persona del re d’Ungheria verrebbe incontro -al signore di Milano con patto, che ciò che -egli acquistasse delle terre de’ detti signori, fossero -sue ed egli avea fatto dire al papa che con -meno di diecimila cavalieri non potrebbe venire, -ed era in accordo d’avere ogni mese fiorini quarantamila -d’oro, de’ quali dovea avere dalla lega -de’ Lombardi sotto il titolo di Genovesi fiorini -sedicimila, e fiorini quattordicimila dovea pagare -il legato traendoli della Marca e del Ducato, -del Patrimonio e di Romagna, e diecimila ne dovea -mettere la camera del papa. La cosa fu divolgata -per tutto, ma i signori di Milano poco se ne -curavano, s’altra fortuna non avesse barattata -loro intenzione. -</p> - -<h3 id="capVI-10">CAP. VI. -<span class="smaller"><i>Dell’avvenimento del legato a Bologna.</i></span></h3> - -<p> -Partita l’oste di messer Bernabò dall’assedio -di Bologna, il legato fatto conducere di Romagna -in Bologna molta vittuaglia, e fatta la condotta -<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span> -degli Ungheri, col grande siniscalco del Regno, e -con messer Malatesta e altri valenti uomini della -Romagna e della Marca, all’entrata d’ottobre -del detto anno entrò in Bologna, dove da’ Bolognesi -fu ricevuto a gran festa e onore, e prestamente -intese a ordinare e riformare e la guardia -e il reggimento della città, e i fatti della guerra -contro a’ nemici suoi, non come prelato, ma -come esperto e ammaestrato capitano di guerra -cominciò a trattare, come conseguendo l’opere -sue ne dimostreranno. -</p> - -<h3 id="capVII-10">CAP. VII. -<span class="smaller"><i>Cominciamento della nuova compagnia -d’Anichino di Bongardo Tedesco.</i></span></h3> - -<p> -Levatasi la gente di messer Bernabò del distretto -di Bologna, Anichino di Bongardo Tedesco, -non senza infamia d’avere maculata sua fede, -all’entrata d’ottobre s’accolse a Salaruolo presso -di Faenza a tre miglia con ottocento barbute e -trecento Ungheri, ricettato dal legato, e datoli -vittuaglia; e sì avea il legato circa a milledugento -barbute e quattromila Ungheri da poterlo prendere -o cacciarlo di suo paese, per la qual cosa -assai fu manifesto che il legato per nuovo servigio -gli fosse obbligato: e avvegnachè assai fosse segreto, -egli stette tanto a Salaruolo, che pagati gli -furono quattordicimila fiorini, ovvero genovini -d’oro; il perchè egli tantosto crebbe sua compagnia -e di Tedeschi e masnadieri, e di volontà del -legato a mezzo ottobre cavalcò il contado de’ conti -<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span> -d’Urbino; appresso entrò nella Ravignana, e -di là valicò ad Ascoli del Tronto in servigio della -Chiesa per certa rivoltura fatta in quella città -contro al legato, e stettono alquanti dì nel paese, -e poi di novembre valicarono il Tronto, e -arrestaronsi nel paese verso Lanciano, ove soffersono -lungamente gran disagio, come al suo tempo -diremo. Stando in questa compagnia nel numero -di duemila cinquecento tra Ungheri e Tedeschi, -e molti fanti a piè nella Ravignana, e -dando boce di valicare da Firenze, i Fiorentini -ne tennono consiglio, e infine deliberaro di provvedersi -alle difese, e imposono per legge personale -a chi consigliasse, trattasse o parlasse occulto o -palese del prender accordo alcuno con la detta -compagnia: e ciò fu assai utile cagione e materia -a tutti i Toscani, perocchè le compagnie vanno -cercando chi fugga e fannone preda, e fuggono -le resistenze, perocchè dove e’ le trovano non -possono durare, nè trarne furtivo guadagno. -</p> - -<h3 id="capVIII-10">CAP. VIII. -<span class="smaller"><i>La rivoltura d’Ascoli della Marca</i></span></h3> - -<p> -Ascoli della Marca era all’ubbidienza del legato, -e Leggieri d’Andreotto di Perugia v’era -alla guardia per la Chiesa, e di fuori n’erano -ribelli l’arcidiacono e messer Filippo.... con -altri molti di loro animo e volere; costoro del -mese di settembre detto anno accolta gente in -loro aiuto rientrarono nella città, e trovando il -seguito d’assai cittadini corsono alle case de’ loro -<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span> -nemici, e uccisonne ventidue; gli altri che poterono -campare s’uscirono della terra, e Leggieri -d’Andreotto fu preso, e tanto ritenuto, che quivi -fece dare la fortezza che v’era per la Chiesa, -dicendo che teneano la città all’ubbidienza di -santa Chiesa, ma che voleano potere stare sicuri -in casa loro. La novella forte dispiacque al legato, -e pensossi con la compagnia d’Anichino farla -tornare al suo volere, ma i tornati in Ascoli di -quella poca cura pigliavano; il legato come savio -e astuto s’infinse di non se n’avvedere, perchè -mostrando cruccio non si mettessono a più grave -ribellione. -</p> - -<h3 id="capIX-10">CAP. IX. -<span class="smaller"><i>Come a petizione del legato fu preso -messer Ridolfo da Camerino.</i></span></h3> - -<p> -All’uscita d’ottobre detto anno, messer Ridolfo -da Camerino essendo stato principio col suo -consiglio e con le savie e sollecite operazioni di -sua persona di vincere e riducere i Malatesti -all’ubbidienza del legato, ed appresso continovato -intorno a’ fatti di santa Chiesa operazioni -leali e degne di merito, tanto seppe operare -messer Malatesta, ch’era divenuto il più segreto -consiglio ch’avesse il legato, che ritornandosi -messer Ridolfo da Bologna a Camerino, e capitato -nella città di Fermo, invitato da messer -Giovanni da Oleggio marchese della Marca, e fattali -allegra accoglienza, come ebbe mangiato, -prendendo da lui messer Ridolfo congio, fugli -detto ch’era prigione, dicendoli messer Giovanni, -<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span> -che ciò gli convenia fare contra suo grado per -mandato del legato, e mostrò le lettere che -mandate gli avea. Il valoroso cavaliere messer -Ridolfo niente per tale presura sbigottito, il fece -di presente sapere a’ suoi, dicendo, ciò essere senza -niuna sua colpa, e confortando che di lui nessuna -minima cura prendessono, e che nè per minacce -nè per tormenti, nè per morte che a lui -data fosse, nè di loro terre nè di loro giurisdizione -dovessono dare per ricomperare la vita sua, -e ciò, come cara avessono la grazia sua. I fratelli -teneri di tanto uomo, e ubbidienti a lui, con i -sudditi loro feciono consiglio, i quali loro offersono -quarantamila fiorini i quali di presente impuosono -tra loro, e fornirsi di gente d’arme, e -intesono a buona guardia, e al legato mandarono -ambasciadori per sapere che ciò volea dire. -Di tale presura il legato forte fu biasimato da -tutta maniera di gente, e quale che si fosse il suo -movimento, altro non se ne manifestò che detto -sia, ma valicato il mese di sua presura il legato -il fè diliberare: messer Ridolfo senza tornare al -legato sdegnoso e pieno d’ira e di mal talento -si tornò a Camerino. -</p> - -<h3 id="capX-10">CAP. X. -<span class="smaller"><i>Del maestrevole processo del legato co’ suoi -Ungari in questo tempo.</i></span></h3> - -<p> -Era, come addietro è detto, capitano degli Ungari -il maestro Simone conte, e il legato avea -condotto con tremila Ungari, e gli altri Ungari -<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span> -con alcuna provvisione nutricava: il maestro -Simone in segreto con gli Ungari ch’erano di fuori -s’intendea e con quelli ch’erano seco, e come -era con loro fuori di Bologna gli mantenea -quasi in discordia col legato rubando i Bolognesi -come nemici, e facea alla sua gente usare parole, -nelle quali lodavano messer Bernabò, e dicevano -sè essere al servigio suo, biasimando il -legato: per tale astuzia si divolgò per tuttochè -gli Ungari erano rivolti dal servigio della Chiesa. -E continovando la cosa in questa contumacia, -e messer Bernabò veggendosi avere fatte disordinate -spese nella guerra, e vedendosi al cominciamento -del verno, cominciò a cassare de’ suoi -cavalieri, i quali nel suo paese s’accoglieano col -grido di fare compagnia; e maestro Simone con -i suoi Ungari scorreano in preda in guisa di -compagnia, senza gravare i paesani come nemici: -e nondimeno il legato mantenea l’oste alla -bastita di Casalecchio, e mostrava di volere rivocare -gli Ungheri a sè per la fede avea avuta -dal re d’Ungheria, e mostrava di mandare lettere -perchè il re rinfrenasse gli Ungheri, che -non trasandassono contro a santa Chiesa. -</p> - -<h3 id="capXI-10">CAP. XI. -<span class="smaller"><i>Come s’ebbe per i Bolognesi la bastita di -Casalecchio sopra il Reno. -</i></span></h3> - -<p> -Essendo la bastita fatta per l’oste di messer -Bernabò sopra il Reno luogo detto Casalecchio -lungamente tenuta in grande confusione de’ Bolognesi, -<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span> -avendo per quella tolta l’acqua delle -mulina di Bologna, ed essendo presso alla terra -luogo forte e ben fornito, facea continua e tediosa -guerra infino alle porti. Partita l’oste del -Biscione, non potendola i Bolognesi avere per -battaglia, l’assediarono, e sopravvenendo i difetti -dentro, e non essendo soccorsi da messer Bernabò, -furono costretti d’arrendersi, e fatto il patto -salvo le persone, a dì 11 di novembre detto anno -s’arrendè, e gli Ungari pronti e con più forza -la presono, e mostrarono di volerla tenere per -loro contro la volontà del legato; e mostrandosi -la riotta grande tra il legato e gli Ungari per -la bastita, il legato fece venire lettere dal re -a maestro Simone comandandoli che rendesse -la bastita al legato, e che non si partisse dal suo -volere. E fatto questo comandamento la bastita -fu renduta a’ Bolognesi, e maestro Simone di nuovo -condotto con mille Ungari, e gli altri furono -licenziati; e partitisi di là per fare compagnia, -arrestandosi tra Bologna e Imola, avendo la -vittuaglia dal legato: e fatta questa dissensione, -messer Bernabò prese fidanza, e cassò più di sua -gente, sicchè al bisogno non potè riparare agli Ungari, -come seguendo nostro trattato diviseremo. -</p> - -<h3 id="capXII-10">CAP. XII. -<span class="smaller"><i> -La venuta a Giadra del re d’Ungheria e -della moglie.</i></span></h3> - -<p> -In questi tempi lo re d’Ungheria non potendo -avere figliuoli della reina sua moglie, alla quale -<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span> -portava grande amore, avvegnachè figliuola fosse -d’un suo suddito barone, a lui e a tutto il regno -ne parea male, che trascorresse il tempo senza -speranza d’avere successore e di lui erede nel -regno. E la moglie medesima per l’amore che -portava al re n’era in afflizione, e ben disposta -di fare ciò che piacesse di sè e ch’ella potesse -perchè al suo signore non mancasse rede, sentendosi -in istato da non potere portare figliuoli, e -per questa cagione si disse palese che il re e la -reina erano venuti a Giadra, e là dimorarono -parecchi mesi facendo edificare un grande e nobile -munistero a onore di santo..... nel quale -si dicea che dovea con la dispensazione di santa -Chiesa entrare la reina in abito e stato monachile, -e lo re dovea potere torre altra donna. Se ciò fu -vero, l’amore della donna lo vinse, e solo la fama -della volontà rimase. -</p> - -<h3 id="capXIII-10">CAP. XIII. -<span class="smaller"><i>La presa di Gello fatta per quelli di Bibbiena, -e la compera ne fece poi il comune.</i></span></h3> - -<p> -Gello è un bello castelletto presso a Bibbiena -a due miglia, e possiede buoni terreni. Messer -Luzzi figliuolo bastardo di messer Piero Tarlati -l’avea lungo tempo occupato all’abate di Magalona, -e rispondevali certa cosa per anno. I fedeli -occupati vedendo loro tempo per uscire di -servaggio, diedono il castello a coloro ch’erano in -Bibbiena per i Fiorentini all’entrata del mese -di novembre, e accomandaronsi al comune. Messer -<span class="pagenum" id="Page_18">[18]</span> -Luzzi in questo dì era accomandato de’ Sanesi, -i quali mandarono ambasciadori a Firenze, e -tanto operarono, che ’l comune a dì 15 di gennaio -detto anno per riformagione di consigli diedono -a messer Luzzi per compera del castello di -Gello fiorini milledugento, ed egli fece consentire -all’abate; e le carte fece ser Piero di ser Grifo -notaio delle riformagioni del comune di Firenze. -</p> - -<h3 id="capXIV-10">CAP. XIV. -<span class="smaller"><i>Come il comune di Firenze mandò ambasciadori -al legato e a messer Bernabò per -trattare accordo.</i></span></h3> - -<p> -Essendo l’impresa di Bologna barattata nelle -mani di messer Bernabò per altro modo che -non istimava, e ripiena d’Ungheri la Lombardia, -il comune di Firenze avvisando che tempo fosse -atto a trovare via d’accordo, mandò di novembre -di detto anno a smuovere il legato a lasciare -trovare modo alla concordia, lo quale trovarono -in vista e nelle parole bene disposto, e però andarono -a Milano a messer Bernabò, e cercato più -volte di poterli parlare, non poterono da lui in -Milano avere udienza, perocchè la notte innanzi -mattutino messer Bernabò era a cavallo e andava -alla caccia, e la sera tornava tardi, e non dava udienza, -perchè convenne che la notte il seguitassono -sponendo loro ambasciata, e cavalcando forte -il signore senza arrestarsi, e non di meno parea -desse speranza al trovare de’ modi; e così seguì più -dì senza avere udienza altro che cavalcando, sopravenne -<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span> -quello, che il legato trattò co’ suoi Ungheri, -come appresso diviseremo; per la qual -cosa sdegnato messer Bernabò non volle più udire -da quella volta innanzi gli ambasciadori di -Firenze, e senza onore si ritornarono al loro comune. -</p> - -<h3 id="capXV-10">CAP. XV. -<span class="smaller"><i>Come il legato mandò gli Ungari sopra la -città di Parma.</i></span></h3> - -<p> -Il valente legato conoscendo l’animo di messer -Bernabò niuna fede prendea di lui, e avendo -lungamente dimostrato discordia con gli Ungheri -come narrato avemo, e sentendo inverso Reggio -mille barbute casse da messer Bernabò, con l’aiuto -di messer Feltrino da Gonzaga per certa -provvisione le condusse, e improvviso a tutti in -una notte fece pagare per certo tempo gli Ungari -ch’avea cassi e quelli ch’avea condotti, e -mostrando d’andarsene gli Ungari di verso Ferrara, -avendo avuta la licenza del passo, si rivolsono, -e valicarono Modena e Reggio, e furono -prima in sul Parmigiano, ch’alcuna novella -n’avessono avuta i paesani, e per questo improvviso -corso feciono di bestiame grosso e minuto -preda senza misura. E appresso agli Ungari vi -mandò il legato messer Galeotto con mille barbute, -e a lui feciono capo l’altre mille condotte -a Reggio per modo di compagnia, valicarono la -Fossata, e poi il fiume della Parma, e stettono -in larga preda più di venticinque dì, perocchè -<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span> -per comandamenti di messer Bernabò il paese -non era lasciato sgombrare. La stanza e la ritornata -fu senza contasto, e a Bologna si ritornarono a -dì 11 di dicembre, con fama d’avere avuti danari -da messer Bernabò; per la qual cosa il capitano -degli Ungari tornato poi in Ungheria dal -suo signore fu messo in prigione. -</p> - -<h3 id="capXVI-10">CAP. XVI. -<span class="smaller"><i>Della presura del conte da Riano.</i></span></h3> - -<p> -Il re Luigi avendo sentito come Anichino di -Bongardo con la sua compagnia s’avviava nel Regno, -o che ’l conte da Riano gli fosse di ciò infamato, -o ch’egli avesse sospetto di lui, lo fece mettere -in prigione, con minacce di farli torre la -persona. Il conte si sentia senza colpa, e non temea, -confidandosi nella verità, e nel grande parentado -che avea con i maggiori baroni del Regno, -i quali riprendeano il re di quella presura, -per la quale non piccola dissensione era nel reame, -e per l’aspetto della compagnia, e ancora -perchè il duca di Durazzo non si fidava del re; -e il gran siniscalco si stava a Bologna, e mostrava -non curarsi di ritornare nel Regno, accortosi -che ’l re avea troppa fede data ai baroni ch’erano -a lui in contradio. Lo re non era sano, e il -prenze perduto per le donne e per lo vino dalla -cintura in su, e per queste cagioni il re sollecitava -con lettere il gran siniscalco che tornasse a lui, -ed egli sostenea per soccorrere al tempo del gran -bisogno, e per fare ricredenti gli avversari suoi, -come poscia addivenne. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span> -</p> - -<h3 id="capXVII-10">CAP. XVII. -<span class="smaller"><i>Come la compagnia d’Anichino sostenne fame -all’entrata del Regno.</i></span></h3> - -<p> -Anichino di Bongardo con la sua compagnia -essendo valicato nel Regno, tentato l’andare all’Aquila, -e trovato i passi forniti alla difesa, fu -costretto arrestarsi del mese di novembre, essendo -i passi stretti e male agiati di vittuaglia, -verso Lanciano, per la qual cosa soffersono gran -fame e assalto a’ passi da’ paesani, onde in quel -luogo perderono circa a ottocento tra cavalieri -ungari e masnadieri; e non potendo in quel paese -acquistare se non fame, presono la via di verso -la Puglia, e all’entrata di dicembre furono in -Giulianese: le terre trovarono afforzate e sgombro -il paese, sicchè poco di preda vi poterono -avanzare, nondimeno gli Ungari e i soldati cassi -nel paese di là seguivano la compagnia sentendosi -entrare nel Regno, e accrescevanle forza. -</p> - -<h3 id="capXVIII-10">CAP. XVIII. -<span class="smaller"><i>Come messer Cane Signore rimandò la moglie -che fu di messer Cane Grande al marchese -di Brandisborgo.</i></span></h3> - -<p> -Morto messer Gran Cane dal fratello, e tornato -messer Cane Signore in Verona, presa la signoria -dopo il lamento fatto della morte del marito, -la donna che fu di messer Gran Cane sirocchia -<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span> -del marchese di Brandisborgo con disonesta fama -di messer Cane Signore lungamente contro suo -volere fu ritenuta in Verona. E in quei giorni -addivenne, ch’a un parlamento fatto dai principi -d’Alamagna con l’imperadore, il marchese -di Brandisborgo si dolse dell’oltraggio fatto alla -sirocchia per messer Cane Signore; onde dall’imperadore -e dagli altri principi d’Alamagna fu -confortato ch’attendesse a vendicare sua ingiuria, -promessogli fu in ciò loro aiuto. Come ciò -pervenne agli orecchi di messer Cane Signore cagione -gli fu di rendere la donna, la quale rimandò -del mese di novembre detto anno con -quello onore e con quella compagnia ch’a lui -piacque infino fuori de’ suoi confini, e quivi trovato -di sua gente che gli si faceano incontro la -lasciarono, udendo minacce grandi contro al signore -loro. Il detto duca fece partire di suo paese -tutti i sudditi del signore di Verona, e a tutti -vietare le fiumane e’ passi come a suoi nimici. -</p> - -<h3 id="capXIX-10">CAP. XIX. -<span class="smaller"><i>Come la compagnia d’Anichino di Bongardo -prese Castello san Martino.</i></span></h3> - -<p> -Essendo di Giulianese entrata la compagnia -nel distretto del duca di Durazzo, avendo difetto -di pane, e mostrandolo maggiore, quelli di -Castello san Martino essendo molto forniti di vittuaglia, -per ingordigia del prezzo i villani di quello -cominciarono a vendere il pane un gigliato. La -gente d’arme maliziosa e cauta, veggendo i villani -<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span> -allargarsi all’esca del danaio, mandavano -a uno e a due nel castello insieme con le mani -piene di gigliati a comperare del pane, ed eglino -si stanziavano di fuori senza fare alcuna guerra al -paese; onde avvenne, che dimesticata la gente -matta e avara, per potere vendere più del pane -lasciarono entrare nel castello degli uomini della -compagnia, i quali dato segno a quelli di fuori -furono di subito alla porta, e con quelli d’entro -cominciarono la mischia, e cacciarono le guardie -dalla porta, e misono dentro la compagnia, facendo -per ciò sussidio grande al loro stremo bisogno, -ch’erano nel dicembre, e per loro non trovavano -pane nè strame per i cavalli, e nel castello -abbondantemente ne trovarono, e pertanto -gran parte del verno vi dimorarono sovente cavalcando -il paese, e riducendosi all’ostellagione -senza costo loro con le prede faceano nel paese. -</p> - -<h3 id="capXX-10">CAP. XX. -<span class="smaller"><i>Come il re d’Araona diè per moglie la figliuola -a don Federigo di Cicilia.</i></span></h3> - -<p> -Del mese di novembre detto anno, lo re d’Araona -diliberò di dare per moglie a don Federigo -figliuolo di don Piero di Cicilia la figliuola, e a -dì 27 di dicembre seguente giunse nell’isola di -Cicilia con quattordici galee ben armate, e fatto -porto a Cattania, dove il giovane re facea suo -dimoro, ricevuta la donna con quella festa che -far le potè secondo il suo povero stato la disposò; -e pensandosi che le galee de’ Catalani facessono -<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span> -guerra a Messina e all’altre terre del re -Luigi, senza arresto alcuno fornita la festa delle -nozze se ne ritornarono in Catalogna. -</p> - -<h3 id="capXXI-10">CAP. XXI. -<span class="smaller"><i>Come messer Bernabò si provvedde per avere -gente, nuova per guerreggiare Bologna.</i></span></h3> - -<p> -Messer Bernabò mostrò di non curarsi dell’avvenimento -degli Ungheri e de’ Tedeschi che alquanto -del verno stettono sopra le terre sue, anzi -scrisse al legato parole di scherno, volendo mostrare, -che quello che fatto avea tornerebbe tosto -in sua confusione. E a certi suoi confidenti -mostrò un grandissimo tesoro accolto di nuovo -senza toccare quello della camera sua, il quale -passava il numero di secento migliaia di fiorini, -i quali affermava sè avere diputati per vincere la -gara di Bologna. E per ciò cominciare e con danari -e con doni mandò il conte di Lando in Alamagna -a sommuovere baroni e cavalieri a sua provvisione -per averli al primo tempo; il quale trovando -che per l’imperadore e per lo doge d’Osteric, -e per lo marchese di Brandisborgo, e per gli altri -principi d’Alamagna fatto era comandamento, -che niuno arme prendesse contro a santa Chiesa, -del mese d’aprile seguente tornò con dieci bandiere -di ribaldi, i quali per non avere che perdere -non curarono i comandamenti de’ loro signori, -golando il soldo di messer Bernabò. Ora nel -processo nostro per lo verno dando sosta all’altre -fortune ci si apparecchia a narrare cosa spiacevole -<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span> -alla nostra città di Firenze, e all’altre -città a lei vicine. -</p> - -<h3 id="capXXII-10">CAP. XXII. -<span class="smaller"><i>Come messer Niccola Acciaiuoli gran siniscalco -del Regno venne in Firenze, e della novità -che per sua venuta ne seguio.</i></span></h3> - -<p> -Messer Niccola Acciaiuoli fatto per lo legato -conte di Romagna e del suo segreto consiglio, -sollicitato dal re Luigi co’ comandamenti, e da’ Fiorentini -e dagli altri comuni di Toscana procacciava -aiuto contro alla compagnia d’Anichino; -onde egli fatto vececonte in Romagna, e provveduto -d’uficiali alle terre commesse al suo governo -per santa Chiesa, a dì 9 di dicembre venne a -Firenze, dove da’ parenti e dagli amici, e dagli -altri cittadini discreti e da bene a grande onore -fu ricevuto. Lo suo dimoro e portamento nella -città era onesto e di bella maniera, mettendo -ogni dì tavola cortesemente, e senza alcuna burbanza, chiamando -i cittadini, e i grandi, e i popolari -alla mensa, onorandoli successivamente: -e così stando in Firenze, con ogni onesta sollecitudine -che potea procacciava di fornire il comandamento -del suo signore, e richiedeva sovente -con riverenza i suoi signori priori e collegi d’aiuto, -e simile in spezialità gli altri cittadini che -in ciò gli prestassono favore. E in questo stante -novità occorsono nella nostra città, che tutta la -terra puosono in confusione, come nel seguente -capitolo diremo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span> -</p> - -<h3 id="capXXIII-10">CAP. XXIII. -<span class="smaller"><i>Come per sospetto nato nella città di Firenze -di messer Niccola indegnamente egli -ne ricevette vergogna.</i></span></h3> - -<p> -Anichino di Bongardo, com’è di sopra scritto, -e con sua compagnia era passato nel regno di -Puglia, con animo d’offendere il re Luigi a suo -podere, il quale sollecitamente si dava a’ ripari, -il perchè il gran siniscalco n’era venuto a Firenze -per avere aiuto, e promessa avea avuta -d’avere trecento cavalieri; or come piacque alla -fortuna occorse, ch’al nuovo priorato, che trar si -dovea per legge di comune, far si dovea lo squittino -nuovo de’ priori e collegi, e fallare non potea -che stando messer Niccola a Firenze o vicino -non fosse priore, perocchè nelle borse vecchie -niuno v’era rimaso se non egli, e delle nuove -trarre non si potea se non si votasse le vecchie, -ed egli a ogni nuovo priorato era tratto, e rimesso -per assenza: il caso che parea appensato, -e l’uomo per la grandezza sua nella città per -tema di tirannia verisimilmente sospetto, con -assai colorata credenza facendo i governatori -della città fortemente sospettare, e mormorio -n’era tra loro, il quale per lo procaccio si stendea -nel volgo, e se ne parlava e in piazza e a’ ridotti, -ma per quello che veramente sentimmo -l’animo del nobile cavaliere della detta intenzione -era tutto rimoto, e per tanto per quetare il -mormorio sollecitava d’avere la gente dell’arme -<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span> -che il comune gli avea promessa, e proposto -s’era al tutto nell’animo che se necessario -caso l’avesse ritenuto di renunziare l’uficio. -Occorse in quei giorni, che licenziandosi i nostri -ambasciadori dal legato di Spagna, il quale come -di sopra è scritto presa avea la signoria di -Bologna, ed egli avendo l’uno di loro conosciuto -per uomo grave e intendente e d’autorità, e a -cui molta fede era data nel suo comune, avanti -che a loro desse il congio, quel tale segretamente -chiamò nella camera sua, e datali la credenza, -prima gli rivelò come certamente sentia che -in Firenze era trattato e congiura per sovvertere -lo stato loro. Il discreto e accorto ambasciadore -gli rispuose, che tale credenza tenendola a lui -era pericoloso, e simile al suo comune, e che per -tanto a lui piacesse che a’ suoi signori il potesse -manifestare, non domandando come savio più -oltre, per non avere materia d’abominare i suoi -cittadini, senza i quali non pensava ragionevolmente -potere essere trattato. Lo cardinale non -glie n’aperse più, ma gli concedette licenza che -di quello che detto gli avea ne facesse fede a’ signori -suoi come gli avea domandato. Per la rivelazione -di costui generale e oscura il sospetto preso -di messer Niccola crebbe a maraviglia, e in -tanto, che senza niuno intervallo di tempo provvisione -si fè, la quale in effetto contenne, che -niuno ch’avesse giurisdizione di sangue, o sotto -sè città o castella non potesse essere all’uficio del -priorato: ma per non fare più vergogna al valente -cavaliere trovandosi egli alla tratta de’ nuovi -priori, affrettarono di dare la gente promessa -<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span> -perchè avesse onesta cagione di partirsi, il quale -avendo ricevuto la gente, al modo del buono Scipione -Affricano per liberare dal sospetto la patria -e sè da vergogna, con la gente datagli di -presente prese viaggio, e giunto a Siena, e appresso -a Perugia, loro in nome del re Luigi richiese -d’aiuto, e altro che belle parole non ne potè riportare. -In questo fortunoso ravviluppamento -assai per li savi non odiosi si comprese della magnanimità -del gran siniscalco, perocchè nè in -atto nè in parole in lui veruno turbamento si -vide o sentì, ma piuttosto tranquillità d’animo, -quasi come se ciò s’avesse recato a onore che -in tanta città fosse preso che tanto animo avesse: -e tutto che per lo trattato che poco appresso si -scoperse si manifestasse l’innocenza sua e purità -d’animo, non di meno la legge rimase, e fu -riputata utile e buona, perchè si dirizzava a -conservamento di libertà, la quale in questo -mondo certano è riputata la più cara cosa che sia. -</p> - -<h3 id="capXXIV-10">CAP. XXIV. -<span class="smaller"><i>Come si scoperse congiura di certi cittadini -di Firenze, e trattato per sovvertere -lo stato che reggea.</i></span></h3> - -<p> -Vedendosi manifesto per ogni qualunque intendente, -che la legge fatta in favore della parte, -tutto ch’ad altro fine fosse principiata, era -in sè utile e buona ma male praticata, e che coloro -che ne doveano secondo il proponimento di -coloro che l’aveano creata essere disfatti n’erano -<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span> -sormontati e aggranditi, e che la città n’era -in molte parti stracciata e divisa, e di male talento -piena ne stava in tremore e sospesa, e’ rimedi -sufficienti al male non si vedeano, e se si -vedeano erano posti a silenzio, il perchè quasi -per una boce comune forte si dubitava di cittadinesca -commozione. Ed era per certo da dubitare, -come l’esperienza poco appresso ne fè manifesto, -perocchè tale mala disposizione conosciuta -da certi cittadini mal sofferenti e d’animo -grande, e che mal contenti viveano, massimamente -veggendo alzare troppo i loro avversari, -e da certi che per ammunizione erano a loro -parere contra ragione offesi, ed eranne poco pazienti, -loro diede audacia e materia di cercare -novità, e gli mosse a congiura, e in una a cercare -de’ modi e delle vie da levare dello stato coloro -i quali per loro nemici teneano. Costoro loro capo -feciono Bartolommeo di messer Alamanno -de’ Medici, uomo animoso troppo, e che si sarebbe -messo a ogni gran pericolo per abbattere gli -avversari suoi; al quale parendo che il tempo -abile a ciò fare fosse venuto, riscaldato e sollecitato -da Niccolò di Bartolo del Buono, e da Domenico -di Donato Bandini, i quali erano stati -ammuniti e levati dagli ufici e onori del comune -come sospetti della parte, non perchè fossono, -ma per operazione di chi gli avea con quel bastone -voluti fare ricomperare, ristrettosi con loro, -cominciarono segretamente a cercare de’ modi -e delle vie da pervenire all’intento loro: e -così cercando, trovarono che Uberto d’Ubaldino -di messer Uguccione Infangati, uomo cupido e -<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span> -vago di novitadi, e atto assai a dovere e potere -cercare, e avendo rispetto al male disposto e intrigato -stato della città, come per quella scritta -avemo di sopra comprendere si può, per suo proprio -movimento, e senza averne con alcuno conferito, -sotto la speranza d’avere il seguito de’ malcontenti, -de’ quali allora il numero era grandissimo -ogni ora che gli avesse richiesti, avea -tenuto trattato con uno Bernarduolo Rozzo Milanese, -il quale era cameriero di messer Giovanni -da Oleggio de’ Visconti per allora signore di Bologna, -e stato era suo tesoriere, uomo sagace, -astuto e d’animo grande, il quale entrato n’era -in ragionamento col detto messer Giovanni, mostrandoli -per assai belle e apparenti ragioni come -se volea il potea fare signore di Firenze. -Il tiranno giusta il costume de’ tiranni vi prestò -l’orecchie, ma infra il tempo per necessario caso -occorse ch’esso tiranno per lo migliore suo s’accordò -con la Chiesa, e rendè Bologna a messer -Egidio d’Albonazio di Spagna cardinale e legato -di santa Chiesa nelle parti d’Italia, il perchè il -trattato cominciato per messer Bernarduolo Rozzo -si rimase. I predetti Bartolommeo, Niccolò, -e Domenico avendo segretamente odorato che -per Uberto si cercava rivoltura di stato, e che -per tanto verificando il titolo e nome della famiglia -sua s’era Infangato, tutto che il modo -e le persone con cui trattava non sapessono, conoscendolo -uomo sufficiente e atto a fornire delle -intenzioni loro, e di quello che loro andava per -l’animo, e stimando che per l’errore già commesso -per lui loro dovesse essere fedele, lo tirarono -<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span> -ne’ loro segreti consigli, e intorno a loro impresa -gli dierono faccenda e pensiero, con dirli cercasse -consiglio e aiuto pronto col quale loro intenzione -potessono fornire. Parendo a Uberto -che i suoi vecchi pensieri fossono di nuovo appoggiati -e di consiglio e di forza, senza ai suddetti -niuna coscienza farne col detto Bernarduolo -Rozzo ricominciò il vecchio trattato, parendoli -avere migliorato condizione, offerendoli -al servigio sufficiente seguito a fornire il cominciato -trattato con lui, e diedeli certe scritture -di sua testa compilate, dove soscritto apparea -non piccolo numero di cittadini e grandi e popolani, -e de’ maggiori e de’ mezzani e de’ minori, -tutti persone e da nome e da fatti. Il detto -Bernarduolo, parendoli avere in mano la detta -cosa per fornita, di tanta audacia e presunzione -fu, che avendo cercato questa faccenda con messer -Giovanni da Oleggio, e veggendo che sua intenzione -gli era faltata per lo dare che fatto avea -di Bologna a santa Chiesa, fu di tanta audacia e -presunzione, che sentendo il cardinale di Spagna -uomo d’alto animo, fattivo e cupido di fama mondana, -e desideroso oltre a modo di temporali signorie, -e per tanto quasi senza considerazione, e per -tanto di grandi imprese lo richiese, mostrandoli, -che senza niuno dubbio con poca spesa e fatica -potea essere signore di Firenze. Il legato, tutto -fosse cupido e animoso, era savio e temperato, e -conoscea che fallandoli l’impresa potea essere -il suo disfacimento, e promessa credenza di tutto, -il trasse fuori di pensiero de’ fatti suoi; poi come -detto è di sopra a uno degli ambasciadori fiorentini -<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span> -il detto cardinale in genere revelò che trattato -era in Firenze. Nè però ristette Bernarduolo -di cercare, e seguendo la via cominciata, portò -il trattato a messer Bernabò, il quale mostrò -d’averlo caro e accetto, ma come signore di -grande sentimento e pratico delle baratte del -mondo, non parendoli che la cosa dovesse avere -effetto, secondo l’offerte che gli erano fatte dava -e toglieva parole e tenea in tranquillo, mettendo -per lunga via la mena, e per simile il detto -Uberto dicea ai detti Bartolommeo e i compagni -che cercava cose ch’anderebbono a loro intenzione, -ma che per ancora non avea tanto -che loro niente effettualmente ne potesse dire. -</p> - -<h3 id="capXXV-10">CAP. XXV. -<span class="smaller"><i>Come si scoperse il trattato che era in Firenze, -e certi ne furono puniti.</i></span></h3> - -<p> -Mentre le dette cose si cercavano per Bernarduolo, -parendo ai detti tre Bartolommeo, Niccolò -e Domenico, che ogni piccolo indugio loro fosse -pericoloso, poichè incominciato aveano, e temendo -che lunghezza di tempo non impedisse, e -scoprisse quello che intendeano di fare, sollecitavano -continovamente, e un’ora non si lasciavano -fuggire di mano, pensando dì e notte de’ modi come -loro proponimento potessono fornire, intra i -quali uno loro ne cadde nell’animo, il quale poi -si conobbe sufficiente a muovere scandalo grande -e pericoloso, ma non a terminare secondo il concetto -dell’animo loro; e per mandarlo ad esecuzione. -<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span> -I detti caporali con inventivi modi e argomenti -sottili e sagaci trassono in loro congiura -e trattato messer Pino di messer Giovanni -de’ Rossi, Niccolò di Guido da Sanmontana de’ -Frescobaldi, Pelliccia di Bindo Sassi de’ Gherardini, -Beltramo di Bartolommeo de’ Pazzi, Pazzino -di messer Apardo Donati, Andrea di Pacchio -degli Adimari, Luca Fei, Andrea di Tello -dell’Ischia (questi ultimi due per molti si tenne -che senza colpa fossono messi nel ballo) e frate -Cristofano di Nuccio de’ monaci di Settimo, il -quale era stato lungo tempo alla guardia della -camera dell’arme, e quindi per alcuno procaccio -d’altrui era stato rimosso: di molti altri si -disse, ma non si trovò esser vero, e se fu, si tacque, -e ammorzò per lo migliore, e per fuggire -disordinato fascio, ma agl’intendenti parve, non -essendo matti i detti nominati di sopra, sì grande -tentamento dovesse avere maggiore appoggio -e sequela e nel numero. La motiva loro fu più -per odio e nimistà speziale che vogliosamente -portavano a certa famiglia di popolari grandi e -in comune, e per levarli di stato e cacciarli, che -per zelo che avessono alla repubblica o ad altri -loro cittadini. L’ordine per i detti dato a fornire -loro impresa fu di questa maniera, che l’ultimo dì -di dicembre frate Cristofano, che per le reliquie -del vecchio uficio che gli era stato levato ancora -liberamente usava l’entrata e l’uscita del palagio -de’ priori, ed era signore delle chiavi, dovea -segretamente mettere quattro fanti in sulla torre -del palagio de’ signori, e rinchiuderli in una -camera che v’è, e non s’usava, e poi di notte -<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span> -dovea aprire lo sportello della porta del palagio -di verso tramontana, che non s’usava, e mettere -quetamente per quella ottanta fanti, e riporli -ivi di presso nella camera dove si riducono gli -uficiali delle castella, ch’allora non vi stava persona, -e la seguente mattina, quando escono i signori -vecchi ed entrano i nuovi, rimanendo -dentro un fante solo che serra la porta, mentre -che le dicerie e solennità a tali atti usati si fanno, -i detti ottanta fanti doveano uscire della detta -camera, e uccidere o prendere il detto portiere, -e serrare la porta, e salire sul corridoio del palagio, -e con le pietre percuotere chiunque fosse sulla -ringhiera, e i fanti della torre doveano sonare -le campane a stormo, e in quell’ora si doveano -muovere i detti congiurati col seguito loro, stimando -che molti cittadini offesi e malcontenti, -e quelli che stavano indubbio dello stato loro -traessono a loro, e gli dovessono seguire; con -volere che per altro ordine si governasse la terra, -della quale s’immaginavano essere principali -e maestri, com’erano principali della matta -impresa, con mostrare di volere che a neuno -fosse fatto oltraggio o torto. Il pensiere loro -fu riputato da molti folle, perchè non avendo -altro braccio, rimaneano in podestà del furore -del popolo, se non avesse consentito al loro -movimento. Altri stimavano, che essendo il popolo -confastidiato come detto avemo, e per natura -mobile e vago di novità, e che scorrere si lascia -quando è scommosso là dove non possono i -savi stimare, che loro pensiero potesse avere effetto: -ma Dio che è guardia de’ semplici e innocenti, -<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span> -e che talora per rispetto loro tempera l’ira -sua contra i rei, perchè il caso parea come suole -fare, o per fortuna o per privati odii contra loro -straboccare, volle si scoprisse il trattato, e fu in -questo modo. Detto avemo come il legato sotto -parole generali avea fatto sentire come nella -città era trattato, ma d’esso non avea dato -indizio veruno; e stando per questo i governatori -e i cittadini di Firenze nel tenebroso sospetto, -Bernarduolo Rozzo, che vedea suo ragionamento -tornato in fummo, pensò di fare civanza, e trarre -vantaggio delle fatiche che avea ordinato in male -operare, e venuto a Santa Gonda, mandò per -uno suo amico della casa degli Antellesi, e a lui -disse, che quando il comune di Firenze gli volesse -dare venticinque migliaia di fiorini, ch’egli manifesterebbe -il trattato, e chi lo conducea. Ciò sentito -per i signori, e tenuto segreto consiglio, per -trarre il popolo di periglio, e di sospezione e -paura, diliberarono gli fosse dati danari, e alla -promessa d’essi s’obbligarono i signori, e’ collegi, -e’ richiesti, e se ne fè scrittura obbligatoria con -saramento, e il pagamento se ne dovea fare in -Siena, manifestato ch’avesse in forma bastevole -la verità del fatto. Anzi che fosse il detto ragionamento -fornito, o fattone esecuzione, fu noto -a Bartolommeo che ’l fatto si venia a scoprire, -non perchè il detto Bernarduolo il sopraddetto -processo e ordine sapesse, ma che per quello che -tenuto avea con Uberto Infangati sapea i nomi -di coloro che sapea che teneano al suo, si manifestò -e aprì a Salvestro suo fratello, e quello che occultato -avea, e a lui e a’ suoi consorti palesò. Salvestro -<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span> -udito il voglioso e poco savio movimento del -fratello, per ricoverare l’onore suo e della casa -sua, che per la detta impresa potea cadere in -sospicione, e per trarre il fratello di pericolo e -d’abominio, con certi dello stato discreti e fidati, -e alla famiglia sua, di presente ne fu a’ signori, -e da loro prese sicurtà per Bartolommeo, dicendo, -che da lui avrebbono tanto, che potrebbono trarre -di sospetto e di paura il comune, il quale quasi -per lusinghe tirato nel trattato, con infingere di -non sapere se non la corteccia, dissono a’ signori, -che se avessono Niccolò e Domenico di Donato -Bandini che ne saprebbono il tutto, come da’ caporali -e guide del trattato; di che i signori di subito -mandarono per loro in forma e in modo, che -se si fossono voluti cessare non aveano il podere, e -quelli per loro prima esaminati li dierono al podestà. -Gli altri congiurati sentito questo si cessarono -subitamente; e i detti presi confessato il -loro eccesso furono dicapitati: gli altri nomati, eccetto -il detto Bartolommeo, furono per lo potestà -senza vituperevole titolo condannati nella persona. -Il detto Bernarduolo Rozzo, avendo per la -detta sua operazione certificato il comune che ’l -suo palesare il trattato era per vendere la vita di -molti cittadini, e non per palesare il suddetto -trattato, del quale niente sapea, fu di tanta presunzione -e ardire, che sotto la promessa di dare -al comune scritta di mano propria de’ congiurati, -alla quale erano sottoscritti molti cittadini di loro -propria mano, e suggellato di loro proprio suggello, -domandò ed ebbe fidanza di venire a Firenze, -e a’ signori la detta scritta diede, la -<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span> -quale si trovò essere di mano d’Uberto Infangati, -fittamente e coloratamente composta, secondo -che fuori n’uscì la boce, se vera fu, o no. Ragunato -il consiglio, <i>coram omnibus</i> la scritta fu arsa -senza altrimenti farne dimostrazione. A Bernarduolo -Rozzo furono donati cinquecento fiorini -d’oro, e tratto del nostro contado dato gli fu il -congio. La legge, ch’era stata in gran parte cagione -e materia di tanto male, e peggio per l’avvenire -promettea, per tutto ciò ammendata non fu, -nè regolata nè aggiustata in niuna sua parte. -</p> - -<h3 id="capXXVI-10">CAP. XXVI. -<span class="smaller"><i>Come si comperò Montecolloreto, e la giurisdizione -di Montegemmoli dell’Alpe per lo -comune di Firenze.</i></span></h3> - -<p> -Ottaviano e Giovacchino figliuoli di Maghinardo -e Albizzo degli Ubaldini, essendo male in accordo -co’ figliuoli di Vanni di Susinana, e con gli altri -Ubaldini teneano Montecolloreto, e possedeano -l’Alpi con millecinquecento fedeli e’ fitti perpetui, -e costoro cercavano di volere vendere Montecolloreto -e l’Alpe, e le ragioni ch’aveano in Montegemmoli, -e in Cornacchiaia e nell’altre villette -dell’Alpe al comune di Firenze per loro vantaggio, -e dispetto de’ loro consorti. Il comune intendea -alla compera. Gli altri Ubaldini che si teneano -avere ragione nell’edificio di Montecolloreto -mandarono a Firenze a contradire la vendita. La -cosa stette lungamente in dibattito, infine il comune -comperò la proprietà da coloro che teneano -<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span> -Montecolloreto, e tutta l’Alpe, e la giurisdizione -ch’aveano i figliuoli di Maghinardo, e comperò -tutti i fitti perpetui ch’aveano nell’Alpe, sicchè -il paese e gli uomini rimasono liberi del comune -di Firenze, e i detti Ottaviano, Giovacchino, e -Albizzo, e tutti i loro congiunti e loro famiglie -furono fatti per riformagione del comune, a dì 30 -di dicembre del detto anno, cittadini e popolari -di Firenze, e fatte le carte della detta vendita -per ser Piero di ser Grifo delle riformagioni, ed -ebbono contanti fiorini seimila d’oro, com’elli furono -in concordia e in patto d’avere dal comune -di Firenze. L’Alpe fu recata a contado, e gli -uomini liberi da’ fitti perpetui. -</p> - -<h3 id="capXXVII-10">CAP. XXVII. -<span class="smaller"><i>Come una compagnia creata novellamente -prese Santo Spirito.</i></span></h3> - -<p> -Finite le guerre, e fatta la pace fra i due re -d’Inghilterra e di Francia, tornato il re Giovanni -in Francia, e intendendo dolcemente a rassettare -il reame, fece gridare per tutto suo reame -che tutta mala gente si dovesse partire, e sgombrare -il suo reame sotto gravi pene; e per tale cagione -diverse compagnie s’adunarono, le quali -l’una dopo l’altra poi trassono ad Avignone. Sicchè -dove speranza era che il re liberasse la Chiesa -seguitò il contrario, e più si credette per tutti -che i paesi si posassono, e s’intendesse a’ mestieri -e alle mercatanzie, ma incontanente seguitò in -Parigi e nel paese di Francia grandissima carestia -<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span> -e mortalità, e coloro ch’erano usi in guerra, -e più atti alle prede e alle rapine ch’alle mercatanzie -e mestiere, udito il grido e il comandamento -del re in diverse parti s’accolsono insieme -per modo di compagnia, e feciono diversi -capitani, e chi vernò in un paese e chi in un altro -alle spese de’ paesani, conturbando le provincie; -e un’accolta si fece verso Lione sopra -Rodano, in grasso e abbondante paese, e ivi -stettono senza contasto, e dimorati alquanto nel -paese, si misono verso Lione per valicare in Provenza: -il vicario di Lione coll’aiuto de paesani -occuparono i passi, che sono stretti e forti, e -non gli lasciarono passare; e vedendosi la compagnia -impedire, un’altra volta maliziosamente -si strinsono sopra Lione, ove tutta la forza della -città e delle vicinanze trassono alle difese, e i -capitani della compagnia aveano fatto eletta di -mille barbute, e ordinato quando la gente traesse -a loro che prendessono un altro cammino per -l’alpe della Ricodana, e così fatto fu senza trovare -chi loro contradicesse, e tra il giorno e la -notte appresso l’alpe passarono, che di mala via -furono oltre a miglia quaranta, e alla dimane si -trovarono nel piano presso a Santo Spirito in -sul Rodano, e quivi per lo freddo sostenuto la -notte con fuochi si ristorarono, e a’ loro cavalli -provvidono e a loro di vivanda per riprendere -forza della gran fatica che la notte per lo gran -cammino aveano sostenuta; e ciò fatto, montati a -cavallo si dirizzarono a Santo Spirito, dove trovarono -la gente sprovveduta, e nullo resistente -s’entrarono nel borgo. La rocca si tenea per uno -<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span> -castellano lucchese, e quella col castellano presono: -e perchè il fatto fu incredibile per la fortezza -del luogo, molti pensarono che fatto fosse per -ordinamento del Delfino, e perchè il castellano -fu lasciato e poi ripreso ad Avignone, stimossi -che il papa il sentisse, e per lo meno male lo si -tacesse. I terrazzani da bene uomini e donne si -ridussono nella chiesa ch’è forte, e aspettando -il soccorso de’ vicari circostanti e dal re di Francia -per spazio di sei dì, si patteggiarono di dare -fiorini seimila d’oro, salvo l’avere e le persone: -i danari furono pagati, ma i patti non furono attesi, -che tutti furono rubati, e molte femmine -giovani ritenute al servigio della compagnia. Santo -Spirito è vicino ad Avignone a otto leghe di -piano. E il nobile ponte sopra il Rodano di presente -occupato fu per quelli della compagnia, -d’onde aveano libera l’entrata nel Venisì, e poteano -a loro piacere cavalcare fino ad Avignone: -per tale cagione il papa e i cardinali ebbono -gran paura, e la città tutta prese l’arme serrate -le botteghe, e solo s’intendea a fare steccati e -bertesche sì alla città e sì al gran palagio del papa, -e a provvedersi di vittuaglia, e con soldati -s’attendea a buona guardia, e di dì e di notte. E -oltre a questa provvisione il papa bandì la croce -sopra la compagnia, credendo subito avere gran -concorso di gente d’arme e da piè e da cavallo, -e nullo si trovò che la prendesse, onde lentamente -cominciò a fare gente di soldo, e fè capitani -il cardinale d’Ostia con certi altri prelati, e -li mandò nel Venisì a fornire le castella della -frontiera contro i nemici perchè non potessono -<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span> -stendere nè verso Avignone nè verso la Provenza, -massimamente perchè sentiva che la compagnia -era per avere maggior forza in corto tempo da -quelli che rimasi erano di là da Lione. Al modo -delle guerre de’ prelati la boce fu grande, e la -difesa fu piccola quando alla compagnia parve il -tempo da valicare, ma per allora essendo pochi, -ed avendo roba assai, gran tempo stettono senza -fare cavalcate, e il ponte afforzarono in forma, che -le navi che veniano di Borgogna ad Avignone con -vittuaglia non poteano passare, onde la corte sostenne -grave carestia. Lasceremo per ora questa -materia la quale ebbe lungo processo, e seguiteremo -le cose d’Italia, che nel tempo richieggiono -il luogo debito loro. -</p> - -<h3 id="capXXVIII-10">CAP. XXVIII. -<span class="smaller"><i>Come tornati gli Ungari e messer Galeotto da -Parma si misono a Lugo.</i></span></h3> - -<p> -Tornati gli Ungari del Parmigiano, il legato, -perchè non gravassono dentro i Bolognesi, gli -mandò sopra Lugo, dando boce di volere rivolgere -un fiumicello che corre verso Castello san -Piero sopra Lugo; e per fare la mostra apparente -ragunò maestri paesani a ciò fare, e niuno effetto -ne seguì. Stando gli Ungari a campo a Lugo -messer Galeotto cavalcò sopra Castelfranco, e -mancandogli i soldi pagati per lo legato agli Ungari -e ai soldati, si partirono del detto mese di -gennaio e da Lugo e da Castelfranco, e di loro -una parte dal Biscione prese soldo, ed entrò in -<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span> -Lugo a fare guerra contro al legato, e alquanti il -legato se ne ritenne. Mille o più a piano passo -si dirizzarono in Romagna, e quindi nella Marca -vivendo a legge di compagnia, e parte di loro -s’aggiunse alla compagnia del Regno. Poco appresso -il legato s’accordò con quelli ch’erano -passati nella Marca, e di febbraio gli fece tornare -sopra Lugo, per rattenere quelli ch’erano in -Lugo dal conturbare la Romagna, ma poco tempo -là durarono per la povertà del legato, ch’avea -l’animo grande e la fonda vota. -</p> - -<h3 id="capXXIX-10">CAP. XXIX. -<span class="smaller"><i>D’alquanti trattati tenuti in diverse parti -che tutti si scopersono.</i></span></h3> - -<p> -In questi giorni, certi d’una casa di Forlì che -si nomava di Capo di Ferro, i quali il legato avea -rimessi in Forlì, con altri loro amici e congiurati -cercarono di mettere una notte in Forlì la -gente di messer Bernabò ch’era in Lugo. Il trattato -si scoperse, e furono presi venticinque cittadini, -e trovati colpevoli, due di quelli di Capo di -Ferro ed altri due del mese di gennaio furono -decapitati, e dodici di loro seguito mandati a’ -confini. La terra si rassicurò con sollecita guardia. -Seguendo simili cose e’ pare, che quando il verno -non lascia campeggiare la sfrenata rabbia -degl’Italiani, non resti di procurare scandali e -commuzioni. I Perugini in questi dì trovarono -certi loro grandi che voleano rompere il popolo, -e mutare il reggimento di quella città, e furono -<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span> -tanto e sì potenti, che scoperto il fatto non -s’ardì a fare punizione. In Siena fu sospetto di -mutamento di stato, e lungamente se ne stette -in gelosia e in guardia. In Volterra fu il simigliante, -e con gli ambasciadori del comune di Firenze -si quetò la materia dello scandalo. In Bologna -in questo verno si scoperse un altro trattato, -che alcuni cercavano con messer Bernabò, -de’ quali erano due de’ Bianchi caporali, non sapendo -l’uno dell’altro. Ed avendo il podestà -condannati Giovanni e Federigo de’ Bianchi nella -persona per questo tradimento, e mandandoli -alla giustizia con due altri, il legato fece liberare -Giovanni ch’era meno colpevole, e Federigo -e’ compagni furono decapitati. I Perugini, con -trattato ch’aveano con certi loro sbanditi ch’erano -al soldo del signore di Cortona, il doveano fare -uccidere: il fatto scoperto, i traditori furono -presi, e fattone quello che meritavano. -</p> - -<h3 id="capXXX-10">CAP. XXX. -<span class="smaller"><i>Come il grande siniscalco fu ricevuto -nel Regno, e quello ne seguì.</i></span></h3> - -<p> -Per inzigamento di messer Giannotto dello -Stendardo, e di messer Ramondo dal Balzo e -de’ seguaci loro, allora governatore del re, messer -Niccola Acciaiuoli gran siniscalco al giudicio -de’ cortigiani parea in poca grazia del re, e -giunto in Napoli, e scavalcato al castello del re, -convenne che quel giorno col seguente solo a solo -col re dimorasse, e con lui a quelle cose che -<span class="pagenum" id="Page_44">[44]</span> -nel Regno erano a fare diede il modo, e lo re lo -fè suo luogotenente, e per suo decreto e a’ baroni -e a’ popolani comandamento fece, che ubbidito -fosse come la persona sua. Quindi a pochi -dì fatto suo apparecchiamento, colla gente del -comune di Firenze e quella potè avere del paese -cavalcò in Puglia verso la compagnia, e misesi -nelle terre vicine alla frontiera loro, e li comimciò -forte a ristrignere di loro gualdane. -</p> - -<h3 id="capXXXI-10">CAP. XXXI. -<span class="smaller"><i>D’un segno nuovo ch’apparse in cielo sopra -la città di Firenze.</i></span></h3> - -<p> -A dì 9 di febbraio detto anno, alle quattro ore -di notte, in aire apparve sopra la città di Firenze -un vapore grosso infocato di tale aspetto, che -a molti parve che fosse fuoco appresso nella città -vicino a loro vista, e per tanto cominciarono a -gridare al fuoco, e le campane della chiesa di -santo Romeo sonarono a stormo, e lungamente, -come è usanza di sonare per lo fuoco; per lo -quale romore molti cittadini si levaro da dormire, -e vedendo ch’erano vapori incesi nell’arie -uscirono delle case, e andarono a’ luoghi aperti, -e vidono il tempo sereno, e il lume della luna, -e di qua e di là dal vapore sua larghezza rosseggiante -a guisa di fuoco per spazio di miglio, e sua -lunghezza di quattro, e il suo montare alto del -basso tanto era, che le stelle si mostravano in -esso come faville di fuoco; e levatosi in distanza -alcuna di sopra a Firenze valicò Fiesole, tenendo -<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span> -forma di ponte da Montemorello a Fiesole, e poi -con assai lento andamento trapassò nel Mugello, -e in un’ora e mezzo consumato si mostrò a coloro -che di Firenze n’aveano aspetto. Di tal segno -niuna altra influenza si vide da farne menzione, -se altra per più lunghezza di giorni non dimostrasse, -se non alcuno secco, che danno fè assai -alle terre sottili di nostre montagne per tutto -nostro paese. -</p> - -<h3 id="capXXXII-10">CAP. XXXII. -<span class="smaller"><i>Dimostramento di smisurato amore -di padre a figliuolo.</i></span></h3> - -<p> -E’ ne parrebbe degno di riprensione lasciando -in dimenticanza un caso occorso in questo tempo, -perchè ci pare esempio di mirabile carità -intra padre e figliuolo, ed e’ converso, tutto che -apparito sia in uomini di bassa condizione. Nel -contado di Firenze e comune della Scarperia, -villa di santa Agata, uno garzoncello nome Iacopo -di Piero, sprovvedutamente uccise un suo -compagno, e ciò fatto, lo manifestò al padre, il -qual turbato gli disse, che subito si partisse, e si -riducesse in luogo salvo, e così fece. Il malifizio -fu portato alla signoria, e incolpato e preso ne -fu il padre del garzone, il quale tormentato, per -non accusare il figliuolo confessò sè avere commesso -il peccato all’uficiale della Scarperia, e -mandato a Firenze al podestà, confessando questo -medesimo e raffermando, fu condannato nel -capo. Il figliuolo, che segretamente era venuto a -<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span> -Firenze per vedere che fine avesse, vedendo il -padre innocente andare a morire per lo difetto -suo, mosso da smisurato amore da figliuolo a -padre, diliberato di morire perchè il padre campasse, -il quale liberamente vedea andare alla -morte per campare lui, con molte lagrime si -rappresentò alla signoria, dicendo: Io sono veramente -colui che commessi il peccato; io sono -colui che ne debbo portare la pena, e non per -me questo mio padre innocente, che è tanto acceso -di carità verso di me perchè io campi, che soffera -di morire per me. L’uficiale udito il garzone, -quasi stupefatto ritenne e sostenne l’esecuzione -che si facea del padre, e trovato la verità del -fatto, il padre fu liberato, e il figliuolo, per la -necessità della corte, a dì 6 di marzo con pietose -lagrime a chiunque l’udirono o vidono fu decapitato. -E certo se stato fosse commesso il malificio -senza malizia e casualmente, tanto atto di pietà -a un benigno signore credere si dee ch’arebbe -meritato perdono almeno della vita. -</p> - -<h3 id="capXXXIII-10">CAP. XXXIII. -<span class="smaller"><i>Contrario esempio d’incredibile crudeltà -di madre.</i></span></h3> - -<p> -Avvegnachè quello che segue appresso alla narrata -pietà di padre e figliuolo dopo i sei mesi occorresse, -per collazione del bene col male, volendo -operare la sfrenata lussuria operatrice -d’incredibile crudeltà di madre contra figliuolo, -contra la forma di nostro ordine giugneremo i -<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span> -tempi lontani. All’entrata d’agosto detto anno, -nella città di Perugia, una donna di legnaggio non -basso avendo avuto d’un onorevole popolano -suo marito un figliuolo di buono aspetto, morto -il padre, dopo certo tempo la donna giovane -si rimaritò a un altro cittadino dabbene, il -quale amava il figliastro quanto che figliuolo, sì -per l’ubbidienza, sì per l’industria, sì per li buoni -costumi vedea in lui, il quale era d’età di dieci -anni. La madre per disordinata concupiscenza -fu presa dell’amore d’un altro giovane perugino -assai accorto e dabbene, e lui pensò d’avere -per marito, e godersi con lui e sua dote, ch’era -grande, e l’eredità del figliuolo, ch’era maggiore, -e altro successore non avea che lei. E con -l’adultero tenuto trattato diedono certo ordine -alla morte del figliuolo, che lo dovea la notte -strangolare, ed ella dovea avvelenare il marito; -e dato l’ordine, la madre empia mandò il figliuolo -a casa l’amico con certe cose, e gli comandò -non si partisse da lui se non lo spacciasse; giunto -il fanciullo al buono uomo, e datogli quello -che gli mandava la madre, con molta purità con -istanza gli domandava d’essere spacciato: vedendo -l’uomo la semplicità del fanciullo, glie ne -venne pietà e cordoglio, e gli disse: Vattene a -tua madre, che tempo non è a quello ch’ella vuole. -Vedendo la madre tornato il fanciullo si turbò -forte, e lo domandò perchè non l’avea spacciato, -e il fanciullo le fè la risposta. La sfacciata -meretrice rimandò il figliuolo, e gli comandò, -che non tornasse a lei, ma tanto stesse, ch’egli -fosse spacciato di ciò che ragionato avea con lui. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span> -</p> - -<p> -Il fanciullo ubbidiente alla madre tornò all’amico -di lei, e con molte preghiere lo richiedea, che -fare dovesse quello che la madre gli avea imposto; -ed egli molto più intenerito, quasi lacrimando -gli disse: Di’ a tua madre, che non istia -a mia fidanza, ch’io nol voglio fare: e il figliuolo -tornato alla crudelissima madre le disse quello -che gli era stato detto. La bestiale scellerata ciò -udito, in esso stante comandò al figliuolo ch’andasse -nella cella, ed ella gli tenne dietro, dicendo: -Quello che non ha voluto fare egli farò io; e con -le diaboliche mani segò la gola al figliuolo, e quivi -lo lasciò morto. Poco il marito tornò in casa, -e domandò la madre del figliuolo: la donna -presa l’astuzia del serpente con fronte audace -gli rispose: Ben lo sai tu, va’ nella cella e vedrailo. -Il marito ignorante e puro scese al luogo, e trovò -il fanciullo morto, il perchè e’ venne meno, -e forte sbaì, e perdè la favella: la moglie lo serrò -dentro, e levato il pianto, traendo guai incominciò -a gridare, e dire, che il traditore del marito -le avea morto il figliuolo per godere la sua eredità; -e tratta la vicinanza a romore, ella squarciandosi -il viso e’ capelli mai non lasciò aprire -l’uscio della cella infino che la famiglia della -signoria non venne, la quale apersono l’uscio, e -trovarono il malificio, e a furore ne menarono -il marito, il quale tormentato confessò sè aver -fatto il malificio, e la cagione per godere l’eredità -del figliastro. E apparecchiandosi la signoria -a farne aspra giustizia, all’amico della pessima -donna venne compassione di tanto male, e -del sangue innocente sparto e che spargere si -<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span> -dovea, e del fallo suo presa sicurtà da’ signori -manifestò la verità del fatto, e la donna venuta -in giudicio, senza alcuno tormento confessò la -sua iniquitade, e condannata alla tanaglia, e più -a esserle levate le carni a pezzo con i rasoi, fece -terribile esempio all’altre. Questo peccato tanto -enorme forse meritava silenzio di penna, per -l’orrore d’udire tra’ cristiani sì alto e sì sfacciato -male, conchiudendolo con un verso di Giovenale -poeta, che dice: Fortem animum praestant -rebus quas turpiter audent, parlando delle femmine -che da sè hanno scacciata la pudicizia e -la vergogna, il quale in volgare suona: Forte -animo prestano alle cose che sozzamente ardiscono -di fare. -</p> - -<h3 id="capXXXIV-10">CAP. XXXIV. -<span class="smaller"><i>Delle compagnie ch’entrarono in Provenza -per conturbare i paesani e la corte -di Roma.</i></span></h3> - -<p> -Avvegnachè grave cosa fosse alla corte di Roma -la presura che una compagnia avea fatto -di Santo Spirito sul Rodano di sopra a Avignone -otto leghe, nondimeno altre compagnie sommosse -di Guascogna del reame di Francia del mese -di gennaio, febbraio e marzo, fuggendo la pace, la -carestia e la mortalità, in poco tempo l’una appresso -l’altra vennono in Provenza; e l’una che -si nomava la Compagnia bianca, venne appresso -a Avignone a trenta miglia, e teneva mercato -d’avere danari dal papa, e di levare quella di -<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span> -Santo Spirito, che per cagione ch’avea il Rodano -di sopra in sua signoria gravava la corte, non -lasciando uscire la vittuaglia di Borgogna; e appresso -un’altra di Guascogna e di Spagna partita -dalla guerra di quello di Focì e d’Armignacca, -che lungamente aveano accolta gente -per guerreggiare insieme. Per questa tempesta -che conturbava i paesi d’intorno e il papa e i -cardinali erano in grave travaglio, e la corte il -dì e la notte sotto l’arme, e con molte gravezze -di fortificare la città di muri, di fossi, e di steccati, -e di cittadinesca guardia, e lo re di Francia -non avea podere di liberare le sue terre dalle -loro mani non che d’aiutare la Chiesa: e in queste -tribolazioni stette Avignone come assediata -lungamente, e non vi si potea entrare nè uscire -con sicurtà, e l’arti, e’ mestieri, e le mercatanzie -tutte v’erano perdute, e la carestia d’ogni bene -vi montò in sommo grado. Il papa richiese -Franceschi, Provenzali, Guasconi e Catalani -che lo atassono dalle compagnie; catuno chiedeva -danari per fare l’impresa, e la Chiesa non si -fidava d’accogliervi più gente d’arme che v’avesse: -e così in tribolazione grande stette lungamente, -infino che per operazione del marchese -di Monferrato col danaio della Chiesa, come al -tempo innanzi diviseremo, vi si mise rimedio. -Daremo ora sosta a queste compagnie e a’ fatti -della corte, per ritornare all’altre novità che in -questo tempo occorsono alla nostra città di Firenze. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span> -</p> - -<h3 id="capXXXV-10">CAP. XXXV. -<span class="smaller"><i>Come per comperare gli onori del comune -alquanti che li venderono ne furono -condannati</i></span></h3> - -<p> -Rade volte occorse che i cittadini sieno condannati -per baratteria, non perchè sovente non -caggino in tale errore, ma per la negligenza -de’ rettori, che passano il vizio a chiusi occhi: e -perchè l’eccesso che scrivemo fu tanto palese -a tutti i cittadini, il rettore a cui la cognizione -s’appartenea di ciò non potè senza sua evidente -vergogna passare non ne conoscesse. Dalla morte -di Carlo duca di Calavria in qua, per ordinazione -e costume di nostro comune osservata, e che è di -tre anni in tre anni, del mese di gennaio e di -febbraio si fa lo squittino solenne de’ cittadini -degni dell’onore del comune, sì del priorato come -de’ dodici, e gonfalonieri ed altri ufici. Avvenne -nel 1360, che certi de’ collegi per danari -trassono a essere del numero degli squittinatori -certi pochi degni per loro antichità o virtù, il -perchè finito lo squittino, e scoperta la cattività, -tali de’ collegi trovarono colpevoli dall’esecutore -degli ordinamenti della giustizia furono condannati -per baratteria, chi in libbre duemila, e chi -in mille, e pur tale pena puose freno al disonesto -peccato. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span> -</p> - -<h3 id="capXXXVI-10">CAP. XXXVI. -<span class="smaller"><i>Come i fatti di Francia verso il primo tempo -procedeano.</i></span></h3> - -<p> -Tornato il re di Francia, trovò il reame assai -rotto e mal disposto, e poco era ubbidito, e da -sè nullo vigore avea di potere riducere le cose al -consueto e primo loro corso, e gastigare non potea -chi fallasse, e per questo gli uomini d’arme -s’accostarono insieme a contristare le provincie -del reame: e intra l’altre tribolazioni, nel pieno -del verno, la contessa la quale fu moglie del -sire di Ricorti, a cui lo re di Francia avea fatto -tagliare la testa quando tornò per ricomperarsi -dal re d’Inghilterra, ch’era suo prigione, preso -cuore e animo virile fece raccolta di Spagnuoli, -di Guasconi, e di Normandi, e dicea di volere -dal re ammenda; e certo assai di male e dammaggio -avrebbono fatto al reame, se la fame che strignea -il paese non l’avesse vietato: questa poi -con grossa compagnia trascorse in Proenza, la -quale compagnia poi passò in Lombardia. Il conte -d’Armignacca e quello di Focì manteneano -guerra in Tolosana e nelle loro terre, l’uno -contro all’altro, il perchè troppo ne conturbavano -il reame; il re reprimere non potea i falli de’ -suoi baroni, nè porre ordine in suo reame. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span> -</p> - -<h3 id="capXXXVII-10">CAP. XXXVII. -<span class="smaller"><i>Come fu guasta la bastita che ’l cardinale di -Spagna facea fare in sul canale della Pegola.</i></span></h3> - -<p> -Nell’entrata di marzo del detto anno, il legato -per tenere sicuro il cammino e ’l canale dalla -Pegola a Bologna facea fare con grande studio -una bastita in sul canale, ed era quasi che compiuta. -I cavalieri di messer Bernabò ch’erano in -Lugo, intorno di ottocento barbute, una notte si -mossono, e vennono alla bastita, e sì improvviso -a coloro che la guardavano che vi entrarono dentro, -e mortine assai il resto presono, e rubato -quella parte stimarono di portarne il resto arsono -con la bastita, e senza contasto alcuno della -preda, e’ prigioni ne menarono a Lugo. Della -qual cosa a’ Bolognesi parve rimanere in male -stato, per tema che quel cammino non fosse loro -tolto, e per tal tema costretti rimisono mano a -rifare la detta bastita, e a custodirla con più cauta -e sollecita guardia, e poco appresso l’ebbono -fatta e afforzata per modo non ne temeano. Lasceremo -alquanto le tempeste de’ cristiani, per -dar luogo un poco a quelle degl’infedeli che apparirono -in questi tempi. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span> -</p> - -<h3 id="capXXXVIII-10">CAP. XXXVIII. -<span class="smaller"><i>Della grande pestilenza che percosse -i saracini.</i></span></h3> - -<p> -In questo anno pestilenza di febbri fu in Damasco -e al Cairo tanto fuori di modo, che senza -niuno riparo quasi generalmente ogni gente uccidea; -il perchè si credette, che le provincie -di là rimanessono disolate e senza abitatore, e -se guari tempo fosse durata avvenia. I morti furono -tanti, che stimare numero certo o vicino -non si potè. La cagione onde mosse, a Dio solo, -o cui lo rivela, è manifesta. La naturale necessità, -la quale surge dall’influenza de’ cieli e delle -stelle, dà luogo alla necessità soluta, che procede -dalla sua volontà. -</p> - -<h3 id="capXXXIX-10">CAP. XXXIX. -<span class="smaller"><i>Come fu morto il soldano di Babilonia, e -rifattone un altro, il quale uccise molti -de’ suoi baroni.</i></span></h3> - -<p> -Avvenne innanzi poco a questa mortalità, -ch’essendo il soldano di Babilonia uscito a campo -contro a quelli che rubellati gli s’erano, -i baroni che con lui erano, qual cosa si fosse la -cagione, s’intesono insieme alla morte sua, ed -egli non prendendosi guardia di loro nel campo -l’uccisono, e tornarsene al Cairo, e quivi un -suo fratello feciono soldano; il quale presa la signoria, -<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span> -e confermato nel regno, non seguendo la -volontà de’ suoi ammiragli, sentì che contro a lui -s’erano congiurati per farlo morire, onde esso -si provvedea di buona guardia, e niente mostrava -di sentire contro a loro, ma l’un dì trovava cagione -contra l’uno, e facealo morire, e l’altro -dì contra l’altro facea il simile, e per questa via -in pochi mesi la maggior parte fece morire, e -nella fine la volta toccò a lui, e morto fu per le -mani de’ suoi ammiragli del mese di febbraio -detto anno, e feciono soldano un suo fratello -piccolo, e rimaso di dodici l’ultimo, perchè non -si potea traslatare il regno in altri senza gran -confusione di tutti i sudditi suoi. -</p> - -<h3 id="capXL-10">CAP. XL. -<span class="smaller"><i>Come un signore de’ Turchi trattò di fare -uccidere l’imperadore di Costantinopoli.</i></span></h3> - -<p> -Lo signore di Boccadave possente tra i Turchi, -ed ai Greci vicino, avendo molte volte -tentato con palese guerra di vincere Costantinopoli, -e non ne possendo avere suo intendimento, -cercò con doni larghi e con impromesse grandi -fatte a certi Greci costantinopoletani, i quali -erano della setta di Mega Domestico cacciati dall’imperadore, -a modo tirannesco di farlo uccidere, -pensando che morto lui per la inimicizia ch’avea -nella provincia, e per molte terre ch’avea acquistate -sopra l’imperio, d’essere del tutto signore; -ma come piacque a Dio si scoperse il trattato, -e quale de’ traditori fuggì, e quale rimase o -<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span> -preso o morto, ma non di manco la città ne -rimase in mala disposizione. Il Turco nondimeno -tenendo Gallipoli e altre terre vicine, con -suoi legni in mare e con i suoi Turchi per terra -tribolava e consumava il paese, senza trovarsi -per i Greci alcun riparo fuori che delle mura. E -in questi medesimi giorni il signore d’Altoluogo -in Turchia si guerreggiava con un suo zio, e l’altro -signore della Palata si guerreggiava col fratello; -e portante guerre e divisioni de’ Turchi -i paesi loro erano rotti e in grande tribolazione, -e per questa cagione i Greci aveano minore persecuzione -da loro; e più ciò fu materia al re di -Cipro di fare l’impresa sopra loro con onore e -vittoria grande, come a suo tempo racconteremo. -</p> - -<h3 id="capXLI-10">CAP. XLI. -<span class="smaller"><i>Come il legato si partì di Bologna per -andare al re d’Ungheria.</i></span></h3> - -<p> -Tornando alle italiane fortune, il legato di -Spagna, uomo savissimo e pratico delle mondane -volture, vedendosi per allora e a tempo -senza potenza da resistere a messer Bernabò, e -povero di danari, e veggendo la poca gente d’arme -ch’avea alla difesa, conoscendo che il tiranno -suo avversario era di sue entrate abbondante, -e di quello che gravava i sudditi suoi, il perchè -non si curava di mantenere la guerra, e per continovare -la guerra gli parea essere certo di vincere -Bologna, e perciò mantenea a Castelfranco -e a Priemilcuore, a Pimaccio, e a Lugo tanta -<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span> -gente a cavallo e a piè, che con le loro cavalcate -teneano sì assediata Bologna di verso la Lombardia -e la Romagna, che poca roba vi potea -dentro entrare, e di verso l’Alpe facea agli Ubaldini -rompere le strade, perchè al legato ne parea -essere a mal partito, e a’ cittadini a peggiore: -e vedendo ch’a petizione di santa Chiesa niuno -tiranno, comune o signore italiano si volea scoprire -ad atare Bologna contro a messer Bernabò, -avendo la Chiesa lungamente trattato col re -d’Ungheria, il quale s’affermava che farebbe -l’impresa con la persona, al primo tempo parve -al legato d’uscire di Bologna sotto scusa d’andare -a lui, e nel vero e’ non si fidava potervi -stare con suo onore, nè senza grave pericolo. -E però contro la volontà de’ cittadini prese d’andare -al re, promettendo di tornarvi del mese di -maggio prossimo, e a dì 17 di marzo se ne partì -facendo la via d’Ancona, e là soggiornato -alquanto mandò al re d’Ungheria, come seguendo -nostro trattato diviseremo. In Bologna lasciò -messer Malatesta e messer Galeotto suo figliuolo -capitani de’ soldati e de’ cittadini alla guardia. -</p> - -<h3 id="capXLII-10">CAP. XLII. -<span class="smaller"><i>Della ribellione fatta per messer Giovanni -di messer Riccardo Manfredi al legato.</i></span></h3> - -<p> -Isidoro nelle sue etimologie afferma, che per -la differenza e natura varia de’ climati i Greci -per natura sono lievi, i Romani gravi, gli Affricani -astuti e maliziosi, e gl’Italiani feroci -<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span> -e d’agro consiglio. Questo vedemo nella piccola -provincia di Toscana, dove sono i Sanesi -reputati lievi per natura, i Pisani astuti e maliziosi, -i Perugini feroci e d’agro consiglio, i -Fiorentini gravi, tardi, e concitati, e così per -natura i Romagnuoli hanno corta la fede: e pertanto -per antico proverbio si dice, che il Romagnuolo -porta la fede in grembo: e però non è -da maravigliare quando i tiranni di Romagna -mancano di fede, conciosiachè sieno tiranni e -Romagnuoli: i tiranni per paura di loro stato, e -cupidi ancora di più signoria, usano e fanno arte -di tradimenti. Messer Giovanni figliuolo naturale -di messer Manfredi di Faenza avendo pace -col legato, vide suo vantaggio per le promesse -di messer Bernabò, e rubellossi alla Chiesa, e -cominciò a fare guerra e da Bagnacavallo, e da -Salervolo, e da altre sue tenute a Faenza e -ad altre terre della Chiesa di Romagna, e avuta -cavalieri da messer Bernabò ch’erano a Lugo, -cavalcò a Porto Cesenatico, dove trovò molta -mercatanzia, le case arse e ’l porto, e la mercatanzia -e grossa e sottile e’ prigioni ne menarono -in preda, e in quel porto peggiorò i cittadini -di Firenze oltre a dodicimila fiorini d’oro di loro -mercatanzie, e senza impedimento alcuno si -tornò a Bagnacavallo. Per questa rebellione i -suoi palagi di Faenza furono disfatti. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span> -</p> - -<h3 id="capXLIII-10">CAP. XLIII. -<span class="smaller"><i>Come il marchese di Monferrato trasse delle -compagnie da Avignone per conducere -in Piemonte.</i></span></h3> - -<p> -Essendo lungamente la Provenza di là dal Rodano, -e ’l Venisì, e la Provenza di qua dal Rodano, -e la corte di Roma stata in grandissime -persecuzioni delle compagnie addietro narrate, -e tenuto il papa con loro per le mani di più baroni -trattati di trarli del paese senza avere effetto, -in fine il valente marchese di Monferrato, -per la guerra ch’avea co’ signori di Milano, essendo -molto amato dai buoni uomini d’arme, e -favoreggiato co’ danari della Chiesa, in prima -s’accordò con la compagnia ch’era a’ Mongiulieri, -Inghilesi, Guasconi e Normandi, con la -donna del siri di Ricorti: ed avendo fatto questo -accordo del mese di marzo, non tennono il -patto, ma sotto la sicurtà del trattato passarono -il Rodano, e mutarono pastura; e un’altra maggiore -compagnia valicò nel Venisì, e consumando -il paese infino al maggio. Cominciata la fame -e la mortalità in quelle provincie, la compagnia -di Santo Spirito, avuto dal papa trentamila fiorini -con patto di seguire il marchese lasciata la -terra, e l’altra che ’l marchese con danari della -Chiesa avea prima patteggiata s’accozzarono -a volere passare in Piemonte, e non meno per -fuggire la pestilenza e ’l paese, che per servire -la Chiesa e il marchese, con tutto che più di -<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span> -centomila fiorini costasse al papa la spesa di levarlisi -d’intorno. E spandendosi di ciò la boce -per la Provenza, una gran parte se n’avviò a -Marsilia, e credendosi entrare nella terra e non -potendo, e non avendo da’ Marsiliesi il mercato, -arsono i borghi della città, e feciono assai -danno nel paese, e poi s’addirizzarono verso -Nizza, e a parte a parte valicarono seguendo il -marchese nel Piemonte, non senza grave danno -de’ Provenzali. E nondimeno essendo di Provenza -partiti da seimila cavalli, ne rimasono -due altre compagnie, una di quà una di là dal -Rodano, lungamente a vivere di preda e di -rapina sopra i paesani, e teneano la corte in -paura e in travaglio. Lasceremo delle compagnie, -e torneremo ad altre più degne cose di -nostra memoria. -</p> - -<h3 id="capXLIV-10">CAP. XLIV. -<span class="smaller"><i>Della morte del duca di Lancastro cugino del -re d’Inghilterra.</i></span></h3> - -<p> -Egli è strano al nostro trattato fare memoria -della naturale morte d’uomo, ma considerando -l’altezza della superbia umana con la fragilità -di quella recata alla mente degli uomini, non può -passare senza alcuno frutto. Il conte d’Aui duca -di Lancastro, cugino carnale del valente re -Adoardo d’Inghilterra, avendo lungo tempo -fatte grandi e notevoli cose d’arme, essendo -sopra i Franceschi stato venticinque anni grave -flagello, e riposata la guerra in pace con grande -<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span> -sua fama e onore, a dì 22 del mese di marzo -gli anni Domini 1360 lasciò l’arroganze delle -guerre, e le fallaci fatiche del mondo con la sua -morte, lasciando senza ereda maschio due figliuole -femmine ne’ suoi baronaggi. -</p> - -<h3 id="capXLV-10">CAP. XLV. -<span class="smaller"><i>Come riuscì l’impresa del re d’Ungheria, -dove la speranza del legato di Spagna -si riposava.</i></span></h3> - -<p> -La Chiesa avea richiesto il re d’Ungheria al -soccorso di Bologna, ed il re avea dato speranza -alla Chiesa di fare l’impresa con la sua persona, -e mandati però suoi ambasciadori a corte per fermare -i patti, de’ quali per diversi modi si sparse -la fama in Italia, in prima che dovea avere -titolo dalla Chiesa e dall’imperio, e danari -assai dal papa, che le terre ch’acquistasse fossono -sue: l’altra boce era, che ’l papa il dovesse -assolvere del saramento si dicea ch’avea fatto -di fare il passaggio d’oltremare, e che dovea -dispensare che la moglie, la quale apparve per -infino a qui sterile, si rinchiudesse in un munistero -di sua volontà, ch’egli potesse avere anche -un’altra moglie, acciocchè ’l reame non rimanesse -senza successione di sua generazione, e -che di questo il legato avea dal papa piena legazione: -verisimile e non senza grande cagione il legato -andò a lui in Sagravia del mese di maggio del -detto anno. Il re in quei giorni avea fatto bandire -generale oste per tutto suo reame, per titolo di -<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span> -porre confini al suo regno, per lo quale tutti i -baroni e popoli lo debbono servire, e credettesi -che ciò fosse per intendere al servigio della Chiesa; -ma come che la cosa s’andasse gli ambasciadori -di messer Bernabò erano a lui, e ricevuti -avea doni da parte di messer Bernabò. E però, -o perchè non avesse dalla Chiesa quello che volesse, -o avesse promesso al tiranno di non venire -contro a lui, la vista fu ch’egli intendea d’andare -con la sua gente per l’oste già bandita -in altra parte; e quello che rispondesse al legato -non si potè per parole comprendere, ma -l’effetto si dimostrò per opere, che senza alcuno -aiuto il legato del detto mese di maggio si ritornò -ad Ancona, perduta la speranza del soccorso -di Bologna, in grave pericolo di quella città, -cresciuta la baldanza e l’oste dei suoi avversari. -</p> - -<h3 id="capXLVI-10">CAP. XLVI. -<span class="smaller"><i>Della pestilenza dell’anguinaia ricominciata -in diversi paesi del mondo, e di sua -operazione.</i></span></h3> - -<p> -In Inghilterra d’aprile e di maggio si cominciò, -e seguitò di giugno e più innanzi, la pestilenza -dell’anguinaia usata, e fuvvi tale e tanta, -che nella città di Londra il dì di san Giovanni -e il seguente morirono più di milledugento cristiani, -e in prima e poi per tutta l’isola. Gran -fracasso fece per simile nel reame di Francia; nella -Provenza trafisse ogni maniera di gente. Avignone -corruppe in forma che non vi campava -<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span> -persona: morironvi nove cardinali, e più di settanta -prelati e gran cherici, e popolo innumerabile. -E di maggio e giugno si stese e percosse -la Lombardia, e prima Como e Pavia, con tanta -roina, che quasi le recò in desolazione. In Milano -mise il capo, dove altra volta non era stata, -e tirò a terra il popolo quasi affatto, con -grande orrore e spavento di chi rimanea. Vinegia -toccò in più riprese, e tolsele oltre a ventimila -viventi. La Romagna oppressò forte e assai -quasi per tutte sue terre, ma più l’una che l’altra, -e nell’entrata del verno cominciò a restare -in Lombardia, e a gravare la Marca, e la città -d’Agobbio forte premette. L’isola della Maiolica -perdè oltre alle tre parti degli abitanti. Nè -lasciò l’Alpi degli Ubaldini senza macolo per -molti de’ luoghi suoi. E molti paesi del mondo -in uno tempo erano di questa pestilenza corrotti, -nè già quelli a cui parea che Dio perdonasse -non ritornavano a lui per contrizione, partendosi -dalle iniquitadi e dalle prave operazioni ostinate, -e come le bestie del macello, veggendo -l’altre nelle mani del beccaio col coltello svenare, -saltavano liete nella pastura, quasi come a -loro non dovesse toccare, ma più dimenticando -gli uomini il giudicio divino si davano sfacciatamente -alle rapine, alle guerre, e al mantenere -compagnie contra ogni uomo, alle ingiurie de’ -prossimi, e alla dissoluta vita, e a’ mali guadagni -assai più che negli altri tempi, corrompendo la -speranza della misericordia di Dio per lo male -ingegno delle perverse menti; e ciò per manifesta -sperienza si vide in tutte le parti del mondo -<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span> -dove la detta pestilenza mostrò il giudicio di -Dio. -</p> - -<h3 id="capXLVII-10">CAP. XLVII. -<span class="smaller"><i>Come per la fama delle compagnie che -scendevano in Piemonte i signori di -Milano si provvidono alla difesa.</i></span></h3> - -<p> -Messer Galeazzo Visconti sentendo che il -marchese di Monferrato venia in Piemonte con -le compagnie tratte di Provenza del mese d’aprile -del detto anno, e sapendo ch’ell’erano per poco -tempo provvedute di soldi, e che già la mortalità -era tra loro, e cominciata nel Piemonte, -provvide di gente d’arme tutte le sue terre e le -loro frontiere per fare buona guardia, e sostenere -l’impeto de’ nemici, senza mettersi a partito -di battaglia; e però messer Bernabò ritrasse -della gente ch’avea a Lugo e a Castelfranco -sopra Bologna la maggiore parte per dare favore -al fratello, pensando straccare quella gente, -come in parte venne loro fatto, con piccolo danno -di loro distretto, come appresso si potrà nel -suo tempo vedere. Nondimeno tra per lo riparo -del Piemonte, e del fare la guerra a Bologna, -continovo si fornivano di gente d’arme, non curandosi -della grande spesa, perocchè bene la -poteano comportare a quella stagione. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span> -</p> - -<h3 id="capXLVIII-10">CAP. XLVIII. -<span class="smaller"><i>Come messer Bernabò venne sopra Bologna, -e assediò e prese Pimaccio.</i></span></h3> - -<p> -All’uscita del mese d’aprile del detto anno, -messer Bernabò accolse gente, li più cittadini -di sue terre, e con duemila cavalieri in persona -venne da Milano a Castelfranco dov’era il forte -di sua gente, e di nuovo fece combattere il -castello di Pimaccio per due riprese, e appresso -il fece assediare intorno, e a dì 9 di maggio per -patto ebbe la terra, e la rocca si tenne. Di là poi -si partì lasciando fornita la terra, e la rocca assediata, -e con la gente sua cavalcò a Panicale -presso di Bologna facendo danno assai; e del detto -mese di maggio ebbe la rocca di Pimaccio, e -andossene a Lugo, e l’accomandò a messer -Francesco degli Ordelaffi, e diegli gente d’arme, -con che egli guerreggiasse Bologna da quella -parte e la Romagna; e fornite l’altre terre, e -confortati gli amici suoi a fare guerra, e lasciato -il marchese Francesco al ponte del Reno a campo, -con milledugento cavalieri si tornò a Milano, -e la sua gente ebbe fatta forte e ben guernita -di tutto all’entrata di giugno la bastita dal ponte -del Reno. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span> -</p> - -<h3 id="capXLIX-10">CAP. XLIX. -<span class="smaller"><i>Come il legato procurava aiuto contro -messer Bernabò.</i></span></h3> - -<p> -Il legato del papa, tornato senza niuna speranza -d’aiuto dal re d’Ungheria, pur tanto s’aoperò, -che ’l detto re scrisse e fece comandamento -agli Ungheri ch’erano al servigio di messer -Bernabò, che se ne partissono, e assai furono -quelli che l’ubbidirono. Anche tanto operò con -l’imperadore, che egli mandò comandando a -messer Bernabò che si dovesse rimanere di fare -guerra contro la Chiesa a Bologna, e quegli -che fè il detto comandamento fu messer Giovanni -da.... ed assegnogli termine infra i venti -dì seguenti, com’era determinato per l’imperadore, -e se questo non facesse fra il termine gli -significò, com’egli il privava d’ogni onore, e -dignità e privilegio che avesse dall’imperio; -ma per tutto questo messer Bernabò non si rimanea -dell’impresa, ma a suo potere continuo -fortificava la guerra, dicendo: Io voglio Bologna -mi. E questo fu del mese di maggio a’ 12 dì -del detto anno. E in questo medesimo tempo -per apostolica sentenza messer Bernabò fu condannato -per eretico e contumace a santa Chiesa, -e per tutta Italia in dì solenni fu da’ prelati scomunicato -in presenza de’ popoli, ma di questo -poco si curò, sollecitando per ogni modo pure -di volere Bologna. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span> -</p> - -<h3 id="capL-10">CAP. L. -<span class="smaller"><i>Come la compagnia d’Anichino di Bongardo -ch’era nel Regno si rassottigliò e venne -al niente.</i></span></h3> - -<p> -Del mese d’aprile erano nella compagnia -d’Anichino di Bongardo in Puglia gli Ungari -tanto moltiplicati, che passavano il numero di -tremila. Il re loro avendo di questo sentore loro -mandò comandando, che non fossono contro i -suoi consorti, per la qual cosa s’accordarono col -re Luigi una gran parte, e partironsi dalla compagnia -de’ Tedeschi, e promisono di dare vinta -o cacciata la compagnia del Regno per trentasei -migliaia di fiorini d’oro, de’ quali si convennono -col re: e seguitando il gran siniscalco ridussono -Anichino co’ suoi Tedeschi in Basilicata, -e ridussonli in Atella terra tolta per loro al duca -di Durazzo, e ivi li assediarono, stando d’intorno -alle frontiere; e durando il giuoco lungamente, -molti se ne tornarono nella Marca e nella Romagna, -e gli altri rimasono al servigio del re, -e senza cacciare o vincere la compagnia catuno -consumava i paesani. -</p> - -<h3 id="capLI-10">CAP. LI. -<span class="smaller"><i>Come i Sanesi ebbono Santafiore.</i></span></h3> - -<p> -In questi dì, del mese di maggio del detto anno, -i Sanesi avendo molto assottigliati e annullati -<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span> -i conti di Santafiore, in fine di questo mese medesimo -ebbono Santafiore a patti. -</p> - -<h3 id="capLII-10">CAP. LII. -<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini comperarono il castello -di Cerbaia.</i></span></h3> - -<p> -Il comune di Firenze avea dato bando a Niccolò -d’Aghinolfo de’ conti Alberti conte di Cerbaia -perchè avea morto un popolare di Firenze; e vedendo -che la Cerbaia era una chiave forte alla -guardia del suo contado da quella parte, gli venne -voglia d’avere quel castello, e fece trattato -di comperarlo; il conte per uscire di bando, ed -essere cittadino popolano di Firenze, e considerando -che a tenere quella fortezza gli era non -meno di spesa che d’entrata, e sempre ne vivea -in gelosia, ne domandò per prezzo fiorini -settemila d’oro, e ’l comune si fermò a sei, e -’l conte non vi si volle arrecare, e però si mise -alla difesa, ed il comune, come contro a suo sbandito, -a dì 21 di maggio vi pose l’assedio. Il conte -vedendosi ribellato il fratello carnale, e collegato -co’ Fiorentini e fattosi loro accomandato, -vedendosi mal parato, l’ultimo dì di maggio -diede il castello liberamente a’ Fiorentini, e rimisesi -alla misericordia del comune: il comune -lo ribandì, e fecelo suo popolare, e per via di diritta -compera solennemente fattone le carte per -ser Piero di ser Grifo notaio delle riformagioni, -glie ne diè contanti fiorini seimiladugento d’oro, -e fu descritto il castello di Cerbaia in possessione -<span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span> -e contado del comune di Firenze, e tutti i -fedeli dalla fedeltà furono liberati, e fatti contadini -di Firenze. -</p> - -<h3 id="capLIII-10">CAP. LIII. -<span class="smaller"><i>Come il capitano già di Forlì, e messer Giovanni -Manfredi si puosono tra Imola e -Faenza.</i></span></h3> - -<p> -Come messer Francesco Ordelaffi fu fatto capitano -di messer Bernabò, e messer Giovanni di -messer Ricciardo Manfredi collegato con lui s’intesono -insieme, e puosonsi a campo tra Imola -e Faenza per attendere l’avvenimento di quello -ch’aveano trattato con uno più stretto e confidente -famiglio ch’avesse messer Ramberto signore -d’Imola, il quale per grandi promesse ricevute -avea promesso d’uccidere il suo signore, -ma come a Dio piacque il trattato si scoperse, e -il famiglio fu preso, e negli occhi de’ nemici impiccato -a’ merli delle mura della città; e incontanente -l’oste ch’attendea l’omicidio si partì -e tornò a Lugo: e poco appresso del detto mese -di maggio cavalcarono sopra Forlì, e guastarono e -predarono intorno e nel paese quello che poterono -senza trovare contasto. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span> -</p> - -<h3 id="capLIV-10">CAP. LIV. -<span class="smaller"><i>D’un gran fuoco che s’apprese nella città di -Bruggia.</i></span></h3> - -<p> -In questo mese di maggio del detto anno, nella -città di Bruggia in Fiandra s’apprese il fuoco -in alcuna casa, il quale cominciò ad ardere quelle -ch’erano vicine, e a forte a montare con l’aiuto -del vento, e delle case di legname ch’erano -atte e disposte a riceverlo, e avvalorò per sì -fatto modo, che niuno rimedio mettere vi si potea -per operazione o ingegno d’uomini, che -nella città non consumasse oltre a quattromila -case, con grandissimo danno de’ cittadini: e in -questi giorni medesimi il fuoco gran danno fece -nella villa di Ganto e di Melina in Brabante. -</p> - -<h3 id="capLV-10">CAP. LV. -<span class="smaller"><i>Delle compagnie d’oltramonti.</i></span></h3> - -<p> -Appare che la penna non si possa passare senza -fare memoria delle compagnie, che maravigliosa -cosa è il vederne e udirne tante creare -l’una appresso dell’altra in flagello de’ cristiani, -poco osservatori di loro legge o fede. La moglie -che fu del siri di Ricorti accolse da millecinquecento -cavalieri di diverse lingue per volere fare -guerra in suo paese, poi fu tirata dalla compagnia, -e in persona con la sua gente venne in servigio -della Chiesa e del marchese di Monferrato -<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span> -in Piemonte, e quivi lasciò con gli altri la sua -compagnia a guerreggiare. E appresso a questa -scese in Provenza un’altra gran compagnia d’Inghilesi, -Guasconi e Normandi, e un’altra se n’adunò -in questi tempi medesimi presso Avignone -di Spagnuoli, Navarresi e altra gente, e questa -venne sopra la città d’Arli, e corse voce che -venia a petizione del Delfino, che si dicea che -volea essere re d’Arli, ma non fu vero, per loro -procaccio venne la compagnia, e una seguiva il -Petetto Meschino Alvernazzo, che poi crebbe, -e fece grave danno al re di Francia. Il paese di -Provenza di là da Rodano e di qua, e ’l Venisì -e la corte di Roma ne stava in continova tribolazione. -</p> - -<h3 id="capLVI-10">CAP. LVI. -<span class="smaller"><i>Come Francesco Ordelaffi si levò da Forlì, e -andonne a oste a Rimini.</i></span></h3> - -<p> -Essendo Francesco Ordelaffi stato d’intorno -a Forlì, e fatto il guasto come a lui piacque, del -mese di giugno del detto anno si levò da Forlì, -e con duemila barbute e cinquecento Ungari si -puose presso alle porti di Rimini, e fermò il -campo a Santa Giustina, ardendo e guastando le -ville d’intorno, e facendo gran preda, e poi si -rivolse dall’altra parte e valicò il fiume, e cavalcò -infino agli antiporti di Rimini, e tutto -menò a fiamma il paese, facendo oltraggio e -onta a’ Malatesti volontariamente, senza trovare -chi gli facesse resistenza alcuna. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span> -</p> - -<h3 id="capLVII-10">CAP. LVII. -<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini manteneano Bologna per -la strada dell’Alpe.</i></span></h3> - -<p> -I Fiorentini erano stati molto sollecitati dal -legato, poichè perdè la speranza del re d’Ungheria, -che prendessono la difesa di Bologna, e non -pure il legato, ma i signori di Lombardia, e i -guelfi di Romagna e della Marca continovamente -per loro segreti ambasciadori glie ne sollecitavano, -mostrando che Bologna non potea più durare, -che convenia che venisse alle mani di -messer Bernabò, perocchè ’l suo contado era tutto -consumato, e in podere de’ nemici infino alle -porte d’ogni lato. E mostravano, come che venuta -ella fosse a messer Bernabò, che Firenze sarebbe -in pericolo, e male da potersi difendere -da lui, allegando il verso di Orazio, il quale dice: -Nam tua res agitur, paries cum proximus ardet: -in volgare suona: Quando il pariete prossimo a -te arde il fatto tuo si fa: soggiugnendo, che la pace -e la guerra stanno nella volontà del potente -tiranno, che ben sa a tempo con trovare le cagioni; -per la qual cosa molte volte ne fu grande -controversia intra i nostri cittadini ne’ segreti -consigli, ma al tutto si sostenne che si mantenesse -la pace promessa fedelmente, non ostante -il pericolo che se ne stimava, e ancora l’autorità -di santa Chiesa, che d’ogni cosa liberava -con giustizia il nostro comune. È vero che per -i discreti cittadini si stimava, che fatta l’impresa -<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span> -tutto il carico sarebbe lasciato a’ Fiorentini, e -non potendola i Fiorentini liberare, cadevano in -maggiore pericolo, consumato l’avere alla loro difesa: -non dimeno per savio e diritto consiglio, -non facendo contro a’ capitoli e ordine della pace, -il comune intese con sollecitudine a sostenere la -vita a’ cittadini di Bologna aprendo la strada dell’Alpe, -e levando ogni divieto, per la qual cosa -tanto grano, biada, olio e carne andavano di continovo -in Bologna, ch’ella se ne reggea, e mantenea -assai convenevolemente senza grande carestia. E -gli Ubaldini non aveano ardire d’impedire i Fiorentini, -e i Bolognesi per loro distretto facevano -campo a Caburaccio; e per questo modo avendo -Bologna perdute tutte le strade e canali, per questa -strada si nutricò lungamente. E tanto era l’abbondanza -a quel tempo ch’avea il contado di Firenze -che poco rincarò ogni cosa, e se questo spaccio -non fosse occorso, a niente sarebbe stato il -grano e ’l biado e l’olio in quell’anno. Se non -fossono nati quattro leoni, due maschi e due femmine, -il dì di san Barnaba, passato mi sarei del -non iscriverlo. -</p> - -<h3 id="capLVIII-10">CAP. LVIII. -<span class="smaller"><i>Come l’oste di messer Bernabò volle rompere -la strada da Firenze, e ricevette danno.</i></span></h3> - -<p> -Messer Giovanni da Bileggio, valoroso e savio -cavaliere milanese, e molto amato da messer -Bernabò, era in quel tempo capitano generale -della gente del Biscione sopra Bologna e di -<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span> -quella di Romagna, il quale avendo alla città -tolte tutte le strade, e vedendo che rimaso non -gli era altro sostegno che la strada dell’Alpe -che venia a Firenze, si pensò di romperla, e -ordinò una cavalcata a Pianoro. Il capitano di -Bologna, che era Malatesta Ungaro, sentì il fatto, -e mise la notte gente fuori, i quali si misono -in aguato, e venendo i nemici uscirono loro addosso, -ed ebbono vittoria di quella gente, ch’erano -dugento barbute, che pochi ne camparono -che non fossono o morti o presi, per la qual cosa -il capitano dell’oste prese sdegno, e ordinò di -strignersi più alla terra, e di fare correre fino -alle porte d’ogni parte, e a mezzo il mese di -giugno lasciate fornite l’altre bastite si mise innanzi -con l’oste, e puosesi al Ponte maiore in -sulla strada tra Bologna e Imola, e ivi fermò -il campo presso alla città un miglio. -</p> - -<h3 id="capLIX-10">CAP. LIX. -<span class="smaller"><i>Come fu sconfitto l’oste di messer Bernabò -al Ponte a san Ruffello.</i></span></h3> - -<p> -Vedendo il capitano messer Giovanni da Bileggio -avere recata la città di Bologna a grandi stremi, -che rimasa non l’era via d’aiuto altro che -la strada da Firenze, avendo animo di trarre -quella guerra al suo desiderato fine, sentendo -che nella città non avea oltre a trecento uomini -d’arme a cavallo, e che ’l capitano che fu di -Forlì era sopra d’Arimini, e correa senza contasto -con millecinquecento cavalieri tutto il paese, -<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span> -pensò di porre una grossa e forte bastita al -Ponte a San Ruffello presso a Bologna in sulla -strada da Pianoro, acciocchè al tutto si levasse -alla città ogni soccorso, e questo mise in opera, -e mossesi con tutta la sua oste, ch’erano più di -millecinquecento cavalieri, e duemila masnadieri, -e molti altri fedeli degli Ubaldini, e con -lui nel vero era tutto il fiore della gente di messer -Bernabò, avendo mandati trecento altri cavalieri -per scorta alla vittuaglia che venia di verso -Ferrara, con grande apparecchio di vittuaglia e -d’altro arnese, e a dì 16 di luglio del detto anno -si misono per lo fiume della Savena, e senza trovare -contasto furono al Ponte a san Ruffello, e -quivi fermarono il campo per edificare la bastita, -e con grande sollecitudine attendeano a fare i fossi, -e conducere il legname d’ogni parte. In questo -stante, come fu volontà di Dio, messer Galeotto -de’ Malatesti da Rimini, cavaliere di grande ardire -e maestro di guerra, avea ricolti in Faenza cinquecento -barbute e trecento Ungari per danneggiare -la gente di messer Francesco degli Ordelaffi, -ch’era sopra Arimini, come detto è, il quale -sentendo l’oste da Bologna messa in mal passo, -di presente cavalcò a Imola, e da Imola la sera a -dì 19 di luglio improvviso a’ nemici cavalcò -per modo, ch’alle cinque ore di notte fu a Bologna, -non sapendo i Bolognesi alcuna cosa. Messer -Malatesta Unghero suo nipote capitano in Bologna -il ricevette la notte sì contamente, che i nemici -non lo sentirono, nè eziandio i Bolognesi -che erano a dormire, pensando fossono gente di -guardia, e in quel resto della notte agiarono le -<span class="pagenum" id="Page_76">[76]</span> -persone e’ cavalli come poterono il meglio: la -mattina per tempo serrate le porte della città fece -assentire a’ cittadini, come volea assalire i -nemici, i quali inanimati e confortati dalla grazia -la quale Dio mandava loro, tutti di volontà, -con piena speranza di vittoria presono l’arme, -e gran parte i falcioni in mano, e dato il segno -d’uscire fuori al suono della campana della giustizia, -la domenica mattina a dì 20 di luglio, ordinate -le battaglie, e dato il nome, messer Galeotto -col potestà di Bologna, ch’era pro’ e valente -cavaliere, e messer Malatesta Ungaro con settecento -barbute, e con trecento Ungari, e con quattromila -Bolognesi i più bene armati, feciono aprire -le porti, e uscirono della terra, e non tennono -per la diritta strada, anzi si misono maestrevolmente -per lo piano del fiume della Savena onde -erano entrati i nemici, acciocchè quindi non potessono -tornare, e alcuna parte del popolo misono -per le ripe a traverso sopra dove erano i -nemici. Il cammino fu corto, sicchè si veddono -prima quelli del campo la gente addosso da due -parti, che sapessono che gente d’arme fosse -venuta in Bologna, nondimeno come uomini -esperti in arme e di gran cuore, benché ’l subito -caso gli smarrisse, presono ardire e feciono testa, -ordinandosi alla battaglia in fretta come poterono -il meglio, e di presente misono gente in -su un colle sopra il ponte per riparare a quelli -che scendevano per la valle; ma vedendo venire -quelli della città baldanzosi e con gran -cuore, abbandonarono il colle, e tornarsi all’altra -oste. Messer Galeotto e i suoi gli assalirono -<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span> -molto arditamente innanzi alla venuta del popolo -co’ falcioni, e i nemici francamente gli ricevettono, -combattendo con loro aspramente; -ma sopraggiugnendo il popolo, e cominciandosi -a mescolare tra’ nemici con loro falcioni, dopo -lunga difesa gl’invilirono e ruppono, e molti -n’uccisono, e perchè erano in parte da non potere -fuggire, quasi tutti s’arrenderono a prigioni, -che pochi ne camparono. Il podestà di Bologna -fu fedito a morte in quella battaglia, e poco -appresso morì in Bologna. Trovarsi morti in -picciolo spazio di campo dove porre si dovea la -bastita quattrocentocinquantasei uomini, i quali -tutti furono sotterrati nel fosso che fatto aveano, -e per l’altro campo qua e là più d’altrettanti; -in tutto numerati furono i morti novecentosettanta, -e quattrocento cavalli. I presi furono -oltre a milletrecento: a’ forestieri tolte furono -l’armi e’ cavalli e lasciati alla fede, che furono -più d’ottocento; gl’Italiani furono ritenuti, sì -per lo scambiare, sì per porre loro la taglia. -De’ caporali fu preso messer Giovanni da Bileggio -capitano generale dell’oste, e Guasparre e -Giovanni di Nanni da Susinana, e Andrea delle -Piaggiuole tutti degli Ubaldini, e più altri; costoro -furono rassegnati al legato, e imprigionati -in Ancona. La vittuaglia che nell’oste trovarono -fu grande quantità, e gli arnesi che presono -furono di gran valuta, perocchè molto adorna -era la cavalleria e i masnadieri d’arnesi d’argento, -d’armadure e robe, e aveano danari assai, -e venticinque migliaia di fiorini d’oro ch’erano -giunti nel campo per fare la paga a’ soldati. La -<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span> -vittoria fu grande e singolare, che essendo Bologna -abbandonata dall’aiuto della Chiesa, dall’imperadore, -da’ signori di Lombardia e da’ comuni -di Toscana, e posta negli estremi, per occulta -via fu liberata, perocchè molti affermarono, -e per intendimenti si tenne essere il vero, che -veggendo il legato di Spagna, il quale era in -Ancona tornato dal re d’Ungheria senza aiuto -e senza consiglio, che Bologna era in termine -che senza riparo dovea venire nelle mani di -messer Bernabò, e per tanto temendo, e non -osando di tornare a Bologna per non venire nel -cruccio del popolo, o nelle mani del tiranno, -che per le sue virtù e grande animo forte l’odiava, -stando in forti pensieri, mandò per il vecchio -messer Malatesta da Rimini, col quale più -giorni stato in segreto sopra i fatti di Bologna, -e per loro tirato in considerazione, che la forza -del tiranno era tale, alla quale unita resistenza -non era, e che messer Giovanni da Bileggio era -voglioso al terminare dell’impresa per riportarne -l’onore, e gli parea che il suo desiderio ritardasse -la strada ch’era aperta a’ Bolognesi di -verso Firenze; da questi luoghi il savio messer -Malatesta prese il sottile avviso, che fatto gli -venne, e con coscienza del legato mandò suo -segreto ambasciadore nel campo a messer Giovanni -da Bileggio con verisimili argomenti avvisandolo, -che nel segreto amico non era del -legato per le terre che tolte gli avea, e che di lui -fidare non si potea, che venendo nel colmo di -quello che appetia non gli togliesse il resto, e -che però volentieri attenderebbe ad abbassare il -<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span> -legato e il suo orgoglio; ma perchè il legato -gli avea sopra capo il castello di sant’Arcangiolo, -non osava levare il dito, nel quale fermava -avere trattato per torlo al legato se avesse spalle -e forza di gente d’arme, la quale dicea non potere -essere meno di millecinquecento barbute: -giugnendo al fatto, che come messer Galeotto, -ch’era in Bologna con messer Malatesta vicario, -fosse da lui avvisato, sotto colore di soccorrere -a Rimini, come verso là sentisse cavalcato la -gente del signore di Milano, trarrebbe di Bologna -tutta la buona gente d’arme, lasciando la -trista sott’ombra di guardia della terra, e il simile -farebbe dell’altre terre della Chiesa, e che -venendo il pensiere ad effetto, come ragionevolmente -dovea, esso messer Giovanni liberamente -e senza contasto veruno potea porre bastite e -rompere la strada fiorentina. A messer Giovanni -piacque il trattato, e diede piena fede all’ambasciadore, -lettera, suggelli, e carte a lui presentate -da parte di messer Malatesta, e di presente -elesse capitano di millecinquecento barbute, -come detto è di sopra, messer Francesco -degli Ordelaffi, e lo fè cavalcare sopra Rimini, -come avvisò del tutto messer Galeotto avvisato -della baratta di messer Malatesta, onde fè gli -atti e le mostre dette di sopra, il perchè ne seguì -la sconfitta al ponte a san Ruffello. Non so -se più sagace e malizioso trattato s’avesse saputo -ordinare Ulisse o il conte Guido da Montefeltro. -Cesare non lasciava ragunare la gente di -Pompeo, temendo il numero e la bontà de’ cavalieri; -costui con astuzia la raunata divise, e -<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span> -indusse il savio capitano in folle impresa, della -quale seguì la più notabile sconfitta di morte -d’uomini pregiati d’arme che fosse in Italia -di nostro ricordo di cento anni addietro. -</p> - -<h3 id="capLX-10">CAP. LX. -<span class="smaller"><i>Come seguì appresso alla sconfitta -di san Ruffello.</i></span></h3> - -<p> -I trecento cavalieri che conduceano per loro -scorta la vittuaglia nel campo, essendo in sul -Bolognese, sentendo la novella della sconfitta -abbandonaro la roba, e camparono le persone. -Quelli delle bastite le lasciarono prima fossono -assaliti, e salvaronsi in Pimaccio, e’ Bolognesi -l’arsono, e la roba recarono alla città. Per questa -vittoria i Bolognesi alquanto ne stettono in -festa e in riposamento: il legato ne prese cuore -di potere la città aiutare e sostenere: mostra ne -fè, ma poca operazione ne fè in que’ tempi, perocchè -sopra modo era la possanza del suo avversario -e la volontà pertinace. Messer Bernabò quando -questa novella sentì ne mostrò dolore singolare -rodendosi dentro a guisa di cane arrabbiato, -e vestissene a nero, e molti giorni stette che -niuno gli potè parlare. Sentissi che di ciò contro -a’ Fiorentini prese grave sdegno, affermando -ch’erano cagione del suo danno e vergogna per lo -mantenere della strada, ma non se ne scoperse, -perocchè tutto che irato fosse ben conosceva che -a’ Fiorentini era lecito di così fare senza corruzione -di pace. Messer Francesco Ordelaffi come -<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span> -seppe la novella scorse la Marca, e di notte con -sua brigata prese il congio per la via della marina, -e in ventiquattro ore cavalcò cinquantasei -miglia, e con la gente a lui accomandata si ricolse -in Lugo. -</p> - -<h3 id="capLXI-10">CAP. LXI. -<span class="smaller"><i>Come messer Bernabò si credette prendere -Correggio per trattato, e sua gente -vi rimase presa.</i></span></h3> - -<p> -L’animo che è insaziabile del tiranno, che sempre -è con desiderio di sottomettere i popoli liberi, -e gli altri tirannelli che sono minori, tenea messer -Bernabò oltre alla presa di Bologna trattato -di torre Correggio, nè la gastigatura di san Ruffello -l’avea rimosso dal seguirlo; onde all’uscita -di giugno detto anno, credendosi avere il castello -di Correggio, messer Ghiberto che n’era signore, -e da esso aveano il titolo di loro casa e famiglia, -sentito il fatto, senza farne mostra procurò -aiuto da’ signori di Mantova, i quali segretamente -gli mandarono quindici bandiere di cavalieri, i -quali di notte entrarono in Correggio: venuta la -cavalleria di messer Bernabò nel fare del giorno, -come era dato l’ordine, che furono diciassette -bandiere, furono lasciati entrare nelle barre che -erano davanti al castello, e fatto vista di volerli -mettere nella terra, secondo l’ordine dato apersono -le porti della terra, e calarono i ponti, e la -gente da cavallo ch’era nel castello con molta -fanteria si strinsono loro addosso con grandi grida, -<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span> -e rinchiusi tra le barre, e storditi per lo subito -e non pensato assalto perderono il cuore -alla difesa, e però gli ebbono tutti a prigioni, e -guadagnate l’arme e’ cavalli liberaro il castello -dall’aguato del tiranno. -</p> - -<h3 id="capLXII-10">CAP. LXII. -<span class="smaller"><i>Dell’armata del re di Cipro, e il conquisto -di Setalia e del Candeloro.</i></span></h3> - -<p> -Dando alcuna parte agli avvenimenti d’oltremare, -lo re di Cipro avendo fatta sua armata, e -non sapendo dove si dovesse andare, a dì 24 di -luglio 1361 con ventiquattro galee armate, con l’aiuto -di tre galee dello Spedale armate di franchi -e valorosi frieri, e con altri legni e armati e di -carico in numero di cento vele si partì di Cipro, -e del mese seguente d’agosto percosse sopra -la città di Setalia, la quale era d’un signore di -Turchi di gran possanza, e avendo sua gente -posta in terra, e combattendo la terra, che avea -tre procinti di mura, de’ quali nel primo stavano -mercatanti e Giudei, nel secondo i saracini, e -nel terzo i Turchi ch’erano signori della terra, ed -essendo tutta gente sprovveduta e poco atta alla -difesa, il perchè i cristiani entrarono dentro per -forza, onde il signore che v’era con poca gente -se n’uscì, e la terra fu presa. Ma poco stante -il Turco tornò con più di tremila Turchi tra a -cavallo e a piè, e senza dubbio arebbe ripresa la -terra, se non fosse la provveduta guardia che -feciono li frieri, i quali sapendo loro costumi -<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span> -del continovo stavano apparecchiati: e ciò venne -a gran bisogno, perocchè ritennono l’empito e -subito assalto de’ Turchi, tanto che l’altra gente -s’armò, e venne alla difesa. I Turchi veggendo -che loro impresa venia stolta, con loro vergogna -e dannaggio si partirono. Lo re di Cipro avuta -questa vittoria montò in galea, e con sua armata -se n’andò al Candeloro, il quale era al governo -e signoria d’un altro Turco, il quale senza volere -fare difesa s’acconciò con il re, e riconobbe -la terra da lui, e li promise certo censo e tributo -d’anno in anno: e il re lasciata fornita Setalia -si tornò nell’isola di Cipro. -</p> - -<h3 id="capLXIII-10">CAP. LXIII. -<span class="smaller"><i>Come i Turchi di Sinopoli assalirono Caffa, -e furono vinti da’ Genovesi.</i></span></h3> - -<p> -In questa state i Turchi di Sinopoli armarono -quattordici galee nel Mare maggiore, e assalirono -il Caffa terra e porto di Genovesi, e fecionvi -danno assai e per mare e per terra, perchè i Genovesi -di ciò non si guardavano; ma tantosto in -Caffa e in Pera armarono quattordici galee come -in fretta il meglio poterono per seguitare i -Turchi nel ritorno che fare doveano a Sinopoli, -e trovatili, li seguirono, fuggendo i Turchi, tanto -che per forza li feciono dare a terra colle -balestra loro, avendone molti e morti e fediti, -onde i Turchi per forza costretti furono a disarmare, -e disarmati i Turchi, i Genovesi lasciarono -in que’ mari due galee armate, e l’altre disarmarono. -<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span> -I Turchi veggendo queste due galee rimase -tra loro, di subito cinque n’armarono, e -vennono contro quelle de’ Genovesi, le quali cominciarono -a fuggire, e’ Turchi a seguitare, tanto -che essi si trovarono insieme in alto mare. -Come i Genovesi si vidono dilungati da terra, girarono -le loro galee contro le cinque de’ Turchi, -e misonsi tra loro, essendo bene ordinati, e colle -loro balestra non gettavano verrettone in vano, -ma fedivano soprassaglienti e galeotti senza rimedio, -onde i Turchi si misono alla fuga, e i -Genovesi li seguitarono tanto che si diedono a -terra, e salvarono i corpi delle loro galee, mortine -assai di loro, e fediti e magagnati. -</p> - -<h3 id="capLXIV-10">CAP. LXIV. -<span class="smaller"><i>Come le compagnie condotte in Piemonte -cominciarono a guerreggiare.</i></span></h3> - -<p> -Le compagnie tratte per lo marchese e per la -Chiesa di Provenza, condotte in Piemonte in questi -tempi della moria cominciata in Milano del -mese d’agosto, cominciarono a guerreggiare nel -Piemonte, dove acquistarono al marchese sette -castella le più loro arrendute. Messer Galeazzo si -ridusse a Moncia fuggendo di Milano la morìa -che asprissimamente li perseguitava, avendo le -sue terre fornite di buona guardia, e in campo -non mise persona: ben tentò di trarne al suo soldo -di quelli della compagnia, e d’alcuna parte -li venne fatto per la forza del fiorino d’oro, non -dimanco il resto rimase sì grande, che corse insino -<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span> -al Tesino senza contasto. Messer Bernabò -veggendo la pestilenza sformata in Milano, che -per giorno fu che levò ottocento, e mille e milledugento, -e tal fu dì de’ millequattrocento, e ben -parea volesse ristorare i Milanesi, cui per l’altre -moríe non avea assaggiati, si partì di Milano con -tutta sua famiglia, e andonne al suo nobile castello -di Marignano, il quale è verso Lodi, il -luogo foresto e di sana aria, facendo gran guardia -che nessuno non gli andasse a parlare, avendo -ordinato col campanaro della torre, che per ogni -uomo che venisse a cavallo desse un tocco. Occorse -che certi gentili e ricchi uomini di Milano -andarono a Marignano, ed entrarono dentro; il -signore li ricevette bene, ma turbato contro il -campanaro mandò su la torre suoi sergenti, e -comandò lo gettassono della torre; i quali andati -su, trovarono il campanaio morto appiè della -campana: per la qual cagione messer Bernabò -terribilmente spaventato di presente senza arresto -abbandonò il castello, e si mise nel più salvatico -e foresto luogo, ove più di due miglia da -lunga fece rizzare pilastri con forche ne’ quali -era scritto, che chi li passasse su vi sarebbe appeso. -Per allora in avanti sua vita fu tanto remota -e solitaria, che voce corse, e durò lungamente, -ch’egli era morto, ed egli n’era contento -per farne a tempo suo vantaggio. Giugneremo -a questo, per non fare nuovo capitolo, che in questi -tempi della moria, che anche requistava in -Vinegia, morì il doge loro, e funne fatto un giovane -di quarantasei anni, il quale non era di -gran famiglia, nomato Lorenzo Celso: costui per -<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span> -la maturità de’ suoi costumi e virtù montò a -questo onore, e innanzi ai più antichi e più nobili -cittadini oltre a loro consuetudine: e pertanto -notato l’avemo, e per la sequela del fatto. -</p> - -<h3 id="capLXV-10">CAP. LXV. -<span class="smaller"><i>Di grandi terremoti che furono in Puglia, -e assai guastarono della città d’Ascoli.</i></span></h3> - -<p> -A dì 27 di luglio del detto anno, in su l’ora del -vespero, furono in Puglia grandissimi terremuoti, -e apersono la città d’Ascoli di Puglia, e quasi -tutta la subissarono con morte d’oltre a quattromila -cristiani. A Canossa caddono parte delle -mura della terra, e molti dificii puose in ruina; -in altre parti fece poco danno. Furono ancora in -questo anno grandine molte e sfoggiate, le quali -ai grani e agli ulivi feciono danno assai più -che nell’altre stati. -</p> - -<h3 id="capLXVI-10">CAP. LXVI. -<span class="smaller"><i>Delle rivolture del paese di Fiandra in -questa state.</i></span></h3> - -<p> -Del mese di luglio del detto anno, nella città -di Bruggia fu grande battaglia tra’ tesserandoli -e folloni dall’una parte, e da’ borgesi dall’altra -per assai lieve e subita cagione, e non senza -molti morti e magagnati da catuna delle parti: -e poco appresso seguitò ch’e’ tesserandoli e -folloni della città depuosono il balio del conte -<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span> -senza colpa apponendoli tradigione. E in que’ giorni -il conte Audinarda facea la festa della figliuola, -la quale avea data per moglie al duca di Borgogna, -il quale ciò sentendo mandò pregando li -Schiavini e gli altri ch’elli attendessono tanto -che egli avesse sua festa fornita, dicendo, che poi -terrebbe giudizio del balio suo, e che se lo trovasse -colpevole si rendessono certi che ne farebbe -a loro sodisfazione rilevata giustizia e vendetta. -I bestiali e arroganti di quei mestieri recando a -vile la preghiera del conte, in vergogna e dispetto -suo appendere lo feciono alle finestre del suo -palagio: onde il conte con tutto suo seguito forte -ne furono turbati, ma assisesi al mostrare di non -calere, nè mostrare di sua onta. -</p> - -<h3 id="capLXVII-10">CAP. LXVII. -<span class="smaller"><i>Come fu decapitato messer Bocchino de’ Belfredotti -signore di Volterra, e come la città -venne alla guardia de’ Fiorentini.</i></span></h3> - -<p> -E’ ne pare di necessità per più brevità della -nostra opera, e per meglio dare ad intendere il -fatto di che dire intendiamo, raccogliere alquante -cose, le quali in piccolo trapassamento di tempo -hanno fine straboccato. Messer Francesco de’ Belfredotti -da Volterra sopra il ciglio di Volterra -tenea la forte rocca di Montefeltrano, e messer -Bocchino di messer Ottaviano suo consorto era -signore della terra, il quale cupido d’aumentare -sua tirannia, con solleciti aguati cercava di torre -a messer Francesco detta fortezza, e dopo la morte -<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span> -di messer Francesco, messer Bocchino non lasciava -stare i figliuoli in Volterra. Il perchè il -comune di Firenze sentendo la detta dissensione, -perchè non terminasse a peggio, s’interpose tra -loro, e li ridusse a concordia, e obbligaronsi insieme -a pena, la quale per l’uno e per l’altro -promise il comune di Firenze per osservanza di -pace; per la quale i figliuoli di messer Francesco -tornarono in Volterra sotto l’ubbidienza di messer -Bocchino. E stando senza alcuno sospetto, all’uscita -d’agosto del detto anno, il tiranno a -un Volterrano, a cui nella guerra era stato morto -un suo congiunto da un altro Volterrano amico -e servidore de’ figliuoli di messer Francesco, -con segreta licenza di messer Bocchino, trovando -il suo nemico a dormire lo fece uccidere, e colui -che morto l’avea con suoi parenti e amici fece -testa, perchè la terra si commosse a cittadinesca -battaglia, e alquanti degli amici de’ figliuoli di -messer Francesco vi furono morti traendo al romore, -e i detti figliuoli di messer Francesco, come -era per lo tiranno ordinato, furono presi contro -le convenenze per le quali il comune di Firenze -era mallevadore; il perchè il comune per -suoi ambasciadori mandò ricordando al tiranno -li dovesse piacere non farli questa vergogna, dicendo, -come a richiesta e preghiera di lui avea -promessa sua fede. Il tiranno con simulate parole -tenea gli ambasciadori a parole, e dal malvagio -proponimento non si toglieva. I Fiorentini -veggendo che le parole non ammollavano le parole -finte e mal disposte del tiranno, e sentendo -che ciò che fatto avea era contro alla comune -<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span> -volontà de’ Volterrani, e temendo che la cosa -non avesse mal fine e pericoloso per lo comune, -non furono lenti, ma prestamente mandarono -gente d’arme, e fornirono la rocca de’ figliuoli -di messer Francesco, minacciando di guerra se -non si facesse ammenda. Il tiranno veggendo -l’animo de’ Fiorentini contro a lui giustamente -irato si forniva di gente di sua amistà, e spezialmente -de’ Pisani, per riparare alla forza e mantenere -sua fellonia, perseverando nel detto malvagio -proponimento. Certi cittadini di Firenze -per trattato che dentro aveano d’avere il torrione -del monte, che è fuori delle mura, domenica -mattina a dì 24 d’agosto vi cavalcarono, e dalla -gente de’ Pisani vi furono scoperti, e ributtati -con vergogna senza altro danno, il perchè il comune -v’ingrossò gente, e pose oste a Volterra. -La quale essendo in sul Volterrano, messer Bocchino -per dispetto de’ Fiorentini trattò di dare -la signoria a’ Pisani per trentadue migliaia di fiorini -d’oro. Il popolo di Volterra sentendo ch’e’ -si trattava di venderlo, e farli schiavi de’ Pisani, -tutti d’uno volere presono l’arme, e corsono -all’ostiere dove erano i cavalieri de’ Pisani, -a’ quali incauti e sprovveduti tolsono le selle -e’ freni de’ cavalli, e ciò fatto, senza far loro altra -villania li misono fuori della terra, e loro renderono -freni, selle, cavalli e armadure, e i fanti -forestieri accomiatarono, e si partirono. Ciò -fatto, appresso furono al palagio del tiranno, il -quale con lunga e composta diceria volendo tiranneggiare -li animava a mantenere loro libertà e -franchigia, e quinci li credette dal loro proponimento -<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span> -levare, ma i terrazzani trafitti dalle -sue crudeli operazioni a suo dire non prestarono -orecchie, ma sdegnosamente rispuosono, che bene -saprebbono usare loro libertà, e che per ciò -fare voleano in guardia lui, e sua famiglia, e certi -suoi congiunti, e a Firenze mandarono per -capitano di guardia, e a Siena per podestà. Il capitano -prestamente vi fu mandato un popolano, -e dietro ad esso mandati furono quattro ambasciadori, -e simile feciono i Sanesi. I Fiorentini -temendo i movimenti de’ popoli vari, e vani e -instabili, al continovo vi facevano cavalcare gente -d’arme, e a cavallo e a piè, ancora perchè a -loro parea che i Volterrani volessono col braccio -de’ Sanesi raffrenare il nostro comune: il -perchè alla gente de’ Fiorentini segretamente -fu comandato, che procacciassono delle castella -de’ Volterrani, i quali cavalcarono a Montegemmoli, -ed ebbonlo per forza, ed a il loro -Montecatino, e anche l’ebbono, e così più altre -castellette. I Volterrani mandarono a Firenze -loro ambasciadori per i quali domandavano libertà -con l’ammenda de’ loro dannaggi, eleggendo -capitano di guardia di Firenze: la cosa per più -giorni stette in controversia e in dibattimento. I -Fiorentini che in Volterra aveano i loro ambasciadori, -e il capitano, e gran parte de’ nove, e -di buoni popolani la maggior parte a loro segno -feciono strignere la gente dell’arme vicino alle -mura di Volterra, avendo presentito che la -setta che voleva i Sanesi la notte vi doveano -mettere gente d’arme, e così di vero seguiva, -che la notte cinquanta cavalieri e centocinquanta -<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span> -fanti alla condotta d’alcuno de’ Malavolti, -giugnendo con la gente alla fonte presso alla -terra, cadde nell’aguato de’ Fiorentini, e fu -preso con tutta la gente, e facendo vista di non -conoscerli, loro fu tolta l’arme e’ cavalli, ma -poichè per lingua e nome si furono palesati, -ripresi da’ capitani dell’impresa facevano contro -al comune di Firenze, assai cortesemente fu loro -renduta l’arme e’ cavalli, e rivolti per la via -ond’erano venuti, con assai vergogna di loro -matta arroganza e presunzione. Il popolo di Volterra -di suo errore ravveduto la guardia del cassero -della città diedono a’ Fiorentini. I Sanesi -ch’erano in Volterra senza aspettare comiato -si partirono, e’ Fiorentini del tutto rimasono signori, -con certe convegne, che i Volterrani promisono -in perpetuo d’avere gli amici del comune -di Firenze per amici, e i nemici per nemici, -e che la rocca dieci anni si guardasse per i Fiorentini, -e del continovo debbino prendere capitano -di popolo di Firenze; e per loro ordine hanno -fatto, che da Pisa, nè nella città nè nel -contado loro non possa venire uficiali nè alcuno -altro d’alcuna città o terra presso a Volterra -a trenta miglia; e passato il tempo di quelli -nove uficiali ne furono altri. E il popolo di Volterra -al tutto volle che ’l capitano di Firenze che -v’era facesse tagliare la testa a messer Bocchino, -e così fece una domenica mattina a dì 10 -d’ottobre del detto anno, messo prima nella terra -la cavalleria de’ Fiorentini con volontà del popolo, -il quale la ricevette a grande onore. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span> -</p> - -<h3 id="capLXVIII-10">CAP. LXVIII. -<span class="smaller"><i>Come il patriarca d’Aquilea fu a tradimento -preso dal doge d’Osteric.</i></span></h3> - -<p> -Fama era per tutta Italia per lungo tempo, la -quale si trovò in fine non vera, che ’l doge -d’Osteric era dall’imperadore fatto re di Lombardia, -ma quale la cagione si fosse, mosse di -suo paese con grande compagnia di gente d’arme, -e passò nel patriarcato d’Aquilea del mese detto, -dove confidentemente fu ricevuto. Il patriarca -avea ripresi di sue ragioni certi paesi d’entrata -di fiorini cinquemila per anno o più al -patriarcato, i quali dal duca vecchio erano stati -occupati al tempo della vacazione del patriarcato. -Questo duca movendo questione al patriarca -di queste terre, vennono a concordia di stare -di ciò alla sentenza dell’imperadore suocero -del detto duca: e per trarre la cosa a pacifico -fine di concordia si mossono di là, e in compagnia -andavano all’imperadore, ed entrati nelle -terre del duca nella città di Vienna, sotto colore -di fare onore al patriarca il duca li fece apparecchiare -un grande ostiere, e credendo il patriarca -l’altro dì con lui seguire il suo viaggio, vi si trovò -arrestato e preso; e domandandoli delle terre -del patriarcato, il valente patriarca, messo sua -persona a non calere, fece per suo segreto e fidato -messo, e con sua lettera e suggello comandamento -a tutti i sudditi suoi, che per niuno -caso che gli avvenisse niuna glie ne dessono. Il -<span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span> -patriarca era messer.... della Torre di Milano, -prelato antico e di buona fama. Questa fu la riuscita -della grande fama del detto duca per lo -reame d’Arli, la quale per più riprese fece ristrignere -a parlamento i signori di Lombardia -per provvedere a loro difesa. -</p> - -<h3 id="capLXIX-10">CAP. LXIX. -<span class="smaller"><i>Di fuoco che senza rimedio arse in Roma -san Giovanni Laterano.</i></span></h3> - -<p> -Egli è da dolere a tutti i cristiani quello che -ora sono per narrare della nobile e venerabile -chiesa di san Giovanni Laterano di Roma, e -ciò pare piuttosto ammirabile che degno di fede. -Uno maestro ricopriva il tetto della nave maggiore -della detta chiesa, la quale essendo coperta -di piombo conveniva che con ferri roventi le -congiunture delle piastre si congiugnessero per -ammendare i difetti, ed avendo il maestro il fuoco -acceso di carboni sopra il tetto, per sinistro -avvenimento un poco di carbone cadde, e come -che si entrasse, senza avvedersene il maestro si -posò sopra una trave, e quella incese, e appresso -con quella tutto l’altro edifizio senza potere -essere atato a spegnere, non che grande popolo -non vi traesse con ogni argomento, ma quasi -come fosse volontà di Dio tutta la nave della -chiesa, e tutte l’altre parti di quella, e tutte -le cappelle con quella di Sancta Sanctorum arse, -che nulla vi restò fuori che le mura, con danno -inestimabile del costo di tale e tanto edificio: è -<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span> -vero che le reliquie di Sancta Sanctorum si camparono; -e ciò avvenne del mese d’agosto del detto -anno. Giugnendo fuoco a fuoco, in questo -medesimo tempo nelle contrade di Bossina fuoco -cadde da cielo, e arse gran paese senza riparo -nessuno. -</p> - -<h3 id="capLXX-10">CAP. LXX. -<span class="smaller"><i>Del maritaggio del duca di Guales primogenito -del re d’Inghilterra.</i></span></h3> - -<p> -Contato avemo addietro le prodezze e grandi -valentrie del duca di Guales primogenito del famoso -re Adoardo d’Inghilterra, a cui vivendo -la corona succedè. Costui in questi giorni si tolse -per moglie una sua consobrina contessa di -Chienne, la quale era di tempo, e vedova di -due mariti di piccoli baronaggi, e aveva fatti -più figliuoli. La maraviglia che di ciò prese -chiunque sapea suo alto stato, vita e condizione, -ce n’ha fatto qui fare nota, forse con iscusa alcuna. -</p> - -<h3 id="capLXXI-10">CAP. LXXI. -<span class="smaller"><i>Come papa Innocenzio riformò santa Chiesa -de’ cardinali morti per la morìa.</i></span></h3> - -<p> -Erano morti in pochi dì nella corte di Roma -il vicecancelliere di Preneste, il cardinale Bianco, -quello d’Ostia e di Velletri, quello di Calamagna, -messer Andrea da Todi detto il cardinale -<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span> -di Firenze, il cardinale della Torre, e quello -che fu generale de’ frati minori, e un altro. Il papa -volendo riformare santa Chiesa di cardinali, -nel tempo delle digiune del mese di settembre -dello anno ne fece altri otto: il cancelliere di -Francia, l’arcivescovo di Ravenna assente, che -poi morì in cammino, ed era Caorsino, l’abate di -Clugnì Borgognone, il vescovo di Nemorsi Francesco, -l’arcivescovo di Carcassone nipote del papa, -messer Guglielmo suo referendario ch’era di Limosi, -il figliuolo di messer Pietro da san Marcello, -e l’arcivescovo d’Aques in Guascogna, tutti oltramontani, -e niuno ne fece Italiano, dimostrando -che di visitare la cattedra di san Piero a Roma -era strano al tutto del desiderio e appetito degl’Italiani. -</p> - -<h3 id="capLXXII-10">CAP. LXXII. -<span class="smaller"><i>Come il re Buscialim della Bellamarina -fu morto, e delle rivolture di Granata.</i></span></h3> - -<p> -Regnando Buscialim in Fessa, ed essendo tornato -al regno con l’aiuto del re di Castella, certi -caporali cristiani e mori del detto re si levarono -senza cagione debita contro al re, e uccisonlo, -dicendo, che loro non dava loro soldi, ma -il vero fu, che morire lo feciono perchè egli era -troppo amico del re di Castella, e la cagione si -prese, perocchè avendo il re di Castella guerra -col re di Granata, mosse Maomet cacciato dal detto -re di Granata, che dovea essere re egli, a ritornare -nel paese, e il re Buscialim a petizione -di quello di Castella avea scritto a tutti i rettori -<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span> -delle sue terre ch’avea in Ispagna, che ubbidissono -il detto Maomet come la sua persona, della -qual cosa turbati i Mori uccisono il loro re Buscialim; -e morto costui, feciono re un Busciente, -ch’era in prigione fratello del detto re, ma non -era di sana mente, e però altri governava il reame, -e costoro incontanente contramandarono a’ -balii delle terre di Spagna, che non lasciassono -entrare Maomet in loro terre. E poco appresso, -del mese di novembre del detto anno, quelli di -Fessa, vedendosi avere il re smemoriato, mandarono -ambasciadori a Sibilia a un giovane della -casa reale di Bellamarina, il quale si stava a Sibilia -con un altro suo fratello minore assai poveramente: -gli ambasciadori lo addomandarono, il -re di Castella li fece armare una galea e menarlo -a Setta, e di là per terra il condussono a Fessa, -e in ogni parte fu ricevuto per loro re, e l’altro -ch’era mentecatto fu rimesso in prigione: e allora -il re di Castella fece pace co’ Mori, e con il -loro novello re ritenne grande amistà, e da lui -ricevette ricchi doni. -</p> - -<h3 id="capLXXIII-10">CAP. LXXIII. -<span class="smaller"><i>Come la compagnia spagnuola ch’era nel -vescovado d’Arli prese Vascona, e poi -ne furono cacciati.</i></span></h3> - -<p> -In questi dì la compagnia degli Spagnuoli -ch’era in Provenza per una notte feciono una -lunga cavalcata ed entrarono in Venisì, e improvviso -a quelli di Vascona entrarono nella città, -<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span> -e uomini e femmine con arnesi con grandissimo -danno e di cittadini e di forestieri recarono -in preda; e intendendo così fornito a volersi -partire, ma i paesani d’ogni parte sopravvennono -prestamente loro addosso, e furono tanti, -che per forza vinsono la compagnia, e con -gran danno d’essa racquistarono la preda, e cacciaronli -del paese. -</p> - -<h3 id="capLXXIV-10">CAP. LXXIV. -<span class="smaller"><i>Come si scoperse che messer Bernabò era vivo, -e ’l trattato tenea del castello di Bologna.</i></span></h3> - -<p> -Essendo tanto stata la fama di non sapere novelle -di messer Bernabò, che li più affermavano -che morto fosse per molti indizi e congetture -che ciò parevano mostrare, esso in questi giorni -lavorava alla coperta colla lima sorda, nulla dimostranza -dando di sè, ma piuttosto ampiando -la fama della morte sua, e cercava trattato, lo -quale ordinato avea con uno Spagnuolo e due -suoi famigli, a’ quali in grande confidanza il legato -di Spagna avea accomandato la guardia del -castello della porta che va verso Modena di Bologna: -costui per ingordo boccone di danari per -tornarsi ricco a casa l’avea promesso a messer Bernabò, -e di ciò era stato il motore a messer Bernabò -messer Giovanni da Bileggio mentre che là -era in prigione, anzi che mandato fosse ad Ancona, -e dovea averlo la notte di san Bartolommeo -d’agosto: e scopersesi questo trattato per un -ragazzino che venne al castellano di notte, e fu -<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span> -preso. Per questa cagione messer Bernabò venne -in persona a Parma con duemila barbute non -sapendosi la cagione nè il perchè, se non che -scoperto il tradimento si tornò alla caccia, e il castellano -con gli altri che gli erano consenzienti -in Bologna furono attanagliati e impiccati. -</p> - -<h3 id="capLXXV-10">CAP. LXXV. -<span class="smaller"><i>Come si scoperse in Perugia una gran congiura -di notabili cittadini per mutare stato e -reggimento.</i></span></h3> - -<p> -Erano nella città di Perugia in questi tempi -molti e molti cittadini, e gentili uomini e popolari -di buone e antiche famiglie d’animo -guelfo, le quali quasi del tutto erano schiusi dagli -ufici e governo della città, reggendosi la terra -per popolani mezzani e minuti, sotto la guida e -consiglio della famiglia de’ Michelotti e di Leggieri -d’Andreotto, il quale a quel tempo era il -da più, e il maggiore cittadino di Perugia, e il -più creduto dal popolo, e molte altre famiglie -di buoni popolari e uomini singolari da molto -che teneano con loro sotto il nome e titolo di -Raspanti. Quelli ch’allora s’appellavano i mali -contenti, e mossi e sollecitati con ammirabile -astuzia da uno Tribaldino di Manfredino spirito -malizioso, sagacissimo e inquieto, le cui operazioni -dipoi scoperte li feciono dai suoi cittadini -meritare il nome del secondo Catilina; e forse non -indegnamente, perocchè facendo comparazione -da città a città, non era minore quella di Tribaldino -<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span> -verso di sè, che quella di Catilina verso -di sè. La congiura fu per lui lungamente guidata -tanto copertamente e cautamente, che niuno segno -se ne potè vedere nè scorgere per i reggenti, -e infra l’altre sagaci cautele, che ne usò molte, -fu questa, che per li parenti e amici ch’avea -intra i reggenti sovente facea falsamente muovere -che trattato v’era nella terra, il quale criato era, e -trovato non vero, il perchè spesseggiando ai priori -e a’ camarlinghi di Perugia in cui stava il -tutto del reggimento, era venuto a rincrescimento -e a niente che si ragionasse di trattato, -nè prestavano orecchi nè davano fede: e -ciò fece il malvagio traditore, perchè quando il -vero trattato venisse in campo senza prendere -avviso il governo della città, più certamente e -più liberamente avesse l’effetto suo. Quelli cui -’l malvagio uomo trasse in congiura furono questi: -messer Averardo di...... da Montesperello, -messer Guido dalla Cornia, messer Alessandro....... -messer Giovanni di....... da -Montemellino, messer Niccolò di...... delle -Mecche, messer Tivieri di...... da Montemellino, -tutti cavalieri, Colaccio di Cucco de’ -Baglioni, Francesco di messer Rinuccio da...... -detto il Zeppa, Francesco di messer Andrea -e Iacopo di messer Guido da Montemellino, Piero -di Neri delle Mecche, Erculano di........ -Mattiolo di....... e....... detto lo Squatrano, -con altri simili in numero di più di quarantacinque -gentili uomini e popolani, con seguito -d’altri novantaquattro che ne furono condannati, -ed oltre a quattrocento altri cittadini, i -<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span> -quali per non fare troppo gran fascio furono lasciati -addietro. Costoro aveano fatto loro capitani -Colaccio di Cucco de’ Baglioni, il Zeppa di messer -Rinuccio e Mattiolo di...... e nelle loro -mani aveano giurato. Costoro a un giorno preso -doveano correre la piazza, e pigliare il palagio -de’ priori e delle signorie, perocchè come detto -è pensavano per le beffe de’ trattati non veri -trovare i priori addormentati: per la città a’ loro -seguaci dispersi in vari luoghi deveano fare infocare -case per tenere alla bada de’ fuochi i cittadini, -doveano uccidere i priori e’ camarlinghi, -e qualunque innanzi loro si parasse senza riguardo -d’amico o di parente. Messer Averardo dovea -stare di fuori a sollecitare i loro lavoratori, e -amici del contado e le loro amistà, e a ribellare -delle castella. E per certo il sollecito reo uomo -seguendo lo stile di Catilina avea dato ordine, che -se Dio non avesse posto il rimedio a tanto pericolo, -per certo la città ne venia in desolazione e -tirannia. Esso Signore che tutto vede puose nel -cuore a messer Tivieri da Montemellino, uno -de’ principali congiurati, che lo revelasse, acciocchè -tanto pericolo e male non fosse; il quale -essendo quasi vicino a Leggieri d’Andreotto, -sotto sicurtà della sua persona senza domandare -altro merito gli rivelò il fatto, il quale di presente -n’andò in palagio de’ signori, e quivi con loro, -e co’ camarlinghi, e con gli altri dello stato si -mise a’ ripari. Fu preso messer Niccolò delle -Mecche, e Ceccherello de’ Boccoli con quattro loro -masnadieri di nome, e con sette altri mascalzoni, -gli altri congiurati tutti si dierono alla fuga. -<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span> -Seguette, che il dì di santo Michel Agnolo si fece -l’adunanza generale, che noi diciamo parlamento, -nella quale si determinò, che i detti cavalieri, gentili -uomini e popolani, insino nel numero di quarantacinque, -fossono condannati per traditori e -rubelli del comune di Perugia infino...... e -che altri novanta secondo loro gravezze di loro -colpe fossono condannati di danari, e alcuni a -stare a’ confini; gli altri per meno male passati -furono sotto silenzio. Più vi si provvide, che Tribaldino -guidatore e ordinatore del male, con -messer Averardo, e con alquanti degli altri più -focosi principali fossono dipinti <i>ad eternam rei -memoriam</i> colle mitere in capo in piè della piazza -nella faccia del casamento del maggior sindaco: -e così seguitò, che messer Niccola delle Mecche, -e Ceccherello de’ Boccoli con i quattro masnadieri -furono decapitati, e i sette mascalzoni furono -appesi; gli altri tutti ebbono bando come -nell’adunanza era ordinato, e così furono -dipinti quelli che doveano esser dipinti. Bollendo -e ribollendo ragionevolmente la città in -questo stato dubbioso e sospetto, come il male -venne agli orecchi del nostro comune tantosto -vi mandò ambasciadori con cento uomini di cavallo. -I Pisani domandato licenza di mandarvi -cento cavalieri per lo nostro contado, e liberamente -ottenuto, anche vi mandarono loro ambasciadori -con la detta gente, i quali co’ nostri insieme -assai temperarono l’animo voglioso e crucciato -debitamente de’ Perugini. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span> -</p> - -<h3 id="capLXXVI-10">CAP. LXXVI. -<span class="smaller"><i>Come in questi giorni in Pisa ebbe gelosia -di loro stato, e della difensione che -saviamente ne presono.</i></span></h3> - -<p> -In questi medesimi dì all’entrata d’ottobre, -essendo Piero Gambacorti in Firenze, rotti i confini -i quali avea a Vinegia, alquanti artefici e -certi mercatanti pisani, che per lo partimento -che i Fiorentini aveano fatto di Pisa e per loro -cagioni, anzi quasi tutti i mercatanti forestieri -che trafficavano co’ Fiorentini, e i reggenti che -n’erano stati cagione udivano e sentivano costoro -e molti altri di ciò rammaricare, dicendo, -come al tempo de’ Gambacorti godeano la pace -co’ Fiorentini, e’ guadagni del porto, e delle -mercatanzie e dell’arti, e che loro era faltato -e il procaccio e ’l guadagno; o che questa fosse la -cagione, o che di loro sentissono alcuno trattato -con Piero Gambacorti, ventidue ne presono, e -a quattro de’ mercatanti feciono tagliare la testa; -li altri si riserbarono in prigione, e a molti diedono -i confini. -</p> - -<h3 id="capLXXVII-10">CAP. LXXVII. -<span class="smaller"><i>Come i Sanesi sotto la rotta fede ebbono -la signoria di Montalcino.</i></span></h3> - -<p> -In questo mese d’ottobre del detto anno, Giovanni -d’Agnolino Bottoni con centocinquanta -<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span> -cavalieri e ottocento pedoni cavalcò improvviso -sopra Montalcino per rimettervi gli usciti ch’erano -suoi amici, e questo fece con ordine d’alcuno -trattato ch’avea nella terra, ma i terrazzani presti -alla difesa tolsono ardire di muoversi dentro -a chi n’avea sentimento. Vedendo Giovanni -che ’l trattato ordinato non gli venia fatto, per ricoprire -sua intenzione si stava loro intorno. I -terrazzani, che erano ubbidienti e in pace co’ -Sanesi, maravigliandosi di questa novità mandarono -a Giovanni di fuori a sapere perchè facea -questo, e quello volea da loro: il savio e accorto -disse, che volea che fossono in accordo col comune -di Siena: i semplici terrazzani, sentendosi -amici e ubbidienti al comune di Siena, elessono -ventiquattro della loro terra i maggiori e più potenti -che v’erano, e mandaronli per ambasciadori -a Siena. Giovanni avvisò l’uficio de’ signori, -come era tempo d’avere libera la signoria di -quella terra, avendo appo loro li ventiquattro -ambasciadori ch’erano il tutto della terra, ed -egli essendo là con forza d’arme, la quale si fè -accrescere, diceva di strignerli e tenerli in paura. -Gli ambasciadori giunti a Siena, e fatta la -riverenza, e sposta la loro ambasciata, ebbono per -risposta, che non si partirebbono da Siena, che -Montalcino sarebbe libero alla guardia de’ Sanesi; -la cosa non potè avere contradizione, e però -convenne ch’avessono libero Montalcino, e -avuto, rimandarono indietro i ventiquattro ambasciadori -sani e salvi, e smisurata festa in Siena -se ne fece. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span> -</p> - -<h3 id="capLXXVIII-10">CAP. LXXVIII. -<span class="smaller"><i>Come i Turchi presono la città di Dometico -ch’era dell’imperadore di Costantinopoli.</i></span></h3> - -<p> -Del mese di novembre del detto anno, un grande -signore de’ Turchi di Boccadave, sentendo -l’imperadore di Costantinopoli giovane, e in -discordia co’ suoi per la ragione già detta di Mega -Domestico cui egli perseguitava, e altre volte -essendo suo balio avea occupato l’imperio, -accolse di suoi Turchi grande esercito, e vennesene -ad assedio alla nobile e antica città oggi chiamata -Dometico, la quale siede tra Costantinopoli -e Salonicco, presso a quattro giornate a Costantinopoli, -la quale appresso Costantinopoli -solea essere sedia imperiale. I cittadini sentendo -che Orcam con grande quantità di Turchi venia -loro addosso, e non vedendo onde potesse a loro -venire soccorso, inviliti (come è la volontà di -Dio per la loro contumacia contro a santa Chiesa) -abbandonarono la città forte e difendevole per -lungo tempo, e abbondevole a sostenere sua vita. -Orcam trovandola abbandonata v’entrò dentro -co’ suoi Turchi, e misevi gente ad abitare e -alla guardia con vittoria senza fatica, e si ritornò -in suo paese con gran vergogna e vitupero -e abbassamento dell’imperio di Romania. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span> -</p> - -<h3 id="capLXXIX-10">CAP. LXXIX. -<span class="smaller"><i>Come il re di Castella mosse guerra a’ Mori -di Granata, e al loro re Vermiglio.</i></span></h3> - -<p> -Fermata la pace dal re di Castella a quello -d’Araona del mese di settembre del detto anno, -e tornato il re di Spagna in Sibilia con sua cavalleria, -Maometto già stato re di Granata e -cacciato dal re Vermiglio, come di sopra dicemmo, -esso re di Spagna col detto Maometto cavalcò -in Granata, e nel paese fece danno assai e -d’arsione e di preda, e lasciato Maometto alle -frontiere con sue genti e co’ cavalieri castellani a -sufficienza a poter far guerra, del mese d’ottobre -si tornò a Sibilia. Di poi a tempo ritornò a -oste sopra il re di Granata, e stato sopra lui lungamente, -in fine non avendo soccorso da’ suoi saracini -del Garbo e di Bellamarina, perchè erano -collegati col re di Spagna, disperato s’arrendè a -quello di Spagna, il quale avuto e lui e suo reame -ne fè che al re Vermiglio fece tagliare la testa, -e fece re uno de’ reali della Bellamarina suo -confidente, il quale da lui riconobbe il reame, e -gli promesse suo aiuto e di suoi saracini in tutte -sue guerre, e appresso li promesse ogni anno -certo tributo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span> -</p> - -<h3 id="capLXXX-10">CAP. LXXX. -<span class="smaller"><i>Come gli usciti Perugini presono per furto -Civitella de’ Benazzoni, e poi -l’abbandonarono.</i></span></h3> - -<p> -I nuovi usciti di Perugia avendo per viltà abbandonate -le loro forti tenute al comune di Perugia, -in una cavalcata di due bandiere di cavalieri -per furto entrarono poco appresso in Civitella -de’ Benazzoni, assai forte castello e ben guernito. -I Perugini di presente vi mandarono quaranta -bandiere di cavalieri e con popolo grande, -e puosonvisi ad oste. Gli usciti veggendosi male -ordinati da potere attendere soccorso, per lo mene -reo, come per furto l’aveano preso, così per -furto se n’uscirono, avendo il nome la notte di -quelli del campo, e ridussonsi a un castello ivi -presso ch’era degli Spuletini, e quindi se ne -vennono ad abitare ad Arezzo, cercando rimedii -a loro fortuna. -</p> - -<h3 id="capLXXXI-10">CAP. LXXXI. -<span class="smaller"><i>Come i Bolognesi cominciarono a cavalcare -sopra gli Ubaldini.</i></span></h3> - -<p> -Essendo in Bologna speranza della pace, la -quale parea ferma dal legato a messer Bernabò, -e per tanto avendo alcuna speranza di potere -sollevare le fatiche, sentendo che gli Ubaldini -per tutta la boce della pace non si rimaneano di -<span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span> -far danno e noia alla strada, cavalcarono sopra -di loro, e raccolsono preda, e feciono danno nel -paese. Gli Ubaldini gli lasciarono cavalcare, e -ridussonsi a’ passi, e alla ritratta assalirono i Bolognesi, -e rupponli, e racquistarono la preda, e -vendicarono loro ingiuria. I Bolognesi all’uscita -di novembre detto anno ricavalcarono con più -ordine e forza sopra loro, e arsono e guastarono -più e più villate, e senza contasto si tornarono a -casa. -</p> - -<h3 id="capLXXXII-10">CAP. LXXXII. -<span class="smaller"><i>Del trattato delle compagnie che doveano -entrare in Avignone.</i></span></h3> - -<p> -La compagnia spagnuola accozzata con un’altra -in Provenza aveano trattato con certi forestieri -di più lingue ch’erano in Avignone come di furto -potessono entrare nella città, dove speravano -fare il sacco, ma non fuori di misura, con l’aiuto -di quelli d’entro, che prometteano dare l’entrata, -e per questa cagione di subito cavalcarono, e vennono -infino presso alla città. La cosa si scoperse -perchè era vogliosa, e con poco ordine e meno -forza: dentro furono presi circa a trenta; alcuni ne -furono decapitati, e alcuni impiccati, e la compagnia -si tornò addietro senza fare altro danno, -e per l’innanzi in Avignone si fè più sollecita -guardia, e ciò fu all’uscita del mese di novembre -del detto anno. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span> -</p> - -<h3 id="capLXXXIII-10">CAP. LXXXIII. -<span class="smaller"><i>Come i Pisani perderono Pietrabuona e vi -puosono l’assedio, dove stando vollono -torre Sommacolonna per incitare -i Fiorentini a guerra.</i></span></h3> - -<p> -Fu di sopra a suo luogo narrato, come i Pisani -per soperchio d’astuzia aveano costretto i -Fiorentini levare il porto da Pisa e recarlo a -Talamone, e tutto ch’a’ Fiorentini sconcio e -spesa fosse, tutto lietamente si comportava, mostrando -a’ Pisani che poteano fare senza loro. E -del fatto a littera ne seguiva quello che Piero -Gambacorti detto n’avea a quelli mercatanti -che al detto tempo si trovarono su il Rialto in -Vinegia, dove il detto Piero era confinato quando -la novella vi venne, che fu in questa maniera: -Fiorentini, Fiorentini, se state fermi in vostro -proponimento, Pisa in piccolo tempo diventerà -un bosco: e veramente così ne seguia, perocchè -essendo partiti i Fiorentini da Pisa, tutti coloro -che con loro mercatavano e trafficavano, con -quelli ch’a’ loro servigi rispondeano aveano fatto -il simigliante, il perchè le case, i fondachi, e la -terra tutti rimaneano oltre a mezza vota, e i mestieri -degli artefici in gran dannaggio, onde il -soprassenno de’ Pisani raccortosi di suo errore cercò -per molte vie oneste e piacevoli, e a’ Fiorentini -vantaggiose e onorate, di ritornarli a Pisa, e -ciò non potendo ottenere, e seguendo del fatto, -che quelli che teneano lo stato e governo della -<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span> -città n’erano caduti nell’odio e mal volere del -popolo e de’ mercatanti, e stavano in paura del -perderlo, avendo del continovo alla coda gli aderenti, -seguaci e amici de’ Gambacorti, i quali -erano di fuori e li sollecitavano; onde essi sottilmente -pensarono di fare disfare due chiovi a uno -caldo col fuoco della guerra, l’uno, di unire il -popolo consueto nemico de’ Fiorentini e sopra -modo parziale con la guerra, l’altro, che seguendo -pace della guerra, come suole, patteggiare -nella pace la tornata del porto: e per dette cagioni -con le loro vie coperte e sagaci, per non parere -d’essere i motori al rompere della pace, presono -questa cautela, che una volta e più fittizziamente -e simulatamente bandeggiarono di loro -cittadini, contadini e distrettuali, uomini atti -a cercare mutazioni e riotte, nominati e di seguito, -disposti a fare piuttosto il male che ’l bene, -e questi in diversi luoghi e tempi tolsono certe -tenutelle del distretto del comune di Firenze di -poca importanza; onde il comune secondo i -tempi più volte ne mandò ambasciadori a’ Pisani, -e quello ne rapportavano era: E’ ce ne pesa, -sono nostri forbannuti, e loro appresso di voi -semo acconci a perseguitare infino a morte e desolazione. -Il comune di Firenze per non essere -abominato di corrompere la pace se la portava -pazientemente, e con infignere di non se n’avvedere; -nè pertanto si rimaneano i Pisani di seguire -la mala regola presa, cercando al continovo -per questa via di torre delle terre a’ Fiorentini, -e non delle peggiori, il perchè a’ Fiorentini -fu forza a prendere loro costume, e con un -<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span> -Giovanni da Sasso famoso caporale e atto all’arme -feciono tentare segreto trattato, che togliesse -a’ Pisani il castello di Pietrabuona, il quale è -vicino a Pescia, e così seguì, avendo prima per -colorati misfatti ricevuto bando a Firenze della -persona. A’ Pisani parendo loro avere ottenuto -loro talento subitamente con grande ordine e -sforzo assediarono il castello per forma, che niuna -forza d’arme glie ne arebbe potuti levare, nè -tor loro non lo racquistassono. Stando al detto -assedio, veggendo non bastavano l’occulte a incitare -e muovere i Fiorentini alla guerra, vennero -alle aperte, e del mese di gennaio preso loro -tempo si credettono furare Sommacolonna, e cavalcaronvi -sforzatamente, ma non venne loro -fatto. E per arrogere all’ingiuria, avendo i Fiorentini -loro gente alla guardia di Pescia e dell’altre -terre della Valdinievole, certi conestabili -de’ loro a loro diletto usavano d’andare il -dì sul poggio della Romita sopra a Pietrabuona, -il quale era terreno de’ Fiorentini, e ivi si stavano -a vedere badaluccare e gittare i trabocchi; -i Pisani posto loro aguati li assalirono e uccisonne -sette, e gli altri ne menarono a prigioni, e -diedono palese e aperto principio della guerra. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span> -</p> - -<h3 id="capLXXXIV-10">CAP. LXXXIV. -<span class="smaller"><i>Come fu sorpreso il conte di Savoia dalla -compagnia bianca co’ suoi baroni, -e ricomperaronsi con gran -quantità di moneta.</i></span></h3> - -<p> -In questo medesimo tempo, essendo venuto il -conte di Savoia di qua da’ monti a una sua terra -che si chiama...... con molti baroni e cavalieri -di sua contea, non prendendosi guardia, la -compagnia bianca, la quale era vicina a quelli -paesi, si mosse una notte facendo molto lungo e -disordinato cammino, e sorprese il conte e’ baroni -alla terra senza alcuna resistenza, salvo che ’l conte -con pochi si rifuggì nel castello, gli altri tutti -furono prigioni: e il conte assediato e sprovveduto, -veggendosi a mal partito, trasse accordo, e -tra di sè e di suoi baroni, e de’ cittadini della -terra e delle cose loro, che tutto era in preda, -venne a composizione di dare alla compagnia in -diversi termini fiorini centottantamila d’oro, -parte allora, e del resto fermezza, sicchè tutto -lasciarono, e tornarsi in Piemonte. -</p> - -<h3 id="capLXXXV-10">CAP. LXXXV. -<span class="smaller"><i>La cavalcata che Piero Gambacorti -fè sopra i Pisani.</i></span></h3> - -<p> -Essendo Piero Gambacorti in Firenze, e avendo -da’ suoi amici di Pisa sollecito conforto, che -<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span> -procacciasse d’appressarsi alla terra con alcuna -forza, dicendo, che dove i cittadini il sentissono -farebbono novità contro i reggenti, ch’erano comunemente -mal voluti. Avvenendoli per caso -che all’uscita di gennaio a Firenze erano col conte -Niccola Unghero settecento Ungari usciti del -Regno, i quali doveano andare in Piemonte in -servigio del re Luigi, ma non avendo loro paga -ordinata per lo re cercavano condotta, e i Fiorentini -non li voleano, perchè non n’aveano bisogno, -e non voleano un capo con tanta gente -d’una lingua; in questo a Piero Gambacorti -crebbe l’animo per lo conforto de’ suoi amici, e -condusse questo conte co’ suoi Ungari, ed ebbe -alcuno aiuto da certi usciti di Lucca, e seguito -di più di dodici centinaia di fanti, niente essendoli -contradetto dal comune di Firenze, e a dì -27 di gennaio uscirono di Firenze, e a dì 28 -furono in Valdera, e certe terricciuole l’ubbidirono, -e non volea far guasto nè lasciare fare -preda, di che gli Ungari e i briganti n’erano -assai malcontenti. I Pisani di presente mandarono -a Firenze per sapere se il comune movea -questo, e fu risposto di no; e per abbondante -mandarono bando l’avere e la persona che niuno -Fiorentino contadino o distrettuale non dovesse -andare contra i Pisani, e chi andato vi -fosse, sotto la detta pena se ne dovesse partire. I -briganti non potendo guadagnare se ne partirono -per lo disagio più che per lo bando, e rimase Piero -con gli Ungari e con gli altri forestieri. Gli -astuti e maliziosi Pisani vedendo che altri che -Piero non era a guidare questa gente, costrinsono -<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span> -per forza i più intimi amici ch’avesse in -Pisa, e fecionli scrivere da più parti a un modo, -che si dovesse guardare la persona, perocchè gli -Ungari aveano trattato di darlo preso a’ Pisani, -e d’averne fiorini ventimila d’oro. Egli era a -Peccioli quando le lettere di più parti li vennono, -cominciò a dubitare, e a stare a riguardo, e -vedendo l’adunanze degli Ungari parlare insieme, -e non intendendoli, pensò che eglino il dovessono -pigliare, e vedendosi presso a Volterra, -senza congio con sua gente diè degli sproni al -cavallo, e partissi dagli Ungari. Fu detto che alcuni -il seguitarono, ma il vero fu poi certo che -tutto fu fatto a mano per l’astuzia de’ Pisani. -Gli Ungari il primo dì di febbraio senza far -danno in alcuna parte si ritornarono a santa -Gonda, e poi a Firenze. -</p> - -<h3 id="capLXXXVI-10">CAP. LXXXVI. -<span class="smaller"><i>Come il re Luigi prese le terre di messer -Luigi di Durazzo e lui mise in prigione, -e trasse del Regno la compagnia.</i></span></h3> - -<p> -Era Anichino di Bongardo stato lungamente -stretto dagli Ungari in certe terre che teneano -di messer Luigi di Durazzo, e non avendo potuto -guadagnare erano in male stato, e cominciando -a perdere delle terre vennono a patti d’avere -sicurtà dal re, e uscirsi del Regno sotto la sua -guardia e sotto la sua bandiera, e così fu promesso, -e fatto a ciò fine. A messer Luigi dopo questo -si rubellò sant’Angiolo, ed egli vedendosi povero -<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span> -e mal parato si rendè al re Luigi suo cugino, e -venuto a Napoli, rendute tutte sue terre, fu messo -in prigione nel castello dell’Uovo, sperandosi per -molti che il re li dovesse perdonare, ma la sua -fortuna dopo la morte del detto lo fece morire -in prigione. Anichino con la sua compagnia assai -male in arnese, alla condotta di certi baroni del -re, com’era promesso, del mese di gennaio del -detto anno uscì del Regno. -</p> - -<h3 id="capLXXXVII-10">CAP. LXXXVII. -<span class="smaller"><i>Come le compagnie si partirono di Provenza.</i></span></h3> - -<p> -In questo medesimo mese di gennaio, le due -compagnie ch’erano in Provenza presono accordo -co’ paesani per certa quantità di danari, e -l’una se n’andò verso la Francia, e l’altra tenne -in Borgogna, chiamata da certi baroni di -Borgogna, perocchè era morto il loro duca, e -temeano del re di Francia. -</p> - -<h3 id="capLXXXVIII-10">CAP. LXXXVIII. -<span class="smaller"><i>Come fu sconfitta la gente del re di Castella -dal re di Granata.</i></span></h3> - -<p> -Avendo lasciato il re di Castella in Granata lo -re Maometto che n’era stato cacciato, e con -lui il maestro di Ialatrenu, il detto maestro avendo -quattromila cavalieri spagnuoli e gran popolo -seco, badaluccando con la gente del re Vermiglio -di Granata, con mala provvisione ringrossò -<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span> -il badalucco: il re mise loro addosso subitamente -molta gente a cavallo e a piè, e combattendo -insieme lungamente, in fine i Mori sconfissono -quelli di Castella, e presono il capitano e più -altri caporali, e de’ Castellani vi rimasono morti -in sul campo tra cavalieri e pedoni più di tremila, -li milleottocento cavalieri; e avuto il re -Vermiglio questa vittoria, del mese di gennaio -1361, prese baldanza, e corse colle sue genti in -sulle terre del reame di Castella, facendo spesso -danno e vergogna al re di Spagna. -</p> - -<h3 id="capLXXXIX-10">CAP. LXXXIX. -<span class="smaller"><i>Come per vendicare sua onta il re di Spagna -andò sopra il re di Granata.</i></span></h3> - -<p> -Del mese di febbraio del detto anno, il re di -Castella sdegnato e infellonito contro al re Vermiglio, -e contro ai suoi Mori, in furore dell’animo -suo uscì di Sibilia a dì 20 del mese, avendo -prima fatto comandamento di cuore e d’avere -che catuno che potesse portare arme il dovesse -seguire in sul terreno di Granata, e subito vi si -trovò con diecimila cavalieri e trentamila pedoni -in arme da combattere, e oltre a duemila carrette -con vittuaglia e dificii da combattere le terre: -e combattendo le castella, per infino a dì 22 d’aprile -1362 prese dieci forti castella piene e ubertuose, -e molte altre ville di minore fortezza, e -gli uomini tutti fece servi e schiavi, e quelli -si difendevano erano morti, e quelli si rendevano -salvi: per questo avvedendosi i Mori di -<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span> -Malica e di Saletta che lo re di Castella era -per divenire loro signore, per non essere sottoposti -a’ cristiani deliberarono di rimettere Maometto, -ch’era con il re di Castella, in re di Granata, -e incontanente lo misono in Malica, e poco -appresso in Granata, e lo re di Spagna contento -di questo, avendo fornite le terre prese, e -ritenendole in sua guardia, si partì di Granata, -e tornossi in Sibilia. -</p> - -<h3 id="capXC-10">CAP. XC. -<span class="smaller"><i>Come messer Bernabò si credette avere Reggio -per trattato.</i></span></h3> - -<p> -Messer Bernabò mostrandosi poco contento della -pace promessa a santa Chiesa, e usando parole -contro il fratello messer Galeazzo, dicendo, che -egli avea fatto più che da lui non avea avuto in -mandato intorno alla pace, dando intendimento -di volere fare maggior guerra a Bologna, accolse -molta cavalleria di sua gente, e in persona con -essa ne venne a Parma del mese di febbraio del -detto anno, avvisandosi per tutto che dovesse -andare sopra Bologna, ed egli avea trattato d’avere -Reggio, ed entrarono dentro nella città circa -a cinquemila masnadieri. Messer Feltrino avvedendosi -della baratta, avendo grande ardire e -gente poca, si fedì francamente fra loro; i masnadieri -inviliti per tema di maggior forza vedendo -l’ardire pensarono a campare, e molti ve ne furono -morti e presi: sentitosi la novella, messer -Bernabò si ritornò addietro. Appreso messer -<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span> -Bernabò che ’l verno era già passato, e che il -tempo atto alla guerra ne venia, e che la mortalità -era a lui riuscita con grande acquisto per -quelli che morti erano senza eredi, i beni de’ quali -erano incorporati alla camera del comune la quale -era sua, e sentendo che la Chiesa era in poco -podere di gente d’arme, e Bologna mal fornita, -cominciò a domandare cose che mai non erano -state, non che addomandate, ma nè pensate, e -perciò mandò a corte di Roma suoi ambasciadori -per terminare le dette domande; e infra l’altre -arroganti domande fece chiedere che voleva il -figliuolo arcivescovo di Milano, e volea che per -decreto e rescritto papale l’elezione dell’arcivescovo -fosse di elezione della casa de’ Visconti -di Milano, e voleva il vicariato dell’imperadore, -ed essere da lui restituito in tutte le sue dignitadi, -e che lecito li fosse potere guerreggiare ogni -terra e signore, fuori le terre della Chiesa, con -patto che la Chiesa non se ne travagliasse, e non -desse a quelle le quali egli guerreggiasse nè favore -nè aiuto in alcuno modo, mettendo per -sospetti i signori e comuni nominati per la guardia -di Bologna, tanto ch’egli fosse pagato, e volea -che la città di Bologna si guardasse per i Pisani; -e domandando queste, e altre cose sconce -e villane, al continovo non cessava di crescere la -gente dell’arme sopra la città, e di guerreggiarla -scorrendo tutto giorno fino alle porte. La Chiesa -i patti che domandava con suo onore accettare -non potea, e non si potea difendere dalla forza -del tiranno nè dalla superbia sua, ricorse a Dio -con singolare orazione comandata per tutta la -<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span> -cristianità, e la misericordia sua tosto vi provvedè -di salutevole consiglio, come seguendo nostra leggenda -trovare si potrà. -</p> - -<h3 id="capXCI-10">CAP. XCI. -<span class="smaller"><i>Come i Pisani feciono cosa da incitare -i Fiorentini.</i></span></h3> - -<p> -All’entrata del mese di marzo 1361, i Pisani -feciono cavalcare lor gente a piè e a cavallo nella -Cerbaia distretto de’ Fiorentini, e levarono -preda di bestiame minuto, e condussonlo al Cerruglio. -I Fiorentini di ciò sdegnati feciono della -lor gente di Valdinievole cavalcare infino alle -porti di Montecarlo, e la notte misono gente in -aguato in Pietrabuona, ma i Pisani se n’accorsono, -e ritennonsi dentro al battifolle, onde la -gente de’ Fiorentini si ritornò in Pescia. Queste -furono assai picciole cose, e poco degne di memoria, -ma per quello che per questi inzigamenti dipoi -ne seguì, che furono grandi cose, l’animo -nostro ha patito di porre questi lievi principii. -</p> - -<h3 id="capXCII-10">CAP. XCII. -<span class="smaller"><i>Dell’operazioni delle compagnie in questi -tempi.</i></span></h3> - -<p> -Tornando a’ tormenti delle compagnie, in questi -giorni del verno avanti alla primavera, la Compagnia -bianca col marchese di Monferrato acquistate -più castella le quali si teneano per messer -<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span> -Galeazzo nel Piemonte, e più feciono loro cavalcate -infino a Pavia passando il Tesino, e quivi -stati più giorni si ritornarono in Piemonte. La -compagnia la quale era in Borgogna capitanata -dal Pitetto Meschino, uomo alvernazzo e di niente, -e per sua prodezza e maestria di guerra montato -in grande stato e pregio d’arme, prese in -Borgogna più terre, dove s’adagiò con la sua -brigata, conturbando forte tutta la parte del re -di Francia, riguardando sempre tutti quelli che -al re erano contrari, il perchè il re condusse la -compagnia delli Spagnuoli per cacciare il Pitetto -Meschino di Borgogna, i quali Spagnuoli ne’ detti -giorni erano in Berrì, e condotti, così faceano -di male ad amici come a nemici, dove stendere -potessono le mani senza guastare il paese o -uccidere. La compagnia d’Anichino di Bongardo -uscita del Regno, e condotta da messer Bernabò, -in questi giorni se ne venne in Toscana per andare -sopra Bologna. Così e molto più era intrigata -e avviluppata la cristianità dalle maladette -compagnie in questi tempi. -</p> - -<h3 id="capXCIII-10">CAP. XCIII. -<span class="smaller"><i>D’una cometa ch’apparve di marzo nel segno -del Pesce.</i></span></h3> - -<p> -Del mese di marzo del detto anno, apparve tra -’l levante e ’l mezzodì sul mattutino una cometa -nel segno del Pesce Con la coda lunga di colore -cenerognolo, la quale alcuni astrolaghi dissono -ch’era chiamata Ascone. Quello che di sua -<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span> -influenza si vidde fu, che il verno, fu bellissimo -e asciutto, e non troppo freddo, atto molto alla sementa -e coltivamento della terra; la primavera -fu fresca e umida, e la state temperata d’acque, -onde ne seguì grande abbondanza. E a dì 8 d’aprile -l’anno 1362, alle due ore del dì, essendo -l’aria serena e chiara uno grande tuono si sentì in -aire, lo quale molto fece maravigliare la gente, e -innanzi li venne un baleno con vapori incesi, -che caddono in Firenze sopra il fiume d’Arno e -da santa Maria in Campo senza fare alcuno danno, -e l’aria rimase serena e chiara che era. -</p> - -<h3 id="capXCIV-10">CAP. XCIV. -<span class="smaller"><i>Come la Compagnia bianca prese Castelnuovo Tortonese.</i></span></h3> - -<p> -Del mese di marzo la Compagnia bianca essendo -di lungi al contado di Tortona per tanto -di spazio, che i paesani non aveano riguardo, -partendosi di giorno, e cavalcando verso la notte, -feciono a gente d’arme smisurato viaggio, e in -sul dì seppono sì fare, che la mattina entrarono -anzi dì di furto in Castelnuovo Tortonese, e come -furono dentro, chi si volle difendere uccisono, -il perchè i morti si trovarono sopra a trecento: -il castello era bene di milledugento uomini. Sentito -ciò messer Galeazzo v’andò con più di tremila -cavalieri e bene quindicimila pedoni, e -tutto che li paresse essere bene in apparecchio -da combattere co’ nemici non s’attentò di mettersi -a partito, ma fornì le castella d’attorno, e -tornossi a Milano. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span> -</p> - -<h3 id="capXCV-10">CAP. XCV. -<span class="smaller"><i>Come la compagnia del Pitetto Meschino -sconfisse l’oste del re di Francia -a Brignai.</i></span></h3> - -<p> -Lo re di Francia infiammato d’onta contro la -compagnia del Pitetto Meschino d’Alvernia suo -picciolo servo fuggito, nonostante che avesse condotta -la Compagnia spagnuola contro a loro, la -quale ancora non era giunta in Borgogna, radunò -prestamente del mese di marzo un’oste di bene -seimila cavalieri franceschi, e tedeschi e di altre -lingue che erano in Francia, e fattone capitano -messer Giacche di Borbona della casa di -Francia con quattromila sergenti gli mandò in -Borgogna. E in que’ giorni la compagnia del Pitetto -Meschino avea preso un castello del re che -si chiama Brignai, e lasciatovi alla guardia trecento -di sua compagnia, ed egli con tremila barbute -e duemila masnadieri i più Italiani ch’erano -in sua compagnia era cavalcato nel contado -di Forese, facendo loro procaccio: in questo il -duca di Borbona con l’oste sua giunse e puosesi -a campo a Brignai, credendolosi in pochi giorni -racquistare: e così standosi all’assedio baldanzosamente, -e senza debita provvisione e con poco -ordine, avendo con l’animo grande a vile il -loro avversario, il Pitetto Meschino maestro e -pratico di arme con la brigata sua vogliosa di -zuffa, e ardita e bene in punto, essendo lontano -da Brignai giornata e mezzo, avendo lingua come -<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span> -i Franceschi con molto disordine si reggevano a -campo, confortata sua brigata, e animata della -gran preda, con sollecito studio di cavalcare raccorciando -i cammini, avanti al giorno di più -ore giunse al campo sopra gli sprovveduti Franceschi, -e senza alcuno arresto gli assalì con grande -tempesta e romore; onde tra per le terribili -grida, e per lo subito e sprovveduto assalto i -Franceschi bairono, e mancarono di cuore, e -non di manco ciascuno come meglio poteo ricorreva -all’armi per difendersi, ma quelli della -compagnia gli percoteano, e gli sollecitavano sì -con l’arme, che non gli lasciavano far testa; e -così quell’oste ove avea tanti baroni e valenti -cavalieri sventuratamente fu rotta e sbarattata, -con molti di loro morti e magagnati: quelli che -camparono con loro cavalli e arnesi quasi tutti -vennono in preda del vassallo del re di Francia -Pitetto Meschino. Messer Giacche duca di Borbona -fu a morte fedito di più fedite, ed essendo -preso, vedendo che era per morire fu lasciato -alla fede, e portato a Lione sopra a Rodano in -pochi giorni passò di questa vita. Preso rimase il -conte di Trinciaville, il conte di Forese, il maliscalco -di Dunan, l’arciprete di Guascogna altra -volta stato capo di compagnia, messer Broccardo -di Finistagion Tedesco capitano di millequattrocento -barbute, messer Amelio del Balzo, -e il conte di Clugnì, tutti signori e gran baroni, -e assai d’altri signori e cavalieri banderesi -de’ quali uscì grande tesoro a riscatto. I soldati -furono lasciati alla fede, e quelli che in sul campo -furono morti o fediti lasciarono portar via. -<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span> -La valuta della preda fu tanta, che la compagnia -se ne fè ricca: e per questa vittoria presono -tanto d’audacia e d’ardire, che in grande tremore -stette la corte di Roma, usa di essere pettinata -dalle compagnie, che non corressono sopra -Avignone, ma tanto dimorò la compagnia in -Borgogna ch’ebbono i danari che si riscattarono i -baroni e’ cavalieri. Lo re di Francia sentita questa -novella sopra modo si turbò di cuore, e osò -dire, che mai non ristarebbe, ed eziandio con -porre la sua persona al pari d’un soldato, che -dell’onta ricevuta si vendicherebbe. E per non -avere più a tornare sopra la presente materia per -infino che altra gran cosa non seguisse, il Pitetto -Meschino e quelli di sua compagnia udite le -minacce del re, per accrescere il dispetto e -l’onta, mostrando d’avere il re e le sue parole -a vile, del mese di giugno appresso se n’andarono -vicini a Parigi, facendo gran preda e danni -a’ paesani d’intorno alla città. Io non mi posso -tenere, che io non dica qui per gl’intendenti -ragionatori si misuri la gloria vana e fallace -degli stati mondani; ma nella presente materia -quelli massimamente che hanno avuto notizia -della eccellenza del reale sangue di Francia, per -cui al presente è tanto vilmente calcata: e certo -il Pitetto Meschino è di sì oscuro luogo nato, che -fuori del sapere che egli è Alvernazzo, non si -sa chi fosse nè madre nè padre: e questo basti. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span> -</p> - -<h3 id="capXCVI-10">CAP. XCVI. -<span class="smaller"><i>Come fu fermo lega dalla Chiesa e i signori -di Lombardia contro a messer Bernabò.</i></span></h3> - -<p> -Veggendo gli altri signori della Lombardia la -pertinacia di messer Bernabò intorno al racquisto -di Bologna, e che per averla di sua fede e -promessa mancava a santa Chiesa, nelle loro -menti presono concetto, che se vincesse Bologna -a loro non perdonerebbe, stimando che con -cagioni controvate contro a loro volgesse la guerra -con assai più vicino e possente braccio. Il perchè -entrati in sospetto e paura, con loro segreti -ambasciadori cercarono di far lega e tra loro insieme -con la Chiesa di Roma; e nel trattato occorse -che il signore di Verona diede la sorella per moglie -al marchese di Ferrara; e fornito il parentado -per modo che non potea tornare addietro, -il signore di Verona come a stretto parente il -fè con festa a sentire a messer Bernabò, il quale -udito il fatto a maraviglia se ne turbò, dicendo: -Io son fatto cognato di uno sterpone. Il marchese -con tutto che di ciò avesse obria era d’animo -nobile e valente uomo, magnanimo e di grande -cuore, e compare di messer Bernabò, e molto -l’avea servito contro alla Chiesa nella guerra di -Bologna, dando libero il passo a sua gente d’arme, -el a suo piacere vittuaglia e per acqua e per -terra. Fermato il parentado intra i detti due signori, -del seguente mese d’aprile lega e compagnia -si fermò tra il legato di Spagna in nome di -<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span> -santa Chiesa e il signore della Scala, e il signore -di Padova, e il marchese di Ferrara; e la taglia -della gente della lega fu in nome di tremila cavalieri, -de’ quali la Chiesa dovea pagare i millecinquecento -cavalieri, e ciascuno degli altri cinquecento -per uno: e oltre a ciò ne’ patti della lega -promesse ciascuno a loro difesa, e della città di -Bologna, e all’offesa di messer Bernabò, e d’ogni -qualunque che contro alla lega facesse. E stando -le cose in questi termini, messer Bernabò mandò -al Finale navilio grande con molta vittuaglia per -fornire le castella ch’avea sul Bolognese, e il -marchese la fece volgere indietro. E appresso i -detti signori di concordia per loro ambasciadori -mandarono a dire a messer Bernabò, ch’a lui -piacesse non volere fare più guerra alle terre -di santa Chiesa, con ciò fosse cosa che d’allora -innanzi con tutto loro sforzo si porrebbono -alla difesa di questa lega: il superbo tiranno ebbe -singolare e altero sdegno, e nelle sue rilevate -parole molto gli avvilì, usando queste parole: -Essi sono matti fantisini: e seguendo col fatto -l’altero parlare, a catuno di loro per derisione -mandò dono di vasellamento d’argento, de’ quali -nello smalto di quelli da Verona era una scala -appesa a un paio di forche, in quelli del signore -di Padova erano colombi volanti, in quelli del -signore di Ferrara una ferza, giusta la considerazione -della sua vana e superbia fantasia; ma in -picciolo tempo le cose seguirono in forma, che -per opera vedere si potè che non avea a fare -con fantisini, ma con valenti e savi signori, -come seguendo nostro trattato racconteremo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span> -</p> - -<h3 id="capXCVII-10">CAP. XCVII. -<span class="smaller"><i>Come fu morto il re Vermiglio di Granata.</i></span></h3> - -<p> -E’ ne pare venire a scrivere cosa assai disusata -e sconvenevole non che a re cristiano, ma -a qualunque barbaro, ma quale è scriver la ci conviene. -Sentendo il re Vermiglio di Granata come -i Mori aveano sopra sè per loro re esaltato -Maometto, cui egli avea altra volta del reame -cacciato, conobbe che non potea resistere -a Maometto avendo seco il re di Castella, e -però mandò al re di Castella in Sibilia, e gli -domandò sua sicurtà e fidanza, con dire di -volere venire a sua ubbidienza. La sicurtà data -gli fu libera e piena; ma chi il re volle scusare -del gran tradimento disse, non seppe che per -parte del re domandato fosse il salvocondotto, -nè che per lui dato non gli fu. Costui, quanto che -fosse Saracino, lasciato il reame a Maometto, con -quattrocento tra di suo sangue, e amici e di suo -seguito, con molta ricchezza, sotto la fidanza del -salvocondotto, se ne venne a Sibilia là dove era -Pietro di Castella re, e a dì 20 del mese d’aprile, -gli anni Domini 1362, venne davanti al re, e gli -si gittò a’ piedi con grande reverenza e umiltà. -Il re con buono viso il vide e ricevette, e nella -Giudecca, che è luogo di grandi abituri e d’intorno -murato, lo mise, e quello luogo assegnò a -lui e sua compagnia, e in quel giorno gli mandò -e doni e presenti amichevolmente: dipoi -venuta la notte lo detto re Pietro fece prendere -<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span> -lo re Vermiglio e sua compagnia, e rubare tutto -loro tesoro, e arme, e cavalli e arnese, e loro tutti -mettere in buone prigioni con buone catene: loro -tesoro recò tutto a sè, che passò la stima di -ottocento migliaia di fiorini d’oro. E il sabato appresso -a dì 24 d’aprile, il re Pietro fece menare -davanti da sè il detto re Vermiglio in Tavolata, -che è un campo fuori della città di Sibilla forse -una balestrata, in su un asino, e con lui appresso -tre de’ suoi maggiori baroni, gli altri, ch’erano -quarantuno, tutti grandi Saracini, tutti legati a -una fune; lo re Pietro a cavallo con molti suoi baroni -e cavalieri con lance in mano, e colle spade -a lato, avendo i Saracini al campo legati, lo -re in prima lanciò e fedì in prima lo re Vermiglio, -e gli altri appresso gli altri, e in poco d’ora -tutti furono tagliati a pezzi in sul campo, e le -teste loro fece a Maometto presentare; tutti gli -altri ch’erano con lui fè servi. Questo re Vermiglio -fu colui che cacciò e volle uccidere il re -Maometto, e fatto re un giovane fratello del -detto re Maometto il fè morire. È fama che tutti -quelli che morti furono in Tavolata erano stati -al re Vermiglio aiutatori, consigliatori e favoreggiatori. -</p> - -<h3 id="capXCVIII-10">CAP. XCVIII. -<span class="smaller"><i>Come il re Maometto di Granata si fece uomo -del re di Castella.</i></span></h3> - -<p> -Avendo il re Maometto ricevuto il ricco e famoso -presente della testa del re Vermiglio suo nemico, -e de’ quarantaquattro suoi seguaci i quali aveano -<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span> -morto il fratello, riconoscendo come per operazione -del re Piero di Spagna egli era ritornato -nel suo reame di Granata, di presente mandò -suoi ambasciadori con pieno mandato al re Piero, -i quali li sommisono il reame di Granata, e da -lui in vece e nome del re Maometto come da -superiore lo riconobbono, e lo re Maometto ne -feciono suo uomo, e omaggio glie ne fece, e in segno -della sommissione del reame a loro usanza -li mandò pennoni di tutte le sue buone città e -terre; e oltre a questo li presentò ricchi doni, e -con essi tutti i cristiani ch’erano in suo reame -fu donato loro libertà per amore del detto re. -</p> - -<h3 id="capXCIX-10">CAP. XCIX. -<span class="smaller"><i>Principio di guerra dai collegati a messer -Bernabò.</i></span></h3> - -<p> -Fermata la lega tra santa Chiesa e’ signori di -Lombardia, come scritto è di sopra, anzi che altro -movimento per i collegati si facesse, messer -Bernabò mandò sue genti sopra il signore di Verona -verso il Lago di Garda, il perchè i collegati -in questo tempo del mese di maggio con duemila -cinquecento cavalieri della lega, e con assai gente -da piè, mossono da Modena per occupare il passo -a messer Bernabò, sicchè non potesse mandare a -fornire le castella che tenea sul Bolognese; e -stando questa gente a campo, quella di messer -Bernabò venne sul terreno di Modena, e puosesi -dove già fu un castello che si chiamò Solaro, -il quale era sopra il canale di Modena, e perchè -<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span> -era nelle valli in luogo infermo era abbandonato, -e in su quello castellare fè porre una forte bastita, -e quindi avea balía da potere ire alle castella -del Bolognese. La cavalleria della lega si pinse -innanzi verso Reggio, e puosonsi a un altro castello -abbandonato similmente detto la Massa, -che anche è sul passo, essendovi ancora gli antichi -fossi pieni d’acqua gli afforzarono; onde Anichino -di Bongardo, ch’era a Solaro con l’oste -di messer Bernabò, avendo vittuaglia per fornire -Castelfranco, e l’altre castella del Bolognese, la -si ritenne per l’oste sua, non sperando poterne -avere stando ferma la bastita della lega. Vedendo -messer Bernabò che la lega era contro a lui ben -fornita, e potente di gente e di danari, si pentè -d’avere sconcia la pace colla Chiesa, e di presente -mandò lettere a’ suoi amici e protettori in -corte, e appresso ambasciata con cercare si fermasse -la pace, levando via tutti gli articoli ed -eccezioni che posti avea, e l’altre disoneste dimande, -rimettendo Bologna nelle mani de’ Fiorentini, -o di cui il papa volesse. Il papa era contento, -non avendo ancora che fosse ferma la lega, -ma in quello stante le lettere del legato vennero -al papa, come la lega era ferma e possente a resistere -al tiranno, e avute queste novelle, il papa -e’ cardinali al tutto rinunziarono di fare la volontà -di messer Bernabò, e seguirono loro processo, -e feciono lui e chi gli desse aiuto o favore scomunicato, -e nominatamente gli Ubaldini, i quali -tennono con lui contro alla città di Bologna. -Avendo messer Bernabò mandato a corte, anche -scrisse al comune di Firenze scusandosi, che per -<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span> -lui non rimanea il seguire della pace, e che la -guerra non venia da lui. -</p> - -<h3 id="capC-10">CAP. C. -<span class="smaller"><i>Come e quando morì Luigi re di Cicilia -e di Gerusalemme.</i></span></h3> - -<p> -Luigi re di Cicilia e di Gerusalemme, signore -d’assai sconcia e dissoluta vita secondo che richiede -la reale maestà, tocco da divina spirazione, -quasi consapevole di sua morte vicina, lasciando -l’usate vanitadi, punto dal giudicio di sua -coscienza, per penitenza e ammenda de’ suoi -misfatti e difetti si mise umilmente in pellegrinaggio, -e andò a visitare i corpi de’ gloriosi -apostoli, di messer san Bartolommeo il quale è a -Benevento, quello di san Matteo lo quale giace a -Salerno, e quello di sant’Andrea il quale sta ad -Amalfi, secondo che nel paese certamente si tiene -per antica e indubitata credenza: e di tale viaggio -tornato a Napoli cadde in malattia, e come -piacque a Dio, senza disporre altrimenti de’ suoi -fatti, dicendo che niente avea di suo da testare, -ma che tutto era della reina Giovanna, anzi il -principio del dì a dì 26 di maggio, il giorno della -santa Ascensione, rendè l’anima a Dio, e in quel -dì fu sepolto con reali esequi a....... avendo -tenuto il regno dieci anni forniti dal giorno -di sua coronazione. Signore fu di poca gravezza -e meno d’autorità, e in aspetto e fatto senza -scienza alcuna, e in fatti d’arme poi fu re poco -si travagliò. Poco amore portò al suo sangue; il -<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span> -fratello aggrandì più per paura che per carità, i -cugini trattò male, e per forza li si fece rubelli. -Fu di sue promesse mendace e di ciò come di -virtù si vantava sovente. Coloro ch’erano più -scellerati peccatori de’ suoi baroni appresso di -lui erano del più segreto consiglio e di maggior -potenza, e con loro non avea onorevole conversazione -di vita. Mobile fu, timido e pauroso ne’ -casi dell’avversa fortuna, perocchè appresso di -sè non volea uomini virtudiosi nè d’autorità. -Molto era cupido di fare moneta, e la giustizia -mollemente mantenea, e poco si facea temere a’ -suoi baroni. Con il suo balio messer Niccola Acciaiuoli -gran siniscalco, e da cui a’ suoi bisogni -avea aiuto e consiglio alle grandi cose, molte -volte per punzellamenti e malvagi conforti de’ -suddetti suoi baroni venne in sospetto, e quando -la virtù di colui s’allungava dalla corte i fatti -del re andavano male. Alla reina facea poco -onore, e o per suo difetto, ch’assai n’avea, o per -fallo della reina, molte volte come una vil femmina -in grande vituperio della corona la battea, -e di quello ch’era suo non le lasciava fare -nè a sè nè ad altrui il debito onore. Delle magnifiche -cose che a lui parea aver fatto a tempo -di guerra e di pace tanto si lodava e vantava, -che ogni uomo che l’udia tediando facea maravigliare; -e di tali frasche fece comporre scritture -d’alto dittato, compiacendosi nelle proprie lusinghe. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span> -</p> - -<h3 id="capCI-10">CAP. CI. -<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini vollono difendere -Pietrabuona, e non poterono.</i></span></h3> - -<p> -Nel 1362 a dì 18 di maggio, i priori di Firenze -raccolsono un parlamento d’oltre a seicento -cittadini, nel quale spuosono i termini in che -stava Pietrabuona, e come quelli che la teneano -data l’aveano al comune di Firenze, e come i -signori l’aveano presa a parole, pensando se si -difendesse dalla forza de’ Pisani per quella riavere -o Sovrana o Coriglia, terre da’ Pisani nel -vero copertamente e maliziosamente tolte al -comune di Firenze; non ostante che poco dinanzi -per i detti signori fosse stato risposto agli ambasciadori -pisani, che ’l comune non se ne travagliava, -e più come ne’ prossimi giorni i Pisani -aveano cavalcato sopra il terreno di Barga -terra accomandata al comune di Firenze, e dandovi -il guasto arando i seminati con più di cento -paia di buoi, e tagliando loro gli alberi dimestichi, -e le vigne e’ castagni, e come a undici -soldati del comune di Firenze in sul distretto -del comune di Firenze, i più conestabili, stando -senza arme a vedere gittare i trabocchi in -Pietrabuona, rabbiosamente ai più aveano tolta -la vita e gli altri fatti prigioni; e recando alla -mente le altre più gravi ingiurie per lo comune -pazientemente passate con infignersi di non vederle, -nonostante che poco dinanzi al detto -parlamento per i signori di Firenze risposto fosse -<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span> -agli ambasciadori di Pisa, che de’ fatti di Pietrabuona -il comune di Firenze non s’intendea -di travagliare, si diliberò di concordia di tutto -il detto consiglio che Pietrabuona e sua difesa si -prendesse. In questi giorni avvedendosi i Pisani -che i masnadieri di Pietrabuona erano caldeggiati -dalla gente de’ Fiorentini, con molta più sollecitudine -e studio procurarono di racquistarla, e combattendo -con dodici trabocchi per dì e per notte -tutta la macinavano. Dopo il partito preso della -difesa, secondo il giudicio di molti intendenti, -la difesa era presta dove il comune avesse fatto -afforzare il poggio della Remita, che soprastava -i battifolli de’ Pisani, ed era del distretto del -comune di Firenze, ma nel tardare preso fu e -guardato per i Pisani; e i Fiorentini in sul loro -terreno dirimpetto a Pietrabuona, la Pescia in -mezzo, puosono un battifolle che dava l’entrata -e l’uscita libera agli assediati, il perchè molto se -ne renderono sicuri quelli d’entro, ma dalli dificii -i quali continovo il dì e la notte gettavano -non poteano essere atati, e all’uscita di maggio -vi cominciarono a gittare fuoco temperato, che -eziandio offendeva alle pietre, e tanto spesso l’una -pietra su l’altra venia disfacendo il castello, e -offendeano alle persone, che ai pochi difenditori -che stare vi poteano toglieva il vigore alla difesa. -Oltre a queste continove battaglie i Pisani levarono -un castello di legname sotto la guardia di -loro battifolli, un’arcata vicino alla torre della -rocca, contro al quale i Fiorentini feciono dirizzare -un trabocco che l’avrebbe spezzato, se ’l -maestro che ’l conducea fosse ito con fede a’ Fiorentini, -<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span> -ma era Aretino, e d’animo ghibellino, -e però non adoperò quello ch’avrebbe potuto; i -maestri dal lato pisano avendo alli quattro dificii -giuntone uno più grosso, quello de’ Fiorentini -sconciarono. In questi dì messer Bonifazio Lupo -da Parma, chiamato da’ Fiorentini per tenere luogo -di capitano, giunse a Firenze, e di presente andò -a vedere il sito di Pietrabuona, e il modo e -forma di suo assedio, e veduto ed esaminato -tutto, scrisse a’ signori di Firenze che impossibile -gli parea la difesa, e ciò fu a dì 4 di giugno; e a -dì 5 del mese, il dì della Pentecoste, i Pisani, -ch’erano presso al trarre delle balestra, con loro -battifolli, con tutta loro forza di gente d’arme, e -d’assai buoni balestrieri, movendo loro castello -il condussono fino alla rocca. Quivi secondo il -suo essere fu l’aspra battaglia a petto a petto, e -non di manco li dificii de’ Pisani traevano sì temperati -che loro genti non offendeano, e quelli del -castello non lasciavano scoprire alla difesa; vollono -gittare il ponte del castello del legname in su -la torre di là, ch’era più bassa che il castello, e il -ponte fu corto, e la difesa grande per l’operazione -de’ buoni balestrieri d’entro, e durata questa -pugna per spazio di parecchie ore, i Pisani si ritrassono -addietro col castello del legname; quelli -di Pietrabuona affannatisi ritrassono a rinfrescare, -e non pensando per quello rimanente del giorno -avere più battaglia, non di meno al soccorso -loro erano tratti i cavalieri e’ masnadieri, quelli -che stare vi poteano coperti da’ trabocchi. I Pisani -in questo riposamento rallungarono il ponte al -castello, e con più asprezza ritornarono alla battaglia, -<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span> -e condotto il castello lungo la rocca, gettarono -il ponte in su la torre, ma per questo non -si curavano quelli d’entro, che ben poteano tre a -tre combattere; ma quale che si fosse la cagione -quelli d’entro invilirono, e quelli ch’erano venuti -al soccorso incominciarono a abbandonare il castello, -e quelli ch’erano di que’ d’entro i caporali -pensarono a volere salvare danari e altre cose -sottili ch’aveano nella rocca, e però affocarono -la torre e abbandonarono la difesa, onde i Pisani -francamente presono la terra, e cui giugnere vi -poterono misono al taglio delle spade, intra i quali -fu Nieri da Montegarulli antico e pregiato -masnadiere, il quale essendo arrenduto alla fede -vi fu morto, e altri presi e feriti: coloro che -l’altro dì v’andarono pe’ morti, e per ricogliere -i prigioni, sopra i corpi de’ morti prendendoli furono -morti, e simile i ricomperatori. La gente -de’ Fiorentini abbandonato il battifolle e arso -con non poca vergogna si tornarono a Pescia. -Di questa vittoria la gloria e la burbanza de’ Pisani -troppo fu sopra modo, e la befferia smisurata, -e la festa tanto grande, che dove avessono -acquistato una provincia non l’avrebbono potuta -fare maggiore, dispettando e avvilendo i Fiorentini, -e per loro lettere, e oltre a ciò aprendo -quelle de’ mercatanti fiorentini di loro mano v’aggiugneano -villane e ontose parole del nostro -comune. I loro anziani e governatori posto il senno -dall’uno lato osarono dire, che se i Fiorentini -avessono cuore a muovere guerra, che i loro soldati -ne legherebbe tre uno di loro, e se v’andassono -i cittadini, li vincerebbono e legherebbono le -<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span> -femmine loro, e molte altre altere e brutte parole -con la testa levata usarono contro il comune -di Firenze per muoverli a cruccio e impresa -di guerra, ignoranti delle rivoluzioni della fortuna, -la quale per guerra assai loro apparecchiò di -male. -</p> - -<h3 id="capCII-10">CAP. CII. -<span class="smaller"><i>Come quelli della valle di Caprese furono -traditi dagli Aretini.</i></span></h3> - -<p> -Del mese di maggio, quelli della valle di Caprese -con l’aiuto di loro vicini e amici tanto seppeno -adoperare, che presono la Rocca cinghiata la -quale era de’ Tarlati, e teneano questa e la rocca -del Caprese, e con gli Aretini s’erano accordati -di torre da loro potestà, e di dare loro ogn’anno -certo censo riconoscendoli per maggiori, e doveano -i nemici degli Aretini avere per nemici, e gli -amici per amici, e li Aretini li doveano in loro -stato conservare e difendere. Stando così gli -Aretini infintamente feciono l’oste bandire sopra -un castello di quelli da Pietramala, e richiesono -quelli della valle di Caprese d’aiuto, -i quali liberamente di buona voglia elessono di -loro fanti dugento più eletti e pregiati, e uscito -il podestà d’Arezzo coll’oste quelli della -valle Caprese s’aggiunsono con lui, ed egli vedendosi -costoro tra le mani ne presono centoventi, -gli altri fuggendo camparono. Presi gli amici gli -amici per questa via, e mandati ad Arezzo, -<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span> -la gente degli Aretini col podestà entrò nella -valle di Caprese, e menarono a tondo guastando -e consumando ciò ch’era in quella; rifuggiti -i paesani alla rocca, la quale era da -guatarla e lasciarla stare. Gli Aretini avendo i -prigioni domandavano la rocca; i Caprigiani con -franchi animi si dispuosono di volere innanzi -morire, e di vedere i loro prigioni morire, che -volessono le rocche dare agli Aretini, e di presente -mandarono sindaco con pieno mandato -per darsi al comune di Firenze, il quale stette -sopra quindici dì in Firenze per ciò fare: gli Aretini -con loro ambasciadori storpiarono che il comune -non fece l’impresa, dicendo che le rocche -erano in punto che contra loro non si poteano -tenere, e che il loro comune era amico e fedele -del comune di Firenze, e che avendo essi le -rocche l’aveano i Fiorentini, e in breve tanto -seppono dire e operare con gli amici loro, che -’l comune non li tolse, il perchè di poi si dierono -a’ Perugini, e da loro si trovarono ingannati, -come appresso a suo tempo diviseremo. -</p> - -<h3 id="capCIII-10">CAP. CIII. -<span class="smaller"><i>Della mortalità dell’anguinaia.</i></span></h3> - -<p> -In questi tempi, del mese di giugno e luglio, -l’usata pestilenza dell’anguinaia con danno grandissimo -percosse la città di Bologna, e tutto il -Casentino occupò, salvo che certe ville alle quali -perdonò, procedendo quasi in similitudine di -grandine, la quale e questo e quel campo pericola, -<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span> -e quello del mezzo quasi perdonando trapassa; -e se similitudine di suo effetto dare si può, -se ciò procede dal cielo per mezzo dell’aria corrotta, -simile pare alle nuvole rade e spesse, per le -quali passa il raggio del sole, e dove fa splendore -e dove no. Or come che il fatto si vada, nel Casentino -infino a Dicomano nelle terre del conte -Ruberto fè grande dannaggio d’ogni maniera di -gente: toccò Modona e Verona assai, e la città -di Pisa e di Lucca, e in certe parti del contado -di Firenze vicine all’Alpi, e nell’Alpi degli -Ubaldini: a’ Pisani tolse molti cittadini, ma -più soldati. Nell’Isola di Rodi in questi tempi -ha fatti danni incredibili: e nel 1362 del mese -di luglio e d’agosto assalì l’oste de’ collegati -di Lombardia sopra la città di Brescia per modo -convenne se ne partisse, e nella città fece danno -assai. Nella città di Napoli e in molte terre -dei Regno, ove assai, e dove poco facea, ove -niente. Nelle case vicine a Figghine cominciò d’ottobre -in una ruga, e l’altre vie non toccò. In -Firenze ove in una casa ove in un’altra di rado -e poco per infino a calen di dicembre. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span> -</p> - -<h2 id="libro11">LIBRO UNDECIMO</h2> - -<h3 id="capI-11">CAPITOLO PRIMO. -<span class="smaller"><i>Il Prologo.</i></span></h3> -</div> - -<p> -Sogliono naturalmente le cose opposte e contrarie -insieme avvicinate più le loro contrarietà -dimostrare. Questo pertanto al presente diciamo, -perocchè la pace rotta al nostro comune per i -Pisani, e la guerra per loro e mossa e cercata -con molta astuzia sollecitamente per riavere il -porto, ne presta materia di proemio all’undecimo -libro di nostro trattato, prendendo principio -dalla natura e condizione della pace fedelmente -osservata, la quale è certo fermo e indubitato -fondamento e grado delle mondane ricchezze, -e della mondana felicità secondo il mondo. -Ella è madre di unità e cittadinesca concordia; -ella non solo alle piccole, ma eziandio -alle menome cose partorisce accrescimento e esaltazione. -I re del mondo loro reami in pace mansuetamente -governano; i popoli liberi intenti a -loro arti e mercatanzie moltiplicano in ricchezze, -magnificando la faccia di loro cittadi con -ricchi e nobili edificii, e per li sicuri matrimoni -<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span> -cresce e moltiplica il numero de’ cittadini con -aspetto lieto e pieno di festa. E non solo i popoli -che vivono in libertà, ma quelli che sottoposti -sono al crudelissimo giogo della tirannia, -la quale per sua malvagia natura e corrotta -d’usanza a’ buoni e valorosi cittadini è -del tutto e sempre nemica, e in palese e in occulto -avversa, per la paura fitta nelle menti loro -di perdere loro stato, maculati dalla coscienza -delle loro crudeli e sanguinose operazioni; d’onde -surge, che senza niuna pietà o discrezione ti -disfanno e scacciano senza misericordia alcuna, -affermando meglio essere terra guasta che terra -perduta. Nè contenta loro perversa iniquità alle -occupazioni delle loro cittadi, per cupidigia d’ampliare -signoria le nazioni vicine tormentano, e -massimamente i popoli che vivono in libertà, con -continove guerre gradimenti e trattati. E per potere -fornire loro empio proponimento, e mandare -a esecuzione loro volontadi, i sudditi loro disfanno, -moltiplicando gabelle e collette, ma con gravi -imposte. Costoro spento il seme de’ buoni danno -alquanto di respitto e triegua alle servili fatiche, -un poco in pace patiscono ai loro sudditi -respirare. Male dunque conosce e molto poco pregia -la dolcezza della libertà chi per cupidigia di -mortale vita la perde, se vita dirittamente ponderando -appellare si può il servaggio. È dunque -la pace bene considerata madre di letizia e d’ubertà, -corona e nobiltà di potentissimi re e signori, -protezione e scudo de’ liberi popoli, del tutto -e per tutto avversa e nimica alla spaventosa, -sterile e sanguinosa guerra, per la quale l’altissime -<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span> -cose caggiono e vengono meno. Quanti -famosissimi re e signori nelle passate etadi ha -ella straboccato in estrema miseria, con vilissimo -e vituperabile uscimento di vita! Quante nobili -famose e gloriose cittadi ha ella dai fondamenti -sovverse, lo cui specchio è ai mortali manifestissimo -argomento d’incredibili mali! Quante -provincie ha ella lasciate disolate e povere -d’abitatori in pauroso e spaventevole aspetto! -Quanti e innumerabili popoli ha tagliati con ferro, -e sommersi nel domestico e nel pellegrino -sangue, i quali hanno lasciato di loro calamità, -miseria, e avversa fortuna agl’ignobili luoghi -famosi titoli! Chi potrebbe in piccolo numero di -carte comprendere le incredibili e maravigliose -cose che ne’ passati secoli il furore e la rabbia -della guerra ha prodotte? Essa è occulto e -malvagio seme, e ricettacolo della tirannia, la -quale nel letume suo a guisa del fungo s’ingenera -e surge, e nella sua pertinacia si nutrica e -allieva. Dunque bene è d’abominare, e da recare -dai buoni in persecuzione colui lo quale -per ambizione, ovvero per propria malizia o disdegno, -o per utilità privata, o per vendetta -o per vanagloria la sua patria sospigne in guerra; -e se noi amiamo il vero, io non conosco -qual grazia trovare si possa nel cospetto di Dio -per suo pentere, tutto che quasi stimi che impossibile -sia il pentere tale uomo. Come può -egli restituire le morti degl’innocenti e semplici? -come gli omicidi? come gl’incendii? come -le prede? come le violenze fatte alle oneste -donne e alle pure vergini? come gli scacciamenti? -<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span> -come le povertadi? come le necessarie -peregrinazioni? come il perdimento della libertà -che tutte cose sormonta? Di quello che poco dire -non si può è meglio il tacere: e qui far fine -si dee, e dar luogo a chi molto può, e poco sa, -e a molti offende. Anime tribolate, se potete, datevi -in viaggio pace e buon piacere. -</p> - -<h3 id="capII-11">CAP. II. -<span class="smaller"><i>Degli apparecchi fatti da’ Fiorentini per la -guerra contro a’ Pisani.</i></span></h3> - -<p> -Il comune di Firenze per natura nell’imprese -grave è e tardo, ma nel seguirle avveduto e sollecito, -poichè deliberato avea di seguire l’inviluppata -impresa incominciata contro a’ Pisani per -Pietrabuona, e venia in aperta e palese guerra -per vendicare sua onta, essendo i suoi governatori -svegliati come da grave sonno, e infiammati -per la vergogna prossimamente ricevuta, animosamente -seguendo il consiglio di messer Bonifazio -Lupo da Parma loro capitano, uomo quasi solitario -e di poche parole, ma di gran cuore, e di -buono e savio consiglio, e maestro di guerra, -all’entrare del mese di giugno 1362 cominciarono -a provvedersi intorno alle bisogne della guerra. -E per coprire la tostana e sperata vendetta -cominciarono a fabbricare a un’otta sedici trabocchi, -nel lavorio de’ quali pigramente si procedea, -per mostrare che l’assalimento avesse lungo -tratto, e continovo sollecitamente si provvedeano -di gente d’arme, e da cavallo e da piè. -<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span> -E per non mandare in arme la viltà delle vicherie, -le quali senza lunghezza di tempo e lunga -dimoranza, la quale è sempre nemica e nociva -alla guerra, non si possono raccogliere, e perchè -l’amistà e grazia de’ possenti sottrae dal comune -servigio i buoni e’ valenti, e lascia i cattivi, -mandarono i signori per tutti quelli gentili uomini -e popolari di città e del contado, i quali sentirono -abili e sofficienti a fare prestamente brigate -di fanti e gente sperta in arme, e loro imposono -e comandarono quanto più tosto potessono -facessono il più gente potessono, i quali il -comandamento senza dilazione mandarono ad -esecuzione; sicchè il dì 15 di giugno il comune, -che di gente di soldo e che di gente col detto -ordine ricolta, si trovò millecinquecento uomini -di cavallo, e quattromila pedoni, fra’ quali furono -millecinquecento e più balestrieri. Ancora infra -i detti giorni richiesono loro amistà, e infra gli altri -richiesti furono i Perugini e’ Sanesi: i Perugini -risposono, che per le novità aveano di loro -usciti non aveano destro di potere sovvenire, e -che bene sapeano che ’l comune di Firenze era -tale e tanto, e di tanta forza e podere, che non -che si potesse atare dal comune di Pisa, ma che -agevolmente il dovea potere sormontare: i Sanesi -senza altra scusa risposono, che non aveano -gente da poterne loro servire: le quali risposte -non sono da porre in oblio dalla liberalità del -nostro comune, lo quale ne’ loro bisogni richiesto, -di ciò che potuto ha non ha detto di no. Pistoiesi, -Aretini, il conte Ruberto, e altri vicini -vennono a servire il comune con quella gente da -<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span> -cavallo e da piè che fare poterono, onde il comune -infra li 20 di giugno si trovò d’avere tra -di soldo e d’amistà milleseicento cavalieri e -cinquemila pedoni. I Pisani sentendo il fabbricare -degl’ingegni, e la raunata di gente d’arme -che si facea in Firenze, tutto ch’avessono certa -la guerra per le cagioni dette di sopra, non di -manco cominciarono a dubitare e temere, e cominciarono -a fare sgombrare loro contado, e specialmente -la Valdera, e afforzare e guarnire -loro tenute verso le frontiere il meglio e il più -pronto poterono, conducendo gente di soldo e -da cavallo e da piè quanto poterono il più, con -dare ordine a’ loro contadini e alle difese e a -guardie di loro tenute. -</p> - -<h3 id="capIII-11">CAP. III. -<span class="smaller"><i>Come seguendo gli antichi Romani gentili -i Fiorentini nel dare dell’insegne al -capitano presono punto per astrologia.</i></span></h3> - -<p> -I nostri padri Romani prima che venissono al -segno dell’imperio, in loro imprese di nuove guerre -niente mai avrebbono incominciato, che prima -felici augurii non avessono cerchi e veduti: -pertanto ne’ sacrificii che facevano agl’idoli loro -nelle interiora degli animali vittimati cercavano -la sorte e l’avvenimento della fortuna; questo accecamento -diabolico ed è ed esser dee in abominazione -come avverso alla fede cristiana. Vicino -e quasi consorte alla stoltezza degli augurii -è quella parte dell’astrologia la quale predice i -<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span> -futuri avvenimenti delle cose nominate e singolari, -e’ loro propri casi, e massimamente di riuscimenti -di guerre, i quali sono nelle mani del -signore Dio Sabaoth, che interpretato è Dio degli -eserciti. I Fiorentini stratti del sangue romano, -per vizio ereditario seguono i giudicii delle stelle, -e altre ombre d’augurii sovente, e al presente -avendo accolto l’esercito, di che avemo detto nel -precedente capitolo, e volendo dare l’insegne, -vollono il punto felice dall’astrologo, il quale -fu lunedì mattina a dì 20 di giugno sonato terza, -alla duodecima ora del dì; e ricevute l’insegne, -avacciando il viaggio come cacciati, giunsono -errore ad errore, perocchè sempre che insegne -si dierono per guerra contro a’ Pisani, date -volgeano al canto di Porta santa Maria, e poi per -Borgo santo Apostolo; i governatori del fatto -avendo sospetta la via di Borgo santo Apostolo, -come al nostro comune male augurata contro a’ Pisani, -le feciono volgere per Mercato nuovo, e per -Porta rossa, e come poco avvisati non feciono -prima levare i castagnuoli delle tende de’ fondachi, -onde convenne s’abbassassono l’insegne. -Il corso fu ratto, perchè non passasse l’ora data -per l’astrologo al posarle fuori della terra a -santa Maria a Verzaia, secondo l’antica usanza -del nostro comune. Avemo arato il foglio con -lungo sermone di lieve materia, ma fatto l’avemo -per ricordo di quelli che dietro verranno, -che non voglino sapere le cose future, nè porre -speranza negl’indovinatori, perocchè solo Iddio -è il giudicatore delle giuste e inique battaglie. -Per alloggiare ne’ tempi loro le forestiere cose, -<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span> -lasceremo il processo della guerra di Pisa, e a -suo tempo lo ripiglieremo. -</p> - -<h3 id="capIV-11">CAP. IV. -<span class="smaller"><i>Della prospera fortuna de’ collegati -lombardi.</i></span></h3> - -<p> -E’ ne piace di fare un fascio di molte avvolture -di santa Chiesa co’ suoi collegati lombardi, -mescolando i tempi passati con quei di dietro, -per non occupare troppi fogli con cose che non -sieno rilevate. Del passato mese di maggio quelli -della lega dopo la presura di Castelnuovo -hanno tolto a’ nemici la terra di Salaro sita sopra -il Po di Pavia, e la terra di Ligaria di qua -dal Po, la quale è posta a otto miglia presso a -Tortona, e più altre castella e ville del tenitorio -di Pavia, e di giugno il castello d’Erbitra, il quale -era del Saliratuo de’ Buiardi d’Elbiera, il quale -per piacere a messer Bernabò, ritenendo il cassero -a sè, gli avea prestata la terra per i bisogni di -sua guerra: e il tiranno non osservata sua fede -v’avea per sè fatta fare altra fortezza. Elbiera è -vicina a Modena a otto miglia, ond’era camera -a messer Bernabò d’onde forniva tutte le sue bisogne -nella guerra co’ Bolognesi; il Saliratuo come -fidato al tiranno praticava nel cassero ch’egli -avea fatto, onde preso suo tempo, morte le guardie -prese il cassero, e di presente con modi diede -la terra al marchese di Ferrara. Appresso -quelli della lega puosono l’oste a Brescia, e messer -Bernabò che dentro v’era se ne fuggì. Qui -<span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span> -lecito mi sia gridare e dire, che Dio confonde e -avvilisce le arroganti parole che detto avea il tiranno -che gastigherebbe i Lombardi venuti in -lega come putti, ed eglino hanno gastigato lui. -Giugnamo alle predette fortune, che essendo -grande quantità d’Inghilesi infino a Basignano -avvenne, che la gente di messer Galeazzo ch’era -alla guardia del castello volendo fare del gagliardo -si fè loro incontro, e di presente fu rotta, -e alquanti ne furono morti, tutti gli altri rimasono -prigioni. Sopra le dette baratte di guerra i -collegati presono Gheda in sul Bresciano a dì -20 di luglio, terra che fa oltre a ottomila uomini: -e quelli che teneano Basignano in sul Po per -messer Bernabò, e per guardarla aveano spesi molti -danari, e da lui altro che minacce non poteano -ritrarre, la ribellarono, e la dierono a’ collegati, -ricevuti da loro circa a diecimila fiorini -d’oro, che aveano spesi in guardarla. Oltre alle -predette cose i collegati hanno corso il Novarese -e assediata Novara. Volgendo un poco il mantello -a uso di guerra, avendo i collegati preso il -castello del ponte a Vico in su l’Oglio, quelli -della rocca si patteggiarono d’arrendersi se fra -certi giorni non fossono soccorsi; i collegati aveano -nel castello messe ventotto bandiere di cavalieri -e soldati a piè assai, i quali non pensando -che soccorso potesse venire stavano sciolti -e con poco ordine; il castellano intendente compreso -loro cattivo reggimento lo significò a messer -Bernabò, il quale di notte con gran quantità -di gente, e la mattina davanti il fare del -<span class="pagenum" id="Page_148">[148]</span> -giorno messo in ordine, per gli alberghi e per le -case tutta la detta gente prese; e così va di guerra. -Più la pestilenza dell’anguinaia avendo aspramente -assalito la città di Brescia, e l’oste de’ collegati -ch’era di fuori, li strinse a partire, e si -tornarono a Verona, e quindi ciascuno alla terra -sua. -</p> - -<h3 id="capV-11">CAP. V. -<span class="smaller"><i>Della morte di Leggieri d’Andreotto -di Perugia.</i></span></h3> - -<p> -Leggieri di Andreotto popolare di Perugia fu -uomo di grande animo, e al suo tempo Tullio, -perocchè fu il più bello dicitore si trovasse, e senza -appello il maggiore cittadino ch’avesse città -d’Italia che si reggesse a popolo e libertà, e il più -amato e il più careggiato e dal popolo e da’ Raspanti, -ma a’ gentili uomini li cui trattati avea -scoperti forte era in crepore e malavoglienza. -Avvenne che una domenica a dì 19 di giugno, -essendo egli quasi all’incontro delle case sue -nella via, e leggea una lettera, un figliuolo bastardo -di Ceccherello de’ Boccoli, cui il detto -Leggieri avea per lo trattato di Tribaldino di -Manfredino fatto decapitare, il quale il tenea -in continovo aguato cautamente per offenderlo, -si trovò in una casa del Monte di Porta -soli, la cui finestra a piombo venia sopra il -capo di Leggieri; costui non trovando altro più -presto prese una macinetta da savori la quale -<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span> -trovò vicina alla finestra, e presola a due mani -l’assestò sopra il capo di Leggieri, e l’abbattè in -terra morto, che mai non fè parola. Della sua -morte non fu piccolo danno a’ Perugini, e per -così lo riputarono, perocchè fare lo feciono cavaliere, -e li feciono l’esequie regali e pompose -col danaio del comune, per allettare gli altri -che venissono poi a bene operare per la repubblica -sua. -</p> - -<h3 id="capVI-11">CAP. VI. -<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini cavalcarono in Valdera -e presono Ghiazzano.</i></span></h3> - -<p> -Tornando alle fatiche nostre, manifestato ha -sovente l’esperienza, che la disordinata e sfacciata -baldanza de’ presuntuosi e alteri cittadini -i quali sono suti per loro procacci dati, non dirò -consiglieri, ma piuttosto balii e tutori a’ capitani -nelle guerre del nostro comune, e a’ capitani -e al comune hanno fatti vituperii assai, e notabili -e gravi danni, e inrimediabili vergogne, talvolta -per non conoscere e volere mostrare di -sapere, talora con malizioso procaccio di loro -private utilitadi e onori. Così essendo dati al -capitano messer Bonifazio consiglieri assai vie -più presuntuosi che savi, e coloro ritrovandosi in -Pescia con l’oste de’ Fiorentini, avendo a cavalcare -i nemici, non solo lo consigliavano, ma eziandio -con parole e arroganti segni lo sforzavano, sotto -la baldanza dello stato cittadinesco che usurpato -aveano, che cavalcassono in quello di Lucca, -<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span> -dove fortuna quasi sempre al nostro comune era -stata avversa; ma il valente capitano certificato -già de’ vecchi errori in simili atti commessi, poco -pregiando nel segreto suo e loro voglie e consigli, -e non avendo loro autorità nè grandigia -in dottanza, di fuori mostrava volere seguire loro -talento, e nel petto tenea raccolto il suo; e contro -all’opinione d’ogni qualunque il giovedì -mattina a dì 23 di giugno partì da Pescia con -tutta l’oste, e tenne verso Fucecchio e Castelfranco, -e il seguente dì, il giorno di san Giovanni, -si mise per lo stretto di Valdera a piè di -Marti, certo dell’impotenza de’ nemici, e corse -infino a Peccioli, e la sera combattè il castello -di Ghiazzano, e per la moltitudine delle buone -balestra tanto impaurirono quelli d’entro, che -a dì 26 del mese dierono il castello salve le persone, -il quale fu per camera del nostro comune -infino alla presa di Peccioli, che poco appresso -seguì. -</p> - -<h3 id="capVII-11">CAP. VII. -<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini soldarono galee -contra i Pisani.</i></span></h3> - -<p> -Non contenti i Fiorentini co’ Pisani alla -guerra di terra con loro, vollono tentare la fortuna -del mare, e del mese di giugno condussono -a soldo Perino Grimaldi con due galee e un -legno, e uno Bartolommeo di...... con altre -due galee, i quali promisono con detti legni bene -armati essere per tutto il mese d’agosto nella -<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span> -riviera di Pisa, e fare guerra a’ Pisani a loro possanza. -</p> - -<h3 id="capVIII-11">CAP. VIII. -<span class="smaller"><i>Come i Perugini presono la Rocca cinghiata -e quella del Caprese.</i></span></h3> - -<p> -Essendo gli ambasciadori e’ sindachi degli uomini -e comunità di Val di Caprese stati a Firenze -a sollecitare il comune che per suoi li prendesse, -e con loro quelli della Rocca cinghiata, per -la molta forza d’amici che si trovarono gli Aretini -tra le fave, si sostenne che accettati non -fossono, in danno e disonore del nostro comune: -ond’essi dileggiati presa disperazione s’avventarono -e dieronsi a’ Perugini, i quali li ricevettono -graziosamente; e di presente del mese di luglio -vi mandarono quattrocento fanti e centocinquanta -uomini da cavallo, e presonsi le tenute -di quelle due notabili rocche. -</p> - -<h3 id="capIX-11">CAP. IX. -<span class="smaller"><i>Come novecento cavalieri di quelli di messer -Bernabò furono sconfitti da seicento -di quelli di messer Cane Signore.</i></span></h3> - -<p> -Era la gente di messer Cane Signore e di Polo -Albuino in numero di seicento cavalieri del -mese di luglio 1362, essendo messer Bernabò in -Brescia con gente molta più assai di cavallo, la -detta gente di messer Cane in passaggio albergò -<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span> -dinanzi delle porte della città, e una domenica -mattina partendosi di quindi per ridursi a Pescara -e coll’altra gente della lega, lasciato fornite -Ganardo e Pandegoli castella di nuovo per loro -acquistate in sul Bresciano, ed essendo già intra -’l detto Pandegoli e Smaccano, la gente di -messer Bernabò in numero di novecento barbute -e oltra, che in que’ giorni s’era ricolta nel -castello di Lenado, parendo loro avere mercato -della gente di messer Cane, s’apparecchiarono ad -assalirla. La gente di messer Cane sapendo che i -nemici avanzavano il terzo e più, e che nel luogo -dov’erano aveano il disavvantaggio del terreno, -e che si metteano in punto per assalirli, non -aspettarono, e il detto giorno nell’ora del vespro -nella disperazione presono cuore, e assalirono -francamente i nemici in su l’ordinarsi, e col favore -di Dio li misono in rotta, e assai ne furono -morti e magagnati e assai presi, intra’ quali di nome -furono messer Mascetto Rasa da Como loro -capitano, con venticinque conestabili assai pregiati -in arme, e altri assai che non si nominano; e quindi -a non molti giorni trecento barbute della gente -di messer Bernabò in sul Bresciano dalla gente -della lega furono sconfitti. -</p> - -<h3 id="capX-11">CAP. X. -<span class="smaller"><i>Disordine nato tra’ Genovesi per la guerra -de’ Fiorentini e’ Pisani.</i></span></h3> - -<p> -Messer Simone Boccanera primo doge di Genova, -quando privato fu di sua dignità e cacciato -<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span> -di Genova si ridusse a Pisa, e da’ Pisani cortesemente -fu ricevuto, e secondo il suo grado assai -onorato; onde per la detta cagione essendo ritornato -in Genova, e nello stato suo con la forza -di suoi amici e seguaci, a tutto suo podere cercò -che il comune di Genova desse il suo favore a’ Pisani, -e già essendo entrati in lega con loro, quando -il traffico de’ Fiorentini fu levato da Pisa, contro -a qualunque navilio con mercatanzia ch’entrasse -o uscisse dal porto di Talamone, e da -quella a istanza de’ Fiorentini per lo suo consiglio -e comune levato, quando vidde il fuoco -della guerra appreso, con ogni sua forza e sottigliezza -cercava che i Genovesi dessono loro favore -a’ Pisani, ma i mercatanti ed altri cittadini -a tutti suoi avvisi e sforzamenti s’oppuosono, -pure tanto fè, che per deliberazione del comune -s’ottenne e statuì che il comune di Genova si -stesse di mezzo, e nullo aiuto o favore si desse -nè all’uno nè all’altro. Occorse in istanza di -tempo, che i signori priori di Firenze e gli otto -della guerra scrissono a Francesco di Buonaccorso -Alderotti mercatante stato lungamente in Genova, -pratico con tutti i cittadini e da loro ben veduto, -che conducesse quattrocento de’ migliori -balestrieri i più pratichi in guerra che avere potesse -a soldo, con un buono capitano o due. Ciò -venne agli orecchi del doge, e sotto il protesto -della deliberazione fatta per lo comune, che -a’ Fiorentini nè a’ Pisani si desse favore, come -è detto di sopra, prestamente fè fare personale -bando, che niuno potesse conducere nè in Genova -nè nella Riviera alcuno balestriere, e simile pena -<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span> -puose al balestriere se si conducesse. Il valente -mercatante alle sue spese, sponendosi ad ogni pericolo -per zelo di suo comune, se n’andò a Nizza -ch’è della contea di Provenza, e qui s’accozzò -con messer Riccieri Grimaldi, uomo valoroso e -stato in più battaglie campali, e lui solo condusse -capitano di quattrocento balestrieri a fiorini -sette per balestro il mese, i quali furono tutti -uomini scelti e usi in guerra. E per mostrare -messer Riccieri che con amore e affezione venia -a servire il comune di Firenze, volle che intra -il numero de’ balestrieri fossono due suoi figliuoli, -e due di Perino Grimaldi, i quali venuti a Firenze, -e non trovando verrettoni a loro modo, anche -fu scritto per gli otto al detto Francesco, che da -Genova ne mandasse dugento casse. Ed essendo -per lo detto doge posto grave pena a chi ne traesse -del Genovese, il detto Francesco compostosi -co’ doganieri, ne mandò subito centosettanta, le -quali legate a quattro casse per balla con paglia, -e invogliate a guisa di zucchero, e per zucchero -si spacciarono alla dogana. Emmi giovato di così -scrivere, perchè se onorato fosse chi bene fa per -lo suo comune, gli animi degli altri s’accenderebbono -a fare il simigliante. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span> -</p> - -<h3 id="capXI-11">CAP. XI. -<span class="smaller"><i>Come il re di Castella con quello di Navarra -ruppono pace a quello d’Aragona, e -lo cavalcaro.</i></span></h3> - -<p> -Essendo legati insieme, come addietro è detto, -lo re di Spagna, con quello di Navarra, con quello -di Portogallo, e con quello di Granata, e col conte -di Foscì, e con quello d’Armignacca contro il re -d’Aragona, del mese di giugno il re di Castella con -quello di Navarra, amendue in persona, con cinquemila -cavalieri si misono sopra le terre di quello -d’Aragona, la quale è lontana a Sibilia per otto -giornate, e con sedici galee l’assalirono per mare, -avendosi la pace lasciata dopo spalle, facendo grandi -e disonesti danni. E avendo il re Piero di Spagna -lungo tempo tenuta assediata la città di Calatau, e -quelli della città difendendosi coraggiosamente, e -non volendosi arrendere loro, lo re con giuramento -promise, che se non si arrendessono, ed egli li prendesse -per forza, che tutti li farebbe morire: quelli -poco pregiando le sue minacce sollecitamente attendeano -a loro difesa; infine del mese d’agosto -il re per battaglia prese la città e non ricordandosi -che i vinti fossono cristiani, incrudelito contro -loro a guisa di fiera salvaggia, oltre a seimila -cittadini disarmati e vinti fè mettere al taglio -delle spade senza misericordia alcuna. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span> -</p> - -<h3 id="capXII-11">CAP. XII. -<span class="smaller"><i>Come per sospetto in Siena a due dell’ordine -de’ nove fu tagliata la testa.</i></span></h3> - -<p> -In questo tempo e mese di giugno, Giovanni -d’Angiolino Bottoni della casa de’ Salimbeni con -altri gentili uomini di Siena, e con certi dell’ordine -de’ nove, il quale era posto a sedere, tennono -trattato di dovere rimettere l’ordine de’ nove -nello stato. Il popolo avendo di ciò odore, e pertanto -in sospetto, corse all’arme, e nel furore furono -presi un Tavernozzo d’Ugo de’ Cirighi, e uno -Niccolò di Mignanello, ch’erano stati dell’ordine -de’ nove, e furono decapitati. Il capitano della -guardia, ch’era de’ Pigli di Modena, fece tagliare -il capo a un frate e a certi altri: e furono -posti in bando per traditori Giovanni d’Agnolino -Bottoni, e messer Giovanni di messer Francesco -Malavolti, e Andrea di Pietro di messer -Spinello Piccoluomini, e Cinque di messer Arrigo -Saracini, e Francesco di messer Branca Accherigi -dell’ordine de’ nove. Poi a dì 3 di novembre -il detto Giovanni co’ sopraddetti furono ribanditi, -e riposti nel primo stato e onore. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span> -</p> - -<h3 id="capXIII-11">CAP. XIII. -<span class="smaller"><i>Cavalcate fatte per messer Bonifazio Lupo -in su quello di Pisa.</i></span></h3> - -<p> -Avendo messer Bonifazio Lupo preso Ghiazzano, -e predata e arsa la Valdera tutta fuori delle -fortezze, volendo più in avanti cavalcare per suo -onore e del comune di Firenze, vietato gli fu -da’ consiglieri che dati gli erano per lo comune -senza mostrarli il perchè. Il valente capitano -pregiando più suo onore che la grazia e amore -de’ privati cittadini, e non curando i volti turbati, -si mise in viaggio con l’oste ordinata per fornire -sua intenzione. L’uno de’ consiglieri ito più -là nello stato che non portava il dovere scrisse al -fratello, ch’era degli otto della guerra, come il -capitano nullo loro consiglio volea seguire, e che -era uomo di sua volontà, e di mettere il comune -in pericolosi luoghi, con dire procurasse fosse onorato -com’egli onorava loro. Il che ne seguì, che -per operazione del detto degli otto fu eletto per -capitano messer Ridolfo da Camerino, e mandato -per lui, e che prestamente venisse, mostrando -che per le stranezze di messer Bonifazio il comune -n’avesse gran bisogno: e tutto che di ciò ne -sdegnasse messer Bonifazio nol dimostrò, ma come -magnanimo ne fece di meglio. Tornando a -nostro processo, messer Bonifazio spregiato il voglioso -e poco savio consiglio, e forse malizioso -e venduto de’ suoi consiglieri, lasciato Ghiazzano -ben fornito e guarnito alla difesa, l’ultimo dì -<span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span> -di giugno, arsa e predata la Valdera, con molto -ordine cavalcò a Padule, villa ricca e fornita -di belli abituri, e predata e arsa la villa prese -Castello san Piero, e il mercato a Forcole, e per -tre dì soggiornò in quei paesi correndo vicino a -Pisa: e in quel tempo presono, arsono e guastarono -trentadue tra castella, e fortezze e villate, -nelle quali arsono oltre a seicento case, che fu -danno quasi inestimabile; e intra l’altre fortezze -presono Contro, e dieronlo in guardia a’ Volterrani. -Ed essendo la gente grossa de’ Pisani a Castello -del Fosso, i nostri vi mandarono e richiesonli -a battaglia, ed eglino non s’attentarono -d’uscirli a vedere: fu in animo del capitano di -combatterlo, ma fallandoli gli ingegni di combattere -castella, e vittuaglia, si partì quindi, e puosesi -nel borgo di Petriolo, quivi aspettando il -nuovo capitano; dove stando, per non tenere la -sua gente oziosa, e per non dare respitto a’ nemici, -quattrocento tra barbute e Ungari con cinquecento -masnadieri, sotto la guardia e condotta -di Leoncino de’ Pannocchieschi de’ conti da Trivalle -di Maremma soldato del comune di Firenze, -fece cavalcare nella Maremma, lunga dal luogo -dov’era cinquanta miglia, verso Montescudaio -e per que’ paesi, dove trovarono gran preda -di bestiame e grosso e minuto, che per l’asprezza -del luogo ivi s’era ridotto. I nostri non trovando -contasto, fatto gran danno e arsione nel -paese, a dì 9 di luglio menarono al campo dodici -centinaia di bufole e novecento vacche, vitelle -assai, e oltre a mille porci, e altro bestiame minuto -assai, il quale sortito tra i predatori, solo -<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span> -messer Bonifazio per sua cortesia fu senza parte -di preda, lasciandola a chi l’avea faticata. -</p> - -<h3 id="capXIV-11">CAP. XIV. -<span class="smaller"><i>Del processo della guerra da’ collegati -a messer Bernabò.</i></span></h3> - -<p> -Di questo mese di giugno, quelli della lega ripuosono -il castello di Massa presso alla Mirandola, -e lasciatolo ben fornito di vittuaglia e di -gente alla guardia contendeano a guerreggiare -sollecitamente. Dall’altra parte Anichino di -Bongardo con la gente di messer Bernabò ha -riposto il castello di Solaro in sul canaletto, -che esce del canale di Modena, e fornitolo s’è accampato -ivi presso nel bosco facendovisi forte. -Il conte di Lando con messer Ambrogiuolo figliuolo -naturale di messer Bernabò corsono infino -alla Mirandola ingaggiati di battaglia con -la gente della lega, ma in que’ tempi che combattere -doveano grave malattia prese messer -Galeazzo, e, o che così fosse, o che fosse simulata -per non si mettere alla fortuna della battaglia, -il conte di Lando e messer Ambrogiuolo si -tornarono addietro. Il marchese di Ferrara di -questo mese tolse Voghera, terra d’oltre a dugento -uomini, e Guarlasco e più altre terre. Cane -Signore tolse la valle di Sale in sul lago di Garda, -e più altre terre e fortezze. Alquanti vollono -dire questa essere la cagione perchè il conte di -Lando e Ambrogiuolo si tornarono addietro. In -queste baratte e volture per operazione del conte -<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span> -di Lando certi conestabili tedeschi ch’erano -al soldo della lega, loro caporale messer..... -del Pellegrino, in numero tutti di undici, fatta -congiura doveano tradire la lega, i quali furono -presi, e trovando che ciò era vero furono decapitati. -</p> - -<h3 id="capXV-11">CAP. XV. -<span class="smaller"><i>Come messer Ridolfo prese il bastone -da messer Bonifazio.</i></span></h3> - -<p> -Giunse a dì 6 di luglio messer Ridolfo al campo, -che era fra Peccioli e Ghiazzano, dove dalla -gente dell’arme ch’aveano posto amore alla cortesia -e valore di messer Bonifazio con niuno -rallegramento fu ricevuto; e dal vecchio capitano prese -l’insegne, onorandolo in questa forma -di parole, che la bacchetta e il reggimento dell’oste -bene stava nelle sue mani, ma per ubbidire -il comune di Firenze di chi era soldato la prendea: -e presa, di presente lo fè maliscalco, ed egli -ogni sdegno deposto in servigio del comune di -Firenze l’accettò come era ordinato. -</p> - -<h3 id="capXVI-11">CAP. XVI. -<span class="smaller"><i>Della crudeltà che i Pisani usarono contra -i Lucchesi per gelosia.</i></span></h3> - -<p> -Mentre che l’oste del comune di Firenze pigra -e malcontenta sotto il nuovo capitano dimorava -tra Peccioli, e Ghiazzano in Valdera, -aspettando il gran fornimento che ’l capitano -<span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span> -avea domandato, i Pisani per non dimenticare -la loro usata crudeltà, tutti i forestieri che al loro -soldo erano in Lucca feciono ritrarre nell’Agosta, -e segretamente avvisarono da cento cittadini ghibellini -e loro confidati che per grida che elli -udissono andare non si partissono, ma facessono -vista di volere partire, acciocchè gli altri veggendo -apparecchiare loro prendessono viaggio; e -ciò fatto, feciono bandire che sotto pena dell’avere -e della persona, che uomini e femmine, cittadini -e forestieri, dovessono sgombrare la città e -’l contado presso alla città a mille canne, afin -che compiesse d’ardere una candela che posta -era alle porte. Fu miserabile e cordoglioso riguardo -e aspetto di gran crudeltà vedere i vecchi -pieni d’anni, le donne, le fanciulle lagrimose -con sospiri e guai, e i piccoli fanciulli con strida -lasciare loro case, loro masserizie e loro città, e -ire e non sapere dove: i gentili e antichi cittadini, -e nobili mercatanti e artefici in fretta -e sprovveduti fuggire, come avessono spietati -nemici alle spalle loro, e la terra loro lasciassono -in preda. L’orribile bando fu al tempo -dato ubbidito, e la terra lasciata fu vuota, e in -sommo silenzio: di questo prestamente seguì, che -i Pisani ch’erano alla guardia di Lucca co’ loro -soldati e a piè e a cavallo furiosamente uscirono -dell’Agosta colle spade nude in mano, e corsono -l’abbandonata terra senza essere veduti da’ -Lucchesi, gridando; Muoiano i guelfi; a Firenze, -a Firenze: e non aveano potestà di cacciare la gente -de’ Fiorentini ch’erano loro in su le ciglia. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span> -</p> - -<h3 id="capXVII-11">CAP. XVII. -<span class="smaller"><i>Delle cavalcate fatte per messer Ridolfo sopra -i Pisani, e del gran danno che ricevettono.</i></span></h3> - -<p> -Continovando nostro trattato della guerra tra i -Fiorentini e’ Pisani, con poca intramessa di cose -di forestieri, perchè delle occorse in questi giorni, -se occorse ne sono degne di memoria, poche ne avemo, -e raccresciuta la forza del comune di Firenze, -perchè il conte Niccola degli Orsini prima -offertosi, e accettato, era venuto con cento uomini -di cavallo, e così più altri gentili uomini, il perchè -il capitano si trovò con duemila barbute e -con cinquemila pedoni nel campo tra Peccioli -e Ghiazzano, dove pigramente con molta sua infamia -dimorava; il perchè messer Bonifazio Lupo -infignendosi poco sano se ne venne a Firenze. -Alla fine empiuto il gran fornimento che domandava, -sotto il cui adempimento si scusava di -sua pigrizia, più non potendo fuggire sue scuse, a -dì 16 del mese di luglio con l’oste si partì da -Peccioli, e la notte albergò a Ponte di Sacco, e -’l dì seguente passarono il fosso a malgrado della -forza de’ Pisani che v’era alla guardia, con loro -danno e vergogna, ed entrarono nel borgo di -Cascina, dove preda e vittuaglia trovarono assai. La -cagione fu, ch’essendo alla guardia del fosso -un quartiere di Pisa con soldati e contadini assai, -non pensarono che i Fiorentini vi potessono passare, -e per tanto poco o niente v’era sgombrato. -Gli Ungari de’ Fiorentini, come per natura sono -<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span> -desiderosi di guadagnare, e atti a scorrere, passarono -insino alla Badia a Sansavino, e presono intorno -di cinquanta prigioni. Il capitano tutto il -giorno e ’l seguente stette col campo fermo a -Cascina, dove intorno correndo le gualdane per -spazio di più miglia, e di prede e d’arsioni danni -inestimabili furono fatti. Il martedì mattina a -dì 19 di luglio partiti da Cascina s’accamparono -a Sansavino, e ’l fiore della gente da cavallo e -da piè cavalcarono infino alla volta dell’Arno -presso a Pisa a cinquecento passi, ed ivi alla Bessa -con l’usate muccerie, ad eterna rinoma del comune -di Firenze, e infamia de’ Pisani, feciono -correre un ricco palio di veluto in grana foderato -di vaio, il quale ebbe il conte Niccola degli Orsini, -e lo mandò a Roma per onore della sua cavalleria. -I corridori con assai di buona gente sotto -il bastone di messer Niccola Orsini passarono -Pisa facendo assai di male e vergogna a’ nemici. -Fatte le dette cose si tornarono al campo: e quel -giorno medesimo passata nona, ritornati al detto -luogo, con assai meno gente per dirisione feciono -correre palii l’uno ad asini, l’altro a barattieri, e ’l -terzo alle puttane; onde i Pisani di tanta ingiuria -aontati, seicento a piè con dugento cavalieri con -molti balestrieri, con la imperiale levata, uscirono -di Pisa per vendicare o in tutto o in parte loro oltraggio. -La gente de’ Fiorentini, ch’era a fare correre -detti palii, ed era in punto e vogliosa aspettando -il detto caso, francamente s’addirizzò a loro, -e li ruppono e li rimisono infino nelle porte con -tanto ardire, che alquanti con loro mescolati entrarono -in Pisa, e alquanti balestrieri saettarono nella -<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span> -terra, e ciò fatto si tornarono al campo: e quivi -stando, il mercoledì arsono tutto ciò che poterono -intorno a Pisa infino al borgo di san Marco a san -Casciano, e Valdicaprona e molte altre ville, con -molte belle e ricche possessioni nobilmente accasate. -Il danno come incredibile piuttosto è da -tacere che da scrivere: e per giunta a’ detti -mali, i villani de’ piani ch’erano rifugiati in Pisa, -e stavansi sotto loro carra lungo le mura, furono -assaliti dalla pestilenza dell’anguinaia, e assai -ne perirono. E ciò somigliava agl’intendenti giudicio -di Dio, che dentro e di fuori così gastigasse -i corrompitori della pace e della fede data per -soperchio d’astuta malizia. -</p> - -<h3 id="capXVIII-11">CAP. XVIII. -<span class="smaller"><i>Come messer Ridolfo assediò Peccioli, e prese -stadichi se non fosse soccorso.</i></span></h3> - -<p> -Poichè a messer Ridolfo parve avere fornito il -dovere di suo onore, potendo molto più fare, mercoledì -a dì 20 di luglio ripassò il fosso, e ritornossi -a Ponte di Sacco; dove stando, casualmente -fu preso un fante che portava una lettera per -parte del castellano di Peccioli al capitano del -fosso, la quale in sostanza diceva, che i soldati da -cavallo e da piè con molti terrazzani, sentendo -che ’l capitano de’ Fiorentini era a Sansavino occupato -in molte faccende, erano usciti di Peccioli, -e cavalcati in su quello di Volterra per guadagnare, -e che tornati non erano, e la cagione non -sapea, e che la terra non era in stato di potersi -<span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span> -difendere se fossono combattuti o stretti per assedio, -e che a ciò riparasse, e gli mandasse presto -soccorso; ed era vero, che essendo la detta gente -de’ Pisani cavalcata in su quello di Volterra, certa -gente da piè e da cavallo del comune di Firenze, -la quale era in Volterra, avendo boce della detta -gente de’ Pisani loro si feciono incontro, e colla -forza de’ contadini volterrani gli incalciarono e -strinsono in forma, che non possendo fuggire nè -ritornare per la via ond’erano venuti, lasciata la -preda che fatta aveano, in sul fare della sera per -loro scampo si ridussono in su un colle, e la notte -si misono per la Maremma. Il capitano vista la -detta lettera mandò prestamente gli Ungari e’ cavalieri -innanzi per impedire la tornata della detta -gente in Peccioli, e senza dimoro con tutto -l’oste seguì, e quella medesima sera con l’oste -attorneò tutta la terra, e il seguente dì la cominciò -a cignere di steccato facendo sollecita guardia, -e la sera in sul tramontare del sole, per conoscere -se la lettera che egli avea trovata gli dicea -vero, fece dare alla terra una battaglia per scorgere -la gente che v’era alla difesa, e per quello -comprendere si potè forse sessanta uomini con -femmine assai si vidono, che diedono a intendere -che vi mancava difesa; il procinto della -terra era grande, ma forte e di muro e di ripe. -Il capitano scorto il fatto pigramente procedea -nell’assedio, dormendo la mattina insino a terza -col letto fornito di disonesta compagnia, e -menando vita di corte quieta; il perchè messer -Bonifazio, uomo d’onesta vita e di vergogna pauroso, -veggendo la sciolta vita del capitano e suo -<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span> -mal reggimento, infignendosi d’essere malato -se ne venne a Firenze, e mostrando a’ signori che -poco era loro onore e necessario, chiese licenza di -tornarsi in Lombardia; i signori con loro consiglio -considerando quanto era di bisogno al comune, -lo pregarono e lo gravarono, che a tanto bisogno -non abbandonasse il servigio per lui fedelmente -cominciato, e che tornasse al campo a perseguire -le buone opere sue, le quali bene erano conosciute -e gradite da’ savi e buoni cittadini, e così conosciute -quelle del suo successore; il perchè vinto -per servire il comune tornò al campo. Il capitano -corse in voce di poco leale per i suoi molti falli, e -per non volere seguire la volontà del comune, e -di ciò mostrò segni, perocchè la cavalcata che -fatta avea sopra i Pisani non era stata volontaria -ma sforzata, riprendendo sua tardezza, e potendo -con suo onore stare dodici dì col fornimento -che menò in su le porte di Pisa, e guastare gran -parte di loro contado, il terzo dì se ne partì, e potendo -per battaglia avere Peccioli, tanto soprastette, -che le femmine armate le mura presono -cuore alla difesa veggendo la viltà del capitano: -ma infamato dalla partita di messer Bonifazio -Lupo e da’ Fiorentini ch’erano nel campo, tutto -che i suoi protettori lo difendessono, ed esso sè -medesimo mostrando a molti le lettere ch’avea da -Firenze, che si portasse cortesemente, pur mosso -dal grido strinse la terra prima con battaglia -tiepida e con poco ordine, e tanto debilmente -si portò in detto e in fatto, che con vergogna da -pochi di quelli d’entro, che pochi ve n’erano, vituperosamente -fu ributtato, i quali intendendo -<span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span> -loro fortuna aveano smisurata paura, e mostravano -gran cuore per invilire quelli di fuori. Ritratto -il capitano dalla poca favorata battaglia, ne’ -fossi rimasono scale e grilli che infino alle mura -erano condotti, di gran dispiacimento dei nostri -cittadini che erano a vedere. Tra i rettori del -comune, tutto ch’e’ conoscano il difetto, per la -forza di medici radissime volte vi pongono rimedio -obliando l’onore del comune. La fama della -viltà e disonesta vita del capitano, o calunniosa -o vera che fosse o falsa, pure lo stimolò -alquanto; onde veggendo egli che i Pecciolesi -erano spigottiti, cominciò a cignere la terra di -steccato senza contasto, perocchè stracchi erano -sotto le battaglie e sotto la continova guardia -quelli che rimasi erano nella terra per più vili, -perocchè tutti i gagliardi s’erano messi nella cavalcata -sopra Volterra. Alla fine quelli d’entro -veggendosi stretti, e senza speranza di soccorso, -a dì 30 di luglio il vicario di Peccioli con più -compagni senza niuna arme a sicurtà dal capitano -vennono a lui, e patteggiarsi, che se per infino -a dì 10 d’agosto non avessono da Pisa soccorso -li renderebbe la terra salve le persone e l’avere, -e per la fermezza di ciò dierono otto stadichi -de’ più sufficienti uomini della terra, e due Pisani, -i quali il capitano ricevette, e li mandò a -Firenze. I Fiorentini ricevuti li stadichi, quasi -certi d’avere la terra, perchè loro speranza non -cadesse in fallo rafforzarono l’assedio, e mandaronvi -mille balestrieri e dugento uomini da cavallo, -e fornimento assai necessario alla bisogna; -e come l’intento de’ Pisani tutto si dirizzò ad -<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span> -avere Pietrabuona, così lasciando stare ogni altra -cosa, tutto quello de’ Fiorentini s’addirizzò ad -avere Peccioli. Come per gli ambasciadori del comune -di Peccioli si sentì il fatto in Pisa, subitamente -nel Duomo radunarono il parlamento, -dove per molti apertamente fu detto, che per -loro governatori erano traditi, i quali affermavano -che tanta gente avrebbono di Lombardia, che -non che fossono cavalcati, ma che si cavalcherebbono -i Fiorentini, di che gran borboglio si sparse -per lo parlamento, e tale, che fè concitamento a -civile romore. Essendo in Pisa questo tremore e -sospetto, e dovendo succedere l’altro quartiere di -Pisa a quello ch’era alla guardia del fosso, non -vi volle andare, onde quelli che v’erano lo arsono -e abbandonarono. -</p> - -<h3 id="capXIX-11">CAP. XIX. -<span class="smaller"><i>Come non essendo il castellano contento -del patto messer Ridolfo fè gittare -una delle torri di Peccioli -in terra.</i></span></h3> - -<p> -Perseverando a Peccioli l’assedio, il castellano -che tenea le due forti torri che Castruccio -v’avea fatte fare quando era signore di Pisa, -non contento al patto che fatto era co’ terrazzani, -combattea i nostri, e li villaneggiava di parole, -stimando perduta la terra potere tenere la fortezza -lungamente. Il capitano veggendo suo proponimento -fece dirizzare alle torri, intra le quali era -un ponte, una cava, e l’una d’esse fè mettere in -<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span> -puntelli, e il decimo dì d’agosto, il dì di san Lorenzo, -ch’era l’ultimo del termine dato a’ Pecciolesi, -il capitano fè dire al castellano il suo pericolo -pregandolo s’arrendesse, e non volesse perire -per soverchia baldanza. Il castellano e i fanti -che con lui erano se ne feciono beffe, moltiplicandole -villanie, e rimproverando al comune di -Firenze la Ghiaia, il perchè il capitano fè affocare -i puntelli, onde il fumo e il crepare della -torre fè segno al castellano e a’ compagni che per -lo ponte si rifuggissono nell’altra, e così feciono, -e appena aveano tratti i piè del ponte, che la -torre e ’l ponte cadde, onde cominciò a frenare -la lingua: la torre cadde in sulle mura della terra, -e di quelle abbattè bene quaranta braccia. I -briganti dell’oste cupidi e vogliosi di preda ciò -veduto s’apparecchiarono quindi a entrare nella -terra per rubare; i terrazzani uomini e femmine -senza arme corsono alla rottura, e gridarono, viva -il comune di Firenze, ricordando la fede loro -data, e la promessa fatta per lo comune; e il -leale e buono cavaliere messer Bonifazio Lupo -sotto la sua insegna con la sua gente si mise alla -guardia del luogo, e non lasciò nè il dì nè la notte, -che tutta era del termine, alcuno entrare dentro, -affermando che ’l comune di Firenze era e sempre -era stato leale osservatore di sue promesse. -Il seguente dì, giovedì mattina a dì 11 d’agosto -1362, in su l’ora della terza, secondo i patti e le -convenenze che fatte erano, il conte Aldobrandino -degli Orsini con la brigata sua, appresso tre -cittadini di Firenze con parte di gente fidata, -presono la tenuta della terra pacificamente senza -<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span> -offesa niuna o di fatti o di parole, e nella terra -con li stadichi insieme, che gli avea rimandati -il comune, furono ricevuti allegramente e a grande -onore. Dell’acquisto del detto castello e di -giorno e di notte si fece gran festa, perocchè tenendolo -pensavano essere i sovrani della guerra, -perocchè dal detto castello ha sedici miglia di -piano, rimiriglio alla città di Pisa. Il castellano -vedendo che la terra era venuta nelle mani de’ -Fiorentini, e considerando che la torre che gli era -rimasa agevolmente si potea mettere in puntelli, -si rendè, ma per i suoi dispetti non fu ricevuto -se non alla misericordia del comune di Firenze, -dove mandato fu per lo capitano con i suoi compagni. -Venuto, fu tenuto consiglio di farli morire, -che fu disonesta e abominevole cosa, e di malo -esempio di volere fare morire coloro che per lo -comune francamente e fedelmente s’erano portati: -il parlarne, non che tenerne consiglio per i -savi e buoni cittadini, fu ripreso; assai loro fu la -prigione. In questi medesimi giorni i gentili uomini -e signori del castello di Pava, il quale è -situato e posto in sul passo da ire di Valdera in -Maremma, ed è forte e bella tenuta, la dierono -al comune di Firenze in prestanza mentre la -guerra durasse, e il comune di Firenze con la -grazia de’ detti gentili uomini lo faceva guardare. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span> -</p> - -<h3 id="capXX-11">CAP. XX. -<span class="smaller"><i>Come il capitano de’ Fiorentini prese -Montecchio, Laiatico e Toiano.</i></span></h3> - -<p> -Tolta la terra di Peccioli, come di sopra è -detto, il seguente dì 12 d’agosto il capitano pose -assedio al castello di Montecchio, dove erano ridotti -dugento masnadieri per tenere a freno e -guerreggiare la gente del comune di Firenze, i -quali assai danno aveano fatto loro nell’assedio -di Peccioli, e il detto castello di Montecchio circondarono -intorno intorno strettamente, dove -stati più giorni, alquante volte con battaglie gli -tentarono; il perchè quelli d’entro inviliti intorno -di sessanta di loro di notte si gittarono per -uno dirupato d’altezza paurosa a vedere, e di loro -ne morirono alquanti, e’ loro compagni al campare -ebbono affanni assai. Quelli ch’aveano avuto -paura di rovinare per quelle coste renderono -il castello e le persone alla misericordia del comune -di Firenze, e di loro centoquarantaquattro -ne vennono a Firenze, i quali messi in prigione, -dagli uomini e pietose donne fiorentine e di vivanda -e di ciò che a loro bisognava abbondantemente -furono provveduti. Il seguente dì, tornando -al processo del capitano, cavalcò a Laiatico, -e quello ebbe per battaglia; e il dì medesimo -si posono a Toiano, e da’ terrazzani ebbono -il castello, e pochi dì appresso la rocca, d’onde -venne a Firenze la campana che è posta in sul -ballatoio del palagio de’ priori, la quale ai mercatanti -<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span> -dà l’ora del mangiare. Dipoi il capitano -cavalcò a Montefoscoli e a Marti per porvi assedio: -ciò vietò il non trovarvi acqua, onde si tornò -a Fabbrica; dove stando, il capitano cupido -del guadagno mandò quattrocento cavalieri e -masnadieri assai nella Maremma dove sentì esser -fuggito molto bestiame. I mandati in pochi -giorni, tornarono con gran preda di bestiame, -preso il vicario di Piombino, grande popolare di -Pisa il quale novellamente andava all’uficio, e -per sua mala ventura si scontrò co’ suddetti, e -con tutta sua famiglia rimase preso. La preda -messer Ridolfo divise, non come fatto avea messer -Bonifazio, ma capo soldo, e più che parte ne -volle, di che forte ne fu biasimato, e dell’amore -cadde di tutta gente d’arme ch’erano a sua ubbidienza. -</p> - -<h3 id="capXXI-11">CAP. XXI. -<span class="smaller"><i>Dell’aiuto che i Perugini in questi dì -mandarono a’ Fiorentini.</i></span></h3> - -<p> -Sentendo i Perugini che i Fiorentini aveano -avuto la terra di Peccioli, e che loro fortuna sormontava, -volendo ammendare il vecchio errore, -commisono il nuovo maggiore, e mandarono -a’ Fiorentini sessanta barbute e venticinque stambecchini, -i quali come meritavano con torto viso -e rimbrotti del popolo furono ricevuti. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span> -</p> - -<h3 id="capXXII-11">CAP. XXII. -<span class="smaller"><i>Come il conte Aldobrandino degli Orsini si -partì onorato da Firenze.</i></span></h3> - -<p> -Il conte Aldobrandino degli Orsini, il quale -era venuto al servigio del comune di Firenze, -preso Peccioli si tornò a Firenze per tornarsi in -suo paese. Il comune di Firenze avendo a grato -il servigio per lui liberamente fatto, e ciò riputandosi -a onore, lo provvidde largamente, e a dì -29 del mese d’agosto con rilevato onore lo feciono -fare cavaliere del popolo di Firenze, e messer -Bonifazio Lupo procuratore a ciò del comune: -ed esso conte Aldobrandino fece il suo fratello -minore cavaliere. E amendue d’arme e cavalli -e d’altri doni cavallereschi riccamente furono -provveduti e onorati; e per loro fece il comune -un nobile e ricco corredo: e fornita la festa si -partì di Firenze, accompagnato da tutti i cittadini -ch’aveano cavalcature. -</p> - -<h3 id="capXXIII-11">CAP. XXIII. -<span class="smaller"><i>Come e perchè si creò la compagnia del -Cappelletto.</i></span></h3> - -<p> -La Presura di Peccioli fu materia di scandolo -tra ’l comune di Firenze e’ soldati, perocchè certi -di loro, ciò fu il conte Niccolò da Urbino, Ugolino -de’ Sabatini di Bologna, e Marcolfo de’ Rossi -da Rimini, uomini di grande animo e seguito, -<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span> -con la maggior parte de’ conestabili tedeschi, -a instigamento de’ procuratori di loro paghe, a dì -30 d’agosto detto anno 1362 mossono lite al comune, -dicendo, che per la presura di Peccioli doveano -avere paga doppia e mese compiuto, e -che avendola in mano contro a loro volere il capitano -prese li stadichi, dicendo, che se non avessono -il debito loro non cavalcherebbono; e sopra -ciò stando pertinaci mandarono loro ambasciadore -a Firenze, e ciò feciono noto a’ priori il perchè -avuto per i priori sopra ciò consiglio da chi -di ciò s’intendea, determinarono che loro domanda -non era ragionevole; onde tornato al campo -l’ambasciadore con questa risposta, furiosamente -il detto conte Niccolò, Ugolino, e Marcolfo -puosono un cappello in su una lancia, dicendo, -che chi voleva paga doppia e mese compiuto si -mettesse sotto il detto segno fatto, i quali in poca -d’ora si ricolsono il detto conte Niccolò, Ugolino, -e Marcolfo con loro brigate, e molti caporali -tedeschi e borgognoni, tanto che passarono -il numero di mille uomini da cavallo, di che il -capitano dubitò di tradimento, non possendoli -con parole rattemperare, richieggendoli per loro -saramento, e per la fede promessa al comune di -Firenze, che loro indebito proponimento dovessono -lasciare, e tutto era niente, che quanto -più li pregava e richiedea più levavano il capo, -e più li trovava duri e pertinaci. Onde per più -sano consiglio essendo con tutta l’oste intra Marti -e Castello del Bosco all’entrata del mese di settembre, -levò il campo, e tornossi a san Miniato -lasciando le tenute che prese avea fornite e di -<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span> -vittuaglia e di gente. Come ciò fu noto a Firenze, -il detto conte Niccolò, Ugolino, e Marcolfo, -e’ conistabili tedeschi di presente furono cassi, -ed essi si radunarono all’Orsaia in quello d’Arezzo, -e crearono compagnia, la quale per lo caso -detto di sopra del cappello posto in sulla lancia -titolarono la compagnia del Cappelletto, e quivi -fatto il capo a’ ladroni, in piccolo tempo molto -ingrossarono. I Pisani sentendo la dissensione -della gente del comune di Firenze, rassicurati -non poco, con l’arte loro ritolsono Laiatico, dove -senza volere alcuno a prigione, uccisono venticinque -fanti che v’erano dentro alla guardia, -intra i quali furono cinque di nome; per la qual -cagione i Fiorentini sdegnati trassono di Peccioli -quasi tutti i migliori terrazzani, de’ quali parte -ne vennero a Firenze, e per loro vita dal comune -ebbono provvisione: gli altri terrazzani veggendo -la gelosia presa per i Fiorentini, tutti quelli -ch’avessono forma d’uomo se n’uscirono, onde -la terra rimase a’ soldati. Il simile feciono quelli -di Ghiazzano, e di Toiano, e dell’altre tenute -prese pe’ Fiorentini. Nei detti dì essendo il -capitano venuto a Firenze, i Pisani con seicento -cavalieri e molti pedoni corsono in su quello di -Volterra, e levarono preda di trecento bestie -grosse, e uccisono alquanti uomini, e alquanti ne -presono. La gente del comune ch’era in Peccioli -non stava oziosa, ma sovente cavalcavano, sino -sulle porte di Pisa, mettendo aguati, e prendendo -prigioni, e facendo aspra e sollecita guerra, -tanto feciono che ’l contado di Pisa verso le -<span class="pagenum" id="Page_176">[176]</span> -parti dove poteano cavalcare non s’abitava, nè -si poneva a seme. -</p> - -<h3 id="capXXIV-11">CAP. XXIV. -<span class="smaller"><i>Comincia la guerra che i Fiorentini feciono -in mare a’ Pisani.</i></span></h3> - -<p> -Del mese d’agosto le galee di Perino e quelle -di Bartolommeo condotte al soldo dal comune -di Firenze furono nella riviera di Pisa verso Piombino, -facendo in quelle riviere gran danni, e in -quelli giorni messer Niccola Acciaiuoli gran siniscalco -del regno di Puglia, alle sue spese mandò -due galee a servire il nostro comune per tempo -di due mesi, le quali detto tempo assai affannarono -i Pisani, non lasciando nel porto di Pisa legno -che non pigliassono, rubassono e ardessono: e all’isola -della Capraia scesono in terra, e levarono preda -di mille capi di bestie, e il simile feciono al -Giglio e a Vada per tutta quella marina dove danni -di preda o d’arsioni poterono fare, a grande -onore del comune di Firenze. Perino Grimaldi all’entrata -di settembre per simile modo correva la -detta marina facendo gran guerra, e per battaglia -prese la Rocchetta, la quale è posta in su la -marina intra Castiglione della Pescaia e Piombino -in forte luogo; li terrazzani rifuggirono -nella rocca, e’ Genovesi presono la terra, e forniti -di vittuaglia la rubarono e arsono. Fu riputato -per Italia in grande onore al nostro comune, -e non senza ammirazione di chi l’intese, che i -<span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span> -Fiorentini potessono in mare più che i Pisani, e -che per acqua li tenessono assediati. -</p> - -<h3 id="capXXV-11">CAP. XXV. -<span class="smaller"><i>Come e perchè i Romani si dierono al papa.</i></span></h3> - -<p> -In quel tempo lo stato di Roma e reggimento -era tornato nelle mani del popolo minuto, del -quale si facea capo, ed era il maggiore e quasi -signore un Lello Pocadota, ovvero Bonadota calzolaio, -il quale col favore del detto popolo avea -cacciati di Roma i principi, e’ gentili uomini, e’ -cavallerotti, ed essi di fuori accoglieano gente, -e misono in grida che aveano al loro soldo condotta -la compagnia del Cappelletto, la quale allora -era in Campagna, di che per questa tema -i governatori di Roma feciono seicento uomini -a cavallo di soldo tra Tedeschi e Ungheri, e -altrettanti de’ loro cittadini, e numerato il popolo -romano a piè si trovarono essere ventidue -migliaia d’uomini armati, e per temenza la notte -faceano guardare le porte. Occorse in questi -giorni, o per sagacità che fosse, o per errore -de’ gentili uomini, che avendo i Romani mandato -loro potestà a Velletri, fama uscì fuori -che quelli di Velletri l’aveano morto, onde i -rettori di Roma diffidati di loro stato accolsono -consiglio, e coll’autorità d’esso dierono al papa -il governo della città liberamente come a signore: -ben vollono per patto che messer Guido cardinale -di Spagna non vi potesse avere alcuno ufizio -o giurisdizione. Tu che leggi ed hai letto le alte -<span class="pagenum" id="Page_178">[178]</span> -maravigliose cose che feciono i buoni Romani -antichi, e tocchi queste in comparazione, non ti -fia senza stupore d’animo. -</p> - -<h3 id="capXXVI-11">CAP. XXVI. -<span class="smaller"><i>Come Dio chiamò a sè papa Innocenzio, e fu -fatto papa Urbano quinto.</i></span></h3> - -<p> -Fu papa Innocenzio sesto uomo di semplice -ed onesta vita, e di buona fama, colla quale passò -di questa vita a migliore a dì 11 di settembre -1362, e a’ tredici dì fu seppellito alla chiesa di -nostra Dama d’Avignone. Sedette papa anni nove, -mesi otto e dì sedici: vacò la Chiesa di Roma -dì quarantotto. I cardinali essendo chiusi in conclavi -in numero ventuno a dì 28 di settembre, -si trovò che dato aveano quindici voci al cardinale...... che -fu vescovo di...... monaco -nero, e di nazione Limogino, uomo per età antico, -e per vita di penitenza, e del tutto dato -allo spirito, a cui essendo revelato lo squittino, -avanti che pubblicato fosse papa con molto fervore -d’amore e umiltà rinunziò. I cardinali, perchè -per avventura non era chi arebbono voluto, -accettarono la rifiutagione. Appresso il cardinale -di Tolosa nipote del cardinale d’Aubruno -ebbe undici voci delle ventuno, un altro -dieci, un altro nove, onde a’ trenta di settembre -gara entrò tra’ cardinali, ed erano in grande -discordia, ch’una parte d’essi il volea Limogino, -e l’altra no. In fine come piacque a -Dio, da cui viene ogni bene e ogni grazia, il dì -<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span> -ultimo d’ottobre elessono in papa messer Guglielmo -Grimonardi, nato della Siniscalchia di -Belcari, il quale era abate di san Vittore di -Marsilia, dell’ordine di san Benedetto, uomo -d’età di sessanta anni, onesto e di religiosa -vita, pratico e intendente assai. Costui di settembre -era venuto con danari che la Chiesa -mandò al legato ambasciadore alla reina Giovanna, -passò per Firenze, e di convito de’ signori fu -riccamente onorato; sentita per lui la morte -d’Innocenzio si partì di Firenze, ed osò dire, -che se per grazia di Dio vedesse papa che avesse -in cura di venire in Italia, e alla vera sedia -papale, e abbattesse i tiranni, e l’altro dì morisse, -sarebbe contento. I cardinali perchè non -era in Avignone, come scritto avemo, quando fu -eletto, lo tennono celato, e mandarono per lui -fingendo per certe cagioni averne prestamente -bisogno, e segretamente a dì 30 d’ottobre entrò -in Avignone, e a dì 31 fu pubblicato papa, e nomato -Urbano quinto: prese il manto e la corona -a dì 6 di novembre. -</p> - -<h3 id="capXXVII-11">CAP. XXVII. -<span class="smaller"><i>Come al re Pietro di Castella morì un -figliuolo che avea.</i></span></h3> - -<p> -La novità del fatto ne dà materia di mettere -in nota quello che passare con silenzio, essendo -stato il caso in altrui, non era da ripigliare. -Del mese d’aprile passato, Pietro re di Castella -avendo un figliuolo di dama Maria sua femmina -<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span> -d’età di tre anni e mezzo, volle dare a intendere, -e fare credere al suo reame, che fosse legittimo -e naturale, e pubblicamente osò dire, che -la detta dama Maria era sua legittima sposa; e -per affermare a’ sudditi suoi quello dicea, volle -e ordinò che tutti quelli che aveano a fare omaggio -alla corona a certo giorno dato giurassono fedeltà -nelle mani del fanciullo, e così feciono tutti -i suoi baroni, chi per amore e chi per paura, -e per reverenza d’omaggio tutti li baciarono la -mano, e il simile feciono i sindachi di tutte le -comunanze del suo reame. Nel detto anno del -mese d’ottobre il fanciullo morì, di che il re -duolo ne prese a dismisura, e vestissene a nero -con tutti i suoi baroni. Dimostrò che a Dio sovente -non piace quello che piace all’uomo, massimamente -le burbanze. -</p> - -<h3 id="capXXVIII-11">CAP. XXVIII. -<span class="smaller"><i>Come Perino Grimaldi prese l’isoletta -e castello del Giglio.</i></span></h3> - -<p> -All’entrante del detto mese d’ottobre, Perino -Grimaldi da Genova al soldo del comune di Firenze -con due galee e un legno, giunte a lui -l’altre due galee condotte per lo comune, si dirizzò -all’isola del Giglio, e scesi in terra con -molto ordine assalirono la terra con aspra battaglia. -I terrazzani tutto che sprovveduti francamente -si difesono, e per lo giorno la battaglia durò -dalla terza al vespero, nella quale di quelli -d’entro molti ne furono morti, molti magagnati -<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span> -dalle buone balestra de’ Genovesi. Partita la battaglia -i Genovesi si tornarono a loro galee, e medicarono -i loro fediti, e presono la notte riposo. -Il seguente dì la mattina tornarono alla battaglia -con molto più cuore e ordine, avendo scorta la -paura e il male reggimento di quelli della terra: -così disposti andando, si feciono loro incontro tre -di quelli della terra senza arme gridando, pace -pace, e giunti al capitano, lui ricevente per lo -comune di Firenze dierono la terra salvo loro -avere e le persone, e così per Perino furono -graziosamente ricevuti, e nella terra i Genovesi -entrarono, non come nemici, ma come terrazzani -pacificamente, e’ terrazzani si trassono con -loro a combattere la rocca, con minacciare il -castellano, il quale, cominciata la battaglia, vile -e impaurito, temendo non tagliassono la rocca da -piè con le scuri, disse si volea arrendere salvo -l’avere e le persone, e avendo dal comune di -Firenze le paghe ch’avea servite, e così fu ricevuto. -Perino avendo fatto tanto nobile acquisto -al nostro comune, fornita la rocca di vittuaglia -e di sufficienti guardie, e seguendo la felice fortuna -prese viaggio verso l’Elba. Il comune di Firenze -mandò castellano al Giglio; e perchè avea -soperchiati i Pisani in mare fè disordinata festa -e letizia e di dì e di notte. Questa ventura fu -tenuta mirabile, e operazione di Dio piuttosto che -umana, considerato che la terra e la rocca sono -da guardarle e lasciarle stare, e nè la forza del -comune di Genova, che più volte avea tentato -la ventura dell’acquisto del Giglio, nè quella -de’ Catalani, nè quella de’ Pugliesi, che più e -<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span> -più volte aveano cercato il simile, e con aspre -e continove battaglie aveano combattuta la terra, -e non potuto acquistarvi una pietra, facevano -la cosa più ammirabile. Come a Pisa fu la -novella sentita duri lamenti vi furono, parendo -loro vilia di mala festa, poichè i Fiorentini li -sormontavano in mare: e di certo loro intervenne -il detto del savio, il quale dice: Extrema gaudii -luctus occupat; che suona in volgare: Gli estremi -della letizia sono occupati dal pianto; così occorse -a’ Pisani, per la disonesta e pomposa festa e -allegrezza che feciono per Pietrabuona, avvilendo -in parole e in fatti a dismisura i Fiorentini, -la quale in sì breve tempo fu soppresa da tante -avversitadi. E ciò è chiaro esempio al nostro comune -d’usare la vittoria onestamente, e non -straboccare nelle vane e pompose feste per loro -vittorie. -</p> - -<h3 id="capXXIX-11">CAP. XXIX. -<span class="smaller"><i>Come messer Piero Gambacorti per trattato -si credette tornare in Pisa.</i></span></h3> - -<p> -Piero Gambacorti uscito di Pisa, il quale molto -tempo innanzi che la guerra si cominciasse, -avendo rotto i confini che per lo suo comune -gli erano stati assegnati a Vinegia, si conducea -in Firenze per essere più vicino di Pisa, se la -fortuna gli avesse apparecchiato via da ricoverare -suo stato. E stando in Firenze, del mese d’ottobre -tenne segreto trattato co’ suoi fidati amici, -che molti ancora n’avea, di ritornare in Pisa -con la forza de’ Fiorentini, che di qui gli era -<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span> -promessa e doveali essere data la porta di san -Marco; proseguendo suo trattato, ed essendo dato -il giorno, a dì 10 d’ottobre, col capitano de’ Fiorentini, -e con settecento cavalieri e trecento -Ungari si partì di Peccioli, e giunsono a Pisa -nella mezza notte, ed entrarono nel borgo di -san Marco; ed essendo all’antiporto della terra, -e non essendo loro risposto, cominciarono a volere -rompere quella: dentro desto il fatto di subito -furono all’arme, e la terra tutta impaurita -e in tremore: due conestabili de’ nostri, -ch’erano già in su l’antiporto vi furono morti: -e non sapendo quelli d’entro se quelli di fuori -erano assai o pochi, mandarono fuori tre bandiere -d’uomini a cavallo, i quali per i nostri furono -tutti tra presi e morti; onde i Pisani veggendo -che il fatto era maggiore che non si stimavano, -giugnendo paura a paura per la notte, si -dierono a guardia delle mura sollecitamente. -Veggendo il capitano e Piero che ’l fatto era -scoperto, e la sollecita guardia, e non sentendo -dentro dissensione di romore cittadinesco, arsono -il borgo, e co’ prigioni e preda si tornarono a -Peccioli. La cagione perchè non ebbe effetto il -trattato fu, che la sera innanzi che i nostri cavalcassono -presentendo i Pisani che trattato era -nella terra, tutto non sapessono che, in caccia -feciono tornare tutti i loro soldati a cavallo e a -piè in Pisa; veggendo gli amici di Piero ciò non -s’ardirono a scoprire per paura: se ciò non fosse -stato, Pisa per quella volta venia alle mani del -comune di Firenze. Credo nol volle Iddio per meno -male, che tanto erano infiammati i Fiorentini, -<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span> -che rischio era della desolazione di quella -città. Tornati i nostri a Peccioli, il seguente -giorno cavalcarono al Bagno ad Acqua e arsonlo, -e molte altre ville d’attorno. -</p> - -<h3 id="capXXX-11">CAP. XXX. -<span class="smaller"><i>Come Perino Grimaldi soldato del comune -di Firenze prese Portopisano, e le catene -del detto porto mandò a Firenze.</i></span></h3> - -<p> -Nel detto anno del mese d’ottobre, Perino -Grimaldi a soldo del comune di Firenze, con -quattro galee e un legno bene armati e di buona -gente, avendo fatto dannaggio assai per la riviera -di Pisa, si mise in Portopisano, e giunti -alle piagge, e con barche misono a terra una -parte de’ loro balestrieri, i quali colle balestra -francamente assalirono cinquanta cavalieri e -molti fanti che per i Pisani erano posti alla -guardia del porto, temendo che l’armata de’ Fiorentini -non li danneggiasse nel seno del porto -loro. La gente de’ Pisani non potendo sostenere -l’oppressione della balestra abbandonarono il -porto, onde i Genovesi presono il molo, e senza -arresto giunti al palagio del ponte v’incominciarono -colle balestra aspra battaglia: nel palagio -erano venti masnadieri, i quali ben guerniti -alla difesa non lasciavano i Genovesi appressare -alla porta. Durando la detta battaglia per lungo -spazio, il capitano delle galee saputo guerriere fece -a due galee levare alto gli alberi, e miservi -l’antenne, e nella vetta di ciascuna antenna mise -<span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span> -una gabbia, e allogò due de’ migliori balestrieri -ch’egli avesse nell’armata, e le galee condussono -vicine al palagio, e l’antenne levavano -alte a bassavano come domandavano i balestrieri -ch’erano nelle gabbie, e talora erano al pari -del palagio, e talora più alti, e ferendo i fanti -ch’erano alla guardia sopra la porta non li lasciavano -scoprire alla difesa, onde quelli ch’erano -a piè del palagio sentendo allentata la difesa -spezzarono le porte, e presono il palagio con -quelli che dentro v’erano; poi si dirizzarono all’una -delle mastre torri, e quella per simile modo -ebbono e abbatterono, e nel cadere che fece -uccise alcuni Genovesi che la tagliarono, l’altra -torre ebbono a patti; e ciò fatto, prestamente rifeciono -il ponte in su l’Arno, ch’era tagliato, e -addirizzaronsi al palagio della mercatanzia e al -borgo, e quelli per lungo spazio combatterono, ma -per i cavalieri e masnadieri che quivi erano rifuggiti -niente vi poterono acquistare, tutto che -gran danno colle balestra facessono. Tornati al -porto baldanzosi per la vittoria arsonvi una cocca -che v’era carica di sale, e più altri legni -che vi trovarono; e per dispetto de’ Pisani, e per -rispetto della nuova vittoria de’ Fiorentini, velsono -le grosse catene che serravano il porto, e -quelle, carichi d’esse due carri, mandarono a Firenze, -strascinandole per tutto per derisione, delle -quali furono fatte più parti, e in tra l’altre quattro -pezzi ne furono appesi sopra le colonne del -profferito dinanzi alla porta di san Giovanni. E fu -per chi il fè avuto rispetto alla perfidia de’ Pisani, -i quali per i nobili servigi ricevuti loro -<span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span> -donarono quelle colonne abbacinate, e coperte -di scarlatto, e perchè l’uno esempio chiamasse -l’altro. -</p> - -<h3 id="capXXXI-11">CAP. XXXI. -<span class="smaller"><i>Come messer Bernabò mandò a papa Urbano -a proseguire la pace.</i></span></h3> - -<p> -Come messer Bernabò sentì la coronazione di -papa Urbano quinto creò solenne e onorevole -ambasciata, e mandogliele, i quali fatto la debita -reverenza, e rallegratisi in persona di loro signore -di sua coronazione, appresso gli esposono -come messer Bernabò con reverenza domandava -di volere seguire l’accordo già cercato tra la -santa Chiesa e lui; il papa con grave aspetto -avendo ricevuti gli ambasciadori, con quello medesimo -rispose, che quando il signore loro avesse -renduto a santa Chiesa le terre sue, le quali contra -ogni giustizia tiene occupate, e volesse delle -sue perverse operazioni tornare a penitenza e a -obbedienza della Chiesa di Dio, come fedele -cristiano che lo riceverebbe. Allora gli ambasciadori -ricorsono al re di Francia che del detto -mese di novembre era in Avignone, perchè si facesse -trattatore e mezzano, il quale dal papa -ebbe simigliante risposta, e di corte si partì mal -contento; e per questo e per altre cagioni gli ambasciadori -di messer Bernabò lo seguirono, pregandolo -ritornasse in corte, e niente ne volle fare. -Partito il re, indi a picciolo tempo il santo -padre fermò gravissimi processi contro a messer -<span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span> -Bernabò d’eresia e scisma, i quali si pubblicarono -in Firenze domenica a dì 29 di gennaio -1362, ne’ quali erano molti articoli d’eresia, e -intra gli altri, che egli tenea d’essere Iddio in -terra, massimamente nel distretto suo, e assegnolli -termine a irsi ad escusare per tutto il -mese di febbraio 1362. -</p> - -<h3 id="capXXXII-11">CAP. XXXII. -<span class="smaller"><i>Domande fatte per lo re di Francia al papa.</i></span></h3> - -<p> -Quattro cose dopo la visitazione e rallegramento -di sua coronazione domandò il re di -Francia al santo padre; in prima, quattro cardinali -de’ primi facesse: appresso sei anni le rendite -di santa Chiesa in suo reame domandando -di poterle in tre anni ricoglierle per aiuto a pagare -il re d’Inghilterra, di quello che per i patti -della pace fare li dovea: la terza domanda fu, -che gli piacesse per mezzanità sua seguire il trattato -della pace con messer Bernabò, promettendoli -di fare stare contento messer Bernabò a -quattrocento migliaia di fiorini, i quali dovesse -pagare la Chiesa al re in otto anni, cinquantamila -per anno, mostrando che ciò gli era in -grande acconcio alle faccende che a fare avea con -il re d’Inghilterra, affermando che messer Bernabò -glie ne facea sovvenenza quel tempo che -a lui piacesse: la quarta domanda fu, che piacesse -a sua santità dare opera che la reina Giovanna -fosse sposa del figliuolo. A questa ultima -il papa prima rispose, che quanto per sè esso -<span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span> -n’era molto contento, e gli piacea, quando il figliuolo -dimorasse nel Regno, e prestasse il saramento -e il debito censo a santa Chiesa, e dove -fosse in piacere della reina cui ne conforterebbe. All’altre -domande disse al re che n’arebbe suo -consiglio, e che perciò non bisognava ch’egli -stesse, che a tempo li risponderebbe; e per non -avere materia di fare in dispiacenza del re, che -avea chiesti quattro cardinali, per le digiune -nullo ne volle fare. Il re passò il Rodano visitando -le terre della Provenza, mal contento alle -risposte del papa. -</p> - -<h3 id="capXXXIII-11">CAP. XXXIII. -<span class="smaller"><i>Di grande acquazzone che in Italia fè danno.</i></span></h3> - -<p> -All’entrata di novembre per tutta Italia furono -grandissime e continove piove; in Lombardia -ruppono gli argini del Po in più luoghi, -e tutto il paese allagarono con danno grandissimo -de’ paesani; in Firenze ruppono la pescaia -della Porta alla giustizia, e il muro fatto per lo -comune per riparo della Piagentina, e stesonsi -l’acque in essa profondandosi forte, e vennono -insin presso alle mura sopra la Porta alla giustizia, -a quelle tosto arebbono con la porta e -colla torre del canto gittate in terra, se non fosse -stato il presto argomento di buoni maestri, i -quali con pali a castello e con altri ripari sollecitamente -e di dì e di notte puosono riparo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span> -</p> - -<h3 id="capXXXIV-11">CAP. XXXIV. -<span class="smaller"><i>Come il re di Cipro andò ad Avignone -con tre galee.</i></span></h3> - -<p> -Il dì tre di dicembre 1362, lo re di Cipro con -tre galee apportato andò ad Avignone al santo padre, -per ordinare e dar modo con lui al passaggio -oltremare non ancora maturo; il perchè i -saracini sentendo suo cercamento, in Egitto, e in -Damasco e in Soria presono molti cristiani, e -forte gli afflissono: e per tanto questi accennamenti -sono ai cristiani che di là praticano forte -dannosi. -</p> - -<h3 id="capXXXV-11">CAP. XXXV. -<span class="smaller"><i>Come morì Giovacchino degli Ubaldini -e lasciò reda il comune di Firenze.</i></span></h3> - -<p> -Del mese di dicembre di detto anno, per uno -fedele di Giovacchino di Maghinardo degli Ubaldini -rivelato gli fu, che Ottaviano suo fratello -l’avea richiesto, e tenea trattato di torli Castelpagano; -Giovacchino volle che il fedele seguisse -il trattato, e procedendo a tanto venne al -fatto, che Giovacchino essendosi dentro fornito -in modo che non potea essere forzato, ordinò -che il fedele al giorno dato mise i fedeli e’ fanti -di Ottaviano; Giovacchino fece serrare le porte, -e mettere al taglio delle spade quelli che dentro -v’erano racchiusi. Occorse ch’uno fedele di Ottaviano -<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span> -veggendosi in luogo da non potere campare, -disperando, come un verro accanato si dirizzò -a Giovacchino, e lo fedì nella gamba, della -quale fedita di spasimo indi a pochi giorni morì. -Conoscendo Giovacchino il poco amore del fratello -verso lui, e ch’era cagione di sua morte, fè -testamento, e lasciò erede il comune di Firenze; -il quale poi del mese di febbraio per suo sindaco, -come giusto e legittimo erede prese la tenuta -di Castelpagano, e d’altre terre e beni che -s’apparteneano al detto Giovacchino. -</p> - -<h3 id="capXXXVI-11">CAP. XXXVI. -<span class="smaller"><i>Come il conte di Focì sconfisse e prese -quello d’Armignacca.</i></span></h3> - -<p> -Erano gare e questioni spiacevoli e gravi intra -il conte di Focì e il conte d’Armignacca, il -perchè in fine ciascuno fece suo sforzo sì di sua -gente e sì d’amistà, e a dì 5 di dicembre ingaggiati -di battaglia si trovarono in sul campo all’Isola -presso di Tolosa, e commisono insieme -aspra battaglia, la quale per la pertinacia della -buona gente che temeva vergogna sì dall’una parte -come dall’altra durò per lungo spazio di tempo, -dove si trovò morti in sul campo tra dall’una -e dall’altra parte oltre a tremila uomini da cavallo, -che ve n’ebbe mille cavalieri e gentili uomini -di rinomea, e a quello di Focì rimase il campo, e -quello d’Armignacca fedito rimase prigione, e -con lui il conte di Giagne, e il conte di Montelesori, -e ’l signore di Libret con due suoi fratelli, -<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span> -e il conte di Cominga, e più altri signori e gentili -uomini di nomea. -</p> - -<h3 id="capXXXVII-11">CAP. XXXVII. -<span class="smaller"><i>Come i Pisani vollono torre il campanile -d’Altopascio.</i></span></h3> - -<p> -I Pisani, come uso di guerra richiede, solleciti -ad offendere loro avversari, tutto che ’l verno -soglia prestare triegua alle guerre campali, a dì -8 di gennaio di detto anno con seicento cavalli -e duemila buoni pedoni si strinsono al campanile -d’Altopascio, che l’altro per loro era stato -arso, come di sopra narrammo, e quello assediarono, -ma assediati dalla durezza del verno -finiti i cinque giorni lasciarono l’impresa, il perchè -i Fiorentini a’ 17 dì del mese, il dì di santo -Antonio, veggendo che i Pisani s’erano partiti -dall’assedio, considerando che la fortezza era -stecco nell’occhio al Pisano, vi mandarono il -conte Francesco da Palagio con venticinque uomini -a cavallo e dugento fanti, e con molti maestri -per riporre il castello sotto la sicurtà del -campanile: i Pisani, che vicini erano al luogo, -sentendo il fatto, con seicento cavalieri e duemila -masnadieri assalirono i nostri, i quali trovarono -sospesi e attenti al lavorio, i quali per lungo -spazio di tempo francamente si difesono come -prod’uomini, ma il proverbio è pur vero -che i più vincono, i Pisani per le rotture del -muro si misono dentro, onde i nostri non potendo -sofferire pensarono a ritrarsi a salvamento, -<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span> -de’ quali cento e più si fuggirono nel campanile, -gli altri alle terre del comune di Firenze vicine -ad Altopascio; e in tanta zuffa non vi furono -morti che sei, uno dalla parte fiorentina e cinque -dalla parte de’ Pisani, magagnati e fediti -d’ogni parte ne furono assai. La nostra gente da -cavallo che già sentito avea il romore traeva al -soccorso, e traendo caddono ne’ guati che per i -Pisani erano messi, e rimasonne otto presi, i quali -agli altri scopersono i guati. I Pisani ciò fatto a -dì 27 del mese si partirono e arsono quello che -rimaso era da ardere fuori del campanile, e -partiti di là si puosono a oste a Castelvecchio, e i -Fiorentini armati, e ciascuno in distanza di piccolo -tempo se ne partì senza fare frutto niuno. -</p> - -<h3 id="capXXXVIII-11">CAP. XXXVIII. -<span class="smaller"><i>Come in Firenze s’ordinò tavola per lo comune -per servire i soldati.</i></span></h3> - -<p> -Gl’ingordi e disonesti usurieri, che sotto colore -di prestanza sovvenieno i soldati di loro comune, -portavansene i loro soldi, l’arme e’ cavalli, -il perchè il comune ai suoi bisogni non li potea -avere cavalcati; mosse il comune a fare banco, -il quale con danari del comune potesse sovvenire -a’ soldati, e del mese di febbraio 1362 fu ordinato -co’ suoi ufiziali, i quali, nel detto anno in -calen di marzo cominciarono l’ufizio, ed ebbono -al cominciamento del banco dal comune quindicimila -fiorini. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span> -</p> - -<h3 id="capXXXIX-11">CAP. XXXIX. -<span class="smaller"><i>Come i Pisani vollono torre santa Maria -a Monte.</i></span></h3> - -<p> -A dì 26 del mese di gennaio, il capitano de’ Pisani -Rinieri del Bussa da Baschi con ottocento -cavalieri e tremila pedoni cavalcò a santa Maria -a Monte, e considerando che per due ponti -ch’erano sulla Gusciana i Fiorentini poteano -soccorrere il castello, quelli prestamente tagliarono, -e nel pieno della notte assalirono il castello -da due parti, e con aspra battaglia e gran romore -per molto spazio di tempo il combatterono, -e per i soldati del comune e per i terrazzani -furono villanamente ributtati, avendo già poste -le scale alle mura del borgo, e assai ne furono -morti e magagnati colle pietre e co’ balestri; e -sopravvegnendo il giorno, veggendosi perduta la -speranza della terra, cominciarono ad ardere e -fare preda per lo paese: avendo di ciò boce messer -Ridolfo da Camerino allora capitano de’ Fiorentini -trasse al soccorso; i Pisani non lo attesono. -</p> - -<h3 id="capXL-11">CAP. XL. -<span class="smaller"><i>Come i Pisani vollono torre Pescia -per trattato.</i></span></h3> - -<p> -La sagacità de’ Pisani non trovava posa, ma -con solleciti modi e occulti trattati per torre -<span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span> -delle terre de’ Fiorentini, e avendo del mese di -febbraio 1362 per danari corrotte certe guardie -diputate a certa parte delle mura di Pescia, nella -mezza notte con scale assai, e con cinquecento -uomini di cavallo e con duemila fanti eletti, con -molto ordine s’accostarono alle mura della terra -che guardavano i traditori tacitamente, che quelli -d’entro niente ne sentirono. I traditori come -li sentirono, che stavano a orecchi levati, uccisono -le guardie ch’erano con loro alle poste ignoranti -del tradimento; onde i Pisani avendo poste -le scale sicuramente salivano, e già assai -n’erano in sulle mura. Occorse per fortuna, che -quegli che andava rassegnando le guardie in -quello stante vi sopraggiunse, e scoperta la baratta -in istante levò il romore, e svegliata la terra, -quelli ch’aveano prese le mura impauriti se -ne fuggirono, e le guardie del trattato con loro -insieme, e la gente de’ Pisani si ridusse a salvamento -alle terre loro. -</p> - -<h3 id="capXLI-11">CAP. XLI. -<span class="smaller"><i>Come papa Urbano pubblicò in Avignone -i processi fatti contro a messer Bernabò.</i></span></h3> - -<p> -All’entrata del mese di marzo 1362, papa Urbano -quinto in Avignone pubblicò il processo -che fatto avea contro a messer Bernabò, e avanti -che pronunziasse, gli ambasciadori di messer -Bernabò e i suoi avvocati comparirono e dierono -boce che v’era messer Bernabò, onde il papa -prolungò il termine per infino a di 4 di marzo, -<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span> -e di nuovo lo fece citare, facendo cercare per suoi -mazzieri tutta la corte, e il venerdì 4 di marzo -mandò due cardinali in persona a fare cercare il -palagio e l’udienza, e tutto per lo detto messer -Bernabò; in fine fatto armare tutta sua famiglia -e i Lombardi cortigiani a guardia della corte, -fece consistoro e sermone sopra i fatti di messer -Bernabò con alto e nobile parlare, dolendosi -delle sue eresie e delle sue infedeltà, e appresso -fè pubblicare il processo suo, nel quale il condannò -come eretico e infedele in molti articoli, -e lo pronunziò scismatico e maladetto di santa -Chiesa, privandolo di tutti onori, dignitadi, titoli, -e privilegi, e giurisdizioni, e assolvendo dal -giuramento tutti i sudditi suoi, annullando tutti -i privilegi imperiali che avesse per successione, -e che gli fossono conceduti in persona, e ogni e -qualunque avesse per altro modo, e privollo del -matrimonio liberando la moglie come cristiana -dal marito eretico e infedele: e nella sentenza -involse chiunque li desse consiglio, aiuto e favore, -e i sudditi se l’ubbidissono, e chi lo servisse in -arme per soldo o in niuno altro modo, o contro -alla Chiesa di Dio s’operasse; e concedette indulgenza -di colpa e di pena a quelli che fossono -confessi e pentuti a chi contra lui prendesse -la croce quando fosse predicata, e in essa sentenza -orribile involse i descendenti, come nati -di sangue eretico e infedele. Pronunziata la -sentenza il santo padre si levò ritto, e misesi in -ginocchione colle mani giunte e levate al cielo, e -come vicario di Gesù Cristo invocò l’aiuto suo, -e di M. S. Piero e di M. S. Paolo, e di tutta la -<span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span> -celestiale corte, pregando che come avea il tiranno -infedele e crudele legato in terra con sua -sentenza come vicario di Cristo e successore di -san Pietro, così essi lo legassono in cielo. Lo re -di Francia, ch’era in corte a procurare per lo -tiranno, e ’l procurò in sua utilità si tornava, forte -se ne scandalizzò, e molti cardinali i quali erano -suoi protettori in corte e provvisionati nel segreto -assai malcontenti ne furono, avendo più -caro loro occulta prefenda che l’onore di santa -Chiesa. -</p> - -<h3 id="capXLII-11">CAP. XLII. -<span class="smaller"><i>Come morì messer Simone Boccanera -primo doge di Genova.</i></span></h3> - -<p> -A dì 13 di marzo di detto anno, essendo gravemente -malato messer Simone Boccanera doge di -Genova, e correndo la boce ch’egli stava male, -il popolo prese l’arme, e chiamò venti popolani, -i quali domandarono in guardia il palagio -del doge, e a dì 14 del mese v’entrarono e trassonne -circa a trecento tra parenti, e famigli e -amici del doge, e nel palagio lasciarono lui, e la -moglie e’ figliuoli, e questi venti che teneano il -palagio elessono altri sessanta popolani al consiglio -loro, e con loro consiglio e favore crearono -nuovo doge, lo quale fu messer Gabbriello Adorno -mercatante di buona condizione e fama, il quale -vollono, che campasse o morisse messer Simone -Boccanera, fosse doge; e ciò fatto riposò il popolo, -e puose giù l’arme, e i gentili uomini e -<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span> -gran case di tutto niente si travagliarono. Durando -nella infermità il Boccanera, furono creati -sei sindachi ch’avessono a ricercare le ragioni -de’ suoi ufici, e infine tra per l’oppressione de’ -sindachi, e chi disse, e forse non mentì, aiutato, -assai miseramente passò di questa vita, e il corpo -suo con due bastagi e un famiglio fu portato alla -chiesa. E tale fu il fine del valente e famoso uomo -della primizia de’ dogi di Genova. -</p> - -<h3 id="capXLIII-11">CAP. XLIII. -<span class="smaller"><i>Come fu morto il conte di Lando.</i></span></h3> - -<p> -Avendo del mese di marzo la Compagnia bianca -tolto un castello a messer Galeazzo, ed egli vi -mandò in soccorso il conte di Lando con quattrocento -barbute; per scontrazzo s’abboccò con -gl’Inghilesi e fu sconfitto, e morto d’una lancia -di posto nel petto. E tale fine trovò colui che -capo di compagnia famoso, più volte avea liberamente -corsa gran parte dell’Italia con fare -ogni uomo ricomperare. -</p> - -<h3 id="capXLIV-11">CAP. XLIV. -<span class="smaller"><i>Come Bernabò Visconti fu dalla gente della -lega sconfitto alla bastita a Modena, -e come la perdè.</i></span></h3> - -<p> -A dì 16 d’aprile 1363, Bernabò eretico per -sentenza del santo padre, con duemilacinquecento -cavalieri di sua gente eletta venne per -<span class="pagenum" id="Page_198">[198]</span> -fornire la bastita che tenea sul Modanese, la -quale era assediata e forte stretta dalla gente -della lega de’ Lombardi, e giugnendo la mattina, -preso in prima agio, rinfrescamento e ordine, -colle schiere fatte, anzi si strignesse alla bastita, -ne fece subitamente rizzare un’altra non molto -di lungi dalla Negra; la bastita era dificata in -forma che non s’avea se non a conficcare: la -gente de’ collegati bene capitanata e in punto, -con due forti campi intorno alla bastita con due -lati e profondi fossi, l’uno lungo il campo, e -l’altro di fuori alla tratta del balestro, sicchè bene -si potea la gente della lega tra’ due fossi schierare. -Il tiranno colla forza di sue schiere passò -il primo fosso, onde convenne a quelli ch’erano -tra le barre per paura rifuggire ne’ due campi, e -lasciarono fornire la bastita, dove mise il tiranno -trentasei carra di fornimento; e ciò fatto Bernabò -se n’andò a Crevalcuore per sollecitare il -resto del fornimento, e a’ suoi impose che attendessono -la notte prima si partissono, ma Anichino -di Bongardo partito Bernabò disse, che -poichè fatto avea il servigio per che era venuto -quivi non intendea albergare, e si mosse con ottocento -barbute. I capitani della lega imbaldanziti, -veggendo i modi che teneano i nemici in sconcio -e male ordinati, essendo in punto colle schiere -fatte e bene capitanati, le brigate coraggiosamente -percossono a loro. La battaglia per la -eletta gente di Bernabò fu aspra, la quale durò -infino all’ora di vespero, e allora, come fu il piacere -di Dio, la gente de’ collegati vinse; assai furono -i morti, e non de’ minori. Presivi furono messer -<span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span> -Ambrogiuolo figliuolo naturale di Bernabò, -messer Lodovico dall’Occa da Pisa, messer Guglielmo -de’ Pigli da Modena, messer Sinibaldo -degli Ordelaffi da Forlì, messer Guglielmo Cavalcabò, -messer Giovanni Penzoni da Cremona, -messer Guido Savina, messer Ghiberto da Correggio, -Antonio da Santovito figliuolo di messer -Ghiberto da Fogliano, Beltramo de’ Rossi -da Parma, Guglielmo Aldighieri da Parma, -messer Andrea de’ Peppoli, messer Niccolò Pallavicini, -messer Giovanni dalla Mirandola, messer -Giovanni Bolzoni di Milano ricco di quattrocentomila -fiorini, Antonio d’Ungheria, Luchino -de Asalis da Milano, Piero da Correggio, -Guido da Foiano, Mocolo dalli Pelagri, Alessandro -da Verona, Giovanni Scipioni, Paolo -Zuppa da Parma, Maffiuolo da Labro di Milano, -Damulo Dusmago di Milano, Baroncio -del maestro Manno, e altri nomati infino nel -numero di trentotto: a bottino mille cavalli e -molti prigioni. Quinci seguì, che quelli della -bastita non essendo forniti, Bernabò non avendo -possanza di soccorrerli, s’arrenderono salve le -persone. -</p> - -<h3 id="capXLV-11">CAP. XLV. -<span class="smaller"><i>Come i Pisani vollono torre Barga.</i></span></h3> - -<p> -Partito all’entrante di marzo 1362 messer -Ridolfo da Camerino, venne in Firenze per capitano -di guerra in suo luogo messer Piero da Farnese -senza pompa, se non quanto a uso militare -<span class="pagenum" id="Page_200">[200]</span> -si richiede, e veduto e ricevuto fu con buono -volto. I Pisani con sollecitudine seguendo giusta -loro possa ogni atto di guerra, sentendo che messer -Ridolfo avea fornito per tutto il mese di febbraio -suo capitanato, e tutto che avesse francamente -e come valente uomo lealmente esercitato -suo uficio, con poco onore s’era partito, e -mal contento, e con fama di poco leale cavaliere, -e che messer Piero da Farnese uomo coraggioso -e per lunga esperienza grande maestro di guerra -era giunto in Firenze, immaginando che innanzi -che messer Piero fosse informato della intenzione -del comune, e innanzi che fosse in atto da -poterli offendere che poteano usare il tempo -della guerra a loro vantaggio. E pertanto domenica -d’ulivo, dì 27 di marzo 1363, fatto tutto il -loro sforzo con mille cavalieri e quattromila pedoni -nel pieno della notte con molto ordine, -con scale e altri ingegni s’accostarono a Barga -senza niuno sentore de’ terrazzani, tanto fu netto -e presto l’assalto, e presono gran parte delle -mura, e lo spedale che è accostato ad esse, -e già aveano rotte parte delle mura allato allo -spedale per mettere dentro i cavalieri. I terrazzani -svegliati al rompere del muro, non inviliti -per l’improvviso assalto, presono l’arme, e per -lo naturale odio tra loro e’ Pisani, per non venire -alle loro mani, e gli uomini e le femmine -raddoppiarono le forze, e francamente cominciarono -la battaglia; ma tanti erano i nemici ch’erano -montati sullo spedale e in sulle mura vicine -allo spedale, che cacciare non li ne poteano, -ma come uomini per lunga esperienza di guerra -<span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span> -dotti, con presto e buono avviso affocarono di -sotto lo spedale, onde fu necessità a’ nemici, tra -per lo gran fumo, e per la vampa della paglia -de’ letti dello spedale la quale subito aspettavano, -abbandonare il muro, per il quale aveano -la salita dello spedale, e lo spedale ancora. -Di loro alquanti ne rimasono morti, molti -ne furono fediti. I Pisani levati dal pensiero -d’avere la terra per quella via si misono a -porvi l’assedio, e puosonvi tre battifolli forti e -bene apparecchiati a offesa e a difesa, pensando -d’averla per lunghezza d’assedio, perchè molto -era lontana dal soccorso de’ Fiorentini, il quale -convenia che passasse per lo distretto loro. Sentissi -che con tanta sollecitudine presa aveano -questa per cambiarla con Peccioli, la quale teneano -i Fiorentini in sulle ciglia di Pisa. -</p> - -<h3 id="capXLVI-11">CAP. XLVI. -<span class="smaller"><i>Come messer Piero da Farnese credette -torre Lucca a’ Pisani.</i></span></h3> - -<p> -Poichè messer Piero da Farnese capitano de’ -Fiorentini ebbe l’informazione dell’intenzione -del comune, e dello stato della guerra, si partì -di Firenze, e andò in Valdinievole dov’era il -forte della gente dell’arme de’ Fiorentini, e da -essa ricevuto fu a grande onore per le sue virtù -conforme a gente d’arme, e di presente si dispose -all’asercizio dell’arme: e avendo rispetto -alla natura de’ Pisani sottratta e vaghi di trattati, -per contrappesare a’ loro ingegni, e tenerli in -<span class="pagenum" id="Page_202">[202]</span> -paura, cercò trattato in Lucca, e quello menando -sollecitamente, e con sollecitudine avendo la -ferma la notte de’ 12 d’aprile, con duemila barbute -e con cinquemila fanti si mosse da Fucecchio, -e cavalcò sotto il Ceruglio dal Colle delle -donne, e all’ora data giunse alle porte di Lucca. -I Pisani, o che avessono presentito il fatto, o -che per la buona guardia sentissono il romore -della gente e de’ cavalli, erano pronti alla difesa, -e aveano corsa la terra, e presi quarantadue cittadini -e certi forestieri. Messer Piero sentendo -scoperto il trattato, e la terra ben guarnita alla -difesa, senza fare arsione o preda in sul Lucchese, -che liberamente far lo potea, il giorno medesimo -per la diritta via si tornò a Pescia. I Pisani -assai de’ presi decapitarono, e assai degli altri -mandarono a’ confini, stando con più sollecitudine -alla guardia di quella, e dell’altre loro terre, -e non di manco aveano l’assedio a Barga, -alla terra di Gello, e a Castelvecchio, dove il -capitano cavalcò, e fornillo per quattro mesi. -</p> - -<h3 id="capXLVII-11">CAP. XLVII. -<span class="smaller"><i>Come i Pisani presono per forza il castello -di Gello sul Volterrano.</i></span></h3> - -<p> -Rinieri d’Ugolinuccio, detto Rinieri del Bussa -da Baschi capitano de’ Pisani, uomo d’alto cuore -e sollecito guerriere, a dì 12 del mese d’aprile -si mosse da Pisa con cinquecento cavalieri e -duemila pedoni eletti, intra i quali furono molti -balestrieri di Gera, e si mosse per la Maremma, -<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span> -e con molto ordine assalì il castello di Gello non -provveduto, e dibattuto assai per lo assedio. Il -castello è di cento famiglie assai forte, e per luogo -ben situato a difesa, e quello per lungo spazio -di tempo combatterono, e quello per forza vinsono -con assai morti e magagnati, e di quelli d’entro -e di quelli di fuori. Vinta la terra si dirizzarono -alla rocca, che era forte e ben guernita alla -difesa, e la combatterono per lungo spazio, -tanto che quasi non era fante nella rocca che -dalle buone balestra non fosse fedito, i quali disperati -di soccorso, il quale colla sollecitudine -di messer Piero giugnea, s’arrenderono salve le -persone. Rinieri fornito il castello di gente atti -a tenerlo se ne tornò a Pisa. -</p> - -<h3 id="capXLVIII-11">CAP. XLVIII. -<span class="smaller"><i>Come i Pisani condussono la Compagnia bianca -degl’Inghilesi.</i></span></h3> - -<p> -Come narrato avemo nell’addietro, la Compagnia -bianca degl’Inghilesi sotto il capitanato di -messer Alberto Tedesco, in numero di tremilacinquecento -uomini da cavallo e duemila a piè, -erano al servigio del marchese di Monferrato -contro a messer Galeazzo Visconti, il quale più -tenere non li potea, e messer Galeazzo volentieri -la si levava da dosso, e i Pisani che si vedeano -nel fondo, e venire al disotto della guerra, loro -ambasciadore aveano a messer Galeazzo, come -a singolare amico e protettore, e per aiuto e -soccorso contro alla forza de’ Fiorentini, e risposto -<span class="pagenum" id="Page_204">[204]</span> -avea che fare non potea servando sua fede -contro i Fiorentini, ma che se voleano conducere -la compagnia degl’Inghilesi, la quale di corto -finia sua ferma, ed era per prendere viaggio, che -loro ne sarebbe buono, e li dicea il cuore di poterlo -fare: a questo gli ambasciadori ch’aveano il -mandato larghissimo assentirono. I Fiorentini essendo -di ciò avvisati, lentamente cercarono per uno -Giovanni Buglietti Fiorentino, lungo tempo stato -in Inghilterra, e guida della detta compagnia in -Italia, la condotta di detti Inghilesi, e per l’amistà -e usanza de’ Fiorentini che stavano e praticavano -nell’isola d’Inghilterra, gl’Inghilesi si -vollono alloggiare co’ Fiorentini per diecimila fiorini -meno che non feciono co’ Pisani, e più tempo -tennono sospesa la condotta de’ Pisani, aspettando -conducersi co’ Fiorentini; nella quale sospensione, -essendo messer Piero da Farnese in -Firenze, per i governatori de nostro comune li -fu sopra questa materia chiesto consiglio, il quale -rispose: Io non credo che per altrettanta di gente -Cesare la vedesse migliore, nata e allevata in -guerra, argomentosa in maestria di guerra, e senza -niuna paura; affermando senza dubbio, che -chi li avesse e li potesse sostenere non lungo tempo -senza fallo sarebbe il superiore della guerra. -Ciò udito nel processo della condotta, quanto l’animo -de’ collegi e degli altri governatori della città -inclinassono a prenderli, il gonfaloniere della -giustizia s’oppose, con dire, e chi pagherà? e fu -l’autorità sua tanta, e di chi lo seguì dell’ordine -suo, che sturbò la condotta. I Pisani savi e -non lenti di presente la condussono in forma di -<span class="pagenum" id="Page_205">[205]</span> -compagnia per quattro mesi, a ragione di fiorini -diecimila il mese di soldo. -</p> - -<h3 id="capXLIX-11">CAP. XLIX. -<span class="smaller"><i>Come Rinieri da Baschi ruppe gente che -messer Piero da Farnese avea mandati -in Garfagnana.</i></span></h3> - -<p> -Parendo a messer Piero da Farnese ragionevolmente -non potere avere battaglia di campo -co’ Pisani, la quale sommamente desiderava per -mostrare sua virtù e provare sua ventura, avanti -che la Compagnia bianca condotta per i Pisani -giugnesse, contra i quali non sperava potere tenere -campo, tenne trattato con certi di Garfagnana -e fece loro rubellare Castiglione e certe -altre castella, e avendo di ciò il certo, per fornirle -di gente e di vittuaglia vi fece cavalcare Spinelloccio -de’ Tolomei da Siena per capitano, e -Currado di messer Stefano da Iesi, con certi altri -conestabili, e con trecento uomini di cavallo, -e dugento masnadieri di soldo. I Pisani sentendo -della ribellione delle castella, e immaginando -che per i Fiorentini si dovessono soccorrere -per lo loro capitano, prestamente e con tutta loro -forza misono uno aguato, dove vedeano che i -nostri accampare si doveano. Passò in Garfagnana -Spinelloccio con la detta gente senza contasto, -e accamparonsi dove doveano, e come Rinieri -s’era pensato per fornire le dette castella; Rinieri -come li vidde infaccendati e occupati intorno -all’accamparsi, e in atto di poterne avere -<span class="pagenum" id="Page_206">[206]</span> -il migliore, coll’aguato grosso e ordinato uscì loro -addosso, e dopo lunga e fiera battaglia gli ruppe. -La gente era buona, e veggendosi per lo soperchio -de’ nemici in rotta, si ridussono in su un -poggio vicino dove era stata la zuffa, e d’onde -potea loro essere il passo sicuro per tornarsi a’ -suoi: i Pisani francamente seguendoli si sforzavano -a tor loro il passo, e fatto lo arebbono, ma -i detti Spinelloccio e Currado seguitando l’orme -degli antichi e buoni Romani, come franchi, leali -e buoni uomini di subito si gittarono a piè, e -si misono alla difesa del passo, e facendo maraviglie -di loro persone, e tanto lo tennono, che -per lo stretto la gente de’ Fiorentini si ricolse, in -modo che pochi impediti ne furono. Spinelloccio -e Currado, poi che vidono la brigata a loro -commessa in luogo che non poteano ricevere offensione, -s’arrenderono a prigioni. -</p> - -<h3 id="capL-11">CAP. L. -<span class="smaller"><i>Come Rinieri da Baschi colla gente de’ Pisani -fu sconfitto e preso da messer Piero -da Farnese.</i></span></h3> - -<p> -Parendo a messer Piero da Farnese avere doppia -vergogna, sì per le castella perdute, sì per -la gente sbaragliata in Garfagnana, in forte pensiere, -e come potesse sua onta vendicare, onde -domenica mattina a dì 7 di maggio 1363, essendo -cavalcati in verso il Bagno a Vena con ottocento -tra Ungari e altra buona gente di cavallo, -e con ottocento fanti eletti, il capitano de’ Pisani -<span class="pagenum" id="Page_207">[207]</span> -sentendo la cavalcata, non meno coraggioso e voglioso -che messer Piero, i quali amendue si -studiavano di fare innanzi la venuta degl’Inghilesi, -raunò della gente da cavallo de’ Pisani circa -a seicento, e pedoni assai, e continovamente da -Pisa li cresceva forza, per torre alla detta gente -de’ Fiorentini il passo a san Piero, e colle schiere -fatte si pararono innanzi a messer Piero, perchè -non potesse tornare, e di dietro e da lato da Pisa -traeva gente senza numero alle spalle a messer -Piero per combatterlo dinanzi e di dietro. Vedendo -messer Piero davanti da sè i nemici schierati -in sul campo, veggendo che quello che desiderato -avea gli venia fornito, di presente ordinò -le schiere sue, e perchè il luogo dove combattere -doveano era pieno di solchi, impedì il -ferire delle lance, onde confortati i suoi a ben -fare colle spade in mano fieramente si percosse -sopra i nemici, i quali non con meno cuore gli -ricevettono. La battaglia fu dura e aspra, e la -prima schiera de’ Fiorentini fu ributtata per difetto -degli Ungari due volte, ma rannodati ruppono -la prima schiera de’ Pisani, ma i rotti si ridussono -alle spalle dell’altre loro schiere, e con -la forza di molti pedoni tratti loro in aiuto percossono -francamente sopra i Fiorentini. Messer -Piero sgridati e confortati i suoi a ben fare con -la sua schiera si mise sopra i nemici, lasciando -l’insegne nel mezzo, ed egli dinanzi con i più -eletti cavalieri. Indurando la battaglia, messer -Piero fè a dugento cavalieri fedire i nemici per -costa, i quali non avendo resistenza, ne vennono -alle insegne de’ Pisani, e le presono e abbatterono; -<span class="pagenum" id="Page_208">[208]</span> -e ciò veggendo messer Piero urtò forte sopra i -nemici, e li strinse a fuggire. Rinieri come ardito -e pro’, fu preso colla spada in mano, e molti -altri valenti uomini. E per certo e messer Piero -e Rinieri si portarono come valenti capitani, e -come arditi e pro’ cavalieri, perocchè per spazio -di due ore e mezzo si combatterono pertinacemente -sotto l’incerto della vittoria. Rotte le -schiere de’ Pisani, gli Ungari con degli altri contesono -a prendere de’ prigioni, massimamente -di quelli che a piè v’erano venuti da Pisa. Molta -gente da piè e da cavallo vi morì, tanto odio -lor menti occupava, e molti cavalli vi furono guasti -per i pedoni fiorentini che con le lance in -mano fedirono di costa: il capitano messer Piero -co’ prigioni si tornò alla gente sua, e in quel -dì medesimo ne fu novelle in Firenze, di che si -fè grande allegrezza e festa. -</p> - -<h3 id="capLI-11">CAP. LI. -<span class="smaller"><i>Come messer Piero da Farnese entrò in Firenze, -e il capitano de’ Pisani colle insegne -e’ prigioni rassegnarono a’ priori.</i></span></h3> - -<p> -A dì 11 di maggio, messer Piero da Farnese -col capitano, bandiere e prigioni de’ nemici -entrò in Firenze, dove ricevuto con grande letizia -e allegrezza di popolo, e consegnati furono -per lui a’ priori col capitano e bandiere de’ Pisani -centocinquanta prigioni, essendoli per lo comune -offerto una ghirlanda d’alloro umilemente -la ricusò, e non la volle prendere, dicendo, -<span class="pagenum" id="Page_209">[209]</span> -che tale ghirlanda si convenia con altro -trionfo e maggiore vittoria, siccome per il senato -di Roma era diputato; furonli donati quattro -destrieri nobili coverti dell’arme sua. Con -lui venne messer Simone da Camerino fatto cavaliere -nella battaglia, il quale fu lietamente -veduto, e onorato di doni cavallereschi; e di poi -a dì quattordici di maggio colle solennità usate -furono al capitano date per messer Niccolaio degli -Alberti gonfaloniere di giustizia l’insegne, -e per lo capitano accomandate furono a’ Tedeschi -a guardia, dando la reale a un messer Amerigone -soldato del nostro comune, il quale la -ricevette in nome di messer Giovanni di..... -Tedesco, il quale era al campo. Non vi mancò -augurio, perocchè subitamente come messer Piero -l’ebbe in mano surse una lieve aura che le -dirizzò verso Pisa, di che il capitano prese baldanza. -</p> - -<h3 id="capLII-11">CAP. LII. -<span class="smaller"><i>Come i Pisani tolsono a’ Fiorentini -Altopascio.</i></span></h3> - -<p> -Sabato a dì 20 di maggio, Guelfo di messer -Dante degli Scali, il quale era castellano d’Altopascio, -diede il detto castello a’ Pisani per fiorini -tremila d’oro che ne ricevette, il perchè -domenica mattina il dì di Pasqua rugiada i priori -mossono l’esecutore colla famiglia sua per -andare a guastare le case sue; il popolo il quale -era raunato in sulla piazza de’ priori seguì l’esecutore, -<span class="pagenum" id="Page_210">[210]</span> -ed entrò nelle case degli Scali e rubolle, -e appresso vi mise il fuoco e arsonle, non -potendo a ciò riparare quelli che mosso l’aveano: -dopo nona detto dì mandarono il cavaliere -dell’eseguitore a guastare i beni di contado. -</p> - -<h3 id="capLIII-11">CAP. LIII. -<span class="smaller"><i>Come i Pisani elessono per loro capitano -Ghisello degli Ubaldini.</i></span></h3> - -<p> -I Pisani elessono loro capitano di guerra Ghisello -degli Ubaldini in lungo di Rinieri d’Ugolinuccio -da Baschi, il quale era preso nelle carcere -del comune di Firenze. Il detto Ghisello -era coraggioso e di grande animo, dotto di guerra, -e corale nemico del comune di Firenze, il -quale di presente fu in Pisa, e prese la bacchetta -del capitanato; e ciò fu del detto mese di -maggio. -</p> - -<h3 id="capLIV-11">CAP. LIV. -<span class="smaller"><i>Come messer Piero cavalcò sino sulle porte di -Pisa battendovi moneta d’oro e d’argento.</i></span></h3> - -<p> -A dì 17 del mese di maggio, messer Piero da -Farnese capitano de’ Fiorentini con duemilacinquecento -cavalieri, e molti balestrieri e altra -fanteria si partì dal castello d’Empoli, e dirizzossi -verso Pisa, e il detto dì s’alloggiò sopra -la Cecina intra Marti e Castel del Bosco, il seguente -passarono il fosso, a malgrado di trecento -<span class="pagenum" id="Page_211">[211]</span> -uomini da cavallo che erano nel detto Castello -del Bosco, e per la sera s’accamparono a Ponte -di Sacco, e valicarono di loro in Valdicalci e a -Caprone, facendo gran danni d’arsioni di ville -e manieri. Proseguendo il capitano sue giornate -verso Pisa arse il resto del borgo di Cascina, e -tutto insin presso a Rignone e Borgo delle Campane -ardendo tutto, e quivi fermato mandò a’ Pisani -il guanto della battaglia, di poi lo giorno di -Pasqua novella il capitano colle schiere fatte si -mosse verso le porte di Pisa. Messer Amerigone -Tedesco con sessanta barbute si mise innanzi a -tutti gli altri, e cavalcò verso le porte di Pisa, -e trovò cento barbute de’ nemici con assai gente -da piè, e loro fedì addosso arditamente e li ruppe, -in soccorso de’ quali uscirono di Pisa dugento -uomini da cavallo, i quali volsono indietro -messer Amerigone, al cui soccorso si mise messer -Otto Tedesco con cento barbute e rivolse messer -Amerigone, e fatta aspra zuffa i Pisani furono -rotti; allora uscì di Pisa il potestà con seicento -barbute e molto popolo, e ruppono i nostri, e -presono i detti due conestabili con alquanta loro -brigata. Messer Piero ciò veggendo come di soperchio -ardito, con trecento barbute di gente eletta, -lasciandosi al soccorso la sua gente grossa presso -colle bandiere, con tanto animo si mise sopra i -Pisani che li ruppe e fè volgere, i quali per la -gran calca non potendo entrare per la porta molti -se ne misono per l’Arno, de’ quali assai n’annegarono. -Molti presi ne furono, e tanti e tali che i soldati -più tosto vollono i prigioni, che paga doppia -e mese compiuto, e assai ve ne furono morti di -<span class="pagenum" id="Page_212">[212]</span> -quelli del baldanzoso e scondito popolo. Ciò fatto -il capitano a Rignone e allo Spedaluzzo fè -battere moneta dell’oro, e d’argento, e di quattrini: -in quella d’argento sotto i piè di san Giovanni -sta una volpe a rovescio. E in quell’ora -per i Pisani alla richiesta della battaglia fatta -per messer Piero risposto fu, che alla battaglia -verrebbono a tempo e a luogo; onde fatti per -lo capitano due cavalieri, messer Guglielmo di -Bolsi, e messer Giovanni di...... sonate le -trombe si fè dipartenza; e mentre che la gente -che rimasa era alla retroguardia, mandati dinanzi -a sè gl’impedimenti da Rignone e dal -Borgo delle Campane si partia, gente da piè e -da cavallo de’ Pisani vi sopraggiunse, e perchè -quivi erano cavalieri novellamente fatti non -vollono fuggire. Nello strettissimo luogo della -via, il quale quivi la natura del luogo leva in -alto, quindi l’Arno colle sue ripe fortifica, furono -i nemici da’ nostri aspettati, e subito con -gran grida s’abboccarono insieme con fiera e -ontosa battaglia. I nostri nel principio dubitarono, -e crollaronsi: messer Guglielmo cavaliere -novello con la lancia uno levò da cavallo, onde -premendo lui co’ nostri sopra i nemici, quelli -che in qua e in là scorreano ripresi furono, e da -capo facendo resistenza lungo tempo si combatterono -con dubbiosa vittoria. Alla fine la virtù de’ -nostri crebbe, e soprastette, de’ quali l’Arno molti -ne prese, e inghiottì molti pedoni nello stretto da -piè, di cavalli guasti e magagnati: molti ne furono -presi, molti morti, nè prima fu fine alla fuga, -che giunsono sulla porta di Pisa. Quivi fu il grande -<span class="pagenum" id="Page_213">[213]</span> -scalpitamento, ed ivi li scorridori mescolati con i -nemici quasi si metteano nella porta, intra i quali -era un trombettino del nostro comune, il quale -sonando, fu di saetta che venne dalle mura ferito, -e cadde da cavallo, allora i nostri per studio -d’avere il giglio del trombettino, perchè il -segno non venisse alle mani de’ Pisani, agrissimamente -si combatterono, ove oltre a venti dei -nemici furono morti e molti fediti, e la tromba -col segno del trombettino fu ricoverato: de’ nostri -ne furono morti..... e otto presi, intra i -quali furono i detti due cavalieri novelli. Alla fine -divisa la zuffa i nostri a salvamento si ritornarono -al campo, il quale era fermo a san Sevino -dalla parte sinistra sopra la riva dell’Arno, -che san Sevino era bene guardato; ed essendo -molto del dì nelle dette cose consumato, levate -le schiere i nostri s’alloggiarono la sera nella -villa di Peccioli, e per la fatica del giorno stettono -senza guardia, solo che delle spie: il dì seguente -il capitano rimandò della gente a cavallo -e a piè verso Pisa a fare quel danno poterono. -</p> - -<h3 id="capLV-11">CAP. LV. -<span class="smaller"><i>Sagacità usata per i Pisani per non perdere -Montecalvoli.</i></span></h3> - -<p> -I Pisani ch’aspettavano la Compagnia bianca -degl’Inghilesi, temendo di Montecalvoli, il quale -pochi giorni si potea tenere, usarono questa -malizia, che di notte segretamente facevano uscire -di Pisa loro gente d’arme, e la mattina polverosi -<span class="pagenum" id="Page_214">[214]</span> -li faceano ritornare, e li riceveano a gran -festa, sotto nome di gente della Compagnia bianca, -stimando ne seguisse quello ne seguì: e loro -venne fatto, che i priori di Firenze avendo la -falsa novella per vera, subito con poco onore e -del comune e del capitano li feciono partire dall’assedio -di Montecalvoli, il perchè i Pisani il -poterono liberamente fornire e rinfrescare: e -ciò fu del mese di giugno. -</p> - -<h3 id="capLVI-11">CAP. LVI. -<span class="smaller"><i>Come il re di Francia per paura della -compagnia non osò per terra tornare -nel reame, ma tornò per acqua.</i></span></h3> - -<p> -In questi giorni i pessimi uomini detti latronculi, -noi in volgare diciamo ladroncelli, nel reame -di Francia tanto erano multiplicati all’appoggio -delle compagnie dell’arciprete di Pelagorga -e del Pitetto Meschino, che il re di Francia -essendo ad Avignone non si assicurò tornare -per terra a Parigi, per loro danno si mise ad entrare -in Borgogna. Puossi assai aperto comprendere -i vestigi del santo Evangelio, ove dice: Saranno -pestilenzie e fame per luoghi, e leverassi -gente contro a gente: e soggiugne: E gli uomini -saranno amatori di sè medesimi: e certo ogni radice -di carità pare dispenta. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_215">[215]</span> -</p> - -<h3 id="capLVII-11">CAP. LVII. -<span class="smaller"><i>Della mortalità dell’anguinaia.</i></span></h3> - -<p> -Nel presente mese di giugno, per vere lettere -de’ mercatanti fu in Firenze come in Egitto, e -in Soria, e nell’altre parti di Levante la pestilenza -dell’anguinaia; gravissimamente offendea -e in Vinegia, e in Padova, e nell’Istria, e in -Ischiavonia, non ostante che i detti luoghi altra -volta toccasse. Anche gravemente ritoccò nelle -terre di Toscana, e quasi tutte comprese, e in -Firenze, già stata generale tre mesi per tutto giugno -con fracasso d’ogni maniera di gente. -</p> - -<h3 id="capLVIII-11">CAP. LVIII. -<span class="smaller"><i>Come i Barghigiani colla forza de’ Fiorentini -presono i battifolli.</i></span></h3> - -<p> -Nel detto mese di giugno, essendo stata assediata -Barga da’ Pisani lungamente con tre battifolli, -e Sommacolonna con due, e assai strette, il capitano -de’ Fiorentini essendo a oste a Montecalvoli -trasse dal campo cinquecento barbute con -alquanti masnadieri, e diè boce ch’andassono -in Maremma per preda, e feceli conducere a Volterra, -onde i Pisani mandarono la loro gente in -Maremma alla difesa, e costoro furono condotti -a Barga improvviso a’ Pisani; e sentendolisi presso -quelli di Barga, che n’aveano l’avviso, uscirono -fuori a combattere l’uno de’ battifolli. Avvenne -<span class="pagenum" id="Page_216">[216]</span> -che quelli degli altri due battifolli, lasciando pochi -di loro alla guardia de’ battifolli, trassono al soccorso -di quello ch’era combattuto. Aspra battaglia -era tra loro quando sopraggiunse la gente de’ -Fiorentini; e trovò i due battifolli sforniti, e -presonlisi, e appresso percossono alle reni de’ nemici, -e con loro entrati nell’altro battifolle lo -presono, e perseguitando i nemici, pochi ne camparono, -che non fossono morti o presi. Quello -che trovarono ne’ battifolli sì di vittuaglia come -d’armadura misono in Barga, e arsono le bastite, -e il simile feciono di quelli di Sommacolonna, -e ciò fatto, la gente de’ Fiorentini si tornarono -al campo senza niuno impaccio. -</p> - -<h3 id="capLIX-11">CAP. LIX. -<span class="smaller"><i>Come morì messer Piero da Farnese.</i></span></h3> - -<p> -Essendo entratala furia della pestilenza dell’anguinaia -nell’oste de’ Fiorentini, molti n’uccise, -molti ne indebolì, molti ne avvilì. Il perchè essendo -levato l’assedio da Montecalvoli, per comandamento -de’ signori di Firenze, il capitano -era in Castello Fiorentino, e quivi lo prese il male -dell’anguinaia a dì 19 di giugno, e il detto -dì n’andò a san Miniato del Tedesco, e quivi in -sulla mezza notte passò di questa vita, e il corpo -suo in una cassa alle spese del comune fu recato -in Firenze, e posato a Verzaia, aspettando Ranuccio -suo fratello per cui era mandato; poi a -dì venticinque del mese il corpo suo fu recato in -Firenze alle spese del comune con mirabile pompe -d’esequie, le quali furono di questa maniera -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_217">[217]</span> -</p> - -<p class="indl"> -<i>Qui manca.</i> -</p> - -<p> -Poi seppellito fu nella chiesa di santa Reparata -con intenzione di farli ricca sepoltura di marmo. -Valente uomo fu in arme, e saputo e accorto -con grande ardire, e leale cavaliere, e in fatti -d’arme avventuroso, e per certo ogni onore che -fatto li fosse e per lo innanzi gli si facesse lo -merita. -</p> - -<h3 id="capLX-11">CAP. LX. -<span class="smaller"><i>Dell’ammirabile passaggio de’ grilli.</i></span></h3> - -<p> -Il dì primo di luglio, un vento schiavo temperato -per dieci ore continove del dì nelle parti di -Pesaro, Fano e Ancona condusse incredibile moltitudine -di grilli, quasi come in passaggio per -l’aire, tanto stretti che ’l sole non rendea la -luce se non come per una nuvola non troppo -serrata, e trovossi per quelli che la notte sopraggiunse -che molti l’uno portava l’altro. Dove presono -albergo, cavoli, lattughe, bietole, lappoloni, -e ogni erba da camangiare la mattina si -trovarono tutte colle costole e’ nerbolini tutti -bianchi, che a vedere era cosa nuova. Perchè -per lo freddo della notte non si poteano levare, i -fanciulli ne portavano le cannuccie coperte dal -capo a piè, tanto stretto l’uno sotto l’altro -che non vi si sarebbe messo la punta dell’ago. -I grilli erano di lunghezza d’un dito colle gambe -lunghe e rosse, e l’alie grandi, col dosso ombreggiava -<span class="pagenum" id="Page_218">[218]</span> -in verde chiaro. Molti o la maggior -parte annegarono in mare, che ’l fiotto gittò -alla marina, i quali ammassati gittarono orribile -puzzo, e trovossi che i pesci non presono cibo di -loro, e gli uccelli e gli altri animali insino alle -galline se ne guardarono. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_219">[219]</span> -</p> - -<h2 id="filippo">PROEMIO -DELLA CRONICA -di -FILIPPO VILLANI -<span class="smaller"><i>Nel quale racconta la morte di Matteo suo -padre, e la cagione che lo mosse -a seguitare di scrivere.</i></span></h2> -</div> - -<p> -In questi giorni la pestilenza dell’anguinaia -prese il componitore di quest’opera Matteo, e -trovandolo di sobria e temperata natura e vita -il dibattè cinque giorni, in fine il duodecimo dì -del mese di luglio divotamente rendè l’anima -a Dio. Il quale in tanto possiamo dire meritevolmente -essere da laudare, in quanto esso con lo -stile che a lui fu possibile non sofferse, che perissono -le cose occorse nel mondo per lo tempo -che scrive degne di memoria, quindi apparecchiando -materia a’ più delicati e alti ingegni di -riducere sue ricordanze in più felice e rilevato -stile, qui a me Filippo suo figliuolo lasciando il -pensiere di seguitare su per infino alla pace fatta -con i Pisani, per non lasciare la materia intracisa, -e così m’ingegnerò di fare la storia di tempo -in tempo, con l’altre cose occorse nell’altre -parti del mondo le quali a mia notizia perverranno. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_220">[220]</span> -</p> - -<h3 id="capLXI-11">CAP. LXI. -<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini feciono Ranuccio da Farnese -loro capitano di guerra.</i></span></h3> - -<p> -Seguendo quanto mi sarà possibile lo scrivere -di Matteo Villani mio padre, per principio di -mia perseguitazione ne tocca a scrivere, che per -lo grande amore che ’l comune di Firenze ebbe -a messer Piero da Farnese, senza rispetto de’ grandi -pericoli che vedeano sopraggiugnere, senza lunghezza -di tempo puosono Ranuccio suo fratello, -non perchè ’l conoscessono sufficiente e atto a -tanto peso, ma per donarli quel titolo per grazia -dell’anima di messer Piero. Uomo era pro’ -della persona, e ardito e leale, ma poco sperto -in guidare gente d’arme, e nelli pronti avvisi -che la guerra richiede. -</p> - -<h3 id="capLXII-11">CAP. LXII. -<span class="smaller"><i>Come gl’Inghilesi giunsono in Pisa.</i></span></h3> - -<p> -Gl’Inghilesi ch’erano in Monferrato al soldo -del marchese, col procaccio di messer Galeazzo -Visconti ebbono il passo per lo Genovese, e col -loro capitano messer Alberto Tedesco giunsono -in Pisa il dì 18 di luglio. Honne fatta menzione, -perchè dal non averli condotti come messer -Piero da Farnese consigliava molto di danno -e di vergogna si ricevette per lo nostro comune, -come per l’innanzi leggendo apparirà. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_221">[221]</span> -</p> - -<h3 id="capLXIII-11">CAP. LXIII. -<span class="smaller"><i>Come i Pisani cavalcarono i Fiorentini in -sulle porte.</i></span></h3> - -<p> -Nel detto anno a dì 25 di luglio, Ghisello degli -Ubaldini capitano di guerra de’ Pisani, con ottocento -cavalieri di soldo, e con quattromila pedoni -tra di soldo e di volontà, e con molti gentili -uomini e popolani a cavallo che vogliosamente -il seguirono, e messer Alberto Tedesco capitano -degl’Inghilesi, con duemila cinquecento uomini -a cavallo e duemila a piè si partirono di Pisa, -e andarono a Lucca, e a dì 26 di detto mese passarono -per le montagne di Montaquilano, e scesono -nel piano di Pistoia nel dì di santo Iacopo; -e a’ Pistoiesi non lasciarono correre loro palio. -Ben furono di tanto animo i Pistoiesi, che dissono, -in modo fu inteso dal capitano de’ Pisani, -che mai il detto palio non si correrebbe se non -si corresse sulle porte di Pisa, e così addivenne, -come si troverà nella scrittura che per i tempi -segue. Temettesi forte non si strignessono alla -terra, che senza dubbio a gran pericolo era, -sì per lo subito assalto, al quale niuna provvisione -o riparo era fatto, sì per la pestilenza -dell’anguinaia, che assai cittadini tolti avea, -molti ne tenea in sul letto, e quelli ch’avea -tocchi in vita erano fieboli: la troppa voglia -ch’ebbono d’impiccare gli asinini, e fare le -beffe muccerie, loro tolse il consiglio. Il seguente -dì senza prendere arresto se ne vennono -<span class="pagenum" id="Page_222">[222]</span> -a Campi e a Peretola, e quivi fermarono il -campo, poi colle schiere ordinate vennono insino -al ponte a Rifredi; e sentendo sonare le -campane dal comune a stormo, gl’Inghilesi, che -secondo l’uso di loro paese pensarono che ’l -popolo uscisse a battaglia, temettono un poco, e -rincularono, il perchè i Pisani feciono correre il -palio per traverso a Rifredi e tra le schiere. Più -feciono battere moneta, e al ponte a Rifredi impiccarono -tre asini, e per derisione loro puosono -al collo il nome di tre cittadini, a ciascuno il suo. -Ecco in che i savi comuni di Firenze e di Pisa -spendono i milioni di fiorini, rinnovellando spesso -queste villanie. Adunque impiccati gli asini -volsono le schiere, e tornaronsi a Campi e a -Peretola. Ben fece innanzi messer Alberto cavaliere -Ghisello degli Ubaldini, messer Giovanni -de’ Guazzoni da Pescia con più altri, con grande -gavazza di gridare di stromenti, in parole altamente -villaneggiando e dispettando il comune -di Firenze. Arsioni i Pisani che v’erano feciono -assai, ma non fuori di strada, lasciando le possessioni -d’alcuno notabile uomo popolare per -far dire male di lui. Il seguente giorno, arso ciò -ch’aveano potuto fuori di Firenze e di Prato, -passarono Arno, e arsono il borgo alla Lastra, e -per i monti di verso Valdipesa di notte si partirono, -e arrivarono nel piano d’Empoli, scorrendolo -tutto con fare quel male poterono, quindi -per lo Valdarno con grande preda e copia di -prigioni senza essere loro a niente risposto si tornarono -a Pisa. Da indi a pochi giorni messer Ghisello -passò di questa vita, e onorato fu di sepoltura -assai per i Pisani. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_223">[223]</span> -</p> - -<h3 id="capLXIV-11">CAP. LXIV. -<span class="smaller"><i>Come si fermò pace dalla Chiesa a messer Bernabò.</i></span></h3> - -<p> -Del detto anno del mese d’aprile si fermò la -pace tra papa Urbano quinto (che tanto vogliosamente, -e tanto aspramente e vituperosamente -avea fulminate le sentenze contro a messer Bernabò) -e il detto messer Bernabò, per la Chiesa di -Roma assai vituperevole, e onesta: vituperevole, -perchè si ricomperò dal tiranno ancora scomunicato, -e perchè a petizione del tiranno divise la legazione, -dando Bologna e Romagna in sua legazione -all’abate di Clugnì, e togliendo a colui che con -tanto onore di santa Chiesa l’avea acquistata: -onesta, perchè egli come padre spirituale dee -amare la pace e riconciliazione, e aprire le -braccia a chi vuole tornare alla misericordia, verificando -in buona parte il detto del poeta che -dice: O tu che sol per cancellare scrivi: nè per -essa pace si ruppe a’ collegati promessa, e in loro -potestà rimase l’accettare. Poi appresso messer -Bernabò rendè a santa Chiesa Castelfranco, -Pimaccio e Crevalcuore che tenea in sul Bolognese, -e ciò fatto i collegati con santa Chiesa accettarono -la pace. L’abate passò per Milano, e più -giorni vi stette, dove fu alla reale in tutto onorato, -quindi ne venne a Bologna, ove col caroccio -con molto onore e festa fu ricevuto. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_224">[224]</span> -</p> - -<h3 id="capLXV-11">CAP. LXV. -<span class="smaller"><i>Dello stato della città di Firenze -in que’ giorni.</i></span></h3> - -<p> -E’ ne pare necessario dire in questo luogo, per -quello che seguirà di messer Pandolfo de’ Malatesti, -il reggimento e governo della città di -Firenze in que’ tempi, il quale era venuto in -parte e non piccola in uomini novellamente venuti -del contado e distretto di Firenze, poco -pratichi delle bisogne civili, e di gente venuta -assai più da lunga, i quali nella città s’erano -alloggiati, e colle ricchezze fatte d’arti, e di -mercatanzie e usure in dilazione di tempo trovandosi -grassi di danari, ogni parentado faceano -che a loro fosse di piacere, e con doni, mangiari -e preghiere occulte e palesi tanto si metteano -innanzi, ch’erano tirati agli ufici e messi allo -squittino. Le grandi case de’ popolari aveano i -divieti; molti antichi e cari cittadini saggi e intendenti -erano schiusi dagli ufici, e quello che -ne risultava di peggio di loro governo era, che -temendo di non essere ingannati e consigliati -per lo contradio da’ savi e pratichi cittadini che -con loro si trovavano agli ufici, essendo bene e -utilmente consigliati, e con amore e fede alla -repubblica, sovente prendeano il contrario in -danno e vituperio del comune. Molti gioventù -che non passava l’adolescenza, si trovarono negli -ufici per procuro de’ padri loro ch’erano nel -reggimento; e occorse, che facendosi lo squittino -<span class="pagenum" id="Page_225">[225]</span> -in que’ tempi si trovò che de’ quattro i tre non -passavano i venti anni, e per tali furono portati -allo squittino che giaceano nelle fascie. Le ammonizioni -sboglientavano, e gli odii pertanto e occulti -e pregni teneano l’animo de’ cittadini. Più, -l’avarizia tanto tenea occupato l’animo di molti, -che con novi modi e ufici non necessari, e per -altre coperte vie, faceano al comune spendere i -suoi danari. Le sette non quietavano, e l’una all’altra -per paura tenea l’occhio addosso: e così -la repubblica si trovava nelle mani del giovanile -consiglio, negli occulti odii, e ne’ desiderii delle -private ricchezze. Se queste controversie e confusioni -non avessono allettato e sollevato l’animo -del tiranno a speranza di signoria assai sarebbe -più da maravigliare, che tenendolo in ciò occupato. -Quelli che conduceano la guerra cassarono -i soldati, pensando a primo tempo riconducere a -sofficienza, e cercavano d’avere la Compagnia della -stella, che di numero si ragionava passasse le -seimila barbute. Della Magna speravano trarre -duemila barbute, delle quali non n’ebbono che -cinquecento, sotto il capitanato del conte Arrigo -di Monforte, e del conte Giovanni, e del conte -Ridolfo suo fratello, il quale era sfoggiato di grandezza, -e menno, e però era chiamato il conte -Menno, e questi due si diceano stratti della casa -di Soavia. Non pensando trarre dalla Magna più -gente, nè avere la Compagnia della stella, e correndovi -giorni, condussono messer Ugo Tedesco -valente uomo con mille uomini di cavallo, i quali, -erano giovani e prod’uomini, ma male armati -e peggio a cavallo; fu a ciascuno quando entrarono -<span class="pagenum" id="Page_226">[226]</span> -per lo comune donato una lancia nuova, -perchè non entrassono così brulli. Appresso condussono -il conte Artimanno con mille ragazzi, -verificando il proverbio, a tempo di guerra ogni -cavallo ha soldo: vennono a mezzo il mese di -febbraio in Firenze a rifarsi. -</p> - -<h3 id="capLXVI-11">CAP. LXVI. -<span class="smaller"><i>Come i Perugini, per tema che la compagnia -degl’Inghilesi non soccorressono i loro rubelli -assediati in Montecontigiano, condussono -la Compagnia del cappelletto.</i></span></h3> - -<p> -Nel detto anno del mese di novembre, i Perugini, -i quali aveano condotta la Compagnia del -cappelletto per venti dì, temendo che gl’Inghilesi -non soccorressono i loro usciti i quali erano -assediati in Montecontigiano, rafforzarono l’assedio, -e in pochi giorni appresso ebbono il castello. -Il modo fu nuovo, che i detti usciti con i -fanti masnadieri che aveano seco feciono vista -d’essere fuggiti, e tutti si nascosono per le case, -di che quelli dell’oste maravigliandosi, non veggendo -alle poste le guardie, mandarono alquanti -infino alle porti, e guatando per gli spiragli non -viddono per la terra persona, di che tornati al -campo e detto il fatto, il campo a romore si mosse -colle scale a ire a prendere la terra: li usciti -ch’erano pro’ come leoni, insieme co’ loro fanti -masnadieri lasciarono salire i loro nemici in -sulle mura, e quando li vidono in sulle mura -uscirono delle case francamente, e con raffi -<span class="pagenum" id="Page_227">[227]</span> -a ciò ordinati tirarono delle mura a terra assai -conestabili e valenti uomini che v’erano -montati, e montarono in sulle mura essi, e per -forza ne levarono coloro che su v’erano saliti -con aspra e fiera battaglia, di che i Perugini si -tornarono al campo. Infra quelli che rimasono -presi fu un cavaliere tedesco, che lungo tempo era -stato al soldo de’ Perugini, e fatto gli era grande -onore; costui andando un dì a sollazzo per lo castello -con certi caporali masnadieri, e’ fu da loro -dimandato, che aveano di loro diliberato i Perugini; -il sagace cavaliere rispose, di mai non -partirsi finchè arebbono il castello, e d’impiccarli -tutti; ma che s’elli voleano campare, che -poteano, dando loro gli usciti a’ Perugini, di che -i fanti per paura a ciò s’accordarono; e il seguente -dì cominciarono questioni con gli usciti, domandandoli -se di niuno luogo aspettavano soccorso, -i quali risposono di niuno, onde i masnadieri -loro dissono che piglierebbono partito per sè, ed -ebbono tra loro oltraggiose parole; veggendo ciò -messer Alessandro de’ Vocioli con sette de’ migliori -ch’erano con lui deliberarono di ricorrere -alla misericordia, e con li capestri in gola uscirono -del castello e andarono al campo gridando -misericordia, e’ furono ricevuti: i signori di Perugia -per fuggire le preghiere mandarono quattro -camarlinghi a Montecontigiano, i quali il detto -messer Alessandro con altri sedici cittadini di -Perugia suoi compagni e di buone famiglie quivi -feciono decapitare. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_228">[228]</span> -</p> - -<h3 id="capLXVII-11">CAP. LXVII. -<span class="smaller"><i>Come messer Pandolfo Malatesti venne con -cento uomini di cavallo e con cento -fanti a servire il comune di -Firenze per due mesi.</i></span></h3> - -<p> -Conoscendosi per i Fiorentini che nell’impresa -della guerra il comune era senza capo e senza -consiglio, e con gente d’arme di poco valore, -forte si cominciò a dubitare, e massimamente -per coloro a cui potea meritamente la perdita -tornare nella testa; costoro co’ loro seguaci furono -a’ signori, pregandoli che provvedessono di -capitano di guerra, e loro puosono innanzi messer -Pandolfo de’ Malatesti, il quale per le sue -savie e franche operazioni, contra il conte di -Lando e sua compagnia, come Matteo mio padre -scrive di sopra, in Firenze avea buona fama, -e la grazia di tutti i cittadini, il quale di presente -fu eletto senza sospezione alcuna, e fatti gli -ambasciadori ch’andassono a portare l’elezione, -e patteggiarsi con lui, e scritto gli fu in segreto -dagl’intimi suoi che venisse, che ciò che domandasse -al comune arebbe, ed esso ben sapeva -la condizione della città, e l’infermità di essa -gli era negli occhi; onde ricevuti gli ambasciadori -colla elezione li lasciò a Pesero, ed -egli n’andò dove era messer Malatesta, vecchio -e messer Malatesta giovane, e con loro -più giorni stette in segreto consiglio. Quali fossero -i ragionamenti, l’opere di messer Pandolfo -<span class="pagenum" id="Page_229">[229]</span> -il manifestarono. Tornato agli ambasciadori a -Pesero, per meglio coprire suo segreto mostrava -per molte vie poca voglia di volere venire, e con -cautela disse non potea senza la licenza di messer -di Spagna legato di papa, ed esso medesimo -per suo segreto messo infra pochi giorni l’ottenne; -e ciò fatto, venne alla pratica con gli ambasciadori -di quello volea, e le sue domande erano -in gran parte sì spiacevoli e disoneste, che gli ambasciadori -del tutto si partirono da lui; ed essendo -per mettere i piè nella staffa, parendo a messer -Pandolfo avere mal fatto, li fè richiamare, e -loro disse non intendea di venire come capitano, -ma come amico del comune volea venire a -servirlo due mesi, e così per gli ambasciadori fu -accettato, e così venne ed entrò in Firenze a dì -15 del mese d’agosto con cento uomini di cavallo -e cento fanti a piè, e con grande allegrezza -fu da tutti universalmente ricevuto, parendo a -ciascuno essere in viaggio d’onorato fine alla -guerra. Il seguente dì furono creati otto cittadini, -due per quartiere, e per termine d’un anno -e con balìa assai, in uficiali del comune sopra la -guerra, i quali di presente preso l’uficio incominciarono -ad intendersi con messer Pandolfo -sopra i modi che intorno a’ fatti della guerra -s’avessono a tenere; nelle lunghezze delle parlanze -messer Pandolfo non mostrò cruccio di -perdere tempo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_230">[230]</span> -</p> - -<h3 id="capLXVIII-11">CAP. LXVIII. -<span class="smaller"><i>Come i Pisani co’ loro Inghilesi presono -Figghine.</i></span></h3> - -<p> -Messer Manetto di messer Lomodaiesi capitano -generale della gente d’arme de’ Pisani, e messer -Alberto Tedesco capitano degl’Inghilesi, con -tutte loro brigate continuando loro viaggio senza -contradizione per li stretti passi del Chianti valicarono -nel Valdarno di sopra, e nella loro prima -giunta presono il borgo di Figghine a dì 16 -di settembre di detto anno, dove trovarono molta -roba e prigioni assai d’ogni maniera: è vero -che la maggior parte degli uomini e donne da -bene si fuggirono nel castello, ch’era assai forte: -e perchè quelli del castello non prendessono consiglio, -il seguente dì gl’Inghilesi si strinsono ad -esso, onde quelli d’entro spaventati si rendeano; -e mentre che i patti si compilavano, la cattività -di quelli d’entro fu tanta che si lasciarono torre -la fortezza agl’Inghilesi; il perchè ebbono assai -prigioni da bene uomini e donne, i quali Dio sa -come furono ricevuti nelle mani degl’Inghilesi -uomini crudeli e bestiali, i quali con la miseria -de’ nostri arricchirono. Preso il castello il guastarono -e afforzaronsi ne’ borghi, dove stettono per -alquanto di tempo. La presura di Figghine assai -diè di pensiero e di maninconia a’ governatori -del nostro comune, tutto che i cittadini ch’aveano -i palagi e abituro d’intorno e appresso la -città paressono contenti che la guerra si facesse -<span class="pagenum" id="Page_231">[231]</span> -da lungo, ma poco loro valse, come appresso diviseremo. -</p> - -<h3 id="capLXIX-11">CAP. LXIX. -<span class="smaller"><i>Come messer Pandolfo puose il campo all’Ancisa, -e come il detto campo fu preso dagl’Inghilesi -con messer Rinuccio capitano, -e appresso il borgo all’Ancisa, e -come messer Pandolfo fu fatto -capitano di guerra.</i></span></h3> - -<p> -Preso Figghine per i Pisani, col consiglio di -messer Pandolfo tutta la gente dell’arme de’ Fiorenti -con molti pedoni che ’l comune avea n’andò -all’Ancisa, e di presente messer Pandolfo andò -dietro loro, e come giunse all’Ancisa ordinò -di porre campo dirimpetto all’Ancisa, il quale -ad arte il prese di sfoggiata grandezza, prendendo -dal poggio infino all’Arno, contra il volere -e consiglio di messer Rinuccio capitano, e di -messer Amerigone Tedesco e di tutti gli altri -buoni uomini d’arme che v’erano, eccetto il -conte Artimanno, il quale si scoperse traditore, -i quali tutti diceano essere abbastanza e più utile -fare una bastita intorno alla torre Bandinelli, -la quale diceano potersi difendere insieme col -borgo dell’Ancisa, e che tanta larghezza di campo, -traendo lui cinquecento cavalieri della migliore -gente, nè eziandio se vi fossono alla difesa, -non era possibile da difendere dalla forza de’ nemici, -e che stolta cosa era commettersi a quella -fortuna. Messer Pandolfo fè orecchie di mercatante -<span class="pagenum" id="Page_232">[232]</span> -a lasciare dire chi volle, e fè pure a suo senno, -avendo dato a intendere prima a quelli della -guerra e al comune che la Compagnia del cappelletto -la quale era in Maremma condotta per -i Fiorentini, e con cinquecento barbute di quelli -erano all’Ancisa cavalcherebbono i Pisani, i -quali arebbono necessità rivocare loro gente al -soccorso, e sotto questo colore trasse del campo -messer Amerigone e altri caporali con cinquecento -uomini di cavallo della miglior gente fosse nel -campo, lasciando al capitano il forte ragazzaglia -e vile gente, eccetto alquanti Italiani, e ciò fatto -se ne venne a Firenze. Gl’Inghilesi sentendolo -partito, e che messer Rinuccio era semplice, feciono -ingaggiare di battaglia uno di loro con uno -di quelli d’entro, e molti saggi Inghilesi vennono -nel campo senza arme, dove si combatterono, -e considerando il campo e chi v’era alla -difesa, il seguente dì 3 d’ottobre colle schiere -fatte assalirono il campo da molte parti, acciocchè -la poca gente che v’era e debole si spargesse -in più parti alla difesa. Il capitano confortando -i suoi a ben fare, e della sua persona, con -quelli pochi uomini che v’erano buoni fè maraviglie, -e per lungo spazio di tempo sostenne l’assalto -con danno assai de’ nemici; in fine non potendo -resistere a tanta gente, nè a tanti luoghi -quant’erano combattuti, il capitano insieme col -campo fu preso, con assai degli altri che mostrarono -il volto. Il conte Artimanno traditore, possendo -atare e soccorrere il campo, lasciando parte -della sua gente a guardia del borgo dell’Ancisa -co’ terrazzani, si stette a vedere. Molti de’ -<span class="pagenum" id="Page_233">[233]</span> -nostri ch’erano usciti di fuori, tale per badaluccare -tale per vedere, furono presi, più di disarmati -vogliosi troppo ch’erano corsi a vedere. -Quelli valenti uomini che erano usciti fuori virilmente -a battaglia furono presi colle spade in -mano, intra’ quali fu messer Giovanni degli -Obizzi e messer Giovanni Mangiadori, alquanti -se ne gittarono per l’Arno che vi annegarono, -intra i quali fu messer Bartolommeo de’ Portigiani -da san Miniato. La preda de’ cavalli, fornimenti -da campo e armadura fu grande. Avuta la -vittoria gl’Inghilesi, con la preda e co’ prigioni -si tornarono a Figghine. Ricerchi i nostri, tra -presi e morti si trovarono passati i quattrocento. -Conosciuto per gl’Inghilesi il male e viziato -ordine dato per messer Pandolfo, e la viltà -di nostra gente, e il corrotto animo del -conte Artimanno, il dì seguente dì 4 d’ottobre -ne vennono all’Ancisa colle schiere fatte per -combattere il borgo; il traditore del conte Artimanno -come li vidde venire, colla sua brigata -se n’uscì per la porta che viene verso Firenze e -misesi a cammino, che se avesse avute altrettante -femmine come avea uomini d’arme arebbe -difeso quel luogo; i nemici senza contesa entrarono -nel borgo e presonlo, rubaronlo e arsonlo, -per avere la via spedita volendo venire verso -Firenze. Messer Pandolfo sentendo la rotta -del campo, con cinquecento uomini ch’avea -scelti e altra gente d’arme, in vista mostrava -gran fretta d’andare a soccorrere l’Ancisa, -e già avea passato san Donato in Collina, -veggendo venire il conte Artimanno in fuga, -<span class="pagenum" id="Page_234">[234]</span> -possendosi allo stretto di san Donato sostenere -per non mostrare tanta viltà, subito si volse -e diessi alla fuga come uomo rotto. I nostri -veggendo fuggire il capitano seguitarono, il quale -come spaventato, come giunse in Firenze fè -segno come fosse di necessità provvedere alla -guardia della città trista e lagrimosa, e che mal -volentieri lo vedea, ma la necessità la quale fa -vecchia trottare strinse il nostro comune ad eleggerlo -per capitano di guerra in luogo di messer -Rinuccio preso colla spada in mano. Il quale essendo -eletto nella forma che sogliono capitani di -guerra, volle ai governatori del nostro comune -con belle e artificiose parole e con sottili argomenti -mostrare, che a perfezione del capitano, -pace e bene della città, necessario era che nella -città e di fuori avesse giurisdizione di sangue con -pieno arbitrio, e fu sì sfacciato, che la domandò -agli uficiali della guerra, quasi dando intesa altamente -non accettare il capitanato, e più domandò, -che i soldati da cavallo e da piè giurassono -nelle sue mani. Udendo i governatori della -città le sconce e le mal colorate domande vollono -un grande consiglio di richiesti, dove si proposono -le domande di messer Pandolfo, e tanto era il bisogno -che aveano di lui, che niuno osava contradire, -e il concedere parea pericoloso, il perchè -stavano sospesi e muti. Simone di Rinieri Peruzzi -si levò in consiglio, e disse francamente che -nulla di ciò gli si concedesse, che questo era un -domandare d’essere fatto signore, e che ciascuno -si recasse alla mente il tempo del duca d’Atene, -e come da lui erano stati trattati, e che conoscessono -<span class="pagenum" id="Page_235">[235]</span> -la dolcezza della libertà, e che volessono -vivere e morire in essa. Piacque a tutti il -consiglio, e così s’ottenne; e i signori priori -mandarono di presente per tutti i soldati, e in -loro mani feciono giurare, e un Baldo dalla Città -di Castello elessono per difensore del popolo con -larga e piena balía nella città. Messer Pandolfo -veggendo ciò s’infinse di non lo intendere, e accettò -il capitanato al modo usato a capitano di -guerra, senza lasciare il pensiere di venire per -altra via al suo intento, come per effetto si vide. -Presa la bacchetta del capitanato fè cassare il conte -Artimanno con ottocento uomini di cavallo, -perchè non rimase il comune se non con altri -ottocento, e ciò fatto, mostrando smisurata paura, -fece sopra certa parte delle mura della città -levare bertesche e merlate armate di ventiere, -armando la nostra città d’eterna vergogna, più, -che per le vie mastre non molto di lungo alle -porte fè fare serragli e antiserragli infino a Ricorboli. -</p> - -<h3 id="capLXX-11">CAP. LXX. -<span class="smaller"><i>Come certa parte degl’Inghilesi da Figghine -cavalcarono a Ricorboli.</i></span></h3> - -<p> -Gl’Inghilesi e gente de’ Pisani imbaldanzita -sopra modo della rotta del campo e della presa -del borgo all’Ancisa, posati alcuni dì a Figghine, -avendo le spie dello spavento ch’era in Firenze, -e de’ modi del capitano, feciono sentire al comune -con minaccevole superbia e altre parlanze, -<span class="pagenum" id="Page_236">[236]</span> -come a dì 22 d’ottobre verrebbono in sulle porte, -e arderebbono il borgo di san Niccolò, e che a -questo il comune mettesse ogni suo sforzo a riparo, -il perchè i governatori della città perduto il -cuore e il senno, e poco di concordia e rimprocciosi -gettando il carico l’uno all’altro con mormorio, -parendo a loro essere certi che quello che -gl’Inghilesi prometteano l’atterrebbono, feciono -afforzare san Miniato a monte, e misonvi quattrocento -fanti pistoiesi e gli sbanditi, a’ quali -promisono di ribandirli, poichè certo tempo -ivi e altrove avessono servito il comune, de’ quali -fu capitano messer Niccolò Buondelmonti, e Sinibaldo -di messer Amerigo Donati, i quali allora -erano in bando della persona: il numero loro -passava i cinquecento. La città stava e quelli -che di fuori erano alle poste in tanta sollecitudine -e tremore, che alcuna volta sentendo pur un uomo -dall’Apparita sonavano le campane del comune -a martello, e invano la guardia si faceva -la notte co’ pennoni. Essendo per più giorni stati -grandi acquazzoni, a dì 22 del mese d’ottobre la -detta brigata degl’Inghilesi in numero di millecinquecento -a cavallo e cinquecento pedoni prima -fu nel Piano di Ripoli, che per lo capitano o per -i governatori del comune niente se ne sentisse, e -se niente se ne sentì per lo capitano, che verisimile -parea del sì, fece vista di non saperne: -molti cittadini in sulle letta furono presi, perchè -vennono di notte, e ucciso fu chi si contese. La -preda che feciono fu di quattrocento prigioni, e -di più di mille tra asini e buoi: molti fuggendo -annegarono in Arno. La notte si stettono nel Piano -<span class="pagenum" id="Page_237">[237]</span> -di Ripoli e nelle coste d’intorno: il loro segno -levarono alla pieve a Ripoli facendo gran -trombata; la mattina, ardendo molti palagi, alberghi, -e case da lavoratori vicino alla strada circa -d’un miglio, si partirono senza trovare chi li andasse -a vedere, e con la preda e’ prigioni si tornarono -a Figghine. Messer Pandolfo sapendo che -erano partiti, per vedere la tratta de’ Fiorentini, -ch’era vogliosa e senza ordine niuno, con ottocento -uomini a cavallo ch’erano rimasi al comune -e con gran popolo si stette alle sbarre a -Ricorboli; esso vedea i nemici sparti, e girsene -per le coste, e ne’ suoi occhi ardere molti palagi -di cittadini, e senza dubbio avendo le spalle del -popolo e de’ contadini, ch’erano oltre a diecimila -bene armati, e che volentieri l’arebbono -seguitato, per lo danno e vergogna che fare si vedeano, -li potea offendere, e nol volle fare, ma si -ritenne al primo serraglio lasciandosene tre innanzi, -a’ quali era il popolo e la gente da piè. Dissesi, -e vero fu, che non sapendo l’aspro cammino -gl’Inghilesi si mossono, e non giunsono in Pian di -Ripoli che a pochi loro cavalli non crocchiassono -i ferri, e se fossono stati assaggiati erano perduti, -come essi poi confessarono aperto, ma la -viltà affettata del nostro capitano, che traeva al -fine che è detto di sopra, e de’ nostri cittadini -e contadini, che gl’Inghilesi fossono leoni fu la -salvezza loro. Speranza fu di messer Pandolfo, -che rimaso messer Lomodaiesi co’ soldati de’ Pisani -alla guardia di Figghine, gl’Inghilesi fossono -tutti, e che s’alloggiassono nelle belle e ricche -possessioni presso alla terra, le quali erano -<span class="pagenum" id="Page_238">[238]</span> -piene d’ogni bene, e che ’l comune per allora -vario d’animo e povero di consiglio inclinasse a -volerlo per suo governatore e maestro; questa -speranza li faltò per la subita partita degl’Inghilesi, -e fecelo entrare in altro pensiere. -</p> - -<h3 id="capLXXI-11">CAP. LXXI. -<span class="smaller"><i>Come i Sanesi sconfissono la Compagnia del -cappelletto, la quale era condotta al -soldo de’ Fiorentini.</i></span></h3> - -<p> -Non ci pare da lasciare in silenzio, che essendo -la gente de’ Pisani con gl’Inghilesi afforzati in -Figghine, ed essendo condotta per i Fiorentini la -Compagnia del cappelletto, la quale era in Maremma, -e co’ Sanesi avea presa convegna, e veniano -al servigio del comune di Firenze, e senza -riguardo d’offesa e come fidati da’ Sanesi, per -la via da Torrita furono da loro assaliti con ottocento -uomini da cavallo, fra i quali ve ne furono -quattrocento e più de’ Pisani, e loro ordine e -trattato fu per rompere le provvisioni di messer -Pandolfo, le quali aveano sentite. La zuffa dopo -l’assalto de’ Sanesi non ebbe molto contasto, -perchè quelli della compagnia venendo senza -sospetto come per terre d’amici veniano in filo -e sparti, il perchè di leggiere furono sconfitti -e preda de’ nemici. Presi vi furono oltre a trecento -uomini di cavallo e più di mille pedoni, e intra -i presi fu il conte Niccolò da Urbino, che era -il capitano, il conte da Sarteano, Marcolfo da’ Rimini; -con altri assai buoni uomini d’arme, e morti -<span class="pagenum" id="Page_239">[239]</span> -ne furono assai più di cento. Della quale vittoria, -ovvero tradimento fatto in dispetto, danno e -vergogna del comune di Firenze, i Sanesi ne feciono -beffa festa, dicendo sè a un’ora avere sconfitto -il comune di Firenze e la compagnia la quale -tanto affannati gli avea; e prosontuosamente oltre -a modo alzando il capo, per derisione e scherno -mandarono due messi a Firenze con lettere, l’uno -al comune l’altro a’ capitani della parte guelfa, -contenenti con alte e ornate parole la detta vittoria. -Il comune dissimulando l’oltraggio, il fante -che a lui venne vestì di scarlatto fino foderato -d’indisia, la parte vestì il suo di cardinalesco. -</p> - -<h3 id="capLXXII-11">CAP. LXXII. -<span class="smaller"><i>Di cavalcate e combattimenti di terre feciono -gl’Inghilesi mentre stettono a Figghine.</i></span></h3> - -<p> -Soggiornando gl’Inghilesi a Figghine, come -guerrieri senza riposo tentarono per più riprese -assai delle castella e tenute del nostro comune -che d’intorno loro erano vicine, e al castello di -Tre Vigne in due diversi giorni dierono ordinata -battaglia, dove rimasono morti alquanti di loro, -e assai ne furono e dalle balestra e dalle pietre -magagnati senza acquisto niuno, lasciando le fosse -piene di scale e la terra di saettamento, e per -simile modo combatterono più altre tenute indarno. -Il castelluccio de’ Benzi e la Foresta si -tennono. Vero fu che uno Andrea di Belmonte -Inghilese, gentile uomo e grande caporale nella -compagnia, udita la fama della bellezza e gentilezza -<span class="pagenum" id="Page_240">[240]</span> -di costumi di Monna Tancia donna di Guido -della Foresta, di buono e cavalleresco amore fu -preso di lei, e la volle vedere, e da Guido come -da uomo d’animo gentile cortesemente fu ricevuto -e onorato; seguinne, che per l’amore di costui -per tutto il tempo che stettono a Figghine -niuna novità fu fatta alla Foresta. Combatterono -per tutto un giorno il castello di Cintoia, e nol -poterono avere. La notte quelli di Cintoia per la -bussa del dì tormentati, e perchè assai di loro -n’erano fediti, mandarono a Firenze a’ signori -pregando per Dio li sovvenissono d’aiuto almeno -di venti fanti, perocchè attendeano d’essere -il seguente dì combattuti, e temeano della perdita; -la provvisione all’usato modo fu fredda, il -perchè gl’Inghilesi il seguente dì tornarono alla -battaglia. Quelli del castello facendo loro possanza -lungamente si tennono danneggiando forte i -nemici, in fine gl’Inghilesi presono il castello, e -’l misono a sacco e l’arsono, e con la preda e’ prigioni -si tornarono a Figghine. Nel detto tempo -tremila uomini di cavallo con pedoni assai cavalcarono -verso Arezzo, e poi volsono nel Casentino, -dove levarono gran preda sì di persone -sì di bestiame, e senza impedimento con essa si -tornarono a Figghine. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_241">[241]</span> -</p> - -<h3 id="capLXXIII-11">CAP. LXXIII. -<span class="smaller"><i>Esempio e ammaestramento de’ popoli che -vivono a libertà i quali si conducono -nella fortuna della guerra di non -torre capitano uso a tirannia.</i></span></h3> - -<p> -Tornando al processo di nostra materia, gl’Inghilesi -da Ricorboli venuti a Figghine essendo ad -abbondanza grassi e di prigioni e di preda, nel -consiglio de’ loro maggiori cominciarono ad entrare -in pensiero, come l’uno e l’altro potessono -conducere in Pisa per li stretti passi di Valdipesa: -e per ciò potere fare, parendo loro come a gente -dotti di guerra del Chianti sentire l’intenza di -messer Pandolfo, e che pertanto era occupato intorno -a’ fatti della città, poichè alquanti giorni furono -riposati feciono sentire al comune di Firenze, -che a dì undici del mese di novembre intendeano -di fare consegrare un prete novello nella badia di -san Salvi, e che i signori di Firenze e gli altri gentiluomini -dovessono venire a fare onore al detto -prete, e a loro in persona di lui. Ciò indubitatamente -credette messer Pandolfo, e per le sue -spie l’ebbe di certo, perocchè vidono il campo -armare il detto dì 11 la mattina per tempo, e -per lo campo sentirono divolgare come si dirizzavano -verso Firenze; e certo a ciò avvisati cautamente -presono il viaggio verso Firenze, il perchè -le spie non attendendo più oltre vennono a -Firenze ad informare messer Pandolfo. Stando la -terra sotto l’arme in gran tremore, scendendo -<span class="pagenum" id="Page_242">[242]</span> -all’Apparita pur un fante a piè credeano fossono -della brigata degl’Inghilesi, le campane sonavano -a stormo, il popolo sbalordito correa in qua -e in là senza ordine e senza capo, lasciando -quasi ciascuno il suo gonfalone per ire a vedere, -e di largo avanti che messer Pandolfo giugnesse -alla Porta alla croce usciti erano della città ottomila -uomini bene armati; quelli ch’erano più -gagliardi erano nel piano di san Salvi, e ordinatisi -il meglio aveano saputo, aspettando a ricevere -i nemici, gli altri erano per le coste sopra -san Salvi. Il falso grido sonava per la terra che -già parte di loro n’era a Rovezzano: la gente da -cavallo tutta era nella piazza de’ signori, e aspettava -il capitano, il quale per la malizia soprastette -al mangiare tanto, ch’era quando se ne levò più -vicino alla nona che alla terza, e ciò fè perchè il -popolo satollo uscisse fuori, e pensando che a -quell’ora ragionevolmente i nemici dovessono esser -giunti a san Salvi, e alle mani col popolo voglioso -e con poco senno. Uscito il capitano fuori -coll’insegna di sua arme levata, seguendolo i -soldati e molti cittadini da bene a cavallo, come -giunse alla Porta alla croce la fece serrare, e così -quella della giustizia, ed esso si stava dentro a -guardarla, lasciando il popolo di Firenze senza -rifugio al taglio delle spade e in preda de’ nemici, -che bene conoscea chi era il popolo, e chi -gl’Inghilesi. Di fuori della porta era il tumulto -grande delle strida delle femmine che fuggivano -co’ figliuoli in collo e a mano, e voleano entrare -dentro e non poteano, e quelle grida confermavano -nella testa a messer Pandolfo che i nemici -<span class="pagenum" id="Page_243">[243]</span> -fossono giunti, e a zuffa, e ripreso da molti buoni -cittadini che non lasciava entrare le femmine -e’ fanciulli, fatto per alquanto di tempo orecchie -di mercatante, quasi come temesse che per lo -sportello entrassono i nemici e corressono la terra, -alla fine udendo il mormorio del popolo e -de’ buoni uomini fece aprire lo sportello: e io -scrittore che era in quel luogo vidi molti cittadini -grandi e da bene, e a cui era cara la libertà -della città, piagnere e lagrimare vedendo il -caso pericoloso, e ricordando il tempo del duca -d’Atene, e come si fece signore, e alquanti di -loro n’andarono a’ signori, e li consigliarono che -provvedessono di vittuaglia il palagio, e facessono -mettere le balestra grosse e le bombarde in punto -sicchè il palagio avesse difesa, e tale, che di -fatto, come al tempo del duca d’Atene, occupato -non fosse. E stando nel tumulto del fornire e armare -il palagio alla difesa, un messo giunse loro -da Figghine, e disse come i nemici aveano arso -il campo e il borgo di Figghine, e come s’erano -partiti co’ prigioni e colla preda, e fatta la via -per lo Chianti; onde i signori mandarono a dire -a messer Pandolfo che facesse aprire le porte, -e tornassesi allo stallo suo, il quale ciò udito, -caduto della speranza, con gli occhi bassi e mal -volto di tutti si tornò a casa sua. Quetato il popolo, -e lasciata l’arme, i signori ebbono gran -consiglio di richiesti, e veduto il pessimo animo -di messer Pandolfo, e come pure intendea a volere -essere signore di Firenze a dispetto del popolo, -determinarono li fosse tenuto mente alle -mani sicchè non li venisse fatto, e da quell’ora -<span class="pagenum" id="Page_244">[244]</span> -innanzi cominciò a essere in dispetto di tutti: -e perchè il popolo non traesse più mattamente, -feciono che ciascuno dovesse trarre al suo gonfalone -alla pena di lire sei, la quale pensando si -dovesse risquotere ciascuno sarebbe sollecito a -seguire il suo gonfalone. Per messer Pandolfo -mandarono, e lo ripresono forte de’ modi tenuti -per lui, e dicendoli che stesse dove li paresse -alle frontiere a guerreggiare i nemici, che il popolo -di Firenze ben saprebbe guardare la città. -Se non fosse stato della casa de’ Malatesti, per lo -nome e titolo di parte guelfa amata e onorata -dal comune di Firenze, per certo si tenne n’arebbono -preso altra via. Avemo tritamente narrato -questo caso per esempio, se potesse profittare, a -quelli che verranno, di non tor mai a capitano -di guerra tiranno di terra notabile, perocchè -l’avvenimento della guerra è vario, e la fortuna -or quinci or quindi presta il favore suo, e sovente -il tiranno la fa essere ria per usurpare la sua -libertà. E nullo ammiri perchè io dissi se potesse -profittare, perocché ’l governo allora del nostro -comune, avendo novellamente sì aspra ed evidente -battitura ricevuta da messer Pandolfo, e lui -partito con disonore e vergogna, sotto titolo e -colore di ricoverare l’onore della casa de’ Malatesti, -con la forza degli amici loro fu chiamato -capitano di guerra messer Galeotto Malatesti; -quello ne seguì nel seguente trattato a suo luogo -e tempo si potrà trovare. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_245">[245]</span> -</p> - -<h3 id="capLXXIV-11">CAP. LXXIV. -<span class="smaller"><i>I modi teneano gl’Inghilesi tornati in Pisa.</i></span></h3> - -<p> -Con grande festa e trionfo gl’Inghilesi tornati -da Figghine per i Pisani furono ricevuti, e loro -quasi come a cittadini fu consegnata certa parte -della terra, e dell’altre furono abbarrate le vie -perchè non noiassono a’ cittadini; ciò veggendo -gl’Inghilesi lor parve che i Pisani li avessono accettati -per loro cittadini participando la terra -con loro, e modi teneano che pareano che intendessono -così; i Pisani veggendo per segni e -parole l’intento loro più volte cercarono per -ingegno e astuzia di trarlisi di casa, infignendo -d’essere cavalcati da’ nemici, e facendo venire -molte lettere di diverse parti che loro annunziavano -soprastare a gran pericoli, ma per allora -fu nulla, che gl’Inghilesi che s’erano molto -affannati, e bisogno aveano di riposo, ed erano -caldi di danari di prigioni e di preda, se ne feciono -beffe, il perchè i Pisani vernano in gran -gelosia. -</p> - -<h3 id="capLXXV-11">CAP. LXXV. -<span class="smaller"><i>Come i Pisani furono sconfitti a Barga.</i></span></h3> - -<p> -Avendo i Pisani la lor gente dell’arme e gl’Inghilesi -nella città, non potendo, come detto è di -sopra, nè in parte nè in tutto trarre gl’Inghilesi -di Pisa, per non perdere il tempo gran parte di -<span class="pagenum" id="Page_246">[246]</span> -loro soldati con grande ordine e apparecchio -mandarono a Barga all’entrare di dicembre, per -porre sopra gli altri battifolli che vi aveano -un altro battifolle dalla parte del monte. In -Barga era capitano per i Fiorentini Benghi del -Tegghia Bondelmonti, a cui i Fiorentini, poichè -gl’lnghilesi aveano abbandonato Figghine, aveano -mandati centocinquanta degli sbanditi ch’erano -stati in san Miniato a monte, i quali doveane -certo tempo servire il comune nella guerra -alle loro spese, e poi essere ribanditi; la gente -de’ Pisani portando fornimenti assai, sì per -porre detto battifolle, e sì per fornire e quello e -gli altri ad abbondanza, non parea che desse cuore -di fare quello ch’era stato loro commesso senza -altro aiuto, forte temendo la brigata di Barga, -il perchè quelli ch’erano negli altri battifolli -lasciandoli male a difesa forniti si dirizzarono -con loro in viaggio. Benghi, sentendo che i -battifolli erano sforniti e quasi come abbandonati, -con i Barghigiani, che v’andarono uomini e -femmine vogliosamente, e co’ detti centocinquanta -sbanditi assalì i detti battifolli, e tantosto -li vinse. Quelli de’ battifolli ch’erano iti coll’altra -gente a porre la bastita sentendo le grida -e lo stormire di quelli che combatteano le -bastite, subito colla detta gente de’ Pisani si volsono -indietro per soccorrere a’ battifolli. Benghi -capitano co’ Barghigiani e sbanditi suddetti li -ricevettono francamente, e dopo lunga battaglia -e aspra li sconfissono, dove de’ nemici furono morti -oltre a centocinquanta, e assai fediti e magagnati, -e molti ne furono presi; lo stendardo del -<span class="pagenum" id="Page_247">[247]</span> -comune di Pisa con altre tredici bandiere rimasono -prese, le quali i Barghigiani ne mandarono a -Firenze, e’ battifolli furono arsi, e quello che -dentro v’era con quello che recato v’aveano per -porre l’altro sì di vittuaglia come d’arnesi fu -messo in Barga, e loro a gran bisogno sovvenne. -Benghi perchè s’era fedelmente e francamente -portato fu fatto di popolo, e rifermo in capitano -di Barga per diciotto mesi. -</p> - -<h3 id="capLXXVI-11">CAP. LXXVI. -<span class="smaller"><i>Come il re Giovanni di Francia passò -in Inghilterra e là morì.</i></span></h3> - -<p> -Uscendo un poco del bosco delle nostre speziali -riotte, facendo intramessa di cose forestiere, -torneremo alquanto addietro a quello che scritto -fu per Matteo nostro padre della pace intra i due -re di Francia e d’Inghilterra, dove il re di Francia -s’obbligò a pagare al re d’Inghilterra gran -quantità di moneta per la sua diliveranza; e per -osservare sua promessa lasciò per stadico il fratello -duca d’Orliens, e messer Giovanni duca di -Berrì suo figliuolo, e più altri duchi, conti e banderesi; -onde in quest’anno 1363 a dì 3 di gennaio, -il detto messer Giovanni figliuolo del re che stadico -era a Calese, villanamente, essendo largheggiato -d’andare a cacciare e uccellare a sua volontà, -si fuggì da Calese senza tornarvi con gran sua -vergogna, e fè rubellare agl’Inghilesi più terre -teneano in Normandia per gaggi della pace. Onde -il re Giovanni, come franco e nobile signore, -<span class="pagenum" id="Page_248">[248]</span> -per lo detto misfatto del figliuolo e rompimento -della pace, e per trattare patto e grazia di sua -redenzione, di sua volontà a dì 3 di gennaio 1363 -entrò in mare a Bologna sul mare per ire e si -rassegnare prigione in Inghilterra, e il giovedì -appresso giunse a Dovero, e dipoi a dì 24 di gennaio -giunse a Londra, e incontro gli andarono -oltre a mille a cavallo gente nobile, e tutti vestiti -di variate assise, e dismontò a una casa detta -Saona per lui riccamente e alla reale apparecchiata. -Della quale andata il detto re da tutti -i cristiani fu molto lodato, ed eziandio gl’Inghilesi -l’ebbono molto a bene e feciongliene ogni -grazia. Nel raccozzamento de’ due re, e nella -pratica, il perchè v’era ito, il detto re di -Francia era passato nell’isola. Potrei far fine -qui e riserbare al mese suo la morte del re -di Francia, ma per non interrompere la materia -la porremo qui. Seguì, che poco appresso -poi all’entrata di marzo prese al re di Francia -una malattia, e dipoi a dì 8 del mese d’aprile -1364 la notte passò di questa vita. Onorato fu -di sepoltura largamente alla reale, riservando -in una cassa il corpo suo per recarlo a tempo -a Parigi. Il reame succedette a Carlo primogenito -del detto re Giovanni, duca di Normandia e -delfino di Vienna. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_249">[249]</span> -</p> - -<h3 id="capLXXVII-11">CAP. LXXVII. -<span class="smaller"><i>Come messer Niccolò del Pecora fu cacciato -di Montepulciano.</i></span></h3> - -<p> -In questi giorni per trattato fatto per i Sanesi -colla forza de’ fanti d’Agnolino Bottoni, contra i -patti della pace fatta tra’ Perugini e’ Sanesi, messer -Niccolò del Pecora per i conforti suoi fu cacciato -di Montepulciano, e ridussesi a Perugia in -assai debole stato, e da’ Perugini mal provveduto, -i quali per non ricominciare guerra passarono la -vergogna a chiusi occhi. -</p> - -<h3 id="capLXXVIII-11">CAP. LXXVIII. -<span class="smaller"><i>Della morte del giovane marchese di Brandisborgo, -conte di Tirolo, e quello ch’appresso -ne seguì.</i></span></h3> - -<p> -Ancora ne piace un poco passare per le pellegrine -storie; e per fondarne una che in questi tempi -occorse assai abominevole, alquanto ne conviene -addietro tirare per dare meglio a intendere il -gran male: e venendo al proposito, la contea di -Tirolo situata è negli estremi di terra tedesca sopra -il Lago di Garda, e nel paese di Trento, e -possente, nobile e famosa, la quale, morta tutta -la progenia masculina, per successione era caduta -in una fanciulla nome contessa......., la -quale per la nobiltà della dota da tutti i signori -e baroni della Magna era in matrimonio sollecitata, -<span class="pagenum" id="Page_250">[250]</span> -per avere in dota il gioiello della detta contea -di Tirolo; in fine la contessa prese in isposo.... -figliuolo del re Giovanni di Boemia, e fratello di -Carlo che poi fu imperadore de’ Romani; e chiamatolo -al matrimonio, e alla contea di Tirolo, -dopo alquanto tempo la contessa cortesemente lo -ne rimandò in suo paese, affermando che all’uso -del matrimonio era impotente, e che la contea desiderava -erede. Carlo fratello del detto..... recandosi -in dispetto i modi della contessa, prestamente -fè grande esercito, ed entrò nel contado di -Tirolo, il quale è aspro e per sito fortissimo, e -fece gran danni d’arsioni e di preda, e infra -d’altre terre arse Buzzano, e ciò fatto si tornò in -suo paese minacciando di fare peggio a tempo. Il -perchè la contessa impaurita e spaventata cercò -sollecitamente possente in Alamagna a cui si potesse -appoggiare, e in quei tempi v’era grande -Lodovico duca di Baviera della progenia del duca -Namo, l’uno de’ dodici conti Paladini che seguitarono -Carlo Magno a cacciare i saracini della Spagna, -e pertanto poi quelli di sua schiatta hanno -una boce de’ dodici peri alla boce dell’imperio; il -quale Lodovico essendo creato imperadore de’ Romani -contro volontà di santa Chiesa passò in -Italia, e gran cose fece, come scrive Giovanni -Villani nostro zio, e senza acquistare si tornò in -Alamagna col titolo del Bavaro. Costui in questi -dì avea quattro figliuoli, Lodovico, Stefano, Otto, -e Romeo: Lodovico primogenito era marchese -di Brandisborgo. Costui la contessa al padre -segretamente fè domandare in marito, e il -Bavaro vi diè l’orecchie, e volendo che ’l figliuolo -<span class="pagenum" id="Page_251">[251]</span> -la prendesse, egli con orrore d’animo la ricusava, -dicendo al padre che ella avea altro marito, -come noto era a tutta la Magna, e che secondo i -decreti di santa Chiesa ella non potea avere altro -marito: il padre lo sgridò, e gli osò dire ch’egli -era un ribaldo, e che ’l contado di Tirolo non -era boccone da rifiutare, il perchè per riverenza -del padre Lodovico la prese per donna, velando -il matrimonio con colore che il primo era impotente -a generare. Della detta contessa assai tosto -Lodovico ebbe un figliuolo maschio; ma perseverando -il matrimonio, la contessa per soverchia -lussuria trascorse in errore di disonesta vita, e in -singolarità con un messer...... di Fraunberghe, -che in latino suona, dal Colle delle donne, -ed era sì venuto il giuoco in palese, che ogni uomo -si maravigliava come il marchese la comportasse, -stimando molti che per forza di malia lo -facesse. Occorse, che partendo il marchese con lei -e con tutta sua corte da Monaco di Baviera per -andare a Tirolo, esso marchese sotto boce osò -dire: Se noi torniamo a Monaco mai, noi ci vendicheremo -di chi ne fa vergogna; ciò venne agli -orrecchi alla contessa, e al cavaliere che usava -con lei, il quale era de’ maggiori della corte, e -conoscendo amendue che il marchese era di -grande animo e vendicativo, e che già fatto aveva -aspre e rilevate vendette a chi l’avesse fallato, -strettosi al consiglio la donna e ’l cavaliere, temendo -che il marchese non attenesse loro la promessa, -nel cammino l’avvelenarono in una terra -che si dice Rotimberga. Morto il marchese, rimase -al figliuolo il paese ch’a lui s’appartenea in grande -<span class="pagenum" id="Page_252">[252]</span> -confusione, perchè molti voleano il governo -del fanciullo, e così stette il paese rotto per spazio -di mesi diciotto. Alla fine Stefano e Otto zii del -garzone si recarono il governo alle mani, e dirizzati -i paesi, e passati cinque anni, il giovane era -cresciuto di bello aspetto, e facevasi valente, e -per sua dibonarità e dolcezza avea la grazia di -tutti i sudditi suoi, ed essendo a Tirolo si volea -reggere e governare a suo piacere; e dispiacendoli -assai i pochi onesti costumi della madre, e -un giorno venendo con lei in contesa, per sua -sciagura nell’irate parole uscì al giovane di bocca: -Noi sapemo bene quello che voi faceste a nostro -padre. La crudel donna crudelmente raccolse -le semplici parlanze del giovane, e cominciò -a pensare della morte sua: il perchè un giorno -il giovane avendo con gentili giovani di sua età -molto danzato, e per sè e per i compagni domandò -da bere, e fugliene dato, ma con veleno, -del quale con quattro valenti giovani suoi compagni -si morì; gli altri che meno aveano bevuto -si pelarono tutti, e rimasono infermi. Il giovane -marchese poco avventurato di madre fu seppellito -in Tirolo nel 1363 del mese di febbraio. Ciò si -dice che fè la dispietata madre per potere più liberamente -lussuriare e perseguire sua scellerata vita. -Stefano e Otto figliuoli di Lodovico, e zii del giovinetto -morto, udito l’orribile malificio, e compreso -l’imperversato e fiero animo della femmina, -la quale per uccidere il figliuolo non guardò -all’innocenza de’ giovinetti che ballavano -con lui (il quale recato con lei in comparazione -a Medea, che fu gentile, e questa cristiana, non -<span class="pagenum" id="Page_253">[253]</span> -è da porre in dubbio che questa non fosse assai -più spietata e crudele, verificandosi in lei il verso -di Giovenale, il quale delle femmine dice: Fortem -animum praestant rebus quas turpiter audent, -che in volgare suona; Forte animo danno -alle cose le quali sozzamente ardiscono, cioè presumono -di fare) richiesono tutti i loro vassalli -e feudatari, e accolsono d’amistà quanta gente -poterono fare, e grande oste apparecchiarono -contro alla contessa per vendicare la morte del -fratello e del nipote, la quale spaventata e -impaurita, perseguitandola la coscienza degli orribili -peccati, stava in gran tremore, e non sapeva -che si fare. In questa confusione Ridolfo -duca d’Osterich, uomo sagace e astuto, e cupido -di nuovo acquisto, inteso della morte del giovane, -e dell’apparecchio che facevano Stefano -e Otto di Baviera, sconosciuto di presente se n’andò -a Tirolo, e fu colla contessa, e le disse dell’apparecchio -di quelli di Baviera, e li mostrò ch’erano -atti e sofficienti a disfarla, e s’ella avea concetta -paura nell’animo la raddoppiò. Appresso le -disse, ch’avea ritrovate scritture antiche che -conteneano, come gli antichi duchi d’Osterich -s’erano patteggiati e convenzionati con gli antichi -conti di Tirolo, che quale casa o famiglia di -loro faltasse d’ereda legittimo l’altra dovesse succedere, -con offerirsi alla difesa della donna; e da -lei posta in tanta confusione, e credula, ottenne -ch’ella il fè capitano del contado di Tirolo, e nelle -sue mani fè giurare tutto il paese. Proseguendo -il proposito loro quelli di Baviera cominciarono -la guerra, e corsono il contado di Tirolo, e -<span class="pagenum" id="Page_254">[254]</span> -presono e rubarono una terra che si chiama Sterburgh, -e più in avanti non poterono passare per -l’asprezza de’ luoghi e de’ forti passi provveduti -alla difesa. Ciò non ostante il duca d’Osterich -cominciò a mettere nel capo alla femmina che -nel paese non stava sicura, e ch’era il suo migliore -se n’andasse in Osterich, tanto che le cose -pigliassono assetto, e tanto le seppe dire ch’ella -v’andò. Dopo non molto tempo il duca la mise -in un munistero, dove miseramente morì. Alcuni -dissono fu fatta morire, e questo comunemente -s’accettò per vero. Morta la contessa, il duca -Ridolfo con gran quantità di gente d’arme corse -per lo contado di Tirolo, e prese quattro nobili -e gentili uomini, i quali come baroni aveano giurisdizione -di per sè, i quali non erano stati pronti -ad ubbidire, perch’aveano giurato alla casa di -Baviera, e come tiranno, e contro alla natura e la -costuma degli Alamanni, di presente li fè decapitare, -onde in infamia e odio ne venne di tutta -lingua tedesca. Per tema di questa impresa -del duca d’Osterich non lasciò la casa di Baviera -di non volere riscattare sua giurisdizione, e -di loro forza e amistà ragunarono oltre a quattromila -barbute di gente eletta, e con molto ordine -si mossono contro il duca d’Osterich, come -contro usurpatore delle loro ragioni. Il duca d’Osterich -d’altra parte fè adunata non di meno gente -nè valorosa meno che quella degli avversari, e amendue -i detti eserciti assai vicini s’assembrarono -insieme: e per caso un giorno avvenne, che sopra -il numero di duemila barbute di quelle del duca -d’Osterich dilungandosi dal campo casualmente -<span class="pagenum" id="Page_255">[255]</span> -si scontrarono in altrettante o circa della gente -del duca di Baviera, e vennono alla battaglia, la -quale fu fiera e pertinace, la quale durò per spazio -di più di sei ore, e nella fine quelli d’Osterich -furono sconfitti. I morti dall’una parte e d’altra -in sul campo s’annumerarono si trovarono più -di cinquecento, e i feriti e magagnati furono assai, -e molti di quelli d’Osterich rimasono prigioni, e -ciò avvenne nel 1364 d’ottobre, e qui l’ho posto -per non rompere la storia. Il verno in quelle parti -duro e incorportabile a campeggiere l’una parte -e l’altra costrinse a tornarsi a sua magione, ma -tutto che quietassono l’armi non quitarono gli animi, -perocchè l’una parte e l’altra eziandio con -spendio faceva sollecitamente ogni sforzo suo, e -scritto e comandato aveano a tutti i sudditi loro ch’erano -in Italia al soldo che a loro aiuto dovessono -tornare, e tutti s’apparecchiarono a ubbidire, e -così grande apparecchio faceano per trovarsi in -campo come prima potessero. Carlo imperadore -e Lodovico re d’Ungheria veggendo che ciò era -di grandissimo pericolo e guasto di tutta Alamagna -s’intesono insieme, e interposonsi per mezzani, -e colla persona del savio e venerabile messer -Piero Corsini vescovo di Firenze, il quale per -gravi faccende di santa Chiesa allora era legato -in Alamagna, il quale ricevendo sopra di sè il -peso di tanta faccenda, come ambasciadore di detti -imperadore e re, e mezzano e trattatore tra -i detti signori cercò la concordia loro; e sì saviamente -seppe la cosa guidare, che di detto anno -e mese di gennaio pace si concluse tra loro, e -per patto al duca d’Osterich rimase libera la -<span class="pagenum" id="Page_256">[256]</span> -contea di Tirolo, e in compensarne di ciò il duca -di Baviera ebbe un’altra contea del duca -d’Osterich, tutto che non a valore eguale assai -a quella di Tirolo. E così ebbe fine la diabolica -vita e processo dell’empia e spietata contessa di -Tirolo, e la guerra che per le sue prave operazioni -era suta tra la nobiltà de’ baroni e signori -della Magna. -</p> - -<h3 id="capLXXIX-11">CAP. LXXIX. -<span class="smaller"><i>Come i Pisani ricondussono gl’Inghilesi.</i></span></h3> - -<p> -Lasciando le forestiere storie, e tornando alle -scaramucce e badalucchi della tediosa guerra intra -i Fiorentini e’ Pisani ci occorre, che essendo gl’Inghilesi -per fornire loro condotta, per due rispetti, -l’una perchè i Fiorentini non li conducessono, -l’altra per trarlisi di casa, e per li tempi -che richiedesse la guerra, i Pisani del mese di -gennaio li ricondussono per sei mesi con soldo -di centocinquanta migliaia di fiorini, con patti -che potessono fare cavalcate dove a loro piacesse, -salvo che alle terre loro sottoposte, raccomandate -e collegate, tutti gli altri loro soldati cassarono, -e feciono loro capitano di guerra Vanni Aguto -Inghilese gran maestro di guerra, di natura a -loro modo volpigna e astuta, il suo soprannome -in lingua inghilese era Hawkwood, che in latino -dice, Falcone di bosco, ovvero in bosco, perocchè -essendo la madre a un suo maniere per -partorire, e non possendo, si fè portare in uno -suo boschetto, e quivi lui di presente partorì, e -<span class="pagenum" id="Page_257">[257]</span> -tutto che non fosse di schiatta di nobili con -dignità, il padre era gentiluomo mercatante e -antico borgese, e così i suoi antenati, e come Giovanni -venne in età di potere arme, essendo -d’aspetto e di stificanza di farsi in essa valente -uomo, fu dato a un suo zio gran maestro di guerra, -il quale nelle guerre di Francia e d’Inghilterra -avea fatto in arme e pratiche di guerra -belle e rilevate cose. I detti Inghilesi vernarono -in Pisa con gran danno e disagio de’ cittadini -i quali a loro faceano oltraggio, e intra gli altri -delle donne loro, il perchè molti di loro le ne -mandarono a Genova e altrove in luoghi dove -potessono onestamente dormire. -</p> - -<h3 id="capLXXX-11">CAP. LXXX. -<span class="smaller"><i>D’una saetta che cadde sul campanile -di santa Maria Novella.</i></span></h3> - -<p> -Nel detto anno a dì primo di febbraio, essendo -il tempo sereno e bello, e senza avere o da lunga -o da presso alcuno segno di nuvole, tonò smisurato -più volte, e caddono in Firenze più saette, -fra le quali una ne percosse nel campanile de’ frati -predicatori, e quello in più parti sdrucì, e più -segni fè per la cappella maggiore d’inarsicciati. -Di ciò è fatta menzione per la disgrazia del detto -campanile spesso tocco dalle saette, appresso per -la novità del tonare sì spossatamente al sereno -nel pieno del verno. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_258">[258]</span> -</p> - -<h3 id="capLXXXI-11">CAP. LXXXI. -<span class="smaller"><i>Cavalcate fatte per gl’Inghilesi nel pieno -del verno.</i></span></h3> - -<p> -Poichè gl’Inghilesi si viddono ricondotti, come -uomini vaghi di preda e vogliosi di zuffa, a dì 2 -di febbraio in numero di mille lance, i quali si -facevano tre per lancia di gente a cavallo (ed eglino -furono i primi che recarono in Italia il conducere -la gente di cavallo sotto nome di lance, che -in prima si conduceano sotto nome di barbute e -a bandiere) e in numero di duemila a piè, essendo -il freddo fuori di misura, e venute più nevi -sopra nevi, si partirono dalle frontiere dove pochi -dì dinanzi s’erano ridotti, e passando la notte -per Valdinievole se ne vennono a Vinci e Lampolecchio, -luoghi fertili e abbondevoli di vittuaglia -per gli uomini e per i cavalli, e trovarono -il paese non sgombro per la pertinacia de’ nostri -contadini, che non vogliono per bando o per -minacce a’ loro signori ubbidire. Giugnendo nel -pieno della notte molti paesani presono nelle letta, -e posono il campo fermo nelle villate di Vinci -stendendosi in più di mille case, e il seguente -dì cavalcarono infino a Signa e Carmignano. Il -tempo disusato e sconcio a cavalcare gente d’arme, -e massimamente di notte, ne presta materia -di scrivere de’ modi e reggimenti de’ detti Inghilesi -nel presente capitolo senza farne altra distinzione: -e in prima, essi aveano in consuetudine -di guerreggiare così il verno come di state, che -<span class="pagenum" id="Page_259">[259]</span> -a’ Romani, di cui è scritto, Fortia agere, et pati, -Romanum, che in volgare suona, forti cose fare, -e patire, romana cosa è, non fu in uso, e sempre -il verno faceano feria dando alla guerra riposo, -se per forza non fussono tratti a battaglia. E come -si trova ne’ veraci storiografi, Annibale uomo -di ferro nel mezzo del verno passò gli altissimi -gioghi delle montagne che surgono per lo mezzo -d’Italia, e passano da monte Veso infino sopra -il faro di Messina, le quali alpi poi per la -detta cagione sempre nominate furono le Alpi -pennine, perocchè gli Affricani sono chiamati Penni, -e sceso il verno si combattè a Pavia con Scipione -e lo vinse, poi dirizzandosi verso Roma -con un solo elefante che rimaso gli era, per -lo freddo perdè un occhio, e procedendo sopra -il Lago di Perugia tra Montegeti e Passignano -si combattè con Flaminio consolo e lo vinse, -usando astuzia, perocchè essendo per lo gran -freddo le membra de’ cavalieri arrudate e spossate, -avanti che venisse alla battaglia Annibale fè -fare gran fuochi, e scaldare i suoi cavalieri, e -ugnere con olio. Tornando a nostra materia, per -antico ricordo non era che fosse stato il freddo sì -aspro e pungente, che quasi per tutto dicembre -fino al marzo non erano cessate le nevi, e il ghiaccio -per i venti freddi fu grosso, e a passare per i -cavalli quasi impossibile, e massimamente in -certi pendenti di vie che non si poteano schifare. -Costoro tutti giovani, e per la maggior parte nati -e accresciuti nelle lunghe guerre tra’ Franceschi -e Inghilesi, caldi e vogliosi, usi agli omicidii -e alle rapine, erano correnti al ferro, poco avendo -<span class="pagenum" id="Page_260">[260]</span> -loro persone in calere, ma nell’ordine della -guerra erano presti, e ubbidienti ai loro maestri, -tutto che nell’alloggiarsi a campo per la disordinata -baldanza e ardire poco cauti si ponessono -sparti e male ordinati, e in forma da lievemente -ricevere da gente coraggiosa dannaggio e vergogna. -Loro armadura quasi di tutti erano panzeroni, -e davanti al petto un’anima d’acciaio, -bracciali di ferro, cosciali e gamberuoli, daghe -e spade sode, tutti con lance da posta, le quali -scesi a piè volentieri usavano, e ciascuno di loro -avea uno o due paggetti, e tali più secondo ch’era -possente, e come s’aveano cavate l’armi di dosso -i detti paggetti di presente intendeano a tenerle -pulite, sicchè quando compariano a zuffe loro -armi pareano specchi, e per tanto erano più spaventevoli. -Altri di loro erano arcieri, e loro archi -erano di nasso, e lunghi, e con essi erano -presti e ubbidienti, e faceano buona prova. Il -modo del loro combattere in campo quasi sempre -era a piede, assegnando i cavalli a’ paggi loro, legandosi -in schiera quasi tonda, e i due prendeano -una lancia, a quello modo che con li spiedi -s’aspetta il cinghiaro, e così legati e stretti, colle -lance basse a lenti passi si faceano contro a’ nemici -con terribili strida: a duro era il poterli snodare, -e per quello se ne vidde per la sperienza, -gente più atta a cavalcare di notte e furare terre -ch’a tenere campo felici, più per la codardia -della nostra gente che per loro virtù. Scale aveano -artificiose, che il maggiore pezzo era di tre -scaglioni, e l’uno pezzo prendea l’altro a modo -della tromba, e con esse sarebbono montati in su -<span class="pagenum" id="Page_261">[261]</span> -ogni alta torre. I detti Inghilesi, tornando alla -nostra materia, combatterono il castello di Vinci, -fidandosi ne’ tardi e lenti provvedimenti di quelli -ch’allora guardavano la nostra repubblica, e -pensando che fossono poco atti alla difesa, ma -furono con franco animo e fronte senza paura -ricevuti, e assai di loro di soperchio baldanzosi -furono morti e assai fediti, senza altro acquistare -che onta e vergogna; e per simile modo -per due volte tornarono a Carmignano, dove con -più sicuro volto e loro dannaggio furono veduti, -il perchè si partirono di quindi, e andarsene al -Montale sopra Montemurlo, con intenzione di -passare per lo stretto di Valdimarina nel Mugello, -ma sentendo che per quella volta da mille cinquecento -pedoni de’ paesani e del Mugello s’erano -a passi recati, e loro con allegrezza aspettavano, -pensando con loro più tosto guadagnare che perdere, -perchè tutto era sgombro e ridotto alle fortezze -si tornarono per lo passo di Seravalle verso -Pistoia nel contado di Pisa con loro gran danno, -perocchè di loro tra morti e presi nella detta cavalcata -si trovarono assai più di trecento, che da’ -nostri contadini che da soldati che li tramezzarono -a Seravalle, e sì da’ Pistoiesi che vi trassono -al grido. I prigioni ch’aveano avuti a Vinci -su le letta non passarono i quindici, nè i morti -i cinque: la preda che feciono a pena gli potè -nutricare: ne’ giorni che stettono non arsono case, -molti de’ loro cavalli perderono per lo gran -disagio e freddo soffersono, nevicando loro addosso -il dì e la notte; il perchè tornati a loro -stallo molti uomini se ne morirono; e così a poco -a poco si logoravano gl’Inghilesi. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_262">[262]</span> -</p> - -<h3 id="capLXXXII-11">CAP. LXXXII. -<span class="smaller"><i>Come Anichino di Bongardo con tremila barbute -venne al servigio de’ Pisani, e come sagacemente -cercarono avvantaggiosa pace.</i></span></h3> - -<p> -Nel detto anno 1363, a dì 15 del mese di marzo, -Anichino di Bongardo Tedesco, il quale era -stato in Lombardia al soldo di messer Galeazzo -Visconti nella guerra del marchese di Monferrato, -con tremila barbute venne in favore de’ Pisani -mandato per lo detto messer Galeazzo sotto -colore e titolo di soldo, sicchè in quel tempo i -Pisani si trovarono avere più di seimilacinquecento -buoni uomini di cavallo, il perchè loro parendo, -e così era il vero, loro avere il migliore, ed essere -di loro onta vendicati, con segreto e cauto modo -cercarono d’avere pace onorata e vantaggiosa per -le mani di santa Chiesa, e ordinarono che papa -Urbano quinto mandò per suo legato in Toscana -per cercare detta pace un frate Marco da Viterbo -generale de’ frati minori, il quale essendo stato -in Pisa venne a Firenze, e onoratamente fu ricevuto, -e in fine dicendo, che al santo padre era -in calere che della guerra da’ Fiorentini a’ Pisani -la quale era il guasto di Toscana si venisse -alla pace, e che tanto era fatto quinci e quindi -che bene vi cadea, ebbe questa risposta: che i -Fiorentini erano stati tirati a loro malgrado nella -guerra dalla soperchia astuzia de’ Pisani, e che -avanti li facessono risposta di pace e volessono -udire domande de’ Pisani, considerato che -<span class="pagenum" id="Page_263">[263]</span> -il fatto non era pur loro, ma dell’università, -sopra ciò ne voleano tenere consiglio; e licenziato -il generale, il seguente dì feciono un consiglio -di richiesti dove furono oltre a mille cittadini; -e ciò fu fatto per richiudere la bocca -a’ mormoratori della pace, e per schifare la pace -che parea vituperosa, presentendosi segretamente -le disoneste e sconce cose domandavano i -Pisani. Adunque si tenne quest’ordine, che anzi -che volessono i signori e’ collegi udire le domande, -vollono che ’l detto generale le sponesse nel -detto consiglio; e prima che mandassono per lui, -uno de’ signori si levò nel consiglio e assai oscuramente -disse, che ciò che nel consiglio venia -non era loro movimento, ma che i priori passati -n’aveano di corte avuto alcuno odore, e che gli -otto della guerra di ciò niente sapeano, e che gli -otto gli avviserebbono degli ordini presi per loro -nella prosecuzione della guerra e di loro possanza, -e appresso Spinello della Camera, il quale -era pienamente informato dell’entrata e uscita -del comune e del debito suo, loro farebbe chiaro -di quanto il comune fosse possente a danari. -Posato quello de’ signori si levò uno di quelli -della guerra, e distesamente e apertamente disse, -che l’ordine dato per loro era questo, cioè, che -per settantamila fiorini aveano condotto per sei -mesi quattromila barbute di quelli della Compagnia -della stella, la quale era in Provenza, intra -i quali erano più di cinquecento gentili uomini, -e più nella Magna duemila barbute intra i quali -era il conte Giovanni, il conte Guido, il conte Ridolfo -stratti della casa di Soavia, e che al presente -<span class="pagenum" id="Page_264">[264]</span> -n’aveano scritte al soldo tremila, e che le dette -brigate si doveano rassegnare in Firenze innanzi -l’uscita del mese, e altre molte cose disse le quali -poteano sollevare gli animi degli uditori alla guerra, -soggiugnendo, che tale spesa per la pace schifare -non si potea. Appresso si levò Spinello della -Camera mostrando l’entrata e l’uscita del comune, -e che pagate le dette brigate per tutto il mese d’ottobre -il comune rimanea in debito di centossessantasei -migliaia di fiorini, di che udite le sopraddette -cose gli animi degli uditori accesi e sollevati -inclinarono alla guerra; e ciò fatto, i signori -feciono chiamare il generale, e sporre le domande -de’ Pisani, le quali erano superbe troppo e -fastidiose, e tali, che se avessono avuto il comune -di Firenze in prigione sarebbono state sconvenevoli, -sconce e disoneste, sopra le quali levati -molti dicitori in fine di concordia di tutti si prese, -che dove pace avere si potesse ragionevole, e -quale comportare si potesse, col nome di Dio si -prendesse, quanto che no, che francamente si -seguitasse la guerra, e avvenisse ciò che avvenire -ne potesse; vero che non si facesse pace s’avessono -fatto lega con messer Galeazzo, per la quale si -dicea essere ito per ambasciadore de’ Pisani in -Lombardia Giovanni dell’Agnello. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_265">[265]</span> -</p> - -<h3 id="capLXXXIII-11">CAP. LXXXIII. -<span class="smaller"><i>Come messer Beltramo Craiche tolse Nantes -per lo re di Francia a quello -di Navarra.</i></span></h3> - -<p> -Nel detto anno 1364 a dì 8 d’aprile, messer -Beltramo di Craiche cavaliere Brettone Galese, il -quale era nelle parti di Normandia, capitano per -parte del duca di Normandia prese la villa di -Nantes che si tenea per lo re di Navarra, e poco -appresso prese la villa di Mellavit, e tutte le -fortezze per la gente del detto duca, e furono -prese più gente di Pag, e tali che teneano la parte -del re di Navarra contro al re di Francia, e fu -d’alcuni fatta giustizia. -</p> - -<h3 id="capLXXXIV-11">CAP. LXXXIV. -<span class="smaller"><i>Come rotto il trattato della pace i Pisani -cavalcarono i Fiorentini.</i></span></h3> - -<p> -Mentre che il venerabile frate Marco per commissione -di papa Urbano quinto cercava la pace -tra’ Fiorentini e’ Pisani, i Genovesi, Perugini -e Sanesi mandarono loro ambasciadori per cercare -la detta pace insieme col detto frate Marco, -il quale ricevuta la risposta dal comune di Firenze, -che voleva pace dove fosse sopportabile -e onesta, si tornò a Pisa, e trovando i Pisani -per lo caldo della molta buona gente d’arme -ch’aveano montati in più altere domande con -<span class="pagenum" id="Page_266">[266]</span> -minacce, tutto che la speranza della pace avessono -gittata indietro alle spalle, non di manco -i detti ambasciadori seguiano la cerca innanzi -che le cose inzotichissino più, minacciando i -Pisani che se la pace prestamente non si prendesse -nella forma che l’aveano domandata, che -farebbono la lor gente cavalcare a desolazione e -distruzione del contado di Firenze. A’ Fiorentini -parea al di dietro avere ricevuto soperchio oltraggio, -e aspettavano in corti giorni l’avvenimento -della Compagnia della stella, la quale per sagacità -e sollecitudine di messer Galeazzo corrotta -per danari ritardava sua venuta, dipoi levata -ne fu, e le duemila barbute soldate nella Magna, -fidandosi in questa speranza, e ne’ valenti uomini -ch’aveano a provvisione, ch’erano messer -Bonifazio Lupo da Parma, messer Tommaso da -Spuleto, messer Manno Donati, messer Ricciardo -Cancellieri, e Giovanni Malatacca da -Reggio, i quali erano pregiati maestri di guerra, -e stato ciascuno di per sè capitano di grande esercito -e avutone onore, e già in Firenze era venuto -il conte Arrigo di Monforte, e in sua compagnia -il conte Giovanni e il conte Ridolfo stratti -della casa di Soavia con cinquecento uomini -di cavallo tutti giovani, e per la maggior parte -gentili uomini, grandi e belli del corpo, e quanto -per un fiotto di tanta gente a giudizio di tutti -non era ricordo che entrasse in Firenze più bella -nè meglio in punto d’arme e di cavalli, ed esso -conte era di bello e gentile aspetto. Per le dette -cagioni i Fiorentini con più cuore rifiutarono la -pace, e le minacce misono a non calere; onde -<span class="pagenum" id="Page_267">[267]</span> -i Pisani posta giù la speranza della pace, avendo -seimilacinquecento uomini di cavallo tra Tedeschi -e Inghilesi capitanati da Anichino di -Bongardo e Giovanni Aguto in forma di compagnie, -e giunti loro oltre a mille cittadini -e contadini i più guastatori, licenziarono che -intendessono a fare aspra guerra, il perchè a dì -13 del mese d’aprile si mossono e passarono per -la Valdinievole, e posarsi nel piano di Pistoia, -e in due luoghi puosono campo, e il seguente dì -gl’Inghilesi a schiere fatte si dirizzarono a Prato, -e in su la porta di Prato combatterono i Pratesi, e -con mano presono il ponte levatoio con maravigliosa -sicurtà vietando che non si levasse, la quale -audacia a’ nostri fu in grande terrore, e a dì 15 -d’aprile circa a mille uomini a cavallo della brigata -degl’Inghilesi nel mezzo della notte si partirono -del campo, e vennono infino alla Porta -al prato, onde la terra si scommosse tutta ad -arme, e di loro quattro gagliardi toccarono la -porta, de’ quali l’uno ne rimase, e senza arrestare -si partirono con parecchi che trovarono nelle -letta, e con alquanti buoi, e tornarono al campo. -E il seguente dì gl’Inghilesi per lo stretto -di Valdimarina passarono nel Mugello, non senza -vergogna de’ provveditori del nostro comune, -a cui parea che per le civili dissensioni Iddio -avesse tolto il cuore e ’l senno; l’intenzione -degl’Inghilesi fu di passare per lo Mugello, e -venirsene nel piano di san Salvi, e ivi porre -campo, e attenere a’ Fiorentini la promessa di -fare il prete novello: Anichino dovea tenere -campo a Peretola. Passati adunque la notte gl’Inghilesi -<span class="pagenum" id="Page_268">[268]</span> -la Valdimarina in sul fare del giorno -giunsono a Latera e a Barberino, e trovarono i -villani non avvisati e male provveduti, onde ebbono -da cento prigioni, e da cento paia di buoi -e assai bestiame minuto, e trovarono pieno di -biada e di vino e d’altra roba da vivere, e la -cagione fu per allora, che dove i governatori -della città doveano levare le gabelle acciocchè -la roba venisse alla terra, le raddoppiarono, il -perchè niuno volea recare, volendo innanzi stare -a rischio del perderla: e ciò fu riputato a’ signori -in singulare fallo, levando l’abbondanza alla -città e lasciando a’ nemici pastura. -</p> - -<h3 id="capLXXXV-11">CAP. LXXXV. -<span class="smaller"><i>Come messer Pandolfo passò nel Mugello -colla gente da cavallo per tenere -stretti gl’Inghilesi.</i></span></h3> - -<p> -Essendo gl’Inghilesi passati nel Mugello per -mala provvedenza di chi potea riparare, messer -Pandolfo fu fermo nell’usato pensiero di farsi -signore, e disse di volere cavalcare nel Mugello -con la gente dell’arme che era nella città, ch’era -nel torno di dodici centinaia di barbute; gli otto -della guerra gliele interdiceano facendogliene -espressa proibizione, e non senza cagione, avendo -rispetto a’ modi per lui altra volta tenuti, e -veggendo la città in grave pericolo: egli per pertinacia -seguendo sua intenzione disse, o che cavalcherebbe, -o che rifiuterebbe l’uficio del capitanato. -Gli otto stando pur fermi, per la città ne -<span class="pagenum" id="Page_269">[269]</span> -surse mormorio e sollevamento di scandalo; onde -stando il popolo insollito sotto ombra di cittadinesca -riotta, gli otto temendo gli concedettono -l’andata, e cavalcò con circa a mille barbute, -e in compagnia del conte Arrigo di Monforte, -a cui imposto fu per gli otto che cura -all’operazioni di messer Pandolfo poco fidato al -comune avesse; giunti nel Mugello, il conte s’alloggiò -nella Scarperia, e messer Pandolfo nel borgo -a san Lorenzo. Occorse in quei giorni, che circa -a trenta della brigata del conte per avventura si -scontrarono in cento o più Inghilesi, e per spazio -di due ore insieme si combatterono: un gentiluomo -della brigata del conte nome Arrigo veggendo -il soperchio degl’Inghilesi discese a piede, e con -una lancia in mano di sua persona fè maraviglie, -perocchè, secondo che avemmo da persona degna -di fede che si trovò al fatto, con la detta lancia -spuose da cavallo da dieci Inghilesi de’ quali due -morirono, e per lo detto atto e per li compagni -che francamente lo seguirono gl’Inghilesi inviliti -dierono le reni, e di loro, massimamente -di quelli ch’erano rimasi a piede, alquanti ne -furono presi, alquanti ne rimasono morti nella -battaglia. Avemo con piacere per tanto di ciò -fatto ricordo, perchè ne’ nostri dì tanta prodezza -di rado è stata veduta, e per mostrare -quanto di valore e di cuore a un esercito presta -non solo il valente capitano, ma eziandio il valente -cavaliere, e così il vile viltà. L’opere d’arme -per tenere gl’Inghilesi stretti erano del conte -Arrigo e del conte Ridolfo, ch’era chiamato -il conte Menno, e di loro brigate, ch’altri poco -se ne dava travaglio. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_270">[270]</span> -</p> - -<h3 id="capLXXXVI-11">CAP. LXXXVI. -<span class="smaller"><i>Come gl’Inghilesi si partirono del Mugello -e tornarsi nel piano di Pistoia.</i></span></h3> - -<p> -Gl’Inghilesi essendosi assaggiati co’ Tedeschi -e co’ paesani che aveano cominciato a mostrare -loro il volto e a volere de’ loro cavalli, sentendo -che il passare per lo Mugello a san Salvi per i -molti stretti passi era loro pericoloso, e quasi -impossibile, e veggendo il luogo dove s’erano -condotti, incominciarono forte a dubitare, ed era -loro di mestiere, se avessono avuto chi avesse voluto -attendere a provvedere contro a loro, come -dovea e potea, e tale ne portò mala fama, massimamente -perchè loro faltava la vita e per le bestie -e per le persone, onde loro convenne fuggire -alle usate malizie, onde con sollecitudine -mostrarono di volersi alloggiare a san Michele -del bosco, afforzandosi di sbarre e palancati, con -mettere pure in loro boce che riposati alquanto -farebbono il cammino di che aveano minacciato a -malgrado di chi non volesse, e ciò faceano per -levare le poste alle vie ond’erano venuti quelli -che v’erano tratti a guardare, mostrando d’ire innanzi -non di tornare addietro, e così avvenne, che -essendo quelle vie non guardate, la notte di san -Giorgio presono loro via per la valle di Bisenzio -e tornarsi nel piano di Pistoia. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_271">[271]</span> -</p> - -<h3 id="capLXXXVII-11">CAP. LXXXVII. -<span class="smaller"><i>Come messer Pandolfo Malatesti si partì dal -servigio del comune di Firenze.</i></span></h3> - -<p> -Stando messer Pandolfo al Borgo involto in -su gli usati pensieri favorati dal male stato de’ Fiorentini, -li cadde nell’animo, ch’essendo Firenze -nel dubbioso e forte partito dove per allora -parea che fosse lo dovesse gareggiare e tenerlo -per idolo; onde volendo tentare se il suo pensiere -rispondea col fatto, e per sua parte fè dire a’ signori -di Firenze e agli otto della guerra, che -casi gravissimi e poderosi gli erano occorsi nel -suo paese pericolosi allo stato suo, e che a riparare -necessario era che sua persona vi fosse, e li -fece pregare che loro piacesse in tanto bisogno -non doverli mancare per dodici o quindici dì -licenziarlo: i signori con gli otto ne tennono consiglio -di richiesti, nel quale muto di dicitori, -Bindo di Bonaccio Guasconi disse, che pensava -che ’l gentiluomo, amico egli e sua casa del nostro -comune, dicesse il vero, e che essendo le cose -gravi come ponea, non gli andava per animo -che in così breve spazio di tempo come domandava -le potesse spacciare, e che non solo per dodici -o quindici dì si licenziasse, ma per tutto -il tempo che sua condotta durava, e che in suo -luogo fosse posto il conte Arrigo di Monforte, e -così nel consiglio s’ottenne, e fu eletto il detto -Bindo a ire a messer Pandolfo con piacevole commiato. -Bindo v’andò, e da sè a lui aperto li mostrò -<span class="pagenum" id="Page_272">[272]</span> -tutti i suoi errori, i quali dal popolo erano -stati bene conosciuti, e che agevolmente potea -avvenire, che perseverando in cotali pensieri con -opera, forse che un giorno il popolo li farebbe -un sozzo scherzo, al quale non potrebbono porre -riparo nè i signori nè gli otto. Veggendo messer -Pandolfo che questo avviso come gli altri gli era -venuto fallito, e tornato in vergogna, se ne venne -a Firenze, e fu a’ signori, e loro disse, che -non ostante che ’l suo bisogno fosse grande, per -lo presente vedea quello del comune di Firenze -era maggiore e pertanto e sè e la sua brigata -alle sue spese offeria al comune: di ciò fu ringraziato, -e dettoli, che ’l comune non avea nè di lui -nè di sua brigata bisogno, onde si partì a sua posta -senza onore di comune, o di privati cittadini. -</p> - -<h3 id="capLXXXVIII-11">CAP. LXXXVIII. -<span class="smaller"><i>Come gl’Inghilesi e’ Tedeschi co’ guastatori -de’ Pisani s’accamparono a Sesto, e Colonnata, -e santo Stefano in pane.</i></span></h3> - -<p> -Gl’Inghilesi usciti del Mugello a salvamento insieme -co’ Tedeschi e guastatori s’accamparono a -Sesto e Colonnata, e per le coste di Montemorello, -prendendo santo Stefano in pane, e tutte le pianure -d’intorno, dove soprastettono per alquanti -giorni, sicchè i guastatori de’ Pisani ebbono destro -a fare male, e arsono palagi e ricchi abituri e altri -casamenti per lo piano, e per le coste di Montemorello -per lo spazio di tre miglia o circa intorno -al campo, e riservando a levare del campo i luoghi -<span class="pagenum" id="Page_273">[273]</span> -che per loro necessità aveano riserbati, e stando -quivi gualdane di loro passarono l’Uccellatoio -e Starniano, ed entrarono in Pescia luogo aspro -e riposto, ove trovarono molta roba rifuggita, oltre -n’andarono infino a Calicarza, Montile, e -Curliano, paesi malagevoli assai a cavalcare, senza -trovare alcuna contesa. Ancora infra questo tempo -combatterono la Petraia, ch’era loro sopra capo, -e aveanla armata e fornita alla difesa i figliuoli -di Boccaccio Brunelleschi: e nel vero fortemente -sdegnavano che sopra tante migliaia di -gente d’arme pregiata e famosa signoreggiasse -quella piccola fortezza in dispregio loro, il perchè -si deliberarono di vincerla, e la prima battaglia -colle schiere ordinate fu degl’Inghilesi, dove con -acquisto di vergogna alquanti ne furono morti -e molti magagnati, la seconda de’ Tedeschi in -simile acquisto; ultimamente essendo cresciuta -l’onta e ’l dispetto, anzi il levare del campo Tedeschi -e Inghilesi insieme con aspro assalto la -combatterono, e niente poterono acquistare, se -non al modo usato danno e vergogna. Di questo -avemo fatta memoria per mostrare, che i privati -cittadini in que’ tempi più erano accorti e valorosi -a difendere loro fortezze, che i governatori -del comune quelle della città, e massimamente -perchè confortati, che nel rispetto ch’aveano da’ -nemici, e poteanlo fare assai leggermente nol -vollono fare, onde ne risultò gran vergogna al comune. -L’invidia e ’l mal talento col poco senno -che allora occupava il governamento ogni virtuoso -operare impedia. In sul levare del campo i guastatori -<span class="pagenum" id="Page_274">[274]</span> -pisani arsono tutti i casamenti che per -loro ostellaggi aveano riserbati. -</p> - -<h3 id="capLXXXIX-11">CAP. LXXXIX. -<span class="smaller"><i>Come gl’Inghilesi e’ Tedeschi coi guastatori -pisani presono il colle di Montughi e -di Fiesole, e combatterono i Fiorentini -alla porta a san Gallo, e fessi Anichino -di Bongardo cavaliere.</i></span></h3> - -<p> -L’ultimo dì d’aprile i nemici mutando campo -presono il colle di Montughi e di Fiesole, spargendosi -per tutte le circostanze infino a Rovezzano, -e il primo dì di maggio per giorno nomato -colle schiere fatte se ne vennono sopra la costa -della via di san Gallo di sotto al podere d’Altopascio, -dove erano fatti tre serragli, il primo sopra -la via che va a santo Antonio, l’altro sopra la via -che va a san Gallo, il terzo sopra le case poste -sopra via che ne va lungo le mura, e questo era di -carri, dove era il conte Arrigo di Monforte con tutta -la gente da cavallo; a’ primi due serragli erano -molti Fiorentini usciti di volontà, i quali impedivano -la buona gente dell’arme ch’erano alla -difesa, e ammoniti da messer Manno Donati, e -da messer Bonifazio Lupo, e da messer Giovanni -Malatacca, e dagli altri valenti uomini, che si -tirassono addietro, e lasciassono fare la gente dell’arme, -nol vollono fare, il perchè furono cagione -della perdita de’ serragli con morte e presura -di molti di loro. Nello scendere delle schiere un -<span class="pagenum" id="Page_275">[275]</span> -poco davanti due notabili uomini e pregiati in -arme, Averardo Tedesco e Cocco Inghilese, -a lento passo l’uno dall’un lato della via l’altro -dall’altra si calarono giù a’ serragli facendo -rilevate prodezze; seguendo appresso le -schiere vinsono e gettarono in terra i detti -due serragli, con danni assai e di morti e di -prigioni de’ vogliosi e disordinati Fiorentini, -che s’erano voluti mettere alla difesa contro -a’ buoni uomini d’arme, e contra loro volontà. -Averardo passò in sulla piazza di san Gallo, -e con molti che appresso il seguivano infino -al piè delle case a fronte si fè al conte di -Monforte, il quale stando come una massa di -ferro mai da’ nemici non fu tentato, tutto che le -frecce degli arcieri inghilesi che scendeano sopra -l’altra brigata sembrassono gragnuola. Dalla -porta e antiporta e mura scoccavano le balestra, -e a tornio e a staffa, che il tuono del romore piuttosto -cresceano che facessono danno. Scese le schiere, -fuoco fu messo in sant’Antonio del vescovo, -e per simile in molti altri casamenti. In quel fuoco, -in quel tumulto, in quelle grida Anichino di -Bongardo si fè cavaliere in sulla costa della via -che vede la porta, con tanti suoni, con tante grida, -che parea che ’l cielo tonasse, ed egli fè cavaliere -messer Averardo e più altri, come se -fatti fossero in battaglia campale: e ciò fatto, fu -sonato a ricolta, e tutti, accortamente senza impaccio -si ritrassono addietro chi a Montughi e -chi a Fiesole, e la notte con l’ordine dato tra loro -feciono la festa de’ cavalieri novelli, la quale -fu in questa forma: che le brigate a cento i più -<span class="pagenum" id="Page_276">[276]</span> -a venticinque i meno con fiaccole in mano si vedeano -danzare, e l’una brigata si scontrava con -l’altra gittando talora le fiaccole, e ricevendole in -mano, e talora mettendole a giro, e a modo d’armeggiatori -seguendo l’un l’altro ordinatamente, -e queste fiaccole passavano le duemila, con gran -gavazze di grida e stromenti; e per quello che -s’intese dalle brigate ch’erano nel piano vicino -alle mura dispettose parole usavano contra il -comune di Firenze, e intra l’altre, Guardia studia -i collegi, manda pe’ richiesti, e simili parole -usate nel palagio de’ priori, le quali erano intese -e da quelli che erano in sulle mura e da -quelli ch’erano da piè. E per dileggiare il popolo -di Firenze in sulle tre ore di notte quetamente -mandarono un loro trombettino e un tamburino -in sul fosso delle mura della Porta alla croce, -i quali sonando come a stormo, il popolo di -Firenze tutto si commosse a romore, correndo -boci per la terra che i nemici aveano prese le -mura dove le bertesche erano fatte, e che parte -di loro n’erano dentro discesi. La paura fu sopra -modo, e i cittadini come smemoriati correvano -qua e là per la terra, e le femmine poneano -le lucerne alle finestre, e con lamenti l’armavano -di pietre. La cosa nel suo aspetto a vedere orribile -era, ma saputo il vero, subitamente si racchetò -il bollore fatto in danno e vergogna come -detto è. Il seguente dì 2 di maggio schierati tutti -passarono Arno di sotto alla Sardigna assai -presso alla città, e puosono campo a Verzaia stendendosi -infino a Giogoli e Pozzolatico e per Arcetri, -ardendo tutto infino presso alle mura; -<span class="pagenum" id="Page_277">[277]</span> -e sopra questo con le schiere fatte, e con le loro -barbare strida e suoni di stromenti da battaglia -vennono verso la porta di san Friano per combattere -nella forma che fatto aveano a quella di -san Gallo. I nostri che ne’ giorni passati s’erano -assaggiati con loro, e trovato aveano ch’erano -uomini e non leoni, aveano armato il casamento -delle monache da Verzaia, e quivi fatte le sbarre -ricevettono francamente il baldanzoso assalto, -rispondendo loro co’ ferri in mano in modo e -forma che li ributtarono indietro con molti fediti -e alcuni morti, il perchè niente avanzando -se non danno e vergogna si ritrassono al campo: -bene arsono allora sopra il ciglio della città Bellosguardo -e molte altre belle e ricche possessioni -e palagi, e soprastati per alquanti giorni, per -dare agio ai fediti loro i quali passavano il numero -di duemila, veggendo che i Fiorentini -s’ausavano all’arme, e andavano a riguardo, sicchè -poco con loro poteano avanzare, e che le -brigate che uscivano di notte sì de’ cittadini come -de’ contadini, che erano trafitti e aveano bisogno -di ristorarsi, stando essi sparti baldanzosi, -e per dispetto quasi senza guardia veruna, e di -prigioni e di cavalli e d’uccisioni li danneggiavano -forte, si partirono. Il lor viaggio fu sopra -san Miniato a monte, e sopra l’Ancisa passando -per lo Valdarno, e loro albergheria fu al Tartagliese, -e il seguente dì feciono vista di combattere -la Terranuova, dove trovato la risposta, con -alquanti di loro morti e magagnati si partirono, -e così mollemente tentarono dell’altre terre del -Valdarno, il perchè aperto s’intese che per -<span class="pagenum" id="Page_278">[278]</span> -quella via gli avea volti il danaio: che usciti del -contado di Firenze in su quello d’Arezzo, e trovandolo -sgombro, passarono su quello di Cortona, -e quindi in su quello di Siena facendo danno -assai d’arsioni prigioni e prede, infine voltisi per -la Valdelsa e per la Valdinievole si fermarono -in su quello di Pisa a san Piero in campo. Quivi -vollono vedere la rassegna delle loro brigate, dal -tempo ch’entrati erano in sul Fiorentino, e trovarono -che più di seicento buoni uomini d’arme -aveano perduti, e oltre a duemila n’erano fediti, -de’ quali assai poscia perirono. -</p> - -<h3 id="capXC-11">CAP. XC. -<span class="smaller"><i>Come il conte Arrigo di Monforte capitano -de’ Fiorentini prese e arse Livorno.</i></span></h3> - -<p> -Nel paesare e nel raggiramento che messer -Anichino di Bongardo faceano in su quello d’Arezzo -insieme con gl’Inghilesi, come abbiamo -detto, il conte Arrigo di Monforte capitano de’ -Fiorentini, e con lui il conte Giovanni e il conte -Ridolfo colle brigate loro de’ Tedeschi, ch’erano -con quelli del conte Arrigo millecinquecento -barbute, e con l’altra gente di cavallo de’ Fiorentini -ch’erano per le castella alle frontiere, -la quale fè adunare in san Miniato del Tedesco, -e con cinquecento balestrieri scelti, e più con assai -Fiorentini a cavallo e a piè che di volontà -l’aveano voluto seguire, e col consiglio di messer -Manno Donati, e di certi degli altri provvisionati, -de’ quali di sopra facemmo menzione, fatto -<span class="pagenum" id="Page_279">[279]</span> -fornimento da vivere per quindici giorni, -venerdì mattina a dì 21 di Maggio 1364 si -partì di san Miniato del Tedesco, e la sera prese -albergo su l’Era vicino al castello di Gello, e -il sabato mattina passando vicino di Pisa, e facendo -quel danno che fare si potea s’accampò -a san Piero in Grado. E in quel giorno vennono -a Pisa di Lombardia millequattrocento uomini -di cavallo sotto nome di compagnia, i quali veniano -per pigliare inviamento di loro mestiere in -Toscana. I Pisani vedendosi improvviso giugnere -questa ventura loro donarono duemila fiorini -d’oro, ed elli coll’altra gente loro che rimasa -era in Pisa, come soperchio a’ Tedeschi e Inghilesi -che cavalcati erano in sul Fiorentino, e con -parte del popolo andassono a combattere co’ Fiorentini -ch’erano accampati a san Piero in Grado, -e così promisono di fare, e preso rinfrescamento, -con la gente e col popolo uscirono di Pisa -schierati, e a pian passo contro i nemici. Il conte -di Monforte sollecitato era molto da messer -Manno che passasse il ponte allo Stagno contro -Livorno, ed egli dubitando forte stava sospeso, -e per conforto che fatto gli fosse non si attentava -a passare quello lagume, e non sapere dove, se -non quando vidde il gran polverio della gente -ch’usciva di Pisa, quindi mosse passo, e di presente -messer Manno chiamò Filippone di Giachinotto -Tanaglia, che quivi appresso di lui era, e -prese due scuri in mano tagliarono due pali in su -che si posava il ponte, e lo feciono nello stagno -cadere, e a pena aveano fornito il servigio che i -Pisani sopraggiunsono e per acqua e per terra. -<span class="pagenum" id="Page_280">[280]</span> -Messer Manno conoscea tutti i soldati che praticavano -in Lombardia, e pertanto domandò di -volere parlare con alcuno di loro caporali, e tantosto -vennono parecchi, e con lieta accoglienza -lo viddono, rallegrandosi ch’aveano cessato materia -di zuffa, e a lui dissono, che aveano ricevuto -duemila fiorini d’oro perchè commettessono -battaglia con loro, e che credeano che i Pisani -attenderebbono a loro persecuzione, ma che essi -per suo amore lentamente procederebbono, e da -lui preso congio, a passi scarsi si tornarono verso -Pisa. E in ciò cadde perdimento di tempo a’ Pisani, -utile e necessario alla gente de’ Fiorentini, -come può qualunque intendente udendo il fatto -comprendere, perocchè deliberarono i Pisani -che la detta gente cavalcasse a Montescudaio, e -togliesse il passo a’ Fiorentini, e se ciò fosse per -mala fortuna avvenuto, senza dubbio tutta la -gente ch’era in quella cavalcata era perduta. La -detta gente la sera soprastette in Pisa, e la mattina -seguente persono tempo tra nell’armarsi e -mettersi in ordine. I Fiorentini in quel giorno -che passarono il ponte allo Stagno presono Porto -pisano e Livorno, e trovaronlo sgombro, perocchè -quelli che dentro v’erano diffidandosi di poterlo -tenere da tanto sforzo, prestamente si diedono -allo sgombrare fuggendo loro famiglie e -cose, e così le mercatanzie in mare in su le navi, -che solo una balla di panni e una ricca cortina -nel fondaco trovato non fu, or non di manco -messo in preda quello che trovato vi fu, il conte -fece ardere la terra. Messer Manno udito il generale -avviso della gente dell’arme che s’era -<span class="pagenum" id="Page_281">[281]</span> -data a servire a’ Pisani, come uomo avvisato e -pratico de’ casi che sogliono ne’ fatti dell’arme -avvenire, subito gli corse in pensiero, che i Pisani -non rivolgessono quella gente in Maremma a tor -loro il passo di Montescudaio, e cominciò forte a -dubitare, e avvisonne il capitano, e vennono -presto a’ rimedi, perocchè messasi innanzi la -gente da piè, perchè del camminare avessono più -agio, e rinfrescato alquanto i loro cavalli, alle -tre ore di notte presono viaggio, e dirizzaronsi -verso Montescudaio per vie montuose e aspre e -malagevoli, e tutta quella notte senza arresto cavalcarono, -e il seguente dì con dare poco d’agio -alle bestie e a loro misono in cavalcare come -fossono in fuga, e alle tre ore di notte uscirono del -passo di Montescudaio, e ridussonsi in su quello -di Volterra in luogo sicuro, trovandosi avere camminato -in ventiquattro ore miglia trentotto di -pessima via. E in quella medesima notte circa -alle sette ore la gente de’ Pisani giunse a Montescudaio -per torre il passo, e trovando che i Fiorentini -erano passati, dello scorno che loro parea -avere ricevuto presono cordoglio. Emmi stato -piacere particolarmente narrare questa particella -di storia per dimostrare quello che può e fa la -fortuna nelle maledette confusioni delle guerre. -Ben furono di quelli che vollono dire, che la cavalcata -era stata di coscienza de’ Pisani, perchè -pace si potesse cercare, e se vero fu, alla Pisanesca -bel tratto faceano, avendo il caso fortuito loro -prestato la gente dell’arme, colla quale stimarono -poterlo fare, e assai presso vi furono. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_282">[282]</span> -</p> - -<h3 id="capXCI-11">CAP. XCI. -<span class="smaller"><i>Come il corpo del re Giovanni di Francia fu -trasportato di Londra a Parigi, e come -onorato.</i></span></h3> - -<p> -Per tramezzare alquanto la continuanza delle -scritture nella guerra tra’ Fiorentini e’ Pisani ne -occorre di scrivere, che ’l dì primo di maggio il -corpo del re Giovanni di Francia di Londra ne -fu portato a santo Antonio presso a Parigi la sera, -e quivi per onorarlo e farne l’esequie reale stette -quattro giorni, e a dì 5 detto mese ne fu portato -a nostra Donna di Parigi accompagnato da tutte -le processioni delle chiese e regole di Parigi, e da -tre suoi figliuoli, ciò furono, Carlo primogenito -delfino di Vienna e duca di Normandia, Luigi duca -d’Angiò, Filippo duca di Torenna lo più giovane -di tutti, e fuvvi lo re di Cipri, Giovanni duca -di Berrì era in Inghilterra: e portarono il corpo del -detto re quelli di parlamento secondo loro uso; e -ciò è di ragione, perchè elli rappresentano la giustizia -in luogo del re: e a dì 6 si disse la messa, e -subito il corpo ne fu portato a santo Dionigi, seguendo -appresso d’esso i suoi tre figliuoli Carlo -Luigi e Filippo, e il re di Cipro, e sopra i franchi -della villa, poi montati a cavallo infino a santo -Dionigi, e a dì 7 si fè l’esequio a santo Dionigi. -E seppellito il detto corpo con grande onore, -tantosto appresso Carlo suo primogenito se n’andò -in un pratello, e appoggiato ad un fico ricevette -più omaggi da’ peri di Francia e da’ grandi -<span class="pagenum" id="Page_283">[283]</span> -baroni, e a dì 9 si partì per andare a Rems a prendere -la corona. -</p> - -<h3 id="capXCII-11">CAP. XCII. -<span class="smaller"><i>Come messer Beltramo de Cloachin sconfisse -il luogotenente del re di Navarra -in Normandia.</i></span></h3> - -<p> -Nel detto anno a dì 16 dì Maggio, messer Beltramo -de Cloachin si combattè davanti Choncel -presso alla Croce di san Leffon contra al Captal -del Comuff luogotenente del re di Navarra in -Normandia, e fu il detto Captal sconfitto e preso, -e la maggior parte di sua gente morta e presa; e -per avere il detto Captal lo re di Francia diede -al detto messer Beltramo tutta la Longavilla e -la Giusfort ch’erano state del re di Navarra. E -lo re di Francia ec. -</p> - -<p> -<i>Qui manca il fine di questo capitolo con tre -altri capitoli delle rubriche che erano così intitolati.</i> -</p> - -<h3 id="capXCIII-11">CAP. XCIII. -<span class="smaller"><i>Come Carlo primogenito del re di Francia -fu consegrato a Rems a re di Francia.</i></span></h3> - -<h3 id="capXCIV-11">CAP. XCIV. -<span class="smaller"><i>Come si combatterono messer Carlo di Bos -duca di Brettagna, e messer Gianni -di Monforte.</i></span></h3> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_284">[284]</span> -</p> - -<h3 id="capXCV-11">CAP. XCV. -<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini con la forza del danaio -ruppono la compagnia de’ Tedeschi e Inghilesi, -e levaronla da provvisione -de’ Pisani.</i></span></h3> - -<p> -<i>Per supplire in parte a ciò che manca in -questo luogo nel codice Ricci, ecco ciò che ne -fornisce l’Epitome dell’Istorie dei tre Villani -di Domenico Boninsegni, che poco addietro ho -citato.</i> -</p> - -<p> -«Essendo le genti de’ Pisani a san Piero in -campo, e i Fiorentini vedendosi mancare la -speranza della Compagnia della Stella, per operazione -di messer Galeazzo, e della gente della -Magna, cercarono accordo con gl’Inghilesi e’ Tedeschi -ch’erano presso alla fine di loro condotta, -e i Pisani cercavano di riconducerli, pure -vinsero l’opere de’ Fiorentini, che già segretamente -avevano dato ad Anichino novemila fiorini -quando erano in sul contado di Firenze, -e alla sua brigata ne donarono trentacinque -migliaia, e agl’Inghilesi settantamila, e tutti -si partirono dal servigio de’ Pisani, eccetto Giovanni -Aguto con milledugento Inghilesi: e anche -in segreto feciono patto con messer Ugo della -Zucca e altri Inghilesi. I patti con queste -compagnie in sostanza furono, che per cinque -mesi non sarebbono contro il nostro comune, -o suoi sudditi o accomandati in alcun modo; -anzi tutti n’andarono in su quello di Siena a -<span class="pagenum" id="Page_285">[285]</span> -predare e ardere, per merito di quello feciono -alla Compagnia del cappelletto soldati nostri.» -</p> - -<h3 id="capXCVI-11">CAP. XCVI. -<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini presono in capitano -di guerra messer Galeotto Malatesti.</i></span></h3> - -<p> -«Fatto l’accordo che di sopra è detto, parve -a’ governatori di Firenze necessario d’avere un -capitano italiano, e procacciando messer Galeotto -Malatesti, secondo si disse, per cancellare -la disgrazia con la quale s’era partito il suo -nipote, infine l’ottenne, e fu eletto nostro capitano, -con assai ammirazione di molti agli -scherni ricevuti dal nipote, e venne in Firenze -a dì 17 di luglio a ore ventuna per i consigli -d’astrolagi. E innanzi che scendesse da cavallo -appiè della porta del palagio de’ priori con le -usate solennità prese il bastone e l’insegne, e -lui diè quella de’ feditori al conte Arrigo di -Monforte, e fecelo vece capitano; la reale diè -a messer Andrea de’ Bardi, e altre ad altri cittadini, -e senza arresto uscì di Firenze, e posate -l’insegne in Verzaia tornò in Firenze, e per -intendersi co’ signori e altri uficiali dell’informazione -della guerra, e soprastette alcuni -dì, perchè voleva piena balìa di potere dare -a sua volontà a’ soldati paga doppia e mese -compiuto.» Alla fine essendo fuori le insegne, -ed egli stando pertinace, per lo meno male -e meno vergogna di comune la sua domanda fu -messa a esecuzione, la quale i sottili venditori -<span class="pagenum" id="Page_286">[286]</span> -non ebbono per meno che domandare giurisdizione -di sangue. Avuto suo intendimento, mosse a -dì 23 del mese di giugno, accompagnato infra gli -altri da trecento cittadini ben montati e riccamente -armati, i quali spontaneamente vi cavalcavano -per vendicare l’ingiurie de’ Pisani novellamente -fatte al loro comune. -</p> - -<h3 id="capXCVII-11">CAP. XCVII. -<span class="smaller"><i>Battaglia tra’ Fiorentini e’ Pisani fatta nel -borgo di Cascina, nella quale i Fiorentini -furono vincitori.</i></span></h3> - -<p> -Domenica, a dì 29 di luglio anni 1364, rivolto -l’anno che nel medesimo giorno i Pisani -aveano corso il palio al ponte a Rifredi, fatti cavalieri, -battuta moneta, impiccati asini, e fatte -molte altre derisioni e scherne a’ Fiorentini, messer -Galeotto Malatesti capitano de’ Fiorentini, -movendo la notte dinanzi campo da Peccioli, -la mattina s’accampò ne’ borghi di Cascina presso -di Pisa a sei grosse miglia, ma di via piana e -spedita, e infra il giorno per lo smisurato caldo le -tre parti e più dell’oste, che erano oltre di quattromila -uomini di cavallo che di soldo, che d’amistà, -e che de’ Fiorentini, che per onorare loro -patria di volontà erano cavalcati, e di undicimila -pedoni, s’era disarmata, e quale si bagnava in -Arno, quale si sciorinava al meriggio, e chi disarmandosi -in altro modo prendea rinfrescamento. -E il capitano, sì perchè molto era attempato, -sì perchè del tutto ancora libero non era della -<span class="pagenum" id="Page_287">[287]</span> -terzana, se n’era ito nel letto a riposare senza -avere considerazione quanto fosse vicino all’astuta -volpe, e al volpone vecchio Giovanni dell’Aguto, -e tutto che al campo fossono fatti serragli, -deboli erano, e cura sufficiente non era data a -chi li guardasse; il perchè avvenne, che il valente -cavaliere messer Manno Donati, come colui a cui -toccava la faccenda nell’onore, andando provveggendo -il campo e i modi che la gente dell’arme -tenea, conosciuto il gran pericolo in che il campo -stava, e temendo che nel fatto non giocasse -malizia, e dove no, quello che ragionevolmente -secondo uso e costume di guerra ne dovea e potea -avvenire, e tantosto n’avvenne, mosso da fervente -zelo incominciò a destare il campo, e dire, noi -siamo perduti, e con queste parole se n’andò al -capitano, e lo mosse a commettere in messer Bonifazio -Lupo e in altri tre e in lui la cura del -campo; ciò fatto messer Manno di subito corse -al più pericoloso luogo, e donde l’offesa più grave -e più pronta potea venire, cioè alla bocca della -strada che si dirizzava a san Savino e quindi -a Pisa, e il serraglio il quale era debole fece -fortificare, e alloggiovvi alla guardia i fanti aretini -con alquanti pregiati Fiorentini, e con loro i -fanti de’ Conti di Casentino; e perchè nel capo -li bolliva per diversi e ragionevoli rispetti quello -che di presente ne seguì, aggiunse alla guardia -messer Riccieri Grimaldi con quattrocento balestrieri -genovesi. I Pisani avendo per loro spie -e dai luoghi vicini al campo, e massimamente da -san Savino, dello sciolto e traccurato reggimento -del campo, ma non della provvisione fatta per -<span class="pagenum" id="Page_288">[288]</span> -messer Manno, perchè al fatto fu troppo vicino, -conferito con Giovanni dell’Aguto sopra la materia, -infine in lui commisono il tutto dell’impresa, -e il popolo animoso e voglioso a furore presa -l’arme nelle braccia sue si pose con lieta speranza -di vittoria, quasi siccome non dovesse potere -perdere. Giovanni Aguto preso il carico senza perdere -punto di tempo diede ordine a quanto fu di -mestiere, e uscì col popolo di Pisa, e fè capo a -san Savino, e come mastro di guerra fè il campo -de’ Fiorentini per tre riprese assalire da gente -che prima era fuggita che giunta, affinchè i nemici -attediati non conoscessono il vero assalto -quando venisse, e venneli fatto, che ’l campo fu -tre volte mosso ad arme dal campanaro indarno, -e il capitano turbato di suo riposo fè comandare -al campanaro alla pena del piè, che che che si -vedesse non sonasse senza licenza sua. Appresso -il detto Giovanni aspettò la volta del sole, -perchè i raggi fedissono nel volto de’ nemici, e -a’ suoi nelle spalle. Ancora per la pratica ch’avea -del paese conobbe, che a tale ora surgea un’aura -che la polvere venia a portare negli occhi de’ nemici. -Solo in uno per gl’intendenti giudicato fu -che egli errasse, che non misurando le miglia -da san Savino a Cascina, che sono quattro di -polveroso e rincrescevole piano, nè avendo rispetto -alla fiamma del sole che divampava il -mondo, nè al grave peso dell’arme, fidandosi -nella gioventù e prodezza de’ suoi Inghilesi nati -e cresciuti nelle guerre di Francia, a’ quali per -animarli e soperchiare ogni fatica e ogni paura -avea messo che nel campo erano quattrocento -<span class="pagenum" id="Page_289">[289]</span> -Fiorentini, tal buono prigione per mille, tale -per duemila fiorini, e del tutto ignoranti dell’arme, -esso fè tutta gente scendere a piè, il perchè -lassi e mezzi stanchi giunsono al campo. Mosselo -a ciò fare due ragioni, l’una perchè la gente -a piè più chetamente cavalca, l’altra perchè leva -meno polverio, immaginando, come avvenne, che -prima fossono al campo che sentiti, e così prendere -il campo di furto prima che si potesse ordinare: -e tutte le dette cose fatte furono per Giovanni -Aguto, che niente ne sentì messer Galeotto, -o per difetto di spie, o perchè poco curasse -ciò che potessono fare i nemici, e questo è più -da credere. Adunque messi nella prima fronte -delle schiere quelli aspri e duri Inghilesi cui -tirava la voglia della preda, tutto l’esercito fè -muovere quando gli parve, e prima i suoi Inghilesi -furono vicini alle sbarre che da’ nostri fossono -sentiti. Il romore e le strida del subito assalto -a’ nostri furono le spie. I fanti che posti -erano alla guardia del luogo, i quali per lo giorno -furono assai più che uomini, francamente -presono l’arme non curando le spaventevoli strida, -ma ordinati di subito alla resistenza non si -lasciarono torre una spanna di terra. E il valente -messer Riccieri Grimaldi compartiti i suoi balestrieri -dove necessario gli parve, e allogatine -gran parte nelle ruine delle case, le quali erano -di mattoni, e pertugiate e di costa a’ nemici, confortandoli -a ben fare, e sollecitandoli dolcemente -e qui e quivi a rinterzare colla forza de’ verrettoni -rintuzzò la fiera rabbia de’ baldanzosi nemici. -Mentre che la battaglia era e quinci e -<span class="pagenum" id="Page_290">[290]</span> -quindi animosamente attizzata alle sbarre, il vero -grido del fatto come era senza suono di campana -o altro sollecitamento di capitano corse -per lo campo e lo strinse ad armare, e il primo -che giunse al soccorso alle sbarre, come quelli -che temendo sempre stava in punto, fu messer -Manno Donati, il quale veggendo quivi soprabbondare -gente da cavallo, per non stare indarno -uscì con tutta sua brigata del campo, e percosse -i nemici ne’ fianchi, conturbando gli ordini loro, -e facendo loro danno assai; e in poca d’ora vennono -alle sbarre il conte Arrigo di Monforte colla -insegna de’ feditori, e con lui il conte Giovanni -e il conte Ridolfo chiamato dal volgo il conte -Menno, e costui come giunse alle sbarre le fè -gettare in terra, e si avventò sopra i nemici facendo -colla spada cose da tacerle, perchè hanno -faccia di menzogna. Per simile il conte Arrigo -co’ suoi Tedeschi sollecitando i cavalli colli sproni -senza averne riguardo contro a’ nemici gli ruppono, -passando tutte loro schiere infino alle carra -che da Pisa recavano e veniano con vino per rinfrescare -loro brigata. Il sagace messer Giovanni -dell’Aguto, il quale era nell’ultima schiera co’ suoi -caporali e altri pregiati Inghilesi, avendo compreso -che la testa delle sue schiere non era di -fatto entrata nel campo come si credette, e che -la resistenza era dura, si giudicò vinto, e senza -aspettare colpo di spada di buon passo co’ detti -caporali si ricolse a san Savino, dove aveano lasciati -i loro cavalli, lasciando nelle peste il popolo -de’ Pisani faticato, e poco uso e accorto negli -atti dell’arme. I Genovesi Aretini e’ fanti dell’Alpe -<span class="pagenum" id="Page_291">[291]</span> -come vidono rotte le schiere de’ Pisani, e -mettersi in fuga, seguitando la caccia ne presono -assai. Essendo adunque per gli Aretini Fiorentini -e’ fanti del Casentino alle sbarre ben sostenuta -la puntaglia de’ nemici, e mezza vinta loro pugna, -per i balestrieri genovesi e per i Tedeschi -in poco tempo recati a fine, il capitano fè muovere -l’insegna reale, la quale per spazio d’un miglio -o poco più si dilungò dal campo, sotto il -cui riguardo assai d’ogni maniera si misono a perseguitare -i nemici, e trovandoli sparti in qua -e in là, lassi e spaventati, ne presono assai. -Stando la cosa in estrema confusione per i Pisani, -per alcuni valenti e pratichi d’arme, parendo -loro conoscere il vantaggio, consigliato fu messer -Galeotto che seguitasse la buona fortuna, la quale -li promettea la città di Pisa: rispose, che non -intendea il giuoco vinto mettere a partito, e più -fè, che tantosto fè sonare alla ricolta, sotto il dire -che temea degli aguati de’ sottrattori e sagaci -nemici; onde molti che sarebbono stati presi -ebbono la via libera a fuggirsi, e massimamente -gl’Inghilesi ch’erano fediti e rifuggiti in san Savino, -nè osavano sferrarsi de’ verrettoni che giunti -in Pisa, dov’ebbono solenni medici, e in pochi -giorni gran numero ne perì. Tornato il capitano -al campo, e cercato il luogo dove fu la battaglia, -assai vi si trovarono morti, ma molti più il -seguente dì per le fosse e per le vigne, quale -per stracco, quale di ferite, e molti colla sete in -Arno mettendovisi dentro vi annegarono. Stimossi -che i morti per detta cagione passassono i mille: -i presi furono vicini a duemila, de’ quali tutti -<span class="pagenum" id="Page_292">[292]</span> -i forestieri furono lasciati, e i Pisani presi da -quelli ch’erano venuti al servigio del comune si -furono loro. Tutta gente di soldo fu per messer -Galeotto in segreto istigata e sollecitata a domandare -a lui paga doppia e mese compiuto, ed egli -per la balìa presa dal comune la promesse loro, -che montò a dannaggio del comune circa a centosettantamila -fiorini e più, perchè presa la speranza -della detta promessa gran quantità di ricchi -e buoni prigioni i soldati trabaldarono, e feciono -con poca di cortesia riscuotere. Forte e molto diè -che pensare a quelli savi e valenti cittadini, che -in que’ giorni si trovarono nel numero de’ reggenti, -messer Galeotto, il più famoso uomo allora -d’Italia in cose militari e in podere d’arme, -meritasse d’essere in tal forma assalito nel campo -da uomo non meno famoso nè meno saggio -in simili atti di lui, e che esso fosse l’autore, -che i soldati per difendere il campo contro buono -uso di gente d’arme pertinacemente volessono -eziandio e con minacce e atti disonesti paga -doppia e mese compiuto, le quali cose diligentemente -ponderate furono cagione d’affrettare il -trattato della pace, dando di ciò pensiere ad alquanti -discreti e intendenti cittadini. Ma noi -tornando al processo della guerra, il dì seguente, -che fu l’ultimo di luglio, messer Galeotto, con -tutto l’esercito e con i prigioni, girandosi pure -vicino a Pisa per tornarsene a san Miniato del -Tedesco assai bene in ordine e colle schiere fatte, -in quello cavalcare fè cavaliere Lotto di Vanni -da Castello Altafronte, giovane di gentile aspetto, -e degli accomandati al comune di Firenze, -<span class="pagenum" id="Page_293">[293]</span> -Piero de’ Ciaccioni di san Miniato, e Bostolino -de’ Bostoli d’Arezzo. -</p> - -<h3 id="capXCVIII-11">CAP. XCVIII. -<span class="smaller"><i>Come furono assegnati i prigioni al comune da’ -soldati, ed entrarono in Firenze -in sulle carra.</i></span></h3> - -<p> -Essendo condotti i prigioni pisani in Monticelli -fuori della porta a san Frediano di Firenze, -alquanta di resistenza in parole feciono i soldati -di non darli se certi non fossono di paga doppia -e mese compiuto, e conobbesi essere moto altrui -e a mal fine; il perchè ricevuta speranza d’averla -da quelli savi cittadini che con loro ne parlarono, -diedono liberamente i prigioni, i quali ricevuti -con dispettoso e vile spettacolo, col capitano, -con l’insegne, e con la gente dell’arme furono -messi in città, perocchè i popolani di basso stato -con alquanti d’un poco meno che mezzano furono -allogati in sulle carra, e furono quarantaquattro -carrate; a’ nobili e gente da bene fu conceduto -il venire a cavallo. E innanzi che questa -pompa entrasse nella città, tutte le campane del -comune cominciarono a sonare alla distesa acciocchè -tutto il popolo traesse a vedere, e dinanzi alle -carra tutti gli stromenti e suoni del comune, -e così quelli della parte guelfa, vista certamente -esemplare di diversa e varia fortuna, verificante -quello disse David, che disse: Vario è l’avvenimento -della guerra, e quinci e quindi consuma -il coltello. I prigioni furono allogati nelle prigioni -<span class="pagenum" id="Page_294">[294]</span> -del comune il più abilmente che si potè, e -dalle buone e pietose donne fiorentine a gara -furono abbondantemente provveduti di tutto ciò -che loro bisognava. -</p> - -<h3 id="capXCIX-11">CAP. XCIX. -<span class="smaller"><i>Come la parte guelfa di Firenze prese a far -festa di san Vittore, e perchè.</i></span></h3> - -<p> -In questa vittoria universale che s’ebbe del -popolo di Pisa, la quale non pensata nè cercata -fu, ma piuttosto recata, perchè singulare, e fu -nel giorno che la santa Chiesa fa festa di san Vittore -papa e martire glorioso, la parte guelfa di -Firenze ad eterna memoria di tanto fatto prese -di fare festa in Firenze ogni anno di san Vittore -divotamente, come a patrone de’ guelfi, a similitudine -come san Barnaba: e feciono in santa -Reparata fare una cappella in reverenza del detto -santo, con intenzione di migliorarla, perchè venendo -la chiesa a sua perfezione stare non può -quivi dov’è, e ogni anno vi fanno solennemente -celebrare la sua festa con bella offerta della parte, -e poi nel giorno fanno correre un ricco palio -di drappo a figure foderato di drappo vergato: e -vollono e tennono che l’arti guardassono il giorno, -e così l’altro popolo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_295">[295]</span> -</p> - -<h3 id="capC-11">CAP. C. -<span class="smaller"><i>Come la gente dell’arme del comune di Firenze -prese tira di non cavalcare, -e quello ne seguì.</i></span></h3> - -<p> -Fatta la festa de’ prigioni, per contentamento -del popolo, che non si potea vedere sazio di vendetta -dell’ingiuria in ultimo fatta per i Pisani -con la forza d’Anichino di Bongardo e degl’Inghilesi, -tutta la gente del comune col capitano -uscì fuori per cavalcare in su quello di Lucca, -ma imbizzarrita sopra volere paga doppia e mese -compiuto, come da altrui erano nel segreto inzigati, -si fermò fra Montetopoli e Marti, e quivi -stettono infino a dì 18 d’agosto assai in atti e in -parole turbata contro al nostro comune: in fine -vinta la gara e conseguito loro intento per meno -male, cavalcarono i nemici afflitti e tribolati oltre -a modo, e a dì 28 del mese messer Galeotto -fermò l’oste a san Piero in campo. Bene avvenne -infra il tempo, che essendo condotti gl’Inghilesi -dal comune di Firenze, andarono per ubbidire il -capitano, e puosono di per sè campo, e, o che i -Tedeschi sollevati da sagace ingegno per vedere -peggio, o pur perchè la gloria dell’arme non potessono -patire di vedere gl’Inghilesi, il seguente -dì vennono a riotta con loro, e ordinati e provveduti -gli assalirono al campo di ciò niente pensati. -La zuffa fu aspra e pericolosa assai, e quinci -e quindi ne morirono, e molti ne furono magagnati. -Gl’Inghilesi loro campo francamente difesono, -<span class="pagenum" id="Page_296">[296]</span> -tutto che predati e soperchiati fossono da’ -Tedeschi, come sprovveduti: e quel giorno il -capitano con gli altri caporali del campo loro feciono -fare triegua per tre dì, e il seguente dì poi -per quindici. E in quello inviluppamento il capitano -con tutta la gente dell’arme, eccetto gl’Inghilesi -che si rimasono al campo loro, cavalcarono -in su quello di Lucca, e feciono campo nel -borgo di Moriano, facendo danni e prede assai. -I Fiorentini per dilungare gl’Inghilesi da’ Tedeschi -glie ne mandarono nel Valdarno di sopra. -In queste tenebre e confusioni i governatori del -comune di Firenze per fuggire la grande e incomportabile -spesa dell’arme, e’ loro dangieri e pericoli, -come fu tocco in parte di sopra, e ne’ segreti -e pubblici consigli determinarono che a pace -si venisse, e cura ne dierono a dieci buoni e discreti -cittadini; e infra il tempo l’ambasciadore -del santo padre col favore degli ambasciadori de’ -comuni di Toscana duplicando essa sollecitudine, -perchè vedeano le cose de’ Pisani per ire in fascio, -e in mala parte e tosto, tanto sollecitarono, -che i Pisani mandarono loro solenni ambasciadori -alla terra di Pescia con mandato pieno a -conchiudere la pace. Il comune di Firenze appresso -vi mandò messer Amerigo Cavalcanti, -messer Pazzino degli Strozzi, messer Filippo Corsini, -messer Luigi Gianfigliazzi, e Gucciozzo de’ -Ricci per simil modo col mandato larghissimo, -nè però tanto, che li quinci e li quindi disposti -alla pace tanto seppono e poterono onestamente -avacciare, che Giovanni dell’Agnello, tutto -sollevato e disposto dal consiglio e caldo di messer -<span class="pagenum" id="Page_297">[297]</span> -Bernabò a farsi signore di Pisa, più non avacciasse -a farsi signore, prevenendo la pace la quale -gli tagliava ogni suo pensiero e rendevalo vano. -</p> - -<h3 id="capCI-11">CAP. CI. -<span class="smaller"><i>Come Giovanni dell’Agnello si fece signore -di Pisa sotto titolo di doge.</i></span></h3> - -<p> -Giovanni dell’Agnello cittadino di Pisa di gesta -popolare, per antichità di sangue non chiaro -e per ordine mercatante, piuttosto scaltrito e -astuto che saggio, presuntuoso a maraviglia e vago -di cose nuove, e sopra tutto sollecito, questi -era in questi giorni tornato da messer Bernabò -dove ito era per ambasciadore del suo comune, -e col tiranno avea tenuto trattato che i Pisani -fossono suoi accomandati, ed egli gli atasse con -darli delle terre loro, e per detta cagione da lui -ebbe in prestanza trentamila fiorini. Di questo -trattato nacque il baldanzoso parlare e pensiero -di Giovanni dell’Agnello di farsi signore di Pisa, -immaginando che venendo Pisa e le membra -sue a tiranno, i Fiorentini fossono più contenti -di lui che di messer Bernabò. Essendo adunque -Pisa sospesa, in tremore e spavento, e più volte -abbandonati dalla speranza della pace, feciono un -gran consiglio di più gravi e notabili cittadini -della terra, nel quale fu messer Piero di messer -Albizzo da Vico, avanti che andasse per ambasciadore -di Pisa alla terra di Pescia per conchiudere -la pace, e il consiglio fu di provvedere a loro -stato: e intra gli altri vi fu il detto Giovanni -<span class="pagenum" id="Page_298">[298]</span> -dell’Agnello, il quale era reputato buono mercatante -e fedele cittadino; costui levato in consiglio -osò dire, che necessario li parea che si venisse a -signore per un anno, dirizzando il suo parere che -quel fosse messer Piero di messer Albizzo da Vico -dottore di legge, il quale con ogni istanza che -seppe quel carico rifiutò, e fulli cagione di affrettare -sua gita a Pescia ad accozzarsi con gli ambasciadori -fiorentini. Veggendo Giovanni contradire -a messer Piero, come stimò, si rimise a -consigliare che pure convenia a uno degli altri -pigliare quella sollecitudine, cura e gravezza: e -allora ser Vanni Botticella, anticamente per genia -di beccaio, s’offerse di prendere quel carico. -Giovanni dell’Agnello disse, che buono e sufficiente -era, ma che gli bisognava d’avere trentamila -fiorini al presente per pagare la gente dell’arme: -a questo rispose ser Vanni non si sentire -sofficiente, e per quel giorno rimasono, che -ogni uno si pensasse d’uno che a ciò fosse sofficiente, -e altra volta tornasse il consiglio. Di -questo strano ragionamento e spaventevole consiglio -surse, che uno de’ seguenti dì in sul fare -della sera molti buoni e cari cittadini, avendo -presa sospezione e gelosia del dire del detto Giovanni -così affettatamente in consiglio e con fronte -pertinace, e perchè nel mormorio del popolo -voce correa che esso facea ragunata di fanti, -s’andarono ad armare, e armati insieme se n’andarono -al palagio degli anziani, e questo tantosto -venne a notizia di Giovanni dell’Agnello, -che continovo stava in sentore, ed egli pensando -che farebbono quello che feciono, sagacemente e -<span class="pagenum" id="Page_299">[299]</span> -prestamente si mise a’ ripari, e i fanti che egli -avea stribuì per le case di certi suoi fidati e singolarissimi -amici, e alla moglie e alla famiglia di -casa ordinò tutto ciò che dovessono fare, ed egli -con l’arme celata ond’era vestito con una fonda -cappellina in capo se n’andò nel letto, e la moglie -fece ire allato appresso di lui. Come fu venuta -la notte, i cittadini con la volontà degli anziani -e con la famiglia loro se n’andarono a casa -Giovanni dell’Agnello, e come ordinato era per -lui, di presente fu aperta la porta, ed essi di subito -presono viaggio alla camera d’esso Giovanni, -e l’udirono russare e sembrare veramente -dormire, come uomo che gran bisogno n’avesse. -La donna, come ammaestrata era, con tutto il -petto nudo si levò in sul letto a sedere, dicendo -a’ cittadini che bisogno avea di posare, ma se -voleano lo svegliasse che lo farebbe; i cittadini -preso vergogna della veduta della donna, e fede -della libera dimostrazione della camera e -della casa, togliendo il parlare della donna, per -semplice, si partirono della camera e della casa, -e si tornarono agli anziani, e riferirono loro tutto -ciò che aveano trovato, onde posto giù il sospetto, -ciascuno si tornò a casa sua, e posta giù -l’arme diede suo pensiere a dormire. Giovanni -dell’Agnello, che con Giovanni dell’Aguto avea -temperato la cetera, temendo che la dilazione -del tempo nel quale il fatto si potea palesare -non li fosse nociva, pieno di sollecitudine, quella -notte medesima la quale avea assicurati e gli -anziani e’ cittadini, con Giovanni dell’Aguto e -con gli amici e’ fanti che avea ragunati se ne -<span class="pagenum" id="Page_300">[300]</span> -venne in piazza, e senza niuno romore ebbe l’entrata -del palagio degli anziani con quella brigata -che a lui era abbastanza, l’altra lasciò a -guardia della piazza, ed entrato nel luogo dove -sedeano gli anziani si mise a sedere nel seggio -del proposto, e ad uno ad uno fece destare gli anziani, -e venire dinanzi da sè, e per dire a che fine, -così dicesse in forma come disse egli, che è semplice -detto, se non fosse congiunto alla forza di -Giovanni dell’Aguto, che la Vergine Maria gli -avea revelato, che per bene e riposo della città -di Pisa dovesse prendere sotto titolo e nome di -doge la signoria e ’l governo della città di Pisa -per un anno, e così avea preso, e avea de’ trentamila -fiorini contenta la gente dell’arme che -seco erano in palagio e in piazza, e così si fè confermare -agli anziani, e sotto lo splendore delle -spade li fece in sua mano giurare; e senza intervallo -di tempo e per parte degli anziani mandò -per quelli cittadini pensò li potessono essere avversi, -e come ciascuno giugnea li significava come -e perchè avea presa la signoria, e accomandati -cortesemente in forma non si sarebbono potuti -partire all’uno promettea il vicariato di Lucca, -all’altro di Piombino, e così agli altri secondo -i gradi loro, o per amore o per paura tutti l’indusse -a giurare nelle sue mani, e in questo servigio -consumò tutta la notte. Alla dimane con gli -anziani, con costoro e con la gente dell’arme -titolatosi doge, cavalcò per la terra, e a grido di -popolo fu fatto signore, nè vi fu chi ricevesse un -buffetto, prese il palagio in possessione, e tutta -la gente dell’arme fè giurare nelle sue mani. E -<span class="pagenum" id="Page_301">[301]</span> -per mostrare che mansuetamente veniva al governo, -e preso avea il nome e quello che il nome -importava non come tiranno, quel medesimo -giorno elesse sedici famiglie di popolari di comune -stato, e gli si fece a consorti, e prese con -tutti arme novella d’un leopardo d’oro rampante -nel campo rosso, con dare a intendere -che d’anno in anno uno di loro, qual più boce -avesse, fosse fatto doge: e in fine, seguitando il -consiglio del conte Guido da Montefeltro a papa -Bonifazio, le promesse fur larghe e lunghe, ma -lo attendere stretto e corto, che di cosa che -promettesse niente osservò, ma pigliando la signoria -a giornate come tiranno, lasciato il titolo -del doge, si facea chiamare signore. E se mai fu -signoria fastidiosa piena di burbanza quella fu -dessa, e negli ornamenti e nel cavalcare con -verga d’oro in mano; e quando tornato era al -palagio si mettea alle finestre a mostrarsi al popolo -come fanno le reliquie, con drappo a oro -pendente tenendo le gomita sopra guanciali di -drappo ad oro, e patìa e volea che come al papa -o all’imperadore le cose che gli s’avessono a -esporre innanzi gli si esponessono ginocchione, e -altre simili cose molto più vane. -</p> - -<h3 id="capCII-11">CAP. CII. -<span class="smaller"><i>Come si fece pace tra’ Fiorentini e’ Pisani.</i></span></h3> - -<p> -Parendo a messer Piero di messer Albizzo ambasciadore -de’ Pisani, in cui giacea il tutto della -pace per la parte loro, che lo stato di Pisa intorno -<span class="pagenum" id="Page_302">[302]</span> -alle condizioni di sua libertà vacillasse, -forte sollecitava la conclusione della pace, e per -Carlo degli Strozzi, uno dell’uficio de’ signori -priori di Firenze, a cui per lo volgo ignorante -del segreto posto era carico di volere che la pace -si facesse al tempo dell’uficio suo, e per i suoi -compagni, sentendosi il segreto del trattato che -Giovanni dell’Agnello tenea con messer Bernabò -Visconti, il quale in effetto era che i Pisani -fossono accomandati del tiranno, e ch’egli avesse -di loro terre, e ch’egli li difendesse, e prendesse -la guerra contro a’ Fiorentini, ed era già tanto -innanzi, che avendo messer Bernabò addomandato -Lucca e Pietrasanta, i Pisani già gli aveano -consentito Pietrasanta, e per loro disperazione si -temea non passassono più oltre; per la libertà di -Toscana in segreto consiglio fu preso, che si venisse -alla pace per lo migliore modo e più onorevole -che si potesse, e scritto fu agli ambasciadori -del comune ch’erano a Pescia, che il più -tosto che potessono onestamente ne venissono al -fine. Onde seguì, che a dì 28 del mese d’agosto, -non sapendo l’una parte dell’altra che ciascuna -voglia n’avesse, si fermò la pace con pubblichi e -solenni stromenti, la quale in Firenze si pubblicò -e bandì il primo dì di settembre, nell’ora ch’entrarono -i nuovi priori, la quale dall’ignorante popolo -de’ segreti del comune mal conosciuta forte -fu biasimata, pensando che Carlo per troppa baldanza -e della famiglia e dello stato fosse stato -l’autore. Onde il popolo vittorioso, a cui parea essere -al di sopra della guerra, incominciò in piazza -non solamente a mormorare, ma con altere parole -<span class="pagenum" id="Page_303">[303]</span> -e atti forte a sparlare contro a Carlo. Onde i -priori e i vecchi e i novi temettono di commozione, -e che Carlo nel tornare a casa o alla casa -in su quel furore non ricevesse villania, e pertanto -dai loro mazzieri e da’ fanti lo feciono accompagnare, -e tanto stare loro famiglia con lui che -l’ira fosse passata. La pace fu onorevole, e da’ savi -e buoni cittadini assai commendata, e nelle -parlanze per la città sostenuta per le sue condizioni -e circostanze laudabili, che furono di questa -maniera: la prima, perchè fatta fu essendo -messer Galeotto capitano de’ Fiorentini con loro -gente sopra il terreno de’ nemici: la seconda, che -tanto si dichinarono i nemici che la vennono a -conchiudere nelle terre del comune di Firenze: -la terza, perchè Pietrabuona, la quale era del -contado di Pisa, origine in grido e cagione della -guerra, in premio di vittoria per patto rimase -al comune di Firenze, confessando per questo -essere ricreduti e vinti: la quarta, perchè -Castel del Bosco, e certe altre loro tenute e -fortezze per patto si vennono a disfare: la quinta, -perchè confermarono tutte le franchigie che -il comune di Firenze o suoi mercatanti mai -avessono avuto in Pisa: la sesta, perchè per -dieci anni si feciono tributari del comune di Firenze, -dando ogni anno nella vigilia di san Giovanni -Battista pubblicamente diecimila fiorini -d’oro. Gli stromenti della pace in sustanza contennono -prima la remissione delle offese, e promettere -di non offendere per l’avvenire, come -è di costume in somiglianti atti e contratti; -appresso confermate e di nuovo per patto concesse -<span class="pagenum" id="Page_304">[304]</span> -furono tutte le franchigie che avesse per -l’addietro avute il comune di Firenze o suoi -mercatanti in Pisa o nelle terre loro. Obbligossi -il comune di Pisa per ammenda di danni -a dare ai comune di Firenze centomila fiorini -d’oro in dieci anni seguenti, diecimila ogni anno -in Firenze nella vigilia della natività di san Giovanni -Battista: e più a dare al comune Pietrabuona, -che era stata cagione della guerra, e tutte -altre terre del comune di Firenze, o a esso comune -accomandate, che ’l comune di Pisa o nella -guerra o innanzi la guerra per eccitarla, o direttamente -o per indiretto avesse prese, ed e converso -facesse così il comune di Firenze, e così si fè. Spianare -Castel del Bosco, e certe altre tenute de’ Pisani, -che per i patti si disfeciono. La detta pace fu -confermata in nome di papa Urbano quinto, colle -solennità della Chiesa e colle pene ecclesiastiche, -per messer Piero Cini arcivescovo di Ravenna, e -per frate Marco di Viterbo generale de’ frati minori, -il quale poco appresso fu fatto cardinale. Il -popolo di Firenze a giornate conoscendo il frutto -e il bene della pace riconobbe suo errore, e rimase -per contento, e il comune dolcemente si levò -da dosso la spesa di messer Anichino di Bongardo -e degl’Inghilesi. Messer Anichino co’ suoi -Tedeschi e con molti mascalzoni che non sapeano -nè poteano vivere se non di rapina, nel -mese di novembre in forma di compagnia cavalcò -in terra di Roma, e presono prima Sabina -e poi Sutri, e quivi vernarono. La compagnia -degl’Inghilesi arso e predato in parte il contado -di Siena se n’andò all’Aquila, e quindi passò -<span class="pagenum" id="Page_305">[305]</span> -in Puglia a vernare. E per non avere più a capitolare -giugnerò a questa gente famosa la morte -di messer Malatesta il vecchio, il quale lungo -tempo fece gran segno in Italia di savio guerriere, -di uomo e d’alto consiglio e pratico in tutte cose, -il quale passò di questa vita del mese d’agosto -1364. E gli Aretini presono e disfeciono la Serra. -</p> - -<p class="pad2 center large"> -FINE DELLA CRONICA DI MATTEO<br> -E FILIPPO VILLANI. -</p> - -<div class="somm"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_307">[307]</span> -</p> - -<h2><a id="indice" href="#indfront"> -TAVOLA</a> -<span class="smaller">DEI CAPITOLI</span></h2> - -<table class="indice"> - <tr> - <td colspan="2" class="center">LIBRO DECIMO</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> - </tr> - <tr> - <td><i>Qui comincia il decimo libro della Cronica di Matteo Villani; e prima il Prologo</i></td> <td class="pag"><a href="#capI-10">Pag. 5</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> II. Dell’alto e rilevato stato della casa de’ Visconti di Milano</i></td> <td class="pag"><a href="#capII-10">7</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> III. Del pauroso e vile partimento dell’oste di messer Bernabò da Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#capIII-10">8</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> IV. Come i Bolognesi assalirono e presono tre bastite</i></td> <td class="pag"><a href="#capIV-10">9</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> V. Certo trattato fatto a corte tra il papa e gli ambasciadori del re d’Ungheria</i></td> <td class="pag"><a href="#capV-10">10</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VI. Dell’avvenimento del legato a Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#capVI-10">10</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VII. Cominciamento della nuova compagnia d’Anichino di Bongardo Tedesco</i></td> <td class="pag"><a href="#capVII-10">11</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VIII. La rivoltura d’Ascoli della Marca</i></td> <td class="pag"><a href="#capVIII-10">12</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> IX. Come a petizione del legato fu preso messer Ridolfo da Camerino</i></td> <td class="pag"><a href="#capIX-10">13</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> X. Del maestrevole processo del legato co’ suoi Ungari in questo tempo</i></td> <td class="pag"><a href="#capX-10">14</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XI. Come s’ebbe per i Bolognesi la bastita di Casalecchio sopra il Reno</i></td> <td class="pag"><a href="#capXI-10">15</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XII. La venuta a Giadra del re d’Ungheria e della moglie</i></td> <td class="pag"><a href="#capXII-10">16</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIII. La presa di Gello fatta per quelli di Bibbiena, e la compera ne fece poi il comune</i></td> <td class="pag"><a href="#capXIII-10">17</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_308">[308]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIV. Come il comune di Firenze mandò ambasciadori al legato e a messer Bernabò per trattare accordo</i></td> <td class="pag"><a href="#capXIV-10">18</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XV. Come il legato mandò gli Ungari sopra la città di Parma</i></td> <td class="pag"><a href="#capXV-10">19</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVI. Della presura del conte da Riano</i></td> <td class="pag"><a href="#capXVI-10">20</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVII. Come la compagnia d’Anichino sostenne fame all’entrata del Regno</i></td> <td class="pag"><a href="#capXVII-10">21</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVIII. Come messer Cane Signore rimandò la moglie che fu di messer Cane Grande al marchese di Brandisborgo</i></td> <td class="pag"><a href="#capXVIII-10">21</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIX. Come la compagnia d’Anichino di Bongardo prese Castello san Martino</i></td> <td class="pag"><a href="#capXIX-10">22</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XX. Come il re d’Araona diè per moglie la figliuola a don Federigo di Cicilia</i></td> <td class="pag"><a href="#capXX-10">23</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXI. Come messer Bernabò si provvedde per avere gente nuova per guerreggiare Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXI-10">24</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXII. Come messer Niccola Acciaiuoli gran siniscalco del Regno venne in Firenze, e della novità che per sua venuta ne seguio</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXII-10">25</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIII. Come per sospetto nato nella città di Firenze di messer Niccola indegnamente egli ne ricevette vergogna</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXIII-10">26</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIV. Come si scoperse congiura di certi cittadini di Firenze e trattato per sovvertere lo stato che reggea</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXIV-10">28</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXV. Come si scoperse il trattato che era in Firenze, e certi ne furono puniti</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXV-10">32</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVI. Come si comperò Montecolloreto, e la giurisdizione di Montegemmoli dell’Alpe per lo comune di Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXVI-10">37</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVII. Come una compagnia creata novellamente prese Santo Spirito</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXVII-10">38</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVIII. Come tornati gli Ungari e messer Galeotto da Parma si misono a Lugo</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXVIII-10">41</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIX. D’alquanti trattati tenuti in diverse parti che tutti si scopersono</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXIX-10">42</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXX. Come il grande siniscalco fu ricevuto nel Regno, e quello ne seguì</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXX-10">43</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_309">[309]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXI. D’un segno nuovo ch’apparse in cielo sopra la città di Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXI-10">44</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXII. Dimostramento di smisurato amore di padre a figliuolo</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXII-10">45</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIII. Contrario esempio d’incredibile crudeltà di madre</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXIII-10">46</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIV. Delle compagnie ch’entrarono in Provenza per conturbare i paesani e la corte di Roma</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXIV-10">49</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXV. Come per comperare gli onori del comune alquanti che li venderono ne furono condannati</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXV-10">51</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVI. Come i fatti di Francia verso il primo tempo procedeano</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXVI-10">52</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVII. Come fu guasta la bastita che il cardinale di Spagna facea fare in sul canale della Pegola</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXVII-10">53</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVIII. Della grande pestilenza che percosse i saracini</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXVIII-10">54</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIX. Come fu morto il soldano di Babilonia, e rifattone un altro, il quale uccise molti de’ suoi baroni</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXIX-10">54</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XL. Come un signore de’ Turchi trattò di fare uccidere l’imperadore di Costantinopoli</i></td> <td class="pag"><a href="#capXL-10">55</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLI. Come il legato si partì di Bologna per andare al re d’Ungheria</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLI-10">56</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLII. Della ribellione fatta per messer Giovanni di messer Riccardo Manfredi al legato</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLII-10">57</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIII. Come il marchese di Monferrato trasse delle compagnie da Avignone per conducere in Piemonte</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLIII-10">59</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIV. Della morte del duca di Lancastro cugino del re d’Inghilterra</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLIV-10">60</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLV. Come riuscì l’impresa del re d’Ungheria dove la speranza del legato di Spagna si riposava</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLV-10">61</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVI. Della pestilenza dell’anguinaia ricominciata in diversi paesi del mondo, e di sua operazione</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLVI-10">62</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_310">[310]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVII. Come per la fama delle compagnie che scendevano in Piemonte i signori di Milano si provvidono alla difesa</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLVII-10">64</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVIII. Come messer Bernabò venne sopra Bologna, e assediò e prese Pimaccio</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLVIII-10">65</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIX. Come il legato procurava aiuto contro messer Bernabò</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLIX-10">66</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> L. Come la compagnia d’Anichino di Bongardo ch’era nel Regno si rassottigliò e venne al niente</i></td> <td class="pag"><a href="#capL-10">67</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LI. Come i Sanesi ebbono Santafiore</i></td> <td class="pag"><a href="#capLI-10">67</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LII. Come i Fiorentini comperarono il castello di Cerbaia</i></td> <td class="pag"><a href="#capLII-10">68</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIII. Come il capitano già di Forlì e messer Giovanni Manfredi si puosono tra Imola e Faenza</i></td> <td class="pag"><a href="#capLIII-10">69</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIV. D’un gran fuoco che s’apprese nella città di Bruggia</i></td> <td class="pag"><a href="#capLIV-10">70</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LV. Delle compagnie d’oltramonti</i></td> <td class="pag"><a href="#capLV-10">70</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVI. Come Francesco Ordelaffi si levò da Forlì, e andonne a oste a Rimini</i></td> <td class="pag"><a href="#capLVI-10">71</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVII. Come i Fiorentini manteneano Bologna per la strada dell’Alpe</i></td> <td class="pag"><a href="#capLVII-10">72</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVIII. Come l’oste di messer Bernabò volle rompere la strada da Firenze, e ricevette danno</i></td> <td class="pag"><a href="#capLVIII-10">73</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIX. Come fu sconfitto l’oste di messer Bernabò al Ponte a san Ruffello</i></td> <td class="pag"><a href="#capLIX-10">74</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LX. Come seguì appresso alla sconfitta di san Ruffello</i></td> <td class="pag"><a href="#capLX-10">80</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXI. Come messer Bernabò si credette prendere Correggio per trattato, e sua gente vi rimase presa</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXI-10">81</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXII. Dell’armata del re di Cipro, e il conquisto di Setalia e del Candeloro</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXII-10">82</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIII. Come i Turchi di Sinopoli assalirono Coffa, e furono vinti da’ Genovesi</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXIII-10">83</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIV. Come le compagnie condotte in Piemonte cominciarono a guerreggiare</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXIV-10">84</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXV. Di grandi terremuoti che furono in Puglia, e assai guastarono della città d’Ascoli</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXV-10">86</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVI. Delle rivolture del paese di Fiandra in questa state</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXVI-10">86</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_311">[311]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVII. Come fu decapitato messer Bocchino de’ Belfredotti signore di Volterra, e come la città venne alla guardia de’ Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXVII-10">87</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVIII. Come il patriarca d’Aquilea fu a tradimento preso dal doge d’Osteric</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXVIII-10">92</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIX. Di fuoco che senza rimedio arse in Roma san Giovanni Laterano</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXIX-10">93</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXX. Del maritaggio del duca di Guales primogenito del re d’Inghilterra</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXX-10">94</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXI. Come papa Innocenzio riformò santa Chiesa de’ cardinali morti per la morìa</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXI-10">94</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXII. Come il re Buscialim della Bellamarina fu morto, e delle rivolture di Granata</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXII-10">95</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIII. Come la compagnia spagnuola ch’era nel vescovado d’Arli prese Vascona, e poi ne furono cacciati</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXIII-10">96</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIV. Come si scoperse che messer Bernabò era vivo, e ’l trattato tenea del castello di Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXIV-10">97</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXV. Come si scoperse in Perugia una gran congiura di notabili cittadini per mutare stato e reggimento</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXV-10">98</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVI. Come in questi giorni in Pisa ebbe gelosia di loro stato, e della difensione che saviamente ne presono</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXVI-10">102</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVII. Come i Sanesi sotto la rotta fede ebbono la signoria di Montalcino</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXVII-10">102</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVIII. Come i Turchi presono la città di Dometico ch’era dell’imperadore di Costantinopoli</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXVIII-10">104</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIX. Come il re di Castella mosse guerra a’ Mori di Granata, e al loro re Vermiglio</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXIX-10">105</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXX. Come gli usciti Perugini presono per furto Civitella de’ Benazzoni, e poi l’abbandonarono</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXX-10">106</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXI. Come i Bolognesi cominciarono a cavalcare sopra gli Ubaldini</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXI-10">106</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXII. Del trattato delle compagnie che doveano entrare in Avignone</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXII-10">107</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_312">[312]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIII. Come i Pisani perderono Pietrabuona e vi puosono l’assedio dove stando vollono torre Sommacolonna per incitare i Fiorentini a guerra</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXIII-10">108</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIV. Come fu sorpreso il conte di Savoia dalla compagnia bianca co’ suoi baroni, e ricomperaronsi con gran quantità di moneta</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXIV-10">111</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXV. La cavalcata che Piero Gambacorti fè sopra i Pisani</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXV-10">111</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVI. Come il re Luigi prese le terre di messer Luigi di Durazzo e lui mise in prigione, e trasse del Regno la compagnia</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXVI-10">113</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVII. Come le compagnie si partirono di Provenza</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXVII-10">114</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVIII. Come fu sconfitta la gente del re di Castella dal re di Granata</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXVIII-10">114</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIX. Come per vendicare sua onta il re di Spagna andò sopra il re di Granata</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXIX-10">115</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XC. Come messer Bernabò si credette avere Reggio per trattato</i></td> <td class="pag"><a href="#capXC-10">116</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCI. Come i Pisani feciono cosa da incitare i Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCI-10">118</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCII. Dell’operazioni delle compagnie in questi tempi</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCII-10">118</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCIII. D’una cometa ch’apparve di marzo nel segno del Pesce</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCIII-10">119</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCIV. Come la Compagnia bianca prese Castelnuovo Tortonese</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCIV-10">120</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCV. Come la compagnia del Pitetto Meschino sconfisse l’oste del re di Francia a Brignai</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCV-10">121</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCVI. Come fu fermo lega dalla Chiesa e i signori di Lombardia contro a messer Bernabò</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCVI-10">124</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCVII. Come fu morto il re Vermiglio di Granata</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCVII-10">126</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCVIII. Come il re Maometto di Granata si fece uomo del re di Castella</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCVIII-10">127</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCIX. Principio di guerra dai collegati a messer Bernabò</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCIX-10">128</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_313">[313]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> C. Come e quando morì Luigi re di Cicilia e di Gerusalemme</i></td> <td class="pag"><a href="#capC-10">130</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CI. Come i Fiorentini vollono difendere Pietrabuona, e non poterono</i></td> <td class="pag"><a href="#capCI-10">132</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CII. Come quelli della valle di Caprese furono traditi dagli Aretini</i></td> <td class="pag"><a href="#capCII-10">136</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CIII. Della mortalità dell’anguinaia</i></td> <td class="pag"><a href="#capCIII-10">137</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="center">LIBRO UNDECIMO</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> I. Il Prologo</i></td> <td class="pag"><a href="#capI-11">139</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> II. Degli apparecchi fatti da’ Fiorentini per la guerra contro a’ Pisani</i></td> <td class="pag"><a href="#capII-11">142</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> III. Come seguendo gli antichi Romani gentili i Fiorentini nel dare dell’insegne al capitano presono punto per astrologia</i></td> <td class="pag"><a href="#capIII-11">144</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> IV. Della prospera fortuna de’ collegati lombardi</i></td> <td class="pag"><a href="#capIV-11">146</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> V. Della morte di Leggieri d’Andreotto di Perugia</i></td> <td class="pag"><a href="#capV-11">148</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VI. Come i Fiorentini cavalcarono in Valdera e presono Ghiazzano</i></td> <td class="pag"><a href="#capVI-11">149</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VII. Come i Fiorentini soldarono galee contra i Pisani</i></td> <td class="pag"><a href="#capVII-11">150</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VIII. Come i Perugini presono la Rocca Cinghiata e quella del Caprese</i></td> <td class="pag"><a href="#capVIII-11">151</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> IX. Come novecento cavalieri di quelli di messer Bernabò furono sconfitti da seicento di quelli di messer Cane Signore</i></td> <td class="pag"><a href="#capIX-11">151</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> X. Disordine nato tra’ Genovesi per la guerra de’ Fiorentini e’ Pisani</i></td> <td class="pag"><a href="#capX-11">152</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XI. Come il re di Castella con quello di Navarra ruppono pace a quello d’Aragona, e lo cavalcaro</i></td> <td class="pag"><a href="#capXI-11">155</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XII. Come per sospetto in Siena a due dell’ordine de’ nove fu tagliata la testa</i></td> <td class="pag"><a href="#capXII-11">156</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIII. Cavalcate fatte per messer Bonifazio Lupo in su quello di Pisa</i></td> <td class="pag"><a href="#capXIII-11">157</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIV. Del processo della guerra da’ collegati a messer Bernabò</i></td> <td class="pag"><a href="#capXIV-11">159</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_314">[314]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XV. Come messer Ridolfo prese il bastone da messer Bonifazio</i></td> <td class="pag"><a href="#capXV-11">160</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVI. Della crudeltà che i Pisani usarono contra i Lucchesi per gelosia</i></td> <td class="pag"><a href="#capXVI-11">160</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVII. Delle cavalcate fatte per messer Ridolfo sopra i Pisani, e del gran danno che ricevettono</i></td> <td class="pag"><a href="#capXVII-11">162</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVIII. Come messer Ridolfo assediò Peccioli, e prese stadichi se non fosse soccorso</i></td> <td class="pag"><a href="#capXVIII-11">164</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIX. Come non essendo il castellano contento del patto messer Ridolfo fè gittare una delle torri di Peccioli in terra</i></td> <td class="pag"><a href="#capXIX-11">168</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XX. Come il capitano de’ Fiorentini prese Montecchio, Laiatico e Toiano</i></td> <td class="pag"><a href="#capXX-11">171</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXI. Dell’aiuto che i Perugini in questi dì mandarono a’ Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXI-11">172</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXII. Come il conte Aldobrandino degli Orsini si partì onorato da Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXII-11">173</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIII. Come e perché si creò la compagnia del Cappelletto</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXIII-11">173</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIV. Comincia la guerra che i Fiorentini feciono in mare a’ Pisani</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXIV-11">176</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXV. Come e perchè i Romani si dierono al papa</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXV-11">177</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVI. Come Dio chiamò a sè papa Innocenzio, e fu fatto papa Urbano quinto</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXVI-11">178</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVII. Come al re Pietro di Castella morì un figliuolo che avea</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXVII-11">179</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVIII. Come Perino Grimaldi prese l’isoletta e castello del Giglio</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXVIII-11">180</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIX. Come messer Piero Gambacorti per trattato si credette tornare in Pisa</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXIX-11">182</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXX. Come Perino Grimaldi soldato del comune di Firenze prese Porto pisano, e le catene del detto porto mandò a Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXX-11">184</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXI. Come messer Bernabò mandò a papa Urbano a proseguire la pace</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXI-11">186</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXII. Domande fatte per lo re di Francia al papa</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXII-11">187</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_315">[315]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIII. Di grande acquazzone che in Italia fè danno</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXIII-11">188</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIV. Come il re di Cipro andò ad Avignone con tre galee</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXIV-11">189</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXV. Come morì Giovacchino degli Ubaldini e lasciò reda il comune di Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXV-11">189</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVI. Come il conte di Focì sconfisse e prese quello d’Armignacca</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXVI-11">190</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVII. Come i Pisani vollono torre il campanile d’Altopascio</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXVII-11">191</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVIII. Come in Firenze s’ordinò tavola per lo comune per servire i soldati</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXVIII-11">192</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIX. Come i Pisani vollono torre santa Maria a Monte</i></td> <td class="pag"><a href="#capXXXIX-11">193</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XL. Come i Pisani vollono torre Pescia per trattato</i></td> <td class="pag"><a href="#capXL-11">193</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLI. Come papa Urbano pubblicò in Avignone i processi fatti contro a messer Bernabò</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLI-11">194</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLII. Come morì messer Simone Boccanera primo doge di Genova</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLII-11">196</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIII. Come fu morto il conte di Lando</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLIII-11">197</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIV. Come Bernabò Visconti fu dalla gente della lega sconfitto alla bastita di Modena, e come la perdè</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLIV-11">197</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLV. Come i Pisani vollono torre Barga</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLV-11">199</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVI. Come messer Piero da Farnese credette torre Lucca a’ Pisani</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLVI-11">201</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVII. Come i Pisani presono per forza il castello di Gello sul Volterrano</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLVII-11">202</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVIII. Come i Pisani condussono la Compagnia bianca degl’Inghilesi</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLVIII-11">203</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIX. Come Rinieri da Baschi ruppe gente che messer Piero da Farnese avea mandati in Garfagnana</i></td> <td class="pag"><a href="#capXLIX-11">205</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> L. Come Rinieri da Baschi colla gente de’ Pisani fu sconfitto e preso da messer Piero da Farnese</i></td> <td class="pag"><a href="#capL-11">206</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_316">[316]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LI. Come messer Piero da Farnese entrò in Firenze, e il capitano de’ Pisani colle insegne e’ prigioni rassegnarono a’ priori</i></td> <td class="pag"><a href="#capLI-11">208</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LII. Come i Pisani tolsono a’ Fiorentini Altopascio</i></td> <td class="pag"><a href="#capLII-11">209</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIII. Come i Pisani elessono per loro capitano Ghisello degli Ubaldini</i></td> <td class="pag"><a href="#capLIII-11">210</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIV. Come messer Piero cavalcò sino sulle porte di Pisa battendovi moneta d’oro e d’argento</i></td> <td class="pag"><a href="#capLIV-11">210</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LV. Sagacità usata per i Pisani per non perdere Montecalvoli</i></td> <td class="pag"><a href="#capLV-11">213</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVI. Come il re di Francia per paura della compagnia non osò per terra tornare nel reame, ma tornò per acqua</i></td> <td class="pag"><a href="#capLVI-11">214</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVII. Della mortalità dell’anguinaia</i></td> <td class="pag"><a href="#capLVII-11">215</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVIII. Come i Barghigiani colla forza de’ Fiorentini presono i battifolli</i></td> <td class="pag"><a href="#capLVIII-11">215</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIX. Come morì messer Piero da Farnese</i></td> <td class="pag"><a href="#capLIX-11">216</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LX. Dell’ammirabile passaggio de’ grilli</i></td> <td class="pag"><a href="#capLX-11">217</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> - </tr> - <tr> - <td><span class="spaced1"><i>Proemio della Cronica di Filippo Villani</i></span></td> <td class="pag"><a href="#filippo">219</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXI. Come i Fiorentini feciono Ranuccio da Farnese loro capitano di guerra</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXI-11">220</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXII. Come gl’Inghilesi giunsono in Pisa</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXII-11">220</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIII. Come i Pisani cavalcarono i Fiorentini in sulle porte</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXIII-11">221</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIV. Come si fermò pace dalla Chiesa a messer Bernabò</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXIV-11">223</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXV. Dello stato della città di Firenze in que’ giorni</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXV-11">224</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVI. Come i Perugini, per tema che la compagnia degl’Inghilesi non soccorressono i loro rubelli assediati in Montecontigiano, condussono la Compagnia del cappelletto</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXVI-11">226</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVII. Come messer Pandolfo Malatesti venne con cento uomini di cavallo e con cento fanti a servire il comune di Firenze per due mesi</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXVII-11">228</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVIII. Come i Pisani co’ loro Inghilesi presono Figghine</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXVIII-11">230</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_317">[317]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIX. Come messer Pandolfo puose il campo all’Ancisa, e come il detto campo fu preso dagl’Inghilesi con messer Rinuccio capitano, e appresso il borgo all’Ancisa, e come messer Pandolfo fu fatto capitano di guerra</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXIX-11">231</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXX. Come certa parte degl’Inghilesi da Figghine cavalcarono a Ricorboli</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXX-11">235</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXI. Come i Sanesi sconfissono la Compagnia del cappelletto, la quale era condotta al soldo de’ Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXI-11">238</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXII. Di cavalcate e combattimenti di terre feciono gl’Inghilesi mentre stettono a Figghine</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXII-11">239</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIII. Esempio e ammaestramento de’ popoli che vivono a libertà i quali si conducono nella fortuna della guerra di non torre capitano uso a tirannia</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXIII-11">241</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIV. I modi teneano gl’Inghilesi tornati in Pisa</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXIV-11">245</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXV. Come i Pisani furono sconfiti a Barga</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXV-11">245</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVI. Come il re Giovanni di Francia passò in Inghilterra e là morì</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXVI-11">247</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVII. Come messer Niccolò del Pecora fu cacciato di Montepulciano</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXVII-11">249</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVIII. Della morte del giovane marchese di Brandisborgo, conte di Tirolo, e quello ch’appresso ne seguì</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXVIII-11">249</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIX. Come i Pisani ricondussono gl’Inghilesi</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXIX-11">256</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXX. D’una saetta che cadde sul campanile di santa Maria Novella</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXX-11">257</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXI. Cavalcate fatte per gl’Inghilesi nel pieno verno</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXI-11">258</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXII. Come Anichino di Bongardo con tremila barbute venne al servigio de’ Pisani, e come sagacemente cercarono avvantaggiosa pace</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXII-11">262</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIII. Come messer Beltramo Craiche tolse Nantes per lo re di Francia a quello di Navarra</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXIII-11">265</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIV. Come rotto il trattato della pace i Pisani cavalcarono i Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXIV-11">265</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_318">[318]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXV. Come messer Pandolfo passò nel Mugello colla gente da cavallo per tenere stretti gl’Inghilesi</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXV-11">268</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVI. Come gl’Inghilesi si partirono del Mugello e tornarsi nel piano di Pistoia</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXVI-11">270</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVII. Come messer Pandolfo Malatesti si partì dal servigio del comune di Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXVII-11">271</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVIII. Come gl’Inghilesi e’ Tedeschi co’ guastatori de’ Pisani s’accamparono a Sesto, e Colonnata, e santo Stefano in pane</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXVIII-11">272</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIX. Come gl’Inghilesi e’ Tedeschi coi guastatori pisani presono il colle di Montughi e di Fiesole, e combatterono i Fiorentini alla porta a san Gallo, e fessi Anichino di Bongardo cavaliere</i></td> <td class="pag"><a href="#capLXXXIX-11">274</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XC. Come il conte Arrigo di Monforte capitano de’ Fiorentini prese e arse Livorno</i></td> <td class="pag"><a href="#capXC-11">278</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCI. Come il corpo del re Giovanni di Francia fu trasportato di Londra a Parigi, e come onorato</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCI-11">282</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCII. Come messer Beltramo di Cloachin sconfisse il luogotenente del re di Navarra in Normandia</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCII-11">283</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCIII. Come Carlo primogenito del re di Francia fu consegrato a Rems a re di Francia</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCIII-11">283</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCIV. Come si combatterono messer Carlo di Bos duca di Brettagna, e messer Gianni di Monforte</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCIV-11">283</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCV. Come i Fiorentini con la forza del danaio ruppono la compagnia de’ Tedeschi e Inghilesi, e levaronla da provvisione de’ Pisani</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCV-11">284</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCVI. Come i Fiorentini presono in capitano di guerra messer Galeotto Malatesti</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCVI-11">285</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCVII. Battaglia tra’ Fiorentini e’ Pisani fatta nel borgo di Cascina, nella quale i Fiorentini furono vincitori</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCVII-11">286</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCVIII. Come furono assegnati i prigioni al comune da’ soldati, ed entrarono in Firenze in sulle carra.</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCVIII-11">293</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_319">[319]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCIX. Come la parte guelfa di Firenze prese a far festa di san Vittore, e perchè</i></td> <td class="pag"><a href="#capXCIX-11">294</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> C. Come la gente dell’arme del comune di Firenze prese tira di non cavalcare, e quello ne seguì</i></td> <td class="pag"><a href="#capC-11">295</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CI. Come Giovanni dell’Agnello si fece signore di Pisa sotto titolo di doge</i></td> <td class="pag"><a href="#capCI-11">297</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CII. Come si fece pace tra’ Fiorentini e’ Pisani</i></td> <td class="pag"><a href="#capCII-11">301</a></td> - </tr> -</table> -<hr> -</div> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_320">[320]</span> -</p> - -<table class="errata"> - <tr> - <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td>ERRORI</td> <td>CORREZIONI</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="6"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="6" class="center">TOMO V.</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="6"> </td> - </tr> - <tr> - <td>p.</td> <td class="num">19</td> <td>v.</td> <td class="num">1</td> <td>tratto</td> <td>trattò</td> - </tr> - <tr> - <td>—</td> <td class="num">34</td> <td>—</td> <td class="num">14</td> <td>Sumiera</td> <td>ringhiera</td> - </tr> -</table> - -</div> - -<div class="tnote"> -<p class="tntitle"> -Nota del Trascrittore -</p> - -<p> -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo -senza annotazione minimi errori tipografici. Le correzioni indicate in -fine libro sono state riportate nel testo. -</p> - -<p class="covernote"> -Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio. -</p> -</div> - -<div lang='en' xml:lang='en'> -<div style='display:block; margin-top:4em'>*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK <span lang='it' xml:lang='it'>CRONICA DI MATTEO VILLANI, VOL. V</span> ***</div> -<div style='text-align:left'> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Updated editions will replace the previous one—the old editions will -be renamed. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright -law means that no one owns a United States copyright in these works, -so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the United -States without permission and without paying copyright -royalties. 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Redistribution is subject to the trademark -license, especially commercial redistribution. -</div> - -<div style='margin-top:1em; font-size:1.1em; text-align:center'>START: FULL LICENSE</div> -<div style='text-align:center;font-size:0.9em'>THE FULL PROJECT GUTENBERG LICENSE</div> -<div style='text-align:center;font-size:0.9em'>PLEASE READ THIS BEFORE YOU DISTRIBUTE OR USE THIS WORK</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -To protect the Project Gutenberg™ mission of promoting the free -distribution of electronic works, by using or distributing this work -(or any other work associated in any way with the phrase “Project -Gutenberg”), you agree to comply with all the terms of the Full -Project Gutenberg™ License available with this file or online at -www.gutenberg.org/license. -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 1. General Terms of Use and Redistributing Project Gutenberg™ electronic works -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.A. By reading or using any part of this Project Gutenberg™ -electronic work, you indicate that you have read, understand, agree to -and accept all the terms of this license and intellectual property -(trademark/copyright) agreement. If you do not agree to abide by all -the terms of this agreement, you must cease using and return or -destroy all copies of Project Gutenberg™ electronic works in your -possession. If you paid a fee for obtaining a copy of or access to a -Project Gutenberg™ electronic work and you do not agree to be bound -by the terms of this agreement, you may obtain a refund from the person -or entity to whom you paid the fee as set forth in paragraph 1.E.8. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.B. “Project Gutenberg” is a registered trademark. 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Information about the Mission of Project Gutenberg™ -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Project Gutenberg™ is synonymous with the free distribution of -electronic works in formats readable by the widest variety of -computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It -exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations -from people in all walks of life. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Volunteers and financial support to provide volunteers with the -assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg™’s -goals and ensuring that the Project Gutenberg™ collection will -remain freely available for generations to come. In 2001, the Project -Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure -and permanent future for Project Gutenberg™ and future -generations. 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