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-The Project Gutenberg eBook of Cronica di Matteo Villani, vol. II, by
-Matteo Villani
-
-This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and
-most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions
-whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms
-of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at
-www.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you
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-using this eBook.
-
-Title: Cronica di Matteo Villani, vol. II
- A miglior lezione ridotta coll'aiuto de' testi a penna
-
-Author: Matteo Villani
-
-Editor: Ignazio Moutier
-
-Release Date: January 29, 2023 [eBook #69899]
-
-Language: Italian
-
-Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team
- at http://www.pgdp.net (This file was produced from images
- made available by the Bayerische Staatsbibliothek)
-
-*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK CRONICA DI MATTEO VILLANI,
-VOL. II ***
-
-
- CRONICA
-
- DI
-
- MATTEO
- VILLANI
-
-
- A MIGLIOR LEZIONE RIDOTTA
- COLL’AIUTO
- DE’ TESTI A PENNA
-
- TOMO II.
-
-
-
- FIRENZE
- PER IL MAGHERI
- 1825
-
-
-
-
-LIBRO TERZO
-
-_Qui comincia il terzo libro della Cronica di Matteo Villani; e prima
-il Prologo._
-
-
-CAPITOLO PRIMO
-
-Rendendo spesso testimonianza delle mutevoli cose del mondo ogni
-stato umano, non è da pensare cosa maravigliosa quella che ha fatto
-maravigliare ne’ nostri dì ovunque la sua fama aggiunse. E domandando
-la debita materia di fare cominciamento al terzo libro, possiamo con
-ragione dire, che la corona dell’imperiale maestà e il suo regno, alla
-quale dipendea la monarchia dell’universo, era Roma coll’italiana
-provincia, delle provincie della quale ne’ nostri tempi la città di
-Firenze, Perugia e Siena, seguendo alcune orme di quella, per li tempi
-avversi dello sviato imperio, in segno della romana libertà, avendo
-veduto per li tempi passati l’incostanza degl’imperadori alamanni avere
-in Italia generate e accresciute tirannesche suggezioni di popoli,
-hanno mantenuto la franchigia e la libertà discesa in loro dall’antico
-popolo romano: e zelanti di non sostenere quella a tirannia, molte
-volte per diversi e lunghi tempi apparvono contradi all’imperiale
-suggezione, intanto che non si poteva in questi popoli sostenere
-senza sospetto, senza pericolo e senza infamia il raccontamento
-dell’imperiale nome. E come subitamente gli animi di que’ popoli e de’
-loro rettori per paura del potente tiranno arcivescovo di Milano si
-cambiarono, procurando l’amistà e l’avvenimento in Italia di messer
-Carlo re di Boemia eletto imperadore, i movimenti già narrati, e le
-operazioni che appresso ne seguirono, seguendo nostro trattato il
-dimostreremo.
-
-
-CAP. II.
-
-_La potenza dell’arcivescovo di Milano, e il procaccio fece a corte per
-la sua liberazione._
-
-Era in questo tempo potentissimo e temuto signore messer Giovanni de’
-Visconti arcivescovo di Milano, sotto la cui signoria si reggea la
-nobile e grande città di Milano, e l’antica e famosa città di Bologna,
-Cremona, Lodi, Parma, Piacenza, Brescia, Moncia, Bergamo, Como, Asti,
-Alessandria della paglia, Tortona, Alba, Novara, Vercelli, Bobbio,
-Crema, e più altre città e terre nelle montagne di verso la Magna, co’
-loro contadi ville e castella; e i signori di Pavia, ch’erano que’ di
-Beccheria, l’ubbidivano come signore, benchè la città fosse al loro
-governamento. In Toscana aveva acquistato il Borgo a san Sepolcro,
-e il castello d’Anghiari e altre castella d’intorno. E accomandati
-e ubbidienti gli erano Cortona, Orvieto, Cetona, Agobbio, i Tarlati
-usciti d’Arezzo, gli Ubaldini, i Pazzi di Valdarno, gli Ubertini, e
-que’ da Faggiuola; e i conti da Montefeltro, e de’ conti Guidi dal lato
-ghibellino, e il conte Tano da Montecarelli, e gli altri ghibellini
-caporali di Toscana, e di Romagna e della Marca l’ubbidivano. E a
-sua lega e a compagnia avea il signore della Scala e di Mantova e di
-Padova: e il marchese di Ferrara in Lombardia, e il comune di Genova e
-quello di Pisa sotto alcuno ordinato servigio, e il capitano di Forlì,
-e il tiranno di Faenza, e il signore di Ravenna tenevano con lui in
-lega e in compagnia, come nel secondo nostro libro narrato abbiamo. E
-non avendo l’arcivescovo altra guerra che col comune di Firenze e di
-Perugia, alla cui compagnia e lega s’accostava debolmente il comune di
-Siena, era sì potente e di tanto aiuto e forza, che impossibile pareva
-a questi popoli potersi difendere senza aiuto di più potente braccio,
-e però aveano mandato a corte, come detto è, per inducere il papa e i
-cardinali contra lui, sentendo che la Chiesa per le grandi ingiurie
-ricevute procedeva contro a lui. Ma l’arcivescovo per riparare,
-sentendo che gl’impugnatori erano grandi, pensò che non era tempo
-da nutricare il lavorio, ma di trarlo a fine; e avvedendosi quanto
-l’avarizia movea le cortigiane cose, e disponeva i prelati all’olore
-della pecunia, e per questo le cose, aspettando maggior frutto, si
-sostenevano, da capo mandò più grande e più solenne ambasciata a corte
-di suoi confidenti, uomini sperti e di grande autorità, e mandolli
-forniti di più di dugentomila fiorini d’oro, con pieno mandato a
-operare e fare con doni e con loro industria e impromesse, senza avere
-riguardo alla pecunia, d’avere la riconciliazione di santa Chiesa,
-rimanendoli la signoria di Bologna. E oltre a ciò aoperò per forza
-de’ suoi doni, che messer Giovanni di Valois re di Francia mandò
-altri baroni suoi ambasciadori al papa e a’ cardinali a procurare la
-riconciliazione dell’arcivescovo; e la contessa di Torenna governatore
-del papa nelle sue temporali bisogne, per cui il santo padre molto si
-movea nelle grandi bisogne, procacciò con ismisurati doni. Nel continuo
-tempellamento del papa, per lo suo aiuto, e ne’ parenti del papa si
-provvide con larga mano. E in certi cardinali che gli si mostravano
-avversi per zelo dell’onore di santa Chiesa si provvide per modo, che
-agevole fu a conoscere che l’onore di santa Chiesa non s’apparteneva
-a loro. E avendo l’arcivescovo tutta compresa la corte in suo favore,
-seguita il modo che papa Clemente tenne con gli ambasciadori de’ comuni
-di Toscana, per potere fare con più sua scusa quello che prima avea
-deliberato di fare.
-
-
-CAP. III.
-
-_Come papa Clemente sesto propose tre cose a’ comuni di Toscana, perchè
-pigliassono l’una._
-
-Essendo tutta la corte di Roma ripiena di doni e d’ambasciadori
-per i fatti dell’arcivescovo, e volendo il papa terminare la sua
-causa secondo la domanda de’ suoi ambasciadori, i quali nella vista
-proferivano di lui ogni ubbidienza di santa Chiesa, e nel segreto
-aveano l’ubbidienza del papa e de’ cardinali alla sua volontà, per
-le ragioni e cagioni già narrate; volendo il papa mostrare agli
-ambasciadori de’ tre comuni di Toscana singolare affezione, da
-capo gli ebbe in concistoro, e commendato molto i loro comuni di
-molte cose, e singolarmente dell’amore e della fede che portavano a
-santa Chiesa, e dolutosi delle loro oppressioni per le divisioni e
-scandali d’Italia, infine conchiudendo disse, che mettea nella loro
-elezione quelle tre cose ch’avea altre volte loro promesse, ch’elli
-eleggessono l’una senza soggiorno: o di buona pace coll’arcivescovo, o
-lega e compagnia colla Chiesa contro a lui, o che facesse passare in
-Italia l’eletto imperatore. Gli ambasciadori ristretti insieme, che
-conoscevano e sentivano dove la causa dell’arcivescovo era ridotta,
-non si vollono rimutare da quello ch’altra volta aveano detto al papa,
-che quello che a lui paresse il migliore erano contenti che facesse
-loro, mantenendo in sul fatto la piena confidenza ch’aveano a santa
-Chiesa e al sommo pastore. Il papa conobbe che la risposta era intera
-alla sua intenzione, e che poteva procedere con giusto titolo senza
-offendere i comuni di Toscana ne’ suoi movimenti, quanto che in fatti
-era il contradio, alla sentenza di riconciliare l’arcivescovo, e però
-fu contento, e disse loro che provvederebbe per modo, che i loro comuni
-avrebbono coll’arcivescovo buona pace: della quale offerta niuna
-speranza si prese, conoscendo manifestamente ch’al tutto s’intendeva a
-magnificare il tiranno, e a fare la sua volontà.
-
-
-CAP. IV.
-
-_Come il papa e’ cardinali annullarono i processi contro
-all’arcivescovo._
-
-Poco appresso dopo la detta risposta, avendo gli ambasciadori
-significato a’ loro comuni quello ch’aveano dal papa, e quello che
-sentivano di certo de’ fatti dell’arcivescovo, il papa convocò i
-cardinali a concistoro, i quali tutti, niuno discordante, erano
-d’accordo con gli ambasciadori dell’arcivescovo, e però non essendo
-tra loro quistione, domenica mattina a dì 5 di Maggio, gli anni
-Domini 1352, fu per la santa ubbidienza dell’arcivescovo sopraddetto
-annullato il processo fatto contro a lui, e riconciliato a santa
-Chiesa, e tratto d’ogni scomunicazione e d’ogni interdetto. E in
-quello concistoro piuvico, avendo per li suoi ambasciadori rendute le
-chiavi al papa in segno della restituzione di Bologna, il papa colla
-volontà de’ suoi cardinali ne rinvestì gli ambasciadori, riceventi per
-lo detto arcivescovo e de’ suoi successori, nella signoria di Milano
-e di Bologna, per tempo e termine di dodici anni prossimi a venire,
-con promessione che ogni anno ne darebbe di censo fiorini dodicimila
-alla camera del papa, e compiuto il detto termine la renderebbe
-libera a santa Chiesa, e allora restituiranno contanti, per nome del
-detto arcivescovo, fiorini centomila alla camera del papa, per la
-restituzione delle spese che la Chiesa vi fece quando vi tenne l’oste
-il conte di Romagna. E così per pietà e per danari ogni gran cosa si
-fornisce a’ nostri tempi co’ pastori di santa Chiesa.
-
-
-CAP. V.
-
-_Come gli ambasciadori de’ Toscani si partirono di corte mal contenti._
-
-Il papa avendo grande appetito di servire tosto all’arcivescovo,
-vedendo che ’l trattare della pace promessa a’ comuni di Toscana avea
-a sostenere la causa del tiranno, si fece promettere triegua per un
-anno, in quanto il comune di Firenze e gli altri comuni la volessono,
-acciocchè infra il termine più ordinatamente si trattasse della pace.
-Gli ambasciadori ch’aveano assai dinanzi avvisati i loro comuni come la
-cosa procedeva acciocchè provvedessono al loro stato, frustrati della
-loro intenzione, si partirono mal contenti di corte, e tornaronsi in
-Toscana. E innanzi la loro tornata, in Firenze si piuvicò il trattato
-e la concordia presa col vececancelliere dell’eletto imperadore,
-come appresso diviseremo. Avvenne poco appresso che il vicario
-dell’arcivescovo in Bologna mandò a Firenze un messo con ulivo in mano
-e con sue lettere, significando la tregua fatta e bandita nelle terre
-dell’arcivescovo suo signore; e in quello dì fece muovere sua gente
-a cavallo e a piè da Montecarelli, e cavalcare nel Mugello predando,
-e uccidendo e ardendo come gravi nimici del comune, e ritrassonsi a
-salvamento; e ivi dopo pochi dì ritornarono, e misono loro aguati, e
-furono scoperti, e rotti, e morti e presi gran parte di loro, sicchè
-più non s’attentarono di venire in Mugello. Per questi segni si
-scoperse, che il trattato del papa con le tregue, colla fè corrotta del
-tiranno, non ebbe principio di buona intenzione.
-
-
-CAP. VI.
-
-_Come i tre comuni di Toscana s’accordarono a far passare l’imperadore._
-
-I rettori de’ tre comuni di Toscana, per l’informazione ch’aveano avuta
-da corte da’ loro ambasciadori, sentivano a certo che la Chiesa gli
-abbandonava, ed era per magnificare il loro avversario: e bene che
-sentissono le promesse del papa, non vedeano da potersene confidare, e
-però tempellavano negli animi tra il sospetto e la paura, aggiugnendo
-temenza di cittadinesche discordie nel soprastare: e bene che ancora
-non avessono avuta certezza del fatto da’ loro ambasciadori, senza
-rendere al santo padre il debito onore, quasi palpando, per lo trattato
-tenuto col vececancelliere dell’imperadore, mostrando di prendere
-confidanza nella fama delle virtù e senno e larghe profferte del
-detto eletto imperadore, per aiutarsi dal potente tiranno nimico,
-valicando egli in Italia a istanza de’ detti tre comuni, come il suo
-cancelliere promettea, e per questa cagione, d’uno animo e d’uno
-volere tutto il reggimento di questi tre comuni, Firenze, Perugia,
-e Siena, con pubblico consentimento de’ loro popoli si deliberarono
-d’essere all’ubbidienza del detto eletto imperadore con certi patti e
-convenzioni, i quali erano assai strani alla libertà del sommo imperio.
-Ma perchè le cose disviate con alcuno mezzo più tosto si congiungono
-a unità e a concordia, non fu a quel tempo tenuta sconvenevole la
-domanda, nè ingiusto l’assentimento del signore; e però all’uscita
-del mese d’aprile del detto anno, nella città di Firenze in pubblico
-parlamento si fermò il trattato ordinato per lo vececancelliere
-dell’eletto imperadore, con gli ambasciadori e sindachi de’ detti
-tre comuni, e piuvicossi i patti e le convenzioni, e fattone solenni
-stipulazioni e carte, grande ammirazione ne fu per tutta Italia. I
-patti in sostanza racconteremo qui appresso nel seguente capitolo.
-
-
-CAP. VII.
-
-_Quali furono i patti dall’imperadore a’ tre comuni._
-
-Promise il detto vececancelliere, che per tutto il prossimo mese di
-luglio l’eletto re de’ Romani imperadore sarebbe in Lombardia sopra le
-terre dell’arcivescovo di Milano per guerreggiare e abbattere la sua
-signoria con seimila cavalieri: de’ quali duemila ne dovea avere al
-suo proprio soldo, ovvero servigio, e mille che promessi gli avea la
-Chiesa di Roma quando passasse, i quali se dalla Chiesa non avesse,
-promettea fornirli da se, e gli altri tremila cavalieri, i quali dovea
-soldare a sua eletta. Questi tre comuni gli doveano dare per un anno
-dugento migliaia di fiorini d’oro, e oltre a ciò gli doveano donare
-come e’ fosse in Aquilea fiorini diecimila d’oro. La taglia era al
-comune di Firenze per millecinquecentocinquanta cavalieri, Perugia
-ottocentocinquanta, e Siena seicento. E se in uno anno la guerra
-non fosse terminata, si dovea provvedere del nuovo sussidio innanzi
-al tempo, confidandosi catuna parte d’averne concordia. E i detti
-tre comuni deono tenere il detto messer Carlo vero re de’ Romani, e
-futuro diritto imperadore, ed egli dee promettere di mantenere i detti
-tre comuni nella loro libertà e ne’ loro statuti; e come avesse la
-corona, avendo sottomesso il tiranno, i priori di Firenze e’ nove di
-Siena si doveano dinominare vicari dell’imperadore mentre che fossono
-all’uficio (i Perugini non s’obbligarono a questo, facendosi uomini di
-santa Chiesa) e il comune di Firenze promise in detto caso pagare ogni
-anno per nome di censo danari ventisei per focolare: gli altri comuni
-s’obbligarono senza distinzione di pagare ogni anno quello ch’era
-consueto all’imperadore per antico. E fu in patto che l’imperadore
-venuto alla corona dovesse privilegiare a’ detti comuni tutte le terre,
-ville e castella ch’al presente possedeano, e che avessono posseduto
-sei anni addietro, quanto che ora non le possedessono, e che dalla
-condannagione fatta per l’imperadore Arrigo suo avolo, promise liberare
-e assolvere i detti comuni. E ’l detto vececancelliere per nome del
-detto eletto imperadore promise, che le dette convenenze e patti il
-detto eletto confermerebbe infra mezzo il prossimo futuro mese di
-giugno del detto anno. Altre singulari cose vi si promisono, che non
-sono di necessità a raccontare.
-
-
-CAP. VIII.
-
-_Come il re Luigi e la reina Giovanna furono coronati per la Chiesa._
-
-Avendo papa Clemente sesto e’ suoi cardinali mandati legati nel Regno,
-a dì 27 di maggio del detto anno, il dì della santa Pentecoste, nella
-città di Napoli, celebrata la solenne messa, con la consueta solennità
-consacrarono e coronarono in nome di santa Chiesa in prima il re
-Luigi, e dappresso la reina Giovanna, del reame di Gerusalemme e di
-Cicilia. E questo fu fatto con molta festa di baroni e di cavalieri del
-regno, e de’ Napoletani e de’ forestieri, i quali tutti si sforzarono
-di onorare il re e la reina in quella festa; e fecesi alle case del
-prenze di Taranto sopra le Coreggie, con molte giostre e con grande
-armeggiare: e vestiti e adorni il re e la reina in abito di reale
-maestà, ricevettono l’omaggio da tutti i baroni che non erano stati
-contrari nella guerra, e da assai di quelli ch’aveano tenuto contro a
-lui per lo re d’Ungheria, a’ quali tutti perdonò, mostrando loro buono
-animo e buono volere. E a coloro che alla sua coronazione non erano
-venuti a fare l’omaggio, assegnò termine giusto a potere venire con
-pace e con amore alla sua ubbidienza; e quale dal termine innanzi non
-fosse venuto, per decreto fece che fosse rubello della corona. E dopo
-la coronazione cavalcò il re in abito reale per la città di Napoli,
-montato in su uno grande e poderoso destriere, addestrato al freno e
-alla sella da’ suoi baroni. Quando fu valicato porta Petrucci nella
-via di Porto, certe donne per fargli onore e festa gittarono sopra lui
-dalle finestre rose e fiori di grande odore: il destriere aombrò, ed
-erse; i baroni ch’erano al freno si sforzarono d’abbassare il cavallo:
-il destriere ch’era poderoso ruppe le redine. Il re Luigi vedendosi
-sopra il destriere spaventato senza redine, di subito destramente se ne
-gittò a terra, e caddegli la corona di capo, e ruppesi in tre pezzi,
-cadendone tre merli; alla persona non si fece male: rilegata la corona,
-di presente, ridendo, montò a cavallo, cavalcando per la terra con gran
-festa e onore. In questo medesimo dì morì una sua fanciulla, che altro
-figliuolo non aveva della reina. Molti per questi casi pronosticarono
-non prospere cose alla maestà reale.
-
-
-CAP. IX.
-
-_Commendazione in laude di messer Niccola Acciaiuoli._
-
-Degna cosa ne pare, e debito del nostro trattato, appresso la
-coronazione del re Luigi, rendere beneficio di memoria per chiara fama
-di messer Niccola Acciaiuoli cittadino popolare di Firenze, balio
-e governatore dell’infanzia del detto re; il quale essendo prima
-compagno della compagnia degli Acciaiuoli, con animo più cavalleresco
-che mercantile si mise al servigio dell’imperatrice moglie che fu
-del Prenze di Taranto, e quello esercitò realmente e personalmente
-con tanta virtù e con tanto piacere della donna, che ella avendo
-tre suoi figliuoli di piccola età, Ruberto primogenito, e messer
-Luigi secondo, e Filippo il terzo, tutti gli mise nel governamento
-di Niccola Acciaiuoli, che allora non era cavaliere, e tutto il suo
-consiglio l’imperatrice ristrinse in lui, e con lei se ne passò in
-Romania, e ordinati i fatti delle terre e baronie di là, con lei
-se ne tornò a Napoli. Ed essendo cresciuto di età di anni quindici
-messer Luigi, volendo il re Ruberto mandare gente d’arme in Calavra,
-e dilettandosi dell’industria del giovane barone, fatta eletta di
-cinquecento cavalieri d’arme, e datili all’ubbidienza di messer
-Luigi, lui accomandò a messer Niccola Acciaiuoli, comandandogli in
-tutto che ubbidisse al suo maestro. E questo fece il re di volontà
-dell’imperatrice sua madre; avendo poco innanzi fatto cavaliere il
-detto messer Niccola; e da quell’ora appresso il detto messer Luigi si
-resse in tutto e governò per le mani di messer Niccola. E sopravvenuta
-la morte del duca Andreasso, per operazione dell’imperatrice e di
-messer Niccola Acciaiuoli fu data la reina Giovanna per moglie a
-messer Luigi: e ne’ primi cominciamenti con assai prospera fortuna
-accrescea il suo signore. E cambiandosi le cose per l’avvenimento del
-re d’Ungheria alla vendetta del fratello, essendo tutti gli altri reali
-all’ubbidienza del potente re, costui solo, coll’aiuto d’alquanti che
-ubbidivano alla reina, per lo consiglio e conforto di messer Niccola,
-sostenne contro alla gente del re d’Ungheria lungamente, e tentò di
-resistere alla persona del loro re, e non si partì dalla frontiera di
-Capova, infino che abbandonato dagli avari regnicoli, e già soppreso
-dall’avvenimento del re e del suo esercito, fu costretto di partirsi
-da Capova, e appresso da Napoli, sprovveduto, di notte, ricogliendosi
-per necessità in su una vecchia e male armata galea; e in quella
-raccolto, con poco arnese e con lieve compagnia valicò in Toscana in
-povero stato. E per lo detto messer Niccola, e co’ suoi danari e di
-suoi amici fu atato e rifornito e confortato nella grave tempesta
-della fortuna. Presi tutti i reali, e morto il duca di Durazzo, e
-il Regno venuto nelle mani del suo persecutore, e non volendolo i
-Fiorentini ricevere nella loro città, nè sovvenire d’alcuna cosa per
-tema del re d’Ungheria, ridottosi parecchi dì alla possessione del
-detto messer Niccola in Valdipesa, di là si partì, e andò in Proenza
-ove la reina era rifuggita. E tornato il re d’Ungheria, per tema della
-generale mortalità, in suo paese; per sollecitudine e trattato di
-messer Niccola, prima tornato nel regno, e sommossi de’ baroni e de’
-cavalieri, e confortati i Napoletani, e accolta gente d’arme in favore
-del suo signore, in breve tempo ordinò la sua tornata e della reina nel
-Regno, nel quale assai battaglie e vari e diversi assalti di guerra
-sostenne; e per avversa fortuna rotte le sue forze in battaglia per
-più riprese, tradito dagli amici, perseguitato da’ nemici, condotto
-all’inopia, sentina della fortuna, l’animo del valente cavaliere fu
-di tanta potenza e di tanta virtù, che con pari animo sostenne il
-giovane barone suo signore in speranza certa della sua esaltazione,
-sempre aiutandolo e sostenendolo con sua industria e suo procaccio, e
-con fortezza e con pazienza fece comportare l’asprezza della turbata
-fortuna. Onde avvenne, che quella potendosi maravigliare della costanza
-dell’uomo, subitamente e improvviso mutò la turbata faccia in chiara,
-e l’asprezza in dolcezza e in mansuetudine: e colui che avea ributtato
-per cotante tempeste e vari pericoli, oltre all’opinione degli uomini,
-con felici e prospere successioni condusse alla reale corona, e alla
-libera signoria di tutto il corrotto e sviato regno in brevissimo
-tempo. E per lo nobile consiglio e avvedimento di messer Niccola
-Acciaiuoli, i reali lasciati di prigione e tornati nel Regno, ove per
-tutti si stimava che il Prenze di Taranto maggiore fratello del re,
-per sdegno e per forte inzigamento contro al re movesse scandolo nel
-reame, con mansuetudine e con caritatevole animo il fece al re ricevere
-in compagno del regno; e fattogli prendere titolo dell’imperiato
-costantinopolitano, e aggiunto largamente alla sua baronia, conobbe
-e manifestò a tutti, che il padre loro messer Niccola, appresso la
-grazia di Dio, era cagione del ricoveramento del regno, e dello stato
-e onore. Perchè dunque dovevamo tacere? innanzi vogliamo essere da’
-denti degl’invidiosi cittadini morso, che la provata verità per li suoi
-effetti, e per la fine de’ suoi felici avvenimenti, avessimo lasciata
-sotto scurità d’ignorante oblivione.
-
-
-CAP. X.
-
-_Come fu cacciato messer Iacopo Cavalieri di Montepulciano._
-
-In questo anno del mese d’aprile, sabato santo, avendo messer Iacopo
-de’ Cavalieri di Montepulciano trattato, coll’aiuto della gente
-dell’arcivescovo ch’era in Toscana, di farsi signore della terra di
-Montepulciano, e a ciò consentivano una parte de’ terrazzani di suo
-seguito, messer Niccola suo consorto sentì questo trattato, e fecelo
-sentire a’ governatori del popolo; e in questo dì, levata la terra
-a romore, cacciarono messer Iacopo di Montepulciano, e venti altri
-terrazzani suoi seguaci, uomini nominati di stato intra il popolo; e
-col consiglio di messer Niccola de’ Cavalieri riformarono la terra di
-loro reggimenti, e ischiusonne gli amici e’ seguaci di messer Iacopo;
-il quale si ridusse a Siena, e là ordinò grande novità, e scandalo e
-suggezione di quella terra, come innanzi a’ suoi tempi si potrà trovare.
-
-
-CAP. XI.
-
-_Come si die’ il guasto a Bibbiena, e sconfitti i Tarlati da’
-Fiorentini._
-
-Del mese di maggio del detto anno, ricordandosi i Fiorentini
-dell’ingiuria ricevuta da’ Tarlati, Pazzi e Ubertini per la ribellione
-ch’aveano fatta al comune al tempo della guerra dell’arcivescovo
-di Milano, quando ruppono la pace e cavalcarono sopra il contado e
-distretto di Firenze, accolsono seicento cavalieri di loro masnade e
-gran popolo, e andarsene alla Cornia, e poi alla Penna, e a Gaenna, e
-ad altre terre e ville che si tenevano pe’ Pazzi e Ubertini e Tarlati,
-e a tutte diedono il guasto; e poi se n’andarono a Bibbiena, ov’era
-messer Piero Sacconi, e a Soci, e ivi dimorarono più dì, ardendo e
-guastando d’intorno: quelli da Bibbiena francamente si difesono dal
-guasto le vigne d’intorno presso alla terra. Messer Piero avea in
-Bibbiena milledugento buoni fanti e pochi cavalieri, con li quali si
-fece un grosso badalucco presso alla terra. Poi la mattina vegnente, a
-dì 10 di giugno, l’oste si mosse per andare a Montecchio. Messer Piero,
-antico e buono guerriere, sapendo l’andata de’ Fiorentini, si pensò
-di fare loro danno, e la mattina per tempo con settanta cavalieri e
-con mille buoni fanti in persona occupò un colle sopra l’Arno in sul
-passo, e mise aguati per danneggiare la gente de’ Fiorentini. Avvenne
-che, mossa l’oste dall’altra parte dell’Arno, vidono preso il colle
-dalla gente di messer Piero; allora cominciarono a fare valicare della
-gente dell’oste certi masnadieri, sì perchè tenessono a badalucco i
-nemici e per trarli abbasso, e a poco a poco li ringrossavano d’aiuto,
-ma non senza loro grande pericolo, a’ quali in sul maggiore bisogno
-soccorsono parecchi conestabili a cavallo co’ loro cavalieri. Ed
-essendo atticciata la battaglia, e stando i nemici attenti a quella
-sperandone avere vittoria, altri cavalieri e masnadieri de’ Fiorentini
-presono, scostandosi dall’oste, un’altra via, che i nemici non
-s’accorsono, e valicarono l’Arno, e sopravvennono alla gente riposta di
-messer Piero dall’altra parte del colle, i quali ruppono di presente,
-e montarono al poggio, e improvviso furono sopra la gente grossa di
-messer Piero, che stava attenta a vedere e ad aiutare quelli del
-badalucco, e con grandi grida correndo col vantaggio del terreno loro
-addosso, li ruppono e sbarattarono. Messer Piero per bontà del buono
-cavallo dov’era montato con pochi compagni, non potendo ritornare in
-Bibbiena, fuggendo ricoverò in Montecchio. Della sua gente furono
-in sul campo più di cento morti, e dugento presi, e molti fediti. I
-prigioni tornando l’oste li condussono a Firenze legati a una fune, e
-poco appresso furono lasciati; e l’oste tornò vittoriosa, avendo preso
-alcuna vendetta degl’ingrati traditori.
-
-
-CAP. XII.
-
-_Come si rubellò a’ Fiorentini Coriglia e Sorana._
-
-In questo anno sentendo messer Francesco Castracani che i Fiorentini
-erano inbrigati par la gente che l’arcivescovo teneva a guerreggiare
-in Toscana, essendo forte in Lunigiana e in Garfagnana, a petizione
-de’ Pisani fece furare a’ Fiorentini la rocca di Coriglia, la quale
-appresso rendè a’ Pisani, a cui stanza l’avea furata, e’ Pisani la
-presono, rompendo la pace a’ Fiorentini; ch’espresso era nella pace
-rinnovata per lo duca d’Atene in nome del comune di Firenze, che in
-niun modo di quella terra si dovessono travagliare. E appresso i detti
-Pisani feciono con sagacità di grande tradimento torre a’ Fiorentini,
-contro a’ patti della pace, la terra di Sorana, e rendutala da capo,
-la ritolsono per indiretto, e poi in palese la difesono, non curando
-i patti della pace. I Fiorentini per queste due terre non si mossono,
-benchè grave li fosse l’oltraggio de’ Pisani. Messer Francesco avendo
-avuto trecento cavalieri dall’arcivescovo di Milano, montato in grande
-orgoglio, e confortato da’ Pisani, si pose ad assedio a Barga, ch’era
-de’ Fiorentini, e avendo grande popolo la strinse intorno con più
-bastie, sperandolasi avere per assedio. Lasceremo ora quest’assedio per
-raccontare altre maggiori cose innanzi che Barga fosse liberata.
-
-
-CAP. XIII.
-
-_Come i tre comuni di Toscana mandarono ambasciadori in Boemia a far
-muovere l’imperadore._
-
-Avendo i tre comuni di Toscana presa e pubblicata la concordia col
-vececancelliere dell’eletto imperadore, volendo mettere ad esecuzione
-quello che per loro era stato promesso, catuno elesse de’ maggiori
-cittadini confidenti al reggimento di quelli per suoi ambasciatori,
-e mandaronli all’eletto imperadore a Boemia nella Magna per farlo
-muovere, e per fargli il pagamento ordinato, e per essere al suo
-consiglio per i tre comuni, nella promessa impresa passando egli in
-Italia. Gli ambasciadori del nostro comune di Firenze furono cinque:
-messer Tommaso Corsini dottore di legge, messer Pino de’ Rossi, messer
-Gherardo de’ Buondelmonti cavaliere, Filippo di Cione Magalotti, e
-Uguccione di Ricciardo de’ Ricci, a’ quali fu data grande e piena
-legazione, e dato loro un popolare sindaco per lo comune, a potere
-obbligare il comune, secondo le cose promesse al vececancelliere,
-come paresse a’ detti ambasciadori, se altro bisognasse di fare.
-Costoro tutti vestiti di fine panno scarlatto e d’altro fine mellato,
-catuno con otto scudieri il meno vestiti d’assisa, a dì 17 di maggio,
-il dì dell’Ascensione, si partirono di Firenze. E partiti loro,
-molti cittadini pensando che quello ch’era ordinato dovesse venire
-fatto, perocchè tra gli ambasciadori erano i più reputati caporali
-di cittadina setta, temettono, che essendo costoro al continuo con
-l’imperadore, e di suo consiglio, che pericolo si commettesse contro
-al comune e pubblica libertà de’ cittadini, e però si mosse questione
-di limitare il loro tempo, e strignerli con certe leggi, e di questo
-fu gara e lunga tira nel nostro comune; in fine si vinse, e fecesi
-per riformagione di comune, che niuno cittadino di Firenze potesse
-stare in quel servigio appresso all’imperadore più che quattro mesi, e
-che alcuna grazia, uficio, o beneficio reale o personale per i detti
-ambasciadori o per loro successori si dovesse ricevere o impetrare,
-sotto gravi pene, acciocchè la speranza si troncasse a tutti della
-propria utilità. E incontanente elessono e insaccarono molti cittadini
-per succedere di quattro mesi in quattro mesi a’ detti ambasciadori in
-quello servigio.
-
-
-CAP. XIV.
-
-_Di disusati tempi stati._
-
-Non è da lasciare in silenzio quello che del mese di giugno del
-detto anno avvenne, perocchè fu notabile caso di tempo con diverse
-considerazioni, che essendo ne’ campi seminati cresciute le biade
-e’ grani d’aspetto d’ubertosa ricolta vicina alla falce, in diverse
-contrade di Toscana, e massimamente nel contado di Firenze, vennono
-diluvi d’acque, i quali guastarono molto grano e biade, e feciono
-de’ dificii, e d’altro singolari danni a molti. E a dì 14 del detto
-mese cominciò un vento austro spodestato e impetuoso con tanta
-furiosa tempesta, che ogni cosa parea che dovesse abbattere e mettere
-per terra, e tutte le granora e biade che trovò mature, ove il suo
-impetuoso spirito potè percuotere, battè per modo, che alla terra diede
-nuova sementa, e nelle spighe lasciò poco altro che l’aride reste, e
-quelle che ancora non erano granate percosse e inaridì; facendo nelle
-montagne in diverse parti sformate grandini e diverse tempeste, e molte
-vigne guastò, e abbattè alberi molti, e di grandi dificii in diverse
-parti di Toscana e di Romagna; e in Firenze fece rovinare il campanile
-del monastero delle donne degli Scalzi, e uccise la badessa con sei
-monache. Nella sommità delle montagne di Pistoia levò gli uomini di
-su’ poggi, traboccandoli dove l’impeto gli portava. E pubblica fama
-fu, che quarantatrè masnadieri ch’andavano in preda trovandosi in sul
-giogo, senza potersi ritenere furono portati dal vento per modo, che
-di loro non si seppe novelle. E restato lo strabocchevole vento, ivi a
-pochi dì fu un caldo sformato senza aiuto d’alcuno spiramento, che il
-residuo de’ grani e de’ biadi in molti paesi, singolarmente nel contado
-di Firenze, fece ristrignere e invanire per modo, che ov’era stata
-speranza d’ubertosa ricolta generò sformata carestia anzi l’avvenimento
-dell’altra ricolta, come appresso dimostreremo. Alcuni diedono questo
-singulare accidente agli effetti della congiunzione, già narrata al
-principio del nostro primo libro, de’ tre superiori pianeti onde
-Saturno fu signore: perocchè gli astrolaghi tengono che l’influenza di
-cotale congiunzione duri per diciannove anni, e altri tengono infino
-in ventitrè. Arbitrò altri, che questo procedesse dall’influenza
-della cometa ch’apparve in quest’anno, e quella fu saturnina, sicchè
-catuno trasse agli effetti saturnali. Altri tennono che ciò fosse
-dimostramento d’assoluto giudicio divino per i disordinati peccati de’
-popoli non domati da tante tribolazioni di guerre, quante dimostrate
-abbiamo in poco tempo dopo la miserabile mortalità.
-
-
-CAP. XV.
-
-_Dell’inganno ricevette il comune di Firenze del braccio di santa
-Reparata._
-
-Essendo stati certi ambasciadori del comune di Firenze alla coronazione
-del re Luigi per lo detto comune, domandarono di grazia al re e alla
-reina alcuna parte del corpo della vergine santa Reparata ch’è in
-Teano, per onorare la sua reliquia nella nobile chiesa cattedrale
-della nostra città ch’è edificata a suo nome. La loro petizione dal
-re e dalla reina fu accettata; ma perocchè la città di Teano era del
-conte Francesco da Montescheggioso, figliuolo che fu del conte Novello
-amicissimo del nostro comune, convenne che con sua industria il
-braccio destro di quella santa si procacciasse d’avere per modo, che i
-terrazzani non se n’avvedessono, che si mostrava loro, ed era nel paese
-in grande devozione, e questo si mostrò di fornire con industria, e
-con grande sollicitudine. Gli ambasciadori credendosi avere la santa
-reliquia il significarono a’ priori, acciocchè all’entrata della città
-l’onorassono. I rettori del comune ordinata solennissima processione
-di tutti i prelati cherici e religiosi della città di Firenze, con
-grandissimo popolo d’uomini e di femmine, con molti torchi accesi
-comandati per l’arti e forniti per lo comune, e il vescovo di Firenze
-ricevuto colle sue mani il santo braccio, colla mano segnando la gente
-molto divota e lieta, credendosi avere quella santa reliquia, fu
-portata e collocata nella nostra chiesa, a dì 22 di giugno 1352.
-
-
-CAP. XVI.
-
-_Di quello medesimo._
-
-Avendo narrata la fede, la reverenza e la divozione che i nostri
-cittadini ebbono alla santa vergine, benchè l’inganno ricevuto fosse
-durato in fede del detto comune quattro anni e mesi, infine si scoperse
-il sacrilegio e l’inganno ricevuto per la femminile astuzia della
-badessa del monastero di Teano, ov’era il corpo della detta santa,
-che vedendo che quello braccio le conveniva dare per volontà del re,
-e della reina e del conte, dissimulando gran pianto colle sue suore
-per lo partimento della reliquia, lo sostennero di assegnare alcuno
-dì. E in questo tempo feciono fare un simulacro di legno e di gesso,
-che propriamente pareva quella santa reliquia, e dando questa con
-grande pianto, fece credere agli ambasciadori che avesse assegnata
-loro la santa reliquia, e a Firenze fece onorare come santuaria quello
-simulacro per cotanto tempo, essendo cagione di cotanto male, non
-manifestando la sua falsa religione. Avvenne che il comune del mese
-d’ottobre 1356, volendo d’oro e d’argento e di pietre preziose fare
-adornare quella reliquia, i maestri la trovarono di legno e di gesso: e
-segatala per mezzo, furono certi che niuna reliquia v’era nascosa, e il
-comune fu certo del ricevuto inganno. Noi, non ostante che cinquantadue
-mesi fosse questo ritrovato appresso alla sopraddetta venuta, contro
-all’ordine del nostro annuale trattato l’abbiamo congiunto insieme,
-acciocchè avendo alcuno letto la venuta del santo braccio, non fosse
-ingannato dalla simulazione di quello, e dalla malizia della sacrilega
-badessa.
-
-
-CAP. XVII.
-
-_Come la gente del Biscione cavalcarono i Perugini._
-
-Del mese di giugno del detto anno, accolti duemila cavalieri
-dell’arcivescovo di Milano alla città di Cortona e popolo assai,
-cavalcarono per la valle di Chio, e strinsonsi alla città di Perugia
-predando e ardendo il suo contado. Per la qual cavalcata così
-bandalzosa i cittadini presono sospetto dentro, e però non ebbono
-ardire di fare uscire fuori alcuna loro gente contro a’ nimici.
-Conducitori di questa gente erano il conte Nolfo da Urbino, il signore
-di Cortona, e Gisello degli Ubaldini, i quali avevano trattato con
-messer Crespoldo di Bettona. Questo messer Crespoldo era guelfo,
-ma perocch’era male trattato da’ Perugini ricevette costoro in
-Bettona, e cacciarono coloro che v’erano alla guardia per lo comune
-di Perugia. Questa terra era presso a Perugia a otto miglia e nella
-loro vista, e sentendo la gente che dentro v’era, e la potenza
-dell’arcivescovo, furono in gran tremore; e non senza cagione, che
-quella terra era forte, e in frontiera ad Ascesi e all’altre terre
-de’ Perugini, le quali non amavano troppo la loro signoria, e però
-cominciarono incontanente a dare il mercato a’ nimici, e molto erano
-di presso a fare le comandamenta del tiranno, e ciò che gli ritenne
-fu, ch’aspettavano quello che in questa novità facesse il comune di
-Firenze. Stando i Perugini in questo pericolo, incontanente il comune
-di Firenze li mandò confortando per loro ambasciadori, promettendo loro
-aiuto quanto il comune potesse fare; e seguitando col fatto, di subito
-vi mandarono ottocento cavalieri di buona gente, promettendo d’arrogere
-quanti bisognasse infino a tanto che Bettona fosse racquistata.
-Avvenne che come Ascesi e l’altre terre circostanti de’ Perugini
-intesono l’aiuto e il conforto che i Fiorentini davano al comune di
-Perugia, ove stavano sospesi e non rispondeano al comune di Perugia,
-e davano il mercato a’ nimici, di presente levarono il mercato, e
-acconciarsi alla difesa, e mandarono a offerirsi a’ Perugini, e
-cominciarono a guerreggiare quelli di Bettona. Onde convenne per
-necessità delle cose da vivere che la cavalleria ch’era in Bettona
-s’alleggiasse, e lasciaronvi a guardia della terra seicento cavalieri e
-più d’altrettanti masnadieri, e l’altra gente tornò a Cortona. Rimasi
-in Bettona i sopraddetti capitani e’ riposono l’assedio a Montecchio,
-e ordinaronsi per accrescere loro forza e soccorrere Bettona, se il
-bisogno occorresse. Lasceremo alquanto de’ fatti di Bettona per seguire
-dell’altre cose, ch’avvennono innanzi ch’ella si racquistasse.
-
-
-CAP. XVIII.
-
-_Come i Romani andarono per guastare Viterbo._
-
-Di questo mese di giugno del detto anno, vedendo il popolo romano che
-il prefetto da Vico cresceva in forza e ad acquisto occupando le terre
-del Patrimonio, feciono in fretta Giordano del Monte degli Orsini
-capitano di guerra, e accolsono tutta la gente d’arme che fatta aveano
-col loro rettore a piè e a cavallo e accozzaronli col capitano del
-Patrimonio messer Niccola delle Serre cittadino d’Agobbio, e in pochi
-dì accolsono milledugento cavalieri e dodicimila pedoni in arme, e
-con gran furia se n’andarono sopra la città di Viterbo per guastarla
-d’intorno e porvi l’assedio, e starvi tanto che tratta l’avessono
-delle mani del prefetto. Avvenne in su la giunta che a messer Niccola
-capitano del Patrimonio cadde il suo cavallo addosso, e per la percossa
-e per lo disordinato caldo per spasimo morì di presente. Morto il
-capitano, l’oste senza fare alcuna cosa notevole, con poco onore del
-capitano de’ Romani, si partì da Viterbo, e catuno si tornò a casa sua.
-
-
-CAP. XIX.
-
-_Come il re Luigi ebbe Nocera._
-
-In questi dì messer Currado Lupo ch’era per addietro stato vicario
-del re d’Ungheria nel Regno, sapendo che la pace era fatta dal re
-d’Ungheria a’ reali di Puglia, e che di volontà del suo signore era
-ch’egli rendesse le terre che tenea al re Luigi, già coronato per la
-Chiesa del reame, con l’astuzia tedesca pensò di trarre suo vantaggio,
-e accolse tutti i Tedeschi ch’erano nel Regno, e con settecento
-barbute fece testa a Nocera de’ Saracini, e levò un’insegna imperiale,
-mostrando che a stanza dell’imperadore volesse rimanere nel Regno; e
-per alquanti si disse che alcuni baroni del reame il favoreggiavano.
-Temendo il re che questi non avesse appoggio d’altro signore, o che
-non l’acquistasse stando, per lo meno reo prese di patteggiar con lui,
-e diedegli contanti trentacinque mila fiorini d’oro, e rendè Nocera e
-la contea di Giuglionese, e uscissi del Regno con tutta la sua gente,
-con patto fermato per suo saramento, che da ivi a due anni non dovesse
-per alcuno modo tornare nel Regno, ma valicati i due anni vi potesse
-tornare come barone del re per le terre della moglie, facendogli il
-debito saramento e omaggio.
-
-
-CAP. XX.
-
-_Come fu sconfitto il conte di Caserta._
-
-Seguitando i rivolgimenti dello sviato Regno, ci occorre in questi dì
-come il duca d’Atene conte di Brenna, il quale altra volta per la sua
-incostante tirannia meritò a furore essere cacciato della signoria
-di Firenze, essendo tratto di Francia all’odore dello sviato Regno
-non con intera fede, con sue masnade di cavalieri franceschi fece in
-Puglia spontanea guerra contro al conte di Caserta, figliuolo che fu
-di messer Diego della Ratta conte camarlingo, il quale era con gente
-d’arme a Taranto, e con assentimento del re Luigi guerreggiava le terre
-del detto duca, secondo la comune voce; l’infermità del Regno non
-consentiva nè in guerra nè in pace cose aperte nè chiari movimenti. Il
-detto duca accolti de’ paesani, co’ suoi Franceschi combattè col conte
-e sconfisselo, facendo alla sua gente grave danno. E rifuggito il detto
-conte in Taranto per sua sicurtà, del detto anno, del mese di Maggio,
-per lo detto duca fu lungamente senza frutto assediato.
-
-
-CAP. XXI.
-
-_La novità in Casole di Volterra._
-
-I figliuoli di messer Ranieri da Casole di Volterra cacciati per
-lungo tempo da’ loro nimici del castello, come giovani coraggiosi,
-accolsono segretamente masnadieri e amici, e a dì 15 luglio del detto
-anno entrarono nella terra di Casole, che si guardava per lo comune
-di Siena, e improvviso corsono a casa i loro nimici, e quanti ve ne
-trovarono misono al taglio delle spade, e rubarono le case loro, e
-appresso l’arsono, e gli altri che non furono morti cacciarono della
-terra, e la podestà che v’era pe’ Sanesi riguardarono: la terra tennono
-tanto per loro, che co’ Sanesi presono accordo di tenervi podestà dal
-comune di Siena; e fecionsi ribandire, e rimasono i maggiori nella
-terra.
-
-
-CAP. XXII.
-
-_Come furono decapitati degli Ardinghelli di Sangimignano._
-
-Seguita in questi medesimi dì, come Benedetto di messer Giovanni
-degli Strozzi di Firenze, essendo capitano della guardia per lo
-nostro comune di Sangimignano, con ingiusto sospetto prese il Rosso
-e Primerano di messer Gualtieri degli Ardinghelli, giovani di grande
-aspetto e seguito, d’animo e di nazione guelfi, e tenendoli senza
-trovare vera cagione perchè presi gli aveva, per accidente v’occorse
-caso, che gittarono una lettera a’ loro amici fuori della carcere,
-pregandoli che li venissono ad atare liberare di prigione. Il capitano
-avendo questa lettera, quale che fosse la cagione, o per zelo del suo
-uficio, o per inzigamento de’ Sanucci loro nimici, deliberò di farli
-morire. Il comune di Firenze sapendo che non erano colpevoli, volea
-che campassono; e mandandovi in fretta ambasciadori con espresso
-comandamento al capitano che non gli dovesse fare morire, la fortuna
-impedì i messaggi per disordinata grandezza dell’Elsa, che non li
-lasciò passare in quella notte. Il capitano temendo non sopravvenisse
-il comandamento, s’affrettò di farli morire; e la vilia di san Lorenzo,
-a dì 9 d’agosto, con un altro terrazzano a cui aveano scritto che fosse
-a loro scampo, in sulla piazza li fece dicollare, onde fu riputato
-grande danno, e il capitano ne fu molto biasimato. Questa decollazione
-si tirò dietro materia di grande scandalo e rivoltura di quella terra,
-come al suo tempo racconteremo.
-
-
-CAP. XXIII.
-
-_Come gente del re di Francia fu sconfitta a Guinisi._
-
-Essendo il re di Francia in singolare sollecitudine di racquistare la
-contea di Guinisi che sotto le triegue gli era stata furata, vi mandò
-millecinquecento cavalieri e tremila pedoni, tra i quali ebbe gran
-parte di masnadieri lombardi e avendovi posto l’assedio, difendendosi
-lungamente que’ del castello, i Franceschi vi feciono bastite intorno,
-per tenerlo stretto con meno gente. Il re d’Inghilterra mettea con
-due barche di notte gente in Calese per modo, che i Franceschi non se
-n’accorgevano; e avendovi per questo modo accolta quella gente che a
-lui parve, forniti di capitani avvisati delle bastite e della guardia
-de’ Franceschi, una notte chetamente uscirono di Calese, e improvviso
-da più parti assalirono i Franceschi, i quali impauriti del non pensato
-assalto intesono a fuggire e a campare, senza mettersi alla difesa;
-e così in poca d’ora furono rotti e sbarattati dagl’Inghilesi, e i
-battifolli arsi, con più vergogna che danno de’ Franceschi per la
-grazia della notte. E liberato il castello dall’assedio, e rifornito di
-nuovo, del mese di luglio del detto anno gl’Inghilesi si ritornarono
-nell’isola senza fare altra guerra. Poco appresso il re di Francia
-scoperse che certi baroni il doveano uccidere per trattato del re
-d’Inghilterra, per la qual cosa a certi ne fu tagliata la testa: e il
-re a modo di tiranno si faceva guardare a gente armata, dentro e fuori
-di suo ostiere reale, a cavallo e a piè, di dì e di notte nella città
-di Parigi, cosa strana e disusata alla maestà reale e a’ paesani.
-
-
-CAP. XXIV.
-
-_Come i Perugini assediarono Bettona._
-
-Tornando alle vicine materie, avendo il comune di Perugia da’
-Fiorentini ottocento cavalieri di buona gente d’arme, con loro
-sforzo valicarono le Giaci per porre l’assedio a Bettona, e con
-grande popolo l’assediarono. E volendosi partire de’ cavalieri
-dell’arcivescovo della terra, ovvero per andare in foraggio, otto
-bandiere furono sorprese dalla gente dell’oste per modo, che la maggior
-parte rimasono presi, e d’allora innanzi si ritennono dentro alla
-guardia del castello. E procacciando d’avere soccorso da’ cavalieri
-e dagli amici dell’arcivescovo ch’erano per lo paese di qua, e per
-fare migliore guardia, si misono a campo fuori della terra nella
-piaggia a petto al campo de’ Perugini. I Perugini aggiungevano al
-continovo gente d’arme nel campo per soldo e per amistà, e mandaronvi
-la maggior parte de’ loro cittadini, e dall’altra parte della terra
-formarono due battifolli, perchè nè vittuaglia nè soccorso nella terra
-potesse entrare. E così assediata la terra, procuravano d’afforzare
-e d’impedire i passi, per riparare dalla lungi al campo che nimici
-non potessono sopravvenire. E per questo modo durò l’assedio infino
-all’agosto vegnente, come appresso diviseremo, e posto vi fu del mese
-di giugno del detto anno.
-
-
-CAP. XXV.
-
-_Come fu liberato Montecchio dall’assedio per soccorrere Bettona._
-
-Era in questo tempo stato assediato lungamente il piccolo castello di
-Montecchio presso a Castiglionaretino da’ Tarlati e dal signore di
-Cortona colla cavalleria dell’arcivescovo, e recato a partito, che i
-maggiori di quelli che ’l teneano erano venuti nel campo per volerlo
-dare. Temendo i Tarlati che avuto il castello per la vicinanza non
-rimanesse al signore di Cortona, per consiglio aggiunte minacce a
-coloro ch’erano venuti per darlo, si ritornarono dentro alla difesa.
-E l’oste sollecitata del soccorso dagli assediati di Bettona, se ne
-levarono, e accozzaronsi i cavalieri dell’arcivescovo con gli altri
-cavalieri loro compagni ch’erano in Agobbio e nelle circostanze, e
-trovaronsi millecinquecento barbute e masnadieri assai, e per fare
-levare i Perugini da Bettona si misono a oste alla Città di Castello. E
-stativi alquanti dì, feciono provvedere i passi come potessono andare
-a soccorrere Bettona, e trovarono che i Perugini erano alla difesa
-de’ passi molto bene provveduti e forniti alla guardia; tornaronsi al
-Borgo per accogliere maggiore gente e forza, e farlo per altra più
-lunga via. In questo medesimo tempo gli assediati per la speranza
-del soccorso presono ardire, e assalirono l’uno de’ battifolli de’
-Perugini, e vinsonlo e arsonlo, e mostrarne per segni di luminaria
-gran festa; e con quella baldanza presa andarono ad assalire l’altro,
-e furono occupati per modo da’ cavalieri dell’oste che tornarono in
-rotta, presa parte della loro gente da cavallo e da piè; gli altri
-si fuggirono tutti nella terra, levandosi da campo per stare alla
-difesa delle mura, e da’ Perugini furono più stretti. I capitani della
-gente dell’arcivescovo feciono capitano generale il conte Nolfo da
-Urbino, e misonsi per la valle di Chiusi, e andarono a Orvieto; e
-tratti i cavalieri ch’aveano in quella città, si trovarono con duemila
-barbute; e volendo soccorrere gli assediati, trovarono in catuno passo
-sì provveduti i Perugini e sì forti alla difesa, che per niuno modo
-vidono di poterlo fornire. Ed essendo disperati dell’impresa, vollono
-rimettere in Orvieto i loro cavalieri che n’aveano tratti, e non furono
-voluti ricevere, e con gli altri insieme se ne tornarono al Borgo, e
-gli assediati furono fuori d’ogni speranza d’avere soccorso.
-
-
-CAP. XXVI.
-
-_Come i Perugini ebbono Bettona e arsonla, e disfeciono affatto._
-
-Vedendo i caporali ch’erano rinchiusi in Bettona che a loro era mancata
-ogni speranza di soccorso, e che la vittuaglia era mancata, e mangiata
-gran parte de’ loro cavalli, vedendosi a mal partito, con industria e
-con danari pensarono allo scampo delle loro persone molto segretamente,
-perchè sapeano bene che i Perugini avrebbono maggiore gloria d’avere
-le loro persone che la terra di Bettona; e però strettisi insieme, e
-prestato la fede l’uno all’altro, il signore di Cortona, e il conte di
-Montefeltro, e Ghisello degli Ubaldini avendo procacciato per danari
-il nome di quella notte, vestiti a modo di ribaldi per mezzo il campo
-passarono a salvamento: onde poi fu incolpato alcuno de’ rettori di
-Perugia. I soldati sentendo campati i loro capitani, incontanente
-presono messer Crespoldo signore di Bettona, e uno de’ Baglioni di
-Perugia ch’aveano loro data la terra, e patteggiarono co’ Perugini
-di dare costoro prigioni, e rendere la terra salve le persone loro
-solamente, lasciando l’arme e’ cavalli, e giurando di non venire mai
-contro a quello comune nè a quello di Firenze, e così fu fatto; e
-avendo mangiati centocinquanta cavalli de’ loro per fame, s’uscirono
-della terra, e i Perugini la presono; e trattine tutti gli abitanti, e
-tutte le masserizie e ogni altra sostanza, e condotta a Perugia, arsono
-la terra; e dopo l’arsione abbatterono le mura dentro e di fuori,
-acciocchè non avesse mai più cagione di rubellarsi a’ Perugini; e a
-messer Crespoldo e a quello de’ Baglioni feciono tagliare le teste. E
-questa fu la fine dell’antica terra di Bettona, ripresa a dì 19 del
-mese d’agosto gli anni _Domini_ 1352, in gran vituperio de’ Visconti di
-Milano, e a onore del comune di Firenze, per lo cui aiuto e conforto
-infino alla fine i Perugini ebbono questa vittoria.
-
-
-CAP. XXVII.
-
-_Come la città d’Agobbio s’accordò co’ Perugini._
-
-Giovanni di Cantuccio signore d’Agobbio, avendo veduto come le cose non
-succedevano prospere all’imprese fatte per lo tiranno di Milano, e che
-Bettona non era potuta soccorrere, ed era disfatta, diffidandosi della
-sua difesa se la piena gli si volgesse addosso, sapendo che i suoi
-cittadini non erano in fede con lui, con astuta malizia si provvide
-e mandò a trattare pace co’ Perugini. E fu fatto che gli usciti vi
-tornassono, salvo messer Iacopo Gabbrielli, e tutti avessono frutti de’
-loro beni, e che due anni il detto Giovanni vi potesse eleggere podestà
-d’Agobbio cui e’ volesse, e valicati i due anni, la città rimanesse
-al comune, e i Perugini avessono la guardia della terra senza altra
-giurisdizione: ma poco durò l’accordo, come seguendo si potrà vedere.
-
-
-CAP. XXVIII.
-
-_Come ser Lallo s’accordò con il re Luigi dell’Aquila._
-
-Avemo addietro contato come la città dell’Aquila si reggeva sotto
-il governamento di ser Lallo suo piccolo cittadino, il quale avea
-dimostrato più volte di tenerla quando per lo re d’Ungheria, e quando
-per lo re Luigi, come bene gli mettea; ma poichè il re Luigi fu
-coronato, e i Tedeschi e gli Ungheri partiti del Regno, vedendo che
-mantenere non la potrebbe contro alla corona, trasse suo vantaggio, e
-fecesi fare conte di Montorio, ed ebbe altre due castella in Abruzzi,
-e nell’Aquila ricevette capitano per lo re e per la reina. Nondimeno i
-cittadini ubbidivano più ser Lallo che il re o suo capitano, e convenne
-al re dissimulare la sua offesa per lo minore male.
-
-
-CAP. XXIX.
-
-_Come i Perugini e’ Fiorentini tornarono a guastare Cortona._
-
-I Perugini avuta la vittoria di Bettona, colle masnade del comune di
-Firenze ritornarono sopra la città di Cortona essendo messer Currado
-Lupo uscito del Regno all’Orsaia con cinquecento barbute, il quale
-si stette di mezzo senza pigliare arme; e i Perugini guastarono le
-ville intorno a Cortona come seppono il peggio. In questi medesimi dì,
-all’uscita d’agosto del detto anno, de’ cavalieri dell’arcivescovo
-ch’erano tornati al Borgo a san Sepolcro si partirono milledugento
-barbute, e andarono su quello d’Arezzo, e posonsi in sulla Chiassa,
-e afforzarono di steccati certo poggio sopra il campo per più loro
-salvezza: e quivi si misono per vernare in luogo dovizioso e grasso. E
-per ingannare gli Aretini cominciarono a comperare e a pagare derrata
-per danaio, non facendo vista d’alcuna violenza. E quando si vidono
-forniti, cominciarono a cavalcare per lo contado, e fare preda di
-bestiame e d’uomini e di ciò che trovavano senza avere contasto. E
-questo avvenne, che alquanti cittadini, meno di sette, avendo occupato
-il reggimento di quella città, per tema di loro stato presono gelosia
-de’ Fiorentini, e innanzi soffersono il danno da’ nemici, che volessono
-l’aiuto dagli amici. I Fiorentini nondimeno tennoro ottocento cavalieri
-alle frontiere di Valdarno, e raffrenavano alquanto le loro gualdane,
-e salvarono il loro distretto. Gli Aretini lungamente furono tribolati
-da quella gente, per la singolare non debita paura di pochi loro
-cittadini, come detto abbiamo.
-
-
-CAP. XXX.
-
-_Come gli ambasciadori de’ tre comuni di Toscana tornarono
-dall’imperadore senza accordo._
-
-In questi dì gli ambasciadori de’ tre comuni di Toscana ch’erano stati
-con l’eletto imperadore tornarono, avendo assai praticato sopra i patti
-e convenenze promesse per lo suo vececancelliere, non trovando con
-lui concordia per la brevità del termine, e per la povertà del detto
-eletto, tempellato dal consiglio de’ ghibellini che non si fidasse
-de’ guelfi; ma questa parte non ebbe in lui podere, che conoscea che
-la necessità lo strignea, volendo pervenire al suo onore, d’avere
-l’amore e la confidenza de’ guelfi d’Italia, e però non si rompeva e
-non riusciva a niuno effetto. In questo avvenne che ragionando con gli
-ambasciadori, l’uno de’ Fiorentini per corrotto parlare, tenendosi più
-savio che gli altri perchè avea maggiore stato in comune, riprendendo
-l’eletto imperadore, disse: voi filate molto sottile; l’imperadore
-che sapea la lingua latina conobbe l’indiscreta parola, e turbato
-temperò se medesimo, parendoli che l’imperiale maestà ricevesse
-ingiuria dall’indiscreta e vile parola; ma d’allora innanzi poco volle
-udire quel savio ambasciadore. E venuto il termine diputato a’ detti
-ambasciadori convenne che tornassono, lasciando la cosa sospesa da ogni
-parte.
-
-
-CAP. XXXI.
-
-_Come l’arcivescovo cercava pace co’ Toscani._
-
-In questa sospensione, gli animi de’ Toscani e principalmente de’
-Fiorentini si cominciarono a cambiare, veggendo ch’erano a nulla del
-loro proponimento; e in questo l’arcivescovo conoscendo che questi
-comuni di Toscana intendeano a muovere contro a lui gran cose, e
-veggendosi ributtato da’ Fiorentini e da’ Perugini, grave gli sarebbe a
-mantenere guerra in Toscana, e già sentiva che i suoi vicini Lombardi
-non si contentavano di vederlo troppo grande, pensò che per lui facea
-d’avere pace co’ Fiorentini e Toscani; e confidandosi molto in Lotto
-Gambacorti da Pisa che allora era amico de’ Fiorentini, fece muovere
-le parole e insistere in quelle. Il nostro comune conoscendo che della
-pace del tiranno poco si poteano confidare, nondimeno vedendo che colla
-Chiesa nè coll’imperadore non aveano potuto far quello che procuravano,
-diede a intendersi a questo trattato. E avendo l’arcivescovo a questa
-fine mandati suoi ambasciadori a Serezzana, il comune vi mandò prima
-religiosi per suoi ambasciadori, per sentire se la sposizione fosse con
-speranza d’alcuno frutto. E nondimeno ordinarono e mandarono gli altri
-ambasciadori a Trevigi, ov’era venuto il patriarca d’Aquilea fratello
-dell’eletto e altri ambasciadori dell’imperadore futuro per trattare
-le cose cominciate co’ comuni di Toscana. Lasceremo al presente
-l’ambasciate tanto che torni il loro frutto, e seguiteremo nell’altre
-cose la nostra materia.
-
-
-CAP. XXXII.
-
-_Come il prefetto da Vico fu fatto signore d’Orvieto._
-
-I cittadini d’Orvieto rotti divisi e insanguinati per le cittadine
-discordie, e caduti nella forza de’ ghibellini, essendo naturali
-guelfi, voltandosi come l’infermo palpando, voltandosi ora da una parte
-ora dall’altra, alla fine per la sagacità del prefetto da Vico loro
-vicino fu fatto signore con certi patti; e messo nella città cominciò
-a far fare alcune paci, e rimise dentro de’ cittadini cacciati, e di
-fuori ritenne cui e’ volle, e la signoria reggea con poco contentamento
-del popolo, e patto promesso non osservava, sicchè non si vedeano
-alleggiati delle divisioni, nè delle nimistà cittadinesche, e vedendosi
-sottoposti al tiranno e signoreggiati da’ ghibellini. Ma dopo il fatto,
-aggiunta del vituperio è il pentersi; che la soma sotto il tirannesco
-giogo convenne loro portare. E questo avvenne all’uscita d’agosto del
-detto anno.
-
-
-CAP. XXXIII.
-
-_Novità state a Roma._
-
-All’entrata del mese di settembre del detto anno, il rettore del
-popolo romano oltraggiato da Luca Savelli, e male ubbidito dal popolo,
-volle ragunare il parlamento per rinunziare la signoria. Nel popolo
-nacque dissensione, che chi volea che rinunziasse, e chi nò. In questa
-contenzione messer Rinaldo Orsini, ch’era senatore, prese l’arme, e
-seguitato dal popolo, cacciò di Roma Luca Savelli co’ suoi seguaci,
-ma poco stettono fuori, che si tornarono dentro. Il rettore volendo
-fortificare il popolo con ordini, acciocchè i principi non avessono
-soperchia audacia, fece richiedere il popolo per rioni a bocca, e
-appresso colla campana: e non raunandosi, prese sospetto della sua
-persona; e trovando in sua balia seimila fiorini d’oro, che la Chiesa
-avea donati al popolo per aiutare mantenere quell’uficio, e altri
-denari ch’egli avea accolti, si partì di Roma e andossene in Abruzzi,
-e comperato uno castello si stette nel paese, avendo abbandonata la
-snervata repubblica, meritandolo per la sua incostanza.
-
-
-CAP. XXXIV.
-
-_Come la gente del Biscione assediarono la Città di Castello._
-
-All’uscita di questo mese, i cavalieri dell’arcivescovo di Milano stati
-ad Arezzo e consumato il loro contado se ne partirono, e andarono sopra
-la Città di Castello, rubando per lo paese amici e nimici. E stando
-ivi, per più riprese i castellani uscirono a loro per assalti e per
-aguati, facendo d’arme assai notevoli cose.
-
-
-CAP. XXXV.
-
-_Come i Fiorentini soccorsono Barga e sconfissono i Castracani._
-
-Del mese d’ottobre del detto anno, essendo stata la terra di Barga
-in Garfagnana del comune di Firenze assediata quattro mesi e più da
-messer Francesco Castracani degl’Interminelli di Lucca coll’aiuto
-dell’arcivescovo di Milano, per modo che più non si potea tenere per
-difetto di vettuaglia, il comune di Firenze, quanto che quella terra
-gli fosse di grande costo e di piccola utilità, per non abbandonare
-gli amici ragunò a Pistoia seicento barbute e ventimila masnadieri,
-accomandati a messer Ramondo Lupo da Parma capitano di guerra, il
-quale maestrevolmente a dì 7 d’ottobre, la notte, si mosse colla gente
-e colla salmeria per la montagna di Pistoia, dando vista d’andarla a
-fornire da Sommacologna. E mandati cinquecento fanti con parte della
-salmeria per quella via, innanzi il dì traversò da Seravalle e misesi
-per la Valdinievole, e cavalcato per lo contado di Lucca, il dì di
-santa Reparata si trovò in Garfagnana nel piano dinanzi al Borgo a
-Mezzano in sul passo, dov’era messer Francesco con trecento cavalieri
-e con millecinquecento fanti buona gente d’arme alla guardia, il quale
-si mise fuori del borgo colle schiere fatte, prendendo l’avvantaggio
-del terreno. Il capitano de’ Fiorentini avendo confortata la sua
-gente di ben fare, in sull’ora del mezzo dì percosse a’ nimici con
-sì fatto empito, che in poca d’ora gli ebbe rotti e sbarattati, e
-morti da cinquanta in sul campo, e centoventi n’ebbono a prigioni, e
-tolto l’arme e’ cavalli li lasciarono alla fede. E preso il Borgo a
-Mezzano, messer Francesco campato della battaglia si fuggì in Uzzano. I
-Fiorentini coll’empìto di questa vittoria senza arresto se n’andarono
-a Barga, e trovando abbandonati i battifolli, ch’erano quattro, gli
-presono e arsono, e la vittuaglia ch’aveano portata e la guadagnata
-misono in Barga, e fornitala doppiamente, tornati per la via ond’erano
-andati, con vittoria se ne tornarono e Pistoia.
-
-
-CAP. XXXVI.
-
-_Come si difese il borgo d’Arezzo per i Fiorentini._
-
-In questi dì, sentendo i cavalieri dell’arcivescovo ch’erano alla Città
-di Castello come i cavalieri de’ Fiorentini erano andati a Barga,
-tornarono ad Arezzo milleottocento cavalieri e puosonsi a Quarata.
-Cento de’ cavalieri de’ Fiorentini che tornavano da Perugia albergarono
-la notte nel borgo d’Arezzo, ove molti contadini erano rifuggiti col
-loro bestiame per paura de’ nimici; la cavalleria del Biscione si
-strinse al borgo, assalendolo aspramente per modo, che i cittadini
-l’abbandonarono; e sarebbe perduto, se non ch’e’ cento cavalieri de’
-Fiorentini francamente il difesono, e alla ritratta de’ nimici uscirono
-fuori del borgo, e feciono alla codazza danno e vergogna.
-
-
-CAP. XXXVII.
-
-_D’un segno mirabile ch’apparve._
-
-Nel detto anno, a dì 12 d’ottobre, venerdì sera tramontato il sole,
-si mosse tra gherbino e mezzogiorno una massa grandissima di vapori
-infocata, la quale ardeva con sì gran fiamma, che tutto il cielo di
-sopra e la terra alluminava maravigliosamente, e alla nostra vista
-valicò sopra la città di Firenze, e così parve a tutti i cittadini di
-catuna città d’Italia. E perchè fosse in somma altezza pareva agli
-uomini in catuna parte che dovesse toccare le sommità delle torri e
-le cime degli alberi; e spesso gittava fuori di se grandi brandoni di
-fuoco, che parea che cadessono in terra. E il suo corso fu tanto veloce
-fra tramontana e greco, che a tutti gl’Italiani, e a quelli del mare
-Adriatico, e a’ Friolani, e agli Schiavoni e Ungheri, e ad altri popoli
-più lontani, apparve valicando in quella medesima ora che a noi, e
-catuno stimava che ivi presso dovesse essere data in terra. Com’ebbe di
-subito valicata la nostra vista, essendo il cielo sereno senza alcuna
-macchia di nuvoli, a’ nostri orecchi pervenne un tonitruo grandissimo
-steso tremolante, il quale tenne sospesi gli orecchi lungamente non
-come tuono consueto, ma come voce di terremuoto, e dopo il tuono rimase
-l’aria quieta e serena, e così in ogni parte s’udì questa voce dopo
-il valicamento della massa. Questo segno fece molto maravigliare la
-gente, eziandio i più savi, non meno per la novità del tuono che per la
-grande massa del fuoco. Dissono alquanti sperti, che quello infocamento
-de’ vapori, o cometa o Asub che si fosse, che ella fu nel cielo in
-somma altezza in quello di Marte: ed era sì grande, che se venuta
-fosse a terra avrebbe coperta tutta l’Italia e maggiore paese. Vedemmo
-seguire in quest’anno diminuzioni d’acque, che dal maggio all’ottobre
-non furono acque che rigassono la terra, se con tempesta di gragnola
-e fortuna di disordinati venti non venne, e di quelle niuna che con
-frutto nella terra entrasse.
-
-
-CAP. XXXVIII.
-
-_Come i Tarlati arsono il Borgo di Figghine._
-
-Messer Piero Sacconi de’ Tarlati d’età di più di novant’anni, e il
-vescovo d’Arezzo degli Ubertini, e’ Pazzi di Valdarno con alquanti
-degli Ubaldini, avendo al loro servigio le masnade de’ cavalieri
-dell’arcivescovo di Milano, a dì 12 d’ottobre del detto anno si mossono
-da Quarata con duemila cavalieri, e duemilacinquecento pedoni, e la
-domenica mattina, a dì 14 d’ottobre, colle schiere fatte, coperti da
-una grossa nebbia, valicarono Montevarchi, e lungo la riva d’Arno
-vennono fino all’Ancisa, e di là girarono ed entrarono nel borgo di
-Figghine: il quale per la subita venuta non era sgombro, ma pieno
-di masserizie, e di vittuaglia e di bestiame senza difesa, che ogni
-uomo avea inteso a guardare la persona. Il castello e il castelluccio
-de’ Benzi erano forniti e pieni di gente alla difesa, e però non
-tentarono d’assalirli. In Firenze avea poca gente d’arme, che ancora
-non era tornata l’oste che andò a Barga; quelli che si poterono avere
-cavalcarono all’Ancisa. I nemici stettono nel borgo di Figghine la
-domenica e il lunedì, e raccolsono la preda, lasciando la vittuaglia.
-E durando la grossa nebbia continuamente, il martedì mattina affocate
-le case del borgo si partirono senza alcuno impedimento; e prima ebbono
-preso e arso il Tartagliese, che quelli delle castella di Figghine
-sapessono la loro partita, o che il borgo fosse infocato, tanto
-ingrossava il fumo la nebbia, che tolto era loro del foco ogni vista.
-Allora corsono al borgo a spegnere il fuoco, ma tardi, per la maggior
-parte. Il danno fu grande, e la vergogna non minore, avendo liberata
-Barga in Garfagnana, e perduto e arso il borgo di Figghine; ma tornò
-in bene, che fu cagione di fare una forte e grossa e buona terra,
-come appresso a suo tempo racconteremo. I cavalieri dell’arcivescovo
-si tornarono ad Arezzo, e posonsi fuori della porta alla fonte
-Guinizzelli, e tribolato alcuno tempo da capo il loro contado si
-divisono per vernare tra gli amici del Biscione, e parte se ne tornò a
-Milano.
-
-
-CAP. XXXIX.
-
-_Come gli usciti di Montepulciano venuti alla terra ne furono poi
-cacciati._
-
-A dì 2 del mese di novembre del detto anno, messer Iacopo della
-casa de’ Cavalieri di Montepulciano, poco innanzi cacciato della
-terra perchè ne volea essere signore, avendo cento cavalieri
-dell’arcivescovo, e accolti altri cavalieri e fanti a piè di sua
-amistà, corrotto per moneta un notaio da Sanminiato del Tedesco
-ch’era sopra la guardia, e alcuni di quelle guardie, un venerdì notte
-spezzò una delle porte, e con tutta sua gente entrò nella terra, e
-fu in sulla piazza; e levato il romore, messer Niccolò suo consorto
-cavaliere di grande ardire di presente fu all’arme, e montato a cavallo
-con pochi compagni, subitamente senza attendere aiuto sì fedì tra
-costoro, e ravviligli sì forte, che non feciono resistenza, ma volti
-in fuga, messer Iacopo s’uscì della terra con venticinque cavalieri;
-gli altri errando per la terra, desto il popolo, furono presi, che
-furon settantacinque cavalieri, e il notaio colle guardie, de’ quali
-venticinque ne furono impiccati, col notaio, e gli altri smozzicati.
-Montepulciano fu libero per questa volta, ma cagione fu appresso della
-loro suggezione, come seguendo si potrà trovare.
-
-
-CAP. XL.
-
-_Come fra Moriale fu assediato, e rendessi al re Luigi._
-
-Era rimaso nel Regno della gente del re d’Ungheria caporale messer fra
-Moriale solo, il quale teneva la città d’Aversa, e col re dissimulava,
-non facendo guerra e non rendendoli la terra. Il re vedendo ancora il
-reame tenero sotto la sua signoria, e il Provenzale baldanzoso, temeva
-di muovergli guerra; e per essere più forte e meglio ubbidito mandò
-per messer Malatesta da Rimini con quattrocento cavalieri, e fecelo
-vicario del Regno; il quale cavalcando per lo reame perseguitava i
-malfattori, e recava i baroni e’ comuni all’ubbidienza del re, e a
-tutti faceva pagare la colta, e fare i servigi feudatarii, e tenne per
-tutto i cammini aperti e sicuri. E tornato a Napoli, fece che il re
-mandò a fra Moriale che venisse a lui, e scusandosi, messer Malatesta
-il fece citare più volte dalla corte della vicherìa: e non comparendo,
-di subito colla sua gente, e con alquanta accolta del Regno, se n’andò
-ad Aversa, e nella terra se n’entrò senza contasto. Fra Moriale si
-rinchiuse nel castello colla sua gente, nel quale aveva il suo arnese e
-il tesoro accolto delle prede e ruberie de’ paesani, e pensavasi essere
-sicuro, e potere con patti rendere il forte castello al re quando a lui
-paresse, al modo di messer Currado Lupo: ma trovossi ingannato, che
-messer Malatesta di presente cinse il castello d’assedio, e appresso in
-pochi dì l’ebbe cinto di fosso e di steccato per modo, che nè entrare
-nè uscire vi si potea, e dì e notte il faceva guardare di buona e
-sollecita guardia, e così il tenne stretto tutto il mese di dicembre. E
-vedendosi fra Moriale disperato di soccorso, trasse patto di rendere il
-castello, avendo per suo bisogno stretto solamente mille fiorini d’oro,
-e salve le persone; e per bonarietà del re così fu fatto; e uscito del
-castello rassegnò al re il tesoro male guadagnato, e dispettoso se
-n’andò a Roma, pensando alla vendetta del re e di messer Malatesta,
-come poi per grande e fellonesco ardire gli venne fatto, come innanzi
-per li tempi racconteremo. Il castello e la città d’Aversa rimase al
-re, e l’ubbidienza di tutto il Regno e di catuno barone per operazione
-di messer Malatesta.
-
-
-CAP. XLI.
-
-_Come i Fiorentini fornirono Lozzole._
-
-All’uscita di novembre del detto anno, i Fiorentini, avendo con
-battifolli stretto il castello di Lozzole per la forza degli Ubaldini
-nel Podere, mandarono dugento cavalieri e millecinquecento masnadieri
-col vicario di Mugello nell’alpe, e presono in sul giogo dell’alpe il
-poggio di Malacoda e quello di Vagliana, e fecionli guardare a’ fanti
-a piè e a’ cavalieri, e con seicento masnadieri tennero i Prati: e
-eletti cento buoni masnadieri condussono il fornimento colla salmeria,
-e rotti quelli del battifolle che voleano contrastare il passo, per
-forza gli rimisono dentro, e la roba condussono nel castello. Certi
-villani del paese, pochi e male armati, con trenta femmine ch’aveano
-con loro saliti in alcuna parte sopra Malacoda, gridavano contro a’
-masnadieri ch’erano a quella guardia, e le femmine urlavano sanza
-arresto; i codardi masnadieri mandarono per soccorso al vicario messer
-Giovanni degli Alberti, il quale vi mandò cinquanta cavalieri, i quali
-si rimasono nella piaggia; il castello era fornito, e l’animo della
-gente codarda era di tornare in Mugello; que’ di Malacoda non vedendo
-venire soccorso, impauriti delle grida delle femmine abbandonarono il
-poggio, fuggendo alla china. I fanti degli Ubaldini, ch’erano settanta
-per novero, gli cominciarono a seguire, e lasciare i palvesi per essere
-più spediti, e le trenta femmine seguitavano rinforzando le grida:
-allora tutta l’oste si mosse senza attendere l’uno l’altro dirupandosi
-e voltolandosi per le ripe. Il vicario fu il primo che portò la novella
-della rotta alla Scarperia. L’altra parte de’ masnadieri ch’erano a
-Vagliano, sentendo fuggiti il capitano, e’ cavalieri e’ pedoni de’
-Prati e di Malacoda, si diedono a fuggire sanza essere incalciati. I
-cento fanti ch’aveano fornito il castello, sentendo fuggita l’oste
-d’ogni parte, vigorosamente stretti insieme, essendo usciti quelli
-del battifolle contro a loro, per forza gli rimisono nel battifolle,
-e tornaronsi nel castello, e di nuovo il rifornirono di legne: e poi
-l’altro dì, bene acconci e avvisati alla loro difesa, se ne tornarono a
-salvamento. Degli altri rimasono prigioni centoventi cavalieri, e più
-di trecento pedoni; morti n’ebbe pochi. Questa fu più notabile fortuna
-che gran fatto. Ha meritato qui d’essere notata per esempio della
-mala condotta, che spesso i vinti fa vincitori, e i vincitori vinti.
-Nella nostra città, in questi tempi, di così fatti falli non si tenea
-ragione, però spesso ricevea vituperoso gastigamento.
-
-
-CAP. XLII.
-
-_Maraviglie fatte a Roma per una folgore._
-
-Non senza cagione di singulare ammirazione vegnamo a fare memoria, come
-a dì 11 del mese di dicembre, già il cielo sgravato da impetuoso caldo
-solare, che suole nell’aria naturalmente generare folgori e tempeste,
-una disusata fortuna di venti e di tuoni turbò l’aria, e in quella
-tempesta una folgore cadde in Roma, e percosse il campanile di san
-Piero, e abbattè la cupola e parte del campanile, e tutte le grandi e
-nobili campane ch’erano in quello fece cadere, e trovaronsi quasi tutte
-fondute in quello punto, come fossono colate nella fornace. Questa pare
-una favola a raccontare, ma fu manifesto a molti che ’l vidono, da cui
-ne avemmo chiara e vera testimonianza. E molti il recarono in segno
-ovvero prodigio della seguente materia.
-
-
-CAP. XLIII.
-
-_Come morì papa Clemente sesto, e di sue condizioni._
-
-In questi dì, essendo malato papa Clemente sesto nella città d’Avignone
-in Provenza d’una continua, ond’era giaciuto sei dì, la notte vegnente
-la festa di santo Niccola, a dì 5 di dicembre, passò di questa vita,
-avendo tenuto il papato anni dieci e mesi sette. Costui fu natìo di
-Francia, e arcivescovo di Rouen, e grande amico e protettore del re
-Filippo di Francia, e per lui, innanzi al papato e poi che fu papa,
-assai cose fece; e a papa Giovanni venne per suo ambasciadore, e
-nella persona del detto re promise e giurò che farebbe il passaggio
-d’oltre mare. Costui fatto papa non restò di fare quanto il detto re
-seppe domandare, e molto scopertamente. Nella guerra ch’ebbe col re
-d’Inghilterra prese la parte del re di Francia, e assai vi consumò
-del tesoro di santa Chiesa. Larghissimo papa fu di dare i beneficii
-di santa Chiesa, e tanti ne stribuì a spettanti l’uno appresso
-l’altro, che non si trovava chi più ne domandasse, sanza il beneficio
-dell’_Anteferri._ Il suo ostiere tenne alla reale con apparecchiamento
-di nobili vivande, con grande tinello di cavalieri e scudieri, con
-molti destrieri nella sua malistalla. Spesso cavalcava a suo diporto,
-e mantenea grande comitiva di cavalieri e scudieri di sua roba. Molto
-si dilettò di fare grandi i suoi parenti, e grandi baronaggi comperò
-loro in Francia. La Chiesa rifornì di più cardinali suoi congiunti, e
-fecene de’ sì giovani e di sì disonesta vita, che n’uscirono cose di
-grande abominazione; e certi altri fece a richiesta del re di Francia,
-fra i quali anche n’ebbe de’ troppo giovani. A quel tempo non s’avea
-riguardo alla scienza o alle virtù, bastava saziare l’appetito col
-cappello rosso. Uomo fu di convenevole scienza, molto cavalleresco,
-poco religioso. Delle femmine assendo arcivescovo non si guardò, ma
-trapassò il modo de’ secolari giovani baroni: e nel papato non se ne
-seppe contenere nè occultare, ma alle sue camere andavano le grandi
-dame come i prelati; e fra l’altre una contessa di Torenna fu tanto
-in suo piacere, che per lei facea gran parte delle grazie sue. Quando
-era infermo le dame il servivano e governavano, come congiunte parenti
-gli altri secolari. Il tesoro della Chiesa stribuì con larga mano.
-Dell’italiane discordie poco si curò; e l’impresa fatta a sua stanza
-contro al tiranno di Bologna in sul buono abbandonò, e della vergogna
-di santa Chiesa non si fece coscienza, ma per i molti danari che
-l’arcivescovo di Milano largamente sparse ne’ suoi parenti e nel re di
-Francia ogni cosa gli perdonò, e intitolollo per la Chiesa vicario di
-Bologna. Vacò la Chiesa tredici dì. La cometa Nigra pronosticò la sua
-morte, la folgore di san Piero a Roma la sua fama consumata nel vile
-metallo.
-
-
-CAP. XLIV.
-
-_Come fu fatto papa Innocenzio sesto._
-
-Dopo la morte di papa Clemente sesto, i cardinali rinchiusi in conclave
-sentendo che il re di Francia s’affrettava di venire a Avignone per
-avere papa a sua volontà, la qual cosa non gli potea mancare, tanti
-cardinali aveva a sua stanza e di suo reame, ma non ostante che
-tutto il collegio de’ cardinali fosse stato al servigio del detto
-re, tuttavia per la riverenza della libertà di santa Chiesa, vollono
-innanzi avere fatto papa di loro movimento, che a stanza del re di
-Francia. E però di presente presono accordo tra loro, ed elessono a
-papa il cardinale d’Ostia nativo di Limogi, il quale era stato vescovo
-di Chiaramonte, uomo di buona vita, e di non grande scienza, e assai
-amico del re di Francia; la sua fama infra gli altri era di semplice
-e buona vita, e antico d’età; e fecesi ne’ papali palagi in Avignone
-a dì 28 di dicembre, gli anni _Domini_ 1352. Prese l’ammanto di san
-Piero e la corona del regno, e ne’ suoi principii ragionò d’ammendare
-la disonestà della corte, e fecene alcune buone costituzioni, e fecesi
-chiamare papa Innocenzio sesto.
-
-
-CAP. XLV.
-
-_Come usciti di prigione i reali del Regno s’arrestarono a Trevigi._
-
-In questo anno del mese di novembre, essendo liberati di prigione
-messer Ruberto Prenze di Taranto, e messer Luigi di Durazzo dal re
-d’Ungheria, se ne vennono a Vinegia; e ricevuto onore da quello
-comune, se n’andarono a Trevigi, e ivi attesono gli altri loro due
-fratelli messer Filippo di Taranto, e messer Ruberto di Durazzo. Il
-re d’Ungheria volle che i primi due reali essendo in loro libertà
-facessono certe obbligazioni, le quali non furono palesi, ma certo fu
-che a Trevigi vennero a loro ambasciadori del re d’Ungheria, e che da
-loro presono certe obbligazioni. E per avere questo tenne gli altri
-due fratelli tanto, che gli ambasciadori furono da Trevigi tornati in
-Ungheria colle cautele pubbliche di quello ch’elli aveano promesso, e
-allora furono licenziati messer Filippo di Taranto, e messer Ruberto
-di Durazzo, e vennonsene a Trevigi agli altri loro fratelli. E partiti
-di là se ne vennono a Ferrara, e appresso a Forlì, ricevuti in catuna
-parte a grande onore. E stando in Romagna, mandarono a Firenze per
-volere valicare nel Regno per la nostra città, e per lo nostro contado,
-ove si pensavano potere venire confidentemente a grande onore. Certi
-cittadini potenti, parziali di setta cittadinesca, che allora reggevano
-il comune, vietarono la loro venuta nella città, e il passo per lo
-contado, cosa incredibile a narrare, considerato l’antico e incorrotto
-amore di quella casa reale al nostro comune, e il sangue loro mescolato
-con quello de’ cittadini di Firenze, sparto nelle nostre battaglie
-in difensione di quella città, e ora vieta loro il passo per lo suo
-distretto, uomini usciti di prigione, senza arme e senza comitiva. Io
-mi vergogno a scrivere che quello che il nostro comune spesso concede
-a’ nemici fosse vietato a costoro. Se il comune ci avesse fallato,
-sarebbe detestabile cosa a trovare memoria di cotanta ingratitudine: ma
-considerata la singolare vilezza delle cittadine sette, figura della
-sfrenata tirannia, non è cosa maravigliosa. I reali non senza giusta
-cagione sdegnati presono altra via, e capitarono a Roma.
-
-
-CAP. XLVI.
-
-_Di novità state in Sangimignano._
-
-Ricordandoci de’ due fratelli dicollati degli Ardinghelli di
-Sangimignano, ci occorre come i loro consorti tennono che ’l fatto
-fosse per operazione de’ Salvucci di quella terra, onde i detti
-Ardinghelli provveduti d’aiuto di loro parenti e amici, a dì 20 di
-dicembre del detto anno levarono romore nella terra, e seguitati
-dalla maggior parte del popolo corsono alle case de’ Salvucci in su
-la piazza della pieve, e trovandoli sprovveduti alla difesa, senza
-fare resistenza furono cacciati di Sangimignano, e le loro case rubate
-e arse, e di tutti i loro seguaci; e la terra ch’era in guardia del
-comune di Firenze tennono per loro, temendo di non essere puniti
-del malificio commesso. I Salvucci cacciati co’ loro seguaci il dì
-della pasqua di Natale se ne vennono a Firenze, domandando l’aiuto
-del comune, sotto la cui guardia erano rubati e cacciati della loro
-terra. Dall’altra parte gli Ardinghelli col titolo e coll’autorità del
-comune mandarono ambasciadori a Firenze, dicendo, ch’aveano cacciati
-i ghibellini di Sangimignano, e la terra teneano a onore del comune
-di Firenze e di parte guelfa; e dove il comune l’avea per piccolo
-tempo, la voleano dare per maggiore, ove delle cose fatte non si
-facesse alcuna vendetta, e che i loro nimici non fossono rimessi nella
-terra. Il comune tenne sospeso un pezzo, cercando se modo v’avesse
-d’accordo, ma continovo cresceva la mala disposizione, diffidandosi gli
-Ardinghelli e i loro seguaci d’avere remissione di quello ch’aveano
-commesso, e aveano d’intorno a loro di mali consigliatori; onde per la
-contumace e per l’impotenza poco appresso ne seguì la suggezione di
-quella terra, come a suo tempo racconteremo.
-
-
-CAP. XLVII.
-
-_Come i comuni di Toscana mandarono solenni ambasciadori a Serezzana a
-trattare pace._
-
-Avvegnachè ne’ cominciamenti poca fede si prendesse per li Fiorentini e
-per gli altri comuni di Toscana della pace coll’arcivescovo di Milano,
-nondimeno avendo trattato prima co’ religiosi, e poi con abboccamento
-d’altri ambasciadori, e trovandosi convenienza alla pace, si ordinò più
-solenne ambasciata di tutti i comuni, i quali si convennono a Firenze,
-e in segreto si conferì la sostanza de’ patti; e il simigliante fece
-l’arcivescovo co’ suoi e con gli ambasciadori de’ ghibellini d’Italia,
-che concorrevano alla detta pace. E catuno comune diede libertà a’ suoi
-ambasciadori di potere fermare la concordia. E poi, il primo dì di
-gennaio del detto anno, andarono a Serezzana per dare compimento alla
-detta pace.
-
-
-CAP. XLVIII.
-
-_Di grandi tremuoti vennono in Toscana e in altre parti._
-
-A dì 25 di dicembre del detto anno, in sul vespro, furono grandi
-terremuoti, i quali abbatterono al Borgo a san Sepolcro una parte
-degli edifici della terra, con danno di bene cinquecento tra uomini
-e femmine e fanciulli morti. E la rocca d’Elci in su’ confini tra
-Arezzo e il Borgo subissò con que’ viventi che v’erano a guardarla per
-l’arcivescovo di Milano. E sollevati i tremuoti alquanti dì, poi a dì
-31 del detto mese, la notte, vegnente la mattina di calen di gennaio in
-sul mattutino, rinnovellarono maggiori terremuoti. E alla detta terra
-del Borgo furono sì terribili, che quasi tutti gli edifici di quella
-terra fece rovinare, nel cui scotimento, per la notte e per le ruine
-d’ogni parte, pochi ne poterono campare, fuggendosi ignudi negli orti
-e nelle piazze della terra, e quasi la maggiore parte de’ terrazzani
-e de’ forestieri che v’erano feciono delle case sepoltura a’ lacerati
-corpi, e molti magagnati e mezzi morti stettono parecchi dì senza
-aiuto sotto le travi e’ palchi e altre concavità fatte dalla ruina, e
-assai ne morirono che sarebbono campati se avessono avuto soccorso.
-Le mura della terra da ogni parte caddono: e di vero gran pietà fu a
-vedere l’eccidio di cotanti cristiani involti in così aspro giudicio
-dalla loro morte, che fatto conto, più di duemila uomini d’ogni sesso
-spirarono sotto quelle rovine. E non è da lasciare senza memoria quello
-ch’avvenne loro per essere sotto la tirannia, che per paura de’ primi
-terremuoti erano usciti della terra e stavano a campo, e sarebbono
-campati, ma per tema della terra messer Piero Sacconi, e Nieri da
-Faggiuola col vicario dell’arcivescovo vi cavalcarono, e per forza
-costrinsono i terrazzani e’ soldati a ritornare nella terra. Alcuni
-favoleggiando dissono, che questo fu singolare sentenza di Dio, perchè
-costoro furono i primi in Toscana che diedono ricetto alla gente del
-gran tiranno arcivescovo di Milano, in confusione de’ loro circostanti;
-e tutte le prede indebitamente tolte a’ loro vicini comperavano per
-niente, ingrassando e arricchendo di quelle indebitamente, non avendo i
-detti terremuoti fatto alcuno danno in Toscana.
-
-
-CAP. XLIX.
-
-_Come i Sanesi andarono a oste a Montepulciano._
-
-Essendo i signori della casa de’ Cavalieri di Montepulciano divisi e
-cacciati l’uno l’altro, come addietro è dimostrato, quelli ch’erano
-rimasi signori teneano l’amistà de’ Perugini, e gli usciti quella
-de’ Sanesi, onde avvenne che i Sanesi volevano che la terra tornasse
-al governamento del popolo; e temendo coloro che la reggevano per
-lo movimento de’ Sanesi, si fortificarono con aiuto di gente d’arme
-de’ Perugini, e per questo i Sanesi cominciarono a cavalcare sopra
-loro. E i terrazzani colle masnade de’ Perugini e de’ loro soldati
-s’aiutavano francamente, facendo vergogna alla cavalleria de’ Sanesi, e
-per questo presono sdegno contro a’ Perugini. E del comune di Firenze
-si dolsono, perchè richiesti a questa impresa non vollono contro agli
-amici loro guelfi dare loro aiuto. E tanto montò l’altezza dello sdegno
-de’ Sanesi, che si fornirono di gente d’arme a piè e a cavallo, e
-misonsi all’assedio di Montepulciano, e quello continovarono infino
-al maggio seguente 1353, e strinsonlo con battifolli; e’ Perugini per
-non dispiacere a’ Sanesi ne ritrassono la gente loro. I Fiorentini
-e’ Perugini mandarono gli ambasciadori a trovare modo di pace e di
-concordia tra ’l comune di Siena e quello di Montepulciano, i quali
-vi dimorarono lungamente, innanzi che potessono recare le parti a
-concordia. E perocchè nel detto tempo altre cose occorsono, conviene
-per dare parte a loro alquanto soggiornare alla presente materia.
-
-
-CAP. L.
-
-_Come Gualtieri Ubertini fu decapitato._
-
-In questo medesimo mese di dicembre fu preso in un aguato da’ soldati
-del comune di Firenze, a Civitella del vescovo d’Arezzo, Gualtieri
-figliuolo di Bustaccio degli Ubertini, giovane di grande fama, valoroso
-e pro’, e di grande aspetto e seguito, il quale per comandamento
-del comune fu menato a Firenze: e credendosi campare, trovandosi il
-bando generale di tutti quelli della casa degli Ubertini per la loro
-ribellione, la vigilia di Natale fu dicollato, di cui gli Ubertini
-riceverono gran danno, perocchè troppo era giovane di buono aspetto. A
-costui fu tagliata la testa dirimpetto allo spedale di sant’Onofrio; e
-messo il corpo nella cassa in due pezzi, e portandosi alla chiesa di
-santa Croce, venuto a piè del campanile di quella chiesa, per spazio
-d’una saettata di balestro o più il corpo si dibattè, e aperse le
-giunture della cassa con tanto dicrollamento, che a pena fu ritenuta
-che non cadde di collo agli uomini che ’l portavano; cosa assai
-maravigliosa, ma fu vera e manifesta a molti, e noi l’avemmo da coloro
-che ’l detto corpo nella cassa portarono, uomini degni di fede.
-
-
-CAP. LI.
-
-_Come il duca d’Atene assediò Brandizio._
-
-In questi dì, avendo il re Luigi fatta certa richiesta di baroni del
-Regno, fra gli altri vi venne messer Filippo della Ripa di Brandizio,
-ricco d’avere e di piccola nazione, da cui il re con finte cagioni
-intendea di trarre di molti danari. A costui fu rivelata l’intenzione
-del re, ond’egli senza congio si ritornò in Puglia. Il re fattolo da
-capo richiedere per contumacia, ebbe cagione di farlo bandire. Il
-duca d’Atene che colle sue terre gli era vicino, per torgli il suo, e
-per potere sotto la coverta di costui prendere Brandizio, se n’andò
-in Puglia; e presa licenza di procacciare di recare al fisco i beni
-di costui ch’era bandeggiato, raunò gente d’arme, e non sappiendo
-il re che procedesse per questo modo, fece di suoi Franceschi e
-d’altri soldati quattrocento cavalieri e millecinquecento pedoni, e
-andò a oste a Brandizio. I terrazzani vedendosi questa gente addosso
-improvviso si maravigliarono forte, e conobbono il fatto tirannesco, e
-di presente s’unirono alla difesa, e non lo lasciarono accostare alla
-città. Puosesi a campo di fuori, e cominciò a correre e fare preda
-per lo paese d’intorno. Sentendo questo il re Luigi si maravigliò del
-duca, che faceva di suo arbitrio quello che non gli era commesso, e
-incontanente per lettere gli mandò comandando che da Brandizio si
-dovesse levare: ma poco valsono i suoi comandamenti, che vi s’affermò
-credendosi occupare quella terra con tirannesca intenzione. Sopravvenne
-la tornata del Prenze di Taranto, e il re per farli onore, ch’era d’età
-suo maggiore fratello, sentita la volontà de’ cittadini ch’aveano
-amore al Prenze, così assediata glie la privilegiò; e i cittadini di
-concordia l’accettarono per loro signore, e allora il duca se ne levò
-da assedio.
-
-
-CAP. LII.
-
-_Come i Perugini feciono pace co’ Cortonesi._
-
-In questo verno, sentendosi per l’Italia che a certo la pace generale
-si dovea fare tra i comuni di Toscana, e l’arcivescovo di Milano e’
-suoi aderenti ghibellini, i Cortonesi per mostrare più liberalità a’
-Perugini, e il comune di Perugia per non obbligarsi al patto della
-generale pace, di concordia vollono pervenire a quella, e di buona
-volontà feciono pace tra loro. È vero che innanzi la pace i Cortonesi
-non fidandosi de’ Perugini domandarono sodamenti, e il comune di
-Perugia a grande istanza richiese il comune di Firenze, che fosse
-mallevadore per lui a’ signori e al comune di Cortona di diecimila
-marchi d’argento, che manterrebbe a’ Cortonesi buona e leale pace. Il
-nostro comune mosso alle richieste di quello di Perugia, fece sindaco
-un suo cittadino chiamato Otto Sopiti, e per lui fece il sodamento e
-l’obbligagione predetta a’ signori e al comune di Cortona liberamente,
-come i Perugini seppono divisare.
-
-
-CAP. LIII.
-
-_Come il popolo di Gaeta uccisono dodici loro cittadini per la carestia
-ch’aveano._
-
-Ancora lo stato dello sviato Regno non era queto dalla fortuna e in
-debito reggimento, essendo quest’anno generale carestia in Italia, il
-minuto popolo di Gaeta, avendo invidia a’ buoni e ricchi cittadini
-mercatanti di quella città, del mese di dicembre del detto anno si
-mossono a furore e presono l’arme, e furiosi corsono per la terra,
-a intenzione d’uccidere quanti trovare potessono di loro maggiori:
-e in quell’empito uccisono dodici de’ migliori che trovarono senza
-alcuna misericordia, grandi e onesti e buoni mercatanti; gli altri
-si fuggirono e rinchiusono in luoghi ove il furore del popolo non si
-potè stendere. Il re Luigi avendo intesa questa iniquità vi cavalcò
-in persona con gente d’arme per farne giustizia, e giunto in Gaeta,
-fece inquisizione di questo fatto; la cosa fu scusata per la furia
-d’alquanti, e furono presi e giustiziati de’ meno possenti; degli altri
-si fece composizione di moneta, e chi fu morto s’ebbe il danno, e la
-corte pervertì; e racquetata la cosa, il re gli ordinò, e tornossene a
-Napoli.
-
-
-CAP. LIV.
-
-_Come il papa volle trattare pace da’ Genovesi a’ Veneziani._
-
-In questo medesimo verno, papa Innocenzio mandò al comune di Genova e a
-quello di Vinegia che mandassono a lui gli ambasciadori ch’erano stati
-a papa Clemente a trattare della loro pace, e per la morte sopravvenuta
-del detto papa se n’erano partiti senza essere d’accordo, perocch’egli
-intendea di metterli in pace giusta suo podere. I Genovesi non vollono
-tornare a corte, nè entrare in trattato di pace co’ Veneziani, anzi
-ordinarono lega e compagnia col re d’Ungheria contro a’ Veneziani. E
-il detto re avendo promessa compagnia co’ Genovesi mandò a Venezia
-al comune che gli dovesse restituire Giara, e l’altre città e terre
-ch’aveano occupate del suo reame nella Schiavonia. I Veneziani feciono
-agli ambasciadori quella savia risposta che seppono, facendosi tra
-loro beffe della sua domanda; nondimeno non senza paura, e con molta
-sollicitudine e con grande spendio fornirono a doppio, oltre all’usato,
-tutte le terre che teneano in quella marina.
-
-
-CAP. LV.
-
-_Come i Fiorentini osteggiaro Sangimignano, e fecionli ubbidire._
-
-Addietro è narrato come quelli che reggeano Sangimignano teneano
-trattato col comune di Firenze, ma non fidando, non si poteano per
-lo comune riducere a fermezza, e il comune temendo che in questa
-vacillazione peggio non ne seguisse, del mese di febbraio del detto
-anno vi mandò messer Paolo Vaiani di Roma, allora podestà di Firenze,
-con seicento cavalieri e con grande popolo, i quali giunti intorno alla
-terra, e non avendo risposta da quelli d’entro, a volontà del nostro
-comune vi si misono a campo, e cominciarono a dare il guasto; ma però
-alcuno Sangimignanese o loro gente d’arme non uscirono fuori per fare
-alcuna resistenza o altra vista, ma dopo il ricevuto danno vennono alla
-concordia, che il comune di Firenze dovesse fare la pace fra loro e
-gli usciti, e che d’allora gli usciti avessono i frutti de’ loro beni,
-ma dovessono stare fuori della terra sei mesi, e fatta la pace tra gli
-Ardinghelli e’ Salvucci, per lo comune di Firenze detto, e’ potessono
-tornare nella terra: e che il comune di Firenze oltre al termine de’
-tre anni che ne dovea avere la guardia l’avesse anche cinque anni, e
-che per patto vi tenesse settantacinque cavalieri col capitano della
-guardia alle loro spese. E fatto il decreto e le cautele per i loro
-consigli, e ricevuto il capitano colla sua compagnia, l’oste se ne
-tornò a Firenze.
-
-
-CAP. LVI.
-
-_Come in Italia fu generale carestia._
-
-In questo anno fu generale carestia in tutta Italia; in Firenze
-cominciò di ricolta a valere lo staio del grano soldi quaranta di
-libbre cinquantadue lo staio, e in questo pregio stette parecchi mesi:
-poi venne montando tanto, che andò in lire cinque lo staio, i grani
-cattivi e di mal peso. Le fave lire tre lo staio, e così i mochi e
-le vecce: il panico soldi quarantacinque in cinquanta, e la saggina
-soldi trenta in trentacinque. Il vino di vendemmia valse il cogno
-fiorini sei d’oro del più vile, e otto e dieci il migliore, e montò
-in fiorini quindici il cogno. La carne del porco senza gabella lire
-undici il centinaio; il castrone denari ventotto in trenta la libbra
-tutto l’anno. La vitella di latte montò danari trentadue in quaranta
-la libbra; l’uovo danari cinque e sei l’uno; l’olio lire cinque e
-mezzo in sei l’orcio, di libbre ottantacinque. Tutti erbaggi furono
-in somma carestia; e in que’ tempi valea il fiorino dell’oro lire tre
-soldi otto di piccioli. Tutti drappi da vestire, di lana, e di lino, e
-di seta, furono in notabile carestia, e così il calzamento. E benchè
-abbiamo fatto conto di Firenze, in quest’anno fu tenuto in tutta Italia
-che Firenze avesse così buono mercato comunalmente come alcuna altra
-terra. Ed è da notare, che di così grande e disusata carestia il minuto
-popolo di Firenze non parve che se ne curasse, e così di più altre
-terre; e questo avvenne perchè tutti erano ricchi de’ loro mestieri:
-guadagnavano ingordamente, e più erano pronti a comperare e a vivere
-delle migliori cose, non ostante la carestia, e più ne devano per
-averle innanzi che i più antichi e ricchi cittadini, cosa sconvenevole
-e maravigliosa a raccontare, ma di continova veduta ne possiamo fare
-chiara testimonianza. E quello che a altri tempi innanzi alla generale
-mortalità sarebbe stato tomulto di popolo incomportabile, in quest’anno
-continovo improntitudine e calca del minuto popolo fu nella nostra
-città ad avere le cose innanzi a’ maggiori, e di darne più che gli
-altri. E così festeggiava, e vestiva e convitava il minuto popolo, come
-se fossono in somma dovizia e abbondanza d’ogni bene.
-
-
-CAP. LVII.
-
-_Come i Romani uccisono colle pietre Bertoldo degli Orsini loro
-senatore._
-
-Senatori di Roma erano il conte Bertoldo degli Orsini e Stefanello
-della Colonna, e dal popolo erano infamati d’avere venduta la tratta,
-e lasciato trarre il grano della loro Maremma, e questo era fatto per
-loro, non pensando che ’l grano andasse in così alta carestia. In
-Campidoglio si faceva il mercato a dì 15 di febbraio del detto anno, e
-la sù abitavano i senatori; e accoltovisi grande popolo per comperare
-del grano, e trovandone poco e molto caro, corsone a furore al palagio
-de’ senatori con le pietre in mano. Stefanello ch’era giovane fu
-accorto, e innanzi che il popolo moltiplicasse al palagio col furore si
-fuggì per una porta di dietro, e salvò la persona; il conte Bertoldo
-fu più tardo, e volendosi fuggire, fu sorpreso dal furore di quel
-popolo, e colle pietre lapidato e morto: e tante glie ne gittarono
-addosso, acciocchè catuno fosse partecipe a quella vendetta, che bene
-due braccia s’alzò la mora delle pietre sopra il corpo morto del loro
-senatore; e fatto questo, il popolo comportò la carestia più dolcemente.
-
-
-CAP. LVIII.
-
-_Come fu tagliata la testa a Bordone de’ Bordoni._
-
-In questi dì, del mese di febbraio sopraddetto, essendo podestà
-di Firenze messer Paolo Vaiani di Roma, uomo aspro e rigido nella
-giustizia, avendo presa informazione di mala fama contro a Bordone
-figliuolo che fu di Chele Bordoni, antico e grande e potente popolano
-di Firenze, essendo questo giovane sopra gli altri leggiadro e di
-grande pompa, il fece pigliare per ladro, apponendogli molti furti, e
-tutti per martorio gliel fece confessare. I suoi consorti, ch’erano
-in grande stato in comune, co’ priori e collegi il difendeano, e non
-parea loro che il podestà il dovesse condannare a morte; il mormorio
-del popolo minuto era contro a lui, e ’l podestà non si volea muovere
-ad alcuno priego de’ signori; onde avvenne, per male consiglio, ch’e’
-priori, acciocchè ’l podestà non potesse fare uficio, cassarono tutta
-la sua famiglia. Costui più inacerbito lasciò la bacchetta della sua
-podesteria a’ priori, e tornossi al palagio come privato uomo. Il
-mormorio si levò grande nella città contro a’ priori, e parendo loro
-avere fatto male, con ogni preghiera cercarono di poterlo ritenere;
-ma l’astuto Romano, sentendo scommosso il popolo, la notte montò a
-cavallo e andossene a Siena. Il popolo sentendolo partito, quasi come
-comunità rotta trassono al palagio de’ priori e a quello della podestà,
-e doleansi dicendo, che i potenti cittadini che facevano i grandi mali
-non voleano che fossono puniti, e i piccoli e impotenti cittadini
-d’ogni piccolo fallo erano impiccati, e smozzicati, e dicollati; e per
-questa novità fu la città in grande smovimento, operandosi l’animosità
-delle sette. I signori vedendo la città a cotal condizione, di subito
-gli mandarono ambasciadori, e con fiorini duemilacinquecento d’oro che
-gli diedono per suoi interessi fecionlo ritornare: e ritornato, per
-grazia fece dicollare Bordone, e il popolo fu racquetato.
-
-
-CAP. LIX.
-
-_Come si pubblicò la pace dall’arcivescovo a’ comuni di Toscana._
-
-Gli ambasciadori de’ comuni di Toscana che furono mandati a Sarezzana
-per fermare la pace coll’arcivescovo di Milano, e co’ suoi aderenti
-ghibellini di Toscana e d’Italia, trovarono la materia sì acconcia,
-eziandio contro alla speranza, che di presente vi dierono fermezza, del
-mese di marzo 1352; e appresso, il primo dì d’aprile 1353, si piuvicò
-in parlamento di tutto il popolo. E quanto che catuno desiderasse
-pace per cagione di riposo e di fuggire spesa, niuna festa se ne
-fece, nè niuno rallegramento nel popolo se ne vide, quasi stimando
-catuno la pace del potente tiranno troppo vicino, essere più nel
-suo arbitrio sottoposta a inganno che a fermezza di certo riposo.
-Nella pace in sostanza si contenne, che generale e perpetua pace sia
-tra l’arcivescovo di Milano, e tutte le sue città e distrettuali, e
-tutti coloro che con lui furono nella guerra contro a’ Fiorentini,
-e’ Perugini, e’ Sanesi, e’ loro distrettuali, Pistoiesi, e Aretini,
-e altri simiglianti, tutti da catuna parte e aderenti loro debbano
-osservare buona e leale pace; e l’arcivescovo è tenuto di mettere in
-mano comune la Sambuca e ’l Sambucone: e fatto questo, il comune di
-Firenze un mese appresso debba disfare la rocca di Montegemmoli, con
-patto, che disfatta debba riavere le dette castella depositate; e il
-detto Montegemmoli non si debba per alcuna parte redificare: e che
-i Fiorentini debbano rendere Lozzole agli Ubaldini, e l’arcivescovo
-Piteccio e l’altre tenute de’ Pistoiesi; e che il comune di Firenze dee
-trarre di bando tutti coloro che fossono bandeggiati per quella guerra,
-e chiunque fosse dichiarato aderente del detto arcivescovo: patto assai
-pregno, e doppio, e poco accetto, la cui dichiarazione fu commessa a
-Lotto e a Franceschino Gambacorti di Pisa, mezzani di questa pace.
-Questo fu assai lieve legame di pace, avvegnachè ci si stipulasse pena
-fiorini dugentomila d’oro, ma per la grandezza del signore di Milano,
-e per la potenza de’ tre comuni che non si avvilivano per lui, rimase
-contenta catuna parte al legame del titolo della pace, senza altra
-sicurtà dimandare o prendere.
-
-
-CAP. LX.
-
-_L’inganno ricevette il comune di Firenze dagli sbanditi._
-
-Il comune di Firenze in questo fatto degli sbanditi fu ingannato da’
-suoi medesimi ambasciadori, de’ quali niuno si potè incolpare, ch’erano
-secolari, e uomini che non sapeano quello ch’e’ titoli de’ giudici
-portassono, e a loro non se n’aspettava alcuna cosa, ma incolpato ne
-fu un savio giudice e grande avvocato chiamato messer Niccola Lapi,
-di lieve nazione, sospetto a parte, ma per la sua scienza il comune
-gli commise l’ordinazione delle scritture per non essere ingannato.
-Costui lasciò ne’ patti un capitolo non promesso nè pensato, per lo
-quale tutti gli sbanditi e rubelli del comune di Firenze poteano essere
-ribanditi e ristituiti ne’ loro beni, e così degli altri comuni di
-Toscana. E il pertugio di questo titolo fu, che a’ patti s’aggiunse,
-che tutti gli aderenti, e parenti e seguaci di messer Carlino Tedici
-e de’ consorti ribelli di Pistoia, dovessono essere ribanditi, e
-restituiti ne’ beni di qualunque bando o condannagione ch’avessono dal
-comune di Pistoia, e questa fu l’intenzione vera: ma arroso fu, e di
-Firenze, e di Perugia, e di Siena, e dell’altre terre di Toscana, salvo
-chi avesse avuto bando nel tempo della guerra, essendo all’ubbidienza
-del comune di Pistoia: bando enorme e non parziale. Qui si comprese la
-malizia di questo fallo: se per errore fu commesso, grande vergogna
-fu al savio avvocato, se per malizia, meritò grande pena, perocchè
-sotto quel titolo messer Carlino faceva suo aderente cui egli voleva;
-e Franceschino e Lotto gli dichiaravano, e ’l savio consigliava, e ’l
-notaio ch’era sopra ciò cancellava; e avevane già dichiarati più di
-duemila, e cancellati da trecento. Ed era una mercatanzia tra tutti di
-grande guadagno, ma di maggiore danno e vergogna del nostro comune, e
-molto se ne dolevano i cittadini. Ma gli autori del fatto, con mettere
-paura di non conturbare la pace, ogni lingua acchetavano, e le borse
-si empievano. E procedendo a voto il primo fallo, un altro se n’arrose
-per l’avvocato già detto, contro al beneficio ricorso a utilità della
-patria, che i dichiaratori da Pisa aveano mandato a Firenze intorno di
-sedici dichiarazioni fatte nel principio in diversi dì, acciocchè a
-Firenze fossono per lo notaio diputato sopra ciò cancellati di bando.
-Le dichiarazioni furono portate al detto messer Niccola Lapi, il quale
-vide che per l’ordine de’ patti non se ne poteva cancellare per ragione
-più che quelli ch’erano dichiarati per lo primo dì, e da quel dì
-innanzi il comune di Firenze era libero della sua promessa. Costui di
-presente le rimandò a dietro, e scrisse, che non valeano dichiaragioni
-che facessono separate in diversi dì; e per questo avvenne, che poi
-quelle che si feciono, e che si mossono a fare in diversi e lunghi
-tempi, le riducevano a essere fatte nel primo dì che gli cominciarono
-a dichiarare, commettendo in questo processo frode, e facendo fare
-le carte false, che furono più di trecento quelle che si recarono
-a cancellare. Di cotali falli il comune s’avvedeva e doleva, ma le
-preghiere degli amici non lasciavano al comune fare giustizia in questi
-tempi. Ma de’ mali principii riesce spesse volte mal frutto, come in
-parte uscì di questo, secondo che appresso diviseremo, mutando un poco
-nostro ordine di travalicare il tempo per imporre fine a questa materia.
-
-
-CAP. LXI.
-
-_Di questa medesima materia._
-
-Avvenne, valicato l’anno predetto, che di questa corrotta radice
-procedette una corruzione che terminò la causa e la vita del notaio
-a ciò diputato, e d’un giudice ch’avea cominciato a pascersi sopra
-questa carogna. A ser Francesco di ser Rosso notaio di grande autorità,
-ch’aveva procurato questo uficio, fu portata carta d’una dichiarazione
-d’uno Ghiandone di Chiovo Machiavelli condannato, uomo infame e di mala
-condizione; del nome e soprannome di costui erano rimase certe lettere,
-il mese e l’altre rase, e sottilmente per simiglianti lettere rimesse,
-e con molta istanzia per alcuno suo consorte, e alcuno amico allora de’
-priori, fu stretto ser Francesco a cancellarlo, e messer Corbizzesco
-giudice da Poggibonizzi a consigliarlo. I quali più volonterosi al
-servigio che a conoscere la malizia ch’appariva nella carta, benchè
-tutta paresse una lettera, il savio consigliò, e il notaio cancellò. E
-sentendosi la diliberazione di costui a Pisa, Franceschino Gambacorti
-scrisse a’ signori scusandosi, che costui per la sua infamia mai non
-avea voluto dichiarare. Onde preso il notaio, e appresso il giudice,
-per il marchese dal Monte valente podestà di Firenze, dopo lunga
-discettazione e combattimento di cittadini, e d’immunità di privilegio
-ch’aveva ser Francesco, mercoledì a dì 21 di maggio 1354 avendoli
-condannati al fuoco, per grazia commutò la pena, e colle mitere in
-capo li fece dicollare. Per la morte di ser Francesco mancò il potere
-cancellare; e mancato questo, si rimase il dichiarare, e il comune
-dimenticò gli altri falli per questa cagione, e per troppa mansuetudine.
-
-
-CAP. LXII.
-
-_Come messer Piero Sacconi de’ Tarlati tentò di fare grande preda
-innanzi che fosse bandita la pace._
-
-Messer Piero Sacconi de’ Tarlati ch’aveva in Bibbiena delle masnade
-dell’arcivescovo di Milano, sentendo ferma la pace, innanzi ch’ella
-si bandisse, come volpe vecchia, accolse gente quanta ne potè avere,
-a piè e a cavallo, e sapendo che i villani del contado d’Arezzo per
-la novella della pace s’assicuravano colle bestie a’ campi, cavalcò
-subitamente il contado d’Arezzo infino a Laterina, accogliendo il
-bestiame, e mettendosi la preda innanzi. I paesani stormeggiando da
-ogni parte s’avvidono del fatto, e feciono tanto, che per campare
-le persone i cavalieri e’ masnadieri abbandonarono la preda, e con
-vergogna tornarono a Bibbiena. E per simil modo in questi medesimi dì i
-soldati del Biscione ch’erano a Montecarelli con il conte Tano corsono
-in Mugello per fare preda, innanzi che la pace fosse pubblicata. Il
-vicario della Scarperia co’ soldati de’ Fiorentini gli cacciarono de’
-campi fino a Montecarelli. Queste cavalcate non erano degne di memoria,
-ma per esempio a’ popoli che non sono offenditori, che almeno si
-guardino, acciocchè non incorrino nell’antico proverbio, che dice, tra
-la pace e la triegua guai a chi la lieva.
-
-
-CAP. LXIII.
-
-_Come il corpo di messer Lorenzo Acciaiuoli fu recato del Regno a
-Firenze, e seppellito a Montaguto a Certosa onoratamente._
-
-Togliendone la quiete della pace materia da scrivere, forse alcuna
-scusa ci fa a raccontare quello ch’ora scriveremo di privata novità.
-Messer Niccola Acciaiuoli di Firenze grande siniscalco del reame di
-Sicilia, governatore del re Luigi, aveva un figliuolo primogenito
-cavaliere e grande barone, appartenendogli la moglie promessa della
-casa di Sanseverino, giovane provato in arme, adorno di belli costumi,
-grazioso e di grande aspetto. Costui, come a Dio piacque, innanzi al
-tempo, all’aspetto degli uomini, rendè l’anima a Dio, e morì nel Regno
-in assenza del padre. Ed essendogli annunziata la morte a Gaeta di
-cotanto caro e diletto figliuolo, il magnanimo ristrinse il dolore
-dentro senza mutare aspetto, e colla molta pazienza, e con abito ornato
-di grandi virtudi comportò la morte del caro figliuolo, dicendo, io era
-certo che dovea morire, e che credeva che Iddio avesse eletto il tempo
-di più salute dell’anima sua. E avendo egli grande devozione al nobile
-monistero edificato a sua stanza in sul poggio di Montaguto, posto tra
-la Greve e l’Ema, presso alla città di Firenze, a due miglia, il quale
-si chiama il monistero di Certosa, quivi mandò con grande comitiva e
-spesa a seppellire il corpo del figliuolo. E recato prima a Firenze, e
-fatti gli ornamenti più che militari, e invitati per i consorti tutti i
-buoni cittadini, a dì 7 d’aprile 1353 fu portato alla sepoltura in una
-bara cavalleresca, con due grandi destrieri, l’uno dinanzi e l’altro
-didietro, coperti di zendado coll’arme degli Acciaiuoli, e la bara
-ov’era la cassa col corpo era coperta con fini drappi e baldacchini di
-seta e d’oro, e disopr’essi veluto chermisi fine, e in su i cavalli gli
-scudieri vestiti a nero che guidavano i cavalli con la bara; e innanzi
-alla bara avea sette scudieri in su sette grandi destrieri, tutti
-coperti infino a terra, innanzi con l’arme d’argento battuto degli
-Acciaiuoli: i due primi catuno portava uno cimiere, il terzo portava lo
-stendale, e gli altri quattro seguenti catuno una grande bandiera tutta
-di quell’arme con le targhe rilevate nel campo azzurro, e un leone
-rampante bianco com’è la detta arme, con grande novero di doppieri
-dinanzi e intorno al corpo, cosa magnifica a ogni barone, eziandio
-se fosse della casa reale. I grandi e orrevoli cittadini di Firenze
-accompagnarono il corpo infino alla porta a san Piero Gattolino; poi
-gran parte montati a cavallo andarono col corpo infino al monistero, e
-gli altri si tornarono a casa. Abbiamo fatta questa memoria perchè fu
-nuova e disusata alla nostra città, e magnifica all’autore di quella,
-che più di cinquemila fiorini d’oro costò la spesa.
-
-
-CAP. LXIV.
-
-_Come si fe’ l’accordo da’ Sanesi a Montepulciano._
-
-I Sanesi avendo voglia di vincere Montepulciano, essendovi stati ad
-assedio lungamente, vi puosono un gran battifolle molto di presso.
-Nella terra avea buone masnade di cavalieri e di masnadieri, i quali
-spesso avrebbono danneggiati i Sanesi, se fossono stati lasciati
-guerreggiare, ma com’è detto addietro, essendo l’una parte e l’altra
-guelfi e amici de’ Fiorentini e de’ Perugini, essendo con catuno gli
-ambasciadori de’ detti comuni nel campo e nella terra, e benchè fosse
-molto malagevole, infine gli recarono a questa concordia: che la terra
-rimanesse al governamento del popolo, e stesse venti anni nella guardia
-del comune di Siena, tenendovi un capitano di guardia con quindici
-cavalieri e con venti fanti, avendo in sua signoria una delle porti
-della terra e una campana, e che i Sanesi dovessono dare contanti,
-infra certo termine, a messer Niccolò de’ Cavalieri per ristoro delle
-spese fatte fiorini seimila, e dovesse stare dieci anni con immunità
-personale e reale in quella sua terra; e a messer Iacopo de’ Cavalieri
-che n’era fuori dovessono dare fiorini tremila d’oro, e riavere le
-rendite de’ suoi beni: per lo quale accordo i due comuni per loro
-sindacato furono mallevadori. E fatto questo, a dì 2 di maggio del
-detto anno i Sanesi presono la guardia ordinata, e levarsi da campo;
-e rifornita la terra, allegri, con bella e buona pace si tornarono a
-Siena, grati del beneficio ricevuto da’ due comuni, come l’operazioni
-di corrotta fede appresso dimostreranno.
-
-
-CAP. LXV.
-
-_D’una notabile grandine venuta in Lombardia, e d’altro._
-
-A dì 7 del mese di maggio del detto anno, turbato il tempo con ravvolto
-enfiamento di nuvoli, ristretta la materia umida da’ venti d’ogni
-parte, con disordinato empito sopra la città e parte del contado di
-Cremona ruppe, mandando sopra quella pietre sformate di grandine, la
-quale, cui trovò alla scoperta, uomini e femmine, percotendo li uccise,
-e la città premette sì forte, che tutte le copriture de’ tetti ruppe
-e macinò senza rimedio, con grandissimo danno de’ cittadini. E le
-pietre della grandine ch’erano maggiori si trovarono di libbre otto e
-once tre, e le minori erano d’una libbra di peso. In questo medesimo
-tempo l’arcivescovo di Milano mandò per fare redificare le mura e case
-del Borgo a san Sepolcro, rovinate e guaste per lo tremuoto, trecento
-maestri. I Borghigiani rimasi in vita erano tutti ricchi sopra modo
-per l’eredità de’ morti, e per gli sconci guadagni delle prede de’
-loro vicini condotte al Borgo, e perchè a’ soldati al continovo aveano
-venduto caro la loro vittuaglia e gli altri arnesi, e però, venuti i
-maestri, cominciarono a edificare le case e’ palagi, e a fare troppo
-più nobili e più belli abituri che prima non aveano: ma poco poterono
-edificare, che la terra mutò stato, come appresso nel suo tempo
-racconteremo.
-
-
-CAP. LXVI.
-
-_Come sotto le triegue procedettono le cose in Francia._
-
-Essendo alcuno tempo durate le triegue tra il re di Francia e quello
-d’Inghilterra, infra il detto tempo alquante terre in Brettagna
-e alcuna in Guascogna che si teneano per lo re di Francia, per
-ingegno e per malizioso sommovimento s’arrecarono dalla parte del
-re d’Inghilterra; per la qual cosa turbato il re di Francia, fece
-bandire la guerra per tutto il suo reame: e a ciò lo indusse non meno
-certi trattati scoperti contro della sua persona, ch’e’ baratti di
-quelle terre. E fatto questo, del mese di maggio del detto anno, il
-cardinale di Bologna, e gli altri prelati e baroni che trattavano la
-pace si misono al riparo, e tanto operarono, che triegue si rifeciono
-tra i detti re. E stando le cose di là in successioni di triegue, non
-accaddono in lungo tempo cose notevoli in que’ paesi.
-
-
-CAP. LXVII.
-
-_Come i Genovesi spregiarono la pace de’ Veneziani._
-
-Tornando nostra materia a’ fatti de’ Genovesi e de’ Veneziani, in
-questo primo tempo del detto anno i Genovesi levarono lo stendale di
-sessanta galee, le quali incontanente cominciarono ad armare, e per
-la compagnia ch’aveano fatta col re d’Ungheria contro a’ Veneziani
-v’aggiunsono l’arme del detto re; e intendeano, che come e’ fossono
-colla loro armata in mare, che ’l detto re avesse in Ischiavonia i
-suoi Ungheri a fare guerra per terra a’ Veneziani, come avea promesso.
-E certe galee ch’aveano allora in concio d’arme mandarono improvviso
-nel golfo a’ Veneziani, le quali feciono in quello grave danno di
-rubare molti legni che vi trovarono, traendone l’avere sottile, e
-profondando i legni in mare; e con due loro galee sottili bene armate
-valicarono san Niccolò del Lido, ed entrarono nel canale grande, e
-nella città saettarono molti verrettoni. E tornandosi addietro, le
-galee della guardia del golfo ch’erano per novero più che le genovesi,
-potendosi abboccare con loro, non ebbono ardimento, che la paura del
-re d’Ungheria gl’impacciava forte più che de’ Genovesi, per tema che
-non traboccasse loro addosso la sua grande potenza. Le galee genovesi
-non avendo contasto s’uscirono del golfo, e andarono al loro viaggio,
-avendo fatto gran vergogna a’ Veneziani.
-
-
-CAP. LXVIII.
-
-_Come i Veneziani si provvidono._
-
-Il comune di Vinegia sentendo l’armata de’ Genovesi e le minacce del re
-d’Ungheria, e non volendoli rendere le terre marine della Schiavonia,
-conobbono che la necessità gli strignea a trovar modo di difendersi
-per mare e per terra. E però guernite le loro terre per la difesa, con
-grande e buona provvisione mandarono solenne ambasciata all’imperadore,
-pregandolo che procacciasse in loro servigio che il re d’Ungheria
-non movesse loro guerra a stanza de’ Genovesi; e un’altra ambasciata
-mandarono in Catalogna al re d’Araona a fare lega e compagnia con lui,
-acciocch’egli armasse con loro contro a’ Genovesi. In catuna parte
-ebbono prosperamente loro intenzione: che l’imperadore ritenne a sua
-preghiera il re d’Ungheria dal muovere guerra a’ Veneziani, non senza
-alcuna speranza d’accordo in processo di tempo; e’ Catalani aontati
-della sconfitta ricevuta co’ Veneziani da’ Genovesi in Costantinopoli,
-lievemente si recarono per animo di vendetta a fare la volontà de’
-Veneziani; e di presente misono per opera d’armare trenta galee al
-loro soldo, e venti alle spese del comune di Vinegia, e i Veneziani
-n’armarono altre venti a Vinegia; e catuna parte sollecitava sua armata
-per essere prima in mare; i Genovesi per la vittoria avuta sopra loro
-dispettando e avvilendo i nimici, e’ Catalani e’ Veneziani desiderando
-la vendetta. E apparecchiandosi catuna parte, innanzi al loro
-abboccamento ci occorrono altre cose a raccontare, e però al presente
-soprastaremo alquanto a questa materia.
-
-
-CAP. LXIX.
-
-_Come fu guasto il castello di Picchiena, e perchè._
-
-I signori del castello di Picchiena non ostante che si tenessono in
-amistà col comune di Firenze, furono principali con gli Ardinghelli a
-commuovere lo stato di Sangimignano quando furono cacciati i Salvucci,
-essendo la guardia di quella terra nelle mani del comune di Firenze;
-e di questo fallo non feciono scusa nè ammenda a’ Fiorentini; e però,
-nel detto mese di giugno del detto anno, il comune di Firenze mandò
-sue masnade co’ maestri e guastatori a Picchiena, e senza contasto
-entrarono nella terra. E acciocchè quel castello non fosse più cagione
-di fare sommuovere ad alcuna ribellione Sangimignano e Colle, a dì 20
-del detto mese feciono abbattere le mura e la rocca, senza far loro
-altro danno.
-
-
-CAP. LXX.
-
-_Come Ruberto d’Avellino fu morto dalla duchessa sua moglie._
-
-Vedendosi la sventurata moglie che fu del duca di Durazzo, Maria
-sirocchia della reina Giovanna di Gerusalemme e di Sicilia, avvilita
-per lo violente matrimonio contratto con Ruberto figliuolo che fu del
-conte d’Avellino della casa del Balzo, il quale dopo la morte del
-padre, come addietro avemo fatta menzione, era rimaso prigione del re
-Luigi; la donna, non tenendosi vedova nè maritata, pensò che per la
-morte di costui tornerebbe a certa veduità, e potrebbesi maritare. E
-assai apparve chiaro che a questo consentì il re e la reina; perocchè
-essendo Ruberto detto in prigione altrove, fu menato nel castello
-dell’abitazione reale, e collocato in una camera con certe guardie:
-e valicati alquanti dì, il re e la reina feciono apparecchiare e
-andarono a desinare e a cena agli scogli di mare, cosa nuova e
-disusata alla corona; e in questo dì la detta duchessa Maria rimasa
-nel castello prese quattro sergenti armati, e andossene alla camera
-dov’era il marito, e chiamatolo traditore del sangue reale, senza
-misericordia in sua presenza il fece uccidere; e fattagli tagliare la
-testa dall’imbusto, non affatto, fece traboccare dal castello in su la
-marina lo scellerato corpo, condotto a questo per lo malvagio pensiero
-del suo prosuntuoso padre. Il re e la reina tornati a Napoli si
-mostrarono turbati molto di questo fatto, usando parole che s’ella non
-fosse femmina ne farebbono alta vendetta: e il corpo che giacea senza
-sepoltura feciono sotterrare; e la donna rimase vedova di due mariti
-tagliati a ghiado in piccolo travalicamento di tempo.
-
-
-CAP. LXXI.
-
-_Come furono cacciati i ghibellini del Borgo._
-
-All’entrante del mese di luglio del detto anno, i guelfi del Borgo a
-san Sepolcro vedendosi sottoposti a quelli della casa de’ Bogognani,
-caporali ghibellini e traditori di quella terra, la quale aveano
-sottoposta all’arcivescovo di Milano per trattato di messer Piero
-Sacconi, e per i patti della pace era rimasa libera sotto il dominio
-de Bogognani, e non potendosi atare co’ Fiorentini e’ Perugini per non
-fare contro a’ patti della pace, s’accostarono con Nieri da Faggiuola
-loro vicino e terrazzano del Borgo, non ostante che fosse ghibellino,
-perocchè si discordava co’ Tarlati d’Arezzo e co’ Bogognani; il quale
-avendo fatta sua ragunata, i guelfi del Borgo levarono il romore, e
-Nieri trasse colla sua gente, e messo nella terra, ne cacciarono i
-Bogognani e tutti i ghibellini di loro seguito, e rubarono le case
-degli usciti; e appresso riformarono la terra a comune reggimento
-di guelfi e di ghibellini, com’era loro usanza, ritenendo Nieri da
-Faggiuola per alcuno tempo per loro capitano con certa limitata balìa,
-il quale poi ne trassono, come innanzi si potrà trovare.
-
-
-CAP. LXXII.
-
-_Di quattro leoni di macigno posti al palagio de’ priori._
-
-Essendo in questo tempo un uficio di priorato in Firenze, avendo
-poco ad attendere ad altre cose per la quiete della pace, feciono
-fare quattro leoni di macigno, e fecionli dorare con gran costo, e
-fecionli porre in su’ quattro canti del palagio del popolo di Firenze,
-a ciascuno canto uno. E per fare questo per certa vanagloria al loro
-tempo, lasciarono di farli scolpiti, e fusi di rame e dorati, che
-costavano poco più che quelli del macigno, ed erano belli e duranti per
-lunghi secoli; ma le piccole cose e le grandi continovo si guastano
-nella nostra città per le spezialità de’ cittadini.
-
-
-CAP. LXXIII.
-
-_Come Sangimignano fu recato a contado di Firenze._
-
-Avvegnachè per operazione de’ Fiorentini la terra di Sangimignano
-fosse riformata in pace, e che dentro vi fossono gli Ardinghelli e’
-Salvucci pacificati insieme, nondimeno nell’interiore dentro era tra
-loro radicata mala volontà; e non sapeano conversare insieme, e teneano
-intenebrata tutta la terra. I Salvucci vedendo arse e rovinate le
-loro nobili possessioni non si poteano dare pace, e gli Ardinghelli
-per l’offesa fatta stavano in paura e non si fidavano non ostante la
-pace, e il seguito ch’aveano avuto da’ terrazzani a cacciare i Salvucci
-non rispondea loro in questo nuovo reggimento come prima. Per queste
-dissensioni i popolani della terra conoscendo il loro male stato, e
-non trovando rimedio tra loro, stavano sospesi e in mala disposizione;
-e vedendo gli Ardinghelli il popolo commosso, e che per loro non si
-potea mettere alcuno consiglio che i Salvucci non si mettessono al
-contradio, furono consigliati di confortare il popolo, innanzi ch’altri
-il movesse prima di loro, di darsi liberi al comune di Firenze. E
-questo potea essere loro scampo, perocch’erano pochi e poveri a petto
-de’ loro avversari, ch’erano assai e ricchi, e conoscendo il popolo, e
-vedendolo disposto a volere uscire de’ pericoli, ove le discordie de’
-loro maggiori gli conducea, fu agevole a muovere, e del mese di luglio
-1353 feciono parlamento generale, nel quale deliberarono con molta
-concordia di mettersi liberamente nella guardia del comune di Firenze.
-I Salvucci si misono con loro amici a operare co’ cittadini di Firenze
-loro amici che il comune non li prendesse, dicendo, che questa era
-operazione di setta e non volontà del comune; ed ebbono tanto podere,
-che il comune non li volle prendere, dicendo, che volea l’amore e la
-buona volontà di tutto il comune, e non la signoria di quella terra
-in divisione del popolo; per la qual cosa il popolo commosso, d’ogni
-famiglia mandarono a Firenze più di dugentocinquanta loro terrazzani di
-maggiore stato e autorità, i quali s’appresentarono dinanzi a’ signori
-priori dicendo, come la deliberazione del loro comune era vera, e non
-violenta nè mossa per alcuno ordine di setta, ma di comune movimento e
-volontà di tutto il popolo, conoscendo non potere vivere sicuri se non
-sotto la giurisdizione libera e protezione del comune di Firenze, e con
-viva voce gridarono, e pregarono il comune di Firenze, che ricevere
-li volesse al loro contado, e se questo non facesse, quel comune era
-per disfarsi e distruggersi senza alcuno rimedio, in poco onore del
-comune di Firenze che l’avea a guardia. In fine i signori ne feciono
-proposta al consiglio del popolo, e tanto favore ebbono i Salvucci,
-che si metteano al contrario delle preghiere de’ loro amici da Firenze
-fatte a’ consiglieri, e del popolo, che quello che catuno doveva
-desiderare per grande e onorevole accrescimento della sua patria,
-avendo molti contrari al segreto squittino, si vinse solo per una fava
-nera; vergognomi averlo scritto, con tanto vitupero de’ miei cittadini.
-Vinto il partito, la terra del nobile castello di Sangimignano, e suo
-contado e distretto, fu recato a contado del comune di Firenze, e
-datogli l’estimo come agli altri contadini, e tutti i suoi cittadini e
-terrazzani furono fatti cittadini e popolani di Firenze a dì 7 d’Agosto
-del detto anno; e ne’ registri del comune furono notate le cautele e le
-sommissioni dette; e carta ne fece ser Piero di ser Grifo, notaio delle
-riformagioni del detto comune.
-
-
-CAP. LXXIV.
-
-_D’un segno apparve in cielo._
-
-A dì 11 del mese d’agosto, tramonto il sole nella prima ora, si
-mosse da mezzo il cielo fuori del zodiaco un vapore grande infocato
-sfavillante, il quale scorse per diritto di levante in ponente,
-lasciandosi dietro un vapore cenerognolo traendo allo stagneo,
-steso per tutto il corpo suo, e durò nell’aria valicato il fuoco
-lungamente; e poi cominciò a raccogliersi a onde a modo d’una serpe;
-e il capo grosso stette fermo ove il vapore mosse, simigliante a capo
-serpentino, e il collo digradava sottile, e nel ventre ingrossava,
-e poi assottigliava digradando con ragione infino alla punta della
-coda: e per lunga vista si dimostrò in propria figura di serpe, e poi
-cominciò a invanire dalla coda e dal collo, e ultimamente il corpo e ’l
-capo venne meno, dando di se disusata vista a molti popoli. Altro non
-ne sapemmo di sua influenza scernere che diminuzioni d’acque, perocchè
-quattro mesi interi stette appresso senza piovere.
-
-
-CAP. LXXV.
-
-_Come fu assediata Argenta._
-
-Essendo Francesco de’ marchesi da Este ribellato al marchese
-Aldobrandino signore di Ferrara e di Modena, figliuolo del marchese
-Obizzo; questo marchese Obizzo avea acquistato suo figliuolo
-Aldobrandino d’amore, avendo per moglie la figliuola di Romeo de’
-Peppoli di Bologna, della quale non ebbe figliuolo, e morta la detta
-donna, il marchese fece legittimare questo suo figliuolo, e la madre
-si prese per moglie. E venendo a morte, lasciò la signoria di Ferrara
-e di Modena a questo suo figliuolo Aldobrandino, essendo d’illegittimo
-matrimonio. Il marchese Francesco figliuolo del marchese Bertoldo,
-a cui parea che di ragione s’appartenesse la signoria, per la qual
-cosa temette che ’l marchese Aldobrandino per tema della signoria nol
-facesse morire, e però si parti di Ferrara; ed essendo rubello, trattò
-con Galeazzo de’ Medici da Ferrara, ch’era potente, e del segreto
-consigliò del marchese Aldobrandino, e con altri cittadini di Ferrara,
-e per consiglio di costoro, per avere braccio forte, s’accostò con
-messer Malatesta da Rimini. E del mese d’agosto del detto anno messer
-Malatesta in persona, e il detto marchese Francesco, con cinquecento
-cavalieri e quattromila pedoni valicarono per le terre del signore di
-Ravenna con sua volontà, e improvviso furono ad Argenta. E stati quivi
-quattro dì, attendendo risposta da coloro con cui teneano il trattato
-in Ferrara, e avuto da loro come quello ch’essi credevano poter fare
-non vedeano venisse loro fatto, però sanza soprastare o fare alcuno
-danno di presente se ne partirono, dando voce che il signore di Ravenna
-avea chiuso il passo alla vittuaglia. E Galeazzo e altri che teneano al
-trattato uscirono di Ferrara, e andaronsene al gran Cane di Verona,
-
-
-CAP. LXXVI.
-
-_Come si temette in Toscana di carestia._
-
-Non è da lasciare in silenzio quello ch’avvenne in Toscana in sulla
-ricolta, che nel contado e distretto di Firenze e d’Arezzo, e nelle più
-contrade, fu assai ubertosa ricolta, in quello di Siena e di Ravenna fu
-magra; e nondimeno sotto la vetta valse per tutto soldi quarantadue,
-e poi montò in soldi cinquanta lo staio fiorentino, di lire tre soldi
-otto il fiorino dell’oro. Temendo il comune di disordinata carestia
-mandò in Turchia, e in Provenza e in Borgogna a comperare grano, e
-molti mercati fece co’ mercatanti, che promisono di recarne di Calavria
-e d’altre parti del mondo, costando lo staio posto in Firenze l’uno
-per l’altro da soldi cinquanta in sessanta di piccioli: e se fosse
-venuto, come si pensava, perdea il comune di Firenze più di centomila
-fiorini d’oro, perocché ’l popolo mobolato, per paura della carestia
-passata poco dinanzi, si fornia a calca, e feciono montare il grano
-nella ricolta, e ristrignere i granai a chi n’avea conserva. Ma
-sentendosi la grande quantità che ’l comune n’avea procurata d’avere
-catuno temette di tenerlo, e apersono l’endiche di marzo e d’aprile
-del detto anno, e davano il buono grano a soldi venticinque lo staio.
-E venendone al comune dodicimila staia di Provenza venuto di Borgogna,
-il volle spacciare a soldi venti lo staio, ed essendo buono grano non
-si potè stribuire; e perdenne il comune fiorini trentamila d’oro, i
-quali investì male all’ingrato popolo: l’altro che doveva venire di
-Turchia e le compere fatte, come a Dio piacque, non ebbono effetto per
-diversi accidenti. Abbianne fatta memoria per ammaestramento di coloro
-c’hanno a venire, perocchè in cotali casi occorrono diversi gravi
-accidenti, e spesso contradi l’uno all’altro. Le grandi compere in
-così fatta carestia fanno pericolo di disordinata perdita, e certezza
-non si può avere di grano che di pelago si aspetta; ma utilissima cosa
-è dare larga speranza al popolo, che si fa con essa aprire i serrati
-granai de’ cittadini, e non con violenza, che la violenza fa il serrato
-occultare, e la carestia tornare in fame; e di questo per esperienza
-più volte occorsa nella nostra città in cinquantacinque anni di nostra
-ricordanza possiamo fare vera fede.
-
-
-CAP. LXXVII.
-
-_Come in Messina fu morto il conte Mazzeo de’ Palizzi a furore, e la
-moglie e due figliuoli._
-
-Lasciando alla testimonianza del consumato regno dell’isola di
-Cicilia molti micidii, incendii, violenze e prede avvenuti in quello
-per sette e invidia del reggimento, mancando per debolezza d’età la
-signoria reale, diremo quello che in questo tempo, del mese d’agosto
-del detto anno, più notabile avvenne. Essendo il conte Mazzeo de’
-Palizzi di Messina capo di setta degl’Italiani di Cicilia, contradio
-a quella de’ Catalani, per sua grandezza governava il giovane e poco
-virtuoso figliuolo di don Petro re di Cicilia, il quale per retaggio
-doveva essere re, e tutta la corte reggeva a contrario de’ Catalani e
-della loro parte per modo più tirannesco che reale; essendo l’izza e
-l’invidia parziale cresciuta mortalmente, alla corte mancava l’entrata,
-e a’ paesani la rendita e le ricchezze, e la guerra del diviso regno
-richiedeva aiuto di moneta; e non essendovi l’entrata, il detto conte
-Mazzeo gravava i Messinesi e gli altri sudditi moltiplicando gravezze
-sopra gravezze. I cittadini si doleano, e vedendosi pure gravare,
-negavano e fuggivano il pagamento, e odiavano chi guidava il fatto;
-il conte infocando contro a’ sudditi la sua stracotata superbia, fece
-decreto, che chi non pagasse fosse bandito, e dicea, che chi non volea
-pagare, o non poteva, ch’egli era della setta de’ Catalani; e per
-questo modo abbattea la sua parte, e crescea quella degli avversari.
-Avvenne che il popolo di Messina s’accostò col conte Arrigo Rosso e
-col conte Simone di Chiaramente, amendue della setta de’ Palizzi,
-ma portavano invidia al conte Mazzeo perch’avea troppo usurpata la
-signoria, e sotto titolo di dire che voleano pace, mossono il lieve
-popolo a gridare pace: e levato il romore, con furore corsono al
-palagio del re ov’abitava il conte Mazzeo: e trovandolo nella sala col
-giovane duca, in sua presenza uccisono lui, e la moglie e due suoi
-figliuoli, lasciando il duca con gran paura e tremore, e legati i
-capestri al collo de’ morti li tranarono per la terra vituperosamente,
-e poi li arsono, e la polvere gittarono al vento. E in questi medesimi
-dì quelli di Sciacca feciono il simigliante a’ loro maggiori della
-setta del conte Mazzeo predetto. Il duca, benchè fosse sicurato dal
-popolo, per la concetta paura prese suo tempo e andossene a Catania,
-accostandosi alla setta de’ Catalani. Questo repentino caso di cotanto
-polente usurpatore della repubblica è da notare, per esempio di coloro
-i quali colla destra della fallace fortuna in futuro monteranno a
-somiglianti gradi, di non essere ignoranti de’ nascosi aguati che
-nell’invidia e ne’ furori de’ non fermi stati si racchiudono.
-
-
-CAP. LXXVIII.
-
-_Come fu creato nuovo tribuno in Roma._
-
-Egli è da dolersi per coloro c’hanno udito e inteso le magnifiche
-cose che far solea il popolo di Roma, con le virtù de’ loro nobili
-principi, in tempo di pace e di guerra, le quali erano specchio e luce
-chiarissima a tutto l’universo, vedendo a’ nostri tempi a tanta vilezza
-condotto il detto popolo e’ loro maggiori, che le novità che occorrono
-in quell’antica madre e donna del mondo non paiono degne di memoria
-per i lievi e vili movimenti di quella, tuttavia per antica reverenza
-di quel nome non perdoneremo ora alla nostra penna. Essendo il popolo
-romano ingrassato dell’albergherie de’ romei, e fatto e disfatto in
-breve tempo l’uficio de’ loro rettori, i loro principi cominciarono
-a tencionare del senato, e il popolo lieve e dimestico al giogo,
-dimenticata l’antica franchigia, seguitava la loro divisione. Faceva
-parte ovvero setta Luca Savelli con parte degli Orsini e co’ Colonnesi,
-e gli altri Orsini erano in contradio: e per questo vennero all’arme, e
-abbarrarono la città, e combatteronsi alle barre tutto il mese d’agosto
-del detto anno. In fine il popolo abbandonò d’ogni parte la gara de’
-loro principi, e fece tribuno del popolo lo Schiavo Baroncelli, il
-quale era scribasenato, cioè notaio del senatore, uomo di piccola e
-vile nazione, e di poca scienza. Tuttavia, perch’egli non conosceva
-molto i Romani e i vizi loro, cominciò con umiltà a recare ad alcuno
-ordine il reggimento al modo de’ comuni di Toscana; e per partecipare
-il consiglio de’ popolani, per segreto squittino elesse e insaccò assai
-buoni uomini cittadini romani di popolo per suoi consiglieri, de’ quali
-ogni capo di due mesi traeva otto, e con loro deliberava le faccende
-del comune; e fece camarlinghi dell’entrata del comune, e cominciò a
-fare giustizia, e levare i popolani del seguito de’ grandi, e molto
-perseguitava i malfattori: sicchè alcuno sentimento di franchigia
-cominciò a gustare quel popolo, la quale poi crebbe a maggiori cose,
-come innanzi al suo tempo racconteremo.
-
-
-CAP. LXXIX.
-
-_Come furono sconfitti in mare i Genovesi alla Loiera._
-
-Essendo venuto il tempo che la furiosa superbia de’ Genovesi per far
-guerra a’ Veneziani e Catalani avea da catuna parte apparecchiate in
-mare le loro forze, del mese d’agosto del detto anno i Genovesi si
-trovarono con sessanta galee armate, avendo per loro ammiraglio messer
-Antonio Grimaldi, nella quale erano tratti di tutte le famiglie la
-metà de’ più chiari e nobili cittadini di Genova e della Riviera, il
-quale ammiraglio si trasse con l’armata a Portoveneri, per non lasciare
-mettere scambio a’ cittadini che ’l procacciavano, dicendo, che col
-loro aiuto e consiglio sperava d’avere la vittoria de’ loro nimici,
-e aspettava lingua di loro sollecitamente. I Catalani aveano armate
-trenta galee tra sottili e grosse e uscieri, e venti galee alle spese
-de’ Veneziani, con cinquanta galee e tre grandi cocche incastellate, e
-armate di quattrocento combattitori per cocca, avendo caricati cavalli
-e cavalieri assai per porli in Sardegna, del detto mese d’agosto si
-partirono di Catalogna, facendo con prospero tempo la via di Sardegna,
-ove con l’armata de’ Veneziani si doveano raccozzare. E i Veneziani in
-questi medesimi dì con venti galee armate di buona gente si dirizzarono
-alla Sardegna. I Genovesi avuta lingua che catuna armata era in pelago,
-avvisarono d’abboccarsi con l’una armata innanzi che insieme si
-congiugnessono. E perocchè le sessanta loro galee non erano pienamente
-armate, lasciarono otto corpi delle sessanta, e delle ciurme e de’
-soprassaglienti fornirono ottimamente le cinquantadue, e con quelle
-senza arresto, atandosi con le vele e co’ remi, con grande baldanza
-si dirizzarono alla Sardegna. Ed essendo giunti presso alla Loiera,
-ebbono lingua che l’armate de’ loro nimici s’erano raccozzate insieme;
-e passato ch’ebbono una punta scopersono l’armata de’ Veneziani e de’
-Catalani, i quali s’erano ristretti insieme, e le sottili galee aveano
-nascose dietro alle grosse per mostrarsi meno che non erano a’ loro
-nimici, e ancora s’incatenarono e stavano ferme senza farsi incontro
-a’ Genovesi, mostrando avvisatamente paura, acciocchè traessono a loro
-la baldanza de’ Genovesi con loro vantaggio. I Genovesi non ostante
-ch’avessono perduta la speranza di non aver trovate l’armate partite, e
-ingannati dalla vista, che pareva loro che le galee de’ loro avversari
-fossono meno che non erano, e poco più che le loro, baldanzosi della
-fresca vittoria avuta sopra i detti loro nimici in Romania, si misono
-ad andare contro a loro vigorosamente. E valicata certa punta di mare,
-si trovarono sopra la Loiera sì presso a’ loro nimici, ch’elli scorsono
-ch’elli erano troppo più ch’elli non estimavano, e vidongli acconci
-e ordinati alla battaglia, e che presso di loro aveano le tre cocche
-incastellate e armate di molta gente da combattere; per la qual cosa
-l’animo si cambiò a’ Genovesi, e la furia prese freno di temperanza,
-e vorrebbono non essere sì presso a’ loro nimici, e tra loro ebbono
-ripitio di non savia condotta: tuttavia presono cuore e franchezza
-di mettersi alla battaglia, sentendosi l’aiuto del vento in poppa, e
-alquanto contrario a’ loro avversari, conoscendo che l’aiuto delle
-cocche non poteano avere durando quel vento, tuttavia più per temenza
-che per franchezza legarono e incatenarono la loro armata, lasciando
-d’ogni banda quattro galee sottili, libere d’assalire e da sovvenire
-all’altre secondo il bisogno. I Veneziani e’ Catalani avendo a petto i
-loro nimici, trassono della loro armata sedici galee sottili, e misonne
-otto libere da catuna parte della loro armata, la quale aveano ordinata
-e incatenata per essere più interi alla battaglia, ricordandosi che
-l’essersi sparti in Romania gli avea fatti sconfiggere; e così ordinati
-l’una gente e l’altra con lento passo si veniano appressando, e le
-libere galee cominciarono l’assalto molto lentamente, che catuno stava
-a riguardo per attendere suo vantaggio; e nonostante che i Veneziani
-e’ Catalani fossono molti più che i Genovesi, tanto gli ridottavano,
-che non s’ardivano ad afferrare con loro: è vero che il vento alquanto
-gli noiava, più per non potere avere l’aiuto delle loro cocche, che per
-altro, e però soprastavano. Dall’altra parte i Genovesi già impediti
-per lo soperchio de’ loro nimici non s’ardivano a strignersi alla
-battaglia, e così consumarono il giorno dalla mezza terza alla mezza
-nona, con lieve badalucco delle loro libere galee. I Genovesi vedendo
-che i loro nimici più potenti non li ardivano ad assalire, presono
-più baldanza, e metteronsi in ordine d’andarli ad assalire con più
-aspra battaglia. Ma colui che è rettore degli eserciti, avendo per
-lungo tempo sostenuta la sfrenata ambizione de’ Genovesi, per lieve
-spiramento di piccolo vento abbattè la loro superbia; che stando catuna
-parte alla lieve battaglia si levò un vento di verso scilocco, il quale
-empiè le vele delle tre cocche. I Catalani animosi contro a’ Genovesi,
-vedendosi atare dal vento, apparecchiate loro lance, e dardi e pietre,
-con ismisurato romore, levate l’ancore del mare, con tutte e tre le
-cocche si dirizzarono contro all’armata de’ Genovesi, e con l’impeto
-del corpo delle cocche sì fedirono nelle galee de’ Genovesi, e nella
-prima percossa ne misono tre in fondo, e seguendo innanzi, alcuna
-altra ne ruppono: e di sopra gittavano con tanta rabbia pietre lance e
-dardi sopra i loro nimici, che parea come la sformata grandine pinta
-da spodestata fortuna d’impetuosi venti, e molti Genovesi n’uccisono
-in quel subito assalto, e annegaronne assai, e più ne fedirono e
-magagnarono. L’armata de’ Veneziani e Catalani vedendosi fatta la via
-a’ loro navilii, con più ardire si misono innanzi strignendosi alla
-battaglia. I Genovesi, uomini virtuosi e di grande cuore, sostennono
-francamente il grave assalto delle cocche, atandosi con l’arme e con le
-balestra, magagnando molti de’ loro nemici, e alle galee rispondeano
-con sì ardita e folta battaglia, che per vantaggio ch’e’ loro nimici
-avessono non poteano sperare vittoria. Ma l’ammiraglio de’ Genovesi
-invilito nell’animo suo di questo primo assalto, fece vista di
-volere ricoverare la vittoria per maestria di guerra; e sollevata la
-battaglia, in fretta fece sciogliere undici galee della sua armata,
-e con quelle aggiunse l’otto sottili ch’erano libere dalle latora
-dell’armata, e diede voce di volere volgere e girare dalle reni de’
-nimici: e per questa novità i Veneziani e’ Catalani ebbono paura, e
-sollevarono la battaglia, e stettono in riguardo, per vedere quello
-che le dette galee volessono fare. Ma l’ammiraglio abbandonata la
-battaglia, e lasciate l’altre galee insieme alla fronte de’ nimici,
-fece la via di Genova senza tornare all’oste, e già si cominciava a
-tardare il giorno. Vedendo i Veneziani e’ Catalani che l’ammiraglio
-de’ Genovesi non avea girato sopra loro, ma era al disteso fuggito
-con diciannove galee, con certezza di loro vittoria vennono sopra i
-Genovesi; i quali vedendosi abbandonati dal loro ammiraglio, senza
-resistenza chi non potè fuggire si renderono prigioni. Così i Veneziani
-e’ Catalani senza spandimento di loro sangue ebbono de’ Genovesi piena
-vittoria: ed ebbono trenta corpi di galee e più di tremilacinquecento
-prigioni, fra i quali furono molti nominati grandi e buoni cittadini
-di Genova. E morti ne furono e annegati con le ciurme più di duemila.
-La detta sventurata battaglia per i Genovesi fu il dì di san Giovanni
-dicollato, a dì 29 d’agosto del detto anno.
-
-
-CAP. LXXX.
-
-_Come i Catalani perderono loro terre in Sardegna._
-
-Con piccolo travalicamento di tempo sosterremo alquanto l’altre cose,
-raccogliendo i fatti che nell’isola di Sardegna avvennono dopo la detta
-vittoria. I Catalani e’ Veneziani con la loro armata, e con le tre
-cocche, e con le galee prese de’ Genovesi e co’ prigioni arrivarono in
-Sardegna, e nella loro giunta avendo messo in terra i loro cavalieri,
-e gli altri soprassaglienti, e molti delle ciurme, il castello della
-Loiera, e ’l castello Lione, e il castello Genovese, e Sasseri e più
-altre terre che teneano i Genovesi s’arrenderono a’ Catalani. Avendo
-senza fatica fatto l’acquisto delle dette castella, aggiunte alla
-loro vittoria, pensarono d’acquistare tutto il rimanente dell’isola
-che si possedea per lo giudice d’Alborea, e con più baldanzosa che
-provveduta volontà, o buon ordine, se n’andarono verso Arestano, non
-pensando trovarvi resistenza. Ma il giudice con molta gente d’arme e
-con molti Sardi, i quali aveva accolti per difendere le sue terre,
-venne loro incontro del mese di settembre, e abboccatosi con loro,
-vennono alla battaglia, e furono sconfitti i Catalani; de’ quali tra
-nella battaglia e nella fuga rimasono morti più di millecinquecento
-Catalani. E per questa sconfitta, e per la mala guardia che delle terre
-nuovamente acquistate faceano, e per l’aspra signoria ch’usavano a’
-paesani tutte si rubellarono, e ancora l’altre che prima vi teneano,
-sicchè tutto perderono, fuori che castello di Castro detto Caglieri:
-e volendole racquistare per forza, feciono maggiore oste, e un’altra
-volta s’abboccarono co’ Sardi e col giudice d’Alborea; e dopo lunga
-battaglia, i Catalani ritennono il campo e i Sardi l’abbandonarono, con
-pochi più morti di loro che de’ loro nimici. Onde i Catalani ebbono
-poco lieta vittoria, lasciando morti in questa seconda battaglia
-cinquecento combattitori, benchè più ne fossono morti de’ Sardi, e
-però non racquistarono alcuna terra: e dopo lunga dimora, del mese di
-novembre, avendo perduti assai de’ loro prigioni genovesi ch’erano
-accomandati nella Loiera, si partirono dell’isola, andandosene i
-Catalani in Catalogna, e i Veneziani a Vinegia a salvamento, vinti i
-Genovesi loro nimici, e abbassata con piena vittoria la loro superbia.
-
-
-CAP. LXXXI.
-
-_Come il prefetto venne a oste a Todi._
-
-In questo tempo, la Chiesa di Roma per racquistare il Patrimonio
-occupato dal prefetto da Vico avea tenuto gente d’arme a Montefiascone
-guerreggiando il prefetto; e in questa guerra fra Moriale di Provenza,
-grande guerriere e nomato soldato, con sue masnade avea servito la
-Chiesa lungamente, senza potere avere l’intero pagamento de’ suoi
-soldi, e però s’accostò col prefetto, e andò dalla sua parte con
-quattrocento cavalieri. E vedendosi il prefetto sicuro dalla forza
-della Chiesa, avendo in sua compagnia i Chiaravallesi usciti di Todi,
-con fra Moriale e con altre sue genti d’arme di subito e improvviso se
-ne venne a Todi, e con lui i Chiaravallesi, i quali si sentivano tanti
-parenti e amici nella città, che si credeano, come fossono con forte
-braccio ivi presso, che li vi rimetterebbono dentro o per ingegno o
-per forza: ma trovaronsi ingannati, perocchè i cittadini temendo della
-tirannia del prefetto e de’ loro cittadini si misono alla difesa, e il
-prefetto e i Chiaravallesi ad assedio. Ma avendo i Todini aiuto da’
-Perugini e dal comune di Firenze, che catuno vi mandò gente d’arme, il
-prefetto perdè la speranza d’entrare nella terra; e statovi a campo di
-settembre e d’ottobre, e dato il guasto intorno alla città, si partì
-dall’assedio con suo poco onore.
-
-
-CAP. LXXXII.
-
-_Come fu presa e lasciata Vicorata._
-
-Di questo mese di settembre del detto anno, il conte Guido da
-Battifolle avendo accolta gente de’ suoi fedeli e del conte Ruberto,
-sentendo che Andrea di Filippozzo de’ Bardi signore del contado del
-Pozzo e di Vicorata era in bando del comune di Firenze per malificio,
-tenendosi gravato da lui, improvviso di mezza notte venne a Vicorata,
-e con alcuno trattato il dì seguente entrò in Vicorata, ed ebbe tutto
-il procinto, e rinchiuso Andrea e alcuni de’ fratelli nella torre, alla
-quale accostato il conte suoi dificii la faceva tagliare. Il comune
-di Firenze sentendo i suoi cittadini a quello pericolo, non ostante
-che fossono in bando, di presente mandarono comandando al conte Guido
-che lasciasse quell’impresa. Il quale udito il comandamento de’ priori
-di Firenze, essendo egli medesimo anco in bando del detto comune per
-simile modo, di presente fu ubbidiente, e non lasciando alcuna cosa
-torre o rubare se ne partì, e tornossi nel suo contado. La clemenza
-del nostro comune poco appresso fece l’una parte e l’altra venire a
-Firenze, e fatto fare pace tra loro, catuno per grazia trasse di bando.
-
-
-CAP. LXXXIII.
-
-_Come il conte di Caserta si rubellò dal re Luigi._
-
-Il re Luigi di Gerusalemme e di Sicilia, in questo anno, il dì della
-Pentecoste, avea fatta solenne festa co’ suoi baroni per l’annuale
-rinnovellamento di sua coronazione. E in quella festa ordinò cosa
-nuova e disusata alla corona, ch’egli elesse sessanta tra baroni e
-cavalieri, i quali giurarono fede e compagnia insieme col detto re,
-sotto certo ordine di loro vita, e di loro usaggi e vestimenti: e fatto
-il giuramento, si vestirono d’una cottardita e d’un’assisa e d’un
-colore tutti quanti, portando nel petto un nodo di Salomone, e chi ebbe
-l’animo vano più magnificò la cottardita e il nodo d’oro e d’argento, e
-di pietre preziose di grande costo e di grande apparenza; e fu chiamata
-la compagnia del nodo. Il Prenze di Taranto fratello del re non v’era,
-ma sopravvenne, e il re gli aveva fatta fare la cottardita reale, con
-un nodo di perle grosse di gran valuta, e mandogliele all’ostello: il
-Prenze non la volle vestire, dicendo che ’l nodo del fraternale amore
-portava nel cuore, e donolla a suo cavaliere, la qual cosa il re non
-ebbe a grado. In questo tempo il duca d’Atene avea messo grande odio
-tra il Prenze di Taranto e ’l conte di Caserta, figliuolo che fu di
-messer Dego della Ratta Catalano conte camarlingo: e per questo amando
-il re il detto conte, e avendolo trovato leale e fedele, a instigamento
-del Prenze convenne che il re contra sua voglia il sbandeggiasse. Il
-conte si ridusse a Caserta, e tenea il Sesto e Tuliverno, e il Prenze
-col duca d’Atene gli andò addosso con cento cavalieri, e in persona
-vi venne il re con trecento e con assai popolo, volendo compiacere
-al fratello. E un dì stando il re nel castello di Matalona sopra lo
-sporto che chiamavano Gheffo, la sua gente presono un Unghero soldato
-del detto conte, e con tanta maraviglia il condussono al re, ch’ogni
-gente gli traeva dietro come s’elli avessono preso il re degli Unni;
-e per questa pazzia caricarono sì sconciamente il Gheffo, che gran
-parte n’andò a terra, ove morirono diciassette uomini, e molti se ne
-magagnarono. Il re ch’era un poco da parte apprendendosi col Prenze,
-come a Dio piacque, si ritenne in quello rimanente che del Gheffo non
-cadde; messer Filippo di Taranto traboccò sopra i caduti e non ebbe
-male. L’oste stette sopra il conte più tempo senza avere onore di cosa
-che vi si facesse, e straccata se ne partì. Il conte con sue masnade
-partita l’oste cominciò a cavalcare per Terra di Lavoro, e rubare le
-strade e rompere i cammini, e conturbò tutto il paese, cavalcando
-alcuna volta con trecento cavalieri infino presso a Napoli senza trovar
-contasto: e vendicata sua onta, si ritenne alle terre sue senza fare
-più danno o guerra.
-
-
-CAP. LXXXIV.
-
-_Come il cardinale legato venne a Firenze._
-
-La Chiesa di Roma veggendo che ’l prefetto da Vico tirannescamente
-cresciuto aveva occupato il Patrimonio, e che novellamente avea
-acquistato la città d’Orvieto, il papa con deliberazione de’ cardinali
-mandò legato in Toscana messer Gilio di Spagna cardinale, il quale
-era stato al secolo pro’ e valente cavaliere e ammaestrato in guerra,
-acciocchè con l’aiuto degl’Italiani racquistasse le terre di santa
-Chiesa occupate nel Patrimonio. E datagli grande legazione il mandò
-per terra in Lombardia, ove dall’arcivescovo di Milano fu ricevuto a
-grande onore, facendogli fare per tutto suo distretto le spese con
-largo apparecchiamento; ma in Bologna non volle ch’egli entrasse, e
-però tenne la via da Pisa, e a dì 2 d’ottobre del detto anno giunse in
-Firenze, ove fu ricevuto con grande onore, e con solenne processione e
-festa, con un ricco palio di seta e d’oro sopra capo portato da nobili
-popolani, e addestrato al freno e alla sella da gentili cavalieri di
-Firenze, sonando tutte le campane delle chiese e del comune a Dio
-laudiamo; e condotto per la città fu albergato in casa gli Alberti,
-ove fece suo dimoro: e presentato dal comune confetti, e cera e biada
-abbondantemente, e tre pezze di fini panni scarlatti di grana, e
-datogli centocinquanta cavalieri in aiuto alla sua guerra, a dì 11
-d’ottobre si partì, e andò a suo viaggio. E in questi dì Cetona si
-rubellò al prefetto, e presela il conte di Sarteano con aiuto ch’ebbe
-da’ Fiorentini, e poi la rassegnò al legato.
-
-
-CAP. LXXXV.
-
-_Rinnovazione del palio di santa Reparata._
-
-In questi dì vacando in pace i Fiorentini, i priori vollono chiarire
-perchè la chiesa cattedrale di Firenze era dinominata santa Reparata,
-e perchè per antico costume in cotal dì s’è corso il palio in Firenze;
-e trovossi per alcune scritture, come Radagasio re de’ Goti, e Svezi e
-Vandali, avendo assalito l’imperio di Roma, e guaste in Italia molte
-città e consumati gli abitanti, s’era messo ad assedio alla città
-di Firenze con dugentomila cavalieri, essendo vescovo di Firenze il
-venerabile san Zenobio della casa de’ Girolami nostro cittadino, il
-quale avea seco due santi cappellani; e stando all’assedio, come a
-Dio piacque, Onorio imperadore di Grecia in Italia venne al soccorso
-dell’imperio di Roma, e in sua compagnia non avea oltre a tremila
-cavalieri; e venendo incontro a’ nimici, tanta paura gli occupò, che
-raccogliendosi dall’assedio, senza provvisione si misono ad entrare
-tra le circustanti montagne, passando tra Fiesole e Monterinaldi, e
-rattennonsi nella valle di Mugnone. Credesi, avvegnachè Onorio fosse
-fedele cristiano, che Iddio facesse questo per le preghiere di san
-Zenobio e de’ suoi santi cappellani. I barbari essendo rinchiusi
-da aspre montagne, senza acqua e senza vittuaglia, dalla gente
-dell’imperadore e da’ fiorentini paesani che sapeano i passi furono
-ristretti per modo che uscire non ne poteano. Il loro re furandosi dal
-suo esercito fu in Mugello preso e morto: e morendo i barbari di fame
-e di sete, sentendo morto il loro re, gittate l’armi s’arrenderono,
-e per fame e per ferro infine tutti perirono; e questo avvenne il
-dì della festa della vergine benedetta santa Reparata, per la cui
-reverenza s’ordinò e fece nuova chiesa cattedrale alla nostra città
-intitolata del suo nome. E perocchè i nostri antichi non erano in
-troppa magnificenza in que’ tempi, ordinarono che in cotal dì si
-corresse un palio di braccia otto d’uno cardinalesco di lieve costo a
-piede tenendosi al duomo, e movendosi i corridori di fuori della porta
-di san Piero Gattolino: e per la rinnovazione di questa memoria il
-comune l’ordinò di braccia dodici di scarlatto fine, e che si corresse
-a cavallo.
-
-
-CAP. LXXXVI.
-
-_Come i Genovesi si misono in servaggio dell’arcivescovo._
-
-Nuova e mirabile cosa seguita a raccontare, in considerazione del gran
-cambiamento che fortuna fa degli stati del mondo. La nobile città di
-Genova, e i suoi grandi e potenti cittadini, signori delle nostre
-marine, e di quelle di Romania, e del Mare maggiore, uomini sopra gli
-altri destri e sperti, e di gran cuore e ardire nelle battaglie del
-mare, e per molti tempi pieni di molte vittorie, e signori al continovo
-di molto navilio, usati sempre di recare alla loro città innumerabili
-prede delle loro rapine, temuti e ridottati da tutte le nazioni
-ch’abitavano le ripe del Mar tirreno e degli altri mari che rispondono
-in quello, ed essendo liberi sopra gli altri popoli e comuni d’Italia,
-per la sconfitta nuovamente ricevuta in Sardegna da’ Veneziani e
-Catalani, con non disordinato danno, vennono in tanta discordia e
-confusione tra loro nella città, e in tanta misera paura, che rotti
-e inviliti come paurose femmine, il loro superbo ardire mutarono in
-vilissima codardia, non parendo loro potere atarsi: eziandio avendo
-il comune di Firenze mandato là suoi ambasciadori a confortarli, e a
-profferere loro con grande affezione il suo aiuto, e consiglio e favore
-largamente a mantenere e ricoverare loro franchigia e buono stato,
-tanto erano con gli animi dissoluti per quella sconfitta e per loro
-discordie, che non seppono conoscere rimedio al loro scampo, se non di
-sottomettersi al servaggio del potente tiranno arcivescovo di Milano;
-e di comune concordia il feciono loro signore, dandogli liberamente
-la città di Genova e di Savona, e tutta la Riviera di levante e di
-ponente, e l’altre terre del loro contado e distretto, salvo Monaco
-e Metone e Roccabruna, le quali tenea messer Carlo Grimaldi, che non
-le volle dare. E a dì 10 d’ottobre 1353, il conte Pallavicino vicario
-dell’arcivescovo con settecento cavalieri e con millecinquecento
-masnadieri entrò in Genova, ricevuto come loro signore; e disposto il
-doge, e ’l consiglio, e tutti gli altri reggimenti del comune, prese la
-signoria e il governamento delle dette città e de’ loro distretti, e
-aperte le strade di Lombardia con sollecitudine, procacciò abbondanza
-di vittuaglia a’ suoi servi, e prestanza al comune per armare alquante
-galee in corso, ebbe fornito il prezzo di cotanto acquisto.
-
-
-CAP. LXXXVII.
-
-_Come i Pisani feciono confinati._
-
-I Pisani vedendosi il tirannesco fuoco a’ loro confini, temettono de’
-loro cittadini animosi di parte ghibellina, che per invidia de’ loro
-reggenti avrebbono voluto la signoria dell’arcivescovo di Milano. E
-temendo per questo i Gambacorti e i loro seguaci perdere lo stato,
-di presente votarono la città d’ogni sospetto, mandando a’ confini
-de’ loro cittadini, e prendendo buona guardia dentro e di fuori,
-intendendosi co’ Fiorentini amichevolmente per la comune franchigia. In
-questi medesimi dì, avendo il tiranno preso sdegno contro a’ Fiorentini
-per gli ambasciadori ch’aveano mandati a confortare i Genovesi della
-loro franchigia, mosse loro lite dicendo, ch’aveano rotta la pace,
-perocchè non avevano disfatto Montegemmoli nell’alpe, avendo egli
-voluto assegnare la Sambuca e ’l Sambucone, come diceano i patti della
-pace, a Lotto Gambacorti come amico comune, non ostante che per lui non
-fosse voluto ricevere, parendogli avere osservato dalla sua parte: per
-la qual cosa s’accozzarono ambasciadori di catuna parte a Serezzana,
-e mostrato fu per ragione che per quella offerta e’ non era scusato,
-nè aveva adempiute le convenenze, e però i Fiorentini non erano in
-colpa. La cagione che acquetò l’arcivescovo fu, che non gli parve tempo
-utile a muovere guerra a’ Fiorentini, e però s’acquetò, e consentì
-alla loro ragione. Poco tempo appresso nel detto verno l’arcivescovo
-mise cinquecento uomini al lavorio, e fece tutto il cammino per terra
-da Nizza a Genova, ch’era scropuloso e pieno di molti stretti e mali
-passi, appianare e allargare, tagliando le pietre per forza di picconi,
-e facendo fare molti ponti ov’erano i mali valichi, sicchè gli uomini a
-cavallo due insieme, e le some per tutto il cammino potessono andare,
-cosa assai utile e notevole se fatto fosse a fine di bene; ma che che
-l’arcivescovo e’ suoi s’avessono nell’animo, a’ Provenzali n’entrò
-grande gelosia, e stettonne a Nizza e nell’altre terre in lunga
-guardia, e poco lasciavano usare quello cammino, temendo della potenza
-del tiranno.
-
-
-CAP. LXXXVIII.
-
-_Come i Sanesi ruppono i patti a Montepulciano._
-
-Potendosi catuno dolere con ragione in se della corrotta fede odiosa a’
-popoli, mercatanzia de’ tiranni, cagione nascosa di gravi pericoli, ci
-muove a dire con vergogna, come reggendosi il comune di Siena sotto il
-governamento occupato dall’ordine de’ nove, ruppono la fede promessa
-a’ signori di Montepulciano, essendone stati mezzani i Fiorentini
-e’ Perugini, e mallevadori alla richiesta di quello comune. E per
-giustificarsi della corrotta fede, aggiunsono una corrotta dannazione,
-mettendo il detto messer Niccola senza colpa in bando per traditore,
-acciocchè non paressono tenuti a dargli fiorini seimila d’oro che
-promessi gli aveano, quando diede loro la signoria di Montepulciano.
-Della qual cosa turbato il comune di Firenze e quello di Perugia,
-mandarono loro ambasciadori a Siena per far loro con preghiere
-addirizzare questo torto; e avuto sopra ciò più volte udienza, e menati
-lungamente per parole da’ signori, e straziati da’ loro consigli,
-insieme mostrando coll’opere la corruzione conceputa contro a’ detti
-comuni per lo detto ordine de’ nove. Agli ambasciadori di catuno comune
-fu fatta vergogna, e gittato loro addosso cavalcando per la città
-vituperoso fastidio, e udendosi dire dietro villane parole: a quelli
-di Perugia furono gittati de’ sassi, e minacciati di peggio: e così
-senza altro comiato, con accrescimento d’onta e di disonore, catuni
-ambasciadori tornarono a’ loro comuni; i quali conoscendo doppiamente
-essere offesi, per lo migliore dissimularono il fatto, comportando con
-senno la loro ingiuria. E questo avvenne del mese di febbraio del detto
-anno.
-
-
-CAP. LXXXIX.
-
-_Come si cominciò la gran compagnia nella Marca._
-
-Il friere di san Giovanni fra Moriale, vedendo che il prefetto da Vico,
-con cui era stato all’assedio di Todi, nol potea sostenere a soldo,
-avendo l’animo grande alla preda, si propose d’accogliere gente d’arme
-d’ogni parte d’Italia, e fare una compagnia di pedoni con la quale
-potesse cavalcare e predare ogni paese e ogni uomo. E qui cominciò il
-maladetto principio delle compagnie, che poi per lungo tempo turbarono
-Italia, e la Provenza, e il reame di Francia e molti altri paesi, come
-leggendo per li tempi si potrà trovare. Questo fra Moriale incontanente
-co’ suoi messaggi e lettere mosse in Italia gran parte de’ soldati
-ch’erano in Toscana, e in Romagna e nella Marca senza soldo, a cavallo
-e a piè, dicendo, che chi venisse a lui sarebbe provveduto delle spese
-e di buono soldo; e per questo ingegno in breve tempo accolse a se
-millecinquecento barbute e più di duemila masnadieri, uomini vaghi
-d’avere loro vita alle spese altrui. E avendo messer Malatesta da
-Rimini assediata per lungo tempo la città di Fermo e condotta agli
-ultimi estremi, ed essendo per averla in breve tempo, fra Moriale,
-ricordandosi del servigio che da lui avea ricevuto quando l’assediò
-nel castello d’Aversa, avendo movimento da Gentile da Mogliano che
-tiranneggiava Fermo, e dal capitano di Forlì ch’era nimico di messer
-Malatesta, fidandosi alle loro promesse e a’ loro stadichi, del mese
-di novembre con la sua compagnia entrò nella Marca, e costrinse messer
-Malatesta a levarsi da oste da Fermo, e liberò la città dall’assedio, e
-rimasesi nel paese. E per lo nome sparto di questo primo cominciamento
-la compagnia crebbe e fece grandi cose in questo verno, e poi maggiori,
-come al suo tempo racconteremo, tornando prima all’altre cose che
-domandono la nostra penna.
-
-
-CAP. XC.
-
-_Dice de’ leoni nati in Firenze._
-
-E’ non pare cosa degna di memoria a raccontare la natività de’ leoni,
-ma due cagioni ci stringono a non tacere: l’una si è, perchè antichi
-autori raccontano che in Italia non nascono leoni, l’altra, che
-dicono che i leoni nascono del ventre della madre morti, e che poi
-sono vivificati dal muggio della madre e del leone fatto sopra loro:
-e noi avemo da coloro che più volte gli vidono nascere, che il loro
-nascimento è come degli altri catelli che nascono vivi: all’altra parte
-è risposto per lo loro nascimento, più e diverse volte avvenuto nella
-nostra città, e in questo anno, del mese di novembre, ne nacquero in
-Firenze tre, de’ quali l’uno si donò al duca di Osteric, che per grazia
-il domandò al nostro comune; e il leone padre vedendosi tolto l’uno de’
-suoi leoncini se ne diè tanto dolore, che quattro dì stette che non
-volle mangiare, e temettesi che non morisse. E perch’elli stavano in
-luogo stretto ove si batte la moneta del comune, ne furono tratti, e
-dato loro larghezza di case, e di cortili, e di condotti nelle case che
-il duca d’Atene avea fatte disfare per incastellarsi, che furono de’
-Manieri, dietro al palagio del capitano e dell’esecutore in su la via
-da casa i Magalotti, ove stanno al largo, e bene.
-
-
-CAP. XCI.
-
-_Come i Romani si dierono alla Chiesa di Roma._
-
-Il popolo romano non sappiendosi reggere per li suoi tribuni e per li
-rettori, sentendo il cardinale di Spagna a Montefiascone legato del
-papa, valoroso signore nell’arme e di grande autorità, trattò con lui
-d’accomandarsi alla Chiesa di Roma sotto singolare condizione e patto.
-E ricevuto in protezione del legato con quello lieve legame, con lui
-si convenne, e con furia lo mosse a far guerra e danneggiare di guasto
-i Viterbesi; della qual cosa, cresciuta la forza e ’l numero de’
-cavalieri al legato, seguirono poi maggiori cose, come seguendo nostra
-materia racconteremo.
-
-
-CAP. XCII.
-
-_Le novità seguite in Pistoia._
-
-Essendo ordine in Pistoia che balia per li fatti del comune non si
-potesse dare a’ suoi cittadini, nato da sospetto delle loro sette,
-trovandosi capitano della guardia per lo comune di Firenze messer
-Gherardo de’ Bordoni il quale favoreggiava i Cancellieri e la loro
-parte, era in que’ dì fatto un processo per l’inquisitore de’ paterini
-contro a certi cittadini di Pistoia, di che tutto il comune si gravava;
-e a riparare a questo, convenne che balìa si desse a certi cittadini.
-L’industria de’ Cancellieri, coll’aiuto del capitano, fece tanto, che
-la balìa fu data a certi uomini tutti della parte de’ Cancellieri,
-i quali intesono ad abbattere in comune lo stato de’ Panciatichi, e
-di presente aggiunsono al numero del consiglio del comune, che avea
-quaranta uomini, della parte de’ Cancellieri; e intendendo di fare
-più innanzi, i Panciatichi per paura, e per non essere criminati
-dal capitano se ne vennono a Firenze: gli altri cittadini vedendosi
-ingannati da quelli della balìa corsono all’arme, e abbarrarono le vie,
-e catuno s’afforzava per combattere e per difendere. In questo tempo
-de’ romori di Pistoia, messer Ricciardo Cancellieri fu notificato a
-Firenze per lo Piovano de’ Cancellieri suo consorto, ch’egli volea fare
-al comune certo tradimento. E chiamato in giudicio a Firenze l’uno
-e l’altro, e dato balìa per lo comune al capitano della guardia di
-Firenze di potere conoscere sopra la causa, furono messi in prigione, e
-trovato che non era colpevole messer Ricciardo, fu liberato, e ritenuto
-il Piovano, e mutato in Pistoia nuovo capitano. Il comune di Firenze
-mandò in Pistoia ambasciadori, e con loro i Panciatichi, e racquetato
-lo scandalo tra i cittadini, si riposarono in pace.
-
-
-CAP. XCIII.
-
-_Come l’arcivescovo richiese di pace i Veneziani._
-
-L’arcivescovo di Milano avendo sottomesso a sua signoria la città
-di Genova e di Savona, e tutta la Riviera e il loro contado, i cui
-abitanti erano nimici de’ Veneziani, mandò suoi ambasciadori al doge
-e al comune di Vinegia, per li quali significò a quello comune come
-i Genovesi erano suoi uomini, e le loro città e contado erano suo
-distretto; e tenendosi amico de’ Veneziani, e sapendo che per addietro
-i Genovesi erano stati loro nimici, intendea, quando al doge piacesse
-e al comune di Vinegia, che per innanzi fossono fratelli e amici: e
-intorno a ciò usarono belle e suadevoli ragioni. Il doge e il suo
-consiglio presono tempo d’avere loro consiglio, e di rispondere la
-mattina vegnente: e venuto il giorno, di gran concordia risposono la
-mattina dicendo: che ’l comune di Vinegia si tenea gravato e offeso
-dall’arcivescovo, il quale avea preso ad aiutare i Genovesi loro
-capitali nemici, e però non intendeano di volere pace e concordia con
-lui nè col comune di Genova, ma giusta loro podere tratterebbono lui e
-i suoi sudditi come loro nemici. E conseguendo al fatto, incontanente
-feciono accomiatare e bandeggiare di Vinegia, e di Trevigi, e di
-tutte le loro terre e distretti tutti coloro che fossono sotto la
-giurisdizione dell’arcivescovo di Milano; e simigliantemente fece nelle
-sue terre l’arcivescovo de’ Veneziani: e così fu manifesta la guerra
-tra loro, del mese di novembre del detto anno, per tutta la Lombardia e
-Toscana.
-
-
-CAP. XCIV.
-
-_Come i Veneziani ordinarono lega contro al Biscione._
-
-Incontanente che agli altri signori lombardi fu palese la risposta
-fatta pe’ Veneziani all’arcivescovo, il gran Cane di Verona, e’ signori
-di Padova, e que’ di Mantova, e il marchese da Ferrara e i Veneziani,
-feciono parlamento per loro solenni ambasciadori, ove si propose di
-fare lega insieme, e taglia di gente d’arme contro all’arcivescovo di
-Milano, il quale parea loro che fosse troppo montato; e non fidandosi
-tutti insieme di potere resistere alla grande potenza dell’arcivescovo,
-s’accordarono di fare passare a loro stanza l’imperadore in Italia.
-E dopo più parlamenti sopra ciò fatti fermarono compagnia e lega
-tra loro, e taglia di quattromila cavalieri, e fecionla piuvicare
-in Lombardia, e con grande istanza per loro segreti ambasciadori
-richiesono e pregarono il comune di Firenze che si dovesse collegare
-con loro, prendendo ogni vantaggio che volesse: ma perocchè il detto
-comune era in pace coll’arcivescovo, per alcuna preghiera o promessa di
-vantaggio che fatta fosse, non potè essere recato che la pace volesse
-contaminare. I collegati incontanente mandarono ambasciadori solenni
-in Alamagna all’imperadore, per inducerlo a passare in Lombardia
-contro all’arcivescovo di Milano, offerendogli tutta la loro forza,
-e danari assai in aiuto alle sue spese, acciocchè meglio potesse
-tenere la sua cavalleria; e per tutto fu divulgata la fama, che in
-quest’anno l’imperadore passerebbe a istanza della detta lega. Queste
-cose furono ferme e mosse del mese di dicembre del detto anno. E stando
-gli allegati in aspetto, non si provvidono di fare la gente della
-taglia infino al primo tempo, nè d’avere capitano; e però lasceremo al
-presente questa materia, tanto che ritornerà il suo tempo, e diremo di
-quelle che ci occorrono al presente a raccontare.
-
-
-CAP. XCV.
-
-_Come il conestabile di Francia fu morto._
-
-Era messer Carlo, figliuolo che fu di messer Alfonso di Spagna,
-accresciuto dall’infanzia in compagnia del re Giovanni di Francia, ed
-era divenuto cavaliere di gran cuore e ardire, e valoroso in fatti
-d’arme, pieno di virtù e di cortesia, e adorno del corpo, e di belli
-costumi, ed era fatto conestabile di Francia, ed il re gli mostrava
-singolare amore, e innanzi agli altri baroni seguitava il consiglio
-di costui; e chi volea mal parlare, criminavano il re di disordinato
-amore in questo giovane: e del grande stato di costui nacque materia di
-grande invidia, che gli portavano gli altri maggiori baroni. Avvenne
-che il re Giovanni provvidde il re di Navarra suo congiunto d’una
-contea in Guascogna, la quale essendo a’ confini delle terre del re
-d’Inghilterra, era in guerra e in grave spesa per la guardia, più che
-’l detto re non avrebbe voluto, e però la rinunziò, e il re poi la
-diede al conestabile, ch’era franco barone e di gran cuore in fatti
-d’arme. Il re di Navarra che già avea contro al conestabile conceputo
-invidia, mostrò di scoprirla, prendendo sdegno perch’egli avea
-accettata la sua contea, nonostante ch’egli l’avesse rinunciata. Ed
-essendo genero del re di Francia, con più audace baldanza, in persona,
-con altri baroni che simigliantemente invidiavano il suo grande stato,
-una notte andarono a casa sua, e trovandolo dormire in sul letto suo
-l’uccisono a ghiado; della qual cosa il re di Francia si turbò di cuore
-con ismisurato dolore, e più di quattro dì stette senza lasciarsi
-parlare. La cosa fu notabile e abominevole, e molto biasimata per tutto
-il reame, e fu materia e cagione di gravi scandali che ne seguirono,
-come seguendo ne’ suoi tempi si potrà trovare. E questo micidio fu
-fatto in questo verno del detto anno 1353.
-
-
-CAP. XCVI.
-
-_Come si cominciò la rocca in Sangimignano, e la via coperta a Prato._
-
-In questo medesimo tempo, il comune di Firenze per volere vivere più
-sicuro della terra di Sangimignano, e levare ogni cagione a’ terrazzani
-suoi di male pensare, cominciò a far fare, e senza dimettere il lavorio
-alle sue spese, e compiè una grande e nobile rocca e forte, la quale
-pose sopra la pieve dov’era la chiesa de’ frati predicatori, e quella
-chiesa fece maggiore e più bella redificare dall’altra parte della
-terra più al basso. E in questo medesimo tempo nella terra di Prato
-fece fare una larga via coperta, in due alie di grosso muro d’ogni
-parte, con una volta sopra la detta via, e un corridoio sopra la detta
-volta, largo e spazioso a difensione; la quale via muove dal castello
-di Prato fatto anticamente per l’imperatore, e viene fino alla porta;
-ove si fece crescere e incastellare la torre della porta a modo d’una
-rocca; e in catuna parte tiene il comune continova guardia di suoi
-castellani.
-
-
-CAP. XCVII.
-
-_Del male stato dell’isola di Sicilia._
-
-Assai ne pare cosa più da dolere che da raccontare, gli assalti,
-gli aguati, i tradimenti, gl’incendi, le rapine, l’uccisioni senza
-misericordia, che in questi tempi i Siciliani faceano tra loro per
-invidia e setta parziale, le quali maladette cose tra gli uomini
-d’una medesima patria ebbono tanta forza di male aoperare nell’isola,
-ch’abbandonata la cultura de’ fertili campi, i quali sogliono pascere
-gli strani popoli, de’ suoi trasse per fame più di diecimila famiglie
-della detta isola, i quali per non morire d’inopia, si feciono
-abitatori dell’altrui terre in Sardegna, e in Calabria, e nel Regno
-di qua dal faro. E in questa tempesta, certi baroni dell’isola
-contrari alla setta de’ Catalani, che governavano lo sventurato duca
-che s’attendea a essere re, sentendolo egli e i suoi manifestamente,
-trattavano di dare la maggiore parte delle buone terre dell’isola al
-re Luigi suo avversario, e non ebbe per lungo tempo podere d’atarsene,
-tanto che venne fatto, come nel principio del quarto libro seguendo si
-potrà trovare.
-
-
-CAP. XCVIII.
-
-_Come il legato del papa procedette col prefetto._
-
-In questo verno, il cardinale di Spagna legato del papa avendo tentato
-il prefetto lentamente con poco prosperevole guerra, cercò con più
-riprese di trovare pace con lui, e fu la cosa tanto innanzi, che per
-tutto scorse la fama che la pace era fatta. Ma il prefetto già tiranno
-senza fede, vedendosi il destro, sotto la speranza della pace tolse al
-legato due castella, e rotto il trattato, il cominciò a guerreggiare:
-per la qual cosa il legato seguitò il processo fatto contro a lui, e
-del mese di febbraio del detto anno pronunziò la sentenza, e per sue
-lettere il fece scomunicare come eretico per tutta Italia; e fatto
-questo, conoscendo che altra medecina bisognava a riducere costui alla
-via diritta, che suono di campane o fummo di candele, saviamente, e
-senza dimostrare sua intenzione innanzi al fatto, si venne provvedendo
-d’avere al tempo gente d’arme, da potere fare l’esecuzione contro a
-lui del suo processo. E in questo mezzo, avendo dugento cavalieri
-del comune di Firenze e alquanti da se, fece sì continua guerra al
-tiranno, che poco potea resistere o comparire fuori delle mura. E
-avendo il prefetto preso sospetto de’ Viterbesi e degli Orvietani, che
-si doleano perchè la pace non era venuta a perfezione, tirannescamente
-volle tentare l’animo de’ cittadini di catuna città, e fare cosa da
-tenerli in paura. E però segretamente accolse fanti di fuori a pochi
-insieme, e miseli in catuna terra ne’ suoi palagi, e in un medesimo dì
-fece a certa gente di cui e’ si confidò levare il romore contro a se
-in catuna città, al quale romore alquanti cittadini in catuna terra
-presono l’arme, e seguitavano il grido. Il tiranno con quattrocento
-fanti ch’aveva armati e apparecchiati in Viterbo uscì fuori e corse la
-terra, uccidendo cui egli volle, e condannò e cacciò a’ confini tutti
-coloro di cui sospettava. E per simigliante modo fece correre la città
-d’Orvieto al figliuolo, e uccidere e condannare e mandare a’ confini
-cui egli volle. E così gli parve per male ingegno aver purgate quelle
-due città d’ogni sospetto, e avere più ferma la sua signoria, la quale
-per lo contradio, non avendo da se potenza nè aspettandola d’altrui,
-per questa mala crudeltà ogni dì venne mancando, come l’opere appresso
-dimostreranno manifestamente in fatto.
-
-
-CAP. XCIX.
-
-_Come si rubellò Verona al Gran Cane per messer Frignano._
-
-Chi potrebbe esplicare le seduzioni, gl’inganni e’ tradimenti che i
-tiranni posponendo ogni carità, parentado e onore, pensano, ordinano,
-e fanno per ambizione di signoria? Certo tanti sono i modi quanti i
-loro pensieri, sicchè ogni penna ne verrebbe meno e stanca. Tuttavia
-per quello ch’ora ci occorre, cosa strana e notevole, ci sforzeremo a
-dimostrare l’avviluppata verità di diversi tradimenti e suoi effetti.
-Narrato avemo poco dinanzi come la lega de’ Veneziani con gli altri
-signori Lombardi era giurata e ferma contro al signore di Milano, ed
-essendo il signore di Mantova de’ più avvisati tiranni di Lombardia
-vicino dell’arcivescovo di Milano, l’arcivescovo con industriose
-suasioni e con grandi promesse il mosse a farlo trattare di tradire
-messer Gran Cane signore di Verona e di Vicenza con cui egli era
-in lega, ed egli per accattare la benivolenza dell’arcivescovo,
-dimenticato il beneficio ricevuto da quelli della Scala, che l’aveano
-fatto signore di Mantova, diede opera al fatto, e non senza speranza
-d’aoperare per se, se la fortuna conducesse la cosa ov’era la sua
-immaginazione. E però conoscendo egli messer Frignano figliuolo
-bastardo di messer Mastino, uomo pro’, e ardito d’arme, e di grande
-animo, accetto nel cospetto del fratello suo signore, e amato dal
-popolo di Verona e di Vicenza, vago di signoria, trattò con lui di
-farlo signore di Verona con suo consiglio, e colla sua forza e del
-signore di Milano. Questo sterpone tornando alla sua natura, senza fede
-o fraternale carità, di presente intese al tradimento del fratello, e
-col signore di Mantova ordinarono il modo ch’egli avesse a tenere, e
-l’aiuto della gente ch’egli avrebbe da lui. In questo tempo avvenne
-che ’l Gran Cane andò a parlamentare col marchese di Brandimborgo suo
-suocero per li fatti della lega, e il fratello bastardo era cognato del
-signore di Castelborgo, ch’era a’ confini del cammino ove il Gran Cane
-dovea passare; costui avvisato da messer Frignano mise un aguato per
-uccidere il Gran Cane, ma scoperto l’aguato, passò senza impedimento.
-Come messer Frignano avea ordinato, a Verona tornarono novelle come il
-Gran Cane era stato morto; ma innanzi che la novella venisse, messer
-Frignano avea mandati fuori di Verona tutti i cavalieri soldati, salvo
-coloro di cui s’era fidato, e che con lui s’intesero al tradimento.
-Pubblicata la novella in Verona come il Gran Cane loro signore era
-stato morto, il traditore con gran pianto fece incontanente, a dì 17 di
-febbraio del detto anno, raunare il popolo, e a uno giudice, cui egli
-avea informato, fece proporre in parlamento come il loro signore era
-morto, e che ’l comune di Verona rimanea in gran pericolo senza capo,
-avendo a vicino così possente signore com’era l’arcivescovo di Milano;
-e aggiunse, che a lui parea che messer Frignano prendesse il loro
-governamento. Il traditore ch’era presente, senza attendere ch’altri si
-levasse a parlamentare, o ch’altra deliberazione si facesse, si levò
-suso, e disse, che così prendeva e accettava la signoria. E montato a
-cavallo, colle masnade che v’erano corse la terra, gridando, muoiano
-le gabelle; e fece ardere i libri e gli atti della corte, e ruppono le
-prigioni. E di subito il signore di Mantova vi mandò messer Feltrino,
-e messer Federigo, e messer Guglielmo suoi figliuoli, e messer Ugolino
-da Gonzaga tutti de’ signori di Mantova con trecento cavalieri. Il
-signore di Ferrara ingannato del tradimento vi mandò messer Dondaccio
-con dugento cavalieri; ma innanzi che tutti v’entrassono, il capitano
-colla maggior parte di loro per contramandato si tornarono indietro
-scoperto l’inganno. Messer Frignano ricevuta questa gente d’arme, e
-accolti certi cittadini che ’l seguirono, da capo corse la terra: i
-cittadini non si mossono, ed egli s’entrò nel palagio dell’abitazione
-del signore. Messer Azzo da Coreggio ch’era in Verona se n’uscì non con
-buona fama. Le guardie furono poste alle porte, e la terra s’acquetò, e
-messer Frignano ne fu signore; la quale signoria il signore di Mantova
-per ingegno, e quello di Milano per ingegno e forza si credette catuno
-avere, come seguendo appresso diviseremo.
-
-
-CAP. C.
-
-_Come messer Bernabò con duemila barbute si credette entrare in Verona._
-
-Il signore di Mantova avendo in Verona quattro tra figliuoli e
-congiunti con trecento cavalieri, procacciava di mettervene anche per
-esservi più forte che messer Frignano, a intenzione di tradire lui,
-e di recare a se la signoria, ma non gli potè venire fatto, perocchè
-sentì che l’arcivescovo di Milano, che vegghiava a questo effetto,
-mandava messer Bernabò cognato del Gran Cane a Verona con duemila
-cavalieri, temette di se, e non ebbe ardire di sfornire Mantova di
-cavalieri; e così per la non pensata perdè quello che avea lungamente
-provveduto. La novella del gran soccorso che venia da Milano, e
-dell’apparecchiamento di quello di Mantova sentito a Verona, generò
-sospetto a messer Frignano e a’ cittadini della città, e però presono
-l’arme, e rafforzarono le guardie, e stettono in più guardia; onde i
-signori che v’erano di Mantova non vidono modo di fornire loro corrotta
-intenzione, e però si stettono, mostrandosi fedeli a messer Frignano e
-alla guardia della città. In questo stante messer Bernabò con duemila
-barbute e gran popolo giunse a Verona, mostrando di volere ricoverare
-la signoria di Verona al cognato, credendo con questo trarre a se
-l’animo de’ cittadini, e credendo che quelli ch’aveano mossa questa
-novità a stanza dell’arcivescovo l’atassono entrare nella terra, e
-però si strinse infino alle porte, e domandava l’entrata, la quale gli
-fu negata; e non vedendo che dentro alcuno gli rispondesse, cominciò
-a combatterla; ma vedendo il suo assalto tornare invano, e sentendo
-la tornata di messer Gran Cane d’Alamagna, si partì del paese, e
-tornossi a Milano mal contento de’ signori di Mantova, ed eglino peggio
-contenti dell’arcivescovo, ch’aveva sconcio il loro tranello per quella
-cavalcata, come poco appresso dimostrarono in opera catuna parte,
-secondo che seguendo dimostreremo.
-
-
-CAP. CI.
-
-_Come messer Gran Cane racquistò Verona, e fu morto messer Frignano._
-
-Quando messer Gran Cane cavalcava al marchese di Brandimborgo avea
-con seco il fratello, e sospicando di novità quando sentì l’aguato
-del signore di Castelborgo rimandò il fratello addietro, il quale
-venendo nel paese, sentì come messer Frignano avea rubellata Verona,
-e però se n’andò in Vicenza. La novella corse a messer Gran Cane, e
-vennegli essendo egli col marchese; e turbato l’uno e l’altro, il
-marchese francamente il confortò, offerendoli tutta la sua possa
-a racquistare Verona: ma perchè l’indugio a cotali cose conobbe
-pericoloso, di presente il fece montare a cavallo, apparecchiandoli
-di subito cento barbute delle sue, e colla gente ch’egli aveva da se,
-senza soggiorno, cavalcando il dì e la notte, se ne venne a Vicenza,
-e là trovò il fratello, e trovovvi messer Manno Donati di Firenze
-capitano di dugento cavalieri, che il signore di Padova avea mandati
-in suo aiuto, e trovovvi della gente del marchese di Ferrara; e
-sommosso il popolo di Vicenza a cotanto suo bisogno, gran parte ne
-menò con seco; e la notte medesima, con seicento barbute e col popolo
-di Vicenza se ne venne a Verona, e in sul mattino lasciò la strada,
-e attraversando pe’ campi entrò in Campo marzio, che è fuori della
-città ivi presso, murato intorno, e risponde a una piccola porta della
-città, la quale meno ch’altra porta si solea guardare. Quivi s’affermò
-messer Gran Cane, e mandò innanzi un Giovanni dell’Ischia di Firenze
-la notte, che procacciasse d’entrare in Verona, e facesse sentire a’
-confidenti cittadini di messer Gran Cane com’egli era di fuori in
-Campo marzio, e accompagnollo d’uno confidente Tedesco. Costoro, non
-avendo altra via, si misono a notare co’ cavalli per l’Adice per venire
-infra la città ove mancava il muro, e in questo notare, il Tedesco
-poco destro del servigio dell’acqua vi rimase affogato. Giovanni
-dell’Ischia entrò nella terra, e andò informando e sommovendo gli
-amici di messer Gran Cane, avvisando come avessono a venire a quella
-porta in suo favore; i quali sentendo ivi fuori il loro signore, la
-mattina vennono con le scuri alla porta, e spezzaronla. Nondimeno le
-guardie ch’erano sopr’essa con le pietre e con le balestra da alto
-francamente la difendevano, sicchè non vi lasciarono entrare alcuno.
-Intanto il traditore messer Frignano essendo in sollecita guardia
-del fratello, e ancora di messer Bernabò, che il dì dinanzi l’avea
-assalito co’ suoi cavalieri, cavalcava intorno alla terra, e la mattina
-era montato in certa parte onde potea vedere di fuori, e guardava se
-messer Gran Cane venisse, che già non sapeva che fosse così dipresso,
-e guardando inverso Campo marzio, vide la porta piccola di Verona
-aperta, e dicendo, noi siamo traditi, francamente trasse con la gente
-sua inverso quella porta per difendere l’entrata; ma innanzi che vi
-giugnesse, il Gran Cane s’era tratto innanzi alla porta, e trattasi
-la barbuta, e fattosi conoscere a coloro che la guardavano, dicendo,
-io vedrò chi saranno coloro che mi contradiranno l’entrata della mia
-terra, e conosciuto da loro, incontanente gli feciono reverenza, e
-lasciarono entrare lui e la sua gente senza contasto. E sopravvenendo
-messer Frignano, il trovò entrato nella città con la maggior parte
-della gente, e avvisatolo, che bene il conosceva, nella piazza dentro
-dalla porta, si dirizzò verso lui colla lancia per fedirlo di posta,
-e tentare l’ultima fortuna: ma già era cominciato l’assalto tra i
-cavalieri di catuna parte aspro e forte, sicchè vedendo un cavaliere di
-quelli di messer Gran Cane mosso messer Frignano colla lancia abbassata
-verso il suo signore, gli si addirizzò per traverso, e colla lancia il
-percosse nella guancia dell’elmo per tale forza, come fortuna volle,
-che l’abbattè del cavallo a terra. Messer Giovanni chiamato Mezza
-Scala, vedendo messer Frignano abbattuto del destriere, scese del suo
-cavallo, e disse, che che s’avvegna di Verona tu morrai delle mie mani,
-e corsegli addosso, e con un coltello gli segò le vene, e lasciollo
-morto a terra. Ed in quello baratto fu morto con lui messer Paolo della
-Mirandola, e messer Bonsignore d’Ibra grandi conestabili. E morti
-costoro, l’altra gente ruppe, e assai ve ne furono morti fuggendo. Le
-porti della città erano serrate, e i cittadini sentendo il loro signore
-dentro tutti tennero con lui, e però i forestieri che v’erano furono
-presi e rassegnati a messer Gran Cane, il quale per la sua sollecita
-tornata felicemente racquistò Verona e uccise i traditori. Che se al
-fatto avesse messo indugio, non la racquistava in lungo tempo, o per
-avventura non mai, sì si venia provvedendo alla difesa lo sterpone. E
-questo avvenne il dì di carnasciale, a dì 25 di febbraio l’anno 1353.
-
-
-CAP. CII.
-
-_Come messer Gran Cane riformò la città di Verona, e fece giustizia de’
-traditori._
-
-Messer Gran Cane avendo racquistata Verona avventurosamente si fece
-appresentare i prigioni, e diligentemente volle investigare la verità,
-come i cittadini aveano acconsentito al traditore, e udita la sagacità
-dell’inganno, comportò dolcemente l’errore del popolo. E raddirizzato
-l’ordine al governamento della città, fece impiccare in sù la piazza di
-mezzo il mercato di Verona il corpo di messer Frignano, e ventiquattro
-caporali partefici al tradimento del fratello, tra’ quali fu Giovannino
-Canovaro di Verona grande cittadino con quattro suoi figliuoli, e
-Alboino della Scala suo consorto, e messer Alberto di Monfalcone
-grande conestabile, e Giannotto fratello di madre di messer Frignano,
-e due figliuoli di Tebaldo da Camino, e due medici de’ signori della
-Scala, e il notaio della condotta, e altri uficiali infino al numero
-sopraddetto. A prigione ritenne messer Feltrino da Mantova, e messer
-Ugolino e messer Guglielmo suoi figliuoli, e messer Federigo suo
-fratello, e Piero Ervai di Firenze, il quale era fatto podestà di
-Verona per messer Frignano, il quale si ricomperò per non essere
-impiccato fiorini diecimila d’oro. Guidetto Guidetti si ricomperò per
-simile cagione fiorini dodicimila d’oro. Messer Giovanni da Sommariva
-e Tebaldo da Camino vi rimasono prigioni, e a’ cavalieri soldati tolse
-l’armi e’ cavalli, e feceli giurare di non essere mai contro a lui, e
-lasciolli andare. A coloro che più singolarmente l’aiutarono in questo
-fatto, come fu messer Manno Donati, e que’ dell’Ischia, e quelli di
-Boccuccio de’ Bueri tutti cittadini di Firenze, ch’adoperarono gran
-cose in sul fatto, provvide di possessioni de’ traditori, e molti altri
-ebbono grazia da lui cittadini e forestieri. E rimaso libero signore
-come di prima, aontato contro al signore di Mantova, avuta gente d’arme
-dal marchese di Brandimborgo cavalcò sul Mantovano, e ruppe la lega, e
-dissimulava trattato d’allegarsi con l’arcivescovo di Milano, insino
-che le cose si ridussono a concordia per sollecita operazione de’
-Veneziani, come al suo tempo innanzi racconteremo.
-
-
-CAP. CIII.
-
-_Come fu deliberato per la Chiesa l’avvenimento dell’imperadore in
-Italia._
-
-Avendo l’eletto imperadore prima veduto come i comuni di Toscana
-l’aveano richiesto per farlo valicare in Italia, e da loro non s’era
-rotto, e appresso era richiesto dalla lega de’ Lombardi, e con loro
-tenea benevoglienza e trattato, e ancora l’arcivescovo avea appo
-lui continovi ambasciadori che gli offeriano il loro aiuto alla sua
-coronazione, per le quali cose considerò che agevolmente e senza
-resistenza e’ potea valicare per la corona. E però sostenendo catuna
-parte in speranza e in amore, mandò a corte di Roma ad Avignone per
-avere licenza e la benedizione papale, e i legati e ’l sussidio
-promesso dalla Chiesa per la sua coronazione. Gli ambasciadori furono
-graziosamente ricevuti dal papa, e udita la domanda dell’eletto
-debita e giusta, tenuti sopra ciò alquanti consigli e consistori, del
-mese di febbraio del detto anno, fu deliberato per lo papa e per li
-cardinali ch’egli avesse la licenza, e la benedizione, e i legati per
-la sua coronazione; altro sussidio non gli promisono. E partiti gli
-ambasciadori da corte, tra i cardinali ebbe divisione e tire di coloro
-ch’avessono la legazione per venire con lui, e per le dette tire, e
-perchè l’avvenimento non parea presto, si rimase la commessione de’
-legati infino al tempo dell’avvenimento suo; onde si raffreddarono i
-procacciatori, non sentendolo ricco da trarre da lui quello che la loro
-avarizia prima si pensava.
-
-
-CAP. CIV.
-
-_D’un gran fuoco ch’apparve nell’aria._
-
-Il primo dì di marzo, alle sei ore della notte, si mosse uno sformato
-fuoco nell’aria, il quale corse per gherbino in verso greco, come
-aveva fatto l’altro che prima era venuto col tremuoto, ma di lume e
-d’infiammagione non fu molto minore. A questo seguitò grande secco,
-perocchè infino al giugno non caddono acque che podere avessono di
-bagnare la terra, per la qual cosa il grano e le biade cresciute il
-verno e parte della primavera, e in buona speranza di ricolta, a tanto
-erano condotte per lo secco, che se non fosse la manifesta grazia che
-Madonna fece alla processione dell’antica tavola della sua effigie di
-santa Maria in Pineta, come al suo tempo si diviserà, erano i popoli di
-Toscana fuori di speranza di ricogliere grano, o biada o altri frutti
-in quest’anno per nutricamento di quattro mesi; e però non ci pare
-da lasciare in silenzio il caso di questo segno, per ammaestramento
-de’ tempi avvenire. Seguitò ancora l’avvenimento dell’imperadore in
-quest’anno in Italia e la sua coronazione, e avvenimento di grandi
-terremuoti, come appresso racconteremo.
-
-
-CAP. CV.
-
-_Di tremuoti che furono._
-
-In questo medesimo dì primo di marzo furono in Romania grandissimi
-terremuoti, e nella nobile città di Costantinopoli abbatterono molti
-grandi e nobili edificii e gran parte delle mura della città, con
-grande uccisione d’uomini, e di femmine, e di fanciulli. E da Boccadone
-infino a Costantinopoli, su per la marina, non rimase castello nè
-città che non avesse grandissime rovine delle mura e degli edificii
-con grande mortalità de’ suoi abitanti; per la qual cosa avvenne, che
-i Turchi loro vicini sentendo i Greci spaventati, e senza potersi
-racchiudere e salvare nelle fortezze, corsono sopra loro, e presonne
-assai, e menaronli in servaggio: e alcuni castelli rifeciono e
-afforzarono, e misonvi abitatori e guardie di loro Turchi; e appresso
-accolsono grande esercito di loro gente, e puosonvi assedio per terra
-a Costantinopoli, ch’era in divisione e in tremore, ma contro a’
-Turchi s’unirono alla difesa; sicchè stativi alcuno tempo senza potere
-acquistare la città, corsono le ville, e rubarono le contrade, e senza
-avere resistenza fuori delle mura si tornarono in loro paese.
-
-
-CAP. CVI.
-
-_De’ fatti del monte._
-
-La fede utile sopra l’altre cose, e gran sussidio a’ bisogni della
-repubblica, ci dà materia di non lasciare in oblivione quello che
-seguita. Il nostro comune, per guerra ch’ebbe co’ Pisani per lo fatto
-di Lucca, si trovò avere accattati da’ suoi cittadini più di seicento
-migliaia di fiorini d’oro; e non avendo d’onde renderli, purgò il
-debito, e tornollo a cinquecentoquattro migliaia di fiorini d’oro
-e centinaia, e fecene un monte, facendo in quattro libri, catuno
-quartiere per se, scrivere i creditori per alfabeto, e ordinò con certe
-leggi penali, alla camera del papa obbligate, chi per modo diretto o
-indiretto venisse contro a privilegio e immunità ch’avessono i danari
-del monte. E ordinò che in perpetuo ogni mese, catuno creditore dovesse
-avere e avesse per dono d’anno e interesso uno danaio per lira, e che i
-danari del monte ad alcuno non si potessono torre per alcuna cagione,
-o malificio, o bando, o condannagione che alcuno avesse; e che i detti
-danari non potessono essere staggiti per alcuno debito, nè per alcune
-dote, nè fare di quelli alcuna esecuzione, e che lecito fosse a catuno
-poterli vendere e trasmutare, e così a catuno in cui si trovassono
-trasmutati, que’ privilegi, e quell’immunità, e quello dono avesse il
-successore che ’l principale. E cominciato questo gli anni di Cristo
-1345, sopravvenendo al comune molte gravi fortune e smisurati bisogni,
-mai questa fede non maculò, onde avvenne che sempre a’ suoi bisogni
-per la fede servata trovava prestanza da’ suoi cittadini senza alcuno
-rammaricamento: e molto ci si avanzava sopra il monte, accattandone
-contanti cento, e facendone finire al monte altri cento, a certo
-termine n’assegnava dugento sopra le gabelle del comune, sicchè i
-cittadini il meno guadagnavano col comune a ragione di quindici per
-centinaio l’anno. Essendo i libri e le ragioni mal guidate per i notai
-che non gli sapeano correggere, e avevanvi commessi molti errori e
-falsi dati, si ridussono in mano di scrivani uomini mercatanti che gli
-correggessono, e corressono molto chiaramente a salvezza del comune e
-de’ creditori, avendo al continovo uno notaio che facea carta delle
-trasmutagioni per licenza del vero creditore, e poi gli scrivani gli
-acconciavano in su’ registri del comune, levando dall’uno e ponendo
-all’altro. Di questi contratti de’ comperatori si feciono in Firenze
-l’anno 1353 e 1354 molte questioni, se la compera era lecita senza
-tenimento di restituzione o nò, eziandio che il comperatore il facesse
-a fine d’avere l’utile che il comune avea ordinato a’ creditori, e
-comperando i fiorini cento prestati al comune per lo primo creditore
-venticinque fiorini d’oro, e più e meno com’era il corso loro,
-l’opinione de’ teologi e de’ legisti in molte disputazioni furono
-varie, che l’uno tenea che fusse illecito e tenuto alla restituzione,
-e l’altro nò, e i religiosi ne predicavano diversamente: que’
-dell’ordine di san Domenico diceano che non si potea fare lecitamente,
-e con loro s’accostavano de’ romitani, e i minori predicavano che si
-potea fare, e per questo la gente ne stava intenebrata. Era in questi
-tempi in Firenze copia di maestri in teologia, fra i quali de’ più
-eccellenti era maestro Piero degli Strozzi de’ frati predicatori, e
-maestro Francesco da Empoli de’ minori; maestro Piero dicea che non
-era lecito contratto, e predicavalo senza dimostrarne le ragioni
-chiare; perchè maestro Francesco de’ minori avendo sopra ciò con grande
-diligenza avute molte disputazioni con altri maestri in divinità,
-e con dottori di legge e di decretali, al tutto chiarì, e tenne, e
-predicò, e scrisse ch’era lecito, e senza tenimento di restituzione a
-chi il facea, senza fare contro a sua coscienza; e le ragioni perchè
-scrisse e mandò a tutte le regole, apparecchiato a mantenere quello
-che predicato e scritto avea. Nondimeno i predicatori e’ loro maestri
-non si rimossono della loro opinione, predicando che non si potea fare
-lecitamente e senza restituzione; e della loro opinione non mostrarono
-ragione, e contro alle scritte per maestro Francesco non contradissono
-con alcuna ragione; e per questo a molti rimase in dubbio il detto
-contratto, e molti l’ebbono per chiaro accostandosi alle ragioni del
-maestro Francesco, e senza riprensione di loro coscienza vendevano e
-comperavano, facendone traffico come d’un’altra mercatanzia. Se ’l
-contratto si potea provare usurario, debito era a chi ’l predicava
-di riprovare quello che si provava in contrario, per trarre la gente
-d’errore; se lecitamente fare si poteva, considerato che gli uomini
-sono cupidi a guadagnare, male era a recare loro in sospetto, e
-contaminare le coscienze di quello che lecito era per non discrete
-predicazioni.
-
-
-CAP. CVI.
-
-_Di certe rivolture di tiranni di Lombardia, e di più cose per lo
-tradimento di Verona_
-
-Detto abbiamo poco addietro come il Gran Cane della Scala si tenea aver
-perduta Verona per operazione del signore di Mantova, ed era contro a
-lui forte inanimato per lo fallo ch’egli avea fatto; essendo con lui
-nella lega s’era rotto dalla lega degli altri, e trattava d’allegarsi
-coll’arcivescovo di Milano e col marchese di Brandimborgo per far
-guerra coll’arcivescovo insieme contro a Mantova, e l’arcivescovo molto
-vi venia volentieri, e furono le cose tanto innanzi, che per tutto
-corse la voce ch’ell’era fatta. Il comune di Vinegia conoscendo che
-questa discordia poteva tornare a grande pericolo del loro comune e
-degli altri loro collegati lombardi, mandarono di loro assentimento al
-Gran Cane solenni ambasciadori, per rivocarlo alla lega e compagnia
-ch’aveano insieme, e far fare al signore di Mantova l’ammenda del suo
-fallo; e seguendo gli ambasciadori solennemente quello che fu loro
-commesso, operarono tanto, che ’l signore di Mantova fece l’ammenda
-come messer Gran Cane volle, e per la stima del danno ricevuto diede
-trentamila fiorini d’oro a messer Gran Cane, i quali promise, e pagò
-poi per lui il comune di Vinegia, e il signore di Mantova ne diè loro
-in guardia tre buone castella: e per questo modo fu fatta la pace, e
-lasciati di prigione que’ di Mantova, e messer Gran Cane tornò alla
-lega com’era in prima. Essendo raffermata la lega, ne’ porti di Mantova
-si trovò in un dì molta mercatanzia di Milanesi e d’altri distrettuali
-dell’arcivescovo, e perocchè a stanza dell’arcivescovo il signore di
-Mantova s’era mosso a far quello onde gli era convenuto fare ammenda di
-fiorini trentamila d’oro, di fatto fece arrestare tutto, e ripresesi
-sopra i Milanesi e distrettuali dell’arcivescovo di più che non
-restituì al signore di Verona, la qual cosa l’arcivescovo e’ suoi si
-recarono a grande onta.
-
-
-CAP. CVII.
-
-_Del processo della grande compagnia di fra Moriale della Marca._
-
-Tornando alla nuova tempesta di fra Moriale e di sua compagnia, rimasi
-nella Marca dopo la partita di messer Malatesta dall’assedio di
-Fermo, cominciarono a cavalcare il paese e fare in ogni parte preda,
-e vinsono per forza Mondelfoglio, e le Fratte, e san Vito, e sei
-altre castelletta nel paese, e scorsono a Iesi, e rubarono i borghi
-e predarono il paese. Appresso combatterono Feltrino e vinsonlo per
-forza, e uccisonvi da cinquant’uomini, e perch’era pieno d’ogni bene
-da vivere vi dimorarono un mese. E in fra questo tempo ebbono Monte
-di Fano, e Monte di Fiore, e più altre castella d’intorno per paura
-feciono i loro comandamenti. Per la fama delle grandi prede che faceva
-la compagnia, molti soldati ch’aveano compiute le loro ferme, senza
-volere più soldo traevano a fra Moriale, e assai in prova si facevano
-cassare per essere con lui, ed egli li faceva scrivere, e con ordine
-dava a catuno certa parte al bottino, e tutte le ruberie e prede
-ch’erano venali facea vendere, e sicurava i comperatori, e facevali
-scorgere lealmente, per dare corso alla sua mercatanzia. E ordinò
-camarlingo che ricevea e pagava, e fece consiglieri e segretari con
-cui guidava tutto; e da tutti i cavalieri e masnadieri era ubbidito
-come fosse loro signore, e mantenea ragione tra loro, la quale faceva
-spedire sommariamente. E così ordinati cavalcarono, e mutavano paese, e
-vennono a Montelupone, il quale per paura s’arrendè loro, e stettonvi
-venti dì; e raunata ivi la preda fatta nel paese e la sostanza
-del castello, ogni cosa ne trassono senza far male agli uomini, e
-cavalcarono alla marina e presono Umana, e combatterono Orivolo, e non
-l’ebbono, e da Umana andarono sopra Ancona, e presono la Falconara
-a patti salve le persone. E in que’ dì ebbono otto castella che
-s’arrenderono loro in sull’Anconitano, fuggendo le persone, e lasciando
-le terre e la roba alla compagnia. Appresso tornarono sopra Iesi, e per
-forza ebbono Alberello ed un altro castello, e tutto recarono in preda,
-e poi andarono a Castelficardo pieno di molta vittuaglia, e quello
-combattendo vinsono per forza. E del mese di marzo presono il castello
-delle Staffole pieno di molto vino, ed il Massaccio e la Penna. E per
-tutto quel paese il residuo del verno sparsono la loro irreparabile
-tempesta, rubando e uccidendo, e facendo ogni sconcio male a’ paesani,
-e singolarmente più a’ sudditi di messer Malatesta, avendo delle sue
-terre quarantaquattro castella in loro servaggio, e avendo stadico un
-figliuolo del capitano di Forlì, e Gentile da Mogliano, per li soldi
-che promessi aveano alla detta compagnia.
-
-
-CAP. CVIII.
-
-_Come il legato prese Toscanella._
-
-In quest’anno del mese di marzo, il cardinale di Spagna legato del papa
-facendo guerra col prefetto di Vico, per trattato gli tolse Toscanella,
-e questo fu il primo acquisto che il legato facesse contro a lui:
-dappoi seguitarono le cose a maggiori fatti, come seguendo nostra
-materia diviseremo. In questi dì, il marchese di Ferrara parendogli
-essere debole nella nuova signoria, perchè Francesco marchese, il
-quale si tenea dovere di ragione essere signore, gli s’era rubellato,
-o che trovasse alcuno trattato nella città contro a se, o ch’egli il
-contraffacesse, a che si diè più fede, cacciò di Ferrara de’ suoi
-fratelli e alquanti de’ maggiori cittadini, confinandoli fuori del suo
-distretto, e cominciò a stare più fornito di gente forestiera, e in
-maggiore guardia.
-
-
-CAP. CIX.
-
-_Come messer Malatesta si ricomperò dalla compagnia._
-
-Essendo la compagnia di fra Moriale cresciuta di cavalieri e di
-masnadieri, e nutricata il verno sopra le terre che distruggea,
-messer Malatesta da Rimini, avvisato e provveduto in fatti di guerra,
-considerando la gente della compagnia, e la loro troppa sicurtà
-presa per non avere avversario, e il luogo dov’erano e il loro
-reggimento, pensò, che dove i comuni di Toscana lo volessono atare,
-ch’egli vincerebbe la detta compagnia; e non parendogli materia da
-commettere ad ambasciadori, in persona venne a Perugia, e poi a Siena,
-e appresso a Firenze, e mostrò a ciascun comune il pericolo che potea
-loro venire di quella compagnia se contra loro non si riparasse, e
-domandava a catuno comune aiuto di gente d’arme, e dove dato gli
-fosse, con ottocento barbute di buona gente ch’egli avea da se, e col
-suo popolo e col vantaggio ch’avea intorno a loro delle sue terre,
-promettea di rompere e di sbarattare la compagnia in breve tempo;
-e questo dimostrava per vere e manifeste ragioni; ma catuno comune
-avendo la tempesta da lungi se ne curava poco. I Perugini che furono
-prima richiesti, dissono, che in ciò seguiterebbono la volontà de’
-Fiorentini, e in questo modo risposono anco i Sanesi. E venuto messer
-Malatesta colle lettere de’ detti comuni a Firenze, i Fiorentini udita
-la sua domanda gli diedono dugento cavalieri, i quali menò con seco
-fino a Perugia. I Perugini e’ Sanesi non vollono attenere la loro
-promessa, e però i cavalieri de’ Fiorentini si tornarono addietro.
-Messer Malatesta vedendosi abbandonato dall’aiuto de’ comuni di
-Toscana, e che tempo era che la compagnia potea procacciare altrove,
-trattò con loro, e venne a concordia di dare fiorini quarantamila d’oro
-alla compagnia, parte contanti, e degli altri li sicurò, dando loro per
-istadico il figliuolo, e si partirono del suo distretto, e promisono
-di non tornarvi infra certo tempo. E fatto l’accordo, e partita
-la compagnia, messer Malatesta cassò quasi tutti i suoi soldati,
-i quali di presente s’aggiunsono alla compagnia; la quale essendo
-molto cresciuta di baroni, e di conti e di conestabili, si cominciò a
-chiamare la gran compagnia, e tribolando la Marca, e la Romagna, e il
-Ducato, innanzi che di là si partissono rifermarono la loro compagnia
-per certo tempo, e tutti la giurarono nelle mani di messer fra Moriale.
-E benchè fra loro fossono grandi baroni alamanni, tutti vollono che il
-titolo della compagnia, e la capitaneria fosse in messer fra Moriale,
-ma dieronli quattro segretari de’ cavalieri, che l’uno fu il conte di
-Lando, e un barone di gran seguito ch’avea nome Fenzo di... e il conte
-Broccardo di.... e messer Amerigo del Canaletto; e de’ masnadieri
-quattro conestabili italiani. In costoro era la deliberazione
-dell’imprese e il segreto consiglio, e feciono altri quaranta
-consiglieri, e un tesoriere a cui venia tutta l’entrata delle loro
-prede, e questi pagava e prestava a’ comandamenti del capitano. Dato
-l’ordine, il capitano era ubbidito da tutti come fosse l’imperadore, e
-facea la notte cavalcare di lungi dal campo venticinque o trenta miglia
-ov’egli comandava, e il dì tornavano con grandi prede, e ogni cosa
-fedelmente rassegnavano al bottino. E perocchè quasi quanti conestabili
-avea in Italia al soldo de’ signori e de’ comuni aveano parte di loro
-masnade nella compagnia, erano sì baldanzosi, che di niuna gente di
-soldo temeano, e però tutti i comuni minacciavano se non dessono loro
-denari di venire sopra loro. E mandarono ambasciadori nel Regno, ed
-ebbono promissione dal re Luigi di quarantamila fiorini d’oro, i
-quali non mandò loro, di che cari gli feciono poi costare. Ebbono dal
-capitano di Forlì e da Gentile da Mogliano trentamila fiorini d’oro, e
-da messer Malatesta quarantamila. Ed essendo richiesti dall’arcivescovo
-di Milano di volerli conducere a suo soldo contro alla lega, e da
-quelli della lega contro all’arcivescovo, catuno teneano in speranza e
-con niuno si fermavano, e anche teneano trattato col prefetto di Vico
-contro al legato, e però non si potea sapere che dovessono fare, e
-molto manteneano bene loro credenza. E in fine del mese di maggio 1354
-se ne vennono a Fuligno, e dal vescovo ebbono mercato d’ogni vittuaglia
-abbondevolmente. Lasceremo ora la gran compagnia che n’è assai detto, e
-non senza debita scusa, per la grande e pericolosa novità che ne seguì
-in Italia, e diremo dell’altre cose che prima ci occorrono a raccontare.
-
-
-CAP. CX.
-
-_D’un fanciullo mostruoso nato in Firenze._
-
-In questo verno del detto anno nacque in Firenze nel popolo di san
-Piero Maggiore un fanciullo maschio figliuolo d’uno de’ maggiori
-popolari di quello popolo, ch’avea tutte le membra umane dal collo
-a’ piedi, e il viso suo non avea effigie umana; la faccia era tutta
-piana senza bocca, e avea un foro per lo quale messo lo zezzolo della
-poppa traeva il latte, e poppava, e nella superficie della testa al
-diritto, sopra dove doveano essere gli occhi avea due fori: e’ vivette
-più giorni, e fu battezzato, e seppellito in san Piero Maggiore. E
-poco appresso una gentile donna moglie d’un cavaliere avendo fatto un
-fanciullo un mese dinanzi, partorì un’altra materia di carne a modo
-d’un cuore di bue, di peso di libbre quindici, con alcuni dimostramenti
-ma non chiari d’effigie umana, senza distinzione di membri, e come
-questo ebbe partorito, incontanente morì la donna.
-
-
-CAP. CXI.
-
-_Come furono cacciati i guelfi di Rieti e da Spoleto._
-
-De mese d’aprile, del detto anno 1354, i guelfi di Rieti avendo il
-governamento della città, e podestà e capitano dal re Luigi, montati
-in superbia per animo di parte oltraggiavano i ghibellini di quella
-terra, e tanto montarono gli oltraggi, ch’e’ guelfi mossono romore per
-cacciare i ghibellini, e catuna parte fu sotto l’arme, e di cheto senza
-fare altra novità s’acquetarono a quella volta; e nondimeno catuna
-parte rimase in gran sospetto e riguardo l’uno con l’altro, e in questo
-modo erano stati lungamente. Avvenne che i guelfi, avendo a loro stanza
-gli uficiali della terra, con ordine fatto, una domenica mattina a dì
-20 d’aprile subito presono l’arme e corsono alla piazza, gridando:
-muoiano i ghibellini. I cittadini di quella parte temendo del subito e
-non pensato romore, francamente s’armarono e corsono alla piazza per
-difendersi, e quivi cominciò aspra e crudele battaglia, e senza alcuno
-riguardo uccideva e fediva l’uno l’altro, e durò assai, che niuno
-perdeva di suo terreno; in fine ghibellini disperati di loro salute
-ruppono una barra incatenata che gli dividea da’ guelfi, e con grande
-empito d’amaro cuore assalirono i guelfi per sì fatto modo, che gli
-ruppono, e senza ritegno gli seguitarono uccidendone quanti giugnere ne
-poteano. E in questa rotta furono morti venticinque cittadini di nome
-e assai più degli altri, e molti per campare si gittarono nel fiume, e
-sommersi annegarono in quello. I ghibellini seguendo loro avventurato
-caso cacciarono i rettori che v’erano per lo re Luigi, e rimasi signori
-della città riformarono il reggimento di quella a loro volontà, e per
-questa novità di Rieti furono cacciati di Spoleto i caporali guelfi che
-v’erano, ma non con battaglia nè a furore di popolo.
-
-
-
-
-LIBRO QUARTO
-
-_Comincia il quarto libro, e prima il Prologo._
-
-
-CAPITOLO PRIMO.
-
-Assai si può alcuna volta comprendere per gli effetti delle cose
-mondane, che il senno aggiunto alla nobiltà dell’animo, all’altezza
-dello stato, alla ricchezza e potenza reale, operato con piena
-provvidenza, fornito e apparecchiato di grandissime forze, non puote
-pervenire nè acquistare, eziandio con sommo studio e con lieve
-resistenza quelle cose che con giusta causa l’appetito ha richiesto, le
-quali, volto il tempo pochi anni, e mutato il principe per successione,
-con certo mancamento di tutte le predette cose, per altre non
-provvedute vie della variata fortuna, trovarsi lievemente vittorioso in
-quelle. Onde presumere certa confidenza di se, per senno, o per virtù,
-o per potenza, alcuna volta con grave turbazione d’animo si trova
-ingannato; perocchè non è in potestà degli uomini il consiglio e la
-volontà di Dio. E avendoci già condotta la sua materia al cominciamento
-del quarto libro, alcuno certo e manifesto esempio alle predette cose
-in prima ci s’offera a raccontare.
-
-
-CAP. II.
-
-_Comparazione dal re Ruberto al re Luigi._
-
-Manifesto fu appresso la morte del re Ruberto di Gerusalemme e di
-Cicilia, il quale avea regnato trentatrè anni e mesi, il cui pari ne’
-suoi tempi tra’ principi de’ cristiani non si trovò di sapienza e
-d’intelletto, in virtù e in vita onesta, e in adornamento di bellissimi
-costumi, pieno di ricchezze, fornito di grande e nobile cavalleria di
-suoi baroni e sudditi, apparecchiato di navili sopra gli altri signori,
-avendo dirizzato l’animo con sommo studio a racquistare l’isola di
-Cicilia, la quale di ragione s’apparteneva alla sua signoria come
-principale membro del suo reame, con continovi trattati, con spessi e
-diversi assalimenti, con generali armate, guidate dalla sua persona,
-e dal figliuolo e da altri, di centoventi e di centosessanta galee,
-con molto altro navilio per volta e di più e di meno, con duemila e
-più cavalieri per armata alcuna volta e popolo senza numero, per molti
-anni cercato di racquistare la detta isola, o d’avere alcuna terra
-o porto in quella per potere alquanto appagare l’animo suo, la qual
-cosa fatta mai non gli venne con alcuna perfezione; e il re Luigi
-suo nipote intitolato di quel medesimo regno da santa Chiesa, povero
-d’avere e di consiglio, e non ubbidito da’ suoi regnicoli, impotente di
-gente d’arme, mal destro a potere reggere o guardare il suo reame, non
-che avesse potuto cercare a racquistare suo reame della Cicilia, non
-sufficiente d’armare dieci galee, nè di reprimere un solo suo barone
-a quel tempo; ma le divisioni e sette crudeli e mortali de’ baroni
-dell’isola, Catalani e Italiani, come già è detto, aveano a tanto
-condotto l’isola, che di gran parte fu fatto signore, come appresso
-racconteremo.
-
-
-CAP. III.
-
-_Come gran parte dell’isola di Cicilia venne all’ubbidienza del re
-Luigi._
-
-Avendo raccontato addietro molte volte del male stato dell’isola di
-Cicilia, al presente ci occorre a dire come per la detta cagione don
-Luigi figliuolo di don Pietro, a cui s’appartenea d’essere signore,
-avea trattato accordo col re Luigi, ed erano venuti a concordia che
-si dovesse nominare re di Trinacria, e riconoscere la Cicilia dal re
-Luigi e fargliene omaggio, e dargliene ogni anno certa somma sopra il
-censo della Chiesa per suo omaggio; e a questo s’erano accordati, ma
-non aveano ancora piuvicata la pace nè fatte l’obbligazioni. In questo
-stante, il conte Simone di Chiaramonte capo della setta degl’Italiani,
-il quale aveva in sua forza molte città e castella dell’isola, avendo
-anche lungamente tenuto trattato col re Luigi acciocchè la concordia
-del re non si facesse, pervenne al suo trattato con l’opere. Ed essendo
-allora l’isola in gran fame, promise a’ suoi soccorso di vittuaglia e
-forte braccio alla loro difesa: i popoli per l’inopia gli assentirono,
-e il re Luigi si fermò con lui. E facendo suo isforzo, mandò messer
-Niccola Acciaiuoli grande siniscalco, ch’era stato menatore di questo
-trattato, con cento cavalieri e con quattrocento fanti di soldo in su
-l’isola, con sei galee e due panfani, e tre legni di carico, e trenta
-barche grosse cariche di grano e d’altra vittuaglia. Prima fu dato
-loro il forte castello di Melazzo, ove lasciò cinquanta cavalieri e
-cento fanti, e appresso con tutto il navilio e col resto della gente
-dell’arme se n’andò a Palermo, e con gran festa fu ricevuto da’
-Palermitani, che per fame più non aveano vita, e prese la signoria
-della città di Palermo e la guardia del castello con quella gente
-ch’egli avea, e delle castella e del suo distretto. E incontanente
-le sette degl’Italiani fece rubellare a don Luigi e alla parte de’
-Catalani, e seguirono quelli di Chiaramonte, dandosi al re Luigi la
-città di Trapani, e quella di Saragozza, Girgenti, la Licata, Mazzara,
-Marsala, Castro Gianni, e molte altre terre e castella, che in tutto
-furono tra città e buone terre e castella centododici, alle quali il
-detto re Luigi per povertà di gente e di danari non potè mandare aiuto
-d’alcuna forza di gente d’arme oltre a quella ch’era in Palermo e in
-Melazzo; ma tanta era l’impossibilità dell’altra parte, che la cosa
-rimase senza movimento di altra gente alcuno tempo. Alla parte del
-re Luigi rispondeva la Calabria, portando loro vittuaglia ond’elli
-aveano gran bisogno, e questo gli sostenea in fede col detto re Luigi.
-È vero che fu biasimato di non avere tenuto fede a don Luigi del
-trattato ch’avea fatto con lui per pace dell’isola, e la scusa del re
-fu, dicendo, che non gli avea attenuti i patti. Il vero rimase nel
-suo luogo, e il fatto seguì come narrato abbiamo. Questa novità fu
-nell’isola a dì 17 d’aprile 1354.
-
-
-CAP. IV.
-
-_Come l’arcivescovo cominciò guerra contro a’ collegati di Lombardia._
-
-Vedendo l’arcivescovo di Milano che il comune di Vinegia avea rannodata
-e riferma la lega tra i Lombardi, innanzi che fossono forniti di
-gente d’arme, essendone egli a destro, fece muovere da Parma duemila
-barbute e gran popolo e scorrere infino a Modena, per tornare addietro
-e assediare Reggio; e nel Modenese trovarono cavalieri della lega
-ch’andavano a Reggio i quali tutti presono. E tornati a Reggio,
-l’assediarono del detto mese d’aprile, e all’assedio stettono poi
-lungamente con più bastite, e quelli della lega per lungo tempo non
-ebbono podere di levarlone; ma la città sostennono e difesono, sicchè
-non l’ebbe.
-
-
-CAP. V.
-
-_Come il re d’Ungheria passò con grande esercito contra un re de’
-Tartari._
-
-In quest’anno e in questo medesimo tempo, Lodovico re d’Ungheria
-accolse suo sforzo, e di quello di Pollonia e di quello di Prosclavia
-suoi uomini, e apparecchiato grande carreggio di vittuaglia, con
-dugento migliaia di cavalieri andando quindici dì per luoghi diserti
-con grande travaglio, passò nel reame d’un gran re della gesta de’
-Tartari. E giunto nel reame di colui, essendo per cominciare a fare
-danno nel paese, il re di quello paese, ch’era assai giovane, mandò
-pregando quello d’Ungheria che gli desse licenza che con poca compagnia
-potesse venire a lui sicuramente, e impetrata la licenza, venne a lui
-con cento baroni molto adorni riccamente apparecchiati; e fatta la
-riverenza, domandò il re d’Ungheria perchè egli era venuto con forza
-d’arme nel suo reame, e quello ch’e’ volea da lui. Il re gli disse,
-ch’era venuto sopra lui perchè non era cristiano, e che volea tre cose:
-la prima, che divenisse cristiano con la sua gente: la seconda, che lo
-riconoscesse per suo maggiore: la terza, che in segno d’omaggio gli
-desse ogni anno certo tributo, ed egli sarebbe suo protettore. E il
-giovane disse: vedi re d’Ungheria, la mia forza è troppo maggiore della
-tua, solo del mio reame senza l’aiuto de’ miei maggiori; e faccioti
-certo, che condotto se’ in parte, che s’io volessi gran vittoria potrei
-averla di te e della tua gente: ma perocch’io ho animo di divenire
-cristiano, accetto di volere fare le tue domande, e intendo di farle
-a tempo col tuo aiuto e del papa; e rimasi in concordia, fece grande
-onore al re d’Ungheria, e accompagnollo fino a’ confini del suo reame.
-Ma in quello venire, per invidia i grandi baroni d’Ungheria non gli
-feciono onore, per impedire che il loro re per l’acquisto di costui non
-divenisse grande di soperchio, e fu materia di grande sconcio del buon
-volere ch’aveva il re de’ Tartari, e dell’intenzione del re d’Ungheria.
-
-
-CAP. VI.
-
-_De’ grilli ch’abbondarono in Barberia e poi in Cipri._
-
-In quest’anno abbondarono in Barberia, a Tunisi e nelle contrade vicine
-tanta moltitudine di grilli che copersono tutto il paese, e rosono e
-consumarono tutte l’erbe vive che trovarono sopra la terra, e del puzzo
-che uscia della loro corruzione si corruppe tanto l’aria del paese,
-che ne seguitò grande mortalità negli uomini, e gran fame a tutta la
-provincia. E questa medesima pestilenza di grilli nel seguente anno
-occupò l’isola di Cipri per sì sconcio modo, che le strade e i campi
-n’erano pieni, alti da terra un mezzo braccio e più, e guastarono ciò
-che v’era di verde. E per cessare la pestilenza della loro corruzione
-il re fece per decreto, che ogni uomo grande e popolare, barone e
-prelato, cittadino e contadino, ne dovesse rassegnare certa misura
-agli ufficiali eletti sopra ciò per lo re, i quali feciono fare per
-campi grandi fosse, ove gli metteano e ricoprivano. E per questa legge
-i villani si dispuosono a fare loro civanza, e patteggiarono con gli
-uomini ch’aveano a fare il servigio che comandato e imposto gli era,
-e aveano della misura certo prezzo, e rassegnavanli per nome di colui
-che gli avea pagati agli uficiali deputati sopra ciò, i quali teneano
-il conto di catuno; e durò questa maladizione in quell’isola parecchi
-anni. Con tutto l’argomento che fu utilissimo ad alleggiare i campi e
-cessare la corruzione, fu grande noia e confusione a tutto il paese.
-
-
-CAP. VII.
-
-_D’una notabile maraviglia della reverenza, della tavola di santa Maria
-in Pineta._
-
-Essendo per influenza di costellazione e di segni avvenuti in cielo
-in quest’anno continovato tre mesi o più, nel tempo che le biade
-hanno maggiore bisogno delle piove, continovato secco, erano quelle
-già in tutta Toscana aride e in estremi, da sperare sterilità e
-fame: i Fiorentini temendo di perdere i frutti della terra ricorsone
-all’aiutorio divino, facendo fare orazioni e continove processioni
-per la città e per lo contado, e quante più processioni si faceano
-più diventava il dì e la notte sereno il cielo. I cittadini vedendo
-che questo non giovava, con grande divozione e speranza ricorsono
-all’aiuto di nostra Donna, e feciono trarre fuori l’antica figura di
-nostra Donna dipinta nella tavola di santa Maria in Pineta, e a dì 9 di
-maggio 1354, fatto apparecchiamento per lo comune di molti doppieri, e
-mosso il chericato con tutte le religioni, col braccio di messer san
-Filippo apostolo, e con la venerabile testa di san Zanobi, e con molte
-altre sante reliquie, quasi tutto il popolo uomini e donne e fanciulli,
-co’ priori e con tutte le signorie di Firenze, sonando le campane del
-comune e delle chiese a Dio lodiamo, andarono incontro alla detta
-tavola infino fuori della porta di san Piero Gattolino: e la detta
-tavola guardavano e conducevano quelli della casa de’ Buondelmonti
-padroni della detta pieve reverentemente con gli uomini del piviere. E
-giunto il vescovo con la processione, e con le reliquie e col popolo
-alla santa figura, con grande reverenza e solennità la condussono
-fino a san Giovanni, e di là fu condotta a san Miniato a Monte, e poi
-riportata nel suo antico luogo a santa Maria in Pineta. Avvenne, che in
-quella giornata continovando la processione il cielo empiè di nuvoli,
-e il secondo dì sostenne il nuvolato, che per molte volte prima s’era
-continovo per la calura consumato, il terzo dì cominciarono a stillare
-minuto e poco, e il quarto a piovere abbondantemente, e conseguì l’uno
-dì appresso l’altro sette dì continovi un’acqua minuta e cheta che
-tutta s’impinguava nella terra, in singolare e manifesto beneficio di
-quello che bisognava a racquistare le biade e’ frutti; e non fu meno
-mirabile dono di grazia per l’ordinata e utile piova, che per la piova
-medesima. Avvenne, che dove si stimava sterilità grande per la ricolta
-prossima a venire, conseguì ubertosa di tutti i beni che la terra
-produce.
-
-
-CAP. VIII.
-
-_Come il vicario di Bologna mando l’oste sopra Modena con due quartieri
-di Bologna._
-
-Essendo cominciata la guerra tra l’arcivescovo e la lega de’ Lombardi,
-messer Giovanni da Oleggio vicario dell’arcivescovo nella città di
-Bologna, a dì 11 di maggio del detto anno, mandò sopra la città di
-Modena ottocento cavalieri di soldo, e due quartieri di Bologna,
-i quali v’andarono sforzati e di mala voglia; e da Parma vi mandò
-l’arcivescovo duemila barbute; e giunti a Modena corsono il paese,
-ardendo e guastando il contado, e poi si puosono ad assedio alla città
-molto di presso. Ed essendovi stati fino all’uscita di maggio, temendo
-della gran compagnia di fra Moriale ch’era in Toscana, e davano voce
-d’andare a Bologna, subitamente abbandonarono l’assedio, e sconciamente
-con alcuno danno tornarono a Bologna e a Parma, avendo a’ Modenesi
-fatto danno assai.
-
-
-CAP. IX.
-
-_Come il legato e i Romani guastarono il contado di Viterbo._
-
-Del detto mese di maggio, del detto anno, vedendo il legato la
-contumacia e la malizia del prefetto da Vico, e che la sua superbia
-ogni dì montava in vergogna di santa Chiesa, provvide che contro a
-lui bisognava altre operazioni che suono di campane e fumo di candele
-spente. E però accolse gente d’arme, tanto ch’ebbe milletrecento
-cavalieri di soldo, e richiese il popolo di Roma per fare il guasto
-sopra la città di Viterbo, i quali Romani per grande animo ch’aveano
-di fare danno a’ Viterbesi, essendo la gente del legato sopra Viterbo,
-vi mandarono diecimila uomini, e aggiunti con le masnade del legato,
-in pochi dì feciono assai gran danno intorno a Viterbo. E saziata in
-parte la volontà del popolo romano si tornarono a Roma: e il legato
-abbattuto alcuna parte dell’orgoglio del prefetto, e conturbato l’animo
-de’ cittadini contro al tiranno, se ne tornò con la sua gente a
-Montefiascone senza alcuno impedimento.
-
-
-CAP. X.
-
-_Come il prefetto s’arrendè al legato liberamente._
-
-Il legato del papa avendo fatto guastare intorno a Viterbo, seguendo
-d’abbattere il prefetto, sentendolo in Orvieto vi cavalcò con tutta la
-sua gente d’arme, e pose l’assedio alla città strignendola intorno con
-più battifolli, facendo correre ogni dì infino alle porti. Il prefetto
-che v’era dentro mal veduto da’ cittadini, ed avea cercato di volere
-dare per moglie la figliuola sua al fratello di fra Moriale con gran
-dote per avere aiuto della sua compagnia, e averne perduta la speranza
-d’ogni altro soccorso, si pensò per l’odio che i cittadini d’Orvieto e
-di Viterbo gli portavano che un dì a furore di popolo sarebbe morto o
-dato preso al legato, e tosto gli sarebbe venuto fatto per la piccola
-forza che da se avea, e perchè gli Orvietani erano guelfi e uomini di
-santa Chiesa, e mal volontieri sosteneano l’assedio, per la qual cosa
-come uomo savio e avveduto de’ casi del mondo, non sapendo vedere altro
-rimedio a’ fatti suoi, si dispose a volere accordo col legato, e per
-questo acchetò gli animi de’ cittadini; e incontanente mandò al comune
-di Perugia che mandassono alcuno ambasciadore al legato, che per le
-loro mani voleva fare l’accordo con lui. Il comune vi mandò solenni
-ambasciadori a ciò fare, ma il legato altre volte ingannato da lui e
-da’ suoi baratti non li volle udire, e con ogni sollecitudine stringeva
-la terra più l’un dì che l’altro, e a niuno patto si voleva recare
-col prefetto. E stringendo la paura il prefetto, mandò il figliuolo
-al legato dicendo, che gli piacesse venire per la città, e ricevere
-il prefetto senza alcuno patto alla sua misericordia. L’altra mattina
-venne il legato colla sua gente a Orvieto, e il prefetto a piede con
-molti cittadini gli venne incontro fuori della città bene un miglio, e
-giunto a lui, si gittò a’ piedi del cavallo ginocchione domandandogli
-misericordia, rendendo se e tutte le terre che teneva di santa Chiesa
-alla sua volontà. Il legato il fece stare alquanto ginocchione, e
-poi gli comandò che montasse a cavallo, e montato dietro a lui se
-n’entrarono in Orvieto, ove il legato fu ricevuto con grande festa e
-allegrezza da’ cittadini. E appresso mandò il legato a Viterbo, e fugli
-renduta la città e le castella, e così tutte l’altre terre che tenea
-il prefetto, e il prefetto e ’l figliuolo rimasono appresso del legato
-col loro patrimonio, e oltre a ciò gli diè il legato per certo tempo la
-signoria della città di... terra di buona rendita per la pastura delle
-bestie.
-
-
-CAP. XI.
-
-_Come il popolo di Bologna si levò a romore per avere loro libertà, e
-fu in maggiore servaggio._
-
-Del mese di giugno del detto anno, messer Giovanni da Oleggio vicario
-di Bologna essendo assicurato de’ fatti della compagnia intendeva
-di riporre l’oste a Modena, e fece comandamento a due quartieri
-di Bologna che s’apparecchiassono dell’armi, e a mille uomini di
-catuno degli altri due quartieri, per andare nell’oste a Modena. I
-cittadini si gravavano di questo fatto per due cagioni, l’una, perchè
-parea loro troppo aspro servaggio essere mandati nell’oste a modo di
-soldati senza soldo, e l’altra, che que’ di Modena erano loro vicini
-e antichi amici. E però venuto il termine assegnato, il signore fece
-sollecitare la gente co’ suoi bandi e stormeggiare le campane, ma
-però niuno s’armava o facea vista di volere andare, e reiterati i
-bandi con grandi pene, cominciò il popolo a mormorare, e appresso a
-dolersi l’uno con l’altro nelle vie e nelle piazze. In questo stante
-cominciarono alcuni a gridare popolo popolo; e udito il romore catuno
-prese l’arme, e gran parte del popolo trasse a casa i Bianchi. Il
-dì era venuto da ricoverare loro franchigia: perchè sentendo messer
-Giovanni da Oleggio il popolo armato contro a se impaurì sì forte,
-che non sapea che si fare, e racchiusesi nel suo castello. I soldati
-forestieri non faceano resistenza al popolo armato e commosso, e gran
-parte avrebbe seguito il popolo per paura di loro; nondimeno per non
-essere morti nè rubati nella terra, si ridussono e ingrossavano alla
-fortezza del tiranno, essendo il popolo a casa i Bianchi. Messer Iacopo
-uomo di grande autorità, pro’ e ardito, capo di quella casa, montato a
-cavallo armato, e inviato verso la piazza col popolo, ove non avrebbe
-trovato contasto, che non v’era, e il popolo avrebbe preso ardire, e
-cacciato il tiranno, e assediatolo nel castello e presolo, che non
-v’era rimedio, e quella città tornava in libertà, ma non erano ancora
-puniti i loro peccati. E però avvenne, che andando messer Iacopo de’
-Bianchi col popolo infocato verso la piazza, il genero di messer Iacopo
-gli si fece incontro maliziosamente, ch’era de’ rientrati in Bologna,
-e amava il tiranno, e con mendaci parole gli mostrò, che l’andare alla
-piazza era di gran pericolo a lui e al popolo. Il cavaliere invilì
-dando fede alle parole del genero, e diè la volta, e tornossi a casa, e
-il popolo perdè e raffreddò il furore, e cominciò catuno ad abbandonare
-le vie e le piazze ov’erano ragunati per le vicinanze, e tornarsi
-alle proprie case. Il Bocca de’ Sabatini e altri di nuovo tornati
-in Bologna per paura de’ loro avversari cittadini presono l’armi, e
-montarono a cavallo e andarono al tiranno, dicendo, che ’l furore del
-popolo era tornato in paura, e che avendo le sue masnade a cavallo e a
-piè correrebbono la terra senza trovare contasto. Il tiranno vedendo
-questi cittadini prese ardire, e diè loro cavalieri e masnadieri, e
-rimasesi nel castello in buona guardia. Costoro corsono la terra,
-gridando, viva il capitano, e in niuna parte trovarono resistenza o
-contasto, ma vilissimamente i cittadini posono giù l’armi. Il signore
-ripreso l’ardire sentendo disarmato il popolo, mandò sue genti a casa
-i Bentivogli capo de’ beccari, ch’erano di gran podere nel popolo, e
-presine alquanti di loro fece rubare le case, e gli altri si fuggirono.
-Appresso mandò e fece pigliare messer Iacopo de’ Bianchi e un altro suo
-consorto, e molti altri grandi cittadini, e senza troppa dilazione o
-processi fece a messer Iacopo e al consorto tagliare la testa: e questo
-gli avvenne per voler credere al consiglio del genero più che alla sua
-apparecchiata salute e del suo popolo; appresso fece decapitare uno
-de’ Gozzadini valente uomo, e a più de’ Bentivogli e ad altri grandi
-popolani, che in tutto a questa volta furono trentadue, e molti ne
-ritenne in prigione, de’ quali parte ne condannò in danari, e un’altra
-a’ confini come a lui piacque. E avendosi cominciato a involgere nel
-cittadinesco sangue, divenne crudele e di maggiore furore contro a’
-suoi sudditi; onde i cittadini temeano sì forte, che non ardivano a
-pena nelle loro case a favellare. Nondimeno per lo caso avvenuto, a
-lui entrò tanta paura in corpo, che molti mesi stette rinchiuso nel
-castello, e continuava ad accrescere gente, e fare maggiore guardia
-nella città, e i cittadini tenea sotto più aspro giogo, come leggendo
-si potrà trovare.
-
-
-CAP. XII.
-
-_Come fu tolta l’arme al popolo di Bologna._
-
-Pochi dì appresso il tagliamento de’ cittadini di Bologna, il tiranno
-mandò per la città che in fra certi dì a venire catuno cittadino
-di Bologna portasse tutte le sue armi nella chiesa di san Piero, e
-rassegnassele agli uficiali che sopra ciò avea deputati, sotto certa
-pena a chi nol facesse: il vile popolo, che l’armi non avea saputo
-adoperare per sua salute, con tanta fretta le portò alla chiesa,
-che gli uficiali deputati a riceverle non poteano comportare la
-calca. E il tiranno conosciuti gli uomini tornati peggio che pecore
-per la loro codardia gli trattò aspramente, e fece due quartieri di
-Bologna costringere ad andare alle loro spese nell’oste senz’arme,
-e là dovessono stare quindici dì, tanto che gli altri due quartieri
-gli andassono a scambiare, e di presente fu ubbidito, andandovi ogni
-maniera di gente con le mazze in mano; e quando gli ebbe così mossi,
-mutò proposito temperando la crudeltà in avarizia, e fece ordine che
-chi non vi volesse andare pagasse lire tre di bolognini per gita di
-quindici dì; e costrinse tutta la città con certo ordine penale, che
-chi non osservasse catuno dovesse manicare pane di gabella, il quale
-facea fare aspro e forte, nè altro pane non s’osava fare nè cuocere
-nella terra, ond’egli traeva molti danari. E allora avendo tra di que’
-di Bologna e che gli mandò l’arcivescovo duemila cavalieri e popolo
-assai, da capo ripose l’assedio alla città di Modena, e i Modenesi
-essendo forniti di cavalieri e di pedoni alla guardia, e d’abbondanza
-di vittuaglia, si stavano a guardare le mura, attendendo il soccorso di
-quelli della lega.
-
-
-CAP. XIII.
-
-_Come il legato ebbe la città d’Agobbio._
-
-Di questo mese di giugno del detto anno, ragunatisi insieme gli
-usciti d’Agobbio con loro amistà per andare a guastare il contado
-d’Agobbio, richiesono il legato d’aiuto; il legato comandò loro che
-non si movessono senza suo comandamento, dicendo, che non sarebbe
-onore di santa Chiesa ch’egli assalisse prima la città ch’egli la
-trovasse in colpa di disubbidienza o di ribellione: e però incontanente
-fece formare processo contro a Giovanni di Cantuccio il quale
-tirannescamente avea occupata quella terra, e mandogli comandando
-che restituisse la città d’Agobbio a santa Chiesa senza dilazione,
-altrimenti aspettasse la sentenza contro a se, e l’oste sopra la
-città senza indugio. Giovanni sentendosi povero di danari, e senza
-gente d’arme da potersi difendere, e odiato da’ cittadini dentro, e
-senza speranza di soccorso di fuori, e vedendo il legato potente e
-vittorioso, prese partito, e rispose, ch’era apparecchiato a ubbidire,
-e così fece; e il legato mandò a prendere la guardia e la signoria
-della città il conte Carlo da Doadola, e fecevelo suo vicario, il quale
-con pace fu ricevuto nella città a grande onore. E presa la signoria
-della terra vi rimise gli usciti senza niuno scandalo, salvo messer
-Iacopo Gabbrielli come gli fu imposto, perocch’era grande e sentia del
-tiranno. Giovanni si presentò al legato, e rimase appresso di lui, e
-messer Iacopo ch’era suo nemico stando fuori d’Agobbio prendea sue
-civanze nelle rettorie, malcontento di non potere ritornare in Agobbio.
-La città fu riformata in libertà del popolo al governamento di santa
-Chiesa, come per antico si solea governare.
-
-
-CAP. XIV.
-
-_Come i Perugini non tennono fede a’ Fiorentini e’ Sanesi._
-
-Tornando nostra materia a’ fatti della compagnia di fra Moriale la
-quale avea vernato nella Marca, temendo i comuni di Toscana ch’ella
-non si stendesse sopra loro sprovveduti, s’accolsono insieme a
-parlamento per loro ambasciadori, il comune di Firenze, e di Perugia,
-e quello di Siena, e feciono e fermarono lega e compagnia contro la
-detta compagnia, e taglia di tremila cavalieri; e perocch’ell’era
-più vicina a Perugia, i Fiorentini mandarono la maggior parte de’
-cavalieri che toccava loro della taglia, e metteano in concio di
-mandare loro il rimanente, e così aveano fatto i Sanesi, per riparare
-ch’ella non entrasse in Toscana. In questo tempo, del mese di giugno
-del detto anno, la compagnia fu a Fuligno, e senza fare danno, ebbono
-dal vescovo che n’era signore derrata per danaio, e licenza d’entrare
-nella città senz’arme chi volea panni, o arnese o armadure comperare,
-e ivi si rifornirono d’armadure e di molte altre cose di che aveano
-grande bisogno. E stando ivi, mandarono cautamente per rompere la lega
-loro ambasciadori a Perugia, dicendo, che gli aveano per amici, e non
-intendeano di volere da loro se non vittuaglia derrata per danaio,
-e il passo per lo loro terreno. I Perugini vedendosi potere levare
-la compagnia da dosso senza loro danno, ruppono la fede della lega
-promessa a’ Fiorentini e a’ Sanesi, e senza significare loro alcuna
-cosa, o rimandare addietro i cavalieri a’ detti comuni ch’aveano
-della taglia, s’accordarono con la compagnia, e diedono il passo e la
-vittuaglia abbondantemente. Messer fra Moriale vedendosi avere rotta
-la lega de’ comuni, baldanzosamente venne verso Montepulciano con la
-sua compagnia, e prese la via per Asciano, ed entrò molto subitamente
-nel contado di Siena, predando e pigliando uomini e bestiame. I
-Sanesi vedendo la compagnia sul loro contado non attesono alla lega
-ch’avessono co’ Fiorentini, nè a domandare loro aiuto o consiglio, ma
-di presente elessono de’ loro cittadini ch’andassono a fra Moriale e
-agli altri maggiori della compagnia a prendere accordo con loro, i
-quali di presente promessono a’ caporali in segreto per le loro persone
-fiorini tremila d’oro, e in palese per la compagnia ne promisono
-tredicimila, e la vittuaglia derrata per danaio, e il passo per lo
-loro terreno. Questa è la fede che ora e molte altre volte il comune
-di Firenze ha trovata nelle leghe o compagnie c’ha fatto co’ suoi
-vicini, che trovando loro vantaggio lo s’hanno preso. E dolendosene
-poi il comune di Firenze a Perugia e a Siena, hanno risposto, che il
-comune di Firenze non dee guardare a’ loro difetti, ma avere senno
-e per se e per loro. Siamo contenti di ricordarlo qui e altrove per
-esempio di quello che ancora ne potrà avvenire. Fornito per lo comune
-di Siena il pane che domandarono, e dati de’ loro cittadini a conducere
-la compagnia, presa la via per Monte a san Savino, condussonli in sul
-contado d’Arezzo. E non trovando con gli Aretini modo d’avere danari,
-s’accordarono con loro d’avere panno e vestimento, e calzamenti e vino
-per li loro danari, perocchè n’aveano grande bisogno, e sicurarono
-il contado, e senz’arme entrarono nella terra per le dette cose; non
-riguardando però le biade de’ campi per li loro cavalli, nè l’altre
-cose che potessono giugnere, senza fare gualdane o saccomanno.
-
-
-CAP. XV.
-
-_Come procedettono i rettori di Firenze in questa sopravvenuta tempesta
-della compagnia di fra Moriale._
-
-In questo tempo si trovò fornito il comune di Firenze al priorato
-d’uomini senza sentimento di virtù, golosi e sopra ogni sconvenevolezza
-corrotti nel bere, e massimamente de’ nove i sei. Costoro disordinati
-in se, non sapeano provvedere al soccorso del comune; tuttavia per
-gli altri collegi fu provveduto in fretta di fare lega e compagnia
-co’ Pisani, per prendere riparo contro alla compagnia, e dovea il
-comune di Firenze avere in taglia milledugento cavalieri, e i Pisani
-ottocento. E fatta la lega, catuno avea quasi il novero de’ suoi
-cavalieri. La compagnia essendo ad Arezzo avea in animo d’andare al
-soldo in Lombardia, e per questa cagione mandarono alcuno ambasciadore
-al comune di Firenze per avere titolo d’essere in accordo col detto
-comune, e lieve cosa che ’l comune avesse dato loro sarebbono stati
-contenti per seguire loro viaggio: i priori indiscreti se ne feciono
-beffe, e però non provvidono come con tanto fatto richiedea. Ma
-i Valdarnesi per paura della ricolta, non ostante che ancora non
-fosse in perfetta maturità, s’affrettarono di levarla de’ campi e
-riducerla nelle castella; e la frontiera del Valdarno fu fornita di
-cavalieri e di fanti assai bene alla guardia. La compagnia vedendo
-che i Fiorentini per lieve cosa non si voleano accordare con loro,
-cambiarono proponimento, e vedendo che il Valdarno era provveduto
-contra loro, si tornarono a Siena. I Sanesi diedono loro da capo il
-pane, e il passo e la guida di loro cittadini, e in calen di luglio
-del detto anno l’ebbono condotta ne’ borghi di Staggia, e ivi si
-stesono fino alla Badia a Isola sopra l’Elsa. Là si trovarono settemila
-paglie di cavalieri, che cinquemila o più erano in arme cavalcanti,
-fra i quali avea grande quantità di conestabili e di gentili uomini
-diventati di pedoni bene montati e armati, con più di millecinquecento
-masnadieri italiani, e oltre a costoro più di ventimila ribaldi e
-femmine di mala condizione seguivano la compagnia per fare male, e
-pascersi della carogna. E nondimeno per l’ordine dato loro per fra
-Moriale grande aiuto e servigio n’avea, principalmente i cavalieri e’
-masnadieri, e appresso tutto l’esercito. Le femmine lavavano i panni
-e cocevano il pane, e avendo catuno le macinelle, che fatte avea loro
-fare di piccole pietre, catuno facea farina, e per questo l’oste si
-mantenea incredibilmente in abbondanza di farina e di pane, solo per la
-provvisione e ordine dato per fra Moriale.
-
-
-CAP. XVI.
-
-_Come si provvedde a Firenze contra la compagnia._
-
-Essendo la compagnia a Staggia, i Fiorentini richiesono i Pisani della
-taglia loro per la lega fatta, che doveano essere ottocento cavalieri,
-e mandarono un loro cittadino con un gran gonfalone con meno d’ottanta
-barbute; e richiesti ancora i Perugini e’ Sanesi di cavalieri della
-taglia, o almeno d’alcuna parte d’aiuto, catuno comune rispose ch’erano
-d’accordo con la compagnia, e non manderebbono gente d’arme contro a
-quella: e vedendosi il comune da tutti gli amici ingannato, e da non
-potere resistere alla compagnia, fece suoi ambasciadori e mandolli a
-Staggia alla compagnia per accordarsi e dare loro danari, ed eglino
-non entrassono sul contado di Firenze. Giunti gli ambasciadori a
-fra Moriale e al suo consiglio, furono ricevuti da loro senza avere
-risposta; e incontanente a dì 4 di luglio si misono in via, e senza
-arresto furono ne’ borghi di san Casciano, e correndo le contrade
-d’attorno, facendo preda e ardendo ove a loro piacea senza trovare
-contasto, e stettono fino a dì 10 del detto mese senza venire ad
-accordo; allora fatti doni a’ caporali di fiorini tremila d’oro,
-vennono a composizione di dare alla compagnia venticinquemila fiorini
-d’oro. Gli ambasciadori pisani, innanzi che la tempesta rompesse
-sopra loro, al detto luogo di san Casciano s’accordarono con loro di
-dare fiorini sedicimila d’oro, e a’ caporali feciono doni. E avuta la
-condotta da’ Fiorentini per la Val di Robbiana, condotti a Leona ebbono
-il pagamento de’ detti comuni, e fatta la promissione, e le cautele e
-il saramento di non tornare in sul contado di Firenze nè di Pisa infra
-due anni, se n’andarono alla Città di Castello, ove stettono tanto
-ch’ebbono quello che restava a dare loro messer Malatesta da Rimini
-capitano di Forlì, e Gentile da Mogliano, e partita tra loro la moneta,
-presono la ferma d’essere con la lega di Lombardia contro al signore
-di Milano per centocinquantamila fiorini in quattro mesi. E rifermata
-e giurata da capo sotto i loro capitani s’avviarono in Lombardia, e
-fra Moriale con licenza degli altri caporali accomandò la compagnia al
-conte di Lando e fecenelo suo vicario, ed egli se n’andò a Perugia,
-per provvedere come alla tornata della compagnia e’ potesse in Italia
-maggior male aoperare, e da’ Perugini fu ricevuto onoratamente, e fatto
-cittadino di Perugia.
-
-
-CAP. XVII.
-
-_Come fu morto messer Lallo._
-
-Per larga sperienza di molti anni si vide, che messer Lallo
-dell’Aquila, uomo di piccola nazione, per sua industria prima cacciati
-gli avversari della città dopo la morte del re Ruberto tenne la
-signoria della terra come un dimestico popolare e compagnevole tiranno,
-e seppe sì piacevolmente conversare co’ suoi cittadini, che catuno il
-desiderava a signore, e al tutto aveano dimenticata la signoria reale,
-ma egli saviamente mantenea il titolo del capitanato della terra alla
-corona, facendovi venire cui egli volea, nondimeno ciò che occorreva
-di grave nella città tornava a ser Lallo. E non avendo il re podere
-nella città più che ser Lallo si volesse, per molti modi in diversi
-tempi cercò d’abbatterlo, e non gli venne fatto, e però cercò la via
-de’ beneficii, e fecelo conte di Montorio, e diegli terre in Abruzzi,
-ed e’ le si prese, e mostrò di volere fare dell’Aquila la volontà
-del re; ma con astuzia e senno dissimulando col re tenea l’Aquila
-continovamente al suo segno. E stando le cose in questi termini,
-messer Filippo di Taranto fratello del re Luigi venne in Abruzzi, e
-ricettato nell’Aquila da messer Lallo con grande onore, dopo alquanti
-dì messer Filippo ragionò con messer Lallo, ch’egli farebbe rendere
-pace a’ figliuoli di messer Todino suoi nimici, i quali erano sbanditi
-dell’Aquila, e intendea fermare la pace con amore e con parentado,
-e con grande istanza il pregò che li dovesse ricevere nell’Aquila
-con buona pace. Messer Lallo sentendosi in grande amore co’ suoi
-cittadini, mostrò di poco temere i suoi avversari, e di volere servire
-messer Filippo accettando la pace e la loro tornata nell’Aquila.
-Messer Filippo semplicemente con alcuni suoi scudieri li facea venire
-in Aquila, ed essendo già presso alla città, il popolo si levò a
-romore, e prese l’arme gridando, viva il conte, e corsono alle porte e
-serraronle. Messer Filippo sentendo il romore temette di sè, ma messer
-Lallo fu subitamente a lui, confortandolo e scusando sè, che questo
-non era sua fattura ma del popolo, per tema ch’avea de’ figliuoli di
-messer Todino se rientrassono in Aquila. Messer Filippo turbato di
-questo baratto si mise in concio di partire, e la mattina vegnente fu
-in cammino. Messer Lallo accompagnandolo s’allungò dalla città tre
-miglia, offerendosi a messer Filippo e scusandosi del caso avvenuto; e
-volendosi tornare all’Aquila, e prendere congio da messer Filippo, per
-fargli la reverenza all’usanza reale scese del suo cavallo, e com’era
-ordinato, parlando messer Filippo con lui, e usando parole di minacce,
-uno scudiere il fedì d’uno stocco, e un altro appresso, e ivi a’ piè di
-messer Filippo fu morto messer Lallo per troppa confidanza, perdendo il
-senno e la malizia tanto tempo usata nel suo reggimento. Messer Filippo
-non s’arrestò per tema di quel popolo e del suo furore, ma senza alcuno
-soggiorno tornò a Napoli, e gli Aquilani feciono gran lamento della
-morte di messer Lallo, ma non essendovi il secondo, ritornarono senza
-contasto alla consueta signoria reale; e questo avvenne di giugno 1354.
-
-
-CAP. XVIII.
-
-_Come il re di Spagna cacciata la non vera moglie coronò la legittima._
-
-In questo tempo del detto anno, avendo il giovane re di Spagna per
-moglie la figliuola di messer Filippo di Borbona della casa di Francia,
-lasciandosi vincere e menare al disordinato appetito, avendola già
-tenuta un anno, corruppe il degno sagramento del matrimonio, e
-seguitando il modo de’ bestiali saracini con cui conversava, prese
-per sua moglie e sposò un’altra donna cui egli amava, nata della
-casa di Padiglia di Castella, chiamata Maria, con la quale si copulò
-con tanta disordinata concupiscenza carnale, che molte dissolute e
-sconce cose ne faceva, e la legittima moglie non volea vedere; la
-quale vedendosi a sconcio partito, prese segretamente sue damigelle e
-alquanti confidenti di sua famiglia, e senza saputa del re si tornò
-in Francia, richiamandosi al re, e al padre e agli altri baroni
-dell’ingiuria ricevuta dal suo marito; e udita in Francia la sconcia
-novella, il re e tutti i baroni se ne sdegnarono forte, e proposono
-d’andare in Spagna con forte braccio per gastigare il re della sua
-follia. I baroni di Spagna e le comuni a cui dispiacea questo fatto,
-sentendo le novelle di Francia, di concordia se n’andarono al re, e
-ripresonlo duramente d’avere per sua sconcia volontà d’una privata
-femmina fatta tanta vergogna alla casa di Francia e alla loro reina,
-dicendogli, che se non ammendasse il suo fallo, che sarebbono in aiuto
-al re di Francia per ricoverare il suo onore. Il giovane re riconobbe
-il suo fallo, e disposesi di presente a seguitare il loro consiglio; e
-alla non degna moglie, per appagare la legittima, le feciono tagliare
-i panni per lungo infino alla cintola a loro costuma, e con vergogna
-la mandarono via, e tornata la moglie, con gran festa feciono coronare
-lei e pacificare col re, e quella notte giacque con la reina Bianca sua
-moglie. Ma, o che fosse affatturato, o occupato nella mente del troppo
-peccato, la mattina per tempo le si levò da lato, e senza fare assapere
-altrui alcuna cosa cavalcò con piccola compagnia e andossene alla
-terra dov’era dama Maria di Padiglia, e d’allora innanzi non volle mai
-vedere la reina Bianca; e perch’ella non si partisse la fece mettere
-in Briscia suo forte castello, e ivi bene guardare, la quale per grave
-sdegno, o per dolore, o per malinconia, o per operazione del re, che ne
-fu sospetto, o per malizia naturale, innanzi tempo nella sua giovanezza
-finì sua vita, della quale il re ebbe più piacere che doglia, e
-vilmente la fece seppellire. Avvenne ancora, che vivendo la reina e
-dama Maria, il detto re Pietro, non senza sentimento della saracinesca
-consuetudine, innamorato d’una giovane donna vedova di Castella di
-grande lignaggio, la si prese a moglie; e quando con lei ebbe saziata
-sua sfrenata libidine, la cacciò via, e ritennesi alla sua dama Maria,
-della quale ebbe un figliuolo maschio e due femmine, e poi sopra
-parto si morì, poco appresso della reina, di cui il re si diè grave
-turbazione, e il corpo suo fece imbalsamare, e portare venticinque
-giornate di lungi da Sibilia alla sepoltura ch’ella s’avea eletta, e
-il re, e per amore del re i suoi baroni se ne vestirono a nero. Avemo
-raccolto qui il processo della moglie e dell’altre femmine del re, per
-non istendere in più parti del nostro trattato la vile materia.
-
-
-CAP. XIX.
-
-_Come i collegati di Lombardia condotta la compagnia mandarono
-all’imperadore._
-
-Il comune di Vinegia, e il signore di Verona, e quello di Padova, e
-quello di Mantova, e il marchese di Ferrara, collegati insieme contro
-l’arcivescovo di Milano, avendo condotta per quattro mesi la compagnia
-del conte di Lando, la quale era cinquemiladugento paghe, ma non
-avea oltre a tremilacinquecento cavalieri bene armati, la quale era
-partita dalla Città di Castello, e cavalcata sul contado di Bologna
-facendo danno, se n’andarono a Modena, dov’erano le bastite del
-signore di Milano, le quali non ebbono podere di levare, e lasciatovi
-l’assedio cavalcarono in sul Bresciano. I collegati vedendosi forniti
-di gente da potere campeggiare, mandarono ambasciadori, del mese di
-luglio del detto anno, all’eletto imperadore, con cui avevano fatto
-accordo per farlo valicare in Lombardia contro all’arcivescovo di
-Milano, e dove ricusasse la venuta, volevano essere liberi delle loro
-promesse. In questo tempo l’imperadore era in discordia col marchese
-di Brandimborgo, e catuno aveva accolto gente d’arme, e con l’eletto
-era il duca d’Osteric e molti cavalieri del re d’Ungheria, e credettesi
-si conducessono a battaglia: ma la questione avea lieve cagione di
-sdegno, sicchè tosto si recò a concordia, e l’eletto imperadore per
-l’animo ch’avea di valicare in Italia fu più abile alla pace, e ferma,
-catuna gente d’arme si tornò in suo paese; e senza sospetto de’ fatti
-d’Alamagna l’eletto si tornò in Boemia, e deliberò per lo modo che a
-lui piacque di valicare in Lombardia, e con seco ritenne parte degli
-ambasciadori della lega infino al suo movimento.
-
-
-CAP. XX.
-
-_Come i Bordoni furono cacciati di Firenze, e sbanditi per ribelli._
-
-Era avvenuto del mese di Luglio del detto anno in Firenze, che essendo
-la compagnia di fra Moriale a Sancasciano, i Bordoni, de’ quali era
-capo messer Gherardo di quella casa, tenendosi essere ingannati da’
-Mangioni e da’ Beccanugi loro vicini per lo dicollamento di Bordone
-loro consorto, e vedendo la città sotto l’arme e in gelosia, con
-loro gente accolta cominciarono prima con parole e poi con l’arme
-ad assalire i Mangioni; e rimettendoli per forza nelle case, in
-quell’assalto la moglie d’Andrea di Lippozzo de’ Mangioni ebbe d’una
-lancia sopra il ciglio, ond’ella si morì poco appresso. A quello romore
-corse d’ogni parte il popolo armato, e i priori vi mandarono la loro
-famiglia, e feciono acquetare la zuffa. Poi partita la compagnia, e
-ritornata la città al primo governamento, parendo al comune il fallo
-essere grave in così fatto tempo contro alla repubblica, fu commesso
-all’esecutore degli ordini della giustizia che ne facesse inquisizione,
-e punisse i colpevoli; i Beccanugi e’ Mangioni andarono dinanzi e
-scusaronsi, e furono prosciolti e lasciati, e i Bordoni rimasono
-contumaci; e a dì 2 d’agosto, nel detto anno, messer Gherardo con
-quattro suoi consorti e con dodici loro seguaci furono condannati, per
-avere turbato il buono e pacifico stato del comune di Firenze e per
-l’omicidio, tutti nell’avere e nelle persone, e uscironsi di Firenze, e
-i loro beni furono guasti e messi tra i beni de’ rubelli.
-
-
-CAP. XXI.
-
-_Come il re d’Araona venne con grande armata a racquistare Sardegna._
-
-Il re d’Araona, che l’anno dinanzi avea perduta tutta la Sardegna
-salvo che Castello di Castro, come addietro fu narrato, fatta sua
-armata di centosessanta tra galee e uscieri, cocche e navi armate, con
-grande cavalleria di suoi Catalani e molti mugaveri a piede, del mese
-di luglio del detto anno arrivò in Calleri, che altro non v’aveva,
-e lasciato ivi il navilio grosso, e messi in terra i cavalieri e i
-mugaveri, fece scorrere il paese e predare dovunque si stendeva, e con
-le galee sottili per mare e i cavalieri per terra s’addirizzò alla
-Loiera, nella quale aveva balestrieri genovesi, e masnadieri toscani
-e lombardi, che il vicario dell’arcivescovo signore di Genova v’avea
-mandati alla guardia, che francamente la difendevano e guardavano; e
-continuandovi l’assedio, nondimeno per mare con le galee, e per terra
-con la gente d’arme, faceano guerra all’altre terre e castella che
-ubbidivano al giudice d’Alborea, e il giudice fornito de’ suoi Sardi
-e di cavalieri condotti di Toscana si difendea francamente per modo,
-che delle sue terre non gli lasciava alcuna acquistare: e aveva in
-suo aiuto l’aria sardesca e ’l tempo della fervida state, che molto
-abbattea i Catalani di malattie e di morte; non ostante ciò, il re
-animoso mantenea l’assedio stretto, e facea tormentare molto i suoi
-avversari; e bench’egli sapesse che i Genovesi suoi nimici avessono
-armate trentadue galee, non se ne curava, perchè sapeva che i Veneziani
-suoi amici contro a loro n’aveano armate trentacinque: e ancora gli
-rendea molta fidanza la fresca vittoria ch’aveva avuta in quel luogo
-co’ Veneziani insieme sopra i Genovesi, e però intendea coraggiosamente
-a fare la sua guerra per terra e per mare. Lasceremo ora l’intrigata
-guerra di Sardegna che il tempo vegna della sua fine, e seguiremo altre
-novità che prima ci occorrono a raccontare.
-
-
-CAP. XXII.
-
-_Come i Genovesi feciono armata contro a’ Veneziani e’ Catalani._
-
-Avendo sentito i Genovesi l’armata de’ Catalani, e che i Veneziani
-armavano, avvegnachè per la sconfitta l’anno dinanzi ricevuta alla
-Loiera molto fossono infieboliti, presono cuore da sdegno per non
-dare la baldanza del mare al tutto al loro nimico, e però con aiuto
-di moneta che procacciarono dall’arcivescovo loro signore armarono
-trentatrè galee sottili, della migliore gente che rimasa fosse in
-Genova e nella riviera, e fecionne ammiraglio messer Paganino Doria,
-il quale altra volta avea avuto vittoria sopra i Catalani e’ Veneziani
-in Romania. Costui sentendo che i Veneziani erano usciti del golfo con
-trentacinque galee armate, mandò tre galee più sottili, e bene reggenti
-e armate nel golfo di Vinegia, le quali improvviso a’ paesani giunsono
-a Parezzo, e misono in terra; e trovando i terrazzani sprovveduti
-e smarriti per lo subito assalto, s’entrarono nella terra, e senza
-trovare contasto rubarono e arsono gran parte della città. Ed essendo
-nel porto tre grossi navilii de’ Veneziani carichi di grande avere, gli
-presono e rubarono, e ricolti a galee carichi di preda de’ loro nemici,
-con grande vergogna de’ Veneziani tornarono sani e salvi alla loro
-armata; la quale avendo lingua de’ Veneziani, prese la via di Romania
-per abboccarsi con loro a battaglia, se fortuna il concedesse. L’armate
-cavalcano il mare, e innanzi che insieme si ritrovino ci occorrono
-altre non piccole cose.
-
-
-CAP. XXIII.
-
-_Come il tribuno di Roma fece tagliare la testa a fra Moriale._
-
-Avvegnachè addietro detto sia dell’operazioni di fra Moriale innanzi
-ch’egli facesse la grande compagnia, e poi quanto male aoperò con
-quella, sopravvenendo il termine della sua morte, ci dà materia di
-raccontare la cagione, com’egli essendo semplice friere condusse tanti
-baroni, e conestabili e cavalieri a collegarsi sotto il suo reggimento
-in compagnia di predoni. Costui fu in Italia lungo tempo soldato
-franco cavaliere, e atto singolarmente a ogni fatica cavalleresca, e
-molto avvisato in fatti d’arme, il quale considerò che tutte le terre
-e’ signori d’Italia facevano le loro guerre con soldati forestieri,
-e i paesani poco compariano in arme, e parve a lui che accogliendosi
-i conestabili per via di compagnia, e partecipando con loro che
-rimanevano al soldo, che in niuna parte troverebbono contasto in
-campo: e avendo questo verisimile messo nel capo a molti conestabili,
-l’uno smovea l’altro, e traevano gente di catuna bandiera che rimaneva
-al soldo; e con quest’ordine, essendo in loro libertà, si pensavano
-sottoporre e fare tributaria tutta Italia, e pensavano, se alcuna buona
-città venisse loro presa, che per forza tutte l’altre converrebbe
-che sostenessono il giogo; e sotto questo segreto consiglio tutti i
-conestabili delle masnade tedesche, e’ Borgognoni e altri oltramontani
-promisono e giurarono da capo la compagnia e ubbidienza a messer fra
-Moriale, e per passare il verno all’altrui spese presono il soldo della
-lega de’ Lombardi, e messer fra Moriale, sotto titolo di mostrare
-d’avere a ordinare suoi propri fatti, rimase in Toscana: ma nel segreto
-fu, che provvederebbe del luogo dove dovessono tornare al primo tempo.
-Costui baldanzoso con poca compagnia, come detto abbiamo, se n’andò a
-Perugia, e di là mandò i fratelli con certe masnade di suoi cavalieri
-al tribuno, ch’era di nuovo ritornato in Roma, per atarlo; essendo
-stato prima cacciato da’ Romani e tenuto in esilio, e’ fu prigione
-dell’eletto imperadore lungo tempo, e poi per lo male stato de’
-Romani di volontà del papa e del popolo fu richiamato; e rendutagli
-la signoria, con più baldanza che di prima, non ostante che predetto
-gli fosse, o per revelazione di spirito immondo o per altro modo, che
-a romore di popolo sarebbe morto, e’ faceva rigida e aspra signoria,
-e reprimendo la baldanza de’ principi di Roma, onde fu opinione di
-molti che i Colonnesi s’intendessono contro a lui con fra Moriale per
-abbatterlo della signoria del tribunato: ma come che si fosse, poco
-appresso la mandata de’ fratelli fra Moriale andò a Roma, e il tribuno
-il fece chiamare a sè, ed egli senza alcuno sospetto andò a lui; e
-giuntogli innanzi, senza altro parlamento il tribuno gli mise in mano
-un processo di tradimento che fare dovea contro a lui, e come pubblico
-principe di ladroni, il quale aveva assalite le città della Marca e di
-Romagna, e la città di Firenze, di Siena e d’Arezzo in Toscana; e fatte
-arsioni, e violenze e ruberie senza cagione in catuna parte, e molte
-uccisioni d’uomini innocenti, delle quali cose disse che di presente
-si scusasse. E non avendo scusa contro alla verità del libello, senza
-voler più attendere, a dì 29 d’agosto del detto anno gli fece levare la
-testa dall’imbusto: e così finì il malvagio friere, cagione di molto
-male passato e di maggiore avvenire, per l’aoperazione della maladetta
-compagnia; per la qual cosa s’aggiugnerebbe memoria degna di gran
-lodi al tribuno se per movimento di chiara giustizia l’avesse fatto,
-ma perocchè egli prese i fratelli, e’ beni di fra Moriale e’ loro e
-pubblicolli a sè, parve che d’ingratitudine de’ servigi ricevuti e
-d’avarizia maculasse la sua fama: e abbianne più detto che forse non
-si conveniva, ma per lo malo esempio dato a’ soldati, e per la giusta
-vendetta della sua morte, ne crediamo avere alcuna scusa.
-
-
-CAP. XXIV.
-
-_D’una sformata grandine venuta a Mompelieri, e della scurazione del
-sole._
-
-A dì 12 di settembre 1354 cadde sopra Mompelieri e nelle circustanze
-una grandine sformata di grossezza di più d’una comune melarancia, e
-fece a’ frutti e agli uomini gravissimi danni, e le bestie che trovò
-ne’ campi alla scoperta uccise, e guastò molto le copriture delle
-case. E poi, a dì 17 del detto mese, fu scurazione del sole, e durò a
-Firenze una terza ora, coperto nella maggiore parte il corpo solare. Di
-sua influenza poco potemmo vedere e comprendere, salvo che asciutto e
-freddo seguitò tutto il verno singolarmente.
-
-
-CAP. XXV.
-
-_Come morì l’arcivescovo di Milano._
-
-Messer Giovanni de’ Visconti arcivescovo di Milano potentissimo
-tiranno in Italia, avendo dilatata la fama della sua potenza in grande
-altezza, e vivuto al mondo lungo tempo in dissoluta vita secondo
-prelato, vedendosi avere vinta sua punga, e soperchiata nel temporale
-la Chiesa di Roma, e riconciliatosi a quella co’ suoi sformati doni,
-e che tutta Italia il temeva, e l’eletto imperadore non avea ardire,
-eziandio sollecitato dalla forza e’ danari della lega di Lombardia,
-pigliare arme contro a lui, vaneggiante nel colmo della sua gloria,
-uno venerdì sera, a dì 3 d’ottobre 1354, gli apparve nella fronte
-sopra il ciglio un piccolo carbonchiello, del quale poco si curava,
-e il sabato sera a dì 4 del detto mese il fece tagliare, e come fu
-tagliato, cadde morto l’arcivescovo senza potere fare testamento, o
-alcuna provvisione dell’anima sua o della successione de’ suoi nipoti
-nella signoria; i quali feciono al corpo solenne esequie, e senza
-questione con molta concordia si ristrinsono insieme, facendo grande
-onore l’uno all’altro; per la qual cosa i Milanesi e tutti i loro
-sudditi stettono in obbedienza de’ nuovi signori, tanto che poi con
-nuova suggezione di tutti i popoli si feciono dichiarare signori, come
-appresso racconteremo, rendendo prima il nostro debito alla sprovveduta
-e violente morte del tribuno di Roma, e allo strano avvenimento
-dell’eletto imperadore in Italia.
-
-
-CAP. XXVI.
-
-_Come il tribuno di Roma fu morto a furia di popolo._
-
-Il primo tribuno romano dopo la sua cacciata tornato in Roma con comune
-assentimento dell’incostante popolo, e ordinati statuti a franchigia e
-a fortificagione del popolo, e certe entrate al comune per fortificare
-la signoria, procacciava di fornirsi di cavalieri e di masnadieri di
-soldo, per potere meglio raffrenare i potenti cittadini, i quali sapea
-ch’erano contro al suo tribunato: e come uomo ch’avea grande animo,
-credeva col favore del fallace popolo fare gran cose, e cominciato
-avea, ma non bene, perocchè essendo in Roma uno valente e savio uomo
-Pandolfo de’ Pandolfucci antico cittadino, e di grande autorità nel
-cospetto del popolo, e temendo il tribuno di lui, solo perchè gli
-pareva atto a potere muovere il popolo per la sua autorità e per la
-sua eloquenza, tirannescamente e senza colpa il fece decapitare;
-e per questo, e per la morte di fra Moriale, i principi di Roma,
-massimamente i Colonnesi e’ Savelli, temeano forte, e procacciavano
-di farlo cacciare o morire. E sparta già l’infamia della morte di
-Pandolfo tra il popolo, fu più leggiere a’ Colonnesi e a Luca Savelli
-venire alla loro intenzione, e con lieve movimento alquanti amici de’
-Colonnesi e’ Savelli della riva del Tevere, a loro stanza cominciarono
-a levare romore contro il tribuno e corsono all’arme; e con l’aiuto
-de’ Colonnesi e de’ Savelli, e di certi Romani offesi per la morte di
-Pandolfo, dimenticando la franchigia del popolo, a dì 8 d’ottobre del
-detto anno in su la nona corsono al Campidoglio, dicendo, muoia il
-tribuno. Il tribuno sprovveduto di questo subito e non pensato furore
-del popolo francamente provvide come necessità l’ammaestrava, e di
-presente s’armò e prese il gonfalone del popolo, e con esso in mano si
-fece alle finestre, e trattolo fuori, cominciò a gridare ad alta voce,
-viva il popolo, pensando che il popolo dovesse trarre al suo aiuto:
-ma trovossi ingannato, che il popolo il saettava, e gridava la sua
-morte: e avendo egli sostenuto con parole e con difesa l’assalto fino
-al vespero, e vedendo il popolo più acerbo e più infocato contro a sè
-da sezzo che da prima, e che soccorso da niuna parte aspettava, pensò
-di campare per ingegno; e tramutato l’abito suo in abito di ribaldo,
-fece aprire le porte del palagio alla sua famiglia al popolo perchè
-intendesse a rubare, come solea essere loro usanza; e mostrandosi nella
-ruberia come uno di loro, avea preso un fascio d’una materassa con
-altri panni dal letto, e scendendo la prima e la seconda scala senza
-essere conosciuto, dicea agli altri, su a rubare, che v’ha roba assai;
-ed era già quasi al sommo di scampare la morte, quando uno cui egli
-avea offeso così col fascio in collo il conobbe, e gridando, questi è
-il tribuno, il fedì: e l’uno dopo l’altro trattolo fuori dell’uscio
-del palazzo tutto lo stamparono co’ ferri, e tagliarongli le mani
-e sventraronlo, e misongli un capestro al collo e tranaronlo fino
-a casa i Colonnesi; e fatto quivi uno paio di forche v’appiccarono
-lo sventurato corpo, ove più dì il tennero appeso senza sepoltura.
-E questa fu la fine del tribuno, dal quale il popolo romano sperava
-potere riprendere sua libertà.
-
-
-CAP. XXVII.
-
-_Come l’imperadore Carlo venne in Lombardia._
-
-Messer Carlo di Luzimborgo re di Boemia e re de’ Romani, eletto
-imperadore, avendo accettata la profferta del comune di Vinegia, e
-del Gran Cane di Verona, e degli altri allegati di Lombardia contro
-all’arcivescovo di Milano, considerò che per la sua non grande facoltà
-d’avere e di potenza il fascio di cotanta impresa gli era troppo
-grave, e avvisossi con grande discrezione, che a volere venire in
-Italia per la corona del ferro, e appresso per l’imperiale, che gli
-convenia per forza vincere i signori, e le città, e’ popoli d’Italia
-che gli fossono avversi, o con senno o con amore recare a sè gli animi
-loro: ricordandosi che l’imperadore Arrigo suo avolo, avendo seco
-tutto il favore de’ ghibellini, e mosso con più di diecimila cavalieri
-tedeschi gente eletta, guidata da grandi baroni e nobili cavalieri,
-credendosi per forza sottomettere parte guelfa in Italia avendo seco
-tutta la forza de’ ghibellini, passò in Italia; e non potuto per sua
-forza domare gli avversari nè avere la corona, com’è la costuma,
-nella basilica di san Pietro, e consumate le sue forze senza essere
-ubbidito, rendè a Buonconvento il debito della carne alla terra, e
-l’anima a Dio. Per lo cui esempio l’avvisato eletto Carlo imperadore
-abbandonato ogni pensiero di sua potenza, e di quella che promesso
-gli era, fidanza prese nel suo temperato proponimento; e non volendo
-a’ collegati negare la promessa della sua venuta, nè mostrare che
-contro a’ signori di Milano si movesse, veduto il tempo atto al suo
-proponimento, mosse d’Alamagna con trecento cavalieri in sua compagnia
-venendo in Aquilea; e giunto a Udine, a dì 14 d’ottobre del detto anno,
-s’accompagnò il patriarca suo fratello con poca gente senz’arme, e
-cavalcando a buone giornate giunsono in Padova a dì 4 di novembre, ove
-fu ricevuto a grande onore; e fatti alquanti cavalieri de’ signori e
-di loro prossimani della casa da Carrara, e lasciati i signori suoi
-vicarii nella signoria della città, a dì 7 di novembre prese suo
-cammino: e temendosi messer Gran Cane che non entrasse in Vicenza nè
-in Verona il fece con lieve onore conducere per lo contado alla città
-di Mantova, e ivi ricevuto come signore, prese a fare suo dimoro per
-trattare se tra i Lombardi potesse mettere accordo, e ivi attendea s’e’
-comuni e’ popoli e’ signori di Toscana gli mandassono ambasciadori per
-potersi meglio provvedere alla sua coronazione. Lasceremo ora alquanto
-questa materia, tanto che alcuna cosa degna di memoria occorra di ciò
-al nostro proponimento, e diremo dell’altre che prima addomandano il
-debito alla nostra penna.
-
-
-CAP. XXVIII.
-
-_Come i tre fratelli de’ Visconti di Milano furono fatti signori, e
-loro divise._
-
-Tornando a’ fatti de’ Visconti di Milano, dopo la morte
-dell’arcivescovo messer Maffiolo, e messer Bernabò, e messer Galeazzo,
-figliuoli che furono di messer Stefano nipote dell’arcivescovo, essendo
-forniti di molti cavalieri e masnadieri per difendersi e abbattere
-giusto loro podere la forza degli altri Lombardi collegati contro a
-loro, e da resistere all’imperadore se muover si volesse contro a
-loro, stare facevano tutte le loro città e castella in buona guardia
-e sollecita; ed essendo tutti e tre in Milano, si feciono eleggere
-signori indifferentemente a dì 12 d’ottobre, e appresso si feciono
-fare a tutte le città del loro distretto il simigliante; ed essendo da
-tutti confermati nella signoria, si partirono tra loro il reggimento
-in questo modo: che Milano fosse comune a tutti, e dell’altre città
-feciono di concordia tre parti, salvo la città di Genova, che vollono
-che rimanesse comune in fra loro come Milano, e gittarono le sorte, per
-le quali a messer Maffiolo, ch’era il maggiore, toccò Parma, Piacenza,
-Bologna, e Lodi: a messer Bernabò Cremona, Brescia, e Bergamo: e a
-messer Galeazzo Como, Novara, Vercelli, Asti, Tortona, e Alessandria,
-con tre altre terre di Piemonte; e nondimeno a comune ne’ cominciamenti
-manteneano la spesa de’ soldati, e molto onorava l’uno l’altro, e di
-gran concordia faceano le loro imprese. A messer Maffiolo, perch’era
-di più tempo e di minor virtù, rendeano onore di metterlo innanzi ne’
-titoli e ne’ consigli. I fatti della cavalleria e dell’arme erano
-contenti che guidasse messer Bernabò che n’era più sperto, e messer
-Galeazzo ne prendea alcuna volta parte come a lui piacea. Essendo
-questi signori di Milano così ordinati tra loro, sopravvenuto l’eletto
-imperadore in Mantova, stavano apparecchiati in loro senza fare altro
-movimento di guerra contra a’ loro avversari, e gli allegati anche
-stavano a vedere che l’imperadore facesse senza muovere la loro gente a
-far guerra.
-
-
-CAP. XXIX.
-
-_Come l’imperadore stando a Mantova trattava la pace de’ Lombardi._
-
-L’imperatore avendosi avvisatamente condotto in Lombardia di verno,
-e sapendo la gran forza di gente ch’aveano i signori di Milano, e la
-potenza del loro tesoro e delle loro entrate, fece venire a se in
-Mantova gli ambasciadori del comune di Vinegia e di tutti i signori
-collegati, e con loro insieme vide che la sua forza e la loro in que’
-tempi non era sufficiente a tanto fatto quanto volevano imprendere.
-Ancora considerò che stando egli a Mantova niuno signore o comune
-d’Italia, salvo che i collegati, era venuto o avea mandato a lui
-contro a’ signori di Milano, e però gli parve che le cose fossono
-assai bene disposte al suo proponimento col quale s’era messo a farsi
-trattatore di pace, per accattare da ogni parte benevolenza, e non
-prendere nimicizia con alcuno, e però cominciò a trattare della pace; e
-parendogli che catuno si disponesse a volerla, acciocchè quelli della
-lega non portassono la gravezza del soldo della gran compagnia, la
-fece licenziare a dì 8 di novembre, e quelli della compagnia ne furono
-contenti: ed essendo in sul Bresciano, parte ne condussono i signori
-di Milano, e parte la lega, e il rimanente si ritenne in compagnia col
-conte di Lando. L’imperadore seguiva con sellecitudine che la pace si
-facesse, e in lungo processo di trattato più volte corse la voce che la
-pace era fatta. Ma nascendo ora dall’una parte ora dall’altra cagione
-di tirare, la pace non veniva a perfezione, e in questo soprastare,
-vennono accidenti che non la lasciarono venire a perfezione, i quali
-diviseremo nel tempo ch’avvennono secondo l’ordine del nostro trattato.
-
-
-CAP. XXX.
-
-_Come furono presi i legni ch’andavano a Palermo._
-
-Del mese d’ottobre del detto anno, il re Luigi sentendo la città di
-Palermo in gran bisogno di vittuaglia e di gente d’arme per la difesa
-contro a’ nimici, fece armare tre galee, e uno panfano, e dodici
-legnetti e una nave, e tutte le fece caricare di grano e d’altra
-vittuaglia, e fece ammiraglio il conte di Bellante Potarzio d’Ischia,
-e comandogli che le conducesse in Palermo; ed essendo nel mare di
-Calabria si vidono contra galee di Messinesi, che stavano alla guardia
-per procacciare di vittuaglia, di che aveano gran bisogno, le quali
-vedendo quelle del Regno con legni armati, e conoscendo la loro poca
-virtù, s’addirizzarono verso loro. Il conte vedendole venire, come
-codardo non prese alcuna difesa, ma la sua propria galea abbandonò
-perch’avea del grano in corpo, e montato su un legno armato, innanzi
-che i nemici s’appressassono si fuggì. Le galee de’ Messinesi giugnendo
-a quelle del Regno le trovaron senza capitano e senza difesa, e però
-le si presono col carico e colla gente, e con gran festa e gazzarra
-questa utile preda al bisogno della loro città misono in Messina, ove
-furono ricevuti a grande onore, più per loro bisogno che per la piccola
-vittoria.
-
-
-CAP. XXXI.
-
-_Come si cominciò guerra in Puglia tra loro._
-
-Messer Luigi di Durazzo cugino carnale del re Luigi, vedendo che
-il detto re avea dato al prenze di Taranto e a messer Filippo suoi
-fratelli carnali grandi baronaggi in Puglia e nel Regno, nè a lui
-nè a messer Ruberto non avea data nulla cosa, con giusto sdegno,
-vedendosi in povero stato, si tenea dal re e dalla reina malcontento:
-e il conte di Minerbino tenendosi anche male del re e della reina
-s’accostò con messer Luigi, e propuosono di volere fare guerra nel
-paese di Puglia. Per questa tema il re e la reina andarono in Puglia
-cercando riconciliarli con parole, e mandaronli pregando che venissono
-a loro; e consigliati insieme, ordinarono che il conte v’andasse,
-avendo prima per sua sicurtà per stadichi il vescovo di Bari e messer
-Giannotto dello Stendardo in Minerbino, e così fu fatto. E stando col
-re e con la reina non si trovò modo d’accordo, nè che messer Luigi si
-volesse assicurare di andare a loro. In questo stante, gente d’arme
-acconcia a far male percossono alla strada, e presono settanta muli
-che tornavano da Barletta con poca roba, e menargli via in vergogna
-della corona, essendo la persona del re nel paese. E tornandosi il re
-e la reina a Napoli, messer Luigi e il Paladino presono ardire di più
-aperta rubellione, e accolsono gente d’arme, e correano per lo paese.
-Ma sentendosi di piccola possanza, entrarono in trattato col conte
-di Lando, che dovesse conducere la compagnia nel Regno. Soprastaremo
-alquanto al presente a questa materia, parandocisi innanzi più notevole
-avvenimento di grave fortuna.
-
-
-CAP. XXXII.
-
-_Come i Genovesi sconfissono i Veneziani a Portolungo in Romania._
-
-Avendo la non domata rabbia del comune di Genova e di quello di Vinegia
-condotto le loro armate in Romania, essendo messer Paganino Doria di
-trentatre galee genovesi ammiraglio, e messer Niccolò da ca Pisani
-ammiraglio di trentacinque galee de’ Veneziani, e tre panfani e un
-legno armato, e venti tra saettie e barche, e cinque navi di carico
-tutte armate e incastellate, e navicando l’una armata e l’altra per
-lo mare di Romania a fine d’abboccarsi insieme, non vi si poterono
-trovare: l’ammiraglio de’ Veneziani con tutte le galee e gli altri
-navilii della sua armata si ridusse nel porto di Sapienza nella Romania
-bassa, e ivi s’ordinò, avendo lingua de’ suoi nemici ch’erano nel mare
-di Romania, in questo modo: che le navi mise nella bocca del porto
-incatenate insieme, e con esse venti galee alla guardia, e molto le
-fece bene armare e acconciare alla difesa della bocca del porto, e con
-queste rimase il loro ammiraglio; l’altre quindici galee co’ legni
-armati e con le saettie accomandò a uno da ca Morosini di Vinegia, e
-misele dentro nel Portolungo, acciocchè stessono più salve, e potessono
-contastare a’ nemici dinanzi e l’ammiraglio di dietro, se caso venisse
-che l’armata de’ Genovesi si mettesse nel porto. L’ammiraglio de’
-Genovesi avendo in Romania sentito lingua dell’armata de’ Veneziani, e
-com’erano più galee e assai legni di carico incastellati più di loro,
-e che fatto aveano la via di Portolungo di Sapienza nella Romania
-bassa, come uomo di gran cuore e ardire, avvilendo i suoi nemici che
-non aveano cercato d’abboccarsi con lui, ma piuttosto fatto vista di
-schifarlo, di presente s’addirizzò con la sua armata verso il porto
-di Sapienza per richiedere i Veneziani di battaglia; e come giunto fu
-sopra il porto di Sapienza, vide come i Veneziani co’ loro navilii
-incastellati e incatenati e con le galee s’erano afforzati alla bocca
-del porto, e parvegli segno che non volessono combattere; nondimeno per
-mostrarsi a’ nemici senza paura, non credendosi venire a battaglia,
-stando aringati sopra il porto, mandò a richiedere l’ammiraglio de’
-Veneziani di battaglia, dicendo, come l’attendea fuori del porto, per
-porre fine a’ travagli e alle tribulazioni che gli altri navicanti e
-tutto il mare portava della loro guerra. L’ammiraglio de’ Veneziani
-rispose, ch’era in casa sua, e non intendea combattere a richiesta
-de’ suoi nemici, ma quando a lui paresse prenderebbe la battaglia.
-I Genovesi più inanimati, veggendo ricusavano la battaglia, da capo
-la dimandarono, vituperando i loro avversari, sonando e risonando
-trombe e nacchere, e vedendo che niuno segno si facea pe’ Veneziani di
-muoversi, ad alcuno atto, presono un folle ardimento, se i Veneziani
-avessono aoperato come poteano l’armi, perocchè Giovanni Doria nipote
-dell’ammiraglio mattamente si mise con una galea ad entrare nel porto,
-e appresso di lui il figliuolo dell’ammiraglio con la sua, entrando
-sotto la guardia delle navi e delle galee. I Veneziani vedendoli
-entrare, follemente li lasciarono entrare, sperando rinchiuderli nel
-porto e averli tutti a man salva; e così senza contasto per atare i
-giovani che s’erano messi a quello pericolo v’entrarono tredici galee
-di Genovesi l’una dopo l’altra, senza essere impedite o combattute
-dall’ammiraglio o dalla sua armata ch’era alla guardia della bocca
-del porto; e trovandosi nel porto, si dirizzarono con ordine e con
-grande ardimento a combattere le quindici galee de’ Veneziani e’ legni
-armati ch’erano nel porto, le quali aveano le prode a terra per loro
-agiamento, ed erano più atte alla difesa. I Genovesi l’assalirono con
-aspra battaglia, ma quale che fosse la cagione, o per sdegno preso
-contro all’ammiraglio che non avea impedito la loro entrata, e non
-s’era mosso alla loro difesa, o per molta codardia, a quel punto
-feciono piccola difesa, e però nel primo assalto furono assai de’
-Veneziani fediti e morti: e pignendo i Genovesi, con piccola resistenza
-de’ loro avversari montarono in sulle galee, e in poca d’ora tutti gli
-ebbono presi e sbarattati, ne’ quali molti più annegarono gittandosi
-in mare per fuggire, che quelli che morirono di ferro. Avendo queste
-tredici galee avuta piena vittoria delle quindici del porto, feciono
-segno al loro ammiraglio e all’altre galee ch’erano fuori del porto
-della loro vittoria, le quali con grande baldanza e ardire si misono
-innanzi, per volere combattere le venti galee e le navi ch’erano
-alla guardia della bocca del porto, e le tredici vittoriose vennono
-dall’altra parte, avendo due corpi di galee veneziane affocate per
-metterle loro addosso. Strignendosi d’ogni parte la battaglia,
-l’ammiraglio veneziano ingannato per molta viltà del primo suo avviso,
-e sbigottito delle quindici galee perdute, e della battaglia che d’ogni
-parte si vedea apparecchiare, s’arrendè alla misericordia de’ Genovesi,
-e da quel punto innanzi più non v’ebbe morto o fedito alcuno Veneziano;
-tutti furono prigioni, perocchè in porto e tutto in mare di lungi dalla
-terra ferma niuno dell’armata de’ Veneziani campò che non fosse preso
-o morto, e i prigioni furono per novero cinquemilaottocentosettanta,
-i quali con tutte le galee, e altri legni e navilii, con grande
-vittoria quasi senza loro danno menarono a Genova, lasciati nel porto
-e nella marina di Sapienza quattromila o più corpi di Veneziani morti
-e annegati in quella battaglia, la quale fu a dì 3 di novembre 1354.
-Della quale vittoria i Genovesi ripresono cuore e ardire di loro stato,
-e i Veneziani molto ne dibassarono; e questo fece la mala provvedenza
-del loro ammiraglio, che avendo guardata la bocca del porto come potea,
-le galee de’ Genovesi non v’entravano, e l’entrate se l’avesse volute
-combattere di dietro con parte delle sue galee, come poteva, avrebbe
-vinti i Genovesi, come i Genovesi vinsono lui. Ma la guerra è di questa
-natura, che commesso il fallo seguita la penitenza senza rimedio le più
-volte.
-
-
-CAP. XXXIII.
-
-_Come Gentile da Mogliano diede Fermo al legato._
-
-Innanzi che noi procediamo ad altri effetti della detta sconfitta,
-Gentile da Mogliano signore della città di Fermo nella Marca ci ritiene
-alquanto, perocchè essendo tirannello oppressato da messer Malatesta
-da Rimini maggiore tiranno, per cui s’era messo a soldare la compagnia
-per liberare Fermo dall’assedio, come già è detto, rimase povero
-d’avere e d’aiuto, conobbesi impotente da difendersi dal nimico suo,
-non che dal legato, che per riavere la Marca occupata a santa Chiesa
-s’apparecchiava di venire a oste alla sua occupata città di Fermo, e
-però si pensò di riconciliar col legato e d’abbattere messer Malatesta
-suo nimico, e andossene in persona al legato ch’era a Fuligno, e
-promiseli di renderli la città di Fermo, e d’essere fedele al servigio
-di santa Chiesa e del legato. Il legato ebbe tanto a grado la venuta
-e l’offerta di Gentile, che di presente il ricevette con grande
-allegrezza, e per onorarlo e fargli bene, comunicatosi insieme con lui
-alla messa, il fece gonfaloniere di santa Chiesa, e promisegli que’
-danari che volle a certo termine, dicendogli ch’era contento tenesse
-la rocca di Fermo infino che fosse pagato. Il legato mandò della sua
-gente da cavallo e da piè, e furono ricevuti da’ Fermani con grande
-allegrezza e festa, pensando che uscivano di pericoloso servaggio, che
-Gentile era bisognoso e gravavagli troppo, e non gli poteva difendere
-nè aiutare. E il legato pensava fare in Fermo sua frontiera al primo
-tempo, perocch’era vicino alle città della Marca occupate per messer
-Malatesta, e avendo fatto contro a lui e contro agli altri tiranni di
-Romagna gravi processi, pensava volere fare l’esecuzione con altro che
-col suono delle campane e con le candele spente, ma da’ baratti e da’
-tradimenti de’ Romagnuoli e de’ Marchigiani non si potè guardare, come
-innanzi racconteremo.
-
-
-CAP. XXXIV.
-
-_Come il re di Araona ebbe la Loiera, e fece accordo col giudice._
-
-Tornando a’ fatti di Sardegna, il re di Araona con la sua cavalleria
-e con l’armata delle sue galee avendo mantenuto assedio alla Loiera
-dal luglio al novembre, e fatto continova guerra al giudice d’Alborea
-con piccolo acquisto, essendo la Loiera a grande stretta, e non
-vedendo d’essere soccorsa, trattavano col re, e similmente il giudice
-d’Alborea rincrescendogli la guerra. Il re si teneva duro, e voleva
-maggiori cose che offerte non gli erano. In questo stante sopravvenne
-la sconfitta de’ Veneziani ricevuta da’ Genovesi, la novella della
-quale fu in segreto molto tosto a Vinegia. Il doge e ’l consiglio
-che questo seppono, tennono la cosa celata per modo, che i loro
-cittadini non poterono alcuna cosa sentire, e di presente armarono
-un legno sottile, e mandarono significando al re d’Araona il loro
-fortunoso caso, e avvisandolo che innanzi che la novella si spargesse
-sapesse pigliare suo vantaggio, e guardare la sua armata. Il legno
-portò volando la mala novella al re d’Araona, ed egli con maestrevole
-avviso con molta festa manifestò la novella per lo contradio, facendo
-assapere al giudice e agli assediati che i Veneziani aveano sconfitti
-i Genovesi. Per questo i Genovesi ch’erano a guardia della Loiera
-perderono ogni ardire, e procacciavano l’accordo, e il giudice si
-dichinò più che fatto non avrebbe, e il re mostrandosi di buona aria
-più che non solea, di presente venne alla concordia della pace, e fu
-fatta in questo modo: che il re avesse la Loiera andandosene sani e
-salvi i Genovesi e gli altri forestieri che la guardavano, e il giudice
-d’Alborea riconobbe ritenere tutte le terre dal detto re, e feceli il
-saramento, e promiseli dare ogni anno certa moneta per l’omaggio delle
-dette terre; e fatta la pace, e fornita la Loiera di sua gente d’arme,
-per lo beneficio dell’affrettata novella, e per lo savio consiglio
-del re, si tornò in Catalogna, con acquisto, e con pace, e con onore.
-Ove se la novella fosse sentita prima da’ suoi avversari, con danno
-e con vergogna senza nullo acquisto gli convenia partire dell’isola
-vituperosamente: e però si verifica qui l’antico proverbio contrario
-alla vile pigrizia, che dice; il buono studio vince ria fortuna.
-
-
-CAP. XXXV.
-
-_Come i Pisani si diliberarono di mandare all’imperatore._
-
-Soprastando l’eletto imperadore a Mantova per volere trarre a fine la
-pace tra’ Lombardi, i Pisani i quali erano a quel tempo in grande e
-buono stato sotto il reggimento de’ Gambacorti, ch’erano i maggiori,
-e con loro gli Agliati e seguaci e Bergolini, i quali manteneano
-pace e onore co’ Fiorentini, e non ostante che fossono amici de’
-guelfi, sentendo il popolo minuto tutto imperiale, per provvedersi
-di conservare loro stato diliberarono di mandare di loro medesimi
-ambasciadori con pleno mandato del detto comune al detto eletto,
-e nel loro segreto fu, che procacciassono d’avere promessione e
-fede dall’eletto, che gli conserverebbe nello stato senza far nella
-città mutazione degli ufici, e che non vi rimetterebbe gli usciti
-ribelli, e che manterrebbe al comune di Pisa la signoria di Lucca,
-e non la recherebbe in libertà nè ad altro stato. Gli ambasciadori
-con grande compagnia e molto adorni giunsono a Mantova, dov’era
-l’eletto imperadore, e ricevuti da lui con grande onore, e fatta la
-riverenza, spuosono l’ambasciata del loro comune, ove liberamente gli
-offersono la città e gli uomini di quella alla sua ubbidienza, pregando
-divotamente per bene, e per pace e buono stato del detto comune,
-che gli dovesse piacere di promettere per la sua fede, e appresso
-dell’imperiale corona le sopraddette cose utili e necessarie al buono
-stato di que’ cittadini, e l’eletto con grande allegrezza e festa li
-ricevette, e promise nella sua fede liberamente ciò che per loro era
-domandato. Allora gli ambasciadori gli promisono trentamila fiorini
-d’oro in aiuto alla spesa della sua coronazione, e altri trentamila
-per lo consentimento della città di Lucca, il quale consentimento
-non onorevole alla maestà imperiale, comprese sotto la ragione del
-padre suo re Giovanni, quando la città di Lucca gli fu data. Della
-quale promessa i grandi mercanti, e gli altri usciti di Lucca, che si
-pensavano tornare in libertà per la venuta dell’imperadore, si tennono
-mal contenti: e così fu fatta la concordia dall’eletto imperadore
-a’ Pisani, della quale i cittadini feciono in Pisa per molti giorni
-singulare e grande festa, ignoranti del futuro avvenimento della loro
-ruina.
-
-
-CAP. XXXVI.
-
-_Rottura della pace del re di Francia e d’Inghilterra._
-
-Essendo per lungo tempo trattato per lo cardinale di Bologna e per
-altri prelati di volere fare accordo tra il re di Francia e quello
-d’Inghilterra, e sotto questa speranza più volte prolungate le triegue
-tra l’uno re e l’altro; e non potendo trarlo a fine, provvidono di
-comune consiglio quelli che menavano il trattato, che abboccandosi i
-due re insieme nella presenza del papa, o i loro più confidenti baroni,
-che pace ne dovesse seguire; e per seguire questo consiglio il re di
-Francia vi mandò il duca di Borbona suo consorto, e il conestabile
-di Francia: e il re d’Inghilterra vi mandò il duca di Lancastro suo
-cugino, e il vescovo di Vervic, e catuno giunse a corte del mese di
-dicembre: e abboccatisi insieme per più riprese nella presenza del
-papa, tanto volea catuno mantenere l’onore del titolo del suo signore,
-che mezzo non seppono trovare di recarli in pace. Il papa, o per
-soperchia arroganza che trovasse in loro, o per poco ardire ch’avesse
-di sforzare gli animi de’ signori, non vi s’interpose come avrebbe
-potuto la sua autorità, con la quale poteva catuno sostenere con suo
-onore, e trovare mezzo di recarli a concordia e pace; nol fece, che
-forse non erano ancora puniti i peccati de’ Franceschi: e però del mese
-di gennaio del detto anno, catuna parte in discordia con poco onore del
-santo padre e de’ suoi cardinali si tornò al suo signore.
-
-
-CAP. XXXVII.
-
-_Come un gatto uccise un fanciullo in Firenze._
-
-Avvegnachè assai paia cosa strana e non degna di memoria quello che
-seguita, perocchè fu inaudito caso, non l’abbiamo saputo tacere. In
-Firenze era da san Gregorio un lasagnaio con una sua moglie, aveano un
-piccolo loro fanciullo di tre mesi, e avendolo la madre governato e
-rimessolo nella culla al modo usato, una gatta accresciuta e nutricata
-in quella casa se n’andò al fanciullo, e cominciolli a rodere la testa,
-e trassegli gli occhi e manicosseli, e poi rodendo la testa se n’andò
-fino al cervello; e avendo lungamente pianto il fanciullo, il padre
-e la madre soccorsono tardi, non pensando che cotale caso fosse, e
-trovarono il fanciullo storpiato, e la gatta sopr’esso ancora vivo,
-ma incontanente morì; e sparata la maladetta gatta le trovarono gli
-occhi del fanciullo in corpo. Questa è quasi cosa incredibile, ma per
-esperienza del vero di questo fatto si dee alle donne e alle balie
-accrescere sollecitudine e accrescimento di buona guardia a’ piccoli
-fanciulli. Avvenne questo inopinato caso a dì 6 di dicembre 1354.
-
-
-CAP. XXXVIII.
-
-_Come l’imperadore fe’ fare triegua da’ Lombardi a’ signori di Milano._
-
-Avendo fino a qui dimostrato i trattati tenuti per l’eletto imperadore
-e la sua venuta a Mantova, al presente ci strigne il tempo a venire
-dimostrando i cominciamenti in fatti delle sue proprie operazioni.
-Costui secondo il suo supremo titolo, conoscendo se medesimo e il suo
-piccolo podere, e abbattendo nell’animo suo ogni elezione, provvide
-che per astuta e dissimulata suggezione gli convenia procedere per
-venire all’ottato fine della sua coronazione, e per questo in fatto
-prese abito, forma, e operazione umile, e sommissione incredibile
-all’imperiale nome in fondamento de’ suoi principii: e venuto a Mantova
-senz’arme, e fattosi trattatore della pace da’ signori di Milano a’
-legati lombardi, avendo seguito il fatto dall’entrata di novembre
-al Natale senza frutto, essendo montata la superbia de’ Genovesi e
-de’ loro signori, per la vittoria avuta in mare sopra i Veneziani,
-per la quale mutando in prima i patti li voleano più larghi per loro
-in vergogna degli allegati, ed eglino sdegnosi non acconsentivano,
-l’imperadore, ch’avea l’animo più a’ suo’ fatti propri, si doleva
-di perdere il tempo invano, e conoscendo la potenza de’ Visconti di
-Milano maggiore che della lega, e non vedendosi da’ comuni di Toscana
-fuori che da’ Pisani dimostramento d’alcuno favore, comprese che a’
-collegati non faceva utile, e a se faceva impedimento grande per la
-coronazione della corona del ferro, ch’era nella potenza de’ signori di
-Milano, e però non dimostrando d’abbandonare il trattato, ma di volerlo
-conducere a fine di pace, facea fare triegua tra’ Lombardi fino al
-maggio prossimo vegnente; e fatta la triegua, incontanente trattò per
-se accordo co’ signori di Milano, sottomettendo la sua persona, e ’l
-suo onore, e la dignità imperiale oltre al debito modo nell’arbitrio
-e potenza de’ tiranni, prendendo confidenza di quelli, o da purità di
-mente, o da matto consiglio, non però di certo e di chiaro giudicio;
-e il patto fu, che li darebbono abilità d’avere sotto le loro braccia
-la corona a Moncia, ed egli senza entrare in Milano gli lascerebbe
-suoi vicari in tutta la loro giurisdizione; ed egli avuta promissione
-da loro, che alla sua coronazione a Roma gli donerebbono per aiuto
-alle spese fiorini cinquantamila d’oro, senza alcuna gente d’arme come
-privato uomo si sottomise nella loro signoria, vincendo gli animi fieri
-e l’usata fallacia tirannesca colla sua persona creduta nelle loro mani
-liberamente, come appresso diviseremo.
-
-
-CAP. XXXIX.
-
-_Come l’imperadore andò a Moncia per la corona del ferro._
-
-L’eletto imperadore avendo fatto la sua concordia co’ signori di
-Milano, più della pace de’ Lombardi non si travagliò, ma di presente
-fatta la festa della natività di Cristo a Mantova, si mise a cammino
-verso Milano con meno di trecento cavalieri, i più senz’arme, e i
-signori di Milano ordinarono, che per tutto loro distretto all’eletto e
-alla sua compagnia fosse apparecchiato per loro e per li loro cavalli
-ogni cosa da vivere senza torre alcuno danaio: e giugnendo a Lodi,
-messer Galeazzo gli venne incontro con millecinquecento cavalieri
-armati, e giunto a lui, gli fece la reverenza, e accompagnollo fino
-dentro alla città di Lodi, e ivi il collocò onoratamente nelle case de’
-signori, facendo nondimeno serrare le porti della città, e guardarla
-dì e notte colla gente armata. E albergato in Lodi una notte, la
-mattina appresso mosso il re de’ Romani, messer Galeazzo colla sua
-gente armata l’accompagnò, avendo ordinata la desinea alla grande badia
-di Chiaravalle: e appressandosi a Chiaravalle, messer Bernabò con
-molti cavalieri armati gli si fece incontro, e fattagli la reverenza,
-gli presentò da parte de’ fratelli e cavalli e palafreni covertati
-di velluto, e di scarlatto e di drappi di seta, guerniti di ricchi
-paramenti di selle e di freni: e fattogli alla badia nobile desinare,
-messer Bernabò il richiese da parte de’ suoi fratelli e da sua che gli
-dovesse piacere d’entrare nella città di Milano; l’eletto rispose, che
-per niuno modo intendea venire contro a quello che promesso avea loro;
-messer Bernabò gli disse, che questo gli fu domandato pensando che la
-gente della lega il dovesse accompagnare, ma per la sua persona non era
-fatto: e tanto il costrinsono, ed egli e messer Galeazzo, liberandolo
-per loro e per messer Maffiolo dalla promessa, che con loro n’andò
-in Milano; e entrato nella città, fu ricevuto con maggior tumulto
-che festa, non potendo quasi vedere altro che cavalieri e masnadieri
-armati: e i suoni delle trombe, e trombette, e nacchere, e cornamuse,
-e tamburi erano tanti, che non si sarebbono potuti udire grandi tuoni;
-e come fu in Milano, così furono le porti serrate, e così rinchiuso
-il condussono a’ palazzi della loro abitazione, e assegnateli sale e
-camere fornite nobilissimamente di letta e di ricchi apparecchiamenti,
-messer Maffiolo e gli altri fratelli da capo andarono a fargli la
-reverenza, dicendogli con belle parole come tutto ciò che possedevano
-riconoscevano avere dal santo imperio, e al suo servigio intendevano
-di tenerlo. Il dì appresso feciono fare generale mostra di tutta la
-gente d’arme a cavallo e a piè ch’aveano accolta in Milano, e oltre
-a ciò feciono armare quanti cittadini ebbono che montare potessono a
-cavallo, tutti sforzati di coverte e d’altri paramenti e d’avvistate
-sopravveste, e feciono stare l’imperadore alle finestre sopra la
-piazza a vedere; e passando con gran tumulto di stromenti, feciono
-intendere all’eletto ch’erano seimila cavalieri e diecimila pedoni di
-soldo: e passata la mostra, dissono: signore nostro, questi cavalieri
-e masnadieri, e le nostre persone, sono al vostro servigio e a’
-vostri comandamenti; dicendo che oltre a questi aveano fornite tutte
-le loro città terre e castella di cavalieri e di masnadieri per la
-guardia di quelle. E così magnificarono la gran potenza del loro stato
-nell’imperiale presenza, tenendo il dì e la notte le porte serrate e
-la gente armata per la città, non senza sospetto e temenza dell’eletto
-imperadore, il quale vedendosi in tanta noia di sollecita guardia, fu
-ora che innanzi vorrebbe essere stato altrove con minore onore, e in
-tutto fu in servaggio l’animo imperiale alla volontà de’ tiranni, e
-l’aquila sottoposta alla vipera, verificandosi la pronosticazione detta
-per previsione d’astrologia, negli anni _Domini_ 1351, per messer frate
-Ugo vescovo di...... grande astrologo al suo tempo, il quale predisse
-il cadimento del prefetto da Vico, e la soggezione futura dell’aquila
-imperiale in questi versi:
-
- _Aquila flava ruet post parum vipera fortis._
- _Moenia subintrat Lombardi prima sophiae_
- _Anno quadrato minori decimonono._
- _Aquila succumbet pro stupri crimine foedo_
- _Nigra revolabit sublimi cardine Romam._
-
-ma egli come savio comportò con chiara e allegra faccia la sua cortese
-prigione; e con molta liberalità vinse quello che acquistare non
-avrebbe potuto per forza. Dopo alquanti dì, come a’ signori tiranni
-piacque, il condussono con la loro gente armata a Moncia, e ivi il
-dì della santa Epifania, a dì 6 del mese di gennaio di detto anno,
-fu coronato della seconda corona del ferro, con quella solennità e
-festa che i signori Visconti li vollono fare; e tornato a Milano sotto
-continova guardia, fattivi certi cavalieri, ed egli per tornare in
-libertà sollecitando la sua partita, fu accompagnato di terra in terra
-dalle masnade armate de’ signori, facendo serrare la città e castella
-dov’entrava, e il dì e la notte tenerle in continova guardia: ed egli
-avacciando il suo cammino, non come imperadore, ma come mercatante
-ch’andasse in fretta alla fiera, si fece conducere fuori del distretto
-de’ tiranni: e ivi rimaso libero della loro guardia, con quattrocento
-compagni, i più a ronzini senz’arme, si dirizzò alla città di Pisa per
-esservi prima che non avea loro promesso, e così li venne fatto.
-
-
-CAP. XL.
-
-_Come il conte di Lando venne di Lombardia in Romagna con la gran
-compagnia._
-
-In questi dì all’entrata di gennaio, il conte di Lando capitano del
-residuo della gran compagnia, avendo un dì lungamente parlamentato a
-solo coll’eletto imperadore, con duemilacinquecento barbute se ne venne
-a Ravenna, e con lui due fratelli della bella contessa, che l’anno
-del generale perdono andando a Roma capitò in Ravenna, e ritenuta
-dal tiranno per conducerla o per amore o per forza a consentire alla
-sua sfrenata libidine, la valente donna vedendo non potere mantenere
-la sua castità contro alla forza dello scellerato tiranno se non per
-via di morte, trovò il modo di finire sua vita innanzi che volesse
-corrompere la sua castità; questi cavalieri credendosi potere vendicare
-dell’onta della loro sirocchia contro al tiranno, s’accostarono con la
-compagnia, e furono singolare cagione di menarla in sul Ravennese, ove
-stette lungamente ardendo, e predando, e guastando il paese; e dopo la
-detta stanza e guasto dato, essendosi tenuto alle mura della città il
-conte, gli domandò trentamila fiorini d’oro se volea si partissono di
-suo terreno, e avendo il tiranno bargagnato, s’era recato il conte a
-dodicimila fiorini d’oro. Allora disse il tiranno, che gli darebbe i
-detti danari, se ’l conte il volesse sicurare di non partirsi con la
-compagnia per spazio d’un anno continovo del contado di Ravenna: e a’
-suoi cittadini fece stimare il danno ricevuto delle loro possessioni,
-tenendoli in speranza di pagare loro la restituzione del danno; onde
-il conte e la sua compagnia frustrata del loro intendimento si partì
-di là, e andossene nella Marca. Lasceremo ora de’ fatti della gran
-compagnia, e torneremo alle cose che per l’avvenimento dell’imperadore
-occorsono in Toscana.
-
-
-CAP. XLI.
-
-_Come i Fiorentini per la venuta dell’imperadore a Pisa si provvidono._
-
-Sentendo i Fiorentini l’avvenimento dell’eletto imperadore a Pisa, non
-avendo alcuna cosa provveduto dinanzi quando era a Mantova, ove ciò che
-avessono voluto da lui avrebbono di suo buon grado impetrato, stavano
-in consiglio se dovessono ubbidire o contradiare: ed essendone la città
-tutta in vari e indeterminati consigli, presono di fare dodici uficiali
-ch’andassono per tutto il contado con ordinata balìa, di fare riducere
-tutta la vittuaglia nelle terre murate e nelle castella forti, e ogni
-altra cosa di valuta, e diedono voce di volere prendere difesa, e non
-con accettare l’imperadore, per non sottomettere la franchigia del
-comune ad alcuna signoria; e quanto che in fatto questa provvigione
-avesse poco effetto, pure fu utilmente provveduto, per non mostrare
-viltà o paura, e per dare intendere all’eletto imperadore e al suo
-consiglio che il comune di Firenze s’apparecchiava alla sua difesa; e
-nondimeno elessono sei cittadini per mandarli a lui come fosse riposato
-in Pisa, per trattare accordo con lui, se rimanendo in libertà il
-potessono trovare. E questo fu ordinato e fatto in Firenze a dì 11 di
-gennaio del detto anno.
-
-
-CAP. XLII.
-
-_Come il legato prese Recanati._
-
-In questo mese di gennaio, il legato del papa avendo la città di
-Fermo, e seguitando suo processo contro a messer Malatesta da Rimini
-per le città ch’egli occupava a santa Chiesa, nondimeno come signore
-avvisato e pratico ne’ fatti della guerra, non stava solo a’ processi
-nè al suono delle campane, anzi cercava trattati, e co’ suoi cavalieri
-sollecitava gli avversari di continova guerra: e in questi dì per
-trattato mise la sua cavalleria in Recanati, e racquistò la città
-alla Chiesa di Roma; e in quella, perch’era povera d’abitanti, mise
-gente assai a cavallo e a piè per far guerra a messer Malatesta, e per
-guardare la città più sicuramente.
-
-
-CAP. XLIII.
-
-_Come il capitano di Forlì venne in Firenze._
-
-Quello che al presente ci muove non è per lo fatto della propria
-persona degno di memoria, ma all’indiscreto movimento de’ rettori di
-Firenze a quel tempo, non senza ammirazione ci muove a ricordare come
-nel nostro contado venne messer Luigi marito della reina Giovanna
-figliuola del re Ruberto, ed egli figliuolo del prenze di Taranto
-fratello carnale del detto re Ruberto, stati sempre protettori del
-nostro comune, e il detto prenze capitano e conducitore delle nostre
-osti, avendo il loro reale sangue e la vita, nelle persone di messer
-Carlo loro fratello e di messer Piero figliuolo del detto re, sparto
-nelle nostre guerre, non dimenticata la memoria di cotanti servigi,
-gli fu vietato non tanto il venire nella nostra città senz’arme e
-senza compagnia di gente d’arme, ma lo stare nel nostro contado gli
-fu vietato; e i fratelli carnali e’ cugini tornando di prigione
-d’Ungheria, e domandando di volere fare loro diritto cammino per la
-nostra città, e per lo nostro contado a tornare nel Regno, fu loro
-vietato e contradetto il passo, ove si doveva con singulare festa e
-onore fargli ricevere e accompagnare: ma tanto fu il podere d’alquanti
-cittadini che allora governavano il comune, fortificandosi con non
-giusti nè veri sospetti, che contro al piacere degli altri cittadini
-ebbono podere di così fare. Il capitano di Forlì antico tiranno, sempre
-stato nemico di santa Chiesa e del nostro comune, caporale in Romagna
-di parte ghibellina, scomunicato e dannato da santa Chiesa, volendo
-andare a Pisa all’imperadore con grande compagnia di gente d’arme, fu
-nella nostra città ricevuto con disordinato e sobrabbondante onore, e
-convitato da’ signori e da altri cittadini stette in festa alcuni dì di
-suo soggiorno: poi volendo essere nella presenza dell’eletto imperadore
-a Pisa, non gli fu conceduto eziandio entrare in quella città,
-perch’era in indegnazione di santa Chiesa. Non è l’onore alcuna volta
-fatto al nemico da biasimare, ma molto pare cosa detestabile in luogo
-del debito onore a fidatissimi amici imporre sospetto e fare vergogna;
-alla matta ignoranza del vario reggimento della nostra città fu lecito
-di così fare a questa volta.
-
-
-CAP. XLIV.
-
-_Come l’imperadore Carlo giunse a Pisa._
-
-L’eletto imperadore diliberato delle mani de’ tiranni di Milano, avendo
-in sua compagnia il fratello naturale patriarca d’Aquilea, giunse alla
-città di Pisa domenica a dì 18 di gennaio, gli anni _Domini_ 1354
-dalla sua incarnazione, in su l’ora della nona. Ed essendo i Pisani
-provveduti a fargli onore, gli andarono incontro con la processione
-del loro arcivescovo e di tutto il chericato, e con allegra festa i
-giovani vestiti a compagnie di nuove assise andavano armeggiando, e i
-rettori del comune con gli altri più maturi cittadini, e co’ soldati
-senz’arme gli si feciono incontro fuori della terra facendogli somma
-riverenza, e così tutto l’altro popolo a piè pieno d’allegrezza gli
-si fece incontro; e addestrato da’ loro cavalieri con ricco palio
-sopra capo, gridando il popolo viva l’imperadore, il condussono nella
-città. L’imperadore, vestito molto onestamente d’uno paonazzo bruno
-senza alcuno ornamento d’oro, o d’argento o di pietre preziose, andava
-con molta umilità salutando i grandi e’ piccoli, pigliando gli animi
-di molti forestieri che l’erano a vedere col suo benigno aspetto e
-umile portamento, e condotto alla chiesa cattedrale, reverentemente
-inginocchiato all’altare fece sue orazioni; e rimontato a cavallo, con
-grande allegrezza e festa fu condotto a’ nobili abituri de’ Gambacorti,
-ov’era il famoso giardino, e apparecchiato da’ detti Gambacorti le
-camere e le letta di nobilissimi adornamenti, e apparecchiate le
-vivande per la cena, e gli ostieri attorno per tutta la sua compagnia,
-fu con somma letizia consumata la prima giornata, verificandosi
-l’antico proverbio, che dice: gli stremi dell’allegrezza occupa il
-pianto, come seguendo appresso in questo processo dell’imperadore si
-potrà trovare.
-
-
-CAP. XLV.
-
-_Come l’imperadore bandì parlamento in Pisa, e quello n’avvenne._
-
-Lunedì vegnente a dì 19 di gennaio, volendo l’imperadore fare
-ragunare i cittadini a parlamento per ricevere il saramento della
-loro ubbidienza, mandò il bando da sua parte che tutti si ragunassono
-al duomo per la detta cagione, ed egli s’apparecchiò d’andare là. Il
-popolo mosso per lo bando si ragunava al duomo. Erano in questo tempo
-in Pisa due sette, l’una reggea lo stato del comune, della quale i
-Gambacorti e Cecco Agliati erano caporali, e costoro erano chiamati
-Bergolini, l’altra si chiamava la setta de’ Matraversi, e non erano
-confidenti al reggimento del comune, ed essendo venuto di Lombardia
-appresso all’eletto imperadore uno Paffetta della casa de’ Conti, il
-quale era de’ caporali della setta de’ Matraversi, costui con certi
-altri di quella setta disposti a rimuovere il reggimento della città,
-il quale l’eletto imperadore aveva a Mantova promesso di conservare
-e di mantenere, essendo egli già mosso per andare al parlamento,
-e valicato il ponte alla Spina, cominciato fu con gran romore per
-li Matraversi a dire, viva l’imperadore e la libertà, e muoia il
-conservadore. Udendosi nel romore la novità del conservadore, i grandi
-e’ piccoli cominciarono a sospettare per tema, e altri per mala
-industria, cominciò il popolo a correre all’arme. L’eletto sentendo
-questa novità, incontanente diede la volta, e avendo seco Franceschino
-Gambacorti, il quale era sindaco del comune a fargli il saramento, e
-con lui i soldati del comune, se ne venne al palagio degli anziani, e
-di là mandò bandi per la terra, e fece a’ cittadini porre giù l’arme,
-e racchetare il popolo; e lasciati i soldati del comune alcuna parte
-armati in segno di guardia, in quel giorno non si fece altra novità, e
-prolungossi il saramento che fare si dovea all’eletto imperadore.
-
-
-CAP. XLVI.
-
-_Come l’imperadore di Costantinopoli racquistò l’imperio._
-
-Del detto mese di gennaio, un’altro giovane Calogianni Paleologo
-imperadore di Costantinopoli, essendo, come addietro è narrato, dal suo
-suocero Mega Domestico balio dell’imperio per lui cacciato di quello,
-ed usurpato a se la signoria del detto imperio, aveva lui lungamente
-tenuto in esilio nel reame di Salonicco: il quale giovane imperadore
-avendo tenuto lungo trattato con certi de’ suoi baroni, i quali gli
-dicevano che procurasse di comparire a Costantinopoli, ed essendovi
-l’ubbidirebbono, costui povero d’avere e di gente, non trovando altro
-aiuto, si fece ad amico un gentile uomo di Genova ch’era ricco in quel
-paese, il quale co’ suoi danari e con l’industria della sua persona
-segretamente il condusse in Costantinopoli; ed essendo nella città,
-fu manifestato a’ baroni con cui era in trattato, i quali di presente
-gli feciono braccio forte, e sommossono il popolo, che il desiderava
-come loro diritto imperadore; e presa l’arme, combattendo il castello
-della signoria, Mega Domestico usurpatore dell’imperio, male provveduto
-di questo caso, come Iddio volle si fuggì di Costantinopoli, e il
-giovane a cui si dovea l’imperio di ragione rimase imperadore, e il
-suocero per paura si rendè calogo cioè eremita. E stando in quello
-stato da non prender guardia di lui, trattava col figliuolo e co’
-suoi amici d’abbattere l’imperadore, e scoperto il trattato si fuggì,
-e cambiato abito, accolse gente, e cominciò a guerreggiare in alcuna
-parte l’imperio, con lieve aiuto di sbanditi e di ribelli. L’imperadore
-per rimunerare il servigio ricevuto dal Genovese, ch’aveva nome messer
-... li diede l’isola di Metelino, e la sirocchia per moglie, ed ebbelo
-continovo al suo consiglio.
-
-
-CAP. XLVII.
-
-_Come i Matraversi di Pisa feciono muovere l’imperadore._
-
-Tornando alla materia de’ Pisani, il martedì a dì 20 di gennaio del
-detto anno si ragunarono in Pisa col Paffetta assai della setta de’
-Matraversi, e con loro gran parte d’un’altra nuova setta che si diceano
-i Malcontenti, e in compagnia s’appresentarono dinanzi all’eletto
-imperadore, e con grande istanza il richiesono e pregarono, che per
-bene e contentamento del comune dovesse prendere a se il saramento de’
-loro soldati, che i cittadini erano malcontenti che i suoi soldati
-fossono all’ubbidienza di due privati cittadini, ciò era Franceschino
-Gambacorti e Cecco Agliati: e Cecco Agliati per alcuna invidia presa,
-vedendo che a’ bisogni i soldati andavano più a Franceschino che a
-lui, sentendo questo movimento andò all’imperadore, e disse, che
-dicevano bene, e che per se era contento che così si facesse. L’eletto
-imperadore vedendo che il movimento di costoro s’accostava alla sua
-volontà, quanto che ciò fosse contro a’ patti promessi, sott’ombra di
-volere racquetare la contenzione del comune, e levare materia agli
-scandali già mossi, andò al palagio degli anziani, e ivi fatti ragunare
-i soldati del comune a cavallo e a piè, prese il saramento da loro, e
-cominciò a venir meno allo stato che reggeva della sua promessa, e a
-dare baldanza a’ suoi avversari; ma per non dimostrare che così tosto
-avesse loro rotti i patti, argomentò, e fecene capitani Franceschino
-Gambacorti e Cecco Agliati alla sua volontà. La cosa era già condotta
-in termini che dire non s’osava contro a cosa che facesse, nè ricordare
-i patti promessi, ma catuno dimostrava essere contento a ciò che
-facesse per accattare la sua benivolenza.
-
-
-CAP. XLVIII.
-
-_Come procedettono i fatti in Pisa._
-
-Avvedendosi i Gambacorti e i loro seguaci che l’eletto assentiva di
-grado le novità che moveano i loro avversari, e non vi volea mettere
-riparo, conobbono che il loro stato si veniva abbattendo, e non vi
-poteano riparare con alcuno salutevole consiglio. E però vedendosi a
-mal partito, strignendosi insieme, per lo meno reo presono di volere
-essere motori, innanzi che fatto venisse alla setta contraria a loro
-di dare la libera signoria del comune all’imperadore, pensando che per
-i patti egli era loro obbligato, e per questa libertà sarebbe più:
-e così deliberati furono all’eletto, e con belle e riverenti parole
-dissono, ch’aveano provveduto, per levare gli scandali della città di
-Pisa e del suo contado e distretto, darli la signoria; l’imperadore
-che per via indiretta cercava questo, si mostrò molto contento, e di
-presente prese la signoria, e levò le guardie dalle porte che v’avevano
-i Pisani e mise vi la sua gente, e il dì e la notte faceva guardare la
-terra alla sua cavalleria tanto che vi fosse più forte, e l’entrate del
-comune recò a sua stribuizione, e mandò bando da sua parte, che chi
-si sentisse offeso del tempo passato, o per l’avvenire, andasse per
-giustizia a lui e alla sua corte, dicendo, che intendea che l’agnello
-pascesse allato al lupo senza lesione o paura. Tutto questo processo
-per la fretta delle sette e per la volontà dell’imperadore, sotto ombra
-di volere conservare il comune in pacifico stato, fu aoperato di fatto,
-senza deliberazione di comune consentimento.
-
-
-CAP. XLIX.
-
-_Come gli ambasciadori del comune di Firenze andaro all’imperadore._
-
-Il comune di Firenze avendo lungamente praticato con quello di Siena
-e di Perugia per la comune libertà del reggimento delle dette città,
-e trovato che i Perugini si poteano diliberare dalla suggezione
-dell’imperio, sotto titolo d’essere uomini di santa Chiesa, nondimeno
-di loro consiglio s’unirono insieme co’ Sanesi a dovere seguitare
-uno sì e uno nò nel cospetto dell’imperadore a mantenere loro stato
-e la franchigia de’ loro comuni; e avendo presa questa concordia,
-i Fiorentini ch’aveano eletti sei cittadini d’autorità a questo
-servigio, gl’informarono della volontà del loro comune, dicendo, che
-i Sanesi seguirebbono quello medesimo, secondo la promessa ch’aveano
-dall’ordine de’ nove, che governava e reggeva quello comune; ed avendo
-i capitoli scritti della loro commissione, a dì 22 di gennaio si
-partirono di Firenze vestiti d’un’assisa tutti di doppi vestimenti,
-l’uno di fine scarlatto, l’altro di fine mescolato di borsella, con
-ricchi adornamenti, e con otto famigli a cavallo per uno tutti vestiti
-d’un’assisa, e nel cammino attesono più giorni gli ambasciadori
-perugini e’ sanesi per comparire tutti insieme nella presenza
-dell’imperadore, come ordinato era, sperando dovere impetrare ogni loro
-domanda con la benevolenza del signore, ove i Sanesi tenessono la fede
-promessa a’ Fiorentini e a’ Perugini, la qual cosa venne mancata per la
-corrotta intenzione de’ Sanesi, come poco appresso racconteremo.
-
-
-CAP. L.
-
-_Di novità stata in Montepulciano._
-
-Mercoledì notte a dì 21 di gennaio, messer Niccolò de’ Cavalieri uscito
-di Montepulciano, avendo trattato co’ suoi amici ch’erano nel castello,
-accolti dugento cavalieri e cinquecento fanti, essendogli aperta una
-porta, entrò nel castello; i Sanesi ch’aveano la rocca e la guardia di
-Montepulciano, sentendo messer Niccolò e la sua gente entrati dentro,
-francamente con certi terrazzani che non erano nel trattato abbarrarono
-la terra, e intendevano alla difesa, ma poco sarebbe loro valuto, se
-non che per caso avvenne, che per altra cagione in Montefollonico ivi
-vicino erano venute masnade di Sanesi, i quali sentendo lo stormo di
-Montepulciano di presente furono là al soccorso de’ loro; e aiutato
-sostenere la battaglia e difendere la terra infino al vespero, vedendo
-messer Niccolò e i terrazzani ch’erano con lui che non poteano rompere
-gli avversari, e che il giorno declinava verso la notte, temette che
-nel soprastare maggior gente de’ Sanesi non li sorprendesse, presono
-partito d’ardere la terra, e andarsene: e mettendo prima catuno
-fuoco nella sua casa, e appresso nell’altre, e affocato ogni cosa,
-abbandonarono la terra: e intrigati que’ d’entro a riparare al fuoco
-non li poterono seguire, e però si ricolsono a salvamento; e per
-l’abbondanza del fuoco messo in molte parti, senza potersi riparare
-arse dalla rocca del sasso in giù tutta quanta, con gran danno de’
-terrazzani.
-
-
-CAP. LI.
-
-_Come le sette di Pisa si pacificarono insieme._
-
-A’ 23 di gennaio 1354, avendo l’imperadore recato a se la guardia e
-la libera signoria di Pisa, e messi i Tedeschi in luogo de’ cittadini
-alla guardia, e già cominciando a prendere per loro, e volere per loro
-alberghi le case de’ buoni cittadini di Pisa e le loro masserizie,
-per paura di peggio catuna setta si ragunò a casa degli anziani:
-e vedendosi insieme, catuno dicea, che per le loro discordie e
-disordinati movimenti l’imperadore avea presa la guardia e la signoria
-di Pisa contro a’ patti, e senza la deliberazione del comune, e
-dimostrarono in quello consiglio quanto male poteva seguire alla patria
-per le loro discordie; e ivi gli animi avvelenati da catuna parte
-cominciarono a dissimulare, e mostrare di volere tra loro concordia,
-e gli anziani in quello stante elessono dodici cittadini di catuna
-parte, i quali ragunati insieme, senza contasto terminarono che ogni
-dissensione tornasse a unità e concordia. E avuto consiglio con molti
-cittadini, feciono fare pace a coloro ch’aveano briga insieme, e quelli
-che discordavano per cagione di sette si mostrarono a quella volta
-d’uno volere, e di concordia elessono ventiquattro, dodici di catuna
-parte, che riformassono la terra degli ufici e’ reggimenti a volontà
-dell’imperadore; e così ferma la concordia fra loro andarono insieme
-all’imperadore, il quale avea già cassi i soldati borgognoni e italiani
-del comune di Pisa, e in loro luoghi condotti de’ suoi tedeschi, e
-fattili giurare a se. Venuti i Pisani nella presenza dell’imperadore,
-con belle e savie parole li feciono intendere la loro pace e la loro
-concordia. L’imperadore, nonostante quello ch’avea inteso da’ dicitori,
-fece domandare il popolo se così era di loro volere, e tutti gridando
-risposono di sì; allora l’imperadore scusò se, dicendo, che quello
-ch’avea fatto non era stato di suo movimento nè per sua volontà, ma
-le discordie e i romori mossi e fatti nel suo cospetto l’aveano fatto
-temere del suo onore e del pericolo della città, e però avea presa la
-guardia; ora molto allegro della loro pace e concordia restituiva la
-guardia della città al comune e gli ufici a’ cittadini; e di presente
-colla sua autorità confermò i ventiquattro eletti a riformare la terra,
-pregando e comandando loro che facessono buona e comune elezione agli
-ufici de’ loro cittadini, sicchè alcuno non si potesse con ragione
-rammaricare: ma le chiavi delle porte della città non volle però
-rendere agli anziani. E chi bene riguarderà questo processo, troverà
-per astuto ingegno abbattuto lo stato di coloro che reggevano, e forse
-darà fede a una fama che corse, che tutto ciò ch’è avvenuto fosse
-ordinato con l’imperadore per lo Paffetta capo de’ Matraversi fino in
-Lombardia.
-
-
-CAP. LII.
-
-_Come Gentile da Mogliano si ritolse la città di Fermo._
-
-Tornando nella fontana de’ tradimenti nella Romagna e nella Marca,
-ci occorre Gentile da Mogliano, il quale per dare più certa fede de’
-suoi futuri tradimenti, s’era comunicato col cardinale all’altare
-del corpo di Cristo quando rendè la città di Fermo a santa Chiesa, e
-fu fatto gonfaloniere per lo detto legato contra i nemici di santa
-Chiesa di Roma, e capitano della gente della Chiesa contro a messer
-Malatesta da Rimini ch’era suo nemico capitale, e mandò il legato,
-com’era in convegna con Gentile, gente d’arme a cavallo e a piè per
-ricevere la tenuta della rocca e fornirla, e mandò per loro contanti
-fiorini d’oro ottomila per dare a Gentile, come gli avea promessi
-quando consegnasse la rocca. In questi medesimi dì, innanzi che le
-cose avessono il suo effetto, messer Malatesta s’avvisò non potere
-resistere contro al legato avendo seco Gentile da Mogliano e la
-città di Fermo; e ’l capitano di Forlì, quanto che fosse nemico di
-messer Malatesta, s’accorse, che acquistando la Chiesa sopra messer
-Malatesta, la piena verrebbe poi sopra lui, e però incontanente fece
-sapere a messer Malatesta, che volea dimenticare l’ingiurie ricevute,
-ed essere suo amico, e senza attendere risposta, con molta confidanza
-se n’andò a lui, il quale veggendo la liberalità del capitano il
-ricevette amichevolemente; e ragionando insieme, conobbono il pericolo
-del loro stato, e che rimedio non avea se non della loro concordia e
-di Gentile da Mugliano: e presa fede da messer Malatesta che farebbe
-pace con Gentile, e che gli renderebbe il porto di Fermo, di presente
-mandò messer Lodovico suo figliuolo cognato di Gentile a ordinare che
-tradisse il legato e santa Chiesa: e perocchè la natura di que’ tiranni
-è molto conforme a’ tradimenti, con poca fatica recò Gentile al fatto;
-e udita la promessa di messer Malatesta, e vedendosi acconcio a potere
-tradire, tutto l’onore ricevuto dal legato, e la speranza di quelli che
-gli si apparecchiavano, e ’l saramento prestato nella comunione a santa
-Chiesa mise per niente, e fu tanto sfacciato, ch’essendo già venute
-in Fermo le some de’ soldati del legato con parte della gente, fece
-cercare se i danari vi fossono che il legato mandava per la rocca, e
-per avventura erano ancora fuori della terra; e temendo de’ cittadini,
-che volentieri erano usciti della sua tirannia, mostrando di volere
-fare ciò ch’avea promesso, occultamente racchiuse nella rocca messer
-Lodovico con dugento cavalieri, e del mese di gennaio, essendo molti
-cittadini fuori della terra a una certa festa, scesono improvviso
-della rocca nella città gridando, viva Gentile da Mogliano, e muoia
-la parte della Chiesa, e corsono a serrare le porti, e i soldati che
-dentro v’erano per la Chiesa mandarono fuori. La gente del legato
-uscita di Fermo, e l’altra ch’era fuori, temendo per lo subito e non
-pensato tradimento, si ricolsono a Recanati: e fornito Gentile il suo
-tradimento, e fatto pace con messer Malatesta, e riavuto il porto di
-Fermo, tutti e tre i tiranni ribelli a santa Chiesa si collegarono
-insieme contro al legato, ma egli con grande animo per questo non si
-smagò, ma prese cuore d’abbatterli, come infine fatto gli venne.
-
-
-CAP. LIII.
-
-_Come gli ambasciadori de’ Fiorentini e’ Sanesi furono ricevuti
-dall’imperadore._
-
-A dì 29 di gennaio detto, gli ambasciadori del comune di Firenze,
-in compagnia con gli ambasciadori di Siena, entrarono in Pisa, e
-andarono a fare la riverenza all’imperadore, e con loro furono ancora
-gli ambasciadori del comune d’Arezzo: (quelli del comune di Perugia,
-perocchè si voleano appresentare come uomini di santa Chiesa, non
-vollono andare con loro): e come giunsono all’imperadore, trovarono
-accolti con lui tutti i suoi baroni, ed entrando gli ambasciadori de
-detti comuni, i baroni avvallarono i cappucci, e l’imperadore e’ suoi
-li ricevettono con molta festa e allegrezza: e volendo baciare i piedi
-all’imperadore, nol sofferse: e ricevuta la riverenza da tutti, con
-singolare dimostramento d’amore prese per mano degli ambasciadori di
-Firenze, e feceseli tutti sedere allato, e tale fu ch’egli abbracciò e
-baciò in bocca per mostrare che contro a lui non avesse preso sdegno,
-sapendo ch’altra volta tornato a Firenze dalla Magna avea sparlato
-contro a lui; e festeggiando con tutti allegramente, domandarono
-giornata per sporre la loro ambasciata, e fu data loro per lo seguente
-giorno.
-
-
-CAP. LIV.
-
-_Come i Sanesi scopriro la loro corrotta fede contro a’ Fiorentini._
-
-L’altro dì vegnente, a dì 30 di gennaio detto, gli ambasciadori del
-comune di Firenze vestiti di scarlatto foderato di vaio con adorni
-paramenti, con gli ambasciadori de’ Sanesi insieme, ch’erano de’
-maggiori cittadini di quella città, s’appresentarono alla presenza
-dell’imperadore e del suo consiglio: e avendo voluto i Fiorentini che
-con loro insieme fossono gli ambasciadori d’Arezzo, i Sanesi ch’avevano
-la mente corrotta contro a’ Fiorentini nol vollono acconsentire,
-perchè i Fiorentini a quel parlamento non avessono chi li seguisse. E
-cominciando gli ambasciadori fiorentini a sporre l’ambasciata com’era
-loro imposto, per dimostrare più franchezza del loro comune, usarono
-parole di debita reverenza alla maestà imperiale, dicendo _santa
-corona_, e poi conseguendo _serenissimo principe_, senza ricordarlo
-imperadore, o dimostrargli alcuna riverenza di suggezione, domandando
-che il comune di Firenze volea, essendogli ubbidiente, le cotali e
-cotali franchigie per mantenere il suo popolo nell’usata libertà, e
-avendo tutto detto come fu loro commesso, conchiusono la loro reverenza
-con poco onore della maestà imperiale, della qual cosa seguitò poco
-onore a’ rettori di Firenze da cui mosse quello consiglio. Di questo
-nacque tra i baroni e’ consiglieri dell’imperadore, e massimamente
-tra coloro che per animo di parte erano contradi al comune di
-Firenze, sdegno e baldanza di parlare contro al nostro comune, e se
-l’imperadore, e il patriarca, e il vececancelliere non avessono avuta
-più temperanza che gli altri del consiglio, i fatti con la consequenza
-de’ Sanesi, che in quello consiglio ingannarono il comune di Firenze,
-andavano a rovescio con molto sdegno da catuna parte, ma il savio
-signore con temperanza conobbe quanto pericolo al suo stato portava
-a non rimanere in concordia col comune di Firenze, e però sostenne,
-magnificando quel comune, e mostrando verso quello volere fare quanto
-onestamente potesse fare, non guardando troppo all’onore imperiale:
-e ordinò di tornare con più diligenza altra volta a trattare co’
-detti ambasciadori, e il suo consiglio ripremette d’ogni oltraggioso
-parlamento quivi fatto. Dopo questo, gli ambasciadori sanesi, ch’aveano
-altro in cuore che non aveano promesso a’ Fiorentini, lieti della poca
-riverenza fatta all’imperadore per gli ambasciadori fiorentini, parendo
-loro venuto il tempo che i loro rettori con coperta malavoglienza
-lungamente aveano aspettato, credendosi col loro tradimento abbattere
-e disfare il comune di Firenze, partendosi da quello che in fede
-aveano promesso al nostro comune, cominciarono a sporre innanzi
-all’imperadore, e al suo consiglio, e agli ambasciadori del comune
-di Firenze la loro ambasciata, magnificando con ornato sermone la
-serenità della maestà imperiale, chiamandolo loro signore, e senza
-alcuno patto offersono quello comune liberamente alla sua signoria,
-con le più magnifiche lode che pronunziare si possono, e con le più
-libere offerte, pensando di questo rimanere esaltati e grandi, e aver
-messo in fondo il comune di Firenze. Onde l’imperadore graziosamente
-e con lieto volto ricevette e accettò l’offerte di quello comune,
-e gli ambasciadori commendò molto del loro onorevole parlare, in
-onesta riprensione di coloro che con meno reverenza aveano parlato
-all’imperiale maestà. Ma perocchè l’intenzione dell’ordine de’ nove di
-Siena infino a quello punto era stata occulta a molti grandi cittadini
-di Siena e al comune di Firenze, cominciata a palesare ne’ fatti, ebbe
-ravvolgimenti, e seguironne cose assai notevoli, come al suo tempo
-innanzi racconteremo: ricordando qui, che come a Dio piacque, l’ordine
-de’ nove, che questo tradimento ordinarono, ne fu abbattuto e disfatto,
-e il comune di Firenze n’è esaltato in maggiore e migliore stato.
-
-
-CAP. LV.
-
-_De’ falli commessi per lo comune di Firenze, e degl’inganni ricevuti
-da’ suoi vicini._
-
-Avvegnachè quello che seguita non sia cosa notevole, concedesi al
-nostro trattato per ammaestramento delle cose a venire. I rettori del
-comune di Firenze sentendo passato in Italia l’imperadore e coronato a
-Moncia, per loro non si fe’ alcuna provvisione in utilità o beneficio
-del nostro comune; stando egli lungamente a Mantova nel lieve stato
-che v’era, se il nostro comune v’avesse mandato a dargli conforto,
-ciò che avessono voluto avrebbono di grazia impetrato da lui, ove poi
-con pericolo e con gran costo s’accordarono con lui, come seguendo si
-potrà trovare. E ancora lasciarono per matta ignoranza a provvedere
-d’arrecare alla loro volontà e disposizione tutte le città e castella
-e terre vicine, le quali lievemente con alquanta provvedenza arebbono
-recato a dire e a fare quello che il comune di Firenze avesse voluto,
-ove in sul fatto catuna terra e castello senza richiesta del comune
-di Firenze prese suo vantaggio, non senza pericolo del nostro comune;
-la diligenza e la sollecitudine de’ nostri rettori fu abbandonata al
-corso della fortuna, come per antico vizio degli uomini del nostro
-comune è consueto, perocchè non è chi si curi di patrocinare lo stato
-e la provvedenza del nostro comune: e i rettori, c’hanno poco a fare
-all’uficio, intendono più alle loro private cose che a’ beneficii
-del comune, e però più lo conduce fortuna che provvedimento, ma
-molto l’aiuta Iddio, e gli ordini dati alla grande massa del comune
-per i nostri antichi maggiori. E in questo tempo per questa cagione
-avvenne, che i Sanesi non si curarono di rompere in sul fatto la fede
-a’ Fiorentini: e i Volterrani, sentendo l’offerte fatte pe’ Sanesi,
-anch’eglino si diedono liberamente all’imperadore contro al volere de’
-Fiorentini; e i Pistoiesi contro al volere de’ Fiorentini, e senza con
-loro conferirne vi mandarono ambasciadori per darlisi: ma sentendo che
-il comune di Firenze si turbava contro a loro, si rattennono della
-libera profferta, e soprastettono più per paura che per amore: e’
-Samminiatesi cominciarono segretamente, coprendosi a’ Fiorentini, di
-darsi liberamente all’imperadore, e trovando tra loro concordia, prima
-l’ebbono fatto ch’e’ Fiorentini vi potessono riparare; e se non fosse
-che i rettori d’Arezzo temeano forte de’ Tarlati loro usciti e de’
-ghibellini d’entro, avendosi veduti a stanza de’ Sanesi abbandonare
-da’ Fiorentini nella presenza dell’imperadore, si sarebbono dati come
-gli altri, non curandosi del Comune di Firenze, ma per loro medesimi
-sostennono la libertà di quello comune, essendo forte impugnati da’
-Tarlati Pazzi e Ubertini loro ribelli ch’erano con l’imperadore. E
-avvedutisi gli ambasciadori fiorentini dell’inganno de’ Sanesi, e di
-quello ch’aveano fatto i Samminiatesi e’ Volterrani, cominciarono
-a parlare per gli Aretini e per i Pistoiesi; l’imperadore per sua
-industria non li sostenne, ma disse la parola del Vangelo: _aetatem
-habent ipsi, de se loquantur_, e non lasciò dar loro audacia o favore;
-e così per difetto di mala provvedenza, i Fiorentini de’ loro propri
-fatti, e di quelli che s’appartengono alla guardia de’ loro vicini,
-furono più e più giorni a pericoloso partito, e in grande ripitio degli
-altri cittadini.
-
-
-CAP. LVI.
-
-_Di molti Alamanni venuti alla coronazione dell’imperadore._
-
-Stando l’imperadore a Pisa ne’ trattati colle città e comuni di
-Toscana, come detto è, innanzi che i sindachi fossono venuti a
-fermare le suggezioni, la novella della sua coronazione da Moncia, e
-dell’avvenimento da Pisa, era sparta in Alamagna e nel suo reame di
-Boemia, e come le città d’Italia erano senza guerra acconce alla sua
-ubbidienza: e per questo l’imperatrice si mosse con mille cavalieri di
-buona gente d’arme e molti baroni a sua compagnia per venire a Pisa, e
-per simile modo molti prelati e grandi signori della Magna di diverse
-provincie si mossono, catuno con grande compagnia, per venire in Italia
-per essere alla sua coronazione a Roma, e in breve tempo giunsono a
-Pisa l’imperatrice e più di quattromila cavalieri della più bella e
-ricca baronia del mondo, bene montati, e con nobili paramenti, e molti
-arnesi, ma con lieve armadura, e molti ne vennono per la nostra città,
-albergandone seicento e settecento per notte, ove con cortese e buona
-guardia onorevolmente furono veduti e albergati. L’imperatrice volea di
-grazia venire per Firenze, ma perocchè ancora per lo nostro comune non
-era presa fermezza d’accordo con l’imperadore, temendo che l’ignorante
-e indiscreto popolo minuto non movesse parole villane contro a’
-forestieri essendo l’imperadrice nella città, o contro i rettori del
-nostro comune, per lo meno reo e più sicuro fu diliberato e preso, che
-con grande compagnia o piccola ella non venisse nella città di Firenze.
-
-
-CAP. LVII.
-
-_Di novità della Marca per Recanati._
-
-Messer Malatesta da Rimini, e il capitano di Forlì, e Gentile da
-Mogliano, collegati insieme contro al legato, sentendo che i signori
-di Milano aveano tregua con gli allegati Lombardi, e catuno stava
-sospeso per cagione dell’imperadore, aveano cassi cento bandiere di
-soldati, e perchè non tornassono loro addosso per via di compagnie non
-li lasciavano partire del loro distretto se non per la via della Magna:
-e per questo li ritennono a manicare sopra la pelle più d’un mese, e
-molti se ne tornarono nella Magna, perocch’erano tutti Tedeschi, e
-quando gli ebbono assottigliati, concedettono al resto la via per la
-Lombardia, i quali senza arresto improvviso giunsono in Romagna: e
-arrestati quivi senza far danno da millecinquecento barbute, i tiranni
-sopraddetti romagnuoli s’accolsono con loro, e fatto loro alcuno aiuto
-di loro danari, e promesse d’una buona terra dove potrebbono vernare ad
-agio, li condussono a Recanati, pensando per forza poterla vincere e
-racquistare. Il legato ammaestrato de’ fatti della guerra e de’ baratti
-de’ suoi avversari, avendo per suo capitano di guerra messer Ridolfo
-da Camerino, pro’ e valente cavaliere, avea fatta guernire di gente
-d’arme da cavallo e da piè la città di Recanati: sicchè sopravvenendo
-i tiranni con quella cavalleria, e sforzandosi di combatterla, la
-trovarono sì guernita alla difesa, che ne perderono tosto ogni
-speranza: e non potendovi soprastare, con vergogna se ne partirono
-tornandosi addietro.
-
-
-CAP. LVIII.
-
-_Come la gran compagnia del conte di Lando entrò nel Regno._
-
-Essendo per l’avvenimento dell’imperadore in triegua i fatti di
-Lombardia, la gran compagnia del conte di Lando era tornata nella
-Marca: e ricordandosi che l’anno dinanzi il re Luigi non avea mandato
-loro quarantamila fiorini d’oro ch’egli avea promessi, e sentendo
-che il duca di Durazzo e il conte Paladino erano in rubellione della
-corona, ed erano contenti che la compagnia entrasse nel Regno,
-nondimeno il conte di Lando, perchè il re non si provvedesse contro a
-loro, tenea trattato d’accordarsi al soldo della Chiesa: ma non gli
-era bisogno, che ’l traccurato re era stato assai dinanzi avvisato
-dall’imperadore e da più altri che si provvedesse, che di certo la
-grande compagnia dovea entrare nel Regno, e la provvigione che di ciò
-fatta era, era di stare continovo in danzare e in festa colle donne: e
-però la detta compagnia facendo la via della marina d’Abruzzi, senza
-trovare contasto o riparo entrò nel Regno: e nella prima entrata
-presono Pescara, e Villafranca, e san Fabiano, e trovandoli pieni di
-vittuaglia e d’arnesi si dimorarono in essi fino al marzo, recando in
-preda ciò che venne loro alle mani, scorrendo le contrade d’intorno.
-E d’altra parte il conte Paladino, con trecento cavalieri e molti
-masnadieri, in questo medesimo tempo correva predando le terre di
-Puglia, facendo noia e danno assai a’ paesani; e avvegnachè messer
-Luigi di Durazzo non si scoprisse in questi fatti, tutto si riputava
-che fosse di suo consentimento e volontà. Il re facea fortificare
-le terre alla difesa contro alla compagnia, e confortavali che si
-guardassono bene per non cadere nelle mani de’ predoni: altro aiuto non
-dava loro, che non n’era provveduto nè fornito di poterlo fare.
-
-
-CAP. LIX.
-
-_Come l’imperadore andò a Lucca._
-
-Essendo stato l’imperadore in Pisa, e lasciato fare a’ cittadini
-le novità che narrate avemo, stimando che quelle divisioni fossono
-favorevoli alla sua signoria, e in iscusa a’ patti rotti, intra’
-quali era la suggezione di Lucca, già immaginandone alcuna cosa a sua
-utilità, volle andare a vedere la città, e a dì 13 di febbraio anno
-detto si mosse con piccola compagnia di gente d’arme, e stettevi quel
-dì e l’altro, e prendendo la riverenza da’ cittadini, il pregavano
-della loro libertà. Il savio e avveduto imperadore, volendo compiacere
-a’ Pisani e mostrare di volere mantenere i patti, quanto che altro
-avesse nell’animo, disse, com’e’ sapeva che i cittadini di Lucca erano
-stati per lungo tempo ribelli all’imperio, e però li reputava degni di
-quello ch’avevano ricevuto: e confortandoli disse, che comportassono
-con pazienza quello che sosteneano per penitenza del peccato commesso,
-tanto che meritassono la liberazione: e nell’agosto lasciò que’
-medesimi cittadini che i Pisani v’aveano deputati alla guardia, e non
-rimosse uficiali nell’ordine di quel reggimento in alcuna parte, e
-l’altro dì se ne tornò a Pisa.
-
-
-CAP. LX.
-
-_Come al Galluzzo nacque un fanciullo mostruoso._
-
-In questo mese di febbraio nacque presso a Firenze in un luogo che si
-chiama il Galluzzo, a uno barbiere, un fanciullo mostruoso e diminuto,
-che ’l viso era come di vitello con gli occhi bovini, e dove doveano
-essere i bracci, dagli omeri delle spalle uscivano due branche quasi
-come d’una botta, da ogni parte la sua, e avea il corpo e la natura
-umana senza coscie: ma dove le coscie dall’imbusto doveano discendere,
-uscivano due branche da catuno lato una, ravvolte che non aveano
-comparazione: e’ vivette parecchie ore, e appresso morì, lasciando
-ammirazione di se. Ma di questo e degli altri corpi umani nati
-mostruosi nella nostra città non potemmo comprendere che fosse vestigio
-o pronosticatori d’alcuni accidenti, come credeano gli antichi, ma gli
-sconci e disonesti peccati spesso sono cagione di mostruosi nascimenti,
-e alcuna volta l’empito delle costellazioni.
-
-
-CAP. LXI.
-
-_De’ fatti di Siena con l’imperadore._
-
-Era per lunghi tempi governato il reggimento della città di Siena per
-l’ordine de’ nove, il quale era ristretto in meno di novanta cittadini
-sotto certo industrioso inganno: perocchè quando il tempo veniva di
-fare i loro generali squittini, acciocchè ogni degno cittadino popolare
-entrasse nell’ordine de’ nove, coloro ch’aveano già usurpati gli ufici
-si ragunavano segretamente in una chiesa, e ivi disponevano d’alcuni
-cui voleano che rimanessono nell’ordine, fermandoli tra loro per
-saramento, e prometteano tutti dare a’ detti le loro boci co’ lupini
-neri, e tutti gli altri ch’andavano allo squittino, ch’erano molti
-buoni e degni cittadini, li riprovavano co’ lupini bianchi, sicchè
-l’ordine non crescea più che volessono, nè alcuno v’entrava che tra
-loro prima non fosse deliberato: per la qual cosa erano in odio a tutti
-gli altri popolani, e a gran parte de’ nobili con cui non s’intendeano.
-Eranvi certi che manteneano questa setta, e guidavano il comune com’e’
-voleano; costoro furono quelli che con loro tradimento credettono
-abbattere il comune di Firenze, e disfare sua franchigia e reggimento
-con la forza dell’imperadore, ed esaltare loro, sottomettendo la
-libertà del loro comune alla libera signoria dell’imperio, come
-poco addietro abbiamo narrato: avvenne, che manifestata in Siena
-l’intenzione de’ loro rettori, strana all’intenzione de’ Fiorentini
-e della maggior parte de’ loro cittadini grandi e popolani, essendo
-mandato per gli ambasciadori al comune di Siena che facessono il
-sindaco a fare la sommissione, la cosa cominciò a intorbidare gli animi
-de’ cittadini, e a impedirsi il sindacato con grandi ripitii de’ loro
-rettori e dell’ordine de’ nove che questo aveano fatto, e fu la città
-in grave sospetto di ravvolgimento e di romore, e tutte le case de’
-grandi feciono ragunata di gente d’arme. L’imperadore in Pisa volea che
-gli ambasciadori sanesi facessono la sommessione ch’aveano promessa di
-fare, e per questa cagione avea fatto bandire il parlamento. Allora uno
-degli ambasciadori ch’era della casa de’ Tolomei disse a’ compagni,
-che non intendea senza nuovo sindacato palese a’ suoi cittadini fare
-quella sommessione: e per questo traendosene catuno addietro, la
-cosa soprastette, e rimandarono a Siena: di che l’imperadore ebbe
-malinconia e gran sospetto, e tutti i dì di questo aspetto stette
-rinchiuso senza dare alcuna udienza o mostrarsi ad alcuno. I grandi
-cittadini di Siena conoscendo il gran pericolo che occorrere poteva
-al loro comune ribellandosi della promessa fatta all’imperadore, e
-avendo fatto conoscere all’ordine de’ nove e al popolo, che senza loro
-volontà non aveano podere di darsi all’imperadore, a dì 26 di febbraio
-ragunato il parlamento, per volere piacere non meno al minuto popolo,
-ch’era imperiale, che all’ordine e alla setta de’ nove, feciono fare
-il sindacato pieno a darsi liberamente all’imperadore. Avvenne per
-questo, che l’imperadore conobbe e seppe che le case de’ grandi di
-Siena ebbono la signoria di fare della città a loro senno, e da loro
-principalmente conobbe la soggezione di quella; e venuto il nuovo
-sindacato agli ambasciadori detti, domenica, a dì primo di marzo del
-detto anno, raunato il parlamento, i detti ambasciadori con pieno
-sindacato del loro comune, feciono al detto eletto imperadore per se
-e pe’ suoi successori ricevere libera suggezione del misto e mero
-dominio di quella città e contado, e de’ loro uomini alla signoria
-dell’imperio, non riserbandosi alcuna franchigia dell’antica libertà di
-quello comune: e di questo li feciono fare reverenza, e prestarono il
-saramento, ed egli l’accettò e ricevette per se e pe’ suoi successori
-in futuro in presenza di tutto il parlamento, con grande allegrezza
-e festa del popolo pisano ch’era presente; e accecati dalla coperta
-invidia che portavano al comune di Firenze, avvisandosi per questo
-abbattere la libertà de’ Fiorentini, mattamente sommisono la loro.
-
-
-CAP. LXII.
-
-_Di più imbasciate ghibelline state in presenza dell’imperadore._
-
-Non ci parve da lasciare in silenzio quello che al presente seguita.
-Messer Piero Sacconi, e il vescovo d’Arezzo degli Ubertini, e Neri da
-Faggiuola, co’ loro consorti e co’ Pazzi di Valdarno, feciono loro
-sforzo accattando sopra loro possessioni, e vendendone, per mettersi a
-comperare belli cavalli, e armi orrevoli, e robe e ricchi paramenti,
-per comparire magnifici nella presenza e servigio dell’imperadore,
-credendosi essere esaltati da lui sopra gli altri Toscani: ed essendo
-gli ambasciadori d’Arezzo per trovare accordo con l’imperadore, i
-loro caporali nominati s’appresentarono nell’udienza imperiale, e in
-quella addomandarono baldanzosamente d’essere rimessi nella loro città
-d’Arezzo, e che a loro fossono rendute le terre e le possessioni.
-Gli ambasciadori francamente li ripugnavano. L’imperadore, ch’avea
-l’animo a’ fatti suoi e non a quelli della parte ghibellina, li si
-levò dinanzi, dando loro uditori ch’avessono a riferire a lui: e nella
-presenza degli uditori messer Piero montò in tanta arroganza, che
-con aspre minacce e villanie domandava di volere essere restituito
-nella capitaneria d’Arezzo e del contado. Gli ambasciadori savi e
-coraggiosi rimproveravano la sua abbominevole tirannia, e il proprio
-acquisto fatto per violente rapina, e per manifesta ruberia fatta a’
-meno possenti sotto il titolo del capitanato, conchiudendo, ch’egli
-era degno di ricevere dall’imperio gravi pene, avendo convertita la
-capitaneria di quella città in incomportabile tirannia: e che quella
-città che gli era accomandata per la santa memoria dell’imperadore
-Arrigo, egli per malizia e per somma avarizia l’avea sottoposta e
-venduta a’ Fiorentini per quarantamila fiorini d’oro, in vergogna
-e detrimento del santo imperio: e grande vergogna gli era ora con
-sfrenata baldanza avere fatto manifesto all’imperiale maestà cotanti
-suoi difetti. Ancora il detto messer Piero avea nella presenza degli
-uditori e degli ambasciadori infamato Neri da Faggiuola, ch’avea
-per amistà de’ Perugini fatta la terra del Borgo, ch’era per lui
-acquistata a’ ghibellini, venire in parte guelfa; per Neri gli fu
-altamente risposto, mostrando come tutto era avvenuto per la sua
-malizia, e per le sue violenze quando v’avea stato: e anche avvenne
-che il vescovo d’Arezzo si lamentò di messer Piero di gravi ingiurie;
-e così l’uno disse improvviso contro all’altro per modo, che tutti
-impetrarono grazia nel cospetto dell’imperadore e del suo consiglio
-di gravi abbominazioni, senza altro acquisto di frutto; e d’allora
-innanzi gli ambasciadori del comune d’Arezzo ebbono graziosa udienza
-dall’imperadore per l’accordo di quello comune.
-
-
-CAP. LXIII.
-
-_Come i Volterrani si diedero all’imperadore._
-
-Avvegnachè innanzi sia fatta alcuna narrazione della sommissione
-di Volterra e di Samminiato, qui si torna al termine del fatto.
-I Volterrani sapendo che i Sanesi senza patto erano sottomessi
-all’imperadore, avendo poco amore e meno confidanza al comune di
-Firenze, perocchè si reggevano sotto la tirannia de’ figliuoli di
-messer Ottaviano de’ Belforti, i quali quanto che fossono guelfi di
-nazione, per la tirannia dichinavano ad animo ghibellino come mettesse
-loro bene, e non amavano il comune di Firenze nè i Fiorentini per la
-tirannia, ch’era contradia alla libertà del nostro comune, e però
-senza volere seguire il consiglio de’ Fiorentini di domandare patti,
-feciono sindachi i loro ambasciadori con pieno mandato e mandarli a
-Pisa, i quali in pubblico parlamento, a dì 4 di marzo del detto anno,
-si sottomisono liberamente alla signoria dell’imperatore e de’ suoi
-successori, e feciono l’omaggio e la reverenza per lo detto comune, e
-il saramento come i Sanesi aveano fatto.
-
-
-CAP. LXIV.
-
-_Come i Samminiatesi si diedero all’imperadore._
-
-I Samminiatesi, che soleano essere più all’ubbidienza del comune di
-Firenze che i Volterrani, avendo vedute le sopraddette città di parte
-guelfa già sottomesse all’imperio, e che il comune di Firenze trattava
-per se d’accordarsi con lui, essendo tra loro divisi per setta per la
-maggioranza delle due famiglie Malpigli e Mangiadori, temendo l’una
-parte che l’altra non pigliasse vantaggio, s’accostarono insieme
-dopo l’aspetto di più giorni: e celandosi da’ Fiorentini perchè non
-movessono alcuna delle dette case, e veduto loro tempo convenevole,
-di concordia feciono loro ambasciadori con pieno mandato e sindacato
-del comune a darsi liberamente all’imperadore; e mandatili a Pisa, a
-dì 8 di marzo in parlamento si sottomisono liberamente alla signoria
-dell’imperadore; e fatto il saramento, e volendo fare l’omaggio e
-baciare i piedi all’imperadore, li levò di terra, e ricevetteli _ad
-osculum pacis_, cosa che non avea fatta a’ sindachi di niuna altra
-città: la cagione si stimò che fosse per l’affezione che l’imperio
-per antico avea a quello castello, ove solea essere la residenza
-degl’imperadori e de’ loro vicari, perchè è uno mezzo tra le grandi e
-buone città di Toscana. Questo fu prima fatto che il comune di Firenze
-ne sentisse alcuna cosa, e quando il seppono, più gravò nell’animo de’
-cittadini di Firenze che la sommissione di Siena e di Volterra, per la
-vicinanza che ’l detto castello ha con la nostra città e con l’altre
-di Toscana: ma gran cagione ne fu la poca provvedenza già detta de’
-rettori del nostro comune.
-
-
-CAP. LXV.
-
-_Di disusato tempo stato nel verno._
-
-Non ci pare da lasciare in silenzio quello che fu singolare alla
-memoria de’ più antichi, la cagione si credette che venisse da
-influenza di costellazioni: il fatto fu, che dal novembre al marzo il
-tempo fu di dì e di notte il più sereno, cheto e bello che per addietro
-si ricordasse, essendo il freddo senza venti continovo e grande: e le
-nevi ch’erano cadute dal principio si mantennono ghiacciate nel contado
-di Firenze, e in molte parti bastò nella città più di tre mesi: il mare
-fu tranquillo e dolce a navicare oltre alla credenza degli uomini;
-tutti i gran fiumi stettono serrati di ghiaccio lungamente per modo
-che niuno si poteva navicare, e il nostro fiume d’Arno, che è corrente
-come uno fossato, stette fermo e serrato di ghiaccio, che lungamente
-senza pericolo in ogni parte si poteva sopra il ghiaccio valicare: e a
-dì 8 di marzo cominciarono a rompere le piove dolci e utili a tutte le
-sementa della terra.
-
-
-CAP. LXVI.
-
-_Come il segreto giurato in Firenze fu manifestato all’imperadore._
-
-Seguendo gli ambasciadori di Firenze il trattato della concordia
-con l’imperadore, e avendo il mandato di profferirgli per lo comune
-cinquanta migliaia di fiorini d’oro, avendo da lui i patti privilegiati
-che per parte del comune gli si dimandavano, l’imperadore, avvisato
-e malizioso, della moneta, dov’egli avea l’animo, non mostrava di
-curarsi, ma ne’ patti si mostrava strano e tenace per vendere più cara
-la sua mercatanzia. Avvedendosi di questo gli ambasciadori, e avendone
-alcuno segreto accennamento di fuori da lui, due degli ambasciadori per
-comune consiglio degli altri tornarono in Firenze per informare a bocca
-i rettori, e avvisarli di quello che a loro pareva dell’intenzione del
-signore. Vedendo i rettori che l’imperadore s’addurava, e che le terre
-vicine s’era no date liberamente alla sua signoria, aveano cagione
-di più temere: e tennono più consigli segreti ove si raccontavano
-de’ falli dell’eletto: come manifesto appariva che non avea tenuto
-fede a’ Gambacorti, nè allo stato di coloro che reggevano la città
-di Pisa, dilettandosi de’ romori e della divisione de’ cittadini, e
-tenea con loro che più erano pronti a movere le novità nella terra
-per averne più libera signoria, e come si mostrava bisognoso e cupido
-di trarre a se moneta: e avendo per più riprese praticato sopra i
-fatti dell’imperadore e sopra quelli del nostro comune, infine d’un
-animo presono partito per lo meno reo, che non si guardasse a costo
-di moneta infino in fiorini centomila d’oro, dandoli all’imperadore,
-dove la nostra città di Firenze rimanesse libera in sua giurisdizione,
-con altri singolari patti. E commettendo la pratica di queste cose
-ne’ detti ambasciadori, avendoli informati che si tenessono forti a
-cinquantamila fiorini, e che non mostrassono nè paura nè viltà in
-domandare e sostenere il vantaggio del comune nella quantità della
-moneta e negli altri patti, ma innanzi si rompessono da lui aveano di
-darli i detti fiorini centomila d’oro. Questo consiglio fu ristretto
-ne’ priori e ne’ loro collegi con piccolo numero d’arroti, e fu
-comandata a tutti la credenza, e giurata solennemente: e rimandati
-i due ambasciadori a Pisa, essendo con l’imperadore, e sostenendo
-francamente quello ch’era stato loro imposto, l’imperadore cominciò
-a sorridere contro a loro, e manifestò ciò ch’era loro commesso, e
-la deliberazione del loro comune, dicendo, che per scrittura tutto
-gli era manifesto. Gli ambasciadori di presente senza procedere più
-innanzi significarono all’uficio de’ priori ciò ch’aveano di bocca
-dell’imperadore della revelazione del loro segreto consiglio, che per
-questa cagione, avvegnachè per loro non li fosse acconsentita alcuna
-cosa, il trovavano più duro e più turbato che prima, dicendo, come non
-era traditore de’ Gambacorti, nè che non era cupido di moneta più del
-suo onore, nè si dilettava nella commozione de’ cittadini. Come questa
-novella fu divolgata nella nostra città, l’infamia de’ signori, e de’
-collegi, e degli arroti, in cui era la credenza, fu molto grande: ma
-però non trovò il comune chi alcuna cosa ne facesse allora per purgare
-la comune infamia, temendo per la tenerezza dello stato, avendo così
-dipresso l’imperadore, che maggiore pericolo non ne seguisse. Il
-consiglio non fu reo, se rifermato lo stato del comune con la pace
-dell’imperadore se ne fosse fatta debita inquisizione e giustizia.
-
-
-CAP. LXVII.
-
-_Come l’imperadore mandò aiuto di gente al legato._
-
-Essendo i tiranni di Romagna accozzati insieme, e accolta gente
-d’arme assai venuta di Lombardia per reprimere la forza del legato,
-ch’era piccola, il legato mandò a richiedere l’imperadore d’aiuto.
-L’imperadore immantinente, per mostrarsi zeloso e divoto a’ servigi
-di santa Chiesa, vi mandò di presente de’ suoi Tedeschi cinquecento
-barbute, e feciono la via per Siena, veduti e onorati da’ Sanesi
-graziosamente: e giunti al legato con l’insegna del loro signore,
-rifrenarono la forza e la volontà de’ tiranni. Questo non era per
-l’andata di cinquecento barbute cosa da farne memoria, ma consentesi al
-nostro trattato perchè fu la prima e l’ultima che l’imperadore facesse
-in Italia in fatti d’arme.
-
-
-CAP. LXVIII.
-
-_Trattati dell’imperadore ai Fiorentini._
-
-Essendo gli ambasciadori del comune di Firenze quasi ogni dì con
-l’imperadore per trattare la concordia, ed egli avendo scoperto il
-segreto del comune, e crescendogli ogni dì forza grandissima di baroni
-e di cavalieri della Magna, non gli parea volere di meno, e però
-si tenea forte a non condiscendere alla volontà de’ Fiorentini: e
-nondimeno temperava per non rompersi da loro, con tutto l’attizzamento
-de’ caporali ghibellini d’Italia ch’erano appresso di lui, che al
-continovo l’infestavano, perchè si rompesse dai trattato della
-concordia de’ Fiorentini, mostrandogli che avendo egli Pisa e Siena,
-Volterra e Samminiato, e l’aiuto de’ ghibellini ch’erano ivi a fare i
-suoi comandamenti, e la gran forza della sua baronia, senza dubbio di
-presente ne sarebbe signore a cheto, e abbatterebbe la loro arrogante
-superbia con grande onore e magnificenza dell’imperio. Il savio signore
-conoscea quanto pericolo gli potea incorrere, potendo con suo onore
-e vantaggio avere pace, cercare guerra: e conosceva, che quando il
-comune di Firenze, ch’era potentissimo, si facesse capo della guerra
-contro a lui, che tosto gli si scoprirebbono molti nemici: e conoscea
-il servigio che avrebbe dalla gente tedesca, se con larga mano non
-li provvedesse, e quanto erano fallaci le suggestioni de’ ghibellini
-d’Italia: e però serbava il consiglio e la diliberazione nel suo petto,
-e forte si temea che nascesse cagione per la quale i Fiorentini si
-rompessono dal trattato; e però avendo trattato con loro per modo che
-pareano assai di presso, l’imperadore disse, che facessono d’avere il
-sindacato pieno dal loro comune come la materia richiedeva: e allora
-diliberarono che tre degli ambasciadori tornassono a Firenze a fare che
-il sindacato si facesse.
-
-
-CAP. LXIX.
-
-_Raccolti falli de’ governatori del comune in Firenze._
-
-Perocchè gli antichi moderati e virtudiosi che soleano reggere e
-governare lo stato della repubblica in grande libertà, e con maturi
-movimenti e con diligente provvidenza governavano quella in tempo
-di pace e di guerra, e non perdonando i falli che si faceano contro
-la patria, nè lasciando senza merito l’operazioni che si facevano
-virtudiose in accrescimento e onore del comune, onde al nostro tempo
-è da maravigliare come la cittadinanza si mantiene, essendo strana da
-quelle virtù, e dalla provvisione di quel reggimento: e in luogo di
-quelli antichi amatori della patria, spregiatori de’ loro propri comodi
-per accrescere quelli del comune, si trovano usurpatori de’ reggimenti
-con indebiti e disonesti procacci e argomenti, uomini avveniticci,
-senza senno e senza virtù, e di niuna autorità nella maggiore parte,
-i quali abbracciato il reggimento del comune intendono a’ loro propri
-vantaggi e de’ loro amici con tanta sollecitudine e fede, che in tutto
-dimenticano la provvisione salutevole al nostro comune: e non è chi
-per lui pensi, nè per la sua libertà, nè per lo suo esaltamento, nè
-onore, nè per riparare al pericolo che sopravvenire gli può, se non
-nella strema giornata o in sul fatto; e per questo spesso occorrono
-gravi casi al nostro comune, e niuno prende vergogna, o aspetta, per
-avere mal fatto al comune, alcuna pena: e però non è senza pensiero di
-grande ammirazione come il nostro comune non cade in grandi pericoli
-di suo disfacimento. Ma i discreti del nostro tempo tengono che questo
-sia singolare grazia e operazione di Dio, perocchè in così gran fascio
-di cittadini e di religiosi, benchè molti ne sieno de’ rei, assai v’ha
-de’ virtuosi e de’ buoni, le cui preghiere conservano la città da molti
-pericoli, e alquanto è la gente cattolica e limosiniera, perchè Iddio
-la conserva; e oltre a ciò gli ordini dati alla massa del comune per
-li nostri antichi, e ’l reggimento che ha preso il corso alla comune
-giustizia per le conservate leggi, è grande braccio al conservamene del
-comune stato. E benchè gli usurpatori del non degno uficio sieno molti,
-e male disposti al comune bene, e solleciti e provveduti a’ loro propri
-vantaggi, e occupino la civile libertà, il tempo di due mesi ordinato
-al reggimento del sommo uficio del priorato per li nostri provveduti
-antichi è sì breve, che fa grande resistenza alla propria arroganza:
-e ancora la riprieme non poco la compagnia di nove priori e de’ loro
-collegi. Ma non possono ammendare il continovo fallo dell’abbandonata
-provvedenza: onde avviene, che come fortuna guida le cose, infino al
-pubblico destamento del popolo si pena a provvedere, non il migliore
-consiglio, che nol concede il trapassamento delle debite provvedenze,
-ma il meno reo. E questo avviene continovo in tutte grandi e pericolose
-cose e accidenti ovvero imprese che accaggiono al nostro comune.
-
-
-CAP. LXX.
-
-_Come a Firenze si fece il sindacato per l’accordo con l’imperadore._
-
-Avendo narrato il modo del reggimento del comune di Firenze e de’
-suoi rettori, si può dire con verità del fatto, manifestato più volte
-in pieno consiglio per la bocca dell’imperadore, che avendo mandati
-il comune di Firenze a Mantova suoi ambasciadori a profferirgli
-l’aiuto del comune, e confortarlo della sua coronazione, non avrebbono
-domandati que’ patti, che largamente senza niuna promessa di moneta
-non avesse liberamente fatti; ma la provvedenza era, ed è per lunghi
-tempi stata in contumace del nostro comune: e però tornati a Firenze
-i tre ambasciadori per far fare il sindacato, sperando la concordia
-con l’imperadore, a dì 12 di marzo del detto anno, ragunato il
-consiglio del popolo secondo l’ordine del nostro comune, che prima
-s’ha a deliberare in quello, poi in quella del comune, avvenne che il
-notaio delle riformagioni, ch’era natio da..... leggendo i patti che
-s’intendeano d’avere con l’imperadore, per mostrare grande tenerezza
-al popolo della libertà pura del comune, non ostante che in quelle
-scritture se ne contenesse assai già deliberate pe’ signori e pe’
-collegi, si ruppe a piagnere per modo, che la proposta non si potè
-leggere; e gli animi de’ consiglieri a quelle lagrime si commossono dal
-loro proponimento, e però si rimase il consiglio e il sindacato per
-quella giornata, e convenne che di nuovo si rifacessono altri privati
-consigli, ne’ quali il movimento del notaio non fu riputato fatto
-con movimento di ragionevole carità, ma piuttosto per adulazione per
-accattare benivoglienza dal popolo. E pertanto tutti i privati consigli
-fermarono l’intenzione a fare quello s’addomandava dagli ambasciadori,
-e da capo a dì 13 del detto mese si mosse la proposta al consiglio del
-popolo, e sette volte l’una dopo l’altra si perdè: all’ultimo levati
-molti cittadini d’autorità a dire, e a mostrare il beneficio che di
-questo seguitava al comune, e il pericolo che venia del contrario,
-si vinse, e fu dato la balìa di pieno sindacato a tutti e sei gli
-ambasciadori del comune, a potere promettere per lo comune ciò ch’era
-trattato o di nuovo si trattasse: e appresso l’altro dì, a dì 14 del
-mese, con minore fatica si rifermò nel consiglio del comune, e gli
-ambasciadori col mandato pieno si tornarono a Fisa.
-
-
-CAP. LXXI.
-
-_Quello si fe’ per alcuno cardinale per la coronazione dell’imperadore._
-
-In questi dì il cardinale d’Ostia, a cui s’appartiene la coronazione
-dell’imperadore, giunse in Pisa, ricevuto dall’eletto a grande onore.
-Era consuetudine di santa Chiesa di mandare tre cardinali alla
-coronazione degl’imperadori, quello d’Ostia, c’ha l’uficio d’andare
-a coronare l’imperadore alle sue spese e alla sua provvisione, gli
-altri due debbono andare alle spese di santa Chiesa: ma a questa
-volta essendone fatto gran procaccio in corte, e per questo avuto
-la grazia il cardinale di Pelagorga, e quello di Bologna in su ’l
-mare, ch’erano di maggiore legnaggio, il papa e gli altri cardinali
-non acconsentirono che la Chiesa facesse loro le spese, dicendo, se
-voleano andare ch’aveano la benedizione, ma altro non aspettassono.
-I cardinali considerarono la spesa grande, e l’imperadore povero di
-moneta e stretto d’animo, e però con poco loro onore per lo procaccio
-fatto si rimasono di quella legazione, e il papa per non accrescere
-loro vergogna non ve ne mandò alcuno altro: e di questo non si turbò
-l’imperadore per non avere a stendere in loro il suo onore.
-
-
-CAP. LXXII.
-
-_Come si fermò l’accordo e’ patti dall’imperadore al comune di Firenze._
-
-Sentendo l’imperadore tornati gli ambasciadori del comune di Firenze
-con pieno mandato e sindacato da fare l’accordo con lui, e come a’
-Fiorentini era paruto malagevole, e conosciuto ch’egli avea recati
-gli ambasciadori a promettergli centomila fiorini d’oro, più per
-la revelazione ch’egli avea fatta loro del segreto del comune che
-per altro piacere, e trovando che i Pisani per mala suggestione già
-gli aveano domandato che li dovesse liberare della franchigia ch’e’
-Fiorentini aveano in Pisa per li patti della pace, ed egli sostenea
-dicendo, che il loro movimento non era buono; e vedendo che il suo
-consiglio era insuperbito per la gente alamanna che crescea al suo
-servigio tutto dì, e per la forte inzicagione che i ghibellini
-italiani faceano loro, temette del suo consiglio, e poi volle gli
-ambasciadori avere in camera seco col patriarca e col vececancelliere
-soli: e cominciando a chiarire i patti, l’imperadore vi s’allargò
-molto più che infino allora non avea fatto, per tema che discordia
-non rinascesse, e per non avere a riferire la sua volontà col suo
-consiglio. Nondimeno quando vennero al saramento per fermezza delle
-cose che si trattavano, gli ambasciadori al tutto voleano il salvo
-manifesto e palese fermato col detto saramento; l’imperadore si
-fermò a non volerlo fare: ma volea la sommissione libera, e da parte
-privilegiare i patti, e che nel saramento de’ sindachi non fosse
-eccezione. Gli ambasciadori, in questa parte alquanto indiscreti,
-potendolo fare a salvezza del comune, lungamente lo tennono sospeso
-non senza sua turbazione, e poi il feciono, e già era molto infra la
-notte. Appresso vennono a dire, che il saramento della sommissione
-non voleano che si stendesse a’ successori dell’imperio, altro che
-alla sua corona; a questo, disse l’imperadore, che non credea che vi
-si stendesse, perocchè questo si dovea fare nominatamente alla sua
-persona, ma dove a’ successori andasse, in niuna maniera intendea a
-derogare le loro ragioni. Appresso domandarono, che tutte le leggi e
-statuti fatte e fatti, o che per innanzi si facessono per lo comune di
-Firenze, in quanto le comuni leggi nominatamente non le repugnassono,
-le dovesse per suoi privilegi confermare. Questa gli parve sconvenevole
-domanda, e non la volea consentire: e parendo questo agli ambasciadori
-dubbioso, tre ore o più di piena notte tennono la contesa con lui, e
-infine l’imperadore infellonito gittò la bacchetta ch’avea in mano
-per terra, e mostrandosi forte crucciato, giurò in alta voce per più
-riprese, che se innanzi ch’egli uscisse di quella camera questo non
-si consentisse per i sindachi, che con la sua forza e de’ signori di
-Milano e degli altri ghibellini d’Italia distruggerebbe la città di
-Firenze, dicendo, che troppa era l’altezza della superbia d’uno comune
-a volere suppeditare l’imperio. Gli ambasciadori vedendolo così forte
-turbato dissono, che troverebbono modo di venire a fare di ciò la sua
-volontà: e perocchè l’ora era fuori di modo tarda, presono licenza per
-andarsi a posare, e per questa cagione ogni cosa rimase imperfetta in
-quella notte, e in quell’ora significarono il fatto gli ambasciadori a’
-signori di Firenze, per avere il dì vegnente da risposta a buon’ora.
-L’imperadore sentendo che gli ambasciadori aveano scritto al comune
-di Firenze significando le sue parole, temette forte che i Fiorentini
-non si rompessono dalla concordia, e però la mattina per tempo, non
-attendendo che gli ambasciadori avessono risposta, mandò per loro, e
-usate molte savie parole intorno al movimento tedioso della notte, con
-dimostramento di grande amore verso il comune di Firenze, largamente
-acconsentì ciò che gli ambasciadori aveano domandato: e oltre a ciò per
-sua liberalità, ove gli ambasciadori gli aveano promesso d’essergli
-stadichi per attendere la promessa del comune, poco appresso fatta la
-concordia disse, ch’alla fede del comune intendea di stare di questo
-e d’ogni gran cosa, e licenziò gli stadichi, e raffermata tutta la
-concordia, innanzi che da Firenze venisse la risposta: nondimeno il
-comune avea risposto, che per le dette cose non volea che la concordia
-rimanesse: e questo fu a dì 20 di marzo del detto anno.
-
-
-CAP. LXXIII.
-
-_Come i Fiorentini per mala provvedenza errarono a loro danno._
-
-Avvegnachè molto sia detto de’ falli del nostro comune, uno singolare
-non ci si lascia passare senza fare in questo luogo memoria di lui.
-Fatta e ferma la concordia con l’imperadore di dargli fiorini d’oro
-centomila per avere fine e remissione da lui delle condannagioni e
-pene, in che ’l nostro comune era incorso per decreti dell’imperadore
-Arrigo e degli altri suoi antecessori, si ritrovò il saramento fatto
-per lo detto eletto a papa Clemente sesto e alla Chiesa di Roma,
-quando fu promosso per operazione del detto papa e di santa Chiesa
-all’elezione dell’imperio, ch’egli libererebbe i comuni di Toscana
-d’ogni condannagione fatta per i suoi antecessori, e d’ogni debito a
-che si trovassono obbligati per addietro all’imperio, massimamente
-il comune di Firenze, il quale per l’imperadore Arrigo era stato
-condannato con i suoi cittadini in loro singolarità, la qual cosa
-era manifesta a santa Chiesa. E ancora giurò, che i detti comuni non
-graverebbe, nè farebbe contro alcuno di quelli muovere guerra, nè
-sottometterebbe la loro libertà. Grande ignoranza fu trattare presso
-a due mesi con l’imperadore, e non avere memoria di cotanto fatto. Io
-reputo essere stata degna compensagione, avendo così fatta ignoranza
-compensata con prezzo di cento migliaia di fiorini d’oro, i quali il
-comune pagò per avere con fatica e con paura quello che aver potea
-senza costo, per la benigna provvedenza di santa Chiesa: e quello che
-pagò per debito in piccola parte, potea in luogo di servigio e di
-grazia compensare. Vergognomi ancora di scrivere la seguente arrota:
-avendo nella fama dell’avvenimento in Italia dell’imperadore, mandato a
-corte al papa e a’ cardinali per avere aiuto e favore da santa Chiesa,
-le lettere furono impetrate piene e graziose e favorevoli per lo
-nostro comune all’imperadore, ove il papa e’ cardinali gli ricordavano
-la promessa fatta sotto il suo saramento; le lettere stettono in
-cancelleria per spazio di tre mesi, innanzi che modo si trovasse di
-pagare fiorini trenta d’oro per le comuni spese della cancelleria: e
-per questo, poco appresso che la sommissione del comune e la promessa
-della moneta fu fatta, giunsono le lettere bollate al nostro comune,
-con grande ripitio e vergogna de’ nostri rettori.
-
-
-CAP. LXXIV.
-
-_Della statura e continenza dell’imperadore._
-
-Secondo che noi comprendiamo da coloro che conversano intorno
-all’imperadore, la sua persona era di mezzana statura, ma piccolo
-secondo gli Alamanni, gobbetto, premendo il collo e ’l viso innanzi non
-disordinatamente: di pelo nero, il viso larghetto, gli occhi grossi,
-e le gote rilevate in colmo, la barba nera, e ’l capo calvo dinanzi.
-Vestiva panni onesti e chiusi continovamente, senza niuno adornamento,
-ma corti presso al ginocchio: poco spendea, e con molta industria
-ragunava pecunia, e non provvedeva bene chi lo serviva in arme. Suo
-costume era eziandio stando a udienza di tenere verghette di salcio in
-mano e uno coltellino, e tagliare a suo diletto minutamente, e oltre
-al lavorio delle mani, avendo gli uomini ginocchioni innanzi a sporre
-le loro petizioni, movea gli occhi intorno a’ circostanti per modo,
-che a coloro che gli parlavano parea che non dovesse attendere a loro
-udienza, e nondimeno intendea e udiva nobilemente, e con poche parole
-piene di sustanzia rispondenti alle domande, secondo sua volontà, e
-senza altra deliberazione di tempo o di consiglio faceva pienamente
-savie risposte. E però furono in lui in uno stante tre atti senza
-offendere o variare l’intelletto, il vario riguardo degli occhi,
-il lavorare con le mani, e con pieno intendimento dare l’udienze e
-fare le premeditate risposte; cosa mirabile, e assai notevole in uno
-signore. La sua gente, avendo in un’ora in Pisa più di quattromila
-cavalieri tedeschi, faceva mantenere onestamente, eziandio astenere
-dalle taverne e dalle disoneste cose per modo, che innanzi alla sua
-coronazione in Pisa non ebbe zuffa nè riotte tra’ forestieri e’
-cittadini d’alcuna cosa. Il suo consiglio ristrignea con pochi suoi
-baroni e del suo patriarca, ma la deliberazione era più sua che del
-suo consiglio: perocché ’l suo senno con sottile e temperata industria
-valicava il consiglio degli altri; e molto si guardò di muoversi alla
-stigazione e conforto de’ ghibellini d’Italia, usati d’incendere e
-d’infocare l’imprese all’appetito parziale, più che al singolare onore
-dell’imperiale corona, i cui vizi nobilemente conoscea.
-
-
-CAP. LXXV.
-
-_Come si bandì in Firenze l’accordo con l’imperadore._
-
-Sabato mattina, a dì 21 di marzo del detto anno, l’imperadore
-provvedutamente fece ragunare tutti i forestieri ch’erano in Pisa e’
-Pisani a parlamento nel duomo di Pisa, e con dimostramento di singolare
-allegrezza fece venire dinanzi da se tutti e sei gli ambasciadori e
-sindachi del comune di Firenze: i quali giunti nel parlamento furono
-guardati da tutti con ammirazione grande, perocchè alla memoria di
-coloro ch’erano vivi, nè di molto tempo innanzi, si trovava che il
-comune di Firenze fosse stato altro che nemico all’imperadore, e ora
-vedeano che con pace aveano dall’imperadore que’ patti ch’aveano saputi
-dimandare: e da loro ricevette l’omaggio e il saramento della fede che
-promisero all’imperadore, sotto la condizione de’ patti e convenienze
-che ferme aveano con lui per lo comune di Firenze, le quali su brevità
-appresso in sostanza diviseremo: e l’eletto imperadore come re de’
-Romani ne fece a loro privilegi reali, e promise ricevuta l’imperiale
-corona di farli imperiali. E a dì 23 del detto mese, lunedì sera,
-si pubblicò in Firenze la concordia presa con l’imperadore, sonando
-le campane del comune e delle chiese a Dio laudiamo. Poca gente, a
-rispetto del nostro comune, si ragunò al parlamento, e senza alcuna
-vista d’allegrezza ogni uomo si tornò a casa. Il comune fece in sulle
-torri e in su i palagi festa e luminaria: ma nella città pe’ cittadini
-non si fece falò per segno d’alcuna allegrezza, conoscendo quanto
-costava caro al comune l’ignoranza de’ loro cittadini governatori per
-l’abbandonata provvedenza.
-
-
-CAP. LXXVI.
-
-_I patti e le convenienze da’ Fiorentini all’imperadore._
-
-Questi furono i patti che messer Carlo re di Boemia eletto imperadore
-impromise al comune di Firenze, e co’ suoi reali privilegi confermò.
-In prima cassò e annullò ogni sentenza e condannagione le quali per
-addietro fossono fatte contro alla città, e’ cittadini e comune di
-Firenze e’ suoi contadini, e contra i conti da Battifolle, e da
-Doadola, e da Mangona, e Nerone d’Alvernia per gl’imperadori romani
-ovvero re de’ Romani suoi antecessori: e tutti e catuno integrò e
-restituì ne’ suoi onorie giurisdizioni e dominii personali e reali. E
-concedette che il comune e popolo, e la città e contado e distretto
-di Firenze si reggesse secondo gli statuti e le leggi municipali e
-ordinamenti consueti del detto comune: e di singolare grazia confermò
-al detto comune per suoi privilegi quello che più gli parve grave,
-cioè, la confermazione delle leggi dette e statuti fatti, e che per
-innanzi si facessono, approvandoli e confermandoli in quanto le comuni
-leggi nominatamente non le riprovassono: dicendo, la moltitudine delle
-leggi è tanta, che se a questo non hanno provveduto, io a’ Fiorentini
-nol vo’ negare. Ancora, che i priori dell’arti e il gonfaloniere della
-giustizia, che sono e che per li tempi saranno all’uficio del priorato,
-sieno irrevocabili suoi vicari tutto il tempo della sua vita. E il
-detto imperadore graziosamente, avendo affezione a volere mantenere il
-pacifico stato e tranquillo riposo del comune di Firenze, acciocchè per
-lo suo avvenimento in quella città non nascesse tumulto o mutazione,
-promise e concedette di grazia speziale di non volere entrare nella
-città di Firenze nè in alcuna sua terra murata. I sindachi predetti
-a vice e a nome del comune di sopra detto feciono a lui in pubblico
-la sommessione e l’ubbidienza, e giurarono liberamente riconoscendolo
-per vero eletto e futuro imperadore: e la reverenza li feciono in
-segno del debito omaggio; e promisongli in nome del comune di Firenze
-per satisfazione intera di ciò, che obbligati fossono per lo tempo
-passato infino al presente dì, a lui e a tutti i suoi antecessori, per
-qualunque ragione o cagione dire o nominare si potesse, e ancora per
-tutte le terre che ’l detto comune tiene, e ha tenute in suo contado e
-in suo distretto, fiorini centomila d’oro in quattro paghe in cinque
-mesi, finendo per tutto il mese d’agosto del detto anno 1355: e per lo
-tempo avvenire promisono di dare ogni anno del mese di marzo al detto
-imperadore Carlo, alla sua vita solamente, fiorini quattromila d’oro
-per compensagione di censo, in quanto le città di Toscana fossono
-tenute di ragione all’imperio, e oltre a ciò, per tutte e singule
-quelle cose le quali il detto comune per se e per lo suo contado e
-distretto dire si potesse ch’all’imperio fossono per alcuna cosa
-obbligati; e di tutti i detti patti e convenienze, oltre a’ privilegi
-reali, fu contento l’imperadore futuro che ser Agnolo di ser Andrea
-di messer Rinaldo da Barberino, notaio pubblico imperiale, ne facesse
-carta e pubblico istrumento al detto comune. Aggiugnesi qui, benchè
-quello che seguita avvenisse dopo la sua coronazione, acciocchè insieme
-si trovi la memoria de’ patti e de’ privilegi imperiali, e dell’arrota
-della graziosa libertà del detto imperadore inverso il nostro comune.
-E a dì 3 di maggio 1355 nella città di Siena, tornando l’imperadore
-dalla sua coronazione, tutte le dette convenienze e promesse fatte
-rinnovò, e comandò che si dessono al nostro comune sotto la fermezza
-de’ suoi privilegi imperiali roborati delle bolle dell’oro. E avendo
-nel processo del tempo il detto imperadore trovato il comune di Firenze
-in molta fede e dirittura delle sue promesse, non ostante che i Pisani,
-e’ Sanesi e gli altri Toscani l’avessono tradito e messo in grave caso
-di fortuna, essendo ridotto a Pietrasanta per partirsi d’Italia, e
-avendogli i Fiorentini con gran pericolo mandato là il compimento de’
-centomila fiorini promessi, avendolo egli molto a grado, e commendando
-l’amore e la fede del comune, in vituperio degli altri comuni
-ch’aveano mostrato la libera suggezione all’imperio, e poi l’aveano
-tradito, s’offerse singolarmente a’ Fiorentini, e di suo proprio
-movimento privilegiò al nostro comune generalmente ciò che tenea in
-suo distretto, e mandonne i suoi privilegi imperiali bollati d’oro al
-nostro comune, fatti in Pietrasanta a dì 3 di giugno 1355. In questo
-tempo il comune di Firenze tenea in suo distretto la Valdinievole, il
-Valdarno di sotto, Pistoia, e ’l castello di Serravalle, e tutta la
-montagna di sotto, e Colle, e Laterina, e Montegemmoli, e la terra di
-Barga con più castella di Garfagnana, e Castel san Niccolò col suo
-contado, e la montagna fiorentina, e molte altre terre e castella che
-qui per brevità non si nominano, e la nobile terra di Sangimignano e di
-Prato, avvegnachè già, come è detto, erano ridotte a contado di Firenze.
-
-
-CAP. LXXVII.
-
-_Come fu offesa la libertà del popolo di Roma da’ Toscani._
-
-Vedendo i falli commessi per li comuni di Toscana, che liberamente
-sottomisono la loro libertà al nuovo imperadore, ci dà materia di
-ricordare per esempio del tempo avvenire, come col popolo romano i
-comuni d’Italia, e massimamente i Toscani, sotto il loro principato
-parteciparono la cittadinanza e la libertà di quello popolo, la cui
-autorità creava gl’imperadori: e questo medesimo popolo, non da se, ma
-la Chiesa per lui, in certo sussidio de’ fedeli cristiani, concedette
-l’elezione degl’imperadori a sette principi della Magna. Per la qual
-cosa è manifesto, avvegnachè assai più antiche storie il manifestino,
-che ’l popolo predetto faceva gl’imperadori, e per la loro reità
-alcuna volta gli abbattea, e la libertà del popolo romano non era in
-alcun modo sottoposta alla libertà dell’imperio, nè tributaria come
-l’altre nazioni, le quali erano sottoposte al popolo, e al senato e al
-comune di Roma, e per lo detto comune al loro imperadore: e mantenendo
-a’ nostri comuni di Toscana l’antica libertà a loro succeduta dalla
-civiltà del popolo romano, è assai manifesto, che la maestà di quel
-popolo per la libera sommessione fatta all’imperadore per lo comune di
-Pisa, e di Siena, e di Volterra, e di Samminiato fu da loro offesa,
-e dirogata la franchigia de’ Toscani vilmente, per l’invidia ch’avea
-l’uno comune dell’altro, più che per altra debita cagione.
-
-
-CAP. LXXVIII.
-
-_Di quello medesimo._
-
-Seguitiamo ancora a dire le cagioni per le quali, oltre a ciò ch’è
-detto nel precedente capitolo, a’ comuni italiani, senza offesa
-del sommo impero, è loro lecito anzi debito il patteggiare con
-gl’imperadori. L’Italia tutta è divisa mistamente in due parti, l’una,
-che seguita ne’ fatti del mondo la santa Chiesa, secondo il principato
-che ha da Dio e dal santo imperio in quello, e questi sono dinominati
-Guelfi, cioè guardatori di fè: e l’altra parte seguitano l’imperio,
-o fedele o infedele che sia delle cose del mondo o santa Chiesa, e
-chiamansi Ghibellini, quasi guida belli, cioè guidatori di battaglie,
-e seguitano il fatto, che per lo titolo imperiale sopra gli altri
-sono superbi, e motori di lite e di guerra. E perocchè queste due
-sette sono molto grandi, ciascuna vuole tenere il principato, ma non
-potendosi fare, ove signoreggia l’una, e ove l’altra, quanto che tutti
-si solessono reggere in libertà di comuni e di popoli. Ma scendendo
-in Italia gl’imperadori alamanni, hanno più usato favoreggiare i
-ghibellini ch’e’ guelfi, e per questo hanno lasciato nelle loro città
-vicari imperiali con le loro masnade: i quali continovando la signoria,
-e morti gl’imperadori di cui erano vicari, sono rimasi tiranni, e
-levata la libertà a’ popoli, e fattisi potenti signori, e nemici
-della parte fedele a santa Chiesa e alla loro libertà. E questa non
-è piccola cagione a guardarsi di sottomettersi senza patti a’ detti
-imperadori. Appresso è da considerare, che la lingua latina, e’ costumi
-e’ movimenti della lingua tedesca sono come barbari, e divisati e
-strani agl’Italiani, la cui lingua e le cui leggi, e’ costumi, e’
-gravi e moderati movimenti, diedono ammaestramento a tutto l’universo,
-e a loro la monarchia del mondo. E però venendo gl’imperadori della
-Magna col supremo titolo, e volendo col senno e con la forza della
-Magna reggere gl’Italiani, non lo sanno, e non lo possono fare: e
-per questo, essendo con pace ricevuti nelle città d’Italia, generano
-tumulti e commozioni di popoli, e in quelli si dilettano, per essere
-per contraversia quello ch’essere non possono nè sanno per virtù, o
-per ragione d’intendimento di costumi e di vita. E per queste vive e
-vere ragioni, le città e’ popoli che liberamente gli ricevono conviene
-che mutino stato, o di venire a tirannia, o di guastare il loro usato
-reggimento, in confusione del pacifico e tranquillo stato di quella
-città, o di quello popolo che liberamente il riceve. Onde volendo
-riparare a’ detti pericoli, la necessità stringe le città e’ popoli,
-che le loro franchigie e stato vogliono mantenere e conservare, e non
-essere ribelli agl’imperadori alamanni, di provvedersi e patteggiarsi
-con loro: e innanzi rimanere in contumacie con gl’imperadori, che senza
-gran sicurtà li mettano nelle loro città. Quello che di ciò abbiamo
-qui di sopra fatto memoria, a beneficio e ammaestramento della libertà
-de’ comuni d’Italia, si prova per gli antichi esempi, chi li vorrà
-ricercare, e per li nuovi, chi li vorrà ricercare e appresso leggere il
-nostro trattato.
-
-
-CAP. LXXIX.
-
-_Come la gran compagnia rubò il Guasto in Puglia._
-
-Il conte di Lando con la gran compagnia avendo soggiornato in
-Abruzzi infino all’entrata di marzo, si mosse da Pescara e da san
-Fabiano, e andò verso il Guasto. Que’ della terra male provveduti da
-loro, e peggio dal re loro signore, trattarono con la compagnia, e
-fidaronsi mattamente nelle loro promesse, che non li ruberebbono, e
-che torrebbono della roba derrata per danaio, li misono nella terra;
-ma come furono entrati dentro, i predoni usarono crudelmente la loro
-rapina uccidendo e rubando tutta la terra, e appresso con fuoco
-n’arsone gran parte: per lo cui esempio tutte l’altre terre di Puglia
-si disposero a ogni pericolo per difendersi da loro, e afforzaronsi
-francamente per modo, che quanto ch’elli stessono lungamente a campo
-senza potere più acquistare città o castella. Appresso valicarono a
-san Siverno in Puglia, e ivi s’accamparono e stettono lungamente,
-scorrendo e predando e facendo danno assai a’ paesani: e dall’altra
-parte il Paladino aggiuntosi gente della compagnia tribolava la marina
-della Puglia, ed era palese a’ regnicoli che messer Luigi di Durazzo
-favoreggiava la compagnia.
-
-
-CAP. LXXX.
-
-_Come l’imperadore richiese di lega i Fiorentini, e non l’ebbe._
-
-Avendo l’imperadore compiuto e fermo l’accordo co’ Fiorentini, mandò
-a Firenze suoi ambasciadori a richiedere il comune di Firenze con
-grande stanza, che piacesse loro per bene e stato di tutte le città di
-Toscana, e per levare ogni pericolo che venire potesse loro addosso per
-la forza de’ tiranni e della gran compagnia, per vivere i detti comuni
-insieme in unità e in pace, di fare lega insieme, e quella gente per
-via di taglia che a’ Fiorentini piacesse, e offerendo l’aiuto suo ove
-che fosse a ogni loro bisogno molto largamente, dicendo, che presa la
-corona intendea d’andare in Lombardia o nella Magna, ove il comune di
-Firenze consigliasse. I Fiorentini in più consigli privati e palesi
-praticarono se questa lega fosse da fare o no: e infine considerato
-il pericolo dell’imprese, e temendo di non correre ad essere indotti
-a rompere la pace a’ signori di Milano, e che la gente d’arme raunata
-sotto un capitano dato dall’imperadore non potesse essere cagione
-di novità contro alla libertà del comune, al tutto deliberare che
-la lega per lo nostro comune non si facesse, e con belle e oneste e
-legittime cagioni si diliberarono di quella richiesta. L’imperadore
-essendo in movimento per andare a vicitare le città e le terre che gli
-s’erano date, e andare per la corona, soprastette senza accettare la
-scusa, e domandò che il nostro comune apparecchiasse dugento cavalieri
-che l’accompagnassono a Roma: e da Pisa si partì a dì 23 di marzo e
-andossene a Volterra, ove fu ricevuto secondo la loro possa assai
-onoratamente; e albergatovi una notte, l’altro dì venne a Samminiato, e
-da loro fu ricevuto come signore; e a dì 23 di marzo giunse a Siena la
-sera, ove fu ricevuto con singolar festa e onore.
-
-
-CAP. LXXXI.
-
-_Come si mutò lo stato de’ nove di Siena._
-
-E’ pare degna cosa, che coloro i quali ingannano in comune i loro
-cittadini, e rompono la fede a’ loro amici, che alcuna volta per quella
-medesima sieno puniti, e portino pena de’ peccati commessi. L’ordine
-de’ nove di Siena, avendo per lungo tempo ingannati e detratti dagli
-ufici del comune con malo ingegno i loro cittadini, come già abbiamo
-narrato, e tradito il comune di Firenze nel cospetto dell’imperadore,
-seguitando la rea intenzione della setta di Giovanni d’Agnolino Bottoni
-loro caporale, quando liberamente si dierono all’imperadore, credendo
-per quello essere esaltati, e avere abbattuto lo stato e la libertà del
-comune di Firenze; il comune di Firenze per la sua costanza e savia
-provvisione rimase grande nel cospetto dell’imperadore e privilegiato
-da lui, e mantenea accrescendo suo stato, la sua libertà e il suo
-onore. Entrato l’imperadore in Siena il martedì sera, il mercoledì
-vegnente, il dì dell’Annunziazione di nostra Donna, gli _anni Domini_
-1355 a dì 25 di marzo, Tolomei, Malavolti, Piccolomini, Saracini, e
-alcuno de’ Salimbeni, contrari a Giovanni d’Agnolino Bottoni loro
-consorto, con seguito del minuto popolo levarono il romore nella città,
-dicendo: Viva l’imperadore, e muoiano i nove e le gabelle: e in questa
-furia furono morti due cittadini: e corsi alle case del capitano
-della guardia, e trovandolo gravemente malato in sul letto, rubarono
-tutto l’ostiere e ciò che aveva la famiglia, e l’arme e’ cavalli, e
-lasciato il capitano in sulla paglia in terra, in poch’ore appresso
-morì: e di là corsono al palagio de’ nove, e cacciatine in furia i
-nove e la loro famiglia vi misono l’imperadore, e feciono mandare per
-la cassa dov’erano insaccati i cittadini dell’ordine de’ nove e gli
-altri loro uficiali, e usando la loro besseria, con grande dirisione
-la feciono tranare per la terra, andandola scopando, e poi impetrato
-il comandamento dall’imperadore l’arsono con gran romore in sul campo,
-e appresso tutti gli atti e ordini de’ nove, e tutti gli ufici della
-città; e le persone di coloro ch’aveano avuti gli ufici furono in
-persecuzione e in pericolo grande nella cittadinanza, come leggendo si
-potrà trovare.
-
-
-CAP. LXXXII.
-
-_Di quello medesimo._
-
-Avendo veduto l’eletto imperadore il romore e le novità fatte nella
-città di Siena con dimostrazione d’esserne stato contento, con poco
-onore dell’imperiale fama, il seguente dì fece ragunare tutti i
-cittadini a parlamento; e quando gli ebbe ragunati, fece separare i
-grandi dal popolo, e i popolani maggiori dal minuto popolo, e a catuno
-per se fece fare un sindaco con pieno mandato a sottomettersi da capo
-liberamente senza alcuno eccetto, e da capo si diedono all’imperadore,
-sottomettendo all’imperiale signoria il comune, il popolo, e la città,
-e il contado, e il distretto e la giurisdizione di Siena, dandogli in
-tutto il misto e mero imperio di quella città, contado e distretto: e
-incontanente licenziati tutti gli uficiali e rettori della terra ne
-fece suo vicario l’arcivescovo di Praga: e fatta pigliare la tenuta
-e la guardia di tutte le loro terre e castella, per decreto cassò,
-e annullò, e vietò in perpetuo l’uficio e ordine de’ nove. Coloro
-ch’erano stati di quell’ordine, villaneggiati da’ cittadini, veggendosi
-a pericolo stando nella terra, chi se n’andò in una parte e chi in
-un’altra partendosi della città; ed essendo dalle loro vicinanze con
-giusta infamia guardati come traditori della propria patria e de’ loro
-vicini, con grande vituperio traevano la loro vita nell’altrui terre.
-
-
-CAP. LXXXIII.
-
-_Il modo trovò il comune di Firenze per avere danari._
-
-E’ non sarebbe da fare memoria di quello che seguita, se il modo
-col quale il comune di Firenze ebbe i danari con agevolezza non ce
-ne sforzasse, per buono esempio delle cose avvenire. Incontanente
-che l’imperadore fu riposato in Siena, i Fiorentini non aspettando
-il termine della prima paga, gli mandarono contanti a Siena fiorini
-trentamila d’oro, i quali si pagarono a dì 27 di marzo 1355; della
-qual cosa l’imperadore si tenne molto contento, perocchè li vennono a
-gran bisogno, perchè era in su l’andare da Roma, e avea necessità di
-provvedere a’ suoi baroni per aiuto alle spese. Il comune di Firenze
-per avere questi danari e gli altri, ordinò nella città a’ suoi
-cittadini un estimo che si chiamò la sega, che fu posto a’ cittadini
-per casa certi danari il dì: e fatta la sega, si fece pagare soldi
-quindici per ogni danaio, e catuno pagava questa piccola somma a
-colta. Nondimeno, perchè i meno possenti parevano troppo gravati a
-rispetto degli altri, il comune elesse d’ogni gonfalone certi uomini,
-e commise loro ch’abbattessono il quarto di quello che montava la loro
-sega sgravandone gl’impotenti; e questo si fece subito e comunalmente
-bene: e però appresso la detta paga si raccolse un’altra volta a soldi
-trenta il danaio per modo, che in termine di due mesi, o in meno,
-ebbono contanti i fiorini centomila che si diedono all’imperadore,
-senza andare alcuni esattori per la città, o essere alcuno gravato
-per forza. È vero che leggi s’ordinarono per lo comune, che chi non
-pagasse la sega per se o altri per lui non potesse avere uficio di
-comune, nè dovesse essere udito in alcuno uficio in suo beneficio: e
-ordinò il comune, che catuno che prestasse danari di questa sega, fosse
-in certo tempo assegnato in su le sue gabelle con provvisione a dieci
-per centinaio l’anno: e per questo molti cittadini mobolati pagavano
-per chiunque volea dar loro alcuno vantaggio, e così gl’impotenti per
-piccola cosa che si cavavano di borsa trovavano chi pagava per loro
-e prendevano l’assegnamento. Il comune mantenne la fede di pagare a’
-termini ch’avea promesso, e però a molti cittadini era grande guadagno,
-e agli altri non era gravezza; e per questo, quanti danari fossono
-bisognati al comune avea senza alcuna fatica, e il merito che pagava
-tornava nelle mani de’ suoi cittadini, non però senza alcuna invidia.
-Abbianne fatta questa memoria per li tempi avvenire, a dimostrare
-quanto è utile al soccorso della repubblica mantenere il comune la
-fede a’ suoi cittadini, e quanto bene seguita al comune l’ordine di
-restituire le prestanze: perocchè nella nostra ricordanza è di veduta,
-che il comune soleva fare libbre ed imposte le quali generavano molte
-mortali nimicizie tra’ cittadini, perocchè si facevano disordinatamente
-sconce, e se pure ventimila fiorini imponeva il comune, più di cento
-case se n’abbattevano in Firenze, e recavansi i beni tra quelli de’
-rubelli per cessanti delle fazioni del comune, e i cittadini erano
-pegnorati o presi, e molti s’uscivano in bando per le dette cagioni, e
-gli esattori e’ messi se n’andavano per loro col quarto dell’imposta,
-in grave confusione della cittadinanza.
-
-
-CAP. LXXXIV.
-
-_L’ordine diede l’imperadore agli Aretini._
-
-Gli ambasciadori del comune d’Arezzo avendo sostenuto molte battaglie
-in giudicio da’ Tarlati e dagli Ubertini nell’udienza dell’imperadore e
-del suo consiglio, che domandavano di volere tornare nella loro città
-d’Arezzo, e avendoli gli ambasciadori convinti con ragione come non
-erano degni di tornare cittadini in quella città, dov’avevano per loro
-sfrenata potenza usate le tirannie manifeste e l’ingiuste operazioni,
-per le quali aveano per più riprese fatto manifesto all’imperadore e
-al suo consiglio, che quello comune sosterrebbe innanzi ogni altro
-pericolo di fortuna, che coloro consentissono di rimettere nella città
-sotto alcun patto. L’imperadore avendo assai sostenuto a riceverli in
-servigio de’ Tarlati e degli Ubertini, vedendo la giusta costanza degli
-ambasciadori, diliberò che tutti i cittadini non ribelli di quello
-comune raccomunassono gli ufici, e che tanti vi fossono de’ ghibellini
-quanto de’ guelfi; ma che le due castella della città si guardassono
-solo per i guelfi, com’erano usate di guardare, per più fermezza dello
-stato della città; e che catuno dovesse avere il frutto de’ suoi
-propri beni, e non potessono domandare altro a quello comune. Gli
-ambasciadori col sindacato del loro comune gli feciono la sommessione
-di quello comune e l’omaggio, promettendoli ogni anno per censo fiorini
-quattrocento d’oro del mese di marzo: e oltre a ciò gli donarono per
-aiuto alla sua coronazione fiorini cinquemila d’oro, e l’imperadore
-futuro per suoi privilegi reali privilegiò loro tutto il contado: e
-questo fu fatto nella città di Siena all’uscita del mese di marzo 1355.
-
-
-CAP. LXXXV.
-
-_Come fu preso Montepulciano dalla casa de’ Cavalieri._
-
-Essendo per lunga esperienza certificati messer Niccolò e messer
-Iacopo de’ Cavalieri di Montepulciano, che la loro discordia gli avea
-abbattuti della signoria, e cacciati in esilio della loro terra e della
-città di Siena, si ridussono a pace e a concordia; e innanzi che il
-bollore del popolo sanese s’acchetasse in fermo stato, messer Niccolò
-di volontà di messer Iacopo suo consorto tornò in Montepulciano,
-ricevuto da’ terrazzani che dentro v’erano con allegra faccia, perocchè
-volentieri tornavano al loro antico reggimento: nondimeno la rocca
-ch’era in mano e in guardia de’ Sanesi non potè avere. La novella
-venne a Siena di presente dov’era l’imperadore, e messer Iacopo de’
-Cavalieri ch’era di ciò avvisato, avendo in sua compagnia alquanti
-grandi uomini di Siena, incontanente fu in presenza dell’imperadore,
-e informollo pienamente del manifesto torto che il popolo di Siena
-avea fatto loro, non attenendo i patti nè le convenienze ch’aveano
-promesse per la corrotta fede de’ nove; e que’ grandi cittadini
-ch’erano con lui feciono chiaro l’imperadore che quello che diceva era
-in fatto vero: e però in quello stante, quanto ch’e’ s’avesse altro in
-cuore, disse ch’era contento che tenessono la terra di Montepulciano
-come suoi vicari; e il terzo dì appresso, cavalcando l’eletto verso
-Roma, volle andare a desinare nella terra. I signori allegramente
-gli apparecchiarono la desinea; e com’ebbe mangiato ne menò seco a
-Roma l’uno e l’altro, e nella terra mise altra gente alla guardia: ed
-essendo in Roma, e sentendo alcuna cosa contro a messer Niccolò, o
-che per sospetto si movesse, il fece citare, ed egli ingelosito per
-sospetto della sua persona si partì di Roma, senza comparire e senza
-prendere comiato.
-
-
-CAP. LXXXVI.
-
-_Come il papa riprese in concistoro certi dissoluti cardinali._
-
-Il cardinale di Pelagorga di Guascogna baldanzoso e superbo, non meno
-per la potenza dei suo legnaggio che per lo cappello rosso, oltre a
-molte grandi e sconce cose fatte per la sua arroganza, singolari nella
-corte di Roma, in questi dì del mese di marzo, nella santa Quaresima,
-essendo per loro bisogne venuti a corte nella città d’Avignone alquanti
-cavalieri guasconi, disordinati, della setta sua e di suo lignaggio,
-senz’altra singolare cagione ne fece uccidere tre, che niuna guardia
-si pensavano avere a fare, non guardando alla reverenza de’ pastori
-di santa Chiesa, nè a’ santi giorni quaresimali. E altri giovani
-fatti cardinali per papa Clemente erano stati, e in questi dì erano
-in tanta disonesta e dissoluta vita, che niuni giovani dissoluti
-tiranni gli avanzavano: e intra l’altre cose (con vergogna il dico)
-facevano nella città a’ loro scudieri rapire le giovani donne a’ loro
-mariti manifestamente, e senza vergogna le teneano palesi nelle loro
-livree; e molte cose violenti usavano in vituperio di santa Chiesa.
-Onde papa Innocenzio sesto udendo molta infamia nella corte di questi
-cardinali, facendo dell’edima santa singolare consistoro per questa
-cosa, li riprese in pubblico aspramente, dicendo: Voi vi portate sì
-dissolutamente in vituperio di santa Chiesa, che mi conducerete a
-essere in parte, ch’io farò abbassare la vostra superbia; minacciandoli
-di tornare la corte in Italia: ma poco se n’ammendarono; e il tempo non
-era ancora ordinato da Dio di tornare alla sedia apostolica di Roma i
-suoi pontefici per l’antico peccato de’ prelati italiani, che ancora
-non si mostravano soperchiati dagli oltramontani.
-
-
-CAP. LXXXVII.
-
-_Di alcuna novità di Pisa per gelosia._
-
-Essendo l’imperadore a Siena, era in Pisa rimaso un suo vicario con
-seicento cavalieri tedeschi: i Pisani per le divisioni e per l’invidia
-delle loro sette mormoravano l’uno contro l’altro, e catuno contro
-all’imperadore. Il vicario per reprimere la volontà de’ malcontenti, e
-per accrescersi favore del minuto popolo ch’era tutto imperiale, a dì
-29 di marzo 1355 fece improvviso a’ Pisani di subito armare tutte le
-sue masnade tedesche, e con loro insieme corse tutta la città gridando,
-viva l’imperadore, e il popolo rispondea per tutte le contrade, viva
-l’imperadore; e senza alcuna altra novità fare s’acquetarono: e tornati
-a’ loro alberghi puosono giuso l’armi, e a’ Pisani delle sette crebbe
-il mal volere contro all’imperadore.
-
-
-CAP. LXXXVIII.
-
-_Della gente che i Fiorentini mandarono con l’imperadore._
-
-L’eletto imperadore volendo andare a prendere la corona a san Piero
-a Roma, si pensò, che non ostante la sua copiosa compagnia, grande
-sicurtà gli sarebbe per tutto ad avere in sua condotta l’insegna del
-comune di Firenze, e alla guardia della sua persona de’ suoi cittadini
-con parte della loro gente d’arme; e però richiese i Fiorentini che
-gli mandassono de’ loro cavalieri dugento con l’insegna del comune, e
-con alcuni cittadini alla sua compagnia. Il comune elesse di presente
-due cittadini, uno grande e uno popolare, ambedue cavalieri, e dugento
-barbute di gente eletta molto bene montati e armati nobilemente, e bene
-guerniti di robe e d’arnesi, e diedono l’insegna del popolo, il giglio
-e il rastrello, senza alcuna aguglia: e giunti a Siena, l’imperadore
-li ricevette graziosamente, e costituilli alla guardia del suo corpo,
-perocchè gran confidanza avea de’ Fiorentini, e tra tutta sua gente
-non avea altrettanti cavalieri sì bene a cavallo nè sì bene armati:
-e in sua compagnia andarono, e stettono, e tornarono da Roma infino
-alla città di Siena, e ivi licenziati dall’imperadore si tornarono a
-Firenze. Abbiamo di questa lieve cosa fatta memoria, non tanto per lo
-fatto, quanto che fu cosa disusata e strana per lunghi tempi passati,
-vedere l’insegna del comune di Firenze a guardia dell’imperadore.
-
-
-CAP. LXXXIX.
-
-_Come l’imperadore si partì da Siena._
-
-Avendo l’imperadore veduto la subita revoluzione fatta per i cittadini
-di Siena, d’avere disfatto e abbattuto il loro antico reggimento e
-l’ordine de’ nove, avendo di presente ad essere a Roma il dì della
-Pasqua della santa Resurrezione a dì 5 d’aprile, prese sospetto di
-lasciarla in libertà, e lasciovvi l’arcivescovo di Praga cui n’avea
-fatto vicario, prelato di grande autorità, e sperto delle cose del
-mondo, e pro’ e ardito in fatti d’arme, e in sua compagnia e per suo
-consiglio lasciò il signore di Cortona, e i Tarlati d’Arezzo, e’ conti
-da Santafiore, e più altri caporali di parte ghibellina, mostrando più
-confidanza in loro che nelle case guelfe di Siena, che liberamente
-gli aveano data la signoria di quella città: per la qual cosa i
-gentili uomini di quella terra e i popolani grassi molto si turbarono
-e rimasono malcontenti, benchè in apparenza allora non ne feciono
-dimostrazione; e a dì 28 di marzo 1355 l’eletto si partì da Siena, e
-seguitò a gran giornate il suo viaggio, e infino alla sua tornata i
-Sanesi vivettono senza niuno loro ordine sotto il volontario reggimento
-del vicario.
-
-
-CAP. XC.
-
-_Della gran compagnia ch’era in Puglia._
-
-In questo tempo, all’entrare d’aprile del detto anno, la compagnia
-del conte di Lando era cresciuta nel Regno in quattromila barbute, e
-in molti masnadieri, e in grande popolo di bordaglia, e tenendo loro
-campi sopra Nocera e sopra Foggia correvano la Puglia piana predando
-e pigliando uomini e femmine, e bestiame e roba ovunque ne poteano
-giungnere, e strignevano per paura i casali e le ville a portare
-vittuaglia al campo. Nel paese faceano danno assai; ma niuna terra
-murata poterono acquistare, perocchè non aveano argomenti da vincerle
-per battaglia, e per la fede ch’aveano rotta a quelli del Guasto quando
-si dierono loro, niuna terra si volea più confidare alle loro promesse,
-ma tutte s’erano armate e afforzate alla difesa. Stando la compagnia
-per questo modo in Puglia, il re Luigi poco mostrava che si curasse
-della compagnia, e meno del danno de’ suoi sudditi, con mancamento
-di suo onore, perocchè nè aiuto nè consiglio dava loro: ma in questi
-dì mandò messer Niccola Acciaiuoli di Firenze suo grande siniscalco
-al legato, per trattare pace da lui a messer Malatesta da Rimini, e
-ambasciadore all’imperadore, e appresso al comune di Firenze, per
-avere da catuno aiuto di gente contro alla compagnia, e per sentire
-la volontà e ’l processo dell’imperadore: ma da se nel Regno niuna
-provvisione fece, fuori che festeggiare e danzare con le donne, in
-detrimento della sua fama.
-
-
-CAP. XCI.
-
-_Come il gran siniscalco cambiò sua fama in Firenze._
-
-Noi avremmo volontieri trapassato quello che seguita senza memoria,
-se senza potere essere incolpato d’adulazione per tacere l’avessimo
-potuto fare. Il grande siniscalco del re Luigi partitosi dalle mollizie
-del suo signore, e inviscato da quelle, venne al legato in Romagna,
-e cercato secondo la commissione a lui fatta dal re Luigi di tentare
-la pace dal legato a messer Malatesta da Rimini, non ebbe autorità di
-poterla in alcuno atto disporla: e partitosi dal legato, venne a Siena
-all’imperadore, e spuosegli la sua ambasciata, dal quale fu ricevuto
-graziosamente per amore del re, e ancora della sua persona, perocch’era
-cittadino popolare di Firenze, e vedevalo montato in cotanta dignità, e
-a Roma il menò con seco, e fu alla sua coronazione: e tornato a Siena
-con lui senza avere impetrata alcuna cosa di sua domanda, se ne venne
-a Firenze del mese d’aprile del detto anno, con grande comitiva di
-baroni e di cavalieri napoletani, giovani ornati di diverse e strane
-portature, e abiti di loro robe, con maravigliosi paramenti d’oro e
-d’argento, e di pietre preziose e di perle, e in Firenze cominciò a
-fare molti conviti, e continovolli lungamente in città e in contado,
-avendo le giovani donne le quali faceva invitare con grande istanza
-sera e mattina a’ suoi corredi, e tutto dì le tenea in danza e in festa
-co’ suoi cavalieri; le quali femminili mollizie molto nella patria
-indebolirono la sua fama; e considerando i cittadini il tempo nel
-quale la compagnia tribolava il Regno, e le novità dell’imperadore,
-e le mutazioni degli stati delle città e delle terre di Toscana, e
-la nuova gravezza, e sollecita provvedenza e guardia ch’avea il suo
-comune di Firenze, facevano manifesto che allora bisognavano cose
-virtuose e virili, e non disoneste mollezze di donne. Crediamo che il
-male esempio del suo signore, e la vanità che ’l movea a accattare
-benevolenza de’ giovani e vani baroni e cavalieri ch’erano con lui gli
-feciono dimenticare le sue usate virtù, e la fortezza del suo animo. E
-per merito di questo, avendo domandato al suo comune per parte del re
-alcuno sussidio di gente d’arme contro alla compagnia, cosa che altra
-volta si sarebbe fatta senza domandare, per più riprese gli fu negata;
-potendo conoscere che poco onore della sua città riportò al re suo
-signore contra l’usato modo: e dove la sua persona era per addietro
-nominatissima in altezza d’animo e in molte virtù, per la vana mollezza
-femminile, a questa volta nella sua patria recò in memoria de’ suoi
-cittadini la detestabile vita di Sardanapalo.
-
-
-CAP. XCII.
-
-_Come l’imperadore giunse a Roma._
-
-Carlo nominato nel battesimo Vincislao, figliuolo del re Giovanni,
-figliuolo dell’imperadore Arrigo di Luzimborgo re di Boemia, eletto
-imperadore, giunto a Roma il giovedì santo, entrò nella città
-sconosciuto, e a modo di romeo vestito di panno bruno con molti suoi
-baroni, e andò il venerdì e il sabato santo a vicitare le principali
-chiese di Roma in forma di pellegrino, e per modo che da niuno
-forestiero o paesano potea essere conosciuto chi fosse l’imperadore:
-e la mattina innanzi dì, vegnente la Resurrezione, uscì di Roma con
-la maggiore parte della sua gente, per entrare la mattina della
-santa Pasqua palesemente in Roma, per venire alla sua coronazione
-manifestamente. Il popolo di Roma per ordine de’ loro Rioni, co’ suoi
-principi e con tutto il chericato con solenne processione gli uscirono
-incontro fuori della città, e trovaronlo apparecchiato; e fattogli la
-debita salutazione e reverenza, con somma allegrezza e festa, e con
-grande moltitudine di cavalieri romani e paesani e strani, oltre alla
-sua cavalleria, condussono lui innanzi e l’imperatrice appresso nella
-città di Roma, e menaronlo alla Basilica del principe degli Apostoli
-san Piero, la mattina innanzi la messa, e là smontati. Qui si faccia
-fine al nostro quarto libro, per fare cominciamento al quinto della sua
-coronazione.
-
-
-
-
-TAVOLA DEI CAPITOLI
-
-
- _Qui comincia il terzo libro della Cronica di Matteo
- Villani; e prima il Prologo_ Pag. 5
- _CAP. II. La potenza dell’arcivescovo di Milano, e il
- procaccio fece a corte per la sua liberazione_ 6
- _CAP. III. Come papa Clemente sesto propose tre cose
- a’ comuni di Toscana, perchè pigliassono l’una_ 9
- _CAP. IV. Come il papa e’ cardinali annullarono i processi
- contro all’arcivescovo_ 10
- _CAP. V. Come gli ambasciadori de’ Toscani si partirono
- di corte mal contenti_ 11
- _CAP. VI. Come i tre comuni di Toscana s’accordarono
- a far passare l’imperadore_ 12
- _CAP. VII. Quali furono i patti dall’imperadore a’ tre
- comuni_ 13
- _CAP. VIII. Come il re Luigi e la reina Giovanna furono
- coronati per la Chiesa_ 15
- _CAP. IX. Commendazione in laude di messer Niccola
- Acciaiuoli_ 17
- _CAP. X. Come fu cacciato messer Iacopo Cavalieri di
- Montepulciano._ 20
- _CAP. XI. Come si die’ il guasto a Bibbiena, e sconfitti
- i Tarlati da’ Fiorentini_ 21
- _CAP. XII. Come si rubellò a’ Fiorentini Coriglia e
- Sorana_ 23
- _CAP. XIII. Come i tre comuni di Toscana mandarono
- ambasciadori in Boemia a far muovere l’imperadore_ 24
- _CAP. XIV. Di disusati tempi stati_ 25
- _CAP. XV. Dell’inganno ricevette il comune di Firenze
- del braccio di santa Reparata_ 27
- _CAP. XVI. Di quello medesimo_ 28
- _CAP. XVII Come la gente del Biscione cavalcarono
- i Perugini_ 29
- _CAP. XVIII. Come i Romani andarono per guastare
- Viterbo_ 31
- _CAP. XIX. Come il re Luigi ebbe Nocera_ 32
- _CAP. XX. Come fu sconfitto il conte di Caserta_ 33
- _CAP. XXI. La novità in Casole di Volterra_ 34
- _CAP. XXII. Come furono decapitati degli Ardinghelli
- di Sangimignano_ 34
- _CAP. XXIII. Come gente del re di Francia fu sconfitta
- a Guinisi_ 35
- _CAP. XXIV. Come i Perugini assediarono Bettona_ 37
- _CAP. XXV. Come fu liberato Montecchio dall’assedio
- per soccorrere Bettona_ 38
- _CAP. XXVI. Come i Perugini ebbono Bettona e arsonla,
- e disfeciono affatto_ 39
- _CAP. XXVII. Come la città d’Agobbio s’accordò
- co’ Perugini_ 41
- _CAP. XXVIII. Come ser Lallo s’accordò con il re Luigi
- dell’Aquila_ 41
- _CAP. XXIX. Come i Perugini e’ Fiorentini tornarono
- a guastare Cortona_ 42
- _CAP. XXX. Come gli ambasciadori de’ tre comuni di
- Toscana tornarono dall’imperadore senza accordo_ 43
- _CAP. XXXI. Come l’arcivescovo cercava pace co’ Toscani_ 44
- _CAP. XXXII. Come il prefetto da Vico fu fatto signore
- d’Orvieto_ 45
- _CAP. XXXIII. Novità state a Roma_ 46
- _CAP. XXXIV. Come la gente del Biscione assediarono
- la Città di Castello_ 47
- _CAP. XXXV. Come i Fiorentini soccorsono Barga e
- sconfissono i Castracani_ 47
- _CAP. XXXVI. Come si difese il borgo d’Arezzo per
- i Fiorentini_ 48
- _CAP. XXXVII. D’un segno mirabile ch’apparve_ 49
- _CAP. XXXVIII. Come i Tarlati arsono il borgo di
- Figghine_ 50
- _CAP. XXXIX. Come gli usciti di Montepulciano venuti
- alla terra ne furono poi cacciati_ 52
- _CAP. XL. Come fra Moriale fu assediato, e rendessi
- al re Luigi_ 53
- _CAP. XLI. Come i Fiorentini fornirono Lozzole_ 54
- _CAP. XLII. Maraviglie fatte a Roma per una folgore_ 56
- _CAP. XLIII. Come morì papa Clemente sesto, e di sue
- condizioni_ 57
- _CAP. XLIV. Come fu fatto papa Innocenzio sesto_ 59
- _CAP. XLV. Come usciti di prigione i reali del Regno
- s’arrestarono a Trevigi_ 60
- _CAP. XLVI. Di novità state in Sangimignano_ 61
- _CAP. XLVII. Come i comuni di Toscana mandarono
- solenni ambasciadori a Serezzana a trattare pace_ 63
- _CAP. XLVIII. Di grandi tremuoti vennono in Toscana
- e in altre parti_ 63
- _CAP. XLIX. Come i Sanesi andarono a oste a Montepulciano_ 65
- _CAP. L. Come Gualtieri Ubertini fu decapitato_ 66
- _CAP. LI. Come il duca d’Atene assediò Brandizio_ 67
- _CAP. LII. Come i Perugini feciono pace co’ Cortonesi_ 68
- _CAP. LIII. Come il popolo di Gaeta uccisono dodici
- loro cittadini per la carestia ch’aveano_ 69
- _CAP. LIV. Come il papa volle trattare pace da’ Genovesi
- a’ Veneziani_ 70
- _CAP. LV. Come i Fiorentini osteggiaro Sangimignano,
- e fecionli ubbidire_ 71
- _CAP. LVI. Come in Italia fu generale carestia_ 72
- _CAP. LVII. Come i Romani uccisono colle pietre Bertoldo
- degli Orsini loro senatore_ 73
- _CAP. LVIII. Come fu tagliata la testa a Bordone
- de’ Bordoni_ 74
- _CAP. LIX. Come si pubblicò la pace dall’arcivescovo
- a’ comuni di Toscana_ 75
- _CAP. LX. L’inganno ricevette il comune di Firenze
- dagli sbanditi_ 77
- _CAP. LXI. Di questa medesima materia_ 79
- _CAP. LXII. Come messer Piero Sacconi de’ Tarlati
- tentò di fare grande preda innanzi che fosse
- bandita la pace_ 80
- _CAP. LXIII. Come il corpo di messer Lorenzo Acciaiuoli
- fu recato del Regno a Firenze, e seppellito a
- Montaguto a Certosa onoratamente_ 81
- _CAP. LXIV. Come si fe’ l’accordo da’ Sanesi a Montepulciano_ 83
- _CAP. LXV. D’una notabile grandine venuta in Lombardia,
- e d’altro_ 84
- _CAP. LXVI. Come sotto le triegue procedettono le
- cose in Francia_ 85
- _CAP. LXVII. Come i Genovesi spregiarono la pace
- de’ Veneziani_ 86
- _CAP. LXVIII. Come i Veneziani si provvidono_ 87
- _CAP. LXIX. Come fu guasto il castello di Picchiena,
- e perchè_ 88
- _CAP. LXX. Come Ruberto d’Avellino fu morto dalla
- duchessa sua moglie_ 89
- _CAP. LXXI. Come furono cacciati i ghibellini del Borgo_ 90
- _CAP. LXXII. Di quattro leoni di macigno posti al
- palagio de’ priori_ 91
- _CAP. LXXIII. Come Sangimignano fu recato a contado
- di Firenze_ 91
- _CAP. LXXIV. D’un segno apparve in cielo_ 94
- _CAP. LXXV. Come fu assediata Argenta_ 94
- _CAP. LXXVI. Come si temette in Toscana di carestia_ 96
- _CAP. LXXVII. Come in Messina fu morto il conte
- Mazzeo de’ Palizzi a furore, e la moglie e due figliuoli_ 97
- _CAP. LXXVIII. Come fu creato nuovo tribuno in Roma_ 99
- _CAP. LXXIX. Come furono sconfitti in mare i Genovesi
- alla Loiera_ 101
- _CAP. LXXX. Come i Catalani perderono loro terre
- in Sardegna_ 106
- _CAP. LXXXI. Come il prefetto venne a oste a Todi_ 107
- _CAP. LXXXII. Come fu presa e lasciata Vicorata_ 108
- _CAP. LXXXIII. Come il conte di Caserta si rubellò dal
- re Luigi_ 109
- _CAP. LXXXIV. Come il cardinale legato venne a Firenze_ 111
- _CAP. LXXXV. Rinnovazione del palio di santa Reparata_ 112
- _CAP. LXXXVI. Come i Genovesi si misono in servaggio
- dell’arcivescovo_ 114
- _CAP. LXXXVII. Come i Pisani feciono confinati_ 115
- _CAP. LXXXVIII. Come i Sanesi ruppono i patti a
- Montepulciano_ 117
- _CAP. LXXXIX. Come si cominciò la gran compagnia
- nella Marca_ 118
- _CAP. XC. Dice de’ leoni nati in Firenze_ 119
- _CAP. XCI. Come i Romani si dierono alla Chiesa di
- Roma_ 120
- _CAP. XCII. Le novità seguite in Pistoia_ 121
- _CAP. XCIII. Come l’arcivescovo richiese di pace i
- Veneziani_ 122
- _CAP. XCIV. Come i Veneziani ordinarono lega contro
- al Biscione_ 123
- _CAP. XCV. Come il conestabile di Francia fu morto_ 124
- _CAP. XCVI. Come si cominciò la rocca in Sangimignano,
- e la via coperta a Prato_ 126
- _CAP. XCVII. Del male stato dell’isola di Sicilia_ 126
- _CAP. XCVIII. Come il legato del papa procedette col
- prefetto_ 127
- _CAP. XCIX. Come si rubellò Verona al Gran Cane
- per messer Frignano_ 129
- _CAP. C. Come messer Bernabò con duemila barbute
- si credette entrare in Verona_ 132
- _CAP. CI. Come messer Gran Cane racquistò Verona,
- e fu morto messer Frignano_ 136
- _CAP. CII. Come messer Gran Cane riformò la città
- di Verona, e fece giustizia de’ traditori_ 136
- _CAP. CIII. Come fu deliberato per la Chiesa l’avvenimento
- dell’imperadore in Italia_ 138
- _CAP. CIV. D’un gran fuoco ch’apparve nell’aria_ 139
- _CAP. CV. Di tremuoti che furono_ 140
- _CAP. CVI. De’ fatti del monte_ 141
- _CAP. CVI. Di certe rivolture di tiranni di Lombardia,
- e di più cose per lo tradimento di Verona_ 144
- _CAP. CVII. Del processo della grande compagnia di
- fra Moriale della Marca_ 145
- _CAP. CVIII. Come il legato prese Toscanella_ 147
- _CAP. CIX. Come messer Malatesta si ricomperò dalla
- compagnia_ 148
- _CAP. CX. D’un fanciullo mostruoso nato in Firenze_ 151
- _CAP. CXI. Come furono cacciati i guelfi di Rieti e
- da Spoleto_ 151
-
- LIBRO QUARTO
-
- _CAP. I. Comincia il quarto libro, e prima il Prologo_ 153
- _CAP. II. Comparazione dal re Ruberto al re Luigi_ 154
- _CAP. III. Come gran parte dell’isola di Cicilia venne
- all’ubbidienza del re Luigi_ 155
- _CAP. IV. Come l’arcivescovo cominciò guerra contro
- a’ collegati di Lombardia_ 157
- _CAP. V. Come il re d’Ungheria passò con grande
- esercito contra un re de’ Tartari_ 157
- _CAP. VI. De’ grilli ch’abbondarono in Barberia e poi
- in Cipri_ 159
- _CAP. VII. D’una notabile maraviglia della reverenza
- della tavola di santa Maria in Pineta_ 160
- _CAP. VIII. Come il vicario di Bologna mandò l’oste
- sopra Modena con due quartieri di Bologna_ 162
- _CAP. IX. Come il legato e i Romani guastarono il
- contada di Viterbo._ 162
- _CAP. X. Come il prefetto s’arrendè al legato liberamente_ 163
- _CAP. XI. Come il popolo di Bologna si levò a
- romore per avere loro libertà, e fu in maggiore
- servaggio._ 165
- _CAP. XII. Come fu tolta l’arme al popolo di Bologna_ 168
- _CAP. XIII. Come il legato ebbe la città d’Agobbio_ 169
- _CAP. XIV. Come i Perugini non tennono fede a’ Fiorentini
- e’ Sanesi_ 170
- _CAP. XV. Come procedettono i rettori di Firenze in
- questa sopravvenuta tempesta della compagnia di
- fra Moriale_ 173
- _CAP. XVI. Come si provvedde a Firenze contra la
- compagnia_ 175
- _CAP. XVII. Come fu morto messer Lallo_ 176
- _CAP. XVIII. Come il re di Spagna cacciata la non
- vera moglie coronò la legittima_ 178
- _CAP. XIX. Come i collegati di Lombardia condotta
- la compagnia mandarono all’imperadore_ 181
- _CAP. XX. Come i Bordoni furono cacciati di Firenze,
- e sbanditi per ribelli_ 182
- _CAP. XXI. Come il re d’Araona venne con grande
- armata a racquistare Sardegna_ 183
- _CAP. XXII. Come i Genovesi feciono armata contro
- a’ Veneziani e Catalani_ 184
- _CAP. XXIII. Come il tribuno di Roma fece tagliare
- la testa a fra Moriale_ 186
- _CAP. XXIV. D’una sformata grandine venuta a Mompelieri,
- e della scurazione del sole_ 188
- _CAP. XXV. Come morì l’arcivescovo di Milano_ 189
- _CAP. XXVI. Come il tribuno di Roma fu morto a
- furia di popolo_ 190
- _CAP. XXVII. Come l’imperadore Carlo venne in Lombardia_ 192
- _CAP. XXVIII. Come i tre fratelli de’ Visconti di Milano
- furono fatti signori, e loro divise_ 194
- _CAP. XXIX. Come l’imperadore stando a Mantova
- trattava la pace de’ Lombardi_ 195
- _CAP. XXX. Come furono presi i legni ch’andavano
- a Palermo_ 197
- _CAP. XXXI. Come si cominciò guerra il Puglia tra loro._ 198
- _CAP. XXXII. Come i Genovesi sconfissono i Veneziani
- a Portolungone in Romania_ 199
- _CAP. XXXIII. Come Gentile da Mogliano diede fermo
- al legato_ 203
- _CAP.XXXIV. Come il re d’Araona ebbe la Loiera,
- e fece accordo col giudice_ 204
- _CAP. XXXV. Come i Pisani si diliberarono di mandare
- all’imperatore_ 206
- _CAP. XXXVI. Rottura della pace del re di Francia
- e d’Inghilterra_ 207
- _CAP. XXXVII. Come un gatto uccise un fanciullo in
- Firenze_ 208
- _CAP. XXXVIII. Come l’imperadore fe’ fare triegua
- da’ Lombardi a’ signori di Milano_ 209
- _CAP. XXXIX. Come l’imperadore andò a Moncia per
- la corona del ferro_ 211
- _CAP. XL. Come il conte di Lando venne di Lombardia
- in Romagna con la gran compagnia_ 214
- _CAP. XLI. Come i Fiorentini per la venuta dell’imperadore
- a Pisa si provvidono_ 215
- _CAP. XLII. Come il legato prese Recanati_ 217
- _CAP. XLIII. Come il capitano di Forlì venne in Firenze_ 218
- _CAP. XLIV. Come l’imperadore Carlo giunse a Pisa_ 219
- _CAP. XLV. Come l’imperadore bandì parlamento in
- Pisa, e quello n’avvenne_ 220
- _CAP. XLVI. Come l’imperadore di Costantinopoli racquistò
- l’imperio_ 221
- _CAP. XLVII. Come i Matraversi di Pisa feciono muovere
- l’imperadore_ 223
- _CAP. XLVIII. Come procedettono i fatti in Pisa_ 224
- _CAP. XLIX. Come gli ambasciadori del comune di Firenze
- andaro all’imperadore_ 225
- _CAP. L. Di novità stata in Montepulciano_ 226
- _CAP. LI. Come le sette di Pisa si pacificarono insieme_ 227
- _CAP. LII. Come Gentile da Mogliano si ritolse la città di
- Fermo_ 229
- _CAP. LIII. Come gli ambasciadori de’ Fiorentini e’ Sanesi
- furono ricevuti dall’imperadore_ 231
- _CAP. LIV. Come i Sanesi scopriro la loro corrotta fede
- contro a’ Fiorentini_ 232
- _CAP. LV. De’ falli commessi per lo comune di Firenze,
- e degl’inganni ricevuti da’ suoi vicini_ 235
- _CAP. LVI. Di molti Alamanni venuti alla coronazione
- dell’imperadore_ 237
- _CAP. LVII. Di novità della Marca per Recanati_ 238
- _CAP. LVIII. Come la gran compagnia del conte di Lando
- entrò nel Regno_ 239
- _CAP. LIX. Come l’imperadore andò a Lucca_ 240
- _CAP. LX. Come al Galluzzo nacque un fanciullo mostruoso_ 241
- _CAP. LXI. De’ fatti di Siena con l’imperadore_ 242
- _CAP. LXII. Di più imbasciate ghibelline state in presenza
- dell’imperadore_ 245
- _CAP. LXIII. Come i Volterrani si dierono all’imperadore_ 247
- _CAP. LXIV. Come i Samminiatesi si dierono all’imperadore_ 248
- _CAP. LXV. Di disusato tempo stato nel verno_ 249
- _CAP. LXVI. Come il segreto giurato in Firenze fu
- manifestato all’imperadore_ 250
- _CAP. LXVII. Come l’imperadore mandò aiuto di gente
- al legato_ 252
- _CAP. LXVIII. Trattati dall’imperadore a’ Fiorentini_ 253
- _CAP. LXIX. Raccolti falli de’ governatori del comune di
- Firenze_ 254
- _CAP. LXX. Come a Firenze si fece il sindacato per
- l’accordo con l’imperadore_ 256
- _CAP. LXXI. Quello si fe’ per alcuno cardinale per la
- coronazione dell’imperadore_ 258
- _CAP. LXXII. Come si fermò l’accordo e’ patti
- dall’imperadore al comune di Firenze_ 259
- _CAP. LXXIII. Come i Fiorentini per mala provvedenza
- errarono a loro danno_ 262
- _CAP. LXXIV. Della statura e continenza dell’imperadore_ 263
- _CAP. LXXV. Come si bandì in Firenze l’accordo con
- l’imperadore_ 265
- _CAP. LXXVI. I patti e le convenienze da’ Fiorentini
- all’imperadore_ 266
- _CAP. LXXVII. Come fu offesa la libertà del popolo di
- Roma da’ Toscani_ 260
- _CAP. LXXVIII. Di quello medesimo_ 270
- _CAP. LXXIX. Come la gran compagnia rubò il Guasto
- in Puglia_ 272
- _CAP. LXXX. Come l’imperadore richiese di lega i Fiorentini,
- e non l’ebbe_ 273
- _CAP. LXXXI. Come si mutò lo stato de’ nove di Siena_ 275
- _CAP. LXXXII. Di quello medesimo_ 276
- _CAP. LXXXIII. Il modo trovò il comune di Firenze
- per avere danari_ 277
- _CAP. LXXXIV. L’ordine diede l’imperadore agli Aretini_ 279
- _CAP. LXXXV. Come fu preso Montepulciano dalla casa
- de’ Cavalieri_ 281
- _CAP. LXXXVI. Come il papa riprese in concistoro certi
- dissoluti cardinali_ 282
- _CAP. LXXXVII. Di alcuna novità di Pisa per gelosia_ 283
- _CAP.LXXXVIII. Della gente che i Fiorentini mandarono
- con l’imperadore_ 284
- _CAP. LXXXIX. Come l’imperadore si partì da Siena_ 285
- _CAP. XC. Della gran compagnia ch’era in Puglia_ 286
- _CAP. XCI. Come il gran siniscalco cambiò sua fama in
- Firenze_ 287
- _CAP.XCII. Come l’imperadore giunse a Roma_ 289
-
-
-
-
- ERRORI CORREZIONI
-
- TOMO SECONDO
-
- p. 36 v. 15 sbarrattati sbarattati
- — 48 — 17 a’ prigioni a prigioni
- — 121 — 19 uomini della uomini, della
- — 125 — 10 Avenne Avvenne
- — 175 — 27 d’oro gli d’oro. Gli
- — 254 — 19 ehe si che si
-
-
-
-
-
-Nota del Trascrittore
-
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
-senza annotazione minimi errori tipografici. Le correzioni indicate in
-fine libro sono state riportate nel testo.
-
-*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK CRONICA DI MATTEO VILLANI, VOL.
-II ***
-
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-<div lang='en' xml:lang='en'>
-<p style='text-align:center; font-size:1.2em; font-weight:bold'>The Project Gutenberg eBook of <span lang='it' xml:lang='it'>Cronica di Matteo Villani, vol. II</span>, by Matteo Villani</p>
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and
-most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions
-whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms
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-</div>
-</div>
-
-<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Title: <span lang='it' xml:lang='it'>Cronica di Matteo Villani, vol. II</span></p>
-<p style='display:block; margin-left:2em; text-indent:0; margin-top:0; margin-bottom:1em;'><span lang='it' xml:lang='it'>A miglior lezione ridotta coll&#039;aiuto de&#039; testi a penna</span></p>
-<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Author: Matteo Villani</p>
-<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Editor: Ignazio Moutier</p>
-<p style='display:block; text-indent:0; margin:1em 0'>Release Date: January 29, 2023 [eBook #69899]</p>
-<p style='display:block; text-indent:0; margin:1em 0'>Language: Italian</p>
- <p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em; text-align:left'>Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images made available by the Bayerische Staatsbibliothek)</p>
-<div style='margin-top:2em; margin-bottom:4em'>*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK <span lang='it' xml:lang='it'>CRONICA DI MATTEO VILLANI, VOL. II</span> ***</div>
-
-<div class="booktitle">
-<h1>
-CRONICA<br>
-DI<br>
-MATTEO VILLANI<br><br>
-TOMO II.
-</h1>
-</div>
-
-<hr class="silver">
-
-<div class="titlepage">
-<p class="main-t">
-CRONICA
-</p>
-
-<p class="pad2 small">DI</p>
-
-<p class="pad1 x-large">
-MATTEO<br>
-<span class="g">VILLANI</span>
-</p>
-
-<p class="pad2">
-A MIGLIOR LEZIONE RIDOTTA<br>
-coll’aiuto<br>
-DE’ TESTI A PENNA
-</p>
-
-<p class="pad1 large">
-TOMO II.
-</p>
-
-<p class="pad4">
-FIRENZE<br>
-PER IL MAGHERI<br>
-1825
-</p>
-</div>
-
-<div class="somm">
-<hr>
-<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p>
-<hr>
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span>
-</p>
-
-<h2 id="libro3">LIBRO TERZO
-<span class="smaller"><i>Qui comincia il terzo libro della Cronica di
-Matteo Villani; e prima il Prologo.</i></span></h2>
-
-<h3 id="cap1-3">CAPITOLO PRIMO</h3>
-</div>
-
-<p>
-Rendendo spesso testimonianza delle mutevoli
-cose del mondo ogni stato umano, non è da pensare
-cosa maravigliosa quella che ha fatto maravigliare
-ne’ nostri dì ovunque la sua fama aggiunse. E domandando
-la debita materia di fare cominciamento
-al terzo libro, possiamo con ragione dire, che la
-corona dell’imperiale maestà e il suo regno, alla
-quale dipendea la monarchia dell’universo,
-era Roma coll’italiana provincia, delle provincie
-della quale ne’ nostri tempi la città di Firenze,
-Perugia e Siena, seguendo alcune orme di
-quella, per li tempi avversi dello sviato imperio,
-in segno della romana libertà, avendo veduto
-per li tempi passati l’incostanza degl’imperadori
-alamanni avere in Italia generate e accresciute
-tirannesche suggezioni di popoli, hanno
-mantenuto la franchigia e la libertà discesa in
-loro dall’antico popolo romano: e zelanti di non
-<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span>
-sostenere quella a tirannia, molte volte per diversi
-e lunghi tempi apparvono contradi all’imperiale
-suggezione, intanto che non si poteva in
-questi popoli sostenere senza sospetto, senza
-pericolo e senza infamia il raccontamento dell’imperiale
-nome. E come subitamente gli animi
-di que’ popoli e de’ loro rettori per paura del potente
-tiranno arcivescovo di Milano si cambiarono,
-procurando l’amistà e l’avvenimento in Italia
-di messer Carlo re di Boemia eletto imperadore,
-i movimenti già narrati, e le operazioni che
-appresso ne seguirono, seguendo nostro trattato il
-dimostreremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap2-3">CAP. II.
-<span class="smaller"><i>La potenza dell’arcivescovo di Milano, e il
-procaccio fece a corte per la sua
-liberazione.</i></span></h3>
-
-<p>
-Era in questo tempo potentissimo e temuto
-signore messer Giovanni de’ Visconti arcivescovo
-di Milano, sotto la cui signoria si reggea la nobile
-e grande città di Milano, e l’antica e famosa
-città di Bologna, Cremona, Lodi, Parma, Piacenza,
-Brescia, Moncia, Bergamo, Como, Asti,
-Alessandria della paglia, Tortona, Alba, Novara,
-Vercelli, Bobbio, Crema, e più altre città e terre
-nelle montagne di verso la Magna, co’ loro contadi
-ville e castella; e i signori di Pavia, ch’erano
-que’ di Beccheria, l’ubbidivano come signore,
-benchè la città fosse al loro governamento.
-In Toscana aveva acquistato il Borgo a san Sepolcro,
-<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span>
-e il castello d’Anghiari e altre castella
-d’intorno. E accomandati e ubbidienti gli erano
-Cortona, Orvieto, Cetona, Agobbio, i Tarlati
-usciti d’Arezzo, gli Ubaldini, i Pazzi di Valdarno,
-gli Ubertini, e que’ da Faggiuola; e i conti
-da Montefeltro, e de’ conti Guidi dal lato ghibellino,
-e il conte Tano da Montecarelli, e gli altri
-ghibellini caporali di Toscana, e di Romagna e
-della Marca l’ubbidivano. E a sua lega e a compagnia
-avea il signore della Scala e di Mantova e
-di Padova: e il marchese di Ferrara in Lombardia,
-e il comune di Genova e quello di Pisa sotto
-alcuno ordinato servigio, e il capitano di Forlì, e
-il tiranno di Faenza, e il signore di Ravenna tenevano
-con lui in lega e in compagnia, come nel
-secondo nostro libro narrato abbiamo. E non avendo
-l’arcivescovo altra guerra che col comune
-di Firenze e di Perugia, alla cui compagnia
-e lega s’accostava debolmente il comune di Siena,
-era sì potente e di tanto aiuto e forza, che
-impossibile pareva a questi popoli potersi difendere
-senza aiuto di più potente braccio, e
-però aveano mandato a corte, come detto è, per
-inducere il papa e i cardinali contra lui, sentendo
-che la Chiesa per le grandi ingiurie ricevute
-procedeva contro a lui. Ma l’arcivescovo per
-riparare, sentendo che gl’impugnatori erano
-grandi, pensò che non era tempo da nutricare
-il lavorio, ma di trarlo a fine; e avvedendosi
-quanto l’avarizia movea le cortigiane cose, e
-disponeva i prelati all’olore della pecunia, e per
-questo le cose, aspettando maggior frutto, si sostenevano,
-da capo mandò più grande e più solenne
-<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span>
-ambasciata a corte di suoi confidenti, uomini
-sperti e di grande autorità, e mandolli forniti di
-più di dugentomila fiorini d’oro, con pieno mandato
-a operare e fare con doni e con loro industria
-e impromesse, senza avere riguardo alla
-pecunia, d’avere la riconciliazione di santa Chiesa,
-rimanendoli la signoria di Bologna. E oltre
-a ciò aoperò per forza de’ suoi doni, che messer
-Giovanni di Valois re di Francia mandò altri
-baroni suoi ambasciadori al papa e a’ cardinali a
-procurare la riconciliazione dell’arcivescovo; e
-la contessa di Torenna governatore del papa nelle
-sue temporali bisogne, per cui il santo padre
-molto si movea nelle grandi bisogne, procacciò
-con ismisurati doni. Nel continuo tempellamento
-del papa, per lo suo aiuto, e ne’ parenti del papa
-si provvide con larga mano. E in certi cardinali
-che gli si mostravano avversi per zelo dell’onore
-di santa Chiesa si provvide per modo, che agevole
-fu a conoscere che l’onore di santa Chiesa
-non s’apparteneva a loro. E avendo l’arcivescovo
-tutta compresa la corte in suo favore, seguita
-il modo che papa Clemente tenne con gli ambasciadori
-de’ comuni di Toscana, per potere fare
-con più sua scusa quello che prima avea deliberato
-di fare.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap3-3">CAP. III.
-<span class="smaller"><i>Come papa Clemente sesto propose tre cose a’
-comuni di Toscana, perchè pigliassono l’una.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo tutta la corte di Roma ripiena di doni
-e d’ambasciadori per i fatti dell’arcivescovo,
-e volendo il papa terminare la sua causa secondo
-la domanda de’ suoi ambasciadori, i quali nella
-vista proferivano di lui ogni ubbidienza di santa
-Chiesa, e nel segreto aveano l’ubbidienza del
-papa e de’ cardinali alla sua volontà, per le
-ragioni e cagioni già narrate; volendo il papa mostrare
-agli ambasciadori de’ tre comuni di Toscana
-singolare affezione, da capo gli ebbe in concistoro,
-e commendato molto i loro comuni di molte
-cose, e singolarmente dell’amore e della fede che
-portavano a santa Chiesa, e dolutosi delle loro oppressioni
-per le divisioni e scandali d’Italia, infine
-conchiudendo disse, che mettea nella loro elezione
-quelle tre cose ch’avea altre volte loro
-promesse, ch’elli eleggessono l’una senza soggiorno:
-o di buona pace coll’arcivescovo, o lega
-e compagnia colla Chiesa contro a lui, o che facesse
-passare in Italia l’eletto imperatore. Gli ambasciadori
-ristretti insieme, che conoscevano e sentivano
-dove la causa dell’arcivescovo era ridotta, non si
-vollono rimutare da quello ch’altra volta aveano
-detto al papa, che quello che a lui paresse il
-migliore erano contenti che facesse loro, mantenendo
-in sul fatto la piena confidenza ch’aveano
-a santa Chiesa e al sommo pastore. Il papa conobbe
-<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span>
-che la risposta era intera alla sua intenzione,
-e che poteva procedere con giusto titolo
-senza offendere i comuni di Toscana ne’ suoi
-movimenti, quanto che in fatti era il contradio,
-alla sentenza di riconciliare l’arcivescovo, e però
-fu contento, e disse loro che provvederebbe per
-modo, che i loro comuni avrebbono coll’arcivescovo
-buona pace: della quale offerta niuna speranza
-si prese, conoscendo manifestamente ch’al
-tutto s’intendeva a magnificare il tiranno, e a fare
-la sua volontà.
-</p>
-
-<h3 id="cap4-3">CAP. IV.
-<span class="smaller"><i>Come il papa e’ cardinali annullarono i processi
-contro all’arcivescovo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Poco appresso dopo la detta risposta, avendo gli
-ambasciadori significato a’ loro comuni quello ch’aveano
-dal papa, e quello che sentivano di certo
-de’ fatti dell’arcivescovo, il papa convocò i cardinali
-a concistoro, i quali tutti, niuno discordante,
-erano d’accordo con gli ambasciadori dell’arcivescovo,
-e però non essendo tra loro quistione, domenica
-mattina a dì 5 di Maggio, gli anni Domini
-1352, fu per la santa ubbidienza dell’arcivescovo
-sopraddetto annullato il processo fatto contro
-a lui, e riconciliato a santa Chiesa, e tratto
-d’ogni scomunicazione e d’ogni interdetto. E in
-quello concistoro piuvico, avendo per li suoi ambasciadori
-rendute le chiavi al papa in segno della
-restituzione di Bologna, il papa colla volontà
-de’ suoi cardinali ne rinvestì gli ambasciadori, riceventi
-per lo detto arcivescovo e de’ suoi successori,
-<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span>
-nella signoria di Milano e di Bologna, per tempo
-e termine di dodici anni prossimi a venire, con
-promessione che ogni anno ne darebbe di censo
-fiorini dodicimila alla camera del papa, e compiuto
-il detto termine la renderebbe libera a santa
-Chiesa, e allora restituiranno contanti, per nome
-del detto arcivescovo, fiorini centomila alla
-camera del papa, per la restituzione delle spese
-che la Chiesa vi fece quando vi tenne l’oste il
-conte di Romagna. E così per pietà e per danari
-ogni gran cosa si fornisce a’ nostri tempi co’ pastori
-di santa Chiesa.
-</p>
-
-<h3 id="cap5-3">CAP. V.
-<span class="smaller"><i>Come gli ambasciadori de’ Toscani si partirono
-di corte mal contenti.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il papa avendo grande appetito di servire tosto
-all’arcivescovo, vedendo che ’l trattare della pace
-promessa a’ comuni di Toscana avea a sostenere
-la causa del tiranno, si fece promettere triegua
-per un anno, in quanto il comune di Firenze e
-gli altri comuni la volessono, acciocchè infra il termine
-più ordinatamente si trattasse della pace. Gli
-ambasciadori ch’aveano assai dinanzi avvisati i
-loro comuni come la cosa procedeva acciocchè
-provvedessono al loro stato, frustrati della loro intenzione,
-si partirono mal contenti di corte, e tornaronsi
-in Toscana. E innanzi la loro tornata,
-in Firenze si piuvicò il trattato e la concordia
-presa col vececancelliere dell’eletto imperadore,
-come appresso diviseremo. Avvenne poco appresso
-<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span>
-che il vicario dell’arcivescovo in Bologna
-mandò a Firenze un messo con ulivo in mano
-e con sue lettere, significando la tregua fatta e
-bandita nelle terre dell’arcivescovo suo signore;
-e in quello dì fece muovere sua gente a cavallo e a
-piè da Montecarelli, e cavalcare nel Mugello predando,
-e uccidendo e ardendo come gravi nimici
-del comune, e ritrassonsi a salvamento; e ivi dopo
-pochi dì ritornarono, e misono loro aguati, e furono
-scoperti, e rotti, e morti e presi gran parte di
-loro, sicchè più non s’attentarono di venire in Mugello. Per
-questi segni si scoperse, che il trattato del
-papa con le tregue, colla fè corrotta del tiranno,
-non ebbe principio di buona intenzione.
-</p>
-
-<h3 id="cap6-3">CAP. VI.
-<span class="smaller"><i>Come i tre comuni di Toscana s’accordarono
-a far passare l’imperadore.</i></span></h3>
-
-<p>
-I rettori de’ tre comuni di Toscana, per l’informazione
-ch’aveano avuta da corte da’ loro ambasciadori,
-sentivano a certo che la Chiesa gli abbandonava,
-ed era per magnificare il loro avversario:
-e bene che sentissono le promesse del papa,
-non vedeano da potersene confidare, e però tempellavano
-negli animi tra il sospetto e la paura,
-aggiugnendo temenza di cittadinesche discordie
-nel soprastare: e bene che ancora non avessono
-avuta certezza del fatto da’ loro ambasciadori,
-senza rendere al santo padre il debito onore, quasi
-palpando, per lo trattato tenuto col vececancelliere
-dell’imperadore, mostrando di prendere
-<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span>
-confidanza nella fama delle virtù e senno e larghe
-profferte del detto eletto imperadore, per aiutarsi
-dal potente tiranno nimico, valicando egli in Italia
-a istanza de’ detti tre comuni, come il suo cancelliere
-promettea, e per questa cagione, d’uno
-animo e d’uno volere tutto il reggimento di
-questi tre comuni, Firenze, Perugia, e Siena, con
-pubblico consentimento de’ loro popoli si deliberarono
-d’essere all’ubbidienza del detto eletto imperadore
-con certi patti e convenzioni, i quali erano assai
-strani alla libertà del sommo imperio. Ma perchè
-le cose disviate con alcuno mezzo più tosto si
-congiungono a unità e a concordia, non fu a quel
-tempo tenuta sconvenevole la domanda, nè ingiusto
-l’assentimento del signore; e però all’uscita
-del mese d’aprile del detto anno, nella città di
-Firenze in pubblico parlamento si fermò il trattato
-ordinato per lo vececancelliere dell’eletto
-imperadore, con gli ambasciadori e sindachi de’ detti
-tre comuni, e piuvicossi i patti e le convenzioni,
-e fattone solenni stipulazioni e carte, grande
-ammirazione ne fu per tutta Italia. I patti in sostanza
-racconteremo qui appresso nel seguente
-capitolo.
-</p>
-
-<h3 id="cap7-3">CAP. VII.
-<span class="smaller"><i>Quali furono i patti dall’imperadore a’ tre
-comuni.</i></span></h3>
-
-<p>
-Promise il detto vececancelliere, che per tutto
-il prossimo mese di luglio l’eletto re de’ Romani
-imperadore sarebbe in Lombardia sopra le terre
-<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span>
-dell’arcivescovo di Milano per guerreggiare e abbattere
-la sua signoria con seimila cavalieri: de’
-quali duemila ne dovea avere al suo proprio
-soldo, ovvero servigio, e mille che promessi gli
-avea la Chiesa di Roma quando passasse, i quali
-se dalla Chiesa non avesse, promettea fornirli
-da se, e gli altri tremila cavalieri, i quali dovea
-soldare a sua eletta. Questi tre comuni gli
-doveano dare per un anno dugento migliaia di
-fiorini d’oro, e oltre a ciò gli doveano donare
-come e’ fosse in Aquilea fiorini diecimila d’oro.
-La taglia era al comune di Firenze per millecinquecentocinquanta
-cavalieri, Perugia ottocentocinquanta,
-e Siena seicento. E se in uno anno
-la guerra non fosse terminata, si dovea provvedere
-del nuovo sussidio innanzi al tempo, confidandosi
-catuna parte d’averne concordia. E i
-detti tre comuni deono tenere il detto messer Carlo
-vero re de’ Romani, e futuro diritto imperadore,
-ed egli dee promettere di mantenere i detti tre
-comuni nella loro libertà e ne’ loro statuti; e come
-avesse la corona, avendo sottomesso il tiranno,
-i priori di Firenze e’ nove di Siena si doveano
-dinominare vicari dell’imperadore mentre che
-fossono all’uficio (i Perugini non s’obbligarono
-a questo, facendosi uomini di santa Chiesa) e il
-comune di Firenze promise in detto caso pagare
-ogni anno per nome di censo danari ventisei per
-focolare: gli altri comuni s’obbligarono senza
-distinzione di pagare ogni anno quello ch’era consueto
-all’imperadore per antico. E fu in patto
-che l’imperadore venuto alla corona dovesse
-privilegiare a’ detti comuni tutte le terre, ville
-<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span>
-e castella ch’al presente possedeano, e che
-avessono posseduto sei anni addietro, quanto che
-ora non le possedessono, e che dalla condannagione
-fatta per l’imperadore Arrigo suo avolo,
-promise liberare e assolvere i detti comuni.
-E ’l detto vececancelliere per nome del detto eletto
-imperadore promise, che le dette convenenze
-e patti il detto eletto confermerebbe infra mezzo
-il prossimo futuro mese di giugno del detto anno.
-Altre singulari cose vi si promisono, che
-non sono di necessità a raccontare.
-</p>
-
-<h3 id="cap8-3">CAP. VIII.
-<span class="smaller"><i>Come il re Luigi e la reina Giovanna furono
-coronati per la Chiesa.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo papa Clemente sesto e’ suoi cardinali
-mandati legati nel Regno, a dì 27 di maggio del
-detto anno, il dì della santa Pentecoste, nella
-città di Napoli, celebrata la solenne messa, con
-la consueta solennità consacrarono e coronarono
-in nome di santa Chiesa in prima il re Luigi, e dappresso
-la reina Giovanna, del reame di Gerusalemme
-e di Cicilia. E questo fu fatto con molta festa
-di baroni e di cavalieri del regno, e de’ Napoletani e
-de’ forestieri, i quali tutti si sforzarono di onorare
-il re e la reina in quella festa; e fecesi alle case
-del prenze di Taranto sopra le Coreggie, con
-molte giostre e con grande armeggiare: e vestiti
-e adorni il re e la reina in abito di reale
-maestà, ricevettono l’omaggio da tutti i baroni
-che non erano stati contrari nella guerra, e da
-<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span>
-assai di quelli ch’aveano tenuto contro a lui per
-lo re d’Ungheria, a’ quali tutti perdonò, mostrando
-loro buono animo e buono volere. E a
-coloro che alla sua coronazione non erano venuti
-a fare l’omaggio, assegnò termine giusto a
-potere venire con pace e con amore alla sua ubbidienza;
-e quale dal termine innanzi non fosse
-venuto, per decreto fece che fosse rubello della
-corona. E dopo la coronazione cavalcò il re in
-abito reale per la città di Napoli, montato in su
-uno grande e poderoso destriere, addestrato al
-freno e alla sella da’ suoi baroni. Quando fu
-valicato porta Petrucci nella via di Porto, certe
-donne per fargli onore e festa gittarono sopra
-lui dalle finestre rose e fiori di grande odore:
-il destriere aombrò, ed erse; i baroni ch’erano
-al freno si sforzarono d’abbassare il cavallo:
-il destriere ch’era poderoso ruppe le redine. Il
-re Luigi vedendosi sopra il destriere spaventato
-senza redine, di subito destramente se ne gittò
-a terra, e caddegli la corona di capo, e ruppesi
-in tre pezzi, cadendone tre merli; alla persona
-non si fece male: rilegata la corona, di presente,
-ridendo, montò a cavallo, cavalcando per la terra
-con gran festa e onore. In questo medesimo
-dì morì una sua fanciulla, che altro figliuolo non
-aveva della reina. Molti per questi casi pronosticarono
-non prospere cose alla maestà reale.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap9-3">CAP. IX.
-<span class="smaller"><i>Commendazione in laude di messer Niccola
-Acciaiuoli.</i></span></h3>
-
-<p>
-Degna cosa ne pare, e debito del nostro trattato,
-appresso la coronazione del re Luigi, rendere
-beneficio di memoria per chiara fama di
-messer Niccola Acciaiuoli cittadino popolare di
-Firenze, balio e governatore dell’infanzia del
-detto re; il quale essendo prima compagno della
-compagnia degli Acciaiuoli, con animo più cavalleresco
-che mercantile si mise al servigio dell’imperatrice
-moglie che fu del Prenze di Taranto,
-e quello esercitò realmente e personalmente con
-tanta virtù e con tanto piacere della donna, che
-ella avendo tre suoi figliuoli di piccola età, Ruberto
-primogenito, e messer Luigi secondo, e Filippo
-il terzo, tutti gli mise nel governamento di Niccola
-Acciaiuoli, che allora non era cavaliere, e
-tutto il suo consiglio l’imperatrice ristrinse in
-lui, e con lei se ne passò in Romania, e ordinati
-i fatti delle terre e baronie di là, con lei se ne
-tornò a Napoli. Ed essendo cresciuto di età di anni
-quindici messer Luigi, volendo il re Ruberto
-mandare gente d’arme in Calavra, e dilettandosi
-dell’industria del giovane barone, fatta eletta
-di cinquecento cavalieri d’arme, e datili all’ubbidienza
-di messer Luigi, lui accomandò a
-messer Niccola Acciaiuoli, comandandogli in tutto
-che ubbidisse al suo maestro. E questo fece il
-re di volontà dell’imperatrice sua madre; avendo
-<span class="pagenum" id="Page_18">[18]</span>
-poco innanzi fatto cavaliere il detto messer
-Niccola; e da quell’ora appresso il detto messer
-Luigi si resse in tutto e governò per le mani di
-messer Niccola. E sopravvenuta la morte del duca
-Andreasso, per operazione dell’imperatrice e
-di messer Niccola Acciaiuoli fu data la reina Giovanna
-per moglie a messer Luigi: e ne’ primi
-cominciamenti con assai prospera fortuna accrescea
-il suo signore. E cambiandosi le cose per l’avvenimento
-del re d’Ungheria alla vendetta del
-fratello, essendo tutti gli altri reali all’ubbidienza
-del potente re, costui solo, coll’aiuto d’alquanti
-che ubbidivano alla reina, per lo consiglio
-e conforto di messer Niccola, sostenne contro alla
-gente del re d’Ungheria lungamente, e tentò di
-resistere alla persona del loro re, e non si partì
-dalla frontiera di Capova, infino che abbandonato
-dagli avari regnicoli, e già soppreso dall’avvenimento
-del re e del suo esercito, fu costretto di
-partirsi da Capova, e appresso da Napoli, sprovveduto,
-di notte, ricogliendosi per necessità in su
-una vecchia e male armata galea; e in quella raccolto,
-con poco arnese e con lieve compagnia valicò
-in Toscana in povero stato. E per lo detto
-messer Niccola, e co’ suoi danari e di suoi amici
-fu atato e rifornito e confortato nella grave tempesta
-della fortuna. Presi tutti i reali, e morto
-il duca di Durazzo, e il Regno venuto nelle mani
-del suo persecutore, e non volendolo i Fiorentini
-ricevere nella loro città, nè sovvenire d’alcuna
-cosa per tema del re d’Ungheria, ridottosi parecchi
-dì alla possessione del detto messer Niccola
-in Valdipesa, di là si partì, e andò in Proenza
-<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span>
-ove la reina era rifuggita. E tornato il re d’Ungheria,
-per tema della generale mortalità, in suo
-paese; per sollecitudine e trattato di messer Niccola,
-prima tornato nel regno, e sommossi de’ baroni
-e de’ cavalieri, e confortati i Napoletani, e
-accolta gente d’arme in favore del suo signore,
-in breve tempo ordinò la sua tornata e della reina
-nel Regno, nel quale assai battaglie e vari e diversi
-assalti di guerra sostenne; e per avversa fortuna
-rotte le sue forze in battaglia per più riprese,
-tradito dagli amici, perseguitato da’ nemici, condotto
-all’inopia, sentina della fortuna, l’animo del
-valente cavaliere fu di tanta potenza e di tanta
-virtù, che con pari animo sostenne il giovane barone
-suo signore in speranza certa della sua esaltazione,
-sempre aiutandolo e sostenendolo con
-sua industria e suo procaccio, e con fortezza e
-con pazienza fece comportare l’asprezza della
-turbata fortuna. Onde avvenne, che quella potendosi
-maravigliare della costanza dell’uomo, subitamente
-e improvviso mutò la turbata faccia in
-chiara, e l’asprezza in dolcezza e in mansuetudine:
-e colui che avea ributtato per cotante tempeste e
-vari pericoli, oltre all’opinione degli uomini,
-con felici e prospere successioni condusse alla
-reale corona, e alla libera signoria di tutto il corrotto
-e sviato regno in brevissimo tempo. E per lo
-nobile consiglio e avvedimento di messer Niccola
-Acciaiuoli, i reali lasciati di prigione e tornati
-nel Regno, ove per tutti si stimava che il Prenze
-di Taranto maggiore fratello del re, per sdegno e
-per forte inzigamento contro al re movesse scandolo
-nel reame, con mansuetudine e con caritatevole
-<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span>
-animo il fece al re ricevere in compagno
-del regno; e fattogli prendere titolo dell’imperiato
-costantinopolitano, e aggiunto largamente
-alla sua baronia, conobbe e manifestò a tutti, che
-il padre loro messer Niccola, appresso la grazia di
-Dio, era cagione del ricoveramento del regno, e
-dello stato e onore. Perchè dunque dovevamo tacere?
-innanzi vogliamo essere da’ denti degl’invidiosi
-cittadini morso, che la provata verità per
-li suoi effetti, e per la fine de’ suoi felici avvenimenti,
-avessimo lasciata sotto scurità d’ignorante
-oblivione.
-</p>
-
-<h3 id="cap10-3">CAP. X.
-<span class="smaller"><i>Come fu cacciato messer Iacopo Cavalieri di
-Montepulciano.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo anno del mese d’aprile, sabato santo,
-avendo messer Iacopo de’ Cavalieri di Montepulciano
-trattato, coll’aiuto della gente dell’arcivescovo
-ch’era in Toscana, di farsi signore della
-terra di Montepulciano, e a ciò consentivano
-una parte de’ terrazzani di suo seguito, messer
-Niccola suo consorto sentì questo trattato, e fecelo
-sentire a’ governatori del popolo; e in questo dì,
-levata la terra a romore, cacciarono messer Iacopo
-di Montepulciano, e venti altri terrazzani suoi
-seguaci, uomini nominati di stato intra il popolo;
-e col consiglio di messer Niccola de’ Cavalieri
-riformarono la terra di loro reggimenti, e
-ischiusonne gli amici e’ seguaci di messer Iacopo;
-il quale si ridusse a Siena, e là ordinò grande novità,
-<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span>
-e scandalo e suggezione di quella terra, come
-innanzi a’ suoi tempi si potrà trovare.
-</p>
-
-<h3 id="cap11-3">CAP. XI.
-<span class="smaller"><i>Come si die’ il guasto a Bibbiena,
-e sconfitti i Tarlati
-da’ Fiorentini.</i></span></h3>
-
-<p>
-Del mese di maggio del detto anno, ricordandosi
-i Fiorentini dell’ingiuria ricevuta da’ Tarlati,
-Pazzi e Ubertini per la ribellione ch’aveano
-fatta al comune al tempo della guerra dell’arcivescovo
-di Milano, quando ruppono la pace e
-cavalcarono sopra il contado e distretto di Firenze,
-accolsono seicento cavalieri di loro masnade e gran
-popolo, e andarsene alla Cornia, e poi alla Penna,
-e a Gaenna, e ad altre terre e ville che si tenevano
-pe’ Pazzi e Ubertini e Tarlati, e a tutte diedono
-il guasto; e poi se n’andarono a Bibbiena,
-ov’era messer Piero Sacconi, e a Soci, e ivi dimorarono
-più dì, ardendo e guastando d’intorno:
-quelli da Bibbiena francamente si difesono dal guasto
-le vigne d’intorno presso alla terra. Messer
-Piero avea in Bibbiena milledugento buoni fanti
-e pochi cavalieri, con li quali si fece un grosso badalucco
-presso alla terra. Poi la mattina vegnente,
-a dì 10 di giugno, l’oste si mosse per andare
-a Montecchio. Messer Piero, antico e buono guerriere,
-sapendo l’andata de’ Fiorentini, si pensò di
-fare loro danno, e la mattina per tempo con settanta
-cavalieri e con mille buoni fanti in persona
-occupò un colle sopra l’Arno in sul passo,
-<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span>
-e mise aguati per danneggiare la gente de’ Fiorentini.
-Avvenne che, mossa l’oste dall’altra parte
-dell’Arno, vidono preso il colle dalla gente di
-messer Piero; allora cominciarono a fare valicare
-della gente dell’oste certi masnadieri, sì perchè
-tenessono a badalucco i nemici e per trarli
-abbasso, e a poco a poco li ringrossavano d’aiuto,
-ma non senza loro grande pericolo, a’ quali in sul
-maggiore bisogno soccorsono parecchi conestabili
-a cavallo co’ loro cavalieri. Ed essendo atticciata
-la battaglia, e stando i nemici attenti a quella
-sperandone avere vittoria, altri cavalieri e
-masnadieri de’ Fiorentini presono, scostandosi
-dall’oste, un’altra via, che i nemici non s’accorsono,
-e valicarono l’Arno, e sopravvennono
-alla gente riposta di messer Piero dall’altra parte
-del colle, i quali ruppono di presente, e montarono
-al poggio, e improvviso furono sopra la gente
-grossa di messer Piero, che stava attenta a vedere
-e ad aiutare quelli del badalucco, e con
-grandi grida correndo col vantaggio del terreno
-loro addosso, li ruppono e sbarattarono. Messer
-Piero per bontà del buono cavallo dov’era montato
-con pochi compagni, non potendo ritornare
-in Bibbiena, fuggendo ricoverò in Montecchio.
-Della sua gente furono in sul campo più di cento
-morti, e dugento presi, e molti fediti. I prigioni
-tornando l’oste li condussono a Firenze legati
-a una fune, e poco appresso furono lasciati; e l’oste
-tornò vittoriosa, avendo preso alcuna vendetta
-degl’ingrati traditori.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap12-3">CAP. XII.
-<span class="smaller"><i>Come si rubellò a’ Fiorentini Coriglia e Sorana.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo anno sentendo messer Francesco Castracani
-che i Fiorentini erano inbrigati par la
-gente che l’arcivescovo teneva a guerreggiare in
-Toscana, essendo forte in Lunigiana e in Garfagnana,
-a petizione de’ Pisani fece furare a’ Fiorentini
-la rocca di Coriglia, la quale appresso
-rendè a’ Pisani, a cui stanza l’avea furata, e’
-Pisani la presono, rompendo la pace a’ Fiorentini;
-ch’espresso era nella pace rinnovata per lo
-duca d’Atene in nome del comune di Firenze,
-che in niun modo di quella terra si dovessono
-travagliare. E appresso i detti Pisani feciono con
-sagacità di grande tradimento torre a’ Fiorentini,
-contro a’ patti della pace, la terra di Sorana,
-e rendutala da capo, la ritolsono per indiretto,
-e poi in palese la difesono, non curando i patti
-della pace. I Fiorentini per queste due terre non
-si mossono, benchè grave li fosse l’oltraggio de’
-Pisani. Messer Francesco avendo avuto trecento
-cavalieri dall’arcivescovo di Milano, montato in
-grande orgoglio, e confortato da’ Pisani, si pose
-ad assedio a Barga, ch’era de’ Fiorentini, e avendo
-grande popolo la strinse intorno con più
-bastie, sperandolasi avere per assedio. Lasceremo
-ora quest’assedio per raccontare altre maggiori
-cose innanzi che Barga fosse liberata.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap13-3">CAP. XIII.
-<span class="smaller"><i>Come i tre comuni di Toscana mandarono
-ambasciadori in Boemia a far muovere
-l’imperadore.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo i tre comuni di Toscana presa e pubblicata
-la concordia col vececancelliere dell’eletto
-imperadore, volendo mettere ad esecuzione
-quello che per loro era stato promesso, catuno
-elesse de’ maggiori cittadini confidenti al reggimento
-di quelli per suoi ambasciatori, e mandaronli
-all’eletto imperadore a Boemia nella Magna per
-farlo muovere, e per fargli il pagamento ordinato,
-e per essere al suo consiglio per i tre comuni,
-nella promessa impresa passando egli in Italia.
-Gli ambasciadori del nostro comune di Firenze
-furono cinque: messer Tommaso Corsini dottore
-di legge, messer Pino de’ Rossi, messer Gherardo
-de’ Buondelmonti cavaliere, Filippo di Cione
-Magalotti, e Uguccione di Ricciardo de’ Ricci, a’
-quali fu data grande e piena legazione, e dato loro
-un popolare sindaco per lo comune, a potere obbligare
-il comune, secondo le cose promesse al
-vececancelliere, come paresse a’ detti ambasciadori,
-se altro bisognasse di fare. Costoro tutti vestiti
-di fine panno scarlatto e d’altro fine mellato,
-catuno con otto scudieri il meno vestiti
-d’assisa, a dì 17 di maggio, il dì dell’Ascensione,
-si partirono di Firenze. E partiti loro, molti cittadini
-pensando che quello ch’era ordinato dovesse
-venire fatto, perocchè tra gli ambasciadori
-<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span>
-erano i più reputati caporali di cittadina setta, temettono,
-che essendo costoro al continuo con l’imperadore,
-e di suo consiglio, che pericolo si commettesse
-contro al comune e pubblica libertà de’ cittadini,
-e però si mosse questione di limitare il loro
-tempo, e strignerli con certe leggi, e di questo fu
-gara e lunga tira nel nostro comune; in fine si vinse,
-e fecesi per riformagione di comune, che niuno
-cittadino di Firenze potesse stare in quel servigio
-appresso all’imperadore più che quattro mesi,
-e che alcuna grazia, uficio, o beneficio reale
-o personale per i detti ambasciadori o per
-loro successori si dovesse ricevere o impetrare,
-sotto gravi pene, acciocchè la speranza si troncasse
-a tutti della propria utilità. E incontanente
-elessono e insaccarono molti cittadini per succedere
-di quattro mesi in quattro mesi a’ detti
-ambasciadori in quello servigio.
-</p>
-
-<h3 id="cap14-3">CAP. XIV.
-<span class="smaller"><i>Di disusati tempi stati.</i></span></h3>
-
-<p>
-Non è da lasciare in silenzio quello che del mese
-di giugno del detto anno avvenne, perocchè
-fu notabile caso di tempo con diverse considerazioni,
-che essendo ne’ campi seminati cresciute
-le biade e’ grani d’aspetto d’ubertosa ricolta
-vicina alla falce, in diverse contrade di Toscana,
-e massimamente nel contado di Firenze,
-vennono diluvi d’acque, i quali guastarono molto
-grano e biade, e feciono de’ dificii, e d’altro
-singolari danni a molti. E a dì 14 del detto
-<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span>
-mese cominciò un vento austro spodestato e
-impetuoso con tanta furiosa tempesta, che ogni
-cosa parea che dovesse abbattere e mettere per
-terra, e tutte le granora e biade che trovò mature,
-ove il suo impetuoso spirito potè percuotere,
-battè per modo, che alla terra diede nuova sementa,
-e nelle spighe lasciò poco altro che l’aride
-reste, e quelle che ancora non erano granate
-percosse e inaridì; facendo nelle montagne
-in diverse parti sformate grandini e diverse
-tempeste, e molte vigne guastò, e abbattè
-alberi molti, e di grandi dificii in diverse parti
-di Toscana e di Romagna; e in Firenze fece rovinare
-il campanile del monastero delle donne
-degli Scalzi, e uccise la badessa con sei monache.
-Nella sommità delle montagne di Pistoia
-levò gli uomini di su’ poggi, traboccandoli dove
-l’impeto gli portava. E pubblica fama fu,
-che quarantatrè masnadieri ch’andavano in preda
-trovandosi in sul giogo, senza potersi ritenere
-furono portati dal vento per modo, che di
-loro non si seppe novelle. E restato lo strabocchevole
-vento, ivi a pochi dì fu un caldo sformato
-senza aiuto d’alcuno spiramento, che il
-residuo de’ grani e de’ biadi in molti paesi,
-singolarmente nel contado di Firenze, fece ristrignere
-e invanire per modo, che ov’era stata
-speranza d’ubertosa ricolta generò sformata
-carestia anzi l’avvenimento dell’altra ricolta,
-come appresso dimostreremo. Alcuni diedono
-questo singulare accidente agli effetti della congiunzione,
-già narrata al principio del nostro
-primo libro, de’ tre superiori pianeti onde Saturno
-<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span>
-fu signore: perocchè gli astrolaghi tengono che
-l’influenza di cotale congiunzione duri per diciannove
-anni, e altri tengono infino in ventitrè. Arbitrò
-altri, che questo procedesse dall’influenza
-della cometa ch’apparve in quest’anno, e quella
-fu saturnina, sicchè catuno trasse agli effetti saturnali.
-Altri tennono che ciò fosse dimostramento
-d’assoluto giudicio divino per i disordinati peccati
-de’ popoli non domati da tante tribolazioni di
-guerre, quante dimostrate abbiamo in poco tempo
-dopo la miserabile mortalità.
-</p>
-
-<h3 id="cap15-3">CAP. XV.
-<span class="smaller"><i>Dell’inganno ricevette il comune di Firenze
-del braccio di santa Reparata.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo stati certi ambasciadori del comune
-di Firenze alla coronazione del re Luigi per lo
-detto comune, domandarono di grazia al re e alla
-reina alcuna parte del corpo della vergine
-santa Reparata ch’è in Teano, per onorare la
-sua reliquia nella nobile chiesa cattedrale della
-nostra città ch’è edificata a suo nome. La loro petizione
-dal re e dalla reina fu accettata; ma perocchè
-la città di Teano era del conte Francesco
-da Montescheggioso, figliuolo che fu del conte
-Novello amicissimo del nostro comune, convenne
-che con sua industria il braccio destro di
-quella santa si procacciasse d’avere per modo,
-che i terrazzani non se n’avvedessono, che si
-mostrava loro, ed era nel paese in grande devozione,
-e questo si mostrò di fornire con industria,
-<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span>
-e con grande sollicitudine. Gli ambasciadori
-credendosi avere la santa reliquia il significarono
-a’ priori, acciocchè all’entrata della
-città l’onorassono. I rettori del comune ordinata
-solennissima processione di tutti i prelati cherici
-e religiosi della città di Firenze, con grandissimo
-popolo d’uomini e di femmine, con
-molti torchi accesi comandati per l’arti e forniti
-per lo comune, e il vescovo di Firenze ricevuto
-colle sue mani il santo braccio, colla
-mano segnando la gente molto divota e lieta,
-credendosi avere quella santa reliquia, fu portata
-e collocata nella nostra chiesa, a dì 22 di giugno
-1352.
-</p>
-
-<h3 id="cap16-3">CAP. XVI.
-<span class="smaller"><i>Di quello medesimo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo narrata la fede, la reverenza e la divozione
-che i nostri cittadini ebbono alla santa
-vergine, benchè l’inganno ricevuto fosse durato
-in fede del detto comune quattro anni e
-mesi, infine si scoperse il sacrilegio e l’inganno
-ricevuto per la femminile astuzia della badessa
-del monastero di Teano, ov’era il corpo della
-detta santa, che vedendo che quello braccio le
-conveniva dare per volontà del re, e della reina
-e del conte, dissimulando gran pianto colle
-sue suore per lo partimento della reliquia, lo
-sostennero di assegnare alcuno dì. E in questo
-tempo feciono fare un simulacro di legno
-e di gesso, che propriamente pareva quella santa
-<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span>
-reliquia, e dando questa con grande pianto,
-fece credere agli ambasciadori che avesse assegnata
-loro la santa reliquia, e a Firenze fece
-onorare come santuaria quello simulacro
-per cotanto tempo, essendo cagione di cotanto
-male, non manifestando la sua falsa religione.
-Avvenne che il comune del mese d’ottobre 1356,
-volendo d’oro e d’argento e di pietre preziose
-fare adornare quella reliquia, i maestri la trovarono
-di legno e di gesso: e segatala per mezzo,
-furono certi che niuna reliquia v’era nascosa,
-e il comune fu certo del ricevuto inganno. Noi,
-non ostante che cinquantadue mesi fosse questo
-ritrovato appresso alla sopraddetta venuta, contro
-all’ordine del nostro annuale trattato l’abbiamo
-congiunto insieme, acciocchè avendo alcuno
-letto la venuta del santo braccio, non fosse
-ingannato dalla simulazione di quello, e dalla
-malizia della sacrilega badessa.
-</p>
-
-<h3 id="cap17-3">CAP. XVII.
-<span class="smaller"><i>Come la gente del Biscione cavalcarono
-i Perugini.</i></span></h3>
-
-<p>
-Del mese di giugno del detto anno, accolti duemila
-cavalieri dell’arcivescovo di Milano alla
-città di Cortona e popolo assai, cavalcarono per
-la valle di Chio, e strinsonsi alla città di Perugia
-predando e ardendo il suo contado. Per la
-qual cavalcata così bandalzosa i cittadini presono
-sospetto dentro, e però non ebbono ardire
-di fare uscire fuori alcuna loro gente contro a’
-<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span>
-nimici. Conducitori di questa gente erano il conte
-Nolfo da Urbino, il signore di Cortona, e
-Gisello degli Ubaldini, i quali avevano trattato
-con messer Crespoldo di Bettona. Questo messer
-Crespoldo era guelfo, ma perocch’era male
-trattato da’ Perugini ricevette costoro in Bettona,
-e cacciarono coloro che v’erano alla guardia
-per lo comune di Perugia. Questa terra era presso
-a Perugia a otto miglia e nella loro vista, e
-sentendo la gente che dentro v’era, e la potenza
-dell’arcivescovo, furono in gran tremore; e
-non senza cagione, che quella terra era forte, e
-in frontiera ad Ascesi e all’altre terre de’ Perugini,
-le quali non amavano troppo la loro
-signoria, e però cominciarono incontanente
-a dare il mercato a’ nimici, e molto erano
-di presso a fare le comandamenta del tiranno,
-e ciò che gli ritenne fu, ch’aspettavano
-quello che in questa novità facesse il comune di
-Firenze. Stando i Perugini in questo pericolo,
-incontanente il comune di Firenze li mandò
-confortando per loro ambasciadori, promettendo
-loro aiuto quanto il comune potesse fare; e
-seguitando col fatto, di subito vi mandarono ottocento
-cavalieri di buona gente, promettendo d’arrogere
-quanti bisognasse infino a tanto che Bettona
-fosse racquistata. Avvenne che come Ascesi
-e l’altre terre circostanti de’ Perugini intesono
-l’aiuto e il conforto che i Fiorentini davano
-al comune di Perugia, ove stavano sospesi e
-non rispondeano al comune di Perugia, e davano
-il mercato a’ nimici, di presente levarono il
-mercato, e acconciarsi alla difesa, e mandarono
-<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span>
-a offerirsi a’ Perugini, e cominciarono a guerreggiare
-quelli di Bettona. Onde convenne per
-necessità delle cose da vivere che la cavalleria
-ch’era in Bettona s’alleggiasse, e lasciaronvi a
-guardia della terra seicento cavalieri e più d’altrettanti
-masnadieri, e l’altra gente tornò a Cortona.
-Rimasi in Bettona i sopraddetti capitani e’
-riposono l’assedio a Montecchio, e ordinaronsi
-per accrescere loro forza e soccorrere Bettona, se
-il bisogno occorresse. Lasceremo alquanto de’ fatti
-di Bettona per seguire dell’altre cose, ch’avvennono
-innanzi ch’ella si racquistasse.
-</p>
-
-<h3 id="cap18-3">CAP. XVIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Romani andarono per guastare
-Viterbo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Di questo mese di giugno del detto anno, vedendo
-il popolo romano che il prefetto da Vico
-cresceva in forza e ad acquisto occupando le terre
-del Patrimonio, feciono in fretta Giordano del
-Monte degli Orsini capitano di guerra, e accolsono
-tutta la gente d’arme che fatta aveano col loro
-rettore a piè e a cavallo e accozzaronli col capitano
-del Patrimonio messer Niccola delle Serre cittadino
-d’Agobbio, e in pochi dì accolsono milledugento
-cavalieri e dodicimila pedoni in arme, e con
-gran furia se n’andarono sopra la città di Viterbo
-per guastarla d’intorno e porvi l’assedio, e
-starvi tanto che tratta l’avessono delle mani del
-prefetto. Avvenne in su la giunta che a messer
-Niccola capitano del Patrimonio cadde il suo cavallo
-<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span>
-addosso, e per la percossa e per lo disordinato
-caldo per spasimo morì di presente. Morto
-il capitano, l’oste senza fare alcuna cosa notevole,
-con poco onore del capitano de’ Romani, si
-partì da Viterbo, e catuno si tornò a casa sua.
-</p>
-
-<h3 id="cap19-3">CAP. XIX.
-<span class="smaller"><i>Come il re Luigi ebbe Nocera.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questi dì messer Currado Lupo ch’era per
-addietro stato vicario del re d’Ungheria nel
-Regno, sapendo che la pace era fatta dal re
-d’Ungheria a’ reali di Puglia, e che di volontà
-del suo signore era ch’egli rendesse le terre
-che tenea al re Luigi, già coronato per la
-Chiesa del reame, con l’astuzia tedesca pensò
-di trarre suo vantaggio, e accolse tutti i Tedeschi
-ch’erano nel Regno, e con settecento barbute
-fece testa a Nocera de’ Saracini, e levò un’insegna
-imperiale, mostrando che a stanza dell’imperadore
-volesse rimanere nel Regno; e per
-alquanti si disse che alcuni baroni del reame il
-favoreggiavano. Temendo il re che questi non
-avesse appoggio d’altro signore, o che non l’acquistasse
-stando, per lo meno reo prese di patteggiar
-con lui, e diedegli contanti trentacinque
-mila fiorini d’oro, e rendè Nocera e la contea
-di Giuglionese, e uscissi del Regno con tutta
-la sua gente, con patto fermato per suo saramento,
-che da ivi a due anni non dovesse per alcuno
-modo tornare nel Regno, ma valicati i due anni
-vi potesse tornare come barone del re per le terre
-<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span>
-della moglie, facendogli il debito saramento
-e omaggio.
-</p>
-
-<h3 id="cap20-3">CAP. XX.
-<span class="smaller"><i>Come fu sconfitto il conte di Caserta.</i></span></h3>
-
-<p>
-Seguitando i rivolgimenti dello sviato Regno,
-ci occorre in questi dì come il duca d’Atene
-conte di Brenna, il quale altra volta per la sua
-incostante tirannia meritò a furore essere cacciato
-della signoria di Firenze, essendo tratto
-di Francia all’odore dello sviato Regno
-non con intera fede, con sue masnade di cavalieri
-franceschi fece in Puglia spontanea guerra
-contro al conte di Caserta, figliuolo che fu
-di messer Diego della Ratta conte camarlingo,
-il quale era con gente d’arme a Taranto, e con
-assentimento del re Luigi guerreggiava le terre
-del detto duca, secondo la comune voce; l’infermità
-del Regno non consentiva nè in guerra
-nè in pace cose aperte nè chiari movimenti. Il
-detto duca accolti de’ paesani, co’ suoi Franceschi
-combattè col conte e sconfisselo, facendo
-alla sua gente grave danno. E rifuggito il detto
-conte in Taranto per sua sicurtà, del detto anno,
-del mese di Maggio, per lo detto duca fu lungamente
-senza frutto assediato.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap21-3">CAP. XXI.
-<span class="smaller"><i>La novità in Casole di Volterra.</i></span></h3>
-
-<p>
-I figliuoli di messer Ranieri da Casole di Volterra
-cacciati per lungo tempo da’ loro nimici
-del castello, come giovani coraggiosi, accolsono
-segretamente masnadieri e amici, e a dì 15
-luglio del detto anno entrarono nella terra di
-Casole, che si guardava per lo comune di Siena,
-e improvviso corsono a casa i loro nimici, e
-quanti ve ne trovarono misono al taglio delle
-spade, e rubarono le case loro, e appresso l’arsono,
-e gli altri che non furono morti cacciarono
-della terra, e la podestà che v’era pe’ Sanesi
-riguardarono: la terra tennono tanto per loro,
-che co’ Sanesi presono accordo di tenervi podestà
-dal comune di Siena; e fecionsi ribandire, e
-rimasono i maggiori nella terra.
-</p>
-
-<h3 id="cap22-3">CAP. XXII.
-<span class="smaller"><i>Come furono decapitati degli Ardinghelli
-di Sangimignano.</i></span></h3>
-
-<p>
-Seguita in questi medesimi dì, come Benedetto
-di messer Giovanni degli Strozzi di Firenze,
-essendo capitano della guardia per lo nostro comune
-di Sangimignano, con ingiusto sospetto
-prese il Rosso e Primerano di messer Gualtieri
-degli Ardinghelli, giovani di grande aspetto e
-seguito, d’animo e di nazione guelfi, e tenendoli
-<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span>
-senza trovare vera cagione perchè presi
-gli aveva, per accidente v’occorse caso, che
-gittarono una lettera a’ loro amici fuori della
-carcere, pregandoli che li venissono ad atare
-liberare di prigione. Il capitano avendo questa
-lettera, quale che fosse la cagione, o per zelo
-del suo uficio, o per inzigamento de’ Sanucci loro
-nimici, deliberò di farli morire. Il comune di
-Firenze sapendo che non erano colpevoli, volea
-che campassono; e mandandovi in fretta ambasciadori
-con espresso comandamento al capitano
-che non gli dovesse fare morire, la fortuna
-impedì i messaggi per disordinata grandezza dell’Elsa,
-che non li lasciò passare in quella notte. Il
-capitano temendo non sopravvenisse il comandamento,
-s’affrettò di farli morire; e la vilia di
-san Lorenzo, a dì 9 d’agosto, con un altro terrazzano
-a cui aveano scritto che fosse a loro scampo,
-in sulla piazza li fece dicollare, onde fu
-riputato grande danno, e il capitano ne fu molto
-biasimato. Questa decollazione si tirò dietro
-materia di grande scandalo e rivoltura di quella
-terra, come al suo tempo racconteremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap23-3">CAP. XXIII.
-<span class="smaller"><i>Come gente del re di Francia fu sconfitta
-a Guinisi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo il re di Francia in singolare sollecitudine
-di racquistare la contea di Guinisi che sotto
-le triegue gli era stata furata, vi mandò millecinquecento
-cavalieri e tremila pedoni, tra i
-<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span>
-quali ebbe gran parte di masnadieri lombardi
-e avendovi posto l’assedio, difendendosi lungamente
-que’ del castello, i Franceschi vi feciono
-bastite intorno, per tenerlo stretto con meno
-gente. Il re d’Inghilterra mettea con due barche
-di notte gente in Calese per modo, che i
-Franceschi non se n’accorgevano; e avendovi
-per questo modo accolta quella gente che a lui
-parve, forniti di capitani avvisati delle bastite
-e della guardia de’ Franceschi, una notte chetamente
-uscirono di Calese, e improvviso da più
-parti assalirono i Franceschi, i quali impauriti del
-non pensato assalto intesono a fuggire e a campare,
-senza mettersi alla difesa; e così in poca
-d’ora furono rotti e sbarattati dagl’Inghilesi, e
-i battifolli arsi, con più vergogna che danno
-de’ Franceschi per la grazia della notte. E liberato
-il castello dall’assedio, e rifornito di nuovo,
-del mese di luglio del detto anno gl’Inghilesi si
-ritornarono nell’isola senza fare altra guerra.
-Poco appresso il re di Francia scoperse che certi
-baroni il doveano uccidere per trattato del re
-d’Inghilterra, per la qual cosa a certi ne fu tagliata
-la testa: e il re a modo di tiranno si faceva
-guardare a gente armata, dentro e fuori di suo
-ostiere reale, a cavallo e a piè, di dì e di notte
-nella città di Parigi, cosa strana e disusata alla
-maestà reale e a’ paesani.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap24-3">CAP. XXIV.
-<span class="smaller"><i>Come i Perugini assediarono Bettona.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornando alle vicine materie, avendo il comune
-di Perugia da’ Fiorentini ottocento cavalieri
-di buona gente d’arme, con loro sforzo valicarono
-le Giaci per porre l’assedio a Bettona, e con
-grande popolo l’assediarono. E volendosi partire
-de’ cavalieri dell’arcivescovo della terra, ovvero
-per andare in foraggio, otto bandiere furono sorprese
-dalla gente dell’oste per modo, che la maggior
-parte rimasono presi, e d’allora innanzi si
-ritennono dentro alla guardia del castello. E
-procacciando d’avere soccorso da’ cavalieri e dagli
-amici dell’arcivescovo ch’erano per lo paese
-di qua, e per fare migliore guardia, si misono a
-campo fuori della terra nella piaggia a petto al
-campo de’ Perugini. I Perugini aggiungevano al
-continovo gente d’arme nel campo per soldo e
-per amistà, e mandaronvi la maggior parte de’ loro
-cittadini, e dall’altra parte della terra formarono
-due battifolli, perchè nè vittuaglia nè soccorso
-nella terra potesse entrare. E così assediata
-la terra, procuravano d’afforzare e d’impedire i
-passi, per riparare dalla lungi al campo che nimici
-non potessono sopravvenire. E per questo
-modo durò l’assedio infino all’agosto vegnente,
-come appresso diviseremo, e posto vi fu del mese
-di giugno del detto anno.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap25-3">CAP. XXV.
-<span class="smaller"><i>Come fu liberato Montecchio dall’assedio
-per soccorrere Bettona.</i></span></h3>
-
-<p>
-Era in questo tempo stato assediato lungamente
-il piccolo castello di Montecchio presso a
-Castiglionaretino da’ Tarlati e dal signore di
-Cortona colla cavalleria dell’arcivescovo, e recato
-a partito, che i maggiori di quelli che ’l teneano
-erano venuti nel campo per volerlo dare.
-Temendo i Tarlati che avuto il castello per la
-vicinanza non rimanesse al signore di Cortona,
-per consiglio aggiunte minacce a coloro ch’erano
-venuti per darlo, si ritornarono dentro alla difesa.
-E l’oste sollecitata del soccorso dagli assediati
-di Bettona, se ne levarono, e accozzaronsi i cavalieri
-dell’arcivescovo con gli altri cavalieri loro
-compagni ch’erano in Agobbio e nelle circostanze,
-e trovaronsi millecinquecento barbute e masnadieri
-assai, e per fare levare i Perugini da Bettona
-si misono a oste alla Città di Castello. E
-stativi alquanti dì, feciono provvedere i passi
-come potessono andare a soccorrere Bettona, e
-trovarono che i Perugini erano alla difesa de’ passi
-molto bene provveduti e forniti alla guardia;
-tornaronsi al Borgo per accogliere maggiore
-gente e forza, e farlo per altra più lunga via. In
-questo medesimo tempo gli assediati per la speranza
-del soccorso presono ardire, e assalirono
-l’uno de’ battifolli de’ Perugini, e vinsonlo e arsonlo,
-e mostrarne per segni di luminaria gran
-<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span>
-festa; e con quella baldanza presa andarono ad
-assalire l’altro, e furono occupati per modo da’ cavalieri
-dell’oste che tornarono in rotta, presa
-parte della loro gente da cavallo e da piè; gli
-altri si fuggirono tutti nella terra, levandosi da
-campo per stare alla difesa delle mura, e da’
-Perugini furono più stretti. I capitani della gente
-dell’arcivescovo feciono capitano generale il
-conte Nolfo da Urbino, e misonsi per la valle di
-Chiusi, e andarono a Orvieto; e tratti i cavalieri
-ch’aveano in quella città, si trovarono con
-duemila barbute; e volendo soccorrere gli assediati,
-trovarono in catuno passo sì provveduti i
-Perugini e sì forti alla difesa, che per niuno modo
-vidono di poterlo fornire. Ed essendo disperati
-dell’impresa, vollono rimettere in Orvieto
-i loro cavalieri che n’aveano tratti, e non furono
-voluti ricevere, e con gli altri insieme se ne
-tornarono al Borgo, e gli assediati furono fuori
-d’ogni speranza d’avere soccorso.
-</p>
-
-<h3 id="cap26-3">CAP. XXVI.
-<span class="smaller"><i>Come i Perugini ebbono Bettona e arsonla,
-e disfeciono affatto.</i></span></h3>
-
-<p>
-Vedendo i caporali ch’erano rinchiusi in Bettona
-che a loro era mancata ogni speranza di
-soccorso, e che la vittuaglia era mancata, e mangiata
-gran parte de’ loro cavalli, vedendosi a
-mal partito, con industria e con danari pensarono
-allo scampo delle loro persone molto segretamente,
-perchè sapeano bene che i Perugini
-<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span>
-avrebbono maggiore gloria d’avere le loro persone
-che la terra di Bettona; e però strettisi insieme,
-e prestato la fede l’uno all’altro, il signore
-di Cortona, e il conte di Montefeltro, e Ghisello
-degli Ubaldini avendo procacciato per danari
-il nome di quella notte, vestiti a modo di ribaldi
-per mezzo il campo passarono a salvamento:
-onde poi fu incolpato alcuno de’ rettori di Perugia.
-I soldati sentendo campati i loro capitani,
-incontanente presono messer Crespoldo signore
-di Bettona, e uno de’ Baglioni di Perugia ch’aveano
-loro data la terra, e patteggiarono co’ Perugini
-di dare costoro prigioni, e rendere la terra
-salve le persone loro solamente, lasciando l’arme
-e’ cavalli, e giurando di non venire mai contro
-a quello comune nè a quello di Firenze, e così
-fu fatto; e avendo mangiati centocinquanta cavalli
-de’ loro per fame, s’uscirono della terra, e
-i Perugini la presono; e trattine tutti gli abitanti,
-e tutte le masserizie e ogni altra sostanza, e
-condotta a Perugia, arsono la terra; e dopo l’arsione
-abbatterono le mura dentro e di fuori, acciocchè
-non avesse mai più cagione di rubellarsi
-a’ Perugini; e a messer Crespoldo e a quello de’
-Baglioni feciono tagliare le teste. E questa fu la
-fine dell’antica terra di Bettona, ripresa a dì 19
-del mese d’agosto gli anni <i>Domini</i> 1352, in gran
-vituperio de’ Visconti di Milano, e a onore del
-comune di Firenze, per lo cui aiuto e conforto
-infino alla fine i Perugini ebbono questa vittoria.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap27-3">CAP. XXVII.
-<span class="smaller"><i>Come la città d’Agobbio s’accordò co’
-Perugini.</i></span></h3>
-
-<p>
-Giovanni di Cantuccio signore d’Agobbio, avendo
-veduto come le cose non succedevano prospere
-all’imprese fatte per lo tiranno di Milano, e che
-Bettona non era potuta soccorrere, ed era disfatta,
-diffidandosi della sua difesa se la piena gli si volgesse
-addosso, sapendo che i suoi cittadini non
-erano in fede con lui, con astuta malizia si provvide
-e mandò a trattare pace co’ Perugini. E fu
-fatto che gli usciti vi tornassono, salvo messer
-Iacopo Gabbrielli, e tutti avessono frutti de’ loro
-beni, e che due anni il detto Giovanni vi potesse
-eleggere podestà d’Agobbio cui e’ volesse, e valicati
-i due anni, la città rimanesse al comune, e i Perugini
-avessono la guardia della terra senza altra
-giurisdizione: ma poco durò l’accordo, come seguendo
-si potrà vedere.
-</p>
-
-<h3 id="cap28-3">CAP. XXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come ser Lallo s’accordò con il re Luigi
-dell’Aquila.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avemo addietro contato come la città dell’Aquila
-si reggeva sotto il governamento di ser
-Lallo suo piccolo cittadino, il quale avea dimostrato
-più volte di tenerla quando per lo re d’Ungheria,
-e quando per lo re Luigi, come bene
-<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span>
-gli mettea; ma poichè il re Luigi fu coronato, e
-i Tedeschi e gli Ungheri partiti del Regno, vedendo
-che mantenere non la potrebbe contro alla
-corona, trasse suo vantaggio, e fecesi fare conte di
-Montorio, ed ebbe altre due castella in Abruzzi,
-e nell’Aquila ricevette capitano per lo re e per
-la reina. Nondimeno i cittadini ubbidivano più
-ser Lallo che il re o suo capitano, e convenne al
-re dissimulare la sua offesa per lo minore male.
-</p>
-
-<h3 id="cap29-3">CAP. XXIX.
-<span class="smaller"><i>Come i Perugini e’ Fiorentini tornarono a
-guastare Cortona.</i></span></h3>
-
-<p>
-I Perugini avuta la vittoria di Bettona, colle
-masnade del comune di Firenze ritornarono sopra
-la città di Cortona essendo messer Currado
-Lupo uscito del Regno all’Orsaia con cinquecento
-barbute, il quale si stette di mezzo
-senza pigliare arme; e i Perugini guastarono le
-ville intorno a Cortona come seppono il peggio.
-In questi medesimi dì, all’uscita d’agosto del
-detto anno, de’ cavalieri dell’arcivescovo ch’erano
-tornati al Borgo a san Sepolcro si partirono
-milledugento barbute, e andarono su quello
-d’Arezzo, e posonsi in sulla Chiassa, e afforzarono
-di steccati certo poggio sopra il campo
-per più loro salvezza: e quivi si misono per vernare
-in luogo dovizioso e grasso. E per ingannare
-gli Aretini cominciarono a comperare e a
-pagare derrata per danaio, non facendo vista d’alcuna
-violenza. E quando si vidono forniti, cominciarono
-<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span>
-a cavalcare per lo contado, e fare preda
-di bestiame e d’uomini e di ciò che trovavano
-senza avere contasto. E questo avvenne, che alquanti
-cittadini, meno di sette, avendo occupato
-il reggimento di quella città, per tema di loro
-stato presono gelosia de’ Fiorentini, e innanzi
-soffersono il danno da’ nemici, che volessono l’aiuto
-dagli amici. I Fiorentini nondimeno tennoro
-ottocento cavalieri alle frontiere di Valdarno,
-e raffrenavano alquanto le loro gualdane, e salvarono
-il loro distretto. Gli Aretini lungamente
-furono tribolati da quella gente, per la singolare
-non debita paura di pochi loro cittadini, come
-detto abbiamo.
-</p>
-
-<h3 id="cap30-3">CAP. XXX.
-<span class="smaller"><i>Come gli ambasciadori de’ tre comuni di Toscana
-tornarono dall’imperadore
-senza accordo.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questi dì gli ambasciadori de’ tre comuni
-di Toscana ch’erano stati con l’eletto imperadore
-tornarono, avendo assai praticato sopra i patti
-e convenenze promesse per lo suo vececancelliere,
-non trovando con lui concordia per la brevità
-del termine, e per la povertà del detto eletto,
-tempellato dal consiglio de’ ghibellini che non si
-fidasse de’ guelfi; ma questa parte non ebbe in
-lui podere, che conoscea che la necessità lo strignea,
-volendo pervenire al suo onore, d’avere
-l’amore e la confidenza de’ guelfi d’Italia, e però
-non si rompeva e non riusciva a niuno effetto.
-<span class="pagenum" id="Page_44">[44]</span>
-In questo avvenne che ragionando con gli
-ambasciadori, l’uno de’ Fiorentini per corrotto
-parlare, tenendosi più savio che gli altri perchè
-avea maggiore stato in comune, riprendendo
-l’eletto imperadore, disse: voi filate molto sottile;
-l’imperadore che sapea la lingua latina
-conobbe l’indiscreta parola, e turbato temperò
-se medesimo, parendoli che l’imperiale maestà
-ricevesse ingiuria dall’indiscreta e vile parola;
-ma d’allora innanzi poco volle udire quel savio
-ambasciadore. E venuto il termine diputato a’ detti
-ambasciadori convenne che tornassono, lasciando
-la cosa sospesa da ogni parte.
-</p>
-
-<h3 id="cap31-3">CAP. XXXI.
-<span class="smaller"><i>Come l’arcivescovo cercava pace co’ Toscani.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questa sospensione, gli animi de’ Toscani
-e principalmente de’ Fiorentini si cominciarono a
-cambiare, veggendo ch’erano a nulla del loro
-proponimento; e in questo l’arcivescovo conoscendo
-che questi comuni di Toscana intendeano a
-muovere contro a lui gran cose, e veggendosi ributtato
-da’ Fiorentini e da’ Perugini, grave
-gli sarebbe a mantenere guerra in Toscana, e
-già sentiva che i suoi vicini Lombardi non
-si contentavano di vederlo troppo grande, pensò
-che per lui facea d’avere pace co’ Fiorentini
-e Toscani; e confidandosi molto in Lotto Gambacorti
-da Pisa che allora era amico de’ Fiorentini,
-fece muovere le parole e insistere in quelle.
-Il nostro comune conoscendo che della pace del
-<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span>
-tiranno poco si poteano confidare, nondimeno
-vedendo che colla Chiesa nè coll’imperadore
-non aveano potuto far quello che procuravano,
-diede a intendersi a questo trattato. E avendo
-l’arcivescovo a questa fine mandati suoi ambasciadori
-a Serezzana, il comune vi mandò prima
-religiosi per suoi ambasciadori, per sentire se la
-sposizione fosse con speranza d’alcuno frutto. E
-nondimeno ordinarono e mandarono gli altri ambasciadori
-a Trevigi, ov’era venuto il patriarca
-d’Aquilea fratello dell’eletto e altri ambasciadori
-dell’imperadore futuro per trattare le cose cominciate
-co’ comuni di Toscana. Lasceremo al presente
-l’ambasciate tanto che torni il loro frutto,
-e seguiteremo nell’altre cose la nostra materia.
-</p>
-
-<h3 id="cap32-3">CAP. XXXII.
-<span class="smaller"><i>Come il prefetto da Vico fu fatto signore
-d’Orvieto.</i></span></h3>
-
-<p>
-I cittadini d’Orvieto rotti divisi e insanguinati
-per le cittadine discordie, e caduti nella
-forza de’ ghibellini, essendo naturali guelfi, voltandosi
-come l’infermo palpando, voltandosi ora
-da una parte ora dall’altra, alla fine per la sagacità
-del prefetto da Vico loro vicino fu fatto
-signore con certi patti; e messo nella città cominciò
-a far fare alcune paci, e rimise dentro de’ cittadini
-cacciati, e di fuori ritenne cui e’ volle, e la
-signoria reggea con poco contentamento del popolo,
-e patto promesso non osservava, sicchè non
-si vedeano alleggiati delle divisioni, nè delle nimistà
-<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span>
-cittadinesche, e vedendosi sottoposti al
-tiranno e signoreggiati da’ ghibellini. Ma dopo
-il fatto, aggiunta del vituperio è il pentersi; che la
-soma sotto il tirannesco giogo convenne loro portare.
-E questo avvenne all’uscita d’agosto del
-detto anno.
-</p>
-
-<h3 id="cap33-3">CAP. XXXIII.
-<span class="smaller"><i>Novità state a Roma.</i></span></h3>
-
-<p>
-All’entrata del mese di settembre del detto
-anno, il rettore del popolo romano oltraggiato
-da Luca Savelli, e male ubbidito dal popolo, volle
-ragunare il parlamento per rinunziare la signoria.
-Nel popolo nacque dissensione, che chi
-volea che rinunziasse, e chi nò. In questa contenzione
-messer Rinaldo Orsini, ch’era senatore,
-prese l’arme, e seguitato dal popolo, cacciò di Roma
-Luca Savelli co’ suoi seguaci, ma poco stettono
-fuori, che si tornarono dentro. Il rettore
-volendo fortificare il popolo con ordini, acciocchè
-i principi non avessono soperchia audacia, fece
-richiedere il popolo per rioni a bocca, e appresso
-colla campana: e non raunandosi, prese sospetto
-della sua persona; e trovando in sua balia seimila
-fiorini d’oro, che la Chiesa avea donati al
-popolo per aiutare mantenere quell’uficio, e altri
-denari ch’egli avea accolti, si partì di Roma e
-andossene in Abruzzi, e comperato uno castello si
-stette nel paese, avendo abbandonata la snervata
-repubblica, meritandolo per la sua incostanza.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap34-3">CAP. XXXIV.
-<span class="smaller"><i>Come la gente del Biscione assediarono la
-Città di Castello.</i></span></h3>
-
-<p>
-All’uscita di questo mese, i cavalieri dell’arcivescovo
-di Milano stati ad Arezzo e consumato
-il loro contado se ne partirono, e andarono sopra
-la Città di Castello, rubando per lo paese amici
-e nimici. E stando ivi, per più riprese i castellani
-uscirono a loro per assalti e per aguati, facendo
-d’arme assai notevoli cose.
-</p>
-
-<h3 id="cap35-3">CAP. XXXV.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini soccorsono Barga e sconfissono
-i Castracani.</i></span></h3>
-
-<p>
-Del mese d’ottobre del detto anno, essendo
-stata la terra di Barga in Garfagnana del comune
-di Firenze assediata quattro mesi e più da messer
-Francesco Castracani degl’Interminelli di
-Lucca coll’aiuto dell’arcivescovo di Milano, per
-modo che più non si potea tenere per difetto di
-vettuaglia, il comune di Firenze, quanto che
-quella terra gli fosse di grande costo e di piccola
-utilità, per non abbandonare gli amici ragunò
-a Pistoia seicento barbute e ventimila masnadieri,
-accomandati a messer Ramondo Lupo da
-Parma capitano di guerra, il quale maestrevolmente
-a dì 7 d’ottobre, la notte, si mosse colla
-gente e colla salmeria per la montagna di Pistoia,
-<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span>
-dando vista d’andarla a fornire da Sommacologna.
-E mandati cinquecento fanti con parte
-della salmeria per quella via, innanzi il dì traversò
-da Seravalle e misesi per la Valdinievole,
-e cavalcato per lo contado di Lucca, il dì di santa
-Reparata si trovò in Garfagnana nel piano dinanzi
-al Borgo a Mezzano in sul passo, dov’era
-messer Francesco con trecento cavalieri e con
-millecinquecento fanti buona gente d’arme alla
-guardia, il quale si mise fuori del borgo colle
-schiere fatte, prendendo l’avvantaggio del terreno.
-Il capitano de’ Fiorentini avendo confortata
-la sua gente di ben fare, in sull’ora del mezzo
-dì percosse a’ nimici con sì fatto empito, che in
-poca d’ora gli ebbe rotti e sbarattati, e morti da
-cinquanta in sul campo, e centoventi n’ebbono
-a prigioni, e tolto l’arme e’ cavalli li lasciarono
-alla fede. E preso il Borgo a Mezzano, messer
-Francesco campato della battaglia si fuggì in Uzzano.
-I Fiorentini coll’empìto di questa vittoria
-senza arresto se n’andarono a Barga, e trovando
-abbandonati i battifolli, ch’erano quattro, gli presono
-e arsono, e la vittuaglia ch’aveano portata e
-la guadagnata misono in Barga, e fornitala doppiamente,
-tornati per la via ond’erano andati, con
-vittoria se ne tornarono e Pistoia.
-</p>
-
-<h3 id="cap36-3">CAP. XXXVI.
-<span class="smaller"><i>Come si difese il borgo d’Arezzo per i
-Fiorentini.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questi dì, sentendo i cavalieri dell’arcivescovo
-ch’erano alla Città di Castello come i cavalieri
-<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span>
-de’ Fiorentini erano andati a Barga, tornarono
-ad Arezzo milleottocento cavalieri e puosonsi
-a Quarata. Cento de’ cavalieri de’ Fiorentini
-che tornavano da Perugia albergarono la notte
-nel borgo d’Arezzo, ove molti contadini erano rifuggiti
-col loro bestiame per paura de’ nimici;
-la cavalleria del Biscione si strinse al borgo, assalendolo
-aspramente per modo, che i cittadini
-l’abbandonarono; e sarebbe perduto, se non ch’e’
-cento cavalieri de’ Fiorentini francamente il difesono,
-e alla ritratta de’ nimici uscirono fuori
-del borgo, e feciono alla codazza danno e vergogna.
-</p>
-
-<h3 id="cap37-3">CAP. XXXVII.
-<span class="smaller"><i>D’un segno mirabile ch’apparve.</i></span></h3>
-
-<p>
-Nel detto anno, a dì 12 d’ottobre, venerdì sera
-tramontato il sole, si mosse tra gherbino e mezzogiorno
-una massa grandissima di vapori infocata,
-la quale ardeva con sì gran fiamma, che
-tutto il cielo di sopra e la terra alluminava maravigliosamente,
-e alla nostra vista valicò sopra
-la città di Firenze, e così parve a tutti i cittadini
-di catuna città d’Italia. E perchè fosse in somma
-altezza pareva agli uomini in catuna parte che
-dovesse toccare le sommità delle torri e le cime
-degli alberi; e spesso gittava fuori di se grandi
-brandoni di fuoco, che parea che cadessono in
-terra. E il suo corso fu tanto veloce fra tramontana
-e greco, che a tutti gl’Italiani, e a quelli del
-mare Adriatico, e a’ Friolani, e agli Schiavoni e
-<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span>
-Ungheri, e ad altri popoli più lontani, apparve
-valicando in quella medesima ora che a noi, e catuno
-stimava che ivi presso dovesse essere data in
-terra. Com’ebbe di subito valicata la nostra vista,
-essendo il cielo sereno senza alcuna macchia
-di nuvoli, a’ nostri orecchi pervenne un tonitruo
-grandissimo steso tremolante, il quale tenne
-sospesi gli orecchi lungamente non come tuono
-consueto, ma come voce di terremuoto, e dopo
-il tuono rimase l’aria quieta e serena, e così in
-ogni parte s’udì questa voce dopo il valicamento
-della massa. Questo segno fece molto maravigliare
-la gente, eziandio i più savi, non meno per
-la novità del tuono che per la grande massa del
-fuoco. Dissono alquanti sperti, che quello infocamento
-de’ vapori, o cometa o Asub che si
-fosse, che ella fu nel cielo in somma altezza in
-quello di Marte: ed era sì grande, che se venuta
-fosse a terra avrebbe coperta tutta l’Italia e
-maggiore paese. Vedemmo seguire in quest’anno
-diminuzioni d’acque, che dal maggio all’ottobre
-non furono acque che rigassono la terra,
-se con tempesta di gragnola e fortuna di disordinati
-venti non venne, e di quelle niuna che con
-frutto nella terra entrasse.
-</p>
-
-<h3 id="cap38-3">CAP. XXXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Tarlati arsono il Borgo di Figghine.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Piero Sacconi de’ Tarlati d’età di più
-di novant’anni, e il vescovo d’Arezzo degli Ubertini,
-e’ Pazzi di Valdarno con alquanti degli
-<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span>
-Ubaldini, avendo al loro servigio le masnade de’
-cavalieri dell’arcivescovo di Milano, a dì 12 d’ottobre
-del detto anno si mossono da Quarata con
-duemila cavalieri, e duemilacinquecento pedoni,
-e la domenica mattina, a dì 14 d’ottobre,
-colle schiere fatte, coperti da una grossa
-nebbia, valicarono Montevarchi, e lungo la riva
-d’Arno vennono fino all’Ancisa, e di là girarono
-ed entrarono nel borgo di Figghine: il quale
-per la subita venuta non era sgombro, ma pieno
-di masserizie, e di vittuaglia e di bestiame senza
-difesa, che ogni uomo avea inteso a guardare la
-persona. Il castello e il castelluccio de’ Benzi erano
-forniti e pieni di gente alla difesa, e però non
-tentarono d’assalirli. In Firenze avea poca gente
-d’arme, che ancora non era tornata l’oste che
-andò a Barga; quelli che si poterono avere cavalcarono
-all’Ancisa. I nemici stettono nel borgo
-di Figghine la domenica e il lunedì, e raccolsono
-la preda, lasciando la vittuaglia. E durando
-la grossa nebbia continuamente, il martedì mattina
-affocate le case del borgo si partirono senza
-alcuno impedimento; e prima ebbono preso e arso
-il Tartagliese, che quelli delle castella di Figghine
-sapessono la loro partita, o che il borgo fosse
-infocato, tanto ingrossava il fumo la nebbia, che
-tolto era loro del foco ogni vista. Allora corsono
-al borgo a spegnere il fuoco, ma tardi, per la
-maggior parte. Il danno fu grande, e la vergogna
-non minore, avendo liberata Barga in Garfagnana,
-e perduto e arso il borgo di Figghine; ma tornò
-in bene, che fu cagione di fare una forte e
-grossa e buona terra, come appresso a suo tempo
-<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span>
-racconteremo. I cavalieri dell’arcivescovo si tornarono
-ad Arezzo, e posonsi fuori della porta alla
-fonte Guinizzelli, e tribolato alcuno tempo da
-capo il loro contado si divisono per vernare tra
-gli amici del Biscione, e parte se ne tornò a Milano.
-</p>
-
-<h3 id="cap39-3">CAP. XXXIX.
-<span class="smaller"><i>Come gli usciti di Montepulciano
-venuti alla terra ne furono
-poi cacciati.</i></span></h3>
-
-<p>
-A dì 2 del mese di novembre del detto anno,
-messer Iacopo della casa de’ Cavalieri di Montepulciano,
-poco innanzi cacciato della terra perchè
-ne volea essere signore, avendo cento cavalieri
-dell’arcivescovo, e accolti altri cavalieri e
-fanti a piè di sua amistà, corrotto per moneta
-un notaio da Sanminiato del Tedesco ch’era
-sopra la guardia, e alcuni di quelle guardie,
-un venerdì notte spezzò una delle porte, e con
-tutta sua gente entrò nella terra, e fu in sulla
-piazza; e levato il romore, messer Niccolò suo
-consorto cavaliere di grande ardire di presente
-fu all’arme, e montato a cavallo con pochi compagni,
-subitamente senza attendere aiuto sì fedì
-tra costoro, e ravviligli sì forte, che non feciono
-resistenza, ma volti in fuga, messer Iacopo s’uscì
-della terra con venticinque cavalieri; gli altri
-errando per la terra, desto il popolo, furono
-presi, che furon settantacinque cavalieri, e il
-notaio colle guardie, de’ quali venticinque ne
-<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span>
-furono impiccati, col notaio, e gli altri smozzicati.
-Montepulciano fu libero per questa volta, ma
-cagione fu appresso della loro suggezione, come
-seguendo si potrà trovare.
-</p>
-
-<h3 id="cap40-3">CAP. XL.
-<span class="smaller"><i>Come fra Moriale fu assediato, e rendessi
-al re Luigi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Era rimaso nel Regno della gente del re d’Ungheria
-caporale messer fra Moriale solo, il quale
-teneva la città d’Aversa, e col re dissimulava,
-non facendo guerra e non rendendoli la terra. Il
-re vedendo ancora il reame tenero sotto la sua
-signoria, e il Provenzale baldanzoso, temeva di
-muovergli guerra; e per essere più forte e meglio
-ubbidito mandò per messer Malatesta da Rimini
-con quattrocento cavalieri, e fecelo vicario
-del Regno; il quale cavalcando per lo reame
-perseguitava i malfattori, e recava i baroni e’ comuni
-all’ubbidienza del re, e a tutti faceva pagare
-la colta, e fare i servigi feudatarii, e tenne
-per tutto i cammini aperti e sicuri. E tornato a
-Napoli, fece che il re mandò a fra Moriale che venisse
-a lui, e scusandosi, messer Malatesta il fece
-citare più volte dalla corte della vicherìa: e
-non comparendo, di subito colla sua gente, e con
-alquanta accolta del Regno, se n’andò ad Aversa,
-e nella terra se n’entrò senza contasto.
-Fra Moriale si rinchiuse nel castello colla sua
-gente, nel quale aveva il suo arnese e il tesoro
-accolto delle prede e ruberie de’ paesani, e pensavasi
-<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span>
-essere sicuro, e potere con patti rendere il
-forte castello al re quando a lui paresse, al modo
-di messer Currado Lupo: ma trovossi ingannato,
-che messer Malatesta di presente cinse il
-castello d’assedio, e appresso in pochi dì l’ebbe
-cinto di fosso e di steccato per modo, che nè entrare
-nè uscire vi si potea, e dì e notte il faceva
-guardare di buona e sollecita guardia, e così il
-tenne stretto tutto il mese di dicembre. E vedendosi
-fra Moriale disperato di soccorso, trasse
-patto di rendere il castello, avendo per suo bisogno
-stretto solamente mille fiorini d’oro, e salve
-le persone; e per bonarietà del re così fu fatto;
-e uscito del castello rassegnò al re il tesoro
-male guadagnato, e dispettoso se n’andò a Roma,
-pensando alla vendetta del re e di messer Malatesta,
-come poi per grande e fellonesco ardire
-gli venne fatto, come innanzi per li tempi
-racconteremo. Il castello e la città d’Aversa
-rimase al re, e l’ubbidienza di tutto il Regno e
-di catuno barone per operazione di messer Malatesta.
-</p>
-
-<h3 id="cap41-3">CAP. XLI.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini fornirono Lozzole.</i></span></h3>
-
-<p>
-All’uscita di novembre del detto anno, i Fiorentini,
-avendo con battifolli stretto il castello
-di Lozzole per la forza degli Ubaldini nel Podere,
-mandarono dugento cavalieri e millecinquecento
-masnadieri col vicario di Mugello nell’alpe,
-e presono in sul giogo dell’alpe il poggio di
-<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span>
-Malacoda e quello di Vagliana, e fecionli guardare
-a’ fanti a piè e a’ cavalieri, e con seicento masnadieri
-tennero i Prati: e eletti cento buoni masnadieri
-condussono il fornimento colla salmeria,
-e rotti quelli del battifolle che voleano
-contrastare il passo, per forza gli rimisono dentro,
-e la roba condussono nel castello. Certi villani
-del paese, pochi e male armati, con trenta
-femmine ch’aveano con loro saliti in alcuna parte
-sopra Malacoda, gridavano contro a’ masnadieri
-ch’erano a quella guardia, e le femmine urlavano
-sanza arresto; i codardi masnadieri mandarono
-per soccorso al vicario messer Giovanni degli
-Alberti, il quale vi mandò cinquanta cavalieri,
-i quali si rimasono nella piaggia; il castello era
-fornito, e l’animo della gente codarda era di tornare
-in Mugello; que’ di Malacoda non vedendo
-venire soccorso, impauriti delle grida delle femmine
-abbandonarono il poggio, fuggendo alla
-china. I fanti degli Ubaldini, ch’erano settanta
-per novero, gli cominciarono a seguire, e lasciare
-i palvesi per essere più spediti, e le trenta femmine
-seguitavano rinforzando le grida: allora
-tutta l’oste si mosse senza attendere l’uno l’altro
-dirupandosi e voltolandosi per le ripe. Il
-vicario fu il primo che portò la novella della rotta
-alla Scarperia. L’altra parte de’ masnadieri
-ch’erano a Vagliano, sentendo fuggiti il capitano,
-e’ cavalieri e’ pedoni de’ Prati e di Malacoda,
-si diedono a fuggire sanza essere incalciati. I
-cento fanti ch’aveano fornito il castello, sentendo
-fuggita l’oste d’ogni parte, vigorosamente
-stretti insieme, essendo usciti quelli del battifolle
-<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span>
-contro a loro, per forza gli rimisono nel battifolle,
-e tornaronsi nel castello, e di nuovo il
-rifornirono di legne: e poi l’altro dì, bene acconci
-e avvisati alla loro difesa, se ne tornarono
-a salvamento. Degli altri rimasono prigioni
-centoventi cavalieri, e più di trecento pedoni;
-morti n’ebbe pochi. Questa fu più notabile fortuna
-che gran fatto. Ha meritato qui d’essere notata
-per esempio della mala condotta, che spesso
-i vinti fa vincitori, e i vincitori vinti. Nella
-nostra città, in questi tempi, di così fatti falli
-non si tenea ragione, però spesso ricevea vituperoso
-gastigamento.
-</p>
-
-<h3 id="cap42-3">CAP. XLII.
-<span class="smaller"><i>Maraviglie fatte a Roma per una folgore.</i></span></h3>
-
-<p>
-Non senza cagione di singulare ammirazione
-vegnamo a fare memoria, come a dì 11 del mese
-di dicembre, già il cielo sgravato da impetuoso
-caldo solare, che suole nell’aria naturalmente
-generare folgori e tempeste, una disusata fortuna
-di venti e di tuoni turbò l’aria, e in quella
-tempesta una folgore cadde in Roma, e percosse
-il campanile di san Piero, e abbattè la cupola
-e parte del campanile, e tutte le grandi
-e nobili campane ch’erano in quello fece cadere,
-e trovaronsi quasi tutte fondute in quello
-punto, come fossono colate nella fornace. Questa
-pare una favola a raccontare, ma fu manifesto
-a molti che ’l vidono, da cui ne avemmo
-chiara e vera testimonianza. E molti il recarono
-<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span>
-in segno ovvero prodigio della seguente materia.
-</p>
-
-<h3 id="cap43-3">CAP. XLIII.
-<span class="smaller"><i>Come morì papa Clemente sesto,
-e di sue condizioni.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questi dì, essendo malato papa Clemente sesto
-nella città d’Avignone in Provenza d’una
-continua, ond’era giaciuto sei dì, la notte vegnente
-la festa di santo Niccola, a dì 5 di dicembre,
-passò di questa vita, avendo tenuto il papato
-anni dieci e mesi sette. Costui fu natìo di
-Francia, e arcivescovo di Rouen, e grande amico
-e protettore del re Filippo di Francia, e
-per lui, innanzi al papato e poi che fu papa,
-assai cose fece; e a papa Giovanni venne per
-suo ambasciadore, e nella persona del detto re
-promise e giurò che farebbe il passaggio d’oltre
-mare. Costui fatto papa non restò di fare quanto
-il detto re seppe domandare, e molto scopertamente.
-Nella guerra ch’ebbe col re d’Inghilterra
-prese la parte del re di Francia, e assai vi
-consumò del tesoro di santa Chiesa. Larghissimo
-papa fu di dare i beneficii di santa Chiesa, e
-tanti ne stribuì a spettanti l’uno appresso l’altro,
-che non si trovava chi più ne domandasse,
-sanza il beneficio dell’<i>Anteferri.</i> Il suo ostiere
-tenne alla reale con apparecchiamento di nobili
-vivande, con grande tinello di cavalieri e scudieri,
-con molti destrieri nella sua malistalla.
-Spesso cavalcava a suo diporto, e mantenea grande
-<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span>
-comitiva di cavalieri e scudieri di sua roba.
-Molto si dilettò di fare grandi i suoi parenti, e
-grandi baronaggi comperò loro in Francia. La
-Chiesa rifornì di più cardinali suoi congiunti, e
-fecene de’ sì giovani e di sì disonesta vita, che
-n’uscirono cose di grande abominazione; e certi
-altri fece a richiesta del re di Francia, fra i quali
-anche n’ebbe de’ troppo giovani. A quel tempo
-non s’avea riguardo alla scienza o alle virtù, bastava
-saziare l’appetito col cappello rosso. Uomo
-fu di convenevole scienza, molto cavalleresco, poco
-religioso. Delle femmine assendo arcivescovo non
-si guardò, ma trapassò il modo de’ secolari giovani
-baroni: e nel papato non se ne seppe contenere
-nè occultare, ma alle sue camere andavano
-le grandi dame come i prelati; e fra l’altre
-una contessa di Torenna fu tanto in suo
-piacere, che per lei facea gran parte delle grazie
-sue. Quando era infermo le dame il servivano
-e governavano, come congiunte parenti gli
-altri secolari. Il tesoro della Chiesa stribuì con
-larga mano. Dell’italiane discordie poco si curò;
-e l’impresa fatta a sua stanza contro al tiranno di
-Bologna in sul buono abbandonò, e della vergogna
-di santa Chiesa non si fece coscienza,
-ma per i molti danari che l’arcivescovo di Milano
-largamente sparse ne’ suoi parenti e nel re
-di Francia ogni cosa gli perdonò, e intitolollo
-per la Chiesa vicario di Bologna. Vacò la Chiesa
-tredici dì. La cometa Nigra pronosticò la sua
-morte, la folgore di san Piero a Roma la sua fama
-consumata nel vile metallo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap44-3">CAP. XLIV.
-<span class="smaller"><i>Come fu fatto papa Innocenzio sesto.</i></span></h3>
-
-<p>
-Dopo la morte di papa Clemente sesto, i cardinali
-rinchiusi in conclave sentendo che il re di
-Francia s’affrettava di venire a Avignone per avere
-papa a sua volontà, la qual cosa non gli potea
-mancare, tanti cardinali aveva a sua stanza e
-di suo reame, ma non ostante che tutto il collegio
-de’ cardinali fosse stato al servigio del detto
-re, tuttavia per la riverenza della libertà di santa
-Chiesa, vollono innanzi avere fatto papa di loro
-movimento, che a stanza del re di Francia. E però
-di presente presono accordo tra loro, ed elessono
-a papa il cardinale d’Ostia nativo di Limogi,
-il quale era stato vescovo di Chiaramonte, uomo
-di buona vita, e di non grande scienza, e assai
-amico del re di Francia; la sua fama infra gli
-altri era di semplice e buona vita, e antico d’età;
-e fecesi ne’ papali palagi in Avignone a dì
-28 di dicembre, gli anni <i>Domini</i> 1352. Prese l’ammanto
-di san Piero e la corona del regno, e ne’
-suoi principii ragionò d’ammendare la disonestà
-della corte, e fecene alcune buone costituzioni,
-e fecesi chiamare papa Innocenzio sesto.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap45-3">CAP. XLV.
-<span class="smaller"><i>Come usciti di prigione i reali del Regno
-s’arrestarono a Trevigi.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo anno del mese di novembre, essendo
-liberati di prigione messer Ruberto Prenze di Taranto,
-e messer Luigi di Durazzo dal re d’Ungheria,
-se ne vennono a Vinegia; e ricevuto onore
-da quello comune, se n’andarono a Trevigi,
-e ivi attesono gli altri loro due fratelli messer
-Filippo di Taranto, e messer Ruberto di Durazzo.
-Il re d’Ungheria volle che i primi due reali
-essendo in loro libertà facessono certe obbligazioni,
-le quali non furono palesi, ma certo fu che
-a Trevigi vennero a loro ambasciadori del re d’Ungheria,
-e che da loro presono certe obbligazioni.
-E per avere questo tenne gli altri due fratelli
-tanto, che gli ambasciadori furono da Trevigi
-tornati in Ungheria colle cautele pubbliche di
-quello ch’elli aveano promesso, e allora furono
-licenziati messer Filippo di Taranto, e messer Ruberto
-di Durazzo, e vennonsene a Trevigi agli altri
-loro fratelli. E partiti di là se ne vennono a Ferrara,
-e appresso a Forlì, ricevuti in catuna parte
-a grande onore. E stando in Romagna, mandarono
-a Firenze per volere valicare nel Regno per
-la nostra città, e per lo nostro contado, ove si
-pensavano potere venire confidentemente a grande
-onore. Certi cittadini potenti, parziali di setta
-cittadinesca, che allora reggevano il comune, vietarono
-<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span>
-la loro venuta nella città, e il passo per lo
-contado, cosa incredibile a narrare, considerato
-l’antico e incorrotto amore di quella casa reale
-al nostro comune, e il sangue loro mescolato con
-quello de’ cittadini di Firenze, sparto nelle nostre
-battaglie in difensione di quella città, e ora
-vieta loro il passo per lo suo distretto, uomini
-usciti di prigione, senza arme e senza comitiva.
-Io mi vergogno a scrivere che quello che il nostro
-comune spesso concede a’ nemici fosse vietato
-a costoro. Se il comune ci avesse fallato, sarebbe
-detestabile cosa a trovare memoria di cotanta
-ingratitudine: ma considerata la singolare
-vilezza delle cittadine sette, figura della sfrenata
-tirannia, non è cosa maravigliosa. I reali non
-senza giusta cagione sdegnati presono altra via,
-e capitarono a Roma.
-</p>
-
-<h3 id="cap46-3">CAP. XLVI.
-<span class="smaller"><i>Di novità state in Sangimignano.</i></span></h3>
-
-<p>
-Ricordandoci de’ due fratelli dicollati degli Ardinghelli
-di Sangimignano, ci occorre come i loro
-consorti tennono che ’l fatto fosse per operazione
-de’ Salvucci di quella terra, onde i detti Ardinghelli
-provveduti d’aiuto di loro parenti e amici,
-a dì 20 di dicembre del detto anno levarono
-romore nella terra, e seguitati dalla maggior
-parte del popolo corsono alle case de’ Salvucci
-in su la piazza della pieve, e trovandoli sprovveduti
-alla difesa, senza fare resistenza furono
-cacciati di Sangimignano, e le loro case rubate
-<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span>
-e arse, e di tutti i loro seguaci; e la terra ch’era
-in guardia del comune di Firenze tennono per
-loro, temendo di non essere puniti del malificio
-commesso. I Salvucci cacciati co’ loro seguaci il
-dì della pasqua di Natale se ne vennono a Firenze,
-domandando l’aiuto del comune, sotto la
-cui guardia erano rubati e cacciati della loro
-terra. Dall’altra parte gli Ardinghelli col titolo
-e coll’autorità del comune mandarono ambasciadori
-a Firenze, dicendo, ch’aveano cacciati
-i ghibellini di Sangimignano, e la terra teneano
-a onore del comune di Firenze e di parte
-guelfa; e dove il comune l’avea per piccolo
-tempo, la voleano dare per maggiore, ove delle
-cose fatte non si facesse alcuna vendetta, e che
-i loro nimici non fossono rimessi nella terra. Il
-comune tenne sospeso un pezzo, cercando se modo
-v’avesse d’accordo, ma continovo cresceva
-la mala disposizione, diffidandosi gli Ardinghelli
-e i loro seguaci d’avere remissione di quello
-ch’aveano commesso, e aveano d’intorno a loro
-di mali consigliatori; onde per la contumace e
-per l’impotenza poco appresso ne seguì la suggezione
-di quella terra, come a suo tempo racconteremo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap47-3">CAP. XLVII.
-<span class="smaller"><i>Come i comuni di Toscana mandarono
-solenni ambasciadori a Serezzana
-a trattare pace.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avvegnachè ne’ cominciamenti poca fede si
-prendesse per li Fiorentini e per gli altri comuni
-di Toscana della pace coll’arcivescovo di
-Milano, nondimeno avendo trattato prima co’
-religiosi, e poi con abboccamento d’altri ambasciadori,
-e trovandosi convenienza alla pace,
-si ordinò più solenne ambasciata di tutti i comuni,
-i quali si convennono a Firenze, e in segreto
-si conferì la sostanza de’ patti; e il simigliante
-fece l’arcivescovo co’ suoi e con gli ambasciadori
-de’ ghibellini d’Italia, che concorrevano alla
-detta pace. E catuno comune diede libertà a’ suoi
-ambasciadori di potere fermare la concordia. E poi,
-il primo dì di gennaio del detto anno, andarono a
-Serezzana per dare compimento alla detta pace.
-</p>
-
-<h3 id="cap48-3">CAP. XLVIII.
-<span class="smaller"><i>Di grandi tremuoti vennono in Toscana e in
-altre parti.</i></span></h3>
-
-<p>
-A dì 25 di dicembre del detto anno, in sul vespro,
-furono grandi terremuoti, i quali abbatterono
-al Borgo a san Sepolcro una parte degli edifici
-della terra, con danno di bene cinquecento
-tra uomini e femmine e fanciulli morti. E la rocca
-<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span>
-d’Elci in su’ confini tra Arezzo e il Borgo subissò
-con que’ viventi che v’erano a guardarla
-per l’arcivescovo di Milano. E sollevati i tremuoti
-alquanti dì, poi a dì 31 del detto mese,
-la notte, vegnente la mattina di calen di
-gennaio in sul mattutino, rinnovellarono maggiori
-terremuoti. E alla detta terra del Borgo furono
-sì terribili, che quasi tutti gli edifici di quella
-terra fece rovinare, nel cui scotimento, per la notte
-e per le ruine d’ogni parte, pochi ne poterono
-campare, fuggendosi ignudi negli orti e nelle piazze
-della terra, e quasi la maggiore parte de’ terrazzani
-e de’ forestieri che v’erano feciono delle
-case sepoltura a’ lacerati corpi, e molti magagnati
-e mezzi morti stettono parecchi dì senza aiuto
-sotto le travi e’ palchi e altre concavità fatte
-dalla ruina, e assai ne morirono che sarebbono
-campati se avessono avuto soccorso. Le mura della
-terra da ogni parte caddono: e di vero gran
-pietà fu a vedere l’eccidio di cotanti cristiani
-involti in così aspro giudicio dalla loro morte,
-che fatto conto, più di duemila uomini d’ogni
-sesso spirarono sotto quelle rovine. E non è da
-lasciare senza memoria quello ch’avvenne loro
-per essere sotto la tirannia, che per paura de’ primi
-terremuoti erano usciti della terra e stavano
-a campo, e sarebbono campati, ma per tema della
-terra messer Piero Sacconi, e Nieri da Faggiuola
-col vicario dell’arcivescovo vi cavalcarono, e
-per forza costrinsono i terrazzani e’ soldati a
-ritornare nella terra. Alcuni favoleggiando dissono,
-che questo fu singolare sentenza di Dio, perchè
-<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span>
-costoro furono i primi in Toscana che diedono
-ricetto alla gente del gran tiranno arcivescovo
-di Milano, in confusione de’ loro circostanti; e
-tutte le prede indebitamente tolte a’ loro vicini
-comperavano per niente, ingrassando e arricchendo
-di quelle indebitamente, non avendo i detti
-terremuoti fatto alcuno danno in Toscana.
-</p>
-
-<h3 id="cap49-3">CAP. XLIX.
-<span class="smaller"><i>Come i Sanesi andarono a oste a
-Montepulciano.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo i signori della casa de’ Cavalieri di
-Montepulciano divisi e cacciati l’uno l’altro, come
-addietro è dimostrato, quelli ch’erano rimasi
-signori teneano l’amistà de’ Perugini, e gli usciti
-quella de’ Sanesi, onde avvenne che i Sanesi volevano
-che la terra tornasse al governamento del
-popolo; e temendo coloro che la reggevano per
-lo movimento de’ Sanesi, si fortificarono con aiuto
-di gente d’arme de’ Perugini, e per questo
-i Sanesi cominciarono a cavalcare sopra loro. E
-i terrazzani colle masnade de’ Perugini e de’ loro
-soldati s’aiutavano francamente, facendo
-vergogna alla cavalleria de’ Sanesi, e per questo
-presono sdegno contro a’ Perugini. E del comune
-di Firenze si dolsono, perchè richiesti a questa
-impresa non vollono contro agli amici loro guelfi
-dare loro aiuto. E tanto montò l’altezza dello
-sdegno de’ Sanesi, che si fornirono di gente d’arme
-a piè e a cavallo, e misonsi all’assedio di
-Montepulciano, e quello continovarono infino
-<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span>
-al maggio seguente 1353, e strinsonlo con battifolli;
-e’ Perugini per non dispiacere a’ Sanesi
-ne ritrassono la gente loro. I Fiorentini e’ Perugini
-mandarono gli ambasciadori a trovare modo
-di pace e di concordia tra ’l comune di Siena
-e quello di Montepulciano, i quali vi dimorarono
-lungamente, innanzi che potessono recare
-le parti a concordia. E perocchè nel detto tempo
-altre cose occorsono, conviene per dare parte
-a loro alquanto soggiornare alla presente materia.
-</p>
-
-<h3 id="cap50-3">CAP. L.
-<span class="smaller"><i>Come Gualtieri Ubertini fu decapitato.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo medesimo mese di dicembre fu preso
-in un aguato da’ soldati del comune di Firenze, a
-Civitella del vescovo d’Arezzo, Gualtieri figliuolo
-di Bustaccio degli Ubertini, giovane di grande
-fama, valoroso e pro’, e di grande aspetto e
-seguito, il quale per comandamento del comune
-fu menato a Firenze: e credendosi campare,
-trovandosi il bando generale di tutti quelli della
-casa degli Ubertini per la loro ribellione, la vigilia
-di Natale fu dicollato, di cui gli Ubertini
-riceverono gran danno, perocchè troppo era giovane
-di buono aspetto. A costui fu tagliata la testa
-dirimpetto allo spedale di sant’Onofrio; e
-messo il corpo nella cassa in due pezzi, e portandosi
-alla chiesa di santa Croce, venuto a piè
-del campanile di quella chiesa, per spazio d’una
-saettata di balestro o più il corpo si dibattè,
-e aperse le giunture della cassa con tanto dicrollamento,
-<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span>
-che a pena fu ritenuta che non cadde
-di collo agli uomini che ’l portavano; cosa assai
-maravigliosa, ma fu vera e manifesta a molti,
-e noi l’avemmo da coloro che ’l detto corpo nella
-cassa portarono, uomini degni di fede.
-</p>
-
-<h3 id="cap51-3">CAP. LI.
-<span class="smaller"><i>Come il duca d’Atene assediò Brandizio.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questi dì, avendo il re Luigi fatta certa richiesta
-di baroni del Regno, fra gli altri vi venne
-messer Filippo della Ripa di Brandizio, ricco
-d’avere e di piccola nazione, da cui il re con
-finte cagioni intendea di trarre di molti danari. A
-costui fu rivelata l’intenzione del re, ond’egli senza
-congio si ritornò in Puglia. Il re fattolo da capo
-richiedere per contumacia, ebbe cagione di farlo
-bandire. Il duca d’Atene che colle sue terre gli era
-vicino, per torgli il suo, e per potere sotto la coverta
-di costui prendere Brandizio, se n’andò
-in Puglia; e presa licenza di procacciare di recare
-al fisco i beni di costui ch’era bandeggiato,
-raunò gente d’arme, e non sappiendo il re che
-procedesse per questo modo, fece di suoi Franceschi
-e d’altri soldati quattrocento cavalieri e
-millecinquecento pedoni, e andò a oste a Brandizio.
-I terrazzani vedendosi questa gente addosso
-improvviso si maravigliarono forte, e conobbono
-il fatto tirannesco, e di presente s’unirono alla
-difesa, e non lo lasciarono accostare alla città.
-Puosesi a campo di fuori, e cominciò a correre e
-fare preda per lo paese d’intorno. Sentendo questo
-<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span>
-il re Luigi si maravigliò del duca, che faceva
-di suo arbitrio quello che non gli era commesso,
-e incontanente per lettere gli mandò comandando
-che da Brandizio si dovesse levare: ma poco
-valsono i suoi comandamenti, che vi s’affermò credendosi
-occupare quella terra con tirannesca intenzione.
-Sopravvenne la tornata del Prenze di
-Taranto, e il re per farli onore, ch’era d’età suo
-maggiore fratello, sentita la volontà de’ cittadini
-ch’aveano amore al Prenze, così assediata glie la
-privilegiò; e i cittadini di concordia l’accettarono
-per loro signore, e allora il duca se ne levò
-da assedio.
-</p>
-
-<h3 id="cap52-3">CAP. LII.
-<span class="smaller"><i>Come i Perugini feciono pace co’ Cortonesi.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo verno, sentendosi per l’Italia che a
-certo la pace generale si dovea fare tra i comuni
-di Toscana, e l’arcivescovo di Milano e’ suoi aderenti
-ghibellini, i Cortonesi per mostrare più
-liberalità a’ Perugini, e il comune di Perugia
-per non obbligarsi al patto della generale pace, di
-concordia vollono pervenire a quella, e di buona
-volontà feciono pace tra loro. È vero che innanzi
-la pace i Cortonesi non fidandosi de’ Perugini
-domandarono sodamenti, e il comune
-di Perugia a grande istanza richiese il comune
-di Firenze, che fosse mallevadore per lui a’ signori
-e al comune di Cortona di diecimila marchi
-d’argento, che manterrebbe a’ Cortonesi buona e
-leale pace. Il nostro comune mosso alle richieste
-<span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span>
-di quello di Perugia, fece sindaco un suo cittadino
-chiamato Otto Sopiti, e per lui fece il sodamento
-e l’obbligagione predetta a’ signori e al
-comune di Cortona liberamente, come i Perugini
-seppono divisare.
-</p>
-
-<h3 id="cap53-3">CAP. LIII.
-<span class="smaller"><i>Come il popolo di Gaeta uccisono dodici loro
-cittadini per la carestia ch’aveano.</i></span></h3>
-
-<p>
-Ancora lo stato dello sviato Regno non era queto
-dalla fortuna e in debito reggimento, essendo
-quest’anno generale carestia in Italia, il minuto
-popolo di Gaeta, avendo invidia a’ buoni e ricchi
-cittadini mercatanti di quella città, del mese
-di dicembre del detto anno si mossono a furore
-e presono l’arme, e furiosi corsono per la terra,
-a intenzione d’uccidere quanti trovare potessono
-di loro maggiori: e in quell’empito uccisono
-dodici de’ migliori che trovarono senza alcuna misericordia,
-grandi e onesti e buoni mercatanti; gli
-altri si fuggirono e rinchiusono in luoghi ove
-il furore del popolo non si potè stendere. Il re Luigi
-avendo intesa questa iniquità vi cavalcò in
-persona con gente d’arme per farne giustizia,
-e giunto in Gaeta, fece inquisizione di questo
-fatto; la cosa fu scusata per la furia d’alquanti,
-e furono presi e giustiziati de’ meno possenti; degli
-altri si fece composizione di moneta, e chi fu
-morto s’ebbe il danno, e la corte pervertì; e racquetata
-la cosa, il re gli ordinò, e tornossene a
-Napoli.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap54-3">CAP. LIV.
-<span class="smaller"><i>Come il papa volle trattare pace da’ Genovesi
-a’ Veneziani.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo medesimo verno, papa Innocenzio
-mandò al comune di Genova e a quello di Vinegia
-che mandassono a lui gli ambasciadori
-ch’erano stati a papa Clemente a trattare della
-loro pace, e per la morte sopravvenuta del detto
-papa se n’erano partiti senza essere d’accordo, perocch’egli
-intendea di metterli in pace giusta suo
-podere. I Genovesi non vollono tornare a corte,
-nè entrare in trattato di pace co’ Veneziani, anzi
-ordinarono lega e compagnia col re d’Ungheria
-contro a’ Veneziani. E il detto re avendo
-promessa compagnia co’ Genovesi mandò a Venezia
-al comune che gli dovesse restituire Giara, e
-l’altre città e terre ch’aveano occupate del suo
-reame nella Schiavonia. I Veneziani feciono agli
-ambasciadori quella savia risposta che seppono,
-facendosi tra loro beffe della sua domanda;
-nondimeno non senza paura, e con molta sollicitudine
-e con grande spendio fornirono a doppio,
-oltre all’usato, tutte le terre che teneano in
-quella marina.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap55-3">CAP. LV.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini osteggiaro Sangimignano,
-e fecionli ubbidire.</i></span></h3>
-
-<p>
-Addietro è narrato come quelli che reggeano
-Sangimignano teneano trattato col comune di
-Firenze, ma non fidando, non si poteano per
-lo comune riducere a fermezza, e il comune temendo
-che in questa vacillazione peggio non ne
-seguisse, del mese di febbraio del detto anno vi
-mandò messer Paolo Vaiani di Roma, allora podestà
-di Firenze, con seicento cavalieri e con grande
-popolo, i quali giunti intorno alla terra, e non
-avendo risposta da quelli d’entro, a volontà del
-nostro comune vi si misono a campo, e cominciarono
-a dare il guasto; ma però alcuno Sangimignanese
-o loro gente d’arme non uscirono fuori
-per fare alcuna resistenza o altra vista, ma
-dopo il ricevuto danno vennono alla concordia,
-che il comune di Firenze dovesse fare la pace fra
-loro e gli usciti, e che d’allora gli usciti avessono
-i frutti de’ loro beni, ma dovessono stare fuori
-della terra sei mesi, e fatta la pace tra gli Ardinghelli
-e’ Salvucci, per lo comune di Firenze
-detto, e’ potessono tornare nella terra: e che
-il comune di Firenze oltre al termine de’ tre anni
-che ne dovea avere la guardia l’avesse anche
-cinque anni, e che per patto vi tenesse settantacinque
-cavalieri col capitano della guardia alle
-loro spese. E fatto il decreto e le cautele per i
-loro consigli, e ricevuto il capitano colla sua
-compagnia, l’oste se ne tornò a Firenze.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap56-3">CAP. LVI.
-<span class="smaller"><i>Come in Italia fu generale carestia.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo anno fu generale carestia in tutta
-Italia; in Firenze cominciò di ricolta a valere lo
-staio del grano soldi quaranta di libbre cinquantadue
-lo staio, e in questo pregio stette parecchi
-mesi: poi venne montando tanto, che andò in lire
-cinque lo staio, i grani cattivi e di mal peso.
-Le fave lire tre lo staio, e così i mochi e le vecce:
-il panico soldi quarantacinque in cinquanta,
-e la saggina soldi trenta in trentacinque. Il
-vino di vendemmia valse il cogno fiorini sei d’oro
-del più vile, e otto e dieci il migliore, e montò in
-fiorini quindici il cogno. La carne del porco
-senza gabella lire undici il centinaio; il castrone
-denari ventotto in trenta la libbra tutto l’anno.
-La vitella di latte montò danari trentadue in quaranta
-la libbra; l’uovo danari cinque e sei l’uno;
-l’olio lire cinque e mezzo in sei l’orcio, di libbre
-ottantacinque. Tutti erbaggi furono in somma
-carestia; e in que’ tempi valea il fiorino dell’oro
-lire tre soldi otto di piccioli. Tutti drappi da vestire,
-di lana, e di lino, e di seta, furono in notabile
-carestia, e così il calzamento. E benchè
-abbiamo fatto conto di Firenze, in quest’anno
-fu tenuto in tutta Italia che Firenze avesse così
-buono mercato comunalmente come alcuna
-altra terra. Ed è da notare, che di così grande
-e disusata carestia il minuto popolo di Firenze
-non parve che se ne curasse, e così di più
-<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span>
-altre terre; e questo avvenne perchè tutti erano
-ricchi de’ loro mestieri: guadagnavano ingordamente,
-e più erano pronti a comperare e a vivere delle
-migliori cose, non ostante la carestia, e più
-ne devano per averle innanzi che i più antichi e
-ricchi cittadini, cosa sconvenevole e maravigliosa
-a raccontare, ma di continova veduta ne possiamo
-fare chiara testimonianza. E quello che a altri tempi
-innanzi alla generale mortalità sarebbe stato
-tomulto di popolo incomportabile, in quest’anno
-continovo improntitudine e calca del minuto popolo
-fu nella nostra città ad avere le cose innanzi
-a’ maggiori, e di darne più che gli altri. E così
-festeggiava, e vestiva e convitava il minuto popolo,
-come se fossono in somma dovizia e abbondanza
-d’ogni bene.
-</p>
-
-<h3 id="cap57-3">CAP. LVII.
-<span class="smaller"><i>Come i Romani uccisono colle pietre Bertoldo
-degli Orsini loro senatore.</i></span></h3>
-
-<p>
-Senatori di Roma erano il conte Bertoldo degli
-Orsini e Stefanello della Colonna, e dal popolo
-erano infamati d’avere venduta la tratta, e
-lasciato trarre il grano della loro Maremma, e
-questo era fatto per loro, non pensando che ’l grano
-andasse in così alta carestia. In Campidoglio
-si faceva il mercato a dì 15 di febbraio del detto
-anno, e la sù abitavano i senatori; e accoltovisi
-grande popolo per comperare del grano, e trovandone
-poco e molto caro, corsone a furore al palagio
-de’ senatori con le pietre in mano. Stefanello
-<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span>
-ch’era giovane fu accorto, e innanzi che il popolo
-moltiplicasse al palagio col furore si fuggì per
-una porta di dietro, e salvò la persona; il conte
-Bertoldo fu più tardo, e volendosi fuggire, fu sorpreso
-dal furore di quel popolo, e colle pietre
-lapidato e morto: e tante glie ne gittarono addosso,
-acciocchè catuno fosse partecipe a quella vendetta,
-che bene due braccia s’alzò la mora delle
-pietre sopra il corpo morto del loro senatore; e
-fatto questo, il popolo comportò la carestia più
-dolcemente.
-</p>
-
-<h3 id="cap58-3">CAP. LVIII.
-<span class="smaller"><i>Come fu tagliata la testa a Bordone
-de’ Bordoni.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questi dì, del mese di febbraio sopraddetto,
-essendo podestà di Firenze messer Paolo Vaiani
-di Roma, uomo aspro e rigido nella giustizia,
-avendo presa informazione di mala fama contro a
-Bordone figliuolo che fu di Chele Bordoni, antico
-e grande e potente popolano di Firenze, essendo
-questo giovane sopra gli altri leggiadro e di grande
-pompa, il fece pigliare per ladro, apponendogli
-molti furti, e tutti per martorio gliel fece confessare.
-I suoi consorti, ch’erano in grande stato
-in comune, co’ priori e collegi il difendeano, e
-non parea loro che il podestà il dovesse condannare
-a morte; il mormorio del popolo minuto
-era contro a lui, e ’l podestà non si volea muovere
-ad alcuno priego de’ signori; onde avvenne,
-per male consiglio, ch’e’ priori, acciocchè ’l podestà
-<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span>
-non potesse fare uficio, cassarono tutta la sua
-famiglia. Costui più inacerbito lasciò la bacchetta
-della sua podesteria a’ priori, e tornossi al palagio
-come privato uomo. Il mormorio si levò
-grande nella città contro a’ priori, e parendo loro
-avere fatto male, con ogni preghiera cercarono
-di poterlo ritenere; ma l’astuto Romano,
-sentendo scommosso il popolo, la notte montò
-a cavallo e andossene a Siena. Il popolo sentendolo
-partito, quasi come comunità rotta trassono
-al palagio de’ priori e a quello della podestà,
-e doleansi dicendo, che i potenti cittadini
-che facevano i grandi mali non voleano che fossono
-puniti, e i piccoli e impotenti cittadini d’ogni
-piccolo fallo erano impiccati, e smozzicati,
-e dicollati; e per questa novità fu la città in grande
-smovimento, operandosi l’animosità delle
-sette. I signori vedendo la città a cotal condizione,
-di subito gli mandarono ambasciadori, e
-con fiorini duemilacinquecento d’oro che gli diedono
-per suoi interessi fecionlo ritornare: e ritornato,
-per grazia fece dicollare Bordone, e il
-popolo fu racquetato.
-</p>
-
-<h3 id="cap59-3">CAP. LIX.
-<span class="smaller"><i>Come si pubblicò la pace dall’arcivescovo
-a’ comuni di Toscana.</i></span></h3>
-
-<p>
-Gli ambasciadori de’ comuni di Toscana che
-furono mandati a Sarezzana per fermare la pace
-coll’arcivescovo di Milano, e co’ suoi aderenti
-ghibellini di Toscana e d’Italia, trovarono la materia
-<span class="pagenum" id="Page_76">[76]</span>
-sì acconcia, eziandio contro alla speranza,
-che di presente vi dierono fermezza, del mese di
-marzo 1352; e appresso, il primo dì d’aprile 1353,
-si piuvicò in parlamento di tutto il popolo. E
-quanto che catuno desiderasse pace per cagione
-di riposo e di fuggire spesa, niuna festa se ne
-fece, nè niuno rallegramento nel popolo se ne vide,
-quasi stimando catuno la pace del potente
-tiranno troppo vicino, essere più nel suo arbitrio
-sottoposta a inganno che a fermezza di certo riposo.
-Nella pace in sostanza si contenne, che generale
-e perpetua pace sia tra l’arcivescovo di Milano,
-e tutte le sue città e distrettuali, e tutti
-coloro che con lui furono nella guerra contro a’
-Fiorentini, e’ Perugini, e’ Sanesi, e’ loro distrettuali,
-Pistoiesi, e Aretini, e altri simiglianti, tutti
-da catuna parte e aderenti loro debbano osservare
-buona e leale pace; e l’arcivescovo è tenuto
-di mettere in mano comune la Sambuca e ’l
-Sambucone: e fatto questo, il comune di Firenze
-un mese appresso debba disfare la rocca di Montegemmoli,
-con patto, che disfatta debba riavere
-le dette castella depositate; e il detto Montegemmoli
-non si debba per alcuna parte redificare:
-e che i Fiorentini debbano rendere Lozzole agli
-Ubaldini, e l’arcivescovo Piteccio e l’altre tenute
-de’ Pistoiesi; e che il comune di Firenze
-dee trarre di bando tutti coloro che fossono bandeggiati
-per quella guerra, e chiunque fosse dichiarato
-aderente del detto arcivescovo: patto
-assai pregno, e doppio, e poco accetto, la cui dichiarazione
-fu commessa a Lotto e a Franceschino
-Gambacorti di Pisa, mezzani di questa pace.
-<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span>
-Questo fu assai lieve legame di pace, avvegnachè
-ci si stipulasse pena fiorini dugentomila d’oro,
-ma per la grandezza del signore di Milano, e per
-la potenza de’ tre comuni che non si avvilivano
-per lui, rimase contenta catuna parte al legame
-del titolo della pace, senza altra sicurtà dimandare
-o prendere.
-</p>
-
-<h3 id="cap60-3">CAP. LX.
-<span class="smaller"><i>L’inganno ricevette il comune di Firenze
-dagli sbanditi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il comune di Firenze in questo fatto degli
-sbanditi fu ingannato da’ suoi medesimi ambasciadori,
-de’ quali niuno si potè incolpare, ch’erano
-secolari, e uomini che non sapeano quello
-ch’e’ titoli de’ giudici portassono, e a loro non se
-n’aspettava alcuna cosa, ma incolpato ne fu un
-savio giudice e grande avvocato chiamato messer
-Niccola Lapi, di lieve nazione, sospetto a parte,
-ma per la sua scienza il comune gli commise
-l’ordinazione delle scritture per non essere ingannato.
-Costui lasciò ne’ patti un capitolo non promesso
-nè pensato, per lo quale tutti gli sbanditi e rubelli
-del comune di Firenze poteano essere ribanditi
-e ristituiti ne’ loro beni, e così degli altri comuni
-di Toscana. E il pertugio di questo titolo fu, che
-a’ patti s’aggiunse, che tutti gli aderenti, e parenti
-e seguaci di messer Carlino Tedici e de’ consorti
-ribelli di Pistoia, dovessono essere ribanditi,
-e restituiti ne’ beni di qualunque bando o
-condannagione ch’avessono dal comune di Pistoia,
-<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span>
-e questa fu l’intenzione vera: ma arroso
-fu, e di Firenze, e di Perugia, e di Siena, e dell’altre
-terre di Toscana, salvo chi avesse avuto bando
-nel tempo della guerra, essendo all’ubbidienza
-del comune di Pistoia: bando enorme e non parziale.
-Qui si comprese la malizia di questo fallo:
-se per errore fu commesso, grande vergogna fu
-al savio avvocato, se per malizia, meritò grande
-pena, perocchè sotto quel titolo messer Carlino
-faceva suo aderente cui egli voleva; e Franceschino
-e Lotto gli dichiaravano, e ’l savio consigliava,
-e ’l notaio ch’era sopra ciò cancellava; e
-avevane già dichiarati più di duemila, e cancellati
-da trecento. Ed era una mercatanzia tra tutti
-di grande guadagno, ma di maggiore danno e vergogna
-del nostro comune, e molto se ne dolevano
-i cittadini. Ma gli autori del fatto, con mettere
-paura di non conturbare la pace, ogni lingua
-acchetavano, e le borse si empievano. E procedendo
-a voto il primo fallo, un altro se n’arrose
-per l’avvocato già detto, contro al beneficio ricorso
-a utilità della patria, che i dichiaratori da
-Pisa aveano mandato a Firenze intorno di sedici
-dichiarazioni fatte nel principio in diversi
-dì, acciocchè a Firenze fossono per lo notaio diputato
-sopra ciò cancellati di bando. Le dichiarazioni
-furono portate al detto messer Niccola Lapi,
-il quale vide che per l’ordine de’ patti non
-se ne poteva cancellare per ragione più che quelli
-ch’erano dichiarati per lo primo dì, e da quel
-dì innanzi il comune di Firenze era libero della
-sua promessa. Costui di presente le rimandò a
-dietro, e scrisse, che non valeano dichiaragioni
-<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span>
-che facessono separate in diversi dì; e per questo
-avvenne, che poi quelle che si feciono, e che si
-mossono a fare in diversi e lunghi tempi, le riducevano
-a essere fatte nel primo dì che gli cominciarono
-a dichiarare, commettendo in questo
-processo frode, e facendo fare le carte false,
-che furono più di trecento quelle che si recarono
-a cancellare. Di cotali falli il comune s’avvedeva
-e doleva, ma le preghiere degli amici non
-lasciavano al comune fare giustizia in questi tempi.
-Ma de’ mali principii riesce spesse volte mal
-frutto, come in parte uscì di questo, secondo che
-appresso diviseremo, mutando un poco nostro ordine
-di travalicare il tempo per imporre fine a
-questa materia.
-</p>
-
-<h3 id="cap61-3">CAP. LXI.
-<span class="smaller"><i>Di questa medesima materia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avvenne, valicato l’anno predetto, che di questa
-corrotta radice procedette una corruzione
-che terminò la causa e la vita del notaio a ciò
-diputato, e d’un giudice ch’avea cominciato a
-pascersi sopra questa carogna. A ser Francesco
-di ser Rosso notaio di grande autorità, ch’aveva
-procurato questo uficio, fu portata carta d’una
-dichiarazione d’uno Ghiandone di Chiovo Machiavelli
-condannato, uomo infame e di mala
-condizione; del nome e soprannome di costui
-erano rimase certe lettere, il mese e l’altre rase,
-e sottilmente per simiglianti lettere rimesse, e
-con molta istanzia per alcuno suo consorte, e
-alcuno amico allora de’ priori, fu stretto ser
-<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span>
-Francesco a cancellarlo, e messer Corbizzesco
-giudice da Poggibonizzi a consigliarlo. I quali
-più volonterosi al servigio che a conoscere la
-malizia ch’appariva nella carta, benchè tutta
-paresse una lettera, il savio consigliò, e il notaio
-cancellò. E sentendosi la diliberazione di costui
-a Pisa, Franceschino Gambacorti scrisse a’ signori
-scusandosi, che costui per la sua infamia
-mai non avea voluto dichiarare. Onde preso il
-notaio, e appresso il giudice, per il marchese
-dal Monte valente podestà di Firenze, dopo
-lunga discettazione e combattimento di cittadini,
-e d’immunità di privilegio ch’aveva ser
-Francesco, mercoledì a dì 21 di maggio 1354 avendoli
-condannati al fuoco, per grazia commutò
-la pena, e colle mitere in capo li fece dicollare.
-Per la morte di ser Francesco mancò il potere
-cancellare; e mancato questo, si rimase il dichiarare,
-e il comune dimenticò gli altri falli per
-questa cagione, e per troppa mansuetudine.
-</p>
-
-<h3 id="cap62-3">CAP. LXII.
-<span class="smaller"><i>Come messer Piero Sacconi de’ Tarlati
-tentò di fare grande preda innanzi
-che fosse bandita la pace.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Piero Sacconi de’ Tarlati ch’aveva in
-Bibbiena delle masnade dell’arcivescovo di Milano,
-sentendo ferma la pace, innanzi ch’ella
-si bandisse, come volpe vecchia, accolse gente
-quanta ne potè avere, a piè e a cavallo, e sapendo
-che i villani del contado d’Arezzo per la novella
-<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span>
-della pace s’assicuravano colle bestie a’ campi,
-cavalcò subitamente il contado d’Arezzo
-infino a Laterina, accogliendo il bestiame, e mettendosi
-la preda innanzi. I paesani stormeggiando
-da ogni parte s’avvidono del fatto, e feciono
-tanto, che per campare le persone i cavalieri
-e’ masnadieri abbandonarono la preda, e con
-vergogna tornarono a Bibbiena. E per simil modo
-in questi medesimi dì i soldati del Biscione
-ch’erano a Montecarelli con il conte Tano corsono
-in Mugello per fare preda, innanzi che la pace
-fosse pubblicata. Il vicario della Scarperia
-co’ soldati de’ Fiorentini gli cacciarono de’ campi
-fino a Montecarelli. Queste cavalcate non erano
-degne di memoria, ma per esempio a’ popoli
-che non sono offenditori, che almeno si guardino,
-acciocchè non incorrino nell’antico proverbio,
-che dice, tra la pace e la triegua guai a
-chi la lieva.
-</p>
-
-<h3 id="cap63-3">CAP. LXIII.
-<span class="smaller"><i>Come il corpo di messer Lorenzo Acciaiuoli fu
-recato del Regno a Firenze, e seppellito
-a Montaguto a Certosa
-onoratamente.</i></span></h3>
-
-<p>
-Togliendone la quiete della pace materia da
-scrivere, forse alcuna scusa ci fa a raccontare
-quello ch’ora scriveremo di privata novità. Messer
-Niccola Acciaiuoli di Firenze grande siniscalco
-del reame di Sicilia, governatore del re Luigi,
-aveva un figliuolo primogenito cavaliere e
-<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span>
-grande barone, appartenendogli la moglie promessa
-della casa di Sanseverino, giovane provato in
-arme, adorno di belli costumi, grazioso e di grande
-aspetto. Costui, come a Dio piacque, innanzi al
-tempo, all’aspetto degli uomini, rendè l’anima
-a Dio, e morì nel Regno in assenza del padre.
-Ed essendogli annunziata la morte a Gaeta di
-cotanto caro e diletto figliuolo, il magnanimo
-ristrinse il dolore dentro senza mutare aspetto,
-e colla molta pazienza, e con abito ornato di
-grandi virtudi comportò la morte del caro figliuolo,
-dicendo, io era certo che dovea morire, e che
-credeva che Iddio avesse eletto il tempo di più
-salute dell’anima sua. E avendo egli grande devozione
-al nobile monistero edificato a sua stanza
-in sul poggio di Montaguto, posto tra la
-Greve e l’Ema, presso alla città di Firenze, a
-due miglia, il quale si chiama il monistero di
-Certosa, quivi mandò con grande comitiva e
-spesa a seppellire il corpo del figliuolo. E recato
-prima a Firenze, e fatti gli ornamenti più che
-militari, e invitati per i consorti tutti i buoni
-cittadini, a dì 7 d’aprile 1353 fu portato alla sepoltura
-in una bara cavalleresca, con due grandi
-destrieri, l’uno dinanzi e l’altro didietro, coperti
-di zendado coll’arme degli Acciaiuoli, e
-la bara ov’era la cassa col corpo era coperta
-con fini drappi e baldacchini di seta e d’oro,
-e disopr’essi veluto chermisi fine, e in su i cavalli
-gli scudieri vestiti a nero che guidavano i
-cavalli con la bara; e innanzi alla bara avea
-sette scudieri in su sette grandi destrieri, tutti
-coperti infino a terra, innanzi con l’arme d’argento
-<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span>
-battuto degli Acciaiuoli: i due primi catuno
-portava uno cimiere, il terzo portava lo stendale,
-e gli altri quattro seguenti catuno una
-grande bandiera tutta di quell’arme con le targhe
-rilevate nel campo azzurro, e un leone rampante
-bianco com’è la detta arme, con grande
-novero di doppieri dinanzi e intorno al corpo,
-cosa magnifica a ogni barone, eziandio se fosse
-della casa reale. I grandi e orrevoli cittadini
-di Firenze accompagnarono il corpo infino alla
-porta a san Piero Gattolino; poi gran parte montati
-a cavallo andarono col corpo infino al monistero,
-e gli altri si tornarono a casa. Abbiamo fatta
-questa memoria perchè fu nuova e disusata alla
-nostra città, e magnifica all’autore di quella, che
-più di cinquemila fiorini d’oro costò la spesa.
-</p>
-
-<h3 id="cap64-3">CAP. LXIV.
-<span class="smaller"><i>Come si fe’ l’accordo da’ Sanesi
-a Montepulciano.</i></span></h3>
-
-<p>
-I Sanesi avendo voglia di vincere Montepulciano,
-essendovi stati ad assedio lungamente, vi puosono
-un gran battifolle molto di presso. Nella
-terra avea buone masnade di cavalieri e di
-masnadieri, i quali spesso avrebbono danneggiati
-i Sanesi, se fossono stati lasciati guerreggiare,
-ma com’è detto addietro, essendo l’una parte
-e l’altra guelfi e amici de’ Fiorentini e de’ Perugini,
-essendo con catuno gli ambasciadori de’
-detti comuni nel campo e nella terra, e benchè
-fosse molto malagevole, infine gli recarono a
-<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span>
-questa concordia: che la terra rimanesse al governamento
-del popolo, e stesse venti anni nella
-guardia del comune di Siena, tenendovi un capitano
-di guardia con quindici cavalieri e con
-venti fanti, avendo in sua signoria una delle porti
-della terra e una campana, e che i Sanesi dovessono
-dare contanti, infra certo termine, a
-messer Niccolò de’ Cavalieri per ristoro delle spese
-fatte fiorini seimila, e dovesse stare dieci anni
-con immunità personale e reale in quella sua
-terra; e a messer Iacopo de’ Cavalieri che n’era
-fuori dovessono dare fiorini tremila d’oro, e
-riavere le rendite de’ suoi beni: per lo quale accordo
-i due comuni per loro sindacato furono mallevadori.
-E fatto questo, a dì 2 di maggio del detto
-anno i Sanesi presono la guardia ordinata,
-e levarsi da campo; e rifornita la terra, allegri,
-con bella e buona pace si tornarono a Siena,
-grati del beneficio ricevuto da’ due comuni, come
-l’operazioni di corrotta fede appresso dimostreranno.
-</p>
-
-<h3 id="cap65-3">CAP. LXV.
-<span class="smaller"><i>D’una notabile grandine venuta in Lombardia,
-e d’altro.</i></span></h3>
-
-<p>
-A dì 7 del mese di maggio del detto anno, turbato
-il tempo con ravvolto enfiamento di nuvoli,
-ristretta la materia umida da’ venti d’ogni parte,
-con disordinato empito sopra la città e parte del
-contado di Cremona ruppe, mandando sopra quella
-pietre sformate di grandine, la quale, cui trovò
-<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span>
-alla scoperta, uomini e femmine, percotendo li
-uccise, e la città premette sì forte, che tutte le
-copriture de’ tetti ruppe e macinò senza rimedio,
-con grandissimo danno de’ cittadini. E le
-pietre della grandine ch’erano maggiori si trovarono
-di libbre otto e once tre, e le minori
-erano d’una libbra di peso. In questo medesimo
-tempo l’arcivescovo di Milano mandò per
-fare redificare le mura e case del Borgo a san Sepolcro,
-rovinate e guaste per lo tremuoto, trecento
-maestri. I Borghigiani rimasi in vita erano
-tutti ricchi sopra modo per l’eredità de’ morti,
-e per gli sconci guadagni delle prede de’ loro vicini
-condotte al Borgo, e perchè a’ soldati al continovo
-aveano venduto caro la loro vittuaglia e gli
-altri arnesi, e però, venuti i maestri, cominciarono
-a edificare le case e’ palagi, e a fare troppo più nobili
-e più belli abituri che prima non aveano: ma poco
-poterono edificare, che la terra mutò stato, come
-appresso nel suo tempo racconteremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap66-3">CAP. LXVI.
-<span class="smaller"><i>Come sotto le triegue procedettono
-le cose in Francia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo alcuno tempo durate le triegue tra il
-re di Francia e quello d’Inghilterra, infra il
-detto tempo alquante terre in Brettagna e alcuna
-in Guascogna che si teneano per lo re di
-Francia, per ingegno e per malizioso sommovimento
-s’arrecarono dalla parte del re d’Inghilterra;
-per la qual cosa turbato il re di Francia, fece
-<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span>
-bandire la guerra per tutto il suo reame: e a ciò
-lo indusse non meno certi trattati scoperti contro
-della sua persona, ch’e’ baratti di quelle terre.
-E fatto questo, del mese di maggio del detto
-anno, il cardinale di Bologna, e gli altri prelati
-e baroni che trattavano la pace si misono al riparo,
-e tanto operarono, che triegue si rifeciono tra i
-detti re. E stando le cose di là in successioni di
-triegue, non accaddono in lungo tempo cose notevoli
-in que’ paesi.
-</p>
-
-<h3 id="cap67-3">CAP. LXVII.
-<span class="smaller"><i>Come i Genovesi spregiarono la pace
-de’ Veneziani.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornando nostra materia a’ fatti de’ Genovesi
-e de’ Veneziani, in questo primo tempo del detto
-anno i Genovesi levarono lo stendale di sessanta
-galee, le quali incontanente cominciarono ad
-armare, e per la compagnia ch’aveano fatta col
-re d’Ungheria contro a’ Veneziani v’aggiunsono
-l’arme del detto re; e intendeano, che come
-e’ fossono colla loro armata in mare, che ’l detto
-re avesse in Ischiavonia i suoi Ungheri a fare
-guerra per terra a’ Veneziani, come avea promesso.
-E certe galee ch’aveano allora in concio d’arme
-mandarono improvviso nel golfo a’ Veneziani,
-le quali feciono in quello grave danno di
-rubare molti legni che vi trovarono, traendone
-l’avere sottile, e profondando i legni in mare; e
-con due loro galee sottili bene armate valicarono
-<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span>
-san Niccolò del Lido, ed entrarono nel canale
-grande, e nella città saettarono molti verrettoni.
-E tornandosi addietro, le galee della guardia
-del golfo ch’erano per novero più che le genovesi,
-potendosi abboccare con loro, non ebbono
-ardimento, che la paura del re d’Ungheria gl’impacciava
-forte più che de’ Genovesi, per tema che
-non traboccasse loro addosso la sua grande potenza.
-Le galee genovesi non avendo contasto
-s’uscirono del golfo, e andarono al loro viaggio,
-avendo fatto gran vergogna a’ Veneziani.
-</p>
-
-<h3 id="cap68-3">CAP. LXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Veneziani si provvidono.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il comune di Vinegia sentendo l’armata de’ Genovesi
-e le minacce del re d’Ungheria, e non
-volendoli rendere le terre marine della Schiavonia,
-conobbono che la necessità gli strignea a trovar
-modo di difendersi per mare e per terra. E
-però guernite le loro terre per la difesa, con
-grande e buona provvisione mandarono solenne
-ambasciata all’imperadore, pregandolo che procacciasse
-in loro servigio che il re d’Ungheria
-non movesse loro guerra a stanza de’ Genovesi;
-e un’altra ambasciata mandarono in Catalogna
-al re d’Araona a fare lega e compagnia con lui,
-acciocch’egli armasse con loro contro a’ Genovesi.
-In catuna parte ebbono prosperamente loro intenzione:
-che l’imperadore ritenne a sua preghiera il
-re d’Ungheria dal muovere guerra a’ Veneziani,
-non senza alcuna speranza d’accordo in processo
-<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span>
-di tempo; e’ Catalani aontati della sconfitta ricevuta
-co’ Veneziani da’ Genovesi in Costantinopoli,
-lievemente si recarono per animo di vendetta a
-fare la volontà de’ Veneziani; e di presente misono
-per opera d’armare trenta galee al loro soldo,
-e venti alle spese del comune di Vinegia, e i
-Veneziani n’armarono altre venti a Vinegia; e catuna
-parte sollecitava sua armata per essere prima
-in mare; i Genovesi per la vittoria avuta sopra
-loro dispettando e avvilendo i nimici, e’ Catalani
-e’ Veneziani desiderando la vendetta. E
-apparecchiandosi catuna parte, innanzi al loro
-abboccamento ci occorrono altre cose a raccontare,
-e però al presente soprastaremo alquanto
-a questa materia.
-</p>
-
-<h3 id="cap69-3">CAP. LXIX.
-<span class="smaller"><i>Come fu guasto il castello di Picchiena,
-e perchè.</i></span></h3>
-
-<p>
-I signori del castello di Picchiena non ostante
-che si tenessono in amistà col comune di Firenze,
-furono principali con gli Ardinghelli a
-commuovere lo stato di Sangimignano quando
-furono cacciati i Salvucci, essendo la guardia di
-quella terra nelle mani del comune di Firenze;
-e di questo fallo non feciono scusa nè ammenda
-a’ Fiorentini; e però, nel detto mese di
-giugno del detto anno, il comune di Firenze
-mandò sue masnade co’ maestri e guastatori a
-Picchiena, e senza contasto entrarono nella terra.
-E acciocchè quel castello non fosse più cagione
-<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span>
-di fare sommuovere ad alcuna ribellione
-Sangimignano e Colle, a dì 20 del detto mese
-feciono abbattere le mura e la rocca, senza far
-loro altro danno.
-</p>
-
-<h3 id="cap70-3">CAP. LXX.
-<span class="smaller"><i>Come Ruberto d’Avellino fu morto dalla duchessa
-sua moglie.</i></span></h3>
-
-<p>
-Vedendosi la sventurata moglie che fu del
-duca di Durazzo, Maria sirocchia della reina
-Giovanna di Gerusalemme e di Sicilia, avvilita
-per lo violente matrimonio contratto con Ruberto
-figliuolo che fu del conte d’Avellino della casa
-del Balzo, il quale dopo la morte del padre, come
-addietro avemo fatta menzione, era rimaso
-prigione del re Luigi; la donna, non tenendosi
-vedova nè maritata, pensò che per la morte di
-costui tornerebbe a certa veduità, e potrebbesi
-maritare. E assai apparve chiaro che a questo
-consentì il re e la reina; perocchè essendo Ruberto
-detto in prigione altrove, fu menato nel
-castello dell’abitazione reale, e collocato in una
-camera con certe guardie: e valicati alquanti
-dì, il re e la reina feciono apparecchiare e andarono
-a desinare e a cena agli scogli di mare,
-cosa nuova e disusata alla corona; e in questo
-dì la detta duchessa Maria rimasa nel castello
-prese quattro sergenti armati, e andossene alla
-camera dov’era il marito, e chiamatolo traditore
-del sangue reale, senza misericordia in sua
-presenza il fece uccidere; e fattagli tagliare la
-<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span>
-testa dall’imbusto, non affatto, fece traboccare dal
-castello in su la marina lo scellerato corpo, condotto
-a questo per lo malvagio pensiero del suo
-prosuntuoso padre. Il re e la reina tornati a
-Napoli si mostrarono turbati molto di questo
-fatto, usando parole che s’ella non fosse femmina
-ne farebbono alta vendetta: e il corpo che
-giacea senza sepoltura feciono sotterrare; e la
-donna rimase vedova di due mariti tagliati a
-ghiado in piccolo travalicamento di tempo.
-</p>
-
-<h3 id="cap71-3">CAP. LXXI.
-<span class="smaller"><i>Come furono cacciati i ghibellini del Borgo.</i></span></h3>
-
-<p>
-All’entrante del mese di luglio del detto anno,
-i guelfi del Borgo a san Sepolcro vedendosi sottoposti
-a quelli della casa de’ Bogognani, caporali ghibellini
-e traditori di quella terra, la quale aveano
-sottoposta all’arcivescovo di Milano per trattato
-di messer Piero Sacconi, e per i patti della pace
-era rimasa libera sotto il dominio de Bogognani,
-e non potendosi atare co’ Fiorentini e’ Perugini
-per non fare contro a’ patti della pace,
-s’accostarono con Nieri da Faggiuola loro vicino
-e terrazzano del Borgo, non ostante che fosse
-ghibellino, perocchè si discordava co’ Tarlati
-d’Arezzo e co’ Bogognani; il quale avendo
-fatta sua ragunata, i guelfi del Borgo levarono
-il romore, e Nieri trasse colla sua gente, e messo
-nella terra, ne cacciarono i Bogognani e
-tutti i ghibellini di loro seguito, e rubarono le
-case degli usciti; e appresso riformarono la terra
-<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span>
-a comune reggimento di guelfi e di ghibellini,
-com’era loro usanza, ritenendo Nieri da
-Faggiuola per alcuno tempo per loro capitano
-con certa limitata balìa, il quale poi ne trassono,
-come innanzi si potrà trovare.
-</p>
-
-<h3 id="cap72-3">CAP. LXXII.
-<span class="smaller"><i>Di quattro leoni di macigno posti al palagio
-de’ priori.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo in questo tempo un uficio di priorato
-in Firenze, avendo poco ad attendere ad altre
-cose per la quiete della pace, feciono fare
-quattro leoni di macigno, e fecionli dorare con
-gran costo, e fecionli porre in su’ quattro canti
-del palagio del popolo di Firenze, a ciascuno
-canto uno. E per fare questo per certa vanagloria
-al loro tempo, lasciarono di farli scolpiti, e
-fusi di rame e dorati, che costavano poco più
-che quelli del macigno, ed erano belli e duranti
-per lunghi secoli; ma le piccole cose e le
-grandi continovo si guastano nella nostra città
-per le spezialità de’ cittadini.
-</p>
-
-<h3 id="cap73-3">CAP. LXXIII.
-<span class="smaller"><i>Come Sangimignano fu recato a contado di
-Firenze.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avvegnachè per operazione de’ Fiorentini la
-terra di Sangimignano fosse riformata in pace,
-e che dentro vi fossono gli Ardinghelli e’ Salvucci
-<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span>
-pacificati insieme, nondimeno nell’interiore
-dentro era tra loro radicata mala volontà; e non
-sapeano conversare insieme, e teneano intenebrata
-tutta la terra. I Salvucci vedendo arse e rovinate
-le loro nobili possessioni non si poteano dare pace,
-e gli Ardinghelli per l’offesa fatta stavano
-in paura e non si fidavano non ostante la pace, e
-il seguito ch’aveano avuto da’ terrazzani a cacciare
-i Salvucci non rispondea loro in questo
-nuovo reggimento come prima. Per queste dissensioni
-i popolani della terra conoscendo il loro
-male stato, e non trovando rimedio tra loro, stavano
-sospesi e in mala disposizione; e vedendo gli
-Ardinghelli il popolo commosso, e che per loro
-non si potea mettere alcuno consiglio che i Salvucci
-non si mettessono al contradio, furono consigliati
-di confortare il popolo, innanzi ch’altri
-il movesse prima di loro, di darsi liberi al comune
-di Firenze. E questo potea essere loro scampo,
-perocch’erano pochi e poveri a petto de’ loro avversari,
-ch’erano assai e ricchi, e conoscendo il
-popolo, e vedendolo disposto a volere uscire de’ pericoli,
-ove le discordie de’ loro maggiori gli conducea,
-fu agevole a muovere, e del mese di luglio
-1353 feciono parlamento generale, nel quale
-deliberarono con molta concordia di mettersi
-liberamente nella guardia del comune di Firenze.
-I Salvucci si misono con loro amici a operare
-co’ cittadini di Firenze loro amici che il comune
-non li prendesse, dicendo, che questa era operazione
-di setta e non volontà del comune; ed ebbono
-tanto podere, che il comune non li volle
-prendere, dicendo, che volea l’amore e la buona
-<span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span>
-volontà di tutto il comune, e non la signoria
-di quella terra in divisione del popolo; per la qual
-cosa il popolo commosso, d’ogni famiglia
-mandarono a Firenze più di dugentocinquanta
-loro terrazzani di maggiore stato e autorità, i
-quali s’appresentarono dinanzi a’ signori priori
-dicendo, come la deliberazione del loro comune
-era vera, e non violenta nè mossa per alcuno
-ordine di setta, ma di comune movimento e
-volontà di tutto il popolo, conoscendo non potere
-vivere sicuri se non sotto la giurisdizione libera
-e protezione del comune di Firenze, e con
-viva voce gridarono, e pregarono il comune di
-Firenze, che ricevere li volesse al loro contado,
-e se questo non facesse, quel comune era per disfarsi
-e distruggersi senza alcuno rimedio, in poco
-onore del comune di Firenze che l’avea a guardia.
-In fine i signori ne feciono proposta al consiglio del
-popolo, e tanto favore ebbono i Salvucci, che si
-metteano al contrario delle preghiere de’ loro amici
-da Firenze fatte a’ consiglieri, e del popolo,
-che quello che catuno doveva desiderare per
-grande e onorevole accrescimento della sua patria,
-avendo molti contrari al segreto squittino,
-si vinse solo per una fava nera; vergognomi averlo
-scritto, con tanto vitupero de’ miei cittadini.
-Vinto il partito, la terra del nobile castello
-di Sangimignano, e suo contado e distretto, fu
-recato a contado del comune di Firenze, e datogli
-l’estimo come agli altri contadini, e tutti i
-suoi cittadini e terrazzani furono fatti cittadini e
-popolani di Firenze a dì 7 d’Agosto del detto anno;
-e ne’ registri del comune furono notate le
-<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span>
-cautele e le sommissioni dette; e carta ne fece ser
-Piero di ser Grifo, notaio delle riformagioni del
-detto comune.
-</p>
-
-<h3 id="cap74-3">CAP. LXXIV.
-<span class="smaller"><i>D’un segno apparve in cielo.</i></span></h3>
-
-<p>
-A dì 11 del mese d’agosto, tramonto il sole
-nella prima ora, si mosse da mezzo il cielo fuori
-del zodiaco un vapore grande infocato sfavillante,
-il quale scorse per diritto di levante in
-ponente, lasciandosi dietro un vapore cenerognolo
-traendo allo stagneo, steso per tutto il corpo
-suo, e durò nell’aria valicato il fuoco lungamente;
-e poi cominciò a raccogliersi a onde a
-modo d’una serpe; e il capo grosso stette fermo
-ove il vapore mosse, simigliante a capo serpentino,
-e il collo digradava sottile, e nel ventre
-ingrossava, e poi assottigliava digradando con
-ragione infino alla punta della coda: e per lunga
-vista si dimostrò in propria figura di serpe, e poi
-cominciò a invanire dalla coda e dal collo, e ultimamente
-il corpo e ’l capo venne meno, dando
-di se disusata vista a molti popoli. Altro non ne
-sapemmo di sua influenza scernere che diminuzioni
-d’acque, perocchè quattro mesi interi
-stette appresso senza piovere.
-</p>
-
-<h3 id="cap75-3">CAP. LXXV.
-<span class="smaller"><i>Come fu assediata Argenta.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo Francesco de’ marchesi da Este ribellato
-al marchese Aldobrandino signore di Ferrara
-<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span>
-e di Modena, figliuolo del marchese Obizzo;
-questo marchese Obizzo avea acquistato suo
-figliuolo Aldobrandino d’amore, avendo per moglie
-la figliuola di Romeo de’ Peppoli di Bologna,
-della quale non ebbe figliuolo, e morta la detta
-donna, il marchese fece legittimare questo suo figliuolo,
-e la madre si prese per moglie. E venendo
-a morte, lasciò la signoria di Ferrara e di Modena
-a questo suo figliuolo Aldobrandino, essendo d’illegittimo
-matrimonio. Il marchese Francesco figliuolo
-del marchese Bertoldo, a cui parea che di
-ragione s’appartenesse la signoria, per la qual cosa
-temette che ’l marchese Aldobrandino per tema
-della signoria nol facesse morire, e però si parti
-di Ferrara; ed essendo rubello, trattò con Galeazzo
-de’ Medici da Ferrara, ch’era potente, e del segreto
-consigliò del marchese Aldobrandino, e
-con altri cittadini di Ferrara, e per consiglio di
-costoro, per avere braccio forte, s’accostò con messer
-Malatesta da Rimini. E del mese d’agosto del
-detto anno messer Malatesta in persona, e il detto
-marchese Francesco, con cinquecento cavalieri
-e quattromila pedoni valicarono per
-le terre del signore di Ravenna con sua volontà,
-e improvviso furono ad Argenta. E stati quivi
-quattro dì, attendendo risposta da coloro con
-cui teneano il trattato in Ferrara, e avuto da loro
-come quello ch’essi credevano poter fare
-non vedeano venisse loro fatto, però sanza soprastare
-o fare alcuno danno di presente se ne
-partirono, dando voce che il signore di Ravenna
-avea chiuso il passo alla vittuaglia. E Galeazzo
-e altri che teneano al trattato uscirono di
-Ferrara, e andaronsene al gran Cane di Verona,
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap76-3">CAP. LXXVI.
-<span class="smaller"><i>Come si temette in Toscana di carestia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Non è da lasciare in silenzio quello ch’avvenne
-in Toscana in sulla ricolta, che nel contado
-e distretto di Firenze e d’Arezzo, e nelle
-più contrade, fu assai ubertosa ricolta, in quello
-di Siena e di Ravenna fu magra; e nondimeno
-sotto la vetta valse per tutto soldi quarantadue,
-e poi montò in soldi cinquanta lo staio fiorentino,
-di lire tre soldi otto il fiorino dell’oro. Temendo
-il comune di disordinata carestia mandò
-in Turchia, e in Provenza e in Borgogna a
-comperare grano, e molti mercati fece co’ mercatanti,
-che promisono di recarne di Calavria e
-d’altre parti del mondo, costando lo staio posto
-in Firenze l’uno per l’altro da soldi cinquanta
-in sessanta di piccioli: e se fosse venuto, come
-si pensava, perdea il comune di Firenze più di
-centomila fiorini d’oro, perocché ’l popolo mobolato,
-per paura della carestia passata poco dinanzi,
-si fornia a calca, e feciono montare il grano
-nella ricolta, e ristrignere i granai a chi n’avea
-conserva. Ma sentendosi la grande quantità che ’l
-comune n’avea procurata d’avere catuno temette
-di tenerlo, e apersono l’endiche di marzo
-e d’aprile del detto anno, e davano il buono
-grano a soldi venticinque lo staio. E venendone al
-comune dodicimila staia di Provenza venuto di
-Borgogna, il volle spacciare a soldi venti lo staio,
-ed essendo buono grano non si potè stribuire; e
-<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span>
-perdenne il comune fiorini trentamila d’oro, i
-quali investì male all’ingrato popolo: l’altro
-che doveva venire di Turchia e le compere fatte,
-come a Dio piacque, non ebbono effetto per diversi
-accidenti. Abbianne fatta memoria per
-ammaestramento di coloro c’hanno a venire,
-perocchè in cotali casi occorrono diversi gravi
-accidenti, e spesso contradi l’uno all’altro. Le
-grandi compere in così fatta carestia fanno pericolo
-di disordinata perdita, e certezza non si può
-avere di grano che di pelago si aspetta; ma utilissima
-cosa è dare larga speranza al popolo, che
-si fa con essa aprire i serrati granai de’ cittadini,
-e non con violenza, che la violenza fa il serrato
-occultare, e la carestia tornare in fame; e
-di questo per esperienza più volte occorsa nella
-nostra città in cinquantacinque anni di nostra
-ricordanza possiamo fare vera fede.
-</p>
-
-<h3 id="cap77-3">CAP. LXXVII.
-<span class="smaller"><i>Come in Messina fu morto il conte Mazzeo
-de’ Palizzi a furore, e la moglie
-e due figliuoli.</i></span></h3>
-
-<p>
-Lasciando alla testimonianza del consumato
-regno dell’isola di Cicilia molti micidii, incendii,
-violenze e prede avvenuti in quello per
-sette e invidia del reggimento, mancando per
-debolezza d’età la signoria reale, diremo quello
-che in questo tempo, del mese d’agosto del
-detto anno, più notabile avvenne. Essendo il
-conte Mazzeo de’ Palizzi di Messina capo di setta
-<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span>
-degl’Italiani di Cicilia, contradio a quella de’ Catalani,
-per sua grandezza governava il giovane e
-poco virtuoso figliuolo di don Petro re di Cicilia,
-il quale per retaggio doveva essere re, e tutta
-la corte reggeva a contrario de’ Catalani e della
-loro parte per modo più tirannesco che reale;
-essendo l’izza e l’invidia parziale cresciuta
-mortalmente, alla corte mancava l’entrata, e a’
-paesani la rendita e le ricchezze, e la guerra del
-diviso regno richiedeva aiuto di moneta; e non
-essendovi l’entrata, il detto conte Mazzeo gravava
-i Messinesi e gli altri sudditi moltiplicando
-gravezze sopra gravezze. I cittadini si doleano,
-e vedendosi pure gravare, negavano e
-fuggivano il pagamento, e odiavano chi guidava
-il fatto; il conte infocando contro a’ sudditi la sua
-stracotata superbia, fece decreto, che chi non pagasse
-fosse bandito, e dicea, che chi non volea
-pagare, o non poteva, ch’egli era della setta de’ Catalani;
-e per questo modo abbattea la sua parte,
-e crescea quella degli avversari. Avvenne che il popolo
-di Messina s’accostò col conte Arrigo Rosso
-e col conte Simone di Chiaramente, amendue della
-setta de’ Palizzi, ma portavano invidia al conte
-Mazzeo perch’avea troppo usurpata la signoria,
-e sotto titolo di dire che voleano pace, mossono
-il lieve popolo a gridare pace: e levato il romore,
-con furore corsono al palagio del re ov’abitava
-il conte Mazzeo: e trovandolo nella sala
-col giovane duca, in sua presenza uccisono lui, e
-la moglie e due suoi figliuoli, lasciando il duca
-con gran paura e tremore, e legati i capestri al
-collo de’ morti li tranarono per la terra vituperosamente,
-<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span>
-e poi li arsono, e la polvere gittarono
-al vento. E in questi medesimi dì quelli di
-Sciacca feciono il simigliante a’ loro maggiori
-della setta del conte Mazzeo predetto. Il duca, benchè
-fosse sicurato dal popolo, per la concetta paura
-prese suo tempo e andossene a Catania, accostandosi
-alla setta de’ Catalani. Questo repentino
-caso di cotanto polente usurpatore della repubblica
-è da notare, per esempio di coloro i quali colla
-destra della fallace fortuna in futuro monteranno
-a somiglianti gradi, di non essere ignoranti
-de’ nascosi aguati che nell’invidia e ne’ furori
-de’ non fermi stati si racchiudono.
-</p>
-
-<h3 id="cap78-3">CAP. LXXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come fu creato nuovo tribuno in Roma.</i></span></h3>
-
-<p>
-Egli è da dolersi per coloro c’hanno udito e
-inteso le magnifiche cose che far solea il popolo
-di Roma, con le virtù de’ loro nobili principi, in
-tempo di pace e di guerra, le quali erano specchio
-e luce chiarissima a tutto l’universo, vedendo
-a’ nostri tempi a tanta vilezza condotto il detto
-popolo e’ loro maggiori, che le novità che occorrono
-in quell’antica madre e donna del mondo
-non paiono degne di memoria per i lievi e vili
-movimenti di quella, tuttavia per antica reverenza
-di quel nome non perdoneremo ora alla
-nostra penna. Essendo il popolo romano ingrassato
-dell’albergherie de’ romei, e fatto e disfatto
-in breve tempo l’uficio de’ loro rettori, i
-loro principi cominciarono a tencionare del senato,
-<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span>
-e il popolo lieve e dimestico al giogo,
-dimenticata l’antica franchigia, seguitava la loro
-divisione. Faceva parte ovvero setta Luca Savelli
-con parte degli Orsini e co’ Colonnesi, e gli altri
-Orsini erano in contradio: e per questo vennero
-all’arme, e abbarrarono la città, e combatteronsi
-alle barre tutto il mese d’agosto del detto anno.
-In fine il popolo abbandonò d’ogni parte la gara
-de’ loro principi, e fece tribuno del popolo lo
-Schiavo Baroncelli, il quale era scribasenato,
-cioè notaio del senatore, uomo di piccola e vile
-nazione, e di poca scienza. Tuttavia, perch’egli
-non conosceva molto i Romani e i vizi loro, cominciò
-con umiltà a recare ad alcuno ordine il
-reggimento al modo de’ comuni di Toscana; e
-per partecipare il consiglio de’ popolani, per segreto
-squittino elesse e insaccò assai buoni uomini
-cittadini romani di popolo per suoi consiglieri,
-de’ quali ogni capo di due mesi traeva
-otto, e con loro deliberava le faccende del comune;
-e fece camarlinghi dell’entrata del comune,
-e cominciò a fare giustizia, e levare i popolani
-del seguito de’ grandi, e molto perseguitava i
-malfattori: sicchè alcuno sentimento di franchigia
-cominciò a gustare quel popolo, la quale
-poi crebbe a maggiori cose, come innanzi al suo
-tempo racconteremo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap79-3">CAP. LXXIX.
-<span class="smaller"><i>Come furono sconfitti in mare i Genovesi
-alla Loiera.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo venuto il tempo che la furiosa superbia
-de’ Genovesi per far guerra a’ Veneziani e Catalani
-avea da catuna parte apparecchiate in
-mare le loro forze, del mese d’agosto del detto
-anno i Genovesi si trovarono con sessanta galee
-armate, avendo per loro ammiraglio messer Antonio
-Grimaldi, nella quale erano tratti di tutte
-le famiglie la metà de’ più chiari e nobili cittadini
-di Genova e della Riviera, il quale ammiraglio
-si trasse con l’armata a Portoveneri, per
-non lasciare mettere scambio a’ cittadini che ’l
-procacciavano, dicendo, che col loro aiuto e consiglio
-sperava d’avere la vittoria de’ loro nimici, e
-aspettava lingua di loro sollecitamente. I Catalani
-aveano armate trenta galee tra sottili e grosse
-e uscieri, e venti galee alle spese de’ Veneziani,
-con cinquanta galee e tre grandi cocche incastellate,
-e armate di quattrocento combattitori per
-cocca, avendo caricati cavalli e cavalieri assai per
-porli in Sardegna, del detto mese d’agosto si
-partirono di Catalogna, facendo con prospero
-tempo la via di Sardegna, ove con l’armata de’ Veneziani
-si doveano raccozzare. E i Veneziani in
-questi medesimi dì con venti galee armate di
-buona gente si dirizzarono alla Sardegna. I Genovesi
-avuta lingua che catuna armata era in pelago,
-avvisarono d’abboccarsi con l’una armata
-<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span>
-innanzi che insieme si congiugnessono. E perocchè
-le sessanta loro galee non erano pienamente
-armate, lasciarono otto corpi delle sessanta, e delle
-ciurme e de’ soprassaglienti fornirono ottimamente
-le cinquantadue, e con quelle senza arresto,
-atandosi con le vele e co’ remi, con grande
-baldanza si dirizzarono alla Sardegna. Ed essendo
-giunti presso alla Loiera, ebbono lingua che
-l’armate de’ loro nimici s’erano raccozzate insieme;
-e passato ch’ebbono una punta scopersono
-l’armata de’ Veneziani e de’ Catalani, i quali
-s’erano ristretti insieme, e le sottili galee aveano
-nascose dietro alle grosse per mostrarsi meno che
-non erano a’ loro nimici, e ancora s’incatenarono
-e stavano ferme senza farsi incontro a’ Genovesi,
-mostrando avvisatamente paura, acciocchè traessono
-a loro la baldanza de’ Genovesi con loro
-vantaggio. I Genovesi non ostante ch’avessono
-perduta la speranza di non aver trovate l’armate
-partite, e ingannati dalla vista, che pareva loro
-che le galee de’ loro avversari fossono meno che
-non erano, e poco più che le loro, baldanzosi della
-fresca vittoria avuta sopra i detti loro nimici
-in Romania, si misono ad andare contro a loro
-vigorosamente. E valicata certa punta di mare,
-si trovarono sopra la Loiera sì presso a’ loro nimici,
-ch’elli scorsono ch’elli erano troppo più
-ch’elli non estimavano, e vidongli acconci e ordinati
-alla battaglia, e che presso di loro aveano
-le tre cocche incastellate e armate di molta gente
-da combattere; per la qual cosa l’animo si
-cambiò a’ Genovesi, e la furia prese freno di temperanza,
-e vorrebbono non essere sì presso a’ loro
-<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span>
-nimici, e tra loro ebbono ripitio di non savia
-condotta: tuttavia presono cuore e franchezza di
-mettersi alla battaglia, sentendosi l’aiuto del
-vento in poppa, e alquanto contrario a’ loro avversari,
-conoscendo che l’aiuto delle cocche non poteano
-avere durando quel vento, tuttavia più per
-temenza che per franchezza legarono e incatenarono
-la loro armata, lasciando d’ogni banda
-quattro galee sottili, libere d’assalire e da sovvenire
-all’altre secondo il bisogno. I Veneziani e’ Catalani
-avendo a petto i loro nimici, trassono della
-loro armata sedici galee sottili, e misonne otto
-libere da catuna parte della loro armata, la quale
-aveano ordinata e incatenata per essere più interi
-alla battaglia, ricordandosi che l’essersi sparti
-in Romania gli avea fatti sconfiggere; e così
-ordinati l’una gente e l’altra con lento passo si
-veniano appressando, e le libere galee cominciarono
-l’assalto molto lentamente, che catuno stava
-a riguardo per attendere suo vantaggio; e nonostante
-che i Veneziani e’ Catalani fossono molti
-più che i Genovesi, tanto gli ridottavano, che non
-s’ardivano ad afferrare con loro: è vero che il vento
-alquanto gli noiava, più per non potere avere
-l’aiuto delle loro cocche, che per altro, e però soprastavano.
-Dall’altra parte i Genovesi già impediti
-per lo soperchio de’ loro nimici non s’ardivano
-a strignersi alla battaglia, e così consumarono
-il giorno dalla mezza terza alla mezza
-nona, con lieve badalucco delle loro libere galee.
-I Genovesi vedendo che i loro nimici più potenti
-non li ardivano ad assalire, presono più baldanza,
-e metteronsi in ordine d’andarli ad assalire
-<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span>
-con più aspra battaglia. Ma colui che è rettore
-degli eserciti, avendo per lungo tempo sostenuta
-la sfrenata ambizione de’ Genovesi, per lieve spiramento
-di piccolo vento abbattè la loro superbia;
-che stando catuna parte alla lieve battaglia si
-levò un vento di verso scilocco, il quale empiè le
-vele delle tre cocche. I Catalani animosi contro
-a’ Genovesi, vedendosi atare dal vento, apparecchiate
-loro lance, e dardi e pietre, con ismisurato
-romore, levate l’ancore del mare, con tutte e tre
-le cocche si dirizzarono contro all’armata de’ Genovesi,
-e con l’impeto del corpo delle cocche sì
-fedirono nelle galee de’ Genovesi, e nella prima
-percossa ne misono tre in fondo, e seguendo innanzi,
-alcuna altra ne ruppono: e di sopra gittavano
-con tanta rabbia pietre lance e dardi sopra
-i loro nimici, che parea come la sformata
-grandine pinta da spodestata fortuna d’impetuosi
-venti, e molti Genovesi n’uccisono in quel
-subito assalto, e annegaronne assai, e più ne
-fedirono e magagnarono. L’armata de’ Veneziani
-e Catalani vedendosi fatta la via a’ loro navilii,
-con più ardire si misono innanzi strignendosi
-alla battaglia. I Genovesi, uomini virtuosi e di
-grande cuore, sostennono francamente il grave
-assalto delle cocche, atandosi con l’arme e con
-le balestra, magagnando molti de’ loro nemici, e
-alle galee rispondeano con sì ardita e folta battaglia,
-che per vantaggio ch’e’ loro nimici avessono
-non poteano sperare vittoria. Ma l’ammiraglio
-de’ Genovesi invilito nell’animo suo di questo
-primo assalto, fece vista di volere ricoverare
-la vittoria per maestria di guerra; e sollevata la
-<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span>
-battaglia, in fretta fece sciogliere undici galee della
-sua armata, e con quelle aggiunse l’otto sottili ch’erano
-libere dalle latora dell’armata, e diede voce
-di volere volgere e girare dalle reni de’ nimici:
-e per questa novità i Veneziani e’ Catalani
-ebbono paura, e sollevarono la battaglia, e
-stettono in riguardo, per vedere quello che le dette
-galee volessono fare. Ma l’ammiraglio abbandonata
-la battaglia, e lasciate l’altre galee insieme
-alla fronte de’ nimici, fece la via di Genova
-senza tornare all’oste, e già si cominciava a tardare
-il giorno. Vedendo i Veneziani e’ Catalani
-che l’ammiraglio de’ Genovesi non avea girato
-sopra loro, ma era al disteso fuggito con diciannove
-galee, con certezza di loro vittoria vennono
-sopra i Genovesi; i quali vedendosi abbandonati
-dal loro ammiraglio, senza resistenza chi
-non potè fuggire si renderono prigioni. Così i
-Veneziani e’ Catalani senza spandimento di loro
-sangue ebbono de’ Genovesi piena vittoria: ed
-ebbono trenta corpi di galee e più di tremilacinquecento
-prigioni, fra i quali furono molti nominati
-grandi e buoni cittadini di Genova. E
-morti ne furono e annegati con le ciurme più di
-duemila. La detta sventurata battaglia per i
-Genovesi fu il dì di san Giovanni dicollato, a dì
-29 d’agosto del detto anno.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap80-3">CAP. LXXX.
-<span class="smaller"><i>Come i Catalani perderono loro terre
-in Sardegna.</i></span></h3>
-
-<p>
-Con piccolo travalicamento di tempo sosterremo
-alquanto l’altre cose, raccogliendo i fatti
-che nell’isola di Sardegna avvennono dopo la
-detta vittoria. I Catalani e’ Veneziani con la loro
-armata, e con le tre cocche, e con le galee
-prese de’ Genovesi e co’ prigioni arrivarono in
-Sardegna, e nella loro giunta avendo messo in
-terra i loro cavalieri, e gli altri soprassaglienti,
-e molti delle ciurme, il castello della Loiera, e ’l
-castello Lione, e il castello Genovese, e Sasseri
-e più altre terre che teneano i Genovesi
-s’arrenderono a’ Catalani. Avendo senza fatica
-fatto l’acquisto delle dette castella, aggiunte
-alla loro vittoria, pensarono d’acquistare tutto
-il rimanente dell’isola che si possedea per lo
-giudice d’Alborea, e con più baldanzosa che provveduta
-volontà, o buon ordine, se n’andarono
-verso Arestano, non pensando trovarvi resistenza.
-Ma il giudice con molta gente d’arme e con
-molti Sardi, i quali aveva accolti per difendere
-le sue terre, venne loro incontro del mese di settembre,
-e abboccatosi con loro, vennono alla
-battaglia, e furono sconfitti i Catalani; de’ quali tra
-nella battaglia e nella fuga rimasono morti più di
-millecinquecento Catalani. E per questa sconfitta,
-e per la mala guardia che delle terre nuovamente
-acquistate faceano, e per l’aspra signoria ch’usavano
-<span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span>
-a’ paesani tutte si rubellarono, e ancora
-l’altre che prima vi teneano, sicchè tutto perderono,
-fuori che castello di Castro detto Caglieri: e
-volendole racquistare per forza, feciono maggiore
-oste, e un’altra volta s’abboccarono co’ Sardi
-e col giudice d’Alborea; e dopo lunga battaglia,
-i Catalani ritennono il campo e i Sardi l’abbandonarono,
-con pochi più morti di loro che
-de’ loro nimici. Onde i Catalani ebbono poco lieta
-vittoria, lasciando morti in questa seconda
-battaglia cinquecento combattitori, benchè più
-ne fossono morti de’ Sardi, e però non racquistarono
-alcuna terra: e dopo lunga dimora, del mese
-di novembre, avendo perduti assai de’ loro prigioni
-genovesi ch’erano accomandati nella Loiera,
-si partirono dell’isola, andandosene i Catalani
-in Catalogna, e i Veneziani a Vinegia a
-salvamento, vinti i Genovesi loro nimici, e abbassata
-con piena vittoria la loro superbia.
-</p>
-
-<h3 id="cap81-3">CAP. LXXXI.
-<span class="smaller"><i>Come il prefetto venne a oste a Todi.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo tempo, la Chiesa di Roma per racquistare
-il Patrimonio occupato dal prefetto da Vico
-avea tenuto gente d’arme a Montefiascone
-guerreggiando il prefetto; e in questa guerra fra
-Moriale di Provenza, grande guerriere e nomato
-soldato, con sue masnade avea servito la Chiesa
-lungamente, senza potere avere l’intero pagamento
-de’ suoi soldi, e però s’accostò col prefetto,
-e andò dalla sua parte con quattrocento
-<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span>
-cavalieri. E vedendosi il prefetto sicuro dalla
-forza della Chiesa, avendo in sua compagnia i
-Chiaravallesi usciti di Todi, con fra Moriale
-e con altre sue genti d’arme di subito e improvviso
-se ne venne a Todi, e con lui i Chiaravallesi,
-i quali si sentivano tanti parenti e amici nella
-città, che si credeano, come fossono con forte braccio
-ivi presso, che li vi rimetterebbono dentro
-o per ingegno o per forza: ma trovaronsi ingannati,
-perocchè i cittadini temendo della tirannia
-del prefetto e de’ loro cittadini si misono alla
-difesa, e il prefetto e i Chiaravallesi ad assedio.
-Ma avendo i Todini aiuto da’ Perugini
-e dal comune di Firenze, che catuno vi mandò
-gente d’arme, il prefetto perdè la speranza
-d’entrare nella terra; e statovi a campo di settembre
-e d’ottobre, e dato il guasto intorno alla città,
-si partì dall’assedio con suo poco onore.
-</p>
-
-<h3 id="cap82-3">CAP. LXXXII.
-<span class="smaller"><i>Come fu presa e lasciata Vicorata.</i></span></h3>
-
-<p>
-Di questo mese di settembre del detto anno,
-il conte Guido da Battifolle avendo accolta gente
-de’ suoi fedeli e del conte Ruberto, sentendo
-che Andrea di Filippozzo de’ Bardi signore del
-contado del Pozzo e di Vicorata era in bando
-del comune di Firenze per malificio, tenendosi
-gravato da lui, improvviso di mezza notte venne
-a Vicorata, e con alcuno trattato il dì seguente
-entrò in Vicorata, ed ebbe tutto il procinto,
-<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span>
-e rinchiuso Andrea e alcuni de’ fratelli nella
-torre, alla quale accostato il conte suoi dificii
-la faceva tagliare. Il comune di Firenze sentendo
-i suoi cittadini a quello pericolo, non ostante
-che fossono in bando, di presente mandarono
-comandando al conte Guido che lasciasse
-quell’impresa. Il quale udito il comandamento
-de’ priori di Firenze, essendo egli medesimo anco
-in bando del detto comune per simile modo,
-di presente fu ubbidiente, e non lasciando
-alcuna cosa torre o rubare se ne partì, e tornossi
-nel suo contado. La clemenza del nostro comune
-poco appresso fece l’una parte e l’altra
-venire a Firenze, e fatto fare pace tra loro, catuno
-per grazia trasse di bando.
-</p>
-
-<h3 id="cap83-3">CAP. LXXXIII.
-<span class="smaller"><i>Come il conte di Caserta si rubellò
-dal re Luigi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il re Luigi di Gerusalemme e di Sicilia, in questo
-anno, il dì della Pentecoste, avea fatta solenne
-festa co’ suoi baroni per l’annuale rinnovellamento
-di sua coronazione. E in quella festa
-ordinò cosa nuova e disusata alla corona, ch’egli
-elesse sessanta tra baroni e cavalieri, i quali
-giurarono fede e compagnia insieme col detto re,
-sotto certo ordine di loro vita, e di loro usaggi e
-vestimenti: e fatto il giuramento, si vestirono
-d’una cottardita e d’un’assisa e d’un colore tutti
-quanti, portando nel petto un nodo di Salomone, e
-<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span>
-chi ebbe l’animo vano più magnificò la cottardita
-e il nodo d’oro e d’argento, e di pietre preziose di
-grande costo e di grande apparenza; e fu chiamata
-la compagnia del nodo. Il Prenze di Taranto
-fratello del re non v’era, ma sopravvenne, e il re gli
-aveva fatta fare la cottardita reale, con un nodo
-di perle grosse di gran valuta, e mandogliele all’ostello:
-il Prenze non la volle vestire, dicendo che
-’l nodo del fraternale amore portava nel cuore, e
-donolla a suo cavaliere, la qual cosa il re non ebbe
-a grado. In questo tempo il duca d’Atene avea
-messo grande odio tra il Prenze di Taranto e ’l conte
-di Caserta, figliuolo che fu di messer Dego della
-Ratta Catalano conte camarlingo: e per questo
-amando il re il detto conte, e avendolo trovato
-leale e fedele, a instigamento del Prenze convenne
-che il re contra sua voglia il sbandeggiasse.
-Il conte si ridusse a Caserta, e tenea il Sesto
-e Tuliverno, e il Prenze col duca d’Atene
-gli andò addosso con cento cavalieri, e in persona
-vi venne il re con trecento e con assai popolo,
-volendo compiacere al fratello. E un dì
-stando il re nel castello di Matalona sopra lo
-sporto che chiamavano Gheffo, la sua gente presono
-un Unghero soldato del detto conte, e con
-tanta maraviglia il condussono al re, ch’ogni gente
-gli traeva dietro come s’elli avessono preso il
-re degli Unni; e per questa pazzia caricarono sì
-sconciamente il Gheffo, che gran parte n’andò a
-terra, ove morirono diciassette uomini, e molti
-se ne magagnarono. Il re ch’era un poco da parte
-apprendendosi col Prenze, come a Dio piacque,
-si ritenne in quello rimanente che del Gheffo
-<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span>
-non cadde; messer Filippo di Taranto traboccò
-sopra i caduti e non ebbe male. L’oste stette sopra
-il conte più tempo senza avere onore di cosa
-che vi si facesse, e straccata se ne partì. Il conte
-con sue masnade partita l’oste cominciò a cavalcare
-per Terra di Lavoro, e rubare le strade e
-rompere i cammini, e conturbò tutto il paese,
-cavalcando alcuna volta con trecento cavalieri infino
-presso a Napoli senza trovar contasto: e vendicata
-sua onta, si ritenne alle terre sue senza fare
-più danno o guerra.
-</p>
-
-<h3 id="cap84-3">CAP. LXXXIV.
-<span class="smaller"><i>Come il cardinale legato venne a Firenze.</i></span></h3>
-
-<p>
-La Chiesa di Roma veggendo che ’l prefetto da
-Vico tirannescamente cresciuto aveva occupato
-il Patrimonio, e che novellamente avea acquistato
-la città d’Orvieto, il papa con deliberazione
-de’ cardinali mandò legato in Toscana messer
-Gilio di Spagna cardinale, il quale era stato al
-secolo pro’ e valente cavaliere e ammaestrato in
-guerra, acciocchè con l’aiuto degl’Italiani racquistasse
-le terre di santa Chiesa occupate nel Patrimonio.
-E datagli grande legazione il mandò
-per terra in Lombardia, ove dall’arcivescovo di
-Milano fu ricevuto a grande onore, facendogli fare
-per tutto suo distretto le spese con largo apparecchiamento;
-ma in Bologna non volle ch’egli entrasse,
-e però tenne la via da Pisa, e a dì 2 d’ottobre
-del detto anno giunse in Firenze, ove fu ricevuto
-con grande onore, e con solenne processione
-<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span>
-e festa, con un ricco palio di seta e d’oro
-sopra capo portato da nobili popolani, e addestrato
-al freno e alla sella da gentili cavalieri di
-Firenze, sonando tutte le campane delle chiese
-e del comune a Dio laudiamo; e condotto per la
-città fu albergato in casa gli Alberti, ove fece
-suo dimoro: e presentato dal comune confetti, e
-cera e biada abbondantemente, e tre pezze di fini
-panni scarlatti di grana, e datogli centocinquanta
-cavalieri in aiuto alla sua guerra, a dì 11
-d’ottobre si partì, e andò a suo viaggio. E in
-questi dì Cetona si rubellò al prefetto, e presela
-il conte di Sarteano con aiuto ch’ebbe da’ Fiorentini,
-e poi la rassegnò al legato.
-</p>
-
-<h3 id="cap85-3">CAP. LXXXV.
-<span class="smaller"><i>Rinnovazione del palio di santa
-Reparata.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questi dì vacando in pace i Fiorentini, i
-priori vollono chiarire perchè la chiesa cattedrale
-di Firenze era dinominata santa Reparata, e perchè
-per antico costume in cotal dì s’è corso il
-palio in Firenze; e trovossi per alcune scritture,
-come Radagasio re de’ Goti, e Svezi e Vandali,
-avendo assalito l’imperio di Roma, e guaste in
-Italia molte città e consumati gli abitanti, s’era
-messo ad assedio alla città di Firenze con dugentomila
-cavalieri, essendo vescovo di Firenze il
-venerabile san Zenobio della casa de’ Girolami
-nostro cittadino, il quale avea seco due santi
-cappellani; e stando all’assedio, come a Dio
-<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span>
-piacque, Onorio imperadore di Grecia in Italia
-venne al soccorso dell’imperio di Roma, e in sua
-compagnia non avea oltre a tremila cavalieri; e
-venendo incontro a’ nimici, tanta paura gli occupò,
-che raccogliendosi dall’assedio, senza provvisione
-si misono ad entrare tra le circustanti montagne,
-passando tra Fiesole e Monterinaldi, e
-rattennonsi nella valle di Mugnone. Credesi, avvegnachè
-Onorio fosse fedele cristiano, che Iddio
-facesse questo per le preghiere di san Zenobio e
-de’ suoi santi cappellani. I barbari essendo rinchiusi
-da aspre montagne, senza acqua e senza
-vittuaglia, dalla gente dell’imperadore e da’ fiorentini
-paesani che sapeano i passi furono ristretti
-per modo che uscire non ne poteano. Il loro re
-furandosi dal suo esercito fu in Mugello preso e
-morto: e morendo i barbari di fame e di sete,
-sentendo morto il loro re, gittate l’armi s’arrenderono,
-e per fame e per ferro infine tutti perirono;
-e questo avvenne il dì della festa della vergine
-benedetta santa Reparata, per la cui reverenza
-s’ordinò e fece nuova chiesa cattedrale alla nostra
-città intitolata del suo nome. E perocchè i nostri
-antichi non erano in troppa magnificenza in que’
-tempi, ordinarono che in cotal dì si corresse un
-palio di braccia otto d’uno cardinalesco di lieve
-costo a piede tenendosi al duomo, e movendosi i
-corridori di fuori della porta di san Piero Gattolino:
-e per la rinnovazione di questa memoria
-il comune l’ordinò di braccia dodici di scarlatto
-fine, e che si corresse a cavallo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap86-3">CAP. LXXXVI.
-<span class="smaller"><i>Come i Genovesi si misono in servaggio dell’arcivescovo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Nuova e mirabile cosa seguita a raccontare, in
-considerazione del gran cambiamento che fortuna
-fa degli stati del mondo. La nobile città di
-Genova, e i suoi grandi e potenti cittadini, signori
-delle nostre marine, e di quelle di Romania, e
-del Mare maggiore, uomini sopra gli altri destri
-e sperti, e di gran cuore e ardire nelle battaglie
-del mare, e per molti tempi pieni di molte vittorie,
-e signori al continovo di molto navilio,
-usati sempre di recare alla loro città innumerabili
-prede delle loro rapine, temuti e ridottati da
-tutte le nazioni ch’abitavano le ripe del Mar tirreno
-e degli altri mari che rispondono in quello, ed
-essendo liberi sopra gli altri popoli e comuni d’Italia,
-per la sconfitta nuovamente ricevuta in Sardegna
-da’ Veneziani e Catalani, con non disordinato
-danno, vennono in tanta discordia e confusione
-tra loro nella città, e in tanta misera paura,
-che rotti e inviliti come paurose femmine, il loro
-superbo ardire mutarono in vilissima codardia,
-non parendo loro potere atarsi: eziandio avendo il
-comune di Firenze mandato là suoi ambasciadori
-a confortarli, e a profferere loro con grande affezione
-il suo aiuto, e consiglio e favore largamente a
-mantenere e ricoverare loro franchigia e buono
-stato, tanto erano con gli animi dissoluti per
-quella sconfitta e per loro discordie, che non seppono
-<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span>
-conoscere rimedio al loro scampo, se non di
-sottomettersi al servaggio del potente tiranno
-arcivescovo di Milano; e di comune concordia il
-feciono loro signore, dandogli liberamente la città
-di Genova e di Savona, e tutta la Riviera di
-levante e di ponente, e l’altre terre del loro
-contado e distretto, salvo Monaco e Metone e
-Roccabruna, le quali tenea messer Carlo Grimaldi,
-che non le volle dare. E a dì 10 d’ottobre
-1353, il conte Pallavicino vicario dell’arcivescovo
-con settecento cavalieri e con millecinquecento
-masnadieri entrò in Genova, ricevuto come loro
-signore; e disposto il doge, e ’l consiglio, e tutti
-gli altri reggimenti del comune, prese la signoria
-e il governamento delle dette città e de’ loro distretti,
-e aperte le strade di Lombardia con sollecitudine,
-procacciò abbondanza di vittuaglia a’
-suoi servi, e prestanza al comune per armare alquante
-galee in corso, ebbe fornito il prezzo di
-cotanto acquisto.
-</p>
-
-<h3 id="cap87-3">CAP. LXXXVII.
-<span class="smaller"><i>Come i Pisani feciono confinati.</i></span></h3>
-
-<p>
-I Pisani vedendosi il tirannesco fuoco a’ loro
-confini, temettono de’ loro cittadini animosi di
-parte ghibellina, che per invidia de’ loro reggenti
-avrebbono voluto la signoria dell’arcivescovo
-di Milano. E temendo per questo i Gambacorti
-e i loro seguaci perdere lo stato, di presente
-votarono la città d’ogni sospetto, mandando
-a’ confini de’ loro cittadini, e prendendo buona
-<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span>
-guardia dentro e di fuori, intendendosi co’ Fiorentini
-amichevolmente per la comune franchigia.
-In questi medesimi dì, avendo il tiranno
-preso sdegno contro a’ Fiorentini per gli ambasciadori
-ch’aveano mandati a confortare i Genovesi
-della loro franchigia, mosse loro lite dicendo,
-ch’aveano rotta la pace, perocchè non avevano disfatto
-Montegemmoli nell’alpe, avendo egli voluto
-assegnare la Sambuca e ’l Sambucone, come diceano
-i patti della pace, a Lotto Gambacorti come amico
-comune, non ostante che per lui non fosse voluto
-ricevere, parendogli avere osservato dalla sua
-parte: per la qual cosa s’accozzarono ambasciadori
-di catuna parte a Serezzana, e mostrato fu
-per ragione che per quella offerta e’ non era scusato,
-nè aveva adempiute le convenenze, e però i
-Fiorentini non erano in colpa. La cagione che
-acquetò l’arcivescovo fu, che non gli parve tempo
-utile a muovere guerra a’ Fiorentini, e però
-s’acquetò, e consentì alla loro ragione. Poco tempo
-appresso nel detto verno l’arcivescovo mise
-cinquecento uomini al lavorio, e fece tutto il cammino
-per terra da Nizza a Genova, ch’era scropuloso
-e pieno di molti stretti e mali passi, appianare
-e allargare, tagliando le pietre per forza di picconi,
-e facendo fare molti ponti ov’erano i mali
-valichi, sicchè gli uomini a cavallo due insieme,
-e le some per tutto il cammino potessono andare,
-cosa assai utile e notevole se fatto fosse a fine di
-bene; ma che che l’arcivescovo e’ suoi s’avessono
-nell’animo, a’ Provenzali n’entrò grande gelosia,
-e stettonne a Nizza e nell’altre terre in lunga
-guardia, e poco lasciavano usare quello cammino,
-temendo della potenza del tiranno.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap88-3">CAP. LXXXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Sanesi ruppono i patti a Montepulciano.</i></span></h3>
-
-<p>
-Potendosi catuno dolere con ragione in se della
-corrotta fede odiosa a’ popoli, mercatanzia de’
-tiranni, cagione nascosa di gravi pericoli, ci muove
-a dire con vergogna, come reggendosi il comune
-di Siena sotto il governamento occupato
-dall’ordine de’ nove, ruppono la fede promessa
-a’ signori di Montepulciano, essendone stati mezzani
-i Fiorentini e’ Perugini, e mallevadori alla
-richiesta di quello comune. E per giustificarsi della
-corrotta fede, aggiunsono una corrotta dannazione,
-mettendo il detto messer Niccola senza
-colpa in bando per traditore, acciocchè non paressono
-tenuti a dargli fiorini seimila d’oro che
-promessi gli aveano, quando diede loro la signoria
-di Montepulciano. Della qual cosa turbato il comune
-di Firenze e quello di Perugia, mandarono
-loro ambasciadori a Siena per far loro con preghiere
-addirizzare questo torto; e avuto sopra ciò più
-volte udienza, e menati lungamente per parole
-da’ signori, e straziati da’ loro consigli, insieme
-mostrando coll’opere la corruzione conceputa contro
-a’ detti comuni per lo detto ordine de’ nove. Agli
-ambasciadori di catuno comune fu fatta vergogna,
-e gittato loro addosso cavalcando per la città vituperoso
-fastidio, e udendosi dire dietro villane
-parole: a quelli di Perugia furono gittati de’ sassi,
-e minacciati di peggio: e così senza altro comiato,
-<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span>
-con accrescimento d’onta e di disonore, catuni
-ambasciadori tornarono a’ loro comuni; i quali conoscendo
-doppiamente essere offesi, per lo migliore
-dissimularono il fatto, comportando con senno
-la loro ingiuria. E questo avvenne del mese
-di febbraio del detto anno.
-</p>
-
-<h3 id="cap89-3">CAP. LXXXIX.
-<span class="smaller"><i>Come si cominciò la gran compagnia nella Marca.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il friere di san Giovanni fra Moriale, vedendo
-che il prefetto da Vico, con cui era stato all’assedio
-di Todi, nol potea sostenere a soldo, avendo
-l’animo grande alla preda, si propose d’accogliere
-gente d’arme d’ogni parte d’Italia, e
-fare una compagnia di pedoni con la quale potesse
-cavalcare e predare ogni paese e ogni uomo.
-E qui cominciò il maladetto principio delle compagnie,
-che poi per lungo tempo turbarono Italia,
-e la Provenza, e il reame di Francia e molti
-altri paesi, come leggendo per li tempi si
-potrà trovare. Questo fra Moriale incontanente
-co’ suoi messaggi e lettere mosse in Italia gran
-parte de’ soldati ch’erano in Toscana, e in Romagna
-e nella Marca senza soldo, a cavallo e a
-piè, dicendo, che chi venisse a lui sarebbe provveduto
-delle spese e di buono soldo; e per questo
-ingegno in breve tempo accolse a se millecinquecento
-barbute e più di duemila masnadieri, uomini
-vaghi d’avere loro vita alle spese altrui. E
-avendo messer Malatesta da Rimini assediata
-<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span>
-per lungo tempo la città di Fermo e condotta agli
-ultimi estremi, ed essendo per averla in breve tempo,
-fra Moriale, ricordandosi del servigio che da
-lui avea ricevuto quando l’assediò nel castello
-d’Aversa, avendo movimento da Gentile da Mogliano
-che tiranneggiava Fermo, e dal capitano
-di Forlì ch’era nimico di messer Malatesta, fidandosi
-alle loro promesse e a’ loro stadichi, del
-mese di novembre con la sua compagnia entrò
-nella Marca, e costrinse messer Malatesta a levarsi
-da oste da Fermo, e liberò la città dall’assedio,
-e rimasesi nel paese. E per lo nome sparto
-di questo primo cominciamento la compagnia
-crebbe e fece grandi cose in questo verno, e poi
-maggiori, come al suo tempo racconteremo, tornando
-prima all’altre cose che domandono la nostra
-penna.
-</p>
-
-<h3 id="cap90-3">CAP. XC.
-<span class="smaller"><i>Dice de’ leoni nati in Firenze.</i></span></h3>
-
-<p>
-E’ non pare cosa degna di memoria a raccontare
-la natività de’ leoni, ma due cagioni ci stringono
-a non tacere: l’una si è, perchè antichi
-autori raccontano che in Italia non nascono leoni,
-l’altra, che dicono che i leoni nascono del ventre
-della madre morti, e che poi sono vivificati dal
-muggio della madre e del leone fatto sopra loro:
-e noi avemo da coloro che più volte gli vidono
-nascere, che il loro nascimento è come degli
-altri catelli che nascono vivi: all’altra parte è
-risposto per lo loro nascimento, più e diverse volte
-<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span>
-avvenuto nella nostra città, e in questo anno, del
-mese di novembre, ne nacquero in Firenze tre, de’
-quali l’uno si donò al duca di Osteric, che per grazia
-il domandò al nostro comune; e il leone padre
-vedendosi tolto l’uno de’ suoi leoncini se ne diè
-tanto dolore, che quattro dì stette che non volle
-mangiare, e temettesi che non morisse. E perch’elli
-stavano in luogo stretto ove si batte la moneta del
-comune, ne furono tratti, e dato loro larghezza
-di case, e di cortili, e di condotti nelle case che
-il duca d’Atene avea fatte disfare per incastellarsi,
-che furono de’ Manieri, dietro al palagio del
-capitano e dell’esecutore in su la via da casa i
-Magalotti, ove stanno al largo, e bene.
-</p>
-
-<h3 id="cap91-3">CAP. XCI.
-<span class="smaller"><i>Come i Romani si dierono alla Chiesa
-di Roma.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il popolo romano non sappiendosi reggere per
-li suoi tribuni e per li rettori, sentendo il cardinale
-di Spagna a Montefiascone legato del papa,
-valoroso signore nell’arme e di grande autorità,
-trattò con lui d’accomandarsi alla Chiesa
-di Roma sotto singolare condizione e patto. E
-ricevuto in protezione del legato con quello
-lieve legame, con lui si convenne, e con furia
-lo mosse a far guerra e danneggiare di guasto i
-Viterbesi; della qual cosa, cresciuta la forza e
-’l numero de’ cavalieri al legato, seguirono poi
-maggiori cose, come seguendo nostra materia racconteremo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap92-3">CAP. XCII.
-<span class="smaller"><i>Le novità seguite in Pistoia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo ordine in Pistoia che balia per li
-fatti del comune non si potesse dare a’ suoi cittadini,
-nato da sospetto delle loro sette, trovandosi
-capitano della guardia per lo comune di Firenze
-messer Gherardo de’ Bordoni il quale favoreggiava
-i Cancellieri e la loro parte, era in
-que’ dì fatto un processo per l’inquisitore de’
-paterini contro a certi cittadini di Pistoia, di
-che tutto il comune si gravava; e a riparare a
-questo, convenne che balìa si desse a certi cittadini.
-L’industria de’ Cancellieri, coll’aiuto del
-capitano, fece tanto, che la balìa fu data a certi
-uomini tutti della parte de’ Cancellieri, i quali
-intesono ad abbattere in comune lo stato de’ Panciatichi,
-e di presente aggiunsono al numero
-del consiglio del comune, che avea quaranta
-uomini, della parte de’ Cancellieri; e intendendo
-di fare più innanzi, i Panciatichi per
-paura, e per non essere criminati dal capitano
-se ne vennono a Firenze: gli altri cittadini vedendosi
-ingannati da quelli della balìa corsono
-all’arme, e abbarrarono le vie, e catuno s’afforzava
-per combattere e per difendere. In questo
-tempo de’ romori di Pistoia, messer Ricciardo
-Cancellieri fu notificato a Firenze per lo Piovano
-de’ Cancellieri suo consorto, ch’egli volea fare al
-comune certo tradimento. E chiamato in giudicio
-a Firenze l’uno e l’altro, e dato balìa per lo
-<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span>
-comune al capitano della guardia di Firenze di
-potere conoscere sopra la causa, furono messi in
-prigione, e trovato che non era colpevole messer
-Ricciardo, fu liberato, e ritenuto il Piovano,
-e mutato in Pistoia nuovo capitano. Il comune
-di Firenze mandò in Pistoia ambasciadori, e con
-loro i Panciatichi, e racquetato lo scandalo tra
-i cittadini, si riposarono in pace.
-</p>
-
-<h3 id="cap93-3">CAP. XCIII.
-<span class="smaller"><i>Come l’arcivescovo richiese di pace
-i Veneziani.</i></span></h3>
-
-<p>
-L’arcivescovo di Milano avendo sottomesso
-a sua signoria la città di Genova e di Savona,
-e tutta la Riviera e il loro contado, i cui abitanti
-erano nimici de’ Veneziani, mandò suoi ambasciadori
-al doge e al comune di Vinegia, per li
-quali significò a quello comune come i Genovesi
-erano suoi uomini, e le loro città e contado erano
-suo distretto; e tenendosi amico de’ Veneziani,
-e sapendo che per addietro i Genovesi erano
-stati loro nimici, intendea, quando al doge piacesse
-e al comune di Vinegia, che per innanzi fossono
-fratelli e amici: e intorno a ciò usarono belle e
-suadevoli ragioni. Il doge e il suo consiglio presono
-tempo d’avere loro consiglio, e di rispondere
-la mattina vegnente: e venuto il giorno, di
-gran concordia risposono la mattina dicendo:
-che ’l comune di Vinegia si tenea gravato e offeso
-dall’arcivescovo, il quale avea preso ad
-aiutare i Genovesi loro capitali nemici, e però
-<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span>
-non intendeano di volere pace e concordia con lui
-nè col comune di Genova, ma giusta loro podere
-tratterebbono lui e i suoi sudditi come loro nemici.
-E conseguendo al fatto, incontanente feciono
-accomiatare e bandeggiare di Vinegia, e
-di Trevigi, e di tutte le loro terre e distretti
-tutti coloro che fossono sotto la giurisdizione dell’arcivescovo
-di Milano; e simigliantemente fece
-nelle sue terre l’arcivescovo de’ Veneziani: e
-così fu manifesta la guerra tra loro, del mese
-di novembre del detto anno, per tutta la Lombardia
-e Toscana.
-</p>
-
-<h3 id="cap94-3">CAP. XCIV.
-<span class="smaller"><i>Come i Veneziani ordinarono lega contro
-al Biscione.</i></span></h3>
-
-<p>
-Incontanente che agli altri signori lombardi
-fu palese la risposta fatta pe’ Veneziani all’arcivescovo,
-il gran Cane di Verona, e’ signori
-di Padova, e que’ di Mantova, e il marchese da
-Ferrara e i Veneziani, feciono parlamento per
-loro solenni ambasciadori, ove si propose di fare
-lega insieme, e taglia di gente d’arme contro
-all’arcivescovo di Milano, il quale parea loro che
-fosse troppo montato; e non fidandosi tutti insieme
-di potere resistere alla grande potenza
-dell’arcivescovo, s’accordarono di fare passare a
-loro stanza l’imperadore in Italia. E dopo più
-parlamenti sopra ciò fatti fermarono compagnia
-<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span>
-e lega tra loro, e taglia di quattromila cavalieri,
-e fecionla piuvicare in Lombardia, e con grande
-istanza per loro segreti ambasciadori richiesono
-e pregarono il comune di Firenze che si
-dovesse collegare con loro, prendendo ogni vantaggio
-che volesse: ma perocchè il detto comune
-era in pace coll’arcivescovo, per alcuna preghiera
-o promessa di vantaggio che fatta fosse,
-non potè essere recato che la pace volesse contaminare.
-I collegati incontanente mandarono ambasciadori
-solenni in Alamagna all’imperadore,
-per inducerlo a passare in Lombardia contro
-all’arcivescovo di Milano, offerendogli tutta la
-loro forza, e danari assai in aiuto alle sue spese,
-acciocchè meglio potesse tenere la sua cavalleria;
-e per tutto fu divulgata la fama, che in quest’anno
-l’imperadore passerebbe a istanza della
-detta lega. Queste cose furono ferme e mosse del
-mese di dicembre del detto anno. E stando gli
-allegati in aspetto, non si provvidono di fare la
-gente della taglia infino al primo tempo, nè d’avere
-capitano; e però lasceremo al presente questa
-materia, tanto che ritornerà il suo tempo,
-e diremo di quelle che ci occorrono al presente a
-raccontare.
-</p>
-
-<h3 id="cap95-3">CAP. XCV.
-<span class="smaller"><i>Come il conestabile di Francia fu morto.</i></span></h3>
-
-<p>
-Era messer Carlo, figliuolo che fu di messer Alfonso
-di Spagna, accresciuto dall’infanzia in
-compagnia del re Giovanni di Francia, ed era
-<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span>
-divenuto cavaliere di gran cuore e ardire, e valoroso
-in fatti d’arme, pieno di virtù e di cortesia,
-e adorno del corpo, e di belli costumi, ed
-era fatto conestabile di Francia, ed il re gli mostrava
-singolare amore, e innanzi agli altri baroni
-seguitava il consiglio di costui; e chi volea
-mal parlare, criminavano il re di disordinato amore
-in questo giovane: e del grande stato di
-costui nacque materia di grande invidia, che gli
-portavano gli altri maggiori baroni. Avvenne che
-il re Giovanni provvidde il re di Navarra suo congiunto
-d’una contea in Guascogna, la quale essendo
-a’ confini delle terre del re d’Inghilterra,
-era in guerra e in grave spesa per la guardia,
-più che ’l detto re non avrebbe voluto, e però la
-rinunziò, e il re poi la diede al conestabile,
-ch’era franco barone e di gran cuore in fatti
-d’arme. Il re di Navarra che già avea contro
-al conestabile conceputo invidia, mostrò di scoprirla,
-prendendo sdegno perch’egli avea accettata
-la sua contea, nonostante ch’egli l’avesse
-rinunciata. Ed essendo genero del re di Francia,
-con più audace baldanza, in persona, con altri baroni
-che simigliantemente invidiavano il suo
-grande stato, una notte andarono a casa sua, e
-trovandolo dormire in sul letto suo l’uccisono
-a ghiado; della qual cosa il re di Francia si turbò
-di cuore con ismisurato dolore, e più di quattro
-dì stette senza lasciarsi parlare. La cosa fu
-notabile e abominevole, e molto biasimata
-per tutto il reame, e fu materia e cagione di gravi
-scandali che ne seguirono, come seguendo
-ne’ suoi tempi si potrà trovare. E questo micidio
-fu fatto in questo verno del detto anno 1353.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap96-3">CAP. XCVI.
-<span class="smaller"><i>Come si cominciò la rocca in Sangimignano,
-e la via coperta a Prato.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo medesimo tempo, il comune di Firenze
-per volere vivere più sicuro della terra di
-Sangimignano, e levare ogni cagione a’ terrazzani
-suoi di male pensare, cominciò a far fare,
-e senza dimettere il lavorio alle sue spese, e compiè
-una grande e nobile rocca e forte, la quale pose
-sopra la pieve dov’era la chiesa de’ frati predicatori,
-e quella chiesa fece maggiore e più
-bella redificare dall’altra parte della terra più
-al basso. E in questo medesimo tempo nella terra
-di Prato fece fare una larga via coperta, in due
-alie di grosso muro d’ogni parte, con una volta
-sopra la detta via, e un corridoio sopra la detta
-volta, largo e spazioso a difensione; la quale via
-muove dal castello di Prato fatto anticamente per
-l’imperatore, e viene fino alla porta; ove
-si fece crescere e incastellare la torre della
-porta a modo d’una rocca; e in catuna parte
-tiene il comune continova guardia di suoi castellani.
-</p>
-
-<h3 id="cap97-3">CAP. XCVII.
-<span class="smaller"><i>Del male stato dell’isola di Sicilia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Assai ne pare cosa più da dolere che da raccontare,
-gli assalti, gli aguati, i tradimenti,
-<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span>
-gl’incendi, le rapine, l’uccisioni senza misericordia,
-che in questi tempi i Siciliani faceano
-tra loro per invidia e setta parziale, le quali
-maladette cose tra gli uomini d’una medesima
-patria ebbono tanta forza di male aoperare nell’isola,
-ch’abbandonata la cultura de’ fertili campi, i
-quali sogliono pascere gli strani popoli, de’
-suoi trasse per fame più di diecimila famiglie
-della detta isola, i quali per non morire d’inopia,
-si feciono abitatori dell’altrui terre in Sardegna,
-e in Calabria, e nel Regno di qua dal faro.
-E in questa tempesta, certi baroni dell’isola contrari
-alla setta de’ Catalani, che governavano lo
-sventurato duca che s’attendea a essere re, sentendolo
-egli e i suoi manifestamente, trattavano
-di dare la maggiore parte delle buone terre dell’isola
-al re Luigi suo avversario, e non ebbe per
-lungo tempo podere d’atarsene, tanto che venne
-fatto, come nel principio del quarto libro seguendo
-si potrà trovare.
-</p>
-
-<h3 id="cap98-3">CAP. XCVIII.
-<span class="smaller"><i>Come il legato del papa procedette col
-prefetto.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo verno, il cardinale di Spagna legato
-del papa avendo tentato il prefetto lentamente
-con poco prosperevole guerra, cercò con più riprese
-di trovare pace con lui, e fu la cosa tanto
-innanzi, che per tutto scorse la fama che la pace
-era fatta. Ma il prefetto già tiranno senza fede,
-vedendosi il destro, sotto la speranza della
-<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span>
-pace tolse al legato due castella, e rotto il trattato,
-il cominciò a guerreggiare: per la qual cosa
-il legato seguitò il processo fatto contro a lui,
-e del mese di febbraio del detto anno pronunziò
-la sentenza, e per sue lettere il fece scomunicare
-come eretico per tutta Italia; e fatto questo, conoscendo
-che altra medecina bisognava a riducere
-costui alla via diritta, che suono di campane o fummo
-di candele, saviamente, e senza dimostrare
-sua intenzione innanzi al fatto, si venne provvedendo
-d’avere al tempo gente d’arme, da potere
-fare l’esecuzione contro a lui del suo processo. E
-in questo mezzo, avendo dugento cavalieri del
-comune di Firenze e alquanti da se, fece sì continua
-guerra al tiranno, che poco potea resistere
-o comparire fuori delle mura. E avendo il prefetto
-preso sospetto de’ Viterbesi e degli Orvietani,
-che si doleano perchè la pace non era venuta a
-perfezione, tirannescamente volle tentare l’animo
-de’ cittadini di catuna città, e fare cosa da tenerli
-in paura. E però segretamente accolse fanti
-di fuori a pochi insieme, e miseli in catuna terra
-ne’ suoi palagi, e in un medesimo dì fece a certa
-gente di cui e’ si confidò levare il romore contro
-a se in catuna città, al quale romore alquanti
-cittadini in catuna terra presono l’arme, e seguitavano
-il grido. Il tiranno con quattrocento
-fanti ch’aveva armati e apparecchiati in Viterbo
-uscì fuori e corse la terra, uccidendo cui
-egli volle, e condannò e cacciò a’ confini tutti coloro
-di cui sospettava. E per simigliante modo
-fece correre la città d’Orvieto al figliuolo, e uccidere
-e condannare e mandare a’ confini cui egli
-<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span>
-volle. E così gli parve per male ingegno aver
-purgate quelle due città d’ogni sospetto, e avere
-più ferma la sua signoria, la quale per lo contradio,
-non avendo da se potenza nè aspettandola
-d’altrui, per questa mala crudeltà ogni dì venne
-mancando, come l’opere appresso dimostreranno
-manifestamente in fatto.
-</p>
-
-<h3 id="cap99-3">CAP. XCIX.
-<span class="smaller"><i>Come si rubellò Verona al Gran Cane
-per messer Frignano.</i></span></h3>
-
-<p>
-Chi potrebbe esplicare le seduzioni, gl’inganni
-e’ tradimenti che i tiranni posponendo ogni carità,
-parentado e onore, pensano, ordinano, e fanno
-per ambizione di signoria? Certo tanti sono i modi
-quanti i loro pensieri, sicchè ogni penna ne verrebbe
-meno e stanca. Tuttavia per quello ch’ora ci
-occorre, cosa strana e notevole, ci sforzeremo a dimostrare
-l’avviluppata verità di diversi tradimenti
-e suoi effetti. Narrato avemo poco dinanzi come la
-lega de’ Veneziani con gli altri signori Lombardi
-era giurata e ferma contro al signore di Milano, ed
-essendo il signore di Mantova de’ più avvisati tiranni
-di Lombardia vicino dell’arcivescovo di Milano,
-l’arcivescovo con industriose suasioni e con
-grandi promesse il mosse a farlo trattare di tradire
-messer Gran Cane signore di Verona e di Vicenza
-con cui egli era in lega, ed egli per accattare
-la benivolenza dell’arcivescovo, dimenticato
-il beneficio ricevuto da quelli della Scala,
-che l’aveano fatto signore di Mantova, diede opera
-<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span>
-al fatto, e non senza speranza d’aoperare
-per se, se la fortuna conducesse la cosa ov’era
-la sua immaginazione. E però conoscendo
-egli messer Frignano figliuolo bastardo di messer
-Mastino, uomo pro’, e ardito d’arme, e di
-grande animo, accetto nel cospetto del fratello
-suo signore, e amato dal popolo di Verona e di
-Vicenza, vago di signoria, trattò con lui di farlo
-signore di Verona con suo consiglio, e colla sua
-forza e del signore di Milano. Questo sterpone
-tornando alla sua natura, senza fede o fraternale
-carità, di presente intese al tradimento del fratello,
-e col signore di Mantova ordinarono il modo
-ch’egli avesse a tenere, e l’aiuto della gente
-ch’egli avrebbe da lui. In questo tempo avvenne
-che ’l Gran Cane andò a parlamentare col
-marchese di Brandimborgo suo suocero per li fatti
-della lega, e il fratello bastardo era cognato
-del signore di Castelborgo, ch’era a’ confini del
-cammino ove il Gran Cane dovea passare; costui
-avvisato da messer Frignano mise un aguato
-per uccidere il Gran Cane, ma scoperto
-l’aguato, passò senza impedimento. Come messer
-Frignano avea ordinato, a Verona tornarono
-novelle come il Gran Cane era stato morto; ma
-innanzi che la novella venisse, messer Frignano
-avea mandati fuori di Verona tutti i cavalieri
-soldati, salvo coloro di cui s’era fidato, e che
-con lui s’intesero al tradimento. Pubblicata la
-novella in Verona come il Gran Cane loro signore
-era stato morto, il traditore con gran pianto
-fece incontanente, a dì 17 di febbraio del detto
-anno, raunare il popolo, e a uno giudice, cui
-<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span>
-egli avea informato, fece proporre in parlamento
-come il loro signore era morto, e che ’l comune
-di Verona rimanea in gran pericolo senza
-capo, avendo a vicino così possente signore com’era
-l’arcivescovo di Milano; e aggiunse,
-che a lui parea che messer Frignano prendesse il
-loro governamento. Il traditore ch’era presente,
-senza attendere ch’altri si levasse a parlamentare,
-o ch’altra deliberazione si facesse, si levò
-suso, e disse, che così prendeva e accettava la
-signoria. E montato a cavallo, colle masnade
-che v’erano corse la terra, gridando, muoiano
-le gabelle; e fece ardere i libri e gli atti della
-corte, e ruppono le prigioni. E di subito il signore
-di Mantova vi mandò messer Feltrino,
-e messer Federigo, e messer Guglielmo suoi figliuoli,
-e messer Ugolino da Gonzaga tutti de’ signori
-di Mantova con trecento cavalieri. Il signore
-di Ferrara ingannato del tradimento vi mandò
-messer Dondaccio con dugento cavalieri; ma
-innanzi che tutti v’entrassono, il capitano colla
-maggior parte di loro per contramandato si
-tornarono indietro scoperto l’inganno. Messer
-Frignano ricevuta questa gente d’arme, e accolti
-certi cittadini che ’l seguirono, da capo corse la
-terra: i cittadini non si mossono, ed egli s’entrò
-nel palagio dell’abitazione del signore. Messer
-Azzo da Coreggio ch’era in Verona se n’uscì
-non con buona fama. Le guardie furono poste alle
-porte, e la terra s’acquetò, e messer Frignano ne
-fu signore; la quale signoria il signore di Mantova
-per ingegno, e quello di Milano per ingegno
-e forza si credette catuno avere, come seguendo
-appresso diviseremo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap100-3">CAP. C.
-<span class="smaller"><i>Come messer Bernabò con duemila barbute
-si credette entrare in Verona.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il signore di Mantova avendo in Verona quattro
-tra figliuoli e congiunti con trecento cavalieri,
-procacciava di mettervene anche per esservi più
-forte che messer Frignano, a intenzione di tradire
-lui, e di recare a se la signoria, ma non gli
-potè venire fatto, perocchè sentì che l’arcivescovo
-di Milano, che vegghiava a questo effetto,
-mandava messer Bernabò cognato del Gran
-Cane a Verona con duemila cavalieri, temette
-di se, e non ebbe ardire di sfornire Mantova di
-cavalieri; e così per la non pensata perdè quello
-che avea lungamente provveduto. La novella
-del gran soccorso che venia da Milano, e dell’apparecchiamento
-di quello di Mantova sentito
-a Verona, generò sospetto a messer Frignano e
-a’ cittadini della città, e però presono l’arme,
-e rafforzarono le guardie, e stettono in più guardia;
-onde i signori che v’erano di Mantova non
-vidono modo di fornire loro corrotta intenzione,
-e però si stettono, mostrandosi fedeli a messer
-Frignano e alla guardia della città. In questo
-stante messer Bernabò con duemila barbute e
-gran popolo giunse a Verona, mostrando di volere
-ricoverare la signoria di Verona al cognato,
-credendo con questo trarre a se l’animo de’
-cittadini, e credendo che quelli ch’aveano
-mossa questa novità a stanza dell’arcivescovo
-<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span>
-l’atassono entrare nella terra, e però si strinse
-infino alle porte, e domandava l’entrata, la
-quale gli fu negata; e non vedendo che dentro
-alcuno gli rispondesse, cominciò a combatterla;
-ma vedendo il suo assalto tornare invano, e sentendo
-la tornata di messer Gran Cane d’Alamagna,
-si partì del paese, e tornossi a Milano mal
-contento de’ signori di Mantova, ed eglino peggio
-contenti dell’arcivescovo, ch’aveva sconcio il
-loro tranello per quella cavalcata, come poco appresso
-dimostrarono in opera catuna parte, secondo
-che seguendo dimostreremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap101-3">CAP. CI.
-<span class="smaller"><i>Come messer Gran Cane racquistò Verona,
-e fu morto messer Frignano.</i></span></h3>
-
-<p>
-Quando messer Gran Cane cavalcava al marchese
-di Brandimborgo avea con seco il fratello,
-e sospicando di novità quando sentì l’aguato
-del signore di Castelborgo rimandò il fratello addietro,
-il quale venendo nel paese, sentì come
-messer Frignano avea rubellata Verona, e però
-se n’andò in Vicenza. La novella corse a messer
-Gran Cane, e vennegli essendo egli col marchese;
-e turbato l’uno e l’altro, il marchese francamente
-il confortò, offerendoli tutta la sua possa
-a racquistare Verona: ma perchè l’indugio a
-cotali cose conobbe pericoloso, di presente il fece
-montare a cavallo, apparecchiandoli di subito
-cento barbute delle sue, e colla gente ch’egli aveva
-da se, senza soggiorno, cavalcando il dì e
-<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span>
-la notte, se ne venne a Vicenza, e là trovò il fratello,
-e trovovvi messer Manno Donati di Firenze
-capitano di dugento cavalieri, che il signore
-di Padova avea mandati in suo aiuto, e trovovvi
-della gente del marchese di Ferrara; e sommosso
-il popolo di Vicenza a cotanto suo bisogno,
-gran parte ne menò con seco; e la notte medesima,
-con seicento barbute e col popolo di Vicenza
-se ne venne a Verona, e in sul mattino
-lasciò la strada, e attraversando pe’ campi entrò
-in Campo marzio, che è fuori della città ivi
-presso, murato intorno, e risponde a una piccola
-porta della città, la quale meno ch’altra porta
-si solea guardare. Quivi s’affermò messer
-Gran Cane, e mandò innanzi un Giovanni dell’Ischia
-di Firenze la notte, che procacciasse d’entrare
-in Verona, e facesse sentire a’ confidenti
-cittadini di messer Gran Cane com’egli era di
-fuori in Campo marzio, e accompagnollo d’uno
-confidente Tedesco. Costoro, non avendo altra
-via, si misono a notare co’ cavalli per l’Adice
-per venire infra la città ove mancava il muro, e
-in questo notare, il Tedesco poco destro del servigio
-dell’acqua vi rimase affogato. Giovanni
-dell’Ischia entrò nella terra, e andò informando
-e sommovendo gli amici di messer Gran Cane,
-avvisando come avessono a venire a quella porta
-in suo favore; i quali sentendo ivi fuori il loro
-signore, la mattina vennono con le scuri alla
-porta, e spezzaronla. Nondimeno le guardie ch’erano
-sopr’essa con le pietre e con le balestra
-da alto francamente la difendevano, sicchè non
-vi lasciarono entrare alcuno. Intanto il traditore
-<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span>
-messer Frignano essendo in sollecita guardia
-del fratello, e ancora di messer Bernabò, che il
-dì dinanzi l’avea assalito co’ suoi cavalieri, cavalcava
-intorno alla terra, e la mattina era montato
-in certa parte onde potea vedere di fuori, e
-guardava se messer Gran Cane venisse, che già
-non sapeva che fosse così dipresso, e guardando
-inverso Campo marzio, vide la porta piccola di Verona
-aperta, e dicendo, noi siamo traditi, francamente
-trasse con la gente sua inverso quella
-porta per difendere l’entrata; ma innanzi che vi
-giugnesse, il Gran Cane s’era tratto innanzi alla
-porta, e trattasi la barbuta, e fattosi conoscere
-a coloro che la guardavano, dicendo, io vedrò chi
-saranno coloro che mi contradiranno l’entrata della
-mia terra, e conosciuto da loro, incontanente
-gli feciono reverenza, e lasciarono entrare lui e
-la sua gente senza contasto. E sopravvenendo
-messer Frignano, il trovò entrato nella città con
-la maggior parte della gente, e avvisatolo, che
-bene il conosceva, nella piazza dentro dalla porta,
-si dirizzò verso lui colla lancia per fedirlo
-di posta, e tentare l’ultima fortuna: ma già era
-cominciato l’assalto tra i cavalieri di catuna
-parte aspro e forte, sicchè vedendo un cavaliere
-di quelli di messer Gran Cane mosso messer Frignano
-colla lancia abbassata verso il suo signore,
-gli si addirizzò per traverso, e colla lancia il
-percosse nella guancia dell’elmo per tale forza,
-come fortuna volle, che l’abbattè del cavallo a
-terra. Messer Giovanni chiamato Mezza Scala,
-vedendo messer Frignano abbattuto del destriere,
-scese del suo cavallo, e disse, che che s’avvegna
-<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span>
-di Verona tu morrai delle mie mani, e corsegli
-addosso, e con un coltello gli segò le vene, e lasciollo
-morto a terra. Ed in quello baratto fu
-morto con lui messer Paolo della Mirandola, e
-messer Bonsignore d’Ibra grandi conestabili. E
-morti costoro, l’altra gente ruppe, e assai ve ne
-furono morti fuggendo. Le porti della città erano
-serrate, e i cittadini sentendo il loro signore dentro
-tutti tennero con lui, e però i forestieri che
-v’erano furono presi e rassegnati a messer Gran
-Cane, il quale per la sua sollecita tornata felicemente
-racquistò Verona e uccise i traditori.
-Che se al fatto avesse messo indugio, non la racquistava
-in lungo tempo, o per avventura non
-mai, sì si venia provvedendo alla difesa lo sterpone.
-E questo avvenne il dì di carnasciale, a dì
-25 di febbraio l’anno 1353.
-</p>
-
-<h3 id="cap102-3">CAP. CII.
-<span class="smaller"><i>Come messer Gran Cane riformò la città di
-Verona, e fece giustizia de’ traditori.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Gran Cane avendo racquistata Verona
-avventurosamente si fece appresentare i prigioni,
-e diligentemente volle investigare la verità, come
-i cittadini aveano acconsentito al traditore, e
-udita la sagacità dell’inganno, comportò dolcemente
-l’errore del popolo. E raddirizzato l’ordine
-al governamento della città, fece impiccare in sù
-la piazza di mezzo il mercato di Verona il corpo
-di messer Frignano, e ventiquattro caporali partefici
-al tradimento del fratello, tra’ quali fu Giovannino
-<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span>
-Canovaro di Verona grande cittadino
-con quattro suoi figliuoli, e Alboino della Scala suo
-consorto, e messer Alberto di Monfalcone grande
-conestabile, e Giannotto fratello di madre di messer
-Frignano, e due figliuoli di Tebaldo da Camino,
-e due medici de’ signori della Scala, e il
-notaio della condotta, e altri uficiali infino al
-numero sopraddetto. A prigione ritenne messer
-Feltrino da Mantova, e messer Ugolino e messer
-Guglielmo suoi figliuoli, e messer Federigo
-suo fratello, e Piero Ervai di Firenze, il quale
-era fatto podestà di Verona per messer Frignano,
-il quale si ricomperò per non essere impiccato
-fiorini diecimila d’oro. Guidetto Guidetti
-si ricomperò per simile cagione fiorini dodicimila
-d’oro. Messer Giovanni da Sommariva e Tebaldo
-da Camino vi rimasono prigioni, e a’ cavalieri
-soldati tolse l’armi e’ cavalli, e feceli
-giurare di non essere mai contro a lui, e lasciolli
-andare. A coloro che più singolarmente l’aiutarono
-in questo fatto, come fu messer Manno
-Donati, e que’ dell’Ischia, e quelli di Boccuccio
-de’ Bueri tutti cittadini di Firenze, ch’adoperarono
-gran cose in sul fatto, provvide di possessioni
-de’ traditori, e molti altri ebbono grazia
-da lui cittadini e forestieri. E rimaso libero signore
-come di prima, aontato contro al signore
-di Mantova, avuta gente d’arme dal marchese di
-Brandimborgo cavalcò sul Mantovano, e ruppe
-la lega, e dissimulava trattato d’allegarsi con
-l’arcivescovo di Milano, insino che le cose si ridussono
-a concordia per sollecita operazione de’
-Veneziani, come al suo tempo innanzi racconteremo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap103-3">CAP. CIII.
-<span class="smaller"><i>Come fu deliberato per la Chiesa l’avvenimento
-dell’imperadore
-in Italia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo l’eletto imperadore prima veduto
-come i comuni di Toscana l’aveano richiesto per
-farlo valicare in Italia, e da loro non s’era rotto,
-e appresso era richiesto dalla lega de’ Lombardi,
-e con loro tenea benevoglienza e trattato, e ancora
-l’arcivescovo avea appo lui continovi ambasciadori
-che gli offeriano il loro aiuto alla sua coronazione,
-per le quali cose considerò che agevolmente
-e senza resistenza e’ potea valicare per la corona.
-E però sostenendo catuna parte in speranza e
-in amore, mandò a corte di Roma ad Avignone
-per avere licenza e la benedizione papale, e i
-legati e ’l sussidio promesso dalla Chiesa per la
-sua coronazione. Gli ambasciadori furono graziosamente
-ricevuti dal papa, e udita la domanda
-dell’eletto debita e giusta, tenuti sopra ciò alquanti
-consigli e consistori, del mese di febbraio
-del detto anno, fu deliberato per lo papa
-e per li cardinali ch’egli avesse la licenza, e la
-benedizione, e i legati per la sua coronazione;
-altro sussidio non gli promisono. E partiti gli
-ambasciadori da corte, tra i cardinali ebbe divisione
-e tire di coloro ch’avessono la legazione
-per venire con lui, e per le dette tire, e perchè
-l’avvenimento non parea presto, si rimase la
-commessione de’ legati infino al tempo dell’avvenimento
-<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span>
-suo; onde si raffreddarono i procacciatori,
-non sentendolo ricco da trarre da lui
-quello che la loro avarizia prima si pensava.
-</p>
-
-<h3 id="cap104-3">CAP. CIV.
-<span class="smaller"><i>D’un gran fuoco ch’apparve nell’aria.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il primo dì di marzo, alle sei ore della notte,
-si mosse uno sformato fuoco nell’aria, il quale
-corse per gherbino in verso greco, come aveva
-fatto l’altro che prima era venuto col tremuoto,
-ma di lume e d’infiammagione non fu molto minore.
-A questo seguitò grande secco, perocchè
-infino al giugno non caddono acque che podere
-avessono di bagnare la terra, per la qual cosa il
-grano e le biade cresciute il verno e parte della
-primavera, e in buona speranza di ricolta, a tanto
-erano condotte per lo secco, che se non fosse
-la manifesta grazia che Madonna fece alla
-processione dell’antica tavola della sua effigie di
-santa Maria in Pineta, come al suo tempo si
-diviserà, erano i popoli di Toscana fuori di speranza
-di ricogliere grano, o biada o altri frutti
-in quest’anno per nutricamento di quattro
-mesi; e però non ci pare da lasciare in silenzio il
-caso di questo segno, per ammaestramento de’
-tempi avvenire. Seguitò ancora l’avvenimento
-dell’imperadore in quest’anno in Italia e la
-sua coronazione, e avvenimento di grandi terremuoti,
-come appresso racconteremo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap105-3">CAP. CV.
-<span class="smaller"><i>Di tremuoti che furono.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo medesimo dì primo di marzo furono
-in Romania grandissimi terremuoti, e nella nobile
-città di Costantinopoli abbatterono molti grandi
-e nobili edificii e gran parte delle mura della
-città, con grande uccisione d’uomini, e di femmine,
-e di fanciulli. E da Boccadone infino a
-Costantinopoli, su per la marina, non rimase
-castello nè città che non avesse grandissime
-rovine delle mura e degli edificii con grande
-mortalità de’ suoi abitanti; per la qual cosa avvenne,
-che i Turchi loro vicini sentendo i Greci
-spaventati, e senza potersi racchiudere e salvare
-nelle fortezze, corsono sopra loro, e presonne assai,
-e menaronli in servaggio: e alcuni castelli
-rifeciono e afforzarono, e misonvi abitatori e
-guardie di loro Turchi; e appresso accolsono grande
-esercito di loro gente, e puosonvi assedio per
-terra a Costantinopoli, ch’era in divisione e in
-tremore, ma contro a’ Turchi s’unirono alla difesa;
-sicchè stativi alcuno tempo senza potere acquistare
-la città, corsono le ville, e rubarono le
-contrade, e senza avere resistenza fuori delle mura
-si tornarono in loro paese.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap106-3">CAP. CVI.
-<span class="smaller"><i>De’ fatti del monte.</i></span></h3>
-
-<p>
-La fede utile sopra l’altre cose, e gran sussidio
-a’ bisogni della repubblica, ci dà materia
-di non lasciare in oblivione quello che seguita.
-Il nostro comune, per guerra ch’ebbe co’ Pisani
-per lo fatto di Lucca, si trovò avere accattati da’
-suoi cittadini più di seicento migliaia di fiorini
-d’oro; e non avendo d’onde renderli, purgò il debito,
-e tornollo a cinquecentoquattro migliaia di
-fiorini d’oro e centinaia, e fecene un monte, facendo
-in quattro libri, catuno quartiere per se, scrivere
-i creditori per alfabeto, e ordinò con certe
-leggi penali, alla camera del papa obbligate, chi
-per modo diretto o indiretto venisse contro a
-privilegio e immunità ch’avessono i danari del
-monte. E ordinò che in perpetuo ogni mese, catuno
-creditore dovesse avere e avesse per dono
-d’anno e interesso uno danaio per lira, e che i
-danari del monte ad alcuno non si potessono
-torre per alcuna cagione, o malificio, o bando, o
-condannagione che alcuno avesse; e che i detti
-danari non potessono essere staggiti per alcuno
-debito, nè per alcune dote, nè fare di quelli alcuna
-esecuzione, e che lecito fosse a catuno poterli
-vendere e trasmutare, e così a catuno in
-cui si trovassono trasmutati, que’ privilegi, e quell’immunità,
-e quello dono avesse il successore
-che ’l principale. E cominciato questo gli anni
-di Cristo 1345, sopravvenendo al comune molte
-<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span>
-gravi fortune e smisurati bisogni, mai questa
-fede non maculò, onde avvenne che sempre
-a’ suoi bisogni per la fede servata trovava prestanza
-da’ suoi cittadini senza alcuno rammaricamento:
-e molto ci si avanzava sopra il monte,
-accattandone contanti cento, e facendone finire
-al monte altri cento, a certo termine n’assegnava
-dugento sopra le gabelle del comune, sicchè i
-cittadini il meno guadagnavano col comune a ragione
-di quindici per centinaio l’anno. Essendo i libri
-e le ragioni mal guidate per i notai che non gli
-sapeano correggere, e avevanvi commessi molti
-errori e falsi dati, si ridussono in mano di scrivani
-uomini mercatanti che gli correggessono,
-e corressono molto chiaramente a salvezza del
-comune e de’ creditori, avendo al continovo uno
-notaio che facea carta delle trasmutagioni per
-licenza del vero creditore, e poi gli scrivani gli
-acconciavano in su’ registri del comune, levando
-dall’uno e ponendo all’altro. Di questi contratti
-de’ comperatori si feciono in Firenze l’anno
-1353 e 1354 molte questioni, se la compera era
-lecita senza tenimento di restituzione o nò, eziandio
-che il comperatore il facesse a fine d’avere
-l’utile che il comune avea ordinato a’ creditori,
-e comperando i fiorini cento prestati al
-comune per lo primo creditore venticinque fiorini
-d’oro, e più e meno com’era il corso loro, l’opinione
-de’ teologi e de’ legisti in molte disputazioni
-furono varie, che l’uno tenea che fusse illecito
-e tenuto alla restituzione, e l’altro nò, e
-i religiosi ne predicavano diversamente: que’
-dell’ordine di san Domenico diceano che non si
-<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span>
-potea fare lecitamente, e con loro s’accostavano
-de’ romitani, e i minori predicavano che si
-potea fare, e per questo la gente ne stava intenebrata.
-Era in questi tempi in Firenze copia di
-maestri in teologia, fra i quali de’ più eccellenti
-era maestro Piero degli Strozzi de’ frati predicatori,
-e maestro Francesco da Empoli de’ minori;
-maestro Piero dicea che non era lecito contratto,
-e predicavalo senza dimostrarne le ragioni
-chiare; perchè maestro Francesco de’ minori avendo
-sopra ciò con grande diligenza avute molte
-disputazioni con altri maestri in divinità, e con
-dottori di legge e di decretali, al tutto chiarì,
-e tenne, e predicò, e scrisse ch’era lecito, e senza
-tenimento di restituzione a chi il facea, senza fare
-contro a sua coscienza; e le ragioni perchè
-scrisse e mandò a tutte le regole, apparecchiato
-a mantenere quello che predicato e scritto avea.
-Nondimeno i predicatori e’ loro maestri non si
-rimossono della loro opinione, predicando che
-non si potea fare lecitamente e senza restituzione;
-e della loro opinione non mostrarono ragione,
-e contro alle scritte per maestro Francesco
-non contradissono con alcuna ragione; e per
-questo a molti rimase in dubbio il detto contratto,
-e molti l’ebbono per chiaro accostandosi alle
-ragioni del maestro Francesco, e senza riprensione
-di loro coscienza vendevano e comperavano,
-facendone traffico come d’un’altra mercatanzia.
-Se ’l contratto si potea provare usurario,
-debito era a chi ’l predicava di riprovare quello
-che si provava in contrario, per trarre la gente
-d’errore; se lecitamente fare si poteva, considerato
-<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span>
-che gli uomini sono cupidi a guadagnare,
-male era a recare loro in sospetto, e contaminare
-le coscienze di quello che lecito era per non
-discrete predicazioni.
-</p>
-
-<h3 id="cap106a-3">CAP. CVI.
-<span class="smaller"><i>Di certe rivolture di tiranni di Lombardia,
-e di più cose per lo tradimento
-di Verona</i></span></h3>
-
-<p>
-Detto abbiamo poco addietro come il Gran
-Cane della Scala si tenea aver perduta Verona
-per operazione del signore di Mantova, ed era
-contro a lui forte inanimato per lo fallo ch’egli
-avea fatto; essendo con lui nella lega s’era
-rotto dalla lega degli altri, e trattava d’allegarsi
-coll’arcivescovo di Milano e col marchese di
-Brandimborgo per far guerra coll’arcivescovo
-insieme contro a Mantova, e l’arcivescovo molto
-vi venia volentieri, e furono le cose tanto innanzi,
-che per tutto corse la voce ch’ell’era fatta.
-Il comune di Vinegia conoscendo che questa
-discordia poteva tornare a grande pericolo del
-loro comune e degli altri loro collegati lombardi,
-mandarono di loro assentimento al Gran
-Cane solenni ambasciadori, per rivocarlo alla
-lega e compagnia ch’aveano insieme, e far
-fare al signore di Mantova l’ammenda del suo fallo;
-e seguendo gli ambasciadori solennemente
-quello che fu loro commesso, operarono tanto,
-che ’l signore di Mantova fece l’ammenda come
-messer Gran Cane volle, e per la stima del
-<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span>
-danno ricevuto diede trentamila fiorini d’oro a
-messer Gran Cane, i quali promise, e pagò poi
-per lui il comune di Vinegia, e il signore di
-Mantova ne diè loro in guardia tre buone castella:
-e per questo modo fu fatta la pace, e lasciati
-di prigione que’ di Mantova, e messer Gran Cane
-tornò alla lega com’era in prima. Essendo raffermata
-la lega, ne’ porti di Mantova si trovò in
-un dì molta mercatanzia di Milanesi e d’altri
-distrettuali dell’arcivescovo, e perocchè a stanza
-dell’arcivescovo il signore di Mantova s’era
-mosso a far quello onde gli era convenuto fare
-ammenda di fiorini trentamila d’oro, di fatto fece
-arrestare tutto, e ripresesi sopra i Milanesi e distrettuali
-dell’arcivescovo di più che non restituì
-al signore di Verona, la qual cosa l’arcivescovo
-e’ suoi si recarono a grande onta.
-</p>
-
-<h3 id="cap107-3">CAP. CVII.
-<span class="smaller"><i>Del processo della grande compagnia di fra
-Moriale della Marca.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornando alla nuova tempesta di fra Moriale
-e di sua compagnia, rimasi nella Marca dopo la
-partita di messer Malatesta dall’assedio di Fermo,
-cominciarono a cavalcare il paese e fare in ogni
-parte preda, e vinsono per forza Mondelfoglio, e
-le Fratte, e san Vito, e sei altre castelletta nel paese,
-e scorsono a Iesi, e rubarono i borghi e predarono
-il paese. Appresso combatterono Feltrino
-e vinsonlo per forza, e uccisonvi da cinquant’uomini,
-e perch’era pieno d’ogni bene da vivere
-<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span>
-vi dimorarono un mese. E in fra questo tempo ebbono
-Monte di Fano, e Monte di Fiore, e più altre
-castella d’intorno per paura feciono i loro comandamenti.
-Per la fama delle grandi prede che faceva la
-compagnia, molti soldati ch’aveano compiute le
-loro ferme, senza volere più soldo traevano a fra
-Moriale, e assai in prova si facevano cassare per
-essere con lui, ed egli li faceva scrivere, e con
-ordine dava a catuno certa parte al bottino, e tutte
-le ruberie e prede ch’erano venali facea vendere,
-e sicurava i comperatori, e facevali scorgere
-lealmente, per dare corso alla sua mercatanzia.
-E ordinò camarlingo che ricevea e pagava, e
-fece consiglieri e segretari con cui guidava tutto;
-e da tutti i cavalieri e masnadieri era ubbidito
-come fosse loro signore, e mantenea ragione tra
-loro, la quale faceva spedire sommariamente. E
-così ordinati cavalcarono, e mutavano paese, e vennono
-a Montelupone, il quale per paura s’arrendè
-loro, e stettonvi venti dì; e raunata ivi la preda fatta
-nel paese e la sostanza del castello, ogni cosa ne
-trassono senza far male agli uomini, e cavalcarono
-alla marina e presono Umana, e combatterono
-Orivolo, e non l’ebbono, e da Umana andarono
-sopra Ancona, e presono la Falconara a patti
-salve le persone. E in que’ dì ebbono otto castella
-che s’arrenderono loro in sull’Anconitano, fuggendo
-le persone, e lasciando le terre e la roba
-alla compagnia. Appresso tornarono sopra Iesi, e
-per forza ebbono Alberello ed un altro castello,
-e tutto recarono in preda, e poi andarono a
-Castelficardo pieno di molta vittuaglia, e quello
-combattendo vinsono per forza. E del mese di
-<span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span>
-marzo presono il castello delle Staffole pieno di
-molto vino, ed il Massaccio e la Penna. E per
-tutto quel paese il residuo del verno sparsono la
-loro irreparabile tempesta, rubando e uccidendo,
-e facendo ogni sconcio male a’ paesani, e singolarmente
-più a’ sudditi di messer Malatesta, avendo
-delle sue terre quarantaquattro castella in loro
-servaggio, e avendo stadico un figliuolo del capitano
-di Forlì, e Gentile da Mogliano, per li soldi
-che promessi aveano alla detta compagnia.
-</p>
-
-<h3 id="cap108-3">CAP. CVIII.
-<span class="smaller"><i>Come il legato prese Toscanella.</i></span></h3>
-
-<p>
-In quest’anno del mese di marzo, il cardinale
-di Spagna legato del papa facendo guerra col
-prefetto di Vico, per trattato gli tolse Toscanella,
-e questo fu il primo acquisto che il legato facesse
-contro a lui: dappoi seguitarono le cose a maggiori
-fatti, come seguendo nostra materia diviseremo.
-In questi dì, il marchese di Ferrara parendogli
-essere debole nella nuova signoria, perchè
-Francesco marchese, il quale si tenea dovere di
-ragione essere signore, gli s’era rubellato, o che
-trovasse alcuno trattato nella città contro a se, o
-ch’egli il contraffacesse, a che si diè più fede,
-cacciò di Ferrara de’ suoi fratelli e alquanti de’
-maggiori cittadini, confinandoli fuori del suo distretto,
-e cominciò a stare più fornito di gente
-forestiera, e in maggiore guardia.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_148">[148]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap109-3">CAP. CIX.
-<span class="smaller"><i>Come messer Malatesta si ricomperò dalla
-compagnia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo la compagnia di fra Moriale cresciuta
-di cavalieri e di masnadieri, e nutricata il verno
-sopra le terre che distruggea, messer Malatesta
-da Rimini, avvisato e provveduto in fatti di
-guerra, considerando la gente della compagnia, e
-la loro troppa sicurtà presa per non avere avversario,
-e il luogo dov’erano e il loro reggimento,
-pensò, che dove i comuni di Toscana lo volessono
-atare, ch’egli vincerebbe la detta compagnia; e
-non parendogli materia da commettere ad ambasciadori,
-in persona venne a Perugia, e poi a Siena,
-e appresso a Firenze, e mostrò a ciascun comune
-il pericolo che potea loro venire di quella
-compagnia se contra loro non si riparasse, e
-domandava a catuno comune aiuto di gente
-d’arme, e dove dato gli fosse, con ottocento barbute
-di buona gente ch’egli avea da se, e col
-suo popolo e col vantaggio ch’avea intorno a loro
-delle sue terre, promettea di rompere e di sbarattare
-la compagnia in breve tempo; e questo
-dimostrava per vere e manifeste ragioni; ma catuno
-comune avendo la tempesta da lungi se ne
-curava poco. I Perugini che furono prima richiesti,
-dissono, che in ciò seguiterebbono la volontà
-de’ Fiorentini, e in questo modo risposono anco
-i Sanesi. E venuto messer Malatesta colle lettere
-de’ detti comuni a Firenze, i Fiorentini udita
-<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span>
-la sua domanda gli diedono dugento cavalieri,
-i quali menò con seco fino a Perugia. I Perugini
-e’ Sanesi non vollono attenere la loro promessa, e
-però i cavalieri de’ Fiorentini si tornarono addietro.
-Messer Malatesta vedendosi abbandonato dall’aiuto
-de’ comuni di Toscana, e che tempo era
-che la compagnia potea procacciare altrove, trattò
-con loro, e venne a concordia di dare fiorini
-quarantamila d’oro alla compagnia, parte contanti,
-e degli altri li sicurò, dando loro per istadico
-il figliuolo, e si partirono del suo distretto,
-e promisono di non tornarvi infra certo tempo. E
-fatto l’accordo, e partita la compagnia, messer Malatesta
-cassò quasi tutti i suoi soldati, i quali di presente
-s’aggiunsono alla compagnia; la quale essendo
-molto cresciuta di baroni, e di conti e di conestabili,
-si cominciò a chiamare la gran compagnia,
-e tribolando la Marca, e la Romagna, e il Ducato,
-innanzi che di là si partissono rifermarono la
-loro compagnia per certo tempo, e tutti la giurarono
-nelle mani di messer fra Moriale. E benchè
-fra loro fossono grandi baroni alamanni,
-tutti vollono che il titolo della compagnia, e la
-capitaneria fosse in messer fra Moriale, ma dieronli
-quattro segretari de’ cavalieri, che l’uno fu il conte
-di Lando, e un barone di gran seguito ch’avea
-nome Fenzo di... e il conte Broccardo di....
-e messer Amerigo del Canaletto; e de’ masnadieri
-quattro conestabili italiani. In costoro
-era la deliberazione dell’imprese e il segreto
-consiglio, e feciono altri quaranta consiglieri, e
-un tesoriere a cui venia tutta l’entrata delle loro
-prede, e questi pagava e prestava a’ comandamenti
-<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span>
-del capitano. Dato l’ordine, il capitano era ubbidito
-da tutti come fosse l’imperadore, e facea
-la notte cavalcare di lungi dal campo venticinque
-o trenta miglia ov’egli comandava, e il dì tornavano
-con grandi prede, e ogni cosa fedelmente
-rassegnavano al bottino. E perocchè quasi quanti
-conestabili avea in Italia al soldo de’ signori
-e de’ comuni aveano parte di loro masnade nella
-compagnia, erano sì baldanzosi, che di niuna
-gente di soldo temeano, e però tutti i comuni
-minacciavano se non dessono loro denari di venire
-sopra loro. E mandarono ambasciadori nel
-Regno, ed ebbono promissione dal re Luigi di
-quarantamila fiorini d’oro, i quali non mandò loro,
-di che cari gli feciono poi costare. Ebbono
-dal capitano di Forlì e da Gentile da Mogliano
-trentamila fiorini d’oro, e da messer Malatesta
-quarantamila. Ed essendo richiesti dall’arcivescovo
-di Milano di volerli conducere a suo
-soldo contro alla lega, e da quelli della lega contro
-all’arcivescovo, catuno teneano in speranza
-e con niuno si fermavano, e anche teneano trattato
-col prefetto di Vico contro al legato, e però
-non si potea sapere che dovessono fare, e molto
-manteneano bene loro credenza. E in fine del mese
-di maggio 1354 se ne vennono a Fuligno, e
-dal vescovo ebbono mercato d’ogni vittuaglia
-abbondevolmente. Lasceremo ora la gran compagnia
-che n’è assai detto, e non senza debita scusa,
-per la grande e pericolosa novità che ne seguì
-in Italia, e diremo dell’altre cose che prima
-ci occorrono a raccontare.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap110-3">CAP. CX.
-<span class="smaller"><i>D’un fanciullo mostruoso nato in Firenze.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo verno del detto anno nacque in Firenze
-nel popolo di san Piero Maggiore un fanciullo
-maschio figliuolo d’uno de’ maggiori popolari di
-quello popolo, ch’avea tutte le membra umane
-dal collo a’ piedi, e il viso suo non avea effigie umana;
-la faccia era tutta piana senza bocca, e avea
-un foro per lo quale messo lo zezzolo della
-poppa traeva il latte, e poppava, e nella superficie
-della testa al diritto, sopra dove doveano essere
-gli occhi avea due fori: e’ vivette più giorni,
-e fu battezzato, e seppellito in san Piero Maggiore.
-E poco appresso una gentile donna moglie
-d’un cavaliere avendo fatto un fanciullo un
-mese dinanzi, partorì un’altra materia di carne
-a modo d’un cuore di bue, di peso di libbre
-quindici, con alcuni dimostramenti ma non
-chiari d’effigie umana, senza distinzione di membri,
-e come questo ebbe partorito, incontanente
-morì la donna.
-</p>
-
-<h3 id="cap111-3">CAP. CXI.
-<span class="smaller"><i>Come furono cacciati i guelfi di Rieti
-e da Spoleto.</i></span></h3>
-
-<p>
-De mese d’aprile, del detto anno 1354, i guelfi
-di Rieti avendo il governamento della città, e
-podestà e capitano dal re Luigi, montati in superbia
-<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span>
-per animo di parte oltraggiavano i ghibellini
-di quella terra, e tanto montarono gli oltraggi,
-ch’e’ guelfi mossono romore per cacciare i
-ghibellini, e catuna parte fu sotto l’arme, e di
-cheto senza fare altra novità s’acquetarono a
-quella volta; e nondimeno catuna parte rimase in
-gran sospetto e riguardo l’uno con l’altro, e in
-questo modo erano stati lungamente. Avvenne
-che i guelfi, avendo a loro stanza gli uficiali della
-terra, con ordine fatto, una domenica mattina
-a dì 20 d’aprile subito presono l’arme e
-corsono alla piazza, gridando: muoiano i ghibellini.
-I cittadini di quella parte temendo del subito
-e non pensato romore, francamente s’armarono
-e corsono alla piazza per difendersi, e quivi cominciò
-aspra e crudele battaglia, e senza alcuno
-riguardo uccideva e fediva l’uno l’altro, e durò
-assai, che niuno perdeva di suo terreno; in fine
-ghibellini disperati di loro salute ruppono una
-barra incatenata che gli dividea da’ guelfi, e
-con grande empito d’amaro cuore assalirono i
-guelfi per sì fatto modo, che gli ruppono, e senza
-ritegno gli seguitarono uccidendone quanti giugnere
-ne poteano. E in questa rotta furono morti
-venticinque cittadini di nome e assai più degli
-altri, e molti per campare si gittarono nel fiume,
-e sommersi annegarono in quello. I ghibellini
-seguendo loro avventurato caso cacciarono i rettori
-che v’erano per lo re Luigi, e rimasi signori
-della città riformarono il reggimento di quella
-a loro volontà, e per questa novità di Rieti furono
-cacciati di Spoleto i caporali guelfi che v’erano,
-ma non con battaglia nè a furore di popolo.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span>
-</p>
-
-<h2 id="libro4">LIBRO QUARTO
-<span class="smaller"><i>Comincia il quarto libro, e prima
-il Prologo.</i></span></h2>
-
-<h3>CAPITOLO PRIMO.</h3>
-</div>
-
-<p>
-Assai si può alcuna volta comprendere per gli
-effetti delle cose mondane, che il senno aggiunto
-alla nobiltà dell’animo, all’altezza dello stato,
-alla ricchezza e potenza reale, operato con
-piena provvidenza, fornito e apparecchiato di
-grandissime forze, non puote pervenire nè acquistare,
-eziandio con sommo studio e con lieve
-resistenza quelle cose che con giusta causa
-l’appetito ha richiesto, le quali, volto il tempo
-pochi anni, e mutato il principe per successione,
-con certo mancamento di tutte le predette cose,
-per altre non provvedute vie della variata fortuna,
-trovarsi lievemente vittorioso in quelle.
-Onde presumere certa confidenza di se, per senno,
-o per virtù, o per potenza, alcuna volta
-con grave turbazione d’animo si trova ingannato;
-perocchè non è in potestà degli uomini il consiglio
-e la volontà di Dio. E avendoci già condotta
-la sua materia al cominciamento del quarto
-libro, alcuno certo e manifesto esempio alle predette
-cose in prima ci s’offera a raccontare.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap2-4">CAP. II.
-<span class="smaller"><i>Comparazione dal re Ruberto al re Luigi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Manifesto fu appresso la morte del re Ruberto
-di Gerusalemme e di Cicilia, il quale avea regnato
-trentatrè anni e mesi, il cui pari ne’ suoi
-tempi tra’ principi de’ cristiani non si trovò di
-sapienza e d’intelletto, in virtù e in vita onesta,
-e in adornamento di bellissimi costumi, pieno
-di ricchezze, fornito di grande e nobile cavalleria
-di suoi baroni e sudditi, apparecchiato
-di navili sopra gli altri signori, avendo dirizzato
-l’animo con sommo studio a racquistare l’isola
-di Cicilia, la quale di ragione s’apparteneva alla
-sua signoria come principale membro del suo
-reame, con continovi trattati, con spessi e diversi
-assalimenti, con generali armate, guidate
-dalla sua persona, e dal figliuolo e da altri, di centoventi
-e di centosessanta galee, con molto altro
-navilio per volta e di più e di meno, con duemila
-e più cavalieri per armata alcuna volta e
-popolo senza numero, per molti anni cercato di
-racquistare la detta isola, o d’avere alcuna terra
-o porto in quella per potere alquanto appagare
-l’animo suo, la qual cosa fatta mai non gli venne
-con alcuna perfezione; e il re Luigi suo nipote
-intitolato di quel medesimo regno da santa Chiesa,
-povero d’avere e di consiglio, e non ubbidito
-da’ suoi regnicoli, impotente di gente d’arme,
-mal destro a potere reggere o guardare il suo reame,
-non che avesse potuto cercare a racquistare
-<span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span>
-suo reame della Cicilia, non sufficiente
-d’armare dieci galee, nè di reprimere un solo suo
-barone a quel tempo; ma le divisioni e sette crudeli
-e mortali de’ baroni dell’isola, Catalani e
-Italiani, come già è detto, aveano a tanto condotto
-l’isola, che di gran parte fu fatto signore, come
-appresso racconteremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap3-4">CAP. III.
-<span class="smaller"><i>Come gran parte dell’isola di Cicilia venne
-all’ubbidienza del re Luigi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo raccontato addietro molte volte del
-male stato dell’isola di Cicilia, al presente ci occorre
-a dire come per la detta cagione don Luigi
-figliuolo di don Pietro, a cui s’appartenea d’essere
-signore, avea trattato accordo col re Luigi,
-ed erano venuti a concordia che si dovesse nominare
-re di Trinacria, e riconoscere la Cicilia dal
-re Luigi e fargliene omaggio, e dargliene ogni
-anno certa somma sopra il censo della Chiesa per
-suo omaggio; e a questo s’erano accordati, ma non
-aveano ancora piuvicata la pace nè fatte l’obbligazioni.
-In questo stante, il conte Simone di Chiaramonte
-capo della setta degl’Italiani, il quale
-aveva in sua forza molte città e castella dell’isola,
-avendo anche lungamente tenuto trattato col re
-Luigi acciocchè la concordia del re non si facesse,
-pervenne al suo trattato con l’opere. Ed essendo
-allora l’isola in gran fame, promise a’ suoi soccorso
-di vittuaglia e forte braccio alla loro difesa:
-i popoli per l’inopia gli assentirono, e il re Luigi
-<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span>
-si fermò con lui. E facendo suo isforzo, mandò
-messer Niccola Acciaiuoli grande siniscalco,
-ch’era stato menatore di questo trattato, con cento
-cavalieri e con quattrocento fanti di soldo in su
-l’isola, con sei galee e due panfani, e tre legni di
-carico, e trenta barche grosse cariche di grano e
-d’altra vittuaglia. Prima fu dato loro il forte castello
-di Melazzo, ove lasciò cinquanta cavalieri e cento
-fanti, e appresso con tutto il navilio e col resto
-della gente dell’arme se n’andò a Palermo, e con
-gran festa fu ricevuto da’ Palermitani, che per fame
-più non aveano vita, e prese la signoria della città
-di Palermo e la guardia del castello con quella
-gente ch’egli avea, e delle castella e del suo distretto.
-E incontanente le sette degl’Italiani fece
-rubellare a don Luigi e alla parte de’ Catalani, e
-seguirono quelli di Chiaramonte, dandosi al re
-Luigi la città di Trapani, e quella di Saragozza,
-Girgenti, la Licata, Mazzara, Marsala, Castro
-Gianni, e molte altre terre e castella, che in tutto
-furono tra città e buone terre e castella centododici,
-alle quali il detto re Luigi per povertà
-di gente e di danari non potè mandare aiuto d’alcuna
-forza di gente d’arme oltre a quella ch’era
-in Palermo e in Melazzo; ma tanta era l’impossibilità
-dell’altra parte, che la cosa rimase senza movimento
-di altra gente alcuno tempo. Alla parte
-del re Luigi rispondeva la Calabria, portando loro
-vittuaglia ond’elli aveano gran bisogno, e
-questo gli sostenea in fede col detto re Luigi.
-È vero che fu biasimato di non avere tenuto fede
-a don Luigi del trattato ch’avea fatto con lui per
-pace dell’isola, e la scusa del re fu, dicendo, che
-<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span>
-non gli avea attenuti i patti. Il vero rimase nel
-suo luogo, e il fatto seguì come narrato abbiamo.
-Questa novità fu nell’isola a dì 17 d’aprile 1354.
-</p>
-
-<h3 id="cap4-4">CAP. IV.
-<span class="smaller"><i>Come l’arcivescovo cominciò guerra contro
-a’ collegati di Lombardia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Vedendo l’arcivescovo di Milano che il comune
-di Vinegia avea rannodata e riferma la lega tra
-i Lombardi, innanzi che fossono forniti di gente
-d’arme, essendone egli a destro, fece muovere da
-Parma duemila barbute e gran popolo e scorrere
-infino a Modena, per tornare addietro e assediare
-Reggio; e nel Modenese trovarono cavalieri della
-lega ch’andavano a Reggio i quali tutti presono.
-E tornati a Reggio, l’assediarono del detto mese
-d’aprile, e all’assedio stettono poi lungamente
-con più bastite, e quelli della lega per lungo
-tempo non ebbono podere di levarlone; ma la città
-sostennono e difesono, sicchè non l’ebbe.
-</p>
-
-<h3 id="cap5-4">CAP. V.
-<span class="smaller"><i>Come il re d’Ungheria passò con grande
-esercito contra un re de’ Tartari.</i></span></h3>
-
-<p>
-In quest’anno e in questo medesimo tempo,
-Lodovico re d’Ungheria accolse suo sforzo, e di
-quello di Pollonia e di quello di Prosclavia suoi uomini,
-e apparecchiato grande carreggio di vittuaglia,
-con dugento migliaia di cavalieri andando
-<span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span>
-quindici dì per luoghi diserti con grande travaglio,
-passò nel reame d’un gran re della gesta
-de’ Tartari. E giunto nel reame di colui, essendo
-per cominciare a fare danno nel paese, il re di
-quello paese, ch’era assai giovane, mandò pregando
-quello d’Ungheria che gli desse licenza
-che con poca compagnia potesse venire a lui sicuramente,
-e impetrata la licenza, venne a lui con
-cento baroni molto adorni riccamente apparecchiati;
-e fatta la riverenza, domandò il re d’Ungheria
-perchè egli era venuto con forza d’arme
-nel suo reame, e quello ch’e’ volea da lui. Il
-re gli disse, ch’era venuto sopra lui perchè
-non era cristiano, e che volea tre cose: la prima,
-che divenisse cristiano con la sua gente:
-la seconda, che lo riconoscesse per suo maggiore:
-la terza, che in segno d’omaggio gli desse
-ogni anno certo tributo, ed egli sarebbe suo protettore.
-E il giovane disse: vedi re d’Ungheria,
-la mia forza è troppo maggiore della tua, solo del
-mio reame senza l’aiuto de’ miei maggiori; e faccioti
-certo, che condotto se’ in parte, che s’io volessi
-gran vittoria potrei averla di te e della tua
-gente: ma perocch’io ho animo di divenire cristiano,
-accetto di volere fare le tue domande, e intendo
-di farle a tempo col tuo aiuto e del papa; e
-rimasi in concordia, fece grande onore al re d’Ungheria,
-e accompagnollo fino a’ confini del suo
-reame. Ma in quello venire, per invidia i grandi
-baroni d’Ungheria non gli feciono onore, per
-impedire che il loro re per l’acquisto di costui
-non divenisse grande di soperchio, e fu materia
-di grande sconcio del buon volere ch’aveva il
-<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span>
-re de’ Tartari, e dell’intenzione del re d’Ungheria.
-</p>
-
-<h3 id="cap6-4">CAP. VI.
-<span class="smaller"><i>De’ grilli ch’abbondarono in Barberia e
-poi in Cipri.</i></span></h3>
-
-<p>
-In quest’anno abbondarono in Barberia, a
-Tunisi e nelle contrade vicine tanta moltitudine
-di grilli che copersono tutto il paese, e rosono e
-consumarono tutte l’erbe vive che trovarono sopra
-la terra, e del puzzo che uscia della loro corruzione
-si corruppe tanto l’aria del paese, che
-ne seguitò grande mortalità negli uomini, e gran
-fame a tutta la provincia. E questa medesima
-pestilenza di grilli nel seguente anno occupò
-l’isola di Cipri per sì sconcio modo, che le strade
-e i campi n’erano pieni, alti da terra un
-mezzo braccio e più, e guastarono ciò che v’era
-di verde. E per cessare la pestilenza della loro
-corruzione il re fece per decreto, che ogni uomo
-grande e popolare, barone e prelato, cittadino
-e contadino, ne dovesse rassegnare certa misura
-agli ufficiali eletti sopra ciò per lo re, i quali feciono
-fare per campi grandi fosse, ove gli metteano
-e ricoprivano. E per questa legge i villani si
-dispuosono a fare loro civanza, e patteggiarono
-con gli uomini ch’aveano a fare il servigio che
-comandato e imposto gli era, e aveano della misura
-certo prezzo, e rassegnavanli per nome di colui
-che gli avea pagati agli uficiali deputati sopra
-ciò, i quali teneano il conto di catuno; e durò
-<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span>
-questa maladizione in quell’isola parecchi anni.
-Con tutto l’argomento che fu utilissimo ad alleggiare
-i campi e cessare la corruzione, fu
-grande noia e confusione a tutto il paese.
-</p>
-
-<h3 id="cap7-4">CAP. VII.
-<span class="smaller"><i>D’una notabile maraviglia della reverenza,
-della tavola di santa Maria in
-Pineta.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo per influenza di costellazione e di segni
-avvenuti in cielo in quest’anno continovato
-tre mesi o più, nel tempo che le biade hanno
-maggiore bisogno delle piove, continovato secco,
-erano quelle già in tutta Toscana aride e in estremi,
-da sperare sterilità e fame: i Fiorentini temendo
-di perdere i frutti della terra ricorsone all’aiutorio
-divino, facendo fare orazioni e continove processioni
-per la città e per lo contado, e quante più processioni
-si faceano più diventava il dì e la notte sereno
-il cielo. I cittadini vedendo che questo non
-giovava, con grande divozione e speranza ricorsono
-all’aiuto di nostra Donna, e feciono trarre
-fuori l’antica figura di nostra Donna dipinta nella
-tavola di santa Maria in Pineta, e a dì 9 di
-maggio 1354, fatto apparecchiamento per lo comune
-di molti doppieri, e mosso il chericato con
-tutte le religioni, col braccio di messer san Filippo
-apostolo, e con la venerabile testa di san Zanobi,
-e con molte altre sante reliquie, quasi tutto il popolo
-uomini e donne e fanciulli, co’ priori e con tutte
-le signorie di Firenze, sonando le campane
-<span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span>
-del comune e delle chiese a Dio lodiamo, andarono
-incontro alla detta tavola infino fuori della
-porta di san Piero Gattolino: e la detta tavola
-guardavano e conducevano quelli della casa
-de’ Buondelmonti padroni della detta pieve reverentemente
-con gli uomini del piviere. E
-giunto il vescovo con la processione, e con le
-reliquie e col popolo alla santa figura, con
-grande reverenza e solennità la condussono fino
-a san Giovanni, e di là fu condotta a san
-Miniato a Monte, e poi riportata nel suo antico
-luogo a santa Maria in Pineta. Avvenne, che in
-quella giornata continovando la processione il cielo
-empiè di nuvoli, e il secondo dì sostenne il
-nuvolato, che per molte volte prima s’era continovo
-per la calura consumato, il terzo dì cominciarono
-a stillare minuto e poco, e il quarto a
-piovere abbondantemente, e conseguì l’uno dì
-appresso l’altro sette dì continovi un’acqua
-minuta e cheta che tutta s’impinguava nella
-terra, in singolare e manifesto beneficio di quello
-che bisognava a racquistare le biade e’ frutti;
-e non fu meno mirabile dono di grazia per
-l’ordinata e utile piova, che per la piova medesima.
-Avvenne, che dove si stimava sterilità
-grande per la ricolta prossima a venire, conseguì
-ubertosa di tutti i beni che la terra produce.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap8-4">CAP. VIII.
-<span class="smaller"><i>Come il vicario di Bologna mando l’oste
-sopra Modena con due quartieri
-di Bologna.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo cominciata la guerra tra l’arcivescovo
-e la lega de’ Lombardi, messer Giovanni da
-Oleggio vicario dell’arcivescovo nella città di
-Bologna, a dì 11 di maggio del detto anno, mandò
-sopra la città di Modena ottocento cavalieri di
-soldo, e due quartieri di Bologna, i quali v’andarono
-sforzati e di mala voglia; e da Parma
-vi mandò l’arcivescovo duemila barbute; e giunti
-a Modena corsono il paese, ardendo e guastando
-il contado, e poi si puosono ad assedio alla città
-molto di presso. Ed essendovi stati fino all’uscita
-di maggio, temendo della gran compagnia di
-fra Moriale ch’era in Toscana, e davano voce
-d’andare a Bologna, subitamente abbandonarono
-l’assedio, e sconciamente con alcuno danno tornarono
-a Bologna e a Parma, avendo a’ Modenesi
-fatto danno assai.
-</p>
-
-<h3 id="cap9-4">CAP. IX.
-<span class="smaller"><i>Come il legato e i Romani guastarono
-il contado di Viterbo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Del detto mese di maggio, del detto anno, vedendo
-il legato la contumacia e la malizia del
-prefetto da Vico, e che la sua superbia ogni dì
-<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span>
-montava in vergogna di santa Chiesa, provvide
-che contro a lui bisognava altre operazioni che
-suono di campane e fumo di candele spente. E
-però accolse gente d’arme, tanto ch’ebbe milletrecento
-cavalieri di soldo, e richiese il popolo
-di Roma per fare il guasto sopra la città di Viterbo,
-i quali Romani per grande animo ch’aveano
-di fare danno a’ Viterbesi, essendo la gente
-del legato sopra Viterbo, vi mandarono diecimila
-uomini, e aggiunti con le masnade del legato,
-in pochi dì feciono assai gran danno intorno a
-Viterbo. E saziata in parte la volontà del popolo
-romano si tornarono a Roma: e il legato abbattuto
-alcuna parte dell’orgoglio del prefetto, e
-conturbato l’animo de’ cittadini contro al tiranno,
-se ne tornò con la sua gente a Montefiascone
-senza alcuno impedimento.
-</p>
-
-<h3 id="cap10-4">CAP. X.
-<span class="smaller"><i>Come il prefetto s’arrendè al legato
-liberamente.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il legato del papa avendo fatto guastare intorno
-a Viterbo, seguendo d’abbattere il prefetto,
-sentendolo in Orvieto vi cavalcò con tutta la
-sua gente d’arme, e pose l’assedio alla città strignendola
-intorno con più battifolli, facendo correre
-ogni dì infino alle porti. Il prefetto che v’era
-dentro mal veduto da’ cittadini, ed avea cercato
-di volere dare per moglie la figliuola sua al fratello
-di fra Moriale con gran dote per avere
-aiuto della sua compagnia, e averne perduta
-<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span>
-la speranza d’ogni altro soccorso, si pensò per
-l’odio che i cittadini d’Orvieto e di Viterbo
-gli portavano che un dì a furore di popolo sarebbe
-morto o dato preso al legato, e tosto gli sarebbe
-venuto fatto per la piccola forza che da
-se avea, e perchè gli Orvietani erano guelfi e
-uomini di santa Chiesa, e mal volontieri sosteneano
-l’assedio, per la qual cosa come uomo savio
-e avveduto de’ casi del mondo, non sapendo vedere
-altro rimedio a’ fatti suoi, si dispose a volere
-accordo col legato, e per questo acchetò gli
-animi de’ cittadini; e incontanente mandò al comune
-di Perugia che mandassono alcuno ambasciadore
-al legato, che per le loro mani voleva
-fare l’accordo con lui. Il comune vi mandò solenni
-ambasciadori a ciò fare, ma il legato altre
-volte ingannato da lui e da’ suoi baratti non li
-volle udire, e con ogni sollecitudine stringeva la
-terra più l’un dì che l’altro, e a niuno patto
-si voleva recare col prefetto. E stringendo la paura
-il prefetto, mandò il figliuolo al legato dicendo,
-che gli piacesse venire per la città, e ricevere
-il prefetto senza alcuno patto alla sua misericordia.
-L’altra mattina venne il legato colla sua
-gente a Orvieto, e il prefetto a piede con molti
-cittadini gli venne incontro fuori della città bene
-un miglio, e giunto a lui, si gittò a’ piedi del cavallo
-ginocchione domandandogli misericordia,
-rendendo se e tutte le terre che teneva di santa
-Chiesa alla sua volontà. Il legato il fece stare alquanto
-ginocchione, e poi gli comandò che montasse
-a cavallo, e montato dietro a lui se n’entrarono
-in Orvieto, ove il legato fu ricevuto con
-<span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span>
-grande festa e allegrezza da’ cittadini. E appresso
-mandò il legato a Viterbo, e fugli renduta la
-città e le castella, e così tutte l’altre terre che
-tenea il prefetto, e il prefetto e ’l figliuolo rimasono
-appresso del legato col loro patrimonio, e oltre
-a ciò gli diè il legato per certo tempo la signoria
-della città di... terra di buona rendita per
-la pastura delle bestie.
-</p>
-
-<h3 id="cap11-4">CAP. XI.
-<span class="smaller"><i>Come il popolo di Bologna si levò a romore
-per avere loro libertà, e fu in maggiore
-servaggio.</i></span></h3>
-
-<p>
-Del mese di giugno del detto anno, messer
-Giovanni da Oleggio vicario di Bologna essendo
-assicurato de’ fatti della compagnia intendeva di
-riporre l’oste a Modena, e fece comandamento a
-due quartieri di Bologna che s’apparecchiassono
-dell’armi, e a mille uomini di catuno degli
-altri due quartieri, per andare nell’oste a Modena.
-I cittadini si gravavano di questo fatto per
-due cagioni, l’una, perchè parea loro troppo aspro
-servaggio essere mandati nell’oste a modo
-di soldati senza soldo, e l’altra, che que’ di Modena
-erano loro vicini e antichi amici. E però
-venuto il termine assegnato, il signore fece sollecitare
-la gente co’ suoi bandi e stormeggiare le
-campane, ma però niuno s’armava o facea vista
-di volere andare, e reiterati i bandi con grandi
-pene, cominciò il popolo a mormorare, e appresso
-a dolersi l’uno con l’altro nelle vie e
-<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span>
-nelle piazze. In questo stante cominciarono alcuni
-a gridare popolo popolo; e udito il romore catuno
-prese l’arme, e gran parte del popolo trasse
-a casa i Bianchi. Il dì era venuto da ricoverare
-loro franchigia: perchè sentendo messer
-Giovanni da Oleggio il popolo armato contro a
-se impaurì sì forte, che non sapea che si fare, e
-racchiusesi nel suo castello. I soldati forestieri
-non faceano resistenza al popolo armato e commosso,
-e gran parte avrebbe seguito il popolo
-per paura di loro; nondimeno per non essere
-morti nè rubati nella terra, si ridussono e ingrossavano
-alla fortezza del tiranno, essendo il popolo
-a casa i Bianchi. Messer Iacopo uomo di
-grande autorità, pro’ e ardito, capo di quella
-casa, montato a cavallo armato, e inviato verso
-la piazza col popolo, ove non avrebbe trovato
-contasto, che non v’era, e il popolo avrebbe preso
-ardire, e cacciato il tiranno, e assediatolo nel
-castello e presolo, che non v’era rimedio, e quella
-città tornava in libertà, ma non erano ancora
-puniti i loro peccati. E però avvenne, che andando
-messer Iacopo de’ Bianchi col popolo infocato
-verso la piazza, il genero di messer Iacopo
-gli si fece incontro maliziosamente, ch’era
-de’ rientrati in Bologna, e amava il tiranno, e
-con mendaci parole gli mostrò, che l’andare alla
-piazza era di gran pericolo a lui e al popolo.
-Il cavaliere invilì dando fede alle parole del genero,
-e diè la volta, e tornossi a casa, e il popolo
-perdè e raffreddò il furore, e cominciò catuno ad
-abbandonare le vie e le piazze ov’erano ragunati
-per le vicinanze, e tornarsi alle proprie case.
-<span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span>
-Il Bocca de’ Sabatini e altri di nuovo tornati in
-Bologna per paura de’ loro avversari cittadini presono
-l’armi, e montarono a cavallo e andarono
-al tiranno, dicendo, che ’l furore del popolo era
-tornato in paura, e che avendo le sue masnade a
-cavallo e a piè correrebbono la terra senza trovare
-contasto. Il tiranno vedendo questi cittadini
-prese ardire, e diè loro cavalieri e masnadieri,
-e rimasesi nel castello in buona guardia.
-Costoro corsono la terra, gridando, viva il capitano,
-e in niuna parte trovarono resistenza o
-contasto, ma vilissimamente i cittadini posono
-giù l’armi. Il signore ripreso l’ardire sentendo
-disarmato il popolo, mandò sue genti a casa
-i Bentivogli capo de’ beccari, ch’erano di gran
-podere nel popolo, e presine alquanti di loro fece
-rubare le case, e gli altri si fuggirono. Appresso
-mandò e fece pigliare messer Iacopo de’ Bianchi
-e un altro suo consorto, e molti altri grandi cittadini,
-e senza troppa dilazione o processi fece
-a messer Iacopo e al consorto tagliare la testa: e
-questo gli avvenne per voler credere al consiglio
-del genero più che alla sua apparecchiata salute e
-del suo popolo; appresso fece decapitare uno de’
-Gozzadini valente uomo, e a più de’ Bentivogli
-e ad altri grandi popolani, che in tutto a questa
-volta furono trentadue, e molti ne ritenne in
-prigione, de’ quali parte ne condannò in danari,
-e un’altra a’ confini come a lui piacque. E avendosi
-cominciato a involgere nel cittadinesco sangue,
-divenne crudele e di maggiore furore contro
-a’ suoi sudditi; onde i cittadini temeano sì
-forte, che non ardivano a pena nelle loro case a favellare.
-<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span>
-Nondimeno per lo caso avvenuto, a lui
-entrò tanta paura in corpo, che molti mesi stette
-rinchiuso nel castello, e continuava ad accrescere
-gente, e fare maggiore guardia nella città, e
-i cittadini tenea sotto più aspro giogo, come leggendo
-si potrà trovare.
-</p>
-
-<h3 id="cap12-4">CAP. XII.
-<span class="smaller"><i>Come fu tolta l’arme al popolo di Bologna.</i></span></h3>
-
-<p>
-Pochi dì appresso il tagliamento de’ cittadini
-di Bologna, il tiranno mandò per la città che in
-fra certi dì a venire catuno cittadino di Bologna
-portasse tutte le sue armi nella chiesa di san Piero,
-e rassegnassele agli uficiali che sopra ciò
-avea deputati, sotto certa pena a chi nol facesse:
-il vile popolo, che l’armi non avea saputo adoperare
-per sua salute, con tanta fretta le portò alla
-chiesa, che gli uficiali deputati a riceverle non
-poteano comportare la calca. E il tiranno conosciuti
-gli uomini tornati peggio che pecore per la
-loro codardia gli trattò aspramente, e fece due
-quartieri di Bologna costringere ad andare alle
-loro spese nell’oste senz’arme, e là dovessono
-stare quindici dì, tanto che gli altri due quartieri
-gli andassono a scambiare, e di presente fu ubbidito,
-andandovi ogni maniera di gente con le
-mazze in mano; e quando gli ebbe così mossi,
-mutò proposito temperando la crudeltà in avarizia,
-e fece ordine che chi non vi volesse andare
-pagasse lire tre di bolognini per gita di quindici
-dì; e costrinse tutta la città con certo ordine
-<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span>
-penale, che chi non osservasse catuno dovesse
-manicare pane di gabella, il quale facea fare aspro
-e forte, nè altro pane non s’osava fare nè
-cuocere nella terra, ond’egli traeva molti danari.
-E allora avendo tra di que’ di Bologna e
-che gli mandò l’arcivescovo duemila cavalieri
-e popolo assai, da capo ripose l’assedio alla città
-di Modena, e i Modenesi essendo forniti di cavalieri
-e di pedoni alla guardia, e d’abbondanza di
-vittuaglia, si stavano a guardare le mura, attendendo
-il soccorso di quelli della lega.
-</p>
-
-<h3 id="cap13-4">CAP. XIII.
-<span class="smaller"><i>Come il legato ebbe la città d’Agobbio.</i></span></h3>
-
-<p>
-Di questo mese di giugno del detto anno, ragunatisi
-insieme gli usciti d’Agobbio con loro amistà
-per andare a guastare il contado d’Agobbio,
-richiesono il legato d’aiuto; il legato comandò
-loro che non si movessono senza suo comandamento,
-dicendo, che non sarebbe onore di santa Chiesa
-ch’egli assalisse prima la città ch’egli la trovasse
-in colpa di disubbidienza o di ribellione:
-e però incontanente fece formare processo contro
-a Giovanni di Cantuccio il quale tirannescamente
-avea occupata quella terra, e mandogli comandando
-che restituisse la città d’Agobbio a santa
-Chiesa senza dilazione, altrimenti aspettasse
-la sentenza contro a se, e l’oste sopra la città
-senza indugio. Giovanni sentendosi povero di
-danari, e senza gente d’arme da potersi difendere,
-e odiato da’ cittadini dentro, e senza speranza di
-<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span>
-soccorso di fuori, e vedendo il legato potente e
-vittorioso, prese partito, e rispose, ch’era apparecchiato
-a ubbidire, e così fece; e il legato mandò
-a prendere la guardia e la signoria della città
-il conte Carlo da Doadola, e fecevelo suo vicario,
-il quale con pace fu ricevuto nella città a
-grande onore. E presa la signoria della terra vi
-rimise gli usciti senza niuno scandalo, salvo messer
-Iacopo Gabbrielli come gli fu imposto, perocch’era
-grande e sentia del tiranno. Giovanni si
-presentò al legato, e rimase appresso di lui,
-e messer Iacopo ch’era suo nemico stando fuori
-d’Agobbio prendea sue civanze nelle rettorie,
-malcontento di non potere ritornare in Agobbio.
-La città fu riformata in libertà del popolo al governamento
-di santa Chiesa, come per antico si
-solea governare.
-</p>
-
-<h3 id="cap14-4">CAP. XIV.
-<span class="smaller"><i>Come i Perugini non tennono fede a’ Fiorentini
-e’ Sanesi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornando nostra materia a’ fatti della compagnia
-di fra Moriale la quale avea vernato nella
-Marca, temendo i comuni di Toscana ch’ella
-non si stendesse sopra loro sprovveduti, s’accolsono
-insieme a parlamento per loro ambasciadori,
-il comune di Firenze, e di Perugia, e quello di Siena,
-e feciono e fermarono lega e compagnia contro
-la detta compagnia, e taglia di tremila cavalieri;
-e perocch’ell’era più vicina a Perugia, i Fiorentini
-mandarono la maggior parte de’ cavalieri
-<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span>
-che toccava loro della taglia, e metteano in concio
-di mandare loro il rimanente, e così aveano
-fatto i Sanesi, per riparare ch’ella non entrasse
-in Toscana. In questo tempo, del mese di giugno
-del detto anno, la compagnia fu a Fuligno, e senza
-fare danno, ebbono dal vescovo che n’era signore
-derrata per danaio, e licenza d’entrare nella città
-senz’arme chi volea panni, o arnese o armadure
-comperare, e ivi si rifornirono d’armadure
-e di molte altre cose di che aveano grande bisogno.
-E stando ivi, mandarono cautamente per
-rompere la lega loro ambasciadori a Perugia, dicendo,
-che gli aveano per amici, e non intendeano
-di volere da loro se non vittuaglia derrata
-per danaio, e il passo per lo loro terreno. I Perugini
-vedendosi potere levare la compagnia da
-dosso senza loro danno, ruppono la fede della lega
-promessa a’ Fiorentini e a’ Sanesi, e senza significare
-loro alcuna cosa, o rimandare addietro i
-cavalieri a’ detti comuni ch’aveano della taglia,
-s’accordarono con la compagnia, e diedono il passo
-e la vittuaglia abbondantemente. Messer fra
-Moriale vedendosi avere rotta la lega de’ comuni,
-baldanzosamente venne verso Montepulciano
-con la sua compagnia, e prese la via per Asciano,
-ed entrò molto subitamente nel contado di Siena,
-predando e pigliando uomini e bestiame. I
-Sanesi vedendo la compagnia sul loro contado
-non attesono alla lega ch’avessono co’ Fiorentini,
-nè a domandare loro aiuto o consiglio, ma di
-presente elessono de’ loro cittadini ch’andassono
-a fra Moriale e agli altri maggiori della compagnia
-a prendere accordo con loro, i quali di presente
-<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span>
-promessono a’ caporali in segreto per le loro
-persone fiorini tremila d’oro, e in palese per la
-compagnia ne promisono tredicimila, e la vittuaglia
-derrata per danaio, e il passo per lo loro
-terreno. Questa è la fede che ora e molte altre
-volte il comune di Firenze ha trovata nelle
-leghe o compagnie c’ha fatto co’ suoi vicini, che
-trovando loro vantaggio lo s’hanno preso. E dolendosene
-poi il comune di Firenze a Perugia e
-a Siena, hanno risposto, che il comune di Firenze
-non dee guardare a’ loro difetti, ma avere
-senno e per se e per loro. Siamo contenti di ricordarlo
-qui e altrove per esempio di quello che
-ancora ne potrà avvenire. Fornito per lo comune
-di Siena il pane che domandarono, e dati de’
-loro cittadini a conducere la compagnia, presa la
-via per Monte a san Savino, condussonli in sul
-contado d’Arezzo. E non trovando con gli Aretini
-modo d’avere danari, s’accordarono con
-loro d’avere panno e vestimento, e calzamenti
-e vino per li loro danari, perocchè n’aveano
-grande bisogno, e sicurarono il contado, e senz’arme
-entrarono nella terra per le dette cose;
-non riguardando però le biade de’ campi per li
-loro cavalli, nè l’altre cose che potessono giugnere,
-senza fare gualdane o saccomanno.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap15-4">CAP. XV.
-<span class="smaller"><i>Come procedettono i rettori di Firenze
-in questa sopravvenuta tempesta della
-compagnia di fra Moriale.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo tempo si trovò fornito il comune di
-Firenze al priorato d’uomini senza sentimento
-di virtù, golosi e sopra ogni sconvenevolezza
-corrotti nel bere, e massimamente de’ nove i
-sei. Costoro disordinati in se, non sapeano provvedere
-al soccorso del comune; tuttavia per gli
-altri collegi fu provveduto in fretta di fare lega
-e compagnia co’ Pisani, per prendere riparo
-contro alla compagnia, e dovea il comune di Firenze
-avere in taglia milledugento cavalieri, e
-i Pisani ottocento. E fatta la lega, catuno avea
-quasi il novero de’ suoi cavalieri. La compagnia
-essendo ad Arezzo avea in animo d’andare
-al soldo in Lombardia, e per questa cagione
-mandarono alcuno ambasciadore al comune
-di Firenze per avere titolo d’essere in accordo
-col detto comune, e lieve cosa che ’l comune avesse
-dato loro sarebbono stati contenti per seguire
-loro viaggio: i priori indiscreti se ne feciono beffe,
-e però non provvidono come con tanto fatto richiedea.
-Ma i Valdarnesi per paura della ricolta,
-non ostante che ancora non fosse in perfetta
-maturità, s’affrettarono di levarla de’ campi
-e riducerla nelle castella; e la frontiera del Valdarno
-fu fornita di cavalieri e di fanti assai bene
-alla guardia. La compagnia vedendo che i
-<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span>
-Fiorentini per lieve cosa non si voleano accordare
-con loro, cambiarono proponimento, e vedendo
-che il Valdarno era provveduto contra loro, si
-tornarono a Siena. I Sanesi diedono loro da capo
-il pane, e il passo e la guida di loro cittadini, e
-in calen di luglio del detto anno l’ebbono condotta
-ne’ borghi di Staggia, e ivi si stesono fino
-alla Badia a Isola sopra l’Elsa. Là si trovarono
-settemila paglie di cavalieri, che cinquemila o più
-erano in arme cavalcanti, fra i quali avea grande
-quantità di conestabili e di gentili uomini diventati
-di pedoni bene montati e armati, con più di
-millecinquecento masnadieri italiani, e oltre a
-costoro più di ventimila ribaldi e femmine di
-mala condizione seguivano la compagnia per fare
-male, e pascersi della carogna. E nondimeno
-per l’ordine dato loro per fra Moriale grande
-aiuto e servigio n’avea, principalmente i
-cavalieri e’ masnadieri, e appresso tutto l’esercito.
-Le femmine lavavano i panni e cocevano
-il pane, e avendo catuno le macinelle, che fatte
-avea loro fare di piccole pietre, catuno facea farina,
-e per questo l’oste si mantenea incredibilmente
-in abbondanza di farina e di pane, solo
-per la provvisione e ordine dato per fra Moriale.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap16-4">CAP. XVI.
-<span class="smaller"><i>Come si provvedde a Firenze contra la
-compagnia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo la compagnia a Staggia, i Fiorentini
-richiesono i Pisani della taglia loro per la lega
-fatta, che doveano essere ottocento cavalieri, e
-mandarono un loro cittadino con un gran gonfalone
-con meno d’ottanta barbute; e richiesti
-ancora i Perugini e’ Sanesi di cavalieri della taglia,
-o almeno d’alcuna parte d’aiuto, catuno comune
-rispose ch’erano d’accordo con la compagnia, e
-non manderebbono gente d’arme contro a quella:
-e vedendosi il comune da tutti gli amici ingannato,
-e da non potere resistere alla compagnia,
-fece suoi ambasciadori e mandolli a Staggia alla
-compagnia per accordarsi e dare loro danari, ed eglino
-non entrassono sul contado di Firenze. Giunti
-gli ambasciadori a fra Moriale e al suo consiglio,
-furono ricevuti da loro senza avere risposta;
-e incontanente a dì 4 di luglio si misono in via,
-e senza arresto furono ne’ borghi di san Casciano,
-e correndo le contrade d’attorno, facendo preda e
-ardendo ove a loro piacea senza trovare contasto,
-e stettono fino a dì 10 del detto mese senza venire
-ad accordo; allora fatti doni a’ caporali di fiorini
-tremila d’oro, vennono a composizione di dare alla
-compagnia venticinquemila fiorini d’oro. Gli ambasciadori
-pisani, innanzi che la tempesta rompesse
-sopra loro, al detto luogo di san Casciano s’accordarono
-con loro di dare fiorini sedicimila d’oro,
-<span class="pagenum" id="Page_176">[176]</span>
-e a’ caporali feciono doni. E avuta la condotta
-da’ Fiorentini per la Val di Robbiana, condotti a
-Leona ebbono il pagamento de’ detti comuni, e
-fatta la promissione, e le cautele e il saramento di
-non tornare in sul contado di Firenze nè di Pisa
-infra due anni, se n’andarono alla Città di Castello,
-ove stettono tanto ch’ebbono quello che restava
-a dare loro messer Malatesta da Rimini capitano
-di Forlì, e Gentile da Mogliano, e partita tra loro
-la moneta, presono la ferma d’essere con la lega
-di Lombardia contro al signore di Milano per
-centocinquantamila fiorini in quattro mesi. E
-rifermata e giurata da capo sotto i loro capitani
-s’avviarono in Lombardia, e fra Moriale con licenza
-degli altri caporali accomandò la compagnia
-al conte di Lando e fecenelo suo vicario, ed
-egli se n’andò a Perugia, per provvedere come
-alla tornata della compagnia e’ potesse in Italia
-maggior male aoperare, e da’ Perugini fu ricevuto
-onoratamente, e fatto cittadino di Perugia.
-</p>
-
-<h3 id="cap17-4">CAP. XVII.
-<span class="smaller"><i>Come fu morto messer Lallo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Per larga sperienza di molti anni si vide, che
-messer Lallo dell’Aquila, uomo di piccola nazione,
-per sua industria prima cacciati gli avversari
-della città dopo la morte del re Ruberto
-tenne la signoria della terra come un dimestico
-popolare e compagnevole tiranno, e seppe sì piacevolmente
-conversare co’ suoi cittadini, che catuno
-il desiderava a signore, e al tutto aveano
-<span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span>
-dimenticata la signoria reale, ma egli saviamente
-mantenea il titolo del capitanato della terra
-alla corona, facendovi venire cui egli volea, nondimeno
-ciò che occorreva di grave nella città tornava
-a ser Lallo. E non avendo il re podere
-nella città più che ser Lallo si volesse, per
-molti modi in diversi tempi cercò d’abbatterlo,
-e non gli venne fatto, e però cercò la via
-de’ beneficii, e fecelo conte di Montorio, e diegli
-terre in Abruzzi, ed e’ le si prese, e mostrò di
-volere fare dell’Aquila la volontà del re; ma con
-astuzia e senno dissimulando col re tenea l’Aquila
-continovamente al suo segno. E stando le cose in
-questi termini, messer Filippo di Taranto fratello
-del re Luigi venne in Abruzzi, e ricettato
-nell’Aquila da messer Lallo con grande onore,
-dopo alquanti dì messer Filippo ragionò con
-messer Lallo, ch’egli farebbe rendere pace a’ figliuoli
-di messer Todino suoi nimici, i quali erano
-sbanditi dell’Aquila, e intendea fermare la
-pace con amore e con parentado, e con grande
-istanza il pregò che li dovesse ricevere nell’Aquila
-con buona pace. Messer Lallo sentendosi
-in grande amore co’ suoi cittadini, mostrò di
-poco temere i suoi avversari, e di volere servire
-messer Filippo accettando la pace e la loro tornata
-nell’Aquila. Messer Filippo semplicemente
-con alcuni suoi scudieri li facea venire in Aquila,
-ed essendo già presso alla città, il popolo si
-levò a romore, e prese l’arme gridando, viva il
-conte, e corsono alle porte e serraronle. Messer Filippo
-sentendo il romore temette di sè, ma messer
-Lallo fu subitamente a lui, confortandolo
-<span class="pagenum" id="Page_178">[178]</span>
-e scusando sè, che questo non era sua fattura ma
-del popolo, per tema ch’avea de’ figliuoli di messer
-Todino se rientrassono in Aquila. Messer
-Filippo turbato di questo baratto si mise in concio
-di partire, e la mattina vegnente fu in cammino.
-Messer Lallo accompagnandolo s’allungò
-dalla città tre miglia, offerendosi a messer Filippo
-e scusandosi del caso avvenuto; e volendosi
-tornare all’Aquila, e prendere congio da messer
-Filippo, per fargli la reverenza all’usanza reale
-scese del suo cavallo, e com’era ordinato, parlando
-messer Filippo con lui, e usando parole di minacce,
-uno scudiere il fedì d’uno stocco, e un altro
-appresso, e ivi a’ piè di messer Filippo fu
-morto messer Lallo per troppa confidanza, perdendo
-il senno e la malizia tanto tempo usata
-nel suo reggimento. Messer Filippo non s’arrestò
-per tema di quel popolo e del suo furore, ma
-senza alcuno soggiorno tornò a Napoli, e gli Aquilani
-feciono gran lamento della morte di messer
-Lallo, ma non essendovi il secondo, ritornarono
-senza contasto alla consueta signoria reale;
-e questo avvenne di giugno 1354.
-</p>
-
-<h3 id="cap18-4">CAP. XVIII.
-<span class="smaller"><i>Come il re di Spagna cacciata la non vera
-moglie coronò la legittima.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo tempo del detto anno, avendo il
-giovane re di Spagna per moglie la figliuola di
-messer Filippo di Borbona della casa di Francia,
-lasciandosi vincere e menare al disordinato appetito,
-<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span>
-avendola già tenuta un anno, corruppe
-il degno sagramento del matrimonio, e seguitando
-il modo de’ bestiali saracini con cui conversava,
-prese per sua moglie e sposò un’altra donna
-cui egli amava, nata della casa di Padiglia di Castella,
-chiamata Maria, con la quale si copulò
-con tanta disordinata concupiscenza carnale, che
-molte dissolute e sconce cose ne faceva, e la legittima
-moglie non volea vedere; la quale vedendosi
-a sconcio partito, prese segretamente sue
-damigelle e alquanti confidenti di sua famiglia,
-e senza saputa del re si tornò in Francia, richiamandosi
-al re, e al padre e agli altri baroni dell’ingiuria
-ricevuta dal suo marito; e udita in
-Francia la sconcia novella, il re e tutti i baroni
-se ne sdegnarono forte, e proposono d’andare in
-Spagna con forte braccio per gastigare il re della
-sua follia. I baroni di Spagna e le comuni a cui
-dispiacea questo fatto, sentendo le novelle di
-Francia, di concordia se n’andarono al re, e ripresonlo
-duramente d’avere per sua sconcia volontà
-d’una privata femmina fatta tanta vergogna
-alla casa di Francia e alla loro reina, dicendogli,
-che se non ammendasse il suo fallo, che
-sarebbono in aiuto al re di Francia per ricoverare
-il suo onore. Il giovane re riconobbe il suo fallo,
-e disposesi di presente a seguitare il loro consiglio;
-e alla non degna moglie, per appagare la legittima,
-le feciono tagliare i panni per lungo infino
-alla cintola a loro costuma, e con vergogna la
-mandarono via, e tornata la moglie, con gran festa
-feciono coronare lei e pacificare col re, e quella
-notte giacque con la reina Bianca sua moglie.
-<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span>
-Ma, o che fosse affatturato, o occupato nella mente
-del troppo peccato, la mattina per tempo le si
-levò da lato, e senza fare assapere altrui alcuna
-cosa cavalcò con piccola compagnia e andossene
-alla terra dov’era dama Maria di Padiglia, e d’allora
-innanzi non volle mai vedere la reina Bianca;
-e perch’ella non si partisse la fece mettere in
-Briscia suo forte castello, e ivi bene guardare, la
-quale per grave sdegno, o per dolore, o per malinconia,
-o per operazione del re, che ne fu sospetto,
-o per malizia naturale, innanzi tempo nella
-sua giovanezza finì sua vita, della quale il re
-ebbe più piacere che doglia, e vilmente la fece
-seppellire. Avvenne ancora, che vivendo la reina
-e dama Maria, il detto re Pietro, non senza
-sentimento della saracinesca consuetudine, innamorato
-d’una giovane donna vedova di Castella
-di grande lignaggio, la si prese a moglie; e quando
-con lei ebbe saziata sua sfrenata libidine, la
-cacciò via, e ritennesi alla sua dama Maria, della
-quale ebbe un figliuolo maschio e due femmine,
-e poi sopra parto si morì, poco appresso della
-reina, di cui il re si diè grave turbazione, e il
-corpo suo fece imbalsamare, e portare venticinque
-giornate di lungi da Sibilia alla sepoltura
-ch’ella s’avea eletta, e il re, e per amore del
-re i suoi baroni se ne vestirono a nero. Avemo
-raccolto qui il processo della moglie e dell’altre
-femmine del re, per non istendere in più parti
-del nostro trattato la vile materia.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap19-4">CAP. XIX.
-<span class="smaller"><i>Come i collegati di Lombardia condotta la
-compagnia mandarono all’imperadore.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il comune di Vinegia, e il signore di Verona,
-e quello di Padova, e quello di Mantova, e il
-marchese di Ferrara, collegati insieme contro
-l’arcivescovo di Milano, avendo condotta per
-quattro mesi la compagnia del conte di Lando, la
-quale era cinquemiladugento paghe, ma non avea
-oltre a tremilacinquecento cavalieri bene armati,
-la quale era partita dalla Città di Castello, e
-cavalcata sul contado di Bologna facendo danno,
-se n’andarono a Modena, dov’erano le bastite
-del signore di Milano, le quali non ebbono podere
-di levare, e lasciatovi l’assedio cavalcarono
-in sul Bresciano. I collegati vedendosi forniti
-di gente da potere campeggiare, mandarono ambasciadori,
-del mese di luglio del detto anno, all’eletto
-imperadore, con cui avevano fatto accordo per
-farlo valicare in Lombardia contro all’arcivescovo
-di Milano, e dove ricusasse la venuta, volevano
-essere liberi delle loro promesse. In questo
-tempo l’imperadore era in discordia col marchese
-di Brandimborgo, e catuno aveva accolto gente
-d’arme, e con l’eletto era il duca d’Osteric e
-molti cavalieri del re d’Ungheria, e credettesi
-si conducessono a battaglia: ma la questione
-avea lieve cagione di sdegno, sicchè tosto si recò
-a concordia, e l’eletto imperadore per l’animo
-ch’avea di valicare in Italia fu più abile alla
-<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span>
-pace, e ferma, catuna gente d’arme si tornò in
-suo paese; e senza sospetto de’ fatti d’Alamagna
-l’eletto si tornò in Boemia, e deliberò per lo
-modo che a lui piacque di valicare in Lombardia,
-e con seco ritenne parte degli ambasciadori
-della lega infino al suo movimento.
-</p>
-
-<h3 id="cap20-4">CAP. XX.
-<span class="smaller"><i>Come i Bordoni furono cacciati di Firenze,
-e sbanditi per ribelli.</i></span></h3>
-
-<p>
-Era avvenuto del mese di Luglio del detto anno
-in Firenze, che essendo la compagnia di fra
-Moriale a Sancasciano, i Bordoni, de’ quali era
-capo messer Gherardo di quella casa, tenendosi
-essere ingannati da’ Mangioni e da’ Beccanugi loro
-vicini per lo dicollamento di Bordone loro
-consorto, e vedendo la città sotto l’arme e in
-gelosia, con loro gente accolta cominciarono
-prima con parole e poi con l’arme ad assalire i
-Mangioni; e rimettendoli per forza nelle case, in
-quell’assalto la moglie d’Andrea di Lippozzo
-de’ Mangioni ebbe d’una lancia sopra il ciglio,
-ond’ella si morì poco appresso. A quello romore
-corse d’ogni parte il popolo armato, e i priori vi
-mandarono la loro famiglia, e feciono acquetare
-la zuffa. Poi partita la compagnia, e ritornata
-la città al primo governamento, parendo al comune
-il fallo essere grave in così fatto tempo
-contro alla repubblica, fu commesso all’esecutore
-degli ordini della giustizia che ne facesse
-<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span>
-inquisizione, e punisse i colpevoli; i Beccanugi
-e’ Mangioni andarono dinanzi e scusaronsi,
-e furono prosciolti e lasciati, e i Bordoni rimasono
-contumaci; e a dì 2 d’agosto, nel detto
-anno, messer Gherardo con quattro suoi consorti
-e con dodici loro seguaci furono condannati,
-per avere turbato il buono e pacifico stato del
-comune di Firenze e per l’omicidio, tutti nell’avere
-e nelle persone, e uscironsi di Firenze, e
-i loro beni furono guasti e messi tra i beni de’ rubelli.
-</p>
-
-<h3 id="cap21-4">CAP. XXI.
-<span class="smaller"><i>Come il re d’Araona venne con grande armata
-a racquistare Sardegna.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il re d’Araona, che l’anno dinanzi avea perduta
-tutta la Sardegna salvo che Castello di Castro,
-come addietro fu narrato, fatta sua armata
-di centosessanta tra galee e uscieri, cocche e
-navi armate, con grande cavalleria di suoi Catalani
-e molti mugaveri a piede, del mese di
-luglio del detto anno arrivò in Calleri, che altro
-non v’aveva, e lasciato ivi il navilio grosso, e
-messi in terra i cavalieri e i mugaveri, fece scorrere
-il paese e predare dovunque si stendeva, e
-con le galee sottili per mare e i cavalieri per
-terra s’addirizzò alla Loiera, nella quale aveva
-balestrieri genovesi, e masnadieri toscani e
-lombardi, che il vicario dell’arcivescovo signore
-di Genova v’avea mandati alla guardia, che
-francamente la difendevano e guardavano; e
-<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span>
-continuandovi l’assedio, nondimeno per mare con
-le galee, e per terra con la gente d’arme, faceano
-guerra all’altre terre e castella che ubbidivano
-al giudice d’Alborea, e il giudice fornito
-de’ suoi Sardi e di cavalieri condotti di Toscana
-si difendea francamente per modo, che delle sue
-terre non gli lasciava alcuna acquistare: e aveva
-in suo aiuto l’aria sardesca e ’l tempo della fervida
-state, che molto abbattea i Catalani di malattie
-e di morte; non ostante ciò, il re animoso
-mantenea l’assedio stretto, e facea tormentare
-molto i suoi avversari; e bench’egli sapesse che
-i Genovesi suoi nimici avessono armate trentadue
-galee, non se ne curava, perchè sapeva che i
-Veneziani suoi amici contro a loro n’aveano armate
-trentacinque: e ancora gli rendea molta fidanza
-la fresca vittoria ch’aveva avuta in quel
-luogo co’ Veneziani insieme sopra i Genovesi, e
-però intendea coraggiosamente a fare la sua guerra
-per terra e per mare. Lasceremo ora l’intrigata
-guerra di Sardegna che il tempo vegna
-della sua fine, e seguiremo altre novità che prima
-ci occorrono a raccontare.
-</p>
-
-<h3 id="cap22-4">CAP. XXII.
-<span class="smaller"><i>Come i Genovesi feciono armata contro
-a’ Veneziani e’ Catalani.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo sentito i Genovesi l’armata de’ Catalani,
-e che i Veneziani armavano, avvegnachè
-per la sconfitta l’anno dinanzi ricevuta alla Loiera
-molto fossono infieboliti, presono cuore da sdegno
-<span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span>
-per non dare la baldanza del mare al tutto al
-loro nimico, e però con aiuto di moneta che procacciarono
-dall’arcivescovo loro signore armarono
-trentatrè galee sottili, della migliore gente
-che rimasa fosse in Genova e nella riviera, e fecionne
-ammiraglio messer Paganino Doria, il quale
-altra volta avea avuto vittoria sopra i Catalani
-e’ Veneziani in Romania. Costui sentendo che i
-Veneziani erano usciti del golfo con trentacinque
-galee armate, mandò tre galee più sottili, e
-bene reggenti e armate nel golfo di Vinegia, le
-quali improvviso a’ paesani giunsono a Parezzo,
-e misono in terra; e trovando i terrazzani sprovveduti
-e smarriti per lo subito assalto, s’entrarono
-nella terra, e senza trovare contasto rubarono
-e arsono gran parte della città. Ed essendo nel
-porto tre grossi navilii de’ Veneziani carichi di
-grande avere, gli presono e rubarono, e ricolti
-a galee carichi di preda de’ loro nemici, con
-grande vergogna de’ Veneziani tornarono sani e
-salvi alla loro armata; la quale avendo lingua
-de’ Veneziani, prese la via di Romania per abboccarsi
-con loro a battaglia, se fortuna il concedesse.
-L’armate cavalcano il mare, e innanzi
-che insieme si ritrovino ci occorrono altre non
-piccole cose.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap23-4">CAP. XXIII.
-<span class="smaller"><i>Come il tribuno di Roma fece tagliare
-la testa a fra Moriale.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avvegnachè addietro detto sia dell’operazioni
-di fra Moriale innanzi ch’egli facesse la grande
-compagnia, e poi quanto male aoperò con
-quella, sopravvenendo il termine della sua morte,
-ci dà materia di raccontare la cagione, com’egli
-essendo semplice friere condusse tanti
-baroni, e conestabili e cavalieri a collegarsi sotto
-il suo reggimento in compagnia di predoni. Costui
-fu in Italia lungo tempo soldato franco cavaliere,
-e atto singolarmente a ogni fatica cavalleresca,
-e molto avvisato in fatti d’arme, il quale considerò
-che tutte le terre e’ signori d’Italia facevano
-le loro guerre con soldati forestieri, e i paesani
-poco compariano in arme, e parve a lui che accogliendosi
-i conestabili per via di compagnia, e
-partecipando con loro che rimanevano al soldo,
-che in niuna parte troverebbono contasto in campo:
-e avendo questo verisimile messo nel capo a
-molti conestabili, l’uno smovea l’altro, e traevano
-gente di catuna bandiera che rimaneva al
-soldo; e con quest’ordine, essendo in loro libertà,
-si pensavano sottoporre e fare tributaria
-tutta Italia, e pensavano, se alcuna buona città
-venisse loro presa, che per forza tutte l’altre
-converrebbe che sostenessono il giogo; e sotto
-questo segreto consiglio tutti i conestabili delle
-masnade tedesche, e’ Borgognoni e altri oltramontani
-<span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span>
-promisono e giurarono da capo la compagnia
-e ubbidienza a messer fra Moriale, e
-per passare il verno all’altrui spese presono il
-soldo della lega de’ Lombardi, e messer fra Moriale,
-sotto titolo di mostrare d’avere a ordinare
-suoi propri fatti, rimase in Toscana: ma nel segreto
-fu, che provvederebbe del luogo dove dovessono
-tornare al primo tempo. Costui baldanzoso
-con poca compagnia, come detto abbiamo, se
-n’andò a Perugia, e di là mandò i fratelli con
-certe masnade di suoi cavalieri al tribuno, ch’era
-di nuovo ritornato in Roma, per atarlo; essendo
-stato prima cacciato da’ Romani e tenuto in
-esilio, e’ fu prigione dell’eletto imperadore lungo
-tempo, e poi per lo male stato de’ Romani
-di volontà del papa e del popolo fu richiamato;
-e rendutagli la signoria, con più baldanza che di
-prima, non ostante che predetto gli fosse, o per
-revelazione di spirito immondo o per altro modo,
-che a romore di popolo sarebbe morto, e’ faceva
-rigida e aspra signoria, e reprimendo la baldanza
-de’ principi di Roma, onde fu opinione di molti
-che i Colonnesi s’intendessono contro a lui
-con fra Moriale per abbatterlo della signoria del
-tribunato: ma come che si fosse, poco appresso
-la mandata de’ fratelli fra Moriale andò a Roma,
-e il tribuno il fece chiamare a sè, ed egli senza
-alcuno sospetto andò a lui; e giuntogli innanzi,
-senza altro parlamento il tribuno gli mise in
-mano un processo di tradimento che fare dovea
-contro a lui, e come pubblico principe di ladroni,
-il quale aveva assalite le città della Marca e
-di Romagna, e la città di Firenze, di Siena e
-<span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span>
-d’Arezzo in Toscana; e fatte arsioni, e violenze
-e ruberie senza cagione in catuna parte, e molte
-uccisioni d’uomini innocenti, delle quali cose
-disse che di presente si scusasse. E non avendo
-scusa contro alla verità del libello, senza voler
-più attendere, a dì 29 d’agosto del detto anno
-gli fece levare la testa dall’imbusto: e così finì
-il malvagio friere, cagione di molto male passato
-e di maggiore avvenire, per l’aoperazione
-della maladetta compagnia; per la qual cosa
-s’aggiugnerebbe memoria degna di gran lodi
-al tribuno se per movimento di chiara giustizia
-l’avesse fatto, ma perocchè egli prese i
-fratelli, e’ beni di fra Moriale e’ loro e pubblicolli
-a sè, parve che d’ingratitudine de’ servigi
-ricevuti e d’avarizia maculasse la sua fama:
-e abbianne più detto che forse non si conveniva,
-ma per lo malo esempio dato a’ soldati,
-e per la giusta vendetta della sua morte, ne crediamo
-avere alcuna scusa.
-</p>
-
-<h3 id="cap24-4">CAP. XXIV.
-<span class="smaller"><i>D’una sformata grandine venuta a Mompelieri,
-e della scurazione del sole.</i></span></h3>
-
-<p>
-A dì 12 di settembre 1354 cadde sopra Mompelieri
-e nelle circustanze una grandine sformata
-di grossezza di più d’una comune melarancia,
-e fece a’ frutti e agli uomini gravissimi danni,
-e le bestie che trovò ne’ campi alla scoperta uccise,
-e guastò molto le copriture delle case. E
-poi, a dì 17 del detto mese, fu scurazione del sole,
-<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span>
-e durò a Firenze una terza ora, coperto nella
-maggiore parte il corpo solare. Di sua influenza
-poco potemmo vedere e comprendere, salvo che
-asciutto e freddo seguitò tutto il verno singolarmente.
-</p>
-
-<h3 id="cap25-4">CAP. XXV.
-<span class="smaller"><i>Come morì l’arcivescovo di Milano.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Giovanni de’ Visconti arcivescovo di
-Milano potentissimo tiranno in Italia, avendo
-dilatata la fama della sua potenza in grande altezza,
-e vivuto al mondo lungo tempo in dissoluta
-vita secondo prelato, vedendosi avere vinta
-sua punga, e soperchiata nel temporale la Chiesa
-di Roma, e riconciliatosi a quella co’ suoi sformati
-doni, e che tutta Italia il temeva, e l’eletto
-imperadore non avea ardire, eziandio sollecitato
-dalla forza e’ danari della lega di Lombardia,
-pigliare arme contro a lui, vaneggiante nel
-colmo della sua gloria, uno venerdì sera, a dì 3
-d’ottobre 1354, gli apparve nella fronte sopra il
-ciglio un piccolo carbonchiello, del quale poco si
-curava, e il sabato sera a dì 4 del detto mese il
-fece tagliare, e come fu tagliato, cadde morto l’arcivescovo
-senza potere fare testamento, o alcuna
-provvisione dell’anima sua o della successione
-de’ suoi nipoti nella signoria; i quali feciono al
-corpo solenne esequie, e senza questione con molta
-concordia si ristrinsono insieme, facendo grande
-onore l’uno all’altro; per la qual cosa i Milanesi
-e tutti i loro sudditi stettono in obbedienza
-<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span>
-de’ nuovi signori, tanto che poi con nuova suggezione
-di tutti i popoli si feciono dichiarare signori,
-come appresso racconteremo, rendendo
-prima il nostro debito alla sprovveduta e violente
-morte del tribuno di Roma, e allo strano avvenimento
-dell’eletto imperadore in Italia.
-</p>
-
-<h3 id="cap26-4">CAP. XXVI.
-<span class="smaller"><i>Come il tribuno di Roma fu morto a furia
-di popolo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il primo tribuno romano dopo la sua cacciata
-tornato in Roma con comune assentimento dell’incostante
-popolo, e ordinati statuti a franchigia
-e a fortificagione del popolo, e certe entrate al
-comune per fortificare la signoria, procacciava di
-fornirsi di cavalieri e di masnadieri di soldo, per
-potere meglio raffrenare i potenti cittadini, i quali
-sapea ch’erano contro al suo tribunato: e come
-uomo ch’avea grande animo, credeva col favore
-del fallace popolo fare gran cose, e cominciato
-avea, ma non bene, perocchè essendo in Roma
-uno valente e savio uomo Pandolfo de’ Pandolfucci
-antico cittadino, e di grande autorità nel
-cospetto del popolo, e temendo il tribuno di lui,
-solo perchè gli pareva atto a potere muovere il
-popolo per la sua autorità e per la sua eloquenza,
-tirannescamente e senza colpa il fece decapitare;
-e per questo, e per la morte di fra Moriale, i
-principi di Roma, massimamente i Colonnesi e’
-Savelli, temeano forte, e procacciavano di farlo
-cacciare o morire. E sparta già l’infamia della
-<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span>
-morte di Pandolfo tra il popolo, fu più leggiere
-a’ Colonnesi e a Luca Savelli venire alla loro intenzione,
-e con lieve movimento alquanti amici
-de’ Colonnesi e’ Savelli della riva del Tevere, a
-loro stanza cominciarono a levare romore contro
-il tribuno e corsono all’arme; e con l’aiuto
-de’ Colonnesi e de’ Savelli, e di certi Romani offesi
-per la morte di Pandolfo, dimenticando la franchigia
-del popolo, a dì 8 d’ottobre del detto anno
-in su la nona corsono al Campidoglio, dicendo,
-muoia il tribuno. Il tribuno sprovveduto di questo
-subito e non pensato furore del popolo francamente
-provvide come necessità l’ammaestrava, e di
-presente s’armò e prese il gonfalone del popolo,
-e con esso in mano si fece alle finestre, e trattolo
-fuori, cominciò a gridare ad alta voce, viva il
-popolo, pensando che il popolo dovesse trarre al
-suo aiuto: ma trovossi ingannato, che il popolo
-il saettava, e gridava la sua morte: e avendo egli
-sostenuto con parole e con difesa l’assalto fino al
-vespero, e vedendo il popolo più acerbo e più infocato
-contro a sè da sezzo che da prima, e che
-soccorso da niuna parte aspettava, pensò di campare
-per ingegno; e tramutato l’abito suo in abito
-di ribaldo, fece aprire le porte del palagio alla
-sua famiglia al popolo perchè intendesse a rubare,
-come solea essere loro usanza; e mostrandosi
-nella ruberia come uno di loro, avea preso un
-fascio d’una materassa con altri panni dal letto,
-e scendendo la prima e la seconda scala senza essere
-conosciuto, dicea agli altri, su a rubare, che
-v’ha roba assai; ed era già quasi al sommo di scampare
-la morte, quando uno cui egli avea offeso
-<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span>
-così col fascio in collo il conobbe, e gridando,
-questi è il tribuno, il fedì: e l’uno dopo l’altro
-trattolo fuori dell’uscio del palazzo tutto lo stamparono
-co’ ferri, e tagliarongli le mani e sventraronlo,
-e misongli un capestro al collo e tranaronlo
-fino a casa i Colonnesi; e fatto quivi uno
-paio di forche v’appiccarono lo sventurato corpo,
-ove più dì il tennero appeso senza sepoltura.
-E questa fu la fine del tribuno, dal quale
-il popolo romano sperava potere riprendere sua
-libertà.
-</p>
-
-<h3 id="cap27-4">CAP. XXVII.
-<span class="smaller"><i>Come l’imperadore Carlo venne in
-Lombardia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Carlo di Luzimborgo re di Boemia e
-re de’ Romani, eletto imperadore, avendo accettata
-la profferta del comune di Vinegia, e del Gran
-Cane di Verona, e degli altri allegati di Lombardia
-contro all’arcivescovo di Milano, considerò
-che per la sua non grande facoltà d’avere e di
-potenza il fascio di cotanta impresa gli era troppo
-grave, e avvisossi con grande discrezione, che
-a volere venire in Italia per la corona del ferro, e
-appresso per l’imperiale, che gli convenia per forza
-vincere i signori, e le città, e’ popoli d’Italia
-che gli fossono avversi, o con senno o con amore
-recare a sè gli animi loro: ricordandosi che l’imperadore
-Arrigo suo avolo, avendo seco tutto il
-favore de’ ghibellini, e mosso con più di diecimila
-cavalieri tedeschi gente eletta, guidata da
-<span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span>
-grandi baroni e nobili cavalieri, credendosi per
-forza sottomettere parte guelfa in Italia avendo
-seco tutta la forza de’ ghibellini, passò in Italia;
-e non potuto per sua forza domare gli avversari
-nè avere la corona, com’è la costuma, nella basilica
-di san Pietro, e consumate le sue forze
-senza essere ubbidito, rendè a Buonconvento il
-debito della carne alla terra, e l’anima a Dio. Per
-lo cui esempio l’avvisato eletto Carlo imperadore
-abbandonato ogni pensiero di sua potenza, e di
-quella che promesso gli era, fidanza prese nel suo
-temperato proponimento; e non volendo a’ collegati
-negare la promessa della sua venuta, nè
-mostrare che contro a’ signori di Milano si movesse,
-veduto il tempo atto al suo proponimento,
-mosse d’Alamagna con trecento cavalieri in sua
-compagnia venendo in Aquilea; e giunto a Udine,
-a dì 14 d’ottobre del detto anno, s’accompagnò
-il patriarca suo fratello con poca
-gente senz’arme, e cavalcando a buone giornate
-giunsono in Padova a dì 4 di novembre,
-ove fu ricevuto a grande onore; e fatti alquanti
-cavalieri de’ signori e di loro prossimani della
-casa da Carrara, e lasciati i signori suoi vicarii
-nella signoria della città, a dì 7 di novembre
-prese suo cammino: e temendosi messer Gran
-Cane che non entrasse in Vicenza nè in Verona
-il fece con lieve onore conducere per lo contado
-alla città di Mantova, e ivi ricevuto come signore,
-prese a fare suo dimoro per trattare se tra i
-Lombardi potesse mettere accordo, e ivi attendea
-s’e’ comuni e’ popoli e’ signori di Toscana gli
-mandassono ambasciadori per potersi meglio provvedere
-<span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span>
-alla sua coronazione. Lasceremo ora alquanto
-questa materia, tanto che alcuna cosa degna
-di memoria occorra di ciò al nostro proponimento,
-e diremo dell’altre che prima addomandano
-il debito alla nostra penna.
-</p>
-
-<h3 id="cap28-4">CAP. XXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come i tre fratelli de’ Visconti di Milano
-furono fatti signori, e loro divise.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornando a’ fatti de’ Visconti di Milano, dopo la
-morte dell’arcivescovo messer Maffiolo, e messer
-Bernabò, e messer Galeazzo, figliuoli che furono
-di messer Stefano nipote dell’arcivescovo, essendo
-forniti di molti cavalieri e masnadieri per
-difendersi e abbattere giusto loro podere la forza
-degli altri Lombardi collegati contro a loro, e da
-resistere all’imperadore se muover si volesse contro
-a loro, stare facevano tutte le loro città e castella
-in buona guardia e sollecita; ed essendo
-tutti e tre in Milano, si feciono eleggere signori indifferentemente
-a dì 12 d’ottobre, e appresso si
-feciono fare a tutte le città del loro distretto il simigliante;
-ed essendo da tutti confermati nella
-signoria, si partirono tra loro il reggimento in
-questo modo: che Milano fosse comune a tutti,
-e dell’altre città feciono di concordia tre parti,
-salvo la città di Genova, che vollono che rimanesse
-comune in fra loro come Milano, e gittarono
-le sorte, per le quali a messer Maffiolo, ch’era
-il maggiore, toccò Parma, Piacenza, Bologna, e
-Lodi: a messer Bernabò Cremona, Brescia, e
-<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span>
-Bergamo: e a messer Galeazzo Como, Novara, Vercelli,
-Asti, Tortona, e Alessandria, con tre altre
-terre di Piemonte; e nondimeno a comune ne’ cominciamenti
-manteneano la spesa de’ soldati, e
-molto onorava l’uno l’altro, e di gran concordia
-faceano le loro imprese. A messer Maffiolo,
-perch’era di più tempo e di minor virtù, rendeano
-onore di metterlo innanzi ne’ titoli e
-ne’ consigli. I fatti della cavalleria e dell’arme
-erano contenti che guidasse messer Bernabò che
-n’era più sperto, e messer Galeazzo ne prendea
-alcuna volta parte come a lui piacea. Essendo
-questi signori di Milano così ordinati tra loro,
-sopravvenuto l’eletto imperadore in Mantova, stavano
-apparecchiati in loro senza fare altro movimento
-di guerra contra a’ loro avversari, e gli allegati
-anche stavano a vedere che l’imperadore facesse
-senza muovere la loro gente a far guerra.
-</p>
-
-<h3 id="cap29-4">CAP. XXIX.
-<span class="smaller"><i>Come l’imperadore stando a Mantova trattava
-la pace de’ Lombardi.</i></span></h3>
-
-<p>
-L’imperatore avendosi avvisatamente condotto
-in Lombardia di verno, e sapendo la gran forza
-di gente ch’aveano i signori di Milano, e la
-potenza del loro tesoro e delle loro entrate, fece
-venire a se in Mantova gli ambasciadori del comune
-di Vinegia e di tutti i signori collegati, e con
-loro insieme vide che la sua forza e la loro in que’
-tempi non era sufficiente a tanto fatto quanto volevano
-imprendere. Ancora considerò che stando
-<span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span>
-egli a Mantova niuno signore o comune d’Italia,
-salvo che i collegati, era venuto o avea mandato
-a lui contro a’ signori di Milano, e però gli
-parve che le cose fossono assai bene disposte al
-suo proponimento col quale s’era messo a farsi
-trattatore di pace, per accattare da ogni parte
-benevolenza, e non prendere nimicizia con alcuno,
-e però cominciò a trattare della pace; e parendogli
-che catuno si disponesse a volerla, acciocchè
-quelli della lega non portassono la gravezza
-del soldo della gran compagnia, la fece
-licenziare a dì 8 di novembre, e quelli della
-compagnia ne furono contenti: ed essendo in
-sul Bresciano, parte ne condussono i signori di
-Milano, e parte la lega, e il rimanente si ritenne
-in compagnia col conte di Lando. L’imperadore
-seguiva con sellecitudine che la pace si facesse,
-e in lungo processo di trattato più volte corse
-la voce che la pace era fatta. Ma nascendo ora
-dall’una parte ora dall’altra cagione di tirare,
-la pace non veniva a perfezione, e in questo soprastare,
-vennono accidenti che non la lasciarono
-venire a perfezione, i quali diviseremo nel tempo
-ch’avvennono secondo l’ordine del nostro trattato.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap30-4">CAP. XXX.
-<span class="smaller"><i>Come furono presi i legni ch’andavano
-a Palermo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Del mese d’ottobre del detto anno, il re Luigi
-sentendo la città di Palermo in gran bisogno di
-vittuaglia e di gente d’arme per la difesa contro
-a’ nimici, fece armare tre galee, e uno panfano,
-e dodici legnetti e una nave, e tutte le fece caricare
-di grano e d’altra vittuaglia, e fece ammiraglio
-il conte di Bellante Potarzio d’Ischia,
-e comandogli che le conducesse in Palermo; ed
-essendo nel mare di Calabria si vidono contra galee
-di Messinesi, che stavano alla guardia per
-procacciare di vittuaglia, di che aveano gran bisogno,
-le quali vedendo quelle del Regno con legni
-armati, e conoscendo la loro poca virtù, s’addirizzarono
-verso loro. Il conte vedendole venire,
-come codardo non prese alcuna difesa, ma la
-sua propria galea abbandonò perch’avea del
-grano in corpo, e montato su un legno armato,
-innanzi che i nemici s’appressassono si fuggì.
-Le galee de’ Messinesi giugnendo a quelle del
-Regno le trovaron senza capitano e senza difesa,
-e però le si presono col carico e colla
-gente, e con gran festa e gazzarra questa utile
-preda al bisogno della loro città misono in
-Messina, ove furono ricevuti a grande onore, più
-per loro bisogno che per la piccola vittoria.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_198">[198]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap31-4">CAP. XXXI.
-<span class="smaller"><i>Come si cominciò guerra in Puglia tra loro.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Luigi di Durazzo cugino carnale del re
-Luigi, vedendo che il detto re avea dato al prenze
-di Taranto e a messer Filippo suoi fratelli
-carnali grandi baronaggi in Puglia e nel Regno,
-nè a lui nè a messer Ruberto non avea data nulla
-cosa, con giusto sdegno, vedendosi in povero
-stato, si tenea dal re e dalla reina malcontento:
-e il conte di Minerbino tenendosi anche male del
-re e della reina s’accostò con messer Luigi, e
-propuosono di volere fare guerra nel paese di
-Puglia. Per questa tema il re e la reina andarono
-in Puglia cercando riconciliarli con parole, e
-mandaronli pregando che venissono a loro; e
-consigliati insieme, ordinarono che il conte v’andasse,
-avendo prima per sua sicurtà per stadichi
-il vescovo di Bari e messer Giannotto dello
-Stendardo in Minerbino, e così fu fatto. E stando
-col re e con la reina non si trovò modo d’accordo,
-nè che messer Luigi si volesse assicurare
-di andare a loro. In questo stante, gente d’arme
-acconcia a far male percossono alla strada, e
-presono settanta muli che tornavano da Barletta
-con poca roba, e menargli via in vergogna della
-corona, essendo la persona del re nel paese. E
-tornandosi il re e la reina a Napoli, messer Luigi
-e il Paladino presono ardire di più aperta rubellione,
-e accolsono gente d’arme, e correano
-per lo paese. Ma sentendosi di piccola possanza,
-<span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span>
-entrarono in trattato col conte di Lando, che
-dovesse conducere la compagnia nel Regno. Soprastaremo
-alquanto al presente a questa materia,
-parandocisi innanzi più notevole avvenimento
-di grave fortuna.
-</p>
-
-<h3 id="cap32-4">CAP. XXXII.
-<span class="smaller"><i>Come i Genovesi sconfissono i Veneziani
-a Portolungo in Romania.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo la non domata rabbia del comune di
-Genova e di quello di Vinegia condotto le loro armate
-in Romania, essendo messer Paganino Doria
-di trentatre galee genovesi ammiraglio, e messer
-Niccolò da ca Pisani ammiraglio di trentacinque
-galee de’ Veneziani, e tre panfani e un legno
-armato, e venti tra saettie e barche, e cinque
-navi di carico tutte armate e incastellate,
-e navicando l’una armata e l’altra per lo mare
-di Romania a fine d’abboccarsi insieme, non
-vi si poterono trovare: l’ammiraglio de’ Veneziani
-con tutte le galee e gli altri navilii della sua
-armata si ridusse nel porto di Sapienza nella
-Romania bassa, e ivi s’ordinò, avendo lingua
-de’ suoi nemici ch’erano nel mare di Romania,
-in questo modo: che le navi mise nella bocca
-del porto incatenate insieme, e con esse venti
-galee alla guardia, e molto le fece bene armare
-e acconciare alla difesa della bocca del porto,
-e con queste rimase il loro ammiraglio; l’altre
-quindici galee co’ legni armati e con le saettie
-accomandò a uno da ca Morosini di Vinegia, e
-<span class="pagenum" id="Page_200">[200]</span>
-misele dentro nel Portolungo, acciocchè stessono
-più salve, e potessono contastare a’ nemici
-dinanzi e l’ammiraglio di dietro, se caso venisse
-che l’armata de’ Genovesi si mettesse nel porto. L’ammiraglio
-de’ Genovesi avendo in Romania sentito
-lingua dell’armata de’ Veneziani, e com’erano
-più galee e assai legni di carico incastellati
-più di loro, e che fatto aveano la via di Portolungo
-di Sapienza nella Romania bassa, come
-uomo di gran cuore e ardire, avvilendo i
-suoi nemici che non aveano cercato d’abboccarsi
-con lui, ma piuttosto fatto vista di schifarlo,
-di presente s’addirizzò con la sua armata verso
-il porto di Sapienza per richiedere i Veneziani
-di battaglia; e come giunto fu sopra il porto
-di Sapienza, vide come i Veneziani co’ loro navilii
-incastellati e incatenati e con le galee s’erano
-afforzati alla bocca del porto, e parvegli segno
-che non volessono combattere; nondimeno per
-mostrarsi a’ nemici senza paura, non credendosi
-venire a battaglia, stando aringati sopra il porto,
-mandò a richiedere l’ammiraglio de’ Veneziani
-di battaglia, dicendo, come l’attendea
-fuori del porto, per porre fine a’ travagli e alle
-tribulazioni che gli altri navicanti e tutto il
-mare portava della loro guerra. L’ammiraglio
-de’ Veneziani rispose, ch’era in casa sua, e
-non intendea combattere a richiesta de’ suoi
-nemici, ma quando a lui paresse prenderebbe
-la battaglia. I Genovesi più inanimati, veggendo
-ricusavano la battaglia, da capo la dimandarono,
-vituperando i loro avversari, sonando e
-risonando trombe e nacchere, e vedendo che
-<span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span>
-niuno segno si facea pe’ Veneziani di muoversi,
-ad alcuno atto, presono un folle ardimento, se
-i Veneziani avessono aoperato come poteano l’armi,
-perocchè Giovanni Doria nipote dell’ammiraglio
-mattamente si mise con una galea ad entrare
-nel porto, e appresso di lui il figliuolo dell’ammiraglio
-con la sua, entrando sotto la guardia
-delle navi e delle galee. I Veneziani vedendoli
-entrare, follemente li lasciarono entrare, sperando
-rinchiuderli nel porto e averli tutti a man
-salva; e così senza contasto per atare i giovani
-che s’erano messi a quello pericolo v’entrarono
-tredici galee di Genovesi l’una dopo l’altra, senza
-essere impedite o combattute dall’ammiraglio
-o dalla sua armata ch’era alla guardia della bocca
-del porto; e trovandosi nel porto, si dirizzarono
-con ordine e con grande ardimento a combattere
-le quindici galee de’ Veneziani e’ legni armati ch’erano
-nel porto, le quali aveano le prode a terra
-per loro agiamento, ed erano più atte alla difesa.
-I Genovesi l’assalirono con aspra battaglia,
-ma quale che fosse la cagione, o per sdegno preso
-contro all’ammiraglio che non avea impedito la
-loro entrata, e non s’era mosso alla loro difesa,
-o per molta codardia, a quel punto feciono piccola
-difesa, e però nel primo assalto furono assai
-de’ Veneziani fediti e morti: e pignendo i Genovesi,
-con piccola resistenza de’ loro avversari
-montarono in sulle galee, e in poca d’ora
-tutti gli ebbono presi e sbarattati, ne’ quali
-molti più annegarono gittandosi in mare per
-fuggire, che quelli che morirono di ferro. Avendo
-queste tredici galee avuta piena vittoria delle
-<span class="pagenum" id="Page_202">[202]</span>
-quindici del porto, feciono segno al loro ammiraglio
-e all’altre galee ch’erano fuori del porto
-della loro vittoria, le quali con grande baldanza
-e ardire si misono innanzi, per volere combattere
-le venti galee e le navi ch’erano alla
-guardia della bocca del porto, e le tredici vittoriose
-vennono dall’altra parte, avendo due
-corpi di galee veneziane affocate per metterle
-loro addosso. Strignendosi d’ogni parte la battaglia,
-l’ammiraglio veneziano ingannato per molta
-viltà del primo suo avviso, e sbigottito delle
-quindici galee perdute, e della battaglia che d’ogni
-parte si vedea apparecchiare, s’arrendè alla
-misericordia de’ Genovesi, e da quel punto innanzi
-più non v’ebbe morto o fedito alcuno
-Veneziano; tutti furono prigioni, perocchè in
-porto e tutto in mare di lungi dalla terra ferma
-niuno dell’armata de’ Veneziani campò che non
-fosse preso o morto, e i prigioni furono per novero
-cinquemilaottocentosettanta, i quali con tutte
-le galee, e altri legni e navilii, con grande vittoria
-quasi senza loro danno menarono a Genova,
-lasciati nel porto e nella marina di Sapienza
-quattromila o più corpi di Veneziani morti
-e annegati in quella battaglia, la quale fu a dì 3
-di novembre 1354. Della quale vittoria i Genovesi
-ripresono cuore e ardire di loro stato, e i
-Veneziani molto ne dibassarono; e questo fece
-la mala provvedenza del loro ammiraglio, che avendo
-guardata la bocca del porto come potea,
-le galee de’ Genovesi non v’entravano, e l’entrate
-se l’avesse volute combattere di dietro con
-parte delle sue galee, come poteva, avrebbe vinti
-<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span>
-i Genovesi, come i Genovesi vinsono lui. Ma
-la guerra è di questa natura, che commesso il
-fallo seguita la penitenza senza rimedio le più
-volte.
-</p>
-
-<h3 id="cap33-4">CAP. XXXIII.
-<span class="smaller"><i>Come Gentile da Mogliano diede Fermo
-al legato.</i></span></h3>
-
-<p>
-Innanzi che noi procediamo ad altri effetti
-della detta sconfitta, Gentile da Mogliano signore
-della città di Fermo nella Marca ci ritiene
-alquanto, perocchè essendo tirannello oppressato
-da messer Malatesta da Rimini maggiore tiranno,
-per cui s’era messo a soldare la compagnia
-per liberare Fermo dall’assedio, come
-già è detto, rimase povero d’avere e d’aiuto,
-conobbesi impotente da difendersi dal nimico
-suo, non che dal legato, che per riavere la
-Marca occupata a santa Chiesa s’apparecchiava
-di venire a oste alla sua occupata città di Fermo,
-e però si pensò di riconciliar col legato e d’abbattere
-messer Malatesta suo nimico, e andossene
-in persona al legato ch’era a Fuligno, e promiseli
-di renderli la città di Fermo, e d’essere fedele al
-servigio di santa Chiesa e del legato. Il legato
-ebbe tanto a grado la venuta e l’offerta di Gentile,
-che di presente il ricevette con grande allegrezza,
-e per onorarlo e fargli bene, comunicatosi
-insieme con lui alla messa, il fece gonfaloniere
-di santa Chiesa, e promisegli que’ danari
-che volle a certo termine, dicendogli ch’era
-<span class="pagenum" id="Page_204">[204]</span>
-contento tenesse la rocca di Fermo infino che fosse
-pagato. Il legato mandò della sua gente da cavallo
-e da piè, e furono ricevuti da’ Fermani con
-grande allegrezza e festa, pensando che uscivano
-di pericoloso servaggio, che Gentile era bisognoso
-e gravavagli troppo, e non gli poteva difendere
-nè aiutare. E il legato pensava fare in Fermo sua
-frontiera al primo tempo, perocch’era vicino alle
-città della Marca occupate per messer Malatesta,
-e avendo fatto contro a lui e contro agli altri
-tiranni di Romagna gravi processi, pensava
-volere fare l’esecuzione con altro che col suono
-delle campane e con le candele spente, ma
-da’ baratti e da’ tradimenti de’ Romagnuoli e de’
-Marchigiani non si potè guardare, come innanzi
-racconteremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap34-4">CAP. XXXIV.
-<span class="smaller"><i>Come il re di Araona ebbe la Loiera,
-e fece accordo col giudice.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornando a’ fatti di Sardegna, il re di Araona
-con la sua cavalleria e con l’armata delle sue
-galee avendo mantenuto assedio alla Loiera dal
-luglio al novembre, e fatto continova guerra al
-giudice d’Alborea con piccolo acquisto, essendo
-la Loiera a grande stretta, e non vedendo d’essere
-soccorsa, trattavano col re, e similmente il
-giudice d’Alborea rincrescendogli la guerra. Il
-re si teneva duro, e voleva maggiori cose che offerte
-non gli erano. In questo stante sopravvenne
-la sconfitta de’ Veneziani ricevuta da’ Genovesi,
-<span class="pagenum" id="Page_205">[205]</span>
-la novella della quale fu in segreto molto tosto
-a Vinegia. Il doge e ’l consiglio che questo
-seppono, tennono la cosa celata per modo, che i
-loro cittadini non poterono alcuna cosa sentire,
-e di presente armarono un legno sottile, e mandarono
-significando al re d’Araona il loro fortunoso
-caso, e avvisandolo che innanzi che la novella
-si spargesse sapesse pigliare suo vantaggio, e guardare
-la sua armata. Il legno portò volando la
-mala novella al re d’Araona, ed egli con maestrevole
-avviso con molta festa manifestò la novella
-per lo contradio, facendo assapere al giudice
-e agli assediati che i Veneziani aveano sconfitti i
-Genovesi. Per questo i Genovesi ch’erano a
-guardia della Loiera perderono ogni ardire, e
-procacciavano l’accordo, e il giudice si dichinò
-più che fatto non avrebbe, e il re mostrandosi
-di buona aria più che non solea, di presente venne
-alla concordia della pace, e fu fatta in questo
-modo: che il re avesse la Loiera andandosene
-sani e salvi i Genovesi e gli altri forestieri che
-la guardavano, e il giudice d’Alborea riconobbe
-ritenere tutte le terre dal detto re, e feceli
-il saramento, e promiseli dare ogni anno certa
-moneta per l’omaggio delle dette terre; e fatta
-la pace, e fornita la Loiera di sua gente d’arme,
-per lo beneficio dell’affrettata novella, e per lo savio
-consiglio del re, si tornò in Catalogna, con
-acquisto, e con pace, e con onore. Ove se la novella
-fosse sentita prima da’ suoi avversari, con
-danno e con vergogna senza nullo acquisto gli
-convenia partire dell’isola vituperosamente: e
-però si verifica qui l’antico proverbio contrario
-<span class="pagenum" id="Page_206">[206]</span>
-alla vile pigrizia, che dice; il buono studio
-vince ria fortuna.
-</p>
-
-<h3 id="cap35-4">CAP. XXXV.
-<span class="smaller"><i>Come i Pisani si diliberarono di mandare
-all’imperatore.</i></span></h3>
-
-<p>
-Soprastando l’eletto imperadore a Mantova per
-volere trarre a fine la pace tra’ Lombardi, i Pisani
-i quali erano a quel tempo in grande e buono stato
-sotto il reggimento de’ Gambacorti, ch’erano
-i maggiori, e con loro gli Agliati e seguaci e Bergolini,
-i quali manteneano pace e onore co’ Fiorentini,
-e non ostante che fossono amici de’ guelfi,
-sentendo il popolo minuto tutto imperiale, per
-provvedersi di conservare loro stato diliberarono di
-mandare di loro medesimi ambasciadori con pleno
-mandato del detto comune al detto eletto, e nel
-loro segreto fu, che procacciassono d’avere promessione
-e fede dall’eletto, che gli conserverebbe
-nello stato senza far nella città mutazione degli
-ufici, e che non vi rimetterebbe gli usciti ribelli,
-e che manterrebbe al comune di Pisa la signoria
-di Lucca, e non la recherebbe in libertà nè ad altro
-stato. Gli ambasciadori con grande compagnia
-e molto adorni giunsono a Mantova, dov’era
-l’eletto imperadore, e ricevuti da lui con grande
-onore, e fatta la riverenza, spuosono l’ambasciata
-del loro comune, ove liberamente gli offersono
-la città e gli uomini di quella alla sua ubbidienza,
-pregando divotamente per bene, e per
-pace e buono stato del detto comune, che gli dovesse
-<span class="pagenum" id="Page_207">[207]</span>
-piacere di promettere per la sua fede, e appresso
-dell’imperiale corona le sopraddette cose
-utili e necessarie al buono stato di que’ cittadini, e
-l’eletto con grande allegrezza e festa li ricevette,
-e promise nella sua fede liberamente ciò che per
-loro era domandato. Allora gli ambasciadori gli
-promisono trentamila fiorini d’oro in aiuto alla spesa
-della sua coronazione, e altri trentamila per lo
-consentimento della città di Lucca, il quale consentimento
-non onorevole alla maestà imperiale,
-comprese sotto la ragione del padre suo re Giovanni,
-quando la città di Lucca gli fu data. Della
-quale promessa i grandi mercanti, e gli altri
-usciti di Lucca, che si pensavano tornare in libertà
-per la venuta dell’imperadore, si tennono mal
-contenti: e così fu fatta la concordia dall’eletto
-imperadore a’ Pisani, della quale i cittadini feciono
-in Pisa per molti giorni singulare e grande festa,
-ignoranti del futuro avvenimento della loro
-ruina.
-</p>
-
-<h3 id="cap36-4">CAP. XXXVI.
-<span class="smaller"><i>Rottura della pace del re di Francia
-e d’Inghilterra.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo per lungo tempo trattato per lo cardinale
-di Bologna e per altri prelati di volere fare
-accordo tra il re di Francia e quello d’Inghilterra,
-e sotto questa speranza più volte prolungate
-le triegue tra l’uno re e l’altro; e non potendo trarlo
-a fine, provvidono di comune consiglio quelli
-che menavano il trattato, che abboccandosi i due
-re insieme nella presenza del papa, o i loro più
-<span class="pagenum" id="Page_208">[208]</span>
-confidenti baroni, che pace ne dovesse seguire; e
-per seguire questo consiglio il re di Francia vi
-mandò il duca di Borbona suo consorto, e il conestabile
-di Francia: e il re d’Inghilterra vi mandò
-il duca di Lancastro suo cugino, e il vescovo
-di Vervic, e catuno giunse a corte del mese di
-dicembre: e abboccatisi insieme per più riprese
-nella presenza del papa, tanto volea catuno mantenere
-l’onore del titolo del suo signore, che
-mezzo non seppono trovare di recarli in pace. Il
-papa, o per soperchia arroganza che trovasse in loro,
-o per poco ardire ch’avesse di sforzare gli
-animi de’ signori, non vi s’interpose come avrebbe
-potuto la sua autorità, con la quale poteva catuno
-sostenere con suo onore, e trovare mezzo
-di recarli a concordia e pace; nol fece, che forse
-non erano ancora puniti i peccati de’ Franceschi:
-e però del mese di gennaio del detto anno, catuna
-parte in discordia con poco onore del santo padre
-e de’ suoi cardinali si tornò al suo signore.
-</p>
-
-<h3 id="cap37-4">CAP. XXXVII.
-<span class="smaller"><i>Come un gatto uccise un fanciullo
-in Firenze.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avvegnachè assai paia cosa strana e non degna
-di memoria quello che seguita, perocchè fu
-inaudito caso, non l’abbiamo saputo tacere. In
-Firenze era da san Gregorio un lasagnaio con
-una sua moglie, aveano un piccolo loro fanciullo
-di tre mesi, e avendolo la madre governato
-e rimessolo nella culla al modo usato, una
-<span class="pagenum" id="Page_209">[209]</span>
-gatta accresciuta e nutricata in quella casa se n’andò
-al fanciullo, e cominciolli a rodere la testa,
-e trassegli gli occhi e manicosseli, e poi rodendo
-la testa se n’andò fino al cervello; e avendo
-lungamente pianto il fanciullo, il padre e la madre
-soccorsono tardi, non pensando che cotale caso
-fosse, e trovarono il fanciullo storpiato, e la
-gatta sopr’esso ancora vivo, ma incontanente morì;
-e sparata la maladetta gatta le trovarono gli
-occhi del fanciullo in corpo. Questa è quasi cosa
-incredibile, ma per esperienza del vero di questo
-fatto si dee alle donne e alle balie accrescere sollecitudine
-e accrescimento di buona guardia a’
-piccoli fanciulli. Avvenne questo inopinato caso a
-dì 6 di dicembre 1354.
-</p>
-
-<h3 id="cap38-4">CAP. XXXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come l’imperadore fe’ fare triegua
-da’ Lombardi a’ signori di Milano.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo fino a qui dimostrato i trattati tenuti
-per l’eletto imperadore e la sua venuta a
-Mantova, al presente ci strigne il tempo a venire
-dimostrando i cominciamenti in fatti delle sue
-proprie operazioni. Costui secondo il suo supremo
-titolo, conoscendo se medesimo e il suo piccolo
-podere, e abbattendo nell’animo suo ogni
-elezione, provvide che per astuta e dissimulata
-suggezione gli convenia procedere per venire all’ottato
-fine della sua coronazione, e per questo in
-fatto prese abito, forma, e operazione umile, e
-sommissione incredibile all’imperiale nome in
-<span class="pagenum" id="Page_210">[210]</span>
-fondamento de’ suoi principii: e venuto a Mantova
-senz’arme, e fattosi trattatore della pace da’
-signori di Milano a’ legati lombardi, avendo seguito
-il fatto dall’entrata di novembre al Natale
-senza frutto, essendo montata la superbia de’ Genovesi
-e de’ loro signori, per la vittoria avuta in
-mare sopra i Veneziani, per la quale mutando
-in prima i patti li voleano più larghi per loro
-in vergogna degli allegati, ed eglino sdegnosi
-non acconsentivano, l’imperadore, ch’avea
-l’animo più a’ suo’ fatti propri, si doleva di
-perdere il tempo invano, e conoscendo la potenza
-de’ Visconti di Milano maggiore che della
-lega, e non vedendosi da’ comuni di Toscana
-fuori che da’ Pisani dimostramento d’alcuno
-favore, comprese che a’ collegati non faceva utile,
-e a se faceva impedimento grande per la coronazione
-della corona del ferro, ch’era nella potenza
-de’ signori di Milano, e però non dimostrando
-d’abbandonare il trattato, ma di volerlo conducere
-a fine di pace, facea fare triegua tra’ Lombardi
-fino al maggio prossimo vegnente; e fatta la triegua,
-incontanente trattò per se accordo co’ signori
-di Milano, sottomettendo la sua persona, e ’l suo onore,
-e la dignità imperiale oltre al debito modo
-nell’arbitrio e potenza de’ tiranni, prendendo confidenza
-di quelli, o da purità di mente, o da matto
-consiglio, non però di certo e di chiaro giudicio;
-e il patto fu, che li darebbono abilità d’avere
-sotto le loro braccia la corona a Moncia, ed
-egli senza entrare in Milano gli lascerebbe suoi
-vicari in tutta la loro giurisdizione; ed egli avuta
-promissione da loro, che alla sua coronazione a
-<span class="pagenum" id="Page_211">[211]</span>
-Roma gli donerebbono per aiuto alle spese fiorini
-cinquantamila d’oro, senza alcuna gente d’arme
-come privato uomo si sottomise nella loro signoria,
-vincendo gli animi fieri e l’usata fallacia tirannesca
-colla sua persona creduta nelle loro mani
-liberamente, come appresso diviseremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap39-4">CAP. XXXIX.
-<span class="smaller"><i>Come l’imperadore andò a Moncia
-per la corona del ferro.</i></span></h3>
-
-<p>
-L’eletto imperadore avendo fatto la sua concordia
-co’ signori di Milano, più della pace de’
-Lombardi non si travagliò, ma di presente fatta
-la festa della natività di Cristo a Mantova, si
-mise a cammino verso Milano con meno di trecento
-cavalieri, i più senz’arme, e i signori di
-Milano ordinarono, che per tutto loro distretto all’eletto
-e alla sua compagnia fosse apparecchiato
-per loro e per li loro cavalli ogni cosa da vivere
-senza torre alcuno danaio: e giugnendo a Lodi,
-messer Galeazzo gli venne incontro con millecinquecento
-cavalieri armati, e giunto a lui, gli fece la
-reverenza, e accompagnollo fino dentro alla città
-di Lodi, e ivi il collocò onoratamente nelle case
-de’ signori, facendo nondimeno serrare le porti
-della città, e guardarla dì e notte colla gente
-armata. E albergato in Lodi una notte, la mattina
-appresso mosso il re de’ Romani, messer Galeazzo
-colla sua gente armata l’accompagnò, avendo
-ordinata la desinea alla grande badia di Chiaravalle:
-e appressandosi a Chiaravalle, messer Bernabò
-<span class="pagenum" id="Page_212">[212]</span>
-con molti cavalieri armati gli si fece incontro,
-e fattagli la reverenza, gli presentò da parte
-de’ fratelli e cavalli e palafreni covertati di velluto,
-e di scarlatto e di drappi di seta, guerniti di ricchi
-paramenti di selle e di freni: e fattogli alla
-badia nobile desinare, messer Bernabò il richiese
-da parte de’ suoi fratelli e da sua che gli dovesse
-piacere d’entrare nella città di Milano; l’eletto
-rispose, che per niuno modo intendea venire
-contro a quello che promesso avea loro;
-messer Bernabò gli disse, che questo gli fu domandato
-pensando che la gente della lega il dovesse
-accompagnare, ma per la sua persona non
-era fatto: e tanto il costrinsono, ed egli e messer
-Galeazzo, liberandolo per loro e per messer Maffiolo
-dalla promessa, che con loro n’andò in Milano;
-e entrato nella città, fu ricevuto con maggior
-tumulto che festa, non potendo quasi vedere
-altro che cavalieri e masnadieri armati: e i suoni
-delle trombe, e trombette, e nacchere, e cornamuse,
-e tamburi erano tanti, che non si sarebbono
-potuti udire grandi tuoni; e come fu in Milano,
-così furono le porti serrate, e così rinchiuso
-il condussono a’ palazzi della loro abitazione, e
-assegnateli sale e camere fornite nobilissimamente
-di letta e di ricchi apparecchiamenti, messer
-Maffiolo e gli altri fratelli da capo andarono
-a fargli la reverenza, dicendogli con belle parole
-come tutto ciò che possedevano riconoscevano
-avere dal santo imperio, e al suo servigio intendevano
-di tenerlo. Il dì appresso feciono fare
-generale mostra di tutta la gente d’arme a cavallo
-e a piè ch’aveano accolta in Milano, e oltre
-<span class="pagenum" id="Page_213">[213]</span>
-a ciò feciono armare quanti cittadini ebbono
-che montare potessono a cavallo, tutti sforzati di
-coverte e d’altri paramenti e d’avvistate sopravveste,
-e feciono stare l’imperadore alle finestre
-sopra la piazza a vedere; e passando con gran
-tumulto di stromenti, feciono intendere all’eletto
-ch’erano seimila cavalieri e diecimila pedoni
-di soldo: e passata la mostra, dissono: signore nostro,
-questi cavalieri e masnadieri, e le nostre
-persone, sono al vostro servigio e a’ vostri comandamenti;
-dicendo che oltre a questi aveano fornite
-tutte le loro città terre e castella di cavalieri
-e di masnadieri per la guardia di quelle. E così magnificarono
-la gran potenza del loro stato nell’imperiale
-presenza, tenendo il dì e la notte le
-porte serrate e la gente armata per la città,
-non senza sospetto e temenza dell’eletto imperadore,
-il quale vedendosi in tanta noia di sollecita
-guardia, fu ora che innanzi vorrebbe essere
-stato altrove con minore onore, e in tutto fu
-in servaggio l’animo imperiale alla volontà de’
-tiranni, e l’aquila sottoposta alla vipera, verificandosi
-la pronosticazione detta per previsione
-d’astrologia, negli anni <i>Domini</i> 1351, per messer
-frate Ugo vescovo di...... grande astrologo
-al suo tempo, il quale predisse il cadimento del
-prefetto da Vico, e la soggezione futura dell’aquila
-imperiale in questi versi:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Aquila flava ruet post parum vipera fortis.</i></p>
-<p class="i01"><i>Moenia subintrat Lombardi prima sophiae</i></p>
-<p class="i01"><i>Anno quadrato minori decimonono.</i></p>
-<p class="i01"><i>Aquila succumbet pro stupri crimine foedo</i></p>
-<p class="i01"><i>Nigra revolabit sublimi cardine Romam.</i></p>
-</div></div>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_214">[214]</span>
-</p>
-
-<p>
-ma egli come savio comportò con chiara e allegra
-faccia la sua cortese prigione; e con molta liberalità
-vinse quello che acquistare non avrebbe potuto
-per forza. Dopo alquanti dì, come a’ signori
-tiranni piacque, il condussono con la loro gente
-armata a Moncia, e ivi il dì della santa Epifania,
-a dì 6 del mese di gennaio di detto anno, fu coronato
-della seconda corona del ferro, con quella solennità
-e festa che i signori Visconti li vollono
-fare; e tornato a Milano sotto continova guardia,
-fattivi certi cavalieri, ed egli per tornare in libertà
-sollecitando la sua partita, fu accompagnato di
-terra in terra dalle masnade armate de’ signori,
-facendo serrare la città e castella dov’entrava,
-e il dì e la notte tenerle in continova guardia:
-ed egli avacciando il suo cammino, non come imperadore,
-ma come mercatante ch’andasse in fretta
-alla fiera, si fece conducere fuori del distretto
-de’ tiranni: e ivi rimaso libero della loro guardia,
-con quattrocento compagni, i più a ronzini
-senz’arme, si dirizzò alla città di Pisa per esservi
-prima che non avea loro promesso, e così li
-venne fatto.
-</p>
-
-<h3 id="cap40-4">CAP. XL.
-<span class="smaller"><i>Come il conte di Lando venne di Lombardia
-in Romagna con la gran compagnia.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questi dì all’entrata di gennaio, il conte
-di Lando capitano del residuo della gran compagnia,
-avendo un dì lungamente parlamentato a
-solo coll’eletto imperadore, con duemilacinquecento
-<span class="pagenum" id="Page_215">[215]</span>
-barbute se ne venne a Ravenna, e con lui due
-fratelli della bella contessa, che l’anno del generale
-perdono andando a Roma capitò in Ravenna,
-e ritenuta dal tiranno per conducerla o
-per amore o per forza a consentire alla sua sfrenata
-libidine, la valente donna vedendo non
-potere mantenere la sua castità contro alla forza
-dello scellerato tiranno se non per via di morte,
-trovò il modo di finire sua vita innanzi che volesse
-corrompere la sua castità; questi cavalieri credendosi
-potere vendicare dell’onta della loro sirocchia
-contro al tiranno, s’accostarono con la
-compagnia, e furono singolare cagione di menarla
-in sul Ravennese, ove stette lungamente ardendo,
-e predando, e guastando il paese; e
-dopo la detta stanza e guasto dato, essendosi
-tenuto alle mura della città il conte, gli domandò
-trentamila fiorini d’oro se volea si
-partissono di suo terreno, e avendo il tiranno
-bargagnato, s’era recato il conte a dodicimila
-fiorini d’oro. Allora disse il tiranno, che gli
-darebbe i detti danari, se ’l conte il volesse sicurare
-di non partirsi con la compagnia per spazio
-d’un anno continovo del contado di Ravenna:
-e a’ suoi cittadini fece stimare il danno ricevuto
-delle loro possessioni, tenendoli in speranza di
-pagare loro la restituzione del danno; onde il conte
-e la sua compagnia frustrata del loro intendimento
-si partì di là, e andossene nella Marca.
-Lasceremo ora de’ fatti della gran compagnia, e
-torneremo alle cose che per l’avvenimento dell’imperadore
-occorsono in Toscana.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_216">[216]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap41-4">CAP. XLI.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini per la venuta dell’imperadore
-a Pisa si provvidono.</i></span></h3>
-
-<p>
-Sentendo i Fiorentini l’avvenimento dell’eletto
-imperadore a Pisa, non avendo alcuna cosa
-provveduto dinanzi quando era a Mantova, ove
-ciò che avessono voluto da lui avrebbono di suo
-buon grado impetrato, stavano in consiglio se
-dovessono ubbidire o contradiare: ed essendone la
-città tutta in vari e indeterminati consigli, presono
-di fare dodici uficiali ch’andassono per tutto
-il contado con ordinata balìa, di fare riducere
-tutta la vittuaglia nelle terre murate e nelle
-castella forti, e ogni altra cosa di valuta, e diedono
-voce di volere prendere difesa, e non con
-accettare l’imperadore, per non sottomettere la
-franchigia del comune ad alcuna signoria; e quanto
-che in fatto questa provvigione avesse poco effetto,
-pure fu utilmente provveduto, per non mostrare
-viltà o paura, e per dare intendere all’eletto
-imperadore e al suo consiglio che il comune
-di Firenze s’apparecchiava alla sua difesa; e nondimeno
-elessono sei cittadini per mandarli a lui
-come fosse riposato in Pisa, per trattare accordo
-con lui, se rimanendo in libertà il potessono
-trovare. E questo fu ordinato e fatto in Firenze
-a dì 11 di gennaio del detto anno.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_217">[217]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap42-4">CAP. XLII.
-<span class="smaller"><i>Come il legato prese Recanati.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo mese di gennaio, il legato del papa
-avendo la città di Fermo, e seguitando suo processo
-contro a messer Malatesta da Rimini per
-le città ch’egli occupava a santa Chiesa, nondimeno
-come signore avvisato e pratico ne’ fatti
-della guerra, non stava solo a’ processi nè al
-suono delle campane, anzi cercava trattati, e co’
-suoi cavalieri sollecitava gli avversari di continova
-guerra: e in questi dì per trattato mise la sua
-cavalleria in Recanati, e racquistò la città alla
-Chiesa di Roma; e in quella, perch’era povera
-d’abitanti, mise gente assai a cavallo e a piè per
-far guerra a messer Malatesta, e per guardare
-la città più sicuramente.
-</p>
-
-<h3 id="cap43-4">CAP. XLIII.
-<span class="smaller"><i>Come il capitano di Forlì venne in Firenze.</i></span></h3>
-
-<p>
-Quello che al presente ci muove non è per lo
-fatto della propria persona degno di memoria, ma
-all’indiscreto movimento de’ rettori di Firenze a
-quel tempo, non senza ammirazione ci muove a ricordare
-come nel nostro contado venne messer
-Luigi marito della reina Giovanna figliuola del re
-Ruberto, ed egli figliuolo del prenze di Taranto
-fratello carnale del detto re Ruberto, stati sempre
-<span class="pagenum" id="Page_218">[218]</span>
-protettori del nostro comune, e il detto prenze
-capitano e conducitore delle nostre osti, avendo
-il loro reale sangue e la vita, nelle persone
-di messer Carlo loro fratello e di messer Piero
-figliuolo del detto re, sparto nelle nostre guerre,
-non dimenticata la memoria di cotanti servigi,
-gli fu vietato non tanto il venire nella nostra città
-senz’arme e senza compagnia di gente d’arme,
-ma lo stare nel nostro contado gli fu vietato;
-e i fratelli carnali e’ cugini tornando di prigione
-d’Ungheria, e domandando di volere fare
-loro diritto cammino per la nostra città, e per lo
-nostro contado a tornare nel Regno, fu loro vietato
-e contradetto il passo, ove si doveva con singulare
-festa e onore fargli ricevere e accompagnare:
-ma tanto fu il podere d’alquanti cittadini che
-allora governavano il comune, fortificandosi con
-non giusti nè veri sospetti, che contro al piacere
-degli altri cittadini ebbono podere di così
-fare. Il capitano di Forlì antico tiranno, sempre
-stato nemico di santa Chiesa e del nostro comune,
-caporale in Romagna di parte ghibellina, scomunicato
-e dannato da santa Chiesa, volendo andare
-a Pisa all’imperadore con grande compagnia di
-gente d’arme, fu nella nostra città ricevuto con
-disordinato e sobrabbondante onore, e convitato
-da’ signori e da altri cittadini stette in festa alcuni
-dì di suo soggiorno: poi volendo essere nella presenza
-dell’eletto imperadore a Pisa, non gli fu conceduto
-eziandio entrare in quella città, perch’era
-in indegnazione di santa Chiesa. Non è l’onore alcuna
-volta fatto al nemico da biasimare, ma molto
-pare cosa detestabile in luogo del debito onore
-<span class="pagenum" id="Page_219">[219]</span>
-a fidatissimi amici imporre sospetto e fare vergogna;
-alla matta ignoranza del vario reggimento
-della nostra città fu lecito di così fare a questa
-volta.
-</p>
-
-<h3 id="cap44-4">CAP. XLIV.
-<span class="smaller"><i>Come l’imperadore Carlo giunse a Pisa.</i></span></h3>
-
-<p>
-L’eletto imperadore diliberato delle mani de’ tiranni
-di Milano, avendo in sua compagnia il fratello
-naturale patriarca d’Aquilea, giunse alla città
-di Pisa domenica a dì 18 di gennaio, gli anni <i>Domini</i>
-1354 dalla sua incarnazione, in su l’ora della
-nona. Ed essendo i Pisani provveduti a fargli onore,
-gli andarono incontro con la processione del loro
-arcivescovo e di tutto il chericato, e con allegra
-festa i giovani vestiti a compagnie di nuove assise
-andavano armeggiando, e i rettori del comune
-con gli altri più maturi cittadini, e co’ soldati
-senz’arme gli si feciono incontro fuori della terra
-facendogli somma riverenza, e così tutto l’altro
-popolo a piè pieno d’allegrezza gli si fece incontro;
-e addestrato da’ loro cavalieri con ricco
-palio sopra capo, gridando il popolo viva l’imperadore,
-il condussono nella città. L’imperadore,
-vestito molto onestamente d’uno paonazzo
-bruno senza alcuno ornamento d’oro, o d’argento
-o di pietre preziose, andava con molta umilità
-salutando i grandi e’ piccoli, pigliando gli animi
-di molti forestieri che l’erano a vedere col suo
-benigno aspetto e umile portamento, e condotto
-alla chiesa cattedrale, reverentemente inginocchiato
-all’altare fece sue orazioni; e rimontato
-<span class="pagenum" id="Page_220">[220]</span>
-a cavallo, con grande allegrezza e festa fu
-condotto a’ nobili abituri de’ Gambacorti, ov’era
-il famoso giardino, e apparecchiato da’ detti
-Gambacorti le camere e le letta di nobilissimi
-adornamenti, e apparecchiate le vivande
-per la cena, e gli ostieri attorno per tutta la
-sua compagnia, fu con somma letizia consumata
-la prima giornata, verificandosi l’antico proverbio,
-che dice: gli stremi dell’allegrezza occupa
-il pianto, come seguendo appresso in questo
-processo dell’imperadore si potrà trovare.
-</p>
-
-<h3 id="cap45-4">CAP. XLV.
-<span class="smaller"><i>Come l’imperadore bandì parlamento in Pisa,
-e quello n’avvenne.</i></span></h3>
-
-<p>
-Lunedì vegnente a dì 19 di gennaio, volendo
-l’imperadore fare ragunare i cittadini a parlamento
-per ricevere il saramento della loro ubbidienza,
-mandò il bando da sua parte che tutti
-si ragunassono al duomo per la detta cagione,
-ed egli s’apparecchiò d’andare là. Il popolo mosso
-per lo bando si ragunava al duomo. Erano in
-questo tempo in Pisa due sette, l’una reggea
-lo stato del comune, della quale i Gambacorti
-e Cecco Agliati erano caporali, e costoro erano
-chiamati Bergolini, l’altra si chiamava la setta
-de’ Matraversi, e non erano confidenti al reggimento
-del comune, ed essendo venuto di Lombardia
-appresso all’eletto imperadore uno Paffetta
-della casa de’ Conti, il quale era de’ caporali
-della setta de’ Matraversi, costui con certi altri di
-<span class="pagenum" id="Page_221">[221]</span>
-quella setta disposti a rimuovere il reggimento
-della città, il quale l’eletto imperadore aveva
-a Mantova promesso di conservare e di mantenere,
-essendo egli già mosso per andare al parlamento,
-e valicato il ponte alla Spina, cominciato
-fu con gran romore per li Matraversi a dire,
-viva l’imperadore e la libertà, e muoia il
-conservadore. Udendosi nel romore la novità
-del conservadore, i grandi e’ piccoli cominciarono
-a sospettare per tema, e altri per mala industria,
-cominciò il popolo a correre all’arme.
-L’eletto sentendo questa novità, incontanente
-diede la volta, e avendo seco Franceschino Gambacorti,
-il quale era sindaco del comune a fargli
-il saramento, e con lui i soldati del comune,
-se ne venne al palagio degli anziani, e di là
-mandò bandi per la terra, e fece a’ cittadini porre
-giù l’arme, e racchetare il popolo; e lasciati
-i soldati del comune alcuna parte armati in segno
-di guardia, in quel giorno non si fece altra
-novità, e prolungossi il saramento che fare si
-dovea all’eletto imperadore.
-</p>
-
-<h3 id="cap46-4">CAP. XLVI.
-<span class="smaller"><i>Come l’imperadore di Costantinopoli
-racquistò l’imperio.</i></span></h3>
-
-<p>
-Del detto mese di gennaio, un’altro giovane Calogianni
-Paleologo imperadore di Costantinopoli,
-essendo, come addietro è narrato, dal suo suocero
-Mega Domestico balio dell’imperio per lui cacciato
-di quello, ed usurpato a se la signoria del
-<span class="pagenum" id="Page_222">[222]</span>
-detto imperio, aveva lui lungamente tenuto in
-esilio nel reame di Salonicco: il quale giovane
-imperadore avendo tenuto lungo trattato con certi
-de’ suoi baroni, i quali gli dicevano che procurasse
-di comparire a Costantinopoli, ed essendovi
-l’ubbidirebbono, costui povero d’avere e di
-gente, non trovando altro aiuto, si fece ad amico
-un gentile uomo di Genova ch’era ricco in quel
-paese, il quale co’ suoi danari e con l’industria
-della sua persona segretamente il condusse in Costantinopoli;
-ed essendo nella città, fu manifestato
-a’ baroni con cui era in trattato, i quali di presente
-gli feciono braccio forte, e sommossono il
-popolo, che il desiderava come loro diritto imperadore;
-e presa l’arme, combattendo il castello
-della signoria, Mega Domestico usurpatore dell’imperio,
-male provveduto di questo caso, come
-Iddio volle si fuggì di Costantinopoli, e il giovane
-a cui si dovea l’imperio di ragione rimase imperadore,
-e il suocero per paura si rendè calogo
-cioè eremita. E stando in quello stato da non
-prender guardia di lui, trattava col figliuolo e
-co’ suoi amici d’abbattere l’imperadore, e scoperto
-il trattato si fuggì, e cambiato abito, accolse
-gente, e cominciò a guerreggiare in alcuna
-parte l’imperio, con lieve aiuto di sbanditi e di
-ribelli. L’imperadore per rimunerare il servigio
-ricevuto dal Genovese, ch’aveva nome messer ... li
-diede l’isola di Metelino, e la sirocchia
-per moglie, ed ebbelo continovo al suo consiglio.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_223">[223]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap47-4">CAP. XLVII.
-<span class="smaller"><i>Come i Matraversi di Pisa feciono
-muovere l’imperadore.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornando alla materia de’ Pisani, il martedì a dì
-20 di gennaio del detto anno si ragunarono in Pisa
-col Paffetta assai della setta de’ Matraversi, e con
-loro gran parte d’un’altra nuova setta che si diceano
-i Malcontenti, e in compagnia s’appresentarono
-dinanzi all’eletto imperadore, e con
-grande istanza il richiesono e pregarono, che per
-bene e contentamento del comune dovesse prendere
-a se il saramento de’ loro soldati, che i cittadini
-erano malcontenti che i suoi soldati fossono
-all’ubbidienza di due privati cittadini, ciò era
-Franceschino Gambacorti e Cecco Agliati: e
-Cecco Agliati per alcuna invidia presa, vedendo
-che a’ bisogni i soldati andavano più a Franceschino
-che a lui, sentendo questo movimento andò
-all’imperadore, e disse, che dicevano bene,
-e che per se era contento che così si facesse. L’eletto
-imperadore vedendo che il movimento di
-costoro s’accostava alla sua volontà, quanto che
-ciò fosse contro a’ patti promessi, sott’ombra di
-volere racquetare la contenzione del comune, e
-levare materia agli scandali già mossi, andò al
-palagio degli anziani, e ivi fatti ragunare i soldati
-del comune a cavallo e a piè, prese il saramento
-da loro, e cominciò a venir meno allo stato che
-reggeva della sua promessa, e a dare baldanza a’
-suoi avversari; ma per non dimostrare che così
-<span class="pagenum" id="Page_224">[224]</span>
-tosto avesse loro rotti i patti, argomentò, e fecene
-capitani Franceschino Gambacorti e Cecco
-Agliati alla sua volontà. La cosa era già condotta
-in termini che dire non s’osava contro a cosa che
-facesse, nè ricordare i patti promessi, ma catuno
-dimostrava essere contento a ciò che facesse per
-accattare la sua benivolenza.
-</p>
-
-<h3 id="cap48-4">CAP. XLVIII.
-<span class="smaller"><i>Come procedettono i fatti in Pisa.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avvedendosi i Gambacorti e i loro seguaci che
-l’eletto assentiva di grado le novità che moveano
-i loro avversari, e non vi volea mettere riparo, conobbono
-che il loro stato si veniva abbattendo, e
-non vi poteano riparare con alcuno salutevole
-consiglio. E però vedendosi a mal partito, strignendosi
-insieme, per lo meno reo presono di volere
-essere motori, innanzi che fatto venisse alla
-setta contraria a loro di dare la libera signoria
-del comune all’imperadore, pensando che per i
-patti egli era loro obbligato, e per questa libertà
-sarebbe più: e così deliberati furono all’eletto, e
-con belle e riverenti parole dissono, ch’aveano
-provveduto, per levare gli scandali della città di
-Pisa e del suo contado e distretto, darli la signoria;
-l’imperadore che per via indiretta cercava questo,
-si mostrò molto contento, e di presente prese
-la signoria, e levò le guardie dalle porte che v’avevano
-i Pisani e mise vi la sua gente, e il dì e la
-notte faceva guardare la terra alla sua cavalleria
-tanto che vi fosse più forte, e l’entrate del comune
-<span class="pagenum" id="Page_225">[225]</span>
-recò a sua stribuizione, e mandò bando da
-sua parte, che chi si sentisse offeso del tempo
-passato, o per l’avvenire, andasse per giustizia
-a lui e alla sua corte, dicendo, che intendea
-che l’agnello pascesse allato al lupo senza lesione
-o paura. Tutto questo processo per la fretta
-delle sette e per la volontà dell’imperadore,
-sotto ombra di volere conservare il comune in
-pacifico stato, fu aoperato di fatto, senza deliberazione
-di comune consentimento.
-</p>
-
-<h3 id="cap49-4">CAP. XLIX.
-<span class="smaller"><i>Come gli ambasciadori del comune di Firenze
-andaro all’imperadore.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il comune di Firenze avendo lungamente praticato
-con quello di Siena e di Perugia per la
-comune libertà del reggimento delle dette città,
-e trovato che i Perugini si poteano diliberare dalla
-suggezione dell’imperio, sotto titolo d’essere
-uomini di santa Chiesa, nondimeno di loro
-consiglio s’unirono insieme co’ Sanesi a dovere
-seguitare uno sì e uno nò nel cospetto dell’imperadore
-a mantenere loro stato e la franchigia
-de’ loro comuni; e avendo presa questa
-concordia, i Fiorentini ch’aveano eletti sei cittadini
-d’autorità a questo servigio, gl’informarono
-della volontà del loro comune, dicendo, che
-i Sanesi seguirebbono quello medesimo, secondo
-la promessa ch’aveano dall’ordine de’ nove,
-che governava e reggeva quello comune; ed
-avendo i capitoli scritti della loro commissione,
-<span class="pagenum" id="Page_226">[226]</span>
-a dì 22 di gennaio si partirono di Firenze vestiti
-d’un’assisa tutti di doppi vestimenti, l’uno di
-fine scarlatto, l’altro di fine mescolato di borsella,
-con ricchi adornamenti, e con otto famigli a
-cavallo per uno tutti vestiti d’un’assisa, e nel
-cammino attesono più giorni gli ambasciadori
-perugini e’ sanesi per comparire tutti insieme
-nella presenza dell’imperadore, come ordinato
-era, sperando dovere impetrare ogni loro domanda
-con la benevolenza del signore, ove i Sanesi
-tenessono la fede promessa a’ Fiorentini e a’ Perugini,
-la qual cosa venne mancata per la corrotta
-intenzione de’ Sanesi, come poco appresso racconteremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap50-4">CAP. L.
-<span class="smaller"><i>Di novità stata in Montepulciano.</i></span></h3>
-
-<p>
-Mercoledì notte a dì 21 di gennaio, messer
-Niccolò de’ Cavalieri uscito di Montepulciano, avendo
-trattato co’ suoi amici ch’erano nel castello,
-accolti dugento cavalieri e cinquecento fanti,
-essendogli aperta una porta, entrò nel castello; i
-Sanesi ch’aveano la rocca e la guardia di Montepulciano,
-sentendo messer Niccolò e la sua
-gente entrati dentro, francamente con certi terrazzani
-che non erano nel trattato abbarrarono
-la terra, e intendevano alla difesa, ma poco sarebbe
-loro valuto, se non che per caso avvenne,
-che per altra cagione in Montefollonico ivi vicino
-erano venute masnade di Sanesi, i quali sentendo
-lo stormo di Montepulciano di presente
-<span class="pagenum" id="Page_227">[227]</span>
-furono là al soccorso de’ loro; e aiutato sostenere
-la battaglia e difendere la terra infino al vespero,
-vedendo messer Niccolò e i terrazzani ch’erano
-con lui che non poteano rompere gli avversari,
-e che il giorno declinava verso la notte, temette
-che nel soprastare maggior gente de’ Sanesi
-non li sorprendesse, presono partito d’ardere la
-terra, e andarsene: e mettendo prima catuno
-fuoco nella sua casa, e appresso nell’altre, e affocato
-ogni cosa, abbandonarono la terra: e intrigati
-que’ d’entro a riparare al fuoco non li poterono
-seguire, e però si ricolsono a salvamento; e
-per l’abbondanza del fuoco messo in molte parti,
-senza potersi riparare arse dalla rocca del sasso
-in giù tutta quanta, con gran danno de’ terrazzani.
-</p>
-
-<h3 id="cap51-4">CAP. LI.
-<span class="smaller"><i>Come le sette di Pisa si pacificarono insieme.</i></span></h3>
-
-<p>
-A’ 23 di gennaio 1354, avendo l’imperadore
-recato a se la guardia e la libera signoria di Pisa,
-e messi i Tedeschi in luogo de’ cittadini alla guardia,
-e già cominciando a prendere per loro, e volere
-per loro alberghi le case de’ buoni cittadini
-di Pisa e le loro masserizie, per paura di peggio
-catuna setta si ragunò a casa degli anziani: e vedendosi
-insieme, catuno dicea, che per le loro discordie
-e disordinati movimenti l’imperadore avea
-presa la guardia e la signoria di Pisa contro
-a’ patti, e senza la deliberazione del comune, e
-dimostrarono in quello consiglio quanto male poteva
-<span class="pagenum" id="Page_228">[228]</span>
-seguire alla patria per le loro discordie; e
-ivi gli animi avvelenati da catuna parte cominciarono
-a dissimulare, e mostrare di volere tra
-loro concordia, e gli anziani in quello stante elessono
-dodici cittadini di catuna parte, i quali
-ragunati insieme, senza contasto terminarono
-che ogni dissensione tornasse a unità e concordia.
-E avuto consiglio con molti cittadini, feciono
-fare pace a coloro ch’aveano briga insieme,
-e quelli che discordavano per cagione di sette
-si mostrarono a quella volta d’uno volere, e di
-concordia elessono ventiquattro, dodici di catuna
-parte, che riformassono la terra degli ufici
-e’ reggimenti a volontà dell’imperadore; e così
-ferma la concordia fra loro andarono insieme
-all’imperadore, il quale avea già cassi i soldati
-borgognoni e italiani del comune di Pisa, e in
-loro luoghi condotti de’ suoi tedeschi, e fattili
-giurare a se. Venuti i Pisani nella presenza dell’imperadore,
-con belle e savie parole li feciono
-intendere la loro pace e la loro concordia. L’imperadore,
-nonostante quello ch’avea inteso
-da’ dicitori, fece domandare il popolo se così era
-di loro volere, e tutti gridando risposono di sì;
-allora l’imperadore scusò se, dicendo, che quello
-ch’avea fatto non era stato di suo movimento
-nè per sua volontà, ma le discordie e i romori
-mossi e fatti nel suo cospetto l’aveano fatto temere
-del suo onore e del pericolo della città, e
-però avea presa la guardia; ora molto allegro
-della loro pace e concordia restituiva la guardia
-della città al comune e gli ufici a’ cittadini; e
-di presente colla sua autorità confermò i ventiquattro
-<span class="pagenum" id="Page_229">[229]</span>
-eletti a riformare la terra, pregando e
-comandando loro che facessono buona e comune
-elezione agli ufici de’ loro cittadini, sicchè alcuno
-non si potesse con ragione rammaricare: ma le
-chiavi delle porte della città non volle però rendere
-agli anziani. E chi bene riguarderà questo
-processo, troverà per astuto ingegno abbattuto
-lo stato di coloro che reggevano, e forse darà fede
-a una fama che corse, che tutto ciò ch’è avvenuto
-fosse ordinato con l’imperadore per lo Paffetta
-capo de’ Matraversi fino in Lombardia.
-</p>
-
-<h3 id="cap52-4">CAP. LII.
-<span class="smaller"><i>Come Gentile da Mogliano si ritolse la città
-di Fermo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornando nella fontana de’ tradimenti nella
-Romagna e nella Marca, ci occorre Gentile da
-Mogliano, il quale per dare più certa fede de’ suoi
-futuri tradimenti, s’era comunicato col cardinale
-all’altare del corpo di Cristo quando rendè la
-città di Fermo a santa Chiesa, e fu fatto gonfaloniere
-per lo detto legato contra i nemici di santa
-Chiesa di Roma, e capitano della gente della Chiesa
-contro a messer Malatesta da Rimini ch’era suo
-nemico capitale, e mandò il legato, com’era in
-convegna con Gentile, gente d’arme a cavallo e
-a piè per ricevere la tenuta della rocca e fornirla,
-e mandò per loro contanti fiorini d’oro ottomila
-per dare a Gentile, come gli avea promessi
-quando consegnasse la rocca. In questi medesimi
-dì, innanzi che le cose avessono il suo effetto,
-<span class="pagenum" id="Page_230">[230]</span>
-messer Malatesta s’avvisò non potere resistere
-contro al legato avendo seco Gentile da Mogliano
-e la città di Fermo; e ’l capitano di Forlì,
-quanto che fosse nemico di messer Malatesta, s’accorse,
-che acquistando la Chiesa sopra messer
-Malatesta, la piena verrebbe poi sopra lui, e però
-incontanente fece sapere a messer Malatesta, che
-volea dimenticare l’ingiurie ricevute, ed essere
-suo amico, e senza attendere risposta, con molta
-confidanza se n’andò a lui, il quale veggendo
-la liberalità del capitano il ricevette amichevolemente;
-e ragionando insieme, conobbono il pericolo
-del loro stato, e che rimedio non avea
-se non della loro concordia e di Gentile da Mugliano:
-e presa fede da messer Malatesta che farebbe
-pace con Gentile, e che gli renderebbe il
-porto di Fermo, di presente mandò messer Lodovico
-suo figliuolo cognato di Gentile a ordinare
-che tradisse il legato e santa Chiesa: e perocchè
-la natura di que’ tiranni è molto conforme
-a’ tradimenti, con poca fatica recò Gentile al
-fatto; e udita la promessa di messer Malatesta,
-e vedendosi acconcio a potere tradire, tutto l’onore
-ricevuto dal legato, e la speranza di quelli che
-gli si apparecchiavano, e ’l saramento prestato
-nella comunione a santa Chiesa mise per niente,
-e fu tanto sfacciato, ch’essendo già venute in
-Fermo le some de’ soldati del legato con parte
-della gente, fece cercare se i danari vi fossono che
-il legato mandava per la rocca, e per avventura
-erano ancora fuori della terra; e temendo de’ cittadini,
-che volentieri erano usciti della sua tirannia,
-mostrando di volere fare ciò ch’avea promesso,
-<span class="pagenum" id="Page_231">[231]</span>
-occultamente racchiuse nella rocca messer
-Lodovico con dugento cavalieri, e del mese
-di gennaio, essendo molti cittadini fuori della
-terra a una certa festa, scesono improvviso della
-rocca nella città gridando, viva Gentile da
-Mogliano, e muoia la parte della Chiesa, e corsono
-a serrare le porti, e i soldati che dentro v’erano
-per la Chiesa mandarono fuori. La gente
-del legato uscita di Fermo, e l’altra ch’era fuori,
-temendo per lo subito e non pensato tradimento,
-si ricolsono a Recanati: e fornito Gentile il
-suo tradimento, e fatto pace con messer Malatesta,
-e riavuto il porto di Fermo, tutti e tre i tiranni
-ribelli a santa Chiesa si collegarono insieme contro
-al legato, ma egli con grande animo per questo
-non si smagò, ma prese cuore d’abbatterli,
-come infine fatto gli venne.
-</p>
-
-<h3 id="cap53-4">CAP. LIII.
-<span class="smaller"><i>Come gli ambasciadori de’ Fiorentini
-e’ Sanesi furono ricevuti
-dall’imperadore.</i></span></h3>
-
-<p>
-A dì 29 di gennaio detto, gli ambasciadori del
-comune di Firenze, in compagnia con gli ambasciadori
-di Siena, entrarono in Pisa, e andarono
-a fare la riverenza all’imperadore, e con loro furono
-ancora gli ambasciadori del comune d’Arezzo:
-(quelli del comune di Perugia, perocchè si voleano
-appresentare come uomini di santa Chiesa,
-non vollono andare con loro): e come giunsono
-all’imperadore, trovarono accolti con lui tutti i
-<span class="pagenum" id="Page_232">[232]</span>
-suoi baroni, ed entrando gli ambasciadori de detti
-comuni, i baroni avvallarono i cappucci, e l’imperadore
-e’ suoi li ricevettono con molta festa
-e allegrezza: e volendo baciare i piedi all’imperadore,
-nol sofferse: e ricevuta la riverenza da
-tutti, con singolare dimostramento d’amore
-prese per mano degli ambasciadori di Firenze, e
-feceseli tutti sedere allato, e tale fu ch’egli abbracciò
-e baciò in bocca per mostrare che contro
-a lui non avesse preso sdegno, sapendo ch’altra
-volta tornato a Firenze dalla Magna avea
-sparlato contro a lui; e festeggiando con tutti allegramente,
-domandarono giornata per sporre la
-loro ambasciata, e fu data loro per lo seguente
-giorno.
-</p>
-
-<h3 id="cap54-4">CAP. LIV.
-<span class="smaller"><i>Come i Sanesi scopriro la loro corrotta fede
-contro a’ Fiorentini.</i></span></h3>
-
-<p>
-L’altro dì vegnente, a dì 30 di gennaio detto,
-gli ambasciadori del comune di Firenze vestiti di
-scarlatto foderato di vaio con adorni paramenti,
-con gli ambasciadori de’ Sanesi insieme, ch’erano
-de’ maggiori cittadini di quella città, s’appresentarono
-alla presenza dell’imperadore e del
-suo consiglio: e avendo voluto i Fiorentini che con
-loro insieme fossono gli ambasciadori d’Arezzo,
-i Sanesi ch’avevano la mente corrotta contro a’
-Fiorentini nol vollono acconsentire, perchè i
-Fiorentini a quel parlamento non avessono chi
-li seguisse. E cominciando gli ambasciadori fiorentini
-a sporre l’ambasciata com’era loro imposto,
-<span class="pagenum" id="Page_233">[233]</span>
-per dimostrare più franchezza del loro comune,
-usarono parole di debita reverenza alla
-maestà imperiale, dicendo <i>santa corona</i>, e poi
-conseguendo <i>serenissimo principe</i>, senza ricordarlo
-imperadore, o dimostrargli alcuna riverenza di
-suggezione, domandando che il comune di Firenze
-volea, essendogli ubbidiente, le cotali e cotali
-franchigie per mantenere il suo popolo nell’usata
-libertà, e avendo tutto detto come fu loro
-commesso, conchiusono la loro reverenza con
-poco onore della maestà imperiale, della qual
-cosa seguitò poco onore a’ rettori di Firenze
-da cui mosse quello consiglio. Di questo nacque
-tra i baroni e’ consiglieri dell’imperadore, e
-massimamente tra coloro che per animo di parte
-erano contradi al comune di Firenze, sdegno e
-baldanza di parlare contro al nostro comune, e
-se l’imperadore, e il patriarca, e il vececancelliere
-non avessono avuta più temperanza che gli
-altri del consiglio, i fatti con la consequenza de’
-Sanesi, che in quello consiglio ingannarono il comune
-di Firenze, andavano a rovescio con molto
-sdegno da catuna parte, ma il savio signore con
-temperanza conobbe quanto pericolo al suo stato
-portava a non rimanere in concordia col comune
-di Firenze, e però sostenne, magnificando quel comune,
-e mostrando verso quello volere fare quanto
-onestamente potesse fare, non guardando troppo
-all’onore imperiale: e ordinò di tornare con
-più diligenza altra volta a trattare co’ detti ambasciadori,
-e il suo consiglio ripremette d’ogni oltraggioso
-parlamento quivi fatto. Dopo questo, gli
-ambasciadori sanesi, ch’aveano altro in cuore
-<span class="pagenum" id="Page_234">[234]</span>
-che non aveano promesso a’ Fiorentini, lieti della
-poca riverenza fatta all’imperadore per gli ambasciadori
-fiorentini, parendo loro venuto il tempo
-che i loro rettori con coperta malavoglienza
-lungamente aveano aspettato, credendosi col loro
-tradimento abbattere e disfare il comune di Firenze,
-partendosi da quello che in fede aveano
-promesso al nostro comune, cominciarono a sporre
-innanzi all’imperadore, e al suo consiglio, e
-agli ambasciadori del comune di Firenze la loro
-ambasciata, magnificando con ornato sermone
-la serenità della maestà imperiale, chiamandolo
-loro signore, e senza alcuno patto offersono quello
-comune liberamente alla sua signoria, con le
-più magnifiche lode che pronunziare si possono,
-e con le più libere offerte, pensando di questo
-rimanere esaltati e grandi, e aver messo in fondo
-il comune di Firenze. Onde l’imperadore
-graziosamente e con lieto volto ricevette e accettò
-l’offerte di quello comune, e gli ambasciadori
-commendò molto del loro onorevole parlare,
-in onesta riprensione di coloro che con
-meno reverenza aveano parlato all’imperiale maestà.
-Ma perocchè l’intenzione dell’ordine de’
-nove di Siena infino a quello punto era stata
-occulta a molti grandi cittadini di Siena e al comune
-di Firenze, cominciata a palesare ne’ fatti,
-ebbe ravvolgimenti, e seguironne cose assai
-notevoli, come al suo tempo innanzi racconteremo:
-ricordando qui, che come a Dio piacque, l’ordine
-de’ nove, che questo tradimento ordinarono,
-ne fu abbattuto e disfatto, e il comune di
-Firenze n’è esaltato in maggiore e migliore stato.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_235">[235]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap55-4">CAP. LV.
-<span class="smaller"><i>De’ falli commessi per lo comune di Firenze,
-e degl’inganni ricevuti da’ suoi vicini.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avvegnachè quello che seguita non sia cosa
-notevole, concedesi al nostro trattato per ammaestramento
-delle cose a venire. I rettori del comune
-di Firenze sentendo passato in Italia l’imperadore
-e coronato a Moncia, per loro non si fe’
-alcuna provvisione in utilità o beneficio del nostro
-comune; stando egli lungamente a Mantova
-nel lieve stato che v’era, se il nostro comune
-v’avesse mandato a dargli conforto, ciò che avessono
-voluto avrebbono di grazia impetrato da lui,
-ove poi con pericolo e con gran costo s’accordarono
-con lui, come seguendo si potrà trovare. E ancora
-lasciarono per matta ignoranza a provvedere
-d’arrecare alla loro volontà e disposizione tutte
-le città e castella e terre vicine, le quali lievemente
-con alquanta provvedenza arebbono recato
-a dire e a fare quello che il comune di Firenze
-avesse voluto, ove in sul fatto catuna terra e
-castello senza richiesta del comune di Firenze
-prese suo vantaggio, non senza pericolo del nostro
-comune; la diligenza e la sollecitudine de’
-nostri rettori fu abbandonata al corso della fortuna,
-come per antico vizio degli uomini del
-nostro comune è consueto, perocchè non è chi si
-curi di patrocinare lo stato e la provvedenza del
-nostro comune: e i rettori, c’hanno poco a fare
-all’uficio, intendono più alle loro private cose
-<span class="pagenum" id="Page_236">[236]</span>
-che a’ beneficii del comune, e però più lo conduce
-fortuna che provvedimento, ma molto l’aiuta
-Iddio, e gli ordini dati alla grande massa
-del comune per i nostri antichi maggiori. E in
-questo tempo per questa cagione avvenne, che i
-Sanesi non si curarono di rompere in sul fatto
-la fede a’ Fiorentini: e i Volterrani, sentendo l’offerte
-fatte pe’ Sanesi, anch’eglino si diedono liberamente
-all’imperadore contro al volere de’
-Fiorentini; e i Pistoiesi contro al volere de’ Fiorentini,
-e senza con loro conferirne vi mandarono
-ambasciadori per darlisi: ma sentendo che il
-comune di Firenze si turbava contro a loro, si rattennono
-della libera profferta, e soprastettono più
-per paura che per amore: e’ Samminiatesi cominciarono
-segretamente, coprendosi a’ Fiorentini,
-di darsi liberamente all’imperadore, e trovando
-tra loro concordia, prima l’ebbono fatto
-ch’e’ Fiorentini vi potessono riparare; e se non
-fosse che i rettori d’Arezzo temeano forte de’ Tarlati
-loro usciti e de’ ghibellini d’entro, avendosi
-veduti a stanza de’ Sanesi abbandonare da’ Fiorentini
-nella presenza dell’imperadore, si sarebbono
-dati come gli altri, non curandosi del
-Comune di Firenze, ma per loro medesimi sostennono
-la libertà di quello comune, essendo
-forte impugnati da’ Tarlati Pazzi e Ubertini
-loro ribelli ch’erano con l’imperadore. E avvedutisi
-gli ambasciadori fiorentini dell’inganno
-de’ Sanesi, e di quello ch’aveano fatto i Samminiatesi
-e’ Volterrani, cominciarono a parlare
-per gli Aretini e per i Pistoiesi; l’imperadore per
-sua industria non li sostenne, ma disse la parola
-<span class="pagenum" id="Page_237">[237]</span>
-del Vangelo: <i>aetatem habent ipsi, de se loquantur</i>,
-e non lasciò dar loro audacia o favore;
-e così per difetto di mala provvedenza, i Fiorentini
-de’ loro propri fatti, e di quelli che s’appartengono
-alla guardia de’ loro vicini, furono più e
-più giorni a pericoloso partito, e in grande ripitio
-degli altri cittadini.
-</p>
-
-<h3 id="cap56-4">CAP. LVI.
-<span class="smaller"><i>Di molti Alamanni venuti alla coronazione
-dell’imperadore.</i></span></h3>
-
-<p>
-Stando l’imperadore a Pisa ne’ trattati colle
-città e comuni di Toscana, come detto è, innanzi
-che i sindachi fossono venuti a fermare le suggezioni,
-la novella della sua coronazione da Moncia,
-e dell’avvenimento da Pisa, era sparta in Alamagna
-e nel suo reame di Boemia, e come le
-città d’Italia erano senza guerra acconce alla sua
-ubbidienza: e per questo l’imperatrice si mosse
-con mille cavalieri di buona gente d’arme e
-molti baroni a sua compagnia per venire a Pisa,
-e per simile modo molti prelati e grandi signori
-della Magna di diverse provincie si mossono,
-catuno con grande compagnia, per venire in Italia
-per essere alla sua coronazione a Roma, e
-in breve tempo giunsono a Pisa l’imperatrice e
-più di quattromila cavalieri della più bella
-e ricca baronia del mondo, bene montati, e
-con nobili paramenti, e molti arnesi, ma con
-lieve armadura, e molti ne vennono per la nostra
-città, albergandone seicento e settecento
-<span class="pagenum" id="Page_238">[238]</span>
-per notte, ove con cortese e buona guardia
-onorevolmente furono veduti e albergati. L’imperatrice
-volea di grazia venire per Firenze, ma
-perocchè ancora per lo nostro comune non era
-presa fermezza d’accordo con l’imperadore, temendo
-che l’ignorante e indiscreto popolo minuto
-non movesse parole villane contro a’ forestieri
-essendo l’imperadrice nella città, o contro
-i rettori del nostro comune, per lo meno reo e
-più sicuro fu diliberato e preso, che con grande
-compagnia o piccola ella non venisse nella città
-di Firenze.
-</p>
-
-<h3 id="cap57-4">CAP. LVII.
-<span class="smaller"><i>Di novità della Marca per Recanati.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Malatesta da Rimini, e il capitano di
-Forlì, e Gentile da Mogliano, collegati insieme
-contro al legato, sentendo che i signori di Milano
-aveano tregua con gli allegati Lombardi, e
-catuno stava sospeso per cagione dell’imperadore,
-aveano cassi cento bandiere di soldati,
-e perchè non tornassono loro addosso per via di
-compagnie non li lasciavano partire del loro
-distretto se non per la via della Magna: e per
-questo li ritennono a manicare sopra la pelle
-più d’un mese, e molti se ne tornarono nella
-Magna, perocch’erano tutti Tedeschi, e quando
-gli ebbono assottigliati, concedettono al
-resto la via per la Lombardia, i quali senza
-arresto improvviso giunsono in Romagna: e arrestati
-quivi senza far danno da millecinquecento
-barbute, i tiranni sopraddetti romagnuoli s’accolsono
-<span class="pagenum" id="Page_239">[239]</span>
-con loro, e fatto loro alcuno aiuto di loro
-danari, e promesse d’una buona terra dove potrebbono
-vernare ad agio, li condussono a Recanati,
-pensando per forza poterla vincere e
-racquistare. Il legato ammaestrato de’ fatti della
-guerra e de’ baratti de’ suoi avversari, avendo per
-suo capitano di guerra messer Ridolfo da Camerino,
-pro’ e valente cavaliere, avea fatta guernire
-di gente d’arme da cavallo e da piè la città di Recanati:
-sicchè sopravvenendo i tiranni con quella
-cavalleria, e sforzandosi di combatterla, la trovarono
-sì guernita alla difesa, che ne perderono
-tosto ogni speranza: e non potendovi soprastare,
-con vergogna se ne partirono tornandosi addietro.
-</p>
-
-<h3 id="cap58-4">CAP. LVIII.
-<span class="smaller"><i>Come la gran compagnia del conte di Lando
-entrò nel Regno.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo per l’avvenimento dell’imperadore in
-triegua i fatti di Lombardia, la gran compagnia
-del conte di Lando era tornata nella Marca: e ricordandosi
-che l’anno dinanzi il re Luigi non avea
-mandato loro quarantamila fiorini d’oro ch’egli
-avea promessi, e sentendo che il duca di Durazzo
-e il conte Paladino erano in rubellione della
-corona, ed erano contenti che la compagnia entrasse
-nel Regno, nondimeno il conte di Lando,
-perchè il re non si provvedesse contro a loro, tenea
-trattato d’accordarsi al soldo della Chiesa:
-ma non gli era bisogno, che ’l traccurato re era
-stato assai dinanzi avvisato dall’imperadore e
-<span class="pagenum" id="Page_240">[240]</span>
-da più altri che si provvedesse, che di certo la grande
-compagnia dovea entrare nel Regno, e la provvigione
-che di ciò fatta era, era di stare continovo
-in danzare e in festa colle donne: e però la detta
-compagnia facendo la via della marina d’Abruzzi,
-senza trovare contasto o riparo entrò nel Regno: e
-nella prima entrata presono Pescara, e Villafranca,
-e san Fabiano, e trovandoli pieni di vittuaglia
-e d’arnesi si dimorarono in essi fino al marzo,
-recando in preda ciò che venne loro alle mani,
-scorrendo le contrade d’intorno. E d’altra parte
-il conte Paladino, con trecento cavalieri e molti
-masnadieri, in questo medesimo tempo correva
-predando le terre di Puglia, facendo noia e danno
-assai a’ paesani; e avvegnachè messer Luigi
-di Durazzo non si scoprisse in questi fatti, tutto
-si riputava che fosse di suo consentimento e volontà.
-Il re facea fortificare le terre alla difesa contro
-alla compagnia, e confortavali che si guardassono
-bene per non cadere nelle mani de’ predoni:
-altro aiuto non dava loro, che non n’era provveduto
-nè fornito di poterlo fare.
-</p>
-
-<h3 id="cap59-4">CAP. LIX.
-<span class="smaller"><i>Come l’imperadore andò a Lucca.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo stato l’imperadore in Pisa, e lasciato
-fare a’ cittadini le novità che narrate avemo,
-stimando che quelle divisioni fossono favorevoli
-alla sua signoria, e in iscusa a’ patti rotti, intra’
-quali era la suggezione di Lucca, già immaginandone
-<span class="pagenum" id="Page_241">[241]</span>
-alcuna cosa a sua utilità, volle andare a vedere
-la città, e a dì 13 di febbraio anno detto
-si mosse con piccola compagnia di gente d’arme,
-e stettevi quel dì e l’altro, e prendendo
-la riverenza da’ cittadini, il pregavano della loro
-libertà. Il savio e avveduto imperadore, volendo
-compiacere a’ Pisani e mostrare di volere
-mantenere i patti, quanto che altro avesse nell’animo,
-disse, com’e’ sapeva che i cittadini
-di Lucca erano stati per lungo tempo ribelli all’imperio,
-e però li reputava degni di quello ch’avevano
-ricevuto: e confortandoli disse, che
-comportassono con pazienza quello che sosteneano
-per penitenza del peccato commesso, tanto
-che meritassono la liberazione: e nell’agosto
-lasciò que’ medesimi cittadini che i Pisani v’aveano
-deputati alla guardia, e non rimosse uficiali
-nell’ordine di quel reggimento in alcuna parte,
-e l’altro dì se ne tornò a Pisa.
-</p>
-
-<h3 id="cap60-4">CAP. LX.
-<span class="smaller"><i>Come al Galluzzo nacque un fanciullo
-mostruoso.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo mese di febbraio nacque presso a
-Firenze in un luogo che si chiama il Galluzzo,
-a uno barbiere, un fanciullo mostruoso e diminuto,
-che ’l viso era come di vitello con gli occhi
-bovini, e dove doveano essere i bracci, dagli
-omeri delle spalle uscivano due branche quasi
-come d’una botta, da ogni parte la sua, e
-avea il corpo e la natura umana senza coscie:
-<span class="pagenum" id="Page_242">[242]</span>
-ma dove le coscie dall’imbusto doveano discendere,
-uscivano due branche da catuno lato una, ravvolte
-che non aveano comparazione: e’ vivette
-parecchie ore, e appresso morì, lasciando ammirazione
-di se. Ma di questo e degli altri corpi
-umani nati mostruosi nella nostra città non potemmo
-comprendere che fosse vestigio o pronosticatori
-d’alcuni accidenti, come credeano gli
-antichi, ma gli sconci e disonesti peccati spesso
-sono cagione di mostruosi nascimenti, e alcuna
-volta l’empito delle costellazioni.
-</p>
-
-<h3 id="cap61-4">CAP. LXI.
-<span class="smaller"><i>De’ fatti di Siena con l’imperadore.</i></span></h3>
-
-<p>
-Era per lunghi tempi governato il reggimento
-della città di Siena per l’ordine de’ nove, il
-quale era ristretto in meno di novanta cittadini
-sotto certo industrioso inganno: perocchè quando
-il tempo veniva di fare i loro generali squittini,
-acciocchè ogni degno cittadino popolare entrasse
-nell’ordine de’ nove, coloro ch’aveano già usurpati
-gli ufici si ragunavano segretamente in una
-chiesa, e ivi disponevano d’alcuni cui voleano
-che rimanessono nell’ordine, fermandoli tra loro
-per saramento, e prometteano tutti dare a’
-detti le loro boci co’ lupini neri, e tutti gli altri
-ch’andavano allo squittino, ch’erano molti
-buoni e degni cittadini, li riprovavano co’ lupini
-bianchi, sicchè l’ordine non crescea più
-che volessono, nè alcuno v’entrava che tra loro
-prima non fosse deliberato: per la qual cosa erano
-<span class="pagenum" id="Page_243">[243]</span>
-in odio a tutti gli altri popolani, e a gran
-parte de’ nobili con cui non s’intendeano. Eranvi
-certi che manteneano questa setta, e guidavano
-il comune com’e’ voleano; costoro furono
-quelli che con loro tradimento credettono abbattere
-il comune di Firenze, e disfare sua franchigia
-e reggimento con la forza dell’imperadore,
-ed esaltare loro, sottomettendo la libertà
-del loro comune alla libera signoria dell’imperio,
-come poco addietro abbiamo narrato: avvenne,
-che manifestata in Siena l’intenzione de’ loro
-rettori, strana all’intenzione de’ Fiorentini e della
-maggior parte de’ loro cittadini grandi e popolani,
-essendo mandato per gli ambasciadori al
-comune di Siena che facessono il sindaco a fare la
-sommissione, la cosa cominciò a intorbidare gli
-animi de’ cittadini, e a impedirsi il sindacato con
-grandi ripitii de’ loro rettori e dell’ordine de’ nove
-che questo aveano fatto, e fu la città in grave
-sospetto di ravvolgimento e di romore, e tutte
-le case de’ grandi feciono ragunata di gente d’arme.
-L’imperadore in Pisa volea che gli ambasciadori
-sanesi facessono la sommessione ch’aveano
-promessa di fare, e per questa cagione
-avea fatto bandire il parlamento. Allora uno
-degli ambasciadori ch’era della casa de’ Tolomei
-disse a’ compagni, che non intendea senza
-nuovo sindacato palese a’ suoi cittadini fare quella
-sommessione: e per questo traendosene catuno
-addietro, la cosa soprastette, e rimandarono
-a Siena: di che l’imperadore ebbe malinconia
-e gran sospetto, e tutti i dì di questo aspetto
-stette rinchiuso senza dare alcuna udienza o
-<span class="pagenum" id="Page_244">[244]</span>
-mostrarsi ad alcuno. I grandi cittadini di Siena
-conoscendo il gran pericolo che occorrere poteva
-al loro comune ribellandosi della promessa
-fatta all’imperadore, e avendo fatto conoscere all’ordine
-de’ nove e al popolo, che senza loro volontà
-non aveano podere di darsi all’imperadore,
-a dì 26 di febbraio ragunato il parlamento,
-per volere piacere non meno al minuto popolo,
-ch’era imperiale, che all’ordine e alla
-setta de’ nove, feciono fare il sindacato pieno a
-darsi liberamente all’imperadore. Avvenne per
-questo, che l’imperadore conobbe e seppe che le
-case de’ grandi di Siena ebbono la signoria di fare
-della città a loro senno, e da loro principalmente
-conobbe la soggezione di quella; e venuto il
-nuovo sindacato agli ambasciadori detti, domenica,
-a dì primo di marzo del detto anno, raunato
-il parlamento, i detti ambasciadori con pieno
-sindacato del loro comune, feciono al detto eletto
-imperadore per se e pe’ suoi successori ricevere
-libera suggezione del misto e mero dominio di
-quella città e contado, e de’ loro uomini alla signoria
-dell’imperio, non riserbandosi alcuna
-franchigia dell’antica libertà di quello comune:
-e di questo li feciono fare reverenza, e prestarono
-il saramento, ed egli l’accettò e ricevette per se
-e pe’ suoi successori in futuro in presenza di
-tutto il parlamento, con grande allegrezza e festa
-del popolo pisano ch’era presente; e accecati
-dalla coperta invidia che portavano al comune
-di Firenze, avvisandosi per questo abbattere la
-libertà de’ Fiorentini, mattamente sommisono la
-loro.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_245">[245]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap62-4">CAP. LXII.
-<span class="smaller"><i>Di più imbasciate ghibelline state in presenza
-dell’imperadore.</i></span></h3>
-
-<p>
-Non ci parve da lasciare in silenzio quello che
-al presente seguita. Messer Piero Sacconi, e il vescovo
-d’Arezzo degli Ubertini, e Neri da Faggiuola,
-co’ loro consorti e co’ Pazzi di Valdarno,
-feciono loro sforzo accattando sopra loro possessioni,
-e vendendone, per mettersi a comperare
-belli cavalli, e armi orrevoli, e robe e ricchi
-paramenti, per comparire magnifici nella presenza
-e servigio dell’imperadore, credendosi
-essere esaltati da lui sopra gli altri Toscani: ed
-essendo gli ambasciadori d’Arezzo per trovare
-accordo con l’imperadore, i loro caporali nominati
-s’appresentarono nell’udienza imperiale, e
-in quella addomandarono baldanzosamente d’essere
-rimessi nella loro città d’Arezzo, e che a
-loro fossono rendute le terre e le possessioni.
-Gli ambasciadori francamente li ripugnavano.
-L’imperadore, ch’avea l’animo a’ fatti suoi e
-non a quelli della parte ghibellina, li si levò
-dinanzi, dando loro uditori ch’avessono a riferire
-a lui: e nella presenza degli uditori messer Piero
-montò in tanta arroganza, che con aspre minacce
-e villanie domandava di volere essere restituito
-nella capitaneria d’Arezzo e del contado.
-Gli ambasciadori savi e coraggiosi rimproveravano
-la sua abbominevole tirannia, e il proprio
-acquisto fatto per violente rapina, e per manifesta
-<span class="pagenum" id="Page_246">[246]</span>
-ruberia fatta a’ meno possenti sotto il titolo
-del capitanato, conchiudendo, ch’egli era degno
-di ricevere dall’imperio gravi pene, avendo
-convertita la capitaneria di quella città in incomportabile
-tirannia: e che quella città che gli
-era accomandata per la santa memoria dell’imperadore
-Arrigo, egli per malizia e per somma
-avarizia l’avea sottoposta e venduta a’ Fiorentini
-per quarantamila fiorini d’oro, in vergogna
-e detrimento del santo imperio: e grande
-vergogna gli era ora con sfrenata baldanza avere
-fatto manifesto all’imperiale maestà cotanti suoi
-difetti. Ancora il detto messer Piero avea nella presenza
-degli uditori e degli ambasciadori infamato
-Neri da Faggiuola, ch’avea per amistà de’ Perugini
-fatta la terra del Borgo, ch’era per lui acquistata
-a’ ghibellini, venire in parte guelfa; per
-Neri gli fu altamente risposto, mostrando come
-tutto era avvenuto per la sua malizia, e per le
-sue violenze quando v’avea stato: e anche avvenne
-che il vescovo d’Arezzo si lamentò di messer
-Piero di gravi ingiurie; e così l’uno disse improvviso
-contro all’altro per modo, che tutti impetrarono
-grazia nel cospetto dell’imperadore e
-del suo consiglio di gravi abbominazioni, senza
-altro acquisto di frutto; e d’allora innanzi gli
-ambasciadori del comune d’Arezzo ebbono graziosa
-udienza dall’imperadore per l’accordo di
-quello comune.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_247">[247]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap63-4">CAP. LXIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Volterrani si diedero all’imperadore.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avvegnachè innanzi sia fatta alcuna narrazione
-della sommissione di Volterra e di Samminiato,
-qui si torna al termine del fatto. I Volterrani sapendo
-che i Sanesi senza patto erano sottomessi
-all’imperadore, avendo poco amore e meno
-confidanza al comune di Firenze, perocchè si
-reggevano sotto la tirannia de’ figliuoli di messer
-Ottaviano de’ Belforti, i quali quanto che fossono
-guelfi di nazione, per la tirannia dichinavano
-ad animo ghibellino come mettesse loro bene,
-e non amavano il comune di Firenze nè i Fiorentini
-per la tirannia, ch’era contradia alla
-libertà del nostro comune, e però senza volere seguire
-il consiglio de’ Fiorentini di domandare
-patti, feciono sindachi i loro ambasciadori con
-pieno mandato e mandarli a Pisa, i quali in pubblico
-parlamento, a dì 4 di marzo del detto anno,
-si sottomisono liberamente alla signoria dell’imperatore
-e de’ suoi successori, e feciono l’omaggio
-e la reverenza per lo detto comune, e il saramento
-come i Sanesi aveano fatto.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_248">[248]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap64-4">CAP. LXIV.
-<span class="smaller"><i>Come i Samminiatesi si diedero all’imperadore.</i></span></h3>
-
-<p>
-I Samminiatesi, che soleano essere più all’ubbidienza
-del comune di Firenze che i Volterrani,
-avendo vedute le sopraddette città di parte guelfa
-già sottomesse all’imperio, e che il comune di
-Firenze trattava per se d’accordarsi con lui, essendo
-tra loro divisi per setta per la maggioranza
-delle due famiglie Malpigli e Mangiadori, temendo
-l’una parte che l’altra non pigliasse vantaggio,
-s’accostarono insieme dopo l’aspetto di
-più giorni: e celandosi da’ Fiorentini perchè non
-movessono alcuna delle dette case, e veduto loro
-tempo convenevole, di concordia feciono loro
-ambasciadori con pieno mandato e sindacato del
-comune a darsi liberamente all’imperadore; e
-mandatili a Pisa, a dì 8 di marzo in parlamento
-si sottomisono liberamente alla signoria
-dell’imperadore; e fatto il saramento, e volendo
-fare l’omaggio e baciare i piedi all’imperadore,
-li levò di terra, e ricevetteli <i>ad osculum pacis</i>,
-cosa che non avea fatta a’ sindachi di niuna altra
-città: la cagione si stimò che fosse per l’affezione
-che l’imperio per antico avea a quello castello,
-ove solea essere la residenza degl’imperadori
-e de’ loro vicari, perchè è uno mezzo tra le
-grandi e buone città di Toscana. Questo fu prima
-fatto che il comune di Firenze ne sentisse alcuna
-cosa, e quando il seppono, più gravò nell’animo
-<span class="pagenum" id="Page_249">[249]</span>
-de’ cittadini di Firenze che la sommissione di
-Siena e di Volterra, per la vicinanza che ’l detto
-castello ha con la nostra città e con l’altre di
-Toscana: ma gran cagione ne fu la poca provvedenza
-già detta de’ rettori del nostro comune.
-</p>
-
-<h3 id="cap65-4">CAP. LXV.
-<span class="smaller"><i>Di disusato tempo stato nel verno.</i></span></h3>
-
-<p>
-Non ci pare da lasciare in silenzio quello che
-fu singolare alla memoria de’ più antichi, la cagione
-si credette che venisse da influenza di costellazioni:
-il fatto fu, che dal novembre al marzo
-il tempo fu di dì e di notte il più sereno, cheto
-e bello che per addietro si ricordasse, essendo il
-freddo senza venti continovo e grande: e le nevi
-ch’erano cadute dal principio si mantennono
-ghiacciate nel contado di Firenze, e in molte parti
-bastò nella città più di tre mesi: il mare fu
-tranquillo e dolce a navicare oltre alla credenza
-degli uomini; tutti i gran fiumi stettono serrati
-di ghiaccio lungamente per modo che niuno
-si poteva navicare, e il nostro fiume d’Arno, che
-è corrente come uno fossato, stette fermo e serrato
-di ghiaccio, che lungamente senza pericolo in
-ogni parte si poteva sopra il ghiaccio valicare:
-e a dì 8 di marzo cominciarono a rompere le
-piove dolci e utili a tutte le sementa della terra.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_250">[250]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap66-4">CAP. LXVI.
-<span class="smaller"><i>Come il segreto giurato in Firenze fu
-manifestato all’imperadore.</i></span></h3>
-
-<p>
-Seguendo gli ambasciadori di Firenze il trattato
-della concordia con l’imperadore, e avendo
-il mandato di profferirgli per lo comune cinquanta
-migliaia di fiorini d’oro, avendo da lui i patti
-privilegiati che per parte del comune gli si
-dimandavano, l’imperadore, avvisato e malizioso,
-della moneta, dov’egli avea l’animo, non mostrava
-di curarsi, ma ne’ patti si mostrava strano e
-tenace per vendere più cara la sua mercatanzia.
-Avvedendosi di questo gli ambasciadori, e avendone
-alcuno segreto accennamento di fuori da
-lui, due degli ambasciadori per comune consiglio
-degli altri tornarono in Firenze per informare
-a bocca i rettori, e avvisarli di quello che a loro
-pareva dell’intenzione del signore. Vedendo i
-rettori che l’imperadore s’addurava, e che le
-terre vicine s’era no date liberamente alla sua signoria,
-aveano cagione di più temere: e tennono
-più consigli segreti ove si raccontavano de’ falli
-dell’eletto: come manifesto appariva che
-non avea tenuto fede a’ Gambacorti, nè allo stato
-di coloro che reggevano la città di Pisa, dilettandosi
-de’ romori e della divisione de’ cittadini,
-e tenea con loro che più erano pronti a movere
-le novità nella terra per averne più libera signoria,
-e come si mostrava bisognoso e cupido di
-trarre a se moneta: e avendo per più riprese praticato
-<span class="pagenum" id="Page_251">[251]</span>
-sopra i fatti dell’imperadore e sopra quelli
-del nostro comune, infine d’un animo presono
-partito per lo meno reo, che non si guardasse
-a costo di moneta infino in fiorini centomila d’oro,
-dandoli all’imperadore, dove la nostra città
-di Firenze rimanesse libera in sua giurisdizione,
-con altri singolari patti. E commettendo
-la pratica di queste cose ne’ detti ambasciadori,
-avendoli informati che si tenessono forti a cinquantamila
-fiorini, e che non mostrassono nè paura
-nè viltà in domandare e sostenere il vantaggio
-del comune nella quantità della moneta e
-negli altri patti, ma innanzi si rompessono da
-lui aveano di darli i detti fiorini centomila d’oro.
-Questo consiglio fu ristretto ne’ priori e ne’ loro
-collegi con piccolo numero d’arroti, e fu comandata
-a tutti la credenza, e giurata solennemente:
-e rimandati i due ambasciadori a Pisa,
-essendo con l’imperadore, e sostenendo francamente
-quello ch’era stato loro imposto, l’imperadore
-cominciò a sorridere contro a loro, e
-manifestò ciò ch’era loro commesso, e la deliberazione
-del loro comune, dicendo, che per scrittura
-tutto gli era manifesto. Gli ambasciadori
-di presente senza procedere più innanzi significarono
-all’uficio de’ priori ciò ch’aveano di
-bocca dell’imperadore della revelazione del loro
-segreto consiglio, che per questa cagione, avvegnachè
-per loro non li fosse acconsentita alcuna
-cosa, il trovavano più duro e più turbato che prima,
-dicendo, come non era traditore de’ Gambacorti,
-nè che non era cupido di moneta più del suo
-onore, nè si dilettava nella commozione de’ cittadini.
-<span class="pagenum" id="Page_252">[252]</span>
-Come questa novella fu divolgata nella
-nostra città, l’infamia de’ signori, e de’ collegi,
-e degli arroti, in cui era la credenza, fu molto
-grande: ma però non trovò il comune chi alcuna
-cosa ne facesse allora per purgare la comune
-infamia, temendo per la tenerezza dello stato, avendo
-così dipresso l’imperadore, che maggiore
-pericolo non ne seguisse. Il consiglio non fu reo,
-se rifermato lo stato del comune con la pace dell’imperadore
-se ne fosse fatta debita inquisizione
-e giustizia.
-</p>
-
-<h3 id="cap67-4">CAP. LXVII.
-<span class="smaller"><i>Come l’imperadore mandò aiuto di gente
-al legato.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo i tiranni di Romagna accozzati insieme,
-e accolta gente d’arme assai venuta di
-Lombardia per reprimere la forza del legato,
-ch’era piccola, il legato mandò a richiedere
-l’imperadore d’aiuto. L’imperadore immantinente,
-per mostrarsi zeloso e divoto a’ servigi
-di santa Chiesa, vi mandò di presente de’ suoi
-Tedeschi cinquecento barbute, e feciono la via
-per Siena, veduti e onorati da’ Sanesi graziosamente:
-e giunti al legato con l’insegna del loro
-signore, rifrenarono la forza e la volontà de’ tiranni.
-Questo non era per l’andata di cinquecento
-barbute cosa da farne memoria, ma consentesi
-al nostro trattato perchè fu la prima e
-l’ultima che l’imperadore facesse in Italia in fatti
-d’arme.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_253">[253]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap68-4">CAP. LXVIII.
-<span class="smaller"><i>Trattati dell’imperadore ai Fiorentini.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo gli ambasciadori del comune di Firenze
-quasi ogni dì con l’imperadore per trattare
-la concordia, ed egli avendo scoperto il segreto
-del comune, e crescendogli ogni dì forza grandissima
-di baroni e di cavalieri della Magna,
-non gli parea volere di meno, e però si tenea forte
-a non condiscendere alla volontà de’ Fiorentini:
-e nondimeno temperava per non rompersi
-da loro, con tutto l’attizzamento de’ caporali ghibellini
-d’Italia ch’erano appresso di lui, che al
-continovo l’infestavano, perchè si rompesse dai
-trattato della concordia de’ Fiorentini, mostrandogli
-che avendo egli Pisa e Siena, Volterra e
-Samminiato, e l’aiuto de’ ghibellini ch’erano
-ivi a fare i suoi comandamenti, e la gran forza
-della sua baronia, senza dubbio di presente ne sarebbe
-signore a cheto, e abbatterebbe la loro arrogante
-superbia con grande onore e magnificenza
-dell’imperio. Il savio signore conoscea quanto
-pericolo gli potea incorrere, potendo con suo onore
-e vantaggio avere pace, cercare guerra: e conosceva,
-che quando il comune di Firenze, ch’era
-potentissimo, si facesse capo della guerra contro
-a lui, che tosto gli si scoprirebbono molti nemici:
-e conoscea il servigio che avrebbe dalla gente
-tedesca, se con larga mano non li provvedesse,
-e quanto erano fallaci le suggestioni de’ ghibellini
-d’Italia: e però serbava il consiglio e la diliberazione
-<span class="pagenum" id="Page_254">[254]</span>
-nel suo petto, e forte si temea che
-nascesse cagione per la quale i Fiorentini si rompessono
-dal trattato; e però avendo trattato con
-loro per modo che pareano assai di presso, l’imperadore
-disse, che facessono d’avere il sindacato pieno
-dal loro comune come la materia richiedeva:
-e allora diliberarono che tre degli ambasciadori
-tornassono a Firenze a fare che il sindacato si
-facesse.
-</p>
-
-<h3 id="cap69-4">CAP. LXIX.
-<span class="smaller"><i>Raccolti falli de’ governatori del comune
-in Firenze.</i></span></h3>
-
-<p>
-Perocchè gli antichi moderati e virtudiosi che
-soleano reggere e governare lo stato della repubblica
-in grande libertà, e con maturi movimenti
-e con diligente provvidenza governavano quella
-in tempo di pace e di guerra, e non perdonando
-i falli che si faceano contro la patria, nè lasciando
-senza merito l’operazioni che si facevano
-virtudiose in accrescimento e onore del
-comune, onde al nostro tempo è da maravigliare
-come la cittadinanza si mantiene, essendo
-strana da quelle virtù, e dalla provvisione di quel
-reggimento: e in luogo di quelli antichi amatori
-della patria, spregiatori de’ loro propri comodi
-per accrescere quelli del comune, si trovano
-usurpatori de’ reggimenti con indebiti e disonesti
-procacci e argomenti, uomini avveniticci,
-senza senno e senza virtù, e di niuna autorità
-nella maggiore parte, i quali abbracciato il reggimento
-<span class="pagenum" id="Page_255">[255]</span>
-del comune intendono a’ loro propri
-vantaggi e de’ loro amici con tanta sollecitudine
-e fede, che in tutto dimenticano la provvisione
-salutevole al nostro comune: e non è chi
-per lui pensi, nè per la sua libertà, nè per lo suo
-esaltamento, nè onore, nè per riparare al pericolo
-che sopravvenire gli può, se non nella strema
-giornata o in sul fatto; e per questo spesso
-occorrono gravi casi al nostro comune, e niuno
-prende vergogna, o aspetta, per avere mal fatto
-al comune, alcuna pena: e però non è senza
-pensiero di grande ammirazione come il nostro
-comune non cade in grandi pericoli di suo disfacimento.
-Ma i discreti del nostro tempo tengono
-che questo sia singolare grazia e operazione di
-Dio, perocchè in così gran fascio di cittadini e di
-religiosi, benchè molti ne sieno de’ rei, assai v’ha
-de’ virtuosi e de’ buoni, le cui preghiere conservano
-la città da molti pericoli, e alquanto è
-la gente cattolica e limosiniera, perchè Iddio
-la conserva; e oltre a ciò gli ordini dati alla
-massa del comune per li nostri antichi, e ’l reggimento
-che ha preso il corso alla comune giustizia
-per le conservate leggi, è grande braccio al
-conservamene del comune stato. E benchè gli
-usurpatori del non degno uficio sieno molti, e
-male disposti al comune bene, e solleciti e provveduti
-a’ loro propri vantaggi, e occupino la civile
-libertà, il tempo di due mesi ordinato al reggimento
-del sommo uficio del priorato per li nostri
-provveduti antichi è sì breve, che fa grande
-resistenza alla propria arroganza: e ancora la riprieme
-non poco la compagnia di nove priori e
-<span class="pagenum" id="Page_256">[256]</span>
-de’ loro collegi. Ma non possono ammendare il
-continovo fallo dell’abbandonata provvedenza:
-onde avviene, che come fortuna guida le cose,
-infino al pubblico destamento del popolo si pena
-a provvedere, non il migliore consiglio, che nol
-concede il trapassamento delle debite provvedenze,
-ma il meno reo. E questo avviene continovo
-in tutte grandi e pericolose cose e accidenti ovvero
-imprese che accaggiono al nostro comune.
-</p>
-
-<h3 id="cap70-4">CAP. LXX.
-<span class="smaller"><i>Come a Firenze si fece il sindacato per
-l’accordo con l’imperadore.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo narrato il modo del reggimento del
-comune di Firenze e de’ suoi rettori, si può dire
-con verità del fatto, manifestato più volte in pieno
-consiglio per la bocca dell’imperadore, che
-avendo mandati il comune di Firenze a Mantova
-suoi ambasciadori a profferirgli l’aiuto del
-comune, e confortarlo della sua coronazione,
-non avrebbono domandati que’ patti, che largamente
-senza niuna promessa di moneta non
-avesse liberamente fatti; ma la provvedenza era,
-ed è per lunghi tempi stata in contumace del nostro
-comune: e però tornati a Firenze i tre ambasciadori
-per far fare il sindacato, sperando la
-concordia con l’imperadore, a dì 12 di marzo
-del detto anno, ragunato il consiglio del popolo
-secondo l’ordine del nostro comune, che prima
-s’ha a deliberare in quello, poi in quella
-del comune, avvenne che il notaio delle riformagioni,
-<span class="pagenum" id="Page_257">[257]</span>
-ch’era natio da..... leggendo i patti
-che s’intendeano d’avere con l’imperadore,
-per mostrare grande tenerezza al popolo della
-libertà pura del comune, non ostante che in
-quelle scritture se ne contenesse assai già deliberate
-pe’ signori e pe’ collegi, si ruppe a piagnere
-per modo, che la proposta non si potè
-leggere; e gli animi de’ consiglieri a quelle lagrime
-si commossono dal loro proponimento, e però
-si rimase il consiglio e il sindacato per quella
-giornata, e convenne che di nuovo si rifacessono
-altri privati consigli, ne’ quali il movimento
-del notaio non fu riputato fatto con movimento
-di ragionevole carità, ma piuttosto per
-adulazione per accattare benivoglienza dal popolo.
-E pertanto tutti i privati consigli fermarono
-l’intenzione a fare quello s’addomandava dagli
-ambasciadori, e da capo a dì 13 del detto mese
-si mosse la proposta al consiglio del popolo, e
-sette volte l’una dopo l’altra si perdè: all’ultimo
-levati molti cittadini d’autorità a dire, e a
-mostrare il beneficio che di questo seguitava al
-comune, e il pericolo che venia del contrario,
-si vinse, e fu dato la balìa di pieno sindacato a
-tutti e sei gli ambasciadori del comune, a potere
-promettere per lo comune ciò ch’era trattato
-o di nuovo si trattasse: e appresso l’altro dì, a
-dì 14 del mese, con minore fatica si rifermò
-nel consiglio del comune, e gli ambasciadori col
-mandato pieno si tornarono a Fisa.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_258">[258]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap71-4">CAP. LXXI.
-<span class="smaller"><i>Quello si fe’ per alcuno cardinale per la
-coronazione dell’imperadore.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questi dì il cardinale d’Ostia, a cui s’appartiene
-la coronazione dell’imperadore, giunse
-in Pisa, ricevuto dall’eletto a grande onore.
-Era consuetudine di santa Chiesa di mandare tre
-cardinali alla coronazione degl’imperadori,
-quello d’Ostia, c’ha l’uficio d’andare a coronare
-l’imperadore alle sue spese e alla sua provvisione,
-gli altri due debbono andare alle spese
-di santa Chiesa: ma a questa volta essendone
-fatto gran procaccio in corte, e per questo avuto
-la grazia il cardinale di Pelagorga, e quello
-di Bologna in su ’l mare, ch’erano di maggiore
-legnaggio, il papa e gli altri cardinali non acconsentirono
-che la Chiesa facesse loro le spese,
-dicendo, se voleano andare ch’aveano la benedizione,
-ma altro non aspettassono. I cardinali considerarono
-la spesa grande, e l’imperadore povero
-di moneta e stretto d’animo, e però con poco
-loro onore per lo procaccio fatto si rimasono
-di quella legazione, e il papa per non accrescere
-loro vergogna non ve ne mandò alcuno altro: e
-di questo non si turbò l’imperadore per non avere
-a stendere in loro il suo onore.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_259">[259]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap72-4">CAP. LXXII.
-<span class="smaller"><i>Come si fermò l’accordo e’ patti dall’imperadore
-al comune di Firenze.</i></span></h3>
-
-<p>
-Sentendo l’imperadore tornati gli ambasciadori
-del comune di Firenze con pieno mandato
-e sindacato da fare l’accordo con lui, e come a’
-Fiorentini era paruto malagevole, e conosciuto
-ch’egli avea recati gli ambasciadori a promettergli
-centomila fiorini d’oro, più per la revelazione
-ch’egli avea fatta loro del segreto del comune
-che per altro piacere, e trovando che i
-Pisani per mala suggestione già gli aveano domandato
-che li dovesse liberare della franchigia
-ch’e’ Fiorentini aveano in Pisa per li patti della
-pace, ed egli sostenea dicendo, che il loro movimento
-non era buono; e vedendo che il suo consiglio
-era insuperbito per la gente alamanna che
-crescea al suo servigio tutto dì, e per la forte inzicagione
-che i ghibellini italiani faceano loro,
-temette del suo consiglio, e poi volle gli ambasciadori
-avere in camera seco col patriarca e
-col vececancelliere soli: e cominciando a chiarire
-i patti, l’imperadore vi s’allargò molto più che
-infino allora non avea fatto, per tema che discordia
-non rinascesse, e per non avere a riferire
-la sua volontà col suo consiglio. Nondimeno
-quando vennero al saramento per fermezza delle
-cose che si trattavano, gli ambasciadori al tutto
-voleano il salvo manifesto e palese fermato col
-detto saramento; l’imperadore si fermò a non
-<span class="pagenum" id="Page_260">[260]</span>
-volerlo fare: ma volea la sommissione libera, e
-da parte privilegiare i patti, e che nel saramento
-de’ sindachi non fosse eccezione. Gli ambasciadori,
-in questa parte alquanto indiscreti, potendolo
-fare a salvezza del comune, lungamente
-lo tennono sospeso non senza sua turbazione, e
-poi il feciono, e già era molto infra la notte.
-Appresso vennono a dire, che il saramento della
-sommissione non voleano che si stendesse a’ successori
-dell’imperio, altro che alla sua corona;
-a questo, disse l’imperadore, che non credea che
-vi si stendesse, perocchè questo si dovea fare nominatamente
-alla sua persona, ma dove a’ successori
-andasse, in niuna maniera intendea a derogare
-le loro ragioni. Appresso domandarono, che
-tutte le leggi e statuti fatte e fatti, o che per innanzi
-si facessono per lo comune di Firenze, in
-quanto le comuni leggi nominatamente non le
-repugnassono, le dovesse per suoi privilegi confermare.
-Questa gli parve sconvenevole domanda,
-e non la volea consentire: e parendo questo agli
-ambasciadori dubbioso, tre ore o più di piena
-notte tennono la contesa con lui, e infine l’imperadore
-infellonito gittò la bacchetta ch’avea in
-mano per terra, e mostrandosi forte crucciato, giurò
-in alta voce per più riprese, che se innanzi ch’egli
-uscisse di quella camera questo non si consentisse
-per i sindachi, che con la sua forza e
-de’ signori di Milano e degli altri ghibellini d’Italia
-distruggerebbe la città di Firenze, dicendo,
-che troppa era l’altezza della superbia d’uno
-comune a volere suppeditare l’imperio. Gli ambasciadori
-vedendolo così forte turbato dissono,
-<span class="pagenum" id="Page_261">[261]</span>
-che troverebbono modo di venire a fare di ciò la sua
-volontà: e perocchè l’ora era fuori di modo tarda,
-presono licenza per andarsi a posare, e per questa
-cagione ogni cosa rimase imperfetta in quella notte,
-e in quell’ora significarono il fatto gli ambasciadori
-a’ signori di Firenze, per avere il dì vegnente
-da risposta a buon’ora. L’imperadore sentendo che
-gli ambasciadori aveano scritto al comune di Firenze
-significando le sue parole, temette forte che
-i Fiorentini non si rompessono dalla concordia, e
-però la mattina per tempo, non attendendo che
-gli ambasciadori avessono risposta, mandò per loro,
-e usate molte savie parole intorno al movimento
-tedioso della notte, con dimostramento di grande
-amore verso il comune di Firenze, largamente
-acconsentì ciò che gli ambasciadori aveano domandato:
-e oltre a ciò per sua liberalità, ove gli ambasciadori
-gli aveano promesso d’essergli stadichi per
-attendere la promessa del comune, poco appresso
-fatta la concordia disse, ch’alla fede del comune
-intendea di stare di questo e d’ogni gran cosa,
-e licenziò gli stadichi, e raffermata tutta la
-concordia, innanzi che da Firenze venisse la risposta:
-nondimeno il comune avea risposto, che
-per le dette cose non volea che la concordia rimanesse:
-e questo fu a dì 20 di marzo del detto
-anno.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_262">[262]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap73-4">CAP. LXXIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini per mala provvedenza
-errarono a loro danno.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avvegnachè molto sia detto de’ falli del nostro
-comune, uno singolare non ci si lascia passare senza
-fare in questo luogo memoria di lui. Fatta e
-ferma la concordia con l’imperadore di dargli fiorini
-d’oro centomila per avere fine e remissione da
-lui delle condannagioni e pene, in che ’l nostro
-comune era incorso per decreti dell’imperadore
-Arrigo e degli altri suoi antecessori, si ritrovò
-il saramento fatto per lo detto eletto a papa Clemente
-sesto e alla Chiesa di Roma, quando fu
-promosso per operazione del detto papa e di
-santa Chiesa all’elezione dell’imperio, ch’egli
-libererebbe i comuni di Toscana d’ogni condannagione
-fatta per i suoi antecessori, e d’ogni
-debito a che si trovassono obbligati per addietro
-all’imperio, massimamente il comune di Firenze,
-il quale per l’imperadore Arrigo era stato
-condannato con i suoi cittadini in loro singolarità,
-la qual cosa era manifesta a santa Chiesa.
-E ancora giurò, che i detti comuni non graverebbe,
-nè farebbe contro alcuno di quelli muovere
-guerra, nè sottometterebbe la loro libertà.
-Grande ignoranza fu trattare presso a due mesi
-con l’imperadore, e non avere memoria di cotanto
-fatto. Io reputo essere stata degna compensagione,
-avendo così fatta ignoranza compensata
-con prezzo di cento migliaia di fiorini d’oro,
-<span class="pagenum" id="Page_263">[263]</span>
-i quali il comune pagò per avere con fatica e
-con paura quello che aver potea senza costo,
-per la benigna provvedenza di santa Chiesa: e
-quello che pagò per debito in piccola parte, potea
-in luogo di servigio e di grazia compensare. Vergognomi
-ancora di scrivere la seguente arrota:
-avendo nella fama dell’avvenimento in Italia
-dell’imperadore, mandato a corte al papa e a’
-cardinali per avere aiuto e favore da santa Chiesa,
-le lettere furono impetrate piene e graziose
-e favorevoli per lo nostro comune all’imperadore,
-ove il papa e’ cardinali gli ricordavano la
-promessa fatta sotto il suo saramento; le lettere
-stettono in cancelleria per spazio di tre mesi,
-innanzi che modo si trovasse di pagare fiorini
-trenta d’oro per le comuni spese della cancelleria:
-e per questo, poco appresso che la sommissione
-del comune e la promessa della moneta
-fu fatta, giunsono le lettere bollate al nostro comune,
-con grande ripitio e vergogna de’ nostri
-rettori.
-</p>
-
-<h3 id="cap74-4">CAP. LXXIV.
-<span class="smaller"><i>Della statura e continenza dell’imperadore.</i></span></h3>
-
-<p>
-Secondo che noi comprendiamo da coloro che
-conversano intorno all’imperadore, la sua persona
-era di mezzana statura, ma piccolo secondo
-gli Alamanni, gobbetto, premendo il collo
-e ’l viso innanzi non disordinatamente: di pelo
-nero, il viso larghetto, gli occhi grossi, e le gote
-rilevate in colmo, la barba nera, e ’l capo
-<span class="pagenum" id="Page_264">[264]</span>
-calvo dinanzi. Vestiva panni onesti e chiusi continovamente,
-senza niuno adornamento, ma
-corti presso al ginocchio: poco spendea, e con
-molta industria ragunava pecunia, e non provvedeva
-bene chi lo serviva in arme. Suo costume
-era eziandio stando a udienza di tenere verghette
-di salcio in mano e uno coltellino, e tagliare a
-suo diletto minutamente, e oltre al lavorio delle
-mani, avendo gli uomini ginocchioni innanzi
-a sporre le loro petizioni, movea gli occhi intorno
-a’ circostanti per modo, che a coloro che gli
-parlavano parea che non dovesse attendere a loro
-udienza, e nondimeno intendea e udiva nobilemente,
-e con poche parole piene di sustanzia
-rispondenti alle domande, secondo sua volontà,
-e senza altra deliberazione di tempo o
-di consiglio faceva pienamente savie risposte. E
-però furono in lui in uno stante tre atti senza offendere
-o variare l’intelletto, il vario riguardo
-degli occhi, il lavorare con le mani, e con pieno
-intendimento dare l’udienze e fare le premeditate
-risposte; cosa mirabile, e assai notevole in uno
-signore. La sua gente, avendo in un’ora in Pisa
-più di quattromila cavalieri tedeschi, faceva
-mantenere onestamente, eziandio astenere dalle
-taverne e dalle disoneste cose per modo, che
-innanzi alla sua coronazione in Pisa non ebbe
-zuffa nè riotte tra’ forestieri e’ cittadini d’alcuna
-cosa. Il suo consiglio ristrignea con pochi suoi
-baroni e del suo patriarca, ma la deliberazione era
-più sua che del suo consiglio: perocché ’l suo senno
-con sottile e temperata industria valicava il
-consiglio degli altri; e molto si guardò di muoversi
-<span class="pagenum" id="Page_265">[265]</span>
-alla stigazione e conforto de’ ghibellini d’Italia,
-usati d’incendere e d’infocare l’imprese
-all’appetito parziale, più che al singolare onore
-dell’imperiale corona, i cui vizi nobilemente
-conoscea.
-</p>
-
-<h3 id="cap75-4">CAP. LXXV.
-<span class="smaller"><i>Come si bandì in Firenze l’accordo
-con l’imperadore.</i></span></h3>
-
-<p>
-Sabato mattina, a dì 21 di marzo del detto anno,
-l’imperadore provvedutamente fece ragunare
-tutti i forestieri ch’erano in Pisa e’ Pisani a parlamento
-nel duomo di Pisa, e con dimostramento
-di singolare allegrezza fece venire dinanzi da se
-tutti e sei gli ambasciadori e sindachi del comune
-di Firenze: i quali giunti nel parlamento furono
-guardati da tutti con ammirazione grande, perocchè
-alla memoria di coloro ch’erano vivi, nè di
-molto tempo innanzi, si trovava che il comune di
-Firenze fosse stato altro che nemico all’imperadore,
-e ora vedeano che con pace aveano dall’imperadore
-que’ patti ch’aveano saputi dimandare: e
-da loro ricevette l’omaggio e il saramento della
-fede che promisero all’imperadore, sotto la condizione
-de’ patti e convenienze che ferme aveano
-con lui per lo comune di Firenze, le quali
-su brevità appresso in sostanza diviseremo: e l’eletto
-imperadore come re de’ Romani ne fece a
-loro privilegi reali, e promise ricevuta l’imperiale
-corona di farli imperiali. E a dì 23 del detto
-mese, lunedì sera, si pubblicò in Firenze la concordia
-<span class="pagenum" id="Page_266">[266]</span>
-presa con l’imperadore, sonando le campane
-del comune e delle chiese a Dio laudiamo.
-Poca gente, a rispetto del nostro comune, si ragunò
-al parlamento, e senza alcuna vista d’allegrezza
-ogni uomo si tornò a casa. Il comune fece
-in sulle torri e in su i palagi festa e luminaria:
-ma nella città pe’ cittadini non si fece falò
-per segno d’alcuna allegrezza, conoscendo quanto
-costava caro al comune l’ignoranza de’ loro
-cittadini governatori per l’abbandonata provvedenza.
-</p>
-
-<h3 id="cap76-4">CAP. LXXVI.
-<span class="smaller"><i>I patti e le convenienze da’ Fiorentini
-all’imperadore.</i></span></h3>
-
-<p>
-Questi furono i patti che messer Carlo re di
-Boemia eletto imperadore impromise al comune
-di Firenze, e co’ suoi reali privilegi confermò.
-In prima cassò e annullò ogni sentenza
-e condannagione le quali per addietro fossono
-fatte contro alla città, e’ cittadini e comune
-di Firenze e’ suoi contadini, e contra i conti
-da Battifolle, e da Doadola, e da Mangona, e
-Nerone d’Alvernia per gl’imperadori romani ovvero
-re de’ Romani suoi antecessori: e tutti e catuno
-integrò e restituì ne’ suoi onorie giurisdizioni
-e dominii personali e reali. E concedette che il
-comune e popolo, e la città e contado e distretto
-di Firenze si reggesse secondo gli statuti e le leggi
-municipali e ordinamenti consueti del detto comune:
-e di singolare grazia confermò al detto comune
-<span class="pagenum" id="Page_267">[267]</span>
-per suoi privilegi quello che più gli parve
-grave, cioè, la confermazione delle leggi dette e
-statuti fatti, e che per innanzi si facessono, approvandoli
-e confermandoli in quanto le comuni
-leggi nominatamente non le riprovassono: dicendo,
-la moltitudine delle leggi è tanta, che se a
-questo non hanno provveduto, io a’ Fiorentini nol
-vo’ negare. Ancora, che i priori dell’arti e il gonfaloniere
-della giustizia, che sono e che per li tempi
-saranno all’uficio del priorato, sieno irrevocabili
-suoi vicari tutto il tempo della sua vita. E il
-detto imperadore graziosamente, avendo affezione
-a volere mantenere il pacifico stato e tranquillo
-riposo del comune di Firenze, acciocchè per
-lo suo avvenimento in quella città non nascesse
-tumulto o mutazione, promise e concedette di
-grazia speziale di non volere entrare nella città
-di Firenze nè in alcuna sua terra murata. I sindachi
-predetti a vice e a nome del comune di sopra
-detto feciono a lui in pubblico la sommessione
-e l’ubbidienza, e giurarono liberamente riconoscendolo
-per vero eletto e futuro imperadore:
-e la reverenza li feciono in segno del debito omaggio;
-e promisongli in nome del comune di Firenze
-per satisfazione intera di ciò, che obbligati
-fossono per lo tempo passato infino al presente
-dì, a lui e a tutti i suoi antecessori, per qualunque
-ragione o cagione dire o nominare si potesse, e ancora
-per tutte le terre che ’l detto comune tiene, e
-ha tenute in suo contado e in suo distretto, fiorini
-centomila d’oro in quattro paghe in cinque mesi,
-finendo per tutto il mese d’agosto del detto anno
-1355: e per lo tempo avvenire promisono di dare
-<span class="pagenum" id="Page_268">[268]</span>
-ogni anno del mese di marzo al detto imperadore
-Carlo, alla sua vita solamente, fiorini quattromila
-d’oro per compensagione di censo, in quanto le città
-di Toscana fossono tenute di ragione all’imperio,
-e oltre a ciò, per tutte e singule quelle cose le
-quali il detto comune per se e per lo suo contado e
-distretto dire si potesse ch’all’imperio fossono per
-alcuna cosa obbligati; e di tutti i detti patti e convenienze,
-oltre a’ privilegi reali, fu contento l’imperadore
-futuro che ser Agnolo di ser Andrea di
-messer Rinaldo da Barberino, notaio pubblico
-imperiale, ne facesse carta e pubblico istrumento
-al detto comune. Aggiugnesi qui, benchè
-quello che seguita avvenisse dopo la sua coronazione,
-acciocchè insieme si trovi la memoria
-de’ patti e de’ privilegi imperiali, e dell’arrota
-della graziosa libertà del detto imperadore inverso
-il nostro comune. E a dì 3 di maggio 1355 nella
-città di Siena, tornando l’imperadore dalla sua coronazione,
-tutte le dette convenienze e promesse
-fatte rinnovò, e comandò che si dessono al nostro
-comune sotto la fermezza de’ suoi privilegi imperiali
-roborati delle bolle dell’oro. E avendo nel
-processo del tempo il detto imperadore trovato il
-comune di Firenze in molta fede e dirittura delle
-sue promesse, non ostante che i Pisani, e’ Sanesi
-e gli altri Toscani l’avessono tradito e messo in
-grave caso di fortuna, essendo ridotto a Pietrasanta
-per partirsi d’Italia, e avendogli i Fiorentini
-con gran pericolo mandato là il compimento
-de’ centomila fiorini promessi, avendolo egli
-molto a grado, e commendando l’amore e la
-fede del comune, in vituperio degli altri comuni
-<span class="pagenum" id="Page_269">[269]</span>
-ch’aveano mostrato la libera suggezione all’imperio,
-e poi l’aveano tradito, s’offerse singolarmente
-a’ Fiorentini, e di suo proprio movimento
-privilegiò al nostro comune generalmente ciò che
-tenea in suo distretto, e mandonne i suoi privilegi
-imperiali bollati d’oro al nostro comune, fatti in
-Pietrasanta a dì 3 di giugno 1355. In questo tempo
-il comune di Firenze tenea in suo distretto la
-Valdinievole, il Valdarno di sotto, Pistoia, e ’l castello
-di Serravalle, e tutta la montagna di sotto,
-e Colle, e Laterina, e Montegemmoli, e la terra
-di Barga con più castella di Garfagnana, e Castel
-san Niccolò col suo contado, e la montagna
-fiorentina, e molte altre terre e castella che
-qui per brevità non si nominano, e la nobile
-terra di Sangimignano e di Prato, avvegnachè
-già, come è detto, erano ridotte a contado di
-Firenze.
-</p>
-
-<h3 id="cap77-4">CAP. LXXVII.
-<span class="smaller"><i>Come fu offesa la libertà del popolo di Roma
-da’ Toscani.</i></span></h3>
-
-<p>
-Vedendo i falli commessi per li comuni di
-Toscana, che liberamente sottomisono la loro libertà
-al nuovo imperadore, ci dà materia di ricordare
-per esempio del tempo avvenire, come
-col popolo romano i comuni d’Italia, e massimamente
-i Toscani, sotto il loro principato parteciparono
-la cittadinanza e la libertà di quello popolo,
-la cui autorità creava gl’imperadori: e
-questo medesimo popolo, non da se, ma la Chiesa
-<span class="pagenum" id="Page_270">[270]</span>
-per lui, in certo sussidio de’ fedeli cristiani,
-concedette l’elezione degl’imperadori a sette
-principi della Magna. Per la qual cosa è manifesto,
-avvegnachè assai più antiche storie il manifestino,
-che ’l popolo predetto faceva gl’imperadori,
-e per la loro reità alcuna volta gli abbattea,
-e la libertà del popolo romano non era
-in alcun modo sottoposta alla libertà dell’imperio,
-nè tributaria come l’altre nazioni, le quali
-erano sottoposte al popolo, e al senato e al comune
-di Roma, e per lo detto comune al loro imperadore:
-e mantenendo a’ nostri comuni di Toscana
-l’antica libertà a loro succeduta dalla civiltà
-del popolo romano, è assai manifesto, che la
-maestà di quel popolo per la libera sommessione
-fatta all’imperadore per lo comune di Pisa, e
-di Siena, e di Volterra, e di Samminiato fu da
-loro offesa, e dirogata la franchigia de’ Toscani
-vilmente, per l’invidia ch’avea l’uno comune
-dell’altro, più che per altra debita cagione.
-</p>
-
-<h3 id="cap78-4">CAP. LXXVIII.
-<span class="smaller"><i>Di quello medesimo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Seguitiamo ancora a dire le cagioni per le
-quali, oltre a ciò ch’è detto nel precedente capitolo,
-a’ comuni italiani, senza offesa del sommo
-impero, è loro lecito anzi debito il patteggiare
-con gl’imperadori. L’Italia tutta è divisa mistamente
-in due parti, l’una, che seguita ne’ fatti
-del mondo la santa Chiesa, secondo il principato
-che ha da Dio e dal santo imperio in quello,
-<span class="pagenum" id="Page_271">[271]</span>
-e questi sono dinominati Guelfi, cioè guardatori
-di fè: e l’altra parte seguitano l’imperio, o fedele
-o infedele che sia delle cose del mondo
-o santa Chiesa, e chiamansi Ghibellini, quasi
-guida belli, cioè guidatori di battaglie, e seguitano
-il fatto, che per lo titolo imperiale sopra gli
-altri sono superbi, e motori di lite e di guerra.
-E perocchè queste due sette sono molto grandi,
-ciascuna vuole tenere il principato, ma non potendosi
-fare, ove signoreggia l’una, e ove l’altra,
-quanto che tutti si solessono reggere in libertà
-di comuni e di popoli. Ma scendendo
-in Italia gl’imperadori alamanni, hanno più usato
-favoreggiare i ghibellini ch’e’ guelfi, e per
-questo hanno lasciato nelle loro città vicari imperiali
-con le loro masnade: i quali continovando
-la signoria, e morti gl’imperadori di cui erano
-vicari, sono rimasi tiranni, e levata la libertà a’
-popoli, e fattisi potenti signori, e nemici della
-parte fedele a santa Chiesa e alla loro libertà.
-E questa non è piccola cagione a guardarsi di
-sottomettersi senza patti a’ detti imperadori. Appresso
-è da considerare, che la lingua latina, e’
-costumi e’ movimenti della lingua tedesca sono
-come barbari, e divisati e strani agl’Italiani,
-la cui lingua e le cui leggi, e’ costumi, e’ gravi
-e moderati movimenti, diedono ammaestramento
-a tutto l’universo, e a loro la monarchia
-del mondo. E però venendo gl’imperadori
-della Magna col supremo titolo, e
-volendo col senno e con la forza della Magna
-reggere gl’Italiani, non lo sanno, e non lo possono
-fare: e per questo, essendo con pace ricevuti
-<span class="pagenum" id="Page_272">[272]</span>
-nelle città d’Italia, generano tumulti e commozioni
-di popoli, e in quelli si dilettano, per essere
-per contraversia quello ch’essere non possono
-nè sanno per virtù, o per ragione d’intendimento
-di costumi e di vita. E per queste vive e
-vere ragioni, le città e’ popoli che liberamente gli
-ricevono conviene che mutino stato, o di venire a
-tirannia, o di guastare il loro usato reggimento,
-in confusione del pacifico e tranquillo stato di
-quella città, o di quello popolo che liberamente
-il riceve. Onde volendo riparare a’ detti pericoli,
-la necessità stringe le città e’ popoli, che le loro
-franchigie e stato vogliono mantenere e conservare,
-e non essere ribelli agl’imperadori alamanni,
-di provvedersi e patteggiarsi con loro: e innanzi
-rimanere in contumacie con gl’imperadori, che
-senza gran sicurtà li mettano nelle loro città.
-Quello che di ciò abbiamo qui di sopra fatto memoria,
-a beneficio e ammaestramento della libertà
-de’ comuni d’Italia, si prova per gli antichi
-esempi, chi li vorrà ricercare, e per li nuovi,
-chi li vorrà ricercare e appresso leggere il nostro
-trattato.
-</p>
-
-<h3 id="cap79-4">CAP. LXXIX.
-<span class="smaller"><i>Come la gran compagnia rubò il Guasto
-in Puglia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il conte di Lando con la gran compagnia
-avendo soggiornato in Abruzzi infino all’entrata
-di marzo, si mosse da Pescara e da san Fabiano,
-e andò verso il Guasto. Que’ della terra
-male provveduti da loro, e peggio dal re loro
-<span class="pagenum" id="Page_273">[273]</span>
-signore, trattarono con la compagnia, e fidaronsi
-mattamente nelle loro promesse, che non li ruberebbono,
-e che torrebbono della roba derrata per
-danaio, li misono nella terra; ma come furono entrati
-dentro, i predoni usarono crudelmente la
-loro rapina uccidendo e rubando tutta la terra,
-e appresso con fuoco n’arsone gran parte: per lo
-cui esempio tutte l’altre terre di Puglia si disposero
-a ogni pericolo per difendersi da loro, e afforzaronsi
-francamente per modo, che quanto ch’elli
-stessono lungamente a campo senza potere più
-acquistare città o castella. Appresso valicarono a
-san Siverno in Puglia, e ivi s’accamparono e
-stettono lungamente, scorrendo e predando e facendo
-danno assai a’ paesani: e dall’altra parte
-il Paladino aggiuntosi gente della compagnia
-tribolava la marina della Puglia, ed era palese
-a’ regnicoli che messer Luigi di Durazzo favoreggiava
-la compagnia.
-</p>
-
-<h3 id="cap80-4">CAP. LXXX.
-<span class="smaller"><i>Come l’imperadore richiese di lega i
-Fiorentini, e non l’ebbe.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo l’imperadore compiuto e fermo l’accordo
-co’ Fiorentini, mandò a Firenze suoi ambasciadori
-a richiedere il comune di Firenze con grande
-stanza, che piacesse loro per bene e stato di
-tutte le città di Toscana, e per levare ogni pericolo
-che venire potesse loro addosso per la forza de’ tiranni
-e della gran compagnia, per vivere i detti
-comuni insieme in unità e in pace, di fare lega
-<span class="pagenum" id="Page_274">[274]</span>
-insieme, e quella gente per via di taglia che a’
-Fiorentini piacesse, e offerendo l’aiuto suo ove
-che fosse a ogni loro bisogno molto largamente,
-dicendo, che presa la corona intendea d’andare
-in Lombardia o nella Magna, ove il comune di
-Firenze consigliasse. I Fiorentini in più consigli
-privati e palesi praticarono se questa lega fosse da
-fare o no: e infine considerato il pericolo dell’imprese,
-e temendo di non correre ad essere indotti
-a rompere la pace a’ signori di Milano, e che la
-gente d’arme raunata sotto un capitano dato dall’imperadore
-non potesse essere cagione di novità
-contro alla libertà del comune, al tutto deliberare
-che la lega per lo nostro comune non si facesse,
-e con belle e oneste e legittime cagioni si
-diliberarono di quella richiesta. L’imperadore
-essendo in movimento per andare a vicitare le
-città e le terre che gli s’erano date, e andare
-per la corona, soprastette senza accettare la scusa,
-e domandò che il nostro comune apparecchiasse
-dugento cavalieri che l’accompagnassono a Roma:
-e da Pisa si partì a dì 23 di marzo e andossene
-a Volterra, ove fu ricevuto secondo la loro
-possa assai onoratamente; e albergatovi una notte,
-l’altro dì venne a Samminiato, e da loro fu
-ricevuto come signore; e a dì 23 di marzo giunse
-a Siena la sera, ove fu ricevuto con singolar
-festa e onore.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_275">[275]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap81-4">CAP. LXXXI.
-<span class="smaller"><i>Come si mutò lo stato de’ nove di Siena.</i></span></h3>
-
-<p>
-E’ pare degna cosa, che coloro i quali ingannano
-in comune i loro cittadini, e rompono la
-fede a’ loro amici, che alcuna volta per quella
-medesima sieno puniti, e portino pena de’ peccati
-commessi. L’ordine de’ nove di Siena, avendo
-per lungo tempo ingannati e detratti dagli ufici
-del comune con malo ingegno i loro cittadini, come
-già abbiamo narrato, e tradito il comune di
-Firenze nel cospetto dell’imperadore, seguitando
-la rea intenzione della setta di Giovanni d’Agnolino
-Bottoni loro caporale, quando liberamente
-si dierono all’imperadore, credendo per quello
-essere esaltati, e avere abbattuto lo stato e la libertà
-del comune di Firenze; il comune di Firenze
-per la sua costanza e savia provvisione rimase
-grande nel cospetto dell’imperadore e
-privilegiato da lui, e mantenea accrescendo suo
-stato, la sua libertà e il suo onore. Entrato l’imperadore
-in Siena il martedì sera, il mercoledì
-vegnente, il dì dell’Annunziazione di nostra
-Donna, gli <i>anni Domini</i> 1355 a dì 25 di marzo,
-Tolomei, Malavolti, Piccolomini, Saracini,
-e alcuno de’ Salimbeni, contrari a Giovanni
-d’Agnolino Bottoni loro consorto, con seguito
-del minuto popolo levarono il romore nella città,
-dicendo: Viva l’imperadore, e muoiano i nove
-e le gabelle: e in questa furia furono morti
-due cittadini: e corsi alle case del capitano della
-<span class="pagenum" id="Page_276">[276]</span>
-guardia, e trovandolo gravemente malato in sul
-letto, rubarono tutto l’ostiere e ciò che aveva
-la famiglia, e l’arme e’ cavalli, e lasciato il
-capitano in sulla paglia in terra, in poch’ore
-appresso morì: e di là corsono al palagio de’ nove,
-e cacciatine in furia i nove e la loro famiglia
-vi misono l’imperadore, e feciono mandare per
-la cassa dov’erano insaccati i cittadini dell’ordine
-de’ nove e gli altri loro uficiali, e usando la loro
-besseria, con grande dirisione la feciono tranare
-per la terra, andandola scopando, e poi impetrato
-il comandamento dall’imperadore l’arsono con
-gran romore in sul campo, e appresso tutti gli
-atti e ordini de’ nove, e tutti gli ufici della città;
-e le persone di coloro ch’aveano avuti gli
-ufici furono in persecuzione e in pericolo grande
-nella cittadinanza, come leggendo si potrà trovare.
-</p>
-
-<h3 id="cap82-4">CAP. LXXXII.
-<span class="smaller"><i>Di quello medesimo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo veduto l’eletto imperadore il romore
-e le novità fatte nella città di Siena con dimostrazione
-d’esserne stato contento, con poco onore
-dell’imperiale fama, il seguente dì fece ragunare
-tutti i cittadini a parlamento; e quando gli ebbe
-ragunati, fece separare i grandi dal popolo, e i popolani
-maggiori dal minuto popolo, e a catuno
-per se fece fare un sindaco con pieno mandato a
-sottomettersi da capo liberamente senza alcuno
-eccetto, e da capo si diedono all’imperadore, sottomettendo
-<span class="pagenum" id="Page_277">[277]</span>
-all’imperiale signoria il comune, il
-popolo, e la città, e il contado, e il distretto e la
-giurisdizione di Siena, dandogli in tutto il misto
-e mero imperio di quella città, contado e distretto:
-e incontanente licenziati tutti gli uficiali
-e rettori della terra ne fece suo vicario l’arcivescovo
-di Praga: e fatta pigliare la tenuta e la
-guardia di tutte le loro terre e castella, per decreto
-cassò, e annullò, e vietò in perpetuo l’uficio
-e ordine de’ nove. Coloro ch’erano stati di
-quell’ordine, villaneggiati da’ cittadini, veggendosi
-a pericolo stando nella terra, chi se n’andò
-in una parte e chi in un’altra partendosi
-della città; ed essendo dalle loro vicinanze con
-giusta infamia guardati come traditori della propria
-patria e de’ loro vicini, con grande vituperio
-traevano la loro vita nell’altrui terre.
-</p>
-
-<h3 id="cap83-4">CAP. LXXXIII.
-<span class="smaller"><i>Il modo trovò il comune di Firenze
-per avere danari.</i></span></h3>
-
-<p>
-E’ non sarebbe da fare memoria di quello che
-seguita, se il modo col quale il comune di Firenze
-ebbe i danari con agevolezza non ce ne sforzasse,
-per buono esempio delle cose avvenire. Incontanente
-che l’imperadore fu riposato in Siena, i
-Fiorentini non aspettando il termine della prima
-paga, gli mandarono contanti a Siena fiorini trentamila
-d’oro, i quali si pagarono a dì 27 di marzo
-1355; della qual cosa l’imperadore si tenne molto
-contento, perocchè li vennono a gran bisogno,
-<span class="pagenum" id="Page_278">[278]</span>
-perchè era in su l’andare da Roma, e avea necessità
-di provvedere a’ suoi baroni per aiuto alle
-spese. Il comune di Firenze per avere questi danari
-e gli altri, ordinò nella città a’ suoi cittadini
-un estimo che si chiamò la sega, che fu posto a’
-cittadini per casa certi danari il dì: e fatta la sega,
-si fece pagare soldi quindici per ogni danaio,
-e catuno pagava questa piccola somma a colta.
-Nondimeno, perchè i meno possenti parevano
-troppo gravati a rispetto degli altri, il comune
-elesse d’ogni gonfalone certi uomini, e commise
-loro ch’abbattessono il quarto di quello che montava
-la loro sega sgravandone gl’impotenti; e
-questo si fece subito e comunalmente bene: e però
-appresso la detta paga si raccolse un’altra volta a
-soldi trenta il danaio per modo, che in termine di
-due mesi, o in meno, ebbono contanti i fiorini centomila
-che si diedono all’imperadore, senza andare
-alcuni esattori per la città, o essere alcuno
-gravato per forza. È vero che leggi s’ordinarono
-per lo comune, che chi non pagasse la sega per se
-o altri per lui non potesse avere uficio di comune,
-nè dovesse essere udito in alcuno uficio in
-suo beneficio: e ordinò il comune, che catuno che
-prestasse danari di questa sega, fosse in certo tempo
-assegnato in su le sue gabelle con provvisione
-a dieci per centinaio l’anno: e per questo molti
-cittadini mobolati pagavano per chiunque volea
-dar loro alcuno vantaggio, e così gl’impotenti
-per piccola cosa che si cavavano di borsa
-trovavano chi pagava per loro e prendevano l’assegnamento.
-Il comune mantenne la fede di pagare
-a’ termini ch’avea promesso, e però a molti
-<span class="pagenum" id="Page_279">[279]</span>
-cittadini era grande guadagno, e agli altri non
-era gravezza; e per questo, quanti danari fossono
-bisognati al comune avea senza alcuna fatica, e
-il merito che pagava tornava nelle mani de’
-suoi cittadini, non però senza alcuna invidia. Abbianne
-fatta questa memoria per li tempi avvenire,
-a dimostrare quanto è utile al soccorso
-della repubblica mantenere il comune la fede
-a’ suoi cittadini, e quanto bene seguita al comune
-l’ordine di restituire le prestanze: perocchè
-nella nostra ricordanza è di veduta, che il comune
-soleva fare libbre ed imposte le quali generavano
-molte mortali nimicizie tra’ cittadini,
-perocchè si facevano disordinatamente sconce, e
-se pure ventimila fiorini imponeva il comune,
-più di cento case se n’abbattevano in Firenze, e
-recavansi i beni tra quelli de’ rubelli per cessanti
-delle fazioni del comune, e i cittadini erano
-pegnorati o presi, e molti s’uscivano in bando
-per le dette cagioni, e gli esattori e’ messi se n’andavano
-per loro col quarto dell’imposta, in
-grave confusione della cittadinanza.
-</p>
-
-<h3 id="cap84-4">CAP. LXXXIV.
-<span class="smaller"><i>L’ordine diede l’imperadore agli Aretini.</i></span></h3>
-
-<p>
-Gli ambasciadori del comune d’Arezzo avendo
-sostenuto molte battaglie in giudicio da’ Tarlati
-e dagli Ubertini nell’udienza dell’imperadore
-e del suo consiglio, che domandavano di
-volere tornare nella loro città d’Arezzo, e avendoli
-gli ambasciadori convinti con ragione come
-<span class="pagenum" id="Page_280">[280]</span>
-non erano degni di tornare cittadini in quella
-città, dov’avevano per loro sfrenata potenza usate
-le tirannie manifeste e l’ingiuste operazioni,
-per le quali aveano per più riprese fatto manifesto
-all’imperadore e al suo consiglio, che quello comune
-sosterrebbe innanzi ogni altro pericolo di
-fortuna, che coloro consentissono di rimettere
-nella città sotto alcun patto. L’imperadore avendo
-assai sostenuto a riceverli in servigio de’ Tarlati
-e degli Ubertini, vedendo la giusta costanza degli
-ambasciadori, diliberò che tutti i cittadini non
-ribelli di quello comune raccomunassono gli ufici,
-e che tanti vi fossono de’ ghibellini quanto de’ guelfi;
-ma che le due castella della città si guardassono
-solo per i guelfi, com’erano usate di guardare,
-per più fermezza dello stato della città; e che catuno
-dovesse avere il frutto de’ suoi propri beni, e
-non potessono domandare altro a quello comune.
-Gli ambasciadori col sindacato del loro comune
-gli feciono la sommessione di quello comune e l’omaggio,
-promettendoli ogni anno per censo fiorini
-quattrocento d’oro del mese di marzo: e oltre
-a ciò gli donarono per aiuto alla sua coronazione
-fiorini cinquemila d’oro, e l’imperadore
-futuro per suoi privilegi reali privilegiò loro
-tutto il contado: e questo fu fatto nella città di
-Siena all’uscita del mese di marzo 1355.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_281">[281]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap85-4">CAP. LXXXV.
-<span class="smaller"><i>Come fu preso Montepulciano dalla casa
-de’ Cavalieri.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo per lunga esperienza certificati messer
-Niccolò e messer Iacopo de’ Cavalieri di Montepulciano,
-che la loro discordia gli avea abbattuti
-della signoria, e cacciati in esilio della loro
-terra e della città di Siena, si ridussono a pace
-e a concordia; e innanzi che il bollore del popolo
-sanese s’acchetasse in fermo stato, messer
-Niccolò di volontà di messer Iacopo suo consorto
-tornò in Montepulciano, ricevuto da’ terrazzani
-che dentro v’erano con allegra faccia, perocchè
-volentieri tornavano al loro antico reggimento:
-nondimeno la rocca ch’era in mano e in guardia
-de’ Sanesi non potè avere. La novella venne a Siena
-di presente dov’era l’imperadore, e messer
-Iacopo de’ Cavalieri ch’era di ciò avvisato, avendo
-in sua compagnia alquanti grandi uomini di Siena,
-incontanente fu in presenza dell’imperadore,
-e informollo pienamente del manifesto torto che
-il popolo di Siena avea fatto loro, non attenendo
-i patti nè le convenienze ch’aveano promesse
-per la corrotta fede de’ nove; e que’ grandi cittadini
-ch’erano con lui feciono chiaro l’imperadore
-che quello che diceva era in fatto vero: e
-però in quello stante, quanto ch’e’ s’avesse altro in
-cuore, disse ch’era contento che tenessono la terra
-di Montepulciano come suoi vicari; e il terzo
-dì appresso, cavalcando l’eletto verso Roma,
-<span class="pagenum" id="Page_282">[282]</span>
-volle andare a desinare nella terra. I signori allegramente
-gli apparecchiarono la desinea; e com’ebbe
-mangiato ne menò seco a Roma l’uno e
-l’altro, e nella terra mise altra gente alla guardia:
-ed essendo in Roma, e sentendo alcuna cosa contro
-a messer Niccolò, o che per sospetto si movesse,
-il fece citare, ed egli ingelosito per sospetto
-della sua persona si partì di Roma, senza comparire
-e senza prendere comiato.
-</p>
-
-<h3 id="cap86-4">CAP. LXXXVI.
-<span class="smaller"><i>Come il papa riprese in concistoro certi
-dissoluti cardinali.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il cardinale di Pelagorga di Guascogna baldanzoso
-e superbo, non meno per la potenza
-dei suo legnaggio che per lo cappello rosso, oltre
-a molte grandi e sconce cose fatte per la sua
-arroganza, singolari nella corte di Roma, in questi
-dì del mese di marzo, nella santa Quaresima,
-essendo per loro bisogne venuti a corte nella città
-d’Avignone alquanti cavalieri guasconi, disordinati,
-della setta sua e di suo lignaggio, senz’altra
-singolare cagione ne fece uccidere tre, che
-niuna guardia si pensavano avere a fare, non guardando
-alla reverenza de’ pastori di santa Chiesa,
-nè a’ santi giorni quaresimali. E altri giovani
-fatti cardinali per papa Clemente erano stati,
-e in questi dì erano in tanta disonesta e dissoluta
-vita, che niuni giovani dissoluti tiranni
-gli avanzavano: e intra l’altre cose (con vergogna
-il dico) facevano nella città a’ loro scudieri rapire
-<span class="pagenum" id="Page_283">[283]</span>
-le giovani donne a’ loro mariti manifestamente,
-e senza vergogna le teneano palesi nelle loro
-livree; e molte cose violenti usavano in vituperio
-di santa Chiesa. Onde papa Innocenzio sesto
-udendo molta infamia nella corte di questi cardinali,
-facendo dell’edima santa singolare consistoro
-per questa cosa, li riprese in pubblico
-aspramente, dicendo: Voi vi portate sì dissolutamente
-in vituperio di santa Chiesa, che mi conducerete
-a essere in parte, ch’io farò abbassare
-la vostra superbia; minacciandoli di tornare la
-corte in Italia: ma poco se n’ammendarono; e il
-tempo non era ancora ordinato da Dio di tornare
-alla sedia apostolica di Roma i suoi pontefici
-per l’antico peccato de’ prelati italiani, che
-ancora non si mostravano soperchiati dagli oltramontani.
-</p>
-
-<h3 id="cap87-4">CAP. LXXXVII.
-<span class="smaller"><i>Di alcuna novità di Pisa per gelosia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo l’imperadore a Siena, era in Pisa rimaso
-un suo vicario con seicento cavalieri tedeschi:
-i Pisani per le divisioni e per l’invidia
-delle loro sette mormoravano l’uno contro
-l’altro, e catuno contro all’imperadore. Il vicario
-per reprimere la volontà de’ malcontenti,
-e per accrescersi favore del minuto popolo ch’era
-tutto imperiale, a dì 29 di marzo 1355 fece improvviso
-a’ Pisani di subito armare tutte le sue
-masnade tedesche, e con loro insieme corse
-tutta la città gridando, viva l’imperadore, e il
-<span class="pagenum" id="Page_284">[284]</span>
-popolo rispondea per tutte le contrade, viva l’imperadore;
-e senza alcuna altra novità fare s’acquetarono:
-e tornati a’ loro alberghi puosono
-giuso l’armi, e a’ Pisani delle sette crebbe il
-mal volere contro all’imperadore.
-</p>
-
-<h3 id="cap88-4">CAP. LXXXVIII.
-<span class="smaller"><i>Della gente che i Fiorentini mandarono
-con l’imperadore.</i></span></h3>
-
-<p>
-L’eletto imperadore volendo andare a prendere
-la corona a san Piero a Roma, si pensò,
-che non ostante la sua copiosa compagnia, grande
-sicurtà gli sarebbe per tutto ad avere in sua
-condotta l’insegna del comune di Firenze, e alla
-guardia della sua persona de’ suoi cittadini con
-parte della loro gente d’arme; e però richiese i
-Fiorentini che gli mandassono de’ loro cavalieri
-dugento con l’insegna del comune, e con alcuni
-cittadini alla sua compagnia. Il comune elesse
-di presente due cittadini, uno grande e
-uno popolare, ambedue cavalieri, e dugento
-barbute di gente eletta molto bene montati e
-armati nobilemente, e bene guerniti di robe
-e d’arnesi, e diedono l’insegna del popolo,
-il giglio e il rastrello, senza alcuna aguglia:
-e giunti a Siena, l’imperadore li ricevette
-graziosamente, e costituilli alla guardia del
-suo corpo, perocchè gran confidanza avea de’
-Fiorentini, e tra tutta sua gente non avea altrettanti
-cavalieri sì bene a cavallo nè sì bene armati:
-e in sua compagnia andarono, e stettono,
-<span class="pagenum" id="Page_285">[285]</span>
-e tornarono da Roma infino alla città di Siena,
-e ivi licenziati dall’imperadore si tornarono a
-Firenze. Abbiamo di questa lieve cosa fatta memoria,
-non tanto per lo fatto, quanto che fu
-cosa disusata e strana per lunghi tempi passati,
-vedere l’insegna del comune di Firenze a guardia
-dell’imperadore.
-</p>
-
-<h3 id="cap89-4">CAP. LXXXIX.
-<span class="smaller"><i>Come l’imperadore si partì da Siena.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo l’imperadore veduto la subita revoluzione
-fatta per i cittadini di Siena, d’avere
-disfatto e abbattuto il loro antico reggimento
-e l’ordine de’ nove, avendo di presente ad essere
-a Roma il dì della Pasqua della santa Resurrezione
-a dì 5 d’aprile, prese sospetto di lasciarla
-in libertà, e lasciovvi l’arcivescovo di Praga cui
-n’avea fatto vicario, prelato di grande autorità,
-e sperto delle cose del mondo, e pro’ e ardito in
-fatti d’arme, e in sua compagnia e per suo consiglio
-lasciò il signore di Cortona, e i Tarlati
-d’Arezzo, e’ conti da Santafiore, e più altri caporali
-di parte ghibellina, mostrando più confidanza
-in loro che nelle case guelfe di Siena, che
-liberamente gli aveano data la signoria di quella
-città: per la qual cosa i gentili uomini di
-quella terra e i popolani grassi molto si turbarono
-e rimasono malcontenti, benchè in apparenza
-allora non ne feciono dimostrazione; e a
-dì 28 di marzo 1355 l’eletto si partì da Siena, e
-seguitò a gran giornate il suo viaggio, e infino alla
-<span class="pagenum" id="Page_286">[286]</span>
-sua tornata i Sanesi vivettono senza niuno loro
-ordine sotto il volontario reggimento del vicario.
-</p>
-
-<h3 id="cap90-4">CAP. XC.
-<span class="smaller"><i>Della gran compagnia ch’era in Puglia.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo tempo, all’entrare d’aprile del detto
-anno, la compagnia del conte di Lando era
-cresciuta nel Regno in quattromila barbute, e
-in molti masnadieri, e in grande popolo di bordaglia,
-e tenendo loro campi sopra Nocera e sopra
-Foggia correvano la Puglia piana predando
-e pigliando uomini e femmine, e bestiame e
-roba ovunque ne poteano giungnere, e strignevano
-per paura i casali e le ville a portare
-vittuaglia al campo. Nel paese faceano danno assai;
-ma niuna terra murata poterono acquistare,
-perocchè non aveano argomenti da vincerle per
-battaglia, e per la fede ch’aveano rotta a quelli
-del Guasto quando si dierono loro, niuna terra si
-volea più confidare alle loro promesse, ma tutte
-s’erano armate e afforzate alla difesa. Stando
-la compagnia per questo modo in Puglia, il
-re Luigi poco mostrava che si curasse della compagnia,
-e meno del danno de’ suoi sudditi, con
-mancamento di suo onore, perocchè nè aiuto
-nè consiglio dava loro: ma in questi dì mandò
-messer Niccola Acciaiuoli di Firenze suo grande
-siniscalco al legato, per trattare pace da lui a
-messer Malatesta da Rimini, e ambasciadore all’imperadore,
-e appresso al comune di Firenze,
-per avere da catuno aiuto di gente contro alla
-<span class="pagenum" id="Page_287">[287]</span>
-compagnia, e per sentire la volontà e ’l processo
-dell’imperadore: ma da se nel Regno niuna provvisione
-fece, fuori che festeggiare e danzare con
-le donne, in detrimento della sua fama.
-</p>
-
-<h3 id="cap91-4">CAP. XCI.
-<span class="smaller"><i>Come il gran siniscalco cambiò sua fama in
-Firenze.</i></span></h3>
-
-<p>
-Noi avremmo volontieri trapassato quello che
-seguita senza memoria, se senza potere essere
-incolpato d’adulazione per tacere l’avessimo potuto
-fare. Il grande siniscalco del re Luigi partitosi
-dalle mollizie del suo signore, e inviscato da
-quelle, venne al legato in Romagna, e cercato
-secondo la commissione a lui fatta dal re Luigi
-di tentare la pace dal legato a messer Malatesta
-da Rimini, non ebbe autorità di poterla in alcuno
-atto disporla: e partitosi dal legato, venne a
-Siena all’imperadore, e spuosegli la sua ambasciata,
-dal quale fu ricevuto graziosamente per amore
-del re, e ancora della sua persona, perocch’era cittadino
-popolare di Firenze, e vedevalo montato in
-cotanta dignità, e a Roma il menò con seco, e fu alla
-sua coronazione: e tornato a Siena con lui senza
-avere impetrata alcuna cosa di sua domanda, se
-ne venne a Firenze del mese d’aprile del detto
-anno, con grande comitiva di baroni e di cavalieri
-napoletani, giovani ornati di diverse e strane
-portature, e abiti di loro robe, con maravigliosi
-paramenti d’oro e d’argento, e di pietre preziose
-e di perle, e in Firenze cominciò a fare
-<span class="pagenum" id="Page_288">[288]</span>
-molti conviti, e continovolli lungamente in città e
-in contado, avendo le giovani donne le quali faceva
-invitare con grande istanza sera e mattina a’ suoi
-corredi, e tutto dì le tenea in danza e in festa co’
-suoi cavalieri; le quali femminili mollizie molto
-nella patria indebolirono la sua fama; e considerando
-i cittadini il tempo nel quale la compagnia
-tribolava il Regno, e le novità dell’imperadore,
-e le mutazioni degli stati delle città e delle
-terre di Toscana, e la nuova gravezza, e sollecita
-provvedenza e guardia ch’avea il suo comune di
-Firenze, facevano manifesto che allora bisognavano
-cose virtuose e virili, e non disoneste mollezze
-di donne. Crediamo che il male esempio
-del suo signore, e la vanità che ’l movea a accattare
-benevolenza de’ giovani e vani baroni e cavalieri
-ch’erano con lui gli feciono dimenticare
-le sue usate virtù, e la fortezza del suo
-animo. E per merito di questo, avendo domandato
-al suo comune per parte del re alcuno sussidio
-di gente d’arme contro alla compagnia, cosa
-che altra volta si sarebbe fatta senza domandare,
-per più riprese gli fu negata; potendo conoscere
-che poco onore della sua città riportò al re suo
-signore contra l’usato modo: e dove la sua persona
-era per addietro nominatissima in altezza d’animo
-e in molte virtù, per la vana mollezza
-femminile, a questa volta nella sua patria recò
-in memoria de’ suoi cittadini la detestabile vita
-di Sardanapalo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_289">[289]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap92-4">CAP. XCII.
-<span class="smaller"><i>Come l’imperadore giunse a Roma.</i></span></h3>
-
-<p>
-Carlo nominato nel battesimo Vincislao, figliuolo
-del re Giovanni, figliuolo dell’imperadore Arrigo
-di Luzimborgo re di Boemia, eletto imperadore,
-giunto a Roma il giovedì santo, entrò nella
-città sconosciuto, e a modo di romeo vestito
-di panno bruno con molti suoi baroni, e andò il
-venerdì e il sabato santo a vicitare le principali
-chiese di Roma in forma di pellegrino, e per modo
-che da niuno forestiero o paesano potea essere
-conosciuto chi fosse l’imperadore: e la mattina
-innanzi dì, vegnente la Resurrezione, uscì di
-Roma con la maggiore parte della sua gente, per
-entrare la mattina della santa Pasqua palesemente
-in Roma, per venire alla sua coronazione manifestamente.
-Il popolo di Roma per ordine de’
-loro Rioni, co’ suoi principi e con tutto il chericato
-con solenne processione gli uscirono incontro
-fuori della città, e trovaronlo apparecchiato;
-e fattogli la debita salutazione e reverenza,
-con somma allegrezza e festa, e con
-grande moltitudine di cavalieri romani e paesani
-e strani, oltre alla sua cavalleria, condussono
-lui innanzi e l’imperatrice appresso nella città
-di Roma, e menaronlo alla Basilica del principe
-degli Apostoli san Piero, la mattina innanzi la
-messa, e là smontati. Qui si faccia fine al nostro
-quarto libro, per fare cominciamento al quinto
-della sua coronazione.
-</p>
-
-<hr class="silver">
-
-<div class="somm">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_291">[291]</span>
-</p>
-
-<h2><a id="indice" href="#indfront">
-TAVOLA</a>
-<span class="smaller">DEI CAPITOLI</span></h2>
-
-<table class="indice">
- <tr>
- <td><i>Qui comincia il terzo libro della Cronica di Matteo Villani; e prima il Prologo</i></td> <td class="pag"><a href="#libro3">Pag. 5</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> II. La potenza dell’arcivescovo di Milano, e il procaccio fece a corte per la sua liberazione</i></td> <td class="pag"><a href="#cap2-3">6</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> III. Come papa Clemente sesto propose tre cose a’ comuni di Toscana, perchè pigliassono l’una</i></td> <td class="pag"><a href="#cap3-3">9</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> IV. Come il papa e’ cardinali annullarono i processi contro all’arcivescovo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap4-3">10</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> V. Come gli ambasciadori de’ Toscani si partirono di corte mal contenti</i></td> <td class="pag"><a href="#cap5-3">11</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VI. Come i tre comuni di Toscana s’accordarono a far passare l’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap6-3">12</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VII. Quali furono i patti dall’imperadore a’ tre comuni</i></td> <td class="pag"><a href="#cap7-3">13</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VIII. Come il re Luigi e la reina Giovanna furono coronati per la Chiesa</i></td> <td class="pag"><a href="#cap8-3">15</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> IX. Commendazione in laude di messer Niccola Acciaiuoli</i></td> <td class="pag"><a href="#cap9-3">17</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> X. Come fu cacciato messer Iacopo Cavalieri di Montepulciano.</i></td> <td class="pag"><a href="#cap10-3">20</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XI. Come si die’ il guasto a Bibbiena, e sconfitti i Tarlati da’ Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap11-3">21</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XII. Come si rubellò a’ Fiorentini Coriglia e Sorana</i></td> <td class="pag"><a href="#cap12-3">23</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_292">[292]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIII. Come i tre comuni di Toscana mandarono ambasciadori in Boemia a far muovere l’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap13-3">24</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIV. Di disusati tempi stati</i></td> <td class="pag"><a href="#cap14-3">25</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XV. Dell’inganno ricevette il comune di Firenze del braccio di santa Reparata</i></td> <td class="pag"><a href="#cap15-3">27</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVI. Di quello medesimo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap16-3">28</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVII Come la gente del Biscione cavalcarono i Perugini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap17-3">29</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVIII. Come i Romani andarono per guastare Viterbo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap18-3">31</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIX. Come il re Luigi ebbe Nocera</i></td> <td class="pag"><a href="#cap19-3">32</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XX. Come fu sconfitto il conte di Caserta</i></td> <td class="pag"><a href="#cap20-3">33</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXI. La novità in Casole di Volterra</i></td> <td class="pag"><a href="#cap21-3">34</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXII. Come furono decapitati degli Ardinghelli di Sangimignano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap22-3">34</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIII. Come gente del re di Francia fu sconfitta a Guinisi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap23-3">35</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIV. Come i Perugini assediarono Bettona</i></td> <td class="pag"><a href="#cap24-3">37</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXV. Come fu liberato Montecchio dall’assedio per soccorrere Bettona</i></td> <td class="pag"><a href="#cap25-3">38</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVI. Come i Perugini ebbono Bettona e arsonla, e disfeciono affatto</i></td> <td class="pag"><a href="#cap26-3">39</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVII. Come la città d’Agobbio s’accordò co’ Perugini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap27-3">41</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVIII. Come ser Lallo s’accordò con il re Luigi dell’Aquila</i></td> <td class="pag"><a href="#cap28-3">41</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIX. Come i Perugini e’ Fiorentini tornarono a guastare Cortona</i></td> <td class="pag"><a href="#cap29-3">42</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXX. Come gli ambasciadori de’ tre comuni di Toscana tornarono dall’imperadore senza accordo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap30-3">43</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXI. Come l’arcivescovo cercava pace co’ Toscani</i></td> <td class="pag"><a href="#cap31-3">44</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXII. Come il prefetto da Vico fu fatto signore d’Orvieto</i></td> <td class="pag"><a href="#cap32-3">45</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIII. Novità state a Roma</i></td> <td class="pag"><a href="#cap33-3">46</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIV. Come la gente del Biscione assediarono la Città di Castello</i></td> <td class="pag"><a href="#cap34-3">47</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXV. Come i Fiorentini soccorsono Barga e sconfissono i Castracani</i></td> <td class="pag"><a href="#cap35-3">47</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_293">[293]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVI. Come si difese il borgo d’Arezzo per i Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap36-3">48</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVII. D’un segno mirabile ch’apparve</i></td> <td class="pag"><a href="#cap37-3">49</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVIII. Come i Tarlati arsono il borgo di Figghine</i></td> <td class="pag"><a href="#cap38-3">50</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIX. Come gli usciti di Montepulciano venuti alla terra ne furono poi cacciati</i></td> <td class="pag"><a href="#cap39-3">52</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XL. Come fra Moriale fu assediato, e rendessi al re Luigi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap40-3">53</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLI. Come i Fiorentini fornirono Lozzole</i></td> <td class="pag"><a href="#cap41-3">54</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLII. Maraviglie fatte a Roma per una folgore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap42-3">56</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIII. Come morì papa Clemente sesto, e di sue condizioni</i></td> <td class="pag"><a href="#cap43-3">57</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIV. Come fu fatto papa Innocenzio sesto</i></td> <td class="pag"><a href="#cap44-3">59</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLV. Come usciti di prigione i reali del Regno s’arrestarono a Trevigi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap45-3">60</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVI. Di novità state in Sangimignano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap46-3">61</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVII. Come i comuni di Toscana mandarono solenni ambasciadori a Serezzana a trattare pace</i></td> <td class="pag"><a href="#cap47-3">63</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVIII. Di grandi tremuoti vennono in Toscana e in altre parti</i></td> <td class="pag"><a href="#cap48-3">63</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIX. Come i Sanesi andarono a oste a Montepulciano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap49-3">65</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> L. Come Gualtieri Ubertini fu decapitato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap50-3">66</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LI. Come il duca d’Atene assediò Brandizio</i></td> <td class="pag"><a href="#cap51-3">67</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LII. Come i Perugini feciono pace co’ Cortonesi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap52-3">68</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIII. Come il popolo di Gaeta uccisono dodici loro cittadini per la carestia ch’aveano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap53-3">69</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIV. Come il papa volle trattare pace da’ Genovesi a’ Veneziani</i></td> <td class="pag"><a href="#cap54-3">70</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LV. Come i Fiorentini osteggiaro Sangimignano, e fecionli ubbidire</i></td> <td class="pag"><a href="#cap55-3">71</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVI. Come in Italia fu generale carestia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap56-3">72</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVII. Come i Romani uccisono colle pietre Bertoldo degli Orsini loro senatore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap57-3">73</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVIII. Come fu tagliata la testa a Bordone de’ Bordoni</i></td> <td class="pag"><a href="#cap58-3">74</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_294">[294]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIX. Come si pubblicò la pace dall’arcivescovo a’ comuni di Toscana</i></td> <td class="pag"><a href="#cap59-3">75</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LX. L’inganno ricevette il comune di Firenze dagli sbanditi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap60-3">77</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXI. Di questa medesima materia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap61-3">79</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXII. Come messer Piero Sacconi de’ Tarlati tentò di fare grande preda innanzi che fosse bandita la pace</i></td> <td class="pag"><a href="#cap62-3">80</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIII. Come il corpo di messer Lorenzo Acciaiuoli fu recato del Regno a Firenze, e seppellito a Montaguto a Certosa onoratamente</i></td> <td class="pag"><a href="#cap63-3">81</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIV. Come si fe’ l’accordo da’ Sanesi a Montepulciano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap64-3">83</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXV. D’una notabile grandine venuta in Lombardia, e d’altro</i></td> <td class="pag"><a href="#cap65-3">84</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVI. Come sotto le triegue procedettono le cose in Francia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap66-3">85</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVII. Come i Genovesi spregiarono la pace de’ Veneziani</i></td> <td class="pag"><a href="#cap67-3">86</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVIII. Come i Veneziani si provvidono</i></td> <td class="pag"><a href="#cap68-3">87</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIX. Come fu guasto il castello di Picchiena, e perchè</i></td> <td class="pag"><a href="#cap69-3">88</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXX. Come Ruberto d’Avellino fu morto dalla duchessa sua moglie</i></td> <td class="pag"><a href="#cap70-3">89</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXI. Come furono cacciati i ghibellini del Borgo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap71-3">90</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXII. Di quattro leoni di macigno posti al palagio de’ priori</i></td> <td class="pag"><a href="#cap72-3">91</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIII. Come Sangimignano fu recato a contado di Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap73-3">91</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIV. D’un segno apparve in cielo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap74-3">94</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXV. Come fu assediata Argenta</i></td> <td class="pag"><a href="#cap75-3">94</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVI. Come si temette in Toscana di carestia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap76-3">96</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVII. Come in Messina fu morto il conte Mazzeo de’ Palizzi a furore, e la moglie e due figliuoli</i></td> <td class="pag"><a href="#cap77-3">97</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVIII. Come fu creato nuovo tribuno in Roma</i></td> <td class="pag"><a href="#cap78-3">99</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIX. Come furono sconfitti in mare i Genovesi alla Loiera</i></td> <td class="pag"><a href="#cap79-3">101</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_295">[295]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXX. Come i Catalani perderono loro terre in Sardegna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap80-3">106</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXI. Come il prefetto venne a oste a Todi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap81-3">107</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXII. Come fu presa e lasciata Vicorata</i></td> <td class="pag"><a href="#cap82-3">108</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIII. Come il conte di Caserta si rubellò dal re Luigi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap83-3">109</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIV. Come il cardinale legato venne a Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap84-3">111</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXV. Rinnovazione del palio di santa Reparata</i></td> <td class="pag"><a href="#cap85-3">112</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVI. Come i Genovesi si misono in servaggio dell’arcivescovo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap86-3">114</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVII. Come i Pisani feciono confinati</i></td> <td class="pag"><a href="#cap87-3">115</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVIII. Come i Sanesi ruppono i patti a Montepulciano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap88-3">117</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIX. Come si cominciò la gran compagnia nella Marca</i></td> <td class="pag"><a href="#cap89-3">118</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XC. Dice de’ leoni nati in Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap90-3">119</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCI. Come i Romani si dierono alla Chiesa di Roma</i></td> <td class="pag"><a href="#cap91-3">120</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCII. Le novità seguite in Pistoia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap92-3">121</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCIII. Come l’arcivescovo richiese di pace i Veneziani</i></td> <td class="pag"><a href="#cap93-3">122</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCIV. Come i Veneziani ordinarono lega contro al Biscione</i></td> <td class="pag"><a href="#cap94-3">123</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCV. Come il conestabile di Francia fu morto</i></td> <td class="pag"><a href="#cap95-3">124</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCVI. Come si cominciò la rocca in Sangimignano, e la via coperta a Prato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap96-3">126</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCVII. Del male stato dell’isola di Sicilia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap97-3">126</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCVIII. Come il legato del papa procedette col prefetto</i></td> <td class="pag"><a href="#cap98-3">127</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCIX. Come si rubellò Verona al Gran Cane per messer Frignano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap99-3">129</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> C. Come messer Bernabò con duemila barbute si credette entrare in Verona</i></td> <td class="pag"><a href="#cap100-3">132</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CI. Come messer Gran Cane racquistò Verona, e fu morto messer Frignano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap101-3">136</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CII. Come messer Gran Cane riformò la città di Verona, e fece giustizia de’ traditori</i></td> <td class="pag"><a href="#cap102-3">136</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_296">[296]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CIII. Come fu deliberato per la Chiesa l’avvenimento dell imperadore in Italia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap103-3">138</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CIV. D’un gran fuoco ch’apparve nell’aria</i></td> <td class="pag"><a href="#cap104-3">139</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CV. Di tremuoti che furono</i></td> <td class="pag"><a href="#cap105-3">140</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CVI. De’ fatti del monte</i></td> <td class="pag"><a href="#cap106-3">141</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CVI. Di certe rivolture di tiranni di Lombardia, e di più cose per lo tradimento di Verona</i></td> <td class="pag"><a href="#cap106a-3">144</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CVII. Del processo della grande compagnia di fra Moriale della Marca</i></td> <td class="pag"><a href="#cap107-3">145</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CVIII. Come il legato prese Toscanella</i></td> <td class="pag"><a href="#cap108-3">147</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CIX. Come messer Malatesta si ricomperò dalla compagnia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap109-3">148</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CX. D’un fanciullo mostruoso nato in Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap110-3">151</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CXI. Come furono cacciati i guelfi di Rieti e da Spoleto</i></td> <td class="pag"><a href="#cap111-3">151</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="center">LIBRO QUARTO</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> I. Comincia il quarto libro, e prima il Prologo</i></td> <td class="pag"><a href="#libro4">153</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> II. Comparazione dal re Ruberto al re Luigi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap2-4">154</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> III. Come gran parte dell’isola di Cicilia venne all’ubbidienza del re Luigi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap3-4">155</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> IV. Come l’arcivescovo cominciò guerra contro a’ collegati di Lombardia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap4-4">157</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> V. Come il re d’Ungheria passò con grande esercito contra un re de’ Tartari</i></td> <td class="pag"><a href="#cap5-4">157</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VI. De’ grilli ch’abbondarono in Barberia e poi in Cipri</i></td> <td class="pag"><a href="#cap6-4">159</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VII. D’una notabile maraviglia della reverenza della tavola di santa Maria in Pineta</i></td> <td class="pag"><a href="#cap7-4">160</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VIII. Come il vicario di Bologna mandò l’oste sopra Modena con due quartieri di Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap8-4">162</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> IX. Come il legato e i Romani guastarono il contada di Viterbo.</i></td> <td class="pag"><a href="#cap9-4">162</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> X. Come il prefetto s’arrendè al legato liberamente</i></td> <td class="pag"><a href="#cap10-4">163</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XI. Come il popolo di Bologna si levò a romore per avere loro libertà, e fu in maggiore servaggio.</i></td> <td class="pag"><a href="#cap11-4">165</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_297">[297]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XII. Come fu tolta l’arme al popolo di Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap12-4">168</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIII. Come il legato ebbe la città d’Agobbio</i></td> <td class="pag"><a href="#cap13-4">169</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIV. Come i Perugini non tennono fede a’ Fiorentini e’ Sanesi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap14-4">170</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XV. Come procedettono i rettori di Firenze in questa sopravvenuta tempesta della compagnia di fra Moriale</i></td> <td class="pag"><a href="#cap15-4">173</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVI. Come si provvedde a Firenze contra la compagnia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap16-4">175</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVII. Come fu morto messer Lallo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap17-4">176</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVIII. Come il re di Spagna cacciata la non vera moglie coronò la legittima</i></td> <td class="pag"><a href="#cap18-4">178</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIX. Come i collegati di Lombardia condotta la compagnia mandarono all’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap19-4">181</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XX. Come i Bordoni furono cacciati di Firenze, e sbanditi per ribelli</i></td> <td class="pag"><a href="#cap20-4">182</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXI. Come il re d’Araona venne con grande armata a racquistare Sardegna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap21-4">183</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXII. Come i Genovesi feciono armata contro a’ Veneziani e Catalani</i></td> <td class="pag"><a href="#cap22-4">184</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIII. Come il tribuno di Roma fece tagliare la lesta a fra Moriale</i></td> <td class="pag"><a href="#cap23-4">186</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIV. D’una sformata grandine venuta a Mompelieri, e della scurazione del sole</i></td> <td class="pag"><a href="#cap24-4">188</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXV. Come morì l’arcivescovo di Milano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap25-4">189</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVI. Come il tribuno di Roma fu morto a furia di popolo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap26-4">190</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVII. Come l’imperadore Carlo venne in Lombardia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap27-4">192</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVIII. Come i tre fratelli de’ Visconti di Milano furono fatti signori, e loro divise</i></td> <td class="pag"><a href="#cap28-4">194</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIX. Come l’imperadore stando a Mantova trattava la pace de’ Lombardi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap29-4">195</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXX. Come furono presi i legni ch’andavano a Palermo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap30-4">197</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXI. Come si cominciò guerra il Puglia tra loro.</i></td> <td class="pag"><a href="#cap31-4">198</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXII. Come i Genovesi sconfissono i Veneziani a Portolungone in Romania</i></td> <td class="pag"><a href="#cap32-4">199</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_298">[298]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIII. Come Gentile da Mogliano diede fermo al legato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap33-4">203</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span>XXXIV. Come il re d’Araona ebbe la Loiera, e fece accordo col giudice</i></td> <td class="pag"><a href="#cap34-4">204</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXV. Come i Pisani si diliberarono di mandare all’imperatore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap35-4">206</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVI. Rottura della pace del re di Francia e d’Inghilterra</i></td> <td class="pag"><a href="#cap36-4">207</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVII. Come un gatto uccise un fanciullo in Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap37-4">208</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVIII. Come l’imperadore fe’ fare triegua da’ Lombardi a’ signori di Milano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap38-4">209</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIX. Come l’imperadore andò a Moncia per la corona del ferro</i></td> <td class="pag"><a href="#cap39-4">211</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XL. Come il conte di Lando venne di Lombardia in Romagna con la gran compagnia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap40-4">214</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLI. Come i Fiorentini per la venuta dell’imperadore a Pisa si provvidono</i></td> <td class="pag"><a href="#cap41-4">215</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLII. Come il legato prese Recanati</i></td> <td class="pag"><a href="#cap42-4">217</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIII. Come il capitano di Forlì venne in Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap43-4">218</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIV. Come l’imperadore Carlo giunse a Pisa</i></td> <td class="pag"><a href="#cap44-4">219</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLV. Come l’imperadore bandì parlamento in Pisa, e quello n’avvenne</i></td> <td class="pag"><a href="#cap45-4">220</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVI. Come l’imperadore di Costantinopoli racquistò l’imperio</i></td> <td class="pag"><a href="#cap46-4">221</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVII. Come i Matraversi di Pisa feciono muovere l’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap47-4">223</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVIII. Come procedettono i fatti in Pisa</i></td> <td class="pag"><a href="#cap48-4">224</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIX. Come gli ambasciadori del comune di Firenze andaro all’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap49-4">225</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> L. Di novità stata in Montepulciano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap50-4">226</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LI. Come le sette di Pisa si pacificarono insieme</i></td> <td class="pag"><a href="#cap51-4">227</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LII. Come Gentile da Mogliano si ritolse la città di Fermo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap52-4">229</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIII. Come gli ambasciadori de’ Fiorentini e’ Sanesi furono ricevuti dall’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap53-4">231</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIV. Come i Sanesi scopriro la loro corrotta fede contro a’ Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap54-4">232</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_299">[299]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LV. De’ falli commessi per lo comune di Firenze, e degl’inganni ricevuti da’ suoi vicini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap55-4">235</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVI. Di molti Alamanni venuti alla coronazione dell’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap56-4">237</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVII. Di novità della Marca per Recanati</i></td> <td class="pag"><a href="#cap57-4">238</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVIII. Come la gran compagnia del conte di Lando entrò nel Regno</i></td> <td class="pag"><a href="#cap58-4">239</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIX. Come l’imperadore andò a Lucca</i></td> <td class="pag"><a href="#cap59-4">240</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LX. Come al Galluzzo nacque un fanciullo mostruoso</i></td> <td class="pag"><a href="#cap60-4">241</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXI. De’ fatti di Siena con l’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap61-4">242</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXII. Di più imbasciate ghibelline state in presenza dell’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap62-4">245</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIII. Come i Volterrani si dierono all’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap63-4">247</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIV. Come i Samminiatesi si dierono all’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap64-4">248</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXV. Di disusato tempo stato nel verno</i></td> <td class="pag"><a href="#cap65-4">249</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVI. Come il segreto giurato in Firenze fu manifestato all’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap66-4">250</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVII. Come l’imperadore mandò aiuto di gente al legato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap67-4">252</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVIII. Trattati dall’imperadore a’ Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap68-4">253</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIX. Raccolti falli de’ governatori del comune di Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap69-4">254</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXX. Come a Firenze si fece il sindacato per l’accordo con l’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap70-4">256</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXI. Quello si fe’ per alcuno cardinale per la coronazione dell’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap71-4">258</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXII. Come si fermò l’accordo e’ patti dall’imperadore al comune di Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap72-4">259</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIII. Come i Fiorentini per mala provvedenza errarono a loro danno</i></td> <td class="pag"><a href="#cap73-4">262</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIV. Della statura e continenza dell’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap74-4">263</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXV. Come si bandì in Firenze l’accordo con l’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap75-4">265</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVI. I patti e le convenienze da’ Fiorentini all’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap76-4">266</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVII. Come fu offesa la libertà del popolo di Roma da’ Toscani</i></td> <td class="pag"><a href="#cap77-4">260</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_300">[300]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVIII. Di quello medesimo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap78-4">270</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIX. Come la gran compagnia rubò il Guasto in Puglia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap79-4">272</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXX. Come l’imperadore richiese di lega i Fiorentini, e non l’ebbe</i></td> <td class="pag"><a href="#cap80-4">273</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXI. Come si mutò lo stato de’ nove di Siena</i></td> <td class="pag"><a href="#cap81-4">275</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXII. Di quello medesimo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap82-4">276</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIII. Il modo trovò il comune di Firenze per avere danari</i></td> <td class="pag"><a href="#cap83-4">277</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIV. L’ordine diede l’imperadore agli Aretini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap84-4">279</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXV. Come fu preso Montepulciano dalla casa de’ Cavalieri</i></td> <td class="pag"><a href="#cap85-4">281</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVI. Come il papa riprese in concistoro certi dissoluti cardinali</i></td> <td class="pag"><a href="#cap86-4">282</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVII. Di alcuna novità di Pisa per gelosia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap87-4">283</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span>LXXXVIII. Della gente che i Fiorentini mandarono con l’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap88-4">284</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIX. Come l’imperadore si partì da Siena</i></td> <td class="pag"><a href="#cap89-4">285</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XC. Della gran compagnia ch’era in Puglia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap90-4">286</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCI. Come il gran siniscalco cambiò sua fama in Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap91-4">287</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span>XCII. Come l’imperadore giunse a Roma</i></td> <td class="pag"><a href="#cap92-4">289</a></td>
- </tr>
-</table>
-<hr>
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_301">[301]</span>
-</p>
-
-<table class="errata">
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>ERRORI</td> <td>CORREZIONI</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="6">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="6" class="center">TOMO SECONDO</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="6">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>p.</td> <td class="num">36</td> <td>v.</td> <td class="num">15</td> <td>sbarrattati</td> <td>sbarattati</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>—</td> <td class="num">48</td> <td>—</td> <td class="num">17</td> <td>a’ prigioni</td> <td>a prigioni</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>—</td> <td class="num">121</td> <td>—</td> <td class="num">19</td> <td>uomini della</td> <td>uomini, della</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>—</td> <td class="num">125</td> <td>—</td> <td class="num">10</td> <td>Avenne</td> <td>Avvenne</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>—</td> <td class="num">175</td> <td>—</td> <td class="num">27</td> <td>d’oro gli</td> <td>d’oro. Gli</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>—</td> <td class="num">254</td> <td>—</td> <td class="num">19</td> <td>ehe si</td> <td>che si</td>
- </tr>
-</table>
-<hr>
-</div>
-
-<div class="tnote">
-<p class="tntitle">
-Nota del Trascrittore
-</p>
-
-<p>
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione
-minimi errori tipografici. Le correzioni indicate in fine libro sono state riportate nel testo.
-</p>
-
-<p class="covernote">
-Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.
-</p>
-</div>
-
-<div lang='en' xml:lang='en'>
-<div style='display:block; margin-top:4em'>*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK <span lang='it' xml:lang='it'>CRONICA DI MATTEO VILLANI, VOL. II</span> ***</div>
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-
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-Section 1. General Terms of Use and Redistributing Project Gutenberg&#8482; electronic works
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-1.F.
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-the following which you do or cause to occur: (a) distribution of this
-or any Project Gutenberg&#8482; work, (b) alteration, modification, or
-additions or deletions to any Project Gutenberg&#8482; work, and (c) any
-Defect you cause.
-</div>
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-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 2. Information about the Mission of Project Gutenberg&#8482;
-</div>
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-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Project Gutenberg&#8482; is synonymous with the free distribution of
-electronic works in formats readable by the widest variety of
-computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It
-exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations
-from people in all walks of life.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Volunteers and financial support to provide volunteers with the
-assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg&#8482;&#8217;s
-goals and ensuring that the Project Gutenberg&#8482; collection will
-remain freely available for generations to come. In 2001, the Project
-Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure
-and permanent future for Project Gutenberg&#8482; and future
-generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary
-Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see
-Sections 3 and 4 and the Foundation information page at www.gutenberg.org.
-</div>
-
-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non-profit
-501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the
-state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal
-Revenue Service. The Foundation&#8217;s EIN or federal tax identification
-number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary
-Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by
-U.S. federal laws and your state&#8217;s laws.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-The Foundation&#8217;s business office is located at 809 North 1500 West,
-Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up
-to date contact information can be found at the Foundation&#8217;s website
-and official page at www.gutenberg.org/contact
-</div>
-
-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Project Gutenberg&#8482; depends upon and cannot survive without widespread
-public support and donations to carry out its mission of
-increasing the number of public domain and licensed works that can be
-freely distributed in machine-readable form accessible by the widest
-array of equipment including outdated equipment. Many small donations
-($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt
-status with the IRS.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-The Foundation is committed to complying with the laws regulating
-charities and charitable donations in all 50 states of the United
-States. Compliance requirements are not uniform and it takes a
-considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up
-with these requirements. We do not solicit donations in locations
-where we have not received written confirmation of compliance. To SEND
-DONATIONS or determine the status of compliance for any particular state
-visit <a href="https://www.gutenberg.org/donate/">www.gutenberg.org/donate</a>.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-While we cannot and do not solicit contributions from states where we
-have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition
-against accepting unsolicited donations from donors in such states who
-approach us with offers to donate.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-International donations are gratefully accepted, but we cannot make
-any statements concerning tax treatment of donations received from
-outside the United States. U.S. laws alone swamp our small staff.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Please check the Project Gutenberg web pages for current donation
-methods and addresses. Donations are accepted in a number of other
-ways including checks, online payments and credit card donations. To
-donate, please visit: www.gutenberg.org/donate
-</div>
-
-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 5. General Information About Project Gutenberg&#8482; electronic works
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Professor Michael S. Hart was the originator of the Project
-Gutenberg&#8482; concept of a library of electronic works that could be
-freely shared with anyone. For forty years, he produced and
-distributed Project Gutenberg&#8482; eBooks with only a loose network of
-volunteer support.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Project Gutenberg&#8482; eBooks are often created from several printed
-editions, all of which are confirmed as not protected by copyright in
-the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not
-necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper
-edition.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Most people start at our website which has the main PG search
-facility: <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-This website includes information about Project Gutenberg&#8482;,
-including how to make donations to the Project Gutenberg Literary
-Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to
-subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks.
-</div>
-
-</div>
-</div>
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