diff options
| -rw-r--r-- | .gitattributes | 4 | ||||
| -rw-r--r-- | LICENSE.txt | 11 | ||||
| -rw-r--r-- | README.md | 2 | ||||
| -rw-r--r-- | old/69899-0.txt | 7681 | ||||
| -rw-r--r-- | old/69899-0.zip | bin | 154280 -> 0 bytes | |||
| -rw-r--r-- | old/69899-h.zip | bin | 445007 -> 0 bytes | |||
| -rw-r--r-- | old/69899-h/69899-h.htm | 11170 | ||||
| -rw-r--r-- | old/69899-h/images/cover.jpg | bin | 290022 -> 0 bytes |
8 files changed, 17 insertions, 18851 deletions
diff --git a/.gitattributes b/.gitattributes new file mode 100644 index 0000000..d7b82bc --- /dev/null +++ b/.gitattributes @@ -0,0 +1,4 @@ +*.txt text eol=lf +*.htm text eol=lf +*.html text eol=lf +*.md text eol=lf diff --git a/LICENSE.txt b/LICENSE.txt new file mode 100644 index 0000000..6312041 --- /dev/null +++ b/LICENSE.txt @@ -0,0 +1,11 @@ +This eBook, including all associated images, markup, improvements, +metadata, and any other content or labor, has been confirmed to be +in the PUBLIC DOMAIN IN THE UNITED STATES. + +Procedures for determining public domain status are described in +the "Copyright How-To" at https://www.gutenberg.org. + +No investigation has been made concerning possible copyrights in +jurisdictions other than the United States. Anyone seeking to utilize +this eBook outside of the United States should confirm copyright +status under the laws that apply to them. diff --git a/README.md b/README.md new file mode 100644 index 0000000..26c1625 --- /dev/null +++ b/README.md @@ -0,0 +1,2 @@ +Project Gutenberg (https://www.gutenberg.org) public repository for +eBook #69899 (https://www.gutenberg.org/ebooks/69899) diff --git a/old/69899-0.txt b/old/69899-0.txt deleted file mode 100644 index dbbc60b..0000000 --- a/old/69899-0.txt +++ /dev/null @@ -1,7681 +0,0 @@ -The Project Gutenberg eBook of Cronica di Matteo Villani, vol. II, by -Matteo Villani - -This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and -most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions -whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms -of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at -www.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you -will have to check the laws of the country where you are located before -using this eBook. - -Title: Cronica di Matteo Villani, vol. II - A miglior lezione ridotta coll'aiuto de' testi a penna - -Author: Matteo Villani - -Editor: Ignazio Moutier - -Release Date: January 29, 2023 [eBook #69899] - -Language: Italian - -Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team - at http://www.pgdp.net (This file was produced from images - made available by the Bayerische Staatsbibliothek) - -*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK CRONICA DI MATTEO VILLANI, -VOL. II *** - - - CRONICA - - DI - - MATTEO - VILLANI - - - A MIGLIOR LEZIONE RIDOTTA - COLL’AIUTO - DE’ TESTI A PENNA - - TOMO II. - - - - FIRENZE - PER IL MAGHERI - 1825 - - - - -LIBRO TERZO - -_Qui comincia il terzo libro della Cronica di Matteo Villani; e prima -il Prologo._ - - -CAPITOLO PRIMO - -Rendendo spesso testimonianza delle mutevoli cose del mondo ogni -stato umano, non è da pensare cosa maravigliosa quella che ha fatto -maravigliare ne’ nostri dì ovunque la sua fama aggiunse. E domandando -la debita materia di fare cominciamento al terzo libro, possiamo con -ragione dire, che la corona dell’imperiale maestà e il suo regno, alla -quale dipendea la monarchia dell’universo, era Roma coll’italiana -provincia, delle provincie della quale ne’ nostri tempi la città di -Firenze, Perugia e Siena, seguendo alcune orme di quella, per li tempi -avversi dello sviato imperio, in segno della romana libertà, avendo -veduto per li tempi passati l’incostanza degl’imperadori alamanni avere -in Italia generate e accresciute tirannesche suggezioni di popoli, -hanno mantenuto la franchigia e la libertà discesa in loro dall’antico -popolo romano: e zelanti di non sostenere quella a tirannia, molte -volte per diversi e lunghi tempi apparvono contradi all’imperiale -suggezione, intanto che non si poteva in questi popoli sostenere -senza sospetto, senza pericolo e senza infamia il raccontamento -dell’imperiale nome. E come subitamente gli animi di que’ popoli e de’ -loro rettori per paura del potente tiranno arcivescovo di Milano si -cambiarono, procurando l’amistà e l’avvenimento in Italia di messer -Carlo re di Boemia eletto imperadore, i movimenti già narrati, e le -operazioni che appresso ne seguirono, seguendo nostro trattato il -dimostreremo. - - -CAP. II. - -_La potenza dell’arcivescovo di Milano, e il procaccio fece a corte per -la sua liberazione._ - -Era in questo tempo potentissimo e temuto signore messer Giovanni de’ -Visconti arcivescovo di Milano, sotto la cui signoria si reggea la -nobile e grande città di Milano, e l’antica e famosa città di Bologna, -Cremona, Lodi, Parma, Piacenza, Brescia, Moncia, Bergamo, Como, Asti, -Alessandria della paglia, Tortona, Alba, Novara, Vercelli, Bobbio, -Crema, e più altre città e terre nelle montagne di verso la Magna, co’ -loro contadi ville e castella; e i signori di Pavia, ch’erano que’ di -Beccheria, l’ubbidivano come signore, benchè la città fosse al loro -governamento. In Toscana aveva acquistato il Borgo a san Sepolcro, -e il castello d’Anghiari e altre castella d’intorno. E accomandati -e ubbidienti gli erano Cortona, Orvieto, Cetona, Agobbio, i Tarlati -usciti d’Arezzo, gli Ubaldini, i Pazzi di Valdarno, gli Ubertini, e -que’ da Faggiuola; e i conti da Montefeltro, e de’ conti Guidi dal lato -ghibellino, e il conte Tano da Montecarelli, e gli altri ghibellini -caporali di Toscana, e di Romagna e della Marca l’ubbidivano. E a -sua lega e a compagnia avea il signore della Scala e di Mantova e di -Padova: e il marchese di Ferrara in Lombardia, e il comune di Genova e -quello di Pisa sotto alcuno ordinato servigio, e il capitano di Forlì, -e il tiranno di Faenza, e il signore di Ravenna tenevano con lui in -lega e in compagnia, come nel secondo nostro libro narrato abbiamo. E -non avendo l’arcivescovo altra guerra che col comune di Firenze e di -Perugia, alla cui compagnia e lega s’accostava debolmente il comune di -Siena, era sì potente e di tanto aiuto e forza, che impossibile pareva -a questi popoli potersi difendere senza aiuto di più potente braccio, -e però aveano mandato a corte, come detto è, per inducere il papa e i -cardinali contra lui, sentendo che la Chiesa per le grandi ingiurie -ricevute procedeva contro a lui. Ma l’arcivescovo per riparare, -sentendo che gl’impugnatori erano grandi, pensò che non era tempo -da nutricare il lavorio, ma di trarlo a fine; e avvedendosi quanto -l’avarizia movea le cortigiane cose, e disponeva i prelati all’olore -della pecunia, e per questo le cose, aspettando maggior frutto, si -sostenevano, da capo mandò più grande e più solenne ambasciata a corte -di suoi confidenti, uomini sperti e di grande autorità, e mandolli -forniti di più di dugentomila fiorini d’oro, con pieno mandato a -operare e fare con doni e con loro industria e impromesse, senza avere -riguardo alla pecunia, d’avere la riconciliazione di santa Chiesa, -rimanendoli la signoria di Bologna. E oltre a ciò aoperò per forza -de’ suoi doni, che messer Giovanni di Valois re di Francia mandò -altri baroni suoi ambasciadori al papa e a’ cardinali a procurare la -riconciliazione dell’arcivescovo; e la contessa di Torenna governatore -del papa nelle sue temporali bisogne, per cui il santo padre molto si -movea nelle grandi bisogne, procacciò con ismisurati doni. Nel continuo -tempellamento del papa, per lo suo aiuto, e ne’ parenti del papa si -provvide con larga mano. E in certi cardinali che gli si mostravano -avversi per zelo dell’onore di santa Chiesa si provvide per modo, che -agevole fu a conoscere che l’onore di santa Chiesa non s’apparteneva -a loro. E avendo l’arcivescovo tutta compresa la corte in suo favore, -seguita il modo che papa Clemente tenne con gli ambasciadori de’ comuni -di Toscana, per potere fare con più sua scusa quello che prima avea -deliberato di fare. - - -CAP. III. - -_Come papa Clemente sesto propose tre cose a’ comuni di Toscana, perchè -pigliassono l’una._ - -Essendo tutta la corte di Roma ripiena di doni e d’ambasciadori -per i fatti dell’arcivescovo, e volendo il papa terminare la sua -causa secondo la domanda de’ suoi ambasciadori, i quali nella vista -proferivano di lui ogni ubbidienza di santa Chiesa, e nel segreto -aveano l’ubbidienza del papa e de’ cardinali alla sua volontà, per -le ragioni e cagioni già narrate; volendo il papa mostrare agli -ambasciadori de’ tre comuni di Toscana singolare affezione, da -capo gli ebbe in concistoro, e commendato molto i loro comuni di -molte cose, e singolarmente dell’amore e della fede che portavano a -santa Chiesa, e dolutosi delle loro oppressioni per le divisioni e -scandali d’Italia, infine conchiudendo disse, che mettea nella loro -elezione quelle tre cose ch’avea altre volte loro promesse, ch’elli -eleggessono l’una senza soggiorno: o di buona pace coll’arcivescovo, o -lega e compagnia colla Chiesa contro a lui, o che facesse passare in -Italia l’eletto imperatore. Gli ambasciadori ristretti insieme, che -conoscevano e sentivano dove la causa dell’arcivescovo era ridotta, -non si vollono rimutare da quello ch’altra volta aveano detto al papa, -che quello che a lui paresse il migliore erano contenti che facesse -loro, mantenendo in sul fatto la piena confidenza ch’aveano a santa -Chiesa e al sommo pastore. Il papa conobbe che la risposta era intera -alla sua intenzione, e che poteva procedere con giusto titolo senza -offendere i comuni di Toscana ne’ suoi movimenti, quanto che in fatti -era il contradio, alla sentenza di riconciliare l’arcivescovo, e però -fu contento, e disse loro che provvederebbe per modo, che i loro comuni -avrebbono coll’arcivescovo buona pace: della quale offerta niuna -speranza si prese, conoscendo manifestamente ch’al tutto s’intendeva a -magnificare il tiranno, e a fare la sua volontà. - - -CAP. IV. - -_Come il papa e’ cardinali annullarono i processi contro -all’arcivescovo._ - -Poco appresso dopo la detta risposta, avendo gli ambasciadori -significato a’ loro comuni quello ch’aveano dal papa, e quello che -sentivano di certo de’ fatti dell’arcivescovo, il papa convocò i -cardinali a concistoro, i quali tutti, niuno discordante, erano -d’accordo con gli ambasciadori dell’arcivescovo, e però non essendo -tra loro quistione, domenica mattina a dì 5 di Maggio, gli anni -Domini 1352, fu per la santa ubbidienza dell’arcivescovo sopraddetto -annullato il processo fatto contro a lui, e riconciliato a santa -Chiesa, e tratto d’ogni scomunicazione e d’ogni interdetto. E in -quello concistoro piuvico, avendo per li suoi ambasciadori rendute le -chiavi al papa in segno della restituzione di Bologna, il papa colla -volontà de’ suoi cardinali ne rinvestì gli ambasciadori, riceventi per -lo detto arcivescovo e de’ suoi successori, nella signoria di Milano -e di Bologna, per tempo e termine di dodici anni prossimi a venire, -con promessione che ogni anno ne darebbe di censo fiorini dodicimila -alla camera del papa, e compiuto il detto termine la renderebbe -libera a santa Chiesa, e allora restituiranno contanti, per nome del -detto arcivescovo, fiorini centomila alla camera del papa, per la -restituzione delle spese che la Chiesa vi fece quando vi tenne l’oste -il conte di Romagna. E così per pietà e per danari ogni gran cosa si -fornisce a’ nostri tempi co’ pastori di santa Chiesa. - - -CAP. V. - -_Come gli ambasciadori de’ Toscani si partirono di corte mal contenti._ - -Il papa avendo grande appetito di servire tosto all’arcivescovo, -vedendo che ’l trattare della pace promessa a’ comuni di Toscana avea -a sostenere la causa del tiranno, si fece promettere triegua per un -anno, in quanto il comune di Firenze e gli altri comuni la volessono, -acciocchè infra il termine più ordinatamente si trattasse della pace. -Gli ambasciadori ch’aveano assai dinanzi avvisati i loro comuni come la -cosa procedeva acciocchè provvedessono al loro stato, frustrati della -loro intenzione, si partirono mal contenti di corte, e tornaronsi in -Toscana. E innanzi la loro tornata, in Firenze si piuvicò il trattato -e la concordia presa col vececancelliere dell’eletto imperadore, -come appresso diviseremo. Avvenne poco appresso che il vicario -dell’arcivescovo in Bologna mandò a Firenze un messo con ulivo in mano -e con sue lettere, significando la tregua fatta e bandita nelle terre -dell’arcivescovo suo signore; e in quello dì fece muovere sua gente -a cavallo e a piè da Montecarelli, e cavalcare nel Mugello predando, -e uccidendo e ardendo come gravi nimici del comune, e ritrassonsi a -salvamento; e ivi dopo pochi dì ritornarono, e misono loro aguati, e -furono scoperti, e rotti, e morti e presi gran parte di loro, sicchè -più non s’attentarono di venire in Mugello. Per questi segni si -scoperse, che il trattato del papa con le tregue, colla fè corrotta del -tiranno, non ebbe principio di buona intenzione. - - -CAP. VI. - -_Come i tre comuni di Toscana s’accordarono a far passare l’imperadore._ - -I rettori de’ tre comuni di Toscana, per l’informazione ch’aveano avuta -da corte da’ loro ambasciadori, sentivano a certo che la Chiesa gli -abbandonava, ed era per magnificare il loro avversario: e bene che -sentissono le promesse del papa, non vedeano da potersene confidare, e -però tempellavano negli animi tra il sospetto e la paura, aggiugnendo -temenza di cittadinesche discordie nel soprastare: e bene che ancora -non avessono avuta certezza del fatto da’ loro ambasciadori, senza -rendere al santo padre il debito onore, quasi palpando, per lo trattato -tenuto col vececancelliere dell’imperadore, mostrando di prendere -confidanza nella fama delle virtù e senno e larghe profferte del -detto eletto imperadore, per aiutarsi dal potente tiranno nimico, -valicando egli in Italia a istanza de’ detti tre comuni, come il suo -cancelliere promettea, e per questa cagione, d’uno animo e d’uno -volere tutto il reggimento di questi tre comuni, Firenze, Perugia, -e Siena, con pubblico consentimento de’ loro popoli si deliberarono -d’essere all’ubbidienza del detto eletto imperadore con certi patti e -convenzioni, i quali erano assai strani alla libertà del sommo imperio. -Ma perchè le cose disviate con alcuno mezzo più tosto si congiungono -a unità e a concordia, non fu a quel tempo tenuta sconvenevole la -domanda, nè ingiusto l’assentimento del signore; e però all’uscita -del mese d’aprile del detto anno, nella città di Firenze in pubblico -parlamento si fermò il trattato ordinato per lo vececancelliere -dell’eletto imperadore, con gli ambasciadori e sindachi de’ detti -tre comuni, e piuvicossi i patti e le convenzioni, e fattone solenni -stipulazioni e carte, grande ammirazione ne fu per tutta Italia. I -patti in sostanza racconteremo qui appresso nel seguente capitolo. - - -CAP. VII. - -_Quali furono i patti dall’imperadore a’ tre comuni._ - -Promise il detto vececancelliere, che per tutto il prossimo mese di -luglio l’eletto re de’ Romani imperadore sarebbe in Lombardia sopra le -terre dell’arcivescovo di Milano per guerreggiare e abbattere la sua -signoria con seimila cavalieri: de’ quali duemila ne dovea avere al -suo proprio soldo, ovvero servigio, e mille che promessi gli avea la -Chiesa di Roma quando passasse, i quali se dalla Chiesa non avesse, -promettea fornirli da se, e gli altri tremila cavalieri, i quali dovea -soldare a sua eletta. Questi tre comuni gli doveano dare per un anno -dugento migliaia di fiorini d’oro, e oltre a ciò gli doveano donare -come e’ fosse in Aquilea fiorini diecimila d’oro. La taglia era al -comune di Firenze per millecinquecentocinquanta cavalieri, Perugia -ottocentocinquanta, e Siena seicento. E se in uno anno la guerra -non fosse terminata, si dovea provvedere del nuovo sussidio innanzi -al tempo, confidandosi catuna parte d’averne concordia. E i detti -tre comuni deono tenere il detto messer Carlo vero re de’ Romani, e -futuro diritto imperadore, ed egli dee promettere di mantenere i detti -tre comuni nella loro libertà e ne’ loro statuti; e come avesse la -corona, avendo sottomesso il tiranno, i priori di Firenze e’ nove di -Siena si doveano dinominare vicari dell’imperadore mentre che fossono -all’uficio (i Perugini non s’obbligarono a questo, facendosi uomini di -santa Chiesa) e il comune di Firenze promise in detto caso pagare ogni -anno per nome di censo danari ventisei per focolare: gli altri comuni -s’obbligarono senza distinzione di pagare ogni anno quello ch’era -consueto all’imperadore per antico. E fu in patto che l’imperadore -venuto alla corona dovesse privilegiare a’ detti comuni tutte le terre, -ville e castella ch’al presente possedeano, e che avessono posseduto -sei anni addietro, quanto che ora non le possedessono, e che dalla -condannagione fatta per l’imperadore Arrigo suo avolo, promise liberare -e assolvere i detti comuni. E ’l detto vececancelliere per nome del -detto eletto imperadore promise, che le dette convenenze e patti il -detto eletto confermerebbe infra mezzo il prossimo futuro mese di -giugno del detto anno. Altre singulari cose vi si promisono, che non -sono di necessità a raccontare. - - -CAP. VIII. - -_Come il re Luigi e la reina Giovanna furono coronati per la Chiesa._ - -Avendo papa Clemente sesto e’ suoi cardinali mandati legati nel Regno, -a dì 27 di maggio del detto anno, il dì della santa Pentecoste, nella -città di Napoli, celebrata la solenne messa, con la consueta solennità -consacrarono e coronarono in nome di santa Chiesa in prima il re -Luigi, e dappresso la reina Giovanna, del reame di Gerusalemme e di -Cicilia. E questo fu fatto con molta festa di baroni e di cavalieri del -regno, e de’ Napoletani e de’ forestieri, i quali tutti si sforzarono -di onorare il re e la reina in quella festa; e fecesi alle case del -prenze di Taranto sopra le Coreggie, con molte giostre e con grande -armeggiare: e vestiti e adorni il re e la reina in abito di reale -maestà, ricevettono l’omaggio da tutti i baroni che non erano stati -contrari nella guerra, e da assai di quelli ch’aveano tenuto contro a -lui per lo re d’Ungheria, a’ quali tutti perdonò, mostrando loro buono -animo e buono volere. E a coloro che alla sua coronazione non erano -venuti a fare l’omaggio, assegnò termine giusto a potere venire con -pace e con amore alla sua ubbidienza; e quale dal termine innanzi non -fosse venuto, per decreto fece che fosse rubello della corona. E dopo -la coronazione cavalcò il re in abito reale per la città di Napoli, -montato in su uno grande e poderoso destriere, addestrato al freno e -alla sella da’ suoi baroni. Quando fu valicato porta Petrucci nella -via di Porto, certe donne per fargli onore e festa gittarono sopra lui -dalle finestre rose e fiori di grande odore: il destriere aombrò, ed -erse; i baroni ch’erano al freno si sforzarono d’abbassare il cavallo: -il destriere ch’era poderoso ruppe le redine. Il re Luigi vedendosi -sopra il destriere spaventato senza redine, di subito destramente se ne -gittò a terra, e caddegli la corona di capo, e ruppesi in tre pezzi, -cadendone tre merli; alla persona non si fece male: rilegata la corona, -di presente, ridendo, montò a cavallo, cavalcando per la terra con gran -festa e onore. In questo medesimo dì morì una sua fanciulla, che altro -figliuolo non aveva della reina. Molti per questi casi pronosticarono -non prospere cose alla maestà reale. - - -CAP. IX. - -_Commendazione in laude di messer Niccola Acciaiuoli._ - -Degna cosa ne pare, e debito del nostro trattato, appresso la -coronazione del re Luigi, rendere beneficio di memoria per chiara fama -di messer Niccola Acciaiuoli cittadino popolare di Firenze, balio -e governatore dell’infanzia del detto re; il quale essendo prima -compagno della compagnia degli Acciaiuoli, con animo più cavalleresco -che mercantile si mise al servigio dell’imperatrice moglie che fu -del Prenze di Taranto, e quello esercitò realmente e personalmente -con tanta virtù e con tanto piacere della donna, che ella avendo -tre suoi figliuoli di piccola età, Ruberto primogenito, e messer -Luigi secondo, e Filippo il terzo, tutti gli mise nel governamento -di Niccola Acciaiuoli, che allora non era cavaliere, e tutto il suo -consiglio l’imperatrice ristrinse in lui, e con lei se ne passò in -Romania, e ordinati i fatti delle terre e baronie di là, con lei -se ne tornò a Napoli. Ed essendo cresciuto di età di anni quindici -messer Luigi, volendo il re Ruberto mandare gente d’arme in Calavra, -e dilettandosi dell’industria del giovane barone, fatta eletta di -cinquecento cavalieri d’arme, e datili all’ubbidienza di messer -Luigi, lui accomandò a messer Niccola Acciaiuoli, comandandogli in -tutto che ubbidisse al suo maestro. E questo fece il re di volontà -dell’imperatrice sua madre; avendo poco innanzi fatto cavaliere il -detto messer Niccola; e da quell’ora appresso il detto messer Luigi si -resse in tutto e governò per le mani di messer Niccola. E sopravvenuta -la morte del duca Andreasso, per operazione dell’imperatrice e di -messer Niccola Acciaiuoli fu data la reina Giovanna per moglie a -messer Luigi: e ne’ primi cominciamenti con assai prospera fortuna -accrescea il suo signore. E cambiandosi le cose per l’avvenimento del -re d’Ungheria alla vendetta del fratello, essendo tutti gli altri reali -all’ubbidienza del potente re, costui solo, coll’aiuto d’alquanti che -ubbidivano alla reina, per lo consiglio e conforto di messer Niccola, -sostenne contro alla gente del re d’Ungheria lungamente, e tentò di -resistere alla persona del loro re, e non si partì dalla frontiera di -Capova, infino che abbandonato dagli avari regnicoli, e già soppreso -dall’avvenimento del re e del suo esercito, fu costretto di partirsi -da Capova, e appresso da Napoli, sprovveduto, di notte, ricogliendosi -per necessità in su una vecchia e male armata galea; e in quella -raccolto, con poco arnese e con lieve compagnia valicò in Toscana in -povero stato. E per lo detto messer Niccola, e co’ suoi danari e di -suoi amici fu atato e rifornito e confortato nella grave tempesta -della fortuna. Presi tutti i reali, e morto il duca di Durazzo, e -il Regno venuto nelle mani del suo persecutore, e non volendolo i -Fiorentini ricevere nella loro città, nè sovvenire d’alcuna cosa per -tema del re d’Ungheria, ridottosi parecchi dì alla possessione del -detto messer Niccola in Valdipesa, di là si partì, e andò in Proenza -ove la reina era rifuggita. E tornato il re d’Ungheria, per tema della -generale mortalità, in suo paese; per sollecitudine e trattato di -messer Niccola, prima tornato nel regno, e sommossi de’ baroni e de’ -cavalieri, e confortati i Napoletani, e accolta gente d’arme in favore -del suo signore, in breve tempo ordinò la sua tornata e della reina nel -Regno, nel quale assai battaglie e vari e diversi assalti di guerra -sostenne; e per avversa fortuna rotte le sue forze in battaglia per -più riprese, tradito dagli amici, perseguitato da’ nemici, condotto -all’inopia, sentina della fortuna, l’animo del valente cavaliere fu -di tanta potenza e di tanta virtù, che con pari animo sostenne il -giovane barone suo signore in speranza certa della sua esaltazione, -sempre aiutandolo e sostenendolo con sua industria e suo procaccio, e -con fortezza e con pazienza fece comportare l’asprezza della turbata -fortuna. Onde avvenne, che quella potendosi maravigliare della costanza -dell’uomo, subitamente e improvviso mutò la turbata faccia in chiara, -e l’asprezza in dolcezza e in mansuetudine: e colui che avea ributtato -per cotante tempeste e vari pericoli, oltre all’opinione degli uomini, -con felici e prospere successioni condusse alla reale corona, e alla -libera signoria di tutto il corrotto e sviato regno in brevissimo -tempo. E per lo nobile consiglio e avvedimento di messer Niccola -Acciaiuoli, i reali lasciati di prigione e tornati nel Regno, ove per -tutti si stimava che il Prenze di Taranto maggiore fratello del re, -per sdegno e per forte inzigamento contro al re movesse scandolo nel -reame, con mansuetudine e con caritatevole animo il fece al re ricevere -in compagno del regno; e fattogli prendere titolo dell’imperiato -costantinopolitano, e aggiunto largamente alla sua baronia, conobbe -e manifestò a tutti, che il padre loro messer Niccola, appresso la -grazia di Dio, era cagione del ricoveramento del regno, e dello stato -e onore. Perchè dunque dovevamo tacere? innanzi vogliamo essere da’ -denti degl’invidiosi cittadini morso, che la provata verità per li suoi -effetti, e per la fine de’ suoi felici avvenimenti, avessimo lasciata -sotto scurità d’ignorante oblivione. - - -CAP. X. - -_Come fu cacciato messer Iacopo Cavalieri di Montepulciano._ - -In questo anno del mese d’aprile, sabato santo, avendo messer Iacopo -de’ Cavalieri di Montepulciano trattato, coll’aiuto della gente -dell’arcivescovo ch’era in Toscana, di farsi signore della terra di -Montepulciano, e a ciò consentivano una parte de’ terrazzani di suo -seguito, messer Niccola suo consorto sentì questo trattato, e fecelo -sentire a’ governatori del popolo; e in questo dì, levata la terra -a romore, cacciarono messer Iacopo di Montepulciano, e venti altri -terrazzani suoi seguaci, uomini nominati di stato intra il popolo; e -col consiglio di messer Niccola de’ Cavalieri riformarono la terra di -loro reggimenti, e ischiusonne gli amici e’ seguaci di messer Iacopo; -il quale si ridusse a Siena, e là ordinò grande novità, e scandalo e -suggezione di quella terra, come innanzi a’ suoi tempi si potrà trovare. - - -CAP. XI. - -_Come si die’ il guasto a Bibbiena, e sconfitti i Tarlati da’ -Fiorentini._ - -Del mese di maggio del detto anno, ricordandosi i Fiorentini -dell’ingiuria ricevuta da’ Tarlati, Pazzi e Ubertini per la ribellione -ch’aveano fatta al comune al tempo della guerra dell’arcivescovo -di Milano, quando ruppono la pace e cavalcarono sopra il contado e -distretto di Firenze, accolsono seicento cavalieri di loro masnade e -gran popolo, e andarsene alla Cornia, e poi alla Penna, e a Gaenna, e -ad altre terre e ville che si tenevano pe’ Pazzi e Ubertini e Tarlati, -e a tutte diedono il guasto; e poi se n’andarono a Bibbiena, ov’era -messer Piero Sacconi, e a Soci, e ivi dimorarono più dì, ardendo e -guastando d’intorno: quelli da Bibbiena francamente si difesono dal -guasto le vigne d’intorno presso alla terra. Messer Piero avea in -Bibbiena milledugento buoni fanti e pochi cavalieri, con li quali si -fece un grosso badalucco presso alla terra. Poi la mattina vegnente, a -dì 10 di giugno, l’oste si mosse per andare a Montecchio. Messer Piero, -antico e buono guerriere, sapendo l’andata de’ Fiorentini, si pensò -di fare loro danno, e la mattina per tempo con settanta cavalieri e -con mille buoni fanti in persona occupò un colle sopra l’Arno in sul -passo, e mise aguati per danneggiare la gente de’ Fiorentini. Avvenne -che, mossa l’oste dall’altra parte dell’Arno, vidono preso il colle -dalla gente di messer Piero; allora cominciarono a fare valicare della -gente dell’oste certi masnadieri, sì perchè tenessono a badalucco i -nemici e per trarli abbasso, e a poco a poco li ringrossavano d’aiuto, -ma non senza loro grande pericolo, a’ quali in sul maggiore bisogno -soccorsono parecchi conestabili a cavallo co’ loro cavalieri. Ed -essendo atticciata la battaglia, e stando i nemici attenti a quella -sperandone avere vittoria, altri cavalieri e masnadieri de’ Fiorentini -presono, scostandosi dall’oste, un’altra via, che i nemici non -s’accorsono, e valicarono l’Arno, e sopravvennono alla gente riposta di -messer Piero dall’altra parte del colle, i quali ruppono di presente, -e montarono al poggio, e improvviso furono sopra la gente grossa di -messer Piero, che stava attenta a vedere e ad aiutare quelli del -badalucco, e con grandi grida correndo col vantaggio del terreno loro -addosso, li ruppono e sbarattarono. Messer Piero per bontà del buono -cavallo dov’era montato con pochi compagni, non potendo ritornare in -Bibbiena, fuggendo ricoverò in Montecchio. Della sua gente furono -in sul campo più di cento morti, e dugento presi, e molti fediti. I -prigioni tornando l’oste li condussono a Firenze legati a una fune, e -poco appresso furono lasciati; e l’oste tornò vittoriosa, avendo preso -alcuna vendetta degl’ingrati traditori. - - -CAP. XII. - -_Come si rubellò a’ Fiorentini Coriglia e Sorana._ - -In questo anno sentendo messer Francesco Castracani che i Fiorentini -erano inbrigati par la gente che l’arcivescovo teneva a guerreggiare -in Toscana, essendo forte in Lunigiana e in Garfagnana, a petizione -de’ Pisani fece furare a’ Fiorentini la rocca di Coriglia, la quale -appresso rendè a’ Pisani, a cui stanza l’avea furata, e’ Pisani la -presono, rompendo la pace a’ Fiorentini; ch’espresso era nella pace -rinnovata per lo duca d’Atene in nome del comune di Firenze, che in -niun modo di quella terra si dovessono travagliare. E appresso i detti -Pisani feciono con sagacità di grande tradimento torre a’ Fiorentini, -contro a’ patti della pace, la terra di Sorana, e rendutala da capo, -la ritolsono per indiretto, e poi in palese la difesono, non curando -i patti della pace. I Fiorentini per queste due terre non si mossono, -benchè grave li fosse l’oltraggio de’ Pisani. Messer Francesco avendo -avuto trecento cavalieri dall’arcivescovo di Milano, montato in grande -orgoglio, e confortato da’ Pisani, si pose ad assedio a Barga, ch’era -de’ Fiorentini, e avendo grande popolo la strinse intorno con più -bastie, sperandolasi avere per assedio. Lasceremo ora quest’assedio per -raccontare altre maggiori cose innanzi che Barga fosse liberata. - - -CAP. XIII. - -_Come i tre comuni di Toscana mandarono ambasciadori in Boemia a far -muovere l’imperadore._ - -Avendo i tre comuni di Toscana presa e pubblicata la concordia col -vececancelliere dell’eletto imperadore, volendo mettere ad esecuzione -quello che per loro era stato promesso, catuno elesse de’ maggiori -cittadini confidenti al reggimento di quelli per suoi ambasciatori, -e mandaronli all’eletto imperadore a Boemia nella Magna per farlo -muovere, e per fargli il pagamento ordinato, e per essere al suo -consiglio per i tre comuni, nella promessa impresa passando egli in -Italia. Gli ambasciadori del nostro comune di Firenze furono cinque: -messer Tommaso Corsini dottore di legge, messer Pino de’ Rossi, messer -Gherardo de’ Buondelmonti cavaliere, Filippo di Cione Magalotti, e -Uguccione di Ricciardo de’ Ricci, a’ quali fu data grande e piena -legazione, e dato loro un popolare sindaco per lo comune, a potere -obbligare il comune, secondo le cose promesse al vececancelliere, -come paresse a’ detti ambasciadori, se altro bisognasse di fare. -Costoro tutti vestiti di fine panno scarlatto e d’altro fine mellato, -catuno con otto scudieri il meno vestiti d’assisa, a dì 17 di maggio, -il dì dell’Ascensione, si partirono di Firenze. E partiti loro, -molti cittadini pensando che quello ch’era ordinato dovesse venire -fatto, perocchè tra gli ambasciadori erano i più reputati caporali -di cittadina setta, temettono, che essendo costoro al continuo con -l’imperadore, e di suo consiglio, che pericolo si commettesse contro -al comune e pubblica libertà de’ cittadini, e però si mosse questione -di limitare il loro tempo, e strignerli con certe leggi, e di questo -fu gara e lunga tira nel nostro comune; in fine si vinse, e fecesi -per riformagione di comune, che niuno cittadino di Firenze potesse -stare in quel servigio appresso all’imperadore più che quattro mesi, e -che alcuna grazia, uficio, o beneficio reale o personale per i detti -ambasciadori o per loro successori si dovesse ricevere o impetrare, -sotto gravi pene, acciocchè la speranza si troncasse a tutti della -propria utilità. E incontanente elessono e insaccarono molti cittadini -per succedere di quattro mesi in quattro mesi a’ detti ambasciadori in -quello servigio. - - -CAP. XIV. - -_Di disusati tempi stati._ - -Non è da lasciare in silenzio quello che del mese di giugno del -detto anno avvenne, perocchè fu notabile caso di tempo con diverse -considerazioni, che essendo ne’ campi seminati cresciute le biade -e’ grani d’aspetto d’ubertosa ricolta vicina alla falce, in diverse -contrade di Toscana, e massimamente nel contado di Firenze, vennono -diluvi d’acque, i quali guastarono molto grano e biade, e feciono -de’ dificii, e d’altro singolari danni a molti. E a dì 14 del detto -mese cominciò un vento austro spodestato e impetuoso con tanta -furiosa tempesta, che ogni cosa parea che dovesse abbattere e mettere -per terra, e tutte le granora e biade che trovò mature, ove il suo -impetuoso spirito potè percuotere, battè per modo, che alla terra diede -nuova sementa, e nelle spighe lasciò poco altro che l’aride reste, e -quelle che ancora non erano granate percosse e inaridì; facendo nelle -montagne in diverse parti sformate grandini e diverse tempeste, e molte -vigne guastò, e abbattè alberi molti, e di grandi dificii in diverse -parti di Toscana e di Romagna; e in Firenze fece rovinare il campanile -del monastero delle donne degli Scalzi, e uccise la badessa con sei -monache. Nella sommità delle montagne di Pistoia levò gli uomini di -su’ poggi, traboccandoli dove l’impeto gli portava. E pubblica fama -fu, che quarantatrè masnadieri ch’andavano in preda trovandosi in sul -giogo, senza potersi ritenere furono portati dal vento per modo, che -di loro non si seppe novelle. E restato lo strabocchevole vento, ivi a -pochi dì fu un caldo sformato senza aiuto d’alcuno spiramento, che il -residuo de’ grani e de’ biadi in molti paesi, singolarmente nel contado -di Firenze, fece ristrignere e invanire per modo, che ov’era stata -speranza d’ubertosa ricolta generò sformata carestia anzi l’avvenimento -dell’altra ricolta, come appresso dimostreremo. Alcuni diedono questo -singulare accidente agli effetti della congiunzione, già narrata al -principio del nostro primo libro, de’ tre superiori pianeti onde -Saturno fu signore: perocchè gli astrolaghi tengono che l’influenza di -cotale congiunzione duri per diciannove anni, e altri tengono infino -in ventitrè. Arbitrò altri, che questo procedesse dall’influenza -della cometa ch’apparve in quest’anno, e quella fu saturnina, sicchè -catuno trasse agli effetti saturnali. Altri tennono che ciò fosse -dimostramento d’assoluto giudicio divino per i disordinati peccati de’ -popoli non domati da tante tribolazioni di guerre, quante dimostrate -abbiamo in poco tempo dopo la miserabile mortalità. - - -CAP. XV. - -_Dell’inganno ricevette il comune di Firenze del braccio di santa -Reparata._ - -Essendo stati certi ambasciadori del comune di Firenze alla coronazione -del re Luigi per lo detto comune, domandarono di grazia al re e alla -reina alcuna parte del corpo della vergine santa Reparata ch’è in -Teano, per onorare la sua reliquia nella nobile chiesa cattedrale -della nostra città ch’è edificata a suo nome. La loro petizione dal -re e dalla reina fu accettata; ma perocchè la città di Teano era del -conte Francesco da Montescheggioso, figliuolo che fu del conte Novello -amicissimo del nostro comune, convenne che con sua industria il -braccio destro di quella santa si procacciasse d’avere per modo, che i -terrazzani non se n’avvedessono, che si mostrava loro, ed era nel paese -in grande devozione, e questo si mostrò di fornire con industria, e -con grande sollicitudine. Gli ambasciadori credendosi avere la santa -reliquia il significarono a’ priori, acciocchè all’entrata della città -l’onorassono. I rettori del comune ordinata solennissima processione -di tutti i prelati cherici e religiosi della città di Firenze, con -grandissimo popolo d’uomini e di femmine, con molti torchi accesi -comandati per l’arti e forniti per lo comune, e il vescovo di Firenze -ricevuto colle sue mani il santo braccio, colla mano segnando la gente -molto divota e lieta, credendosi avere quella santa reliquia, fu -portata e collocata nella nostra chiesa, a dì 22 di giugno 1352. - - -CAP. XVI. - -_Di quello medesimo._ - -Avendo narrata la fede, la reverenza e la divozione che i nostri -cittadini ebbono alla santa vergine, benchè l’inganno ricevuto fosse -durato in fede del detto comune quattro anni e mesi, infine si scoperse -il sacrilegio e l’inganno ricevuto per la femminile astuzia della -badessa del monastero di Teano, ov’era il corpo della detta santa, -che vedendo che quello braccio le conveniva dare per volontà del re, -e della reina e del conte, dissimulando gran pianto colle sue suore -per lo partimento della reliquia, lo sostennero di assegnare alcuno -dì. E in questo tempo feciono fare un simulacro di legno e di gesso, -che propriamente pareva quella santa reliquia, e dando questa con -grande pianto, fece credere agli ambasciadori che avesse assegnata -loro la santa reliquia, e a Firenze fece onorare come santuaria quello -simulacro per cotanto tempo, essendo cagione di cotanto male, non -manifestando la sua falsa religione. Avvenne che il comune del mese -d’ottobre 1356, volendo d’oro e d’argento e di pietre preziose fare -adornare quella reliquia, i maestri la trovarono di legno e di gesso: e -segatala per mezzo, furono certi che niuna reliquia v’era nascosa, e il -comune fu certo del ricevuto inganno. Noi, non ostante che cinquantadue -mesi fosse questo ritrovato appresso alla sopraddetta venuta, contro -all’ordine del nostro annuale trattato l’abbiamo congiunto insieme, -acciocchè avendo alcuno letto la venuta del santo braccio, non fosse -ingannato dalla simulazione di quello, e dalla malizia della sacrilega -badessa. - - -CAP. XVII. - -_Come la gente del Biscione cavalcarono i Perugini._ - -Del mese di giugno del detto anno, accolti duemila cavalieri -dell’arcivescovo di Milano alla città di Cortona e popolo assai, -cavalcarono per la valle di Chio, e strinsonsi alla città di Perugia -predando e ardendo il suo contado. Per la qual cavalcata così -bandalzosa i cittadini presono sospetto dentro, e però non ebbono -ardire di fare uscire fuori alcuna loro gente contro a’ nimici. -Conducitori di questa gente erano il conte Nolfo da Urbino, il signore -di Cortona, e Gisello degli Ubaldini, i quali avevano trattato con -messer Crespoldo di Bettona. Questo messer Crespoldo era guelfo, -ma perocch’era male trattato da’ Perugini ricevette costoro in -Bettona, e cacciarono coloro che v’erano alla guardia per lo comune -di Perugia. Questa terra era presso a Perugia a otto miglia e nella -loro vista, e sentendo la gente che dentro v’era, e la potenza -dell’arcivescovo, furono in gran tremore; e non senza cagione, che -quella terra era forte, e in frontiera ad Ascesi e all’altre terre -de’ Perugini, le quali non amavano troppo la loro signoria, e però -cominciarono incontanente a dare il mercato a’ nimici, e molto erano -di presso a fare le comandamenta del tiranno, e ciò che gli ritenne -fu, ch’aspettavano quello che in questa novità facesse il comune di -Firenze. Stando i Perugini in questo pericolo, incontanente il comune -di Firenze li mandò confortando per loro ambasciadori, promettendo loro -aiuto quanto il comune potesse fare; e seguitando col fatto, di subito -vi mandarono ottocento cavalieri di buona gente, promettendo d’arrogere -quanti bisognasse infino a tanto che Bettona fosse racquistata. -Avvenne che come Ascesi e l’altre terre circostanti de’ Perugini -intesono l’aiuto e il conforto che i Fiorentini davano al comune di -Perugia, ove stavano sospesi e non rispondeano al comune di Perugia, -e davano il mercato a’ nimici, di presente levarono il mercato, e -acconciarsi alla difesa, e mandarono a offerirsi a’ Perugini, e -cominciarono a guerreggiare quelli di Bettona. Onde convenne per -necessità delle cose da vivere che la cavalleria ch’era in Bettona -s’alleggiasse, e lasciaronvi a guardia della terra seicento cavalieri e -più d’altrettanti masnadieri, e l’altra gente tornò a Cortona. Rimasi -in Bettona i sopraddetti capitani e’ riposono l’assedio a Montecchio, -e ordinaronsi per accrescere loro forza e soccorrere Bettona, se il -bisogno occorresse. Lasceremo alquanto de’ fatti di Bettona per seguire -dell’altre cose, ch’avvennono innanzi ch’ella si racquistasse. - - -CAP. XVIII. - -_Come i Romani andarono per guastare Viterbo._ - -Di questo mese di giugno del detto anno, vedendo il popolo romano che -il prefetto da Vico cresceva in forza e ad acquisto occupando le terre -del Patrimonio, feciono in fretta Giordano del Monte degli Orsini -capitano di guerra, e accolsono tutta la gente d’arme che fatta aveano -col loro rettore a piè e a cavallo e accozzaronli col capitano del -Patrimonio messer Niccola delle Serre cittadino d’Agobbio, e in pochi -dì accolsono milledugento cavalieri e dodicimila pedoni in arme, e -con gran furia se n’andarono sopra la città di Viterbo per guastarla -d’intorno e porvi l’assedio, e starvi tanto che tratta l’avessono -delle mani del prefetto. Avvenne in su la giunta che a messer Niccola -capitano del Patrimonio cadde il suo cavallo addosso, e per la percossa -e per lo disordinato caldo per spasimo morì di presente. Morto il -capitano, l’oste senza fare alcuna cosa notevole, con poco onore del -capitano de’ Romani, si partì da Viterbo, e catuno si tornò a casa sua. - - -CAP. XIX. - -_Come il re Luigi ebbe Nocera._ - -In questi dì messer Currado Lupo ch’era per addietro stato vicario -del re d’Ungheria nel Regno, sapendo che la pace era fatta dal re -d’Ungheria a’ reali di Puglia, e che di volontà del suo signore era -ch’egli rendesse le terre che tenea al re Luigi, già coronato per la -Chiesa del reame, con l’astuzia tedesca pensò di trarre suo vantaggio, -e accolse tutti i Tedeschi ch’erano nel Regno, e con settecento -barbute fece testa a Nocera de’ Saracini, e levò un’insegna imperiale, -mostrando che a stanza dell’imperadore volesse rimanere nel Regno; e -per alquanti si disse che alcuni baroni del reame il favoreggiavano. -Temendo il re che questi non avesse appoggio d’altro signore, o che -non l’acquistasse stando, per lo meno reo prese di patteggiar con lui, -e diedegli contanti trentacinque mila fiorini d’oro, e rendè Nocera e -la contea di Giuglionese, e uscissi del Regno con tutta la sua gente, -con patto fermato per suo saramento, che da ivi a due anni non dovesse -per alcuno modo tornare nel Regno, ma valicati i due anni vi potesse -tornare come barone del re per le terre della moglie, facendogli il -debito saramento e omaggio. - - -CAP. XX. - -_Come fu sconfitto il conte di Caserta._ - -Seguitando i rivolgimenti dello sviato Regno, ci occorre in questi dì -come il duca d’Atene conte di Brenna, il quale altra volta per la sua -incostante tirannia meritò a furore essere cacciato della signoria -di Firenze, essendo tratto di Francia all’odore dello sviato Regno -non con intera fede, con sue masnade di cavalieri franceschi fece in -Puglia spontanea guerra contro al conte di Caserta, figliuolo che fu -di messer Diego della Ratta conte camarlingo, il quale era con gente -d’arme a Taranto, e con assentimento del re Luigi guerreggiava le terre -del detto duca, secondo la comune voce; l’infermità del Regno non -consentiva nè in guerra nè in pace cose aperte nè chiari movimenti. Il -detto duca accolti de’ paesani, co’ suoi Franceschi combattè col conte -e sconfisselo, facendo alla sua gente grave danno. E rifuggito il detto -conte in Taranto per sua sicurtà, del detto anno, del mese di Maggio, -per lo detto duca fu lungamente senza frutto assediato. - - -CAP. XXI. - -_La novità in Casole di Volterra._ - -I figliuoli di messer Ranieri da Casole di Volterra cacciati per -lungo tempo da’ loro nimici del castello, come giovani coraggiosi, -accolsono segretamente masnadieri e amici, e a dì 15 luglio del detto -anno entrarono nella terra di Casole, che si guardava per lo comune -di Siena, e improvviso corsono a casa i loro nimici, e quanti ve ne -trovarono misono al taglio delle spade, e rubarono le case loro, e -appresso l’arsono, e gli altri che non furono morti cacciarono della -terra, e la podestà che v’era pe’ Sanesi riguardarono: la terra tennono -tanto per loro, che co’ Sanesi presono accordo di tenervi podestà dal -comune di Siena; e fecionsi ribandire, e rimasono i maggiori nella -terra. - - -CAP. XXII. - -_Come furono decapitati degli Ardinghelli di Sangimignano._ - -Seguita in questi medesimi dì, come Benedetto di messer Giovanni -degli Strozzi di Firenze, essendo capitano della guardia per lo -nostro comune di Sangimignano, con ingiusto sospetto prese il Rosso -e Primerano di messer Gualtieri degli Ardinghelli, giovani di grande -aspetto e seguito, d’animo e di nazione guelfi, e tenendoli senza -trovare vera cagione perchè presi gli aveva, per accidente v’occorse -caso, che gittarono una lettera a’ loro amici fuori della carcere, -pregandoli che li venissono ad atare liberare di prigione. Il capitano -avendo questa lettera, quale che fosse la cagione, o per zelo del suo -uficio, o per inzigamento de’ Sanucci loro nimici, deliberò di farli -morire. Il comune di Firenze sapendo che non erano colpevoli, volea -che campassono; e mandandovi in fretta ambasciadori con espresso -comandamento al capitano che non gli dovesse fare morire, la fortuna -impedì i messaggi per disordinata grandezza dell’Elsa, che non li -lasciò passare in quella notte. Il capitano temendo non sopravvenisse -il comandamento, s’affrettò di farli morire; e la vilia di san Lorenzo, -a dì 9 d’agosto, con un altro terrazzano a cui aveano scritto che fosse -a loro scampo, in sulla piazza li fece dicollare, onde fu riputato -grande danno, e il capitano ne fu molto biasimato. Questa decollazione -si tirò dietro materia di grande scandalo e rivoltura di quella terra, -come al suo tempo racconteremo. - - -CAP. XXIII. - -_Come gente del re di Francia fu sconfitta a Guinisi._ - -Essendo il re di Francia in singolare sollecitudine di racquistare la -contea di Guinisi che sotto le triegue gli era stata furata, vi mandò -millecinquecento cavalieri e tremila pedoni, tra i quali ebbe gran -parte di masnadieri lombardi e avendovi posto l’assedio, difendendosi -lungamente que’ del castello, i Franceschi vi feciono bastite intorno, -per tenerlo stretto con meno gente. Il re d’Inghilterra mettea con -due barche di notte gente in Calese per modo, che i Franceschi non se -n’accorgevano; e avendovi per questo modo accolta quella gente che a -lui parve, forniti di capitani avvisati delle bastite e della guardia -de’ Franceschi, una notte chetamente uscirono di Calese, e improvviso -da più parti assalirono i Franceschi, i quali impauriti del non pensato -assalto intesono a fuggire e a campare, senza mettersi alla difesa; -e così in poca d’ora furono rotti e sbarattati dagl’Inghilesi, e i -battifolli arsi, con più vergogna che danno de’ Franceschi per la -grazia della notte. E liberato il castello dall’assedio, e rifornito di -nuovo, del mese di luglio del detto anno gl’Inghilesi si ritornarono -nell’isola senza fare altra guerra. Poco appresso il re di Francia -scoperse che certi baroni il doveano uccidere per trattato del re -d’Inghilterra, per la qual cosa a certi ne fu tagliata la testa: e il -re a modo di tiranno si faceva guardare a gente armata, dentro e fuori -di suo ostiere reale, a cavallo e a piè, di dì e di notte nella città -di Parigi, cosa strana e disusata alla maestà reale e a’ paesani. - - -CAP. XXIV. - -_Come i Perugini assediarono Bettona._ - -Tornando alle vicine materie, avendo il comune di Perugia da’ -Fiorentini ottocento cavalieri di buona gente d’arme, con loro -sforzo valicarono le Giaci per porre l’assedio a Bettona, e con -grande popolo l’assediarono. E volendosi partire de’ cavalieri -dell’arcivescovo della terra, ovvero per andare in foraggio, otto -bandiere furono sorprese dalla gente dell’oste per modo, che la maggior -parte rimasono presi, e d’allora innanzi si ritennono dentro alla -guardia del castello. E procacciando d’avere soccorso da’ cavalieri -e dagli amici dell’arcivescovo ch’erano per lo paese di qua, e per -fare migliore guardia, si misono a campo fuori della terra nella -piaggia a petto al campo de’ Perugini. I Perugini aggiungevano al -continovo gente d’arme nel campo per soldo e per amistà, e mandaronvi -la maggior parte de’ loro cittadini, e dall’altra parte della terra -formarono due battifolli, perchè nè vittuaglia nè soccorso nella terra -potesse entrare. E così assediata la terra, procuravano d’afforzare -e d’impedire i passi, per riparare dalla lungi al campo che nimici -non potessono sopravvenire. E per questo modo durò l’assedio infino -all’agosto vegnente, come appresso diviseremo, e posto vi fu del mese -di giugno del detto anno. - - -CAP. XXV. - -_Come fu liberato Montecchio dall’assedio per soccorrere Bettona._ - -Era in questo tempo stato assediato lungamente il piccolo castello di -Montecchio presso a Castiglionaretino da’ Tarlati e dal signore di -Cortona colla cavalleria dell’arcivescovo, e recato a partito, che i -maggiori di quelli che ’l teneano erano venuti nel campo per volerlo -dare. Temendo i Tarlati che avuto il castello per la vicinanza non -rimanesse al signore di Cortona, per consiglio aggiunte minacce a -coloro ch’erano venuti per darlo, si ritornarono dentro alla difesa. -E l’oste sollecitata del soccorso dagli assediati di Bettona, se ne -levarono, e accozzaronsi i cavalieri dell’arcivescovo con gli altri -cavalieri loro compagni ch’erano in Agobbio e nelle circostanze, e -trovaronsi millecinquecento barbute e masnadieri assai, e per fare -levare i Perugini da Bettona si misono a oste alla Città di Castello. E -stativi alquanti dì, feciono provvedere i passi come potessono andare -a soccorrere Bettona, e trovarono che i Perugini erano alla difesa -de’ passi molto bene provveduti e forniti alla guardia; tornaronsi al -Borgo per accogliere maggiore gente e forza, e farlo per altra più -lunga via. In questo medesimo tempo gli assediati per la speranza -del soccorso presono ardire, e assalirono l’uno de’ battifolli de’ -Perugini, e vinsonlo e arsonlo, e mostrarne per segni di luminaria -gran festa; e con quella baldanza presa andarono ad assalire l’altro, -e furono occupati per modo da’ cavalieri dell’oste che tornarono in -rotta, presa parte della loro gente da cavallo e da piè; gli altri -si fuggirono tutti nella terra, levandosi da campo per stare alla -difesa delle mura, e da’ Perugini furono più stretti. I capitani della -gente dell’arcivescovo feciono capitano generale il conte Nolfo da -Urbino, e misonsi per la valle di Chiusi, e andarono a Orvieto; e -tratti i cavalieri ch’aveano in quella città, si trovarono con duemila -barbute; e volendo soccorrere gli assediati, trovarono in catuno passo -sì provveduti i Perugini e sì forti alla difesa, che per niuno modo -vidono di poterlo fornire. Ed essendo disperati dell’impresa, vollono -rimettere in Orvieto i loro cavalieri che n’aveano tratti, e non furono -voluti ricevere, e con gli altri insieme se ne tornarono al Borgo, e -gli assediati furono fuori d’ogni speranza d’avere soccorso. - - -CAP. XXVI. - -_Come i Perugini ebbono Bettona e arsonla, e disfeciono affatto._ - -Vedendo i caporali ch’erano rinchiusi in Bettona che a loro era mancata -ogni speranza di soccorso, e che la vittuaglia era mancata, e mangiata -gran parte de’ loro cavalli, vedendosi a mal partito, con industria e -con danari pensarono allo scampo delle loro persone molto segretamente, -perchè sapeano bene che i Perugini avrebbono maggiore gloria d’avere -le loro persone che la terra di Bettona; e però strettisi insieme, e -prestato la fede l’uno all’altro, il signore di Cortona, e il conte di -Montefeltro, e Ghisello degli Ubaldini avendo procacciato per danari -il nome di quella notte, vestiti a modo di ribaldi per mezzo il campo -passarono a salvamento: onde poi fu incolpato alcuno de’ rettori di -Perugia. I soldati sentendo campati i loro capitani, incontanente -presono messer Crespoldo signore di Bettona, e uno de’ Baglioni di -Perugia ch’aveano loro data la terra, e patteggiarono co’ Perugini -di dare costoro prigioni, e rendere la terra salve le persone loro -solamente, lasciando l’arme e’ cavalli, e giurando di non venire mai -contro a quello comune nè a quello di Firenze, e così fu fatto; e -avendo mangiati centocinquanta cavalli de’ loro per fame, s’uscirono -della terra, e i Perugini la presono; e trattine tutti gli abitanti, e -tutte le masserizie e ogni altra sostanza, e condotta a Perugia, arsono -la terra; e dopo l’arsione abbatterono le mura dentro e di fuori, -acciocchè non avesse mai più cagione di rubellarsi a’ Perugini; e a -messer Crespoldo e a quello de’ Baglioni feciono tagliare le teste. E -questa fu la fine dell’antica terra di Bettona, ripresa a dì 19 del -mese d’agosto gli anni _Domini_ 1352, in gran vituperio de’ Visconti di -Milano, e a onore del comune di Firenze, per lo cui aiuto e conforto -infino alla fine i Perugini ebbono questa vittoria. - - -CAP. XXVII. - -_Come la città d’Agobbio s’accordò co’ Perugini._ - -Giovanni di Cantuccio signore d’Agobbio, avendo veduto come le cose non -succedevano prospere all’imprese fatte per lo tiranno di Milano, e che -Bettona non era potuta soccorrere, ed era disfatta, diffidandosi della -sua difesa se la piena gli si volgesse addosso, sapendo che i suoi -cittadini non erano in fede con lui, con astuta malizia si provvide -e mandò a trattare pace co’ Perugini. E fu fatto che gli usciti vi -tornassono, salvo messer Iacopo Gabbrielli, e tutti avessono frutti de’ -loro beni, e che due anni il detto Giovanni vi potesse eleggere podestà -d’Agobbio cui e’ volesse, e valicati i due anni, la città rimanesse -al comune, e i Perugini avessono la guardia della terra senza altra -giurisdizione: ma poco durò l’accordo, come seguendo si potrà vedere. - - -CAP. XXVIII. - -_Come ser Lallo s’accordò con il re Luigi dell’Aquila._ - -Avemo addietro contato come la città dell’Aquila si reggeva sotto -il governamento di ser Lallo suo piccolo cittadino, il quale avea -dimostrato più volte di tenerla quando per lo re d’Ungheria, e quando -per lo re Luigi, come bene gli mettea; ma poichè il re Luigi fu -coronato, e i Tedeschi e gli Ungheri partiti del Regno, vedendo che -mantenere non la potrebbe contro alla corona, trasse suo vantaggio, e -fecesi fare conte di Montorio, ed ebbe altre due castella in Abruzzi, -e nell’Aquila ricevette capitano per lo re e per la reina. Nondimeno i -cittadini ubbidivano più ser Lallo che il re o suo capitano, e convenne -al re dissimulare la sua offesa per lo minore male. - - -CAP. XXIX. - -_Come i Perugini e’ Fiorentini tornarono a guastare Cortona._ - -I Perugini avuta la vittoria di Bettona, colle masnade del comune di -Firenze ritornarono sopra la città di Cortona essendo messer Currado -Lupo uscito del Regno all’Orsaia con cinquecento barbute, il quale -si stette di mezzo senza pigliare arme; e i Perugini guastarono le -ville intorno a Cortona come seppono il peggio. In questi medesimi dì, -all’uscita d’agosto del detto anno, de’ cavalieri dell’arcivescovo -ch’erano tornati al Borgo a san Sepolcro si partirono milledugento -barbute, e andarono su quello d’Arezzo, e posonsi in sulla Chiassa, -e afforzarono di steccati certo poggio sopra il campo per più loro -salvezza: e quivi si misono per vernare in luogo dovizioso e grasso. E -per ingannare gli Aretini cominciarono a comperare e a pagare derrata -per danaio, non facendo vista d’alcuna violenza. E quando si vidono -forniti, cominciarono a cavalcare per lo contado, e fare preda di -bestiame e d’uomini e di ciò che trovavano senza avere contasto. E -questo avvenne, che alquanti cittadini, meno di sette, avendo occupato -il reggimento di quella città, per tema di loro stato presono gelosia -de’ Fiorentini, e innanzi soffersono il danno da’ nemici, che volessono -l’aiuto dagli amici. I Fiorentini nondimeno tennoro ottocento cavalieri -alle frontiere di Valdarno, e raffrenavano alquanto le loro gualdane, -e salvarono il loro distretto. Gli Aretini lungamente furono tribolati -da quella gente, per la singolare non debita paura di pochi loro -cittadini, come detto abbiamo. - - -CAP. XXX. - -_Come gli ambasciadori de’ tre comuni di Toscana tornarono -dall’imperadore senza accordo._ - -In questi dì gli ambasciadori de’ tre comuni di Toscana ch’erano stati -con l’eletto imperadore tornarono, avendo assai praticato sopra i patti -e convenenze promesse per lo suo vececancelliere, non trovando con -lui concordia per la brevità del termine, e per la povertà del detto -eletto, tempellato dal consiglio de’ ghibellini che non si fidasse -de’ guelfi; ma questa parte non ebbe in lui podere, che conoscea che -la necessità lo strignea, volendo pervenire al suo onore, d’avere -l’amore e la confidenza de’ guelfi d’Italia, e però non si rompeva e -non riusciva a niuno effetto. In questo avvenne che ragionando con gli -ambasciadori, l’uno de’ Fiorentini per corrotto parlare, tenendosi più -savio che gli altri perchè avea maggiore stato in comune, riprendendo -l’eletto imperadore, disse: voi filate molto sottile; l’imperadore -che sapea la lingua latina conobbe l’indiscreta parola, e turbato -temperò se medesimo, parendoli che l’imperiale maestà ricevesse -ingiuria dall’indiscreta e vile parola; ma d’allora innanzi poco volle -udire quel savio ambasciadore. E venuto il termine diputato a’ detti -ambasciadori convenne che tornassono, lasciando la cosa sospesa da ogni -parte. - - -CAP. XXXI. - -_Come l’arcivescovo cercava pace co’ Toscani._ - -In questa sospensione, gli animi de’ Toscani e principalmente de’ -Fiorentini si cominciarono a cambiare, veggendo ch’erano a nulla del -loro proponimento; e in questo l’arcivescovo conoscendo che questi -comuni di Toscana intendeano a muovere contro a lui gran cose, e -veggendosi ributtato da’ Fiorentini e da’ Perugini, grave gli sarebbe a -mantenere guerra in Toscana, e già sentiva che i suoi vicini Lombardi -non si contentavano di vederlo troppo grande, pensò che per lui facea -d’avere pace co’ Fiorentini e Toscani; e confidandosi molto in Lotto -Gambacorti da Pisa che allora era amico de’ Fiorentini, fece muovere -le parole e insistere in quelle. Il nostro comune conoscendo che della -pace del tiranno poco si poteano confidare, nondimeno vedendo che colla -Chiesa nè coll’imperadore non aveano potuto far quello che procuravano, -diede a intendersi a questo trattato. E avendo l’arcivescovo a questa -fine mandati suoi ambasciadori a Serezzana, il comune vi mandò prima -religiosi per suoi ambasciadori, per sentire se la sposizione fosse con -speranza d’alcuno frutto. E nondimeno ordinarono e mandarono gli altri -ambasciadori a Trevigi, ov’era venuto il patriarca d’Aquilea fratello -dell’eletto e altri ambasciadori dell’imperadore futuro per trattare -le cose cominciate co’ comuni di Toscana. Lasceremo al presente -l’ambasciate tanto che torni il loro frutto, e seguiteremo nell’altre -cose la nostra materia. - - -CAP. XXXII. - -_Come il prefetto da Vico fu fatto signore d’Orvieto._ - -I cittadini d’Orvieto rotti divisi e insanguinati per le cittadine -discordie, e caduti nella forza de’ ghibellini, essendo naturali -guelfi, voltandosi come l’infermo palpando, voltandosi ora da una parte -ora dall’altra, alla fine per la sagacità del prefetto da Vico loro -vicino fu fatto signore con certi patti; e messo nella città cominciò -a far fare alcune paci, e rimise dentro de’ cittadini cacciati, e di -fuori ritenne cui e’ volle, e la signoria reggea con poco contentamento -del popolo, e patto promesso non osservava, sicchè non si vedeano -alleggiati delle divisioni, nè delle nimistà cittadinesche, e vedendosi -sottoposti al tiranno e signoreggiati da’ ghibellini. Ma dopo il fatto, -aggiunta del vituperio è il pentersi; che la soma sotto il tirannesco -giogo convenne loro portare. E questo avvenne all’uscita d’agosto del -detto anno. - - -CAP. XXXIII. - -_Novità state a Roma._ - -All’entrata del mese di settembre del detto anno, il rettore del -popolo romano oltraggiato da Luca Savelli, e male ubbidito dal popolo, -volle ragunare il parlamento per rinunziare la signoria. Nel popolo -nacque dissensione, che chi volea che rinunziasse, e chi nò. In questa -contenzione messer Rinaldo Orsini, ch’era senatore, prese l’arme, e -seguitato dal popolo, cacciò di Roma Luca Savelli co’ suoi seguaci, -ma poco stettono fuori, che si tornarono dentro. Il rettore volendo -fortificare il popolo con ordini, acciocchè i principi non avessono -soperchia audacia, fece richiedere il popolo per rioni a bocca, e -appresso colla campana: e non raunandosi, prese sospetto della sua -persona; e trovando in sua balia seimila fiorini d’oro, che la Chiesa -avea donati al popolo per aiutare mantenere quell’uficio, e altri -denari ch’egli avea accolti, si partì di Roma e andossene in Abruzzi, -e comperato uno castello si stette nel paese, avendo abbandonata la -snervata repubblica, meritandolo per la sua incostanza. - - -CAP. XXXIV. - -_Come la gente del Biscione assediarono la Città di Castello._ - -All’uscita di questo mese, i cavalieri dell’arcivescovo di Milano stati -ad Arezzo e consumato il loro contado se ne partirono, e andarono sopra -la Città di Castello, rubando per lo paese amici e nimici. E stando -ivi, per più riprese i castellani uscirono a loro per assalti e per -aguati, facendo d’arme assai notevoli cose. - - -CAP. XXXV. - -_Come i Fiorentini soccorsono Barga e sconfissono i Castracani._ - -Del mese d’ottobre del detto anno, essendo stata la terra di Barga -in Garfagnana del comune di Firenze assediata quattro mesi e più da -messer Francesco Castracani degl’Interminelli di Lucca coll’aiuto -dell’arcivescovo di Milano, per modo che più non si potea tenere per -difetto di vettuaglia, il comune di Firenze, quanto che quella terra -gli fosse di grande costo e di piccola utilità, per non abbandonare -gli amici ragunò a Pistoia seicento barbute e ventimila masnadieri, -accomandati a messer Ramondo Lupo da Parma capitano di guerra, il -quale maestrevolmente a dì 7 d’ottobre, la notte, si mosse colla gente -e colla salmeria per la montagna di Pistoia, dando vista d’andarla a -fornire da Sommacologna. E mandati cinquecento fanti con parte della -salmeria per quella via, innanzi il dì traversò da Seravalle e misesi -per la Valdinievole, e cavalcato per lo contado di Lucca, il dì di -santa Reparata si trovò in Garfagnana nel piano dinanzi al Borgo a -Mezzano in sul passo, dov’era messer Francesco con trecento cavalieri -e con millecinquecento fanti buona gente d’arme alla guardia, il quale -si mise fuori del borgo colle schiere fatte, prendendo l’avvantaggio -del terreno. Il capitano de’ Fiorentini avendo confortata la sua -gente di ben fare, in sull’ora del mezzo dì percosse a’ nimici con -sì fatto empito, che in poca d’ora gli ebbe rotti e sbarattati, e -morti da cinquanta in sul campo, e centoventi n’ebbono a prigioni, e -tolto l’arme e’ cavalli li lasciarono alla fede. E preso il Borgo a -Mezzano, messer Francesco campato della battaglia si fuggì in Uzzano. I -Fiorentini coll’empìto di questa vittoria senza arresto se n’andarono -a Barga, e trovando abbandonati i battifolli, ch’erano quattro, gli -presono e arsono, e la vittuaglia ch’aveano portata e la guadagnata -misono in Barga, e fornitala doppiamente, tornati per la via ond’erano -andati, con vittoria se ne tornarono e Pistoia. - - -CAP. XXXVI. - -_Come si difese il borgo d’Arezzo per i Fiorentini._ - -In questi dì, sentendo i cavalieri dell’arcivescovo ch’erano alla Città -di Castello come i cavalieri de’ Fiorentini erano andati a Barga, -tornarono ad Arezzo milleottocento cavalieri e puosonsi a Quarata. -Cento de’ cavalieri de’ Fiorentini che tornavano da Perugia albergarono -la notte nel borgo d’Arezzo, ove molti contadini erano rifuggiti col -loro bestiame per paura de’ nimici; la cavalleria del Biscione si -strinse al borgo, assalendolo aspramente per modo, che i cittadini -l’abbandonarono; e sarebbe perduto, se non ch’e’ cento cavalieri de’ -Fiorentini francamente il difesono, e alla ritratta de’ nimici uscirono -fuori del borgo, e feciono alla codazza danno e vergogna. - - -CAP. XXXVII. - -_D’un segno mirabile ch’apparve._ - -Nel detto anno, a dì 12 d’ottobre, venerdì sera tramontato il sole, -si mosse tra gherbino e mezzogiorno una massa grandissima di vapori -infocata, la quale ardeva con sì gran fiamma, che tutto il cielo di -sopra e la terra alluminava maravigliosamente, e alla nostra vista -valicò sopra la città di Firenze, e così parve a tutti i cittadini di -catuna città d’Italia. E perchè fosse in somma altezza pareva agli -uomini in catuna parte che dovesse toccare le sommità delle torri e -le cime degli alberi; e spesso gittava fuori di se grandi brandoni di -fuoco, che parea che cadessono in terra. E il suo corso fu tanto veloce -fra tramontana e greco, che a tutti gl’Italiani, e a quelli del mare -Adriatico, e a’ Friolani, e agli Schiavoni e Ungheri, e ad altri popoli -più lontani, apparve valicando in quella medesima ora che a noi, e -catuno stimava che ivi presso dovesse essere data in terra. Com’ebbe di -subito valicata la nostra vista, essendo il cielo sereno senza alcuna -macchia di nuvoli, a’ nostri orecchi pervenne un tonitruo grandissimo -steso tremolante, il quale tenne sospesi gli orecchi lungamente non -come tuono consueto, ma come voce di terremuoto, e dopo il tuono rimase -l’aria quieta e serena, e così in ogni parte s’udì questa voce dopo -il valicamento della massa. Questo segno fece molto maravigliare la -gente, eziandio i più savi, non meno per la novità del tuono che per la -grande massa del fuoco. Dissono alquanti sperti, che quello infocamento -de’ vapori, o cometa o Asub che si fosse, che ella fu nel cielo in -somma altezza in quello di Marte: ed era sì grande, che se venuta -fosse a terra avrebbe coperta tutta l’Italia e maggiore paese. Vedemmo -seguire in quest’anno diminuzioni d’acque, che dal maggio all’ottobre -non furono acque che rigassono la terra, se con tempesta di gragnola -e fortuna di disordinati venti non venne, e di quelle niuna che con -frutto nella terra entrasse. - - -CAP. XXXVIII. - -_Come i Tarlati arsono il Borgo di Figghine._ - -Messer Piero Sacconi de’ Tarlati d’età di più di novant’anni, e il -vescovo d’Arezzo degli Ubertini, e’ Pazzi di Valdarno con alquanti -degli Ubaldini, avendo al loro servigio le masnade de’ cavalieri -dell’arcivescovo di Milano, a dì 12 d’ottobre del detto anno si mossono -da Quarata con duemila cavalieri, e duemilacinquecento pedoni, e la -domenica mattina, a dì 14 d’ottobre, colle schiere fatte, coperti da -una grossa nebbia, valicarono Montevarchi, e lungo la riva d’Arno -vennono fino all’Ancisa, e di là girarono ed entrarono nel borgo di -Figghine: il quale per la subita venuta non era sgombro, ma pieno -di masserizie, e di vittuaglia e di bestiame senza difesa, che ogni -uomo avea inteso a guardare la persona. Il castello e il castelluccio -de’ Benzi erano forniti e pieni di gente alla difesa, e però non -tentarono d’assalirli. In Firenze avea poca gente d’arme, che ancora -non era tornata l’oste che andò a Barga; quelli che si poterono avere -cavalcarono all’Ancisa. I nemici stettono nel borgo di Figghine la -domenica e il lunedì, e raccolsono la preda, lasciando la vittuaglia. -E durando la grossa nebbia continuamente, il martedì mattina affocate -le case del borgo si partirono senza alcuno impedimento; e prima ebbono -preso e arso il Tartagliese, che quelli delle castella di Figghine -sapessono la loro partita, o che il borgo fosse infocato, tanto -ingrossava il fumo la nebbia, che tolto era loro del foco ogni vista. -Allora corsono al borgo a spegnere il fuoco, ma tardi, per la maggior -parte. Il danno fu grande, e la vergogna non minore, avendo liberata -Barga in Garfagnana, e perduto e arso il borgo di Figghine; ma tornò -in bene, che fu cagione di fare una forte e grossa e buona terra, -come appresso a suo tempo racconteremo. I cavalieri dell’arcivescovo -si tornarono ad Arezzo, e posonsi fuori della porta alla fonte -Guinizzelli, e tribolato alcuno tempo da capo il loro contado si -divisono per vernare tra gli amici del Biscione, e parte se ne tornò a -Milano. - - -CAP. XXXIX. - -_Come gli usciti di Montepulciano venuti alla terra ne furono poi -cacciati._ - -A dì 2 del mese di novembre del detto anno, messer Iacopo della -casa de’ Cavalieri di Montepulciano, poco innanzi cacciato della -terra perchè ne volea essere signore, avendo cento cavalieri -dell’arcivescovo, e accolti altri cavalieri e fanti a piè di sua -amistà, corrotto per moneta un notaio da Sanminiato del Tedesco -ch’era sopra la guardia, e alcuni di quelle guardie, un venerdì notte -spezzò una delle porte, e con tutta sua gente entrò nella terra, e -fu in sulla piazza; e levato il romore, messer Niccolò suo consorto -cavaliere di grande ardire di presente fu all’arme, e montato a cavallo -con pochi compagni, subitamente senza attendere aiuto sì fedì tra -costoro, e ravviligli sì forte, che non feciono resistenza, ma volti -in fuga, messer Iacopo s’uscì della terra con venticinque cavalieri; -gli altri errando per la terra, desto il popolo, furono presi, che -furon settantacinque cavalieri, e il notaio colle guardie, de’ quali -venticinque ne furono impiccati, col notaio, e gli altri smozzicati. -Montepulciano fu libero per questa volta, ma cagione fu appresso della -loro suggezione, come seguendo si potrà trovare. - - -CAP. XL. - -_Come fra Moriale fu assediato, e rendessi al re Luigi._ - -Era rimaso nel Regno della gente del re d’Ungheria caporale messer fra -Moriale solo, il quale teneva la città d’Aversa, e col re dissimulava, -non facendo guerra e non rendendoli la terra. Il re vedendo ancora il -reame tenero sotto la sua signoria, e il Provenzale baldanzoso, temeva -di muovergli guerra; e per essere più forte e meglio ubbidito mandò -per messer Malatesta da Rimini con quattrocento cavalieri, e fecelo -vicario del Regno; il quale cavalcando per lo reame perseguitava i -malfattori, e recava i baroni e’ comuni all’ubbidienza del re, e a -tutti faceva pagare la colta, e fare i servigi feudatarii, e tenne per -tutto i cammini aperti e sicuri. E tornato a Napoli, fece che il re -mandò a fra Moriale che venisse a lui, e scusandosi, messer Malatesta -il fece citare più volte dalla corte della vicherìa: e non comparendo, -di subito colla sua gente, e con alquanta accolta del Regno, se n’andò -ad Aversa, e nella terra se n’entrò senza contasto. Fra Moriale si -rinchiuse nel castello colla sua gente, nel quale aveva il suo arnese e -il tesoro accolto delle prede e ruberie de’ paesani, e pensavasi essere -sicuro, e potere con patti rendere il forte castello al re quando a lui -paresse, al modo di messer Currado Lupo: ma trovossi ingannato, che -messer Malatesta di presente cinse il castello d’assedio, e appresso in -pochi dì l’ebbe cinto di fosso e di steccato per modo, che nè entrare -nè uscire vi si potea, e dì e notte il faceva guardare di buona e -sollecita guardia, e così il tenne stretto tutto il mese di dicembre. E -vedendosi fra Moriale disperato di soccorso, trasse patto di rendere il -castello, avendo per suo bisogno stretto solamente mille fiorini d’oro, -e salve le persone; e per bonarietà del re così fu fatto; e uscito del -castello rassegnò al re il tesoro male guadagnato, e dispettoso se -n’andò a Roma, pensando alla vendetta del re e di messer Malatesta, -come poi per grande e fellonesco ardire gli venne fatto, come innanzi -per li tempi racconteremo. Il castello e la città d’Aversa rimase al -re, e l’ubbidienza di tutto il Regno e di catuno barone per operazione -di messer Malatesta. - - -CAP. XLI. - -_Come i Fiorentini fornirono Lozzole._ - -All’uscita di novembre del detto anno, i Fiorentini, avendo con -battifolli stretto il castello di Lozzole per la forza degli Ubaldini -nel Podere, mandarono dugento cavalieri e millecinquecento masnadieri -col vicario di Mugello nell’alpe, e presono in sul giogo dell’alpe il -poggio di Malacoda e quello di Vagliana, e fecionli guardare a’ fanti -a piè e a’ cavalieri, e con seicento masnadieri tennero i Prati: e -eletti cento buoni masnadieri condussono il fornimento colla salmeria, -e rotti quelli del battifolle che voleano contrastare il passo, per -forza gli rimisono dentro, e la roba condussono nel castello. Certi -villani del paese, pochi e male armati, con trenta femmine ch’aveano -con loro saliti in alcuna parte sopra Malacoda, gridavano contro a’ -masnadieri ch’erano a quella guardia, e le femmine urlavano sanza -arresto; i codardi masnadieri mandarono per soccorso al vicario messer -Giovanni degli Alberti, il quale vi mandò cinquanta cavalieri, i quali -si rimasono nella piaggia; il castello era fornito, e l’animo della -gente codarda era di tornare in Mugello; que’ di Malacoda non vedendo -venire soccorso, impauriti delle grida delle femmine abbandonarono il -poggio, fuggendo alla china. I fanti degli Ubaldini, ch’erano settanta -per novero, gli cominciarono a seguire, e lasciare i palvesi per essere -più spediti, e le trenta femmine seguitavano rinforzando le grida: -allora tutta l’oste si mosse senza attendere l’uno l’altro dirupandosi -e voltolandosi per le ripe. Il vicario fu il primo che portò la novella -della rotta alla Scarperia. L’altra parte de’ masnadieri ch’erano a -Vagliano, sentendo fuggiti il capitano, e’ cavalieri e’ pedoni de’ -Prati e di Malacoda, si diedono a fuggire sanza essere incalciati. I -cento fanti ch’aveano fornito il castello, sentendo fuggita l’oste -d’ogni parte, vigorosamente stretti insieme, essendo usciti quelli -del battifolle contro a loro, per forza gli rimisono nel battifolle, -e tornaronsi nel castello, e di nuovo il rifornirono di legne: e poi -l’altro dì, bene acconci e avvisati alla loro difesa, se ne tornarono a -salvamento. Degli altri rimasono prigioni centoventi cavalieri, e più -di trecento pedoni; morti n’ebbe pochi. Questa fu più notabile fortuna -che gran fatto. Ha meritato qui d’essere notata per esempio della -mala condotta, che spesso i vinti fa vincitori, e i vincitori vinti. -Nella nostra città, in questi tempi, di così fatti falli non si tenea -ragione, però spesso ricevea vituperoso gastigamento. - - -CAP. XLII. - -_Maraviglie fatte a Roma per una folgore._ - -Non senza cagione di singulare ammirazione vegnamo a fare memoria, come -a dì 11 del mese di dicembre, già il cielo sgravato da impetuoso caldo -solare, che suole nell’aria naturalmente generare folgori e tempeste, -una disusata fortuna di venti e di tuoni turbò l’aria, e in quella -tempesta una folgore cadde in Roma, e percosse il campanile di san -Piero, e abbattè la cupola e parte del campanile, e tutte le grandi e -nobili campane ch’erano in quello fece cadere, e trovaronsi quasi tutte -fondute in quello punto, come fossono colate nella fornace. Questa pare -una favola a raccontare, ma fu manifesto a molti che ’l vidono, da cui -ne avemmo chiara e vera testimonianza. E molti il recarono in segno -ovvero prodigio della seguente materia. - - -CAP. XLIII. - -_Come morì papa Clemente sesto, e di sue condizioni._ - -In questi dì, essendo malato papa Clemente sesto nella città d’Avignone -in Provenza d’una continua, ond’era giaciuto sei dì, la notte vegnente -la festa di santo Niccola, a dì 5 di dicembre, passò di questa vita, -avendo tenuto il papato anni dieci e mesi sette. Costui fu natìo di -Francia, e arcivescovo di Rouen, e grande amico e protettore del re -Filippo di Francia, e per lui, innanzi al papato e poi che fu papa, -assai cose fece; e a papa Giovanni venne per suo ambasciadore, e -nella persona del detto re promise e giurò che farebbe il passaggio -d’oltre mare. Costui fatto papa non restò di fare quanto il detto re -seppe domandare, e molto scopertamente. Nella guerra ch’ebbe col re -d’Inghilterra prese la parte del re di Francia, e assai vi consumò -del tesoro di santa Chiesa. Larghissimo papa fu di dare i beneficii -di santa Chiesa, e tanti ne stribuì a spettanti l’uno appresso -l’altro, che non si trovava chi più ne domandasse, sanza il beneficio -dell’_Anteferri._ Il suo ostiere tenne alla reale con apparecchiamento -di nobili vivande, con grande tinello di cavalieri e scudieri, con -molti destrieri nella sua malistalla. Spesso cavalcava a suo diporto, -e mantenea grande comitiva di cavalieri e scudieri di sua roba. Molto -si dilettò di fare grandi i suoi parenti, e grandi baronaggi comperò -loro in Francia. La Chiesa rifornì di più cardinali suoi congiunti, e -fecene de’ sì giovani e di sì disonesta vita, che n’uscirono cose di -grande abominazione; e certi altri fece a richiesta del re di Francia, -fra i quali anche n’ebbe de’ troppo giovani. A quel tempo non s’avea -riguardo alla scienza o alle virtù, bastava saziare l’appetito col -cappello rosso. Uomo fu di convenevole scienza, molto cavalleresco, -poco religioso. Delle femmine assendo arcivescovo non si guardò, ma -trapassò il modo de’ secolari giovani baroni: e nel papato non se ne -seppe contenere nè occultare, ma alle sue camere andavano le grandi -dame come i prelati; e fra l’altre una contessa di Torenna fu tanto -in suo piacere, che per lei facea gran parte delle grazie sue. Quando -era infermo le dame il servivano e governavano, come congiunte parenti -gli altri secolari. Il tesoro della Chiesa stribuì con larga mano. -Dell’italiane discordie poco si curò; e l’impresa fatta a sua stanza -contro al tiranno di Bologna in sul buono abbandonò, e della vergogna -di santa Chiesa non si fece coscienza, ma per i molti danari che -l’arcivescovo di Milano largamente sparse ne’ suoi parenti e nel re di -Francia ogni cosa gli perdonò, e intitolollo per la Chiesa vicario di -Bologna. Vacò la Chiesa tredici dì. La cometa Nigra pronosticò la sua -morte, la folgore di san Piero a Roma la sua fama consumata nel vile -metallo. - - -CAP. XLIV. - -_Come fu fatto papa Innocenzio sesto._ - -Dopo la morte di papa Clemente sesto, i cardinali rinchiusi in conclave -sentendo che il re di Francia s’affrettava di venire a Avignone per -avere papa a sua volontà, la qual cosa non gli potea mancare, tanti -cardinali aveva a sua stanza e di suo reame, ma non ostante che -tutto il collegio de’ cardinali fosse stato al servigio del detto -re, tuttavia per la riverenza della libertà di santa Chiesa, vollono -innanzi avere fatto papa di loro movimento, che a stanza del re di -Francia. E però di presente presono accordo tra loro, ed elessono a -papa il cardinale d’Ostia nativo di Limogi, il quale era stato vescovo -di Chiaramonte, uomo di buona vita, e di non grande scienza, e assai -amico del re di Francia; la sua fama infra gli altri era di semplice -e buona vita, e antico d’età; e fecesi ne’ papali palagi in Avignone -a dì 28 di dicembre, gli anni _Domini_ 1352. Prese l’ammanto di san -Piero e la corona del regno, e ne’ suoi principii ragionò d’ammendare -la disonestà della corte, e fecene alcune buone costituzioni, e fecesi -chiamare papa Innocenzio sesto. - - -CAP. XLV. - -_Come usciti di prigione i reali del Regno s’arrestarono a Trevigi._ - -In questo anno del mese di novembre, essendo liberati di prigione -messer Ruberto Prenze di Taranto, e messer Luigi di Durazzo dal re -d’Ungheria, se ne vennono a Vinegia; e ricevuto onore da quello -comune, se n’andarono a Trevigi, e ivi attesono gli altri loro due -fratelli messer Filippo di Taranto, e messer Ruberto di Durazzo. Il -re d’Ungheria volle che i primi due reali essendo in loro libertà -facessono certe obbligazioni, le quali non furono palesi, ma certo fu -che a Trevigi vennero a loro ambasciadori del re d’Ungheria, e che da -loro presono certe obbligazioni. E per avere questo tenne gli altri -due fratelli tanto, che gli ambasciadori furono da Trevigi tornati in -Ungheria colle cautele pubbliche di quello ch’elli aveano promesso, e -allora furono licenziati messer Filippo di Taranto, e messer Ruberto -di Durazzo, e vennonsene a Trevigi agli altri loro fratelli. E partiti -di là se ne vennono a Ferrara, e appresso a Forlì, ricevuti in catuna -parte a grande onore. E stando in Romagna, mandarono a Firenze per -volere valicare nel Regno per la nostra città, e per lo nostro contado, -ove si pensavano potere venire confidentemente a grande onore. Certi -cittadini potenti, parziali di setta cittadinesca, che allora reggevano -il comune, vietarono la loro venuta nella città, e il passo per lo -contado, cosa incredibile a narrare, considerato l’antico e incorrotto -amore di quella casa reale al nostro comune, e il sangue loro mescolato -con quello de’ cittadini di Firenze, sparto nelle nostre battaglie -in difensione di quella città, e ora vieta loro il passo per lo suo -distretto, uomini usciti di prigione, senza arme e senza comitiva. Io -mi vergogno a scrivere che quello che il nostro comune spesso concede -a’ nemici fosse vietato a costoro. Se il comune ci avesse fallato, -sarebbe detestabile cosa a trovare memoria di cotanta ingratitudine: ma -considerata la singolare vilezza delle cittadine sette, figura della -sfrenata tirannia, non è cosa maravigliosa. I reali non senza giusta -cagione sdegnati presono altra via, e capitarono a Roma. - - -CAP. XLVI. - -_Di novità state in Sangimignano._ - -Ricordandoci de’ due fratelli dicollati degli Ardinghelli di -Sangimignano, ci occorre come i loro consorti tennono che ’l fatto -fosse per operazione de’ Salvucci di quella terra, onde i detti -Ardinghelli provveduti d’aiuto di loro parenti e amici, a dì 20 di -dicembre del detto anno levarono romore nella terra, e seguitati -dalla maggior parte del popolo corsono alle case de’ Salvucci in su -la piazza della pieve, e trovandoli sprovveduti alla difesa, senza -fare resistenza furono cacciati di Sangimignano, e le loro case rubate -e arse, e di tutti i loro seguaci; e la terra ch’era in guardia del -comune di Firenze tennono per loro, temendo di non essere puniti -del malificio commesso. I Salvucci cacciati co’ loro seguaci il dì -della pasqua di Natale se ne vennono a Firenze, domandando l’aiuto -del comune, sotto la cui guardia erano rubati e cacciati della loro -terra. Dall’altra parte gli Ardinghelli col titolo e coll’autorità del -comune mandarono ambasciadori a Firenze, dicendo, ch’aveano cacciati -i ghibellini di Sangimignano, e la terra teneano a onore del comune -di Firenze e di parte guelfa; e dove il comune l’avea per piccolo -tempo, la voleano dare per maggiore, ove delle cose fatte non si -facesse alcuna vendetta, e che i loro nimici non fossono rimessi nella -terra. Il comune tenne sospeso un pezzo, cercando se modo v’avesse -d’accordo, ma continovo cresceva la mala disposizione, diffidandosi gli -Ardinghelli e i loro seguaci d’avere remissione di quello ch’aveano -commesso, e aveano d’intorno a loro di mali consigliatori; onde per la -contumace e per l’impotenza poco appresso ne seguì la suggezione di -quella terra, come a suo tempo racconteremo. - - -CAP. XLVII. - -_Come i comuni di Toscana mandarono solenni ambasciadori a Serezzana a -trattare pace._ - -Avvegnachè ne’ cominciamenti poca fede si prendesse per li Fiorentini e -per gli altri comuni di Toscana della pace coll’arcivescovo di Milano, -nondimeno avendo trattato prima co’ religiosi, e poi con abboccamento -d’altri ambasciadori, e trovandosi convenienza alla pace, si ordinò più -solenne ambasciata di tutti i comuni, i quali si convennono a Firenze, -e in segreto si conferì la sostanza de’ patti; e il simigliante fece -l’arcivescovo co’ suoi e con gli ambasciadori de’ ghibellini d’Italia, -che concorrevano alla detta pace. E catuno comune diede libertà a’ suoi -ambasciadori di potere fermare la concordia. E poi, il primo dì di -gennaio del detto anno, andarono a Serezzana per dare compimento alla -detta pace. - - -CAP. XLVIII. - -_Di grandi tremuoti vennono in Toscana e in altre parti._ - -A dì 25 di dicembre del detto anno, in sul vespro, furono grandi -terremuoti, i quali abbatterono al Borgo a san Sepolcro una parte -degli edifici della terra, con danno di bene cinquecento tra uomini -e femmine e fanciulli morti. E la rocca d’Elci in su’ confini tra -Arezzo e il Borgo subissò con que’ viventi che v’erano a guardarla per -l’arcivescovo di Milano. E sollevati i tremuoti alquanti dì, poi a dì -31 del detto mese, la notte, vegnente la mattina di calen di gennaio in -sul mattutino, rinnovellarono maggiori terremuoti. E alla detta terra -del Borgo furono sì terribili, che quasi tutti gli edifici di quella -terra fece rovinare, nel cui scotimento, per la notte e per le ruine -d’ogni parte, pochi ne poterono campare, fuggendosi ignudi negli orti -e nelle piazze della terra, e quasi la maggiore parte de’ terrazzani -e de’ forestieri che v’erano feciono delle case sepoltura a’ lacerati -corpi, e molti magagnati e mezzi morti stettono parecchi dì senza -aiuto sotto le travi e’ palchi e altre concavità fatte dalla ruina, e -assai ne morirono che sarebbono campati se avessono avuto soccorso. -Le mura della terra da ogni parte caddono: e di vero gran pietà fu a -vedere l’eccidio di cotanti cristiani involti in così aspro giudicio -dalla loro morte, che fatto conto, più di duemila uomini d’ogni sesso -spirarono sotto quelle rovine. E non è da lasciare senza memoria quello -ch’avvenne loro per essere sotto la tirannia, che per paura de’ primi -terremuoti erano usciti della terra e stavano a campo, e sarebbono -campati, ma per tema della terra messer Piero Sacconi, e Nieri da -Faggiuola col vicario dell’arcivescovo vi cavalcarono, e per forza -costrinsono i terrazzani e’ soldati a ritornare nella terra. Alcuni -favoleggiando dissono, che questo fu singolare sentenza di Dio, perchè -costoro furono i primi in Toscana che diedono ricetto alla gente del -gran tiranno arcivescovo di Milano, in confusione de’ loro circostanti; -e tutte le prede indebitamente tolte a’ loro vicini comperavano per -niente, ingrassando e arricchendo di quelle indebitamente, non avendo i -detti terremuoti fatto alcuno danno in Toscana. - - -CAP. XLIX. - -_Come i Sanesi andarono a oste a Montepulciano._ - -Essendo i signori della casa de’ Cavalieri di Montepulciano divisi e -cacciati l’uno l’altro, come addietro è dimostrato, quelli ch’erano -rimasi signori teneano l’amistà de’ Perugini, e gli usciti quella -de’ Sanesi, onde avvenne che i Sanesi volevano che la terra tornasse -al governamento del popolo; e temendo coloro che la reggevano per -lo movimento de’ Sanesi, si fortificarono con aiuto di gente d’arme -de’ Perugini, e per questo i Sanesi cominciarono a cavalcare sopra -loro. E i terrazzani colle masnade de’ Perugini e de’ loro soldati -s’aiutavano francamente, facendo vergogna alla cavalleria de’ Sanesi, e -per questo presono sdegno contro a’ Perugini. E del comune di Firenze -si dolsono, perchè richiesti a questa impresa non vollono contro agli -amici loro guelfi dare loro aiuto. E tanto montò l’altezza dello sdegno -de’ Sanesi, che si fornirono di gente d’arme a piè e a cavallo, e -misonsi all’assedio di Montepulciano, e quello continovarono infino -al maggio seguente 1353, e strinsonlo con battifolli; e’ Perugini per -non dispiacere a’ Sanesi ne ritrassono la gente loro. I Fiorentini -e’ Perugini mandarono gli ambasciadori a trovare modo di pace e di -concordia tra ’l comune di Siena e quello di Montepulciano, i quali -vi dimorarono lungamente, innanzi che potessono recare le parti a -concordia. E perocchè nel detto tempo altre cose occorsono, conviene -per dare parte a loro alquanto soggiornare alla presente materia. - - -CAP. L. - -_Come Gualtieri Ubertini fu decapitato._ - -In questo medesimo mese di dicembre fu preso in un aguato da’ soldati -del comune di Firenze, a Civitella del vescovo d’Arezzo, Gualtieri -figliuolo di Bustaccio degli Ubertini, giovane di grande fama, valoroso -e pro’, e di grande aspetto e seguito, il quale per comandamento -del comune fu menato a Firenze: e credendosi campare, trovandosi il -bando generale di tutti quelli della casa degli Ubertini per la loro -ribellione, la vigilia di Natale fu dicollato, di cui gli Ubertini -riceverono gran danno, perocchè troppo era giovane di buono aspetto. A -costui fu tagliata la testa dirimpetto allo spedale di sant’Onofrio; e -messo il corpo nella cassa in due pezzi, e portandosi alla chiesa di -santa Croce, venuto a piè del campanile di quella chiesa, per spazio -d’una saettata di balestro o più il corpo si dibattè, e aperse le -giunture della cassa con tanto dicrollamento, che a pena fu ritenuta -che non cadde di collo agli uomini che ’l portavano; cosa assai -maravigliosa, ma fu vera e manifesta a molti, e noi l’avemmo da coloro -che ’l detto corpo nella cassa portarono, uomini degni di fede. - - -CAP. LI. - -_Come il duca d’Atene assediò Brandizio._ - -In questi dì, avendo il re Luigi fatta certa richiesta di baroni del -Regno, fra gli altri vi venne messer Filippo della Ripa di Brandizio, -ricco d’avere e di piccola nazione, da cui il re con finte cagioni -intendea di trarre di molti danari. A costui fu rivelata l’intenzione -del re, ond’egli senza congio si ritornò in Puglia. Il re fattolo da -capo richiedere per contumacia, ebbe cagione di farlo bandire. Il -duca d’Atene che colle sue terre gli era vicino, per torgli il suo, e -per potere sotto la coverta di costui prendere Brandizio, se n’andò -in Puglia; e presa licenza di procacciare di recare al fisco i beni -di costui ch’era bandeggiato, raunò gente d’arme, e non sappiendo -il re che procedesse per questo modo, fece di suoi Franceschi e -d’altri soldati quattrocento cavalieri e millecinquecento pedoni, e -andò a oste a Brandizio. I terrazzani vedendosi questa gente addosso -improvviso si maravigliarono forte, e conobbono il fatto tirannesco, e -di presente s’unirono alla difesa, e non lo lasciarono accostare alla -città. Puosesi a campo di fuori, e cominciò a correre e fare preda -per lo paese d’intorno. Sentendo questo il re Luigi si maravigliò del -duca, che faceva di suo arbitrio quello che non gli era commesso, e -incontanente per lettere gli mandò comandando che da Brandizio si -dovesse levare: ma poco valsono i suoi comandamenti, che vi s’affermò -credendosi occupare quella terra con tirannesca intenzione. Sopravvenne -la tornata del Prenze di Taranto, e il re per farli onore, ch’era d’età -suo maggiore fratello, sentita la volontà de’ cittadini ch’aveano -amore al Prenze, così assediata glie la privilegiò; e i cittadini di -concordia l’accettarono per loro signore, e allora il duca se ne levò -da assedio. - - -CAP. LII. - -_Come i Perugini feciono pace co’ Cortonesi._ - -In questo verno, sentendosi per l’Italia che a certo la pace generale -si dovea fare tra i comuni di Toscana, e l’arcivescovo di Milano e’ -suoi aderenti ghibellini, i Cortonesi per mostrare più liberalità a’ -Perugini, e il comune di Perugia per non obbligarsi al patto della -generale pace, di concordia vollono pervenire a quella, e di buona -volontà feciono pace tra loro. È vero che innanzi la pace i Cortonesi -non fidandosi de’ Perugini domandarono sodamenti, e il comune di -Perugia a grande istanza richiese il comune di Firenze, che fosse -mallevadore per lui a’ signori e al comune di Cortona di diecimila -marchi d’argento, che manterrebbe a’ Cortonesi buona e leale pace. Il -nostro comune mosso alle richieste di quello di Perugia, fece sindaco -un suo cittadino chiamato Otto Sopiti, e per lui fece il sodamento e -l’obbligagione predetta a’ signori e al comune di Cortona liberamente, -come i Perugini seppono divisare. - - -CAP. LIII. - -_Come il popolo di Gaeta uccisono dodici loro cittadini per la carestia -ch’aveano._ - -Ancora lo stato dello sviato Regno non era queto dalla fortuna e in -debito reggimento, essendo quest’anno generale carestia in Italia, il -minuto popolo di Gaeta, avendo invidia a’ buoni e ricchi cittadini -mercatanti di quella città, del mese di dicembre del detto anno si -mossono a furore e presono l’arme, e furiosi corsono per la terra, -a intenzione d’uccidere quanti trovare potessono di loro maggiori: -e in quell’empito uccisono dodici de’ migliori che trovarono senza -alcuna misericordia, grandi e onesti e buoni mercatanti; gli altri -si fuggirono e rinchiusono in luoghi ove il furore del popolo non si -potè stendere. Il re Luigi avendo intesa questa iniquità vi cavalcò -in persona con gente d’arme per farne giustizia, e giunto in Gaeta, -fece inquisizione di questo fatto; la cosa fu scusata per la furia -d’alquanti, e furono presi e giustiziati de’ meno possenti; degli altri -si fece composizione di moneta, e chi fu morto s’ebbe il danno, e la -corte pervertì; e racquetata la cosa, il re gli ordinò, e tornossene a -Napoli. - - -CAP. LIV. - -_Come il papa volle trattare pace da’ Genovesi a’ Veneziani._ - -In questo medesimo verno, papa Innocenzio mandò al comune di Genova e a -quello di Vinegia che mandassono a lui gli ambasciadori ch’erano stati -a papa Clemente a trattare della loro pace, e per la morte sopravvenuta -del detto papa se n’erano partiti senza essere d’accordo, perocch’egli -intendea di metterli in pace giusta suo podere. I Genovesi non vollono -tornare a corte, nè entrare in trattato di pace co’ Veneziani, anzi -ordinarono lega e compagnia col re d’Ungheria contro a’ Veneziani. E -il detto re avendo promessa compagnia co’ Genovesi mandò a Venezia -al comune che gli dovesse restituire Giara, e l’altre città e terre -ch’aveano occupate del suo reame nella Schiavonia. I Veneziani feciono -agli ambasciadori quella savia risposta che seppono, facendosi tra -loro beffe della sua domanda; nondimeno non senza paura, e con molta -sollicitudine e con grande spendio fornirono a doppio, oltre all’usato, -tutte le terre che teneano in quella marina. - - -CAP. LV. - -_Come i Fiorentini osteggiaro Sangimignano, e fecionli ubbidire._ - -Addietro è narrato come quelli che reggeano Sangimignano teneano -trattato col comune di Firenze, ma non fidando, non si poteano per -lo comune riducere a fermezza, e il comune temendo che in questa -vacillazione peggio non ne seguisse, del mese di febbraio del detto -anno vi mandò messer Paolo Vaiani di Roma, allora podestà di Firenze, -con seicento cavalieri e con grande popolo, i quali giunti intorno alla -terra, e non avendo risposta da quelli d’entro, a volontà del nostro -comune vi si misono a campo, e cominciarono a dare il guasto; ma però -alcuno Sangimignanese o loro gente d’arme non uscirono fuori per fare -alcuna resistenza o altra vista, ma dopo il ricevuto danno vennono alla -concordia, che il comune di Firenze dovesse fare la pace fra loro e -gli usciti, e che d’allora gli usciti avessono i frutti de’ loro beni, -ma dovessono stare fuori della terra sei mesi, e fatta la pace tra gli -Ardinghelli e’ Salvucci, per lo comune di Firenze detto, e’ potessono -tornare nella terra: e che il comune di Firenze oltre al termine de’ -tre anni che ne dovea avere la guardia l’avesse anche cinque anni, e -che per patto vi tenesse settantacinque cavalieri col capitano della -guardia alle loro spese. E fatto il decreto e le cautele per i loro -consigli, e ricevuto il capitano colla sua compagnia, l’oste se ne -tornò a Firenze. - - -CAP. LVI. - -_Come in Italia fu generale carestia._ - -In questo anno fu generale carestia in tutta Italia; in Firenze -cominciò di ricolta a valere lo staio del grano soldi quaranta di -libbre cinquantadue lo staio, e in questo pregio stette parecchi mesi: -poi venne montando tanto, che andò in lire cinque lo staio, i grani -cattivi e di mal peso. Le fave lire tre lo staio, e così i mochi e -le vecce: il panico soldi quarantacinque in cinquanta, e la saggina -soldi trenta in trentacinque. Il vino di vendemmia valse il cogno -fiorini sei d’oro del più vile, e otto e dieci il migliore, e montò -in fiorini quindici il cogno. La carne del porco senza gabella lire -undici il centinaio; il castrone denari ventotto in trenta la libbra -tutto l’anno. La vitella di latte montò danari trentadue in quaranta -la libbra; l’uovo danari cinque e sei l’uno; l’olio lire cinque e -mezzo in sei l’orcio, di libbre ottantacinque. Tutti erbaggi furono -in somma carestia; e in que’ tempi valea il fiorino dell’oro lire tre -soldi otto di piccioli. Tutti drappi da vestire, di lana, e di lino, e -di seta, furono in notabile carestia, e così il calzamento. E benchè -abbiamo fatto conto di Firenze, in quest’anno fu tenuto in tutta Italia -che Firenze avesse così buono mercato comunalmente come alcuna altra -terra. Ed è da notare, che di così grande e disusata carestia il minuto -popolo di Firenze non parve che se ne curasse, e così di più altre -terre; e questo avvenne perchè tutti erano ricchi de’ loro mestieri: -guadagnavano ingordamente, e più erano pronti a comperare e a vivere -delle migliori cose, non ostante la carestia, e più ne devano per -averle innanzi che i più antichi e ricchi cittadini, cosa sconvenevole -e maravigliosa a raccontare, ma di continova veduta ne possiamo fare -chiara testimonianza. E quello che a altri tempi innanzi alla generale -mortalità sarebbe stato tomulto di popolo incomportabile, in quest’anno -continovo improntitudine e calca del minuto popolo fu nella nostra -città ad avere le cose innanzi a’ maggiori, e di darne più che gli -altri. E così festeggiava, e vestiva e convitava il minuto popolo, come -se fossono in somma dovizia e abbondanza d’ogni bene. - - -CAP. LVII. - -_Come i Romani uccisono colle pietre Bertoldo degli Orsini loro -senatore._ - -Senatori di Roma erano il conte Bertoldo degli Orsini e Stefanello -della Colonna, e dal popolo erano infamati d’avere venduta la tratta, -e lasciato trarre il grano della loro Maremma, e questo era fatto per -loro, non pensando che ’l grano andasse in così alta carestia. In -Campidoglio si faceva il mercato a dì 15 di febbraio del detto anno, e -la sù abitavano i senatori; e accoltovisi grande popolo per comperare -del grano, e trovandone poco e molto caro, corsone a furore al palagio -de’ senatori con le pietre in mano. Stefanello ch’era giovane fu -accorto, e innanzi che il popolo moltiplicasse al palagio col furore si -fuggì per una porta di dietro, e salvò la persona; il conte Bertoldo -fu più tardo, e volendosi fuggire, fu sorpreso dal furore di quel -popolo, e colle pietre lapidato e morto: e tante glie ne gittarono -addosso, acciocchè catuno fosse partecipe a quella vendetta, che bene -due braccia s’alzò la mora delle pietre sopra il corpo morto del loro -senatore; e fatto questo, il popolo comportò la carestia più dolcemente. - - -CAP. LVIII. - -_Come fu tagliata la testa a Bordone de’ Bordoni._ - -In questi dì, del mese di febbraio sopraddetto, essendo podestà -di Firenze messer Paolo Vaiani di Roma, uomo aspro e rigido nella -giustizia, avendo presa informazione di mala fama contro a Bordone -figliuolo che fu di Chele Bordoni, antico e grande e potente popolano -di Firenze, essendo questo giovane sopra gli altri leggiadro e di -grande pompa, il fece pigliare per ladro, apponendogli molti furti, e -tutti per martorio gliel fece confessare. I suoi consorti, ch’erano -in grande stato in comune, co’ priori e collegi il difendeano, e non -parea loro che il podestà il dovesse condannare a morte; il mormorio -del popolo minuto era contro a lui, e ’l podestà non si volea muovere -ad alcuno priego de’ signori; onde avvenne, per male consiglio, ch’e’ -priori, acciocchè ’l podestà non potesse fare uficio, cassarono tutta -la sua famiglia. Costui più inacerbito lasciò la bacchetta della sua -podesteria a’ priori, e tornossi al palagio come privato uomo. Il -mormorio si levò grande nella città contro a’ priori, e parendo loro -avere fatto male, con ogni preghiera cercarono di poterlo ritenere; -ma l’astuto Romano, sentendo scommosso il popolo, la notte montò a -cavallo e andossene a Siena. Il popolo sentendolo partito, quasi come -comunità rotta trassono al palagio de’ priori e a quello della podestà, -e doleansi dicendo, che i potenti cittadini che facevano i grandi mali -non voleano che fossono puniti, e i piccoli e impotenti cittadini -d’ogni piccolo fallo erano impiccati, e smozzicati, e dicollati; e per -questa novità fu la città in grande smovimento, operandosi l’animosità -delle sette. I signori vedendo la città a cotal condizione, di subito -gli mandarono ambasciadori, e con fiorini duemilacinquecento d’oro che -gli diedono per suoi interessi fecionlo ritornare: e ritornato, per -grazia fece dicollare Bordone, e il popolo fu racquetato. - - -CAP. LIX. - -_Come si pubblicò la pace dall’arcivescovo a’ comuni di Toscana._ - -Gli ambasciadori de’ comuni di Toscana che furono mandati a Sarezzana -per fermare la pace coll’arcivescovo di Milano, e co’ suoi aderenti -ghibellini di Toscana e d’Italia, trovarono la materia sì acconcia, -eziandio contro alla speranza, che di presente vi dierono fermezza, del -mese di marzo 1352; e appresso, il primo dì d’aprile 1353, si piuvicò -in parlamento di tutto il popolo. E quanto che catuno desiderasse -pace per cagione di riposo e di fuggire spesa, niuna festa se ne -fece, nè niuno rallegramento nel popolo se ne vide, quasi stimando -catuno la pace del potente tiranno troppo vicino, essere più nel -suo arbitrio sottoposta a inganno che a fermezza di certo riposo. -Nella pace in sostanza si contenne, che generale e perpetua pace sia -tra l’arcivescovo di Milano, e tutte le sue città e distrettuali, e -tutti coloro che con lui furono nella guerra contro a’ Fiorentini, -e’ Perugini, e’ Sanesi, e’ loro distrettuali, Pistoiesi, e Aretini, -e altri simiglianti, tutti da catuna parte e aderenti loro debbano -osservare buona e leale pace; e l’arcivescovo è tenuto di mettere in -mano comune la Sambuca e ’l Sambucone: e fatto questo, il comune di -Firenze un mese appresso debba disfare la rocca di Montegemmoli, con -patto, che disfatta debba riavere le dette castella depositate; e il -detto Montegemmoli non si debba per alcuna parte redificare: e che -i Fiorentini debbano rendere Lozzole agli Ubaldini, e l’arcivescovo -Piteccio e l’altre tenute de’ Pistoiesi; e che il comune di Firenze dee -trarre di bando tutti coloro che fossono bandeggiati per quella guerra, -e chiunque fosse dichiarato aderente del detto arcivescovo: patto assai -pregno, e doppio, e poco accetto, la cui dichiarazione fu commessa a -Lotto e a Franceschino Gambacorti di Pisa, mezzani di questa pace. -Questo fu assai lieve legame di pace, avvegnachè ci si stipulasse pena -fiorini dugentomila d’oro, ma per la grandezza del signore di Milano, -e per la potenza de’ tre comuni che non si avvilivano per lui, rimase -contenta catuna parte al legame del titolo della pace, senza altra -sicurtà dimandare o prendere. - - -CAP. LX. - -_L’inganno ricevette il comune di Firenze dagli sbanditi._ - -Il comune di Firenze in questo fatto degli sbanditi fu ingannato da’ -suoi medesimi ambasciadori, de’ quali niuno si potè incolpare, ch’erano -secolari, e uomini che non sapeano quello ch’e’ titoli de’ giudici -portassono, e a loro non se n’aspettava alcuna cosa, ma incolpato ne -fu un savio giudice e grande avvocato chiamato messer Niccola Lapi, -di lieve nazione, sospetto a parte, ma per la sua scienza il comune -gli commise l’ordinazione delle scritture per non essere ingannato. -Costui lasciò ne’ patti un capitolo non promesso nè pensato, per lo -quale tutti gli sbanditi e rubelli del comune di Firenze poteano essere -ribanditi e ristituiti ne’ loro beni, e così degli altri comuni di -Toscana. E il pertugio di questo titolo fu, che a’ patti s’aggiunse, -che tutti gli aderenti, e parenti e seguaci di messer Carlino Tedici -e de’ consorti ribelli di Pistoia, dovessono essere ribanditi, e -restituiti ne’ beni di qualunque bando o condannagione ch’avessono dal -comune di Pistoia, e questa fu l’intenzione vera: ma arroso fu, e di -Firenze, e di Perugia, e di Siena, e dell’altre terre di Toscana, salvo -chi avesse avuto bando nel tempo della guerra, essendo all’ubbidienza -del comune di Pistoia: bando enorme e non parziale. Qui si comprese la -malizia di questo fallo: se per errore fu commesso, grande vergogna -fu al savio avvocato, se per malizia, meritò grande pena, perocchè -sotto quel titolo messer Carlino faceva suo aderente cui egli voleva; -e Franceschino e Lotto gli dichiaravano, e ’l savio consigliava, e ’l -notaio ch’era sopra ciò cancellava; e avevane già dichiarati più di -duemila, e cancellati da trecento. Ed era una mercatanzia tra tutti di -grande guadagno, ma di maggiore danno e vergogna del nostro comune, e -molto se ne dolevano i cittadini. Ma gli autori del fatto, con mettere -paura di non conturbare la pace, ogni lingua acchetavano, e le borse -si empievano. E procedendo a voto il primo fallo, un altro se n’arrose -per l’avvocato già detto, contro al beneficio ricorso a utilità della -patria, che i dichiaratori da Pisa aveano mandato a Firenze intorno di -sedici dichiarazioni fatte nel principio in diversi dì, acciocchè a -Firenze fossono per lo notaio diputato sopra ciò cancellati di bando. -Le dichiarazioni furono portate al detto messer Niccola Lapi, il quale -vide che per l’ordine de’ patti non se ne poteva cancellare per ragione -più che quelli ch’erano dichiarati per lo primo dì, e da quel dì -innanzi il comune di Firenze era libero della sua promessa. Costui di -presente le rimandò a dietro, e scrisse, che non valeano dichiaragioni -che facessono separate in diversi dì; e per questo avvenne, che poi -quelle che si feciono, e che si mossono a fare in diversi e lunghi -tempi, le riducevano a essere fatte nel primo dì che gli cominciarono -a dichiarare, commettendo in questo processo frode, e facendo fare -le carte false, che furono più di trecento quelle che si recarono -a cancellare. Di cotali falli il comune s’avvedeva e doleva, ma le -preghiere degli amici non lasciavano al comune fare giustizia in questi -tempi. Ma de’ mali principii riesce spesse volte mal frutto, come in -parte uscì di questo, secondo che appresso diviseremo, mutando un poco -nostro ordine di travalicare il tempo per imporre fine a questa materia. - - -CAP. LXI. - -_Di questa medesima materia._ - -Avvenne, valicato l’anno predetto, che di questa corrotta radice -procedette una corruzione che terminò la causa e la vita del notaio -a ciò diputato, e d’un giudice ch’avea cominciato a pascersi sopra -questa carogna. A ser Francesco di ser Rosso notaio di grande autorità, -ch’aveva procurato questo uficio, fu portata carta d’una dichiarazione -d’uno Ghiandone di Chiovo Machiavelli condannato, uomo infame e di mala -condizione; del nome e soprannome di costui erano rimase certe lettere, -il mese e l’altre rase, e sottilmente per simiglianti lettere rimesse, -e con molta istanzia per alcuno suo consorte, e alcuno amico allora de’ -priori, fu stretto ser Francesco a cancellarlo, e messer Corbizzesco -giudice da Poggibonizzi a consigliarlo. I quali più volonterosi al -servigio che a conoscere la malizia ch’appariva nella carta, benchè -tutta paresse una lettera, il savio consigliò, e il notaio cancellò. E -sentendosi la diliberazione di costui a Pisa, Franceschino Gambacorti -scrisse a’ signori scusandosi, che costui per la sua infamia mai non -avea voluto dichiarare. Onde preso il notaio, e appresso il giudice, -per il marchese dal Monte valente podestà di Firenze, dopo lunga -discettazione e combattimento di cittadini, e d’immunità di privilegio -ch’aveva ser Francesco, mercoledì a dì 21 di maggio 1354 avendoli -condannati al fuoco, per grazia commutò la pena, e colle mitere in -capo li fece dicollare. Per la morte di ser Francesco mancò il potere -cancellare; e mancato questo, si rimase il dichiarare, e il comune -dimenticò gli altri falli per questa cagione, e per troppa mansuetudine. - - -CAP. LXII. - -_Come messer Piero Sacconi de’ Tarlati tentò di fare grande preda -innanzi che fosse bandita la pace._ - -Messer Piero Sacconi de’ Tarlati ch’aveva in Bibbiena delle masnade -dell’arcivescovo di Milano, sentendo ferma la pace, innanzi ch’ella -si bandisse, come volpe vecchia, accolse gente quanta ne potè avere, -a piè e a cavallo, e sapendo che i villani del contado d’Arezzo per -la novella della pace s’assicuravano colle bestie a’ campi, cavalcò -subitamente il contado d’Arezzo infino a Laterina, accogliendo il -bestiame, e mettendosi la preda innanzi. I paesani stormeggiando da -ogni parte s’avvidono del fatto, e feciono tanto, che per campare -le persone i cavalieri e’ masnadieri abbandonarono la preda, e con -vergogna tornarono a Bibbiena. E per simil modo in questi medesimi dì i -soldati del Biscione ch’erano a Montecarelli con il conte Tano corsono -in Mugello per fare preda, innanzi che la pace fosse pubblicata. Il -vicario della Scarperia co’ soldati de’ Fiorentini gli cacciarono de’ -campi fino a Montecarelli. Queste cavalcate non erano degne di memoria, -ma per esempio a’ popoli che non sono offenditori, che almeno si -guardino, acciocchè non incorrino nell’antico proverbio, che dice, tra -la pace e la triegua guai a chi la lieva. - - -CAP. LXIII. - -_Come il corpo di messer Lorenzo Acciaiuoli fu recato del Regno a -Firenze, e seppellito a Montaguto a Certosa onoratamente._ - -Togliendone la quiete della pace materia da scrivere, forse alcuna -scusa ci fa a raccontare quello ch’ora scriveremo di privata novità. -Messer Niccola Acciaiuoli di Firenze grande siniscalco del reame di -Sicilia, governatore del re Luigi, aveva un figliuolo primogenito -cavaliere e grande barone, appartenendogli la moglie promessa della -casa di Sanseverino, giovane provato in arme, adorno di belli costumi, -grazioso e di grande aspetto. Costui, come a Dio piacque, innanzi al -tempo, all’aspetto degli uomini, rendè l’anima a Dio, e morì nel Regno -in assenza del padre. Ed essendogli annunziata la morte a Gaeta di -cotanto caro e diletto figliuolo, il magnanimo ristrinse il dolore -dentro senza mutare aspetto, e colla molta pazienza, e con abito ornato -di grandi virtudi comportò la morte del caro figliuolo, dicendo, io era -certo che dovea morire, e che credeva che Iddio avesse eletto il tempo -di più salute dell’anima sua. E avendo egli grande devozione al nobile -monistero edificato a sua stanza in sul poggio di Montaguto, posto tra -la Greve e l’Ema, presso alla città di Firenze, a due miglia, il quale -si chiama il monistero di Certosa, quivi mandò con grande comitiva e -spesa a seppellire il corpo del figliuolo. E recato prima a Firenze, e -fatti gli ornamenti più che militari, e invitati per i consorti tutti i -buoni cittadini, a dì 7 d’aprile 1353 fu portato alla sepoltura in una -bara cavalleresca, con due grandi destrieri, l’uno dinanzi e l’altro -didietro, coperti di zendado coll’arme degli Acciaiuoli, e la bara -ov’era la cassa col corpo era coperta con fini drappi e baldacchini di -seta e d’oro, e disopr’essi veluto chermisi fine, e in su i cavalli gli -scudieri vestiti a nero che guidavano i cavalli con la bara; e innanzi -alla bara avea sette scudieri in su sette grandi destrieri, tutti -coperti infino a terra, innanzi con l’arme d’argento battuto degli -Acciaiuoli: i due primi catuno portava uno cimiere, il terzo portava lo -stendale, e gli altri quattro seguenti catuno una grande bandiera tutta -di quell’arme con le targhe rilevate nel campo azzurro, e un leone -rampante bianco com’è la detta arme, con grande novero di doppieri -dinanzi e intorno al corpo, cosa magnifica a ogni barone, eziandio -se fosse della casa reale. I grandi e orrevoli cittadini di Firenze -accompagnarono il corpo infino alla porta a san Piero Gattolino; poi -gran parte montati a cavallo andarono col corpo infino al monistero, e -gli altri si tornarono a casa. Abbiamo fatta questa memoria perchè fu -nuova e disusata alla nostra città, e magnifica all’autore di quella, -che più di cinquemila fiorini d’oro costò la spesa. - - -CAP. LXIV. - -_Come si fe’ l’accordo da’ Sanesi a Montepulciano._ - -I Sanesi avendo voglia di vincere Montepulciano, essendovi stati ad -assedio lungamente, vi puosono un gran battifolle molto di presso. -Nella terra avea buone masnade di cavalieri e di masnadieri, i quali -spesso avrebbono danneggiati i Sanesi, se fossono stati lasciati -guerreggiare, ma com’è detto addietro, essendo l’una parte e l’altra -guelfi e amici de’ Fiorentini e de’ Perugini, essendo con catuno gli -ambasciadori de’ detti comuni nel campo e nella terra, e benchè fosse -molto malagevole, infine gli recarono a questa concordia: che la terra -rimanesse al governamento del popolo, e stesse venti anni nella guardia -del comune di Siena, tenendovi un capitano di guardia con quindici -cavalieri e con venti fanti, avendo in sua signoria una delle porti -della terra e una campana, e che i Sanesi dovessono dare contanti, -infra certo termine, a messer Niccolò de’ Cavalieri per ristoro delle -spese fatte fiorini seimila, e dovesse stare dieci anni con immunità -personale e reale in quella sua terra; e a messer Iacopo de’ Cavalieri -che n’era fuori dovessono dare fiorini tremila d’oro, e riavere le -rendite de’ suoi beni: per lo quale accordo i due comuni per loro -sindacato furono mallevadori. E fatto questo, a dì 2 di maggio del -detto anno i Sanesi presono la guardia ordinata, e levarsi da campo; -e rifornita la terra, allegri, con bella e buona pace si tornarono a -Siena, grati del beneficio ricevuto da’ due comuni, come l’operazioni -di corrotta fede appresso dimostreranno. - - -CAP. LXV. - -_D’una notabile grandine venuta in Lombardia, e d’altro._ - -A dì 7 del mese di maggio del detto anno, turbato il tempo con ravvolto -enfiamento di nuvoli, ristretta la materia umida da’ venti d’ogni -parte, con disordinato empito sopra la città e parte del contado di -Cremona ruppe, mandando sopra quella pietre sformate di grandine, la -quale, cui trovò alla scoperta, uomini e femmine, percotendo li uccise, -e la città premette sì forte, che tutte le copriture de’ tetti ruppe -e macinò senza rimedio, con grandissimo danno de’ cittadini. E le -pietre della grandine ch’erano maggiori si trovarono di libbre otto e -once tre, e le minori erano d’una libbra di peso. In questo medesimo -tempo l’arcivescovo di Milano mandò per fare redificare le mura e case -del Borgo a san Sepolcro, rovinate e guaste per lo tremuoto, trecento -maestri. I Borghigiani rimasi in vita erano tutti ricchi sopra modo -per l’eredità de’ morti, e per gli sconci guadagni delle prede de’ -loro vicini condotte al Borgo, e perchè a’ soldati al continovo aveano -venduto caro la loro vittuaglia e gli altri arnesi, e però, venuti i -maestri, cominciarono a edificare le case e’ palagi, e a fare troppo -più nobili e più belli abituri che prima non aveano: ma poco poterono -edificare, che la terra mutò stato, come appresso nel suo tempo -racconteremo. - - -CAP. LXVI. - -_Come sotto le triegue procedettono le cose in Francia._ - -Essendo alcuno tempo durate le triegue tra il re di Francia e quello -d’Inghilterra, infra il detto tempo alquante terre in Brettagna -e alcuna in Guascogna che si teneano per lo re di Francia, per -ingegno e per malizioso sommovimento s’arrecarono dalla parte del -re d’Inghilterra; per la qual cosa turbato il re di Francia, fece -bandire la guerra per tutto il suo reame: e a ciò lo indusse non meno -certi trattati scoperti contro della sua persona, ch’e’ baratti di -quelle terre. E fatto questo, del mese di maggio del detto anno, il -cardinale di Bologna, e gli altri prelati e baroni che trattavano la -pace si misono al riparo, e tanto operarono, che triegue si rifeciono -tra i detti re. E stando le cose di là in successioni di triegue, non -accaddono in lungo tempo cose notevoli in que’ paesi. - - -CAP. LXVII. - -_Come i Genovesi spregiarono la pace de’ Veneziani._ - -Tornando nostra materia a’ fatti de’ Genovesi e de’ Veneziani, in -questo primo tempo del detto anno i Genovesi levarono lo stendale di -sessanta galee, le quali incontanente cominciarono ad armare, e per -la compagnia ch’aveano fatta col re d’Ungheria contro a’ Veneziani -v’aggiunsono l’arme del detto re; e intendeano, che come e’ fossono -colla loro armata in mare, che ’l detto re avesse in Ischiavonia i -suoi Ungheri a fare guerra per terra a’ Veneziani, come avea promesso. -E certe galee ch’aveano allora in concio d’arme mandarono improvviso -nel golfo a’ Veneziani, le quali feciono in quello grave danno di -rubare molti legni che vi trovarono, traendone l’avere sottile, e -profondando i legni in mare; e con due loro galee sottili bene armate -valicarono san Niccolò del Lido, ed entrarono nel canale grande, e -nella città saettarono molti verrettoni. E tornandosi addietro, le -galee della guardia del golfo ch’erano per novero più che le genovesi, -potendosi abboccare con loro, non ebbono ardimento, che la paura del -re d’Ungheria gl’impacciava forte più che de’ Genovesi, per tema che -non traboccasse loro addosso la sua grande potenza. Le galee genovesi -non avendo contasto s’uscirono del golfo, e andarono al loro viaggio, -avendo fatto gran vergogna a’ Veneziani. - - -CAP. LXVIII. - -_Come i Veneziani si provvidono._ - -Il comune di Vinegia sentendo l’armata de’ Genovesi e le minacce del re -d’Ungheria, e non volendoli rendere le terre marine della Schiavonia, -conobbono che la necessità gli strignea a trovar modo di difendersi -per mare e per terra. E però guernite le loro terre per la difesa, con -grande e buona provvisione mandarono solenne ambasciata all’imperadore, -pregandolo che procacciasse in loro servigio che il re d’Ungheria -non movesse loro guerra a stanza de’ Genovesi; e un’altra ambasciata -mandarono in Catalogna al re d’Araona a fare lega e compagnia con lui, -acciocch’egli armasse con loro contro a’ Genovesi. In catuna parte -ebbono prosperamente loro intenzione: che l’imperadore ritenne a sua -preghiera il re d’Ungheria dal muovere guerra a’ Veneziani, non senza -alcuna speranza d’accordo in processo di tempo; e’ Catalani aontati -della sconfitta ricevuta co’ Veneziani da’ Genovesi in Costantinopoli, -lievemente si recarono per animo di vendetta a fare la volontà de’ -Veneziani; e di presente misono per opera d’armare trenta galee al -loro soldo, e venti alle spese del comune di Vinegia, e i Veneziani -n’armarono altre venti a Vinegia; e catuna parte sollecitava sua armata -per essere prima in mare; i Genovesi per la vittoria avuta sopra loro -dispettando e avvilendo i nimici, e’ Catalani e’ Veneziani desiderando -la vendetta. E apparecchiandosi catuna parte, innanzi al loro -abboccamento ci occorrono altre cose a raccontare, e però al presente -soprastaremo alquanto a questa materia. - - -CAP. LXIX. - -_Come fu guasto il castello di Picchiena, e perchè._ - -I signori del castello di Picchiena non ostante che si tenessono in -amistà col comune di Firenze, furono principali con gli Ardinghelli a -commuovere lo stato di Sangimignano quando furono cacciati i Salvucci, -essendo la guardia di quella terra nelle mani del comune di Firenze; -e di questo fallo non feciono scusa nè ammenda a’ Fiorentini; e però, -nel detto mese di giugno del detto anno, il comune di Firenze mandò -sue masnade co’ maestri e guastatori a Picchiena, e senza contasto -entrarono nella terra. E acciocchè quel castello non fosse più cagione -di fare sommuovere ad alcuna ribellione Sangimignano e Colle, a dì 20 -del detto mese feciono abbattere le mura e la rocca, senza far loro -altro danno. - - -CAP. LXX. - -_Come Ruberto d’Avellino fu morto dalla duchessa sua moglie._ - -Vedendosi la sventurata moglie che fu del duca di Durazzo, Maria -sirocchia della reina Giovanna di Gerusalemme e di Sicilia, avvilita -per lo violente matrimonio contratto con Ruberto figliuolo che fu del -conte d’Avellino della casa del Balzo, il quale dopo la morte del -padre, come addietro avemo fatta menzione, era rimaso prigione del re -Luigi; la donna, non tenendosi vedova nè maritata, pensò che per la -morte di costui tornerebbe a certa veduità, e potrebbesi maritare. E -assai apparve chiaro che a questo consentì il re e la reina; perocchè -essendo Ruberto detto in prigione altrove, fu menato nel castello -dell’abitazione reale, e collocato in una camera con certe guardie: -e valicati alquanti dì, il re e la reina feciono apparecchiare e -andarono a desinare e a cena agli scogli di mare, cosa nuova e -disusata alla corona; e in questo dì la detta duchessa Maria rimasa -nel castello prese quattro sergenti armati, e andossene alla camera -dov’era il marito, e chiamatolo traditore del sangue reale, senza -misericordia in sua presenza il fece uccidere; e fattagli tagliare la -testa dall’imbusto, non affatto, fece traboccare dal castello in su la -marina lo scellerato corpo, condotto a questo per lo malvagio pensiero -del suo prosuntuoso padre. Il re e la reina tornati a Napoli si -mostrarono turbati molto di questo fatto, usando parole che s’ella non -fosse femmina ne farebbono alta vendetta: e il corpo che giacea senza -sepoltura feciono sotterrare; e la donna rimase vedova di due mariti -tagliati a ghiado in piccolo travalicamento di tempo. - - -CAP. LXXI. - -_Come furono cacciati i ghibellini del Borgo._ - -All’entrante del mese di luglio del detto anno, i guelfi del Borgo a -san Sepolcro vedendosi sottoposti a quelli della casa de’ Bogognani, -caporali ghibellini e traditori di quella terra, la quale aveano -sottoposta all’arcivescovo di Milano per trattato di messer Piero -Sacconi, e per i patti della pace era rimasa libera sotto il dominio -de Bogognani, e non potendosi atare co’ Fiorentini e’ Perugini per non -fare contro a’ patti della pace, s’accostarono con Nieri da Faggiuola -loro vicino e terrazzano del Borgo, non ostante che fosse ghibellino, -perocchè si discordava co’ Tarlati d’Arezzo e co’ Bogognani; il quale -avendo fatta sua ragunata, i guelfi del Borgo levarono il romore, e -Nieri trasse colla sua gente, e messo nella terra, ne cacciarono i -Bogognani e tutti i ghibellini di loro seguito, e rubarono le case -degli usciti; e appresso riformarono la terra a comune reggimento -di guelfi e di ghibellini, com’era loro usanza, ritenendo Nieri da -Faggiuola per alcuno tempo per loro capitano con certa limitata balìa, -il quale poi ne trassono, come innanzi si potrà trovare. - - -CAP. LXXII. - -_Di quattro leoni di macigno posti al palagio de’ priori._ - -Essendo in questo tempo un uficio di priorato in Firenze, avendo -poco ad attendere ad altre cose per la quiete della pace, feciono -fare quattro leoni di macigno, e fecionli dorare con gran costo, e -fecionli porre in su’ quattro canti del palagio del popolo di Firenze, -a ciascuno canto uno. E per fare questo per certa vanagloria al loro -tempo, lasciarono di farli scolpiti, e fusi di rame e dorati, che -costavano poco più che quelli del macigno, ed erano belli e duranti per -lunghi secoli; ma le piccole cose e le grandi continovo si guastano -nella nostra città per le spezialità de’ cittadini. - - -CAP. LXXIII. - -_Come Sangimignano fu recato a contado di Firenze._ - -Avvegnachè per operazione de’ Fiorentini la terra di Sangimignano -fosse riformata in pace, e che dentro vi fossono gli Ardinghelli e’ -Salvucci pacificati insieme, nondimeno nell’interiore dentro era tra -loro radicata mala volontà; e non sapeano conversare insieme, e teneano -intenebrata tutta la terra. I Salvucci vedendo arse e rovinate le -loro nobili possessioni non si poteano dare pace, e gli Ardinghelli -per l’offesa fatta stavano in paura e non si fidavano non ostante la -pace, e il seguito ch’aveano avuto da’ terrazzani a cacciare i Salvucci -non rispondea loro in questo nuovo reggimento come prima. Per queste -dissensioni i popolani della terra conoscendo il loro male stato, e -non trovando rimedio tra loro, stavano sospesi e in mala disposizione; -e vedendo gli Ardinghelli il popolo commosso, e che per loro non si -potea mettere alcuno consiglio che i Salvucci non si mettessono al -contradio, furono consigliati di confortare il popolo, innanzi ch’altri -il movesse prima di loro, di darsi liberi al comune di Firenze. E -questo potea essere loro scampo, perocch’erano pochi e poveri a petto -de’ loro avversari, ch’erano assai e ricchi, e conoscendo il popolo, e -vedendolo disposto a volere uscire de’ pericoli, ove le discordie de’ -loro maggiori gli conducea, fu agevole a muovere, e del mese di luglio -1353 feciono parlamento generale, nel quale deliberarono con molta -concordia di mettersi liberamente nella guardia del comune di Firenze. -I Salvucci si misono con loro amici a operare co’ cittadini di Firenze -loro amici che il comune non li prendesse, dicendo, che questa era -operazione di setta e non volontà del comune; ed ebbono tanto podere, -che il comune non li volle prendere, dicendo, che volea l’amore e la -buona volontà di tutto il comune, e non la signoria di quella terra -in divisione del popolo; per la qual cosa il popolo commosso, d’ogni -famiglia mandarono a Firenze più di dugentocinquanta loro terrazzani di -maggiore stato e autorità, i quali s’appresentarono dinanzi a’ signori -priori dicendo, come la deliberazione del loro comune era vera, e non -violenta nè mossa per alcuno ordine di setta, ma di comune movimento e -volontà di tutto il popolo, conoscendo non potere vivere sicuri se non -sotto la giurisdizione libera e protezione del comune di Firenze, e con -viva voce gridarono, e pregarono il comune di Firenze, che ricevere -li volesse al loro contado, e se questo non facesse, quel comune era -per disfarsi e distruggersi senza alcuno rimedio, in poco onore del -comune di Firenze che l’avea a guardia. In fine i signori ne feciono -proposta al consiglio del popolo, e tanto favore ebbono i Salvucci, -che si metteano al contrario delle preghiere de’ loro amici da Firenze -fatte a’ consiglieri, e del popolo, che quello che catuno doveva -desiderare per grande e onorevole accrescimento della sua patria, -avendo molti contrari al segreto squittino, si vinse solo per una fava -nera; vergognomi averlo scritto, con tanto vitupero de’ miei cittadini. -Vinto il partito, la terra del nobile castello di Sangimignano, e suo -contado e distretto, fu recato a contado del comune di Firenze, e -datogli l’estimo come agli altri contadini, e tutti i suoi cittadini e -terrazzani furono fatti cittadini e popolani di Firenze a dì 7 d’Agosto -del detto anno; e ne’ registri del comune furono notate le cautele e le -sommissioni dette; e carta ne fece ser Piero di ser Grifo, notaio delle -riformagioni del detto comune. - - -CAP. LXXIV. - -_D’un segno apparve in cielo._ - -A dì 11 del mese d’agosto, tramonto il sole nella prima ora, si -mosse da mezzo il cielo fuori del zodiaco un vapore grande infocato -sfavillante, il quale scorse per diritto di levante in ponente, -lasciandosi dietro un vapore cenerognolo traendo allo stagneo, -steso per tutto il corpo suo, e durò nell’aria valicato il fuoco -lungamente; e poi cominciò a raccogliersi a onde a modo d’una serpe; -e il capo grosso stette fermo ove il vapore mosse, simigliante a capo -serpentino, e il collo digradava sottile, e nel ventre ingrossava, -e poi assottigliava digradando con ragione infino alla punta della -coda: e per lunga vista si dimostrò in propria figura di serpe, e poi -cominciò a invanire dalla coda e dal collo, e ultimamente il corpo e ’l -capo venne meno, dando di se disusata vista a molti popoli. Altro non -ne sapemmo di sua influenza scernere che diminuzioni d’acque, perocchè -quattro mesi interi stette appresso senza piovere. - - -CAP. LXXV. - -_Come fu assediata Argenta._ - -Essendo Francesco de’ marchesi da Este ribellato al marchese -Aldobrandino signore di Ferrara e di Modena, figliuolo del marchese -Obizzo; questo marchese Obizzo avea acquistato suo figliuolo -Aldobrandino d’amore, avendo per moglie la figliuola di Romeo de’ -Peppoli di Bologna, della quale non ebbe figliuolo, e morta la detta -donna, il marchese fece legittimare questo suo figliuolo, e la madre -si prese per moglie. E venendo a morte, lasciò la signoria di Ferrara -e di Modena a questo suo figliuolo Aldobrandino, essendo d’illegittimo -matrimonio. Il marchese Francesco figliuolo del marchese Bertoldo, -a cui parea che di ragione s’appartenesse la signoria, per la qual -cosa temette che ’l marchese Aldobrandino per tema della signoria nol -facesse morire, e però si parti di Ferrara; ed essendo rubello, trattò -con Galeazzo de’ Medici da Ferrara, ch’era potente, e del segreto -consigliò del marchese Aldobrandino, e con altri cittadini di Ferrara, -e per consiglio di costoro, per avere braccio forte, s’accostò con -messer Malatesta da Rimini. E del mese d’agosto del detto anno messer -Malatesta in persona, e il detto marchese Francesco, con cinquecento -cavalieri e quattromila pedoni valicarono per le terre del signore di -Ravenna con sua volontà, e improvviso furono ad Argenta. E stati quivi -quattro dì, attendendo risposta da coloro con cui teneano il trattato -in Ferrara, e avuto da loro come quello ch’essi credevano poter fare -non vedeano venisse loro fatto, però sanza soprastare o fare alcuno -danno di presente se ne partirono, dando voce che il signore di Ravenna -avea chiuso il passo alla vittuaglia. E Galeazzo e altri che teneano al -trattato uscirono di Ferrara, e andaronsene al gran Cane di Verona, - - -CAP. LXXVI. - -_Come si temette in Toscana di carestia._ - -Non è da lasciare in silenzio quello ch’avvenne in Toscana in sulla -ricolta, che nel contado e distretto di Firenze e d’Arezzo, e nelle più -contrade, fu assai ubertosa ricolta, in quello di Siena e di Ravenna fu -magra; e nondimeno sotto la vetta valse per tutto soldi quarantadue, -e poi montò in soldi cinquanta lo staio fiorentino, di lire tre soldi -otto il fiorino dell’oro. Temendo il comune di disordinata carestia -mandò in Turchia, e in Provenza e in Borgogna a comperare grano, e -molti mercati fece co’ mercatanti, che promisono di recarne di Calavria -e d’altre parti del mondo, costando lo staio posto in Firenze l’uno -per l’altro da soldi cinquanta in sessanta di piccioli: e se fosse -venuto, come si pensava, perdea il comune di Firenze più di centomila -fiorini d’oro, perocché ’l popolo mobolato, per paura della carestia -passata poco dinanzi, si fornia a calca, e feciono montare il grano -nella ricolta, e ristrignere i granai a chi n’avea conserva. Ma -sentendosi la grande quantità che ’l comune n’avea procurata d’avere -catuno temette di tenerlo, e apersono l’endiche di marzo e d’aprile -del detto anno, e davano il buono grano a soldi venticinque lo staio. -E venendone al comune dodicimila staia di Provenza venuto di Borgogna, -il volle spacciare a soldi venti lo staio, ed essendo buono grano non -si potè stribuire; e perdenne il comune fiorini trentamila d’oro, i -quali investì male all’ingrato popolo: l’altro che doveva venire di -Turchia e le compere fatte, come a Dio piacque, non ebbono effetto per -diversi accidenti. Abbianne fatta memoria per ammaestramento di coloro -c’hanno a venire, perocchè in cotali casi occorrono diversi gravi -accidenti, e spesso contradi l’uno all’altro. Le grandi compere in -così fatta carestia fanno pericolo di disordinata perdita, e certezza -non si può avere di grano che di pelago si aspetta; ma utilissima cosa -è dare larga speranza al popolo, che si fa con essa aprire i serrati -granai de’ cittadini, e non con violenza, che la violenza fa il serrato -occultare, e la carestia tornare in fame; e di questo per esperienza -più volte occorsa nella nostra città in cinquantacinque anni di nostra -ricordanza possiamo fare vera fede. - - -CAP. LXXVII. - -_Come in Messina fu morto il conte Mazzeo de’ Palizzi a furore, e la -moglie e due figliuoli._ - -Lasciando alla testimonianza del consumato regno dell’isola di -Cicilia molti micidii, incendii, violenze e prede avvenuti in quello -per sette e invidia del reggimento, mancando per debolezza d’età la -signoria reale, diremo quello che in questo tempo, del mese d’agosto -del detto anno, più notabile avvenne. Essendo il conte Mazzeo de’ -Palizzi di Messina capo di setta degl’Italiani di Cicilia, contradio -a quella de’ Catalani, per sua grandezza governava il giovane e poco -virtuoso figliuolo di don Petro re di Cicilia, il quale per retaggio -doveva essere re, e tutta la corte reggeva a contrario de’ Catalani e -della loro parte per modo più tirannesco che reale; essendo l’izza e -l’invidia parziale cresciuta mortalmente, alla corte mancava l’entrata, -e a’ paesani la rendita e le ricchezze, e la guerra del diviso regno -richiedeva aiuto di moneta; e non essendovi l’entrata, il detto conte -Mazzeo gravava i Messinesi e gli altri sudditi moltiplicando gravezze -sopra gravezze. I cittadini si doleano, e vedendosi pure gravare, -negavano e fuggivano il pagamento, e odiavano chi guidava il fatto; -il conte infocando contro a’ sudditi la sua stracotata superbia, fece -decreto, che chi non pagasse fosse bandito, e dicea, che chi non volea -pagare, o non poteva, ch’egli era della setta de’ Catalani; e per -questo modo abbattea la sua parte, e crescea quella degli avversari. -Avvenne che il popolo di Messina s’accostò col conte Arrigo Rosso e -col conte Simone di Chiaramente, amendue della setta de’ Palizzi, -ma portavano invidia al conte Mazzeo perch’avea troppo usurpata la -signoria, e sotto titolo di dire che voleano pace, mossono il lieve -popolo a gridare pace: e levato il romore, con furore corsono al -palagio del re ov’abitava il conte Mazzeo: e trovandolo nella sala col -giovane duca, in sua presenza uccisono lui, e la moglie e due suoi -figliuoli, lasciando il duca con gran paura e tremore, e legati i -capestri al collo de’ morti li tranarono per la terra vituperosamente, -e poi li arsono, e la polvere gittarono al vento. E in questi medesimi -dì quelli di Sciacca feciono il simigliante a’ loro maggiori della -setta del conte Mazzeo predetto. Il duca, benchè fosse sicurato dal -popolo, per la concetta paura prese suo tempo e andossene a Catania, -accostandosi alla setta de’ Catalani. Questo repentino caso di cotanto -polente usurpatore della repubblica è da notare, per esempio di coloro -i quali colla destra della fallace fortuna in futuro monteranno a -somiglianti gradi, di non essere ignoranti de’ nascosi aguati che -nell’invidia e ne’ furori de’ non fermi stati si racchiudono. - - -CAP. LXXVIII. - -_Come fu creato nuovo tribuno in Roma._ - -Egli è da dolersi per coloro c’hanno udito e inteso le magnifiche -cose che far solea il popolo di Roma, con le virtù de’ loro nobili -principi, in tempo di pace e di guerra, le quali erano specchio e luce -chiarissima a tutto l’universo, vedendo a’ nostri tempi a tanta vilezza -condotto il detto popolo e’ loro maggiori, che le novità che occorrono -in quell’antica madre e donna del mondo non paiono degne di memoria -per i lievi e vili movimenti di quella, tuttavia per antica reverenza -di quel nome non perdoneremo ora alla nostra penna. Essendo il popolo -romano ingrassato dell’albergherie de’ romei, e fatto e disfatto in -breve tempo l’uficio de’ loro rettori, i loro principi cominciarono -a tencionare del senato, e il popolo lieve e dimestico al giogo, -dimenticata l’antica franchigia, seguitava la loro divisione. Faceva -parte ovvero setta Luca Savelli con parte degli Orsini e co’ Colonnesi, -e gli altri Orsini erano in contradio: e per questo vennero all’arme, e -abbarrarono la città, e combatteronsi alle barre tutto il mese d’agosto -del detto anno. In fine il popolo abbandonò d’ogni parte la gara de’ -loro principi, e fece tribuno del popolo lo Schiavo Baroncelli, il -quale era scribasenato, cioè notaio del senatore, uomo di piccola e -vile nazione, e di poca scienza. Tuttavia, perch’egli non conosceva -molto i Romani e i vizi loro, cominciò con umiltà a recare ad alcuno -ordine il reggimento al modo de’ comuni di Toscana; e per partecipare -il consiglio de’ popolani, per segreto squittino elesse e insaccò assai -buoni uomini cittadini romani di popolo per suoi consiglieri, de’ quali -ogni capo di due mesi traeva otto, e con loro deliberava le faccende -del comune; e fece camarlinghi dell’entrata del comune, e cominciò a -fare giustizia, e levare i popolani del seguito de’ grandi, e molto -perseguitava i malfattori: sicchè alcuno sentimento di franchigia -cominciò a gustare quel popolo, la quale poi crebbe a maggiori cose, -come innanzi al suo tempo racconteremo. - - -CAP. LXXIX. - -_Come furono sconfitti in mare i Genovesi alla Loiera._ - -Essendo venuto il tempo che la furiosa superbia de’ Genovesi per far -guerra a’ Veneziani e Catalani avea da catuna parte apparecchiate in -mare le loro forze, del mese d’agosto del detto anno i Genovesi si -trovarono con sessanta galee armate, avendo per loro ammiraglio messer -Antonio Grimaldi, nella quale erano tratti di tutte le famiglie la -metà de’ più chiari e nobili cittadini di Genova e della Riviera, il -quale ammiraglio si trasse con l’armata a Portoveneri, per non lasciare -mettere scambio a’ cittadini che ’l procacciavano, dicendo, che col -loro aiuto e consiglio sperava d’avere la vittoria de’ loro nimici, -e aspettava lingua di loro sollecitamente. I Catalani aveano armate -trenta galee tra sottili e grosse e uscieri, e venti galee alle spese -de’ Veneziani, con cinquanta galee e tre grandi cocche incastellate, e -armate di quattrocento combattitori per cocca, avendo caricati cavalli -e cavalieri assai per porli in Sardegna, del detto mese d’agosto si -partirono di Catalogna, facendo con prospero tempo la via di Sardegna, -ove con l’armata de’ Veneziani si doveano raccozzare. E i Veneziani in -questi medesimi dì con venti galee armate di buona gente si dirizzarono -alla Sardegna. I Genovesi avuta lingua che catuna armata era in pelago, -avvisarono d’abboccarsi con l’una armata innanzi che insieme si -congiugnessono. E perocchè le sessanta loro galee non erano pienamente -armate, lasciarono otto corpi delle sessanta, e delle ciurme e de’ -soprassaglienti fornirono ottimamente le cinquantadue, e con quelle -senza arresto, atandosi con le vele e co’ remi, con grande baldanza -si dirizzarono alla Sardegna. Ed essendo giunti presso alla Loiera, -ebbono lingua che l’armate de’ loro nimici s’erano raccozzate insieme; -e passato ch’ebbono una punta scopersono l’armata de’ Veneziani e de’ -Catalani, i quali s’erano ristretti insieme, e le sottili galee aveano -nascose dietro alle grosse per mostrarsi meno che non erano a’ loro -nimici, e ancora s’incatenarono e stavano ferme senza farsi incontro -a’ Genovesi, mostrando avvisatamente paura, acciocchè traessono a loro -la baldanza de’ Genovesi con loro vantaggio. I Genovesi non ostante -ch’avessono perduta la speranza di non aver trovate l’armate partite, e -ingannati dalla vista, che pareva loro che le galee de’ loro avversari -fossono meno che non erano, e poco più che le loro, baldanzosi della -fresca vittoria avuta sopra i detti loro nimici in Romania, si misono -ad andare contro a loro vigorosamente. E valicata certa punta di mare, -si trovarono sopra la Loiera sì presso a’ loro nimici, ch’elli scorsono -ch’elli erano troppo più ch’elli non estimavano, e vidongli acconci -e ordinati alla battaglia, e che presso di loro aveano le tre cocche -incastellate e armate di molta gente da combattere; per la qual cosa -l’animo si cambiò a’ Genovesi, e la furia prese freno di temperanza, -e vorrebbono non essere sì presso a’ loro nimici, e tra loro ebbono -ripitio di non savia condotta: tuttavia presono cuore e franchezza -di mettersi alla battaglia, sentendosi l’aiuto del vento in poppa, e -alquanto contrario a’ loro avversari, conoscendo che l’aiuto delle -cocche non poteano avere durando quel vento, tuttavia più per temenza -che per franchezza legarono e incatenarono la loro armata, lasciando -d’ogni banda quattro galee sottili, libere d’assalire e da sovvenire -all’altre secondo il bisogno. I Veneziani e’ Catalani avendo a petto i -loro nimici, trassono della loro armata sedici galee sottili, e misonne -otto libere da catuna parte della loro armata, la quale aveano ordinata -e incatenata per essere più interi alla battaglia, ricordandosi che -l’essersi sparti in Romania gli avea fatti sconfiggere; e così ordinati -l’una gente e l’altra con lento passo si veniano appressando, e le -libere galee cominciarono l’assalto molto lentamente, che catuno stava -a riguardo per attendere suo vantaggio; e nonostante che i Veneziani -e’ Catalani fossono molti più che i Genovesi, tanto gli ridottavano, -che non s’ardivano ad afferrare con loro: è vero che il vento alquanto -gli noiava, più per non potere avere l’aiuto delle loro cocche, che per -altro, e però soprastavano. Dall’altra parte i Genovesi già impediti -per lo soperchio de’ loro nimici non s’ardivano a strignersi alla -battaglia, e così consumarono il giorno dalla mezza terza alla mezza -nona, con lieve badalucco delle loro libere galee. I Genovesi vedendo -che i loro nimici più potenti non li ardivano ad assalire, presono -più baldanza, e metteronsi in ordine d’andarli ad assalire con più -aspra battaglia. Ma colui che è rettore degli eserciti, avendo per -lungo tempo sostenuta la sfrenata ambizione de’ Genovesi, per lieve -spiramento di piccolo vento abbattè la loro superbia; che stando catuna -parte alla lieve battaglia si levò un vento di verso scilocco, il quale -empiè le vele delle tre cocche. I Catalani animosi contro a’ Genovesi, -vedendosi atare dal vento, apparecchiate loro lance, e dardi e pietre, -con ismisurato romore, levate l’ancore del mare, con tutte e tre le -cocche si dirizzarono contro all’armata de’ Genovesi, e con l’impeto -del corpo delle cocche sì fedirono nelle galee de’ Genovesi, e nella -prima percossa ne misono tre in fondo, e seguendo innanzi, alcuna -altra ne ruppono: e di sopra gittavano con tanta rabbia pietre lance e -dardi sopra i loro nimici, che parea come la sformata grandine pinta -da spodestata fortuna d’impetuosi venti, e molti Genovesi n’uccisono -in quel subito assalto, e annegaronne assai, e più ne fedirono e -magagnarono. L’armata de’ Veneziani e Catalani vedendosi fatta la via -a’ loro navilii, con più ardire si misono innanzi strignendosi alla -battaglia. I Genovesi, uomini virtuosi e di grande cuore, sostennono -francamente il grave assalto delle cocche, atandosi con l’arme e con le -balestra, magagnando molti de’ loro nemici, e alle galee rispondeano -con sì ardita e folta battaglia, che per vantaggio ch’e’ loro nimici -avessono non poteano sperare vittoria. Ma l’ammiraglio de’ Genovesi -invilito nell’animo suo di questo primo assalto, fece vista di -volere ricoverare la vittoria per maestria di guerra; e sollevata la -battaglia, in fretta fece sciogliere undici galee della sua armata, -e con quelle aggiunse l’otto sottili ch’erano libere dalle latora -dell’armata, e diede voce di volere volgere e girare dalle reni de’ -nimici: e per questa novità i Veneziani e’ Catalani ebbono paura, e -sollevarono la battaglia, e stettono in riguardo, per vedere quello -che le dette galee volessono fare. Ma l’ammiraglio abbandonata la -battaglia, e lasciate l’altre galee insieme alla fronte de’ nimici, -fece la via di Genova senza tornare all’oste, e già si cominciava a -tardare il giorno. Vedendo i Veneziani e’ Catalani che l’ammiraglio -de’ Genovesi non avea girato sopra loro, ma era al disteso fuggito -con diciannove galee, con certezza di loro vittoria vennono sopra i -Genovesi; i quali vedendosi abbandonati dal loro ammiraglio, senza -resistenza chi non potè fuggire si renderono prigioni. Così i Veneziani -e’ Catalani senza spandimento di loro sangue ebbono de’ Genovesi piena -vittoria: ed ebbono trenta corpi di galee e più di tremilacinquecento -prigioni, fra i quali furono molti nominati grandi e buoni cittadini -di Genova. E morti ne furono e annegati con le ciurme più di duemila. -La detta sventurata battaglia per i Genovesi fu il dì di san Giovanni -dicollato, a dì 29 d’agosto del detto anno. - - -CAP. LXXX. - -_Come i Catalani perderono loro terre in Sardegna._ - -Con piccolo travalicamento di tempo sosterremo alquanto l’altre cose, -raccogliendo i fatti che nell’isola di Sardegna avvennono dopo la detta -vittoria. I Catalani e’ Veneziani con la loro armata, e con le tre -cocche, e con le galee prese de’ Genovesi e co’ prigioni arrivarono in -Sardegna, e nella loro giunta avendo messo in terra i loro cavalieri, -e gli altri soprassaglienti, e molti delle ciurme, il castello della -Loiera, e ’l castello Lione, e il castello Genovese, e Sasseri e più -altre terre che teneano i Genovesi s’arrenderono a’ Catalani. Avendo -senza fatica fatto l’acquisto delle dette castella, aggiunte alla -loro vittoria, pensarono d’acquistare tutto il rimanente dell’isola -che si possedea per lo giudice d’Alborea, e con più baldanzosa che -provveduta volontà, o buon ordine, se n’andarono verso Arestano, non -pensando trovarvi resistenza. Ma il giudice con molta gente d’arme e -con molti Sardi, i quali aveva accolti per difendere le sue terre, -venne loro incontro del mese di settembre, e abboccatosi con loro, -vennono alla battaglia, e furono sconfitti i Catalani; de’ quali tra -nella battaglia e nella fuga rimasono morti più di millecinquecento -Catalani. E per questa sconfitta, e per la mala guardia che delle terre -nuovamente acquistate faceano, e per l’aspra signoria ch’usavano a’ -paesani tutte si rubellarono, e ancora l’altre che prima vi teneano, -sicchè tutto perderono, fuori che castello di Castro detto Caglieri: -e volendole racquistare per forza, feciono maggiore oste, e un’altra -volta s’abboccarono co’ Sardi e col giudice d’Alborea; e dopo lunga -battaglia, i Catalani ritennono il campo e i Sardi l’abbandonarono, con -pochi più morti di loro che de’ loro nimici. Onde i Catalani ebbono -poco lieta vittoria, lasciando morti in questa seconda battaglia -cinquecento combattitori, benchè più ne fossono morti de’ Sardi, e -però non racquistarono alcuna terra: e dopo lunga dimora, del mese di -novembre, avendo perduti assai de’ loro prigioni genovesi ch’erano -accomandati nella Loiera, si partirono dell’isola, andandosene i -Catalani in Catalogna, e i Veneziani a Vinegia a salvamento, vinti i -Genovesi loro nimici, e abbassata con piena vittoria la loro superbia. - - -CAP. LXXXI. - -_Come il prefetto venne a oste a Todi._ - -In questo tempo, la Chiesa di Roma per racquistare il Patrimonio -occupato dal prefetto da Vico avea tenuto gente d’arme a Montefiascone -guerreggiando il prefetto; e in questa guerra fra Moriale di Provenza, -grande guerriere e nomato soldato, con sue masnade avea servito la -Chiesa lungamente, senza potere avere l’intero pagamento de’ suoi -soldi, e però s’accostò col prefetto, e andò dalla sua parte con -quattrocento cavalieri. E vedendosi il prefetto sicuro dalla forza -della Chiesa, avendo in sua compagnia i Chiaravallesi usciti di Todi, -con fra Moriale e con altre sue genti d’arme di subito e improvviso se -ne venne a Todi, e con lui i Chiaravallesi, i quali si sentivano tanti -parenti e amici nella città, che si credeano, come fossono con forte -braccio ivi presso, che li vi rimetterebbono dentro o per ingegno o -per forza: ma trovaronsi ingannati, perocchè i cittadini temendo della -tirannia del prefetto e de’ loro cittadini si misono alla difesa, e il -prefetto e i Chiaravallesi ad assedio. Ma avendo i Todini aiuto da’ -Perugini e dal comune di Firenze, che catuno vi mandò gente d’arme, il -prefetto perdè la speranza d’entrare nella terra; e statovi a campo di -settembre e d’ottobre, e dato il guasto intorno alla città, si partì -dall’assedio con suo poco onore. - - -CAP. LXXXII. - -_Come fu presa e lasciata Vicorata._ - -Di questo mese di settembre del detto anno, il conte Guido da -Battifolle avendo accolta gente de’ suoi fedeli e del conte Ruberto, -sentendo che Andrea di Filippozzo de’ Bardi signore del contado del -Pozzo e di Vicorata era in bando del comune di Firenze per malificio, -tenendosi gravato da lui, improvviso di mezza notte venne a Vicorata, -e con alcuno trattato il dì seguente entrò in Vicorata, ed ebbe tutto -il procinto, e rinchiuso Andrea e alcuni de’ fratelli nella torre, alla -quale accostato il conte suoi dificii la faceva tagliare. Il comune -di Firenze sentendo i suoi cittadini a quello pericolo, non ostante -che fossono in bando, di presente mandarono comandando al conte Guido -che lasciasse quell’impresa. Il quale udito il comandamento de’ priori -di Firenze, essendo egli medesimo anco in bando del detto comune per -simile modo, di presente fu ubbidiente, e non lasciando alcuna cosa -torre o rubare se ne partì, e tornossi nel suo contado. La clemenza -del nostro comune poco appresso fece l’una parte e l’altra venire a -Firenze, e fatto fare pace tra loro, catuno per grazia trasse di bando. - - -CAP. LXXXIII. - -_Come il conte di Caserta si rubellò dal re Luigi._ - -Il re Luigi di Gerusalemme e di Sicilia, in questo anno, il dì della -Pentecoste, avea fatta solenne festa co’ suoi baroni per l’annuale -rinnovellamento di sua coronazione. E in quella festa ordinò cosa -nuova e disusata alla corona, ch’egli elesse sessanta tra baroni e -cavalieri, i quali giurarono fede e compagnia insieme col detto re, -sotto certo ordine di loro vita, e di loro usaggi e vestimenti: e fatto -il giuramento, si vestirono d’una cottardita e d’un’assisa e d’un -colore tutti quanti, portando nel petto un nodo di Salomone, e chi ebbe -l’animo vano più magnificò la cottardita e il nodo d’oro e d’argento, e -di pietre preziose di grande costo e di grande apparenza; e fu chiamata -la compagnia del nodo. Il Prenze di Taranto fratello del re non v’era, -ma sopravvenne, e il re gli aveva fatta fare la cottardita reale, con -un nodo di perle grosse di gran valuta, e mandogliele all’ostello: il -Prenze non la volle vestire, dicendo che ’l nodo del fraternale amore -portava nel cuore, e donolla a suo cavaliere, la qual cosa il re non -ebbe a grado. In questo tempo il duca d’Atene avea messo grande odio -tra il Prenze di Taranto e ’l conte di Caserta, figliuolo che fu di -messer Dego della Ratta Catalano conte camarlingo: e per questo amando -il re il detto conte, e avendolo trovato leale e fedele, a instigamento -del Prenze convenne che il re contra sua voglia il sbandeggiasse. Il -conte si ridusse a Caserta, e tenea il Sesto e Tuliverno, e il Prenze -col duca d’Atene gli andò addosso con cento cavalieri, e in persona -vi venne il re con trecento e con assai popolo, volendo compiacere -al fratello. E un dì stando il re nel castello di Matalona sopra lo -sporto che chiamavano Gheffo, la sua gente presono un Unghero soldato -del detto conte, e con tanta maraviglia il condussono al re, ch’ogni -gente gli traeva dietro come s’elli avessono preso il re degli Unni; -e per questa pazzia caricarono sì sconciamente il Gheffo, che gran -parte n’andò a terra, ove morirono diciassette uomini, e molti se ne -magagnarono. Il re ch’era un poco da parte apprendendosi col Prenze, -come a Dio piacque, si ritenne in quello rimanente che del Gheffo non -cadde; messer Filippo di Taranto traboccò sopra i caduti e non ebbe -male. L’oste stette sopra il conte più tempo senza avere onore di cosa -che vi si facesse, e straccata se ne partì. Il conte con sue masnade -partita l’oste cominciò a cavalcare per Terra di Lavoro, e rubare le -strade e rompere i cammini, e conturbò tutto il paese, cavalcando -alcuna volta con trecento cavalieri infino presso a Napoli senza trovar -contasto: e vendicata sua onta, si ritenne alle terre sue senza fare -più danno o guerra. - - -CAP. LXXXIV. - -_Come il cardinale legato venne a Firenze._ - -La Chiesa di Roma veggendo che ’l prefetto da Vico tirannescamente -cresciuto aveva occupato il Patrimonio, e che novellamente avea -acquistato la città d’Orvieto, il papa con deliberazione de’ cardinali -mandò legato in Toscana messer Gilio di Spagna cardinale, il quale -era stato al secolo pro’ e valente cavaliere e ammaestrato in guerra, -acciocchè con l’aiuto degl’Italiani racquistasse le terre di santa -Chiesa occupate nel Patrimonio. E datagli grande legazione il mandò -per terra in Lombardia, ove dall’arcivescovo di Milano fu ricevuto a -grande onore, facendogli fare per tutto suo distretto le spese con -largo apparecchiamento; ma in Bologna non volle ch’egli entrasse, e -però tenne la via da Pisa, e a dì 2 d’ottobre del detto anno giunse in -Firenze, ove fu ricevuto con grande onore, e con solenne processione e -festa, con un ricco palio di seta e d’oro sopra capo portato da nobili -popolani, e addestrato al freno e alla sella da gentili cavalieri di -Firenze, sonando tutte le campane delle chiese e del comune a Dio -laudiamo; e condotto per la città fu albergato in casa gli Alberti, -ove fece suo dimoro: e presentato dal comune confetti, e cera e biada -abbondantemente, e tre pezze di fini panni scarlatti di grana, e -datogli centocinquanta cavalieri in aiuto alla sua guerra, a dì 11 -d’ottobre si partì, e andò a suo viaggio. E in questi dì Cetona si -rubellò al prefetto, e presela il conte di Sarteano con aiuto ch’ebbe -da’ Fiorentini, e poi la rassegnò al legato. - - -CAP. LXXXV. - -_Rinnovazione del palio di santa Reparata._ - -In questi dì vacando in pace i Fiorentini, i priori vollono chiarire -perchè la chiesa cattedrale di Firenze era dinominata santa Reparata, -e perchè per antico costume in cotal dì s’è corso il palio in Firenze; -e trovossi per alcune scritture, come Radagasio re de’ Goti, e Svezi e -Vandali, avendo assalito l’imperio di Roma, e guaste in Italia molte -città e consumati gli abitanti, s’era messo ad assedio alla città -di Firenze con dugentomila cavalieri, essendo vescovo di Firenze il -venerabile san Zenobio della casa de’ Girolami nostro cittadino, il -quale avea seco due santi cappellani; e stando all’assedio, come a -Dio piacque, Onorio imperadore di Grecia in Italia venne al soccorso -dell’imperio di Roma, e in sua compagnia non avea oltre a tremila -cavalieri; e venendo incontro a’ nimici, tanta paura gli occupò, che -raccogliendosi dall’assedio, senza provvisione si misono ad entrare -tra le circustanti montagne, passando tra Fiesole e Monterinaldi, e -rattennonsi nella valle di Mugnone. Credesi, avvegnachè Onorio fosse -fedele cristiano, che Iddio facesse questo per le preghiere di san -Zenobio e de’ suoi santi cappellani. I barbari essendo rinchiusi -da aspre montagne, senza acqua e senza vittuaglia, dalla gente -dell’imperadore e da’ fiorentini paesani che sapeano i passi furono -ristretti per modo che uscire non ne poteano. Il loro re furandosi dal -suo esercito fu in Mugello preso e morto: e morendo i barbari di fame -e di sete, sentendo morto il loro re, gittate l’armi s’arrenderono, -e per fame e per ferro infine tutti perirono; e questo avvenne il -dì della festa della vergine benedetta santa Reparata, per la cui -reverenza s’ordinò e fece nuova chiesa cattedrale alla nostra città -intitolata del suo nome. E perocchè i nostri antichi non erano in -troppa magnificenza in que’ tempi, ordinarono che in cotal dì si -corresse un palio di braccia otto d’uno cardinalesco di lieve costo a -piede tenendosi al duomo, e movendosi i corridori di fuori della porta -di san Piero Gattolino: e per la rinnovazione di questa memoria il -comune l’ordinò di braccia dodici di scarlatto fine, e che si corresse -a cavallo. - - -CAP. LXXXVI. - -_Come i Genovesi si misono in servaggio dell’arcivescovo._ - -Nuova e mirabile cosa seguita a raccontare, in considerazione del gran -cambiamento che fortuna fa degli stati del mondo. La nobile città di -Genova, e i suoi grandi e potenti cittadini, signori delle nostre -marine, e di quelle di Romania, e del Mare maggiore, uomini sopra gli -altri destri e sperti, e di gran cuore e ardire nelle battaglie del -mare, e per molti tempi pieni di molte vittorie, e signori al continovo -di molto navilio, usati sempre di recare alla loro città innumerabili -prede delle loro rapine, temuti e ridottati da tutte le nazioni -ch’abitavano le ripe del Mar tirreno e degli altri mari che rispondono -in quello, ed essendo liberi sopra gli altri popoli e comuni d’Italia, -per la sconfitta nuovamente ricevuta in Sardegna da’ Veneziani e -Catalani, con non disordinato danno, vennono in tanta discordia e -confusione tra loro nella città, e in tanta misera paura, che rotti -e inviliti come paurose femmine, il loro superbo ardire mutarono in -vilissima codardia, non parendo loro potere atarsi: eziandio avendo -il comune di Firenze mandato là suoi ambasciadori a confortarli, e a -profferere loro con grande affezione il suo aiuto, e consiglio e favore -largamente a mantenere e ricoverare loro franchigia e buono stato, -tanto erano con gli animi dissoluti per quella sconfitta e per loro -discordie, che non seppono conoscere rimedio al loro scampo, se non di -sottomettersi al servaggio del potente tiranno arcivescovo di Milano; -e di comune concordia il feciono loro signore, dandogli liberamente -la città di Genova e di Savona, e tutta la Riviera di levante e di -ponente, e l’altre terre del loro contado e distretto, salvo Monaco -e Metone e Roccabruna, le quali tenea messer Carlo Grimaldi, che non -le volle dare. E a dì 10 d’ottobre 1353, il conte Pallavicino vicario -dell’arcivescovo con settecento cavalieri e con millecinquecento -masnadieri entrò in Genova, ricevuto come loro signore; e disposto il -doge, e ’l consiglio, e tutti gli altri reggimenti del comune, prese la -signoria e il governamento delle dette città e de’ loro distretti, e -aperte le strade di Lombardia con sollecitudine, procacciò abbondanza -di vittuaglia a’ suoi servi, e prestanza al comune per armare alquante -galee in corso, ebbe fornito il prezzo di cotanto acquisto. - - -CAP. LXXXVII. - -_Come i Pisani feciono confinati._ - -I Pisani vedendosi il tirannesco fuoco a’ loro confini, temettono de’ -loro cittadini animosi di parte ghibellina, che per invidia de’ loro -reggenti avrebbono voluto la signoria dell’arcivescovo di Milano. E -temendo per questo i Gambacorti e i loro seguaci perdere lo stato, -di presente votarono la città d’ogni sospetto, mandando a’ confini -de’ loro cittadini, e prendendo buona guardia dentro e di fuori, -intendendosi co’ Fiorentini amichevolmente per la comune franchigia. In -questi medesimi dì, avendo il tiranno preso sdegno contro a’ Fiorentini -per gli ambasciadori ch’aveano mandati a confortare i Genovesi della -loro franchigia, mosse loro lite dicendo, ch’aveano rotta la pace, -perocchè non avevano disfatto Montegemmoli nell’alpe, avendo egli -voluto assegnare la Sambuca e ’l Sambucone, come diceano i patti della -pace, a Lotto Gambacorti come amico comune, non ostante che per lui non -fosse voluto ricevere, parendogli avere osservato dalla sua parte: per -la qual cosa s’accozzarono ambasciadori di catuna parte a Serezzana, -e mostrato fu per ragione che per quella offerta e’ non era scusato, -nè aveva adempiute le convenenze, e però i Fiorentini non erano in -colpa. La cagione che acquetò l’arcivescovo fu, che non gli parve tempo -utile a muovere guerra a’ Fiorentini, e però s’acquetò, e consentì -alla loro ragione. Poco tempo appresso nel detto verno l’arcivescovo -mise cinquecento uomini al lavorio, e fece tutto il cammino per terra -da Nizza a Genova, ch’era scropuloso e pieno di molti stretti e mali -passi, appianare e allargare, tagliando le pietre per forza di picconi, -e facendo fare molti ponti ov’erano i mali valichi, sicchè gli uomini a -cavallo due insieme, e le some per tutto il cammino potessono andare, -cosa assai utile e notevole se fatto fosse a fine di bene; ma che che -l’arcivescovo e’ suoi s’avessono nell’animo, a’ Provenzali n’entrò -grande gelosia, e stettonne a Nizza e nell’altre terre in lunga -guardia, e poco lasciavano usare quello cammino, temendo della potenza -del tiranno. - - -CAP. LXXXVIII. - -_Come i Sanesi ruppono i patti a Montepulciano._ - -Potendosi catuno dolere con ragione in se della corrotta fede odiosa a’ -popoli, mercatanzia de’ tiranni, cagione nascosa di gravi pericoli, ci -muove a dire con vergogna, come reggendosi il comune di Siena sotto il -governamento occupato dall’ordine de’ nove, ruppono la fede promessa -a’ signori di Montepulciano, essendone stati mezzani i Fiorentini -e’ Perugini, e mallevadori alla richiesta di quello comune. E per -giustificarsi della corrotta fede, aggiunsono una corrotta dannazione, -mettendo il detto messer Niccola senza colpa in bando per traditore, -acciocchè non paressono tenuti a dargli fiorini seimila d’oro che -promessi gli aveano, quando diede loro la signoria di Montepulciano. -Della qual cosa turbato il comune di Firenze e quello di Perugia, -mandarono loro ambasciadori a Siena per far loro con preghiere -addirizzare questo torto; e avuto sopra ciò più volte udienza, e menati -lungamente per parole da’ signori, e straziati da’ loro consigli, -insieme mostrando coll’opere la corruzione conceputa contro a’ detti -comuni per lo detto ordine de’ nove. Agli ambasciadori di catuno comune -fu fatta vergogna, e gittato loro addosso cavalcando per la città -vituperoso fastidio, e udendosi dire dietro villane parole: a quelli -di Perugia furono gittati de’ sassi, e minacciati di peggio: e così -senza altro comiato, con accrescimento d’onta e di disonore, catuni -ambasciadori tornarono a’ loro comuni; i quali conoscendo doppiamente -essere offesi, per lo migliore dissimularono il fatto, comportando con -senno la loro ingiuria. E questo avvenne del mese di febbraio del detto -anno. - - -CAP. LXXXIX. - -_Come si cominciò la gran compagnia nella Marca._ - -Il friere di san Giovanni fra Moriale, vedendo che il prefetto da Vico, -con cui era stato all’assedio di Todi, nol potea sostenere a soldo, -avendo l’animo grande alla preda, si propose d’accogliere gente d’arme -d’ogni parte d’Italia, e fare una compagnia di pedoni con la quale -potesse cavalcare e predare ogni paese e ogni uomo. E qui cominciò il -maladetto principio delle compagnie, che poi per lungo tempo turbarono -Italia, e la Provenza, e il reame di Francia e molti altri paesi, come -leggendo per li tempi si potrà trovare. Questo fra Moriale incontanente -co’ suoi messaggi e lettere mosse in Italia gran parte de’ soldati -ch’erano in Toscana, e in Romagna e nella Marca senza soldo, a cavallo -e a piè, dicendo, che chi venisse a lui sarebbe provveduto delle spese -e di buono soldo; e per questo ingegno in breve tempo accolse a se -millecinquecento barbute e più di duemila masnadieri, uomini vaghi -d’avere loro vita alle spese altrui. E avendo messer Malatesta da -Rimini assediata per lungo tempo la città di Fermo e condotta agli -ultimi estremi, ed essendo per averla in breve tempo, fra Moriale, -ricordandosi del servigio che da lui avea ricevuto quando l’assediò -nel castello d’Aversa, avendo movimento da Gentile da Mogliano che -tiranneggiava Fermo, e dal capitano di Forlì ch’era nimico di messer -Malatesta, fidandosi alle loro promesse e a’ loro stadichi, del mese -di novembre con la sua compagnia entrò nella Marca, e costrinse messer -Malatesta a levarsi da oste da Fermo, e liberò la città dall’assedio, e -rimasesi nel paese. E per lo nome sparto di questo primo cominciamento -la compagnia crebbe e fece grandi cose in questo verno, e poi maggiori, -come al suo tempo racconteremo, tornando prima all’altre cose che -domandono la nostra penna. - - -CAP. XC. - -_Dice de’ leoni nati in Firenze._ - -E’ non pare cosa degna di memoria a raccontare la natività de’ leoni, -ma due cagioni ci stringono a non tacere: l’una si è, perchè antichi -autori raccontano che in Italia non nascono leoni, l’altra, che -dicono che i leoni nascono del ventre della madre morti, e che poi -sono vivificati dal muggio della madre e del leone fatto sopra loro: -e noi avemo da coloro che più volte gli vidono nascere, che il loro -nascimento è come degli altri catelli che nascono vivi: all’altra parte -è risposto per lo loro nascimento, più e diverse volte avvenuto nella -nostra città, e in questo anno, del mese di novembre, ne nacquero in -Firenze tre, de’ quali l’uno si donò al duca di Osteric, che per grazia -il domandò al nostro comune; e il leone padre vedendosi tolto l’uno de’ -suoi leoncini se ne diè tanto dolore, che quattro dì stette che non -volle mangiare, e temettesi che non morisse. E perch’elli stavano in -luogo stretto ove si batte la moneta del comune, ne furono tratti, e -dato loro larghezza di case, e di cortili, e di condotti nelle case che -il duca d’Atene avea fatte disfare per incastellarsi, che furono de’ -Manieri, dietro al palagio del capitano e dell’esecutore in su la via -da casa i Magalotti, ove stanno al largo, e bene. - - -CAP. XCI. - -_Come i Romani si dierono alla Chiesa di Roma._ - -Il popolo romano non sappiendosi reggere per li suoi tribuni e per li -rettori, sentendo il cardinale di Spagna a Montefiascone legato del -papa, valoroso signore nell’arme e di grande autorità, trattò con lui -d’accomandarsi alla Chiesa di Roma sotto singolare condizione e patto. -E ricevuto in protezione del legato con quello lieve legame, con lui -si convenne, e con furia lo mosse a far guerra e danneggiare di guasto -i Viterbesi; della qual cosa, cresciuta la forza e ’l numero de’ -cavalieri al legato, seguirono poi maggiori cose, come seguendo nostra -materia racconteremo. - - -CAP. XCII. - -_Le novità seguite in Pistoia._ - -Essendo ordine in Pistoia che balia per li fatti del comune non si -potesse dare a’ suoi cittadini, nato da sospetto delle loro sette, -trovandosi capitano della guardia per lo comune di Firenze messer -Gherardo de’ Bordoni il quale favoreggiava i Cancellieri e la loro -parte, era in que’ dì fatto un processo per l’inquisitore de’ paterini -contro a certi cittadini di Pistoia, di che tutto il comune si gravava; -e a riparare a questo, convenne che balìa si desse a certi cittadini. -L’industria de’ Cancellieri, coll’aiuto del capitano, fece tanto, che -la balìa fu data a certi uomini tutti della parte de’ Cancellieri, -i quali intesono ad abbattere in comune lo stato de’ Panciatichi, e -di presente aggiunsono al numero del consiglio del comune, che avea -quaranta uomini, della parte de’ Cancellieri; e intendendo di fare -più innanzi, i Panciatichi per paura, e per non essere criminati -dal capitano se ne vennono a Firenze: gli altri cittadini vedendosi -ingannati da quelli della balìa corsono all’arme, e abbarrarono le vie, -e catuno s’afforzava per combattere e per difendere. In questo tempo -de’ romori di Pistoia, messer Ricciardo Cancellieri fu notificato a -Firenze per lo Piovano de’ Cancellieri suo consorto, ch’egli volea fare -al comune certo tradimento. E chiamato in giudicio a Firenze l’uno -e l’altro, e dato balìa per lo comune al capitano della guardia di -Firenze di potere conoscere sopra la causa, furono messi in prigione, e -trovato che non era colpevole messer Ricciardo, fu liberato, e ritenuto -il Piovano, e mutato in Pistoia nuovo capitano. Il comune di Firenze -mandò in Pistoia ambasciadori, e con loro i Panciatichi, e racquetato -lo scandalo tra i cittadini, si riposarono in pace. - - -CAP. XCIII. - -_Come l’arcivescovo richiese di pace i Veneziani._ - -L’arcivescovo di Milano avendo sottomesso a sua signoria la città -di Genova e di Savona, e tutta la Riviera e il loro contado, i cui -abitanti erano nimici de’ Veneziani, mandò suoi ambasciadori al doge -e al comune di Vinegia, per li quali significò a quello comune come -i Genovesi erano suoi uomini, e le loro città e contado erano suo -distretto; e tenendosi amico de’ Veneziani, e sapendo che per addietro -i Genovesi erano stati loro nimici, intendea, quando al doge piacesse -e al comune di Vinegia, che per innanzi fossono fratelli e amici: e -intorno a ciò usarono belle e suadevoli ragioni. Il doge e il suo -consiglio presono tempo d’avere loro consiglio, e di rispondere la -mattina vegnente: e venuto il giorno, di gran concordia risposono la -mattina dicendo: che ’l comune di Vinegia si tenea gravato e offeso -dall’arcivescovo, il quale avea preso ad aiutare i Genovesi loro -capitali nemici, e però non intendeano di volere pace e concordia con -lui nè col comune di Genova, ma giusta loro podere tratterebbono lui e -i suoi sudditi come loro nemici. E conseguendo al fatto, incontanente -feciono accomiatare e bandeggiare di Vinegia, e di Trevigi, e di -tutte le loro terre e distretti tutti coloro che fossono sotto la -giurisdizione dell’arcivescovo di Milano; e simigliantemente fece nelle -sue terre l’arcivescovo de’ Veneziani: e così fu manifesta la guerra -tra loro, del mese di novembre del detto anno, per tutta la Lombardia e -Toscana. - - -CAP. XCIV. - -_Come i Veneziani ordinarono lega contro al Biscione._ - -Incontanente che agli altri signori lombardi fu palese la risposta -fatta pe’ Veneziani all’arcivescovo, il gran Cane di Verona, e’ signori -di Padova, e que’ di Mantova, e il marchese da Ferrara e i Veneziani, -feciono parlamento per loro solenni ambasciadori, ove si propose di -fare lega insieme, e taglia di gente d’arme contro all’arcivescovo di -Milano, il quale parea loro che fosse troppo montato; e non fidandosi -tutti insieme di potere resistere alla grande potenza dell’arcivescovo, -s’accordarono di fare passare a loro stanza l’imperadore in Italia. -E dopo più parlamenti sopra ciò fatti fermarono compagnia e lega -tra loro, e taglia di quattromila cavalieri, e fecionla piuvicare -in Lombardia, e con grande istanza per loro segreti ambasciadori -richiesono e pregarono il comune di Firenze che si dovesse collegare -con loro, prendendo ogni vantaggio che volesse: ma perocchè il detto -comune era in pace coll’arcivescovo, per alcuna preghiera o promessa di -vantaggio che fatta fosse, non potè essere recato che la pace volesse -contaminare. I collegati incontanente mandarono ambasciadori solenni -in Alamagna all’imperadore, per inducerlo a passare in Lombardia -contro all’arcivescovo di Milano, offerendogli tutta la loro forza, -e danari assai in aiuto alle sue spese, acciocchè meglio potesse -tenere la sua cavalleria; e per tutto fu divulgata la fama, che in -quest’anno l’imperadore passerebbe a istanza della detta lega. Queste -cose furono ferme e mosse del mese di dicembre del detto anno. E stando -gli allegati in aspetto, non si provvidono di fare la gente della -taglia infino al primo tempo, nè d’avere capitano; e però lasceremo al -presente questa materia, tanto che ritornerà il suo tempo, e diremo di -quelle che ci occorrono al presente a raccontare. - - -CAP. XCV. - -_Come il conestabile di Francia fu morto._ - -Era messer Carlo, figliuolo che fu di messer Alfonso di Spagna, -accresciuto dall’infanzia in compagnia del re Giovanni di Francia, ed -era divenuto cavaliere di gran cuore e ardire, e valoroso in fatti -d’arme, pieno di virtù e di cortesia, e adorno del corpo, e di belli -costumi, ed era fatto conestabile di Francia, ed il re gli mostrava -singolare amore, e innanzi agli altri baroni seguitava il consiglio -di costui; e chi volea mal parlare, criminavano il re di disordinato -amore in questo giovane: e del grande stato di costui nacque materia di -grande invidia, che gli portavano gli altri maggiori baroni. Avvenne -che il re Giovanni provvidde il re di Navarra suo congiunto d’una -contea in Guascogna, la quale essendo a’ confini delle terre del re -d’Inghilterra, era in guerra e in grave spesa per la guardia, più che -’l detto re non avrebbe voluto, e però la rinunziò, e il re poi la -diede al conestabile, ch’era franco barone e di gran cuore in fatti -d’arme. Il re di Navarra che già avea contro al conestabile conceputo -invidia, mostrò di scoprirla, prendendo sdegno perch’egli avea -accettata la sua contea, nonostante ch’egli l’avesse rinunciata. Ed -essendo genero del re di Francia, con più audace baldanza, in persona, -con altri baroni che simigliantemente invidiavano il suo grande stato, -una notte andarono a casa sua, e trovandolo dormire in sul letto suo -l’uccisono a ghiado; della qual cosa il re di Francia si turbò di cuore -con ismisurato dolore, e più di quattro dì stette senza lasciarsi -parlare. La cosa fu notabile e abominevole, e molto biasimata per tutto -il reame, e fu materia e cagione di gravi scandali che ne seguirono, -come seguendo ne’ suoi tempi si potrà trovare. E questo micidio fu -fatto in questo verno del detto anno 1353. - - -CAP. XCVI. - -_Come si cominciò la rocca in Sangimignano, e la via coperta a Prato._ - -In questo medesimo tempo, il comune di Firenze per volere vivere più -sicuro della terra di Sangimignano, e levare ogni cagione a’ terrazzani -suoi di male pensare, cominciò a far fare, e senza dimettere il lavorio -alle sue spese, e compiè una grande e nobile rocca e forte, la quale -pose sopra la pieve dov’era la chiesa de’ frati predicatori, e quella -chiesa fece maggiore e più bella redificare dall’altra parte della -terra più al basso. E in questo medesimo tempo nella terra di Prato -fece fare una larga via coperta, in due alie di grosso muro d’ogni -parte, con una volta sopra la detta via, e un corridoio sopra la detta -volta, largo e spazioso a difensione; la quale via muove dal castello -di Prato fatto anticamente per l’imperatore, e viene fino alla porta; -ove si fece crescere e incastellare la torre della porta a modo d’una -rocca; e in catuna parte tiene il comune continova guardia di suoi -castellani. - - -CAP. XCVII. - -_Del male stato dell’isola di Sicilia._ - -Assai ne pare cosa più da dolere che da raccontare, gli assalti, -gli aguati, i tradimenti, gl’incendi, le rapine, l’uccisioni senza -misericordia, che in questi tempi i Siciliani faceano tra loro per -invidia e setta parziale, le quali maladette cose tra gli uomini -d’una medesima patria ebbono tanta forza di male aoperare nell’isola, -ch’abbandonata la cultura de’ fertili campi, i quali sogliono pascere -gli strani popoli, de’ suoi trasse per fame più di diecimila famiglie -della detta isola, i quali per non morire d’inopia, si feciono -abitatori dell’altrui terre in Sardegna, e in Calabria, e nel Regno -di qua dal faro. E in questa tempesta, certi baroni dell’isola -contrari alla setta de’ Catalani, che governavano lo sventurato duca -che s’attendea a essere re, sentendolo egli e i suoi manifestamente, -trattavano di dare la maggiore parte delle buone terre dell’isola al -re Luigi suo avversario, e non ebbe per lungo tempo podere d’atarsene, -tanto che venne fatto, come nel principio del quarto libro seguendo si -potrà trovare. - - -CAP. XCVIII. - -_Come il legato del papa procedette col prefetto._ - -In questo verno, il cardinale di Spagna legato del papa avendo tentato -il prefetto lentamente con poco prosperevole guerra, cercò con più -riprese di trovare pace con lui, e fu la cosa tanto innanzi, che per -tutto scorse la fama che la pace era fatta. Ma il prefetto già tiranno -senza fede, vedendosi il destro, sotto la speranza della pace tolse al -legato due castella, e rotto il trattato, il cominciò a guerreggiare: -per la qual cosa il legato seguitò il processo fatto contro a lui, e -del mese di febbraio del detto anno pronunziò la sentenza, e per sue -lettere il fece scomunicare come eretico per tutta Italia; e fatto -questo, conoscendo che altra medecina bisognava a riducere costui alla -via diritta, che suono di campane o fummo di candele, saviamente, e -senza dimostrare sua intenzione innanzi al fatto, si venne provvedendo -d’avere al tempo gente d’arme, da potere fare l’esecuzione contro a -lui del suo processo. E in questo mezzo, avendo dugento cavalieri -del comune di Firenze e alquanti da se, fece sì continua guerra al -tiranno, che poco potea resistere o comparire fuori delle mura. E -avendo il prefetto preso sospetto de’ Viterbesi e degli Orvietani, che -si doleano perchè la pace non era venuta a perfezione, tirannescamente -volle tentare l’animo de’ cittadini di catuna città, e fare cosa da -tenerli in paura. E però segretamente accolse fanti di fuori a pochi -insieme, e miseli in catuna terra ne’ suoi palagi, e in un medesimo dì -fece a certa gente di cui e’ si confidò levare il romore contro a se -in catuna città, al quale romore alquanti cittadini in catuna terra -presono l’arme, e seguitavano il grido. Il tiranno con quattrocento -fanti ch’aveva armati e apparecchiati in Viterbo uscì fuori e corse la -terra, uccidendo cui egli volle, e condannò e cacciò a’ confini tutti -coloro di cui sospettava. E per simigliante modo fece correre la città -d’Orvieto al figliuolo, e uccidere e condannare e mandare a’ confini -cui egli volle. E così gli parve per male ingegno aver purgate quelle -due città d’ogni sospetto, e avere più ferma la sua signoria, la quale -per lo contradio, non avendo da se potenza nè aspettandola d’altrui, -per questa mala crudeltà ogni dì venne mancando, come l’opere appresso -dimostreranno manifestamente in fatto. - - -CAP. XCIX. - -_Come si rubellò Verona al Gran Cane per messer Frignano._ - -Chi potrebbe esplicare le seduzioni, gl’inganni e’ tradimenti che i -tiranni posponendo ogni carità, parentado e onore, pensano, ordinano, -e fanno per ambizione di signoria? Certo tanti sono i modi quanti i -loro pensieri, sicchè ogni penna ne verrebbe meno e stanca. Tuttavia -per quello ch’ora ci occorre, cosa strana e notevole, ci sforzeremo a -dimostrare l’avviluppata verità di diversi tradimenti e suoi effetti. -Narrato avemo poco dinanzi come la lega de’ Veneziani con gli altri -signori Lombardi era giurata e ferma contro al signore di Milano, ed -essendo il signore di Mantova de’ più avvisati tiranni di Lombardia -vicino dell’arcivescovo di Milano, l’arcivescovo con industriose -suasioni e con grandi promesse il mosse a farlo trattare di tradire -messer Gran Cane signore di Verona e di Vicenza con cui egli era -in lega, ed egli per accattare la benivolenza dell’arcivescovo, -dimenticato il beneficio ricevuto da quelli della Scala, che l’aveano -fatto signore di Mantova, diede opera al fatto, e non senza speranza -d’aoperare per se, se la fortuna conducesse la cosa ov’era la sua -immaginazione. E però conoscendo egli messer Frignano figliuolo -bastardo di messer Mastino, uomo pro’, e ardito d’arme, e di grande -animo, accetto nel cospetto del fratello suo signore, e amato dal -popolo di Verona e di Vicenza, vago di signoria, trattò con lui di -farlo signore di Verona con suo consiglio, e colla sua forza e del -signore di Milano. Questo sterpone tornando alla sua natura, senza fede -o fraternale carità, di presente intese al tradimento del fratello, e -col signore di Mantova ordinarono il modo ch’egli avesse a tenere, e -l’aiuto della gente ch’egli avrebbe da lui. In questo tempo avvenne -che ’l Gran Cane andò a parlamentare col marchese di Brandimborgo suo -suocero per li fatti della lega, e il fratello bastardo era cognato del -signore di Castelborgo, ch’era a’ confini del cammino ove il Gran Cane -dovea passare; costui avvisato da messer Frignano mise un aguato per -uccidere il Gran Cane, ma scoperto l’aguato, passò senza impedimento. -Come messer Frignano avea ordinato, a Verona tornarono novelle come il -Gran Cane era stato morto; ma innanzi che la novella venisse, messer -Frignano avea mandati fuori di Verona tutti i cavalieri soldati, salvo -coloro di cui s’era fidato, e che con lui s’intesero al tradimento. -Pubblicata la novella in Verona come il Gran Cane loro signore era -stato morto, il traditore con gran pianto fece incontanente, a dì 17 di -febbraio del detto anno, raunare il popolo, e a uno giudice, cui egli -avea informato, fece proporre in parlamento come il loro signore era -morto, e che ’l comune di Verona rimanea in gran pericolo senza capo, -avendo a vicino così possente signore com’era l’arcivescovo di Milano; -e aggiunse, che a lui parea che messer Frignano prendesse il loro -governamento. Il traditore ch’era presente, senza attendere ch’altri si -levasse a parlamentare, o ch’altra deliberazione si facesse, si levò -suso, e disse, che così prendeva e accettava la signoria. E montato a -cavallo, colle masnade che v’erano corse la terra, gridando, muoiano -le gabelle; e fece ardere i libri e gli atti della corte, e ruppono le -prigioni. E di subito il signore di Mantova vi mandò messer Feltrino, -e messer Federigo, e messer Guglielmo suoi figliuoli, e messer Ugolino -da Gonzaga tutti de’ signori di Mantova con trecento cavalieri. Il -signore di Ferrara ingannato del tradimento vi mandò messer Dondaccio -con dugento cavalieri; ma innanzi che tutti v’entrassono, il capitano -colla maggior parte di loro per contramandato si tornarono indietro -scoperto l’inganno. Messer Frignano ricevuta questa gente d’arme, e -accolti certi cittadini che ’l seguirono, da capo corse la terra: i -cittadini non si mossono, ed egli s’entrò nel palagio dell’abitazione -del signore. Messer Azzo da Coreggio ch’era in Verona se n’uscì non con -buona fama. Le guardie furono poste alle porte, e la terra s’acquetò, e -messer Frignano ne fu signore; la quale signoria il signore di Mantova -per ingegno, e quello di Milano per ingegno e forza si credette catuno -avere, come seguendo appresso diviseremo. - - -CAP. C. - -_Come messer Bernabò con duemila barbute si credette entrare in Verona._ - -Il signore di Mantova avendo in Verona quattro tra figliuoli e -congiunti con trecento cavalieri, procacciava di mettervene anche per -esservi più forte che messer Frignano, a intenzione di tradire lui, -e di recare a se la signoria, ma non gli potè venire fatto, perocchè -sentì che l’arcivescovo di Milano, che vegghiava a questo effetto, -mandava messer Bernabò cognato del Gran Cane a Verona con duemila -cavalieri, temette di se, e non ebbe ardire di sfornire Mantova di -cavalieri; e così per la non pensata perdè quello che avea lungamente -provveduto. La novella del gran soccorso che venia da Milano, e -dell’apparecchiamento di quello di Mantova sentito a Verona, generò -sospetto a messer Frignano e a’ cittadini della città, e però presono -l’arme, e rafforzarono le guardie, e stettono in più guardia; onde i -signori che v’erano di Mantova non vidono modo di fornire loro corrotta -intenzione, e però si stettono, mostrandosi fedeli a messer Frignano e -alla guardia della città. In questo stante messer Bernabò con duemila -barbute e gran popolo giunse a Verona, mostrando di volere ricoverare -la signoria di Verona al cognato, credendo con questo trarre a se -l’animo de’ cittadini, e credendo che quelli ch’aveano mossa questa -novità a stanza dell’arcivescovo l’atassono entrare nella terra, e -però si strinse infino alle porte, e domandava l’entrata, la quale gli -fu negata; e non vedendo che dentro alcuno gli rispondesse, cominciò -a combatterla; ma vedendo il suo assalto tornare invano, e sentendo -la tornata di messer Gran Cane d’Alamagna, si partì del paese, e -tornossi a Milano mal contento de’ signori di Mantova, ed eglino peggio -contenti dell’arcivescovo, ch’aveva sconcio il loro tranello per quella -cavalcata, come poco appresso dimostrarono in opera catuna parte, -secondo che seguendo dimostreremo. - - -CAP. CI. - -_Come messer Gran Cane racquistò Verona, e fu morto messer Frignano._ - -Quando messer Gran Cane cavalcava al marchese di Brandimborgo avea -con seco il fratello, e sospicando di novità quando sentì l’aguato -del signore di Castelborgo rimandò il fratello addietro, il quale -venendo nel paese, sentì come messer Frignano avea rubellata Verona, -e però se n’andò in Vicenza. La novella corse a messer Gran Cane, e -vennegli essendo egli col marchese; e turbato l’uno e l’altro, il -marchese francamente il confortò, offerendoli tutta la sua possa -a racquistare Verona: ma perchè l’indugio a cotali cose conobbe -pericoloso, di presente il fece montare a cavallo, apparecchiandoli -di subito cento barbute delle sue, e colla gente ch’egli aveva da se, -senza soggiorno, cavalcando il dì e la notte, se ne venne a Vicenza, -e là trovò il fratello, e trovovvi messer Manno Donati di Firenze -capitano di dugento cavalieri, che il signore di Padova avea mandati -in suo aiuto, e trovovvi della gente del marchese di Ferrara; e -sommosso il popolo di Vicenza a cotanto suo bisogno, gran parte ne -menò con seco; e la notte medesima, con seicento barbute e col popolo -di Vicenza se ne venne a Verona, e in sul mattino lasciò la strada, -e attraversando pe’ campi entrò in Campo marzio, che è fuori della -città ivi presso, murato intorno, e risponde a una piccola porta della -città, la quale meno ch’altra porta si solea guardare. Quivi s’affermò -messer Gran Cane, e mandò innanzi un Giovanni dell’Ischia di Firenze -la notte, che procacciasse d’entrare in Verona, e facesse sentire a’ -confidenti cittadini di messer Gran Cane com’egli era di fuori in -Campo marzio, e accompagnollo d’uno confidente Tedesco. Costoro, non -avendo altra via, si misono a notare co’ cavalli per l’Adice per venire -infra la città ove mancava il muro, e in questo notare, il Tedesco -poco destro del servigio dell’acqua vi rimase affogato. Giovanni -dell’Ischia entrò nella terra, e andò informando e sommovendo gli -amici di messer Gran Cane, avvisando come avessono a venire a quella -porta in suo favore; i quali sentendo ivi fuori il loro signore, la -mattina vennono con le scuri alla porta, e spezzaronla. Nondimeno le -guardie ch’erano sopr’essa con le pietre e con le balestra da alto -francamente la difendevano, sicchè non vi lasciarono entrare alcuno. -Intanto il traditore messer Frignano essendo in sollecita guardia -del fratello, e ancora di messer Bernabò, che il dì dinanzi l’avea -assalito co’ suoi cavalieri, cavalcava intorno alla terra, e la mattina -era montato in certa parte onde potea vedere di fuori, e guardava se -messer Gran Cane venisse, che già non sapeva che fosse così dipresso, -e guardando inverso Campo marzio, vide la porta piccola di Verona -aperta, e dicendo, noi siamo traditi, francamente trasse con la gente -sua inverso quella porta per difendere l’entrata; ma innanzi che vi -giugnesse, il Gran Cane s’era tratto innanzi alla porta, e trattasi -la barbuta, e fattosi conoscere a coloro che la guardavano, dicendo, -io vedrò chi saranno coloro che mi contradiranno l’entrata della mia -terra, e conosciuto da loro, incontanente gli feciono reverenza, e -lasciarono entrare lui e la sua gente senza contasto. E sopravvenendo -messer Frignano, il trovò entrato nella città con la maggior parte -della gente, e avvisatolo, che bene il conosceva, nella piazza dentro -dalla porta, si dirizzò verso lui colla lancia per fedirlo di posta, -e tentare l’ultima fortuna: ma già era cominciato l’assalto tra i -cavalieri di catuna parte aspro e forte, sicchè vedendo un cavaliere di -quelli di messer Gran Cane mosso messer Frignano colla lancia abbassata -verso il suo signore, gli si addirizzò per traverso, e colla lancia il -percosse nella guancia dell’elmo per tale forza, come fortuna volle, -che l’abbattè del cavallo a terra. Messer Giovanni chiamato Mezza -Scala, vedendo messer Frignano abbattuto del destriere, scese del suo -cavallo, e disse, che che s’avvegna di Verona tu morrai delle mie mani, -e corsegli addosso, e con un coltello gli segò le vene, e lasciollo -morto a terra. Ed in quello baratto fu morto con lui messer Paolo della -Mirandola, e messer Bonsignore d’Ibra grandi conestabili. E morti -costoro, l’altra gente ruppe, e assai ve ne furono morti fuggendo. Le -porti della città erano serrate, e i cittadini sentendo il loro signore -dentro tutti tennero con lui, e però i forestieri che v’erano furono -presi e rassegnati a messer Gran Cane, il quale per la sua sollecita -tornata felicemente racquistò Verona e uccise i traditori. Che se al -fatto avesse messo indugio, non la racquistava in lungo tempo, o per -avventura non mai, sì si venia provvedendo alla difesa lo sterpone. E -questo avvenne il dì di carnasciale, a dì 25 di febbraio l’anno 1353. - - -CAP. CII. - -_Come messer Gran Cane riformò la città di Verona, e fece giustizia de’ -traditori._ - -Messer Gran Cane avendo racquistata Verona avventurosamente si fece -appresentare i prigioni, e diligentemente volle investigare la verità, -come i cittadini aveano acconsentito al traditore, e udita la sagacità -dell’inganno, comportò dolcemente l’errore del popolo. E raddirizzato -l’ordine al governamento della città, fece impiccare in sù la piazza di -mezzo il mercato di Verona il corpo di messer Frignano, e ventiquattro -caporali partefici al tradimento del fratello, tra’ quali fu Giovannino -Canovaro di Verona grande cittadino con quattro suoi figliuoli, e -Alboino della Scala suo consorto, e messer Alberto di Monfalcone -grande conestabile, e Giannotto fratello di madre di messer Frignano, -e due figliuoli di Tebaldo da Camino, e due medici de’ signori della -Scala, e il notaio della condotta, e altri uficiali infino al numero -sopraddetto. A prigione ritenne messer Feltrino da Mantova, e messer -Ugolino e messer Guglielmo suoi figliuoli, e messer Federigo suo -fratello, e Piero Ervai di Firenze, il quale era fatto podestà di -Verona per messer Frignano, il quale si ricomperò per non essere -impiccato fiorini diecimila d’oro. Guidetto Guidetti si ricomperò per -simile cagione fiorini dodicimila d’oro. Messer Giovanni da Sommariva -e Tebaldo da Camino vi rimasono prigioni, e a’ cavalieri soldati tolse -l’armi e’ cavalli, e feceli giurare di non essere mai contro a lui, e -lasciolli andare. A coloro che più singolarmente l’aiutarono in questo -fatto, come fu messer Manno Donati, e que’ dell’Ischia, e quelli di -Boccuccio de’ Bueri tutti cittadini di Firenze, ch’adoperarono gran -cose in sul fatto, provvide di possessioni de’ traditori, e molti altri -ebbono grazia da lui cittadini e forestieri. E rimaso libero signore -come di prima, aontato contro al signore di Mantova, avuta gente d’arme -dal marchese di Brandimborgo cavalcò sul Mantovano, e ruppe la lega, e -dissimulava trattato d’allegarsi con l’arcivescovo di Milano, insino -che le cose si ridussono a concordia per sollecita operazione de’ -Veneziani, come al suo tempo innanzi racconteremo. - - -CAP. CIII. - -_Come fu deliberato per la Chiesa l’avvenimento dell’imperadore in -Italia._ - -Avendo l’eletto imperadore prima veduto come i comuni di Toscana -l’aveano richiesto per farlo valicare in Italia, e da loro non s’era -rotto, e appresso era richiesto dalla lega de’ Lombardi, e con loro -tenea benevoglienza e trattato, e ancora l’arcivescovo avea appo -lui continovi ambasciadori che gli offeriano il loro aiuto alla sua -coronazione, per le quali cose considerò che agevolmente e senza -resistenza e’ potea valicare per la corona. E però sostenendo catuna -parte in speranza e in amore, mandò a corte di Roma ad Avignone per -avere licenza e la benedizione papale, e i legati e ’l sussidio -promesso dalla Chiesa per la sua coronazione. Gli ambasciadori furono -graziosamente ricevuti dal papa, e udita la domanda dell’eletto -debita e giusta, tenuti sopra ciò alquanti consigli e consistori, del -mese di febbraio del detto anno, fu deliberato per lo papa e per li -cardinali ch’egli avesse la licenza, e la benedizione, e i legati per -la sua coronazione; altro sussidio non gli promisono. E partiti gli -ambasciadori da corte, tra i cardinali ebbe divisione e tire di coloro -ch’avessono la legazione per venire con lui, e per le dette tire, e -perchè l’avvenimento non parea presto, si rimase la commessione de’ -legati infino al tempo dell’avvenimento suo; onde si raffreddarono i -procacciatori, non sentendolo ricco da trarre da lui quello che la loro -avarizia prima si pensava. - - -CAP. CIV. - -_D’un gran fuoco ch’apparve nell’aria._ - -Il primo dì di marzo, alle sei ore della notte, si mosse uno sformato -fuoco nell’aria, il quale corse per gherbino in verso greco, come -aveva fatto l’altro che prima era venuto col tremuoto, ma di lume e -d’infiammagione non fu molto minore. A questo seguitò grande secco, -perocchè infino al giugno non caddono acque che podere avessono di -bagnare la terra, per la qual cosa il grano e le biade cresciute il -verno e parte della primavera, e in buona speranza di ricolta, a tanto -erano condotte per lo secco, che se non fosse la manifesta grazia che -Madonna fece alla processione dell’antica tavola della sua effigie di -santa Maria in Pineta, come al suo tempo si diviserà, erano i popoli di -Toscana fuori di speranza di ricogliere grano, o biada o altri frutti -in quest’anno per nutricamento di quattro mesi; e però non ci pare -da lasciare in silenzio il caso di questo segno, per ammaestramento -de’ tempi avvenire. Seguitò ancora l’avvenimento dell’imperadore in -quest’anno in Italia e la sua coronazione, e avvenimento di grandi -terremuoti, come appresso racconteremo. - - -CAP. CV. - -_Di tremuoti che furono._ - -In questo medesimo dì primo di marzo furono in Romania grandissimi -terremuoti, e nella nobile città di Costantinopoli abbatterono molti -grandi e nobili edificii e gran parte delle mura della città, con -grande uccisione d’uomini, e di femmine, e di fanciulli. E da Boccadone -infino a Costantinopoli, su per la marina, non rimase castello nè -città che non avesse grandissime rovine delle mura e degli edificii -con grande mortalità de’ suoi abitanti; per la qual cosa avvenne, che -i Turchi loro vicini sentendo i Greci spaventati, e senza potersi -racchiudere e salvare nelle fortezze, corsono sopra loro, e presonne -assai, e menaronli in servaggio: e alcuni castelli rifeciono e -afforzarono, e misonvi abitatori e guardie di loro Turchi; e appresso -accolsono grande esercito di loro gente, e puosonvi assedio per terra -a Costantinopoli, ch’era in divisione e in tremore, ma contro a’ -Turchi s’unirono alla difesa; sicchè stativi alcuno tempo senza potere -acquistare la città, corsono le ville, e rubarono le contrade, e senza -avere resistenza fuori delle mura si tornarono in loro paese. - - -CAP. CVI. - -_De’ fatti del monte._ - -La fede utile sopra l’altre cose, e gran sussidio a’ bisogni della -repubblica, ci dà materia di non lasciare in oblivione quello che -seguita. Il nostro comune, per guerra ch’ebbe co’ Pisani per lo fatto -di Lucca, si trovò avere accattati da’ suoi cittadini più di seicento -migliaia di fiorini d’oro; e non avendo d’onde renderli, purgò il -debito, e tornollo a cinquecentoquattro migliaia di fiorini d’oro -e centinaia, e fecene un monte, facendo in quattro libri, catuno -quartiere per se, scrivere i creditori per alfabeto, e ordinò con certe -leggi penali, alla camera del papa obbligate, chi per modo diretto o -indiretto venisse contro a privilegio e immunità ch’avessono i danari -del monte. E ordinò che in perpetuo ogni mese, catuno creditore dovesse -avere e avesse per dono d’anno e interesso uno danaio per lira, e che i -danari del monte ad alcuno non si potessono torre per alcuna cagione, -o malificio, o bando, o condannagione che alcuno avesse; e che i detti -danari non potessono essere staggiti per alcuno debito, nè per alcune -dote, nè fare di quelli alcuna esecuzione, e che lecito fosse a catuno -poterli vendere e trasmutare, e così a catuno in cui si trovassono -trasmutati, que’ privilegi, e quell’immunità, e quello dono avesse il -successore che ’l principale. E cominciato questo gli anni di Cristo -1345, sopravvenendo al comune molte gravi fortune e smisurati bisogni, -mai questa fede non maculò, onde avvenne che sempre a’ suoi bisogni -per la fede servata trovava prestanza da’ suoi cittadini senza alcuno -rammaricamento: e molto ci si avanzava sopra il monte, accattandone -contanti cento, e facendone finire al monte altri cento, a certo -termine n’assegnava dugento sopra le gabelle del comune, sicchè i -cittadini il meno guadagnavano col comune a ragione di quindici per -centinaio l’anno. Essendo i libri e le ragioni mal guidate per i notai -che non gli sapeano correggere, e avevanvi commessi molti errori e -falsi dati, si ridussono in mano di scrivani uomini mercatanti che gli -correggessono, e corressono molto chiaramente a salvezza del comune e -de’ creditori, avendo al continovo uno notaio che facea carta delle -trasmutagioni per licenza del vero creditore, e poi gli scrivani gli -acconciavano in su’ registri del comune, levando dall’uno e ponendo -all’altro. Di questi contratti de’ comperatori si feciono in Firenze -l’anno 1353 e 1354 molte questioni, se la compera era lecita senza -tenimento di restituzione o nò, eziandio che il comperatore il facesse -a fine d’avere l’utile che il comune avea ordinato a’ creditori, e -comperando i fiorini cento prestati al comune per lo primo creditore -venticinque fiorini d’oro, e più e meno com’era il corso loro, -l’opinione de’ teologi e de’ legisti in molte disputazioni furono -varie, che l’uno tenea che fusse illecito e tenuto alla restituzione, -e l’altro nò, e i religiosi ne predicavano diversamente: que’ -dell’ordine di san Domenico diceano che non si potea fare lecitamente, -e con loro s’accostavano de’ romitani, e i minori predicavano che si -potea fare, e per questo la gente ne stava intenebrata. Era in questi -tempi in Firenze copia di maestri in teologia, fra i quali de’ più -eccellenti era maestro Piero degli Strozzi de’ frati predicatori, e -maestro Francesco da Empoli de’ minori; maestro Piero dicea che non -era lecito contratto, e predicavalo senza dimostrarne le ragioni -chiare; perchè maestro Francesco de’ minori avendo sopra ciò con grande -diligenza avute molte disputazioni con altri maestri in divinità, -e con dottori di legge e di decretali, al tutto chiarì, e tenne, e -predicò, e scrisse ch’era lecito, e senza tenimento di restituzione a -chi il facea, senza fare contro a sua coscienza; e le ragioni perchè -scrisse e mandò a tutte le regole, apparecchiato a mantenere quello -che predicato e scritto avea. Nondimeno i predicatori e’ loro maestri -non si rimossono della loro opinione, predicando che non si potea fare -lecitamente e senza restituzione; e della loro opinione non mostrarono -ragione, e contro alle scritte per maestro Francesco non contradissono -con alcuna ragione; e per questo a molti rimase in dubbio il detto -contratto, e molti l’ebbono per chiaro accostandosi alle ragioni del -maestro Francesco, e senza riprensione di loro coscienza vendevano e -comperavano, facendone traffico come d’un’altra mercatanzia. Se ’l -contratto si potea provare usurario, debito era a chi ’l predicava -di riprovare quello che si provava in contrario, per trarre la gente -d’errore; se lecitamente fare si poteva, considerato che gli uomini -sono cupidi a guadagnare, male era a recare loro in sospetto, e -contaminare le coscienze di quello che lecito era per non discrete -predicazioni. - - -CAP. CVI. - -_Di certe rivolture di tiranni di Lombardia, e di più cose per lo -tradimento di Verona_ - -Detto abbiamo poco addietro come il Gran Cane della Scala si tenea aver -perduta Verona per operazione del signore di Mantova, ed era contro a -lui forte inanimato per lo fallo ch’egli avea fatto; essendo con lui -nella lega s’era rotto dalla lega degli altri, e trattava d’allegarsi -coll’arcivescovo di Milano e col marchese di Brandimborgo per far -guerra coll’arcivescovo insieme contro a Mantova, e l’arcivescovo molto -vi venia volentieri, e furono le cose tanto innanzi, che per tutto -corse la voce ch’ell’era fatta. Il comune di Vinegia conoscendo che -questa discordia poteva tornare a grande pericolo del loro comune e -degli altri loro collegati lombardi, mandarono di loro assentimento al -Gran Cane solenni ambasciadori, per rivocarlo alla lega e compagnia -ch’aveano insieme, e far fare al signore di Mantova l’ammenda del suo -fallo; e seguendo gli ambasciadori solennemente quello che fu loro -commesso, operarono tanto, che ’l signore di Mantova fece l’ammenda -come messer Gran Cane volle, e per la stima del danno ricevuto diede -trentamila fiorini d’oro a messer Gran Cane, i quali promise, e pagò -poi per lui il comune di Vinegia, e il signore di Mantova ne diè loro -in guardia tre buone castella: e per questo modo fu fatta la pace, e -lasciati di prigione que’ di Mantova, e messer Gran Cane tornò alla -lega com’era in prima. Essendo raffermata la lega, ne’ porti di Mantova -si trovò in un dì molta mercatanzia di Milanesi e d’altri distrettuali -dell’arcivescovo, e perocchè a stanza dell’arcivescovo il signore di -Mantova s’era mosso a far quello onde gli era convenuto fare ammenda di -fiorini trentamila d’oro, di fatto fece arrestare tutto, e ripresesi -sopra i Milanesi e distrettuali dell’arcivescovo di più che non -restituì al signore di Verona, la qual cosa l’arcivescovo e’ suoi si -recarono a grande onta. - - -CAP. CVII. - -_Del processo della grande compagnia di fra Moriale della Marca._ - -Tornando alla nuova tempesta di fra Moriale e di sua compagnia, rimasi -nella Marca dopo la partita di messer Malatesta dall’assedio di -Fermo, cominciarono a cavalcare il paese e fare in ogni parte preda, -e vinsono per forza Mondelfoglio, e le Fratte, e san Vito, e sei -altre castelletta nel paese, e scorsono a Iesi, e rubarono i borghi -e predarono il paese. Appresso combatterono Feltrino e vinsonlo per -forza, e uccisonvi da cinquant’uomini, e perch’era pieno d’ogni bene -da vivere vi dimorarono un mese. E in fra questo tempo ebbono Monte -di Fano, e Monte di Fiore, e più altre castella d’intorno per paura -feciono i loro comandamenti. Per la fama delle grandi prede che faceva -la compagnia, molti soldati ch’aveano compiute le loro ferme, senza -volere più soldo traevano a fra Moriale, e assai in prova si facevano -cassare per essere con lui, ed egli li faceva scrivere, e con ordine -dava a catuno certa parte al bottino, e tutte le ruberie e prede -ch’erano venali facea vendere, e sicurava i comperatori, e facevali -scorgere lealmente, per dare corso alla sua mercatanzia. E ordinò -camarlingo che ricevea e pagava, e fece consiglieri e segretari con -cui guidava tutto; e da tutti i cavalieri e masnadieri era ubbidito -come fosse loro signore, e mantenea ragione tra loro, la quale faceva -spedire sommariamente. E così ordinati cavalcarono, e mutavano paese, e -vennono a Montelupone, il quale per paura s’arrendè loro, e stettonvi -venti dì; e raunata ivi la preda fatta nel paese e la sostanza -del castello, ogni cosa ne trassono senza far male agli uomini, e -cavalcarono alla marina e presono Umana, e combatterono Orivolo, e non -l’ebbono, e da Umana andarono sopra Ancona, e presono la Falconara -a patti salve le persone. E in que’ dì ebbono otto castella che -s’arrenderono loro in sull’Anconitano, fuggendo le persone, e lasciando -le terre e la roba alla compagnia. Appresso tornarono sopra Iesi, e per -forza ebbono Alberello ed un altro castello, e tutto recarono in preda, -e poi andarono a Castelficardo pieno di molta vittuaglia, e quello -combattendo vinsono per forza. E del mese di marzo presono il castello -delle Staffole pieno di molto vino, ed il Massaccio e la Penna. E per -tutto quel paese il residuo del verno sparsono la loro irreparabile -tempesta, rubando e uccidendo, e facendo ogni sconcio male a’ paesani, -e singolarmente più a’ sudditi di messer Malatesta, avendo delle sue -terre quarantaquattro castella in loro servaggio, e avendo stadico un -figliuolo del capitano di Forlì, e Gentile da Mogliano, per li soldi -che promessi aveano alla detta compagnia. - - -CAP. CVIII. - -_Come il legato prese Toscanella._ - -In quest’anno del mese di marzo, il cardinale di Spagna legato del papa -facendo guerra col prefetto di Vico, per trattato gli tolse Toscanella, -e questo fu il primo acquisto che il legato facesse contro a lui: -dappoi seguitarono le cose a maggiori fatti, come seguendo nostra -materia diviseremo. In questi dì, il marchese di Ferrara parendogli -essere debole nella nuova signoria, perchè Francesco marchese, il -quale si tenea dovere di ragione essere signore, gli s’era rubellato, -o che trovasse alcuno trattato nella città contro a se, o ch’egli il -contraffacesse, a che si diè più fede, cacciò di Ferrara de’ suoi -fratelli e alquanti de’ maggiori cittadini, confinandoli fuori del suo -distretto, e cominciò a stare più fornito di gente forestiera, e in -maggiore guardia. - - -CAP. CIX. - -_Come messer Malatesta si ricomperò dalla compagnia._ - -Essendo la compagnia di fra Moriale cresciuta di cavalieri e di -masnadieri, e nutricata il verno sopra le terre che distruggea, -messer Malatesta da Rimini, avvisato e provveduto in fatti di guerra, -considerando la gente della compagnia, e la loro troppa sicurtà -presa per non avere avversario, e il luogo dov’erano e il loro -reggimento, pensò, che dove i comuni di Toscana lo volessono atare, -ch’egli vincerebbe la detta compagnia; e non parendogli materia da -commettere ad ambasciadori, in persona venne a Perugia, e poi a Siena, -e appresso a Firenze, e mostrò a ciascun comune il pericolo che potea -loro venire di quella compagnia se contra loro non si riparasse, e -domandava a catuno comune aiuto di gente d’arme, e dove dato gli -fosse, con ottocento barbute di buona gente ch’egli avea da se, e col -suo popolo e col vantaggio ch’avea intorno a loro delle sue terre, -promettea di rompere e di sbarattare la compagnia in breve tempo; -e questo dimostrava per vere e manifeste ragioni; ma catuno comune -avendo la tempesta da lungi se ne curava poco. I Perugini che furono -prima richiesti, dissono, che in ciò seguiterebbono la volontà de’ -Fiorentini, e in questo modo risposono anco i Sanesi. E venuto messer -Malatesta colle lettere de’ detti comuni a Firenze, i Fiorentini udita -la sua domanda gli diedono dugento cavalieri, i quali menò con seco -fino a Perugia. I Perugini e’ Sanesi non vollono attenere la loro -promessa, e però i cavalieri de’ Fiorentini si tornarono addietro. -Messer Malatesta vedendosi abbandonato dall’aiuto de’ comuni di -Toscana, e che tempo era che la compagnia potea procacciare altrove, -trattò con loro, e venne a concordia di dare fiorini quarantamila d’oro -alla compagnia, parte contanti, e degli altri li sicurò, dando loro per -istadico il figliuolo, e si partirono del suo distretto, e promisono -di non tornarvi infra certo tempo. E fatto l’accordo, e partita -la compagnia, messer Malatesta cassò quasi tutti i suoi soldati, -i quali di presente s’aggiunsono alla compagnia; la quale essendo -molto cresciuta di baroni, e di conti e di conestabili, si cominciò a -chiamare la gran compagnia, e tribolando la Marca, e la Romagna, e il -Ducato, innanzi che di là si partissono rifermarono la loro compagnia -per certo tempo, e tutti la giurarono nelle mani di messer fra Moriale. -E benchè fra loro fossono grandi baroni alamanni, tutti vollono che il -titolo della compagnia, e la capitaneria fosse in messer fra Moriale, -ma dieronli quattro segretari de’ cavalieri, che l’uno fu il conte di -Lando, e un barone di gran seguito ch’avea nome Fenzo di... e il conte -Broccardo di.... e messer Amerigo del Canaletto; e de’ masnadieri -quattro conestabili italiani. In costoro era la deliberazione -dell’imprese e il segreto consiglio, e feciono altri quaranta -consiglieri, e un tesoriere a cui venia tutta l’entrata delle loro -prede, e questi pagava e prestava a’ comandamenti del capitano. Dato -l’ordine, il capitano era ubbidito da tutti come fosse l’imperadore, e -facea la notte cavalcare di lungi dal campo venticinque o trenta miglia -ov’egli comandava, e il dì tornavano con grandi prede, e ogni cosa -fedelmente rassegnavano al bottino. E perocchè quasi quanti conestabili -avea in Italia al soldo de’ signori e de’ comuni aveano parte di loro -masnade nella compagnia, erano sì baldanzosi, che di niuna gente di -soldo temeano, e però tutti i comuni minacciavano se non dessono loro -denari di venire sopra loro. E mandarono ambasciadori nel Regno, ed -ebbono promissione dal re Luigi di quarantamila fiorini d’oro, i -quali non mandò loro, di che cari gli feciono poi costare. Ebbono dal -capitano di Forlì e da Gentile da Mogliano trentamila fiorini d’oro, e -da messer Malatesta quarantamila. Ed essendo richiesti dall’arcivescovo -di Milano di volerli conducere a suo soldo contro alla lega, e da -quelli della lega contro all’arcivescovo, catuno teneano in speranza e -con niuno si fermavano, e anche teneano trattato col prefetto di Vico -contro al legato, e però non si potea sapere che dovessono fare, e -molto manteneano bene loro credenza. E in fine del mese di maggio 1354 -se ne vennono a Fuligno, e dal vescovo ebbono mercato d’ogni vittuaglia -abbondevolmente. Lasceremo ora la gran compagnia che n’è assai detto, e -non senza debita scusa, per la grande e pericolosa novità che ne seguì -in Italia, e diremo dell’altre cose che prima ci occorrono a raccontare. - - -CAP. CX. - -_D’un fanciullo mostruoso nato in Firenze._ - -In questo verno del detto anno nacque in Firenze nel popolo di san -Piero Maggiore un fanciullo maschio figliuolo d’uno de’ maggiori -popolari di quello popolo, ch’avea tutte le membra umane dal collo -a’ piedi, e il viso suo non avea effigie umana; la faccia era tutta -piana senza bocca, e avea un foro per lo quale messo lo zezzolo della -poppa traeva il latte, e poppava, e nella superficie della testa al -diritto, sopra dove doveano essere gli occhi avea due fori: e’ vivette -più giorni, e fu battezzato, e seppellito in san Piero Maggiore. E -poco appresso una gentile donna moglie d’un cavaliere avendo fatto un -fanciullo un mese dinanzi, partorì un’altra materia di carne a modo -d’un cuore di bue, di peso di libbre quindici, con alcuni dimostramenti -ma non chiari d’effigie umana, senza distinzione di membri, e come -questo ebbe partorito, incontanente morì la donna. - - -CAP. CXI. - -_Come furono cacciati i guelfi di Rieti e da Spoleto._ - -De mese d’aprile, del detto anno 1354, i guelfi di Rieti avendo il -governamento della città, e podestà e capitano dal re Luigi, montati -in superbia per animo di parte oltraggiavano i ghibellini di quella -terra, e tanto montarono gli oltraggi, ch’e’ guelfi mossono romore per -cacciare i ghibellini, e catuna parte fu sotto l’arme, e di cheto senza -fare altra novità s’acquetarono a quella volta; e nondimeno catuna -parte rimase in gran sospetto e riguardo l’uno con l’altro, e in questo -modo erano stati lungamente. Avvenne che i guelfi, avendo a loro stanza -gli uficiali della terra, con ordine fatto, una domenica mattina a dì -20 d’aprile subito presono l’arme e corsono alla piazza, gridando: -muoiano i ghibellini. I cittadini di quella parte temendo del subito e -non pensato romore, francamente s’armarono e corsono alla piazza per -difendersi, e quivi cominciò aspra e crudele battaglia, e senza alcuno -riguardo uccideva e fediva l’uno l’altro, e durò assai, che niuno -perdeva di suo terreno; in fine ghibellini disperati di loro salute -ruppono una barra incatenata che gli dividea da’ guelfi, e con grande -empito d’amaro cuore assalirono i guelfi per sì fatto modo, che gli -ruppono, e senza ritegno gli seguitarono uccidendone quanti giugnere ne -poteano. E in questa rotta furono morti venticinque cittadini di nome -e assai più degli altri, e molti per campare si gittarono nel fiume, e -sommersi annegarono in quello. I ghibellini seguendo loro avventurato -caso cacciarono i rettori che v’erano per lo re Luigi, e rimasi signori -della città riformarono il reggimento di quella a loro volontà, e per -questa novità di Rieti furono cacciati di Spoleto i caporali guelfi che -v’erano, ma non con battaglia nè a furore di popolo. - - - - -LIBRO QUARTO - -_Comincia il quarto libro, e prima il Prologo._ - - -CAPITOLO PRIMO. - -Assai si può alcuna volta comprendere per gli effetti delle cose -mondane, che il senno aggiunto alla nobiltà dell’animo, all’altezza -dello stato, alla ricchezza e potenza reale, operato con piena -provvidenza, fornito e apparecchiato di grandissime forze, non puote -pervenire nè acquistare, eziandio con sommo studio e con lieve -resistenza quelle cose che con giusta causa l’appetito ha richiesto, le -quali, volto il tempo pochi anni, e mutato il principe per successione, -con certo mancamento di tutte le predette cose, per altre non -provvedute vie della variata fortuna, trovarsi lievemente vittorioso in -quelle. Onde presumere certa confidenza di se, per senno, o per virtù, -o per potenza, alcuna volta con grave turbazione d’animo si trova -ingannato; perocchè non è in potestà degli uomini il consiglio e la -volontà di Dio. E avendoci già condotta la sua materia al cominciamento -del quarto libro, alcuno certo e manifesto esempio alle predette cose -in prima ci s’offera a raccontare. - - -CAP. II. - -_Comparazione dal re Ruberto al re Luigi._ - -Manifesto fu appresso la morte del re Ruberto di Gerusalemme e di -Cicilia, il quale avea regnato trentatrè anni e mesi, il cui pari ne’ -suoi tempi tra’ principi de’ cristiani non si trovò di sapienza e -d’intelletto, in virtù e in vita onesta, e in adornamento di bellissimi -costumi, pieno di ricchezze, fornito di grande e nobile cavalleria di -suoi baroni e sudditi, apparecchiato di navili sopra gli altri signori, -avendo dirizzato l’animo con sommo studio a racquistare l’isola di -Cicilia, la quale di ragione s’apparteneva alla sua signoria come -principale membro del suo reame, con continovi trattati, con spessi e -diversi assalimenti, con generali armate, guidate dalla sua persona, -e dal figliuolo e da altri, di centoventi e di centosessanta galee, -con molto altro navilio per volta e di più e di meno, con duemila e -più cavalieri per armata alcuna volta e popolo senza numero, per molti -anni cercato di racquistare la detta isola, o d’avere alcuna terra -o porto in quella per potere alquanto appagare l’animo suo, la qual -cosa fatta mai non gli venne con alcuna perfezione; e il re Luigi -suo nipote intitolato di quel medesimo regno da santa Chiesa, povero -d’avere e di consiglio, e non ubbidito da’ suoi regnicoli, impotente di -gente d’arme, mal destro a potere reggere o guardare il suo reame, non -che avesse potuto cercare a racquistare suo reame della Cicilia, non -sufficiente d’armare dieci galee, nè di reprimere un solo suo barone -a quel tempo; ma le divisioni e sette crudeli e mortali de’ baroni -dell’isola, Catalani e Italiani, come già è detto, aveano a tanto -condotto l’isola, che di gran parte fu fatto signore, come appresso -racconteremo. - - -CAP. III. - -_Come gran parte dell’isola di Cicilia venne all’ubbidienza del re -Luigi._ - -Avendo raccontato addietro molte volte del male stato dell’isola di -Cicilia, al presente ci occorre a dire come per la detta cagione don -Luigi figliuolo di don Pietro, a cui s’appartenea d’essere signore, -avea trattato accordo col re Luigi, ed erano venuti a concordia che -si dovesse nominare re di Trinacria, e riconoscere la Cicilia dal re -Luigi e fargliene omaggio, e dargliene ogni anno certa somma sopra il -censo della Chiesa per suo omaggio; e a questo s’erano accordati, ma -non aveano ancora piuvicata la pace nè fatte l’obbligazioni. In questo -stante, il conte Simone di Chiaramonte capo della setta degl’Italiani, -il quale aveva in sua forza molte città e castella dell’isola, avendo -anche lungamente tenuto trattato col re Luigi acciocchè la concordia -del re non si facesse, pervenne al suo trattato con l’opere. Ed essendo -allora l’isola in gran fame, promise a’ suoi soccorso di vittuaglia e -forte braccio alla loro difesa: i popoli per l’inopia gli assentirono, -e il re Luigi si fermò con lui. E facendo suo isforzo, mandò messer -Niccola Acciaiuoli grande siniscalco, ch’era stato menatore di questo -trattato, con cento cavalieri e con quattrocento fanti di soldo in su -l’isola, con sei galee e due panfani, e tre legni di carico, e trenta -barche grosse cariche di grano e d’altra vittuaglia. Prima fu dato -loro il forte castello di Melazzo, ove lasciò cinquanta cavalieri e -cento fanti, e appresso con tutto il navilio e col resto della gente -dell’arme se n’andò a Palermo, e con gran festa fu ricevuto da’ -Palermitani, che per fame più non aveano vita, e prese la signoria -della città di Palermo e la guardia del castello con quella gente -ch’egli avea, e delle castella e del suo distretto. E incontanente -le sette degl’Italiani fece rubellare a don Luigi e alla parte de’ -Catalani, e seguirono quelli di Chiaramonte, dandosi al re Luigi la -città di Trapani, e quella di Saragozza, Girgenti, la Licata, Mazzara, -Marsala, Castro Gianni, e molte altre terre e castella, che in tutto -furono tra città e buone terre e castella centododici, alle quali il -detto re Luigi per povertà di gente e di danari non potè mandare aiuto -d’alcuna forza di gente d’arme oltre a quella ch’era in Palermo e in -Melazzo; ma tanta era l’impossibilità dell’altra parte, che la cosa -rimase senza movimento di altra gente alcuno tempo. Alla parte del -re Luigi rispondeva la Calabria, portando loro vittuaglia ond’elli -aveano gran bisogno, e questo gli sostenea in fede col detto re Luigi. -È vero che fu biasimato di non avere tenuto fede a don Luigi del -trattato ch’avea fatto con lui per pace dell’isola, e la scusa del re -fu, dicendo, che non gli avea attenuti i patti. Il vero rimase nel -suo luogo, e il fatto seguì come narrato abbiamo. Questa novità fu -nell’isola a dì 17 d’aprile 1354. - - -CAP. IV. - -_Come l’arcivescovo cominciò guerra contro a’ collegati di Lombardia._ - -Vedendo l’arcivescovo di Milano che il comune di Vinegia avea rannodata -e riferma la lega tra i Lombardi, innanzi che fossono forniti di -gente d’arme, essendone egli a destro, fece muovere da Parma duemila -barbute e gran popolo e scorrere infino a Modena, per tornare addietro -e assediare Reggio; e nel Modenese trovarono cavalieri della lega -ch’andavano a Reggio i quali tutti presono. E tornati a Reggio, -l’assediarono del detto mese d’aprile, e all’assedio stettono poi -lungamente con più bastite, e quelli della lega per lungo tempo non -ebbono podere di levarlone; ma la città sostennono e difesono, sicchè -non l’ebbe. - - -CAP. V. - -_Come il re d’Ungheria passò con grande esercito contra un re de’ -Tartari._ - -In quest’anno e in questo medesimo tempo, Lodovico re d’Ungheria -accolse suo sforzo, e di quello di Pollonia e di quello di Prosclavia -suoi uomini, e apparecchiato grande carreggio di vittuaglia, con -dugento migliaia di cavalieri andando quindici dì per luoghi diserti -con grande travaglio, passò nel reame d’un gran re della gesta de’ -Tartari. E giunto nel reame di colui, essendo per cominciare a fare -danno nel paese, il re di quello paese, ch’era assai giovane, mandò -pregando quello d’Ungheria che gli desse licenza che con poca compagnia -potesse venire a lui sicuramente, e impetrata la licenza, venne a lui -con cento baroni molto adorni riccamente apparecchiati; e fatta la -riverenza, domandò il re d’Ungheria perchè egli era venuto con forza -d’arme nel suo reame, e quello ch’e’ volea da lui. Il re gli disse, -ch’era venuto sopra lui perchè non era cristiano, e che volea tre cose: -la prima, che divenisse cristiano con la sua gente: la seconda, che lo -riconoscesse per suo maggiore: la terza, che in segno d’omaggio gli -desse ogni anno certo tributo, ed egli sarebbe suo protettore. E il -giovane disse: vedi re d’Ungheria, la mia forza è troppo maggiore della -tua, solo del mio reame senza l’aiuto de’ miei maggiori; e faccioti -certo, che condotto se’ in parte, che s’io volessi gran vittoria potrei -averla di te e della tua gente: ma perocch’io ho animo di divenire -cristiano, accetto di volere fare le tue domande, e intendo di farle -a tempo col tuo aiuto e del papa; e rimasi in concordia, fece grande -onore al re d’Ungheria, e accompagnollo fino a’ confini del suo reame. -Ma in quello venire, per invidia i grandi baroni d’Ungheria non gli -feciono onore, per impedire che il loro re per l’acquisto di costui non -divenisse grande di soperchio, e fu materia di grande sconcio del buon -volere ch’aveva il re de’ Tartari, e dell’intenzione del re d’Ungheria. - - -CAP. VI. - -_De’ grilli ch’abbondarono in Barberia e poi in Cipri._ - -In quest’anno abbondarono in Barberia, a Tunisi e nelle contrade vicine -tanta moltitudine di grilli che copersono tutto il paese, e rosono e -consumarono tutte l’erbe vive che trovarono sopra la terra, e del puzzo -che uscia della loro corruzione si corruppe tanto l’aria del paese, -che ne seguitò grande mortalità negli uomini, e gran fame a tutta la -provincia. E questa medesima pestilenza di grilli nel seguente anno -occupò l’isola di Cipri per sì sconcio modo, che le strade e i campi -n’erano pieni, alti da terra un mezzo braccio e più, e guastarono ciò -che v’era di verde. E per cessare la pestilenza della loro corruzione -il re fece per decreto, che ogni uomo grande e popolare, barone e -prelato, cittadino e contadino, ne dovesse rassegnare certa misura -agli ufficiali eletti sopra ciò per lo re, i quali feciono fare per -campi grandi fosse, ove gli metteano e ricoprivano. E per questa legge -i villani si dispuosono a fare loro civanza, e patteggiarono con gli -uomini ch’aveano a fare il servigio che comandato e imposto gli era, -e aveano della misura certo prezzo, e rassegnavanli per nome di colui -che gli avea pagati agli uficiali deputati sopra ciò, i quali teneano -il conto di catuno; e durò questa maladizione in quell’isola parecchi -anni. Con tutto l’argomento che fu utilissimo ad alleggiare i campi e -cessare la corruzione, fu grande noia e confusione a tutto il paese. - - -CAP. VII. - -_D’una notabile maraviglia della reverenza, della tavola di santa Maria -in Pineta._ - -Essendo per influenza di costellazione e di segni avvenuti in cielo -in quest’anno continovato tre mesi o più, nel tempo che le biade -hanno maggiore bisogno delle piove, continovato secco, erano quelle -già in tutta Toscana aride e in estremi, da sperare sterilità e -fame: i Fiorentini temendo di perdere i frutti della terra ricorsone -all’aiutorio divino, facendo fare orazioni e continove processioni -per la città e per lo contado, e quante più processioni si faceano -più diventava il dì e la notte sereno il cielo. I cittadini vedendo -che questo non giovava, con grande divozione e speranza ricorsono -all’aiuto di nostra Donna, e feciono trarre fuori l’antica figura di -nostra Donna dipinta nella tavola di santa Maria in Pineta, e a dì 9 di -maggio 1354, fatto apparecchiamento per lo comune di molti doppieri, e -mosso il chericato con tutte le religioni, col braccio di messer san -Filippo apostolo, e con la venerabile testa di san Zanobi, e con molte -altre sante reliquie, quasi tutto il popolo uomini e donne e fanciulli, -co’ priori e con tutte le signorie di Firenze, sonando le campane del -comune e delle chiese a Dio lodiamo, andarono incontro alla detta -tavola infino fuori della porta di san Piero Gattolino: e la detta -tavola guardavano e conducevano quelli della casa de’ Buondelmonti -padroni della detta pieve reverentemente con gli uomini del piviere. E -giunto il vescovo con la processione, e con le reliquie e col popolo -alla santa figura, con grande reverenza e solennità la condussono -fino a san Giovanni, e di là fu condotta a san Miniato a Monte, e poi -riportata nel suo antico luogo a santa Maria in Pineta. Avvenne, che in -quella giornata continovando la processione il cielo empiè di nuvoli, -e il secondo dì sostenne il nuvolato, che per molte volte prima s’era -continovo per la calura consumato, il terzo dì cominciarono a stillare -minuto e poco, e il quarto a piovere abbondantemente, e conseguì l’uno -dì appresso l’altro sette dì continovi un’acqua minuta e cheta che -tutta s’impinguava nella terra, in singolare e manifesto beneficio di -quello che bisognava a racquistare le biade e’ frutti; e non fu meno -mirabile dono di grazia per l’ordinata e utile piova, che per la piova -medesima. Avvenne, che dove si stimava sterilità grande per la ricolta -prossima a venire, conseguì ubertosa di tutti i beni che la terra -produce. - - -CAP. VIII. - -_Come il vicario di Bologna mando l’oste sopra Modena con due quartieri -di Bologna._ - -Essendo cominciata la guerra tra l’arcivescovo e la lega de’ Lombardi, -messer Giovanni da Oleggio vicario dell’arcivescovo nella città di -Bologna, a dì 11 di maggio del detto anno, mandò sopra la città di -Modena ottocento cavalieri di soldo, e due quartieri di Bologna, -i quali v’andarono sforzati e di mala voglia; e da Parma vi mandò -l’arcivescovo duemila barbute; e giunti a Modena corsono il paese, -ardendo e guastando il contado, e poi si puosono ad assedio alla città -molto di presso. Ed essendovi stati fino all’uscita di maggio, temendo -della gran compagnia di fra Moriale ch’era in Toscana, e davano voce -d’andare a Bologna, subitamente abbandonarono l’assedio, e sconciamente -con alcuno danno tornarono a Bologna e a Parma, avendo a’ Modenesi -fatto danno assai. - - -CAP. IX. - -_Come il legato e i Romani guastarono il contado di Viterbo._ - -Del detto mese di maggio, del detto anno, vedendo il legato la -contumacia e la malizia del prefetto da Vico, e che la sua superbia -ogni dì montava in vergogna di santa Chiesa, provvide che contro a -lui bisognava altre operazioni che suono di campane e fumo di candele -spente. E però accolse gente d’arme, tanto ch’ebbe milletrecento -cavalieri di soldo, e richiese il popolo di Roma per fare il guasto -sopra la città di Viterbo, i quali Romani per grande animo ch’aveano -di fare danno a’ Viterbesi, essendo la gente del legato sopra Viterbo, -vi mandarono diecimila uomini, e aggiunti con le masnade del legato, -in pochi dì feciono assai gran danno intorno a Viterbo. E saziata in -parte la volontà del popolo romano si tornarono a Roma: e il legato -abbattuto alcuna parte dell’orgoglio del prefetto, e conturbato l’animo -de’ cittadini contro al tiranno, se ne tornò con la sua gente a -Montefiascone senza alcuno impedimento. - - -CAP. X. - -_Come il prefetto s’arrendè al legato liberamente._ - -Il legato del papa avendo fatto guastare intorno a Viterbo, seguendo -d’abbattere il prefetto, sentendolo in Orvieto vi cavalcò con tutta la -sua gente d’arme, e pose l’assedio alla città strignendola intorno con -più battifolli, facendo correre ogni dì infino alle porti. Il prefetto -che v’era dentro mal veduto da’ cittadini, ed avea cercato di volere -dare per moglie la figliuola sua al fratello di fra Moriale con gran -dote per avere aiuto della sua compagnia, e averne perduta la speranza -d’ogni altro soccorso, si pensò per l’odio che i cittadini d’Orvieto e -di Viterbo gli portavano che un dì a furore di popolo sarebbe morto o -dato preso al legato, e tosto gli sarebbe venuto fatto per la piccola -forza che da se avea, e perchè gli Orvietani erano guelfi e uomini di -santa Chiesa, e mal volontieri sosteneano l’assedio, per la qual cosa -come uomo savio e avveduto de’ casi del mondo, non sapendo vedere altro -rimedio a’ fatti suoi, si dispose a volere accordo col legato, e per -questo acchetò gli animi de’ cittadini; e incontanente mandò al comune -di Perugia che mandassono alcuno ambasciadore al legato, che per le -loro mani voleva fare l’accordo con lui. Il comune vi mandò solenni -ambasciadori a ciò fare, ma il legato altre volte ingannato da lui e -da’ suoi baratti non li volle udire, e con ogni sollecitudine stringeva -la terra più l’un dì che l’altro, e a niuno patto si voleva recare -col prefetto. E stringendo la paura il prefetto, mandò il figliuolo -al legato dicendo, che gli piacesse venire per la città, e ricevere -il prefetto senza alcuno patto alla sua misericordia. L’altra mattina -venne il legato colla sua gente a Orvieto, e il prefetto a piede con -molti cittadini gli venne incontro fuori della città bene un miglio, e -giunto a lui, si gittò a’ piedi del cavallo ginocchione domandandogli -misericordia, rendendo se e tutte le terre che teneva di santa Chiesa -alla sua volontà. Il legato il fece stare alquanto ginocchione, e -poi gli comandò che montasse a cavallo, e montato dietro a lui se -n’entrarono in Orvieto, ove il legato fu ricevuto con grande festa e -allegrezza da’ cittadini. E appresso mandò il legato a Viterbo, e fugli -renduta la città e le castella, e così tutte l’altre terre che tenea -il prefetto, e il prefetto e ’l figliuolo rimasono appresso del legato -col loro patrimonio, e oltre a ciò gli diè il legato per certo tempo la -signoria della città di... terra di buona rendita per la pastura delle -bestie. - - -CAP. XI. - -_Come il popolo di Bologna si levò a romore per avere loro libertà, e -fu in maggiore servaggio._ - -Del mese di giugno del detto anno, messer Giovanni da Oleggio vicario -di Bologna essendo assicurato de’ fatti della compagnia intendeva -di riporre l’oste a Modena, e fece comandamento a due quartieri -di Bologna che s’apparecchiassono dell’armi, e a mille uomini di -catuno degli altri due quartieri, per andare nell’oste a Modena. I -cittadini si gravavano di questo fatto per due cagioni, l’una, perchè -parea loro troppo aspro servaggio essere mandati nell’oste a modo di -soldati senza soldo, e l’altra, che que’ di Modena erano loro vicini -e antichi amici. E però venuto il termine assegnato, il signore fece -sollecitare la gente co’ suoi bandi e stormeggiare le campane, ma -però niuno s’armava o facea vista di volere andare, e reiterati i -bandi con grandi pene, cominciò il popolo a mormorare, e appresso a -dolersi l’uno con l’altro nelle vie e nelle piazze. In questo stante -cominciarono alcuni a gridare popolo popolo; e udito il romore catuno -prese l’arme, e gran parte del popolo trasse a casa i Bianchi. Il -dì era venuto da ricoverare loro franchigia: perchè sentendo messer -Giovanni da Oleggio il popolo armato contro a se impaurì sì forte, -che non sapea che si fare, e racchiusesi nel suo castello. I soldati -forestieri non faceano resistenza al popolo armato e commosso, e gran -parte avrebbe seguito il popolo per paura di loro; nondimeno per non -essere morti nè rubati nella terra, si ridussono e ingrossavano alla -fortezza del tiranno, essendo il popolo a casa i Bianchi. Messer Iacopo -uomo di grande autorità, pro’ e ardito, capo di quella casa, montato a -cavallo armato, e inviato verso la piazza col popolo, ove non avrebbe -trovato contasto, che non v’era, e il popolo avrebbe preso ardire, e -cacciato il tiranno, e assediatolo nel castello e presolo, che non -v’era rimedio, e quella città tornava in libertà, ma non erano ancora -puniti i loro peccati. E però avvenne, che andando messer Iacopo de’ -Bianchi col popolo infocato verso la piazza, il genero di messer Iacopo -gli si fece incontro maliziosamente, ch’era de’ rientrati in Bologna, -e amava il tiranno, e con mendaci parole gli mostrò, che l’andare alla -piazza era di gran pericolo a lui e al popolo. Il cavaliere invilì -dando fede alle parole del genero, e diè la volta, e tornossi a casa, e -il popolo perdè e raffreddò il furore, e cominciò catuno ad abbandonare -le vie e le piazze ov’erano ragunati per le vicinanze, e tornarsi -alle proprie case. Il Bocca de’ Sabatini e altri di nuovo tornati -in Bologna per paura de’ loro avversari cittadini presono l’armi, e -montarono a cavallo e andarono al tiranno, dicendo, che ’l furore del -popolo era tornato in paura, e che avendo le sue masnade a cavallo e a -piè correrebbono la terra senza trovare contasto. Il tiranno vedendo -questi cittadini prese ardire, e diè loro cavalieri e masnadieri, e -rimasesi nel castello in buona guardia. Costoro corsono la terra, -gridando, viva il capitano, e in niuna parte trovarono resistenza o -contasto, ma vilissimamente i cittadini posono giù l’armi. Il signore -ripreso l’ardire sentendo disarmato il popolo, mandò sue genti a casa -i Bentivogli capo de’ beccari, ch’erano di gran podere nel popolo, e -presine alquanti di loro fece rubare le case, e gli altri si fuggirono. -Appresso mandò e fece pigliare messer Iacopo de’ Bianchi e un altro suo -consorto, e molti altri grandi cittadini, e senza troppa dilazione o -processi fece a messer Iacopo e al consorto tagliare la testa: e questo -gli avvenne per voler credere al consiglio del genero più che alla sua -apparecchiata salute e del suo popolo; appresso fece decapitare uno -de’ Gozzadini valente uomo, e a più de’ Bentivogli e ad altri grandi -popolani, che in tutto a questa volta furono trentadue, e molti ne -ritenne in prigione, de’ quali parte ne condannò in danari, e un’altra -a’ confini come a lui piacque. E avendosi cominciato a involgere nel -cittadinesco sangue, divenne crudele e di maggiore furore contro a’ -suoi sudditi; onde i cittadini temeano sì forte, che non ardivano a -pena nelle loro case a favellare. Nondimeno per lo caso avvenuto, a -lui entrò tanta paura in corpo, che molti mesi stette rinchiuso nel -castello, e continuava ad accrescere gente, e fare maggiore guardia -nella città, e i cittadini tenea sotto più aspro giogo, come leggendo -si potrà trovare. - - -CAP. XII. - -_Come fu tolta l’arme al popolo di Bologna._ - -Pochi dì appresso il tagliamento de’ cittadini di Bologna, il tiranno -mandò per la città che in fra certi dì a venire catuno cittadino -di Bologna portasse tutte le sue armi nella chiesa di san Piero, e -rassegnassele agli uficiali che sopra ciò avea deputati, sotto certa -pena a chi nol facesse: il vile popolo, che l’armi non avea saputo -adoperare per sua salute, con tanta fretta le portò alla chiesa, -che gli uficiali deputati a riceverle non poteano comportare la -calca. E il tiranno conosciuti gli uomini tornati peggio che pecore -per la loro codardia gli trattò aspramente, e fece due quartieri di -Bologna costringere ad andare alle loro spese nell’oste senz’arme, -e là dovessono stare quindici dì, tanto che gli altri due quartieri -gli andassono a scambiare, e di presente fu ubbidito, andandovi ogni -maniera di gente con le mazze in mano; e quando gli ebbe così mossi, -mutò proposito temperando la crudeltà in avarizia, e fece ordine che -chi non vi volesse andare pagasse lire tre di bolognini per gita di -quindici dì; e costrinse tutta la città con certo ordine penale, che -chi non osservasse catuno dovesse manicare pane di gabella, il quale -facea fare aspro e forte, nè altro pane non s’osava fare nè cuocere -nella terra, ond’egli traeva molti danari. E allora avendo tra di que’ -di Bologna e che gli mandò l’arcivescovo duemila cavalieri e popolo -assai, da capo ripose l’assedio alla città di Modena, e i Modenesi -essendo forniti di cavalieri e di pedoni alla guardia, e d’abbondanza -di vittuaglia, si stavano a guardare le mura, attendendo il soccorso di -quelli della lega. - - -CAP. XIII. - -_Come il legato ebbe la città d’Agobbio._ - -Di questo mese di giugno del detto anno, ragunatisi insieme gli -usciti d’Agobbio con loro amistà per andare a guastare il contado -d’Agobbio, richiesono il legato d’aiuto; il legato comandò loro che -non si movessono senza suo comandamento, dicendo, che non sarebbe -onore di santa Chiesa ch’egli assalisse prima la città ch’egli la -trovasse in colpa di disubbidienza o di ribellione: e però incontanente -fece formare processo contro a Giovanni di Cantuccio il quale -tirannescamente avea occupata quella terra, e mandogli comandando -che restituisse la città d’Agobbio a santa Chiesa senza dilazione, -altrimenti aspettasse la sentenza contro a se, e l’oste sopra la -città senza indugio. Giovanni sentendosi povero di danari, e senza -gente d’arme da potersi difendere, e odiato da’ cittadini dentro, e -senza speranza di soccorso di fuori, e vedendo il legato potente e -vittorioso, prese partito, e rispose, ch’era apparecchiato a ubbidire, -e così fece; e il legato mandò a prendere la guardia e la signoria -della città il conte Carlo da Doadola, e fecevelo suo vicario, il quale -con pace fu ricevuto nella città a grande onore. E presa la signoria -della terra vi rimise gli usciti senza niuno scandalo, salvo messer -Iacopo Gabbrielli come gli fu imposto, perocch’era grande e sentia del -tiranno. Giovanni si presentò al legato, e rimase appresso di lui, e -messer Iacopo ch’era suo nemico stando fuori d’Agobbio prendea sue -civanze nelle rettorie, malcontento di non potere ritornare in Agobbio. -La città fu riformata in libertà del popolo al governamento di santa -Chiesa, come per antico si solea governare. - - -CAP. XIV. - -_Come i Perugini non tennono fede a’ Fiorentini e’ Sanesi._ - -Tornando nostra materia a’ fatti della compagnia di fra Moriale la -quale avea vernato nella Marca, temendo i comuni di Toscana ch’ella -non si stendesse sopra loro sprovveduti, s’accolsono insieme a -parlamento per loro ambasciadori, il comune di Firenze, e di Perugia, -e quello di Siena, e feciono e fermarono lega e compagnia contro la -detta compagnia, e taglia di tremila cavalieri; e perocch’ell’era -più vicina a Perugia, i Fiorentini mandarono la maggior parte de’ -cavalieri che toccava loro della taglia, e metteano in concio di -mandare loro il rimanente, e così aveano fatto i Sanesi, per riparare -ch’ella non entrasse in Toscana. In questo tempo, del mese di giugno -del detto anno, la compagnia fu a Fuligno, e senza fare danno, ebbono -dal vescovo che n’era signore derrata per danaio, e licenza d’entrare -nella città senz’arme chi volea panni, o arnese o armadure comperare, -e ivi si rifornirono d’armadure e di molte altre cose di che aveano -grande bisogno. E stando ivi, mandarono cautamente per rompere la lega -loro ambasciadori a Perugia, dicendo, che gli aveano per amici, e non -intendeano di volere da loro se non vittuaglia derrata per danaio, -e il passo per lo loro terreno. I Perugini vedendosi potere levare -la compagnia da dosso senza loro danno, ruppono la fede della lega -promessa a’ Fiorentini e a’ Sanesi, e senza significare loro alcuna -cosa, o rimandare addietro i cavalieri a’ detti comuni ch’aveano -della taglia, s’accordarono con la compagnia, e diedono il passo e la -vittuaglia abbondantemente. Messer fra Moriale vedendosi avere rotta -la lega de’ comuni, baldanzosamente venne verso Montepulciano con la -sua compagnia, e prese la via per Asciano, ed entrò molto subitamente -nel contado di Siena, predando e pigliando uomini e bestiame. I -Sanesi vedendo la compagnia sul loro contado non attesono alla lega -ch’avessono co’ Fiorentini, nè a domandare loro aiuto o consiglio, ma -di presente elessono de’ loro cittadini ch’andassono a fra Moriale e -agli altri maggiori della compagnia a prendere accordo con loro, i -quali di presente promessono a’ caporali in segreto per le loro persone -fiorini tremila d’oro, e in palese per la compagnia ne promisono -tredicimila, e la vittuaglia derrata per danaio, e il passo per lo -loro terreno. Questa è la fede che ora e molte altre volte il comune -di Firenze ha trovata nelle leghe o compagnie c’ha fatto co’ suoi -vicini, che trovando loro vantaggio lo s’hanno preso. E dolendosene -poi il comune di Firenze a Perugia e a Siena, hanno risposto, che il -comune di Firenze non dee guardare a’ loro difetti, ma avere senno -e per se e per loro. Siamo contenti di ricordarlo qui e altrove per -esempio di quello che ancora ne potrà avvenire. Fornito per lo comune -di Siena il pane che domandarono, e dati de’ loro cittadini a conducere -la compagnia, presa la via per Monte a san Savino, condussonli in sul -contado d’Arezzo. E non trovando con gli Aretini modo d’avere danari, -s’accordarono con loro d’avere panno e vestimento, e calzamenti e vino -per li loro danari, perocchè n’aveano grande bisogno, e sicurarono -il contado, e senz’arme entrarono nella terra per le dette cose; non -riguardando però le biade de’ campi per li loro cavalli, nè l’altre -cose che potessono giugnere, senza fare gualdane o saccomanno. - - -CAP. XV. - -_Come procedettono i rettori di Firenze in questa sopravvenuta tempesta -della compagnia di fra Moriale._ - -In questo tempo si trovò fornito il comune di Firenze al priorato -d’uomini senza sentimento di virtù, golosi e sopra ogni sconvenevolezza -corrotti nel bere, e massimamente de’ nove i sei. Costoro disordinati -in se, non sapeano provvedere al soccorso del comune; tuttavia per -gli altri collegi fu provveduto in fretta di fare lega e compagnia -co’ Pisani, per prendere riparo contro alla compagnia, e dovea il -comune di Firenze avere in taglia milledugento cavalieri, e i Pisani -ottocento. E fatta la lega, catuno avea quasi il novero de’ suoi -cavalieri. La compagnia essendo ad Arezzo avea in animo d’andare al -soldo in Lombardia, e per questa cagione mandarono alcuno ambasciadore -al comune di Firenze per avere titolo d’essere in accordo col detto -comune, e lieve cosa che ’l comune avesse dato loro sarebbono stati -contenti per seguire loro viaggio: i priori indiscreti se ne feciono -beffe, e però non provvidono come con tanto fatto richiedea. Ma -i Valdarnesi per paura della ricolta, non ostante che ancora non -fosse in perfetta maturità, s’affrettarono di levarla de’ campi e -riducerla nelle castella; e la frontiera del Valdarno fu fornita di -cavalieri e di fanti assai bene alla guardia. La compagnia vedendo -che i Fiorentini per lieve cosa non si voleano accordare con loro, -cambiarono proponimento, e vedendo che il Valdarno era provveduto -contra loro, si tornarono a Siena. I Sanesi diedono loro da capo il -pane, e il passo e la guida di loro cittadini, e in calen di luglio -del detto anno l’ebbono condotta ne’ borghi di Staggia, e ivi si -stesono fino alla Badia a Isola sopra l’Elsa. Là si trovarono settemila -paglie di cavalieri, che cinquemila o più erano in arme cavalcanti, -fra i quali avea grande quantità di conestabili e di gentili uomini -diventati di pedoni bene montati e armati, con più di millecinquecento -masnadieri italiani, e oltre a costoro più di ventimila ribaldi e -femmine di mala condizione seguivano la compagnia per fare male, e -pascersi della carogna. E nondimeno per l’ordine dato loro per fra -Moriale grande aiuto e servigio n’avea, principalmente i cavalieri e’ -masnadieri, e appresso tutto l’esercito. Le femmine lavavano i panni -e cocevano il pane, e avendo catuno le macinelle, che fatte avea loro -fare di piccole pietre, catuno facea farina, e per questo l’oste si -mantenea incredibilmente in abbondanza di farina e di pane, solo per la -provvisione e ordine dato per fra Moriale. - - -CAP. XVI. - -_Come si provvedde a Firenze contra la compagnia._ - -Essendo la compagnia a Staggia, i Fiorentini richiesono i Pisani della -taglia loro per la lega fatta, che doveano essere ottocento cavalieri, -e mandarono un loro cittadino con un gran gonfalone con meno d’ottanta -barbute; e richiesti ancora i Perugini e’ Sanesi di cavalieri della -taglia, o almeno d’alcuna parte d’aiuto, catuno comune rispose ch’erano -d’accordo con la compagnia, e non manderebbono gente d’arme contro a -quella: e vedendosi il comune da tutti gli amici ingannato, e da non -potere resistere alla compagnia, fece suoi ambasciadori e mandolli a -Staggia alla compagnia per accordarsi e dare loro danari, ed eglino -non entrassono sul contado di Firenze. Giunti gli ambasciadori a -fra Moriale e al suo consiglio, furono ricevuti da loro senza avere -risposta; e incontanente a dì 4 di luglio si misono in via, e senza -arresto furono ne’ borghi di san Casciano, e correndo le contrade -d’attorno, facendo preda e ardendo ove a loro piacea senza trovare -contasto, e stettono fino a dì 10 del detto mese senza venire ad -accordo; allora fatti doni a’ caporali di fiorini tremila d’oro, -vennono a composizione di dare alla compagnia venticinquemila fiorini -d’oro. Gli ambasciadori pisani, innanzi che la tempesta rompesse -sopra loro, al detto luogo di san Casciano s’accordarono con loro di -dare fiorini sedicimila d’oro, e a’ caporali feciono doni. E avuta la -condotta da’ Fiorentini per la Val di Robbiana, condotti a Leona ebbono -il pagamento de’ detti comuni, e fatta la promissione, e le cautele e -il saramento di non tornare in sul contado di Firenze nè di Pisa infra -due anni, se n’andarono alla Città di Castello, ove stettono tanto -ch’ebbono quello che restava a dare loro messer Malatesta da Rimini -capitano di Forlì, e Gentile da Mogliano, e partita tra loro la moneta, -presono la ferma d’essere con la lega di Lombardia contro al signore -di Milano per centocinquantamila fiorini in quattro mesi. E rifermata -e giurata da capo sotto i loro capitani s’avviarono in Lombardia, e -fra Moriale con licenza degli altri caporali accomandò la compagnia al -conte di Lando e fecenelo suo vicario, ed egli se n’andò a Perugia, -per provvedere come alla tornata della compagnia e’ potesse in Italia -maggior male aoperare, e da’ Perugini fu ricevuto onoratamente, e fatto -cittadino di Perugia. - - -CAP. XVII. - -_Come fu morto messer Lallo._ - -Per larga sperienza di molti anni si vide, che messer Lallo -dell’Aquila, uomo di piccola nazione, per sua industria prima cacciati -gli avversari della città dopo la morte del re Ruberto tenne la -signoria della terra come un dimestico popolare e compagnevole tiranno, -e seppe sì piacevolmente conversare co’ suoi cittadini, che catuno il -desiderava a signore, e al tutto aveano dimenticata la signoria reale, -ma egli saviamente mantenea il titolo del capitanato della terra alla -corona, facendovi venire cui egli volea, nondimeno ciò che occorreva -di grave nella città tornava a ser Lallo. E non avendo il re podere -nella città più che ser Lallo si volesse, per molti modi in diversi -tempi cercò d’abbatterlo, e non gli venne fatto, e però cercò la via -de’ beneficii, e fecelo conte di Montorio, e diegli terre in Abruzzi, -ed e’ le si prese, e mostrò di volere fare dell’Aquila la volontà -del re; ma con astuzia e senno dissimulando col re tenea l’Aquila -continovamente al suo segno. E stando le cose in questi termini, -messer Filippo di Taranto fratello del re Luigi venne in Abruzzi, e -ricettato nell’Aquila da messer Lallo con grande onore, dopo alquanti -dì messer Filippo ragionò con messer Lallo, ch’egli farebbe rendere -pace a’ figliuoli di messer Todino suoi nimici, i quali erano sbanditi -dell’Aquila, e intendea fermare la pace con amore e con parentado, -e con grande istanza il pregò che li dovesse ricevere nell’Aquila -con buona pace. Messer Lallo sentendosi in grande amore co’ suoi -cittadini, mostrò di poco temere i suoi avversari, e di volere servire -messer Filippo accettando la pace e la loro tornata nell’Aquila. -Messer Filippo semplicemente con alcuni suoi scudieri li facea venire -in Aquila, ed essendo già presso alla città, il popolo si levò a -romore, e prese l’arme gridando, viva il conte, e corsono alle porte e -serraronle. Messer Filippo sentendo il romore temette di sè, ma messer -Lallo fu subitamente a lui, confortandolo e scusando sè, che questo -non era sua fattura ma del popolo, per tema ch’avea de’ figliuoli di -messer Todino se rientrassono in Aquila. Messer Filippo turbato di -questo baratto si mise in concio di partire, e la mattina vegnente fu -in cammino. Messer Lallo accompagnandolo s’allungò dalla città tre -miglia, offerendosi a messer Filippo e scusandosi del caso avvenuto; e -volendosi tornare all’Aquila, e prendere congio da messer Filippo, per -fargli la reverenza all’usanza reale scese del suo cavallo, e com’era -ordinato, parlando messer Filippo con lui, e usando parole di minacce, -uno scudiere il fedì d’uno stocco, e un altro appresso, e ivi a’ piè di -messer Filippo fu morto messer Lallo per troppa confidanza, perdendo il -senno e la malizia tanto tempo usata nel suo reggimento. Messer Filippo -non s’arrestò per tema di quel popolo e del suo furore, ma senza alcuno -soggiorno tornò a Napoli, e gli Aquilani feciono gran lamento della -morte di messer Lallo, ma non essendovi il secondo, ritornarono senza -contasto alla consueta signoria reale; e questo avvenne di giugno 1354. - - -CAP. XVIII. - -_Come il re di Spagna cacciata la non vera moglie coronò la legittima._ - -In questo tempo del detto anno, avendo il giovane re di Spagna per -moglie la figliuola di messer Filippo di Borbona della casa di Francia, -lasciandosi vincere e menare al disordinato appetito, avendola già -tenuta un anno, corruppe il degno sagramento del matrimonio, e -seguitando il modo de’ bestiali saracini con cui conversava, prese -per sua moglie e sposò un’altra donna cui egli amava, nata della -casa di Padiglia di Castella, chiamata Maria, con la quale si copulò -con tanta disordinata concupiscenza carnale, che molte dissolute e -sconce cose ne faceva, e la legittima moglie non volea vedere; la -quale vedendosi a sconcio partito, prese segretamente sue damigelle e -alquanti confidenti di sua famiglia, e senza saputa del re si tornò -in Francia, richiamandosi al re, e al padre e agli altri baroni -dell’ingiuria ricevuta dal suo marito; e udita in Francia la sconcia -novella, il re e tutti i baroni se ne sdegnarono forte, e proposono -d’andare in Spagna con forte braccio per gastigare il re della sua -follia. I baroni di Spagna e le comuni a cui dispiacea questo fatto, -sentendo le novelle di Francia, di concordia se n’andarono al re, e -ripresonlo duramente d’avere per sua sconcia volontà d’una privata -femmina fatta tanta vergogna alla casa di Francia e alla loro reina, -dicendogli, che se non ammendasse il suo fallo, che sarebbono in aiuto -al re di Francia per ricoverare il suo onore. Il giovane re riconobbe -il suo fallo, e disposesi di presente a seguitare il loro consiglio; e -alla non degna moglie, per appagare la legittima, le feciono tagliare -i panni per lungo infino alla cintola a loro costuma, e con vergogna -la mandarono via, e tornata la moglie, con gran festa feciono coronare -lei e pacificare col re, e quella notte giacque con la reina Bianca sua -moglie. Ma, o che fosse affatturato, o occupato nella mente del troppo -peccato, la mattina per tempo le si levò da lato, e senza fare assapere -altrui alcuna cosa cavalcò con piccola compagnia e andossene alla -terra dov’era dama Maria di Padiglia, e d’allora innanzi non volle mai -vedere la reina Bianca; e perch’ella non si partisse la fece mettere -in Briscia suo forte castello, e ivi bene guardare, la quale per grave -sdegno, o per dolore, o per malinconia, o per operazione del re, che ne -fu sospetto, o per malizia naturale, innanzi tempo nella sua giovanezza -finì sua vita, della quale il re ebbe più piacere che doglia, e -vilmente la fece seppellire. Avvenne ancora, che vivendo la reina e -dama Maria, il detto re Pietro, non senza sentimento della saracinesca -consuetudine, innamorato d’una giovane donna vedova di Castella di -grande lignaggio, la si prese a moglie; e quando con lei ebbe saziata -sua sfrenata libidine, la cacciò via, e ritennesi alla sua dama Maria, -della quale ebbe un figliuolo maschio e due femmine, e poi sopra -parto si morì, poco appresso della reina, di cui il re si diè grave -turbazione, e il corpo suo fece imbalsamare, e portare venticinque -giornate di lungi da Sibilia alla sepoltura ch’ella s’avea eletta, e -il re, e per amore del re i suoi baroni se ne vestirono a nero. Avemo -raccolto qui il processo della moglie e dell’altre femmine del re, per -non istendere in più parti del nostro trattato la vile materia. - - -CAP. XIX. - -_Come i collegati di Lombardia condotta la compagnia mandarono -all’imperadore._ - -Il comune di Vinegia, e il signore di Verona, e quello di Padova, e -quello di Mantova, e il marchese di Ferrara, collegati insieme contro -l’arcivescovo di Milano, avendo condotta per quattro mesi la compagnia -del conte di Lando, la quale era cinquemiladugento paghe, ma non -avea oltre a tremilacinquecento cavalieri bene armati, la quale era -partita dalla Città di Castello, e cavalcata sul contado di Bologna -facendo danno, se n’andarono a Modena, dov’erano le bastite del -signore di Milano, le quali non ebbono podere di levare, e lasciatovi -l’assedio cavalcarono in sul Bresciano. I collegati vedendosi forniti -di gente da potere campeggiare, mandarono ambasciadori, del mese di -luglio del detto anno, all’eletto imperadore, con cui avevano fatto -accordo per farlo valicare in Lombardia contro all’arcivescovo di -Milano, e dove ricusasse la venuta, volevano essere liberi delle loro -promesse. In questo tempo l’imperadore era in discordia col marchese -di Brandimborgo, e catuno aveva accolto gente d’arme, e con l’eletto -era il duca d’Osteric e molti cavalieri del re d’Ungheria, e credettesi -si conducessono a battaglia: ma la questione avea lieve cagione di -sdegno, sicchè tosto si recò a concordia, e l’eletto imperadore per -l’animo ch’avea di valicare in Italia fu più abile alla pace, e ferma, -catuna gente d’arme si tornò in suo paese; e senza sospetto de’ fatti -d’Alamagna l’eletto si tornò in Boemia, e deliberò per lo modo che a -lui piacque di valicare in Lombardia, e con seco ritenne parte degli -ambasciadori della lega infino al suo movimento. - - -CAP. XX. - -_Come i Bordoni furono cacciati di Firenze, e sbanditi per ribelli._ - -Era avvenuto del mese di Luglio del detto anno in Firenze, che essendo -la compagnia di fra Moriale a Sancasciano, i Bordoni, de’ quali era -capo messer Gherardo di quella casa, tenendosi essere ingannati da’ -Mangioni e da’ Beccanugi loro vicini per lo dicollamento di Bordone -loro consorto, e vedendo la città sotto l’arme e in gelosia, con -loro gente accolta cominciarono prima con parole e poi con l’arme -ad assalire i Mangioni; e rimettendoli per forza nelle case, in -quell’assalto la moglie d’Andrea di Lippozzo de’ Mangioni ebbe d’una -lancia sopra il ciglio, ond’ella si morì poco appresso. A quello romore -corse d’ogni parte il popolo armato, e i priori vi mandarono la loro -famiglia, e feciono acquetare la zuffa. Poi partita la compagnia, e -ritornata la città al primo governamento, parendo al comune il fallo -essere grave in così fatto tempo contro alla repubblica, fu commesso -all’esecutore degli ordini della giustizia che ne facesse inquisizione, -e punisse i colpevoli; i Beccanugi e’ Mangioni andarono dinanzi e -scusaronsi, e furono prosciolti e lasciati, e i Bordoni rimasono -contumaci; e a dì 2 d’agosto, nel detto anno, messer Gherardo con -quattro suoi consorti e con dodici loro seguaci furono condannati, per -avere turbato il buono e pacifico stato del comune di Firenze e per -l’omicidio, tutti nell’avere e nelle persone, e uscironsi di Firenze, e -i loro beni furono guasti e messi tra i beni de’ rubelli. - - -CAP. XXI. - -_Come il re d’Araona venne con grande armata a racquistare Sardegna._ - -Il re d’Araona, che l’anno dinanzi avea perduta tutta la Sardegna -salvo che Castello di Castro, come addietro fu narrato, fatta sua -armata di centosessanta tra galee e uscieri, cocche e navi armate, con -grande cavalleria di suoi Catalani e molti mugaveri a piede, del mese -di luglio del detto anno arrivò in Calleri, che altro non v’aveva, -e lasciato ivi il navilio grosso, e messi in terra i cavalieri e i -mugaveri, fece scorrere il paese e predare dovunque si stendeva, e con -le galee sottili per mare e i cavalieri per terra s’addirizzò alla -Loiera, nella quale aveva balestrieri genovesi, e masnadieri toscani -e lombardi, che il vicario dell’arcivescovo signore di Genova v’avea -mandati alla guardia, che francamente la difendevano e guardavano; e -continuandovi l’assedio, nondimeno per mare con le galee, e per terra -con la gente d’arme, faceano guerra all’altre terre e castella che -ubbidivano al giudice d’Alborea, e il giudice fornito de’ suoi Sardi -e di cavalieri condotti di Toscana si difendea francamente per modo, -che delle sue terre non gli lasciava alcuna acquistare: e aveva in -suo aiuto l’aria sardesca e ’l tempo della fervida state, che molto -abbattea i Catalani di malattie e di morte; non ostante ciò, il re -animoso mantenea l’assedio stretto, e facea tormentare molto i suoi -avversari; e bench’egli sapesse che i Genovesi suoi nimici avessono -armate trentadue galee, non se ne curava, perchè sapeva che i Veneziani -suoi amici contro a loro n’aveano armate trentacinque: e ancora gli -rendea molta fidanza la fresca vittoria ch’aveva avuta in quel luogo -co’ Veneziani insieme sopra i Genovesi, e però intendea coraggiosamente -a fare la sua guerra per terra e per mare. Lasceremo ora l’intrigata -guerra di Sardegna che il tempo vegna della sua fine, e seguiremo altre -novità che prima ci occorrono a raccontare. - - -CAP. XXII. - -_Come i Genovesi feciono armata contro a’ Veneziani e’ Catalani._ - -Avendo sentito i Genovesi l’armata de’ Catalani, e che i Veneziani -armavano, avvegnachè per la sconfitta l’anno dinanzi ricevuta alla -Loiera molto fossono infieboliti, presono cuore da sdegno per non -dare la baldanza del mare al tutto al loro nimico, e però con aiuto -di moneta che procacciarono dall’arcivescovo loro signore armarono -trentatrè galee sottili, della migliore gente che rimasa fosse in -Genova e nella riviera, e fecionne ammiraglio messer Paganino Doria, -il quale altra volta avea avuto vittoria sopra i Catalani e’ Veneziani -in Romania. Costui sentendo che i Veneziani erano usciti del golfo con -trentacinque galee armate, mandò tre galee più sottili, e bene reggenti -e armate nel golfo di Vinegia, le quali improvviso a’ paesani giunsono -a Parezzo, e misono in terra; e trovando i terrazzani sprovveduti -e smarriti per lo subito assalto, s’entrarono nella terra, e senza -trovare contasto rubarono e arsono gran parte della città. Ed essendo -nel porto tre grossi navilii de’ Veneziani carichi di grande avere, gli -presono e rubarono, e ricolti a galee carichi di preda de’ loro nemici, -con grande vergogna de’ Veneziani tornarono sani e salvi alla loro -armata; la quale avendo lingua de’ Veneziani, prese la via di Romania -per abboccarsi con loro a battaglia, se fortuna il concedesse. L’armate -cavalcano il mare, e innanzi che insieme si ritrovino ci occorrono -altre non piccole cose. - - -CAP. XXIII. - -_Come il tribuno di Roma fece tagliare la testa a fra Moriale._ - -Avvegnachè addietro detto sia dell’operazioni di fra Moriale innanzi -ch’egli facesse la grande compagnia, e poi quanto male aoperò con -quella, sopravvenendo il termine della sua morte, ci dà materia di -raccontare la cagione, com’egli essendo semplice friere condusse tanti -baroni, e conestabili e cavalieri a collegarsi sotto il suo reggimento -in compagnia di predoni. Costui fu in Italia lungo tempo soldato -franco cavaliere, e atto singolarmente a ogni fatica cavalleresca, e -molto avvisato in fatti d’arme, il quale considerò che tutte le terre -e’ signori d’Italia facevano le loro guerre con soldati forestieri, -e i paesani poco compariano in arme, e parve a lui che accogliendosi -i conestabili per via di compagnia, e partecipando con loro che -rimanevano al soldo, che in niuna parte troverebbono contasto in -campo: e avendo questo verisimile messo nel capo a molti conestabili, -l’uno smovea l’altro, e traevano gente di catuna bandiera che rimaneva -al soldo; e con quest’ordine, essendo in loro libertà, si pensavano -sottoporre e fare tributaria tutta Italia, e pensavano, se alcuna buona -città venisse loro presa, che per forza tutte l’altre converrebbe -che sostenessono il giogo; e sotto questo segreto consiglio tutti i -conestabili delle masnade tedesche, e’ Borgognoni e altri oltramontani -promisono e giurarono da capo la compagnia e ubbidienza a messer fra -Moriale, e per passare il verno all’altrui spese presono il soldo della -lega de’ Lombardi, e messer fra Moriale, sotto titolo di mostrare -d’avere a ordinare suoi propri fatti, rimase in Toscana: ma nel segreto -fu, che provvederebbe del luogo dove dovessono tornare al primo tempo. -Costui baldanzoso con poca compagnia, come detto abbiamo, se n’andò a -Perugia, e di là mandò i fratelli con certe masnade di suoi cavalieri -al tribuno, ch’era di nuovo ritornato in Roma, per atarlo; essendo -stato prima cacciato da’ Romani e tenuto in esilio, e’ fu prigione -dell’eletto imperadore lungo tempo, e poi per lo male stato de’ -Romani di volontà del papa e del popolo fu richiamato; e rendutagli -la signoria, con più baldanza che di prima, non ostante che predetto -gli fosse, o per revelazione di spirito immondo o per altro modo, che -a romore di popolo sarebbe morto, e’ faceva rigida e aspra signoria, -e reprimendo la baldanza de’ principi di Roma, onde fu opinione di -molti che i Colonnesi s’intendessono contro a lui con fra Moriale per -abbatterlo della signoria del tribunato: ma come che si fosse, poco -appresso la mandata de’ fratelli fra Moriale andò a Roma, e il tribuno -il fece chiamare a sè, ed egli senza alcuno sospetto andò a lui; e -giuntogli innanzi, senza altro parlamento il tribuno gli mise in mano -un processo di tradimento che fare dovea contro a lui, e come pubblico -principe di ladroni, il quale aveva assalite le città della Marca e di -Romagna, e la città di Firenze, di Siena e d’Arezzo in Toscana; e fatte -arsioni, e violenze e ruberie senza cagione in catuna parte, e molte -uccisioni d’uomini innocenti, delle quali cose disse che di presente -si scusasse. E non avendo scusa contro alla verità del libello, senza -voler più attendere, a dì 29 d’agosto del detto anno gli fece levare la -testa dall’imbusto: e così finì il malvagio friere, cagione di molto -male passato e di maggiore avvenire, per l’aoperazione della maladetta -compagnia; per la qual cosa s’aggiugnerebbe memoria degna di gran -lodi al tribuno se per movimento di chiara giustizia l’avesse fatto, -ma perocchè egli prese i fratelli, e’ beni di fra Moriale e’ loro e -pubblicolli a sè, parve che d’ingratitudine de’ servigi ricevuti e -d’avarizia maculasse la sua fama: e abbianne più detto che forse non -si conveniva, ma per lo malo esempio dato a’ soldati, e per la giusta -vendetta della sua morte, ne crediamo avere alcuna scusa. - - -CAP. XXIV. - -_D’una sformata grandine venuta a Mompelieri, e della scurazione del -sole._ - -A dì 12 di settembre 1354 cadde sopra Mompelieri e nelle circustanze -una grandine sformata di grossezza di più d’una comune melarancia, e -fece a’ frutti e agli uomini gravissimi danni, e le bestie che trovò -ne’ campi alla scoperta uccise, e guastò molto le copriture delle -case. E poi, a dì 17 del detto mese, fu scurazione del sole, e durò a -Firenze una terza ora, coperto nella maggiore parte il corpo solare. Di -sua influenza poco potemmo vedere e comprendere, salvo che asciutto e -freddo seguitò tutto il verno singolarmente. - - -CAP. XXV. - -_Come morì l’arcivescovo di Milano._ - -Messer Giovanni de’ Visconti arcivescovo di Milano potentissimo -tiranno in Italia, avendo dilatata la fama della sua potenza in grande -altezza, e vivuto al mondo lungo tempo in dissoluta vita secondo -prelato, vedendosi avere vinta sua punga, e soperchiata nel temporale -la Chiesa di Roma, e riconciliatosi a quella co’ suoi sformati doni, -e che tutta Italia il temeva, e l’eletto imperadore non avea ardire, -eziandio sollecitato dalla forza e’ danari della lega di Lombardia, -pigliare arme contro a lui, vaneggiante nel colmo della sua gloria, -uno venerdì sera, a dì 3 d’ottobre 1354, gli apparve nella fronte -sopra il ciglio un piccolo carbonchiello, del quale poco si curava, -e il sabato sera a dì 4 del detto mese il fece tagliare, e come fu -tagliato, cadde morto l’arcivescovo senza potere fare testamento, o -alcuna provvisione dell’anima sua o della successione de’ suoi nipoti -nella signoria; i quali feciono al corpo solenne esequie, e senza -questione con molta concordia si ristrinsono insieme, facendo grande -onore l’uno all’altro; per la qual cosa i Milanesi e tutti i loro -sudditi stettono in obbedienza de’ nuovi signori, tanto che poi con -nuova suggezione di tutti i popoli si feciono dichiarare signori, come -appresso racconteremo, rendendo prima il nostro debito alla sprovveduta -e violente morte del tribuno di Roma, e allo strano avvenimento -dell’eletto imperadore in Italia. - - -CAP. XXVI. - -_Come il tribuno di Roma fu morto a furia di popolo._ - -Il primo tribuno romano dopo la sua cacciata tornato in Roma con comune -assentimento dell’incostante popolo, e ordinati statuti a franchigia e -a fortificagione del popolo, e certe entrate al comune per fortificare -la signoria, procacciava di fornirsi di cavalieri e di masnadieri di -soldo, per potere meglio raffrenare i potenti cittadini, i quali sapea -ch’erano contro al suo tribunato: e come uomo ch’avea grande animo, -credeva col favore del fallace popolo fare gran cose, e cominciato -avea, ma non bene, perocchè essendo in Roma uno valente e savio uomo -Pandolfo de’ Pandolfucci antico cittadino, e di grande autorità nel -cospetto del popolo, e temendo il tribuno di lui, solo perchè gli -pareva atto a potere muovere il popolo per la sua autorità e per la -sua eloquenza, tirannescamente e senza colpa il fece decapitare; -e per questo, e per la morte di fra Moriale, i principi di Roma, -massimamente i Colonnesi e’ Savelli, temeano forte, e procacciavano -di farlo cacciare o morire. E sparta già l’infamia della morte di -Pandolfo tra il popolo, fu più leggiere a’ Colonnesi e a Luca Savelli -venire alla loro intenzione, e con lieve movimento alquanti amici de’ -Colonnesi e’ Savelli della riva del Tevere, a loro stanza cominciarono -a levare romore contro il tribuno e corsono all’arme; e con l’aiuto -de’ Colonnesi e de’ Savelli, e di certi Romani offesi per la morte di -Pandolfo, dimenticando la franchigia del popolo, a dì 8 d’ottobre del -detto anno in su la nona corsono al Campidoglio, dicendo, muoia il -tribuno. Il tribuno sprovveduto di questo subito e non pensato furore -del popolo francamente provvide come necessità l’ammaestrava, e di -presente s’armò e prese il gonfalone del popolo, e con esso in mano si -fece alle finestre, e trattolo fuori, cominciò a gridare ad alta voce, -viva il popolo, pensando che il popolo dovesse trarre al suo aiuto: -ma trovossi ingannato, che il popolo il saettava, e gridava la sua -morte: e avendo egli sostenuto con parole e con difesa l’assalto fino -al vespero, e vedendo il popolo più acerbo e più infocato contro a sè -da sezzo che da prima, e che soccorso da niuna parte aspettava, pensò -di campare per ingegno; e tramutato l’abito suo in abito di ribaldo, -fece aprire le porte del palagio alla sua famiglia al popolo perchè -intendesse a rubare, come solea essere loro usanza; e mostrandosi nella -ruberia come uno di loro, avea preso un fascio d’una materassa con -altri panni dal letto, e scendendo la prima e la seconda scala senza -essere conosciuto, dicea agli altri, su a rubare, che v’ha roba assai; -ed era già quasi al sommo di scampare la morte, quando uno cui egli -avea offeso così col fascio in collo il conobbe, e gridando, questi è -il tribuno, il fedì: e l’uno dopo l’altro trattolo fuori dell’uscio -del palazzo tutto lo stamparono co’ ferri, e tagliarongli le mani -e sventraronlo, e misongli un capestro al collo e tranaronlo fino -a casa i Colonnesi; e fatto quivi uno paio di forche v’appiccarono -lo sventurato corpo, ove più dì il tennero appeso senza sepoltura. -E questa fu la fine del tribuno, dal quale il popolo romano sperava -potere riprendere sua libertà. - - -CAP. XXVII. - -_Come l’imperadore Carlo venne in Lombardia._ - -Messer Carlo di Luzimborgo re di Boemia e re de’ Romani, eletto -imperadore, avendo accettata la profferta del comune di Vinegia, e -del Gran Cane di Verona, e degli altri allegati di Lombardia contro -all’arcivescovo di Milano, considerò che per la sua non grande facoltà -d’avere e di potenza il fascio di cotanta impresa gli era troppo -grave, e avvisossi con grande discrezione, che a volere venire in -Italia per la corona del ferro, e appresso per l’imperiale, che gli -convenia per forza vincere i signori, e le città, e’ popoli d’Italia -che gli fossono avversi, o con senno o con amore recare a sè gli animi -loro: ricordandosi che l’imperadore Arrigo suo avolo, avendo seco -tutto il favore de’ ghibellini, e mosso con più di diecimila cavalieri -tedeschi gente eletta, guidata da grandi baroni e nobili cavalieri, -credendosi per forza sottomettere parte guelfa in Italia avendo seco -tutta la forza de’ ghibellini, passò in Italia; e non potuto per sua -forza domare gli avversari nè avere la corona, com’è la costuma, -nella basilica di san Pietro, e consumate le sue forze senza essere -ubbidito, rendè a Buonconvento il debito della carne alla terra, e -l’anima a Dio. Per lo cui esempio l’avvisato eletto Carlo imperadore -abbandonato ogni pensiero di sua potenza, e di quella che promesso -gli era, fidanza prese nel suo temperato proponimento; e non volendo -a’ collegati negare la promessa della sua venuta, nè mostrare che -contro a’ signori di Milano si movesse, veduto il tempo atto al suo -proponimento, mosse d’Alamagna con trecento cavalieri in sua compagnia -venendo in Aquilea; e giunto a Udine, a dì 14 d’ottobre del detto anno, -s’accompagnò il patriarca suo fratello con poca gente senz’arme, e -cavalcando a buone giornate giunsono in Padova a dì 4 di novembre, ove -fu ricevuto a grande onore; e fatti alquanti cavalieri de’ signori e -di loro prossimani della casa da Carrara, e lasciati i signori suoi -vicarii nella signoria della città, a dì 7 di novembre prese suo -cammino: e temendosi messer Gran Cane che non entrasse in Vicenza nè -in Verona il fece con lieve onore conducere per lo contado alla città -di Mantova, e ivi ricevuto come signore, prese a fare suo dimoro per -trattare se tra i Lombardi potesse mettere accordo, e ivi attendea s’e’ -comuni e’ popoli e’ signori di Toscana gli mandassono ambasciadori per -potersi meglio provvedere alla sua coronazione. Lasceremo ora alquanto -questa materia, tanto che alcuna cosa degna di memoria occorra di ciò -al nostro proponimento, e diremo dell’altre che prima addomandano il -debito alla nostra penna. - - -CAP. XXVIII. - -_Come i tre fratelli de’ Visconti di Milano furono fatti signori, e -loro divise._ - -Tornando a’ fatti de’ Visconti di Milano, dopo la morte -dell’arcivescovo messer Maffiolo, e messer Bernabò, e messer Galeazzo, -figliuoli che furono di messer Stefano nipote dell’arcivescovo, essendo -forniti di molti cavalieri e masnadieri per difendersi e abbattere -giusto loro podere la forza degli altri Lombardi collegati contro a -loro, e da resistere all’imperadore se muover si volesse contro a -loro, stare facevano tutte le loro città e castella in buona guardia -e sollecita; ed essendo tutti e tre in Milano, si feciono eleggere -signori indifferentemente a dì 12 d’ottobre, e appresso si feciono -fare a tutte le città del loro distretto il simigliante; ed essendo da -tutti confermati nella signoria, si partirono tra loro il reggimento -in questo modo: che Milano fosse comune a tutti, e dell’altre città -feciono di concordia tre parti, salvo la città di Genova, che vollono -che rimanesse comune in fra loro come Milano, e gittarono le sorte, per -le quali a messer Maffiolo, ch’era il maggiore, toccò Parma, Piacenza, -Bologna, e Lodi: a messer Bernabò Cremona, Brescia, e Bergamo: e a -messer Galeazzo Como, Novara, Vercelli, Asti, Tortona, e Alessandria, -con tre altre terre di Piemonte; e nondimeno a comune ne’ cominciamenti -manteneano la spesa de’ soldati, e molto onorava l’uno l’altro, e di -gran concordia faceano le loro imprese. A messer Maffiolo, perch’era -di più tempo e di minor virtù, rendeano onore di metterlo innanzi ne’ -titoli e ne’ consigli. I fatti della cavalleria e dell’arme erano -contenti che guidasse messer Bernabò che n’era più sperto, e messer -Galeazzo ne prendea alcuna volta parte come a lui piacea. Essendo -questi signori di Milano così ordinati tra loro, sopravvenuto l’eletto -imperadore in Mantova, stavano apparecchiati in loro senza fare altro -movimento di guerra contra a’ loro avversari, e gli allegati anche -stavano a vedere che l’imperadore facesse senza muovere la loro gente a -far guerra. - - -CAP. XXIX. - -_Come l’imperadore stando a Mantova trattava la pace de’ Lombardi._ - -L’imperatore avendosi avvisatamente condotto in Lombardia di verno, -e sapendo la gran forza di gente ch’aveano i signori di Milano, e la -potenza del loro tesoro e delle loro entrate, fece venire a se in -Mantova gli ambasciadori del comune di Vinegia e di tutti i signori -collegati, e con loro insieme vide che la sua forza e la loro in que’ -tempi non era sufficiente a tanto fatto quanto volevano imprendere. -Ancora considerò che stando egli a Mantova niuno signore o comune -d’Italia, salvo che i collegati, era venuto o avea mandato a lui -contro a’ signori di Milano, e però gli parve che le cose fossono -assai bene disposte al suo proponimento col quale s’era messo a farsi -trattatore di pace, per accattare da ogni parte benevolenza, e non -prendere nimicizia con alcuno, e però cominciò a trattare della pace; e -parendogli che catuno si disponesse a volerla, acciocchè quelli della -lega non portassono la gravezza del soldo della gran compagnia, la -fece licenziare a dì 8 di novembre, e quelli della compagnia ne furono -contenti: ed essendo in sul Bresciano, parte ne condussono i signori -di Milano, e parte la lega, e il rimanente si ritenne in compagnia col -conte di Lando. L’imperadore seguiva con sellecitudine che la pace si -facesse, e in lungo processo di trattato più volte corse la voce che la -pace era fatta. Ma nascendo ora dall’una parte ora dall’altra cagione -di tirare, la pace non veniva a perfezione, e in questo soprastare, -vennono accidenti che non la lasciarono venire a perfezione, i quali -diviseremo nel tempo ch’avvennono secondo l’ordine del nostro trattato. - - -CAP. XXX. - -_Come furono presi i legni ch’andavano a Palermo._ - -Del mese d’ottobre del detto anno, il re Luigi sentendo la città di -Palermo in gran bisogno di vittuaglia e di gente d’arme per la difesa -contro a’ nimici, fece armare tre galee, e uno panfano, e dodici -legnetti e una nave, e tutte le fece caricare di grano e d’altra -vittuaglia, e fece ammiraglio il conte di Bellante Potarzio d’Ischia, -e comandogli che le conducesse in Palermo; ed essendo nel mare di -Calabria si vidono contra galee di Messinesi, che stavano alla guardia -per procacciare di vittuaglia, di che aveano gran bisogno, le quali -vedendo quelle del Regno con legni armati, e conoscendo la loro poca -virtù, s’addirizzarono verso loro. Il conte vedendole venire, come -codardo non prese alcuna difesa, ma la sua propria galea abbandonò -perch’avea del grano in corpo, e montato su un legno armato, innanzi -che i nemici s’appressassono si fuggì. Le galee de’ Messinesi giugnendo -a quelle del Regno le trovaron senza capitano e senza difesa, e però -le si presono col carico e colla gente, e con gran festa e gazzarra -questa utile preda al bisogno della loro città misono in Messina, ove -furono ricevuti a grande onore, più per loro bisogno che per la piccola -vittoria. - - -CAP. XXXI. - -_Come si cominciò guerra in Puglia tra loro._ - -Messer Luigi di Durazzo cugino carnale del re Luigi, vedendo che -il detto re avea dato al prenze di Taranto e a messer Filippo suoi -fratelli carnali grandi baronaggi in Puglia e nel Regno, nè a lui -nè a messer Ruberto non avea data nulla cosa, con giusto sdegno, -vedendosi in povero stato, si tenea dal re e dalla reina malcontento: -e il conte di Minerbino tenendosi anche male del re e della reina -s’accostò con messer Luigi, e propuosono di volere fare guerra nel -paese di Puglia. Per questa tema il re e la reina andarono in Puglia -cercando riconciliarli con parole, e mandaronli pregando che venissono -a loro; e consigliati insieme, ordinarono che il conte v’andasse, -avendo prima per sua sicurtà per stadichi il vescovo di Bari e messer -Giannotto dello Stendardo in Minerbino, e così fu fatto. E stando col -re e con la reina non si trovò modo d’accordo, nè che messer Luigi si -volesse assicurare di andare a loro. In questo stante, gente d’arme -acconcia a far male percossono alla strada, e presono settanta muli -che tornavano da Barletta con poca roba, e menargli via in vergogna -della corona, essendo la persona del re nel paese. E tornandosi il re -e la reina a Napoli, messer Luigi e il Paladino presono ardire di più -aperta rubellione, e accolsono gente d’arme, e correano per lo paese. -Ma sentendosi di piccola possanza, entrarono in trattato col conte -di Lando, che dovesse conducere la compagnia nel Regno. Soprastaremo -alquanto al presente a questa materia, parandocisi innanzi più notevole -avvenimento di grave fortuna. - - -CAP. XXXII. - -_Come i Genovesi sconfissono i Veneziani a Portolungo in Romania._ - -Avendo la non domata rabbia del comune di Genova e di quello di Vinegia -condotto le loro armate in Romania, essendo messer Paganino Doria di -trentatre galee genovesi ammiraglio, e messer Niccolò da ca Pisani -ammiraglio di trentacinque galee de’ Veneziani, e tre panfani e un -legno armato, e venti tra saettie e barche, e cinque navi di carico -tutte armate e incastellate, e navicando l’una armata e l’altra per -lo mare di Romania a fine d’abboccarsi insieme, non vi si poterono -trovare: l’ammiraglio de’ Veneziani con tutte le galee e gli altri -navilii della sua armata si ridusse nel porto di Sapienza nella Romania -bassa, e ivi s’ordinò, avendo lingua de’ suoi nemici ch’erano nel mare -di Romania, in questo modo: che le navi mise nella bocca del porto -incatenate insieme, e con esse venti galee alla guardia, e molto le -fece bene armare e acconciare alla difesa della bocca del porto, e con -queste rimase il loro ammiraglio; l’altre quindici galee co’ legni -armati e con le saettie accomandò a uno da ca Morosini di Vinegia, e -misele dentro nel Portolungo, acciocchè stessono più salve, e potessono -contastare a’ nemici dinanzi e l’ammiraglio di dietro, se caso venisse -che l’armata de’ Genovesi si mettesse nel porto. L’ammiraglio de’ -Genovesi avendo in Romania sentito lingua dell’armata de’ Veneziani, e -com’erano più galee e assai legni di carico incastellati più di loro, -e che fatto aveano la via di Portolungo di Sapienza nella Romania -bassa, come uomo di gran cuore e ardire, avvilendo i suoi nemici che -non aveano cercato d’abboccarsi con lui, ma piuttosto fatto vista di -schifarlo, di presente s’addirizzò con la sua armata verso il porto -di Sapienza per richiedere i Veneziani di battaglia; e come giunto fu -sopra il porto di Sapienza, vide come i Veneziani co’ loro navilii -incastellati e incatenati e con le galee s’erano afforzati alla bocca -del porto, e parvegli segno che non volessono combattere; nondimeno per -mostrarsi a’ nemici senza paura, non credendosi venire a battaglia, -stando aringati sopra il porto, mandò a richiedere l’ammiraglio de’ -Veneziani di battaglia, dicendo, come l’attendea fuori del porto, per -porre fine a’ travagli e alle tribulazioni che gli altri navicanti e -tutto il mare portava della loro guerra. L’ammiraglio de’ Veneziani -rispose, ch’era in casa sua, e non intendea combattere a richiesta -de’ suoi nemici, ma quando a lui paresse prenderebbe la battaglia. -I Genovesi più inanimati, veggendo ricusavano la battaglia, da capo -la dimandarono, vituperando i loro avversari, sonando e risonando -trombe e nacchere, e vedendo che niuno segno si facea pe’ Veneziani di -muoversi, ad alcuno atto, presono un folle ardimento, se i Veneziani -avessono aoperato come poteano l’armi, perocchè Giovanni Doria nipote -dell’ammiraglio mattamente si mise con una galea ad entrare nel porto, -e appresso di lui il figliuolo dell’ammiraglio con la sua, entrando -sotto la guardia delle navi e delle galee. I Veneziani vedendoli -entrare, follemente li lasciarono entrare, sperando rinchiuderli nel -porto e averli tutti a man salva; e così senza contasto per atare i -giovani che s’erano messi a quello pericolo v’entrarono tredici galee -di Genovesi l’una dopo l’altra, senza essere impedite o combattute -dall’ammiraglio o dalla sua armata ch’era alla guardia della bocca -del porto; e trovandosi nel porto, si dirizzarono con ordine e con -grande ardimento a combattere le quindici galee de’ Veneziani e’ legni -armati ch’erano nel porto, le quali aveano le prode a terra per loro -agiamento, ed erano più atte alla difesa. I Genovesi l’assalirono con -aspra battaglia, ma quale che fosse la cagione, o per sdegno preso -contro all’ammiraglio che non avea impedito la loro entrata, e non -s’era mosso alla loro difesa, o per molta codardia, a quel punto -feciono piccola difesa, e però nel primo assalto furono assai de’ -Veneziani fediti e morti: e pignendo i Genovesi, con piccola resistenza -de’ loro avversari montarono in sulle galee, e in poca d’ora tutti gli -ebbono presi e sbarattati, ne’ quali molti più annegarono gittandosi -in mare per fuggire, che quelli che morirono di ferro. Avendo queste -tredici galee avuta piena vittoria delle quindici del porto, feciono -segno al loro ammiraglio e all’altre galee ch’erano fuori del porto -della loro vittoria, le quali con grande baldanza e ardire si misono -innanzi, per volere combattere le venti galee e le navi ch’erano -alla guardia della bocca del porto, e le tredici vittoriose vennono -dall’altra parte, avendo due corpi di galee veneziane affocate per -metterle loro addosso. Strignendosi d’ogni parte la battaglia, -l’ammiraglio veneziano ingannato per molta viltà del primo suo avviso, -e sbigottito delle quindici galee perdute, e della battaglia che d’ogni -parte si vedea apparecchiare, s’arrendè alla misericordia de’ Genovesi, -e da quel punto innanzi più non v’ebbe morto o fedito alcuno Veneziano; -tutti furono prigioni, perocchè in porto e tutto in mare di lungi dalla -terra ferma niuno dell’armata de’ Veneziani campò che non fosse preso -o morto, e i prigioni furono per novero cinquemilaottocentosettanta, -i quali con tutte le galee, e altri legni e navilii, con grande -vittoria quasi senza loro danno menarono a Genova, lasciati nel porto -e nella marina di Sapienza quattromila o più corpi di Veneziani morti -e annegati in quella battaglia, la quale fu a dì 3 di novembre 1354. -Della quale vittoria i Genovesi ripresono cuore e ardire di loro stato, -e i Veneziani molto ne dibassarono; e questo fece la mala provvedenza -del loro ammiraglio, che avendo guardata la bocca del porto come potea, -le galee de’ Genovesi non v’entravano, e l’entrate se l’avesse volute -combattere di dietro con parte delle sue galee, come poteva, avrebbe -vinti i Genovesi, come i Genovesi vinsono lui. Ma la guerra è di questa -natura, che commesso il fallo seguita la penitenza senza rimedio le più -volte. - - -CAP. XXXIII. - -_Come Gentile da Mogliano diede Fermo al legato._ - -Innanzi che noi procediamo ad altri effetti della detta sconfitta, -Gentile da Mogliano signore della città di Fermo nella Marca ci ritiene -alquanto, perocchè essendo tirannello oppressato da messer Malatesta -da Rimini maggiore tiranno, per cui s’era messo a soldare la compagnia -per liberare Fermo dall’assedio, come già è detto, rimase povero -d’avere e d’aiuto, conobbesi impotente da difendersi dal nimico suo, -non che dal legato, che per riavere la Marca occupata a santa Chiesa -s’apparecchiava di venire a oste alla sua occupata città di Fermo, e -però si pensò di riconciliar col legato e d’abbattere messer Malatesta -suo nimico, e andossene in persona al legato ch’era a Fuligno, e -promiseli di renderli la città di Fermo, e d’essere fedele al servigio -di santa Chiesa e del legato. Il legato ebbe tanto a grado la venuta -e l’offerta di Gentile, che di presente il ricevette con grande -allegrezza, e per onorarlo e fargli bene, comunicatosi insieme con lui -alla messa, il fece gonfaloniere di santa Chiesa, e promisegli que’ -danari che volle a certo termine, dicendogli ch’era contento tenesse -la rocca di Fermo infino che fosse pagato. Il legato mandò della sua -gente da cavallo e da piè, e furono ricevuti da’ Fermani con grande -allegrezza e festa, pensando che uscivano di pericoloso servaggio, che -Gentile era bisognoso e gravavagli troppo, e non gli poteva difendere -nè aiutare. E il legato pensava fare in Fermo sua frontiera al primo -tempo, perocch’era vicino alle città della Marca occupate per messer -Malatesta, e avendo fatto contro a lui e contro agli altri tiranni di -Romagna gravi processi, pensava volere fare l’esecuzione con altro che -col suono delle campane e con le candele spente, ma da’ baratti e da’ -tradimenti de’ Romagnuoli e de’ Marchigiani non si potè guardare, come -innanzi racconteremo. - - -CAP. XXXIV. - -_Come il re di Araona ebbe la Loiera, e fece accordo col giudice._ - -Tornando a’ fatti di Sardegna, il re di Araona con la sua cavalleria -e con l’armata delle sue galee avendo mantenuto assedio alla Loiera -dal luglio al novembre, e fatto continova guerra al giudice d’Alborea -con piccolo acquisto, essendo la Loiera a grande stretta, e non -vedendo d’essere soccorsa, trattavano col re, e similmente il giudice -d’Alborea rincrescendogli la guerra. Il re si teneva duro, e voleva -maggiori cose che offerte non gli erano. In questo stante sopravvenne -la sconfitta de’ Veneziani ricevuta da’ Genovesi, la novella della -quale fu in segreto molto tosto a Vinegia. Il doge e ’l consiglio -che questo seppono, tennono la cosa celata per modo, che i loro -cittadini non poterono alcuna cosa sentire, e di presente armarono -un legno sottile, e mandarono significando al re d’Araona il loro -fortunoso caso, e avvisandolo che innanzi che la novella si spargesse -sapesse pigliare suo vantaggio, e guardare la sua armata. Il legno -portò volando la mala novella al re d’Araona, ed egli con maestrevole -avviso con molta festa manifestò la novella per lo contradio, facendo -assapere al giudice e agli assediati che i Veneziani aveano sconfitti -i Genovesi. Per questo i Genovesi ch’erano a guardia della Loiera -perderono ogni ardire, e procacciavano l’accordo, e il giudice si -dichinò più che fatto non avrebbe, e il re mostrandosi di buona aria -più che non solea, di presente venne alla concordia della pace, e fu -fatta in questo modo: che il re avesse la Loiera andandosene sani e -salvi i Genovesi e gli altri forestieri che la guardavano, e il giudice -d’Alborea riconobbe ritenere tutte le terre dal detto re, e feceli il -saramento, e promiseli dare ogni anno certa moneta per l’omaggio delle -dette terre; e fatta la pace, e fornita la Loiera di sua gente d’arme, -per lo beneficio dell’affrettata novella, e per lo savio consiglio -del re, si tornò in Catalogna, con acquisto, e con pace, e con onore. -Ove se la novella fosse sentita prima da’ suoi avversari, con danno -e con vergogna senza nullo acquisto gli convenia partire dell’isola -vituperosamente: e però si verifica qui l’antico proverbio contrario -alla vile pigrizia, che dice; il buono studio vince ria fortuna. - - -CAP. XXXV. - -_Come i Pisani si diliberarono di mandare all’imperatore._ - -Soprastando l’eletto imperadore a Mantova per volere trarre a fine la -pace tra’ Lombardi, i Pisani i quali erano a quel tempo in grande e -buono stato sotto il reggimento de’ Gambacorti, ch’erano i maggiori, -e con loro gli Agliati e seguaci e Bergolini, i quali manteneano -pace e onore co’ Fiorentini, e non ostante che fossono amici de’ -guelfi, sentendo il popolo minuto tutto imperiale, per provvedersi -di conservare loro stato diliberarono di mandare di loro medesimi -ambasciadori con pleno mandato del detto comune al detto eletto, -e nel loro segreto fu, che procacciassono d’avere promessione e -fede dall’eletto, che gli conserverebbe nello stato senza far nella -città mutazione degli ufici, e che non vi rimetterebbe gli usciti -ribelli, e che manterrebbe al comune di Pisa la signoria di Lucca, -e non la recherebbe in libertà nè ad altro stato. Gli ambasciadori -con grande compagnia e molto adorni giunsono a Mantova, dov’era -l’eletto imperadore, e ricevuti da lui con grande onore, e fatta la -riverenza, spuosono l’ambasciata del loro comune, ove liberamente gli -offersono la città e gli uomini di quella alla sua ubbidienza, pregando -divotamente per bene, e per pace e buono stato del detto comune, -che gli dovesse piacere di promettere per la sua fede, e appresso -dell’imperiale corona le sopraddette cose utili e necessarie al buono -stato di que’ cittadini, e l’eletto con grande allegrezza e festa li -ricevette, e promise nella sua fede liberamente ciò che per loro era -domandato. Allora gli ambasciadori gli promisono trentamila fiorini -d’oro in aiuto alla spesa della sua coronazione, e altri trentamila -per lo consentimento della città di Lucca, il quale consentimento -non onorevole alla maestà imperiale, comprese sotto la ragione del -padre suo re Giovanni, quando la città di Lucca gli fu data. Della -quale promessa i grandi mercanti, e gli altri usciti di Lucca, che si -pensavano tornare in libertà per la venuta dell’imperadore, si tennono -mal contenti: e così fu fatta la concordia dall’eletto imperadore -a’ Pisani, della quale i cittadini feciono in Pisa per molti giorni -singulare e grande festa, ignoranti del futuro avvenimento della loro -ruina. - - -CAP. XXXVI. - -_Rottura della pace del re di Francia e d’Inghilterra._ - -Essendo per lungo tempo trattato per lo cardinale di Bologna e per -altri prelati di volere fare accordo tra il re di Francia e quello -d’Inghilterra, e sotto questa speranza più volte prolungate le triegue -tra l’uno re e l’altro; e non potendo trarlo a fine, provvidono di -comune consiglio quelli che menavano il trattato, che abboccandosi i -due re insieme nella presenza del papa, o i loro più confidenti baroni, -che pace ne dovesse seguire; e per seguire questo consiglio il re di -Francia vi mandò il duca di Borbona suo consorto, e il conestabile -di Francia: e il re d’Inghilterra vi mandò il duca di Lancastro suo -cugino, e il vescovo di Vervic, e catuno giunse a corte del mese di -dicembre: e abboccatisi insieme per più riprese nella presenza del -papa, tanto volea catuno mantenere l’onore del titolo del suo signore, -che mezzo non seppono trovare di recarli in pace. Il papa, o per -soperchia arroganza che trovasse in loro, o per poco ardire ch’avesse -di sforzare gli animi de’ signori, non vi s’interpose come avrebbe -potuto la sua autorità, con la quale poteva catuno sostenere con suo -onore, e trovare mezzo di recarli a concordia e pace; nol fece, che -forse non erano ancora puniti i peccati de’ Franceschi: e però del mese -di gennaio del detto anno, catuna parte in discordia con poco onore del -santo padre e de’ suoi cardinali si tornò al suo signore. - - -CAP. XXXVII. - -_Come un gatto uccise un fanciullo in Firenze._ - -Avvegnachè assai paia cosa strana e non degna di memoria quello che -seguita, perocchè fu inaudito caso, non l’abbiamo saputo tacere. In -Firenze era da san Gregorio un lasagnaio con una sua moglie, aveano un -piccolo loro fanciullo di tre mesi, e avendolo la madre governato e -rimessolo nella culla al modo usato, una gatta accresciuta e nutricata -in quella casa se n’andò al fanciullo, e cominciolli a rodere la testa, -e trassegli gli occhi e manicosseli, e poi rodendo la testa se n’andò -fino al cervello; e avendo lungamente pianto il fanciullo, il padre -e la madre soccorsono tardi, non pensando che cotale caso fosse, e -trovarono il fanciullo storpiato, e la gatta sopr’esso ancora vivo, -ma incontanente morì; e sparata la maladetta gatta le trovarono gli -occhi del fanciullo in corpo. Questa è quasi cosa incredibile, ma per -esperienza del vero di questo fatto si dee alle donne e alle balie -accrescere sollecitudine e accrescimento di buona guardia a’ piccoli -fanciulli. Avvenne questo inopinato caso a dì 6 di dicembre 1354. - - -CAP. XXXVIII. - -_Come l’imperadore fe’ fare triegua da’ Lombardi a’ signori di Milano._ - -Avendo fino a qui dimostrato i trattati tenuti per l’eletto imperadore -e la sua venuta a Mantova, al presente ci strigne il tempo a venire -dimostrando i cominciamenti in fatti delle sue proprie operazioni. -Costui secondo il suo supremo titolo, conoscendo se medesimo e il suo -piccolo podere, e abbattendo nell’animo suo ogni elezione, provvide -che per astuta e dissimulata suggezione gli convenia procedere per -venire all’ottato fine della sua coronazione, e per questo in fatto -prese abito, forma, e operazione umile, e sommissione incredibile -all’imperiale nome in fondamento de’ suoi principii: e venuto a Mantova -senz’arme, e fattosi trattatore della pace da’ signori di Milano a’ -legati lombardi, avendo seguito il fatto dall’entrata di novembre -al Natale senza frutto, essendo montata la superbia de’ Genovesi e -de’ loro signori, per la vittoria avuta in mare sopra i Veneziani, -per la quale mutando in prima i patti li voleano più larghi per loro -in vergogna degli allegati, ed eglino sdegnosi non acconsentivano, -l’imperadore, ch’avea l’animo più a’ suo’ fatti propri, si doleva -di perdere il tempo invano, e conoscendo la potenza de’ Visconti di -Milano maggiore che della lega, e non vedendosi da’ comuni di Toscana -fuori che da’ Pisani dimostramento d’alcuno favore, comprese che a’ -collegati non faceva utile, e a se faceva impedimento grande per la -coronazione della corona del ferro, ch’era nella potenza de’ signori di -Milano, e però non dimostrando d’abbandonare il trattato, ma di volerlo -conducere a fine di pace, facea fare triegua tra’ Lombardi fino al -maggio prossimo vegnente; e fatta la triegua, incontanente trattò per -se accordo co’ signori di Milano, sottomettendo la sua persona, e ’l -suo onore, e la dignità imperiale oltre al debito modo nell’arbitrio -e potenza de’ tiranni, prendendo confidenza di quelli, o da purità di -mente, o da matto consiglio, non però di certo e di chiaro giudicio; -e il patto fu, che li darebbono abilità d’avere sotto le loro braccia -la corona a Moncia, ed egli senza entrare in Milano gli lascerebbe -suoi vicari in tutta la loro giurisdizione; ed egli avuta promissione -da loro, che alla sua coronazione a Roma gli donerebbono per aiuto -alle spese fiorini cinquantamila d’oro, senza alcuna gente d’arme come -privato uomo si sottomise nella loro signoria, vincendo gli animi fieri -e l’usata fallacia tirannesca colla sua persona creduta nelle loro mani -liberamente, come appresso diviseremo. - - -CAP. XXXIX. - -_Come l’imperadore andò a Moncia per la corona del ferro._ - -L’eletto imperadore avendo fatto la sua concordia co’ signori di -Milano, più della pace de’ Lombardi non si travagliò, ma di presente -fatta la festa della natività di Cristo a Mantova, si mise a cammino -verso Milano con meno di trecento cavalieri, i più senz’arme, e i -signori di Milano ordinarono, che per tutto loro distretto all’eletto e -alla sua compagnia fosse apparecchiato per loro e per li loro cavalli -ogni cosa da vivere senza torre alcuno danaio: e giugnendo a Lodi, -messer Galeazzo gli venne incontro con millecinquecento cavalieri -armati, e giunto a lui, gli fece la reverenza, e accompagnollo fino -dentro alla città di Lodi, e ivi il collocò onoratamente nelle case de’ -signori, facendo nondimeno serrare le porti della città, e guardarla -dì e notte colla gente armata. E albergato in Lodi una notte, la -mattina appresso mosso il re de’ Romani, messer Galeazzo colla sua -gente armata l’accompagnò, avendo ordinata la desinea alla grande badia -di Chiaravalle: e appressandosi a Chiaravalle, messer Bernabò con -molti cavalieri armati gli si fece incontro, e fattagli la reverenza, -gli presentò da parte de’ fratelli e cavalli e palafreni covertati -di velluto, e di scarlatto e di drappi di seta, guerniti di ricchi -paramenti di selle e di freni: e fattogli alla badia nobile desinare, -messer Bernabò il richiese da parte de’ suoi fratelli e da sua che gli -dovesse piacere d’entrare nella città di Milano; l’eletto rispose, che -per niuno modo intendea venire contro a quello che promesso avea loro; -messer Bernabò gli disse, che questo gli fu domandato pensando che la -gente della lega il dovesse accompagnare, ma per la sua persona non era -fatto: e tanto il costrinsono, ed egli e messer Galeazzo, liberandolo -per loro e per messer Maffiolo dalla promessa, che con loro n’andò -in Milano; e entrato nella città, fu ricevuto con maggior tumulto -che festa, non potendo quasi vedere altro che cavalieri e masnadieri -armati: e i suoni delle trombe, e trombette, e nacchere, e cornamuse, -e tamburi erano tanti, che non si sarebbono potuti udire grandi tuoni; -e come fu in Milano, così furono le porti serrate, e così rinchiuso -il condussono a’ palazzi della loro abitazione, e assegnateli sale e -camere fornite nobilissimamente di letta e di ricchi apparecchiamenti, -messer Maffiolo e gli altri fratelli da capo andarono a fargli la -reverenza, dicendogli con belle parole come tutto ciò che possedevano -riconoscevano avere dal santo imperio, e al suo servigio intendevano -di tenerlo. Il dì appresso feciono fare generale mostra di tutta la -gente d’arme a cavallo e a piè ch’aveano accolta in Milano, e oltre -a ciò feciono armare quanti cittadini ebbono che montare potessono a -cavallo, tutti sforzati di coverte e d’altri paramenti e d’avvistate -sopravveste, e feciono stare l’imperadore alle finestre sopra la -piazza a vedere; e passando con gran tumulto di stromenti, feciono -intendere all’eletto ch’erano seimila cavalieri e diecimila pedoni di -soldo: e passata la mostra, dissono: signore nostro, questi cavalieri -e masnadieri, e le nostre persone, sono al vostro servigio e a’ -vostri comandamenti; dicendo che oltre a questi aveano fornite tutte -le loro città terre e castella di cavalieri e di masnadieri per la -guardia di quelle. E così magnificarono la gran potenza del loro stato -nell’imperiale presenza, tenendo il dì e la notte le porte serrate e -la gente armata per la città, non senza sospetto e temenza dell’eletto -imperadore, il quale vedendosi in tanta noia di sollecita guardia, fu -ora che innanzi vorrebbe essere stato altrove con minore onore, e in -tutto fu in servaggio l’animo imperiale alla volontà de’ tiranni, e -l’aquila sottoposta alla vipera, verificandosi la pronosticazione detta -per previsione d’astrologia, negli anni _Domini_ 1351, per messer frate -Ugo vescovo di...... grande astrologo al suo tempo, il quale predisse -il cadimento del prefetto da Vico, e la soggezione futura dell’aquila -imperiale in questi versi: - - _Aquila flava ruet post parum vipera fortis._ - _Moenia subintrat Lombardi prima sophiae_ - _Anno quadrato minori decimonono._ - _Aquila succumbet pro stupri crimine foedo_ - _Nigra revolabit sublimi cardine Romam._ - -ma egli come savio comportò con chiara e allegra faccia la sua cortese -prigione; e con molta liberalità vinse quello che acquistare non -avrebbe potuto per forza. Dopo alquanti dì, come a’ signori tiranni -piacque, il condussono con la loro gente armata a Moncia, e ivi il -dì della santa Epifania, a dì 6 del mese di gennaio di detto anno, -fu coronato della seconda corona del ferro, con quella solennità e -festa che i signori Visconti li vollono fare; e tornato a Milano sotto -continova guardia, fattivi certi cavalieri, ed egli per tornare in -libertà sollecitando la sua partita, fu accompagnato di terra in terra -dalle masnade armate de’ signori, facendo serrare la città e castella -dov’entrava, e il dì e la notte tenerle in continova guardia: ed egli -avacciando il suo cammino, non come imperadore, ma come mercatante -ch’andasse in fretta alla fiera, si fece conducere fuori del distretto -de’ tiranni: e ivi rimaso libero della loro guardia, con quattrocento -compagni, i più a ronzini senz’arme, si dirizzò alla città di Pisa per -esservi prima che non avea loro promesso, e così li venne fatto. - - -CAP. XL. - -_Come il conte di Lando venne di Lombardia in Romagna con la gran -compagnia._ - -In questi dì all’entrata di gennaio, il conte di Lando capitano del -residuo della gran compagnia, avendo un dì lungamente parlamentato a -solo coll’eletto imperadore, con duemilacinquecento barbute se ne venne -a Ravenna, e con lui due fratelli della bella contessa, che l’anno -del generale perdono andando a Roma capitò in Ravenna, e ritenuta -dal tiranno per conducerla o per amore o per forza a consentire alla -sua sfrenata libidine, la valente donna vedendo non potere mantenere -la sua castità contro alla forza dello scellerato tiranno se non per -via di morte, trovò il modo di finire sua vita innanzi che volesse -corrompere la sua castità; questi cavalieri credendosi potere vendicare -dell’onta della loro sirocchia contro al tiranno, s’accostarono con la -compagnia, e furono singolare cagione di menarla in sul Ravennese, ove -stette lungamente ardendo, e predando, e guastando il paese; e dopo la -detta stanza e guasto dato, essendosi tenuto alle mura della città il -conte, gli domandò trentamila fiorini d’oro se volea si partissono di -suo terreno, e avendo il tiranno bargagnato, s’era recato il conte a -dodicimila fiorini d’oro. Allora disse il tiranno, che gli darebbe i -detti danari, se ’l conte il volesse sicurare di non partirsi con la -compagnia per spazio d’un anno continovo del contado di Ravenna: e a’ -suoi cittadini fece stimare il danno ricevuto delle loro possessioni, -tenendoli in speranza di pagare loro la restituzione del danno; onde -il conte e la sua compagnia frustrata del loro intendimento si partì -di là, e andossene nella Marca. Lasceremo ora de’ fatti della gran -compagnia, e torneremo alle cose che per l’avvenimento dell’imperadore -occorsono in Toscana. - - -CAP. XLI. - -_Come i Fiorentini per la venuta dell’imperadore a Pisa si provvidono._ - -Sentendo i Fiorentini l’avvenimento dell’eletto imperadore a Pisa, non -avendo alcuna cosa provveduto dinanzi quando era a Mantova, ove ciò che -avessono voluto da lui avrebbono di suo buon grado impetrato, stavano -in consiglio se dovessono ubbidire o contradiare: ed essendone la città -tutta in vari e indeterminati consigli, presono di fare dodici uficiali -ch’andassono per tutto il contado con ordinata balìa, di fare riducere -tutta la vittuaglia nelle terre murate e nelle castella forti, e ogni -altra cosa di valuta, e diedono voce di volere prendere difesa, e non -con accettare l’imperadore, per non sottomettere la franchigia del -comune ad alcuna signoria; e quanto che in fatto questa provvigione -avesse poco effetto, pure fu utilmente provveduto, per non mostrare -viltà o paura, e per dare intendere all’eletto imperadore e al suo -consiglio che il comune di Firenze s’apparecchiava alla sua difesa; e -nondimeno elessono sei cittadini per mandarli a lui come fosse riposato -in Pisa, per trattare accordo con lui, se rimanendo in libertà il -potessono trovare. E questo fu ordinato e fatto in Firenze a dì 11 di -gennaio del detto anno. - - -CAP. XLII. - -_Come il legato prese Recanati._ - -In questo mese di gennaio, il legato del papa avendo la città di -Fermo, e seguitando suo processo contro a messer Malatesta da Rimini -per le città ch’egli occupava a santa Chiesa, nondimeno come signore -avvisato e pratico ne’ fatti della guerra, non stava solo a’ processi -nè al suono delle campane, anzi cercava trattati, e co’ suoi cavalieri -sollecitava gli avversari di continova guerra: e in questi dì per -trattato mise la sua cavalleria in Recanati, e racquistò la città -alla Chiesa di Roma; e in quella, perch’era povera d’abitanti, mise -gente assai a cavallo e a piè per far guerra a messer Malatesta, e per -guardare la città più sicuramente. - - -CAP. XLIII. - -_Come il capitano di Forlì venne in Firenze._ - -Quello che al presente ci muove non è per lo fatto della propria -persona degno di memoria, ma all’indiscreto movimento de’ rettori di -Firenze a quel tempo, non senza ammirazione ci muove a ricordare come -nel nostro contado venne messer Luigi marito della reina Giovanna -figliuola del re Ruberto, ed egli figliuolo del prenze di Taranto -fratello carnale del detto re Ruberto, stati sempre protettori del -nostro comune, e il detto prenze capitano e conducitore delle nostre -osti, avendo il loro reale sangue e la vita, nelle persone di messer -Carlo loro fratello e di messer Piero figliuolo del detto re, sparto -nelle nostre guerre, non dimenticata la memoria di cotanti servigi, -gli fu vietato non tanto il venire nella nostra città senz’arme e -senza compagnia di gente d’arme, ma lo stare nel nostro contado gli -fu vietato; e i fratelli carnali e’ cugini tornando di prigione -d’Ungheria, e domandando di volere fare loro diritto cammino per la -nostra città, e per lo nostro contado a tornare nel Regno, fu loro -vietato e contradetto il passo, ove si doveva con singulare festa e -onore fargli ricevere e accompagnare: ma tanto fu il podere d’alquanti -cittadini che allora governavano il comune, fortificandosi con non -giusti nè veri sospetti, che contro al piacere degli altri cittadini -ebbono podere di così fare. Il capitano di Forlì antico tiranno, sempre -stato nemico di santa Chiesa e del nostro comune, caporale in Romagna -di parte ghibellina, scomunicato e dannato da santa Chiesa, volendo -andare a Pisa all’imperadore con grande compagnia di gente d’arme, fu -nella nostra città ricevuto con disordinato e sobrabbondante onore, e -convitato da’ signori e da altri cittadini stette in festa alcuni dì di -suo soggiorno: poi volendo essere nella presenza dell’eletto imperadore -a Pisa, non gli fu conceduto eziandio entrare in quella città, -perch’era in indegnazione di santa Chiesa. Non è l’onore alcuna volta -fatto al nemico da biasimare, ma molto pare cosa detestabile in luogo -del debito onore a fidatissimi amici imporre sospetto e fare vergogna; -alla matta ignoranza del vario reggimento della nostra città fu lecito -di così fare a questa volta. - - -CAP. XLIV. - -_Come l’imperadore Carlo giunse a Pisa._ - -L’eletto imperadore diliberato delle mani de’ tiranni di Milano, avendo -in sua compagnia il fratello naturale patriarca d’Aquilea, giunse alla -città di Pisa domenica a dì 18 di gennaio, gli anni _Domini_ 1354 -dalla sua incarnazione, in su l’ora della nona. Ed essendo i Pisani -provveduti a fargli onore, gli andarono incontro con la processione -del loro arcivescovo e di tutto il chericato, e con allegra festa i -giovani vestiti a compagnie di nuove assise andavano armeggiando, e i -rettori del comune con gli altri più maturi cittadini, e co’ soldati -senz’arme gli si feciono incontro fuori della terra facendogli somma -riverenza, e così tutto l’altro popolo a piè pieno d’allegrezza gli -si fece incontro; e addestrato da’ loro cavalieri con ricco palio -sopra capo, gridando il popolo viva l’imperadore, il condussono nella -città. L’imperadore, vestito molto onestamente d’uno paonazzo bruno -senza alcuno ornamento d’oro, o d’argento o di pietre preziose, andava -con molta umilità salutando i grandi e’ piccoli, pigliando gli animi -di molti forestieri che l’erano a vedere col suo benigno aspetto e -umile portamento, e condotto alla chiesa cattedrale, reverentemente -inginocchiato all’altare fece sue orazioni; e rimontato a cavallo, con -grande allegrezza e festa fu condotto a’ nobili abituri de’ Gambacorti, -ov’era il famoso giardino, e apparecchiato da’ detti Gambacorti le -camere e le letta di nobilissimi adornamenti, e apparecchiate le -vivande per la cena, e gli ostieri attorno per tutta la sua compagnia, -fu con somma letizia consumata la prima giornata, verificandosi -l’antico proverbio, che dice: gli stremi dell’allegrezza occupa il -pianto, come seguendo appresso in questo processo dell’imperadore si -potrà trovare. - - -CAP. XLV. - -_Come l’imperadore bandì parlamento in Pisa, e quello n’avvenne._ - -Lunedì vegnente a dì 19 di gennaio, volendo l’imperadore fare -ragunare i cittadini a parlamento per ricevere il saramento della -loro ubbidienza, mandò il bando da sua parte che tutti si ragunassono -al duomo per la detta cagione, ed egli s’apparecchiò d’andare là. Il -popolo mosso per lo bando si ragunava al duomo. Erano in questo tempo -in Pisa due sette, l’una reggea lo stato del comune, della quale i -Gambacorti e Cecco Agliati erano caporali, e costoro erano chiamati -Bergolini, l’altra si chiamava la setta de’ Matraversi, e non erano -confidenti al reggimento del comune, ed essendo venuto di Lombardia -appresso all’eletto imperadore uno Paffetta della casa de’ Conti, il -quale era de’ caporali della setta de’ Matraversi, costui con certi -altri di quella setta disposti a rimuovere il reggimento della città, -il quale l’eletto imperadore aveva a Mantova promesso di conservare -e di mantenere, essendo egli già mosso per andare al parlamento, -e valicato il ponte alla Spina, cominciato fu con gran romore per -li Matraversi a dire, viva l’imperadore e la libertà, e muoia il -conservadore. Udendosi nel romore la novità del conservadore, i grandi -e’ piccoli cominciarono a sospettare per tema, e altri per mala -industria, cominciò il popolo a correre all’arme. L’eletto sentendo -questa novità, incontanente diede la volta, e avendo seco Franceschino -Gambacorti, il quale era sindaco del comune a fargli il saramento, e -con lui i soldati del comune, se ne venne al palagio degli anziani, e -di là mandò bandi per la terra, e fece a’ cittadini porre giù l’arme, -e racchetare il popolo; e lasciati i soldati del comune alcuna parte -armati in segno di guardia, in quel giorno non si fece altra novità, e -prolungossi il saramento che fare si dovea all’eletto imperadore. - - -CAP. XLVI. - -_Come l’imperadore di Costantinopoli racquistò l’imperio._ - -Del detto mese di gennaio, un’altro giovane Calogianni Paleologo -imperadore di Costantinopoli, essendo, come addietro è narrato, dal suo -suocero Mega Domestico balio dell’imperio per lui cacciato di quello, -ed usurpato a se la signoria del detto imperio, aveva lui lungamente -tenuto in esilio nel reame di Salonicco: il quale giovane imperadore -avendo tenuto lungo trattato con certi de’ suoi baroni, i quali gli -dicevano che procurasse di comparire a Costantinopoli, ed essendovi -l’ubbidirebbono, costui povero d’avere e di gente, non trovando altro -aiuto, si fece ad amico un gentile uomo di Genova ch’era ricco in quel -paese, il quale co’ suoi danari e con l’industria della sua persona -segretamente il condusse in Costantinopoli; ed essendo nella città, -fu manifestato a’ baroni con cui era in trattato, i quali di presente -gli feciono braccio forte, e sommossono il popolo, che il desiderava -come loro diritto imperadore; e presa l’arme, combattendo il castello -della signoria, Mega Domestico usurpatore dell’imperio, male provveduto -di questo caso, come Iddio volle si fuggì di Costantinopoli, e il -giovane a cui si dovea l’imperio di ragione rimase imperadore, e il -suocero per paura si rendè calogo cioè eremita. E stando in quello -stato da non prender guardia di lui, trattava col figliuolo e co’ -suoi amici d’abbattere l’imperadore, e scoperto il trattato si fuggì, -e cambiato abito, accolse gente, e cominciò a guerreggiare in alcuna -parte l’imperio, con lieve aiuto di sbanditi e di ribelli. L’imperadore -per rimunerare il servigio ricevuto dal Genovese, ch’aveva nome messer -... li diede l’isola di Metelino, e la sirocchia per moglie, ed ebbelo -continovo al suo consiglio. - - -CAP. XLVII. - -_Come i Matraversi di Pisa feciono muovere l’imperadore._ - -Tornando alla materia de’ Pisani, il martedì a dì 20 di gennaio del -detto anno si ragunarono in Pisa col Paffetta assai della setta de’ -Matraversi, e con loro gran parte d’un’altra nuova setta che si diceano -i Malcontenti, e in compagnia s’appresentarono dinanzi all’eletto -imperadore, e con grande istanza il richiesono e pregarono, che per -bene e contentamento del comune dovesse prendere a se il saramento de’ -loro soldati, che i cittadini erano malcontenti che i suoi soldati -fossono all’ubbidienza di due privati cittadini, ciò era Franceschino -Gambacorti e Cecco Agliati: e Cecco Agliati per alcuna invidia presa, -vedendo che a’ bisogni i soldati andavano più a Franceschino che a -lui, sentendo questo movimento andò all’imperadore, e disse, che -dicevano bene, e che per se era contento che così si facesse. L’eletto -imperadore vedendo che il movimento di costoro s’accostava alla sua -volontà, quanto che ciò fosse contro a’ patti promessi, sott’ombra di -volere racquetare la contenzione del comune, e levare materia agli -scandali già mossi, andò al palagio degli anziani, e ivi fatti ragunare -i soldati del comune a cavallo e a piè, prese il saramento da loro, e -cominciò a venir meno allo stato che reggeva della sua promessa, e a -dare baldanza a’ suoi avversari; ma per non dimostrare che così tosto -avesse loro rotti i patti, argomentò, e fecene capitani Franceschino -Gambacorti e Cecco Agliati alla sua volontà. La cosa era già condotta -in termini che dire non s’osava contro a cosa che facesse, nè ricordare -i patti promessi, ma catuno dimostrava essere contento a ciò che -facesse per accattare la sua benivolenza. - - -CAP. XLVIII. - -_Come procedettono i fatti in Pisa._ - -Avvedendosi i Gambacorti e i loro seguaci che l’eletto assentiva di -grado le novità che moveano i loro avversari, e non vi volea mettere -riparo, conobbono che il loro stato si veniva abbattendo, e non vi -poteano riparare con alcuno salutevole consiglio. E però vedendosi a -mal partito, strignendosi insieme, per lo meno reo presono di volere -essere motori, innanzi che fatto venisse alla setta contraria a loro -di dare la libera signoria del comune all’imperadore, pensando che per -i patti egli era loro obbligato, e per questa libertà sarebbe più: -e così deliberati furono all’eletto, e con belle e riverenti parole -dissono, ch’aveano provveduto, per levare gli scandali della città di -Pisa e del suo contado e distretto, darli la signoria; l’imperadore -che per via indiretta cercava questo, si mostrò molto contento, e di -presente prese la signoria, e levò le guardie dalle porte che v’avevano -i Pisani e mise vi la sua gente, e il dì e la notte faceva guardare la -terra alla sua cavalleria tanto che vi fosse più forte, e l’entrate del -comune recò a sua stribuizione, e mandò bando da sua parte, che chi -si sentisse offeso del tempo passato, o per l’avvenire, andasse per -giustizia a lui e alla sua corte, dicendo, che intendea che l’agnello -pascesse allato al lupo senza lesione o paura. Tutto questo processo -per la fretta delle sette e per la volontà dell’imperadore, sotto ombra -di volere conservare il comune in pacifico stato, fu aoperato di fatto, -senza deliberazione di comune consentimento. - - -CAP. XLIX. - -_Come gli ambasciadori del comune di Firenze andaro all’imperadore._ - -Il comune di Firenze avendo lungamente praticato con quello di Siena -e di Perugia per la comune libertà del reggimento delle dette città, -e trovato che i Perugini si poteano diliberare dalla suggezione -dell’imperio, sotto titolo d’essere uomini di santa Chiesa, nondimeno -di loro consiglio s’unirono insieme co’ Sanesi a dovere seguitare -uno sì e uno nò nel cospetto dell’imperadore a mantenere loro stato -e la franchigia de’ loro comuni; e avendo presa questa concordia, -i Fiorentini ch’aveano eletti sei cittadini d’autorità a questo -servigio, gl’informarono della volontà del loro comune, dicendo, che -i Sanesi seguirebbono quello medesimo, secondo la promessa ch’aveano -dall’ordine de’ nove, che governava e reggeva quello comune; ed avendo -i capitoli scritti della loro commissione, a dì 22 di gennaio si -partirono di Firenze vestiti d’un’assisa tutti di doppi vestimenti, -l’uno di fine scarlatto, l’altro di fine mescolato di borsella, con -ricchi adornamenti, e con otto famigli a cavallo per uno tutti vestiti -d’un’assisa, e nel cammino attesono più giorni gli ambasciadori -perugini e’ sanesi per comparire tutti insieme nella presenza -dell’imperadore, come ordinato era, sperando dovere impetrare ogni loro -domanda con la benevolenza del signore, ove i Sanesi tenessono la fede -promessa a’ Fiorentini e a’ Perugini, la qual cosa venne mancata per la -corrotta intenzione de’ Sanesi, come poco appresso racconteremo. - - -CAP. L. - -_Di novità stata in Montepulciano._ - -Mercoledì notte a dì 21 di gennaio, messer Niccolò de’ Cavalieri uscito -di Montepulciano, avendo trattato co’ suoi amici ch’erano nel castello, -accolti dugento cavalieri e cinquecento fanti, essendogli aperta una -porta, entrò nel castello; i Sanesi ch’aveano la rocca e la guardia di -Montepulciano, sentendo messer Niccolò e la sua gente entrati dentro, -francamente con certi terrazzani che non erano nel trattato abbarrarono -la terra, e intendevano alla difesa, ma poco sarebbe loro valuto, se -non che per caso avvenne, che per altra cagione in Montefollonico ivi -vicino erano venute masnade di Sanesi, i quali sentendo lo stormo di -Montepulciano di presente furono là al soccorso de’ loro; e aiutato -sostenere la battaglia e difendere la terra infino al vespero, vedendo -messer Niccolò e i terrazzani ch’erano con lui che non poteano rompere -gli avversari, e che il giorno declinava verso la notte, temette che -nel soprastare maggior gente de’ Sanesi non li sorprendesse, presono -partito d’ardere la terra, e andarsene: e mettendo prima catuno -fuoco nella sua casa, e appresso nell’altre, e affocato ogni cosa, -abbandonarono la terra: e intrigati que’ d’entro a riparare al fuoco -non li poterono seguire, e però si ricolsono a salvamento; e per -l’abbondanza del fuoco messo in molte parti, senza potersi riparare -arse dalla rocca del sasso in giù tutta quanta, con gran danno de’ -terrazzani. - - -CAP. LI. - -_Come le sette di Pisa si pacificarono insieme._ - -A’ 23 di gennaio 1354, avendo l’imperadore recato a se la guardia e -la libera signoria di Pisa, e messi i Tedeschi in luogo de’ cittadini -alla guardia, e già cominciando a prendere per loro, e volere per loro -alberghi le case de’ buoni cittadini di Pisa e le loro masserizie, -per paura di peggio catuna setta si ragunò a casa degli anziani: -e vedendosi insieme, catuno dicea, che per le loro discordie e -disordinati movimenti l’imperadore avea presa la guardia e la signoria -di Pisa contro a’ patti, e senza la deliberazione del comune, e -dimostrarono in quello consiglio quanto male poteva seguire alla patria -per le loro discordie; e ivi gli animi avvelenati da catuna parte -cominciarono a dissimulare, e mostrare di volere tra loro concordia, -e gli anziani in quello stante elessono dodici cittadini di catuna -parte, i quali ragunati insieme, senza contasto terminarono che ogni -dissensione tornasse a unità e concordia. E avuto consiglio con molti -cittadini, feciono fare pace a coloro ch’aveano briga insieme, e quelli -che discordavano per cagione di sette si mostrarono a quella volta -d’uno volere, e di concordia elessono ventiquattro, dodici di catuna -parte, che riformassono la terra degli ufici e’ reggimenti a volontà -dell’imperadore; e così ferma la concordia fra loro andarono insieme -all’imperadore, il quale avea già cassi i soldati borgognoni e italiani -del comune di Pisa, e in loro luoghi condotti de’ suoi tedeschi, e -fattili giurare a se. Venuti i Pisani nella presenza dell’imperadore, -con belle e savie parole li feciono intendere la loro pace e la loro -concordia. L’imperadore, nonostante quello ch’avea inteso da’ dicitori, -fece domandare il popolo se così era di loro volere, e tutti gridando -risposono di sì; allora l’imperadore scusò se, dicendo, che quello -ch’avea fatto non era stato di suo movimento nè per sua volontà, ma -le discordie e i romori mossi e fatti nel suo cospetto l’aveano fatto -temere del suo onore e del pericolo della città, e però avea presa la -guardia; ora molto allegro della loro pace e concordia restituiva la -guardia della città al comune e gli ufici a’ cittadini; e di presente -colla sua autorità confermò i ventiquattro eletti a riformare la terra, -pregando e comandando loro che facessono buona e comune elezione agli -ufici de’ loro cittadini, sicchè alcuno non si potesse con ragione -rammaricare: ma le chiavi delle porte della città non volle però -rendere agli anziani. E chi bene riguarderà questo processo, troverà -per astuto ingegno abbattuto lo stato di coloro che reggevano, e forse -darà fede a una fama che corse, che tutto ciò ch’è avvenuto fosse -ordinato con l’imperadore per lo Paffetta capo de’ Matraversi fino in -Lombardia. - - -CAP. LII. - -_Come Gentile da Mogliano si ritolse la città di Fermo._ - -Tornando nella fontana de’ tradimenti nella Romagna e nella Marca, -ci occorre Gentile da Mogliano, il quale per dare più certa fede de’ -suoi futuri tradimenti, s’era comunicato col cardinale all’altare -del corpo di Cristo quando rendè la città di Fermo a santa Chiesa, e -fu fatto gonfaloniere per lo detto legato contra i nemici di santa -Chiesa di Roma, e capitano della gente della Chiesa contro a messer -Malatesta da Rimini ch’era suo nemico capitale, e mandò il legato, -com’era in convegna con Gentile, gente d’arme a cavallo e a piè per -ricevere la tenuta della rocca e fornirla, e mandò per loro contanti -fiorini d’oro ottomila per dare a Gentile, come gli avea promessi -quando consegnasse la rocca. In questi medesimi dì, innanzi che le -cose avessono il suo effetto, messer Malatesta s’avvisò non potere -resistere contro al legato avendo seco Gentile da Mogliano e la -città di Fermo; e ’l capitano di Forlì, quanto che fosse nemico di -messer Malatesta, s’accorse, che acquistando la Chiesa sopra messer -Malatesta, la piena verrebbe poi sopra lui, e però incontanente fece -sapere a messer Malatesta, che volea dimenticare l’ingiurie ricevute, -ed essere suo amico, e senza attendere risposta, con molta confidanza -se n’andò a lui, il quale veggendo la liberalità del capitano il -ricevette amichevolemente; e ragionando insieme, conobbono il pericolo -del loro stato, e che rimedio non avea se non della loro concordia e -di Gentile da Mugliano: e presa fede da messer Malatesta che farebbe -pace con Gentile, e che gli renderebbe il porto di Fermo, di presente -mandò messer Lodovico suo figliuolo cognato di Gentile a ordinare che -tradisse il legato e santa Chiesa: e perocchè la natura di que’ tiranni -è molto conforme a’ tradimenti, con poca fatica recò Gentile al fatto; -e udita la promessa di messer Malatesta, e vedendosi acconcio a potere -tradire, tutto l’onore ricevuto dal legato, e la speranza di quelli che -gli si apparecchiavano, e ’l saramento prestato nella comunione a santa -Chiesa mise per niente, e fu tanto sfacciato, ch’essendo già venute -in Fermo le some de’ soldati del legato con parte della gente, fece -cercare se i danari vi fossono che il legato mandava per la rocca, e -per avventura erano ancora fuori della terra; e temendo de’ cittadini, -che volentieri erano usciti della sua tirannia, mostrando di volere -fare ciò ch’avea promesso, occultamente racchiuse nella rocca messer -Lodovico con dugento cavalieri, e del mese di gennaio, essendo molti -cittadini fuori della terra a una certa festa, scesono improvviso -della rocca nella città gridando, viva Gentile da Mogliano, e muoia -la parte della Chiesa, e corsono a serrare le porti, e i soldati che -dentro v’erano per la Chiesa mandarono fuori. La gente del legato -uscita di Fermo, e l’altra ch’era fuori, temendo per lo subito e non -pensato tradimento, si ricolsono a Recanati: e fornito Gentile il suo -tradimento, e fatto pace con messer Malatesta, e riavuto il porto di -Fermo, tutti e tre i tiranni ribelli a santa Chiesa si collegarono -insieme contro al legato, ma egli con grande animo per questo non si -smagò, ma prese cuore d’abbatterli, come infine fatto gli venne. - - -CAP. LIII. - -_Come gli ambasciadori de’ Fiorentini e’ Sanesi furono ricevuti -dall’imperadore._ - -A dì 29 di gennaio detto, gli ambasciadori del comune di Firenze, -in compagnia con gli ambasciadori di Siena, entrarono in Pisa, e -andarono a fare la riverenza all’imperadore, e con loro furono ancora -gli ambasciadori del comune d’Arezzo: (quelli del comune di Perugia, -perocchè si voleano appresentare come uomini di santa Chiesa, non -vollono andare con loro): e come giunsono all’imperadore, trovarono -accolti con lui tutti i suoi baroni, ed entrando gli ambasciadori de -detti comuni, i baroni avvallarono i cappucci, e l’imperadore e’ suoi -li ricevettono con molta festa e allegrezza: e volendo baciare i piedi -all’imperadore, nol sofferse: e ricevuta la riverenza da tutti, con -singolare dimostramento d’amore prese per mano degli ambasciadori di -Firenze, e feceseli tutti sedere allato, e tale fu ch’egli abbracciò e -baciò in bocca per mostrare che contro a lui non avesse preso sdegno, -sapendo ch’altra volta tornato a Firenze dalla Magna avea sparlato -contro a lui; e festeggiando con tutti allegramente, domandarono -giornata per sporre la loro ambasciata, e fu data loro per lo seguente -giorno. - - -CAP. LIV. - -_Come i Sanesi scopriro la loro corrotta fede contro a’ Fiorentini._ - -L’altro dì vegnente, a dì 30 di gennaio detto, gli ambasciadori del -comune di Firenze vestiti di scarlatto foderato di vaio con adorni -paramenti, con gli ambasciadori de’ Sanesi insieme, ch’erano de’ -maggiori cittadini di quella città, s’appresentarono alla presenza -dell’imperadore e del suo consiglio: e avendo voluto i Fiorentini che -con loro insieme fossono gli ambasciadori d’Arezzo, i Sanesi ch’avevano -la mente corrotta contro a’ Fiorentini nol vollono acconsentire, -perchè i Fiorentini a quel parlamento non avessono chi li seguisse. E -cominciando gli ambasciadori fiorentini a sporre l’ambasciata com’era -loro imposto, per dimostrare più franchezza del loro comune, usarono -parole di debita reverenza alla maestà imperiale, dicendo _santa -corona_, e poi conseguendo _serenissimo principe_, senza ricordarlo -imperadore, o dimostrargli alcuna riverenza di suggezione, domandando -che il comune di Firenze volea, essendogli ubbidiente, le cotali e -cotali franchigie per mantenere il suo popolo nell’usata libertà, e -avendo tutto detto come fu loro commesso, conchiusono la loro reverenza -con poco onore della maestà imperiale, della qual cosa seguitò poco -onore a’ rettori di Firenze da cui mosse quello consiglio. Di questo -nacque tra i baroni e’ consiglieri dell’imperadore, e massimamente -tra coloro che per animo di parte erano contradi al comune di -Firenze, sdegno e baldanza di parlare contro al nostro comune, e se -l’imperadore, e il patriarca, e il vececancelliere non avessono avuta -più temperanza che gli altri del consiglio, i fatti con la consequenza -de’ Sanesi, che in quello consiglio ingannarono il comune di Firenze, -andavano a rovescio con molto sdegno da catuna parte, ma il savio -signore con temperanza conobbe quanto pericolo al suo stato portava -a non rimanere in concordia col comune di Firenze, e però sostenne, -magnificando quel comune, e mostrando verso quello volere fare quanto -onestamente potesse fare, non guardando troppo all’onore imperiale: -e ordinò di tornare con più diligenza altra volta a trattare co’ -detti ambasciadori, e il suo consiglio ripremette d’ogni oltraggioso -parlamento quivi fatto. Dopo questo, gli ambasciadori sanesi, ch’aveano -altro in cuore che non aveano promesso a’ Fiorentini, lieti della poca -riverenza fatta all’imperadore per gli ambasciadori fiorentini, parendo -loro venuto il tempo che i loro rettori con coperta malavoglienza -lungamente aveano aspettato, credendosi col loro tradimento abbattere -e disfare il comune di Firenze, partendosi da quello che in fede -aveano promesso al nostro comune, cominciarono a sporre innanzi -all’imperadore, e al suo consiglio, e agli ambasciadori del comune -di Firenze la loro ambasciata, magnificando con ornato sermone la -serenità della maestà imperiale, chiamandolo loro signore, e senza -alcuno patto offersono quello comune liberamente alla sua signoria, -con le più magnifiche lode che pronunziare si possono, e con le più -libere offerte, pensando di questo rimanere esaltati e grandi, e aver -messo in fondo il comune di Firenze. Onde l’imperadore graziosamente -e con lieto volto ricevette e accettò l’offerte di quello comune, -e gli ambasciadori commendò molto del loro onorevole parlare, in -onesta riprensione di coloro che con meno reverenza aveano parlato -all’imperiale maestà. Ma perocchè l’intenzione dell’ordine de’ nove di -Siena infino a quello punto era stata occulta a molti grandi cittadini -di Siena e al comune di Firenze, cominciata a palesare ne’ fatti, ebbe -ravvolgimenti, e seguironne cose assai notevoli, come al suo tempo -innanzi racconteremo: ricordando qui, che come a Dio piacque, l’ordine -de’ nove, che questo tradimento ordinarono, ne fu abbattuto e disfatto, -e il comune di Firenze n’è esaltato in maggiore e migliore stato. - - -CAP. LV. - -_De’ falli commessi per lo comune di Firenze, e degl’inganni ricevuti -da’ suoi vicini._ - -Avvegnachè quello che seguita non sia cosa notevole, concedesi al -nostro trattato per ammaestramento delle cose a venire. I rettori del -comune di Firenze sentendo passato in Italia l’imperadore e coronato a -Moncia, per loro non si fe’ alcuna provvisione in utilità o beneficio -del nostro comune; stando egli lungamente a Mantova nel lieve stato -che v’era, se il nostro comune v’avesse mandato a dargli conforto, -ciò che avessono voluto avrebbono di grazia impetrato da lui, ove poi -con pericolo e con gran costo s’accordarono con lui, come seguendo si -potrà trovare. E ancora lasciarono per matta ignoranza a provvedere -d’arrecare alla loro volontà e disposizione tutte le città e castella -e terre vicine, le quali lievemente con alquanta provvedenza arebbono -recato a dire e a fare quello che il comune di Firenze avesse voluto, -ove in sul fatto catuna terra e castello senza richiesta del comune -di Firenze prese suo vantaggio, non senza pericolo del nostro comune; -la diligenza e la sollecitudine de’ nostri rettori fu abbandonata al -corso della fortuna, come per antico vizio degli uomini del nostro -comune è consueto, perocchè non è chi si curi di patrocinare lo stato -e la provvedenza del nostro comune: e i rettori, c’hanno poco a fare -all’uficio, intendono più alle loro private cose che a’ beneficii -del comune, e però più lo conduce fortuna che provvedimento, ma -molto l’aiuta Iddio, e gli ordini dati alla grande massa del comune -per i nostri antichi maggiori. E in questo tempo per questa cagione -avvenne, che i Sanesi non si curarono di rompere in sul fatto la fede -a’ Fiorentini: e i Volterrani, sentendo l’offerte fatte pe’ Sanesi, -anch’eglino si diedono liberamente all’imperadore contro al volere de’ -Fiorentini; e i Pistoiesi contro al volere de’ Fiorentini, e senza con -loro conferirne vi mandarono ambasciadori per darlisi: ma sentendo che -il comune di Firenze si turbava contro a loro, si rattennono della -libera profferta, e soprastettono più per paura che per amore: e’ -Samminiatesi cominciarono segretamente, coprendosi a’ Fiorentini, di -darsi liberamente all’imperadore, e trovando tra loro concordia, prima -l’ebbono fatto ch’e’ Fiorentini vi potessono riparare; e se non fosse -che i rettori d’Arezzo temeano forte de’ Tarlati loro usciti e de’ -ghibellini d’entro, avendosi veduti a stanza de’ Sanesi abbandonare -da’ Fiorentini nella presenza dell’imperadore, si sarebbono dati come -gli altri, non curandosi del Comune di Firenze, ma per loro medesimi -sostennono la libertà di quello comune, essendo forte impugnati da’ -Tarlati Pazzi e Ubertini loro ribelli ch’erano con l’imperadore. E -avvedutisi gli ambasciadori fiorentini dell’inganno de’ Sanesi, e di -quello ch’aveano fatto i Samminiatesi e’ Volterrani, cominciarono -a parlare per gli Aretini e per i Pistoiesi; l’imperadore per sua -industria non li sostenne, ma disse la parola del Vangelo: _aetatem -habent ipsi, de se loquantur_, e non lasciò dar loro audacia o favore; -e così per difetto di mala provvedenza, i Fiorentini de’ loro propri -fatti, e di quelli che s’appartengono alla guardia de’ loro vicini, -furono più e più giorni a pericoloso partito, e in grande ripitio degli -altri cittadini. - - -CAP. LVI. - -_Di molti Alamanni venuti alla coronazione dell’imperadore._ - -Stando l’imperadore a Pisa ne’ trattati colle città e comuni di -Toscana, come detto è, innanzi che i sindachi fossono venuti a -fermare le suggezioni, la novella della sua coronazione da Moncia, e -dell’avvenimento da Pisa, era sparta in Alamagna e nel suo reame di -Boemia, e come le città d’Italia erano senza guerra acconce alla sua -ubbidienza: e per questo l’imperatrice si mosse con mille cavalieri di -buona gente d’arme e molti baroni a sua compagnia per venire a Pisa, e -per simile modo molti prelati e grandi signori della Magna di diverse -provincie si mossono, catuno con grande compagnia, per venire in Italia -per essere alla sua coronazione a Roma, e in breve tempo giunsono a -Pisa l’imperatrice e più di quattromila cavalieri della più bella e -ricca baronia del mondo, bene montati, e con nobili paramenti, e molti -arnesi, ma con lieve armadura, e molti ne vennono per la nostra città, -albergandone seicento e settecento per notte, ove con cortese e buona -guardia onorevolmente furono veduti e albergati. L’imperatrice volea di -grazia venire per Firenze, ma perocchè ancora per lo nostro comune non -era presa fermezza d’accordo con l’imperadore, temendo che l’ignorante -e indiscreto popolo minuto non movesse parole villane contro a’ -forestieri essendo l’imperadrice nella città, o contro i rettori del -nostro comune, per lo meno reo e più sicuro fu diliberato e preso, che -con grande compagnia o piccola ella non venisse nella città di Firenze. - - -CAP. LVII. - -_Di novità della Marca per Recanati._ - -Messer Malatesta da Rimini, e il capitano di Forlì, e Gentile da -Mogliano, collegati insieme contro al legato, sentendo che i signori -di Milano aveano tregua con gli allegati Lombardi, e catuno stava -sospeso per cagione dell’imperadore, aveano cassi cento bandiere di -soldati, e perchè non tornassono loro addosso per via di compagnie non -li lasciavano partire del loro distretto se non per la via della Magna: -e per questo li ritennono a manicare sopra la pelle più d’un mese, e -molti se ne tornarono nella Magna, perocch’erano tutti Tedeschi, e -quando gli ebbono assottigliati, concedettono al resto la via per la -Lombardia, i quali senza arresto improvviso giunsono in Romagna: e -arrestati quivi senza far danno da millecinquecento barbute, i tiranni -sopraddetti romagnuoli s’accolsono con loro, e fatto loro alcuno aiuto -di loro danari, e promesse d’una buona terra dove potrebbono vernare ad -agio, li condussono a Recanati, pensando per forza poterla vincere e -racquistare. Il legato ammaestrato de’ fatti della guerra e de’ baratti -de’ suoi avversari, avendo per suo capitano di guerra messer Ridolfo -da Camerino, pro’ e valente cavaliere, avea fatta guernire di gente -d’arme da cavallo e da piè la città di Recanati: sicchè sopravvenendo -i tiranni con quella cavalleria, e sforzandosi di combatterla, la -trovarono sì guernita alla difesa, che ne perderono tosto ogni -speranza: e non potendovi soprastare, con vergogna se ne partirono -tornandosi addietro. - - -CAP. LVIII. - -_Come la gran compagnia del conte di Lando entrò nel Regno._ - -Essendo per l’avvenimento dell’imperadore in triegua i fatti di -Lombardia, la gran compagnia del conte di Lando era tornata nella -Marca: e ricordandosi che l’anno dinanzi il re Luigi non avea mandato -loro quarantamila fiorini d’oro ch’egli avea promessi, e sentendo -che il duca di Durazzo e il conte Paladino erano in rubellione della -corona, ed erano contenti che la compagnia entrasse nel Regno, -nondimeno il conte di Lando, perchè il re non si provvedesse contro a -loro, tenea trattato d’accordarsi al soldo della Chiesa: ma non gli -era bisogno, che ’l traccurato re era stato assai dinanzi avvisato -dall’imperadore e da più altri che si provvedesse, che di certo la -grande compagnia dovea entrare nel Regno, e la provvigione che di ciò -fatta era, era di stare continovo in danzare e in festa colle donne: e -però la detta compagnia facendo la via della marina d’Abruzzi, senza -trovare contasto o riparo entrò nel Regno: e nella prima entrata -presono Pescara, e Villafranca, e san Fabiano, e trovandoli pieni di -vittuaglia e d’arnesi si dimorarono in essi fino al marzo, recando in -preda ciò che venne loro alle mani, scorrendo le contrade d’intorno. -E d’altra parte il conte Paladino, con trecento cavalieri e molti -masnadieri, in questo medesimo tempo correva predando le terre di -Puglia, facendo noia e danno assai a’ paesani; e avvegnachè messer -Luigi di Durazzo non si scoprisse in questi fatti, tutto si riputava -che fosse di suo consentimento e volontà. Il re facea fortificare -le terre alla difesa contro alla compagnia, e confortavali che si -guardassono bene per non cadere nelle mani de’ predoni: altro aiuto non -dava loro, che non n’era provveduto nè fornito di poterlo fare. - - -CAP. LIX. - -_Come l’imperadore andò a Lucca._ - -Essendo stato l’imperadore in Pisa, e lasciato fare a’ cittadini -le novità che narrate avemo, stimando che quelle divisioni fossono -favorevoli alla sua signoria, e in iscusa a’ patti rotti, intra’ -quali era la suggezione di Lucca, già immaginandone alcuna cosa a sua -utilità, volle andare a vedere la città, e a dì 13 di febbraio anno -detto si mosse con piccola compagnia di gente d’arme, e stettevi quel -dì e l’altro, e prendendo la riverenza da’ cittadini, il pregavano -della loro libertà. Il savio e avveduto imperadore, volendo compiacere -a’ Pisani e mostrare di volere mantenere i patti, quanto che altro -avesse nell’animo, disse, com’e’ sapeva che i cittadini di Lucca erano -stati per lungo tempo ribelli all’imperio, e però li reputava degni di -quello ch’avevano ricevuto: e confortandoli disse, che comportassono -con pazienza quello che sosteneano per penitenza del peccato commesso, -tanto che meritassono la liberazione: e nell’agosto lasciò que’ -medesimi cittadini che i Pisani v’aveano deputati alla guardia, e non -rimosse uficiali nell’ordine di quel reggimento in alcuna parte, e -l’altro dì se ne tornò a Pisa. - - -CAP. LX. - -_Come al Galluzzo nacque un fanciullo mostruoso._ - -In questo mese di febbraio nacque presso a Firenze in un luogo che si -chiama il Galluzzo, a uno barbiere, un fanciullo mostruoso e diminuto, -che ’l viso era come di vitello con gli occhi bovini, e dove doveano -essere i bracci, dagli omeri delle spalle uscivano due branche quasi -come d’una botta, da ogni parte la sua, e avea il corpo e la natura -umana senza coscie: ma dove le coscie dall’imbusto doveano discendere, -uscivano due branche da catuno lato una, ravvolte che non aveano -comparazione: e’ vivette parecchie ore, e appresso morì, lasciando -ammirazione di se. Ma di questo e degli altri corpi umani nati -mostruosi nella nostra città non potemmo comprendere che fosse vestigio -o pronosticatori d’alcuni accidenti, come credeano gli antichi, ma gli -sconci e disonesti peccati spesso sono cagione di mostruosi nascimenti, -e alcuna volta l’empito delle costellazioni. - - -CAP. LXI. - -_De’ fatti di Siena con l’imperadore._ - -Era per lunghi tempi governato il reggimento della città di Siena per -l’ordine de’ nove, il quale era ristretto in meno di novanta cittadini -sotto certo industrioso inganno: perocchè quando il tempo veniva di -fare i loro generali squittini, acciocchè ogni degno cittadino popolare -entrasse nell’ordine de’ nove, coloro ch’aveano già usurpati gli ufici -si ragunavano segretamente in una chiesa, e ivi disponevano d’alcuni -cui voleano che rimanessono nell’ordine, fermandoli tra loro per -saramento, e prometteano tutti dare a’ detti le loro boci co’ lupini -neri, e tutti gli altri ch’andavano allo squittino, ch’erano molti -buoni e degni cittadini, li riprovavano co’ lupini bianchi, sicchè -l’ordine non crescea più che volessono, nè alcuno v’entrava che tra -loro prima non fosse deliberato: per la qual cosa erano in odio a tutti -gli altri popolani, e a gran parte de’ nobili con cui non s’intendeano. -Eranvi certi che manteneano questa setta, e guidavano il comune com’e’ -voleano; costoro furono quelli che con loro tradimento credettono -abbattere il comune di Firenze, e disfare sua franchigia e reggimento -con la forza dell’imperadore, ed esaltare loro, sottomettendo la -libertà del loro comune alla libera signoria dell’imperio, come -poco addietro abbiamo narrato: avvenne, che manifestata in Siena -l’intenzione de’ loro rettori, strana all’intenzione de’ Fiorentini -e della maggior parte de’ loro cittadini grandi e popolani, essendo -mandato per gli ambasciadori al comune di Siena che facessono il -sindaco a fare la sommissione, la cosa cominciò a intorbidare gli animi -de’ cittadini, e a impedirsi il sindacato con grandi ripitii de’ loro -rettori e dell’ordine de’ nove che questo aveano fatto, e fu la città -in grave sospetto di ravvolgimento e di romore, e tutte le case de’ -grandi feciono ragunata di gente d’arme. L’imperadore in Pisa volea che -gli ambasciadori sanesi facessono la sommessione ch’aveano promessa di -fare, e per questa cagione avea fatto bandire il parlamento. Allora uno -degli ambasciadori ch’era della casa de’ Tolomei disse a’ compagni, -che non intendea senza nuovo sindacato palese a’ suoi cittadini fare -quella sommessione: e per questo traendosene catuno addietro, la -cosa soprastette, e rimandarono a Siena: di che l’imperadore ebbe -malinconia e gran sospetto, e tutti i dì di questo aspetto stette -rinchiuso senza dare alcuna udienza o mostrarsi ad alcuno. I grandi -cittadini di Siena conoscendo il gran pericolo che occorrere poteva -al loro comune ribellandosi della promessa fatta all’imperadore, e -avendo fatto conoscere all’ordine de’ nove e al popolo, che senza loro -volontà non aveano podere di darsi all’imperadore, a dì 26 di febbraio -ragunato il parlamento, per volere piacere non meno al minuto popolo, -ch’era imperiale, che all’ordine e alla setta de’ nove, feciono fare -il sindacato pieno a darsi liberamente all’imperadore. Avvenne per -questo, che l’imperadore conobbe e seppe che le case de’ grandi di -Siena ebbono la signoria di fare della città a loro senno, e da loro -principalmente conobbe la soggezione di quella; e venuto il nuovo -sindacato agli ambasciadori detti, domenica, a dì primo di marzo del -detto anno, raunato il parlamento, i detti ambasciadori con pieno -sindacato del loro comune, feciono al detto eletto imperadore per se -e pe’ suoi successori ricevere libera suggezione del misto e mero -dominio di quella città e contado, e de’ loro uomini alla signoria -dell’imperio, non riserbandosi alcuna franchigia dell’antica libertà di -quello comune: e di questo li feciono fare reverenza, e prestarono il -saramento, ed egli l’accettò e ricevette per se e pe’ suoi successori -in futuro in presenza di tutto il parlamento, con grande allegrezza -e festa del popolo pisano ch’era presente; e accecati dalla coperta -invidia che portavano al comune di Firenze, avvisandosi per questo -abbattere la libertà de’ Fiorentini, mattamente sommisono la loro. - - -CAP. LXII. - -_Di più imbasciate ghibelline state in presenza dell’imperadore._ - -Non ci parve da lasciare in silenzio quello che al presente seguita. -Messer Piero Sacconi, e il vescovo d’Arezzo degli Ubertini, e Neri da -Faggiuola, co’ loro consorti e co’ Pazzi di Valdarno, feciono loro -sforzo accattando sopra loro possessioni, e vendendone, per mettersi a -comperare belli cavalli, e armi orrevoli, e robe e ricchi paramenti, -per comparire magnifici nella presenza e servigio dell’imperadore, -credendosi essere esaltati da lui sopra gli altri Toscani: ed essendo -gli ambasciadori d’Arezzo per trovare accordo con l’imperadore, i -loro caporali nominati s’appresentarono nell’udienza imperiale, e in -quella addomandarono baldanzosamente d’essere rimessi nella loro città -d’Arezzo, e che a loro fossono rendute le terre e le possessioni. -Gli ambasciadori francamente li ripugnavano. L’imperadore, ch’avea -l’animo a’ fatti suoi e non a quelli della parte ghibellina, li si -levò dinanzi, dando loro uditori ch’avessono a riferire a lui: e nella -presenza degli uditori messer Piero montò in tanta arroganza, che -con aspre minacce e villanie domandava di volere essere restituito -nella capitaneria d’Arezzo e del contado. Gli ambasciadori savi e -coraggiosi rimproveravano la sua abbominevole tirannia, e il proprio -acquisto fatto per violente rapina, e per manifesta ruberia fatta a’ -meno possenti sotto il titolo del capitanato, conchiudendo, ch’egli -era degno di ricevere dall’imperio gravi pene, avendo convertita la -capitaneria di quella città in incomportabile tirannia: e che quella -città che gli era accomandata per la santa memoria dell’imperadore -Arrigo, egli per malizia e per somma avarizia l’avea sottoposta e -venduta a’ Fiorentini per quarantamila fiorini d’oro, in vergogna -e detrimento del santo imperio: e grande vergogna gli era ora con -sfrenata baldanza avere fatto manifesto all’imperiale maestà cotanti -suoi difetti. Ancora il detto messer Piero avea nella presenza degli -uditori e degli ambasciadori infamato Neri da Faggiuola, ch’avea -per amistà de’ Perugini fatta la terra del Borgo, ch’era per lui -acquistata a’ ghibellini, venire in parte guelfa; per Neri gli fu -altamente risposto, mostrando come tutto era avvenuto per la sua -malizia, e per le sue violenze quando v’avea stato: e anche avvenne -che il vescovo d’Arezzo si lamentò di messer Piero di gravi ingiurie; -e così l’uno disse improvviso contro all’altro per modo, che tutti -impetrarono grazia nel cospetto dell’imperadore e del suo consiglio -di gravi abbominazioni, senza altro acquisto di frutto; e d’allora -innanzi gli ambasciadori del comune d’Arezzo ebbono graziosa udienza -dall’imperadore per l’accordo di quello comune. - - -CAP. LXIII. - -_Come i Volterrani si diedero all’imperadore._ - -Avvegnachè innanzi sia fatta alcuna narrazione della sommissione -di Volterra e di Samminiato, qui si torna al termine del fatto. -I Volterrani sapendo che i Sanesi senza patto erano sottomessi -all’imperadore, avendo poco amore e meno confidanza al comune di -Firenze, perocchè si reggevano sotto la tirannia de’ figliuoli di -messer Ottaviano de’ Belforti, i quali quanto che fossono guelfi di -nazione, per la tirannia dichinavano ad animo ghibellino come mettesse -loro bene, e non amavano il comune di Firenze nè i Fiorentini per la -tirannia, ch’era contradia alla libertà del nostro comune, e però -senza volere seguire il consiglio de’ Fiorentini di domandare patti, -feciono sindachi i loro ambasciadori con pieno mandato e mandarli a -Pisa, i quali in pubblico parlamento, a dì 4 di marzo del detto anno, -si sottomisono liberamente alla signoria dell’imperatore e de’ suoi -successori, e feciono l’omaggio e la reverenza per lo detto comune, e -il saramento come i Sanesi aveano fatto. - - -CAP. LXIV. - -_Come i Samminiatesi si diedero all’imperadore._ - -I Samminiatesi, che soleano essere più all’ubbidienza del comune di -Firenze che i Volterrani, avendo vedute le sopraddette città di parte -guelfa già sottomesse all’imperio, e che il comune di Firenze trattava -per se d’accordarsi con lui, essendo tra loro divisi per setta per la -maggioranza delle due famiglie Malpigli e Mangiadori, temendo l’una -parte che l’altra non pigliasse vantaggio, s’accostarono insieme -dopo l’aspetto di più giorni: e celandosi da’ Fiorentini perchè non -movessono alcuna delle dette case, e veduto loro tempo convenevole, -di concordia feciono loro ambasciadori con pieno mandato e sindacato -del comune a darsi liberamente all’imperadore; e mandatili a Pisa, a -dì 8 di marzo in parlamento si sottomisono liberamente alla signoria -dell’imperadore; e fatto il saramento, e volendo fare l’omaggio e -baciare i piedi all’imperadore, li levò di terra, e ricevetteli _ad -osculum pacis_, cosa che non avea fatta a’ sindachi di niuna altra -città: la cagione si stimò che fosse per l’affezione che l’imperio -per antico avea a quello castello, ove solea essere la residenza -degl’imperadori e de’ loro vicari, perchè è uno mezzo tra le grandi e -buone città di Toscana. Questo fu prima fatto che il comune di Firenze -ne sentisse alcuna cosa, e quando il seppono, più gravò nell’animo de’ -cittadini di Firenze che la sommissione di Siena e di Volterra, per la -vicinanza che ’l detto castello ha con la nostra città e con l’altre -di Toscana: ma gran cagione ne fu la poca provvedenza già detta de’ -rettori del nostro comune. - - -CAP. LXV. - -_Di disusato tempo stato nel verno._ - -Non ci pare da lasciare in silenzio quello che fu singolare alla -memoria de’ più antichi, la cagione si credette che venisse da -influenza di costellazioni: il fatto fu, che dal novembre al marzo il -tempo fu di dì e di notte il più sereno, cheto e bello che per addietro -si ricordasse, essendo il freddo senza venti continovo e grande: e le -nevi ch’erano cadute dal principio si mantennono ghiacciate nel contado -di Firenze, e in molte parti bastò nella città più di tre mesi: il mare -fu tranquillo e dolce a navicare oltre alla credenza degli uomini; -tutti i gran fiumi stettono serrati di ghiaccio lungamente per modo -che niuno si poteva navicare, e il nostro fiume d’Arno, che è corrente -come uno fossato, stette fermo e serrato di ghiaccio, che lungamente -senza pericolo in ogni parte si poteva sopra il ghiaccio valicare: e a -dì 8 di marzo cominciarono a rompere le piove dolci e utili a tutte le -sementa della terra. - - -CAP. LXVI. - -_Come il segreto giurato in Firenze fu manifestato all’imperadore._ - -Seguendo gli ambasciadori di Firenze il trattato della concordia -con l’imperadore, e avendo il mandato di profferirgli per lo comune -cinquanta migliaia di fiorini d’oro, avendo da lui i patti privilegiati -che per parte del comune gli si dimandavano, l’imperadore, avvisato -e malizioso, della moneta, dov’egli avea l’animo, non mostrava di -curarsi, ma ne’ patti si mostrava strano e tenace per vendere più cara -la sua mercatanzia. Avvedendosi di questo gli ambasciadori, e avendone -alcuno segreto accennamento di fuori da lui, due degli ambasciadori per -comune consiglio degli altri tornarono in Firenze per informare a bocca -i rettori, e avvisarli di quello che a loro pareva dell’intenzione del -signore. Vedendo i rettori che l’imperadore s’addurava, e che le terre -vicine s’era no date liberamente alla sua signoria, aveano cagione -di più temere: e tennono più consigli segreti ove si raccontavano -de’ falli dell’eletto: come manifesto appariva che non avea tenuto -fede a’ Gambacorti, nè allo stato di coloro che reggevano la città -di Pisa, dilettandosi de’ romori e della divisione de’ cittadini, e -tenea con loro che più erano pronti a movere le novità nella terra -per averne più libera signoria, e come si mostrava bisognoso e cupido -di trarre a se moneta: e avendo per più riprese praticato sopra i -fatti dell’imperadore e sopra quelli del nostro comune, infine d’un -animo presono partito per lo meno reo, che non si guardasse a costo -di moneta infino in fiorini centomila d’oro, dandoli all’imperadore, -dove la nostra città di Firenze rimanesse libera in sua giurisdizione, -con altri singolari patti. E commettendo la pratica di queste cose -ne’ detti ambasciadori, avendoli informati che si tenessono forti a -cinquantamila fiorini, e che non mostrassono nè paura nè viltà in -domandare e sostenere il vantaggio del comune nella quantità della -moneta e negli altri patti, ma innanzi si rompessono da lui aveano di -darli i detti fiorini centomila d’oro. Questo consiglio fu ristretto -ne’ priori e ne’ loro collegi con piccolo numero d’arroti, e fu -comandata a tutti la credenza, e giurata solennemente: e rimandati -i due ambasciadori a Pisa, essendo con l’imperadore, e sostenendo -francamente quello ch’era stato loro imposto, l’imperadore cominciò -a sorridere contro a loro, e manifestò ciò ch’era loro commesso, e -la deliberazione del loro comune, dicendo, che per scrittura tutto -gli era manifesto. Gli ambasciadori di presente senza procedere più -innanzi significarono all’uficio de’ priori ciò ch’aveano di bocca -dell’imperadore della revelazione del loro segreto consiglio, che per -questa cagione, avvegnachè per loro non li fosse acconsentita alcuna -cosa, il trovavano più duro e più turbato che prima, dicendo, come non -era traditore de’ Gambacorti, nè che non era cupido di moneta più del -suo onore, nè si dilettava nella commozione de’ cittadini. Come questa -novella fu divolgata nella nostra città, l’infamia de’ signori, e de’ -collegi, e degli arroti, in cui era la credenza, fu molto grande: ma -però non trovò il comune chi alcuna cosa ne facesse allora per purgare -la comune infamia, temendo per la tenerezza dello stato, avendo così -dipresso l’imperadore, che maggiore pericolo non ne seguisse. Il -consiglio non fu reo, se rifermato lo stato del comune con la pace -dell’imperadore se ne fosse fatta debita inquisizione e giustizia. - - -CAP. LXVII. - -_Come l’imperadore mandò aiuto di gente al legato._ - -Essendo i tiranni di Romagna accozzati insieme, e accolta gente -d’arme assai venuta di Lombardia per reprimere la forza del legato, -ch’era piccola, il legato mandò a richiedere l’imperadore d’aiuto. -L’imperadore immantinente, per mostrarsi zeloso e divoto a’ servigi -di santa Chiesa, vi mandò di presente de’ suoi Tedeschi cinquecento -barbute, e feciono la via per Siena, veduti e onorati da’ Sanesi -graziosamente: e giunti al legato con l’insegna del loro signore, -rifrenarono la forza e la volontà de’ tiranni. Questo non era per -l’andata di cinquecento barbute cosa da farne memoria, ma consentesi al -nostro trattato perchè fu la prima e l’ultima che l’imperadore facesse -in Italia in fatti d’arme. - - -CAP. LXVIII. - -_Trattati dell’imperadore ai Fiorentini._ - -Essendo gli ambasciadori del comune di Firenze quasi ogni dì con -l’imperadore per trattare la concordia, ed egli avendo scoperto il -segreto del comune, e crescendogli ogni dì forza grandissima di baroni -e di cavalieri della Magna, non gli parea volere di meno, e però -si tenea forte a non condiscendere alla volontà de’ Fiorentini: e -nondimeno temperava per non rompersi da loro, con tutto l’attizzamento -de’ caporali ghibellini d’Italia ch’erano appresso di lui, che al -continovo l’infestavano, perchè si rompesse dai trattato della -concordia de’ Fiorentini, mostrandogli che avendo egli Pisa e Siena, -Volterra e Samminiato, e l’aiuto de’ ghibellini ch’erano ivi a fare i -suoi comandamenti, e la gran forza della sua baronia, senza dubbio di -presente ne sarebbe signore a cheto, e abbatterebbe la loro arrogante -superbia con grande onore e magnificenza dell’imperio. Il savio signore -conoscea quanto pericolo gli potea incorrere, potendo con suo onore -e vantaggio avere pace, cercare guerra: e conosceva, che quando il -comune di Firenze, ch’era potentissimo, si facesse capo della guerra -contro a lui, che tosto gli si scoprirebbono molti nemici: e conoscea -il servigio che avrebbe dalla gente tedesca, se con larga mano non -li provvedesse, e quanto erano fallaci le suggestioni de’ ghibellini -d’Italia: e però serbava il consiglio e la diliberazione nel suo petto, -e forte si temea che nascesse cagione per la quale i Fiorentini si -rompessono dal trattato; e però avendo trattato con loro per modo che -pareano assai di presso, l’imperadore disse, che facessono d’avere il -sindacato pieno dal loro comune come la materia richiedeva: e allora -diliberarono che tre degli ambasciadori tornassono a Firenze a fare che -il sindacato si facesse. - - -CAP. LXIX. - -_Raccolti falli de’ governatori del comune in Firenze._ - -Perocchè gli antichi moderati e virtudiosi che soleano reggere e -governare lo stato della repubblica in grande libertà, e con maturi -movimenti e con diligente provvidenza governavano quella in tempo -di pace e di guerra, e non perdonando i falli che si faceano contro -la patria, nè lasciando senza merito l’operazioni che si facevano -virtudiose in accrescimento e onore del comune, onde al nostro tempo -è da maravigliare come la cittadinanza si mantiene, essendo strana da -quelle virtù, e dalla provvisione di quel reggimento: e in luogo di -quelli antichi amatori della patria, spregiatori de’ loro propri comodi -per accrescere quelli del comune, si trovano usurpatori de’ reggimenti -con indebiti e disonesti procacci e argomenti, uomini avveniticci, -senza senno e senza virtù, e di niuna autorità nella maggiore parte, -i quali abbracciato il reggimento del comune intendono a’ loro propri -vantaggi e de’ loro amici con tanta sollecitudine e fede, che in tutto -dimenticano la provvisione salutevole al nostro comune: e non è chi -per lui pensi, nè per la sua libertà, nè per lo suo esaltamento, nè -onore, nè per riparare al pericolo che sopravvenire gli può, se non -nella strema giornata o in sul fatto; e per questo spesso occorrono -gravi casi al nostro comune, e niuno prende vergogna, o aspetta, per -avere mal fatto al comune, alcuna pena: e però non è senza pensiero di -grande ammirazione come il nostro comune non cade in grandi pericoli -di suo disfacimento. Ma i discreti del nostro tempo tengono che questo -sia singolare grazia e operazione di Dio, perocchè in così gran fascio -di cittadini e di religiosi, benchè molti ne sieno de’ rei, assai v’ha -de’ virtuosi e de’ buoni, le cui preghiere conservano la città da molti -pericoli, e alquanto è la gente cattolica e limosiniera, perchè Iddio -la conserva; e oltre a ciò gli ordini dati alla massa del comune per -li nostri antichi, e ’l reggimento che ha preso il corso alla comune -giustizia per le conservate leggi, è grande braccio al conservamene del -comune stato. E benchè gli usurpatori del non degno uficio sieno molti, -e male disposti al comune bene, e solleciti e provveduti a’ loro propri -vantaggi, e occupino la civile libertà, il tempo di due mesi ordinato -al reggimento del sommo uficio del priorato per li nostri provveduti -antichi è sì breve, che fa grande resistenza alla propria arroganza: -e ancora la riprieme non poco la compagnia di nove priori e de’ loro -collegi. Ma non possono ammendare il continovo fallo dell’abbandonata -provvedenza: onde avviene, che come fortuna guida le cose, infino al -pubblico destamento del popolo si pena a provvedere, non il migliore -consiglio, che nol concede il trapassamento delle debite provvedenze, -ma il meno reo. E questo avviene continovo in tutte grandi e pericolose -cose e accidenti ovvero imprese che accaggiono al nostro comune. - - -CAP. LXX. - -_Come a Firenze si fece il sindacato per l’accordo con l’imperadore._ - -Avendo narrato il modo del reggimento del comune di Firenze e de’ -suoi rettori, si può dire con verità del fatto, manifestato più volte -in pieno consiglio per la bocca dell’imperadore, che avendo mandati -il comune di Firenze a Mantova suoi ambasciadori a profferirgli -l’aiuto del comune, e confortarlo della sua coronazione, non avrebbono -domandati que’ patti, che largamente senza niuna promessa di moneta -non avesse liberamente fatti; ma la provvedenza era, ed è per lunghi -tempi stata in contumace del nostro comune: e però tornati a Firenze -i tre ambasciadori per far fare il sindacato, sperando la concordia -con l’imperadore, a dì 12 di marzo del detto anno, ragunato il -consiglio del popolo secondo l’ordine del nostro comune, che prima -s’ha a deliberare in quello, poi in quella del comune, avvenne che il -notaio delle riformagioni, ch’era natio da..... leggendo i patti che -s’intendeano d’avere con l’imperadore, per mostrare grande tenerezza -al popolo della libertà pura del comune, non ostante che in quelle -scritture se ne contenesse assai già deliberate pe’ signori e pe’ -collegi, si ruppe a piagnere per modo, che la proposta non si potè -leggere; e gli animi de’ consiglieri a quelle lagrime si commossono dal -loro proponimento, e però si rimase il consiglio e il sindacato per -quella giornata, e convenne che di nuovo si rifacessono altri privati -consigli, ne’ quali il movimento del notaio non fu riputato fatto -con movimento di ragionevole carità, ma piuttosto per adulazione per -accattare benivoglienza dal popolo. E pertanto tutti i privati consigli -fermarono l’intenzione a fare quello s’addomandava dagli ambasciadori, -e da capo a dì 13 del detto mese si mosse la proposta al consiglio del -popolo, e sette volte l’una dopo l’altra si perdè: all’ultimo levati -molti cittadini d’autorità a dire, e a mostrare il beneficio che di -questo seguitava al comune, e il pericolo che venia del contrario, -si vinse, e fu dato la balìa di pieno sindacato a tutti e sei gli -ambasciadori del comune, a potere promettere per lo comune ciò ch’era -trattato o di nuovo si trattasse: e appresso l’altro dì, a dì 14 del -mese, con minore fatica si rifermò nel consiglio del comune, e gli -ambasciadori col mandato pieno si tornarono a Fisa. - - -CAP. LXXI. - -_Quello si fe’ per alcuno cardinale per la coronazione dell’imperadore._ - -In questi dì il cardinale d’Ostia, a cui s’appartiene la coronazione -dell’imperadore, giunse in Pisa, ricevuto dall’eletto a grande onore. -Era consuetudine di santa Chiesa di mandare tre cardinali alla -coronazione degl’imperadori, quello d’Ostia, c’ha l’uficio d’andare -a coronare l’imperadore alle sue spese e alla sua provvisione, gli -altri due debbono andare alle spese di santa Chiesa: ma a questa -volta essendone fatto gran procaccio in corte, e per questo avuto -la grazia il cardinale di Pelagorga, e quello di Bologna in su ’l -mare, ch’erano di maggiore legnaggio, il papa e gli altri cardinali -non acconsentirono che la Chiesa facesse loro le spese, dicendo, se -voleano andare ch’aveano la benedizione, ma altro non aspettassono. -I cardinali considerarono la spesa grande, e l’imperadore povero di -moneta e stretto d’animo, e però con poco loro onore per lo procaccio -fatto si rimasono di quella legazione, e il papa per non accrescere -loro vergogna non ve ne mandò alcuno altro: e di questo non si turbò -l’imperadore per non avere a stendere in loro il suo onore. - - -CAP. LXXII. - -_Come si fermò l’accordo e’ patti dall’imperadore al comune di Firenze._ - -Sentendo l’imperadore tornati gli ambasciadori del comune di Firenze -con pieno mandato e sindacato da fare l’accordo con lui, e come a’ -Fiorentini era paruto malagevole, e conosciuto ch’egli avea recati -gli ambasciadori a promettergli centomila fiorini d’oro, più per -la revelazione ch’egli avea fatta loro del segreto del comune che -per altro piacere, e trovando che i Pisani per mala suggestione già -gli aveano domandato che li dovesse liberare della franchigia ch’e’ -Fiorentini aveano in Pisa per li patti della pace, ed egli sostenea -dicendo, che il loro movimento non era buono; e vedendo che il suo -consiglio era insuperbito per la gente alamanna che crescea al suo -servigio tutto dì, e per la forte inzicagione che i ghibellini -italiani faceano loro, temette del suo consiglio, e poi volle gli -ambasciadori avere in camera seco col patriarca e col vececancelliere -soli: e cominciando a chiarire i patti, l’imperadore vi s’allargò -molto più che infino allora non avea fatto, per tema che discordia -non rinascesse, e per non avere a riferire la sua volontà col suo -consiglio. Nondimeno quando vennero al saramento per fermezza delle -cose che si trattavano, gli ambasciadori al tutto voleano il salvo -manifesto e palese fermato col detto saramento; l’imperadore si -fermò a non volerlo fare: ma volea la sommissione libera, e da parte -privilegiare i patti, e che nel saramento de’ sindachi non fosse -eccezione. Gli ambasciadori, in questa parte alquanto indiscreti, -potendolo fare a salvezza del comune, lungamente lo tennono sospeso -non senza sua turbazione, e poi il feciono, e già era molto infra la -notte. Appresso vennono a dire, che il saramento della sommissione -non voleano che si stendesse a’ successori dell’imperio, altro che -alla sua corona; a questo, disse l’imperadore, che non credea che vi -si stendesse, perocchè questo si dovea fare nominatamente alla sua -persona, ma dove a’ successori andasse, in niuna maniera intendea a -derogare le loro ragioni. Appresso domandarono, che tutte le leggi e -statuti fatte e fatti, o che per innanzi si facessono per lo comune di -Firenze, in quanto le comuni leggi nominatamente non le repugnassono, -le dovesse per suoi privilegi confermare. Questa gli parve sconvenevole -domanda, e non la volea consentire: e parendo questo agli ambasciadori -dubbioso, tre ore o più di piena notte tennono la contesa con lui, e -infine l’imperadore infellonito gittò la bacchetta ch’avea in mano -per terra, e mostrandosi forte crucciato, giurò in alta voce per più -riprese, che se innanzi ch’egli uscisse di quella camera questo non -si consentisse per i sindachi, che con la sua forza e de’ signori di -Milano e degli altri ghibellini d’Italia distruggerebbe la città di -Firenze, dicendo, che troppa era l’altezza della superbia d’uno comune -a volere suppeditare l’imperio. Gli ambasciadori vedendolo così forte -turbato dissono, che troverebbono modo di venire a fare di ciò la sua -volontà: e perocchè l’ora era fuori di modo tarda, presono licenza per -andarsi a posare, e per questa cagione ogni cosa rimase imperfetta in -quella notte, e in quell’ora significarono il fatto gli ambasciadori a’ -signori di Firenze, per avere il dì vegnente da risposta a buon’ora. -L’imperadore sentendo che gli ambasciadori aveano scritto al comune -di Firenze significando le sue parole, temette forte che i Fiorentini -non si rompessono dalla concordia, e però la mattina per tempo, non -attendendo che gli ambasciadori avessono risposta, mandò per loro, e -usate molte savie parole intorno al movimento tedioso della notte, con -dimostramento di grande amore verso il comune di Firenze, largamente -acconsentì ciò che gli ambasciadori aveano domandato: e oltre a ciò per -sua liberalità, ove gli ambasciadori gli aveano promesso d’essergli -stadichi per attendere la promessa del comune, poco appresso fatta la -concordia disse, ch’alla fede del comune intendea di stare di questo -e d’ogni gran cosa, e licenziò gli stadichi, e raffermata tutta la -concordia, innanzi che da Firenze venisse la risposta: nondimeno il -comune avea risposto, che per le dette cose non volea che la concordia -rimanesse: e questo fu a dì 20 di marzo del detto anno. - - -CAP. LXXIII. - -_Come i Fiorentini per mala provvedenza errarono a loro danno._ - -Avvegnachè molto sia detto de’ falli del nostro comune, uno singolare -non ci si lascia passare senza fare in questo luogo memoria di lui. -Fatta e ferma la concordia con l’imperadore di dargli fiorini d’oro -centomila per avere fine e remissione da lui delle condannagioni e -pene, in che ’l nostro comune era incorso per decreti dell’imperadore -Arrigo e degli altri suoi antecessori, si ritrovò il saramento fatto -per lo detto eletto a papa Clemente sesto e alla Chiesa di Roma, -quando fu promosso per operazione del detto papa e di santa Chiesa -all’elezione dell’imperio, ch’egli libererebbe i comuni di Toscana -d’ogni condannagione fatta per i suoi antecessori, e d’ogni debito a -che si trovassono obbligati per addietro all’imperio, massimamente -il comune di Firenze, il quale per l’imperadore Arrigo era stato -condannato con i suoi cittadini in loro singolarità, la qual cosa -era manifesta a santa Chiesa. E ancora giurò, che i detti comuni non -graverebbe, nè farebbe contro alcuno di quelli muovere guerra, nè -sottometterebbe la loro libertà. Grande ignoranza fu trattare presso -a due mesi con l’imperadore, e non avere memoria di cotanto fatto. Io -reputo essere stata degna compensagione, avendo così fatta ignoranza -compensata con prezzo di cento migliaia di fiorini d’oro, i quali il -comune pagò per avere con fatica e con paura quello che aver potea -senza costo, per la benigna provvedenza di santa Chiesa: e quello che -pagò per debito in piccola parte, potea in luogo di servigio e di -grazia compensare. Vergognomi ancora di scrivere la seguente arrota: -avendo nella fama dell’avvenimento in Italia dell’imperadore, mandato a -corte al papa e a’ cardinali per avere aiuto e favore da santa Chiesa, -le lettere furono impetrate piene e graziose e favorevoli per lo -nostro comune all’imperadore, ove il papa e’ cardinali gli ricordavano -la promessa fatta sotto il suo saramento; le lettere stettono in -cancelleria per spazio di tre mesi, innanzi che modo si trovasse di -pagare fiorini trenta d’oro per le comuni spese della cancelleria: e -per questo, poco appresso che la sommissione del comune e la promessa -della moneta fu fatta, giunsono le lettere bollate al nostro comune, -con grande ripitio e vergogna de’ nostri rettori. - - -CAP. LXXIV. - -_Della statura e continenza dell’imperadore._ - -Secondo che noi comprendiamo da coloro che conversano intorno -all’imperadore, la sua persona era di mezzana statura, ma piccolo -secondo gli Alamanni, gobbetto, premendo il collo e ’l viso innanzi non -disordinatamente: di pelo nero, il viso larghetto, gli occhi grossi, -e le gote rilevate in colmo, la barba nera, e ’l capo calvo dinanzi. -Vestiva panni onesti e chiusi continovamente, senza niuno adornamento, -ma corti presso al ginocchio: poco spendea, e con molta industria -ragunava pecunia, e non provvedeva bene chi lo serviva in arme. Suo -costume era eziandio stando a udienza di tenere verghette di salcio in -mano e uno coltellino, e tagliare a suo diletto minutamente, e oltre -al lavorio delle mani, avendo gli uomini ginocchioni innanzi a sporre -le loro petizioni, movea gli occhi intorno a’ circostanti per modo, -che a coloro che gli parlavano parea che non dovesse attendere a loro -udienza, e nondimeno intendea e udiva nobilemente, e con poche parole -piene di sustanzia rispondenti alle domande, secondo sua volontà, e -senza altra deliberazione di tempo o di consiglio faceva pienamente -savie risposte. E però furono in lui in uno stante tre atti senza -offendere o variare l’intelletto, il vario riguardo degli occhi, -il lavorare con le mani, e con pieno intendimento dare l’udienze e -fare le premeditate risposte; cosa mirabile, e assai notevole in uno -signore. La sua gente, avendo in un’ora in Pisa più di quattromila -cavalieri tedeschi, faceva mantenere onestamente, eziandio astenere -dalle taverne e dalle disoneste cose per modo, che innanzi alla sua -coronazione in Pisa non ebbe zuffa nè riotte tra’ forestieri e’ -cittadini d’alcuna cosa. Il suo consiglio ristrignea con pochi suoi -baroni e del suo patriarca, ma la deliberazione era più sua che del -suo consiglio: perocché ’l suo senno con sottile e temperata industria -valicava il consiglio degli altri; e molto si guardò di muoversi alla -stigazione e conforto de’ ghibellini d’Italia, usati d’incendere e -d’infocare l’imprese all’appetito parziale, più che al singolare onore -dell’imperiale corona, i cui vizi nobilemente conoscea. - - -CAP. LXXV. - -_Come si bandì in Firenze l’accordo con l’imperadore._ - -Sabato mattina, a dì 21 di marzo del detto anno, l’imperadore -provvedutamente fece ragunare tutti i forestieri ch’erano in Pisa e’ -Pisani a parlamento nel duomo di Pisa, e con dimostramento di singolare -allegrezza fece venire dinanzi da se tutti e sei gli ambasciadori e -sindachi del comune di Firenze: i quali giunti nel parlamento furono -guardati da tutti con ammirazione grande, perocchè alla memoria di -coloro ch’erano vivi, nè di molto tempo innanzi, si trovava che il -comune di Firenze fosse stato altro che nemico all’imperadore, e ora -vedeano che con pace aveano dall’imperadore que’ patti ch’aveano saputi -dimandare: e da loro ricevette l’omaggio e il saramento della fede che -promisero all’imperadore, sotto la condizione de’ patti e convenienze -che ferme aveano con lui per lo comune di Firenze, le quali su brevità -appresso in sostanza diviseremo: e l’eletto imperadore come re de’ -Romani ne fece a loro privilegi reali, e promise ricevuta l’imperiale -corona di farli imperiali. E a dì 23 del detto mese, lunedì sera, -si pubblicò in Firenze la concordia presa con l’imperadore, sonando -le campane del comune e delle chiese a Dio laudiamo. Poca gente, a -rispetto del nostro comune, si ragunò al parlamento, e senza alcuna -vista d’allegrezza ogni uomo si tornò a casa. Il comune fece in sulle -torri e in su i palagi festa e luminaria: ma nella città pe’ cittadini -non si fece falò per segno d’alcuna allegrezza, conoscendo quanto -costava caro al comune l’ignoranza de’ loro cittadini governatori per -l’abbandonata provvedenza. - - -CAP. LXXVI. - -_I patti e le convenienze da’ Fiorentini all’imperadore._ - -Questi furono i patti che messer Carlo re di Boemia eletto imperadore -impromise al comune di Firenze, e co’ suoi reali privilegi confermò. -In prima cassò e annullò ogni sentenza e condannagione le quali per -addietro fossono fatte contro alla città, e’ cittadini e comune di -Firenze e’ suoi contadini, e contra i conti da Battifolle, e da -Doadola, e da Mangona, e Nerone d’Alvernia per gl’imperadori romani -ovvero re de’ Romani suoi antecessori: e tutti e catuno integrò e -restituì ne’ suoi onorie giurisdizioni e dominii personali e reali. E -concedette che il comune e popolo, e la città e contado e distretto -di Firenze si reggesse secondo gli statuti e le leggi municipali e -ordinamenti consueti del detto comune: e di singolare grazia confermò -al detto comune per suoi privilegi quello che più gli parve grave, -cioè, la confermazione delle leggi dette e statuti fatti, e che per -innanzi si facessono, approvandoli e confermandoli in quanto le comuni -leggi nominatamente non le riprovassono: dicendo, la moltitudine delle -leggi è tanta, che se a questo non hanno provveduto, io a’ Fiorentini -nol vo’ negare. Ancora, che i priori dell’arti e il gonfaloniere della -giustizia, che sono e che per li tempi saranno all’uficio del priorato, -sieno irrevocabili suoi vicari tutto il tempo della sua vita. E il -detto imperadore graziosamente, avendo affezione a volere mantenere il -pacifico stato e tranquillo riposo del comune di Firenze, acciocchè per -lo suo avvenimento in quella città non nascesse tumulto o mutazione, -promise e concedette di grazia speziale di non volere entrare nella -città di Firenze nè in alcuna sua terra murata. I sindachi predetti -a vice e a nome del comune di sopra detto feciono a lui in pubblico -la sommessione e l’ubbidienza, e giurarono liberamente riconoscendolo -per vero eletto e futuro imperadore: e la reverenza li feciono in -segno del debito omaggio; e promisongli in nome del comune di Firenze -per satisfazione intera di ciò, che obbligati fossono per lo tempo -passato infino al presente dì, a lui e a tutti i suoi antecessori, per -qualunque ragione o cagione dire o nominare si potesse, e ancora per -tutte le terre che ’l detto comune tiene, e ha tenute in suo contado e -in suo distretto, fiorini centomila d’oro in quattro paghe in cinque -mesi, finendo per tutto il mese d’agosto del detto anno 1355: e per lo -tempo avvenire promisono di dare ogni anno del mese di marzo al detto -imperadore Carlo, alla sua vita solamente, fiorini quattromila d’oro -per compensagione di censo, in quanto le città di Toscana fossono -tenute di ragione all’imperio, e oltre a ciò, per tutte e singule -quelle cose le quali il detto comune per se e per lo suo contado e -distretto dire si potesse ch’all’imperio fossono per alcuna cosa -obbligati; e di tutti i detti patti e convenienze, oltre a’ privilegi -reali, fu contento l’imperadore futuro che ser Agnolo di ser Andrea -di messer Rinaldo da Barberino, notaio pubblico imperiale, ne facesse -carta e pubblico istrumento al detto comune. Aggiugnesi qui, benchè -quello che seguita avvenisse dopo la sua coronazione, acciocchè insieme -si trovi la memoria de’ patti e de’ privilegi imperiali, e dell’arrota -della graziosa libertà del detto imperadore inverso il nostro comune. -E a dì 3 di maggio 1355 nella città di Siena, tornando l’imperadore -dalla sua coronazione, tutte le dette convenienze e promesse fatte -rinnovò, e comandò che si dessono al nostro comune sotto la fermezza -de’ suoi privilegi imperiali roborati delle bolle dell’oro. E avendo -nel processo del tempo il detto imperadore trovato il comune di Firenze -in molta fede e dirittura delle sue promesse, non ostante che i Pisani, -e’ Sanesi e gli altri Toscani l’avessono tradito e messo in grave caso -di fortuna, essendo ridotto a Pietrasanta per partirsi d’Italia, e -avendogli i Fiorentini con gran pericolo mandato là il compimento de’ -centomila fiorini promessi, avendolo egli molto a grado, e commendando -l’amore e la fede del comune, in vituperio degli altri comuni -ch’aveano mostrato la libera suggezione all’imperio, e poi l’aveano -tradito, s’offerse singolarmente a’ Fiorentini, e di suo proprio -movimento privilegiò al nostro comune generalmente ciò che tenea in -suo distretto, e mandonne i suoi privilegi imperiali bollati d’oro al -nostro comune, fatti in Pietrasanta a dì 3 di giugno 1355. In questo -tempo il comune di Firenze tenea in suo distretto la Valdinievole, il -Valdarno di sotto, Pistoia, e ’l castello di Serravalle, e tutta la -montagna di sotto, e Colle, e Laterina, e Montegemmoli, e la terra di -Barga con più castella di Garfagnana, e Castel san Niccolò col suo -contado, e la montagna fiorentina, e molte altre terre e castella che -qui per brevità non si nominano, e la nobile terra di Sangimignano e di -Prato, avvegnachè già, come è detto, erano ridotte a contado di Firenze. - - -CAP. LXXVII. - -_Come fu offesa la libertà del popolo di Roma da’ Toscani._ - -Vedendo i falli commessi per li comuni di Toscana, che liberamente -sottomisono la loro libertà al nuovo imperadore, ci dà materia di -ricordare per esempio del tempo avvenire, come col popolo romano i -comuni d’Italia, e massimamente i Toscani, sotto il loro principato -parteciparono la cittadinanza e la libertà di quello popolo, la cui -autorità creava gl’imperadori: e questo medesimo popolo, non da se, ma -la Chiesa per lui, in certo sussidio de’ fedeli cristiani, concedette -l’elezione degl’imperadori a sette principi della Magna. Per la qual -cosa è manifesto, avvegnachè assai più antiche storie il manifestino, -che ’l popolo predetto faceva gl’imperadori, e per la loro reità -alcuna volta gli abbattea, e la libertà del popolo romano non era in -alcun modo sottoposta alla libertà dell’imperio, nè tributaria come -l’altre nazioni, le quali erano sottoposte al popolo, e al senato e al -comune di Roma, e per lo detto comune al loro imperadore: e mantenendo -a’ nostri comuni di Toscana l’antica libertà a loro succeduta dalla -civiltà del popolo romano, è assai manifesto, che la maestà di quel -popolo per la libera sommessione fatta all’imperadore per lo comune di -Pisa, e di Siena, e di Volterra, e di Samminiato fu da loro offesa, -e dirogata la franchigia de’ Toscani vilmente, per l’invidia ch’avea -l’uno comune dell’altro, più che per altra debita cagione. - - -CAP. LXXVIII. - -_Di quello medesimo._ - -Seguitiamo ancora a dire le cagioni per le quali, oltre a ciò ch’è -detto nel precedente capitolo, a’ comuni italiani, senza offesa -del sommo impero, è loro lecito anzi debito il patteggiare con -gl’imperadori. L’Italia tutta è divisa mistamente in due parti, l’una, -che seguita ne’ fatti del mondo la santa Chiesa, secondo il principato -che ha da Dio e dal santo imperio in quello, e questi sono dinominati -Guelfi, cioè guardatori di fè: e l’altra parte seguitano l’imperio, -o fedele o infedele che sia delle cose del mondo o santa Chiesa, e -chiamansi Ghibellini, quasi guida belli, cioè guidatori di battaglie, -e seguitano il fatto, che per lo titolo imperiale sopra gli altri -sono superbi, e motori di lite e di guerra. E perocchè queste due -sette sono molto grandi, ciascuna vuole tenere il principato, ma non -potendosi fare, ove signoreggia l’una, e ove l’altra, quanto che tutti -si solessono reggere in libertà di comuni e di popoli. Ma scendendo -in Italia gl’imperadori alamanni, hanno più usato favoreggiare i -ghibellini ch’e’ guelfi, e per questo hanno lasciato nelle loro città -vicari imperiali con le loro masnade: i quali continovando la signoria, -e morti gl’imperadori di cui erano vicari, sono rimasi tiranni, e -levata la libertà a’ popoli, e fattisi potenti signori, e nemici -della parte fedele a santa Chiesa e alla loro libertà. E questa non -è piccola cagione a guardarsi di sottomettersi senza patti a’ detti -imperadori. Appresso è da considerare, che la lingua latina, e’ costumi -e’ movimenti della lingua tedesca sono come barbari, e divisati e -strani agl’Italiani, la cui lingua e le cui leggi, e’ costumi, e’ -gravi e moderati movimenti, diedono ammaestramento a tutto l’universo, -e a loro la monarchia del mondo. E però venendo gl’imperadori della -Magna col supremo titolo, e volendo col senno e con la forza della -Magna reggere gl’Italiani, non lo sanno, e non lo possono fare: e -per questo, essendo con pace ricevuti nelle città d’Italia, generano -tumulti e commozioni di popoli, e in quelli si dilettano, per essere -per contraversia quello ch’essere non possono nè sanno per virtù, o -per ragione d’intendimento di costumi e di vita. E per queste vive e -vere ragioni, le città e’ popoli che liberamente gli ricevono conviene -che mutino stato, o di venire a tirannia, o di guastare il loro usato -reggimento, in confusione del pacifico e tranquillo stato di quella -città, o di quello popolo che liberamente il riceve. Onde volendo -riparare a’ detti pericoli, la necessità stringe le città e’ popoli, -che le loro franchigie e stato vogliono mantenere e conservare, e non -essere ribelli agl’imperadori alamanni, di provvedersi e patteggiarsi -con loro: e innanzi rimanere in contumacie con gl’imperadori, che senza -gran sicurtà li mettano nelle loro città. Quello che di ciò abbiamo -qui di sopra fatto memoria, a beneficio e ammaestramento della libertà -de’ comuni d’Italia, si prova per gli antichi esempi, chi li vorrà -ricercare, e per li nuovi, chi li vorrà ricercare e appresso leggere il -nostro trattato. - - -CAP. LXXIX. - -_Come la gran compagnia rubò il Guasto in Puglia._ - -Il conte di Lando con la gran compagnia avendo soggiornato in -Abruzzi infino all’entrata di marzo, si mosse da Pescara e da san -Fabiano, e andò verso il Guasto. Que’ della terra male provveduti da -loro, e peggio dal re loro signore, trattarono con la compagnia, e -fidaronsi mattamente nelle loro promesse, che non li ruberebbono, e -che torrebbono della roba derrata per danaio, li misono nella terra; -ma come furono entrati dentro, i predoni usarono crudelmente la loro -rapina uccidendo e rubando tutta la terra, e appresso con fuoco -n’arsone gran parte: per lo cui esempio tutte l’altre terre di Puglia -si disposero a ogni pericolo per difendersi da loro, e afforzaronsi -francamente per modo, che quanto ch’elli stessono lungamente a campo -senza potere più acquistare città o castella. Appresso valicarono a -san Siverno in Puglia, e ivi s’accamparono e stettono lungamente, -scorrendo e predando e facendo danno assai a’ paesani: e dall’altra -parte il Paladino aggiuntosi gente della compagnia tribolava la marina -della Puglia, ed era palese a’ regnicoli che messer Luigi di Durazzo -favoreggiava la compagnia. - - -CAP. LXXX. - -_Come l’imperadore richiese di lega i Fiorentini, e non l’ebbe._ - -Avendo l’imperadore compiuto e fermo l’accordo co’ Fiorentini, mandò -a Firenze suoi ambasciadori a richiedere il comune di Firenze con -grande stanza, che piacesse loro per bene e stato di tutte le città di -Toscana, e per levare ogni pericolo che venire potesse loro addosso per -la forza de’ tiranni e della gran compagnia, per vivere i detti comuni -insieme in unità e in pace, di fare lega insieme, e quella gente per -via di taglia che a’ Fiorentini piacesse, e offerendo l’aiuto suo ove -che fosse a ogni loro bisogno molto largamente, dicendo, che presa la -corona intendea d’andare in Lombardia o nella Magna, ove il comune di -Firenze consigliasse. I Fiorentini in più consigli privati e palesi -praticarono se questa lega fosse da fare o no: e infine considerato -il pericolo dell’imprese, e temendo di non correre ad essere indotti -a rompere la pace a’ signori di Milano, e che la gente d’arme raunata -sotto un capitano dato dall’imperadore non potesse essere cagione -di novità contro alla libertà del comune, al tutto deliberare che -la lega per lo nostro comune non si facesse, e con belle e oneste e -legittime cagioni si diliberarono di quella richiesta. L’imperadore -essendo in movimento per andare a vicitare le città e le terre che gli -s’erano date, e andare per la corona, soprastette senza accettare la -scusa, e domandò che il nostro comune apparecchiasse dugento cavalieri -che l’accompagnassono a Roma: e da Pisa si partì a dì 23 di marzo e -andossene a Volterra, ove fu ricevuto secondo la loro possa assai -onoratamente; e albergatovi una notte, l’altro dì venne a Samminiato, e -da loro fu ricevuto come signore; e a dì 23 di marzo giunse a Siena la -sera, ove fu ricevuto con singolar festa e onore. - - -CAP. LXXXI. - -_Come si mutò lo stato de’ nove di Siena._ - -E’ pare degna cosa, che coloro i quali ingannano in comune i loro -cittadini, e rompono la fede a’ loro amici, che alcuna volta per quella -medesima sieno puniti, e portino pena de’ peccati commessi. L’ordine -de’ nove di Siena, avendo per lungo tempo ingannati e detratti dagli -ufici del comune con malo ingegno i loro cittadini, come già abbiamo -narrato, e tradito il comune di Firenze nel cospetto dell’imperadore, -seguitando la rea intenzione della setta di Giovanni d’Agnolino Bottoni -loro caporale, quando liberamente si dierono all’imperadore, credendo -per quello essere esaltati, e avere abbattuto lo stato e la libertà del -comune di Firenze; il comune di Firenze per la sua costanza e savia -provvisione rimase grande nel cospetto dell’imperadore e privilegiato -da lui, e mantenea accrescendo suo stato, la sua libertà e il suo -onore. Entrato l’imperadore in Siena il martedì sera, il mercoledì -vegnente, il dì dell’Annunziazione di nostra Donna, gli _anni Domini_ -1355 a dì 25 di marzo, Tolomei, Malavolti, Piccolomini, Saracini, e -alcuno de’ Salimbeni, contrari a Giovanni d’Agnolino Bottoni loro -consorto, con seguito del minuto popolo levarono il romore nella città, -dicendo: Viva l’imperadore, e muoiano i nove e le gabelle: e in questa -furia furono morti due cittadini: e corsi alle case del capitano -della guardia, e trovandolo gravemente malato in sul letto, rubarono -tutto l’ostiere e ciò che aveva la famiglia, e l’arme e’ cavalli, e -lasciato il capitano in sulla paglia in terra, in poch’ore appresso -morì: e di là corsono al palagio de’ nove, e cacciatine in furia i -nove e la loro famiglia vi misono l’imperadore, e feciono mandare per -la cassa dov’erano insaccati i cittadini dell’ordine de’ nove e gli -altri loro uficiali, e usando la loro besseria, con grande dirisione -la feciono tranare per la terra, andandola scopando, e poi impetrato -il comandamento dall’imperadore l’arsono con gran romore in sul campo, -e appresso tutti gli atti e ordini de’ nove, e tutti gli ufici della -città; e le persone di coloro ch’aveano avuti gli ufici furono in -persecuzione e in pericolo grande nella cittadinanza, come leggendo si -potrà trovare. - - -CAP. LXXXII. - -_Di quello medesimo._ - -Avendo veduto l’eletto imperadore il romore e le novità fatte nella -città di Siena con dimostrazione d’esserne stato contento, con poco -onore dell’imperiale fama, il seguente dì fece ragunare tutti i -cittadini a parlamento; e quando gli ebbe ragunati, fece separare i -grandi dal popolo, e i popolani maggiori dal minuto popolo, e a catuno -per se fece fare un sindaco con pieno mandato a sottomettersi da capo -liberamente senza alcuno eccetto, e da capo si diedono all’imperadore, -sottomettendo all’imperiale signoria il comune, il popolo, e la città, -e il contado, e il distretto e la giurisdizione di Siena, dandogli in -tutto il misto e mero imperio di quella città, contado e distretto: e -incontanente licenziati tutti gli uficiali e rettori della terra ne -fece suo vicario l’arcivescovo di Praga: e fatta pigliare la tenuta -e la guardia di tutte le loro terre e castella, per decreto cassò, -e annullò, e vietò in perpetuo l’uficio e ordine de’ nove. Coloro -ch’erano stati di quell’ordine, villaneggiati da’ cittadini, veggendosi -a pericolo stando nella terra, chi se n’andò in una parte e chi in -un’altra partendosi della città; ed essendo dalle loro vicinanze con -giusta infamia guardati come traditori della propria patria e de’ loro -vicini, con grande vituperio traevano la loro vita nell’altrui terre. - - -CAP. LXXXIII. - -_Il modo trovò il comune di Firenze per avere danari._ - -E’ non sarebbe da fare memoria di quello che seguita, se il modo -col quale il comune di Firenze ebbe i danari con agevolezza non ce -ne sforzasse, per buono esempio delle cose avvenire. Incontanente -che l’imperadore fu riposato in Siena, i Fiorentini non aspettando -il termine della prima paga, gli mandarono contanti a Siena fiorini -trentamila d’oro, i quali si pagarono a dì 27 di marzo 1355; della -qual cosa l’imperadore si tenne molto contento, perocchè li vennono a -gran bisogno, perchè era in su l’andare da Roma, e avea necessità di -provvedere a’ suoi baroni per aiuto alle spese. Il comune di Firenze -per avere questi danari e gli altri, ordinò nella città a’ suoi -cittadini un estimo che si chiamò la sega, che fu posto a’ cittadini -per casa certi danari il dì: e fatta la sega, si fece pagare soldi -quindici per ogni danaio, e catuno pagava questa piccola somma a -colta. Nondimeno, perchè i meno possenti parevano troppo gravati a -rispetto degli altri, il comune elesse d’ogni gonfalone certi uomini, -e commise loro ch’abbattessono il quarto di quello che montava la loro -sega sgravandone gl’impotenti; e questo si fece subito e comunalmente -bene: e però appresso la detta paga si raccolse un’altra volta a soldi -trenta il danaio per modo, che in termine di due mesi, o in meno, -ebbono contanti i fiorini centomila che si diedono all’imperadore, -senza andare alcuni esattori per la città, o essere alcuno gravato -per forza. È vero che leggi s’ordinarono per lo comune, che chi non -pagasse la sega per se o altri per lui non potesse avere uficio di -comune, nè dovesse essere udito in alcuno uficio in suo beneficio: e -ordinò il comune, che catuno che prestasse danari di questa sega, fosse -in certo tempo assegnato in su le sue gabelle con provvisione a dieci -per centinaio l’anno: e per questo molti cittadini mobolati pagavano -per chiunque volea dar loro alcuno vantaggio, e così gl’impotenti per -piccola cosa che si cavavano di borsa trovavano chi pagava per loro -e prendevano l’assegnamento. Il comune mantenne la fede di pagare a’ -termini ch’avea promesso, e però a molti cittadini era grande guadagno, -e agli altri non era gravezza; e per questo, quanti danari fossono -bisognati al comune avea senza alcuna fatica, e il merito che pagava -tornava nelle mani de’ suoi cittadini, non però senza alcuna invidia. -Abbianne fatta questa memoria per li tempi avvenire, a dimostrare -quanto è utile al soccorso della repubblica mantenere il comune la -fede a’ suoi cittadini, e quanto bene seguita al comune l’ordine di -restituire le prestanze: perocchè nella nostra ricordanza è di veduta, -che il comune soleva fare libbre ed imposte le quali generavano molte -mortali nimicizie tra’ cittadini, perocchè si facevano disordinatamente -sconce, e se pure ventimila fiorini imponeva il comune, più di cento -case se n’abbattevano in Firenze, e recavansi i beni tra quelli de’ -rubelli per cessanti delle fazioni del comune, e i cittadini erano -pegnorati o presi, e molti s’uscivano in bando per le dette cagioni, e -gli esattori e’ messi se n’andavano per loro col quarto dell’imposta, -in grave confusione della cittadinanza. - - -CAP. LXXXIV. - -_L’ordine diede l’imperadore agli Aretini._ - -Gli ambasciadori del comune d’Arezzo avendo sostenuto molte battaglie -in giudicio da’ Tarlati e dagli Ubertini nell’udienza dell’imperadore e -del suo consiglio, che domandavano di volere tornare nella loro città -d’Arezzo, e avendoli gli ambasciadori convinti con ragione come non -erano degni di tornare cittadini in quella città, dov’avevano per loro -sfrenata potenza usate le tirannie manifeste e l’ingiuste operazioni, -per le quali aveano per più riprese fatto manifesto all’imperadore e -al suo consiglio, che quello comune sosterrebbe innanzi ogni altro -pericolo di fortuna, che coloro consentissono di rimettere nella città -sotto alcun patto. L’imperadore avendo assai sostenuto a riceverli in -servigio de’ Tarlati e degli Ubertini, vedendo la giusta costanza degli -ambasciadori, diliberò che tutti i cittadini non ribelli di quello -comune raccomunassono gli ufici, e che tanti vi fossono de’ ghibellini -quanto de’ guelfi; ma che le due castella della città si guardassono -solo per i guelfi, com’erano usate di guardare, per più fermezza dello -stato della città; e che catuno dovesse avere il frutto de’ suoi -propri beni, e non potessono domandare altro a quello comune. Gli -ambasciadori col sindacato del loro comune gli feciono la sommessione -di quello comune e l’omaggio, promettendoli ogni anno per censo fiorini -quattrocento d’oro del mese di marzo: e oltre a ciò gli donarono per -aiuto alla sua coronazione fiorini cinquemila d’oro, e l’imperadore -futuro per suoi privilegi reali privilegiò loro tutto il contado: e -questo fu fatto nella città di Siena all’uscita del mese di marzo 1355. - - -CAP. LXXXV. - -_Come fu preso Montepulciano dalla casa de’ Cavalieri._ - -Essendo per lunga esperienza certificati messer Niccolò e messer -Iacopo de’ Cavalieri di Montepulciano, che la loro discordia gli avea -abbattuti della signoria, e cacciati in esilio della loro terra e della -città di Siena, si ridussono a pace e a concordia; e innanzi che il -bollore del popolo sanese s’acchetasse in fermo stato, messer Niccolò -di volontà di messer Iacopo suo consorto tornò in Montepulciano, -ricevuto da’ terrazzani che dentro v’erano con allegra faccia, perocchè -volentieri tornavano al loro antico reggimento: nondimeno la rocca -ch’era in mano e in guardia de’ Sanesi non potè avere. La novella -venne a Siena di presente dov’era l’imperadore, e messer Iacopo de’ -Cavalieri ch’era di ciò avvisato, avendo in sua compagnia alquanti -grandi uomini di Siena, incontanente fu in presenza dell’imperadore, -e informollo pienamente del manifesto torto che il popolo di Siena -avea fatto loro, non attenendo i patti nè le convenienze ch’aveano -promesse per la corrotta fede de’ nove; e que’ grandi cittadini -ch’erano con lui feciono chiaro l’imperadore che quello che diceva era -in fatto vero: e però in quello stante, quanto ch’e’ s’avesse altro in -cuore, disse ch’era contento che tenessono la terra di Montepulciano -come suoi vicari; e il terzo dì appresso, cavalcando l’eletto verso -Roma, volle andare a desinare nella terra. I signori allegramente -gli apparecchiarono la desinea; e com’ebbe mangiato ne menò seco a -Roma l’uno e l’altro, e nella terra mise altra gente alla guardia: ed -essendo in Roma, e sentendo alcuna cosa contro a messer Niccolò, o -che per sospetto si movesse, il fece citare, ed egli ingelosito per -sospetto della sua persona si partì di Roma, senza comparire e senza -prendere comiato. - - -CAP. LXXXVI. - -_Come il papa riprese in concistoro certi dissoluti cardinali._ - -Il cardinale di Pelagorga di Guascogna baldanzoso e superbo, non meno -per la potenza dei suo legnaggio che per lo cappello rosso, oltre a -molte grandi e sconce cose fatte per la sua arroganza, singolari nella -corte di Roma, in questi dì del mese di marzo, nella santa Quaresima, -essendo per loro bisogne venuti a corte nella città d’Avignone alquanti -cavalieri guasconi, disordinati, della setta sua e di suo lignaggio, -senz’altra singolare cagione ne fece uccidere tre, che niuna guardia -si pensavano avere a fare, non guardando alla reverenza de’ pastori -di santa Chiesa, nè a’ santi giorni quaresimali. E altri giovani -fatti cardinali per papa Clemente erano stati, e in questi dì erano -in tanta disonesta e dissoluta vita, che niuni giovani dissoluti -tiranni gli avanzavano: e intra l’altre cose (con vergogna il dico) -facevano nella città a’ loro scudieri rapire le giovani donne a’ loro -mariti manifestamente, e senza vergogna le teneano palesi nelle loro -livree; e molte cose violenti usavano in vituperio di santa Chiesa. -Onde papa Innocenzio sesto udendo molta infamia nella corte di questi -cardinali, facendo dell’edima santa singolare consistoro per questa -cosa, li riprese in pubblico aspramente, dicendo: Voi vi portate sì -dissolutamente in vituperio di santa Chiesa, che mi conducerete a -essere in parte, ch’io farò abbassare la vostra superbia; minacciandoli -di tornare la corte in Italia: ma poco se n’ammendarono; e il tempo non -era ancora ordinato da Dio di tornare alla sedia apostolica di Roma i -suoi pontefici per l’antico peccato de’ prelati italiani, che ancora -non si mostravano soperchiati dagli oltramontani. - - -CAP. LXXXVII. - -_Di alcuna novità di Pisa per gelosia._ - -Essendo l’imperadore a Siena, era in Pisa rimaso un suo vicario con -seicento cavalieri tedeschi: i Pisani per le divisioni e per l’invidia -delle loro sette mormoravano l’uno contro l’altro, e catuno contro -all’imperadore. Il vicario per reprimere la volontà de’ malcontenti, e -per accrescersi favore del minuto popolo ch’era tutto imperiale, a dì -29 di marzo 1355 fece improvviso a’ Pisani di subito armare tutte le -sue masnade tedesche, e con loro insieme corse tutta la città gridando, -viva l’imperadore, e il popolo rispondea per tutte le contrade, viva -l’imperadore; e senza alcuna altra novità fare s’acquetarono: e tornati -a’ loro alberghi puosono giuso l’armi, e a’ Pisani delle sette crebbe -il mal volere contro all’imperadore. - - -CAP. LXXXVIII. - -_Della gente che i Fiorentini mandarono con l’imperadore._ - -L’eletto imperadore volendo andare a prendere la corona a san Piero -a Roma, si pensò, che non ostante la sua copiosa compagnia, grande -sicurtà gli sarebbe per tutto ad avere in sua condotta l’insegna del -comune di Firenze, e alla guardia della sua persona de’ suoi cittadini -con parte della loro gente d’arme; e però richiese i Fiorentini che -gli mandassono de’ loro cavalieri dugento con l’insegna del comune, e -con alcuni cittadini alla sua compagnia. Il comune elesse di presente -due cittadini, uno grande e uno popolare, ambedue cavalieri, e dugento -barbute di gente eletta molto bene montati e armati nobilemente, e bene -guerniti di robe e d’arnesi, e diedono l’insegna del popolo, il giglio -e il rastrello, senza alcuna aguglia: e giunti a Siena, l’imperadore -li ricevette graziosamente, e costituilli alla guardia del suo corpo, -perocchè gran confidanza avea de’ Fiorentini, e tra tutta sua gente -non avea altrettanti cavalieri sì bene a cavallo nè sì bene armati: -e in sua compagnia andarono, e stettono, e tornarono da Roma infino -alla città di Siena, e ivi licenziati dall’imperadore si tornarono a -Firenze. Abbiamo di questa lieve cosa fatta memoria, non tanto per lo -fatto, quanto che fu cosa disusata e strana per lunghi tempi passati, -vedere l’insegna del comune di Firenze a guardia dell’imperadore. - - -CAP. LXXXIX. - -_Come l’imperadore si partì da Siena._ - -Avendo l’imperadore veduto la subita revoluzione fatta per i cittadini -di Siena, d’avere disfatto e abbattuto il loro antico reggimento e -l’ordine de’ nove, avendo di presente ad essere a Roma il dì della -Pasqua della santa Resurrezione a dì 5 d’aprile, prese sospetto di -lasciarla in libertà, e lasciovvi l’arcivescovo di Praga cui n’avea -fatto vicario, prelato di grande autorità, e sperto delle cose del -mondo, e pro’ e ardito in fatti d’arme, e in sua compagnia e per suo -consiglio lasciò il signore di Cortona, e i Tarlati d’Arezzo, e’ conti -da Santafiore, e più altri caporali di parte ghibellina, mostrando più -confidanza in loro che nelle case guelfe di Siena, che liberamente -gli aveano data la signoria di quella città: per la qual cosa i -gentili uomini di quella terra e i popolani grassi molto si turbarono -e rimasono malcontenti, benchè in apparenza allora non ne feciono -dimostrazione; e a dì 28 di marzo 1355 l’eletto si partì da Siena, e -seguitò a gran giornate il suo viaggio, e infino alla sua tornata i -Sanesi vivettono senza niuno loro ordine sotto il volontario reggimento -del vicario. - - -CAP. XC. - -_Della gran compagnia ch’era in Puglia._ - -In questo tempo, all’entrare d’aprile del detto anno, la compagnia -del conte di Lando era cresciuta nel Regno in quattromila barbute, e -in molti masnadieri, e in grande popolo di bordaglia, e tenendo loro -campi sopra Nocera e sopra Foggia correvano la Puglia piana predando -e pigliando uomini e femmine, e bestiame e roba ovunque ne poteano -giungnere, e strignevano per paura i casali e le ville a portare -vittuaglia al campo. Nel paese faceano danno assai; ma niuna terra -murata poterono acquistare, perocchè non aveano argomenti da vincerle -per battaglia, e per la fede ch’aveano rotta a quelli del Guasto quando -si dierono loro, niuna terra si volea più confidare alle loro promesse, -ma tutte s’erano armate e afforzate alla difesa. Stando la compagnia -per questo modo in Puglia, il re Luigi poco mostrava che si curasse -della compagnia, e meno del danno de’ suoi sudditi, con mancamento -di suo onore, perocchè nè aiuto nè consiglio dava loro: ma in questi -dì mandò messer Niccola Acciaiuoli di Firenze suo grande siniscalco -al legato, per trattare pace da lui a messer Malatesta da Rimini, e -ambasciadore all’imperadore, e appresso al comune di Firenze, per -avere da catuno aiuto di gente contro alla compagnia, e per sentire -la volontà e ’l processo dell’imperadore: ma da se nel Regno niuna -provvisione fece, fuori che festeggiare e danzare con le donne, in -detrimento della sua fama. - - -CAP. XCI. - -_Come il gran siniscalco cambiò sua fama in Firenze._ - -Noi avremmo volontieri trapassato quello che seguita senza memoria, -se senza potere essere incolpato d’adulazione per tacere l’avessimo -potuto fare. Il grande siniscalco del re Luigi partitosi dalle mollizie -del suo signore, e inviscato da quelle, venne al legato in Romagna, -e cercato secondo la commissione a lui fatta dal re Luigi di tentare -la pace dal legato a messer Malatesta da Rimini, non ebbe autorità di -poterla in alcuno atto disporla: e partitosi dal legato, venne a Siena -all’imperadore, e spuosegli la sua ambasciata, dal quale fu ricevuto -graziosamente per amore del re, e ancora della sua persona, perocch’era -cittadino popolare di Firenze, e vedevalo montato in cotanta dignità, e -a Roma il menò con seco, e fu alla sua coronazione: e tornato a Siena -con lui senza avere impetrata alcuna cosa di sua domanda, se ne venne -a Firenze del mese d’aprile del detto anno, con grande comitiva di -baroni e di cavalieri napoletani, giovani ornati di diverse e strane -portature, e abiti di loro robe, con maravigliosi paramenti d’oro e -d’argento, e di pietre preziose e di perle, e in Firenze cominciò a -fare molti conviti, e continovolli lungamente in città e in contado, -avendo le giovani donne le quali faceva invitare con grande istanza -sera e mattina a’ suoi corredi, e tutto dì le tenea in danza e in festa -co’ suoi cavalieri; le quali femminili mollizie molto nella patria -indebolirono la sua fama; e considerando i cittadini il tempo nel -quale la compagnia tribolava il Regno, e le novità dell’imperadore, -e le mutazioni degli stati delle città e delle terre di Toscana, e -la nuova gravezza, e sollecita provvedenza e guardia ch’avea il suo -comune di Firenze, facevano manifesto che allora bisognavano cose -virtuose e virili, e non disoneste mollezze di donne. Crediamo che il -male esempio del suo signore, e la vanità che ’l movea a accattare -benevolenza de’ giovani e vani baroni e cavalieri ch’erano con lui gli -feciono dimenticare le sue usate virtù, e la fortezza del suo animo. E -per merito di questo, avendo domandato al suo comune per parte del re -alcuno sussidio di gente d’arme contro alla compagnia, cosa che altra -volta si sarebbe fatta senza domandare, per più riprese gli fu negata; -potendo conoscere che poco onore della sua città riportò al re suo -signore contra l’usato modo: e dove la sua persona era per addietro -nominatissima in altezza d’animo e in molte virtù, per la vana mollezza -femminile, a questa volta nella sua patria recò in memoria de’ suoi -cittadini la detestabile vita di Sardanapalo. - - -CAP. XCII. - -_Come l’imperadore giunse a Roma._ - -Carlo nominato nel battesimo Vincislao, figliuolo del re Giovanni, -figliuolo dell’imperadore Arrigo di Luzimborgo re di Boemia, eletto -imperadore, giunto a Roma il giovedì santo, entrò nella città -sconosciuto, e a modo di romeo vestito di panno bruno con molti suoi -baroni, e andò il venerdì e il sabato santo a vicitare le principali -chiese di Roma in forma di pellegrino, e per modo che da niuno -forestiero o paesano potea essere conosciuto chi fosse l’imperadore: -e la mattina innanzi dì, vegnente la Resurrezione, uscì di Roma con -la maggiore parte della sua gente, per entrare la mattina della -santa Pasqua palesemente in Roma, per venire alla sua coronazione -manifestamente. Il popolo di Roma per ordine de’ loro Rioni, co’ suoi -principi e con tutto il chericato con solenne processione gli uscirono -incontro fuori della città, e trovaronlo apparecchiato; e fattogli la -debita salutazione e reverenza, con somma allegrezza e festa, e con -grande moltitudine di cavalieri romani e paesani e strani, oltre alla -sua cavalleria, condussono lui innanzi e l’imperatrice appresso nella -città di Roma, e menaronlo alla Basilica del principe degli Apostoli -san Piero, la mattina innanzi la messa, e là smontati. Qui si faccia -fine al nostro quarto libro, per fare cominciamento al quinto della sua -coronazione. - - - - -TAVOLA DEI CAPITOLI - - - _Qui comincia il terzo libro della Cronica di Matteo - Villani; e prima il Prologo_ Pag. 5 - _CAP. II. La potenza dell’arcivescovo di Milano, e il - procaccio fece a corte per la sua liberazione_ 6 - _CAP. III. Come papa Clemente sesto propose tre cose - a’ comuni di Toscana, perchè pigliassono l’una_ 9 - _CAP. IV. Come il papa e’ cardinali annullarono i processi - contro all’arcivescovo_ 10 - _CAP. V. Come gli ambasciadori de’ Toscani si partirono - di corte mal contenti_ 11 - _CAP. VI. Come i tre comuni di Toscana s’accordarono - a far passare l’imperadore_ 12 - _CAP. VII. Quali furono i patti dall’imperadore a’ tre - comuni_ 13 - _CAP. VIII. Come il re Luigi e la reina Giovanna furono - coronati per la Chiesa_ 15 - _CAP. IX. Commendazione in laude di messer Niccola - Acciaiuoli_ 17 - _CAP. X. Come fu cacciato messer Iacopo Cavalieri di - Montepulciano._ 20 - _CAP. XI. Come si die’ il guasto a Bibbiena, e sconfitti - i Tarlati da’ Fiorentini_ 21 - _CAP. XII. Come si rubellò a’ Fiorentini Coriglia e - Sorana_ 23 - _CAP. XIII. Come i tre comuni di Toscana mandarono - ambasciadori in Boemia a far muovere l’imperadore_ 24 - _CAP. XIV. Di disusati tempi stati_ 25 - _CAP. XV. Dell’inganno ricevette il comune di Firenze - del braccio di santa Reparata_ 27 - _CAP. XVI. Di quello medesimo_ 28 - _CAP. XVII Come la gente del Biscione cavalcarono - i Perugini_ 29 - _CAP. XVIII. Come i Romani andarono per guastare - Viterbo_ 31 - _CAP. XIX. Come il re Luigi ebbe Nocera_ 32 - _CAP. XX. Come fu sconfitto il conte di Caserta_ 33 - _CAP. XXI. La novità in Casole di Volterra_ 34 - _CAP. XXII. Come furono decapitati degli Ardinghelli - di Sangimignano_ 34 - _CAP. XXIII. Come gente del re di Francia fu sconfitta - a Guinisi_ 35 - _CAP. XXIV. Come i Perugini assediarono Bettona_ 37 - _CAP. XXV. Come fu liberato Montecchio dall’assedio - per soccorrere Bettona_ 38 - _CAP. XXVI. Come i Perugini ebbono Bettona e arsonla, - e disfeciono affatto_ 39 - _CAP. XXVII. Come la città d’Agobbio s’accordò - co’ Perugini_ 41 - _CAP. XXVIII. Come ser Lallo s’accordò con il re Luigi - dell’Aquila_ 41 - _CAP. XXIX. Come i Perugini e’ Fiorentini tornarono - a guastare Cortona_ 42 - _CAP. XXX. Come gli ambasciadori de’ tre comuni di - Toscana tornarono dall’imperadore senza accordo_ 43 - _CAP. XXXI. Come l’arcivescovo cercava pace co’ Toscani_ 44 - _CAP. XXXII. Come il prefetto da Vico fu fatto signore - d’Orvieto_ 45 - _CAP. XXXIII. Novità state a Roma_ 46 - _CAP. XXXIV. Come la gente del Biscione assediarono - la Città di Castello_ 47 - _CAP. XXXV. Come i Fiorentini soccorsono Barga e - sconfissono i Castracani_ 47 - _CAP. XXXVI. Come si difese il borgo d’Arezzo per - i Fiorentini_ 48 - _CAP. XXXVII. D’un segno mirabile ch’apparve_ 49 - _CAP. XXXVIII. Come i Tarlati arsono il borgo di - Figghine_ 50 - _CAP. XXXIX. Come gli usciti di Montepulciano venuti - alla terra ne furono poi cacciati_ 52 - _CAP. XL. Come fra Moriale fu assediato, e rendessi - al re Luigi_ 53 - _CAP. XLI. Come i Fiorentini fornirono Lozzole_ 54 - _CAP. XLII. Maraviglie fatte a Roma per una folgore_ 56 - _CAP. XLIII. Come morì papa Clemente sesto, e di sue - condizioni_ 57 - _CAP. XLIV. Come fu fatto papa Innocenzio sesto_ 59 - _CAP. XLV. Come usciti di prigione i reali del Regno - s’arrestarono a Trevigi_ 60 - _CAP. XLVI. Di novità state in Sangimignano_ 61 - _CAP. XLVII. Come i comuni di Toscana mandarono - solenni ambasciadori a Serezzana a trattare pace_ 63 - _CAP. XLVIII. Di grandi tremuoti vennono in Toscana - e in altre parti_ 63 - _CAP. XLIX. Come i Sanesi andarono a oste a Montepulciano_ 65 - _CAP. L. Come Gualtieri Ubertini fu decapitato_ 66 - _CAP. LI. Come il duca d’Atene assediò Brandizio_ 67 - _CAP. LII. Come i Perugini feciono pace co’ Cortonesi_ 68 - _CAP. LIII. Come il popolo di Gaeta uccisono dodici - loro cittadini per la carestia ch’aveano_ 69 - _CAP. LIV. Come il papa volle trattare pace da’ Genovesi - a’ Veneziani_ 70 - _CAP. LV. Come i Fiorentini osteggiaro Sangimignano, - e fecionli ubbidire_ 71 - _CAP. LVI. Come in Italia fu generale carestia_ 72 - _CAP. LVII. Come i Romani uccisono colle pietre Bertoldo - degli Orsini loro senatore_ 73 - _CAP. LVIII. Come fu tagliata la testa a Bordone - de’ Bordoni_ 74 - _CAP. LIX. Come si pubblicò la pace dall’arcivescovo - a’ comuni di Toscana_ 75 - _CAP. LX. L’inganno ricevette il comune di Firenze - dagli sbanditi_ 77 - _CAP. LXI. Di questa medesima materia_ 79 - _CAP. LXII. Come messer Piero Sacconi de’ Tarlati - tentò di fare grande preda innanzi che fosse - bandita la pace_ 80 - _CAP. LXIII. Come il corpo di messer Lorenzo Acciaiuoli - fu recato del Regno a Firenze, e seppellito a - Montaguto a Certosa onoratamente_ 81 - _CAP. LXIV. Come si fe’ l’accordo da’ Sanesi a Montepulciano_ 83 - _CAP. LXV. D’una notabile grandine venuta in Lombardia, - e d’altro_ 84 - _CAP. LXVI. Come sotto le triegue procedettono le - cose in Francia_ 85 - _CAP. LXVII. Come i Genovesi spregiarono la pace - de’ Veneziani_ 86 - _CAP. LXVIII. Come i Veneziani si provvidono_ 87 - _CAP. LXIX. Come fu guasto il castello di Picchiena, - e perchè_ 88 - _CAP. LXX. Come Ruberto d’Avellino fu morto dalla - duchessa sua moglie_ 89 - _CAP. LXXI. Come furono cacciati i ghibellini del Borgo_ 90 - _CAP. LXXII. Di quattro leoni di macigno posti al - palagio de’ priori_ 91 - _CAP. LXXIII. Come Sangimignano fu recato a contado - di Firenze_ 91 - _CAP. LXXIV. D’un segno apparve in cielo_ 94 - _CAP. LXXV. Come fu assediata Argenta_ 94 - _CAP. LXXVI. Come si temette in Toscana di carestia_ 96 - _CAP. LXXVII. Come in Messina fu morto il conte - Mazzeo de’ Palizzi a furore, e la moglie e due figliuoli_ 97 - _CAP. LXXVIII. Come fu creato nuovo tribuno in Roma_ 99 - _CAP. LXXIX. Come furono sconfitti in mare i Genovesi - alla Loiera_ 101 - _CAP. LXXX. Come i Catalani perderono loro terre - in Sardegna_ 106 - _CAP. LXXXI. Come il prefetto venne a oste a Todi_ 107 - _CAP. LXXXII. Come fu presa e lasciata Vicorata_ 108 - _CAP. LXXXIII. Come il conte di Caserta si rubellò dal - re Luigi_ 109 - _CAP. LXXXIV. Come il cardinale legato venne a Firenze_ 111 - _CAP. LXXXV. Rinnovazione del palio di santa Reparata_ 112 - _CAP. LXXXVI. Come i Genovesi si misono in servaggio - dell’arcivescovo_ 114 - _CAP. LXXXVII. Come i Pisani feciono confinati_ 115 - _CAP. LXXXVIII. Come i Sanesi ruppono i patti a - Montepulciano_ 117 - _CAP. LXXXIX. Come si cominciò la gran compagnia - nella Marca_ 118 - _CAP. XC. Dice de’ leoni nati in Firenze_ 119 - _CAP. XCI. Come i Romani si dierono alla Chiesa di - Roma_ 120 - _CAP. XCII. Le novità seguite in Pistoia_ 121 - _CAP. XCIII. Come l’arcivescovo richiese di pace i - Veneziani_ 122 - _CAP. XCIV. Come i Veneziani ordinarono lega contro - al Biscione_ 123 - _CAP. XCV. Come il conestabile di Francia fu morto_ 124 - _CAP. XCVI. Come si cominciò la rocca in Sangimignano, - e la via coperta a Prato_ 126 - _CAP. XCVII. Del male stato dell’isola di Sicilia_ 126 - _CAP. XCVIII. Come il legato del papa procedette col - prefetto_ 127 - _CAP. XCIX. Come si rubellò Verona al Gran Cane - per messer Frignano_ 129 - _CAP. C. Come messer Bernabò con duemila barbute - si credette entrare in Verona_ 132 - _CAP. CI. Come messer Gran Cane racquistò Verona, - e fu morto messer Frignano_ 136 - _CAP. CII. Come messer Gran Cane riformò la città - di Verona, e fece giustizia de’ traditori_ 136 - _CAP. CIII. Come fu deliberato per la Chiesa l’avvenimento - dell’imperadore in Italia_ 138 - _CAP. CIV. D’un gran fuoco ch’apparve nell’aria_ 139 - _CAP. CV. Di tremuoti che furono_ 140 - _CAP. CVI. De’ fatti del monte_ 141 - _CAP. CVI. Di certe rivolture di tiranni di Lombardia, - e di più cose per lo tradimento di Verona_ 144 - _CAP. CVII. Del processo della grande compagnia di - fra Moriale della Marca_ 145 - _CAP. CVIII. Come il legato prese Toscanella_ 147 - _CAP. CIX. Come messer Malatesta si ricomperò dalla - compagnia_ 148 - _CAP. CX. D’un fanciullo mostruoso nato in Firenze_ 151 - _CAP. CXI. Come furono cacciati i guelfi di Rieti e - da Spoleto_ 151 - - LIBRO QUARTO - - _CAP. I. Comincia il quarto libro, e prima il Prologo_ 153 - _CAP. II. Comparazione dal re Ruberto al re Luigi_ 154 - _CAP. III. Come gran parte dell’isola di Cicilia venne - all’ubbidienza del re Luigi_ 155 - _CAP. IV. Come l’arcivescovo cominciò guerra contro - a’ collegati di Lombardia_ 157 - _CAP. V. Come il re d’Ungheria passò con grande - esercito contra un re de’ Tartari_ 157 - _CAP. VI. De’ grilli ch’abbondarono in Barberia e poi - in Cipri_ 159 - _CAP. VII. D’una notabile maraviglia della reverenza - della tavola di santa Maria in Pineta_ 160 - _CAP. VIII. Come il vicario di Bologna mandò l’oste - sopra Modena con due quartieri di Bologna_ 162 - _CAP. IX. Come il legato e i Romani guastarono il - contada di Viterbo._ 162 - _CAP. X. Come il prefetto s’arrendè al legato liberamente_ 163 - _CAP. XI. Come il popolo di Bologna si levò a - romore per avere loro libertà, e fu in maggiore - servaggio._ 165 - _CAP. XII. Come fu tolta l’arme al popolo di Bologna_ 168 - _CAP. XIII. Come il legato ebbe la città d’Agobbio_ 169 - _CAP. XIV. Come i Perugini non tennono fede a’ Fiorentini - e’ Sanesi_ 170 - _CAP. XV. Come procedettono i rettori di Firenze in - questa sopravvenuta tempesta della compagnia di - fra Moriale_ 173 - _CAP. XVI. Come si provvedde a Firenze contra la - compagnia_ 175 - _CAP. XVII. Come fu morto messer Lallo_ 176 - _CAP. XVIII. Come il re di Spagna cacciata la non - vera moglie coronò la legittima_ 178 - _CAP. XIX. Come i collegati di Lombardia condotta - la compagnia mandarono all’imperadore_ 181 - _CAP. XX. Come i Bordoni furono cacciati di Firenze, - e sbanditi per ribelli_ 182 - _CAP. XXI. Come il re d’Araona venne con grande - armata a racquistare Sardegna_ 183 - _CAP. XXII. Come i Genovesi feciono armata contro - a’ Veneziani e Catalani_ 184 - _CAP. XXIII. Come il tribuno di Roma fece tagliare - la testa a fra Moriale_ 186 - _CAP. XXIV. D’una sformata grandine venuta a Mompelieri, - e della scurazione del sole_ 188 - _CAP. XXV. Come morì l’arcivescovo di Milano_ 189 - _CAP. XXVI. Come il tribuno di Roma fu morto a - furia di popolo_ 190 - _CAP. XXVII. Come l’imperadore Carlo venne in Lombardia_ 192 - _CAP. XXVIII. Come i tre fratelli de’ Visconti di Milano - furono fatti signori, e loro divise_ 194 - _CAP. XXIX. Come l’imperadore stando a Mantova - trattava la pace de’ Lombardi_ 195 - _CAP. XXX. Come furono presi i legni ch’andavano - a Palermo_ 197 - _CAP. XXXI. Come si cominciò guerra il Puglia tra loro._ 198 - _CAP. XXXII. Come i Genovesi sconfissono i Veneziani - a Portolungone in Romania_ 199 - _CAP. XXXIII. Come Gentile da Mogliano diede fermo - al legato_ 203 - _CAP.XXXIV. Come il re d’Araona ebbe la Loiera, - e fece accordo col giudice_ 204 - _CAP. XXXV. Come i Pisani si diliberarono di mandare - all’imperatore_ 206 - _CAP. XXXVI. Rottura della pace del re di Francia - e d’Inghilterra_ 207 - _CAP. XXXVII. Come un gatto uccise un fanciullo in - Firenze_ 208 - _CAP. XXXVIII. Come l’imperadore fe’ fare triegua - da’ Lombardi a’ signori di Milano_ 209 - _CAP. XXXIX. Come l’imperadore andò a Moncia per - la corona del ferro_ 211 - _CAP. XL. Come il conte di Lando venne di Lombardia - in Romagna con la gran compagnia_ 214 - _CAP. XLI. Come i Fiorentini per la venuta dell’imperadore - a Pisa si provvidono_ 215 - _CAP. XLII. Come il legato prese Recanati_ 217 - _CAP. XLIII. Come il capitano di Forlì venne in Firenze_ 218 - _CAP. XLIV. Come l’imperadore Carlo giunse a Pisa_ 219 - _CAP. XLV. Come l’imperadore bandì parlamento in - Pisa, e quello n’avvenne_ 220 - _CAP. XLVI. Come l’imperadore di Costantinopoli racquistò - l’imperio_ 221 - _CAP. XLVII. Come i Matraversi di Pisa feciono muovere - l’imperadore_ 223 - _CAP. XLVIII. Come procedettono i fatti in Pisa_ 224 - _CAP. XLIX. Come gli ambasciadori del comune di Firenze - andaro all’imperadore_ 225 - _CAP. L. Di novità stata in Montepulciano_ 226 - _CAP. LI. Come le sette di Pisa si pacificarono insieme_ 227 - _CAP. LII. Come Gentile da Mogliano si ritolse la città di - Fermo_ 229 - _CAP. LIII. Come gli ambasciadori de’ Fiorentini e’ Sanesi - furono ricevuti dall’imperadore_ 231 - _CAP. LIV. Come i Sanesi scopriro la loro corrotta fede - contro a’ Fiorentini_ 232 - _CAP. LV. De’ falli commessi per lo comune di Firenze, - e degl’inganni ricevuti da’ suoi vicini_ 235 - _CAP. LVI. Di molti Alamanni venuti alla coronazione - dell’imperadore_ 237 - _CAP. LVII. Di novità della Marca per Recanati_ 238 - _CAP. LVIII. Come la gran compagnia del conte di Lando - entrò nel Regno_ 239 - _CAP. LIX. Come l’imperadore andò a Lucca_ 240 - _CAP. LX. Come al Galluzzo nacque un fanciullo mostruoso_ 241 - _CAP. LXI. De’ fatti di Siena con l’imperadore_ 242 - _CAP. LXII. Di più imbasciate ghibelline state in presenza - dell’imperadore_ 245 - _CAP. LXIII. Come i Volterrani si dierono all’imperadore_ 247 - _CAP. LXIV. Come i Samminiatesi si dierono all’imperadore_ 248 - _CAP. LXV. Di disusato tempo stato nel verno_ 249 - _CAP. LXVI. Come il segreto giurato in Firenze fu - manifestato all’imperadore_ 250 - _CAP. LXVII. Come l’imperadore mandò aiuto di gente - al legato_ 252 - _CAP. LXVIII. Trattati dall’imperadore a’ Fiorentini_ 253 - _CAP. LXIX. Raccolti falli de’ governatori del comune di - Firenze_ 254 - _CAP. LXX. Come a Firenze si fece il sindacato per - l’accordo con l’imperadore_ 256 - _CAP. LXXI. Quello si fe’ per alcuno cardinale per la - coronazione dell’imperadore_ 258 - _CAP. LXXII. Come si fermò l’accordo e’ patti - dall’imperadore al comune di Firenze_ 259 - _CAP. LXXIII. Come i Fiorentini per mala provvedenza - errarono a loro danno_ 262 - _CAP. LXXIV. Della statura e continenza dell’imperadore_ 263 - _CAP. LXXV. Come si bandì in Firenze l’accordo con - l’imperadore_ 265 - _CAP. LXXVI. I patti e le convenienze da’ Fiorentini - all’imperadore_ 266 - _CAP. LXXVII. Come fu offesa la libertà del popolo di - Roma da’ Toscani_ 260 - _CAP. LXXVIII. Di quello medesimo_ 270 - _CAP. LXXIX. Come la gran compagnia rubò il Guasto - in Puglia_ 272 - _CAP. LXXX. Come l’imperadore richiese di lega i Fiorentini, - e non l’ebbe_ 273 - _CAP. LXXXI. Come si mutò lo stato de’ nove di Siena_ 275 - _CAP. LXXXII. Di quello medesimo_ 276 - _CAP. LXXXIII. Il modo trovò il comune di Firenze - per avere danari_ 277 - _CAP. LXXXIV. L’ordine diede l’imperadore agli Aretini_ 279 - _CAP. LXXXV. Come fu preso Montepulciano dalla casa - de’ Cavalieri_ 281 - _CAP. LXXXVI. Come il papa riprese in concistoro certi - dissoluti cardinali_ 282 - _CAP. LXXXVII. Di alcuna novità di Pisa per gelosia_ 283 - _CAP.LXXXVIII. Della gente che i Fiorentini mandarono - con l’imperadore_ 284 - _CAP. LXXXIX. Come l’imperadore si partì da Siena_ 285 - _CAP. XC. Della gran compagnia ch’era in Puglia_ 286 - _CAP. XCI. Come il gran siniscalco cambiò sua fama in - Firenze_ 287 - _CAP.XCII. Come l’imperadore giunse a Roma_ 289 - - - - - ERRORI CORREZIONI - - TOMO SECONDO - - p. 36 v. 15 sbarrattati sbarattati - — 48 — 17 a’ prigioni a prigioni - — 121 — 19 uomini della uomini, della - — 125 — 10 Avenne Avvenne - — 175 — 27 d’oro gli d’oro. Gli - — 254 — 19 ehe si che si - - - - - -Nota del Trascrittore - -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo -senza annotazione minimi errori tipografici. Le correzioni indicate in -fine libro sono state riportate nel testo. - -*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK CRONICA DI MATTEO VILLANI, VOL. -II *** - -Updated editions will replace the previous one--the old editions will -be renamed. - -Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright -law means that no one owns a United States copyright in these works, -so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the -United States without permission and without paying copyright -royalties. Special rules, set forth in the General Terms of Use part -of this license, apply to copying and distributing Project -Gutenberg™ electronic works to protect the PROJECT GUTENBERG™ -concept and trademark. Project Gutenberg is a registered trademark, -and may not be used if you charge for an eBook, except by following -the terms of the trademark license, including paying royalties for use -of the Project Gutenberg trademark. If you do not charge anything for -copies of this eBook, complying with the trademark license is very -easy. You may use this eBook for nearly any purpose such as creation -of derivative works, reports, performances and research. Project -Gutenberg eBooks may be modified and printed and given away--you may -do practically ANYTHING in the United States with eBooks not protected -by U.S. copyright law. Redistribution is subject to the trademark -license, especially commercial redistribution. - -START: FULL LICENSE - -THE FULL PROJECT GUTENBERG LICENSE -PLEASE READ THIS BEFORE YOU DISTRIBUTE OR USE THIS WORK - -To protect the Project Gutenberg™ mission of promoting the free -distribution of electronic works, by using or distributing this work -(or any other work associated in any way with the phrase “Project -Gutenberg”), you agree to comply with all the terms of the Full -Project Gutenberg™ License available with this file or online at -www.gutenberg.org/license. - -Section 1. General Terms of Use and Redistributing Project -Gutenberg™ electronic works - -1.A. By reading or using any part of this Project Gutenberg™ -electronic work, you indicate that you have read, understand, agree to -and accept all the terms of this license and intellectual property -(trademark/copyright) agreement. If you do not agree to abide by all -the terms of this agreement, you must cease using and return or -destroy all copies of Project Gutenberg™ electronic works in your -possession. If you paid a fee for obtaining a copy of or access to a -Project Gutenberg™ electronic work and you do not agree to be bound -by the terms of this agreement, you may obtain a refund from the -person or entity to whom you paid the fee as set forth in paragraph -1.E.8. - -1.B. “Project Gutenberg” is a registered trademark. It may only be -used on or associated in any way with an electronic work by people who -agree to be bound by the terms of this agreement. There are a few -things that you can do with most Project Gutenberg™ electronic works -even without complying with the full terms of this agreement. See -paragraph 1.C below. There are a lot of things you can do with Project -Gutenberg™ electronic works if you follow the terms of this -agreement and help preserve free future access to Project Gutenberg™ -electronic works. See paragraph 1.E below. - -1.C. The Project Gutenberg Literary Archive Foundation (“the -Foundation” or PGLAF), owns a compilation copyright in the collection -of Project Gutenberg™ electronic works. Nearly all the individual -works in the collection are in the public domain in the United -States. If an individual work is unprotected by copyright law in the -United States and you are located in the United States, we do not -claim a right to prevent you from copying, distributing, performing, -displaying or creating derivative works based on the work as long as -all references to Project Gutenberg are removed. Of course, we hope -that you will support the Project Gutenberg™ mission of promoting -free access to electronic works by freely sharing Project Gutenberg™ -works in compliance with the terms of this agreement for keeping the -Project Gutenberg™ name associated with the work. You can easily -comply with the terms of this agreement by keeping this work in the -same format with its attached full Project Gutenberg™ License when -you share it without charge with others. - -1.D. The copyright laws of the place where you are located also govern -what you can do with this work. Copyright laws in most countries are -in a constant state of change. If you are outside the United States, -check the laws of your country in addition to the terms of this -agreement before downloading, copying, displaying, performing, -distributing or creating derivative works based on this work or any -other Project Gutenberg™ work. The Foundation makes no -representations concerning the copyright status of any work in any -country other than the United States. - -1.E. Unless you have removed all references to Project Gutenberg: - -1.E.1. The following sentence, with active links to, or other -immediate access to, the full Project Gutenberg™ License must appear -prominently whenever any copy of a Project Gutenberg™ work (any work -on which the phrase “Project Gutenberg” appears, or with which the -phrase “Project Gutenberg” is associated) is accessed, displayed, -performed, viewed, copied or distributed: - - This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and - most other parts of the world at no cost and with almost no - restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it - under the terms of the Project Gutenberg License included with this - eBook or online at www.gutenberg.org. If you are not located in the - United States, you will have to check the laws of the country where - you are located before using this eBook. - -1.E.2. If an individual Project Gutenberg™ electronic work is -derived from texts not protected by U.S. copyright law (does not -contain a notice indicating that it is posted with permission of the -copyright holder), the work can be copied and distributed to anyone in -the United States without paying any fees or charges. If you are -redistributing or providing access to a work with the phrase “Project -Gutenberg” associated with or appearing on the work, you must comply -either with the requirements of paragraphs 1.E.1 through 1.E.7 or -obtain permission for the use of the work and the Project Gutenberg™ -trademark as set forth in paragraphs 1.E.8 or 1.E.9. - -1.E.3. If an individual Project Gutenberg™ electronic work is posted -with the permission of the copyright holder, your use and distribution -must comply with both paragraphs 1.E.1 through 1.E.7 and any -additional terms imposed by the copyright holder. Additional terms -will be linked to the Project Gutenberg™ License for all works -posted with the permission of the copyright holder found at the -beginning of this work. - -1.E.4. Do not unlink or detach or remove the full Project Gutenberg™ -License terms from this work, or any files containing a part of this -work or any other work associated with Project Gutenberg™. - -1.E.5. Do not copy, display, perform, distribute or redistribute this -electronic work, or any part of this electronic work, without -prominently displaying the sentence set forth in paragraph 1.E.1 with -active links or immediate access to the full terms of the Project -Gutenberg™ License. - -1.E.6. You may convert to and distribute this work in any binary, -compressed, marked up, nonproprietary or proprietary form, including -any word processing or hypertext form. However, if you provide access -to or distribute copies of a Project Gutenberg™ work in a format -other than “Plain Vanilla ASCII” or other format used in the official -version posted on the official Project Gutenberg™ website -(www.gutenberg.org), you must, at no additional cost, fee or expense -to the user, provide a copy, a means of exporting a copy, or a means -of obtaining a copy upon request, of the work in its original “Plain -Vanilla ASCII” or other form. Any alternate format must include the -full Project Gutenberg™ License as specified in paragraph 1.E.1. - -1.E.7. Do not charge a fee for access to, viewing, displaying, -performing, copying or distributing any Project Gutenberg™ works -unless you comply with paragraph 1.E.8 or 1.E.9. - -1.E.8. You may charge a reasonable fee for copies of or providing -access to or distributing Project Gutenberg™ electronic works -provided that: - -• You pay a royalty fee of 20% of the gross profits you derive from - the use of Project Gutenberg™ works calculated using the method - you already use to calculate your applicable taxes. The fee is owed - to the owner of the Project Gutenberg™ trademark, but he has - agreed to donate royalties under this paragraph to the Project - Gutenberg Literary Archive Foundation. Royalty payments must be paid - within 60 days following each date on which you prepare (or are - legally required to prepare) your periodic tax returns. Royalty - payments should be clearly marked as such and sent to the Project - Gutenberg Literary Archive Foundation at the address specified in - Section 4, “Information about donations to the Project Gutenberg - Literary Archive Foundation.” - -• You provide a full refund of any money paid by a user who notifies - you in writing (or by e-mail) within 30 days of receipt that s/he - does not agree to the terms of the full Project Gutenberg™ - License. You must require such a user to return or destroy all - copies of the works possessed in a physical medium and discontinue - all use of and all access to other copies of Project Gutenberg™ - works. - -• You provide, in accordance with paragraph 1.F.3, a full refund of - any money paid for a work or a replacement copy, if a defect in the - electronic work is discovered and reported to you within 90 days of - receipt of the work. - -• You comply with all other terms of this agreement for free - distribution of Project Gutenberg™ works. - -1.E.9. If you wish to charge a fee or distribute a Project -Gutenberg™ electronic work or group of works on different terms than -are set forth in this agreement, you must obtain permission in writing -from the Project Gutenberg Literary Archive Foundation, the manager of -the Project Gutenberg™ trademark. Contact the Foundation as set -forth in Section 3 below. - -1.F. - -1.F.1. Project Gutenberg volunteers and employees expend considerable -effort to identify, do copyright research on, transcribe and proofread -works not protected by U.S. copyright law in creating the Project -Gutenberg™ collection. Despite these efforts, Project Gutenberg™ -electronic works, and the medium on which they may be stored, may -contain “Defects,” such as, but not limited to, incomplete, inaccurate -or corrupt data, transcription errors, a copyright or other -intellectual property infringement, a defective or damaged disk or -other medium, a computer virus, or computer codes that damage or -cannot be read by your equipment. - -1.F.2. LIMITED WARRANTY, DISCLAIMER OF DAMAGES - Except for the “Right -of Replacement or Refund” described in paragraph 1.F.3, the Project -Gutenberg Literary Archive Foundation, the owner of the Project -Gutenberg™ trademark, and any other party distributing a Project -Gutenberg™ electronic work under this agreement, disclaim all -liability to you for damages, costs and expenses, including legal -fees. YOU AGREE THAT YOU HAVE NO REMEDIES FOR NEGLIGENCE, STRICT -LIABILITY, BREACH OF WARRANTY OR BREACH OF CONTRACT EXCEPT THOSE -PROVIDED IN PARAGRAPH 1.F.3. YOU AGREE THAT THE FOUNDATION, THE -TRADEMARK OWNER, AND ANY DISTRIBUTOR UNDER THIS AGREEMENT WILL NOT BE -LIABLE TO YOU FOR ACTUAL, DIRECT, INDIRECT, CONSEQUENTIAL, PUNITIVE OR -INCIDENTAL DAMAGES EVEN IF YOU GIVE NOTICE OF THE POSSIBILITY OF SUCH -DAMAGE. - -1.F.3. LIMITED RIGHT OF REPLACEMENT OR REFUND - If you discover a -defect in this electronic work within 90 days of receiving it, you can -receive a refund of the money (if any) you paid for it by sending a -written explanation to the person you received the work from. If you -received the work on a physical medium, you must return the medium -with your written explanation. The person or entity that provided you -with the defective work may elect to provide a replacement copy in -lieu of a refund. If you received the work electronically, the person -or entity providing it to you may choose to give you a second -opportunity to receive the work electronically in lieu of a refund. If -the second copy is also defective, you may demand a refund in writing -without further opportunities to fix the problem. - -1.F.4. Except for the limited right of replacement or refund set forth -in paragraph 1.F.3, this work is provided to you “AS-IS”, WITH NO -OTHER WARRANTIES OF ANY KIND, EXPRESS OR IMPLIED, INCLUDING BUT NOT -LIMITED TO WARRANTIES OF MERCHANTABILITY OR FITNESS FOR ANY PURPOSE. - -1.F.5. Some states do not allow disclaimers of certain implied -warranties or the exclusion or limitation of certain types of -damages. If any disclaimer or limitation set forth in this agreement -violates the law of the state applicable to this agreement, the -agreement shall be interpreted to make the maximum disclaimer or -limitation permitted by the applicable state law. The invalidity or -unenforceability of any provision of this agreement shall not void the -remaining provisions. - -1.F.6. INDEMNITY - You agree to indemnify and hold the Foundation, the -trademark owner, any agent or employee of the Foundation, anyone -providing copies of Project Gutenberg™ electronic works in -accordance with this agreement, and any volunteers associated with the -production, promotion and distribution of Project Gutenberg™ -electronic works, harmless from all liability, costs and expenses, -including legal fees, that arise directly or indirectly from any of -the following which you do or cause to occur: (a) distribution of this -or any Project Gutenberg™ work, (b) alteration, modification, or -additions or deletions to any Project Gutenberg™ work, and (c) any -Defect you cause. - -Section 2. Information about the Mission of Project Gutenberg™ - -Project Gutenberg™ is synonymous with the free distribution of -electronic works in formats readable by the widest variety of -computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It -exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations -from people in all walks of life. - -Volunteers and financial support to provide volunteers with the -assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg™'s -goals and ensuring that the Project Gutenberg™ collection will -remain freely available for generations to come. In 2001, the Project -Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure -and permanent future for Project Gutenberg™ and future -generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see -Sections 3 and 4 and the Foundation information page at -www.gutenberg.org - -Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation - -The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non-profit -501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the -state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal -Revenue Service. The Foundation's EIN or federal tax identification -number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by -U.S. federal laws and your state's laws. - -The Foundation's business office is located at 809 North 1500 West, -Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up -to date contact information can be found at the Foundation's website -and official page at www.gutenberg.org/contact - -Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg -Literary Archive Foundation - -Project Gutenberg™ depends upon and cannot survive without -widespread public support and donations to carry out its mission of -increasing the number of public domain and licensed works that can be -freely distributed in machine-readable form accessible by the widest -array of equipment including outdated equipment. Many small donations -($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt -status with the IRS. - -The Foundation is committed to complying with the laws regulating -charities and charitable donations in all 50 states of the United -States. Compliance requirements are not uniform and it takes a -considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up -with these requirements. We do not solicit donations in locations -where we have not received written confirmation of compliance. To SEND -DONATIONS or determine the status of compliance for any particular -state visit www.gutenberg.org/donate - -While we cannot and do not solicit contributions from states where we -have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition -against accepting unsolicited donations from donors in such states who -approach us with offers to donate. - -International donations are gratefully accepted, but we cannot make -any statements concerning tax treatment of donations received from -outside the United States. U.S. laws alone swamp our small staff. - -Please check the Project Gutenberg web pages for current donation -methods and addresses. Donations are accepted in a number of other -ways including checks, online payments and credit card donations. To -donate, please visit: www.gutenberg.org/donate - -Section 5. General Information About Project Gutenberg™ electronic works - -Professor Michael S. Hart was the originator of the Project -Gutenberg™ concept of a library of electronic works that could be -freely shared with anyone. For forty years, he produced and -distributed Project Gutenberg™ eBooks with only a loose network of -volunteer support. - -Project Gutenberg™ eBooks are often created from several printed -editions, all of which are confirmed as not protected by copyright in -the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not -necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper -edition. - -Most people start at our website which has the main PG search -facility: www.gutenberg.org - -This website includes information about Project Gutenberg™, -including how to make donations to the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to -subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks. diff --git a/old/69899-0.zip b/old/69899-0.zip Binary files differdeleted file mode 100644 index 766b7f3..0000000 --- a/old/69899-0.zip +++ /dev/null diff --git a/old/69899-h.zip b/old/69899-h.zip Binary files differdeleted file mode 100644 index 0520ca3..0000000 --- a/old/69899-h.zip +++ /dev/null diff --git a/old/69899-h/69899-h.htm b/old/69899-h/69899-h.htm deleted file mode 100644 index f07889c..0000000 --- a/old/69899-h/69899-h.htm +++ /dev/null @@ -1,11170 +0,0 @@ -<!DOCTYPE html> -<html lang="it"> -<head> - <meta charset="UTF-8"> - <title>Cronica vol. 2, di Matteo Villani</title> - <link rel="icon" href="images/cover.jpg" type="image/x-cover"> - <style> -body {margin-left: 10%; margin-right: 10%;} - -p {margin-top: .5em; margin-bottom: 0em; line-height: 1.2; text-align: justify;} -.center {text-align: center; text-indent: 0;} - -div.booktitle {page-break-before: always; padding: 3em;} -div.titlepage {text-align: center; margin: 0 5%; padding: 2em 0; page-break-before: always; page-break-after: always;} -div.titlepage p {text-align: inherit;} -div.somm {page-break-before: always; padding-top: 3em;} -div.chapter {page-break-before: always; padding-top: 3em;} -div.chapter h2 {page-break-before: avoid;} - -h1,h2,h3 {text-align: center; font-style: normal; -font-weight: normal; line-height: 1.5;} -h1 {font-size: 150%;} -h2 {font-size: 140%; margin-top: 1em; margin-bottom: 2em; page-break-before: avoid;} -h3 {font-size: 120%; margin-top: 2em;} - -span.smaller {display: block; font-size: 85%; margin: .5em 5%; line-height: 1.2em;} - -hr {width: 70%; margin-top: 1em; margin-bottom: 1em; margin-left: 15%; margin-right: 15%; clear: both;} -hr.silver {width: 90%; margin-left: 5%; margin-right: 5%; border-top: none; border-right: none; border-bottom: thin solid silver; border-left: none;} -.x-ebookmaker hr.silver {display: none;} - -.pagenum {position: absolute; right: 2%; font-style: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; font-size: 65%; text-align: right; color: #999999; background-color: #ffffff; clear: left;} - -.pad4 {margin-top: 4em;} -.pad2 {margin-top: 2em;} -.pad1 {margin-top: 1em;} - -.small {font-size: 85%;} -.large {font-size: 115%;} -.x-large {font-size: 130%;} -.main-t {font-size: 200%;} -.g {letter-spacing: .2em;} -.smcap {font-variant: small-caps;} - -table {margin: auto; border-collapse: collapse;} -.indice {width: 80%; line-height: 1em; margin-top: 2em;} -.indice td {vertical-align: top; padding-left: 1.5em; text-indent: -1em;} -.indice td.pag {text-align: right; vertical-align: bottom; white-space: nowrap;} - -.errata {width: 75%; line-height: 1em; margin-top: 2em;} -.errata td {vertical-align: top; padding-left: 1em; text-indent: -1em; padding-right: 0.8em;} -.errata td.num {text-align: right; white-space: nowrap;} - -.tnote {background-color: #f7f1e3; color: #000; padding: 1em 1em 2em 1em; - margin: 3em 10%; font-family: sans-serif; font-size: 90%; page-break-before: always;} -.tntitle {text-align: center; text-indent: 0; padding: 1em; font-size: 120%; margin-bottom: 1em;} -.tnote p {padding: 0 1em;} -.covernote {visibility: hidden; display: none;} -.x-ebookmaker .covernote {visibility: visible; display: block;} - -.poem {text-align: left; font-size: 95%; margin: 1em 10%;} -.stanza {margin: 1em auto;} -.poem p.i01 {margin: 0; padding-left: 3em; text-indent: -3em;} -</style> -</head> -<body> -<div lang='en' xml:lang='en'> -<p style='text-align:center; font-size:1.2em; font-weight:bold'>The Project Gutenberg eBook of <span lang='it' xml:lang='it'>Cronica di Matteo Villani, vol. II</span>, by Matteo Villani</p> -<div style='display:block; margin:1em 0'> -This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and -most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions -whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms -of the Project Gutenberg License included with this eBook or online -at <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>. If you -are not located in the United States, you will have to check the laws of the -country where you are located before using this eBook. -</div> -</div> - -<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Title: <span lang='it' xml:lang='it'>Cronica di Matteo Villani, vol. II</span></p> -<p style='display:block; margin-left:2em; text-indent:0; margin-top:0; margin-bottom:1em;'><span lang='it' xml:lang='it'>A miglior lezione ridotta coll'aiuto de' testi a penna</span></p> -<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Author: Matteo Villani</p> -<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Editor: Ignazio Moutier</p> -<p style='display:block; text-indent:0; margin:1em 0'>Release Date: January 29, 2023 [eBook #69899]</p> -<p style='display:block; text-indent:0; margin:1em 0'>Language: Italian</p> - <p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em; text-align:left'>Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images made available by the Bayerische Staatsbibliothek)</p> -<div style='margin-top:2em; margin-bottom:4em'>*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK <span lang='it' xml:lang='it'>CRONICA DI MATTEO VILLANI, VOL. II</span> ***</div> - -<div class="booktitle"> -<h1> -CRONICA<br> -DI<br> -MATTEO VILLANI<br><br> -TOMO II. -</h1> -</div> - -<hr class="silver"> - -<div class="titlepage"> -<p class="main-t"> -CRONICA -</p> - -<p class="pad2 small">DI</p> - -<p class="pad1 x-large"> -MATTEO<br> -<span class="g">VILLANI</span> -</p> - -<p class="pad2"> -A MIGLIOR LEZIONE RIDOTTA<br> -coll’aiuto<br> -DE’ TESTI A PENNA -</p> - -<p class="pad1 large"> -TOMO II. -</p> - -<p class="pad4"> -FIRENZE<br> -PER IL MAGHERI<br> -1825 -</p> -</div> - -<div class="somm"> -<hr> -<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p> -<hr> -</div> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span> -</p> - -<h2 id="libro3">LIBRO TERZO -<span class="smaller"><i>Qui comincia il terzo libro della Cronica di -Matteo Villani; e prima il Prologo.</i></span></h2> - -<h3 id="cap1-3">CAPITOLO PRIMO</h3> -</div> - -<p> -Rendendo spesso testimonianza delle mutevoli -cose del mondo ogni stato umano, non è da pensare -cosa maravigliosa quella che ha fatto maravigliare -ne’ nostri dì ovunque la sua fama aggiunse. E domandando -la debita materia di fare cominciamento -al terzo libro, possiamo con ragione dire, che la -corona dell’imperiale maestà e il suo regno, alla -quale dipendea la monarchia dell’universo, -era Roma coll’italiana provincia, delle provincie -della quale ne’ nostri tempi la città di Firenze, -Perugia e Siena, seguendo alcune orme di -quella, per li tempi avversi dello sviato imperio, -in segno della romana libertà, avendo veduto -per li tempi passati l’incostanza degl’imperadori -alamanni avere in Italia generate e accresciute -tirannesche suggezioni di popoli, hanno -mantenuto la franchigia e la libertà discesa in -loro dall’antico popolo romano: e zelanti di non -<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span> -sostenere quella a tirannia, molte volte per diversi -e lunghi tempi apparvono contradi all’imperiale -suggezione, intanto che non si poteva in -questi popoli sostenere senza sospetto, senza -pericolo e senza infamia il raccontamento dell’imperiale -nome. E come subitamente gli animi -di que’ popoli e de’ loro rettori per paura del potente -tiranno arcivescovo di Milano si cambiarono, -procurando l’amistà e l’avvenimento in Italia -di messer Carlo re di Boemia eletto imperadore, -i movimenti già narrati, e le operazioni che -appresso ne seguirono, seguendo nostro trattato il -dimostreremo. -</p> - -<h3 id="cap2-3">CAP. II. -<span class="smaller"><i>La potenza dell’arcivescovo di Milano, e il -procaccio fece a corte per la sua -liberazione.</i></span></h3> - -<p> -Era in questo tempo potentissimo e temuto -signore messer Giovanni de’ Visconti arcivescovo -di Milano, sotto la cui signoria si reggea la nobile -e grande città di Milano, e l’antica e famosa -città di Bologna, Cremona, Lodi, Parma, Piacenza, -Brescia, Moncia, Bergamo, Como, Asti, -Alessandria della paglia, Tortona, Alba, Novara, -Vercelli, Bobbio, Crema, e più altre città e terre -nelle montagne di verso la Magna, co’ loro contadi -ville e castella; e i signori di Pavia, ch’erano -que’ di Beccheria, l’ubbidivano come signore, -benchè la città fosse al loro governamento. -In Toscana aveva acquistato il Borgo a san Sepolcro, -<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span> -e il castello d’Anghiari e altre castella -d’intorno. E accomandati e ubbidienti gli erano -Cortona, Orvieto, Cetona, Agobbio, i Tarlati -usciti d’Arezzo, gli Ubaldini, i Pazzi di Valdarno, -gli Ubertini, e que’ da Faggiuola; e i conti -da Montefeltro, e de’ conti Guidi dal lato ghibellino, -e il conte Tano da Montecarelli, e gli altri -ghibellini caporali di Toscana, e di Romagna e -della Marca l’ubbidivano. E a sua lega e a compagnia -avea il signore della Scala e di Mantova e -di Padova: e il marchese di Ferrara in Lombardia, -e il comune di Genova e quello di Pisa sotto -alcuno ordinato servigio, e il capitano di Forlì, e -il tiranno di Faenza, e il signore di Ravenna tenevano -con lui in lega e in compagnia, come nel -secondo nostro libro narrato abbiamo. E non avendo -l’arcivescovo altra guerra che col comune -di Firenze e di Perugia, alla cui compagnia -e lega s’accostava debolmente il comune di Siena, -era sì potente e di tanto aiuto e forza, che -impossibile pareva a questi popoli potersi difendere -senza aiuto di più potente braccio, e -però aveano mandato a corte, come detto è, per -inducere il papa e i cardinali contra lui, sentendo -che la Chiesa per le grandi ingiurie ricevute -procedeva contro a lui. Ma l’arcivescovo per -riparare, sentendo che gl’impugnatori erano -grandi, pensò che non era tempo da nutricare -il lavorio, ma di trarlo a fine; e avvedendosi -quanto l’avarizia movea le cortigiane cose, e -disponeva i prelati all’olore della pecunia, e per -questo le cose, aspettando maggior frutto, si sostenevano, -da capo mandò più grande e più solenne -<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span> -ambasciata a corte di suoi confidenti, uomini -sperti e di grande autorità, e mandolli forniti di -più di dugentomila fiorini d’oro, con pieno mandato -a operare e fare con doni e con loro industria -e impromesse, senza avere riguardo alla -pecunia, d’avere la riconciliazione di santa Chiesa, -rimanendoli la signoria di Bologna. E oltre -a ciò aoperò per forza de’ suoi doni, che messer -Giovanni di Valois re di Francia mandò altri -baroni suoi ambasciadori al papa e a’ cardinali a -procurare la riconciliazione dell’arcivescovo; e -la contessa di Torenna governatore del papa nelle -sue temporali bisogne, per cui il santo padre -molto si movea nelle grandi bisogne, procacciò -con ismisurati doni. Nel continuo tempellamento -del papa, per lo suo aiuto, e ne’ parenti del papa -si provvide con larga mano. E in certi cardinali -che gli si mostravano avversi per zelo dell’onore -di santa Chiesa si provvide per modo, che agevole -fu a conoscere che l’onore di santa Chiesa -non s’apparteneva a loro. E avendo l’arcivescovo -tutta compresa la corte in suo favore, seguita -il modo che papa Clemente tenne con gli ambasciadori -de’ comuni di Toscana, per potere fare -con più sua scusa quello che prima avea deliberato -di fare. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span> -</p> - -<h3 id="cap3-3">CAP. III. -<span class="smaller"><i>Come papa Clemente sesto propose tre cose a’ -comuni di Toscana, perchè pigliassono l’una.</i></span></h3> - -<p> -Essendo tutta la corte di Roma ripiena di doni -e d’ambasciadori per i fatti dell’arcivescovo, -e volendo il papa terminare la sua causa secondo -la domanda de’ suoi ambasciadori, i quali nella -vista proferivano di lui ogni ubbidienza di santa -Chiesa, e nel segreto aveano l’ubbidienza del -papa e de’ cardinali alla sua volontà, per le -ragioni e cagioni già narrate; volendo il papa mostrare -agli ambasciadori de’ tre comuni di Toscana -singolare affezione, da capo gli ebbe in concistoro, -e commendato molto i loro comuni di molte -cose, e singolarmente dell’amore e della fede che -portavano a santa Chiesa, e dolutosi delle loro oppressioni -per le divisioni e scandali d’Italia, infine -conchiudendo disse, che mettea nella loro elezione -quelle tre cose ch’avea altre volte loro -promesse, ch’elli eleggessono l’una senza soggiorno: -o di buona pace coll’arcivescovo, o lega -e compagnia colla Chiesa contro a lui, o che facesse -passare in Italia l’eletto imperatore. Gli ambasciadori -ristretti insieme, che conoscevano e sentivano -dove la causa dell’arcivescovo era ridotta, non si -vollono rimutare da quello ch’altra volta aveano -detto al papa, che quello che a lui paresse il -migliore erano contenti che facesse loro, mantenendo -in sul fatto la piena confidenza ch’aveano -a santa Chiesa e al sommo pastore. Il papa conobbe -<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span> -che la risposta era intera alla sua intenzione, -e che poteva procedere con giusto titolo -senza offendere i comuni di Toscana ne’ suoi -movimenti, quanto che in fatti era il contradio, -alla sentenza di riconciliare l’arcivescovo, e però -fu contento, e disse loro che provvederebbe per -modo, che i loro comuni avrebbono coll’arcivescovo -buona pace: della quale offerta niuna speranza -si prese, conoscendo manifestamente ch’al -tutto s’intendeva a magnificare il tiranno, e a fare -la sua volontà. -</p> - -<h3 id="cap4-3">CAP. IV. -<span class="smaller"><i>Come il papa e’ cardinali annullarono i processi -contro all’arcivescovo.</i></span></h3> - -<p> -Poco appresso dopo la detta risposta, avendo gli -ambasciadori significato a’ loro comuni quello ch’aveano -dal papa, e quello che sentivano di certo -de’ fatti dell’arcivescovo, il papa convocò i cardinali -a concistoro, i quali tutti, niuno discordante, -erano d’accordo con gli ambasciadori dell’arcivescovo, -e però non essendo tra loro quistione, domenica -mattina a dì 5 di Maggio, gli anni Domini -1352, fu per la santa ubbidienza dell’arcivescovo -sopraddetto annullato il processo fatto contro -a lui, e riconciliato a santa Chiesa, e tratto -d’ogni scomunicazione e d’ogni interdetto. E in -quello concistoro piuvico, avendo per li suoi ambasciadori -rendute le chiavi al papa in segno della -restituzione di Bologna, il papa colla volontà -de’ suoi cardinali ne rinvestì gli ambasciadori, riceventi -per lo detto arcivescovo e de’ suoi successori, -<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span> -nella signoria di Milano e di Bologna, per tempo -e termine di dodici anni prossimi a venire, con -promessione che ogni anno ne darebbe di censo -fiorini dodicimila alla camera del papa, e compiuto -il detto termine la renderebbe libera a santa -Chiesa, e allora restituiranno contanti, per nome -del detto arcivescovo, fiorini centomila alla -camera del papa, per la restituzione delle spese -che la Chiesa vi fece quando vi tenne l’oste il -conte di Romagna. E così per pietà e per danari -ogni gran cosa si fornisce a’ nostri tempi co’ pastori -di santa Chiesa. -</p> - -<h3 id="cap5-3">CAP. V. -<span class="smaller"><i>Come gli ambasciadori de’ Toscani si partirono -di corte mal contenti.</i></span></h3> - -<p> -Il papa avendo grande appetito di servire tosto -all’arcivescovo, vedendo che ’l trattare della pace -promessa a’ comuni di Toscana avea a sostenere -la causa del tiranno, si fece promettere triegua -per un anno, in quanto il comune di Firenze e -gli altri comuni la volessono, acciocchè infra il termine -più ordinatamente si trattasse della pace. Gli -ambasciadori ch’aveano assai dinanzi avvisati i -loro comuni come la cosa procedeva acciocchè -provvedessono al loro stato, frustrati della loro intenzione, -si partirono mal contenti di corte, e tornaronsi -in Toscana. E innanzi la loro tornata, -in Firenze si piuvicò il trattato e la concordia -presa col vececancelliere dell’eletto imperadore, -come appresso diviseremo. Avvenne poco appresso -<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span> -che il vicario dell’arcivescovo in Bologna -mandò a Firenze un messo con ulivo in mano -e con sue lettere, significando la tregua fatta e -bandita nelle terre dell’arcivescovo suo signore; -e in quello dì fece muovere sua gente a cavallo e a -piè da Montecarelli, e cavalcare nel Mugello predando, -e uccidendo e ardendo come gravi nimici -del comune, e ritrassonsi a salvamento; e ivi dopo -pochi dì ritornarono, e misono loro aguati, e furono -scoperti, e rotti, e morti e presi gran parte di -loro, sicchè più non s’attentarono di venire in Mugello. Per -questi segni si scoperse, che il trattato del -papa con le tregue, colla fè corrotta del tiranno, -non ebbe principio di buona intenzione. -</p> - -<h3 id="cap6-3">CAP. VI. -<span class="smaller"><i>Come i tre comuni di Toscana s’accordarono -a far passare l’imperadore.</i></span></h3> - -<p> -I rettori de’ tre comuni di Toscana, per l’informazione -ch’aveano avuta da corte da’ loro ambasciadori, -sentivano a certo che la Chiesa gli abbandonava, -ed era per magnificare il loro avversario: -e bene che sentissono le promesse del papa, -non vedeano da potersene confidare, e però tempellavano -negli animi tra il sospetto e la paura, -aggiugnendo temenza di cittadinesche discordie -nel soprastare: e bene che ancora non avessono -avuta certezza del fatto da’ loro ambasciadori, -senza rendere al santo padre il debito onore, quasi -palpando, per lo trattato tenuto col vececancelliere -dell’imperadore, mostrando di prendere -<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span> -confidanza nella fama delle virtù e senno e larghe -profferte del detto eletto imperadore, per aiutarsi -dal potente tiranno nimico, valicando egli in Italia -a istanza de’ detti tre comuni, come il suo cancelliere -promettea, e per questa cagione, d’uno -animo e d’uno volere tutto il reggimento di -questi tre comuni, Firenze, Perugia, e Siena, con -pubblico consentimento de’ loro popoli si deliberarono -d’essere all’ubbidienza del detto eletto imperadore -con certi patti e convenzioni, i quali erano assai -strani alla libertà del sommo imperio. Ma perchè -le cose disviate con alcuno mezzo più tosto si -congiungono a unità e a concordia, non fu a quel -tempo tenuta sconvenevole la domanda, nè ingiusto -l’assentimento del signore; e però all’uscita -del mese d’aprile del detto anno, nella città di -Firenze in pubblico parlamento si fermò il trattato -ordinato per lo vececancelliere dell’eletto -imperadore, con gli ambasciadori e sindachi de’ detti -tre comuni, e piuvicossi i patti e le convenzioni, -e fattone solenni stipulazioni e carte, grande -ammirazione ne fu per tutta Italia. I patti in sostanza -racconteremo qui appresso nel seguente -capitolo. -</p> - -<h3 id="cap7-3">CAP. VII. -<span class="smaller"><i>Quali furono i patti dall’imperadore a’ tre -comuni.</i></span></h3> - -<p> -Promise il detto vececancelliere, che per tutto -il prossimo mese di luglio l’eletto re de’ Romani -imperadore sarebbe in Lombardia sopra le terre -<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span> -dell’arcivescovo di Milano per guerreggiare e abbattere -la sua signoria con seimila cavalieri: de’ -quali duemila ne dovea avere al suo proprio -soldo, ovvero servigio, e mille che promessi gli -avea la Chiesa di Roma quando passasse, i quali -se dalla Chiesa non avesse, promettea fornirli -da se, e gli altri tremila cavalieri, i quali dovea -soldare a sua eletta. Questi tre comuni gli -doveano dare per un anno dugento migliaia di -fiorini d’oro, e oltre a ciò gli doveano donare -come e’ fosse in Aquilea fiorini diecimila d’oro. -La taglia era al comune di Firenze per millecinquecentocinquanta -cavalieri, Perugia ottocentocinquanta, -e Siena seicento. E se in uno anno -la guerra non fosse terminata, si dovea provvedere -del nuovo sussidio innanzi al tempo, confidandosi -catuna parte d’averne concordia. E i -detti tre comuni deono tenere il detto messer Carlo -vero re de’ Romani, e futuro diritto imperadore, -ed egli dee promettere di mantenere i detti tre -comuni nella loro libertà e ne’ loro statuti; e come -avesse la corona, avendo sottomesso il tiranno, -i priori di Firenze e’ nove di Siena si doveano -dinominare vicari dell’imperadore mentre che -fossono all’uficio (i Perugini non s’obbligarono -a questo, facendosi uomini di santa Chiesa) e il -comune di Firenze promise in detto caso pagare -ogni anno per nome di censo danari ventisei per -focolare: gli altri comuni s’obbligarono senza -distinzione di pagare ogni anno quello ch’era consueto -all’imperadore per antico. E fu in patto -che l’imperadore venuto alla corona dovesse -privilegiare a’ detti comuni tutte le terre, ville -<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span> -e castella ch’al presente possedeano, e che -avessono posseduto sei anni addietro, quanto che -ora non le possedessono, e che dalla condannagione -fatta per l’imperadore Arrigo suo avolo, -promise liberare e assolvere i detti comuni. -E ’l detto vececancelliere per nome del detto eletto -imperadore promise, che le dette convenenze -e patti il detto eletto confermerebbe infra mezzo -il prossimo futuro mese di giugno del detto anno. -Altre singulari cose vi si promisono, che -non sono di necessità a raccontare. -</p> - -<h3 id="cap8-3">CAP. VIII. -<span class="smaller"><i>Come il re Luigi e la reina Giovanna furono -coronati per la Chiesa.</i></span></h3> - -<p> -Avendo papa Clemente sesto e’ suoi cardinali -mandati legati nel Regno, a dì 27 di maggio del -detto anno, il dì della santa Pentecoste, nella -città di Napoli, celebrata la solenne messa, con -la consueta solennità consacrarono e coronarono -in nome di santa Chiesa in prima il re Luigi, e dappresso -la reina Giovanna, del reame di Gerusalemme -e di Cicilia. E questo fu fatto con molta festa -di baroni e di cavalieri del regno, e de’ Napoletani e -de’ forestieri, i quali tutti si sforzarono di onorare -il re e la reina in quella festa; e fecesi alle case -del prenze di Taranto sopra le Coreggie, con -molte giostre e con grande armeggiare: e vestiti -e adorni il re e la reina in abito di reale -maestà, ricevettono l’omaggio da tutti i baroni -che non erano stati contrari nella guerra, e da -<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span> -assai di quelli ch’aveano tenuto contro a lui per -lo re d’Ungheria, a’ quali tutti perdonò, mostrando -loro buono animo e buono volere. E a -coloro che alla sua coronazione non erano venuti -a fare l’omaggio, assegnò termine giusto a -potere venire con pace e con amore alla sua ubbidienza; -e quale dal termine innanzi non fosse -venuto, per decreto fece che fosse rubello della -corona. E dopo la coronazione cavalcò il re in -abito reale per la città di Napoli, montato in su -uno grande e poderoso destriere, addestrato al -freno e alla sella da’ suoi baroni. Quando fu -valicato porta Petrucci nella via di Porto, certe -donne per fargli onore e festa gittarono sopra -lui dalle finestre rose e fiori di grande odore: -il destriere aombrò, ed erse; i baroni ch’erano -al freno si sforzarono d’abbassare il cavallo: -il destriere ch’era poderoso ruppe le redine. Il -re Luigi vedendosi sopra il destriere spaventato -senza redine, di subito destramente se ne gittò -a terra, e caddegli la corona di capo, e ruppesi -in tre pezzi, cadendone tre merli; alla persona -non si fece male: rilegata la corona, di presente, -ridendo, montò a cavallo, cavalcando per la terra -con gran festa e onore. In questo medesimo -dì morì una sua fanciulla, che altro figliuolo non -aveva della reina. Molti per questi casi pronosticarono -non prospere cose alla maestà reale. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span> -</p> - -<h3 id="cap9-3">CAP. IX. -<span class="smaller"><i>Commendazione in laude di messer Niccola -Acciaiuoli.</i></span></h3> - -<p> -Degna cosa ne pare, e debito del nostro trattato, -appresso la coronazione del re Luigi, rendere -beneficio di memoria per chiara fama di -messer Niccola Acciaiuoli cittadino popolare di -Firenze, balio e governatore dell’infanzia del -detto re; il quale essendo prima compagno della -compagnia degli Acciaiuoli, con animo più cavalleresco -che mercantile si mise al servigio dell’imperatrice -moglie che fu del Prenze di Taranto, -e quello esercitò realmente e personalmente con -tanta virtù e con tanto piacere della donna, che -ella avendo tre suoi figliuoli di piccola età, Ruberto -primogenito, e messer Luigi secondo, e Filippo -il terzo, tutti gli mise nel governamento di Niccola -Acciaiuoli, che allora non era cavaliere, e -tutto il suo consiglio l’imperatrice ristrinse in -lui, e con lei se ne passò in Romania, e ordinati -i fatti delle terre e baronie di là, con lei se ne -tornò a Napoli. Ed essendo cresciuto di età di anni -quindici messer Luigi, volendo il re Ruberto -mandare gente d’arme in Calavra, e dilettandosi -dell’industria del giovane barone, fatta eletta -di cinquecento cavalieri d’arme, e datili all’ubbidienza -di messer Luigi, lui accomandò a -messer Niccola Acciaiuoli, comandandogli in tutto -che ubbidisse al suo maestro. E questo fece il -re di volontà dell’imperatrice sua madre; avendo -<span class="pagenum" id="Page_18">[18]</span> -poco innanzi fatto cavaliere il detto messer -Niccola; e da quell’ora appresso il detto messer -Luigi si resse in tutto e governò per le mani di -messer Niccola. E sopravvenuta la morte del duca -Andreasso, per operazione dell’imperatrice e -di messer Niccola Acciaiuoli fu data la reina Giovanna -per moglie a messer Luigi: e ne’ primi -cominciamenti con assai prospera fortuna accrescea -il suo signore. E cambiandosi le cose per l’avvenimento -del re d’Ungheria alla vendetta del -fratello, essendo tutti gli altri reali all’ubbidienza -del potente re, costui solo, coll’aiuto d’alquanti -che ubbidivano alla reina, per lo consiglio -e conforto di messer Niccola, sostenne contro alla -gente del re d’Ungheria lungamente, e tentò di -resistere alla persona del loro re, e non si partì -dalla frontiera di Capova, infino che abbandonato -dagli avari regnicoli, e già soppreso dall’avvenimento -del re e del suo esercito, fu costretto di -partirsi da Capova, e appresso da Napoli, sprovveduto, -di notte, ricogliendosi per necessità in su -una vecchia e male armata galea; e in quella raccolto, -con poco arnese e con lieve compagnia valicò -in Toscana in povero stato. E per lo detto -messer Niccola, e co’ suoi danari e di suoi amici -fu atato e rifornito e confortato nella grave tempesta -della fortuna. Presi tutti i reali, e morto -il duca di Durazzo, e il Regno venuto nelle mani -del suo persecutore, e non volendolo i Fiorentini -ricevere nella loro città, nè sovvenire d’alcuna -cosa per tema del re d’Ungheria, ridottosi parecchi -dì alla possessione del detto messer Niccola -in Valdipesa, di là si partì, e andò in Proenza -<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span> -ove la reina era rifuggita. E tornato il re d’Ungheria, -per tema della generale mortalità, in suo -paese; per sollecitudine e trattato di messer Niccola, -prima tornato nel regno, e sommossi de’ baroni -e de’ cavalieri, e confortati i Napoletani, e -accolta gente d’arme in favore del suo signore, -in breve tempo ordinò la sua tornata e della reina -nel Regno, nel quale assai battaglie e vari e diversi -assalti di guerra sostenne; e per avversa fortuna -rotte le sue forze in battaglia per più riprese, -tradito dagli amici, perseguitato da’ nemici, condotto -all’inopia, sentina della fortuna, l’animo del -valente cavaliere fu di tanta potenza e di tanta -virtù, che con pari animo sostenne il giovane barone -suo signore in speranza certa della sua esaltazione, -sempre aiutandolo e sostenendolo con -sua industria e suo procaccio, e con fortezza e -con pazienza fece comportare l’asprezza della -turbata fortuna. Onde avvenne, che quella potendosi -maravigliare della costanza dell’uomo, subitamente -e improvviso mutò la turbata faccia in -chiara, e l’asprezza in dolcezza e in mansuetudine: -e colui che avea ributtato per cotante tempeste e -vari pericoli, oltre all’opinione degli uomini, -con felici e prospere successioni condusse alla -reale corona, e alla libera signoria di tutto il corrotto -e sviato regno in brevissimo tempo. E per lo -nobile consiglio e avvedimento di messer Niccola -Acciaiuoli, i reali lasciati di prigione e tornati -nel Regno, ove per tutti si stimava che il Prenze -di Taranto maggiore fratello del re, per sdegno e -per forte inzigamento contro al re movesse scandolo -nel reame, con mansuetudine e con caritatevole -<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span> -animo il fece al re ricevere in compagno -del regno; e fattogli prendere titolo dell’imperiato -costantinopolitano, e aggiunto largamente -alla sua baronia, conobbe e manifestò a tutti, che -il padre loro messer Niccola, appresso la grazia di -Dio, era cagione del ricoveramento del regno, e -dello stato e onore. Perchè dunque dovevamo tacere? -innanzi vogliamo essere da’ denti degl’invidiosi -cittadini morso, che la provata verità per -li suoi effetti, e per la fine de’ suoi felici avvenimenti, -avessimo lasciata sotto scurità d’ignorante -oblivione. -</p> - -<h3 id="cap10-3">CAP. X. -<span class="smaller"><i>Come fu cacciato messer Iacopo Cavalieri di -Montepulciano.</i></span></h3> - -<p> -In questo anno del mese d’aprile, sabato santo, -avendo messer Iacopo de’ Cavalieri di Montepulciano -trattato, coll’aiuto della gente dell’arcivescovo -ch’era in Toscana, di farsi signore della -terra di Montepulciano, e a ciò consentivano -una parte de’ terrazzani di suo seguito, messer -Niccola suo consorto sentì questo trattato, e fecelo -sentire a’ governatori del popolo; e in questo dì, -levata la terra a romore, cacciarono messer Iacopo -di Montepulciano, e venti altri terrazzani suoi -seguaci, uomini nominati di stato intra il popolo; -e col consiglio di messer Niccola de’ Cavalieri -riformarono la terra di loro reggimenti, e -ischiusonne gli amici e’ seguaci di messer Iacopo; -il quale si ridusse a Siena, e là ordinò grande novità, -<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span> -e scandalo e suggezione di quella terra, come -innanzi a’ suoi tempi si potrà trovare. -</p> - -<h3 id="cap11-3">CAP. XI. -<span class="smaller"><i>Come si die’ il guasto a Bibbiena, -e sconfitti i Tarlati -da’ Fiorentini.</i></span></h3> - -<p> -Del mese di maggio del detto anno, ricordandosi -i Fiorentini dell’ingiuria ricevuta da’ Tarlati, -Pazzi e Ubertini per la ribellione ch’aveano -fatta al comune al tempo della guerra dell’arcivescovo -di Milano, quando ruppono la pace e -cavalcarono sopra il contado e distretto di Firenze, -accolsono seicento cavalieri di loro masnade e gran -popolo, e andarsene alla Cornia, e poi alla Penna, -e a Gaenna, e ad altre terre e ville che si tenevano -pe’ Pazzi e Ubertini e Tarlati, e a tutte diedono -il guasto; e poi se n’andarono a Bibbiena, -ov’era messer Piero Sacconi, e a Soci, e ivi dimorarono -più dì, ardendo e guastando d’intorno: -quelli da Bibbiena francamente si difesono dal guasto -le vigne d’intorno presso alla terra. Messer -Piero avea in Bibbiena milledugento buoni fanti -e pochi cavalieri, con li quali si fece un grosso badalucco -presso alla terra. Poi la mattina vegnente, -a dì 10 di giugno, l’oste si mosse per andare -a Montecchio. Messer Piero, antico e buono guerriere, -sapendo l’andata de’ Fiorentini, si pensò di -fare loro danno, e la mattina per tempo con settanta -cavalieri e con mille buoni fanti in persona -occupò un colle sopra l’Arno in sul passo, -<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span> -e mise aguati per danneggiare la gente de’ Fiorentini. -Avvenne che, mossa l’oste dall’altra parte -dell’Arno, vidono preso il colle dalla gente di -messer Piero; allora cominciarono a fare valicare -della gente dell’oste certi masnadieri, sì perchè -tenessono a badalucco i nemici e per trarli -abbasso, e a poco a poco li ringrossavano d’aiuto, -ma non senza loro grande pericolo, a’ quali in sul -maggiore bisogno soccorsono parecchi conestabili -a cavallo co’ loro cavalieri. Ed essendo atticciata -la battaglia, e stando i nemici attenti a quella -sperandone avere vittoria, altri cavalieri e -masnadieri de’ Fiorentini presono, scostandosi -dall’oste, un’altra via, che i nemici non s’accorsono, -e valicarono l’Arno, e sopravvennono -alla gente riposta di messer Piero dall’altra parte -del colle, i quali ruppono di presente, e montarono -al poggio, e improvviso furono sopra la gente -grossa di messer Piero, che stava attenta a vedere -e ad aiutare quelli del badalucco, e con -grandi grida correndo col vantaggio del terreno -loro addosso, li ruppono e sbarattarono. Messer -Piero per bontà del buono cavallo dov’era montato -con pochi compagni, non potendo ritornare -in Bibbiena, fuggendo ricoverò in Montecchio. -Della sua gente furono in sul campo più di cento -morti, e dugento presi, e molti fediti. I prigioni -tornando l’oste li condussono a Firenze legati -a una fune, e poco appresso furono lasciati; e l’oste -tornò vittoriosa, avendo preso alcuna vendetta -degl’ingrati traditori. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span> -</p> - -<h3 id="cap12-3">CAP. XII. -<span class="smaller"><i>Come si rubellò a’ Fiorentini Coriglia e Sorana.</i></span></h3> - -<p> -In questo anno sentendo messer Francesco Castracani -che i Fiorentini erano inbrigati par la -gente che l’arcivescovo teneva a guerreggiare in -Toscana, essendo forte in Lunigiana e in Garfagnana, -a petizione de’ Pisani fece furare a’ Fiorentini -la rocca di Coriglia, la quale appresso -rendè a’ Pisani, a cui stanza l’avea furata, e’ -Pisani la presono, rompendo la pace a’ Fiorentini; -ch’espresso era nella pace rinnovata per lo -duca d’Atene in nome del comune di Firenze, -che in niun modo di quella terra si dovessono -travagliare. E appresso i detti Pisani feciono con -sagacità di grande tradimento torre a’ Fiorentini, -contro a’ patti della pace, la terra di Sorana, -e rendutala da capo, la ritolsono per indiretto, -e poi in palese la difesono, non curando i patti -della pace. I Fiorentini per queste due terre non -si mossono, benchè grave li fosse l’oltraggio de’ -Pisani. Messer Francesco avendo avuto trecento -cavalieri dall’arcivescovo di Milano, montato in -grande orgoglio, e confortato da’ Pisani, si pose -ad assedio a Barga, ch’era de’ Fiorentini, e avendo -grande popolo la strinse intorno con più -bastie, sperandolasi avere per assedio. Lasceremo -ora quest’assedio per raccontare altre maggiori -cose innanzi che Barga fosse liberata. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span> -</p> - -<h3 id="cap13-3">CAP. XIII. -<span class="smaller"><i>Come i tre comuni di Toscana mandarono -ambasciadori in Boemia a far muovere -l’imperadore.</i></span></h3> - -<p> -Avendo i tre comuni di Toscana presa e pubblicata -la concordia col vececancelliere dell’eletto -imperadore, volendo mettere ad esecuzione -quello che per loro era stato promesso, catuno -elesse de’ maggiori cittadini confidenti al reggimento -di quelli per suoi ambasciatori, e mandaronli -all’eletto imperadore a Boemia nella Magna per -farlo muovere, e per fargli il pagamento ordinato, -e per essere al suo consiglio per i tre comuni, -nella promessa impresa passando egli in Italia. -Gli ambasciadori del nostro comune di Firenze -furono cinque: messer Tommaso Corsini dottore -di legge, messer Pino de’ Rossi, messer Gherardo -de’ Buondelmonti cavaliere, Filippo di Cione -Magalotti, e Uguccione di Ricciardo de’ Ricci, a’ -quali fu data grande e piena legazione, e dato loro -un popolare sindaco per lo comune, a potere obbligare -il comune, secondo le cose promesse al -vececancelliere, come paresse a’ detti ambasciadori, -se altro bisognasse di fare. Costoro tutti vestiti -di fine panno scarlatto e d’altro fine mellato, -catuno con otto scudieri il meno vestiti -d’assisa, a dì 17 di maggio, il dì dell’Ascensione, -si partirono di Firenze. E partiti loro, molti cittadini -pensando che quello ch’era ordinato dovesse -venire fatto, perocchè tra gli ambasciadori -<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span> -erano i più reputati caporali di cittadina setta, temettono, -che essendo costoro al continuo con l’imperadore, -e di suo consiglio, che pericolo si commettesse -contro al comune e pubblica libertà de’ cittadini, -e però si mosse questione di limitare il loro -tempo, e strignerli con certe leggi, e di questo fu -gara e lunga tira nel nostro comune; in fine si vinse, -e fecesi per riformagione di comune, che niuno -cittadino di Firenze potesse stare in quel servigio -appresso all’imperadore più che quattro mesi, -e che alcuna grazia, uficio, o beneficio reale -o personale per i detti ambasciadori o per -loro successori si dovesse ricevere o impetrare, -sotto gravi pene, acciocchè la speranza si troncasse -a tutti della propria utilità. E incontanente -elessono e insaccarono molti cittadini per succedere -di quattro mesi in quattro mesi a’ detti -ambasciadori in quello servigio. -</p> - -<h3 id="cap14-3">CAP. XIV. -<span class="smaller"><i>Di disusati tempi stati.</i></span></h3> - -<p> -Non è da lasciare in silenzio quello che del mese -di giugno del detto anno avvenne, perocchè -fu notabile caso di tempo con diverse considerazioni, -che essendo ne’ campi seminati cresciute -le biade e’ grani d’aspetto d’ubertosa ricolta -vicina alla falce, in diverse contrade di Toscana, -e massimamente nel contado di Firenze, -vennono diluvi d’acque, i quali guastarono molto -grano e biade, e feciono de’ dificii, e d’altro -singolari danni a molti. E a dì 14 del detto -<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span> -mese cominciò un vento austro spodestato e -impetuoso con tanta furiosa tempesta, che ogni -cosa parea che dovesse abbattere e mettere per -terra, e tutte le granora e biade che trovò mature, -ove il suo impetuoso spirito potè percuotere, -battè per modo, che alla terra diede nuova sementa, -e nelle spighe lasciò poco altro che l’aride -reste, e quelle che ancora non erano granate -percosse e inaridì; facendo nelle montagne -in diverse parti sformate grandini e diverse -tempeste, e molte vigne guastò, e abbattè -alberi molti, e di grandi dificii in diverse parti -di Toscana e di Romagna; e in Firenze fece rovinare -il campanile del monastero delle donne -degli Scalzi, e uccise la badessa con sei monache. -Nella sommità delle montagne di Pistoia -levò gli uomini di su’ poggi, traboccandoli dove -l’impeto gli portava. E pubblica fama fu, -che quarantatrè masnadieri ch’andavano in preda -trovandosi in sul giogo, senza potersi ritenere -furono portati dal vento per modo, che di -loro non si seppe novelle. E restato lo strabocchevole -vento, ivi a pochi dì fu un caldo sformato -senza aiuto d’alcuno spiramento, che il -residuo de’ grani e de’ biadi in molti paesi, -singolarmente nel contado di Firenze, fece ristrignere -e invanire per modo, che ov’era stata -speranza d’ubertosa ricolta generò sformata -carestia anzi l’avvenimento dell’altra ricolta, -come appresso dimostreremo. Alcuni diedono -questo singulare accidente agli effetti della congiunzione, -già narrata al principio del nostro -primo libro, de’ tre superiori pianeti onde Saturno -<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span> -fu signore: perocchè gli astrolaghi tengono che -l’influenza di cotale congiunzione duri per diciannove -anni, e altri tengono infino in ventitrè. Arbitrò -altri, che questo procedesse dall’influenza -della cometa ch’apparve in quest’anno, e quella -fu saturnina, sicchè catuno trasse agli effetti saturnali. -Altri tennono che ciò fosse dimostramento -d’assoluto giudicio divino per i disordinati peccati -de’ popoli non domati da tante tribolazioni di -guerre, quante dimostrate abbiamo in poco tempo -dopo la miserabile mortalità. -</p> - -<h3 id="cap15-3">CAP. XV. -<span class="smaller"><i>Dell’inganno ricevette il comune di Firenze -del braccio di santa Reparata.</i></span></h3> - -<p> -Essendo stati certi ambasciadori del comune -di Firenze alla coronazione del re Luigi per lo -detto comune, domandarono di grazia al re e alla -reina alcuna parte del corpo della vergine -santa Reparata ch’è in Teano, per onorare la -sua reliquia nella nobile chiesa cattedrale della -nostra città ch’è edificata a suo nome. La loro petizione -dal re e dalla reina fu accettata; ma perocchè -la città di Teano era del conte Francesco -da Montescheggioso, figliuolo che fu del conte -Novello amicissimo del nostro comune, convenne -che con sua industria il braccio destro di -quella santa si procacciasse d’avere per modo, -che i terrazzani non se n’avvedessono, che si -mostrava loro, ed era nel paese in grande devozione, -e questo si mostrò di fornire con industria, -<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span> -e con grande sollicitudine. Gli ambasciadori -credendosi avere la santa reliquia il significarono -a’ priori, acciocchè all’entrata della -città l’onorassono. I rettori del comune ordinata -solennissima processione di tutti i prelati cherici -e religiosi della città di Firenze, con grandissimo -popolo d’uomini e di femmine, con -molti torchi accesi comandati per l’arti e forniti -per lo comune, e il vescovo di Firenze ricevuto -colle sue mani il santo braccio, colla -mano segnando la gente molto divota e lieta, -credendosi avere quella santa reliquia, fu portata -e collocata nella nostra chiesa, a dì 22 di giugno -1352. -</p> - -<h3 id="cap16-3">CAP. XVI. -<span class="smaller"><i>Di quello medesimo.</i></span></h3> - -<p> -Avendo narrata la fede, la reverenza e la divozione -che i nostri cittadini ebbono alla santa -vergine, benchè l’inganno ricevuto fosse durato -in fede del detto comune quattro anni e -mesi, infine si scoperse il sacrilegio e l’inganno -ricevuto per la femminile astuzia della badessa -del monastero di Teano, ov’era il corpo della -detta santa, che vedendo che quello braccio le -conveniva dare per volontà del re, e della reina -e del conte, dissimulando gran pianto colle -sue suore per lo partimento della reliquia, lo -sostennero di assegnare alcuno dì. E in questo -tempo feciono fare un simulacro di legno -e di gesso, che propriamente pareva quella santa -<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span> -reliquia, e dando questa con grande pianto, -fece credere agli ambasciadori che avesse assegnata -loro la santa reliquia, e a Firenze fece -onorare come santuaria quello simulacro -per cotanto tempo, essendo cagione di cotanto -male, non manifestando la sua falsa religione. -Avvenne che il comune del mese d’ottobre 1356, -volendo d’oro e d’argento e di pietre preziose -fare adornare quella reliquia, i maestri la trovarono -di legno e di gesso: e segatala per mezzo, -furono certi che niuna reliquia v’era nascosa, -e il comune fu certo del ricevuto inganno. Noi, -non ostante che cinquantadue mesi fosse questo -ritrovato appresso alla sopraddetta venuta, contro -all’ordine del nostro annuale trattato l’abbiamo -congiunto insieme, acciocchè avendo alcuno -letto la venuta del santo braccio, non fosse -ingannato dalla simulazione di quello, e dalla -malizia della sacrilega badessa. -</p> - -<h3 id="cap17-3">CAP. XVII. -<span class="smaller"><i>Come la gente del Biscione cavalcarono -i Perugini.</i></span></h3> - -<p> -Del mese di giugno del detto anno, accolti duemila -cavalieri dell’arcivescovo di Milano alla -città di Cortona e popolo assai, cavalcarono per -la valle di Chio, e strinsonsi alla città di Perugia -predando e ardendo il suo contado. Per la -qual cavalcata così bandalzosa i cittadini presono -sospetto dentro, e però non ebbono ardire -di fare uscire fuori alcuna loro gente contro a’ -<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span> -nimici. Conducitori di questa gente erano il conte -Nolfo da Urbino, il signore di Cortona, e -Gisello degli Ubaldini, i quali avevano trattato -con messer Crespoldo di Bettona. Questo messer -Crespoldo era guelfo, ma perocch’era male -trattato da’ Perugini ricevette costoro in Bettona, -e cacciarono coloro che v’erano alla guardia -per lo comune di Perugia. Questa terra era presso -a Perugia a otto miglia e nella loro vista, e -sentendo la gente che dentro v’era, e la potenza -dell’arcivescovo, furono in gran tremore; e -non senza cagione, che quella terra era forte, e -in frontiera ad Ascesi e all’altre terre de’ Perugini, -le quali non amavano troppo la loro -signoria, e però cominciarono incontanente -a dare il mercato a’ nimici, e molto erano -di presso a fare le comandamenta del tiranno, -e ciò che gli ritenne fu, ch’aspettavano -quello che in questa novità facesse il comune di -Firenze. Stando i Perugini in questo pericolo, -incontanente il comune di Firenze li mandò -confortando per loro ambasciadori, promettendo -loro aiuto quanto il comune potesse fare; e -seguitando col fatto, di subito vi mandarono ottocento -cavalieri di buona gente, promettendo d’arrogere -quanti bisognasse infino a tanto che Bettona -fosse racquistata. Avvenne che come Ascesi -e l’altre terre circostanti de’ Perugini intesono -l’aiuto e il conforto che i Fiorentini davano -al comune di Perugia, ove stavano sospesi e -non rispondeano al comune di Perugia, e davano -il mercato a’ nimici, di presente levarono il -mercato, e acconciarsi alla difesa, e mandarono -<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span> -a offerirsi a’ Perugini, e cominciarono a guerreggiare -quelli di Bettona. Onde convenne per -necessità delle cose da vivere che la cavalleria -ch’era in Bettona s’alleggiasse, e lasciaronvi a -guardia della terra seicento cavalieri e più d’altrettanti -masnadieri, e l’altra gente tornò a Cortona. -Rimasi in Bettona i sopraddetti capitani e’ -riposono l’assedio a Montecchio, e ordinaronsi -per accrescere loro forza e soccorrere Bettona, se -il bisogno occorresse. Lasceremo alquanto de’ fatti -di Bettona per seguire dell’altre cose, ch’avvennono -innanzi ch’ella si racquistasse. -</p> - -<h3 id="cap18-3">CAP. XVIII. -<span class="smaller"><i>Come i Romani andarono per guastare -Viterbo.</i></span></h3> - -<p> -Di questo mese di giugno del detto anno, vedendo -il popolo romano che il prefetto da Vico -cresceva in forza e ad acquisto occupando le terre -del Patrimonio, feciono in fretta Giordano del -Monte degli Orsini capitano di guerra, e accolsono -tutta la gente d’arme che fatta aveano col loro -rettore a piè e a cavallo e accozzaronli col capitano -del Patrimonio messer Niccola delle Serre cittadino -d’Agobbio, e in pochi dì accolsono milledugento -cavalieri e dodicimila pedoni in arme, e con -gran furia se n’andarono sopra la città di Viterbo -per guastarla d’intorno e porvi l’assedio, e -starvi tanto che tratta l’avessono delle mani del -prefetto. Avvenne in su la giunta che a messer -Niccola capitano del Patrimonio cadde il suo cavallo -<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span> -addosso, e per la percossa e per lo disordinato -caldo per spasimo morì di presente. Morto -il capitano, l’oste senza fare alcuna cosa notevole, -con poco onore del capitano de’ Romani, si -partì da Viterbo, e catuno si tornò a casa sua. -</p> - -<h3 id="cap19-3">CAP. XIX. -<span class="smaller"><i>Come il re Luigi ebbe Nocera.</i></span></h3> - -<p> -In questi dì messer Currado Lupo ch’era per -addietro stato vicario del re d’Ungheria nel -Regno, sapendo che la pace era fatta dal re -d’Ungheria a’ reali di Puglia, e che di volontà -del suo signore era ch’egli rendesse le terre -che tenea al re Luigi, già coronato per la -Chiesa del reame, con l’astuzia tedesca pensò -di trarre suo vantaggio, e accolse tutti i Tedeschi -ch’erano nel Regno, e con settecento barbute -fece testa a Nocera de’ Saracini, e levò un’insegna -imperiale, mostrando che a stanza dell’imperadore -volesse rimanere nel Regno; e per -alquanti si disse che alcuni baroni del reame il -favoreggiavano. Temendo il re che questi non -avesse appoggio d’altro signore, o che non l’acquistasse -stando, per lo meno reo prese di patteggiar -con lui, e diedegli contanti trentacinque -mila fiorini d’oro, e rendè Nocera e la contea -di Giuglionese, e uscissi del Regno con tutta -la sua gente, con patto fermato per suo saramento, -che da ivi a due anni non dovesse per alcuno -modo tornare nel Regno, ma valicati i due anni -vi potesse tornare come barone del re per le terre -<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span> -della moglie, facendogli il debito saramento -e omaggio. -</p> - -<h3 id="cap20-3">CAP. XX. -<span class="smaller"><i>Come fu sconfitto il conte di Caserta.</i></span></h3> - -<p> -Seguitando i rivolgimenti dello sviato Regno, -ci occorre in questi dì come il duca d’Atene -conte di Brenna, il quale altra volta per la sua -incostante tirannia meritò a furore essere cacciato -della signoria di Firenze, essendo tratto -di Francia all’odore dello sviato Regno -non con intera fede, con sue masnade di cavalieri -franceschi fece in Puglia spontanea guerra -contro al conte di Caserta, figliuolo che fu -di messer Diego della Ratta conte camarlingo, -il quale era con gente d’arme a Taranto, e con -assentimento del re Luigi guerreggiava le terre -del detto duca, secondo la comune voce; l’infermità -del Regno non consentiva nè in guerra -nè in pace cose aperte nè chiari movimenti. Il -detto duca accolti de’ paesani, co’ suoi Franceschi -combattè col conte e sconfisselo, facendo -alla sua gente grave danno. E rifuggito il detto -conte in Taranto per sua sicurtà, del detto anno, -del mese di Maggio, per lo detto duca fu lungamente -senza frutto assediato. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span> -</p> - -<h3 id="cap21-3">CAP. XXI. -<span class="smaller"><i>La novità in Casole di Volterra.</i></span></h3> - -<p> -I figliuoli di messer Ranieri da Casole di Volterra -cacciati per lungo tempo da’ loro nimici -del castello, come giovani coraggiosi, accolsono -segretamente masnadieri e amici, e a dì 15 -luglio del detto anno entrarono nella terra di -Casole, che si guardava per lo comune di Siena, -e improvviso corsono a casa i loro nimici, e -quanti ve ne trovarono misono al taglio delle -spade, e rubarono le case loro, e appresso l’arsono, -e gli altri che non furono morti cacciarono -della terra, e la podestà che v’era pe’ Sanesi -riguardarono: la terra tennono tanto per loro, -che co’ Sanesi presono accordo di tenervi podestà -dal comune di Siena; e fecionsi ribandire, e -rimasono i maggiori nella terra. -</p> - -<h3 id="cap22-3">CAP. XXII. -<span class="smaller"><i>Come furono decapitati degli Ardinghelli -di Sangimignano.</i></span></h3> - -<p> -Seguita in questi medesimi dì, come Benedetto -di messer Giovanni degli Strozzi di Firenze, -essendo capitano della guardia per lo nostro comune -di Sangimignano, con ingiusto sospetto -prese il Rosso e Primerano di messer Gualtieri -degli Ardinghelli, giovani di grande aspetto e -seguito, d’animo e di nazione guelfi, e tenendoli -<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span> -senza trovare vera cagione perchè presi -gli aveva, per accidente v’occorse caso, che -gittarono una lettera a’ loro amici fuori della -carcere, pregandoli che li venissono ad atare -liberare di prigione. Il capitano avendo questa -lettera, quale che fosse la cagione, o per zelo -del suo uficio, o per inzigamento de’ Sanucci loro -nimici, deliberò di farli morire. Il comune di -Firenze sapendo che non erano colpevoli, volea -che campassono; e mandandovi in fretta ambasciadori -con espresso comandamento al capitano -che non gli dovesse fare morire, la fortuna -impedì i messaggi per disordinata grandezza dell’Elsa, -che non li lasciò passare in quella notte. Il -capitano temendo non sopravvenisse il comandamento, -s’affrettò di farli morire; e la vilia di -san Lorenzo, a dì 9 d’agosto, con un altro terrazzano -a cui aveano scritto che fosse a loro scampo, -in sulla piazza li fece dicollare, onde fu -riputato grande danno, e il capitano ne fu molto -biasimato. Questa decollazione si tirò dietro -materia di grande scandalo e rivoltura di quella -terra, come al suo tempo racconteremo. -</p> - -<h3 id="cap23-3">CAP. XXIII. -<span class="smaller"><i>Come gente del re di Francia fu sconfitta -a Guinisi.</i></span></h3> - -<p> -Essendo il re di Francia in singolare sollecitudine -di racquistare la contea di Guinisi che sotto -le triegue gli era stata furata, vi mandò millecinquecento -cavalieri e tremila pedoni, tra i -<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span> -quali ebbe gran parte di masnadieri lombardi -e avendovi posto l’assedio, difendendosi lungamente -que’ del castello, i Franceschi vi feciono -bastite intorno, per tenerlo stretto con meno -gente. Il re d’Inghilterra mettea con due barche -di notte gente in Calese per modo, che i -Franceschi non se n’accorgevano; e avendovi -per questo modo accolta quella gente che a lui -parve, forniti di capitani avvisati delle bastite -e della guardia de’ Franceschi, una notte chetamente -uscirono di Calese, e improvviso da più -parti assalirono i Franceschi, i quali impauriti del -non pensato assalto intesono a fuggire e a campare, -senza mettersi alla difesa; e così in poca -d’ora furono rotti e sbarattati dagl’Inghilesi, e -i battifolli arsi, con più vergogna che danno -de’ Franceschi per la grazia della notte. E liberato -il castello dall’assedio, e rifornito di nuovo, -del mese di luglio del detto anno gl’Inghilesi si -ritornarono nell’isola senza fare altra guerra. -Poco appresso il re di Francia scoperse che certi -baroni il doveano uccidere per trattato del re -d’Inghilterra, per la qual cosa a certi ne fu tagliata -la testa: e il re a modo di tiranno si faceva -guardare a gente armata, dentro e fuori di suo -ostiere reale, a cavallo e a piè, di dì e di notte -nella città di Parigi, cosa strana e disusata alla -maestà reale e a’ paesani. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span> -</p> - -<h3 id="cap24-3">CAP. XXIV. -<span class="smaller"><i>Come i Perugini assediarono Bettona.</i></span></h3> - -<p> -Tornando alle vicine materie, avendo il comune -di Perugia da’ Fiorentini ottocento cavalieri -di buona gente d’arme, con loro sforzo valicarono -le Giaci per porre l’assedio a Bettona, e con -grande popolo l’assediarono. E volendosi partire -de’ cavalieri dell’arcivescovo della terra, ovvero -per andare in foraggio, otto bandiere furono sorprese -dalla gente dell’oste per modo, che la maggior -parte rimasono presi, e d’allora innanzi si -ritennono dentro alla guardia del castello. E -procacciando d’avere soccorso da’ cavalieri e dagli -amici dell’arcivescovo ch’erano per lo paese -di qua, e per fare migliore guardia, si misono a -campo fuori della terra nella piaggia a petto al -campo de’ Perugini. I Perugini aggiungevano al -continovo gente d’arme nel campo per soldo e -per amistà, e mandaronvi la maggior parte de’ loro -cittadini, e dall’altra parte della terra formarono -due battifolli, perchè nè vittuaglia nè soccorso -nella terra potesse entrare. E così assediata -la terra, procuravano d’afforzare e d’impedire i -passi, per riparare dalla lungi al campo che nimici -non potessono sopravvenire. E per questo -modo durò l’assedio infino all’agosto vegnente, -come appresso diviseremo, e posto vi fu del mese -di giugno del detto anno. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span> -</p> - -<h3 id="cap25-3">CAP. XXV. -<span class="smaller"><i>Come fu liberato Montecchio dall’assedio -per soccorrere Bettona.</i></span></h3> - -<p> -Era in questo tempo stato assediato lungamente -il piccolo castello di Montecchio presso a -Castiglionaretino da’ Tarlati e dal signore di -Cortona colla cavalleria dell’arcivescovo, e recato -a partito, che i maggiori di quelli che ’l teneano -erano venuti nel campo per volerlo dare. -Temendo i Tarlati che avuto il castello per la -vicinanza non rimanesse al signore di Cortona, -per consiglio aggiunte minacce a coloro ch’erano -venuti per darlo, si ritornarono dentro alla difesa. -E l’oste sollecitata del soccorso dagli assediati -di Bettona, se ne levarono, e accozzaronsi i cavalieri -dell’arcivescovo con gli altri cavalieri loro -compagni ch’erano in Agobbio e nelle circostanze, -e trovaronsi millecinquecento barbute e masnadieri -assai, e per fare levare i Perugini da Bettona -si misono a oste alla Città di Castello. E -stativi alquanti dì, feciono provvedere i passi -come potessono andare a soccorrere Bettona, e -trovarono che i Perugini erano alla difesa de’ passi -molto bene provveduti e forniti alla guardia; -tornaronsi al Borgo per accogliere maggiore -gente e forza, e farlo per altra più lunga via. In -questo medesimo tempo gli assediati per la speranza -del soccorso presono ardire, e assalirono -l’uno de’ battifolli de’ Perugini, e vinsonlo e arsonlo, -e mostrarne per segni di luminaria gran -<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span> -festa; e con quella baldanza presa andarono ad -assalire l’altro, e furono occupati per modo da’ cavalieri -dell’oste che tornarono in rotta, presa -parte della loro gente da cavallo e da piè; gli -altri si fuggirono tutti nella terra, levandosi da -campo per stare alla difesa delle mura, e da’ -Perugini furono più stretti. I capitani della gente -dell’arcivescovo feciono capitano generale il -conte Nolfo da Urbino, e misonsi per la valle di -Chiusi, e andarono a Orvieto; e tratti i cavalieri -ch’aveano in quella città, si trovarono con -duemila barbute; e volendo soccorrere gli assediati, -trovarono in catuno passo sì provveduti i -Perugini e sì forti alla difesa, che per niuno modo -vidono di poterlo fornire. Ed essendo disperati -dell’impresa, vollono rimettere in Orvieto -i loro cavalieri che n’aveano tratti, e non furono -voluti ricevere, e con gli altri insieme se ne -tornarono al Borgo, e gli assediati furono fuori -d’ogni speranza d’avere soccorso. -</p> - -<h3 id="cap26-3">CAP. XXVI. -<span class="smaller"><i>Come i Perugini ebbono Bettona e arsonla, -e disfeciono affatto.</i></span></h3> - -<p> -Vedendo i caporali ch’erano rinchiusi in Bettona -che a loro era mancata ogni speranza di -soccorso, e che la vittuaglia era mancata, e mangiata -gran parte de’ loro cavalli, vedendosi a -mal partito, con industria e con danari pensarono -allo scampo delle loro persone molto segretamente, -perchè sapeano bene che i Perugini -<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span> -avrebbono maggiore gloria d’avere le loro persone -che la terra di Bettona; e però strettisi insieme, -e prestato la fede l’uno all’altro, il signore -di Cortona, e il conte di Montefeltro, e Ghisello -degli Ubaldini avendo procacciato per danari -il nome di quella notte, vestiti a modo di ribaldi -per mezzo il campo passarono a salvamento: -onde poi fu incolpato alcuno de’ rettori di Perugia. -I soldati sentendo campati i loro capitani, -incontanente presono messer Crespoldo signore -di Bettona, e uno de’ Baglioni di Perugia ch’aveano -loro data la terra, e patteggiarono co’ Perugini -di dare costoro prigioni, e rendere la terra -salve le persone loro solamente, lasciando l’arme -e’ cavalli, e giurando di non venire mai contro -a quello comune nè a quello di Firenze, e così -fu fatto; e avendo mangiati centocinquanta cavalli -de’ loro per fame, s’uscirono della terra, e -i Perugini la presono; e trattine tutti gli abitanti, -e tutte le masserizie e ogni altra sostanza, e -condotta a Perugia, arsono la terra; e dopo l’arsione -abbatterono le mura dentro e di fuori, acciocchè -non avesse mai più cagione di rubellarsi -a’ Perugini; e a messer Crespoldo e a quello de’ -Baglioni feciono tagliare le teste. E questa fu la -fine dell’antica terra di Bettona, ripresa a dì 19 -del mese d’agosto gli anni <i>Domini</i> 1352, in gran -vituperio de’ Visconti di Milano, e a onore del -comune di Firenze, per lo cui aiuto e conforto -infino alla fine i Perugini ebbono questa vittoria. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span> -</p> - -<h3 id="cap27-3">CAP. XXVII. -<span class="smaller"><i>Come la città d’Agobbio s’accordò co’ -Perugini.</i></span></h3> - -<p> -Giovanni di Cantuccio signore d’Agobbio, avendo -veduto come le cose non succedevano prospere -all’imprese fatte per lo tiranno di Milano, e che -Bettona non era potuta soccorrere, ed era disfatta, -diffidandosi della sua difesa se la piena gli si volgesse -addosso, sapendo che i suoi cittadini non -erano in fede con lui, con astuta malizia si provvide -e mandò a trattare pace co’ Perugini. E fu -fatto che gli usciti vi tornassono, salvo messer -Iacopo Gabbrielli, e tutti avessono frutti de’ loro -beni, e che due anni il detto Giovanni vi potesse -eleggere podestà d’Agobbio cui e’ volesse, e valicati -i due anni, la città rimanesse al comune, e i Perugini -avessono la guardia della terra senza altra -giurisdizione: ma poco durò l’accordo, come seguendo -si potrà vedere. -</p> - -<h3 id="cap28-3">CAP. XXVIII. -<span class="smaller"><i>Come ser Lallo s’accordò con il re Luigi -dell’Aquila.</i></span></h3> - -<p> -Avemo addietro contato come la città dell’Aquila -si reggeva sotto il governamento di ser -Lallo suo piccolo cittadino, il quale avea dimostrato -più volte di tenerla quando per lo re d’Ungheria, -e quando per lo re Luigi, come bene -<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span> -gli mettea; ma poichè il re Luigi fu coronato, e -i Tedeschi e gli Ungheri partiti del Regno, vedendo -che mantenere non la potrebbe contro alla -corona, trasse suo vantaggio, e fecesi fare conte di -Montorio, ed ebbe altre due castella in Abruzzi, -e nell’Aquila ricevette capitano per lo re e per -la reina. Nondimeno i cittadini ubbidivano più -ser Lallo che il re o suo capitano, e convenne al -re dissimulare la sua offesa per lo minore male. -</p> - -<h3 id="cap29-3">CAP. XXIX. -<span class="smaller"><i>Come i Perugini e’ Fiorentini tornarono a -guastare Cortona.</i></span></h3> - -<p> -I Perugini avuta la vittoria di Bettona, colle -masnade del comune di Firenze ritornarono sopra -la città di Cortona essendo messer Currado -Lupo uscito del Regno all’Orsaia con cinquecento -barbute, il quale si stette di mezzo -senza pigliare arme; e i Perugini guastarono le -ville intorno a Cortona come seppono il peggio. -In questi medesimi dì, all’uscita d’agosto del -detto anno, de’ cavalieri dell’arcivescovo ch’erano -tornati al Borgo a san Sepolcro si partirono -milledugento barbute, e andarono su quello -d’Arezzo, e posonsi in sulla Chiassa, e afforzarono -di steccati certo poggio sopra il campo -per più loro salvezza: e quivi si misono per vernare -in luogo dovizioso e grasso. E per ingannare -gli Aretini cominciarono a comperare e a -pagare derrata per danaio, non facendo vista d’alcuna -violenza. E quando si vidono forniti, cominciarono -<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span> -a cavalcare per lo contado, e fare preda -di bestiame e d’uomini e di ciò che trovavano -senza avere contasto. E questo avvenne, che alquanti -cittadini, meno di sette, avendo occupato -il reggimento di quella città, per tema di loro -stato presono gelosia de’ Fiorentini, e innanzi -soffersono il danno da’ nemici, che volessono l’aiuto -dagli amici. I Fiorentini nondimeno tennoro -ottocento cavalieri alle frontiere di Valdarno, -e raffrenavano alquanto le loro gualdane, e salvarono -il loro distretto. Gli Aretini lungamente -furono tribolati da quella gente, per la singolare -non debita paura di pochi loro cittadini, come -detto abbiamo. -</p> - -<h3 id="cap30-3">CAP. XXX. -<span class="smaller"><i>Come gli ambasciadori de’ tre comuni di Toscana -tornarono dall’imperadore -senza accordo.</i></span></h3> - -<p> -In questi dì gli ambasciadori de’ tre comuni -di Toscana ch’erano stati con l’eletto imperadore -tornarono, avendo assai praticato sopra i patti -e convenenze promesse per lo suo vececancelliere, -non trovando con lui concordia per la brevità -del termine, e per la povertà del detto eletto, -tempellato dal consiglio de’ ghibellini che non si -fidasse de’ guelfi; ma questa parte non ebbe in -lui podere, che conoscea che la necessità lo strignea, -volendo pervenire al suo onore, d’avere -l’amore e la confidenza de’ guelfi d’Italia, e però -non si rompeva e non riusciva a niuno effetto. -<span class="pagenum" id="Page_44">[44]</span> -In questo avvenne che ragionando con gli -ambasciadori, l’uno de’ Fiorentini per corrotto -parlare, tenendosi più savio che gli altri perchè -avea maggiore stato in comune, riprendendo -l’eletto imperadore, disse: voi filate molto sottile; -l’imperadore che sapea la lingua latina -conobbe l’indiscreta parola, e turbato temperò -se medesimo, parendoli che l’imperiale maestà -ricevesse ingiuria dall’indiscreta e vile parola; -ma d’allora innanzi poco volle udire quel savio -ambasciadore. E venuto il termine diputato a’ detti -ambasciadori convenne che tornassono, lasciando -la cosa sospesa da ogni parte. -</p> - -<h3 id="cap31-3">CAP. XXXI. -<span class="smaller"><i>Come l’arcivescovo cercava pace co’ Toscani.</i></span></h3> - -<p> -In questa sospensione, gli animi de’ Toscani -e principalmente de’ Fiorentini si cominciarono a -cambiare, veggendo ch’erano a nulla del loro -proponimento; e in questo l’arcivescovo conoscendo -che questi comuni di Toscana intendeano a -muovere contro a lui gran cose, e veggendosi ributtato -da’ Fiorentini e da’ Perugini, grave -gli sarebbe a mantenere guerra in Toscana, e -già sentiva che i suoi vicini Lombardi non -si contentavano di vederlo troppo grande, pensò -che per lui facea d’avere pace co’ Fiorentini -e Toscani; e confidandosi molto in Lotto Gambacorti -da Pisa che allora era amico de’ Fiorentini, -fece muovere le parole e insistere in quelle. -Il nostro comune conoscendo che della pace del -<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span> -tiranno poco si poteano confidare, nondimeno -vedendo che colla Chiesa nè coll’imperadore -non aveano potuto far quello che procuravano, -diede a intendersi a questo trattato. E avendo -l’arcivescovo a questa fine mandati suoi ambasciadori -a Serezzana, il comune vi mandò prima -religiosi per suoi ambasciadori, per sentire se la -sposizione fosse con speranza d’alcuno frutto. E -nondimeno ordinarono e mandarono gli altri ambasciadori -a Trevigi, ov’era venuto il patriarca -d’Aquilea fratello dell’eletto e altri ambasciadori -dell’imperadore futuro per trattare le cose cominciate -co’ comuni di Toscana. Lasceremo al presente -l’ambasciate tanto che torni il loro frutto, -e seguiteremo nell’altre cose la nostra materia. -</p> - -<h3 id="cap32-3">CAP. XXXII. -<span class="smaller"><i>Come il prefetto da Vico fu fatto signore -d’Orvieto.</i></span></h3> - -<p> -I cittadini d’Orvieto rotti divisi e insanguinati -per le cittadine discordie, e caduti nella -forza de’ ghibellini, essendo naturali guelfi, voltandosi -come l’infermo palpando, voltandosi ora -da una parte ora dall’altra, alla fine per la sagacità -del prefetto da Vico loro vicino fu fatto -signore con certi patti; e messo nella città cominciò -a far fare alcune paci, e rimise dentro de’ cittadini -cacciati, e di fuori ritenne cui e’ volle, e la -signoria reggea con poco contentamento del popolo, -e patto promesso non osservava, sicchè non -si vedeano alleggiati delle divisioni, nè delle nimistà -<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span> -cittadinesche, e vedendosi sottoposti al -tiranno e signoreggiati da’ ghibellini. Ma dopo -il fatto, aggiunta del vituperio è il pentersi; che la -soma sotto il tirannesco giogo convenne loro portare. -E questo avvenne all’uscita d’agosto del -detto anno. -</p> - -<h3 id="cap33-3">CAP. XXXIII. -<span class="smaller"><i>Novità state a Roma.</i></span></h3> - -<p> -All’entrata del mese di settembre del detto -anno, il rettore del popolo romano oltraggiato -da Luca Savelli, e male ubbidito dal popolo, volle -ragunare il parlamento per rinunziare la signoria. -Nel popolo nacque dissensione, che chi -volea che rinunziasse, e chi nò. In questa contenzione -messer Rinaldo Orsini, ch’era senatore, -prese l’arme, e seguitato dal popolo, cacciò di Roma -Luca Savelli co’ suoi seguaci, ma poco stettono -fuori, che si tornarono dentro. Il rettore -volendo fortificare il popolo con ordini, acciocchè -i principi non avessono soperchia audacia, fece -richiedere il popolo per rioni a bocca, e appresso -colla campana: e non raunandosi, prese sospetto -della sua persona; e trovando in sua balia seimila -fiorini d’oro, che la Chiesa avea donati al -popolo per aiutare mantenere quell’uficio, e altri -denari ch’egli avea accolti, si partì di Roma e -andossene in Abruzzi, e comperato uno castello si -stette nel paese, avendo abbandonata la snervata -repubblica, meritandolo per la sua incostanza. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span> -</p> - -<h3 id="cap34-3">CAP. XXXIV. -<span class="smaller"><i>Come la gente del Biscione assediarono la -Città di Castello.</i></span></h3> - -<p> -All’uscita di questo mese, i cavalieri dell’arcivescovo -di Milano stati ad Arezzo e consumato -il loro contado se ne partirono, e andarono sopra -la Città di Castello, rubando per lo paese amici -e nimici. E stando ivi, per più riprese i castellani -uscirono a loro per assalti e per aguati, facendo -d’arme assai notevoli cose. -</p> - -<h3 id="cap35-3">CAP. XXXV. -<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini soccorsono Barga e sconfissono -i Castracani.</i></span></h3> - -<p> -Del mese d’ottobre del detto anno, essendo -stata la terra di Barga in Garfagnana del comune -di Firenze assediata quattro mesi e più da messer -Francesco Castracani degl’Interminelli di -Lucca coll’aiuto dell’arcivescovo di Milano, per -modo che più non si potea tenere per difetto di -vettuaglia, il comune di Firenze, quanto che -quella terra gli fosse di grande costo e di piccola -utilità, per non abbandonare gli amici ragunò -a Pistoia seicento barbute e ventimila masnadieri, -accomandati a messer Ramondo Lupo da -Parma capitano di guerra, il quale maestrevolmente -a dì 7 d’ottobre, la notte, si mosse colla -gente e colla salmeria per la montagna di Pistoia, -<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span> -dando vista d’andarla a fornire da Sommacologna. -E mandati cinquecento fanti con parte -della salmeria per quella via, innanzi il dì traversò -da Seravalle e misesi per la Valdinievole, -e cavalcato per lo contado di Lucca, il dì di santa -Reparata si trovò in Garfagnana nel piano dinanzi -al Borgo a Mezzano in sul passo, dov’era -messer Francesco con trecento cavalieri e con -millecinquecento fanti buona gente d’arme alla -guardia, il quale si mise fuori del borgo colle -schiere fatte, prendendo l’avvantaggio del terreno. -Il capitano de’ Fiorentini avendo confortata -la sua gente di ben fare, in sull’ora del mezzo -dì percosse a’ nimici con sì fatto empito, che in -poca d’ora gli ebbe rotti e sbarattati, e morti da -cinquanta in sul campo, e centoventi n’ebbono -a prigioni, e tolto l’arme e’ cavalli li lasciarono -alla fede. E preso il Borgo a Mezzano, messer -Francesco campato della battaglia si fuggì in Uzzano. -I Fiorentini coll’empìto di questa vittoria -senza arresto se n’andarono a Barga, e trovando -abbandonati i battifolli, ch’erano quattro, gli presono -e arsono, e la vittuaglia ch’aveano portata e -la guadagnata misono in Barga, e fornitala doppiamente, -tornati per la via ond’erano andati, con -vittoria se ne tornarono e Pistoia. -</p> - -<h3 id="cap36-3">CAP. XXXVI. -<span class="smaller"><i>Come si difese il borgo d’Arezzo per i -Fiorentini.</i></span></h3> - -<p> -In questi dì, sentendo i cavalieri dell’arcivescovo -ch’erano alla Città di Castello come i cavalieri -<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span> -de’ Fiorentini erano andati a Barga, tornarono -ad Arezzo milleottocento cavalieri e puosonsi -a Quarata. Cento de’ cavalieri de’ Fiorentini -che tornavano da Perugia albergarono la notte -nel borgo d’Arezzo, ove molti contadini erano rifuggiti -col loro bestiame per paura de’ nimici; -la cavalleria del Biscione si strinse al borgo, assalendolo -aspramente per modo, che i cittadini -l’abbandonarono; e sarebbe perduto, se non ch’e’ -cento cavalieri de’ Fiorentini francamente il difesono, -e alla ritratta de’ nimici uscirono fuori -del borgo, e feciono alla codazza danno e vergogna. -</p> - -<h3 id="cap37-3">CAP. XXXVII. -<span class="smaller"><i>D’un segno mirabile ch’apparve.</i></span></h3> - -<p> -Nel detto anno, a dì 12 d’ottobre, venerdì sera -tramontato il sole, si mosse tra gherbino e mezzogiorno -una massa grandissima di vapori infocata, -la quale ardeva con sì gran fiamma, che -tutto il cielo di sopra e la terra alluminava maravigliosamente, -e alla nostra vista valicò sopra -la città di Firenze, e così parve a tutti i cittadini -di catuna città d’Italia. E perchè fosse in somma -altezza pareva agli uomini in catuna parte che -dovesse toccare le sommità delle torri e le cime -degli alberi; e spesso gittava fuori di se grandi -brandoni di fuoco, che parea che cadessono in -terra. E il suo corso fu tanto veloce fra tramontana -e greco, che a tutti gl’Italiani, e a quelli del -mare Adriatico, e a’ Friolani, e agli Schiavoni e -<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span> -Ungheri, e ad altri popoli più lontani, apparve -valicando in quella medesima ora che a noi, e catuno -stimava che ivi presso dovesse essere data in -terra. Com’ebbe di subito valicata la nostra vista, -essendo il cielo sereno senza alcuna macchia -di nuvoli, a’ nostri orecchi pervenne un tonitruo -grandissimo steso tremolante, il quale tenne -sospesi gli orecchi lungamente non come tuono -consueto, ma come voce di terremuoto, e dopo -il tuono rimase l’aria quieta e serena, e così in -ogni parte s’udì questa voce dopo il valicamento -della massa. Questo segno fece molto maravigliare -la gente, eziandio i più savi, non meno per -la novità del tuono che per la grande massa del -fuoco. Dissono alquanti sperti, che quello infocamento -de’ vapori, o cometa o Asub che si -fosse, che ella fu nel cielo in somma altezza in -quello di Marte: ed era sì grande, che se venuta -fosse a terra avrebbe coperta tutta l’Italia e -maggiore paese. Vedemmo seguire in quest’anno -diminuzioni d’acque, che dal maggio all’ottobre -non furono acque che rigassono la terra, -se con tempesta di gragnola e fortuna di disordinati -venti non venne, e di quelle niuna che con -frutto nella terra entrasse. -</p> - -<h3 id="cap38-3">CAP. XXXVIII. -<span class="smaller"><i>Come i Tarlati arsono il Borgo di Figghine.</i></span></h3> - -<p> -Messer Piero Sacconi de’ Tarlati d’età di più -di novant’anni, e il vescovo d’Arezzo degli Ubertini, -e’ Pazzi di Valdarno con alquanti degli -<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span> -Ubaldini, avendo al loro servigio le masnade de’ -cavalieri dell’arcivescovo di Milano, a dì 12 d’ottobre -del detto anno si mossono da Quarata con -duemila cavalieri, e duemilacinquecento pedoni, -e la domenica mattina, a dì 14 d’ottobre, -colle schiere fatte, coperti da una grossa -nebbia, valicarono Montevarchi, e lungo la riva -d’Arno vennono fino all’Ancisa, e di là girarono -ed entrarono nel borgo di Figghine: il quale -per la subita venuta non era sgombro, ma pieno -di masserizie, e di vittuaglia e di bestiame senza -difesa, che ogni uomo avea inteso a guardare la -persona. Il castello e il castelluccio de’ Benzi erano -forniti e pieni di gente alla difesa, e però non -tentarono d’assalirli. In Firenze avea poca gente -d’arme, che ancora non era tornata l’oste che -andò a Barga; quelli che si poterono avere cavalcarono -all’Ancisa. I nemici stettono nel borgo -di Figghine la domenica e il lunedì, e raccolsono -la preda, lasciando la vittuaglia. E durando -la grossa nebbia continuamente, il martedì mattina -affocate le case del borgo si partirono senza -alcuno impedimento; e prima ebbono preso e arso -il Tartagliese, che quelli delle castella di Figghine -sapessono la loro partita, o che il borgo fosse -infocato, tanto ingrossava il fumo la nebbia, che -tolto era loro del foco ogni vista. Allora corsono -al borgo a spegnere il fuoco, ma tardi, per la -maggior parte. Il danno fu grande, e la vergogna -non minore, avendo liberata Barga in Garfagnana, -e perduto e arso il borgo di Figghine; ma tornò -in bene, che fu cagione di fare una forte e -grossa e buona terra, come appresso a suo tempo -<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span> -racconteremo. I cavalieri dell’arcivescovo si tornarono -ad Arezzo, e posonsi fuori della porta alla -fonte Guinizzelli, e tribolato alcuno tempo da -capo il loro contado si divisono per vernare tra -gli amici del Biscione, e parte se ne tornò a Milano. -</p> - -<h3 id="cap39-3">CAP. XXXIX. -<span class="smaller"><i>Come gli usciti di Montepulciano -venuti alla terra ne furono -poi cacciati.</i></span></h3> - -<p> -A dì 2 del mese di novembre del detto anno, -messer Iacopo della casa de’ Cavalieri di Montepulciano, -poco innanzi cacciato della terra perchè -ne volea essere signore, avendo cento cavalieri -dell’arcivescovo, e accolti altri cavalieri e -fanti a piè di sua amistà, corrotto per moneta -un notaio da Sanminiato del Tedesco ch’era -sopra la guardia, e alcuni di quelle guardie, -un venerdì notte spezzò una delle porte, e con -tutta sua gente entrò nella terra, e fu in sulla -piazza; e levato il romore, messer Niccolò suo -consorto cavaliere di grande ardire di presente -fu all’arme, e montato a cavallo con pochi compagni, -subitamente senza attendere aiuto sì fedì -tra costoro, e ravviligli sì forte, che non feciono -resistenza, ma volti in fuga, messer Iacopo s’uscì -della terra con venticinque cavalieri; gli altri -errando per la terra, desto il popolo, furono -presi, che furon settantacinque cavalieri, e il -notaio colle guardie, de’ quali venticinque ne -<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span> -furono impiccati, col notaio, e gli altri smozzicati. -Montepulciano fu libero per questa volta, ma -cagione fu appresso della loro suggezione, come -seguendo si potrà trovare. -</p> - -<h3 id="cap40-3">CAP. XL. -<span class="smaller"><i>Come fra Moriale fu assediato, e rendessi -al re Luigi.</i></span></h3> - -<p> -Era rimaso nel Regno della gente del re d’Ungheria -caporale messer fra Moriale solo, il quale -teneva la città d’Aversa, e col re dissimulava, -non facendo guerra e non rendendoli la terra. Il -re vedendo ancora il reame tenero sotto la sua -signoria, e il Provenzale baldanzoso, temeva di -muovergli guerra; e per essere più forte e meglio -ubbidito mandò per messer Malatesta da Rimini -con quattrocento cavalieri, e fecelo vicario -del Regno; il quale cavalcando per lo reame -perseguitava i malfattori, e recava i baroni e’ comuni -all’ubbidienza del re, e a tutti faceva pagare -la colta, e fare i servigi feudatarii, e tenne -per tutto i cammini aperti e sicuri. E tornato a -Napoli, fece che il re mandò a fra Moriale che venisse -a lui, e scusandosi, messer Malatesta il fece -citare più volte dalla corte della vicherìa: e -non comparendo, di subito colla sua gente, e con -alquanta accolta del Regno, se n’andò ad Aversa, -e nella terra se n’entrò senza contasto. -Fra Moriale si rinchiuse nel castello colla sua -gente, nel quale aveva il suo arnese e il tesoro -accolto delle prede e ruberie de’ paesani, e pensavasi -<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span> -essere sicuro, e potere con patti rendere il -forte castello al re quando a lui paresse, al modo -di messer Currado Lupo: ma trovossi ingannato, -che messer Malatesta di presente cinse il -castello d’assedio, e appresso in pochi dì l’ebbe -cinto di fosso e di steccato per modo, che nè entrare -nè uscire vi si potea, e dì e notte il faceva -guardare di buona e sollecita guardia, e così il -tenne stretto tutto il mese di dicembre. E vedendosi -fra Moriale disperato di soccorso, trasse -patto di rendere il castello, avendo per suo bisogno -stretto solamente mille fiorini d’oro, e salve -le persone; e per bonarietà del re così fu fatto; -e uscito del castello rassegnò al re il tesoro -male guadagnato, e dispettoso se n’andò a Roma, -pensando alla vendetta del re e di messer Malatesta, -come poi per grande e fellonesco ardire -gli venne fatto, come innanzi per li tempi -racconteremo. Il castello e la città d’Aversa -rimase al re, e l’ubbidienza di tutto il Regno e -di catuno barone per operazione di messer Malatesta. -</p> - -<h3 id="cap41-3">CAP. XLI. -<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini fornirono Lozzole.</i></span></h3> - -<p> -All’uscita di novembre del detto anno, i Fiorentini, -avendo con battifolli stretto il castello -di Lozzole per la forza degli Ubaldini nel Podere, -mandarono dugento cavalieri e millecinquecento -masnadieri col vicario di Mugello nell’alpe, -e presono in sul giogo dell’alpe il poggio di -<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span> -Malacoda e quello di Vagliana, e fecionli guardare -a’ fanti a piè e a’ cavalieri, e con seicento masnadieri -tennero i Prati: e eletti cento buoni masnadieri -condussono il fornimento colla salmeria, -e rotti quelli del battifolle che voleano -contrastare il passo, per forza gli rimisono dentro, -e la roba condussono nel castello. Certi villani -del paese, pochi e male armati, con trenta -femmine ch’aveano con loro saliti in alcuna parte -sopra Malacoda, gridavano contro a’ masnadieri -ch’erano a quella guardia, e le femmine urlavano -sanza arresto; i codardi masnadieri mandarono -per soccorso al vicario messer Giovanni degli -Alberti, il quale vi mandò cinquanta cavalieri, -i quali si rimasono nella piaggia; il castello era -fornito, e l’animo della gente codarda era di tornare -in Mugello; que’ di Malacoda non vedendo -venire soccorso, impauriti delle grida delle femmine -abbandonarono il poggio, fuggendo alla -china. I fanti degli Ubaldini, ch’erano settanta -per novero, gli cominciarono a seguire, e lasciare -i palvesi per essere più spediti, e le trenta femmine -seguitavano rinforzando le grida: allora -tutta l’oste si mosse senza attendere l’uno l’altro -dirupandosi e voltolandosi per le ripe. Il -vicario fu il primo che portò la novella della rotta -alla Scarperia. L’altra parte de’ masnadieri -ch’erano a Vagliano, sentendo fuggiti il capitano, -e’ cavalieri e’ pedoni de’ Prati e di Malacoda, -si diedono a fuggire sanza essere incalciati. I -cento fanti ch’aveano fornito il castello, sentendo -fuggita l’oste d’ogni parte, vigorosamente -stretti insieme, essendo usciti quelli del battifolle -<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span> -contro a loro, per forza gli rimisono nel battifolle, -e tornaronsi nel castello, e di nuovo il -rifornirono di legne: e poi l’altro dì, bene acconci -e avvisati alla loro difesa, se ne tornarono -a salvamento. Degli altri rimasono prigioni -centoventi cavalieri, e più di trecento pedoni; -morti n’ebbe pochi. Questa fu più notabile fortuna -che gran fatto. Ha meritato qui d’essere notata -per esempio della mala condotta, che spesso -i vinti fa vincitori, e i vincitori vinti. Nella -nostra città, in questi tempi, di così fatti falli -non si tenea ragione, però spesso ricevea vituperoso -gastigamento. -</p> - -<h3 id="cap42-3">CAP. XLII. -<span class="smaller"><i>Maraviglie fatte a Roma per una folgore.</i></span></h3> - -<p> -Non senza cagione di singulare ammirazione -vegnamo a fare memoria, come a dì 11 del mese -di dicembre, già il cielo sgravato da impetuoso -caldo solare, che suole nell’aria naturalmente -generare folgori e tempeste, una disusata fortuna -di venti e di tuoni turbò l’aria, e in quella -tempesta una folgore cadde in Roma, e percosse -il campanile di san Piero, e abbattè la cupola -e parte del campanile, e tutte le grandi -e nobili campane ch’erano in quello fece cadere, -e trovaronsi quasi tutte fondute in quello -punto, come fossono colate nella fornace. Questa -pare una favola a raccontare, ma fu manifesto -a molti che ’l vidono, da cui ne avemmo -chiara e vera testimonianza. E molti il recarono -<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span> -in segno ovvero prodigio della seguente materia. -</p> - -<h3 id="cap43-3">CAP. XLIII. -<span class="smaller"><i>Come morì papa Clemente sesto, -e di sue condizioni.</i></span></h3> - -<p> -In questi dì, essendo malato papa Clemente sesto -nella città d’Avignone in Provenza d’una -continua, ond’era giaciuto sei dì, la notte vegnente -la festa di santo Niccola, a dì 5 di dicembre, -passò di questa vita, avendo tenuto il papato -anni dieci e mesi sette. Costui fu natìo di -Francia, e arcivescovo di Rouen, e grande amico -e protettore del re Filippo di Francia, e -per lui, innanzi al papato e poi che fu papa, -assai cose fece; e a papa Giovanni venne per -suo ambasciadore, e nella persona del detto re -promise e giurò che farebbe il passaggio d’oltre -mare. Costui fatto papa non restò di fare quanto -il detto re seppe domandare, e molto scopertamente. -Nella guerra ch’ebbe col re d’Inghilterra -prese la parte del re di Francia, e assai vi -consumò del tesoro di santa Chiesa. Larghissimo -papa fu di dare i beneficii di santa Chiesa, e -tanti ne stribuì a spettanti l’uno appresso l’altro, -che non si trovava chi più ne domandasse, -sanza il beneficio dell’<i>Anteferri.</i> Il suo ostiere -tenne alla reale con apparecchiamento di nobili -vivande, con grande tinello di cavalieri e scudieri, -con molti destrieri nella sua malistalla. -Spesso cavalcava a suo diporto, e mantenea grande -<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span> -comitiva di cavalieri e scudieri di sua roba. -Molto si dilettò di fare grandi i suoi parenti, e -grandi baronaggi comperò loro in Francia. La -Chiesa rifornì di più cardinali suoi congiunti, e -fecene de’ sì giovani e di sì disonesta vita, che -n’uscirono cose di grande abominazione; e certi -altri fece a richiesta del re di Francia, fra i quali -anche n’ebbe de’ troppo giovani. A quel tempo -non s’avea riguardo alla scienza o alle virtù, bastava -saziare l’appetito col cappello rosso. Uomo -fu di convenevole scienza, molto cavalleresco, poco -religioso. Delle femmine assendo arcivescovo non -si guardò, ma trapassò il modo de’ secolari giovani -baroni: e nel papato non se ne seppe contenere -nè occultare, ma alle sue camere andavano -le grandi dame come i prelati; e fra l’altre -una contessa di Torenna fu tanto in suo -piacere, che per lei facea gran parte delle grazie -sue. Quando era infermo le dame il servivano -e governavano, come congiunte parenti gli -altri secolari. Il tesoro della Chiesa stribuì con -larga mano. Dell’italiane discordie poco si curò; -e l’impresa fatta a sua stanza contro al tiranno di -Bologna in sul buono abbandonò, e della vergogna -di santa Chiesa non si fece coscienza, -ma per i molti danari che l’arcivescovo di Milano -largamente sparse ne’ suoi parenti e nel re -di Francia ogni cosa gli perdonò, e intitolollo -per la Chiesa vicario di Bologna. Vacò la Chiesa -tredici dì. La cometa Nigra pronosticò la sua -morte, la folgore di san Piero a Roma la sua fama -consumata nel vile metallo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span> -</p> - -<h3 id="cap44-3">CAP. XLIV. -<span class="smaller"><i>Come fu fatto papa Innocenzio sesto.</i></span></h3> - -<p> -Dopo la morte di papa Clemente sesto, i cardinali -rinchiusi in conclave sentendo che il re di -Francia s’affrettava di venire a Avignone per avere -papa a sua volontà, la qual cosa non gli potea -mancare, tanti cardinali aveva a sua stanza e -di suo reame, ma non ostante che tutto il collegio -de’ cardinali fosse stato al servigio del detto -re, tuttavia per la riverenza della libertà di santa -Chiesa, vollono innanzi avere fatto papa di loro -movimento, che a stanza del re di Francia. E però -di presente presono accordo tra loro, ed elessono -a papa il cardinale d’Ostia nativo di Limogi, -il quale era stato vescovo di Chiaramonte, uomo -di buona vita, e di non grande scienza, e assai -amico del re di Francia; la sua fama infra gli -altri era di semplice e buona vita, e antico d’età; -e fecesi ne’ papali palagi in Avignone a dì -28 di dicembre, gli anni <i>Domini</i> 1352. Prese l’ammanto -di san Piero e la corona del regno, e ne’ -suoi principii ragionò d’ammendare la disonestà -della corte, e fecene alcune buone costituzioni, -e fecesi chiamare papa Innocenzio sesto. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span> -</p> - -<h3 id="cap45-3">CAP. XLV. -<span class="smaller"><i>Come usciti di prigione i reali del Regno -s’arrestarono a Trevigi.</i></span></h3> - -<p> -In questo anno del mese di novembre, essendo -liberati di prigione messer Ruberto Prenze di Taranto, -e messer Luigi di Durazzo dal re d’Ungheria, -se ne vennono a Vinegia; e ricevuto onore -da quello comune, se n’andarono a Trevigi, -e ivi attesono gli altri loro due fratelli messer -Filippo di Taranto, e messer Ruberto di Durazzo. -Il re d’Ungheria volle che i primi due reali -essendo in loro libertà facessono certe obbligazioni, -le quali non furono palesi, ma certo fu che -a Trevigi vennero a loro ambasciadori del re d’Ungheria, -e che da loro presono certe obbligazioni. -E per avere questo tenne gli altri due fratelli -tanto, che gli ambasciadori furono da Trevigi -tornati in Ungheria colle cautele pubbliche di -quello ch’elli aveano promesso, e allora furono -licenziati messer Filippo di Taranto, e messer Ruberto -di Durazzo, e vennonsene a Trevigi agli altri -loro fratelli. E partiti di là se ne vennono a Ferrara, -e appresso a Forlì, ricevuti in catuna parte -a grande onore. E stando in Romagna, mandarono -a Firenze per volere valicare nel Regno per -la nostra città, e per lo nostro contado, ove si -pensavano potere venire confidentemente a grande -onore. Certi cittadini potenti, parziali di setta -cittadinesca, che allora reggevano il comune, vietarono -<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span> -la loro venuta nella città, e il passo per lo -contado, cosa incredibile a narrare, considerato -l’antico e incorrotto amore di quella casa reale -al nostro comune, e il sangue loro mescolato con -quello de’ cittadini di Firenze, sparto nelle nostre -battaglie in difensione di quella città, e ora -vieta loro il passo per lo suo distretto, uomini -usciti di prigione, senza arme e senza comitiva. -Io mi vergogno a scrivere che quello che il nostro -comune spesso concede a’ nemici fosse vietato -a costoro. Se il comune ci avesse fallato, sarebbe -detestabile cosa a trovare memoria di cotanta -ingratitudine: ma considerata la singolare -vilezza delle cittadine sette, figura della sfrenata -tirannia, non è cosa maravigliosa. I reali non -senza giusta cagione sdegnati presono altra via, -e capitarono a Roma. -</p> - -<h3 id="cap46-3">CAP. XLVI. -<span class="smaller"><i>Di novità state in Sangimignano.</i></span></h3> - -<p> -Ricordandoci de’ due fratelli dicollati degli Ardinghelli -di Sangimignano, ci occorre come i loro -consorti tennono che ’l fatto fosse per operazione -de’ Salvucci di quella terra, onde i detti Ardinghelli -provveduti d’aiuto di loro parenti e amici, -a dì 20 di dicembre del detto anno levarono -romore nella terra, e seguitati dalla maggior -parte del popolo corsono alle case de’ Salvucci -in su la piazza della pieve, e trovandoli sprovveduti -alla difesa, senza fare resistenza furono -cacciati di Sangimignano, e le loro case rubate -<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span> -e arse, e di tutti i loro seguaci; e la terra ch’era -in guardia del comune di Firenze tennono per -loro, temendo di non essere puniti del malificio -commesso. I Salvucci cacciati co’ loro seguaci il -dì della pasqua di Natale se ne vennono a Firenze, -domandando l’aiuto del comune, sotto la -cui guardia erano rubati e cacciati della loro -terra. Dall’altra parte gli Ardinghelli col titolo -e coll’autorità del comune mandarono ambasciadori -a Firenze, dicendo, ch’aveano cacciati -i ghibellini di Sangimignano, e la terra teneano -a onore del comune di Firenze e di parte -guelfa; e dove il comune l’avea per piccolo -tempo, la voleano dare per maggiore, ove delle -cose fatte non si facesse alcuna vendetta, e che -i loro nimici non fossono rimessi nella terra. Il -comune tenne sospeso un pezzo, cercando se modo -v’avesse d’accordo, ma continovo cresceva -la mala disposizione, diffidandosi gli Ardinghelli -e i loro seguaci d’avere remissione di quello -ch’aveano commesso, e aveano d’intorno a loro -di mali consigliatori; onde per la contumace e -per l’impotenza poco appresso ne seguì la suggezione -di quella terra, come a suo tempo racconteremo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span> -</p> - -<h3 id="cap47-3">CAP. XLVII. -<span class="smaller"><i>Come i comuni di Toscana mandarono -solenni ambasciadori a Serezzana -a trattare pace.</i></span></h3> - -<p> -Avvegnachè ne’ cominciamenti poca fede si -prendesse per li Fiorentini e per gli altri comuni -di Toscana della pace coll’arcivescovo di -Milano, nondimeno avendo trattato prima co’ -religiosi, e poi con abboccamento d’altri ambasciadori, -e trovandosi convenienza alla pace, -si ordinò più solenne ambasciata di tutti i comuni, -i quali si convennono a Firenze, e in segreto -si conferì la sostanza de’ patti; e il simigliante -fece l’arcivescovo co’ suoi e con gli ambasciadori -de’ ghibellini d’Italia, che concorrevano alla -detta pace. E catuno comune diede libertà a’ suoi -ambasciadori di potere fermare la concordia. E poi, -il primo dì di gennaio del detto anno, andarono a -Serezzana per dare compimento alla detta pace. -</p> - -<h3 id="cap48-3">CAP. XLVIII. -<span class="smaller"><i>Di grandi tremuoti vennono in Toscana e in -altre parti.</i></span></h3> - -<p> -A dì 25 di dicembre del detto anno, in sul vespro, -furono grandi terremuoti, i quali abbatterono -al Borgo a san Sepolcro una parte degli edifici -della terra, con danno di bene cinquecento -tra uomini e femmine e fanciulli morti. E la rocca -<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span> -d’Elci in su’ confini tra Arezzo e il Borgo subissò -con que’ viventi che v’erano a guardarla -per l’arcivescovo di Milano. E sollevati i tremuoti -alquanti dì, poi a dì 31 del detto mese, -la notte, vegnente la mattina di calen di -gennaio in sul mattutino, rinnovellarono maggiori -terremuoti. E alla detta terra del Borgo furono -sì terribili, che quasi tutti gli edifici di quella -terra fece rovinare, nel cui scotimento, per la notte -e per le ruine d’ogni parte, pochi ne poterono -campare, fuggendosi ignudi negli orti e nelle piazze -della terra, e quasi la maggiore parte de’ terrazzani -e de’ forestieri che v’erano feciono delle -case sepoltura a’ lacerati corpi, e molti magagnati -e mezzi morti stettono parecchi dì senza aiuto -sotto le travi e’ palchi e altre concavità fatte -dalla ruina, e assai ne morirono che sarebbono -campati se avessono avuto soccorso. Le mura della -terra da ogni parte caddono: e di vero gran -pietà fu a vedere l’eccidio di cotanti cristiani -involti in così aspro giudicio dalla loro morte, -che fatto conto, più di duemila uomini d’ogni -sesso spirarono sotto quelle rovine. E non è da -lasciare senza memoria quello ch’avvenne loro -per essere sotto la tirannia, che per paura de’ primi -terremuoti erano usciti della terra e stavano -a campo, e sarebbono campati, ma per tema della -terra messer Piero Sacconi, e Nieri da Faggiuola -col vicario dell’arcivescovo vi cavalcarono, e -per forza costrinsono i terrazzani e’ soldati a -ritornare nella terra. Alcuni favoleggiando dissono, -che questo fu singolare sentenza di Dio, perchè -<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span> -costoro furono i primi in Toscana che diedono -ricetto alla gente del gran tiranno arcivescovo -di Milano, in confusione de’ loro circostanti; e -tutte le prede indebitamente tolte a’ loro vicini -comperavano per niente, ingrassando e arricchendo -di quelle indebitamente, non avendo i detti -terremuoti fatto alcuno danno in Toscana. -</p> - -<h3 id="cap49-3">CAP. XLIX. -<span class="smaller"><i>Come i Sanesi andarono a oste a -Montepulciano.</i></span></h3> - -<p> -Essendo i signori della casa de’ Cavalieri di -Montepulciano divisi e cacciati l’uno l’altro, come -addietro è dimostrato, quelli ch’erano rimasi -signori teneano l’amistà de’ Perugini, e gli usciti -quella de’ Sanesi, onde avvenne che i Sanesi volevano -che la terra tornasse al governamento del -popolo; e temendo coloro che la reggevano per -lo movimento de’ Sanesi, si fortificarono con aiuto -di gente d’arme de’ Perugini, e per questo -i Sanesi cominciarono a cavalcare sopra loro. E -i terrazzani colle masnade de’ Perugini e de’ loro -soldati s’aiutavano francamente, facendo -vergogna alla cavalleria de’ Sanesi, e per questo -presono sdegno contro a’ Perugini. E del comune -di Firenze si dolsono, perchè richiesti a questa -impresa non vollono contro agli amici loro guelfi -dare loro aiuto. E tanto montò l’altezza dello -sdegno de’ Sanesi, che si fornirono di gente d’arme -a piè e a cavallo, e misonsi all’assedio di -Montepulciano, e quello continovarono infino -<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span> -al maggio seguente 1353, e strinsonlo con battifolli; -e’ Perugini per non dispiacere a’ Sanesi -ne ritrassono la gente loro. I Fiorentini e’ Perugini -mandarono gli ambasciadori a trovare modo -di pace e di concordia tra ’l comune di Siena -e quello di Montepulciano, i quali vi dimorarono -lungamente, innanzi che potessono recare -le parti a concordia. E perocchè nel detto tempo -altre cose occorsono, conviene per dare parte -a loro alquanto soggiornare alla presente materia. -</p> - -<h3 id="cap50-3">CAP. L. -<span class="smaller"><i>Come Gualtieri Ubertini fu decapitato.</i></span></h3> - -<p> -In questo medesimo mese di dicembre fu preso -in un aguato da’ soldati del comune di Firenze, a -Civitella del vescovo d’Arezzo, Gualtieri figliuolo -di Bustaccio degli Ubertini, giovane di grande -fama, valoroso e pro’, e di grande aspetto e -seguito, il quale per comandamento del comune -fu menato a Firenze: e credendosi campare, -trovandosi il bando generale di tutti quelli della -casa degli Ubertini per la loro ribellione, la vigilia -di Natale fu dicollato, di cui gli Ubertini -riceverono gran danno, perocchè troppo era giovane -di buono aspetto. A costui fu tagliata la testa -dirimpetto allo spedale di sant’Onofrio; e -messo il corpo nella cassa in due pezzi, e portandosi -alla chiesa di santa Croce, venuto a piè -del campanile di quella chiesa, per spazio d’una -saettata di balestro o più il corpo si dibattè, -e aperse le giunture della cassa con tanto dicrollamento, -<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span> -che a pena fu ritenuta che non cadde -di collo agli uomini che ’l portavano; cosa assai -maravigliosa, ma fu vera e manifesta a molti, -e noi l’avemmo da coloro che ’l detto corpo nella -cassa portarono, uomini degni di fede. -</p> - -<h3 id="cap51-3">CAP. LI. -<span class="smaller"><i>Come il duca d’Atene assediò Brandizio.</i></span></h3> - -<p> -In questi dì, avendo il re Luigi fatta certa richiesta -di baroni del Regno, fra gli altri vi venne -messer Filippo della Ripa di Brandizio, ricco -d’avere e di piccola nazione, da cui il re con -finte cagioni intendea di trarre di molti danari. A -costui fu rivelata l’intenzione del re, ond’egli senza -congio si ritornò in Puglia. Il re fattolo da capo -richiedere per contumacia, ebbe cagione di farlo -bandire. Il duca d’Atene che colle sue terre gli era -vicino, per torgli il suo, e per potere sotto la coverta -di costui prendere Brandizio, se n’andò -in Puglia; e presa licenza di procacciare di recare -al fisco i beni di costui ch’era bandeggiato, -raunò gente d’arme, e non sappiendo il re che -procedesse per questo modo, fece di suoi Franceschi -e d’altri soldati quattrocento cavalieri e -millecinquecento pedoni, e andò a oste a Brandizio. -I terrazzani vedendosi questa gente addosso -improvviso si maravigliarono forte, e conobbono -il fatto tirannesco, e di presente s’unirono alla -difesa, e non lo lasciarono accostare alla città. -Puosesi a campo di fuori, e cominciò a correre e -fare preda per lo paese d’intorno. Sentendo questo -<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span> -il re Luigi si maravigliò del duca, che faceva -di suo arbitrio quello che non gli era commesso, -e incontanente per lettere gli mandò comandando -che da Brandizio si dovesse levare: ma poco -valsono i suoi comandamenti, che vi s’affermò credendosi -occupare quella terra con tirannesca intenzione. -Sopravvenne la tornata del Prenze di -Taranto, e il re per farli onore, ch’era d’età suo -maggiore fratello, sentita la volontà de’ cittadini -ch’aveano amore al Prenze, così assediata glie la -privilegiò; e i cittadini di concordia l’accettarono -per loro signore, e allora il duca se ne levò -da assedio. -</p> - -<h3 id="cap52-3">CAP. LII. -<span class="smaller"><i>Come i Perugini feciono pace co’ Cortonesi.</i></span></h3> - -<p> -In questo verno, sentendosi per l’Italia che a -certo la pace generale si dovea fare tra i comuni -di Toscana, e l’arcivescovo di Milano e’ suoi aderenti -ghibellini, i Cortonesi per mostrare più -liberalità a’ Perugini, e il comune di Perugia -per non obbligarsi al patto della generale pace, di -concordia vollono pervenire a quella, e di buona -volontà feciono pace tra loro. È vero che innanzi -la pace i Cortonesi non fidandosi de’ Perugini -domandarono sodamenti, e il comune -di Perugia a grande istanza richiese il comune -di Firenze, che fosse mallevadore per lui a’ signori -e al comune di Cortona di diecimila marchi -d’argento, che manterrebbe a’ Cortonesi buona e -leale pace. Il nostro comune mosso alle richieste -<span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span> -di quello di Perugia, fece sindaco un suo cittadino -chiamato Otto Sopiti, e per lui fece il sodamento -e l’obbligagione predetta a’ signori e al -comune di Cortona liberamente, come i Perugini -seppono divisare. -</p> - -<h3 id="cap53-3">CAP. LIII. -<span class="smaller"><i>Come il popolo di Gaeta uccisono dodici loro -cittadini per la carestia ch’aveano.</i></span></h3> - -<p> -Ancora lo stato dello sviato Regno non era queto -dalla fortuna e in debito reggimento, essendo -quest’anno generale carestia in Italia, il minuto -popolo di Gaeta, avendo invidia a’ buoni e ricchi -cittadini mercatanti di quella città, del mese -di dicembre del detto anno si mossono a furore -e presono l’arme, e furiosi corsono per la terra, -a intenzione d’uccidere quanti trovare potessono -di loro maggiori: e in quell’empito uccisono -dodici de’ migliori che trovarono senza alcuna misericordia, -grandi e onesti e buoni mercatanti; gli -altri si fuggirono e rinchiusono in luoghi ove -il furore del popolo non si potè stendere. Il re Luigi -avendo intesa questa iniquità vi cavalcò in -persona con gente d’arme per farne giustizia, -e giunto in Gaeta, fece inquisizione di questo -fatto; la cosa fu scusata per la furia d’alquanti, -e furono presi e giustiziati de’ meno possenti; degli -altri si fece composizione di moneta, e chi fu -morto s’ebbe il danno, e la corte pervertì; e racquetata -la cosa, il re gli ordinò, e tornossene a -Napoli. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span> -</p> - -<h3 id="cap54-3">CAP. LIV. -<span class="smaller"><i>Come il papa volle trattare pace da’ Genovesi -a’ Veneziani.</i></span></h3> - -<p> -In questo medesimo verno, papa Innocenzio -mandò al comune di Genova e a quello di Vinegia -che mandassono a lui gli ambasciadori -ch’erano stati a papa Clemente a trattare della -loro pace, e per la morte sopravvenuta del detto -papa se n’erano partiti senza essere d’accordo, perocch’egli -intendea di metterli in pace giusta suo -podere. I Genovesi non vollono tornare a corte, -nè entrare in trattato di pace co’ Veneziani, anzi -ordinarono lega e compagnia col re d’Ungheria -contro a’ Veneziani. E il detto re avendo -promessa compagnia co’ Genovesi mandò a Venezia -al comune che gli dovesse restituire Giara, e -l’altre città e terre ch’aveano occupate del suo -reame nella Schiavonia. I Veneziani feciono agli -ambasciadori quella savia risposta che seppono, -facendosi tra loro beffe della sua domanda; -nondimeno non senza paura, e con molta sollicitudine -e con grande spendio fornirono a doppio, -oltre all’usato, tutte le terre che teneano in -quella marina. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span> -</p> - -<h3 id="cap55-3">CAP. LV. -<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini osteggiaro Sangimignano, -e fecionli ubbidire.</i></span></h3> - -<p> -Addietro è narrato come quelli che reggeano -Sangimignano teneano trattato col comune di -Firenze, ma non fidando, non si poteano per -lo comune riducere a fermezza, e il comune temendo -che in questa vacillazione peggio non ne -seguisse, del mese di febbraio del detto anno vi -mandò messer Paolo Vaiani di Roma, allora podestà -di Firenze, con seicento cavalieri e con grande -popolo, i quali giunti intorno alla terra, e non -avendo risposta da quelli d’entro, a volontà del -nostro comune vi si misono a campo, e cominciarono -a dare il guasto; ma però alcuno Sangimignanese -o loro gente d’arme non uscirono fuori -per fare alcuna resistenza o altra vista, ma -dopo il ricevuto danno vennono alla concordia, -che il comune di Firenze dovesse fare la pace fra -loro e gli usciti, e che d’allora gli usciti avessono -i frutti de’ loro beni, ma dovessono stare fuori -della terra sei mesi, e fatta la pace tra gli Ardinghelli -e’ Salvucci, per lo comune di Firenze -detto, e’ potessono tornare nella terra: e che -il comune di Firenze oltre al termine de’ tre anni -che ne dovea avere la guardia l’avesse anche -cinque anni, e che per patto vi tenesse settantacinque -cavalieri col capitano della guardia alle -loro spese. E fatto il decreto e le cautele per i -loro consigli, e ricevuto il capitano colla sua -compagnia, l’oste se ne tornò a Firenze. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span> -</p> - -<h3 id="cap56-3">CAP. LVI. -<span class="smaller"><i>Come in Italia fu generale carestia.</i></span></h3> - -<p> -In questo anno fu generale carestia in tutta -Italia; in Firenze cominciò di ricolta a valere lo -staio del grano soldi quaranta di libbre cinquantadue -lo staio, e in questo pregio stette parecchi -mesi: poi venne montando tanto, che andò in lire -cinque lo staio, i grani cattivi e di mal peso. -Le fave lire tre lo staio, e così i mochi e le vecce: -il panico soldi quarantacinque in cinquanta, -e la saggina soldi trenta in trentacinque. Il -vino di vendemmia valse il cogno fiorini sei d’oro -del più vile, e otto e dieci il migliore, e montò in -fiorini quindici il cogno. La carne del porco -senza gabella lire undici il centinaio; il castrone -denari ventotto in trenta la libbra tutto l’anno. -La vitella di latte montò danari trentadue in quaranta -la libbra; l’uovo danari cinque e sei l’uno; -l’olio lire cinque e mezzo in sei l’orcio, di libbre -ottantacinque. Tutti erbaggi furono in somma -carestia; e in que’ tempi valea il fiorino dell’oro -lire tre soldi otto di piccioli. Tutti drappi da vestire, -di lana, e di lino, e di seta, furono in notabile -carestia, e così il calzamento. E benchè -abbiamo fatto conto di Firenze, in quest’anno -fu tenuto in tutta Italia che Firenze avesse così -buono mercato comunalmente come alcuna -altra terra. Ed è da notare, che di così grande -e disusata carestia il minuto popolo di Firenze -non parve che se ne curasse, e così di più -<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span> -altre terre; e questo avvenne perchè tutti erano -ricchi de’ loro mestieri: guadagnavano ingordamente, -e più erano pronti a comperare e a vivere delle -migliori cose, non ostante la carestia, e più -ne devano per averle innanzi che i più antichi e -ricchi cittadini, cosa sconvenevole e maravigliosa -a raccontare, ma di continova veduta ne possiamo -fare chiara testimonianza. E quello che a altri tempi -innanzi alla generale mortalità sarebbe stato -tomulto di popolo incomportabile, in quest’anno -continovo improntitudine e calca del minuto popolo -fu nella nostra città ad avere le cose innanzi -a’ maggiori, e di darne più che gli altri. E così -festeggiava, e vestiva e convitava il minuto popolo, -come se fossono in somma dovizia e abbondanza -d’ogni bene. -</p> - -<h3 id="cap57-3">CAP. LVII. -<span class="smaller"><i>Come i Romani uccisono colle pietre Bertoldo -degli Orsini loro senatore.</i></span></h3> - -<p> -Senatori di Roma erano il conte Bertoldo degli -Orsini e Stefanello della Colonna, e dal popolo -erano infamati d’avere venduta la tratta, e -lasciato trarre il grano della loro Maremma, e -questo era fatto per loro, non pensando che ’l grano -andasse in così alta carestia. In Campidoglio -si faceva il mercato a dì 15 di febbraio del detto -anno, e la sù abitavano i senatori; e accoltovisi -grande popolo per comperare del grano, e trovandone -poco e molto caro, corsone a furore al palagio -de’ senatori con le pietre in mano. Stefanello -<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span> -ch’era giovane fu accorto, e innanzi che il popolo -moltiplicasse al palagio col furore si fuggì per -una porta di dietro, e salvò la persona; il conte -Bertoldo fu più tardo, e volendosi fuggire, fu sorpreso -dal furore di quel popolo, e colle pietre -lapidato e morto: e tante glie ne gittarono addosso, -acciocchè catuno fosse partecipe a quella vendetta, -che bene due braccia s’alzò la mora delle -pietre sopra il corpo morto del loro senatore; e -fatto questo, il popolo comportò la carestia più -dolcemente. -</p> - -<h3 id="cap58-3">CAP. LVIII. -<span class="smaller"><i>Come fu tagliata la testa a Bordone -de’ Bordoni.</i></span></h3> - -<p> -In questi dì, del mese di febbraio sopraddetto, -essendo podestà di Firenze messer Paolo Vaiani -di Roma, uomo aspro e rigido nella giustizia, -avendo presa informazione di mala fama contro a -Bordone figliuolo che fu di Chele Bordoni, antico -e grande e potente popolano di Firenze, essendo -questo giovane sopra gli altri leggiadro e di grande -pompa, il fece pigliare per ladro, apponendogli -molti furti, e tutti per martorio gliel fece confessare. -I suoi consorti, ch’erano in grande stato -in comune, co’ priori e collegi il difendeano, e -non parea loro che il podestà il dovesse condannare -a morte; il mormorio del popolo minuto -era contro a lui, e ’l podestà non si volea muovere -ad alcuno priego de’ signori; onde avvenne, -per male consiglio, ch’e’ priori, acciocchè ’l podestà -<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span> -non potesse fare uficio, cassarono tutta la sua -famiglia. Costui più inacerbito lasciò la bacchetta -della sua podesteria a’ priori, e tornossi al palagio -come privato uomo. Il mormorio si levò -grande nella città contro a’ priori, e parendo loro -avere fatto male, con ogni preghiera cercarono -di poterlo ritenere; ma l’astuto Romano, -sentendo scommosso il popolo, la notte montò -a cavallo e andossene a Siena. Il popolo sentendolo -partito, quasi come comunità rotta trassono -al palagio de’ priori e a quello della podestà, -e doleansi dicendo, che i potenti cittadini -che facevano i grandi mali non voleano che fossono -puniti, e i piccoli e impotenti cittadini d’ogni -piccolo fallo erano impiccati, e smozzicati, -e dicollati; e per questa novità fu la città in grande -smovimento, operandosi l’animosità delle -sette. I signori vedendo la città a cotal condizione, -di subito gli mandarono ambasciadori, e -con fiorini duemilacinquecento d’oro che gli diedono -per suoi interessi fecionlo ritornare: e ritornato, -per grazia fece dicollare Bordone, e il -popolo fu racquetato. -</p> - -<h3 id="cap59-3">CAP. LIX. -<span class="smaller"><i>Come si pubblicò la pace dall’arcivescovo -a’ comuni di Toscana.</i></span></h3> - -<p> -Gli ambasciadori de’ comuni di Toscana che -furono mandati a Sarezzana per fermare la pace -coll’arcivescovo di Milano, e co’ suoi aderenti -ghibellini di Toscana e d’Italia, trovarono la materia -<span class="pagenum" id="Page_76">[76]</span> -sì acconcia, eziandio contro alla speranza, -che di presente vi dierono fermezza, del mese di -marzo 1352; e appresso, il primo dì d’aprile 1353, -si piuvicò in parlamento di tutto il popolo. E -quanto che catuno desiderasse pace per cagione -di riposo e di fuggire spesa, niuna festa se ne -fece, nè niuno rallegramento nel popolo se ne vide, -quasi stimando catuno la pace del potente -tiranno troppo vicino, essere più nel suo arbitrio -sottoposta a inganno che a fermezza di certo riposo. -Nella pace in sostanza si contenne, che generale -e perpetua pace sia tra l’arcivescovo di Milano, -e tutte le sue città e distrettuali, e tutti -coloro che con lui furono nella guerra contro a’ -Fiorentini, e’ Perugini, e’ Sanesi, e’ loro distrettuali, -Pistoiesi, e Aretini, e altri simiglianti, tutti -da catuna parte e aderenti loro debbano osservare -buona e leale pace; e l’arcivescovo è tenuto -di mettere in mano comune la Sambuca e ’l -Sambucone: e fatto questo, il comune di Firenze -un mese appresso debba disfare la rocca di Montegemmoli, -con patto, che disfatta debba riavere -le dette castella depositate; e il detto Montegemmoli -non si debba per alcuna parte redificare: -e che i Fiorentini debbano rendere Lozzole agli -Ubaldini, e l’arcivescovo Piteccio e l’altre tenute -de’ Pistoiesi; e che il comune di Firenze -dee trarre di bando tutti coloro che fossono bandeggiati -per quella guerra, e chiunque fosse dichiarato -aderente del detto arcivescovo: patto -assai pregno, e doppio, e poco accetto, la cui dichiarazione -fu commessa a Lotto e a Franceschino -Gambacorti di Pisa, mezzani di questa pace. -<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span> -Questo fu assai lieve legame di pace, avvegnachè -ci si stipulasse pena fiorini dugentomila d’oro, -ma per la grandezza del signore di Milano, e per -la potenza de’ tre comuni che non si avvilivano -per lui, rimase contenta catuna parte al legame -del titolo della pace, senza altra sicurtà dimandare -o prendere. -</p> - -<h3 id="cap60-3">CAP. LX. -<span class="smaller"><i>L’inganno ricevette il comune di Firenze -dagli sbanditi.</i></span></h3> - -<p> -Il comune di Firenze in questo fatto degli -sbanditi fu ingannato da’ suoi medesimi ambasciadori, -de’ quali niuno si potè incolpare, ch’erano -secolari, e uomini che non sapeano quello -ch’e’ titoli de’ giudici portassono, e a loro non se -n’aspettava alcuna cosa, ma incolpato ne fu un -savio giudice e grande avvocato chiamato messer -Niccola Lapi, di lieve nazione, sospetto a parte, -ma per la sua scienza il comune gli commise -l’ordinazione delle scritture per non essere ingannato. -Costui lasciò ne’ patti un capitolo non promesso -nè pensato, per lo quale tutti gli sbanditi e rubelli -del comune di Firenze poteano essere ribanditi -e ristituiti ne’ loro beni, e così degli altri comuni -di Toscana. E il pertugio di questo titolo fu, che -a’ patti s’aggiunse, che tutti gli aderenti, e parenti -e seguaci di messer Carlino Tedici e de’ consorti -ribelli di Pistoia, dovessono essere ribanditi, -e restituiti ne’ beni di qualunque bando o -condannagione ch’avessono dal comune di Pistoia, -<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span> -e questa fu l’intenzione vera: ma arroso -fu, e di Firenze, e di Perugia, e di Siena, e dell’altre -terre di Toscana, salvo chi avesse avuto bando -nel tempo della guerra, essendo all’ubbidienza -del comune di Pistoia: bando enorme e non parziale. -Qui si comprese la malizia di questo fallo: -se per errore fu commesso, grande vergogna fu -al savio avvocato, se per malizia, meritò grande -pena, perocchè sotto quel titolo messer Carlino -faceva suo aderente cui egli voleva; e Franceschino -e Lotto gli dichiaravano, e ’l savio consigliava, -e ’l notaio ch’era sopra ciò cancellava; e -avevane già dichiarati più di duemila, e cancellati -da trecento. Ed era una mercatanzia tra tutti -di grande guadagno, ma di maggiore danno e vergogna -del nostro comune, e molto se ne dolevano -i cittadini. Ma gli autori del fatto, con mettere -paura di non conturbare la pace, ogni lingua -acchetavano, e le borse si empievano. E procedendo -a voto il primo fallo, un altro se n’arrose -per l’avvocato già detto, contro al beneficio ricorso -a utilità della patria, che i dichiaratori da -Pisa aveano mandato a Firenze intorno di sedici -dichiarazioni fatte nel principio in diversi -dì, acciocchè a Firenze fossono per lo notaio diputato -sopra ciò cancellati di bando. Le dichiarazioni -furono portate al detto messer Niccola Lapi, -il quale vide che per l’ordine de’ patti non -se ne poteva cancellare per ragione più che quelli -ch’erano dichiarati per lo primo dì, e da quel -dì innanzi il comune di Firenze era libero della -sua promessa. Costui di presente le rimandò a -dietro, e scrisse, che non valeano dichiaragioni -<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span> -che facessono separate in diversi dì; e per questo -avvenne, che poi quelle che si feciono, e che si -mossono a fare in diversi e lunghi tempi, le riducevano -a essere fatte nel primo dì che gli cominciarono -a dichiarare, commettendo in questo -processo frode, e facendo fare le carte false, -che furono più di trecento quelle che si recarono -a cancellare. Di cotali falli il comune s’avvedeva -e doleva, ma le preghiere degli amici non -lasciavano al comune fare giustizia in questi tempi. -Ma de’ mali principii riesce spesse volte mal -frutto, come in parte uscì di questo, secondo che -appresso diviseremo, mutando un poco nostro ordine -di travalicare il tempo per imporre fine a -questa materia. -</p> - -<h3 id="cap61-3">CAP. LXI. -<span class="smaller"><i>Di questa medesima materia.</i></span></h3> - -<p> -Avvenne, valicato l’anno predetto, che di questa -corrotta radice procedette una corruzione -che terminò la causa e la vita del notaio a ciò -diputato, e d’un giudice ch’avea cominciato a -pascersi sopra questa carogna. A ser Francesco -di ser Rosso notaio di grande autorità, ch’aveva -procurato questo uficio, fu portata carta d’una -dichiarazione d’uno Ghiandone di Chiovo Machiavelli -condannato, uomo infame e di mala -condizione; del nome e soprannome di costui -erano rimase certe lettere, il mese e l’altre rase, -e sottilmente per simiglianti lettere rimesse, e -con molta istanzia per alcuno suo consorte, e -alcuno amico allora de’ priori, fu stretto ser -<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span> -Francesco a cancellarlo, e messer Corbizzesco -giudice da Poggibonizzi a consigliarlo. I quali -più volonterosi al servigio che a conoscere la -malizia ch’appariva nella carta, benchè tutta -paresse una lettera, il savio consigliò, e il notaio -cancellò. E sentendosi la diliberazione di costui -a Pisa, Franceschino Gambacorti scrisse a’ signori -scusandosi, che costui per la sua infamia -mai non avea voluto dichiarare. Onde preso il -notaio, e appresso il giudice, per il marchese -dal Monte valente podestà di Firenze, dopo -lunga discettazione e combattimento di cittadini, -e d’immunità di privilegio ch’aveva ser -Francesco, mercoledì a dì 21 di maggio 1354 avendoli -condannati al fuoco, per grazia commutò -la pena, e colle mitere in capo li fece dicollare. -Per la morte di ser Francesco mancò il potere -cancellare; e mancato questo, si rimase il dichiarare, -e il comune dimenticò gli altri falli per -questa cagione, e per troppa mansuetudine. -</p> - -<h3 id="cap62-3">CAP. LXII. -<span class="smaller"><i>Come messer Piero Sacconi de’ Tarlati -tentò di fare grande preda innanzi -che fosse bandita la pace.</i></span></h3> - -<p> -Messer Piero Sacconi de’ Tarlati ch’aveva in -Bibbiena delle masnade dell’arcivescovo di Milano, -sentendo ferma la pace, innanzi ch’ella -si bandisse, come volpe vecchia, accolse gente -quanta ne potè avere, a piè e a cavallo, e sapendo -che i villani del contado d’Arezzo per la novella -<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span> -della pace s’assicuravano colle bestie a’ campi, -cavalcò subitamente il contado d’Arezzo -infino a Laterina, accogliendo il bestiame, e mettendosi -la preda innanzi. I paesani stormeggiando -da ogni parte s’avvidono del fatto, e feciono -tanto, che per campare le persone i cavalieri -e’ masnadieri abbandonarono la preda, e con -vergogna tornarono a Bibbiena. E per simil modo -in questi medesimi dì i soldati del Biscione -ch’erano a Montecarelli con il conte Tano corsono -in Mugello per fare preda, innanzi che la pace -fosse pubblicata. Il vicario della Scarperia -co’ soldati de’ Fiorentini gli cacciarono de’ campi -fino a Montecarelli. Queste cavalcate non erano -degne di memoria, ma per esempio a’ popoli -che non sono offenditori, che almeno si guardino, -acciocchè non incorrino nell’antico proverbio, -che dice, tra la pace e la triegua guai a -chi la lieva. -</p> - -<h3 id="cap63-3">CAP. LXIII. -<span class="smaller"><i>Come il corpo di messer Lorenzo Acciaiuoli fu -recato del Regno a Firenze, e seppellito -a Montaguto a Certosa -onoratamente.</i></span></h3> - -<p> -Togliendone la quiete della pace materia da -scrivere, forse alcuna scusa ci fa a raccontare -quello ch’ora scriveremo di privata novità. Messer -Niccola Acciaiuoli di Firenze grande siniscalco -del reame di Sicilia, governatore del re Luigi, -aveva un figliuolo primogenito cavaliere e -<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span> -grande barone, appartenendogli la moglie promessa -della casa di Sanseverino, giovane provato in -arme, adorno di belli costumi, grazioso e di grande -aspetto. Costui, come a Dio piacque, innanzi al -tempo, all’aspetto degli uomini, rendè l’anima -a Dio, e morì nel Regno in assenza del padre. -Ed essendogli annunziata la morte a Gaeta di -cotanto caro e diletto figliuolo, il magnanimo -ristrinse il dolore dentro senza mutare aspetto, -e colla molta pazienza, e con abito ornato di -grandi virtudi comportò la morte del caro figliuolo, -dicendo, io era certo che dovea morire, e che -credeva che Iddio avesse eletto il tempo di più -salute dell’anima sua. E avendo egli grande devozione -al nobile monistero edificato a sua stanza -in sul poggio di Montaguto, posto tra la -Greve e l’Ema, presso alla città di Firenze, a -due miglia, il quale si chiama il monistero di -Certosa, quivi mandò con grande comitiva e -spesa a seppellire il corpo del figliuolo. E recato -prima a Firenze, e fatti gli ornamenti più che -militari, e invitati per i consorti tutti i buoni -cittadini, a dì 7 d’aprile 1353 fu portato alla sepoltura -in una bara cavalleresca, con due grandi -destrieri, l’uno dinanzi e l’altro didietro, coperti -di zendado coll’arme degli Acciaiuoli, e -la bara ov’era la cassa col corpo era coperta -con fini drappi e baldacchini di seta e d’oro, -e disopr’essi veluto chermisi fine, e in su i cavalli -gli scudieri vestiti a nero che guidavano i -cavalli con la bara; e innanzi alla bara avea -sette scudieri in su sette grandi destrieri, tutti -coperti infino a terra, innanzi con l’arme d’argento -<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span> -battuto degli Acciaiuoli: i due primi catuno -portava uno cimiere, il terzo portava lo stendale, -e gli altri quattro seguenti catuno una -grande bandiera tutta di quell’arme con le targhe -rilevate nel campo azzurro, e un leone rampante -bianco com’è la detta arme, con grande -novero di doppieri dinanzi e intorno al corpo, -cosa magnifica a ogni barone, eziandio se fosse -della casa reale. I grandi e orrevoli cittadini -di Firenze accompagnarono il corpo infino alla -porta a san Piero Gattolino; poi gran parte montati -a cavallo andarono col corpo infino al monistero, -e gli altri si tornarono a casa. Abbiamo fatta -questa memoria perchè fu nuova e disusata alla -nostra città, e magnifica all’autore di quella, che -più di cinquemila fiorini d’oro costò la spesa. -</p> - -<h3 id="cap64-3">CAP. LXIV. -<span class="smaller"><i>Come si fe’ l’accordo da’ Sanesi -a Montepulciano.</i></span></h3> - -<p> -I Sanesi avendo voglia di vincere Montepulciano, -essendovi stati ad assedio lungamente, vi puosono -un gran battifolle molto di presso. Nella -terra avea buone masnade di cavalieri e di -masnadieri, i quali spesso avrebbono danneggiati -i Sanesi, se fossono stati lasciati guerreggiare, -ma com’è detto addietro, essendo l’una parte -e l’altra guelfi e amici de’ Fiorentini e de’ Perugini, -essendo con catuno gli ambasciadori de’ -detti comuni nel campo e nella terra, e benchè -fosse molto malagevole, infine gli recarono a -<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span> -questa concordia: che la terra rimanesse al governamento -del popolo, e stesse venti anni nella -guardia del comune di Siena, tenendovi un capitano -di guardia con quindici cavalieri e con -venti fanti, avendo in sua signoria una delle porti -della terra e una campana, e che i Sanesi dovessono -dare contanti, infra certo termine, a -messer Niccolò de’ Cavalieri per ristoro delle spese -fatte fiorini seimila, e dovesse stare dieci anni -con immunità personale e reale in quella sua -terra; e a messer Iacopo de’ Cavalieri che n’era -fuori dovessono dare fiorini tremila d’oro, e -riavere le rendite de’ suoi beni: per lo quale accordo -i due comuni per loro sindacato furono mallevadori. -E fatto questo, a dì 2 di maggio del detto -anno i Sanesi presono la guardia ordinata, -e levarsi da campo; e rifornita la terra, allegri, -con bella e buona pace si tornarono a Siena, -grati del beneficio ricevuto da’ due comuni, come -l’operazioni di corrotta fede appresso dimostreranno. -</p> - -<h3 id="cap65-3">CAP. LXV. -<span class="smaller"><i>D’una notabile grandine venuta in Lombardia, -e d’altro.</i></span></h3> - -<p> -A dì 7 del mese di maggio del detto anno, turbato -il tempo con ravvolto enfiamento di nuvoli, -ristretta la materia umida da’ venti d’ogni parte, -con disordinato empito sopra la città e parte del -contado di Cremona ruppe, mandando sopra quella -pietre sformate di grandine, la quale, cui trovò -<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span> -alla scoperta, uomini e femmine, percotendo li -uccise, e la città premette sì forte, che tutte le -copriture de’ tetti ruppe e macinò senza rimedio, -con grandissimo danno de’ cittadini. E le -pietre della grandine ch’erano maggiori si trovarono -di libbre otto e once tre, e le minori -erano d’una libbra di peso. In questo medesimo -tempo l’arcivescovo di Milano mandò per -fare redificare le mura e case del Borgo a san Sepolcro, -rovinate e guaste per lo tremuoto, trecento -maestri. I Borghigiani rimasi in vita erano -tutti ricchi sopra modo per l’eredità de’ morti, -e per gli sconci guadagni delle prede de’ loro vicini -condotte al Borgo, e perchè a’ soldati al continovo -aveano venduto caro la loro vittuaglia e gli -altri arnesi, e però, venuti i maestri, cominciarono -a edificare le case e’ palagi, e a fare troppo più nobili -e più belli abituri che prima non aveano: ma poco -poterono edificare, che la terra mutò stato, come -appresso nel suo tempo racconteremo. -</p> - -<h3 id="cap66-3">CAP. LXVI. -<span class="smaller"><i>Come sotto le triegue procedettono -le cose in Francia.</i></span></h3> - -<p> -Essendo alcuno tempo durate le triegue tra il -re di Francia e quello d’Inghilterra, infra il -detto tempo alquante terre in Brettagna e alcuna -in Guascogna che si teneano per lo re di -Francia, per ingegno e per malizioso sommovimento -s’arrecarono dalla parte del re d’Inghilterra; -per la qual cosa turbato il re di Francia, fece -<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span> -bandire la guerra per tutto il suo reame: e a ciò -lo indusse non meno certi trattati scoperti contro -della sua persona, ch’e’ baratti di quelle terre. -E fatto questo, del mese di maggio del detto -anno, il cardinale di Bologna, e gli altri prelati -e baroni che trattavano la pace si misono al riparo, -e tanto operarono, che triegue si rifeciono tra i -detti re. E stando le cose di là in successioni di -triegue, non accaddono in lungo tempo cose notevoli -in que’ paesi. -</p> - -<h3 id="cap67-3">CAP. LXVII. -<span class="smaller"><i>Come i Genovesi spregiarono la pace -de’ Veneziani.</i></span></h3> - -<p> -Tornando nostra materia a’ fatti de’ Genovesi -e de’ Veneziani, in questo primo tempo del detto -anno i Genovesi levarono lo stendale di sessanta -galee, le quali incontanente cominciarono ad -armare, e per la compagnia ch’aveano fatta col -re d’Ungheria contro a’ Veneziani v’aggiunsono -l’arme del detto re; e intendeano, che come -e’ fossono colla loro armata in mare, che ’l detto -re avesse in Ischiavonia i suoi Ungheri a fare -guerra per terra a’ Veneziani, come avea promesso. -E certe galee ch’aveano allora in concio d’arme -mandarono improvviso nel golfo a’ Veneziani, -le quali feciono in quello grave danno di -rubare molti legni che vi trovarono, traendone -l’avere sottile, e profondando i legni in mare; e -con due loro galee sottili bene armate valicarono -<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span> -san Niccolò del Lido, ed entrarono nel canale -grande, e nella città saettarono molti verrettoni. -E tornandosi addietro, le galee della guardia -del golfo ch’erano per novero più che le genovesi, -potendosi abboccare con loro, non ebbono -ardimento, che la paura del re d’Ungheria gl’impacciava -forte più che de’ Genovesi, per tema che -non traboccasse loro addosso la sua grande potenza. -Le galee genovesi non avendo contasto -s’uscirono del golfo, e andarono al loro viaggio, -avendo fatto gran vergogna a’ Veneziani. -</p> - -<h3 id="cap68-3">CAP. LXVIII. -<span class="smaller"><i>Come i Veneziani si provvidono.</i></span></h3> - -<p> -Il comune di Vinegia sentendo l’armata de’ Genovesi -e le minacce del re d’Ungheria, e non -volendoli rendere le terre marine della Schiavonia, -conobbono che la necessità gli strignea a trovar -modo di difendersi per mare e per terra. E -però guernite le loro terre per la difesa, con -grande e buona provvisione mandarono solenne -ambasciata all’imperadore, pregandolo che procacciasse -in loro servigio che il re d’Ungheria -non movesse loro guerra a stanza de’ Genovesi; -e un’altra ambasciata mandarono in Catalogna -al re d’Araona a fare lega e compagnia con lui, -acciocch’egli armasse con loro contro a’ Genovesi. -In catuna parte ebbono prosperamente loro intenzione: -che l’imperadore ritenne a sua preghiera il -re d’Ungheria dal muovere guerra a’ Veneziani, -non senza alcuna speranza d’accordo in processo -<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span> -di tempo; e’ Catalani aontati della sconfitta ricevuta -co’ Veneziani da’ Genovesi in Costantinopoli, -lievemente si recarono per animo di vendetta a -fare la volontà de’ Veneziani; e di presente misono -per opera d’armare trenta galee al loro soldo, -e venti alle spese del comune di Vinegia, e i -Veneziani n’armarono altre venti a Vinegia; e catuna -parte sollecitava sua armata per essere prima -in mare; i Genovesi per la vittoria avuta sopra -loro dispettando e avvilendo i nimici, e’ Catalani -e’ Veneziani desiderando la vendetta. E -apparecchiandosi catuna parte, innanzi al loro -abboccamento ci occorrono altre cose a raccontare, -e però al presente soprastaremo alquanto -a questa materia. -</p> - -<h3 id="cap69-3">CAP. LXIX. -<span class="smaller"><i>Come fu guasto il castello di Picchiena, -e perchè.</i></span></h3> - -<p> -I signori del castello di Picchiena non ostante -che si tenessono in amistà col comune di Firenze, -furono principali con gli Ardinghelli a -commuovere lo stato di Sangimignano quando -furono cacciati i Salvucci, essendo la guardia di -quella terra nelle mani del comune di Firenze; -e di questo fallo non feciono scusa nè ammenda -a’ Fiorentini; e però, nel detto mese di -giugno del detto anno, il comune di Firenze -mandò sue masnade co’ maestri e guastatori a -Picchiena, e senza contasto entrarono nella terra. -E acciocchè quel castello non fosse più cagione -<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span> -di fare sommuovere ad alcuna ribellione -Sangimignano e Colle, a dì 20 del detto mese -feciono abbattere le mura e la rocca, senza far -loro altro danno. -</p> - -<h3 id="cap70-3">CAP. LXX. -<span class="smaller"><i>Come Ruberto d’Avellino fu morto dalla duchessa -sua moglie.</i></span></h3> - -<p> -Vedendosi la sventurata moglie che fu del -duca di Durazzo, Maria sirocchia della reina -Giovanna di Gerusalemme e di Sicilia, avvilita -per lo violente matrimonio contratto con Ruberto -figliuolo che fu del conte d’Avellino della casa -del Balzo, il quale dopo la morte del padre, come -addietro avemo fatta menzione, era rimaso -prigione del re Luigi; la donna, non tenendosi -vedova nè maritata, pensò che per la morte di -costui tornerebbe a certa veduità, e potrebbesi -maritare. E assai apparve chiaro che a questo -consentì il re e la reina; perocchè essendo Ruberto -detto in prigione altrove, fu menato nel -castello dell’abitazione reale, e collocato in una -camera con certe guardie: e valicati alquanti -dì, il re e la reina feciono apparecchiare e andarono -a desinare e a cena agli scogli di mare, -cosa nuova e disusata alla corona; e in questo -dì la detta duchessa Maria rimasa nel castello -prese quattro sergenti armati, e andossene alla -camera dov’era il marito, e chiamatolo traditore -del sangue reale, senza misericordia in sua -presenza il fece uccidere; e fattagli tagliare la -<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span> -testa dall’imbusto, non affatto, fece traboccare dal -castello in su la marina lo scellerato corpo, condotto -a questo per lo malvagio pensiero del suo -prosuntuoso padre. Il re e la reina tornati a -Napoli si mostrarono turbati molto di questo -fatto, usando parole che s’ella non fosse femmina -ne farebbono alta vendetta: e il corpo che -giacea senza sepoltura feciono sotterrare; e la -donna rimase vedova di due mariti tagliati a -ghiado in piccolo travalicamento di tempo. -</p> - -<h3 id="cap71-3">CAP. LXXI. -<span class="smaller"><i>Come furono cacciati i ghibellini del Borgo.</i></span></h3> - -<p> -All’entrante del mese di luglio del detto anno, -i guelfi del Borgo a san Sepolcro vedendosi sottoposti -a quelli della casa de’ Bogognani, caporali ghibellini -e traditori di quella terra, la quale aveano -sottoposta all’arcivescovo di Milano per trattato -di messer Piero Sacconi, e per i patti della pace -era rimasa libera sotto il dominio de Bogognani, -e non potendosi atare co’ Fiorentini e’ Perugini -per non fare contro a’ patti della pace, -s’accostarono con Nieri da Faggiuola loro vicino -e terrazzano del Borgo, non ostante che fosse -ghibellino, perocchè si discordava co’ Tarlati -d’Arezzo e co’ Bogognani; il quale avendo -fatta sua ragunata, i guelfi del Borgo levarono -il romore, e Nieri trasse colla sua gente, e messo -nella terra, ne cacciarono i Bogognani e -tutti i ghibellini di loro seguito, e rubarono le -case degli usciti; e appresso riformarono la terra -<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span> -a comune reggimento di guelfi e di ghibellini, -com’era loro usanza, ritenendo Nieri da -Faggiuola per alcuno tempo per loro capitano -con certa limitata balìa, il quale poi ne trassono, -come innanzi si potrà trovare. -</p> - -<h3 id="cap72-3">CAP. LXXII. -<span class="smaller"><i>Di quattro leoni di macigno posti al palagio -de’ priori.</i></span></h3> - -<p> -Essendo in questo tempo un uficio di priorato -in Firenze, avendo poco ad attendere ad altre -cose per la quiete della pace, feciono fare -quattro leoni di macigno, e fecionli dorare con -gran costo, e fecionli porre in su’ quattro canti -del palagio del popolo di Firenze, a ciascuno -canto uno. E per fare questo per certa vanagloria -al loro tempo, lasciarono di farli scolpiti, e -fusi di rame e dorati, che costavano poco più -che quelli del macigno, ed erano belli e duranti -per lunghi secoli; ma le piccole cose e le -grandi continovo si guastano nella nostra città -per le spezialità de’ cittadini. -</p> - -<h3 id="cap73-3">CAP. LXXIII. -<span class="smaller"><i>Come Sangimignano fu recato a contado di -Firenze.</i></span></h3> - -<p> -Avvegnachè per operazione de’ Fiorentini la -terra di Sangimignano fosse riformata in pace, -e che dentro vi fossono gli Ardinghelli e’ Salvucci -<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span> -pacificati insieme, nondimeno nell’interiore -dentro era tra loro radicata mala volontà; e non -sapeano conversare insieme, e teneano intenebrata -tutta la terra. I Salvucci vedendo arse e rovinate -le loro nobili possessioni non si poteano dare pace, -e gli Ardinghelli per l’offesa fatta stavano -in paura e non si fidavano non ostante la pace, e -il seguito ch’aveano avuto da’ terrazzani a cacciare -i Salvucci non rispondea loro in questo -nuovo reggimento come prima. Per queste dissensioni -i popolani della terra conoscendo il loro -male stato, e non trovando rimedio tra loro, stavano -sospesi e in mala disposizione; e vedendo gli -Ardinghelli il popolo commosso, e che per loro -non si potea mettere alcuno consiglio che i Salvucci -non si mettessono al contradio, furono consigliati -di confortare il popolo, innanzi ch’altri -il movesse prima di loro, di darsi liberi al comune -di Firenze. E questo potea essere loro scampo, -perocch’erano pochi e poveri a petto de’ loro avversari, -ch’erano assai e ricchi, e conoscendo il -popolo, e vedendolo disposto a volere uscire de’ pericoli, -ove le discordie de’ loro maggiori gli conducea, -fu agevole a muovere, e del mese di luglio -1353 feciono parlamento generale, nel quale -deliberarono con molta concordia di mettersi -liberamente nella guardia del comune di Firenze. -I Salvucci si misono con loro amici a operare -co’ cittadini di Firenze loro amici che il comune -non li prendesse, dicendo, che questa era operazione -di setta e non volontà del comune; ed ebbono -tanto podere, che il comune non li volle -prendere, dicendo, che volea l’amore e la buona -<span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span> -volontà di tutto il comune, e non la signoria -di quella terra in divisione del popolo; per la qual -cosa il popolo commosso, d’ogni famiglia -mandarono a Firenze più di dugentocinquanta -loro terrazzani di maggiore stato e autorità, i -quali s’appresentarono dinanzi a’ signori priori -dicendo, come la deliberazione del loro comune -era vera, e non violenta nè mossa per alcuno -ordine di setta, ma di comune movimento e -volontà di tutto il popolo, conoscendo non potere -vivere sicuri se non sotto la giurisdizione libera -e protezione del comune di Firenze, e con -viva voce gridarono, e pregarono il comune di -Firenze, che ricevere li volesse al loro contado, -e se questo non facesse, quel comune era per disfarsi -e distruggersi senza alcuno rimedio, in poco -onore del comune di Firenze che l’avea a guardia. -In fine i signori ne feciono proposta al consiglio del -popolo, e tanto favore ebbono i Salvucci, che si -metteano al contrario delle preghiere de’ loro amici -da Firenze fatte a’ consiglieri, e del popolo, -che quello che catuno doveva desiderare per -grande e onorevole accrescimento della sua patria, -avendo molti contrari al segreto squittino, -si vinse solo per una fava nera; vergognomi averlo -scritto, con tanto vitupero de’ miei cittadini. -Vinto il partito, la terra del nobile castello -di Sangimignano, e suo contado e distretto, fu -recato a contado del comune di Firenze, e datogli -l’estimo come agli altri contadini, e tutti i -suoi cittadini e terrazzani furono fatti cittadini e -popolani di Firenze a dì 7 d’Agosto del detto anno; -e ne’ registri del comune furono notate le -<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span> -cautele e le sommissioni dette; e carta ne fece ser -Piero di ser Grifo, notaio delle riformagioni del -detto comune. -</p> - -<h3 id="cap74-3">CAP. LXXIV. -<span class="smaller"><i>D’un segno apparve in cielo.</i></span></h3> - -<p> -A dì 11 del mese d’agosto, tramonto il sole -nella prima ora, si mosse da mezzo il cielo fuori -del zodiaco un vapore grande infocato sfavillante, -il quale scorse per diritto di levante in -ponente, lasciandosi dietro un vapore cenerognolo -traendo allo stagneo, steso per tutto il corpo -suo, e durò nell’aria valicato il fuoco lungamente; -e poi cominciò a raccogliersi a onde a -modo d’una serpe; e il capo grosso stette fermo -ove il vapore mosse, simigliante a capo serpentino, -e il collo digradava sottile, e nel ventre -ingrossava, e poi assottigliava digradando con -ragione infino alla punta della coda: e per lunga -vista si dimostrò in propria figura di serpe, e poi -cominciò a invanire dalla coda e dal collo, e ultimamente -il corpo e ’l capo venne meno, dando -di se disusata vista a molti popoli. Altro non ne -sapemmo di sua influenza scernere che diminuzioni -d’acque, perocchè quattro mesi interi -stette appresso senza piovere. -</p> - -<h3 id="cap75-3">CAP. LXXV. -<span class="smaller"><i>Come fu assediata Argenta.</i></span></h3> - -<p> -Essendo Francesco de’ marchesi da Este ribellato -al marchese Aldobrandino signore di Ferrara -<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span> -e di Modena, figliuolo del marchese Obizzo; -questo marchese Obizzo avea acquistato suo -figliuolo Aldobrandino d’amore, avendo per moglie -la figliuola di Romeo de’ Peppoli di Bologna, -della quale non ebbe figliuolo, e morta la detta -donna, il marchese fece legittimare questo suo figliuolo, -e la madre si prese per moglie. E venendo -a morte, lasciò la signoria di Ferrara e di Modena -a questo suo figliuolo Aldobrandino, essendo d’illegittimo -matrimonio. Il marchese Francesco figliuolo -del marchese Bertoldo, a cui parea che di -ragione s’appartenesse la signoria, per la qual cosa -temette che ’l marchese Aldobrandino per tema -della signoria nol facesse morire, e però si parti -di Ferrara; ed essendo rubello, trattò con Galeazzo -de’ Medici da Ferrara, ch’era potente, e del segreto -consigliò del marchese Aldobrandino, e -con altri cittadini di Ferrara, e per consiglio di -costoro, per avere braccio forte, s’accostò con messer -Malatesta da Rimini. E del mese d’agosto del -detto anno messer Malatesta in persona, e il detto -marchese Francesco, con cinquecento cavalieri -e quattromila pedoni valicarono per -le terre del signore di Ravenna con sua volontà, -e improvviso furono ad Argenta. E stati quivi -quattro dì, attendendo risposta da coloro con -cui teneano il trattato in Ferrara, e avuto da loro -come quello ch’essi credevano poter fare -non vedeano venisse loro fatto, però sanza soprastare -o fare alcuno danno di presente se ne -partirono, dando voce che il signore di Ravenna -avea chiuso il passo alla vittuaglia. E Galeazzo -e altri che teneano al trattato uscirono di -Ferrara, e andaronsene al gran Cane di Verona, -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span> -</p> - -<h3 id="cap76-3">CAP. LXXVI. -<span class="smaller"><i>Come si temette in Toscana di carestia.</i></span></h3> - -<p> -Non è da lasciare in silenzio quello ch’avvenne -in Toscana in sulla ricolta, che nel contado -e distretto di Firenze e d’Arezzo, e nelle -più contrade, fu assai ubertosa ricolta, in quello -di Siena e di Ravenna fu magra; e nondimeno -sotto la vetta valse per tutto soldi quarantadue, -e poi montò in soldi cinquanta lo staio fiorentino, -di lire tre soldi otto il fiorino dell’oro. Temendo -il comune di disordinata carestia mandò -in Turchia, e in Provenza e in Borgogna a -comperare grano, e molti mercati fece co’ mercatanti, -che promisono di recarne di Calavria e -d’altre parti del mondo, costando lo staio posto -in Firenze l’uno per l’altro da soldi cinquanta -in sessanta di piccioli: e se fosse venuto, come -si pensava, perdea il comune di Firenze più di -centomila fiorini d’oro, perocché ’l popolo mobolato, -per paura della carestia passata poco dinanzi, -si fornia a calca, e feciono montare il grano -nella ricolta, e ristrignere i granai a chi n’avea -conserva. Ma sentendosi la grande quantità che ’l -comune n’avea procurata d’avere catuno temette -di tenerlo, e apersono l’endiche di marzo -e d’aprile del detto anno, e davano il buono -grano a soldi venticinque lo staio. E venendone al -comune dodicimila staia di Provenza venuto di -Borgogna, il volle spacciare a soldi venti lo staio, -ed essendo buono grano non si potè stribuire; e -<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span> -perdenne il comune fiorini trentamila d’oro, i -quali investì male all’ingrato popolo: l’altro -che doveva venire di Turchia e le compere fatte, -come a Dio piacque, non ebbono effetto per diversi -accidenti. Abbianne fatta memoria per -ammaestramento di coloro c’hanno a venire, -perocchè in cotali casi occorrono diversi gravi -accidenti, e spesso contradi l’uno all’altro. Le -grandi compere in così fatta carestia fanno pericolo -di disordinata perdita, e certezza non si può -avere di grano che di pelago si aspetta; ma utilissima -cosa è dare larga speranza al popolo, che -si fa con essa aprire i serrati granai de’ cittadini, -e non con violenza, che la violenza fa il serrato -occultare, e la carestia tornare in fame; e -di questo per esperienza più volte occorsa nella -nostra città in cinquantacinque anni di nostra -ricordanza possiamo fare vera fede. -</p> - -<h3 id="cap77-3">CAP. LXXVII. -<span class="smaller"><i>Come in Messina fu morto il conte Mazzeo -de’ Palizzi a furore, e la moglie -e due figliuoli.</i></span></h3> - -<p> -Lasciando alla testimonianza del consumato -regno dell’isola di Cicilia molti micidii, incendii, -violenze e prede avvenuti in quello per -sette e invidia del reggimento, mancando per -debolezza d’età la signoria reale, diremo quello -che in questo tempo, del mese d’agosto del -detto anno, più notabile avvenne. Essendo il -conte Mazzeo de’ Palizzi di Messina capo di setta -<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span> -degl’Italiani di Cicilia, contradio a quella de’ Catalani, -per sua grandezza governava il giovane e -poco virtuoso figliuolo di don Petro re di Cicilia, -il quale per retaggio doveva essere re, e tutta -la corte reggeva a contrario de’ Catalani e della -loro parte per modo più tirannesco che reale; -essendo l’izza e l’invidia parziale cresciuta -mortalmente, alla corte mancava l’entrata, e a’ -paesani la rendita e le ricchezze, e la guerra del -diviso regno richiedeva aiuto di moneta; e non -essendovi l’entrata, il detto conte Mazzeo gravava -i Messinesi e gli altri sudditi moltiplicando -gravezze sopra gravezze. I cittadini si doleano, -e vedendosi pure gravare, negavano e -fuggivano il pagamento, e odiavano chi guidava -il fatto; il conte infocando contro a’ sudditi la sua -stracotata superbia, fece decreto, che chi non pagasse -fosse bandito, e dicea, che chi non volea -pagare, o non poteva, ch’egli era della setta de’ Catalani; -e per questo modo abbattea la sua parte, -e crescea quella degli avversari. Avvenne che il popolo -di Messina s’accostò col conte Arrigo Rosso -e col conte Simone di Chiaramente, amendue della -setta de’ Palizzi, ma portavano invidia al conte -Mazzeo perch’avea troppo usurpata la signoria, -e sotto titolo di dire che voleano pace, mossono -il lieve popolo a gridare pace: e levato il romore, -con furore corsono al palagio del re ov’abitava -il conte Mazzeo: e trovandolo nella sala -col giovane duca, in sua presenza uccisono lui, e -la moglie e due suoi figliuoli, lasciando il duca -con gran paura e tremore, e legati i capestri al -collo de’ morti li tranarono per la terra vituperosamente, -<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span> -e poi li arsono, e la polvere gittarono -al vento. E in questi medesimi dì quelli di -Sciacca feciono il simigliante a’ loro maggiori -della setta del conte Mazzeo predetto. Il duca, benchè -fosse sicurato dal popolo, per la concetta paura -prese suo tempo e andossene a Catania, accostandosi -alla setta de’ Catalani. Questo repentino -caso di cotanto polente usurpatore della repubblica -è da notare, per esempio di coloro i quali colla -destra della fallace fortuna in futuro monteranno -a somiglianti gradi, di non essere ignoranti -de’ nascosi aguati che nell’invidia e ne’ furori -de’ non fermi stati si racchiudono. -</p> - -<h3 id="cap78-3">CAP. LXXVIII. -<span class="smaller"><i>Come fu creato nuovo tribuno in Roma.</i></span></h3> - -<p> -Egli è da dolersi per coloro c’hanno udito e -inteso le magnifiche cose che far solea il popolo -di Roma, con le virtù de’ loro nobili principi, in -tempo di pace e di guerra, le quali erano specchio -e luce chiarissima a tutto l’universo, vedendo -a’ nostri tempi a tanta vilezza condotto il detto -popolo e’ loro maggiori, che le novità che occorrono -in quell’antica madre e donna del mondo -non paiono degne di memoria per i lievi e vili -movimenti di quella, tuttavia per antica reverenza -di quel nome non perdoneremo ora alla -nostra penna. Essendo il popolo romano ingrassato -dell’albergherie de’ romei, e fatto e disfatto -in breve tempo l’uficio de’ loro rettori, i -loro principi cominciarono a tencionare del senato, -<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span> -e il popolo lieve e dimestico al giogo, -dimenticata l’antica franchigia, seguitava la loro -divisione. Faceva parte ovvero setta Luca Savelli -con parte degli Orsini e co’ Colonnesi, e gli altri -Orsini erano in contradio: e per questo vennero -all’arme, e abbarrarono la città, e combatteronsi -alle barre tutto il mese d’agosto del detto anno. -In fine il popolo abbandonò d’ogni parte la gara -de’ loro principi, e fece tribuno del popolo lo -Schiavo Baroncelli, il quale era scribasenato, -cioè notaio del senatore, uomo di piccola e vile -nazione, e di poca scienza. Tuttavia, perch’egli -non conosceva molto i Romani e i vizi loro, cominciò -con umiltà a recare ad alcuno ordine il -reggimento al modo de’ comuni di Toscana; e -per partecipare il consiglio de’ popolani, per segreto -squittino elesse e insaccò assai buoni uomini -cittadini romani di popolo per suoi consiglieri, -de’ quali ogni capo di due mesi traeva -otto, e con loro deliberava le faccende del comune; -e fece camarlinghi dell’entrata del comune, -e cominciò a fare giustizia, e levare i popolani -del seguito de’ grandi, e molto perseguitava i -malfattori: sicchè alcuno sentimento di franchigia -cominciò a gustare quel popolo, la quale -poi crebbe a maggiori cose, come innanzi al suo -tempo racconteremo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span> -</p> - -<h3 id="cap79-3">CAP. LXXIX. -<span class="smaller"><i>Come furono sconfitti in mare i Genovesi -alla Loiera.</i></span></h3> - -<p> -Essendo venuto il tempo che la furiosa superbia -de’ Genovesi per far guerra a’ Veneziani e Catalani -avea da catuna parte apparecchiate in -mare le loro forze, del mese d’agosto del detto -anno i Genovesi si trovarono con sessanta galee -armate, avendo per loro ammiraglio messer Antonio -Grimaldi, nella quale erano tratti di tutte -le famiglie la metà de’ più chiari e nobili cittadini -di Genova e della Riviera, il quale ammiraglio -si trasse con l’armata a Portoveneri, per -non lasciare mettere scambio a’ cittadini che ’l -procacciavano, dicendo, che col loro aiuto e consiglio -sperava d’avere la vittoria de’ loro nimici, e -aspettava lingua di loro sollecitamente. I Catalani -aveano armate trenta galee tra sottili e grosse -e uscieri, e venti galee alle spese de’ Veneziani, -con cinquanta galee e tre grandi cocche incastellate, -e armate di quattrocento combattitori per -cocca, avendo caricati cavalli e cavalieri assai per -porli in Sardegna, del detto mese d’agosto si -partirono di Catalogna, facendo con prospero -tempo la via di Sardegna, ove con l’armata de’ Veneziani -si doveano raccozzare. E i Veneziani in -questi medesimi dì con venti galee armate di -buona gente si dirizzarono alla Sardegna. I Genovesi -avuta lingua che catuna armata era in pelago, -avvisarono d’abboccarsi con l’una armata -<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span> -innanzi che insieme si congiugnessono. E perocchè -le sessanta loro galee non erano pienamente -armate, lasciarono otto corpi delle sessanta, e delle -ciurme e de’ soprassaglienti fornirono ottimamente -le cinquantadue, e con quelle senza arresto, -atandosi con le vele e co’ remi, con grande -baldanza si dirizzarono alla Sardegna. Ed essendo -giunti presso alla Loiera, ebbono lingua che -l’armate de’ loro nimici s’erano raccozzate insieme; -e passato ch’ebbono una punta scopersono -l’armata de’ Veneziani e de’ Catalani, i quali -s’erano ristretti insieme, e le sottili galee aveano -nascose dietro alle grosse per mostrarsi meno che -non erano a’ loro nimici, e ancora s’incatenarono -e stavano ferme senza farsi incontro a’ Genovesi, -mostrando avvisatamente paura, acciocchè traessono -a loro la baldanza de’ Genovesi con loro -vantaggio. I Genovesi non ostante ch’avessono -perduta la speranza di non aver trovate l’armate -partite, e ingannati dalla vista, che pareva loro -che le galee de’ loro avversari fossono meno che -non erano, e poco più che le loro, baldanzosi della -fresca vittoria avuta sopra i detti loro nimici -in Romania, si misono ad andare contro a loro -vigorosamente. E valicata certa punta di mare, -si trovarono sopra la Loiera sì presso a’ loro nimici, -ch’elli scorsono ch’elli erano troppo più -ch’elli non estimavano, e vidongli acconci e ordinati -alla battaglia, e che presso di loro aveano -le tre cocche incastellate e armate di molta gente -da combattere; per la qual cosa l’animo si -cambiò a’ Genovesi, e la furia prese freno di temperanza, -e vorrebbono non essere sì presso a’ loro -<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span> -nimici, e tra loro ebbono ripitio di non savia -condotta: tuttavia presono cuore e franchezza di -mettersi alla battaglia, sentendosi l’aiuto del -vento in poppa, e alquanto contrario a’ loro avversari, -conoscendo che l’aiuto delle cocche non poteano -avere durando quel vento, tuttavia più per -temenza che per franchezza legarono e incatenarono -la loro armata, lasciando d’ogni banda -quattro galee sottili, libere d’assalire e da sovvenire -all’altre secondo il bisogno. I Veneziani e’ Catalani -avendo a petto i loro nimici, trassono della -loro armata sedici galee sottili, e misonne otto -libere da catuna parte della loro armata, la quale -aveano ordinata e incatenata per essere più interi -alla battaglia, ricordandosi che l’essersi sparti -in Romania gli avea fatti sconfiggere; e così -ordinati l’una gente e l’altra con lento passo si -veniano appressando, e le libere galee cominciarono -l’assalto molto lentamente, che catuno stava -a riguardo per attendere suo vantaggio; e nonostante -che i Veneziani e’ Catalani fossono molti -più che i Genovesi, tanto gli ridottavano, che non -s’ardivano ad afferrare con loro: è vero che il vento -alquanto gli noiava, più per non potere avere -l’aiuto delle loro cocche, che per altro, e però soprastavano. -Dall’altra parte i Genovesi già impediti -per lo soperchio de’ loro nimici non s’ardivano -a strignersi alla battaglia, e così consumarono -il giorno dalla mezza terza alla mezza -nona, con lieve badalucco delle loro libere galee. -I Genovesi vedendo che i loro nimici più potenti -non li ardivano ad assalire, presono più baldanza, -e metteronsi in ordine d’andarli ad assalire -<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span> -con più aspra battaglia. Ma colui che è rettore -degli eserciti, avendo per lungo tempo sostenuta -la sfrenata ambizione de’ Genovesi, per lieve spiramento -di piccolo vento abbattè la loro superbia; -che stando catuna parte alla lieve battaglia si -levò un vento di verso scilocco, il quale empiè le -vele delle tre cocche. I Catalani animosi contro -a’ Genovesi, vedendosi atare dal vento, apparecchiate -loro lance, e dardi e pietre, con ismisurato -romore, levate l’ancore del mare, con tutte e tre -le cocche si dirizzarono contro all’armata de’ Genovesi, -e con l’impeto del corpo delle cocche sì -fedirono nelle galee de’ Genovesi, e nella prima -percossa ne misono tre in fondo, e seguendo innanzi, -alcuna altra ne ruppono: e di sopra gittavano -con tanta rabbia pietre lance e dardi sopra -i loro nimici, che parea come la sformata -grandine pinta da spodestata fortuna d’impetuosi -venti, e molti Genovesi n’uccisono in quel -subito assalto, e annegaronne assai, e più ne -fedirono e magagnarono. L’armata de’ Veneziani -e Catalani vedendosi fatta la via a’ loro navilii, -con più ardire si misono innanzi strignendosi -alla battaglia. I Genovesi, uomini virtuosi e di -grande cuore, sostennono francamente il grave -assalto delle cocche, atandosi con l’arme e con -le balestra, magagnando molti de’ loro nemici, e -alle galee rispondeano con sì ardita e folta battaglia, -che per vantaggio ch’e’ loro nimici avessono -non poteano sperare vittoria. Ma l’ammiraglio -de’ Genovesi invilito nell’animo suo di questo -primo assalto, fece vista di volere ricoverare -la vittoria per maestria di guerra; e sollevata la -<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span> -battaglia, in fretta fece sciogliere undici galee della -sua armata, e con quelle aggiunse l’otto sottili ch’erano -libere dalle latora dell’armata, e diede voce -di volere volgere e girare dalle reni de’ nimici: -e per questa novità i Veneziani e’ Catalani -ebbono paura, e sollevarono la battaglia, e -stettono in riguardo, per vedere quello che le dette -galee volessono fare. Ma l’ammiraglio abbandonata -la battaglia, e lasciate l’altre galee insieme -alla fronte de’ nimici, fece la via di Genova -senza tornare all’oste, e già si cominciava a tardare -il giorno. Vedendo i Veneziani e’ Catalani -che l’ammiraglio de’ Genovesi non avea girato -sopra loro, ma era al disteso fuggito con diciannove -galee, con certezza di loro vittoria vennono -sopra i Genovesi; i quali vedendosi abbandonati -dal loro ammiraglio, senza resistenza chi -non potè fuggire si renderono prigioni. Così i -Veneziani e’ Catalani senza spandimento di loro -sangue ebbono de’ Genovesi piena vittoria: ed -ebbono trenta corpi di galee e più di tremilacinquecento -prigioni, fra i quali furono molti nominati -grandi e buoni cittadini di Genova. E -morti ne furono e annegati con le ciurme più di -duemila. La detta sventurata battaglia per i -Genovesi fu il dì di san Giovanni dicollato, a dì -29 d’agosto del detto anno. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span> -</p> - -<h3 id="cap80-3">CAP. LXXX. -<span class="smaller"><i>Come i Catalani perderono loro terre -in Sardegna.</i></span></h3> - -<p> -Con piccolo travalicamento di tempo sosterremo -alquanto l’altre cose, raccogliendo i fatti -che nell’isola di Sardegna avvennono dopo la -detta vittoria. I Catalani e’ Veneziani con la loro -armata, e con le tre cocche, e con le galee -prese de’ Genovesi e co’ prigioni arrivarono in -Sardegna, e nella loro giunta avendo messo in -terra i loro cavalieri, e gli altri soprassaglienti, -e molti delle ciurme, il castello della Loiera, e ’l -castello Lione, e il castello Genovese, e Sasseri -e più altre terre che teneano i Genovesi -s’arrenderono a’ Catalani. Avendo senza fatica -fatto l’acquisto delle dette castella, aggiunte -alla loro vittoria, pensarono d’acquistare tutto -il rimanente dell’isola che si possedea per lo -giudice d’Alborea, e con più baldanzosa che provveduta -volontà, o buon ordine, se n’andarono -verso Arestano, non pensando trovarvi resistenza. -Ma il giudice con molta gente d’arme e con -molti Sardi, i quali aveva accolti per difendere -le sue terre, venne loro incontro del mese di settembre, -e abboccatosi con loro, vennono alla -battaglia, e furono sconfitti i Catalani; de’ quali tra -nella battaglia e nella fuga rimasono morti più di -millecinquecento Catalani. E per questa sconfitta, -e per la mala guardia che delle terre nuovamente -acquistate faceano, e per l’aspra signoria ch’usavano -<span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span> -a’ paesani tutte si rubellarono, e ancora -l’altre che prima vi teneano, sicchè tutto perderono, -fuori che castello di Castro detto Caglieri: e -volendole racquistare per forza, feciono maggiore -oste, e un’altra volta s’abboccarono co’ Sardi -e col giudice d’Alborea; e dopo lunga battaglia, -i Catalani ritennono il campo e i Sardi l’abbandonarono, -con pochi più morti di loro che -de’ loro nimici. Onde i Catalani ebbono poco lieta -vittoria, lasciando morti in questa seconda -battaglia cinquecento combattitori, benchè più -ne fossono morti de’ Sardi, e però non racquistarono -alcuna terra: e dopo lunga dimora, del mese -di novembre, avendo perduti assai de’ loro prigioni -genovesi ch’erano accomandati nella Loiera, -si partirono dell’isola, andandosene i Catalani -in Catalogna, e i Veneziani a Vinegia a -salvamento, vinti i Genovesi loro nimici, e abbassata -con piena vittoria la loro superbia. -</p> - -<h3 id="cap81-3">CAP. LXXXI. -<span class="smaller"><i>Come il prefetto venne a oste a Todi.</i></span></h3> - -<p> -In questo tempo, la Chiesa di Roma per racquistare -il Patrimonio occupato dal prefetto da Vico -avea tenuto gente d’arme a Montefiascone -guerreggiando il prefetto; e in questa guerra fra -Moriale di Provenza, grande guerriere e nomato -soldato, con sue masnade avea servito la Chiesa -lungamente, senza potere avere l’intero pagamento -de’ suoi soldi, e però s’accostò col prefetto, -e andò dalla sua parte con quattrocento -<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span> -cavalieri. E vedendosi il prefetto sicuro dalla -forza della Chiesa, avendo in sua compagnia i -Chiaravallesi usciti di Todi, con fra Moriale -e con altre sue genti d’arme di subito e improvviso -se ne venne a Todi, e con lui i Chiaravallesi, -i quali si sentivano tanti parenti e amici nella -città, che si credeano, come fossono con forte braccio -ivi presso, che li vi rimetterebbono dentro -o per ingegno o per forza: ma trovaronsi ingannati, -perocchè i cittadini temendo della tirannia -del prefetto e de’ loro cittadini si misono alla -difesa, e il prefetto e i Chiaravallesi ad assedio. -Ma avendo i Todini aiuto da’ Perugini -e dal comune di Firenze, che catuno vi mandò -gente d’arme, il prefetto perdè la speranza -d’entrare nella terra; e statovi a campo di settembre -e d’ottobre, e dato il guasto intorno alla città, -si partì dall’assedio con suo poco onore. -</p> - -<h3 id="cap82-3">CAP. LXXXII. -<span class="smaller"><i>Come fu presa e lasciata Vicorata.</i></span></h3> - -<p> -Di questo mese di settembre del detto anno, -il conte Guido da Battifolle avendo accolta gente -de’ suoi fedeli e del conte Ruberto, sentendo -che Andrea di Filippozzo de’ Bardi signore del -contado del Pozzo e di Vicorata era in bando -del comune di Firenze per malificio, tenendosi -gravato da lui, improvviso di mezza notte venne -a Vicorata, e con alcuno trattato il dì seguente -entrò in Vicorata, ed ebbe tutto il procinto, -<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span> -e rinchiuso Andrea e alcuni de’ fratelli nella -torre, alla quale accostato il conte suoi dificii -la faceva tagliare. Il comune di Firenze sentendo -i suoi cittadini a quello pericolo, non ostante -che fossono in bando, di presente mandarono -comandando al conte Guido che lasciasse -quell’impresa. Il quale udito il comandamento -de’ priori di Firenze, essendo egli medesimo anco -in bando del detto comune per simile modo, -di presente fu ubbidiente, e non lasciando -alcuna cosa torre o rubare se ne partì, e tornossi -nel suo contado. La clemenza del nostro comune -poco appresso fece l’una parte e l’altra -venire a Firenze, e fatto fare pace tra loro, catuno -per grazia trasse di bando. -</p> - -<h3 id="cap83-3">CAP. LXXXIII. -<span class="smaller"><i>Come il conte di Caserta si rubellò -dal re Luigi.</i></span></h3> - -<p> -Il re Luigi di Gerusalemme e di Sicilia, in questo -anno, il dì della Pentecoste, avea fatta solenne -festa co’ suoi baroni per l’annuale rinnovellamento -di sua coronazione. E in quella festa -ordinò cosa nuova e disusata alla corona, ch’egli -elesse sessanta tra baroni e cavalieri, i quali -giurarono fede e compagnia insieme col detto re, -sotto certo ordine di loro vita, e di loro usaggi e -vestimenti: e fatto il giuramento, si vestirono -d’una cottardita e d’un’assisa e d’un colore tutti -quanti, portando nel petto un nodo di Salomone, e -<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span> -chi ebbe l’animo vano più magnificò la cottardita -e il nodo d’oro e d’argento, e di pietre preziose di -grande costo e di grande apparenza; e fu chiamata -la compagnia del nodo. Il Prenze di Taranto -fratello del re non v’era, ma sopravvenne, e il re gli -aveva fatta fare la cottardita reale, con un nodo -di perle grosse di gran valuta, e mandogliele all’ostello: -il Prenze non la volle vestire, dicendo che -’l nodo del fraternale amore portava nel cuore, e -donolla a suo cavaliere, la qual cosa il re non ebbe -a grado. In questo tempo il duca d’Atene avea -messo grande odio tra il Prenze di Taranto e ’l conte -di Caserta, figliuolo che fu di messer Dego della -Ratta Catalano conte camarlingo: e per questo -amando il re il detto conte, e avendolo trovato -leale e fedele, a instigamento del Prenze convenne -che il re contra sua voglia il sbandeggiasse. -Il conte si ridusse a Caserta, e tenea il Sesto -e Tuliverno, e il Prenze col duca d’Atene -gli andò addosso con cento cavalieri, e in persona -vi venne il re con trecento e con assai popolo, -volendo compiacere al fratello. E un dì -stando il re nel castello di Matalona sopra lo -sporto che chiamavano Gheffo, la sua gente presono -un Unghero soldato del detto conte, e con -tanta maraviglia il condussono al re, ch’ogni gente -gli traeva dietro come s’elli avessono preso il -re degli Unni; e per questa pazzia caricarono sì -sconciamente il Gheffo, che gran parte n’andò a -terra, ove morirono diciassette uomini, e molti -se ne magagnarono. Il re ch’era un poco da parte -apprendendosi col Prenze, come a Dio piacque, -si ritenne in quello rimanente che del Gheffo -<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span> -non cadde; messer Filippo di Taranto traboccò -sopra i caduti e non ebbe male. L’oste stette sopra -il conte più tempo senza avere onore di cosa -che vi si facesse, e straccata se ne partì. Il conte -con sue masnade partita l’oste cominciò a cavalcare -per Terra di Lavoro, e rubare le strade e -rompere i cammini, e conturbò tutto il paese, -cavalcando alcuna volta con trecento cavalieri infino -presso a Napoli senza trovar contasto: e vendicata -sua onta, si ritenne alle terre sue senza fare -più danno o guerra. -</p> - -<h3 id="cap84-3">CAP. LXXXIV. -<span class="smaller"><i>Come il cardinale legato venne a Firenze.</i></span></h3> - -<p> -La Chiesa di Roma veggendo che ’l prefetto da -Vico tirannescamente cresciuto aveva occupato -il Patrimonio, e che novellamente avea acquistato -la città d’Orvieto, il papa con deliberazione -de’ cardinali mandò legato in Toscana messer -Gilio di Spagna cardinale, il quale era stato al -secolo pro’ e valente cavaliere e ammaestrato in -guerra, acciocchè con l’aiuto degl’Italiani racquistasse -le terre di santa Chiesa occupate nel Patrimonio. -E datagli grande legazione il mandò -per terra in Lombardia, ove dall’arcivescovo di -Milano fu ricevuto a grande onore, facendogli fare -per tutto suo distretto le spese con largo apparecchiamento; -ma in Bologna non volle ch’egli entrasse, -e però tenne la via da Pisa, e a dì 2 d’ottobre -del detto anno giunse in Firenze, ove fu ricevuto -con grande onore, e con solenne processione -<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span> -e festa, con un ricco palio di seta e d’oro -sopra capo portato da nobili popolani, e addestrato -al freno e alla sella da gentili cavalieri di -Firenze, sonando tutte le campane delle chiese -e del comune a Dio laudiamo; e condotto per la -città fu albergato in casa gli Alberti, ove fece -suo dimoro: e presentato dal comune confetti, e -cera e biada abbondantemente, e tre pezze di fini -panni scarlatti di grana, e datogli centocinquanta -cavalieri in aiuto alla sua guerra, a dì 11 -d’ottobre si partì, e andò a suo viaggio. E in -questi dì Cetona si rubellò al prefetto, e presela -il conte di Sarteano con aiuto ch’ebbe da’ Fiorentini, -e poi la rassegnò al legato. -</p> - -<h3 id="cap85-3">CAP. LXXXV. -<span class="smaller"><i>Rinnovazione del palio di santa -Reparata.</i></span></h3> - -<p> -In questi dì vacando in pace i Fiorentini, i -priori vollono chiarire perchè la chiesa cattedrale -di Firenze era dinominata santa Reparata, e perchè -per antico costume in cotal dì s’è corso il -palio in Firenze; e trovossi per alcune scritture, -come Radagasio re de’ Goti, e Svezi e Vandali, -avendo assalito l’imperio di Roma, e guaste in -Italia molte città e consumati gli abitanti, s’era -messo ad assedio alla città di Firenze con dugentomila -cavalieri, essendo vescovo di Firenze il -venerabile san Zenobio della casa de’ Girolami -nostro cittadino, il quale avea seco due santi -cappellani; e stando all’assedio, come a Dio -<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span> -piacque, Onorio imperadore di Grecia in Italia -venne al soccorso dell’imperio di Roma, e in sua -compagnia non avea oltre a tremila cavalieri; e -venendo incontro a’ nimici, tanta paura gli occupò, -che raccogliendosi dall’assedio, senza provvisione -si misono ad entrare tra le circustanti montagne, -passando tra Fiesole e Monterinaldi, e -rattennonsi nella valle di Mugnone. Credesi, avvegnachè -Onorio fosse fedele cristiano, che Iddio -facesse questo per le preghiere di san Zenobio e -de’ suoi santi cappellani. I barbari essendo rinchiusi -da aspre montagne, senza acqua e senza -vittuaglia, dalla gente dell’imperadore e da’ fiorentini -paesani che sapeano i passi furono ristretti -per modo che uscire non ne poteano. Il loro re -furandosi dal suo esercito fu in Mugello preso e -morto: e morendo i barbari di fame e di sete, -sentendo morto il loro re, gittate l’armi s’arrenderono, -e per fame e per ferro infine tutti perirono; -e questo avvenne il dì della festa della vergine -benedetta santa Reparata, per la cui reverenza -s’ordinò e fece nuova chiesa cattedrale alla nostra -città intitolata del suo nome. E perocchè i nostri -antichi non erano in troppa magnificenza in que’ -tempi, ordinarono che in cotal dì si corresse un -palio di braccia otto d’uno cardinalesco di lieve -costo a piede tenendosi al duomo, e movendosi i -corridori di fuori della porta di san Piero Gattolino: -e per la rinnovazione di questa memoria -il comune l’ordinò di braccia dodici di scarlatto -fine, e che si corresse a cavallo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span> -</p> - -<h3 id="cap86-3">CAP. LXXXVI. -<span class="smaller"><i>Come i Genovesi si misono in servaggio dell’arcivescovo.</i></span></h3> - -<p> -Nuova e mirabile cosa seguita a raccontare, in -considerazione del gran cambiamento che fortuna -fa degli stati del mondo. La nobile città di -Genova, e i suoi grandi e potenti cittadini, signori -delle nostre marine, e di quelle di Romania, e -del Mare maggiore, uomini sopra gli altri destri -e sperti, e di gran cuore e ardire nelle battaglie -del mare, e per molti tempi pieni di molte vittorie, -e signori al continovo di molto navilio, -usati sempre di recare alla loro città innumerabili -prede delle loro rapine, temuti e ridottati da -tutte le nazioni ch’abitavano le ripe del Mar tirreno -e degli altri mari che rispondono in quello, ed -essendo liberi sopra gli altri popoli e comuni d’Italia, -per la sconfitta nuovamente ricevuta in Sardegna -da’ Veneziani e Catalani, con non disordinato -danno, vennono in tanta discordia e confusione -tra loro nella città, e in tanta misera paura, -che rotti e inviliti come paurose femmine, il loro -superbo ardire mutarono in vilissima codardia, -non parendo loro potere atarsi: eziandio avendo il -comune di Firenze mandato là suoi ambasciadori -a confortarli, e a profferere loro con grande affezione -il suo aiuto, e consiglio e favore largamente a -mantenere e ricoverare loro franchigia e buono -stato, tanto erano con gli animi dissoluti per -quella sconfitta e per loro discordie, che non seppono -<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span> -conoscere rimedio al loro scampo, se non di -sottomettersi al servaggio del potente tiranno -arcivescovo di Milano; e di comune concordia il -feciono loro signore, dandogli liberamente la città -di Genova e di Savona, e tutta la Riviera di -levante e di ponente, e l’altre terre del loro -contado e distretto, salvo Monaco e Metone e -Roccabruna, le quali tenea messer Carlo Grimaldi, -che non le volle dare. E a dì 10 d’ottobre -1353, il conte Pallavicino vicario dell’arcivescovo -con settecento cavalieri e con millecinquecento -masnadieri entrò in Genova, ricevuto come loro -signore; e disposto il doge, e ’l consiglio, e tutti -gli altri reggimenti del comune, prese la signoria -e il governamento delle dette città e de’ loro distretti, -e aperte le strade di Lombardia con sollecitudine, -procacciò abbondanza di vittuaglia a’ -suoi servi, e prestanza al comune per armare alquante -galee in corso, ebbe fornito il prezzo di -cotanto acquisto. -</p> - -<h3 id="cap87-3">CAP. LXXXVII. -<span class="smaller"><i>Come i Pisani feciono confinati.</i></span></h3> - -<p> -I Pisani vedendosi il tirannesco fuoco a’ loro -confini, temettono de’ loro cittadini animosi di -parte ghibellina, che per invidia de’ loro reggenti -avrebbono voluto la signoria dell’arcivescovo -di Milano. E temendo per questo i Gambacorti -e i loro seguaci perdere lo stato, di presente -votarono la città d’ogni sospetto, mandando -a’ confini de’ loro cittadini, e prendendo buona -<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span> -guardia dentro e di fuori, intendendosi co’ Fiorentini -amichevolmente per la comune franchigia. -In questi medesimi dì, avendo il tiranno -preso sdegno contro a’ Fiorentini per gli ambasciadori -ch’aveano mandati a confortare i Genovesi -della loro franchigia, mosse loro lite dicendo, -ch’aveano rotta la pace, perocchè non avevano disfatto -Montegemmoli nell’alpe, avendo egli voluto -assegnare la Sambuca e ’l Sambucone, come diceano -i patti della pace, a Lotto Gambacorti come amico -comune, non ostante che per lui non fosse voluto -ricevere, parendogli avere osservato dalla sua -parte: per la qual cosa s’accozzarono ambasciadori -di catuna parte a Serezzana, e mostrato fu -per ragione che per quella offerta e’ non era scusato, -nè aveva adempiute le convenenze, e però i -Fiorentini non erano in colpa. La cagione che -acquetò l’arcivescovo fu, che non gli parve tempo -utile a muovere guerra a’ Fiorentini, e però -s’acquetò, e consentì alla loro ragione. Poco tempo -appresso nel detto verno l’arcivescovo mise -cinquecento uomini al lavorio, e fece tutto il cammino -per terra da Nizza a Genova, ch’era scropuloso -e pieno di molti stretti e mali passi, appianare -e allargare, tagliando le pietre per forza di picconi, -e facendo fare molti ponti ov’erano i mali -valichi, sicchè gli uomini a cavallo due insieme, -e le some per tutto il cammino potessono andare, -cosa assai utile e notevole se fatto fosse a fine di -bene; ma che che l’arcivescovo e’ suoi s’avessono -nell’animo, a’ Provenzali n’entrò grande gelosia, -e stettonne a Nizza e nell’altre terre in lunga -guardia, e poco lasciavano usare quello cammino, -temendo della potenza del tiranno. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span> -</p> - -<h3 id="cap88-3">CAP. LXXXVIII. -<span class="smaller"><i>Come i Sanesi ruppono i patti a Montepulciano.</i></span></h3> - -<p> -Potendosi catuno dolere con ragione in se della -corrotta fede odiosa a’ popoli, mercatanzia de’ -tiranni, cagione nascosa di gravi pericoli, ci muove -a dire con vergogna, come reggendosi il comune -di Siena sotto il governamento occupato -dall’ordine de’ nove, ruppono la fede promessa -a’ signori di Montepulciano, essendone stati mezzani -i Fiorentini e’ Perugini, e mallevadori alla -richiesta di quello comune. E per giustificarsi della -corrotta fede, aggiunsono una corrotta dannazione, -mettendo il detto messer Niccola senza -colpa in bando per traditore, acciocchè non paressono -tenuti a dargli fiorini seimila d’oro che -promessi gli aveano, quando diede loro la signoria -di Montepulciano. Della qual cosa turbato il comune -di Firenze e quello di Perugia, mandarono -loro ambasciadori a Siena per far loro con preghiere -addirizzare questo torto; e avuto sopra ciò più -volte udienza, e menati lungamente per parole -da’ signori, e straziati da’ loro consigli, insieme -mostrando coll’opere la corruzione conceputa contro -a’ detti comuni per lo detto ordine de’ nove. Agli -ambasciadori di catuno comune fu fatta vergogna, -e gittato loro addosso cavalcando per la città vituperoso -fastidio, e udendosi dire dietro villane -parole: a quelli di Perugia furono gittati de’ sassi, -e minacciati di peggio: e così senza altro comiato, -<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span> -con accrescimento d’onta e di disonore, catuni -ambasciadori tornarono a’ loro comuni; i quali conoscendo -doppiamente essere offesi, per lo migliore -dissimularono il fatto, comportando con senno -la loro ingiuria. E questo avvenne del mese -di febbraio del detto anno. -</p> - -<h3 id="cap89-3">CAP. LXXXIX. -<span class="smaller"><i>Come si cominciò la gran compagnia nella Marca.</i></span></h3> - -<p> -Il friere di san Giovanni fra Moriale, vedendo -che il prefetto da Vico, con cui era stato all’assedio -di Todi, nol potea sostenere a soldo, avendo -l’animo grande alla preda, si propose d’accogliere -gente d’arme d’ogni parte d’Italia, e -fare una compagnia di pedoni con la quale potesse -cavalcare e predare ogni paese e ogni uomo. -E qui cominciò il maladetto principio delle compagnie, -che poi per lungo tempo turbarono Italia, -e la Provenza, e il reame di Francia e molti -altri paesi, come leggendo per li tempi si -potrà trovare. Questo fra Moriale incontanente -co’ suoi messaggi e lettere mosse in Italia gran -parte de’ soldati ch’erano in Toscana, e in Romagna -e nella Marca senza soldo, a cavallo e a -piè, dicendo, che chi venisse a lui sarebbe provveduto -delle spese e di buono soldo; e per questo -ingegno in breve tempo accolse a se millecinquecento -barbute e più di duemila masnadieri, uomini -vaghi d’avere loro vita alle spese altrui. E -avendo messer Malatesta da Rimini assediata -<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span> -per lungo tempo la città di Fermo e condotta agli -ultimi estremi, ed essendo per averla in breve tempo, -fra Moriale, ricordandosi del servigio che da -lui avea ricevuto quando l’assediò nel castello -d’Aversa, avendo movimento da Gentile da Mogliano -che tiranneggiava Fermo, e dal capitano -di Forlì ch’era nimico di messer Malatesta, fidandosi -alle loro promesse e a’ loro stadichi, del -mese di novembre con la sua compagnia entrò -nella Marca, e costrinse messer Malatesta a levarsi -da oste da Fermo, e liberò la città dall’assedio, -e rimasesi nel paese. E per lo nome sparto -di questo primo cominciamento la compagnia -crebbe e fece grandi cose in questo verno, e poi -maggiori, come al suo tempo racconteremo, tornando -prima all’altre cose che domandono la nostra -penna. -</p> - -<h3 id="cap90-3">CAP. XC. -<span class="smaller"><i>Dice de’ leoni nati in Firenze.</i></span></h3> - -<p> -E’ non pare cosa degna di memoria a raccontare -la natività de’ leoni, ma due cagioni ci stringono -a non tacere: l’una si è, perchè antichi -autori raccontano che in Italia non nascono leoni, -l’altra, che dicono che i leoni nascono del ventre -della madre morti, e che poi sono vivificati dal -muggio della madre e del leone fatto sopra loro: -e noi avemo da coloro che più volte gli vidono -nascere, che il loro nascimento è come degli -altri catelli che nascono vivi: all’altra parte è -risposto per lo loro nascimento, più e diverse volte -<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span> -avvenuto nella nostra città, e in questo anno, del -mese di novembre, ne nacquero in Firenze tre, de’ -quali l’uno si donò al duca di Osteric, che per grazia -il domandò al nostro comune; e il leone padre -vedendosi tolto l’uno de’ suoi leoncini se ne diè -tanto dolore, che quattro dì stette che non volle -mangiare, e temettesi che non morisse. E perch’elli -stavano in luogo stretto ove si batte la moneta del -comune, ne furono tratti, e dato loro larghezza -di case, e di cortili, e di condotti nelle case che -il duca d’Atene avea fatte disfare per incastellarsi, -che furono de’ Manieri, dietro al palagio del -capitano e dell’esecutore in su la via da casa i -Magalotti, ove stanno al largo, e bene. -</p> - -<h3 id="cap91-3">CAP. XCI. -<span class="smaller"><i>Come i Romani si dierono alla Chiesa -di Roma.</i></span></h3> - -<p> -Il popolo romano non sappiendosi reggere per -li suoi tribuni e per li rettori, sentendo il cardinale -di Spagna a Montefiascone legato del papa, -valoroso signore nell’arme e di grande autorità, -trattò con lui d’accomandarsi alla Chiesa -di Roma sotto singolare condizione e patto. E -ricevuto in protezione del legato con quello -lieve legame, con lui si convenne, e con furia -lo mosse a far guerra e danneggiare di guasto i -Viterbesi; della qual cosa, cresciuta la forza e -’l numero de’ cavalieri al legato, seguirono poi -maggiori cose, come seguendo nostra materia racconteremo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span> -</p> - -<h3 id="cap92-3">CAP. XCII. -<span class="smaller"><i>Le novità seguite in Pistoia.</i></span></h3> - -<p> -Essendo ordine in Pistoia che balia per li -fatti del comune non si potesse dare a’ suoi cittadini, -nato da sospetto delle loro sette, trovandosi -capitano della guardia per lo comune di Firenze -messer Gherardo de’ Bordoni il quale favoreggiava -i Cancellieri e la loro parte, era in -que’ dì fatto un processo per l’inquisitore de’ -paterini contro a certi cittadini di Pistoia, di -che tutto il comune si gravava; e a riparare a -questo, convenne che balìa si desse a certi cittadini. -L’industria de’ Cancellieri, coll’aiuto del -capitano, fece tanto, che la balìa fu data a certi -uomini tutti della parte de’ Cancellieri, i quali -intesono ad abbattere in comune lo stato de’ Panciatichi, -e di presente aggiunsono al numero -del consiglio del comune, che avea quaranta -uomini, della parte de’ Cancellieri; e intendendo -di fare più innanzi, i Panciatichi per -paura, e per non essere criminati dal capitano -se ne vennono a Firenze: gli altri cittadini vedendosi -ingannati da quelli della balìa corsono -all’arme, e abbarrarono le vie, e catuno s’afforzava -per combattere e per difendere. In questo -tempo de’ romori di Pistoia, messer Ricciardo -Cancellieri fu notificato a Firenze per lo Piovano -de’ Cancellieri suo consorto, ch’egli volea fare al -comune certo tradimento. E chiamato in giudicio -a Firenze l’uno e l’altro, e dato balìa per lo -<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span> -comune al capitano della guardia di Firenze di -potere conoscere sopra la causa, furono messi in -prigione, e trovato che non era colpevole messer -Ricciardo, fu liberato, e ritenuto il Piovano, -e mutato in Pistoia nuovo capitano. Il comune -di Firenze mandò in Pistoia ambasciadori, e con -loro i Panciatichi, e racquetato lo scandalo tra -i cittadini, si riposarono in pace. -</p> - -<h3 id="cap93-3">CAP. XCIII. -<span class="smaller"><i>Come l’arcivescovo richiese di pace -i Veneziani.</i></span></h3> - -<p> -L’arcivescovo di Milano avendo sottomesso -a sua signoria la città di Genova e di Savona, -e tutta la Riviera e il loro contado, i cui abitanti -erano nimici de’ Veneziani, mandò suoi ambasciadori -al doge e al comune di Vinegia, per li -quali significò a quello comune come i Genovesi -erano suoi uomini, e le loro città e contado erano -suo distretto; e tenendosi amico de’ Veneziani, -e sapendo che per addietro i Genovesi erano -stati loro nimici, intendea, quando al doge piacesse -e al comune di Vinegia, che per innanzi fossono -fratelli e amici: e intorno a ciò usarono belle e -suadevoli ragioni. Il doge e il suo consiglio presono -tempo d’avere loro consiglio, e di rispondere -la mattina vegnente: e venuto il giorno, di -gran concordia risposono la mattina dicendo: -che ’l comune di Vinegia si tenea gravato e offeso -dall’arcivescovo, il quale avea preso ad -aiutare i Genovesi loro capitali nemici, e però -<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span> -non intendeano di volere pace e concordia con lui -nè col comune di Genova, ma giusta loro podere -tratterebbono lui e i suoi sudditi come loro nemici. -E conseguendo al fatto, incontanente feciono -accomiatare e bandeggiare di Vinegia, e -di Trevigi, e di tutte le loro terre e distretti -tutti coloro che fossono sotto la giurisdizione dell’arcivescovo -di Milano; e simigliantemente fece -nelle sue terre l’arcivescovo de’ Veneziani: e -così fu manifesta la guerra tra loro, del mese -di novembre del detto anno, per tutta la Lombardia -e Toscana. -</p> - -<h3 id="cap94-3">CAP. XCIV. -<span class="smaller"><i>Come i Veneziani ordinarono lega contro -al Biscione.</i></span></h3> - -<p> -Incontanente che agli altri signori lombardi -fu palese la risposta fatta pe’ Veneziani all’arcivescovo, -il gran Cane di Verona, e’ signori -di Padova, e que’ di Mantova, e il marchese da -Ferrara e i Veneziani, feciono parlamento per -loro solenni ambasciadori, ove si propose di fare -lega insieme, e taglia di gente d’arme contro -all’arcivescovo di Milano, il quale parea loro che -fosse troppo montato; e non fidandosi tutti insieme -di potere resistere alla grande potenza -dell’arcivescovo, s’accordarono di fare passare a -loro stanza l’imperadore in Italia. E dopo più -parlamenti sopra ciò fatti fermarono compagnia -<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span> -e lega tra loro, e taglia di quattromila cavalieri, -e fecionla piuvicare in Lombardia, e con grande -istanza per loro segreti ambasciadori richiesono -e pregarono il comune di Firenze che si -dovesse collegare con loro, prendendo ogni vantaggio -che volesse: ma perocchè il detto comune -era in pace coll’arcivescovo, per alcuna preghiera -o promessa di vantaggio che fatta fosse, -non potè essere recato che la pace volesse contaminare. -I collegati incontanente mandarono ambasciadori -solenni in Alamagna all’imperadore, -per inducerlo a passare in Lombardia contro -all’arcivescovo di Milano, offerendogli tutta la -loro forza, e danari assai in aiuto alle sue spese, -acciocchè meglio potesse tenere la sua cavalleria; -e per tutto fu divulgata la fama, che in quest’anno -l’imperadore passerebbe a istanza della -detta lega. Queste cose furono ferme e mosse del -mese di dicembre del detto anno. E stando gli -allegati in aspetto, non si provvidono di fare la -gente della taglia infino al primo tempo, nè d’avere -capitano; e però lasceremo al presente questa -materia, tanto che ritornerà il suo tempo, -e diremo di quelle che ci occorrono al presente a -raccontare. -</p> - -<h3 id="cap95-3">CAP. XCV. -<span class="smaller"><i>Come il conestabile di Francia fu morto.</i></span></h3> - -<p> -Era messer Carlo, figliuolo che fu di messer Alfonso -di Spagna, accresciuto dall’infanzia in -compagnia del re Giovanni di Francia, ed era -<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span> -divenuto cavaliere di gran cuore e ardire, e valoroso -in fatti d’arme, pieno di virtù e di cortesia, -e adorno del corpo, e di belli costumi, ed -era fatto conestabile di Francia, ed il re gli mostrava -singolare amore, e innanzi agli altri baroni -seguitava il consiglio di costui; e chi volea -mal parlare, criminavano il re di disordinato amore -in questo giovane: e del grande stato di -costui nacque materia di grande invidia, che gli -portavano gli altri maggiori baroni. Avvenne che -il re Giovanni provvidde il re di Navarra suo congiunto -d’una contea in Guascogna, la quale essendo -a’ confini delle terre del re d’Inghilterra, -era in guerra e in grave spesa per la guardia, -più che ’l detto re non avrebbe voluto, e però la -rinunziò, e il re poi la diede al conestabile, -ch’era franco barone e di gran cuore in fatti -d’arme. Il re di Navarra che già avea contro -al conestabile conceputo invidia, mostrò di scoprirla, -prendendo sdegno perch’egli avea accettata -la sua contea, nonostante ch’egli l’avesse -rinunciata. Ed essendo genero del re di Francia, -con più audace baldanza, in persona, con altri baroni -che simigliantemente invidiavano il suo -grande stato, una notte andarono a casa sua, e -trovandolo dormire in sul letto suo l’uccisono -a ghiado; della qual cosa il re di Francia si turbò -di cuore con ismisurato dolore, e più di quattro -dì stette senza lasciarsi parlare. La cosa fu -notabile e abominevole, e molto biasimata -per tutto il reame, e fu materia e cagione di gravi -scandali che ne seguirono, come seguendo -ne’ suoi tempi si potrà trovare. E questo micidio -fu fatto in questo verno del detto anno 1353. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span> -</p> - -<h3 id="cap96-3">CAP. XCVI. -<span class="smaller"><i>Come si cominciò la rocca in Sangimignano, -e la via coperta a Prato.</i></span></h3> - -<p> -In questo medesimo tempo, il comune di Firenze -per volere vivere più sicuro della terra di -Sangimignano, e levare ogni cagione a’ terrazzani -suoi di male pensare, cominciò a far fare, -e senza dimettere il lavorio alle sue spese, e compiè -una grande e nobile rocca e forte, la quale pose -sopra la pieve dov’era la chiesa de’ frati predicatori, -e quella chiesa fece maggiore e più -bella redificare dall’altra parte della terra più -al basso. E in questo medesimo tempo nella terra -di Prato fece fare una larga via coperta, in due -alie di grosso muro d’ogni parte, con una volta -sopra la detta via, e un corridoio sopra la detta -volta, largo e spazioso a difensione; la quale via -muove dal castello di Prato fatto anticamente per -l’imperatore, e viene fino alla porta; ove -si fece crescere e incastellare la torre della -porta a modo d’una rocca; e in catuna parte -tiene il comune continova guardia di suoi castellani. -</p> - -<h3 id="cap97-3">CAP. XCVII. -<span class="smaller"><i>Del male stato dell’isola di Sicilia.</i></span></h3> - -<p> -Assai ne pare cosa più da dolere che da raccontare, -gli assalti, gli aguati, i tradimenti, -<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span> -gl’incendi, le rapine, l’uccisioni senza misericordia, -che in questi tempi i Siciliani faceano -tra loro per invidia e setta parziale, le quali -maladette cose tra gli uomini d’una medesima -patria ebbono tanta forza di male aoperare nell’isola, -ch’abbandonata la cultura de’ fertili campi, i -quali sogliono pascere gli strani popoli, de’ -suoi trasse per fame più di diecimila famiglie -della detta isola, i quali per non morire d’inopia, -si feciono abitatori dell’altrui terre in Sardegna, -e in Calabria, e nel Regno di qua dal faro. -E in questa tempesta, certi baroni dell’isola contrari -alla setta de’ Catalani, che governavano lo -sventurato duca che s’attendea a essere re, sentendolo -egli e i suoi manifestamente, trattavano -di dare la maggiore parte delle buone terre dell’isola -al re Luigi suo avversario, e non ebbe per -lungo tempo podere d’atarsene, tanto che venne -fatto, come nel principio del quarto libro seguendo -si potrà trovare. -</p> - -<h3 id="cap98-3">CAP. XCVIII. -<span class="smaller"><i>Come il legato del papa procedette col -prefetto.</i></span></h3> - -<p> -In questo verno, il cardinale di Spagna legato -del papa avendo tentato il prefetto lentamente -con poco prosperevole guerra, cercò con più riprese -di trovare pace con lui, e fu la cosa tanto -innanzi, che per tutto scorse la fama che la pace -era fatta. Ma il prefetto già tiranno senza fede, -vedendosi il destro, sotto la speranza della -<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span> -pace tolse al legato due castella, e rotto il trattato, -il cominciò a guerreggiare: per la qual cosa -il legato seguitò il processo fatto contro a lui, -e del mese di febbraio del detto anno pronunziò -la sentenza, e per sue lettere il fece scomunicare -come eretico per tutta Italia; e fatto questo, conoscendo -che altra medecina bisognava a riducere -costui alla via diritta, che suono di campane o fummo -di candele, saviamente, e senza dimostrare -sua intenzione innanzi al fatto, si venne provvedendo -d’avere al tempo gente d’arme, da potere -fare l’esecuzione contro a lui del suo processo. E -in questo mezzo, avendo dugento cavalieri del -comune di Firenze e alquanti da se, fece sì continua -guerra al tiranno, che poco potea resistere -o comparire fuori delle mura. E avendo il prefetto -preso sospetto de’ Viterbesi e degli Orvietani, -che si doleano perchè la pace non era venuta a -perfezione, tirannescamente volle tentare l’animo -de’ cittadini di catuna città, e fare cosa da tenerli -in paura. E però segretamente accolse fanti -di fuori a pochi insieme, e miseli in catuna terra -ne’ suoi palagi, e in un medesimo dì fece a certa -gente di cui e’ si confidò levare il romore contro -a se in catuna città, al quale romore alquanti -cittadini in catuna terra presono l’arme, e seguitavano -il grido. Il tiranno con quattrocento -fanti ch’aveva armati e apparecchiati in Viterbo -uscì fuori e corse la terra, uccidendo cui -egli volle, e condannò e cacciò a’ confini tutti coloro -di cui sospettava. E per simigliante modo -fece correre la città d’Orvieto al figliuolo, e uccidere -e condannare e mandare a’ confini cui egli -<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span> -volle. E così gli parve per male ingegno aver -purgate quelle due città d’ogni sospetto, e avere -più ferma la sua signoria, la quale per lo contradio, -non avendo da se potenza nè aspettandola -d’altrui, per questa mala crudeltà ogni dì venne -mancando, come l’opere appresso dimostreranno -manifestamente in fatto. -</p> - -<h3 id="cap99-3">CAP. XCIX. -<span class="smaller"><i>Come si rubellò Verona al Gran Cane -per messer Frignano.</i></span></h3> - -<p> -Chi potrebbe esplicare le seduzioni, gl’inganni -e’ tradimenti che i tiranni posponendo ogni carità, -parentado e onore, pensano, ordinano, e fanno -per ambizione di signoria? Certo tanti sono i modi -quanti i loro pensieri, sicchè ogni penna ne verrebbe -meno e stanca. Tuttavia per quello ch’ora ci -occorre, cosa strana e notevole, ci sforzeremo a dimostrare -l’avviluppata verità di diversi tradimenti -e suoi effetti. Narrato avemo poco dinanzi come la -lega de’ Veneziani con gli altri signori Lombardi -era giurata e ferma contro al signore di Milano, ed -essendo il signore di Mantova de’ più avvisati tiranni -di Lombardia vicino dell’arcivescovo di Milano, -l’arcivescovo con industriose suasioni e con -grandi promesse il mosse a farlo trattare di tradire -messer Gran Cane signore di Verona e di Vicenza -con cui egli era in lega, ed egli per accattare -la benivolenza dell’arcivescovo, dimenticato -il beneficio ricevuto da quelli della Scala, -che l’aveano fatto signore di Mantova, diede opera -<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span> -al fatto, e non senza speranza d’aoperare -per se, se la fortuna conducesse la cosa ov’era -la sua immaginazione. E però conoscendo -egli messer Frignano figliuolo bastardo di messer -Mastino, uomo pro’, e ardito d’arme, e di -grande animo, accetto nel cospetto del fratello -suo signore, e amato dal popolo di Verona e di -Vicenza, vago di signoria, trattò con lui di farlo -signore di Verona con suo consiglio, e colla sua -forza e del signore di Milano. Questo sterpone -tornando alla sua natura, senza fede o fraternale -carità, di presente intese al tradimento del fratello, -e col signore di Mantova ordinarono il modo -ch’egli avesse a tenere, e l’aiuto della gente -ch’egli avrebbe da lui. In questo tempo avvenne -che ’l Gran Cane andò a parlamentare col -marchese di Brandimborgo suo suocero per li fatti -della lega, e il fratello bastardo era cognato -del signore di Castelborgo, ch’era a’ confini del -cammino ove il Gran Cane dovea passare; costui -avvisato da messer Frignano mise un aguato -per uccidere il Gran Cane, ma scoperto -l’aguato, passò senza impedimento. Come messer -Frignano avea ordinato, a Verona tornarono -novelle come il Gran Cane era stato morto; ma -innanzi che la novella venisse, messer Frignano -avea mandati fuori di Verona tutti i cavalieri -soldati, salvo coloro di cui s’era fidato, e che -con lui s’intesero al tradimento. Pubblicata la -novella in Verona come il Gran Cane loro signore -era stato morto, il traditore con gran pianto -fece incontanente, a dì 17 di febbraio del detto -anno, raunare il popolo, e a uno giudice, cui -<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span> -egli avea informato, fece proporre in parlamento -come il loro signore era morto, e che ’l comune -di Verona rimanea in gran pericolo senza -capo, avendo a vicino così possente signore com’era -l’arcivescovo di Milano; e aggiunse, -che a lui parea che messer Frignano prendesse il -loro governamento. Il traditore ch’era presente, -senza attendere ch’altri si levasse a parlamentare, -o ch’altra deliberazione si facesse, si levò -suso, e disse, che così prendeva e accettava la -signoria. E montato a cavallo, colle masnade -che v’erano corse la terra, gridando, muoiano -le gabelle; e fece ardere i libri e gli atti della -corte, e ruppono le prigioni. E di subito il signore -di Mantova vi mandò messer Feltrino, -e messer Federigo, e messer Guglielmo suoi figliuoli, -e messer Ugolino da Gonzaga tutti de’ signori -di Mantova con trecento cavalieri. Il signore -di Ferrara ingannato del tradimento vi mandò -messer Dondaccio con dugento cavalieri; ma -innanzi che tutti v’entrassono, il capitano colla -maggior parte di loro per contramandato si -tornarono indietro scoperto l’inganno. Messer -Frignano ricevuta questa gente d’arme, e accolti -certi cittadini che ’l seguirono, da capo corse la -terra: i cittadini non si mossono, ed egli s’entrò -nel palagio dell’abitazione del signore. Messer -Azzo da Coreggio ch’era in Verona se n’uscì -non con buona fama. Le guardie furono poste alle -porte, e la terra s’acquetò, e messer Frignano ne -fu signore; la quale signoria il signore di Mantova -per ingegno, e quello di Milano per ingegno -e forza si credette catuno avere, come seguendo -appresso diviseremo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span> -</p> - -<h3 id="cap100-3">CAP. C. -<span class="smaller"><i>Come messer Bernabò con duemila barbute -si credette entrare in Verona.</i></span></h3> - -<p> -Il signore di Mantova avendo in Verona quattro -tra figliuoli e congiunti con trecento cavalieri, -procacciava di mettervene anche per esservi più -forte che messer Frignano, a intenzione di tradire -lui, e di recare a se la signoria, ma non gli -potè venire fatto, perocchè sentì che l’arcivescovo -di Milano, che vegghiava a questo effetto, -mandava messer Bernabò cognato del Gran -Cane a Verona con duemila cavalieri, temette -di se, e non ebbe ardire di sfornire Mantova di -cavalieri; e così per la non pensata perdè quello -che avea lungamente provveduto. La novella -del gran soccorso che venia da Milano, e dell’apparecchiamento -di quello di Mantova sentito -a Verona, generò sospetto a messer Frignano e -a’ cittadini della città, e però presono l’arme, -e rafforzarono le guardie, e stettono in più guardia; -onde i signori che v’erano di Mantova non -vidono modo di fornire loro corrotta intenzione, -e però si stettono, mostrandosi fedeli a messer -Frignano e alla guardia della città. In questo -stante messer Bernabò con duemila barbute e -gran popolo giunse a Verona, mostrando di volere -ricoverare la signoria di Verona al cognato, -credendo con questo trarre a se l’animo de’ -cittadini, e credendo che quelli ch’aveano -mossa questa novità a stanza dell’arcivescovo -<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span> -l’atassono entrare nella terra, e però si strinse -infino alle porte, e domandava l’entrata, la -quale gli fu negata; e non vedendo che dentro -alcuno gli rispondesse, cominciò a combatterla; -ma vedendo il suo assalto tornare invano, e sentendo -la tornata di messer Gran Cane d’Alamagna, -si partì del paese, e tornossi a Milano mal -contento de’ signori di Mantova, ed eglino peggio -contenti dell’arcivescovo, ch’aveva sconcio il -loro tranello per quella cavalcata, come poco appresso -dimostrarono in opera catuna parte, secondo -che seguendo dimostreremo. -</p> - -<h3 id="cap101-3">CAP. CI. -<span class="smaller"><i>Come messer Gran Cane racquistò Verona, -e fu morto messer Frignano.</i></span></h3> - -<p> -Quando messer Gran Cane cavalcava al marchese -di Brandimborgo avea con seco il fratello, -e sospicando di novità quando sentì l’aguato -del signore di Castelborgo rimandò il fratello addietro, -il quale venendo nel paese, sentì come -messer Frignano avea rubellata Verona, e però -se n’andò in Vicenza. La novella corse a messer -Gran Cane, e vennegli essendo egli col marchese; -e turbato l’uno e l’altro, il marchese francamente -il confortò, offerendoli tutta la sua possa -a racquistare Verona: ma perchè l’indugio a -cotali cose conobbe pericoloso, di presente il fece -montare a cavallo, apparecchiandoli di subito -cento barbute delle sue, e colla gente ch’egli aveva -da se, senza soggiorno, cavalcando il dì e -<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span> -la notte, se ne venne a Vicenza, e là trovò il fratello, -e trovovvi messer Manno Donati di Firenze -capitano di dugento cavalieri, che il signore -di Padova avea mandati in suo aiuto, e trovovvi -della gente del marchese di Ferrara; e sommosso -il popolo di Vicenza a cotanto suo bisogno, -gran parte ne menò con seco; e la notte medesima, -con seicento barbute e col popolo di Vicenza -se ne venne a Verona, e in sul mattino -lasciò la strada, e attraversando pe’ campi entrò -in Campo marzio, che è fuori della città ivi -presso, murato intorno, e risponde a una piccola -porta della città, la quale meno ch’altra porta -si solea guardare. Quivi s’affermò messer -Gran Cane, e mandò innanzi un Giovanni dell’Ischia -di Firenze la notte, che procacciasse d’entrare -in Verona, e facesse sentire a’ confidenti -cittadini di messer Gran Cane com’egli era di -fuori in Campo marzio, e accompagnollo d’uno -confidente Tedesco. Costoro, non avendo altra -via, si misono a notare co’ cavalli per l’Adice -per venire infra la città ove mancava il muro, e -in questo notare, il Tedesco poco destro del servigio -dell’acqua vi rimase affogato. Giovanni -dell’Ischia entrò nella terra, e andò informando -e sommovendo gli amici di messer Gran Cane, -avvisando come avessono a venire a quella porta -in suo favore; i quali sentendo ivi fuori il loro -signore, la mattina vennono con le scuri alla -porta, e spezzaronla. Nondimeno le guardie ch’erano -sopr’essa con le pietre e con le balestra -da alto francamente la difendevano, sicchè non -vi lasciarono entrare alcuno. Intanto il traditore -<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span> -messer Frignano essendo in sollecita guardia -del fratello, e ancora di messer Bernabò, che il -dì dinanzi l’avea assalito co’ suoi cavalieri, cavalcava -intorno alla terra, e la mattina era montato -in certa parte onde potea vedere di fuori, e -guardava se messer Gran Cane venisse, che già -non sapeva che fosse così dipresso, e guardando -inverso Campo marzio, vide la porta piccola di Verona -aperta, e dicendo, noi siamo traditi, francamente -trasse con la gente sua inverso quella -porta per difendere l’entrata; ma innanzi che vi -giugnesse, il Gran Cane s’era tratto innanzi alla -porta, e trattasi la barbuta, e fattosi conoscere -a coloro che la guardavano, dicendo, io vedrò chi -saranno coloro che mi contradiranno l’entrata della -mia terra, e conosciuto da loro, incontanente -gli feciono reverenza, e lasciarono entrare lui e -la sua gente senza contasto. E sopravvenendo -messer Frignano, il trovò entrato nella città con -la maggior parte della gente, e avvisatolo, che -bene il conosceva, nella piazza dentro dalla porta, -si dirizzò verso lui colla lancia per fedirlo -di posta, e tentare l’ultima fortuna: ma già era -cominciato l’assalto tra i cavalieri di catuna -parte aspro e forte, sicchè vedendo un cavaliere -di quelli di messer Gran Cane mosso messer Frignano -colla lancia abbassata verso il suo signore, -gli si addirizzò per traverso, e colla lancia il -percosse nella guancia dell’elmo per tale forza, -come fortuna volle, che l’abbattè del cavallo a -terra. Messer Giovanni chiamato Mezza Scala, -vedendo messer Frignano abbattuto del destriere, -scese del suo cavallo, e disse, che che s’avvegna -<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span> -di Verona tu morrai delle mie mani, e corsegli -addosso, e con un coltello gli segò le vene, e lasciollo -morto a terra. Ed in quello baratto fu -morto con lui messer Paolo della Mirandola, e -messer Bonsignore d’Ibra grandi conestabili. E -morti costoro, l’altra gente ruppe, e assai ve ne -furono morti fuggendo. Le porti della città erano -serrate, e i cittadini sentendo il loro signore dentro -tutti tennero con lui, e però i forestieri che -v’erano furono presi e rassegnati a messer Gran -Cane, il quale per la sua sollecita tornata felicemente -racquistò Verona e uccise i traditori. -Che se al fatto avesse messo indugio, non la racquistava -in lungo tempo, o per avventura non -mai, sì si venia provvedendo alla difesa lo sterpone. -E questo avvenne il dì di carnasciale, a dì -25 di febbraio l’anno 1353. -</p> - -<h3 id="cap102-3">CAP. CII. -<span class="smaller"><i>Come messer Gran Cane riformò la città di -Verona, e fece giustizia de’ traditori.</i></span></h3> - -<p> -Messer Gran Cane avendo racquistata Verona -avventurosamente si fece appresentare i prigioni, -e diligentemente volle investigare la verità, come -i cittadini aveano acconsentito al traditore, e -udita la sagacità dell’inganno, comportò dolcemente -l’errore del popolo. E raddirizzato l’ordine -al governamento della città, fece impiccare in sù -la piazza di mezzo il mercato di Verona il corpo -di messer Frignano, e ventiquattro caporali partefici -al tradimento del fratello, tra’ quali fu Giovannino -<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span> -Canovaro di Verona grande cittadino -con quattro suoi figliuoli, e Alboino della Scala suo -consorto, e messer Alberto di Monfalcone grande -conestabile, e Giannotto fratello di madre di messer -Frignano, e due figliuoli di Tebaldo da Camino, -e due medici de’ signori della Scala, e il -notaio della condotta, e altri uficiali infino al -numero sopraddetto. A prigione ritenne messer -Feltrino da Mantova, e messer Ugolino e messer -Guglielmo suoi figliuoli, e messer Federigo -suo fratello, e Piero Ervai di Firenze, il quale -era fatto podestà di Verona per messer Frignano, -il quale si ricomperò per non essere impiccato -fiorini diecimila d’oro. Guidetto Guidetti -si ricomperò per simile cagione fiorini dodicimila -d’oro. Messer Giovanni da Sommariva e Tebaldo -da Camino vi rimasono prigioni, e a’ cavalieri -soldati tolse l’armi e’ cavalli, e feceli -giurare di non essere mai contro a lui, e lasciolli -andare. A coloro che più singolarmente l’aiutarono -in questo fatto, come fu messer Manno -Donati, e que’ dell’Ischia, e quelli di Boccuccio -de’ Bueri tutti cittadini di Firenze, ch’adoperarono -gran cose in sul fatto, provvide di possessioni -de’ traditori, e molti altri ebbono grazia -da lui cittadini e forestieri. E rimaso libero signore -come di prima, aontato contro al signore -di Mantova, avuta gente d’arme dal marchese di -Brandimborgo cavalcò sul Mantovano, e ruppe -la lega, e dissimulava trattato d’allegarsi con -l’arcivescovo di Milano, insino che le cose si ridussono -a concordia per sollecita operazione de’ -Veneziani, come al suo tempo innanzi racconteremo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span> -</p> - -<h3 id="cap103-3">CAP. CIII. -<span class="smaller"><i>Come fu deliberato per la Chiesa l’avvenimento -dell’imperadore -in Italia.</i></span></h3> - -<p> -Avendo l’eletto imperadore prima veduto -come i comuni di Toscana l’aveano richiesto per -farlo valicare in Italia, e da loro non s’era rotto, -e appresso era richiesto dalla lega de’ Lombardi, -e con loro tenea benevoglienza e trattato, e ancora -l’arcivescovo avea appo lui continovi ambasciadori -che gli offeriano il loro aiuto alla sua coronazione, -per le quali cose considerò che agevolmente -e senza resistenza e’ potea valicare per la corona. -E però sostenendo catuna parte in speranza e -in amore, mandò a corte di Roma ad Avignone -per avere licenza e la benedizione papale, e i -legati e ’l sussidio promesso dalla Chiesa per la -sua coronazione. Gli ambasciadori furono graziosamente -ricevuti dal papa, e udita la domanda -dell’eletto debita e giusta, tenuti sopra ciò alquanti -consigli e consistori, del mese di febbraio -del detto anno, fu deliberato per lo papa -e per li cardinali ch’egli avesse la licenza, e la -benedizione, e i legati per la sua coronazione; -altro sussidio non gli promisono. E partiti gli -ambasciadori da corte, tra i cardinali ebbe divisione -e tire di coloro ch’avessono la legazione -per venire con lui, e per le dette tire, e perchè -l’avvenimento non parea presto, si rimase la -commessione de’ legati infino al tempo dell’avvenimento -<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span> -suo; onde si raffreddarono i procacciatori, -non sentendolo ricco da trarre da lui -quello che la loro avarizia prima si pensava. -</p> - -<h3 id="cap104-3">CAP. CIV. -<span class="smaller"><i>D’un gran fuoco ch’apparve nell’aria.</i></span></h3> - -<p> -Il primo dì di marzo, alle sei ore della notte, -si mosse uno sformato fuoco nell’aria, il quale -corse per gherbino in verso greco, come aveva -fatto l’altro che prima era venuto col tremuoto, -ma di lume e d’infiammagione non fu molto minore. -A questo seguitò grande secco, perocchè -infino al giugno non caddono acque che podere -avessono di bagnare la terra, per la qual cosa il -grano e le biade cresciute il verno e parte della -primavera, e in buona speranza di ricolta, a tanto -erano condotte per lo secco, che se non fosse -la manifesta grazia che Madonna fece alla -processione dell’antica tavola della sua effigie di -santa Maria in Pineta, come al suo tempo si -diviserà, erano i popoli di Toscana fuori di speranza -di ricogliere grano, o biada o altri frutti -in quest’anno per nutricamento di quattro -mesi; e però non ci pare da lasciare in silenzio il -caso di questo segno, per ammaestramento de’ -tempi avvenire. Seguitò ancora l’avvenimento -dell’imperadore in quest’anno in Italia e la -sua coronazione, e avvenimento di grandi terremuoti, -come appresso racconteremo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span> -</p> - -<h3 id="cap105-3">CAP. CV. -<span class="smaller"><i>Di tremuoti che furono.</i></span></h3> - -<p> -In questo medesimo dì primo di marzo furono -in Romania grandissimi terremuoti, e nella nobile -città di Costantinopoli abbatterono molti grandi -e nobili edificii e gran parte delle mura della -città, con grande uccisione d’uomini, e di femmine, -e di fanciulli. E da Boccadone infino a -Costantinopoli, su per la marina, non rimase -castello nè città che non avesse grandissime -rovine delle mura e degli edificii con grande -mortalità de’ suoi abitanti; per la qual cosa avvenne, -che i Turchi loro vicini sentendo i Greci -spaventati, e senza potersi racchiudere e salvare -nelle fortezze, corsono sopra loro, e presonne assai, -e menaronli in servaggio: e alcuni castelli -rifeciono e afforzarono, e misonvi abitatori e -guardie di loro Turchi; e appresso accolsono grande -esercito di loro gente, e puosonvi assedio per -terra a Costantinopoli, ch’era in divisione e in -tremore, ma contro a’ Turchi s’unirono alla difesa; -sicchè stativi alcuno tempo senza potere acquistare -la città, corsono le ville, e rubarono le -contrade, e senza avere resistenza fuori delle mura -si tornarono in loro paese. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span> -</p> - -<h3 id="cap106-3">CAP. CVI. -<span class="smaller"><i>De’ fatti del monte.</i></span></h3> - -<p> -La fede utile sopra l’altre cose, e gran sussidio -a’ bisogni della repubblica, ci dà materia -di non lasciare in oblivione quello che seguita. -Il nostro comune, per guerra ch’ebbe co’ Pisani -per lo fatto di Lucca, si trovò avere accattati da’ -suoi cittadini più di seicento migliaia di fiorini -d’oro; e non avendo d’onde renderli, purgò il debito, -e tornollo a cinquecentoquattro migliaia di -fiorini d’oro e centinaia, e fecene un monte, facendo -in quattro libri, catuno quartiere per se, scrivere -i creditori per alfabeto, e ordinò con certe -leggi penali, alla camera del papa obbligate, chi -per modo diretto o indiretto venisse contro a -privilegio e immunità ch’avessono i danari del -monte. E ordinò che in perpetuo ogni mese, catuno -creditore dovesse avere e avesse per dono -d’anno e interesso uno danaio per lira, e che i -danari del monte ad alcuno non si potessono -torre per alcuna cagione, o malificio, o bando, o -condannagione che alcuno avesse; e che i detti -danari non potessono essere staggiti per alcuno -debito, nè per alcune dote, nè fare di quelli alcuna -esecuzione, e che lecito fosse a catuno poterli -vendere e trasmutare, e così a catuno in -cui si trovassono trasmutati, que’ privilegi, e quell’immunità, -e quello dono avesse il successore -che ’l principale. E cominciato questo gli anni -di Cristo 1345, sopravvenendo al comune molte -<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span> -gravi fortune e smisurati bisogni, mai questa -fede non maculò, onde avvenne che sempre -a’ suoi bisogni per la fede servata trovava prestanza -da’ suoi cittadini senza alcuno rammaricamento: -e molto ci si avanzava sopra il monte, -accattandone contanti cento, e facendone finire -al monte altri cento, a certo termine n’assegnava -dugento sopra le gabelle del comune, sicchè i -cittadini il meno guadagnavano col comune a ragione -di quindici per centinaio l’anno. Essendo i libri -e le ragioni mal guidate per i notai che non gli -sapeano correggere, e avevanvi commessi molti -errori e falsi dati, si ridussono in mano di scrivani -uomini mercatanti che gli correggessono, -e corressono molto chiaramente a salvezza del -comune e de’ creditori, avendo al continovo uno -notaio che facea carta delle trasmutagioni per -licenza del vero creditore, e poi gli scrivani gli -acconciavano in su’ registri del comune, levando -dall’uno e ponendo all’altro. Di questi contratti -de’ comperatori si feciono in Firenze l’anno -1353 e 1354 molte questioni, se la compera era -lecita senza tenimento di restituzione o nò, eziandio -che il comperatore il facesse a fine d’avere -l’utile che il comune avea ordinato a’ creditori, -e comperando i fiorini cento prestati al -comune per lo primo creditore venticinque fiorini -d’oro, e più e meno com’era il corso loro, l’opinione -de’ teologi e de’ legisti in molte disputazioni -furono varie, che l’uno tenea che fusse illecito -e tenuto alla restituzione, e l’altro nò, e -i religiosi ne predicavano diversamente: que’ -dell’ordine di san Domenico diceano che non si -<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span> -potea fare lecitamente, e con loro s’accostavano -de’ romitani, e i minori predicavano che si -potea fare, e per questo la gente ne stava intenebrata. -Era in questi tempi in Firenze copia di -maestri in teologia, fra i quali de’ più eccellenti -era maestro Piero degli Strozzi de’ frati predicatori, -e maestro Francesco da Empoli de’ minori; -maestro Piero dicea che non era lecito contratto, -e predicavalo senza dimostrarne le ragioni -chiare; perchè maestro Francesco de’ minori avendo -sopra ciò con grande diligenza avute molte -disputazioni con altri maestri in divinità, e con -dottori di legge e di decretali, al tutto chiarì, -e tenne, e predicò, e scrisse ch’era lecito, e senza -tenimento di restituzione a chi il facea, senza fare -contro a sua coscienza; e le ragioni perchè -scrisse e mandò a tutte le regole, apparecchiato -a mantenere quello che predicato e scritto avea. -Nondimeno i predicatori e’ loro maestri non si -rimossono della loro opinione, predicando che -non si potea fare lecitamente e senza restituzione; -e della loro opinione non mostrarono ragione, -e contro alle scritte per maestro Francesco -non contradissono con alcuna ragione; e per -questo a molti rimase in dubbio il detto contratto, -e molti l’ebbono per chiaro accostandosi alle -ragioni del maestro Francesco, e senza riprensione -di loro coscienza vendevano e comperavano, -facendone traffico come d’un’altra mercatanzia. -Se ’l contratto si potea provare usurario, -debito era a chi ’l predicava di riprovare quello -che si provava in contrario, per trarre la gente -d’errore; se lecitamente fare si poteva, considerato -<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span> -che gli uomini sono cupidi a guadagnare, -male era a recare loro in sospetto, e contaminare -le coscienze di quello che lecito era per non -discrete predicazioni. -</p> - -<h3 id="cap106a-3">CAP. CVI. -<span class="smaller"><i>Di certe rivolture di tiranni di Lombardia, -e di più cose per lo tradimento -di Verona</i></span></h3> - -<p> -Detto abbiamo poco addietro come il Gran -Cane della Scala si tenea aver perduta Verona -per operazione del signore di Mantova, ed era -contro a lui forte inanimato per lo fallo ch’egli -avea fatto; essendo con lui nella lega s’era -rotto dalla lega degli altri, e trattava d’allegarsi -coll’arcivescovo di Milano e col marchese di -Brandimborgo per far guerra coll’arcivescovo -insieme contro a Mantova, e l’arcivescovo molto -vi venia volentieri, e furono le cose tanto innanzi, -che per tutto corse la voce ch’ell’era fatta. -Il comune di Vinegia conoscendo che questa -discordia poteva tornare a grande pericolo del -loro comune e degli altri loro collegati lombardi, -mandarono di loro assentimento al Gran -Cane solenni ambasciadori, per rivocarlo alla -lega e compagnia ch’aveano insieme, e far -fare al signore di Mantova l’ammenda del suo fallo; -e seguendo gli ambasciadori solennemente -quello che fu loro commesso, operarono tanto, -che ’l signore di Mantova fece l’ammenda come -messer Gran Cane volle, e per la stima del -<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span> -danno ricevuto diede trentamila fiorini d’oro a -messer Gran Cane, i quali promise, e pagò poi -per lui il comune di Vinegia, e il signore di -Mantova ne diè loro in guardia tre buone castella: -e per questo modo fu fatta la pace, e lasciati -di prigione que’ di Mantova, e messer Gran Cane -tornò alla lega com’era in prima. Essendo raffermata -la lega, ne’ porti di Mantova si trovò in -un dì molta mercatanzia di Milanesi e d’altri -distrettuali dell’arcivescovo, e perocchè a stanza -dell’arcivescovo il signore di Mantova s’era -mosso a far quello onde gli era convenuto fare -ammenda di fiorini trentamila d’oro, di fatto fece -arrestare tutto, e ripresesi sopra i Milanesi e distrettuali -dell’arcivescovo di più che non restituì -al signore di Verona, la qual cosa l’arcivescovo -e’ suoi si recarono a grande onta. -</p> - -<h3 id="cap107-3">CAP. CVII. -<span class="smaller"><i>Del processo della grande compagnia di fra -Moriale della Marca.</i></span></h3> - -<p> -Tornando alla nuova tempesta di fra Moriale -e di sua compagnia, rimasi nella Marca dopo la -partita di messer Malatesta dall’assedio di Fermo, -cominciarono a cavalcare il paese e fare in ogni -parte preda, e vinsono per forza Mondelfoglio, e -le Fratte, e san Vito, e sei altre castelletta nel paese, -e scorsono a Iesi, e rubarono i borghi e predarono -il paese. Appresso combatterono Feltrino -e vinsonlo per forza, e uccisonvi da cinquant’uomini, -e perch’era pieno d’ogni bene da vivere -<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span> -vi dimorarono un mese. E in fra questo tempo ebbono -Monte di Fano, e Monte di Fiore, e più altre -castella d’intorno per paura feciono i loro comandamenti. -Per la fama delle grandi prede che faceva la -compagnia, molti soldati ch’aveano compiute le -loro ferme, senza volere più soldo traevano a fra -Moriale, e assai in prova si facevano cassare per -essere con lui, ed egli li faceva scrivere, e con -ordine dava a catuno certa parte al bottino, e tutte -le ruberie e prede ch’erano venali facea vendere, -e sicurava i comperatori, e facevali scorgere -lealmente, per dare corso alla sua mercatanzia. -E ordinò camarlingo che ricevea e pagava, e -fece consiglieri e segretari con cui guidava tutto; -e da tutti i cavalieri e masnadieri era ubbidito -come fosse loro signore, e mantenea ragione tra -loro, la quale faceva spedire sommariamente. E -così ordinati cavalcarono, e mutavano paese, e vennono -a Montelupone, il quale per paura s’arrendè -loro, e stettonvi venti dì; e raunata ivi la preda fatta -nel paese e la sostanza del castello, ogni cosa ne -trassono senza far male agli uomini, e cavalcarono -alla marina e presono Umana, e combatterono -Orivolo, e non l’ebbono, e da Umana andarono -sopra Ancona, e presono la Falconara a patti -salve le persone. E in que’ dì ebbono otto castella -che s’arrenderono loro in sull’Anconitano, fuggendo -le persone, e lasciando le terre e la roba -alla compagnia. Appresso tornarono sopra Iesi, e -per forza ebbono Alberello ed un altro castello, -e tutto recarono in preda, e poi andarono a -Castelficardo pieno di molta vittuaglia, e quello -combattendo vinsono per forza. E del mese di -<span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span> -marzo presono il castello delle Staffole pieno di -molto vino, ed il Massaccio e la Penna. E per -tutto quel paese il residuo del verno sparsono la -loro irreparabile tempesta, rubando e uccidendo, -e facendo ogni sconcio male a’ paesani, e singolarmente -più a’ sudditi di messer Malatesta, avendo -delle sue terre quarantaquattro castella in loro -servaggio, e avendo stadico un figliuolo del capitano -di Forlì, e Gentile da Mogliano, per li soldi -che promessi aveano alla detta compagnia. -</p> - -<h3 id="cap108-3">CAP. CVIII. -<span class="smaller"><i>Come il legato prese Toscanella.</i></span></h3> - -<p> -In quest’anno del mese di marzo, il cardinale -di Spagna legato del papa facendo guerra col -prefetto di Vico, per trattato gli tolse Toscanella, -e questo fu il primo acquisto che il legato facesse -contro a lui: dappoi seguitarono le cose a maggiori -fatti, come seguendo nostra materia diviseremo. -In questi dì, il marchese di Ferrara parendogli -essere debole nella nuova signoria, perchè -Francesco marchese, il quale si tenea dovere di -ragione essere signore, gli s’era rubellato, o che -trovasse alcuno trattato nella città contro a se, o -ch’egli il contraffacesse, a che si diè più fede, -cacciò di Ferrara de’ suoi fratelli e alquanti de’ -maggiori cittadini, confinandoli fuori del suo distretto, -e cominciò a stare più fornito di gente -forestiera, e in maggiore guardia. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_148">[148]</span> -</p> - -<h3 id="cap109-3">CAP. CIX. -<span class="smaller"><i>Come messer Malatesta si ricomperò dalla -compagnia.</i></span></h3> - -<p> -Essendo la compagnia di fra Moriale cresciuta -di cavalieri e di masnadieri, e nutricata il verno -sopra le terre che distruggea, messer Malatesta -da Rimini, avvisato e provveduto in fatti di -guerra, considerando la gente della compagnia, e -la loro troppa sicurtà presa per non avere avversario, -e il luogo dov’erano e il loro reggimento, -pensò, che dove i comuni di Toscana lo volessono -atare, ch’egli vincerebbe la detta compagnia; e -non parendogli materia da commettere ad ambasciadori, -in persona venne a Perugia, e poi a Siena, -e appresso a Firenze, e mostrò a ciascun comune -il pericolo che potea loro venire di quella -compagnia se contra loro non si riparasse, e -domandava a catuno comune aiuto di gente -d’arme, e dove dato gli fosse, con ottocento barbute -di buona gente ch’egli avea da se, e col -suo popolo e col vantaggio ch’avea intorno a loro -delle sue terre, promettea di rompere e di sbarattare -la compagnia in breve tempo; e questo -dimostrava per vere e manifeste ragioni; ma catuno -comune avendo la tempesta da lungi se ne -curava poco. I Perugini che furono prima richiesti, -dissono, che in ciò seguiterebbono la volontà -de’ Fiorentini, e in questo modo risposono anco -i Sanesi. E venuto messer Malatesta colle lettere -de’ detti comuni a Firenze, i Fiorentini udita -<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span> -la sua domanda gli diedono dugento cavalieri, -i quali menò con seco fino a Perugia. I Perugini -e’ Sanesi non vollono attenere la loro promessa, e -però i cavalieri de’ Fiorentini si tornarono addietro. -Messer Malatesta vedendosi abbandonato dall’aiuto -de’ comuni di Toscana, e che tempo era -che la compagnia potea procacciare altrove, trattò -con loro, e venne a concordia di dare fiorini -quarantamila d’oro alla compagnia, parte contanti, -e degli altri li sicurò, dando loro per istadico -il figliuolo, e si partirono del suo distretto, -e promisono di non tornarvi infra certo tempo. E -fatto l’accordo, e partita la compagnia, messer Malatesta -cassò quasi tutti i suoi soldati, i quali di presente -s’aggiunsono alla compagnia; la quale essendo -molto cresciuta di baroni, e di conti e di conestabili, -si cominciò a chiamare la gran compagnia, -e tribolando la Marca, e la Romagna, e il Ducato, -innanzi che di là si partissono rifermarono la -loro compagnia per certo tempo, e tutti la giurarono -nelle mani di messer fra Moriale. E benchè -fra loro fossono grandi baroni alamanni, -tutti vollono che il titolo della compagnia, e la -capitaneria fosse in messer fra Moriale, ma dieronli -quattro segretari de’ cavalieri, che l’uno fu il conte -di Lando, e un barone di gran seguito ch’avea -nome Fenzo di... e il conte Broccardo di.... -e messer Amerigo del Canaletto; e de’ masnadieri -quattro conestabili italiani. In costoro -era la deliberazione dell’imprese e il segreto -consiglio, e feciono altri quaranta consiglieri, e -un tesoriere a cui venia tutta l’entrata delle loro -prede, e questi pagava e prestava a’ comandamenti -<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span> -del capitano. Dato l’ordine, il capitano era ubbidito -da tutti come fosse l’imperadore, e facea -la notte cavalcare di lungi dal campo venticinque -o trenta miglia ov’egli comandava, e il dì tornavano -con grandi prede, e ogni cosa fedelmente -rassegnavano al bottino. E perocchè quasi quanti -conestabili avea in Italia al soldo de’ signori -e de’ comuni aveano parte di loro masnade nella -compagnia, erano sì baldanzosi, che di niuna -gente di soldo temeano, e però tutti i comuni -minacciavano se non dessono loro denari di venire -sopra loro. E mandarono ambasciadori nel -Regno, ed ebbono promissione dal re Luigi di -quarantamila fiorini d’oro, i quali non mandò loro, -di che cari gli feciono poi costare. Ebbono -dal capitano di Forlì e da Gentile da Mogliano -trentamila fiorini d’oro, e da messer Malatesta -quarantamila. Ed essendo richiesti dall’arcivescovo -di Milano di volerli conducere a suo -soldo contro alla lega, e da quelli della lega contro -all’arcivescovo, catuno teneano in speranza -e con niuno si fermavano, e anche teneano trattato -col prefetto di Vico contro al legato, e però -non si potea sapere che dovessono fare, e molto -manteneano bene loro credenza. E in fine del mese -di maggio 1354 se ne vennono a Fuligno, e -dal vescovo ebbono mercato d’ogni vittuaglia -abbondevolmente. Lasceremo ora la gran compagnia -che n’è assai detto, e non senza debita scusa, -per la grande e pericolosa novità che ne seguì -in Italia, e diremo dell’altre cose che prima -ci occorrono a raccontare. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span> -</p> - -<h3 id="cap110-3">CAP. CX. -<span class="smaller"><i>D’un fanciullo mostruoso nato in Firenze.</i></span></h3> - -<p> -In questo verno del detto anno nacque in Firenze -nel popolo di san Piero Maggiore un fanciullo -maschio figliuolo d’uno de’ maggiori popolari di -quello popolo, ch’avea tutte le membra umane -dal collo a’ piedi, e il viso suo non avea effigie umana; -la faccia era tutta piana senza bocca, e avea -un foro per lo quale messo lo zezzolo della -poppa traeva il latte, e poppava, e nella superficie -della testa al diritto, sopra dove doveano essere -gli occhi avea due fori: e’ vivette più giorni, -e fu battezzato, e seppellito in san Piero Maggiore. -E poco appresso una gentile donna moglie -d’un cavaliere avendo fatto un fanciullo un -mese dinanzi, partorì un’altra materia di carne -a modo d’un cuore di bue, di peso di libbre -quindici, con alcuni dimostramenti ma non -chiari d’effigie umana, senza distinzione di membri, -e come questo ebbe partorito, incontanente -morì la donna. -</p> - -<h3 id="cap111-3">CAP. CXI. -<span class="smaller"><i>Come furono cacciati i guelfi di Rieti -e da Spoleto.</i></span></h3> - -<p> -De mese d’aprile, del detto anno 1354, i guelfi -di Rieti avendo il governamento della città, e -podestà e capitano dal re Luigi, montati in superbia -<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span> -per animo di parte oltraggiavano i ghibellini -di quella terra, e tanto montarono gli oltraggi, -ch’e’ guelfi mossono romore per cacciare i -ghibellini, e catuna parte fu sotto l’arme, e di -cheto senza fare altra novità s’acquetarono a -quella volta; e nondimeno catuna parte rimase in -gran sospetto e riguardo l’uno con l’altro, e in -questo modo erano stati lungamente. Avvenne -che i guelfi, avendo a loro stanza gli uficiali della -terra, con ordine fatto, una domenica mattina -a dì 20 d’aprile subito presono l’arme e -corsono alla piazza, gridando: muoiano i ghibellini. -I cittadini di quella parte temendo del subito -e non pensato romore, francamente s’armarono -e corsono alla piazza per difendersi, e quivi cominciò -aspra e crudele battaglia, e senza alcuno -riguardo uccideva e fediva l’uno l’altro, e durò -assai, che niuno perdeva di suo terreno; in fine -ghibellini disperati di loro salute ruppono una -barra incatenata che gli dividea da’ guelfi, e -con grande empito d’amaro cuore assalirono i -guelfi per sì fatto modo, che gli ruppono, e senza -ritegno gli seguitarono uccidendone quanti giugnere -ne poteano. E in questa rotta furono morti -venticinque cittadini di nome e assai più degli -altri, e molti per campare si gittarono nel fiume, -e sommersi annegarono in quello. I ghibellini -seguendo loro avventurato caso cacciarono i rettori -che v’erano per lo re Luigi, e rimasi signori -della città riformarono il reggimento di quella -a loro volontà, e per questa novità di Rieti furono -cacciati di Spoleto i caporali guelfi che v’erano, -ma non con battaglia nè a furore di popolo. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span> -</p> - -<h2 id="libro4">LIBRO QUARTO -<span class="smaller"><i>Comincia il quarto libro, e prima -il Prologo.</i></span></h2> - -<h3>CAPITOLO PRIMO.</h3> -</div> - -<p> -Assai si può alcuna volta comprendere per gli -effetti delle cose mondane, che il senno aggiunto -alla nobiltà dell’animo, all’altezza dello stato, -alla ricchezza e potenza reale, operato con -piena provvidenza, fornito e apparecchiato di -grandissime forze, non puote pervenire nè acquistare, -eziandio con sommo studio e con lieve -resistenza quelle cose che con giusta causa -l’appetito ha richiesto, le quali, volto il tempo -pochi anni, e mutato il principe per successione, -con certo mancamento di tutte le predette cose, -per altre non provvedute vie della variata fortuna, -trovarsi lievemente vittorioso in quelle. -Onde presumere certa confidenza di se, per senno, -o per virtù, o per potenza, alcuna volta -con grave turbazione d’animo si trova ingannato; -perocchè non è in potestà degli uomini il consiglio -e la volontà di Dio. E avendoci già condotta -la sua materia al cominciamento del quarto -libro, alcuno certo e manifesto esempio alle predette -cose in prima ci s’offera a raccontare. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span> -</p> - -<h3 id="cap2-4">CAP. II. -<span class="smaller"><i>Comparazione dal re Ruberto al re Luigi.</i></span></h3> - -<p> -Manifesto fu appresso la morte del re Ruberto -di Gerusalemme e di Cicilia, il quale avea regnato -trentatrè anni e mesi, il cui pari ne’ suoi -tempi tra’ principi de’ cristiani non si trovò di -sapienza e d’intelletto, in virtù e in vita onesta, -e in adornamento di bellissimi costumi, pieno -di ricchezze, fornito di grande e nobile cavalleria -di suoi baroni e sudditi, apparecchiato -di navili sopra gli altri signori, avendo dirizzato -l’animo con sommo studio a racquistare l’isola -di Cicilia, la quale di ragione s’apparteneva alla -sua signoria come principale membro del suo -reame, con continovi trattati, con spessi e diversi -assalimenti, con generali armate, guidate -dalla sua persona, e dal figliuolo e da altri, di centoventi -e di centosessanta galee, con molto altro -navilio per volta e di più e di meno, con duemila -e più cavalieri per armata alcuna volta e -popolo senza numero, per molti anni cercato di -racquistare la detta isola, o d’avere alcuna terra -o porto in quella per potere alquanto appagare -l’animo suo, la qual cosa fatta mai non gli venne -con alcuna perfezione; e il re Luigi suo nipote -intitolato di quel medesimo regno da santa Chiesa, -povero d’avere e di consiglio, e non ubbidito -da’ suoi regnicoli, impotente di gente d’arme, -mal destro a potere reggere o guardare il suo reame, -non che avesse potuto cercare a racquistare -<span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span> -suo reame della Cicilia, non sufficiente -d’armare dieci galee, nè di reprimere un solo suo -barone a quel tempo; ma le divisioni e sette crudeli -e mortali de’ baroni dell’isola, Catalani e -Italiani, come già è detto, aveano a tanto condotto -l’isola, che di gran parte fu fatto signore, come -appresso racconteremo. -</p> - -<h3 id="cap3-4">CAP. III. -<span class="smaller"><i>Come gran parte dell’isola di Cicilia venne -all’ubbidienza del re Luigi.</i></span></h3> - -<p> -Avendo raccontato addietro molte volte del -male stato dell’isola di Cicilia, al presente ci occorre -a dire come per la detta cagione don Luigi -figliuolo di don Pietro, a cui s’appartenea d’essere -signore, avea trattato accordo col re Luigi, -ed erano venuti a concordia che si dovesse nominare -re di Trinacria, e riconoscere la Cicilia dal -re Luigi e fargliene omaggio, e dargliene ogni -anno certa somma sopra il censo della Chiesa per -suo omaggio; e a questo s’erano accordati, ma non -aveano ancora piuvicata la pace nè fatte l’obbligazioni. -In questo stante, il conte Simone di Chiaramonte -capo della setta degl’Italiani, il quale -aveva in sua forza molte città e castella dell’isola, -avendo anche lungamente tenuto trattato col re -Luigi acciocchè la concordia del re non si facesse, -pervenne al suo trattato con l’opere. Ed essendo -allora l’isola in gran fame, promise a’ suoi soccorso -di vittuaglia e forte braccio alla loro difesa: -i popoli per l’inopia gli assentirono, e il re Luigi -<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span> -si fermò con lui. E facendo suo isforzo, mandò -messer Niccola Acciaiuoli grande siniscalco, -ch’era stato menatore di questo trattato, con cento -cavalieri e con quattrocento fanti di soldo in su -l’isola, con sei galee e due panfani, e tre legni di -carico, e trenta barche grosse cariche di grano e -d’altra vittuaglia. Prima fu dato loro il forte castello -di Melazzo, ove lasciò cinquanta cavalieri e cento -fanti, e appresso con tutto il navilio e col resto -della gente dell’arme se n’andò a Palermo, e con -gran festa fu ricevuto da’ Palermitani, che per fame -più non aveano vita, e prese la signoria della città -di Palermo e la guardia del castello con quella -gente ch’egli avea, e delle castella e del suo distretto. -E incontanente le sette degl’Italiani fece -rubellare a don Luigi e alla parte de’ Catalani, e -seguirono quelli di Chiaramonte, dandosi al re -Luigi la città di Trapani, e quella di Saragozza, -Girgenti, la Licata, Mazzara, Marsala, Castro -Gianni, e molte altre terre e castella, che in tutto -furono tra città e buone terre e castella centododici, -alle quali il detto re Luigi per povertà -di gente e di danari non potè mandare aiuto d’alcuna -forza di gente d’arme oltre a quella ch’era -in Palermo e in Melazzo; ma tanta era l’impossibilità -dell’altra parte, che la cosa rimase senza movimento -di altra gente alcuno tempo. Alla parte -del re Luigi rispondeva la Calabria, portando loro -vittuaglia ond’elli aveano gran bisogno, e -questo gli sostenea in fede col detto re Luigi. -È vero che fu biasimato di non avere tenuto fede -a don Luigi del trattato ch’avea fatto con lui per -pace dell’isola, e la scusa del re fu, dicendo, che -<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span> -non gli avea attenuti i patti. Il vero rimase nel -suo luogo, e il fatto seguì come narrato abbiamo. -Questa novità fu nell’isola a dì 17 d’aprile 1354. -</p> - -<h3 id="cap4-4">CAP. IV. -<span class="smaller"><i>Come l’arcivescovo cominciò guerra contro -a’ collegati di Lombardia.</i></span></h3> - -<p> -Vedendo l’arcivescovo di Milano che il comune -di Vinegia avea rannodata e riferma la lega tra -i Lombardi, innanzi che fossono forniti di gente -d’arme, essendone egli a destro, fece muovere da -Parma duemila barbute e gran popolo e scorrere -infino a Modena, per tornare addietro e assediare -Reggio; e nel Modenese trovarono cavalieri della -lega ch’andavano a Reggio i quali tutti presono. -E tornati a Reggio, l’assediarono del detto mese -d’aprile, e all’assedio stettono poi lungamente -con più bastite, e quelli della lega per lungo -tempo non ebbono podere di levarlone; ma la città -sostennono e difesono, sicchè non l’ebbe. -</p> - -<h3 id="cap5-4">CAP. V. -<span class="smaller"><i>Come il re d’Ungheria passò con grande -esercito contra un re de’ Tartari.</i></span></h3> - -<p> -In quest’anno e in questo medesimo tempo, -Lodovico re d’Ungheria accolse suo sforzo, e di -quello di Pollonia e di quello di Prosclavia suoi uomini, -e apparecchiato grande carreggio di vittuaglia, -con dugento migliaia di cavalieri andando -<span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span> -quindici dì per luoghi diserti con grande travaglio, -passò nel reame d’un gran re della gesta -de’ Tartari. E giunto nel reame di colui, essendo -per cominciare a fare danno nel paese, il re di -quello paese, ch’era assai giovane, mandò pregando -quello d’Ungheria che gli desse licenza -che con poca compagnia potesse venire a lui sicuramente, -e impetrata la licenza, venne a lui con -cento baroni molto adorni riccamente apparecchiati; -e fatta la riverenza, domandò il re d’Ungheria -perchè egli era venuto con forza d’arme -nel suo reame, e quello ch’e’ volea da lui. Il -re gli disse, ch’era venuto sopra lui perchè -non era cristiano, e che volea tre cose: la prima, -che divenisse cristiano con la sua gente: -la seconda, che lo riconoscesse per suo maggiore: -la terza, che in segno d’omaggio gli desse -ogni anno certo tributo, ed egli sarebbe suo protettore. -E il giovane disse: vedi re d’Ungheria, -la mia forza è troppo maggiore della tua, solo del -mio reame senza l’aiuto de’ miei maggiori; e faccioti -certo, che condotto se’ in parte, che s’io volessi -gran vittoria potrei averla di te e della tua -gente: ma perocch’io ho animo di divenire cristiano, -accetto di volere fare le tue domande, e intendo -di farle a tempo col tuo aiuto e del papa; e -rimasi in concordia, fece grande onore al re d’Ungheria, -e accompagnollo fino a’ confini del suo -reame. Ma in quello venire, per invidia i grandi -baroni d’Ungheria non gli feciono onore, per -impedire che il loro re per l’acquisto di costui -non divenisse grande di soperchio, e fu materia -di grande sconcio del buon volere ch’aveva il -<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span> -re de’ Tartari, e dell’intenzione del re d’Ungheria. -</p> - -<h3 id="cap6-4">CAP. VI. -<span class="smaller"><i>De’ grilli ch’abbondarono in Barberia e -poi in Cipri.</i></span></h3> - -<p> -In quest’anno abbondarono in Barberia, a -Tunisi e nelle contrade vicine tanta moltitudine -di grilli che copersono tutto il paese, e rosono e -consumarono tutte l’erbe vive che trovarono sopra -la terra, e del puzzo che uscia della loro corruzione -si corruppe tanto l’aria del paese, che -ne seguitò grande mortalità negli uomini, e gran -fame a tutta la provincia. E questa medesima -pestilenza di grilli nel seguente anno occupò -l’isola di Cipri per sì sconcio modo, che le strade -e i campi n’erano pieni, alti da terra un -mezzo braccio e più, e guastarono ciò che v’era -di verde. E per cessare la pestilenza della loro -corruzione il re fece per decreto, che ogni uomo -grande e popolare, barone e prelato, cittadino -e contadino, ne dovesse rassegnare certa misura -agli ufficiali eletti sopra ciò per lo re, i quali feciono -fare per campi grandi fosse, ove gli metteano -e ricoprivano. E per questa legge i villani si -dispuosono a fare loro civanza, e patteggiarono -con gli uomini ch’aveano a fare il servigio che -comandato e imposto gli era, e aveano della misura -certo prezzo, e rassegnavanli per nome di colui -che gli avea pagati agli uficiali deputati sopra -ciò, i quali teneano il conto di catuno; e durò -<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span> -questa maladizione in quell’isola parecchi anni. -Con tutto l’argomento che fu utilissimo ad alleggiare -i campi e cessare la corruzione, fu -grande noia e confusione a tutto il paese. -</p> - -<h3 id="cap7-4">CAP. VII. -<span class="smaller"><i>D’una notabile maraviglia della reverenza, -della tavola di santa Maria in -Pineta.</i></span></h3> - -<p> -Essendo per influenza di costellazione e di segni -avvenuti in cielo in quest’anno continovato -tre mesi o più, nel tempo che le biade hanno -maggiore bisogno delle piove, continovato secco, -erano quelle già in tutta Toscana aride e in estremi, -da sperare sterilità e fame: i Fiorentini temendo -di perdere i frutti della terra ricorsone all’aiutorio -divino, facendo fare orazioni e continove processioni -per la città e per lo contado, e quante più processioni -si faceano più diventava il dì e la notte sereno -il cielo. I cittadini vedendo che questo non -giovava, con grande divozione e speranza ricorsono -all’aiuto di nostra Donna, e feciono trarre -fuori l’antica figura di nostra Donna dipinta nella -tavola di santa Maria in Pineta, e a dì 9 di -maggio 1354, fatto apparecchiamento per lo comune -di molti doppieri, e mosso il chericato con -tutte le religioni, col braccio di messer san Filippo -apostolo, e con la venerabile testa di san Zanobi, -e con molte altre sante reliquie, quasi tutto il popolo -uomini e donne e fanciulli, co’ priori e con tutte -le signorie di Firenze, sonando le campane -<span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span> -del comune e delle chiese a Dio lodiamo, andarono -incontro alla detta tavola infino fuori della -porta di san Piero Gattolino: e la detta tavola -guardavano e conducevano quelli della casa -de’ Buondelmonti padroni della detta pieve reverentemente -con gli uomini del piviere. E -giunto il vescovo con la processione, e con le -reliquie e col popolo alla santa figura, con -grande reverenza e solennità la condussono fino -a san Giovanni, e di là fu condotta a san -Miniato a Monte, e poi riportata nel suo antico -luogo a santa Maria in Pineta. Avvenne, che in -quella giornata continovando la processione il cielo -empiè di nuvoli, e il secondo dì sostenne il -nuvolato, che per molte volte prima s’era continovo -per la calura consumato, il terzo dì cominciarono -a stillare minuto e poco, e il quarto a -piovere abbondantemente, e conseguì l’uno dì -appresso l’altro sette dì continovi un’acqua -minuta e cheta che tutta s’impinguava nella -terra, in singolare e manifesto beneficio di quello -che bisognava a racquistare le biade e’ frutti; -e non fu meno mirabile dono di grazia per -l’ordinata e utile piova, che per la piova medesima. -Avvenne, che dove si stimava sterilità -grande per la ricolta prossima a venire, conseguì -ubertosa di tutti i beni che la terra produce. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span> -</p> - -<h3 id="cap8-4">CAP. VIII. -<span class="smaller"><i>Come il vicario di Bologna mando l’oste -sopra Modena con due quartieri -di Bologna.</i></span></h3> - -<p> -Essendo cominciata la guerra tra l’arcivescovo -e la lega de’ Lombardi, messer Giovanni da -Oleggio vicario dell’arcivescovo nella città di -Bologna, a dì 11 di maggio del detto anno, mandò -sopra la città di Modena ottocento cavalieri di -soldo, e due quartieri di Bologna, i quali v’andarono -sforzati e di mala voglia; e da Parma -vi mandò l’arcivescovo duemila barbute; e giunti -a Modena corsono il paese, ardendo e guastando -il contado, e poi si puosono ad assedio alla città -molto di presso. Ed essendovi stati fino all’uscita -di maggio, temendo della gran compagnia di -fra Moriale ch’era in Toscana, e davano voce -d’andare a Bologna, subitamente abbandonarono -l’assedio, e sconciamente con alcuno danno tornarono -a Bologna e a Parma, avendo a’ Modenesi -fatto danno assai. -</p> - -<h3 id="cap9-4">CAP. IX. -<span class="smaller"><i>Come il legato e i Romani guastarono -il contado di Viterbo.</i></span></h3> - -<p> -Del detto mese di maggio, del detto anno, vedendo -il legato la contumacia e la malizia del -prefetto da Vico, e che la sua superbia ogni dì -<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span> -montava in vergogna di santa Chiesa, provvide -che contro a lui bisognava altre operazioni che -suono di campane e fumo di candele spente. E -però accolse gente d’arme, tanto ch’ebbe milletrecento -cavalieri di soldo, e richiese il popolo -di Roma per fare il guasto sopra la città di Viterbo, -i quali Romani per grande animo ch’aveano -di fare danno a’ Viterbesi, essendo la gente -del legato sopra Viterbo, vi mandarono diecimila -uomini, e aggiunti con le masnade del legato, -in pochi dì feciono assai gran danno intorno a -Viterbo. E saziata in parte la volontà del popolo -romano si tornarono a Roma: e il legato abbattuto -alcuna parte dell’orgoglio del prefetto, e -conturbato l’animo de’ cittadini contro al tiranno, -se ne tornò con la sua gente a Montefiascone -senza alcuno impedimento. -</p> - -<h3 id="cap10-4">CAP. X. -<span class="smaller"><i>Come il prefetto s’arrendè al legato -liberamente.</i></span></h3> - -<p> -Il legato del papa avendo fatto guastare intorno -a Viterbo, seguendo d’abbattere il prefetto, -sentendolo in Orvieto vi cavalcò con tutta la -sua gente d’arme, e pose l’assedio alla città strignendola -intorno con più battifolli, facendo correre -ogni dì infino alle porti. Il prefetto che v’era -dentro mal veduto da’ cittadini, ed avea cercato -di volere dare per moglie la figliuola sua al fratello -di fra Moriale con gran dote per avere -aiuto della sua compagnia, e averne perduta -<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span> -la speranza d’ogni altro soccorso, si pensò per -l’odio che i cittadini d’Orvieto e di Viterbo -gli portavano che un dì a furore di popolo sarebbe -morto o dato preso al legato, e tosto gli sarebbe -venuto fatto per la piccola forza che da -se avea, e perchè gli Orvietani erano guelfi e -uomini di santa Chiesa, e mal volontieri sosteneano -l’assedio, per la qual cosa come uomo savio -e avveduto de’ casi del mondo, non sapendo vedere -altro rimedio a’ fatti suoi, si dispose a volere -accordo col legato, e per questo acchetò gli -animi de’ cittadini; e incontanente mandò al comune -di Perugia che mandassono alcuno ambasciadore -al legato, che per le loro mani voleva -fare l’accordo con lui. Il comune vi mandò solenni -ambasciadori a ciò fare, ma il legato altre -volte ingannato da lui e da’ suoi baratti non li -volle udire, e con ogni sollecitudine stringeva la -terra più l’un dì che l’altro, e a niuno patto -si voleva recare col prefetto. E stringendo la paura -il prefetto, mandò il figliuolo al legato dicendo, -che gli piacesse venire per la città, e ricevere -il prefetto senza alcuno patto alla sua misericordia. -L’altra mattina venne il legato colla sua -gente a Orvieto, e il prefetto a piede con molti -cittadini gli venne incontro fuori della città bene -un miglio, e giunto a lui, si gittò a’ piedi del cavallo -ginocchione domandandogli misericordia, -rendendo se e tutte le terre che teneva di santa -Chiesa alla sua volontà. Il legato il fece stare alquanto -ginocchione, e poi gli comandò che montasse -a cavallo, e montato dietro a lui se n’entrarono -in Orvieto, ove il legato fu ricevuto con -<span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span> -grande festa e allegrezza da’ cittadini. E appresso -mandò il legato a Viterbo, e fugli renduta la -città e le castella, e così tutte l’altre terre che -tenea il prefetto, e il prefetto e ’l figliuolo rimasono -appresso del legato col loro patrimonio, e oltre -a ciò gli diè il legato per certo tempo la signoria -della città di... terra di buona rendita per -la pastura delle bestie. -</p> - -<h3 id="cap11-4">CAP. XI. -<span class="smaller"><i>Come il popolo di Bologna si levò a romore -per avere loro libertà, e fu in maggiore -servaggio.</i></span></h3> - -<p> -Del mese di giugno del detto anno, messer -Giovanni da Oleggio vicario di Bologna essendo -assicurato de’ fatti della compagnia intendeva di -riporre l’oste a Modena, e fece comandamento a -due quartieri di Bologna che s’apparecchiassono -dell’armi, e a mille uomini di catuno degli -altri due quartieri, per andare nell’oste a Modena. -I cittadini si gravavano di questo fatto per -due cagioni, l’una, perchè parea loro troppo aspro -servaggio essere mandati nell’oste a modo -di soldati senza soldo, e l’altra, che que’ di Modena -erano loro vicini e antichi amici. E però -venuto il termine assegnato, il signore fece sollecitare -la gente co’ suoi bandi e stormeggiare le -campane, ma però niuno s’armava o facea vista -di volere andare, e reiterati i bandi con grandi -pene, cominciò il popolo a mormorare, e appresso -a dolersi l’uno con l’altro nelle vie e -<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span> -nelle piazze. In questo stante cominciarono alcuni -a gridare popolo popolo; e udito il romore catuno -prese l’arme, e gran parte del popolo trasse -a casa i Bianchi. Il dì era venuto da ricoverare -loro franchigia: perchè sentendo messer -Giovanni da Oleggio il popolo armato contro a -se impaurì sì forte, che non sapea che si fare, e -racchiusesi nel suo castello. I soldati forestieri -non faceano resistenza al popolo armato e commosso, -e gran parte avrebbe seguito il popolo -per paura di loro; nondimeno per non essere -morti nè rubati nella terra, si ridussono e ingrossavano -alla fortezza del tiranno, essendo il popolo -a casa i Bianchi. Messer Iacopo uomo di -grande autorità, pro’ e ardito, capo di quella -casa, montato a cavallo armato, e inviato verso -la piazza col popolo, ove non avrebbe trovato -contasto, che non v’era, e il popolo avrebbe preso -ardire, e cacciato il tiranno, e assediatolo nel -castello e presolo, che non v’era rimedio, e quella -città tornava in libertà, ma non erano ancora -puniti i loro peccati. E però avvenne, che andando -messer Iacopo de’ Bianchi col popolo infocato -verso la piazza, il genero di messer Iacopo -gli si fece incontro maliziosamente, ch’era -de’ rientrati in Bologna, e amava il tiranno, e -con mendaci parole gli mostrò, che l’andare alla -piazza era di gran pericolo a lui e al popolo. -Il cavaliere invilì dando fede alle parole del genero, -e diè la volta, e tornossi a casa, e il popolo -perdè e raffreddò il furore, e cominciò catuno ad -abbandonare le vie e le piazze ov’erano ragunati -per le vicinanze, e tornarsi alle proprie case. -<span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span> -Il Bocca de’ Sabatini e altri di nuovo tornati in -Bologna per paura de’ loro avversari cittadini presono -l’armi, e montarono a cavallo e andarono -al tiranno, dicendo, che ’l furore del popolo era -tornato in paura, e che avendo le sue masnade a -cavallo e a piè correrebbono la terra senza trovare -contasto. Il tiranno vedendo questi cittadini -prese ardire, e diè loro cavalieri e masnadieri, -e rimasesi nel castello in buona guardia. -Costoro corsono la terra, gridando, viva il capitano, -e in niuna parte trovarono resistenza o -contasto, ma vilissimamente i cittadini posono -giù l’armi. Il signore ripreso l’ardire sentendo -disarmato il popolo, mandò sue genti a casa -i Bentivogli capo de’ beccari, ch’erano di gran -podere nel popolo, e presine alquanti di loro fece -rubare le case, e gli altri si fuggirono. Appresso -mandò e fece pigliare messer Iacopo de’ Bianchi -e un altro suo consorto, e molti altri grandi cittadini, -e senza troppa dilazione o processi fece -a messer Iacopo e al consorto tagliare la testa: e -questo gli avvenne per voler credere al consiglio -del genero più che alla sua apparecchiata salute e -del suo popolo; appresso fece decapitare uno de’ -Gozzadini valente uomo, e a più de’ Bentivogli -e ad altri grandi popolani, che in tutto a questa -volta furono trentadue, e molti ne ritenne in -prigione, de’ quali parte ne condannò in danari, -e un’altra a’ confini come a lui piacque. E avendosi -cominciato a involgere nel cittadinesco sangue, -divenne crudele e di maggiore furore contro -a’ suoi sudditi; onde i cittadini temeano sì -forte, che non ardivano a pena nelle loro case a favellare. -<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span> -Nondimeno per lo caso avvenuto, a lui -entrò tanta paura in corpo, che molti mesi stette -rinchiuso nel castello, e continuava ad accrescere -gente, e fare maggiore guardia nella città, e -i cittadini tenea sotto più aspro giogo, come leggendo -si potrà trovare. -</p> - -<h3 id="cap12-4">CAP. XII. -<span class="smaller"><i>Come fu tolta l’arme al popolo di Bologna.</i></span></h3> - -<p> -Pochi dì appresso il tagliamento de’ cittadini -di Bologna, il tiranno mandò per la città che in -fra certi dì a venire catuno cittadino di Bologna -portasse tutte le sue armi nella chiesa di san Piero, -e rassegnassele agli uficiali che sopra ciò -avea deputati, sotto certa pena a chi nol facesse: -il vile popolo, che l’armi non avea saputo adoperare -per sua salute, con tanta fretta le portò alla -chiesa, che gli uficiali deputati a riceverle non -poteano comportare la calca. E il tiranno conosciuti -gli uomini tornati peggio che pecore per la -loro codardia gli trattò aspramente, e fece due -quartieri di Bologna costringere ad andare alle -loro spese nell’oste senz’arme, e là dovessono -stare quindici dì, tanto che gli altri due quartieri -gli andassono a scambiare, e di presente fu ubbidito, -andandovi ogni maniera di gente con le -mazze in mano; e quando gli ebbe così mossi, -mutò proposito temperando la crudeltà in avarizia, -e fece ordine che chi non vi volesse andare -pagasse lire tre di bolognini per gita di quindici -dì; e costrinse tutta la città con certo ordine -<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span> -penale, che chi non osservasse catuno dovesse -manicare pane di gabella, il quale facea fare aspro -e forte, nè altro pane non s’osava fare nè -cuocere nella terra, ond’egli traeva molti danari. -E allora avendo tra di que’ di Bologna e -che gli mandò l’arcivescovo duemila cavalieri -e popolo assai, da capo ripose l’assedio alla città -di Modena, e i Modenesi essendo forniti di cavalieri -e di pedoni alla guardia, e d’abbondanza di -vittuaglia, si stavano a guardare le mura, attendendo -il soccorso di quelli della lega. -</p> - -<h3 id="cap13-4">CAP. XIII. -<span class="smaller"><i>Come il legato ebbe la città d’Agobbio.</i></span></h3> - -<p> -Di questo mese di giugno del detto anno, ragunatisi -insieme gli usciti d’Agobbio con loro amistà -per andare a guastare il contado d’Agobbio, -richiesono il legato d’aiuto; il legato comandò -loro che non si movessono senza suo comandamento, -dicendo, che non sarebbe onore di santa Chiesa -ch’egli assalisse prima la città ch’egli la trovasse -in colpa di disubbidienza o di ribellione: -e però incontanente fece formare processo contro -a Giovanni di Cantuccio il quale tirannescamente -avea occupata quella terra, e mandogli comandando -che restituisse la città d’Agobbio a santa -Chiesa senza dilazione, altrimenti aspettasse -la sentenza contro a se, e l’oste sopra la città -senza indugio. Giovanni sentendosi povero di -danari, e senza gente d’arme da potersi difendere, -e odiato da’ cittadini dentro, e senza speranza di -<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span> -soccorso di fuori, e vedendo il legato potente e -vittorioso, prese partito, e rispose, ch’era apparecchiato -a ubbidire, e così fece; e il legato mandò -a prendere la guardia e la signoria della città -il conte Carlo da Doadola, e fecevelo suo vicario, -il quale con pace fu ricevuto nella città a -grande onore. E presa la signoria della terra vi -rimise gli usciti senza niuno scandalo, salvo messer -Iacopo Gabbrielli come gli fu imposto, perocch’era -grande e sentia del tiranno. Giovanni si -presentò al legato, e rimase appresso di lui, -e messer Iacopo ch’era suo nemico stando fuori -d’Agobbio prendea sue civanze nelle rettorie, -malcontento di non potere ritornare in Agobbio. -La città fu riformata in libertà del popolo al governamento -di santa Chiesa, come per antico si -solea governare. -</p> - -<h3 id="cap14-4">CAP. XIV. -<span class="smaller"><i>Come i Perugini non tennono fede a’ Fiorentini -e’ Sanesi.</i></span></h3> - -<p> -Tornando nostra materia a’ fatti della compagnia -di fra Moriale la quale avea vernato nella -Marca, temendo i comuni di Toscana ch’ella -non si stendesse sopra loro sprovveduti, s’accolsono -insieme a parlamento per loro ambasciadori, -il comune di Firenze, e di Perugia, e quello di Siena, -e feciono e fermarono lega e compagnia contro -la detta compagnia, e taglia di tremila cavalieri; -e perocch’ell’era più vicina a Perugia, i Fiorentini -mandarono la maggior parte de’ cavalieri -<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span> -che toccava loro della taglia, e metteano in concio -di mandare loro il rimanente, e così aveano -fatto i Sanesi, per riparare ch’ella non entrasse -in Toscana. In questo tempo, del mese di giugno -del detto anno, la compagnia fu a Fuligno, e senza -fare danno, ebbono dal vescovo che n’era signore -derrata per danaio, e licenza d’entrare nella città -senz’arme chi volea panni, o arnese o armadure -comperare, e ivi si rifornirono d’armadure -e di molte altre cose di che aveano grande bisogno. -E stando ivi, mandarono cautamente per -rompere la lega loro ambasciadori a Perugia, dicendo, -che gli aveano per amici, e non intendeano -di volere da loro se non vittuaglia derrata -per danaio, e il passo per lo loro terreno. I Perugini -vedendosi potere levare la compagnia da -dosso senza loro danno, ruppono la fede della lega -promessa a’ Fiorentini e a’ Sanesi, e senza significare -loro alcuna cosa, o rimandare addietro i -cavalieri a’ detti comuni ch’aveano della taglia, -s’accordarono con la compagnia, e diedono il passo -e la vittuaglia abbondantemente. Messer fra -Moriale vedendosi avere rotta la lega de’ comuni, -baldanzosamente venne verso Montepulciano -con la sua compagnia, e prese la via per Asciano, -ed entrò molto subitamente nel contado di Siena, -predando e pigliando uomini e bestiame. I -Sanesi vedendo la compagnia sul loro contado -non attesono alla lega ch’avessono co’ Fiorentini, -nè a domandare loro aiuto o consiglio, ma di -presente elessono de’ loro cittadini ch’andassono -a fra Moriale e agli altri maggiori della compagnia -a prendere accordo con loro, i quali di presente -<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span> -promessono a’ caporali in segreto per le loro -persone fiorini tremila d’oro, e in palese per la -compagnia ne promisono tredicimila, e la vittuaglia -derrata per danaio, e il passo per lo loro -terreno. Questa è la fede che ora e molte altre -volte il comune di Firenze ha trovata nelle -leghe o compagnie c’ha fatto co’ suoi vicini, che -trovando loro vantaggio lo s’hanno preso. E dolendosene -poi il comune di Firenze a Perugia e -a Siena, hanno risposto, che il comune di Firenze -non dee guardare a’ loro difetti, ma avere -senno e per se e per loro. Siamo contenti di ricordarlo -qui e altrove per esempio di quello che -ancora ne potrà avvenire. Fornito per lo comune -di Siena il pane che domandarono, e dati de’ -loro cittadini a conducere la compagnia, presa la -via per Monte a san Savino, condussonli in sul -contado d’Arezzo. E non trovando con gli Aretini -modo d’avere danari, s’accordarono con -loro d’avere panno e vestimento, e calzamenti -e vino per li loro danari, perocchè n’aveano -grande bisogno, e sicurarono il contado, e senz’arme -entrarono nella terra per le dette cose; -non riguardando però le biade de’ campi per li -loro cavalli, nè l’altre cose che potessono giugnere, -senza fare gualdane o saccomanno. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span> -</p> - -<h3 id="cap15-4">CAP. XV. -<span class="smaller"><i>Come procedettono i rettori di Firenze -in questa sopravvenuta tempesta della -compagnia di fra Moriale.</i></span></h3> - -<p> -In questo tempo si trovò fornito il comune di -Firenze al priorato d’uomini senza sentimento -di virtù, golosi e sopra ogni sconvenevolezza -corrotti nel bere, e massimamente de’ nove i -sei. Costoro disordinati in se, non sapeano provvedere -al soccorso del comune; tuttavia per gli -altri collegi fu provveduto in fretta di fare lega -e compagnia co’ Pisani, per prendere riparo -contro alla compagnia, e dovea il comune di Firenze -avere in taglia milledugento cavalieri, e -i Pisani ottocento. E fatta la lega, catuno avea -quasi il novero de’ suoi cavalieri. La compagnia -essendo ad Arezzo avea in animo d’andare -al soldo in Lombardia, e per questa cagione -mandarono alcuno ambasciadore al comune -di Firenze per avere titolo d’essere in accordo -col detto comune, e lieve cosa che ’l comune avesse -dato loro sarebbono stati contenti per seguire -loro viaggio: i priori indiscreti se ne feciono beffe, -e però non provvidono come con tanto fatto richiedea. -Ma i Valdarnesi per paura della ricolta, -non ostante che ancora non fosse in perfetta -maturità, s’affrettarono di levarla de’ campi -e riducerla nelle castella; e la frontiera del Valdarno -fu fornita di cavalieri e di fanti assai bene -alla guardia. La compagnia vedendo che i -<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span> -Fiorentini per lieve cosa non si voleano accordare -con loro, cambiarono proponimento, e vedendo -che il Valdarno era provveduto contra loro, si -tornarono a Siena. I Sanesi diedono loro da capo -il pane, e il passo e la guida di loro cittadini, e -in calen di luglio del detto anno l’ebbono condotta -ne’ borghi di Staggia, e ivi si stesono fino -alla Badia a Isola sopra l’Elsa. Là si trovarono -settemila paglie di cavalieri, che cinquemila o più -erano in arme cavalcanti, fra i quali avea grande -quantità di conestabili e di gentili uomini diventati -di pedoni bene montati e armati, con più di -millecinquecento masnadieri italiani, e oltre a -costoro più di ventimila ribaldi e femmine di -mala condizione seguivano la compagnia per fare -male, e pascersi della carogna. E nondimeno -per l’ordine dato loro per fra Moriale grande -aiuto e servigio n’avea, principalmente i -cavalieri e’ masnadieri, e appresso tutto l’esercito. -Le femmine lavavano i panni e cocevano -il pane, e avendo catuno le macinelle, che fatte -avea loro fare di piccole pietre, catuno facea farina, -e per questo l’oste si mantenea incredibilmente -in abbondanza di farina e di pane, solo -per la provvisione e ordine dato per fra Moriale. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span> -</p> - -<h3 id="cap16-4">CAP. XVI. -<span class="smaller"><i>Come si provvedde a Firenze contra la -compagnia.</i></span></h3> - -<p> -Essendo la compagnia a Staggia, i Fiorentini -richiesono i Pisani della taglia loro per la lega -fatta, che doveano essere ottocento cavalieri, e -mandarono un loro cittadino con un gran gonfalone -con meno d’ottanta barbute; e richiesti -ancora i Perugini e’ Sanesi di cavalieri della taglia, -o almeno d’alcuna parte d’aiuto, catuno comune -rispose ch’erano d’accordo con la compagnia, e -non manderebbono gente d’arme contro a quella: -e vedendosi il comune da tutti gli amici ingannato, -e da non potere resistere alla compagnia, -fece suoi ambasciadori e mandolli a Staggia alla -compagnia per accordarsi e dare loro danari, ed eglino -non entrassono sul contado di Firenze. Giunti -gli ambasciadori a fra Moriale e al suo consiglio, -furono ricevuti da loro senza avere risposta; -e incontanente a dì 4 di luglio si misono in via, -e senza arresto furono ne’ borghi di san Casciano, -e correndo le contrade d’attorno, facendo preda e -ardendo ove a loro piacea senza trovare contasto, -e stettono fino a dì 10 del detto mese senza venire -ad accordo; allora fatti doni a’ caporali di fiorini -tremila d’oro, vennono a composizione di dare alla -compagnia venticinquemila fiorini d’oro. Gli ambasciadori -pisani, innanzi che la tempesta rompesse -sopra loro, al detto luogo di san Casciano s’accordarono -con loro di dare fiorini sedicimila d’oro, -<span class="pagenum" id="Page_176">[176]</span> -e a’ caporali feciono doni. E avuta la condotta -da’ Fiorentini per la Val di Robbiana, condotti a -Leona ebbono il pagamento de’ detti comuni, e -fatta la promissione, e le cautele e il saramento di -non tornare in sul contado di Firenze nè di Pisa -infra due anni, se n’andarono alla Città di Castello, -ove stettono tanto ch’ebbono quello che restava -a dare loro messer Malatesta da Rimini capitano -di Forlì, e Gentile da Mogliano, e partita tra loro -la moneta, presono la ferma d’essere con la lega -di Lombardia contro al signore di Milano per -centocinquantamila fiorini in quattro mesi. E -rifermata e giurata da capo sotto i loro capitani -s’avviarono in Lombardia, e fra Moriale con licenza -degli altri caporali accomandò la compagnia -al conte di Lando e fecenelo suo vicario, ed -egli se n’andò a Perugia, per provvedere come -alla tornata della compagnia e’ potesse in Italia -maggior male aoperare, e da’ Perugini fu ricevuto -onoratamente, e fatto cittadino di Perugia. -</p> - -<h3 id="cap17-4">CAP. XVII. -<span class="smaller"><i>Come fu morto messer Lallo.</i></span></h3> - -<p> -Per larga sperienza di molti anni si vide, che -messer Lallo dell’Aquila, uomo di piccola nazione, -per sua industria prima cacciati gli avversari -della città dopo la morte del re Ruberto -tenne la signoria della terra come un dimestico -popolare e compagnevole tiranno, e seppe sì piacevolmente -conversare co’ suoi cittadini, che catuno -il desiderava a signore, e al tutto aveano -<span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span> -dimenticata la signoria reale, ma egli saviamente -mantenea il titolo del capitanato della terra -alla corona, facendovi venire cui egli volea, nondimeno -ciò che occorreva di grave nella città tornava -a ser Lallo. E non avendo il re podere -nella città più che ser Lallo si volesse, per -molti modi in diversi tempi cercò d’abbatterlo, -e non gli venne fatto, e però cercò la via -de’ beneficii, e fecelo conte di Montorio, e diegli -terre in Abruzzi, ed e’ le si prese, e mostrò di -volere fare dell’Aquila la volontà del re; ma con -astuzia e senno dissimulando col re tenea l’Aquila -continovamente al suo segno. E stando le cose in -questi termini, messer Filippo di Taranto fratello -del re Luigi venne in Abruzzi, e ricettato -nell’Aquila da messer Lallo con grande onore, -dopo alquanti dì messer Filippo ragionò con -messer Lallo, ch’egli farebbe rendere pace a’ figliuoli -di messer Todino suoi nimici, i quali erano -sbanditi dell’Aquila, e intendea fermare la -pace con amore e con parentado, e con grande -istanza il pregò che li dovesse ricevere nell’Aquila -con buona pace. Messer Lallo sentendosi -in grande amore co’ suoi cittadini, mostrò di -poco temere i suoi avversari, e di volere servire -messer Filippo accettando la pace e la loro tornata -nell’Aquila. Messer Filippo semplicemente -con alcuni suoi scudieri li facea venire in Aquila, -ed essendo già presso alla città, il popolo si -levò a romore, e prese l’arme gridando, viva il -conte, e corsono alle porte e serraronle. Messer Filippo -sentendo il romore temette di sè, ma messer -Lallo fu subitamente a lui, confortandolo -<span class="pagenum" id="Page_178">[178]</span> -e scusando sè, che questo non era sua fattura ma -del popolo, per tema ch’avea de’ figliuoli di messer -Todino se rientrassono in Aquila. Messer -Filippo turbato di questo baratto si mise in concio -di partire, e la mattina vegnente fu in cammino. -Messer Lallo accompagnandolo s’allungò -dalla città tre miglia, offerendosi a messer Filippo -e scusandosi del caso avvenuto; e volendosi -tornare all’Aquila, e prendere congio da messer -Filippo, per fargli la reverenza all’usanza reale -scese del suo cavallo, e com’era ordinato, parlando -messer Filippo con lui, e usando parole di minacce, -uno scudiere il fedì d’uno stocco, e un altro -appresso, e ivi a’ piè di messer Filippo fu -morto messer Lallo per troppa confidanza, perdendo -il senno e la malizia tanto tempo usata -nel suo reggimento. Messer Filippo non s’arrestò -per tema di quel popolo e del suo furore, ma -senza alcuno soggiorno tornò a Napoli, e gli Aquilani -feciono gran lamento della morte di messer -Lallo, ma non essendovi il secondo, ritornarono -senza contasto alla consueta signoria reale; -e questo avvenne di giugno 1354. -</p> - -<h3 id="cap18-4">CAP. XVIII. -<span class="smaller"><i>Come il re di Spagna cacciata la non vera -moglie coronò la legittima.</i></span></h3> - -<p> -In questo tempo del detto anno, avendo il -giovane re di Spagna per moglie la figliuola di -messer Filippo di Borbona della casa di Francia, -lasciandosi vincere e menare al disordinato appetito, -<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span> -avendola già tenuta un anno, corruppe -il degno sagramento del matrimonio, e seguitando -il modo de’ bestiali saracini con cui conversava, -prese per sua moglie e sposò un’altra donna -cui egli amava, nata della casa di Padiglia di Castella, -chiamata Maria, con la quale si copulò -con tanta disordinata concupiscenza carnale, che -molte dissolute e sconce cose ne faceva, e la legittima -moglie non volea vedere; la quale vedendosi -a sconcio partito, prese segretamente sue -damigelle e alquanti confidenti di sua famiglia, -e senza saputa del re si tornò in Francia, richiamandosi -al re, e al padre e agli altri baroni dell’ingiuria -ricevuta dal suo marito; e udita in -Francia la sconcia novella, il re e tutti i baroni -se ne sdegnarono forte, e proposono d’andare in -Spagna con forte braccio per gastigare il re della -sua follia. I baroni di Spagna e le comuni a cui -dispiacea questo fatto, sentendo le novelle di -Francia, di concordia se n’andarono al re, e ripresonlo -duramente d’avere per sua sconcia volontà -d’una privata femmina fatta tanta vergogna -alla casa di Francia e alla loro reina, dicendogli, -che se non ammendasse il suo fallo, che -sarebbono in aiuto al re di Francia per ricoverare -il suo onore. Il giovane re riconobbe il suo fallo, -e disposesi di presente a seguitare il loro consiglio; -e alla non degna moglie, per appagare la legittima, -le feciono tagliare i panni per lungo infino -alla cintola a loro costuma, e con vergogna la -mandarono via, e tornata la moglie, con gran festa -feciono coronare lei e pacificare col re, e quella -notte giacque con la reina Bianca sua moglie. -<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span> -Ma, o che fosse affatturato, o occupato nella mente -del troppo peccato, la mattina per tempo le si -levò da lato, e senza fare assapere altrui alcuna -cosa cavalcò con piccola compagnia e andossene -alla terra dov’era dama Maria di Padiglia, e d’allora -innanzi non volle mai vedere la reina Bianca; -e perch’ella non si partisse la fece mettere in -Briscia suo forte castello, e ivi bene guardare, la -quale per grave sdegno, o per dolore, o per malinconia, -o per operazione del re, che ne fu sospetto, -o per malizia naturale, innanzi tempo nella -sua giovanezza finì sua vita, della quale il re -ebbe più piacere che doglia, e vilmente la fece -seppellire. Avvenne ancora, che vivendo la reina -e dama Maria, il detto re Pietro, non senza -sentimento della saracinesca consuetudine, innamorato -d’una giovane donna vedova di Castella -di grande lignaggio, la si prese a moglie; e quando -con lei ebbe saziata sua sfrenata libidine, la -cacciò via, e ritennesi alla sua dama Maria, della -quale ebbe un figliuolo maschio e due femmine, -e poi sopra parto si morì, poco appresso della -reina, di cui il re si diè grave turbazione, e il -corpo suo fece imbalsamare, e portare venticinque -giornate di lungi da Sibilia alla sepoltura -ch’ella s’avea eletta, e il re, e per amore del -re i suoi baroni se ne vestirono a nero. Avemo -raccolto qui il processo della moglie e dell’altre -femmine del re, per non istendere in più parti -del nostro trattato la vile materia. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span> -</p> - -<h3 id="cap19-4">CAP. XIX. -<span class="smaller"><i>Come i collegati di Lombardia condotta la -compagnia mandarono all’imperadore.</i></span></h3> - -<p> -Il comune di Vinegia, e il signore di Verona, -e quello di Padova, e quello di Mantova, e il -marchese di Ferrara, collegati insieme contro -l’arcivescovo di Milano, avendo condotta per -quattro mesi la compagnia del conte di Lando, la -quale era cinquemiladugento paghe, ma non avea -oltre a tremilacinquecento cavalieri bene armati, -la quale era partita dalla Città di Castello, e -cavalcata sul contado di Bologna facendo danno, -se n’andarono a Modena, dov’erano le bastite -del signore di Milano, le quali non ebbono podere -di levare, e lasciatovi l’assedio cavalcarono -in sul Bresciano. I collegati vedendosi forniti -di gente da potere campeggiare, mandarono ambasciadori, -del mese di luglio del detto anno, all’eletto -imperadore, con cui avevano fatto accordo per -farlo valicare in Lombardia contro all’arcivescovo -di Milano, e dove ricusasse la venuta, volevano -essere liberi delle loro promesse. In questo -tempo l’imperadore era in discordia col marchese -di Brandimborgo, e catuno aveva accolto gente -d’arme, e con l’eletto era il duca d’Osteric e -molti cavalieri del re d’Ungheria, e credettesi -si conducessono a battaglia: ma la questione -avea lieve cagione di sdegno, sicchè tosto si recò -a concordia, e l’eletto imperadore per l’animo -ch’avea di valicare in Italia fu più abile alla -<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span> -pace, e ferma, catuna gente d’arme si tornò in -suo paese; e senza sospetto de’ fatti d’Alamagna -l’eletto si tornò in Boemia, e deliberò per lo -modo che a lui piacque di valicare in Lombardia, -e con seco ritenne parte degli ambasciadori -della lega infino al suo movimento. -</p> - -<h3 id="cap20-4">CAP. XX. -<span class="smaller"><i>Come i Bordoni furono cacciati di Firenze, -e sbanditi per ribelli.</i></span></h3> - -<p> -Era avvenuto del mese di Luglio del detto anno -in Firenze, che essendo la compagnia di fra -Moriale a Sancasciano, i Bordoni, de’ quali era -capo messer Gherardo di quella casa, tenendosi -essere ingannati da’ Mangioni e da’ Beccanugi loro -vicini per lo dicollamento di Bordone loro -consorto, e vedendo la città sotto l’arme e in -gelosia, con loro gente accolta cominciarono -prima con parole e poi con l’arme ad assalire i -Mangioni; e rimettendoli per forza nelle case, in -quell’assalto la moglie d’Andrea di Lippozzo -de’ Mangioni ebbe d’una lancia sopra il ciglio, -ond’ella si morì poco appresso. A quello romore -corse d’ogni parte il popolo armato, e i priori vi -mandarono la loro famiglia, e feciono acquetare -la zuffa. Poi partita la compagnia, e ritornata -la città al primo governamento, parendo al comune -il fallo essere grave in così fatto tempo -contro alla repubblica, fu commesso all’esecutore -degli ordini della giustizia che ne facesse -<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span> -inquisizione, e punisse i colpevoli; i Beccanugi -e’ Mangioni andarono dinanzi e scusaronsi, -e furono prosciolti e lasciati, e i Bordoni rimasono -contumaci; e a dì 2 d’agosto, nel detto -anno, messer Gherardo con quattro suoi consorti -e con dodici loro seguaci furono condannati, -per avere turbato il buono e pacifico stato del -comune di Firenze e per l’omicidio, tutti nell’avere -e nelle persone, e uscironsi di Firenze, e -i loro beni furono guasti e messi tra i beni de’ rubelli. -</p> - -<h3 id="cap21-4">CAP. XXI. -<span class="smaller"><i>Come il re d’Araona venne con grande armata -a racquistare Sardegna.</i></span></h3> - -<p> -Il re d’Araona, che l’anno dinanzi avea perduta -tutta la Sardegna salvo che Castello di Castro, -come addietro fu narrato, fatta sua armata -di centosessanta tra galee e uscieri, cocche e -navi armate, con grande cavalleria di suoi Catalani -e molti mugaveri a piede, del mese di -luglio del detto anno arrivò in Calleri, che altro -non v’aveva, e lasciato ivi il navilio grosso, e -messi in terra i cavalieri e i mugaveri, fece scorrere -il paese e predare dovunque si stendeva, e -con le galee sottili per mare e i cavalieri per -terra s’addirizzò alla Loiera, nella quale aveva -balestrieri genovesi, e masnadieri toscani e -lombardi, che il vicario dell’arcivescovo signore -di Genova v’avea mandati alla guardia, che -francamente la difendevano e guardavano; e -<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span> -continuandovi l’assedio, nondimeno per mare con -le galee, e per terra con la gente d’arme, faceano -guerra all’altre terre e castella che ubbidivano -al giudice d’Alborea, e il giudice fornito -de’ suoi Sardi e di cavalieri condotti di Toscana -si difendea francamente per modo, che delle sue -terre non gli lasciava alcuna acquistare: e aveva -in suo aiuto l’aria sardesca e ’l tempo della fervida -state, che molto abbattea i Catalani di malattie -e di morte; non ostante ciò, il re animoso -mantenea l’assedio stretto, e facea tormentare -molto i suoi avversari; e bench’egli sapesse che -i Genovesi suoi nimici avessono armate trentadue -galee, non se ne curava, perchè sapeva che i -Veneziani suoi amici contro a loro n’aveano armate -trentacinque: e ancora gli rendea molta fidanza -la fresca vittoria ch’aveva avuta in quel -luogo co’ Veneziani insieme sopra i Genovesi, e -però intendea coraggiosamente a fare la sua guerra -per terra e per mare. Lasceremo ora l’intrigata -guerra di Sardegna che il tempo vegna -della sua fine, e seguiremo altre novità che prima -ci occorrono a raccontare. -</p> - -<h3 id="cap22-4">CAP. XXII. -<span class="smaller"><i>Come i Genovesi feciono armata contro -a’ Veneziani e’ Catalani.</i></span></h3> - -<p> -Avendo sentito i Genovesi l’armata de’ Catalani, -e che i Veneziani armavano, avvegnachè -per la sconfitta l’anno dinanzi ricevuta alla Loiera -molto fossono infieboliti, presono cuore da sdegno -<span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span> -per non dare la baldanza del mare al tutto al -loro nimico, e però con aiuto di moneta che procacciarono -dall’arcivescovo loro signore armarono -trentatrè galee sottili, della migliore gente -che rimasa fosse in Genova e nella riviera, e fecionne -ammiraglio messer Paganino Doria, il quale -altra volta avea avuto vittoria sopra i Catalani -e’ Veneziani in Romania. Costui sentendo che i -Veneziani erano usciti del golfo con trentacinque -galee armate, mandò tre galee più sottili, e -bene reggenti e armate nel golfo di Vinegia, le -quali improvviso a’ paesani giunsono a Parezzo, -e misono in terra; e trovando i terrazzani sprovveduti -e smarriti per lo subito assalto, s’entrarono -nella terra, e senza trovare contasto rubarono -e arsono gran parte della città. Ed essendo nel -porto tre grossi navilii de’ Veneziani carichi di -grande avere, gli presono e rubarono, e ricolti -a galee carichi di preda de’ loro nemici, con -grande vergogna de’ Veneziani tornarono sani e -salvi alla loro armata; la quale avendo lingua -de’ Veneziani, prese la via di Romania per abboccarsi -con loro a battaglia, se fortuna il concedesse. -L’armate cavalcano il mare, e innanzi -che insieme si ritrovino ci occorrono altre non -piccole cose. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span> -</p> - -<h3 id="cap23-4">CAP. XXIII. -<span class="smaller"><i>Come il tribuno di Roma fece tagliare -la testa a fra Moriale.</i></span></h3> - -<p> -Avvegnachè addietro detto sia dell’operazioni -di fra Moriale innanzi ch’egli facesse la grande -compagnia, e poi quanto male aoperò con -quella, sopravvenendo il termine della sua morte, -ci dà materia di raccontare la cagione, com’egli -essendo semplice friere condusse tanti -baroni, e conestabili e cavalieri a collegarsi sotto -il suo reggimento in compagnia di predoni. Costui -fu in Italia lungo tempo soldato franco cavaliere, -e atto singolarmente a ogni fatica cavalleresca, -e molto avvisato in fatti d’arme, il quale considerò -che tutte le terre e’ signori d’Italia facevano -le loro guerre con soldati forestieri, e i paesani -poco compariano in arme, e parve a lui che accogliendosi -i conestabili per via di compagnia, e -partecipando con loro che rimanevano al soldo, -che in niuna parte troverebbono contasto in campo: -e avendo questo verisimile messo nel capo a -molti conestabili, l’uno smovea l’altro, e traevano -gente di catuna bandiera che rimaneva al -soldo; e con quest’ordine, essendo in loro libertà, -si pensavano sottoporre e fare tributaria -tutta Italia, e pensavano, se alcuna buona città -venisse loro presa, che per forza tutte l’altre -converrebbe che sostenessono il giogo; e sotto -questo segreto consiglio tutti i conestabili delle -masnade tedesche, e’ Borgognoni e altri oltramontani -<span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span> -promisono e giurarono da capo la compagnia -e ubbidienza a messer fra Moriale, e -per passare il verno all’altrui spese presono il -soldo della lega de’ Lombardi, e messer fra Moriale, -sotto titolo di mostrare d’avere a ordinare -suoi propri fatti, rimase in Toscana: ma nel segreto -fu, che provvederebbe del luogo dove dovessono -tornare al primo tempo. Costui baldanzoso -con poca compagnia, come detto abbiamo, se -n’andò a Perugia, e di là mandò i fratelli con -certe masnade di suoi cavalieri al tribuno, ch’era -di nuovo ritornato in Roma, per atarlo; essendo -stato prima cacciato da’ Romani e tenuto in -esilio, e’ fu prigione dell’eletto imperadore lungo -tempo, e poi per lo male stato de’ Romani -di volontà del papa e del popolo fu richiamato; -e rendutagli la signoria, con più baldanza che di -prima, non ostante che predetto gli fosse, o per -revelazione di spirito immondo o per altro modo, -che a romore di popolo sarebbe morto, e’ faceva -rigida e aspra signoria, e reprimendo la baldanza -de’ principi di Roma, onde fu opinione di molti -che i Colonnesi s’intendessono contro a lui -con fra Moriale per abbatterlo della signoria del -tribunato: ma come che si fosse, poco appresso -la mandata de’ fratelli fra Moriale andò a Roma, -e il tribuno il fece chiamare a sè, ed egli senza -alcuno sospetto andò a lui; e giuntogli innanzi, -senza altro parlamento il tribuno gli mise in -mano un processo di tradimento che fare dovea -contro a lui, e come pubblico principe di ladroni, -il quale aveva assalite le città della Marca e -di Romagna, e la città di Firenze, di Siena e -<span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span> -d’Arezzo in Toscana; e fatte arsioni, e violenze -e ruberie senza cagione in catuna parte, e molte -uccisioni d’uomini innocenti, delle quali cose -disse che di presente si scusasse. E non avendo -scusa contro alla verità del libello, senza voler -più attendere, a dì 29 d’agosto del detto anno -gli fece levare la testa dall’imbusto: e così finì -il malvagio friere, cagione di molto male passato -e di maggiore avvenire, per l’aoperazione -della maladetta compagnia; per la qual cosa -s’aggiugnerebbe memoria degna di gran lodi -al tribuno se per movimento di chiara giustizia -l’avesse fatto, ma perocchè egli prese i -fratelli, e’ beni di fra Moriale e’ loro e pubblicolli -a sè, parve che d’ingratitudine de’ servigi -ricevuti e d’avarizia maculasse la sua fama: -e abbianne più detto che forse non si conveniva, -ma per lo malo esempio dato a’ soldati, -e per la giusta vendetta della sua morte, ne crediamo -avere alcuna scusa. -</p> - -<h3 id="cap24-4">CAP. XXIV. -<span class="smaller"><i>D’una sformata grandine venuta a Mompelieri, -e della scurazione del sole.</i></span></h3> - -<p> -A dì 12 di settembre 1354 cadde sopra Mompelieri -e nelle circustanze una grandine sformata -di grossezza di più d’una comune melarancia, -e fece a’ frutti e agli uomini gravissimi danni, -e le bestie che trovò ne’ campi alla scoperta uccise, -e guastò molto le copriture delle case. E -poi, a dì 17 del detto mese, fu scurazione del sole, -<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span> -e durò a Firenze una terza ora, coperto nella -maggiore parte il corpo solare. Di sua influenza -poco potemmo vedere e comprendere, salvo che -asciutto e freddo seguitò tutto il verno singolarmente. -</p> - -<h3 id="cap25-4">CAP. XXV. -<span class="smaller"><i>Come morì l’arcivescovo di Milano.</i></span></h3> - -<p> -Messer Giovanni de’ Visconti arcivescovo di -Milano potentissimo tiranno in Italia, avendo -dilatata la fama della sua potenza in grande altezza, -e vivuto al mondo lungo tempo in dissoluta -vita secondo prelato, vedendosi avere vinta -sua punga, e soperchiata nel temporale la Chiesa -di Roma, e riconciliatosi a quella co’ suoi sformati -doni, e che tutta Italia il temeva, e l’eletto -imperadore non avea ardire, eziandio sollecitato -dalla forza e’ danari della lega di Lombardia, -pigliare arme contro a lui, vaneggiante nel -colmo della sua gloria, uno venerdì sera, a dì 3 -d’ottobre 1354, gli apparve nella fronte sopra il -ciglio un piccolo carbonchiello, del quale poco si -curava, e il sabato sera a dì 4 del detto mese il -fece tagliare, e come fu tagliato, cadde morto l’arcivescovo -senza potere fare testamento, o alcuna -provvisione dell’anima sua o della successione -de’ suoi nipoti nella signoria; i quali feciono al -corpo solenne esequie, e senza questione con molta -concordia si ristrinsono insieme, facendo grande -onore l’uno all’altro; per la qual cosa i Milanesi -e tutti i loro sudditi stettono in obbedienza -<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span> -de’ nuovi signori, tanto che poi con nuova suggezione -di tutti i popoli si feciono dichiarare signori, -come appresso racconteremo, rendendo -prima il nostro debito alla sprovveduta e violente -morte del tribuno di Roma, e allo strano avvenimento -dell’eletto imperadore in Italia. -</p> - -<h3 id="cap26-4">CAP. XXVI. -<span class="smaller"><i>Come il tribuno di Roma fu morto a furia -di popolo.</i></span></h3> - -<p> -Il primo tribuno romano dopo la sua cacciata -tornato in Roma con comune assentimento dell’incostante -popolo, e ordinati statuti a franchigia -e a fortificagione del popolo, e certe entrate al -comune per fortificare la signoria, procacciava di -fornirsi di cavalieri e di masnadieri di soldo, per -potere meglio raffrenare i potenti cittadini, i quali -sapea ch’erano contro al suo tribunato: e come -uomo ch’avea grande animo, credeva col favore -del fallace popolo fare gran cose, e cominciato -avea, ma non bene, perocchè essendo in Roma -uno valente e savio uomo Pandolfo de’ Pandolfucci -antico cittadino, e di grande autorità nel -cospetto del popolo, e temendo il tribuno di lui, -solo perchè gli pareva atto a potere muovere il -popolo per la sua autorità e per la sua eloquenza, -tirannescamente e senza colpa il fece decapitare; -e per questo, e per la morte di fra Moriale, i -principi di Roma, massimamente i Colonnesi e’ -Savelli, temeano forte, e procacciavano di farlo -cacciare o morire. E sparta già l’infamia della -<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span> -morte di Pandolfo tra il popolo, fu più leggiere -a’ Colonnesi e a Luca Savelli venire alla loro intenzione, -e con lieve movimento alquanti amici -de’ Colonnesi e’ Savelli della riva del Tevere, a -loro stanza cominciarono a levare romore contro -il tribuno e corsono all’arme; e con l’aiuto -de’ Colonnesi e de’ Savelli, e di certi Romani offesi -per la morte di Pandolfo, dimenticando la franchigia -del popolo, a dì 8 d’ottobre del detto anno -in su la nona corsono al Campidoglio, dicendo, -muoia il tribuno. Il tribuno sprovveduto di questo -subito e non pensato furore del popolo francamente -provvide come necessità l’ammaestrava, e di -presente s’armò e prese il gonfalone del popolo, -e con esso in mano si fece alle finestre, e trattolo -fuori, cominciò a gridare ad alta voce, viva il -popolo, pensando che il popolo dovesse trarre al -suo aiuto: ma trovossi ingannato, che il popolo -il saettava, e gridava la sua morte: e avendo egli -sostenuto con parole e con difesa l’assalto fino al -vespero, e vedendo il popolo più acerbo e più infocato -contro a sè da sezzo che da prima, e che -soccorso da niuna parte aspettava, pensò di campare -per ingegno; e tramutato l’abito suo in abito -di ribaldo, fece aprire le porte del palagio alla -sua famiglia al popolo perchè intendesse a rubare, -come solea essere loro usanza; e mostrandosi -nella ruberia come uno di loro, avea preso un -fascio d’una materassa con altri panni dal letto, -e scendendo la prima e la seconda scala senza essere -conosciuto, dicea agli altri, su a rubare, che -v’ha roba assai; ed era già quasi al sommo di scampare -la morte, quando uno cui egli avea offeso -<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span> -così col fascio in collo il conobbe, e gridando, -questi è il tribuno, il fedì: e l’uno dopo l’altro -trattolo fuori dell’uscio del palazzo tutto lo stamparono -co’ ferri, e tagliarongli le mani e sventraronlo, -e misongli un capestro al collo e tranaronlo -fino a casa i Colonnesi; e fatto quivi uno -paio di forche v’appiccarono lo sventurato corpo, -ove più dì il tennero appeso senza sepoltura. -E questa fu la fine del tribuno, dal quale -il popolo romano sperava potere riprendere sua -libertà. -</p> - -<h3 id="cap27-4">CAP. XXVII. -<span class="smaller"><i>Come l’imperadore Carlo venne in -Lombardia.</i></span></h3> - -<p> -Messer Carlo di Luzimborgo re di Boemia e -re de’ Romani, eletto imperadore, avendo accettata -la profferta del comune di Vinegia, e del Gran -Cane di Verona, e degli altri allegati di Lombardia -contro all’arcivescovo di Milano, considerò -che per la sua non grande facoltà d’avere e di -potenza il fascio di cotanta impresa gli era troppo -grave, e avvisossi con grande discrezione, che -a volere venire in Italia per la corona del ferro, e -appresso per l’imperiale, che gli convenia per forza -vincere i signori, e le città, e’ popoli d’Italia -che gli fossono avversi, o con senno o con amore -recare a sè gli animi loro: ricordandosi che l’imperadore -Arrigo suo avolo, avendo seco tutto il -favore de’ ghibellini, e mosso con più di diecimila -cavalieri tedeschi gente eletta, guidata da -<span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span> -grandi baroni e nobili cavalieri, credendosi per -forza sottomettere parte guelfa in Italia avendo -seco tutta la forza de’ ghibellini, passò in Italia; -e non potuto per sua forza domare gli avversari -nè avere la corona, com’è la costuma, nella basilica -di san Pietro, e consumate le sue forze -senza essere ubbidito, rendè a Buonconvento il -debito della carne alla terra, e l’anima a Dio. Per -lo cui esempio l’avvisato eletto Carlo imperadore -abbandonato ogni pensiero di sua potenza, e di -quella che promesso gli era, fidanza prese nel suo -temperato proponimento; e non volendo a’ collegati -negare la promessa della sua venuta, nè -mostrare che contro a’ signori di Milano si movesse, -veduto il tempo atto al suo proponimento, -mosse d’Alamagna con trecento cavalieri in sua -compagnia venendo in Aquilea; e giunto a Udine, -a dì 14 d’ottobre del detto anno, s’accompagnò -il patriarca suo fratello con poca -gente senz’arme, e cavalcando a buone giornate -giunsono in Padova a dì 4 di novembre, -ove fu ricevuto a grande onore; e fatti alquanti -cavalieri de’ signori e di loro prossimani della -casa da Carrara, e lasciati i signori suoi vicarii -nella signoria della città, a dì 7 di novembre -prese suo cammino: e temendosi messer Gran -Cane che non entrasse in Vicenza nè in Verona -il fece con lieve onore conducere per lo contado -alla città di Mantova, e ivi ricevuto come signore, -prese a fare suo dimoro per trattare se tra i -Lombardi potesse mettere accordo, e ivi attendea -s’e’ comuni e’ popoli e’ signori di Toscana gli -mandassono ambasciadori per potersi meglio provvedere -<span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span> -alla sua coronazione. Lasceremo ora alquanto -questa materia, tanto che alcuna cosa degna -di memoria occorra di ciò al nostro proponimento, -e diremo dell’altre che prima addomandano -il debito alla nostra penna. -</p> - -<h3 id="cap28-4">CAP. XXVIII. -<span class="smaller"><i>Come i tre fratelli de’ Visconti di Milano -furono fatti signori, e loro divise.</i></span></h3> - -<p> -Tornando a’ fatti de’ Visconti di Milano, dopo la -morte dell’arcivescovo messer Maffiolo, e messer -Bernabò, e messer Galeazzo, figliuoli che furono -di messer Stefano nipote dell’arcivescovo, essendo -forniti di molti cavalieri e masnadieri per -difendersi e abbattere giusto loro podere la forza -degli altri Lombardi collegati contro a loro, e da -resistere all’imperadore se muover si volesse contro -a loro, stare facevano tutte le loro città e castella -in buona guardia e sollecita; ed essendo -tutti e tre in Milano, si feciono eleggere signori indifferentemente -a dì 12 d’ottobre, e appresso si -feciono fare a tutte le città del loro distretto il simigliante; -ed essendo da tutti confermati nella -signoria, si partirono tra loro il reggimento in -questo modo: che Milano fosse comune a tutti, -e dell’altre città feciono di concordia tre parti, -salvo la città di Genova, che vollono che rimanesse -comune in fra loro come Milano, e gittarono -le sorte, per le quali a messer Maffiolo, ch’era -il maggiore, toccò Parma, Piacenza, Bologna, e -Lodi: a messer Bernabò Cremona, Brescia, e -<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span> -Bergamo: e a messer Galeazzo Como, Novara, Vercelli, -Asti, Tortona, e Alessandria, con tre altre -terre di Piemonte; e nondimeno a comune ne’ cominciamenti -manteneano la spesa de’ soldati, e -molto onorava l’uno l’altro, e di gran concordia -faceano le loro imprese. A messer Maffiolo, -perch’era di più tempo e di minor virtù, rendeano -onore di metterlo innanzi ne’ titoli e -ne’ consigli. I fatti della cavalleria e dell’arme -erano contenti che guidasse messer Bernabò che -n’era più sperto, e messer Galeazzo ne prendea -alcuna volta parte come a lui piacea. Essendo -questi signori di Milano così ordinati tra loro, -sopravvenuto l’eletto imperadore in Mantova, stavano -apparecchiati in loro senza fare altro movimento -di guerra contra a’ loro avversari, e gli allegati -anche stavano a vedere che l’imperadore facesse -senza muovere la loro gente a far guerra. -</p> - -<h3 id="cap29-4">CAP. XXIX. -<span class="smaller"><i>Come l’imperadore stando a Mantova trattava -la pace de’ Lombardi.</i></span></h3> - -<p> -L’imperatore avendosi avvisatamente condotto -in Lombardia di verno, e sapendo la gran forza -di gente ch’aveano i signori di Milano, e la -potenza del loro tesoro e delle loro entrate, fece -venire a se in Mantova gli ambasciadori del comune -di Vinegia e di tutti i signori collegati, e con -loro insieme vide che la sua forza e la loro in que’ -tempi non era sufficiente a tanto fatto quanto volevano -imprendere. Ancora considerò che stando -<span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span> -egli a Mantova niuno signore o comune d’Italia, -salvo che i collegati, era venuto o avea mandato -a lui contro a’ signori di Milano, e però gli -parve che le cose fossono assai bene disposte al -suo proponimento col quale s’era messo a farsi -trattatore di pace, per accattare da ogni parte -benevolenza, e non prendere nimicizia con alcuno, -e però cominciò a trattare della pace; e parendogli -che catuno si disponesse a volerla, acciocchè -quelli della lega non portassono la gravezza -del soldo della gran compagnia, la fece -licenziare a dì 8 di novembre, e quelli della -compagnia ne furono contenti: ed essendo in -sul Bresciano, parte ne condussono i signori di -Milano, e parte la lega, e il rimanente si ritenne -in compagnia col conte di Lando. L’imperadore -seguiva con sellecitudine che la pace si facesse, -e in lungo processo di trattato più volte corse -la voce che la pace era fatta. Ma nascendo ora -dall’una parte ora dall’altra cagione di tirare, -la pace non veniva a perfezione, e in questo soprastare, -vennono accidenti che non la lasciarono -venire a perfezione, i quali diviseremo nel tempo -ch’avvennono secondo l’ordine del nostro trattato. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span> -</p> - -<h3 id="cap30-4">CAP. XXX. -<span class="smaller"><i>Come furono presi i legni ch’andavano -a Palermo.</i></span></h3> - -<p> -Del mese d’ottobre del detto anno, il re Luigi -sentendo la città di Palermo in gran bisogno di -vittuaglia e di gente d’arme per la difesa contro -a’ nimici, fece armare tre galee, e uno panfano, -e dodici legnetti e una nave, e tutte le fece caricare -di grano e d’altra vittuaglia, e fece ammiraglio -il conte di Bellante Potarzio d’Ischia, -e comandogli che le conducesse in Palermo; ed -essendo nel mare di Calabria si vidono contra galee -di Messinesi, che stavano alla guardia per -procacciare di vittuaglia, di che aveano gran bisogno, -le quali vedendo quelle del Regno con legni -armati, e conoscendo la loro poca virtù, s’addirizzarono -verso loro. Il conte vedendole venire, -come codardo non prese alcuna difesa, ma la -sua propria galea abbandonò perch’avea del -grano in corpo, e montato su un legno armato, -innanzi che i nemici s’appressassono si fuggì. -Le galee de’ Messinesi giugnendo a quelle del -Regno le trovaron senza capitano e senza difesa, -e però le si presono col carico e colla -gente, e con gran festa e gazzarra questa utile -preda al bisogno della loro città misono in -Messina, ove furono ricevuti a grande onore, più -per loro bisogno che per la piccola vittoria. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_198">[198]</span> -</p> - -<h3 id="cap31-4">CAP. XXXI. -<span class="smaller"><i>Come si cominciò guerra in Puglia tra loro.</i></span></h3> - -<p> -Messer Luigi di Durazzo cugino carnale del re -Luigi, vedendo che il detto re avea dato al prenze -di Taranto e a messer Filippo suoi fratelli -carnali grandi baronaggi in Puglia e nel Regno, -nè a lui nè a messer Ruberto non avea data nulla -cosa, con giusto sdegno, vedendosi in povero -stato, si tenea dal re e dalla reina malcontento: -e il conte di Minerbino tenendosi anche male del -re e della reina s’accostò con messer Luigi, e -propuosono di volere fare guerra nel paese di -Puglia. Per questa tema il re e la reina andarono -in Puglia cercando riconciliarli con parole, e -mandaronli pregando che venissono a loro; e -consigliati insieme, ordinarono che il conte v’andasse, -avendo prima per sua sicurtà per stadichi -il vescovo di Bari e messer Giannotto dello -Stendardo in Minerbino, e così fu fatto. E stando -col re e con la reina non si trovò modo d’accordo, -nè che messer Luigi si volesse assicurare -di andare a loro. In questo stante, gente d’arme -acconcia a far male percossono alla strada, e -presono settanta muli che tornavano da Barletta -con poca roba, e menargli via in vergogna della -corona, essendo la persona del re nel paese. E -tornandosi il re e la reina a Napoli, messer Luigi -e il Paladino presono ardire di più aperta rubellione, -e accolsono gente d’arme, e correano -per lo paese. Ma sentendosi di piccola possanza, -<span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span> -entrarono in trattato col conte di Lando, che -dovesse conducere la compagnia nel Regno. Soprastaremo -alquanto al presente a questa materia, -parandocisi innanzi più notevole avvenimento -di grave fortuna. -</p> - -<h3 id="cap32-4">CAP. XXXII. -<span class="smaller"><i>Come i Genovesi sconfissono i Veneziani -a Portolungo in Romania.</i></span></h3> - -<p> -Avendo la non domata rabbia del comune di -Genova e di quello di Vinegia condotto le loro armate -in Romania, essendo messer Paganino Doria -di trentatre galee genovesi ammiraglio, e messer -Niccolò da ca Pisani ammiraglio di trentacinque -galee de’ Veneziani, e tre panfani e un legno -armato, e venti tra saettie e barche, e cinque -navi di carico tutte armate e incastellate, -e navicando l’una armata e l’altra per lo mare -di Romania a fine d’abboccarsi insieme, non -vi si poterono trovare: l’ammiraglio de’ Veneziani -con tutte le galee e gli altri navilii della sua -armata si ridusse nel porto di Sapienza nella -Romania bassa, e ivi s’ordinò, avendo lingua -de’ suoi nemici ch’erano nel mare di Romania, -in questo modo: che le navi mise nella bocca -del porto incatenate insieme, e con esse venti -galee alla guardia, e molto le fece bene armare -e acconciare alla difesa della bocca del porto, -e con queste rimase il loro ammiraglio; l’altre -quindici galee co’ legni armati e con le saettie -accomandò a uno da ca Morosini di Vinegia, e -<span class="pagenum" id="Page_200">[200]</span> -misele dentro nel Portolungo, acciocchè stessono -più salve, e potessono contastare a’ nemici -dinanzi e l’ammiraglio di dietro, se caso venisse -che l’armata de’ Genovesi si mettesse nel porto. L’ammiraglio -de’ Genovesi avendo in Romania sentito -lingua dell’armata de’ Veneziani, e com’erano -più galee e assai legni di carico incastellati -più di loro, e che fatto aveano la via di Portolungo -di Sapienza nella Romania bassa, come -uomo di gran cuore e ardire, avvilendo i -suoi nemici che non aveano cercato d’abboccarsi -con lui, ma piuttosto fatto vista di schifarlo, -di presente s’addirizzò con la sua armata verso -il porto di Sapienza per richiedere i Veneziani -di battaglia; e come giunto fu sopra il porto -di Sapienza, vide come i Veneziani co’ loro navilii -incastellati e incatenati e con le galee s’erano -afforzati alla bocca del porto, e parvegli segno -che non volessono combattere; nondimeno per -mostrarsi a’ nemici senza paura, non credendosi -venire a battaglia, stando aringati sopra il porto, -mandò a richiedere l’ammiraglio de’ Veneziani -di battaglia, dicendo, come l’attendea -fuori del porto, per porre fine a’ travagli e alle -tribulazioni che gli altri navicanti e tutto il -mare portava della loro guerra. L’ammiraglio -de’ Veneziani rispose, ch’era in casa sua, e -non intendea combattere a richiesta de’ suoi -nemici, ma quando a lui paresse prenderebbe -la battaglia. I Genovesi più inanimati, veggendo -ricusavano la battaglia, da capo la dimandarono, -vituperando i loro avversari, sonando e -risonando trombe e nacchere, e vedendo che -<span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span> -niuno segno si facea pe’ Veneziani di muoversi, -ad alcuno atto, presono un folle ardimento, se -i Veneziani avessono aoperato come poteano l’armi, -perocchè Giovanni Doria nipote dell’ammiraglio -mattamente si mise con una galea ad entrare -nel porto, e appresso di lui il figliuolo dell’ammiraglio -con la sua, entrando sotto la guardia -delle navi e delle galee. I Veneziani vedendoli -entrare, follemente li lasciarono entrare, sperando -rinchiuderli nel porto e averli tutti a man -salva; e così senza contasto per atare i giovani -che s’erano messi a quello pericolo v’entrarono -tredici galee di Genovesi l’una dopo l’altra, senza -essere impedite o combattute dall’ammiraglio -o dalla sua armata ch’era alla guardia della bocca -del porto; e trovandosi nel porto, si dirizzarono -con ordine e con grande ardimento a combattere -le quindici galee de’ Veneziani e’ legni armati ch’erano -nel porto, le quali aveano le prode a terra -per loro agiamento, ed erano più atte alla difesa. -I Genovesi l’assalirono con aspra battaglia, -ma quale che fosse la cagione, o per sdegno preso -contro all’ammiraglio che non avea impedito la -loro entrata, e non s’era mosso alla loro difesa, -o per molta codardia, a quel punto feciono piccola -difesa, e però nel primo assalto furono assai -de’ Veneziani fediti e morti: e pignendo i Genovesi, -con piccola resistenza de’ loro avversari -montarono in sulle galee, e in poca d’ora -tutti gli ebbono presi e sbarattati, ne’ quali -molti più annegarono gittandosi in mare per -fuggire, che quelli che morirono di ferro. Avendo -queste tredici galee avuta piena vittoria delle -<span class="pagenum" id="Page_202">[202]</span> -quindici del porto, feciono segno al loro ammiraglio -e all’altre galee ch’erano fuori del porto -della loro vittoria, le quali con grande baldanza -e ardire si misono innanzi, per volere combattere -le venti galee e le navi ch’erano alla -guardia della bocca del porto, e le tredici vittoriose -vennono dall’altra parte, avendo due -corpi di galee veneziane affocate per metterle -loro addosso. Strignendosi d’ogni parte la battaglia, -l’ammiraglio veneziano ingannato per molta -viltà del primo suo avviso, e sbigottito delle -quindici galee perdute, e della battaglia che d’ogni -parte si vedea apparecchiare, s’arrendè alla -misericordia de’ Genovesi, e da quel punto innanzi -più non v’ebbe morto o fedito alcuno -Veneziano; tutti furono prigioni, perocchè in -porto e tutto in mare di lungi dalla terra ferma -niuno dell’armata de’ Veneziani campò che non -fosse preso o morto, e i prigioni furono per novero -cinquemilaottocentosettanta, i quali con tutte -le galee, e altri legni e navilii, con grande vittoria -quasi senza loro danno menarono a Genova, -lasciati nel porto e nella marina di Sapienza -quattromila o più corpi di Veneziani morti -e annegati in quella battaglia, la quale fu a dì 3 -di novembre 1354. Della quale vittoria i Genovesi -ripresono cuore e ardire di loro stato, e i -Veneziani molto ne dibassarono; e questo fece -la mala provvedenza del loro ammiraglio, che avendo -guardata la bocca del porto come potea, -le galee de’ Genovesi non v’entravano, e l’entrate -se l’avesse volute combattere di dietro con -parte delle sue galee, come poteva, avrebbe vinti -<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span> -i Genovesi, come i Genovesi vinsono lui. Ma -la guerra è di questa natura, che commesso il -fallo seguita la penitenza senza rimedio le più -volte. -</p> - -<h3 id="cap33-4">CAP. XXXIII. -<span class="smaller"><i>Come Gentile da Mogliano diede Fermo -al legato.</i></span></h3> - -<p> -Innanzi che noi procediamo ad altri effetti -della detta sconfitta, Gentile da Mogliano signore -della città di Fermo nella Marca ci ritiene -alquanto, perocchè essendo tirannello oppressato -da messer Malatesta da Rimini maggiore tiranno, -per cui s’era messo a soldare la compagnia -per liberare Fermo dall’assedio, come -già è detto, rimase povero d’avere e d’aiuto, -conobbesi impotente da difendersi dal nimico -suo, non che dal legato, che per riavere la -Marca occupata a santa Chiesa s’apparecchiava -di venire a oste alla sua occupata città di Fermo, -e però si pensò di riconciliar col legato e d’abbattere -messer Malatesta suo nimico, e andossene -in persona al legato ch’era a Fuligno, e promiseli -di renderli la città di Fermo, e d’essere fedele al -servigio di santa Chiesa e del legato. Il legato -ebbe tanto a grado la venuta e l’offerta di Gentile, -che di presente il ricevette con grande allegrezza, -e per onorarlo e fargli bene, comunicatosi -insieme con lui alla messa, il fece gonfaloniere -di santa Chiesa, e promisegli que’ danari -che volle a certo termine, dicendogli ch’era -<span class="pagenum" id="Page_204">[204]</span> -contento tenesse la rocca di Fermo infino che fosse -pagato. Il legato mandò della sua gente da cavallo -e da piè, e furono ricevuti da’ Fermani con -grande allegrezza e festa, pensando che uscivano -di pericoloso servaggio, che Gentile era bisognoso -e gravavagli troppo, e non gli poteva difendere -nè aiutare. E il legato pensava fare in Fermo sua -frontiera al primo tempo, perocch’era vicino alle -città della Marca occupate per messer Malatesta, -e avendo fatto contro a lui e contro agli altri -tiranni di Romagna gravi processi, pensava -volere fare l’esecuzione con altro che col suono -delle campane e con le candele spente, ma -da’ baratti e da’ tradimenti de’ Romagnuoli e de’ -Marchigiani non si potè guardare, come innanzi -racconteremo. -</p> - -<h3 id="cap34-4">CAP. XXXIV. -<span class="smaller"><i>Come il re di Araona ebbe la Loiera, -e fece accordo col giudice.</i></span></h3> - -<p> -Tornando a’ fatti di Sardegna, il re di Araona -con la sua cavalleria e con l’armata delle sue -galee avendo mantenuto assedio alla Loiera dal -luglio al novembre, e fatto continova guerra al -giudice d’Alborea con piccolo acquisto, essendo -la Loiera a grande stretta, e non vedendo d’essere -soccorsa, trattavano col re, e similmente il -giudice d’Alborea rincrescendogli la guerra. Il -re si teneva duro, e voleva maggiori cose che offerte -non gli erano. In questo stante sopravvenne -la sconfitta de’ Veneziani ricevuta da’ Genovesi, -<span class="pagenum" id="Page_205">[205]</span> -la novella della quale fu in segreto molto tosto -a Vinegia. Il doge e ’l consiglio che questo -seppono, tennono la cosa celata per modo, che i -loro cittadini non poterono alcuna cosa sentire, -e di presente armarono un legno sottile, e mandarono -significando al re d’Araona il loro fortunoso -caso, e avvisandolo che innanzi che la novella -si spargesse sapesse pigliare suo vantaggio, e guardare -la sua armata. Il legno portò volando la -mala novella al re d’Araona, ed egli con maestrevole -avviso con molta festa manifestò la novella -per lo contradio, facendo assapere al giudice -e agli assediati che i Veneziani aveano sconfitti i -Genovesi. Per questo i Genovesi ch’erano a -guardia della Loiera perderono ogni ardire, e -procacciavano l’accordo, e il giudice si dichinò -più che fatto non avrebbe, e il re mostrandosi -di buona aria più che non solea, di presente venne -alla concordia della pace, e fu fatta in questo -modo: che il re avesse la Loiera andandosene -sani e salvi i Genovesi e gli altri forestieri che -la guardavano, e il giudice d’Alborea riconobbe -ritenere tutte le terre dal detto re, e feceli -il saramento, e promiseli dare ogni anno certa -moneta per l’omaggio delle dette terre; e fatta -la pace, e fornita la Loiera di sua gente d’arme, -per lo beneficio dell’affrettata novella, e per lo savio -consiglio del re, si tornò in Catalogna, con -acquisto, e con pace, e con onore. Ove se la novella -fosse sentita prima da’ suoi avversari, con -danno e con vergogna senza nullo acquisto gli -convenia partire dell’isola vituperosamente: e -però si verifica qui l’antico proverbio contrario -<span class="pagenum" id="Page_206">[206]</span> -alla vile pigrizia, che dice; il buono studio -vince ria fortuna. -</p> - -<h3 id="cap35-4">CAP. XXXV. -<span class="smaller"><i>Come i Pisani si diliberarono di mandare -all’imperatore.</i></span></h3> - -<p> -Soprastando l’eletto imperadore a Mantova per -volere trarre a fine la pace tra’ Lombardi, i Pisani -i quali erano a quel tempo in grande e buono stato -sotto il reggimento de’ Gambacorti, ch’erano -i maggiori, e con loro gli Agliati e seguaci e Bergolini, -i quali manteneano pace e onore co’ Fiorentini, -e non ostante che fossono amici de’ guelfi, -sentendo il popolo minuto tutto imperiale, per -provvedersi di conservare loro stato diliberarono di -mandare di loro medesimi ambasciadori con pleno -mandato del detto comune al detto eletto, e nel -loro segreto fu, che procacciassono d’avere promessione -e fede dall’eletto, che gli conserverebbe -nello stato senza far nella città mutazione degli -ufici, e che non vi rimetterebbe gli usciti ribelli, -e che manterrebbe al comune di Pisa la signoria -di Lucca, e non la recherebbe in libertà nè ad altro -stato. Gli ambasciadori con grande compagnia -e molto adorni giunsono a Mantova, dov’era -l’eletto imperadore, e ricevuti da lui con grande -onore, e fatta la riverenza, spuosono l’ambasciata -del loro comune, ove liberamente gli offersono -la città e gli uomini di quella alla sua ubbidienza, -pregando divotamente per bene, e per -pace e buono stato del detto comune, che gli dovesse -<span class="pagenum" id="Page_207">[207]</span> -piacere di promettere per la sua fede, e appresso -dell’imperiale corona le sopraddette cose -utili e necessarie al buono stato di que’ cittadini, e -l’eletto con grande allegrezza e festa li ricevette, -e promise nella sua fede liberamente ciò che per -loro era domandato. Allora gli ambasciadori gli -promisono trentamila fiorini d’oro in aiuto alla spesa -della sua coronazione, e altri trentamila per lo -consentimento della città di Lucca, il quale consentimento -non onorevole alla maestà imperiale, -comprese sotto la ragione del padre suo re Giovanni, -quando la città di Lucca gli fu data. Della -quale promessa i grandi mercanti, e gli altri -usciti di Lucca, che si pensavano tornare in libertà -per la venuta dell’imperadore, si tennono mal -contenti: e così fu fatta la concordia dall’eletto -imperadore a’ Pisani, della quale i cittadini feciono -in Pisa per molti giorni singulare e grande festa, -ignoranti del futuro avvenimento della loro -ruina. -</p> - -<h3 id="cap36-4">CAP. XXXVI. -<span class="smaller"><i>Rottura della pace del re di Francia -e d’Inghilterra.</i></span></h3> - -<p> -Essendo per lungo tempo trattato per lo cardinale -di Bologna e per altri prelati di volere fare -accordo tra il re di Francia e quello d’Inghilterra, -e sotto questa speranza più volte prolungate -le triegue tra l’uno re e l’altro; e non potendo trarlo -a fine, provvidono di comune consiglio quelli -che menavano il trattato, che abboccandosi i due -re insieme nella presenza del papa, o i loro più -<span class="pagenum" id="Page_208">[208]</span> -confidenti baroni, che pace ne dovesse seguire; e -per seguire questo consiglio il re di Francia vi -mandò il duca di Borbona suo consorto, e il conestabile -di Francia: e il re d’Inghilterra vi mandò -il duca di Lancastro suo cugino, e il vescovo -di Vervic, e catuno giunse a corte del mese di -dicembre: e abboccatisi insieme per più riprese -nella presenza del papa, tanto volea catuno mantenere -l’onore del titolo del suo signore, che -mezzo non seppono trovare di recarli in pace. Il -papa, o per soperchia arroganza che trovasse in loro, -o per poco ardire ch’avesse di sforzare gli -animi de’ signori, non vi s’interpose come avrebbe -potuto la sua autorità, con la quale poteva catuno -sostenere con suo onore, e trovare mezzo -di recarli a concordia e pace; nol fece, che forse -non erano ancora puniti i peccati de’ Franceschi: -e però del mese di gennaio del detto anno, catuna -parte in discordia con poco onore del santo padre -e de’ suoi cardinali si tornò al suo signore. -</p> - -<h3 id="cap37-4">CAP. XXXVII. -<span class="smaller"><i>Come un gatto uccise un fanciullo -in Firenze.</i></span></h3> - -<p> -Avvegnachè assai paia cosa strana e non degna -di memoria quello che seguita, perocchè fu -inaudito caso, non l’abbiamo saputo tacere. In -Firenze era da san Gregorio un lasagnaio con -una sua moglie, aveano un piccolo loro fanciullo -di tre mesi, e avendolo la madre governato -e rimessolo nella culla al modo usato, una -<span class="pagenum" id="Page_209">[209]</span> -gatta accresciuta e nutricata in quella casa se n’andò -al fanciullo, e cominciolli a rodere la testa, -e trassegli gli occhi e manicosseli, e poi rodendo -la testa se n’andò fino al cervello; e avendo -lungamente pianto il fanciullo, il padre e la madre -soccorsono tardi, non pensando che cotale caso -fosse, e trovarono il fanciullo storpiato, e la -gatta sopr’esso ancora vivo, ma incontanente morì; -e sparata la maladetta gatta le trovarono gli -occhi del fanciullo in corpo. Questa è quasi cosa -incredibile, ma per esperienza del vero di questo -fatto si dee alle donne e alle balie accrescere sollecitudine -e accrescimento di buona guardia a’ -piccoli fanciulli. Avvenne questo inopinato caso a -dì 6 di dicembre 1354. -</p> - -<h3 id="cap38-4">CAP. XXXVIII. -<span class="smaller"><i>Come l’imperadore fe’ fare triegua -da’ Lombardi a’ signori di Milano.</i></span></h3> - -<p> -Avendo fino a qui dimostrato i trattati tenuti -per l’eletto imperadore e la sua venuta a -Mantova, al presente ci strigne il tempo a venire -dimostrando i cominciamenti in fatti delle sue -proprie operazioni. Costui secondo il suo supremo -titolo, conoscendo se medesimo e il suo piccolo -podere, e abbattendo nell’animo suo ogni -elezione, provvide che per astuta e dissimulata -suggezione gli convenia procedere per venire all’ottato -fine della sua coronazione, e per questo in -fatto prese abito, forma, e operazione umile, e -sommissione incredibile all’imperiale nome in -<span class="pagenum" id="Page_210">[210]</span> -fondamento de’ suoi principii: e venuto a Mantova -senz’arme, e fattosi trattatore della pace da’ -signori di Milano a’ legati lombardi, avendo seguito -il fatto dall’entrata di novembre al Natale -senza frutto, essendo montata la superbia de’ Genovesi -e de’ loro signori, per la vittoria avuta in -mare sopra i Veneziani, per la quale mutando -in prima i patti li voleano più larghi per loro -in vergogna degli allegati, ed eglino sdegnosi -non acconsentivano, l’imperadore, ch’avea -l’animo più a’ suo’ fatti propri, si doleva di -perdere il tempo invano, e conoscendo la potenza -de’ Visconti di Milano maggiore che della -lega, e non vedendosi da’ comuni di Toscana -fuori che da’ Pisani dimostramento d’alcuno -favore, comprese che a’ collegati non faceva utile, -e a se faceva impedimento grande per la coronazione -della corona del ferro, ch’era nella potenza -de’ signori di Milano, e però non dimostrando -d’abbandonare il trattato, ma di volerlo conducere -a fine di pace, facea fare triegua tra’ Lombardi -fino al maggio prossimo vegnente; e fatta la triegua, -incontanente trattò per se accordo co’ signori -di Milano, sottomettendo la sua persona, e ’l suo onore, -e la dignità imperiale oltre al debito modo -nell’arbitrio e potenza de’ tiranni, prendendo confidenza -di quelli, o da purità di mente, o da matto -consiglio, non però di certo e di chiaro giudicio; -e il patto fu, che li darebbono abilità d’avere -sotto le loro braccia la corona a Moncia, ed -egli senza entrare in Milano gli lascerebbe suoi -vicari in tutta la loro giurisdizione; ed egli avuta -promissione da loro, che alla sua coronazione a -<span class="pagenum" id="Page_211">[211]</span> -Roma gli donerebbono per aiuto alle spese fiorini -cinquantamila d’oro, senza alcuna gente d’arme -come privato uomo si sottomise nella loro signoria, -vincendo gli animi fieri e l’usata fallacia tirannesca -colla sua persona creduta nelle loro mani -liberamente, come appresso diviseremo. -</p> - -<h3 id="cap39-4">CAP. XXXIX. -<span class="smaller"><i>Come l’imperadore andò a Moncia -per la corona del ferro.</i></span></h3> - -<p> -L’eletto imperadore avendo fatto la sua concordia -co’ signori di Milano, più della pace de’ -Lombardi non si travagliò, ma di presente fatta -la festa della natività di Cristo a Mantova, si -mise a cammino verso Milano con meno di trecento -cavalieri, i più senz’arme, e i signori di -Milano ordinarono, che per tutto loro distretto all’eletto -e alla sua compagnia fosse apparecchiato -per loro e per li loro cavalli ogni cosa da vivere -senza torre alcuno danaio: e giugnendo a Lodi, -messer Galeazzo gli venne incontro con millecinquecento -cavalieri armati, e giunto a lui, gli fece la -reverenza, e accompagnollo fino dentro alla città -di Lodi, e ivi il collocò onoratamente nelle case -de’ signori, facendo nondimeno serrare le porti -della città, e guardarla dì e notte colla gente -armata. E albergato in Lodi una notte, la mattina -appresso mosso il re de’ Romani, messer Galeazzo -colla sua gente armata l’accompagnò, avendo -ordinata la desinea alla grande badia di Chiaravalle: -e appressandosi a Chiaravalle, messer Bernabò -<span class="pagenum" id="Page_212">[212]</span> -con molti cavalieri armati gli si fece incontro, -e fattagli la reverenza, gli presentò da parte -de’ fratelli e cavalli e palafreni covertati di velluto, -e di scarlatto e di drappi di seta, guerniti di ricchi -paramenti di selle e di freni: e fattogli alla -badia nobile desinare, messer Bernabò il richiese -da parte de’ suoi fratelli e da sua che gli dovesse -piacere d’entrare nella città di Milano; l’eletto -rispose, che per niuno modo intendea venire -contro a quello che promesso avea loro; -messer Bernabò gli disse, che questo gli fu domandato -pensando che la gente della lega il dovesse -accompagnare, ma per la sua persona non -era fatto: e tanto il costrinsono, ed egli e messer -Galeazzo, liberandolo per loro e per messer Maffiolo -dalla promessa, che con loro n’andò in Milano; -e entrato nella città, fu ricevuto con maggior -tumulto che festa, non potendo quasi vedere -altro che cavalieri e masnadieri armati: e i suoni -delle trombe, e trombette, e nacchere, e cornamuse, -e tamburi erano tanti, che non si sarebbono -potuti udire grandi tuoni; e come fu in Milano, -così furono le porti serrate, e così rinchiuso -il condussono a’ palazzi della loro abitazione, e -assegnateli sale e camere fornite nobilissimamente -di letta e di ricchi apparecchiamenti, messer -Maffiolo e gli altri fratelli da capo andarono -a fargli la reverenza, dicendogli con belle parole -come tutto ciò che possedevano riconoscevano -avere dal santo imperio, e al suo servigio intendevano -di tenerlo. Il dì appresso feciono fare -generale mostra di tutta la gente d’arme a cavallo -e a piè ch’aveano accolta in Milano, e oltre -<span class="pagenum" id="Page_213">[213]</span> -a ciò feciono armare quanti cittadini ebbono -che montare potessono a cavallo, tutti sforzati di -coverte e d’altri paramenti e d’avvistate sopravveste, -e feciono stare l’imperadore alle finestre -sopra la piazza a vedere; e passando con gran -tumulto di stromenti, feciono intendere all’eletto -ch’erano seimila cavalieri e diecimila pedoni -di soldo: e passata la mostra, dissono: signore nostro, -questi cavalieri e masnadieri, e le nostre -persone, sono al vostro servigio e a’ vostri comandamenti; -dicendo che oltre a questi aveano fornite -tutte le loro città terre e castella di cavalieri -e di masnadieri per la guardia di quelle. E così magnificarono -la gran potenza del loro stato nell’imperiale -presenza, tenendo il dì e la notte le -porte serrate e la gente armata per la città, -non senza sospetto e temenza dell’eletto imperadore, -il quale vedendosi in tanta noia di sollecita -guardia, fu ora che innanzi vorrebbe essere -stato altrove con minore onore, e in tutto fu -in servaggio l’animo imperiale alla volontà de’ -tiranni, e l’aquila sottoposta alla vipera, verificandosi -la pronosticazione detta per previsione -d’astrologia, negli anni <i>Domini</i> 1351, per messer -frate Ugo vescovo di...... grande astrologo -al suo tempo, il quale predisse il cadimento del -prefetto da Vico, e la soggezione futura dell’aquila -imperiale in questi versi: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Aquila flava ruet post parum vipera fortis.</i></p> -<p class="i01"><i>Moenia subintrat Lombardi prima sophiae</i></p> -<p class="i01"><i>Anno quadrato minori decimonono.</i></p> -<p class="i01"><i>Aquila succumbet pro stupri crimine foedo</i></p> -<p class="i01"><i>Nigra revolabit sublimi cardine Romam.</i></p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_214">[214]</span> -</p> - -<p> -ma egli come savio comportò con chiara e allegra -faccia la sua cortese prigione; e con molta liberalità -vinse quello che acquistare non avrebbe potuto -per forza. Dopo alquanti dì, come a’ signori -tiranni piacque, il condussono con la loro gente -armata a Moncia, e ivi il dì della santa Epifania, -a dì 6 del mese di gennaio di detto anno, fu coronato -della seconda corona del ferro, con quella solennità -e festa che i signori Visconti li vollono -fare; e tornato a Milano sotto continova guardia, -fattivi certi cavalieri, ed egli per tornare in libertà -sollecitando la sua partita, fu accompagnato di -terra in terra dalle masnade armate de’ signori, -facendo serrare la città e castella dov’entrava, -e il dì e la notte tenerle in continova guardia: -ed egli avacciando il suo cammino, non come imperadore, -ma come mercatante ch’andasse in fretta -alla fiera, si fece conducere fuori del distretto -de’ tiranni: e ivi rimaso libero della loro guardia, -con quattrocento compagni, i più a ronzini -senz’arme, si dirizzò alla città di Pisa per esservi -prima che non avea loro promesso, e così li -venne fatto. -</p> - -<h3 id="cap40-4">CAP. XL. -<span class="smaller"><i>Come il conte di Lando venne di Lombardia -in Romagna con la gran compagnia.</i></span></h3> - -<p> -In questi dì all’entrata di gennaio, il conte -di Lando capitano del residuo della gran compagnia, -avendo un dì lungamente parlamentato a -solo coll’eletto imperadore, con duemilacinquecento -<span class="pagenum" id="Page_215">[215]</span> -barbute se ne venne a Ravenna, e con lui due -fratelli della bella contessa, che l’anno del generale -perdono andando a Roma capitò in Ravenna, -e ritenuta dal tiranno per conducerla o -per amore o per forza a consentire alla sua sfrenata -libidine, la valente donna vedendo non -potere mantenere la sua castità contro alla forza -dello scellerato tiranno se non per via di morte, -trovò il modo di finire sua vita innanzi che volesse -corrompere la sua castità; questi cavalieri credendosi -potere vendicare dell’onta della loro sirocchia -contro al tiranno, s’accostarono con la -compagnia, e furono singolare cagione di menarla -in sul Ravennese, ove stette lungamente ardendo, -e predando, e guastando il paese; e -dopo la detta stanza e guasto dato, essendosi -tenuto alle mura della città il conte, gli domandò -trentamila fiorini d’oro se volea si -partissono di suo terreno, e avendo il tiranno -bargagnato, s’era recato il conte a dodicimila -fiorini d’oro. Allora disse il tiranno, che gli -darebbe i detti danari, se ’l conte il volesse sicurare -di non partirsi con la compagnia per spazio -d’un anno continovo del contado di Ravenna: -e a’ suoi cittadini fece stimare il danno ricevuto -delle loro possessioni, tenendoli in speranza di -pagare loro la restituzione del danno; onde il conte -e la sua compagnia frustrata del loro intendimento -si partì di là, e andossene nella Marca. -Lasceremo ora de’ fatti della gran compagnia, e -torneremo alle cose che per l’avvenimento dell’imperadore -occorsono in Toscana. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_216">[216]</span> -</p> - -<h3 id="cap41-4">CAP. XLI. -<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini per la venuta dell’imperadore -a Pisa si provvidono.</i></span></h3> - -<p> -Sentendo i Fiorentini l’avvenimento dell’eletto -imperadore a Pisa, non avendo alcuna cosa -provveduto dinanzi quando era a Mantova, ove -ciò che avessono voluto da lui avrebbono di suo -buon grado impetrato, stavano in consiglio se -dovessono ubbidire o contradiare: ed essendone la -città tutta in vari e indeterminati consigli, presono -di fare dodici uficiali ch’andassono per tutto -il contado con ordinata balìa, di fare riducere -tutta la vittuaglia nelle terre murate e nelle -castella forti, e ogni altra cosa di valuta, e diedono -voce di volere prendere difesa, e non con -accettare l’imperadore, per non sottomettere la -franchigia del comune ad alcuna signoria; e quanto -che in fatto questa provvigione avesse poco effetto, -pure fu utilmente provveduto, per non mostrare -viltà o paura, e per dare intendere all’eletto -imperadore e al suo consiglio che il comune -di Firenze s’apparecchiava alla sua difesa; e nondimeno -elessono sei cittadini per mandarli a lui -come fosse riposato in Pisa, per trattare accordo -con lui, se rimanendo in libertà il potessono -trovare. E questo fu ordinato e fatto in Firenze -a dì 11 di gennaio del detto anno. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_217">[217]</span> -</p> - -<h3 id="cap42-4">CAP. XLII. -<span class="smaller"><i>Come il legato prese Recanati.</i></span></h3> - -<p> -In questo mese di gennaio, il legato del papa -avendo la città di Fermo, e seguitando suo processo -contro a messer Malatesta da Rimini per -le città ch’egli occupava a santa Chiesa, nondimeno -come signore avvisato e pratico ne’ fatti -della guerra, non stava solo a’ processi nè al -suono delle campane, anzi cercava trattati, e co’ -suoi cavalieri sollecitava gli avversari di continova -guerra: e in questi dì per trattato mise la sua -cavalleria in Recanati, e racquistò la città alla -Chiesa di Roma; e in quella, perch’era povera -d’abitanti, mise gente assai a cavallo e a piè per -far guerra a messer Malatesta, e per guardare -la città più sicuramente. -</p> - -<h3 id="cap43-4">CAP. XLIII. -<span class="smaller"><i>Come il capitano di Forlì venne in Firenze.</i></span></h3> - -<p> -Quello che al presente ci muove non è per lo -fatto della propria persona degno di memoria, ma -all’indiscreto movimento de’ rettori di Firenze a -quel tempo, non senza ammirazione ci muove a ricordare -come nel nostro contado venne messer -Luigi marito della reina Giovanna figliuola del re -Ruberto, ed egli figliuolo del prenze di Taranto -fratello carnale del detto re Ruberto, stati sempre -<span class="pagenum" id="Page_218">[218]</span> -protettori del nostro comune, e il detto prenze -capitano e conducitore delle nostre osti, avendo -il loro reale sangue e la vita, nelle persone -di messer Carlo loro fratello e di messer Piero -figliuolo del detto re, sparto nelle nostre guerre, -non dimenticata la memoria di cotanti servigi, -gli fu vietato non tanto il venire nella nostra città -senz’arme e senza compagnia di gente d’arme, -ma lo stare nel nostro contado gli fu vietato; -e i fratelli carnali e’ cugini tornando di prigione -d’Ungheria, e domandando di volere fare -loro diritto cammino per la nostra città, e per lo -nostro contado a tornare nel Regno, fu loro vietato -e contradetto il passo, ove si doveva con singulare -festa e onore fargli ricevere e accompagnare: -ma tanto fu il podere d’alquanti cittadini che -allora governavano il comune, fortificandosi con -non giusti nè veri sospetti, che contro al piacere -degli altri cittadini ebbono podere di così -fare. Il capitano di Forlì antico tiranno, sempre -stato nemico di santa Chiesa e del nostro comune, -caporale in Romagna di parte ghibellina, scomunicato -e dannato da santa Chiesa, volendo andare -a Pisa all’imperadore con grande compagnia di -gente d’arme, fu nella nostra città ricevuto con -disordinato e sobrabbondante onore, e convitato -da’ signori e da altri cittadini stette in festa alcuni -dì di suo soggiorno: poi volendo essere nella presenza -dell’eletto imperadore a Pisa, non gli fu conceduto -eziandio entrare in quella città, perch’era -in indegnazione di santa Chiesa. Non è l’onore alcuna -volta fatto al nemico da biasimare, ma molto -pare cosa detestabile in luogo del debito onore -<span class="pagenum" id="Page_219">[219]</span> -a fidatissimi amici imporre sospetto e fare vergogna; -alla matta ignoranza del vario reggimento -della nostra città fu lecito di così fare a questa -volta. -</p> - -<h3 id="cap44-4">CAP. XLIV. -<span class="smaller"><i>Come l’imperadore Carlo giunse a Pisa.</i></span></h3> - -<p> -L’eletto imperadore diliberato delle mani de’ tiranni -di Milano, avendo in sua compagnia il fratello -naturale patriarca d’Aquilea, giunse alla città -di Pisa domenica a dì 18 di gennaio, gli anni <i>Domini</i> -1354 dalla sua incarnazione, in su l’ora della -nona. Ed essendo i Pisani provveduti a fargli onore, -gli andarono incontro con la processione del loro -arcivescovo e di tutto il chericato, e con allegra -festa i giovani vestiti a compagnie di nuove assise -andavano armeggiando, e i rettori del comune -con gli altri più maturi cittadini, e co’ soldati -senz’arme gli si feciono incontro fuori della terra -facendogli somma riverenza, e così tutto l’altro -popolo a piè pieno d’allegrezza gli si fece incontro; -e addestrato da’ loro cavalieri con ricco -palio sopra capo, gridando il popolo viva l’imperadore, -il condussono nella città. L’imperadore, -vestito molto onestamente d’uno paonazzo -bruno senza alcuno ornamento d’oro, o d’argento -o di pietre preziose, andava con molta umilità -salutando i grandi e’ piccoli, pigliando gli animi -di molti forestieri che l’erano a vedere col suo -benigno aspetto e umile portamento, e condotto -alla chiesa cattedrale, reverentemente inginocchiato -all’altare fece sue orazioni; e rimontato -<span class="pagenum" id="Page_220">[220]</span> -a cavallo, con grande allegrezza e festa fu -condotto a’ nobili abituri de’ Gambacorti, ov’era -il famoso giardino, e apparecchiato da’ detti -Gambacorti le camere e le letta di nobilissimi -adornamenti, e apparecchiate le vivande -per la cena, e gli ostieri attorno per tutta la -sua compagnia, fu con somma letizia consumata -la prima giornata, verificandosi l’antico proverbio, -che dice: gli stremi dell’allegrezza occupa -il pianto, come seguendo appresso in questo -processo dell’imperadore si potrà trovare. -</p> - -<h3 id="cap45-4">CAP. XLV. -<span class="smaller"><i>Come l’imperadore bandì parlamento in Pisa, -e quello n’avvenne.</i></span></h3> - -<p> -Lunedì vegnente a dì 19 di gennaio, volendo -l’imperadore fare ragunare i cittadini a parlamento -per ricevere il saramento della loro ubbidienza, -mandò il bando da sua parte che tutti -si ragunassono al duomo per la detta cagione, -ed egli s’apparecchiò d’andare là. Il popolo mosso -per lo bando si ragunava al duomo. Erano in -questo tempo in Pisa due sette, l’una reggea -lo stato del comune, della quale i Gambacorti -e Cecco Agliati erano caporali, e costoro erano -chiamati Bergolini, l’altra si chiamava la setta -de’ Matraversi, e non erano confidenti al reggimento -del comune, ed essendo venuto di Lombardia -appresso all’eletto imperadore uno Paffetta -della casa de’ Conti, il quale era de’ caporali -della setta de’ Matraversi, costui con certi altri di -<span class="pagenum" id="Page_221">[221]</span> -quella setta disposti a rimuovere il reggimento -della città, il quale l’eletto imperadore aveva -a Mantova promesso di conservare e di mantenere, -essendo egli già mosso per andare al parlamento, -e valicato il ponte alla Spina, cominciato -fu con gran romore per li Matraversi a dire, -viva l’imperadore e la libertà, e muoia il -conservadore. Udendosi nel romore la novità -del conservadore, i grandi e’ piccoli cominciarono -a sospettare per tema, e altri per mala industria, -cominciò il popolo a correre all’arme. -L’eletto sentendo questa novità, incontanente -diede la volta, e avendo seco Franceschino Gambacorti, -il quale era sindaco del comune a fargli -il saramento, e con lui i soldati del comune, -se ne venne al palagio degli anziani, e di là -mandò bandi per la terra, e fece a’ cittadini porre -giù l’arme, e racchetare il popolo; e lasciati -i soldati del comune alcuna parte armati in segno -di guardia, in quel giorno non si fece altra -novità, e prolungossi il saramento che fare si -dovea all’eletto imperadore. -</p> - -<h3 id="cap46-4">CAP. XLVI. -<span class="smaller"><i>Come l’imperadore di Costantinopoli -racquistò l’imperio.</i></span></h3> - -<p> -Del detto mese di gennaio, un’altro giovane Calogianni -Paleologo imperadore di Costantinopoli, -essendo, come addietro è narrato, dal suo suocero -Mega Domestico balio dell’imperio per lui cacciato -di quello, ed usurpato a se la signoria del -<span class="pagenum" id="Page_222">[222]</span> -detto imperio, aveva lui lungamente tenuto in -esilio nel reame di Salonicco: il quale giovane -imperadore avendo tenuto lungo trattato con certi -de’ suoi baroni, i quali gli dicevano che procurasse -di comparire a Costantinopoli, ed essendovi -l’ubbidirebbono, costui povero d’avere e di -gente, non trovando altro aiuto, si fece ad amico -un gentile uomo di Genova ch’era ricco in quel -paese, il quale co’ suoi danari e con l’industria -della sua persona segretamente il condusse in Costantinopoli; -ed essendo nella città, fu manifestato -a’ baroni con cui era in trattato, i quali di presente -gli feciono braccio forte, e sommossono il -popolo, che il desiderava come loro diritto imperadore; -e presa l’arme, combattendo il castello -della signoria, Mega Domestico usurpatore dell’imperio, -male provveduto di questo caso, come -Iddio volle si fuggì di Costantinopoli, e il giovane -a cui si dovea l’imperio di ragione rimase imperadore, -e il suocero per paura si rendè calogo -cioè eremita. E stando in quello stato da non -prender guardia di lui, trattava col figliuolo e -co’ suoi amici d’abbattere l’imperadore, e scoperto -il trattato si fuggì, e cambiato abito, accolse -gente, e cominciò a guerreggiare in alcuna -parte l’imperio, con lieve aiuto di sbanditi e di -ribelli. L’imperadore per rimunerare il servigio -ricevuto dal Genovese, ch’aveva nome messer ... li -diede l’isola di Metelino, e la sirocchia -per moglie, ed ebbelo continovo al suo consiglio. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_223">[223]</span> -</p> - -<h3 id="cap47-4">CAP. XLVII. -<span class="smaller"><i>Come i Matraversi di Pisa feciono -muovere l’imperadore.</i></span></h3> - -<p> -Tornando alla materia de’ Pisani, il martedì a dì -20 di gennaio del detto anno si ragunarono in Pisa -col Paffetta assai della setta de’ Matraversi, e con -loro gran parte d’un’altra nuova setta che si diceano -i Malcontenti, e in compagnia s’appresentarono -dinanzi all’eletto imperadore, e con -grande istanza il richiesono e pregarono, che per -bene e contentamento del comune dovesse prendere -a se il saramento de’ loro soldati, che i cittadini -erano malcontenti che i suoi soldati fossono -all’ubbidienza di due privati cittadini, ciò era -Franceschino Gambacorti e Cecco Agliati: e -Cecco Agliati per alcuna invidia presa, vedendo -che a’ bisogni i soldati andavano più a Franceschino -che a lui, sentendo questo movimento andò -all’imperadore, e disse, che dicevano bene, -e che per se era contento che così si facesse. L’eletto -imperadore vedendo che il movimento di -costoro s’accostava alla sua volontà, quanto che -ciò fosse contro a’ patti promessi, sott’ombra di -volere racquetare la contenzione del comune, e -levare materia agli scandali già mossi, andò al -palagio degli anziani, e ivi fatti ragunare i soldati -del comune a cavallo e a piè, prese il saramento -da loro, e cominciò a venir meno allo stato che -reggeva della sua promessa, e a dare baldanza a’ -suoi avversari; ma per non dimostrare che così -<span class="pagenum" id="Page_224">[224]</span> -tosto avesse loro rotti i patti, argomentò, e fecene -capitani Franceschino Gambacorti e Cecco -Agliati alla sua volontà. La cosa era già condotta -in termini che dire non s’osava contro a cosa che -facesse, nè ricordare i patti promessi, ma catuno -dimostrava essere contento a ciò che facesse per -accattare la sua benivolenza. -</p> - -<h3 id="cap48-4">CAP. XLVIII. -<span class="smaller"><i>Come procedettono i fatti in Pisa.</i></span></h3> - -<p> -Avvedendosi i Gambacorti e i loro seguaci che -l’eletto assentiva di grado le novità che moveano -i loro avversari, e non vi volea mettere riparo, conobbono -che il loro stato si veniva abbattendo, e -non vi poteano riparare con alcuno salutevole -consiglio. E però vedendosi a mal partito, strignendosi -insieme, per lo meno reo presono di volere -essere motori, innanzi che fatto venisse alla -setta contraria a loro di dare la libera signoria -del comune all’imperadore, pensando che per i -patti egli era loro obbligato, e per questa libertà -sarebbe più: e così deliberati furono all’eletto, e -con belle e riverenti parole dissono, ch’aveano -provveduto, per levare gli scandali della città di -Pisa e del suo contado e distretto, darli la signoria; -l’imperadore che per via indiretta cercava questo, -si mostrò molto contento, e di presente prese -la signoria, e levò le guardie dalle porte che v’avevano -i Pisani e mise vi la sua gente, e il dì e la -notte faceva guardare la terra alla sua cavalleria -tanto che vi fosse più forte, e l’entrate del comune -<span class="pagenum" id="Page_225">[225]</span> -recò a sua stribuizione, e mandò bando da -sua parte, che chi si sentisse offeso del tempo -passato, o per l’avvenire, andasse per giustizia -a lui e alla sua corte, dicendo, che intendea -che l’agnello pascesse allato al lupo senza lesione -o paura. Tutto questo processo per la fretta -delle sette e per la volontà dell’imperadore, -sotto ombra di volere conservare il comune in -pacifico stato, fu aoperato di fatto, senza deliberazione -di comune consentimento. -</p> - -<h3 id="cap49-4">CAP. XLIX. -<span class="smaller"><i>Come gli ambasciadori del comune di Firenze -andaro all’imperadore.</i></span></h3> - -<p> -Il comune di Firenze avendo lungamente praticato -con quello di Siena e di Perugia per la -comune libertà del reggimento delle dette città, -e trovato che i Perugini si poteano diliberare dalla -suggezione dell’imperio, sotto titolo d’essere -uomini di santa Chiesa, nondimeno di loro -consiglio s’unirono insieme co’ Sanesi a dovere -seguitare uno sì e uno nò nel cospetto dell’imperadore -a mantenere loro stato e la franchigia -de’ loro comuni; e avendo presa questa -concordia, i Fiorentini ch’aveano eletti sei cittadini -d’autorità a questo servigio, gl’informarono -della volontà del loro comune, dicendo, che -i Sanesi seguirebbono quello medesimo, secondo -la promessa ch’aveano dall’ordine de’ nove, -che governava e reggeva quello comune; ed -avendo i capitoli scritti della loro commissione, -<span class="pagenum" id="Page_226">[226]</span> -a dì 22 di gennaio si partirono di Firenze vestiti -d’un’assisa tutti di doppi vestimenti, l’uno di -fine scarlatto, l’altro di fine mescolato di borsella, -con ricchi adornamenti, e con otto famigli a -cavallo per uno tutti vestiti d’un’assisa, e nel -cammino attesono più giorni gli ambasciadori -perugini e’ sanesi per comparire tutti insieme -nella presenza dell’imperadore, come ordinato -era, sperando dovere impetrare ogni loro domanda -con la benevolenza del signore, ove i Sanesi -tenessono la fede promessa a’ Fiorentini e a’ Perugini, -la qual cosa venne mancata per la corrotta -intenzione de’ Sanesi, come poco appresso racconteremo. -</p> - -<h3 id="cap50-4">CAP. L. -<span class="smaller"><i>Di novità stata in Montepulciano.</i></span></h3> - -<p> -Mercoledì notte a dì 21 di gennaio, messer -Niccolò de’ Cavalieri uscito di Montepulciano, avendo -trattato co’ suoi amici ch’erano nel castello, -accolti dugento cavalieri e cinquecento fanti, -essendogli aperta una porta, entrò nel castello; i -Sanesi ch’aveano la rocca e la guardia di Montepulciano, -sentendo messer Niccolò e la sua -gente entrati dentro, francamente con certi terrazzani -che non erano nel trattato abbarrarono -la terra, e intendevano alla difesa, ma poco sarebbe -loro valuto, se non che per caso avvenne, -che per altra cagione in Montefollonico ivi vicino -erano venute masnade di Sanesi, i quali sentendo -lo stormo di Montepulciano di presente -<span class="pagenum" id="Page_227">[227]</span> -furono là al soccorso de’ loro; e aiutato sostenere -la battaglia e difendere la terra infino al vespero, -vedendo messer Niccolò e i terrazzani ch’erano -con lui che non poteano rompere gli avversari, -e che il giorno declinava verso la notte, temette -che nel soprastare maggior gente de’ Sanesi -non li sorprendesse, presono partito d’ardere la -terra, e andarsene: e mettendo prima catuno -fuoco nella sua casa, e appresso nell’altre, e affocato -ogni cosa, abbandonarono la terra: e intrigati -que’ d’entro a riparare al fuoco non li poterono -seguire, e però si ricolsono a salvamento; e -per l’abbondanza del fuoco messo in molte parti, -senza potersi riparare arse dalla rocca del sasso -in giù tutta quanta, con gran danno de’ terrazzani. -</p> - -<h3 id="cap51-4">CAP. LI. -<span class="smaller"><i>Come le sette di Pisa si pacificarono insieme.</i></span></h3> - -<p> -A’ 23 di gennaio 1354, avendo l’imperadore -recato a se la guardia e la libera signoria di Pisa, -e messi i Tedeschi in luogo de’ cittadini alla guardia, -e già cominciando a prendere per loro, e volere -per loro alberghi le case de’ buoni cittadini -di Pisa e le loro masserizie, per paura di peggio -catuna setta si ragunò a casa degli anziani: e vedendosi -insieme, catuno dicea, che per le loro discordie -e disordinati movimenti l’imperadore avea -presa la guardia e la signoria di Pisa contro -a’ patti, e senza la deliberazione del comune, e -dimostrarono in quello consiglio quanto male poteva -<span class="pagenum" id="Page_228">[228]</span> -seguire alla patria per le loro discordie; e -ivi gli animi avvelenati da catuna parte cominciarono -a dissimulare, e mostrare di volere tra -loro concordia, e gli anziani in quello stante elessono -dodici cittadini di catuna parte, i quali -ragunati insieme, senza contasto terminarono -che ogni dissensione tornasse a unità e concordia. -E avuto consiglio con molti cittadini, feciono -fare pace a coloro ch’aveano briga insieme, -e quelli che discordavano per cagione di sette -si mostrarono a quella volta d’uno volere, e di -concordia elessono ventiquattro, dodici di catuna -parte, che riformassono la terra degli ufici -e’ reggimenti a volontà dell’imperadore; e così -ferma la concordia fra loro andarono insieme -all’imperadore, il quale avea già cassi i soldati -borgognoni e italiani del comune di Pisa, e in -loro luoghi condotti de’ suoi tedeschi, e fattili -giurare a se. Venuti i Pisani nella presenza dell’imperadore, -con belle e savie parole li feciono -intendere la loro pace e la loro concordia. L’imperadore, -nonostante quello ch’avea inteso -da’ dicitori, fece domandare il popolo se così era -di loro volere, e tutti gridando risposono di sì; -allora l’imperadore scusò se, dicendo, che quello -ch’avea fatto non era stato di suo movimento -nè per sua volontà, ma le discordie e i romori -mossi e fatti nel suo cospetto l’aveano fatto temere -del suo onore e del pericolo della città, e -però avea presa la guardia; ora molto allegro -della loro pace e concordia restituiva la guardia -della città al comune e gli ufici a’ cittadini; e -di presente colla sua autorità confermò i ventiquattro -<span class="pagenum" id="Page_229">[229]</span> -eletti a riformare la terra, pregando e -comandando loro che facessono buona e comune -elezione agli ufici de’ loro cittadini, sicchè alcuno -non si potesse con ragione rammaricare: ma le -chiavi delle porte della città non volle però rendere -agli anziani. E chi bene riguarderà questo -processo, troverà per astuto ingegno abbattuto -lo stato di coloro che reggevano, e forse darà fede -a una fama che corse, che tutto ciò ch’è avvenuto -fosse ordinato con l’imperadore per lo Paffetta -capo de’ Matraversi fino in Lombardia. -</p> - -<h3 id="cap52-4">CAP. LII. -<span class="smaller"><i>Come Gentile da Mogliano si ritolse la città -di Fermo.</i></span></h3> - -<p> -Tornando nella fontana de’ tradimenti nella -Romagna e nella Marca, ci occorre Gentile da -Mogliano, il quale per dare più certa fede de’ suoi -futuri tradimenti, s’era comunicato col cardinale -all’altare del corpo di Cristo quando rendè la -città di Fermo a santa Chiesa, e fu fatto gonfaloniere -per lo detto legato contra i nemici di santa -Chiesa di Roma, e capitano della gente della Chiesa -contro a messer Malatesta da Rimini ch’era suo -nemico capitale, e mandò il legato, com’era in -convegna con Gentile, gente d’arme a cavallo e -a piè per ricevere la tenuta della rocca e fornirla, -e mandò per loro contanti fiorini d’oro ottomila -per dare a Gentile, come gli avea promessi -quando consegnasse la rocca. In questi medesimi -dì, innanzi che le cose avessono il suo effetto, -<span class="pagenum" id="Page_230">[230]</span> -messer Malatesta s’avvisò non potere resistere -contro al legato avendo seco Gentile da Mogliano -e la città di Fermo; e ’l capitano di Forlì, -quanto che fosse nemico di messer Malatesta, s’accorse, -che acquistando la Chiesa sopra messer -Malatesta, la piena verrebbe poi sopra lui, e però -incontanente fece sapere a messer Malatesta, che -volea dimenticare l’ingiurie ricevute, ed essere -suo amico, e senza attendere risposta, con molta -confidanza se n’andò a lui, il quale veggendo -la liberalità del capitano il ricevette amichevolemente; -e ragionando insieme, conobbono il pericolo -del loro stato, e che rimedio non avea -se non della loro concordia e di Gentile da Mugliano: -e presa fede da messer Malatesta che farebbe -pace con Gentile, e che gli renderebbe il -porto di Fermo, di presente mandò messer Lodovico -suo figliuolo cognato di Gentile a ordinare -che tradisse il legato e santa Chiesa: e perocchè -la natura di que’ tiranni è molto conforme -a’ tradimenti, con poca fatica recò Gentile al -fatto; e udita la promessa di messer Malatesta, -e vedendosi acconcio a potere tradire, tutto l’onore -ricevuto dal legato, e la speranza di quelli che -gli si apparecchiavano, e ’l saramento prestato -nella comunione a santa Chiesa mise per niente, -e fu tanto sfacciato, ch’essendo già venute in -Fermo le some de’ soldati del legato con parte -della gente, fece cercare se i danari vi fossono che -il legato mandava per la rocca, e per avventura -erano ancora fuori della terra; e temendo de’ cittadini, -che volentieri erano usciti della sua tirannia, -mostrando di volere fare ciò ch’avea promesso, -<span class="pagenum" id="Page_231">[231]</span> -occultamente racchiuse nella rocca messer -Lodovico con dugento cavalieri, e del mese -di gennaio, essendo molti cittadini fuori della -terra a una certa festa, scesono improvviso della -rocca nella città gridando, viva Gentile da -Mogliano, e muoia la parte della Chiesa, e corsono -a serrare le porti, e i soldati che dentro v’erano -per la Chiesa mandarono fuori. La gente -del legato uscita di Fermo, e l’altra ch’era fuori, -temendo per lo subito e non pensato tradimento, -si ricolsono a Recanati: e fornito Gentile il -suo tradimento, e fatto pace con messer Malatesta, -e riavuto il porto di Fermo, tutti e tre i tiranni -ribelli a santa Chiesa si collegarono insieme contro -al legato, ma egli con grande animo per questo -non si smagò, ma prese cuore d’abbatterli, -come infine fatto gli venne. -</p> - -<h3 id="cap53-4">CAP. LIII. -<span class="smaller"><i>Come gli ambasciadori de’ Fiorentini -e’ Sanesi furono ricevuti -dall’imperadore.</i></span></h3> - -<p> -A dì 29 di gennaio detto, gli ambasciadori del -comune di Firenze, in compagnia con gli ambasciadori -di Siena, entrarono in Pisa, e andarono -a fare la riverenza all’imperadore, e con loro furono -ancora gli ambasciadori del comune d’Arezzo: -(quelli del comune di Perugia, perocchè si voleano -appresentare come uomini di santa Chiesa, -non vollono andare con loro): e come giunsono -all’imperadore, trovarono accolti con lui tutti i -<span class="pagenum" id="Page_232">[232]</span> -suoi baroni, ed entrando gli ambasciadori de detti -comuni, i baroni avvallarono i cappucci, e l’imperadore -e’ suoi li ricevettono con molta festa -e allegrezza: e volendo baciare i piedi all’imperadore, -nol sofferse: e ricevuta la riverenza da -tutti, con singolare dimostramento d’amore -prese per mano degli ambasciadori di Firenze, e -feceseli tutti sedere allato, e tale fu ch’egli abbracciò -e baciò in bocca per mostrare che contro -a lui non avesse preso sdegno, sapendo ch’altra -volta tornato a Firenze dalla Magna avea -sparlato contro a lui; e festeggiando con tutti allegramente, -domandarono giornata per sporre la -loro ambasciata, e fu data loro per lo seguente -giorno. -</p> - -<h3 id="cap54-4">CAP. LIV. -<span class="smaller"><i>Come i Sanesi scopriro la loro corrotta fede -contro a’ Fiorentini.</i></span></h3> - -<p> -L’altro dì vegnente, a dì 30 di gennaio detto, -gli ambasciadori del comune di Firenze vestiti di -scarlatto foderato di vaio con adorni paramenti, -con gli ambasciadori de’ Sanesi insieme, ch’erano -de’ maggiori cittadini di quella città, s’appresentarono -alla presenza dell’imperadore e del -suo consiglio: e avendo voluto i Fiorentini che con -loro insieme fossono gli ambasciadori d’Arezzo, -i Sanesi ch’avevano la mente corrotta contro a’ -Fiorentini nol vollono acconsentire, perchè i -Fiorentini a quel parlamento non avessono chi -li seguisse. E cominciando gli ambasciadori fiorentini -a sporre l’ambasciata com’era loro imposto, -<span class="pagenum" id="Page_233">[233]</span> -per dimostrare più franchezza del loro comune, -usarono parole di debita reverenza alla -maestà imperiale, dicendo <i>santa corona</i>, e poi -conseguendo <i>serenissimo principe</i>, senza ricordarlo -imperadore, o dimostrargli alcuna riverenza di -suggezione, domandando che il comune di Firenze -volea, essendogli ubbidiente, le cotali e cotali -franchigie per mantenere il suo popolo nell’usata -libertà, e avendo tutto detto come fu loro -commesso, conchiusono la loro reverenza con -poco onore della maestà imperiale, della qual -cosa seguitò poco onore a’ rettori di Firenze -da cui mosse quello consiglio. Di questo nacque -tra i baroni e’ consiglieri dell’imperadore, e -massimamente tra coloro che per animo di parte -erano contradi al comune di Firenze, sdegno e -baldanza di parlare contro al nostro comune, e -se l’imperadore, e il patriarca, e il vececancelliere -non avessono avuta più temperanza che gli -altri del consiglio, i fatti con la consequenza de’ -Sanesi, che in quello consiglio ingannarono il comune -di Firenze, andavano a rovescio con molto -sdegno da catuna parte, ma il savio signore con -temperanza conobbe quanto pericolo al suo stato -portava a non rimanere in concordia col comune -di Firenze, e però sostenne, magnificando quel comune, -e mostrando verso quello volere fare quanto -onestamente potesse fare, non guardando troppo -all’onore imperiale: e ordinò di tornare con -più diligenza altra volta a trattare co’ detti ambasciadori, -e il suo consiglio ripremette d’ogni oltraggioso -parlamento quivi fatto. Dopo questo, gli -ambasciadori sanesi, ch’aveano altro in cuore -<span class="pagenum" id="Page_234">[234]</span> -che non aveano promesso a’ Fiorentini, lieti della -poca riverenza fatta all’imperadore per gli ambasciadori -fiorentini, parendo loro venuto il tempo -che i loro rettori con coperta malavoglienza -lungamente aveano aspettato, credendosi col loro -tradimento abbattere e disfare il comune di Firenze, -partendosi da quello che in fede aveano -promesso al nostro comune, cominciarono a sporre -innanzi all’imperadore, e al suo consiglio, e -agli ambasciadori del comune di Firenze la loro -ambasciata, magnificando con ornato sermone -la serenità della maestà imperiale, chiamandolo -loro signore, e senza alcuno patto offersono quello -comune liberamente alla sua signoria, con le -più magnifiche lode che pronunziare si possono, -e con le più libere offerte, pensando di questo -rimanere esaltati e grandi, e aver messo in fondo -il comune di Firenze. Onde l’imperadore -graziosamente e con lieto volto ricevette e accettò -l’offerte di quello comune, e gli ambasciadori -commendò molto del loro onorevole parlare, -in onesta riprensione di coloro che con -meno reverenza aveano parlato all’imperiale maestà. -Ma perocchè l’intenzione dell’ordine de’ -nove di Siena infino a quello punto era stata -occulta a molti grandi cittadini di Siena e al comune -di Firenze, cominciata a palesare ne’ fatti, -ebbe ravvolgimenti, e seguironne cose assai -notevoli, come al suo tempo innanzi racconteremo: -ricordando qui, che come a Dio piacque, l’ordine -de’ nove, che questo tradimento ordinarono, -ne fu abbattuto e disfatto, e il comune di -Firenze n’è esaltato in maggiore e migliore stato. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_235">[235]</span> -</p> - -<h3 id="cap55-4">CAP. LV. -<span class="smaller"><i>De’ falli commessi per lo comune di Firenze, -e degl’inganni ricevuti da’ suoi vicini.</i></span></h3> - -<p> -Avvegnachè quello che seguita non sia cosa -notevole, concedesi al nostro trattato per ammaestramento -delle cose a venire. I rettori del comune -di Firenze sentendo passato in Italia l’imperadore -e coronato a Moncia, per loro non si fe’ -alcuna provvisione in utilità o beneficio del nostro -comune; stando egli lungamente a Mantova -nel lieve stato che v’era, se il nostro comune -v’avesse mandato a dargli conforto, ciò che avessono -voluto avrebbono di grazia impetrato da lui, -ove poi con pericolo e con gran costo s’accordarono -con lui, come seguendo si potrà trovare. E ancora -lasciarono per matta ignoranza a provvedere -d’arrecare alla loro volontà e disposizione tutte -le città e castella e terre vicine, le quali lievemente -con alquanta provvedenza arebbono recato -a dire e a fare quello che il comune di Firenze -avesse voluto, ove in sul fatto catuna terra e -castello senza richiesta del comune di Firenze -prese suo vantaggio, non senza pericolo del nostro -comune; la diligenza e la sollecitudine de’ -nostri rettori fu abbandonata al corso della fortuna, -come per antico vizio degli uomini del -nostro comune è consueto, perocchè non è chi si -curi di patrocinare lo stato e la provvedenza del -nostro comune: e i rettori, c’hanno poco a fare -all’uficio, intendono più alle loro private cose -<span class="pagenum" id="Page_236">[236]</span> -che a’ beneficii del comune, e però più lo conduce -fortuna che provvedimento, ma molto l’aiuta -Iddio, e gli ordini dati alla grande massa -del comune per i nostri antichi maggiori. E in -questo tempo per questa cagione avvenne, che i -Sanesi non si curarono di rompere in sul fatto -la fede a’ Fiorentini: e i Volterrani, sentendo l’offerte -fatte pe’ Sanesi, anch’eglino si diedono liberamente -all’imperadore contro al volere de’ -Fiorentini; e i Pistoiesi contro al volere de’ Fiorentini, -e senza con loro conferirne vi mandarono -ambasciadori per darlisi: ma sentendo che il -comune di Firenze si turbava contro a loro, si rattennono -della libera profferta, e soprastettono più -per paura che per amore: e’ Samminiatesi cominciarono -segretamente, coprendosi a’ Fiorentini, -di darsi liberamente all’imperadore, e trovando -tra loro concordia, prima l’ebbono fatto -ch’e’ Fiorentini vi potessono riparare; e se non -fosse che i rettori d’Arezzo temeano forte de’ Tarlati -loro usciti e de’ ghibellini d’entro, avendosi -veduti a stanza de’ Sanesi abbandonare da’ Fiorentini -nella presenza dell’imperadore, si sarebbono -dati come gli altri, non curandosi del -Comune di Firenze, ma per loro medesimi sostennono -la libertà di quello comune, essendo -forte impugnati da’ Tarlati Pazzi e Ubertini -loro ribelli ch’erano con l’imperadore. E avvedutisi -gli ambasciadori fiorentini dell’inganno -de’ Sanesi, e di quello ch’aveano fatto i Samminiatesi -e’ Volterrani, cominciarono a parlare -per gli Aretini e per i Pistoiesi; l’imperadore per -sua industria non li sostenne, ma disse la parola -<span class="pagenum" id="Page_237">[237]</span> -del Vangelo: <i>aetatem habent ipsi, de se loquantur</i>, -e non lasciò dar loro audacia o favore; -e così per difetto di mala provvedenza, i Fiorentini -de’ loro propri fatti, e di quelli che s’appartengono -alla guardia de’ loro vicini, furono più e -più giorni a pericoloso partito, e in grande ripitio -degli altri cittadini. -</p> - -<h3 id="cap56-4">CAP. LVI. -<span class="smaller"><i>Di molti Alamanni venuti alla coronazione -dell’imperadore.</i></span></h3> - -<p> -Stando l’imperadore a Pisa ne’ trattati colle -città e comuni di Toscana, come detto è, innanzi -che i sindachi fossono venuti a fermare le suggezioni, -la novella della sua coronazione da Moncia, -e dell’avvenimento da Pisa, era sparta in Alamagna -e nel suo reame di Boemia, e come le -città d’Italia erano senza guerra acconce alla sua -ubbidienza: e per questo l’imperatrice si mosse -con mille cavalieri di buona gente d’arme e -molti baroni a sua compagnia per venire a Pisa, -e per simile modo molti prelati e grandi signori -della Magna di diverse provincie si mossono, -catuno con grande compagnia, per venire in Italia -per essere alla sua coronazione a Roma, e -in breve tempo giunsono a Pisa l’imperatrice e -più di quattromila cavalieri della più bella -e ricca baronia del mondo, bene montati, e -con nobili paramenti, e molti arnesi, ma con -lieve armadura, e molti ne vennono per la nostra -città, albergandone seicento e settecento -<span class="pagenum" id="Page_238">[238]</span> -per notte, ove con cortese e buona guardia -onorevolmente furono veduti e albergati. L’imperatrice -volea di grazia venire per Firenze, ma -perocchè ancora per lo nostro comune non era -presa fermezza d’accordo con l’imperadore, temendo -che l’ignorante e indiscreto popolo minuto -non movesse parole villane contro a’ forestieri -essendo l’imperadrice nella città, o contro -i rettori del nostro comune, per lo meno reo e -più sicuro fu diliberato e preso, che con grande -compagnia o piccola ella non venisse nella città -di Firenze. -</p> - -<h3 id="cap57-4">CAP. LVII. -<span class="smaller"><i>Di novità della Marca per Recanati.</i></span></h3> - -<p> -Messer Malatesta da Rimini, e il capitano di -Forlì, e Gentile da Mogliano, collegati insieme -contro al legato, sentendo che i signori di Milano -aveano tregua con gli allegati Lombardi, e -catuno stava sospeso per cagione dell’imperadore, -aveano cassi cento bandiere di soldati, -e perchè non tornassono loro addosso per via di -compagnie non li lasciavano partire del loro -distretto se non per la via della Magna: e per -questo li ritennono a manicare sopra la pelle -più d’un mese, e molti se ne tornarono nella -Magna, perocch’erano tutti Tedeschi, e quando -gli ebbono assottigliati, concedettono al -resto la via per la Lombardia, i quali senza -arresto improvviso giunsono in Romagna: e arrestati -quivi senza far danno da millecinquecento -barbute, i tiranni sopraddetti romagnuoli s’accolsono -<span class="pagenum" id="Page_239">[239]</span> -con loro, e fatto loro alcuno aiuto di loro -danari, e promesse d’una buona terra dove potrebbono -vernare ad agio, li condussono a Recanati, -pensando per forza poterla vincere e -racquistare. Il legato ammaestrato de’ fatti della -guerra e de’ baratti de’ suoi avversari, avendo per -suo capitano di guerra messer Ridolfo da Camerino, -pro’ e valente cavaliere, avea fatta guernire -di gente d’arme da cavallo e da piè la città di Recanati: -sicchè sopravvenendo i tiranni con quella -cavalleria, e sforzandosi di combatterla, la trovarono -sì guernita alla difesa, che ne perderono -tosto ogni speranza: e non potendovi soprastare, -con vergogna se ne partirono tornandosi addietro. -</p> - -<h3 id="cap58-4">CAP. LVIII. -<span class="smaller"><i>Come la gran compagnia del conte di Lando -entrò nel Regno.</i></span></h3> - -<p> -Essendo per l’avvenimento dell’imperadore in -triegua i fatti di Lombardia, la gran compagnia -del conte di Lando era tornata nella Marca: e ricordandosi -che l’anno dinanzi il re Luigi non avea -mandato loro quarantamila fiorini d’oro ch’egli -avea promessi, e sentendo che il duca di Durazzo -e il conte Paladino erano in rubellione della -corona, ed erano contenti che la compagnia entrasse -nel Regno, nondimeno il conte di Lando, -perchè il re non si provvedesse contro a loro, tenea -trattato d’accordarsi al soldo della Chiesa: -ma non gli era bisogno, che ’l traccurato re era -stato assai dinanzi avvisato dall’imperadore e -<span class="pagenum" id="Page_240">[240]</span> -da più altri che si provvedesse, che di certo la grande -compagnia dovea entrare nel Regno, e la provvigione -che di ciò fatta era, era di stare continovo -in danzare e in festa colle donne: e però la detta -compagnia facendo la via della marina d’Abruzzi, -senza trovare contasto o riparo entrò nel Regno: e -nella prima entrata presono Pescara, e Villafranca, -e san Fabiano, e trovandoli pieni di vittuaglia -e d’arnesi si dimorarono in essi fino al marzo, -recando in preda ciò che venne loro alle mani, -scorrendo le contrade d’intorno. E d’altra parte -il conte Paladino, con trecento cavalieri e molti -masnadieri, in questo medesimo tempo correva -predando le terre di Puglia, facendo noia e danno -assai a’ paesani; e avvegnachè messer Luigi -di Durazzo non si scoprisse in questi fatti, tutto -si riputava che fosse di suo consentimento e volontà. -Il re facea fortificare le terre alla difesa contro -alla compagnia, e confortavali che si guardassono -bene per non cadere nelle mani de’ predoni: -altro aiuto non dava loro, che non n’era provveduto -nè fornito di poterlo fare. -</p> - -<h3 id="cap59-4">CAP. LIX. -<span class="smaller"><i>Come l’imperadore andò a Lucca.</i></span></h3> - -<p> -Essendo stato l’imperadore in Pisa, e lasciato -fare a’ cittadini le novità che narrate avemo, -stimando che quelle divisioni fossono favorevoli -alla sua signoria, e in iscusa a’ patti rotti, intra’ -quali era la suggezione di Lucca, già immaginandone -<span class="pagenum" id="Page_241">[241]</span> -alcuna cosa a sua utilità, volle andare a vedere -la città, e a dì 13 di febbraio anno detto -si mosse con piccola compagnia di gente d’arme, -e stettevi quel dì e l’altro, e prendendo -la riverenza da’ cittadini, il pregavano della loro -libertà. Il savio e avveduto imperadore, volendo -compiacere a’ Pisani e mostrare di volere -mantenere i patti, quanto che altro avesse nell’animo, -disse, com’e’ sapeva che i cittadini -di Lucca erano stati per lungo tempo ribelli all’imperio, -e però li reputava degni di quello ch’avevano -ricevuto: e confortandoli disse, che -comportassono con pazienza quello che sosteneano -per penitenza del peccato commesso, tanto -che meritassono la liberazione: e nell’agosto -lasciò que’ medesimi cittadini che i Pisani v’aveano -deputati alla guardia, e non rimosse uficiali -nell’ordine di quel reggimento in alcuna parte, -e l’altro dì se ne tornò a Pisa. -</p> - -<h3 id="cap60-4">CAP. LX. -<span class="smaller"><i>Come al Galluzzo nacque un fanciullo -mostruoso.</i></span></h3> - -<p> -In questo mese di febbraio nacque presso a -Firenze in un luogo che si chiama il Galluzzo, -a uno barbiere, un fanciullo mostruoso e diminuto, -che ’l viso era come di vitello con gli occhi -bovini, e dove doveano essere i bracci, dagli -omeri delle spalle uscivano due branche quasi -come d’una botta, da ogni parte la sua, e -avea il corpo e la natura umana senza coscie: -<span class="pagenum" id="Page_242">[242]</span> -ma dove le coscie dall’imbusto doveano discendere, -uscivano due branche da catuno lato una, ravvolte -che non aveano comparazione: e’ vivette -parecchie ore, e appresso morì, lasciando ammirazione -di se. Ma di questo e degli altri corpi -umani nati mostruosi nella nostra città non potemmo -comprendere che fosse vestigio o pronosticatori -d’alcuni accidenti, come credeano gli -antichi, ma gli sconci e disonesti peccati spesso -sono cagione di mostruosi nascimenti, e alcuna -volta l’empito delle costellazioni. -</p> - -<h3 id="cap61-4">CAP. LXI. -<span class="smaller"><i>De’ fatti di Siena con l’imperadore.</i></span></h3> - -<p> -Era per lunghi tempi governato il reggimento -della città di Siena per l’ordine de’ nove, il -quale era ristretto in meno di novanta cittadini -sotto certo industrioso inganno: perocchè quando -il tempo veniva di fare i loro generali squittini, -acciocchè ogni degno cittadino popolare entrasse -nell’ordine de’ nove, coloro ch’aveano già usurpati -gli ufici si ragunavano segretamente in una -chiesa, e ivi disponevano d’alcuni cui voleano -che rimanessono nell’ordine, fermandoli tra loro -per saramento, e prometteano tutti dare a’ -detti le loro boci co’ lupini neri, e tutti gli altri -ch’andavano allo squittino, ch’erano molti -buoni e degni cittadini, li riprovavano co’ lupini -bianchi, sicchè l’ordine non crescea più -che volessono, nè alcuno v’entrava che tra loro -prima non fosse deliberato: per la qual cosa erano -<span class="pagenum" id="Page_243">[243]</span> -in odio a tutti gli altri popolani, e a gran -parte de’ nobili con cui non s’intendeano. Eranvi -certi che manteneano questa setta, e guidavano -il comune com’e’ voleano; costoro furono -quelli che con loro tradimento credettono abbattere -il comune di Firenze, e disfare sua franchigia -e reggimento con la forza dell’imperadore, -ed esaltare loro, sottomettendo la libertà -del loro comune alla libera signoria dell’imperio, -come poco addietro abbiamo narrato: avvenne, -che manifestata in Siena l’intenzione de’ loro -rettori, strana all’intenzione de’ Fiorentini e della -maggior parte de’ loro cittadini grandi e popolani, -essendo mandato per gli ambasciadori al -comune di Siena che facessono il sindaco a fare la -sommissione, la cosa cominciò a intorbidare gli -animi de’ cittadini, e a impedirsi il sindacato con -grandi ripitii de’ loro rettori e dell’ordine de’ nove -che questo aveano fatto, e fu la città in grave -sospetto di ravvolgimento e di romore, e tutte -le case de’ grandi feciono ragunata di gente d’arme. -L’imperadore in Pisa volea che gli ambasciadori -sanesi facessono la sommessione ch’aveano -promessa di fare, e per questa cagione -avea fatto bandire il parlamento. Allora uno -degli ambasciadori ch’era della casa de’ Tolomei -disse a’ compagni, che non intendea senza -nuovo sindacato palese a’ suoi cittadini fare quella -sommessione: e per questo traendosene catuno -addietro, la cosa soprastette, e rimandarono -a Siena: di che l’imperadore ebbe malinconia -e gran sospetto, e tutti i dì di questo aspetto -stette rinchiuso senza dare alcuna udienza o -<span class="pagenum" id="Page_244">[244]</span> -mostrarsi ad alcuno. I grandi cittadini di Siena -conoscendo il gran pericolo che occorrere poteva -al loro comune ribellandosi della promessa -fatta all’imperadore, e avendo fatto conoscere all’ordine -de’ nove e al popolo, che senza loro volontà -non aveano podere di darsi all’imperadore, -a dì 26 di febbraio ragunato il parlamento, -per volere piacere non meno al minuto popolo, -ch’era imperiale, che all’ordine e alla -setta de’ nove, feciono fare il sindacato pieno a -darsi liberamente all’imperadore. Avvenne per -questo, che l’imperadore conobbe e seppe che le -case de’ grandi di Siena ebbono la signoria di fare -della città a loro senno, e da loro principalmente -conobbe la soggezione di quella; e venuto il -nuovo sindacato agli ambasciadori detti, domenica, -a dì primo di marzo del detto anno, raunato -il parlamento, i detti ambasciadori con pieno -sindacato del loro comune, feciono al detto eletto -imperadore per se e pe’ suoi successori ricevere -libera suggezione del misto e mero dominio di -quella città e contado, e de’ loro uomini alla signoria -dell’imperio, non riserbandosi alcuna -franchigia dell’antica libertà di quello comune: -e di questo li feciono fare reverenza, e prestarono -il saramento, ed egli l’accettò e ricevette per se -e pe’ suoi successori in futuro in presenza di -tutto il parlamento, con grande allegrezza e festa -del popolo pisano ch’era presente; e accecati -dalla coperta invidia che portavano al comune -di Firenze, avvisandosi per questo abbattere la -libertà de’ Fiorentini, mattamente sommisono la -loro. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_245">[245]</span> -</p> - -<h3 id="cap62-4">CAP. LXII. -<span class="smaller"><i>Di più imbasciate ghibelline state in presenza -dell’imperadore.</i></span></h3> - -<p> -Non ci parve da lasciare in silenzio quello che -al presente seguita. Messer Piero Sacconi, e il vescovo -d’Arezzo degli Ubertini, e Neri da Faggiuola, -co’ loro consorti e co’ Pazzi di Valdarno, -feciono loro sforzo accattando sopra loro possessioni, -e vendendone, per mettersi a comperare -belli cavalli, e armi orrevoli, e robe e ricchi -paramenti, per comparire magnifici nella presenza -e servigio dell’imperadore, credendosi -essere esaltati da lui sopra gli altri Toscani: ed -essendo gli ambasciadori d’Arezzo per trovare -accordo con l’imperadore, i loro caporali nominati -s’appresentarono nell’udienza imperiale, e -in quella addomandarono baldanzosamente d’essere -rimessi nella loro città d’Arezzo, e che a -loro fossono rendute le terre e le possessioni. -Gli ambasciadori francamente li ripugnavano. -L’imperadore, ch’avea l’animo a’ fatti suoi e -non a quelli della parte ghibellina, li si levò -dinanzi, dando loro uditori ch’avessono a riferire -a lui: e nella presenza degli uditori messer Piero -montò in tanta arroganza, che con aspre minacce -e villanie domandava di volere essere restituito -nella capitaneria d’Arezzo e del contado. -Gli ambasciadori savi e coraggiosi rimproveravano -la sua abbominevole tirannia, e il proprio -acquisto fatto per violente rapina, e per manifesta -<span class="pagenum" id="Page_246">[246]</span> -ruberia fatta a’ meno possenti sotto il titolo -del capitanato, conchiudendo, ch’egli era degno -di ricevere dall’imperio gravi pene, avendo -convertita la capitaneria di quella città in incomportabile -tirannia: e che quella città che gli -era accomandata per la santa memoria dell’imperadore -Arrigo, egli per malizia e per somma -avarizia l’avea sottoposta e venduta a’ Fiorentini -per quarantamila fiorini d’oro, in vergogna -e detrimento del santo imperio: e grande -vergogna gli era ora con sfrenata baldanza avere -fatto manifesto all’imperiale maestà cotanti suoi -difetti. Ancora il detto messer Piero avea nella presenza -degli uditori e degli ambasciadori infamato -Neri da Faggiuola, ch’avea per amistà de’ Perugini -fatta la terra del Borgo, ch’era per lui acquistata -a’ ghibellini, venire in parte guelfa; per -Neri gli fu altamente risposto, mostrando come -tutto era avvenuto per la sua malizia, e per le -sue violenze quando v’avea stato: e anche avvenne -che il vescovo d’Arezzo si lamentò di messer -Piero di gravi ingiurie; e così l’uno disse improvviso -contro all’altro per modo, che tutti impetrarono -grazia nel cospetto dell’imperadore e -del suo consiglio di gravi abbominazioni, senza -altro acquisto di frutto; e d’allora innanzi gli -ambasciadori del comune d’Arezzo ebbono graziosa -udienza dall’imperadore per l’accordo di -quello comune. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_247">[247]</span> -</p> - -<h3 id="cap63-4">CAP. LXIII. -<span class="smaller"><i>Come i Volterrani si diedero all’imperadore.</i></span></h3> - -<p> -Avvegnachè innanzi sia fatta alcuna narrazione -della sommissione di Volterra e di Samminiato, -qui si torna al termine del fatto. I Volterrani sapendo -che i Sanesi senza patto erano sottomessi -all’imperadore, avendo poco amore e meno -confidanza al comune di Firenze, perocchè si -reggevano sotto la tirannia de’ figliuoli di messer -Ottaviano de’ Belforti, i quali quanto che fossono -guelfi di nazione, per la tirannia dichinavano -ad animo ghibellino come mettesse loro bene, -e non amavano il comune di Firenze nè i Fiorentini -per la tirannia, ch’era contradia alla -libertà del nostro comune, e però senza volere seguire -il consiglio de’ Fiorentini di domandare -patti, feciono sindachi i loro ambasciadori con -pieno mandato e mandarli a Pisa, i quali in pubblico -parlamento, a dì 4 di marzo del detto anno, -si sottomisono liberamente alla signoria dell’imperatore -e de’ suoi successori, e feciono l’omaggio -e la reverenza per lo detto comune, e il saramento -come i Sanesi aveano fatto. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_248">[248]</span> -</p> - -<h3 id="cap64-4">CAP. LXIV. -<span class="smaller"><i>Come i Samminiatesi si diedero all’imperadore.</i></span></h3> - -<p> -I Samminiatesi, che soleano essere più all’ubbidienza -del comune di Firenze che i Volterrani, -avendo vedute le sopraddette città di parte guelfa -già sottomesse all’imperio, e che il comune di -Firenze trattava per se d’accordarsi con lui, essendo -tra loro divisi per setta per la maggioranza -delle due famiglie Malpigli e Mangiadori, temendo -l’una parte che l’altra non pigliasse vantaggio, -s’accostarono insieme dopo l’aspetto di -più giorni: e celandosi da’ Fiorentini perchè non -movessono alcuna delle dette case, e veduto loro -tempo convenevole, di concordia feciono loro -ambasciadori con pieno mandato e sindacato del -comune a darsi liberamente all’imperadore; e -mandatili a Pisa, a dì 8 di marzo in parlamento -si sottomisono liberamente alla signoria -dell’imperadore; e fatto il saramento, e volendo -fare l’omaggio e baciare i piedi all’imperadore, -li levò di terra, e ricevetteli <i>ad osculum pacis</i>, -cosa che non avea fatta a’ sindachi di niuna altra -città: la cagione si stimò che fosse per l’affezione -che l’imperio per antico avea a quello castello, -ove solea essere la residenza degl’imperadori -e de’ loro vicari, perchè è uno mezzo tra le -grandi e buone città di Toscana. Questo fu prima -fatto che il comune di Firenze ne sentisse alcuna -cosa, e quando il seppono, più gravò nell’animo -<span class="pagenum" id="Page_249">[249]</span> -de’ cittadini di Firenze che la sommissione di -Siena e di Volterra, per la vicinanza che ’l detto -castello ha con la nostra città e con l’altre di -Toscana: ma gran cagione ne fu la poca provvedenza -già detta de’ rettori del nostro comune. -</p> - -<h3 id="cap65-4">CAP. LXV. -<span class="smaller"><i>Di disusato tempo stato nel verno.</i></span></h3> - -<p> -Non ci pare da lasciare in silenzio quello che -fu singolare alla memoria de’ più antichi, la cagione -si credette che venisse da influenza di costellazioni: -il fatto fu, che dal novembre al marzo -il tempo fu di dì e di notte il più sereno, cheto -e bello che per addietro si ricordasse, essendo il -freddo senza venti continovo e grande: e le nevi -ch’erano cadute dal principio si mantennono -ghiacciate nel contado di Firenze, e in molte parti -bastò nella città più di tre mesi: il mare fu -tranquillo e dolce a navicare oltre alla credenza -degli uomini; tutti i gran fiumi stettono serrati -di ghiaccio lungamente per modo che niuno -si poteva navicare, e il nostro fiume d’Arno, che -è corrente come uno fossato, stette fermo e serrato -di ghiaccio, che lungamente senza pericolo in -ogni parte si poteva sopra il ghiaccio valicare: -e a dì 8 di marzo cominciarono a rompere le -piove dolci e utili a tutte le sementa della terra. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_250">[250]</span> -</p> - -<h3 id="cap66-4">CAP. LXVI. -<span class="smaller"><i>Come il segreto giurato in Firenze fu -manifestato all’imperadore.</i></span></h3> - -<p> -Seguendo gli ambasciadori di Firenze il trattato -della concordia con l’imperadore, e avendo -il mandato di profferirgli per lo comune cinquanta -migliaia di fiorini d’oro, avendo da lui i patti -privilegiati che per parte del comune gli si -dimandavano, l’imperadore, avvisato e malizioso, -della moneta, dov’egli avea l’animo, non mostrava -di curarsi, ma ne’ patti si mostrava strano e -tenace per vendere più cara la sua mercatanzia. -Avvedendosi di questo gli ambasciadori, e avendone -alcuno segreto accennamento di fuori da -lui, due degli ambasciadori per comune consiglio -degli altri tornarono in Firenze per informare -a bocca i rettori, e avvisarli di quello che a loro -pareva dell’intenzione del signore. Vedendo i -rettori che l’imperadore s’addurava, e che le -terre vicine s’era no date liberamente alla sua signoria, -aveano cagione di più temere: e tennono -più consigli segreti ove si raccontavano de’ falli -dell’eletto: come manifesto appariva che -non avea tenuto fede a’ Gambacorti, nè allo stato -di coloro che reggevano la città di Pisa, dilettandosi -de’ romori e della divisione de’ cittadini, -e tenea con loro che più erano pronti a movere -le novità nella terra per averne più libera signoria, -e come si mostrava bisognoso e cupido di -trarre a se moneta: e avendo per più riprese praticato -<span class="pagenum" id="Page_251">[251]</span> -sopra i fatti dell’imperadore e sopra quelli -del nostro comune, infine d’un animo presono -partito per lo meno reo, che non si guardasse -a costo di moneta infino in fiorini centomila d’oro, -dandoli all’imperadore, dove la nostra città -di Firenze rimanesse libera in sua giurisdizione, -con altri singolari patti. E commettendo -la pratica di queste cose ne’ detti ambasciadori, -avendoli informati che si tenessono forti a cinquantamila -fiorini, e che non mostrassono nè paura -nè viltà in domandare e sostenere il vantaggio -del comune nella quantità della moneta e -negli altri patti, ma innanzi si rompessono da -lui aveano di darli i detti fiorini centomila d’oro. -Questo consiglio fu ristretto ne’ priori e ne’ loro -collegi con piccolo numero d’arroti, e fu comandata -a tutti la credenza, e giurata solennemente: -e rimandati i due ambasciadori a Pisa, -essendo con l’imperadore, e sostenendo francamente -quello ch’era stato loro imposto, l’imperadore -cominciò a sorridere contro a loro, e -manifestò ciò ch’era loro commesso, e la deliberazione -del loro comune, dicendo, che per scrittura -tutto gli era manifesto. Gli ambasciadori -di presente senza procedere più innanzi significarono -all’uficio de’ priori ciò ch’aveano di -bocca dell’imperadore della revelazione del loro -segreto consiglio, che per questa cagione, avvegnachè -per loro non li fosse acconsentita alcuna -cosa, il trovavano più duro e più turbato che prima, -dicendo, come non era traditore de’ Gambacorti, -nè che non era cupido di moneta più del suo -onore, nè si dilettava nella commozione de’ cittadini. -<span class="pagenum" id="Page_252">[252]</span> -Come questa novella fu divolgata nella -nostra città, l’infamia de’ signori, e de’ collegi, -e degli arroti, in cui era la credenza, fu molto -grande: ma però non trovò il comune chi alcuna -cosa ne facesse allora per purgare la comune -infamia, temendo per la tenerezza dello stato, avendo -così dipresso l’imperadore, che maggiore -pericolo non ne seguisse. Il consiglio non fu reo, -se rifermato lo stato del comune con la pace dell’imperadore -se ne fosse fatta debita inquisizione -e giustizia. -</p> - -<h3 id="cap67-4">CAP. LXVII. -<span class="smaller"><i>Come l’imperadore mandò aiuto di gente -al legato.</i></span></h3> - -<p> -Essendo i tiranni di Romagna accozzati insieme, -e accolta gente d’arme assai venuta di -Lombardia per reprimere la forza del legato, -ch’era piccola, il legato mandò a richiedere -l’imperadore d’aiuto. L’imperadore immantinente, -per mostrarsi zeloso e divoto a’ servigi -di santa Chiesa, vi mandò di presente de’ suoi -Tedeschi cinquecento barbute, e feciono la via -per Siena, veduti e onorati da’ Sanesi graziosamente: -e giunti al legato con l’insegna del loro -signore, rifrenarono la forza e la volontà de’ tiranni. -Questo non era per l’andata di cinquecento -barbute cosa da farne memoria, ma consentesi -al nostro trattato perchè fu la prima e -l’ultima che l’imperadore facesse in Italia in fatti -d’arme. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_253">[253]</span> -</p> - -<h3 id="cap68-4">CAP. LXVIII. -<span class="smaller"><i>Trattati dell’imperadore ai Fiorentini.</i></span></h3> - -<p> -Essendo gli ambasciadori del comune di Firenze -quasi ogni dì con l’imperadore per trattare -la concordia, ed egli avendo scoperto il segreto -del comune, e crescendogli ogni dì forza grandissima -di baroni e di cavalieri della Magna, -non gli parea volere di meno, e però si tenea forte -a non condiscendere alla volontà de’ Fiorentini: -e nondimeno temperava per non rompersi -da loro, con tutto l’attizzamento de’ caporali ghibellini -d’Italia ch’erano appresso di lui, che al -continovo l’infestavano, perchè si rompesse dai -trattato della concordia de’ Fiorentini, mostrandogli -che avendo egli Pisa e Siena, Volterra e -Samminiato, e l’aiuto de’ ghibellini ch’erano -ivi a fare i suoi comandamenti, e la gran forza -della sua baronia, senza dubbio di presente ne sarebbe -signore a cheto, e abbatterebbe la loro arrogante -superbia con grande onore e magnificenza -dell’imperio. Il savio signore conoscea quanto -pericolo gli potea incorrere, potendo con suo onore -e vantaggio avere pace, cercare guerra: e conosceva, -che quando il comune di Firenze, ch’era -potentissimo, si facesse capo della guerra contro -a lui, che tosto gli si scoprirebbono molti nemici: -e conoscea il servigio che avrebbe dalla gente -tedesca, se con larga mano non li provvedesse, -e quanto erano fallaci le suggestioni de’ ghibellini -d’Italia: e però serbava il consiglio e la diliberazione -<span class="pagenum" id="Page_254">[254]</span> -nel suo petto, e forte si temea che -nascesse cagione per la quale i Fiorentini si rompessono -dal trattato; e però avendo trattato con -loro per modo che pareano assai di presso, l’imperadore -disse, che facessono d’avere il sindacato pieno -dal loro comune come la materia richiedeva: -e allora diliberarono che tre degli ambasciadori -tornassono a Firenze a fare che il sindacato si -facesse. -</p> - -<h3 id="cap69-4">CAP. LXIX. -<span class="smaller"><i>Raccolti falli de’ governatori del comune -in Firenze.</i></span></h3> - -<p> -Perocchè gli antichi moderati e virtudiosi che -soleano reggere e governare lo stato della repubblica -in grande libertà, e con maturi movimenti -e con diligente provvidenza governavano quella -in tempo di pace e di guerra, e non perdonando -i falli che si faceano contro la patria, nè lasciando -senza merito l’operazioni che si facevano -virtudiose in accrescimento e onore del -comune, onde al nostro tempo è da maravigliare -come la cittadinanza si mantiene, essendo -strana da quelle virtù, e dalla provvisione di quel -reggimento: e in luogo di quelli antichi amatori -della patria, spregiatori de’ loro propri comodi -per accrescere quelli del comune, si trovano -usurpatori de’ reggimenti con indebiti e disonesti -procacci e argomenti, uomini avveniticci, -senza senno e senza virtù, e di niuna autorità -nella maggiore parte, i quali abbracciato il reggimento -<span class="pagenum" id="Page_255">[255]</span> -del comune intendono a’ loro propri -vantaggi e de’ loro amici con tanta sollecitudine -e fede, che in tutto dimenticano la provvisione -salutevole al nostro comune: e non è chi -per lui pensi, nè per la sua libertà, nè per lo suo -esaltamento, nè onore, nè per riparare al pericolo -che sopravvenire gli può, se non nella strema -giornata o in sul fatto; e per questo spesso -occorrono gravi casi al nostro comune, e niuno -prende vergogna, o aspetta, per avere mal fatto -al comune, alcuna pena: e però non è senza -pensiero di grande ammirazione come il nostro -comune non cade in grandi pericoli di suo disfacimento. -Ma i discreti del nostro tempo tengono -che questo sia singolare grazia e operazione di -Dio, perocchè in così gran fascio di cittadini e di -religiosi, benchè molti ne sieno de’ rei, assai v’ha -de’ virtuosi e de’ buoni, le cui preghiere conservano -la città da molti pericoli, e alquanto è -la gente cattolica e limosiniera, perchè Iddio -la conserva; e oltre a ciò gli ordini dati alla -massa del comune per li nostri antichi, e ’l reggimento -che ha preso il corso alla comune giustizia -per le conservate leggi, è grande braccio al -conservamene del comune stato. E benchè gli -usurpatori del non degno uficio sieno molti, e -male disposti al comune bene, e solleciti e provveduti -a’ loro propri vantaggi, e occupino la civile -libertà, il tempo di due mesi ordinato al reggimento -del sommo uficio del priorato per li nostri -provveduti antichi è sì breve, che fa grande -resistenza alla propria arroganza: e ancora la riprieme -non poco la compagnia di nove priori e -<span class="pagenum" id="Page_256">[256]</span> -de’ loro collegi. Ma non possono ammendare il -continovo fallo dell’abbandonata provvedenza: -onde avviene, che come fortuna guida le cose, -infino al pubblico destamento del popolo si pena -a provvedere, non il migliore consiglio, che nol -concede il trapassamento delle debite provvedenze, -ma il meno reo. E questo avviene continovo -in tutte grandi e pericolose cose e accidenti ovvero -imprese che accaggiono al nostro comune. -</p> - -<h3 id="cap70-4">CAP. LXX. -<span class="smaller"><i>Come a Firenze si fece il sindacato per -l’accordo con l’imperadore.</i></span></h3> - -<p> -Avendo narrato il modo del reggimento del -comune di Firenze e de’ suoi rettori, si può dire -con verità del fatto, manifestato più volte in pieno -consiglio per la bocca dell’imperadore, che -avendo mandati il comune di Firenze a Mantova -suoi ambasciadori a profferirgli l’aiuto del -comune, e confortarlo della sua coronazione, -non avrebbono domandati que’ patti, che largamente -senza niuna promessa di moneta non -avesse liberamente fatti; ma la provvedenza era, -ed è per lunghi tempi stata in contumace del nostro -comune: e però tornati a Firenze i tre ambasciadori -per far fare il sindacato, sperando la -concordia con l’imperadore, a dì 12 di marzo -del detto anno, ragunato il consiglio del popolo -secondo l’ordine del nostro comune, che prima -s’ha a deliberare in quello, poi in quella -del comune, avvenne che il notaio delle riformagioni, -<span class="pagenum" id="Page_257">[257]</span> -ch’era natio da..... leggendo i patti -che s’intendeano d’avere con l’imperadore, -per mostrare grande tenerezza al popolo della -libertà pura del comune, non ostante che in -quelle scritture se ne contenesse assai già deliberate -pe’ signori e pe’ collegi, si ruppe a piagnere -per modo, che la proposta non si potè -leggere; e gli animi de’ consiglieri a quelle lagrime -si commossono dal loro proponimento, e però -si rimase il consiglio e il sindacato per quella -giornata, e convenne che di nuovo si rifacessono -altri privati consigli, ne’ quali il movimento -del notaio non fu riputato fatto con movimento -di ragionevole carità, ma piuttosto per -adulazione per accattare benivoglienza dal popolo. -E pertanto tutti i privati consigli fermarono -l’intenzione a fare quello s’addomandava dagli -ambasciadori, e da capo a dì 13 del detto mese -si mosse la proposta al consiglio del popolo, e -sette volte l’una dopo l’altra si perdè: all’ultimo -levati molti cittadini d’autorità a dire, e a -mostrare il beneficio che di questo seguitava al -comune, e il pericolo che venia del contrario, -si vinse, e fu dato la balìa di pieno sindacato a -tutti e sei gli ambasciadori del comune, a potere -promettere per lo comune ciò ch’era trattato -o di nuovo si trattasse: e appresso l’altro dì, a -dì 14 del mese, con minore fatica si rifermò -nel consiglio del comune, e gli ambasciadori col -mandato pieno si tornarono a Fisa. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_258">[258]</span> -</p> - -<h3 id="cap71-4">CAP. LXXI. -<span class="smaller"><i>Quello si fe’ per alcuno cardinale per la -coronazione dell’imperadore.</i></span></h3> - -<p> -In questi dì il cardinale d’Ostia, a cui s’appartiene -la coronazione dell’imperadore, giunse -in Pisa, ricevuto dall’eletto a grande onore. -Era consuetudine di santa Chiesa di mandare tre -cardinali alla coronazione degl’imperadori, -quello d’Ostia, c’ha l’uficio d’andare a coronare -l’imperadore alle sue spese e alla sua provvisione, -gli altri due debbono andare alle spese -di santa Chiesa: ma a questa volta essendone -fatto gran procaccio in corte, e per questo avuto -la grazia il cardinale di Pelagorga, e quello -di Bologna in su ’l mare, ch’erano di maggiore -legnaggio, il papa e gli altri cardinali non acconsentirono -che la Chiesa facesse loro le spese, -dicendo, se voleano andare ch’aveano la benedizione, -ma altro non aspettassono. I cardinali considerarono -la spesa grande, e l’imperadore povero -di moneta e stretto d’animo, e però con poco -loro onore per lo procaccio fatto si rimasono -di quella legazione, e il papa per non accrescere -loro vergogna non ve ne mandò alcuno altro: e -di questo non si turbò l’imperadore per non avere -a stendere in loro il suo onore. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_259">[259]</span> -</p> - -<h3 id="cap72-4">CAP. LXXII. -<span class="smaller"><i>Come si fermò l’accordo e’ patti dall’imperadore -al comune di Firenze.</i></span></h3> - -<p> -Sentendo l’imperadore tornati gli ambasciadori -del comune di Firenze con pieno mandato -e sindacato da fare l’accordo con lui, e come a’ -Fiorentini era paruto malagevole, e conosciuto -ch’egli avea recati gli ambasciadori a promettergli -centomila fiorini d’oro, più per la revelazione -ch’egli avea fatta loro del segreto del comune -che per altro piacere, e trovando che i -Pisani per mala suggestione già gli aveano domandato -che li dovesse liberare della franchigia -ch’e’ Fiorentini aveano in Pisa per li patti della -pace, ed egli sostenea dicendo, che il loro movimento -non era buono; e vedendo che il suo consiglio -era insuperbito per la gente alamanna che -crescea al suo servigio tutto dì, e per la forte inzicagione -che i ghibellini italiani faceano loro, -temette del suo consiglio, e poi volle gli ambasciadori -avere in camera seco col patriarca e -col vececancelliere soli: e cominciando a chiarire -i patti, l’imperadore vi s’allargò molto più che -infino allora non avea fatto, per tema che discordia -non rinascesse, e per non avere a riferire -la sua volontà col suo consiglio. Nondimeno -quando vennero al saramento per fermezza delle -cose che si trattavano, gli ambasciadori al tutto -voleano il salvo manifesto e palese fermato col -detto saramento; l’imperadore si fermò a non -<span class="pagenum" id="Page_260">[260]</span> -volerlo fare: ma volea la sommissione libera, e -da parte privilegiare i patti, e che nel saramento -de’ sindachi non fosse eccezione. Gli ambasciadori, -in questa parte alquanto indiscreti, potendolo -fare a salvezza del comune, lungamente -lo tennono sospeso non senza sua turbazione, e -poi il feciono, e già era molto infra la notte. -Appresso vennono a dire, che il saramento della -sommissione non voleano che si stendesse a’ successori -dell’imperio, altro che alla sua corona; -a questo, disse l’imperadore, che non credea che -vi si stendesse, perocchè questo si dovea fare nominatamente -alla sua persona, ma dove a’ successori -andasse, in niuna maniera intendea a derogare -le loro ragioni. Appresso domandarono, che -tutte le leggi e statuti fatte e fatti, o che per innanzi -si facessono per lo comune di Firenze, in -quanto le comuni leggi nominatamente non le -repugnassono, le dovesse per suoi privilegi confermare. -Questa gli parve sconvenevole domanda, -e non la volea consentire: e parendo questo agli -ambasciadori dubbioso, tre ore o più di piena -notte tennono la contesa con lui, e infine l’imperadore -infellonito gittò la bacchetta ch’avea in -mano per terra, e mostrandosi forte crucciato, giurò -in alta voce per più riprese, che se innanzi ch’egli -uscisse di quella camera questo non si consentisse -per i sindachi, che con la sua forza e -de’ signori di Milano e degli altri ghibellini d’Italia -distruggerebbe la città di Firenze, dicendo, -che troppa era l’altezza della superbia d’uno -comune a volere suppeditare l’imperio. Gli ambasciadori -vedendolo così forte turbato dissono, -<span class="pagenum" id="Page_261">[261]</span> -che troverebbono modo di venire a fare di ciò la sua -volontà: e perocchè l’ora era fuori di modo tarda, -presono licenza per andarsi a posare, e per questa -cagione ogni cosa rimase imperfetta in quella notte, -e in quell’ora significarono il fatto gli ambasciadori -a’ signori di Firenze, per avere il dì vegnente -da risposta a buon’ora. L’imperadore sentendo che -gli ambasciadori aveano scritto al comune di Firenze -significando le sue parole, temette forte che -i Fiorentini non si rompessono dalla concordia, e -però la mattina per tempo, non attendendo che -gli ambasciadori avessono risposta, mandò per loro, -e usate molte savie parole intorno al movimento -tedioso della notte, con dimostramento di grande -amore verso il comune di Firenze, largamente -acconsentì ciò che gli ambasciadori aveano domandato: -e oltre a ciò per sua liberalità, ove gli ambasciadori -gli aveano promesso d’essergli stadichi per -attendere la promessa del comune, poco appresso -fatta la concordia disse, ch’alla fede del comune -intendea di stare di questo e d’ogni gran cosa, -e licenziò gli stadichi, e raffermata tutta la -concordia, innanzi che da Firenze venisse la risposta: -nondimeno il comune avea risposto, che -per le dette cose non volea che la concordia rimanesse: -e questo fu a dì 20 di marzo del detto -anno. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_262">[262]</span> -</p> - -<h3 id="cap73-4">CAP. LXXIII. -<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini per mala provvedenza -errarono a loro danno.</i></span></h3> - -<p> -Avvegnachè molto sia detto de’ falli del nostro -comune, uno singolare non ci si lascia passare senza -fare in questo luogo memoria di lui. Fatta e -ferma la concordia con l’imperadore di dargli fiorini -d’oro centomila per avere fine e remissione da -lui delle condannagioni e pene, in che ’l nostro -comune era incorso per decreti dell’imperadore -Arrigo e degli altri suoi antecessori, si ritrovò -il saramento fatto per lo detto eletto a papa Clemente -sesto e alla Chiesa di Roma, quando fu -promosso per operazione del detto papa e di -santa Chiesa all’elezione dell’imperio, ch’egli -libererebbe i comuni di Toscana d’ogni condannagione -fatta per i suoi antecessori, e d’ogni -debito a che si trovassono obbligati per addietro -all’imperio, massimamente il comune di Firenze, -il quale per l’imperadore Arrigo era stato -condannato con i suoi cittadini in loro singolarità, -la qual cosa era manifesta a santa Chiesa. -E ancora giurò, che i detti comuni non graverebbe, -nè farebbe contro alcuno di quelli muovere -guerra, nè sottometterebbe la loro libertà. -Grande ignoranza fu trattare presso a due mesi -con l’imperadore, e non avere memoria di cotanto -fatto. Io reputo essere stata degna compensagione, -avendo così fatta ignoranza compensata -con prezzo di cento migliaia di fiorini d’oro, -<span class="pagenum" id="Page_263">[263]</span> -i quali il comune pagò per avere con fatica e -con paura quello che aver potea senza costo, -per la benigna provvedenza di santa Chiesa: e -quello che pagò per debito in piccola parte, potea -in luogo di servigio e di grazia compensare. Vergognomi -ancora di scrivere la seguente arrota: -avendo nella fama dell’avvenimento in Italia -dell’imperadore, mandato a corte al papa e a’ -cardinali per avere aiuto e favore da santa Chiesa, -le lettere furono impetrate piene e graziose -e favorevoli per lo nostro comune all’imperadore, -ove il papa e’ cardinali gli ricordavano la -promessa fatta sotto il suo saramento; le lettere -stettono in cancelleria per spazio di tre mesi, -innanzi che modo si trovasse di pagare fiorini -trenta d’oro per le comuni spese della cancelleria: -e per questo, poco appresso che la sommissione -del comune e la promessa della moneta -fu fatta, giunsono le lettere bollate al nostro comune, -con grande ripitio e vergogna de’ nostri -rettori. -</p> - -<h3 id="cap74-4">CAP. LXXIV. -<span class="smaller"><i>Della statura e continenza dell’imperadore.</i></span></h3> - -<p> -Secondo che noi comprendiamo da coloro che -conversano intorno all’imperadore, la sua persona -era di mezzana statura, ma piccolo secondo -gli Alamanni, gobbetto, premendo il collo -e ’l viso innanzi non disordinatamente: di pelo -nero, il viso larghetto, gli occhi grossi, e le gote -rilevate in colmo, la barba nera, e ’l capo -<span class="pagenum" id="Page_264">[264]</span> -calvo dinanzi. Vestiva panni onesti e chiusi continovamente, -senza niuno adornamento, ma -corti presso al ginocchio: poco spendea, e con -molta industria ragunava pecunia, e non provvedeva -bene chi lo serviva in arme. Suo costume -era eziandio stando a udienza di tenere verghette -di salcio in mano e uno coltellino, e tagliare a -suo diletto minutamente, e oltre al lavorio delle -mani, avendo gli uomini ginocchioni innanzi -a sporre le loro petizioni, movea gli occhi intorno -a’ circostanti per modo, che a coloro che gli -parlavano parea che non dovesse attendere a loro -udienza, e nondimeno intendea e udiva nobilemente, -e con poche parole piene di sustanzia -rispondenti alle domande, secondo sua volontà, -e senza altra deliberazione di tempo o -di consiglio faceva pienamente savie risposte. E -però furono in lui in uno stante tre atti senza offendere -o variare l’intelletto, il vario riguardo -degli occhi, il lavorare con le mani, e con pieno -intendimento dare l’udienze e fare le premeditate -risposte; cosa mirabile, e assai notevole in uno -signore. La sua gente, avendo in un’ora in Pisa -più di quattromila cavalieri tedeschi, faceva -mantenere onestamente, eziandio astenere dalle -taverne e dalle disoneste cose per modo, che -innanzi alla sua coronazione in Pisa non ebbe -zuffa nè riotte tra’ forestieri e’ cittadini d’alcuna -cosa. Il suo consiglio ristrignea con pochi suoi -baroni e del suo patriarca, ma la deliberazione era -più sua che del suo consiglio: perocché ’l suo senno -con sottile e temperata industria valicava il -consiglio degli altri; e molto si guardò di muoversi -<span class="pagenum" id="Page_265">[265]</span> -alla stigazione e conforto de’ ghibellini d’Italia, -usati d’incendere e d’infocare l’imprese -all’appetito parziale, più che al singolare onore -dell’imperiale corona, i cui vizi nobilemente -conoscea. -</p> - -<h3 id="cap75-4">CAP. LXXV. -<span class="smaller"><i>Come si bandì in Firenze l’accordo -con l’imperadore.</i></span></h3> - -<p> -Sabato mattina, a dì 21 di marzo del detto anno, -l’imperadore provvedutamente fece ragunare -tutti i forestieri ch’erano in Pisa e’ Pisani a parlamento -nel duomo di Pisa, e con dimostramento -di singolare allegrezza fece venire dinanzi da se -tutti e sei gli ambasciadori e sindachi del comune -di Firenze: i quali giunti nel parlamento furono -guardati da tutti con ammirazione grande, perocchè -alla memoria di coloro ch’erano vivi, nè di -molto tempo innanzi, si trovava che il comune di -Firenze fosse stato altro che nemico all’imperadore, -e ora vedeano che con pace aveano dall’imperadore -que’ patti ch’aveano saputi dimandare: e -da loro ricevette l’omaggio e il saramento della -fede che promisero all’imperadore, sotto la condizione -de’ patti e convenienze che ferme aveano -con lui per lo comune di Firenze, le quali -su brevità appresso in sostanza diviseremo: e l’eletto -imperadore come re de’ Romani ne fece a -loro privilegi reali, e promise ricevuta l’imperiale -corona di farli imperiali. E a dì 23 del detto -mese, lunedì sera, si pubblicò in Firenze la concordia -<span class="pagenum" id="Page_266">[266]</span> -presa con l’imperadore, sonando le campane -del comune e delle chiese a Dio laudiamo. -Poca gente, a rispetto del nostro comune, si ragunò -al parlamento, e senza alcuna vista d’allegrezza -ogni uomo si tornò a casa. Il comune fece -in sulle torri e in su i palagi festa e luminaria: -ma nella città pe’ cittadini non si fece falò -per segno d’alcuna allegrezza, conoscendo quanto -costava caro al comune l’ignoranza de’ loro -cittadini governatori per l’abbandonata provvedenza. -</p> - -<h3 id="cap76-4">CAP. LXXVI. -<span class="smaller"><i>I patti e le convenienze da’ Fiorentini -all’imperadore.</i></span></h3> - -<p> -Questi furono i patti che messer Carlo re di -Boemia eletto imperadore impromise al comune -di Firenze, e co’ suoi reali privilegi confermò. -In prima cassò e annullò ogni sentenza -e condannagione le quali per addietro fossono -fatte contro alla città, e’ cittadini e comune -di Firenze e’ suoi contadini, e contra i conti -da Battifolle, e da Doadola, e da Mangona, e -Nerone d’Alvernia per gl’imperadori romani ovvero -re de’ Romani suoi antecessori: e tutti e catuno -integrò e restituì ne’ suoi onorie giurisdizioni -e dominii personali e reali. E concedette che il -comune e popolo, e la città e contado e distretto -di Firenze si reggesse secondo gli statuti e le leggi -municipali e ordinamenti consueti del detto comune: -e di singolare grazia confermò al detto comune -<span class="pagenum" id="Page_267">[267]</span> -per suoi privilegi quello che più gli parve -grave, cioè, la confermazione delle leggi dette e -statuti fatti, e che per innanzi si facessono, approvandoli -e confermandoli in quanto le comuni -leggi nominatamente non le riprovassono: dicendo, -la moltitudine delle leggi è tanta, che se a -questo non hanno provveduto, io a’ Fiorentini nol -vo’ negare. Ancora, che i priori dell’arti e il gonfaloniere -della giustizia, che sono e che per li tempi -saranno all’uficio del priorato, sieno irrevocabili -suoi vicari tutto il tempo della sua vita. E il -detto imperadore graziosamente, avendo affezione -a volere mantenere il pacifico stato e tranquillo -riposo del comune di Firenze, acciocchè per -lo suo avvenimento in quella città non nascesse -tumulto o mutazione, promise e concedette di -grazia speziale di non volere entrare nella città -di Firenze nè in alcuna sua terra murata. I sindachi -predetti a vice e a nome del comune di sopra -detto feciono a lui in pubblico la sommessione -e l’ubbidienza, e giurarono liberamente riconoscendolo -per vero eletto e futuro imperadore: -e la reverenza li feciono in segno del debito omaggio; -e promisongli in nome del comune di Firenze -per satisfazione intera di ciò, che obbligati -fossono per lo tempo passato infino al presente -dì, a lui e a tutti i suoi antecessori, per qualunque -ragione o cagione dire o nominare si potesse, e ancora -per tutte le terre che ’l detto comune tiene, e -ha tenute in suo contado e in suo distretto, fiorini -centomila d’oro in quattro paghe in cinque mesi, -finendo per tutto il mese d’agosto del detto anno -1355: e per lo tempo avvenire promisono di dare -<span class="pagenum" id="Page_268">[268]</span> -ogni anno del mese di marzo al detto imperadore -Carlo, alla sua vita solamente, fiorini quattromila -d’oro per compensagione di censo, in quanto le città -di Toscana fossono tenute di ragione all’imperio, -e oltre a ciò, per tutte e singule quelle cose le -quali il detto comune per se e per lo suo contado e -distretto dire si potesse ch’all’imperio fossono per -alcuna cosa obbligati; e di tutti i detti patti e convenienze, -oltre a’ privilegi reali, fu contento l’imperadore -futuro che ser Agnolo di ser Andrea di -messer Rinaldo da Barberino, notaio pubblico -imperiale, ne facesse carta e pubblico istrumento -al detto comune. Aggiugnesi qui, benchè -quello che seguita avvenisse dopo la sua coronazione, -acciocchè insieme si trovi la memoria -de’ patti e de’ privilegi imperiali, e dell’arrota -della graziosa libertà del detto imperadore inverso -il nostro comune. E a dì 3 di maggio 1355 nella -città di Siena, tornando l’imperadore dalla sua coronazione, -tutte le dette convenienze e promesse -fatte rinnovò, e comandò che si dessono al nostro -comune sotto la fermezza de’ suoi privilegi imperiali -roborati delle bolle dell’oro. E avendo nel -processo del tempo il detto imperadore trovato il -comune di Firenze in molta fede e dirittura delle -sue promesse, non ostante che i Pisani, e’ Sanesi -e gli altri Toscani l’avessono tradito e messo in -grave caso di fortuna, essendo ridotto a Pietrasanta -per partirsi d’Italia, e avendogli i Fiorentini -con gran pericolo mandato là il compimento -de’ centomila fiorini promessi, avendolo egli -molto a grado, e commendando l’amore e la -fede del comune, in vituperio degli altri comuni -<span class="pagenum" id="Page_269">[269]</span> -ch’aveano mostrato la libera suggezione all’imperio, -e poi l’aveano tradito, s’offerse singolarmente -a’ Fiorentini, e di suo proprio movimento -privilegiò al nostro comune generalmente ciò che -tenea in suo distretto, e mandonne i suoi privilegi -imperiali bollati d’oro al nostro comune, fatti in -Pietrasanta a dì 3 di giugno 1355. In questo tempo -il comune di Firenze tenea in suo distretto la -Valdinievole, il Valdarno di sotto, Pistoia, e ’l castello -di Serravalle, e tutta la montagna di sotto, -e Colle, e Laterina, e Montegemmoli, e la terra -di Barga con più castella di Garfagnana, e Castel -san Niccolò col suo contado, e la montagna -fiorentina, e molte altre terre e castella che -qui per brevità non si nominano, e la nobile -terra di Sangimignano e di Prato, avvegnachè -già, come è detto, erano ridotte a contado di -Firenze. -</p> - -<h3 id="cap77-4">CAP. LXXVII. -<span class="smaller"><i>Come fu offesa la libertà del popolo di Roma -da’ Toscani.</i></span></h3> - -<p> -Vedendo i falli commessi per li comuni di -Toscana, che liberamente sottomisono la loro libertà -al nuovo imperadore, ci dà materia di ricordare -per esempio del tempo avvenire, come -col popolo romano i comuni d’Italia, e massimamente -i Toscani, sotto il loro principato parteciparono -la cittadinanza e la libertà di quello popolo, -la cui autorità creava gl’imperadori: e -questo medesimo popolo, non da se, ma la Chiesa -<span class="pagenum" id="Page_270">[270]</span> -per lui, in certo sussidio de’ fedeli cristiani, -concedette l’elezione degl’imperadori a sette -principi della Magna. Per la qual cosa è manifesto, -avvegnachè assai più antiche storie il manifestino, -che ’l popolo predetto faceva gl’imperadori, -e per la loro reità alcuna volta gli abbattea, -e la libertà del popolo romano non era -in alcun modo sottoposta alla libertà dell’imperio, -nè tributaria come l’altre nazioni, le quali -erano sottoposte al popolo, e al senato e al comune -di Roma, e per lo detto comune al loro imperadore: -e mantenendo a’ nostri comuni di Toscana -l’antica libertà a loro succeduta dalla civiltà -del popolo romano, è assai manifesto, che la -maestà di quel popolo per la libera sommessione -fatta all’imperadore per lo comune di Pisa, e -di Siena, e di Volterra, e di Samminiato fu da -loro offesa, e dirogata la franchigia de’ Toscani -vilmente, per l’invidia ch’avea l’uno comune -dell’altro, più che per altra debita cagione. -</p> - -<h3 id="cap78-4">CAP. LXXVIII. -<span class="smaller"><i>Di quello medesimo.</i></span></h3> - -<p> -Seguitiamo ancora a dire le cagioni per le -quali, oltre a ciò ch’è detto nel precedente capitolo, -a’ comuni italiani, senza offesa del sommo -impero, è loro lecito anzi debito il patteggiare -con gl’imperadori. L’Italia tutta è divisa mistamente -in due parti, l’una, che seguita ne’ fatti -del mondo la santa Chiesa, secondo il principato -che ha da Dio e dal santo imperio in quello, -<span class="pagenum" id="Page_271">[271]</span> -e questi sono dinominati Guelfi, cioè guardatori -di fè: e l’altra parte seguitano l’imperio, o fedele -o infedele che sia delle cose del mondo -o santa Chiesa, e chiamansi Ghibellini, quasi -guida belli, cioè guidatori di battaglie, e seguitano -il fatto, che per lo titolo imperiale sopra gli -altri sono superbi, e motori di lite e di guerra. -E perocchè queste due sette sono molto grandi, -ciascuna vuole tenere il principato, ma non potendosi -fare, ove signoreggia l’una, e ove l’altra, -quanto che tutti si solessono reggere in libertà -di comuni e di popoli. Ma scendendo -in Italia gl’imperadori alamanni, hanno più usato -favoreggiare i ghibellini ch’e’ guelfi, e per -questo hanno lasciato nelle loro città vicari imperiali -con le loro masnade: i quali continovando -la signoria, e morti gl’imperadori di cui erano -vicari, sono rimasi tiranni, e levata la libertà a’ -popoli, e fattisi potenti signori, e nemici della -parte fedele a santa Chiesa e alla loro libertà. -E questa non è piccola cagione a guardarsi di -sottomettersi senza patti a’ detti imperadori. Appresso -è da considerare, che la lingua latina, e’ -costumi e’ movimenti della lingua tedesca sono -come barbari, e divisati e strani agl’Italiani, -la cui lingua e le cui leggi, e’ costumi, e’ gravi -e moderati movimenti, diedono ammaestramento -a tutto l’universo, e a loro la monarchia -del mondo. E però venendo gl’imperadori -della Magna col supremo titolo, e -volendo col senno e con la forza della Magna -reggere gl’Italiani, non lo sanno, e non lo possono -fare: e per questo, essendo con pace ricevuti -<span class="pagenum" id="Page_272">[272]</span> -nelle città d’Italia, generano tumulti e commozioni -di popoli, e in quelli si dilettano, per essere -per contraversia quello ch’essere non possono -nè sanno per virtù, o per ragione d’intendimento -di costumi e di vita. E per queste vive e -vere ragioni, le città e’ popoli che liberamente gli -ricevono conviene che mutino stato, o di venire a -tirannia, o di guastare il loro usato reggimento, -in confusione del pacifico e tranquillo stato di -quella città, o di quello popolo che liberamente -il riceve. Onde volendo riparare a’ detti pericoli, -la necessità stringe le città e’ popoli, che le loro -franchigie e stato vogliono mantenere e conservare, -e non essere ribelli agl’imperadori alamanni, -di provvedersi e patteggiarsi con loro: e innanzi -rimanere in contumacie con gl’imperadori, che -senza gran sicurtà li mettano nelle loro città. -Quello che di ciò abbiamo qui di sopra fatto memoria, -a beneficio e ammaestramento della libertà -de’ comuni d’Italia, si prova per gli antichi -esempi, chi li vorrà ricercare, e per li nuovi, -chi li vorrà ricercare e appresso leggere il nostro -trattato. -</p> - -<h3 id="cap79-4">CAP. LXXIX. -<span class="smaller"><i>Come la gran compagnia rubò il Guasto -in Puglia.</i></span></h3> - -<p> -Il conte di Lando con la gran compagnia -avendo soggiornato in Abruzzi infino all’entrata -di marzo, si mosse da Pescara e da san Fabiano, -e andò verso il Guasto. Que’ della terra -male provveduti da loro, e peggio dal re loro -<span class="pagenum" id="Page_273">[273]</span> -signore, trattarono con la compagnia, e fidaronsi -mattamente nelle loro promesse, che non li ruberebbono, -e che torrebbono della roba derrata per -danaio, li misono nella terra; ma come furono entrati -dentro, i predoni usarono crudelmente la -loro rapina uccidendo e rubando tutta la terra, -e appresso con fuoco n’arsone gran parte: per lo -cui esempio tutte l’altre terre di Puglia si disposero -a ogni pericolo per difendersi da loro, e afforzaronsi -francamente per modo, che quanto ch’elli -stessono lungamente a campo senza potere più -acquistare città o castella. Appresso valicarono a -san Siverno in Puglia, e ivi s’accamparono e -stettono lungamente, scorrendo e predando e facendo -danno assai a’ paesani: e dall’altra parte -il Paladino aggiuntosi gente della compagnia -tribolava la marina della Puglia, ed era palese -a’ regnicoli che messer Luigi di Durazzo favoreggiava -la compagnia. -</p> - -<h3 id="cap80-4">CAP. LXXX. -<span class="smaller"><i>Come l’imperadore richiese di lega i -Fiorentini, e non l’ebbe.</i></span></h3> - -<p> -Avendo l’imperadore compiuto e fermo l’accordo -co’ Fiorentini, mandò a Firenze suoi ambasciadori -a richiedere il comune di Firenze con grande -stanza, che piacesse loro per bene e stato di -tutte le città di Toscana, e per levare ogni pericolo -che venire potesse loro addosso per la forza de’ tiranni -e della gran compagnia, per vivere i detti -comuni insieme in unità e in pace, di fare lega -<span class="pagenum" id="Page_274">[274]</span> -insieme, e quella gente per via di taglia che a’ -Fiorentini piacesse, e offerendo l’aiuto suo ove -che fosse a ogni loro bisogno molto largamente, -dicendo, che presa la corona intendea d’andare -in Lombardia o nella Magna, ove il comune di -Firenze consigliasse. I Fiorentini in più consigli -privati e palesi praticarono se questa lega fosse da -fare o no: e infine considerato il pericolo dell’imprese, -e temendo di non correre ad essere indotti -a rompere la pace a’ signori di Milano, e che la -gente d’arme raunata sotto un capitano dato dall’imperadore -non potesse essere cagione di novità -contro alla libertà del comune, al tutto deliberare -che la lega per lo nostro comune non si facesse, -e con belle e oneste e legittime cagioni si -diliberarono di quella richiesta. L’imperadore -essendo in movimento per andare a vicitare le -città e le terre che gli s’erano date, e andare -per la corona, soprastette senza accettare la scusa, -e domandò che il nostro comune apparecchiasse -dugento cavalieri che l’accompagnassono a Roma: -e da Pisa si partì a dì 23 di marzo e andossene -a Volterra, ove fu ricevuto secondo la loro -possa assai onoratamente; e albergatovi una notte, -l’altro dì venne a Samminiato, e da loro fu -ricevuto come signore; e a dì 23 di marzo giunse -a Siena la sera, ove fu ricevuto con singolar -festa e onore. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_275">[275]</span> -</p> - -<h3 id="cap81-4">CAP. LXXXI. -<span class="smaller"><i>Come si mutò lo stato de’ nove di Siena.</i></span></h3> - -<p> -E’ pare degna cosa, che coloro i quali ingannano -in comune i loro cittadini, e rompono la -fede a’ loro amici, che alcuna volta per quella -medesima sieno puniti, e portino pena de’ peccati -commessi. L’ordine de’ nove di Siena, avendo -per lungo tempo ingannati e detratti dagli ufici -del comune con malo ingegno i loro cittadini, come -già abbiamo narrato, e tradito il comune di -Firenze nel cospetto dell’imperadore, seguitando -la rea intenzione della setta di Giovanni d’Agnolino -Bottoni loro caporale, quando liberamente -si dierono all’imperadore, credendo per quello -essere esaltati, e avere abbattuto lo stato e la libertà -del comune di Firenze; il comune di Firenze -per la sua costanza e savia provvisione rimase -grande nel cospetto dell’imperadore e -privilegiato da lui, e mantenea accrescendo suo -stato, la sua libertà e il suo onore. Entrato l’imperadore -in Siena il martedì sera, il mercoledì -vegnente, il dì dell’Annunziazione di nostra -Donna, gli <i>anni Domini</i> 1355 a dì 25 di marzo, -Tolomei, Malavolti, Piccolomini, Saracini, -e alcuno de’ Salimbeni, contrari a Giovanni -d’Agnolino Bottoni loro consorto, con seguito -del minuto popolo levarono il romore nella città, -dicendo: Viva l’imperadore, e muoiano i nove -e le gabelle: e in questa furia furono morti -due cittadini: e corsi alle case del capitano della -<span class="pagenum" id="Page_276">[276]</span> -guardia, e trovandolo gravemente malato in sul -letto, rubarono tutto l’ostiere e ciò che aveva -la famiglia, e l’arme e’ cavalli, e lasciato il -capitano in sulla paglia in terra, in poch’ore -appresso morì: e di là corsono al palagio de’ nove, -e cacciatine in furia i nove e la loro famiglia -vi misono l’imperadore, e feciono mandare per -la cassa dov’erano insaccati i cittadini dell’ordine -de’ nove e gli altri loro uficiali, e usando la loro -besseria, con grande dirisione la feciono tranare -per la terra, andandola scopando, e poi impetrato -il comandamento dall’imperadore l’arsono con -gran romore in sul campo, e appresso tutti gli -atti e ordini de’ nove, e tutti gli ufici della città; -e le persone di coloro ch’aveano avuti gli -ufici furono in persecuzione e in pericolo grande -nella cittadinanza, come leggendo si potrà trovare. -</p> - -<h3 id="cap82-4">CAP. LXXXII. -<span class="smaller"><i>Di quello medesimo.</i></span></h3> - -<p> -Avendo veduto l’eletto imperadore il romore -e le novità fatte nella città di Siena con dimostrazione -d’esserne stato contento, con poco onore -dell’imperiale fama, il seguente dì fece ragunare -tutti i cittadini a parlamento; e quando gli ebbe -ragunati, fece separare i grandi dal popolo, e i popolani -maggiori dal minuto popolo, e a catuno -per se fece fare un sindaco con pieno mandato a -sottomettersi da capo liberamente senza alcuno -eccetto, e da capo si diedono all’imperadore, sottomettendo -<span class="pagenum" id="Page_277">[277]</span> -all’imperiale signoria il comune, il -popolo, e la città, e il contado, e il distretto e la -giurisdizione di Siena, dandogli in tutto il misto -e mero imperio di quella città, contado e distretto: -e incontanente licenziati tutti gli uficiali -e rettori della terra ne fece suo vicario l’arcivescovo -di Praga: e fatta pigliare la tenuta e la -guardia di tutte le loro terre e castella, per decreto -cassò, e annullò, e vietò in perpetuo l’uficio -e ordine de’ nove. Coloro ch’erano stati di -quell’ordine, villaneggiati da’ cittadini, veggendosi -a pericolo stando nella terra, chi se n’andò -in una parte e chi in un’altra partendosi -della città; ed essendo dalle loro vicinanze con -giusta infamia guardati come traditori della propria -patria e de’ loro vicini, con grande vituperio -traevano la loro vita nell’altrui terre. -</p> - -<h3 id="cap83-4">CAP. LXXXIII. -<span class="smaller"><i>Il modo trovò il comune di Firenze -per avere danari.</i></span></h3> - -<p> -E’ non sarebbe da fare memoria di quello che -seguita, se il modo col quale il comune di Firenze -ebbe i danari con agevolezza non ce ne sforzasse, -per buono esempio delle cose avvenire. Incontanente -che l’imperadore fu riposato in Siena, i -Fiorentini non aspettando il termine della prima -paga, gli mandarono contanti a Siena fiorini trentamila -d’oro, i quali si pagarono a dì 27 di marzo -1355; della qual cosa l’imperadore si tenne molto -contento, perocchè li vennono a gran bisogno, -<span class="pagenum" id="Page_278">[278]</span> -perchè era in su l’andare da Roma, e avea necessità -di provvedere a’ suoi baroni per aiuto alle -spese. Il comune di Firenze per avere questi danari -e gli altri, ordinò nella città a’ suoi cittadini -un estimo che si chiamò la sega, che fu posto a’ -cittadini per casa certi danari il dì: e fatta la sega, -si fece pagare soldi quindici per ogni danaio, -e catuno pagava questa piccola somma a colta. -Nondimeno, perchè i meno possenti parevano -troppo gravati a rispetto degli altri, il comune -elesse d’ogni gonfalone certi uomini, e commise -loro ch’abbattessono il quarto di quello che montava -la loro sega sgravandone gl’impotenti; e -questo si fece subito e comunalmente bene: e però -appresso la detta paga si raccolse un’altra volta a -soldi trenta il danaio per modo, che in termine di -due mesi, o in meno, ebbono contanti i fiorini centomila -che si diedono all’imperadore, senza andare -alcuni esattori per la città, o essere alcuno -gravato per forza. È vero che leggi s’ordinarono -per lo comune, che chi non pagasse la sega per se -o altri per lui non potesse avere uficio di comune, -nè dovesse essere udito in alcuno uficio in -suo beneficio: e ordinò il comune, che catuno che -prestasse danari di questa sega, fosse in certo tempo -assegnato in su le sue gabelle con provvisione -a dieci per centinaio l’anno: e per questo molti -cittadini mobolati pagavano per chiunque volea -dar loro alcuno vantaggio, e così gl’impotenti -per piccola cosa che si cavavano di borsa -trovavano chi pagava per loro e prendevano l’assegnamento. -Il comune mantenne la fede di pagare -a’ termini ch’avea promesso, e però a molti -<span class="pagenum" id="Page_279">[279]</span> -cittadini era grande guadagno, e agli altri non -era gravezza; e per questo, quanti danari fossono -bisognati al comune avea senza alcuna fatica, e -il merito che pagava tornava nelle mani de’ -suoi cittadini, non però senza alcuna invidia. Abbianne -fatta questa memoria per li tempi avvenire, -a dimostrare quanto è utile al soccorso -della repubblica mantenere il comune la fede -a’ suoi cittadini, e quanto bene seguita al comune -l’ordine di restituire le prestanze: perocchè -nella nostra ricordanza è di veduta, che il comune -soleva fare libbre ed imposte le quali generavano -molte mortali nimicizie tra’ cittadini, -perocchè si facevano disordinatamente sconce, e -se pure ventimila fiorini imponeva il comune, -più di cento case se n’abbattevano in Firenze, e -recavansi i beni tra quelli de’ rubelli per cessanti -delle fazioni del comune, e i cittadini erano -pegnorati o presi, e molti s’uscivano in bando -per le dette cagioni, e gli esattori e’ messi se n’andavano -per loro col quarto dell’imposta, in -grave confusione della cittadinanza. -</p> - -<h3 id="cap84-4">CAP. LXXXIV. -<span class="smaller"><i>L’ordine diede l’imperadore agli Aretini.</i></span></h3> - -<p> -Gli ambasciadori del comune d’Arezzo avendo -sostenuto molte battaglie in giudicio da’ Tarlati -e dagli Ubertini nell’udienza dell’imperadore -e del suo consiglio, che domandavano di -volere tornare nella loro città d’Arezzo, e avendoli -gli ambasciadori convinti con ragione come -<span class="pagenum" id="Page_280">[280]</span> -non erano degni di tornare cittadini in quella -città, dov’avevano per loro sfrenata potenza usate -le tirannie manifeste e l’ingiuste operazioni, -per le quali aveano per più riprese fatto manifesto -all’imperadore e al suo consiglio, che quello comune -sosterrebbe innanzi ogni altro pericolo di -fortuna, che coloro consentissono di rimettere -nella città sotto alcun patto. L’imperadore avendo -assai sostenuto a riceverli in servigio de’ Tarlati -e degli Ubertini, vedendo la giusta costanza degli -ambasciadori, diliberò che tutti i cittadini non -ribelli di quello comune raccomunassono gli ufici, -e che tanti vi fossono de’ ghibellini quanto de’ guelfi; -ma che le due castella della città si guardassono -solo per i guelfi, com’erano usate di guardare, -per più fermezza dello stato della città; e che catuno -dovesse avere il frutto de’ suoi propri beni, e -non potessono domandare altro a quello comune. -Gli ambasciadori col sindacato del loro comune -gli feciono la sommessione di quello comune e l’omaggio, -promettendoli ogni anno per censo fiorini -quattrocento d’oro del mese di marzo: e oltre -a ciò gli donarono per aiuto alla sua coronazione -fiorini cinquemila d’oro, e l’imperadore -futuro per suoi privilegi reali privilegiò loro -tutto il contado: e questo fu fatto nella città di -Siena all’uscita del mese di marzo 1355. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_281">[281]</span> -</p> - -<h3 id="cap85-4">CAP. LXXXV. -<span class="smaller"><i>Come fu preso Montepulciano dalla casa -de’ Cavalieri.</i></span></h3> - -<p> -Essendo per lunga esperienza certificati messer -Niccolò e messer Iacopo de’ Cavalieri di Montepulciano, -che la loro discordia gli avea abbattuti -della signoria, e cacciati in esilio della loro -terra e della città di Siena, si ridussono a pace -e a concordia; e innanzi che il bollore del popolo -sanese s’acchetasse in fermo stato, messer -Niccolò di volontà di messer Iacopo suo consorto -tornò in Montepulciano, ricevuto da’ terrazzani -che dentro v’erano con allegra faccia, perocchè -volentieri tornavano al loro antico reggimento: -nondimeno la rocca ch’era in mano e in guardia -de’ Sanesi non potè avere. La novella venne a Siena -di presente dov’era l’imperadore, e messer -Iacopo de’ Cavalieri ch’era di ciò avvisato, avendo -in sua compagnia alquanti grandi uomini di Siena, -incontanente fu in presenza dell’imperadore, -e informollo pienamente del manifesto torto che -il popolo di Siena avea fatto loro, non attenendo -i patti nè le convenienze ch’aveano promesse -per la corrotta fede de’ nove; e que’ grandi cittadini -ch’erano con lui feciono chiaro l’imperadore -che quello che diceva era in fatto vero: e -però in quello stante, quanto ch’e’ s’avesse altro in -cuore, disse ch’era contento che tenessono la terra -di Montepulciano come suoi vicari; e il terzo -dì appresso, cavalcando l’eletto verso Roma, -<span class="pagenum" id="Page_282">[282]</span> -volle andare a desinare nella terra. I signori allegramente -gli apparecchiarono la desinea; e com’ebbe -mangiato ne menò seco a Roma l’uno e -l’altro, e nella terra mise altra gente alla guardia: -ed essendo in Roma, e sentendo alcuna cosa contro -a messer Niccolò, o che per sospetto si movesse, -il fece citare, ed egli ingelosito per sospetto -della sua persona si partì di Roma, senza comparire -e senza prendere comiato. -</p> - -<h3 id="cap86-4">CAP. LXXXVI. -<span class="smaller"><i>Come il papa riprese in concistoro certi -dissoluti cardinali.</i></span></h3> - -<p> -Il cardinale di Pelagorga di Guascogna baldanzoso -e superbo, non meno per la potenza -dei suo legnaggio che per lo cappello rosso, oltre -a molte grandi e sconce cose fatte per la sua -arroganza, singolari nella corte di Roma, in questi -dì del mese di marzo, nella santa Quaresima, -essendo per loro bisogne venuti a corte nella città -d’Avignone alquanti cavalieri guasconi, disordinati, -della setta sua e di suo lignaggio, senz’altra -singolare cagione ne fece uccidere tre, che -niuna guardia si pensavano avere a fare, non guardando -alla reverenza de’ pastori di santa Chiesa, -nè a’ santi giorni quaresimali. E altri giovani -fatti cardinali per papa Clemente erano stati, -e in questi dì erano in tanta disonesta e dissoluta -vita, che niuni giovani dissoluti tiranni -gli avanzavano: e intra l’altre cose (con vergogna -il dico) facevano nella città a’ loro scudieri rapire -<span class="pagenum" id="Page_283">[283]</span> -le giovani donne a’ loro mariti manifestamente, -e senza vergogna le teneano palesi nelle loro -livree; e molte cose violenti usavano in vituperio -di santa Chiesa. Onde papa Innocenzio sesto -udendo molta infamia nella corte di questi cardinali, -facendo dell’edima santa singolare consistoro -per questa cosa, li riprese in pubblico -aspramente, dicendo: Voi vi portate sì dissolutamente -in vituperio di santa Chiesa, che mi conducerete -a essere in parte, ch’io farò abbassare -la vostra superbia; minacciandoli di tornare la -corte in Italia: ma poco se n’ammendarono; e il -tempo non era ancora ordinato da Dio di tornare -alla sedia apostolica di Roma i suoi pontefici -per l’antico peccato de’ prelati italiani, che -ancora non si mostravano soperchiati dagli oltramontani. -</p> - -<h3 id="cap87-4">CAP. LXXXVII. -<span class="smaller"><i>Di alcuna novità di Pisa per gelosia.</i></span></h3> - -<p> -Essendo l’imperadore a Siena, era in Pisa rimaso -un suo vicario con seicento cavalieri tedeschi: -i Pisani per le divisioni e per l’invidia -delle loro sette mormoravano l’uno contro -l’altro, e catuno contro all’imperadore. Il vicario -per reprimere la volontà de’ malcontenti, -e per accrescersi favore del minuto popolo ch’era -tutto imperiale, a dì 29 di marzo 1355 fece improvviso -a’ Pisani di subito armare tutte le sue -masnade tedesche, e con loro insieme corse -tutta la città gridando, viva l’imperadore, e il -<span class="pagenum" id="Page_284">[284]</span> -popolo rispondea per tutte le contrade, viva l’imperadore; -e senza alcuna altra novità fare s’acquetarono: -e tornati a’ loro alberghi puosono -giuso l’armi, e a’ Pisani delle sette crebbe il -mal volere contro all’imperadore. -</p> - -<h3 id="cap88-4">CAP. LXXXVIII. -<span class="smaller"><i>Della gente che i Fiorentini mandarono -con l’imperadore.</i></span></h3> - -<p> -L’eletto imperadore volendo andare a prendere -la corona a san Piero a Roma, si pensò, -che non ostante la sua copiosa compagnia, grande -sicurtà gli sarebbe per tutto ad avere in sua -condotta l’insegna del comune di Firenze, e alla -guardia della sua persona de’ suoi cittadini con -parte della loro gente d’arme; e però richiese i -Fiorentini che gli mandassono de’ loro cavalieri -dugento con l’insegna del comune, e con alcuni -cittadini alla sua compagnia. Il comune elesse -di presente due cittadini, uno grande e -uno popolare, ambedue cavalieri, e dugento -barbute di gente eletta molto bene montati e -armati nobilemente, e bene guerniti di robe -e d’arnesi, e diedono l’insegna del popolo, -il giglio e il rastrello, senza alcuna aguglia: -e giunti a Siena, l’imperadore li ricevette -graziosamente, e costituilli alla guardia del -suo corpo, perocchè gran confidanza avea de’ -Fiorentini, e tra tutta sua gente non avea altrettanti -cavalieri sì bene a cavallo nè sì bene armati: -e in sua compagnia andarono, e stettono, -<span class="pagenum" id="Page_285">[285]</span> -e tornarono da Roma infino alla città di Siena, -e ivi licenziati dall’imperadore si tornarono a -Firenze. Abbiamo di questa lieve cosa fatta memoria, -non tanto per lo fatto, quanto che fu -cosa disusata e strana per lunghi tempi passati, -vedere l’insegna del comune di Firenze a guardia -dell’imperadore. -</p> - -<h3 id="cap89-4">CAP. LXXXIX. -<span class="smaller"><i>Come l’imperadore si partì da Siena.</i></span></h3> - -<p> -Avendo l’imperadore veduto la subita revoluzione -fatta per i cittadini di Siena, d’avere -disfatto e abbattuto il loro antico reggimento -e l’ordine de’ nove, avendo di presente ad essere -a Roma il dì della Pasqua della santa Resurrezione -a dì 5 d’aprile, prese sospetto di lasciarla -in libertà, e lasciovvi l’arcivescovo di Praga cui -n’avea fatto vicario, prelato di grande autorità, -e sperto delle cose del mondo, e pro’ e ardito in -fatti d’arme, e in sua compagnia e per suo consiglio -lasciò il signore di Cortona, e i Tarlati -d’Arezzo, e’ conti da Santafiore, e più altri caporali -di parte ghibellina, mostrando più confidanza -in loro che nelle case guelfe di Siena, che -liberamente gli aveano data la signoria di quella -città: per la qual cosa i gentili uomini di -quella terra e i popolani grassi molto si turbarono -e rimasono malcontenti, benchè in apparenza -allora non ne feciono dimostrazione; e a -dì 28 di marzo 1355 l’eletto si partì da Siena, e -seguitò a gran giornate il suo viaggio, e infino alla -<span class="pagenum" id="Page_286">[286]</span> -sua tornata i Sanesi vivettono senza niuno loro -ordine sotto il volontario reggimento del vicario. -</p> - -<h3 id="cap90-4">CAP. XC. -<span class="smaller"><i>Della gran compagnia ch’era in Puglia.</i></span></h3> - -<p> -In questo tempo, all’entrare d’aprile del detto -anno, la compagnia del conte di Lando era -cresciuta nel Regno in quattromila barbute, e -in molti masnadieri, e in grande popolo di bordaglia, -e tenendo loro campi sopra Nocera e sopra -Foggia correvano la Puglia piana predando -e pigliando uomini e femmine, e bestiame e -roba ovunque ne poteano giungnere, e strignevano -per paura i casali e le ville a portare -vittuaglia al campo. Nel paese faceano danno assai; -ma niuna terra murata poterono acquistare, -perocchè non aveano argomenti da vincerle per -battaglia, e per la fede ch’aveano rotta a quelli -del Guasto quando si dierono loro, niuna terra si -volea più confidare alle loro promesse, ma tutte -s’erano armate e afforzate alla difesa. Stando -la compagnia per questo modo in Puglia, il -re Luigi poco mostrava che si curasse della compagnia, -e meno del danno de’ suoi sudditi, con -mancamento di suo onore, perocchè nè aiuto -nè consiglio dava loro: ma in questi dì mandò -messer Niccola Acciaiuoli di Firenze suo grande -siniscalco al legato, per trattare pace da lui a -messer Malatesta da Rimini, e ambasciadore all’imperadore, -e appresso al comune di Firenze, -per avere da catuno aiuto di gente contro alla -<span class="pagenum" id="Page_287">[287]</span> -compagnia, e per sentire la volontà e ’l processo -dell’imperadore: ma da se nel Regno niuna provvisione -fece, fuori che festeggiare e danzare con -le donne, in detrimento della sua fama. -</p> - -<h3 id="cap91-4">CAP. XCI. -<span class="smaller"><i>Come il gran siniscalco cambiò sua fama in -Firenze.</i></span></h3> - -<p> -Noi avremmo volontieri trapassato quello che -seguita senza memoria, se senza potere essere -incolpato d’adulazione per tacere l’avessimo potuto -fare. Il grande siniscalco del re Luigi partitosi -dalle mollizie del suo signore, e inviscato da -quelle, venne al legato in Romagna, e cercato -secondo la commissione a lui fatta dal re Luigi -di tentare la pace dal legato a messer Malatesta -da Rimini, non ebbe autorità di poterla in alcuno -atto disporla: e partitosi dal legato, venne a -Siena all’imperadore, e spuosegli la sua ambasciata, -dal quale fu ricevuto graziosamente per amore -del re, e ancora della sua persona, perocch’era cittadino -popolare di Firenze, e vedevalo montato in -cotanta dignità, e a Roma il menò con seco, e fu alla -sua coronazione: e tornato a Siena con lui senza -avere impetrata alcuna cosa di sua domanda, se -ne venne a Firenze del mese d’aprile del detto -anno, con grande comitiva di baroni e di cavalieri -napoletani, giovani ornati di diverse e strane -portature, e abiti di loro robe, con maravigliosi -paramenti d’oro e d’argento, e di pietre preziose -e di perle, e in Firenze cominciò a fare -<span class="pagenum" id="Page_288">[288]</span> -molti conviti, e continovolli lungamente in città e -in contado, avendo le giovani donne le quali faceva -invitare con grande istanza sera e mattina a’ suoi -corredi, e tutto dì le tenea in danza e in festa co’ -suoi cavalieri; le quali femminili mollizie molto -nella patria indebolirono la sua fama; e considerando -i cittadini il tempo nel quale la compagnia -tribolava il Regno, e le novità dell’imperadore, -e le mutazioni degli stati delle città e delle -terre di Toscana, e la nuova gravezza, e sollecita -provvedenza e guardia ch’avea il suo comune di -Firenze, facevano manifesto che allora bisognavano -cose virtuose e virili, e non disoneste mollezze -di donne. Crediamo che il male esempio -del suo signore, e la vanità che ’l movea a accattare -benevolenza de’ giovani e vani baroni e cavalieri -ch’erano con lui gli feciono dimenticare -le sue usate virtù, e la fortezza del suo -animo. E per merito di questo, avendo domandato -al suo comune per parte del re alcuno sussidio -di gente d’arme contro alla compagnia, cosa -che altra volta si sarebbe fatta senza domandare, -per più riprese gli fu negata; potendo conoscere -che poco onore della sua città riportò al re suo -signore contra l’usato modo: e dove la sua persona -era per addietro nominatissima in altezza d’animo -e in molte virtù, per la vana mollezza -femminile, a questa volta nella sua patria recò -in memoria de’ suoi cittadini la detestabile vita -di Sardanapalo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_289">[289]</span> -</p> - -<h3 id="cap92-4">CAP. XCII. -<span class="smaller"><i>Come l’imperadore giunse a Roma.</i></span></h3> - -<p> -Carlo nominato nel battesimo Vincislao, figliuolo -del re Giovanni, figliuolo dell’imperadore Arrigo -di Luzimborgo re di Boemia, eletto imperadore, -giunto a Roma il giovedì santo, entrò nella -città sconosciuto, e a modo di romeo vestito -di panno bruno con molti suoi baroni, e andò il -venerdì e il sabato santo a vicitare le principali -chiese di Roma in forma di pellegrino, e per modo -che da niuno forestiero o paesano potea essere -conosciuto chi fosse l’imperadore: e la mattina -innanzi dì, vegnente la Resurrezione, uscì di -Roma con la maggiore parte della sua gente, per -entrare la mattina della santa Pasqua palesemente -in Roma, per venire alla sua coronazione manifestamente. -Il popolo di Roma per ordine de’ -loro Rioni, co’ suoi principi e con tutto il chericato -con solenne processione gli uscirono incontro -fuori della città, e trovaronlo apparecchiato; -e fattogli la debita salutazione e reverenza, -con somma allegrezza e festa, e con -grande moltitudine di cavalieri romani e paesani -e strani, oltre alla sua cavalleria, condussono -lui innanzi e l’imperatrice appresso nella città -di Roma, e menaronlo alla Basilica del principe -degli Apostoli san Piero, la mattina innanzi la -messa, e là smontati. Qui si faccia fine al nostro -quarto libro, per fare cominciamento al quinto -della sua coronazione. -</p> - -<hr class="silver"> - -<div class="somm"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_291">[291]</span> -</p> - -<h2><a id="indice" href="#indfront"> -TAVOLA</a> -<span class="smaller">DEI CAPITOLI</span></h2> - -<table class="indice"> - <tr> - <td><i>Qui comincia il terzo libro della Cronica di Matteo Villani; e prima il Prologo</i></td> <td class="pag"><a href="#libro3">Pag. 5</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> II. La potenza dell’arcivescovo di Milano, e il procaccio fece a corte per la sua liberazione</i></td> <td class="pag"><a href="#cap2-3">6</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> III. Come papa Clemente sesto propose tre cose a’ comuni di Toscana, perchè pigliassono l’una</i></td> <td class="pag"><a href="#cap3-3">9</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> IV. Come il papa e’ cardinali annullarono i processi contro all’arcivescovo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap4-3">10</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> V. Come gli ambasciadori de’ Toscani si partirono di corte mal contenti</i></td> <td class="pag"><a href="#cap5-3">11</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VI. Come i tre comuni di Toscana s’accordarono a far passare l’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap6-3">12</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VII. Quali furono i patti dall’imperadore a’ tre comuni</i></td> <td class="pag"><a href="#cap7-3">13</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VIII. Come il re Luigi e la reina Giovanna furono coronati per la Chiesa</i></td> <td class="pag"><a href="#cap8-3">15</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> IX. Commendazione in laude di messer Niccola Acciaiuoli</i></td> <td class="pag"><a href="#cap9-3">17</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> X. Come fu cacciato messer Iacopo Cavalieri di Montepulciano.</i></td> <td class="pag"><a href="#cap10-3">20</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XI. Come si die’ il guasto a Bibbiena, e sconfitti i Tarlati da’ Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap11-3">21</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XII. Come si rubellò a’ Fiorentini Coriglia e Sorana</i></td> <td class="pag"><a href="#cap12-3">23</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_292">[292]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIII. Come i tre comuni di Toscana mandarono ambasciadori in Boemia a far muovere l’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap13-3">24</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIV. Di disusati tempi stati</i></td> <td class="pag"><a href="#cap14-3">25</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XV. Dell’inganno ricevette il comune di Firenze del braccio di santa Reparata</i></td> <td class="pag"><a href="#cap15-3">27</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVI. Di quello medesimo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap16-3">28</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVII Come la gente del Biscione cavalcarono i Perugini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap17-3">29</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVIII. Come i Romani andarono per guastare Viterbo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap18-3">31</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIX. Come il re Luigi ebbe Nocera</i></td> <td class="pag"><a href="#cap19-3">32</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XX. Come fu sconfitto il conte di Caserta</i></td> <td class="pag"><a href="#cap20-3">33</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXI. La novità in Casole di Volterra</i></td> <td class="pag"><a href="#cap21-3">34</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXII. Come furono decapitati degli Ardinghelli di Sangimignano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap22-3">34</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIII. Come gente del re di Francia fu sconfitta a Guinisi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap23-3">35</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIV. Come i Perugini assediarono Bettona</i></td> <td class="pag"><a href="#cap24-3">37</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXV. Come fu liberato Montecchio dall’assedio per soccorrere Bettona</i></td> <td class="pag"><a href="#cap25-3">38</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVI. Come i Perugini ebbono Bettona e arsonla, e disfeciono affatto</i></td> <td class="pag"><a href="#cap26-3">39</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVII. Come la città d’Agobbio s’accordò co’ Perugini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap27-3">41</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVIII. Come ser Lallo s’accordò con il re Luigi dell’Aquila</i></td> <td class="pag"><a href="#cap28-3">41</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIX. Come i Perugini e’ Fiorentini tornarono a guastare Cortona</i></td> <td class="pag"><a href="#cap29-3">42</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXX. Come gli ambasciadori de’ tre comuni di Toscana tornarono dall’imperadore senza accordo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap30-3">43</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXI. Come l’arcivescovo cercava pace co’ Toscani</i></td> <td class="pag"><a href="#cap31-3">44</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXII. Come il prefetto da Vico fu fatto signore d’Orvieto</i></td> <td class="pag"><a href="#cap32-3">45</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIII. Novità state a Roma</i></td> <td class="pag"><a href="#cap33-3">46</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIV. Come la gente del Biscione assediarono la Città di Castello</i></td> <td class="pag"><a href="#cap34-3">47</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXV. Come i Fiorentini soccorsono Barga e sconfissono i Castracani</i></td> <td class="pag"><a href="#cap35-3">47</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_293">[293]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVI. Come si difese il borgo d’Arezzo per i Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap36-3">48</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVII. D’un segno mirabile ch’apparve</i></td> <td class="pag"><a href="#cap37-3">49</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVIII. Come i Tarlati arsono il borgo di Figghine</i></td> <td class="pag"><a href="#cap38-3">50</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIX. Come gli usciti di Montepulciano venuti alla terra ne furono poi cacciati</i></td> <td class="pag"><a href="#cap39-3">52</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XL. Come fra Moriale fu assediato, e rendessi al re Luigi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap40-3">53</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLI. Come i Fiorentini fornirono Lozzole</i></td> <td class="pag"><a href="#cap41-3">54</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLII. Maraviglie fatte a Roma per una folgore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap42-3">56</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIII. Come morì papa Clemente sesto, e di sue condizioni</i></td> <td class="pag"><a href="#cap43-3">57</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIV. Come fu fatto papa Innocenzio sesto</i></td> <td class="pag"><a href="#cap44-3">59</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLV. Come usciti di prigione i reali del Regno s’arrestarono a Trevigi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap45-3">60</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVI. Di novità state in Sangimignano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap46-3">61</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVII. Come i comuni di Toscana mandarono solenni ambasciadori a Serezzana a trattare pace</i></td> <td class="pag"><a href="#cap47-3">63</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVIII. Di grandi tremuoti vennono in Toscana e in altre parti</i></td> <td class="pag"><a href="#cap48-3">63</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIX. Come i Sanesi andarono a oste a Montepulciano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap49-3">65</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> L. Come Gualtieri Ubertini fu decapitato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap50-3">66</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LI. Come il duca d’Atene assediò Brandizio</i></td> <td class="pag"><a href="#cap51-3">67</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LII. Come i Perugini feciono pace co’ Cortonesi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap52-3">68</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIII. Come il popolo di Gaeta uccisono dodici loro cittadini per la carestia ch’aveano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap53-3">69</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIV. Come il papa volle trattare pace da’ Genovesi a’ Veneziani</i></td> <td class="pag"><a href="#cap54-3">70</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LV. Come i Fiorentini osteggiaro Sangimignano, e fecionli ubbidire</i></td> <td class="pag"><a href="#cap55-3">71</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVI. Come in Italia fu generale carestia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap56-3">72</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVII. Come i Romani uccisono colle pietre Bertoldo degli Orsini loro senatore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap57-3">73</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVIII. Come fu tagliata la testa a Bordone de’ Bordoni</i></td> <td class="pag"><a href="#cap58-3">74</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_294">[294]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIX. Come si pubblicò la pace dall’arcivescovo a’ comuni di Toscana</i></td> <td class="pag"><a href="#cap59-3">75</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LX. L’inganno ricevette il comune di Firenze dagli sbanditi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap60-3">77</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXI. Di questa medesima materia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap61-3">79</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXII. Come messer Piero Sacconi de’ Tarlati tentò di fare grande preda innanzi che fosse bandita la pace</i></td> <td class="pag"><a href="#cap62-3">80</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIII. Come il corpo di messer Lorenzo Acciaiuoli fu recato del Regno a Firenze, e seppellito a Montaguto a Certosa onoratamente</i></td> <td class="pag"><a href="#cap63-3">81</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIV. Come si fe’ l’accordo da’ Sanesi a Montepulciano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap64-3">83</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXV. D’una notabile grandine venuta in Lombardia, e d’altro</i></td> <td class="pag"><a href="#cap65-3">84</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVI. Come sotto le triegue procedettono le cose in Francia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap66-3">85</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVII. Come i Genovesi spregiarono la pace de’ Veneziani</i></td> <td class="pag"><a href="#cap67-3">86</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVIII. Come i Veneziani si provvidono</i></td> <td class="pag"><a href="#cap68-3">87</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIX. Come fu guasto il castello di Picchiena, e perchè</i></td> <td class="pag"><a href="#cap69-3">88</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXX. Come Ruberto d’Avellino fu morto dalla duchessa sua moglie</i></td> <td class="pag"><a href="#cap70-3">89</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXI. Come furono cacciati i ghibellini del Borgo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap71-3">90</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXII. Di quattro leoni di macigno posti al palagio de’ priori</i></td> <td class="pag"><a href="#cap72-3">91</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIII. Come Sangimignano fu recato a contado di Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap73-3">91</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIV. D’un segno apparve in cielo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap74-3">94</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXV. Come fu assediata Argenta</i></td> <td class="pag"><a href="#cap75-3">94</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVI. Come si temette in Toscana di carestia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap76-3">96</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVII. Come in Messina fu morto il conte Mazzeo de’ Palizzi a furore, e la moglie e due figliuoli</i></td> <td class="pag"><a href="#cap77-3">97</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVIII. Come fu creato nuovo tribuno in Roma</i></td> <td class="pag"><a href="#cap78-3">99</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIX. Come furono sconfitti in mare i Genovesi alla Loiera</i></td> <td class="pag"><a href="#cap79-3">101</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_295">[295]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXX. Come i Catalani perderono loro terre in Sardegna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap80-3">106</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXI. Come il prefetto venne a oste a Todi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap81-3">107</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXII. Come fu presa e lasciata Vicorata</i></td> <td class="pag"><a href="#cap82-3">108</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIII. Come il conte di Caserta si rubellò dal re Luigi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap83-3">109</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIV. Come il cardinale legato venne a Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap84-3">111</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXV. Rinnovazione del palio di santa Reparata</i></td> <td class="pag"><a href="#cap85-3">112</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVI. Come i Genovesi si misono in servaggio dell’arcivescovo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap86-3">114</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVII. Come i Pisani feciono confinati</i></td> <td class="pag"><a href="#cap87-3">115</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVIII. Come i Sanesi ruppono i patti a Montepulciano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap88-3">117</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIX. Come si cominciò la gran compagnia nella Marca</i></td> <td class="pag"><a href="#cap89-3">118</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XC. Dice de’ leoni nati in Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap90-3">119</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCI. Come i Romani si dierono alla Chiesa di Roma</i></td> <td class="pag"><a href="#cap91-3">120</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCII. Le novità seguite in Pistoia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap92-3">121</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCIII. Come l’arcivescovo richiese di pace i Veneziani</i></td> <td class="pag"><a href="#cap93-3">122</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCIV. Come i Veneziani ordinarono lega contro al Biscione</i></td> <td class="pag"><a href="#cap94-3">123</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCV. Come il conestabile di Francia fu morto</i></td> <td class="pag"><a href="#cap95-3">124</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCVI. Come si cominciò la rocca in Sangimignano, e la via coperta a Prato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap96-3">126</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCVII. Del male stato dell’isola di Sicilia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap97-3">126</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCVIII. Come il legato del papa procedette col prefetto</i></td> <td class="pag"><a href="#cap98-3">127</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCIX. Come si rubellò Verona al Gran Cane per messer Frignano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap99-3">129</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> C. Come messer Bernabò con duemila barbute si credette entrare in Verona</i></td> <td class="pag"><a href="#cap100-3">132</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CI. Come messer Gran Cane racquistò Verona, e fu morto messer Frignano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap101-3">136</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CII. Come messer Gran Cane riformò la città di Verona, e fece giustizia de’ traditori</i></td> <td class="pag"><a href="#cap102-3">136</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_296">[296]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CIII. Come fu deliberato per la Chiesa l’avvenimento dell imperadore in Italia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap103-3">138</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CIV. D’un gran fuoco ch’apparve nell’aria</i></td> <td class="pag"><a href="#cap104-3">139</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CV. Di tremuoti che furono</i></td> <td class="pag"><a href="#cap105-3">140</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CVI. De’ fatti del monte</i></td> <td class="pag"><a href="#cap106-3">141</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CVI. Di certe rivolture di tiranni di Lombardia, e di più cose per lo tradimento di Verona</i></td> <td class="pag"><a href="#cap106a-3">144</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CVII. Del processo della grande compagnia di fra Moriale della Marca</i></td> <td class="pag"><a href="#cap107-3">145</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CVIII. Come il legato prese Toscanella</i></td> <td class="pag"><a href="#cap108-3">147</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CIX. Come messer Malatesta si ricomperò dalla compagnia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap109-3">148</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CX. D’un fanciullo mostruoso nato in Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap110-3">151</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CXI. Come furono cacciati i guelfi di Rieti e da Spoleto</i></td> <td class="pag"><a href="#cap111-3">151</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="center">LIBRO QUARTO</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> I. Comincia il quarto libro, e prima il Prologo</i></td> <td class="pag"><a href="#libro4">153</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> II. Comparazione dal re Ruberto al re Luigi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap2-4">154</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> III. Come gran parte dell’isola di Cicilia venne all’ubbidienza del re Luigi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap3-4">155</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> IV. Come l’arcivescovo cominciò guerra contro a’ collegati di Lombardia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap4-4">157</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> V. Come il re d’Ungheria passò con grande esercito contra un re de’ Tartari</i></td> <td class="pag"><a href="#cap5-4">157</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VI. De’ grilli ch’abbondarono in Barberia e poi in Cipri</i></td> <td class="pag"><a href="#cap6-4">159</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VII. D’una notabile maraviglia della reverenza della tavola di santa Maria in Pineta</i></td> <td class="pag"><a href="#cap7-4">160</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VIII. Come il vicario di Bologna mandò l’oste sopra Modena con due quartieri di Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap8-4">162</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> IX. Come il legato e i Romani guastarono il contada di Viterbo.</i></td> <td class="pag"><a href="#cap9-4">162</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> X. Come il prefetto s’arrendè al legato liberamente</i></td> <td class="pag"><a href="#cap10-4">163</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XI. Come il popolo di Bologna si levò a romore per avere loro libertà, e fu in maggiore servaggio.</i></td> <td class="pag"><a href="#cap11-4">165</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_297">[297]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XII. Come fu tolta l’arme al popolo di Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap12-4">168</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIII. Come il legato ebbe la città d’Agobbio</i></td> <td class="pag"><a href="#cap13-4">169</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIV. Come i Perugini non tennono fede a’ Fiorentini e’ Sanesi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap14-4">170</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XV. Come procedettono i rettori di Firenze in questa sopravvenuta tempesta della compagnia di fra Moriale</i></td> <td class="pag"><a href="#cap15-4">173</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVI. Come si provvedde a Firenze contra la compagnia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap16-4">175</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVII. Come fu morto messer Lallo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap17-4">176</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVIII. Come il re di Spagna cacciata la non vera moglie coronò la legittima</i></td> <td class="pag"><a href="#cap18-4">178</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIX. Come i collegati di Lombardia condotta la compagnia mandarono all’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap19-4">181</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XX. Come i Bordoni furono cacciati di Firenze, e sbanditi per ribelli</i></td> <td class="pag"><a href="#cap20-4">182</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXI. Come il re d’Araona venne con grande armata a racquistare Sardegna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap21-4">183</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXII. Come i Genovesi feciono armata contro a’ Veneziani e Catalani</i></td> <td class="pag"><a href="#cap22-4">184</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIII. Come il tribuno di Roma fece tagliare la lesta a fra Moriale</i></td> <td class="pag"><a href="#cap23-4">186</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIV. D’una sformata grandine venuta a Mompelieri, e della scurazione del sole</i></td> <td class="pag"><a href="#cap24-4">188</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXV. Come morì l’arcivescovo di Milano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap25-4">189</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVI. Come il tribuno di Roma fu morto a furia di popolo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap26-4">190</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVII. Come l’imperadore Carlo venne in Lombardia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap27-4">192</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVIII. Come i tre fratelli de’ Visconti di Milano furono fatti signori, e loro divise</i></td> <td class="pag"><a href="#cap28-4">194</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIX. Come l’imperadore stando a Mantova trattava la pace de’ Lombardi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap29-4">195</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXX. Come furono presi i legni ch’andavano a Palermo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap30-4">197</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXI. Come si cominciò guerra il Puglia tra loro.</i></td> <td class="pag"><a href="#cap31-4">198</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXII. Come i Genovesi sconfissono i Veneziani a Portolungone in Romania</i></td> <td class="pag"><a href="#cap32-4">199</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_298">[298]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIII. Come Gentile da Mogliano diede fermo al legato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap33-4">203</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span>XXXIV. Come il re d’Araona ebbe la Loiera, e fece accordo col giudice</i></td> <td class="pag"><a href="#cap34-4">204</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXV. Come i Pisani si diliberarono di mandare all’imperatore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap35-4">206</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVI. Rottura della pace del re di Francia e d’Inghilterra</i></td> <td class="pag"><a href="#cap36-4">207</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVII. Come un gatto uccise un fanciullo in Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap37-4">208</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVIII. Come l’imperadore fe’ fare triegua da’ Lombardi a’ signori di Milano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap38-4">209</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIX. Come l’imperadore andò a Moncia per la corona del ferro</i></td> <td class="pag"><a href="#cap39-4">211</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XL. Come il conte di Lando venne di Lombardia in Romagna con la gran compagnia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap40-4">214</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLI. Come i Fiorentini per la venuta dell’imperadore a Pisa si provvidono</i></td> <td class="pag"><a href="#cap41-4">215</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLII. Come il legato prese Recanati</i></td> <td class="pag"><a href="#cap42-4">217</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIII. Come il capitano di Forlì venne in Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap43-4">218</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIV. Come l’imperadore Carlo giunse a Pisa</i></td> <td class="pag"><a href="#cap44-4">219</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLV. Come l’imperadore bandì parlamento in Pisa, e quello n’avvenne</i></td> <td class="pag"><a href="#cap45-4">220</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVI. Come l’imperadore di Costantinopoli racquistò l’imperio</i></td> <td class="pag"><a href="#cap46-4">221</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVII. Come i Matraversi di Pisa feciono muovere l’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap47-4">223</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVIII. Come procedettono i fatti in Pisa</i></td> <td class="pag"><a href="#cap48-4">224</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIX. Come gli ambasciadori del comune di Firenze andaro all’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap49-4">225</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> L. Di novità stata in Montepulciano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap50-4">226</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LI. Come le sette di Pisa si pacificarono insieme</i></td> <td class="pag"><a href="#cap51-4">227</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LII. Come Gentile da Mogliano si ritolse la città di Fermo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap52-4">229</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIII. Come gli ambasciadori de’ Fiorentini e’ Sanesi furono ricevuti dall’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap53-4">231</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIV. Come i Sanesi scopriro la loro corrotta fede contro a’ Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap54-4">232</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_299">[299]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LV. De’ falli commessi per lo comune di Firenze, e degl’inganni ricevuti da’ suoi vicini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap55-4">235</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVI. Di molti Alamanni venuti alla coronazione dell’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap56-4">237</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVII. Di novità della Marca per Recanati</i></td> <td class="pag"><a href="#cap57-4">238</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVIII. Come la gran compagnia del conte di Lando entrò nel Regno</i></td> <td class="pag"><a href="#cap58-4">239</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIX. Come l’imperadore andò a Lucca</i></td> <td class="pag"><a href="#cap59-4">240</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LX. Come al Galluzzo nacque un fanciullo mostruoso</i></td> <td class="pag"><a href="#cap60-4">241</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXI. De’ fatti di Siena con l’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap61-4">242</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXII. Di più imbasciate ghibelline state in presenza dell’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap62-4">245</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIII. Come i Volterrani si dierono all’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap63-4">247</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIV. Come i Samminiatesi si dierono all’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap64-4">248</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXV. Di disusato tempo stato nel verno</i></td> <td class="pag"><a href="#cap65-4">249</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVI. Come il segreto giurato in Firenze fu manifestato all’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap66-4">250</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVII. Come l’imperadore mandò aiuto di gente al legato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap67-4">252</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVIII. Trattati dall’imperadore a’ Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap68-4">253</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIX. Raccolti falli de’ governatori del comune di Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap69-4">254</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXX. Come a Firenze si fece il sindacato per l’accordo con l’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap70-4">256</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXI. Quello si fe’ per alcuno cardinale per la coronazione dell’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap71-4">258</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXII. Come si fermò l’accordo e’ patti dall’imperadore al comune di Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap72-4">259</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIII. Come i Fiorentini per mala provvedenza errarono a loro danno</i></td> <td class="pag"><a href="#cap73-4">262</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIV. Della statura e continenza dell’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap74-4">263</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXV. Come si bandì in Firenze l’accordo con l’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap75-4">265</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVI. I patti e le convenienze da’ Fiorentini all’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap76-4">266</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVII. Come fu offesa la libertà del popolo di Roma da’ Toscani</i></td> <td class="pag"><a href="#cap77-4">260</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_300">[300]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVIII. Di quello medesimo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap78-4">270</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIX. Come la gran compagnia rubò il Guasto in Puglia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap79-4">272</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXX. Come l’imperadore richiese di lega i Fiorentini, e non l’ebbe</i></td> <td class="pag"><a href="#cap80-4">273</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXI. Come si mutò lo stato de’ nove di Siena</i></td> <td class="pag"><a href="#cap81-4">275</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXII. Di quello medesimo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap82-4">276</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIII. Il modo trovò il comune di Firenze per avere danari</i></td> <td class="pag"><a href="#cap83-4">277</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIV. L’ordine diede l’imperadore agli Aretini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap84-4">279</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXV. Come fu preso Montepulciano dalla casa de’ Cavalieri</i></td> <td class="pag"><a href="#cap85-4">281</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVI. Come il papa riprese in concistoro certi dissoluti cardinali</i></td> <td class="pag"><a href="#cap86-4">282</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVII. Di alcuna novità di Pisa per gelosia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap87-4">283</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span>LXXXVIII. Della gente che i Fiorentini mandarono con l’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap88-4">284</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIX. Come l’imperadore si partì da Siena</i></td> <td class="pag"><a href="#cap89-4">285</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XC. Della gran compagnia ch’era in Puglia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap90-4">286</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCI. Come il gran siniscalco cambiò sua fama in Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap91-4">287</a></td> - </tr> - <tr> - <td><i><span class="smcap">Cap.</span>XCII. Come l’imperadore giunse a Roma</i></td> <td class="pag"><a href="#cap92-4">289</a></td> - </tr> -</table> -<hr> -</div> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_301">[301]</span> -</p> - -<table class="errata"> - <tr> - <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td> </td> <td>ERRORI</td> <td>CORREZIONI</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="6"> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="6" class="center">TOMO SECONDO</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="6"> </td> - </tr> - <tr> - <td>p.</td> <td class="num">36</td> <td>v.</td> <td class="num">15</td> <td>sbarrattati</td> <td>sbarattati</td> - </tr> - <tr> - <td>—</td> <td class="num">48</td> <td>—</td> <td class="num">17</td> <td>a’ prigioni</td> <td>a prigioni</td> - </tr> - <tr> - <td>—</td> <td class="num">121</td> <td>—</td> <td class="num">19</td> <td>uomini della</td> <td>uomini, della</td> - </tr> - <tr> - <td>—</td> <td class="num">125</td> <td>—</td> <td class="num">10</td> <td>Avenne</td> <td>Avvenne</td> - </tr> - <tr> - <td>—</td> <td class="num">175</td> <td>—</td> <td class="num">27</td> <td>d’oro gli</td> <td>d’oro. Gli</td> - </tr> - <tr> - <td>—</td> <td class="num">254</td> <td>—</td> <td class="num">19</td> <td>ehe si</td> <td>che si</td> - </tr> -</table> -<hr> -</div> - -<div class="tnote"> -<p class="tntitle"> -Nota del Trascrittore -</p> - -<p> -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione -minimi errori tipografici. Le correzioni indicate in fine libro sono state riportate nel testo. -</p> - -<p class="covernote"> -Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio. -</p> -</div> - -<div lang='en' xml:lang='en'> -<div style='display:block; margin-top:4em'>*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK <span lang='it' xml:lang='it'>CRONICA DI MATTEO VILLANI, VOL. II</span> ***</div> -<div style='text-align:left'> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Updated editions will replace the previous one—the old editions will -be renamed. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright -law means that no one owns a United States copyright in these works, -so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the United -States without permission and without paying copyright -royalties. Special rules, set forth in the General Terms of Use part -of this license, apply to copying and distributing Project -Gutenberg™ electronic works to protect the PROJECT GUTENBERG™ -concept and trademark. Project Gutenberg is a registered trademark, -and may not be used if you charge for an eBook, except by following -the terms of the trademark license, including paying royalties for use -of the Project Gutenberg trademark. If you do not charge anything for -copies of this eBook, complying with the trademark license is very -easy. You may use this eBook for nearly any purpose such as creation -of derivative works, reports, performances and research. Project -Gutenberg eBooks may be modified and printed and given away—you may -do practically ANYTHING in the United States with eBooks not protected -by U.S. copyright law. Redistribution is subject to the trademark -license, especially commercial redistribution. -</div> - -<div style='margin-top:1em; font-size:1.1em; text-align:center'>START: FULL LICENSE</div> -<div style='text-align:center;font-size:0.9em'>THE FULL PROJECT GUTENBERG LICENSE</div> -<div style='text-align:center;font-size:0.9em'>PLEASE READ THIS BEFORE YOU DISTRIBUTE OR USE THIS WORK</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -To protect the Project Gutenberg™ mission of promoting the free -distribution of electronic works, by using or distributing this work -(or any other work associated in any way with the phrase “Project -Gutenberg”), you agree to comply with all the terms of the Full -Project Gutenberg™ License available with this file or online at -www.gutenberg.org/license. -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 1. General Terms of Use and Redistributing Project Gutenberg™ electronic works -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.A. By reading or using any part of this Project Gutenberg™ -electronic work, you indicate that you have read, understand, agree to -and accept all the terms of this license and intellectual property -(trademark/copyright) agreement. If you do not agree to abide by all -the terms of this agreement, you must cease using and return or -destroy all copies of Project Gutenberg™ electronic works in your -possession. If you paid a fee for obtaining a copy of or access to a -Project Gutenberg™ electronic work and you do not agree to be bound -by the terms of this agreement, you may obtain a refund from the person -or entity to whom you paid the fee as set forth in paragraph 1.E.8. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.B. “Project Gutenberg” is a registered trademark. It may only be -used on or associated in any way with an electronic work by people who -agree to be bound by the terms of this agreement. There are a few -things that you can do with most Project Gutenberg™ electronic works -even without complying with the full terms of this agreement. See -paragraph 1.C below. There are a lot of things you can do with Project -Gutenberg™ electronic works if you follow the terms of this -agreement and help preserve free future access to Project Gutenberg™ -electronic works. See paragraph 1.E below. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.C. The Project Gutenberg Literary Archive Foundation (“the -Foundation” or PGLAF), owns a compilation copyright in the collection -of Project Gutenberg™ electronic works. Nearly all the individual -works in the collection are in the public domain in the United -States. If an individual work is unprotected by copyright law in the -United States and you are located in the United States, we do not -claim a right to prevent you from copying, distributing, performing, -displaying or creating derivative works based on the work as long as -all references to Project Gutenberg are removed. Of course, we hope -that you will support the Project Gutenberg™ mission of promoting -free access to electronic works by freely sharing Project Gutenberg™ -works in compliance with the terms of this agreement for keeping the -Project Gutenberg™ name associated with the work. You can easily -comply with the terms of this agreement by keeping this work in the -same format with its attached full Project Gutenberg™ License when -you share it without charge with others. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.D. The copyright laws of the place where you are located also govern -what you can do with this work. Copyright laws in most countries are -in a constant state of change. If you are outside the United States, -check the laws of your country in addition to the terms of this -agreement before downloading, copying, displaying, performing, -distributing or creating derivative works based on this work or any -other Project Gutenberg™ work. The Foundation makes no -representations concerning the copyright status of any work in any -country other than the United States. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.E. Unless you have removed all references to Project Gutenberg: -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.E.1. The following sentence, with active links to, or other -immediate access to, the full Project Gutenberg™ License must appear -prominently whenever any copy of a Project Gutenberg™ work (any work -on which the phrase “Project Gutenberg” appears, or with which the -phrase “Project Gutenberg” is associated) is accessed, displayed, -performed, viewed, copied or distributed: -</div> - -<blockquote> - <div style='display:block; margin:1em 0'> - This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and most - other parts of the world at no cost and with almost no restrictions - whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms - of the Project Gutenberg License included with this eBook or online - at <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>. If you - are not located in the United States, you will have to check the laws - of the country where you are located before using this eBook. - </div> -</blockquote> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.E.2. If an individual Project Gutenberg™ electronic work is -derived from texts not protected by U.S. copyright law (does not -contain a notice indicating that it is posted with permission of the -copyright holder), the work can be copied and distributed to anyone in -the United States without paying any fees or charges. If you are -redistributing or providing access to a work with the phrase “Project -Gutenberg” associated with or appearing on the work, you must comply -either with the requirements of paragraphs 1.E.1 through 1.E.7 or -obtain permission for the use of the work and the Project Gutenberg™ -trademark as set forth in paragraphs 1.E.8 or 1.E.9. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.E.3. If an individual Project Gutenberg™ electronic work is posted -with the permission of the copyright holder, your use and distribution -must comply with both paragraphs 1.E.1 through 1.E.7 and any -additional terms imposed by the copyright holder. Additional terms -will be linked to the Project Gutenberg™ License for all works -posted with the permission of the copyright holder found at the -beginning of this work. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.E.4. Do not unlink or detach or remove the full Project Gutenberg™ -License terms from this work, or any files containing a part of this -work or any other work associated with Project Gutenberg™. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.E.5. Do not copy, display, perform, distribute or redistribute this -electronic work, or any part of this electronic work, without -prominently displaying the sentence set forth in paragraph 1.E.1 with -active links or immediate access to the full terms of the Project -Gutenberg™ License. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.E.6. You may convert to and distribute this work in any binary, -compressed, marked up, nonproprietary or proprietary form, including -any word processing or hypertext form. However, if you provide access -to or distribute copies of a Project Gutenberg™ work in a format -other than “Plain Vanilla ASCII” or other format used in the official -version posted on the official Project Gutenberg™ website -(www.gutenberg.org), you must, at no additional cost, fee or expense -to the user, provide a copy, a means of exporting a copy, or a means -of obtaining a copy upon request, of the work in its original “Plain -Vanilla ASCII” or other form. Any alternate format must include the -full Project Gutenberg™ License as specified in paragraph 1.E.1. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.E.7. Do not charge a fee for access to, viewing, displaying, -performing, copying or distributing any Project Gutenberg™ works -unless you comply with paragraph 1.E.8 or 1.E.9. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.E.8. You may charge a reasonable fee for copies of or providing -access to or distributing Project Gutenberg™ electronic works -provided that: -</div> - -<div style='margin-left:0.7em;'> - <div style='text-indent:-0.7em'> - • You pay a royalty fee of 20% of the gross profits you derive from - the use of Project Gutenberg™ works calculated using the method - you already use to calculate your applicable taxes. The fee is owed - to the owner of the Project Gutenberg™ trademark, but he has - agreed to donate royalties under this paragraph to the Project - Gutenberg Literary Archive Foundation. Royalty payments must be paid - within 60 days following each date on which you prepare (or are - legally required to prepare) your periodic tax returns. Royalty - payments should be clearly marked as such and sent to the Project - Gutenberg Literary Archive Foundation at the address specified in - Section 4, “Information about donations to the Project Gutenberg - Literary Archive Foundation.” - </div> - - <div style='text-indent:-0.7em'> - • You provide a full refund of any money paid by a user who notifies - you in writing (or by e-mail) within 30 days of receipt that s/he - does not agree to the terms of the full Project Gutenberg™ - License. You must require such a user to return or destroy all - copies of the works possessed in a physical medium and discontinue - all use of and all access to other copies of Project Gutenberg™ - works. - </div> - - <div style='text-indent:-0.7em'> - • You provide, in accordance with paragraph 1.F.3, a full refund of - any money paid for a work or a replacement copy, if a defect in the - electronic work is discovered and reported to you within 90 days of - receipt of the work. - </div> - - <div style='text-indent:-0.7em'> - • You comply with all other terms of this agreement for free - distribution of Project Gutenberg™ works. - </div> -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.E.9. If you wish to charge a fee or distribute a Project -Gutenberg™ electronic work or group of works on different terms than -are set forth in this agreement, you must obtain permission in writing -from the Project Gutenberg Literary Archive Foundation, the manager of -the Project Gutenberg™ trademark. Contact the Foundation as set -forth in Section 3 below. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.F. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.F.1. Project Gutenberg volunteers and employees expend considerable -effort to identify, do copyright research on, transcribe and proofread -works not protected by U.S. copyright law in creating the Project -Gutenberg™ collection. Despite these efforts, Project Gutenberg™ -electronic works, and the medium on which they may be stored, may -contain “Defects,” such as, but not limited to, incomplete, inaccurate -or corrupt data, transcription errors, a copyright or other -intellectual property infringement, a defective or damaged disk or -other medium, a computer virus, or computer codes that damage or -cannot be read by your equipment. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.F.2. LIMITED WARRANTY, DISCLAIMER OF DAMAGES - Except for the “Right -of Replacement or Refund” described in paragraph 1.F.3, the Project -Gutenberg Literary Archive Foundation, the owner of the Project -Gutenberg™ trademark, and any other party distributing a Project -Gutenberg™ electronic work under this agreement, disclaim all -liability to you for damages, costs and expenses, including legal -fees. YOU AGREE THAT YOU HAVE NO REMEDIES FOR NEGLIGENCE, STRICT -LIABILITY, BREACH OF WARRANTY OR BREACH OF CONTRACT EXCEPT THOSE -PROVIDED IN PARAGRAPH 1.F.3. YOU AGREE THAT THE FOUNDATION, THE -TRADEMARK OWNER, AND ANY DISTRIBUTOR UNDER THIS AGREEMENT WILL NOT BE -LIABLE TO YOU FOR ACTUAL, DIRECT, INDIRECT, CONSEQUENTIAL, PUNITIVE OR -INCIDENTAL DAMAGES EVEN IF YOU GIVE NOTICE OF THE POSSIBILITY OF SUCH -DAMAGE. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.F.3. LIMITED RIGHT OF REPLACEMENT OR REFUND - If you discover a -defect in this electronic work within 90 days of receiving it, you can -receive a refund of the money (if any) you paid for it by sending a -written explanation to the person you received the work from. If you -received the work on a physical medium, you must return the medium -with your written explanation. The person or entity that provided you -with the defective work may elect to provide a replacement copy in -lieu of a refund. If you received the work electronically, the person -or entity providing it to you may choose to give you a second -opportunity to receive the work electronically in lieu of a refund. If -the second copy is also defective, you may demand a refund in writing -without further opportunities to fix the problem. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.F.4. Except for the limited right of replacement or refund set forth -in paragraph 1.F.3, this work is provided to you ‘AS-IS’, WITH NO -OTHER WARRANTIES OF ANY KIND, EXPRESS OR IMPLIED, INCLUDING BUT NOT -LIMITED TO WARRANTIES OF MERCHANTABILITY OR FITNESS FOR ANY PURPOSE. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.F.5. Some states do not allow disclaimers of certain implied -warranties or the exclusion or limitation of certain types of -damages. If any disclaimer or limitation set forth in this agreement -violates the law of the state applicable to this agreement, the -agreement shall be interpreted to make the maximum disclaimer or -limitation permitted by the applicable state law. The invalidity or -unenforceability of any provision of this agreement shall not void the -remaining provisions. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.F.6. INDEMNITY - You agree to indemnify and hold the Foundation, the -trademark owner, any agent or employee of the Foundation, anyone -providing copies of Project Gutenberg™ electronic works in -accordance with this agreement, and any volunteers associated with the -production, promotion and distribution of Project Gutenberg™ -electronic works, harmless from all liability, costs and expenses, -including legal fees, that arise directly or indirectly from any of -the following which you do or cause to occur: (a) distribution of this -or any Project Gutenberg™ work, (b) alteration, modification, or -additions or deletions to any Project Gutenberg™ work, and (c) any -Defect you cause. -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 2. Information about the Mission of Project Gutenberg™ -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Project Gutenberg™ is synonymous with the free distribution of -electronic works in formats readable by the widest variety of -computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It -exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations -from people in all walks of life. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Volunteers and financial support to provide volunteers with the -assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg™’s -goals and ensuring that the Project Gutenberg™ collection will -remain freely available for generations to come. In 2001, the Project -Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure -and permanent future for Project Gutenberg™ and future -generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see -Sections 3 and 4 and the Foundation information page at www.gutenberg.org. -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non-profit -501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the -state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal -Revenue Service. The Foundation’s EIN or federal tax identification -number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by -U.S. federal laws and your state’s laws. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -The Foundation’s business office is located at 809 North 1500 West, -Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up -to date contact information can be found at the Foundation’s website -and official page at www.gutenberg.org/contact -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Project Gutenberg™ depends upon and cannot survive without widespread -public support and donations to carry out its mission of -increasing the number of public domain and licensed works that can be -freely distributed in machine-readable form accessible by the widest -array of equipment including outdated equipment. Many small donations -($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt -status with the IRS. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -The Foundation is committed to complying with the laws regulating -charities and charitable donations in all 50 states of the United -States. Compliance requirements are not uniform and it takes a -considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up -with these requirements. We do not solicit donations in locations -where we have not received written confirmation of compliance. To SEND -DONATIONS or determine the status of compliance for any particular state -visit <a href="https://www.gutenberg.org/donate/">www.gutenberg.org/donate</a>. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -While we cannot and do not solicit contributions from states where we -have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition -against accepting unsolicited donations from donors in such states who -approach us with offers to donate. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -International donations are gratefully accepted, but we cannot make -any statements concerning tax treatment of donations received from -outside the United States. U.S. laws alone swamp our small staff. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Please check the Project Gutenberg web pages for current donation -methods and addresses. Donations are accepted in a number of other -ways including checks, online payments and credit card donations. To -donate, please visit: www.gutenberg.org/donate -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 5. General Information About Project Gutenberg™ electronic works -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Professor Michael S. Hart was the originator of the Project -Gutenberg™ concept of a library of electronic works that could be -freely shared with anyone. For forty years, he produced and -distributed Project Gutenberg™ eBooks with only a loose network of -volunteer support. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Project Gutenberg™ eBooks are often created from several printed -editions, all of which are confirmed as not protected by copyright in -the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not -necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper -edition. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Most people start at our website which has the main PG search -facility: <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -This website includes information about Project Gutenberg™, -including how to make donations to the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to -subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks. -</div> - -</div> -</div> -</body> -</html> diff --git a/old/69899-h/images/cover.jpg b/old/69899-h/images/cover.jpg Binary files differdeleted file mode 100644 index 4128392..0000000 --- a/old/69899-h/images/cover.jpg +++ /dev/null |
